Luigi Speranza -- Grice e Campailla:
all’isola -- la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del concetto
di estassi – implicatura estasica – a room in Bloomsbury – scuola di Modica –
scuola di Ragusa – filosofia siciliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza,
pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Modica). Filosofo
sicliano. Filosofo italiano. Modica, Ragusa, Sicilia. Grice: “You have to love
Campailla; when I philosophised on ‘be orderly,’ I was drawing from Campailla:
“Order is the first – ‘ordinato discorso dell’uomo;’ Campailla flouts the
maxim: he allows that a man in ecstasi, in mutual contemplation of beauty, say,
may lose the order – Oddly, Campailla dedicates more than a section to, then,
‘del disordinato discorso dell’uomo,’ or men, as we’d prefer!” Grice: “You’ve gotta love Campailla – I would
have preferred he chose the Graeco-Roman mythology, but he chose “Adamo,” and
he provides, in verse, all I ever philosophised on – human discourse – discorso
umano – on top, he considers ‘amore’ as a ‘passione dell’anima,’ and speaks of
‘self-love’ (amore proprio) and even virility and testicles – a Renaissance
man!” Nasce sotto la rupe del Castello dei Conti. C., incisione dall'Adamo
(Roma-Palermo) Mostrò le sue migliori doti d'ingegno in età matura, giacché, in
gioventù, per la sua gracile costituzione, il padre preferì educarlo in
campagna affinché si irrobustisse all'aria aperta, piuttosto che indirizzarlo agli
studi. Si trasfere a Catania per studiarvi giurisprudenza, ma l'improvvisa
morte del padre, che lo lasciava erede di un discreto patrimonio, lo costrinse
a ritornare nella città natale, la sua cara Modica, in cui rimase fino alla morte,
senza mai muoversi da essa. Lì, poté dedicarsi interamente agli amati
studi, prevalentemente da autodidatta, coltivando con passione ed abnegazione,
fra le tante discipline, l'astronomia, le lettere e la filosofia. Sempre da
autodidatta, studiò Aristotele e i classici, per poi dedicarsi alla fisica,
forse spinto dall'onda emotiva suscitata dal terribile sisma che distrusse
Modica e tutto il Val di Noto. Morì per un colpo apoplettico.. Il suo
corpo fu sepolto sotto l'altare maggiore del duomo di San Giorgio in Modica,
del quale una lapide, deposta alla sinistra dell'ingresso principale, lo
ricorda. C., filosofo e poeta Studioso di Cartesio, che vuole conciliare
con la filosofia scolastica, ne applicò i principi alle sue indagini
conoscitive, fatte di osservazione ed esperimenti, divenendo, insieme col
filosofo trapanese Michelangelo Fardella, uno dei principali divulgatori delle
teorie cartesiane in Sicilia. Poeta raffinato, fu accademico degli
Assorditi di Urbino, dei Geniali di Palermo, e della più celebre Accademia
degli Arcadi di Roma; restaurò quindi l'Accademia degli Infocati nella sua
città natale. Da alle stampe i primi sei canti (ispirati ai moduli letterari
lucreziani) del poema filosofico, in due parti, L'Adamo, ovvero il Mondo
Creato, successivamente dedicato, nella sua stesura completa (in XX canti) a
Carlo VI d'Austria, Imperatore e Re di Sicilia. Il poema, che conobbe una
discreta fortuna e che è stato recentemente ristampato, rappresenta una summa
delle idee teologiche, cosmologiche, fisiche e filosofiche dell'autore, alla
luce del cartesianesimo. All'inizio del Settecento, la fama del C., tra
l'altro in corrispondenza epistolare con importanti personalità fra i quali
Ludovico Antonio Muratori (bibliotecario del Duca di Modena), si diffuse anche
all'estero, toccando Lipsia, Parigi, Londra, tanto che il filosofo Berkeley
volle conoscerlo personalmente e, poiché C. non si muoveva mai dalla sua città
natale (come Kant), fu lo stesso Berkeley a recarsi in Sicilia a trovarlo,
informandolo fra l'altro delle nuove teorie newtoniane, le quali verranno poi
usate dal C. nelle sue successive opere. Il Muratori si fece
intermediario persino per una cattedra all'Padova da assegnargli, invito che
venne pure da Londra, ma il suo ostinato rifiuto a viaggiare e lasciare la sua
Modica (in ciò, ancora simile a Kant) lo portò a declinare tali prestigiose ed
onorevoli proposte. Per lo stesso motivo, invitato ad assistere all'incoronazione
a Re di Sicilia, nella Cattedrale di Palermo, del Duca Vittorio Amedeo II di
Savoia, disdisse gentilmente la visita. Pubblica, rimanendo però
incompiuto, il poema sacro L'Apocalisse di San Paolo, in cui, oltre ad
affrontare i temi della grazia e della virtù attiva, fornì pure una personale
confutazione delle teorie di Miguel Molinos, fondatore del
"Quietismo", un'eresia che aspirava all'unificazione con Dio. Infine,
nello stesso periodo, iniziò a scrivere il primo volume di un'opera sistematica
intitolata Opuscoli filosofici, di cui uscì solo il primo volume (in dialoghi)
intitolato Considerazioni sopra la fisica di Newton, contemporaneamente alla
stesura di un trattato, in due volumi, di fisica cartesiana, pubblicato postumo
sotto il titolo Filosofia per principi e cavalieri. La cura della
sifilide con le botti di C. Pur non essendo medico di professione, C. riuscì
tuttavia a promuovere, nella Contea di Modica, gli studi di medicina. Infatti,
il suo impegno, quasi umanitario, lo portò a sperimentare le sue famose
"botti" (dette poi botti del C.) per la cura non solo della sifilide
(considerata, allora, il male del secolo, e ritenuta dalla Chiesa come un
castigo di Dio per i peccati degli uomini), ma anche dei reumatismi e, in
genere, di qualunque forma di artrosi. La "botte", in realtà, è
una stufa mercuriale con all'interno uno sgabello, sul quale il paziente veniva
fatto sedere, in attesa della cura. Questa consisteva nel versare, in un
braciere che si trovava pure all'interno della stufa, la relativa dose di
cinabro, da cui, per sublimazione, esalavano dei vapori di mercurio, che erano
poi assorbiti dal corpo del paziente in piena sudorazione. La novità introdotta
dal C. consistette nell'aggiunta di incenso all'interno della botte, in una
dose che consentiva, ai vapori sprigionati, di essere più
"respirabili" per un certo lasso di tempo, variabile dai 10 ai 20
minuti circa, a seconda dalle condizioni soggettive del paziente. Il
contributo del Campailla consentì pure di modificare la forma della botte,
rispetto alle altre già esistenti in Italia ed in Europa, le quali avevano un
foro in alto da cui fuoriusciva la testa del paziente che, in tal modo, non
poteva respirare i vapori di mercurio medicamentosi. Tuttavia, questi vapori,
così esalati, erano curativi solamente per i sifilomi che infestavano la cute,
i quali regredivano sì ma senza remissione del morbo (che solo con l'avvento
della penicillina si debellerà), con i germi patogeni che continuavano ad agire
e moltiplicarsi nel sangue dei soggetti infetti. Invece, grazie
all'innovazione del C., i pazienti, completamente all'interno della botte,
potevano ora respirare la miscela di mercurio e incenso, la quale, agendo così
in modo sottocutaneo, uccideva i germi diminuendone la carica patogena; spesso,
si ottenevano delle guarigioni, a volte anche definitive, che, all'epoca, venivano
considerate quasi miracolose. Infatti, un rapporto medico dell'epoca riferisce
che " [...] Dopo la cura mercuriale col metodo C., si può assistere
a delle rinascite complete di individui ridotti in condizioni impressionanti di
cachessia o con lesioni tali da rendersi impossibile qualsiasi intervento
curativo per via percutanea o ipodermica". I risultati furono
talmente soddisfacenti che Modica acquisì notorietà in tutta Europa proprio per
le botti del Campailla, ancor oggi esistenti all'interno dell'antico Ospedale
di S. Maria della Pietà e visitabili all'interno di un percorso museale
appositamente dedicato. Negli anni a venire, le botti del C. furono, ma
con scarsi risultati, imitate altrove, sia in Italia che all'estero: ad
esempio, sorse a Palermo, per volere del prof. Mannino della locale facoltà di
Medicina, un Sanatorio C. Fu poi
costruita, a Roma, una cosiddetta Botte di Modica; a Milano, ancora negli anni
'50, furono costruite botti di vetro sul modello di quelle del C.; mentre, a
Parigi, furono fondati istituti a imitazione del Sifilocomio C.palermitano, per
la cura delle malattie reumatiche e nevralgiche. Teatro La
rappresentazione Cygnus, atto unico scritto da Nausica Zocco, prende spunto
dalla vita e dalle opere di Tommaso Campailla, ed è stato portato in scena l'8
maggio a Modica, per la regia di Tiziana
Spadaro. Note L'esatta data di
nascita è riscontrabile, come quella di morte, negli appositi registri
dell'Archivio Parrocchiale della Chiesa Madre di San Giorgio in Modica. Taluni, sulla base di nessuna fonte storica
attendibile, hanno diffuso l'infondata notizia secondo cui C. stesso sia stato
vittima della sifilide, contrariamente al fatto che lo studioso modicano
costruì comunque le sue botti, per il trattamento di questa infezione quando
aveva solo 30 anni, ma morì a 72 anni, età veneranda e considerevole, per quei
tempi, in cui la vita media di un individuo di sesso maschile era di 55-58
anni, per non tener conto poi del fatto che, nel Settecento (e così, fino
all'avvento degli antibiotici nel Novecento), un sifilitico aveva comunque
delle bassissime aspettative di vita dopo il manifestarsi della malattia,
dell'ordine di pochissimi anni. Ad ogni modo, le botti del C. raccolsero, per
molti decenni, un gran numero di pareri positivi a favore di un loro benefico
influsso contro il morbo. C., "L'Adamo" ovvero "Il mondo
creato" poema filosofico, Volume unico, Messina, Chiaramonte e Provenzano,
treccani/enciclopedia Cfr. D. Scinà,
Prospetto della storia letteraria di Sicilia nel secolo decimottavo, Tipografia
Lorenzo Dato, Palermo, Tratto dalla Rassegna di Clinica, Terapia e Scienze
Affini, Secondio Sinesio, Vita del celebre filosofo, e poeta Signor D. C.,
Patrizio modicano, Siracusa, 1783; ristampa Modica. Guccione, C. ed il suo
museo in Modica, Leggio et Diquattro, Ragusa, Ottaviano, Tommaso Campailla.
Contributo all'interpretazione e alla storia del cartesianesimo in Italia,
introduzione e note Domenico D'Orsi, MILANI, Padova, Criscione, C. Un poeta e
filosofo modicano, Idealprint, Modica, Guccione, C. il suo museo, la scuola
medica modicana, Comune di Modica, Modica, C. e la Scuola Medica Modicana, Ed.
Ingegni Cultura Modica, Modica. C., su Treccani Enciclopedie, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. C., in Dizionario biografico degli italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Opere di C., su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Sotto il titolo
“Disordinato discorso dell’uomo” sono raccolti due saggi pioneristici del
filosofo modicano sul ruolo della mente nei sogni, nel delirio, nell’estasi e
nella follia. L'estasi (dal greco ἔκστασις, composto di ἐκ o ἐξ + στάσις,
ex-stasis,[1] «essere fuori») è uno stato psichico di sospensione ed elevazione
mistica della mente, che viene percepita a volte come estraniata dal corpo: da
qui la sua etimologia, a indicare un «uscire fuori di sé». Nonostante la
diversità delle religioni, culture e popoli in cui l'estasi è stata
sperimentata, le descrizioni circa il modo in cui essa viene raggiunta
risultano straordinariamente simili. Si afferma di provare in questi momenti
una sorta di annullamento di sé, e di identificazione con Dio o con
l'"Anima del mondo". Descrizione ed effetti. Manifestazioni
dell'estasi nell'antichità. Il corteo dionisiaco 2.2 L'estasi oracolare 2.2.1 Figure
oracolari 3 L'estasi nelle filosofie orientali 4L'estasi in Plotino 5L'estasi
cristiana 6L'estasi paradisiaca in Dante 7Il Rinascimento 8L'Ottocento e il
Romanticismo. Descrizione ed effetti Psichicamente è caratterizzata dalla
cessazione di ogni attività da parte dell'emisfero cerebrale sinistro (noto
anche come emisfero dominante o della "razionalità discorsiva"),
consentendo così all'emisfero destro (quello recessivo o passivo, detto anche
"emotivo") di attivarsi. È uno stato di estrema concentrazione simile
per certi versi all'ipnosi, quando ad esempio la mente rimane attonita nel
fissare un punto o un oggetto, dimentica di ogni altro pensiero. Generalmente
produce uno stato di notevole beatitudine e benessere interiore. Manifestazioni
dell'estasi nell'antichità Una simile condizione mentale era nota sin
dall'antichità ed era considerata manifestazione diretta della
divinità.[4] Il corteo dionisiaco Nell'antica Grecia erano famose le
menadi (o Baccanti), donne greche che partecipavano a riti non ufficiali. Si
trattava di culti misterici e iniziatici che si svolgevano al di fuori delle
mura della città ed erano aperti agli emarginati della società, quali appunto
le donne, gli schiavi e i meteci. I protagonisti di questi culti (detti anche
Misteri, connessi sia ai riti dionisiaci che a quelli orfici sorti intorno al
VII secolo a.C.), presi in uno stato di trance o estasi ballavano sfrenatamente
e uccidevano a mani nude degli animali. Si trattava di elementi legati
all'aspetto esoterico della religione greca, che convivevano sotterraneamente
con l'exoterismo della religiosità tradizionale.[6] L'estasi oracolare
L'estasi era ciò che rendeva possibili gli Oracoli, essendo vissuta come
momento di tramite fra la dimensione terrena e quella ultramondana. A volte lo
stato di estasi veniva raggiunto artificialmente mediante l'uso di sostanze
psicotrope; la persona coinvolta era portata così a compiere gesti o azioni
insoliti. Figure oracolari Figure emblematiche e famose per le loro estasi
collegate al dono della profezia erano le Sibille, donne laiche che gravitavano
presso un tempio di Apollo proprio per la loro capacità di connettersi col
divino, che proferivano i loro responsi restando nell'ombra, non mostrandosi
facilmente agli umani che le avessero consultate ed interrogate; oppure poi la
Pizia vera e propria sacerdotessa di Apollo che dimorava nel famoso santuario
apollineo di Delfi, la quale si mostrava ai fedeli e proferiva gli oracoli dopo
appositi riti e sacrifici. La Pizia raggiungeva uno stato di estasi indotto dai
vapori inebrianti che uscivano da una spaccatura del suolo, durante il quale
proferiva gli oracoli. In Magna Grecia era invece famosa la Sibilla di Cuma,
antica città greca situata nei Campi Flegrei. I responsi delle Sibille tuttavia
erano spesso oscuri e non facilmente interpretabili, venendo compresi ora in un
senso, ora in un altro.[9] L'estasi nelle filosofie orientali Nelle
religioni asiatiche, come l'induismo, il taoismo, e soprattutto il buddismo,
l'estasi è il momento sacro in cui avviene l'illuminazione, ed è il pieno
sviluppo delle potenzialità e delle qualità naturali presenti nell'individuo. Questo
stato è anche chiamato onniscienza oppure saggezza suprema e perfetta, dal sanscrito
anuttarā-samyak-saṃbodhi, comunemente detta semplicemente Bodhi, e corrisponde
all'illuminazione del Buddha; è lo stato in cui la mente diventa illimitata e
non più separata dal resto del mondo, il punto in cui il microcosmo della
persona si fonde con il macrocosmo dell'universo. Diventa così possibile una
condizione di nirvana, alla quale ci si allena sotto la guida di un maestro
tramite la meditazione, cioè la concentrazione su di sé e la consapevolezza
della propria energia. L'estasi in Plotino Secondo Plotino (filosofo
ellenistico neoplatonico), l'estasi è il culmine delle possibilità umane, che
avviene dopo aver compiuto a ritroso il processo di emanazione da Dio: essa è
un'autocoscienza, ed è la meta naturale della ragione umana, la quale, desiderando
ricongiungersi col Principio da cui emana, riesce a coglierlo non possedendolo,
ma lasciandosene possedere. Il pensiero cioè deve rinunciare ad ogni pretesa di
oggettività abbandonando il dinamismo discorsivo della razionalità, ovvero
negando se stesso. Tramite un severo percorso di ascesi, che si serve del
metodo della teologia negativa e della catarsi dalle passioni, la ragione
riesce così a uscire dai propri limiti, superando il dualismo soggetto/oggetto
e compenetrandosi con l'Uno. Quello di Plotino non è tuttavia un semplice
panteismo naturalistico, poiché per lui l'estasi è essenzialmente un percorso
in salita verso la trascendenza. Il circolo nella filosofia di Plotino:
dalla processione all'anima umana, e dalla contemplazione all'estasi. Essendo
l'Uno non descrivibile, perché descriverlo significherebbe sdoppiarlo in un
soggetto descrivente e un oggetto descritto (e quindi non sarebbe più Uno, ma
due), anche l'estasi è di conseguenza uno stato psichico non descrivibile a
parole, dato che l'estasi è la condizione stessa dell'Uno che si
auto-contempla. Intuirla è possibile solo per via di negazione: tramite il suo
contrario, prendendo coscienza di ciò che l'Uno non è, cioè del molteplice.
L'Uno stesso, in quanto autocoscienza del pensiero, per intuirsi deve pertanto
uscire fuori di sé, diventando molteplice. L'estasi è appunto l'atto con cui
l'Uno genera il molteplice: essa è un cogliere tutt'insieme l'uno e i molti, in
un circolo che dalla processione ritorna alla contemplazione. Cusano, teologo
cristiano del Quattrocento, dirà in maniera simile che l'universo è
l'esplicatio dell'Essere, ovvero il fuoriuscire di sé da parte di Dio. A
differenza del Cristianesimo però, secondo Plotino l'estasi non è un dono della
divinità, ma una possibilità naturale dell'anima. Essa tuttavia si manifesta
non per una propria volontà deliberata, ma da sé, in un momento fuori della
portata del tempo. Plotino stesso raggiunse l'estasi solo tre o quattro volte
nella sua esistenza. Viverla è infatti dato a pochissimi, in rari momenti della
loro vita. L'estasi inoltre non serve ad uno scopo pratico; essendo
contemplazione fine a se stessa, in questo mondo non c'è nulla di più inutile. È
solo nell'estasi però che l'essere umano ha la rivelazione della sua condizione
più vera e autentica. Per il resto la via indicata da Plotino verso la saggezza
consisteva in una vita retta, oppure nella ricerca di espressioni artistiche
come la musica. L'estasi cristiana Santa Teresa d'Avila La
filosofia plotiniana diede quindi avvio a una lunga tradizione neoplatonica,
che concepiva l'universo animato da un eros o tensione amorosa mirante a
ricongiungersi a Dio tramite l'estasi. La teologia di Plotino fu ripresa in
particolare da quella cristiana, e rivisitata però alla luce dell'aspetto
personale della Trinità. L'estasi venne intesa in un senso più ampio: per il
cristianesimo essa non è più soltanto una contemplazione fine a se stessa, ma è
funzionale all'azione; deve tendere cioè non solo verso Dio, ma anche verso il
mondo. Tale mutamento di prospettiva venne introdotto affiancando all'amore
greco di tipo ascensivo, corrispondente al concetto di eros, un amore
discensivo corrispondente al concetto evangelico di àgape. L'esperienza
estatica cristiana consiste così in una comunione, una sorta di abbraccio col
mondo e l'umanità in esso dispersa con lo scopo di alleviarne le sofferenze e
ricongiungerla al Padre. Essa avviene tramite un'illuminazione operata
direttamente da Dio. Questi fuoriesce nel mondo non per un atto involontario (com'era
nel plotinismo), ma perché ama le sue creature. Identificarsi con la sua estasi
divina è, secondo Agostino, la meta naturale della ragione umana, la quale può
riuscirci non per una deliberata volontà individuale, ma per una rivelazione da
parte di Dio stesso che si rende presente alla nostra mente; l'estasi è dunque
essenzialmente un dono, reso possibile per intercessione dello Spirito Santo,
grazie a cui l'essere umano trascende i propri limiti e si rende strumento di
Dio nel mondo.A differenza di altre religioni la persona coinvolta non perde
comunque la propria individualità, pur compenetrandosi in Lui.Per i mistici
medioevali, come San Bernardo, o i neoplatonici tedeschi come Meister Eckhart,
l'estasi è una visione beatifica che avviene quando l'anima è rapita in Dio, e
l'essere si annulla in un Pensiero senza più limiti né contenuto: Dio infatti
non può essere oggettivato, perché non è oggetto, ma Soggetto. Si tratta di una
comunione mistica accesa da un fuoco d'amore, un'esperienza di beatitudine suprema
simile a quelle che saranno riferite in seguito anche da Santa Teresa d'Avila, figura
di riferimento della Controriforma. Un'altra testimonianza sull'estasi in tal
senso è quella medioevale del beato Jacopone da Todi nella lauda O iubelo de
core. L'estasi paradisiaca in Dante Nel Trecento Dante Alighieri, nel
Paradiso della Divina Commedia, di fronte alla visione beatifica di Dio, negli
ultimi versi della cantica prova così a descrivere l'estasi, conscio della sua
ineffabilità, dell'impossibilità di riferirla a parole in maniera
oggettiva: Dante contempla l'Empireo, incisione colorata
dell'originale di Doré «Qual è 'l geomètra che tutto s'affige per misurar lo
cerchio, e non ritrova, pensando, quel principio ond' elli indige, tal era io a
quella vista nova: veder voleva come si convenne l'imago al cerchio e come vi
s'indova; ma non eran da ciò le proprie penne: se non che la mia mente fu
percossa da un fulgore in che sua voglia venne. A l'alta fantasia qui
mancò possa; ma già volgeva il mio disio e 'l velle, sì come rota ch'igualmente
è mossa, l'amor che move il sole e l'altre stelle]» (Paradiso) Il
Rinascimento Il desiderio di estasiarsi godette quindi di una notevole fortuna
durante il Rinascimento. Al di là del significato religioso l'estasi assunse
allora principalmente una valenza artistica o estetica. Il bello era visto sia
dai filosofi rinascimentali che dagli idealisti romantici come la via
privilegiata per ricongiungersi a Dio. Bruno paragonò l'estasi a un eroico
furore: non un'attività pacifica che spegnesse i sensi e la memoria, ma al
contrario li acuisse, simile a un impeto razionale. A una rivalutazione
dell'estasi nell'Ottocento contribuirono sia la Critica del giudizio di Kant,
sia l'idealismo di Fichte e Schelling. Kant vedeva nel giudizio estetico un
sentimento universale di partecipazione con l'Assoluto, nel quale la ragione
non è più vincolata da un'attività conoscitiva soggetta alla necessità delle
relazioni causa-effetto, ma è libera nel formulare i propri legami associativi.
Per Fichte l'estasi è intuizione intellettuale, l'atto immediato con cui l'Io,
nel diventare autocosciente, può intuire se stesso solo in rapporto a un
non-io; così nel porre se stesso l'Io pone al contempo anche il molteplice al
di fuori di sé. Parimenti Schelling vedeva nell'estasi un'attività infinita con
cui Dio crea il mondo. L'uomo può riviverla nell'estasi artistica, che è la
manifestazione più tangibile dell'Assoluto, nel quale l'aspetto attivo e
passivo, il lato conscio e quello inconscio della mente, non sono più in
conflitto tra loro, ma si fondono in una sintesi armonica di comunione cosmica
con la Natura. Mantegazza, Le estasi umane, Marzocco, Firenze; La Civiltà
Cattolica; Legislative Reference Bureau, Roma; Enciclopedia Treccani alla voce «estasi»,
di Marco Margnelli e Enrico Comba, Giovetti, Dizionario del mistero; Mediterranee,
Atlante illustrato della mitologia del mondo; Giunti; Bianchi, A. Motte e
AA.VV., Trattato di antropologia del sacro, Jaca Book, Milano; Diana Tedoldi,
L'Albero della musica: tamburo, stati altri di coscienza; Anima Srl; Burkert,
La religione greca di epoca arcaica e classica; Jaca, Messina, Riflessioni e verità; Edizioni
del Faro; Aa.vv., Dizionario della Sapienza Orientale: Buddhismo, Induismo,
Taoismo, Zen; Mediterranee; Kerouac, Il libro del risveglio, a cura di T.
Pincio, Mondadori; Evola, Oriente e Occidente; Mediterranee; «La scienza è
ragione discorsiva e questa è molteplicità: perciò, una volta caduta nel numero
e nella molteplicità, essa perde l'Uno. È necessario dunque trascendere la
scienza e non allontanarsi mai dal nostro essere unitario, ma abbandonare la
scienza. Perciò si dice che Egli è ineffabile e indescivibile» (Plotino,
Enneadi, VI, 9, 4, trad. di Faggin). Faggin, in La presenza divina; D'Anna editrice,
Messina-Firenze; Severino, La filosofia dai Greci al nostro tempo; Il circolo
nella filosofia di Plotino, Milano, Rizzoli; Faggin, Mazza, La liminalità come
dinamica di passaggio: la rivelazione come struttura osmotico-performativa
dell'"inter-esse" trinitario; Gregorian Biblical BookShop; Sulla
differenza terminologica tra agape ed eros, cfr. E. Stauffer, Agapao, in G.
Kittel-G. Fridrich, Grande lessico del Nuovo Testamento, vol. I, Paideia,
Brescia; Bonetti, Matrimonio in Cristo è matrimonio nello Spirito, p. 63, Città
Nuova; Julien Ries, Communio, p. 88, Jaca; Come una piccola goccia d'acqua che
cada in una grande quantità di vino sembra diluirsi e sparire per assumere il
sapore e il colore del vino; così ogni affetto umano, nei santi, deve fondersi
e liquefarsi per identificarsi alla volontà divina. Come infatti Dio potrebbe
essere tutto in tutto, se nell'uomo restasse qualcosa di umano? Senza dubbio,
la sostanza rimane, ma sotto un'altra forma, un'altra potenza, un'altra gloria»
(Bernardo di Chiaravalle, De diligendo Deo, 10, trad. di G. Faggin). ^ Santa
Teresa d'Avila descrive l'estasi come un momento di "assenza" nel
quale afferma di aver percepito tutto il dolore provato da Cristo durante la
Passione, ma anche una così grande gioia interiore da coprire il dolore (cfr.
Autobiografia). ^ Nella descrizione di Dante si tratta di quella condizione
paradossale di «estasi per cui la mente esce di sé e perviene a un
potenziamento di sé» (T. Di Salvo, Paradiso, Zanichelli). ^ Reinhard Brandt,
Filosofia nella pittura: da Giorgione a Magritte, p. 432, Pearson Italia S.p.a.;
«Una delle qualità necessarie al
sapiente, cioè a colui che intende spingere l'ascesi conoscitiva fino
all'estasi e all'indiamento (farsi Dio), è un livello erocio di amore per la
bellezza, un furore divino nella terminologia di Ficino» (Ubaldo Nicola,
Atlante illustrato di filosofia, p. 238, Giunti). ^ Ubaldo Nicola, Atlante
illustrato; Pozzolo, La fede tra estetica, etica ed estatica, p. 64, Gregorian
Biblical BookShop, 2011. ^ S. Mati Novalis, Del poeta regno sia il mondo.
Attraversamenti negli appunti filosofici, p. 81, Pendragon, Franco, Essere e
senso: filosofia, religione, ermeneutica, p. 170, Guida; Cfr. anche Luigi
Pareyson, Lo stupore della ragione in Schelling, in AA.VV., Romanticismo,
esistenzialismo, ontologia della libertà, Mursia, Milano; Carlo Landini,
Psicologia dell'estasi, Franco Angeli, Milano 1983 Ioan Petru Culianu,
Esperienze dell'estasi dall'ellenismo al Medioevo, Laterza, Bari; Eliade, Lo
sciamanismo e le tecniche dell'estasi, ed. Mediterranee, Razzano, L'estasi del
bello nella sofiologia di S. N. Bulgakov, Città Nuova, Merlin, F. Vettori,
Un'estetica estatica, edizioni Cleup, Padova; Beatitudine Esperienza
extracorporea Illuminazione (Buddhismo) Illuminazione (cristianesimo)
Indiamento Misticismo Sofianismo Trance (psicologia) Transverberazione «estasi»
Estasi, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Stati di
coscienza; Filosofia Portale Filosofia Psicologia Portale Psicologia Religione
Portale Religione Categorie: Concetti e principi filosoficiEmozioni e
sentimentiFilosofia della menteMisticaTeologia Comie ſi genera; Nima
Ragionevole, come di Anima, come sà, che, fuor del ſuo ſcorre nel Corpo
Organico. St.1. Corpofieno, altre Coſe Corporee.27. Obbietti Senſibili terminan
le Idee Per le Idee degli Obbietti,nel Senſo nel Senſo Comune. St. 2. Comune
rappreſentatele. Corpi Striati, e loro ſtruttura, 3. Cometalora s'inganna.
Fornice, e ſua teſtura; Delirio nell'Ubriachezza; Setto Lucido, e ſua fabrica.
5. Vino or fà dormire,or vegliare. 32. Corpo Calloſo, e ſua anatomia. 6. Come
alle volte porta il ſonno. 33 Senſo Comune ne 'Corpi Striati. 7. Come talora induce
vigilia. 34. Da quali paſſano tutti gli Spiriti Ubriaco, perche Delira. 35.
Motivi, e i Senſitivi. 8. Mania, eſuo Delirio. Anima,in quanto ſente,riſiede
ne’ Corpi Striati. 9. Siſpiega in particolare. 40. Fantaſia ſi eſercita nel
Fornice. Io. Morficati dal Can rabbioſo, e lor Memoria riſiede nel Corpo Callofo.1.1.
Delirio. 43. Imaginativa, come ſérve al Di Come prendon proprietà Canine. 44.
ſcorrere.. E credono, eller Cani. 45. Facoltà Motiva,coni'è eccitata. 13. Core
procede tal Trasformazione.46. lilee Senſibili,coine ſi formano,e 's' Delirio
Febrile, ò Frene fiu. 48. imprimono nel Cerebro. 14. Come faffi. 49. Spiriti
Animali, fimilialla Luce.15. Come ſi dà Febre ſenza Delirio, e Paragone fra
queſta, e quelli. 16. Delirio ſenza Febre. Spiriti Animali, comeformano le
Cerebro deſtinato agli uficj Anima Idee. 17. li, e il Cerebello à i Vitali. FI.
Idee non ſono, che una pittura, in Anatomia del Cerebello. protata nelle pieghe
del Cerebro.19. Nervi, che naſcono dalCerebello. 53. Sterienza. · 20. La Mente
non bà dominio ſul Cea Idee, come laſciano la loro inpronta rebello. 54. nuel
Corpo Calloſo. 22. Comunicazioni fra il Cerebro, e il inima, come ſi rigorda.
24. Cerebello ſcambievoli. 55. Guajti gli organi del Diſcorrere, Impreſſioni
del Cerebro,come ſi par iguafla il Diſcorſo Umano. 26. tecipano al Cerebello, e
quelle 50. 52. del 227 84. del Cerebello al Cerebro. 58. Come ſi genera. 79.
Agitazione Febrile, cagionata al Delirio dellº Incubo, come ſi forma.81.
Cerebello, partecipanıloj al Ce Maliæconia Ipocondriaca. rebro, induce il
Delirio. 59. SueCagioniantecedenti. 85. Non comunicandoſi, no’l produce.62.
Suoi triſti effetti. 86. Delirio de ' Sognanti. 63. Come induce ilDelirj. 89.
Sonno, come ſi fa. 64. Per gli efluvj degli Umori, corrotti Cbefia 68. nelle
Viſcere, 90. Sogni, come ſi formano. 69. | Rimedj, che riducono allo ſtato di
Sogni, perchè ſi formano,à miſura Sanità gli Organi, guariſcono, degli Appetiti,
e delle Paffioni dal Delirio. 91. attuali, 74. Diſcorſo depravato per erroriLoa
Incubo. 77. gici, e ſuoi rimedja IXIETAS2140S147 Μ Α Ν Ω. ARGOMENTO. 27482
A82FATIRAF ETAFARAYAX 2X1% XKAYARANJE D E l'ordinato pria Diſcorſo Umano
Dichiara la Meccanica ragione il dotto Serafin, poi de l’ Inſano Le falſe Idee,
l Opere prave eſpone: Qual ne i Senni, anche Savj, il ſogno vana Le incongrue
fantaſie finge, e compone; Qual la Ragion prevarica, e travia L ' Ipocondriaca,
à l' Uom, Malinconia. STATE 1 sãto, 2.Su queſte Midollar due fondamenta Del
Corpo inilerabile, c mortale La propria mole anteriore appoggia Compreſo lò dal
tuo dir, cô doglia,e pianto, Il Fornice, che il Cerebro ſoftenta, Lo ſtato
lagrimevole, e fatale, Ed in Corpo Calloſo ad alto poggia. Seguì à parlar, per
conſolarmialquanto, Sul Midollo allungato ei, dietro, afſenta De l'Anima si
nobile, c Immortale; Due pic poſterior, di Volta in foggia: Coin'ella, in
queſta fua Corporca mole, Del Palagio cosi de l'Alma intero Intende, idea,
membra, diſcorre, e vuole. L'uno, e l'altro loftien doppio Emisfero. 5 E il
Serafin: Dopo che invia l'Obbietto Mà del Fornice al tetto interiore, Il
Carattere fuo nel Sento eſterno, Qual Zona, un Setto lucido li appende; Per il
canal de Nervi, ei và diretto Che, in mezo, da la parte anteriore, Sè ad
improntar nel comun Senfo interno. A la poſterior, curvo, diſcende. Queſto è il
luogo del Cerebro, ch'eletto A i lati fuoi, con ſempre ugual tcnore E de moti
ſenſibili al governo. Di quà, di là ſerie di ſtrie, ſi ſtende, Qual van le
linee al centro, in lui convienli, Che tutte in lui riguardano egualmente,
Ch’entrin tutte le Idee de gli altri Senſi. Il qual, di Vetro in guiſa, è
traſparente. 3. 6. Pria,che il Cervello i ſuoi due faſci accoppi L'ampio Corpo
Calloſo è ſovrapoſto In Midollo allungato, e poi Spinale, Al Fornice, e sù quel
li ammaſſa, e annette, Da quai ſpuntano pofcia, ad ordin doppi E con ordin
mirabile è compoſto Tutti i Nervi del Senſo univerſale, D'inteſti filamenti à
retinette, Di Cannei Midollar compon due groppi, Di cui l'immenſo numero
diſpoſto Conici, e curvi, in forma lunga ovale In fuperficie vien piane
perfette, Che, perchè ſono à lunghe ſtrie ſolcati, Molli così, che ammettono, à
l'azzione ' i detti laran Corpi ftriati. De gli Spirti, ogni minima
impreffione. Entro de i Midollar Corpi Striati, E de gli eſterni Obbietti lor
là dove La reſidenza il Comun Senſo ottiene, Hà la Malizia, d la Bontà compreſa,
C'hà de le proprie Glandole irrigati I principj de i Nervi apre, e vi piove Le
cavità, di Spiriti ripiene, Copia di Spirti, ove ella vuole, inteſa: Atti ad
eſſere impreſli, e conformati I Muſcoli ritira, e i membri move In ogni Idea,che
a lor da i Senſi viene, Al'ampleſſo, à la fuga, à la difeſa; Azili, e fnelli, à
figlirarſi eſpoſti E quando poi di quei reſta ſicura D'infiniti, in cui fian,
modi, diſpoſti. Più Spiriti non manda, e i Nervi ottura 14. I Nervi in lor
degli Organi Senſori Spiegami meglio (aggiūge Adam )traslata, Tutti invian de
gli Spiriti i refulli: Come i'ldea nel Comun Senſo ha forma: E quei, da lor, de
gli Orgeni Motori Come dal Settolucido paſſata, Spontanei tutti han degli
Spirti i fluſſi: Entro il Corpo Calloſo imprime l'orma: Cid, che vien dentro
ammeſio, ch'eſce fuori E come poi, che in quel reſta improntata, Di Senſitivi,
o di Motivi in Auſli, Entro la Fantafia la Copia forma, Del Cerebro, ove l'Alma
à regnar ſtarfi, Simile a quella Idea, che pria l'affiſſe: Per queſta regia
Via, convien, che palli Cosi ei richiede: E così Quei gli diffe 9. 15. In
queſti l'Alma Umana, in quanto ſente, Benchè vario fra loro il naſcimento Corpi
Striati aſſiſte, e ognor riſiede: Han la Luce, e gli Spiriti Aninali:
Quilegata, à gli Spirti intimamente, Che quella dal ſottil Primo Elemento, La
sè, incorporea, à i Corpi aggir concede: Queſti portan dal Terzo i lor natali,
Qui l'occhio Spirital ſempr’hàprefente: Ne la velocità, nel movimento, Qui
tocca, guſta, odora, afcolta, e vede: Nel Terbar riflettendo angoli eguali Qul
le potenze Senſitive hà immote, De l'incidenza à l'angolo, ſembianti Qui non
ſentir ciò, che s'idea,non puote. Fra lor ſon inolto, c in eſſere rifranti. 16.
La Fantaſia, del Fornice nel Setto Tra gli ſpazi de GloboliCeleſti Lucido,
fuole eſercitarli, cui Ruota in centro la Luce, à vorticetti: Come pervio, e
diafano perfetto Girano in centro ancor mobili queſti Per ogni parte han via
gli Spirti ſui, Sottilmente formatl in Globoletti: Qui le Idee rappreſentano
l'aſpetto, Son de la Luce i Corpi agili, e preſti, Che dal Senſo Comun paſſano
in lui: Atti à modificarli in vari aſpetti; Le mira in queſto Specchio, e le
contempla Queſti da Corpi,onde ſon mai rifelli, L'Alma, e in sè Spirital l'Idee
n'eſempla. Tornano poi modificati anch'eſſi. 17. La Idea, dal Setto lucido,
leggiera Quale il Lume de i Corpi, onde riflette Entro il Corpo Calloſo alfin
trapaſſa, Ovunque dirizzarſi abbia permeſſo, E ne le tele ſue l'Iminago intera,
Di quei le colorate Immagginette Imprime, e il ſuo Carattere vi laffa.
Modificate al par porta in sè ſteſſo: S'impronta in lor, come Sugello in cera,
Ne gli ſpirti de l'Ottiche fibrette Nè per tempo sì facile fi caffa. Quelle
dipinge, entro de l'Occhio ammeſlo: Altre Idee in altre fibre impreffe poi
Laſciando in quegli Spiriti i modelli Serbano à la Memoria i teſor fuoi. Che ne
la fuperficie ebb’ei di quelli. 12. 18. Se diſcorrer talor la Mente hà brame
Tal gli Spirti Senſor modificati Sù quelle Idee, che il Comun Senſo invia Da
gli obbietti, onde füro indietro ſpinti; Uop'è, che le trafcorſe Idee richiame
Nel Comun Senſo portano traslati, Dala Mémoria à la fua Fantaſia.
Quegl'Idoletti Mobili diſtinti, Ponle nel Setto lucido ad elame, Che nela
Fantafia rapprefentati, Le rigette, o le approva, odia, ò defia, Ne la Memoria
alfin reftan dipinti, A miſura, che trae da loro effenze Con quello ſteſſo
colorato aſpetto, Utili, a infaufte à sè le conſeguenze. Che in ſuperficie å
vea l'efferno Obbietto. L'Adamo del CampaiHas Mmm L'ldos ro. IL DISCORSO UMANO.
L'idea, che ne le fibre interiori In queſta forma, Adam, l'Umana Mente; Del
Caitofo Midol poi fi figura, Mêtre informa il ſuo Corpo,e leſuc Membra) Per
mezo de'caratteri impreſſori Da i fantaſmi di quello è dipendente: Non è,
ch'una verilima pittura, Con queſti ſente, immagina, e rimembra: Per via
dipinca in lor, non di colori, Mà in sè diſcorre, e vuol liberardente, Mà per
mutazion de la teſtura, E ciò clegge, che buon, che bel le ſembra: Chenegli
Spiīti !!! tal rifleſſo induce, Pur, de gli Enti Corporei, uop'e, che penſi,
Quale iColor riñettono la Luce. Per via d'Idee material di Senſi. 26. Non ſono
i Color tutti altro in sè ſterfi, Mà perd, che del Corpo i Morbi fono Che
ſuperficie, tal.configurata, Per l'intima union, Morbi de l'Alma, Sù cui
rifranti i raggi, e infiem rifleſſi, Perdendo il Corpo il natural ſuo tuono,
Han si la rifleſſion modificata, Se inferma è mai la fua Corporea Calma, Che
imprimono ne l'Occhio i color Ateli. La Mente, che nel Cerebro ha il ſuo trono
Con cui la ſuperficie è colorata: Tra gli Spirti animai non reſta in calma;
Cosi Criſtal diafano hà coſtume Perchè di lor difregolato il corſo, Sol culorir
per Refrazzione, il Lume. La perturbata Idea turba il Diſcorſo. 21. 27., Si
diffé il Serafino, e tenue Stile Che ſien fuori de l'Anima in Natura Che di
piun colore affatto intinſe, Corpi reali, e fisici, eſiſtenti, Sù quella, che
il veſtia, tela ſottile La Mente entro il ſuo carcere procura Scolpi la
fuperficie, e la dipinfe, Da i canvelli ſcoprir de'Sentimenti, E à colorata
Immagine fimile, Sol per mezo de'Senſi ella è ſicura, Immago in lei, fenza
color, diſinfc, Che fieno quelli al Corpo ſuo preſenti. Che in quel fcolpito
Lin con par tenora Nel Comun Senfo, à l'obbiettiva effenza, Il Lume riticttea,
qual fa il Colore. De le coſe attual så l'Efiſtenza. 28. Cosi (poi fegue à dir
) la ſola azzione. Sc al Comun Senſo fuo fi rappreſenta De lo Spirto animal rr
odifica to, Idea, che altronde ella avvenir ti avvcda, Få nel Corpo calloſo
impreſione, L'Obbietto, far non può, che allor non ſenta, Con renderlo, in
riflettervi', improntato. E ſentirlo non può, che non lo creda. Tanto, ver'fua
natia coſtituzione, Così à l'Occhio ſe alcun ti ſi preſenta, E' quel Midollo
tenero formato Tu già mai far potrai, che non lo veda: A''Idea Spiritofa in lei
rifleffa Così se ne lo Specchio Immigo eſpreſſa, Ccde la superficie, e reſta
impreſa. Noncrederla non puoi da Obbietto impreſa.?? 29. De l'Occhio in modo
tal sù la Retina, Or qualvolta à la Mente Idea ſi porta Che ancor 'efla
Soſtanza è Midollare, Entro il Senſo Comun per altra via, Se talun filo 1
riguardar ſi oſtina Che per la regia, ed ordinata porta, Illuminofo in Ciel
Corpo Solarc, Onde al Senſo Comun l'Idea s'invia, Per molto tempo,ancor, che il
guardo inchina, Mà lo Spirto retrograda la porta Del Sol P'linmago lucida gli
appare; Da la Memoria, • da la Fantasia, Elabbagliato acume ovunque gira, Per
la ſtrada de'Senfi allor la crede Quell'infocato lampo ognor rimira. Da
Obbietto eſterno impreſa, e le dà fede. 24. 30. Mà fe di ricordarti unqua defia
E Fede tal, che giudica, e diſcorre, La Mente poi di un traſandato Obbietto,
Qual ſe agiffe, nel senſo eſterno Obbietto; Al Calloſo Midot, placido, invia E
a miſura ingannata amalo, dabborre, Di Spiriti animali un rivoletto, Cheprova
in sè ſvegliar gioja, è diſpetto; Che in quell'Idea incontrandoſi per via,
Agita i membri, e à un operar traſcorre Torna modificato in Idoletto:
Corriſpondente à l'eccitato affetto: Dal Tipo Midollar la forina prende,
Depravato cosi delira infano E de l'antica Idea (imil ſi rende. Per morboſa
cagion Diſcorſo Umano. A turbar giunge un Senno, anche prudente, Per fimile
cagion, ſe non la ſteſſa, De l'afforbito Vin le copia enorme: Mania provien,
d'onde Ebrietà provenne Che l'eſaltato Spirito la Mente, Perchè la delirante
Ebrezza eſpreſſa Or forza à delirar con vane forme, Di breve tempo è una Mania
ſolenne, Or gli Spirti gli ottenebra talmente, E la Mania, nel Senno Umano
impreffa, Che n'è ſopito ogni fuo Senſo, e dorme. Di lungo tempo è un'Ebrietà
perenne, In diverſi Soggetti hà varj eventi, Furiola Mania, cui fon ſoggetti
Ch'or furiofi rende, or fonnolenti. Gli acuti più talor favj Intelletti. 38. Il
come ad indagar, contrari, vate, Il Sangue de Maniàci è con ecceffo Effetti à
partorir ne gli Ebri il Vino, Tal di Sulfurei ſpiriti impregnato Rifletci, che
nel latice vitale Che col reſpir per i Polmoni in eſſo Del Sangue è un doppio
fpirito falino: Il Nitro aereo ſpirto infinuato, L'un,che diſciolto entro il
fuo Siero è un Sale Spira nel vicendevole congreſſo Urinoſo volatile Alcalino:
Indomitaura, ed alito sfrenato, L'altro dentro del Sangue infinuato, Ch'eſalta
in movimenti univerfali Con l'Aria, e i Cibi, è un fpirito Nitrato, Pria gli
Spirti vitai, poi gli animali, 334 39. In quei,che la purpurea,in copie,han
piena, Che concorrendo ai Cerebro, accreſciuta Mafia Sanguigna, di Alcali
urinofo, Di moto, e quantità, rapiſcon tutti Lo ſpirito delVin ſi meſce appena,
Gl’Idoletti Ideal, che contenuti Che genera un coagolo vifcolo. Trovan nel
Setto lucido, e ridutti, La Linfa ingroffa, e i vitai Spirti affrena, O fien da
la Memoria, ivi venuti, E concilia un ſonnifero ripoſo. O ne la ſteſſa Fantaſia
coftrutti, Tal Miſto, fi condenfa in gelatina, E invianli al Comun Senſo, e de
la Mente Lo ſpirito di Vino à quel di Urina, Ingannano colà l'occhio preſente.
34. 40. Mà in quell'Uomo,in cui trovafi eccedente Qui dice Adam: D'un operar al
ſcempio Il Sal Nitroſo entro il Sanguigno Umore, De PUman miſerabile Intelletto
Mifta appena del Vino è l'Acquardente, Tal che può farlo e furiofo, ed empio,
Che à gli Spirti vitai creſce il fervore, Di prudente, che ſia, ſano Soggetto,
Spirando un'aura Elaſtica potente, Deh dona à me, mio Precettor, l'eſempio Che
gli Spirti animai move à furore. Per farne più diſtinto alcun concetto, Tai
lpiran, mitti, un'alito focolo Cosi lo prega, e il Serafin verace Del Viu la
Ipirto., e l'Acido Nitroſo, Il di lui bel deſio cosi compiace. Quindi de gii
Ebri à i Midollar cannelli Il Sangue del Maniaco un tal fervore Lo Spirito con
impeto s'invia: Nel ſuo Corpo talor riſveglia, e crea, Seco il caratter trae,
che ne ſuggelli, Che il capo punge, o il petto, e di un dolore Trova de la
Memoria, e il porta via, Intenſo à lui fà lovvenir l'Idea, L'aſporta feco al
Comun Senſo, e quelli, Quando di un ſuo Nemico oftil furore Che trova, anco
tener la Fantafia, Ferillo, e tutto il fatto allor s'idea: Ne i Corpi
introducendoli Striati, Poi da la Fantaſia per falla porta Per retrograda frada
ivi traşlati. Al fuo Senſo Comun l'Idea fi afporta. 42. Quella Idea crede allor
l'Umana Mente E da la vaua Idea l’Alma ingannata, Introdotta per via di eſterni
Senfi Che rappreſenta il ſuo fucceſſo antico, Da Obbietto, che fia à l'Organo
preſente, Stima ver ciò, che vede, e che aſsaltata Che quei moti Sengbili
difpenfi. Sia, già preſente à lui., dal ſuo Nemico. Onde ingannata, avvien, che
follemente Si accinge a la difeſa, ed opra irata De la ſtesſa maniera operi, e
penſi, Cotr'Uoin, che gli ſi incotra,ancor che amico, Comc fe quell'Obbietto
aveffe avante, Che, preoccupata da l'Idea mentita, Di qui la vana Idea forta il
ſembiante, Nemico il crede, e contro lyi s'irrita. Mà mirabil vieppiù, più
portentoſo Che da quei Solfi indomiti inveſtiti Loſtravoito penſiero è del
Diſcorſo Di periferia al centro in mille forme, Di chi dal dente mai del Can
rabbioſo Syolgon de Simulacri, ivi ſcolpiti, Prova in un di fue meinbra il fero
morſo, L'Idee de la Memoria, à varie torme; Che infetto già dal ſuo velen
bavoſo, E ne la Fantaſia poi male uniti E dopo ancor, che lungo tempo è ſcorſo,
Soa gi'iacaagruiFantaſmi in ſtuol deforme: Fra mille altri ſintomi alfin
riinane, Alfio nel Comua Senſo entran ſovente, Col creder sè già trasformato in
Cane. Adingannare, à ſpaventar la Mente. 44. 50. Nè ſolo al par del Canc
addenta, e morde, Febricitando il Sangue, uopè, che fpici E ſimile anche al
Cane ei latrar s'ode Del Cerebro più Spirti à le latebre: Ma con fame Canina, e
voglie ingorde Delicando gli Spirti, uop'è, che giri Prono diyora į cibi, e
l'olla rode; Il Sangue in pollazion celeri, e crebre: E con oprar col ſuo
penſier concorde Or come Febre è mai lenza Deliri? Le qualità Caninç affettar
gode; Come delirj fon mai fenza Febre? Lungi chi vien sà preſentir, dotato
Adamo al Serafin cosi propoſe: Di acuto, e ſottiliffimo Odorato. E si ad Adamo
il Serafin riſpoſę. 45. Premetto, per ſpiegar, d'onde contratto Per dichiarar
Fenoineno si bello, Concetto Uom poſſa aver cotanto ſtrano, Che interamente jo
ſviluprar prometto, Che allor, che vien de l'unione à l'atto Dopo gli uſi, che
detti hò del Cervello, Il corpo fral con l'Animo ſovrano, Deggio gli uſi anche
dir del Cervelletto: Gl'imprime de'luoi Spiriti il contatto Cheagli uficj
Animali eletto è quello, L'ldea di eſſer congiunto à Corpo Umano, A gli uli
Naturali è queſto eletto: La qual conſiſte in ’ n Caratter tale, Må pria di
eſaminar la ſua Natura. Ch'ngli Spirit, Umani è fpeciale, Sentine l'anatomica
Struttura. Del rabbioſo Velen taptu inaligna Nel Cranio è, dietro il Cerebro,
ripoſto Hà corrottiya attività la Forma, Il picciolo Cervello, e ſegregato, Che
gli Spiro animali, ov'egli alligna, In forina quaſi sferica diſpoſto, Ajo: o à
poco in sè inuta, e trusforına, E da le due Meningi andò ammantato: In rio
Venen l'Aura animal traligna, Di Cannellini hà il ſuo Midol compoko i E di
Canin Carattere s'inforina: E il cortice di Glandole am maffato, Cool ne le
Materie, oy'i gli ha loco, In cui con Meccaniſmi, al grande eguali, Muta, e
trasforma il tutto in foco il Foco. Si prepurun gliSpiriti aniinali. 47. S3
Sentendo aggir quell'Anima infelice Dal Cervelletto fol naſcon produtti
Impreſſion di Spiriti Cunini, Quei Nervei tronchi, e quei lor rami varj; La di
cui f.colta immaginatrice Che daii gli Spirti à i Muſcoli, coſtrutti Hà
depravuti affatto i retti fini, Al miniſter de’moti involontarj. Tradita ancor
da quei Fantalmi, elice Da lui movong i Vaſi, e gli Umor tutti, Da ſe Brutali
affetti, atti Ferini, Ch'a l'uficio vital ſon neceffari, Adam, nel tuo fullir
quanto hai perduto ! Cor, Vene, Arterie, Glandole, Fermenti, Sei ſoggetto ad un
Mal,che di Vom fà Bruto. Polmon, Linfa; Inteſtin, Chilo, Alimenti. 48. 54. Dal
già detto finor molto evidente Giuridizion ſul Cerebel la Mente Argomentar fi
può, come fi dia Punto non tien, nè i ſuoi eſercizi hà noti, Il Diſcorſo de
l'Uomo incoerente Non sà, chiuſa entro il Cerebro, nè fente, Nel Delirio Febril,
ch'è Freneſia: Come il Chil ſi amminiſtri, e il Sangue ruoti. Che allor, che
bolle il Sangue in Febre ardête, Di quel, che dal Cervello è indipendente, S
fulfurea falina hà diſcraſia, Fermar non puote, è regolarne i moti. Gi Spiriti
nel Cerebro avanzati, Aſſoluti, e diftinti i lor Governi In copia, c mobiltà
fon gencrati. Commercio hap fol per ſei Proceſſi alternt. Manda Manda al
Cervello il Cervelletto pria E per la via retrograda, ch'è dietro, Doppia
Protuberanza orbicolare, Paffa nel Setto lucido il torrente: Più baſſo due
proceſſi indi gl'invia Quelle Idee, che vi trova ei ſpinge addietro Per la
Protuberanza altra anulare, Verſo i Corpi Striati obliquamente; Due altri
alfine imprendono la via E al corſo natural turbando il metro, Da ſuoi due
Gambi al Calcc midollare L'offre per falfa porta ivi à Ja Mente E di Spiriti
alterni han participi. Che venute credendole da i Senli, De’Nervi il pajo
ottavov'hà principja. Vopè, che follemente operi, e penſi. 56. 62. Per l'uno, e
l'altro orbicolar Ricetto Se però nel ſol Cerebro è riſtretto Son gli Spirci
animai partecipati De'Spirti il moto, e de'fantafmi erranti, Da gli Striati
Corpi al Cervelletto, E à trapaſſar non và nel Cervelletto, E daqueſto anco à i
Corpi fuoi Striatia Senza febricitar fà deliranti: Per le altre quattro vie con
corſo retto Perchè fol ne ſuoi Spiriti è il ſoggetto, Vengono, e ven gli
Spiriti mandati, Che fà le Arterie, e il Cor febricitanti; Pe'l calce midollare,
ove inſeriſce E quello Spirto, onde il ſuo moto prende Le ſue due braccia il
Fornice, e li uniſcea L'Arteria, e il Cor, dal Cerebel diſcende a 57. 63. Sol
queſte ſon le occulte vie, per cui Maggior ſoggiunſe Adam ) inêtre a dormea Ciò,
che ſuccede in lor di ben, di male, Stupore, è il Delirar di fan penſiero,
Mandanſi internamente infra lor dui Che di vani fantaſmi, e incongrue forme Il
vital Miniſtero, e l'animale, Ad un ſtuol dona fe si menzogniero, La Potenza
animal gli affetti ſui I qual, non ſolo al Ver non è conforme I moti fuoi la
Facoltà vitale, Mà par, ch'è falſo, e credefi per vero: Secondo, in Pro comune,
à lor conviene, In modo tal, che un Senno, anche prudente, Opporſi al Mele, o
farfi incontro al Bene. Di creder gl'impoſſibili conſente. 58. 64; E quinci
avvien, che al ſol penſier ſovente Come inganni la Mente à dichiararti Nel
Cerebro, o di Gioja, d di Timore, De i Sogni l'incredibile Bugia, Moffo è il
Polmone, e il Cor placidamente (Replica Raffael) d'uopo è ſpiegarti, Soſpira il
Petto, e batte fpeſſo il Core. Come il Sonno produceſi, e che ſia: Quete, è
ſvolte le Viſcere, hà la Mente Mà pienamente, Adam, rammemorarti L'idea de la
Salute, ò del Malore: La teſtura del Cerebro dei pria: Intelligenza, e
auſiliario impegno Che la foſtanza ſua, teſfuta á velli Paſſa così tra le
Provincie, e'l Regno. Di cavi coſta, e sferici Cannelli. 59. 65. Or mentre la
febrilc agitazione Che à i lati de'ſuoi concavi Canali Nel Sangue, e ne
le.Viſcere ſi avanza, Triangolar fon gl'interſtizj inteſti: Gli efAlvj.al
Cervelletto, e la mozione Che in quei ſcorron gli Spiriti animali, Mandar per
via de Nervi hà ben poſſariza: E che diſcorre ilSugo nerveo in queſti, Quefto
annuncia al Cervel la impreſſione Fatti gli uni di Spiriti vitali, Per doppia
orbicolar Protuberanza, L'altro di Umor linfatici digefti: Entro i Corpi
Striati, onde la Mente Che ſtan fra lor, quei di elater dotati, Di quel calor
febril l'affanno ſente. Queſto di fode fibre, equilibrati. 60. 66. Mà ſe gli
effuvi, ei moti ſuoi ſon tali, Mentre gli Spirti à tal ſon rarefatti Che al
Cerebel traſceudono le ſponde, Che tengan quei cannelli intumiditi, Nel Cerebro
i ſuoi Spiriti animali O'quefti cosi reſtino diſtratti Per l'anular
Protuberanza infonde: Da ariditi, ò durezza irrigiditi, Poi da i poſterior
recti canali O'il nervco Umor pien di fali acri, ed atti Del calce Midollare
alfin trasfonde, Le fibre à ſtimolar, gli Spirti irriti, Del Fornice gli Spirti
à le due braccia Sta tempre aperto il Cerebro, e produce E in quel gli eſtranj
effuvj infinua, e caccia. Spirti continui, e la Vigilia induce. L'Adamo del
Campailla. Nina Per poco influſſo, ò per diſpendj immenfi, Nel tempo del
Dormire al Cervelletto Se al minorar fi vien lo Spirto in effi, Copia inaggior
di Spirti il Sangue infonde O’i ſuoi interſtiz; il nervco Umor più eféli Che
oſtrutto allora il Cerebro, e riſtretco, i; Tien, con più copia, e i cannellin
compreffi, Quei,che nõ manda à queſto, à quel trasfondo Queſti già reli vuoti,
e non più tenſi Maggior moto pertanto, e più perfetto Chiudonfi, molli, e
calcano in sè ſteſſi. Del Torace han le viſcere profonde, Continuar nel Cerebro
non porno E quelle de l'Addome, allor, che appieno Gli ſpiriti l'influſſo: e
faffi il Sonno. Immerfo è il Corpo Uman del Sonno in feno. 68. 74. Il Sonno è
un feriar di Senſi, e Moti, Mà perchè (dice Adam ) ſpelo, à miſura Mà Senli
eſterni, e Moti volontarj. Di noſtra Paſſion ſi formi il Sogno? Gli Spirti del
Cervel ſtan quafi immoti, Perchè m'idea, dormendo, e mi figura Chiuſe le vie de
Senſitivi Affari: Quell'Obbietto,che temo,ò quel,che agogno? Solo i ſuoi membri
proſſimi, e i remoti Qualor per breve, in queſta notte oſcura Tutti mantiene in
eſercizi varj, Michiuſe al Sonno i rai natio biſogno, (Perchè infuſſo di Spiriti
interdetto Vidi nel Sonno il Cherubino armato, Non hà ) la Region del
Cervelletto. Che mi avventava in fen brando infocato, 69. 75. Or così ſtando il
Cerebro.in quiete, L'Angiol riſpoſe: Il già commeſſo errore In una, in tutto
oſcurità diffuſa, Nel ſonno anche ti affigge, e ti tormentas Si occultan le fue
Immagini inquiete, Ti ſtringe il Cor, l'anguſtiato Core Ogni altra Idea de i
Senti eſterni eſcluſa, L'imprellione al Cercbel preſenta, In folche folitudini
fecrete Che pe'i Procelli orbicolar và fuore, La Mente è tutta in sè raccolta,
e chiuſa; E al tuo Senſo comun i rappreſenta: E del Cervello il diſcoriivo
Mondo Poi ne la Fantaſia forma i'alpetto Dorme in ſilenzio altitlimo, e
profondo. Del Cherubin, qual ſe ti apriſſe il petto, 76. Ed ecco, che per cieca
obliqua via, Altro ruſcel di Spirti al modo fteffo Di Larvette ideali erranti
ſquadre Dal Cervelletto al Cerebro diſcorre; Nel Coinun Senio, o ne la Fantaila
E per la via de l'anular Proceſſo Vagan leggicie or fpaventole, ed'adre, Lc
radici del Fornice traſcorre. Or veſtite di ainabije bugia, De Cherubin l'idea,
che trova in eſſo, Pingon bei Spettri, e Fantafie leggiadre; Seco rapiíce, e
ullin valia: deporre E van col Fallo, in naſchera di Vero, Nel Senſorio Comuo:
l’Alma, che'l vede De l'Anima à ingannar l'occhio, e’i penſiero. E lente il
duolo al Cor, ferito il crede. Tal ſe in Teatro cinbroſo il Popol liede,
Anch'io diſs’Eva) in quel notturo orrore, Niirando chiare aprir comiche Scene,
Mentre più gli occhi mici pianger nő ponno, E da Mimi larvati aſculta, e vede
Viep; iù per lo ſpavento, e pul timore, Tragiche finzion, menzogne amene: Che
per quieto oblio, mentre che a !Tonno, Quali del Ver fcordato, ii Falſo crede
Strangolate le fauci, oppreſſo il Core E da’luoi Seun italicdotto viene, Sento
da un Moftro, infra vigilia, e ſonno: Chefveglia ii Finto in lui, verace
intanto Volea gridar, volea fuggir, volea Odio, ) Amer,Picea, d Sdegno,c Rilo,o
Piáto. Scuoţer dal ſen la Belva, e non potea. 28. Chile fopite Immagini
alCervello Queſto č l'Incubo, Adamo (à dir riprende Svegli, i luoi Spisti in
renderne eccitati, A lui rivolto, ii Filico Divino ) Facile è di aſſignar, dal
Cerebello, Paroliſino terribile, che apprende Che fieno effiuvi, • Spiriti
ſcappati, L'Uoin, mentre che talor dorineſupino. Per quei fentier, che ſon, tra
queſto,e quello, Il Petto, e il Core ilmoto ſuo ſoſpende, Ne i Proceſi
ſcambievoii, incavati E fofpende ancu i Sangue il ſuo camino; De le
Protuberüize orbicolari, Che riſtagnando entro i polmoni in petto E de i terzi Proceſli,
ed anulari, Fà un breve si, mà aſſai moleſto effetto. Cio, che il Sonno al
Cervel coſtituiſce, Del Morbo Malinconico cagioni Vien l’Incubo à produr nel
Cerebello Son, ipaventoſi, e ſubiti tercori Qual, groſſo il nerveoLiquido,
impediſce Affetti violenti, e pailioni, Degli Spirti animali il corſo in quello,
Ipocondriaci, e Iſterici Malori: Tal di queſto il medemo anche oltruiſce In
queſte inordinate ripreſſioni Ogni talor ſuo midollar Canuello, Si guaſtano le
Viſcere, e gli Umori: Qualvolta amplia foverchio, in modi vari, Onde mandati al
Cerebro, ed eſtratti Di queſto pur le Strie triangolari. Spirti ne fono, à gli
uſi lor malatti. 80. 86. Come, al Cervel gli Spiriti impediti, Mal fan l’uſo
adempir più principale, Fermanſi gli uſi à gli Organi animali, Ch'è: coʻlor
moti armonici, adequata Così, gli Spirti al Cercbel fopiti, Tener de l'Uomo à
l'Anima immortale Ceffan quei de le Viſcere vitali, Quella, che al ſommo Ben
tendēza hà innata, Il Sengue, e gli altri Liquidi irretiti Mentre in queſto ſuo
carcere mortale Ne i polmoni, e lor vafi arteriali. Vive ad un Corpo organico
ligata: Ciò nel dornir ſupin ſuccede ſpeſſo: Che priva di lor Tolita Armonia,
Che il Cercbel dal Cerebro è compreffo, Sente una interior Malinconia, 81. 87.
Prefa daʼNervi impreffion si rea Scemi di loro elaftica potenza, Al Cerebro
s'invia dal Cervelletto Debil tai Spirti à ſpanderſi han vigore, La Mente un
Moſtro in fantaſia s'idea, E di contrari Agenti à la prelenza Qual ſe l'affoghi,
e le comprima il petto: Producon, contraendoſi, il Tiinore. Poi tratta al Comun
Senſo è quell’ldea, Grolli, oltre del dover, ne l'aderenza Con un corſo
retrogrado indiretto Portan le loro Idee forina maggiore: La Idea ne vede, e la
impreſſion ne ſente; Onde di quel,ch'è in sè, ſempre più immenfo Or che ſtupor,
fe'l crede ver la Mente? Rapprefentan l'Obbietto al Comun Senfo. 82. 88. Miquel
dal Setto lucido repiſce Anzi, però clie indebite miſture Spirto le klee
ne'Corpi ſuoi Striati? Di eſtrani effluvj in lor glaſtan le forme Del Cerebel
non già, che non fluiſce Appajono d'infolite figure Spirito in lui, chii
Cannellin turati. I lor Fantaſmi, e di feinbianza informe: Si parla Adaino: E
Raffacl fupplilce Tenebroſe le lınmagini, ed oſcure Del Cerebel gli Spiriti
privati, Non terbano à gli Obbietti Idea conforme: Per doppia orbicolar
Protuberaliza, Quindi de i Malinconici eſſer dee u Cerebro, che n’hà minor
inancanza. Piena la Fantalia d'incongrue Idee. 83. 89. De le vitali ſu Vilcere
à l'uſo Inino il M.lincolico à tal ſegno, Tutti gli Spirti il Cercbel riparte;
Solo in penſier fantaſtici ſi aggira: Il Cercbro non già, che benchè chiuſo,
Pregna hila Fantatia, colmo l'ingegno, Ne reſts pieno, e altrui non ne fi
partc. D'incoerenti Idee; ma non deli. a: Reſtande elauſto quel, da queſto
infuſo Chc, benchè erranti, in sè ſenza ritegno, Hà lo Spirto animal per quella
parte, Le involontarie Immagini riinira, Che dal Corpo Callofo, ove diſcende,
Pur ben fi avvede, e noto há ben, che ſia A gli Striati, ivi le Idee diſtende.
Sol tutto l'Effer loro in Fantaſia. 84. 90. 11 Sogno paſſaggiera è una Pazizia,
Mà ſe da le ſuc viſcere eſalato, Ma la Pazzia poi Sogro è permanente, Per i
Nervi, Par vago, e intercoſtale, La Ipocur driaca in cui Malinconia Morbofo
effuvio, al Cervelletto alzato, Riduce PUomo à delirar fovente. Per il di
dietro al Fornice poi fale, Contraria de Maniaci à la Follia, Ogni incongruo
Fantafina, ivi formato, Ch'è cir:Je !, furioia, audace, ardente, Che ne la
Fantuſia difpiega l'ale, Quefiriè timida, e imbelle, e'l penſier volto Nel
Senforio Comun con feco tira: Hà follecito al Plen, itupido al Molto. L'Alma
allor Ver lo giudica, e delira. Del IL DISCORSO UMANO, Del nobile cosi Diſcorſo
Umano, De'tanti ancor traccò Logici errori E de'ſuoi varj organici difetti Che
al diſcorſo depravauo i Giudici, Filoſofo l'Arcangelo ſovrano, E qual di Verità
gli alti ſplendori Con ſottili penfieri, e chiari detti. Oſcurano à la Mente i
Pregiudicj: Indi ſpiego i Rimedj, ond'egl’inſano Come la Dialettica riſtori,
Reſo, à cagion de gli Organi imperfetti, Con norme, i falli in lei,
regolatrici; Poffi à i retti tornar ſuoi Sentimenti, E al fine il giuſto Metodo
glieſpone, Con medicarne i gu'aſti ſuoi Stromenti. L'ulo à bene adoptas di fua
Ragionc. Estasi di santa Teresa d'Avila scultura di Gianlorenzo Bernini
Lingua Segui Modifica Nota disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando
altri significati, vedi Estasi di santa Teresa d'Avila (disambigua). Estasi di
santa Teresa d'Avila Ecstasy of St. Teresa HDR.jpg Autore Bernini Materiale marmo
e bronzo dorato per i raggi divini Altezza350cmUbicazione Chiesa di Santa Maria
della Vittoria, Roma Coordinate L'Estasi
di santa Teresa d'Avila è una scultura in marmo e bronzo dorato di Bernini,
rcollocata nella cappella Cornaro, presso la chiesa di Santa Maria della
Vittoria, a Roma. La scena raffigurata nell'opera è, per la precisione, una
transverberazione e non un'estasi, quindi la scultura è talvolta chiamata anche
"Transverberazione di santa Teresa d'Avila". Storia Modifica
Nel 1645 - in un periodo in cui, con il pontificato di Innocenzo X, la
straordinaria carriera artistica di Bernini stava conoscendo qualche
appannamento - il cardinale Federico Cornaro affidò alle sue qualità di
architetto e di scultore la realizzazione della cappella della propria
famiglia, nel transetto sinistro della chiesa di Santa Maria della Vittoria, a
Roma. Bernini, nell'eseguire la commissione, cercò una sua rivincita
professionale verso l'atteggiamento tiepido che il nuovo pontefice mostrava nei
suoi confronti e chiamò, per così dire, a raccolta tutta la sua inventiva di
architetto e di scultore sino a giungere a realizzare uno degli esempi più
elevati di arte barocca. L'Estasi di santa Teresa d'Avila, eseguita, una volta
portata a compimento piacque immensamente al Bernini, che con una certa
modestia la definì come la sua «men cattiva opera» (dunque la migliore delle
sue realizzazioni). Lo stesso Filippo Baldinucci, nella biografia dell'artista,
riporta che: «il Bernino medesimo era solito dire essere stata la più
bell'opera che uscisse dalla sua mano» Descrizione Modifica Visuale
della cappella Cornaro: al centro troviamo santa Teresa e il cherubino e, ai
lati, si scorgono i vari membri della famiglia Cornaro che si affacciano dai
finti balconcini Una delle cifre per intendere l'arte barocca è, come noto, il
gusto per la "teatralità": la rappresentazione spettacolare e
talvolta anche enfatica degli eventi. In quest'opera Bernini, mettendo a frutto
la sua esperienza diretta di organizzatore di spettacoli teatrali, trasforma,
in senso non metaforico ma letterale, lo spazio della cappella in teatro.
Per far ciò egli amplia innanzitutto la profondità del transetto; poi, aprendo
sulla parete di fondo una finestra con i vetri gialli, pensata per rimanere
nascosta dal timpano dell'altare, si procura una fonte di luce che agisce
dall'alto, come un riflettore e che conferisce un senso realistico alla
irruzione sulla scena di un fascio di raggi in bronzo dorato, così la luce che
scende sul gruppo, attraverso i raggi, sembra momentanea, transitoria e
instabile in modo da rafforzare la sensazione di provvisorietà dell'evento.Si
può facilmente immaginare quanto tale effetto, nella penombra della chiesa,
dovesse apparire a quel tempo suggestivo. Anche la freccia originaria retta
dall'angelo, ora sostituita da un semplice dardo, venne realizzata con dei
raggi che scaturivano dalla sua punta, a rappresentarne il fuoco del «grande
amore di Dio», come santa Teresa stessa ebbe a dire nella sua
autobiografia. L'elegante edicola barocca, realizzata con marmi
policromi, nella quale Bernini colloca la scena dell'Estasi di santa Teresa,
funge da boccascena del teatro: essa mostra la figura della santa semidistesa
su una vaporosa nuvola che la trasporta – come se fosse operante una macchina
da teatro nascosta – verso il cielo. La trasformazione della cappella in teatro
diventa letterale con la realizzazione, ai due lati del palcoscenico-altare, di
«palchetti» sui quali sono raffigurati – ritratti a mezzobusto – i vari
personaggi della famiglia Cornaro. L'evento privatissimo dell'estasi della
santa diviene in questo modo evento pubblico, al quale i nobili spettatori
paiono assistere non già con trepido stupore e con vivo trasporto devozionale,
ma con staccato disincanto; li vediamo anzi - come avviene spesso a teatro -
intenti a scambiarsi i loro commenti. Il palchetto sinistro, con i membri
della famiglia Cornaro in veste di testimoni attivi dell'evento mistico Ma non
è per la famiglia committente, bensì per l'ideale platea dei fedeli che si
accostano all'altare – palcoscenico della cappella che Bernini mette in scena
l'estasi della santa. Egli dimostra qui tutta la sua maestria di scultore, capace
di lavorare il marmo come fosse cera, con estrema attenzione ai particolari. La
veste ampia e vaporosa della santa, lasciata cadere in modo disordinato sul
corpo, è un capolavoro di virtuosismo tecnico, per effetto del quale il marmo
perde ogni rigidezza e la scultura sembra voler contendere alla pittura il
primato nella rappresentazione del movimento. Commenta a questo riguardo Ernst
Gombrich: «Perfino il trattamento del drappeggio è, in Bernini,
interamente nuovo. Invece di farlo ricadere con le pieghe dignitose della
maniera classica, egli le fa contorte e vorticose per accentuare l'effetto
drammatico e dinamico dell'insieme. Ben presto tutta l'Europa lo imitò.»
La raffigurazione delle estasi mistiche dei santi e delle loro visioni del divino,
rappresenta uno dei temi più cari all'arte barocca: i santi «con gli occhi al
cielo aiutano» – seguendo le raccomandazioni dei gesuitisulle funzioni
pedagogiche dell'arte sacra – a sentire emozionalmente, con il sangue e con la
carne, cosa significhi l'afflato mistico che porta alla comunicazione con
Cristo e che è prerogativa della devozione più profonda. Anche sotto questo
aspetto, della raffigurazione dell'estasi, l'opera realizzata da Bernini nella
cappella Cornaro, sarà destinata a far scuola e ad essere presa a modello
innumerevoli volte nella storia dell'arte sacra. Sul piano iconografico
l'Estasi di santa Teresa, che trova il suo prototipo nell'Apparizione di Cristo
a Santa Margherita da Cortona di Giovanni Lanfranco (1622),[6] è direttamente
ispirata a un celebre passo degli scritti della santa, in cui ella descrive una
delle sue numerose esperienze di rapimento celeste: «Un giorno mi apparve
un angelo bello oltre ogni misura. Vidi nella sua mano una lunga lancia alla
cui estremità sembrava esserci una punta di fuoco. Questa parve colpirmi più
volte nel cuore, tanto da penetrare dentro di me. II dolore era così reale che
gemetti più volte ad alta voce, però era tanto dolce che non potevo desiderare
di esserne liberata. Nessuna gioia terrena può dare un simile appagamento.
Quando l'angelo estrasse la sua lancia, rimasi con un grande amore per
Dio.» (Santa Teresa d'Avila, Autobiografia, XXIX, 13) Il resoconto che la
santa ci offre è raffigurato quasi alla lettera da Bernini nella sua
composizione marmorea, con il corpo completamente esanime e abbandonato della
santa, il suo volto dolcissimo con gli occhi socchiusi rivolti al cielo e le
labbra che si aprono per emettere un gemito, mentre un cherubino dall'aspetto
di fanciullo giocoso, con in mano un dardo, simbolo dell'Amore di Dio, ne
scosta le vesti per colpirla nel cuore. Notevole è il contrasto tra l'incarnato
liscio e delicato dell'angelo (che fa pensare più a un Eros della mitologia
greca che a un'entità spirituale cristiana) e le vesti scomposte della Santa. Il
volto della Santa e dell'angelo Interpretazione psicoanalitica Modifica
L'interpretazione che studiosi della psicoanalisi come Marie Bonaparte hanno
dato (proprio a partire dai resoconti di transverberazione lasciatici da santa
Teresa) all'esperienza dell'estasi mistica in termini di pulsione erotica che
si esprime sublimandosi nel deliquio dell'afflato spirituale, ha condotto la
critica a sottolineare in quest'opera di Bernini la bellezza sensuale e ambigua
dei protagonisti, avvalorando così la possibilità di una sua lettura in termini
psicoanalitici. Lo psicologo italiano Enzo Bonaventura fa riferimento a Cupido,
evidenziando, a livello simbolico, un nesso tra la figurazione greca e la
trasfigurazione religiosa nell'arte cristiana[7]. Per provarne la legittimità,
occorre solo richiamare la parola di Renan in viaggio a Roma, davanti a questo
stesso gruppo statuario: «Si c'est cela l'extase mystique, je connais bien des
femmes qui l'ont éprouvée. Si potrebbe comunque ulteriormente citare il conte
de Brosses[9], il Marchese de Sade[10] o lo scrittore Veuillot. Collateralmente
a quest'interpretazione che considera l'esperienza di Teresa, e la scultura che
la ritrae, nei termini di quello che (per usare un'espressione di Georges
Bataille) potremmo chiamare «erotismo sacro», si deve tuttavia osservare che
l'approfondimento della biografia dell'artista napoletano ha recentemente messo
nella giusta luce la sua religiosità; una religiosità che in quel periodo della
sua vita (quando aveva circa cinquant'anni) si era rafforzata attraverso la
pratica degli esercizi spirituali di Ignazio di Loyola, eseguiti sotto la guida
dei padri gesuiti che egli frequentava. Verosimilmente la lettura della vita di
santa Teresa non dovette essere un fatto occasionale, limitato a singoli passi,
segnalati magari dal committente. Al contrario, alcuni studiosi hanno letto
nell'Estasi di santa Teresa anche l'eco del racconto di altre esperienze
mistiche, come quella della santa genovese Caterina Fieschi Adorno. La
straordinaria qualità estetica e l'intensa drammaticità del gruppo marmoreo è
dunque da collegare alla personale ricerca spirituale di Bernini, al suo
impegno a scoprire per sé stesso, per poi mostrare a tutta la comunità dei
fedeli il senso di quell'amore espresso oltre ogni misura verso il Redentore,
che trova esempio nella vita dei santi. L'influenza dell'opera di Bernini
fu enorme non solo sui contemporanei, ma anche su molti artisti dei secoli
successivi. Il famoso compositore Pietro Mascagni, ad esempio, nel 1923 compose
una visione lirica per orchestra dal titolo Contemplando la santa Teresa del
Bernini, un brano della breve durata di appena quattro minuti. Marder, Bernini
and the art of architecture, New York; Marder riferisce a Irving Lavin, Bernini
and the Unity of the Visual Arts, New York; e a Barcham, Some New Documents on Cornaro's
Chapels in Rome, in: Burlinton Magazine, Cricco, Francesco Di Teodoro, Il
Cricco Di Teodoro, Itinerario nell’arte, Dal Barocco al Postimpressionismo,
Versione gialla, Bologna, Zanichelli; Cocchi, Cappella Cornaro ed estasi di
Santa Teresa, su geometriefluide.com. URL consultato il 30 novembre 2016. ^
Oreste Ferrari, Bernini, in Art dossier, Giunti; Gombrich, La storia dell'arte,
Milano, Leonardo Arte; Lollobrigida, A. Mosca, Biografia, in Lanfranco a Roma,
Milano, Electa; Bonaventura, La psicoanalisi, Arnoldo Mondadori Editore, Milano
Traduzione libera: «Se questa è un'estasi mistica, conosco molte donne
che l'hanno vissuta» ^ Cfr. de Brosses: «Se questo è amore divino,
io lo conosco bene!» ^ Cfr. Marchese de Sade: «Si stenta a credere
che si tratti di una santa» ^ Cfr. Veuillot: «[Bisogna] espellere
l'opera dal tempio... venderla... o farne calcina!» ^ Jean-Louis Bruguès,
Dizionario di morale cattolica, Edizioni Studio Domenicano; Bataille: «E
la sensibilità religiosa che unisce strettamente desiderio e paura, piacere
intenso e angoscia» ^ Bernini - Estasi di Santa Teresa, su
scultura-italiana.com, La Scultura Italiana; Don Michael Randel, The Harvard
Biographical Dictionary of Music, Harvard; Bernini Santa Teresa d'Avila Estasi
di santa Teresa d'Avila L'Estasi di Santa Teresa d'Avila di Gian Lorenzo
Bernini raccontata da Caterina Napoleone, su raiplayradio.it. Portale
Architettura Portale Cattolicesimo Portale Scultura
Ultima modifica 6 mesi fa di eBot Chiesa di Santa Maria della Vittoria (Roma)
edificio religioso di Roma. Transverberazione Estasi. Opera. Bernini. Le
e&Usi dell’amore di patria. La niftscliera di Mazzini. Patria, e
religione^ eroi della patria e santi. Meglio il i'Jtammiisme che
rignonui^a dell'amor di iwitria, Diverse funoe dell'escisi dell"
amor di patria, — 11 ritorno in Italia dell' autore reduce dair TnfUa. Estasi
BoUtarie dei ^andi amatori della patria. Gli eroi della storia e gli eroi
aiiouijiii, Estasi epidemiche. Incendii delle foreste e iiiceudii
del euore namonale d'uu populu, Eafliroiiti e ecmsiderazìoiii. Nel
mio Mu^eo d'a^ntropologiu di Firenze, in uuo degli armadii consacrati
alle grandi ìndiviilnalitì\ della apecie umana, vi ha la teista di un
uomo^ che ferraa V attenzione del piii frettoloso e .superficiale^
osservatore. Quando devo far da cicerone di mala voja^lia a qualche
importuno, lo aspetto a quell'ar- madìo, per consolarmi della lunga noia
di ripe- tere davanti alle stosjie vetrine le sten^^e parole. K VX
il visitatore sì ferma e dice; quella te«ta t) fonte qudìa di un
mniof Siete un buon osservatore, quella testa è di un santo e
fu formata sul cadavere. E che santo è quello? Si
chiama Giuseppe MazsEiui. Si potrebbe scrivere un volume su
quelFincon- scia rivelazione dei più voI*(ari osservatori, che
dinanzi alla raaafìhora di Mas^^^ini, domandano so quello sìa un santo. La
fìsonomia a#icetìca è nna delle jiiù CJiratte- riaticlie, ma anche ana
delle piìi iiidefiuiV>ìli, E il Miizriui Taveva, o morto pareva
ad<Urìttiira "n santo j?iù jflorifìcato ool piiradiso
cristiano. In quella domanda, che prorompe spontanea dal
labbro dei visitatori del mio Museo, vi è tutta la biografia di un uomo,
che amò la patria con fer- vore mistico e fece della sna polìtica una
reli- gione. E^fli stesso del resto si era asse|?Dato il suo po.sto
nella storia del pensiero italiano, scri- vendo sulla sua bandiera, Dio e
popolo^ due par role una pih miiitica deiraltra e che messe vicino
non sono che nn f^rido ilei onore lantùato neirin- finita» poetico
deindealita politica. L'amor di patria è uno degli aftotti più alti,
ma più indistinti e la cui analisi psicologica esi^e- rel>be
nn volume. È sentimento di lasso, perchè molti nomini d' alta e di
bas.^ gerarchia non lo sentono e perchè si dirige, più che ad un
lembo di terra, ad un mito corai)osto di materia e di idealiti\ e
che muta forma e muta confini a s^ condadeì tempi e di conto altre
influenze esteriori* l sentimenti ili lusso, non hanno che
raramente la intensa energia degli affetti ut^oessariij ma per la
loro indeterminateaza o h\ sconfinata po.-^Mibi- lltà dei loro movimenti
possono imi facilmente portarci all'estasi. Por V uomo
selvaggio, sia poi tale perchè non veste il proprio corpo, o perchè uou
vet^ite il pro- prio pensiero; la patria è poco più che il nido per
r uccello o la tana per le fiero. È la casa iu cui è nato, è V albero
sotto cui ha dormito, è il fiume iu cui sì è tuffato, il bosco dove ha
cac- ciato, è la terra dove tutti gh uouiini ras.'^omi- ^liano a
Ini j parlano come lui, come lui odiano l'altra geuto che sta al di là
dal monte o «lai mare, L^t patria, circondata o no dal luare^ è
sempre un'isola; e chi si isola divien parcnttì di tutti co- loro
che stanno nella stessa carcere. La patria non h che una famiglia più
grande di quella che sì chiude sotto il tetto domestico, non è che
una casa più vasta di quella che alberga una stoasHi famiglia.
2Jon amare la patria ò una vilti\ del cuore ^ è un cretinismo del
sentimento j quando non sia la previsione di tempi lontani e migliori,
nei quali la patria dell- uomo sarà tutto il nostro pianeta, e
stranieri soltanto si chiameranno gli aiutanti tlegli altri mondi coi
quali di certo un giorno parleremo, e forse per farci la guerra. JJ
amor di patria- è figliale e mistico in nna Tolta sola; è tenero e
ascetico, l^^igliale perchè la patria è la madre universale di tutti
quelli che parlano la stessa lingua, pensano lo stesso Dio e
Bparf^ono insieme lo stesso sangue. Mistico, perchè la patria non si può
baoiarej né abbracciarej e i suoi confini son segnati sopra una carta,
che non è negli atlanti geografici, ma nel cuore amano. La
patria è uno «lei circoli del paradiso dan- tesoOj dove da un piccolo
cerchio irradiano aonc piti larghe, come cerchio d'acqua smossa dal
ca- dere di nna pietra. Dal villagjrio adorato dove ci hanno
battezzato e dove speriamo di esser sepolti^ alla provincia, al regno,
all'impero, alle colonitv nostre lontane, la patria si allarga, si
allarga sem- pre, portando seco le tenere oscillaaioni del no- stro
cuore, dei nostri afifetti, della gloria nazionale* Quel palmo di
stoffa che si chiama la nostra bandiera j che un colpo di sole, uno scroscio
di pioggia pnò impallidire, quella stoffa che costa poche lire e
che una vampa di fiamma può ri- durre in un pizzico di cenere^ è il
simbolo di tutti iJamqr di patria 93 quelli affetti che .si
condensano sotto nno stesso nome, e là dove sì pianta quella bandiera ivi
è la patria^ ivi i ricordi comuni e le tiomuni svimture e le glorie
eomuDi oliiamati a raccolta da im voce sola^ che le incarua e le
personi&ca. Chi analizza un sentimento t^oUa segreta spe- ranza
o colla malignità palese di distruggo rio, compie opera vana. Se lo fa
per Bè non diatnijE^ge che ciò che non è mai esistito ; se lo fa per
altri, predica nel dea erto ; dacché nessaun ragionamento ha mai
fatto diminuire d' un palpito un grande amore. La doìina che
tu ami è una die creatura, fa amata rfrt ceiito uomini ptlmn che tu In
aìì^rnssi,,., U ohe importa f lo Vmno, Il Dio che tu adori non
è mai cswUto. Moto mo- siruoso in cui V antropofagia deW uomo quaternario
ti trova insieme alla industria delle simonie^ alle pag- gio Uologiche,.,
Mmpio^ tu non sai qneìh che dwL 11 mio Dio esista ed io VaàoTù.
Lo 8tes30 sarebbe tcntR^r di strappar con vani ragiimumenti a un
uomo l'amor di patria^ quando ej^Iì lo senti.^ palpitare nel più caldo e
nel pia profondo delle vi scerò, quando e^li ne ha fatto una
religione, a cui è pronto a darò tutto quanta ha, tutto il sanane delle
sue vene* L'amor di figlio, r ani or dì madre, l'amore per la donna amata
fiirono In o^cni tempo «jloriosi olocausti di anime elette futti
8ul l'alta re della patria. E poi andate a dire a quei martiri che la
patria è il mondo eh' easa non ha altri contini che lo spazio
interijlanetarel Finche lo nazioni esiatono, fìnc^hè le lingue umano
wi contano a luigUaiaj fìnehè metà del ge- nere umano non può intender
Taltra mete, finché ffBt nonio e uomo vi sono maggiori differenze
psichiche che fì*a un oane e nn lupo; l'amor di pntria non hi discute^ ma
sì 8entt% e nn iiopolo è tanto pili grande, quanto è pia vivo e calilo
e universale in lui questo sentimento. Benedetto conto volte il più
folle ehmwmismej maledetto il cinismo dì chi domanda ridendo: 1} che cosa
è hi patHa? La patria è la terra ^ in cui in ogni 8olco vi
è l'amor di patria 05 Il uà gocdola dì f^tangne o ili sudore
dei padri do- stri in ogni pugno d'arena vi è della ceneri^ dei
nostri avi; la patria è la terra in cai dorim» in nostra madre e
dormiranno i nostri figlinoli; è la storia di tutto il passato, la storia
di tanti secoli ili glorie e di sventare vissuti da coloro che ci hanno
data la vita; la patria è la madre di tutti quelli clie parlano e sentono
come noi ; è quo 11 a t-erra^ il cui nome solo udit(j pronunziare in
terra lontana ci fa battere il cuore, ci fa baciare un giornale. È
quella parola, che solleva onde di po- poli a un gritlo rli guerra, cUc
fa escire da ogni capanna nn uomo armato e ad ogni finestra fa
affaciìiarc una testa di donna ijiangente- La pit- tria è una parola
magica che può convertire ogni uomo in un soldato e ogni donna in nna
martire, che fa* piangere i fanciulli disperati di non esser ancor
uomini e fa pian^^ere i vecchi perchè non posftom» più imbraudire nn
fucile. La patria è tiuella santa parola, che lUstacca Toperaio
dall'of- iìcintìi, il contatlino dal cami>f>, V uomo di
lettere dal libro, il banchiere dallo scrigno; che strappa daltc
braccia della fanciulla il giovane innamo- rato; e tutti riunisce in
nn^mìca schiera e sotto uno stesso vessillo, in cui tutti guardano Assi
con occliio d'eroe e amore <\i martire. Quar altro altare ha
tanti adoratori? QuNUaltra religiane ha tante idolatrie?
QuaVè Tara su cui si portino altrettante vittime ^ che corrono
chia- mate o non ohi amate, ma sorridii^nti e calde d^eu- tnsia^mo?
QuaValtra parola ha tanta onnipotenza, q 11 al' al tra estasi può
superare co deista di sentirsi in uD^ora sola (livennti trenta milioni di
fratelli, che amano lo stesso amore, che sentono lo stesso otlio,
che so cenano lo stesso sogno di vendetta o di sdegno?
Le estasi più oomuni dell'amor di patria sono qaelle che si provano
nel rivedere la terra nativa dopo mesi e anni di lontananza e le altre
che si godono nelle grandi feste, che salutano un grande trionfo
nazionale: solitarie lo prime j associate le seconde ; grandi entrambe e
capaci di voluttà senza nome. La. nostalgia è nei trattati di
patologia una mar latti a che si classifica fra le alien azioni
mentali. Beati coloro che possono esser pazai in questo modo;
infelici coloro che per grettezza di cuore o per esser nati venti o trenta
secoli prima del loro tempo non sono capaci dei rapimenti del
rivederti ]fh patrìft dopo lunghe assenze. Io che ho vissnto
molti anni neir altro emisfero e che ho attraver- sato l'Oceano per otto
volte ho provato quest* e- stasi in tutti ì suoi gradi e in tutte le sue
forme. Mai l'ho goduta eosì intensa e così profonda come dopo il
mio ultimo viagfi^o nelP India. L'amor della patria, ai rovescio
degli altri amori, cresce cogli aonì^ e quando io 'ttopo alcuni
mesi di assenza al mio ritorno dall' Tiidia soppi che al-
l^indomani avrei riveduto l'Italia, sentii eho il cuore batteva forte
forte, come dinanzi al sorriso della donna amata. Io non
vedeva ancora la mia terra, ma la sen- tivo. Sentivo che essa mi aspettava
come ci aspetta la nostra donna in un ritrovo d' amore limi^iimente
desiderato» La mia patria, Tltalia mia non poteva esser lontana.. L'onda
più azzurra, il cielo più sereno me lo dicevano ad alta voce ; me
lo diceva il profumo dei fiori d'arancio che mi invia- Tano gli orti
benedetti della Calabria e della Si- cilia, Ed io guardava fisso davanti
a me neir o- rizzonte lontano j che la mia nave andava conqui-
Esta^i umam, stando ad ogni moto deir elice. La nebbia sfumava,
Topaie diventttvii oltremare, e fra le nebliie lon- tane vedeva un mondo,
nuovo e antico per me, la patria dei miei avi. La nebbia diveniva
terrai e cielo; terra e cielo T Italia. — Fra poche ore avrei
baciato quella terra e sul mio capo si sarebbe disteso l'azzurro ohe mi
aveva veduto nascere. Non sarei più morto in terra straniera e i
miei cari avrebbero potuto piangere inginocchiati so- pra la mia
terra, sopra la terra che aveva gene- rato me e i miei cari.
E la terra nebbiosa e oscura si disegnava in coste e in golfi, in
monti e in piani ; e in qaei monti e fra quei seni apparivano poco a
pooo oasuccie bianche incorniciate di pampini ver<li e
riposavano fra boschi di agrumi neri come il bronzo. In quelle case
dormivano uomini che par- lavano la mia lingua e quella terra mi
mandava come un saluto del cuore i profumi del mio orto, i profumi
della mia giovinezza e tlella mia poeaia. Là io era amato, là il mio nome
non era parob ignota: qualcuno mi aspettava. Vi erano braccia
aperte impazienti di stringermi al onoro, vi erano labbra di donna e di
fanciulla pronte, impazienti di baciar le mie labbra. Profumi di fiori e
baci ohe mi chiamavano ad alta voce, con sospiri d' amore, Come
aveva potuto io per così lunghi mesi star lontano (la quegli alberi
benedetti, da qneWe brae- cift innanioTìtte, da quella terra che
ora. la mia, la terra della mia culla e della mia iom^ f Nod avevo
io commosso una colpa j che avrei rerlenta fra poche ore ? Come avevo io
potuto sopportare tanto dolore ? B la nave camminnva ; e la
nave correva e a destra il continente d'ItalÌM, a sinistra la pììi; ^ande
delle isole d' Italia si avvicinavano a me^ lontaise e vicine, come due
braccia aperte all'am- plesso I — To mi smentivo abbracciato da
quelle braccia gigantesche, mi sentivo inebbriato da quei profumi ;
udiva il mormorio delle voci del- l'uomo, che dalla riva giungevano fino
a me; voci d'uomo e voci d- Italiani. Perfino Je vele delle piccole
barche che sfì lavano lungo la costa mi pa- revano pili bianche, più gaie,
più snelle d' ogni altra vela di mare. S^on eran forse vele italiane
ì E r Etna gigante fumava dair alto e il -calca- gno d'
Italia poggiava anir onda azzurra quasi volesse spiccare il salto alla
conquista del mondo. Avrei voluto gettarmi in quel] ^ onda per
sen- tirmi bagnato dal mare d* Italia, avrei volato lan- ci armi
per giungere più presto a toccare- quella terra santa, quella terra
tlivina, madre di tre civiltà e aon ancora stanca ; quella terra d' eroi
e di fljartiri, in cui tante genti avevano bevuto le prime fonti
tìol pensiero, avevano imi>aruto i primi canti (Iella poesia. Quanto
or^oglio^ quanto amore e quanta irapazienza di ridare a qnella
terra il bacio di madre ehc mi «fetta va lontano; dai suoi orti
fioriti, dalle 6U© città illuminate dalla gloria, dalle vette dei suoi
monti pittoreschi, dai campi così fecondi dì vita. Se qnella
non era un' estasi e che cosa è dunque l'estasi 1 Se quello non era un
rapimento dei seasi, del cuore, dell' amore, del passato che si
strìn- geva col presente; se quella non era una santa ebbrezza; e
che cos'è dunque il rapimento; che cos'è r ebbrezza! [ miei occhi eran
gonfi di laf^rimCj ma sorride vauo ; il mio labbro era muto, ma sorrideva
tremando, come davanti a un bacio ohe dovesse uecìdermi come uomo per
trasfor- marmi in un Dio. Estasi solitarie d' amor di patria devono
pro- vare quei pochij eletti che nascono per dar libertà o
grandezza alla patria e sognano prima e me>li- tauo poi l'opera grande
che si prefiggono a scopo della loro vita. Gran parte ili questi amori
solitarii e profondi si eouauma nell^ opera del pensiero, nelle
lun^^^he lotte di prepAvazìon^ ; ma tra le ansie di olii aspetta e
sperando teme ad of^i istante di per- dere il frutto di tanti sacrifici,
di tanti sudori, e forse di tanti martirii ; vi devono esr^ere
istanti in cui alla mente riscaldata da tanto entusiasmo appare V
alba della vittoria in nn orizzonte lon- t-ano e la speranza del premio
fa batter forte il cuore. Quanti^ visioni sublimi devono esser ap*
parse a MAZZINI (si veda), al Cavour, al Garibaldi, quando neir esilio o
nelgabinetto di ministro o sul campo di battaglia sognavano di far libera,
grande ed una la nostra patria e sentiviìuo «li poter essere
artefici primi in quest' opera grande ; sogno di tanti secolij miraggio
di tante generazioni. Le imprese degli eroi riuiangono scritte in
tavole di bronzo o in monumenti di marmo, scritte co[ ferro e col fuoco,
colle torture dell* ergastolo o le lunghe angoseie notturne del pensiero
che non dorme j ma ciò che non rimane scritto è Pestasi che prepara
quelle imprese e che le prevede in anticipazione. Ogni frutto
si feiionda neir amplesso dei petali profumati e fulgenti di bellezza e
ogni figlio di creatura viva nasce dall' anelito di un grande
amore. Cosi le opere magnanime che salvano un popolo o che Io glorificano,
clie rompono le catene dell' oppressione o allargano le frontiere della
patria non 80D0 mai uragani di violenti e o subitanee divinazioni del
geuio ; ma si preparano lentamente e lentamente maturano nei sautiiiirì
del cuore e del pensiero, là dove i ^ermi celati preparano r albero
fntnro ohe darà ombra a un' intiera nazione. La poetala sprezzata solo dal
volgo dei faccendieri, perchè non sono capaci d' intenderla, è la madre
d*ogni opera grande e non e- è grande soldato o grande uomo di Htato
ehe non fosse anche e soprattutto poeta. Poeta nel sognare imprese che ai
più apparivano come pazae utopie ; poeta uel fan taa ti e are e neir
osare ; poeta uel deliziarsi nelle sante visioni dell'avvenire;
poeta nelle estasi <imorose che mostra^io al eredente premio
lontano di grandi vittorie. Xon invano i Greci hanno detto che il poeta è
un creatore. Né le sante estasi dell' amor di patria anno concesse
soltanto agli eroi, ai semidei della storia. Tutti coloro che hanno
fortemente amato la patria, tutti quelli che hanno dato ad essa il pensiero o
il sangne, che hanno cospirato jirìiua e studiato poi per darle grandezza
e pot**iiaa, pouno nella loro vita aver provato rapioientì
delizioM. OgDuno pia che sé stesso non può dare all' altare d' na
grande affetto e nelle rivoluzioni e nelle gfaerrej come nelle grandi
lotte poli ti <; he gli amanti della patria possono contarsi a legioni
e la storia li dimenticfi, appunto perchè son troppi. T^a storia ha
fretta e personifica iu nn tipo i martiri minori. Pellico è il martire
delle cospirazioni, Mazzini è V apostolo della religione della x^atria »
Garibaldi 1' eroe, la Cairoli è la martire delle niadri Cavour fe
il pensiero in azione, e così via> Per ogni forma del sagrifìzio y per
ogni opera della mente, per Ogni travaglio dei cuori, la storia segna un
individuo che divien statua, ìdolo e tipo, e dimentica le molte figure
anonime, che si raggruppano intorno a quei tipi e fanno loro lieta
ghii'landa. Né questi negletti della storia lamentano l'in^ustìzia : al
monumento, alle corone, all' arco di trionfo essi non hanno pensato mai.
Essi hanno amato la patria e per essa hanno pianto o sono morti :
la loro missione è compiuta e sono felici come lo furono PeUioo,
Garibaldi e CAVOUR (si veda), Anch' essi hanno provato le sante estasi della
speranza e della vittoria^ e la patria li ha l)enedetti e glorificati nel
silenzio delle loro case, nel nido delle loro famiglia o dei loro a rio
ri. La patria è grande percliè ebbe dì tali figli e attraverso le
vene e i nervi clic congiunto uo le generazioni scorre V omla deir
entusiasmo fe palpita la voluttà del sacrifizio. Che cosa sarebbe il
Cristo aonzii gli ApostoU; che cosa avrebbe fatto GarlbaLtU »euza
la coorte dei Mille, e Cavoar senza i precursori del 31 ? No (lo
voglio ripetere per la centesima volta), la iiatnra non è così irtginsta
come appare alle esigenze dei più. Le gioie maggiori della vita non
si misurano col metro del ^enio o snlla bilancia della ricchezza. Tutti,
innanzi morire, possono essere baciati dalle labbra innamorate d'una
donna; tutti posisono render quel Via ciò alle labbra d'una Agli a.
Nessuno è così povero da non poter fare aagrifìzto dì se alla patria,
nessuno così infelice da non provare le estasi dell- affetto e della
poesia. Pel sole che dair alto illumina tutte le creature della terra, nessuno
è grande, nessuno piccolissimo e i suoi rag^ì entrano beatificando e
consolando nelle ftbre d' ogni cuore, nella porta iV ogni tugurio. I
piccoli numeri di ventano grossi se som muti iDsieme. Così i piccoU
affetti ponno divenire nra* gani se i cuori battono insieme. CIic! co.sa
è una gocciola? Eppure i* oceano è fatto tii gocciole, Kessim
affetto forse quanto Tamor di jiatria può per la isna natura
moltiplicarsi con grossi numeri e allora V entusiasmo degli individui
diviene onda che alla^^a le contrade e rapisce nella sua corrente case e
villaggi, città e popoli intieri. È questo un punto ancora oscuro della
psicologia umana e che pare dovrebbe formare una delle baai tetragone di
ciò che suol chiamarsi la fllosofla della atoria. Come 3i sommano
due affetti analoghi o eguali ? Di certo non colla regola aritmetica che
1 + 1^2, E oome si moltiplica un entusiasmo, quando si ripete
cento, mille, centomila volte nello stesso tempo in cento, in mille, in
centoraila cuori? Anche qui la regola matematica non serve a spiegare r
allargarsi e il diffondersi del fenomeno ripercosso in tante coscienze umane.
Vi sono epidemie per il sentimento come pei morbi popolari» e
il difibiifieriii degli entusiasmi presenta gli sttsa misteri^ gli
stessi salti bizzarri^ gli stesai prodigi nome V allargarsi ^elle grandi
epidemie. L' incendio dei cuori per influsso d' nna gloria
nazioDale è uno degli spettacoli più grandiosi e commoventi del mondo
utnauo, ed io compiangd tnttì coloro, cbe nel corso della loro vita
non hanno 'potuto assistere ad una tli queste grandi feste, nelle
quali tutto un popolo canta Tinno della gioia e lo accompaguauo gli
squilli elettri^zauti della vittoria e la fanfara del tumulto popolare e
l'ebbrezza di tanti cuorij che sentono tiel tempo s^tesso la stessa gioia,
clie ardono deHii stessa febbre, dello stesso delirio. Kon invano io
ho rassomigliato ad un inceufiio questi rapimenti nazionali: nessuna
immagine potrebbe rii|»presentare più fedelmente lo svolgerai di questo
fenomeno umano. Ma non ha ad esser? incendio di pagliaio ^ che le società
di assiearazioni registrano con dolore, o fi ara me di cucina, che
pompieri benemeriti spengono in un* ora colle loro pompe. Ci vuole
nno di quelli incendi delle vergini foreste e della pampa ci eli* America
meridionale^ che ho le tante volte veduto e ammirato nei nùei
viaggi. La fìatniua è venutu claU* alto o dal Im^^o, da na ftilinlue
o dal focolaio d' un viaggiatore : non importa. É fiamma che non riguarda
le socktà d^ mmìirazlomf né chiama a i?*è i pompieri. È fuoco Glie
s'allarga a destra e a sinistra^ che sale ìii alto lim^o le scale delle
liane sugli alberi alti come torri e che rade le erbe del basso come
rasoio ardente. Erbe e cespuglìj alberi e arbusti, piante di mille
anni e florclUai sboceiati ieri, tutto è invaso dalla stessa fiamma, che tutto
divora e eonsama/ Nessuno resiste a quel fuoco, non U cacto gonfio di
succhi, non le foglie verdi, non i tronchi secolari; nessuna pianta, nessuna
erba, nessun insetto che viva su quelle erbe, nessun rettile che
strisci, nesdun piccolo rosicante o armadillo che s'accovacoi nelle tane,
ne^ssuna belva del bosco, nessun mammifero della pianarti. Dinanzi a
riuel faoco tutti sono eguali e tutte lo creature hanno ad ardere
fiammeggiando, scoppiettando e detonando* Vola la fiamma in colonne, striscia
come onda, divampa come nembo, e non appena il fumo porta nel
fresco del verde il segno preoarsore della distruzìane^ il famo divien
calore e il calore diviea ìucendio, E riiicendio cammina;
prima incerto, poi siouro; prima trotta, poi galoppa, vola; esaltandosi
nel delirio d' uo' opera gigante di distrazione e di livellazione* I
piccioli innalzano il loro fuoco nelle regioni degli alti; e gli alti
precipitano turbinando e rovesciando i tiazoni incandesoenti nel
piano delle creature minori. E volano le sointiUe e serpeggiano le
fiamme, uè alcuno al mondo saprebbe dire chi dia maggior alimento a
quelle vampe. mag;2fior calore in quella voragine j in quella faCina
gigantesca. Screpolano, adoppiano, gemono i rami succoienti e rovinano i
colossi della foresta^ portando lontano lontano T inno di una
grande rivoluzione^ fluchè fra cielo e terra non si distin* guono
più né erbe ne arbusti^ né alberi, né animali; ma una cosa sola si vede,
una cosa sola si sente, il fuoco trionfatore d'una fiamma invadente e tiranna.
È la festa del fuoco, è V orgia della distruzione; è la morte di un mondo
vecchio che prepara il terreno a un mondo nuovo. Cosi sono le feste
nazionali, non imposte da decreti di prìncipi o da grida di ministri, ma
sorte spontanee per Tirrompere di un sentimento caldo, elle
infiamma tutti 1 cuori, che riscalda tutte le coscienze. E le anime
fredde sono ravvolte dall' incendio comune, e gli egoisti, volenti o
nolenti, si riscaldano allo stesso fuoco e i timidi non trovan Bcami>o
alla fuga. On^ni creatura che abbia in petto un e nere di uomo deve
ardere p consumarsi nella stessa fiamma. Padri e figli e ignoti si
abbracciano insieme e in una volta sola, e il riso e il pianto che si
confondono in un turbine solo fanno ridda e alzano al cielo un grido solo
; che è r entusiasmo ; s' inebbri ano dello stesso licore che è r affetto
di patria. Anche il marmo si riscalda, se ravvolto dalle fiamme, e anche
il ghiaccio si discioglie e si consuma fra le vampe d'un incendio.
Saltano le più robuste serrature chiuse tlalla mano gelosa tleir avarizia,
sì spezzano le catene più robuste saldate dair egoismo e dalla
paura. Ogni "cuore umano ha ad ardere. dello stesso fuoco; e il
ferro robusto e il piombo vileJianno a fondere per una volta almeno in
uuo ft tesso croglaolo, formando una lega che bMì le le^^i
della cliìmica e le analisi della scienza. E 1111 popolo ebbro dì gioia',
che non conta pia nelle sue flohiere né poveri né ricchi, né gio
vani ne vecchi; raa canta con una voce sola, somma dì tutti i vafiitì, di
tntte le poesie, dì tutti gli urli umani : canta V inno della redenzione
o della vittoria. Chi ha avuto la fortuna di essere già uomo
nel 48 e nel 5^ rammenta questi incendi fìei onori italiani e per le
membra forse già intirizzite tW freddo dolla vec<3liiaia risente
ancora il caldo di quel fuoco. E rammenta ancora alcuni momenti di
estasi sante, di ineffabili rapimenti^ nei quali ogni altro sentimento
taceva o si eclissava davanti al divampare subitaneo e irresistibile di
un unico sentimento, V amor di patria. l'amoe di
patria 111ir Coa\ come <lair incendio delle foreste
ver«:iiii nello strato dì cenere clie rimane si prepara una terra
feconda per nuove creature a venire ; così
tietlp grandi estasi e nelle sante eìylirezze di mi popolo trionfante, si prepara un nuovo
terreno in cui sarà scrìtta una nuova
f^toria, È per questa via che lo guerre
diventano ri generatrici di nn popolo
stanco; e quando per due o tre i^enerazioni
non di rampa uno di questi incendi rigeneratori, i fanghi, le mutfe e i
bacterii invadono ogni tronco d' albero
e ogni seme di pianta, e dalla lenta putrefazione dei cadaveri, s' innalza un miasma omicida, elle
soffoca i bambini nella culla, .sommerge
i giovani nella palude deirozìo e della noia, e uccide i non nati nel ventre
delle madri. In tutte le lìngue dei popoli civili voi trovate scritto che vi è
un amore platonico, e se si è sentito da tutti il bisogno del vocabolo,
vorrebbe dire che la cosa esiste, o nella natura o nel pensiero degli uomini. Noi
non ci fermiamo abbastanza sopra i rapporti delle parole colle cose, e
ammettiamo si esso e volentieri che tra i molti suoi capricci l'uomo abbia
anche codesto, di fabbricare parole per cose che non esistono. Eppure ciò non è
vero o almeno non è vero che in parte. Se fabbrichiamo una parola per un essere
immaginario, è però vero che questo essere fu immaginato da noi e quindi esìste
o è esistito nel nostro cervello. Il guaio vero che si trova nello studio delle
parole come vestito delle cose è questo, che non tutti gli uomini applicano lo
stesso vocabolo alla cosa stessa, soprattutto quando si tratta dì fenomeni
psicologici. Di qui confasione, anarchia; torrenti d'inchiostro e spreco
infinito di fiato per spiegarci, per intenderci e pur troppo, ahimè, per creare
nuove contese e nuove logomachie. Sappiamo tutti che cosa sia un coltello, una
mano, un occhio e a queste cose tutti applicano la stessa parola. Andiamo pure
quasi sempre d'accordo nel battezzare il piacere, il dolore, l'odio, la collera
e molti altri fatti del mondo psichico, che hanno per tutte le coscienze lo
stesso significato e che trovano nel dizionario la loro rispettiva veste. Ma
ben altro avviene, quando si tratta di fenomeni fugaci e confasi o di momenti
impercettibili di un'emozione o di un intreccio di molteplici elementi. Allora
la parola non è che un'approssimazione grossolana o uno sbaglio completo, e noi
significhiamo con uno stesso vocabolo le cose più diverse, facendo come colui
che volesse per forza far entrare il proprio corpo in un vestito che non fu
fatto per lui. Questo accade, per esempio, per l' aiwìre piatomeo. Tutti
adoperano questa parola per ischerzo o sul serio, per ludibrio o per difesa,
per ipocrisia o per convinzione, ma le idee che si rivestono con questa stessa
parola son così diverse, come il sì e il no, come il vizio e la virtù, come
l'ipocrisia e l'idealità. Proviamoci a interrogare, facciamo un'inchiesta,
muoviamo un processo alla parola, chiamando al tribunale come giurati gli
uomini del volgo e i filosofi; gli uomini di buon senso e le donne oneste;
chiamiamo pure anche gli scettici e i credenti; i materialisti e gli idealisti.
Che cosa è l'amore platonico? L'amore platonico è un paradosso, è un'utopia;
non è mai esistita e non esisterà mai. L'amore platonico è una ipocrisia che
copre ben altra merce. L'amore platonico è un lasciapassare per salvare il
contrabbando. L'amore platonico è una falsa chiave o un grimaldello per poter
penetrare in casa d'altri senz'esser veduti. L'amore platonico è un
travestimento dell' impotenza. L' amore platonico è una maschera ad uso dei
ladri e dei malfattori. L'amore platonico è la quadratura del circolo. L'amore
platonico è la centesima versione della favola della volpe, che trovava acerba
l' ava che non poteva arrivare. L' amore platonico è l' amicizia fra un nomo e
nna donna. L'amore platonico è amore vero e proprio, ma senza la colpa. L'
amore platonico è l’ amore con tutte le reticenze imposte dalla religione,
dalla morale o dalla necessità. L'amore platonico è il voglio e non posso.
L'amore platonico è l'amore senza il desiderio. L'amore platonico è una
fraternità delle anime, senza il possesso dei corpi. L'amore platonico è l'
ammirazione senza il desiderio. L'amore platonico è tutto l'amore, meno il
possesso. L'amore platonico è tutto l'amore spogliato dell'animalità. L'amore
platonico è una doppia menzogna a cui non crede nessuno dei due mentitori.
L'amore platonico è il primo stadio dei grandi amori e l'ultima fase dei
piccoli amori. L'amore platonico è un patto giurato da due che spergiureranno
domani. L'amore platonico ò un giuramento di marinaro fatto durante la
procella. L'amore platonico è una concessione fatta oggi da ano dei due
contendenti colla speranza o la sicnrezza di aver Taltra parte domani o
posdomani. L'amore platonico può essere una finta battaglia fra due che non
sanno battersi o hanno paura del sangue. L'amore platonico è un vescovato in
partibus infidelium concesso a chi non si può dare una curia. L'amore platonico
è la metafisica dell'amore. L'amore platonico è la più sciocca parodia della
più bella, della più grande, della più ardente delle umane passioni. L'amore
platonico è un leone di gesso, è una tigre di carta pesta, spauracchi da
bambini o ninnoli di fanciulli. L'amore platonico è la più alta espressione
dell'amore ideale. L'amore platonico è il trionfo dell'uomo sulla bestia, è
l'amore reso eterno dall'idealità delle aspirazioni. L'amore platonico è la
speranza; l'amore vero è la fede. Estasi umane, Vili Sono trenta definizioni
molto diverse tra di loro, alcune anzi opposte alle altre, ma rappresentano a
un dipresso tutte le possibili. Lasciando da parte quelle che, definendo la
cosa, la negano, mettendo in disparte le altre che sono ironie o malignità,
possiam dire, che tutte hanno una parte di vero, per cui forse, mettendole
insieme in un buon mortaio di agata, che la nobiltà della materia esige tanta
nobiltà di strumento, e porfirizzando il tutto con pazienza di chimico e
sensualità di farmacista, potremmo forse sperare di avere la quintessenza della
definizione, la vera e unica e infallibile definizione dell'amor platonico. Io
mi son provato in buona fede a questa operazione chimico-farmaceutica e
confesso dì averne ottenuto un polifarmaco arabico-bizantino che mi richiamava
alla mente i preparati più bizzarri del medio evo. Ho buttato via dunque il mio
pasticcio, e facendo appello al senso comune, che anche nei più astrusi
problemi della psicologia spesso li risolve meglio d'ogni altro senso, ebbi
questa risposta. L'amore platonico è il aentimmto che unisce un uomo e una
donna, che pur desiderandosi, rinunziano volontariamente all'intreccio del
corpi, maritando le anime. Fin dove arrivi quest'amore, fino a quando possa
vivere, io non so. Ho scritto un libro (Le Tre Oraaie) per dimostrare la possibilità
di quest'amore, ma una gentile e dotta scrittrice inglese scrisse argutamente
neWAcademy che io avevo tagliato il nodo gordiano, ma non l'aveva sciolto.
Consultai molti inglesi, intenditori profondi delle ipocrisie dell'amore,
chiedendo loro che cosa fosse la flirtaUon, quali i confini entro i quali si
muovesse questa intraducibilissima fra le intraducibili parole e ne ebbi così
svariate risposte, le une metafisiche, le altre ciniche, da scoraggiarmi e da
fJEurmi desistere da ogni ulteriore ricerca in proposito. Dunque? Dunque io,
aspettando da altri più profondi conoscitori del cuore umano, definizione più
precìsa, più scientifica, conservo la mia, bastandomi per ora di affermarvi che
io credo fermamente nell'esistenza dell'amore platonico, che credo nella sua
rarità, nella sua altissima idealità, e che lo riconosco per uno dei fiori più
belli e più fragranti che fioriscono nel cuore umano. É capace di rapimenti
ineffabili, di estasi degne di vivere all'altezza dell'estasi religiosa e
dell'affetto materno. Non ammetto amore platonico fra dae vecchi, fra due
brutti, fra due creature che non possono desiderarsi. Si dice da tutti, ma
falsamente, che le anime non invecchiano, ma invece le anime invecchiano come i
corpi, e le anime che si uniscono nel santo vincolo dell'amore platonico, hanno
ad essere giovani e bèlle. Questo sentimento sublime non è possibile che a rare
creature elette, che sanno compiere il miracolo di spogliare le anime da ogni
veste corporea, che sanno spogliare la passione da ogni desiderio della carne,
e contemplandosi si ammirano e si amano. Anche le anime come i corpi hanno un
sesso, e nell'amor platonico stanno faccia a faccia e guardandosi eternamente
si rimandano senza toccarsi, torrenti di luce e di calore. Due astri che girano
nella stessa orbita, che non si toccanmai; che sorgono insieme con una stessa
alba, che collo stesso tramonto svaniscono e sfumano nella grande voragine
dell'infinito. Sempre in moto, ma sempre distanti Vnn dal* l'altro, attratti
allo stesso centro e respinti dagli stessi poli; in relazione tra di loro
soltanto per fasci di luce e oitde di calore. L'anima dell'aomo fatta di forza
e di azione, l'anima della donna è fatta di grazia e di bontà; e queste dne
natnre umane che sommate insieme formano l'uomo completo si attraggono
eternamente, ma non si fondono insieme, arrestate dal dovere, che permette loro
di amarsi, ma proibisce loro di toccarsi e di fondersi. La massima delle
attrazioni diventita immobilità, la massima delle forze divenuta ammirazione,
contemplazione, estasi divina. Nessun attrito, nessuna resistenza, nessuna
trasformazione di energia; nessuna cenere perchè non vi è fiamma; ma luce;
nessuna stanchezza, perchè non vi è lavoro; nessuna morte perchè la vita è
arrestata dal miracolo sublime che faceva arrestare il sole nel cielo nei tempi
della Bibbia. Nessun bisogno di mutamento, perchè solo la stanchezza o la noia
(che non è altro che una forma di stanchezza) può dar desiderio d' incostanza.
L'amore platonico deve essere puro da ogni voluttà terrena; è questa la sua
grandezza, è questa l'acqua lustrale che lo battezza e lo santifica. Quelle due
immense forze che si attraggono senza toccarsi e senza confondersi, rimangono
immobili e fìsse; ma se una delle due vacilla, diminuisce d'un battito solo la
propria energia, la più debole è subito attratta dall'altra e l'urto è
irresistibile. Schizza una scintilla o divampa una fiamma ; ma l'amore
platonico è distrutto. Più volte i due astri vengono così vicini l'uno
all'altro che ne oorrusoan lampi. Son due . creature che nello spazio si son
toccate appena con un fremito di ali spasimanti, ma l'ala deve fuggire con
santo e rapido pudore dal contatto dell'ala. Guai a chi crede o sogna che due
grandi amori possano vivere della vita celeste delle cose eterne, dopo una
carézza o dopo un bacio. Molti, anzi i più degli amori platonici, muoiono in
questa maniera, perchè le due anime innamorate sognano questo sogno, che si
possa fermarsi a metà strada sulla china di certi pendii; ohe li' credono o
sperano che Torlo di certi precipizi possa essere pietoso. Non un bacio, non
una carezza, non fosse che qaella delle ali. Anche le ali sono materia e
materia viva e calda. Quando due labbra si son toccate, ahimè, l'amor platonico
è ferito e per lo più a morte. Le anime sole possono amarsi platonicamente e la
materia è sempre dotata di gravità; fosse pnre piuma d'ala, vello di cotone o
massa di piombo. Il precipitare di essa sarà lento o veloce secondo la diversa
densità della materia: i venti pietosi delle reticenze, delle difese, delle
foghe faranno volare per l'aria Iqngamente il filo di seta e il fiocco di
cotone, ma fatalmente, ma inesorabilmente avranno a cadere. O tutto o nulla è
in amore un assioma di quasi matematica precisione, e le donne, sempre più
sapienti di noi in questa materia, lo sanno e lo ripetono sempre all'orecchio
degli impazienti. Esse sono le vestali dell'amore platonico, le custodi del
pudore, e quando esse vengon meno per le prime ai giuramenti dell'amore
platonico, non v'ha quasi uomo su questa terra, che le aiuti a salire. La
caduta è fatale, è irresistibile! Al contrario di quanto si crede volgarmente,
non sono i piccoli aniQri, ma i f^frandi che soli sono capaci di salire alle
altezze dell’estasi platonica, di subire quella sublime transustanziazione, che
arresta il desiderio alla soglia del tempio, che trasforma la più ardente delle
passioni in una luce di luna, che illumina, ma non riscalda. I piccoli amori
son pruriti animaleschi, che si soddisfano grattandoci o applicandovi dei
pannolini bagnati nell’acqua fredda. Essi non possono salire le alte cime,
perchè son deboli, molto meno poi possono attraversare lo spazio, perchè sono
senz'ali. Molte false virtù non sono che piccoli amori domati coi fomenti
freddi e quando li vedo innalzati ai supremi onori del sagrificio e
dell'eroismo mi vien voglia di ridere. I grandi amori invece non si domano che
colla morte o con un miracolo. Questo miracolo è Vamoi e platonico. II
credente, pieno di fede, di speranza e soprattutto d'amore è venuto al tempio,
per pregare ed amare. È venuto da lontano: almeno per venti, forse per
trent'anni ha viaggiato e sudato per monti e per valli, attratto alla Mecca
dall'amore. Nel lungo pellegrinaggio ha sudato e ha pianto, ha patito la fame e
la sete, ma è giunto vivo alle porte del tempio. I minareti dorati scintillano
al sole e dalle porte aperte escono profumi di mirra e di rose. I grandi amori
sono religione o idolatria, e il pellegrino s' inginocchia e prega prima di
essere ammesso all'adorazione del Dio. Ed egli lo vede, ed egli lo sente
vicino. Nella luce rosea del tempio egli ha veduto il gran Dio, che dispensa la
vita e la morte: ai suoi occhi lampeggianti d'impazienza e di, ardore hanno
risposto altri due occhi, lampeggianti e ardenti come i suoi. Egli ama e sarà
amato; ancora una preghiera e san consacrato li in fondo al santuario del
Sancta sanctorum, dove il fumo degli incensi gli nasconde la voluttuosa
visione, dove un coro di angeli gli cela i sospiri, di chi come lui aspetta e
desidera. Un istante ancora, ancora una preghiera, e tu avrai il premio del
lungo pellegrinaggio, dei lunghi dolori patiti. Sei nato e hai vissuto venti,
trent'anni per cogliere quel fiore, che anch'esso non sbocciò che dopo altri
venti o trent' anni vissuti da un' altra creatura che nacque e visse per te. Oh
perchè quelli istanti non diventan secoli e quei secoli Vili non ardono in un
istante sulUara del desiderio e dell' amore? Una voce vi ha chiamato, vi
chiama. Voi siete esauditi; voi siete ammessi nel tempio. La creatura sognata
per tanti anni, intraveduta fra le nuvole della fantasia e le iridi del
desiderio, è là, vivente, calda, giovane, davanti a voi e vi sorride. Anch'
essa aveva sognato, desiderato, aspettato: se 1' asceta ha bisogno di un Dio,
anche Dio ha bisogno dell'adoratore, e voi siete la creatura sognata e
aspettata da lei. Ogni vostro sguardo diventa una carezza, ogni vostra carezza
un desiderio di carezze nuove, e i baci aleggiano per l'aria facendo intorno a
voi un nembo di petali di rose. I desiderii son divenuti benedizioni: due
primavere, due vite, due amori aspettano di fondersi fra un istante in un solo
paradiso di fiori, di profumi e di voluttà. Venga pure la morte; avrete vissuto
abbastanza, il mare vi sommerga pure, il fuoco vi incenerisca, la terra vi
ingoi; al di là dell'infinito non v' ha altro pensabile; al di là del tutto,
che cosa desiderare ancora? Amate e morite! Ma ecco che fra voi e lei un angelo
o un demonio, il fato o il dovere ha messo una spada di fuoco. Voi vi amate e
vi amerete fino all' ultimo respiro, ma voi non vi toccherete. Non una carezza,
non un bacio; neppure i flati confonderanno i tepori delle anime. Io afiretto
colla penna impaziente ciò che in natura avviene lentamente, più spesso per una
serie non interrotta di uragani. Senza lotta, senza agonia, senza l'orto di
Getsemani non avviene quella trasformazione che muta due desiderii in una
rassegnazione, due passioni in un'estasi, due soli nell'astro della notte.
Nulla si perde di quanto vive o si muove, non la materia, non la forza che non
è altro che l'atteggiamento della materia, e anche ì cataclismi della terra e
del cielo, anche i cicloni che sconvolgon la terra e rovesciano le città sono
trasformazioni di forze, sono equazioni matematiche nelle quali il prima e il
poi si dimostrano come quantità eguali. Così avviene anche negli uragani del
cuore. Due amori dovevano confondersi insieme per riaccendere la fiaccola della
vita, due baci dovevano salire al cielo confusi in una sola benedizione della
vita trionfatrìce. E invece, passata la procella, vin rasserenato il cielo, noi
vediamo il pellegrino venuto da lontano al tempio d'amore ancora sulla soglia,
ancora prosternato e in atto di rassegnata e serena adorazione. E^ nel tempio,
là in fondo, fra le nuvole degli incensi e il coro degli angeli, immoto il
Dio,che guarda il pellegrino con tenerezza serena; e là rimarranno entrambi Dio
e creatura, idolo e sacerdote fino all' ultimo respiro. L'amore che feconda è
divenuto l'amore che ammira; l'amore che ama è divenuto l'amore che adora; il
sole che tutto colorisce e riscalda si è trasformato nella luna, che fa
fantasticare e sospirare. Se avete letto la mia Filologia del dolore, dovete
ricordare le pagine, nelle quali ho tentato di studiare la psicologia della
malinconia. Fra questo caro fiore del giardino del cuore e l'amore platonico vi
sono grandissimi rapporti di somiglianza. L'amore platonico è una grande e
soave malinconia e chi l'ha potuto e saputo godere, non rimpiange la gioia,
perchè quel sentimento ha bellezze più alte, ha misteri più delicati, segreti
più riposti e sublimi. Dei vulcani, dei terremoti, degli uragani che sono vita
quotidiana dell'amore nulla è rimasto : delle battaglie combattute nessun
cadavere, nessun membro divelto; il terreno l'amob platonico lacerato dalle
bombe, solcato dalle artiglierie, madido di sangue umano, è ritornato
all'aratro; e le spighe fioriscono, dove corsero i gemiti dei moribondi e gli
urli dei feroci. Una croce di legno piantata sull'orlo del campo vi ricorda
però la storia del dolore e spande all'intorno un'aria malinconica. Non invano
io ho invocato il tempio ad esprimere e contenere i misteri dell'amore
platonico, perchè questo ha forme mistiche e le sue estasi presentano molti
caratteri del rapimento religioso. Soffocato e spento il desiderio, inutile la
lotta, che cosa rimane fuorché l'adorazione? E questa adorazione che prima è
consagrata all' idolo, si affina sempre più, man mano andiamo perdendo la
memoria delle battaglie combattute e la figura che adoriamo perde ogni giorno
più la propria personalit\ per prendere forma di mito o di simbolo. La donna
che adoriamo d'amore platonico non è più per noi Laura o Beatrice, ma è la
donna, la donna unica e sola che per noi personifica tutte le bellezze, tutte
le grazie, tutti gli incanti di Venere e di Eva. La donna amata ha occhi che ci
incantano, membra che le mani accarezzano, chiome entro le quali si smarriscono
i desiderii come in un labirinto incantato. La donna amata d' amore platonico
non ha occhi, non membra, non chiome, e perchè le avrebbe se noi non possiamo
baciarli e possederli ? Dio ha forse occhi, membra e chiome f Noi amiamo
platonicamente, ma amando adoriamo; e l'adorazione è l'estetica divenuta
affetto o l'affetto divenuto estetica, o direi meglio è un sentimento che
aleggia eternamente fra l'ammirazione di una bellezza assoluta e un amore
infinito per questa bellezza, a cui non osiamo dar forma, perchè anche questa
ci sembra una profanazione. L' amore abbraccia sempre qualche cosa, colle mani
o colle braccia, colle labbra o col cuore; l'amore platonico non abbraccia,
perchè l'infinito non si stringe; l'amore platonico, contempla, ammira, adora.
Siamo in piena estasi e in estasi permanente: nessun carattere del rapimento
gli manca, non la fissazione, non lo sprofondarsi di tutte le sensazioni in una
sensazione sola, non la immobilità per tensione di tutti i muscoli antagonisti,
non la catalessi, non la insensibilità per eccesso di sensazione. E le estasi
son due: due come le creature che mutuamente si contemplano e si adorano; due
come le forze, che campate nello spazio e sempre lontane si invocano e si
attraggono e eternamente rimangono fìsse, senza avvicinarsi di nna lìnea né
toccarsi mai. In cielo fra gli astri avvengono questi fenomeni che gli
astronomi studiano; nel cuore umano avvengono gli stessi fenomeni con leggi
eguali, con eguale miracolo di potenza e di bellezza. Se l'amore platonico per
la sua alta idealità si avvicina ai rapimenti mistici dell'asceta, ha per altri
suoi caratteri le profonde sensualità del-l'avarizia. L'avaro e l'amor platonico
hanno questo di comune: possedere un tesoro che contemplano, che adorano, ma
che non spendono. Quella donna che voi adorate, è d' altri o di nessuno in
apparenza, ma nessuno l'ama come voi, per nessuno è bella quanto lo è per vói.
I vostri sguardi, le vostre aspirazioni, i vostri pensieri sempre rivolti a lei
la circondano d' un’aureola, che la isola dal mondo. Essa è chiusa in uno
scrigno invisibile, ma non meno inviolabile; in uno scrigno d'oro e di gemme di
cui voi solo avete la chiave. E anch'essa, voi lo sapete, non ama che voi. È il
possesso potenziale, è la proprietà ideale. Gosì appunto è dell'avaro: egli
contempla quei fasci di biglietti miracolosi che possono a un cenno
trasformarsi in gioie, in lusso, in ogni ben di Dio. E per volontà nostra quella
donna è intangibile, quel denaro non si muove, ma quella donna è nostra, quel
tesoro è nostro. L'amore platonico, ricco com' è di rapimenti, ci presenta
allucinazioni di trascendente bellezza. Nessuno più abile sarto per vestire i
corpi nudi, nessuno più ardito per spogliare i corpi vestiti. Nelle visioni
dell' asceta Dio appare (come vedremo più innanzi) in aspetti svariati, ma
sempre bellissimo; e l'adorazione che crea l'immagine si raddoppia neir estasi
d'ammirazione di quelle bellezze. E così è noli' amore platonico, in cui tutte
le forze del pensiero, tutte le energie del sentimento, concentrandosi in un
punto solo, danno tali ali alla fantasia e tale energia al suo pennello da
trasformare l'uomo in un poeta e in un pittore in una volta sola. Poeta che
abbellisce e idealizza tutto ciò che tocca; pittore che della sua tavolozza fa
una verga magica che tntto riveste di un'iride afiascinante. La donna adorata e
non posseduta è sempre Venere per noi; Venere Afrodite quando la fantasia la
spoglia, Venere Urania quando la fantasia la ravvolge nei densi veli della
nostra gelosia e del nostro rispetto. Nuda o vestita è sempre una Dea per noi,
e noi ne siamo i sacerdoti. Anche le sante vedono Dio nudo nelle loro visioni,
né quella nudità è meno casta o meno pudica. L'amore platonico è tutto un
pudore, perchè il pudore è la riverenza dell'amore, è la santificazione del
desiderio. Oh quante volte nei sileuzii della notte le tenebre si illuminano
per noi alla luce mistica della fantasia e dall'onda azzurra d'un mare
tranquillo sorge per incanto al fremito impercettibile d'una brezza che vien
dal profondo una visione di donna. E noi assistiamo al mistico nascere della
Dea d'amore, assistiamo al nascer della vita. Estasi umane, vili E sorge
dall'onda Spumeggiante pregna degli inebbrianti e salsi aromi del mare la
visione della creatura amata, della sola donna che per noi è donna, e che nuda
e casta come una statua di Fidia, lucente dell' onda che cade in mille perle su
quella perla sola che è il corpo di lei, s'innalza fremente e flessuosa, come
una palma umana; e sorge e s'innalza sulle sue colonne di marmo pario,
inghirlandata dalle chiome fluenti, che fanno piovere una pioggia di perle sui
morbidissimi flanchi intomo a lei bolle e freme l'onda, quasi ebbra dei contatti
voluttuosi della Dea, e guizzano nereidi e naiadi a farle corona di bellezze
minori, mentre angioletti rosei svolazzano all'intorno di lei, impazienti di
accarezzarla colle ali convulse. E nessuna lascivia scuote le nostre membra e
nessun desiderio osa turbare Testasi di quella contemplazione. Voi siete sempre
in ginocchio, col corpo o col pensiero, davanti alla divina immagine che
adorate. E altre volte Venere non esce dal mare, umida e calda delle sue
feconde aspergini, ma in un bosco di allori sotto il cielo ellenico, scende dal
tempio e passeggia sorvolando sull'erba, quasi statua che ubbidisce
all'evocazione del suo creatore e ritoma alla vita. E gli inni dei poeti e le
corde d'oro delle arpe eolie cantano e suonano le loro armonie, facendo coro di
ammirazione e osanna di adorazione alla dea della bellezza, alla madre di tutti
ì viventi. E noi prostesi al suolo baciamo l'orma profumata, che il piede
divino lascia sui muschi vellutati e fra l'erbe odorose. Ma terra e mare non
bastano più a fare cornice alla nostra visione trascendente e noi vediamo la
nostra Dea farsi creatura alata e spiccare il volo nelle alte regioni del
cielo. Non più carni rosee o colonne di marmo parlo, ma la carne dive-vni nuto
opale e le membra trasformate in ali. E vìa per Paria e gli spazi infiniti del
vuoto, un aleggiar robusto e un ondeggiar di chiome, or dorate dai raggi del
sole, or argentine al chiaror della luna, or buie come le tenebre degli abissi.
E un fiammeggiar degli astri, che anch'essi nell'eterna pace dei secoli,
fremono alla vista di quella divina bellezza e scintillano più caldi e più
splendidi, salutando colle ebbrezze della luce una creatura deUa terra. E noi
dietro a quella visione, convertiti da creature mortali in un sospiro di
desiderio che vola e insegue la donna alata. La via lattea ci è guida al nostro
volo audace e tra la polvere degli astri che non abbiam tempo di ammirare e fra
gli abissi dell'infinito e le meteore deUo spazio cogli occhi fissi a quella
creatura che è cosa nostra e di cui sentiamo nel vuoto infinito il batter
dell'ali, Siam rapiti in estasi e speriamo di confonderci e sparire in quella
donna, che non è più donna, ma angelo; che non è più angelo, ma Dio; un Dio
creato dalla nostra fantasia e dal nostro amore. Sparire per sempre e con lei,
come dicesi che le comete attratte dal sole si consumino in un bacio ardente
come loro, ciclopico come lo spazio. Sparire e confondersi, non ritrovar più il
nostro Io, non distinguere più qua! differenza passi tra noi e lei, fra l'amare
e Tessere, fra l'uno e il due; non ricordarsi della terra, del nascere e del
morire, della gioia e del dolore; non pensare altro pensiero che il pensiero di
lei, perdere tutta la coscienza e tutta la memoria, per sommergerle nel grande
oceano di una sensazione sola, l'estasi; spogliarsi di tutte le passioni,
dimenticarle tutte, per non ardere che d'una sola passione, l'amore. L'uomo e
la donna disgiunti sulla terra, ricongiunti nel cielo e per sempre con un bacio
che non ha domani, con un amplesso che trasforma le anime nella carezza di
quattro ali. L’estasi dell'amore platonico non sono tutte di adorazione, ma
possono presentarci le forme della devozione, del sagrifizio spinto fino al
martirio. Allora noi abbiamo i rapimenti già descritti nell'amore materno,
nell'amor figliale e negli altri affetti minori. Inutile ripetizione sarebbe
quella di ritrarre i lineamenti di questi quadri sublimi, che tanto si
rassomigliano. L'ionico carattere che distingue tutte queste forme svariate è
quello di essere accompagnato dall'ardore della più calda delle passioni, di
esser tutto imbevuto di quell'amore che fu chiamato con questo nome senza
aggiunta di alcun aggettivo, quasi prototipo di tutti gli altri amori. L'amore
platonico può essere potente e fecondo di estasi, anche quando non è diviso da
un'altra creatura. Anche quando vibra in un solo cuore, anche quando
contraddice, rarissima eccezione, il verso famoso del poeta. Amor ch'a nullo
amato amar perdona, può durare tutta la vita, può essere il palpito di ogni
ora, il sogno d'ogni notte, la religione mistica di un solo cuore. In questi
casi soltanto vi ha di diverso e di caratteristico una soave malinconia, forse
confortata da una speranza lontana che il nostro amore, pur rimanendo sempre
pia* tonico, 8iia diviso da un' altr' anima. Xie estasi dell' amicizia.
Rapimenti dell'amor fraterno. Anche senza il fascino del sesso, anche senza i
vincoli del sangue l'nomo può amar l'uomo di quel sentimento che si chiama
amicizia. Ho gii\ parlato troppe volte e a lungo nella mia fisiologia del piacere
e in altri miei libri più recenti dell'amicizia, né starò a ripetermi. Qui non
dobbiamo occuparci che di quelle rarissime forme di questo sentimento che
possono portarci fino all'estasi. L'amicizia è possibile fra uomini e uomini,
fra uomini e donne, fra donne e donne; ma il sesso è tale un elemento
perturbatore d'ogni altro affetto, che non sia amore, da rendere 1' amicizia
assai rara fra ue persone di sesso diverso, e anche quando i sensi non parlano
e nessun desiderio accompagna l'amicizia, questa è però modificata
profondamente da quella tenerezza irresistibile che l'uomo ha per la donna, di
quel bisogno di protezione che la donna sente dinanzi all'uomo. Ecco perchè
preferirei separare dal gruppo delle Estasi umane. L’ amicizie vere quella che
Tuomo e la donna possono intrecciare tra di loro, ravvicinando queste alla
famiglia degli amori platonici. V amicizia è un sentimento di lusso e noi lo
vediamo mancare affatto o presentarci forme atrofiche negli uomini di bassa
gerarchia psichica. Le sue energie sono deboli, talché cedono subito il campo
ad altri sentimenti più imperiosi e che hanno una grande missione nel ciclo
della vita. È anche per questo che le donne ci presentano più raramente esempio
di calde e tenere amicizie. In esse l' amore e la maternità occupano tanta
parte del cuore da non lasciare il posto per altri sentimenti minori, e
d'altronde la galanteria virile fa delle donne altrettanti rivali e semina la
gelosia e inviperisce le vanità e solletica la malizia e la maldicenza; per cui
V amicizia fra donne è pianta rara, che vive per lo più vita breve e fra le
pareti di una stufa ben calda e custodita. Che l'amicizia sia una pianta di
lusso lo prova il vederla fiorire nell' età delle massime energie affettive,
cioè nella giovinezza. Col primo aocenno di capelli bianchi, col primo chinar
della curva vitale, le amicizie nuove sono molto rare e le antiche si
conservano spesso per abitudine, per riconoscenza, ma son fiacche e messe quasi
sempre nel secondo giro degli affetti. Se r amicizia è sentimento raro, è tanto
più delicato e si muove in una sfera di altissima idealità. Intendo sempre
parlare della vera, della sublime amicizia, di quel sentimento che fa di due
nomini un nomo solo, che li unisce mano con mano, cuore con cuore, anima con
anima. Per lo più fra la massa del volgo si chiamano con quésto nome simpatie
fugaci, associazioni d'interessi, consuetudini d'occasione ed altre cose ancor
più volgari e più basse. Per questa via di certo nessun rapimento è possibile.
Ciò che dà il marchio di nobiltà all'amicizia è V eleziùne che ne è il midollo
e lo scheletro, chene è il motivo informatore. Non è soltanto negli ordini
politici che relezione sostituita all'eredità o alla forza segna un gigantesco
progresso: anche nel campò degli affetti l'elezione è il battesimo che li
consacra ad una vita gloriosa, che li tra-sporta dai bassi fondi delle
necessità organiche nel cielo dell' idealità. Neil' amore, nell' affetto di
patria, nella maternità, in tutti i potenti affbtti che stringono l'uomo coi
vincoli della famiglia, vi è un vigore irresistibile, vi è una forza
trascendente, ma nello stesso tempo noi ci sentiamo rapiti dal fato, dalla
necessità:. Siamo ben felici di questa cara necessità, Ina V Io, sempre
superbo, sente qualcosa più forte di lui e riverente s' inchina e ubbidisce
alle leggi della natura. Nell'amicizia invece nulla di tutto questo: nessun
fato, nessuna necessità, nessuna tirannia d'uomini, di cose o di tempi. Due
anime umane si incontrano nel viavai della folla, si contemplano e s'intendono.
Un riso sorriso in due, una lagrima pianta in due, un grido d' entusiasmo
escito prorompente, irresistibile in uno stesso momento da due petti umani,
avvicina i cuori e stringe le destre. Son due note musicali, che partito da due
strumenti lontani si sono incontrate pell’aria, formando un accordo d'armonia.
E quello stringersi delle mani rivela nella sua espressione semplicissima tutta
la psicologia più fine e più profonda dell'amicizia. In amore son le labbra che
tendon l’arco e si cercano. In amore son le viscere che s’intrecciano e si
fecondano. Nell’amicizia son le mani, che si cercano e si stringono;
gl’istrumenti del pensiero e dell'azione. Sentire insieme e sentire egualmente,
ammirare le stesse cose e disprezzare gli stessi uomini, parlare commossi cogli
stessi i)oeti e benedire con una voce sola lo stesso sole, ci fa parenti nelle
anime, come in amore le simpatie fanno di due sangui un sangae solo, DI DUE
DESIDERII UN DESIDERIO SOLO – Grice, CO-OPERATIVE PRINCIPLE -- , e colla
fiisione intima di due esistenze, creano una terza vita. L'amicizia è una
parentela d'elezione, è un amore delle anime, è un sentire il proprio pensiero
sommato a un altro; i proprii sentimenti, le proprie simpatie, le proprie
aspirazioni ripercossi sempre dall'eco affettuosa di un'altra simpatia, di
un'altra natura umana, che risponde alla nostra. Dolcezze ineffabili, voluttìi
di altissima sfera, che fanno l'uomo superbo d'esser uomo. Questo consenso non
cercato ma trovato, questo combaciarsi intero e completo di due anime, questo
libero matrimonio di due nature umane può bastare a rapirci in estasi; quando
soprattutto ci rifugiamo in seno all' amicizia per sfug;^ire dagli urli del
profanum vulgus; quando siamo inseguiti dal latrato dei cani; quando ci
sentiamo asfissiati dal lezzo del fango in cui pur troppo dobbiamo le tante
volte camminare e sommergerci. È allora che l'oasi dell'amicizia ci stende la
sue braccia e ci involge colle sue ombre profumate, colle sue brezze
inebbrianti, e proviamo la santa gioia di chi escito da una cloaca immonda e
oscura, si trova nell'aperto cielo in mezzo alla luce, all'aria pura;
fors'anche fra il profiimo dei fiori e il sorriso dei bambini. L'estasi di due
amici che si comprendono, che ^i stringon le mani. che si guardan negli occhi,
leggendovi riflessa Pimmagine di so stessi, è muta come quasi tutti i rapimenti
della vita. É muta ed è profonda: è serena eie azzurra. Non si sa eome
incominci e dove finisca; appunto come noi non sappiamo, guardando in alto,
dove il cielo incominci e dove esso finisca. Tiriamo profondo profondo il
respiro, perchè vorremmo quasi ingrandirci di dentro, come ci sentiamo
raddoppiati di fuori; e il nostro Io si confonde, si sprofonda con un'altra
coscienza, quasi due parti di un'anima sola, che separate dalla violenza,
incontratesi nello spazio, ritornano ad essere una cosa sola. In quei momenti
beati ogni confine ben definito della coscienza si ofiftisca e si sperde : ci
pare di essere due, perchè godiamo sentimenti, bellezze, splendori el vero o
del buono in due; ci par di essere uno, perchè sentiamo vibrare due coscienze
in unacocienza sola; perchè le due anime si son abbraociate e strette e confuse
in un'anima sola. Sante e care e dolci ebbrezze dell'amicizia, che si elevano
per la loro purezza nelle sfere più alte dei sentimenti umani. Se sono men
calde di quelle dell'amore, sono però più durevoli e serene; se vi è meno
volutto, vi è più pensiero; se vi è meno fuoco, vi è più luce. Ma perchè questi
sterili e vani confronti? Perchè sagrificare anche noi a quel maledetto gallo
d' Esculapio, che costringe sempre l’uomo a confrontare le cose che studia e
descrive? Forse che si pota risolvere il problema la rosa sia più bella del
giglio, lo zafiBro più splendido del diamante, il cavallo più bello del leone?
Lasciamo ogni bellezza al suo posto e non tormentiamo le creature del nostro
pianeta, facendole passare sotto le forche caudine delle nostre gerarchie. La
natura feconda e generosa non ha mai scrìtto dei numeri sulle proprie creature:
nessuna prima, nessuna ultima, e il muschio microscopico che nasce e fiorisce
fra le fessure del tronco d'una palma superba, è bello quanto l'albero maestoso
che le offre l'ospitalità; e la stretta di mano dell'amicizia è cara quanto lo
stringersi insieme delle labbra innamorate. Le estasi dell'amicizia sono di
varie forme, ma quasi tutte possono ridursi a queste due: estasi di simpatm e
estasi di conforto. Delle prime ho parlato fin qui, riducendole ad
un'espressione sola. Le altre sono più facili e più. comuni. Esse non sono che
estasi di carità rese più intense, più cald, più poetiche, perchè il sentimento
che le ispira è di più alta natura. Nella carità facciamo il bene agli altri,
solo perchè uomini; all'amico diamo tutto noi stessi, per lui facciamo i
maggiori sagrifizii, perchè uomo e perchè amico. Dall'elemosina che ci umilia e
può anche avvilirci, incomincia una scala ascendente e che ha mille gradini e
pei quali si sale alle forme più squisite della beneficenza. Sulla più alta
cima sta sempre 1' amicizia, che conforta e aiuta e soccorre senza umiliare e
porge il dono con tale delicatezza, che mal sapresti dire, se sia più prezioso
il dono o più caro il modo con cui ti vien presentato. ESTASI dell'amicizia
Impiccolire il sagrifizio fino a nasconderlo affatto, mostrare che chi dà è invece
colui che riceve, ohe il donatore rimane debitore; nascondere nella gioia di
dare l'orgoglio di dare e soffocare fin dal suo nascere l' involontario rossore
di chi riceve, sono altrettanti miracoli che l’amicizia compie colla massima
agilità, colla maggiore naturalezza di questo mondo. Indovinare il dolore anche
senza il pianto, presentire l'imbarazzo quando nessuno lo sospetta, prevedere
la sventura prima che arrivi, il pericolo prima che l'allarme sia dato, non
attender mai che la mano si stenda a voi, ma stendere la vostra e nella stretta
di mano nascondere il benefizio, sono le prime lettere dell' alfabeto dell'
amicizia; son problemi elementari che il cuore risolve di primo acchito e senza
bisogno di studiare la matematica. Davvero che in questi ca^i è diflBcile dire
chi più goda dei due, chi primo arrivi al rapimento del benefizio fatto o della
riconoscenza caldissima. L'uno ha preveduto, ha presentito, ha indovi-nato. L'
amico soffre ed io posso far tacere quel dolore. L'amico ha bisogno di soccorso,
di conforto, ed io sarò quei fortunato che potrò soccorrere e confortare. Il
cuore batte forte forte in petto, le mani tremano per 1' emozione e un sorriso
involontario e angelico corre sul nostro volto. Tutti gli artificii più astati
sono da noi adoperati per far sembrar facile ciò che è difficile, naturale ciò
che forse è per noi un doloroso sagrìflzio. Nessuna astuzia è più raffinata,
nessuna ipocrisia più opaca, nessuna fantasia più immaginosa di quella che
adopera l'amico per occultare il benefizio, per giungere in tempo; per
abbellire la carità collo splendore della sorpresa. Il dono dell'amico è un
fiore bello e profumato che ci presenta la mano di un bambino, innocente e
giulivo come la bontà sempre aperta dell'uomo generoso, rìdente come tutte le
primavere della vita e della natura. E chi riceve ed è costretto a non
vergognarsi di ricevere e chi indovina tutte le sante astruserie e i fini
accorgimenti che accompagnano V opera del conforto e chi misura tutta 1'
altezza dell' anima che corre soccorrevole a noi, rimane confuso e commosso e
dallo strazio della disperazione è portato di volo alla beatitudine più sicura
e più alta. L'amico ci ha indovinato e l'amico risponde con un'onda di
riconoscenza; il sorriso di chi fa il bene è nobile come il sorriso di chi lo
riceve, e due estasi si confondono in un'estasi sola. Chi più felice dei due?
Nessuno. Chi più grande? Nessuno. Quale il debitore, quale il creditore?
Nessuno dei due; o entrambi creditori, entrambi debitori. Chi più bello del
sole che illumina o della terra che è baciata dal sole! Chi più bello del cielo
che si specchia nel mare o del mare che si fa azzurro al sorriso del cielo? Chi
più dà e più riceve della gloria dei grandi o del riflesso d' amicizia che le
turbe innalzate dal genio rimandano al sole del pensiero? Beata ignoranza
codesta, di non poter distinguere due bellezze che si fondono in una bellezza
sola; due gioie che si unificano ìa una voluttà sola; due grandezze che si
sperdono e si consumano in una sola immensità. Non malediciamo la vita, se
questa ci lascia lo spazio e il tempo per essere uno di questi amici o per
assistere ad una di queste scene del mondo morale. Quante bassezze, quante
viltà, quanto fango si devono trovare nei sentieri pedestri della vita por
dimenticare uno di quei quadri, quante tenebre ci vorranno per cancellare tanta
luce, quanto male per far dimenticare tanto bene! Nessun fiume, per fangoso che
sia, ha potuto togliere all'oceano le sue trasparenze; nessun sofiQo di uomo ha
potuto spegnere il sole, nessun gelo Tha mai potuto raffreddare! L'affetto che
ravvicina i nati tVuno stesso padre e d'una stessa madre, esiste abbozzato
anche negli animali. Gli uccellini allevati in uno stesso nido, spesso anche
quando Thanno abbandonato, vivono assieme e si amano: spesso anche le scimmie
ed altri mammiferi sentono di essere fréitelli, ma queste fratellanze son
pallide e di piccola durata. I colpi di fucile del cacciatore crudele, i lunghi
viaggi, i nuovi amori, spezzano ben presto i vincoli di fratellanza, e dopo
pochi giorni, o poche settimane, o pochi mesi, secondo i casi; ogni
riconoscimento di uno stesso sangue si dilegua e scompare. I fratelli possono
intrecciare un nuovo nido, un incestuoso amore, o possono farsi la più spietata
guerra. Anche fra gli uomini l'amore fraterno è spesso pallido e non presenta
che deboli energie; i molti cuculi deposti nel nido d'una famiglia, le
antipatie e le dissonanze dei caratteri troppo frequenti ad onta della comune
genealogia, le lotte d'interesse opposto, le lunghe e necessarie assenze
imposte dalle vicende della vita, sono altrettante cause l'amoe fraterno che
possono rallentare o rompere le catene fraterne. Fra fratello e fratello, fra
sorella e sorella si aggiunge poi la ruggine delle gare di vanità e
d’emulazione, e questa ruggine corrode più ohe la lima di forti passioni. Per
tutte queste ragioni i forti amori fraterni son rari, rarissime le estasi
affettive. Oserei però dire che, meno rare eccezioni, Tamore fraterno non ci
mostra scene commoventi e sublimi, che quando è rafforzato dalla simpatia dei
sessi opposti. Earo V affetto intenso fra due fratelli, forse più raro ancora
quello fra due sorelle; più comune invece il sentimento che lega il fratello
alla sorella. Quando fratello e sorella si amano davvero, si amano molto, il sentimento
che li unisce è un'amicizia resa ancor più calda dalla comunanza del sangue e
può giungere a tanta forza e a tanta idealità da avvicinarsi assai all' amore
platonico. Son due creature che non possono amarsi d'amore, perchè troppo
rassomiglianti, perchè esciti dalle stesse viscere, perchè hanno ricevuto il
primo bacio dalle stesse labbra, perchè hanno succhiato dallo stesso seno quel
secondo sangue che è un secondo vincolo di parentela. E poi son cresciuti
insieme, hanno respirato i)er tanti anni l'aria dello stesso nido, hanno
dormito tra le pareti della Stessa casa, hanno pregato sotto la vòlta della
stessa chiesa, hanno pianto le tante volte insieme; hanno diviso i terrori
infantili, si sono inebbriati insieme nelle feste dell' infanzia e insieme hanno
subito le procelle dell'adolescenza e della prima giovinezza. Come e perchè non
si amerebbero quelle due creature, che vedono a vicenda rispecchiata tanta
parte di sé stesso nel cuore e nel pensiero dell'altra? La comunanza delle
memorie è parentela del cuori e ad essa basta un cenno, un sorriso, una parola
per rifare quei viaggi poetici e affascinanti nel tempo che fu. Quei due forse
hanno già passata più che mezza la vita insieme, fors'anche hanno insieme
composto nella fossa il loro babbo e la loro mamma, e in un certo giorno
dell'anno, anche lontani e senz'essersi chiamati, si trovano insieme sopra una
stessa tomba. E come e perchè quelle due creature non si amerebbero; non si
amerebbero molto; non si amerebbero sempre? La nostra sorella slam noi stessi
incarnati in un sesso diverso e quando in essa noi vediamo riprodotti i nostri
lineamenti, rifatti gli stessi gesti, riprodotti gli stessi gusti, le stesse
antipatie; sor-ridiamo di compiacenza, esclamando: s'io fossi una donna, sarei
lei! E la nostra sorella non solo ci rassomiglia nel volto, nei gesti, ma
desidera le stesse cose, sorride degli stessi scherzi, ha come noi qnelle
stesse debolezze, delle quali dobbiamo spesso arrossire. E si ride insieme, e
si arrossisce insieme, dicendoci nell'orecchio : Anche tuf 8Ì anch^io! E la
nostra sorellina (che sorellina è sempre ogni sorella, quando è molto amata), e
la nostra sorellina rassomiglia tanto alla nostra mamma, che la si direbbe la
mamma ringiovanita. Essa ha per noi tenerezze materne, indulgenze materne; essa
ci può abbracciare e baciare, benché essa sia una donna. Quanto è indulgente e
buona! Con lei possiamo sfogare le nostre bizze, confessare i nostri rancori;
con lei possiamo dividere tutte le amarezze dell' orgoglio offeso, dell'
ambizione delusa, delle speranze svanite. Essa non e' invidia ma ci ama. Essa
non riderà di noi, né ci vorr.Y consolare coll’accusarci fattori della nostra
sventura. Essa è donna e con noi quasi madre; nessuna osservazione, nessun
rimprovero prima di averci medicati e guariti. Nessuna domanda importuna o
impertinente prima di averci fasciata la ferita. Possiamo essere più vecchi di
lei; essa ci tratterà sempre come bambini, sarà capace perfino di prenderci fra
le sue braccia e di farci la ninna nanna. E la sorella si getta fra le braccia
del fratello. come non può fare colle braccia di nessun altro uomo. Del marito
ha suggezione, del padre ha rispetto; davanti al figlio vuol essere
infallibile. Il fratello invece non è né marito, né padre, né figlio, ma un po'
di tutto questo. Egli è un uomo e la sorella può appoggiarsi a lui come alla
forza che protegge e difende. Egli é un uomo, ma non sarà mai un giudice
severo, perchè anch' egli prima di gridare al peccatore, vorrà guarire il
peccato e risanare la ferita. La sorella è sicura che il fratello di lei
avrebbe peccato come lei, s'egli si fosse trovato nelle stesse circostanze ed
essa è sicura di trovare una grande indulgenza, una misericordia grande come
quella del Cristo. Ma non occorre peccare per rifugiarsi fra le braccia
fraterne del figlio della nostra mamma. Il fratello ha piti ingegno di noi, più
di noi ha studiato e vissuto. Egli ci darà la luce per camminare nelle tenebre
della vita, egli ci darà un braccio poderoso per appoggiarsi, egli sarà la
nostra bussola nel gran mare delle umane dubbiezze. E che faresti tu In questo
caso f Come esciresii tu da questo labirinto f Dimmi se io ho fatto benet Dimmi
vi è ancora un rimedio a tanto male f „ E le domande si succedono le une alle
altre, senza attender risposta e le risposte diventan altrettante domande; ed è
un affollarsi confuso e prorompente di parole, di sorrisi, di lagrime: e sono
abbracci che interrompono domande e risposte e sono baci che valgono più d'un
volume di ragionamenti e son singhiozzi che taciono alla soavità d'una carezza
e son carezze che vogliono esser rimproveri e rimangono invece carezze
dolcissime e sono due anime di uomo e di donna, che possono vedersi nudi l'un
l'altro senza arrossire, perchè non hanno sesso e sono come Adamo ed Eva prima
che avessero bisogno di coprirsi delle foglie dell'albero mistico dell'Eden. n
questi casi e in altri consimili la commozione può giungere fino al rapimento,
e l'estasi si afferma con tutti i suoi caratteri di isolamento dal mondo
esterno e di concentrazione di tutte le forze del sentimento e del pensiero in
un punto solo del mondo psicologico. Beati coloro che l’hanno Estasi liman,
provata, fosse poi gioia che prendeva il posto d'un grande dolore o gioia che
si faceva cento volte maggiore, perchè si moltiplicava colla igioia d' nn'
anima sorella. L'amore fraterno è un sentimento di lusso, tanto è vero che è
appena abbozzato e fuggevole negli animali e così pure è debole nelle razze e
nelle nature inferiori. I sentimenti di lusso sono i più indistinti, quelli che
hanno frontiere meno sicure, per modo che si confondono facilmente con altri
affetti di analoga natura. L'amore fraterno confina coir iimore platonico e
coli' amicizia, e tanto è vero che spesso udiamo escire dalle labbra commosse
di due amici, che non pensan punto a far della psicologia, questi gridi
dell'anima: Io il amo più che un Fratello. Tu mi sei più fraUllo che amico. La
nostra amicizia è una vera fratellanza delle anime. Noi non siamo amici ma
frnt4ilU! E d' altra parte non di raro due fratelli esclamano alla lor volta.
Ma il nostro affetto è una santa amicizia. Ma anche senza i lincoli del sangue
noi saremmo due amici. Se mi fosse permesso tentare di distinguere il
caratt-ere proprio delle estasi dell'amicizia e quello dei rapimenti
dell'affetto fraterno, direi che nel primo caso vi è una grande fratellanza
nell'urnanità che ci eleva al disopra del volgo e che nel secondo la voce del
sangue ci tiene più vicini al nido e quindi piti caldi, più commossi, più
inteneriti. Nei rapimenti dell'amicizia vi è più pensiero, in quelli
dell'affetto fraterno vi è più viscere.Nei primi la differenza di sesso turba
l'estasi o la porta in altre regioni, nei secondi invece questa differenza è
quasi sempre necessaria e contribuisce assai ad accendere i cuori, ad affinare,
a intenerire, a commuovere gli animi che salgono insieme in quest'Olimpo del
sentimento. Descrivere tutte le possibili estasi umane s.irebbe dar fondo
all'universo psicologico e nessuna forza d'uomo vi basterebbe. Io mi
accontenterli accennare ad alcuni rapimenti dell'affetto fratemo: altrettanti
quadri presi dal vero e che potrebbero ispirare il poeta, il pittore, lo
scultore.Due fratelli vivono in paesi lontani Uun dall'altro e vengono a
conoscere per via indiretta, che il babbo si trova in grave imbarazzo di
afifari commerciali. Accorrono non chiamati, si incontrano sulla soglia della
casa paterna. Si sorprendono, si interrogano. Son venuti per la stessa ragione
chiamati dalla stessa voce interiore. Hanno pensato la stessa cosa, lo stesso
piano, gli stessi progetti per salvare l'onore del padre. Lo possono fare e lo
faranno. Esaltati, commossi, si gettan nelle braccia l'un dell'altro e godono
un soavissimo rapimento dell'anima. Due fratelli che lavorano insieme, hanno
pensato uno stesso libro, senza scambiarsi una sola parola. Venuti a
comunicarsi a vicenda i loro progetti, si trova che essi si incontrano e si
combaciano.Lo stupore diventa ammirazione, l’ammirazione contentezza,
beatitudine. Essi si abbraccino, si inebbriano della gioia di aver fusi due
pensieri in un solo pensiero. I fratelli De Goncourt devono aver provato più
volte quest'estasi deliziosa. Due sorelle hanno perduto runico fratello,
vedovoe padre di numerosa famiglia. Sul cadavere del caro perduto suggellano un
bacio in due, che è conclusione d'un giuramento fatto in silenzio, nello stesso
momento. Esse non prenderanno marito,esse daranno tutto il loro tempo, il loro
dinaroai nipotini che fanno loro figlinoli, che si stringono al seno in uno
slancio di carità generosa. Quelle due anime beate di aver pensato in uno
stesso istante la stessa cosa si abbracciano, si stringon forte forte cuore
contro cuore; confondono lagrime, singhiozzi, sorrisi e godono una delle
estasii fraterne più complesse e più alte che possa godere anima umana. Una donna
è tradita, tradita nel santuario della famiglia, precipitando nella
disperazione dall'alto d'ana felicità senza nubi.Tutto si oscura, l’aria
diviengelo, la terra spine, il cielo un'uragano. Essa ha un fratello, le scrive
una parola sola: Vieni e mi salva! Ma il fratello ha saputo la sventura
piombata sul capo della sorella, prima ancora che la lettera fosse scritta.
Suona un campanello, si apre un uscio, vi si precipita un uomo. La sorella lo
guarda, non sa piangere e non può ridere. Gli porge la lettera ancora umida
dall'inchiostro ed egli legge quelle quattro parole e neppur lui può ridere o
piangere o parlare. Perchè quei due fortunati non cadrebbero in estasi in quel
momento? Due naufraghi iV una fiera procella della vita son rimasti soli nel
mondo. La donna in un mese ha perduto tuttii figliuoli uccisi dalla difterite,
ruomo era solo ed è divenuto cieco. Quei due non hanno più né padre, né madre,
né zii, né cugini, ma essi son fratello e sorella. Questi hanno attraversato
continenti e mari e si sono abbracciatiper non separarsi più mai. Perché non
cadrebberoessi in estasi? L'estasi è sempre uno stato eccezionale, passeggero,e
la più partedegli uomini non l'hanno mai provato.Taluni piìl rozzi e incolti
durano fatica anche a immaginarselo. La sua bella etimologia greca f x-a
radice, lo star fuori, esprime mirabilmente questo concetto. La parola di
estasi è dunque greca, e i greci pia poeti dei latini, dovettero conoscere
meglio di questi uno stato di trascendente idealità. I romani, gente positiva,
patica, popolo d'azione, non conobbero Vestasi, ma l'indicarono con perifrasi
diverse : mentis excessu, animi abalienatio. Tommaso Campailla. Keywords:
oposcolo, ecstasi, estasi, animis abalienation, mentis excessus. discorso
disordinato, discorso ordinato, discorso umano, uomo, vita. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Campailla” – The Swimming-Pool Library.


No comments:
Post a Comment