HANDBOUND
AT THE
UNIVERSITY OF
TORONTO PRESS
/.
SIDRIR E CRIIIGfl DI lESTI LIIIIIII
Remigio sabbadini
nORIi E GillTICIl DI TEHI UTINI
Cicerone. Donato. Tacito. Celso. Plauto.
Plinio. Quintiliano. Livio e Sallustio. Commedia ignota
CATANIA
FRANCESCO BATTIATO, EDITORE
1914
57
5iS
PROPRIETÀ LKTTKRAKIA
779975
Catania, Tip. Monaco oc Mollica
ALLA CARfì NIFOTINA
LIDIA
L NONNO REHICIO *
* (con TauKurio che fatta grande abbia a leggere
libri più allegri di questo).
PROEMIO
Storia e critica di testi latini è un vecchio titolo ap-
posto a un manipolo di studi pubblicati nel volume III
Ug sgg.) del Museo di antichità classica del i88g. Il
Museo, ora da tanto tempo estinto, aveva precedente-
mente accolto nel suo volume II altri due miei scritti,
che avrebbero potuto portare il medesimo titolo: Della
biblioteca di Giovanni Corvini e d'una ignota comme-
dia latina {8i sgg.) e Codici latini posseduti scoperti
illustrati da Guarino Veronese (j/j sgg). E il titolo me-
desimo sarebbe convenuto ai due opuscoli dati alla luce
eparatamtnte a Livorno nel 1886: Studi di Gasparino
Karzizza su Quintiliano e Cicerone; e Guarino Veronese
e gli archetipi di Celso e Plauto.
L'origine di questo genere di studi merita di essere
brevemente accettnaia. Avevo messo mano fino dal l8y6
(i indagini larghe e sistematiche sulL umanismo, che in
forimi pio uiir'jT"7"" fnassimamente a uno scopo cronolo-
VI R. SABBADINI.
gìco e storico-biografico. Quando neW esplorazione dei var i
epistolari umanistici editi e inediti m'imbattei in quello
di Pier Candido Decembrio, inchiodò la mia attenzione
una lettera in cui si parlava di Donato commentatore di
Terenzio: Quod prius mihi ex Donato tuo placuit, ex-
cerpsi Phormionis partem ex ApoUodoro traducti, in-
verso nomine ut idem putat {p. 226 di questo volume).
Quelle parole furo7io il seme da cui nacque poco di poi
il saggio su Donato nel Museo di antichità classica {III
381-468), seguito a breve distanza dalla piìi ampia dis-
sertazione comparsa nel i8gs col titolo II commento di
Donato a Terenzio nel volume II (1-134) degli Studi
Italiani di filologia classica: dissertazione alla quale
spetta il singoiar vanto d'aver promossa definitivamente
redizione critica di Donato.
Così alla serie delle mie indagini biografico-storiche
sul! umanismo, che trovarono sede in numerosi grossi
volumi e, sotto forma di Briciole, nel Giornale storico
della letteratura italiana, s' accompagnò e procedette di
pari passo ima nuova serie di indagini di carattere fi-
lologico, le quali furono ospitata nei suddetti Studi Ita-
liani, nella Rivista di filologia, nei Rendiconti del r.
Istituto Lombardo di scienze e lettere, negli Atti della
r. Accademia delle scienze di Torino, nei Rendiconti
della r. Accademia dei Lincei e altrove.
Questi studi filologici, che confluirono ultimametite nei
due volumi Le scoperte dei codici latini e greci nel sec.
XIV e XV (Firenze, Sansoni, 1905, 1914), dovevano
corrispondere a un vero bisogno dei cultori del classici-
smo, poiché trainarono presso dì loro tali accoglienze, quali
PROEMIO. VII
io stesso non mi sarei aspettato. Furono infatti frequen-
tefnente citati, adoperati, discussi, e, ciò che pili importa,
diedero forti spinte a estendere le ricerche su campi piìi
larghi e aiutarono la soluzione di delicati e spinosi pro-
blemi filologici. Molti di quegli opuscoli mi vennero e mi
vengono con insistenza richiesti da privati e da librai,
quando da decine d' anni sono intierame^ite esauriti.
Codeste ragioni e gli autorevoli eccitamenti che mi
giungono da piìt parti ni hanno indotto a raccogliere
in volume le sparse membra. Comincio intanto dal ripro-
durre gli opuscoli ormai irreperibili o piìt difficili a rin-
tracciare: ma non li riproduco letteralmente. Da allora
a oggi o per opera altrui o per opera mia i materiali
sono stati accresciuti e meglio vagliati; sicché i vecchi
opuscoli ricompariscono dinanzi al lettore scrupolosaìnente
riveduti, qua e la corretti, qua e la accorciati o ampliati,
ma soprattutto coordinati. Allorché apparvero la prima
volta, la materia era necessariamente, secondo le varie
occasioni che la trassero alla luce, frammentata e smi-
nuzzolata; ora essa ha ricevuto unità: e V unità le deriva
dai nomi dei classici latini, che sono posti in testa ai
singoli capitoli,
E con questo licenzio il volume,
I quos nnnc renovo vctcres liber ede libellos.
Sic placcant, vctercs ut placucre, novi.
Milano, 15 maggio 19 13.
R. SABBADINI
H
SOMMARIO DELLA MATERIA
Il * Commentarium , del Niccoli 1-7.
I. Cicerone 9-194. Giovanni di Montreuil 1 1. Orazioni 20. Orazioni
note prima delle nuove scoperte 20. Orazioni commentate da A.
Loschi 21. Le orazioni Cliiniacensi 27. La gita di Fr. Barbaro a
Firenze nel 1415: 29. Le orazioni scoperte da Poggio 43. Il co-
dice scoperto da G. Orsini 49. Le Verrine del Capra e del Bruni
50. Guarino e le orazioni di Cicerone 52. L'edizione romana del
Bussi 56. — Epistulae ad familiares 57. Studi di Guarino
sulle Epist. ad fam. 57. — Epistulae ad Atticum 69. Divulga-
zione dell' Epist. ad Alt. 73. I mss. del Bruni e di Poggio 74. Il
is. di G. de Bechi 81; di Fr. Barbaro 82; del Barzizza 83; di
Guarino 85; dcH'Aurispa 87. Il ms. Ambros. A 47 inf.: 89. I mss.
BfjlD^nesi Qo. Il ms. del Corvini 91; del Traversari 91. Il ms.
A ' . I 14 ini.: 93. Epistulae ad Brutum 97. — Opere
rettoriche idi. — Opere filosofiche 145. i codici Ambros.
del de officiis 145. I codici Trivulziani del de off. 164. Il cod. di
M. Decembrio 176. I codici di Guarii)© 178. — OH Aratea 181.
- Opere pS. ciceroniane 183. La quinta Catilinaria 183. Il
tr.-itt.-ifr, <]<■ virtutibuh 189.
I '5'24S' Tib. Claudio Donato in Vergilium 197. Elio Do-
li.ito III Vcrjjilium 203. Elio Donato in Tcrcntìuni scoperto nel sec.
XIV: ioft. Elio Donato in Tcrcntium scoperto nel sec. XV: 214.
2H7. Opere maggiori 249.— Opere minori 263.
i^j hcopcnc di Enoch da Aitcoli 2Ò3.
X R. SABBADINf.
rv. Cornelio Celso 289-324. Sui codici della medicina di Corn.
Celso. Lacune dei codici 291. Elenco dei codici 293. Storia dei
codici 308. Classificazione dei codici 320.
V. Plauto 325-352. Il codice Orsiniano di Plauto 327. Un apografo
del cod. Orsiniano 350.
VI. Plinio 353-377. Le Epistulae di Plinio 356. Il codice di Pom-
ponio Leto? 368. Ps. Plinio 371.
Vn. Quintiliano 379-407. La scoperta del Clémangis 381. Le sco-
perte di Poggio 383. Dubbi del Valla sulla nazionalità di Quintiliano
396. Studi del Valla sui codici dell'Inst. orat.: 402. Ps. Quintiliano.
Le Declamationes 404.
Vili. Livio e Sallustio 409-41 7. Frammenti Liviani e Sallu-
stiani 411.
IX. Una ignota commedia latina 419-425. La biblioteca
di Giovanni Corvini 425-444.
Correzioni e giunte 445.
Indice degli autori 447.
Indice delle persone 451
Il ' Commentarium ' del Niccoli.
Premetto alhi trattazione il Commentarium del Nic-
)li, documento della massima importanza, al quale mi
>vrò richiamare più volte nel corso del volume. Fu
•centemente pubblicato nel Catalogo XII della Li-
beria antiquaria di T. De Marinis e C, Firenze 191 3
>, p. 14-16). Esso si legge alla fine di un co-
ce delle opere filosofiche di Cicerone, allestito per
: collezione Corvina, e ora migrato non so dove; la
ano che lo scrisse è diversa dalla mano che scrisse
codice.
Il Commentarium comprende due parti : nell* una il
iccoli dà istruzioni per cercare opere di autori antichi,
idicando il luogo dove si trovano; nell'altra stende
na lista di opere perdute, specialmente di Cicerone,
irrone, Cornelio Nepote, Fenestella, Plinio,
;, Cornelio Celso. Catone: questa seconda ha po-
. . imo valore e io la trascuro. Le istruzioni del Nic-
oli .si riferiscono a cinque monasteri: uno dan(»se 0
R. SABBADIIfl, 7V//I Uttmt, I.
R. SABBADINI.
quattro tedeschi : Reichenau, Hersfeld, Fulda e Co-
lonia. Le notizie dei codici derivano tutte da Poggio:
direttamente quelle sui monasteri di Reichenau, Fulda
e Colonia; indirettamente quelle sugli altri due. A Rei-
chenau e a Fulda Poggio andò durante il concilio di
Costanza (1415-1417); a Colonia nel 1422, quando tor-
nava d'Inghilterra in Italia (i). Le notizie su Hersfeld
gli vennero fornite nel 1427 da un monaco, di cui
ignoriamo il nome, di quel convento; le notizie sul
monastero danese ebbe nel 1424 dal monaco cister-
ciense Nicola.
Il Commentarium fu consegnato dal Niccoli nel 1 43 1
a Giuliano Cesarini cardinale di wS. Angelo e a Nic-
colò Albergati cardinale di S. Croce. Si veda questo
passo di una lettera del Traversari (Vili, 2 p. 353) al
Niccoli :
Quod indicem dederis voluminum inquirendorum cum
luliano nostro cardinali S. Angeli tum cardinali S. Cru-
cis, Germaniam omnem omnemque Galliam diverso
itinere peragraturis, fecisti tu studiose et ingenio tuo
digne. Sed vereor ne cum occiduo gelu eorum quoque
refrigescat ardor : quamvis Lucius (da Spoleto) ille ado-
lescens promptus atque excitus magna de se polliceri
videatur; vixque adduci possum illum non dilìgentis-
sime hoc munus impleturum. Gustum illius cepi, bre-
vem quidem; nam transiens per nos me vidit atque
adlocutus est tanta suavitate atque copia, ut spem de
ilio conceperim maximam. Thomas (Parentucelli) item
(i) R. Sabbadini, Le scoperte dei codici, 83-84.
IL ' COM^rENTARIUM ' DEL NICCOLI. f
noster, non ambilo, geret votis tuis morem . . . Flo-
rentiae ex nostro monasterio Vili iulii (1431).
La lettera è dell'otto luglio 1431. Il Niccoli si tro-
vava a cagione della peste fuori di Firenze fin dal-
l'agosto dell' anno precedente e aveva errato per la
Lombardia e il Veneto. Solo nell'autunno del 1431 si
restituì in patria (i).
Il cardinal Cesarini, accompagnato dal segretario
Lucio da Spoleto, un giovine di belle speranze, an-
dava legato pontificio in Germania a organizzare la
crociata contro gli Ussiti; la bolla di Martino V che
gli affidava codesto ufficio porta la data dell' undici
gennaio 1431; nel marzo era già a Norimberga (2);
talché si sarà mosso da Roma tra il gennaio e il feb-
braio. Allora il Niccoli stava a Verona: e ivi possiamo
supporre sia avvenuto l'incontro.
Il cardinale Albergati, in compagnia del segretario
Tommaso Parentucelli, il futuro papa Niccolò V, an-
dava legato pontificio in Francia a tentar la pacifica-
zione del re Carlo VII col duca di Borgogna e con
l'Inghilterra. Il breve di Eugenio IV che lo investiva
di tale missione ha la data 29 aprile 1431 (3). L'Al-
bergati si mosse da Bologna: ma non saprei dire dove
si sia incontrato col Niccoli.
Ecco ora il documento, quale fu sconciato dal tra-
scrittore e dall'editore.
2) l. Cothloeu», ìiuior. iiussit. 23ò-a4i.
il Fantaxzi, K^r,u.,r, /..,/,>...,^,. r, lao.
R. SABBADINT.
Commentarium Nicolai Nicoli in peregrinatione
Germanie.
In monasterio Sancti Marci quod est in latus (i) Constantie sunt
Commentari a Donati (2) grammatici in litteris vetustissimis
in libros octo E n eidos Virgilii.
IL
In monasterio hispildensi (3) haud procid ab Alpibus continentur hec
opuscula, videlicet:
^^Iiilii Frontini de aqueductis que in urbem
i n d u e u n t liber I. Incipit sic : ' Persecutus ea que de modulis dici
fuit necessarium mine ponam quemadmodum queque aqua ut principium
commentariis comprehensum est nsque ad nostram curam habere visa
sit etc. (4). ' Continet hic liber XIII [folia], Item eiusdem Frontini
liber. Incipit sic : * Cum omnis res ab imperatore delegata interiorem
exigat et curam et me seu naturalis solicitudo seu fides sedula non ad
diligentiam modo verum ad morem commisse rei instingent, sitque mihi
nunc ab NerVa Augusto nescio diligentiore au amantiore rei p. impe-
ratore aquarum iniunctum officium et ad usimi etc. (5). ' Continet XI
folia.
b) Cornelii Taciti de origine et situ Germa-
(i) Leggi in lacu. S'intende il monastero di Reichenau, situato in
un' isola del lago di Costanza.
(2) S' intenderà Tiberio Donato.
(3) Leggi hersfeldensi,
(4) § 64.
(5) § I. Apparisce di qui che nel codice il De aquaediictibus era di-
viso in due parti come nell'esemplare Cassinese, ma la prima si trovava
posposta alla seconda.
IL * COMMENTARIITM ' DEL NICCOLI. 5
n o r u m liber. Incipit sic : * Germania omnis a Galliis Rhetiisque et
Pannoniis Rheno et Danubio flunìinibus a Sarmatis Datisque et mntuo
raetu a montibus separatur etc. '. Continet autem XII folla.
e) Item in eodem codice: Cornelii Taciti de vita lulii
Agricole. Incipit sic : ' Clarorum virorum facta moresque posteris
tradere antiquatus usitatum ne nostris quidem temporibus quanquam
universa suorum etas obmisit '. Qui liber continet XIIII folia.
d) Item in eodem codice: Dialogus de oratoribus, qui
incipit sic: ' Sepe ex me requiris luste Fabi cum priora secula tot emi-
nentium oratorum ìngeniis gloria floruerint nostra pnti<^«;ÌTnum etas de-
serta et laude eloquentie orbata '; qui libe»- continet XVTTT folia,
e) Item in eodem codice contin^tur liber S u e t o n i i Tranquilli
de grammaticis et rhetoribus, qui incipit sic: 'Gram-
matica Rome ne in usa quidem olim nedum in onore ullo etc. '. Con-
tinet hic liber folia VII.
y9Ammiani Marcelli ni rerum gestarum libri
XVIII (i), qui pervenerunt, usque ad obitum Valentis imperatoris :
qui est finis hystorìe.
TU.
In monasterio suldulensi (2) continentur infrascripti libri :
<7^Hyginus de astrologia (3), qui incipit sic: ' Hyginus
-M. Kabio pi. sai. dicit. Etsi te studio grammatico artis inductum etc. '.
/'^lulius Frontinus Celso de agrorum qualitate:
qui liber est multis figuris pictus. Incipit sic : * Notum est omnibus Celse
pracneste studionim nostrorum manere summam etc.'. Saeculi Frac-
c i (4) fi u ni . Opus etiam figuris
plctum.
[lì (ioc . XIV-XXXI. Questo codice nel 1533 fu adoperato
dal Gelenins; se ne conservano alcuni frammenti nell* archivio di stato
di Marbnrg (P. I^hmann, Johannes Sichardus, Miinchcn 1912, lai).
^2) Leggi fiildensù
3) Quello che comunemente ri chiama Hy^ini Astronomie, -
U) ^-^KK' Siculi Flacei. Quchto ro<lirc gromatico, ora Vatic. l'alai.
1564, fu rÌM;o{)erto dal Sichart (I^ehniaun, op. cit. II5-II7).
6 R. SABBAUINI.
<r)Aepitii de compositis lil)ri octo(i). Opus me-
dicinale et optimum.
«^Marceli US vir illustris ex magno officio Theo-
dosio seu filiis sai. d.(2) Incipit sic : ' Secutus opera stu-
diosorum virorum qui licet alieni fuerint ab institutione medicine '.Opus
egregium.
<r)Septimi Tertulliani apologeticum, Preclarum opus.
f) Eiusdem Tertulliani adversus indacos (3). Liber
magnns ut Boetius de consolatione.
^M. Tullii Ciceronis volumen epistolarum ad
A e t i e u m , quod incipit : ' Cum hec scribebam ras existimatur etc. (4)';
finit: * Cicero Capitoni (5) '.
^^Ars Probi eruditissimi grammatici (6). Grande opus.
^Ars Aspri peritissimi grammatici.
l) [Donati] deo(7)octo partibus orationis.
(i) Il cosiddetto Apicius de re coquinaria.
(2) Cioè Marcello Empirico. Lo vide a Fulda nel 1520 U. von Hut-
ten (Lehmann 94). Lo adoperò I. Cornarius per l'edizione di Basilea
del 1536: poi sparì.
(3) Leggi iudaeos. I due Tertulliani vennero riscoperti dal Modius
(P. Lehmann, Franciscus Modius, Miinchen, 1908, 80), le cui collazion i
furono comxmicate da F. Junius nella sua edizione di Franecker 1597.
Si son salvati io fogli à^'adv. Judaeos nel cod. Parig. 13047 (E. Kroy-
mann in Rhein. Museum LXVIII, 1913, 130). Questi Tertulliani erano
noti a Poggio sin dalla prima metà del 141 7 (R. Sabbadini, Le scoperte
dei codici, 80) e deve averli veduti a Fulda in ima delle escursioni da
Costanza; ma non sappiamo se li trascrisse.
(4) È il principio del cosiddetto libro II delle epistole ad Brutum.
(5) Ad Att. XVI 16 C. Questo è il codice adoperato dal Cratander,
ora perduto.
(6) Questa collezione di grammatici doveva essere importantissima. Di
Aspro p. e abbiamo solo codici della fine del sec. XV. 'V Ars Probi (o
Instituta artium) era già nota a Poggio sin dalla prima metà del 141 7
(R. Sabbadini, Le scoperte dei codici, 81): e l'avrà certo trovata a Fulda.
(7) Leggi de.
IL * COMMENTARIUM * DEL NICCOLI. 7
OT^Sccunda editio eiusdem Donati [grammatici] urbis
Rome.
n) P h o e a s grammaticus.
o) [Bede ?] De arte metrica liber.
p) P r i s e i a n i grammatici opus in versibus quod dicitur P e-
r i g e s i s hoc est descriptio orbis terre.
IV.
In ecclesia cathedrali Colonie sunt due bibliothece, quorum Poggius
noster vidit illam que est vulgatior, in qua repperiit quasdam C i e e -
ronis orationes(i); aliam vero que est penitus recondita vi-
dere non potuit propter absentiam custodis illius. De hac ipsa audivit
nilta miranda.
V.
In quodani monasterio Dacie (2) ex ordine Cistercicnsium sunt ut multi
affirmant X d e e a d e s T . L i v i i (3) in quinque codicibus vetn-
litteris longobardis.
(l) Cioè le tre tig Uf(t agrarùi e la m /'n.
1 2 ' Allora dicevano Dacia per Dama.
» j Su questa leggenda vedi G. Voigl IVicdtrbtiehung I
f
I.
CICERONE.
Giovanni di Montreuil.
Diamo anzitutto un rapido sguardo alle scoperte ci-
roniane fatte nel secolo XIV da un Francese, Gio-
inni di Montreuil, perchè è bene si sappia come la
-ancia abbia preso parte onorifica agli inizi della ri-
iscita classica.
Giovanni di Montreuil (*) (Johannes de Monsterolio),
n dal 1395, reduce dall'ambasceria britannica del
ì94, si rivolgeva a un Italiano, il quale *a puero mul-
iipliciter abundabat ' di opere oratorie e poetiche, per-
chè gli mandasse Vergilio, Terenzio, Sallustio, Lat-
ozio, Cipriano e orazioni ed epistole di Cicerone (i).
•ualche tempo dipoi pregava la stessa persona, come
irrebbe, per ottenere scritti ciceroniani. Aveva già ri-
'•) Companrc la prima volta in Rivista di filologia XXXIX, 1 ii i,
(1) Martcnr, l'etirum tcriptorum et monum. amplissima colltetio, II,
135. Fnrtroppo non poftKiamo indovinare chi (osse questltaliano, perchè
lettere del Montreuil sono tutte anepigrafe.
12 R. SABBADINI.
cevuto r orazione //-^ Ligario: ora domandava altre ora-
zioni ed epistole; avrebbe voluto chiedere anche il De
re p., il De orai., le Partii, orat., le Verr., le Philipp, e le
TuscuL; ma temeva di essere troppo esigente (i). Verso
il 14 IO dava la caccia a un famoso codice, contenente
'libri morales Tullii pluresque orationes', che era ap-
partenuto prima al cardinal francese Pietro Amelii (m.
1389), poi al cardinale italiano Galeotto di Pietramala
(m. 1397), e da ultimo al cardinale Niccolò Brancacci
(m. 141 2). Il codice era allora a Bologna (2), dove ri-
siedeva la curia pontificia. Pensai per un momento al
codice petrarchesco di Troyes n. 552; ma esso è in
' littera nova ', dovechè quello cercato dal Montreuil
era ' littera nec antiqua nimis nec nova ': perciò ap-
prossimativamente del sec. XII-XIII.
Di talune opere ciceroniane il Montreuil s' era for-
mato un volume, che comprendeva porzione delle Epi-
stole * cum nonnullis sue industrie aliis operibus ,. (3).
Dei trattati rettorici possedeva certamente il De orat.
(mutilo) e le Partit. orat. (4). Il De orat. stava nel mo-
I
(1) A. Thomas, De Joannis de Monsterolic vita et operibus, Parisiis,
1883, 102.
(2) Thomas, 60.
(3) Thomas, 107.
(4) Thomas, 56. Citazioni dal De orat.: Thomas, 14, Cicero: * adesl
enim fere nemo... ', De orat., I 116; Maitène, 1424: * Est enim, expri-
mit ipse, oratori finitimus poeta... ', De orat., I 70; ib. 1329: Phormio-
nes de quibus idem Tullius..., De orat.. Il 77.
I. — CICERONE. 13
nastero di Cluni (i): ed è probabile che di là sia ve-
nuto al Montreuil.
Aveva un buon manipolo di libri filosofici : i Farad,,
il De amie, il De nat. d, (2), le TuscuL, il De divinai.,
il De leg. (3), il De off. (4), il De fin. (5). Alcuni di essi
forse provenivano da Cluni, dove si trovavano due
copie del De sen., i Farad., le Tusc, il De off. e il De
amie. (6).
Il Montreuil era in possesso delle due raccolte epi-
stolari di Cicerone. La raccolta ad Att. stava nelle sue
ini sin dal 1395 almeno; poiché la lettera di quel-
mno, da noi più su ricordata, nella quale domandava
lU' Italia molti autori classici, si chiude con queste
rolo : 'Vale meque dilig-as et tibi, ut ciceroniano
,»ersuadeas te a me fraterne
nari (7): parole che compariscono nelle Epist. ad
riceviamo la conferma da un altro
1) M. Manitius, in Philolog. XLVII, Ergànz. Heft XV: ' Doctrina
Ndem (Ciccronis) de oratore *. 11 catalogo del monastero è del sec. XII.
i) Reco dal Mortene, 1378, un passo di lezione un po' controversa :
iquc cum Tullio ut alius in Synephoebis libet exclamare: proh deum
\\\t hominum postulo obsecro oro ploro alque imploro fidem ', De
t. d., I 13.
3) Thomas, 56.
(4) Cod. Vatic. Regin. 332 f. 59 guis in officialibus (TuUius).
''S) Martcnc, 1442: id asserente <"i.-,.r,.,...- ',i.n,,t |.t,i,nrn>. ,1..., j>o-
t iocundc vivi...', De fin., I 5 ;
M.initiuK, ib.: Tullius de «eneclutc. l'atiuloxa Stt»icoiuiu Ciccronis.
ficulunarum ciuwlcm. ( i<,.,i. il.« i.ffi. iis. ("itcMu «li- amiiitia. Tul-
scnectute ad Catone n
(7> Martine, 1433.
14 R- sajbbadin/.
luogo, dove leggiamo: ' Octaviani autem avus argeii--
tarius, pater nempe astipulator fuit, sicuti haec Tullius
certa occasione oborta ad eundem Octavianum scri-
bens improperat ' (i). Qui si tratta deìV Epistula ad
Octavianum (§ 9), spuria, trasmessaci con la silloge ad
Att. (2). Ora non mi par probabile che il Montreuil sin
dal 1395 avesse potuto ottenere la copia delle lettere
ad Att. da Firenze, dove erano arrivate da poco e vi
si custodivano gelosamente; perlochè è forza ammet-
tere che le abbia avute dal monastero di Cluni, il cui
catalogo reca: 'Libri epistolarum Ciceronis ad Atti-
cum XVI ' (3). Che egli fosse in relazione con Cluni,
ci risulta da quanto scrive in una sua lettera : * Vale
et quid in ilio Cluniacensi egeris cenobio, scriptis in-
timato nec obliviscaris transcriptionem Plauti senis' {4);
donde apprendiamo che il suo corrispondente si oc-
cupava di codici.
Il medesimo monastero aveva anche la silloge ad
fam. in doppio esemplare : * Epistole Ciceronis ad Pu-
blicum Lentulum proconsulem (lib. I) et ad Curionem
(lib. II) et ad Appium (lib. ITI) et ad alios multos. Epi-
stole Ciceronis ad Publicum Lentulum et ad alios mul-
(i) Ib., 1408.
(2) Forse di essasi parla in un'altra lettera del Montreuil, Thomas, 61.
(3) Manitius, op. cit.
(4) Thomas, 73. Plauti sevis, sempre usato dal Montreuil, è nato
probabilmente da Flauti Asinii, che si legge nel titolo di alcuni codici,
p. e. nell'Ambros. Z 55 sup. del sec. XIV-XV: Plauti Asinii poete
clarissimi; e nel Vatic. 1630, sec. XV, f. iiov Plauti Asinii poete comici.
i. — CICERONE. i^
tos Ut supra ' (i). Ma non era completa; abbracciava
cioè i primi 8 libri, perchè i codici della famiglia tran-
salpina avevano diviso la silloge in due volumi. E di
vero da una lettera di Nicola Clémangis al Montreuil
veniamo a sapere che questi possedeva delle Epist. ad
fam. solo una porzione: *quas penes te prò magna
saltem p o r t i o n e habes (2). Prosegue il Cléman-
gis: * Cum autem Cicero ipse ad reges, ad consules,
ad summa imperia scribens... '. E infatti nei primi 8
libri fra i corrispondenti incontriamo dei proconsoli
(I I ), degli edili curuli (II 9), dei propretori (II 1 8), dei
censori (III 11) e degli imperatores (III i; V 7; VII
5), che il Clémangis interpretò per reges. La riprova
e* è fornita dal Montreuil, che nelle citazioni delle Epist,
ad fam. si mantiene nei confini dei primi 8 libri:
* Occasione certa data ut ad ligandum committe-
rem eiusdem Ciceronis epistolarum p o r t i o n e m
ad conspectum meum sese casu ipsius Ciceronis inie-
cerunt ista verba : Cum Vatinii defendendi
s t i m u 1 u s... (3) {ad fam. I 9, 19).
* Non pauca similia (Cicero ait) in de consolatìone
filiae tractando (4) (ad fam. IV 5 e 6).
'l'.t si esse una minus poteri mus quam
velimus, animorum t am en coni unctione
• ' ' '' f •" '; V " s t u d i i s i t a f f» r V o a mus, ut
(2) Voigt, in /ihein. Museum, XXXVI, 1881, 475.
(3) Thomns, 107.
(4) Marlcnr, 1441.
l6 R. SAiBADlNl".
nunquam non una esse, ut ait Cicero, v i -
deamur' (i) {ad fam. V 13, 5).
Ripetiamo per le Epist. adfam. quello che abbiamo
detto per le Epist. ad Att.i il Salutati le custodiva g-e-
losamente non ne facendo parte che agli amici intimi
e solo alla sua morte (1406) entrarono in circolazione.
Vengano ora le orazioni ciceroniane note al Mon-
treuil. Le ricaviamo dai seguenti passi delle sue lettere:
' Vide prò Sestio orationem ' (2).
• In conservatoria seu hortatoria prò Lucio (= Licinio) Archia ' (3).
• Querenti michi, ut fit, hoc in Elicone modico alium libellum quen-
dam meuro, nunc quasi dedita opera sese ter quaterque (=- 7) Verrine
mee, quas accomodati causa hesterno die quesiistis, obtuleruTit ' (4).
• Non preteristi videre orationes Tullii tottot sceleribus implicitas,
presertim he que prò Sexto Roscio, Cluentio, Milone ac Cecilio {-=^ Cae-
lio) necnon in Claudium (5) acte sunt, nichilominusque in Catilinam
(i) Martène, 1429. La citazione: 'Vale mi pater et ut ad gnatum
scribit Cicero, tibi persuadeas te michi esse carissimum ' ha tratto in
inganno il Thomas, 57, e il Mendelsohn (Ciceronis, Epistiilae, Lipsiae,
1893, P^g- xm nota). Essa non va riferita alle Epùt. ad fam.,'KW 3,
5, ma al De off., Ili 121.
(2) Martène, 1424.
(3) Thomas, 55.
(4) Thomas, 55, 108.
(5) Ritengo che con prò Caelio e in Claudium s' indichi la mede-
sima orazione, perchè nella /. Cael. ci sono attacchi contro P. Clodio
e sua sorella Clodia. Anche Antonio da Rho nella prima metà del se-
colo XV citava la p. Cael. col titolo cantra P. Clodiu/n. Cod. Ambros.
H 49 inf. f. 215V scrive Antonio da Rho nel De imitatione : Item Ci-
cero in oratione contra P. Clodium.... ait euim: ' accusatio crimeu desi-
derat, rem ut definiat, hominem ut vocet, argumento probet, teste con-
i. — drCHfcONE. ìf
V'erremque et Anthonium..., Ciceronis atque Salustii vicissitudinarie in-
vective * (i).
Quest'ultima lettera del Alontreuil, lunghissima e im-
portantissima per le reminiscenze classiche, credo in-
lirizzata al Clémangis, perchè a lui solo si addice la
lode che gli rivolge lo scrivente (f. 6i): * Non tu ipse,
[uo neminem, pace omnium dixerim, cognovi autores
antiquos enixius lectitasse aut intellexisse satius... ? ', e
ne vorrei conchiudere che all' esplorazione del mona-
stero di Cluni ebbero parte tutt'e due.
Trascriviamo pertanto dal catalogo di Cluni i titoli
Ielle orazioni ciceroniane: Defensio Marci Tullii prò
^liloiie. Cicero prò Milone et prò (Cluentio) Avito (=Habito)
/ prò Murena et prò quibusdatn aliis. Cicero in Catil-
ìinatn et idem prò Q. Ligario et prò rege Deiotaro et
^e publicis litteris et de actione idemque in Verrem. Con-
troversia in Salustium et Saltistii in eum et invective
Ciceronis in Caiilinam. (2). E soggiungiamo l'indice del
cod. Parigino lat. 14749, già di S. Vittore, il quale hi
ratto dai codici di Cluni (3): a) i De imp. Cn. Pom-
•ei; 2 p. Milone; 3 pridie quam in exilium iret; 4 cum
imct. Malc(iictio autcni iiihil h;ibct propositi prctcr contuim-lKim ....
fr. eie. p. Cael. 6). Ma è giusto anche aggiungere che 1' orazione de
mo su/i ad poitt. nel cod. Vatic. 1742 (scc. XV) f. 215V s'intitola:
iti P. Clodium.
(i) Cod. Vatic Rcgin. 332 f. ^ov.
(2) Manitius, ib.
(3) Come ha dimostnt»» A. < .( i.un, ine ■ ri»«.i » nttiiimnit.^ ('/ I k't^t^tv,
■ Anecdota OximUnsta^ Cliisjiical .Serics, X, 190$, p. Ili- XV.
K. AABBADW], Titti latmù 2.
l8 R. SABBADINI.
senatui gratias egìt; 5 cum populo gratias egit; 6 de
domo; 7 p. Sestio; 8 in Vatinium; 9 de provinciis con-
sularibus; io de harusp. responsis: 11 p. Balbo; 12 p.
Caelio; 13 p. Piando; 14 p. Sulla; 15 p. Archia; 16 p.
Murena; 17 p. Sex. Roscio; ó) 18 pridie quam in exi-
lium iret; 19 cum senatui gratias egit; 20 cum populo
gratias egit; 21 p. Marcello: 22 p. Ligario; 2;^ p. Deio-
taro; 24 invectiva Salustii in Cicer.; 25 invectiva Cice-
ronis in Sai.; 26 p. Cluentio; 27 p. Quinctio; 28 p. Fiacco.
Il cod. Parig. 14749 si compone di due parti, come
si vede dalla ripetizione dei n' 3, 4, 5 nei n' 18, 19,
20. Il copista perciò o meglio i copisti non trascrissero
pedissequamente i codici di Cluni, ma fecero una scelta
delle orazioni singole, tralasciando le aggruppate, cioè
le 4 CaU/.
Di queUe citate dal Montreuil erano nuove le Verr,
come corpo completo, le singole p. Sest., p. S. Roseto,
p. Quinci., p. Flac. La p. Arch. 1' aveva rinvenuta il
Petrarca a Liegi; le due p. Quinci, e p. Flac, tornarono
alla luce sul finire del sec. XIV anche in Italia.
Ripetiamo dal vecchio catalogo la descrizione di
uno dei codici (il n. 496) di Cluni: ' Cicero prò Milone
ei prò (Cluentio) Aviio (= H abito) ei prò Murena eipro
quibusdam aliis \ Questo volume venne, non sappiamo
come, in potere di Poggio, che lo mandò da Costanza a
Firenze nella prima metà del 14 15. Lo adoperò a Co-
stanza anche Bartolomeo da Montepulciano e se ne
trasse degli excerpta nel cod. Laurenz. 54, 5 (i).
(i) Clark op. cit., p. VI-VUI.
f . — CICERONE. T^*
Ripetiamo dal vecchio catalogo la descrizione di un
litro codice di Cluni (il n. 498): Cicero in Catillinam et
idem prò Q. Ligario et prò rege Deiotaro et de publicis
litteris et de actione idemque in Verrem. Questo fu rin-
tracciato recentemente da W. Peterson nella collezione
Ifolkham (dove porta il n. 29) (i). Ma non è più in-
tegro: contiene ora frammenti delle quattro CatiL, della
\ Lig. e p. Deiot. e del liber II (act. II) in Verrem.
Velia dicitura del catalogo antico con de publicis lit-
teris son da intendere i libri II e III (act. II), poiché
le publicae litterae ricorrono 9 volte nel II, 17 nel UT.
Le altre indicazioni de actiane idemque Ì7i Verrem il
redattore del catalogo avrà desunte dalle sottoscrizioni,
ssendo il principio del Hb. Il mancante di titolo (2).
Da quanto abbiamo esposto risulta chiaro che il
Montreuil quale ricercatore e scopritore di opere ci-
eronìane non ha nulla da invidiare ne al Petrarca che
lo precedette, né eX Salutati che gli fu contempora-
•leo, né a Poggio che venne dopo.
( I ) W. Peterson, Coliations front the cod. Cluniacensis s. Holkhamicus
I Anecdota Oxon., Class. Series, IX, 1901, p. I-VII.
(2) Connesso col codice Cluniac.-Holkh. è il cod. Laur. Bad. 2618,
>) detto comunemente Lagomars. 42), del sec. XV, che constadi due
' zioni, in origine indipendenti: la prima delle quali contiene i libri II
III (act. II) in Verrem, indi d'altra mano i lib. IV e V (act. II), la
'ivinatio, Vattio I e il lib. I (act. IL) L'altra sezione contiene le invet-
c tra Cicerone e Sallustio, le quattro Catilin. e le tre Caesarianae,
codice Laur. Bad. per i lib. II e III (.ict. II) in Verrem deriva dal
luniac.'HoIkh.: direttamente, secondo il Peterson, indirettamente, e mi
ire pili a ragione, secondo il Clark (cfr. The elassical Revitw^ XVI,
1 >o2, 325-6).
lo R. SABBADFNr.
Orazioni
Orazioni note prima delle nuove scoperte.
Fermiamoci intanto alle orazioni di Cicerone. Prima
delle scoperte del Montreuil e di Poggio si conosce-
vano le seguenti orazioni di Cicerone: (*)
in Catilinani (4) p. Milane
Philippicae (14) (i) /. Piando
le tre Cce sari ance: (2) p. Marcello p. Sulla
p. Ligario p. Caelio
p. Deiotaro p. Balbo
le due post reditum: ad Quirites p. Sestio
ad senatum in Vatinium
de domo sua ad ponti fices de provinciis con-
de haruspicum responso [sularibus
de imperio Cn.Pompei{p.lege Manilio) p. Archia (3)
p. Cluentio (mutila in fine al § 192) p. Quinctio
p. Fiacco
Inoltre qualcuna delle Verrine (4) (p. e. la II' de
(♦) Comparve la prima volta in Studi ital. filol. class. VII, 1899, 103.
(i) In una redazione mutila, in modo che venivano contate per 13.
(2) Molto diffuse nel medio evo.
(3) Scoperta dal Petrarca nel 1333.
(4) Ma già sin dal 1418 Cosimo de' Medici le possedeva tutte sette.
Nel suo inventario del 1418 leggiamo: Verrine di Tulio di lettera an-
tica. Questo codice è ora il Laur. 48.27 (F. Pintor, La libreria di Co-
simo de' Aledici nel 1418. Nozze Della Torre-Guidotti, Firenze 1902,
9» H).
I
I. — CICERONE. 21
frumento), X apocrifa pridie quam iji exilium irei e le
due declamazioni, del pari apocrife, scambiate tra Ci-
cerone e Sallustio.
Orazioni commentate da A. Loschi. (*)
Due di queste, p. Qu'mctio e p. Fiacco, erano venute
i!la luce recentissimamente. Le in;:ontriamo commen-
tate, insieme con altre, nella Inquisltio artis in oratio-
niòus Ciceronis di Antonio Loschi.
U Inquisitio, che ebbe larghissima diffusione tra gli
umanisti, comprende il commento rettorico a undici
orazioni: p. Poinpeio, p. Milone, p. Piando, P. Sulla, p.
Archia, p. Marcello, p. IJgario, p. Deiotaro, p. Cliientio^
p. Quifictio, p. L. Fiacco. ÌJhtquisitio fu £mche più volte
stampata nel sec. XV, p. es. « Venetiis 4^ nonas iu-
nias 1477 *' insieme con Asconio e col commento
rettorico di Sicco Polenton ad altre orazioni cicero-
niane da lui condotto sul modello del Loschi. 11 lavoro
del Polenton porta la data < Patavìi ex aedibus so-
litae hcibitationis MCCCCXIII > e ciò serve a stabilire
per r Inquisitio del Loschi un termine ante quem. Ma
il termine si circoscrive ancor più con queste parole
della dedica ad Astolfino Marinoni: «De quibus (ora-
tionibus Ciceronis) optime frater, cuni saepius incidis-
set ut loqueremur, ut solemus plerunque de doctissi-
morum hominum studiis deque omni genere literarum
♦ < '.:i,j;.irvc 1,1 priruu volta in (^toru. stor. Utt. tta/.SO, I907i37'40»
22 R- SABBADINI.
loqui (i) > (lezione del cod. Ambrosiano H loo inf.
secolo XV, f. 2); donde rileviamo che il Loschi era a
contatto col Marinoni e perciò stava ancora a Pavia,
nella quale città sin dal 1388 s'era recato a studiare
artes {2). Ci sono poi codici, quali il citato Ambros.
H 100 inf. e il Pistoiese 28 (Mazzatinti, Inventari), che
portano questo titolo: Antonii Lusci Vmcentini secre-
tarli iliustrissimi diicis Medìolani etc. ad suum fratrem
optimum atque carissimum Asto/fijtum de Marinonibus
secretarium ^nagnifici Francisci de Barbavariis Inquisitio
artis in orationibus Ciceronis. Siccome il Loschi fu se-
gretario dei Visconti dal 1391 al 1405 (3), così in quel
(i) Un cospicuo saggio degli studi letterari del Marinoni è il cod.
Casanat. 960 (Roma), dove si copiò le opere di Vergilio. Ecco le sot-
toscrizioni: f. 23 Bucolicorum Virgilii liber explicit 1393. IO septemhris;
f. 55V Georgicorum liber quartus explicit quem ego Astoljìnus dt Ma-
rinonibus anno 1393 die 21 novembris altissimo suffragante perfeci; f.
203V Eximii poetarum Publii Maronis Virgilii liber duodecimus Eneydos
deo dante explicit. Scriptns Papié per me Astolfinum de Marinonibus
anno 1394 et 20^ augusti luce finitus. Il Marinoni dopo la morte di
Giangaleazzo Visconti (1402) avrà abbandonato Pavia, poiché nel mag-
gio 14 19 ricomparisce a Milano come legato di Martino V {Historiae
patriae monumenta. Liber iurium rei p. Genuensis II p. 1490).
(2) G. da Schio, Sulla vita e sugli scritti di A. Loschi, Padova, 1858,
163: < Papiae scholaris in artibus existit >; C. Salutati, Epistolario, a
cura di F. Novati, n, 355.
{3) Salutati, Epistol., Ili, 330, 634; W. Cloetta, Beitràge zur Litte-
raturgeschichte des Mittelalters und der Renaissance, II, 1892, 98. —
Delle undici orazioni commentate, tre: p. Clnentio, p. Fiacco, p. Quinctio,
erano rimaste ignote al Petrarca. Nella dedica al Marinoni il Loschi
mostra di conoscere anche le Verrine e le Filippiche : « In his vero
ceterisque in locis simili ratione tractatis, ut invectivis Verrinis et
I. — CICERONI?. 2$
periodo va collocata V Inquisitio: ma molto più vicino
al primo termine che al secondo.
Approssimativamente a quel tempo appartiene un
altro suo lavoro rettorico, il volgarizzamento delle De-
clamatiofies dello ps. Quintiliano, che nel cod. Maglia-
bechiano (Firenze) VI, 171, sec. XIV, si trova < iscritto
per Gherardo di Tura Pugliesi l'anno MCCCLXXXXII
del mese di giugno > (i).
XeUa stessa categorìa di studi rettorici rientrano otto
brevi controversie giudiziali del Loschi, non rammen-
tate da G. da Schio (2), che son modellate sugli Ex-
rrrhta di niipHp di Seneca padre (3). Eccone il titolo,
Philippjcis, patcfecit quantus quamque mirabilis essct orator » (lezione
del ccxìice Ambrosiano). Dopo Cicerone l'autore più studiato dal Loschi
fu Vergilio; d'entrambi scrive egli: « Si me Latiae duo flumina linguae,
Tullius atque Maro, sua per vestigia ducant » (Antonii de Luschis,
Carmina, Patavii, 1858, 20); e Vergilio infatti imitò largamente nei
suoi abbastanza numerosi e non ineleganti versi. Anche Livio fu tra i
suoi autori prediletti: € Livius e manibus nunquam cadat », raccomanda
a Giovanni Nogarola {jb. 67).
(i) Miizzatinti, Inventari, Vili, 1898, 18; cfr. H. Dessauer, DU hand-
schriftl. Grnudlage der ps. Quinti/. Declamationen, Leipzig, 1898, 66-
67. K vedi ora C. Marchesi, // volgarizzamento italico delle Declama^
tiones ps. quintilianee in Miscellanea di studi critici pubblicata in onore
di G. Mattoni, I
(2) Op. cit., ii.i^. i yi >^^. «i.i I in 11.,, delle opere.
(3) Allora erano' noti del volume di Seneca i soli Excerpta, che si
( itavano col titolo di Declama ticnes; il testo più completo venne in luce
più tardi per o|)era del vescovo Gio. And. Bussi e del Cusano. Una
controversia possediamo anche di Bonaccorso da Montemaj^o il giovine
in Prose e rime de' due tiuonaccorsi, Firenze, 17 18, p. 142, e una di
f4 R> SABBADINI.
quale è dato dal cod. Magliabechiano li, I. 64, f. 85-89:
Libellus declamationum co7itroversaliuin Anthonii de Lu-
schis de Vincencia. Recherò qui per sagg"io T intesta-
zione e l'argomento della prima:
« Notata luat homicidia divortium.
« Gravis oritur dissensus in fratres, quoruin uxor est alteri, que a
« fratre virum opprcssum cemit, adeo ut preter cedem exactam cuncta
« expavescit. Sumpta cuspide calcantem occidit. Liberatus vir ad uxorem
« agit de homicidio ut expellat. Contradicit mulier ».
Pare che il Loschi si sia occupato inoltre della Rite-
torica ad Herennium, da ciò che scrive Battista Gua-
rino nel commento alla detta Rhetorica, rifatto su quello
di Guarino suo padre. Il Loschi, Guarino e suo figlio
Battista misero in dubbio l'autenticità del passo della
Rhetorica « quattuor locis uti — in conclusione » (II,
§ 47). Senticimo dunque Battista (i):
« In quatuor locis .... Multi vero et doctissimi viri, inter quos
et praestans ille Antonius Luscus et eloquentissimus vir Guarinus Ve-
ronensis dixerunt hunc textum non esse Ciceronis, sed potius fuisse
adiunctum ab aliquibus volentibus hanc rem subtilius sed non utilius
perscrutari. Nam minime videtur convenire, quod debeamus uti con-
no sup. sec. XV, f. .09: Spectabili generosoque militi d. Ugolotto Blan-
chardo ill.mi frincipis d. Comitis virttitum consiliario dignissimo Vicen-
tineque uròis capitaneo. Lese maiestatis fit actio. Declamatio Avogarii de
Orglano Vicentini. Argumentum. Conspirationem adversus anguigerum
Cesarem Virtutum comitem cuius leges sponte subierat fecit ingrata Ve-
rona
(1) Cod. Magliabech. n. I. 67. Commentar ii in rhetoricas Ciceronis
sub Guarino collecti incipiunt. Solent qui exponendorum... Alla fine: L.
1473. b. BA.
I. — CICERONE. 2$
clusione in exordio, nani exordium principium est orationis, conclusio
vero est terminus: itaque non bene conveniunt. Praeterea dicit * in
quatuor locis posse fieri, quorum unus est in conclusione '. Sed quid dis-
sonantius audiri potest, quam conclusionem in conclusione fieri posse ?
Tamen posteaquam in omnibus textibus haec pars comperitur, ea hoc
modo salvari potest per sententiara amantissimi genitoris mei Guarini
Veronensis (i), quod intelligatur Tamen videtur absurdum hunc
textum esse hic ab Cicerone interpositum. Nam cum fecerit tripliceni
conclusionis divisionem, sequebalur ut ipse primam partem exequeretur
secundum ordinem: et iste textus est interpositus. Itaque non videtur
esse Ciceroni s ».
Le due orazioni />. Quinci, e />. Flacc. occupano nel-
X Inquisitio il penultimo e l'ultimo posto; ciò che dimo-
stra che erano state trovate da poco: e qui esse fanno
la loro prima apparizione in Italia. In Francia furono
trovate in quel medesimo giro di tempo, perchè le con-
tiene il codice Parigino lat. 14749 suddescritto, dei
primi anni del^ sec. XV: anche ivi tengono gli ultimi
due posti.
Sarà utile confrontare la redazione del cod. francese
f= V) ^(j,^ alcune lezioni citate dal Loschi (= L). A
rappresentare la redazione italiana scelgo il codice fio-
rentino di S. Marco 255 (Bibl. Naz. L IV 4 = b) (♦). Per
V Irrquìsitio adopero il cod. Ambros. lì 100 inf.
(1) Sul commento di Gu.irino padre vedasi R. Sabbadini, La scuola
^ li li studi di Gttaritio, pp. 93-94.
'♦) Companre la prima volta in Ber liner phUol. IVochemckrift 1910,
300, dove riferii Kugli Inventa Italorum del Clark.
S6 R. SABBADINI.
p. Quinctio: § 7, 26 (i) horrentissìmos LL, honestis-
simos <^; 12, 2 licuus L, licinius 2, liciniis b; 15, 23
tamen L b\ tum ^; 16, 3 destititi (= destitit) Z, de-
stitit b\ desistit 2; ig, 20 tum Lb, cum I'; 28, 3 e-
dicta L, edicto - <5; 30, 22 possessorum L 2), posses-
sor b; 30, 28 decernit L 2, decrevit <^'; 36, 15 ipse L
S, ipsi b; 45, 26 in Quincium Lb, iniquum 2; -47, 23
licentur Z, locentur 2^'; 62, 6 eiectum Lb, electum Z;
85, 20 eum qui non lititarit (latitaret b) cui rome do-
mus uxor liberi procurator esset Lb, om. S.
p. Flacc. § 3, 15 hoc tempore hoc inquam tempore
(co7tduplicatio est nota il Loschi) L, hoc inquam tem-
pore codd.; 13, 21 ymo Z, immo 2, immo vero b; 30,
7 promuntaria Z, promuntoria -, promontoria /^; 34, 3
de totius communis LLb^; 58, 2\ noìjiscum Z, vobis
tum S, vobis autem /^; 59, 28 patris Fiacco Z, patri
fiacco Hb, patri flacci ^; 84, 18 filiam filiam {condupli-
cacio est il Loschi) ZS, filiam ^*; 102, 20 tu tamen Z^',
tu tum 2.
Se ne conchiude che Z^2 discendono da un mede-
simo archetipo; ma l'amanuense dell' esemplare di Lb
fu più diligente che quello dell'esemplare di 2. Senza
dubbio 2 venne scritto in Francia; ma nulla vieta di
ammettere che 1' esemplare di Lb sia stato rinvenuto
in Italia.
Ci) Pongo a base l'edizione del Clark: M. Tulli Ciceronis, Oratione.s:
p. P. Quinci., p. Q. Roscio com., />. A. Cuec, de lege agr. e. Rulluvi,
p, C. Rao. perd.t p. L. Flacc, in L. Pis., p. C. Rao. Post., Oxonii.
I. — CICERONE. 27
Le orazioni Cluniacensi.
Il codice di Cluni (*) conteneva più orazioni, due
delle quali nuove per gli umanisti italiani: p. Roselo
Amerino e p. Murena (i). Una prima notizia è data
dal Bruni in una lettera a Poggio (2): ' Ut tu nuper
in Gallia orationes duas M. Tullii, quas nostra secula
nunquam viderant, tua diligentia perquaesitas reperisti...
IV nonas ianuarii MCCCCXV. L' anno, calcolato se-
condo lo stile fiorentino, è il 141 6; la scoperta perciò
va assegnata al 1415. Poggio s'impossessò del codice
originale e lo spedì a Firenze, dove fu copiato. Le
nuove orazioni infatti si leggono, trascritte con molte
altre in data 9 febbraio 14 16, nel cod. Laur. 48, io
con la sottoscrizione: Post mille ecce quintodecimo Sal-
vatoris anno quinto id. febr. (stile fiorentino) hoc volu-
men orationum XXVIII M. T. Cieeronis quod in ccc
rkartis redactum est Ioanìtes Arretinus (3) absolvit Co-
smae de Medicis Ioannis f.
L' archetipo Cluniacense restò a Firenze molti anni
presso il Niccoli, a cui Poggio, reduce dall'Inghilterra
a Roma, lo richiese in data 6 novembre 1423: ' Mittas
orationes Tullii quas detuli ex monasterio Clunia-
censi ': rinnovnr'''^ 1- ri.>.--..wi.. \\ , , H^j^no 1425 :
(♦) Comparve la prima volti iti Stuiii ital.Jttot, class. VII, i»99, lOo.
(1) Inoltre a>Imava la lacuna «Iella /. Cluenl. dal § 192 alla fine.
(2) Leon. Brani Arrctini Epist. c<l. Mehus IV, 4.
(3) Celebre copi»ta.
28 R' SABBADINI.
* Orationes meas Cluniacenses potes mittere... Scribas
mihi quae orationes sunt in eo volumine praeter Cluen-
tianam, prò Roscio et Murena '. L'ebbe, lo copiò e lo
ritornò al Niccoli per mezzo di Candido il 13 dicembre
1429: * Mitto ad te per Candidum nostrum antiquum
volumen illud orationum TuUii ' (1). E da ora in poi
del codice si perdono le tracce.
Dalle esplicite parole del Bruni: in Gallia orationes
duas reperisti e da quelle di Poggio: orationes qiias
detuli ex monasterio Cluniacensi parrebbe doversi de-
durre che Pogg-io stesso scoprisse a Cluni il codice.
Ma come si concilia ciò col fatto che lo scopritore fu
il Montreuil ? Dovremo supporre che si tratti di una
vanteria di Poggio ? O non sarà più verisimile che
il volume sia stato portato a Costanza da qualche
conciliare francese e propriamente dallo stesso Mon-
treuil? (2) Perchè in verità non ci sappiamo capacitare
come e qucindo Poggio nella prima metà del 14 15
abbia potuto intraprendere un viaggio da Costanza a
Cluni.
Abbiamo detto che Poggio s' impadroni dell' arche-
(i) Poggii, Epist. coli. Tonelli I, p. loo, 153, 154, 294. Da fonte
diversa fu copiata a Costanza un'altra silloge di orazioni ciceroniane nel
cod. IX 107 del collegio dei Gesuiti di Vienna, cioè: in Catil. I-IV,
Sali, in Ci:., Cic. in Sali., Philipp. I-XIII (testo mutilo), /. Cluent.,
p. Marc, post. red. in sen., p. Arch., in data * Constantie tempore
generalis concilii constantiensis anno d. MCCCCXV vigesima prima die
mensis octobris ' (E. Goldlob in Sitzungsher. der k. Akad. JViss. in
Wien 161, 1909, 7 Abh. p. 17).
(2) Per la presenza del Montreuil a Costanza nel 141 4- 15 cfr. H. v.
d. Hardt, Rer. conc. Constani. V 28.
/. — CICERONE. 19
tipo Cluni acense nel 14 15. Possiamo circoscrivere la
data alla prima metà del 1415, perchè tra il luglio e
l'agosto dell'anno stesso lo vide il Barbaro a Firenze.
Per dimostrare questa affermazione narrerò un po' dif-
fusamente la gita del Barbaro a Firenze, corredando
la narrazione di documenti, dai quali verranno in luce
altre notizie non prive d' importanza.
La gita di Francesco Barbaro a Firenze
nel 1415 (*).
Francesco Barbaro era già stato alunno del Barzizza
a Padova, quando nel luglio del 1414 giunse a Ve-
nezia Guarino Veronese, che lasciava allora la con-
dotta di Firenze (i); e fu ben felice di ospitare per
qualche tempo in casa sua il nuovo maestro, di cui
frequentò la scuola assiduamente e amorosamente in
tutto il glorioso quinquennio della condotta veneziana
(1414-14 19). Nulla poteva perciò mancare al Barbaro
per appagare la sua gran sete di apprendere; onde
alla bella prima non si riesce a indovinare la ragione
della gita a Firenze eh' egli intraprese nell' estate del
1415. Voleva rappattumare Guarino col Niccoli? Com'è
noto, tra i due insigni umanisti ci fu grave screzio
negli anni 141 2 e 1413, tanto che il mite ed equili-
))ratn ('■:•'■■ "'no fu tratto a lanciare una fiera invettiva
i*j Comparve la prìma volta in Miscelinnea di studi in onore di A,
Hortts, Trie*tc 1909, 615*627.
(1) R. Sabbadini, La scuola € gli studi di Guarino^ 19.
30
R. SABBADINI.
contro colui che l'aveva prima protetto. Voleva cono-
scere di persona gli umanisti di Firenze? Questa città,
destinata a diventare più tardi il centro del movimento
umanistico, cominciava già a contrastare il primato in-
tellettuale a Padova, che V aveva fino allora tenuto
onoratamente. Voleva prendere cognizione dei nuovi
codici pervenuti a Firenze da Costanza ?
Forse tutte tre queste ragioni insieme e altre che
mi sfuggono avranno indotto il Barbaro a recarsi a
Firenze.
Qui comunico alcune sue lettere inedite, che vi si
riferiscono, alle quali ho intrecciato pochi altri docu-
menti che giovano a chiarirle meglio. Il tempo della
gita resta stabilito dalla data ex Venetiis IIII nonas no-
vembris MCCCCXV (documento V); ma anche senza di
ciò numerose coincidenze ci avrebbero consentito di
determinarlo per altra via. Il 1 8 d' agosto era certa-
mente di ritorno (I), anzi prima, perchè sin dal 13
dello stesso mese {idibus praeteritis, II) gli aveva scritto
il Barzizza : possiamo quindi collocare il viaggio tra la
fine di luglio e il principio di agosto del 14 15.
La riconciliazione di Guarino col Niccoli fu forse ot-
tenuta, come vediamo dai saluti che il primo invia al
secondo : doctissimus Guarinus Veroneiisis tibi pi. sai.
dicit (III). Tra i maggiori umanisti fiorentini, coi quali
il Barbaro si legò in intima amicizia, oltre il Niccoli
è da annoverare il Bruni. Negli ultimi mesi del 141 4,
in compagnia probabilmente di Biagio Guasconi, il
Bruni s' era recato al concilio di Costanza; ma dopo-
ché nel marzo del 14 15 avvenne la fuga del papa
I. — CìCERorJE. 31
Giovanni XXIII, egli se ne tornò a Firenze. Uma-
nisti fiorentini minori che il Barbaro conobbe sono
Roberto Rossi precettore di Lorenzo de' Medici (I), i
due Corbinelli Angelo e Antonio, Domenico di Leo-
nardo Buoninsegni e Biagio Guasconi, che più tardi
^i applicò alla politica. Fiorentino non era per nascita
1 camaldolese Ambrogio Traversar!, ma per adozione
e inclinazioni, vera anima e portavoce di quel circolo
di letterati; e con lui pure strinse cordiali rapporti il
Barbaro, anzi tra i due corse vivissimo carteggio negli
anni successivi dal 1416 al 1420, carteggio del quale
ci rimane integra la sola parte del Traversari (i), ma
preziosissima per ricostruire e illuminare il fecondo
scambio dk operosità umanistica interceduto tra Firenze
e Venezia: onde vediamo cataloghi e notizie di codici
nuovi, testi latini e greci, trascrizioni ed emendamenti
incrociarsi dall'una all'altra città.
Tra gli acquisti immediati o, per dirla con le parole
del Barzizza, tra le res noòilissimae (II), che il Barbaro
portò seco dalla Toscana, notiamo due testi latini, le
orazioni di Cicerone e Nonio Marcello, e uno greco,
la Logica e X Etica di Aristotile (2); ma di più altri
testi, specialmente greci, si era assicurato il prossimo
invio, quali le epistole greche di Manuele Crisolora
IV o V), la raccolta epistolare di Cicerone ad Att. coi
II) ^ti i.iM.. >i ■.. ..V Epistola.
(2 Un codice portava questa nota: In hoc codice contincntur Logica
t Kthica Arìttotclis, quibus Franciscu» Harbaras quondam d. Candiani
A ci. Roberto de Ro»»!» civ fI..r.M.»i„,. ,1,.,, .t.,v ,..f r\fi»r,r,.iii /;,/,/;., th ,
S, MUh. pag. XVII).
32 R. SABBADIN/.
passi greci dallo stesso suppliti (V), e i passi greci
del famoso codice delle Pandette (III), che da appena
un decennio (1406) era trasmigrato da Pisa a Firenze.
Il nuovo codice ciceroniano proveniente da Cluni
e mandato da Poggio non in copia ma nell'originale
a Firenze, conteneva alcune orazioni, due delle quali
allora sconosciute, la prò Roselo Ainerino e la prò Mu-
rena. Il Barbaro se ne trasse un apografo, di cui si
servì Guarino per commentare tosto dipoi la p. Rosei o.
Questo commento ci rimane manoscritto e stampato;
in esso è ricordata la gita del Barbaro, in proposito
della lacuna al § 132, con le seguenti parole: « Nam
iterum non parva textus pars deest, quod factum est
situ et exemplaris vetustate decrepita, quod vir doc-
tissimus Poggius ex Gallis ad nos reportavit, qui et
huius orationis et alterius prò Murena repertor hac
a etate fuit. Ut autem clarissimus et doctissimus vir
Franciscus Barbarus dicere ac deplorare solet, occae-
catum adeo exemplaris codicem, unde haec exarata
est oratio, Florentiae viderat, ut nullo pacto inde tran-
scribi verbum potuerit » (i).
Nonio Marcello l'ebbe il Barbaro in prestito dal Nic-
coli (III). I Fiorentini e il Salutati (m. 1406) avevano
cercato inutilmente questo autore, che del resto era
stato nella biblioteca del Petrarca; solo tra il 1407 e
il 1409 ne potè venire a capo, pare, il Bruni per mezzo
di Bartolomeo Capra, che ne trovò un esemplare nella
biblioteca Viscontea di Pavia. Scrive infatti da Siena
(i) Sabbadini, La scuola ecc., 91.
r. — CICERONE. 33
1 Bruni al Niccoli nel dicembre 1407: < De bibliotheca
Papiensi curavi equidem dilig-enter ut, quantum libro-
rum ibi sit et quid, certior fiam utque Nonius Marcel-
lus quem Colucius (Salutati) habere nunquam potuit
meo nomine transcribatur >; e allo stesso, da Pistoia
lel novembre 1409: < Nonium Marcellum dicit (Bar-
iholomaeus Capra) se in dies expectare > (i).
Nel catalogo dei codici di Pavia, compilato 1' anno
1426, Nonio Marcello non ricomparisce più; e questa
è una buona ragione per credere che il Capra l'abbia
li là mandato -ai Fiorentini e che essi se lo siano trat-
lenuto. Spingendoci più oltre sulla via delle ipotesi
I^otremmo sospettare che quel codice di Pavia fosse
tutt* uno con V esemplare petrarchesco. Ritornato il
l'arbaro a Venezia, si trasse copia di Nonio; poi man-
lò il suo al Barzizza a Padova, dove se lo trascrisse
inche l'arcivescovo cretese Pietro Donato (VII).
Oltre ad avergli procacciato amicizie nuove e nuovi
codici, la gita del Barbaro riusci a lui profittevole an-
' he per la sua produzione letteraria. Nella dimesti-
chezza infatti che contrasse con la famiglia de' Medici
e specialmente con Lorenzo, sarà certamente caduto
1 discorso sul prossimo matrimonio di quest'ultimo; e
illora molto verisimilmente il Barbaro concepì il di-
egno del suo trattato De re uxoria, dedicato appunto
i Lorenzo: felice e rigogliosa primizia, che dava pieno
if fidamente per X avvenire, se il vivace e pur tanto
; onderato giovine non si fosse poi consacrato alla pò-
(1 'III itiU.^ru ai (itiiiiri:
J<. SAinAumi, Testi iatmi, i-
34 R» SABBADINI.
litica, nella quale toccò altezze di rado raggiunte da
altri umanisti. Il De re uxoria fu scritto in non più di
quattro o cinque mesi e usci nel carnovale del 141 6
(VI e VII).
I.
Franciscus Barbarus suavissimo Laurentio de Medicis
s. p, d, (i)
Quanto tui desiderio nunc affidar, prò tua singulari prudentia facilius
poteris existimare quam ego perscribere, si quantum tua consuetudine
delectarer observare voluisti. Testis enim optimus esse potes, cum istic
essent plerique quorum mihi natura humanitas institutio maiorem in mo-
dum grata erat, neminem tamen fuisse quicum essem iocundius quam
tecum; sic enim de ingenio et moribus tuis magnifice mihi persuase-
ram, ut a mea coniectura gravissimorum ac prudentissimorum hominum
iudicium non abhorreret. Tuse vero naturse tantum tribui intelligebam
ut per se prope gravis esse ac moderata (2) putaretur, cuius sic ex
omni parte solida et expressa dignitas ostenditur, ut in te probitatis et
virtutis quasi lumen quoddam facile possim (3) intueri. Omnia praeterea
quae iocunda ex lepore humanitate benivolentia alterius possunt acci-
dere sic in me diligenter et studiose contulisti, ut me non modo usus eo-
rum, sed etiam recordatio plurimum delectet. Quibus ex rebus factum est
ut in benivolentiam tuam profecto non inciderim sed venerim, qua sic
maiorem in modum suaviter astringor, ut mihi gratissimum et antiquis-
simum futurum sii, a me nihil erga te desiderari posse quod ad offi-
cium stud'um pietatem gratiam fidem carissimi hominis pertinere videatur.
(i) Cod. Magliabechiano Vili 1440 f. 86v; cod. Ambrosiano M 40
sup. f. 32V. Dal cod. Ambros. la trasse A. M. Querini, Diatriba prati.
ad F. Barbari epist. CCLVI.
(2) modesta cod. Amor.
(3) possis cod. Amor.
r. — CICERONE. 3f^
Quare tibi perspicuum esse debet me quantum par est tui desiderio com-
moveri. In ea tamen molestia hanc accipio voluptatem ut in sermonibus,
quos prò nostra consuetudine instituimus, et in tui memoria, quam summa
benivolentia constantissime tueor, velut in honesto ac suavissimo diversorio
acquiescam. Haec in primis contraria saepe cogitanti mihi solet Socratis
in mentem venire, qui cum in vincla coniectus esset, dolorem simul ac
voluptatem (i) corporis sentire fatebatur. (2) Cruri enim pedicas graves
esse aut fuisse et cum molli ter perfricaretur delectationem facile sentiebat
et sapientissime dolorem ac voluptatem (3) res disiunctissimas naturae
beneficio coniunctas esse mirabatur. Hac de re longior essem in prae-
sentiarum (4) si plura scribere mihi per occupatioues liceret.
Quod Cor. (5) civis noster commodis ac fortunis tuis molestus sit,
mihi ut debet molestissimum est; turpitudo rei facit et incommoditas tua
ut non solum nostrae rei publicae causa, sed etiam incommodorum tuorum
res mihi gravis esse videatur. Assequor coniectura, ut etiam ex Galano
nostro sum factus certior, eam rem sic cognosci, sic ab omnibus iudicari,
ut nihii oraissura tui iuris, (6) sed civitate teste suo tempori reservatum
iri videatur. Huic tuae causae studio ope gratia nullo loco sum defuturus;
tantum enim tibi debere videor ut antiquum mihi officium sit tuas res
omnis non minori mihi curae esse et fore quam meas. Quaecunque igitur
mihi in mentem venient ad te aut ad tuos pertinere, niea sponte (7)
sum facturus; siquid ignorabo, admonitus omnium in te studium superabo.
Roberto Rosseo viro optimo ac doctissimo pi. sai. die. Hunc ut co-
lere» diligeres observares maiorem in modum rogavi nec rogare desisto;
(i) Dopo voluptattm nel cod. Magliab. sono le parole ut cum altera
max irne lahoramus altera nos levare «tate poi cancellate; forse la cancel-
latura era nell'autografo.
(2) Plat. Phaed. 3, p. 60, b.
(3) Qui rcita in tronco il cod. Ambros.
(4) in presentiam cod.
(5) Sarà ComeliuK? ma non so a che cosa si alluda.
(6) nirìs eod.
(7) spem te cod.
36 R. SABBADmi.
cius enim moribus ac doctrina facile melior fieri potes et doctior (i) ;
de quo sic sentio, sic mihi suadeo, ut eum semper habeam in ore nec
eum satis laudare possim nec admirari. Congratulor etiam felicitati tuse
qua factum est ut, Robertum prseceptorem nactus, nisi tibi ipsi defueris,
facilius quam ceteri bene beateque vivere posse videaris. Cum maturitas
advenerit, ut litteris meis provocatus ad nos proficiscare, (2) libentissime
omnium faciam; multos invenies qui iam mirifice serviunt (3) laudi ìuae.
Litteratissimo Nicolao sai. die, Simoni Nessse necessario et lohanni
minime, ut aiunt, bonae fidei (4) possessori et ceteris quibus amoris nostri
commemora tio grata esse tibi videbitur. Spectatissimo viro lohanni patri
tuo, meo volui dicere, me commendabis.
Ex Venetiis XV kal. septembris [141 5].
II.
Gasparinus Pergamensis suo Guarino Veronensi s. {5)
Naviculario non satis mihi noto idibus praeteritis commisi ad te et
Franciscum (6) nostrum litteras, quibus prò meo in vos officio et vestra
in me summa benivolentia quo animo in vos essem et quid a vobis
vellem brevi significabam. Dubito ne Htterae ad vos delatse sint. Summa
illarum fuit, me prò reditu Francisci voluptatem magnam cepisse ; ro-
(i) Vespasiano da Bisticci {Cosimo de' Medici § i) tra gli scolari di
Roberto de Rossi nomina Cosimo de' Medici, ma dimentica suo fratello
Lorenzo.
(2) Questo viaggio sarà avvenuto nella primavera del 141 8, quando
Lorenzo de' Medici divisava di recarsi a Verona (R. Sabbadini, Cen-
totrenta lettere inedite di F. Barbaro., 13.)
(3) seviunt cod,
(4) Sarà Giovanni Buonafede.
(5) È pubblicata nel mio \\\iXO La scuola e gli studi di Guarino, 174.
Ne riproduco qui il solo passo che fa al caso nostro.
(6) Francesco Barbaro.
I. — CTCKRONE. 37
gabam eliam ne, cum amore apud eum prior (i) essem, rationem meam
in bis rebus, quas nobilissimas ex Etruria secum advexit, post alios
labcri pateretur ....
Patavii XIV kal. septembres [1415].
ITT.
1/ a/i Ci Se Ilo \i) liarbanis -opti ino et Jiiaiianissimo Nicolao
(3) s.
Si bene vales gaudeo. Postcaquam abs te discessi litteris tui deside-
riuni lenire constitui ; tua enim legens vel ad te scribens, tecum esse
videor. (Juare ad te scripsi ut vel provocatus amicitiae nostroe in hac
irte non deesscs; nullas tamen adhuc litteras a te accepi, quas ne longius
"osidereni in tuis officiis esse tibi persuadeas. Modestissiraus Blasius Gua-
conius (4) noster tuai salutis ccrtiorem me fecit; huius adventus mihi
(i) Il Barzizza era stato maestro del Barbaro prima che Guarino an-
f lasse a Venezia nel 141 4.
(2) Cod. Magliabechiano Vili 1440 f. 86v.
(3) Niccolò Niccoli.
(4) A questo Biagio Guasconi indirizzò Guarino la famosa invettiva
intro il Niccoli nel 141 3, da me pubblicata per Nozzt Curdo- Mar cel-
ino, Lonigo 190I. Nel 141 4 il Guasconi andò al concilio di Costanza
l'oggii Epist, coli. Tonclli I 3); era di nuovo colà nel dicembre del 14 16
!^>iti. I p. 20 librum legtt . . . . Blasitis de Gu:isconibus.) Nel 1424 fu
!<ri consoli dell'arte della lana, nel 1425 degli operai di S, M;vria del
I ' ' ' rii Buanaccorso Pitti, Bologiìa 1905. 2}:. 251); nel
I 124 fu anib;i.sciatorc di Firenze a Bologna e presso l' imperatore {jOom-
'lasiotiidt Hmaldo degli Alhizzi, II 14, 17, 21, 29, 30, 31, 33, 39, 54, 96).
N'el 1431 fu degli ufficiali dello Studio Fiorentino (/7<;rMme»/i di storia
*>n, Flrcnzr 18R1, VII 244) e ambasciatore presso Kugcnio IV (Mu-
A* / .V, XIX orO; e negli anni 1432-33 pigliò parte agli .affari
Iella repubblic.i "llegrìni, SaUa repuhhi fiorentina a tempo di
38 R. SABBADINI.
iocundissimus fuisset, nisi discessus eius valde festinus mihi videretur.
Ad te mitto xardXoYOV (i) librorum quos Lconardus lustinianus ex
Cypro sibi vindicavit ; illuni ad te ante miseram, sed quia mihi non re-
scribis, vereor ne meae (2) litterae una cum catalogo tibi redditae sint.
Spectatissimis atquc doctissimis viris Roberto Rosso et Leonardo A-
retino (3) pi. sai. die; Corbinellis (4) etiam et reliquis tuis civibus, quo-
rum ego virtutem et amorem erga me observo amo et magnifico. Nonius
Marcellus exaratur; quam primum confectus erit, tuum tibi restituam. Cura
ut habeam grsecum illud Pandcctarum. Doctissimus Guarinus Veronensis
tibi (5) pi. sai. dicit.
Ex Venetiis idibus septembris [14 15].
Ornatissimo adolescenti Laurentio Medico et disertissimo (6) Dominico
Leonardi filio (7) sai. die.
IV.
Ambrosius Francisco suo s. (8)
Facit occupatio mea ut brevior in scribendo sim quam veliera. Quum
enim nil fere iucundius, nil gratius mihi sit quam ad te longissime seri-
bere .... Tu velim me intensissime diligas, ut facis, atque efficias ut non
(i) xaidX — fu omesso dal copista in lacuna, più tardi colmata erro-
neamente da un altro con la parola quinlernos. Sui codici che il Giu-
stiniano aspettava da Cipro cfr. Arabr. Traversarli Epist, VI 7.
(2) me cod.
(3) Il Bruni nell'ottobre del 1414 era andato al concilio di Costanza,
ma dopo la fuga di Giovanni XXIII nel marzo 141 5, rimpatriò.
(4) Antonio e Angelo.
(5) tibi om. cod.
(6) disertissimus cod.
(7) Domenico Buoninsegni, condiscepolo di Lorenzo de' Medici alla
scuola di Roberto de Rossi.
(8) Ambrosii Traversarli Epistolae. a P. Canneto, VI 4. Seguo l'orto-
grafia del testo, sebbene non conforme all' uso umanistico.
I. — CICERONE. 39
(lesiderem officium tuanim, quae quum omnibus carse sint, qui modo
studiis humanitatis dediti sunt, tum vero sunt mihi gratissimae. . . . Quod
adcidit sane non iniuria ; sum enim eo ad te animo, ut semper tecum
cogitatione sim, memoriamque benevolentiae tuae atque pietatis nunquam
ponam. Sed de his satis et per alia^ literas (i) nostras dictum est. . . .
Mitto ad te duas epistolas longiores nostri Chrysolorae: de amicitia
alteram ad me, de mensibus secundam ad Pallantem, scriptas olim manu
mea; tertiam [keqÌ vctQOììXog] (2) ad nostrum Guarinum mittere non
curavi, quod hanc ipse secum adtulerit habcatque illam in deliciis:nec
amhigo iam illam tibi legit. Tu cura ut ad me librorum tuorum indicem
II !tt L-. . . . Facies id scio prò tua in me pietate : libet enim hoc ad te
uti vocabulo. . . . Vidi sane indiculum illum clarissimi viri Leonardi lu-
stiniani, quem ad nostrum Nicolaum misisti; sed mihi. . . . desiderari in
ilio visa est diligentia, sed nescio utrum tu illum scripseris, an alias
quispiam
Ceterum id abs te maiorem in modum rogo uti, quum aliquid explo-
i. ti;r I >\f Ioannis Chrysolorae istuc vestris cum triremibus adcessu acce-
peris, antequam adplicet, diligentissime scribas ad me. Cupit enim senex
Demctrius (3) istuc ei prodire obviam Salutem dices nostro Gua-
rino reliquìsque sociis tuis optimis atque humanissimis viris.
Florentiae ex nostro monasterio XX octobris [1415].
I Otiest* allm lettera precedente e la risposta del Barbaro si son
(2; .Sci M-sto uci «, annoto in;inc;i li titolo greco, ncH' Ampiisstma col-
Icetio del Marlene et Durand III (Epist. XVIl 15) suona ."iFyl FXéyxov,
•na erroneamente; il vero titolo è m^ti vdQOrixog, come si vede dalla
rikpoKta del Barbaro. Questa lettera a Guarino fu stampata dal Cyrìllus
CW. gr. hiòL liorhcn. II 224; l'altra De amicitia ivi stesso I 259. Della
ten» De mensihix a Palla Stro/.ri non mi è occorsa finom nessuna traccia.
(3) Un vecchio prete cretese, che Mava col Trurr^.-iri nrl •<—♦-'
tegli Angeli e attendeva a copiar codici greci.
40 R. SABBADINI.
V.
Franciscus Barbarus optimo ac doctissimo ntonacho
Ambrosio s. d. (i).
Si bene vales gaudeo. Magnani voluptatem ex litteris tuis [cepij, in
quibus eximius in me amor tuus amari (2) potest et studium recognosci.
Tua ctiam legens tecura esse videor, quem admiratione quadam virtutis
sic diligo sic amo, ut ad amorem meum nihil possit accedere. Sed haec
satis apud te, cui de mea erga te voluntate sic persuasum est, ut nihil
sit quod non modo de te mihi spondere possis, sed etiam de me tibi.
Litteras summi viri Manuelis Chrysolorse quas ad me mittere scripsisti
nondum habui (3); prò quibus magnas tibi gratias habeo et multis ver-
bis dicerem nisi quodammodo dignitate amicitiae nostrae hoc officium
sublatum esset. Epistolam illam ad eloquentissimum Guarinum nostium
718^)1 vd(^)0T)XO(; (4) adhuc videre desidero; apud modestissimum Antonium
Corbinellum reliquit (5), quam postea non habui[t]; quare si tuo bene-
ficio fuerim consecutus, et illius clarissimi viri laudis monumentum erit
et amicitiae nostrae. Laudationem funebrem (6) quam Andreas luliani pa-
tricius civis noster edidit ad te mitto; de qua quid ego sentiam nunc
ad te scriberem, nisi id gravissimo tuo iudicio reservarem; quare quid
(i) Cod. Magliabechiano Vili 1440 f. 86.
(2) Amavi amorem tuum è frase tipica di Cicerone adfam. IX 16, i.
(3) Le ebbe più tardi, come apparisce dalla lettera del Traversari a
lui, VI 5, del 29 febbraio 1416 (la data si desume dalla menzione della
magistratvu-a di Cosimo) : Quod epistolas clarissimi viri Manuelis acce-
peris, nunc primum per tuas literas novi.
(4) vdQXTixog cod.
{5) Nel tempo che Guarino insegnò a Firenze (i 410-1 414).
(6) L' elogio funebre in lode di Manuele Crisolora. Manuele mori a
Costanza il 15 aprile del 1415; l'elogio fu recitato a Venezia dal Giu-
liano nel luglio dell'anno stesso.
I. — CICERONE. 41
hac de re sentiendum sit iudicabis et me si tibi videbitur facies certio-
rem. Librorum meorum y.axàXoyov (i) nunc ad te mitterem, si raptim
mihi conficere licuisset; sed propediem mandata tua digeram persequar
et conficiara. Librorum epigrammata Leonardus lustinianus scripsit nec
diligentiiLS exarare potiiit. Libri illi ex Cypro (2) nondum sibi redditi
sunt, sed indicera transcripsit; quare sibi mihique facile veniam dabis.
Guarinus noster litteras habet a lohanne Chrysolora Constantinopoli
datas idibus septembris. Valde dubius est an cum classe nostra traicere
poterit (3); in hnnc rem argumentatur multa, minime nunc, ut ad te
scribantur, necessaria. Si quid eius adventus, ut aiunt, odoratus ero, te
diligcntissime faciam certiorem. Guarinus tibi plurimam salutem dicit et
ii omnes quibus tuo nomine salutem dixi. Doctissimo ac praestantissimo
antiquitatis auctori Nicolao (4) nostro salutem d[ic] et aetatis nostrae
lumini eloqucntiae Leonardo Aretino ac me reddes piane suum, cum
■ in meo siiiU sit, ut inquit Cicero (5), ncque ego discingar ». Vaie;
communi patri magistro monasterii me commcndabis.
Ex Venetiis IIII nonas novembris MCCCCXV.
i) Il catalogo arrivò al Traversari nel febbraio del 1416; scrive in-
fatti nella succitata lettera, VI 5: KaiàXoYOv tuae bibliothecae nunc pri-
mum accipio. E nella VI 6, in data « Florentiai VI non. mart. » {14 16):
Lc^i. . . indicem graecorum voluminum tuorum.
(2) Nella lettera VI 7, Florentiae XI martii [1416J, scrive il Traver-
sari al Barbaro : Si dudum accepit ex Cypro libro-s suos Leonardus lu-
stinianus, curabis mihi conScere diligentem indicem.
(3) Giovanni Crisolora fino almeno al 1418 non era venuto, pouiu-
nella lettera VI 3, Florcnti;u UT id. ini. (14 18),- del Travirsari al Bar-
baro leggiamo: De lohanne Chrysolora si quid cxploratum certi habcs,
curabiH ut litterìs tuis ccrtior Barn. Eum Icgatum impcratoris sui pro-
fectururo ad summuni pontificcm (il nuovo eletto Martino V, a Costanza
Il Dov. 1417) nolm dictam est..... Avet Demetrìus noster id ccrtiu*
«drc, ut meliori esse animo po-^^v -:•*•— '• ^••- • • — -.»,.-.:-—,,
diutius expcctandf» fatif^atus <.ir
}) Niccolò Nicr* '
4a R. SABBADINI.
VI.
Dalla prefazione del De re uxoria (i).
.... Mihi praeterea recordanti multos in nostra familiaritate sermo-
nes gratius atque iocundius tibi munus fore visum est si potius a Fran-
cisco tuo quam a fortuna sua donareris. Qnamobrem tuo nomine de re
uxoria breves cpmmentarios scribere institui, quos huic nuptiarum tem-
pori (2) accommodatos arbitror non inutiles futuros. . . .
Vidi siquidem praesens quanta cura ac diligentia eruditissimum Ro-
bertum Rossum in primis coleres atque observares, a cuius latere rec-
tissime quidam fere nunquam discedebas. Accedit et eloquentissimi ho-
minis Leonardi Aretini nec minus litteratissimi Nicolai nostri consuetudo,
a quibus cum alia permulta tum pleraque id genus assidue te audire et
accipere confido [carnevale del 1416].
possedevano già la collezione epistolare ciceroniana ad Ait.y ad Q. fr.,
ad Br. Il Niccoli nel marzo dell'anno seguente mandò a Venezia l'esem-
plare coi passi greci restituiti da Manuele Crisolora, come abbiamo dalla
succitata lettera VI 6 del Traversari al Barbaro : Is (Nicolaus) mittet
Cicero nis Epistolas ad Atticum, quibus noster Manuel restituit graecas
litteras quasque te maxime velie adseruit.
(1) Il De re uxoria di Francesco Barbaro è dedicato a Lorenzo de'
Medici. Fu più volte stampato.
(2) S' intende il carnovale; 1' anno è il 141 6, perchè già in data « Flo-
rentise kal. iuniis > [14 16] il Traversari scriveva al Barbaro (VI 15) :
Commentarla tua de re uxoria ad Laurentium optimum tuique studio-
sissimum adolescentem legi gratulatusque sum. . .
I. — CICERONK. 43
VII.
Lettera di Gasp arino Bar zizza a Francesco Barbaro (i).
Marcellus (2) quem ab me requiris est apud dominum Cretensem . . (3).
Requiras oportet hunc libnim a domino Cretensi. si vi'; illuni ad tv
deferri ....
Rem vero uxoriam quam audio te etìidisse iamdudum expecto; est
euim ut dicitur res tuo ingenio ac tuis studiis digna. Tametsi non du-
bitem et graviter et ornate abs te scriptam, nara inventa Graecorum ut
spero ac Latinorum multis locis redolebit, tamen percupio meo potius
quam aliorum iudicio posse uti. Facias ergo quod ad Corradinum (4)
tuum facturum te pollicitus fuisti : mittas hanc ad me sive historiam si ve
disputationem tuam, qui olim ut tuo ingenio ita nunc tuie laudi ac glori»
maxime faveo. Vale.
[Padova primi mesi del 1416].
Le orazioni scoperte da Poggio.
Pog^o scoprì durante il concilio di Costanza otto
orazioni di Cicerone (*): e sono /. Caecina, le tre de lege
agraria contra RuUum, p. Rabirio Postumo^ p. Rabirio
(1) È anepigrafa. L'ho pubblicata in Museo iViinlichUa classica, III 349.
(2) Nonio Marcello.
(j) Pietro Donato, arcivescovo cretese. Lhc il Donato sia venuto in
IMjsschso di Nonio, e confermato da ciò, che il suo p;\rentc Girolamo
Donato ne trascrisse una citazione sul cod. Trivulziano 661 f. i di guardia.
(4) Giannino Corradino morto nell'agosto del 1416 (Degli Agostini
Scrtttcri Vinitiani II ti 5); ron rio è stabilito il tonnine rstrcnio rm-
riologjco della lettera.
(•) Comparve 1.t pimui volta \u .^(ut/i //<//. /;/<< il. i^«)9,
101-103.
44 R- SABBADINI.
perduellionis reo, p. Roselo comoedo, iti Pisonem. Tutte
otto si trovavano riunite nel cod. Laur. Conv. soppr.
13, quando era integro. Sono interessanti di questo co-
dice le due sottoscrizioni: la prima riferita alla p. Caec.
suona cosi: Hanc oratio7iem antea culpa temporum de-
perditam Poggius latinis viris restituii et in Italiani re-
duxit cum eatn diligentia sua in Gallia reclusam in sil-
vis Lingonum adinvenisset conscripsissetque ad Tullii
memoriam et doctorum hominum utilitatem. La seconda
riferita alle altre sette suona cosi : Has septem M. Tullii
orationes que antea culpa temporum apud Italos deper-
dite erant Poggius florentinus, perquisttis plurimis Gallie
Germanieque summo cum studio ac dilige^ttia bibliothecis,
cum latentes comperisset in squalore et sordibus, in lucem
solus extulit ac in pristinam dignitatem decoremque re-
stituens latinis musis dicavit (i).
La p. Caec. perciò fu scoperta a Langres {in silvis
Lingonum), le sette rimanenti parte in Gallia parte in
Germania : nuli' altro di preciso sappiamo sul luogo
del rinvenimento.
Meglio informati siamo sul tempo.
Le più antiche testimonianze sono in una lettera del
Traversari (VI, 8) al Barbaro : ' Ex litteris quas ad
Guarinum proxime dedi quid Ciceronis orationum Pog-
gii nostri diligentia reparatum sit scire poteris ....
Florentiae v nonas octobris 1417 ', e in una del Bruni
(i) Le due sottoscrizioni sono pubblicate in facsimile da A. C. Clark
Inventa Italoruvi, in Anecdota Oxonicnsia, Class. Series XI, 1909: nelle
tavole in fine.
I. — CICERONE. 45
(IV, 12) al Niccoli: ' De Poggiano thesauro coram . . .
Aretii VI kal. octobris ' (141 7), donde argomentiamo
che la notizia della nuova scoperta era giunta a Fi-
renze nel settembre del 141 7 o poco prima. Ancora
nel principio del 1418 Poggio teneva presso di se l'a-
pografo delle orazioni che intendeva di mandare tra
poco al Barbaro, al quale scrive : * Orationum volo hic
exemplar remanere, postmodum vel ego ipse deferam
vel per alium ad te mittam idque quam primum ' (i);
poi invece mutò avviso e lo inviò a Firenze al Nic-
coli, che lo fece recapitare al Barbaro, come rileviamo
da una lettera del Traversari (VI, 14):* Orationes illas
omnes a Poggio missas iam credo acceperis : misit
enim illas Nicolaus noster '. La lettera, indirizzata al
Barbaro, non ha data, ma la collochiamo con certezza
tra il luglio e l'agosto del 14 18, confrontandola con
un'altra dello stesso allo stesso (VI, 3), in data ' Flo-
rentiae IH idus iulii ', con cui ha strettissima relazione.
Infatti in entrambe si chiedono informazioni del pros-
simo arrivo di Giovanni Crisolora, in entrambe si parla
di un Bernardo, veneziano, in entrambe di Angiolo
Acciaioli, fiorentino, che nella prima lettera parte per
Venezia e nella seconda vi è già arrivato. Ora nella
prima, del 13 luglio, è presupposta l'elezione del nuovo
papa Martino V (* eum legatum imperatoris sui pro-
ir. turum AD SVMM\'M roNTiFicpiM nobis dictum est '),
il; wurst.» l'itir.i m i "^',yi'> ili i^.iroar' i, i n)\ii)i)ii(;it.i nrii.i su;i tonila
originaria da A. C. Clark (The clasticat Review XITI, 1800, p. 125),
spande nK)lta luce tulle scoperte di Poggio al tempo del concilio di
46 R. SABBADmr.
avvenuta V 1 1 novembre 141 7; con che siamo nel 141 8:
la seconda andrà perciò collocata circa un mese dopo.
Nel luglio o agosto dunque del 141 8 il Barbaro ri-
cevette le orazioni eh' egli trattenne presso di se più
del conveniente, tanto che Poggio, di ritorno dall'In-
ghilterra a Roma, gliele chiese nel 1423 due volte
per lettera, senza effetto; di che mosse acerbe lagnanze
col Niccoli e con Guarino, invocando anzi, ma sempre
invano, l'interposizione di quest'ultimo (Poggìì Epis^.
I, p. 89, 93, 95, 100). L'anno di poi, 1424, pare si
disponesse a restituirle al Niccoli, per cui mezzo gli
erano pervenute; scrive infatti al Niccoli il Traversari
(Vni, 9) : ' Ad Barbarum nostrum ut scribas oro. Mul-
tum tuas desiderat litteras orationesque illas a Poggio
in Germania repertas ad te propediem missurum pol-
licetur .... Florentiae XXI iunii ' (1424). Ma alla fine
il Barbaro ruppe il lungo silenzio con Poggio e ri-
mandò a lui direttamente con mille scuse il codice :
* Orati ones illas Ciceronis quas a Germania in Italiam
.... reduxisti, ab illis mensariis de quibus fecisti men-
tionem recipies .... Venetiis 1436 ' (i).
La lettera di restituzione porta la data del 1436,
sicché il codice sarebbe rimasto a Venezia 18 anni,
spazio di tempo veramente enorme, specie se si con-
sidera il carattere gentile e cavalleresco del Barbaro.
E a me la data pare assurda, vuoi appunto per questa
considerazione, vuoi perchè abbiamo sentito dal Tra-
versari che nel 1424 si disponeva a restituire il codice,
(i) R. Sabbadini, Centotrenta lettere inedite di Fr. Barbaro p. 84.
I. - CICERONE. 47
vuoi ancora perchè nel 1426 e nel 1428 il Barbaro,
andato ambasciatore a Roma, s' incontrò con Poggio
e in quelle occasioni non avrebbe potuto esimersi dal
riportargli le orazioni; del resto nella corrispondenza
di quei due anni, cordialissima tra i due umanisti, non
c'è nulla che accenni a uno screzio. Ritengo pertanto
che l'anno 1436 della lettera sia congetturale e vi si
debba sostituire il 1424. Il silenzio prolungato del Bar-
baro di fronte alle reiterate richieste di Poggio si
spiega con ciò, che per tutto 1' anno 1423 egli fu oc-
cupato nella podesteria di Treviso, mentre il codice
doveva esser rimasto a Venezia.
Le otto orazioni formano (*), com' io credo, quattro
gruppi : a) p. Caec, b) le tre agrarie, e) le due Rabi-
riane e p. Rose, com., ci) in Pis. I codici fondamentali
che ce le hanno trasmesse sono due : il già ricordato
Laur. Conv. soppr. 13 (= Af) e il Laur. 48, 26 (=(«>).
Dei due, w è posteriore, scritto da sei o sette mani
diverse; in esso i gruppi si succedono così : a) p. Caec,
b) le tre agrarie, d) la Pisoniana, e) le due Rabir. e /.
Rose. eom. M è scritto da due mani: alla prima appar-
tengono i gruppi a) della Cecin. e b) delle tre agrarie,
alla seconda mano il gruppo d) della Pison.; il gruppo
e) delle due Rabir. e p. Rose. eom. ora manca, ma in
origine esso precedeva il gruppo d) della Pisoniana.
La mfdesin^' "•"•'■fssionr <ìi M teneva il eodi(M\ ora
(♦) Comparve la prima volta in Herliner philol. WochenschrifU i9»o»
S97-99, dove riferii sugli Invinta Italorutn del Clark, ai quali rimando
il lettore per maggiori informadoni.
4$ R. SABBADmr.
perduto, che si conservava nel monastero di S. Mi-
chele di Murano a Venezia.
Ecco ora com' io mi rappresento V origine di questi
tre manoscritti. Poggio nei primi mesi del 141 8 mandò,
come abbiamo veduto, al Niccoli a Firenze l'apografo
delle otto orazioni copiate di proprio pugno (amo hunc
libelluni .... in primis quia egomet scripsi). I Fiorentini
naturalmente si trassero subito copia del codice e per
risparmiar tempo distribuirono fra vari amanuensi i
fascicoli che si potevano facilmente separare o che
erano già stati scritti separatamente da Poggio. Cosi
nacque M. Tosto dopo, ossia tra il luglio e 1' agosto
del medesimo anno 141 8 venne dal Niccoli spedito
r apografo poggiano al Barbaro a Venezia, che se lo
sarà trascritto di propria mano nel codice perduto di
vS. Michele- Indi si spiega che il codice del Barbaro
e M mostravano la stessa successione. Dopo alcuni
anni, nel 1424, il Barbaro restituì l'apografo a Poggio,
e allora fu allestito a Firenze, o più probabilmente a
Roma, il cod. w per opera di più amanuensi, che la-
voravano simultaneamente. Siccome in ca V ordine dei
gruppi è diverso che in M, cosi bisognerà supporre
o che i fascicoli nell' apografo di Poggio s' erano di-
sgregati o che gli amanuensi non badarono a mettere
al loro posto legittimo i fascicoli nuovi.
Il gruppo e) delle due Rabiriane e p. Rose. com. ci
fu salvato unicamente dalla scoperta di Poggio.
Per i gruppi b) delle tre agrarie e d) della Pisoniana
possediamo, oltre la poggiana, un'altra fonte doppia:
dall'una parte cioè il codex Erfurtensis del sec. XII-
I. — Cicerone. 4^
Xm, il Vatic. Palat. 1525 del sec. XV e il Vatic. Ba-
silio. H 25 del sec. IX, del quale diremo; dall' altra
parte i codici scoperti a Colonia dallo stesso Poggio
nel 1422, nel suo viaggio di ritorno dall'Inghilterra,
come rilevammo dal Commentarium del Niccoli (sopra
p. 7) (i). I nuovi testi di Colonia furono adoperati da-
gli Italiani a collazionare i propri. Per il gruppo a)
della Ceciniana abbiamo inoltre i succitati Erfurtensis
e Vatic. Palat. e il Tegernseensis del secolo XI.
Il codice scoperto da Giordano Orsini {*).
Il famoso codice Vatic. Basilicano H 25, del sec. IX,
veduto verso il 1428 da Poggio (2), che contiene le
Philipp., p. Piace, in Pis. e /. Ponteio, nuova quest'ul-
tima, fu scoperto dal cardinale Giordano Orsini. Nel-
r Index librorum mss. Archivii basilicani S, Petri a ci.
V. Luca Holstenio digestus leggiamo : Tullii Philippica-
rum antiquissiìnus codex (3). D'altro canto l'inventario
dei libri dell'Orsini, allegato al testamento del 1434,
reca: Tulius Philippicarum (4). I codici dell'Orsini pas-
(1) I medesimi codici contenenti i gruppi ò) t d) furono trovati dopo
(li I'f)p'}iio a Colonia anche da Niccolò Cusano (R. Sabbadini, Scoperte
det codici f III n. 22); e ciò potè fnr credere al Clark {Inventa Jtalorum,
23-27) che per questa via fossero giunti in Italia; ma è bene notare che
i codici scoperti dal Cusano ebbero in generale scarsa divulgazione.
(*) Questo paragrafo è nuovo.
(2) R. Sabbadini, Le scoperte dei codici 127.
(3) E. Pistoiesi, // Vaticano descritto e illustrato, II 196.
(4) Pistoiesi, n 191.
&. sABBADiin, Tati latini. 4.
$0
R. SABBADINI.
sarono parte all' archivio di S. Pietro, parte alla biblio-
teca del Vaticano (i). Deve avere scoperto il codice
nel suo viaggio in Germania del 1426 (2).
Le Verrine del Capra e del Bruni.
L' intero (*) corpo delle Verrine venne a conoscenza
degli umanisti solo tra la fine del secolo XIV e il
principio del XV. Il Bruni e il Capra lo possedevano
sin dal 1407. Ecco qui una lettera del Bruni (II, io) (3):
Leonardus Aretinus Nicolao Nicoli s. d.
Reverendus pater Bartholomeiis (della Capra) episcopus Cre-
monensis rairifice, ut tibi alias narravi, studiis humanitatis deditus est;
ideoque cum superiori tempore ante dignitatem episcopalem studiosissime
fecisset, non potest nunc presul factus et episcopali dignitate constitutus
eas quas ante coluit musas non affectuose amare et religiose colere. Cum
igitur volumen habeat preclare scriptum orationum Ciceronis
centra Verrem et quarundam aliarum invectivarum, aipit ut ca-
pita cuiuscunque libri splendore litterarum ornentur atque ea de causa
Florentiam transmittit diligentie tue et artificio Sebastiani nostri ....
Senis Vm idus octobris MCCCCVII (4).
Risulta di qui che il Capra mandò a miniare il suo
(i) E. Kònig, /Cardinal Giordano Orsini, Freiburg in Br. 1906, 105-
107, 117, 119.
(2) Su questo viaggio, Kònig 49-52.
(*) Ne comparve un cenno la prima volta in Rivista di filologia
XXXIX, 191 1, 244.
(3) Traggo il testo dal cod. Comunale di Arezzo 145 f. 164V, che
ha lezione sostanzialmente diversa dalla stampa.
(4) La data, mancante nell' edizione, s' incontra nei codici, p. e. i Ric-
cardiani 982 f. 23V; 899 f. 25V ecc.
i. — CICERONE. $Ì
apografo a Firenze. L'esemplare del Bruni è nominato
in un'altra lettera di costui (II, 1 3) del novembre del-
l'anno medesimo:
Leonardus Aretinus Nicolao (Niccoli) suo s. d.
Mitto tibi orationes Ciceronis in Verrem, recte quidem scriptas sed
ut videbis male emendatas : qui enim corrigere voluit, eas piane corru-
pit . . . . (Siena, novembre 1407).
L'esemplare del Bruni si conserva nell'odierno co-
dice Laur. Strozz. 44, dei primi anni iippunto del se-
colo XV. È copiato da più mani, sembra cinque, e
reca la sottoscrizione f. 104V: M. Tullii Cicerofiis in
G. Verrem septivia et ultÌ7na oratio explicit; e indi il
seg-uente colofone, di mano diversa: * Hic liber cum
ab initio recte scriptus fuisset, postea corruptus est ab
homine qui cum vellet eum corrigere corrupit. Quare
priorem litteram accepta, correctiones reice '. La nota
neir atto che veniva scritta ricevette due emendamenti:
a corruptus fuit venne sostituito corruptus est; dopo
vellet eum fu cominciato a scrivere accusar, cancellato
subito con una linea orizzontale e continuato con cor-
rigere. Più tardi una mano estranea mutò la retta or-
tografia sì classica che umanistica reice nell' erronea
reijce. Di fronte al colofone un lettore del sec. XV se-
gano quest' attestazione: Manus leonardi arr etini. E ve-
ramente la nota è di Leonardo Bruni. Del resto si
confrontino le parole: recte scriptus . . . ^ui cum vellet
eum corrigere corrupit con le parole della lettera: recte
quidem scriptus . . . qui ctiim lorrircre voluit eas piane
corrupit.
^i R. SABBADmi.
Guarino e le orazioni di Cicerone.
Guarino s'interessò ben presto alle orazioni di Cice-
rone. Abbiamo già veduto (p. 32) come sin dal tempo del
suo insegnamento a Venezia commentasse la p. Rose.
Amer, Riferiremo qui alcuni documenti degli studi che
egli veniva facendo per sé e per gli amici (*).
Nel 141 8, quand'egli era ancora a Venezia, aveva
ricevute dal veronese Maio, amico suo, alcune ora-
zioni di Cicerone da emendare. Guarino non solo le
emenda, ma anche le illustra con brevi note, come si
rileva dalla seguente lettera al Maio, la quale reco
per intiero, perchè è una bella testimonianza dell'am-
mirazione di Guarino per Cicerone e del suo metodo
d'illustrare i testi:
Guarinus Veronensis ci. v. Madia s. p. d. (i).
Accepi diebus proximis abs te nonnullas Ciceronis orationes, quas ut
emendem vis; sunt enim depravatae nonnihil. Suscepi autem iussa tua
suaviter adeo ac iocunde, ut nihil imperar! mihi suavius posset, mi pa-
ter ac rex. Nihil enim prohibet te minorera aetate, Consilio ac prudentia
superiorem, patrem appellari; tantis profecto me beneficiis devinxisti, ut
tum imperare videar, cum mandatis tuis obtempero; et modo tuae vo-
luntati morem geram, nihil ipse recusem, quippe qui tibi omnia non
modo prò viribus sed supra vires etiam debeam.
Accedit quod in Ciceronis scriptis summa quadam amoenitate versor,
quem libens utique et linguae et vitae magistnim habere velim, si detur.
(*) Comparve la prima volta in Museo di antichità classica H, 1887,
387-390.
(i) Per le fonti di questa lettera cfr. R. Sabbadini, Guarino Veronese
f il suo epistolario edito e inedito, Salerno 1885, n. i.
I. — CICERONE. 53
Is enim divinus in utraque re praeceptor tam longe antecessit, ut ne
oculis qaidem hominem consequi fas sit; procul tamen vestigia adorans
sectabor. Priorem autem prò Archia limandam orationem cepi et
eo libentius quod in ea lilteras ac studia tantis effert in caelum laudi-
bus, ut ea legens prae gaudio et voluptatc vix sim apud me; tantumque
ex huiuscemodi rerum lectione fructum colligo suavitatemque degusto,
ut paupertatem aequo feram animo noe profecto doleam, siquod ad quae-
tum adque pecunias tempus omiserim, quo hisce studiolis meis, si quid
i^unt, curas impertirem.
Quas ob res, Madi mi dulcissime, plurimas tibi gratias habeo, qui
t;mta me iocunditatc affecisti, quanta ne dici quidem potest. Orationem
ipsam ad te mitto, quasi praegustationem quandam, ut si hunc in mo-
(lum tibi satisfactum erit, hac via sequar in reliquis. Nam ut vides non
modo ipsam emendavi, verum etiam quaedam adieci quasi lumina, qui-
hus artis latibula illustrarentur; paucula vero apposui; volui et nonnulla
inibì rescrvata esse, ut pracsens quoque te adiuvare possim. Tuum igi-
tur erit officium me quamprimum facere certiorem quidnam in ceteris
faciendum sit; dabo autem operam ut singulas orationes raittam, ut una-
quaeque absoluta erit. Ita enim et te saepius oblectabo et laboris mei
rationem habebo, qui propter legendi et docendi occupationcs ne omnes
imo tempore emendem impedimento est. Verumtamen te vacuum non
>inam; ante enim quam primam perlegas, secundam instantem a tergo
respicies. Vale ....
Fx Veneti- vi!| . ..K).
Non molto dopo cosi rispondeva ai ring^raziamenti
■ Froinde ne tanti facias velini qurxt hiae oratione
l'< , < UHI minimum qiiiddam sit, nisi quod co tnagimm intelligo quod
M.ilu) meo compiacere me scntio,
\'cnetiit prìdic kal. decemb.
54 R. SABBADINI.
Guarino possedeva anche il commento di Antonio
Loschi alle orazioni di Cicerone. Se lo fece mandare
o rimandare da Gian Nicola Salerno, in quel tempo
podestà a Bologna (i):
Illa in orationes Ciceronis commentaria Lasci vellem; ea itaque
mitte.
Veronae XII kal. ianuar. (1419).
Nel tempo della sua dimora in Verona commentò
nella scuola fra le altre 1' orazione di Cicerone prò
Murena. Ecco come ne scrive al suo scolare Vita-
liano Faella, che proprio in quei giorni era mancato
alle lezioni; ove è da notare come squisitamente Gua-
rino delinea i caratteri di quest'arguta orazione di Ci-
cerone (2):
Te obiurgare statueram quod hisce diebus a nobis abes, qui-
bus Murenam, gravissimo accusante Catone, divinus ille Cicero non mi-
nore iocandi suavitate, quam orationis facilitate defendit; ita ut quod
oratoria via extorquet, ab iudicibus impetrare credatur. Videre velles
quam mellitis, ut ita dicam, morsibus Catonem iusectetur, quem Stoicae,
hoc est pervicacis, sectae professione contemptui ac derisui Ciceronis
urbanitas facit ....
A mostrare 1' ardore che Guarino poneva in questo
studio delle orazioni di Cicerone nulla vai meglio della
seguente lettera, scritta a Galesio della Nichesola, giu-
reconsulto veronese, ch'era in quel tempo (1425) vice-
podestà a Mantova:
(1) Ib. n. 70.
(2) Cod. Vatic. 4509 f.
r
I. — CICERONE. 55
Gtiaritius Veronensis optimo iiiris consulto Ga lesto s. p. d. (i).
Hodie nuntiatum mihi fuit quandam Ciceronis orationem, nuper in-
vcntam et in lucem relatara, Veronam delatam esse. Qua ex re mirifica
-uni laetitia affectus, non solum quod rerum omnium Ciceronis sum
ulmirator egregius, veruni etiam quod civitatis nostrae laudibus et glo-
riae supra modum faveo. Quid auteni laudabilius honori fi centi usque Ve-
ronae contingere potest quam Ciceronem praetorem, augurem, consulem,
imperatorem, oratorera, philosophum et vitae ac doctrinarum magistnim
!!ustrissimum moenia nostra subire, viserc, nobilitare? ut quasi revivi-
centis disciplinae auguria praesens Verona praebeat, quam poetarum,
philosophoruro et oratorum matrem ac nutricem fuisse non ignoras.
Tanta vero de repente laetitia in maerorem et querellas decidit non
ipsius Ciceronis culpa, sed hospitis sui oblivione impiotate et ingratitu-
dine, qui cum intelligat concives suos Ciceronis studia complexos et eis
niirabiliter deditos, priusquam eius orationis praesentiam buie civitati
impcrtierit, heu Ciceronem emisit, Ciceronis adspectum nobis invidit,
Cicerone gratissimo saepe vocato expetito terra marique pcrvestigato suos
civcs, suos inquam civcs amicosque privavit et virum ipsum Mantuani ,
ut ferunt, abire iussit; qua in re non indulgeo dolori meo et me ipsum
<»ntinebo.
Tuum est, humanissime et studiorum amicissime Galesi, ut alienam
iniuriam tua aequitate ac beneficio emendes curesque ut Ciceronem ad
no.s reduccre facias, quod factu facile tibi fiet, vel hospitis sui huniani-
tntc singulari et libcralitate prf)pe divina, qua per omnium ora probatus
volitat. Quisnam is est ? benignus in primis episcopus Mantuanus, ad
qucm oratio ipsa Ciceronis proxime hinc missa est. Tuae igitur partes
<iiM)t ut <nm transcribi facias et emcndatam nobis mittas. Hoc autem
ii(M merito immortales tibi gratias universi litterati ordinis viri
h.iljchuiit, ([uibuH quantum accrbitatis eius hominis discessus attulit, tan-
tum voluptatih tua ex opcrn rrditns rcstituet. Vale.
\'rr(.!i:ifr IH i<lus lanu.ii
Sui.iM : ,A... ■ 11«- otto orazioni Pon-
imi op. a:
56 R. SABBADINI.
giane, messe allora in circolazione per mezzo dell'apo-
grafo del Barbaro (sopra p. 48).
Guarino inoltre raccolse le orazioni in un corpo (*),
che ci è stato trasmesso da un incunabulo del sec.
XV ( I ), con la sottoscrizione : Finiunt orationes Tulli
sunipte de exemplari vetustissimo diligentissimeque iam
emendate ac correcte per dominum Guarinum Veronen-
sem. Comprende 29 orazioni, cioè: p. Pompeio, p. Mi-
Ione, p. Fianco^ p. Rose. Amer., p. Siila, p. Ardila, priu-
sguam iret in exilium, p. Sextio, p. Celio, p. reditu (ad
senatum), p. Ligario, p. Balbo, in Vatinium, de resp.
aruspicum, de prov. cons., ab exilio (ad pontifices), p.
Marcello, p. Fiacco, p. Deiotaro, p. Quintio, p. Murena,
de domo ad pont., p. Cluentio, p. Cecina, p. Rab. Post.,
p. Rabir. perd. reo, in senatu, ad populum contra leg.
agr., p. leg. agr.
Il Clark giudica di scarso valore le contribuzioni
critiche di Guarino (2).
L' edizione romana del Bussi.
Tutte le orazioni ciceroniane che noi possediamo
(meno la p. M. Tullio che ci deriva da palinsesti"* si
trovano già raccolte nell' edizione di Giovanni Andrea
Bussi (l'episcopus Aleriensis) * Romae 147 1 '.
(*) Compai/e la prima volta in R. Sabbac'ni, La scuola e gli studi
di Guarino Veronese, Catania 1896, no.
(i) P. e. nella bihliot. di Ferrara, Incun. O. 6. 2; nella Magliabech.,
Incun. A 2. 42; nella Riccardiana, Incun. 319. L'edizione non reca
nessuna nota tipografica.
(2) M. Tulli Ciceronis, Orationes p. Sex. Roscio, de imp. Cn. Pompei
etc, Oxonii, p. XII.
CICERONE. 57
Epìstulae ad familiares
Studi di Guarino sulle Epist. ad fam.
Questa collezione epistolare ciceroniana si citava
col nome dei sing-oli corrispondenti, ma le manca un
titolo collettivo legittimo, sebbene ormai sia da gran
tempo invalso 1' uso di chiamarle Epistulae ad fami-
liares. Il titolo di familiares coniparisc:^' siiì dal primo
quinquennio del sec. XV in una lettera di Guglielmo
della Pigna, un allievo veronese di Guarino. Eccone
un passo :
Cosme suo 6^(nlielmus) de la Pigna s. p. d. (♦).
.... Deinde vero cum tue gravissimas orationis sententias simr' ac
ornatissimum dicendi genus fuerim intrinseca speculatione rimatus, iteri' n
atque iterum basitavi summopere ambigens an ea Tullianis e labiis an
tuis emanasse diiufiicem; adeo ut si quod ex inscriptione tam tui quam
mei Tiomini> palam fìchat i<l clam me fuisset, contigisset ut e C i e e -
bus epistolis eam transcriptui fore
( r< l::! -rm .... .Magnimi cquidem, ni fallor, mctum artus subiisse tuos
non diffitcì », dum mihi reset ibendum te oportere an«niadvertercs. Bene
edcpol, mi iratissime Cosma, id fìendum reor, si nostri evi vironru
peritissimo C o 1 1 u t i o scriberes . . .
Qui è presupposto vivo Coluccio Salutati, che moi \
il 1406. T\»rciò la lettera è anteriore a quest'anno.
prima volta in Museo Hi antichità class. Vii, 1889.
32K !.. H (dal cod. Ricconi. 779 \
58 R- SABBADINI.
Più tardi, verso il 1430 ì\ tìtolo /ami/iares app-dvìsce
come gìk di uso comune in una testimonianza di Sicco
Polenton: 'vulgo isti (libri) familiarìum appellantur ' (i).
Le Epist, ad fam. formavano nella scuola di Gua-
rino uno dei testi elementari di lettura. Su di esse
inaugurò a Verona tra T aprile e il maggio del 1 4 1 9
un corso privato, del c^ale ci s' è conservata la pro-
lusione. Ne reco qui la prima parte (*):
Guarirti or alio prò Ciceronis epistolis incohandis.
Cum prò ingenioli mei parvitate quosdam nostrae civitatis adulesccntes
ad haec litterarum studia incitare et quantum in me est ornare statuis-
sem, venit in mentem ut rerum parentem naturam atque ducem imita-
rer, quae nuper editis in lucem animantibus non magna statim non dura
commanducatu non acerba gustatu non coctu difficilia parat alimenta,
sed a parvis incohans mollia quaedam suavia et facilia suppeditat, quae
simul enutrire et delectare possint. Fodera modo ad prima studi orum
óelibamenta his annis propinanda non difficillimas orationes non asperos
artificii locos, sed facile quoddam et planissimum dicendi genus delegi,
quod suavissirao verbonun ordine et leni sententiarum pondere lectorem
alliciens prosit atque iuvet. Nonnullas enim decerpsi Ciceronis epistulas,
in quibus ille puri et facetissimi sermonis stilus exprimitur ....
Nonnullas decerpsi Ciceronis epistulas, dice Guarino; e
in effetto egli mise insieme un'antologia (**), che e' è
pervenuta, col titolo (cod. Vindobon. 48 Endlicher) :
M. Tullii Ciceronis viri ornatissimi epist olae. . . sublatae
(i) R. Sabbadini, Le scoperte dei codici latini e greci 34.
(*) Comparve la prima volta in R. Sabbadini, Tm scuola e gli studi
dt Guarino, Catania 1896, 234 (dal cod. Ferrarese 151 NA 5 f. 6; cod.
Classense di Ravenna 121).
(**) Comparve la prima volta in Bollettino di filologia class. IV, 1898,
198-9.
IP
I. — CICERONE. 59
ex volumine epistolarum malori per Guarinum Veranen-
Sem artis grammaticae ac rhetoricae professorem. L'an-
tologia comprende 50 lettere, scelte saltuariamente dai
libri U, IV, V, IX, X, XI, XII, XIII, senza rispet-
tare l'ordine di essi e senza che vi si scorga un crite-
rio direttivo nella distribuzione della materia. Ciò forse
non dipese da lui, ma dal testo, certamente mutilo e
disordinato, che doveva avere tra mano, uno di quei
testi che derivavano dalla tradizione diplomatica tran-
salpina, prima che venisse in luce il codice di Vercelli
(Laur. 49, 9), rappresentante della tradizione italiana ( i ).
L'antolog-ia fu poi ampliata: una seconda redazione
nel cod. Monac. lat. 466 ha 64 lettere, una terza nel
cod. Magliabech. VI 197 ne ha 100. Ma non sappiamo
se le nuove redazioni siano di Guarino stesso o siano
state compilate da altri.
A noi non è giunto l' esemplare guariniano dt-lie
Epist. ad fam.; ma siamo in grado di ricostruirlo in
parte con l'aiuto di un codice Ambrosiano.
Cod. Ambros. Il 118 inf., membr. sec. XV (*).
I^ 4 (anepigrafo). Le Epist. ad farn. di Cicerone.
Mancano gli Incipit anche dei singoli libri, i quali
hanno invece, qualcuno eccettuato, gli Explicit, Un
correttore, che chiameremo C aggiunse qualche raro
:Jtre antolofpe tratte dal! u. Jahreshericht
uher du ForUehritte dtr class, AlUrlhumsxv. X.XXIX, 1884, 36-38:
Siudi itai 'A i>l'>l '■f>'r IV jXH iiK 1(,«- /.-.//>•//,."> A e/ A./ ^l"'
IV, 198-.
'*) CoinpAivc U pntiiii volu 111 òimi» tlal.jtUtl, ^Uis* Xi, 1903, 342-48.
6o R. SABBADINI.
titolo e segTiò i numeri d' ordine dei libri e delle sin-
gole epìstole.
Ciascuno dei primi sei libri ha V Explicit e lo spazio
vuoto per \ Incipit del successivo. Il lib. VII non ha
né Explicit ne spazio vuoto per X Incipit; ad esso an-
ziché il lib. Vili, che è stato omesso, segue imme-
diatamente {ì. 60) il IX (omessa la lett. 4, aggiunta
in margine da C; fra le lettere 8 e 9, due righe vuote).
Alla fine del libro IX: Explicit liber octavus {octavus
fu poi raso) e spazio per V Incipit. Alla fine del lib. X:
Explicit liber nonus {nonus raschiato) e spazio vuoto.
Alla fine del lib. XI né Explicit né spazio. Alla fine
del XII nessun Explicit, ma spazio. AUa fine di XIII
52: Liber XII incipit (poi raso). Alla fine del XIII né
Explicit né spazio. Alla fine del XIV: Explicit liber
XII (XII raso). A XV 4, 5 (f. 12 iv) (Tnotò: Post hanc
partem ' idque ut maturaret hortatus sum ' immediate
deest magna huius epistolae portio usque ad eam partem
' rebus ita gestis castra in radicibus Amani etc. ' Islam
partem quae deest in fiìie libri invenie s folio isy (ora
140V). Alla fine del XV un Explicit illeggibile, perché
raso. Alla fine del lib. XVI nessun Explicit.
Sin qui il copista; dal fol. 133 in poi, eccettuati i
ff. 144-152, é tutto di mano di C.
F. 133V Caesar Opio et Cornelio s. Gaudeo meher-
cule....
F. 134 Haec est epistola 20^ libri quinti. Cicero Ruffo
s. p. d. Quomodo potuissem . . . (infatti questa manca
nel testo).
F. 135 Haec est 24^ epistola libri septimi. Cicero s.
I. — CICERONE. 6l
d. Gallo. Tantum ex Arpinati . . . (manca nel testo).
F. 135V Epistola 2$^ libri septimi. Cicero M. Fabio
Gallo s. Amoris tui . . . (manca nel testo).
F. 136 Epistola 26' li òri septi?ni. Cicero AL Fabio
Gallo s. Quod epistulam . . . (manca nel testo, dove il
copista ha fatto del poscritto della 1 8* una nuova let-
tera).
F. 136 Incipit liber epistolarum Coelii ad Ciceronem
qui inter epistolas Ciceronis octavus liber numeratur : con
le seg-uenti lettere di Celio: Vili i; 9, 4-5 (da Mar-
cum Feridiutn alla fine); II 12 (di Cicerone a Celio,
con la nota : Sequens epistola Ciceronis ad Coelium est
in secando libro epistola 12^ quare mine vacat, e infatti
il testo la dà a suo posto); Vili 10-17.
F. 140V Haec portio que sequitur deest in epistola
quarta libri quintidecimi f. Il8 (ora 121): Cuius ego
studio officioque commotus egi ei per litteras gratias
idque ut maturaret hortatus sum. Cum autem — in-
cendimus (e infatti nel testo manca il passo Cum au-
tem — incendimus).
F. 14 IV Incipit rubrica primi libri epistolarum fami-
liarium M. T. Ciceronis.
Le rubriche occupano i ff. 141V-143, 153-155.
F. 154 Nelle rubriche del lib. XTII: Alibi post epi-
stolam 77 libri 13 que incipit: Cum his temporibus non
sane in senatuni ventitarem ponuntur duae epistolae ad
Cornificium ab Cicerone scriptae quarum altera incipit
Canucius familiaris meus, altera incipit Non modo tibi
"• • *- "■ Hae ambae ponuntur in libro 12, qua-
6a R. SABBADINl.
rum prima est in eo libro 21^, secunda est 28'^ in eodeni
libro. Quare in hoc libro 13^ non sunt ponendae.
F. 155 Expliciunt rubrice libroriim XVI cpistolarum
familiarium M. Tullii Ciceronis et sunt in summa epi-
stolae 414. Quod si aliqua in numero epistolarum diffe-
rentia in variis codicibus erit, id minimi est momenti
neque ad summum plures vel pauciores quattuor inve-
nientur.
È noto che la grande maggioranza dei codici delle
Epist. fam. di Cicerone nel sec. XV deriva daPiLaur.
49, 7) apografo di M {Laur. 49, 9); e che in P era
avvenuto un perturbamento, adesso tolto, di quaderni,
in modo che il quaderno XV invece che al XIV suc-
cedeva al XVII; con ciò rimanevano disordinate e
smembrate le lettere dei libri Vili e IX. Finche il
Poliziano non si accorse del perturbamento di P e in-
segnò il modo di rimediarvi, i copisti e gli studiosi,
che pur avvertirono il disordine, s' ingegnarono come
meglio poterono per trarsi d'imbarazzo (i). Il copista
del cod. Ambrosiano riusci a ricomporre la successione
del libro IX, ma disperò dell' VIII e lo tralasciò del
tutto. Il correttore C, aiutato probabilmente dall'esem-
plare guariniano, supplì il lib. Vili, ma solo in parte;
vale a dire la lettera i*, che entrava intiera nel qua-
derno XIV di P, e le altre dalla io* all'ultima, tutte
comprese nel quaderno XVI di P (che andava pro-
priamente da Vili 9, 3 mihi litteris ostenderis a IX
2, I eatn ipsam).
(l) Su di ciò vedi G. Kirner in Studi ital. filol. class. IX 400 sgg.
[
I. — CICERONE. 63
L na mano posteriore intramezzò poi fra il f. 143 e
il 153 i nove fogli cartacei 144-152, e vi scrisse il re-
sto delle lettere mancanti del lib. Vili, talune ripetute;
ossia Vili I (da caluerint Romam cum vmissein); 9; io
(frammentarie); IX 14; 15 (frammentarie); Vili 3-9.
Nei ff. 2-Ti uno degli annotatori scrisse l'elenco dei
passi greci delle singole epistole con la traduzione
latina corrispondente.
C è ragione di credere che i passi greci e le tra-
duzioni derivino dall' esemplare delle Epist. fam. di
Cicerone posseduto da Guarino e da lui postillato per
proprio uso; giacche a\V Epist. VI 1 8 sono citati quattro
versi di Esiodo CEpy. 287-90) con la traduzione gua-
riniana in altrettanti esametri; in margine è notato :
Guarini Carviina. Alla stessa epistola poi nel contesto
f. 50V ricorrono nuovamente e il detto luogo di Esio-
do (i) e gli esametri latini con la nota: (7«am/«5. Non
solo; ma molte altre lezioni e interpretazioni guariniane
sono segnate sui margini dal correttore C, le quali
rendono meno grave la perdita dell' esemplare di Gua-
rino e ci danno un saggio della critica da lui eserci-
tata sul testo delle Epist. fam. Reco tutte quelle che
sono a lui assegnate nominatamente.
F. 4 (I I, 3) Guarinus: Sed ex ilio senatus consulto
quod te referente, factum est : tibi decernit : ut regem
deducas quod quo modo facere possis ignoro : ut exer-
(i) Veramente t codici a VI 18, 5 danno solo • ifi? fi'ùoetfj*; lftc>o>Ta
et cetcra '; ma Guarino aveva la consuetudine di scriv'-»' v» i»i». 1.. iu«
•ooi oemplari i passi greci solamente accennati.
SABBAI) INI.
citum religio tollat: te auctorem et e. (il cod. non pun-
teggia; commode al luog^o di quomodo in rasura; ignoro
in rasura).
F. 5 (I 4, 2) Guarinus: qui nunc populi nomine, re
autem vera sceleratissimo latrocinio. Si quae conabun-
tu^ agere satis mihi provisum (i) est et e. (il cod. non
punteggia; mihi in ras.).
F. 6v (I 7, 4) Dominus Guarinus manti sua or din a-
vit prout infra: Quare ea que scribam sic habeto me
cum ilio re saepe communicata de ilUus ad te sententia
atque auctoritate scribere: quoniam senatus consultum
nu^^um extat: quo reductio regìs alexandrinitibi adempta
sit: eaque quae de ea re (2) scripta est auctoritas. cui
scis intercessum esse: ut ne quis omnino regem re-
duceret: tantam vim habet ut magis ìratorum homi-
num studium quam constantis senatus consilium esse
videatur : arbitror (3) te perspicere posse : qui ciUciam
cyprumque teneas quid efficere et quid consequi pos-
sis et e. (il cod. non punteggia; ha quoniam in ras.;
omette re, arbitror ed et).
F. 8 (I 8, 6) Guarinus: Id quocumque (4) sentiam.
sed utilitate mihi me ipsi satisfacere non possum et
e. (il cod.: quecumque [in ras.] sentiam sedulitate [^^«
'n ras.] in me ipsum [corr. in mihi met ipsi]\ in marg.
(l) mihi pro\ ì-^x^m] '-nprovi'^vm coàd.
{2) re m?nca nei codici e fu recentemente congetturato dal Mendels-
sohn.
(3) arbitror manca nei codici.
(4) lezione di G R.
r. — CICERONE. 65
* id quecumque sentiam et e. ' hec littera nusquam ha-
betiir correda).
F. IO (I 9, 15) (7«^r/'«wj; Impunitatem scelerum sen-
tentiis assecutus : qui cum tyrannus. p. lentulo consule
poenas a sedicioso cive et e. (il cod. assequutus; T.
annius in ras.; lentulo fu poi cancellato; omesso consule),
F. 14V {II 8, i) Guarinus: mehercule iniuria. 7co>.UTt-
xojTepov (idest urbaniorem) enim te adhuc etc. (il cod.
nec hercule iniuria ***** enim te adhuc; poi fu col-
mata la lac. con TcoliTtxoTepov yàp).
F. 15V (II 12, i) Guarinus: Quinquatrus dies solem-
nis celebratus sic dictus : quod quinque ab idibus die-
rum sit numerus. In quo atrus nihil praeter supple-
mentum (i) affort.
F. 25 V (III II, 2) Guarinus: Verumtamen est maie-
stas et si illa (2) voluit ne in quemvis impune decla-
mari liceret et e.
Guarinus: Verumtamen est maiestas et Sylla voluit
ne in quemvis impune declamari liceret (da qui innanzi
non cito più la lezione del codice, che è contaminata
e senza valore; il suo testo deriva da P e fu qua e
là emendato con un codice affine al Bodl. Canonie.
210 sec. XV).
F. 37 V (V 10, i) Guarinus manu propria scripsit :^\'
(1) ( ioc UH huffls
(2) cui ftulla Mt et hic bilia A', i'i o dibpcrato, dove Guarino tentò
due emendamenti.
(3) limitu M.
R. Sabbadini, Ttsti Ialini, S*
66 ti. SAÉBADIM.
F. 46 (VI 6, 9) Guarinus: et in communi re p. ci-
vem summum (i) : tuae aetatis vel ingenio vel gratia
vel fama pò. ro. parem non posse te habere. prohibere
r. p. diutius nollet. hoc temporis potius esse aliquando
beneficium quam iam suum.
F. 46V (VI 7, i) Guarinus :^Siva cum commentum (2)
scripturae littera toUatur: stultitia famamultetur: meus
error exilio corrigitur.
F. 56V (VII 18, 20) Guarinus ita manu propria scrip-
sit: Psaesta confortini, et palimpsesta confortini recocti.
F 60 V (IX 2, 5) In epistolis Guarini (3) ita iacet :
Modo nobis constat illud una vivere in studiis nostris
a quibus antea delectationem : modo solatium peti-
mus (4). Nunc vero etiani salutem non deesse si quis
adhibere volet non ut architectos verum edam ut fa-
bros ad aedificandam rem p. potius libenter accurro.
Sin autem nemo (5) utetur opera mea: tamen et seri-
bere et legere pollicear (6).
F. 61 (IX 3, 2) Guarinus: Y>.auxa eig àO-vivaq idest
noctuam ad athenas.
F. 62 (IX 8, i) Guarinus in episto/is suis: etsì mìnus
flagitare quam quis ostenderet : ne populus quidem
solet nisi concitatus: tamen etc.
F. 67 (IX 20, 2) alle parole ' aliquid intelligat ' se-
(1) cui vis summorum M.
(2) nam commentum G.
(3) Vale a dire nell'esemplare guariniano.
(4) modo petebamus codd.
(5) accurrere si nemo codd.
(6) politias (— ^jroXiTEias) codd.
r. — CTCnERONH. éj
gue nel codice una lacuna per il greco; di fronte in
margine: no;i est apud Guarinum.
F. 67 (IX 21, 2) Guari fius manu propria signaviti
papirius (i).
F. 81 (X 2>2y 3) ^' Guarinus propria manu scripsit
prout infra : lUi misero quiritanti ci vis romanus sum (2).
Quiritare populum invocare : a quiritibus implorandis
dictum.
F. 81 (X 32, 3) Auctionum idest venditionum pu-
blicarum: que et subastationes dicuntur. Guarinus ut
supra.
F. 104 (XIII 15, i) Guarinus manu propria in codice
suo scripsit prout infra iacet. Sed meum nunquam ani-
mum intra pectora suasit (3).
F. 104V (ibid.) dopo ' clamitatis ' lacuna nel codice:
apud Guarinum non est.
F. 104V (XIII 15, 2) Guarinus: idest adi sapientem
qui sibi sapiat nihil. — Guarinus: idest at ante ac retro.
— Guarinus : idest semper agere optima et summum
existere aliorum (4).
F. 137V (VIII II, 1) Guarinus: Prevaricator malae
fidei patronus qui vel r?niv.M^ profiitura oinittat : vel
nocitura dicat.
Dai sag-g-i citati scorgiamo che il codice di Guarino
derivava dal Mediceo; che sui margini del proprio esem-
(1) papuufl codd.
(2) romanus Datus kum codd. I critici moderni vorrebbero espungere
natus tum.
(3) Traduzione del passo greco dXX' ifiòv o^ctott.
(4) Traducioni dei passi greci.
68 ^* SABBADINI'.
piare aveva tradotto i passi greci e illustrate le parole
difficili; ma le sue emendazioni, meno un paio, sono
infelici e violentano troppo il testo.
Alla fine delle Epistole f. 133 il correttore ha tra-
scritto cinque versi mnemonici grammaticali di Guarino:
Guarrinus de his que faciuiit accusativum pluralem
in is.
Saepius is finit pluralem tertia quartum
Quum tenet is rectus similem formando secundum.
Pluralesque vel er. ns. coniungitur r. s.
Navis. tris, imbris. pontis sic dicito, partis.
Rarius is finit reliqua. plus pluris. lis quoque litis.
Non crediamo che questi versi appartenessero a
un' opera maggiore di Guarino, ma che siano stati da
lui occasionalmente scritti sul margine dell' esemplare
delle Epist. fam.
Proponiamo da ultimo un quesito.
Al f. 126 (XV 17, 2) il nostro codice ha : quamquam
****** amisimus; nella lacuna fu poi scritto: xpóawTcov
xaT^òv xai aÒToaipsTÒv; e in marg.: In vetustissimo codice
sic iacet: quanquam faciem civitatis amisimus. Ibid. § 4:
si ****** fueris; poi nella lacuna : apj^eTocj %Ckm. E in
margine : In vetustissimo codice iacet : si invacuus stu-
diis fueris.
È certo che faciem civitatis traduce ^pócwTuov tiÓXswc,
il testo greco che va restituito nella prima lacuna; e
invacuus studiis vuol tradurre àx£vó(77i;ouBo(; dell' altra
lacuna. Ma che pensare del vetustissimus codex ? Sarà
stato un codice umanistico scritto littera antiqua?
I. — CICERONE. 69
Epistulae ad Atticum.
Le Epistulae ad Atticum comprendono nella tradi-
zione manoscritta anche i due gruppi minori ad Brutunt
e ad Quintum fratrem. Questa silloge epistolare ri-
sale a due archetipi, l'uno transalpino, l'altro cisalpino.
D più autorevole rappresentante dell' archetipo tran-
salpino era il codice adoperato da A. Cratander per
la sua edizione delle epistole ciceroniane uscita a Ba-
silea nel 1528. E non solo il più autorevole, ma anche
il più completo, perchè ivi della collezione ad Br., oltre
le lettere del cosiddetto libro I, erano pure le sei del
cosiddetto libro II. Scrive infatti il Cratander nell'edi-
zione succitata: ' Hanc et sequentes quinque (cioè le
sei del cosiddetto libro II) epistolas ad Brutum, quod
a ciceroniana dictione abhorrere non videbantur et
in vetusto codice primum locum obti-
n t, nos haudquaquam praetermittendas existi-
niavinius '. Questo codice, purtroppo perito, veniamo a
conoscere ora dal Commentar ium del Niccoli (sopra
p. 6, g) essere appartenuto al monastero di Fulda (0.
S'apriva con la silloge ad Br. e si chiudeva con quella
ad Att.: fra 1' una e l'altra stava certamente anche la
silloge ad II Cratander ebbe molti codici per
(1) Le informazioni sui codici dì Fulda provengono da Poggio nel
periodo del concilio di Costanza. Cosi vediamo anche come avesse un
(ondo di verità la notizia, trasmessa da Vespasiano Bisticci e da Flavio
Biondo, intomo all' Epistolario ad Att» scoperto in quel tempo da Poggio
(R. Sabbadini, Le scopar'- '- -■*:-' - ^~ ;'
70 R. SABBADim.
mezzo dì Giovanni Sichart; e probabilmente il nostro
ciceroniano era fra essi (i).
Ma noi qui ci occupiamo esclusivamente dell' arche-
tipo cisalpino, il quale alla sua volta si suddivide in
due famiglie, Tuna designata con il, l'altra quella che
mette capo a M. Il capostipite di 2 non ci rimane,
dovechè dell'altra famiglia è M stesso capostipite (2).
Il corpo ad Att, fu scoperto la prima volta 1' anno
1345 nella biblioteca Capitolare di Verona dal Pe-
trarca, che se ne trasse un apografo; più tardi (nel
1392 o 1393) dall' archetipo veronese venne allestito,
intercedente Pasquino de Capelli, un altro apografo
per Coluccio Salutati, il quale insisteva nel dichiarare
che si trattava dell'archetipo veronese (3). L'apografo
del Petrarca è perduto, l'apografo allestito per il Sa-
lutati è M, oggi codice Laur. 49, 18.
A questi fatti (*) accertati ha tentato di toglier fede
il Sjògren (4), il quale sostiene che M non è gemello
dell'apografo petrarchesco, ma che deriva da un altro
archetipo. Suppone perciò l'esistenza a Verona di due
(1) P. Lehmann, Johannes Sichardus, Miinchen 19 12, 146; ' inter quos
(codices), scrive il Cratander, non paucos ncque paenitendos nobis commu-
nicavit Io. Sichardus, veterum monimentorum conservator diligentissimus '.
(2) Suir argomento vedi il lavoro fondamentale di H. Sjògren Com-
mtntatwnes Tullianae, Upsaliae 19 io.
(3) Epistolario di C. Salutati :* cura di F. Novati, II 39!, dell'anno
■39«.
(♦) Comparve la prima volta in Rivista di filologia, XXXVIII, 19 io,
591-93, dove riferii sul libro del Sjògren.
(4) op. cit. 39-43-
I. — CICERONE. 71
codici antichi, fondandosi specialmente sulle diver-
g-enze fra il testo di M e quello del Petrarca.
Anzitutto per supporre in Verona l'esistenza simul-
tanea di due esemplari di un testo cosi raro, ci vuole
un certo coraggio; e si aggiunga che quei due esem-
plari avrebbero dovuto trovarsi nel Capitolo del Duo-
mo, perchè a Verona due sole erano le biblioteche
medievali: del Capitolo e del monastero di S. Zeno (i);
ora il catalogo di S. Zeno, pubblicato recentemente (2),
in materia di classicismo può paragonarsi alle steppe
della Siberia o al deserto del Sahara. D' altra parte
quanto alle divergenze del Petrarca (già rilevate da
C. A. Lehmann Df Cicerofiis ad Att. epist. recens. et
emend. 165-173), bisogna conoscere un po' la storia
dell'umanesimo e ricordare che per trovare un copista
intelligentissimo e scrupoloso è necessario saltare dal
Petrarca al Niccoli: ma anche costui si permetteva di
introdurre nei testi le proprie correzioni personali; bi-
sogna ricordare che il primo vero critico che s'accosta
al modello vagheggiato dai moderni fu il Poliziano,
sulle cui testimonianze tuttavia non sempre si può giu-
rare. Il Petrarca non è un critico, bensì uno scrittore
geniale, che dove s' imbatte in un passo senza senso,
lo accomoda di suo violentemente: e talvolta con fe-
lice intuito. Alle citazioni petrarchesche dalle Epist. ad
^abhadioi, Li scoptrU dti codici latini t grtci 94.
Il A. Avena, Guglielmo da Pastrtngo t gli initi dtlVumantfirno ,»
Verona 65 (in Atti dell'Accademia d'agr. se. lelt. arti di Verona Vllg
1906).
fi R. SABBADINI.
Att. note al Lehmann agg-iungerò la seguente (*):
« Venio ad Pyraea, in quo magis reprehendendus sum quod homo ro-
manus Pyraea scripserim, non Pyraeum, sic enim omnes nostri lociiti
■unt, quam quod addiderim . in . ; non enim hoc ut oppido preposui
■ed ut loco; et tamen Dyonisius noster et qui est nobiscum Niceas Cous
non rebatur oppidum esse Pyraea. Sed de re videro. Nostrum quidem
si est pecca tum, in eo est quod Jìon ut de oppido locutus sum sed ut
de loco sccutusque sum non dico Cecilium: mane ut ex portu in Pyreum,
malus enim autor latinitatis est, sed Terrentium cuius fabelle propter
clegantiam sermonis putabantur a C. Lelio scribi : heri aliquot adole-
scentuli imus in Pyreum ». Et post panca: « Sed quoniam grammaticus
es si hoc mihi grecum (i) persolveris, magna me molestia liberaris ».
Cicero in 7° cpistolarum ad Atthicum (VII 3, io). Et tum in 8** statini:
« vel ad capuam inquit vel ad luceriam iturus putabatur etc. >. Idem
Cicero {ad Att. Vili 3, 7).
Dei due passi a noi importa quello del libro VII. In
primo luogo il Petrarca applica la propria ortografia,
omettendo i dittonghi (eccetto in Pyraea) e scrivendo
Pyraea, Dyoiiislus, Niceas^ autor, Terrentium, Atthicum;
secondariamente muta de reo in de re, e cum imus in
imus-, giusti o no i due mutamenti, a lui davano un
senso; da ultimo eseguisce tre geniali emendazioni:
cui quod] quam quod; addiderim] addiderim in; noster
qui] noster et qui. Chi non vede dinanzi a se vivo il
Petrarca ?
Ne questa è la sola nuova citazione diretta dal cod.
(*) Comparve la prima volta in Giornale storico della Ietterai, ital.
XLV, 1905, 173. La citazione proviene dal famoso Virgilius Ambro-
siano del Petrarca f. 52V; essa serve a illustrare uno scolio di Servio
sulla costruzione locale dei nomi di città.
(i) Il Petrarca non conosceva il greco e perciò saltò la parola.
I. — CICERONE. 73
Veronese; ne abbiamo un'altra (i) trasmessaci da Gu-
glielmo da Pastrengo, quel valentuomo che tanto squa-
dernò i codici capitolari di Verona. Scrive egli dunque:
« Poema quod ad Caesarem (Cicero) institnerat incidisse (2) se dicit >
(Cic. ad Q. fr. IH ! . 1 1 >.
Ciò riconduce alla lezione del Veronese: poema ad
Caesarem quod institueraìu incidi, lezione che ha a sua
difesa la ragione diplomatica e 1' uso ciceroniano. M^
in luogo di institueram dà composueram. Quando il Ve-
ronese pertanto fu veduto dal Pastrengo, aveva la
lezione originaria; quando fu copiato in M, un lettore
vi aveva sostituito composueram. Anche questo spande
un po' di ombra sulle testimonianze di J/ e indi la
necessità di riscontrarle con Z. La lezione composueram
passò sul cod. Beri. Hamilton 166 copiato da Poggio
nel 1408: M^ ristabilì l'originario institueram.
Divulgazione dell' Epist. ad Att. (*)
Sulla divulgazione in Italia delle Epist. ad Att. ha
comunicato ampie e utili notizie O. E. Schmidt (3), non
senza però errori e lacune (non dissimulate quest' ul-
(i) Cfr. R. Sabbadini, Lt scoperte dei codici 18.
<2) mifirse rc<lÌ7.ionc; nitidisae-^inciJisse i cwld. Vaticani.
(•) Comparve la prima volta in Museo di nntichitìi cLisa. UT, iSSi»,
3«3-337
(\) Die handsckriflUche l'eheriit/erunji dcr Hricfe Ciceros an Attt(u,s,
''. ('iifro. Af. /ìrutNs in Jtalien, mit vier Ta/ein;\je\\iTAg 1887. Estratto
\hhandlungen der phUologitch'kistorisehin Cloiti eUr
uhiijchcn GtselUckaft dtr WéiUtuckafUn.
74 R« SABBADINI.
time dall'autore stesso), (i) che io cercherò qui, almeno
in parte, di correg-gere e di colmare, producendo nuovi
documenti, che non saranno discari ai cultori della cri-
tica dei testi.
I manoscritti del Bruni e di Poggio.
Poggio si trasse nel 1408 copia del codice Mediceo
XLIX, 18; la copia fu trovata dallo Schmidt(2) nella
collezione Hamilton di Berlino, con la soscrìzìone: Scripsif
Poggius anno domini MCCCCVIII. Egli la suppone fatta
a Roma o più probabilmente a Firenze. I.a prima ipo-
tesi è erronea; probabile ma non certa la seconda,
come vedremo.
Delle lettere di Cicerone si trovano buoni cenni
anche nell' Epistolario del Bruni; lo Schmidt (3) crede
che ivi il Bruni parli ora delle lettere familiari di Ci-
cerone, ora di quelle ad Attico. Questo pure è erro-
neo; il Bruni parla solamente dell'Epistolario ad Attico.
Per mettere bene in chiaro la questione io recherò
qualche frammento dalle lettere edite e inedile del
Bruni (4).
(i) ib. p. 360.
(2) ib. p. 353-354. Cfr. dello stesso Gianfrancesco Poggio Bracciolini.
Ein Lebenshild aus dem XV Jahrh.^ Separat-Abdruck aus d. Zeitschrift
far ali. Geschichte, 1886, VI; p. 14 n. 5. Il Sjògren {op. cit. 25-29) nega
la discendenza del cod. Hamilton da M.
(3) Die handschr. Ucberlieferutig ecc. p. 331.
(4) Le lettere I e IV, inedite, mi derivano dai codici 4 Q q. A. 8
f. 176 sgg., 2 Q q. D. 71 f. 108 della bibliot. Comunale di Palermo
e dal codice 2720 f. 178 dell'Università di Bologna.
CICERONI. 75
Leonardus Aretinus Nicolao suo s. d.
Fecit michi intercapcdinem scribendi ad te quottidiana febrii, quatti
per viginti continuos dies perpessus fui.... Te implicitum novis suspica-
bar litibus et controversiis carere non posse....
Iin id. octobr. ex Viterbio [1405].
IL
Leonardus Nicolao (X 19).
De Epistolis Ciceronis et gratias ago ingentes et ut ad me illas
transtttittas ardentissimc cxopto.... De bibliotheca Papiensi per Luscum
nostrum id quod desideras haberi non potest. Licet enim homo sit eru-
ditus, tamen illorum librorum eruditionem non habet.... Romae [1406].
m.
Leonardus Nicolao s.
Volumen epistolarum Ciceronis quod mecum portare nequivi, si
tibi commodum, ad me transmitta« rogo.... (Siena novembre 1407) (1).
IV.
Leonardus Aretinus Nicolao s. p. d.
Fides tacerdos Ciceronis epistolas fideliter ad me detutit. Eas nunc
lego quottidie eanimque elegantia mirìGce detector, ut etiam (amiliaribus
Tiolcstum hit qao(i Icgendi cupiditatc protractus cenandi tempus plerun-
,iie obliviscar....
De bibliotheca Papiensi curavi equidem diligenter ut, quantum librorum
>i sit et quid, certior fiam utque Nonius Marcellus quem Coiucins ha*
fjr nunquam potnit meo nomina tran^rribatur. Itrm curavi He Ciceroni».
• riii'i II |iii;i;. i.ukìihi, ( alni, fuppi. ii 4->j.
j6 R. SABBAJDim.
epistolis, si forte has mendas corrigere posscmus. Haec ego stipulatas
sum inichi fieri a viro doctissimo atque michi amicissimo episcopo Nova-
riensi et peiinam apposui. Itaque non formido ne promissa ferant venti.,.
XVI kalendas ianuarias Senis [1407]. (v. sopra p. 33).
V.
Lecynardus Nicolao (III 13)
Bartholomeus (Capra) Cremonensis michi bodic affirmavit se Ciceronis
epistolas ex vetustissima littera reperisse.... Confestim donuim eius vi-
sendi studio me corripui, quo in loco michi ostenditiir volumen anti-
quissimum sane et venerandum. Sed dum avide evolvo ac singula scru-
tor, invenio epistolas ad Brutum et ad Quintum fratrem, eas videlicet
ipsas quas habemus, et septem durataxat ad Atticum libros... Illud satis
constat, quas antea habuimus, ex eo volumine non fuisse transcriptas,
cum ibi non plures quam septem ad Atticum libri, nos vero, ut opinor,
quntuordecim habeamus. Nonium Marcellum dicit se in dies expectare,
Pistoni kal. novembr. [1409]. (v. sopra p. 33).
Cominciamo dal fissare le date. La I scritta //// id.
octobr. ex Viterbio è del 1405, perchè la corte ponti-
ficia partì da Roma per Viterbo il 6 ag-osto 1405 e ne
ritornò il 13 marzo 1406 (i).
La II è del mese d'ag-osto del 1406, perché il Bruni
invita a Roma il Niccoli, affinchè possa liberarsi dag-li
imbarazzi che gli creav^ano i suoi parenti: le vie essere
ormai sicure, dopo che il papa aveva conchiuso la pace
col re. Qui il Bruni è a Roma e accenna alle discor-.
die che il Niccoli aveva in famiglia, delle quali parla
nella lettera I. Siamo dunque per lo meno nel 1406. La
corte pontificia abbandonò Roma il 9 agosto 1407 (2);
(n Muratori, Rer. ItoL Script. XXIV, Til-^l'^-
(2) Muratori ib. 983.
CICERONE.
non possiamo andare perciò oltre la prima metà del
1407. Del resto il Bruni accenna alla pace fatta dal
papa col re; si tratta della pace con Ladislao, che fu
conchiusa nell'agosto 1406 (i): e questa è la data della
lettera.
La IV ha la data : XVI kalendas ianuarias Senis,
L*anno è il 1407, perchè la corte pontificia lasciò Siena
il 23 gennaio 1408 (2).
La V, in data: Plstorii kal. nov., è del 1409. La corte
pontificia infatti fu a Pistoia nella seconda metà del
1409, di dove parti per Bologna il 12 gennaio 1410 (3).
Dell'Epistolario di Cicerone si parla nelle lettere II,
III, IV e V. Dalla II risulta che era stato incaricato
il Loschi di cercar codici nella biblioteca di Pavia; i
codici cercati erano quelli di Nonio Marcello e del-
l' Epistolario di Cicerone, come si deduce dalla lettera
IV. Finalmente le pratiche ebbero buon esito, non si
sa per Nonio, ma sicuramente per Cicerone (lettera V);
infatti il Capra potè avere un codice, certo da Pavia,
delle lettere di Cicerone a Bruto a Quinto e dei primi
sette libri ad Attico. wSu ciò non cade dubbio e io sono
d'accordo con lo Schmidt; ma non sono d'accordo con
lui sull'Epistolario di Cicerone, che nelle lettere II e III
il Bruni domanda al Niccoli e che il Niccoli gli spe-
d isce effettivamente nella lettera IV per mezzo del
pret<* F<'f^»' Tu (im-stì fhi«* < cniii lo S(hniidl vuol ve-
li) Mui.Hor; :!). 'j.'^(>.
(a) Leon. Arrtinf, Ff^irt. IT, 15, 2\', Muratori, Rer. hai. Script. XV,
421.
7^ R. SABBADim.
dere l'Epistolario di Cicerone ad familiares. E qui sta
r errore. Il Bruni aspettava dalla biblioteca di Pavia
r Epistolario ad Attico: si forte HAS mendas cor viger e
possemus (lettera IV). Queir HAS indica che egli aveva
tra mano il codice ad Atticum. Ma c'è di meglio. Nel-
l'atto di ricevere l'Epistolario di Cicerone mandatogli
dal Niccoli (lettera IV) egli parla di esso come di un
libro nuovo per lui: eas nunc lego quottidie eartimque
elegantia mirifice delector, ut etiam familiaribus mole-
stum sit quod legendi cupidate protractus cenandi tempus
plerunque obliviscar; mentre è certo che 1' Epistolario
ad familiares gli era già noto.
E di vero la prima frase della lettera I: fecit michi
Inter capedinem scribendi la deve avere attinta da Cice-
rone ad fam. XVI, 21, 2 e non altrove, perché essa
è un ocTua? e2pY][i.évov. Ciò dimostra come il Bruni sin dal
1405, vale a dire avanti la morte del Salutati, cono-
scesse l'Epistolario di Cicerone ad familiares. Prendiamo
un' altra lettera del Bruni, I, 8 (i). In essa troviamo
questa frase: ut nunc amare ipsum videar, prius autem
solummodo dilexisse; cfr. Cicer. ad fam. IX, 14, 5 ut
mihi nunc denique amare videar, antea dilexisse. Anche
qui è presupposta la conoscenza dell' Epistolario ad
fam. La lettera, in data 5 settembre, stando al posto
che occupa nell'Epistolario, sarebbe del 1405; ma non
può esser questo 1' anno. Il Wesselofscky (2) giusta-
(i) ed. Mehus.
(t) Giovanni da Prato, // Paradiso degli Alberti, ed. "Wesselofscky,
Bologna 1867, I, 2, p. 209. I Dialogi del Bruni furono composti nel
1401, perchè in essi, lib. I, si dice: qui [Ludovicus Marsigli] ab hinc
i. — CICERONE. 7^
mente la fa del 1400, perchè la Laudatio florentinae
urbis, di cui ivi parla il Bruni, è già ricordata nei Dia-
logi ad Petrum Histrum, che furono composti nel 1401.
Io poi ag"g"iungo che la lettera, la quale nel Mehus
manca della designazione del luogo, in alcuni codici (i)
ha la data: ex Villa Lezanichi o Lezeanichi o Lonzanichi.
A Viterbo, dove nel 1405 stava il Bruni, non pare che
si trovi una località che corrisponda alla Villa Lezanichi;
ne dall'altra parte è probabile che nel tempo in cui
la corte papale stava a Viterbo il Bruni avesse agio
di villeggiare. Verisimile è invece che il Bruni si tro-
vasse in villa nel 1400, che fu anno di peste a Fi-
renze (2); tanto più che la Villa Lezanichi potrebbe
corrispondere al nome moderno Lancenigo, un paese
in quel di Treviso (3).
annis septem mortuus est. Il Marsigli morì nel 1394. — Nel libro II si
legge: ut saepe mihi veniat in mentcm eius quod est a Leonardo dictutn
in orationc illa, qua laudes l'brenlinae urbis accuratissime congessit.
Questi due Dialogi sono stati pubblicati contemporaneamente da Karl
Wotke {Leonardi Bruni Aretini Dialogus de tribus vatibus Jiorentinis,
Prag, Wicn, Leipzig 1889) e da Giuseppe KÀmtr {I Dia iogi ad Petrum
Histrum di Leonardo Bruni, Lìv omo 1889). L'cdiiione del Kirner oltre
al testo cn'i^'io IH) opportuno apparato critico e note storiche e let-
terarie.
(i) Naziunulc di Palermo VII, B 1 1 f. 8; Comunale di Palermo 4
Q q. A. 8 f. l^'Ov \f,^r,ll.,t, ■/•,.,/, ,\,-\V IT.uviM.;if;'. ,\x \\,^,.a^^■y VII!,
P- 373-
il) Cfr. Giornale slvrtco della Le Iter. ttal. V, p. 148- 1 51.
(3) Veramente nella lettera II, 4 (ed. Mehus) il Bruni parlando della
itetia ÌAtudatio dice: quam nuper edidi; e questa lettera ha la data:
Romae X kal. ianuarias [1406]. Ma ww/rr qui va preso in lenho hirgo.
Vedasi riiuseppe Kirncr, Della Laudatio urbis J'iortnttnae di Leonardo
^O R. SABBADINI.
Se effettivamente la lettera è del 1400, sin da qué-
st' anno dunque il Bruni conosceva V Epistolario di
Cicerone ad /am., cioè sei anni avanti la morte del
Salutati. Questo significa che l'Epistolario ad /am. era
stato dal Salutati messo in circolazione assai prima di
quello ad AU., che entrò nel commercio letterario solo
con la morte del suo possessore (i). Appena infatti
tre mesi dalla morte del Salutati il Niccoli dà notizia
al Bruni del codice ad Att. (lettera II) e poco più di
un anno dopo glielo manda a Siena, dove arrivò alla
metà del dicembre 1407 (lettera IV). È ovvio supporre
che il Niccoli abbia mandato al Bruni il codice, affin-
chè fosse trascritto o da lui stesso o da Poggio. La
curia romana nel gennaio 1408 passò a Lucca e vi si
fermò tutta la prima metà dell'anno. Poggio fu a Fi-
renze nella seconda metà del 1408 e nei primi mesi
del 14Ò9 (2). In quella seconda metà del 1408 può
aver tratta la nota copia dell' Epistolario ad Att.; ma
Bruni, Livorno 1889, P* 6> ^ P^^* ^^ ^^ta definitiva del 1400 F. P.
Luiso, Commento a una lettera di L. Bruni in Raccolta di studi cri-
tici dedicata ad A. d'Ancona, Firenze 1901, 85-95.
(1) Però qualche intimo potè vedere il codice anche prima della
morte del Salutati. Cosi F. Zabarella cita Cic. ad Att. X 8, 8 in una
lettera al Salutati del 1400 {Epistolario di C. Salutati IV, II p. 353)
e il beato G. Dominici nella Lucuta noctis (par R. Coulon 69) compo-
sta l'anno 1405 reca questa citazione; * Quid enim melius quam memoria
recte factorum et libettate contentum negligere humana, pruut scrìbit
Marcus Brutus Ciceroni (XXIV (I 16) 9).
(2) Leon. Arretini, Epist. III, 4, 5, X, 13, III, 7. Nei primi di luglio
del 1408 era ancora presso la corte pontificia, come ha dimostrato A.
Medin in Giornale storico della letteratura italiana, 1888, XII, 3, p. 355.
I. — CICKRONK. 8l
non è esclusa la possibilità che la abbia fatta negli
ozii di Lucca. Anzi ciò è probabile, perchè appunto
in Lucca nei primi mesi del 1408 lo troviamo occupato
in trar copie di codici, come risulta dalla seguente
lettera inedita del Bruni al Niccoli (1):
Nunc vero ?.d l'bros, de quibus micbi per tuas litteras significasti. Est
roichi inter cetera gratissimum Aristotelis volumen, quod te habuisse
iciibis; et si me amas foc ut quanto citius fieri potest michi illud trans*
raittas. Nam cura in ethicis per hoc tempus satis bonam operam po-
saerlm et minfice eorum lectio studiumque delectarit, cupio iam et phy-
sica legere et Aristotele duce naturam perscrutari. Quare de beato Ba-
silio statuas ut vis, nichil enim urgeo: de physicis vero non modo urgeo
veruTi ct!am infesto, ut celeriter michi transmittas. H's diebus habui
quasdam Ciceronis orationes: prò Balbo, prò Sestio, prò Caelio, in Va-
tinium, de responsis haruspicum, de domo sua ad pontifices et alias
quasdam, quas omnes licet apud vos Florentiae viderim, tamen nonnichil
lucri fore pu*avi si per nos h'c transcriberentur. Itaque Poggiui
stbi hanc provinciam assumpsit et magna ex par-
te opui iara transegit. Ali:i non sunt quae calamo explicari
aut litteris committi velim. Tu cura ut valeas. Ili kaicndas aprilis ex
Luca [1408].
Il manoscritto di Guglielmo De Bechi.
Lo Schmidt dall' osservare chtj il codice Mediceo
XLIX, 18 è mutilo in fine alle parole non sententur
magnam (2), mentre la copia di Poggio è intera, de-
duce che la tradizione italiana, mancando di quella la-
(1) Cod. Comunale di Palermo 4 Q q. A. 8 (. 184. Nel cod. forma la
seconda parte della lett. II, i dell'ediz. Mehus; nell'edizione termina alle
parole proli.xtttn impltolur.
>2} ( ur,. ad Alt. XVI, 16 B 8.
K. lASkAiiiNi, Tuli Ialini, 6w
Ò2 R. SABBADI^l.
cuna, deriva dalla copia di Pogg-io (i) anziché da quella
del Mediceo, e afferma che di copie direttamente de-
rivanti da esso non se ne conoscono che due: quella
di Poggio e quella del Barbaro (2). Io ne posso in-
dicare una terza posseduta da Guglielmo De Bechi
fiorentino, nel tempo che era vescovo di Fiesole (1470-
1480 (3). Ecco la descrizione di questo codice (4). Ifem
alius liber mediocris forme qui dicitur Epistole Ciceronis
ad Aticum. copertus corio rubeo cum suis requisitis. cuius
principium est: Clodius tribunus. (5) finis vero: non ser-
ventur magnam (6).
Questo codice come si vede combinava nel principio
e nella fine col Mediceo.
Il manoscritto di Francesco Barbaro.
Della copia tratta dal Barbaro si parla in una let-
tera del Traversari (7). La lettera è del 1416. Infatti
chi la confronti con la precedente (8), la troverà po-
steriore ad essa di tre giorni. La precedente è del-
l'ultimo febbraio 141 6, perchè ivi si annunzia l'entrata
in carica nel di seguente 1° marzo di Cosimo de' Me-
(i) op. cit. p. 364.
(2) P. 378.
(3) Ughelli, Ital. sacra III, p. 262.
(4) La descrizione nel cod. Laiir. Ashbumham 1897 f. 71.
(5) ad Brut. VI (I i) i.
(6) ad Att. XVI, 16 B 8.
(7) VI, 6. Is (Nicolaus) niittet Ciceronis epistolas ad Atticum, quibus
noster Manuel restituii graecas litteras; v. sopra p. 40-42.
(8) VI, 5.
r. — CICERONE. 83
dici come priore. E Cosimo fu priore dal i* marzo al
30 aprile 141 6 (i).
11 manoscritto del Barzizza.
Del suo codice ad Att. Gasparino Barzizza parla in
quattro lettere. Di due (2) non si può stabilire la data,
un'altra è del 141 1 (3); ma di ben maggiore entità
è la quarta (4). In essa il Barzizza manda TEpistolario
ad Att. al Giuliano. La lettera presuppone vivo il fra-
tello del Barzizza, che morì nell'ag-osto 14 io (5); siamo
dunque anteriormente a questa data. Ma possiamo
scendere ancora di qualche anno. Ivi è detto che il
fratello del Barzizza aveva per mezzo del Giuliano e
del Vettori ottenuto il posto desiderato. Per quel posto
il Barzizza lo raccomandò anche a Zaccaria Trevisan (6)
con una lettera che è certo del 1408, perchè vi si
parla del recente ritorno del Trevisan dall' ambasciata
presso Gregorio XJI; dico anzi della prima metà di
quell'anno, perchè il Trevisan, qui presupposto a Ve-
nezia, andò in queir anno stesso podestà a Verona (7).
Perciò anche la lettera sopradetta al Giuliano è del 1408.
(i) Modesto Rastrelli, Priorista fiorentino, Firenze 1783, p. i5«\
(2) ed. Furìetto I, p. 194, 208.
(3) ib. I, p. 113.
(4) Balutiiu, Miscellan. Ili, p. 166.
(5) Biirzizii, F.pist. ed. Furietto I, p. 100.
(6) Mittarelli, Uiòtioth. S. AUekaelis ecc. p. 437.
(7) Biancolini, Strìi tronoiosifo dti vtittvi $ governatori di Vironm^
P ?..
84 &. SABBADINi.
Della lettera poi al Trevisan reco alcuni passi im-
portanti (i):
Ariitoteles ille, qui ut apud Ciceronem (2) tuum legis huic arti plu-
rima adinmenta atque ornamenta sumministravit, in illis suis methodis
ascriptis Theodecto nobis tradit * non esse artis opus persuadere sed vi-
dere existcntia persuasibilia circa unumquidque, sicut et in aliis artibus.
Non enim est medicinalis sanitates effc'cere sed usquequo contingit ad
hoc perducere; est enim et eos, qui non possunt recipere sanitatem, ta-
men medicari bene ', ex quo tritum iam proverbium est: ncque medicum
semper sanare neque oratorem semper persuadere. Quid ipsum eloquen-
tiae fontem dicam Tullium ? Potuitne ita persuadere iudicibus, ut non
suus Milo in exilium pelleretur ? . . . . Loquor velut ad Brutum scribit
Cicero : * praesentibus faciliora sunt ' (3). Ipse (cioè il fratello del Bar-
xizza) ad vos accedit. ludicabis igitur prò tua prudentia hominem ex
integritate vitae et doctrina, non ex bis quae extra sunt. Solebat non-
nunquam Cicero in extrema parte suarum recommendationum post multa
addere : ' et si quid ad rem pertinet, homo locuples est ' (4). Ego vero
ut aliquando concludam addo: et, si quid ad rem attinet, profugus, se-
eum trahens liberos et grave onus suae familiae, cui fortunae tenuissimae
nulla spes nisi ea quae propemodum in te uno residet ....
Dalle citazioni ciceroniane di questa lettera si ricava
che il Barzizza possedeva sin dalla prima metà del 1408
un codice dell'Epistolario ad Atticum. Da dove l'avrà
avuto ? Da Firenze no, perchè la copia di Pog-gio è
(1) Li traggo dal cod. Vaticano 5223 f. 93, con l'intestazione: Splen-
dido militi ac ci. doctori d. Zachariae Trivisano praes tantissimo et ho-
norando d. singulari; e la firma: tiius ille Gasparinus Pergamensis
amantissimus nominis tui.
(2) Cicer. de invent. I, 7 e Aristot. Rhet. I, i, 14.
(3) Cicer. ad Br. XIII (I, 5) 3.
(4) ad Br. XVI (I, 8) 2 : cfr. ad fam. XIII, 13.
I. — CICERONE. §5
essa stessa del 1408; e poi di questo tempo il Bar-
zizza non era in relazione con la società letteraria di
Firenze. Quel codice lo ebbe senza dubbio da Pavia,
dove il Barzizza insegnò dall'anno 1400 al 1407 (i), nel
quale ultimo passò a Venezia e di là a Padova. E
nella biblioteca dei Visconti a Pavia erano per 1' ap-
punto alcuni codici delle lettere ad Atticum (2).
Di questa silloge il Barzizza inoltre allestì un' edi-
zione, come risulta da una lettera, pur troppo anepi-
grafa (cod. Vatic. 2906 f. 45), della quale reco alcuni
passi :
Non me fugit, pater optinic, vos palarti esse .... Sed quorsum hec ?
Nam ipsius (Ciceronis) et ad Athicum et Q. f. epistole iam ad unguera
per Gasparinum Pergamensem preceptorem meum correpte in lucem pro-
dierunt; quc certe quante sint eloquentie non meum est laudare ....
Quamobrem has ipsas, quibus ut opt'me nostis careo, lubenter scribi
facerem, sed quo me vertam nescio .... quatenus epistolas ipsas d. Bla-
sius scribat quod unum magnope'e mihi conducet ac bibliotece mee
maximiori erit decori ....
Il manoscritto di Guarino.
In un discorso di Guarino (3), uno degli scritti più
antichi che ci siano rimasti di lui, si incontrano evi-
denti reminiscenze del gruppo epistolare ad Atticum,
(l) Memorit e documenti per la storia delV Università di PaviOt Paria
1878, I, p. IS4.
(a) Gir. d'Adda, -, ^i... .,./...< i hibliograficht sulla libreria Vi-
scoHtiO'S/ortesfa del Castelb di Pavia, Milano 1875, 1879, n. 610, 63S,
857. Clr. iopra p. 77-
(3) OkI .li ^irn:» M VI th f :S.
86 R. SABBADINT.
Quel discorso fu recitato a Verona nella prima metà
del 1409 per la occasione che lasciava la podesteria
di quella città Zaccaria Trevisan e la assumeva Albano
Badoer (i). Ecco tre passi del discorso:
.... frui iubet et ita iubet ut divinum hominem huic civitati pa-
rentem rectorem gubernatorera quasi de caelo missum amemus venere-
mur amplectamiir. — Cfr. Cicer. od Qnint. fr. T, i, 7 Graeci quidem sic
te ita viventem intuebuntur, ut ... . de caelo divinum hominem esse in
provinciam delapsum putent.
.... ut qui in audiendo facilis in decernendo lenis in satisfaciendo
ac disputando diligens et acutus praedicatur. — Cfr. Cicer. ad Qnint. I,
I, 21 adiungenda etiam est facilitas in audiendo lenitas in deccmendo,
in satisfaciendo ac disputando dih'gentia.
.... Cum autem sapientissimi illius Solonis instituto rem publicam
duabus in rebus contineri animadvertisses, praemio inquara et poenis ... —
Cfr. Cicer. ad Br, XXIII (I, 15) 3 ut Solonis dictum usiirpem, qui et
sapientissimus fuit ex septem .... Is rem publicam duabus rebus con-
tineri dixit, praemio et poena.
Questi indizi non lasciano alcun dubbio che Guarino
sin dalla prima metà del 1409 conoscesse le epistole
di Cicerone^^ Quintum fr. e ad Brutum; e per conse-
guenza anche quelle ad Atticum.
Ora si domanda dove abbia potuto Guarino venirne
in possesso. A Firenze no, perchè ivi andò soltanto
nel 14 IO. Nemmeno a Verona, di dove l'archetipo
dovette ben presto migrare in Lombardia (2). Rimane
come più verisimile un terzo caso, che cioè Guarino
r abbia avuto o a Padova o a Venezia dal Barzizza,
(i) Biancolini, ibid.
(2) Schmidt, op. cit. p. 294-296.
I. — CICERONE. 87
e questo potè essere del 1408, nel suo ritorno da Co-
stantinopoli.
Il manoscritto deirAurispa.
Anche 1' Aurispa possedeva un' importante copia
dell' Epistolario ad Attico; sul qual proposito reco una
sua lettera.
Aurispa viro darò et poetae siiavi ci. Antonio
Panhormitae s, (i).
Quod per superiores tuas litteras postulaveras, vitam Platonis a Gua-
rino editam ad te mitto. Emi nuper Livii ab urbe condita libros decem
scriptos manu Franciae illius Fiorentini, nomen in Italia quei forma cha-
ractcris amplum (2) fecerat, et qui nihil aliud philosophi habet nisi pau-
pertatem, ut et mea de ilio et tua sententia utar. Sunt hi libri ut pul-
chri ita recte et observonter scripti. Habeo Ciccronis ad Atticum epi-
stola», codicem perpulchrum, immo ita pulchrum ut in Italia neque pul-
chriorem esse putem neque gratìorem. Epistolae vero sunt completissimae
et minus quani ullae comiptae; inveniri enim solent plerumque incom-
pletAe, emendatac vero nunquam. Scd hic codex, ut superius dixi, omnes
sui generis pulchritudine vincit et emendatione, quamvis emendatissimae
non sint. Hos duos codices habcre poteris, si quinquaginta aureos huc
ad me miscris, quos poteris per mensarios, et Ovidium illum antiquum abs
te mihi pron»Ì88um de Transformationibus, quaiy primum fidum nuntium
cui commendare possis inveneris (3). Franciscus Sodarinus ex Florentia
vir clfM|uens et prudcns» scribit ad te litteras, quibus negotium quoddam
suum libi commendata cui homini videor non parum obligari cupioque
ab omnibus et a te praesertim sibi benefìeri v^el, rcctius loquar, per
(1) Cod. Vatic. 3372 f. 8.
(2) Le parole nomen-ampluit. ;.,(,.... ,-i...... verso dell' elegia nella
quale l'Aurispa piange la morte del Francia (Bandini Cod. lai. II p. 185).
(3) muneris cod.
88 ■ R. SABBADINT.
te. Quare te per opinionem quam ipse de te perquc spem qnam in te
habet oro, ut diligeitcr negotium illiui siiuin tractes et cum industria;
opinatur en'm, eamque ego sibi opin-onem firmavi, omnia abs te quae
ex an'mo tractes facile ab isto ti-.o rege impctrari posse. Vale tu et me
ama ut facis. Si hi duo codices tibi pUicuerint, ego hic Ferrariae dedam
cdicuiKiue ii'sseris aut mensar.'o aut alteri nuntio: receptis tamen prius
quinquaginta aureis et habita spe habe-idi Ovidium; nulìum aliud ego
periculum in ea re volo. Vale item. Ferrariae kal. augusti [1447].
Per determinare l'anno di questa lettera dell'Aurispa
devo riferire un passo di un' altra sua, indirizzata pa-
rimenti al Panormita (i).
.... Audi nunc adventus mei Romam consilium meum, Indignum
ingratumque m.ihi videbatur non salutare cum pontificem, quem clericum
sacerdotem episcopum colueram et observaram mutuaque beni volenti a
amplexus ego illum, ipse me fueramus. Eram etiam Romae aliqua pe-
racturus, quae et rectius et citius explebo praesens quam per absen-
tiani .... Est hic Martialis pulcherrimus voluminis parvi, completus et
minus corruptus quam alii inveniri soleant. Eum quidam venalem habet,
qxiem tibi offerrem, nisi putarem decem aureos, tot enim ille pe^it, li-
bentius ac liberalius prò nugis quibusdam muliebribus te daturum quam
prò Martiale .... Velim scire an vitam Platonis quam e Ferraria per
Ioannem Carrapham equestris ordinis virum ad te misi receperis ....
Romae IIII kal. martias [1448].
Questa seconda lettera fu scritta dopo l'assunzione
al pontificato di Niccolò V, poiché niun altro che lui
può essere significato in quel papa, che fu conosciuto
e praticato da chierico da sacerdote da vescovo dal
nostro Aurispa. Si comprende dal contesto che la ele-
zione era recente. Niccolò V fu eletto nel 6 marzo
(i) Cod. Vatic. 3372 f. 9v.
I. - CICERONE. S9
1447 (i); la lettera dell' Aurispa è del 26 febbraio. Non
possiamo dunque essere che nell' anno seguente 1448.
Fissato quest'anno, noi vediamo che l' Aurispa chiede
al Panormita se abbia ricevuto la vita di Platone di
Guarino, statagli già spedita. Con ciò noi determiniamo
l'anno della prima lettera, la quale pertanto è dell'a-
gosto 1447, giacche abbiamo veduto in essa l' Aurispa
spedire al Panormita la vita di Platone.
Lasciando stare '1 modo col quale l' Aurispa mer-
canteggiava i codici e non occupandoci dei manoscritti
di una deca di Livio, delle Metamorfosi di Ovidio e
di Marziale, dei quali si fa parola in queste due let-
tere, noi veniamo a sapere dalla pri na di esse che nel
1447 r Aurispa possedeva l'Epistolario di Cicerone ad
Attico. Sul vero valore di quel codice non possiamo
portare giudizio, essendosi forse smarrito; stando però
a quello che V Aurispa afferma, doveva essere molto
emendato. Egli dice inoltre che era completissimo. Ciò
fa supporre che esso derivi dalla copia di Poggio. E
poi preziosa per noi la notizia, che le lettere ad Attico
allora solevano trovarsi plerumque incompletae; poiché
argomentiamo di qui che esse dovevano trarre origine
dal codice Mediceo, che ha come si è veduto (p. 81)
una lacuna.
Il manoscritto Ambrosiano A 47 inf.
Alla copia di Poggio risale il manoscritto Ambro-
siano A 47 inf., cart. di f. 2 1 2 (numerazione moderna).
(1) L. pMtor, Guchùhtt dtr PàpsU 1 p. «79 '»• «•
90 R. SABBADINI.
Il codice comincia senza intestazione così : Cicero
Bruto s. L. Clodius tribunus plebis etc.
Dopo le lettere ad Br. f. 1 1 seg-ue questo titolo :
Ad Brutum Epistolarurn liber secundus primus (sic) expli-
cit. Ad Q. fratrem Epistolarum liber primus incipit.
I libri II e III «^ Q. mancano dell'intestazione. Nella
disposizione del lib. II ci è molto disordine.
f. 36. Cicero Octavio s. Si per tuas legiones etc.
Le lettere ad Att. cominciano al f. 37V. Mancano e
r intestazione e i titoli dei singoli libri.
In fine non ci è la lacuna del Mediceo. Nelle prime
pagine si incontrano i passi greci, che poi furono sem-
pre omessi in lacuna.
Soscrizione, f. 2i2v: Expliciunt Epistole Marci tulii
Ciceronis ad Atthicum Sub anno domini MCCCCXLI .
XVI mensis Augusti per ?ne Adrianum Petri de Ghen-
dtren.
I manoscritti Bolognesi.
La biblioteca Universitaria di Bologna possiede un
bellissimo manoscritto, n. 2229, membr. sec. XV, di
ff. 201 e 158, che contiene entrambi gli Epistolari di
Cicerone, prima quello ad Att. e poi quello ad fam.
Quello ad Att. alla fine non è tronco. Ha tutti i passi
greci.
A Bologna e' era un altro manoscritto delle lettere
ad Att. Lo vide nella biblioteca di S. Clemente, dove
portava il n. 145, a Bologna il Detlefsen (i); io lo ho
(i) Jahrbucher filr Philol. und Pàdag. 1863, p. 573.
I. — CICERONE. 91
cercato inutilmente nella bibl. Universitaria, dove fu
trasportato il fondo di S. Clemente, come degli altri
conventi della città. Doveva essere anteriore al 1446,
perchè sui fogli di guardia vi furono scritte due let-
tere con la data di queir anno.
***
Dei codici nominati sin qui derivano da M per via
diretta o indiretta quelli di Poggio, del Bruni, del
Bechi, del Barbaro, l'Ambrosiano A 47 inf. e il Bo-
lognese, e verisimilmente quello dell' Aurispa. Dei co-
dici di Guarino e del Barzizza nulla possiamo affermare
di certo. Traggono invece origine da ^ quello del Ca-
pra e altri tre che ora esamineremo: quelli cioè del
Corvini e del Traversari e l'Ambrosiano E 14 inf.
Il manoscritto del Corvini.
Dalla lettera di un Candido al Niccoli, del primo
quindicennio del sec. XV, apparisce che Giovanni Cor-
vini, segretario ducale del Visconti, possedeva un E-
pistolarum Ciceronis ad Atticum liber veterrimus. Del
Corvini ci occuperemo largamente in altra parte del
presente volume.
Il manoscritto del Traversari (*).
Attribuisco ad Ambrogio Traversari il cod. Classense
469 di Ravenna, gemello del Palatino 15 io, senza
però che l'uno derivi dall'altro (i). E fondo l'attriììu-
zione sulle note marginali, che qui trascrivo :
(♦) Questo I è nuovo.
(1) l'rr !.i (IcAcrìzioDe di questo codice c(r. Sjogren op, cit. 5.
9S R. SABBADINI.
I. Alle parole {ad Q. fr. I, i, 2^^) Cyrus ille a Xe-
nophonte]. Xenophoìi non historiam sed praecepta ini-
perii de Cyro scripsit.
IL Alle parole {ad Q. fr. Ili, 5, i) Quod quaeris
quid de illis libris]. Scripserat Cicero novem lihros de re
p. quos postea admonitus Sallustio mutavit i/i sex (cfr.
ad Q. fr. Ili, 6) sed utinam ht luce essent.
III. Alle parole [ad Q. fr. Ili, 5, 6) de latinis vero
quo me vertam]. Semper lathtos codices mendose fuisse
scriptos; de graecis vero semper aliter fuit.
IV. Alle parole {ad Q. fr. Ili, 9, 3) meae lìterae in-
terceptae offendant]. Utinam interceptores epistolarum
Basileae comburer entìir.
V. Alle parole {ad Att. I, 11, 3) libros vero tuos
cave quoiquam]. Erat M. Tullius lihrornm avidus, sed _
in ea re cedebat tibi, FlorentÌ7te !
VI. Alle parole {ad Att. II, i, 2) sed et'am piane
perterritum]. Idem Ì7i commentariis Caesaris vere fuit
(cfr. Cic. Br. 262 sanos quidem homines a scribendo
deterruit). Sed tu Cicero non parum graece potuisti.
VII. Alle parole {ad Att. IV, i, 5) senatui gratias
egimus]. Qua de re oratio extat.
Vili. Alle parole {ad Att. IV, 2, 2) itaque oratio].
Oratio ad pontifices prò domo sua.
L' autore delle g-losse sta a Basilea (IV) ed è co-
noscitore di greco (I, III). A Basilea due soli umanisti,
conoscitori del greco, assistettero al Concilio : l'Aurispa
negli anni 1433-34 ^ i^ Traversari nel 1435 (dal 20
agosto al 6 novembre). Ma la riposta citazione cice-
roniana (VI) fa traboccar la bilancia in favore del Tra-
I. — CICERONE. 93
versari. L' apostrofato Fiorentine potrebb' essere tanto
Po^g-io quanto il Niccoli : ma il fiorentino librorum
avidus per eccellenza è il Niccoli, per cui del resto il
Traversari nutriva un'amicizia fraterna.
Il manoscritto Ambrosiano E 14 inf. (*)
L'importanza del cod. Ambrosiano E 14 inf. (i)
consiste in ciò, che esso ci trasmise il testo più antico
degli epistolari ciceroniani ad AU., ad Q. fr., ad Br.
e in una redazione indipendente dal cod. Mediceo 49,
18, il quale discende dal Veronese perduto. Ma quanto
è chiara 1* importanza del nostro codice, altrettanto
oscura è la sua origine. Tentiamo un po' se ci riesca
di giungere a una conclusione probabile.
E cominciamo dal copista. Il copista fu Marco Ra-
fanelli o Ravanelli; egli si firma Marcus deraphanellis
scripsit. L'Ambrosiana possiede un altro codice, E 15
inf., trascritto dal medesimo amanuense. E si tratta
per r appunto di codici gemelli, di due maestosi vo-
lumi membranacei, della metà all' incirca del secolo
XIV. Hanno l'identica dimensione (cm. 40 X 27),
larghi margini ambedue; ambedue sono scritti su dop-
pia colonna e ogni colonna comprende quaranta righe;
ambedue sono splendidamente miniati. Tutto questo
concorre a far credere che il Rafanelli sia un semplice
♦.vrw iMor»* ♦* 'he egli lavorasse por un ]>ors()naggio
<*) Comparve la prìma volta in Athenatum 1, 1913» 13-16.
(I) Descritto da C. A. I.«hniani), Dt Cietronis ■ ■' A" '"/>.'«/> '■t-
ttm. tt emind. 20-15.
94 R. SABBADlfifl.
cospicuo, com' è confermato dalla presenza di uno
stemma nel frontespizio di E 14: per un collezionista
e insieme intelligente cultore degli studi classici, poi-
ché i due codici contengono tutte opere di Cicerone.
Eccone 1' elenco sommario:
Opere filosofiche: De of/iciis, Tuscul. Quaest., De nat.
d.j De essentia mundi (Timaeus), De senect., De amie,
De divin., De fato, De leg.. De fin., Samn. Scip.
Opere rettoriche: De invent., Rhet. ad Heren. (in 6
libri)» De orai, e Orai, (mutili) (i), Topica.
Orazioni: Philippicae (in 13 libri, perciò testo mutilo).
Epistole: ad Q. fr., ad Att., ad Br. (il gruppo ad Br,
è dato per intiero, gli altri due in estratto).
Come ognun vede, un' insigne collezione ciceroniana,
quale il medio evo non conobbe e con cui può nel
suo tempo competere appena la petrarchesca; tanto
più se si pensa che probabilmente ai due volumi se
ne accompagnava un terzo, poi perduto, con altre ora-
zioni, quelle almeno che allora erano alla portata di
molti.
Siccome riusci infruttuosa ogni ricerca per identifi-
care lo stemma del collezionista (o fors' anco di un
successivo possessore), cosi dobbiamo abbandonare
questo indizio e aggrapparci al copista. Rafanelli o
Ravanelli è un cognome che occorre in Toscana, nella
Lombardia, nel Veneto. Un Marcus de Raphattellis vi-
veva a Venezia nella seconda metà del sec. XIV ed
(i) Il frammento à€^Orator dal § 91 alla fine è segnato come libro
IV. Fu collazionato da A. Cima, nel suo commento al -Z)^ 6'r^/<;/'^ della
collezione Lòscher, Torino.
I. — CICERONE. 95
esercitava il notariato: si firmava nel 1399: ego Marcus
de Raphanellis de Venetits quondam ser Mathei publicus
imperiali auctoritate notarius et iudex or dinar ius (i).
Potrebbe costui esser tutt'uno col copista dei codici
Ambrosiani ? L' età non vi si opporrebbe e nemmeno
la professione notarile, giacche molti notai del secolo
XJV coltivarono gli studi umanistici. Vi si oppone
invece la scrittura. L'archivio di stato di Milano con-
serva un atto autografo del notaio Rafanelli, il testa-
mento di Luchino dei Visconti, dell' anno 1399 (2):
scritto non in lettera notarile, ma rotonda, in modo
che è lecito istituire il paragone con la calligrafia di
un codice. Messe a riscontro la mano del notaio e
la mano del copista si rivelano di due persone diffe-
renti (3). D'altra parte non sapremmo giustificare co-
me i due codici fossero stati copiati a Venezia, dove
mancavano le condizioni atte ad alimentare una cosi
insigne collezione di opere ciceroniane.
(1) Due fuoi atti rogati in Venezia negli anni 1388 (anche allora si
firmava del fu Matteo) e 1397 in / àbri covtmtmoriali della repubblica
di Vtnetia, III, p. 195, 248. Nel 1366 fu fatto notaio della curia mag-
giore. L' archivio di stato di Venezia conserva atti originali di lui che
vanno dal 1362 al 1409 (R. Cessi in N. Archivio yctte/oXXV, 19' 3»
259)-
(2) Pergamene varie, 7 luglio 1 399, pubblicato integralmente dall'Osio,
Documenti diplomatici, I, 348.
(3) Chi volcsRC arzigogolare e identificare i due uomini dovrebbe col-
locare il collezionista e il copista a Padova, per la qual città non vale
che dico di Venezia. Nei Monumenti dell' Unix'trsita di Padove»
Inri-'i tuiii rriiiiTi:iiik( !■ il R .'ifaiielli.
9^ &. SABBADINf.
Sicché bisogna andare in cerca di altri indizi. Intanto
la scrittura e la miniatura appartengono certamente
all'Italia settentrionale; ma chi le volesse circoscrivere
alla Lombardia, non urterebbe in nessuna grave obie-
zione.
Alla Lombardia e più specialmente a Milano ci ri-
portano altri argomenti. I due codici pervennero in
Ambrosiana da^a collezione di Francesco Ciceri (Ci-
cereius), il quale insegnò e visse , a Milano dal 1548
fino alla morte (1). E a Milano dobbiamo supporre che
li trovasse, perchè i fogli di guardia di E 15 conten-
gono degli indici spettanti all'amministrazione del du-
cato milanese con la data 1476. Ce lo conferma l'esa-
me dell' epistolario autografo del Ciceri (nel cod. Tri-
vulziano 665), dal quale apparisce eh' egli si faceva
venir di fuori solo libri stampati; di manoscritti non
è mai cenno: segno questo che li trovava in Milano.
Perciò i due codici nei secoli XV e XVI stavano a
Milano.
Per Milano non esiste la difficoltà che abbiamo espo-
sta per Venezia. Milano e la vicina Pavia presero parte
attiva nel sec. XIV al movimento umanistico. Quanto
al caso specifico dell'epistolario ad AU, basterà ram-
mentare anzitutto che nel 1409 Bartolomeo della Ca-
(l) Nacque in Tomo (Como) il 1521 e morì il 31 marzo 1596. Fran-
cisci Cicerei, Epistolarum libri Xlly Mediolani 1782, I, p. XIV - XV,
XIX, XXV; V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e degli altri edifici di
Milano, Milano 1889, II p. V-VI. La sua collezione entrata in Ambro-
siana conta oggi un'ottantina di codici, una metà dei qual' è di origine
milanese.
i. — CflCKRON]^. ^7
pra trasse dalla biblioteca di Pavia un volumen anti-
quissimum et venerandum con le epistole ad Br., ad
Q. fr., e i sette primi libri ad Att.; e rammentare in
secondo luogo che il famoso bibliofilo Giovanni Cor-
vini d'Arezzo, stabilitosi a Milano sin dal principio del
secolo XV, possedeva un epistolarum Ciceronis ad At-
ticum liber veterrimus (v. sopra p. 76 e 91).
Finche altri non troverà di meglio, possiamo dunque
ritenere che i codici E 14, E 15 provengono da Milano.
Epìstulae ad Brututn.
Dal corpo delle Epist. ad Att. pare che nel sec. XIV,
e fors'anco prima, si sia staccato il gruppo ad Br. e ad
Q.fr. e abbia avuto una tradizione isolata. Consideria-
mo anzitutto il codice Vaticano-Barberino lat. 56 (*).
È cartaceo, del secolo XV, di mano transalpina:
f. I Marci tullii Ciceronis incipiunt epistole. Scribit
tullius bruto rogans eum de quodam suo amico qui
accusatus erat apud eum. Cicero Bruto salutem. Clo-
dius tr. pi.
f . 20v Expliciunt quot potuerunt inveniri epistole tullii
per M. Ni. de muglio vatent egregium.
f. 21 Quidam eloquens Ganus de Colle (i) vulgarem
sonettum misit F. Petrarche.
(*) Comparve la prima volta in Rendiconti del r. htit, f.omh. se. e lett.
XXXIX. 1906, 387.88.
(!) La nofizia so Gano lu j)iiiMiiit;.ii.i «i.n ìi.h..i>mììi in u tutnn «i^i
Petrarca (III 515). Per Gano vedi L. Frati in Propugnatore XXVI,
'*93» l9S-2*6; F. Nevati in /'. Petrarca e la Lombardia ^ÌAMuo 1904»
2(r, M. Vattaiwo, Del Petrarca e di alcuni mai amici, Roma iv • i -
R. Sabbaijini, Testi latini.
9^ R. SABBADmi.
f. 2IV-2 2 vuoti.
f. 23 (d'altra mano) Incipit Mac er, Herbarum quasdam.
f. 40V Greca (1' alfabeto greco).
f. 43 Chyromantia.
Proviene di Francia, come ha notato una mano re-
cente al f. 2y Chartusiae Villae Novae prope Avenionem.
Comprende quello che si suol chiamare il libro I
ad Br., più la Epist. ad Q. fr.\ 3.
Quasi identico al Barberino è il codice Augustano 4^
II di Wolfenbiittel (3006 Heinemann), che contiene (i):
f. 142 Plinii oratoris atque philosophi. Incipiunt epi-
stole centiim (I-V, 6).
f. 174 Marci Tullii Ciceronis. Incipiunt epistole. Seri-
bit tuUio bruto rogans eum de quodam suo amico qui
accusatus erat apud eum.
f. 183 Expliciunt quot potuerunt inv entri epistole tulii
per M. Ni. de Muglio vatem egregium.
f. 183V Narratiuncula de sojtetto misso a Gano de
Colle ad Francischum Petrarcham eiusque allocutio ad
portatorem.
f. 184 Incipiunt notabilia d. francisci petrarce de vita
solitaria.
f. 192 Incipit liber qui intitulatur sine nomine d. f.
Petrarche. Seguono altri estratti.
L' identica materia ciceroniana, il sonetto di Gano
e la sottoscrizione di Nicola da Muglio (2) mostrano
(i) Descritto nel catalogo dello Heinemann e da O. E. Schmidt, op. cit.
99-105. I f. 1-141 costituiscono un codice indipendente e più recente.
(2) La famiglia da Muglio era bolognese. Un * ser Nicolaus quon-
dam lacobi de Muglio curie Bononie ' assisteva nel 1338 a un testa-
I. — CICERONE. 4^
che le due sillogi hanno la medesima origline. Il co-
dice di Wolfenbùttel fu scritto da mano tedesca a Co-
stanza al tempo del concilio, negli anni 1414-1415 (i).
Un altro manoscritto affine era nella biblioteca Vi-
scontea di Pavia. Il n. 622 del catalogo redatto nel
1426 (2) reca: Bruti Epistole ad Ciceronem voluminis
parvi coperti assidibus shie corio, cum certis Alexandri
gestis. Incipit: Ce s a r o p i o Co r n e 1 1 i o s a l u-
tem: et finitur: oblitus est dei. Le Epist. ad Br.
erano precedute da alcune lettere di Cesare estratte
dal corpo ad Att. L' indicazione del catalogo: Cesar
opio Cornellio salutem si riferisce alla Epist. ad Att. IX
13 A.
Materia affine e la stessa silloge doveva racchiudere
il manoscritto, da cui fu estratto il codice Vaticano
1908, dove a quattro lettere di Cesare del corpo ad Att.
(IX 13 A; IX 14, i; IX 16, 2; IX 7 C), più la (tra-
dizionale) \ \t ad Br.y sono premessi i Caesares di Sve-
tonio, col colofone: Scripsi ego Gentilis hunc Suetonium
MCCCLXXXVII et compievi die XXIIII novembrisy quo
anno et mense octubris in die sancii luce dojninus de la
Scala perdidit veronam et vincefttiam totamque domi-
nationem suam expugtiante eum cornile virtù domino lom-
bardie. Le lettere ciceroniane furono scritte un pò* dopo
mento (F. Novati, La gicvinttta di C. Saluta ti^ Tonno 1888, 32, n. l).
Pietro da Muglio, amico del Petrarca e del Boccaccio, morì nel 1382
a Bologna professore di iiranunatica e di rcttorica.
(1) Schmid! op, cit. io.;.
(2) G. d'Adda Indagini s loriche.. suUa libreria Viscontio-Sforusc:
irOÓ R. SABBADINÌ.
Svetonio, ma sempre entro la seconda metà del se-
colo XIV.
Anche il Petrarca possedeva le lettere di Cesare del
corpo ad Att. (i); ma ci manca il modo di decidere se
provenissero dalla stessa silloge che qui esaminiamo
o se le avesse estratte lui dalla sua copia dell' arche-
tipo veronese. Una cosa però crediamo dì poter af-
fermare, cioè che il Petrarca ci ha lasciato una testi-
monianza delle Epist. ad Br. divulgate prima che l'ar-
chetipo veronese venisse alla luce. E di vero nella fa-
mosa lettera Sen. XV i {Opera II 948), dov' egli narra
le vicende di un codice del Soprano (Soranzo) coi due
supposti libri ciceroniani De gloria, così si esprime:
In his omnibus novi nihil, ut dixi, praeter illos de
gloria libros duos et aliquot orationes aut e pi-
si ola s '. Nelle aliquot epistolas non vedo quali altre
lettere si debbano riconoscere se non quelle ad Br.
La silloge ad Br. in questa tradizione ci è arrivata
miserevolmente corrotta: non tanto per opera di in-
terpolazioni, quanto per guasti dell' esemplare da cui
derivava. Ed ecco un altro argomento che queste let-
tere vissero di lunga vita indipendente, poiché nessu-
no degli apografi a noi giunti mostra anche lontana-
mente una corruzione cosi avanzata.
Le lezioni della silloge ad Br. non si riconducono
alla famiglia A, a cui risale il codice Mediceo, ma piut-
tosto alla famiglia 2, che discende da un archetipo
diverso.
(i) P. de Nolhac Pétrarque et l'humanisme^ II ed., n 42.
I. — CICERONE. lOr
Anche la lettera isolata ad Br. I i6 nel succitato
codice Va tic. 1908 del sec. XIV, si riconduce alla fa-
miglia S; bastino due lezioni: § 4 iiegotii con E contro
negotiis di M^\ § 5 locus in ista civitate nobis con E
contro nobis in ista rivitate locus di M.
Opere rettorìche. (*)
Le opere rettorìche principali, che ci sono arrivate
col nome di Cicerone, sono cinque: De inventioney detta
anche RJietorica vetus; Rhetorica ad Herennium (di Cor-
nificio), detta anche Rhetorica nova; il De oratore; XO-
rator e il Brutus. Le due Rettoriche interessarono molto
il medio evo, ma interessano meno noi, l'una perchè
opera giovanile di Cicerone, l* altra perchè non sua.
Le opere veramente fondamentali sono le altre tre : il
De oratore, X Orator, il Brutus.
1 codici di queste tre opere sono di due classi: gli
uni mutili y gli altri integri; il De oratore e 1' Orator ci
j)ervennero per via di entrambe le classi; il Brutus
solamente per via dei codici integri. Delle due classi
di codici io farò qui un po' di storia.
E comincio dai codici mutili. Uno dei principali e
più antichi è il Harleian 2736 del sec. IX, che contiene
If.' seguenti parti del De aratore: 1, i 128,* 157-194;
II, 13-90; 92 alla fine; III, 1-17; 110 alla fine. Ma più
importante, specinl'n.tìt.. per la niiTn..rosa filiazione,
(') Comparve l.i prima v.-n.i neU' opuscol.. ..imu/ .// G asparino Bar^
atta tu Quintiliano e Cieeroutt Livorno 1886, e in Rivista di fiiologi»
XVI, 1887, 97-106.
lOZ K. SABBADINI.
è V Aòrincensis (238), detto cosi, perchè si trova in
Avranchcs, città francese della Normandia (i). E mem-
branaceo di fogli 60 e comprende il De oratore e XO-
rator, mutili. Manca tutto il libro I del De Oratore e
il principio del II, che comincia al § 19. La scrittura è
di una mano del sec. IX, la quale lasciò vuoti il f. 23rv
(II, § 234-245) e i ff. 4ii'-43^ (in, § 149-171). Il De
oratore termina al f. 5or, il f. 50V è vuoto. Al f. 5 ir
comincia il frammento dell' Orator dalle parole toque
robustius (§ 91) e seguita per otto fogli, fino al § 191;
indi c'è un'altra lacuna, dal § 191 al 251, dopo di
che ripiglia sino alla fine, dove la soscrizione primi-
tiva diceva: Orator explicit. L' Orator è scritto da una
mano posteriore, forse del secolo X, la quale colmò
le due lacune indicate ai ff. 2:^^ e 41-43 del De Ora-
tore.
Il codice fu poi corretto da una terza mano, del
sec. XIII circa, che nel f. 50V annotò: hic deest qua-
ternus, e che credendo che il frammento dal f. 5 ir in
poi fosse la continuazione del De oratore, mutò la so-
scrizione finale Orator explicit in Oratoris explicit liber
quartus.
Grande è il numero degli altri codici mutili. Il Heer-
degen ne esaminò 37 (2), che contengono il De Ora-
tore e r Orator. Tutti questi hanno le medesime lacune
àeVi' Abrincensis, il che fa supporre subito che siano
tutti derivati da quello o direttamente o per via di
(i) Descritto da F. Heerdegen : M. Tulli Ciceronis Orator, Lipsiae
1884, p. v-vni.
(2) op. cit. vm-xiv.
I. — CICERONE. 105
apografi. Ma e' è un argomento più valido ancora. L*(9-
rator dell' Abrmcmsis ha 28 volte la nota tironiana
che equivale ad autent; orbene, qualcuno degli altri
mutili riproduce ai medesimi passi la medesima nota;
altri al posto di quella nota hanno enim, ciò che si-
gnifica che essi derivano da un apografo, che inter-
pretò la nota per enÌ7?i; altri invece hanno a quel posto
ora enifn ora autefn. Questo prova irrefragabilmente
che tutti i 37 jodici tmitili derivano Ad^ùì Abrincensis,
S' incontrano qua e là delle differenze talvolta un poco
singolari; ma esse si spiegano facilmente con gli er-
rori dei copisti, con le congetture e le interpolazioni
dei correttori. Chi ha avuto tra mano molti codici non
si stupisce di questo che è un fatto comunissimo.
Ai codici mutili dedicò indagini e cure critiche Ga-
sparino Barzizza, delle quali darò notizia.
Reco anzitutto una sua lettera a Francesco Barbaro, (i)
Gasparinns suo Francisco Barbaro s. p.
Fucrat animus mihi nondum ad te scribere, ne crebras scripti-
tando tibi fierem impedimento, qui maioribus curis et bonarum ma-
gnarumque artinm studiis ac disciplinae dedicatus intentusque es, ut
5 si dicendo te delectare non possim, interdum saltem tacendo non fa-
stidiam. Verum necessaria simul ac seria res urget.
Habeo Ciceroncm De oratore, bui quid dixi habere me ? olim
habui, sed is a me iam prope quinquennio fugitivus abest et com-
pluribus subinde permutatis dominis, postremo pervenit ad specta-
10 bilem vimm Zacharìaro Trivisantim. Sic ad alienas semper sedes et
(livitum divcrlitur hospitia. (Juae res mihi doloris affcrt non parum;
pcrti mesco enim ac dcspcro ne ìk meos inopcs lare» ut angustos nolit
I < ..'1. Vaticano I—VJ 312') f. 69V; cod. Qucriniano (««Ql di Brescia
cod. di Brera [— BJ di Milano AG IX 43, p. 163.
I04 R- SABBADINI.
aliquando subire, magnificis atque delicatis assuefactus domiciliis.
Quod iis saepenumero contigit qui e pauperibus tectis ad regias ad
1 5 potentum atria se conferunt. Illi siquidem, cum sese fortuna remise-
rit, aulas deserere coacti nonnisi inviti ad paternam fabam sordesque
domesticas redeunt. Hunc ipsum Ciceronem a praefato viro repetas
oro atque obsecro et ad me vel ligatum, si oportebit, transmittas seu
ad Christophorum nostrum Parmensem si fortassis abessem; et si is
20 me pauperem patronum habere dedignatur, polliceor me ei vel ho-
spitem familiarem fore vel cultorem amicum.
Praefato domino Zachariae me quoad poteris carissimum effice
quanquam viro amplissimo; at enim parvitatem fovere magis solet
amplitudo, quam abicere. Et eidem referes amicum suura noluisse
25 prò Andrea scribere, sicuti iam promiserat; indignam enim esse mi-
nimeque iustam rem dicit. Proinde ut Andreas ad alias vertatur vias
oportebit. Tuo et sodali et socio P. Contareno salutes opto, cui prò
suarum responso unas meas destino. Vale, anime mi Francisce.
i) Guarinus V, Guarinus Veronensis B. \ 2) scribendo V Q. |
3) quod Q. I 4) disciplina F Q. \ 5) delectarem Q. \ non possum F,
om. Q. \ 6) simul om. Q. j 7) hui om. Q. \ 8) prò B. \ fugitivus
om. Q. I io) dominum V Q. \ Zachariam om. V Q.\ i^) quia ad
divitum diverterat Q. \ dolores Q. \ parvos Q. \ 12) velit V. \ 14) e
om. V Q. I ad regia atria V Q. \ 19) Jacobimi nostrum Pergamensem
V Q. I abesses B, habebis V Q. | 20) habere om. V Q. \ dedignaretur
F Q. I 21 fore om. B. \ vel om. V Q. \ caleorem B (22) Zacharia
By Z. Q, esse V. \ caris V Q, carum B. \ efficere Q. [23) quam V Q.
I pravitatem B. \ 24-27) Et eidem — oportebit ofn. V Q. \ 24) eadem
B. I 25) per andream B. \ 26) rem] esse B. \ 27) P. B, N. V Q. \
27-28) cui pro-destino om. B.
La lettera non ha data, ma le si può fissare un ter-
mine, giacche Zaccaria Trevisan, che qui è presupposto
vivo, morì negli ultimi giorni del 14 13 (i); la lettera
(1) R. Sabbadini, Centotrenta lettere inedite di F. Barbaro, Salerno,
1884, p. IO.
I. — ciCBXONi:. 105
pertanto non può cadere dopo il 141 3. Ma tutto l'anno
1413 il Trevisan fu capitano di Padova (i); se avesse
esercitato quella magistratura, il Barzizza j^li avrebbe
chiesto oralmente 1' opera di Cicerone; il Trevisan in-
vece stava a Venezia; siamo perciò al più tardi nel
141 2. Partendo da questo termine sicuro e calcolando
il quinquennio che 1' opera di Cicerone era stata fuori,
noi possiamo conchiudere che il Barzizza possedeva
un De oratore sino almeno dal 1407.
L* esemplare barzizziano si conserva nel cod. Nazio-
nale di NapoH IV A 43, con la sottoscrizione ; Correo-
tus exemplo multoruin codicum antiquorum summo studio
ac sutnma industria adhibita. Gasparinus (2).
Dal Barzizza V Orator veniva considerato come un
tutto coi tre libri del De oratore e chiamato il libro
quarto; X opera intera veniva intitolata in vari modi :
Orator, De oratore. De officio et institutione oratoris. In-
stitutio oratoria e simili.
Verso il 14 15 fa capolino un nuovo frammento del
De oratore. Cosi ne scrive il Barzizza. al veneziano An-
drea Giuhano suo alunno:
< Tertio die postquam tristis a te et Daniele (Vic-
turio) nostro discessi, redditae mihi fuerunt litterae tuae
(i) Agoftini, Scritl^i vinùiani, I, p. 321
(2) Vedi per maggiori notizie Th. Stangl in i^octcnscnrtj! jur klass.
Philelo^ie 1913» 138-142; 160-167. Il ccmIìcc fu comprato a Milano d.il
Pamiio e da coitui lasciato in eredità al cardinal Seripando, come ri-
tolta da que«te note finali: F.mptus a /ano Parrhasio Medioiani attvf>Hs
aurei/ ah hertiihus (iasparini liergomatù, Antonii StripanM e.\ Inni
ParrhoMii Ustamento.
I06 R. SABBADINI.
et particula, quae in omnibus fere libris De oratore
nostro deficiebat > (i).
Se la lettera allude (di che non son certo) alla morte
del fratello del Vettori, potrebbe cadere nel 14 15.
Anteriore a questo tempo è un'altra sua lettera, senza
intestazione, che si riferisce al medesimo frammento,
che allora non aveva potuto ancora ricevere (2):
« Oratorem nostrum, Pater reverendissime, tabellarius tuus cum
litteris quas ei commiseras satis tempestive tuo nomine mihi reddidit (3).
Nec est quod (4) excusatione temporis apud me utaris, si paulo tardius
is liber a te absolutus est, quam te illum redditurum poUicitus fueras.
Novi enim tuas et frequentes et magnas in rebus divinis atque humanis
occupationes
Quod ad fragmentum illius De oratore pertinet, adscito me
non solum prò eo habendo (5) litteras, sed binas, ternas, quaternas et
amplius litteras scripsisse. Non conquiescam, donec re optata potieris (6)
Vale, Pater reverendissime, et saepe de me cogita ».
Di un altro presupposto frammento del De orai.,
scoperto a Firenze, ma di cui il Barzizza non ricono-
sceva l'autenticità, è cenno nel cod. Rlccardiano 506
f. 20, dove, di fronte alle -^dsolQ obiurgatio {11 ^o) me-
diocris. Ars enim (II 30), si legge nel margine: Hic
deficit ima carta, velut repertum est Florentie in qiio-
dam codice veteri. Sed Gasparinus non putat esse Cice-
(i) Barzizii Opera, i, p. 176.
(2) Cod. di Bergamo V V 20, p. 67.
(3) reddit cod.
(4) Nec est quod] Hoc est qui cod.
(5) eo habendo om. cum la e. cod.
(6) potiens cod.
I. — CICERONE. 107
ronis. Si fient continuati ones textuum, ut signate sunt
videbitur nichil deficere. Difatto qui non v' è lacuna,
ma posposizione di II 30-39 a II 39-50.
Lo stesso codice Riccardiano (f. 13) al De oratore,
T, 80, reca quest'altra nota mdirgxmXe: Hoc supplet Ga-
sparinus. Non tamen, ut proprio ex ore audivi, ea inten-
tiofte ut textui a^mecteretur, sed ut esset quaedam postilla
in margine, quae utrosque textus defectuosos coniungeret
et cum aliqua continuatione et consonantia saltem intel-
lectui legentis satisfaceret aliquantisper (i).
La nota è importante, perchè deriva da uno scolare
dello stesso Barzizza; essa mostra chiaramente come
egli non pensasse punto a mischiare il suo latino con
quello di Cicerone, ma teneva distinti i supplementi»
che avevano il solo scopo di ristabihre il filo del di-
scorso.
Del resto su questo punto dà preziosi schiarimenti
il Barzizza medesimo in una lettera, che merita esser
riportata integralmente (2).
Gasparinus Per[gamensis] ci. et optiniati viro lokanni
Cornelio s.
(J r a t o r e m tmim emendatum ad te imiu», m «^lì.. .mi» iju.ii.miii
profuerim tuum sit iudicium, mihi certe non parum. Divisi enim sin-
^Mtlos libros in tractatus et capitala; scntentiam quae in partes multas
<liffuka erat, in brevissimam stimmam et quasi in caput redegi. Omnia
quae potui antiquiora libroruni exeraplaria collegi; quod ex unoquoquc
(1) Cfr. fìandini, Cod. lat. II, 499-501. Note analoghe hi trovano nei
codici Vaticani 1697 (f. 119, 120, 132V), 1706 (f. 41V, 43V), 1707
(f. 14. I4r).
(a) Cod. Riccardiano di Firenxe 779» t
I08 R. SABBADINI.
verius videbatur attentissime in hunc nostrum transtuli. Quae ambigua
erant, aut propter librariorum incuriuni aut propter vetustatem, inter-
pretatus fui. Multa divisa composui, plura composita divisi; litterariim
figuras similitudine aliqua inter se commutatas multis locis correxi. Quae-
dam etiam cum deficerent supplevi, non ut (l)in versum cum textu Cice-
ronis ponerentur, esset enim id vehementer temerarium nec ab homine
docto ferendum, sed ut ea in margine posita commentariorum iocum
tenerent.
Reliquum erat ut sicut cetera tua adhortatione, ita et (2) hoc tuo
Consilio perficerem, quaedara scilicet ut lumina sententiarum, ubi vel aliqua
obscura cssent vel minus anima adversa, collocarem. Quod me tua causa
facturum facile tibi poUicitus (3) fueram; cui ut nosti nihil possum prò
tuis in me perpetuis benèficiis negare. Et eram iam hanc rem ingressus,
cum intellexi hoc opus non satis ex sententia utriusque procedere. Nam
dum munus hoc atque officium maxime studio aggredior, aestus quidam
j]igcnii longe a continente, ut dicitur, evexit, neque satis potui in ilio
inventionis calore quid sibi ista quae dicitur circumcisa brevitas deside-
raret, attendere. Est tamen animus et quidem ingens cum otium erit
experiri, quod in praesentiarum facturus eram. Res si eventum quem
opto habuerit, tum, si tibi videbitur, iubebis (4) magis elimata in Ora-
to r e m tuum ab aliquo librario nobili tran sferan tur, ut qui unus omnium,
quod alias ad te scripsisse meminimus, res ornatissimas habere studes,
etiam librum istum ex (5) libris Ciceronis divinissimum et quo summe
delectaris non tantum optimum sed etiam pulcherrimum habeas. Vale.
Il contenuto della lettera è chiarissimo. Il Barzizza
aveva ricevuto dal suo scolare Giovanni Cornelio (Cor-
ner), patrizio veneto, una copia del De oratore, da cor-
reggere. Egli la emendò, togliendo gli errori materiali,
nati dalla falsa interpretazione dei segni alfabetici e
dall'ignoranza del copista, e la collazionò con altri co-
dici antichi. Divise poi l'opera in gruppi, a cui premise
(i) ut om. cod. I (2) et] ex cod. \ (3) poUicitus om. cod. \ (4) ui-
debis cod, \ (5) ex om. cod.
i. — CICERONE. ro9
dei sommari, e in capitoli. Dove c'erano lacune, cercò
con supplementi marginali di riconnettere il filo del
liscorso. Si era proposto anche di aggiungervi un
om mento, ma altre occupazioni ne lo distolsero. La-
nciava poi al Corner la cura di far trascrivere il co-
dice con bella calligrafia. E il Corner lo fece vera-
nente trascrivere da un copista, il cui nome ha le ini-
ziali R. S.
Questo esemplare elegante esiste ancora oggi ed è
l codice E 127 sup. dell' Ambrosiana di Milano, ap-
i)artenuto appunto alla famiglia Corner (i). Il codice
e membranaceo, di ff. 91, numerati dallo stesso copi-
sta. Contiene mutili il De oratore e VOrator; il De ora-
tore è diviso in tre libri; al f. 70V segue il frammento
dell' Orator, come libro quarto. Tutta 1' opera è divisa
in tractatus, preceduti da larghi sommari, e in capi-
tuia, con un breve cenno del contenuto. Il libro I
comprende quattro trattati: il primo con due capitoli,
il secondo con sei, il terzo e il quarto ciascuno con
luattro. Il libro II comprende pure quattro trattati: il
primo con quattro capitoli, il terzo (è saltato per er-
rore il secondo) con quattordici, il quarto con cinque,
il quinto con due. Il libro III comprende anche quat-
tro trattati: il orimo con tre capitoli, il secondo con
due, il terzo con nove, il terzo (erroneamente invece
( I ) Cfr. Detlefsen nelle Verhandiuni^en der Philoiog. in A'/>A Leipag»
1870, p. 95 e 106. Sul foglio di guardia al principio si legge: Qutsto
libro tra dt la C^ (^™ Commi«»aria) dt m. Zuan Corner et tocco poi
'ila CJ^ di m. Fantin Corner in la division fatta dacordo tra mi òfnt-
(letto Corti' ner adì 4 luio t§02.
nò R. SABFADINI.
di quarto) con uno. Il libro IV (1' Orator) comprende
tre trattati: il primo con due capitoli, il secondo con
due, il terzo con cinque.
I supplementi sono di due specie: gli uni marginali,
gli altri alla fine dell'opera. Cominciamo dai marginali:
f. 14V, alle parole del testo: impellere atque hortari
solebat. Satis esse (I, 26) in margine è notato: Aliquid
tale suppleri posset ante illum textum satis e s s e ; e
segue un piccolo supplemento. — f. 20V in margine:
kic deficit textus in fine huius capituli; nessun supple-
mento. — f. 37V, alle parole del testo: in civitate in
foro accidere miremur (II, 192) si legge in margine:
Verba haec non sunt de textu sed per Gasparinum Per-
gamensem excogitata quoniam his similia in litera de-
ficiunt; segue un supplemento. — f. 63, alle parole
del testo: Quid ergo iste Crassus quoniam eius aòuteris
nomine (III, 171) si legge in margine: deficit textus. —
f. 64V, alle parole del testo: dactyli et anapaesti et spon-
daei pedem invitant (III, 182) in margine è notato: de-
ficit textus. — f. 65 V, alle parole del testo: sed eo te-
nore laudandi quidem (III, 189) in margine si legge:
hic deficit textus. Devo avvertire che il codice fu emen-
dato da una seconda mano, forse dello stesso Barzizza,
la quale cancellò le note marginali dei ff. 37V, 63,
65V. - I supplementi alla fine del manoscritto vanno
dal f. 85 V al f. 9 IV. Portano il titolo di Additiones e
sono tre. Il primo passo (II 13-18) ha in margine que-
sta nota: f. 85 v Circa principium. secundi libri, verba
sunt Catulli. Il secondo passo (II 50-60) ha in margine
quest'altra nota: f. 86 Circa principium etiam secundi
CICERONE.
libri in capitulo quod incipit: T u m Ma rcus Anto-
n i u s . Il terzo passo, assai più lungo (Il 245-287), ha
in margine la nota; f. 87 Circa medium secundi libri.
Le Additiones sono quei frammenti da poco scoperti,
di cui parlano le lettere del Barzizza sopra citate. Il
più lungo veniva da alcuni giustamente collocato nella
lacuna II, 245-287. Infatti al f. 44V, proprio in quel
punto del testo, si legge questa nota marginale: Ante
hunc textum colliguntur (II 288) reponitur a qui-
busdam Addillo ultijna, quae est in fine libri posila, prout
fertur quodam in veteri codice repertum.
Cotali Additiones risalgono verisimilmente a qualche
copia tratta dall' Abrincensis, quando esso aveva sof-
ferto minori perdite.
Ed ora veniamo ai codici integri. (*) Tutti i codici in-
tegri derivano da un solo archetipo, quello di Lodi,
che conteneva le cinque opere rettoriche di Cicerone
in quest' ordine: la Rettorica vecchia, la nuova, il De
oratore, X Orator, il Brutus; il Brutus in fine mancava
di un foglio. L' archetipo fu trovato da Gerardo Lan-
driani, vescovo di Lodi, nella cattedrale di quella città,
nella seconda metà del 1421. L'archetipo non fu po-
tuto leggere dal suo scopritore, il quale lo mandò al
Barzizza a Milano. Ma prima che questo mutamento
di domicilio avvenisse, corsero delle trattative fra i
due valentuomini, delle quali fu intermediario Giovanni
Omodei. L*Oniodei infatti portò il codice a Milano al
Barzizza e ne riportò la prima copia al Landriani. Ciò
(') f'omparvf 1.1 prima volta in RÌTÌsttì di filoloi^ia XVT. 1887. lOfi-IIJ-
112 A. SABBADENT.
si rileva da un passo di una lettera del Barzizza al
Landriani.
Gasparinus Barzizius Gerardo Landriano Laudensi episcopo s. p. d.
Etsi voluptate maxima affectus sim, Pater Reverendissime, quod ad
me Oratorem a te compertum misisses, multo tamen maiore gaudio
cumulari me sensi cum a lohanne Homodeo, homine, ut iiosti, tuae di-
gnitatis observantissimo, me amari a te plurimum intellexi... Feci autem
ut prò ilio vetustissimo ac paene ad nullum usum apto novum manu
hominis doctissimi scriptum, ad illud exemplar correctum, alium codicem
haberes, quem ad te prò tuo is (Homodeus) defert, qui primus munus
hoc a tua in eum singulari benivolentia prò me impetravit. Nunc ad te
librum nudum ac inomatum mitto. Neque mihi enim aliter per occupa-
tiones meas licuit, nec prius exemplari a librario meo, qui hoc exemplo
usus fuit, tametsi instarem, potuit.... (i).
L* Omodei era un giureconsulto milanese, che alla
dottrina e alla cultura letteraria accoppiava gentilezza
d'animo. Negli anni 1421 e 1424 fu rettore della fa.-
coltà di leggi nell'università di Pavia, nel 1447 capita-
no della repubblica milanese (2). Egli era amico inti-
mo del Landriani e certo lui portò da Lodi al Barzizza
la notizia del nuovo codice e avviò le prime pratiche
per farlo passare a Milano. Questo mi pare che si de-
duca da una lettera inedita del Barzizza al Landriani.
Saepe me lohannes Homodeus convenit, Pater Reverendissime, vir ut
nosti tuae dignitatis observantissimus, qui ubi mandata tua super libro
(i) Barzizii Opera, I, p. 215. Confrontata col cod. Ambros. P4 sup.
f. 54, che ha assai miglior lezione; p. e. exemplari in luogo di expediri.
(2) Memorie e documenti per la storia dell'Università di Pavia, 1878,
I, p. 8; 38; Paolo Sangiorgio, Cenni storici della Università di Pavia
t Milano, Milano, 1831, p. 99.
De oratore exposuit, omiiis paene eius sermo de tua benivolentia,
de modestia, de religione, de sapientia tua ab eo consumitur. Cum vero
de studiis humanitatis forte mentio inter nos orta esset, ita egregie de
tua dominatione et sentit et loquitur, ut cum te propter multa, quae in
paucis praelatis reperiuntur, maximi faciam, tum quod te studiis istis
mirifice delectari dicit, tanto in te amore et reverentia succendor, ut
huic meo in te animo incredibilem accessionem sentiam. Vale (i).
La lettera veramente è anepigrafa, ma si sente che
è indirizzata a un alto prelato. In margine si legge,
di seconda mano : Gziai'i[nus] Vero[_nensis]. Ma non è
di Guarino, il quale non fu mai in relazione con l'O-
modei; e poi come si potevano vedere spesso (saepe
me convenit), se Guarino stava a Verona, l'Omodei a
Pavia e Milano?
Lo scambio del resto tra Guar\inus\ Ver\pnensis\ e
Gua\sparinus\ Per\_gamciisis\ ha fatto spesso attribuire
dai copisti all' uno le lettere dell' altro. Senza di che
la presente lettera ha intere frasi comuni all'altra so-
pra citata: vir ut nosti tuae dignitatis oòscrvantissimus.
Sicché non vi è dubbio che essa è del Barzizza al
Landriani e anteriore alla venuta dell'archetipo a Mi-
l.'ino.
Giunto l'archetipo, il Barzizza ne fece trarre la prima
copia, com' era dovere di cortesia, per il Landriani.
Questa copia fu tratta da Cosimo Cremonese, come si
ha da una notizia del Biondo: Cum nullus Mediolani
esset repertuSy qui eius vetusti codici s iitteram sciret le^
gere^ Cosmus quidam egregii ingenii Qremoftettsis tres de
i; Cod. Riccardiano 779, f. 225.
K. i^ABBADUfl, Tuti latini. S.
114 ^' SAfiàADI^i.
Oratore libros primus transcrii>sit multiplicataque inde
exetnpla oirtneni Italiarn desideratissimo codice repieve-
runt (i).
Ora si vuol sapere chi era questo Cosimo Cremo-
nese, che fu troppo ingiustamente dimenticato; ed io
mi ingegnerò di trovarlo, quantunque mi sia necessa-
rio prendere il giro un po' alla larg'a; ma quando una
questione si deve risolvere, non bisogna guardare se
la via è breve o lunga.
Intanto per orientare il lettore dico subito che io
voglio dimostrare, come quel Cosimo Cremonese sia
identico al Cremonese Cosimo Raimondi e che il Rai-
mondi fu scolare del Barzizza a Milano negli anni
142 2-1 42 3: da queste premesse seguirà spontanea la
conseguenza che il Raimondi fu il copista del codice
di Lodi.
Che Cosimo Raimondi fosse cremonese, risulta da
alcune- intestazioni di sue lettere e discorsi. Vedasi
p. es. la seguente: Cosmae Raymundi Cremofiensis de
laudibiis eloquentiae libellus incipit. Questo è il titolo
del copista, a cui tien subito dietro il titolo dell'autore:
Magnifico ac splendidissimo militi viroque sapientissimo
d. Johanni Cadarti domÌ7to Bellivesus, Consiliario regio
Cosmas Raymnndus Crcmonensis s. d. p. (2).
Quest' elogio dell' eloquenza, in forma di lettera, fu
dal Raimondi scritto in Avignone nel 1431, dov'egli
teneva scuola. Ivi era anche del 1432; infatti in data
<i) FI. Biondi Opera, Basileae, 1559, I, pag. 346.
(2) Cod. Ambrosiano M 44 sup., f. 2o6v; cod. lat. di Parigi 7808-
ì. — dlCERONK. I 15
Éx Aviniofie hai. noiL 1432 egli manda quel discorso
all'amico Antonio Canobio (i)
Il Raimondi, che doveva essere alquanto strano, vi-
veva all'estero da parecchio tempo, dove un po' stu-
diando, un po' insegnando campucchiava a stento la
vita. La ragione della sua migrazione era che essen-
dogli stata negata una posizione soddisfacente in Ita-
lia, la andò a cercar fuori. Questo egli dice in una
supplica indirizzata dall' estero, forse da Avignone, al
senato di Milano, a cui si raccomanda per essere de-
gnamente collocato in quella città. Egli vanta i suoi
studi, che prima furono letterari e presentemente erano
filosofici. Spiega le ragioni del suo volontario esilio,
e come venuto a Milano a cercar fortuna e dimoratovi
inutilmente un anno e un mese (annum et mensem), ne
era dovuto partire deluso. Ecco l'intestazione della
supplica: Reverendissimo ac tnagiiificis sapientissimisque
et ornatissimis viris Scnatui et Ducalibus patribus con-
scriptis Mediolanensibus Costnas Raimondus Cremonensis
obsequentissimum se dicit (2).
Contemporaneamente il Raimondi faceva isum/a an-
che a Giovanni Corvini, segretario ducale. Nella lettera
parlando dei suoi studi e dicendo eh' egli non ebbe
maestri, soggiunge:
NUi forte debeat «atìs illud tacere quod Gasparinum audivcrini Per-
gamcnuem; fatcor cquidem et prae me fero audÌBt»e illum idque etiam
eiiAe (actuin gaudco. Sc<i sì quibus est a me auditus omnis in unum
(1) Cod. Ambros. cit., f. J06
(2) Cfxl. Anil)ir>m':in(> \\ \ì.\
1 I<) K. SAIJUAOIN'I,
conferaiitur dies, vix auditionis et studii quod factum apud illum sit sex
et trium mensium adnumerare tempus queam. Quem saltem ipsum pa-
rentem ac deum nostrae aetatis eloquentiae (et quo mortuo [1431] una
mihi interisse videretur oratoria, nisi quod adhuc in te ipso residet) uti-
nam audire diutius potuissem (i).
Rimane cosi assodato che Cosimo Raimondi era
cremonese, che visse un anno e un mese a Milano e
che in quel tempo fu alunno del Barzizza per sei e
tre mesi; il che non può significare se non il semestre
di un anno scolastico e il trimestre di un altro. Ora
vediamo in che tempo cadono V anno e il mese del
suo soggiorno in Milano. Questo punto sarà chiarito
da una lettera inedita dello stesso Raimondi all'arci-
vescovo di Milano Bartolomeo Capra.
Reverendissimo d. B[artholom£oJ archiepiscopo Medi[olanensi] Costnas
Ray[mundus] s. d.
Compulsus commotus sum fama et celebritate nominis tui tuorumque
studiorum, ut, quanquam tibi antehac igiiotus fuerim, tamen hanc ad
te scriberem. Nam cum hae tuae gestae res sint, ut propter earum am-
plitudinem summam adeplus gloriam videare tantumque studiis optimis
omnibus praestes, ut tantus nullus honos excogitari possit, quo non tu
dignus iudiceris: etsi tum me dignitas tua, tura sapientia a scribendo
deterrebant (Cicer., Brut., 262), tamen vel arrogans videri potius quam
yacuus ab bis litteris esse volui. Nihil igitur scito neque gratius neque
iocundius mihi quicquam fore, quam si exploratum habuero parte aliqua
humanitatis tuae me abs te complexum (2) iri atque in tuorum numero
ascribi. Quod ut quasi quadam necessitudine facere te oportere intelli-
geres, contexerem paulo altius hanc epistolam, si id et huius temporis
ratio nunc postularet et difficile esse existimarem a te quod quisque
rellet impetrare.
(i) Ib., f. io8v.
(2) complexurum eoa.
I. — CICERONE. 117
Corametnorarem in primis eandem et tibi et mihi communem patriam
esse, quae cura alienissimos quoque iiiter se conciliare soleat, te non
sinerct quin a quo plurimum diligerere, in eum etiam amoris tui plu-
mum impartitum esse velles. Adderem deinde quod avunculus mihi est
vir optimus et iuris civilis scientia (1) praestantissimus tuaeque dignitatis
amantissimus d. Antonius Oldoviuus, quo vel uno Iretus cum illum tanti
facias quanti certe facis, non dubito quin et iamnunc repente in animura
tuum influxerira. Praeterea adiungerem me hisdem studiis delectari quibus
tu tantique studia oratoria lacere, quae tibi sant iocundissima, ut qui
horum expertes essent, quamvis in summo honore et fortuna constituti,
tamen hos ne (2) satis quidem amplos homines et gloriosos (3) haben-
dos non putarem.
Quod si (4) mihi omnia deessent, illud certe me adiuvaret, quod sin-
gularis humanitas tua, qua te unum inter omnes maxime excellere affir-
mant, non pateretur tam propensam erga te voluntatem meain benivo-
lentiae tuae immunem esse. Veruni de tua in me benivolentia non du-
' ito, ut etiam mihi persuadeam me non tantum a te amari, sed vebe-
enter etiam amari.
Illud potius vereor, ne quod fortassis novo genere sum usus ad te
ribendi, parum a me dignitatis tuae rationem habitom esse existimes.
on enim (5) initio cpistolae appinxi quae cum vobis praelatis, sic enim
pcllamini, apponi solent (6) « In Christo patri et domino, dei et apo-
• )Iicae sedis gratia * et cetera huiusmodi confabulationis; quae quidem
^o de industria omnia praeterii quod Tullianae dolitine, qunnun ut au-
o curiosissimus es, respuere haec videntur.
Hanc ego cum Mediolanum adventare diceren.s um m itinere dari
obviam volui, tam sum convenicndi tui cupidus; quod si mihi per oc-
ipationes meas licuisset, ad te ipsc profectus essem; quanquam ut spero
rftiunde epistola meam viccm gcrct (7).
(1) scieotie eot^.
(a) ne] me tot/.
(3) et glorioso»; hominc<; an/.
(4) quorl xij quaxi cct/.
(5) enim) ctim foJ.
(6) solet cod.
(7) epistola mercem geret <W. OkI. Kiccardiano 779, (. 1S4,
I I 8 R. SABBAOINI.
La lettera, oltre di dare una buona notizia sulla fa-
miglia del Raimondi, riconferma che la sua patria era
Cremona, giacche Bartolomeo Capra era certamente
cremonese (i). Tutto sta fissarne la data, la quale
manca secondo il solito. La lettera fu scritta nel tempo
che il Capra entrava a prender possesso dell' arcive-
scovado di Milano.
Leggiamo nella Cronaca Bossiana (2): 'Bartholomeus
Capra CVI (numero d'ordine occupato dal Capra nella
serie dei vescovi di Milano) creatus, ad sedem septimo
calendas martias anno domini 1423 summo cum ho-
nore venit '. Perciò il Capra prese possesso della sua
sede il 23 febbraio 1423. In questo tempo dunque il
Raimondi stava a Milano e ci doveva essere dalla
prima metcà dell'anno precedente (1422), nel quale tras-
se la copia del codice Laudense.
Questa è la data (*) da me proposta, sin dal 1887,
del soggiorno di Cosimo a Milano. Ma essa fu risoluta-
mente impugnata: prima dal Novati e dal Lafaye (3),
(i) Argelati, Script. Medici., I, 2, p. 284; Murat., Rer. Ilal. Script.,
XVII, 1300. E meglio ora F. Novati, Bari, della Capra ed i primi sìioi
passi in Corte di Roma, in Roma e la Lombardia, Milano 1903, 30.
(2) Chronica Bossiana, Mediolani 1492, penultima pagina.
(*) Questo § è nuovo.
(3) Fr. Novati et G. Lafaye, L'anthologic d' un kuma?tiste italien au
XV siede (estratto da Mélanges d'archeologie et d'histoire), Rome 1892,
42-44. I due autori recano molte nuove notizie sul Raimondi, 39-53,
specialmente sulla sua dimora ad Avignone, dove miseramente s'impiccò
tra la fine del 1435 e il principio del 1436.
I. — CICERONE. 119
poi da G. Mercati (i). I tre miei contraddittori obiet-
tano che difficilmente la lettera di Cosimo al Capra
si può riferire al trionfale ing-resso di costui nella
sede dell'arcivescovado, poiché lo scrivente non avreb-
be mancato di accennare alla solennità del momento.
Bisognerà invece supporre che si tratti del ritorno del
Capra da una delle tante legazioni che gli furono af-
fidate, e probabilmente da quella intrapresa nel novem-
bre del 1427 presso il duca di Savoia a Torino per
stipulare il matrimonio di Maria di Savoia con Filippo
M. Visconti (2).
E in verità devo riconoscere giusta 1' obiezione.
Il Novati e il Lafaye notano inoltre che il Rai-
mondi nelle lettere inviate da Avignone negli anni
1429-32 parla del suo arrivo nella città provenzale
come di cosa recente: ciò che non potrebbe sussistere
s'egli avesse abbandonata Milano, com'io proponevo,
sin dal 1423; onde il soggiorno del Raimondi a Milano
andrebbe trasportato agli anni 1427-28.
Anche quest' obiezione è giusta.
E allora come si concilia tutto questo con la copia
del codice Laudense da lui tratta nel 1422 ? I due
contraddittori, Novatt- e Lafaye, sciolgono così l' im-
broglio: che il codice Laudense fu mandato a copiare
(1) G. Mercati, Cosma Raintondi Cremoftese ecc. (estratto da Studi e
documenti di storia e diritto^ XV), Roma 1894, 47-48. Qui sono rac-
colte ulteriori notizie hul Raimondi, 5-21, desunte da un codice Clas-
sense di Ravenna.
(2) Giidlni, Memorit della citta t campagna di Milano^ Milano 1857,
VI 298.
I20 R. SABBAUINI.
al Raimondi fuori dì Milano, forse a Cremona, dov'agii
si trovava.
Dal canto mio se accetto le obiezioni, non mi so
acquietare alla soluzione. Mi ripugna pensare che il
Barzizza, venuto in possesso del prezioso archetipo,
l'abbia mandato fuori di Milano, sia pure mettendolo
in mani fidate. E a quale scuola aveva 1' autodidacta
Raimondi imparato tanto bene a decifrare codici dif-
ficili, se non a quella dello stesso Barzizza ? Il quale
nella seconda metà del 1421 passò da Padova a Mi-
lano e neir ottobre o novembre dell' anno medesimo
aprì i corsi nella nuova residenza. Il Raimondi allet-
tato dalla fama dell' insigne maestro, sarà stato uno
dei primi ad accorrere alle sue lezioni. Non curiamoci
della testimonianza del Biondo e rileggiamo le parole
del Barzizza neUa lettera al Landriani (sopra p. 112):
Feci autem ut prò ilio vetustissimo ac paene ad nul-
lum usum apto novum manu hominis do-
ctissimi scriptum ad illud exemplar correctum ,
alium codicem haberes '. Noi sappiamo ora che Xhomo
doctissimus h il Raimondi: e ce lo figuriamo intento
a trascrivere, sotto la sorveglianza del vegliardo e
bonario maestro, il codice poco decifrabile e poi col-
lazionare l'apografo con l'esemplare.
E le obiezioni dei miei contraddittori? Si possono risol-
vere ammettendo una doppia visita del Raimondi a Mi-
lano: la prima comprendente sex et trium mensium tem-
pus (sopra p. 1 1 6), la seconda annum et mensem (p. 115).
I sex et tres menses appartengono agli anni 142 i -1422,
quando egli all' apertura dei corsi barzizziani in Mi-
I. — CICERONE. 121
lano venne a frequentarne le lezioni. L' annus ai mensis
vanno distribuiti tra il 1427 e 1428, quando ricompari
a Milano non tanto per rag-ioni di studio, quanto per
ottenervi una magfis tratura. Lo afferma egli stesso nelle
due succitate lettere al senato milanese e al Corvini.
Ecco il passo della prima (i):
Nam cum essem annum et mensem Mediolani demoratus m a g i-
stratus ineundi alicuius grati a, magis ut litteris quani
vitae necessitati, quae summa quidem et est et erat, satis fieret, nec
ullum omnino vel minimum obtinere potuissem, pergraviter moerens id
ipsum temporis, quod fuisset ambitioni impensum, frustra totum a me
consumptum esse; perduci ulterius inaniter meam spem ac dies inutiliter
subduci mihi singulos non sum passus Italiamque aufugiens ob paupcr-
tatem, veteribus meis studiis auscultandum putavi, quae din m u 1-
tumque a me intermissa rogitare cupidius videbantur....
Ed ora il passo della seconda (2):
Sed cum statuissem aliquando unam hanc oratoriam facultatem ac poe-
ticam quoque.... diligentius paululum complecti et recognoscere ob eam-
quc causam Mediolanum ad vos venissem ut magistratum ali-
quem nactus simul et ci vitae quae in actione versatur et bis
studiis operam tribuerem....
♦♦♦
Risolta la questione della personalità di Cosimo Cre-
monese, ri torni amc) al ror^irp I.nudpTT-p p al Harzizza. Il
(1) Cod. Ambros. 1^ 124 sup. f. loh.
(2) Ih, f. 109V. Le due lettere sono del gennaio 1431. In quella al
senato Tire ancora ' R.mas pater sapicntissimusque vir d. I(acobu8)
I^olanus cardinalii eminentistimus ' (f. 108), che mori il 9 fcbbr. 1431
(( i.iconiuR, V'ttae poni. II 809); in qnrlb :A Ton'ini è morto Gasp.u-i no
Barzizsa, che non era più tra i 131 (Gaiip. Barzisti,
Opera I p ":":"'"TT r
122 R. SABBADINI.
codice passò in suo potere (*), com'eg-li stesso afferma
nella seconda edizione, uscita a Milano tra il 1422 e il
1430, della sua Orthographia (i). Cosi scrive infatti là,
dove tratta dell' u arcaico: ' Similiter U prò i in plerisque
scribi non solum codices antiqui sed quorundam etiam
modemorum usus testatur, ut 1 u b e t prò 1 i b e t ,
herciscundum prò herciscendum; inde
familie herciscunde (Cic. de or. I 237) prò
herciscende idest dividende; est enim h e r e i -
scere idem quod hereditatem scindere. Et pene omnia
superlativa, velut inantiquissimo codice meo
legi, ubi tres expleti De oratore libri ad Q. f., item
Orator ad Brutum et alius qui Brutus dicitur contine-
tur '. Le parole in mitiquissimo codice meo significano
piena proprietà.
Sugli apografi (**) tratti con la cooperazione del Bar-
zizza dall' archetipo laudense dà sufficienti informa-
zioni la lettera di lui, più sopra citata (p. 112), alLan-
driani, dalla quale ripeto il passo che fa al caso nostro:
* Feci autem ut prò ilio vetustissimo ac pene ad nullum
usum apto novum manu hominis doctissimi scriptum,
ad illud exemplar correctum, alium codicem haberes,
quem ad te prò tuo is (Homodeus) defert, qui primus
munus hoc a tua in eum singulari benivolentia prò me
(*| Comparve la prima volta in Studi ital. filol. class. V, 1897,369.
(i) Cod. dell'Università di Pavia 253 f. 13V. Sulle due edizioni del-
l' Orthographia cfr. R. Sabbadini in Studi ital. filol. class. XI, 1903
364-68.
{**) Comparve la prima volta in Rivista di filologia XVI, 1887, I13-
118. Ma la trattazione è interamente rifatta.
I. — CICERONE. 123
impetravit. Nunc ad te librum nudum ac inomatum
mitto. Neque mihi enim aliter per occupationes meas
licuit, nec prius exemplari a librano meo, qui hoc
exemplo usus fuit, tametsi instarem, potuit '.
Si mediti diligentemente questa lettera, tanto più
ora che il confronto con la redazione manoscritta del
cod. Ambros. sostituisce vantaggiosamente aM'expediri
della stampa il più esatto exemplari. Il Barzizza parla
di un homo doctissimus e di un librar ius meus: il dot-
tissimo uomo è, ormai lo sappiamo, Cosimo Raimondi;
r altro è il copista che sta al servizio del Barzizza.
Inoltre occorre distinguere 1* exemplar da hoc exemplo:
exemplar è X archetipo Laudense, exemplmn è 1' apo-
grafo tratto dal Raimondi. Dunque il Barzizza fa alle-
stire dal Raimondi un ^lpog^afo per il Landriani; ma
prima di mandarglielo, ne fa preparare dal suo ama-
nuense un ahro apografo per uso proprio. Ciò ha ca-
gionato perdita di tempo: di che il Barzizza chiede
scusa al vescovo.
Dei due apografi, quello di mano del Raimondi, de-
stinato al Landriani, s* è perduto; l' altro, eseguito di
sul Raimondiano per uso del Barzizza, c'è rimasto, ma
diviso in due codici: l'uno il Vatic. Palatino 1469 (i),
che contiene il De oratore e XOrator, l'altro il Nazio-
nale di Napoli IV B 43 (2), che contiene il fìrutus.
^ ' ■Arihi'ù\u\ T audense f<)mpn»Tv^"v • '•'>me s'è av\'<'r-
(U Degnilo \}. e. da V. Ilccnlcgcn; M. lulli Ciccronii OraU^r, Lip-
•iac ifiR4. XV-XVI.
; Stangl: M. Tulli Ciceronis Brutus, I.lpsitc
1886, IX, XVUJ.
124 ^' SABBADINI.
tito, cinque opere rettoriche, ma il Barzizza e con lui
gli altri umanisti s' interessarono delle sole tre , che
erano o in parte o del tutto nuove: il De orat., X Or.
e il Br. Il codice Palatino ha la sottoscrizione : Ex
vetustissimo Codice. Libri tres de Oratore ad Q.fratrem.
Item orator ad M. Brutum transcripti perfectique expli-
ciunt. et ad exemplar emendati: sottoscrizione che il
Heerdegen (i) crede di mano del Barzizza, come di
mano sua crede le correzioni marginali. Io ne dubito,
anzi lo nego, dopo d' aver raffrontato quella scrittura
con le note autografe del Barzizza nel codice Vatic.
1773 (2).
Il codice Napoletano reca alcune importanti note di
possesso: al principio: Guiniforti Barzizii; A. jfani Par-
rhasii et amicorum Mediolani emptus aureolo; alla fine:
Antonii Seripandi ex 7 ani Parrhasii testamento. Vale
a dire: da Gasparino Barzizza lo ereditò il figlio Gui-
niforte; il Parrasio lo acquistò a Milano dagli eredi
dei Barzizza e lo legò in testamento al cardinale Se-
ripando. Di qualche peripezia del codice Napoletano,
vivente Gasparino, e' informa la seguente lettera di
costui:
Postquam (*) B r u t u s noster ad me rediit, pater reverendissime,
sepe illum, ut pollicitus eram, mittere ad te volui, sed incidi in homi-
(i) op. cit. XVI.
(2) Su questo codice vedi R. Sabbadini in Studi Hai. filol. class. V,
1897, 390-92.
(*) Questa lettera comparve la prima volta nell'opuscolo: Studi di Ga-
sparino Bar tizia su Quintiliano e Cicerone, Livorno 1886, 13.
li — ClCkKONÉi. li^
nes aut minus [properandi] (i) cupidos aut qui iiegotium, quod (2) tum
eis committerem (3) non intelligebant. Quorum alterum (4) faciebat ut
ne is (5) tarde traderetur timerem, alterum (6) ne toto ilio itinere (7)
Brutus noster male exceptus (8) minus honeste (9) in manus tuas veni-
ret (ic. Maximas itaque gratias, pater optime, habeo sapientie tue, qui
provinciam hanc commisisti lacobo Bracello (11), homini honestissimo ac
in bis ipsis [studiis] (12) humanitatis egregie docto, quibus ut ceteris re-
bus apprimc deiectaris. Causam tarditatis mee vides; quare (13) si plu-
sculis (14) diebus forte eum apud te habueris, quam studiis meis condu-
cat, nihil erit quod tuum in hac re desiderare officium possim. Ipse ante
accusationem (15) defensionem prescripsit (16); quanquam quid (17) est
apud me quod (18) non prius tuum quam meum fuerit? Vale et de me
ut facis semper cogita.
La lettera non ha intestazione, ma dall' apostrofe
pater rever ni dissime si rileva che è indirizzata a un
alto " prelato, il quale doveva risiedere a Genova, per-
(1) properandi oni. in lac. cvd.
(2) quibus cod.
(3) committere cod.
(4) alter cod.
(5) bis cod.
(6) tradcret timeretur alter ccd.
(7) tenere cod.
(8) excipitur cod,
(9) hoKtem cod.
(io) venire cod.
(11) Braceao cod.
(12) studiis om. cod.
( 1 3) quac cod.
114) plus tulÌK cod,
(15) occupationcm cod.
( 1 6) pcrscripsit cod.
(17) quidquid cod.
(iH) qui cod.
̱b R. SABBADINI.
che Giacomo Bracello, a cui è affidata la commissione,
era cancelliere g-enovese. Queste due circostanze ci
portiino al 1428, quando era g-overnatore di Genova
l'arcivescovo milanese Bartolomeo della Capra, che
appunto in queir anno mandò il cancelliere Bracello
a Milano a congratularsi delle nozze di Filippo M. Vi-
sconti con Maria di Savoia (i). Al Capra pertanto il
Barzizza prestò il suo Brutus, dopo che gli era ritor-
nato da un altro prestito.
E chiaro da quanto sin qui s'è detto che i due co-
dici Barzizziani derivano dall'archetipo Laudense indi-
rettamente per via dell'apografo Raimondiano. Del-
l'origine indiretta abbiamo un altro indizio, che in essi
cioè le tre opere mostrano una divisione in capitoli:
divisione che non si poteva eseguire in una copia di-
retta. La divisione in capitoli l'aveva il Barzizza adot-
tata per i testi mutili e ora 1' estese ai testi integri.
Essa era già compiuta prima dell'ottobre del 1422,
perchè il Biondo vi allude scherzevolmente nella sua
copia del Brutus (cod. Ottobon. 1592) allestita in quel
mese (2) per Guarino. Giunto infatti al § 48, dove nel-
l'apografo Barzìzziano cade lo spazio per la segnatura
di un capitolo, scrive in margine: In v eteri continuai
textus ubique sine capitulo vel testiculo (3); verum unde
hec c(apitul)a, tu mi Guar(ine) iìttellegis.
(i) C. Braggio, Giacomo BracelU e l'umanesimo dei Liguri al suo
tempo, Genova 1891, 14.
(2) Cosi sottoscrive il 'Biondo'. Scripsi huvc Bruttcm Mediolani a noni s
ad ydus octobres 1422 ad exemplar vetustissimum repertum nuper Laude.
(3) Il Biondo gioca sull'equivoco testiculus, texticulus.
t. - CICERONE. iij
Nel medesimo anno 1422 fu tratta dal vescovo di
Como Francesco Bossi una nuova copia delle tre
opere, che ora si conserva nel codice Ottoboniano
2057, co^ ^^® sottoscrizioni: una breve del copista:
MCCCCXXII die penultimo novembris in sero finii; e una
lung-a del correttore: M. Tullii Ciceronis de oratore. Ora-
tor. Briitus libri felicitcr expliciunt, qui sunt reverendissi-
mi in Christo pairis et doìnini domini Francisci Bossii
Mediolanensis, Episcopi Cumani ac Comitts iurisque utrius
doctoris, virique gravissimi et pacatissimi domini An-
thonii Bossii filii ducalis consiliarii et quaestoris. Qui tres
oratorii libri correrti auscultati collecti emendati confor-
mati et iustificati fuerunt cum codice ilio vetustissimo et
ipsa intuitione religionem quandam mentibus hominum
inferente, quem rever. pater et dominus dominus Gerar-
ius Landrianus Episcppus Laudensis et Co7nes in archi-
zio ecclesiae suae repperit litterarum cupidi or, per Anto-
nium lohannis, Simonem Petri Bossios et me Franciscum
Viglevium {i) de Ardici is quamvis cursim MCCCCXXV
die XXVI aprili s In di et ione ter eia, in civitate Papiae
studiorum anatre. Non inveni plura in perveteri codice^
fortunac quidem iniquitas id totum si tamcn quiddam
erat rccidit. Eo tamen urgeor quod ista dicendi divinitas
multos annos obltviosa et in eulta sic irreligiose prostitit.
Ni quidem fuisset dicti praesulis Laudensis solers bene
dicendi studium vigilantiaque industris iterum divino
carcremus hoc muncre ( Vide quaeso priscorum incuriam)
l'igievius è r etnico e vale quanto Vigiivinentis ostia nativo di
Ì2S R. SAtìliAlJiv'l.
cuius inventioìie quamplurimum famae et perkennitatis
sortitus est. Sed idem Cumanus aut paris est gloriae vel
non tninoris felicitatisi propterea quod primum (per la
prima volta) veterem et superiorem codicem non sat a
plerisque legibilem oh antiquarum litterarum effigie^n sti-
luntque incogiiitum in latinas et explicatas bene litteras
studioseque interpunctas summa diligentia renovavit.
L' apografo pertanto venne trascritto a Milano nel
1422 e collazionato a Pavia sull'archetipo nel 1425:
a Pavia, dove nei primi mesi di quell'anno si trovava
in vacanza il Barzizza, possessore dell'archetipo. Ecco
qui una sua letterina (*) :
Nisi cause quas tibi reddidi, pater o[ptinie projfectioTiem meam atque
reditum impe[diren]t, [tantum] temporis non differrem quin, quod bis
prox[imis fejriis paschalibus (i) senatus iussu factunis sum (2), [stitim]
voluntati vestre ac ceterorum p(atrum) c(onscriptorum) parerem; [sed]
quia nundura hoc mihi per ceteras occupationes meas licet idque summa
in me humanitas senatus permittit, licentia concessa hic paucis diebus
utar; interim sarcinulas componam et, ut aiunt, vasa colligara, ne cum
tempus reditus mei venerit, in mora sim. Vale et me ut facis commen-
datum habeas et reliquis p. e. dominis meis qua moris es benignitate
recommendàre digneris. Ex Papia 3 kal. martias 1425.
Gasparinus Pergamensts
quidquid est tuus. Spectatissimo viro ac gravissi-
mo senatori domino T. de V. (3) iuris utriusqut doctori
clarissimo optimo patri et domino egregio,
(*) Comparve la letterina la prima volta in Rivista di filologia XIV,
1885, 426-7. Dal cod. Ambros. P 4 sup. f. iv. La scrittura in molti
luoghi è cancellata, sicché ho dovuto colmare per congettura le lacune.
(i) La Pasqua del 1425 cadde il giorno 8 aprile.
(2) sim cod.
(3) Taddiolo da Vimercate, senator ducale, cfr. Argelati Biblioth. Me-
diai, n, II p. 2226.
CICERONE, 129
Nella sottoscrizione (*) del codice Ottoboniano il
Viglevio attesta in modo solenne che 1' apografo fu
tratto direttamente dal vescovo Bossi, a cui attribui-
sce merito pari a quello dello scopritore Landriani:
Paris est gloriae, perchè veterem et superiorem codicem
non sat a plerisque legibilem in latinas et explicatas bene
litteras studioseque interpunctas summa diligentia reno-
vavit: cioè trasformò la scrittura poco leggibile (insu-
lare?) in chiare lettere latine, divise le parole e inter-
punse diligentemente il testo. Tutto questo corrisponde
esattamente al codice Ottoboniano.
E non solo il Viglevio dichiara che queir apografo
discende direttamente dal Laudense, ma che fu anzi il
primo a esserne derivato: primum •• renovavit. Il che
significa che egli nel 1425 ignorava l'esistenza di Co-
simo Raimondi e del suo apografo; e in verità il Rai-
mondi aveva lasciato Milano sin dalla metà circa del
1422 e il Viglevio non ne doveva aver udito parlare.
Il primo trascrittore o pritnus translator, primus trans-
formatoTy nominato sui margini dell' Ottoboniano, non
è e non può essere il Raimondi; egli è bensi una per-
lina in intima relazione col circolo dei Bossi, è in-
imma il vescovo Bossi: e per questa ragione il Vi-
.ovio lo chiama anche amicus noster (i).
Ma allora come conciliare la derivazione immediata
deirOttoboniano con la presenza in esso della divisione
(♦) Questo 9 è nuovo.
(I) StangI op. cU. p. XX; Heerdegen op, cit. p. XVII.
R. SABBADUa, Ttsti latmi.
130 R. SABBADINi.
in capìtoli, quale abbiamo riscontrata sugli apografi
Barzizziani ? In una maniera molto semplice: ammet-
tendo cioè che il Bossi trascrisse l'archetipo tenendosi
davanti per comodità gli apografi Barzizziani. Cosi ob-
bliga a credere la cronologia; poiché la copia del Bossi
fu tratta nel novembre del 1422, mentre gli apografi
Barzizziani risalgono ai primi mesi di quell' anno.
Una copia delle tre opere, ma indiretta, si fece fare
un altro Bossi, quella che si conserva nel codice Am-
brosiano C 75 sup., membranaceo, di bella scrittura
umanistica ed elegantemente miniato. L'iniziale M del
libro II de orai, e l' iniziale / d el libro III recano lo
stemma dei Bossi con le sigle AL., BO., che si risol-
vono in Aluisius Bossius. Questo Luigi era fratello del
vescovo Francesco. Verrebbe quindi subito di pensare
che Luigi si fosse fatto trascrivere 1' apografo del fra-
tello; ma così non è, perchè la sua copia deriva dagli
apografi Barzizziani (i) ed è probabilmente anteriore
a quella del vescovo.
Due altri apografi diretti del Laudense sono il Fio-
rentino Nazionale Conv. soppr. I. 1,14 (questa èia vera
segnatura) con VOrator e il Brutus e il Vaticano 2901
col solo De oratore.
Sul Fiorentino mi pare che tutti siano d' accordo.
Intanto esso è cartaceo, privo di ornamenti e col te-
sto tutto continuo senza la divisione in capitoli degli
apografi Barzizziani. Inoltre segue, e fu già notato
(i) La dimostrazione mi trarrebbe troppo in lungo; e poi non ha
importanza.
I. — élCEltONE. tji
dallo Stangl e dal Heerdegen, scrupolosamente 1' or-
tografia classica, dovechè gli altri amanuensi applica-
vano in maggiore o minor misura l'ortografia umani-
stica. Tralasciando p. e. i dittonghi, che sono costan-
temente espressi (ae oe), traggo da una pagina, aperta
a caso (f. 55v), queste parole: maxumuniy intellegens^
numquam, volgi, optinnum, adsideiis, udiente, ta7nquam,
voltu, adsensus, qiiamdo, revortar, le quali ogni altro
umanista avrebbe scritto cosi: maximum, intelligens,
7iunquam, vulgi, optimum, assidens, attente, tanquam,
vultu, assensus, quando, revertar. Ecco una prova pal-
mare che l'amanuense copiava fedelmente da un codice
assai antico.
L'altro codice, che probabilmente discende in linea
retta dall'archetipo, è il Vaticano 2901. Anch'esso è
cartaceo, senza ornamenti e col testo tutto continuo.
Anch' esso riproduce 1' ortografia classica, di cui una
pagina, aperta a caso (f. 3v), offre i seguenti esempi:
acula (I 28), conlaudandum, quidquain, adlicere, iucun-
dum, adflictos, olio, conloquium, ai quali corrispondono
le forme dell' uso umanistico: aquula, collaudandum,
quicquam, allicere, iocundum, afjlictos, odo, colloquium.
Le note marginali di questo codice sono della mas-
sima importanza, come apparirà dal seguente saggio:
f. 28 (II 40) nel testo scrisse Vox, poi cancellò e
in margine segnò Nox con sopra un v (= vetus),
^' Il (li 91) nel testo Furit in re p. fiifìus, in marg.
vetus fuit abrasum, guod credo dixiss,
f. 67 V (UI 187) nel testo crimen ejffugtam. Quar *♦
i3«
R. SABBADINl.
tandem, in marg. Quarum. vetus fuit abrasum et pessime
reaptatum (i).
f. 30 (II 60) nel testo orationem meam illorum *. Sed
ne latius, con un v. sopra illorum; in marg. cantu quasi
color ari (2).
f. 28 (II 42) nel testo expetenda ne esset, in marg.
e xp etenda esset, con la sigla v. (3).
f. 28 (II 39) nei te^to vim or atoris cum exprimeres me
subtiliter, con v, sopra exprimeres (4); in marg. expri-
mere subtiliter.
f. 66v (III 175) nel testo si efficitur coniunctione ver-
borum siculi versum, sul marg. sinistro vitium est et
tamen etiam coniunctionem , sul marg. destro vetus uon
habet additionem (5).
f. 69 (III 214) nel testo hoc totum oratores autem
veritatis histriones; su oratores due segni, uno di cor-
ruzione e uno di richiamo; sul marg. sinistro qui sunt
veritatis ipsius actores reliquerunt. Imitatores; sul marg.
destro vetus non habet additionem (6).
Se non c'inganniamo, il copista nella revisione del
testo teneva davanti a se il Laudense e un codice
(i) Queste due abrasioni del Laudense, di cui non so se ci siano
altre testimonianze, a chi risaliranno ? cfr. p. 142 multa abraserunt.
(2) cantu è dei mutili tardivi; forse il Laudense aveva lacuna dopo
illorum.
(3) Perciò ne mancava nel Lau^iense.
(4) Dittografia nel Laudense.
(5) Questa lacuna del Laudense è attestata per altra via.
(6) Le parole qui sunt — imitatores^ dei mutili, non erano perciò nel
Laadense.
I. — CICERONE. 133
della classe mutila: con questo colmava le lacune di
quello.
Il Vaticano e il Fiorentino, rassomiglianti per molti
rispetti, non derivano dal medesimo amanuense. La
pasta e la marca della carta sono diverse; diverso
r inchiostro, diversa la scrittura e la proporzione delle
abbreviazioni.
***
Resta da comunicare le notizie sulla nuova scoperta,
quali si ricavano dall' Epistolario di Guarino. Venga
intanto questa lettera {*) :
Guarinus (i) Veronensis snncto viro M. B. plurimam in christo s.
In hoc tuo discessu tibi opto, ut bene ac feliciter hoc tibi iter eve-
niat ac Mediolauensibus ipsis, ad quos proficisccris; quod ita fora vati-
cinor ob cam quam de te apud nos fecisti experientiara et vitae inte-
gritatc et acutissima divinorum documentorum subtilitate. Quibus ex re-
bus universum populum Veronensem mirifica tibi caritate ac benivolentia
dcvinxisti, ita ut quanta suavritate ac iocunditate omnis nos praesens
affeceras, tanto maerore ac molestia discedens torqueas. Quid enim
magnificcntius aut utilius afferre poteras, quam ut virtutum amorem ac
vitioram odiam animis ingenerares et rectam crcdendi viam ? quam non
ante ingredientibus commonstras, quam ipse honeste constanterque fe-
ccris, ipsius salvatoris exemplo , qui non ante docere inceperat quam
facere. Cctcrum una res maerorem hunc publicum solatur et temperai,
spes scilicet optatissima rcditus tui, qua ita futurus (2) es nobis prae-
»en«, ut et rcmotus a nobis longinquus esse nequeas. De his in prae-
■entia latis.
Singolare quoddam a tua humanitate beneficiura petere non dubitabo,
(♦) Comparve la prima volta in Studi ital. filol. class. VII, 1899,
105-6.
(1) Cod. ClaMente di Ravenna 419, 8 f. r8v.
(i) Ucturof cod.
134 R« SABBADINI.
ctim ita te natimi ita educatum ita institutum videam, ut bene mereri
de hominibus velis et de iis potissinium, quos fidci ac lesu christi ca-
ritas tuae facilitati coniunctos reddidit. Qiiod autem peto est commune
quoddani studiosoiuir) beneficium, qui bisce humanitatis et liberalium ar-
tiuni exercitiis operam dant. Hactenus apud nos obversabatur liber Ci-
ceronis de oratore, ita tamen obtruncatus et dilaniatus, ut cum maxima
pars (l) operit elegantissimi vel temporuni invidia vel maiorum nostroruni
incuria perisset, inemendatum etinra quod reperitur extarct. Hoc vero
tempore fama pcrtulit ad nos librum ipsum integrum absolatum et a
vertice, ut aiunt, ad calcem usque nulla ex parte diminutum repertum
«s$e a viro doctissimo ac sapientissimo Gasparino Bergamensi. Video
iam caelum ipsum et novam hanc aetatem nostris ita favere studiis et
eloquentiae incrementis, ut ni (2) per segnitiem atqiie inertiam deesse no-
bis velimus, ad altura quoddam doctrinarum culmen possimus facile con-
scendere. Tuum igitur erit officium, pater humanissime, ut quamprimum
Mediolanum sospes adveneris, convenias Gasparinum ipsum, cuius fama
tam clara est, ut latere non possit (est enim hoc tempore Mediolani),
curesque ut liber iste de quo loquor nuper inventus transcribatur ope
mtque opera Gasparini. Id autem ab co facillime impetrabis; nam cum
doctrina et virtute sit magnus, facilitate placabilitate morum dulcedine
nemini cedit, potissimum cum ad litteratorum commodum uUum praestare
adiumcntum queat. Ts autem liber ipsius Gasparini hospes esse praedi-
catur; quod de industria factum ab ipso Cicerone crediderim, cum plu-
rima illi ornamenta laudesque contulerit et magna ex parte latentem in
lucem extulerit. (Juid vero facilius aut etiam verisimilius sperari potest,
quam te praeceptorem eloquentissimum ab eruditissimo homine impetrare
debere, ut romanae princeps eloquentiae ac recte vivendi magister ad
cupidos sui cives perducatur ? ad quos proinde * facilisque volensque sc-
quetur '. Plura non dicam; quaecunque expenderis in eo libro tran seri -
bendo, nobis quom (3) denuntiaveris, restituentur confestim. Vale, vir
integerrime, memor mei.
Ex Verona v idus ianuarias (1422).
(i) pars om. cod.
(2) ni om. cod.
(3) quum cod.
I. — CICERONE. 135
Nelle iniziali M. B., che non so risolvere, si nascon-
de il nome di un frate che aveva predicato a Verona
r avvento del 142 1 e ora passava a Milano, dove avreb-
be potuto trovare il Barzizza e chiedergli copia del
nuovo codice di Cicerone. La fama giunta a Guarino
è ancora incerta e confusa, perchè egli crede si tratti
del solo De oratore e che lo scopritore sia stato lo
stesso Barzizza,; ma se già n' era corsa voce dai primi
di gennaio del 1422, rimane assodato che la scoperta
avvenne nella seconda metà del 1421.
Nel giugno (*) del 1422 Guarino mandò a Milano
il suo scolare Giovanni Arzignano a prender copia delle
nuove opere :
Guarinus Veronensis Gaspariuo Bergomensi sai. pi. d. ( i ).
Superiori tempore cum ad nos perlatum est integrum Ciceronis Ora-
torem postliminio et e longis tenebris divinitus credo redisse, magna
certe laetitia fuimus affecti omties qui hac in civitate suraus ab bisce hu-
manitatis studi is non abhorrentes, in quibus tu facile dux et princeps eni-
tuisti. Dolebanius antea niirum in modum quod tam acuta, tam suavia,
tam prudentissima eloquentiac praecepta manca et nescio quo fato mu-
tilata ad nos pervenissent, ut cum effari coepissent media in voce resi-
:^tercnt (Verg., Aert., 4, 76). Gratulati sumus et laudi et sapientiae tiiae,
juem ab diis manibus vcl verius Klysiis canipis renascens ad supcros
Cicero primnin in tcrris delcgit hospitem; quod re quoque ipsa augurari
licuerat. Qucm cnim potius quam te Cicero ipse deligeret, cuius ductu
■itque auspiciis amatur, legitur et per Italorum gymnasia summa cum
gloria volitat ? Gratulati sumuK et nobis et desiderio nostro; nani ab
(•) Comparve U prima volta in Rivista di filologia XJV, 1885, 4*7"
434.
(i> Cod. Eatense 57 f. 172?; eod. Farig. Ut 5854 f. io8v;cod.Bo-
dldano Land. 64 (Oxford) f. j.
136 R. SABBADINI.
cuius facilitate ac suavitate eum communicatum iri melius sperare pote-
ramus, quam a Gasparino, qui prò innata viriate et animi magnitudine
ad bene de hominibus mcrendum et ad disseminandam hominibus pro-
bitatem ac disciplinam natus educatus et auctus est ? Sicut de Prome-
theo Graeci poetae tradidere, qui ignem idcirco caelitus accepisse lae-
tatus est, uti humano illum generi dispertiret, tu quoque, vir clarissime,
in huius tanti boni partem admitte nos, in hac luce nos illustra, non pu-
rum a nobis invicem illustrandus. Semper enim nostra haec iuventus
huiusce menior meriti inter legendum te praedicabit et laudibus ac agen-
dis gratiis tollot in sidera. Hoc petit abs te splendidissimus equestris et
litterarum ordinis vir Johannes Nicola ( Salernus ), hoc sapientissinnis
iuris ac iustitiae consultus Madius, hoc litterarius nostrae civitatis ordo,
hoc Guarinus tuus, in quo ornando semper elaborasti, nunquam tamen
defatigatus. Ipse autem horum omnium legatione ad te funger; hoc de-
nique velit ipse Cicero qui ut ttiam posteritati prodesset tantas curas
vigilias contemplationesque suscepit. Imitare Pisistratum et, ut plerique
scriptum reliquerunt, Lycurgum, magnos et gravissimos viros, Homeri
repertores et digestores. Hi dedita opera illius libros antea latitantes et
dispersos, deinde inventos et collectos, studiosis ediderunt, ut eorum
non modo diligentia sed etiam liberalitas commendaretur. A nobis igitur
omnibus venit ad huraanitatem tuam publice missus eruditus atque op-
timus vir Johannes Arcignanus, qui sponte hoc munus suscepit, ut Ci-
ceronem, de quo loquor, integrum sua opera factum et tua benignitate
ad nos referat. Oramus ac obtestamur omnes te per ea quae tibi caris-
sima sunt, ut huic nostrae cupiditati subvenias et ardori honestissimo.
Vale, pater suavissime, et doctissimos filios Nicolaum et Ginifortem a
me salvere iube. Clarus vir Andreas lulianus recte valet.
Ex Verona 14 kal. iul. 1422.
L' Arzig-nano ritornò a Verona col solo Oratori e in
un testo non molto corretto, come vedremo (p. 142) dalla
relazione del Lamola. L'arrivo à.^Orator è confermato
in una lettera di Guarino da Montorio, il 9 giugno 1424
(Ex Montorio, V idus iunias [1424]) a Lodovico Gon-
zaga di Mantova: < Oratorem (tuum) Ciceronis emen-
f . — CTCKRONK. t$7
dare secundum lectiones coeperam: (i) is quidem ab-
solutus, sed non ad ungoiem emendatus est, uti con-
stitueram > (2).
Il De oratore lo ebbe invece da Giovanni Corvini
per intercessione del marchese di Ferrara, come dice
Guarino stesso in un' altra lettera, che sarà recata più
avanti (n. I, poscritto p. 139).
Nel qual proposito non credo inopportuno ricordare
che lo stesso Corvini (del quale diremo ampiamente
più sotto) nei primi mesi del 1423 portò a Firenze il
cod. Fiorentino Nazion. Conv. soppr. I. i, 14. Il cod.
Fiorentino comprende, come s'è veduto (p. 130), \Ora-
tor e il Brutus, mentre quello mandato dal Corvini a
Ferrara alla fine del 1422 comprendeva il De oratore.
Mi sembra verisimile che fossero due codici g-emelli,
esemplati dal medesimo amanuense.
Ed eccoci al Brutus. Nel 1422 Flavio Biondo, per
incarico della sua nativa città di Forlì, si trovava a
Milano e colse queir occasione per trarre una copia
del Brutus, la quale eg-li compiè dal 7 al 15 ottobre
e la mandò al Giustiniano a Venezia e a Guarino a
Verona ^-v Ti copia del Biondo esiste nel codice Ot-
Mantova nel 1425 fu copiato un C>r<i/i^; infatti il cod. Estense
VI D 6, merobr., contiene il Brutus e 1' Orator, quest' ultimo con la
lottoscnzione: Orator ad M. lirutum feliciter explicit transcriptus per-
fectìuque et ab eo exemplari ememiatus, quod a vttusto ilio codice pri-
mum tranteriptum correctumque /utrat, pridit idus septemò. i43S'
Manl$tae. F. C,
(a) Cod. Marciano Ut. XI 1:; !. i(>4.
(3) StaugI, op. ctt. p. XVIll.
138 R. SABBADINI.
toboniano 1592; da quella ne trasse un'altra Ugo Ma-
zolato, segretario del marchese di Ferrara, e anche
questa esiste nel codice Napoletano Nazionale IV B
36 (i). Di queste due copie trattano sei lettere di Gua-
rino, che io recherò qui o intere o in parte, secondo
che sarà opportuno.
I.
Guarinus Ugoni (Mazolato) suo amantissimo p. s. d. (2).
Deinde accepi libellum, quem Biondus raeus et doctrina et pnidentia
sane vir primarius tibi ad me dedit, in quo et illius liberalitatem et
tuam probavi diligentiam. Ita enim effectum est ut uno, ut ita dicam,
intuitu omnis qui rationi dicendi dediti fuerint superioris aetatis homi-
nes tum graecos tum latinos spectare licuerit; cuius quidem laetitiae ut
prò amicitiae nostrae iure te participem faciam, ipsum ad te remitto,
ut transcribendi facultatem habeas. Sed unum oro, ut, siquìs apud vos
non imperitus sit qui eum transcribat,' et mihi exarari librum ipsum fa-
cias vel papyro; opus dico Ciceronis tantum, nam in eo volumine duo (3)
insunt, ut vides, opuscula. Id autem gratissimum fuerit; de impensa re-
scribes, ut reddam quod exolveris; quanquam si idoneus esset librarius,
membranis transcribi posset; sed facito volumen pusillum.
Ex Verona, V id. decembr. [1422].
(1) Ibi, pp. X; xvni-xix.
(2) Cod. Estense 2 f. io8v.
(3) L' uno era il Brutus, V altro il Libdlus de. militia del Bruni, co-
piato dallo stesso Biondo a Milano nel 1422; cfr. Stangl, op. cit., p.
XVin. Cod. Ottobon. 1592 f. 11 De militia àc\ Brxxnì, conXz ioiioscrì-
%\ovi^: Leonardus Arttinus edidit Ftorentic XVIII kal.ianuarii MCCCCXXJ.
Ego vero scripsi Mediolani nonis octobribus MilUsimo CCCCXXII. Guar.
suo B, Flavius A. /.
I. — CICERONE. 139
A questa lettera va unito il seg-uente poscritto:
Ugo mi carissime; tua mihi ope opus ac industria, ut ad librum quem
habere ardeo cupiditatc quadam incredibili, nianibus ac pedibus, immo
'ro mente Consilio et cogitatione tua et Zilioli nostri intendas. Est vir
;idem clarus ac pnidentissimus, Johannes Arretinus (Corvini) illustris-
rni Ducis Mediolani secretarius; habet Macrobium, ut audio, litteris
itiquis, fidelem, eraendatum ita ut et graecas habeat fide optima in-
crtas litteras. Hunc transcribendum esse cuperem ita ut eius copiam
haberemus, sicut intercessione domini Marchionis habuimus Ciceronem
de Oratore.
Decrevi non mittere librum (= Brutum), quia iste ta-
bellarius non eis saeptus est vestibus, ut se ab imbre tueri queat. Nol-
Icm ut Ciceronem quoque, fluvio eloquentiac abundantem, pluviis rcd-
'icrct etiam abundantiorem
Scribo ad Biondum; mitte litteras accurate. Itenim vale.
IL
Guari nus Flavio (Biondo) suo salutem (i).
Gratias et quidem ingentis tibi, Flavi, tuaeque peregrinationi hal^eo,
lande huius occasione et tua inprimis industria factum est, ut sessione
■\ per tam rcmotos orbis tractus (L-co8t]^(Òv adeo diversi» natos ae-
•ibu« oratorcs visere potucrim. Qua in re me, quod proprium est ami-
;iac, in tuarnm voluptatum partem vocare delcgisti, ut veteris instilu-
iic proverbii tu tòiv «f.O.wv xoivà faceres. Itaque et absens prac-
i MS et longinquus propinquus fui.
[Verona, dicembre 1422].
^ od. Ottnbon. 1592 f. 58V. La lettera è autografa di Guarino,
<\y.^\r la scrÌMe sul codice, nell'atto di re«tituirlo.
140 R. SABBADUfl.
m.
Guarinus Ugoni (Mazolato) sai. (i)
AHquot iam dies misi ad te libellum illum Ciceronis, quem a Biondo
susceperam; adeo cupidus tibi inserviendi, ut vix eius videndi raihi fa-
cultatem reservarim, tuam antehabui voluntatem, cui morigerari statui.
Cupiebam autem ut tu illum tibi mihique transcribi faceres. Hunc autem
Biondus ipse geminatis ad me litteris repetit. Eius postulatis ita satis-
faci<ira, ut si librum absolveris emendaverisque, illum huic nuntio eius
fratri obsignes; sin autem imperfectus est, nuntium vacuum ire sinas.
Adiicito te illum paucis post diebus librum missurum quo volet, aut
Imolam aut Faventiam, quo constituet. Habes me. Vale et clarissimo
viro lacobo Zilioli me commenda. Stephanum (Todescum) sai vere a me
iube.
Vcronae, XI kalendas ianuarias [1422].
IV.
Guarinus Veronensis Flavio suo s. p. d. (2)
Non possum facere quin tibi demulceam caput, humanissime Flavi,
qui tam liberaliter mecum agis in mittendis litteris nunc ex Ferraria,
nunc ex Imola
Brutum habebis, ut primum eum absolvero
[Verona, 1423].
V.
Guarinus Veronensis Flavio suo s. (3).
Codicem (Bruti) habebis ut primum certns occurrat nuntius. . . .
Ex Verona, XO aprilis [1425].
(i) Cod. Nazion. Napol. IV B 36 f. 196V.
(2) Cod. Monac. lat. 5369 f. 79V.
(3) Cod. Capitol. di Verona CCXCV f. 35.
i. — Cicerone. i4i
VI.
Guarinus suo Flavio s. (i).
Proxime tibi scripsi et rescripsi et Brutum misi; tuum erit de illius
et illarum receptione significare .......
Veronac, XVIII aprilis [1425].
Delle lettere citate nessuna ha la data dell' anno;
ma la I, la II e la III sono senza dubbio del 1422,
perchè si riferiscono alla copia del Brutus, che fu fatta
nell'anno stesso. La IV, stando ai rapporti ch'essa ha
con r epistolario, è probabilmente dell' agosto o del
settembre 1423. Le altre due, la V e la VI, sono si-
curamente del 1425, perchè accennano alla peste del
1424 e alla podesteria di Francesco Barbaro a Vicenza,
che fu del 1425.
Da ultimo reco due passi di due importantissime
lettere, scambiate tra il Lamola e Guarino.
Johannes Immola Guarino Veronensi viro clarissimo
s. p. d. (2)
Nane porro ad latinnm textum (Macrobii) corrigendum accedam, si
priua tamen ultimam manum et septimam addam corrcctionem tribas
Ciccronis de Oratore libris, Oratori quoque ipsi et Bnito, quos ex vc-
.to ilio, fantore Cambio (Zambeccario), traduximus velimque hos ipsos
ri tibi minui caro» forc Macrobio ipso, qnos qtiippe noiulum vidisti
(1) Cod. Capitol. <U Verona CCXCV f. 34.
(2) Cod. Aruodel 70 f. I29(r. Il testo di questa lettera si presenta
ora in ana lesione assai più corretta che quando Io comunicai la prima
▼olta.
142 R. SABBADIN^.
proprios et si te vidisse putas, falleris. Nec credas inconstaDtiam l'Ilam et
volubilitatem Arzignaniam (i) illos proprios ad nos detulisse, quin ille
nos egregie fraudavit. Hic autem ipso codex, summae quidem venera-
tionia et antiquitatis non vulgaris effigies, ab istis in quorum manibus
[fuit] (2) quique ex eo accurato exemplari excmplum, quod vulgatuin ubi-
que est, traduxerunt, summis ignominiis adfectus est, quippe qui multa
non intellexerunt, multa abraserunt (3), multa mutarunt, multa addiderunt,
ut si essent, quemadmodum olim apud maiores, qui de corruptis tabulis
curam agerent, istos inaudita poena plecti necesse foret; qui si homines
non omnino * hebetes neque inexercitati, nec communium litterarum et
politioris C4) humanitatis expertes ' (Cic. de f?r. II 72) fuissent, nunquam
in id temeritatis et amentiae incidissent. Sed isti sua opinione doctis-
simi et eruditissimi, mea autem crossissimi et crassissimi homines,
non Ciceronis et bonarum litterarum correctores, sed depravatores, non
praeceptores sed praecipitatores habeant quo digni sunt; si me iudice
illis poena infligenda esset, nullam aliam eis statuerem, nisi ut revivi-
sceret (5) Cicero ipse, quamque (6) grati sibi illi essent omnibus palam
rei mille invectivis faceret. Sed de hoc plura, si aliquando dabitur, co-
ram; nolim ut credas, ni (7) re ipsa et centum et totidem argumentis
id tibi probarim; quae adeo fertilis et copiosa esset ad invehendum ma-
teria et iustissima quidem ac honestissima, ut nulla magis. Ego tamen,
quantum diligentiae ac ingenii peritiacque in me fuit et in nonnullo an-
tiquitatis callentissimo viro mecum idem sentiente, adhibui, ut omnia
secundum priorem textum restituerem, notarem etiam marginibus ubique
legationes istorum logodaedalorum et sane barbaricarum beluarum. Cu-
ravi etiam ut usque ad punctum minimum omnia ad veteris speciem
exprimerem, etiam ubi essent nonnullae vetustatis delirationes, nam vehm
(i) Allude a Giovanni Arzignano mandato a Milano a prendere VO-
rator; cfr. sopra p. 136.
(2) fuit om. cod.
(3) Cfr. sopra p. 132 n. i.
{4) expolitioris (et om.) cod.
(5) reminisceret cod.
(6) quamquam cod.
(7) Tolui ut creda» in cod.
i. — CICERONE. 143
potius cum veteri ilio delirare, quam cum istis diligentibus sapere . . .
Tacebis de depravatoribus istis aut ita mordebis ut Cambius et ego
soli intelligamus
Ex Mediolano pridie kalendas iunias [1428].
Guarinus Veronensis lohanni Lamolae s. p. (i)
Accepi postremo Macrobium et Oratorem (a) Ciceronis, quos illis pro-
be litteris depingebas. Bone Deus ! quantum abs te servatum diligentiae;
ut cum sis mirifice antiquitatis amator, illam Iti transcribendo effingeres
et exprimeres, ut vel minima omnia ab exemplari excerpseris. Meo»
igitur emendare horum adiumento coepi, ut eos meliores faciam, quod
ubi assecuti fuerint, non parvns libi sunt gratias et habituri et acturi.
[Verona, giugno-luglio 1428].
Le lettere mancano dell' anno, ma sono senza dub-
bio del 1428, perchè il Laniola nella sua dice che sta-
va a Milano da un anno e mezzo e perchè nell' altra
Guarino nomina la peste, che qua e là cominciava a
manifestarsi a Verona; senza dir di altri indizi, che si
deducono dall' intero Epistolario.
Cosi si dimo^»^' l'^si^ipn/a del codice di Lodi an-
cora nel 1428.
Le parole del Lamola sono molto chiare e molto
gravi. Kgli attesta che tutte le copie che si divulfja-
rono delle tre opere rettoriche di Cicerone derivano
da un solo apog-rafo dell' archetipo. Vorrà intendere
forse r apografo fatto trarre dal Barzizza per mezzo
(1) Cod. Ambrosiano H 49 inf. f. I26v.
(2) Sotto il titolo generico Oratorem si comprendono tutte le (rr o-
pere rettoriche.
^44 ^' SAfiBADll'l'l.
di Cosimo Raimondi ? Ma dalla nostra esposizione ri-
sulta che gli apografi diretti furono più di uno. Co-
munque, sul primo o sui primi copisti il Lamola spande
una sinistra luce, mentre non resta dubbio che la copia
tratta da lui avrebbe ad essere esattissima. Il compito
degli editori pertanto delle opere rettoriche di Cice-
rone mi pare che debba essere ora dall' una parte di
cercare quella copia del Lamola, la quale si ricono-
scerebbe subito dalle note marginali, e dall'altra di sot-
toporre a più rigoroso esame gli apografi finora co-
nosciuti.
Al primo (*) di questi due assunti hanno recente-
mente atteso P. Reis Studia Tulliana ad Oratorem
pertinentia (Dissert. Argentar. XII), 1907, e L. Meister
Quaestiones Tullianae ad libros qui inscribuntur De ora-
tore pertinentes, Lipsiae 191 2. Presentemente poi lavora
sui codici del De oratore loh. Stroux, come rileviamo
dal suo scritto Neues iiber Cicero de oratore (in Sokra-
tes 1913, 171-176).
Quanto concerne il primo compito, il prof. Charles
L. Durham della Cornell University di Ithaca (New
York) ha trovato fortunatamente non proprio V apo-
grafo del Lamola, ma una copia di esso, con la sot-
toscrizione (di mano diversa dal copista): Ex emenda-
tissimo codice lohannis Lamole bottoniensis viri eruditis-
simi . transcripsit hunc alesius germanus . et ad eundem
(*) Questo § è nuovo.
I. — CICERONE. 145
postea entendatus est (i). Il copista Alessio Tedesco è
il medesimo che esemplò nel 1433 un Giustino con
la sottoscrizione: Ex emendatissimo Guarini Veronensis
exemplari transcriptus ab Alessio Germanico anno do-
fuini MCCCCXXXIII .post autetn ad idem exemplar e-
mendavit Martinus Rizonus Veronensis^ ipsius Guarini
iiscipulus (2).
Martino Rizzoni, il maestro delle famose sorelle No-
garola, teneva cattedra di umanismo a Verona; io pro-
pendo a credere che Alessio fosse al suo servizio in
qualità di amanuense; le due sottoscrizioni infatti sono
di tipo uguale.
E ora attendiamo la pubblicazione del nuovo apo-
g-rafo, sul quale giustamente si fondano tante speranze.
Opere filosofiche
a) De officiis
I codici Ambrosiani del " de officiis „ (*)
Anzitutto descriviamo brevemente i codici Ambro-
siani, che sono in numero di 2^^ (3^.
CoD. Ambrosiano C 29 inf. membr.
I fogli 1-80 formano un solo corpo, sono scritti a
(l) Vetlasi la notizia data da Th. StangI in lUrlin.phihlog. Wochen-
schrifl 1913, 829-30.
(a) R. Sabbadini in Musio di antichith classica II, 433.
(♦) Comparve la prìma volta in Rendiauli del r. Jstit. Lomb. se. < leti.
^^» «907» 508-21.
(3) Furono descritti, ma troppo sommariamente, da A. Mai, M. TullU
Cieeronis sex orationum ctc, Mcdiolani 1817, 225 ss.
m. SABBADINI, TtSti latini. IO.
146 R. SABBADINÌ.
tutta pagina e appartengono al sec. X e più proba-
bilmente alla prima metà dell* XI.
f. 1-48 Cicerone De officiis con la sottoscrizione f.
48V M. Tullii Ciceronis de offitiis libri tres expliciunt.
f. 49 In Lucium Catilinam incipit liber primus feli-
citer. Quousque tandem — f. 67 In Lutium Catilinam
liber mi explicit feliciter.
f. 67 Pro M. Marcello. Diuturniì silentii —
f. 71 M. Tullii Ciceronis incipit prò Quinto Ligario.
Novum crimen —
f. 75 V Pro Q. Ligario explicit. Incipit prò rege Deio-
taro. Cum in omnibus — f. 8ov conservare clementiae
tuae (fine della p. Deiotaro).
I fogli 81-156 formano un secondo corpo, sono scritti
a due colonne, e appartengono al sec. XII. Conten-
gono frammenti delle Leges roma^iae Visigothorum. Per
la descrizione cfr. Cedex Theodosianus instr. G. Hanel,
Bonnae 1842, p. IX-X.
f. 15 7v Hanc prosam attuli de moni agut hi festa s.
Katerine (25 novembre) anno M.° CC.° XII.° ab incar-
natione domini. Laudes claras canticorum, — , coi neumi.
COD. Ambros. F 42 SUP. membr. sec. XII. Fu di
Vincenzo Pinelli. Ha ff. 36 e contiene il solo De of-
ficiis; f. I titolo (di mano un po' posteriore): Liber de
officiis tuia Cyceronis, f. 35 sottoscrizione: M. T. C. tres
libris (sic) de officiis expliciiuit feliciter.
Di questo codice ho dato ampia relazione, discuten-
done l'ortografia, le omissioni, le trasposizioni, le va-
rianti, la filiazione, nella mia edizione commentata del
De officiis (p. XX-XXXVIII), uscita dalla casa E. Loe-
i. — CICERONE. 147
scher, Torino 1889,0 ora esaurita: la seconda edizione
è venuta in luce il 1906, ma da essa ho tolto, per con-
servarle meglio il carattere scolastico, la dissertazione
sul codice Ambrosiano (i).
CoD. Ambros. H 140 INF. membr. sec. XIIL Fu di
Francesco Cicereio (Ciceri). Contiene il solo De officiis
col titolo: Incipit liber Marci T. C. offitiorum.
CoD. Ambros. D 6q inf. membr. sec. XIV-XV.
f. I il Somnium Scipionis di Cicerone — f. 3V Marci
Tullii Ciceronis de somno Scipionis expUcit. Et nota
quod istud est illud tnodicum qiiod de re publica ipsius
Tullii reperitur ut asserit Petrarca de re[mediis] utriu-
sque forltune] e. 1 18 et etiam ipse idem Tulli us de hoc
d[icit] I de tulsculanis] (2) que infra in principio (?)
ad VI (3) cartas.
f. 3V Cicerone Paradoxa, f. 9 Tusculan. quaest., f. 69V
De fato, f. 75 frammenti del Timaeus, f. 77 prò Archia,
f. 8 1 Topica, f. 9 1 tavola del De officiis, f. 93 De officiis.
CoD. Ambros. 1 94 sup. cart. sec. XV. Di due
mani.
f. I Valerio Massimo — f. 108 Scriptus per f rat rem
7 achobum de Senis tunc priorem Chigi e. Anno do-
mini MCCCCIX (4) die prima mensis marcii prope XXII
(i) Si occupò largamente di questo codice R. Moilweide i» Wientr
Sludien XXVIII, 1906, 263-282. Egli gli attribuisce maggior importanza
di quello che non f.'urcssi io, che dalla critica tedesca fui allora rimpro-
verato d' attribuirgliene troppa.
(2) Cfr. Cicer., Tuscul. I 53, dove cita un p;is»o del suo Somn. Scip.
<3) Corretto da VII.
(4) Le cifre i'.l furono maltxioKamente raschiate.
t48 R. SABBADtNi.
horam ad laudem domini nostri ihesu christi cui est ho-
nor et gloria in se cui a seculorum amen.
f. 107 Explicit liber nonus. Decimus incipit de quo
solum istud capitulum reperitur. Varrò in ytalia —
f. no Cicer. De officiis — f. 148V Marci Tulii Ci-
ceronis liber offitiorum explicit. Ego J er onimus olim
Orata explevi inceptum opus. Dei due copisti, Gia-
como trascrisse dal f. i al 127 (Nichil ag-ere autem,
Cic. de off. II 4), Girolamo sino alla fine.
COD. Ambros. L 91 SUP. cart. sec. XV. Miscel-
laneo di varie mani.
f. I Rhetor. ad Heremi. — f. 6ov Iste liber Rethori-
corum M. T. C. est mei Ambr os ii de Cr iv e 1 1 is
emptus aBertola de Cu t i e is pretio f. II ultra
ligaturam et aminiaturam 1431.
f . 6 1 Jacobo Adurno viro magnifico Albertus Alpherius
de Albano salutem dicit et semper prosperos ad vota suc-
cessus. Quotiens vir magnifice —
Incipit prologus libri nuper editi ab Alberto Alpherio
gramaticae professore in civitate Caffensi qui Ogdoas
nuncupatur. Plato omnium —
f. 75 V Sallustio Jugurt.; f. 98 v Invettive tra Sallu-
stio e Cicerone; f. 109 i Sinonimi ps. ciceroniani: Ab-
ditum opertum obscurum — ; f. 127 Leonardo Bruni
De militia; f. 137 Cicer. De officiis lib. I e II 1-66; f.
1 8 1 Cicer. post reditum ad pop. Quod precatus a Jove — ;
f. 189V Cicer. prò Marcello, mutila.
CoD. Ambros. H 137 inf. membr. sec. XV; f. i
(di guardia, di mano del sec. XV) Liber iste emptus
per me Lu e am de Z o a Ho.
I. — CICERONE. 149
f. 3 Cicer. De offici is f. f^t^w Marci Tullii Ciceronis
liber tertius et ultimus explicit. Manu mei J o h annis
de Terrutio quondam Steff ani die XVIII marcii
in Chyo.
f. 57 Cicer. De aìuicitia, f. 71V De senectute.
COD. Ambros. M 78 SUP. membr. sec. XV.
Contiene il solo De officiis; f. 120 Nicolaus Ma-
mei in US scripsit 1439.
f. I22V 14"] 4- M. Tuia Ciceronis de officiis liber mei
y a e o hi A n dr e e C e nni s de Nordolis civis et
notarii bononiensis.
Mar. Tuia Ciceronis de officiis liber mei Pauli
quondam ser Jacobi Andree Cennis de Nordolis
civis et notarii bononiensis. I^Oj die XI aprelis.
CoD. Ambros. D i sup. cart. sec. XV.
f. I Cicer. De officiis — f. 69 Hoc officiorum opus
transcripsit Antonius de G r at ap alii s .
\. 70 Sallustio Catiì., f. 94 Jugìirt. — f. 131 Divina
favente clementia 1453 die XX novembris lugurtae
necnan Salustii opus per me presbyterum Anthonium
Gratapaliam transcriptum est.
f. 132 Cicer. De senectute — f. 152V Hic liber de se-
nectute expletus est per me Anthonium de Gr a-
t a p alii 5 in terciarum die decimo mensis octobris an-
no MCCCCLXX dum essem in scolis magistri Lodo-
vica de Oppizonibus. Estque mei Anthonii
de Gr atapaliis in Castrono}° {-- Castronovato ?)
f. 156 Cicer. De amicitia — f. 182: 1469. lulii. Hoc
opus Tuia de amicitia expletum fuit per me Anton ium
i r a t ap al l i i s dum essem in scola ma/bistri
150 R. SABBADINI.
/. o (i o V ì e i de 0 p p i z o n i b u s de T a r d o n a,
f. 184 Cicer. Paradox a — f. 195: /^6p septembris die
023. Explitiimt Par adosa Stoycorum per me AntJio-
n i iim de G r at a p a l i i s .
COD. Ambros. C 229 INF. membr. sec. XV. Fu
dell' Arcivescovo milanese Francesco Pizolpasso (m.
1443)-
f. IV lucipiuut capitula primi libri de officiis S. Am-
brosii Archiepiscopi inediolaiiensis.
f. 65 Rubrica libri officiorum M. T. Ciceronis.
f. 67 V M. Tuia Ciceronis de offitiis liber primiis in-
cipit.
f. 1 1 9V M. T. Ciceronis Tusciilanarum quaestionum
liber incipit.
f. 186 Marci Tullii Ciceronis ad Brutiim paradoxa
incipiunt feliciter.
f. 192 Afarci Tuia Ciceronis de senectute liber incipit
feliciter.
f. 204 M. T. Ciceronis de amicitia liber incipit feliciter.
f. 217 Versus duodecim sapientum... Hic iacet Arpinas
manibus tumulatus amici — f. 218 Hic plus sole micat
cruciatus propter honestum.
CoD. Ambros. A 37 inf. membr. sec. XV; f. i
(di guardia, di mano del sec. XV) Iste liber est conven-
tus fratrum sancte Marie Coronate Mediolani observan-
tium sancii Augustùti congregationis Lombardie. De nu-
mero.
f. 3 Cicer. De officiis, f. 64 De senectute, ì. 78V De
amicitia, f. 96 Paradoxa.
CoD. Ambros. O 157 sup. membr. sec. XV; f. i
I. — CICERONE. 151
(di gfuardia) Iste liber Ttilii Ciceroitis de offitiis est la-
cobi Malumóre qui mutuo illum dedit Magistro
Bario! omeo Ver ortensi die X** ianuarii anni 14^1*
Contiene il solo De officiis,
COD. Ambros. L 83 SUP. membr. sec. XV; f. i
(di gfuardia, di mano del sec. XV) Iste liber est mona-
sterii sancte Marie Coi'onate Mediolani siti in porta Co-
mana foris (cambia mano) cbserrantium fratrum ere-
mitarum sanati Augustini coìigregationis Lombardie. De
numero; f. iv (di g-uardia, altra mano del sec. XV)
Martinus rhetoricus glosator. Questo Martino ha scritto
numerose jt^losse fmo al f. 16, poi più raramente.
f. I Rhetorica ad Herenn.; f. 76 Cicerone Paradoxa^
f. 87 V De ami citi a, f. 1 1 1 De officiis, f. 196 Somnium
Scipionis, f. 20 IV De fato, f. 214 De senectute.
CoD. Ambros. E 67 sup. membr. sec. XV.
f. I Cicerone De officiis — f. 31V Traductus ab e-
xemplari insignis orai or is d. Gu u n i f o rt i Barzizii
e te. per me Bar tholomeuni ■ '^ de V ice co-
mi tibus clericum etc. ac litterarum apostolicarum ab-
breviai or em etc. die sabbati; f. 24 v Incidunt saepe mul-
tae causae quae conturbant Kde off. Ili 40), nota mar-
^''in.ile: Si cut ali quid tempore videtur utile cum non sii
'il aliquid videatur esse turpe cum non sit tem-
pore. Guin ifo rtu s
f. 32 Cicer. De amia ini.
CoD. Ambros. Y 63 srr. mombr. sec. XV.
icerone De officiis., ì)e senectute, f . 114
De amicitia, f. \ ]' > Somnium Sctpionis, f, 145V Para-'
doxa.
152 ft. SABBADINI.
f. 111-113 Epigrammi umanistici.
COD. Ambros. e 15 INF. membr. sec. XIV. A due
colonne, eleg-antissimo. Fu di Francesco Cicereio (Ciceri).
Contiene le seguenti opere di Cicerone: f. i De of-
ficiis; f. 32 TuscuL; f. 73 De nat. deor.; f. io2v De es-
sentia mundi (Timaeus); f. io6v De senect.; f. 113V De
amie; f. 12 iv De divinat.; f. 144 De fato; f. 147V De
legibus; f. 162 De finibus — f. 198 Marci Tulii dee-
ronis de fviibus bonorum et malorum liber quintus et
ultimus explicit. — Marcus de Rapii anelli s scripsit.
Del codice e del copista s' è discorso sopra, p. 93-96.
f. 31V Domini Bartholomei Cascioti epitoma supra
Tusculanas questiones: Despicit hic p r i m u s mortem:
perfertque dolorem Inde secundus agens: animos
et t e r t i u s aegros Mitigati et quartus morbos
effulminat omnes: Efficit at (i) quintus sola virtute
beatos.
CoD. Ambros. T 105 sup. sec. XV, parte membr.
parte cart.
f. I Cicerone De amicit., f. 27 De officiis.
CoD. Ambros. F 38 sup. cart. sec. XV.
Contiene il solo De officiis.
CoD. Ambros. Q 78 sup. cart. sec. XV.
Contiene il solo De officiis.
CoD. Ambros. R 5 sup. membr. sec. XV.
Contiene il solo De officiis.
CoD. Ambros. S 25 sup. membr. sec. XV.
Contiene il solo De officiis, che finisce al f. 107V
con le parole: erunt recipiendi (III 121).
(i) Corr. da tit.
I. — CICERONE. 153
CoD. A^rBROS. C 76 sup. membr. sec. XV.
Contiene solo il De officiis ~ f. 44V Explicit liber
Tullii de officiis. J o a n n i s de L a n t e r i i s. Al
f. I c'è lo stemma del Lantieri con le iniziali del no-
me IO.
COD. Ambros. Q 86 SUP. membr. sec. XV.
f. IV /;/ libro Hestcr.
Rex tnaximus Artaxerses ab India usque Ethyopiam
ctpitum viginti septem provintiarum prijicipibus et ducibus
qui eius imperio stibiacent salutem plurimam dicit. Cum
plurimis gentibus impararem (sic).
Seguono cinque opere filosofiche di Cicerone, inte-
gre, eccetto il De officiis, di cui mancano i primi §§:
Il — 3 iudicium utrumque. I fogli furono turbati e
le iniziali miniate manomesse.
f. 6-7. 5. 8-47V. 3. 48-108 De officiis.
f. 136V-161V. 4 De seftectute.
f. 4. 162-173V Paradox a.
f. 109-136 De amicitia.
\. 173V-180 Somnium Scipioiiis.
Ai codici Ambrosiani ne aggiungiamo uno di Brera.
CoD. Braidense AF IX 65 cart. sec. XV.
Contiene Cicerone De officii; De amicitia; De sene-
ctute; Paradoxa; Somnium Scipionis, e i Synonyma ps.
ciceroniani.
f. 144 (ps. Catilinaria) Non est amplius tempus ocii
P. C. — .
f. 145V (la risposta) 511 subtiliter a cin umvit-intìbus — .
f. 158 i Dittonghi di Guarino.
154 K- SABBADINI.
Com'è noto, i codici del De officiis vanno tutti d'ac-
cordo in certe interpolazioni, in certe trasposizioni,
in certi errori; donde si deduce con sicurezza che essi
risalgono a un unico e comune archetipo, il quale do-
veva essere costituito sin dal sec. Ili dell'era volgare,
poiché già in Lattanzio Inst. div. VI 6, 26 comparisce
l'interpolazione aut Aristides {De off. Ili 16). Ma la
tradizione di quell'archetipo si divise in due correnti,
l'una chiamata X, l'altra Z.
I codici finora conosciuti della classe X sono: il co-
dice Harleian (del Museo Britannico) 2716, sec. IX-X
(= Z), mutilo, identificato col Graevianus I; il cod.
Vatic. Palatino 153 1, sec. XIII-XIV (= /); il codice
Bernensis 104 sec. XIII (= e). Si aggiunga V Augu-
stanus deU' Anemoecius, ora perduto (1).
Assai più numerosi sono i codici della classe Z. Tra
i più antichi vanno ricordati due frammenti parigini:
cod. Parig. lat. 6347, sec. VIII-IX, con un solo qua-
derno (II 72-III 1 1) (2); cod. Parig. lat. 10403, sec. IX-X,
con due soli fogli (I 133-140; II 19-25) (3). Seguono
in ordine di tempo: il Voss. di Leida Q 71, sec. IX-X
(-- V), il Parig. lat. 6601, sec. IX-X (= P) (4), il Ber-
(i) Cfr. E. Popp, De Cicer. de off. librorum cod. Berti. 104, Diss.
Erlangae 1883; Id. De Cicer. de off', librorum cod. Paint. 1531. Progr.
Erlangen 1886.
(2) E. Chatelain in Revue de philo logie V, 188 1, 135-136.
(3) I. Klein in Rheinisch. Mus. XXII, 1867, 429-432.
(4) E. Popp, De Cicer. de off', librorum cod. Voss. Q 7/ el Paris.
6601. Progr. Hof 1893.
f. — CICERONE. 155
nens. 391, sec. IX-X (= b),. il Bamberg. M. v. i, sec.
X (= B), rHerbipolitanus (Wiirzburg-) Mp. f. I, sec. X;
il Bern. 514, sec. X (= a), l'Ambrosiano C 29 inf.
sec. X-XI (== A), il Harleian 2682, sec. XI (coi due
soli primi libri) (i), il Bamberg. M. v. 2, sec. XII (= [3),
il Berolin. lat. fol. 252 sec. XII (= E) (2).
Tutti questi codici possono riguardarsi in maggior
o minor misura come rappresentanti puri della classe
Z, air infuori di a, che è da collocare tra gli impuri,
perchè largamente inquinato da interpolazioni. Su A
regna invece molta incertezza, sembrando ad alcuni
che sia copiato da b, ad altri che tanto A quanto b
derivino dal medesimo esemplare (3) e inclinando fi-
nalmente taluno a tener A in gran conto (4). Affinchè i
critici abbiano migliori elementi di giudizio, recherò la
collazione di A nel Hb. I, non pero integralmente, bensì
solo in quelle lezioni nelle quali la mano del copista
fu rorretta sia da lui stesso sia posteriormente da altri.
I I alter // ò (corr. in altera A 2); discendum X Z, ma in ./ 1* s
pare ritoccato. — 2 vindicare corr. in vendicare A. — 3 fere se] se om.
Ab {fifter^ Iheopharasti corr. in Theophrasti A. — 4 illis]
priits i ex cotr. A. — 5. philosophorum] so suferscr. A; iudicans aut
corr. ex iudicans au A. — 6 penDritlitironiin rorr. i?t peripatheticoriun
i' ( fr. Phitologus LIV, 1895, 17/.
^7) Su alcuni di questi codici in generale, vedi rediiionc del De of-
ficiis, curata da T. Schiche, Lipsiac, Freytag 1885.
(3) l'opp, De Licer, de off. lihr. cod. \'oss. Q // et Paris, 660/ , 24.
(4) R. Mollweide in Wiener Studien XXVII, 1905, 36, dove biso-
gna rettificare qu.ilcbe inesattezza: p. 44: .1 in I 77 legge lingue in
r.-u.ura; p. 60: A in ITI i i ^ l'^k'ijc neiliu.t in ra.snr.i; |)rin)a era ««critto
/.tn.nt
156 R. SABBADINI.
A; phyrronis corr. in phyrrhonis A; dilectum A b (delectum Al). —
7 quibus in] in om. A b {add. A 2); omnis partis A b (omnes partes
A 2); modi sunt] sunt om. A b (add. A 2). — 8 catorthuma corr. in
catorthoma A. — 9 iucunditatemque corr. in ioc — . A; cum enim utilitas]
utilitatis A ò (utilitas A 2). — io honestius] post, s ex corr. A. — 11
procreata sunt A, procreata sint b. — 12 vi] ut ^ ^ (vi A 2); conciliet
A b; orationis ex rationis corr. A; obiri corr. in obediri A; coniugi ex
coniungi A. — 14 animai pulchritudinem] ex an- pulcrit- corr. A. — 15
reluti corr. in velut A; atque ex utque corr. A. — 16 quisque super scr.
A. — 17 res] s superscr. A; sibi ex suis corr. A; in iis A b; tt \\\\ or-
dinem A. — 18 hisque A; temere ex timere corr. A. — 19 gerendis]
agendis A b (gerendis in marg. A); intermissione A b (intermissio ^4 2);
agitatione in agitatio corr. A; cogitationis Z X{etiam A); cogitacionisque
A b (cognicionisque A 2). — 21 e quo si quis b, e (?) quo si quis A,
e (in ras.) quo plus si quis A 2. — 22 nati solum corr. in solum nati
A; vindicat corr. in vendicat A; accipendo corr. in accipiendo A; de-
vincere A b (devincire A 2). — 23 imitare A b (imitari A 2); facit in
quempiam corr. in in quempiam facit A. — 24 ecupiverunt (= est cu-
pivcrunt) corr. in ecupiverunt A. — 26 autem superscr. A; principatum
ex principitum corr. A; maxumis {poster, m ex corr.) A. — 28 deseren-
dique (s ex corr.) A (deferendique a)', aut superscr. b; inimictias corr.
in iniraicitias A; desertos esse] esse superscr. A. — 29 quando A b (quo-
niam superscr. A), quoniam e. — cui quod A b (cui quidem A 2); an-
tepone A b (anteponere A 2). — 33 et nimis] et superscr. A; fabium]
f ex corr. A; finis A b (fines A 2). — 35 chorintum corr. in chorinthum
A. — 36 imperator ex corr. (ator superscr.) A; legionem ex legioriem
A. — 37 proelium b, prelium A; lenitate ex lenitatem corr. A; mitiga-
tam (?) in mitigante corr. A; indicant corr. in indicant hoc A (indicant
hoc pY, quid ex qui corr. A. — 38 omnino ex omni corr. A; cum ||||
inimicis A; reddendis |||| illa A; erat A b (hera A 2)\ ferat ex ioxaX. corr.
A; virtute ex corr. A; quorumve A b (quorum A 2); virtute A (?) b (virtuti
A 2). — 39 bello punico A. — 41 autem A (aut A 2), aut b; aut ex ut corr.
A; fraus ex fraus corr. A. — 42 obsit ex corr. A; ipsis quibus ex qui-
bus ipsis corr. A; quam]quem b, quod ex corr. A; officio ex offio corr.
A. — 44 suppeditari corr. in subp- A. — 45 benificientia corr. in benef-
1. — CICERONE. 157
/; dilectus A b (delectus A 2); ante ex ame corr. A; ut siiperscr. A;
habebunt] fost. b ex corr. A. — 46 hac] in ac corr. A a, ac e; virtutes
'X virtutis corr. A; potius A, super scr. b. — 47 non super scr. A; ut
ion] t no ex corr. A. — 48 provocati] prò ex corr. A; liberalitatis ex\\-
bertatis corr. A; non licet] non ex corr. A. — 49 dilectus b, delectui
ex corr. A 2 (delectus e) ; qui in maximo b, quin maximo A {rv ra ex
corr.y, spectant A b (spernant in marg. b, aliter spernant in marg. A,
dein corr. in sperant). — 50 quod super scr. A. — 51 ac ex corr. (?)
. /; ut que] ex corr. ut A ; comiter corr. in corniti A; nichil hominus
corr. in nichil ominus A. — 53 proprior A b (propior A 2); coUatio A
b (colligatio A 2). — 54 natura corr. in nature A; sequntur corr. in se-
quuntur A; tamquam .-/, ex quasi corr. 3; sanguis ^ ^ (sanguinis Al). —
56 aequa A b (aeque A 2); ac ex at A; pythagoras ex pytag- A. — 57
detestabilior ex detestatilior (?) corr. A; istorum corr. in historum A. —
58 proximi A, proxumi b; vitam A b (vita ./ 2). — 59 quam aut] t
super scr. A; vicinum] ic ex corr. A; ducendoque A b (demendoque A
2 e). — 61 salmacida corr. in salmaci da A; et b, super scr. A; marta-
thone A b {post, a ex corr. A); platheis A b; thermophilis Ab. — 62
proba A b (probe A 2). — 64 ut quisque] ut super scr. A; excellet b^
ex III cellet A. — 66 perturbationi ex -ne corr. A; cum vite A b (tuni
rite A 2). — 67 posteriore est Causa corr. in posteriore Causa -<4; ver-
sant (?) corr. in versatur ^; est A (s ed dein del.), super scr. b. — 68 enim
est A, est super scr. b; si non ./, si // 2; si habeas om. A; liberalita-
triii.ju- ^.i libcrtat- corr. A. — 69 affert cum A, affert tum A 2 e; in
a^jris iiMiiiiulli A. — 70 ne cui] e superscr. A; libertate ex -ti corr. A;
fructuo.si<;r ex fructuosorum corr. A; gerendas] da ex corr. A. — 71 ex-
cellentij cn superscr. A; nulla sit] sit add. A 2. — 72 his in ras. A;
abiecta] abiec in ras. A: philosophis ex philophis ./. — 73 efficicndi A,
efficicnda A 2 p; considcret ex -rat A. — 74 id in] in superscr. //; eaque
A {He.) — 75 iolu«trìu8 corr. in ili- A; servantur ex servartur corr.
A; in qaolOipse A; adiutum superscr. A. — 76 imperium ^^ inp- corr.
./; lacedacmonii.s putatur A b (lac- dilatatum putatur <-/ 2, dilatatum lac-
putatur L i e)\ liburgi corr. in ligurgi A, ligurgi b; causas ipsas corr.
tn i- e- j1. — 77 laudi corr. in lingue A; otium corr. in odium A. —
79 inlata eorr. in ili- A. — 81 precipere corr. in pcrcipcrc A (perci-
pere e); Dee quid committere A (nec committere ^ ?). — 82 roagnia viri»
Ì$H R. SABBADlNi.
A, magni viri A 2 />. — 84 peloponnesiaco ex peloponnes iaco A; sed
fugere - non posse in marg. A; quam A b (per quain ./ 2); cleombro-
tus in -tis corr. J; quantoque maximus A <^ (quantoquc (J. maximus A 2);
cunctando ex cuntando corr. A. — 85 perniciosissimam ex perniciossimam
corr. A. — 86 in nostra ex corr. A. — 88 animadversio ex animi ad-
versio corr. A; puniet ó, ueniet corr. in punit A (punit a). — 89 autemj
a ex corr. A; datam siiperscr. A. — 90 etfrcnatos A b (effr- A 2). --
91 parata sit A b (parata sint A 2Ì; liberalitati ex -te corr. A. — 94
et|I|ratione A', delirare corr. ex deiurare (?) A. — 95 pulchritudoj h
super scr. A. — 96 discriptio A h (descriptio A 2); quoddam] dam su-
per scr. A; alludili buie A; consentaneum ex conset- A; liberali ex corr.
A. — 97 decore A b (decoro A 2); at ||| atreo (r superscr.) A; reliqua-
rum A B b (reliquorum A 2 B 2 e). — 98 quibus cum vi vivilur b, qui-
bus cum vi (vi superscr.) invitur A. — 99 perspicitur corr. ex perci-
pitur (?) A. — lOi fugiendumque b, fugiendum ;que add.) A. — 104
remisso ex remissio corr. A. — 106 valetudinem ex valit- corr. A. —
109 fraudis ex fraudes corr. A; si quidvis /;, quic quid vis (quic in ras.)
A, qui quidvis L e; perpecianturj peci ex corr. A. — 110 studia {corr.
in studii b) nostri regula A b (studia nostra regula A 2 a). — 112 for-
sitan III vitio A. — 113 sui habeat corr. in habeat sui A; eaque ex ea reve
A; est ex corr. A. — 114 memini ex nemini corr. A; aesopus corr. in
aesophus A; erit corr. in erunt A. — 115 nobilitatem corr. m nobilita-
tes A; divitias corr. in divitiae A. — 116 f. corr. in filius A; maxime
in to A b. — 118 satu ex statu (?) corr. A; viam ex corr. A. — 119 ra-
rum ex rerum corr. A) re ornata A b (re ornati A 2 e); vite cursum
sequi vellent ex s- vellent v- e- corr. A. — 120 quoniam ex corr. A
quo b; inmortali] inmo ex corr. A; institutorumque ex institutumque coi'r.
A; censeant corr. in censent A^ censant corr. in censeant b; precidere]
cid ex corr. A. — 121 vitia sint imitanda A b 2 (vitias i nti manda <5 i);
et ante impium] Ì7t ras A, sed b. — 122 quoniam] quo A b (quia A 2);
probatissimos ex probant- corr. A; iucunditati] iucun ex corr. A; nolint
A b (velint A 2, volent e). — 123 autem etiam] etiam superscr. A; li-
bidinum ex lubid- (?) corr. A. — 124 peregrinorum] in ex corr. A. —
126 difficilibus] difficilius (us ex corr. A) A e; est sed A (dein est del.)',
videatur A B b (videtur A 2 B 2). — 127 omnes] s ex corr. A; turpe
non turpe est A B b (non turpe est A 2 B 2). — 128 abhorret ex abor-
I. - CICERONE. 159
ret corr. A. — 129 habet ex (x in ras.) vetere (j«/^rj<:r.) disciplina A
— 130 est munditia est corr. in rnunditia est A. — 131 fiant ex corr.
A. — 132 quae] quoniam A b (quae A 2 e). — 133 a natura omnino
corr. in o- a n- A\ facetiis corr. ex factiis A. — 139 omanda {prius n
ex corr.) enim est (est mperscr.) dignitas A. — 142 continentur ea Z
X, continetur in ea A 2; ut modestia super scr. A. — 150 cetari A b
(cetarii A 2); quoqui A b\ fa|||rtores A\ unguentarios ex ug- corr. A;
talarium ex talianim corr. A. — 152 exposituni bis, dein corr. A. — 153
vita .mperscr. J; greci (i superscr.) phronesim A {in f/iarg. phronesis);
humanarum corr. ex hunarum A; inchoata ex incoata corr. A. — 154
perspicienda ex consp- (?) corr. A. — 157 agendi|||congregandique (grega
in ras ?) A. — 158 quae om. A b (.ntperscr. A 2); natura|||||||| deside-
raret A\ vellet ex corr. (?) ^. — 160 officiorum] rum f7</</. A 2 (?); excel-
lere J, excellere videatur A 2; debeantur] a ex corr. A. — 101 Explicit
liber primus Ciceronis de ofGciis. Incipit liber secundus feliciter A, otti.
in la e. b.
Cresciute in tal modo notevolmente le coincidenze
tra A e ò \n lezioni che sono peculiari a essi due, par-
rebbe cresciuta di molto anche la probabilità che l'uno
sia copiato dall' altro, anziché entrambi dal medesimo
esemplare. Ne vi si opporrebbero ragioni di tempo,
perchè A è posteriore forse di un secolo, né ragioni
di luogo, perché parimente A proviene da paesi d'ol-
tr' Alpe. E potremmo inoltre ritenere che A fosse stato
copiato da ò dopoché questo era stato corretto; infatti
coincidono A e àz in alcune lezioni : 46 potius; 49 sper-
nant; 54 tamquam; 67 est; 68 enim est; 121 vitia sint
imitanda. Rimangono però differenze: 11 procreata
sunt A, prò- sint ò; 18 hisque A, iisque ó; 58 proximi
//, proxumi ò: 82 nec quid committere A, nec com-
mittere ó; 88 ueniet A, puniet ò. Chi esaminerà meglio
^» giungerà forse a conclusioni sicure.
iéo R. SABBADII^f.
Nelle correzioni dì A 2 ravvisiamo alcune conget-
ture: 77 lingue (desunta da Quintiliano /nst. or. XI i,
24); ib. odium; 84 quantoque Q.; 142 continetur in ea;
160 excellere videatur.
Ma più interessanti sono i contatti 6\ A 2 coi codici
della classe X. Con p: 37 indicant hoc; 73 efficienda;
con L e: 62 probe; 109 qui quidvis; con ^; 29 quoniam;
46 ac; 49 delectus; 59 demendoque; 69 affert tum; 76
dilatatum; 81 percipere; 97 reliquorum; 119 re ornati;
132 quae.
Tali accordi con lezioni della classe Xìn testi della
classe Z rimontano a tempo anteriore, poiché già li
osserviamo negli estratti di prete Hadoardus conser-
vati nel cod. Vatic. Regin. 1762 del sec. IX (i). Il
codice di Hadoardus = K appartiene indubbiamente
alla classe Z, ma mostra i seguenti contatti con la
classe X: I 29 quoniam K e, quando Z; 121 impium
K L p, vitium Z e; 126 turpem K L e, formam Z; 128
nominibus ac K X, om. Z; 155 caritatem K X, utilita-
tem Z; 157 cogitandique K X, congregandique Z; II
5 expetunt K X, expetant H, expectant B b; 66 toga
K X, tota Z.
**♦
Non è senza utilità accompagnare ancora un poco
le coincidenze tra X e i rappresentanti impuri di Z,
al quale scopo riporterò una scelta di lezioni dei co-
dici milanesi, che a eccezione di A sono tutti discen-
denti impuri della classe Z; e a essi aggiungerò tre
delle più antiche edizioni, parimente di origine impura:
(i) P. Schwenke in Philologus Supplmb. V, 1889, 399; 561-571.
I. — CiCERONE. l6l
la Maguntina del 1465 (in Ambrosiana ^52 sup.), la
Romana del 1469 e la Milanese del 1476 (i).
I 75 vere se adiutum Themistoclem Z, vere adiuvit
Themistoclem X, M y8; I 97 sed ut tum Z, sed tum
Xy M y8; II 69 gratiam autem et qui retulerit habere
X (2), om. Z, gratiam autem et qui reddiderit (reddidit)
habere F 42, H 140, M /8, Q 86; III 113 iuratos ad
senatum in castra Z, iuratos ad senatum misit Hanni-
bal se in castra f, iuratos ad senatum missos in castra
Py iuratos ad senatum misit Hannibal in castra M ^8y
Q 86, iuratos missos ad senatum in castra F 42.
Quest'ultimo passo mostra che i codici puri della
classe Z omettono concordemente alcune parole, le
quali hirono dai codici della classe X sostituite non
concordemente, perchè uno ha misit Hannibal se, un
altro missos: la classe X perciò le ha desunte non per
via diplomatica, ma per via congetturale. E per con-
gettura possiamo credere che i codici impuri della
classe Z abbiano trovato le sostituzioni misit Hannibal
e missos, anziché le abbiano tratte dalla classe X. Cosi
in I 115, dove X Z leggono nobilitatemi alcuni codici
impuri della classe Z, p. e. F 42 e M 78, hanno emen-
dato congetturalmente nobilitatesi in III 114 Z legge
( I ) Lo stesso valga per altri codici impuri della classe Z, per es. uno
Nizzardo del sec. XH (C. Beldame in Kevut de pkilologieV, 1881, 85-
IDI); uno Mantovano e otto Veneziani del sec. XV (A. Gncsotto in
Atti e memcrie dilla r. Accademia di sciente . . . in Padcr'a XV^III,
1902, diup. m e IV; e XX, 1904, disp. Ili e IV).
(2) Cfr. Ciccr. /. Piane. 68 gratiam autem et qui rcfcii haori n ijui
babet in eo ipM> quo<i hahct rcfert (citato anche da Gellio I 4, 3).
ft. lABBADUfl, Tati latinu 11.
l6i R. SABBÀDINT.
abarscnte, ma e e i codici impuri della classe Z, come
M 78, Q 86, hanno corretto a Varrone [et Varrone Q
86); in I i X Z danno ad discendum, ma molti codici
impuri di Z, quali A 37, O 157, L 83, E 67, F 38,
F 63 e le edizioni del 1469 e del 1476, hanno emen-
dato ad dicendum. In II 4 X reca molestias, Z lo omette;
il codice impuro Q 86 della classe Z dà molestias: ma
non è necessario pensare che l'abbia desunto da X,
perchè cosi esso come X lo possono aver veduto in
Nonio Marcello, alla guisa stessa che Hadoardus o il
suo antigrafo trasse due lezioni da Lattanzio; II 6 si
oblectatio K^ Lact. (III 13), sive oblectatio X Z; ib,^\
vero ratio K, Lact., sive ratio X Z. Il quale Hadoardus
offre dall'altra parte emendamenti ch'egli o ha comuni
con altri codici: I 62 enim K e, om. relL; 63 et K e,
om. relL; 132 quae K e, quoniam relL; o che compari-
scono per la prima volta presso di lui: 151 legibus
K, e quibus X Z; 139 fit K, sit Z, est L.
In n I X presenta tum ex utilibus quid utilius aut
quid maxime utile, parole omesse da Z; ma buona parte
dei rappresentanti impuri di Z hanno ivi: tum ex utilibus
quid utilius aut quid maxime utile, p. e. D 69, F 63, M
78, E 15, Q 86 (T 105 la 2 ' mano); tum ex utilibus quid
utilius aut quid maxime inutile C 2 2g, 2* mano; tum quid
utilius quid maxime utile cod.Braìdense, 2* mano; aut ex
duobus utilibus quid utilius aut quid maxime utile Q 76.
Anche qui la varietà dei supplementi ci avverte che
i codici impuri della classe Z li hanno trovati da se,
come da se li hanno trovati i codici della classe X;
che se ammettessimo una filtrazione diretta della classe
I. — CICEiONK. 163
X in Z, non sapremmo come spiegare che tante altre
lacune nella classe Z non siano state colmate.
C è poi un luogo il quale pone mirabilmente in
chiaro il procedimento tenuto tanto da X quanto dai
codici impuri di Z nel colmare le lacune: in II 89 X
legge quid tertium ? male pascere; Z omette il passo;
i codici impuri della classe Z, a cominciare dal sec. XH
per la maggior parte, e tutti quelli del sec. XIV e XV
a me noti e le edizioni che ne discendono, recano :
quid tertium? bene vestire. Senza dubbio la lezione di
X è la vera, perchè essa è confermata da Columella
VI praef. § 5: ma appunto questo ci ammonisce che
da Columella la ha desunta X ; dovechè Z è rimasta
con la lacuna, e i codici impuri di Z sono ricorsi a
una congettura mal riuscita.
Da ciò vorrei conchiudere che una vera tradizione
diplomatica è rappresentata solo dai codici puri della
classe Z, i quali vanno tra loro sostanzialmente d'ac-
cordo; r accordo invece è assai minore tra i codici
della classe X, i quali rimontano anch' essi a un ar-
chetipo comune, ma senza riprodurlo scrupolosamente
e oltreché i singoli individui aumentano il patrimonio
delle interpolazioni, siamo indotti a ritenere che le le-
zioni peculiari di X e comuni ai tre suoi rappresen-
tanti siano per buona parte non tanto nate da una
fonte diplomatica, quanto siano state o racimolate in
altri testi o trovate per congettura: il che non esclude
che in molti punti X abbia letto 1* archetipo meglio
di Z. In ogni modo la base del testo del De officiis
(i sembra deva essere Z, coi suoi codici puri; dove
104 K- "^ABBADlflt.
esso ci vien meno, ricorreremo o alle congetture dei
suoi codici impuri o alle lezioni e agli emendamenti
spesso felici di X o alle congetture di Hadoardus e
nostre.
***
Così scrivevo nel 1907, negando recisamente ogni
filtrazione di X nei codici impuri di Z. Ma mi devo
in parte ricredere, dopo letta la dissertazione di C.
Marchesi Un nuovo codice del de officiis di Cicerone (in
Memorie del r. Istit. Lomb. se. e leti. XXII, 191 1, 187-
212). Qui si dimostra inconfutabilmente che il Petrarca
possedeva nel suo esemplare (cod. di Troyes552) del
De off, una vera e propria edizione compilata su due
codici : r uno della classe X, l' altro della classe Z.
Questo ci obbliga ad ammettere una filtrazione ora più
ora meno larga, ora diretta ora indiretta, di X nei co-
dici impuri di Z (i).
I codici Trivulziani del de officiis C^).
Ai codici del De off. delle biblioteche pubbliche mi-
lanesi aggiungo i tre della biblioteca Trivulziana, pri-
vata: ma cosi signorilmente resa accessibile agli stu-
diosi dal Principe.
(i) Nei codici impuri della classe Z la filtrazione di X è d' ordinario
indiretta; nel testo del Petrarca invece è diretta, perchè ad es. vi si
legge intero il § I 40 dei codici X, che in nessuno dei codici impuri Z
si è finora trovato e che mai forse si troverà.
(*) Comparve la prima volta col titolo : / codici Trivtilziani del de
off. di Cicerojie, Milano 1908, p. 1-14.
I. — CICERONE. 165
Comincio dal descriverli brevemente.
Cod. Trivulziano 769 membr. sec. XT-XJI, tutto di
una mano. Iniziali miniate; la prima raffi g^ura un mae-
stro che fa lezione a uno scolare.
f. 1. M. T. Cicerofiis de officiis libey primus incipit.
Quamquam te marce || f. 44V monimentis preceptisque
letabere. M. T, Ciceranis de officiis liber explicit.
f. 44V (anepi^afo). Quoniam in hoc libro Herenni ||
f. 48V. Elegantia est que facit ut unum quodque pure
(Cornific. Ad Hemiìi. TV, 1-17. Il seguito manca per
caduta di fogli).
f. I di guardia, di mano del sec. XVI: Hic liber est
Alex a presbyteri Romani.
Cod. Trivulziano 661 membr. sec. XV, tutto di mano
di Girolamo Donato.
Sull'i ntemo del cartone anteriore, di mano del sec.
XV; Petti Archiepiscopi Cretensis.
f, 1 M. T. Ciceronis officiorum primus incipit. Quan-
quam te Marce || f. iiov monimentis preceptisque le-
tabere. M. T. Ciceronis officiorum liber tercius finii.
Compievi anno III pofitificatus Johannis pape XXIII
(=1412), XIIII kal. augtistas P. {i) Hieronimus Donatus
patricius. Rivoalti.
f. Ili M. Cicero Decio Bruto sa. d. Lamia uno om-
nium Il in petitione iuveris. Vale (Cicer. Ad fam., XI,
17 ^2).
ii guardia. Estratti da Cicerone Ad favi., I, 9,
• T ,. fi. \'....\., \i.. ...... 11... f p,,^.u, ,..,.. dicuntur
I' /. fu .imjituitM j)M jrriormfiitr imi .titm Mi< tin i irò.
i) Varianti: txtart invece di excilari; suadias invece à\ pirs%Mdtat.
l66 R. SABBADINI.
tolenarii qui portum obscidentes omnia sciscitarentur
ut ex eo vectigal accipiant. N. Marcellus (p. 24 M.):
Nolo enim eundem populum imperatorem et portito-
rem esse terrarum. Optimum autem et in privatis fa-
miliis et in re p. vectigal duco esse parsimoniam. M.
T. Cicero libro IIII de re p. >.
f. HIV (di mano diversa dal copista). Silvius Italus
de Cicerone. lUe super Gangem 1| sperare nepotun (Sii.
Ital., Vili, 408-411). I versi furono poi ripetuti da una
terza mano, che aggiunse qualche altra citazione antica.
Cod. Trivulziano 770 cart. sec. XV, tutto di mano
di Antonio da Busseto.
f. I (anepigrafo). Quamquam te Marce || f. 137 mo-
numentis preceptisque letabere. Amen. Marci Tulii Ci-
ceronis de offitiis liber explicit.
1432 die XX Villi lullii in palatio Laudensi finitus
est iste liber per Antonium de Busseto.
E ora reco una scelta di lezioni, che mi daranno
nuova occasione di esporre certi apprezzamenti sul te-
sto, del genere di quelli già da me manifestati nello
studio precedente.
Cod. 661 = D; cod. 769 = R; cod. Ilo ^ Q. Cic. De off., I, i
ad discendum Z X D Q, dicendum R.
I, 75 at ille vere se adiutum Themistoclem Z R, at ille vere adiuvit
Themistoclem X, at ille adiuvit Themistoclem Z>, at ille vere a se pre-
buit (aliter se dixit) adiutum Themistoclem Q.
I, 76 imperium Lacedaemoniis Z (L), imperium dilatatum Lacedae-
moniis e, imperium Lacedemoniis ( — monis Q) dilatatum R Q, impe-
rium Lacedemoniorum dilatatum D.
I, 77 laudi Z X R Q, linguae Z>.
I, 115 nobilitatem Z X D, nobilitas R, nobilitates Q.
I. — CICERONE. 167
n, I quid utile quid inutile de quibus Z R^ quid utile quid inutile
rum ex utilibus quid utilius aut quid maxime utile de quibus X D, quid
utile quid inutille sit tum ex utilibus utrum utilius de quibus Q.
II, 69 non habere et qui habeat Z Ry non habere gratiam autem et
qui retulerit habere et qui habeat X, non habere gratiam autem et qui
reddiderit habere (habeat aliter habere Q) et qui habeat D Q.
n, 89 bene pascere quid quartum Z, bene pascere quid tertium male
pascere quid quartum X, bene pascere quid tertium bene vestire quid
quartura R D Q.
in, 113 pugnam iuratos ad senatum in castra redituros ea quorum
erant titi Poeni nisi de Z, pugnam iuratos ad senatum raisit Hannibal
se in castra redituros ea quorum erant potiti Poeni nisi de e, pugnam
iuratos ad senatum missos in castra redituros ea quorum erant Peni nisi
de p Q, pugnam iuratos a senatu in castra redituros nisi de R, pugnam
iuratos ad senatum misit Hanibal in castra redituros (isit Hanibal in ca-
stra re trt ras.) nisi de D.
un 1 1 4 abarsone Z, ab arsone R Q, 2. Varrone e, a varone D.
Ripeto che i codici puri di Z vanno esenti da interpo-
lazioni; dovechè sono interpolati i codici dì X e gli im-
puri di Z. Questi ultimi poi non tanto hanno importanza
per la costituzione del testo, quanto per la storia della
fortuna di esso e soprattutto per mettere in gnardia
il critico incauto dalla seduzione di certe apparenze di
verità e di eleganza, sotto le quali si cela l' insidia
dell' interpolazione. Le lezioni che ho scelto dai Trivul-
ziani giovano a chiarire il mio pensiero.
Abbiamo in primo luogo alcune correzioni conget-
turali fatte al testo 6\ Z X dai codici impuri di Z. Così
ni 1. I tutti i codici leggono discetidum; \x\3i R ha sin
dal secolo XI XII giustamente emendato dicmdum, e-
mendamento che si attribuisce alle edizioni antiche. In
T \\<^ Z X danno nohi^itat.m, evidentemente erroneo;
l68 K. SABBADINI.
R corresse nobilitasi Q più esattamente nobilitates. A
laudi di Z X in I, 77 g ha sostituito la lezione linguae,
derivandola da altre fonti antiche (p. e. Quintil. XI
I, 24); la stessa sostituzione s'incontra già nella 2*
mano di A (cfr. sopra p. 160) rappresentante puro
della classe Z.
Vengono in secondo luogo le correzioni congettu-
rali di X e degli individui impuri di Z. In I, 76 ZX
omisero un participio, che non si può più ricuperare
con sicurezza; R D Q impuri ài Z e e della classe X
congetturarono dilatatum, ma quelli lo preposero a La-
cedaemofiiis, questo lo pospose; la presenza del parti-
cipio in R assegna la correzione almeno al secolo XI-
XII. Egualmente giudico di abarsone III, 114, che cioè
essa sia la lezione originaria di Z X, emendata a Var-
roiie in ^ e in D. La perdita della preposizione a in I,
75 ha dato luogo a congetture di JT e di Q D; ma la
discordanza nelle emendazioni ci ammonisce che ognu-
no le trovò da sé. La medesima discordanza fra gli
emendamenti di X e degli impuri di Z si nota in II,
i; III, 113.
Dei codici Trivulziani merita uno speciale riguardo
R, come il più antico rappresentante finora noto degli
individui impuri delia classe Z, onde reputo opportuno
collazionarne alcuni paragrafi.
R collazionato con Cicer. De off. ed. Th. Schiche,
Lipsiae 1885. I 150-161.
§ 150, p. 45, 8 inprobantur hii R\\\ opera R \ \2 actoramentum
^ I 14 vadant corr. in vendant R \ nichil R (et sic semper) \ 15 tur-
pius vanitate — versantur nec enim om. R j 17 he i? | 19 lanii ex corr.
I. — CICERONE. 169
recenti R \ 20 ungentarios R \% 151, 21 artibus ut prud — R \ 22 non
om. ^ I 23 aut doctrina R \ he sunt his R \ 24 maercatura ^ | 25 sin
copiosa et magna R \ 26 apportans R \ impertiens est R \ 33 illinc as-
sumes R \ % 152, 35 his.
§ 152, p. 46, 4 quatuor R \ 6 diligendo R \ § 153, 7 altiera sesse
{sic) nature R | io affluentibus R \ quamvis omnia ^ | 11 digna sunt
^1 13 ex vita ^ I 14 sophiam R \ iz^ phronesim R \ vocant R (dicunt
Z, om, X) I quamdam intelligimus /? | § 154, 26 reapse] re sua R (re
ipsa Z, re ab se vel ab ipsa re X) | hostendit R \ 29 ablatum R (obla-
tam X, allatum Z) | 30 relinquunt >^ I 31 denumerare R \% 155, 33
intelligitur R.
§ 155, p. 47, I debet esse antiquus R \ 2 illi ipsi om. R (illi ipsi
X, illi Z) i 4 erudierunt R \ 5 multas (?) corr. in multis, dein in multos
R j 6 tebanum epaminundam lisias pitagoreus siracusium R \ 7 quicquid
R \% 156, IO atque corr. in zi R \ Il monimentis ^ | 12 assecuntur
^ I 13 est ab his preterm- ^ | 15 omnium R \ suam prudentiam in-
telligentiamque R {b) \ \9> meliusque quam vel R \ 20 conplectitur R \
§ 157, 21 apum aexamina R \% 157, 24 congregandique R (Z) \ 28
iramanitas R | communitate R (p. Gomitate Z L e) \ % 158, 31 quae
om. ^ I 32 aliis que efficere R \ istam R {Z) \
§ 158, p. 48, 7 tu dicere R \% 159, io quam maxime A' | 1 1 etiam]
et R \ 12 quedam ita feda {om. partim) R \ i^ quidam] quid -^ | 14
possidonius R \ 16 hec R (Z) \% 160, 20 diligendis R \ id genus] ut
gcnus R {ò, hoc genus Z p e) \ 21 excelleat R \ 22 considerata actio R
(X) I 24 actenus R \ est enim locus ipse ^^ i 29 commutacione /? | 27
inteUigi R \ diis A» | § 161, 31 an <w/. /? | 32 sit om. R.
Le lezioni § 151 impertims est, 153 vocant, 154 re
sua sono interpolate. Sin dove possa arrivare T inter-
polazione, è manifesto in ut excelleat § 160, a cui ac-
costeremo ut excellcre videatur della 2* mano dì A (cfr.
sopra p. 160). Aòlatum § 154 tramezza tra allatum di
Z e oblatum di X. Con communitate 157 e considerata
actio 160 R abbandona Z e passa dalla parte di X.
I/o R. SABBADINI.
In fine qualche collazione anche della Rhetor. ad He-
remi, contenuta in R.
R collazionato con la Rhetor. ad Heren., ed. F. Marx,
Lipsiae, 1894.
IV 1-3, p. 288, 4 re om. R \ 6 necessitudine nos R (bl) \ 7 nichil
R (et sic semper) \ io intelliges R (et sic semper) | 11 quod A' | 12 cum
compluribus /? | 13 opporteat ^ ] 14 oratore ex oratione corr. R \ pro-
batio R I
p. 289, I hostentare R \ 2 artem ostendere R {b l) \ 3 ut om. R (b)
I 4 contempnere R \ videatur R (H), corr. in videamur | 6 arroganti a
/? I et ad sua A' | 7 obtinent R \ 8 ammonuerit A' (b) j iecerit A' (le-
gerit d) \ IO domesticis pugnet exemplis et sui ipsius testimonio abuta-
tur. ut enim test- R ' 1 1 conformande A? | 1 2 opportet ^^ 1 1 5 ante po-
nant R \ l^ sunt i? | 19 dicere] dare R \ quare illos sibi A* (d) \ 20
quid igitur R (b d l) \ non] nam R [b d l) \ 22 cupitates R \
p. 290, 3 rerum R | 4 poematibus R (b d l) \ y tamen] tum R \ 8
effugissemus R \ artificio summo R \ 9 Quis enim nisi cum summe te-
net artem possit R \ 12 aut] atque R | orationes R \ nec ^ (/5 /) | 13
comoti ^1 15 his i^ I 16 scribenda maxime R \ 19 in parte suam R.
Il cod. R ha la maggior affinità con od/, che sono
gli expleti del Marx, con questo vantaggio, che li su-
pera per età. Alcuni suoi errori sono sviste materiali
di copiatura; ma le due notevoli lezioni p. 289, io; 290,
9 sono interpolate.
***
Dalla classicità passiamo all'umanismo, per il quale
forniscono buona materia due dei nostri codici.
Intanto trascrivo dai fogli di guardia del 669 questi
epigrammi di mano del secolo XV.
f. IV di guardia. De mutatione Niobes in inarmor.
I. — CICERONE. 171
Stillai adhuc lacrimas Niobe mutata madenti
Marmore, natonim funere maestà parens.
Ipse tuis septem fixisti Phoebe sagittis
Et totidem telis saeva Diana tuis.
Ille mares septem mactavit, diva puellas;
Invidia, raatris ultor uterque fuit.
Dt mediocritate vitae. Epigramma Porcellii vatis ad Poti, (Sisto IV)
Scire volunt ex me quae sit mihi sola voluptas
Quidve petam praeter cetera scire volunt.
Non mihi pauperiem Codri, non plurima posco
Regna Cyri nec quas Crassus (i) havebat (2) opes.
Tutius ut modico percurrimus acquerà ponto,
Quandoquidem classi nulla procella nocet.
Sic utinam medio fragilis (3) fortuna favore
Me regat: in medio vita beata mea est.
Nara (4) ncque divitiis cedam nec honoribus ulli (5)
Si mihi sit virtus et pia musa comes.
De homine nano.
Aspice quale virum seruit genus ille deum rex
Membraque ridiculus qualia nanus habet.
Ora vides: vidisse caput fateare gigantis,
At bene pigmeum cetera membra decent.
\. 49 di guardia Epigramma.
Non sat laudis habet aliena volomina siquis (6)
( I ) Clauftus eod.
(2) Aveva cominciato a scrivere haò.
(3) flagtlis cod.
(4) non cod.
(5) ulli9 cod.
(6) fiecit cod.
172 R. SABBADINI.
Ventilet et versus fabricet (i) ille suos.
Quid tibi Graiorum traducere carmina vatum ?
Ingenio alterius ingeniosus «ris.
Est aliquid rebus coniungere verba proboque.
Militet ingenio quisque poeta suo.
Il cod. 66 1 ha nell'interno del cartone posteriore,
di mano di Girolamo Donato, la seguente letterina di
Andrea Giuliano:
Andreas lullianus Petro Donato sa.
Anno nativitatis Yhesu Christi MCCCCX, IIII ydus augusti prodi-
gium Venetiis apparuit, quod nec solum etati nostre visum sed nec a
maioribus nostris auditum extat. Circiter enim horam eiusdem dici de-
cimam nullo antea sinistro sidere minitante tenebre crepusculo obscu-
riores urbem operuere paululumque post venti occidui invicem adver-
santes pluvia grandinibusque permisti vim tantam secum tulere ut nedum
urbs verum etiam celestis omnis machina corruere videretur. Plurimi
turrium apices maximas murorum partes secum trahentes corruere, tegule
a tectis evulse non aliter ac grando per tam densum celum volabant
superque tecta iam discoperta pluere videbantur. Prostrati mille camini
super eorum culmina numerati fueruut; nonnullae etiam domus magna
ex parte ad terram delapse patuere arboresque quamplurime radicibus
evtdse sunt. Reperta fluctibus submersa hominum quinquaginta et cen-
tum corpora quae a Mestre opido suis naviculis Venetias veniebant. Haec
vero tempestas per medium bore spacium obsessos ita detinuit Venetos,
ut non modo domos egredi sed foras quidem aspicere non valerent.
Andrea Giuliano (1382 e. - 1455 e.) (2) fu più che
altro uomo di Stato; ma non trascurò gli studi, nei
quali ebbe due insigni maestri, prima Gasparino Bar-
(i) frabricet cod. Forse ille \z. corretto in inde.
(2) Vedi su di lui Agostini, Scrittori Viniziani, I, 257 ss.
I. — CICERONE. 173
zizza a Padova e poi Guarino a Venezia; e tra 1' uno
e l'altro discepolato tenne, nel 141 4, un corso di le-
zioni a Venezia sulle orazioni di Cicerone (i). La let-
tera qui comunicata è la sua più antica scrittura ri-
mastaci.
Il suddetto cod. 661 tu trascritto da Girolamo Do-
nato e indi entrò in possesso di Pietro Donato, arci-
vescovo di Creta. Ignoro che relazioni corressero fra
i due Donati, probabilmente di parentela, perchè pa-
trizi entrambi; verrebbe la voglia di crederli fratelli.
Girolamo aveva cultura classica, come si vede dal co-
dice ciceroniano che ha copiato e dalle citazioni sul fo-
glio di guardia delle Epistole ad faìn. dello stesso Ci-
cerone e dell'opera di Nonio Marcello (sopra p. 165-6).
Copiato di mano del nostro Girolamo l'anno 141 1
ci pervenne un altro classico latino, Catullo, allora as-
sai raro; presentemente è nel cod. 94 della Biblioteca
Universitaria di Bologna con la sottoscrizione (f. 4g);
Finivi anno II pontificatus lohannis XXIII (= 141 1),
Vili kal. aprilis. Rivoalti Hieronimus Donatus patricius.
Il codice ha una gloriosa storia, attestata da una nota
di Francesco BarbcU-o sul foglio di guardia: Iste Ca-
tullus est Francisci Barbari Veneti patricii quo a e. v,
lanino Coradino suo donatus est; cum eo prius laninus
ab hofiestissimo ac clarissimo Petro Donato archiepiscopo
Cretensi dotiatus fuisset. Il Catullo perciò, poco dopo
che fu copiato da Girolamo Donato, entrò nella bi-
blioteca deirarcivescovo Pietro, che lo regalò a Gian-
(1) I^ prolusione fu pubblicata iiite^n'Almente da K. Mullner, Redtn
f^4 ^* SA^ÉADINT.
nino Corradino, il simpatico medico umanista, morto
mmaturamente a Padova nell' agosto del 141 6, e il
iCorradino a Francesco Barbaro. Da ultimo vi appose
la nota di possesso un altro Barbaro, il famoso Er-
molao, l'autore delle Castigationes Plinianae: ego Her-
molaus Barbarus magnifici Zachariae divi Marci pro-
curatoris Catullum hunc...
Pietro Donato (1380 e. - 1447) (i), giurista, filosofo,
umanista, fu uno dei più illustri personaggi della sua
età, che occupò alti gradi nella gerarchia ecclesiastica
come protonotario, arcivescovo di Creta, vescovo suc-
cessivamente di Castello e di Padova, e nella carriera
diplomatica come governatore di Perugia e legato al
concilio di Basilea. Si rese benemerito degli studi rac-
cogliendo epigrafi e manoscritti e soprattutto scoprendo
e copiando il famoso codice cosmografico di Spira (2).
Tra gli autori da lui posseduti ricorderemo Nonio Mar-
cello, di cui Girolamo cita un passo sul foglio di guar-
dia del suo Cicerone. Quel Nonio se 1' era trascritto
a Padova l'arcivescovo Pietro alla fine del 1415 di
su l'esemplare che Francesco Barbaro aveva mandato
da Venezia al Barzizza perchè se ne traesse copia.
Ciò si rileva dalla seguente lettera (*):
Marcellus quem ab (3) me requiris est apud dominum Cretensem.
(1) Agostini, Scrittori Viniziani, II, 135 ss.
(2) L'archetipo è perduto, la copia autografa del Donato è nel cod.
Canon, lat. mise. 378 di Oxford; cfr. Studi Hai. filol. class. XI 258.
(*) Cod. di Bergamo F V 20 p. 69. Comparve la prima volta in
Museo di antichità class, m, 1889, 349-350.
(3) ad cod.
I. — CiCKKOifÉ. 17$
Antonius, (i) ut (2) est homo utriusque nostrum familiarissimus, ut id
tacerem (3) dixit se in mandatis a te habuìsse Supervenemnt deinde
litterae a Guarino nostro, quae idem significabant. Requiras oportet hunc
librum a domino Cretensi, si vis illum ad te deferri; quod tuis verbis
a me factum esset, nisi quod putavi contra officiura esse sine tuo man-
lato negotium agere. Revocabat me praeterea quod fingendum aliquid
erat, quo ita esse huic domino meo persuaderem. Scis quam ineptus ad
has artes sim. Ex qua gente Pergamensi sim non et rursus ignoras (4);
rude genus hominum sumus, qui si quando fingimus (5) quam belle id
fiat vel hoc potest iudicari, quod (6) nemo tam amens est qui non sta-
tim deprehendat; ita simplicitas illa Pergameae gentis propria male se
regit. Memineram etiam te nihil unquam tua causa fingi ab alio vo-
luisse et eam (7) esse auctoritatem pontificia Cretensis, ut cum apud
alios turpe sit mentiri, apud hunc etiam nefas iudicem. Honestius de
hac re ad eum scribes, quam ego te ignorante negotiorum tuorum ge-
stor sim. Haec habui (8) quae de tuo Nonio (9) ad te scriberem.
Rem vero uxoriam quam audio te edidisse iamdudum (io) expecto.
Est enim ut dicitur res tuo ingenio ac tuis studiis digna. Tametsi non
dubitem et graviter et ornate abs (11) te scriptam, nam invent)a Graeco-
rum ut spero ac Latinorum multis locis redolebit, (12) tamen percupio (13)
meo potìus quam aliorum iudicio posse uti. Facias ergo quod ad Cor-
(i) A. cod.
(3) at] enim cod.
(3) facerem cod.
(4) sim — ignoras] sum non et tru8U& cogas cod.
(5) fingemus cod.
(6) iudicare qui cod.
(7) eam] causam cod.
(H) habeo cod.
(9) Nonio] homine cod. (H010 scambiato {:r\\\ FIoik).
(io) iarodabiam cod.
(Il) ad cod.
<I2) redol. . . . ne coti.
(13) perei pio cod.
176 R. SABBADINI.
radinum tuum facturum te pollicitus fuisti: mittas (i) hanc ad me sive
historiam sive disputationem tuam, qui olim ut tuo ingenio ita nunc tuae
laudi ac gloriae maxime faveo (2). Vale.
La lettera è senza intestazione, ma dal contenuto ri-
sulta che è scritta dal Barzizza, il quale scherzosa-
mente si chiama della Pergamea gens: egli era di Ber-
gamo, come è noto. La lettera poi è indirizzata a Fran-
cesco Barbaro, che qui è chiaramente significato nel-
l'autore del trattato De re uxoria, di cui il Barzizza gli
chiede una copia. E questo è per noi anche un indizio
del tempo in cui la lettera fu scritta, poiché il De re
uxoria fu pubblicato nel carnevale del 14.16 (cfr. so-
pra p. 42). Un altro limite cronologico ci è dato dalla
menzione del Corradino. qui vivo ancora, ma morto
nel mese di agosto 141 6 (3). Sicché la lettera cade
nella prima metà del 141 6. In quel tempo dunque
a Venezia e a Padova il Barbaro, il Barzizza e 1' ar-
civescovo Cretese (Pietro Donato) possedevano un
Nonio Marcello, sulla cui origine abbiamo più sopra
discorso (p. 32-33).
b) Il codice di Modesto Decembrio. (*)
Modesto Decembrio, il primogenito dei quattro figli
di Uberto, e assai meno famoso di due di essi, An-
(i) mittes cod.
(2) f acito cod.
(3) Agostini, Scrittori Viniziani II, p. 115.
(*) Comparve la prima volta in Giornale star, letter. ita/. 46f 1905,
70-71.
I. — CICERONE. 177
^elo e Pier Candido, morì poco più che trentenne nel
1430 podestà di Castell'Arquato (i). Di lui nulla quasi
sappiamo, onde riuscirà gradito aver notizia di un co-
dice da lui copiato, 1' Ambrosiano D 113 sup., cart.,
di elegantissima scrittura umanistica. Contiene opere
filosofiche di Cicerone: TuscuL, De nat. deor., De divin.,
De fato e, intramezzati a quelle, ai ff. 61-64, iio-ii2v,
estratti dai Caesares di Svetonio. S' incontrano tre sot-
toscrizioni: f. 60V alla fine delle TuscuL: Mediolani
MCCCCXXVI. de mense iunii per M. Decembrem; f. logv
alla fine del De nat. d.: Mediolani MCCCCXXVI. de
mense iunii per M. Decembre^n; ì. 157 alla fine del De
fato: MCCCCXXVI. de mense iullii. in Mediolano per M.
. Decembrem.
Nei marg-ini Modesto ha riportato numerosi richiami
al testo; non solo, ma qua e là lo ha illustrato con
disegni e con taluni profili di teste umane in carica-
tura. La più notevole ditali caricature è quella al f. 18,
in corrispondenza col passo delle TuscuL II 11-12; di
fronte alla testa è scritto: fratcr Bernardinus. Questi
è senza dubbio fra* Bernardino da Siena, che Mode-
ro avrà sentito predicare nella quaresima del 141 8 (2):
e in atto di predicare è raffigurato il frate. Il luogo
delle TuscuL biasima quei filosofi, le cui azioni non
^ono in armonia con le dottrine professate; e fra' Ber-
irdino, probabilmente, mirabile esempio di queir af-
onia, fulmina i correligionari che davano invece spet-
icolo di disarmonia.
(I) M. Bona, Pier Candido Decembri, Milano 1893, 8.
(a) F. Amadio Maria da Venezia, Vita di S. Bernardino da Siena, 44.
R. SaBBADINI, 7'tsti /il tini. Ij.
1^8 £. SABBADINI.
A questo codice accenna il fratello Pier Candido m
una lettera:
P. Candidus Simonino Ciglino ducali secretario s.{\)
Exigis a me tuis litteris ut libros Ciceronis de natura deorum et fato,
quos emendatos habere me putas, tibi mittam.... Scito illos manu Mo-
desti germani mei olim exaratos, qui profecto, nisi me fallit amor, et
verissime huiusmodi commentarios transcripsit et fidelissime transcriptos
emendavit....
c) I codici di Guarino. {*)
Dell' interesse che prendeva Guarino per le opere
filosofiche di Cicerone fanno ampia testimonianza le
sue lettere. Fu egli il primo a propalare la notizia
della clamorosa scoperta, fatta dal Cusano e cosi ama-
ramente poi delusa, del de re puòlica, che si ridusse in
fine al Somnium Scipionis. Guarino ne dà un cenno
prima di tutto a Girolamo Gualdo a Vicenza (2).
.... Quid dices quod Tullius de re publica compertus est? ita est.
Ex valle Pollizela V idus octob. (1426).
Più particolarmente ne dà comunicazione al Lamo-
la (3), ch'era a Bologna:
(i) Cod. Riccardiano 827 f. 15V.
(*) Comparve la prima volta in Museo di antichità class. II, 1887,
391-93-
(2) Cod. Arundel 70 f. 153V.
(3) Cod. Riccardiano 779 f. 130. Sulla delusione di questa scoperta
scrive Poggio (Epist. coli. Tonelli III 29): De re publica dicit (Nicolaus
Treverensis, cioè Cusanus) se deceptum et illum librum fuisse Macrobium
super Somnio Scipionis. — Romae XXVI febr. 1428 (== 1429).
I. — CICKRONK. 179
„... Audi visse debes ut Cicero de re publica nuper inventns sit
Coloniae, urbis Gerraaniae, in bibliotheca pulverulenta, ubi pervetusti
codices octingenti carcere mancipati videntur. Eum repperit, repertum
transcripsit quidam secretarius (Nicolaus Cusanus) cardinalis Ursini, qui
legatus eas obiit regiones. Sic mihi ex Venetiis renuntiant aliqui cer-
tissimi viri....
(Verona, ottobre 1426).
In compenso però Guarino possedeva un de Le-
gibus di Cicerone, che a suo giudizio era il più per-
fetto che si conoscesse in Italia. Flavio Biondo glie-
lo aveva chiesto in prestito; Guarino gli scrive cosi (i):
.... Meura de Legibus ut hospitem potius quam obsìdem habeas
volo; inter quos enim fides est, obsidibus locus non est. Hoc habe, ut
talem alium non habeat Italia, non loquor temere. Tu tamen sive tran-
scribere, sive transcurrere vis, expeditum facito.
Ex Verona XVm feb. 1428.
Sul de Amicitia e sul de Fato abbiamo la seguente
notizia da una lettera che Guarino scriveva al vicen-
tino Niccolò Dotto, suo scolare (2):
.,... Optarem ut tuum de Amicitia volumen habere possera,
ut transcrìbi facerem libelluro Ciceronis de Fato qui in eo vola-
mine est.
Ex Verona XVm kal. aprii. (1425).
Delle Tusculane egli poi illustrava nel medesimo an-
no (1425) un esemplare per uso del suo amico e sco-
(1) Pubblicata da R. S ihliilini in Geiger*! Vierttljahrsschrift /.
Kultur,,, dir Xenaissanee,
(2) Cod. Arobrot. O 66 kup. f. 40.
iSo R. SABBADror.
lare Biagio Bosoni. Si veda questo passo d' una sua
lettera a Giacomo Ponzoni (i):
Biasio (Bosonio) meo dicito nihildum prò eius Tusculanis
confecisse propter absentiam; sed curabo ut quamprimum suam absol-
vam voluntatem.
(Verona ottobre 1425).
Anche gli Academica possedeva Guarino. Egli ne
aveva prestato un fascicolo al medico veneziano Pie-
tro Tommasi, a cui lo ridomanda per mezzo di Flavio
Biondo, che in quel tempo stava a Venezia (2).
Si ornatissirous et vir et medicus magister Petrus Thomasius Ve-
netiis est, ei me totum commenda et cum longum illi de me feceris ser-
monem, cum dicturus es «Vale» quasi experrectus eum commonefacito
ut mihi quintemionem quendam mittat A e a d e m i e i fragmenti, quod
illi diu misi, volo enim una cum reliquis librum unum facere.
Veronae XV kal. februarias (1424).
Del medesimo fascicolo faceva ricerca anche nel
principio dell'anno seguente (1425), ma pare che non
lo tenesse più il Tommasi, bensì Ermolao Barbaro,
suo scolare.
Ne scrive in proposito allo stesso Biondo (3):
Habeo volumen quoruudam Ciceronis opusculorum, in quibus
Academica sunt. Nescio quo pacto unus evanuit quintemio, dum
totiens agitare supellectilem compulsus sum. Roga Hermolaum (Barbarum)
si quo prcto suos inter codices illum haberet, quos secum tulit, cum ex
Valle Pollizella discessit. Solebam enim inter libros forte occurrentes
interserere, ne foedaretur. Hoc mihi fuerit gratissimum.
Ex Verona XI iunii (1425).
(i) Cod. Riccard. 779 f. 130.
(2) Pubblicata nella succitata Vier teljahrsschrift, 509.
(3) Cod. Capitol. di Verona CCXCV f. 38.
I. — CICERONE. i8r
Con Academicum fragmentum si deve intendere il
frammento degli Academ. post, venuto in luce al prin-
cipio del secolo XV, che Guarino possedeva sino al-
meno dal 141 3. Infatti nell'invettiva contro il Niccoli
{In Aurlpellem poetam) (i), composta in quell'anno a
Firenze, cita un luogo degli Acad. post. (§ 5) con queste
parole: * Iste Ciceronis Amaffanius, qui nulla arte adhi-
bita vulgari sermone disputare solebat' (2).
Guarino commentò nei suoi corsi scolastici alcune
opere filosofiche di Cicerone {De off.. De sen., De am..
Farad.), delle quali ci son giunte le Recollectae compi-
late dagli alunni sulle sue lezioni (3).
Gli Aratea (*)
Il Fragmentmn Arati phaenomenon di Cicerone fu
fatto conoscere la prima volta agli Italiani da Giorgio
Valla, che lo pubblicò negli Astrotwmici veteres ' Ve-
netiis 1488 ' (4). Ma molti anni innanzi n'aveva ve-
duto un esemplare Ciriaco d' Ancona. Egli infatti nei
(i) L'invettiva fu piihi>lir;.t:i ri;. K. Sabbodiiii, Nozze Cur ciò- Marcellino,
Lonigo 1901.
(2) II Valla in data ila Napoli XVI kal. fcbruar. (1447) scriveva al
Tortelli: Fractcrca si quis apud vos babct quatuor Academicorum Cice-
ronii libros non prìdcm Senae repertis (Baruzzi e Sabbadini, Studi sul
Ponormitn e sul Valla, Firenze 1891, p. 116) Si trattava naturalmente
di una falfia notizia.
(3) R. Sabbadini, La scuota e gli studi di Guarino, 91-93.
(♦) Comparve la prima volta in A'H'ista di /ihlogia XXXIX, ioti,
244-4'».
V CU. K. Sabbadini, Le scoperte dei codici, 149.
l82 K. SABBADmi.
Commentariiy dati alla luce da A. degli Abati Olivieri
*Pisauri 1763', pariando della visita fatta a Vercelli
scrive:
(p. 42) « Ad XI. k. dee. (1442) venimus Vercellas.... In antiqua ipsa
Vercellarum C. bibliotheca vetustos et praeclaros libros in venimus quam-
plures... (tra i quali era) Arati liber antiquiss. Super delphini figuram.
Neptunum aiunt fabulae....>.
Dagli Aratea comunica alcuni estratti. Vien subito
di pensare che il codice di Vercelli sia il medesimo
ritrovato poi dal Valla; ma così non è (i). Trascrivo i
versi citati da Ciriaco:
Ipse autem labens multis equus ille tenetur
Piscibus. huic cervix dextera mulcetur Aquari
Serius hoc obitus terre visite quinis
Quam gelidum valido de corpore frigus anhelans (55-58).
E pedibus natus summo love Perseus es
Quos humeros retinet defixum corpore Perseus
Quam summam ab regione Aquilonis flamina pulsat.
Hic dextram ad sedes intendit Cassiepiae
Diversosque pedes vinctos talaribus habtis
Pulverulentus uti de terra lapsus repente
In coelum victor magnum sub culmine portat (20-26).
Il testo del Valla invece presenta molte varianti: 56
huic] hinc; dextera] dextra; Aquari] Aquarii; 57 hoc]
haec; terre visite quinis] terrai iussit equinis; 20 natus]
(i) Diversamente pensa, ma mi pare a torto, Paul von Winterfeld,
De Germanici codicibus (in Festschrift Joh. Vahlen gewidmet, Berlin,
1900, 398-9).
r. — CICERONE. 183
vatum; 21 defixum] de fixo; 22 summam] summa; 2^
Cassiepiae] casiopaeae: 24 habtis] aptis; 25 terra] terrae.
Opere pseudo-ciceroniane
La quinta Catilinarìa. (*)
Si trova in molti manoscritti, ora anonima, ora col
nome di Cicerone o di Porcio Latrone, una supposta
quinta Catilinaria, esercizio rettorico dell'età imperiale,
che dal 1490 in poi fu più volte stampata, di solito
insieme con Sallustio, e della quale ultimamente ha
curato l'edizione critica H. Zimmerer (i).
Il novello editore ebbe a sua disposizione due soli
manoscritti, il Monacense lat. 68 sec. xv, anepigrafo
ma integro, e il Leidense 19 sec. XV, mutilo, con l'in-
testazione a Porcius Latro. Un altro manoscritto, im-
portante per la data, è il 58 di S. Daniele del Friuli
con l'intestazione f. i: Oratio M. TulUi Ciceronis ad
iudices contra Catilinam et ceteros coniuratos. Si quid
precibus apud deos immortales — e la sottoscrizione:
Finit oratio Ciceronis omnium vehemcntissima. * Lavriani
per presbiterum Nicolaum Sanctivitensem (da S. Vito)
olim Georgii, Utinensem canonicum. 1439, II nonas
februarii *. Reca perciò meraviglia che a Poggio ne
sia giunta notizia solo nel 1 45 1 e, non si crederebbe,
(•) Comparve la prima volta col titolo: Da eodici Braidensiy Milano
1908, 5-0
(l) Dtclamatto tn /.. Sergittm Cntilinam. Etne Schuldeklamation aus
der rom. Kaiseruit. Naeh etner Munck. ìiandschr. dts XV Juhrk., he-
ratug. von Dr. H. Zimmerer, Mtinchcn 1888.
l84 K. SABBADINI.
dalla Germania (i). Il cod. di Siena H VI ii, del sec.
XV, attribuisce come il Leidense la declamazione a
Porcius Latro (2). La spinta a questa attribuzione ven-
ne dal luogo di Seneca padre, dove è citata la frase
di Porcius quid exhorruistis iudices (3), la quale ricorre
casualmente nel nostro testo; e ciò non prima del 1458,
che fu l'anno in cui le Suasoriae et cofitroversiae di
Seneca tornarono alla luce per opera del cardinal Cu-
sano e di Gio. Andrea Bussi (4). Anonima invece è
nel cod. Laurenziano 48. 19 f. 99. Due codici Vaticani,
1742 f. 30 iv; 1748 f. 3, la attribuiscono a Cicerone.
La declamazione si legge anche in quattro mano-
scritti milanesi, due Ambrosiani e due Braidensi.
Cod. Ambrosiano B 124 sup., cart. della metà del
sec. XV, con molte orazioni di Cicerone e di Livio e
scritture umanistiche; f. 198V-208 Finis pulcherrime o-
rationis M. Tullii Ciceronis adversus L. Catilinam.
Cod. Ambros. M 44 sup., cart, sec. XV; f. 39 TuL
in Catilinam. Si quid precibus — ; f. 32 finis Ciceronis
ad iudices in L. Catilinam,
Cod. di Brera AF. IX 67, cart. sec. XV. Contiene
questo solo scritto, col titolo: Ciceronis ad iudices in
L. Catilinam.
Cod. di Brera AG. IX 33, cart, sec. XV. Questo
grosso codice, comprendente una copiosa raccolta di
37 orazioni ciceroniane tra genuine e spurie, è scritto
(i) Mai, Spicilegium Rom. x 370; Zimmerer 31.
(2) N. Terzaghi in Sludi ita/, di filol. class. XI, 1903, 412.
(3) Zimmerer 40.
(4) R. Sabbadini, Z^ scoperte dei codici^ 112.
I. — CICERONE. 185
da cinque mani; la I va dal f. 2 al 285V; la II day
285 V al 289: la III dal 289 al 3i8v; la IV dal 319 al
334V; la V ha operato in tutto il volume, compiendo
o correg-gendo le intestazioni, mettendo i titoli correnti
sui margini superiori, colmando lacune, emendando le-
zioni, facendo richiami.
f. 2 Si quid precibus apud deos immortales — . La
nostra declamazione senza titolo e senza sottoscrizione,
f. 8v Pro Giieo Pompeio. Quamquam michi --
f. i6v Pro se ipso M. T. Cicerone pridie quam ir et
in exUium. Si quandoque inimicorum —
f . 2 1 v Pro se ipso M. Tulio Cicerone qua gr alias agii
populo de reditu suo. Quod precatus —
f. 25 Pro se ipso M. Tulio Cicerone quando senatui
gratias egit post reditum. Si patres conscripti prò —
f. 30 Pro Aulo Licinio Archia poeta. Si quid est —
f. 34 Pro M. Marcello. Diuturni silentii —
f. 37 v Pro Quinto Ligario. Novum crimen —
f. 42 Pro Deiotharo rege. Cum in omnibus —
f. 47 v Pro Tito Annio Milione. Etsi vereor —
f. 6ov Pro Gneo Piando. Cum per egregiam —
f. 72V Pro Publio Siila. Maxime —
f. 84 Pro Lucio Flacho. Cum in maximis —
f. 96 Pro Publio Quincio. Qua ras in civitate —
f. io6v Pro Publio Sextio. Si quis antaa —
\. 118 Pro M. Celio. Si quis iudicas —
\. 127V Cofttra Vatinium. Si tua tantummodo — . I
f. 128-129, ch'erano stati lasciati vuoti, furono poi col-
mati dalla mano IV.
f . 1 30 De provinciis cansularibus. Si quis vestruni —
l86 R. SABBADINI.
f. 136V Pro Lucio Cornelio Balbo. Si auctoritates —
f. 145V Ciceronis or alio ad poiitifices prò domo sua
contra P. Clodium. Cum multa —
f. 165V Eiusdem ad eum senatum de airuspicum re-
sponsis contra P. Clodium et prò domo sua. Hesterno
die —
f. 176 Pro Lucio Murena. Que deprecatus —
f. 189V Pro Sexto Rosio. Credo ego —
f. 206 Contra Lucium Pisonem. lam vides —
f. 219V Contra P. Servilium Rullum tertii libri. Co-
modius fecissent —
f. 22 IV Pro Rabirio Postumo. Si quis est iudices —
f. 226V Contra legem agrariam. Est in hoc more po-
situm —
f. 239V Pro Au. Cecina. Si quantum in agro —
f. 25 2 V Pro Publio Cluentio Abito. Animadverti —
f. 277V Contra legem agrariam fragmentata. Que res
aperte petebatur —
f. 281 Pro Gaio Rabirio per duel. Etsi Quirites — .Do-
po quest'orazione segue alf. 285V la sottoscrizione del
copista I: Finis et laus deo, filio et spiritui sancto qui
sunt trini in maiestate. Amen. Stefanus de Pavaro scri-
psit et de anno MCCCCXLI de mense Augusti videlicet in
XXI die in scriptura complevit. Et si quid erroris est
veniam petit a quocunque legente quia potius fragilitate
quam errore proprio contigit.
f. 285 In Vatinium testem. Si tua tantummodo — .
Cfr. f. 127V.
f. 2QI Pro Rosio comedo fragmentata. Malitia nature
creditur —
I. — CICERONE. 187
f. 298 Oratio Salustìi contra M. T. C. Graviter et
iniquo —
f. 299V Oratio et responsio M. T. C. contra Salustium
Crispum. Ita demum —
f. 302 Prima Oratio in L. Cati//inam. Quousque tan-
dem — . Le 4 Catilinarie terminano al f. 318V. Man-
cano i primi sette paragrafi della II per la caduta di
un foglio.
f . 319 M. T. Ciceronis oratio prò P. Sextio. Si quis
antea — . Cfr. f. io6v. Mancano le ultime righe, per-
chè il f. 325 è rimasto vuoto.
Come si vede, il copista I ha riunito nella sua sil-
loge anche le orazioni delle scoperte Poggiane di
Francia e di Germania (i). Il medesimo copista ha ado-
perato inoltre il commento di Antonio Loschi a undici
orazioni (sopra p. 2 1 sgg.), traendone alcune notizie
storiche che premise al testo di ciascuna di esse.
Ora darò un saggio di collazione di tre codici mi-
lanesi, chiamando A l'Ambrosiano B 124 sup., B il
Braidense AF. IX 67, C il Braidense AG. IX 33.
Collazione di A B.
Zimiticrer § i convaluisscmus A B \ cives nostros haberemus A B \
gimal et A \ tum A B \ omnes om. A B \ laudibus A B \ esse am. A B
I § 2 nec opinione B \ possit atqac homines infl. A B \% "^ piene A
B I et om. A B \ Scypioni A \ Crassis A B \ Porcinnae A \ Graochis A^
Grraccis B \ Anthonio A\% \ Scypioni A \ et pcrsepe A B \ torbulcn-
tam A B\ t»,i om. A B \ omnia locus B \ bencvoicntiac] gratie 4 ^* I
I 5 quando A B \ nostra a foro B \ desideretur A B \ dicendam ett
qaidem nobis aut de deterrimis .-/ B \ pudicitia A B \ % b cotidiana B
I) Cfr. «opra p. 27-a9, 43 sgg.
l88 K. SABBADINI.
I § 7 equidem om. A B \ Galabrionis B \ crudelissimi L. Catiline cuius
A B I sicca A B \ paterne A B \% % dicendum est iterum de L. AB
I civium om. /> ] § 9 iudices om. A B \ cognoscite A B \ flagiciosissi-
mam A B | § io- il conatus est ac crudelissime A B \ nec vexare B \
compararat ^ ^ | § 12 manum om. A B \ facilime B \ conciliarunt A B
I amplissima A \ Lecce ^ ^ | § 13 eam A B \ perditissimorum A B \
adoloscentum B \ assuetudine — partim om. A B\% 14 barbarorum ^
B I hominum om. A \ non modo inclinati magn — A B \ summa A B
I nec alique mulieres A B \ denotate solertissime A B \ devolaverint
om. A B I nefarie coniurationis convaluerint ( in convolaverint corr. A)
A B \ % 15 armis datis ad ^ ^ | Lecce A B | corroborarentur A, cor-
roborentur B | omnes om. A B I conferre A B | interim] iterum A B \
§ 16 hominis corr. in huius A, huius B j vero om. A B \ cognoscende-
que A B \ flagravit A B \ huius sceleratissimi A B \% 17 compertas A
B 1 attulero A B \ summisque cruc — A B \ atque mactandum om. A
^ I § 18 scelerata om. B \ novis rebus A B.
§ 65 qui actiones ullas ^ .5 | § 66 De te igitur Catilina sciatur A B
1 cui corr. in qui A, cum (?) corr. in cur B \ noctu om. A B \ putasti
A B I Deinde quomodo in lucem A B \ prodissent A \ quid rursus fuis-
ses A B i aut om. A B \ amantissime patrie peracturus A B \%(ì'] quid
igitur nostras leges violas A B \ sanctias A \ memorabili A B.
Collazione di C.
§ I re nostra publica C\ haberemus constudiosos (i) C\ tum patrie
— amantissimos in marg. al. m. C \ omnes in marg. al. m. C j esse in
marg. al. m. C I videremur C | § 2 summorum virorum posstt C | § 3
verum enim ea ( ea superscr. al. m. ) dicendi voluntas C \ nec non ex
{in et corr. al. m.) C \ Graccis C \ pulcerrimarura C \ miserandorum tem-
porum calamitates C | § 4 monimentis inmort — C j condicionem C \
intercepts locs C, corr. al. m. \ atque iocundissimi C \ beniv — C" ! § 5
desideretur C \ dicendum est primum nobis C, in marg. aliter perpetuo
al. m. I deterrimis C \ inpudicitia C | § 6 sit redundatio C \ auctores cla-
ruerunt C, in marg. aliter aures al. m.\ % "j equidem om. C \ Gabrionis
C I Sicca C I papirrium C \ paterne C, in marg. aliter patritie al. m. \
§ 8 cum C I cum C \ retorxerunt C | § 9 flagiciosissimam C \ incondise-
(i) Con ciò è assicurata la lezione cum.
I. — CICERONE. li^
atam C | § io Catelina C\ urbis non ad pemitiem urbis conferre C\
§ 1 1 quid exorruistis iudices non oprimere modo conatus est add. in
marg. al. m. C j et crudelissime 6" | § 12 Lete C | dequoquebantur C
I § 1 3 adoloscentum C \ assiduitate strupi C 1 § 1 4 barbarorum C \ no-
bilitate summa C, corr. in marg. in nobilitati magnitudine summa aL
m. I et studio C \ alle C, in marg. corr. in alie al. m. \ mulieres C \
denotate C \ propter magnitudinem C \ repente devolaverint add. al. m.
in marg. C \ aerem ipsum C, in aream ipsam corr. al. m. \ atque fla-
gitiosae om. C | § 15 Lete C\ conferre C | § 16 audivistis C \ Nunc a-
gnoscenda causa est C \ flagravit C \ huius sceleratissimi Cat — C | § 1 7
piane ex piene corr. C \ planeque ex plen — corr. C \ attulero C \ sum-
misque crutiatibus C \ atque mactandum om. C | § 18 inaudita] mandata
C I novis rebus C.
§ 65 agitaret C \ actiones C \ capitali iudicio C \ § 66 Catelina scia-
tur cur C I putasti C \ deinde quomodo in lucem C \ conciuncule tue
in lucem prodiissent quid rursus fuisses C \ optirais aut amant — C \%
67 quid igitur leges nostras violas C \ insania C \ memorabili C.
A e By {e con essi 1' Ambros. M 44 sup.) pur non
derivando l'uno dall' altro, hanno l' identica redazione,
evidentemente inteq^olata; basti un paio d'esempi: § 7
crudelissimi L. Catiline; § 8 dicendum est iterum. C
rappresenta una redazione doppia: l'originaria, che s'ac-
costa in parte ad A B; la corretta, che restituisce spes-
so la lezione genuina. Al testo dello Zimmerer si pos-
sono apportare per via diplomatica alcuni miglioramenti,
ma in generale esso è ben costituito.
Il trattato " de virtutlbus „ (*)
I bei tempi dell'umanismo, nei quali da un momento
all'altro un chiostro o un capitolo potevano dare alla
(♦) Coinpanre la prima volta in Atene e h'oma, Xn, 1909, a-6.
rgd <• SABBADINt
luce un nuovo classico latino, purtroppo non ritornano
più; ma chi frughi con pazienza e amorosa fede entro
di essi non è escluso che gli avvenga di metter le
mani su qualche tesoro allora scoperto e poi dimen-
ticato. Effettivamente pare che il tesoro ci fosse.
Antoine de La Sale, un francese del secolo XV
(n. 1386), compose un'opera intitolata La salade sui
doveri del principe e la dedicò a Giovanni duca di
Calabria, figlio dell' Angioino Renato. Con ciò arri-
viamo alla metà del secolo, in pieno umanismo, quan-
do gli Italiani avevano già scoperto tutte le opere di
Cicerone salvateci dalla sorte; ma il La Sale ne aveva
una che agli Italiani non riusci trovare e dopo di lui
è nuovamente scomparsa, il trattato De virtutibus; e
di quella si servi per comporre la sua Salade.
La Salade s' incontra manoscritta nel cod. di Brus-
sella 182 IO del sec. XV; fu anche stampata nel 152 1,
ma non ebbe diffusione e passò cosi per tanto tempo
inosservata. Ne rinfrescò la memoria recentemente un
filologo finlandese, W. Soederhjelm, che ne ripubblicò
alcune parti nel 1904, accompagnandole con un com-
mento; e nel 1908 coi tipi del Teubner ristampò il
testo francese H. Knòllinger, mettendovi di fronte per
gli inesperti di lingue romanze la versione latina, di-
scutendo tutte le questioni a cui il testo dà luogo e
in ultimo ricostruendo i passi secondo lui più sicuri
dell'opera ciceroniana: M. TuLLl ClCERONiS De virtu-
tibus libri fragmenta, collegit H. KlNÒLLlNGER. Prae-
missa sunt excerpta ex Antonii de La Sale operi-
bus et commentationes. MCMVIII. Lipsiae.
I. — CICERONE. igt
Il La Sale cita nel suo antico francese ung^ des li-
vres de Tulles que il nonuna De virtiitibus, estraendone
gli ammaestramenti che più fanno al suo scopo e che
egli addita ai princes, seigneurs et dames. Otto sono
gli ammaestramenti, da lui non senza affettazione chia-
mati grains de tres glorieuse semence; il I sull'uso della
giustizia, temperata di benignità; il II sulla conserva-
zione della pace; il III sulla benevolenza del principe
verso i sudditi; il IV sulla protezione del commercio;
il V sull' imposizione dei tributi; il VI suU'approvigio-
namento delle vettovaglie; il VII sull'accrescimento e
conservazione dei beni pubblici; 1' Vili e ultimo sulla
difesa dello Stato e dei cittadini.
Cicerone è dal nostro Francese nominato parecchie
volte e sempre con la forma Tulles, com' è nell' edi-
zione antica, Tullez, com'è nel codice; il novello editore
Knòllinger rende nella traduzione Tullus; ma perchè
non addirittura Tullius? Non e' è nessun dubbio che
il La Sale per Tulles intendesse Cicerone, il quale nel
medio evo fu generalmente citato col suo nomen an-
ziché col cognomen. Ma dobbiamo proprio credere che
egli avesse dinanzi agli occhi il De virtutibus genuino
di Cicerone ?
Un primo sospetto che s'affaccia è che il La Sale
si sia giovato dell'opuscolo che reca appunto il titolo
De quattuor virtutibus e va, quando non è anonimo,
ti» i nomi ora di Seneca ora di Martino Dumiense,
1 quale ultimo veramente appartiene (Migne /'. !..
i -XXJI 17). Senonchè pur avendo i due testi neces-
,ri..rììi.nf«. nn il/ìì.. i.nntO di COntattO, 'i'MU» inrlinoTl-
192
R. SABBADmr.
denti l'uno dall'altro. Vien di pensare in secondo luo-
go alla Politica di Aristotile, che l'autore cita espres-
samente e che era alla portata di tutti in una doppia
versione latina, la medievale e l'umanistica del Bruni;
ma nemmeno questa è la fonte principale del Fran-
cese. Il 7:pò<; NixoxXéa di Isocrate, o di chiunque altro
sia, che contiene un manuale dei doveri del principe
verso i sudditi, era stato tradotto in latino fin dal 1 43 1
da Bernardo Giustinian e poteva perciò benissimo es-
sere a conoscenza sua; ma anche qui le coincidenze
sono casuali e dipendenti dalla comunanza della ma-
teria. Altrettanto ripetiamo per le numerose opere nelle
quali autori medievali e umanistici si occupano vuoi
di proposito vuoi occasionalmente dell'educazione prin-
cipesca, quali Egidio Colonna, il Salutati, il Vergerio,
Guarino, il Piccolomini, il Biondo e via discorrendo.
Dei trattati pertanto che erano più diffusi nelle
scuole e tra il pubblico dei lettori nell'età del La Sale
o in quella a lui vicina non uno sappiamo additare
come il modello diretto del suo libro, pur non esclu-
dendo che da alcuni di essi e dalla propria esperienza
egli potesse trarre la materia ivi sviluppata. In ogni
modo questo sarebbe un argomento più favorevole che
sfavorevole alla veridicità delle sue affermazioni. Un
altro argomento favorevole ci è offerto dalle sue al-
lusioni a fatti e personaggi di Roma antica, poiché
non vediamo quali ragioni sufficienti lo abbiano in-
dotto a inventarli: sebbene nemmeno qui manchino i
dubbi. Chi sarà mai p. e. quel Brunlaventin, a cui male
incolse dall' aver voluto imporre troppo gravi tributi
al popolo ? E che fondamento avrà quel Torqueus, che
t. — CICERONE. 193
per aver aumentato le imposte fu assediato ventiquat-
tro giorni nel Campidoglio ?
Contrario invece alla veridicità del La Sale mi sem-
bra questo che soggiungo. Egli pone in cima a tutte
le virtù la giustizia: la justice comme la royne (reine)
de tùutes les vertus; laddove Cicerone nel De virtutibus
per attestazione di Girolamo le disponeva nel seguente
ordine: prudentia^ iustitia, fortitudo^ temperantia, E lo
stesso ordine conserva nel De officiis; che se ivi nel
capitolo 4' del libro I nel proporre una genesi parti-
colare delle virtù prende le mosse dalla giustizia, in
tutto il rimanente dell' opera e in altre, come nel De
uivent. e nelle Partii, orai., il primo posto è sempre
occupato dalla prudenza o sapienza.
Da ultimo non sarà inutile collocare il fenomeno in
mezzo alle condizioni letterarie del tempo in cui il La
ale visse e di quello che di poco lo precedette. Os-
•rveremo allora che dall' un canto si attribuivano a
i cerone varie opere che non gli appartenevano: uno
ritto De Gravimatica, un' orazione adversus Valeriuni,
ria quinta Catilinaria (cfr. sopra p. 183), una raccolta
Differentiae, e una di Synonyma^ più un trattateli©
De re militari, che è un semplice compendio di Ve-
gezio. E dall' altro canto in quello stesso secolo o
poco prima o poco dopo furono scoperti e adoperati
libri e autori, che per noi sono, forse irreparabilmente,
rduti. Cosi nella biblioteca benedettina di Monte
issino si conservò fino al 1522 Palaemon De proprie^
iute sermonis integro e la Geometria di Martialis, che
era diverso da Martianus; cosi il Petrarca possedette
K. SABBADmi, T€tU latini, > y
194 R* SABBADINi.
un commento di Elio Donato alle Egloghe di Vergilio
(cfr. più sotto p. 203) e forse gli scolii di Vacca a Lu-
cano, e il medico tedesco Hartmann Schedel che ci tra-
smise la Mulomedicina Chirmiis, stampata nel 1901, a-
veva nel 1498 il commento di un Probo a Persio; e nel
141 2, un altro medico tedesco, Amplonio, possedeva
le opere di Grillio, per noi quasi interamente perdute;
così nel 1415 Giovanni Corvini a Milano aveva una
Comoedia antiqua a noi ignota e nel 1466 Angelo De-
cembrio un poemetto De bello nautico Augusti cum
Antonio et Cleopatra, che cominciava ' Armatum cane
musa ducem belloque cruentam Aegyptum ': lo stesso
probabilmente salvatoci in parte dai papiri ercolanesi.
Anche di qui possono sorgere, come si vede, ra-
gioni tanto di dubbio quanto di fede. Ma se si con-
sidera che il La Sale fu in letteratura un solenne pla-
giario (i) e ciurmatore, la fede se ne va e rimane
solo il dubbio.
(i) Sui plagi sfacciati commessi dal La Sale a danno di Simone de
Hesdin vedasi M. Lecourt in Mélanges Chatelain, Paris 1910, 341-353.
n.
DONATO.
Sotto il nome di Donato vanno parecchi scritti di
indole e di argomento diversi; ma qui io mi restringo
a trattare degli scolii dei Donati. E per questo riguar-
do devo distinguere due categorie di scolii: i Vergi-
liani, ai quali si connette il nome di Tib. Claudio Do-
nato e di Elio Donato, i Terenziani, ai quali si con-
nette il nome di Elio Donato.
Tib. Claudio Donato in Vergi lium (*)
Noi possediamo un commento di T. C. Donato al-
l' Eneide. Quando fece esso la sua prima comparsa nei
tempi moderni ? Alla domanda si rispose in diverse
maniere. Comunemente si riteneva che lo scopritore
fosse stato il Fontano e che la prima edizione venisse
in luce a Napoli nel 1535. Il Valmaggi dimostra falsa
queir opinione e si ingegna di argomentare che il
' propalatore * del commento fu il Landino nell* edizione
(♦) Comparve la prima volta in Museo di antichità ct>i^s. HI. 1889,
167 .72.
198 R. SABBADINI.
fiorentina del 1487 (i). Nella prima parte ha ragione,
non cosi nella seconda. Ecco infatti una lettera del-
l' Anrispa:
Aurispa viro clarissimo et poetae suavissimo
Antonio Panhormitae s. (2)
Timeo ne me ob tam longam ad te taciturnitatem aut ignavum aut
ingratum aut immemorem tecum et cum domino Mathaeo viro cxcellente
et amico conmuni me appellaveris. In me vero si parva aut nulla vitia,
si multae unquam virtutes fuerunt, praesens est tempus. Legi equidem
immo quasi traduxi Hieroclem (3) Pythagoricum, qui me et iustum fecit
et prudentissimum. Nullius tam magna est ignavitas, si illum adtente lege-
rit, quin in amicos officiosus, in caeteros humanus, erga deum religiosus
•radat. Itaque si quod in me prius supranominatorum vitiorum fuit, pu-
rus illius lectione purgatusque remansi. Non fuit posteaquam Neapoli a
te discessi scribendi argumentum nec nunc quidem erat, nolebam equi-
dem epistolam sine re ad te ut a pluribus fit mittere: rem libros appello.
Monachus ille qui primo Commentum Donati in Virgilium
in Italiam apportavit nuper Romam cum cardinale Burgundiae venit. Is
est et doctus et solers antiquitatis indagator, quamvis Gallus; dicit se
invenisse in tris Plauti comoedias commentum eti am
Donati. A me solicitatus misit in Galliam prò illis.
Hinc me expedio ut vere accinctus sim ut Ferrariam vadam et illinc
ad vos me cum tota familia traducam. Serenissimo Alphonso regi me oro
saepe commendes, cuius mores et ingenium adeo mihi placuerunt et ac-
cepti sunt, ut nullum ex antiquis, neminem excipio, in arte regnandi et
caeteris hominum virtutibus cum ilio comparandum putem, in cuius lau-
(1) Luigi Valmaggi, Di un testo falsamente attribuito al grammatico
Elio Donato, Torino 1885, estratto dalla Rivista di filologia ed istru-
zione classica, XIV, 1-2, p. 31-36.
(2) Cod. Vatic. 3372 f. 5v.
(3) Herodem cod.
2. — DONATO. 199
dibus tantam ego voluptatem accipio, ut dum illum magnifacio saciari
non possim. Cuilibet Romae licet quod sentii loqui. Itaque nonnunquam
de ilio disputatur ac multi qui nunquara reges fuerunt illum prodigum
non liberalem appellant et arguunt largitatera illam non permissuram ut
magna faciat. At ego postquam illos argumentis vinco, silentes oraitto.
At quidam ex magnis florentinus tamen cum argumentaretur carentiam
uri ex necessitate regi fore, postquam veris rationibus ostendi non ca-
riturum auro sed abundaturum: Alphonsum inquam regem ita bonum
esse christianum, ita deo eiusque matri et apostolis acceptum, ut quo-
cienscunque ex corde illos oraverit, singuli decies centena millia aureo-
rum regi facillime tradent. Cunque interrogarer: quid quotidie id non
facit ? Respondi regem non prò pecuniis oraturum nisi summa in neces-
tate in qua nunquam erit. Cum ego perseveranter id affirmarem, qui-
dam illi, quicum disputacio mecum erat, dixit: de Christo et apostolis
aiireis intellegit. Verum est, inquam, nam rex maiores habet apostolos
ireos quam ego sim; et quamvis Sanctus Petrus parvae staturae fuerit,
in sua capella aureus est magnus. Sic illi subdoletites (i) quamvis ride-
rent abierunt. Vale tu tuique. Misi Fabrianum prò chartis quas nondum
reccpi; cas quotidie expecto et domino Mathaeo, cui me plurimum com-
mendabis, mittam. Facio etiam me commenda et Curulo.
Rorn.if: VTTT kal. februarias [1447].
ì iv>Mc^....M.. c^ lissar la data di questa lettera. Intan-
to vi si fa menzione di una j^ita dell' Aurispa a Na-
poli: posteaquam Neapoli a te discessi. La gita ebbe luo-
«> nel 1444, come si rileva da una lettera del Facio
1 T'anormita, della quale reco pochi passi:
Bartholomeus Faccius Antonio Pankormitae s. d. (2)
Quanti factam iudicium tuum . .
r,,n>|»'.situm a me opuRculum de bello Veneto prius edere nolui, quam
iliiid ( orni tioni tuae Hubiccrem ....
(1) Hodolcntea eot/.
(2) < ìh\. Vatic. 3372 1. J3V.
200 R. SABBAX)INI.
Habes Aurispam domi virum non mediocris ingenii atqne doctrinae
quem licet nunquam viderim, tamen ob virtutes eius ipsura vehementer
diligo estque eius apud me magna auctoritas. Ilunc etiam operis mei
correctorem et iudicem esse velim ....
Neapoli apud Corouatam die XXTTTT aprilis 1444.
D'altra parte nella lettera dell 'Aurispa è presuppo-
sto ancor vivo il Facio {Facio me commenda), morto
nel 1457. Ma il termine ad quem si ristring-e assai di
più. L' Aurispa parla del cardinalis Burgundiae, cioè
Jean le Jeune (Johannes Juvénis), vescovo Morinense
e chiamato per questo comunemente il cardinalis o il
dominus Morinensis. Egli morì il 9 settembre 1451 (i).
La lettera cosi resta compresa tra il 1444 e il 1451.
Facciamo un altro passo. L' Aurispa scrive nei saluti:
Vale tu inique. Quel inique significa che il Panormita
s' era ammogliato con Laura Arcellio. Nel 1 444 non
r aveva ancora sposata; e nel febbraio del 1448 era
già padre di una bambina, Caterina Pantia (2). Con
questo indizio riportiamo la lettera dal 1444 al 1447.
E il 1447 è effettivamente l'anno.
Richiamiamo la frase: monachns ille nuper Romam
cnm cardinale Bnrgundiae ve7iii. Il Morinense nell'ago-
sto del 1446 s'era recato da Roma alla dieta di Fran-
coforte quale rappresentante del duca Filippo di Bor-
gogna, e alla fine dell' anno medesimo era di ritorno
a Roma con gli altri delegati (3). La lettera dell'Au-
(i) Ciaconius, Histor. ponti/. II 912-13.
(2) R. Sabbadini, Biografia di Giovanni Aurispa 1 00- 103.
(3) G. Sforza, La patria, la famiglia e la giovinezza di papa Niccolo
V in Atti della r. Accad. Lucchese XXm, 1888, 185-90.
2. — DONATO. 201
rispa è dunque del 26 gennaio 1447. E il monachus
Gallus ? Lo identifichiamo con Giovanni Jouffroy, mo-
naco benedettino e suddito del duca di Borgogna; il
che spiega com'egli si fosse accompagnato al cardinal
di Borgogna per assisterlo alla dieta. E il Jouffroy fu
veramente et doctus et soler s antiquitatis indagatore co-
me l'Aurispa lo definisce (i).
Il commento di Tib. Claudio Donato era stato da
lui portato in Italia fino dal 1438, quando venne a
prender parte al concilio di Ferrara (2). Esso forma al
presente il cod. Laur. 45, 15, characteribus langobardicis
coftscriptus, del sec. IX; e contiene il commento dei
soh primi cinque libri dell'Eneide.
Tra gli apografi tratti da esso ricorderò V Ambros.
H 265 inf. Sulla sua divulgazione comunico il seguente
passo di una lettera di Poggio a Battista Guarino (3):
De Donato quod postulas quaeram diligenter et si quid reperero
amplius quam quod te habere scribis, dabo operam ut transcribatur:
quanquam non valde utilis eius lectio videtur, cum versetur in rebus
minusculis, quae pamm in se contineant doctrinae, eloquentiae minimum .
Satis est Scrvius ad Virgilii expositionem, nara in quo ipso ti,*-t, .lii
non loquuntur... Floreutiac die XIIII febr. [1456].
Dal posto che la lettera occupa nell' epistolario si
deduce che è del 1456. Battista Guarino professava in
quel tempo a Bologna. Egli domandava Donato pro-
babilmente perchè nel corso deUe sue lezioni interpre-
(i) R. Sabbatlini, Le scoperte dei eodici ialini e greci 194-95.
<3) R. Sabbadini in Studi itaL /ibi. class. II 48 ». 3.
' \\ Pokkìo Epist. coli. Tonclli, XJII 25, co^'arionato col cod. Vatìc.
(jtt
203 ft. SABBADINI.
tava Vergilio. Che si parli di Tib. Claudio Donato in
Vergilium risulta dal confronto che ne fa Poggio con
Servio.
Se Battista conosce il nuovo commento, ciò signi-
fica che era arrivato a Ferrara; e difatto Angelo De-
cembrio, il portavoce della scuola ferrarese, lo nomina
nella Politia literaria (i6o, 443), pubblicata nel 1462,
ma abbozzata nel 1447. Anzi vi confonde già Tib.
Claudio con Elio in una sola persona, come fece il
copista del cod. Laur. 53, 9, dove il commento di Elio
Donato a Terenzio porta il titolo: Claudii Donati ho-
noratissimi grammatici prefatio super Terentio.
Battista Guarino domandava a Poggio se possede-
va un testo completo. In Italia perciò conoscevano solo
il commento alla prima parte dell'Eneide e non vi e-
rano per anco giunti i due codici Vaticani, che con-
tengono la seconda, essi pure del sec. IX e prove-
nienti del pari dalla Francia. Come risulta dal Com-
mentarium del Niccoli (cfr. sopra p. 4, I) Poggio aveva
veduto nel monastero di Reichenau un testo che com-
prendeva il commento a otto libri: ma non pare che
se ne sia tratto copia. Di quel codice s'è perduta ogni
traccia.
Recentemente H. Georgii ha sul codice Laurenziano
(di cui non conosceva la storia) e sui due Vaticani
condotto la sua edizione critica, che è a un tempo
editio princeps: Tiberi Claudi Donati Inter pretationes
Vergilianae, Lipsiae 1905 (i).
(i) Sul cod. Laur. cfr. I p. XVII-XX; sui Vatic. p. XX-XXTV.
2. — DONATO. 203
Elio Donato in Vergilium (*)
Il commento di Elio Donato alla Georg, e aH'Aen. di
Vergilio s'è perduto; dell'esposizione della Buco/, ci son
pervenuti tre capitoli, nemmeno trasmessi unitamente:
cioè la dedica a Munazio, la vita del poeta e l' intro-
duzione sulla poesia buccolica (i). Ma pare che il Pe-
trarca possedesse il commento alla Bucolica. E di vero
>i ponga mente a queste chiose autografe sul suo
Vergilio Ambrosiano:
f. di guardia: Melibeus a finibus suis discedens ac Tytirum sub fago
Joris estum vitantem videns et admirans, ait: * Titire tu etc. ' (Ec/. I, i).
: ■ t pronomen hoc ' tu * hic discretionem importat, quasi dicat: tu, ita
;uod nullus alius, sive mantuanus, ut Servio, sive poeta, ut Donato,
ive, ut nobis videtur, et mantuanus sit qui loquitur et poeta.
f. 2 (in calce a destra) (2): Sub persona ergo Tytiri Virgilium intel-
liginìus secundum omnes; per Melibeum vero quid importetur dissentire
idcntur cxpositores. Iste (scil. ScrviiLs) enim ut patet ex sequentibus,
mantuanum aliquem finibus suis pulsum intelligi vult obstupentem su-
j»cr felicitate Virgilii, qucm agris propriis restituerat Augustus. At qui
i ) o n a t u m sccuntur, dicunt Augustum soli Virgilio romanam ystoriam
ractandam concessitse, adiccto quod aliorum omnium scripta poctarum,
(^ Comparve la prima volta in Giorn. star. Utt. itaL 45» 1905, 172-3.
(i) Ripubblicati ora In Vitae Vergiiianae, ree. I. Brtimmer, Lipsiae
1912, p. VII; 1-19.
;:i II carattere è molto sbiadito e in certi punti illeggibile. U testo ti
'/ri con la copia che ne tr:uicrÌMM; dal Vergili»» petrarchesco AstoU
• ' Marinoni sul c(n1. ( Ja»anatcniM: 960 f. 7 negli anni 1393 e 1394 a
Pavia.
204 ^' SABBADINI.
qui de ea scribere aggressi fuerant sed nondum perfecerant, delerentur.
linde invidebant alii, inter quos precipue Evangelius et Cornificius Arrii
centurionis cancellarius. Per Tytirum ergo Virgilium, ut diximus, per
Melibeum volunt dictorum poetarura alterum intelligi. Ego quidem si
eligere oportet, hanc ultimam sententiam prefero quam magis verba pa-
tiuntur. Soleo tamen utramque permiscere, ut scilicet per Melibeum et
poetam intelligam et raantuanum poetam, insuper et agris privatum et
Tomanam ystoriam vetitum attingere, loquentem ad eque mantuanum et
poetam, sed et agrorum restitutione et singulari scribendi prerogativa
letum atque gloriantem.
f. 2v alla parola gemellos {Ed. I, 14): Legitur Corni-
ficius de ystoria romana fecisse duos libros, quos au-
dito principis edicto deseruit nec ultra processit.
Uallusione allegorica aMiUkistoria romana è ricordata
anche da Servio, che la confuta: Ed. I, 5 resonare do-
ces Amaryllida s. idest Carmen tuum de amica Ama-
ryllide compositum doces silvas sonare; et melius est
ut simpliciter intellegamus: male enim quidam allego-
riam volunt, tu Carmen de urbe Roma componis ce-
lebrandum omnibus gentibus. — Non è propriamente
MrUhistoria romana, ma una cosa molto affine, un Car-
men de urbe Roma.
ì. 2v Hic tamen persecutor Virgilii Evangelus ex-
clamat non esse ad interrogata responsum; D o n a t u s
autem respondet et responsio in effectu cum hoc dicto
Servii concordat. — Si allude allo scolio ad Ed. I, 19,
dove Servio discute un quesito degli obtrectatores di
Vergilio: urbem quam dicunt Romam quaeritur cur de
Caesare interrogatus, Romam describat etc.
2. — DONATO. 205
f. 3 alle parole di Filargirio [Ed. I, 43) dies idest
principia meftsium, il Petrarca chiosa:
Hec est una expositio. Alii dicunt per bissenos dies
1 2 libros Eneydis velut prophetico spiritu pronuntiasse
Virgilium: qui sensus satis elegans est, dummodo ve-
rus sit D o n a t u s bissenos prò 24 accipit et ad
tempus suscepti imperii refert allegoriam, quod mihi
non placet.
Questo Donato non può essere che Elio. Però non
ci sentiamo di credere che fosse un testo genuino, per
due ragioni: la prima che l'allusione allegorica al Car-
men de urbe Roma o historia romana se è respinta da
cervio, che pur propende all'allegoria, tanto meno può
venire attribuita a Donato, il quale dell' allegoria si
nianifesta quasi oppositore in queste parole dell' intro-
duzione sulla poesia buccolica (i): * Illud tenendum esse
praedicimus, in Bucolicis Vergilii neque usquam neque
ubique aliquid figurate dici, hoc est per allegoriam;
vix enim propter laudem Caesaris et amissos agros
haec Vergilio conceduntur '. La seconda ragione è che
nel testo posseduto dal Petrarca si nominava Evan-
[ri US, il noto Vergiliomastix, interlocutore nei Satur-
nali di Macrobio: e Macrobio. visse dopo Donato. Onde
>i sognerà supporre che il commento di Donato alla
1 bucolica sia stato interpolato: se pure non vogliamo
ssere più scettici ancora e ammettere che si trattas-
se di un commento di origine medievale, a cui si fosse
ittaccato o per errore o per frode il nome di Donato.
(l) Vitat Vtrt^ilianai l6.
206 k. SABÈADINI.
Elio Donato in Terentiutn
scoperto nel secolo XIV (*)
Come scopritore del commento di Donato a Teren-
zio noi conoscevamo l'Aurispa, che lo trovò a Magon-
za nel 1433. Ma in Francia il commento Donatiano fu
rintracciato almeno quarantanni prima, per opera di
Nicola da Clémangis. Per questa dimostrazione ponia-
mo a principal fondamento VEpist, V del Clémangis (i),
scritta al cardinale Galeotto di Pietramala, che morì
nel 1396 o 1397. I^i fronte alle parole dell' umanista
francese collochiamo quelle di Donato (2).
Clémangis. Donato
Epist. V pag. 25-26. Nunquid ro-
manus fuit Terentìus, totius latine
comedie longe ante alios princeps,
qui licet vetustissimus sit, utpote qui pag. 3, 5 cum inter finem se-
tempore belli punici secundi claruis- cundi p;mici belli,
se dicitur, tam excellenter tamen tam-
que eleganter in illa antiquitate scri-
psit, ut omnibus fere posteris latinis
et facultatem et voluntatem descri-
bende comedie ademerit. Neque enim
post illum alius scribere ausus est,
(*) Comparve la prima volta in Rivista di fiblogia XXXIX, 191 1,
541-43.
(i) Nicolai de Clemangiis, Opera omnia, Lugd. Bat. MDCXm.
(2) Nell'edizione del Wessner, Aeli Donati, Commentum Terenti, Lip-
siae 1902.
DONATO.
207
uno tantum dempto Affranio, qui de pag. 8, 15 hunc Afranius qui-
Terentii super alios excellentia hunc dem omnibus comicis praefert, scri-
ternarimn iambicum in Compitalibus bens in Compitalibus: Terentio non
scripsit: Terentio non similem dices similem dices quempiam (i).
quempiam. Qua autem Terentius ipse
patria fuerit, fabularum suarum tituli
indicant, in quibus Afer et Cartha-
ginensis inscribitur. Quod si illum
propterea romanum censeri debere
contendunt, quod captivus est ex
Carthagine, ut nonntilli aiunt, Ro-
mam perductus...
P^g- 3> 4 quidam captum esse
existimant....
Epist. LVn pag. 159. Servus in
Eunucho, domini nomine ancillam
datums de remotissima illam com-
mendat regione: Ex Ethiopia usque
est anelila hec.
Epist. LXXX pag. 242. Senex
ille qui apud Comictim sapienter bis
verbis philosophatur: ' Omnes cum
tecunde res sunt maxime meditari
secum oportct quo pacto adversam
fortunam ferant, perìcala exìlia dam-
na '. Et Kcquitur: ' Percgre redieri.s
Rcmpcr cogitcs aut filii peccatum aut
axorÌK mortem ant morbaro filie:
communia esse hec et fieri posse ut
ne quid animo tit novum quidque
prctcr ipem evenerìt, omne id de-
Etm. Ili 2, 18 * usque * addi-
tum est, ut longinquitas monstra-
retur Ex Aethiopia est usque
haec ostendit quid sit ex Aethio-
pia, addendo * usque ', ut ex lon-
ginquitate dignitas nmneris pon-
deretur.
(1) Non trovo nulla da correggere in qnetto verso, che presso il
WrsHDcr Kuona: ' Terenti num similem dicetis quempiam ? ' Tutti i co-
dir» danno dieent.
208 R. SABBADINl.
putare in lucro '. Super quo Dona- Phor. II i , 1 1 , Et bona senten*
tus in Commentario: * bona, inquit, tia: tum maxime sapienti metuen-
sententia: monet tum maxime sapienti dum, quo tempore maxime securus
metuendum, quo tempore maxime se- est stultus.
curus est stultus '.
Un frammento del Donato scoperto dal Clémangis
si conserva nel cod. Ambrosiano L 53 sup. (*), che
descrivo brevemente. È cart., con qualche foglio mem-
branaceo intercalato; del sec. XV.
f. I (anepigrafo) Lucius Anneus Seneca Cordubensis
Phitoni stoyci discipulus. — Proemio a un commento
delle tragedie di Seneca, con la vita, la metrica e l'ar-
gomento delle singole tragedie. Di Nicola Treveth.
f . 1 4 Incipit liber Senece de remediis fortuitorum.
f. 17V estratti da Vegezio De re militari,
f. 21 Salustinius (sic) De bello Cathelinario.
f. 41 (anepigrafo) La Giugurtina di Sallustio.
f. 90V (anepigrafo) De Terencii vita in antiquis libris.
La vita di Terenzio composta dal Petrarca (i).
f . 9 1 V Sequitur quodam argumentum Andrie quod se-
pe reperitur in antiquis libris nofi tamen a Terencio sed
a quodam scolastico satis prolixe dictatum et confuse
satis (2), facili ab experto dictatore expoliendum. Orto
libello (sic) Athenis Chremes quidam senex — . Pub-
(*) Comparve la prima volta in Studi ital. filol. class. XI, 1903,
85-199.
(i) Cfr. Studi ital. filol. class. V 31O; 312.
(2) Nei due satis sentiamo il francese assez.
i. — DONATO. ÌÙ^
blicato in Scholia Terentiana, ed. Schlee, Lipsiae 1893,
172.
f. 92 (anepigrafo; in marg. di mano recente per Do'
natum). Publius Terencius Afer carthagini — solet et-
cetera. — L' introduzione del commento di Donato a
Terenzio fino alla p. 37, 3 Wessner.
Il codice è tutto di una mano; però i due ultimi o-
puscoli di argomento terenziano mostrano un carattere
più piccolo. La scrittura è gallica e va probabilmente
assegnata ai primi anni del sec. XV. Il copista non
trascriveva per mestiere, bensì per propria istruzione; e
si capisce che prediligeva gli opuscoli, gli estratti e par-
ticolarmente le biografie, le quali compariscono nel suo
zibaldone in numero di cinque: una di Seneca, le due
di Catilina e Giugurta e due di Terenzio. Da ciò de-
duciamo ch'egli avesse sottocchio l'intero commento
di Donato, come avrà avuto intero quello del Treveth;
e che dall' uno e dall' altro abbia tratto le parti che
gli tornavano utili: dal Donatiano la biografia di Te-
renzio, r introduzione sulla tragedia e sulla commedia
e il proemio dell' Andria: 1' etcctera messo dopo solet
mostra che egli troncava li i suoi estratti.
Troppo attento non era il nostro compilatore; e lo
riconosciamo da alcuni passi che scrisse due e perfino
tre volte, uno specialmente che occupa tutta una pa-
gina, f. 94V (inter ytalicos — leniter refutare, p. 3, 8
— 5. 15 W.\ sulla quale poi, accortosene, segnò va^
cai. Questo luogo nella doppia copia presenta qualche
dimenticanza e parecchie differenze, ma nell' insieme le
due copie si corrispondoTw» ..^ .ttiT.ì^Mit** ♦» r\ attestano
E. tABBADWl, TiSti iattMi I4.
ilo R. SAèBADlNt.
che il raccoglitore era coscienzioso. Poiché quelle dif-
ferenze non provengono da trascuratezza, ma dalla dif-
ficoltà d'interpretare la scrittura dell'antigrafo. E non
qui solo, ma anche altrove il copista tentò e ritentò,
onde qua e là si corresse e più volte trascrisse mec-
canicamente parole senza senso.
Chiameremo 5 il codice francese donde fu derivato
l'Ambrosiano. A noi non consta che 5 sia stato noto
agli umanisti, se non forse l'hanno consultato per sup-
plire le citazioni greche, poiché non conosciamo il
codice da cui le trasse la mano 4 di i^(cod. Malate-
stiano). Maggior probabilità potrebbe avere un' altra
congettura, che sia da identificare col vetustum exem-
plar manuscriptum adoperato dallo Stephanus (i).
Il certo si é che vS non deriva da nessuno degli e-
semplari venuti in luce a cura degli umanisti del se-
colo XV e che d'altra parte nessuno di essi esemplari,
il Maguntino e il Carnotense principalmente, rappre-
sentati 6idi F C Va, deriva da S; giacché 5, come ri-
sulta dalle sue lezioni, attesta una risoluta indipenden-
za da tutti i codici del secolo XV; non solo, ma indi-
pendenza anche da A, il più antico dei codici perve-
nutici, col quale però spesso consente. La presenza di
5 illumina meglio la tradizione del commento. Osser-
vando infatti il non infrequente antagonismo di A col
gruppo F C V a, saremmo indotti ad ammettere una
piuttosto antica divisione del testo Donatiano in due
famiglie; al contrario considerando come tra ^ e il grup-
(i) Cfr. Studi ital. filol class., II 19.
2. — DONATO. ili
po F C Va intervenga misuratamente S, piegando più
verso A nella vita di Terenzio, più verso il gruppo
nell' introduzione sulla tragedia e commedia, ci con-
vinceremo che risalendo indietro ne' tempi la fonte
del nostro commento si unifica e che discendendone
si divide per l'opera personale dei copisti e dei lettori.
Per questo e per la bontà delle lezioni è da lamen-
tare la perdita dell' intero testo di S, che conservava
fra l'altro i passi greci al pari e meglio di A. E vero
che S ha accolto qualche interpolazione, come, per
riferirne una evidente, ipsorum — fabula p. 28, 6 W.,
entrata anche nel gruppo F C T V; ma è pur vero
che dobbiamo a esso un buon manipoletto di lezioni
genuine, che qui soggiungo:
p. 3, I Wessner Carthagini
^, 6 /s
5, 8 in die bis
5, 14 eamqut (emendamento dello Schopen)
7, 4 Popillio (emendamento del Muretus)
7, 15 in navim (emendamento dello Schòll)
9, 8 tu in summis (avrà desunto di qui lo Stephanus il suo emen-
damento ?)
10, 7 Qui abbiamo il titolo: Dt tragoedia et comoedia
K I , Ugem (emendamento dello Schopen)
eperta (emendamento dell'ed. pr.)
16, 4 actu (emendamento dello Schopen)
17, IO multos (sarà la vera lezione?)
20, 1 5 extra comoediam] extrade con*, in extragedia. In extradi sì
ccinhcrva probabilmente un residuo della lezione originaria.
^o, 14 modos: gli altri codici numeros; entrambe lezioni errate.
•ibiaej iidie *=- Lydiae (forse un' interpolazione, ma certo antica
' , indente all'altra sarrateve — Sarranaevt f)
ÌI2 R. SABBADINl.
27» 3 prologus est di fio prima a ^i^recis ITqocooc acoFoc ut actendens
veram fabulam (corr. in falmle ?) conipoicio7iem elocncio IIqoìtoc aoioc
IlEpy. toy aococ. Si può ristabilire cosi la lezione di S: Prologus est
dictio prima, a Graecis jtqwtgq ^,0705, til anttcedens veram fabulae
compositionem elocutio. IlQtòTog Àóyog' jtqò toìj [ 8Qd(.iaT0<; ] ^óyog.
Cioè una doppia definizione di prologus, prima in latino, poi in greco.
Il codice Ambrosiano appartenne a Francesco Pi-
zolpasso, che lo dovette acquistare in Francia negli
anni 1422-23, quando egli vi andò vescovo di Dax
(Aquis) in Guascogna (i). Il Pizolpasso era oriundo
bolognese (*). Dalla Guascogna, soggetta allora alla
dominazione dell'Inghilterra, fu mandato nel 1423 a
rappresentare la nazione inglese al concilio di Siena (2 ).
Anteriormente aveva preso parte al concilio di Co-
(i) Gams 544. Cfr C. Malagola, Della vita e delle opere di Antonio
Urceo detto Codro, Bologna 1878, 45: * 1422 d. Franciscus de Pizol-
passis de Bononia fuit creatus episcopus Aquensis usque Angliam '.
(*) Comparve la prima volta in Studi ital. filol. class. XI, 1903,
378-83. Sul Pizolpasso cfr. in generale Saxius, Archiep. Mediol. IH 858-
81; G. Gìulmi, Memorie della citta e campagna di Milano, Milano 1857,
VI 338; 379; G. Fantuzzi, Scrittori bolognesi VII 3-1 1.
(2) ' Franciscus, episcopus Aquensis ' assisteva all'adunanza del 19
febbraio 1424, Hefele, Conciliengeschichte VII 405. A lui é indirizzata in
quel tempo una lettera di Poggio: Poggii Epist., coli. Tonelli, I 128-
136 Poggius p. s. d. Francisco episcopo Aquensi; in data Reate die
V mensis augusti (1424); dove leggiamo tra l'altro (^136): Te oro ut in
tempore maiorem in modum me commendes summo pontifici..., Angelot-
tum vero, Ciuci um Bartholomeumque de Monte Politiano nomine meo
salvare iube.
2. — DONATO. 213
Stanza (i), donde era partito nel 14 15 in seguito alla
fuga di Giovanni XXIII: in quel frattempo compì gli
studi a Bologna e di là verso la fine del 141 7 andò
nuovamente a Costanza, accompagnandosi poi alla cor-
te pontificia di Martino V nel ritorno in Italia (2).
Dal 1427 fu vescovo di Pavia; dal 1435 arcive-
scovo di Milano. Morì tra il febbraio e il marzo del
1443 (3)-
Negli anni 1 432-1 439 assistette al concilio di Basi-
lea: e ivi lo ritroveremo parlando deUe scoperte di
Donato nel secolo XV. Fu un operosissimo raccogli-
tore di manoscritti, ch'egli alla sua morte legò al Ca-
pitolo della Metropolitana milanese, donde passarono
in numero di 52 nella biblioteca Ambrosiana (4).
( I ) ' Magister Franciscus de Pizolpassis de Bononia apostolice camere
clcricus ' fu dal papa mandato in precedenza a Costanza il 20 settem-
bre 1414 (H.Finke, Acta conditi Constant. 1896, I 251). Cfr. la noti-
zia del Malagola (op. eie. 44) secondo la quale il Pizolpasso ' clericus
camere et canonicus bononiensis ' il 29 maggio del 141 7 fu licenziato in
diritto canonico e il 12 luglio successivo laureato. Su due lettere di
Poggio scrittegli da Costanza nel settembre 1417 vedi R. Sabbadini in
Rendic. del r, Istit. Lomb. se. Utt. XLVI, 1913, 906.
(2) Y. de Pizolpassis, reduce dal concilio di Costanza, si trovava nel
loglio 1418 come ambasciatore pontificio presso il duca di Savoia, per
avvisarlo del prossimo pxss.iggio del papa traverso i suoi stati (L. Frati
in Arehrvio stor. itul. 48, 191 1, I20>.
^3) Archivio stor. Lomb. 37, 19 io, 321.
(^4) L' inventario «lei c<k1ìcì del PizoIpnsMi imsu nti j.rrsH.» il ( apitnlo
fu pubblicato e illutiiratr) dal Magistrctti in Archivio stor. Lomb. 36,
i<>09, 302 sgg.
214 ^' SABBADINI.
Elio Donato in Tèrentium
scoperto nel secolo XV.
Delle scoperte di Donato nel secolo XV si parla
in alcune lettere dell' Aurispa, del Panormita, del Val-
la (*), le quali dispongo cronologicamente, cercando di
determinarne la data con la maggior possibile esat-
tezza.
I.
Aurispa lacobino Thomasi \Thebalducct\ v. e.
et virtuosissimo s. p. d.
Essendo già stata pubblicata dal Keil e da me (i),
ne riporto quei soli passi che fanno al caso presente:
* Ò trovato ancora [a Magonza] un commento de Donato
supra Terentio,lu quale nullo erudito lesse mai sensa grande
voluptate ....
Munsignor de Sancta Cruce et maistro Thomase [Parentucelli] serra-
no qui infra octo iorne e mastro Thomase porta seco tucte le opere de
Tertulliano.
In Basilea VI augusti [1433]. '
Il Keil ha fissato nel 1433 la data di questa lette-
ra, fondandosi sulla ambasceria boema a Basilea. Io
cercherò di confermare con altri argomenti questa data.
(*) Comparve la prima volta in Museo di antichità class. HI, 1889,
383-91.
(i) Cfr. R. Sabbadini, Biografia di G. Aurispa, 64.
2. — DONATO. 215
Si veda infatti il seg-uente passo di una lettera del
Traversari (i) al Niccoli: Grata f iter e quae de repertis
voluminibus vel ab episcopo Mcdiolaneiise iam vita functo
ve! a Thoina nostro vel ab Aurispa significata scribis,...
Ravennae XII decembris. Questa lettera del Traversari
è certamente del 1433, perchè alla fine di quell'anno
egli stava in Ravenna. Del resto in essa si parla del-
l'arcivescovo Capra come gicà morto: la sua morte av-
venne a Basilea tra la fine di settembre e il principio
di ottobre del 1433 (2). Questo è dunque l'anno delle
scoperte di codici fatte da Tommaso Parentucelli e
dall'Aurispa.
Un' altra prova. Tommaso Parentucelli era g-ià in
Germania (v. sopra p. 3); e noi sappiamo che egli e
il cardinale di S. Croce (Albergati) furono eletti da
Eugenio IV per andare al concilio di Basilea il 29
gennaio 1433 (3). Non può dunque cadere prima di
quest'anno la lettera dell'Aurispa la quale presuppone
la presenza al concilio del Parentucelli e del cardinale
di S. Croce.
Ancora. L* Aurispa dice che Tommaso porta seco tucte
le opere de Tertulliano. Questo codice arrivò in Italia
o alla fine del 1433 o al principio del 1434, come si
ricava da una lettera di Alberto da Sarteano al Nic-
I ) V iil, 52.
(2) R. SabbiOdini, Sieeolh da Cusa ecc. iti Rtvdic. d. r. Accadem. dei
Linai XX, 191 1, 2^
(3) Architno stortcv /tniuino, 1888, p. 45. Non pntc li c.irdjnalr par-
tire subito e fti dovette nell'aprile e tna^io trattenere a Verona, impe-
,iii:t ' Vinttos in ad concHium^ ibid.
2l6 R. SABBADIMI.
coli (i), dove si legge: quem [Tertullianum] in Ala-
mannia repertum de Basilea Teutonicorum ad te perla-
tum dicis Ex Ferrarla VI kal. feb. 1433 (= 1434
stile moderno).
Finalmente abbiamo una lettera da Basilea del no-
vembre 1433 dell' Aurispa a Cosimo de' Medici (2),
nella quale si duole dell'esilio a cui fu condannato e
lo consola (3). Anche per questa via è messa fuori di
dubbio la presenza dell' Aurispa a Basilea nel 1433.
Resta dunque dimostrato ad esuberanza che la lettera
deir Aurispa al Tebalducci è del 1433.
n.
Aurispa viro darò et poetae suavi Antonio
Panhormitae s. p, d. (4)
Si ex animo commentum Donati in Terentium postu-
lares, non nebuloni negotium commisisses, quum tot frugi et extimati
homines isthinc ad nos venerint. Misisses praeterea veteri amico et tui
cupidissimo quicquam in illius antiquissimae benivolentiae monumentum;
debebas enim, quod tute perpetuo exerces, quod puer etiam didiceras,
meminisse: * munera crede mihi placant hominesque deosque; ' (Ovid.
A. A. ni 655) et quod apud eum poetam quem miraris est: ' qui saepe
petis, minimum (5) largire nonnumquam . ' [Priap. XXXVDI ?) Sed audi
quid in re est. Fateor velie me quicquam rerum abs te; sed quasi ita
Ci) Alberti a Sartheano, Epist. 25.
(2) Pubblicata da R. Sabbadini, Ottanta lettere inedite del Panormita,
Catania 19 io, 155-6.
(3) Cosimo de' Medici fu imprigionato il 7 settembre 1433.
(4) Cod. Vatic. 3372 f. 5.
(5) mimmi cod. (mi mi?)
2. — DONATO. ai;
fortiinatum sit, Donatus ille transcribi fato non potest, quippe quern cu-
pidissimi codicum novorum et doctissimi diutissime tenuerunt et nequi-
verunt cxplere. Karolus (i) solum id transcripsit quod tu habes, caetera
me saepe rogante saepe etiam postulante non coraplet; studebo tamen
omni cura ut transcribat, quod quum factum fuerit habebis originale.
Vale tu.
Ex Florentia XII augusti perraptissime [1442?]
Quel diutissime e quel saepe e tutto il tenore della
lettera sono argomenti di una lunga dimora dell' Au-
rispa in Firenze. Una siffatta dimora non può cadere
che nel 1434-36, quando fu di ritorno dalla Germania
e si accompagnò alla corte pontificia di Eugenio IV,
o nel 1439-42, quando Firenze fu sede del concilio.
Per quest' ultima data mi fa propendere la seguente
lettera del Panormita all'Aurispa.
m.
Atitonius Panhortnita Aurispae v. ci. s. p. d. (2)
. Mariam filiam et a Venctis in via et Ferrariae a viro tam li-
ilitcr ac magnifìce exceptam AJfonsus rex idem et pater perquam
libcnter audivit tibiqiie etiam gratias habuit, qui fere omnem rem nobis
online renuntiaveris ....
Procurabìs si me amas si a me amari vis e o m m e n t a r i o s
'1 Terentium extorquere ab Aretino tuo, olim meo....
Qui si allude al matrimonio di Maria d'Aragona fi-
glia di Alfonso con Leonello d' Este figlio del mar-
,.},,. ,. ,r. f.-...- — ., Il ni.'ttrimonin si rj>|ohrò noli' aprile
I ) Carlo Martuppini Aretino.
2) Anton. BoccatcUi, Epist., Venctiit 1553» f. ii'
2l8 R. SABBADINI.
1444. Maria andò a prenderla Borso, fratello di Leo-
nello, con due galere veneziane. Partì da Venezia e
sbarcò ad Ortona; da Ortona a Napoli prese la via di
terra; nel ritorno fece la medesima strada (i). La let-
tera del Panormita perciò è della prima metà del 1444.
In quel tempo V Aurispa stava a Roma (2). Il Panor-
mita gli ripete la dimanda per aver Donato, che pro-
babilmente era ancora in mano del Marsuppini. Si de-
duce di qui che la lettera precedente dell' Aurispa al
Panormita dev'essere di poco anteriore alla presente;
la potremmo collocare nel 1442.
IV.
Laurentius {Vallai Ioanni Ar retino suo s. (3)
Dedi ad te proxime litteras banco Bazzolorum quemadmodum tu ipse
iusseras. Scribam autero ad te alias latius. Nunc partim fatigatus scribendis
hoc die temis litteris ad totidera cardinales papaeque, non aliud scribo
quam quod ab amico ut scriberem iniunctum est, ut quaeras a domino
Columnensi sive quis alius est quiDonatum super Terentium
habet, numquid integer Donatus reperiatur et an super omnes comoe^
dias scripserit. Nam hic amicus meus apud Carnotum vidit hunc aucto-
rem sed sine tertia comoedia 'Ea'UTOVTi|j,coQOVfAévC{) et non integra quin-
ta 'ExDQtt, item cum defectu in sexta, quae dicitur ^OQfxicov. Praeterea
si quis apud vos habet quatuor Academicorum Ciceronis
libro s non pridem Senae repertos. Plura non scribo, quia non vacat
ac ne possum quidem, nisi mei nostrum Nicolaum valere iubeo. Vale.
(i) Tutto ciò è narrato partitamente in una lettera di Giovanni To-
scanella all' Aurispa. Cod. Ambros. F. S. V. 18 f. 53v-6or. Cfr. R.
Sabbadini, Biografia di G. Aurispa 91-92.
(2) R. Sabbadini, op. cit. 88-89.
(3) Cod. Ambros. G. 109 inf. f. 35V, Misceli. Tiali XIX p. 191.
2. — DONATO. 219
[Neapoli] XVI kal. februar. [1447], quo die ad dominos illos cardinales
reccnter electos praeter dominum Mediolanenseni dantur meae litterae,
licet Consilio Ambrosii mei diem anticipavi, quia sero et ipse ad me scri-
pserat et ego acceperam litteras,
Divinarum huraanarumque rerum consulto d. Ioanni Arretino apud d.
Portugallensem.
La data di questa lettera si fissa esattamente. Il ter-
minus ad quem è subito trovato, perchè vive ancora
il cardinal Portoghese, cioè Antonio Martini, morto il
di II luglio 1447 (i). La lettera perciò non può an-
dare oltre il 17 gennaio 1447; vuol dire che essa è
anteriore all'elezione di Niccolò V. Qui si fa menzione
di una recente creazione di cardinali, tra i quali com-
preso anche il cardinal Milanese. Ora Enrico d'Allosio,
arcivescovo di Milano, fu fatto cardinale da Eugenio
IV nel 16 dicembre 1446. In quell'occasione furono
creati quattro cardinali: Tommaso Lucano, Giovanni
Siculo, Giovanni Carvaial, Enrico d'Allosio (2). E per
r appunto il Valla scrive a tre dei cardinali recente-
mente creati, eccetto quello Milanese. L' anno della
lettera è pertanto senza dubbio il 1447.
Il dominus Columnetìsis è il cardinale Prospero Co-
lonna, Nicolaus probabilmente Niccolò Cusano.
M» CiacoDÌu», Hist. pantif. II, p. 912.
' 21 Ibi'!
220 R. SABBADINI.
V.
Aurispa viro clarissimo equestris ordinis Antonio
Panhormitae s. (i)
Magnarti videris habere curam, magnani obligatus es habere curam
propter singularem, qua semper te amplexus sum, benivolentiam, ut haec
mea senectus quieta sit tua opera et industria, quod hactenus non esse
factum et miror et inducor ut credam aliud esse ac videatur, quippe qui
apud regem plurimum possis et ipsius serenitas quam facillime queat me
felicem sine aliqua sua impensa facere. Misi tibi et meas et pontificis
litteras ad ipsum regem eo tenore (2), quem dominus Putius de Politis
prò tua sententia mihi significavit. At tu quod maxime miror nihil hac-
tenus respondisti, quod equidem moleste fero. Oro te igitur vir excelleris
per antiquam amicitiam perque mutuam immo per meam erga te benivo-
lentiam, supero equidem amore et caritate amicos omnes, ut tuum ani-
mum quieti meae intendas; hoc est ita facito, ut hoc meae senectutis
residuum vobiscum et cum meis vivere possim (possum cod.).
Nam si primo peregrinus esse videbar Ferrariae, posteaquam marchio
ipsius civitatis defectus est videor alienissimus. Cura igitur ut me voces.
Vacarunt nuper Syracusis duo beneficia sine cura, quae possidebat Gui-
lielmus de Bellehomo qui nunc est Cataniensis episcopus. Illis fuissem
contentus et ut audio super illis est litigium inter Marrasium (3) et
quendam alium; quare si regi placitum esset extinguere litem, et ea mihi
dare posset. Nam si suae serenitatis voluntatem haberemus, ex pontifice
habebo omnia. Facito igitur ut prudenciae tuae visum fuerit; quippe si
feceris, scio te feliciter facturum et expleturum quod volumus.
lam diu scieram Carnuti in Gallia Donatum in Terentium in
biblyotheca ecclesiae maioris esse. Eum curavi ut transcriberetur mihique
huc Romam transmitteretur, quod iam factum est et eum codicem hic
(i) Cod. Vatic. 3372 f. 32V.
(2) tenere cod.
(3) Il Marrasio era dunque vivo ancora nel 145]
2. — DONATO. 221
habeo et dedi operano ut transcriberettir; quod qumn erit factum, et cito
fiet, originalem ad te mittam non dono sed ut tu et alii copiam habeant.
Vale et respondeas oro quamprimum fieri poterit. Valeant uxor et fi-
liola; at mea Faustina valet et quotidie fit doctior; istam dominam uxo-
rem txiam ex me saluta, filiolam osculare et aliquid dulcis ex me dato.
Romae XI ianuarii raptim [1451].
Per determinare la data di questa lettera abbiamo
argomenti sicuri. In essa è accennata la morte del
marchese Leonello d' Este, la quale fu nel i' ottobre
1 450. Vi è del pari presupposto vescovo di Catania
Guglielmo Belluomo, assunto a quella sede il settem-
bre del 1450 (i). Siamo dunque posteriormente a que-
st'anno. Dall'altra parte l'Aurispa domanda due bene-
ficii che sappiamo essergli stati concessi nel 1451 {2).
L'anno della lettera è perciò senza dubbio il 1451 (3).
VI.
Aurispa viro excellenti et darò Antonio Panhormitae s. (4)
Moleste fero quod tu opera mea non egeas ut ego tua. Nam quamvis
prudentior et acrioris ingcnii sis, vincercm mihi crede acrimoniam et pru-
dcntiam taara diligentia et cantate; itaque maiora ego prò te pingui inge-
nio conficcrcm, quam tu prò me cum ista tua ingcnii excellentia. Sed vi-
gila quandoque te oro in re mea et ex peregrino me civem reddas. Supe-
riore hebdomada item ad te scrìpsi ac certiorem feci me iam e o ro m e n-
t u m Donati in T e r e 11 t i u m habuisse, quod Camoti ut rescribe-
(i) Rocco Pini, Sùilia sacra I, p. 549.
(2) Mongitore, Biblioth. Siculo I, p. 322.
(3) Non può etscrc p. e. il 1452, perche giusto il giorno 11 gennaio
1452 rAurì»p« Itavi! a Ferrara, cod. Ottoboniano li 53 f. 37.
{4) Cod. Vatic. 3372 I. 33T.
Hi R. SABÈADtNl.
retur curavi. Facio item transcribi, ut ipsius copiam secure amicis facere
possim, ne forte denuo mihi eveniret quod Guarinus, Carolus et tu mihi
fecistis. Vale mei memor suavitas mea. Domili um Putium propter eius
virtutes inprimis et propter me carum habeto; est vir aestimandus.
Romae .V februarii raptim [1451].
Questa lettera confrontata con la precedente appa-
risce subito essere del medesimo anno.
In queste lettere si parla di due distinti commenti
di Donato, entrambi alle commedie di Terenzio. Il
primo fu scoperto a Magonza nel 1433 dall' Aurìspa.
Egli certo ne portò seco nel 1434 un apografo a Fi-
renze; ivi si accompagnò alla corte pontificia, che rac-
coglieva il meglio degli umanisti di quel tempo. E
nelle lunghe e tranquille soste da essa fatte a Firenze
(1435-36), poi a Bologna (1436-37)» indi a Ferrara (1438)
e da ultimo nuovamente a Firenze (1439-42) ci fu tutto
l'agio di trascrivere e moltiplicare il nuovo commento
di Donato. Ne ebbero copia p. e. Carlo Marsuppini a
Firenze, il Traversari (i) a Ferrara, il Panormita a
Napoli.
Che anche Guarino conoscesse il commento Teren-
ziano di Donato, si ricava dalla Politia litteraria di
Angelo Decembrio, composta verso il 1447 ® pubbli-
cata nel 1462 (2). Pure per il Panormita abbiamo un
(i) Il Traversari possedeva un Donato a Ferrara sin dall'aprile 1438,
Martene, Ampi, collect. IH, p. 404, 406.
(2) p. 24-25, 99, 107, 144-150 (suU'interpretaidone di Donato zlVAndr.
prol. 25-26), 152-153, 159, 208, 269. A pag. 107 poi sul proposito del
passo dell'^««. IV, 7, 21 nunquam accedo quin abs te abeam doctior si
nota: ' Quod autem a Donato locus is silentio praetereatur, velut in-
2. — DONATO. 223
documento sicuro in ana sua lettera (0- Il Valla non
possedeva ancora il commento a Terenzio nel tempo
in cui scriveva le Eleganze, ma lo possedeva nel 1451,
l'anno in cui componeva X Antidotmu II in Pogium. In
esso infatti si legge: Eius [Donati] super Terentii An-
driam nondum legeram commentum cum composui Ele-
gantias (2).
Il secondo codice del commento Terenziano di Do-
nato fa capolino nel 1447 (lett. IV). Esso era stato
veduto nella cattedrale di Camutum (Chartres), vicino
a Parigi. Il Valla ne ebbe un' esatta informazione; il
codice conteneva tre commedie intiere: X And., VEun.j
gli Adel. e due mutile: VHec. e il Phormio, Anche que-
sta volta si deve all' attività dell' Aurispa la divulga-
tellectu facillimas, iudicium est simplici modo intelligentis. ' Al contrario
Donato commenta questo passo, ma non forse con quella larghezza, che
avrebbe desiderato Guarino. Però Guarino fino al 1445 pare non lo
possedesse ancora, perchè in una lettera di quell'anno ad Alberico Ma-
letta lo prega di ottenergliene una copia da Tommaso Tebaldi, che al-
lora stava a Milano.
(i) Lettera a Niccolò Piscicello, arcivescovo di Salemi» {Regis Ferdi-
nandi et aliorum Epislclae, 1586, p. 397).... Non legerat Donatum gram-
maticum aroicas et familiaris meus Poggius, credo quod deorum more
minima non curct; Donatus enim ita scribit in illa Comici particula [in
Terent. Atidr. IV, 4, 52]: nescis quid sit actum ? ' Nescis ' plerum-
qoe dicitur ci non quem volumus redarguerc impcritiac aut ignorantiae,
•ed quem lacere volumus ut velit libcntcr audirc. — Niccolò Pisdcello
fu arcivescovo di .Salerno negli anni 1449-1471, Ughelli, Jtalia sacra
vu, p. 435.
(2) Valla, Opera, p. 293 (Ju/td. II; per l'anno 1451 di. \';ihlcn, /,.
ya//ai (ypu$e. tria, p. 19). Per altre notizie vedi R. Sabbadini in Studi
ital. fiUl. class,, W 18 nota.
Ì24 k. SABBADlNt.
zione del nuovo codice (lett. V e VI). Egli ne fece
trarre sul posto una copia, che arrivò a Roma alla fine
del 1450. Nel 1451 ne apprestò un secondo apografo,
che mise a disposizione del Panormita e degli altri
amici.
Stabilito così con la scorta dell' Aurispa la scoperta
di due codici di Donato, il Maguntino e il Carnotense,
trasportiamoci col pensiero a Basilea negli anni dal 1436
al 1439 a seguire le ulteriori tracce dell'esemplare Ma-
guntino, con la scorta questa volta di Pier Candido
Decembrio, dal cui epistolario comunicherò estratti piut-
tosto copiosi, anche se non sempre tocchino diretta-
mente il nostro particolare argomento (*).
A Basilea il concilio difende i suoi privilegi e la
sua supremazia sul papa, suscitando questioni di ordi-
ne religioso e politico, le quali imbarazzano non poco
dall' una parte 1' autorità pontificia, dall' altra la libera
azione di alcuni governi. Erano ivi tre personaggi, che
specialmente ci riguardano: uno tedesco, Niccolò da
Cusa, uno spagnuolo. Alfonso (da S. Maria di Carta-
gena) vescovo di Burgos, uno italiano, già di nostra
conoscenza, Francesco Pizolpasso, tutti e tre forti cam-
pioni nella gran lotta combattuta fra il papa e il con-
cilio. In mezzo alle turbolenze conciliari e alle fatiche
del loro ufficio questi tre dignitari trovavano il modo
e il tempo di occuparsi di studi. Niccolò da Cusa erasi
(*) Comparve la prima volta in Museo di antichità class. HI, 1889,
405-422.
2. — DONATO. Ì25
fatta un' insigne raccolta di codici, tra i quali alcuni
greci, che il Pizolpasso, ignaro del greco, deplorava
di non poter ne leggere ne trascrivere. 11 Pizolpasso
e il vescovo di Burgos si dilettavano di ricerche filo-
sofiche e corrispondevano col Bruni a Firenze, con
Poggio a Bologna e a Ferrara e con Pier Candido
Decembrio a Milano. Anzi tra il vescovo di Burgos e
il Bruni si accese una polemica filosofica, alla quale
prese parte anche il Decembrio come difensore del
Bruni, e il Pizolpasso come intermediario. La polemi-
ca si dibatteva sul significato dal Bruni attribuito a
Tàyad^v nella traduzione deh'Eùca di Aristotile. Questo
era il tempo che il Decembrio attendeva di propo-
sito alla ritraduzione della Repubblica di Platone, già
tradotta prima, ma non troppo bene, da suo padre
Umberto e da Manuele Crisolora. Il Pizolpasso e il
vescovo Alfonso in Basilea erano tenuti diligentemen-
te informati dal Decembrio sui progressi della tradu-
zione, della quale ricevevano di quando in quando le
primizie.
Gli estratti delle lettere sono stati da me disposti,
per quanto ho potuto, in ordine cronologico. Esse non
hanno data, meno una, che porta il mese. È però fuo-
ri di dubbio che quelle lettere si muovono entro il
termine di quattro anni, tra il 1436 e il 1439.
1. aAnADori, Tu ti tatmi, 15.
226 k. SABÈADINI.
I. (i)
# Petrus Candidus Francisco Fizolpasso Mediolanensi
archipraesuli s. (2).
Quod prius mihi ex Donato tuo placuit (3) excerpsi Phormionis
partem ex Apollodoro traducti (4) inverso nomine, ut idem putat (5).
Cuius laboris tempestivi admodum primicias ad te (6) mitto; facile ex
his cognosces quae deinceps sim exaraturus. Nihil est enim tam arduum
tam obstrusum, quod labori obstet intenso (7). Quid enim his commen-
tariis (8) scriptum fallacius, quid ineptius ? Et tamen (9) litterarum a-
mor me cogit elicere quod paternitati (io) tuae utile atque (11) iocun-
dum futurum putem. Scio quamplurimos lecturos ea quae ad te mitto
nec secus reprehensuros barbariem quandam veteris scripturae et modo
litterarum apices modo imperfectos rerum sensus derisuros, quasi haec
meae culpa sit negligentiae.
(i) Cod. Riccardiano 827 f. 15V (= R), cod. Bodleiano di Oxford
Canon. Lat. 95 (= O; da una comunicazione di K. Dziatzko nel Sup-
plem. X, 1879, p. 692, degli Jahrbuch. f. Philol,).
(2) Pizolopasso praesuli Mediolanensi O.
(3) ex Donato tuo mihi placuit 0.
(4) traductam R,
(5) Donato nell* Argutnentum al commento del Phormio di Terenzio
cosi scrive (Il p. 345 W.): Hanc comoediam manifestum est prius ab
Apollodoro sub alio nomine, hoc est 'Ejti8ixa^O(iévov, graece scriptam
esse, quam latine a Terentio Phormionem.
(6) tibi a
(7) incenso O.
(8) commentariis his O.
(9) quid ineptius otn. R; et tamen] vemm O.
(io) dignitati R,
(II) et R,
2. — DONAtO. 427
At vero si manura calamo (i), si mentem his infinitis erroribus ad-
diderint, si insudaverint carie vetusti operis, ut ipse facio, et plerunquc
Tyresiam consuluerint {2), ut ego (3), cum dubito vehemeiiter, eruiit
profecto modestiores in reprehendendo; et quae minus perfecte traducta
sunt a Dobis conferent his quae tolerabiliter fuere transcripta nec quid
videant erroris restitisse sed quid deinceps sit elimatum magnipendent.
* Diagoras enim cum Samothraciam venisset, ut inquit Cicero (4), A-
thens (5) ille qui dicitur, atque ei (6) quidam amicus: Tu qui deos pu-
tas humana negligere, nonne animadvertis ex tot tabulis pictis quam
multi votis vim tempestatis effugerint atque in portum salvi pervene-
rint ? (7) Ita fit, inquit; illi enim nusquam picti sunt, qui naufragia fe-
cerunt in marique perierunt. '
Sic aequum est a te responderi his, Francisce praesul dignissime, qui
roinutius (8) aliorura raendas consectantur. Si quis forte tibi (9) dixerit:
Tu qui Candidum tuum credis tam diligenter ab antiquis scripta trans-
ferre, ponne vides quot in locis frigide, quot inepte ac ieiune Donati
libros tran seri pserit ? Ita fit enim, inquies; ea siquidem vides, quae neu-
tiqoam ab ilio alias interpretari queunt, sed ut inerant, scripturae fuere
mandanda. Ceterum nusquam vides quae eius opera correcta (10), iugi
labore atque industria sunt emendata.
Haec autem non ideo tibi (11) scribo, pater optime, ut excusem meas
ineptìas, sed at animum meum votis tuis obsequentem iioris et ut scias
(i) clamo O.
(2) conflttlerint O.
<l) ago A*.
(4) Z>* nat. deor. IH, 89.
(5) Acheui» (=^ Achaeus) 0 R.
(6) eius 0.
(7) pcrvcncrunt A*.
(8) iromitias O.
(9) tibi om. R.
(io) correpta O.
(11) tibi om. O.
ÌZS k. SABBADlNt.
nullam rem (i) tam examussim esse factam (2), quae culpa aut repre-
hensione possit carerà.
Vale, religionis honos. Ex cubiculo VII kal. iulias raptim [1436] (3).
n.
Franciscus Pizolpassus Mediolanefisis praesul Petro
Candido s. (4)
lussimus, Candide amantissime, primum ut tibi praesentetur
Phormio tuus, quem mihi transcribit Lodrisius (5)
Questa lettera e la precedente sono, come appare
dal confronto, anteriori di tempo alle altre, che se-
guono sotto. Nella V, che è del maggio-g"iugno 1437,
il possesso del cod. di Donato è presupposto da pa-
recchio tempo. Qui perciò siamo nel 1436.
III.
Franciscus Pizolpassus Mediolanensis praesul Petro
Candido s. (6)
Et dubitare videris et simul quaerere, amantissime Candide, prò ver-
bis ut refers Michaelis (7) nostri, an aegre tulerimus quae de clarissi-
(i) rem om. O.
(2) factam esse O.
(3) Vale — raptim om. R.
(4) Cod. Riccard. 827 f. 114.
(5) Lodrisio Crivelli, segretario del Pizolpasso.
(6) Cod. Riccard. 827 f. no.
(7) Michele Pizolpasso, nipote adottivo deirarcivescoTO.
2. — DONAT(ì. 229
mo Alfonso pontifice Burgensi seu in cum scripsisti proindcque episto-
lam tuae dìsputationis in eius scripta efferri noluerimus. Nos rem hanc
adeo incommode tulimus, ut usque in diem ipsam quaesiti tui (ne in-
grate audias) haud quicquam computaremus, quasi non eraanasset. Nam
eam scripturam, alias et res quoque nostras penes nos nondum habemus,
suspensi prò conditione agitationum huius sacri concilii, nosque de scrip-
tione illa nec audivimus nec fecimus verbum, nisi quantum transeunte
hac Zacharia Paduano (i) et exhibita per eum Bartholameo Batiferro
dulcissimo filio nostro, ipse Bartholameus tanquam rem novam nobis
putans nunciavit. Probitatem atque peritiam tuam probatam collaudavi-
mus in genere, de re illa non nisi ut in ceteris deque tuo ingenio exi-
stimantes; cum, etsi primi tenuerimus, haud nisi et superficialiter lege-
ramus portiunculam anteriorem, pellentibus reliquum in tempus crasti-
natura ingentioribus studiis, Nec utcunque iudicaremus de vobis inter
vos amicos praecipuos doctissimosque viros, haud vero ignorabamus te
conscium illius praecepti philosophiae: sic loquendum cum hominibus tan-
quam deus audiat, sic loquendum cum deo tanquam homines audiant.
Hoc si ad id spectat, ut semper honeste loquamur atque ut a deo ea
petamus quae (2) velie nos non (3) indecorum sit hominibus confiteri,
quanto magis scriptis prudentes et severi, ut tu es, ea monita custo-
dicnt ac dicendi honestatem ! Doctorum enim virorum schola semper hoc
habuit, ut exagitaret argumentis quaestionibus disputationibus interdum-
que et invectivis sicut non ociosis sic non letalibus, quasi Ariopagita
Ariopagitam, unde profectus et laus proveniunt partibus et contenden-
tium et auditorum. Quare te atque illum in quem scribis eosdem habe
(i) Su questo Zaccaria scrive il Decembrio al Pizolpasso (cod. Ric-
card. 827 f. Ili): Marc meditantem convenit Zacharias ille Padaanus,
ol>tcKtans ut quicquam ex meo studio sibi promerem: iturum se in brevi
m\ Germanica» partCK cpiscopum qucndam conventurum, cuius bJblyo-
thccam immcnsam referebat. Illi me ex fama notum; optare ex meo a-
liqaid vifterc. Hit verbi» delinitUK (delitas eod.) epistolam tradidi cum
nihii hat)erem ^habcre <•<></.) promptinti....
(2) quod <o</.
13) non om. cod.
230 R. SABBADINI.
mus quos prius, sed quanto clariorem tu virum adoriris, nos tanto plu-
ris te facimus, qui gloriareris in notitia tanti patris et magnifaceres. No-
bis autem nihil antiquius, quam ut molestiis doctrinae ac studiorum
tuorum huiusmodi sedulo frui posse indulgeretur et iugi convictu. Et
hoc quidem moleste gerimus, cum in memoriam venit (Parere molestia-
rum eiusmodi fomento et confabulatione honestarum artium et doctrinae
tuarum (tuae ?).
Atque ut fides dicto sit vel in partem, peto abs te declarari de dif-
ferentia inter suffert et SUSTINKt; distingui! enim apostolus. Itera inter
PARIT et PARTURIT, quod et distinguit psalmista et Ambrosius dux et
praeceptor noster. Item inter sprkvit et despexit (i). Despexit dicimus
differentia ea prò parte qua se conformat verbo SPREVIT, non alio si-
gnificatu. Demum velim scire an proprium sit PRO STUDns LOQUI in
Ariop AGITA, cum proprium Ariopagi ad concertationem brutorum sit.
Post haec vero accipe quae apud nos gerantur. Res enim nostrae
conciliares agitatae continuis fluctibus hucusque, denique ceperunt ali-
quod litus, donec in portum veniant. Conclusun^ enim habemus, ut lapsis
quinque et quadraginta proximis diebus si adimpleverint Avinionenses
opportuna et promissa ad rem Graecanara conducendam et mutuaverint
realiter septuaginta milia ducatorum, experientia fiat exequendi. Sin ve-
ro, procedatur ad electionem alterius loci. Ego tamen non intelligo, e-
tiamsi Avinionenses satis quod debent fecerint, posse rem perfici, recu-
santibus Romano pontifice nec non et Graecis locum ipsum, prout piane
faciunt; etiam hoc in loco praesens et ita contestans insignis miles a-
pochrysarius imperatoris Constantinopolitani ad rei prosecutionem huc
regressus. Et nihilo minus domini Gallici aures avertunt, opinione ac
multitudine superantes ratìonem; ad tempus pietas dei dirigat.
Optamus te bene valere simulque Angelum gcrmanum et Ioannem de
la Trecia (2) puerum tuos et bene valete in domino [maggio 1437].
(i) Suffert e sustinet in Paul, ad Cor. I 13, 7; spreznt e despexit va.
Dav. Psal. 21, 25; parit e parturit in Isai. 23, 4; 26, 18; 66, 7-8.
(2) in marg.: Hic est Ioannes de Gradi (il servo fedele di P. Can-
dido).
2. — DONATO 231
Siamo nel maggio del 1437, poiché appunto in que-
sto tempo correvano le trattative fra Basilea e Avi-
gnone, per trasportare ad Avignone la sede del concilio.
Nella seduta del 7 maggio 1437 erano state designate
tre eventuali sedi del concilio, nel quale si doveva
trattare la pace delle due chiese: Basilea stessa o A-
vignone o la Savoia. Dei settantamila scudi pattuiti
con Avignone i rappresentanti di questa città avevano
pagata una parte nel maggio stesso (i).
IV.
Petrus Candì diis Francisco Pizolpasso s. (2)
Ex manu Michaelis ....
Arjopagitae vero nomen vetus et antiquuro, sed quod iudiciis magis
spedet; nam vicus celeberrimus Athenis, ut quidam putant: in hoc di-
vinanim et humanarum rerum (3) docti iura civibus reddebant. Acade-
miae nomen studiis magis aptum a Platone sumpsit origincm. Habes
breviter quae sentiam [maggio 1437].
Questa lettera è la risposta alla precedente. Il De-
cembrio risolve i dubbi del Pizolpasso sui verbi suf-
fert, parit, sprevit e sulla parola Ariopagita. Siamo
perciò del medesimo tempo.
(1) Labbaetu, Concilia XVTT. p. m^mio.
(3) Cod. Riccard. 827
^3) rerom om, cod.
232 R. SAi;[$AL»lNI.
V.
Franciscus Pizolpassus Petro Candido s. (i)
Satisfecisti nobis, Candide Studiorum diligentissime, per epistolam
tuam, quani prò responsione accepimus ad quaesita nostra superioribus
diebiis proximis. De Ariopagita tamen latius videbis per inclusam his
cedulam, conscriptam ex viro graeco perito apud nos praesenti: concor-
dat sententiae tuae. Quod autem nos scripseramus ad te aliquando fuisse
locuni bellicum seu ad concertationem animalium et sanguinem, quia
orios pagos dicitur belli deus etcetera, ut in cedula, retinemus id ha-
buisse dudum ab Aurispa (2) viro graece latineque perdocto. Habetur
et in legendis sanctorum, ut Tiburtii et Valeriani, qui ducti fuerint oc-
cidi ad pagum. Habuimus quoque, post responsionem tuam, a viro bene
perito etiam locum fuisse interdum nuncupatum pestilentiae, ut ad quem
dudum epidimia infecti deferrentur. Graecus vero ita respondet, ceu vi-
des, cetera nihili faciens.
Habet vir iste peritus Theutonicus, de quo praemisimus, libros co-
pìosos in graeco etiam cum latino et vocabulorum et verborum et om-
nis graramaticae, seriosissime litteris vetustis descriptos (3). Is est a quo
Donati! m in Terentium tuleramus in patriam. Anhelamus ad
aliquorum vel saltem alicuius utilioris transcriptionem; sed nemo com-
peritur hic idoneus.
Rei, ad quam consequendam ncque in celeritate locum ncque in di-
latione spera videmus, de (4) quorum utroque in primordio epistolae
tuae agis, posset etiam {5) suboriri. NihiI est enim quod tempore ac dili-
gentia non efficiatur. Quare te quoque admonemus: attentus esto, si res
(i) Cod. Riccard. 827 f. 106.
(2) L' Aurispa e il Pizolpasso si incontrarono probabilmente a Basilea.
(3) Uno di questi è presentemente il cod. Harleian (British Museum)
5792 sec. VII.
(4) ad cod.
(5) Forse è da supplire facultas o altro di simile.
:. - !'O^A-- 233
Feregosorum adeo circumverteientur, ut de codice ilio Livii
excellentissimo olim Petrarcae sperari posset. Celeritas
vel productio sais coaptetur locis, quo liber ipse, quem tu cordi nobis
affixisti, nullo pretio nostras evadat manus. Fecit enira hac de re extra-
vagatim praesumere solita volubilitas rerum lanuensium et earum quo-
que iraminentia, ut aiunt, involucra et discidia plusquani civilia.
Atque interim succedei tempus, quo vel flores vel fructus vemales
accipies ex responsione ad epistolam tuam prò Arretino ad me in cla-
rissimum patrem Burgensem, quam ei tandem reddidi .... [maggio-giu-
gno 1437].
Questa lettera è la risposta alla precedente; le é
perciò di poco posteriore.
Il vir Theutonicus è Niccolò da Cusa (cfr. lett. IX),
tutt' uno con Nicolaus Treverensis, lo scopritore del co-
dice Orsiniano di Plauto, com'era già stato intraveduto
dall' Urlichs (i). Ogni dubbio scomparisce, quando si
consideri che un Nicolaus, al concilio di Basilea, stu-
dioso e possessor di molti codici, ci viene presentato
dal Traversari nel 1435 come Nicolaus Treverensis (2)
e qui nel 1437 come Nicolaus de Cusa. La doppia de-
nominazione si spiega facilmente, perchè Cusa, luogo
natio di Niccolò, appartiene alla diocesi di Treveri.
Il nostro Niccolò fu uno dei più appassionati e felici
ricprcatnri f sr^tiritorl Hi rorljri nel sec. X\' i'O,
(I) Vuigt, W'iednl'cUl'utii;, 1, j cliz. p. 257 n. i; di. M. Lchncidt
in Hermes 48, 1913, 275.
'2) Ambrosi! Traveriiarii, Epist. HI, 4K: Xtcolnus Treverensis homo
studiosissùnus et lihrorum copia insignis. Stava a Basilea in qualità di
iettato imperiale, ibid. Ul, 50.
^ 3) Gir. R. Sabbadini, Niccolo da Cusa i i concHiari di Basilea alta sco-
perta d4i codici in Rendiconti della r. Accad. det Lincei XX, IQII» 3-40*
234 ^- SABBADINI.
VI.
Franciscus Pizolpassus Petro Caìidido s. (i)
Quintum tuum Platonis ....
Mitto iam tandem epistolas duas memorati patris Burgensis, alteram
ad te, alteram potius opusculum circa iam veteratam disputationem ethi-
corum inter vos ad me, cum te tamen exposcat ....
Turbas itaque nostras Rheno propinquo talibus remediis expurgamus...
Sulla polemica tra il Bruni, il Decembrio e il vesco-
vo Alfonso dà anche notizie una lettera di Poggio a
Leonardo Bruni (2):
Vir eloquentissimus tuique amantissimus Candidus noster Mediolanen-
sis misit ad me quendam libellum, in quo scriptae sunt epistolae duae:
altera Alfonsi Hispani ad archiepiscopum Mediolanensem, altera sua, qua
illi epistolae respondet. Rescribit ille epistolae tuae perstans in senten-
tia. Candidus hoc indigne ferens suscipit defensionem tuam illumque a-
criter arguit. Loquitur tamen Hispanus, ut mihi quidem videtur, admo-
dum moderate .... Mitto igitur ad te libellum; tu si videbitur respon-
debis Candido agesque gratias prò sua erga te benivolentia ....
Bononiae IIII id. aprilis [1437].
Ciò conferma la data che io ho assegnato alle pre-
cedenti lettere scambiate tra il Decembrio e il Pizol-
passo.
Non sarà male recare anche una letterina del Bruni
sul medesimo argomento.
(i) Cod. Riccard. 827 f. 108.
(2) Poggii, Epist, coli. Tonelli VI, 13; Poggii, De variet. fortunae,
Lutet. Paris. 1723, 272.
— DONATO. 235
Leonardus Arretmus Petro Candido j. (i)
Dictavi iampridem celeberrimo praesuli Francisco Pizolpasso archiepi-
scopo Mediolanensi aliam (2) epistolam super controversia Alfonsiana,
sed cum diu absens fuissem ob fugam pestis, illam mittere supersedi.
Nunc autem per dei gratiam cessante pestis metu cum reversi Floren-
tiam simus conquisitam eam epistolam ac repertam per hunc tabellarium
ad te mitto, ut prius lectam a te ad illius reverendam patemitatem
transmittas. Tibi vero gratias ago prò libéralissimo patrocinio, quod mihi,
spontaneo ductus amore, praestitisti. Vale.
Florentiae [principio del 1438].
VII.
Petrus Candidus Francisco Pizolpasso Mediolanensi
praesuli j. (3)
Risi profecto, dignissime pater, cum cedulam litteris tuis inclusam le-
gerem. Putavi equidem, quod re erat, virum illuni bonum sed non satis
eruditum graecis litteris. Itaque latius a me scribendum puto in re quani
levios tetigi. Ariopagus non locus occisioni animalium, non pestilentiae
deditus, sed consiliis . . ..
Quamobrem risi cum caram illius animadverterem, qui se magnum
quippiam putat dicerc, orios pagos et montes et saxa nominans, qui
profecto mihi totus vidctur ex lapide compactus. Quin immo pagum prò
monte ponit et orios prò Marte; quac ita concordant, ut accuratus vi-
deatar esse lector, non intelligcns. Remitto cedulam ut videas.
Sed ne nos in Consilio Ariopagitarum dìutius immorcmur, ad rcliqua ve-
niamus. D e Tito Livio Francisci Petra re a e nulla spcs;
quae enim esse potest ? Apud illum liber est, qui libris utitur. Si vero
(I) Cod. Riccard. 827 f. 2r.
'2) I.C due lettere dei Bnini sono le VII, 4, X, 34.
(3) (VkI. Riccard. 827 f r-^-
236 R. SABBADINI.
bellorum spem asserii tua digiiitas, nihil hic apucl nos scitur. Nescio an
vos propinquiores an nos surdiores. Patria illa silet, nos tacemus. Verba
hinc inde circurastrepunt, vanitas undique . . .
A questa e alla seguente il Pizolpasso risponde
con una sola, n. IX; qui perciò siamo nel giugno 1437.
Vili.
Petrus Candidus Francisco Pizolpasso s. (i)
Qualis humauitas tua sit, reverendissime pater, norunt ii qui experti
sunt; haec enim mihi praestat audaciam, ut te rogem, licet indignus.
Frater Nicolaus, magister hospitalis Sanctae Katerinae Mediolani, ut
auditu primum sensi, intelligens vir, in religione nutritus, multis prae-
dicationibus illustris, apud nos vixit; demum seu fato seu fortuna dela-
tus ad curam huius hospitalis .... [giugno 1437].
IX.
Franciscus Pizolpassus Mediolancnsis praesul
Petro Candido s. (2)
Superioribus diebus, amantissime Candide, accepimus epistolam tuam
per eum quem solita modestia tua commendabas nobis fratrem Nicolaum,
magistrum hospitalis Sanctae Katerinae Mediolani. Quod etsi superinde
hactenus ad te non rescripserimus, et verbis et actu ita respondimus
eidem fratri Nicolao, ut piane agnoverit interventiones tuas prò eo apud
nos haud fuisse vulgares ....
Subinde vidimus et aliam epistolam tuam diligentissime disserentem
de vocabulo Ariopagi, ob ea quae rescripseramus tibi, et cedulam
Graeci inepte sapientis, ut exemplis et rationibus perspicuis elegantissi-
(i) Cod. Riccard. 827 f. 112.
(2) Cod. Riccard. 827 f. 112.
2. - DONATO. 237
me probas. Immo, ut ad cor deinceps rideas, non possumus non tibi
credere, qui velut cacci versamur in lumine; et credant necesse est in
tenebris alieno verbo vel baculo lucis extorres, sicut et nos graeci do-
gmatis inscii et prorsus nudi, qui necdum latino sumus imbuti. Verum
i ad eundem expositorem nostrum (quem tu piane probas errantem, cum
-ese tamen agat magistrum et nuperrime lecturam impetraverit hic a
sacro concilio) (i) forte recurramus, tritura illud dici solitum consequens
est ut eveniat: si caecus duxerit caecum, ambo cadent in foveam. Op-
portune tamen quandoque quae scripsisti communicabimus ei, ut discat.
Abest antera Nicolaus noster de Cusa (2), ad quem spectabat codex
Donati Terentiani, unde tu multa pervigilique lucubrationc
Phormionem extorsisti: vir siquidem aliquando introductus graecae lin-
guae, ccterum alias eruditissimns, universalis et magnae capacitatis, in-
finitorum voluminum studiosissimus et indagator continuus dotatusque
inter alia voluminibus graecis fecundissime et ex quibus, ut asserebat,
omnis vocabulorum verìtas etiam declarata latine eisdem codicibus facile
possit haberi. Tu ergo solus manebis nobis magister et invictus et quod
non datur nobis hic loci, dum tu interim non desinis augeri et profice-
e stadiis graecanicis, concedetur fortasse non inopportune ut coram a-
perire possis fores et nos vel liraina capere et prima rudimenta graecana.
Ncque enim acr noster éemper erit in turbine, quare movebamur ad
oncitandam spem de praecipuo ilio Tito Livio Francisci Pe-
tra rea e , (3) quandoquidem per intestina bella, quae conflari videban-
tur inter fratres, quorum alter, videlicet dominus Baptista, vulneratus a
! omino Thoma asseveranter esse contenditur. Et quicquid futurum sit,
praeelegirous, auditis agitationibus illis seu veris seu falsis, quae forsan
laborant inter utrumque, non subticere tecum, etiamsi nequicquam, quam
a casa eventos inscrutabilis commoditate carerc, quandoquidem inquam
res ipsae omnes mundanae prò sui natura instabiles et vagae. lanuenses
(i) Forse Andrea Costantinopolitano, vescovo di Rodi.
(2) Niccolò andò verso la metà del 1437 a Bologna ambasciatore del
concìlio al papa (Cipolla, Signorie itnlùtne 510; KaynaldJ, w4i»na/. <^f/«r.
a. 1437 n. IO).
(3) OT marg,: LiUi ' ' de Cam|K) Feref^oso.
Ì3^ ^' SÀfiliADirJl.
vero praecipue quasi singularis privilegi! dote in volubilitate fundati ita
circumverti possent, ut liber ille non modo acquiri sed offerri contin-
geret ....
Nos vero interim, qui aliquantum respiramus donec reddatur respon-
sum ex Avinionensibus de adimplenda solutione vel non, deum oramus
ut tranquillitateni et pacem prò incumbentibus malis, ut ipse optas, ec-
clesiae dei universae christianitati sua prò pietate effundat et nobis om-
nibus .... [giugno-luglio 1437].
Qui siamo alla fine di giug-no o tutt'al più al prin-
cipio di luglio del 1437, perchè non sono ancora pas-
sati i quarantacinque giorni, pattuiti con gli Avignonesi
per il pagamento dei settantamila scudi.
Abbiamo poi una riprova nei fatti di Genova, ai
quali qui si allude. Ecco di che si tratta. Nel 1437 il
duca Filippo Maria Visconti di Milano istigò Battista
Fregoso contro il fratello Tommaso, doge di Genova,
offrendogli il proprio protettorato e il dominio della
città. E realmente Battista sollevò in Genova un tu-
multo e si fece proclamare doge; ma fu bentosto preso
dal fratello Tommaso, che lo perdonò (i).
X.
Petrus Candidus Francisco Pizolpasso Mediolanensi
pr aesuli s. (2)
Ex tuis litteris quid ageres ....
Quae vero de (3) Ariopagi vocabulo tibi scripsi, quanquam certa
(i) Folieta, Historiae Genuenses, Genuae 1585, p. 224.
(2) Cod. Riccard. 827 f. 77V.
(3) ad cod.
2. ~ t)ONAtO. i^^
atitumein, certiora reddam, non esse scilicet pestilentiae aut cruoris lo-
cum, sed id quorundam falsa aestimatione processisse ....
De Livio quid sperem nescio. Hic omnia dubia, ut iam rebus in hac
forma prodenntibus inlolerabilis sit multorum sors et maxime eorum, qui
nihil providerunt in futurum.
XI.
Petrus Candidus Francisco Pizolpasso Mediolanensi
pr aesuli s. {i)
Mitto digDÌtati tuae, reverendissime pater, copiam litterarum, quas
uper Poggio Fiorentino de laudibus suorum concivium principis nostri
parte conscripsi ....
Intellexi etiam quae dignitas tua mihi scripsit de discessu Burgensis
nostri. Mirum quam latenter amor mentibus nostris obrepat. Dolui pro-
fecto ac si praesens essem, quasi vero mihi notior aut propinquior sit
in Basilea quam alibi ....
Pugnavi enim acriter et vere prò tutela veritatis in amicum suum
Alphonsi Burgensis) Arretinum, non predo adductus sed caritate. Ve-
tas enim omnibus rebus anteponenda est ... .
Quia nosse cupis quae opera potissimum transtulerira, scito omnes
ibros Quinti Curtii, dein Commentarios lulii Caesaris, postremo Poly-
ijìi de bello Punico a me in matemum sermonem redactos esse .....
{settembre 1438].
Qui non possiamo essere che dopo il mese di aprile
del 1438, nel qual tempo il Decembrio compi la tra-
duzione italiana di Curzio Rufo (2). L'anno è veramen-
te il 1438, perchè l'elogio dei Fiorentini dal Decem-
(I) Cod. Riccard. 827 f. 95V.
fa) La »o»crizione «uona: MCCCCXXXVIII adie XXJ dtlmtst dt^Ut
\t.L,m.> (f...\ V-"»)migl. di Catania).
Ì4Ò k. SABBADl^i.
brio indirizzato a Poggio a nome del Visconti porta
la data V kal. augusti 1438 (i). Ciò si conferma con
la lettera seguente, in proposito della partenza del ve-
scovo Alfonso per la dieta di Norimberga.
XII.
Franciscus Pizolpassus praesul Mediolani
Petra Candido s. (2)
Pro epistola prospicientissimi atque accuratissimi principis nostri ad
Poggium, quem non modicum prospicit, quam ad nos una cum tua pri-
die misisti eamque ad te ceu postulas remittemus, tibi gratias agiraus.
Quod vero in altera duarum abs te nobis nuperrime redditarum doleas
de discessu vel potius elongatione ci. patris domini Burgensis nostri, hoc
facit dulcis amor iam inter vos vigore virtutis ingressus. Ea siquidem
vera est et indissolubilis amicitia, quae mutuae virtutis olfactu generatur
atque connectitnr. Venim spero eum hic affuturum mense primo novem-
brio, celebrata congregatione statuta die Sancti Galli (3) mense octubrio
per invictissimum dominum regem Romanorum apud Nurimbergam prò
ecclesiae pace tractanda. In tempore autem certior fies a nobis de ip-
sius successu et regressu, prout continget ad nos deferri; abiit enim, ut
nuntiavimus tunc nostris relaturis tibi, die XXV praeelapsi augusti . . .
[settembre 1438].
La dieta di Norimberga fu tenuta da Alberto II nel
1438. Siamo nel mese di settembre, come mostra il
praeelapsus augusttis. Di quest'ambasciata del vescovo
(1) Pubblicato da Shepherd-Tonelli, Vita di Poggio Bracciolini. K^^^.
p. XLvm.
(2) Cod. Riccard. 827 f. 96V.
(3) La festa di S. Gallo ricorre il i6 ottobre.
2. — DONATO. 241
di Burg-os air imperatore nel 1438 parla anche il Pic-
colomini (i).
xin.
Petrus Candidus Francisco Pizolpasso Mediolanensi
pr aesuli s. (2)
Laus deo, qui te nobis incoluraem reddidit, reverendissime et huma-
issime pater, ac ex tantis maris fluctibus in portum salutis immisit.
Magna id dei clementia profecto effectuni est, cui pariter gratias reddere
tenemur: tu quod ex hostium faucibus evaseris, ego quod patrem et do-
minum incolumem acceperim. Si qua maris incommoda adhuc restant, tute
illa quidem despici queunt nec cum vitae periculo extimescenda sunt.
Sed haec coram latius cum licuerit. Venissem ad iocundissimam ut
optatam praesentiam tnam, sed infinitae, licet infiraae, curae prohibuere.
Itaque tempori parendum satius visum est et personam tuam hic oppc-
iri. Interim requisiti nomine tuo a me fuere libri Suctonii et Ciccronis
de Finibas. Suetonium igitur mitto, licet inemendate scriptum et incor-
rectum; sperabam habito otio illum emendare et in digniorem aspectum
anscribi facere, sed temporis incommoditas obstat, inimica non studiis
ilum sed vitae bonae et optandae. Ciceronem de Finibus habitum sta-
ti m mittam; est enim apud fratres Campi mortui nec nisi Herculis au-
xilio ab inferis in lucem cfferri potest. Quod si nequeat, mittam digni-
ti tuae exemplar penes me retentum necessitate studendi. Nam ex
omnibus Ciccronis operibus nihil mihi utilius aut gmtius quam de Tu-
Kulanis, de Natura dcorum, de Finibus, de Divinatione et de Fato o-
' ra conscripsit ....
Questa lettera è scritta nell' occasione del ritorno
leir arcivescovo Pizolpasso da Basilea a Milano. Ne
(i; ' ' /umetti, de gejtts itajii. commi i.sinc anno) p. 3.
(2) < . ;. 1. ..,,.,. . ;, I. 115.
ft. tAJBADiici, Tati tatmù i^
possiamo stabilire approssimativamente la data. Infatti
nei primi mesi del 1439 egli stava émcora in Basilea,
come si deduce da una lettera di Poggio:
Poggitis p. s. d. praestantissimo patri Francisco
archiep. Mediolanensi (i)
.... Sentio vos quotidie aliquid stultitiae cudere ad ecclesiam per-
turbandam, quod tamen parvi facimus, a levitate quadam barbarica et
mentis vertigine profectum .... Perverterunt nuper caelum et terram ut
concilium transferretur in Galliam .... Tibi vero doleo, quem scio ver-
sari in ea rerum barbarie, in qua nihil aliud praeter schisma et oppres-
sionem Romanae ecclesiae fabricatum videmus ....
Florentiae non. febr. [1439].
Era già di ritorno ai primi del 1440, come si ha da
un'altra lettera di Poggio allo stesso Pizolpasso (2):
.... Epistola tua cum de rebus privatis pluribus loquatur, non vi-
detur flagitare responsionem, nisi me de tuo reditu summe laetari ....
Florentiae XXIV febr. [1440].
Il Pizolpasso tornò dunque o alla fine del 14390 al
principio del 1440. Ed è naturale. Il concilio di Basi-
lea nel novembre 1439 aveva creato l'antipapa Felice
V; e un prelato ortodosso, come il Pizolpasso, non
poteva più in quelle condizioni, vuoi per riguardo suo
vuoi per riguardo del Visconti che lo aveva delegato,
partecipare ai lavori di un'assemblea, che aveva spie-
gata cosi palesamente la bandiera dello scisma.
(i) Poggii, Epist, coli. ToneUi VIH, 7.
{2) ib. vm, 15.
2. — DONATO. 243
Queste lettere ci forniscono una insperata notizia sul
Livio del Petrarca. Risulta infatti da esse (n. V, VII,
IX, X) che il Livio del Petrarca era passato, non sa-
premmo dire per qual via, nelle mani di Tommaso Fre-
goso, doge di Genova. Il Pizolpasso e il Decembrio
speravano di poterne venire in possesso, contando su
un' imminente sollevazione di Genova, che avrebbe
tolto il dominio al Fregoso e dato cosi tutte le sue
robe in potere del Visconti. Il Decembrio però ci fa-
ceva poco assegnamento e veramente il Livio non an-
dò ad arricchire la biblioteca Viscontea di Pavia. Esso
stava presso i Fregoso già nel 1425 e vi rimase fino
almeno al 1451. Ora è nella biblioteca Nazionale di
Parigi (i).
Ma torniamo a Donato. Come si vede, V Aurispa
non portò in Italia il codice di Magonza, ma un apo-
grafo di esso. L* Aurispa lasciò Basilea ben presto :
nel dicembre 1434 era già a Firenze presso il papa
Eugenio IV (2). Il codice passò nelle mani di Niccolò
da Cusa, da lui in quelle del Pizolpasso (cfr. lettere
(1) P. de Nolhac, Pétrarque et l'humanùme V 113; II 273-77. Il Valla
nelle Recriminationes (Vallae Op. 602 ecc.) del 1445 circa attesta l'esi-
stenza in Napoli di un Livio emendato dal Petrarca. Come tìimostrano
le date, si tratta o di un altro codice o di una falsa attribuzione. Inoltre
le lesioni petrarchesche di Livio citate dal Valla non compariscono nel
Livio parigino (de Nolhac II 276 n. 2; R. Valentin!, // coi/ex Rff^ms
di T. Livio in Studi ital. ftlol. class. XJV, 1906, 207-213).
(2) Ciò risolta da una lettera accompagnatoria di Uguccione de' Con-
trari a Cosimo de' Medici (Arcb. di Stato di Ftrenrc, cart. Med. filsa
XI lett. 43).
Ì44 ^' SABBADlNi.
V e X). Il Pizolpasso lo mandò al Decembrio a Mi-
lano, perchè ne traesse copia, nel 1436 (lett. I). Il De-
cembrio ne trascrisse anzitutto il commento al Phormio
(lett. I e IX) e spedi la nuova copia al Pizolpasso, che
la fece ricopiare per mezzo del suo segretario Lodrisio
Crivelli (lett. II). Delle ulteriori vicende dell'archetipo,
ora perduto, non ho che dire.
L'archetipo doveva essere di lettura molto difficile,
se il Decembrio sente il bisogno di invocare la be-
nevolenza del lettore.
E perchè cominciò proprio dal Phormio, che nella
comune tradizione Donatiana è 1' ultima commedia ?
La domanda è legittima, ma deve pur troppo restare
senza risposta. E allora domandiamo se il Decembrio
si sarà tratta copia anche delle altre commedie. La
risposta qui è più facile e ci viene suggerita da un
codice della Bodleiana di Oxford, scoperto e descritto
dallo Dziatzko (i). Il cod. Bodleiano, cart, della se-
conda metà del sec. XV, scritto da diverse mani, con-
tiene le cinque commedie cosi ordinate: Andria, Eunu-
chuSj Adelphoe, Hecyra, Phormio. Al Phormio è premes-
sa la lettera del Decembrio al Pizolpasso più sopra
citata (n. I). Ciò mi fa supporre d' accordo con lo
Dziatzko, che ivi il Phormio fu copiato dall' apografo
o da un discendente dell' apografo del Decembrio.
(i) Karl Dziatzko, Beitràge zur kritik des nach Aelnis Donatus be-
natinten Terenzcommentarsy nel già citato Supplem. X degli Jahrbucher
fùr Fkilol., 1879, p. 675-678, 691-696. — Lo Dziatzko in questa dis-
sertazione dà anche notizia e alcuni saggi di due altri codici Donatiani:
l'uno di Dresda (D 132), l'altro di Leida (Voss. Lat. Qu. 24).
2. — DONATO. 245
Niente di più naturale, che anche le altre commedie
derivino da un apografo dello stesso Decembrio (i).
Più ampie notizie su Donato e sui codici del suo
commento ho comunicate in Studi ital. di filol. class. II,
1893, I-I 34. E ora finalmente ne possiamo leggere il
testo critico nell'edizione di P. Wessner, Lipsiae 191 2
sgg., la quale è a un tempo una vera editio princeps.
Nota alla p. 232 /. ii. La vita dei SS. Tiburzio e Valeriano, alla
quale accenna il Fizolpasso, si trova inserita negli Acta Sanctorum^
Aprii, n, 203 sgg.; e ivi q nominato per 1* appunto un Pagus come
luogo del supplizio: p. 207 B: Tunc iussit (assessor praefecti) carnificibus,
ut ab eis ducerentur (i due martiri) ad agrum Pagum, ubi erat sta-
tua lovis....; p. 208 A: Locus igitur, qui vocatur Pagus, quarto mil-
liario ab Urbe situs erat....
(I) "Suw possiamo jiltcrfiinrc, che fra 1 copisti «lei cod . Bodleiano sia
<l.i contare I^Klrisio Crivelli, perche egli trascrisse la copia del Phormio
tratta dal Decembrio (lett. Il), quando quella copia era ancora isolata.
Tutt'al più il Phormio nel co<l. Bo<llciano pnA essere un niX)grafo della
copia del Crivelli. Con ciò si CM.Iude che il codice Bodleiano discenda
<iir(ttamtnU dall'apografo del Decembrio.
ni.
TACITO
opere maggiori (*)
Le opere mag-^ori di Tacito ci sono arrivate in due
codici, entrambi ora nella biblioteca Mediceo-Lauren-
ziana: Tuno, detto il Mediceo I (Laur. 68. i), contiene
i primi sei libri degli Annales, l'altro, il Mediceo II
(Laur. 68. 2), contiene gli ultimi sei libri degli Annales
e i cinque primi delle Historiae, con numerazione con-
tinua da XI a XXI.
TI Mediceo I proviene dalla badia di Korvei, donde
fu portato in Italia nel 1508; sicché quando lungo il
secolo XIV e XV si parla di Tacito non si può in-
tendere che della parte degli scritti compresi nel Me-
dìceo II.
Lo scopritoH' del Med. II tu il Boccaccio, che lo a-
sportò dal monastero di Monte Cassino e se ne trasse
un apografo di proprio pugno (i). (ìli umanisti del cir-
339-46.
h) K. ->.i!.i..i/liiii. I.f scoperti dti cedui iattm e grtcì 29-Jo.
250 R. SABBADINI.
colo fiorentino n' ebbero copia: cosi Domenico di Ban-
dino, e più tardi il Niccoli e Poggio e il Bruni: e forse,
per mezzo del Boccaccio, Benvenuto Rambaldi da I-
mola (i).
Se ne fecero anche estratti; p. e. le orazioni reci-
proche di Seneca e Nerone {Ann. XIV 53 -56) veni-
vano trascritte a parte (2) e furono anzi tra la fine del
sec. XIV e il principio del XV volgarizzate in to-
scano (3).
Fuori di Toscana conobbe Tacito il Polenton a Pa-
dova. Toccando egli nel libro I degli Scriptores lin-
gu(B latincs dell'origine dell'alfabeto adopera la testi-,
monianza di Tacito Ann. XI 1 4: Ecco i passi testuali:
Cornelius autem Tacitus cum de Claudio loqueretur
in eo libro quem de Caesarum rebus scripsit in hanc
fere sententiam quantum in praesentia nostrae institu-
tioni spectat scriptum reliquit: ' Phoenices de Thebis
Aegyptiis in Syriam profecti, quia mari propellerentur,
litteras Graeciae intulere; quo adepti sunt gloriam tam-
quam invenerint. '
Cornelius Tacitus neminem certum nominat, quippe
(i) G. Voigt, Die Wiederbelebung I* 250. Per il Bruni cfr. G. Kimer,
Della Lauda tio urbis Florentincs di L. Bruni, Livorno 1889, '^9» 30-
(2) Il cod. Ambros. C 141 inf. (del principio del sec. XV) f. 35 ha
le due orazioni col titolo: Extractus de XIIII libro Cornelii Cociti (corr.
poi in Tacili).
(3) I volgarizzamenti sono nel cod. Magliabech. Vili 1382 del sec. XV
(cfr. Studi ital. filol. class. VH 132) e in un cod. Roncioniano di Prato
del sec. XIV-XV, sul quale vedi C. Guasti in Propugnatore 1869, H>
n 451-61.
3. — TACITO. 251
iam de re dubius ita locutus est: ' Fama est Cadmum
classe Phoenicum vectum rudibus adhuc Grsecorum
populis litterarum auctorem esse. Quidam tamen Cecro-
pem Atheniensem vel Linum Thebanum vai tempori-
bus Troianis Palamedem memorant '.
At Cornelius Tacitus: ' In Italia inquit Etrusci ab
Corintha Demarato, Aborigenes Arcades (ii Latini sunt
postea nominati) ab Evandro litteras didicere '.
Eas (le tre lettere aggiunte da Claudio) tamen vi-
deri Cornelius Tacitus memorat in aere ac plebiscitis
per fora ac tempia fixis.
Il libro I degli Scriptores fu composto dal Polenton
anteriormente al 1420. Ecco come egli ci informa sul
contenuto del suo codice:
Librorum eius (Taciti) numerum affirmare satis certe
non audeo: fragmenta equidem libri undecimì et reli-
quos deinceps ad vigesimum primum vidi, in quis vi-
tam Claudi! et qui fuerunt postea Caesares ad Vespa-
sianum usque ornate ac copiose enarravit (i). Tuttala
materia del Med. IL
A \'<mezia era in possesso di Tacito Francesco Bar-
baro, che nel 1 440 lo ridomandava a Gottardo da Sar-
zana, a cui 1* aveva prestato : Accipio excusationem
tuam, si diutius, quam coram exposuisti mihi, Corne-
lius Tacitus noster apud te peregrinatus est. (2) Nel
(1) Cod. Riccardiano 121 f. 65. Adopero questo codice perchè con-
tiene l'abbozzo della prima redazione degli Scriptores. Sulle due reda-
rioni vc<li A. Segarizci, !.n Catinia... fli Sécco PotenUm^ Bergamo 1899,
XT.IX.
>.i))l>adiui, CentotrtMta UtUrt intdtU dt F. Barbaro 107.
252 R. SABBA DIN I.
1453 mandò il suo esemplare al cardinale Bessarione
affinchè se ne traesse copia. La copia del Bessarion e
è a Venezia (i), cod. 381 (Zanetti).
A Milano aveva Tacito Giovanni Corvini, come ve-
dremo in altra parte del presente volume. Pier Can-
dido Decembrio s'era trascritto nel suo zibaldone Am-
brosiano R 88 sup. f. 105V (ex libris Cornelii Taciti)
r incendio di Roma {Ann. XV 38-44); ma anch' egli
venne in potere di un testo intiero, quello che ora
trovasi a Wolfenbiittel (cod. Gud. lat. 2^. 118) con la
nota autografa: Est P. Candidi. Ab eodem recognitus et
emendatus e con la data: Emptus Ferrarie MCCCCLXI
die lune XXVIII sept. D. L. (2).
Anche a Napoli c'era un Tacito presso il Valla, il
quale lo cita nelle Recriminationes I, II e IV contro
il Facio del 1445 e degli anni successivi (3). A Fer-
rara lo citava Angelo Decembrio (4).
Reco da ultimo la seguente lettera (*):
Etsi impudenter faciam, Ab. Ksic), quod ea liceutia res tuas, cura o-
pus est, ac si meus et usu et possessione esses, exigo, persiiadet tamen
humanitas tua ut aliquid etiam sine crimine temeritatis de te mihi pol-
(i) Voigt, Wiederbelehung I^ 251 n. i.
(2) F. Kohler, G. Milchsack, Die Gud. Handschriften n. 4422.
(3) Vallse Opera p. 475 (Tacit. Ann. XI 29); p. 516 {Ann. XV 67)
p. 518 {Ann. XIII 47); p. 529 {Ann. XII 5); p. 531 (Ann. XIV 47;
Hist. m 73; Ann. XV 6); p. 595 {Ann. XIV 49).
(4) A. Decembrii, Polit. liter. 38 nec Corneliorum opera, Taciti
et Nepotis, omittenda sunt.
(*) Comparve la prima volta in Museo di antichità class. II, 1887,
450-51: dal cod. Riccardiauo 779 f. 97.
j. lACli.). 253
liceri possim. Nani cum tanto huiusce rei, de qua ad te scribere decre-
vi, desiderio affectus sim, ut vel Tantaleam sitim in me concitari sen-
tiam, concedes nonnihil, ut opinor, cura ben i volenti se nostrae tura audaci
desiderio meo videndi ac fectitandi aliquid: hoc quoniam (i) veteres phi-
losophi tradidenint, multos persaepe in homines affectus ac passiones
cadere, quae nulla vi comprimi, nulla ratione cohiberi possunt. Sed iam
tecum philosophari desinam, ad rem ipsam redeo. Cum itaque ego et
Cremonensis (Antonius) noster quendam Cornelium Tacitum, librum qui-
dem elegantissimae historiae ac prisco dicendi genere ornatura, te habere
audiremus, mirum est quam is liber meduUas nostras iufluxerit, adeo ut
vel minima eius videndi mora seu intercapedo nobis quam longissima
futura sit. Quamobrem da operam ut hunc librum tantopere desideratum
ad nos quamprimum demittas. Nam si opera tua himc nostrum ardo-
rera restinxeris (2), tibi equidem illius codicis perbellam messem dedica-
bimus (3); quod coloni ipsis dominis agrorum facere consueverunt.
Nec illud te moveat, quo minus hunc librum mittas, quod orationes
Ciceronis tanto tempore apud nos retinuerimus. Nam cum illae parura
accurate ac graviter scriptae iudiciolo meo viderentur, putavi forc, si
praeceptor noster in legendo prosecutus fuisset, uti eas luculciitiores at-
que correctiores aliquanto redderemus. Quod si ex hac re aliquid tibi in-
coromodi statues, mitte quem (4) voles; non illuni librum apud me habere
voluero, quam quantum tibi commodi fuerit. Ego enim eas orationes a-
pud me servavi atque eas ita habui ut, si apud te essent, non diligen-
tius custodircntur.
Comnientariolos nostros ex Plutarcho traductos tibi non displicuisse
gratum babco. Nam etsi sat tenues omnique inopia ac squalorc sordi-
dati sint, facit taroen humanitas tua ac bcnivolentia ut quicquid a nobis
proficiscatur magnum et praeclarum videatur. Habeo et pleraque alia
fragmcnta sparsa intcr amicos, quac quamprimum collcgero, statini ad te
devolare faciam. Vale; me Leonardo Aretino viro illustri et senatorio
(1) hoc quom cod.
(2) rentrìnxeris cffd.
(3) dedicahimur cot/.
(4) quonj ?
Ì54 *<• ^ABHADlNt.
et in studiis litterarum perbclle cxcrcitato carum effice. Vale iterum cor-
que tuum in amplexus nostros dede.
La lettera è senza intestazione. Non può andare ol-
tre il 1444, perchè in quel!' anno morì il Bruni, qui
supposto vivo. Il mittente è scolare di greco; in quel
tempo due soli maestri insegnavano greco: Vittorino
e Guarino. Sul secondo deve cadere la scelta, a ca-
gione del fraseggio spiccatamente guariniano, che si
avverte nella lettera. Lo scrivente è dunque un alunno
di Guarino, che s' indirizza a un amico di Firenze. Di
più non m' è lecito affermare.
Per maggiori informazioni sulla divulgazione di Ta-
cito vedasi: E. Cornelius Quomodo Tacitus historiaru7n
scriptor in hominum memoria versatus sit usqiie ad re-
nascentes literas saec. XIV et XV, Progr. di Wetzglar
1888, 42-43; P. de Nolhac Boccace et Tacite in Mclan-
ges d'archéol. et d'kist, XII, Rome 1892; F. Ramorino
Cornelio Tacito nella storia della coltura, Firenze 1897;
E. Rostagno in Tacitus. Cod. Laur. Med. 68. II phototyp.
editus, Lugd. Bat. 1902, XVI-XVIL
* *
Nel Med. II sono due lacune (*) cagionate dalla ca-
duta di due membrane, per cui andò perduto il passo
delle Hist. I69-75 da — bilem imperatorem a incertum
e il passo che chiudeva il lib. I 86 e apriva il II 2 da
inopia di Rhodum et Oyprum. Senonchè entrambi i passi
si sono conservati in apografi tratti dal Medie. Il quando
(*) Comparve la prima volta iii S(U(/i ital. JiloL class. XI, 1903,
204-211.
3- ~ 1 AGITO. 2^5
ancora li conteneva e da uno di tali apografi derivò
V editio princeps \x?>c\t'à. a. Venezia tra il 1469 e il 1470
coi tipi di Vindelino da Spira.
Ma ci fu un famoso antiquus codex Venetus, intorno
al quale si formò una leggenda. Scrive infatti l'Eme-
sti (i): * Reperi etiam a P. Victorio antiquum codicem
Taciti Venetum bibliothecae S. Marci laudari ad Cic.
Ep. II 12 '. La biblioteca di S. Marco a Venezia ha
presentemente e ha sempre avuto un solo codice delle
opere maggiori di Tacito, quello posseduto dal Bes-
sarione (v. sopra p. 252). Ecco ora la testimonianza di
Pier Vettori, ricordata dall'Emesti, quale si legge nelle
Explicationes suarum in Ciceroftem castigationum (2) al-
V Epist. fam. II 12, i: * Nam quod apud Tacitum lib.
xml (e. 12): Miro tamen certamine procerum decer-
nuntur supplicationes apud omnia pulvinaria utque
Quinquatria quibus apertse insidiae essent ludis annuis
celebrarentur, mendum est; nam in vetusto codice, qui
in divi Marci bibliotheca est, Quinquatrus est non
Quinquatria ' (3).
Il cod. Veneto negli Ann. XIV 12 dà quinquatrii,
lezione più vicina a quinquatria che a quinquatrus, e
non è vetustus: non corrisponde perciò a quello desi-
gnato dal Vettori. La verità si è che fu preso un so-
lenne equivoco e rhc nolla dii'i Marci bibliotheca non
(I) Cfr. C. Comclius Tacitus, pubi. Obcrlin, Paris Lemairc 18 19, p.
xvu.
(8) Lagduni 1553 p: 33. La prima editione usci il 1536.
(3) Degli apografi del Ree. XV il Lanr. 68. 5 ha ([uinquatruus, il
Parmigiano 861 quinquatria, l'ed. pr. quinquatriù
2^6 R. SABBADINl.
dobbiamo scorg-ere la Marciana di Venezia, sibbene la
Marciana di Firenze, la quale ospitò lungamente il
Medie. II innanzi che passasse in Laurenziana. E quello
è il vetustus codex indicato dal Vettori e in esso si
trova la lezione quinquatruus da lui approvata (i).
Abbandoniamo pertanto questa questione oziosa e
inconcludente e volgiamoci piuttosto a ricercare con
maggiore utilità quando si sian prodotte le due lacu-
ne nel Medie. II; al quale scopo occorrerebbero ampie
e sicure notizie sugli apografi, stati finora a torto tra-
scurati. Tre ne possiede la Laurenziana: 63. 24; 68. 4
e 5; uno la Nazionale di Napoli IV C 21; parecchi la
Vaticana: 2965 (del 1449); iQo^; 3405. e l'Urbin. 585;
uno la Spagna; uno Budapest, di Mattia Corvino; uno
il collegio del Salvatore di Oxford del 1458; uno la
Bodleiana della stessa città del 1463; uno Harleiano il
British Museum del 1452 (2); uno Gudiano, ricordato più
su (p. 252), Wolfenbiittel di Pier Candido Decembrio
del 1461; uno la Palatina di Vienna (242 Endlicher);
uno la Nazion. di Parigi, lat. 61 18, e uno la Malate
stiana di Cesena XIII sin. 5.
A questi va aggiunto il Parmense 861 membr. sec.
XV, di cui reco la descrizione.
F. I Cornelii Taciti actorum diurnalium liber XI au-
gustae historiae lege feliciter. In marg-, Fragmentum. Com.
, Nam Valerium Asiaticum ' {Ann. XI i ). I titoli si suc-
(i) Il dubbio delI'Ernesti fu recentemeDte accolto da E. Rostagno nella
sua storia del Med. II (in Tacitus. Cod. Laur. Med. 68. Il photo typ. e-
ditus, Lugd. Bat. 1902 p. XVI).
(2) C. Comelius Tacitus, pubi. Oberlin; Ernesti praef. p. IX-XVI.
3- — TACITO. 257
cedono allo stesso modo, dal libro XI al XXI. F. iSgv
termina * Fabianus in pannonia ' {Hist. V 26). Indi la
sottoscrizione: * In exemplari tantum erat. Si quispiam
hinc descripserit, sciai ine qua7itum reperi fideliter ab
exemplari transcripsisse \ Identico titolo nel Malate-
stiano e identica sottoscrizione, eccetto che legge de-
scripserit novum e ita scripsisse per transcripsisse. E
neir identico modo segnano entrambi la lacuna tra il
lib. I e il II delle Hist.; infatti aUa fine del lib. XVin
= HisL II il Parmense nota (f. 134): 'Si repperero fi-
nem septimi decimi libri et principium odavi decimi, quce
utraque confusa sunt cunctis in libris et varia, locum
annotabo; si lector offenderis, et tu signes oro. Valeas
qui legeris et recte annotaveris (i). Il Malatest. ha que-
ste differenze: reperero; quia utraque; quae legeris. Il
Parm. fu scritto nel 1452, come rileviamo da una no-
ta marginale al f. 143 {Hist. Ili 34): * Cremona condi-
ta est annis abhinc MDCCXL, quo etiam tempore A-
riminum et Beneventum aedificantur; hodie autem ab
ortu creatoris sunt anni MCCCCLII '.
Resta con ciò assodato che sino almeno dal 1452
il Medie. Il aveva patito le due perdite; il Parm. se-
1 ) L' identica nota anche nell'apografo del Dccembrio, con queste di-
vergente: reperero; septidecimi; que legeris. Sottoscrizione del cod. Vatic.
1958 f. 41-MOv: In exemplari tantum erat. Si quispiam hinc descripserit
novuntt sciai me quantum repperi fideliter ab exemplo transcripsisse: qtiod
in ter catterà de quihus sci tur non est ncque pessisfium neqtte mendosis"
sùnum. xéXo? OecJ) f/nì^y die septimadecima octobris ab ortu Sahatoris
nostri domini Jesu CAristi anno MCCCCXL Villi. Gtnuae pridit ftstum
divi Lucat evangelistae (17 ottobre).
R. Samadimi, 7V//I iatmù 17.
258 R. SABBADINI.
g-na la seconda, che era facile avvertire per la man-
canza del numero XVII nella successione dei libri;
non avverti la prima. Esso nota in margine altre man-
canze: f. 151 alle parole {Hist. Ili 65) invalidus sene-
cta seu ferebatur] hic aliquid deficit; f. 169 {Hist. IV
46) il testo: pelli poterant 55.******** Sed im-
mensa] hic deficit; f. i6qv retinenda erat * * ^j- * * * *
Ingressus] hic deficit; f. 171V (IV 52) orasse dicebatur
^J. * <j. Audita interim] hic deficit textus. Qui non si trat-
ta veramente di lacune, ma di due trasposizioni, la
prima in Hist. Ili 65-69, la seconda in IV 46-53, che
sono anche nel Medie. II e vennero ivi avvertite con
un segno. Finalmente al f. 182, dove termina illib. IV,
il copista aggiunge: Post haec scriptiitn erat, sed non,
ut videtur, loco: Neque vos impunitos patiant; nisi et
hic defectus sit textus. Pure queste quattro parole si
trovano nel Medie. II in coda al lib. IV.
Tutte le note marginali sono della mano stessa del
copista, dalle quali riporteremo queste altre due: f. 57V
(Ann. XIV 63) insula quae pandaterìa] nunc ischia ap-
pellatur; f. 142 {Hist. Ili 30) stato in eosdem dies mer-
catu] status merchatus generales Jiundine ut genucB allo-
brogum urbis hodie sunt.
Cita il copista in margine anche autori latini, p. e.
alcune frasi di Vergilio e di Lucano, un luogo di Ci-
cerone e molti di Giovenale: tra gli altri una lettera
dello Pseudo-Seneca a Paolo: f. 67 v (Ann. XV 39) eo
in tempore Nero] Seneca ad Paulum apostolum (XII):
Centum XXXII® domus et ins (sic = insulse) quatuor
sex diebus arsere, septimo pausam dedit.
j. — tAClTO. 259
E ora m'ingegnerò di presentare un saggio di quella
ricerca, che ritengo s'abbia a intraprendere sugli apo-
grafi del Medie. II, scegliendone tre: l'uno il cod. Par-
migiano descritto (-- P) con la doppia lacuna nel lib.
I e tra il lib. I e il II delle Hist.; gli altri due senza
le lacune, il cod. Laur. 68. 5 sec. XV (= L) e l'edit.
princ. (= e). L ha correzioni di una mano seconda
(m. 2), che non sempre si possono distinguere da quelle
del copista. Mi restringo alla collazione di pochi ca-
pitoli delle Hist. I i 8, ponendo a base il testo della
4* edizione del Halm, Lipsiae 1897.
I I , I Servus e | Galbea L \ lunius L e P\ 2 cossules P \ erant corr.
m erunt Z | dccc^*'* et XX P \ 3 retulerunt L e P \ ^ niemorabatur
e I 5 bellatum est e \ Atctium corr. in Attium L \ potestatera P \ con-
ferri ad unum e \ 6 illi L, corr. m. 2 \ j inscicia P | 8 aliene P \ as-
sentandì L e P \ g fensos L, infensos m. 2, infusos ^ j 10 ambitioni e
I adverseris e P (alterum e ex corr. P)y admiseris Z, adverseris m. 2
I 12 fedum P e \ 13 Octo « | 14 Vespesiano P e \ incoatam in incoha-
tara corr. Z | 1 6 nec P \ \% Traiani uberioremque materiam /* | 1 9 foe-
licitatc Z I 20 liccat P.
1 2, I aggredior L e P\ opimum casibus] plenum variis casibus, in
mcrg. gravioribus opibus P \ discors om. e \ 2 scevum P \ quatuor Z e
I 3 plcrunque e \ 4 prospere in orientem adverse in occidentem ( —
tcs Z, — tcno m. 2) returbatum Z e^ prospere in oriente adversaj occi-
dente rcs: turbatum P \ 5 Illiricum e \ nutantes ex mut — Z | 6 Bri-
tanni» Z, — nia m. 2 \ missa cohorte L e P\ in iiosl inos /.. in e, in
rhosolanot P \ Sarmathanun /' e^ sarmaritarum / .
rum Z /', lubeornm e \ 7 gente» Z, gente m. 2 \ dachui. r, dalub /' |
9 cladibus (di ex corr.) L \ seculorum P\ \o afflictn Z e P \ baustn
nut abrute urbcii Z e, hauste nut abrutse urbes /' I foecundissima Z,
f ecundiftftimau t \ \\ et urbi L t P \ incendiis om. e \ \t cerlmoniae !.
# /*| 13 iufectri corr. in infecti Z | cadibu» < | 14 scopuli om. Z, add.
200 R. SABBADINt.
m. 2 I scevitum F \ 15 et otn. L, add. m. 3 \ 16 premia P\ quam qua-
si i \ 17 quum Z I aliis e \ procuratores e | 20 oppressit e.
I 3, I seculura P \ 2 comitates (s snperscr.) P \ 3 sequutae ( — te)
L e P \ audientes L e P \ ^ fideles P \ ipsa necessitas om. L \ 6 tole-
ratae (et om.) L \ par e \ 8 fluniinum e \ 9 tristicia L \ unqiiam P \ a-
trocibus P \ IO magis vetustis L e P \ iudiciis L P \ approbatum L €
P\ Il diis ex corr. L m. 2, de e \ securitatem Z, securis m. 2 \ secu-
ritatc nostra e \ esse Z, del. m. 2.
I 4, I caetenim L e P \ 2 que P j 3 orbe terrarum e \ 4 egrum P \ 5
plerunque Z P \ causse qu» Z | 7 modo om. P \ 9 archano e, arcano
Z, arch — m. 2 \ io leti P, ex laetius (?) corr. L m. 2, laetius e \ u-
surpatam Z, usurpant m. 2 1 libertatem e, om. Z, add. m. 2 \ 12 inte-
gram Z, corr. m. 2 | 13 annexa ^ /* | 14 et theatris (a super scr.) P \
15 quis P I decus Z* [ 16 moesti L e P.
I 5, I imbutus Z ^ Z* 1 2 magis arte Z | impulsu L e P \ "^ traduc-
tus ex traductiis (?) Z* ] 4 promisse P \ premiis e, proomiis P \ 6 intel-
ligit Z ^ Z' I 7 Nimphidii e \ 8 agitar P j Nimphidius « ( 9 et L e P \
IO plurisque P \ neque P \ il avariciam Z | laudati P \ 12 militaris e
I cselebrata Z | angebat ex aug — Z | coaspemantes Z* | 13 quatuorde-
cim Z ^ Z* I assuefactos Z e P \ 15 galbe Z' | 16 militem] principem P
I 17 caetera L e P.
I 6, I lunius Z ^, ^jc Julius corr. P | 3 galbe P \ 4 Ciconio L e P
\ Varone P j Nymphidii L e \ 6 sotius e P \ tanquam L e P \ 7 mil-
Hbus e I 9 formidolosus ex formidul — Z | 1 1 innumeri Z | 1 2 Illirico
e I promissosque ^ | 13 albano Z | 14 ceptis e P, o. csepto Z, consiliis
a caepto m. 2 \ ni ex corr. L m. 2 \ i^ prono Z, prona m. 2 \ audienti
L e P, audenti Z m. 2.
I 7, I Capitoni P I 2 cedes e \ nunciarentur ^, nunciaretur Z* | in A-
frica res haud dubie {ex dibie) P \ 3 Harebonius e \ garuncianus P, Gu-
nitianus e \ 4 quum Z | familiam e \ cseptaret Z, ceptaret P \ 6 haberen-
tur e ! aut e \ avaricia Z | 7 fedum e P \ cognitione e \ 8 posquam P |
i mpellere L e P \ f) nequierint Py nequirent f I ad Z* | io an corr. in
ac Z, ac g 1 1 1 cjeterum Z Z*, caetera « | 1 2 cedes e | sinestre Z | prin-
cipe tf Z* I 1 3 praeminuit iam Z, praeminuit. lam «, premunt. lam P \
afferebant Z ^ Z | 14 avide Z Z | 15 tanquam ^ Z* | 17 irrisui ac fa-
3- — TACITO. 261
stidio Z e, et irrisui et f — P \ assuetis L g P \ iuvente P, iuventute e.
I 8, I taiiquam Z, om. P \ 2 aniniarum Z, corr. m. 2 | fit Z, fuit m.
2 j Hispanie preerat P \ 3 Ruffus e \ 4 domino L e P, dono L m. 2 \
5 imposterum P \ proxirae P j 6 germanis Z, romanis e P\ % germani
L e P \ <) solliciti corr. in soli — Z | io raetus e, raoetus Z, metu m.
2 I tanquam Z P I partis /* | 12 vergenius Z, virginius P, ungenius « |
voluisset e P \ i^ quaeri Z j 15 vergenio Z e, Virginio P \ amiciciae P
I 16 etiam om. Z | esse] eum P \ tanquam Z e.
Le due famig-lie degli apografi, i lacunosi {P) e i non
lacunosi {L e), non hanno origine da due differenti e-
semplari, ma dallo stesso Medie. II, di cui riproduco-
no gli errori tipici; p. e. 2, 6 missa cohorte, 2, io ur-
òeSj 3, IO magis vetusti s, 5, g et, 7, 13 praeminuit iam
(premunt di P è un tentativo di emendamento). Le di-
vergenze tra le due famiglie rimontano a correzioni
degli umanisti: tale è, lasciando le numerose interpo-
lazioni di e, b, 14 Vindicis consiliis a coepto dì L m. 2
e le seguenti di P: 2, 6 /;/ rhosolanos, i, 12 cmnltantes,
5, 12 coaspcrnantes, 5, 16 principem^ 6, 11 innumeri,
7, 2 nuntiaretur, res, 7, 13 premunt. Avvennero anche
contaminazioni tra le due famiglie: 7, 12 principe {P e)t
8, 6 Romanis (P e), 8, 12 voluisset {P e). Ma la prova
perentoria che entrambe provengono dal Medie. Il l'ab-
biamo nella lezione 8, 4 domino, comune a tutti gli
apografi, lezione che sul Medie. II fu ricalcata in ra-
sura da una mano del sec. XIV o X\'
Senonchè non a questo problema, orinai driiniuva-
:m;nte esaurito, deve rivolgersi l'attenzione degli stu-
diosi; si tratta invece di costituire con sicurezza il testo
Ila famiglia non lacunosa in quanto che essa ci con-
202 R. SABBADINI.
serva le parti perdute nell' archetipo. E non basta;
siccome la scrittura dell'archetipo, in molti punti svani-
ta, non è più decifrabile, cosi bisogna aiutarsi, oltreché
coi ricalchi fatti qua e là da una mano del sec. XV,
anche e meglio con gli apografi delle due famiglie,
dei quali occorre pertanto confrontare e misurare il
grado di fede che meritano. E bisognerà determinare
anche in qual tempo si formarono. La non lacunosa
potrebbe metter capo all' apografo del Boccaccio; la
lacunosa deriva da un apografo tratto posteriormente
ai ricalchi e alle emendazioni introdotte nell'archetipo
da mani del sec. XV; così p. e. la lezione 2, i plenum
variis casibus (in marg. gravioribus opibus) di P è nata
dopo che una di quelle mani su opibus del Medie. II
aveva scritto plenum.
Meno importante ma pur sempre utile sarebbe poi
un'altra indagine, quella che si proponesse di stabilire
un termine cronologico alle emendazioni sicure e ano-
nime, che s' incontrano negli apografi; p. e. anteriori
al 1452 sono le seguenti, che già troviamo in P: i, 9
infensos; 2, 4 prospere in oriente adversae occidente res;
3, 9 tri stia; 4, io usurpata libertate; 4, 12 integra; 6,
8 ornine; 6, 9 legione; 8, i fuit; 8, io metu.
3- — TACITO. 263
Opere minori
Le scoperte di Enoch da Ascoli (*)
Per tracciare la storia della scoperta delle opere
minori di Tacito, mi bisogna trascrivere alcune lettere
o brani di lettere di Poggio, di Guarino e dei corri-
spondenti di Guarino, le quali formano la base del mio
ragionamento.
I.
Poggius (i) Nlcolao s.
juidam monachus (2) amicus meus ex quodam monasterio
Gcrmaniae, qui olim a nobis recessit, ad me misit litteras, quas nudius
quartus acccpi; per quas scribit se reperisse aliqua volumina de nostris,
quae permutare vellet cum Novella Ioannis Andreae vel tum Speculo
tum Additionibus, et nomina librorum mittit interclusa .... Inter ea
volumina est lulius Frontinus et aliqua opera Conielii Taciti nobis ignota:
viflcbis inventarium et quaircs illa volumina legalia, si reperiri poterunt
commodo pretio. Libri ponentur in Nurimberga, quo et deferri debent
Spcculum et Additiones, et exinde magna est facultas libros advehendi.
Ut videbis per invcntariun», hacc est particula quaedam, nani multi alii
rcstant; scribit enim in hunc modum: ' Sicuti mihi supplicastis de no-
tr.ndo |)Octas, ut ex his cligeretis qui vobis placcrent, inveni multos e
quibu» collegi aliquos, quo» in ccdula hac inclusa rcperictis ' . . . .
Komae die in novcrobris (1425).
(•) Comparve la prima volta in Sfu(/t ital. JiloL class, VII, 1R99,
M9-13»-
ri) Poggii Épiit0l. eon. Tonelli, Fiorenti» 1833, I i> m s
(2) (Juetto monarn era di HemfeUl.come risulta da altre lettere, i^i</.
" -, 266, 268.
264 R. SABBADINI.
IL
Guarinus (i) Veronensis suavissimo lohanni Lamolae
s. p, d. (2)
Tantopcre tuam in me pietatem accumulas, ut me vel ingratum vel
rusticura fatear opus sit, cum te non superare sed ne acquare quidem
possim. Nec est ut te deterream; perge vero: scio, nihil a me supra vi-
res postulas; animum tibi semel dicavi nihilque mihi ipsi reliqui, quod
tibi non impertierim (3); tu me tuo utere arbitratu.
Quam gratae autem tuae mihi litterae fiant, exprimere nequeo: eas in
sinu prae laetitia colloco, deosculor et in dulcis (4) traho sermones (5),
ut te stringere te palpare (6) te alloqui videar et mihi ipsi persuadeam (7).
Occurrit in primis modesta ornata et (8) maiestatis pristinae dignitate
referta litterarum facies, quae observantiam (9) quandam prae se fert, ita
at lectorem iuvitet (io). Accedit gravitas (11) sententiarum, verborum,
dulcissimaque (12) quaedam compositionis harmonia. Quid nuntius rena-
scentium virorum et in lucem prolatorum, quem mihi cum suavitate mi-
(i) Cod. di Berlino, già Morbio 403, ora lat. 2° 557 f. 126 (= w),
cfr. R. Sabbadini, La scuola e gli studi di Guarino p. 193; cod. Clas-
sensc di Ravenna 419, 8 f. 17 (=r e).
(2) s. p. d. om, VI.
{3) impatierim e.
(4) dulces m.
(5) sermonies e,
(6) palpitare e.
(7) persuadeo e.
(8) et om. m.
(9) observantia e.
(io) invitent e.
(11) caritas m, caritatis e.
(12) dulcissima m e.
2. — TACITO. 265
rabili affers ? O si Cornelium (i) Tacitum ipsum {2), Plinii mei amicum
socium collegam, spectare etcoram affari detar ! Quid Cornelius ille Cd-
sus, cuius audito nomine ac dignitate ita eius videndi atque audiendi (3)
cupiditate incensus sum, ut totus infusus in me Benacus (4) huiuscemodi
sedare ardorem nequeat. Voluminis raagnitudinem et litterarum sive
scripturae faciem (5) scribas oro, ut quid de ilio habendo consulam sciam.
Quid dicam de Antonio Panormitano, cuius nunc primum (6) auditum
nomen tantaleara in me sitim (7) incussit ? O felix bisce viris et (8) di-
vinis ingeniis (9) aetas ! Nil vidi quod (io) ad me ex illius ingenio mi-
sissc dicis (11). Quocirca magis magisque dolco et ipsos execror (u) ta-
bellarios, quorum incuria tam bonae scribendi vices intercipiuntur (13).
Non possum in scribendo morem mihi gerere, adeo praesens istuc re-
diturus nuntius {14) instat urget inclamitat. Ego cura gratias referre cu-
perem prò pulcherrimo et commodissirao tuo munere, quibus verbis id
faciam non invenio; itaque cum referre non possim, gratias habeo. Vale,
mca suavitas; valeo et ipse, valent et liberi, nostrae peregrinationis Tri-
dentinae (15) comites. Vale iterum, y^v^r] fioi).
Veronae XXVI ianuarii [1426].
(i) Comelii e.
(2) Tacitum ipsum om. m.
(3) vivendi atque audiendi e, videndi audicndique m.
(4) Bonacus e.
(5) faciem om. m e.
k(ì) primum om. e.
(7) scttum m.
'8) et om. m.
9) divini ingenii m.
'IO) quml hic dtsinit m.
(Il) S' intCnflr- V /hrninf>J,fn,^,fti( ,l..| I' .11. .♦Hill .
< 13) obnCCffir
<I3) intercipiuat e.
(14) redditunu mitius e.
(15) Allude alla peregrinazione di Guarino a Trento del 1426 per
incarico della città.
266 R. SABBAUINI.
m.
Guarinus ( i ) Veronensis suavissimo lohanni Lamolce s. p. d.
Posteaquam alteras (2) ad te descripseram, tua e et graves et ornatse
redditae mihi sunt, quae eo accumulatiores veiierunt, quo etiam comitem
habuerunt libellum vere 'EQfxacpQÓÒiTOV ....
Veronae IIII nonas februarias [1426].
IV.
Antonius (3) Panormita Guarino Veronensi s. p. d.
Etsi acceperam Herraaphroditum meum plurimorum iudicio probatum...,
nihilo magis tamen animo movebar Verum cum te virum simplicem
verum apertura .... idem de me meoque libello sentientem animadver-
tam, non modo moveri non possum, sed .... gaudio distrahor, prae-
sertim cum antehac nulla mecum amicitia, nulla familiaritate fueris de-
vinctus .... Ioanni vero Lamolae .... gratias et ingentes habeo, prop-
terea quod insciente me quidem Hermaphroditum ad te miserit meum....
Ex Bononia (4) (febbraio 1426).
V.
Aurispa (5) Guarino Veronensi viro doctissimo s. p. d.
Credideram quom .... (L'Aurispa scrive a Guarino, facendogli grandi
elogi del Panormita. La lettera è data da Firenze nel febbraio 1426,
come si deduce dalla seguente).
(1) Per le fonti di questa lettera cfr. R. Sabbadini, Guarino Verone-
se e il suo epistolario, Salerno 1885, n. 374; per la data p. 68.
(2) La precedente (II).
(3) Per le fonti di questa lettera cfr. R. Sabbadini op. cit. n. 127.
(4) Questa lettera fu scritta subito dopo che il Panormita ebbe noti-
zia della precedente (III), nella quale Guarino dava al Lamola il suo giu-
dizio famoso suir Ermafrodito.
(5) Cod. Classense 419, 8 f. 17V.
3. — TACITO. 267
VI.
Guarinus (i) doctissimo et ornatissimo viro lohanni
Aurispae s. p. d.
Superiori tempore cum fama referente ....
Veronae III kal. martias (1426) (2).
(Risponde alla precedente, associandosi all' Aurispa negli elogi del
Panormita).
VII.
Antonius (3) Panormita Guarino Veronensi viro (4)
illustri s. p. d. (5)
Aurispa Siculus familiaris noster hodie, quod frequenter (6) facit, ad
me litteras craisit (7) officii ac diligentiae plenas, alìoquin adeo suaves
atque (8) elegantes, ut si suas illas esse nescius fuissem, aut musarum
aut certe tuas esse iuravcrim; in quibus plura quidem, sed illud praeci-
pue mihi renuntiat, abs te sibi redditas epistolas (9) XV (io) kalendas
(i) Cod. Classense 349 f. 165.
(2) Le lettere V e VI, citate qui unicamente per la successione crono-
logica, furono pubbl''-*" \l•>^.^r,r\]'^^■"'^f' in Giorn. star. !■•*'. •'■'' Siippl.
6, 103-6.
^l) Cfxl. Marciano iat. XIV 221 f. 95 (= w), cfr. Barorzi-Sabbadini,
Studi sul Panormita € sul Valla p. 22 per n" > mì^»,. ,\a »..c»,> .. ..^r
la data; cod. Claascnse 419, 8 f. 3 {=» e).
(4) viro om. m.
(5) P. «• ('
(6) freqncns m.
(7) migit m.
(8) et m.
(9) U lettera VI.
(10) V m.
368 R. SABBADINI.
aprilis meorum versuura, mei nominis eloquentissimas laudatriees; meque,
quod plurimi facio, tuam gratiam ininsse iam. Qua ex re subgloriari
mihi licet, qui, ne (i) otiosus quidem aut securus, aliquid effuderim, (2)
quod tuo acri magnoque iudicio comprobari (3) debuerit. Ea res faciet
ut protinus auctoritate tua fretus et de me mihi optime sperem et toto
pectore ad studia summae laudis incumbam. Nam siquis in me musarum
furor est, et est quidem fortasse non parvus, tute illum vehementius
excitasti; prò quo quidem officio tuo gratias, quas tibi permaximas ha-
beo, musae reddent et quidem foeneraticias, modo otium aliquando nan-
ciscamur.
Hoc hactenus. Quod sequitur et tibi auditu et mihi relatu voluptuo-
sum (4) erit. Verum pridie quam (5) illud aperiam, iuvat abs te coe-
nam lautissimam quidem stipulari: illam spondes ? * illam spondeo '. Est
igitur penes me A. Cor. Gelsi de medicina, liber, ut nosti, diutissime
non inventus ac prope extinctus. Eo, tametsi libri dominus non sim,
prò ea tamen amicitia quae inter me et dominum mutua est, meo arbi-
tratu utor fruor. Commiserat id librorum dominus, cum iamdudum ex (6)
Sena decedere instituisset, fidei ac custodiae Helencae mulieris impro-
bissimae. Ego quamprimum rem novi, mirifico quodam desiderio tabe-
factus sum, siquidem Gelsi Gomelii nomen celebratum atque singularibu»
laudibus evectum (7) legerem apud nominatissimos auctores: Quintilianum
Plinium Augustinum Golumellam aliosve compluris. Eam ob rem libri
dominum exhortatus, maiorem in modum obtestatus sum, uti vel mei
causa codicem repetat. At ille ut cetera, ita mihi id facile assentit; re-
scribit, mandat Helencae uti depositum ex (8) continenti reddat. Illa vero,
quam dii perdant, magna voce ficto vultu depositum inficiata est; est
(i) nequc m.
(2) effunderem m.
(3) probari e.
(4) voluptuosum. Vale hic desinit m.
(5) quid e.
(6) et e.
(7) nectum e.
(8) et e.
i. — TACITO. 269
enim mulier postremae perfidiae (i), paris petulantiae; utque ea vulvae
mercalis est, ita filiolam quaestuariam, neptem venaliciam, sororem pro-
stitutam habet. Nobis itaque necessum fuit uti non solum iure nostro,
sed Ulixeis quoque fallaciis, quo vix librum tandem illa restitueret.
Posteaquam vero Cor. Celsum ab huiuimodi capti vitate reversum et
iure quasi postliminii restitutum vidi possedive, hautquaquam (2) expri-
merem quantum me oblectaverit (3) et affecerit. Pulchra etenim, vetusta
littera, nec ab indocto quidem librario, transcriptus est; membranarum
color ex albo in pallidum diffusus, litterarum vero subglaucus (4); libri
facies prae vetustate venerabilis et quasi numen quoddam prae se fert.
Volumen ingens perinde est atque F. Quintiliani institutiones, totum-
quc in octo codicillos diduci tur. Integrum est, praeter ultimam chartam,
item tris circiter medium, quas Helencam (5), omni notabili infamia no-
tatam mulierem, abscidisse autumo, ut forte pensis coluique advolveret.
• Quid miserum, Medea ', ne ' quid Aenea ' dixerira ' laceras ? iam
parce sepulto ' (Verg. Aen. Ili 41) et vero hactenus sepulto. Quid agis,
insana carnifex ? Cor. Celsum dilanias ? Cor. Celsum, qui tot dilaniatos,
tot vulneratos, tot ulcera, tot cicatrices, tot denique aegrotantes homines
-^uis prope divinis curationibus iuverit sanaveritque ?
Sed redeo unde abii. Illum, postpositis legum ac humanitatis studiis,
a vertice ut aiunt ad calcem iterum atque iterum legi, nec enim medio-
cri piane cum animi iocunditate; mirifica et ferme singularis huius cla-
rissirai philosophi doctrina, mirifica eius oratio, siquidem dulcis sonora
gravi» varia figurata sublimis antiqua, ut (6) generaliter contendam ne
ijjMim quidem latinae eloquentiae principem Ciceronem in hoc genere
rii.itcriae ornatiuiì laculentius atque elegantius disserere potuisse. Tu me-
cum senties, certe scio; illudque fiet, nisi vates male vaticinor, ut quan-
topcre none Cor. Celsum concupiscas, tantopere illum cum legcris ad-
( I ) postramae perfidae e.
(2) autqoamqaam e.
(3) oblectaverat e.
(4) lulxrlaucus e,
(5) elencam e.
i70 R. SABBADlNI.
mirere: in summa nihil addubitem quin, perlecto Cornelio, fias ex ora-
tore medicns. Postremo, si non memineris, hic ille est, quem tuus F.
Quintilianus refert ' non parum multa latine scripsisse, Sextios secutum
non sine cultu ac nitore ' (X i, 124).
Praeterea est quod te non minori voluptate afficiat; sed omnino coe-
nam parato, qua in re tu me non audis. Compertus est Cor. Tacitus de
origine et situ Germanorum. Item eiusdem liber de vita lulii Agricolae
isque incipit: * Clarorum virorum facta ' caeterave. Quinetiam Sex. lulii
Frontonis liber de aquaeductibus (i) qui in urbem Romam inducuntur;
et est litteris aureis transcriptus. Item eiusdem Frontonis liber alter, qui
in hunc modum iniciatur: * Cum omnis res ab imperatore delegata men-
tionem exigat ' et caetera (2). Et inventus est quidam dyalogus de ora-
tore et est, ut coniectamus, Cor. Taciti, atque is ita incipit: * Saepe ex
me requirunt * et caetera. Inter quos et liber Suetonii Tranquilli repertus
de grammaticis et rhetoribus: huic inicium (^) est: 'Grammatica Romae'.
Hi et innumerabiles alii qui in mauibus (4) versantur, et praeterea alii
fortasse qui in usu non sunt, uno in loco simul sunt; ii vero omnes, qui
ob hominum ignaviam in desuetudinem abierant (5) ibique sunt, cuidam
mihi coniunctissimo dimittentur propediem, ab ilio autem ad me proxi-
me et de repente; tu secundo proximus eris, qui renatos sane illustris-
simos habitvirus sis.
Interea tuae partis erit rescribere qualem ad te nuntium attulerit haec
epistula, iocundum scilicet necne; meque perseveranter ama: ego procul-
dubio tuus sum integer, non animam quidem excipiens. Item vale.
Ex Bononia quam cursim (aprile 1426) (6).
(i) aqueductus e.
(2) Più accuratamente è descrìtto il codice di Frontino nel Commenta-
rium del Niccoli (sopra p. 4 a) su notizie fomite dal monaco di Hersfeld.
(3) hinc micium e.
(4) in manus e.
(5) desuetudine habierant e.
(6) Dalle parole abs te sibi redditas epistolas XV kal. aprilis risulta che
la lettera VI, a cui si allude, scritta da Guarino il 28 febbraio, fu recapi-
tata all'Aurispa il 18 marzo. Collochiamo perciò la presente nell'aprile.
3. — TACITO. 271
Vili.
Guarinus ( i ) Veronensis ci, viro Antonio Panormitce s.p. d.
Unas abs te litteras (2) acceperam antea ....
Quid alterae (3) illae omni melle suaviores ? Earum sane recordatione
beatus niihi videor et inter renatos viros illustrissimos esse receptus; prò
quibus quidem mentis quas tu mihi cecas narras et stipulari vis ? ego
tibi me ipsum cenandum appono, tu me vescere et tuo me utitor arbi-
tratu ' qui das epulis accumbere divum '. Quod si quando ipsos cerne-
re, praesentis intueri et ' vivas audire ac reddere voces ' fas fuerit, deo-
rxim sane vitam mihi adeptus videbor. Id autem ita fore minime despe-
ro, quando Elencham, idest improbatam muliereni, evasit Cornelius Cel-
sus, quasi futurae felicitatis augurium. Hui ! harpyas et scyllas omnis
flagitio superans et tentigine monstrum, lena, meretrix, periura et vere
elencha, idest iXx.yyzaiS(i\. digna. Quid sibi cum Cornelio Celso, nisi ut
quae tot penes insatiata deglutit, et hunc ipsum improba devoraret ?
Scd ut angorem omittam, quam iocundum ipsorum tam illustrium vi-
rorum facies habitus staturas mores te duce cognoscere et * venieutum
discere vultus * ! Nunc iuvat vivere, cum tales prisci generis et autiqui-
tatis venerandae reliquias manere intelligo et tua benignitate meos quan-
doque futuros hospites non despero. Hunc igitur diem tam laetum, tara
honoratum tuo ex nuntio habiturus sum, * dum vita mancbit ', ut eum
* meliore lapillo numerem ' et proinde Panormitalia celebrare instituaro,
modo illorum spcctandorum copiam tuum favens numen praestet. Quam
quidem ad rem adiutorcm ac socium Aurispam, latinarum ac graccarum
decus musarum, implorabo. Tu vale mea suavitas roeumque corculum.
Ex Verona kalendis roaii (1426).
I } Cod. Clasienie 4i«v,
lettera IV.
VII.
iy2 k. SABBADlNI.
IX.
Guarinus (i) lohanni Lamolae s.
. . . Quantas vero mihi laetitias .... Cornelii Gelsi adventus ! cuius
orationem gravem ornatam copiosam satis admirari non possum ....
(Valpolicella ai primi d'ottobre 1426).
X.
Guarinus (2) Veronensis Hieronymo Gualdo s.
.... Est etiam hodie mihi in lucem editum opus elegans, summa
facondia copia dulcedine oriiatissimum, antiquorum iudicio in arce loca-
tum, Comelius Celsus. Is medicinae auctor est ea suavitate erudientia et
omni denique laude redundans, ut vel invitum lectorem aliiciat; nec du-
bito, si (3) ad doctorum medicorum, non dico plebeiorum et forensium,
ocalos pervenerit, eum inter primos medicinae fore principem ....
Ex Valle PoUizela v idus octobris (1426).
XI.
Poggius (4) Nicolao s.
Dixeram Cosmo nostro .... monachum illum Hersfeldensem dixisse
cuidam se attulisse inventarium, sicut ei scripseram, plurium voluminum
secundum notam meam. Postmodura cum summa cura quaererem hunc
hominem, veuit ad me afferens inventarium plenum verbis, re vaeuum...
Itaque refersit illud libris quos habemus, qui sunt iidem, de quibus a-
lìas cognovisti. Mitto autem ad te nunc partem inventarii sui, in quo
describitur vo lumen illud Cornelii Taciti et aliorum, quibus caremus, qui
(i) Cod. Riccard. 779 f. 130.
(2) Cod. Vindob. 3330 f. 141; cod. Arundel 70 f. 153V.
(3) sed ccdd.
(4) Poggii EpistoL I p. 207, 208.
j. — TACITO. iy^
cum sint res quaedam parvulae, non satis magno sunt aestimandae. De-
cidi ex maxima spe quam conceperam ex verbis suis .... Hic mona-
chus eget pecunia; ingressus sum sermonem subveniendi sibi, dummodo
Ammianus Marcellinus, prima decas Titi Livii et unum volumen oratio-
num Tullii ... et nonnulla alia opera . . . dentur mihi prò his pecuniis.
Peto autem illa deferri eorum pericnlo usque Nurimbergam ....
Romae XVI kal. iunii (1427).
Rileviamo anzitutto che sin dal novembre del 1425
era giunta a Roma a Poggio (lett. I) la notizia di una
grande scoperta di autori latini, quali noti quali ignoti,
che giacevano tutti riuniti in un sol monastero di Ger-
mania (VII u^o in loco simul sunt). La notizia si dif-
fuse tosto tra gli umanisti: a Firenze la seppe per
mezzo di Poggio il Niccoli (I); a Bologna la seppero,
sembra per via diversa, il Panormita e il Lamola, che
la comunicarono a Guarino a Verona (II, VII, Vili).
Le informazioni da parte di Poggio e da parte del
Panormita coincidono nella sostanza tra loro e con
r elenco del Comnientarium Niccoliano (sopra p. 4-5),
talché non è a dubitare che si tratti della medesima
scoperta.
Come scopritore è dato da Poggio un monaco dì
Ilersfeld (I n., XI), il quale andava e tornava spesso
da Roma per interessi del monastero. Ma noi credia-
mo che il monaco hersfeldese non sia stato il vero
scopritore o almeno non il primo; perchè ci par pro-
babile identificare questa scoperta con quella dell'ar-
civescovo di Milano Bartolomeo Capra in Germania
K. tABKADINI, Tuti latmù US.
274 ^- SABfiADlW.
nell'anno 1421 (i), quando egli si trovava colà ai ser-
vigi dell' imperatore. Della scoperta del Capra parla
Poggio molto scetticamente (2), ma il Capra era un
uomo serio e alla notizia, diffusa certo da lui stesso,
dobbiamo prestar piena fede. A identificare le due
scoperte del 142 i e del 1425 siamo indotti dalla coin-
cidenza, che gli autori veduti dal Capra son designati
come historici e che storici per l'appunto sono i prin-
cipali autori nominati da Poggio e dal Panormita: Am-
miano, Livio, Tacito.
E il convento dove furon trovati ? Su questo punto
il Panormita tace e Poggio solo indirettamente fa ca-
pire che fosse il convento di Hersfeld, perchè chiama
hersfeldese il monaco scopritore; noi ne acquistiamo
la certezza considerando che tra i codici e' era Am-
miano Marcellino, autore che effettivamente stava a
(i) Il Capra fu in Germania con T imperatore dal luglio 1418 al 1421
(W. Altmann, Die Urkunden Kaiser Sigmunds, n. 3336. 3714. 3887.
3944. 3951. 4040. 4085. 4233A. 4243. 4601). Nell'agosto 142 1 è sulle
mosse per partire (n. 4601).
(2) Poggii Epistol. I p. 80-81 * De archiepiscopo Mediolanensi quae
scribis laetatus sum, si tamen vera sunt. Est enim res digna triumpho
inventio tam singularium auctorura; sed mihi non fit verisimile. Nam ar-
chiepìscopus is homo est, qui si quid tale reperisset, et secum asportasset
saltem tran^cribendos tales libros. Vereor autem ne audita prò certis
adfirmet ut saepius fieri solet. Quid tu putas virum tantae dignitatis
fultum imperii patrocinio summaeque auctoritatis aliquid difficultatis ha-
biturum fuisse in assequendo libros, cum illos postulasset ab illis ona-
gris barbaris, si eos invenisset, ut narras ? Illis quidem loco beneficii
fuisset tradere eos libros viro, qui apud imperatorem prò se intercedere
potuisset .... Si tales historicos reperisset, personasset ipsemet buc-
cina nihii occultans .... Londini die X iunii ' (1422).
3- — TACITO. 275
Hersfeld (i). La prova perentoria è ora fornita dal
ComìneìUaritim del Niccoli (sopra p. 4).
I codici hersfeld esi, di cui ci tramandano il titolo
Poggio e il Panormita, non sommano a un gran nu-
mero, ma le indicazioni, specie del secondo, sono for-
tunatamente precise. Ne diamo l'elenco: la prima deca
di Livio e le orazioni di Cicerone, opere allora ben
note; Ammiano, di cui un esemplare era stato nel 141 6
scoperto dallo stesso Poggio; Frontino Stratege7nato?iy
opera nota, e De aquaeductibus del medesimo, allora
ignota; Svetonio De grammaticis et rhetoribus^ ignoto;
Tacito Germaniae. Vita Agricolae, più il Dialogus de ora-
toribus, ignoti. Tra tutti questi autori Tacito richiamò
in particolar modo l'attenzione di Poggio e ad esso in-
fatti diede insistentemente la caccia, ma con risultato
negativo; l'ultimo indizio delle pratiche l'abbiamo nel
26 febbraio 1429, quando Poggio annunzia al Niccoli
che il monaco tedesco era tornato a Roma senza Ta-
cito (2): poi più nulla.
Due anni dopo fu fatto un nuovo tentativo, questa
volta dal Niccoli. Approfittando egli, nei primi mesi
del 1431, dell'occasione che due cardinali, il Cesarini
e r Albergati, andavano con una missione pontificia,
quegli in Germania, questi in Francia, affidò loro un
elenco di autori da cercare, tra i quali gli hersfeldesi
(sopra p. 2'^. E il Cesarini fu a Norimberga, città non
(I) Voigt, Dì* WitdtrbtUlmng d, class. Aiterthums I* p. 242.
(a) Poggii EpistoL I p. 268 ' Monachtti Henfeldentii venit abìique
libro (Tacito) Romae XXVI februarii 1428 ' (= 1429).
2 76 fe. SABBADI^t.
eccessivamente lontana da Fulda e da Hersfeld; ma
le cure diplomatiche gli avranno impedito di occupar-
si di codici. E cosi dovette pcissare ancora più d' uil
ventennio, prima che dai volumi hersfeldesi fosse scos-
sa la polvere secolare: e ciò accadde per opera di
Enoch da Ascoli.
Enoch, reduce da un viaggio in Oriente, ricevette
dal papa Niccolò V, con un breve in data 30 aprile
1451 (i), l'incarico di recarsi nel settentrione di Eu-
ropa a cercar codici. E nell' autunno infatti dell' anno
medesimo si pose in cammino, prendendo la via con-
sueta di Verona, dove arrivò alla fine di ottobre. Ivi
lo accolse l'amico Gregorio Correr, che graziosamente
e lepidamente cosi narra la sua visita in una lettera
a Giovanni Aretino (Tortelli):
Gregorius (2) Corrarius protonotarius Ioanni Arr etino
subdiacono apostolico in domino s.
Venit ad me hac iter agens Enoch Asculanus ciim sua barbala visendi
salutandique gratia. Cumque consedissemus, percunctatus ut valerent
summus minoresque nonnulli pontifices romanae curiae coloni: « Ut in-
quam pars animae meae Ioannes Arretinus »? — « Mecenatem inquit
ais doctorum omnium praesidium, qui plerique ut nosti pauperes ad
curiam illam confugiunt. » — « Scio inquam multos doctos homines ea
fortuna esse et illum huius rei non ignarum talibus libenter opitulari.
Sed fare age ut valeat. » — « Valet; nam divites bene valere existimo,
pauperes male ». — « Atqui teciim inquam sentio. Sed quo te agis » ?
(i) Pubblicato dal Voigt, Wiederbeleluvg II'' 200 e in Arch.stor. ital.
S. Ili, voi. XX, 180.
(2) Cod. Vatic. 3908 f. 118 (autografo).
3. — TACITO. 277
— « In Daciam (i) inquit ■». Et simul raihi causarti uarravit quaeren-
dorum librorum quam nosti. Tum multa de Graecia et de Constantino-
poli (2), unde barbatus rediit.... Verone XXVUI octobris 1451.
Appena due mesi dopo, nel dicembre, Enoch era
in Danimarca (3), di dove, se crediamo al Filelfo (4),
si sarebbe spinto fino nella Scandinavia. Nel ritorno
percorse la Germania, fermandosi a Hersfeld, Fulda,
Augsburg- e in altre città, che non sappiamo. Final-
mente nella primavera del 1455 si restituì a Roma.
Dalla Danimarca trasse una lettera di Sidonio A-
pollinare (5) e le Elegiae in Maecenatem (6); dal mo-
nastero di Hersfeld Svetonio De gramm. etrket.{'])y la
Germania e V Agricola di Tacito e il Dialogus de ora-
toribus (8); da Fulda T Apicius (v. sopra p. 6 c)\ dalla
cattedrale di Augsburg Porfirione (9). Altre opere da
(i) Daciam = Daniam (sopra p. 7): e cosi spesso nel medio evo,
cfr. Hefele, Conciliengcsch, VP 58.
(2) Ciò conferma la notizia del viaggio di Enoch in Oriente, cfr. R.
Sabbadini, Scoperte dei codici 57.
(3) G. Mancini, Vita di L. B. Alòerli, Firenze 1882, 329.
(4) Fr. Philelfi Epist.., Venetiis 1502, f. 92.
(5) G. MancÌDi ibid.
(6) R. Sabbadini, Scoperte 142.
(7) V. Rossi, V indole e gii studi di Gio. di Cosimo de' Medici^ Ro-
ma 1893, 30 Su e t onio de viris illustrUrus^ del io dicembre 1457.
^8) Per la Germania e il Dialogus abbiamo la testimonianza del Fon-
tano del marzo 1460: cfr. M. Lchncrdt, Enoch von Ascoli und die Ger*
mania des 7'acitus, in Hermes XXXIIl, 1898, 499.
(9) L'esemplare trovato in Augsburg fu ivi mostrato da Enoch al Mei-
•terlin, cfr. P. Joachimsohn, Die humanist. Geschichtsschr. in Deutschland.
St^ismund MeisterliHt Bonn 1895, 33.
278 R. SABBADINI.
Enoch riportate, senza che si conosca il luogo del rin-
venimento, sono V Orestis tragoedia (i) e \ Itinerarium
Antonini.
Ma molti più autori e' erano nelle città visitate da
Enoch, specialmente a Fulda, dei quali egli non si
curò per nulla. La cosa può parere, anzi è strana; e
non vedo che una sola maniera di spiegarla. Il breve
di Niccolò V diceva: Nolumus enim ut aliquis liber sur-
ripiatur^ sed tantummodo ut fiat copia trans cribendi. Ma
nel fatto Enoch portò seco gli originali e non le co-
pie, almeno per i codici di Hersfeld e di Augsburg,
probabilmente perchè sul luogo non trovava copisti.
In tali circostanze è naturale pensare che i monasteri
e i Capitoli gli consegnassero solo poche opere, quel-
le forse di minor mole o che a giudizio dei preposti
alle biblioteche avevano minor valore.
Ritornando ai codici hersfeldesi, la concatenazione
delle nostre notizie ci permette di stabilire definitiva-
mente, dopo le molte questioni e i molti dubbi solle-
vati, non sempre con prudenza, sul proposito, la con-
tinuità dei fatti, congiungendo tra loro le scoperte del
Capra, del monaco tedesco e di Enoch e riferendole
tutte e tre a un'unica collezione di codici, che esisteva
nel monastero di Hersfeld.
Il codice di Hersfeld appena giunto a Roma fu ve-
duto da Pier Candido Decembrio (*). Era il Decembrio
al servizio della curia papale sin dal 1450; e morto
(i) Sabbadini, Scoperte 142 «. 19.
(*) Comparve la prima volta in Rivista di filologia XXIX, 1901,
162-4.
3- — TACITO. lyg
Niccolò V, vi continuò l'ufficio per un altro po' di tem-
po sotto il successore Calisto III(i). Del 1455 pertanto
egli vide il nuovo codice e ne diede la seguente de-
scrizione, che sta scritta di suo pugno nello zibaldone
Ambrosiano R 88 sup. sec. XV.
f. 112. — Comelii taciti liber reperitur Rome visus 1455 de Origine
et situ Germanie. Incipit: " Germania omnis a Gallis retiisque et pano-
niis Rheno et danubio fluminibus a Sarraatis dacisque mutuo metu aut
montibus seperatur. cetera occeanus ambit ". Opus est foliorum XII in
columnellis. Finit: *' Cetera iam fabulosa helusios et oxionas ora homi-
num vultusque corpora atque artus ferarum gerere. quod ego ut incom-
pertum in medium relinquam ". Utitur autem comelius hoc vocabulo
" inscientia " non " Inscitia " (§ 16, dove però si legge inscitia).
Est alius liber eiusdem de Vita lulii agricole soceri sui. in quo con-
tinctur dcscriptio Britanie Insule nec non populorum mores et ritus.
Incipit: " Clarorum virorum facta moresque posteris tradere antiquitus
usitatum. ne nostris quidem temporibus quamquam incuriosa suonim etas
ommisit ". Opus foliorum decem et quattuor in columnellis. Finit: " Nam
niultos veluti inglorios et ignobiles oblivi© obruet. Agricola posteritati
narratus et traditus superstes erit ".
Cornelii taciti dialogus de oratoribus. Incipit: " Sepe ex me requiris
iustc fabi cur cum priora sccula tot eminentiura oratorum ingeniis glo-
riaque floruerint, nostra potissimum etas deserta et laude eloquentie or-
bata vix nomen ipsmn oratoris retineat ". Opus foliorum XIIII in co-
lumnellis. Post beo deficiunt sex folla, nam finit: " quam ingentibus
vrrl)is prosf-quuntur. Cum ad vcros iudiccs ventum ". Deinde sequitur:
" rem tr.^itiirc nihil abicctum nihil humile ". Post hcc sequuntur folla
luo cum dimidio. et finit: *' Curo adrìsissent discessimus " (2).
Suctonii tranquilli de grammnticìfi et rhetoribus liber. Incipit: " Gram-
matica rome nec in usu quidem olim nedum in honore allo erat. rudii
(1) M. Borsa, PUr Candido Deeemhri, Milano 1893, 93-105.
<2) Aveva cominciato a scrivere surr- ' ■ MA.
280 R. SABBADINI.
scilicet ac bellicosa etiam tura civitate necdum magnopere liberalibus di-
sciplinis vacante ". Opus foliorum septem in columnellis. Finit perprius:
" Et rursus in cognitione cedis mediolani apud lucium pisonem procon-
sulem defendens reum. cura cohiberent lictores nimias laudantium voces
ita excanduisset. ut deplorato Italie statu quasi iterum in formam Pro-
vincie redigeretur. M. insuper brutum cuius statua in conspectu erat in-
vocaret Regum ac libertatis auctorem ac vindicem ". Ultimo imperfecto
columnello finit: " diu ac more concionantis redditis abstinuit cibo ".
Videtur in ilio opere Suetouius innuere omnes fere rhetores et Gram-
matice professores desperatis fortunis finivisse vitam.
L'ordine con cui si seguivano nel codice le quattro
opere era: le due tacitiane prima (la Germania e l'A-
gricola), poi il Dialogo, finalmente Svetonio: 1' ordine
stesso indicato e dal Panormita nella sua relazione del
1426 (VII) e dal Commentarium del Niccoli (sopra p. 4-5):
e che tale esso fosse, ce ne forniscono la riprova le
parole del Decembrio ultimo imperfecto columnello finita
dalle quali apparisce che la scrittura si troncava non
in fine di pagina, ma a mezzo; non dunque per la
caduta di qualche foglio, ma per trascuratezza dell'a-
manuense o per difetto dell'esemplare donde copiava.
Quest'ultima comunicazione sul Decembrio io spedii
da Milano in data 15 febbraio 1901 alla Rivista di
filologia. In essa ribadivo la mia antica convinzione,
che Enoch avesse portato a Roma non un apografo
del codice germanico, ma proprio l'archetipo. E la mia
convinzione doveva ben presto ricevere una solenne
conferma, quale non avrei mai osato sperare. Appena
un anno e mezzo più tardi, nel settembre 1902, veniva
scoperto a Iesi nella biblioteca del conte G. Balleani
3- — TACITO. 281
un codice che conteneva otto carte originali 6.qW! Agri-
cola, appartenute all'archetipo Hersfeldese.
U Agricola fu di su quel codice pubblicato nel 1907
da C. Annibaldi {L'Agricola e la Germania di CORNELIO
Tacito nel ms. latino n. 8 della biblioteca del conte G.
B allearli in Iesi, Città di Castello, Lapi, MDCCCCVII),
il quale nel 19 io diede alla luce l'edizione diplomati-
ca anche della Germania {La Ger maglia di CORNELIO
Tacito nel ms. latino n. 8 della bibliot. del conte G.
Balleani di Iesi; edizione diplomatico - critica, Leipzig,
Harrassowitz, MDCCCCX).
Le due descrizioni dirette del codice hersfeldese,
l'una del Decembrio, l'altra del monaco trasmessaci
nel Commentarium del Niccoli (sopra pag. 4-5), non
furono eseguite in condizioni pari, perchè quanto era
inesperto di manoscritti il monaco, altrettanto esperto
era il Decembrio: e si vede subito, osservando che
questi all' incipit aggiunge Vexplicit e indica inoltre la
divisione dei fogli in colonna (in columnellis). Ne ci so-
no pervenute in condizioni pari, perchè la descrizione
del Decembrio è autografa, mentre quella del mona-
co ci fu trasmessa nella copia di Poggio o del Nic-
coli e per giunta in una stampa malsicura. Ma un con-
fronto dell'una e dell'altra può in ogni modo riuscire
utile.
Nei titoli delle opere vanno entrambe d' accordo:
Dialogus de oratoribus; Suetomi Tranquilli de gram-
R. SABBAUINI .
maticis et rhetoribus; De vita lulii Agricolae; De origi-
ne et situ Germaniae il Decembrio, De origine et situ
Gertnanoruni il monaco, dove la leggera differenza
sarà da ascrivere a un'abbreviazione dell'esemplare.
L'accordo è completo anche nell' incipit delle sin-
gole opere e nel numero dei fogli di tre di esse: fo-
gli 12 per la Germania, 14 per X Agricola, 7 per Sve-
tonio. Disaccordo apparisce invece nel Dialogus, al
quale il monaco assegna 18 fogli, il Decembrio 17
(cioè XIIII -\- duo cum dimidio). Tal differenza sarà
nata da distrazione del monaco; il Decembrio affida
di più, per aver riferito sul numero dei fogli che pre-
cedono e di quelli che seguono la lacuna. Ma il De-
cembrio attribuisce il Dialogus a Tacito, il monaco non
ha questo nome: ecco la differenza capitale fra le due
descrizioni. E il nome di Tacito nelle informazioni del
monaco mancava certamente, perchè il Panormita sin
dal 1426 scriveva: ^^/<?^?^^ de oratore et est, ut e on-
ie et amu s , Cor. Taciti (sopra p. 270).
Qui la presunzione della veracità sta più dalla par-
te del monaco, uomo ignaro, che dalla parte del De-
cembrio, maturo umanista, il quale si lasciò sedurre da
un' ipotesi, già espressa dal Panormita. E 1' ipotesi si
rivela dal modo com'egli introduce le tre prime note:
\) Cornelii Taciti liber... de origine....; 2) Est alius liber
eiusdem de vita...; 3) Cornelii Taciti dialogus.... Nella 3*
avrebbe dovuto continuare: Est eiusdem dialogus....
Pertanto bisognerà ritenere che il codice antico ta-
ceva il nome dell'autore del Dialogus.
TACITO. 283
Seguono ora alcuni documenti sugli altri autori sco-
perti da Enoch (*).
Antonius Panhormita ci. v. Ioanni Aurispae (i).
Theodorum (2) tuum, quem mihi tantopere commendas, scito apud
Alphonsnm regem magnifice collocatum .... Tu vero si me audis re-
gem repete, qui te diligit et tibi meliuscule esse cupit . . ; cooptaberis
mihi crede in amplissimas dignitates, si huc ad nos veneris . . .
Veniens vero fac tecura deferas Apici um coquinarium et
Caesaris Iter, ut refert Theodorus tuus, nunc iam meus, inven-
tos Romamque perductos ....
Quae de Caesaris Itinere scripsimus, ita accipe ut nisi ver-
sibus compositum sit, lulii Iter non sit, sed Antonini; hic enim prosa o-
ratione Iter edidit, Julius cannine (3); Antonini vero Iter (4) iampridem
et nos habemus ....
Teodoro Gaza dopo la morte di Niccolò V, avve-
nuta nel marzo del 1455, ^^ ricoverò da Roma a Na-
poli presso il re Alfonso, accompagnato da una com-
mendatizia dell'Aurispa. Il suo arrivo a Napoli è re-
cente: perriò l;i li-ft-T.. vj assegnata all'anno 1455.
(♦) Comparve la prima volta in Museo di antichità class. ITI, i88q,
363.8.
(,) Cav\ I I I I ■ 11' "'ii/w....- .li Venc-
TVA IS53
(2) Teodoro (laza.
3) Gir. Suct. yul. 56.
(4) Il titolo usuale è Itinerarium Antonini,
284 I^- SABBADINI.
Aurispa s. d. Panhormitae darò eguestris ordinis
viro et poetae suavi (i).
Quod Theodorum (2) bene et feliciter apud Alphonsum regem collo-
caris, officium tuum exercuisti, nam doctorum hominum est doctis bene-
facere et favere. Praeterea, quod forte tibi non in nientem venit, neces-
sarius iste vir maxime regi erit, si ad recuperandam Constantinopolim,
ut aiunt, et Christi fidem resarciendam iturus est. Dissuitur enim atque
utinam non laceretur. Nusquam linguarum interpretem, quo rex praeci-
pue egebit, Theodoro aptiorem inveniet. Scribam et monebo hominem
ut nibea signetur cruce et se ut principem sequatur paret; non enim in
bello minus quam in pace utilis Graecus iste {3) parvus videbitur. Hor-
taris me et quidem vehementer ut regem repetam; quod profecto si non
electione hactenus fecerim, faciam nunc necessitate coactus. Nam eum in
locum res deducta est, ut aut mendicandum mihi sit aut hinc migran-
dum. Expensae quidem sunt ingentes, emolumenta nulla. Hic pontifex
novus duo de quinquaginta secretarios creavit, quum sex esse consueve-
rimus, quando plures fueramus; unum ferme aut duos exercet. Omnia
sunt ita confusa ut quid fiat ab omnibus ignoretur. Menti est nihilomi-
nus Romae totam hyemem manere et per ver ad vos venire, praesertim
si quid nasceretur, quo, si cercior fieri non possera, spes saltem esset
dignitate mea et modo vivendi pristino servato vivere aut aliquantulum
minus laute. Scio equidem, quamvis adhuc mihi non accidit et totis vi-
ribus ne accidat resistam, quantum calamitatis quantum dedecoris ege-
stas in senem ferat, praecipue si iunior laute vixerit. Ego vir dare deum
testem voco: regem istum ita amo ita observo et colo, ut pati cuncta
velim ad eius animum aliqua parte explendum. Atque utinam aliquid
facere queam quod maiestati regiae gratum sit; nam quod possum eius
nomen virtutesque amplas suas in caelum fero.
A p i t i u m pauperem coquinarium quem petis vidi et legi;
(1) Cod. Vatic. 3372 f. 14.
(2) Teodoro Gaza.
(3) est cod.
j. - TACITO. 285
dictiones habet aliquas quae tibi forte placebunt. Nam quantum ad co-
quinandi artem pertinet, coquam habeo domi quae omne pulmentorum
genus rectius condit et voluptuosius perficit, quam hic cum tota arte sua
Apicius. In ilio certe coqua mea hunc auctorem superai, nam Illa den-
tatis solum coquinat, haec mea callet etiam viris sine dentibus sapide
molliter et condite coquinare. Caesaris Iter prosa oratione est,
non versu. Porph irionem quendam in O r a t i u m hic idem,
qui Apitium ad nos perduxit, attulit, qui mihi magis aestimandus vi-
detur quam quicquam aliud ab ipso adlatum. Sed eum qui codices hos
invenit et Romam perduxit ad vos mittam cum omnibus musis suis.
Putat enim si hos libellos regi donaverit aliquid praemii ab isto principe
se habiturum, ad quod ego maxime illum exhortatus sum. Vale.
Romae idibus decembris [1455].
Aurispa viro excelienti et darò cquestris ordinis domino
Antonio Panhormitae s. (i)
Multo ardentius contentiones fugi et lites quam paupcrfafcm et mi-
scriam; et omnia quieti postposueram, quam quum toto pectore adipisci
studeam, malus quidam vir, qnem optimum credideram, perverse ac im-
pudcnter me solicitat. Frater Romanus hominum quicunque vivunt men-
dacissimus, qui (2) observatorem regulae beati Benedicti se profitebatur,
quum sìt non sanctarum praevaricator regularum sed diabolicarum obser-
vator, dìcit mihi solvisse pecunias Romae, quas nunquam dedit; et duo-
bus aut uno falso teste in Sicilia, me non requisito nec sciente, in mea
abscntia ad futuram rei memoriam reccptis, dicitur per illorum (3) unum
nuliius aestimationis hominem quum mccum Romae loqueretur, qnem ego
forte nunquam viderim, audisse a me quod ab ilio Romano pecunias ali-
quas reccperim, quod nusquam nec unquam factum fuit. Fuit haec causa
per papam, ut per copiam brevi» quam cxccllcntiac tuae hisce introclusam
mitto intcllicrrr pritcns, nd <;c advocata, ut, quum Romae dicit pecunia^
(1) Cod. ,..;... ,,,.
(2) qacm eod.
'3) illarum tod.
286 R. SABBAUiNI.
solvisse, hic ostendat. Quare te clarissime vir per illam antiquam nostrani
comnìunem caritatem et benivolentiam perque quietem futuram senectutis
meae oro, ne permittas ut per mendatia iste frater Romanus Testa litteras
aliquas adversus causam meam isthine Neapoli a Consilio regis extrahat
et reportet; quod ut audio saepe fit invito et ingrato rege. Sic deus fe-
licem fortunam det Catherinae (i) isti aureae, quam utinam antequam
moriar viro adiunctam videam aut audiam fortunato diviti pulchro nobili
et ante alia morato. Non permittas in hoc mihi iniuriam fieri; quod tuo
favore et auxilio velim, hoc est, ut iste frater Romanus Testa omnium
hominum mendacissimus non reportet litteras a Consilio regio, me aut
procuratore meo non vocato. Timeo equidem ne iste nebulo aures isto-
rum mendaciis ut consuevit impleat. Nam si audierint rem uti est, re-
pellent ad furcas talem hominem.
Hisce diebus fuit hic Enochus (2). Quum eum rogarem ut eorum co-
dicum quos e longinquis partibus attulit mihi copiam faceret, et praeci-
pue Porphirionem super operibus Oratii petebam,
respondit se velie omnia prius Alphonso regi tradere; cui opinioni ego
hominem maxime sum exhortatus.
Redeo ad rem meam. Cupio ut fiat arrestum, si quid iste monachus,
anteaquam hae meae litterae prudenciae tuae afferantur, tacite impetras-
set, ut quum veritas me aut procuratore meo vocato reperta fuerit, iusti-
tia ministrari recte possit; et si quid impetrasset, ut simili pacto revo-
cetur; me tibi et fortunas meas commendo.
Misi per lacobum Sores, si nominis recte meminerim, divo Alphonso
Firmicum Siculum de horoscopo {3) codicem pulchrum
et preciosum. Est enim auctor probatissimus et eloquens. Misi et n a -
turales auditus Aristotelis in graeco. Nunquam mihi re-
sponsum fuit. Firmicum latinum auctorem et speciosum (4) dono dedi;
Aristotelem postulavit rex accomodari maiestati suae, quem ego si ac-
ceptabat etiam largiebar. Redde me certiorem an hi codices regi dati
(i) La figlia del Panormita.
(2) Enoch da Ascoli.
(3) Cioè la Mathesis.
(4) spaciosum cod.
3- — TACITO. 287
fuerint. Vale. Reverendus pater et dominus meus archiepiscopus, (i) ut
scribit, de hac mea causa debet te per litteras suas informasse et do-
minus Putius (2), qui est procurator meus in ea re, propediem Neapoli
erit, qui enucleatius rem exponet. Vale item.
Romae XXVIII augusti [1457].
Delle due lettere dell' Aurispa la prima risponde alla
precedente del Panormita. Si conferma con ciò la data
del 1455 P^r l'accenno al iiovus poiitifex, che è Calisto
III, succeduto a Niccolò V l'otto aprile 1455.
La seconda lettera dell' Aurispa per la menzione della
lite col monaco Romano Testa è dell'anno 1457 (3^-
Si scorge di qui che il Gaza verso la fine del 1455,
avanti di lasciar Roma, aveva veduto i codici di E-
noch e, pervenuto a Napoli, ne aveva dato rag-gnaglio
al Panormita, il quale chiede XApicius e X Itinerarium
Antonini, L' Aurispa gli risponde informandolo delle due
opere, più di una terza: il commento di Porfirione a
Orazio. Nell'agosto poi del 1457 Enoch fa nuovamente
capolino a Roma con la sua merce libraria, che egli
non voleva cedere alla spicciolata, bensì vendere com-
plessivamente al re di Napoli. Ma sul cadere di quel-
l'anno stesso morì in Ascoli, sua terra natale (4).
1) Simone Bologna.
2) Puccio Politi.
(i) Cfr. G. A. Cesareo in A -/.y.- ^./ -^/^ i" maggio 180? 2-1: R
Pirro, Sicilia sacra II 1308.
(4) R. Sabbadini, Lt tcopcrtt da c^dtci laltnt t greci 142 m. 19.
IV.
CORNELIO CELSO.
fc. SABBADWI, Tuti latini. iq.
Sui codici della medicina
di Corn. Celso (*)
Ci mancano finora sistematiche ricerche sul materiale
manoscritto della Medicina di Corn. Celso, le quali sole
possono spianare la via a una nuova edizione critica
del testo, vivamente desiderata; onde non sarà disca-
ro che io qui, tanto per cominciare e per invogliare
altri a far di più, comunichi il poco che ho raccolto e
conchiùso intorno alla trasmissione e classificazione dei
codici: avvertendo che adopero il testo di C. Darem-
berg-, ' Lipsiae 1859 ', di cui cito i capitoli e le pagine.
Lacune dei codici.
Per evitar confusione e per semplificare il discorso
reco anzitutto l'elenco delle lacune dei codici celsiani,
denominandole dalla [)arolM con cui cominciano.
(1) Comparve ia prima volta in .-^tuiii ii<ii. jiioL cLiss. Vili, 1900,
i-3«.
292 R. SABBADINI.
I. Lacuna frictio. Comprende il passo: ' frictio infe-
riorum partium IV 12 (p. 136, 23)— adiciatur. Proce-
dente ' IV 19 (p. 145, 21).
II. Lacuna oportet. Comprende il passo: * oportet su-
pra summum IV 20 (146, 24) — maligna purgatio est'
IV 27, I (154, 6).
ni. Lacuna ***. Tra le parole * subicienda sunt ' e
* coeuntia ' IV 27, i (154, 6-7) è caduto un passo, che
non si può più ricuperare, perchè mancava già nel-
l'archetipo dei nostri codici; per il che di questa lacuna
non tengo conto nella descrizione. Essa in alcuni co-
dici fu avvertita; ma nelle edizioni fu solo sospettata
la prima volta da Gio. Battista Egnazio (Cipelli) * Ve-
netiis 1528 ', e determinata nel suo contenuto da Gio.
Batt. Morgagni {Opera omelia V p. 59, lettera del 1721).
IV. Lacuna coeuntia. Comprende il passo: * coeuntia.
Id faciunt IV 27, i (154, 8) — opitulamur, conquie-
scat * IV 29 (156, 20).
V. Lacuna est etiam. Comprende il cap. IV 2 8 * est
etiam circa — obdormiat ' (155, 11-23).
VI. Lacuna demissos. Comprende il passo: * demissos
eos IV 31 (158, 16) — singulorum p. 0-C iv ' V 24,
7 (180, 21).
Vn. Lacuna etiamnum. Comprende il passo: * etiam-
num integra est V 26, 23 (191, 16) — lanam succi-
dam ' V 26, 22, (192, 34)-
Vni. Lacuna ne succurrere. Comprende il passo: * ne
succurrere quidem V 27, 11 (204, 12) — atque etiam
quaedam ' V 28, 12 (213, 24).
IX. Lacuna malagmate. Comprende il passo: * ma-
I
4. — CORNKUO CELSO. 293
lagniate possimus Vili 9 (343, 35) — regulam obicit '
Vm IO, 7 (351, 29).
X. Lacuna pedis. Comprende il passo: * pedis in ex-
teriorem Vili 22 (361, 8) — postea pateat ' Vili 25
1^2, 30).
Elenco dei codici.
Prima descrivo i sedici che io stesso ho potuto esa-
minare.
L COD. Laurenziano 73. I (= L) membr. a due
colonne sec. X. Comunemente è assegnato al sec.
XII, ma non v'ha dubbio, a giudizio di E. Rostagno,
che esso sia invece del X. Contiene in primo luogo
Celso, indi altri autori di medicina, per i quali ri-
mando al catalogo del Bandini (III 11 sgg.). Titolo:
Carnelii Gelsi Artium liber VI item medicinae Prirnus,
In una nota finale, stata raschiata, Lodovico Bian-
coni {Lettere sopra A. Corn. Celso, Roma 1779, p.
212) lesse: Ex Bibliotheka S. Ambrosii Mediolaneusis,
il Bandini più esattamente: Liber ecclesiae S. Ambro-
sii Mediolanetisis. Il testo ha due sole lacune, la o-
partet e la ne succurrere, ed è perciò il più completo
dei nostri codici celsiani. Dal f. 136 in poi, in quella
parte dell'opera che abbraccia i cajK 11-18 del lib.
VIII, l'ordine è turbato nel modo che segue: quam
in brachio (p. 353, 5) parte prolapsa est (354, 14)
- naturaliter difficiliusque in pri(355, 30) mi maior
in hoc quam in manu (353, 5) — uno momento fiant
sin in utra (354, 13) cntus est interdum trahitur in-
294 ^' SAfiBADINI.
terdum subsistit (357, 6) — ea parte in quam (358,
23) orem partem quam in posteriorem (355,30) — ab
hoc excidit radius qui adiun (357, 6) os venit ab e a
sinu a qua recessit (358, 2;^) sed sine intentione etc.
sino alla fine. Qui è chiaro trattarsi della trasposi-
zione di quattro fogli (8 pagine) nell'antigrafo, ognu-
no dei quali comprendeva in media 45 linee del te-
to del Daremberg. A capo di qualche libro ci sono
brevi sommari e sui margini si trovano segnati i ti-
toli, ma rari, dei paragrafi; in ciò il copista non pro-
cede sistematicamente.
Il codice fu ampiamente emendato o meglio alte-
rato da Battista Pallavicini, che V aveva chiesto al
cancelliere bolognese Alberto Parisio per collazio-
narlo col proprio. C'è ancora nel foglio di guardia
la sua lettera Alberto Parisio r. p. bononiensis can-
cellario in data ' Regii kal. decembri s MCCCCLXV '
(pubblicata dal Bandini Cod, lai. Ili 20 e dal Mehus
Vita A. Traversarti p. 44), con la quale glielo re-
stituisce. Negli emendamenti il Pallavicini adoperò
un suo vetustissimum exemplar, di cui trasportò le
lezioni sul nostro codice e per mezzo del quale col-
mò le due lacune oportet e ne succurrere, inserendo
fogli cartacei tra le membrane al f. 63 e Siv (i).
Ristabili inoltre con l'aiuto del suo exemplar per via
di note marginali l'ordine turbato alla fine del lib.
Vin. Nel corso del lib. Vili 9, al f. 133, egli scris-
(i) Secondo la comune opinione questi due supplementi sono erro-
neamente attribuiti alla mano del Niccoli.
4- — CORNELIO CBLSO. 295
se in margine: hinc usque ad finem huius libri (Vili)
carrigi bene noft potuit defectu vetustissimi ac corru-
ptissimi exemplarisy che ha riscontro con ciò che leg-
giamo nella sua lettera al Parisio: ' Ultimus liber in
meo codice pariter ut in tuo fragmentatus est '. Al
f. 63, dove colmò la lacuna oportet, aggiunse: Prae-
ter haec desunt adhuc in vetustissimo exemplari duo
/olia. Tenendo conto di queste note e badando an-
che come in certi luoghi manchino o siano scarsis-
sime le sue correzioni e come proprio ivi egli abbia
segnato dei puntini e delle crocette sui margini, noi
veniamo alla conclusione che se il suo exemplar col-
mò due lacune del nostro codice, ne aveva alla sua
volta delle altre e precisamente cinque: \3.frictio, la
coeuntia, la etiamnum, la malagmate e la pedis. Ve-
dremo poi che \ exemplar del Pallavicini è tutt'uno
col codice che io chiamo Senese (= S), ora perduto.
B CoD. Laurenziano 73. 3 (= B) membr. sec. XV.
Artium Aurelii Cornelii Gelsi liber VI. que ratio me-
dicine potissima sit et quemadmodum sanos agere con-
veniat liber primus incipit feliciter. A capo di ogni
libro sono segnati sistematicamente i sommari coi
titoli, non numerati, dei paragrafi, titoli che poi ven-
gono ripetuti nel contesto dell'opera. Nel sommario
del lib. IV, di fronte al titolo: Remedia que faucibus
dedit prodesse stomacho vulnerato, il copista scrisse in
margine: ab hoc capitulo usque ad illud * Duo mor-
bi * deficit infra. Nel sommario del lib. V, di fronte
al tìtolo: De membrana que supra cerebrum est, notò
in margine: Et sic quotatio omnium sequentium capi-
396 R. SABBADINI.
tularutn corrigenda est. Nel sommario del lib. Vili,
di fronte ai titoli: De fractis ossibus involvendis. De
humero, segnò in margine: hec duo capitula desunt;
e di fronte ai titoli: De talo. De ossibus piante, in
margine: hec duo capitula desunt. Ha cinque lacune,
quattro avvertite e una no; quella non avvertita è
la etiamnum. Le altre quattro avvertite sono: la fric-
tio, con la nota dello stesso copista in margine: de-
sunt in vetustissimo ex empiavi quatuor folia; la coeun-
tia, con la nota dello stesso in margine: desunt in
vetustissimo exemplari duo folia; la malagmate e la
pedis. Per queste quattro furono lasciati gli spazi
vuoti, colmati più tardi da altra mano.
A CoD. Laurenziano 73. 2 (■= A) membr. sec. XV.
Il titolo e le cinque lacune come in B, quattro delle
quali colmate più tardi dalla stessa mano che le col-
mò in B. In margine alla lacuna coeuntia è segnato:
desunt in vetustissimo exemplari duo folia; e alla la-
cuna malagmate è segnato: desunt. Qui i titoli dei
paragrafi hanno la numerazione.
C CoD. Laurenziano 73. 5 (=0 membr. sec. XV.
Sottoscrizione: Antonius Marii Florentinus civis ab-
sfilvit Florentiae Vili idus iulii MCCCCXXVII Va-
leas qui legis foeliciter. Il titolo e la numerazione dei
capitoli come in A. Anche qui le stesse cinque la-
cune come in ^ e B: la etiamnum non avvertita e
le altre quattro avvertite, per le quali furono lasciati
gli spazi vuoti (i). Queste quattro lacune furono sup-
(i) Per essere stato male informato credetti {Studi ital. filol. class.
VII 134) che il Laurenz. 'jt^. 5 fosse originariamente completo alla fine.
4- — CORNELIO CELSO. 297
plite posteriormente da una mano diversa. Di fronte
alla lacuna frictio c'era una nota marginale, che fu
poi cancellata.
D CoD. Laurenziano 73. 6 (= Z>; membr. sec. XV.
Sottoscrizione: Aiitmiius Marii filius Florentlnus civis
atque notar ius transcripsit Florentiae Vili idus maias
MCCCCLIII. Valeas longeve qui legis. Poi: liber petri
de Medicis Cos. fil. Il codice è una copia di B, di cui
riproduce anche la nota singolare in margine al som -
marie del lib. V: Et sic quotarlo (sic) omnium sequen-
tium capltulorum corrigenda est. Va osservato che
quando il codice fu scritto, il suo antigrafo era an-
cora lacunoso. Le lacune furono colmate più tardi
dalla stessa mano che le colmò in Cy l'altro codice
scritto da Antonio di Mario; e siccome la mano che
le colmò non è di Antonio, cosi bisognerà suppor-
re che egli allora fosse già morto. In ogni modo
resta con ciò assodato che fino alla metà del 1453
fu difficile a Firenze colmare le lacune di Celso.
Questo codice di proprietà di Piero de' Medici è for-
se quello stesso ch'egli fece comprare, intermediario
il libraio Vespasiano, da Giannozzo Manetti, a Ro-
'•^ ' '1 17 gennaio 1455 (Mehus op, alt. p. 372).
OD. Laurenziano 73. 7 (= N) cart. sec. XV.
L'intestazione come m A B ( / > I titoli dei para-
grafi sono numerati. Nel foglio di guardia si legge:
Hi e e et si II ber exaratus est manu Nicolai Niccoli:
viri diligentis et eruditi Haccivs IUldinvs.
Che la scrittura del resto sia del Niccoli mi risultò
S9S R. SABBADINI.
anche dal confronto con altri codici copiati di sua
mano.
Questo codice può trarre facilmente in errore,
perchè a tutta prima parrebbe che V antigrafo del
Niccoli avesse meno lacune che quello dì A B C D;
e Terrore potrebbe nascere da ciò, che le lacune
sono supplite di mano del Niccoli stesso e con in-
chiostro quasi uguale. Ma chi ben guardi si accorge-
rà che i passi corrispondenti alle lacune sono scritti
con inchiostro un po' più sbiadito dell'altro, senza
dire che il Niccoli segnò in margine la presenza di
due lacune e per esse e per le altre lasciò spazi
vuoti, ingannandosi anzi nel numero dei fogli bian-
chi, in modo che mentre la prima metà del passo
corrispondente alla lacuna malagmate è a suo posto,
dal f. 173V al 175V, la seconda metà dovette riman-
darla più indietro, nello spazio destinato alla lacuna
coeuntia. Il codice del Niccoli pertanto aveva origi-
nariamente quattro lacune avvertite, a cui lasciò i
relativi spazi vuoti; cioè: la lacuna frictio con la no-
ta marginale: desunt in vetustissimo exemplari IIIIo'''
folia; la lacuna coeuntia con la nota: desunt in vetu-
stissimo exemplari duo folia; la lacuna malagmate e
la pedis. Tutte queste lacune furono poi colmate,
come ho detto, dallo stesso Niccoli. La quinta lacu-
na, la etiamnum, passò inavvertita al Niccoli, come
ai copisti dei codici A B C D; ma se in questi essa
rimase, il Niccoli invece più tardi la colmò di pro-
prio pugno, incollando un nuovo foglio tra il 96 e
il 98.
4. — CORNKUO CELSO. 299
Sui niarg-ini del codice operò una mano seconda,
la quale al f. 96 v, dove cadeva la lacuna etiamnunty
scrisse: /tic deficit quasi una carta; e al f. 175, dove
cadeva la lacuna malagmate, notò: hic deficiunt VI
columpne in ex empi ari. Quell'/^/za carta e quelle VI
columpne si riferiscono a L, da cui la mano seconda
trasportò molte lezioni sul nostro.
COD. Vaticano lat. 2372 membr. sec. XV. Il ti-
tolo come \x\ A B C D N. Sottoscrizione: A^mo do-
mini M. ecce. LXVI. decimo nono vygiesima quarta
ora novembris. lohannes nardi defuscis de itro (i) scrip-
sit. Ha cinque lacune non colmate: \a.frictio, per cui
lasciò vuote pag-. 6 V2» con la nota marginale: de-
sunt in vetustissimo exemplari I III f olia; la coeuntia,
per cui lasciò vuote p. 2 V^; la etiamnum, non avver-
tita; la malagmate, per cui lasciò vuote p. Vg ~\~ Val
la pedis, per cui lasciò vuote 6 righe.
G CoD. Vaticano lat. 2371 (= 6^) cart. sec. XV.
Artium Aureli Cor n eli Celsi lib. VI quae ratio medi-
cinae potissima sit et quemadmodum sanos agere con-
veniat. liber primus incipit feliciter. lege feliciter. Al-
Tultimo si leggono due epitaffi in memoria di Eu-
genio IV, il primo dei quali comincia; ' Kugenius
iacet hic Quartus, cor nobile cuius ', il secondo:
' Eugenii hic Quarti Romani Antistitis ossa '. U te-
sto è tutto di una mano, eccetto dal lib. VII 30, 2
sino alla fine,
*t 'S3». 'S39i «7S6, 1762.
300 R. SABBADINI.
Non ha nessuna lacuna, o meglio ha quella sola
che è comune a tutti i nostri codici, la ***, per la
quale il copista lasciò vuote pag. 2 72 con 1' osser-
vazione in margine: desunt in vetustissimo exemplari
duo folta. Al f. 133, di fronte al lib. Vili 9, si legge
in margine di mano del primo copista: hinc usque
ad finem huius libri corrigi bene no7i potuit defectu
vetustissimi ac corruptissimi exemplaris, V identica nota
che abbiamo veduta di mano del Pallavicini allo
stesso punto del testo in L; e identica è anche la
mano dello scrittore, poiché il carattere con cui è
scritto G è eguale a quello degli emendamenti e
supplementi trasportati su L. Del resto che G sia di
mano del Pallavicini, abbiamo la riprova in un di-
stico da lui segnato sul foglio di guardia. Il distico,
già perduto sin dal 1775 per colpa del rilegatore,
fu veduto da Leonardo Targa, l'editore di Celso (1),
e dal Bianconi (p. 22,2), che lo riporta cosi:
Dum puér atque omni virtuti deditus esses
Scripsisti haec tenera, Pallavicine, manu {2).
Il codice, corretto in Roma, come deduciamo dalla
nota marginale al f. 54V (IV 16 p. 142, 16) ' Armo-
racia Rome nascentia. vulgo Ramorazi ', fu copiato
prima della morte di Eugenio IV (f 1447), perché
i due epitaffi in morte di lui sono stati aggiunti po-
(i) * Patavii 1769 ' praef. p. io: ' Vaticanus MMCCCLXXI. Scrip-
tu» fuit a Palavicino, ut disticon quoddam ostendit eidem praefixum '.
(2) Il Bianconi vide la prima volta il cod. col foglio di guardia, la
seconda volta che lo vide, il foglio era stato strappato.
4- — CORNELIO CELSO. JOI
steriormente alla copiatura, come mostra la diversità
dell' inchiostro.
CoD. Vaticano lat. 2375 cart. sec. XV. Non ha
nessuna delle lacune comuni agli altri codici, ma una
peculiare ad esso, f. 70, che va da ' quam optimum
ad piperis ' IV 19 (145, 30) fino a *subicienda sunt '
IV 27, I (154, 6) e la quale fu avvertita da una
mano recente, che scrisse in margine: Lacuna di va-
rie pagine.
CoD. Vaticano lat. 2374 cart. sec. XV. Al f. i,
in alto, un'altra mano contemporanea scrisse: Genti-
lis santesiù Alla lacuna *^*, l'unica che esso abbia,
sono lasciate vuote quattro pagine con la nota in
margine: desunt in vetustissimo ex empiati duo folia.
Nel lib. Vin 10-12 si osserva un disordine del te-
sto avvenuto per trasposizione di fogli e avvertito
da una mano del sec. XVII.
CoD. Ottoboniano 1553 membr. sec. XV. La sua
prima segnatura era Vatic. 5951. Nel foglio di guar-
dia: Codex iste scriptus circa ann. 1458 erat S*** Bar-
bi, qui postea fuit Paulus secundus P, M. Venetus,
Sottoscrizione: Aurelii Cornelii Gelsi liber octavus ex-
pUcit foeliciter. VI novemòris Vincentie MGGGGLVIIL
Ha la sola lacuna **♦, per la quale son lasciate in
bianco p. 3 Ve con la nota marginale: desunt in ve-
tustissimo exemplari duo /olia. Al lib. VI 6, 24 (234,
22) ha perduto quattro fogli, come avverti una ma-
no recente: mancano quattro fogli,
F CoD. Laurenziano 73. 4 (= /J membr. sec. XV.
Al tit din Am-fìii CiìfUi-lii r^ìtì tJt» vtt'tlii ttfa Jihfi l'Ili
^01 R. SABBADINI.
segue la tavola dei capitoli di tutta l'opera. Nessu-
na lacuna. Nel contesto e sui margini lavorò larga-
mente la mano di un correttore, che si deve iden-
tificare con quella di Bartolomeo Ponzio, chiamando
a confronto i numerosi autografi di lui esistenti a
Firenze, p. es. il cod. Riccardiano 153 f. 114-117.
V Cod. Vaticano lat. 5951 (= V) membr. sec.
X (i). A. Cornell Gelsi artium libros (sic) VI item
medicine primus. Nel margine inferiore del f. i si
legge di mano recente: Emptus ex libris Iir^^ d,Lelii
Ruini Episcopi Baine or egiensis an. 1623. Ha quattro
lacune: la oportet, la est etiam, la demissos e la ne
succurrere. Alla lacuna est etiam fu lasciato vuoto
l'ultimo terzo del f. 65 e la prima metà del f. 65 v;
il testo corrispondente a questa lacuna comprende
13 linee dell'edizione del Daremberg e certo occu-
pava nell'antigrafo del nostro codice una colonna e-
sterna, donde la probabile congettura che Tantigra-
fo fosse scritto a doppia colonna: congettura rincal-
zata dalla trasposizione dei 4 fogli che V ha comu-
ne con L al lib. Vili 11-18. E poiché i fogli del-
l'antigrafo contenevano ciascuno in media 45 linee
dell'edizione, dividendo 45 per 4 otteniamo circa 12,
il numero medio delle linee di ciascuna colonna. La
lacuna demissos è dovuta alla perdita di un quader-
no dopo il f. 66v. Il testo in fine resta tronco alle
(i) Fu coUazionato da Th. Stangl (cfr. la Wochenschriftf. klass. Phi-
lolog. I 1884 P' 1469), il quale giustamente osserva che con l'aiuto di
esso * das Stemma der Codices ein gesicherteres werden wird '.
4- — CORNELIO CELSO. 303
parole ' enimpat. genu vero et in exteriorem et in '
Vili 20 (360, 27), alle quali seguono alcune linee
bianche: segno questo che il rimanente era illeggi-
bile nell'esemplare o per lo scoloramento dell* inchio-
stro o per la caduta dell'ultimo foglio.
Nel codice si hanno tracce di più mani, ma di tre
specialmente, che io chiamo, m. 2, tn. 3, m. 4. — La
ni. 2 appartiene al sec. XII-XIII e colmò lo spazio
della lacuna est etiam con un altro testo di medici-
na, che comincia: ' Quia igitur ciliacorum morbum
descrissimus restad iam ut ad matricis naturam de-
scribendam et medendam stilum vertamus. Matris
tribus nominibus appellatur ' e finisce: ' moderato
sanguine orificum '.
La tn. s, del sec. XIV, fece alcune note che tra-
scrivo:
f. 14V-16 di fronte alla parte del lib. II che va
dal principio sino alle parole * tenuiore vix evenit ' Il
praef. — i (27, 3 31, 21) segnò: /wc minus habetur u-
sque huc.
f. 27 di fronte a * Cucurbitularum duo genera ' II
II (55» 16) segnò: hoc minus est.
f. 31 di fronte a ' cucurbita et cucummis et cap-
paris ' II 18 (64, 30) segnò: hoc minus est,
f. 66v di fronte a ' sic ut pedes capiat ' IV 31
(158, 16), dove comincia la lacuna dtfnissos, segnò: «-
sque huc non habetur; qui probabilmente T annotatore
voleva indicare la lacuna coeuntia.
\. 77V al luogo dove comincia la lacuna /// sue-
I ìirrer^ s«a''nò; hiìir Ita/>rtur vtniiis auam tfi nostro //a-
364 R. SAÈBADINl.
òetur; perciò questa lacuna non c'era nel codice del-
l'annotatore.
f. 82 V di fronte al sommario del lib. VI scrisse:
hoc habetur minus usque kuc.
f. 103V di fronte al sommario e al proemio del
lib. VII (262, 3 — 263, 25) scrisse: istud minus habetur
usque huc.
Queste note sono importanti, perchè mostrano che
la m. 3 possedeva un altro codice di Celso, di cui se-
gnava le differenze con V. Quel codice aveva il pas-
so ne succurrere, ma mancava di altri, che sono: il
proemio e i capitoli i, 11 e 18 del lib. II; il passo
coeuntia; il sommario del lib. VI; il sommario e il proe-
mio del lib. VII.
La m. 4, del sec. XV, fece le seguenti note mar-
ginali:
f. 65 di contro alla lacuna oportet, scrisse: hic deest
(sic) circa VI chartae,
f. 65 di fronte al testo non celsiano aggiunto dalla
m. 2^ scrisse: non est de testu Cornelii.
f. 66v dove cade la lacuna demissos notò: hic de-
sunt charte X vel circa,
f. 77V alla lacuna ne succurrere notò: hic desunt
charte VI,
f. 152 dove sono le trasposizioni del lib. VTII 11-
18, scrisse: in alio exemplo sequitur hoc sed videntur om-
nes partes signate transposite. L* aliud exemplum^ a cui
si allude in questa nota, è Z, che ha le stesse traspo-
sizioni di F, restituite al loro ordine primitivo dai ri-
chiami marginali del Pallavicini nel 1465; donde rile-
4. — CORNELIO CKtSO. 3Ó5
viamo che dopo quest'anno il possessore di V lo con-
frontò con L.
COD. Ottoboniano 3326 membr. sec. XV. Senza
intestazione. E una copia di V, di cui ha tutte le la-
cune e la stessa nota marginale della m. 4; hic ^[e-
sunt] cart\e X] ve! ci\xceì\\ Finisce alle parole ' autem
homo super id scampnum aut pronus aut ' VITI 20
(360, 13) poco prima di V, del quale non seppe rile-
vare i caratteri sbiaditi.
CoD. Ambrosiano E 154 sup. Artium Aurelii Cor-
nelii Gelsi liber sextus idem medicinae liber primus. Sot-
toscrizione: Finii opus anno gratiae MCCCCLXXVII
Venetiis idus novembris IH. È una misera copia di 5.
contaminata con L.
CoD. Ambrosiano I 128 sup., sec. XV miscellaneo
Contiene nei f. 162-186 i libri I-II io faterique quantum
in bac. Senza titolo. Aurelii Cornelii Gelsi liber primus
finii.
*\
Do ora un cenno dei codici che non ho potuto e-
saminare.
Cod. Parig-ino lat. 7028 membr. sec. X-XI, miscel-
laneo. Contiene in primo luoffo estratti di Celso, a cui
seguono altri scritti di medicina e chirurgia. Nel sec.
XIV-XV era nella biblioteca di S. Ilario di Poitiers,
come indica una nota di mano del sec. XV al f. 185V:
Df Sancio Hilario malori Pictavensi; entrò nella biblio-
teca di Parigi nel sec. XVI sotto Carlo IX (1560-1574),
di cui porta le arme sulla rilegatura (da comunicazio-
ne di II. Omont). Fu adoperato da 1. A. van derLin-
K. Sauìidini, Ttsti laHmà, io.
306 R. SABBADINt
den per la sua edizione di CeLso * Lugduni Batav.
1657 '» ^®1 cui proemio è cosi ricordato: ' Mss. seu
àTuÓYpa'fov codicis Parisi ensis, descriptum anno MCXXIV.
Communicavit v. ci. d. loh. Hoornbeeck . . . '. Laonde
giustamente scriveva il Daremberg nella sua edizione
(p. XXXIX): * Nescio cur saepius cum cod. 7028 con-
sentiat Lindenius; an putandum ei praesto fuisse hunc
ipsum codicem vel potìus alìum illi simillimum ? ' Lo
vide nel 1760 il Bianconi (p. 229-230), ma di sfuggita;
ciò che fu cagione che lo assegnasse al sec. XV.
Cod. Estense (di Modena) L 340 membr, sec. XV.
L' intestazione come va A B C D G N. Senza lacune
(da comunicazione di M. Caputo).
Cod. Urbinate (Vatic.) lat. 1357 rnembr. sec. XV.
Titolo come A B CD G N. Ha cinque lacune: la etiam-
num non avvertita, le altre quattro coi relativi spazi
vuoti; alla frictio corrisponde in margine la nota: de-
sunt in vetustissimo ex empiavi IlIIor folia; alla coeuntia
la nota: desunt in vetustissimo exemplari duo folia; alla
tnalagmate la nota: desunt due charte; alla pedis la nota:
deficit residuum (da comunicazione di G. Mercati).
Cod. Vatic. lat. 4424 sec. XV. Titolo come ABC
D G N, Termina a * profuit. Sed si se ' IV 11 p. 134,
1 1 (da comunicazione di G. Mercati). Probabilmente è
copia di G. Fu veduto dal Bianconi (p. 234).
Cod. Urbinate lat. 249 membr. sec. XV. Cornelii
Gelsi medicinae liber incipit. Senza lacune, ma la pedis
colmata da mano diversa (cosi anche le altre ?). Alla
lacuna *** otto linee bianche e la nota marginale:
4- — CORNEUO CELSO. 307
Nihil deficit, sed in omni exemplari sic reperturn est (da
comunicazione di G. Mercati).
Cod. della bibliot.^ Comunale di Perugia 239 cart.
sec. XV. Termina a ' edam signum ' Vili 22 (361, 9;
cfr. G. Mazzc'itinti Inventari dei mss. delle bibliot. d'Italia
V p. 104).
Cod. Bodleiano 724 (Laud. E 55) sec. XIV. Contiene la
sola parte chirurgica, lib. VII- Vili (Daremberg p. XI*).
Cod. Parigino lat. 6864 ' olim Mentellianus ' membr.
sec. XV, misceilaneo. Contiene gli otto libri di Celso
e due iìltri libri medici.
Cod. della Palatina di Mannheim, appartenuto al
cardinale Giuliano della Rovere, poi Giulio II (Bian-
coni p. 236).
Cod. lat. di Monaco 69 membr. sec. XV, con la
sottoscrizione: Liber Poggii secret arii apostolici explicit
(Targa p. 560). Ha molte lacune (Bianconi p. 236-237),
che devono essere le stesse (X\ A B C D N.
Cod. Vindobon. CLXXX (Endlicher) membr. sec. XV.
Cod. Capitolare di Toledo fi. Carini Gli arch. e le
bibl. di Spagna I 491).
Cod. Nazionale di Napoli V A lobis membr. del
sec. XV. Proviene dalla biblioteca di Monteoliveto.
Cod. lat. di Monaco 5328 sec. XV-XVI.
Si aggiungano: il cod. Padovano e il Salisburghese,
adoperati da Giov. Rhode (Montfaucon BibL bibL I
p. 489; Fabricius Biblioth. lat. 1721, II i p. 452); il
cod. Gudiano ( non esiste a Wolfenbiittel ) e il cod.
dell' Aja (Fabricius p. 449; 451); il cod. di Venddme
{Calai, gèn. des mss. de France. Dèpartemeftts III 474);
3o8 R. SABBADÌNI.
il cod. Forlivese, membr. del 1451, (ora perduto) e il
cod. Marc. lat. VII. 8 cart., adoperati dal Morgagni
{Opera omn. V p. 58-59; 60; 89); il codice di Giovanni
Vincenzo Pinelli, di Carlo Moroni, di Carlo Spon, di
Lazaro Bonamico, di Giuseppe Scaligero (Fabricius
p. 451; 452); e i sei codici collazionati dal Dioneau
sull'edizione * Lugduni 1566 ' (Bianconi p. 238).
Storia dei codici.
La memoria di Celso si era quasi estinta nel medio
evo, il quale del sec. X ci tramandò due soli codici,
L e V, e uno ,del sec. X-XI, il Parigino degli excerpta.
Verso questo tempo, alla fine del secolo X, troviamo
citato Celso in una lettera di Gerberto, se pure la ci-
tazione è diretta, come si ha ragione di dubitare per
la sua inesattezza (i); e fino a tutto il sec. XIII tacque
il nome di Celso, non comparendo esso p. es. nell'en-
ciclopedia di Vincenzo Bellovacense (2). Un certo ri-
(i) Ecco la citazione di Gerberto (recata da M. Manitius in Rheini-
sches Museunt XLVII, 1892, Erg. heft p. 152): * quem morbum tu
corrupte postuma, nostri apostema, Celsus Cornelius a Graecis fiJtatixóv
dicit appellari '; cfr. Cels. IV 15 (140, 32).
(2) Giovanni Saresberiense (sec. XII) non conobbe di Celso né la
Medicina né tanto meno, come crede il Bianconi (p. loi), il De re mi-
litarif perché la menzione di questa seconda opera deriva a Giovanni
da Vegezio I 8. Cfr. Joannis Saresberiensis Policrat. reo. C. I. Webb,
Oxonii 1909, II p. 57 /. 5. Dal canto suo il Webb confronta il Sares-
beriense I p. 69 * si vero, ut verbo eorum (phisicorum) utar, causas
ignorant, quomodo curant ? ' con Celso I prooem. (p. 3, 16); e I p. 177
* quasi clavum figit in oculo illius ' con Celso VII 7, 12. Ma la prima
corrispondenza é troppo generica, la seconda é erronea.
4- — CORNELIO CELSO. 3O9
sveglio si nota nel sec. XIV, al quale appartengono
due codici: il Bodleiano e quello menzionato sui mar-
gini di V dalla rn. 2; ma l'autore non ebbe diffusione,
come si comprende dall'essere rimasto ignoto al Pe-
trarca; sicché la gloria di averlo risuscitato e rimesso
in circolazione spetta intera al sec. XV.
Nel sec. XV vennero in luce tre esemplari antichi
di Celso, S L V, giacche non si può tener conto del
Parigino 7028, che fu scoperto nel sec. XVI. Dei tre,
V ha una fortuna meno nota, non sapendosi in che
anno precisamente né per opera di chi sia stato ritro-
vato. Da esso fu tratto, eh' io sappia, nel sec. XV un
solo apografo, l'Ottoboniano 3326, e sui suoi margini
scrisse alcune note nel secolo stesso, dopo il 1465, la
mano di un lettore o del proprietario. Si può conget-
turare che sia stato rinvenuto a Bologna e ivi con-
frontato con L nel tempo che questo era in possesso
del bolognese Alberto Parisio; e la congettura nasce
quasi spontanea da ciò, che nel sec. XVII vi ricom-
parisce presso la famiglia bolognese dei Ruini. Infatti
la nota appostavi sul f. 1 attesta che la biblioteca Va-
ticana lo comprò nel 1623 dagli eredi di LeUo Ruini,
v«;scovo di Bagnorea, morto nel 1622 (Ughelli I p. 518).
La data del 1623 solleva qualche dubbio, poiché, co-
me già osservò il Bianconi (p. 210), pare che sin dal
1607 Girolamo Rossi abbia adoperato il nostro codice
(cfr. Morgagni V p. 65), citandolo come vetus codex
l "aticanus: e dall'altra parte nell' inventario dei codici
Vaticani al n. 5951 si legge \'<x noiix: dierat cum Steph,
pModius praefecturam iniit. tiiinc ìiabftur, la f]ualr ri-
310 R. SABBADINI.
tarda V entrata del codice nella Vaticana di circa un
secolo e mezzo, essendo stato Stefano Evodìo Asse-
mani assunto all'ufficio di bibliotecario nel 17Ó8. L'e-
nimma si spiega con due supposizioni: o che il (podice
veduto dal Rossi fosse diverso, o che il nostro codice
abbia cambiato collocamento, poiché, come ho già
detto nella descrizione (pag. 301), al posto del Vatic.
5951 c'era anteriormente l'attuale Ottobon. 1553.
Degli altri due venuti alla luce nel sec. XV, 5 L,
conosciamo molto meglio la storia, ma ci rimane oc-
culto il nome dello scopritore di S, che fu il primo a
venir trovato, non avendo base l'affermazione di Ve-
spasiano da Bisticci [ViU di uomini illustri, Firenze
1859, p. 421), secondo cui Poggio durante il concilio
di Costanza trovò ' Cornelio Celso de medicina opora
degnissima '. Molto probabilmente fu scoperto a Siena,
di dove il proprietario lo fece venire in sul principio
del 1426 a Bologna. Ivi se ne impadroni subito il Pa-
normita, che ce ne lasciò una descrizione, per quei
tempi, abbastanza esatta e lo mandò a Guarino a Ve-
rona, il quale nell'ottobre dello stesso anno (1426) ne
pubblicò la prima edizione (i).
Il Panormita alla metà del 1427 lasciata Bologna,
intraprese un viaggio per Roma, fermandosi alcuni
mesi a Firenze. Egli portava con sé il codice di Celso
e in quell'occasione appunto gli umanisti fiorentini se
ne trassero copia. Risalgono a questo tempo quattro^
codici Laurenziani A B C N, dei quali iV trascritto da
(i) Vedi sopra p. 265; 268-70; 271; 272.
4. — CORNEUO CELSO. 3II
Niccoli e C da, Antonio di Mario in data 8 luglio 1427.
Che il Panormita portasse seco Celso, non vi può es-
ser dubbio, sol che poniamo mente a un passo di una
sua lettera al Lamola da Firenze del 20 settembre
1427: * Habet tibi gratias magnas hic eruditorum homi-
num grex prò Cornelio Celso tua diligentia t u a q u e
sorte denuo comperto, habiturus etiam ingentes
cum et tua opera Cornelius hic noster mutilatus, ut no-
sti, curabitur complebiturque ' (i); dove le pa.role Car-
neliiis hic noster affermano che il codice era nelle mani
del Panormita, e la parola mutilatus conferma che esso
sia tutt'uno con 5, il quale era difatto mutilo. La let-
tera inoltre testifica un'altra importante notizia, ed è
che il Lamola aveva trovato un nuovo codice di Celso
a Milano.
Il nuovo codice scoperto dal Lamola verso la metà
del 1427 è identico a L, vuoi perchè nella notizia che
ne dà il Lamola a Guarino dice che in esso oltre Cel-
so erano * alia antiquissima in medicina opera ' (2),
vuoi perchè Tommaso Parentucelli nella sua lettera
del 1428 parla espressamente * de Cornelio Celso in-
vento in basilica Ambrosiana ' '>V due testimonianze
<i) Baroui-Sabbarlini, Studi mi Panormita e sul Valla p. 35.
(i) Cod. Arundcl 70 1. IJ9V Scito itcm ipHum Comclium Cclsum in-
tegram miraquc niaiestntc praeditum hic torte nostra e o m p e r-
t a m et una alia aDtiqui»KÌn)a in medicina opera.... E\ Mediolano pri«
die kal. iuniat (1428).
(3) In A. Travernarii ..^. .. -... , , ..:ii Mediolani fuimut ilr '
licito Celio invento in ha»Uica Ambrosiana tnvettigavi..M Ex Bononia
' Htnii (1428].
312 R. SABBADim.
che hanno perfetto riscontro con ciò che abbiamo detto
(p. 293) nella descrizione di L. Il codice passò in potere
di Cambio Zambeccari (i), da cui lo ebbe anzitutto in
prestito l'arcivescovo di Milano Bartolomeo Capra, al-
lora governatore di Genova sin dal 28 febbraio 1428 (2);
ma già nel corso del 1429 era tornato allo Zambec-
cari in Milano (3); sicché lo potè ivi vedere il Niccoli
negli anni 1430 e 1431 quando viaggiò la Venezia e la
Lombardia per fuggir la pestilenza fiorentina; e certo
in quell'occasione egli supplì le cinque lacune del suo
apografo N tratto da 5, adoperando inchiostro quasi
uguale al primo, tanto che p. es. il passo corrispon-
dente alla lacuna finale pedis sembra scritto contem-
poraneamente alla copiatura originaria. A questi sup-
plementi allude il Traversari con * quod Cornelii Celsi
fragmenta scripseris pari laude prosequemur ' nella
lettera al Niccoli deir8 lugUo 1431 (4).
(i) n Lamola nella citata lettera: ' horum omnium (operum) dominus
ac possessor factiis est Cambius '.
(2) Il Parentucelli nella lettera ricordata: ' inveni (Celsum) esse apud
archiepiscopum Mediolanensem, qui tum lanuae erat '. Per la nomina
a governatore di Genova cfr. Muratori R.I.S. XVII e. 1300.
(3) Ciò si ctabilisce con la Epistol. Gali. Ili 23 (Venetiis 1553 f. 60)
del Panormita, la quale va collocata al più tardi nella prima metà del
1429, perchè vi si allude alla rivoluzione bolognese, durata dall'agosto
del 1428 all'agosto del 1429. Ma lo scoppio di essa era ancora recente:
proximi tumultus.
(4) A. Traversarli Epistolae Vili 2: Florentiae Vili iulii [1431]. Sul-
la visita a Verona, a cui qui si accenna, vedi la lettera di Poggio
{Epist.lV 17) al Niccoli: Laetor venisse te Veronam... Romae die VI
ianuarii 1431. Cfr. sopra p. 3.
4. — CORNEJJO CELSO. 313
In tal modo venne per opera del Niccoli compilato
il primo esemplare di quella redazione che io chiamo
contaminata, come risultante dalle lezioni di due co-
dici, S per il testo fondamentale e L per i supplemen-
ti delle lacune. Il secondo esemplare contaminato si
deve a Battista Pallavicini, che lo compilò, non pos-
siam dire ne dove ne quando, ma certamente poco
dopo il Niccoli, su un apografo di 5 e su L.
Questo Pallavicini (i), nato a Cremona (2) nel pri-
mo decennio del secolo XV, studiò sotto Vittorino da
Feltre e abbracciò hi carriera ecclesiastica, ottenendo
un arcidiaconato nel Piemonte, dove visse dal 1429 al
1435; indi, sino almeno dal 1441 (3), un posto di se-
U/ Scria.->cio ili lui !.. Biaucuiii o/>. cil. p. 225-226; I. Affò, Memorie
degli scrittori e letterati parmigiani II p. 242-258; C. de' Rosmini, /-
dea deWottitno precettore p. 3 17-3 19.
(2) Non parmigiano, come lo vuole l'Affò, ma cremonese fu il Palla-
vicini, com'egli stesso attesta in questa sottoscrizione del cod. Torinese
DLVIII: l'iavii losephi historiographi Antiq. XX et ultimus explicit tiber
fauste feliciterque etc. per me Johann. Baptistam ex Marchionibus Pa-
lavicinis genere patriaqae Cremonensem, sed tum agentibus fatis extor-
rem et in /-ariano moram trahfntem. apud illuslrem avuncitlum suum
d. Ioannem Caleaiium Marchionem Saiutiarum dignissimum. non ex pre-
mio neve ulto optato commodo sed sui sola grata con tempia tiene per scrip-
tum anno a nativitate domini nostri Ihesu Chris ti MCCCCXXXV /e-
bruarii luce suprema, (i'asinus Cod. mss. hibl. Taurin. II p. 126). Una
quasi identica tottoscrizioue reca il De bello iudaico di Giuseppe Flavio,
finito di copiare dal Pallavicini nel cod. Parig. lat. 5060 il 7 aprile del
mr<lc«imo anno 1435 (cfr. L. DcliHle Le cabinet des mss. II 414)-
^3) In ano lettera di Gabriele da Concoreggio ' ex Brixia 17 iulii 1
al Pallavicini (jursti k preaupponto prcngo In curia pontificia (A. Z.uu;lli,
GnhrttU J,t (oticoi c'pìo, e*trattf> i\.\\VArch. stor. I.omK, lR<)<). p. 30).
314 ^' SABBADINI.
j^retario presso la curia di Eugenio IV, e da ultimo il
vescovato di Reggio nell'Emilia, che resse dal 19 ot-
tobre 1444 fino alla sua morte avvenuta il 12 maggio
1466. Si dilettò di compor versi (i), nei quali riuscì
mediocre, e di raccogliere, copiare ed emendar codi-
ci, nel che rese qualche buon servigio alle lettere. Mes-
sosi insieme egli dunque un esemplare contaminato di
Celso, quello che esiste oggi nel cod Vatic. 2371, vi
venne poi a suo agio segnando note, varianti e con-
getture, tanto da formarsene una redazione per suo u-
so definitiva. Nel 1465 poi senti il bisogno dì riesa-
minare L e lo chiese in prestito (2) ad Alberto Pari-
sio; emendato che ebbe con esso il Senese (S), allora
diventato, non si sa per che via, dì sua proprietà (3),
per ricambiare al Parisio il beneficio, trasportò le le-
zioni di vS e alcune proprie congetture su L, con V in-
tendimento e la persuasione dì migliorarlo (4), e il
(i) Ai versi citati dall'Affò si aggiungano due distici scritti per la
morte di sua nipote Lucrezia, moglie di Girol. Guarino, nel cod. Vatic.
5133 f. 117V: Respondit (all'epitaffio composto da Girolamo) ^. Episco-
pus Reginus prò Lucretia nepte sua oUm ptentissima Hieronimo coniugi
afflictissitno. Versi suoi si leggono nel cod. di Torino lat. B 237 (già H
in 6); nel cod. Ambros. V 323 sup. £. 42V; nel cod. Vatic. Barber. lat.
42 f. 284-88; nel cod. Ferrar. 175 NA 6 f. l'j; nel cod. Universit. di
Bologna 2618 f. 85; in jyùa^va. Biblioth. Spenceriana, 'London 1823, 97.
(2) Nella lettera sul foglio di guardia (sopra p. 294) di /. è scritto:
* quem (librum) a tua praestantia superioribus diebus exegi '.
(3) Lettera citata: * in meo codice '.
(4) lòid., parlando di L: ' etsi priscam plurimamque in figuris littera-
rum antiquitatem redoleat, mendis tamen oppletus erat et mancus. Sen-
ties, quod verum est, quum illum in raauibus acceperis, et dices maius
libi a me repensum beneficium quam tu mihi erogaveris '.
4- — CORNEUO CELSO. 315
primo dicembre dello stesso anno (1465) glielo restituì.
Della sorte toccata a S dopo morto il Pallavicini
non conosciamo nulla: esso è per noi perduto, sembra,
irreparabilmente. Meglio siamo informati sulle ulteriori
vicende di L. Fino al 1447 stava ancora a Milano, ma
non più in potere dello Zambeccari, sibbene del me-
dico Filippo Pellizzone, professore dipoi nello Studio
di Bologna (i); alla costui morte (2) passò nelle mani
del cancelliere bolognese Alberto Parisio e dalle sue
in quelle di Stefano milanese, pure medico a Bologna,
che nel 1490 lo mandò a Firenze al Poliziano; final-
mente trovò una stabile e onorata dimora nella Lau-
renziana (3).
Ma ancora innanzi al 1490 L aveva fatto una ])ri-
ma comparsa a Firenze, avendolo ivi consultato Bar-
tolomeo Ponzio (della Fonte) per curare 1' fc/llio prin-
ceps di Celso, uscita nel 1478. In uno infatti dei codi-
ci Riccardiani, autografi del Ponzio, il 153 f. 89, leg-
\\) Scrive traile. hileUc» l'.pist. Vcnctiis 1502 f. 43) al medico Fi-
lippo Pellizzone; Memini cum nuper, vivo divino ilio principe nostro
Philippe Maria (morto nel 1447)» esses Mediolani vidìsse apud te vetu-
gtihsimum quendam codicem, qui mcdicoruni pluriutn scripta coniplccte-
rctur, ut Cornciii Celsi et utriusquc Sorani et Apuleii et Democriti et
qiiarundam ctiam mulierum Ex Mediolano pridie nona» ianuarias
MCCTCXXXXVim.
<2) Il Pellizzone mori «ul finire del 1450. Neil' inventario de' «noi
libri, redatto il 5 gennaio f 45 1, troviamo: Liber Cornelii <
Vocabularìum Guarini, Francincì Barbari de re uxoria, Liber de n.nsei
vntione hanitatÌH magintri Mayni .\frf)iolnt)rn<iis (Maino Miuncri nictlico
viK(onteo); dr. (ì. Biscaro it> W. XL, 191J, 219-220.
( j) M^hu^ ,'V - ' ; : : :
31 6 R. SABBADINI.
giamo: * Post Celsum hec erant posita in vetusto co-
dice. Ex libro primo g"eneciae nihil sumptum. Ex II ',
con tre estratti tolti appunto da /., il quale dopo il
testo di Celso contiene, dal f. 155, il Liber geneciae.
Il vetustus codex va pertanto identificato con Z ed è
uno dei vetusta exemplaria e Gallia conquisita procura-
tigli da Francesco Sassetti, sui quali il Fonzio condus-
se V editio princeps, com'egli stesso attesta nella dedi-
ca: * Nam cum eius (Gelsi) libri pluribus essent in lo-
cis temporum iniuria mutilati atque inversi (1), vetu-
stis exemplaribus tua (Saxetti) opera e Gallia conqui-
sitis in unum omnia saepius conferens in antiquum fer-
me statum redegi '.
Un altro dei vetusta exemplaria portati dal Sassetti
verrebbe naturale di scorgerlo in 5; ma mi par poco
probabile e in ogni caso non si può dimostrare. Cre-
do invece che sia da pensare a /^ (Laurenziano 73,4),
un codice contaminato formatosi nell'Italia settentrio-
nale, forse per opera del Lamola, di su 5 e L, indi-
pendentemente dai codici contaminati del Niccoli e del
Pallavicini. In F ho già avvertito (p. 302) che s'incon-
trano numerose correzioni e lezioni di mano del Fonzio
{=/); ora aggiungo che quelle lezioni derivano da Z,
come risulterà da alcune poche prove che qui reco.
II 31 (72, 15) nuclei pinei F; et quae tertio libro
(i) Con libri mutilati avrà voluto intendere i codici laurenziani A B
C Dy che al suo tempo erano ancora lacunosi, e con libri inversi il cod.
del Niccoli (N), in cui le lacune erano bensì colmate, ma alcune di es-
se collocate fuori di posto. Probabilmente della presenza di L approfit-
tarono i Fiorentini per riempire le lacune àx A B C D.
4- — CORNELIO CELSO. 317
hydropi enumerantur titulo decimoquinto add. marg,
f. — Questa giunta è propria di Z (F), manca in 5.
VI 6, I (225, 14-15) nam si simul et lacrima et
tumor et crassa pituita coeperint, si ea pituita lacrimae
mixta est et ea lacrima calida est F, vetus exemplum
aliter * et crassa pituita lacrimae mixta est si ea la-
crima calida est ' marg. f. — Il vetus exenipliim è ap-
punto Ly che omette le parole * coeperint si ea pituita '.
VI 6, I (225, 18-19) longum id sed sine periculo
futurum est Z, om. S F, add. marg. f.
VI 7, I (240, 2) ei rosa Z, et rosae F, * ei rosa'
habet vetus exemplum marg. f.
VI 7, I (240, 16) miscentur passi cyathi tres F^
quiathi ' et sic semper scribit marg. /.E infatti
in tutto questo passo L scrive * quiathi ', * quiatho ',
sex quiathos ', * quiati ' etc.
E c'è ancora di più, vale a dire che le lezioni mar-
ginedi di F discendono da Z, dopo le correzioni fatte-
vi dal Pallavicini (= /); di che ecco un j^aio di prove.
VI 6, 31 (236, 18) potest prodesse militare id quod
habet 5. potest simulare id quod habet Z., potest si-
militer prodesse id quod habet /, potest prodesse mi-
litare id quod habet /% potest simulare (sim- in ras.)
in quod habet /, ' similiter prodesse ' habent iuniora
exempla add. marg. f.
VI 1 1 (248, 35) pirum mitium 5 L, puruni vinum
p, pirum mitium F, sunt qui legant ' puruni vinum '
marg. f.
Ora siccome le correzioni del Pallavicini su L sono
della fine del 1465, cosi ne consegue che solo dopo
3l8 R. SABBADINI.
quest'anno il codice giunse a Firenze. Il Fonzio, nato
nel 1445, contava nel 1465 vent' anni e difficilmente
ammetteremo che già pensasse a un'edizione di Celso;
talché considerando che nel 1469- 1 471 era tuttavia
scolare a Ferrara (i), collocheremo verso il 1475 i suoi
studi celsiani e l'arrivo a P^irenze dei codici gallici.
Francesco Sassetti (1429-1491), negoziante fiorenti-
no, che passò molti anni in Francia come agente della
casa Medici, col praticare intimamente gli umanisti di
Firenze, in specie il Ficino e il Fonzio, si innamorò
anch'egli degli studi e cominciò a raccogliere in Plan-
cia alcuni codici, che costituirono il primo nucleo della
sua biblioteca, divenuta poi tra le più cospicue del
tempo (2). Nei suoi viaggi egli certo ebbe spesso oc-
casione di fermarsi nell'Italia settentrionale e ivi potè
trovare quei codici di Celso che il Fonzio lo avrà in-
caricato di cercare sia per acquistarli, come /% sia per
(i) Sulla sua dimora a Ferrara vedi C. Marchesi, Bartolomeo della
Fontey Catania 1900, 24-31. Ivi, 142-46, si parla àeW edit. princ. di
Celso.
(2) Lettere edite e inedite di Filippo Sassetti race, da E. Marcucci,
Firenze 1855, p. xxxvii: * Se bene non fu (Francesco Sassetti) uomo
di lettere, si dilettò con tutto ciò di tener pratica di persone letterate.
Per il che tenne amicizia e pratica con Marsilio Ficino, Bartolomeo
Fonzio et altri litterati di quelli tempi; et aveva condotto in casa sua
una libreria de' più stimati libri latini e volgari che in quelli tempi an-
dassino in volta e la maggior parte scritti in penna '. Una buona par-
te de' suoi codici latini sono ora nella Laurenziana; di essi il 38. 23 e
il 45. 14 provengono siciiramente dalla Francia; ma la stessa provenien-
za si può assegnare con molta probabilità ad altri, quali il 12. 21, il
23. 13, il 30. IO, il 37. 6, il 47. 4, il 68. 24.
4. — CORNELIO CELSO. 3I9
Ottenerli in prestito, come L; e poiché venivano dalla
Gallia cisalpina, il Ponzio senza scrupoli nella dedica
dellV^/Vz'^ princeps li disse exemplaria e Gallia conquisi-
ta, tanto più che sui margini di F e' è qualche nota
che ricorda parole galliche, ossia italiane del setten-
trione, p. es. f. 80 (III 7, 2 p. 89, 24) * Cremor, suc-
cus vel lac omnium rerum, ut vulgo Galli cremma vo-
cant '; f. 8iv (III 80 p. 92, 3) * Pittacia /é'^r^', sic hodie
Galli '.
Senonchè la parola Gallia, così innocente, intesa dal
Poliziano e da Pier Matteo Uberti, avversari del Fon-
zio, nel significato di Francia, fu cagione che egli ve-
nisse accusato di falsità. Esiste nella biblioteca Nazio-
nale di Firenze un esemplare della editio princeps di
Celso (Incunab. Magliab. C. 2. 9) dall'Uberti collazio-
nata per conto del Poliziano con Z, alla fine della
quale T Uberti appose una nota in data ' Florentiae
die quarta februarii MCCCCLXXXX *, donde traggo
il seguente passo: * quem (codicem vetustum) Bononia
miserat ad illum (Politianum) Stephanus Mediolanensis
excellens medicus. Erat autem is ipse liber quem Fon-
tius olim habuerat: cuius exemplo imprimenda haec
exemplaria curavit, quamvis falso dicat in epistola e-
xemplaria quaedam e Gallia Saxetti opera habuisse '.
Qui raccusa di falso Sfalso dicat) è formulata netta-
mente; ma è ingiusta, come facilmente si vede alla
luce dei fatti. Ed è inoltre erronea l'altra affermazione
deirUberti, che il Ponzio abbia condotto la sua edi-
zione sul solo Laurenziano (L); come è erronea la di-
fesa che del Ponzio intrapresero taluni (p. es. Mehus
3 io R. SABBADlNi'.
op. cit. p. 45), asserendo che egli non adoperasse il
codice Laurenziano. La verità l'abbiamo ristabilita noi
ed è questa: che il Ponzio intende parlare della Gal-
lia cisalpina e che il suo testo non si basa sul codi-
ce Laurenziano, ma su un esemplare contaminato, cor-
retto con l'aiuto del Laurenziano. E con ciò si viene
anche a dire che la sua edizione non ha nessun va-
lore diplomatico, perchè possediamo le due fonti da
lui adoperate; essa ha solo qualche valore per un cer-
to numero di buoni emendamenti congetturali.
Classificazione dei codici.
I codici sui quali si dovrà fondare la nuova edizio-
ne critica di Celso, sono quattro: 5 L F e il Parigino.
5 perduto viene autorevolmente sostituito da A, che
ne discende direttamente, di mano del Niccoli, il più
coscenzioso dei copisti. Tutti gli altri codici del sec.
XV o discendono, qual più qual meno direttamente,
da S, o sono contaminati di S e di L. Ma come si
conterrà il futuro editore ? Piglierà il buono eclettica-
mente dove lo trova o darà la preferenza a una ca-
tegoria di codici sull'altra ? Alla domanda si può ri-
spondere solo con la classificazione dei codici, che io
non intendo di stabilire qui definitivamente, mancan-
domi larghe collazioni, ma solamente di iniziare.
Escludendo il Parigino, il quale per non contenere
che excerpta non può dar molto aiuto (i), mi sembra
(i) Ampie notizie su di esso ha comunicato Camillo Vitelli in Studi
ital. filol, class. Vili, 1900, 450-76.
4- — CORNELIO CELSO. 3Ìt
che L e V siano figli del medesimo padre, a giudica-
re dal consenso delle lezioni e soprattutto dallo stato
esteriore di essi. Intanto hanno entrambi in comune le
stesse lacune: la oportet e la ne succurrere; le altre pro-
prie di F, cioè la est etiam e la demissos, hanno origi-
ne in esso per la caduta di un quaderno e per lo sco-
loramento dell'inchiostro di una colonna dell'antigrafo.
Inoltre hanno comune la trasposizione di quattro fogli
nel lib. Vili; e se alla fine L è integro e V mutilo,
ciò è dovuto all'essersi nell'archetipo perduta una car-
ta o scolorito r inchiostro quando ne fu copiato F, il
quale per questo è di origine un poco posteriore a L.
Meno agevole riesce portare un giudizio sicuro su
5, che non esiste più. Però richiamo anzitutto l'atten-
zione su questo passo della descrizione del Panormita
(sopra p. 269): 'Integrum est, praeter ultimam chartam,
item tris circiter medium, quas Helencam, omni notabili
infamia notatam mulierem, abscidisse autumo, ut forte
pensis coluique advolveret ', dove le parole ultimam
chartam e tris circiter medium significano due lacune,
la pedis e la frictio. La lacuna pedis era riconoscibile a
prima giunta, perchè troncava il testo alla fine del co-
dice; ma come fece il Panormita a determinare ivi la
caduta di una sola carta, se non poteva conoscere
l'estensione deiroi)era, mancandogli il confronto di un
altro esemplare ? Bisognava dunque che la lacuna fos-
se riconoscibile e determinabile esteriormente, cioè che
si scorgesse lo strappo dell'ultima carta, tanto più che
egli lo addebita alla donna Klonca. Uguale ragiona-
mento ripetiamo per le tris chartas circiter mtdium; e
K. lABBADINl, Ttsti talémù fi.
3*2 R. SABBADINI.
ne deduciamo che in 5 erano, almeno in due luoghi,
caduti dei fogli e che restavano dei segni, dai quali
tali cadute si potevano riconoscere.
Poniamo mente in secondo luogo alle lacune e alle
corrispondenti note marginali degli apografi di 5. Le
lacune da quelli segnate sono quattro, la frictio, la
coeuntia, la malagmate e la pedis: due di più che non
quelle osservate dal Panormita, il quale in un primo
rapido esame del codice non le potè avvertir tutte.
Le note marginali che con pieno consenso negli apo-
grafi corrispondono alle lacune sono due: in corrispon-
denza alla lacuna frictio viene notato: desunt in vetu-
stissimo exemplari quatuor folla; in corrispondenza alla
lacuna coeuntia viene notato: desunt In vetustissimo e-
xemplari duo folla. Anche qui scorgiamo maggiore e-
sattezza di calcolo che nel Panormita, poiché nella la-
cuna frictio, dove si poteva riconoscere la mancanza
di quattro fogli, egli non la riconobbe che di tre. Per
la lacuna malagmate troviamo una nota marginale con-
creta nel solo codice Urbinate 1357: desunt due charte;
qui forse non si poteva calcolare il numero dei fogli
caduti, ma qualche indizio esteriore ci doveva pur es-
sere, altrimenti la lacuna non sarebbe stata avvertita,
come da nessuno dei copisti fu avvertita la etlamnum,
eccetto che dal Niccoli quando confrontò il suo codice
N con L. Cosi le lacune come le corrispondenti note
marginali concordando in tutti gli apografi, bisogna
ammettere che esse siano state segnate e scritte sullo
stesso esemplare 5; e io non sono alieno dal credere
4. — CORNELIO CELSO. 32^
che vadano attribuite a Guarino, il primo che copiò e
pubblicò Celso.
Le cinque lacune pertanto di 5 traggono origine da
esso stesso in seguito alla caduta di alcuni suoi fogli
e non sono da imputare all'antigrafo: e di ciò abbia-
mo la riconferma nella testimonianza del Pallavicini,
il quale chiama corruptissimuni exemplar il cod. S, non
già per la corruttela delle lezioni, che sono anzi da
lui preferite a quelle di L, ma per la perdita dei fogli.
Simile destino del resto toccò a F, che deve la lacu-
na demissos alla caduta di un proprio quaderno e non
air imperfezione dell'antigrafo. ^Stando cosi le cose, non
è arrischiato conchiudere che originariamente 5 fosse
completo.
Considerando poi che tanto 5 quanto L V recano
in comune la lacuna ***, dobbiamo inferirne che di-
scendessero dal medesimo archetipo quando questo
aveva già perduto un foglio. Di ciò possiamo esser
certi; e certi parimente che l'archetipo era scritto a due
colonne e che da esso derivò prima 5, indi L V: an-
dare più in là sarebbe avventurarsi nel regno della
fantasia. Quanto ai rapporti tra wS" dall'una parte e L
V dall'altra, li stabihrà chi sottoporrà a rigoroso esa-
me le lezioni delle due famìglie (i); a me sembra di
poter per ora affermare solo questo, che 5 con la dì-
visione sistematica della materia in capitoli, coi som-
mari al princìpio dei singoli libri e coi titoli interca-
(i) I rapporti delle due famiglie tODO itati mintitninente analissatì da
314 R- SABBADim.
lati nel testo si differenzia nettamente da L V ed ha
tutto l'aspetto di una vera e propria edizione. La sua
indipendenza si manifesta sin dal titolo generale del-
l'opera, il quale in L V suona: A. Cornell Gelsi artium
liber VI..,, in 5 invece (secondo che si raccoglie dagli
apografi): Artium Aurelii Cornelii Gelsi liber VI...\ dove
A urelii sarà nato o da erronea soluzione della sigla A.
o da disattenta lettura di Auli (i).
***
Dovrei soggiungere ora alcuni saggi di testo; ma li
tralascio, perchè ho letto nelle Mitteilungen della casa
B. G. Teubner di Lipsia (19 13, Nr. 2, 25) che è in
corso di stampa la desiderata nuova edizione critica
a cura di F. Marx.
(1) Primo il Bianconi {op. cit. 117, 207) dimostrò falso il nome Au-
relius.
PLAUTO
Il codice Orsiniano di Plauto, (*)
li medio evo conobbe una collezione plautina di ot-
to sole commedie: Amph., Asin.y Aul., Capt.., Cure, Cas.,
< :st., Epid. Di queste il codice Orsiniano (ora Vatic.
lat. 3870) contiene le prime quattro, più dodici nuove,
dalle Bacch. al Truc.
Le prime notizie della scoperta del cod. Orsiniano,
detto cosi perchè entrò in possesso del cardinale Gior-
dano Orsini, si trovano nell'epistolario di Poggio (i).
Il 26 febbraio 1429 Poggio annunzia al Niccoli la
s( operta; il Niccoli attese sino all' aprile a sentirne di
meglio e sospettò che Poggio l'avesse canzonato; Pog-
mparve la prìma volta nell' opuscolo: Guarino Vironeiff
// di Cebo e Plauto^ Livorno, 1886, 43-59.
(1) F. Ramorìno, Contributi alia stòria biografica t critica di A. Btc-
cadtHi, it-2i, Palermo 18H3 (estratto i\:ì\V Àrek. stor. Sic$L)\ E. Kooig,
KitriUtiitl Giordano Orsini, Freiburg in Br. l»»()6, 87 «gg.
328 R. SABBADINI.
g-io gli rispose dicendosi offeso di un simile sospetto (i).
Il 23 luglio riscrive che per il novembre s' aspettava
dalla Germania Niccolò da Treveri col Plauto (2). AIU
fine di dicembre gli annunzia 1' arrivo di Niccolò. In
questa e in un'altra lettera, del 3 settembre 1430, gli
riferiva essere state vane tutte le pratiche fatte presso
r Orsini per ottenere il codice.
Quel Niccolò da Treveri, tutt' uno con Niccolò da
Cusa (sopra p. 2^;^), era sin dal 1426 al servizio del-
l'Orsini, che in quell'anno fu mandato ambasciatore in
Germania, donde riportò altri codici (3).
Ulteriori informazioni attingiamo all' epistolario del
Traversari. Scrive il Traversari al Niccoli in data 18
novembre 1430, che s'era rivolto per lettera all'Orsini
chiedendogli il codice, ma che non ne ebbe nemme-
no risposta: comincia a credere una favola 1' affare di
Plauto (4). Nel marzo 1431 gli annunzia che rinnovò
le premure presso il cardinale: ma anche questa volta
(i) Lettera di Poggio in A. Traversarii £pzs(. XXV 43: Nescio si
ita me levem adhuc vidisti in scribendo, ut coniecturare possis me lu-
dendi tui gratia ad te de Plauto scripsisse... Romae die VI maii 1429.
(2) Ib. XXV 44.
(3) P. e. il Tertulliano, ora Magliabech. Conv. soppr. VI io, copiato
in Germania nel 1426. Per Curzio e Gelilo, vedi sotto p. 331
(4) A. Travers. Epist. Vili 35 Scripsi hortatu tuo cardinali Ursino
orans ut Plauti comoedias, quas apud se haberi compereram, mitteret ad
me; sed profeci nihil, nam ne rescripsit quidem. Ita spes omnis mihi
sublata videtur vererique coepi ne fabula fuerit quod tibi renuntiatum
est de Plauto... Florentiae XVIII novembris [1430].
5- — PLAUTO. 349
senza effetto (i). Finalmente ecco la buona novella: nel
giug-no del 1431 il codice di Plauto è giunto a Firen-
ze (2): lo portò Lorenzo de' Medici di ritorno da Ro-
ma, dove era andato con l'ambasciata fiorentina a sa-
lutare il nuovo pontefice Eugenio IV; ne ci volle meno
della sua finissima arte per strappare (eripuit) dalle
mani dell'indegno possessore il prezioso tesoro (3).
Qualche tempo dopo, nel 1432, quando il Niccoli tor-
nato a Firenze ebbe copiato il codice, lo prega di
restituirlo all'Orsini, che glielo aveva ridomandato (4).
Ed eccoci a una terza fonte, 1' epistolario di Guari-
no. Il punto di partenza delle pratiche di Guarino per
ottenere il codice Orsiniano ci è dato da una lettera
di Poggio, il quale cosi scrive al Niccoli (5):
(i) Ib. Vin 36 De Plauti comoediis.... scripsi cardinali Ursino, sed
l-rofeci nihil. Siamo del marzo 1431, perchè annunzia l'assunzione al
papato di Eugenio IV.
(2) Ib. Vin 37 Laurentius (de Medicis) noster humanissimus nuperri-
mc Roma redicns attutii secum Plautinum illud volumen vetustissimum,
quod ipsc quidem necdum vidi.... Magna arte et solertia.... ex Ursino
cardinali ipse Laurentius sumpsit... Florentiae XXIII iunii [1431].
(3> Ib. Vili 2 Aliis litteris mcìs de Plautino codice vetustissimo....
scripsi ad te planius nihilque nccessc est eadem rcpetere, cum Laurentii
fcccrit summa diligcntia quod ante illum nemo. Eripuit enim ex iniustis-
hi mi posnessorìs indignis manibus res pretiosas nihil ad cum pertinente s
arte mirabili. Plautum necdum vidi.... Florentiae Vili iulii (1431!.
(4) Ib. Vili 41 Cardinalis Ursinus Plautum suum.... recipere cupit.
Non video qaam ob causam Plautum tili restitucre non debcan quero
oiim trantcrìpsisti. Oro ut amicissimo homini gcratui mos [circa la me*
tà del 1432I. Per la data clr. F. P. Luiso, Hìordurimento dell' epis tv
imo .il I. /'raversari, Firenfc 1899, II i
'S' *'"14^:" /•>»>/. '"" TonrIIi, IV 17-
330 R. SABBADINl.
Plautum hactenus non potui habere; nunc si possem nollem polli-
ceorque libi me numqiiam amplius petiturum a cardinali ncque lecturum
illum istis tribus annis, si ultro concederetur. Transcribitur modo dono-
que mittetur duci Mediolani, qui eum per litteras postulavit. Marchio
item Ferrariensis petiit...
Romae die VI ianuarii 1430 {-^ 143 O-
Sicché al principio del 1431 il cardinale si era ap-
pigliato al partito di farne trarre una copia per il Vi-
sconti; ma intanto, come abbiamo veduto, arrivò a Ro-
ma Lorenzo de' Medici e si portò a Firenze l'archetipo.
Risulta inoltre dalla lettera di Poggio che anche il
marchese di Ferrara aveva chiesto all'Orsini il codice.
Qui si allude evidentemente alla lettera scritta da Gua-
rino all'Orsini a nome di Leonello d'Este (i), la quale
cade perciò senza dubbio nell' anno 1430. Lo prega
Guarino di concedere ai letterati copia del suo Plauto,
il che gli acquisterà un gran merito e nel nome di
Plauto sarà eternato anche il suo: Fac, humanissime
domine quaeso, ut cum ab auctore comoediae Plautinae
dicantur, ab instauratore cognominentur Ursinae.
Ma già qualche mese prima, cioè nel maggio, Gua-
rino aveva tentato di farne trarre una copia per mez-
zo del giureconsulto Zilioli, che era andato a Roma
con un incarico del marchese di Ferrara. Reco di que-
sta lettera il passo che fa al caso nostro.
(i) Fez, Thesaurus^ VI, 3, pag. 164 e in molti manoscritti.
5- — PLAUTO. 331
Guari N US ci. viro et doctiss. iurisconsulto d. Ziliolo (i).
.... Tuam moram (Romae) nonnihil diuturniorem graviusciile ferre
inciperem, nisi honor tuus et dignitas tuam consolaretur absentiam et meum
de te desiderium deliniret. Nam curri undique perferatur ad nos quam laete,
quatti honorifice, quam libenter omnibus tuus excipiatur adventus et tam
magnis quam mediocribus summo in honore sis, non possum non gra-
tular! et summo gaudio affici. Accedit et nova quaedam gandendi cau-
sa; nam cum tuae rei publicae legatione fungaris, et rei litterariae lega-
tioneni suscipias opus est.
Fama enim est apud dominum Ursinum vere prioris saeculi virum
prò summa eius sapientia et humanitate singulari auctores quosdam in
lucem editos esse et qui diem suum obisse putabantur in vitam revo-
catos esse. Qua ex re mens praesaga quoddam facit augurium, quod vix
audeo dicere. Oro igitur tuam vigilantiam, compater dulcissime, ut nunc
luum eriga.s ingenium, nunc vires expromas, ut eorum copiam habeamus;
prò qua quidem re nulli parcas impensae: omnem ego tibi restituam pe-
ir iam. Sed hunc in modum agendum censeo. Principio ut transcribi
1 1< i.Ls decem (2) comoedias Plauti, quae repertae nupcr sunt, ultra eas
quas habebamus antea. Ad reperiendum autem librarium, qualiscunque
habcri poterit, tibi auxilif) erit vir ornatissimus Poggius, harum rerum
strcnuus indagator. Reliqui sunt libri quos antea inemcndatos habeba-
mtts. Idcirco siquero ad exemplar repertum emendare licerct, minus es-
h€t laboris: de Q. Curtio et A. Gellio dico, quos tnmcatos habeo et
* laccros cnidclitcr ora ' (Verg. Aen. 6, 4gjO- -^'^ ^^^ etiam duos ad
nostra studia redigendo» alia quacrctur vi 1.
Cum niagnarn ex ihta legatione laudcm et patiiac fructum rcportatu-
nu hìh, non minus Icrvcn» esse dcbcbis in bisce codicibus postliminio
rerocandis, quibus universum ordincm litterarium iuvare poterìs. LucuUo
non parva pracdicatio accessit quod ad Italos ex Ccrasuntc Ponti urbe
poma rlctutit, quac cerasa vocata, ex ipso quoque Luculliana sunt ap-
I ) Cod. Estense 57 f.
. . y.....,.^ ^. ...._ ,1. ...
33' R. SABBADINI.
pellata et in dies auctoris nomen illustrant. Quid tibi debebimus ! qua
laude tollemus ad sidera ! quotiens Ziliolum legemus in Plauto ! Unum
memineris oro, ut si transcribi feceris, ad exemplar corrigaatur.
Vale; viro magno et excelsi animi d. Dominico de Capranica singulari
quodam verborum ordine me totum ex animo commenda. Phirimam salu-
tem die a me d. Poggio et d. Cincio, viris doctis et ornatissimis. Com-
missum denuo me facito reverendissimis patribus et dominis de Ursinis
et de S. Cruce. Vale iterum, dulcissime compater et spes mea fidissima.
Ex Ferraria XIII maii [1430].
Esìste poi anche la supplica di Lodovico Ferrari, un
nipote di Guarino, dalla quale trascrivo alcuni periodi.
Ludovicus Estensis Ferrarius ad Cardmalem
Ursinum or atto (i)
Omnes homines, reverendissime pater et domine, qui per humanitatis
studia versantur et litterarum fructu velut immortalium deorum nectare
et ambrosia, sicut poetae dicerent, pascuntur, non stomachari et gravi-
ter non angi animo non possunt, cum ad Plautinos (2) versus lectitan-
dos comoediasque exesas depascendas animos (3) appulerint; in quibus
etenim (4) legendis cum verborum tanta exornatio, latinae linguae pro-
prietas observetur (5), sententiarum harmonia et antiquitatis lepos accu-
mulatus percipiatur, operis lucubrati, quampluribus vigiliis elaborati, ar-
te summa contexti iacturam maximi damnant, ingenti molestia atque a-
nimi acerbltate afficiuntur. Ceterum, pater insignis et admirande domine,
hoc tempore omnibus es solatio solusque tunctos esse bono animo iubes,
ut cum hactenus apud alios Plautus comicus scriptorum negligentia vi-
(1) Titolo erroneo; non è orazione, ma lettera. Cod. Vindobon. 3330
f. 166.
(2) plantonnis cod.
(3) exosas animas depascendas cod.
(4) etiam cod.
(5) observata cocU
5. — PLAUTO. 333
tara cura morte coromutarit, apud te perinde ac diligentiae parentem ac
studiorum fautorem raortem cum vita permutarit. Ex tenebris enim iam-
dudum involutus apud te omnis beneficentiae refugium emicat, cuius ope
et opera noster restinguatur (i) arder et haustu Plautino sedetur arida
sitis: quod te factiirum profecto compertum habeatiir....
Quantum iuvenili aetate florentibus lectio (2) Plautina sit conducibi-
lis, in primis animadvertamus; tum vero iocunditatem, postremo officium
cum laude considerabimus. Nam cum diversa studiorum genera sint,
quorum sententiis ac auctoritate scriptorum in hoc vitae curriculo opti-
me iuventus sibi moderari possint, apprime huius auctoris comoedias
ipsis conducere posse arbitror, cum non solum doctrinae praeceptis at-
quc institutis bene vivendi normam consequi poterunt, verum etiam ad
suos mores rite componendos multorum hominum ritus velutì ante ocu-
los speculum contemplabuntur; ex quibus imaginibus piane percipient ' quid
deceat, quid non, quo virtus, quo ferat error ' C3) Hor. ad Pis. 308).
Hunc in modum Spartanos suos instruxisse liberos rerum (4) veteres
tradidere scriptores; post enim verborum documenta, servos temulentos,
mente alienatos et eos, quorum per ebrietatem ncque pes ncque mena
ncque manus suum satis officium faceret, pueris proponebaut (5) ut ab
eis, sicut e speculo, dedecore similiquc vitio quam maxime abborrcrent.
Quanta praeterea est illis studiosis hominibus voluptas, cum suppedite-
tur unde animos legende demulceant, quippe a gravioribus studiis et
cura se remittentes ad lepidissimos diversi generis hominum sermone»
velut ad diversoriam sane confugient, quorum primus noster omnium
Plautus confcrtissimus est. Cui diversorio vel litterarum potius gymnasio
suppeditare (6) otium cum usuvencrit, mirificos voluptatis flores sane
'lecerpent, cum nonnallos homines vario colloquionim genere contenden-
tes aspicient, facetiamm snavitas aurìbus applaudet et quomplurima eli-
restringa! eod,
(3) lectio florentibus cod.
(3) quid VirtaS qui') ""'i niiidnnf ilnrit niiM ffr.iflir prror eoJ,
(4) verum cod.
(5) preponebant <oJ.
(6) luppeditate cod.
334 *• SAtìBADiKr.
cientur ( i ) elogia. Quibus in rebus sic tibi omnes gratas gratias habebunt,
ut non minus te in Plauto quaro Plautum in te cum tui recordatione
lecturi sint
Valeat tua paternitas.
Ex Ferraria kal. iulii [1430].
Ma le pratiche dell'anno 1430 rimasero infruttuose
anche per Guarino; a buon porto approdarono invece
quelle del 1431 e 1432. A questo proposito reco un
passo di una lettera del Panormita, indirizzata a Fran-
cesco (Barbavara):
Solco dicere quod et verum est: me expectare Plautum illum vetu-
state venerabilem atque emendatissimum, quem iamdudum accepimus
pervenisse in manus apostoli Ursini et nunc esse apud Nicholaum Ni-
cholum, deinde ad Guarinum perventurum, postea ad me Guarini bene-
ficio... (2).
[Pavia estate del 1432].
Di qui si scorge che il codice, che sin dalla seconda
metà del 1431 stava a Firenze, sarebbe stato trasmes-
so a Guarino a Ferrara.
Non ci è dubbio dunque che Guarino 1' ebbe nel
1432. Ma l'archetipo o un apografo? Proprio l'arche-
tipo. Ecco come Guarino ne dà l'annunzio al suo pa-
rente ed amico Giovanni da Spilimbergo, allora pro-
fessore a Cividale.
(i) eligentur cod.
(2) Pubblicata per intero da R. Sabbadini, Ottanta lettere inedite del
Fanormita, Catania 19 io, 135.
PLAUTO. 33g
Guarinus Verone^isis loaiini Spilimbergensi s. (i)
Habeo quod tibi nuntiatura pergratum futurum puto prò tuo in mu-
sas amore. Nuper allatae mihi sunt uonnullae Plauti comoediae in co-
dice pervetusto, quarum nomina tibi mitto. Ad earum esemplar quasdam
emendo; reli«iuas autem quarum copiam nuUam habebamus, exscribi fa-
cio. Tu contra siquid habes quod invicem niinties in re litteraria quasi
ad antidoron, fac me participem. Vale et Bartholomaeam uxorem mode-
stissimam salverò a me iube; Tadeamque (2) tibi caram facio.
Ex Ferraria XI kal. octobres [1432].
Eruditissimo viro magistro
IOANNI DE SPILIMBERGO
affini meo dilectissimo
CIVIDATI.
L'avviso della venuta del codice era stato dato a
Guarino da Leonello, al quale egli manda una lettera
piena di entusiastici ringraziamenti, facendogli merito
di aver nientemeno che ridonato Plauto alla vita (3).
. Tuae itaque magniGcentiae immensas gratias habeo et proinde
tuac illustri personae totum me trado et sic trado, ut me prò tuo uta-
ri& arbitratu. Maiorcs tibi grates in dics dicent studiosi homines et cun-
ctu-s littcratorum ordo. Nam omnes intelliguut Plautum facetissimum
poetam virumque doctissimum quasi quoddam venerabile vetustatis ex-
emplar tua opera et interventu ex tencbris ad lucem, ex antris ad gym-
nasia, ex morte ad vitam revocatum esse....
Ferrariae XV kal. sextiles [1432].
(t) Cod. Goarneriano di S. Daniele del Friuli 140 i
(2) Moglie di Guarino; camque cod.
(3) Pk/., Tktsnurus. VI, 3. pag. 162 e in molti manoicritti.
336 R. SABBADlNi.
Guarino pertanto, che possedeva già una copia delle
otto commedie, note prima della scoperta dell' esem-
plare Orsiniano, si fece trascrivere da esso sole le do-
dici nuove e corresse sul suo apografo le altre quattro,
perchè il codice Orsiniano, come ho avvertito, ne con-
teneva sedici.
Al testo delle otto commedie Guarino aveva prece-
dentemente rivolta la propria attenzione. Nelle lettere
agli amici alludeva volentieri a Plauto. Cosi scriveva
al Capra arcivescovo di Milano (i):
Hic ipse Franciscus (Brenzonianus) dulcissimus amoris tui legatus cura
longos tecum habitos ab se et secum abs te sermones recensuisset, ita me
tuae praesentem dignitati fecit, ut vere Plautinus ille factus sim Euclio:
nam, ut ille inquit, * egomet sum hic, animus tecum est ' {AuL 178)...
[Verona 1427].
E a Galasio Avogaro (2):
Quas ad res si quid obscuritatis impediat, commendo ut lucem inqui-
ras, ad quam tibi praestandam si tibi censebor idoneus, curam operam-
que meam tibi libens impertiam, an recte et prò desiderio tuo tu ipse
iudicabis, modo ne sim Plautinus ille Sosias, qui obscuram tibi lucem
suppeditem dum Volcanum in cornu conclusum geram (Am/>A. 341)
[Ferrara 1431 circa].
Ricordava poi spesso il Plautino incordies della Cist.
109, dove le edizioni moderne leggono tnihi cordi es.
(i) Cod. Riccard. 779 f. 131.
(2) Cod. Vindob. 3330 f. 172.
5. — PLAUTO. 337
E mandava ai corrispondenti copia delle commedie:
p. e. a Tommaso Fano (i).
Vereor nanque ne propterea ingratus appaream, quia gratias non re-
fero. Quod autem magnas tibi bene habeam, testis erit optimus Plautus
iste, quem tibi hospitem ac domesticum facio et in aere tuo, modo ne
parva repudies animi ingentis ac tibi deditissimi munuscula. Ipsus ede-
pol, si hominem rogare coeperis, quam maxima in te mens siet, certio-
rem reddet [Ferrara 1431 circa].
Inoltre attendeva ad emendarne il testo, come si
rileva da tre lettere indirizzate a Giacomo Ziliolo, con-
sigliere del marchese di Ferrara:
De transcribendo Plauto iam institutum est; et profecto, ni fallor, spe-
ciosuro et minas depravatum habebis volumen. Nam m u 1 1 i s in 1 o-
cis emendavi nec sine ratione et auctoritate veterum.... Ex Vero-
na ni augusti [1426] (2).
Plautus tibi transcribitur, opus meo quidem animo futurum pcrpul-
chrum et accurate exaratum et litteranim facie et voluminis dignitate....
Veronae 18 augusti (3) [1426].
Absolvit librarius noster Plautum, quem ut videbis commendabis et
bene positam operam et impensam dices, operìs ipsius elegantia Ex
Verona mi kal. novembres (4) [1426].
Sicché uno dei primi o meglio il primo che pose
mano a un emendamento di Plauto hi Guarino, avanti
(l) Cod. Monac. lat. 504 f. ii,>, ... i:i.iv#.m #11 Pmloya ia6i f. 33.
(a) Cod. Estense 57 f. 37.
(3) G)d. E«t. 57 f. 46V.
(4) Cod. Eit. 57 f. 69V.
R. Sabbadini, Tati iatémé, a a.
338 R. SABBADINl.
che il Panormita iniziasse il suo commento a Pavia (i).
Però a un vero commento Guarino non pensò mai: si
limitava a semplici note nella lettura giornaliera. Sus-
sidi per la lettura di Plauto non esistevano allora, se
si eccettui una raccolta di excerpta. Ecco infatti che
cosa risponde Guarino a Giovanni da Spilimbergo (2):
Ad Plautum venio, ad ciiius lectionem luillum mihi adiumentum adest,
deum tester et angelos sanctos eius, nisi quantum quotidiana lectio spar-
fiim suggerit. Quod si adesset, volitare in manus tuas facerem e vestigio:
adeo gratum esset tuae morem voluntati gerere prò mea in te singulari
dilectione et affinitate et communis patris respectu. Nonnulla tamen re-
periuntur vocabula ex eo excerpta, quae penes virum suavem et ami-
cum utrique lohannem Laudensem (3) sunt....
Ex Ferrarla Vili kal. septembris [1432].
Ritengo che alluda agli excerpta di Gasparino Bar-
zizza, che son contenuti nel codice Ambrosiano Z 55
sup. del secolo XTV-XV, con la sottoscrizione: Plauti
Asinii poete clarissimi dieta lectiora octo comediarum fe-
(1) .Scriveva Giovanni da Spilimbergo nel 1430-31 a Guarino (cod.
Guamer. 247 p. 471): Sunt nonnulli qui me iamdiu non tam adhortentur
quam pene urgeant, ut octo illas Plauti comoedias legerem, quibus
publice exponendis tu apud nostros primus et cum
laude puctor extitisti. Il commento del Panormita non fu ne
compiuto né pubblicato. R. Valentini {Rendiconti della r. Accad. dii
Lincei XVI, 1907, 477-90) si illuse d'averlo scoperto nel cod. Vatic.
271 1. Quell'anonimo commentatore adopera Donato in Terentium: è
perciò da collocare dopo il 1433 (sopra p. 214).
(2) Cod. Guameriano 96 f. I26v.
(3) In una silloge di poesie volgari della metà press'a poco del sec. XV
comparisce un sonetto col titolo: d. lo. Land. (A. Cinquini Nozze Pi'
£ ardi- Valli, Roma 1907, 18). Sarà il medesimo personaggio?
5. — PLAUTO. 339
liciter expliciuìity delecta per magistriiìn Gasparinum Per-
gamensem (i). Tracce dell'operosità guariniana su Plau-
to conservano il cod. Vatic. 1631 e il cod. Harleian
2454 (2).
**♦
Ritorniamo al codice Orsiniano. Guarino aveva pro-
messo al Panormita di mandargli il proprio apografo
delle nuove commedie: e glielo mandò effettivamente
nella seconda metà del 1432. Ma nel 1434, tra il gen-
naio e il febbraio, il Panormita abbandonò improvvi-
samente Pavia, portandosi seco l'apografo guariniano.
Di ciò Guarino mosse aspre lagnanze scrivendo agli
amici di Pavia: Luchino Belbello e Catone Sacco.
Luchinus Guarino patri s. (3)
.... Affecerunt he (litterae) quidem me summa ac singulari tristitia,
cura ob maximum dolorem quera in dies pateris de tam diuturno silen-
tio ad te Ludovici (Ferrari) nepotis, tum vel tuarum Plauti comediarum
amissione. Quibus rebus satis superque memorie mandatis non doleo te»
cum sed cxcrucior, non excrucìor sed pereo funditus. Dii etiam mulctent
atque puniant, qui huiusce nostri angoris ac sollicitudinis partes sunt.
Turpe enim et odiosum genus est, quicum scmper coniunctissime et a-
mantissime vixerunt, quicquam accrbitatis animo allatum in. Quod au»
tem a me petis de Panormita an rcditurus abicrit, non te certiorem
faciam, quom ipsc ncsciam de talium opinione indicare: que quidero
I) Cfr. R. Sabbadini in Gwrfi. stor. Ittt. ital. 46, 74-75.
1) F. Ritichclii Opusc. phibl. II 229; R. Sabbadini La scuola t gli
studi di Guarino 92.
(3) Cod. Parig. lat. 7059 f. 24; cod. Fcrrarcto 133 NA 5 f. 2. Due
altre lettere scambiate precedentemente fra Guarino e Luchino si son
perdute.
34<* ^' SAfiBADlNI.
qxialis sit, non dicam; balbus (i) enim sum. Omnem sane is suppellec-
tilem suam bibliothecamque secum traduxit; rediturum tamen se vulgo
dixit; puto autem, ut superioribus ad te meis intellexisti, kalendis grecis..
Ex Ticino Xini martii [1434], sequenti die post tuarum oblationem.
Guarinus Luchino Belbello sai. (2).
Tu non parvas spargis querellas quod nullas a me acceperis et recte.
Nam cum ' amantes non longe a caro corpore abesse velint ' {Catull.
66, 31-32), solis possunt praeseutes fieri litteris. Sed istas querellas in
tabellarios evomas, vel adiuvante me, facito, qui quasi hostes amicitia-
rum sunt et quibus omnes benivolentiae professores bellum indicere de-
buissent. Verum enimvero quom tuis ex litteris commonefactus essem
olim te Mantuae domicilium habere, eo meas superiores dimisi. Itaque
male de me suspicari desine et salvo et inconcusso amore nostro culpam
in meritos reice.
Tuam in me dilectionem ac diligentiam aperis cum alias tum de ipso
Sallustio, quem et olim ad me misisti et deinde missurus eras, nisi Pa-
normita intercepisset, cuius materiae mentio me singulari afficit tristitia.
Nam cum eum kalendis graecis rediturum dicas et is Plauti comoedias
novìssime repertas a me abstulerit eì commodatas, quo in maerore ago
vitara cogitabis. Tu igitur me certiorem facito prorsusne irrediturus a-
bierit; quod si est, perii funditus. Utinam * mors fera quae cuncta ra-
pit ' et Panormitam rapuisset, ne meas raperet comoedias.
Mortiferos illos Vegii (3) versus contemplatus sum, in quibus cum
mortales sententias, tum vero idem propositum ad tam diversa concin-
natum non mirati non potui: imraortalitate dignum ingenium.
(i) Allude al proprio cognome B albe Ilo (Belbello).
(2) Cod. Parig. lat. 7059 f. 24; cod. Riccard. 924 f. 188.
(3) Intende l'elegia del Vegio in versi serpentini che comincia: Mors
fera cuncta rapit non est lex certior ulla: una variazione del Vado mori
medievale. Pubblicata da L. Raffaele, Maffeo Vegio. Elenco delle opere.
Scritti inediti. Bologna 1909, 209-212. Sul Vado mori cfr. R. Sabba-
dini Da codici, òraidensif Milano 1908, 13-14.
5- — PLAUTO. 341
His inclusas mittas oro vel tuis expensis, ut de nepote meo Ludovi-
co (Ferrari) amantissimo quicquam discam, cuius litteras iamdudum fru-
stra expecto. Confer hoc in me singulare beneficium. Vale et Vegio meo
me commenda et Catoni (Sacco) viris insignibus et optimo viro domi-
no Ioanni Alexandrino.
Ferrariae V kal. [apriles 1434].
Nullus hic prorsus librarius reperitur, quo fit ut tuis votis tardus vi-
dear.
Guarinus Veroncnsis ci. v. Catoni Sacco sai. pi. d. (i).
Habeo, ah quid dixi habeo ? habui, volui dicere, Plauti vo-
lumen, novis refertum comoediis, hoc est quas dudum sepultas revivisce-
re vidit hacc aetas. Eas a me petiit iam biennio Antonius Panormita,
ut excribi faceret. Hominem audio irrediturum abiisse, quod me cruciat
si secum irredituras detulit comoedias. Quidam autem singiilaris huma-
nitatis homo, ut fama est, Thomas (Tebaldi) cognomento Ergoteles (2)
cius rei haud ignarus esse debet. Te igitur per integritatem tuam, per
amorem, per benivolentiam mutuam obtestor oro et obsecro, ut in re-
parandis comoediis meis studium curamque tuo more adhibeas, ne simul
cum homine codicem amittam....
Kx Fcrraria XII novembris [1434].
Queste pratiche non sortirono nessun effetto. Cio-
nonostante Guarino non tralasciò di scrivere e far scri-
vere; anzi nella primavera del 1436, quando il Panor-
mita fu dal re di Napoli mandato anìbasciatore a Fi-
renze (3), gli rinnovò la domanda di restituzione per
mezzo di messaggeri. Sempre inutilmente. Allora Tan-
(1) Cod. Parig. lai. 7059 f. 44; cod. Ferrare«« 133 NA 5 f. 4.
(a) L* rt"^"'" iiitii.w. i\,-\ l'iiu.rn.if » «-.f .V ti •ilb.ri ri| u..rvi»i<. .\r\ VJ-
•conti.
(3) R. biibbiuliui in Guirn. star, UlUr, ttal, 28, 34Ì.
342 R. SABBADINI.
no seguente (1437) ricorse ai buoni uffici di Guinif or-
te Barzizza, che gli poteva giovare per le relazioni che
aveva con la corte dì Napoli. Di ciò siamo informati
dalle tre seguenti lettere:
Guarinus Veronensis Guinif orto Barzizio sai. (i)
.... Erat superiori tempore in urbe Papiae quidam nobilis vir An-
tonius Panormita . . . Is igitur a me per litteras petiit accommodandum
«ibi Plauti volumen, in quo erant comoediae omnes nuper in lucem re-
vocatae. Has ut fingebat transcribi cupiebat. Liberaliter igitur misso ad
eum volumiue, quod et triennio tenuit, postremo cum librum cura sin-
gulari quadam gratianim actione mihi referendum expectarem, is vel fu-
giens vel fugatus meum secum, me invito et reclamante, Plautum inter-
ceptiim asportavit . . . lam intelligere te puto quid ex te cupio: ut li-
brum recuperare tua opera valeam...
Ex Ferraria VII kal. octobris [1437].
Guinifortus Barzizius Guarino Veronensi rhetorl
praestantissimo ^. (2)
.... Operam enim meam apud serenissimum regem Aragonum de-
sideras.... Hoc revocandi ad nos Plauti munus quod mihi imponis ado-
riar.... Nihil ad maiestatem regiam in praesentiarum scribam, quoniam
id sine alterius dispendio ac dedecore non fieret. Agam autem litteris
apud clarissimum utriusque iuris consultum lacobum Peregri regium
senatorem ac vicecancellarium....
Ex Mediolano nonis octobris MCCCCXXXVII.
(i) Cod. Ambros. O 159 sup. f. 37.
(2) Cod. Ambros. O 159 sup. f. 37 v. 33r.
PLAUTO. 343
Guariniis Verattensis Guiniforto Barzlzio sai. (i)
.... Ad interceptum mihi Plautum venio, quanquam magis eum ad
me venire decuit: tot per annos eum ab iniquo possessore per meas per
amicorum litteras repetere non destiti; nec defuere nuntii coram postu-
lantes, eum posteriori tempore (1436) Florentiam ab serenissimo rege
missus est, quo tempore et librum referre potuit, nisi suum potius quam
nostrum et dici et esse maluisset... Supra quinquennium codicem usur-
pavit bonus iste vir... Cum autem omnes spei viae destituissent (2), una
reliqua offerebatur, ut ad regem ipsum inclytum scriberem. Quod ut fa-
cerem tardius causa fuit, quia cursus meis ad eius maiestatem litteris non
apparebat; simul quia primos ad eum aditus ab onere potius quam ab
iocunditate auspicari subverebar....
Ex Ferraria V kal. novembris [1437].
Ma nemmeno le premure di Guiniforte approdarono
a nulla: tanto che Guarino colta la prima favorevole
occasione si rivolse direttamente al re Alfonso.
Guarinus Veronensis sai. pi. d. serenissimo Alphofiso
regi Aragonum (3)
... Ilaec autcm cum prò mca humilitatc tuac maicstati libens of-
frram, peto ab» tua scrcnitatc non prò mea quidcm causa, sed prò tua
professione raercctlcm, non arma, non equos, non vasa pretiosa, sed u-
nius Itberationem captivi, qui oliiQ cz mea familia, cum sit ingentu sin-
gulari, doctrina cximia, Kcriptis eloquentissimis honorandus, indignus est
qui scr\'ìat et priori invitu» privctur domino. \f, est l'Iautus latinac lin-
guac decuf, quetn cum v. ci. Antonio Panormitac rogatus anno iam le-
(\) 0)d. Ambro*. O i , .. ,_
' 2) dettiduent cod.
(3) Cod. Monac. lat. 78 f. 84; cod. guerin. di Brcfcia C VH 8 L 57.
344 R* SABBADINI.
ptimo commodassem, ille meum centra fas fidemque poetam usurpit et
poscentem me ludificatur. Sit ergo huius epistolae qualiscunque illud
mihi a serenitate tua pretiiim, si meas de te laudes non abhorreas, ut
tuo iussu Plautus meus tam longam servitutem serviens ad me ex tam
diuturno remeet tandem postliminio, ut regiae maiestatis opera tuus vo-
cari libertus mereatur....
E Ferraria kalendis octobribus 1442.
Una seconda volta fece premura al re Alfonso nel-
roccasione che andava a Napoli il conte Giovanni
Campinassi.
Guarinus Verotiensis sereniss. regi Aragonmn sai. pi. d.{\)
.... Reliquum erat ut, ad studiorum meorum quantulacunque sint
opera et solatium, tuam invocem vai humanitatem vai saveritatem. At
enim quid sit, planius et opportunius coram explicabit magnificus Cam-
pinassi Comes Johannes, quo legato et patrono apud te utuntur Plauti-
nae musae; ut illae tuo patrocinio postliminii iura consequantur.
Veduto che nemmeno la seconda pratica presso il
re sorti 1' effetto desiderato, Guarino smise il broncio
col Panormita e scrisse a lui questa bellissima lettera
tra il burbero e l'affettuoso. L'amicizia dei due umani-
sti era stata delle più sincere ed entusiastiche e non
doveva essere a lungo pregiudicata da questo inci-
dente.
(i) Cod. Berlin, lat. 4«. 226 f. 29; cod. di Wolfenbiittel Aug. 2^ 83.
25 f- 92.
5. — PLAUTO. 345
Sapienti et eruditissimo viro d. Antanio Panormitae
amico praecipuo Guarinus Veronensis sai. pi. d. {i)
Etsi parum apud te meas in re mea preces et amorem pristinam va-
luisse sim eipertus, tanien in aliena novas adhibere preces constitui idque
facio vel eo Consilio, ut tuo prospiciam honori. Nam si roganti amico
defuero, vereor ne fama vulgetur te mei odium cepisse, qui tibi fui
quondam carissimus. Id vero quantum ad vitae constantiam hominisque
gravitatem pertineat quis non videt ? Rem itaque Federici Veronensis
conterranei mei tibi intime commendo sic ut testis sit tuae de me vo-
luntatis non mutatae. Cui si operam tuam ac diligens studium adhibue-
ris, ut prius amicis solebas, laetabor mihi tibique congratulabor; sin ne-
glexeris contra ingenium tuum liberalitatemque naturae, non falso pu-
tasse me testimonium facies.
Hac in re si amico meo studioque meo morem gesseris, audebo et
me tibi commendare, ut Plautum postliminio tam longo redire suos ad
penates iubeas, ne illum, qui amico quondam animo commodatus erat,
inimica usurpes ininrìa, et quae amicorum communia esse debent, pro-
pria subreptaquc fiant. Si eum remittere tandem statueris, isti Federico
credere poteris, qui salvum ad me mittet aut rcportabit. Id facias oro
et Guarinum tibi qui olim fuit eundem velis et in posterum fieri, quod
utrique honorem pariet. Vale et quam tibi cams sim et libro remitten-
do et amico bene tractando demonstres oro.
E Ferraria VTII dccembris 1442.
Finalrp'*'"' 'lei 1445 ritornò a Forrara 1' apo^Tafo
plautiiK;.
( I) ( u,\. v.iUc. 3J72 I. i.
346 R. SABBADINI.
Eruditissimo et ingenii florentis vati ci. Antonio
PanormitcB amico intimo Guarinus Veronensis sai. pi. d.{\)
Vix explicare calamo possem quam laetus extiterit Augustini viri sa-
ne primarii reditus, cum aliis de causis, tum quia salutis tuae ac fortu-
nae optatum attulerit nuntium...
Accedit quod, ut tua, prò amicitiae nostrae iure, communia esse de-
clares, Plautum eidem ad me deferendum dederis, in quo autem perle-
gendo sic nostram recreo et instauro memoriam, ut non sine te ipsius
poetae lectio suscipi possit. Ut etiam cetera inter nos participentur, tuum
erit, siquid habes ex bisce studiis aut eximium natum vel resurgeiis quod
ad tuas pervenerit manus, me quoque voces in partem, vel prisco te
invitante proverbio tà tcov qjiÀcov xoivd. Musae nanque, ut scis, ho-
spitales sunt et munificae. Vale et ut soles me ama.
Ex Ferrarla nonis maiis [1445].
Quando il Panormita nel principio del 1434 lasciò
Pavia, andò direttamente a Palermo presso il re Al-
fonso; e di là con lui si trasferi sul continente senza
avere il tempo di prender seco i suoi libri. Cosi T a-
po^rafo guariniano di Plauto restò a Palermo, dove
al Beccadelli non si presentò occasione di ritornare
che molti anni dopo, vale a dire nella seconda metà
del 1444. Infatti in una lettera (2), che è posteriore
all'aprile del 1444 (3), egli scrive: profectio mea Pa-
normum adhuc suspenditur. Ma poco dipoi s' accin-
geva alla partenza: Ego in praesentia Caietae ago,
brevi fortassis bona cum regis venia Panormium pe-
(i) Cod. Vatic. 3372 f. I.
(2) Camp. 30.
(3) R. Sabbadini, Biografia di G. Aurispa 92; cfr. 85.
5. — PLAUTO. 347
titurus statimque rediturus (i). E la gita si potè final-
mente effettuare (2).
Reduce da Palermo, consegnò il Plauto ad Ag*o-
stino Villa, che al principio di maggio del 1445, come
s* é veduto, lo recapitò a Guarino.
***
Compiuta l'esposizione delle peripezie corse dal co-
dice guariniano, esaminiamo una lettera del Panormita
che vi si riferisce:
Antonius Panormita lohanni Feruffino
iuriscansulto sai. pi. d. (3).
Is (Ludovicus Ferrarius) causa est omnis contractiunculae
Goarìni viri constantissimi centra me. Cum enim sua omnis culpa et
levitas sit, in me reiecit crimen Ludovicus; siquidem abeunti mihi atque
addubitanti mecum deferre Guarini codicem, suasit iussit perpulit voluit
ut deferrem illum, omnino recipiens in se Guarini avunculi onus; iramo
contradicenti mihi respondit: si moleste tandem id laturus est Guarinus,
quod nequaquam putes, bisce meis digitis exscribam illi longe pulchrio-
rcm Plautum ac pretiosiorem. Adsensi tandem, ut de Ludovico ntique
^<*nrmeritus... Me Genuam usque Ludovicus comitatus est. Me vero a-
cuntc et ab oculis cius semoto, vide obsecro quid fecerit autquid potius
ir>n fecerit^ non me modo non excusavit sed incusavit, nec se id fecisse
sc<l me criminatus est; in me traiistulit culpam, in me poenam, hoc est
Guarini indi^^nationem, omnia mihi promissa mentitus. Ego vero id fore
prospicicns, ut primnm licuit librtim transcribi curavi, suum Guarino se-
poncn», quem cum ìnvcnissem qui deferre non gravaretur, domino rcstituc-
rcm. ("um vero Florcntiam me contuli regi» Ic^ntus, ideo lilirum ipse mc-
(1) Beccatelli Epùt. Camp. 21.
(a) Camp. 38. Anche V. Laurenza, // Panormita a Nopciit Napoli
1913 p. 13, colloca quest'andata a Palermo nella gcconda metà del 1444.
(3) Gali. IV, 5, VcnctJii 1553 f. 73; collawonnU col cod. Vatic. 3371
'. 1 1 IV, aatografo.
348 R. SABBADINI.
cum non attuli, quod Panormi liber erat, non Caietae, unde (i) subito pro-
ficisci mihi fuit necesse principis mei iussu. Iniustam ubi primum libri
huius querimoniam accepi, statìm per epistolam Guarino me excusavi
iisdem fere verbis quibus nunc me purgo, compater, apud te. Litteras
ad Guarinum dedimus Scipioni Ferrariensi utriusque nostrum amantis-
simo, nunc ut audio pontifici Mutinensi (2). Is reddiderit necne mihi
satis incertum est; nam Guarinus super hac re nunquam mihi aut scripsit
aliquid nec respondit, subiratus, ut arbitror. Sed quid ultra immoror ?
Consignavimus librum Hieronymo Senensi Philippi ducis nuntio ad Al-
phonsum tibi, ut admones, deferendum, quo Guarino tutius certiusque
reddatur. Interim Guarinum virum humanissimum mihi reconciliabis, quern
nisi plus quam oculos meos amo, dii mihi oculos exturbent. Uxor mea
Philippa commater tua pulchre valet, gravida iam septem mensibus. Cum
pariet quidve pariet, statim tibi et Ergeteli significabitur.... [Napoli 1443].
La lettera, per quel che si riferisce a Guarino, è un
tessuto di menzogne. Essa è inserita tra le Epist. Gali.
che vanno fino ai primi dell'anno 1434, mentre appar-
tiene alle Campanae: nel qual proposito basterà ricor-
dare che il viagg-io diplomatico del Panormita a Firenze
ebbe luogo nella primavera del 1436 e che il 30 ottobre
di quell'anno medesimo fu creato vescovo di Modena
Scipione Mainenti. Ma l'anno della lettera è il 1443,
poiché appunto nel 1443 di febbraio fu mandato dal
Visconti ambasciatore a Napoli Girolamo da Siena (3).
La stessa data si dimostra per altra via. Il Panor-
mita parla del prossimo parto della moghe Filippa,
incinta di sette mesi. Il parto non può essere avvenuto
che nel corso dell'anno 1443 e più precisamente entro
la prima metà; e deve aver cagionato la morte di Fi-
(i) S' intende da Palermo.
{2) Scipione de' Mainenti fu fatto vescovo di Modena il 30 ottobre 1436.
(3) Osio, Documenti diplomatici III, 282.
5- — PLAUTO. 349
lippa, se consideriamo che il Panormita verso la metà
dell' anno seguente parlava di ripigliar moglie. Infatti
egli scrive all'Aurispa: Binis tuis nunc litteris respon-
deo, breviter quidem et tumultuarie ut qui rebus pu-
blicis, hoc est regiis, rebusque privatis, hoc est uxo-
ri i s obstrictus; e l'Aurispa al re Alfonso, scherzando
sulle pratiche per il nuovo matrimonio: Vale tu felici-
ter et d. Antonium Panormitam suavem poetam com-
mendatum habe et sibi aut fingenti uxorem velie
aut insani enti subveni. Le due lettere cadono nell'an-
no 1444, certamente dopo l'aprile (i). Queste trattative
del Panormita condussero al suo matrimonio con Laura
Arcellio, celebrato approssimativamente nella seconda
metà del 1446 (sopra p. 200). Ora è chiaro che tali ne-
goziazioni presuppongono la morte della precedente
moglie Filippa al più tardi nell'anno 1443 (2).
Dimostrato che la lettera va assegnata al 1443, è
una sfacciata menzogna che in quell' anno il Panor-
mita abbia mandato a Guarino il codice, che stava
ancora a Palermo. E menzogna è parimente che U
(1) R. Sabbadini, Biogrnjia di G. Aurispa 92; 95.
(2) Filippa partorì una bambina a cui venne posto nome Agata. E
10 deduco da questo bigliettino del Panormita {Camp. 39); Antonius l^a-
normita Alphonso regi s. p. d. Quoniam brevi e Ncapoli rcccssurus ett
oro atque obsecro memineris polliciti tui in nuptias Agnthcs filiolae meae.
11 re Alfonso mori il 27 giugno 1458. Allora Agata doveva avere un'età
da marito, una quindicina d'anni, a dir poco. La prima figlia del Pa-
normita natagli da Laura Arcellio venne alla luce nel corso del 1447
e non poteva nel 1458 essere in età da manto. Del resto non si chia-
mava Agata, ma Caterina Pantia e si maritò nel 146$ (R. Sabbadini
op» cit. 103). Come apprendiamo da V. Laurensa, Agata
spotò Paolo de Galluccio.
350 R. SABBADINI.
codice sia stato consegnato per il recapito all' amba-
sciatore Visconteo Girolamo da Siena, dovechè Gua-
rino attesta che gli fu consegnato dall' ambasciatore
Estense Agostino Villa.
Si capisce che il Panormita s' accorse di aver ope-
rato villanamente portandosi seco da Pavia il codice
e per diminuire la gravità della colpa, architettò quella
lettera, seppure non preferiamo pensare l'abbia alterata
quando la inserì nella collezione dell'epistolario.
Un apografo del codice Orsiniano. (*)
Il Plauto del cod. Vatic. Barber. lat. 146, membr.,
è del sec. XV, ma di una scrittura così bizzarra, che
dal catalogo antico fu attribuito al sec. XII. La nu-
merazione, fatta dallo stesso copista, comincia col f. 107,
il che significa che qui abbiamo il secondo di due vo-
lumi, i quali contenevano le ultime dodici commedie,
sei per ciascuno, venute alla luce per mezzo del cod.
Orsiniano. Al f . 1 95 leggiamo la nota di possesso, au-
tografa del Pontano:
« Nicolaus Maria Buzutus insignis eques Neapolitanus hoc volumen
dono dedit Io via no Pontano Umbro, cum ad eum divertisset evitandae
pestis gratia anno domini MCCCCLVIII. HI die iunii ».
Nell'esemplare da cui deriva il nostro Barberin. era
avvenuta una trasposizione di quinterni, per cui una
parte del Truc. si mischiò al testo del Trin. Il copista
(*) Comparve la prima volta in Rivista di filologia XXXIX, 191
146-47.
5. — PLAUTO. 351
non se n'accorse mentre trascriveva; ma nel confron-
tare poi il suo apografo col codice della biblioteca
regia di Napoli vide la discrepanza; allora al f. 176V,
dove appunto comincia l'intrusione del Truc, nel Trin.y
egli segnò sul margine estemo a destra: hic usque ad
2*" paginam aliter quam in codice regio; analoga os-
servazione ripetè al f. 183: huc usque ad sequentem se-
nam longe diversus ab altero codice scilicet regio. Ed e-
rano naturali quell'a///^ e quel longe diversus: il co-
pista trovava nel codex regius il Trin,, mentre nel suo
aveva dinanzi il Truc. Più tardi capi la natura e la
causa delle discrepanze, e conseguentemente sul mar-
gine interno del f. 176V, di fronte alla nota preceden-
te, segnò quest'altra: require in sequenti comedia hinc
ad g paginam versus post illum versum: hec perire
s o 1 e t [Truc. 300) et in fine: Ub i perdiderunt
[Truc, 301); e al f. 188 avverti: huc usque durai err or,
ante revertere ad primam paginam anterioris quinterni.
Di questo codice si occupò G. Suster (i), ma tenne
conto di una sola delle quattro note marginali, quella
al f. 183, trascurando le tre rimanenti, donde lo stra-
no errore in cui egli incorse. Sanno i filologi che del-
le commedie di Plauto fu allestita una recensione ita-
liana, audacemente interpolata, e accolta p. es. nel cod.
Vindobon. e nel IJpsiense. Molto e variamente si di-
scusse sulla città in cui questa redazione venne pre-
parata: Firenze, Roma o Napoli, e sull'umanista che
la esegui, il Pontano, il Panormita, il Valla o Poggio.
(1) PkilotogUt, 1889, 441 M.
352 R. SABBADINI.
Il Suster ripropone Napoli e il Panormita. La redazio-
ne del cod. Barber. è mista, poiché ad es. il Truc.
deriva dal cod. Orsiniano, dovechè il Poen. risale alla
recensione italiana. Questo assodò il Suster confron-
tando il Truc. con l'Orsiniano e il Poen. col Lipsiense.
E fin qui tutto procede bene; il male comincia dal ra-
gionamento della conclusione. Ecco com' egli argo-
menta: il cod. Barber. nel Truc. è uguale all'Orsiniano
e diverso dal codex regius\ nel Poen. è diverso dal
Truc. ed eguale al Lipsiense; dunque il cod. regius
deriva dalla stessa fonte del Lips., ossia dalla recen-
sione italiana. Lo strano ragionamento, giova ripeter-
lo, muove dalla falsa interpretazione di una delle quat-
tro note marginali succitate.
A che redazione appartenesse il cod. regius, si po-
trà conoscere solo quando esso tomi alla luce. In ogni
e aso il Panormita non fu l'autore della recensione ita-
liana per due buone ragioni: l'una che non era uomo
capace di affrontare la recensione di un testo qualsiasi
e tanto meno di un testo cosi lungo e difficile come
quello di Plauto. L'altra ragione si fonda sulla crono-
logia. Come abbiamo veduto nella storia dell'apografo
guariniano, il Panormita dal 1434 al 1444 lo lasciò a
Palermo e nel 1445 lo rimandò a Ferrara. Ora la re-
censione italiana di Plauto comparisce già nel cod.
Vindobon. dell'anno 1443. Forse potrebbe venire a
qualche buona conclusione chi esaminasse l'esemplare
di Poggio nel codice Vaticano 1629, che comprende
le prime otto commedie e le dodici orsiniane.
VI.
PLINIO
tu lAiBADon, TtJ/$ iaiémé.
Le Epistulae di Plinio.
Le Epistole di Plinio (*) ci sono state tramandate
da tre famiglie di codici: una comprende i libri I-V 6,
cento lettere in tutto; un' altra abbraccia nove libri e
una terza otto, omettendo il libro Vili e collocando
al suo posto il IX. Qui ci occupiamo della famiglia
degli otto libri.
L'archetipo di questa famiglia, ora perduto, era ri-
coverato nella biblioteca Capitolare di Verona. JJi lo
adoperò nel secolo X il vescovo veronese Raterio
(890-974). Là lo studiarono due veronesi del secolo
XIV, l'autore dei Flores moralium auctoritatum^ compi-
lati l'anno 1329 (cod. Capitol. CLXVIII), e il mansio-
nario Giovanni de Matociis (m. 1337), l'autore della
Brrvis adnotatio de duoòus Pliniis. L' Adnotatio^ dove
si distinguono, forse per la prima volta nel medio evo,
i due Plini, ma s' insinua un nuovo errore, che fossero
veronesi, fu probabilmente scritta dal mansionario sul-
(^) Qnctto I è DttOTO.
35^ R. SABBADINl.
l'archetipo Capitolare stesso e di là si divulgò per via
di copie: se pure non preferiamo credere che l'abbia
divulgata egli stesso in forma di opuscolo.
Tutto ciò è dimostrato da K. Lohmeyer (i) e da
E. Truesdell Merrill (2). Quest' ultimo inoltre pubblicò
un' edizione critica delV Adnotatio (3).
Dopo che il codice veronese fu studiato dal florile-
gista e dal mansionario non se ne hanno più tracce
per il resto del secolo XIV e nei primi del XV. Nulla
vieta di pensare che esso sia ritornato nella sua sede
antica alla biblioteca Capitolare. Ma nel 141 9 uscì di
nuovo alla luce, non sappiamo per opera di chi: certo
con la partecipazione di Guarino.
Da Venezia Guarino era andato sulla fine del 141 8
a Verona, dove il 27 dicembre celebrò le nozze con
(1) In Rhein. Museum 58, 1903, 467-71.
(2) In Classical Philology, V, 19 io, 175-88.
(3) Ne fu contemporaneamente pubblicata un' edizione critica anche
da C. Cipolla in Miscellanea CeriavU Milano 19 io, 758-64. Il Merrill
cerca di stabilire la data àé\V Adnotatio (p. 178-81). Comunemente la
si colloca dopo 1' Historia imperialis dello stesso mansionario, finita di
comporre nel 1320: e la ragione è questa, che xìéX' Acino tatio distingue
i due Plini, dovechè nell' Historia sono ancora confusi in una persona
sola. Forse spande luce sulla questione il codice Vatic. 19 17, membr.
sec. XIV, che comprende Valerio Massimo e lo ps. Plinio De viris ili.
Alla fine di Valerio Mass. il copista sottoscrive (f. 90V): Scriptum quoque
fuit volumen hoc verone per me lohannem anno domini M.CCC.XXVJII.
H titolo dello ps. Plinio (f. 91): Gay Plinii Secundi oratoris veronensis
liber de illustrium incipit feliciter corrisponde a quello che leggiamo
neWAdnotatio, la quale perciò si potrebbe supporre fosse nota al copi-
sta: e l'etnico veronensis confermerebbe la nostra ipotesi. Così 1' Adno-
tatio si collocherebbe dopo il 1320 e prima del 1328.
6. — PLINIO. 357
Taddea Zendrata. Lasciata la novella sposa a Verona
e ritornato a Venezia a sistemarvi le proprie faccende,
nell'aprile del 1419 ricomparisce a Verona, donde non
si moverà più fino al 1429. Aprì subito una scuola
privata; ma le lezioni vennero bruscamente interrotte
dallo scoppio della pestilenza, per cui Guarino riparò
nella sua villa di Valpolicella, dove già si trovava nel
luglio dell'anno medesimo (14 19) (i).
A questo tempo appartiene V importantissima sua
lettera, con la quale annunzia la scoperta del codice
di Plinio. La collochiamo tra l'aprile e il maggio, per
esservi accennate le nozze recentissime: in ogni caso
prima del luglio, perchè egW non s'è ancora rifugiato
in villa.
Guarinus Veronensis suo Hieronymo (Gualdo)
saL pi. ci. (*)
hi ;..i...... ...; .^i.bciidun» »uiu, iiuUaiu in me culpani reicies scio, prò
tua mansuetudine et singulari in me cantate; nec dices: ' Guarinus adeo
in re uxoria hoc tempore involutus est ut littcrarum curam seponat '.
Et profecto mi Hieronymo non ita tibiarum nuptialium cantibus aures
atque animum adhibui, ut non maioris vel minimam litterarum tuarum
nyllabam, quam nuptias totas immo univcrsas faciam....
Ntidius tertius quidam mihi comraonstrati sunt mirae vctustatis codi-
. «acri ferme omnca. Unum inter eoi nactus sum, quo dclectabcris
au<licndo, quemadmodum et ego ipse spectando. Epistulae sunt Plinii
singulari vcncratione; littcrarum facies perpulchra et inter annorum ruga»
splendide vigens et ttt diceret Virg«l«us * cruda dco viridisque senectu» '
Sabba<iini, Im sciui 'fino ao-ai.
V*> Comparve la prima volta iu Mmco u'i iinltchétà class. II, 1887,
4^2-1. f>)d. Vindobon. 3^30 f. UQi <"'»<1. Arundel 70 f. io4T.
358 R. SABBADINI.
(Aen. VI 303). Voluminis forma in angustum [magis] (i) quam lata, ut
eius in paginis ternae tendantxir columnae (2), quasi rectissimi arvorum
sulci. In octo divisus est libros et epistulas circiter CCXX. Nulli deest
titulus; aliquot transcurri: emendatissimae nnihi visae sunt et, quod non
laetitiae solum sed etiam admirationi fuit, in tanta vetustate et aetate
iam decrepita nusquam delirare videntur. Tuas cum ventura navi in dies
expecto, quas ad illarum exemplar emendare constitui, ut me adiutore
ita castigatae redeant, ut neminem fallere, nusquam mentiri discant...
[Verona aprile-maggio 1419].
Cerchiamo una conferma della data. Guarino cono-
sceva senza dubbio precedentemente la silloge pliniana
delle 100 lettere; ma il nuovo trovamento gli porse
occasione di rileggere il testo, del quale infatti incon-
triamo molteplici tracce in una lettera ^:ì: Castro rupto
Vallis Policellae XVII kal. sext, [141 9]. Ecco i raf-
fronti (*):
Plinio V 6. Guarino (cod. Est. 57 f. 180 ecc.)
§ 3. Accipe temperiem caeli re- Erit et vobis cognitu et mihi nar-
gionis situm villae amoenitatem , ratu non iniocundum, si quae sit
quae et tibi auditu et mihi relatu caeli temperies regionis situs et vil-
iucunda erunt. lae amoenitas scripto meo intellex-
eritis.
(i) magis omm. codd.
(2) Secondo L. Traube, Palaeogr, Forsch. IV (in Abhandl. der hist.
Kl. d. k. Bayer. Akad. d. Wiss. XXIV, p. 28-29), i rarissimi codici
classici scritti a tre colonne sono da assegnare o ad alta antichità o a
origine provinciale (p. e. spagnola).
(*) Comparve la prima volta in Museo di antichità class. Ili, 1889,
355-6.
6.
PLINIO.
359
§ 5. Aestatis mira clementia; sem- Tanta aestivi temporis clementi»
per aer spirita aliquo movetur, fra- est..., aerem nunquam stare ac suavi
quentius tamen auras quara ventos semper prò votis spiri tu moveri
habet. sentias; raro ventos habet... saepitu
autem auras.
§ 6. Hinc senes multi; videas avos Grandes itaque natu plurimos hic
proavosque iam iuvenum, audias fa- cernere licet, avos ac proavos..; sunt
bulas veteres sermonesque maiorum; qui ita memoriter quae iuvenes ipsi
cumque veneris ilio, putes alio te viderint audierintque recenseant....;
saeculo natura. quae cum attentissimus accipio, alio
quodam saeculo mihi natus videor.
§ 7. Regionis forma pulcherrima; Quid regio ipsa ? quam pulchra
imaginarc amphitheatrnm aliquod forma! apricae valles... cinctae mon-
immensum lata et diffusa plani- tibus..., colles quasi theatrum cir-
ties montibus cingi tur. cumstant: lata quaedam a fronte et
diffusa planities.
§ 8. has inter pingues terrenique ii quidem pingues nec saxei sed
colles (neque enim facile usquam terreni cum planissimis arvis ita de
sazum etiam si quaeratur occurrit) fertilitate certant...
planissimis campis fertilitate non
ccdunt.
§ 11-13. Prata florida et gemmea
trìfolium aliasque berb:u> tcneras
scraper et mollcs et quasi novax a-
lunt, cuncta cnim pcrcnnibus rivi»
nutriuntur; ned ubi aquac plurìmum
I iliis nulla, quia devexa terra quic-
,11 i liquorì» ncccpit nec absorbuit
rffundit in Til)erìm. Modion ilio a-
grot »ccat navium paticnx oranciiquc
f ruget dcvehit in urbcra, hicmc dura-
tnxAt et vere; aeNtatc wammittitur
immen*ique flamini» nomeo
Oliveta undique, arbusto
surgunt nec vivax pratomm deest
virìditas, quae florcs trifoliura ser-
pyllum ceterasque herbas teneras
et pubente« pariunt et nutriont; eai
nanquc perenne» alunt rivi, ibi enim
aquarum Hatis, fonte* plurimi, \MÌUh
nulla; quia quicquid liquorti devexa
tellua excipit, nutquain per inomn
■edere patitur: aut enim ad alendm
quae creavit abeorbet aut quaai tri-
butaria tranifnndit io Atbaaim, qui
360 R. SABBADINl.
alveo deserit, autumno resiimit. Veronensem agrum secat, non rae-
diocrium navium.... patiens; nec...
magni nomen fluminis amittit nec
aestate aquae altitudine desti-
tuì tur....
§ 14. Villa in colle imo sita prò- Ea villa est molli fundata clivo,
spicit quasi ex summo: ita leniter et ita sensim sine sensu crescente, ut
sensim clivo fallente consurgit, ut non ante te ascendere intelligas,
cum ascendere te non putes sentias quam ascendisse te videas.
ascendisse.
§ 41. Ncque enim verebar ne Quae si legentibus ullum laborem
laboriosum esset legenti tibi quod afferent, deposita interdum epistula
visenti non fuisset, praesertim cum oculos a lectione et animum ad re-
interquiescere, si liberet, deposita- rum lectarum cogitationem advocare
que epistula quasi residere^saepius poteritis sicque interquiescere et
posses. quasi residere licebit.
Se il Plinio e i mirae vetustatis codices, sacri ferme
omneSy furono mostrati a Guarino, come non è a du-
bitare, nella biblioteca del Capitolo, perchè mai non
lo colpirono altri volumi mirae vetustatis, quali Ausonio,
Catullo, Cicer. ad Att. ? Il suo silenzio significa che
purtroppo quei preziosi cimeli erano già stati trafugati .
Seguono ora alcuni passi delle lettere di Guarino,
nei quali si parla del nuovo Plinio (*).
Guarino trasse dall'antico archetipo una copia per
il Gualdo. Cosi infatti gli scrive:
Epistulas Plinii non emendavi, difficile enim fuit illud exem-
plar extorquere.
....Illud antiquum Plinii volumen transcribitur.
Ex Verona V kal. ianuar. 1420 (= 28 die. 14 19) (i).
{*) Comparve la prima volta in Museo di ant. class. II, 1887, 433-36.
(I) Cod. Ambros. F. S. V. 21 f. 6.
6. — PLINIO. 361
Più tardi ebbe di ritorno dal Gualdo un Plinio; for-
se fu la copia eh' egli fece trarre dall' archetipo.
.... Venit in terapus Plinins noster, quem benignissirae excepi, vel
quia tuus hospes fuit.
[Verona 1422] (i).
Dopo questo tempo il Plinio gnariniano usci da Ve-
rona, non si sa dove. Nel principio del 1424 infatti lo
faceva rintracciare dal Biondo a Venezia; al quale
cosi scrive:
Nunc tempus est ut Plinium nostrum venari inceptes, ut
te duce eum faciam in patriam reducere.
Veronae XV kal. febr. [1424] (2).
Nel principio dell'anno seguente esso era in mano
del Biondo, il quale se ne traeva una copia. Guarino
lo sollecita che glielo rimandi, perché doveva farlo
trascrivere per il Capra, arcivescovo di Milano:
Opus habeo ut transcribi faciam Epistulas Plinii
amici causa, magni hominis et viri singularis, idest archiepiscopi Me-
diulani. Cura igitur ut vel tuas vel meas buie ad me nuntio dea. Tran-
scriptac remittentur e vestigio; et si cunctas nondum absolutas habes,
mittes qnas transcripsisti; rcliquum absolves interim.
! \ Verona XI ianuarii [1435I (3).
Indi Guarino torna a sollecitcìre il Biondo per mezzo
di Francesco Barbaro, a cui scrive:
t) Cod. Vindobon. 3330 f. 150.
2) PiiM>lic;ita da R. S,.!>1..i.|iiii in (ieigcr's ì'ierul/nhrsschri/t /Ur
Kul Kenaùsana-
<3; Ib. p. 510.
363 R. SABBADINI.
.... Quid de Plinio (factum sit) fj8éco? àxoi5aaip,i an omnino
ixTcavew spes debeam.
Ex Verona Vim raartii [1425] (i).
Nel luglio il Biondo gliene aveva mandati alcuni
quinterni; Guarino gli risponde:
.... Aliquos accepi a te quinterniones Epistularum Plinii,
de quibus quid fieri velis audio.... Redeo ad E p i s t u 1 a s . Scis ar-
chiepiscopus (Mediolani) ipsus quam in omni re magnificus sit et inpri-
mis in libris comparandis. Cupit igitur Epistulas ipsas quam ornatissime
scriptas et cum ipsius dignitati tum ipsi auctori peridoneas. Vale et cum
ipsas absolveris, meum fac ut habeam exemplum, licet remissurus sim;
tamen iam tardum esset, quoniam initio tuae sunt inemendatiores, quas
iam librarius absoluturus est. Itaque quas mitti volebam, mitti nolo; eas
retine sed cura ut charta illa suo reddatur loco, quam mihi solutam va-
gamque commonstrasti.
[Verona luglio 1425] (2).
Nel 1427 la copia di Guarino stava nelle mani di
uno, da cui era difficile ottenerne la restituzione. Ne
parla cosi in una lettera al Gualdo:
De Plinio certe liberalis factus sum invitus ne, ut in
proverbio Graecorum est, « leonem tonderem >. Nam cum et benigni-
tate sermonis et omni humanitatis genere demollitus homo facile insur-
gat in iram, nolui meo crimine hominem illum irritare, sed paulo post
temptabo si Plinii reditum in patriam ab eo impetrare fas mihi fuerit.
Novo quodam utendum est aucupio cum bisce hominibus, qui se pri-
mos omnium dici volunt ncque sunt, ut si non amicos, at saltem non
inimicos eos habeamus. Quicquid autem sit, te ab eius restitutione li-
berum facio et indemnem reddo, etiamsi perire opus sit vel ab natali
(i) Cod. Capitol. di Verona CCXCV f. 36.
(2) VierUljahrsschrift p. 512.
6. — PLINIO 363
solo futurus semper sit extorris. De ilio autem postliminio vendicando
cura mihi sit
Veronae VITI kal. sept. 1427 (i).
Nel corso del 1427 stava per essere ultimata la co-
pia del Gualdo, al quale scrive:
Expectabam ut librarius absolutas redderet £ p i s t u 1 a s
tuas, quibus desunt quinterniones tres ut ad portum tandem perducat.
[Verona 1427] (2).
Nel principio dell'anno seguente restituì l'esemplare
al Biondo con questa lettera:
Epistulas diu recepisses, si tuus ille furcifer insalutato
minime discessisset. At vero posteaquara viam edocuisti, illas ad caris-
simam utrique nostrum Nicolaum (Abbatiensem) (3) dimittam. Huic au-
tem tabellario eas credere non sum ausus; ita enim tutus et securus
viator ingreditur iter, ut * coram latrone cantaturus ' potius quam sup-
plicaturus sit: adeo pannis vacuus rebusque visus est. NoUem ut si eum
imber adoriretur, P 1 i n i u s daret suae paupertatis poenas.
Ex Verona XVIU feb. 1428 (4).
Verso la metà dello stesso anno 1428 raccomandava
al Lamola, che era in Lombardia, di cercar colà qual-
che codice delle lettere di Plinio.
Noli delatigari, Lamola mi optime, in pcrquirendis doctis
viri» idcst antiquis codicibus, quorum ista referta esse debet Liguria;
cunctas recensc bibliothecas et sepultos in pulvere ac sordibus ad luccm
munditiasqne revoca et cxsuKcitn. Kpistulas Plinii vctustas rc-
perìrì posse auguror.
(Verona metà del 1438J (5).
(1) Cod. Arundel 70 f. 15».
'2) Cod. Vindobon. 3330 f. 151.
\) A Ferrara, dove allora si trovava il Biondo.
(4) ViertilJaMrssehri/t p. 5 16.
364 ìl* sabbadini.
Nel 1429 si occupava di far trarre copia del suo
Plinio per il Madio. Su questo proposito scrisse due
volte a Battista Zendrata.
.... Paulo de Pretto scribo super E p i s t u 1 i s illis, quem roga
per te ut mihi velit inservire in absolvendis illis, quibus pars minima
restat; non ero ingratus.
Ex Argenta XEE iulii 1429 (i).
Ad rem d. Madii venio Dolco Bartholomaeum illum Flo-
rentinum non inservisse d. Madio, ut debebat et obligatus est; nec mea
unquam defuit diligentia instantia et urgentes preces. Testor deum et
angelos sanctos eius, me nullum iniunxisse illi opus transcribendum prò
me, ut opus d. Madii absolveret; fuisse autem dorai meae sumptibus
meis sine uUo mihi collato fructu menses sex totos. Unde et mihi plu-
rimos debet ducatos; totum autem patienter tolerabam, ut illas perficeret
Ep i s t u 1 as .
Ex S. Biasio XXn octob. [1429] (2).
Più tardi chiede con due lettere a Filippo Regino
il proprio Plinio di ritorno, il quale stava in mano di
Antonio da Brescia.
.... Tu curabis Epistulas ilìas Antonianas mittere ut eas ha-
beam, ' quarum indiget usus '.
Ex Ferraria in kal. ianuar. 1429 (3).
.... Librum Epistularum petenti lacobo (Ziliolo) condona.
Ex Ferraria XXI aprilis 1430 (4).
L' ultima notizia del codice guariniano di Plinio è
(i) Cod. Ambros. C 145 inf. f. 35 iv.
(2) Cod. Vatic. Palat. 492 f. 178.
(3) Cod. Marc. lat. XIV 221 f. 83.
(4) Ib. f. 83.
6. — PLINIO. 365
del 1449, quando gli fu chiesto in prestito da Nicco-
lò V per mezzo di Poggio (i).
Il Plinio Capitolare, secondo la descrizione di Gua-
rino comprendeva epistulas circiter CCXX. E in verità
sommando le lettere dei libri I-VII. IX (Vili), tolta la
IX (Vili) 16, che manca a questa famiglia, otteniamo
il numero di 122; Guarino dunque non contò male.
Della medesima collezione parla A. Decembrio (*)
nella Politia literaria (I 4) pubblicata Tanno 1462: * Qua-
rum nuper centum et viginti quatuor cum priorìbus
inventae '. Quel cum prioribus si dovrà intendere nel
significato di praeter priores, riferendo le priores alle
100 comunemente note. Addizionando con le 100 le
124 nuove si raggiunge il totale di 224: siamo pertan-
to anche qui vicinissimo al numero effettivo di 222,
♦*♦
Il Plinio veronese era arrivato anche a Milano (**),
dove ne possedeva una copia l'arcivescovo Francesco
Pizolpasso (m. 1443), conservata ora nella biblioteca
Ambrosiana sotto la segnatura I 75 sup. (membr.). Nel
f. I è dipinto lo stemma del Pizolpasso, circondato
dalle lettere F R (anciscus). In fine: Plinii Secundi e-
pistolarum liber octavus et finis explicit. Le epistole so-
no numerate da I a CCXXXIIII; ma la I 20 è divi-
sa in due e dal n. CXL Villi si salta al CLX. Inoltre
( t ) Foggii Epist., coli. Tonclli IH p. 1 8 con In data: Romae die VH
(ice. 1449.
(*) Comparire la prima volta in Museo di antiehilh tlass. Ili, 1889, 356.
(*^ Comparve la prima volta in Ahuto di antichità tttus* HI, 1888»
79-86.
366 R. SABBADIKI.
manca la IV 26, come nella classe delle cento, e la
IX (Vili) 16, come nella classe degli otto libri: prova
manifesta che la redazione è contaminata.
Il greco fu aggiunto da una seconda mano nei libri
che derivano dalla famiglia delle 100 lettere. Cosi p.
e. in II 12, I il testo primitivo dava: ***** idest ne-
gociolum illud quod superesse; la seconda mano riem-
pi la lacuna con AnroupYtov. Una terza mano, che for-
se è tutt' una con la seconda, scrìsse più tardi in mar-
gine la traduzione dei passi greci.
Di questo codice parla Pier Candido Decembrio nel
seguente bigliettino (*):
Petrus Candidus Francisco Pizolpasso Mediolan.
pr aesuli s, [i)
Dum nihil ago utilius, perlibenter Plinii tui libros inspicerem, praevi-
surus utique an emendatìone magna indigeant, ut quid et quatenus per
me fieri possit aestimaturus. Vereor enim ne minimum ingenio meo con-
suluisse videar, si opus ut intelligo aetate nostra mendatissimum ipse
emendare coner, aut humanitati tuae nequaquam indulsisse, si diffiderim.
Vale.
Parrebbe da supporre che i passi greci siano stati
introdotti e tradotti dal Decembrio: e la supposizione
acquista conferma da quest'altra sua lettera (2):
(*) Questo § è nuovo.
(i) Cod. Riccard. 827 f. 28v.
(2) Cod. Riccard. 827 f. 24.
6. — PLINIO. 367
P. Candidus Michaeli Pizolpasso s,
l,actaDtiain tnum quem ad ine mutuin elingneinque misisti, ad te bi-
dui cura doctum oniatumque remitto, ita ut graece loqoi sciat et latine
dare intelligatur. Nihil a me praetennissum est diligentiae ut correctum
graece legas....
Ora il Lattanzio di cui qui si parla è l'Ambrosiano
A 212 inf., già posseduto dall'arcivescovo Pizolpasso.*
e su di esso si vedono le citazioni greche intercalate
e tradotte dal Decembrio. Confrontate le scritture del
greco e delle traduzioni tanto nel Lattanzio quanto
nel Plinio, si rivelano della medesima mano.
A Milano possedeva le Epistole di Plinio anche Ze-
none Amidano che ne discorre in due lettere a P. C.
Decembrio:
Zefio Amidanus Petro Candido s. {\)
Effecit diebus superioribus repentìnus abitus a Mediolano meus ut e-
pistolas Plinianas meas, quas usui nulli (nullo cod^ tibi fore propter
Rcripturae vitium dixeras, reliquerim. Quare cum istuc nunc proficiscatur
dominufi Gerardns Biragus noster, postea item ad nos rediturus, easdem
obsecro vel petenti illi tradas vel ne petenti quidem domum mittas. Fie-
ri eniin posset ut (in cod,) maioribus nonnullis distento negotiis conve-
niendi tni nec flagitandi illas potestas haudquaquam relinqueretnr. Ali-
divi enim nonnullos hic volumen illud habcre satis emendatum. Itnque
curabo, modo meas habcam, et cas corriRi, quac postcn tibi scniper in
promptu ernnt.
Saepe mihi cum Fojjgio et Aurispa viribquc his < hniMiiis (t dortis-
tfanit, quibus vel littcris vel consuetudine aliqua co^jinHis n., <lr tr ler-
mf) ty\. Ex illif iuuuB lum plurimam tibi lalutcm dicere; itaque tu et
iUorum et meo etiun nomine vale. [Firenxe 1439-41].
(I) Cod. Riocard. 827 f. 77.
368 R. SABBADINI.
Zeno Amidanus Petra Candido s. (i)
Placet mihi vehementer quod propositum mutaris statuerisque episto-
las illas Plinianas emendare. Nam etsi minime dubitem propter earum
incorrectionem provinciam hanc non mediocri tibi labori, ne dicam fa-
stidio, merito futnram, tamen cura et praedicatione tua et hortatione non
mediocriter Plinio ipsi affectus sim, quid malim potius quam epistolas
ipsas emendatas et per te praecipue etiam, cum ea secum et familiari-
tate et consuetudine devinctus sis, ut nulla coniunctiore amicitia et pro-
piore (^propriore cod^ sermone, quam Plinii utaris. Itaque non modo per
me licet tibi epistolas ipsas emendatas reddere, sed id ipsum recipienti
tibi plurimas habeo gratias ultroque ad ipsum te opus exoratum esse
velim.
Quod autem nihil tibi de Commensi (2) nostro scripserim, id ipsum
visum fuit mihi superfluum, adveniente istuc d. Gerardo Birago....
Domino autem Poggio et Aurispae commendatum te, ut iubes, feci...
[Firenze].
Le due lettere sono del tempo in cui l' Amidano
assisteva al Concilio di Firenze (1439-42). Delle Epi-
stole Pliniane avevano, egli dice, a Firenze un volumen
satis emendatum: sarà da pensare al cod. di S. Marco
284 (ora in Laurenziana), uno dei capostipiti della fa-
miglia delle 100 lettere.
Il codice di Pomponio Leto? (*)
Richiama particolarmente la nostra attenzione il co-
dice Ambrosiano H 65 sup., membr. della seconda
(i) Ib. f. 87.
(2) Francesco Bossi vescovo di Como.
(*) Questo § è nuovo.
6. — PLINIO. 369
metà del secolo XV. Proviene dal fondo di Gio. Vin-
cenzo Pinelli, che sul foglio 2v di guardia segnò il
proprio nome: /. V. P."' Appartiene esso pure alla
classe degli otto libri; alla fine: Explicit liber octavus
(IX) C. Plinii Secundi Vero7ie7isis. Quel Veronensis ci
rivela che il copista accoglieva 1' origine veronese di
Plinio, ma non senza qualche dubbio, poiché in mar-
gine al f. 58V, dirimpetto a IV 30, 3 glossò: ' Ex hoc
lacu, qui penes Comum est, alteram quam Veronam
Plinio patriam fuisse coniectandum est: nisi in altera
natum, altera donatum dicas. ' E al f. 82V, di fronte a
VI 24, 2 tminiccpsy ribadisce il dubbio: * Municipem
se appellat Comi, non Veronae '.
Questo codice fu copiato tutto da un solo amanuen-
se, molto esperto, il quale scrisse contemporaneamen-
te i luoghi greci: e di greco s' intendeva, perchè sui
margini incontriamo note di tal genere: f. iiv (I 20):
Egregia epistola xepl Ppap>.OYta(; xa\ (xaxpoXoYCag *; e
simili altre, dove son promiscuamente adoperate le due
lingue. Le chiose marginali non sono molto numerose,
ma sempre assennate e dotte; p. e. a III 1 8, dove Pli-
nio parla del Panegirico: * Extat haec gratiarum ac-
tio '; a in 7, dove si annunzia la morte di Silio, cita
il carme VII 63 di Marziale, ecc.
Il testo è contaminato della classe delle 100 lette-
re e della classe degli otto libri e mostra una singo-
lare rassomiglianza con quello della ed. pr. del 147 1;
senza però che Tuno derivi dall'altro.
Si potrebbe arrischiare una congettura sul copista e
primo possessore del codice, '^•li m irtfìni occorrono
ft. sABBADun, Ttsti latmù 14.
K. SABBAOINI.
molti segni di richiamo: più frequentemente NOTA
(scritto verticalmente), poi FNQ (= Yva)|j.Y) p. e. f. 4V,
8ov), e CH (=^ crY)|jLetù)<jai p. e. f. io, ySv, 86 ecc.). Que-
st'ultimo segno è adoperato specialmente da Pomponio
Leto. A Pomponio inoltre risale la sigla in cui un (o
s'intreccia con un p (=(J)paTov) (i). Essa si trova due
volte, al f. 55, di fronte alle parole (IV 19, 4): ' ver-
sus quidem meos cantat etc. ', e al f. ói^ di fronte
alle parole (V 5,4) ' mihi autem videtur acerba sem-
per et immatura mors etc. '. Sarebbe lecito pertanto
supporre che il codice sia stato copiato da Pomponio,
se non lasciasse gravi scrupoli la scrittura. Inoltre è
da osservare che quelle sigle greche, di origine bi-
zantina, compariscono sui margini di altri manoscritti
latini.
Per chi volesse andar più a fondo della questione,
soggiungerò due altre note marginali, che si riferisco-
no ai tempi del copista: f. 77V, di fronte a VI 13, 4
singulos enim integra re dissentire fas esse '] Sena-
torium preceptum quod nunc servat senatus Venetus;
f. 100, di fronte a VII 25, 4 * nam tantum utraque
lingua valet '] Haec laus hac aetate de Nicolao Se-
cundino dici potest. — Il Sagundino morì a Roma il
23 marzo 1463 (A. Zeno Diss. Voss. I 345). Nella nota
egli è supposto ancor vivo.
(i) Di questi segni di richiamo ha pubblicato un fac-simile V. Zabu-
ghin, Giulio Pomponio LetOt Roma 1909, I 60.
6. — PLINIO. 371
Pseudo-Plinio. (*)
Fu dal Gamurrini pubblicata nel 1883 (i) una let-
tera di un Leonardo Aretino, nella quale si parla di
venti orazioni di Plinio il giovine e di una di Sveto-
nio. All'infuori del Teuffel, (2) che crede trattarsi di un
equivoco, e dello Schanz (3), che nega ogni fede alla
notizia, non so se nessuno abbia discussa la questione;
ad ogni modo credo utile riprenderla in esame e cer-
care di risolverla, per quanto è possibile.
E a questo scopo reco quattro lettere del suddetto
Leonardo Aretino: una (III) è quella stessa pubblicata
dal Gamurrini, della quale io miglioro in alcuni punti
la lezione; le altre tre sono inedite. Tutte quattro de-
rivano dal codice Laur. Strozziano 104 f. 14-15 e ven-
gono qui riportate nel medesimo ordine del codice,
I.
Leoftardus Arretinus Laurentio salutem
auanipIurÌDiaìn dicit.
i'oiiicmm orani, mi i-aurcnti vir (.jjiinic, si alia se niihi materia scri-
ondì ingereret, saltem quod in buccam prìmum vcnirct, illud me tibi
crscribere; itidem factttrum te verbis band ambiguis confirmasti. Sed
nde, quaeso, potuit tantus error procedere, ut inter perìtos Htterarum
t certe amioos verba data sint ? Kgo quiflrm, meum fatcbor vitium,
(•) Comparve la prima volta iu Kiiuia y. .;...., i ..;..;.... 1 52.
(1) In Studi e documenti di storia e diritto^ IV p. 14 )
(2) Irtiffcl, Gtsehiehtt der rómisthtn Literatur {^ e 6* edi*.' § 340, 3,
'' \y S( h.-iiiz, C.tsch. iler r,>m. filler., 6 44C, ^* »«1. Hì\x,. J). ^i^l «.4.
^^i R. SABBADINÌ.
perseverabam nihil scribere, consciiis errati mei, nisi te sensissem in ea-
dem culpa esse.
Nunc autem libentius operam dedi, ut primus hoc silentium rumpe-
rem, quo et tibi excusatior esserti et amicitiae nostrae vel superior vel
acceptior forem. Scio tamen paratum esse tibi tuarum occupationum ma-
gnum argumentum; illud etiam fortasse dices: te meas interpellare no-
luisse (i). Sane ita sit, dum tu mihi id remittes; ncque enim sum qui
meam gravare causam [velim], (2) dum plus aequo tuam premo.
Unum deinceps inter nos conveniat: sit hoc paratum genus venìae;
ista quidem nimia facilitas nonnunquam peccare docuit; temperetur ergo
iusta severitate {3); hoc me tibi pacto astringo: si de cetero me tandiu
cessantem videris, tuo me indignum amore iudicato; scias cui me subi-
cias poenae; nullum excogitare potui maius supplicium, non etiam si
morte dignum dixissem. Tu vero quo me tibi astringis pacto ? praestat,
ut arbitror, hoc mihi existìmandum relinquere, quam nova in verba iu-
rare. Vale.
n.
Leonardus Arretinus Laurentio suo salutem
quamplurimam dicit.
Quantam ex tuis litteris perceperim voluptatem, Laurenti mi suavis-
sime, ex hoc potes intelligere, quod eas testes egregiae voluntatis (4)
tuae magna cum diligentia servo. Desino iam de te sollicitus esse. Re-
cognosco veterem Laurentium; nunc te laudo; didicisti quidem te ipsum
vincere et piane doces nullum esse dolorem tantum, cui tandem sapiens
vir non imperet. Perge quo coepisti et subinde te confirma. Subicerem
acres tibi stimulos et currentem adhortarer (5), nisi spera dedisses mihi
(i) voluìsse cod.
(2) velim om. cod.
(3) severitatem cod.
(4) voluptatis cod.
(5) abortarer cod.
6. — PUNio. 373
neminem eorum, quos modo novi, esse cui te magis creditum velitn,
quam tìbi ipsi.
Quod fratrera meum acceptum habueris, etsi hoc raihi antiquum sit,
ita tamen gratum fuit, ut nec tu nec Appius meus quicquam gratius fa-
cere potueritis. Particulam quandam scripti mei, etsi amice, non tamen
satis aeque reprendisti; quid enim quod vel trepide vel dubìe tecxmi a-
gam ? Scripsi id vereri, ne meae prò fratre meo preces apud te essent
ingratae, cum id ex vera longe amicitia sublatura esse oporteat: quis e-
nim amicum rogabit, qui se ipsura rogaturus non sit ? Ego vero semper
ita de amicitia cogitavi, [ut] (i) una et eadem prorsus anima diversa
regat corpora. Volo tamen ut eo me affectu saepe arguas; subicis qui-
dem velut quasdam amori nostro faces; nam interdum * amantium rixae *,
ut apud tuum comicum (Teren. Aìidr. IH 3, 23) saepe legis, * reinte-
grati© est amoris.' Vale.
m.
Leonardus Arretinus Laurentio suo s,
.3.n:piu> .ni le si-iibereni, Laurenti mi suavissime, nisi ea te constan-
tia praeditum esse cognoscerem, ut certe noster amor nec intermisso rc-
mitti siicntio nec litteris intendi iandudum consuevisset. Huc etiam ac-
cedit bumanitas et benivolentia tua, qua etsi multum apud omnes uta-
ris, maxime tamen in amicorum vel erroribus vel ncgligentia certare te
'!f!lcctat. Non ergo quia tuac diffidam amicitiae quicquam (2) tibi scribo
s«:fl ut meo desiderio morcm geram. Quantam enim ex tui» litteris vo-
luptatcm capcrem, tantam ex mcis te coniecto sumere. Lìbct (3) enim
tcctim aperte loqui: co quidem (4) u«quc nostra processit amicitia, ut
nec tacitas cogitationes tuas nec suspiciones assentationis vercar. Amo
te, mi Laurenti, nec sino tu unum me dclcctant studia.
S«!d postquam rct» tua te a me distraxit nec me tibi praesentem mea
(l) ut om. cod.
<3) quodcumque G (•- Gamurrini).
(3) lice! G.
(4) quod (7.
374 R* SABBADINI.
permittit (i) necessitas, inveni quo pacto hanc nostrani iacturam tempe-
rem: communicatum esse volo, si quid apud me est, quod (2) tibi pro-
desse arbitror. Habui clarissimas orationes Sec. (3) Plinii numero viginti,
unam praestantissimi viri Suetonii Tranquilli; festino tam (4) ad earum (5)
copiam, quam ad lecturam; iam totus ardeo in eo (6) studio, nunquam
mihi fuit ita fervens animus. Magnum aliquem spero inde fructum eli-
cere, qui si aliis (7) futurus sit, nescio. Illud etiam (8) confido, quod (9)
si tu absens et Sempronius eritis (io) praesentes, mecum non mediocrem
percipietis utilitatem (11). Vale.
IV.
Leonardus Arretinus \_Laurentio] salutent
quamplurimam dicit.
Postquam a gravissimis opportunitatibus meorum studiorum respirare
concessum est, Laurenti carissime, visum non sine amicitiae nostrae cri-
mine ullum tempus transire, in quo vel non tacitus agam tecum aliquod
vel ad te nostra dignum amicitia perscribam. Libenter igitur crebras ad
te mitto litteras, neque dum rescribis expecto. Cupio ex te scire, mi
Laurenti, etsi optime de te mihi persuadeo, quid agas, cum quibus ver-
seris, quae te potissimum delectent (12) studia. Nam nimius (13) et in-
(i) promittit cod.
(2) quidem G.
(3) seri cod.t secundi G.
{4) tam om, G.
(5) eam cod.y G.
(6) in eo] meo G.
(7) alii cod„ G.
(8) enim G.
(9) qnod om, G.
(io) erit cod.^ G.
(11) volnptatem G.
(12) delectant cod,
(13) animum cod.
6. — puNio. 375
credibilis in tanta rerum turba perspectus est optimarum artiura amor et
ardens voluntas. Scio te occupationibus tuis aliquod tempus subducere
et id totura litteris conferre, in quo vel tecum ipse vel apud aliquem
doctum virum proficias. Quod si ita est, aeque tuo, mi Laurenti, pro-
fectu ac meo gaudeo: neque enim tuum quicquam, postquam te amare
coepi, divisum a me duxi, adeo ut (i) cuncta nobis bona pariter ac ma-
la communia censeam. Sin aliter est et rex qui te (2) pulcherrimae tuae
rei publicae imposuit et totum ab (3) hoc sancto proposito distrahunt
officia, queror tecum et dolco. In qua re te non hortor solum sed piane
etiam oro, ut, quantum honestas et fides tua patitur, interdum velut ex
tempestate in portum et (4) ex hoc rerum tumultu in aliquod pulcher-
rimum et litterarium (5) otium te subducas. Et quod « auferebatur, »
collige et conserva; non dico quod excedi debeat, cum nullum tibi va-
cuum sit; neque quod « subripiebatur, » quia negotium tibi ncgavit o-
tium et voluptates. Collige itaque id solum quod nimia patriae, si ni-
mia dici potest, sollicitudo cura in praesens (6) tibi aufert et hoc ipsum
serva. Nihil est enim ex omnibus quae novi, quod tibi et tuae rei pu-
blicae, si cxitum offendis, maiorem possit fructum afferre mihique et iis,
qui te beatum esse volunt, sinccram magnam voluptatem conficerc. Fac
valeas.
Il Gamurrini non dubita punto, che queste lettere
siano di Leonardo Bruni; io però non solo ne dubito,
ma lo neg^o risolutamente. Anzitutto nella lettera II lo
scrivente accenna a un suo fratello; e il Bruni di que-
sto fratello non parla mai nel suo epistolario. Dall'al-
tra parte la costruzione stentata e spesso erronea e il
l'i) «deo et eod,
(3) «it et requieta et cod,
(3) ad cod,
(4) te cod,
(5) littenuum cod.
(6) mram preeena tod.
376 R. SABBADINI.
fraseggio secco e scorretto non sono certo del Bruni,
come non è del Bruni la vacuità del contenuto. Ag-
giungo poi che il Bruni dinanzi a venti orazioni di
Plinio non sarebbe rimasto freddo, come il nostro scri-
vente, ma avrebbe dato sfogo al suo entusiasmo e
degnamente apprezzata la straordinarietà della scoper-
ta, egli che sapeva benissimo quali scritti dei classici
erano periti e quali sopravvissuti.
Le quattro lettere pertanto non sono del Bruni; e
con ciò la notizia delle orazioni pliniane e della sve-
toniana perde gran parte della sua importanza. Ma io
vorrei anche andare più oltre. Quell' Appio della let-
tera II e quel Sempronio della III mi hanno l'aria di
due nomi inventati; senza dire che il tono delle let-
tere è molto scolorito e che le scarse allusioni a fatti
positivi sono troppo generiche; onde io suppongo che
esse siano lettere esercitatone o rettoriche, come si
voglian chiamare. Se a qualcuno facesse scrupolo la
menzione precisa p. e. del fratello e delle venti ora-
zioni pliniane, dia un'occhiata alle lettere esercitatone
di Gasparino Barzizza, e vi troverà menzione di fatti
precisi, che sembrano desunti dalla realtà.
Del nostro presunto Leonardo Aretino recherò u-
n'altra lettera (i).
Bartholomaeo Cozzae congregationis Lateranensis
canonico Leonardus Aretinus s, d.
Quam diu, cum ecclesiastici declamatoris muiiere in fiorentina synodo
fungereris, et [te] de facie novi, virorum eloquentissime, et tuam gratiam
(i) Cod. 761 f. I della biblioteca Comunale di Verona.
I
6. — PLINIO. 377
sum aucupatus ! Nunc autem accepto nuntio, itcrum apud Florentinos
commorari, placuit Alexandruni affinem meum una cum meis litteris ad
te mittere; uberiores sane dedissem, sed magnus animi angor, quo vehe-
menter premer, ne dicara oppriraor, id prohibuit, quod etiam ex ipso
meo Alexandre abunde cognoscere poteris; cui non tantum omnimodam
fidem exhibebis, veruni etiam hoc quaeso in me couferas gratiae: nul-
lum mei iuvandi locum praetermittas. Vale.
Aretio kal. scptembris MCCCCL.
Il destinatario di questa lettera è falso. Essa appar-
tiene a una serie di documenti, nei quali una mano
del sec. XVII sostituì, non so per quali fini, al nome
di Timoteo Maffei, canonico lateranese del sec. XV,
il nome ipotetico di Bartolomeo Cozza; ma gli altri no-
mi non furono sostituiti e ciò diciamo cmche di quello
del mittente Leonardo Aretino. Nella data dell' anno
1450 abbiamo una nuova prova della falsificazione,
perchè il Bruni morì nel 1444.
Ci fu pertanto un umanista che per esercizio retto-
rie© assunse la maschera del Bruni e in nome suo
compose alcune lettere. Ciò dev'essere avvenuto quan-
do si divulgò la notizia della scoperta del Panegirico
(li l'Inno. Ho detto per esercizio rettorie©: e questo è
indubitato per 1' epistolario esercì tatorio del Barzizza;
ma in altri casi, e forse in quello preso qui a consi-
derare, si potfi c(jn^'-iunL,''L'r(j o si coiiLfiunse anche la
frode (i
i) < fr. i;i generale R. S.ibbadini, Z^ scoperti dei codici latini $ greci
174*76. Su altri due omonimi di Ix^nardo Rruni vedi una notisia di
F. F. Luìao in Giorn, stor. Uttcr. itai. 32, 148-55. Di quei due, uno,
I priore dei moniutcro degli Angeli, è pertona reale; l'altro, l'autore
della lettera a Martino V, ritengo fìXium,
vn.
QUINTILIANO.
I
La scoperta del Clétnangis. (*)
Il testo di Quintiliano adoperato comunemente nel
medio evo era mutilo, mancava cioè delle seguenti
parti: Epist. ad Tryph., Prooem.^ I i, i-6; V 14, 12 —
Vili 3, 64; Vili 6, 17— Vm 6, 67; IX 3, 2— X I, 107;
XI I, 71 — XI 2, 33; XII IO, 43 sino alla fine. Nel
1 4 1 6 ne fu scoperto uno integro da Poggio a S. Gallo;
ma in Francia Quintiliano integro era noto molti anni
prima. Sappiamo già che il nostro Andreolo Arese (i)
r aveva avuto di là verso il 1396: non però che l'a-
vesse trovato lui, sibbene ne entrò in possesso per
mezzo dei suoi amici francesi.
Le prove di ciò sono custodite nella corrispondenza
epistolare di Nicola da Clémangis, pubblicata da tre
secoli (2): le quali da tre secoli attendevano paziente-
(♦) Companre la prima vw.i.i ... /w. <j/<i di filoh-- xyviX, 191 1,
540.41.
(1) Epistolario di C. Salutati, IH 146.
(a) Nicolai de Cleroaogiif Optra omnia, Lugdoni Rat., MDCXJIL
382 R. SABBADINI.
mente che i filologi rivolgessero ad esse la propria
attenzione. Ecco pertanto i luoghi nei quali il Clémangis
parla di Quintiliano:
Epist. IV p. 20. Artis precepta, que me quoque a-
pud.... Quintilianum legisse confiteor....
Epist. Ili p. II. Cum multa (vitia) ipsi etiam Cice-
roni a suis fuerunt emulis, Quintiliano teste (XII i,
14-22), obiecta.
Epist. IV p. 22. Hinc est quod Cato ille superior,
magnus vir ac doctissimus, oratorem diffiniens ait: ora-
tor est vir bonus dicendi peritus; ubi non primum
posuit dicendi peritiam, sed viri bonitatem (Quintil.
XII I, i).
Epist. V p. 25. De poeticis autem est locus apud
Quintilianum in libro de oratoria institutione, ubi in
omnium genere poematum Romanos et Gre-
cos poetas invicem comparat (X i, 46-72; 85-100), sola
dempta satyra, que * tota latina est ' (§ 93).... Neque
enim audet Virgilium, qui summus inter Romanos est
(§ 85), aut in bucolico Carmine Theocrito equare aut
Homero in heroico (§ 86) nec Terentium comicum Me-
nandro: ' quo in genere dicit Latin os maxime claudi-
care ' (§ 98), cum lingua latina, ut ait, non sit capax
illius attice venustatis, quam greca servat comedia
(§ 100).... Nec preterea Actium Pacuviumque tragicos
(§ 97) Sophocli aut Eurupidi, nec Horatium lyricum
Pindaro.... Quin etiam precipuos romane historie scri-
ptores Salustium et Titum Livium Tuchitidi ac Hero-
doto grecis historicis componens, illis quodammodo
adsimulare, non autem penitus audet equare (§ loi)...;
7. — QUINTILIANO. 383
pag. 28. Varus (Verg. Ed. IX 35) autem ipse tragicus
extitit, quem cuilibet audet Greconim Quintilianus op-
ponere (§ 98).
Epist. CXV p. 318.... ut quidam illorum scripserint
' musas ipsas sì latine loqui vellent, Plautino maxime
usuras eloquio ' (Quintìl. X i, 99).
Come vedono i lettori, il Clémangis conosceva il
capitolo primo del libro X di Quintiliano dal § 46 al
loi: vogliano essi rammentare che i codici mutili nel
detto luogo cominciano dal § 108. \! Epist, V, dalla
quale abbiamo tratto la maggior messe di notizie, è
indirizzata al cardinale Galeotto di Pietramala, morto
nel 1396 o 1397: perciò prima di quell'anno il Clé-
mangis possedeva un Quintiliano integro. E vero
che i codici Parig. lat. 7231 e 7696, entrambi del sec.
XII (proveniente quest' ultimo dalla badia di Fleury-
sur-Loire), recano un frammento del libro X, cioè X
I, 46-131 (i); onde si potrebbe supporre che il Clé-
mangis avesse veduto uno di questi due codici; ma da
altri indizi risulta che egli conosceva tutto Quintiliano.
Le scoperte di Poggio.
La prima notizia (*) 1' abbiamo dal Bruni, il quale
rosi scrive a Poggio (2): * Quintilianus prius lacer atque
disccrptus cuncta membra sua per te recupcrabit. Vidi
\\ ì (-il. i'icrviiif. ìM. i' . OiiMitiiMiii l 'c ifìsiit. in tu. r. 'S Pft*
rii 1890, LXXXU-LXXXVl.
(*) Comparvt Ia prima volta in Rrvista di filologia XX, 18911 307*8.
(a) Leonardi Bnini Arct. F.pìst., IV 5.
384 R. SABBADTNi.
enim capita librorum: totus est, cum vix nobis media
pars, et ea ipsa lacera, superesset.... Florentiae idibus
septembris MCCCCXVI '.
La scoperta fu perciò fatta tra l'agosto e il settem-
bre del 141 6. Poggio mandò subito a Firenze l'indice
dei capitoli, perchè vedessero di che si trattava; in-
tanto egli poneva mano alla copia, intomo alla quale
lavorò 54 giorni. Ecco la sottoscrizione del Quintiliano
Vatic. Urbinate 327 f. 235: Scripsit Poggius Florenti-
nus hunc librum Constantie die bus LI III sede apostolica
vacante. Reperimus vero eum in biblyotheca monasterii
Sancii Galli, quo plures litterarum studiosi perquirendo-
rum librorum causa accessimus: ex quo plurimum utili-
tatis eloquentie studiis comparatum putamus, cum antea
Quintilianum ncque integrum 7teque nisi lacerum et trun-
cum pluribus locis haberemus. — Hec verba ex originali
Poggii sumpta.
Contemporaneamente se ne trasse un apografo an-
che Antonio Franchi, come attesta la sottoscrizione
del cod. Vindobon. 3135 (CCXLVIII Endlicher): J/. i^
Q. institutionum oratoriarum ad Victorium Marcellinum
liber ultimus (XII) explicit. Quem feci scribi ego An-
tonius Bartholomei Franchi de Pisis Constantie a. d,
M.CCCCXVL
Poco tempo di poi Poggio annunziò le sue nuove
scoperte con una lettera a Guarino (i), nella quale fra
l'altro sta scritto: Hec (Quintiliani et Asconii opera)
(i) Pubblicata parecchie volte, p. e. Poggii Épist. coli. Tonelli I 25;
Bandini Cod. lat. II 382; Zacharia Biblioth. Pistor. 48; Fabricius Bi-
blioth. Lat. n 524.
7. — QUINTILIANO. 385
mea manu transcripsi et quidem velociter, ut ea mit-
terem ad Leonardum Aretinum et Nicolaum (Niccoli)
Florentinum Scis quo sit in loco, ut si eum voles
habere, puto autem te quamprimum velie, facile id
consequi valeas. Constantie XVII kal. ianuar. 141 7
(= 1416).
Qui la cifra 141^ va calcolata relativamente alle ca-
lende di gennaio, sicché la data tradotta nel nostro
stile vale 16 dicembre 14 16. Questo metodo di datare
non è molto frequente nemmeno ai tempi di Poggio,
il quale, credo, ha segnato quell'anno sbadatamente
invece di 1416. Calcolando del resto che Poggio si
sia messo alla trascrizione nel settembre, coi 54 giorni
che v' impiegò giungiamo al novembre: ciò che com-
bina pienamente con la data della lettera.
Di questa lettera abbiamo due redazioni. La secon-
da si legge nel Quintiliano Ambrosiano B 153 sup.
f. 275V. Presento qui le differenze dell'una e dell'al-
tra (*).
Poggii Fpist. ic(^^ 'FV. Tulli» Cod. Anibros. B 153 sup.
I 25 anepigrafa; in marg. epistola
Poggius Fbrentinus secretarms (son lasciate vuote quattro righe
opostoliats p. s. d. Guarino suo per l' intestazione).
\ 'eronensi,
Licet inter quotidiana» occupa- Licet inter varias occupationet
tioncs tii;i9, prò tua in omncs hu* tuas qui maximis in rebus continuo
(♦; (.'omparvc la prima volta in Studi itaL/iloL class. XI, 1903,351 •54.
Mia lettera tengono dietro nel cod. Ambrosiano gli indici dell'opera
(ii Quintiliano.
E. ftABHAMNI. 7>r/> ttitini, 1^.
-.86
R. SABBA DI M.
manitate et benivolentia in me sin-
gulari iucundiim semper tibi litte-
raruni mearum adventum non igno-
rem, tamen ut in bisce perlegendis
praecipuam quandam praestes at-
t entionem te maiorem in modum
obsecro: non quidem ob eam causam
ut aliquid in me sit quod vel summe
ociosus requirat; sed propter rei
dignitatem de qua scripturus sum,
quam certe scio, cum sis longe
peritissimus, non parvam tibi cae-
terisque studiosis hominibus esse
allaturam animi iucunditatem. Nam-
quicquam ferme valerent
praecipue iis
maxime praestant
fuerint latinae linguae
p. 27 ut nihil ei — meo iudicio
deesse videatur
Cicero romanae parens eloquentiae
et molestiae
et dignitatem
plures erant Marcelli
ac praestantes
p. 28 eum modo simili
intentu revocaverimus
auxilium
rapi supplicium
ut inquit
mil.
p. 29 pulvere squalentem
erant enim non in bibliotheca
libri illi ut eorum
quo ne capitalis quidem rei
damnati retruderentur
versaris haud facilem aditum fore
existimem litteris meis, tanta est
tamen apud me opinio humanitatis
• tue, ut arbitrer te quoque quo has
paulum queas legere negociis tuis
nonnihil temporis surrepturum: non
quidem ob eam causam ut aliquid
in me sit vel quod summe ociosus
requirat, sed propter rei dignita-
tem de qua sum scripturus, quam
certe scio cum sis in ter ceteros e-
tatis nostre viros longe peritissimus,
non parvam tibi esse allaturam
animi iocunditatem. Nam-
quicquam valerent
precipua iis
maxime prestent
fuerunt lingue latine
ut ei — meo iudicio nihil (nihil add,
al. m.) deesse videatur
Cicero parens eloquentie
ac molestie
atque dignitatem
plurimi erant Matcelli
et prestantes
eum vestro (uro) simili
interitu in avitam patriam revoc —
presidium
supplicium rapi
ut ait
milibus
pulvere refertum
erant enim in bibliotheca libri
illi, non (non add. al. m.) ut eorum
quo ne vita quidem damnati
detruderentur
J. — QUINTILIANO. 387
Si essent — viros rimarentur Si esset — viros recogno-
ac recognoscerent secret
Habes mi suavissime Guarine Habes mi suavissime Johannes
Vellem et potuisse libnim Velleni potuisse et libnim
consequi valeas. Vale et me consequi valeas. Cum hec scrip-
quando id mutuum fit ama. Con- sissem,supervenit Johannes Canutius,
stantiae XVIII kalendas ianuarias vir inprimis eloquens et mihi prop-
anno Christi 141 7. ter ipsius probitatem necessitudine
coniunctus; quem cum rogarem ut
curaret has ad te litteras deferendas,
se id munus dixit velie suscipere,
sperans se prope diem isto ventu-
rum. Deinde cum mihi explicasset
quoddam desiderium tuum plenum
summa honestate peteretque a me,
quem sperabat plurimum posse, ut
meam in ea re diligentiam atque
operam prestarem, pollicitus sum
cum sua causa tum vero maxime
tua, me cum primum Leonardum
Aretinum videro (nam litteris ista
minime sunt agenda) ab eo effla-
gitaturum omnibus ut aiunt nervis
quod te video optare atque id prò
singularì araicicia que secum est iaro
inde a tcncris annis me impetratu-
rum confido. Vale et me, quando
id mutuum fit, ama. Datum Con-
stantie etc.
A detemìinaru il desiinatario della nuova mia/ione
trarremo costrutto da tre circostanze: che abitava una
città la quale non era Firenze, ch'era un uomo assai
affaccendato, che aveva g^randissima conoscenza (pt'
ritlssimus) di codici; tre circostanze che ci fanno pen-
388 R. SABBADINI.
sare a Giovanni Corvini d'Arezzo (i), sin dal 1407 in-
signito della cittadinanza milanese, consigliere autore-
vole di Filippo Maria Visconti, appassionato ricerca-
tore ed esperto estimatore, come vedremo, di codici
e possessore di una preziosa biblioteca. Una testimo-
nianza diplomatica viene opportunamente a confermare
la nostra ipotesi, poiché il Querini (2) ha veduto la
lettera di Poggio in un codice di Bergamo con l' in-
testazione ad Joannem Aretinum.
Intanto il Quintiliano integro era arrivato a Firenze.
Nell'aprile del 141 7 il Bruni era tutto inteso a redige-
re il nuovo testo, fondendo il codice di Poggio col
codice mutilo che già ivi possedevano. Scrive infatti
a Poggio: Quintilianus tuus laboriosissime emendatur,
Permulta sunt enim in nostro vetusto codice, quae ad-
denda tuo videantur. Sed in quibus locis vetustus dee-
rat, hoc est in syncopis illis grandioribus, plerisque in
locis insanabilis morbus est.... Florentiae II nonas apri-
les [14 17] (3).
Il codice arrivò anche a Padova al Barzizza (*), il
(0 Poggio aveva conosciuto il Corvini nel 1414 a Milano, quando
passò di là diretto al concilio di Costanza; Leon. Bruni Aret. Epist. IV
6: questa lettera nei codici ha la data: Florentiae JJJJ kal. decembr.
MCCCCXVI. Scrive ivi il Bruni al Corvini: Illud quoque me plurimum
movet, quod ab egregio adolescente Poggio Terranovano familiarissimo
et amantissimo mei dudum percepì, quanto honore ipsura, cum ad vos
accessisset, vel solo meo nomine, fueris prosecutus.
(2) Diatriba prael. ad F. Barbari epist. p. II.
(3) Leon. Bruni Epist. IV 9.
(*) Comparve la prima volta col titolo: Studi di Gasparino Barzizza
su Quintiliano e Cicerone, Livorno 1886, 2-6.
7. — QUINTILIANO 389
quale pare avesse atteso a supplire il testo mutilo nello
stesso modo che aveva praticato per i codici mutili
delle opere rettoriche di Cicerone (sopra p. 103-1 1 1). La
testimonianza proviene dal Biondo: sicut diu antea in
Quintiliani Institutiotiibus multo labore suppleverat (i).
Di questi supplementi nelle lettere sì edite che ine-
dite del Barzizza non trovai finora nessun cenno; per
la qual cosa non possiamo nemmeno congetturare di
che genere essi fossero. Diamo luogo invece alla let-
tera, che ce lo mostra in possesso di un Quintiliano
integro:
Gasparinus Ludovico Caucio sai. (2).
Studium tuum curam diligentiamque in res meas ncque laudare satis
possim nec admirari, qui nullum amici officium in depellenda a me iniu-
ria pretermisisti, quod etsi mihi tuis litteris et sermone hominum qui
inde ati me proficiscebantur explorati.ssimum esset, tamen et veteri iu-
licio meo et litteris recentibus Zebedei necessarii mei multo exploratius
labui. Sed vereor ne qui tua diligentia tam commode utor negligentis-
imus in re tua vidoar. Scripsisti enim et de losepho historico et de
' )aintiHanr>, onstantia integer ad me delatus est, utrum copia
\\:\\\fx\ pos-ct. NiUKjuum fuit cui littcnis posscm ad te committere; se-
j-f a t.ilxrllariis elusus sum; ncque occupationcs mee, quo ut nosti vix
'Kpirandi spatium concedunt, ncque ulla alia causa impedimento fuit,
f-d quia non habui cui, ut dixi, mcas darcm litteras. Nunc vero et ho-
minem rt trmpus commodÌH8Ìmum nactUN tibi satisfacio. Scia omnia mca
tiia V IO merito assecutum, ut negare nihil possim.
(juititiiiaiiii^ <x vetustissimo codice in Germania transcriptus totus n-
(1) FI. I3lon»lus, opera, Baiiilcac 1559; I, p. 346. Ne parla anche
lacob. Philippu» Jicrgomas, Siif'^/rm. Chron., Vcnctiis 1513, f* >74-27Si
na iUtcrando i (atti.
il) Cod. Riccardiauo 779 i. ic».
390
SABBADINI.
pud nos extat (i); multo minus corruptus est; siquid agi vis fac me cer-
tioreni, modo Patavii exempletur; non enim propter quotidianum usum
carerà toto libro possem.
losephus olim apud me fuit, causa eris alieni, quo mihi Abbas San-
cii Zenonis (2) tenebatur; nunc ere persoluto liber ad Abbatem rediit.
Nihil est quo satis possim tuo desiderio facere. Alia libi via ineunda (3)
est, si vis copia huius historie potiri; temptavi omnia ut meo nomine
libro isto uti posses: nihil profeci.
Hec sunt que licet tarde, tamen ut res tulit ad te scribo. ludicabis
itaque meum in te officium potius ex animo quam ex fortuna, nec tam
mihi quam casui imputabis si in referenda gratia minime possim par pa-
ri, ut aiunt, reddere.
Nondum magnifico principi ac domino nostro gratias egi; sed cum o-
tium quod diu sequor atque animo (4) concepi, mihi suppeditavero, con-
fido, si minus animo meo, suo tamen abunde satisfacturum. Vale et me
celsitudini sue commenda.
Quel Lodovico Cocco, al quale la lettera è indiriz-
zata, è probabilmente il padre di Marco e Giovanni,
che furono scolari del Barzizza (5). Vi si trova nomi-
nato uno Zebedeo e questi era il dal Ponte, bergama-
sco anch' egli come il Barzizza, con cui era in fratelle-
vole relazione (6\ Altre allusioni si fanno nella lette-
ra, delle quali non posso dare nessuna spiegazione:
come r ingiuria, nominata sul principio, e l'obbligazione
che il Barzizza dice di avere verso il doge veneto. Cosi
della storia di loseffo (Giuseppe Flavio) non incontrai
altro cenno nell'epistolario barzizziano.
(i) erat cod.
(2) Genonis cod. Era Pietro de Miliis.
(3) tibi invenienda cod.
{4) diu sepe atque animum cod.
(5) Gaspar. Barzizii Opera, I, p. 204.
(6) Ibid..) p. loi etc.
7. — QUINTILIANO. 39 1
Comunque sia, la lettera è scritta certamente da Pa-
dova e, secondo ogni probabilità, tra il 141 7 e il 141 8.
Forse riusciamo a scoprire con qual mezzo il Bar-
zizza ricevette il nuovo codice. Riporterò a questo
scopo alcuni periodi di una sua lettera:
Epistola Gasp ar ini Per gameti si s (i).
Reverendissime in Christo pater et domine domine mi singularissime.
Redditi sunt mihi quinterni quinque in finem Quintiliani (2), ex quibus
tantam voluptatem animo meo (3) iocunditatemquc percepi, quantam
qui (4) maximam ex rebus optatissimis, si frui eis contingat, carpit... (5)
Satis itaque de Quintiliano. Reliqua ad pueros vestros pertinentia curan-
tur hic omni studio ac diligentia. Dominus Francischinus pierunque eos
adii (6), lohannes Augustinus filius ^7) non deficit; ego, ut sepe dixi, ad
gabemaculum sedeo.... (8) Patavii pridic kal. aprilis [14 17].
La lettera manca d' intestazione, ma congetturiamo
che sia indirizzata al cardinal Branda di Castiglione.
Si noti intanto che il corrispondente apparisce dal ti-
tolo di reverendissitmis pater un alto dignitario eccle-
siastico e si badi poi a quello che vi è detto: reliqua
(\\ Cod. di Bergamo F V 20 p. 69.
(2) Intendo in finem Quintilioni: per giungere alla fine del testo di
Quintiliano. Perciò l'ii vlmuil- riiiiiulato in più riprese.
(j) tuo cod.
(4) qaam cod.
(5) carpiti» cod.
(6) audit cod.
(7) figlio del Barxizza.
(8) Cfr. ('iccr. />. Rose. ,1 i<l gubernacain rei publicflc Redeo. Di
qui potremmo tospcttore che il Barsixsa nveuc già ricevute le oroxioni
ciceroniane del codice di Cluni (lopi
392 K. SAHBADINI.
ad pueros vestros pertincntia curantur, dove s'ha a in-
tendere di fanciulli che stavano in convitto presso il
Barzizza. Ora da un'altra lettera, pure anepigrafa, ma
incontestabilmente del Barzizza, veniamo a conoscere
che costui teneva a dozzina i nipotini del cardinal Pia-
centino, che è tutt'uno con Branda di Castiglione:
Sunt (i) tres alii..., nepotes reverendissimi patris d. car-
dinalis Piacentini, qui apud me nutriuntur: quibus fa-
miliarem magistrum proposui et ego, ut dici tur, ad gu-
bernaculum sedeo (2) et quantum mihi videtur clavum
moderor et cursum navalem eorum dirigo (3).
Il destinatario perciò della lettera precedente è Bran-
da di Castiglione: e da lui il Barzizza ricevette in più
riprese la copia del nuovo Quintiliano, inviatagli da
Costanza dove Branda assisteva al Concilio.
Del nuovo testo {^^) il Barzizza cita una lezione nella
sua Orthographia, dove sta scrìtto: CoN per o ^tn que
prepositio nunquam reperi tur nisi in compositione; et
est secundum Quintilianum (I 7, 5) differentia inter con
per o et n, cum per u et m, quom per q. u. o. m vel per q
et duplex u, prout in alio Quintiliano ex vetustis-
simo codice transcripto, qui repertus nuper
est in Germania, scriptum comperi (4).
(i) Cod. Riccardiano 779 f. 150.
(2) Ripete la frase dell'altra lettera.
(3) Cfr. Cicer. Epùt. ad fam. IX 15, 3 sedebamus in puppi et cla-
vum tenebamus.
(*) Comparve la prima volta in Studi ital. filol. class. XI, 1903, 365.
(4) Questo articolo si legge in entrambe le edizioni delV Or t^ograpàia,
la prima composta a Padova, la seconda a Milano. Cfr. Studi itnl. XI
364-68 e sopra p. 122.
7* — QUINTILIANO. 393
La lezione per q et duplex u è del vetustissimus codex
ed è anche del Quintiliano Turicensis (Zurigo), che
ha, secondo la testimonianza dello Spalding-, per q ac
diias u sequentcs. Se ne conchiude pertanto che il co-
dice scoperto a S. Gallo da Poggio va identificato col
Turicensis, il quale del resto sappiamo che pervenne
a Zurigo dalla badia sangallese (i).
Verìsimilmente dal Barzizza ebbe il nuovo Quinti-
tiliano a Padova GugHelmino Tenaglia, un Fiorentino
che studiava in quell'Università (*). Il suo Quintiliano
è ora il codice VI F 21 della biblioteca Estense di
Modena, nel cui foglio di guardia si legge la seguente
lettera:
Guiglelminus Taitaglafamndissimo oratori integerrimoque
amico suo Bernardo Spinge s (2) s. p. d,
Munus abs te diutius efflagitatum exhibeo, non ea fortasse scripturae
ornatusquc elegantia decoratum, sicut tua eiusve principis, cui orator
adsistis, humanitas celsitudoque expostulat, summa tamen et operis per-
fectione ac (ipsius auctoris praecepto) scita emendatione absolutum. Li-
brariorum enim desidia noster hic Quintilianus pluribus annis non soluni
apud nos sed apud exteras nationes et corruptus et principalioribus mem-
bris mutilatus dignosccbatur, ni cura et diligentia eruditissimi viri con-
civi» mei Poggii Fiorentini pridie illius fragmcnta ex intcriori Germania
(i> M. F.»>ii < hiinf.ii ,.,; /).• ..,<•/.•/ ..,-.,, ..... <,.-,]. \;„.y y ;,,.;.... ,-.,«,
I p. XI. ■.
(♦) Compiiive la prima volta in Rivista dt Jiioiogia XXI, 1892, 142-
43; e in C tornale stor. leti. itai. 46, 1905, 81.
'2) Forse era segretario di qualche principe straniero residente a Fi»
rcnze pretino la corte di papa Martino V, dbe dimorò in quella città fino
al settembre del 1420.
394 ^- SABBADINI. '
nobis restituisset. Quae cum collegisscm, suo in loco illa rccondens, non
infacetum sed multas oranis Hyspaniae redolens concinnitates opus per-
fectissimum tibi constitui, deprecatus hominis affectionem, non muneris
parvitatem consideres; qucm tanidiu tibi agnatisque tuis obsequentissi-
mum expositissimumque aspicies, quamdiu immortalis dei beneficio hoc
in orbe vita mihi aderit. Vale.
XHII kal. iulias, ex Patavio 1420.
Dalla qual lettera desumiamo che il Tenaglia mise
insieme una redazione mista, prendendo per base il
testo dei codici mutili e intercalandovi le parti venute
nuovamente in luce.
Sul mittente possiamo dire qualche cosa. Guglielmi-
no Tenaglia infatti fu uno dei sedici cittadini fiorenti-
ni, ai quali il Niccoli col testamento del 1437 affidava
la custodia e la conservazione della sua biblioteca. Nei
documenti il Tenaglia è chiamato < cavaliere e avvo-
cato > (i); senza dubbio egli nel 1420 studiava legge
a Padova; anzi nel 1419 fu in quell'Università rettore
dei giuristi, come ne fa fede il discorso recitato nel-
l'assunzione della carica, il quale porta la sottoscrizio-
ne (2): Oratio Guiglelmini Tanagla fiorentini in accep-
tatio7ie of fitti rethoratus utriusque Universitatis (3) iuri-
starum tam ultra montanorum quam citra. Che si tratti
di Padova, è attestato dalle parole ^ urbi Paduane >;
che l'anno sia il 141 9, ricaviamo da queste altre: < nec
« vos, o eterni ignes, P. Marcelle huius urbis dignis-
(i) Mehus, Vita A, Traversarti, p. 63-64. I documenti presso G.
Zippel, Nicolò AHccoli, 1890, p. 97, 102.
(2) Cod. Riccardiauo 1200 f. 151 z'; com. Quales quantasque gratias.
(3) Universalis cod.
7- — QUINTILIANO. 395
< sime pontifex, tuque M. Dandule nec non Lau. Bra-
< gadine huius regie civitatis rectissimi presules >,
perchè nel 1419 appunto il Dandolo e il Bragadin fu-
rono governatori di Padova, il primo com3 podestà,
il secondo come capitano.
Oltre al primo Quintiliano, Poggio durante la sua
presenza a Costanza ne scopri un secondo, com' è at-
testato da una lettera di Guarino (*):
Guarinus Verone^isis Poggio p. s. d. (i)
.... Superiori tempore ad nos allatus Quintilianus est, quem tua
opera [ad vitara retractum esse] (2) haec fatetur actas et posteri non ta-
cebnot; idque tanti apud studiosos litteraruni homines fit, ut perrara
Constantiae gesta sint, quae huic ipsi librorutn inventioni anteponantur.
Ceterum cum vel librariorum menda vel alia depravatus causa (3) sit,
tua raihi opus est ope atque opera. Sentio te aliud Quintiliani exemplar
nactum esse, quod apud te est; ex quo unum nomine meo conscribi fa-
cias oro, quam emendati or esse potest. Quod si facere vis, hoc est si
per alias occupationes tuas licct, quam primum pecunias tibi dari faciam,
quas tu ipse iusseris. Quam gratum autem id et mihi et litteratis futu-
rum sit, dicerc non possum. Erit praeterea officiosum admodum ut quem
ad vitam retraxerìs incolumem scrves in luce. Vale. Barbarus noster plu-
rìens tibi salutem nuntiat.
Manca la data, che però si può fissare ( on molta
approssimazione. Poggio lasciò Costanza, dove è tut-
(♦) Comparve la prima volta col titolo: Studi di Gasp. Bartitta su
Quintiiiano t Ciaront^ Livorno 1886, 6.
^1) Codice Harleian 2492 f. 370V; cod. di Lyon l6^
2) ad vitam eskc om. codd.
(j> e uni •aii.l
396 R. SABBADINI.
torà presupposto, con la corte pontificia il i6 maggio
del 141 8 (i); qui siamo dunque al più tardi nei primi
mesi dell'anno medesimo.
Questo secondo codice fu da lui trovato probabil-
mente nell'escursione estiva del 141 7 in Francia e Ger-
mania, donde ritornò con le otto nuove orazioni di Ci-
cerone (2). E non se ne trasse copia, come del primo,
ma si portò seco 1' archetipo; di che rimane testimo-
nianza in una sua lettera al Niccoli (3): Nicolaus Tre-
verensis huc venit afferens secum sexdecìm Plauti co-
moedias in uno volumine. Liber est illis litteris antiquis
corruptis, quales sunt Quintiliani Ro-
mae VI kal. ianuarii 1429.
Il nuovo codice fu copiato nel Monac. lat. 23473 e
nel Laur. 46. 9, il quale ultimo reca la sottoscrizione:
Vespasianus d. Manni de Tuderto mihi scripsl sub annis
domini MCCCCXVIII (4).
Dubbi del Valla sulla nazionalità di Quintiliano, i^)
Dell'origine spagnola di Quintiliano dubita una bio-
grafia anonima, pubblicata nell'edizione veneta del 1494,
che per molto tempo fu attribuita, non si sa su quale
(i) Pastor, Geschichte der Pdpste I 165 n. 2,
(2) Cfr. sopra p. 43-45. Sulle due escursioni di Poggio nel 141 7 vedi
R. Sabbadini, Poggio scopritore di codici latini in Germania (Rendic.
d. r. Istit. Lotnb. se. lett. 46, 19 13, 905-908).
(3) Poggii Epist. coli. Tonelli I 304.
(4) A. Beltrami, De Quintiliani institutionis orai, codicibus in Memorie
del r. Istit. Lomb. se. e lett. XXII, 191 1, 182-86.
(*) Comparve la prima volta in Rivista di filologia XX, 1891, 317-22.
;. — QUINTILIANO. 39^
fondamento, al Valla. Il primo a negare che essa ap-
partenga al Valla è stato, mi pare, lo Spalding (i), il
quale però adduce una ragione un po' troppo sogget-
tiva: « neque videtur Laurentius Valla tam negligen-
ter haec fuisse scripturus >.
Io porterò un argomento assai più valido, la testi-
monianza cioè dello stesso Valla, il quale parla di
Quintiliano nelle Adnotationes in Raudensem. Non cre-
do che questo passo siii stato ancora adoperato alla
soluzione della presente questione; in ogni modo non
sarà male rinfrescare la notizia.
Raudensis (2). Quintilianum nominat Seneca nono (3)
Declamationum suarum dicens: < transeo istos quorum
cum vita fama extincta est >.
Laurentius. In hunc errorem incidit Petrarcha, qua-
lia multa peccat Vincentius Historialis (4), ut alii multi
ex plebe illitteratorum, qui alium prò alio vel aucto-
rem vel principem virum ponit, velut vStatium Tholo-
sanum y^ro ^tatio Caelio (5) ac tres Catones prò uno
(\) Spalding nella sua edizione di Quintiliano, I, p. XXXVH.
(2) Valla, Adnotationes in Raudensem, Qo\or)\i\t, 1522, p. 48. Le Adno'
iationts furono composte nel 1442 o 1443, vedi R. Sabbadini, Cronologia
del Panormita e del Valla, Firenze 1891, 99-100.
(3) La citazione e errata; vedi Seneca padre Contro^'. X, praef. 2,
dove i nostri tetti hanno cum ipsis invece che cum vita.
(4) Vincentius Bcllovacensis nello Speculum historiaU, V, 61, con-
fonde Stazio comico con Stazio epico.
5) Intendi Statio Caeeilio, il comico. Quanto poi a Stazio epico, il
Valla Io fa di Tolo»a, come tutti del resto nel mwlio evo, perchè fa
confuso col retore Statius Ursulus Tolosensis nominato da (ìirolamo
(( hfun. a. Abr. 2073). ^ Dotixie tere sul nome e nulla patria di Sta-
398 R. SABBADINI.
duosque Scipiones prò uno, nescientes quo quisque
tempore fuerit. Ita hi duo non vident Quintilianum
plurimis annis superstitem Senecae fuisse, quìppe qui
opus de instìtutione oratoria sub Domitiano Traìano-
que composuit et mentionem Plinii iam mortui facit (i),
sicut et ipse Plinius de Seneca mortuo (2), Senecam
vero a Nerone interfectum, qui senior Quintiliano cir-
citer octoginta annos fuit quique, si ipsi credimus (3),
potuisset audire Ciceronem, qui ante Quintilianum obiit
circiter centum quinquag^inta annos. Ergo alius Quin-
tilianus fuit, de quo Seneca meminit, et forte pater
zio si deducono dalle sue Selve, le quali furono scoperte nel 141 7 da
Poggio (Sabbadini, Poggio scopritore 907); ma nel 1442 il Valla non le
conosceva ancora. Del resto non le conosceva più tardi nemmeno An-
gelo Decembrio, poiché nella Politia literaria, p. 29-30, parlando di Stazio
nomina solo la Teòaide e V Achilleide. La Politia fu pubblicata nel 1462
e riproduce ciò che il Decembrio aveva imparato da Guarino a Fer-
rara, sicché nemmeno Guarino conosceva le Selve. Il fatto è abbastanza
strano. La verità fu ristabilita dal Panormita nel seguente epigramma
(codd. Vatic. 1670 f. 120; 3282 f. i):
In statuam Statii poetae Neapolitani
Qui cecinit Thebas primum, mox orsus Achillem
Occidit, hac coli tur Statius in statua.
Hunc genuit tali gavisa Neapolis ortu,
Ipsa Tolosa licet blateret esse sunm.
Haec etiam genuit Stellam fecunda poetam
Ne sit in hoc uno splendida Parthenope.
Quod si vana suum contendat Gallia vatem,
Sylvarum relegas, candide lector, opus.
(i) Quint., Insta. orat.,Jn, i, 21.
(2) Plin., JSpist., V, 3, 5.
(3) Seneca Controv., I, praef., 11.
7. — QUINTILIANO. 3^9
Quintiliani aut avus. Nam pater Quintiliani eloquens
sane fuit, ut quodam loco filius ipse testatur (i), affe-
rens orationis illius testimonium. Quod si ita est, non
ex Calaguritana urbe oriundus est, ut Hieronymus (2
alt; sin illinc est, ergo nec pater Quintiliani fuit, de
quo facit Seneca inentionem, quoniam Calagurae non
Romae eloquentiam exercuit. Nam idem Hieronymus
ait (3) Galbam, qui fuit imperator post Neronem, du-
xisse Quintilianum ex Hispania, ut Romae rhetoricam
doceret. De quo alias plura dicemus, hoc tamen di-
xisse contenti, Quintilianum hunc a puero Romae fuis-
se eruditum et Hieronymum ita in Quintiliano potuis-
se errare, ut fecit in Bruto, quem ait duxisse Porciam
Catonis filiam in matrimonium virginem ^4), quae fue-
rat Bibuli uxor, ut Plutarchus (5) ait.
De Seneca autem an unus sit an duo, minus dili-
genter attigit, contentus sententia nescio cuius Sidoni
poetae (6), nec animadvertit Quintilianum testimonium (7)
afferra Senecae in tragoediis, ubi Medea ad Creontem
loquitur: < quas peti terras iubes ?» et tamen unum
Senecam inter legendos nominare, cuius et epistolae
(i) Quintil., Inst. orat., IX, 3, 73.
(2) Girolamo scrive: e Quinlilianus ex Hif.pnnia Cnhiguiritr.nus priniu
Romae publicam scholam [aperait] et salarium e fisco acccpit ».
(3) Girolamo: « Fabius Quintilianus Romam a Galba pcrtlucitur >.
(4) Girolamo, Advemis lovinimium, I, cap. 46: « Brutus Porciam vir-
ginem daxit nzorem ».
(5) Fiutare, Cat. min., XXV, 2.
(6) Apoliin. Sidon., Cirni., IX, 22Q, distingue un S( uni filosofo e
00 Seneca tragico.
(7) Quintil., Inst.
400 R. SAfiBADINl.
et dialog-i et poemata et opera philosophiae ferantur (i).
Tamen duo eximii Senecae fuerunt, ut Martialis (2) te-
statur, qui fuit aequalis Quintiliani luvenalìsque; ait e-
nim < Binosque (3) Senecas et unum Lucanum Fa-
cunda loquitur Corduba 3>. Ceterum an idem sit qui
tragoedias et alia opera condidit, dubitari potest cer-
te. Qui nonae tragoediae (4) auctor est, Seneca maior
non fuit, de quo alias suo loco dicemus: nam de e-
mentìtis ad Paulum et Pauli ad eum epistolis alio o-
pere (5) disputavimus.
Riguardo a Seneca il Valla commette uno di que-
gli errori, che egli rimprovera al Bellovacense, al Pe-
trarca, al Raudense; confonde cioè in una sola perso-
na (come del resto tutto il medio evo) i due Seneca
padre e figlio; inclina tutt'al più a distinguere Seneca
filosofo dal tragico (6).
Riguardo invece a Quintiliano egli è infinitamente
superiore al Raudense, il quale faceva una sola persona
del Quintiliano nominato da Seneca padre con l'autore
àeVi^ Instttutio oratoria. Non solo, dice il Valla, Quin-
tiliano non mori prima di Seneca, ma gli sopravvisse
e sopravvisse a Plinio, esso stesso sopravvissuto a Se-
neca, sicché Quintiliano fu un ottantanni più giovane
(i) X, I, 129.
(2) I, 61, 7-8.
(3) I codici leggono duosque Senecas unicumque Lucanum.
(4) La nona tragedia nella redazione A è VOctavia.
(5) Quest' opera del Valla è perduta.
(6) Sulla questione dei due Seneca e se il filosofo sia da distinguere
dal tragico, vedi Coluccio Salutati Epistol. I 150-155. Ma il Salutati
confondeva pur sempre in una sola persona Seneca padre e figlio.
7- — QUINTILIANO. 4OI
di Seneca, avendo scritto la sua Institutio sotto Do-
miziano e Traiano., Seneca avrebbe potuto veder Ci-
cerone, mentre Quintiliano morì un centocinquant'anni
dopo Cicerone. - Con ciò il Valla collocherebbe la
morte di Quintiliano verso il 105 d. Cr.
Distinto per tal modo il Quintiliano dell' Institutio
dal Quintiliano citato in Seneca, egli fa di questo il
padre o l'avo di quello. Se è così, ragiona il Valla, il
Quintiliano dell' Institutio non nacque in Spagna, ma
in Roma, dove suo padre era retore. O vogliamo il
Quintiliano deW Institutio nato in Spagna, di dove G al-
ba lo condusse a Roma ? E allora questi non è il fi-
glio del Quintiliano citato in vSeneca.
Il Valla propende per la prima ipotesi, ammettendo
perciò errore nella testimonianza di Girolamo; e per
mostrare che non è un capriccio negar fede a Giro-
lamo, lo coglie in fallo anche in un altro caso, cioè
rispetto a Porcia figlia di Catone.
Ora reco alcuni passi della biografia anonima:
< Marcus Fabius Quintilianus Romae natus est, quì-
bus consulibus aut quo imperante Caesare, non legi.
Verissima coniectura adducor, ut fidem libris tempo-
rum non habeam, ubi legitur: Quintilianus Calagurra
urbe Ilispaniae oriundus.... At ipse dicit cum esset a-
dolescentulus, cognovisse Domitium Afrum (i) et Se-
necam (2), qui ambo sub Nerone periere. Seneca in
libro sexto (3) Divisionum Quintiliani declamatoris me-
(I) QmnX., Insti t. or., V, 7, 7.
i2) Ib., Xn, IO, ir.
(3) Lcm;i decimo.
R. Sabsadini, lati io imi. fl6.
40i li. SABBADINI.
mìnit... Is avus fuit M. Fabii Quintiliani, qui Romae
multis annis rhetoricen cum summa laude docuit. Et
ipse rursus Quintilianus mentìonem facit patris, qui
causidicus fuit apud principem Quo tempore deces-
serit, affirmare non audeo, quoniam is, qui tradit, fide
caret >.
Il confronto dei due testi mostra evidentemente che
il Valla non è autore della biografia, ma mostra an-
che che air anonimo erano note le idee del Valla, il
quale perciò dev'essere considerato come il primo che
mosse dubbi sulla nazionalità di Quintiliano.
Studi del Valla sui codici deir € Institutio oratoria >
La discussione del Valla sulla nazionalità di Quin-
tiliano è un saggio degli studi ch'egli veniva prepa-
rando sul suo prediletto fra gli autori latini e ne dà
formale annunzio con quelle parole: de quo alias plura
dicemus (i).
Le Adnotationes in Raudensem sono, come già ho
detto, del 1442 o 1443. In quello stesso tempo il Val-
la deve aver domandato un Quintiliano all'Aurispa, il
quale nel dicembre 1443 (2) cosi gli scriveva:
« Quintilianum quem ad te iampridem misi nescius sum an acceperis ».
(i) Si veda anche quest'altro passo à.€^^ò Adnotationes (p. 38): « Nam
Consultus (cioè Consultus Chirius Fortunatiaiius) ac Martianus Capella
et quidam alii de arte praecepta haec dant, sed plurima ex Quintiliano
ad verbum sumpta, cum tamen de ilio, a quo furantur, mentionem non
faciant; homines improbos planeque ingenio misero ac furaci, QUOS A-
UAS CASTIGABIMUS ».
(2) R. Sabbadini, Cronologia del Panormita e del Valla, 97.
). — QUINTILIANO. 403
A cui il Valla da Napoli, in data ultimo dicembre
dello stesso anno, rispondeva (i):
< Quintìlianum me accepisse olim scripsi ».
I primi frutti di quest'operosità del Valla su Quinti-
liano si trovano raccolti nel cod. latino di Parigi 7723,
il quale porta questa soscrizione: Laurentius Vallettsis
hunc codi cent sibi emendavi t ipse millesimo quadringefi-
tesimo quadragesimo quarto, mense decemòris, die nono.
II codice ha molte glosse marginali di mano del
Valla; ma non è di mano del Vaila, secondo il Fier-
ville (2), la soscrizione, e giustamente. Intanto manca
la parola anno e poi il Valla non avrebbe mai scritto
mense decemòris die no7io, ma mense decembri die nono
o die no7io mensis decembris o V id. decembres (3).
Ne il Valla si fermò qui; che ancora nel 1447 era
intento a glossare Quintiliano, come risulta da una let-
tera autografa al Tortelli, della quale reco un passo:
« (Juintilianum quem poscis, habeo enim duo, iuberem tibi tradi per
Anibrosium, si putarcm eum mihi in hoc obsecuturum; tanietsi noUem
gioia 8, quas illi feci, ab aliis transcribi, priusqnam recognon'm
et alias adhuc addidero. Nam ut scias quo studio glosas eas facturus sim,
certuni est mihi omnes libros, qui supersunt Icgendi, evolvere, eos pre-
sertim qui ante Quintilianum extitcrunt. Quid queris ? Emi Hyppocratem,
qui fuit Roberti legi (sic)^ (ere omnia illius opera, ubi aliquid ad or-
namentum glosarum in veni, quod est < ;tai6of(aOEÌ«; vocari eos qui in sua
(1) Ibid. loi.
(2) eh. Ficrvillc: M. F. Quintilioni Dt instit. orat. lihtr primns^ Pa-
ris iK^o, p cxvra-cxix.
(3) Cfr. Adnotationts in Raud., p. 8.
j", K. SABUAlJlM.
quisquc arte prcsti.nlissinii si:i t » (i). Cuius honiinis in hac re aneto*
ritas maior est, quam aut Aristotelis aut Platonis, quia prior fuit. Ta-
rn en ut Quintilianum ipsuni ad transcribendiim legendunive emendatis-
sirnum haberes, enixius laborarem, ut meus in tuas manus perveniret,
nisi potius crederem me istuc venturum
« Kal. ianuariis Neapoli [1447] (2) ».
Pseudo-Quintiliano
Le Declamationes (*)
Le cosi dette Declamationes maiores tramandateci da
moltissimi manoscritti col nome di Quintiliano furono
ben presto note agli umanisti. Le conosceva il Petrarca,
il quale le giudicò anzi sfavorevolmente (3).
Il loro numero somma a diciannove; ma bisogna av-
vertire che alcuni pochi codici, sei che si sappia fino
ad ora, tra cui il Montepess. H 226 (sec. XIII), il Laur.
22 sin. 8, (4) il Gibsoniano (5) e il Vaticano 1773, ne
(i) Cfr. Quinti!., /«j //A orat.., I, 12, 9. Nel Thes. l.g. dello Stepha-
nus il luogo ippocratico è citato con « Hippocr. p. 2, 17 ».
(2) R. Sabbadini, op. cit. 115.
(*) Comparve la prima volta in Studi ital.JìloL class. V, 1897, 390-92.
(3) P. de Nolhac Pétrarque et l'humanisme, 2 ed., Il 84-85. Più tar-
di rincarò la dose Fr. Filelfo in una lettera del 1440 (Epist. Venetiis
1502 f. 22).
(4) Membr. sec. XIV col titolo: Incipiunt cciionts Quintilliani. Le
prime quattro tengono, come nel Montepess., quest' ordine: I Sentio iu-
dicesy II Si iuvenis innocentissimus, III Satis dedecoris, IV Ne quaeso.
(5) Chiamo così il codice dal quale il Gibson la pubblicò la prima
volta nella sua ediz. di Quintiliano, Oxonii 1693.
7- — QUINTILIANO. 405
recano una di più, quella che comincia Ne quaeso (i),
la quale non occupa sempre il medesimo posto, per-
chè in alcuni codici sta al quarto, dopo la Satis dede-
corisy e in altri all' ultimo, donde arg-omentiamo che
essi o i loro esemplari non 1' avevano originariamente
e solo più tardi se la accodarono.
Dei sei codici a noi importa in modo speciale il Va-
ticano, perchè essendo stato posseduto da Gasparino
Barzizza ci mostra in qual tempo la nuova declama-
zione fece la sua prima comparsa fra gli umanisti. Il
Vatic. 1773, menibr. del sec. XIV, oltre alle declama-
zioni di Quintiliano (2) contiene quelle *di Seneca (3 ),
con la sottoscrizione di mano del copista: * Explicit
liber declamazomim Senece ', alla quale segue 1' altra
di mano del Barzizza: * Et est mei Gasparini de Bar-
ziziis de pergamo. Secundum primam literam videba-
tur fuisse (4) iilicuius fratris vel conventus fratrum pre-
dicatorum; qualiter pervenerit ad manus illius qui mihi
vendidit nescio. Sed ego bona fide et cum titulo emi
per m[agistrum] Angelum de fanno a domino Bene-
dicto de doctoribus precio ducatorum IIII"^ In casu
quod vera dentur inditia quod vicio sit translatus, iubeo
quod r(*stituatur illi cuius est, dunimodo precium red-
U Sai codici che recano la Ne quaeso vedi H. Dcsxauer, Die hand-
schriftliehe Gruudlage der ig griisseren ps. quintii. Declamat$oneft,ljc'\^-
ng 1898, 14-18. In quest' opuiicolo sono descritti e classificati tutti i
numerosi codici (una sessantina) delle Declamazioni.
?» * Sfarci l'afta QuintiiiaHi declama tiones incipiunt *.
'tcipH primus iiòtr didamatùmum ludi anmi sente* c^rdubinsis '.
4 !.r parole d.^ fuisst sono in ratonu *
406 K. SAHUAblNl.
datur, idest ducati IIII. Eg-o gasparinus scripsì etiussi
ita fieri et non aliter ' (i).
La penultima declamazione del nostro codice, quella
che in esso comincia Multa iudices dirus pater e in
altri Etsi iudices callidissimus, porta la nota sottoscri-
zione antica (2): 'Descripsi et emendavi Domitius Dra-
contius de codice fratris Hieri feliciter mìhi et usibus
mais et diis omnibus ', alla quale il Barzizza fa due
brevi commenti; uno in margine: ' nota ex hoc textu
hunc librum emendatum esse ', uno nel testo: ' melius
catolice quam poetice deo et sanctis omnibus '. Egli
ammetteva dunque la genuinità della parola ' diis ',
che ha tanto esercitato l'acume dei critici, i quali la
interpretarono ora per ' discipulis ' ora per * doctis ';
mentre a nessuno pare abbia dato ombra X * usibus
meis ', che, se non erro, forma dittografia con ' mihi ';
onde, volendo ristabilire il senso e non violentare trop-
po la tradizione, io proporrei il doppio emendamento;
* mihi et OMNIBUS meis et ALns omnibus '.
Il Barzizza conosceva un secondo esemplare delle
declamazioni, da lui collazionato qua e là sui margini
del nostro codice; e quello pure ne comprendeva venti,
(i) Richiamo l'attenzione su questo singolare documento di scrupolo-
sità, ignota generalmente agli umanisti in proposito di codici. In * scripsi
et iussi ita fieri ' par di sentire la solennità di una disposizione testa-
mentaria e perciò la sottoscrizione sarebbe da collocare poco prima della
morte di Gasparino, avtrenuta nel 1431.
(2) La desume da altri codici, più antichi, e la discute e illustra lar-
gamente C. Ritter Die qtiintilianischen dedamationen, Freiburg-Tiibingen
1881, p. 205-209»
tua in modo eh) la Ne quacso occupasse il quart ) pj-
sto, come rileviamo dall'elenco dei cominciamenti che
egli trascrisse di sua mano nel foglio di guardia col
seguente preambolo: ' Infrascripta sunt principia de-
clamationum prout inveni in quodam codice multum
antiquo. Quamvis quarta declamatio non reputetur e-
dita a Quintihano '. Il dubbio qui espresso sull'auten-
ticità della Ne quaeso è rincalzato da una nota apposta
al testo della medesima: ' Nota quod in ahis codicibus
inveni infrascriptam declamationem positam immediate
post terciam cuius initium est BELLO CIMBRICO secun-
dum alios, secundum librum meum Satis dedecoris.
Kt est eius responsiva. Sed non putatur Quintiliani,
(juia stilus non satis congruit, velut patet intuenti '.
K fa veramente piacere osservare come sin da allora
fosse balenato al Barzizza il sospetto che più tardi si
affacciò alla mente dei due primi editori, il Gibson e
il Burmann, e che fu ultimamente convertito in cer-
tezza da C. Ritter (p. 23-27), che sottopose la Ne
quaeso a un esame abbastanza ampio, giudicandola se-
veramente e assegnandola, nella migliore ipotesi, al
I declamazioni furono da poco ripubblicate: Quintiliani quat
•eruntur Dtcìamationes XIX maions^ ed. G. I..ehnert, Lipsiae 1905.
VIU.
LIVIO E SALLUSTIO.
Frammenti Liviani e Sallustiani (*)
Diamo posto anzitutto a due lettere di Pier Candi-
do Decembrio, indirizzate al segretario Visconteo Lui-
gì Grotto:
Petrus Candì dus Aluisio Grotto s. (i)
C"um vetustissimum codicciii nuperrinie nactiis studiose lectitarem, et
co maxime quod plurima e Livio sumpta aniniadvcrteram, ex his potis-
^ìmum libris qui iampridem periere, non mediocris me voluptas tenuit
' >ntcmplantcm res non modo gloria et laude dij^nas, verum etiam ve-
ustnte ipsa admirandas, de quibus nulla aut certe minima apud nostros
Dcmoria extaret. Dum igitur huic studio intentus curiosius singula per-
curro, cpistolam offendi non inamocnam aut inutilcm et scriptoris pari-
ter auctoritite pcrcelcbrem. Ka crat Pompei magni ad senatum Roma*
:>um epistola; de cuius viri memoria cum plura ex aliis, pauca a se seri-
;'ta pracvidisscm (2), ita cupidissime lectitare cocpi, ut desinere vix pos*
cm; et ut apud optimum poetam scriptum est: * Ner vidi«se semel
(*) Comparve la prima volta ia 3fufi'{* tfi <ìfifich: . S88,
'''»-74 e in Studi itai, filol. da
(1) Cod. Riccard. 827 f. 6v.
(2) Intende le lettere di Pompeo in ("i-
13 A T> .
412 R. SABBADINI.
satis est, iuvat usque morali et confcrre gradum et venicndi discere
causas ' (Verg. Aen. VI 487). Hanc igitur cum rite contemplarer, varie
animo affectus sum; quippe dum viri eloqucntiam digiiitatem virtutem
postremo querelas illas mente cogito, subiit recordatio non pauciora Ro-
manos ingenio ac prudentia, quam opibus potentiaque comparasse. Non
enim, ut plerique arbitrantur, immensum illud aerarium auro opibusque
refertum ad tantas tamque praeclaras res ab illis gestas satis facere po-
tuisset; sed erat profecto illis domi consilium foris industria, ut quae
opulentia perfici nequirent, diuturnitate superarent.
Cum igitar te probe nossem et optimarum artium studiis ab adole-
scentia deditum et cousiliis demum aetate optima provectum, statui te
nostri laboris facere participem Pompeianamque epistolam tibi mittere.
Nam etsi maximis in rebus astrictus sis, non deerit tamen, ut opinor,
apud te secessus verae probitati. Quid enim iocundius quam, qui mul-
tos et optimos viros assidue audias, insuper praestantem virum clarissi-
mum imperatorem audire disserentem ? bis potissimum de rebus quae
non minus utilitatis quam iocunditatis allaturae sunt tuis curis. Vale.
[Milano 1440-42].
(Segue l'epistola di Pompeo).
Petrus Candidus Aluisio Grotto s. (i)
Sensi, vir clarissime, ex quo epistolam ad te misi Pompeianam non-
nullos quidem bonos sed non satis eruditos viros existimare illam qui-
dem non a Pompeio, cui inscripta fuerat, verum aliquo temere dictante
nuper editam et tibi falso transmissam fuisse. Quorum profecto diligen-
tiae vel potius malivolentiae ignoscendum arbitrarcr, si eadem nunc pri-
mum in nostra studia, non ante in omnem vitam et mores exprobras-
sent. Verum enim vero id mihi gaudio est huiusmodi habere aemulos,
qui nec iudicio fidant nec valeant ingenio. Utrumne illam nuper editam
esse censent, quod novis litteris sit conscripta ? an quod potius eorum
scripturis stiloque respondeat ? an quod elegantius ipsi dictare soliti, haec
ut noviora deterioraque contemnant ? Quid mirum igitur huic ignaviae
(i) Cod. Riccard. 827 f. 8.
i.lVIO F. SALLUSTIO. 4I3
ordcre cn.nia, cui ree antiqiia placent ncc ornata ? Adele etiam quid
his Cdendum aut credcndum, qui de dicendi venustate ista iudicant, si
fumosa hierint libronim tegmina, non autem stilus ipse dulcis sit aut
plendidus. Sed valeant illi, ne digni quidam inter àQX''(^oiY^^Q<^''^S (0
ne dicam scriptores, peni, olfatu perdite.
Ut autem prò mea in te benivolentia caritate aliquid efficerem, quod
hi nonnulla ex parte giatum esse posset, visura est epistolare illam
cum auctoris nomine tum stilo sententiisque percelebrem ad te mittere,
qur.m quidem antiquissinio et farr.osissimo vclumine Francisci Pizolpassi,
_ raesulis nostri praestantissinii, fideliter excerpsi, ut quanquam per se
tilo liqueat esse Pompei, testimonium tamcn possit afferre vetus exem-
plar. [Milano 1440-42].
E Stabiliamo la data delle lettere. Il Pizolpasso vi
è chiamato praesul noster. Ora noi sappiamo che il Pi-
zolpasso fu eletto arcivescovo di Milano nel 1435, men-
re si trovova al concilio di Basilea, donde ritornò so-
tmente tra la fine del 1439 ^ il principio del 1440.
Non prima pertanto del suo ritorno potè il Decembrio
vedere il codice; e non dopo il 1443, perchè tra il feb-
braio e il marzo di quell'anno il Pizolpasso mori (so-
pra p. 213, 242). Le lettere per conseguenza si asse-
^'^nano agli anni 1 440-1 443.
Il manoscritto vi è detto vctustissivius codcx, anti-
quissimuìH et famosi ssimum volumcn^ vetus exemplar. E
non v*ha ragione di dubitare, poiché tanto il Decem-
brio quanto, e più specialmente, il Pizolpasso, di co-
lici s' intendevano a meraviglia: e si l'uno che l'altro
meritano, per molteplici prove, tutta la nostra fede. Il
Decembrio poi chiama la sua copia novis litteris con-
(i ) In margine: a(^x^M*'Y"CO^ i^^^'i prmeipa ioqttorumu
4t4 ^* SABBADINI.
scripta, con che egli la contrappone a quella scrittura
che allora denominavano littera mitiqua e che corri-
sponde alla scrittura da noi designata come carolingia.
Probabilmente si trattava di un codice carolingio, sco-
perto o acquistato dal Pizolpasso durante la sua pre-
senza a Basilea (143 2- 1439). E doveva essere non un
volume di opere complete, ma un miscellaneo del ge-
nere di quello celeberrimo di Niccolò Cusano (ora n. 52
nell'ospedale di Cusa): e chi sa che non l'abbia otte-
nuto per mezzo di lui stesso, data l' intimità da cui e-
rano stretti i due umanisti (sopra p. iTìI-:^)}^).
Il codice conteneva plurima e Livio sumpta, ex his
potissimum libris qui iampridem periere. Forse una sil-
loge di orazioni liviane? Il Decembrio non può avere
scambiato con quegli excerpta le Periochae (i), le quali
allora erano notissime. Ma su questo punto ci tocca
pur troppo restare all'oscuro.
Non cosi avviene fortunatamente dell' epistola di
Pompeo, la quale il Decembrio accodò alla lettera al
Grotto e trascrisse di suo pugno nello zibaldone Am-
bros. R 88 sup. f. 60 v Epistula GN. Pompei ad sena-
tum. Ne reco le differenze con l'edizione di R. Jacobs,
Berlin 1874, chiamando D la lezione del Decembrio.
§ I adversus | scelestissimi | quesita | nichii | patres conscripti] p. e.
D I etatem: e così sempre omettendo i dittonghi | sevissimum | optime \
miserrima | § 2 Hac in spe p. r. | proemia prò vulneribus | scribendo
(i) Si potrebbe anche supporre che egli conoscesse le Periochae col
nome di Floro e che vedendole nel nuovo codice col nome di Livio le
scambiasse per frammenti.
8. — LIVIO K SALLUSTIO. 415
tnittendoque | trienium [ § 3 immortales | erarii | § 4 imperii | quadra-
ginta] XL D \ hostesque incervicibws | agentes | summovi | Hanibal | o-
portunius | § 5 lacetaniam indigetes | sertorii | sevissimos hostes ] opida
I § 6 Que deinde 1 opida | fucronem ( flumen durium I vobis dare | in-
grati I § 7 exercitui hostium I conditio | victorque uterque 1 § 8 animad-
vertatis j intemetioiiem corr. in interitionem | maritimas civitates et ultro.
Le orazioni e le epistole tratte dalle Historiae di
Sallustio ci furono tramandate dal codice Vaticano 3864
del sec. IX-X: ma da esso era indipendente il codice
del Pizolpasso, perchè ivi la lettera di Pompeo non
portava il nome di Sallustio, tanto che il Decembrio
la credette autentica. E poi sono tali le differenze dei
due testi, che l'uno non potè discendere dall'altro.
Tra le varianti del codice del Pizolpasso una ci sem-
bra deg-na di considerazione: civitates et ultro. Quell'^/
non si leg-jj-e nel codice Vaticano; in luogo di che l'Al-
dina ha inserito un quae, tanto per accomodare alla
mefflio il senso. Ma la vera lezione si cela sotto et^ sol
che si rammenti che nei manoscritti sono spesso con-
fuse le sigle che rappresentano et e quia. Si legga
pertanto quìa nitro e si avrà ricostituito il testo.
Nel 1450 il Decombrio passò da Milano a Roma al
servìzio della curia pontificia e vi restò fin verso la fi-
ne del 1455 (sopra p. 278-9). In quel tempo vide la
raccolta completa delle orazioni ed epistole Sallustiane
tratte dalle Historiae; la vide o nel cod. Vaticano 3864
o in un apografo di esso e se ne copiò due nel suc-
citato zibaM'"^" Ati.l,tow1:.T)o R 88 sup. f. 98-99V col
4l6 R. SABBAUINI.
titolo: Orationes excerpte ex historiis Crispi Salusfii.
Anche di queste reco la collazione col testo del Jacobs.
Oratio Lepidi consulis ad p, R. % \ gentes maximi | plurimiim j adver-
sum I Lucii Siile | qne: omette i dittor.ghi | estimatis | credendo | tutan-
dis I ulciscendo | § 2 maximi — cptimis | quo] qui D \ servicium | opti-
mo I § 3 subvertenda | § 4 Hanibale | § 5 vertunt | § 6 generis om. D.
I parvissimeque | immanitatem ] servitii a repetenda | § 7 agendum [ ve-
stra ( Siile | § 8 estimet | § io servier.dum aut impetrandum | faciendus
I Quirites] R. Z> | § 1 1 inpollita \ popullus | exitus | § 1 2 latii | nobis
I prohibentur] habentur D \ inoxia | § 13 vitaelicentia | § 14 sepulchra
I § 15 viris] iuris D \ ferros eptis corr. in ferro septis | statuit (?) ex
stature corr. \ ausus] usus D \ expectat | § 16 vtis vlla corr. in uti S5'l-
la I § 17 Piens | parata | inoxiorum | divitascruciatus 1 § 18 maximum |
§ 19 versa \ siliceat | § 20 existimetis [ set | expectantes | que (corr. in
quae) furtiles et corupte sunt sed dum vestra socordia quam raptum i-
rilicet I § 21 praeter] pariter D \ comaculatos [ vult \ non om. \ mutata
pariter victoriam | capiendis | dehonesta mentum | § 22 maximum | pa-
rit] parte D \ praeter] pariter D \ est om. | § 23 tribunitiam ' eversum
j iuditia I pene paucos intelligerent | § 24 vitiis obtentui] vitus optent
cui D ! pacisque | rem p. | acerbissima | quod ex quoad corr. \ populi R.
I § 25 nobis I intelliguntur corr. ex intelleguntur | maxima { rei p. ( im-
positis I ocium j rem p. sium et sanguinis | § 26 imperium satisque si
tumerat nomim maiorum | atque et iam predio tecmen non fuit | pocior-
que I § 27 divis m. emillium cos | recipiendam | .
Oratio Philippi insita. % i Maxime velem p. e. rem p. | promptissi-
mo I prava] parva D \ iis | pessimi et stultissimi [ ea] a Z> | facienda |
§ 2 Probi boni. — E qui s'arresta: indi segue un quarto di pagina bianca.
Se ne conchiude che il cod. Vaticano 3864 era in
Roma prima del 1455.
A Roma presentemente sono due altri codici che
contengono le orazioni e le epistole Sallustiane: il Va-
ticano 3415 e l'Urbinate 649, entrambi del sec. XV.
S. — LIVIO K SALLUSTIO. 4lf
Ma non derivano dall'archetipo Vaticano 3864, sibbe-
ne da due edizioni; ossia il Vatic. 3415 (autografo di
Pomponio Leto) dallV^. fr. di Roma del 1475; l'Urbin.
649 dall'edizione di Mantova tra il 1476 e il 1478 (i).
(1) Ciò ha dimostrato E. Haulcr in Wientr Studitn XVII, 1895,
103-131.
t. tABBADnn, 7V//I latinL 2;.
IX.
UNA IGNOTA COMMEDIA LATINA
LA BIBLIOTECA DI GIOVANNI CORVINI
D'una ignota commedia latina
posseduta da Giovanni Corvini (*)
(cofi notizie sul Corvhii e la sua biblioteca)
Xeir epistolario del Traversari, raccolto dal Canneto
e pubblicato dal Mehus (0, e n^VC Amplissima collecti^y
pubblicata dal Martène et Durand (2), ci è una lettera
di un Candido a Niccolò Niccoli, la quale fu ingiu-
stamente finora trascurata, mentre non è piccola la
sua importanza. Io la reco qui per intero.
Candidus Nicolao Nicoli sai.
Si vale» bene est et ego valeo. Enimvero, frater optime, tx te certuni
babeo quam (3) maxime gaudeas ex hoc ut bene valeam. Sed meherde
ita dii deaeque me adiuvcnt, quam (4) hoc tecum munus lubentiui (5)
(^ Comparve la prima volta in Afuseo di antichità class. Il, 1886, 81 •96.
(I) Mehuu (« Me) XXV. 7; P- 1050.
(3) Martène (» Mar) t. Ili, p. 734.
(3) quod Mar.
(4) quod Mi.
(5) UbenUos Mar.
42 2 R. SABBADINI.
paciscar. Scito Beltraminum de Rivola q)iXov fjf^iòjv (i) amantissimum
esse. Is de te tantum mihi retulit, ut cogar quoquomodo ad te aliquid
scribere. Noe niirum siet si tani caldos (2) affectus iniecerit (3), ut gno-
tus (4) fieri cupiam nec libris tuis quod absiet (5) evenit (?). Scito e-
DÌm me his valentissime foltum (6); sed Siaawl^ovTEg tt)V Jia^aiàv
juagoifiiav (7) cum paribus aptissime iungimur.
Vidi inter cetera commonitorium tuum, quod pridie ut opinor ipsi
dederas. Rari profecto sunt hi libri, frater optime, in hac urbe, in qua
nullus virtuti honos est. Omues aut ambitioni aut ceteris ignaviis ope-
ram duint (8); opto tamen ut habeas, si qui {9) apud te ne sient; si
sient, ne frustra quaerites. Etsi dupli aut quadrupli emere velis (io),
nullus venierit, nec vere possient, quod illis desiet. Advortas (il) igi-
tur animum volo et quos maxime cupis mihi notum facito; sed maxima
diligentla curatos habeto, ne apud te sint, ut dixi, ne me obtundas, ni-
si (12) y.axà xrjv XQ^^av (13) fióvov. BiPA,iodrixT) Ioannis Arretini mul-
ta et (14) peregrina et antiqua habet, quae lubentius videas. In ea si
quid tibi placuerit, curatum habebo ut transcribam. Hi sunt ferme ex
antiquis libris vetustissimi, quos carie (15) semesos ad legendum faces-
se: Catonis, Palladii (16), Columellae et Varronis Agriculturàe;
(i) T]|xov Me.
(2) calidos Mar.
(3) inierit Mar.
(4) agnotus Me.
(5) absit Me.
(6) fultum Mar.
(7) Me. om. graeca lac. rei.
(8) dant Me.
(9) siqu'.d Me.y Mar.
(io) voles Mar.
(11) advertas Mar.
(12) obtundas. Nisi Me.
(13) Xéeav Me.
(14) et om. Mar.
(15) canere Me.
(16) Platonis, lulii Mar.
9- — UNA COMMEDIA LATINA. 4^3
L. Annaci Senecae Opuscula; Comoedìa antiqua, quae
cuius siet nescio. In ea Lar familiaris multum loquax est: volt ne
Parasitus antelucanum cubet, utplostrumvetus,
pelves et rastros quatridentes (i) ruri quam fe-
s t i n i s s i m e t r a n s f e r a t ; is ne volt parere quidem,
co quod gallus nondum gallulat: meo denique iudicio
vetustissima. Suetonii Tranquilli liber(2) cum Gracco; Censo-
rini ad Q. Caerellium (3) de saeculo (4); C. lulii (5) opera
belli Gallici; A. Gellii li ber cum Gracco; epistola-
rum Ciceronis ad Atticum liber veterrimus (sopra p. 91). Prae-
terea multa peregrina opera, quae iugiter laudari existimantur et quorum
tibi ne nomina quidem possem perscribere. Advortito (6) itaque, ut
dixerim, si quid ex bis desiet quod (7) carius siet et rescribito. Luben-
tius lubentia tibi mittam. Notato etiam in syngrapho libros et mihi
mittito.
Scripsi Leonardo Arretino litteram xt^v aYQiav, (8) ut me amet, sed
nihil respondit; ne curat quidem (9), ut arbitror. Enimvero postquam nu-
buit ncc (io) opus duit (11) nec amicis ut solitus scriptitat, ut auguror.
Il passo più importante di questa lettera è dove Can-
dido parla della commedia antichissima posseduta da
Giovanni Aretino. Nell'edizione sua il Mehus rimanda
con una nota al Miles gloriosus di Plauto (lU, i, 93).
(i) qaatrìdentem Me.
(2) Tranquillini Mar.
(3) Ccccllium Mar.
(4) Veramente il titolo ordinano è De die natali.
(5) Caci lulii Mar., T. Villii Me.
(6) advorte Mar.
(7) quid Mi., Mar.
(8) Tìjv ÙYvfova Mar.; am. Me. he. rei.
(9) equidem Me.
(io) oe Mar.
(Il) dacit Mi*
424 K- SAbBADlNI.
Ma evidentemente e' è errore. In quella scena del Ni-
les uno dei personaggi, Poriplectomene, parlando con
altri due, Plausi de e Palestrione, rende loro ragione
perchè non prese moglie; la moglie, egli dice, pensa
sempre a sé e mai al marito; e al mattino, prima an-
cora che canti il gallo, lo sveglia e lo importuna col
chiedergli danaro per il proprio lusso e per i propri
capricci. Ecco il verso:
vernin priusquatn galli cantent, qnat [uxor] me sonino snscitet etc. (v. 687).
La scena del Miles quindi nulla ha che vedere col
caso nostro. Qui si tratta proprio di una commedia la-
tina perduta, della quale Candido lesse una scena, tra-
smettendone il contenuto al Niccoli, tanto per fargli
capire che cosa fosse. Ciò ne fa argomentare che la
commedia doveva mancare del titolo, altrimenti Can-
dido l'avrebbe dato. Era essa poi intera o mutila ? e il
codice conteneva quella soltanto ? Mi pare che la let-
tera non abbia risposta per queste due domande. In
ogni modo la commedia è antica, come si deduce e dal-
l'asserzione di Candido, che di codici doveva avere u-
na certa pratica, e dalle parole arcaiche che in essa
si leggevano. Perchè non e' è dubbio che Candido nel
piccolo cenno fattone conservò le forme e le parole
del testo. Alcune di queste parole meritano una spe-
ciale attenzione.
Intanto quatridentes è un vocabolo molto raro per-
chè, se non erro, si trova solo in Catone {de agric. io
e II). Raro è pure l'avverbio antelucanum. U^-Yverbìo
superlativo festinissime è nuovo; si trova, ch'io sappia,
9- — UNA COMMEDIA LATINA. 425
appendi una volta il i^o?ÀxWo festine in Cassiodoro {Var,
3, 40). È nuovo parimenti il verbo gallici are, che si-
gnifica il cantare del gallo; una formazione del resto
non molta strana, perchè esiste gallulasco, ma con al-
tra significazione.
Con questo il vocabolario dello lingua antica latina
viene accresciuto di due parole: dell'avverbio festinis-
sime e del verbo gallulare. Cosi potessimo aggiunge-
re alla letteratura latina una nuova commedia ! Ma pur
troppo non abbiamo da registrare che un frammento,
il quale però ci dà idea abbastanza chiara di una sce-
na graziosa tra il Lare domestico e il Parassito. Il La-
re eccita il Parassito ad essere mattiniero e a recarsi
in campagna con gli stromenti agricoli; il Parassito vi
si rifiuta, perchè il g.illo non ha ancora cantcìto. Si-
mihnente nel Moretum (v. 2) il contadino si alza al
canto del gallo (i).
***
K ora studiamo un po' più da vicino la lettera. Sul
tempo in cui fu scritta si può argomentare con qual-
che probabilità. E detto in essa che Leonardo Bruni,
dacché prese moglie, non pensa piìi agli amici. Il Bru-
ni si ammoghò tra il gennaio e il fi bbraio del 14 12 (2);
,i, .. potrebbe pensa;-. ...:- ... i;... . ,. di un liinuncggiamcnto di
qualche commedia antica, come p. es. il Queroius del secolo IV, e VAu-
luiarùi di Vitale, circa del secolo XI (v. l'ed. dcWAuliil. di Vitale <lcl
Miillenbach, Bonnae 1885). E infatti nel Queroins il Lar familiaris è
molto ciarliero: ma il pasHO della lettera non ha riscontro con nessuna
delle due.
^31 I.roii. Arrplini F.f'nl. di. Meluis. pr.ut , I
426 R. SABBADIXI.
e di poco posteriore dev' essere la lettera. Dall' altra
parte il Bruni è presupposto a Firenze, di dove egli
fu assente negli anni 141 4-14 15 (i): ponendo la lette-
ra dopo il 1415 andremmo troppo lontani dal suo ma-
trimonio. Bisognerà collocarla pertanto o nel 141 2 o
nel 1413, qucindo la corte pontificia fuggita da Roma si
fermò alcuni mesi fuor le mura di Firenze (dal giugno
al novembre). Accettando la data degli anni 14 12 o
141 3 dobbiamo rinunziare a vedere il Decembrio nella
persona dello scrivente Candido, perchè Pier Candido
Decembrio nel 1413 era appena tredicenne e non par
verisimile che a quell' età trattasse cosi confidenzial-
mente il Niccoli e il Bruni; senza dire che Pier Candi-
do non prima del 141 9 si stabili a Milano {2). Inoltre
r affettazione arcaica (siet, foltum, duit ecc.), di cui fa
pompa lo scrivente, era estranea allo stile del Decem-
brio, il quale anzi si professa sistematicamente con-
trario agli arcaismi (3).
Ma se ci è fallito il tentativo di identificare lo scri-
vente, saremo più fortunati nell'identificazione di Gio-
ii) lu quei due anni accompagnò la corte pontificia a Bologna e di
là a Costanza.
(2) M. Borsa, Pier Candido Decembri e /' umanesimo in Lombardia^
Milano 1893, li-
(3) In una lettera della prima metà del 1433 si scaglia contro quegli
scrittori i quali * diphthongis et alphabetis dumtaxat exornati, cariem
priscam et ignotam redolescunt. Prima etenim quaeque epistolarum sua-
rum nota, si modo id nomen merae nugae promerentur, ex Ciceronis
commentariis immo ex XII tabulis eruitur, nonnulla etiam graece addi-
ta, ut, quasi in luna maculae, sic epistolis interpositae liturae non iude-
ceant ' (cod. Universit. di Bologna 2387 f. 133 v).
9. — GIOVANNI CORVINI. 427
vanni Aretino. Prima inclinavo a vedere in lui il Tor-
telli, che dei Giovanni Aretini del secolo XV è senza
dubbio il più famoso; ma mi son dovuto ricredere, j^er-
chè e dimostrato il e )ntrario da una lettera di Gaspa-
rino Barzizza, che reco qui per intero:
A{/ insignem et ampli ssì munì virum lohaujiem Corvinum
ex urbe Aretina ducalem secretarium et senatorem gra-
vissimum co/isolatoria Gasparini Pergamensis super
inopinata morte Nicolai sui filii ( i ).
Si nondum ad te consolandum accessi aut miUas ad te litteras dedi,
juìbus tantum dolorem timm vel consolando vel dolendo lenirem, non
i.ini negligentiae meae quani consilii fuit. Meniineram enim quid in re-
cnti macrore eius filii mihi accidisset, quem cj^o primum mihi genue-
ram, in quo ego omnem nieam spem constitucram, per quem vivere e-
tiam post mortem sperabam. Quo tempore illa ipsa quae remedio esse
consuevcrunt maiorem certe dolorem faciebant. Conveniebant me amici
ut meos luctus minuerent; iubebant me eorum reminisci, quae vel au-
diendo philosophos ab illis didicissem, vel expcriendo casus adversos, ut
humana sunt, doccre alios et eos ad patientiam hortari consuetus essem.
scd quo magis illi me ut mihi adessem monebant, eo acriores dolorum
culcos excitabant. Dicam fortassis quod tu admirabere; non solum con-
j>cctum amicorum intcrdum fugicbam, sed noti nunquam ctiam, si quan-
to in id genuiì littcrarum incideram, quae eortmi qui forti animo obitum
Siliorum tulerunt memoriam interìre non sinunt, nihii mihi in his legen-
di» proficere vidcbar, »cd dolorem potius illum, qui aliis occupatioiiibus
Iti nobÌH quandoque ad tempuh sopitus est, renovari in me ne magis in-
i-cndi icnticbam. Quod in tuo acerbissimo casu, ttim ex me ipso tum qua
pietate »cm{)cr in tuos (uisti, evenisse non dubito. Si ergo non prìui
ulcus hoc tuum tangcndum putavi, qunm dolendi coiiKuetudincm aliqunm
tibi frrii.w»-u fxiii iliit.if in.lntii .ifiiii \,\ I.. .,11^ ,,.t. villi t.w.i ... mi. ..■!..( .li f^f
n) Cod. Ricciidiamj 774,1. ifc^v.
428 R. SABBADINI.
quam reprehensionem negligentis habere debeat. Nam in hoc tuo casa,
quo haud scio an ullum tibi potuit fortuna graviorem infligere, consue-
tudinem medicorum (l) servavi, qui (2) ea vulnera quae a principio ta-
cta dolorem maiorem faciunt, solent in secundum aut tertium diem col-
ligere nec prius ad curationem accedere, quam manum medici sine pe-
riculo potest vulnus pati. Haec enim ratio me a te, cum adhuc dolor
tuus recens esset, litteris meis vel alloquendo vel consolando revocavit,
ne maius tibi vulnus in contrariara partem afferrem. Nunc vero cum pri-
stinus ille dolor tuus paulum se remittere coeperit, quanquam medicina
cuiusquam non egeas, modo illae maeroris tui reliquiae sinant, quod
minus in domestico dolore facere potili, in tuo temptabo; quod me fa-
cile consecuturum spero, si te non ex vulgo hominem quendam (3) sed
unum ex patribus conscriptis senatorem gravissimum esse memineris. Non
potes, crede mihi, in hoc tuo dolore perseverare diutius, quin amici tui,
quos in hoc casu participes maeroris tui ac socios habuisti, ultro te ac-
cusent expostulentque cur tu, qui aliis consilium dare consueveris, me-
deri ipse tibi, cum iam tempus sit, non possis; illaque vulgata in cete-
ris summis viris in te dicent: Memento te lohannem esse, in quem oculi
omnium coniecti sunt. Turpe tibi illud esse tempus expectare, in quo
* nullus tantus dolor est, quem non longinquitas temporis (4) minuat '.
Multa ad hunc modum inter consolandum afferent, quae tuum dolorem
moUiant: mortales scilicet nos omnes lege naturae natos esse nec mori
minus quam nasci secundum naturam datum; non posse bono viro aut
vivo aut mortuo mali quicquam accidere; non referre quo genere mortis
consumamur (5), sed quo morte obita migremus; nec interesse utrum
casu aliquo sive errore, ut nuper tuus hic suavissimus filius interiit, an
vi, an insidiis, an fato, an magis in utero, an magis in ilio primo tem-
poris puncto quo natus est, an ultra metas infantiae, an puer, an adu-
(i) mediocrem cod.
(2) quia cod.
(3) quondam cod.
(4) tempus cod. Cfr. Cicer. ad fani. IV 5, 6.
(5) consumatur cod.
9. — GIOVANNI CORVINI. 429
lescens, an iuvenis, an senex, an iam decrepitiis aliquis moriatur; uDam
omnibus mortem esse, vias auteni ad illam accedendi plures, nec tam
esse curandum qua via, ut dicitur, quam quo perveniamus, nec fieri pos-
se, nisi prorsus dignitatis obliti simus, quin multo meliora functis vita
supersint, quam si immortalitate, si regnis omnibus ac voluptatibus frui
in hac vita diutius nobis concessum esset. Forte etiam illud adicient,
nihii esse, si vere illuni amasti, cur non desiderium eius ferre aequo a-
nimo debeas, cum illa ipsa, quae maxime tibi in ilio placebat, divinitas
fngenii tanta nunc sit, ut is quem ego, si longior ei vita fuisset, disci-
pulum maximi profectus fore sperabam, nunc caelo fruatur, nec illa
rerum humanarura divinarumque scientia eum fallat. Postremo nihil mi-
nus sapientis esse tibi commemorabunt, quam ea deplorare incommo-
da, quae nostris luctibus nec restitui in integrum possunt neque corri-
gi; sed, quod deterius est, nostra impatientia maximam partem calami-
tati nostrae adicere. Sed neque haec illi tibi obicient, neque te accu-
sabunt scio, cum ea sis sapientia, ut multo melius hoc docere alios,
quam audire ex aliis possis. Quare neminem habeo, cuius te malim quam
tuo Consilio, cum sapiens sis, neque in hoc neque in ceteris rebus, uti.
Quod si facies et ipse tecum loqueris, intelliges cur deinccps mors Ni-
colai nostri» pueri divini ingenii, lugenda tibi sit; id ego dum te con-
solor, in meo Nicolao experior; quem cura iam spectatus vir esset amisi.
Vale; ex bibliotheca raea.
Questo Giovanni Aretino pertanto è di cognome Cor-
vini. Gli era morto il figlio Niccolò, molto piccolo cer-
to, perchè non era ancora scolare del Barzizza, com'e-
gli sperava, se fosse vissuto di più: possiamo suppor-
re che fosse sotto ai dieci anni. Noi sentiamo il dolo-
Tc. del vecchio Barzizza, che già aveva dovuto pian-
gere la morte del suo primogenito, che si chiamava
Niccolò come il figlio del Corvini. Niccolò Barzizza era
ancor vivo nel 1423, nel quale anno era stato eletto
43Ó R. SABBAtHiJl.
podestà di Trento (i). Della sua morte il padre dà il
tristo annunzio a Valerio Marcello (2); ma la lettera
non ha data. Le si può fissare però un termine estre-
mo: infatti in due codici (3) essa porta questa chiusa:
Vale et me optimo pontifici ac patri R.''^ d. Petro Mar-
cello fratri tuo quo soles studio commenda. Ora Pietro
Marcello, vescovo di Padova, morì nel 1428 (4); qui
siamo dunque prima; sicché la morte di Niccolò Bar-
zizza cade tra il 1424 e il 1427 e questi sono i termi-
ni estremi della consolatoria al Corvini. In quel tempo
Gasparino Barzizza era a Milano (sopra p. iii, 120) e
in intima relazione col Corvini, segretario ducale e
senatore.
La famiglia Corvini era originaria d'Arezzo. Il nostro
Giovanni, figlio di Gregorio (5Ì, abbandonò la patria
e migrò a Milano, dove si stabili definitivamente, a-
vendovi ottenuto nel 1407 la cittadinanza. Fu più tar-
di fatto consigliere di Filippo Maria Visconti e (nel
1432) creato (^onte palatino dall'imperatore Sigismon-
do. Mori nel di del Natale 1438, come risulta dal suo
(i) Cod. della Biblioteca Nazionale di Napoli, IV A 43, f. i Nico-
laus Barzizius iuris pontificii doctor ac Tridentinus pretor desìgnatus
Ioanni Angustino fratri s. d. Ex Patavio VII kal. octobris MCCCCXXIII.
(2) Barziz. Oper, I, p. r86. Nel testo la lettera ha la data Fatavii;
ma questa è, come pur tante altre, una falsa congettura dell'editore.
(3) Cod. Marc. lat. XI, 21; cod. Querin. di Brescia C, V, 26 f. 47.
(4) Agostini, Scrittori viniziani^ II, p. 139.
(5) Gregorio non viveva più nel 141 5, poiché in data primo gennaio
141 5 si legge: lohannes de Corvinis De Aretio filius condam domini
Grigolii (Osio Documenti diplom. II 49).
I
<), — GIOVANNI CORVINI. 43 1
epitaffio. Lasciò un figlio, Luchino, natogli nel 1424
da Filippina de Capitaneis (i).
Mette conto sentire come ce lo rappresenta Cosimo
Raimondi, a noi ben noto, in una lettera a lui diretta (2):
Itaque cum prirmim senalii dimisso expeditisque civium populorumque
negotiis, qui domum frequentant tuam, recipere te in bibliothecam licet,
quam habes opulentissimam et nullius doctrinae
i g n a r a m (3), subito in illam te posthabitis aliis omnibus recipis ea-
que legis et tecum meditare quae vel ad agendum gubernandumque re-
gnum illud referas vel ad excolendum animum conformandamque men-
tem attineant, ut n emini mirum videri debeat si tua semper plurimum
in consiliis possit oratio. Hanc enim intentam semper habes citharam
gravissimisque legendis assidue libris divinam illam vim ingenii tui, ip-
sam per se quam lautissimam, sapientissimorum hominum institutis mo-
numentisque perpoliens uberiorem efficis ac omatiorem. Quo quidem pri-
rato et occupato studio tuo plus est a te perfectum quam a multis qui
ad scholas publicas profecti aliud nihil nisi litteras curaverunt. Ex te enim
et a te ipso nulloque docente non oratoriam solum sed poeticam etiam
didicisti; tantumque in utraque praestas, ut idem et summus orator sis
et poeta maximus. Nam tum versus tum cetera quae scripsisti omatis-
lime nihil antiquorum elegantiae et dignitati cedunt. Quibus non con-
tentus philosophiam illis adiunxisti; multa enim a te in ea quoque sunt
percepta nec minus prò diffuso tuo ingenio sacras explorans litteras Gre-
gorium, Auguttinum, Hieronymum, Thdtaam Aquinensem gentemque
illam theologicam atquc caclestcm fere totam es pcrscrutatus. yuin etiam
velerà cognosccndi cupidus antiquitatcm oninem volvcns cgregium nul-
lum praetermiRisti facinus sive a nostris sive a Graccis hominibus gettum,
quod non penitus didiccrìs memorìnequc mandaris.... [Avignone 1431].
(i) Argelati, Bièiioth. scriptor. Medwlan., II, 2, p. 1759-1761.
(8) Cod. Ambros. B. 124 xup. f. io8v.
(3) Si occupava anche d'ajitrologin; G. D'Adda Indagini.» mila tiòrt-
ria Visconteo- Sforzesca n. 930: ' Liber unun aKtrologie... Kt fuit poiitut
In libraria per d. lohannem de Aretio die X Villi decembri» MCCCCXV*.
432 Jt. SABÈADlNt.
Dalla lettera surriferita di Candido desumiamo che
nel 141 2-13 il Corvini corrispondeva col circolo degli
umanisti fiorentini (sopra p. 388 n. i). Ma più tardi ebbe
opportunità di avvicinarli persoucilmente: e fu nella
prima metà del 1423, allorché guidò l'ambasciata Vi-
scontea a Firenze e di là a Roma (i). Anzi in quell'oc-
casione portò al Niccoli una copia del codice Cicero-
niano di Lodi, com'è attestato da Vespasiano {Nicolao
I^icoli): * UOrator e il Brutus furono mandati a Nicolao
di Lombardia ed arrecoronli gli oratori del duca Fi-
lippo quando vennero a domandare la pace nel tempo
di papa Martino '. Questo codice è ora il Fiorent. Naz.
Conv. soppr. li, 14 contenente appunto XOrator e il
Brutus, con la nota: Iste liber est conventus S. Marci de
Florentia ordinis predicatorum de hereditate Nicolai de
Nicolis fiorentini viri doctissimi. Un suo apografo è il
Laur. 50. 18, sottoscritto: Cosmae de Medicis hoc opus
absolvi feliciter die prima octobris MCCCCXXIII ego la-
cobus Antonii Curii lanuensis. Florentiae: donde rimane
confermato che il codice pervenne al Niccoli al più
tardi nella prima metà del 1423 (sopra p. 137).
Sui rapporti del Corvini coi fiorentini e' informano
due lettere dell'Aurispa e del Traversari.
L'Aurispa era giunto nel dicembre 1423 da Costan-
tinopoli a Venezia in compagnia di Giovanni Paleolo-
go, il novello imperator Greco, che veniva in Europa
a chiedere soccorsi (2). Nel febbraio 1424 l' imperato-
(i) Machiavelli Istorie fior. IV 4-5; Muratori R. I. S. XIX 57-58;
Commissioni di Rinaldo degli Albitzi, Firenze 1867, I 449.
(2) Muratori, ^(?^. Ital. Script. XXn,'p. 971.
9. — GIOVANNI CORVINI. 453
re e con lui l'Aurispa partirono da Venezia alla volta
di Milano. Ecco che cosa V Aurispa scrive al Traver-
sari a Firenze (i):
Graecorum rex cras hinc discedet, ut Mediolanum eat, et nos una se-
cum. Si rescripseris, quod ut facias summe precor, Mediolanum litteras
transmitte rogove, si tecum aut amicitia aut familiaritas cura Ioanne Ar-
retino (2), qui apud ducem Mediolani priraus esse dicitur, est, me per
epistolas sibi recommissum dede. . . .
Ex Venetiis HI idus februarias [1424].
In seguito a questa lettera ecco che cosa scrive il
Traversari al Niccoli (3):
Orat (Aurispa) me ut ad se rescribam Mediolanum litterasque com-
mendaticias ad Ioannem Arretinum dem; id mihi mature video esse fa-
cieDdum atqne hoc ipso die
Florentìae IV kal. martii [1424].
Del resto il Corvini con la sua passione bibliofila
non si dovette trovare certo a disagio nemmeno a Mi-
lano dove, specialmente nel decennio dal 1420 al 1430,
egli visse in un centro di dotti molto insigne. C era
dal 1423 l'arcivescovo Capra, uomo di gusto, cultore
e protettore delle lettere, solerte investigatore e sco-
pritore di codici. Vi era fin dalla seconda metà del
142 1 Gasparino Barzizza, che terminò ivi la carriera del
suo fecondo insegnamento, e Antonio da Rho, indi-
pendente e illuminato umanista, pur appartenendo al-
(I) A. TmvcTt. Epùt. XXIV. 48.
(a) Ioanne Riodo Uxt.
rravcr». J?fù/. Vili, 12.
u M.iAi.,M. Tati latmì, »g.
4^4 ^' SAaAiym'i.
l'ordine dei minoriti. Vi si trovò nel 1422 per alcuni
mesi Flavio Biondo, proprio nella fortunata occasione
che il Landriani scopriva a Lodi 1' archetipo delle o-
pere rettoriche di Cicerone (sopra p. 137). Vi era Cam-
bio Zambeccari bolognese, uno dei primati alla corte
ducale, passionato raccoglitore di opere morali antiche
e delle vite di Plutarco, che corrispondeva con l'Au-
rispa a Ferrara e con Guarino a Verona. E vi era fin
dai primi giorni del 1427, per tacere di altri minori,
Giovanni Lamola, alunno di Guarino, indefesso racco-
glitore e coscienzioso emendatore di manoscritti. Senza
dire che nel 1427 vi si trovò col cardinale Albergati
il maestro Tommaso Parentucelli, poi papa Niccolò V,
giusto nell'anno che nella basilica Ambrosiana fu sco-
perto il famoso codice di Cornelio Celso (sopra p. 311).
Sicché il nostro Corvini n' aveva d' avanzo per ali-
mentare la sua passione libraria. E infatti egli era riu-
scito a raccogliersi una considerevole biblioteca, una
delle prime biblioteche degli umanisti, del medesimo
tempo di quella del Niccoli a Firenze, che fu allora la
più famosa. Aveva il Corvini un Giulio Cesare e una
collezione di opuscoli di Seneca: libri questi abbastanza
comuni; ma vi troviamo le lettere di Cicerone ad At-
tico e una collezione di scrittori di agricoltura: Catone,
Palladio, Columella e Varrone, libri allora assai rari.
Aveva una commedia antica, che ci è ignota; più, ol-
tre chi sa quant' altri che Candido non nomina, uno
Svetonio, un Gellio, un Macrobio, tutti e tre con le
citazioni greche: pregio che gli umanisti stimavano
molto raro, perchè li sentiamo continuamente lamen-
9- — GIOVANNI CORVINI. 43$
tarsi della mancanza dei passi greci nei testi latini.
A questa biblioteca del Corvini facevano 1' amore
parecchi letterati d'allora; Guarino p. e. diede la caccia
al suo Macrobio e al suo Gellio.
Sin dal 1422 infatti Guarino per ottenerlo interpose
l'opera di Niccolò marchese di Ferrara e del suo se-
gretario Ugo Mazolato e del suo consigliere intimo
Giacomo Zilioli. Ecco il passo della lettera ch'egli scrì-
ve al Mazolato (riportato già sopra p. 139):
Ugo mi carissime, tua mihi ope opus ac industria, ut ad librum quera
habere ardeo cupiditate quadam incredibili, manibus ac pedibus, imrao
vero mente Consilio et cogitatione tua et Zilioli nostri intendas. Est vir
quidem clarus ac prudentissimus, Johannes Arretinus, illustrissimi ducis
Mediolani secretarius; habet Macrobium, ut audio, litteris antiquis, fide-
lem, emendatum, ita ut et graecas habeat fide optima insertas litteras.
Hunc transcribendum esse cuperem ita ut eius copiam haberemus.
Ex Verona V id decembr. [1422].
Non molto tempo dopo Guarino si rivolgeva a un
milanese, a Giovanni Casati.
.... Audio te caritate plurima coniunctum esse viro gravissimo ac
rnatissimo lohanni Arretino. Is ut multos alios, ita Macrobium de
Saturnalibas, A. Gcllium de noctibus Atticis habere
dicitur, quos et ego habeo, sed cum eos emendare cupiam, illos te in-
terprete ab eo habere veliro. Indignum enim censeo ut, qui me in diet
!it, ii apud me incmend.iti mancant. Ut autem favorem
,uari9, quas Ubi .imicas esse vis, curare debc.s ut qui in
militant corrìgantur et vera loqui consuescant. Id nutero
mihi futurum eit. Ut autem amicum tuum precibus non
Ilare, sat crit ki nunc Macrobium pctas (i).
(Il ' I Anr.r.-si i ' ' 'nf. f. 125.
4^é R. SAB8ADIN1\
Ma come le pratiche con la corte di Ferrara, cosi a
nulla pare siano approdate anche queste col Casati.
E al suo Tacito dava la caccia Pier Candido De-
cembrio, che così scrive al Solari:
Petrus Candidus Abondio Solario s. (i)
Ioannes Arretinus vir supellectile sua, ut puto, dignus, librum habet
unicum, quem prae ceteris cupiam videre. Est autem Cornelii Taciti
volumen illud, amplitudine haud Curtio dissimile, stilo vero, meo iudi-
cio, longe inferius scriptum et obtusius. Hunc cum nuperrime in biblio-
theca sua deprehendissem, institi ut illius lectione arentem sitim meam
expleret (2) idque ex humanitate sua perlibenter facturum se spopondit.
Cum vero intelligam illum et paratum (3) et propitium soli tibi esse,
pergratum feceris si Cornelium meo nomine ab ilio sumptum mihi mi-
seris, quem restituturum brevi polliceor; nec aliter Curtium meum quem
habes ad me reversurum persuadeo. Potes itaque inter Dionysium et
Platonem quasi Pythagoreus quidam vadem exhibere. Vale.
L'ultimo periodo della lettera allude scherzosamente
ai sospetti suscitati da Platone nell'animo di Dionisio
il giovane, nell'occasione del terzo suo viaggio a Si-
racusa, e alla parte di paciere che tra il filosofo e il
re s'era assunta il pitagorico Archita.
Il Decembrio paragona il volume di Tacito per gros-
sezza a quello di Curzio: e di fatto le opere di Tacito
comprese nel cod. Med. II (sopra p. 249) - hanno su
per giù r estensione degli otto libri superstiti di Curzio,
forse un po' maggiore. Strano invece il giudizio sullo
(i) Cod. Riccard. 827 f. 30 v.
(2) cxpiaret cod.
(3) patrem cod.
9- — GIOVANNI CORVINI. 437
Stile tacitiano, eh* egli mette al di sotto di quello di
Curzio. È lecito presumere che a un'attenta lettura si
sia ricreduto; ma non bisogna dimenticare che 1' orec-
chio umanistico si sentiva più solleticato dalla piana
scorrevolezza di Curzio che dall' aspra saltuarietà di
Tacito.
♦ *
Dei codici del Corvini tre si conservano nell' Am-
brosiana.
Cod. Ambros. B 153 sup. membr. sec. XV. Contie-
ne Quintiliano integro con la lettera di Poggio indi-
rizzata al Corvini. Passò nella famiglia dei Barbavara,
come rileviamo dalla nota al f. 278: Liber d. Caroli
Barbavarae q. d. Marcolini, e poi entrò nella collezione
di Francesco Cicereio (Ciceri). Di questo codice si parla
in altra parte del presente volume (p. 385-88).
Cod. Ambros. N 199 sup. membr. sec. XIII con le
Satire, le Epistole e l'A. P. d'Orazio (*). Conserva al f. i v,
autografa la seguente poesia giovanile del Corvini, che
riportiamo integralmente, perchè dei suoi parti poetici,
lodati dai contemporanei, solo questo ci è pervenuto
<; quello che sarà comunicato più sotto.
Uxit amor^ qui terj^a dedit dum falUrt tempia t.
Hot indignanti similis pertextre cepi.
(^ios, quia te stupeo simili quoque clade perire
Infestum sevumque malum dum vincere credis,
5 Sint licei alteriti» solamen dulce laòoris,
Ad le nunc ver lo cupiens /renare furorem.
* Quonam frnter .ibi»? tristcm que nira pcrurit? *
(■) Comparve la prtmià volta iu (Jior, stor.Utt. itaJ, 47, 1906, Jl'i».
438 R. SABBADINI.
Sóre paras, animum qui fluctus verset anhellum?
Versat amor, cuius fiamme precordia lambunt;
IO Nec michi quo possim succensam tollere flammam
Modus adest. Alitur quis debuit ipse fugari,
Ex quo religio, quamquam vesana, perurget^
Qua veteres sacras divam portare sagitas
Et natum dixere nobis: quia ni sacer esset,
15 Figeret haud pueri tam certa sagita medullas.
Hei michi! si simile hic vulnus temptaret amantes,
Non foret in crudt^ tam grandis vuluere langor.
Nam dulces lacrime et suspiria tracta vicisim
Prestarent utrinque sibi linimenta doloris,
20 Sed deus ille' ferus diversa in arundine certans
Hunc petit aurata, que firmiter ossibus herens
Incerto facit ire gradu similemque furenti;
Illa sed obtusi certatur arundine plumbi,
Qua refugit leso solacia reddere ludens.
25 Quare vagus si sepe feror bachorque per urbem,
Desine iam petere et tristera precor exue curam.
Versus editi per lohannem Corvinum
de eius amore ad suum Lelium reprobum (?).
I vv. 7-26 rappresentano, se non andiamo errati, un
dialogo tra un amico e 1' autore, il quale alla domanda
rivoltagli nel v. 7, risponde coi vv. 8-26, manifestando
il suo amore non corrisposto per una donna (2;^ ilio).
Il nome dell' amico doveva stare nella firma, ma fu
raschiato e sostituito dalle parole stampate in corsivo.
Altre raschiature e correzioni fece 1' autore nelle pa-
role corsive dei vv. 8 e 12; inoltre sagitas del v. 13 e
sagita del 15 avevano in origine due t; e una raschia-
tura si osserva nella prima lettera di linimenta, v. ig.
Compiuti questi mutamenti, indirizzò il carme a un nuovo
9. — GIOVANNI CORVINI. 439
amico, il Lelio della firma corretta, e vi aggiunse un
proemio, vv. i-6. Lelio era infelice in amore, come il
Corvini.
L' altro carme, parimenti autografo, si legge nel cod.
Ambrosiano H 14 inf. membr., sec. XV, f. 76 v.:
Hunc primum genuit resoluta puerpera natum
Margarita suum, qui sacro a fonte Johannes
Marcus erit, veteres referens cognomine patres,
Quos Corvina domus claro de sanguine traxit.
5 Mille quatercentum ter denos duxerat annos
Phoebus ab adventus radiantis tempore Christi,
Cum datur aethereum puero conspicere lumen,
Disclusis oculis mediae sub tempore noctis
Quam retinenda dies vicesima quarta novembri»
IO Insequitur. Superi, tallem servate puellum,
Ut superet felix et avorum premia vincat.
Auctus prole nova Summi prestante favore
Hos versus cecini, nervorum stante dolore;
Quos ut leteris et cudas nunc tibi mitto
I 5 Utquc modo tacitae dissolvas vincula lingue.
Amen, finis. lohannes Corvinus
in nativitate nepotis.
Ricaviamo di qui che nella notte dal it, al 24 no-
vembre del 1430 Margherita, nuora di Giovanni Cor-
vini, partorì un bambino, cui fu posto nome Giovanni
Marco.
Cortamente non son«> ui>i»n-^« vdIì \v iitHi/ie, di cui
andiamo debitori ai duii carmi; ma essi coi gravi errori
metrici, col fraseggio oscuro e impacciato e con le
forme sbagliate ci danno una umile idea del valor poe-
tico dell' autore.
440 &• SABBADINI.
E ora tratteniamoci a esaminare più particolarmente
questo elegantissimo codice H 14 inf. (*).
f. I Pomponii Mele de Chosmographya libri tres feli-
citer,
f. 33 V Vibii Sequestris de fluminibus fontibus lacubus
nemoribus paludibus mo7itibus gentibus per literas. Vi-
bius Sequesler Virgiliano filio s. Quanto ingenio — f. 41
Vulsci italici europe. Feliciter Vibii Sequestris de flu-
minibus Fontibus Nemoribus Lacubus Paludibus Montibus
Gentibus per literas expliciti sunt. (Geographi latini mi-
nor es ed. Riese p. 125).
f. 41 Incipiunt nomina regionum cum provinciis suis
XVII (corr. ex XXVII) et CXV civitatibus.
De urbibus gallicis. Lugdunum. Desideratum — hoc
et hebree (Vetera Romanorum Itineraria cur. P. Wes-
selingio, Amstel. 1735, p. 617).
Nomina provinciarum romanarum in Italia numero
XVII.
Campania in qua est Capua —
Galliarum provintie numero XVI — f. 42 Pontus.
Egyptus. Britannia numero XI (è il Laterculus Polemii,
p. e. Geogr. lat. min. p. 130-32).
f. 42 Nomina provintiarum vel civitatum in provinciis
Gallicanis. Metropolis provincia lugdunensis — f. 44V
id est Ventio (la Notitia Galliarum ^ in Geogr, lat. min,
p. 141-44)-
f. 44V Septem mira. Primum, Edes diane — alte pe-
des de {Geogr. lat. min. 159).
(*) Comparve la prima volta in Studi ital. filol. class. XI, 1903,
248-56.
9. — GIOVANNI CORVINI. 44 1
f. 48 Accedentibus ad operìs huìus notitìam — . Proe-
mio al commento de)!' Aulular la,
f. 48V Plauti Aulularia (Querolus) incipit feliciter —
f. 75 Aulularia Plauti explicita feliciter.
Tutte le opere hanno numerose chiose marginali; e
tanto il testo quanto le chiose sono di una sola mano.
I quaderni che contengono T Aulularia formano un
corpo separato.
Istituiti alcuni confronti dell' Aulularia Ambrosiana,
che chiameremo A, col testo di R. Peiper (Lipsiae 1875),
merita esser posto in rilievo 1' accordo di A con le
correzioni di V. Ma A non deriva direttamente da F,
perchè si manifesta indipendente da esso e da tutti
gli altri codici: p. e. p. 4, 2 domum; 17 propulit; p. 7, i
erit; p. 11, 4 prudens sciensque; p. 16, i atque; 21 sed;
p. 17, 9 illud; p. 27, 6 et; p. 31, i aluipande; p. 34, 6
tu noft; p. 37' 3 /A* p. 43. n celeriter; p. 47» 4 Sycof.;
5 ludemus; p. 50, 14 confideretur; p. 53, 20 in inficiasi
P* 54» 7 nunquam; p. 55, io legimus; p. 56, 18 temptanda;
p. 58, 7 esse. Sicché si dovrà dire che A discende dal
codice, ora perduto, sul quale V fu corretto.
Un secondo contatto di A con V si osserva nelle
chiose. V del secolo IX è glossato da una mano del
secolo XII e le sue glosse e quelle di A si corrispon-
dono perfettamente, per quanto cilmeno se ne può
conchiudere dal confronto coi pochi saggi comunicati
dal Peiper p. IX. Ecco le tre glosse analoghe di A,
il cui testo è più emendato: f. 54 (p. 14, 12) PantO'
malusi pantomalus nonien est ex greco latinoque com-
pactum et dicitur quasi totus malus; ji.in onini grece
442 R. SÀBBADINI.
totum sonat; f. 65 (p. 38, 18) Solidis] solidus est num-
mus aureus qui sexcies appensus unciam facit; f. 66
(p. 40, 3) Zelotypi] zelotipus est qui nimio mulieris
amore correptus eam semper observat indig-naturque
levi suspicione nec eam cuivis credit; zelus enim amor
est et tipus tumor: hinc zelotipia.
Soggiungo un altro manipoletto di glosse scelto fra
quelle che hanno maggior valore.
f. 55 V (p. 17, 14) Calceos] Patricios calceos Romu-
lus repperit im*"^ corrigiarum assutaque luna bicorni ad
notam centenarii numeri quod initio patricii senatore s
centum fuerunt (corr. in fuerint). Dicuntur autem calcei
vel a calce vel a greco kaXa idest ligno in quo fiunt.
f. 57 (p. 20, 19) Obscurisvera involvere] Hac elocu-
tione usus est Virgilius in 6° (100).
f. 62V (p. 2>2i 16) Polluunt] Hoc eleganter exprimit
Virgilius Eney. 3 (234).
f. 64 (p. 36, 5) Quod bonum faustum\ formula verbo-
rum frequens in ystoriis Romanorum.
f. 68 v (p. 46, 5) Anima in faucibus] vulgaris loquen-
di modus.
f. 72 (p. 54, 7) 0 tempora o mores] Hanc exclama-
tionem ponit ad contextum TuUius invectivarum in ca-
tellinam lib. I (2). Item prò Deiotaro rege (31).
f. 55 (p. 16, 22) Ligerem] Ligerem dicit a nominati-
vo liger, quem ponit Albius tibullus: ' Carnutis et fla-
vi cerula limpha liger ' (I 7, 12). Questo pentametro
di Tibullo non è tratto da un testo intero, ma da Ex-
cerpta, che probabilmente esistevano a Farfa: vedi la
nota seguente.
9. — GIOVANNI CORVINI. 443
f. 65 V (p. 39, 13) Et non suntus tamen tam miseri]
Lege hic execrandas fraudes servorum. Et nota prò
Biasio de Scandrilia. — Scandrig-lia è an paese del cir-
condario di Rieti e appartenne fino al secolo XV alla
giurisdizione di Farfa. Viene perciò spontaneo di pen-
sare che le chiose sian nate nel monastero di Farfa.
Tali chiose non erano sporadiche e occasionali, ma
costituivano un vero commento continuo, il quale ar-
rivò a noi frammentato o non fu condotto a compi-
mento: di che sarà in grado di giudicar meglio chi
vorrà esaminare il cod. V. Che si trattasse di un com-
mento continuo, scorgiamo dal proemio a esso prepo-
sto, che qui riporto da A:
f. 48. Accedentibus ad operis huius notitiam aditu
primo ini®'' reseranda sunt: res scilicet, mens, effectus
et cui phylosophie parti subiciatur. Res igitur est: que-
rulus, aurum, fur. Mens, qua convincitur homo suis
meritis affligi divinoque beneficio damnis erui et inde-
bitis insperatisque munerari. Effectus vero quo sibi red-
ditus quisque molestias sine murmurc tolerare doce-
tur et meliora sperare. Ethice supponitur quia de mo-
ribus agit. Ethis enim grece mos. liane autem Socra-
tes primus ad corrigendos componendosque mores in-
^tituit, dividens eam in nn**' anime virtutibus, idest
prudentia, qua mala discemuntur a bonis; fortitudine,
qua equanimiter adversa tolerantur; temperantia, qua
libido concupiscentiaque frenatur; iustitia, que recte iu-
dicando sua cuique distribuii.
His expeditis, quod sequitur inspiciendum est, sci-
licet id genus carminis unde vocabulum suniat. Comedia
444 ^- SABBADINI.
nanque dicìtur et hoc vel a greco KOMOO idest villa,
quia prius in pagis agebatur, vel a commessatione, so-
lebant enim post cibum ad eam audiendam conventus
fieri; vel appellatur comedia quasi corno odia idest ru-
sticorum laus, nam privatorum acta predicat.
Hec cum tragedia communia quedam habet, vide-
licet quod iambico metro constat, quod tota personis
attribuitur, quod vitia generaliter notat. In hoc autem
Inter se differunt, quod hec privatas, tragedia vero res
publicas narrat, hec argumenta fabularum ad veritatis
imaginem ficta, illa regum historias, hec humiliter, illa
granditer, hec omnia personis agit, illa quedam ver-
bis (i) tantum representat, hec a tristibus inchoans in
gaudio desinit, illa leta principia mesto claudit exitu.
Sunt preterea duo genera comedie, vetus et novum:
vetus ioculare, ut Plauti Accii (2) atque Terentii, no-
vum quod et satiricum, ut Flacci, Persii, luvenalis, ubi
vitia cuiusque manifeste carpuntur. In hoc autem novo
licet sit effectus comicus simul et scribentis intentio,
non tamen modus loquendi. Idemque per omnia dicen-
dum est in tragedia, in qua exemplum veteris sit Se-
neca, novi Virgilius (3).
Plautus dicitur a plausu, quia plausibilia scripsit.
[ Aulularia ] quasi ollularia, ab olla ubi latuit aurum.
(i) Vorrà intendere della musica dei cori?
(2) Per lui il nome era Plautus Accius.
(3) Perchè il poeta epico canta la stessa materia della tragedia e con
lo stesso stile sublime.
CORREZIONI E GIUNTE
p-
2. 1. 8: 1427
i^ggi
1425
p-
28, n. I, 1. 7: Goldlob . .
Gollob
p-
105, n. 2, I. 4: auobus . .
duobus
p-
126, 1. 24: textus . . .
testus
p-
153, I. 23: de officii . . .
de officiis
p-
225, 1. 16: Umberto . . .
Uberto
p-
275, 1. 12: Gerntaniae. V'ita
Germania e Vita
p-
136, 1. 11: litterarum . .
litterarii
p-
136, 1. 16: contemplationesque
contemptionesque
I
tionesque).
p. 136, 1. 28. L'anno della lettera è nel solo cod. di Oxford, che
reca « MCCCCXXI », aggiunto di seconda mano; ma dobbiamo tener
fermo al 1422, perchè soltanto nella seconda metà del 142 1 il Barzizza
paasò da Padova a Milano (120).
p. 1-7. Del Cotnmentarium del Niccoli altri si sono occupati: E. Ja-
oobs in Wochenschrift f. klass. Philol. 19 13, 701-02; A. Gudeman ib,
'9*3» 929-33; W. Aly in Rhein. Mus. 68, 636-37; G. Andresen in
Jahresber. des philol. Vereins 40, 78-79; \V. Peterson in American
Journal of philology 35, cfr. Wochenschr, f. klass. Philol, 19 14, 608.
145, 1. 1-7. n codice di Giustino, già Saibante 269, che si ere-
'.-va perduto, è ora nel British Museum sotto la segnatura Ms. Add. 12012.
p. 172, 1. 9. Sulla bufera scoppiata a Venezia il 10 agosto del 1410
fe»to di S. Lorenzo) vedi anche Muratori R, /. 5. XXII 853.
p. 1 18-19. Una lettera importante di Cosimo Raimondi in difesa del-
l'epicureismo fu pubblicata da G. Santini in Studi storici^ Rigoli 1899,
Vm IS3-68.
INDICE DEGLI AUTORI
Agostino (S.) 268, 431.
Ammiano Marcellino 5, 273, 274,
275-
Apicius 6, 277, 284-85, 287.
Apuleio 315.
Aristotile 31, 81, 84, 192, 225,
286, 404.
Asconio Pediano 21, 384.
Aspro 6.
Aulularia, v. Qiierobts.
Ausonio 360.
Catsaris Iter 283, 285.
Cassiodoro 425.
Catone 1, 422, 424, 434.
' atnllo 173-74» 340. 360.
' clso (Cornelio) i, 265, 268-72,
2 "-324» 434-
Censorìno 423.
'^'esarc 239, 423. 434.
< hirio Consulto Fortunaziano 402.
Cicerone 1, 11, 12, 269, 398, 401.
Cicerone: optre filosofiche i' :
145-69, 218, 227, 241.
Cicerone: t^tre rtttcricht 12-13,
94. IOI-45' 389. 43»» 434.
Cicerone: orazioni']^ 16-19, 20-29,
31, 32, 43-56, 81,94, 146, 184-
-87, 253. 275» 391» 442.
Cicerone: ad Atticum 6, 13-14, 31,
41-42, 69-97, 360, 423. 434.
Cicerone: ad fantiliares 14-16, 40,
57-68, 78-80, 173, 392.
Cicerone: ad Brutum 97-101.
Cicerone: Aratea 181-83.
ps. Cicerone 148, 153, 183-94.
Cipriano 1 1 .
Comoedia antiqua 421-25.
Columella 163, 268, 422, 434.
Cornelio Nepote i, 252.
Comificio ad Heren. 24, 165, 170,
Curzio Rufo 239,328, 331, 436,
437.
Democrito 315.
Domizio Draconzio 406.
Donato (Elio): Ars 6, 7; in Tt'
rentium 206-45; in Vergitium
194, 203-05.
Donato (Tib. Claudio): m Vergi»
iium 4, 197-202.
EUgiat im Maitinatem, 277.
448
R. SABBADTNI.
Fenestella i.
Firmico 286.
Foca 7.
Frontino: de aquaed. 4, 263, 270,
275; Strateg. 275; Groniat. 5.
Gellio 328, 331, 423, 434, 435.
Giovenale 258, 400, 444.
Girolamo (S.) 193» 399. 40i, 43i-
Giuseppe (Flavio) 313, 389, 390.
Giustino 145, 445.
Gregorio (S.) 431.
Grillio 194.
lerocle 198.
Igino: Astronom. 5.
Ippocrate 403-04.
Isocrate 192.
Itinerarium y^w /^ «m< 2 7 8 , 2 8 3 , 2 8 7 .
Lattanzio li, 154, 162, 367.
Livio 7, 23, 87, 89, 184, 233,
235» 237, 239, 243, 273, 274,
275, 382, 411, 414.
Lucano 258, 400.
Macrobio 139, 141, 1 43» 203,434,
435-
Marcello Empirico 6.
Martialis 193.
Martianus (Capella) 193, 402.
Marziale 88, 89, 369, 400.
Mela Pomponio 440.
Moretum 425.
Mulomedicina Chironis 194.
Nonio Marcello 31, 32, 33, 38,
43. 75» 1^^ 77^ 162, 165-66,
174-76.
Notitia Galliarutn 440.
Orazio 437, 444.
Orestis tragoedia 278.
Ovidio 87, 88, 89.
Palaemon 193.
Palladio Rutilio 422, 434.
Pandette 32, 38.
Persio 444.
Platone 225, 231, 234, 404.
Plauto 14, 198, 327-52, 396, 423-
-24, 444.
Plinio I, 265, 355, 400.
Plinio: Epistulae 98, 268, 355-70
ps. Plinio 356, 371-77.
Plutarco 253, 399, 434.
Polibio 239.
Pompeo 411.
ps. Porcius Latro 183, 184.
Porfirione 277, 285, 286, 287.
Pri sciano 7.
Probo: Ars 6.
Probo: in Persium 194.
Querolus 425, 441-44-
Quintiliano 160, 168, 268, 269,
270, 381-404, 437.
ps, Quintiliano 23, 404-07.
Sallustio II, 148, 149, 183, 208,
340, 382, 411-13, 414-17-
ps. Sallustio 17, 19.
Seneca (padre) 23, 184, 208, 397,
398, 400, 401, 405.
Seneca (figlio) 398, 399-400, 401,
423, 434, 444.
ps. Seneca 191, 258, 400.
Septem mira 440.
Servio: in Vergilium 201, 203-05.
INDICE DKGLT ATTORI.
449^
Sìculo Fiacco 5.
Sidonio Apollinare 277, 399.
Silio Italico 166, 369.
Sorano 315.
Stazio Cecilio 397.
Stazio Papinio 397-98.
Stazio Ursulo 397, 398.
Stella 398.
Svetonio: Caesares 99, 100, 177,
241, 423, 434.
Svetonio: de granim. et rhet. 5,
270, 275, 277,279-80,281-82.
ps. Svetonio 371, 374.
Tacito I, 265; opere maggiori 249-
-62, 436, 437; opere minori ^-^\
263-82.
Terenzio 11, 206, 214, 373,382,
444.
Tertulliano 6, 214, 215-16, 328.
Theodosiantis (codex) 146.
Tibullo 442.
Tommaso d'Aquino 431.
Vacca 194.
Valerio Massimo 147-48, 356.
Varrone 422, 434.
Vegezio Renato 208.
Vergilio II, 23, 197, 203, 258,
357, 382, 442, 444.
Vibio Sequestre 440.
ABBADIM, Tesli Uthnu
INDICE DELLE PERSONE
Abbadia (dell') Nicola 363.
Acciaioli Angelo 45.
Adorno Giacomo 148.
Albergati (card, di S. Croce) Nic-
colò 2, 214, 215, 275, 332, 434.
Alberto da Sartiano 215.
Alberto II 240.
Alessandrino (da Alessandria) Gio-
vanni 341.
Alessio 165.
Alessio Tedesco 145.
Alfieri Alberto 148.
Alfonso di Cartagena 224, 225,
233. »34. «35» 239. 240, 24».
Allosio (d*) Enrico 219.
Amelii Pietro 12.
Annidano Zenone 367-68.
Amplonio 194.
Andrea 104.
Andrea Costantinopolitano 237.
Angelotto 212.
Angiò (d') Giovanni r. Renato if)*).
Antonio da Brescia 364.
Antonio da BuMtcto 166.
Antonio di M.aio 296, 297, 311.
Appio 373, 376.
Aragona (d') Alfonso 198-99, 2 1 7,
283, 284, 341, 343-44. 348, 349-
Aragona (d') Maria 217, 218.
Arcellio Laura 200, 349.
Arese Andreolo 381.
Aretino Giovanni 27.
Arzignano Giovanni 135, 136, 142.
Assemani E. S. 309-10.
Aurispa Giovanni 87-89, 91, 92,
198-201, 206, 214-24, 232, 243,
266, 267, 271, 283-87, 349, 367»
368, 402, 432, 433, 434.
Avogaro Galasio 336.
Avogaro da Orgiano 23-24.
Badocr Albano 86.
Baldini Baccio 297.
Barbaro Candiano 31.
Barbaro Ermolao 180.
Barbaro Ermolao di Zaccaria 174.
Barbaro Francesco 29-43, 45, 46,
47, 48, 56, 82,91, 103-04, 141,
«73. «74. 176, 251, 315, 361.
B;irbavaru Ciirlo di MarcMlino 437.
Burbaviir;i Krancc»co 2 2, 334.
452
R. SABBADINI.
Bartolomeo fiorentino 364.
Bartolomeo da Verona 151.
Batiferro Bartolomeo 229.
Barzizza Gasparino 30, 31, 33, 36,
37» 43' 83-85, 91, 103-14, 115,
116, 120, 121-26, 128, 130,
134. 135' 136, 143. 172, 174-
-76, 338-39» 388-93, 405-07.
427-30» 433. 445-
Barzizza Gio. Agostino 391, 430.
Barzizza Guiuiforte 124, 136, 151,
342-43-
Barzizza Nicola 136, 429-30.
Beccadelli, v. Panormita.
Bechi (de) Guglielmo 81-82, 91.
Beda 7.
Belbello Luchino 339-41.
Bellovacense Vincenzo 308, 397,
400.
Belluomo Guglielmo 220, 221.
Beltramìno da Rivola 422.
Bernardino da Siena 177.
Bessarione 252.
Bianconi Lodovico 293, 300, 306,
307» 309» 313» 324-
Biondo Flavio 69, 113, 120, 126,
i37> 138, 139» 140-41» 179»
180, 192, 361-62, 363, 389, 434.
Birago Gerardo 367, 368.
Bisticci (da) Vespasiano 69, 297,
310, 432.
Boccaccio Giovanni 99, 249, 250,
262.
Bologna Simone 287.
Bonaccorso da Montemagno 23.
Bonamico Lazaro 308 .
Bosoni Biagio 180.
Bossi Antonio 127.
Bossi Antonio di Giovanni 127.
Bossi Francesco 127, 129, 130,
368.
Bossi Luigi 130.
Bossi Simone di Pietro 127.
Bracciolini, v. Poggio.
Bracello Giacomo 125, 126.
Bragadin Lorenzo 395.
Brancacci Niccolò 12.
Branda di Castiglione 391-92.
Brenzoni Francesco 336.
Bruni Leonardo 27, 28, 30, 32,
33,38,41,42,44,50-51,74-81,
91, 138, 148, 192, 225, 233,
234» 235, 239, 250, 253, 254,
371-77» 383» 385. 387» 388,
423, 425-26.
Buonafede Giovanni 36.
Buoninsegni Domenico 31, 38.
Bussi Giovanni Andrea 23, 56,
184.
Buzuto Nicola Maria 350.
Cadarti Giovanni 114.
Calisto in 279, 287.
Campinassi Giovanni 344.
Campofregoso 233.
Campofregoso Tommaso 243.
Campofregoso Tommaso e Batti-
sta 237, 238.
Candido 28, 421-23 (sarà il me-
desimo personaggio ?), 424, 426,
432.
INDICE DELLE PERSONE.
453
Canobio Antonio 115.
Canuzio Giovanni 387.
Capelli (de) Pasquino 70.
Capitaneis (de) Filippa 431.
Capra (della) Bartolomeo 32, 33,
50-51, 76, 77, 91, 96-97, 116-
-18, 119, 126, 215, 273, 274,
278, 312, 336, 361-62, 433.
Capranica (da) Domenico 332.
Carlo IX 305.
Carvaial Giovanni 219.
Casati Giovanni 435.
Casciotto Bartolomeo 152.
Cenci 212, 332.
Cenni de Nordolis Giacomo An-
drea e Paolo 149.
Cesarìni Giuliano 2, 275.
Ciceri Francesco 96, 152, 437.
Ciriaco d'Ancona 181-82.
Clémangis Nicola 15, 17, 206-08,
381-83.
Cocco Lodovico, Marco <
vanni 389, 390.
Colonna Kgidio 192.
ilonna Prospero 21,
oncorcggio (da) Gabm... ji^.
oDtarini P. 104.
Contrari (de*) Uguccionc 243.
' orlìinclli Angelo 31, 38.
orbinclli Antonio 31, ^fl, 40.
•marius I. 6.
•mcr (Oimelio/ i- ,
tin, F'mncesco loc)
'*nter Giovanni
Corradino Giannino 43, 173, 174,
176.
Correr (Corrano) Gregorio 276-77.
Corvini Giovanni 91, 97, 115,
121, 137, 139, 194, 252, 388,
421-44.
Corvini Giovanni Marco 439.
Corvini Gregorio 430.
Corvini Luchino 431.
Corvini Niccolò 427, 429.
Corvino Mattia 256.
Cosimo Cremonese, v. Raimondi.
Cotica Bertola 148.
Cozza Bartolomeo 376-77.
Cratander A. 69, 70.
Cremona Antonio 253.
Crisolora Giovanni 39, 41, 45.
Crisolora Manuele 31, 39, 40, 42,
82, 225.
Cristoforo da Parma 104.
Crivelli Ambrogio 148.
Crivelli Lodrisio 228, 244, 245.
Grotto Luigi 411-13.
Carlo Giacomo d'Antonio 199,432.
Cusano (da Cusa, da Treveri) Nic-
colò 23, 49, 178, 179. 184.
219, 224, 232, 233, 237, 243,
328, 396, 414.
Dandolo Marco 395.
Drccmbrio Angelo 194, 102, 222,
^o, 252. 365, 398.
iM.rmbrlo Modesto 176-78.
Dcccnibrio Pier CnncUdo 17R, 224,
825, 226-4 ^
4S4
R. SABBADINI.
278-80, 281-82,366-68,411-17,
426, 436.
Decembrio Uberto 176, 225.
Demetrio 39, 41.
Dioneau 308.
Domenico di Bandino 250.
Dominici Giovanni 80.
Donato Girolamo 43, 165, 172,
173. 174.
Donato Pietro 33, 43, 165, 172,
173» 174. 175» 176.
Dotto Niccolò 179.
Egnazio Giovanni Battista 292.
Enoch da Ascoli 263, 276-78, 280,
283-87.
Este (d') Berso 218.
Este (d') Leonello. 217, 221, 330,
335-
Eugenio IV 217, 219, 243, 299,
300, 314, 329.
Facio Bartolomeo 199-200, 252.
Faella Vitaliano 54.
Fano Tommaso 337.
Federico Veronese 345.
Felice V 242.
Ferrari Lodovico 332-34, 339,
341. 347-
Feniffino Giovanni 347.
Ficino Marsilio 316.
Filelfo Francesco 277, 315, 404.
Filippa (moglie del Pauormita)
348-49.
Filippo di Borgogna 200.
Florilegista veronese 355, 356.
Fonzio (della Fonte) Bartolomeo
302, 315-20.
Franceschino 391.
Franchi Antonio di Bartolom. 384.
Francia 87.
Fregoso, v. Campofregoso.
Fuscis (de) Giovanni da Itro 299.
Galeotto (Tarlati) di Pietraraala
12, 206.
Galluccio (de) Paolo 349.
Gano da Colle 97, 98.
Gaza Teodoro 283, 284, 287.
Gelenius 5.
Gentile 99.
Gerberto 308.
Ghenderen (de) Adriano 90.
Giacomo da Siena 147, 148,
Giacomo (Barzizza ?) da Bergamo
104.
Giglino Simonino 178.
Giovanni XXIII 31, 165, 213.
Giovanni d'Andrea 263.
Giovanni da Verona 356.
Giovanni Galeazzo march, di Sa-
luzzo 313.
Giovanni Siculo 219.
Giuliano Andrea 40, 83, 105, 136,
Giulio II 307.
Giustiniano Bernardo 192.
Giustiniano Leonardo 38, 39, 137.
Gonzaga Lodovico 136.
Gottardo da Sarzana 251.
Gradi (de) Giovanni della Treccia
230.
Gratapaglia Antonio 149, 150.
mÙICE DELLE PERSONE.
455
Gnaldo Girolamo 178, 357-58,
360-61 , 362-63.
Guarino 24, 25, 29, 30, 32, 36,
38, 39» 40. 41» 44. 46, 52-56,
57-68,85-87,89, 104, 113, 126,
133-43. M5. 153. 173, 175.
178-81, 192, 222-23, 254, 263,
264-72, 273, 310, 311, 315,
323» 329-50. 356-65, 395. 398,
434» 435-
'luarino Battista 24-25, 201-02.
aiarino Girolamo 314.
ruasconi Biagio 30, 31, 37.
Hadoardus 160, 162.
Hesdin (de) Simone 194.
Hoombeeck I. 306.
Hutten (von) U. 6.
Jeune (le) Jean 200-01.
Jouffroy Giovanni 201.
Isolano Giacomo 121.
lunius F. 6.
Lamola Giovanni 136, 141-44, 178,
I 264, 266, 273, 311, 312, 316,
363» 434-
Landino Cristoforo 197.
Landriani Gerardo ni, 120, 122,
127, 129, 434.
Lantieri Giovanni 153.
I-clio 438, 439.
I^to Pomponio 368-70, 417.
Linden (Tan der) 305-06.
Lo^li (da) Giovoimi 338.
Lorenxo 37I-7S*
Loschi Antonio 21-26, 54, 75, 187.
Lucio da Spoleto 2, 3.
Madio (Maio, Maggio) 52, 53,
136, 364.
Maffei Timoteo 377.
Mainenti Scipione 348.
Maineri Maino 315.
Maletta Alberico 223.
Malombra Giacomo 151.
Mamelino Niccolò 149.
Manetti Gìannozzo 297.
Marcello Pietro 394, 430.
Marcello Valerio 430.
Marinoni Astolfino 21, 22, 203.
Marrasio 220.
Marsigli Luigi 78, 79.
Marsuppini Carlo 217, 218, 222.
Martino 151.
Martino V 213, 377, 393, 432.
Martino Dumiense 191.
Matociis (de) Giovanni 355-56.
Mazolato Ugo 138, 139, 435.
Medici (de*) Cosimo 20, 27, 40,
82-83, 2»6, 243, 272, 297.
Medici (de*) Giovanni di Cosimo
277.
Medici (de*) Giovanni 36.
Medici (de') Lorenzo 31, 33, 34,
38» 42. 329, 330-
Medici (de*) Piero 297.
Mcibtcrlin Sigismondo 277.
Miliis (de) Pietro 390.
Modiufl Fr. 6.
Monaco hcrsfeldese 263, 272-73,
274, 275, 281-82.
Montepulciano (da) Bartolomeo 1 8,
aia.
45^
É. SABBADmr.
Montreiiil (di) Giovanni 11-19,
20, 28.
Morgagni Giovanni Battista 292,
308.
Moroni Carlo 308.
Muglio (da) Nicola 97, 98-99.
Muglio (da) Pietro 99.
Nessa Simone 36.
Niccoli Niccolò 1-3, 4, 27, 28, 29,
30, 32, 33' 36, 37» 39» 41» 42.
45, 46,48, 50, 51,69, 71, 75,
76, 78, 80, 81, 93, 202, 250,
263, 273, 275, 280, 281, 294,
297» 298, 312, 313, 316, 322,
329» 334. 385. 394» 396,421,
424, 426, 432, 433, 434, 445.
Niccolò V 88, 276, 278, 279, 283,
287, 365.
Nichesola (della) Galesio 54, 55.
Nicola 2.
Nicola 236.
Nicola da S. Vito 183.
Oldovino Antonio 117.
Omodei Giovanni 111-13, 122.
Oppizoni Lodovico 149, 150.
Orazi Girolamo 148.
Orsini Giordano 49-50, 179, 327-
-36.
Paleologo Giovanni 432.
Pallavitini Battista 294-95, 3^0,
304, 313-15» 316, 317, 323.
Pallavicini Lucrezia 314.
Panormita 87, 89, 200, 216-18,
220-23, 224, 265, 266, 267-71,
273, 274, 275, 282, 283-87,
310, 311, 312, 321, 322, 334,
338, 339-50» 351» 352, 398.
Panormita Agata 349.
Panormita Caterina Pantia 200,
286, 349.
Paolo II 301.
Parentucelli Tommaso (poi Nicco-
lò V) 2, 3, 214, 215, 311,
312, 434-
Parisio Alberto 294, 295, 309,
314» 315-
Parrasio Aulo Giano 105, 124.
Pastrengo (da) Guglielmo 73.
Pavaro Stefano 186.
Pellizzone Filippo 315.
Peregri Iacopo 342.
Petrarca 12, 19, 20, 22, 32, yOy
71» 72, 94, 97, 98, 99» 100,
164, 193, 203-05, 208, 233,
235, 237, 243, 397, 400, 404.
Piccolomini Enea Silvio 192, 241.
Pigna (della) Guglielmo 57.
Pinelli Giovanni Vincenzo 146,
308, 369.
Piscicello Niccolò 223.
Pizolpasso Francesco 150, 212-13,
224, 225, 226-45, 365-67, 413»
414» 415-
Pizolpasso Michele 228, 231, 367.
Poggio 2, 6, 18, 19, 20, 27, 28,
32, 43-49» 73» 74, 80-81, 82,
84, 89, 91, 93, 178, 200, 202,
212, 213, 225, 239, 240, 242
250, 263, 273, 274, 275, 281,
307, 310, 312, 327-28, 329,
INDICE DELLE PERSONE.
457
33o> 331» 332, 351» 352. 365.
367, 368, 381, 383-96, 398, 437.
Polenton Sicco 21, 58, 250-51.
Politi Puccio 220, 221, 287.
Poliziano 62, 315, 319.
Pontano Gioviano 197, 277, 350,
35I-
Ponte (dal) Zebedeo 389, 390.
Ponzoni Giacomo 180.
Porcellio 171.
Pretto Paolo 364.
Rafanelli Marco 93-95, 152.
Raimondi Cosimo (Cosma) da Cre-
mona 113-21, 123, 126, 129,
144, 431, 445.
Rambaldi Benvenuto 250.
Raterio 355.
Raudense, v. Rho.
Regino Filippo 364.
Rho (da) Antonio 16, 397, 400,
433-
Rhode G. 307.
Rizzoni Martino 145.
Roberto re di Napoli 403.
Rossi Girolamo 309, 310.
Rossi Roberto 31, 35, 36, 38, 42.
Ruini Lelio 302, 309.
Sagundino Niccolò 370.
Sacco Catone 339, 341.
Sale (de la) Antonio 190-94.
Salerno Giovanni Nicola 54, 136.
Salatati Coluccio 16, 19, 32, 33,
57. 70, 75. 78. 80, 19»» 400-
Sarc)ibcricn»c Giovanni 308.
Sa«Ketti Franccfcn 31^), 318, 31
Savoia (di) Maria 119, 126.
Scaligero Giuseppe 308.
Schedel Hartmann 194.
Sebastiano (miniatore) 50.
Sempronio 374, 376.
Seripando Antonio 105, 124.
Sichart Giovanni 70.
Siena (da) Girolamo 348, 350.
Sigismondo (imperatore) 430.
Soderini Francesco 87.
Solari Abbondio 436.
Soprano (Soranzo?) 100.
Sores Giacomo 286.
Spilimbergo (da) Bartolomea 335.
Spilimbergo (da) Giovanni 334,
335. 338.
Spluges Bernardo 393.
Spon Carlo 308.
Stefano milanese 315, 319.
Strozzi Palla 39.
Targa Leonardo 300.
Tcbaldi Tommaso (Ergotele) 223,
341. 348.
Tcbalducci Giacomino di Tomma-
so 214, 216.
Tenaglia Gugliclmino 393-94.
Icrruzzo Giovanni del fu Stefano
149.
Testa Romano 285-87.
I «desco Stefano 140.
Tommasi Pietro 180.
Tommaso Lucano 219.
Tortelli Giovanni (Aretino) 181»
218-19, «76, 403. 4«7.
•HcancUa Giovanni 218.
458
R. SABBADINI.
Traversari Ambrogio 2, 31, 38,
39, 40, 41, 44, 45, 46, 82,
91-93» 215, 222, 312, 328-29,
432-33-
Treverensis, v. Cusano.
Treveth Nicola 208.
Trevisan Zaccaria 83, 84, 86, 103,
104-05.
Tura (di) Pugliesi Gherardo 23.
liberti Pier Matteo 319.
Valla Giorgio 181, 182.
Valla Lorenzo 181, 218, 223, 243,
252. 35I' 396-404-
Vegio Maffeo 340, 341.
Vergerlo Pier Paolo 192.
Vettori 83.
Vettori Daniele 105, 106.
Vettori Piero 255, 256.
Viglevio degli Ardizzi Francesco
127, 129.
Villa Agostino 346, 347, 350.
Vimercate (da) Taddiolo 128.
Visconti (dei) Bartolomeo 151.
Visconti Filippo Maria 119, 126,
238, 240, 242, 243, 315, 330,
348, 388, 430.
Visconti Gian Galeazzo 22.
Vitale 325.
Vittorino da Feltre 254, 313.
Zabarella Francesco 80.
Zaccaria di Padova 229.
Zambeccari Cambio 141, 143, 312,
315. 434-
Zendrata Battista 364.
Zendrata Taddea 357.
Zilioli Giacomo 139, 140, 337,435-
Ziliolo 330-32.
Zoalio Luca 148.
4^
Finito di stampare
il 2 s agosto 1914
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FA Sabbadini, Remigio
57 Storia e critica di testi
S35 latini: Cicerone


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