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Tuesday, June 10, 2025

GRICE E CAMPAILLA

 

Luigi Speranza -- Grice e Campailla: all’isola -- la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del concetto di estassi – implicatura estasica – a room in Bloomsbury – scuola di Modica – scuola di Ragusa – filosofia siciliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Modica). Filosofo sicliano. Filosofo italiano. Modica, Ragusa, Sicilia. Grice: “You have to love Campailla; when I philosophised on ‘be orderly,’ I was drawing from Campailla: “Order is the first – ‘ordinato discorso dell’uomo;’ Campailla flouts the maxim: he allows that a man in ecstasi, in mutual contemplation of beauty, say, may lose the order – Oddly, Campailla dedicates more than a section to, then, ‘del disordinato discorso dell’uomo,’ or men, as we’d prefer!”  Grice: “You’ve gotta love Campailla – I would have preferred he chose the Graeco-Roman mythology, but he chose “Adamo,” and he provides, in verse, all I ever philosophised on – human discourse – discorso umano – on top, he considers ‘amore’ as a ‘passione dell’anima,’ and speaks of ‘self-love’ (amore proprio) and even virility and testicles – a Renaissance man!” Nasce sotto la rupe del Castello dei Conti. C., incisione dall'Adamo (Roma-Palermo) Mostrò le sue migliori doti d'ingegno in età matura, giacché, in gioventù, per la sua gracile costituzione, il padre preferì educarlo in campagna affinché si irrobustisse all'aria aperta, piuttosto che indirizzarlo agli studi. Si trasfere a Catania per studiarvi giurisprudenza, ma l'improvvisa morte del padre, che lo lasciava erede di un discreto patrimonio, lo costrinse a ritornare nella città natale, la sua cara Modica, in cui rimase fino alla morte, senza mai muoversi da essa.  Lì, poté dedicarsi interamente agli amati studi, prevalentemente da autodidatta, coltivando con passione ed abnegazione, fra le tante discipline, l'astronomia, le lettere e la filosofia. Sempre da autodidatta, studiò Aristotele e i classici, per poi dedicarsi alla fisica, forse spinto dall'onda emotiva suscitata dal terribile sisma che distrusse Modica e tutto il Val di Noto.  Morì per un colpo apoplettico.. Il suo corpo fu sepolto sotto l'altare maggiore del duomo di San Giorgio in Modica, del quale una lapide, deposta alla sinistra dell'ingresso principale, lo ricorda.  C., filosofo e poeta Studioso di Cartesio, che vuole conciliare con la filosofia scolastica, ne applicò i principi alle sue indagini conoscitive, fatte di osservazione ed esperimenti, divenendo, insieme col filosofo trapanese Michelangelo Fardella, uno dei principali divulgatori delle teorie cartesiane in Sicilia.  Poeta raffinato, fu accademico degli Assorditi di Urbino, dei Geniali di Palermo, e della più celebre Accademia degli Arcadi di Roma; restaurò quindi l'Accademia degli Infocati nella sua città natale. Da alle stampe i primi sei canti (ispirati ai moduli letterari lucreziani) del poema filosofico, in due parti, L'Adamo, ovvero il Mondo Creato, successivamente dedicato, nella sua stesura completa (in XX canti) a Carlo VI d'Austria, Imperatore e Re di Sicilia. Il poema, che conobbe una discreta fortuna e che è stato recentemente ristampato, rappresenta una summa delle idee teologiche, cosmologiche, fisiche e filosofiche dell'autore, alla luce del cartesianesimo.  All'inizio del Settecento, la fama del C., tra l'altro in corrispondenza epistolare con importanti personalità fra i quali Ludovico Antonio Muratori (bibliotecario del Duca di Modena), si diffuse anche all'estero, toccando Lipsia, Parigi, Londra, tanto che il filosofo Berkeley volle conoscerlo personalmente e, poiché C. non si muoveva mai dalla sua città natale (come Kant), fu lo stesso Berkeley a recarsi in Sicilia a trovarlo, informandolo fra l'altro delle nuove teorie newtoniane, le quali verranno poi usate dal C. nelle sue successive opere.  Il Muratori si fece intermediario persino per una cattedra all'Padova da assegnargli, invito che venne pure da Londra, ma il suo ostinato rifiuto a viaggiare e lasciare la sua Modica (in ciò, ancora simile a Kant) lo portò a declinare tali prestigiose ed onorevoli proposte. Per lo stesso motivo, invitato ad assistere all'incoronazione a Re di Sicilia, nella Cattedrale di Palermo, del Duca Vittorio Amedeo II di Savoia, disdisse gentilmente la visita.  Pubblica, rimanendo però incompiuto, il poema sacro L'Apocalisse di San Paolo, in cui, oltre ad affrontare i temi della grazia e della virtù attiva, fornì pure una personale confutazione delle teorie di Miguel Molinos, fondatore del "Quietismo", un'eresia che aspirava all'unificazione con Dio. Infine, nello stesso periodo, iniziò a scrivere il primo volume di un'opera sistematica intitolata Opuscoli filosofici, di cui uscì solo il primo volume (in dialoghi) intitolato Considerazioni sopra la fisica di Newton, contemporaneamente alla stesura di un trattato, in due volumi, di fisica cartesiana, pubblicato postumo sotto il titolo Filosofia per principi e cavalieri.  La cura della sifilide con le botti di C. Pur non essendo medico di professione, C. riuscì tuttavia a promuovere, nella Contea di Modica, gli studi di medicina. Infatti, il suo impegno, quasi umanitario, lo portò a sperimentare le sue famose "botti" (dette poi botti del C.) per la cura non solo della sifilide (considerata, allora, il male del secolo, e ritenuta dalla Chiesa come un castigo di Dio per i peccati degli uomini), ma anche dei reumatismi e, in genere, di qualunque forma di artrosi.  La "botte", in realtà, è una stufa mercuriale con all'interno uno sgabello, sul quale il paziente veniva fatto sedere, in attesa della cura. Questa consisteva nel versare, in un braciere che si trovava pure all'interno della stufa, la relativa dose di cinabro, da cui, per sublimazione, esalavano dei vapori di mercurio, che erano poi assorbiti dal corpo del paziente in piena sudorazione. La novità introdotta dal C. consistette nell'aggiunta di incenso all'interno della botte, in una dose che consentiva, ai vapori sprigionati, di essere più "respirabili" per un certo lasso di tempo, variabile dai 10 ai 20 minuti circa, a seconda dalle condizioni soggettive del paziente.  Il contributo del Campailla consentì pure di modificare la forma della botte, rispetto alle altre già esistenti in Italia ed in Europa, le quali avevano un foro in alto da cui fuoriusciva la testa del paziente che, in tal modo, non poteva respirare i vapori di mercurio medicamentosi. Tuttavia, questi vapori, così esalati, erano curativi solamente per i sifilomi che infestavano la cute, i quali regredivano sì ma senza remissione del morbo (che solo con l'avvento della penicillina si debellerà), con i germi patogeni che continuavano ad agire e moltiplicarsi nel sangue dei soggetti infetti.  Invece, grazie all'innovazione del C., i pazienti, completamente all'interno della botte, potevano ora respirare la miscela di mercurio e incenso, la quale, agendo così in modo sottocutaneo, uccideva i germi diminuendone la carica patogena; spesso, si ottenevano delle guarigioni, a volte anche definitive, che, all'epoca, venivano considerate quasi miracolose. Infatti, un rapporto medico dell'epoca riferisce che  " [...] Dopo la cura mercuriale col metodo C., si può assistere a delle rinascite complete di individui ridotti in condizioni impressionanti di cachessia o con lesioni tali da rendersi impossibile qualsiasi intervento curativo per via percutanea o ipodermica".  I risultati furono talmente soddisfacenti che Modica acquisì notorietà in tutta Europa proprio per le botti del Campailla, ancor oggi esistenti all'interno dell'antico Ospedale di S. Maria della Pietà e visitabili all'interno di un percorso museale appositamente dedicato.  Negli anni a venire, le botti del C. furono, ma con scarsi risultati, imitate altrove, sia in Italia che all'estero: ad esempio, sorse a Palermo, per volere del prof. Mannino della locale facoltà di Medicina, un Sanatorio C. Fu  poi costruita, a Roma, una cosiddetta Botte di Modica; a Milano, ancora negli anni '50, furono costruite botti di vetro sul modello di quelle del C.; mentre, a Parigi, furono fondati istituti a imitazione del Sifilocomio C.palermitano, per la cura delle malattie reumatiche e nevralgiche.  Teatro La rappresentazione Cygnus, atto unico scritto da Nausica Zocco, prende spunto dalla vita e dalle opere di Tommaso Campailla, ed è stato portato in scena l'8 maggio  a Modica, per la regia di Tiziana Spadaro.  Note  L'esatta data di nascita è riscontrabile, come quella di morte, negli appositi registri dell'Archivio Parrocchiale della Chiesa Madre di San Giorgio in Modica.  Taluni, sulla base di nessuna fonte storica attendibile, hanno diffuso l'infondata notizia secondo cui C. stesso sia stato vittima della sifilide, contrariamente al fatto che lo studioso modicano costruì comunque le sue botti, per il trattamento di questa infezione quando aveva solo 30 anni, ma morì a 72 anni, età veneranda e considerevole, per quei tempi, in cui la vita media di un individuo di sesso maschile era di 55-58 anni, per non tener conto poi del fatto che, nel Settecento (e così, fino all'avvento degli antibiotici nel Novecento), un sifilitico aveva comunque delle bassissime aspettative di vita dopo il manifestarsi della malattia, dell'ordine di pochissimi anni. Ad ogni modo, le botti del C. raccolsero, per molti decenni, un gran numero di pareri positivi a favore di un loro benefico influsso contro il morbo. C., "L'Adamo" ovvero "Il mondo creato" poema filosofico, Volume unico, Messina, Chiaramonte e Provenzano, treccani/enciclopedia   Cfr. D. Scinà, Prospetto della storia letteraria di Sicilia nel secolo decimottavo, Tipografia Lorenzo Dato, Palermo, Tratto dalla Rassegna di Clinica, Terapia e Scienze Affini, Secondio Sinesio, Vita del celebre filosofo, e poeta Signor D. C., Patrizio modicano, Siracusa, 1783; ristampa Modica. Guccione, C. ed il suo museo in Modica, Leggio et Diquattro, Ragusa, Ottaviano, Tommaso Campailla. Contributo all'interpretazione e alla storia del cartesianesimo in Italia, introduzione e note Domenico D'Orsi, MILANI, Padova, Criscione, C. Un poeta e filosofo modicano, Idealprint, Modica, Guccione, C. il suo museo, la scuola medica modicana, Comune di Modica, Modica, C. e la Scuola Medica Modicana, Ed. Ingegni Cultura Modica, Modica. C., su Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. C., in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di C., su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Sotto il titolo “Disordinato discorso dell’uomo” sono raccolti due saggi pioneristici del filosofo modicano sul ruolo della mente nei sogni, nel delirio, nell’estasi e nella follia. L'estasi (dal greco ἔκστασις, composto di ἐκ o ἐξ + στάσις, ex-stasis,[1] «essere fuori») è uno stato psichico di sospensione ed elevazione mistica della mente, che viene percepita a volte come estraniata dal corpo: da qui la sua etimologia, a indicare un «uscire fuori di sé».  Nonostante la diversità delle religioni, culture e popoli in cui l'estasi è stata sperimentata, le descrizioni circa il modo in cui essa viene raggiunta risultano straordinariamente simili. Si afferma di provare in questi momenti una sorta di annullamento di sé, e di identificazione con Dio o con l'"Anima del mondo". Descrizione ed effetti. Manifestazioni dell'estasi nell'antichità. Il corteo dionisiaco 2.2 L'estasi oracolare 2.2.1 Figure oracolari 3 L'estasi nelle filosofie orientali 4L'estasi in Plotino 5L'estasi cristiana 6L'estasi paradisiaca in Dante 7Il Rinascimento 8L'Ottocento e il Romanticismo. Descrizione ed effetti Psichicamente è caratterizzata dalla cessazione di ogni attività da parte dell'emisfero cerebrale sinistro (noto anche come emisfero dominante o della "razionalità discorsiva"), consentendo così all'emisfero destro (quello recessivo o passivo, detto anche "emotivo") di attivarsi. È uno stato di estrema concentrazione simile per certi versi all'ipnosi, quando ad esempio la mente rimane attonita nel fissare un punto o un oggetto, dimentica di ogni altro pensiero. Generalmente produce uno stato di notevole beatitudine e benessere interiore. Manifestazioni dell'estasi nell'antichità Una simile condizione mentale era nota sin dall'antichità ed era considerata manifestazione diretta della divinità.[4]  Il corteo dionisiaco Nell'antica Grecia erano famose le menadi (o Baccanti), donne greche che partecipavano a riti non ufficiali. Si trattava di culti misterici e iniziatici che si svolgevano al di fuori delle mura della città ed erano aperti agli emarginati della società, quali appunto le donne, gli schiavi e i meteci. I protagonisti di questi culti (detti anche Misteri, connessi sia ai riti dionisiaci che a quelli orfici sorti intorno al VII secolo a.C.), presi in uno stato di trance o estasi ballavano sfrenatamente e uccidevano a mani nude degli animali. Si trattava di elementi legati all'aspetto esoterico della religione greca, che convivevano sotterraneamente con l'exoterismo della religiosità tradizionale.[6]  L'estasi oracolare L'estasi era ciò che rendeva possibili gli Oracoli, essendo vissuta come momento di tramite fra la dimensione terrena e quella ultramondana. A volte lo stato di estasi veniva raggiunto artificialmente mediante l'uso di sostanze psicotrope; la persona coinvolta era portata così a compiere gesti o azioni insoliti. Figure oracolari Figure emblematiche e famose per le loro estasi collegate al dono della profezia erano le Sibille, donne laiche che gravitavano presso un tempio di Apollo proprio per la loro capacità di connettersi col divino, che proferivano i loro responsi restando nell'ombra, non mostrandosi facilmente agli umani che le avessero consultate ed interrogate; oppure poi la Pizia vera e propria sacerdotessa di Apollo che dimorava nel famoso santuario apollineo di Delfi, la quale si mostrava ai fedeli e proferiva gli oracoli dopo appositi riti e sacrifici. La Pizia raggiungeva uno stato di estasi indotto dai vapori inebrianti che uscivano da una spaccatura del suolo, durante il quale proferiva gli oracoli. In Magna Grecia era invece famosa la Sibilla di Cuma, antica città greca situata nei Campi Flegrei. I responsi delle Sibille tuttavia erano spesso oscuri e non facilmente interpretabili, venendo compresi ora in un senso, ora in un altro.[9]  L'estasi nelle filosofie orientali Nelle religioni asiatiche, come l'induismo, il taoismo, e soprattutto il buddismo, l'estasi è il momento sacro in cui avviene l'illuminazione, ed è il pieno sviluppo delle potenzialità e delle qualità naturali presenti nell'individuo. Questo stato è anche chiamato onniscienza oppure saggezza suprema e perfetta, dal sanscrito anuttarā-samyak-saṃbodhi, comunemente detta semplicemente Bodhi, e corrisponde all'illuminazione del Buddha; è lo stato in cui la mente diventa illimitata e non più separata dal resto del mondo, il punto in cui il microcosmo della persona si fonde con il macrocosmo dell'universo. Diventa così possibile una condizione di nirvana, alla quale ci si allena sotto la guida di un maestro tramite la meditazione, cioè la concentrazione su di sé e la consapevolezza della propria energia. L'estasi in Plotino Secondo Plotino (filosofo ellenistico neoplatonico), l'estasi è il culmine delle possibilità umane, che avviene dopo aver compiuto a ritroso il processo di emanazione da Dio: essa è un'autocoscienza, ed è la meta naturale della ragione umana, la quale, desiderando ricongiungersi col Principio da cui emana, riesce a coglierlo non possedendolo, ma lasciandosene possedere. Il pensiero cioè deve rinunciare ad ogni pretesa di oggettività abbandonando il dinamismo discorsivo della razionalità, ovvero negando se stesso. Tramite un severo percorso di ascesi, che si serve del metodo della teologia negativa e della catarsi dalle passioni, la ragione riesce così a uscire dai propri limiti, superando il dualismo soggetto/oggetto e compenetrandosi con l'Uno. Quello di Plotino non è tuttavia un semplice panteismo naturalistico, poiché per lui l'estasi è essenzialmente un percorso in salita verso la trascendenza.  Il circolo nella filosofia di Plotino: dalla processione all'anima umana, e dalla contemplazione all'estasi. Essendo l'Uno non descrivibile, perché descriverlo significherebbe sdoppiarlo in un soggetto descrivente e un oggetto descritto (e quindi non sarebbe più Uno, ma due), anche l'estasi è di conseguenza uno stato psichico non descrivibile a parole, dato che l'estasi è la condizione stessa dell'Uno che si auto-contempla. Intuirla è possibile solo per via di negazione: tramite il suo contrario, prendendo coscienza di ciò che l'Uno non è, cioè del molteplice. L'Uno stesso, in quanto autocoscienza del pensiero, per intuirsi deve pertanto uscire fuori di sé, diventando molteplice. L'estasi è appunto l'atto con cui l'Uno genera il molteplice: essa è un cogliere tutt'insieme l'uno e i molti, in un circolo che dalla processione ritorna alla contemplazione. Cusano, teologo cristiano del Quattrocento, dirà in maniera simile che l'universo è l'esplicatio dell'Essere, ovvero il fuoriuscire di sé da parte di Dio.  A differenza del Cristianesimo però, secondo Plotino l'estasi non è un dono della divinità, ma una possibilità naturale dell'anima. Essa tuttavia si manifesta non per una propria volontà deliberata, ma da sé, in un momento fuori della portata del tempo. Plotino stesso raggiunse l'estasi solo tre o quattro volte nella sua esistenza. Viverla è infatti dato a pochissimi, in rari momenti della loro vita. L'estasi inoltre non serve ad uno scopo pratico; essendo contemplazione fine a se stessa, in questo mondo non c'è nulla di più inutile. È solo nell'estasi però che l'essere umano ha la rivelazione della sua condizione più vera e autentica. Per il resto la via indicata da Plotino verso la saggezza consisteva in una vita retta, oppure nella ricerca di espressioni artistiche come la musica.  L'estasi cristiana  Santa Teresa d'Avila La filosofia plotiniana diede quindi avvio a una lunga tradizione neoplatonica, che concepiva l'universo animato da un eros o tensione amorosa mirante a ricongiungersi a Dio tramite l'estasi. La teologia di Plotino fu ripresa in particolare da quella cristiana, e rivisitata però alla luce dell'aspetto personale della Trinità. L'estasi venne intesa in un senso più ampio: per il cristianesimo essa non è più soltanto una contemplazione fine a se stessa, ma è funzionale all'azione; deve tendere cioè non solo verso Dio, ma anche verso il mondo. Tale mutamento di prospettiva venne introdotto affiancando all'amore greco di tipo ascensivo, corrispondente al concetto di eros, un amore discensivo corrispondente al concetto evangelico di àgape. L'esperienza estatica cristiana consiste così in una comunione, una sorta di abbraccio col mondo e l'umanità in esso dispersa con lo scopo di alleviarne le sofferenze e ricongiungerla al Padre.  Essa avviene tramite un'illuminazione operata direttamente da Dio. Questi fuoriesce nel mondo non per un atto involontario (com'era nel plotinismo), ma perché ama le sue creature. Identificarsi con la sua estasi divina è, secondo Agostino, la meta naturale della ragione umana, la quale può riuscirci non per una deliberata volontà individuale, ma per una rivelazione da parte di Dio stesso che si rende presente alla nostra mente; l'estasi è dunque essenzialmente un dono, reso possibile per intercessione dello Spirito Santo, grazie a cui l'essere umano trascende i propri limiti e si rende strumento di Dio nel mondo.A differenza di altre religioni la persona coinvolta non perde comunque la propria individualità, pur compenetrandosi in Lui.Per i mistici medioevali, come San Bernardo, o i neoplatonici tedeschi come Meister Eckhart, l'estasi è una visione beatifica che avviene quando l'anima è rapita in Dio, e l'essere si annulla in un Pensiero senza più limiti né contenuto: Dio infatti non può essere oggettivato, perché non è oggetto, ma Soggetto. Si tratta di una comunione mistica accesa da un fuoco d'amore, un'esperienza di beatitudine suprema simile a quelle che saranno riferite in seguito anche da Santa Teresa d'Avila, figura di riferimento della Controriforma. Un'altra testimonianza sull'estasi in tal senso è quella medioevale del beato Jacopone da Todi nella lauda O iubelo de core.  L'estasi paradisiaca in Dante Nel Trecento Dante Alighieri, nel Paradiso della Divina Commedia, di fronte alla visione beatifica di Dio, negli ultimi versi della cantica prova così a descrivere l'estasi, conscio della sua ineffabilità, dell'impossibilità di riferirla a parole in maniera oggettiva:   Dante contempla l'Empireo, incisione colorata dell'originale di Doré «Qual è 'l geomètra che tutto s'affige per misurar lo cerchio, e non ritrova, pensando, quel principio ond' elli indige, tal era io a quella vista nova: veder voleva come si convenne l'imago al cerchio e come vi s'indova;  ma non eran da ciò le proprie penne: se non che la mia mente fu percossa da un fulgore in che sua voglia venne.  A l'alta fantasia qui mancò possa; ma già volgeva il mio disio e 'l velle, sì come rota ch'igualmente è mossa,  l'amor che move il sole e l'altre stelle]»  (Paradiso) Il Rinascimento Il desiderio di estasiarsi godette quindi di una notevole fortuna durante il Rinascimento. Al di là del significato religioso l'estasi assunse allora principalmente una valenza artistica o estetica. Il bello era visto sia dai filosofi rinascimentali che dagli idealisti romantici come la via privilegiata per ricongiungersi a Dio. Bruno paragonò l'estasi a un eroico furore: non un'attività pacifica che spegnesse i sensi e la memoria, ma al contrario li acuisse, simile a un impeto razionale. A una rivalutazione dell'estasi nell'Ottocento contribuirono sia la Critica del giudizio di Kant, sia l'idealismo di Fichte e Schelling. Kant vedeva nel giudizio estetico un sentimento universale di partecipazione con l'Assoluto, nel quale la ragione non è più vincolata da un'attività conoscitiva soggetta alla necessità delle relazioni causa-effetto, ma è libera nel formulare i propri legami associativi. Per Fichte l'estasi è intuizione intellettuale, l'atto immediato con cui l'Io, nel diventare autocosciente, può intuire se stesso solo in rapporto a un non-io; così nel porre se stesso l'Io pone al contempo anche il molteplice al di fuori di sé. Parimenti Schelling vedeva nell'estasi un'attività infinita con cui Dio crea il mondo. L'uomo può riviverla nell'estasi artistica, che è la manifestazione più tangibile dell'Assoluto, nel quale l'aspetto attivo e passivo, il lato conscio e quello inconscio della mente, non sono più in conflitto tra loro, ma si fondono in una sintesi armonica di comunione cosmica con la Natura. Mantegazza, Le estasi umane, Marzocco, Firenze; La Civiltà Cattolica; Legislative Reference Bureau, Roma; Enciclopedia Treccani alla voce «estasi», di Marco Margnelli e Enrico Comba, Giovetti, Dizionario del mistero; Mediterranee, Atlante illustrato della mitologia del mondo; Giunti; Bianchi, A. Motte e AA.VV., Trattato di antropologia del sacro, Jaca Book, Milano; Diana Tedoldi, L'Albero della musica: tamburo, stati altri di coscienza; Anima Srl; Burkert, La religione greca di epoca arcaica e classica;  Jaca, Messina, Riflessioni e verità; Edizioni del Faro; Aa.vv., Dizionario della Sapienza Orientale: Buddhismo, Induismo, Taoismo, Zen; Mediterranee; Kerouac, Il libro del risveglio, a cura di T. Pincio, Mondadori; Evola, Oriente e Occidente; Mediterranee; «La scienza è ragione discorsiva e questa è molteplicità: perciò, una volta caduta nel numero e nella molteplicità, essa perde l'Uno. È necessario dunque trascendere la scienza e non allontanarsi mai dal nostro essere unitario, ma abbandonare la scienza. Perciò si dice che Egli è ineffabile e indescivibile» (Plotino, Enneadi, VI, 9, 4, trad. di Faggin). Faggin, in La presenza divina; D'Anna editrice, Messina-Firenze; Severino, La filosofia dai Greci al nostro tempo; Il circolo nella filosofia di Plotino, Milano, Rizzoli; Faggin, Mazza, La liminalità come dinamica di passaggio: la rivelazione come struttura osmotico-performativa dell'"inter-esse" trinitario; Gregorian Biblical BookShop; Sulla differenza terminologica tra agape ed eros, cfr. E. Stauffer, Agapao, in G. Kittel-G. Fridrich, Grande lessico del Nuovo Testamento, vol. I, Paideia, Brescia; Bonetti, Matrimonio in Cristo è matrimonio nello Spirito, p. 63, Città Nuova; Julien Ries, Communio, p. 88, Jaca; Come una piccola goccia d'acqua che cada in una grande quantità di vino sembra diluirsi e sparire per assumere il sapore e il colore del vino; così ogni affetto umano, nei santi, deve fondersi e liquefarsi per identificarsi alla volontà divina. Come infatti Dio potrebbe essere tutto in tutto, se nell'uomo restasse qualcosa di umano? Senza dubbio, la sostanza rimane, ma sotto un'altra forma, un'altra potenza, un'altra gloria» (Bernardo di Chiaravalle, De diligendo Deo, 10, trad. di G. Faggin). ^ Santa Teresa d'Avila descrive l'estasi come un momento di "assenza" nel quale afferma di aver percepito tutto il dolore provato da Cristo durante la Passione, ma anche una così grande gioia interiore da coprire il dolore (cfr. Autobiografia). ^ Nella descrizione di Dante si tratta di quella condizione paradossale di «estasi per cui la mente esce di sé e perviene a un potenziamento di sé» (T. Di Salvo, Paradiso, Zanichelli). ^ Reinhard Brandt, Filosofia nella pittura: da Giorgione a Magritte, p. 432, Pearson Italia S.p.a.;  «Una delle qualità necessarie al sapiente, cioè a colui che intende spingere l'ascesi conoscitiva fino all'estasi e all'indiamento (farsi Dio), è un livello erocio di amore per la bellezza, un furore divino nella terminologia di Ficino» (Ubaldo Nicola, Atlante illustrato di filosofia, p. 238, Giunti). ^ Ubaldo Nicola, Atlante illustrato; Pozzolo, La fede tra estetica, etica ed estatica, p. 64, Gregorian Biblical BookShop, 2011. ^ S. Mati Novalis, Del poeta regno sia il mondo. Attraversamenti negli appunti filosofici, p. 81, Pendragon, Franco, Essere e senso: filosofia, religione, ermeneutica, p. 170, Guida; Cfr. anche Luigi Pareyson, Lo stupore della ragione in Schelling, in AA.VV., Romanticismo, esistenzialismo, ontologia della libertà, Mursia, Milano; Carlo Landini, Psicologia dell'estasi, Franco Angeli, Milano 1983 Ioan Petru Culianu, Esperienze dell'estasi dall'ellenismo al Medioevo, Laterza, Bari; Eliade, Lo sciamanismo e le tecniche dell'estasi, ed. Mediterranee, Razzano, L'estasi del bello nella sofiologia di S. N. Bulgakov, Città Nuova, Merlin, F. Vettori, Un'estetica estatica, edizioni Cleup, Padova; Beatitudine Esperienza extracorporea Illuminazione (Buddhismo) Illuminazione (cristianesimo) Indiamento Misticismo Sofianismo Trance (psicologia) Transverberazione «estasi» Estasi, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Stati di coscienza; Filosofia Portale Filosofia Psicologia Portale Psicologia Religione Portale Religione Categorie: Concetti e principi filosoficiEmozioni e sentimentiFilosofia della menteMisticaTeologia  Comie ſi genera; Nima Ragionevole, come di Anima, come sà, che, fuor del ſuo ſcorre nel Corpo Organico. St.1. Corpofieno, altre Coſe Corporee.27. Obbietti Senſibili terminan le Idee Per le Idee degli Obbietti,nel Senſo nel Senſo Comune. St. 2. Comune rappreſentatele. Corpi Striati, e loro ſtruttura, 3. Cometalora s'inganna. Fornice, e ſua teſtura; Delirio nell'Ubriachezza; Setto Lucido, e ſua fabrica. 5. Vino or fà dormire,or vegliare. 32. Corpo Calloſo, e ſua anatomia. 6. Come alle volte porta il ſonno. 33 Senſo Comune ne 'Corpi Striati. 7. Come talora induce vigilia. 34. Da quali paſſano tutti gli Spiriti Ubriaco, perche Delira. 35. Motivi, e i Senſitivi. 8. Mania, eſuo Delirio. Anima,in quanto ſente,riſiede ne’ Corpi Striati. 9. Siſpiega in particolare. 40. Fantaſia ſi eſercita nel Fornice. Io. Morficati dal Can rabbioſo, e lor Memoria riſiede nel Corpo Callofo.1.1. Delirio. 43. Imaginativa, come ſérve al Di Come prendon proprietà Canine. 44. ſcorrere.. E credono, eller Cani. 45. Facoltà Motiva,coni'è eccitata. 13. Core procede tal Trasformazione.46. lilee Senſibili,coine ſi formano,e 's' Delirio Febrile, ò Frene fiu. 48. imprimono nel Cerebro. 14. Come faffi. 49. Spiriti Animali, fimilialla Luce.15. Come ſi dà Febre ſenza Delirio, e Paragone fra queſta, e quelli. 16. Delirio ſenza Febre. Spiriti Animali, comeformano le Cerebro deſtinato agli uficj Anima Idee. 17. li, e il Cerebello à i Vitali. FI. Idee non ſono, che una pittura, in Anatomia del Cerebello. protata nelle pieghe del Cerebro.19. Nervi, che naſcono dalCerebello. 53. Sterienza. · 20. La Mente non bà dominio ſul Cea Idee, come laſciano la loro inpronta rebello. 54. nuel Corpo Calloſo. 22. Comunicazioni fra il Cerebro, e il inima, come ſi rigorda. 24. Cerebello ſcambievoli. 55. Guajti gli organi del Diſcorrere, Impreſſioni del Cerebro,come ſi par iguafla il Diſcorſo Umano. 26. tecipano al Cerebello, e quelle 50. 52. del 227 84. del Cerebello al Cerebro. 58. Come ſi genera. 79. Agitazione Febrile, cagionata al Delirio dellº Incubo, come ſi forma.81. Cerebello, partecipanıloj al Ce Maliæconia Ipocondriaca. rebro, induce il Delirio. 59. SueCagioniantecedenti. 85. Non comunicandoſi, no’l produce.62. Suoi triſti effetti. 86. Delirio de ' Sognanti. 63. Come induce ilDelirj. 89. Sonno, come ſi fa. 64. Per gli efluvj degli Umori, corrotti Cbefia 68. nelle Viſcere, 90. Sogni, come ſi formano. 69. | Rimedj, che riducono allo ſtato di Sogni, perchè ſi formano,à miſura Sanità gli Organi, guariſcono, degli Appetiti, e delle Paffioni dal Delirio. 91. attuali, 74. Diſcorſo depravato per erroriLoa Incubo. 77. gici, e ſuoi rimedja IXIETAS2140S147 Μ Α Ν Ω. ARGOMENTO. 27482 A82FATIRAF ETAFARAYAX 2X1% XKAYARANJE D E l'ordinato pria Diſcorſo Umano Dichiara la Meccanica ragione il dotto Serafin, poi de l’ Inſano Le falſe Idee, l Opere prave eſpone: Qual ne i Senni, anche Savj, il ſogno vana Le incongrue fantaſie finge, e compone; Qual la Ragion prevarica, e travia L ' Ipocondriaca, à l' Uom, Malinconia. STATE 1 sãto, 2.Su queſte Midollar due fondamenta Del Corpo inilerabile, c mortale La propria mole anteriore appoggia Compreſo lò dal tuo dir, cô doglia,e pianto, Il Fornice, che il Cerebro ſoftenta, Lo ſtato lagrimevole, e fatale, Ed in Corpo Calloſo ad alto poggia. Seguì à parlar, per conſolarmialquanto, Sul Midollo allungato ei, dietro, afſenta De l'Anima si nobile, c Immortale; Due pic poſterior, di Volta in foggia: Coin'ella, in queſta fua Corporca mole, Del Palagio cosi de l'Alma intero Intende, idea, membra, diſcorre, e vuole. L'uno, e l'altro loftien doppio Emisfero. 5 E il Serafin: Dopo che invia l'Obbietto Mà del Fornice al tetto interiore, Il Carattere fuo nel Sento eſterno, Qual Zona, un Setto lucido li appende; Per il canal de Nervi, ei và diretto Che, in mezo, da la parte anteriore, Sè ad improntar nel comun Senfo interno. A la poſterior, curvo, diſcende. Queſto è il luogo del Cerebro, ch'eletto A i lati fuoi, con ſempre ugual tcnore E de moti ſenſibili al governo. Di quà, di là ſerie di ſtrie, ſi ſtende, Qual van le linee al centro, in lui convienli, Che tutte in lui riguardano egualmente, Ch’entrin tutte le Idee de gli altri Senſi. Il qual, di Vetro in guiſa, è traſparente. 3. 6. Pria,che il Cervello i ſuoi due faſci accoppi L'ampio Corpo Calloſo è ſovrapoſto In Midollo allungato, e poi Spinale, Al Fornice, e sù quel li ammaſſa, e annette, Da quai ſpuntano pofcia, ad ordin doppi E con ordin mirabile è compoſto Tutti i Nervi del Senſo univerſale, D'inteſti filamenti à retinette, Di Cannei Midollar compon due groppi, Di cui l'immenſo numero diſpoſto Conici, e curvi, in forma lunga ovale In fuperficie vien piane perfette, Che, perchè ſono à lunghe ſtrie ſolcati, Molli così, che ammettono, à l'azzione ' i detti laran Corpi ftriati. De gli Spirti, ogni minima impreffione. Entro de i Midollar Corpi Striati, E de gli eſterni Obbietti lor là dove La reſidenza il Comun Senſo ottiene, Hà la Malizia, d la Bontà compreſa, C'hà de le proprie Glandole irrigati I principj de i Nervi apre, e vi piove Le cavità, di Spiriti ripiene, Copia di Spirti, ove ella vuole, inteſa: Atti ad eſſere impreſli, e conformati I Muſcoli ritira, e i membri move In ogni Idea,che a lor da i Senſi viene, Al'ampleſſo, à la fuga, à la difeſa; Azili, e fnelli, à figlirarſi eſpoſti E quando poi di quei reſta ſicura D'infiniti, in cui fian, modi, diſpoſti. Più Spiriti non manda, e i Nervi ottura 14. I Nervi in lor degli Organi Senſori Spiegami meglio (aggiūge Adam )traslata, Tutti invian de gli Spiriti i refulli: Come i'ldea nel Comun Senſo ha forma: E quei, da lor, de gli Orgeni Motori Come dal Settolucido paſſata, Spontanei tutti han degli Spirti i fluſſi: Entro il Corpo Calloſo imprime l'orma: Cid, che vien dentro ammeſio, ch'eſce fuori E come poi, che in quel reſta improntata, Di Senſitivi, o di Motivi in Auſli, Entro la Fantafia la Copia forma, Del Cerebro, ove l'Alma à regnar ſtarfi, Simile a quella Idea, che pria l'affiſſe: Per queſta regia Via, convien, che palli Cosi ei richiede: E così Quei gli diffe 9. 15. In queſti l'Alma Umana, in quanto ſente, Benchè vario fra loro il naſcimento Corpi Striati aſſiſte, e ognor riſiede: Han la Luce, e gli Spiriti Aninali: Quilegata, à gli Spirti intimamente, Che quella dal ſottil Primo Elemento, La sè, incorporea, à i Corpi aggir concede: Queſti portan dal Terzo i lor natali, Qui l'occhio Spirital ſempr’hàprefente: Ne la velocità, nel movimento, Qui tocca, guſta, odora, afcolta, e vede: Nel Terbar riflettendo angoli eguali Qul le potenze Senſitive hà immote, De l'incidenza à l'angolo, ſembianti Qui non ſentir ciò, che s'idea,non puote. Fra lor ſon inolto, c in eſſere rifranti. 16. La Fantaſia, del Fornice nel Setto Tra gli ſpazi de GloboliCeleſti Lucido, fuole eſercitarli, cui Ruota in centro la Luce, à vorticetti: Come pervio, e diafano perfetto Girano in centro ancor mobili queſti Per ogni parte han via gli Spirti ſui, Sottilmente formatl in Globoletti: Qui le Idee rappreſentano l'aſpetto, Son de la Luce i Corpi agili, e preſti, Che dal Senſo Comun paſſano in lui: Atti à modificarli in vari aſpetti; Le mira in queſto Specchio, e le contempla Queſti da Corpi,onde ſon mai rifelli, L'Alma, e in sè Spirital l'Idee n'eſempla. Tornano poi modificati anch'eſſi. 17. La Idea, dal Setto lucido, leggiera Quale il Lume de i Corpi, onde riflette Entro il Corpo Calloſo alfin trapaſſa, Ovunque dirizzarſi abbia permeſſo, E ne le tele ſue l'Iminago intera, Di quei le colorate Immagginette Imprime, e il ſuo Carattere vi laffa. Modificate al par porta in sè ſteſſo: S'impronta in lor, come Sugello in cera, Ne gli ſpirti de l'Ottiche fibrette Nè per tempo sì facile fi caffa. Quelle dipinge, entro de l'Occhio ammeſlo: Altre Idee in altre fibre impreffe poi Laſciando in quegli Spiriti i modelli Serbano à la Memoria i teſor fuoi. Che ne la fuperficie ebb’ei di quelli. 12. 18. Se diſcorrer talor la Mente hà brame Tal gli Spirti Senſor modificati Sù quelle Idee, che il Comun Senſo invia Da gli obbietti, onde füro indietro ſpinti; Uop'è, che le trafcorſe Idee richiame Nel Comun Senſo portano traslati, Dala Mémoria à la fua Fantaſia. Quegl'Idoletti Mobili diſtinti, Ponle nel Setto lucido ad elame, Che nela Fantafia rapprefentati, Le rigette, o le approva, odia, ò defia, Ne la Memoria alfin reftan dipinti, A miſura, che trae da loro effenze Con quello ſteſſo colorato aſpetto, Utili, a infaufte à sè le conſeguenze. Che in ſuperficie å vea l'efferno Obbietto. L'Adamo del CampaiHas Mmm L'ldos ro. IL DISCORSO UMANO. L'idea, che ne le fibre interiori In queſta forma, Adam, l'Umana Mente; Del Caitofo Midol poi fi figura, Mêtre informa il ſuo Corpo,e leſuc Membra) Per mezo de'caratteri impreſſori Da i fantaſmi di quello è dipendente: Non è, ch'una verilima pittura, Con queſti ſente, immagina, e rimembra: Per via dipinca in lor, non di colori, Mà in sè diſcorre, e vuol liberardente, Mà per mutazion de la teſtura, E ciò clegge, che buon, che bel le ſembra: Chenegli Spiīti !!! tal rifleſſo induce, Pur, de gli Enti Corporei, uop'e, che penſi, Quale iColor riñettono la Luce. Per via d'Idee material di Senſi. 26. Non ſono i Color tutti altro in sè ſterfi, Mà perd, che del Corpo i Morbi fono Che ſuperficie, tal.configurata, Per l'intima union, Morbi de l'Alma, Sù cui rifranti i raggi, e infiem rifleſſi, Perdendo il Corpo il natural ſuo tuono, Han si la rifleſſion modificata, Se inferma è mai la fua Corporea Calma, Che imprimono ne l'Occhio i color Ateli. La Mente, che nel Cerebro ha il ſuo trono Con cui la ſuperficie è colorata: Tra gli Spirti animai non reſta in calma; Cosi Criſtal diafano hà coſtume Perchè di lor difregolato il corſo, Sol culorir per Refrazzione, il Lume. La perturbata Idea turba il Diſcorſo. 21. 27., Si diffé il Serafino, e tenue Stile Che ſien fuori de l'Anima in Natura Che di piun colore affatto intinſe, Corpi reali, e fisici, eſiſtenti, Sù quella, che il veſtia, tela ſottile La Mente entro il ſuo carcere procura Scolpi la fuperficie, e la dipinfe, Da i canvelli ſcoprir de'Sentimenti, E à colorata Immagine fimile, Sol per mezo de'Senſi ella è ſicura, Immago in lei, fenza color, diſinfc, Che fieno quelli al Corpo ſuo preſenti. Che in quel fcolpito Lin con par tenora Nel Comun Senfo, à l'obbiettiva effenza, Il Lume riticttea, qual fa il Colore. De le coſe attual så l'Efiſtenza. 28. Cosi (poi fegue à dir ) la ſola azzione. Sc al Comun Senſo fuo fi rappreſenta De lo Spirto animal rr odifica to, Idea, che altronde ella avvenir ti avvcda, Få nel Corpo calloſo impreſione, L'Obbietto, far non può, che allor non ſenta, Con renderlo, in riflettervi', improntato. E ſentirlo non può, che non lo creda. Tanto, ver'fua natia coſtituzione, Così à l'Occhio ſe alcun ti ſi preſenta, E' quel Midollo tenero formato Tu già mai far potrai, che non lo veda: A''Idea Spiritofa in lei rifleffa Così se ne lo Specchio Immigo eſpreſſa, Ccde la superficie, e reſta impreſa. Noncrederla non puoi da Obbietto impreſa.?? 29. De l'Occhio in modo tal sù la Retina, Or qualvolta à la Mente Idea ſi porta Che ancor 'efla Soſtanza è Midollare, Entro il Senſo Comun per altra via, Se talun filo 1 riguardar ſi oſtina Che per la regia, ed ordinata porta, Illuminofo in Ciel Corpo Solarc, Onde al Senſo Comun l'Idea s'invia, Per molto tempo,ancor, che il guardo inchina, Mà lo Spirto retrograda la porta Del Sol P'linmago lucida gli appare; Da la Memoria, • da la Fantasia, Elabbagliato acume ovunque gira, Per la ſtrada de'Senfi allor la crede Quell'infocato lampo ognor rimira. Da Obbietto eſterno impreſa, e le dà fede. 24. 30. Mà fe di ricordarti unqua defia E Fede tal, che giudica, e diſcorre, La Mente poi di un traſandato Obbietto, Qual ſe agiffe, nel senſo eſterno Obbietto; Al Calloſo Midot, placido, invia E a miſura ingannata amalo, dabborre, Di Spiriti animali un rivoletto, Cheprova in sè ſvegliar gioja, è diſpetto; Che in quell'Idea incontrandoſi per via, Agita i membri, e à un operar traſcorre Torna modificato in Idoletto: Corriſpondente à l'eccitato affetto: Dal Tipo Midollar la forina prende, Depravato cosi delira infano E de l'antica Idea (imil ſi rende. Per morboſa cagion Diſcorſo Umano. A turbar giunge un Senno, anche prudente, Per fimile cagion, ſe non la ſteſſa, De l'afforbito Vin le copia enorme: Mania provien, d'onde Ebrietà provenne Che l'eſaltato Spirito la Mente, Perchè la delirante Ebrezza eſpreſſa Or forza à delirar con vane forme, Di breve tempo è una Mania ſolenne, Or gli Spirti gli ottenebra talmente, E la Mania, nel Senno Umano impreffa, Che n'è ſopito ogni fuo Senſo, e dorme. Di lungo tempo è un'Ebrietà perenne, In diverſi Soggetti hà varj eventi, Furiola Mania, cui fon ſoggetti Ch'or furiofi rende, or fonnolenti. Gli acuti più talor favj Intelletti. 38. Il come ad indagar, contrari, vate, Il Sangue de Maniàci è con ecceffo Effetti à partorir ne gli Ebri il Vino, Tal di Sulfurei ſpiriti impregnato Rifletci, che nel latice vitale Che col reſpir per i Polmoni in eſſo Del Sangue è un doppio fpirito falino: Il Nitro aereo ſpirto infinuato, L'un,che diſciolto entro il fuo Siero è un Sale Spira nel vicendevole congreſſo Urinoſo volatile Alcalino: Indomitaura, ed alito sfrenato, L'altro dentro del Sangue infinuato, Ch'eſalta in movimenti univerfali Con l'Aria, e i Cibi, è un fpirito Nitrato, Pria gli Spirti vitai, poi gli animali, 334 39. In quei,che la purpurea,in copie,han piena, Che concorrendo ai Cerebro, accreſciuta Mafia Sanguigna, di Alcali urinofo, Di moto, e quantità, rapiſcon tutti Lo ſpirito delVin ſi meſce appena, Gl’Idoletti Ideal, che contenuti Che genera un coagolo vifcolo. Trovan nel Setto lucido, e ridutti, La Linfa ingroffa, e i vitai Spirti affrena, O fien da la Memoria, ivi venuti, E concilia un ſonnifero ripoſo. O ne la ſteſſa Fantaſia coftrutti, Tal Miſto, fi condenfa in gelatina, E invianli al Comun Senſo, e de la Mente Lo ſpirito di Vino à quel di Urina, Ingannano colà l'occhio preſente. 34. 40. Mà in quell'Uomo,in cui trovafi eccedente Qui dice Adam: D'un operar al ſcempio Il Sal Nitroſo entro il Sanguigno Umore, De PUman miſerabile Intelletto Mifta appena del Vino è l'Acquardente, Tal che può farlo e furiofo, ed empio, Che à gli Spirti vitai creſce il fervore, Di prudente, che ſia, ſano Soggetto, Spirando un'aura Elaſtica potente, Deh dona à me, mio Precettor, l'eſempio Che gli Spirti animai move à furore. Per farne più diſtinto alcun concetto, Tai lpiran, mitti, un'alito focolo Cosi lo prega, e il Serafin verace Del Viu la Ipirto., e l'Acido Nitroſo, Il di lui bel deſio cosi compiace. Quindi de gii Ebri à i Midollar cannelli Il Sangue del Maniaco un tal fervore Lo Spirito con impeto s'invia: Nel ſuo Corpo talor riſveglia, e crea, Seco il caratter trae, che ne ſuggelli, Che il capo punge, o il petto, e di un dolore Trova de la Memoria, e il porta via, Intenſo à lui fà lovvenir l'Idea, L'aſporta feco al Comun Senſo, e quelli, Quando di un ſuo Nemico oftil furore Che trova, anco tener la Fantafia, Ferillo, e tutto il fatto allor s'idea: Ne i Corpi introducendoli Striati, Poi da la Fantaſia per falla porta Per retrograda frada ivi traşlati. Al fuo Senſo Comun l'Idea fi afporta. 42. Quella Idea crede allor l'Umana Mente E da la vaua Idea l’Alma ingannata, Introdotta per via di eſterni Senfi Che rappreſenta il ſuo fucceſſo antico, Da Obbietto, che fia à l'Organo preſente, Stima ver ciò, che vede, e che aſsaltata Che quei moti Sengbili difpenfi. Sia, già preſente à lui., dal ſuo Nemico. Onde ingannata, avvien, che follemente Si accinge a la difeſa, ed opra irata De la ſtesſa maniera operi, e penſi, Cotr'Uoin, che gli ſi incotra,ancor che amico, Comc fe quell'Obbietto aveffe avante, Che, preoccupata da l'Idea mentita, Di qui la vana Idea forta il ſembiante, Nemico il crede, e contro lyi s'irrita. Mà mirabil vieppiù, più portentoſo Che da quei Solfi indomiti inveſtiti Loſtravoito penſiero è del Diſcorſo Di periferia al centro in mille forme, Di chi dal dente mai del Can rabbioſo Syolgon de Simulacri, ivi ſcolpiti, Prova in un di fue meinbra il fero morſo, L'Idee de la Memoria, à varie torme; Che infetto già dal ſuo velen bavoſo, E ne la Fantaſia poi male uniti E dopo ancor, che lungo tempo è ſcorſo, Soa gi'iacaagruiFantaſmi in ſtuol deforme: Fra mille altri ſintomi alfin riinane, Alfio nel Comua Senſo entran ſovente, Col creder sè già trasformato in Cane. Adingannare, à ſpaventar la Mente. 44. 50. Nè ſolo al par del Canc addenta, e morde, Febricitando il Sangue, uopè, che fpici E ſimile anche al Cane ei latrar s'ode Del Cerebro più Spirti à le latebre: Ma con fame Canina, e voglie ingorde Delicando gli Spirti, uop'è, che giri Prono diyora į cibi, e l'olla rode; Il Sangue in pollazion celeri, e crebre: E con oprar col ſuo penſier concorde Or come Febre è mai lenza Deliri? Le qualità Caninç affettar gode; Come delirj fon mai fenza Febre? Lungi chi vien sà preſentir, dotato Adamo al Serafin cosi propoſe: Di acuto, e ſottiliffimo Odorato. E si ad Adamo il Serafin riſpoſę. 45. Premetto, per ſpiegar, d'onde contratto Per dichiarar Fenoineno si bello, Concetto Uom poſſa aver cotanto ſtrano, Che interamente jo ſviluprar prometto, Che allor, che vien de l'unione à l'atto Dopo gli uſi, che detti hò del Cervello, Il corpo fral con l'Animo ſovrano, Deggio gli uſi anche dir del Cervelletto: Gl'imprime de'luoi Spiriti il contatto Cheagli uficj Animali eletto è quello, L'ldea di eſſer congiunto à Corpo Umano, A gli uli Naturali è queſto eletto: La qual conſiſte in ’ n Caratter tale, Må pria di eſaminar la ſua Natura. Ch'ngli Spirit, Umani è fpeciale, Sentine l'anatomica Struttura. Del rabbioſo Velen taptu inaligna Nel Cranio è, dietro il Cerebro, ripoſto Hà corrottiya attività la Forma, Il picciolo Cervello, e ſegregato, Che gli Spiro animali, ov'egli alligna, In forina quaſi sferica diſpoſto, Ajo: o à poco in sè inuta, e trusforına, E da le due Meningi andò ammantato: In rio Venen l'Aura animal traligna, Di Cannellini hà il ſuo Midol compoko i E di Canin Carattere s'inforina: E il cortice di Glandole am maffato, Cool ne le Materie, oy'i gli ha loco, In cui con Meccaniſmi, al grande eguali, Muta, e trasforma il tutto in foco il Foco. Si prepurun gliSpiriti aniinali. 47. S3 Sentendo aggir quell'Anima infelice Dal Cervelletto fol naſcon produtti Impreſſion di Spiriti Cunini, Quei Nervei tronchi, e quei lor rami varj; La di cui f.colta immaginatrice Che daii gli Spirti à i Muſcoli, coſtrutti Hà depravuti affatto i retti fini, Al miniſter de’moti involontarj. Tradita ancor da quei Fantalmi, elice Da lui movong i Vaſi, e gli Umor tutti, Da ſe Brutali affetti, atti Ferini, Ch'a l'uficio vital ſon neceffari, Adam, nel tuo fullir quanto hai perduto ! Cor, Vene, Arterie, Glandole, Fermenti, Sei ſoggetto ad un Mal,che di Vom fà Bruto. Polmon, Linfa; Inteſtin, Chilo, Alimenti. 48. 54. Dal già detto finor molto evidente Giuridizion ſul Cerebel la Mente Argomentar fi può, come fi dia Punto non tien, nè i ſuoi eſercizi hà noti, Il Diſcorſo de l'Uomo incoerente Non sà, chiuſa entro il Cerebro, nè fente, Nel Delirio Febril, ch'è Freneſia: Come il Chil ſi amminiſtri, e il Sangue ruoti. Che allor, che bolle il Sangue in Febre ardête, Di quel, che dal Cervello è indipendente, S fulfurea falina hà diſcraſia, Fermar non puote, è regolarne i moti. Gi Spiriti nel Cerebro avanzati, Aſſoluti, e diftinti i lor Governi In copia, c mobiltà fon gencrati. Commercio hap fol per ſei Proceſſi alternt. Manda Manda al Cervello il Cervelletto pria E per la via retrograda, ch'è dietro, Doppia Protuberanza orbicolare, Paffa nel Setto lucido il torrente: Più baſſo due proceſſi indi gl'invia Quelle Idee, che vi trova ei ſpinge addietro Per la Protuberanza altra anulare, Verſo i Corpi Striati obliquamente; Due altri alfine imprendono la via E al corſo natural turbando il metro, Da ſuoi due Gambi al Calcc midollare L'offre per falfa porta ivi à Ja Mente E di Spiriti alterni han participi. Che venute credendole da i Senli, De’Nervi il pajo ottavov'hà principja. Vopè, che follemente operi, e penſi. 56. 62. Per l'uno, e l'altro orbicolar Ricetto Se però nel ſol Cerebro è riſtretto Son gli Spirci animai partecipati De'Spirti il moto, e de'fantafmi erranti, Da gli Striati Corpi al Cervelletto, E à trapaſſar non và nel Cervelletto, E daqueſto anco à i Corpi fuoi Striatia Senza febricitar fà deliranti: Per le altre quattro vie con corſo retto Perchè fol ne ſuoi Spiriti è il ſoggetto, Vengono, e ven gli Spiriti mandati, Che fà le Arterie, e il Cor febricitanti; Pe'l calce midollare, ove inſeriſce E quello Spirto, onde il ſuo moto prende Le ſue due braccia il Fornice, e li uniſcea L'Arteria, e il Cor, dal Cerebel diſcende a 57. 63. Sol queſte ſon le occulte vie, per cui Maggior ſoggiunſe Adam ) inêtre a dormea Ciò, che ſuccede in lor di ben, di male, Stupore, è il Delirar di fan penſiero, Mandanſi internamente infra lor dui Che di vani fantaſmi, e incongrue forme Il vital Miniſtero, e l'animale, Ad un ſtuol dona fe si menzogniero, La Potenza animal gli affetti ſui I qual, non ſolo al Ver non è conforme I moti fuoi la Facoltà vitale, Mà par, ch'è falſo, e credefi per vero: Secondo, in Pro comune, à lor conviene, In modo tal, che un Senno, anche prudente, Opporſi al Mele, o farfi incontro al Bene. Di creder gl'impoſſibili conſente. 58. 64; E quinci avvien, che al ſol penſier ſovente Come inganni la Mente à dichiararti Nel Cerebro, o di Gioja, d di Timore, De i Sogni l'incredibile Bugia, Moffo è il Polmone, e il Cor placidamente (Replica Raffael) d'uopo è ſpiegarti, Soſpira il Petto, e batte fpeſſo il Core. Come il Sonno produceſi, e che ſia: Quete, è ſvolte le Viſcere, hà la Mente Mà pienamente, Adam, rammemorarti L'idea de la Salute, ò del Malore: La teſtura del Cerebro dei pria: Intelligenza, e auſiliario impegno Che la foſtanza ſua, teſfuta á velli Paſſa così tra le Provincie, e'l Regno. Di cavi coſta, e sferici Cannelli. 59. 65. Or mentre la febrilc agitazione Che à i lati de'ſuoi concavi Canali Nel Sangue, e ne le.Viſcere ſi avanza, Triangolar fon gl'interſtizj inteſti: Gli efAlvj.al Cervelletto, e la mozione Che in quei ſcorron gli Spiriti animali, Mandar per via de Nervi hà ben poſſariza: E che diſcorre ilSugo nerveo in queſti, Quefto annuncia al Cervel la impreſſione Fatti gli uni di Spiriti vitali, Per doppia orbicolar Protuberanza, L'altro di Umor linfatici digefti: Entro i Corpi Striati, onde la Mente Che ſtan fra lor, quei di elater dotati, Di quel calor febril l'affanno ſente. Queſto di fode fibre, equilibrati. 60. 66. Mà ſe gli effuvi, ei moti ſuoi ſon tali, Mentre gli Spirti à tal ſon rarefatti Che al Cerebel traſceudono le ſponde, Che tengan quei cannelli intumiditi, Nel Cerebro i ſuoi Spiriti animali O'quefti cosi reſtino diſtratti Per l'anular Protuberanza infonde: Da ariditi, ò durezza irrigiditi, Poi da i poſterior recti canali O'il nervco Umor pien di fali acri, ed atti Del calce Midollare alfin trasfonde, Le fibre à ſtimolar, gli Spirti irriti, Del Fornice gli Spirti à le due braccia Sta tempre aperto il Cerebro, e produce E in quel gli eſtranj effuvj infinua, e caccia. Spirti continui, e la Vigilia induce. L'Adamo del Campailla. Nina Per poco influſſo, ò per diſpendj immenfi, Nel tempo del Dormire al Cervelletto Se al minorar fi vien lo Spirto in effi, Copia inaggior di Spirti il Sangue infonde O’i ſuoi interſtiz; il nervco Umor più eféli Che oſtrutto allora il Cerebro, e riſtretco, i; Tien, con più copia, e i cannellin compreffi, Quei,che nõ manda à queſto, à quel trasfondo Queſti già reli vuoti, e non più tenſi Maggior moto pertanto, e più perfetto Chiudonfi, molli, e calcano in sè ſteſſi. Del Torace han le viſcere profonde, Continuar nel Cerebro non porno E quelle de l'Addome, allor, che appieno Gli ſpiriti l'influſſo: e faffi il Sonno. Immerfo è il Corpo Uman del Sonno in feno. 68. 74. Il Sonno è un feriar di Senſi, e Moti, Mà perchè (dice Adam ) ſpelo, à miſura Mà Senli eſterni, e Moti volontarj. Di noſtra Paſſion ſi formi il Sogno? Gli Spirti del Cervel ſtan quafi immoti, Perchè m'idea, dormendo, e mi figura Chiuſe le vie de Senſitivi Affari: Quell'Obbietto,che temo,ò quel,che agogno? Solo i ſuoi membri proſſimi, e i remoti Qualor per breve, in queſta notte oſcura Tutti mantiene in eſercizi varj, Michiuſe al Sonno i rai natio biſogno, (Perchè infuſſo di Spiriti interdetto Vidi nel Sonno il Cherubino armato, Non hà ) la Region del Cervelletto. Che mi avventava in fen brando infocato, 69. 75. Or così ſtando il Cerebro.in quiete, L'Angiol riſpoſe: Il già commeſſo errore In una, in tutto oſcurità diffuſa, Nel ſonno anche ti affigge, e ti tormentas Si occultan le fue Immagini inquiete, Ti ſtringe il Cor, l'anguſtiato Core Ogni altra Idea de i Senti eſterni eſcluſa, L'imprellione al Cercbel preſenta, In folche folitudini fecrete Che pe'i Procelli orbicolar và fuore, La Mente è tutta in sè raccolta, e chiuſa; E al tuo Senſo comun i rappreſenta: E del Cervello il diſcoriivo Mondo Poi ne la Fantaſia forma i'alpetto Dorme in ſilenzio altitlimo, e profondo. Del Cherubin, qual ſe ti apriſſe il petto, 76. Ed ecco, che per cieca obliqua via, Altro ruſcel di Spirti al modo fteffo Di Larvette ideali erranti ſquadre Dal Cervelletto al Cerebro diſcorre; Nel Coinun Senio, o ne la Fantaila E per la via de l'anular Proceſſo Vagan leggicie or fpaventole, ed'adre, Lc radici del Fornice traſcorre. Or veſtite di ainabije bugia, De Cherubin l'idea, che trova in eſſo, Pingon bei Spettri, e Fantafie leggiadre; Seco rapiíce, e ullin valia: deporre E van col Fallo, in naſchera di Vero, Nel Senſorio Comuo: l’Alma, che'l vede De l'Anima à ingannar l'occhio, e’i penſiero. E lente il duolo al Cor, ferito il crede. Tal ſe in Teatro cinbroſo il Popol liede, Anch'io diſs’Eva) in quel notturo orrore, Niirando chiare aprir comiche Scene, Mentre più gli occhi mici pianger nő ponno, E da Mimi larvati aſculta, e vede Viep; iù per lo ſpavento, e pul timore, Tragiche finzion, menzogne amene: Che per quieto oblio, mentre che a !Tonno, Quali del Ver fcordato, ii Falſo crede Strangolate le fauci, oppreſſo il Core E da’luoi Seun italicdotto viene, Sento da un Moftro, infra vigilia, e ſonno: Chefveglia ii Finto in lui, verace intanto Volea gridar, volea fuggir, volea Odio, ) Amer,Picea, d Sdegno,c Rilo,o Piáto. Scuoţer dal ſen la Belva, e non potea. 28. Chile fopite Immagini alCervello Queſto č l'Incubo, Adamo (à dir riprende Svegli, i luoi Spisti in renderne eccitati, A lui rivolto, ii Filico Divino ) Facile è di aſſignar, dal Cerebello, Paroliſino terribile, che apprende Che fieno effiuvi, • Spiriti ſcappati, L'Uoin, mentre che talor dorineſupino. Per quei fentier, che ſon, tra queſto,e quello, Il Petto, e il Core ilmoto ſuo ſoſpende, Ne i Proceſi ſcambievoii, incavati E fofpende ancu i Sangue il ſuo camino; De le Protuberüize orbicolari, Che riſtagnando entro i polmoni in petto E de i terzi Proceſli, ed anulari, Fà un breve si, mà aſſai moleſto effetto. Cio, che il Sonno al Cervel coſtituiſce, Del Morbo Malinconico cagioni Vien l’Incubo à produr nel Cerebello Son, ipaventoſi, e ſubiti tercori Qual, groſſo il nerveoLiquido, impediſce Affetti violenti, e pailioni, Degli Spirti animali il corſo in quello, Ipocondriaci, e Iſterici Malori: Tal di queſto il medemo anche oltruiſce In queſte inordinate ripreſſioni Ogni talor ſuo midollar Canuello, Si guaſtano le Viſcere, e gli Umori: Qualvolta amplia foverchio, in modi vari, Onde mandati al Cerebro, ed eſtratti Di queſto pur le Strie triangolari. Spirti ne fono, à gli uſi lor malatti. 80. 86. Come, al Cervel gli Spiriti impediti, Mal fan l’uſo adempir più principale, Fermanſi gli uſi à gli Organi animali, Ch'è: coʻlor moti armonici, adequata Così, gli Spirti al Cercbel fopiti, Tener de l'Uomo à l'Anima immortale Ceffan quei de le Viſcere vitali, Quella, che al ſommo Ben tendēza hà innata, Il Sengue, e gli altri Liquidi irretiti Mentre in queſto ſuo carcere mortale Ne i polmoni, e lor vafi arteriali. Vive ad un Corpo organico ligata: Ciò nel dornir ſupin ſuccede ſpeſſo: Che priva di lor Tolita Armonia, Che il Cercbel dal Cerebro è compreffo, Sente una interior Malinconia, 81. 87. Prefa daʼNervi impreffion si rea Scemi di loro elaftica potenza, Al Cerebro s'invia dal Cervelletto Debil tai Spirti à ſpanderſi han vigore, La Mente un Moſtro in fantaſia s'idea, E di contrari Agenti à la prelenza Qual ſe l'affoghi, e le comprima il petto: Producon, contraendoſi, il Tiinore. Poi tratta al Comun Senſo è quell’ldea, Grolli, oltre del dover, ne l'aderenza Con un corſo retrogrado indiretto Portan le loro Idee forina maggiore: La Idea ne vede, e la impreſſion ne ſente; Onde di quel,ch'è in sè, ſempre più immenfo Or che ſtupor, fe'l crede ver la Mente? Rapprefentan l'Obbietto al Comun Senfo. 82. 88. Miquel dal Setto lucido repiſce Anzi, però clie indebite miſture Spirto le klee ne'Corpi ſuoi Striati? Di eſtrani effluvj in lor glaſtan le forme Del Cerebel non già, che non fluiſce Appajono d'infolite figure Spirito in lui, chii Cannellin turati. I lor Fantaſmi, e di feinbianza informe: Si parla Adaino: E Raffacl fupplilce Tenebroſe le lınmagini, ed oſcure Del Cerebel gli Spiriti privati, Non terbano à gli Obbietti Idea conforme: Per doppia orbicolar Protuberaliza, Quindi de i Malinconici eſſer dee u Cerebro, che n’hà minor inancanza. Piena la Fantalia d'incongrue Idee. 83. 89. De le vitali ſu Vilcere à l'uſo Inino il M.lincolico à tal ſegno, Tutti gli Spirti il Cercbel riparte; Solo in penſier fantaſtici ſi aggira: Il Cercbro non già, che benchè chiuſo, Pregna hila Fantatia, colmo l'ingegno, Ne reſts pieno, e altrui non ne fi partc. D'incoerenti Idee; ma non deli. a: Reſtande elauſto quel, da queſto infuſo Chc, benchè erranti, in sè ſenza ritegno, Hà lo Spirto animal per quella parte, Le involontarie Immagini riinira, Che dal Corpo Callofo, ove diſcende, Pur ben fi avvede, e noto há ben, che ſia A gli Striati, ivi le Idee diſtende. Sol tutto l'Effer loro in Fantaſia. 84. 90. 11 Sogno paſſaggiera è una Pazizia, Mà ſe da le ſuc viſcere eſalato, Ma la Pazzia poi Sogro è permanente, Per i Nervi, Par vago, e intercoſtale, La Ipocur driaca in cui Malinconia Morbofo effuvio, al Cervelletto alzato, Riduce PUomo à delirar fovente. Per il di dietro al Fornice poi fale, Contraria de Maniaci à la Follia, Ogni incongruo Fantafina, ivi formato, Ch'è cir:Je !, furioia, audace, ardente, Che ne la Fantuſia difpiega l'ale, Quefiriè timida, e imbelle, e'l penſier volto Nel Senforio Comun con feco tira: Hà follecito al Plen, itupido al Molto. L'Alma allor Ver lo giudica, e delira. Del IL DISCORSO UMANO, Del nobile cosi Diſcorſo Umano, De'tanti ancor traccò Logici errori E de'ſuoi varj organici difetti Che al diſcorſo depravauo i Giudici, Filoſofo l'Arcangelo ſovrano, E qual di Verità gli alti ſplendori Con ſottili penfieri, e chiari detti. Oſcurano à la Mente i Pregiudicj: Indi ſpiego i Rimedj, ond'egl’inſano Come la Dialettica riſtori, Reſo, à cagion de gli Organi imperfetti, Con norme, i falli in lei, regolatrici; Poffi à i retti tornar ſuoi Sentimenti, E al fine il giuſto Metodo glieſpone, Con medicarne i gu'aſti ſuoi Stromenti. L'ulo à bene adoptas di fua Ragionc.   Estasi di santa Teresa d'Avila scultura di Gianlorenzo Bernini Lingua Segui Modifica Nota disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando altri significati, vedi Estasi di santa Teresa d'Avila (disambigua). Estasi di santa Teresa d'Avila Ecstasy of St. Teresa HDR.jpg Autore Bernini Materiale marmo e bronzo dorato per i raggi divini Altezza350cmUbicazione Chiesa di Santa Maria della Vittoria, Roma Coordinate  L'Estasi di santa Teresa d'Avila è una scultura in marmo e bronzo dorato di Bernini, rcollocata nella cappella Cornaro, presso la chiesa di Santa Maria della Vittoria, a Roma. La scena raffigurata nell'opera è, per la precisione, una transverberazione e non un'estasi, quindi la scultura è talvolta chiamata anche "Transverberazione di santa Teresa d'Avila".  Storia Modifica Nel 1645 - in un periodo in cui, con il pontificato di Innocenzo X, la straordinaria carriera artistica di Bernini stava conoscendo qualche appannamento - il cardinale Federico Cornaro affidò alle sue qualità di architetto e di scultore la realizzazione della cappella della propria famiglia, nel transetto sinistro della chiesa di Santa Maria della Vittoria, a Roma. Bernini, nell'eseguire la commissione, cercò una sua rivincita professionale verso l'atteggiamento tiepido che il nuovo pontefice mostrava nei suoi confronti e chiamò, per così dire, a raccolta tutta la sua inventiva di architetto e di scultore sino a giungere a realizzare uno degli esempi più elevati di arte barocca. L'Estasi di santa Teresa d'Avila, eseguita, una volta portata a compimento piacque immensamente al Bernini, che con una certa modestia la definì come la sua «men cattiva opera» (dunque la migliore delle sue realizzazioni). Lo stesso Filippo Baldinucci, nella biografia dell'artista, riporta che:  «il Bernino medesimo era solito dire essere stata la più bell'opera che uscisse dalla sua mano»  Descrizione Modifica  Visuale della cappella Cornaro: al centro troviamo santa Teresa e il cherubino e, ai lati, si scorgono i vari membri della famiglia Cornaro che si affacciano dai finti balconcini Una delle cifre per intendere l'arte barocca è, come noto, il gusto per la "teatralità": la rappresentazione spettacolare e talvolta anche enfatica degli eventi. In quest'opera Bernini, mettendo a frutto la sua esperienza diretta di organizzatore di spettacoli teatrali, trasforma, in senso non metaforico ma letterale, lo spazio della cappella in teatro.  Per far ciò egli amplia innanzitutto la profondità del transetto; poi, aprendo sulla parete di fondo una finestra con i vetri gialli, pensata per rimanere nascosta dal timpano dell'altare, si procura una fonte di luce che agisce dall'alto, come un riflettore e che conferisce un senso realistico alla irruzione sulla scena di un fascio di raggi in bronzo dorato, così la luce che scende sul gruppo, attraverso i raggi, sembra momentanea, transitoria e instabile in modo da rafforzare la sensazione di provvisorietà dell'evento.Si può facilmente immaginare quanto tale effetto, nella penombra della chiesa, dovesse apparire a quel tempo suggestivo. Anche la freccia originaria retta dall'angelo, ora sostituita da un semplice dardo, venne realizzata con dei raggi che scaturivano dalla sua punta, a rappresentarne il fuoco del «grande amore di Dio», come santa Teresa stessa ebbe a dire nella sua autobiografia.  L'elegante edicola barocca, realizzata con marmi policromi, nella quale Bernini colloca la scena dell'Estasi di santa Teresa, funge da boccascena del teatro: essa mostra la figura della santa semidistesa su una vaporosa nuvola che la trasporta – come se fosse operante una macchina da teatro nascosta – verso il cielo. La trasformazione della cappella in teatro diventa letterale con la realizzazione, ai due lati del palcoscenico-altare, di «palchetti» sui quali sono raffigurati – ritratti a mezzobusto – i vari personaggi della famiglia Cornaro. L'evento privatissimo dell'estasi della santa diviene in questo modo evento pubblico, al quale i nobili spettatori paiono assistere non già con trepido stupore e con vivo trasporto devozionale, ma con staccato disincanto; li vediamo anzi - come avviene spesso a teatro - intenti a scambiarsi i loro commenti. Il palchetto sinistro, con i membri della famiglia Cornaro in veste di testimoni attivi dell'evento mistico Ma non è per la famiglia committente, bensì per l'ideale platea dei fedeli che si accostano all'altare – palcoscenico della cappella che Bernini mette in scena l'estasi della santa. Egli dimostra qui tutta la sua maestria di scultore, capace di lavorare il marmo come fosse cera, con estrema attenzione ai particolari. La veste ampia e vaporosa della santa, lasciata cadere in modo disordinato sul corpo, è un capolavoro di virtuosismo tecnico, per effetto del quale il marmo perde ogni rigidezza e la scultura sembra voler contendere alla pittura il primato nella rappresentazione del movimento. Commenta a questo riguardo Ernst Gombrich:  «Perfino il trattamento del drappeggio è, in Bernini, interamente nuovo. Invece di farlo ricadere con le pieghe dignitose della maniera classica, egli le fa contorte e vorticose per accentuare l'effetto drammatico e dinamico dell'insieme. Ben presto tutta l'Europa lo imitò.»  La raffigurazione delle estasi mistiche dei santi e delle loro visioni del divino, rappresenta uno dei temi più cari all'arte barocca: i santi «con gli occhi al cielo aiutano» – seguendo le raccomandazioni dei gesuitisulle funzioni pedagogiche dell'arte sacra – a sentire emozionalmente, con il sangue e con la carne, cosa significhi l'afflato mistico che porta alla comunicazione con Cristo e che è prerogativa della devozione più profonda. Anche sotto questo aspetto, della raffigurazione dell'estasi, l'opera realizzata da Bernini nella cappella Cornaro, sarà destinata a far scuola e ad essere presa a modello innumerevoli volte nella storia dell'arte sacra.  Sul piano iconografico l'Estasi di santa Teresa, che trova il suo prototipo nell'Apparizione di Cristo a Santa Margherita da Cortona di Giovanni Lanfranco (1622),[6] è direttamente ispirata a un celebre passo degli scritti della santa, in cui ella descrive una delle sue numerose esperienze di rapimento celeste:  «Un giorno mi apparve un angelo bello oltre ogni misura. Vidi nella sua mano una lunga lancia alla cui estremità sembrava esserci una punta di fuoco. Questa parve colpirmi più volte nel cuore, tanto da penetrare dentro di me. II dolore era così reale che gemetti più volte ad alta voce, però era tanto dolce che non potevo desiderare di esserne liberata. Nessuna gioia terrena può dare un simile appagamento. Quando l'angelo estrasse la sua lancia, rimasi con un grande amore per Dio.»  (Santa Teresa d'Avila, Autobiografia, XXIX, 13) Il resoconto che la santa ci offre è raffigurato quasi alla lettera da Bernini nella sua composizione marmorea, con il corpo completamente esanime e abbandonato della santa, il suo volto dolcissimo con gli occhi socchiusi rivolti al cielo e le labbra che si aprono per emettere un gemito, mentre un cherubino dall'aspetto di fanciullo giocoso, con in mano un dardo, simbolo dell'Amore di Dio, ne scosta le vesti per colpirla nel cuore. Notevole è il contrasto tra l'incarnato liscio e delicato dell'angelo (che fa pensare più a un Eros della mitologia greca che a un'entità spirituale cristiana) e le vesti scomposte della Santa. Il volto della Santa e dell'angelo Interpretazione psicoanalitica Modifica L'interpretazione che studiosi della psicoanalisi come Marie Bonaparte hanno dato (proprio a partire dai resoconti di transverberazione lasciatici da santa Teresa) all'esperienza dell'estasi mistica in termini di pulsione erotica che si esprime sublimandosi nel deliquio dell'afflato spirituale, ha condotto la critica a sottolineare in quest'opera di Bernini la bellezza sensuale e ambigua dei protagonisti, avvalorando così la possibilità di una sua lettura in termini psicoanalitici. Lo psicologo italiano Enzo Bonaventura fa riferimento a Cupido, evidenziando, a livello simbolico, un nesso tra la figurazione greca e la trasfigurazione religiosa nell'arte cristiana[7]. Per provarne la legittimità, occorre solo richiamare la parola di Renan in viaggio a Roma, davanti a questo stesso gruppo statuario: «Si c'est cela l'extase mystique, je connais bien des femmes qui l'ont éprouvée. Si potrebbe comunque ulteriormente citare il conte de Brosses[9], il Marchese de Sade[10] o lo scrittore Veuillot. Collateralmente a quest'interpretazione che considera l'esperienza di Teresa, e la scultura che la ritrae, nei termini di quello che (per usare un'espressione di Georges Bataille) potremmo chiamare «erotismo sacro», si deve tuttavia osservare che l'approfondimento della biografia dell'artista napoletano ha recentemente messo nella giusta luce la sua religiosità; una religiosità che in quel periodo della sua vita (quando aveva circa cinquant'anni) si era rafforzata attraverso la pratica degli esercizi spirituali di Ignazio di Loyola, eseguiti sotto la guida dei padri gesuiti che egli frequentava. Verosimilmente la lettura della vita di santa Teresa non dovette essere un fatto occasionale, limitato a singoli passi, segnalati magari dal committente. Al contrario, alcuni studiosi hanno letto nell'Estasi di santa Teresa anche l'eco del racconto di altre esperienze mistiche, come quella della santa genovese Caterina Fieschi Adorno.  La straordinaria qualità estetica e l'intensa drammaticità del gruppo marmoreo è dunque da collegare alla personale ricerca spirituale di Bernini, al suo impegno a scoprire per sé stesso, per poi mostrare a tutta la comunità dei fedeli il senso di quell'amore espresso oltre ogni misura verso il Redentore, che trova esempio nella vita dei santi.  L'influenza dell'opera di Bernini fu enorme non solo sui contemporanei, ma anche su molti artisti dei secoli successivi. Il famoso compositore Pietro Mascagni, ad esempio, nel 1923 compose una visione lirica per orchestra dal titolo Contemplando la santa Teresa del Bernini, un brano della breve durata di appena quattro minuti. Marder, Bernini and the art of architecture, New York; Marder riferisce a Irving Lavin, Bernini and the Unity of the Visual Arts, New York;  e a Barcham, Some New Documents on Cornaro's Chapels in Rome, in: Burlinton Magazine, Cricco, Francesco Di Teodoro, Il Cricco Di Teodoro, Itinerario nell’arte, Dal Barocco al Postimpressionismo, Versione gialla, Bologna, Zanichelli; Cocchi, Cappella Cornaro ed estasi di Santa Teresa, su geometriefluide.com. URL consultato il 30 novembre 2016. ^ Oreste Ferrari, Bernini, in Art dossier, Giunti; Gombrich, La storia dell'arte, Milano, Leonardo Arte; Lollobrigida, A. Mosca, Biografia, in Lanfranco a Roma, Milano, Electa; Bonaventura, La psicoanalisi, Arnoldo Mondadori Editore, Milano Traduzione libera:  «Se questa è un'estasi mistica, conosco molte donne che l'hanno vissuta»  ^ Cfr. de Brosses:  «Se questo è amore divino, io lo conosco bene!»  ^ Cfr. Marchese de Sade:  «Si stenta a credere che si tratti di una santa»  ^ Cfr. Veuillot:  «[Bisogna] espellere l'opera dal tempio... venderla... o farne calcina!»  ^ Jean-Louis Bruguès, Dizionario di morale cattolica, Edizioni Studio Domenicano; Bataille:  «E la sensibilità religiosa che unisce strettamente desiderio e paura, piacere intenso e angoscia»  ^ Bernini - Estasi di Santa Teresa, su scultura-italiana.com, La Scultura Italiana; Don Michael Randel, The Harvard Biographical Dictionary of Music, Harvard; Bernini Santa Teresa d'Avila Estasi di santa Teresa d'Avila L'Estasi di Santa Teresa d'Avila di Gian Lorenzo Bernini raccontata da Caterina Napoleone, su raiplayradio.it. Portale Architettura   Portale Cattolicesimo   Portale Scultura Ultima modifica 6 mesi fa di eBot Chiesa di Santa Maria della Vittoria (Roma) edificio religioso di Roma. Transverberazione Estasi. Opera. Bernini. Le e&Usi dell’amore di patria. La niftscliera di Mazzini. Patria, e religione^ eroi della patria e santi. Meglio il  i'Jtammiisme che rignonui^a dell'amor di iwitria, Diverse  funoe dell'escisi dell" amor di patria, — 11 ritorno in Italia  dell' autore reduce dair TnfUa. Estasi BoUtarie dei ^andi  amatori della patria. Gli eroi della storia e gli eroi aiiouijiii,  Estasi epidemiche. Incendii delle foreste e iiiceudii del  euore namonale d'uu populu, Eafliroiiti e ecmsiderazìoiii. Nel mio Mu^eo d'a^ntropologiu di Firenze, in uuo  degli armadii consacrati alle grandi ìndiviilnalitì\  della apecie umana, vi ha la teista di un uomo^ che  ferraa V attenzione del piii frettoloso e .superficiale^  osservatore. Quando devo far da cicerone di mala  voja^lia a qualche importuno, lo aspetto a quell'ar-  madìo, per consolarmi della lunga noia di ripe-  tere davanti alle stosjie vetrine le sten^^e parole.  K VX il visitatore sì ferma e dice; quella te«ta t)  fonte qudìa di un mniof   Siete un buon osservatore, quella testa è di un  santo e fu formata sul cadavere.   E che santo è quello?   Si chiama Giuseppe MazsEiui.   Si potrebbe scrivere un volume su quelFincon-  scia rivelazione dei più voI*(ari osservatori, che  dinanzi alla raaafìhora di Mas^^^ini, domandano so  quello sìa un santo. La fìsonomia a#icetìca è nna delle jiiù CJiratte-  riaticlie, ma anche ana delle piìi iiidefiuiV>ìli, E  il Miizriui Taveva, o morto pareva ad<Urìttiira "n  santo j?iù jflorifìcato ool piiradiso cristiano.   In quella domanda, che prorompe spontanea dal  labbro dei visitatori del mio Museo, vi è tutta la  biografia di un uomo, che amò la patria con fer-  vore mistico e fece della sna polìtica una reli-  gione. E^fli stesso del resto si era asse|?Dato il  suo po.sto nella storia del pensiero italiano, scri-  vendo sulla sua bandiera, Dio e popolo^ due par  role una pih miiitica deiraltra e che messe vicino  non sono che nn f^rido ilei onore lantùato neirin-  finita» poetico deindealita politica. L'amor di patria è uno degli aftotti più alti, ma  più indistinti e la cui analisi psicologica esi^e-  rel>be nn volume. È sentimento di lasso, perchè  molti nomini d' alta e di bas.^ gerarchia non lo  sentono e perchè si dirige, più che ad un lembo  di terra, ad un mito corai)osto di materia e di  idealiti\ e che muta forma e muta confini a s^  condadeì tempi e di conto altre influenze esteriori*   l sentimenti ili lusso, non hanno che raramente la intensa energia degli affetti ut^oessariij ma per  la loro indeterminateaza o h\ sconfinata po.-^Mibi-  lltà dei loro movimenti possono imi facilmente  portarci all'estasi.   Por V uomo selvaggio, sia poi tale perchè non  veste il proprio corpo, o perchè uou vet^ite il pro-  prio pensiero; la patria è poco più che il nido  per r uccello o la tana per le fiero. È la casa iu  cui è nato, è V albero sotto cui ha dormito, è il  fiume iu cui sì è tuffato, il bosco dove ha cac-  ciato, è la terra dove tutti gh uouiini ras.'^omi-  ^liano a Ini j parlano come lui, come lui odiano  l'altra geuto che sta al di là dal monte o «lai mare,   L^t patria, circondata o no dal luare^ è sempre  un'isola; e chi si isola divien parcnttì di tutti co-  loro che stanno nella stessa carcere. La patria  non h che una famiglia più grande di quella che  sì chiude sotto il tetto domestico, non è che una  casa più vasta di quella che alberga una stoasHi  famiglia.   2Jon amare la patria ò una vilti\ del cuore ^ è  un cretinismo del sentimento j quando non sia la  previsione di tempi lontani e migliori, nei quali  la patria dell- uomo sarà tutto il nostro pianeta,  e stranieri soltanto si chiameranno gli aiutanti  tlegli altri mondi coi quali di certo un giorno  parleremo, e forse per farci la guerra.  JJ amor di patria- è figliale e mistico in nna  Tolta sola; è tenero e ascetico, l^^igliale perchè la  patria è la madre universale di tutti quelli che  parlano la stessa lingua, pensano lo stesso Dio e  Bparf^ono insieme lo stesso sangue. Mistico, perchè  la patria non si può baoiarej né abbracciarej e i  suoi confini son segnati sopra una carta, che non  è negli atlanti geografici, ma nel cuore amano.   La patria è uno «lei circoli del paradiso dan-  tesoOj dove da un piccolo cerchio irradiano aonc  piti larghe, come cerchio d'acqua smossa dal ca-  dere di nna pietra. Dal villagjrio adorato dove ci  hanno battezzato e dove speriamo di esser sepolti^  alla provincia, al regno, all'impero, alle colonitv  nostre lontane, la patria si allarga, si allarga sem-  pre, portando seco le tenere oscillaaioni del no-  stro cuore, dei nostri afifetti, della gloria nazionale*   Quel palmo di stoffa che si chiama la nostra  bandiera j che un colpo di sole, uno scroscio di  pioggia pnò impallidire, quella stoffa che costa  poche lire e che una vampa di fiamma può ri-  durre in un pizzico di cenere^ è il simbolo di tutti iJamqr di patria 93   quelli affetti che .si condensano sotto nno stesso  nome, e là dove sì pianta quella bandiera ivi è  la patria^ ivi i ricordi comuni e le tiomuni svimture  e le glorie eomuDi oliiamati a raccolta da im voce  sola^ che le incarua e le personi&ca. Chi analizza un sentimento t^oUa segreta spe-  ranza o colla malignità palese di distruggo rio,  compie opera vana. Se lo fa per Bè non diatnijE^ge  che ciò che non è mai esistito ; se lo fa per altri,  predica nel dea erto ; dacché nessaun ragionamento  ha mai fatto diminuire d' un palpito un grande  amore.   La doìina che tu ami è una die creatura, fa amata  rfrt ceiito uomini ptlmn che tu In aìì^rnssi,,., U ohe importa f lo Vmno,   Il Dio che tu adori non è mai cswUto. Moto mo-  siruoso in cui V antropofagia deW uomo quaternario  ti trova insieme alla industria delle simonie^ alle pag-  gio Uologiche,., Mmpio^ tu non sai qneìh che dwL 11 mio Dio esista  ed io VaàoTù.   Lo 8tes30 sarebbe tcntR^r di strappar con vani ragiimumenti a un uomo l'amor di patria^ quando  ej^Iì lo senti.^ palpitare nel più caldo e nel pia  profondo delle vi scerò, quando e^li ne ha fatto  una religione, a cui è pronto a darò tutto quanta  ha, tutto il sanane delle sue vene* L'amor di figlio,  r ani or dì madre, l'amore per la donna amata fiirono  In o^cni tempo «jloriosi olocausti di anime elette  futti 8ul l'alta re della patria. E poi andate a dire  a quei martiri che la patria è il mondo eh' easa  non ha altri contini che lo spazio interijlanetarel Finche lo nazioni esiatono, fìnc^hè le lingue  umano wi contano a luigUaiaj fìnehè metà del ge-  nere umano non può intender Taltra mete, finché  ffBt nonio e uomo vi sono maggiori differenze  psichiche che fì*a un oane e nn lupo; l'amor di  pntria non hi discute^ ma sì 8entt% e nn iiopolo è  tanto pili grande, quanto è pia vivo e calilo e  universale in lui questo sentimento. Benedetto conto volte il più folle ehmwmismej maledetto il  cinismo dì chi domanda ridendo: 1} che cosa è hi  patHa?   La patria è la terra ^ in cui in ogni 8olco vi è l'amor di patria 05   Il uà gocdola dì f^tangne o ili sudore dei padri do-  stri in ogni pugno d'arena vi è della ceneri^ dei   nostri avi; la patria è la terra in cai dorim» in  nostra madre e dormiranno i nostri figlinoli; è la  storia di tutto il passato, la storia di tanti secoli  ili glorie e di sventare vissuti da coloro che ci  hanno data la vita; la patria è la madre di tutti  quelli clie parlano e sentono come noi ; è quo 11 a  t-erra^ il cui nome solo udit(j pronunziare in terra  lontana ci fa battere il cuore, ci fa baciare un  giornale. È quella parola, che solleva onde di po-  poli a un gritlo rli guerra, cUc fa escire da ogni  capanna nn uomo armato e ad ogni finestra fa  affaciìiarc una testa di donna ijiangente- La pit-  tria è una parola magica che può convertire ogni  uomo in un soldato e ogni donna in nna martire,  che fa* piangere i fanciulli disperati di non esser  ancor uomini e fa pian^^ere i vecchi perchè non  posftom» più imbraudire nn fucile. La patria è  tiuella santa parola, che lUstacca Toperaio dall'of-  iìcintìi, il contatlino dal cami>f>, V uomo di lettere  dal libro, il banchiere dallo scrigno; che strappa  daltc braccia della fanciulla il giovane innamo-  rato; e tutti riunisce in nn^mìca schiera e sotto  uno stesso vessillo, in cui tutti guardano Assi con  occliio d'eroe e amore <\i martire.  Quar altro altare ha tanti adoratori? QuNUaltra     religiane ha tante idolatrie? QuaVè Tara su cui  si portino altrettante vittime ^ che corrono chia-  mate o non ohi amate, ma sorridii^nti e calde d^eu-  tnsia^mo? QuaValtra parola ha tanta onnipotenza,  q 11 al' al tra estasi può superare co deista di sentirsi  in uD^ora sola (livennti trenta milioni di fratelli,  che amano lo stesso amore, che sentono lo stesso  otlio, che so cenano lo stesso sogno di vendetta o  di sdegno?     Le estasi più oomuni dell'amor di patria sono  qaelle che si provano nel rivedere la terra nativa  dopo mesi e anni di lontananza e le altre che si  godono nelle grandi feste, che salutano un grande  trionfo nazionale: solitarie lo prime j associate le  seconde ; grandi entrambe e capaci di voluttà  senza nome.   La. nostalgia è nei trattati di patologia una mar  latti a che si classifica fra le alien azioni mentali.  Beati coloro che possono esser pazai in questo modo;  infelici coloro che per grettezza di cuore o per  esser nati venti o trenta secoli prima del loro  tempo non sono capaci dei rapimenti del rivederti   ]fh patrìft dopo lunghe assenze. Io che ho vissnto  molti anni neir altro emisfero e che ho attraver-  sato l'Oceano per otto volte ho provato quest* e-  stasi in tutti ì suoi gradi e in tutte le sue forme.  Mai l'ho goduta eosì intensa e così profonda  come dopo il mio ultimo viagfi^o nelP India.   L'amor della patria, ai rovescio degli altri amori,  cresce cogli aonì^ e quando io 'ttopo alcuni mesi  di assenza al mio ritorno dall' Tiidia soppi che al-  l^indomani avrei riveduto l'Italia, sentii eho il cuore  batteva forte forte, come dinanzi al sorriso della  donna amata.   Io non vedeva ancora la mia terra, ma la sen-  tivo. Sentivo che essa mi aspettava come ci  aspetta la nostra donna in un ritrovo d' amore  limi^iimente desiderato» La mia patria, Tltalia  mia non poteva esser lontana.. L'onda più azzurra,  il cielo più sereno me lo dicevano ad alta voce ; me  lo diceva il profumo dei fiori d'arancio che mi invia-  Tano gli orti benedetti della Calabria e della Si-  cilia, Ed io guardava fisso davanti a me neir o-  rizzonte lontano j che la mia nave andava conqui-  Esta^i umam,  stando ad ogni moto deir elice. La nebbia sfumava,  Topaie diventttvii oltremare, e fra le nebliie lon-  tane vedeva un mondo, nuovo e antico per me,  la patria dei miei avi. La nebbia diveniva terrai  e cielo; terra e cielo T Italia. — Fra poche ore avrei  baciato quella terra e sul mio capo si sarebbe  disteso l'azzurro ohe mi aveva veduto nascere.  Non sarei più morto in terra straniera e i miei  cari avrebbero potuto piangere inginocchiati so-  pra la mia terra, sopra la terra che aveva gene-  rato me e i miei cari.   E la terra nebbiosa e oscura si disegnava in  coste e in golfi, in monti e in piani ; e in qaei  monti e fra quei seni apparivano poco a pooo  oasuccie bianche incorniciate di pampini ver<li e  riposavano fra boschi di agrumi neri come il  bronzo. In quelle case dormivano uomini che par-  lavano la mia lingua e quella terra mi mandava  come un saluto del cuore i profumi del mio orto,  i profumi della mia giovinezza e tlella mia poeaia.  Là io era amato, là il mio nome non era parob  ignota: qualcuno mi aspettava. Vi erano braccia  aperte impazienti di stringermi al onoro, vi erano  labbra di donna e di fanciulla pronte, impazienti di  baciar le mie labbra. Profumi di fiori e baci ohe  mi chiamavano ad alta voce, con sospiri d' amore,  Come aveva potuto io per così lunghi mesi star  lontano (la quegli alberi benedetti, da qneWe brae-   cift innanioTìtte, da quella terra che ora. la mia,  la terra della mia culla e della mia iom^ f Nod  avevo io commosso una colpa j che avrei rerlenta  fra poche ore ? Come avevo io potuto sopportare  tanto dolore ?   B la nave camminnva ; e la nave correva e a  destra il continente d'ItalÌM, a sinistra la pììi; ^ande delle isole d' Italia si avvicinavano a me^  lontaise e vicine, come due braccia aperte all'am-  plesso I — To mi smentivo abbracciato da quelle  braccia gigantesche, mi sentivo inebbriato da  quei profumi ; udiva il mormorio delle voci del-  l'uomo, che dalla riva giungevano fino a me; voci  d'uomo e voci d- Italiani. Perfino Je vele delle  piccole barche che sfì lavano lungo la costa mi pa-  revano pili bianche, più gaie, più snelle d' ogni  altra vela di mare. S^on eran forse vele italiane ì   E r Etna gigante fumava dair alto e il -calca-  gno d' Italia poggiava anir onda azzurra quasi  volesse spiccare il salto alla conquista del mondo.   Avrei voluto gettarmi in quel] ^ onda per sen-  tirmi bagnato dal mare d* Italia, avrei volato lan-  ci armi per giungere più presto a toccare- quella  terra santa, quella terra tlivina, madre di tre civiltà  e aon ancora stanca ; quella terra d' eroi e di  fljartiri, in cui tante genti avevano bevuto le prime fonti tìol pensiero, avevano imi>aruto i  primi canti (Iella poesia. Quanto or^oglio^ quanto  amore e quanta irapazienza di ridare a qnella terra  il bacio di madre ehc mi «fetta va lontano; dai suoi  orti fioriti, dalle 6U© città illuminate dalla gloria,  dalle vette dei suoi monti pittoreschi, dai campi  così fecondi dì vita.   Se qnella non era un' estasi e che cosa è dunque  l'estasi 1 Se quello non era un rapimento dei seasi,  del cuore, dell' amore, del passato che si strìn-  geva col presente; se quella non era una santa  ebbrezza; e che cos'è dunque il rapimento; che  cos'è r ebbrezza! [ miei occhi eran gonfi di  laf^rimCj ma sorride vauo ; il mio labbro era muto,  ma sorrideva tremando, come davanti a un bacio  ohe dovesse uecìdermi come uomo per trasfor-  marmi in un Dio. Estasi solitarie d' amor di patria devono pro-  vare quei pochij eletti che nascono per dar libertà  o grandezza alla patria e sognano prima e me>li-  tauo poi l'opera grande che si prefiggono a scopo  della loro vita. Gran parte ili questi amori solitarii e profondi  si eouauma nell^ opera del pensiero, nelle lun^^^he  lotte di prepAvazìon^ ; ma tra le ansie di olii  aspetta e sperando teme ad of^i istante di per-  dere il frutto di tanti sacrifici, di tanti sudori,  e forse di tanti martirii ; vi devono esr^ere istanti  in cui alla mente riscaldata da tanto entusiasmo  appare V alba della vittoria in nn orizzonte lon-  t-ano e la speranza del premio fa batter forte il  cuore. Quanti^ visioni sublimi devono esser ap*  parse a MAZZINI (si veda), al Cavour, al Garibaldi, quando  neir esilio o nelgabinetto di ministro o sul campo  di battaglia sognavano di far libera, grande ed  una la nostra patria e sentiviìuo «li poter essere  artefici primi in quest' opera grande ; sogno di  tanti secolij miraggio di tante generazioni.   Le imprese degli eroi riuiangono scritte in tavole di bronzo o in monumenti di marmo, scritte  co[ ferro e col fuoco, colle torture dell* ergastolo  o le lunghe angoseie notturne del pensiero che  non dorme j ma ciò che non rimane scritto è Pestasi che prepara quelle imprese e che le prevede  in anticipazione.   Ogni frutto si feiionda neir amplesso dei petali  profumati e fulgenti di bellezza e ogni figlio di  creatura viva nasce dall' anelito di un grande  amore. Cosi le opere magnanime che salvano un popolo o che Io glorificano, clie rompono le catene  dell' oppressione o allargano le frontiere della patria non 80D0 mai uragani di violenti e o subitanee  divinazioni del geuio ; ma si preparano lentamente e lentamente maturano nei sautiiiirì del  cuore e del pensiero, là dove i ^ermi celati preparano r albero fntnro ohe darà ombra a un' intiera nazione. La poetala sprezzata solo dal volgo  dei faccendieri, perchè non sono capaci d' intenderla, è la madre d*ogni opera grande e non e- è  grande soldato o grande uomo di Htato ehe  non fosse anche e soprattutto poeta. Poeta nel sognare imprese che ai più apparivano come pazae  utopie ; poeta uel fan taa ti e are e neir osare ; poeta  uel deliziarsi nelle sante visioni dell'avvenire; poeta  nelle estasi <imorose che mostra^io al eredente  premio lontano di grandi vittorie. Xon invano i Greci  hanno detto che il poeta è un creatore. Né le sante estasi dell' amor di patria anno concesse soltanto agli eroi, ai semidei della storia.  Tutti coloro che hanno fortemente amato la patria, tutti quelli che hanno dato ad essa il pensiero o il sangne, che hanno cospirato jirìiua e  studiato poi per darle grandezza e pot**iiaa, pouno  nella loro vita aver provato rapioientì delizioM.  OgDuno pia che sé stesso non può dare all' altare  d' na grande affetto e nelle rivoluzioni e nelle  gfaerrej come nelle grandi lotte poli ti <; he gli amanti  della patria possono contarsi a legioni e la storia  li dimenticfi, appunto perchè son troppi. T^a storia  ha fretta e personifica iu nn tipo i martiri minori.  Pellico è il martire delle cospirazioni, Mazzini è  V apostolo della religione della x^atria » Garibaldi  1' eroe, la Cairoli è la martire delle niadri Cavour  fe il pensiero in azione, e così via> Per ogni forma  del sagrifìzio y per ogni opera della mente, per  Ogni travaglio dei cuori, la storia segna un individuo che divien statua, ìdolo e tipo, e dimentica  le molte figure anonime, che si raggruppano intorno a quei tipi e fanno loro lieta ghii'landa. Né questi negletti della storia lamentano l'in^ustìzia : al monumento, alle corone, all' arco di  trionfo essi non hanno pensato mai. Essi hanno  amato la patria e per essa hanno pianto o sono  morti : la loro missione è compiuta e sono felici  come lo furono PeUioo, Garibaldi e CAVOUR (si veda), Anch' essi hanno provato le sante estasi della speranza e della vittoria^ e la patria li ha l)enedetti e  glorificati nel silenzio delle loro case, nel nido delle loro famiglia o dei loro a rio ri. La patria è  grande percliè ebbe dì tali figli e attraverso le  vene e i nervi clic congiunto uo le generazioni  scorre V omla deir entusiasmo fe palpita la voluttà  del sacrifizio. Che cosa sarebbe il Cristo aonzii  gli ApostoU; che cosa avrebbe fatto GarlbaLtU  »euza la coorte dei Mille, e Cavoar senza i precursori del 31 ?   No (lo voglio ripetere per la centesima volta),  la iiatnra non è così irtginsta come appare alle  esigenze dei più. Le gioie maggiori della vita non  si misurano col metro del ^enio o snlla bilancia  della ricchezza. Tutti, innanzi morire, possono essere baciati dalle labbra innamorate d'una donna;  tutti posisono render quel Via ciò alle labbra d'una  Agli a. Nessuno è così povero da non poter fare  aagrifìzto dì se alla patria, nessuno così infelice  da non provare le estasi dell- affetto e della poesia. Pel sole che dair alto illumina tutte le creature della terra, nessuno è grande, nessuno piccolissimo e i suoi rag^ì entrano beatificando e  consolando nelle ftbre d' ogni cuore, nella porta  iV ogni tugurio. I piccoli numeri di ventano grossi se som muti  iDsieme. Così i piccoU affetti ponno divenire nra*  gani se i cuori battono insieme. CIic! co.sa è una  gocciola? Eppure i* oceano è fatto tii gocciole,  Kessim affetto forse quanto Tamor di jiatria può  per la isna natura moltiplicarsi con grossi numeri  e allora V entusiasmo degli individui diviene onda  che alla^^a le contrade e rapisce nella sua corrente case e villaggi, città e popoli intieri. È questo un punto ancora oscuro della psicologia umana  e che pare dovrebbe formare una delle baai tetragone di ciò che suol chiamarsi la fllosofla della  atoria.  Come 3i sommano due affetti analoghi o eguali ?  Di certo non colla regola aritmetica che 1 + 1^2,  E oome si moltiplica un entusiasmo, quando si  ripete cento, mille, centomila volte nello stesso  tempo in cento, in mille, in centoraila cuori? Anche qui la regola matematica non serve a spiegare r allargarsi e il diffondersi del fenomeno ripercosso in tante coscienze umane. Vi sono epidemie  per il sentimento come pei morbi popolari» e il difibiifieriii degli entusiasmi presenta gli sttsa  misteri^ gli stessi salti bizzarri^ gli stesai prodigi  nome V allargarsi ^elle grandi epidemie.   L' incendio dei cuori per influsso d' nna gloria  nazioDale è uno degli spettacoli più grandiosi e  commoventi del mondo utnauo, ed io compiangd  tnttì coloro, cbe nel corso della loro vita non  hanno 'potuto assistere ad una tli queste grandi  feste, nelle quali tutto un popolo canta Tinno  della gioia e lo accompaguauo gli squilli elettri^zauti della vittoria e la fanfara del tumulto popolare e l'ebbrezza di tanti cuorij che sentono tiel  tempo s^tesso la stessa gioia, clie ardono deHii  stessa febbre, dello stesso delirio. Kon invano io ho rassomigliato ad un inceufiio  questi rapimenti nazionali: nessuna immagine potrebbe rii|»presentare più fedelmente lo svolgerai  di questo fenomeno umano. Ma non ha ad esser?  incendio di pagliaio ^ che le società di assiearazioni registrano con dolore, o fi ara me di cucina, che   pompieri benemeriti spengono in un* ora colle  loro pompe. Ci vuole nno di quelli incendi delle  vergini foreste e della pampa ci eli* America meridionale^ che ho le tante volte veduto e ammirato  nei nùei viaggi. La fìatniua è venutu claU* alto o dal Im^^o, da  na ftilinlue o dal focolaio d' un viaggiatore : non  importa. É fiamma che non riguarda le socktà  d^ mmìirazlomf né chiama a i?*è i pompieri. È fuoco  Glie s'allarga a destra e a sinistra^ che sale ìii alto  lim^o le scale delle liane sugli alberi alti come  torri e che rade le erbe del basso come rasoio  ardente. Erbe e cespuglìj alberi e arbusti, piante  di mille anni e florclUai sboceiati ieri, tutto è invaso dalla stessa fiamma, che tutto divora e eonsama/ Nessuno resiste a quel fuoco, non U cacto  gonfio di succhi, non le foglie verdi, non i tronchi secolari; nessuna pianta, nessuna erba, nessun  insetto che viva su quelle erbe, nessun rettile che  strisci, nesdun piccolo rosicante o armadillo che  s'accovacoi nelle tane, ne^ssuna belva del bosco,  nessun mammifero della pianarti. Dinanzi a riuel  faoco tutti sono eguali e tutte lo creature hanno  ad ardere fiammeggiando, scoppiettando e detonando* Vola la fiamma in colonne, striscia come  onda, divampa come nembo, e non appena il fumo  porta nel fresco del verde il segno preoarsore della distruzìane^ il famo divien calore e il calore  diviea ìucendio,   E riiicendio cammina; prima incerto, poi siouro;  prima trotta, poi galoppa, vola; esaltandosi nel  delirio d' uo' opera gigante di distrazione e di livellazione* I piccioli innalzano il loro fuoco nelle  regioni degli alti; e gli alti precipitano turbinando  e rovesciando i tiazoni incandesoenti nel piano  delle creature minori. E volano le sointiUe e serpeggiano le fiamme, uè alcuno al mondo saprebbe  dire chi dia maggior alimento a quelle vampe.  mag;2fior calore in quella voragine j in quella faCina gigantesca. Screpolano, adoppiano, gemono i  rami succoienti e rovinano i colossi della foresta^  portando lontano lontano T inno di una grande  rivoluzione^ fluchè fra cielo e terra non si distin*  guono più né erbe ne arbusti^ né alberi, né animali;  ma una cosa sola si vede, una cosa sola si sente, il  fuoco trionfatore d'una fiamma invadente e tiranna.  È la festa del fuoco, è V orgia della distruzione;  è la morte di un mondo vecchio che prepara il  terreno a un mondo nuovo. Cosi sono le feste nazionali, non imposte da  decreti di prìncipi o da grida di ministri, ma sorte  spontanee per Tirrompere di un sentimento caldo,  elle infiamma tutti 1 cuori, che riscalda tutte le  coscienze. E le anime fredde sono ravvolte dall' incendio comune, e gli egoisti, volenti o nolenti,  si riscaldano allo stesso fuoco e i timidi non trovan Bcami>o alla fuga. On^ni creatura che abbia  in petto un e nere di uomo deve ardere p consumarsi nella stessa fiamma. Padri e figli e ignoti  si abbracciano insieme e in una volta sola, e il  riso e il pianto che si confondono in un turbine  solo fanno ridda e alzano al cielo un grido solo ;  che è r entusiasmo ; s' inebbri ano dello stesso licore che è r affetto di patria. Anche il marmo si  riscalda, se ravvolto dalle fiamme, e anche il ghiaccio si discioglie e si consuma fra le vampe d'un  incendio. Saltano le più robuste serrature chiuse  tlalla mano gelosa tleir avarizia, sì spezzano le  catene più robuste saldate dair egoismo e dalla  paura. Ogni "cuore umano ha ad ardere. dello  stesso fuoco; e il ferro robusto e il piombo vileJianno a fondere per una volta almeno in uuo   ft tesso croglaolo, formando una lega che bMì le  le^^i della cliìmica e le analisi della scienza. E  1111 popolo ebbro dì gioia', che non conta pia  nelle sue flohiere né poveri né ricchi, né gio  vani ne vecchi; raa canta con una voce sola, somma  dì tutti i vafiitì, di tntte le poesie, dì tutti gli  urli umani : canta V inno della redenzione o della  vittoria. Chi ha avuto la fortuna di essere già uomo  nel 48 e nel 5^ rammenta questi incendi fìei onori  italiani e per le membra forse già intirizzite tW  freddo dolla vec<3liiaia risente ancora il caldo di  quel fuoco. E rammenta ancora alcuni momenti  di estasi sante, di ineffabili rapimenti^ nei quali  ogni altro sentimento taceva o si eclissava davanti  al divampare subitaneo e irresistibile di un unico  sentimento, V amor di patria. l'amoe di patria 111ir Coa\ come <lair incendio delle foreste ver«:iiii  nello strato dì cenere clie rimane si prepara una  terra feconda per nuove creature a venire ; così  tietlp grandi estasi e nelle sante eìylirezze di mi  popolo trionfante, si prepara un nuovo terreno in  cui sarà scrìtta una nuova f^toria, È per questa  via che lo guerre diventano ri generatrici di nn  popolo stanco; e quando per due o tre i^enerazioni  non di rampa uno di questi incendi rigeneratori, i fanghi, le mutfe e i bacterii invadono ogni tronco  d' albero e ogni seme di pianta, e dalla lenta putrefazione dei  cadaveri, s' innalza un miasma omicida, elle soffoca i bambini nella culla, .sommerge  i giovani nella palude deirozìo e della noia, e uccide i non nati nel ventre delle madri. In tutte le lìngue dei popoli civili voi trovate scritto che vi è un amore platonico, e se si è sentito da tutti il bisogno del vocabolo, vorrebbe dire che la cosa esiste, o nella natura o nel pensiero degli uomini. Noi non ci fermiamo abbastanza sopra i rapporti delle parole colle cose, e ammettiamo si esso e volentieri che tra i molti suoi capricci l'uomo abbia anche codesto, di fabbricare parole per cose che non esistono. Eppure ciò non è vero o almeno non è vero che in parte. Se fabbrichiamo una parola per un essere immaginario, è però vero che questo essere fu immaginato da noi e quindi esìste o è esistito nel nostro cervello. Il guaio vero che si trova nello studio delle parole come vestito delle cose è questo, che non tutti gli uomini applicano lo stesso vocabolo alla cosa stessa, soprattutto quando si tratta dì fenomeni psicologici. Di qui confasione, anarchia; torrenti d'inchiostro e spreco infinito di fiato per spiegarci, per intenderci e pur troppo, ahimè, per creare nuove contese e nuove logomachie. Sappiamo tutti che cosa sia un coltello, una mano, un occhio e a queste cose tutti applicano la stessa parola. Andiamo pure quasi sempre d'accordo nel battezzare il piacere, il dolore, l'odio, la collera e molti altri fatti del mondo psichico, che hanno per tutte le coscienze lo stesso significato e che trovano nel dizionario la loro rispettiva veste. Ma ben altro avviene, quando si tratta di fenomeni fugaci e confasi o di momenti impercettibili di un'emozione o di un intreccio di molteplici elementi. Allora la parola non è che un'approssimazione grossolana o uno sbaglio completo, e noi significhiamo con uno stesso vocabolo le cose più diverse, facendo come colui che volesse per forza far entrare il proprio corpo in un vestito che non fu fatto per lui. Questo accade, per esempio, per l' aiwìre piatomeo. Tutti adoperano questa parola per ischerzo o sul serio, per ludibrio o per difesa, per ipocrisia o per convinzione, ma le idee che si rivestono con questa stessa parola son così diverse, come il sì e il no, come il vizio e la virtù, come l'ipocrisia e l'idealità. Proviamoci a interrogare, facciamo un'inchiesta, muoviamo un processo alla parola, chiamando al tribunale come giurati gli uomini del volgo e i filosofi; gli uomini di buon senso e le donne oneste; chiamiamo pure anche gli scettici e i credenti; i materialisti e gli idealisti. Che cosa è l'amore platonico? L'amore platonico è un paradosso, è un'utopia; non è mai esistita e non esisterà mai. L'amore platonico è una ipocrisia che copre ben altra merce. L'amore platonico è un lasciapassare per salvare il contrabbando. L'amore platonico è una falsa chiave o un grimaldello per poter penetrare in casa d'altri senz'esser veduti. L'amore platonico è un travestimento dell' impotenza. L' amore platonico è una maschera ad uso dei ladri e dei malfattori. L'amore platonico è la quadratura del circolo. L'amore platonico è la centesima versione della favola della volpe, che trovava acerba l' ava che non poteva arrivare. L' amore platonico è l' amicizia fra un nomo e nna donna. L'amore platonico è amore vero e proprio, ma senza la colpa. L' amore platonico è l’ amore con tutte le reticenze imposte dalla religione, dalla morale o dalla necessità. L'amore platonico è il voglio e non posso. L'amore platonico è l'amore senza il desiderio. L'amore platonico è una fraternità delle anime, senza il possesso dei corpi. L'amore platonico è l' ammirazione senza il desiderio. L'amore platonico è tutto l'amore, meno il possesso. L'amore platonico è tutto l'amore spogliato dell'animalità. L'amore platonico è una doppia menzogna a cui non crede nessuno dei due mentitori. L'amore platonico è il primo stadio dei grandi amori e l'ultima fase dei piccoli amori. L'amore platonico è un patto giurato da due che spergiureranno domani. L'amore platonico ò un giuramento di marinaro fatto durante la procella. L'amore platonico è una concessione fatta oggi da ano dei due contendenti colla speranza o la sicnrezza di aver Taltra parte domani o posdomani. L'amore platonico può essere una finta battaglia fra due che non sanno battersi o hanno paura del sangue. L'amore platonico è un vescovato in partibus infidelium concesso a chi non si può dare una curia. L'amore platonico è la metafisica dell'amore. L'amore platonico è la più sciocca parodia della più bella, della più grande, della più ardente delle umane passioni. L'amore platonico è un leone di gesso, è una tigre di carta pesta, spauracchi da bambini o ninnoli di fanciulli. L'amore platonico è la più alta espressione dell'amore ideale. L'amore platonico è il trionfo dell'uomo sulla bestia, è l'amore reso eterno dall'idealità delle aspirazioni. L'amore platonico è la speranza; l'amore vero è la fede. Estasi umane, Vili Sono trenta definizioni molto diverse tra di loro, alcune anzi opposte alle altre, ma rappresentano a un dipresso tutte le possibili. Lasciando da parte quelle che, definendo la cosa, la negano, mettendo in disparte le altre che sono ironie o malignità, possiam dire, che tutte hanno una parte di vero, per cui forse, mettendole insieme in un buon mortaio di agata, che la nobiltà della materia esige tanta nobiltà di strumento, e porfirizzando il tutto con pazienza di chimico e sensualità di farmacista, potremmo forse sperare di avere la quintessenza della definizione, la vera e unica e infallibile definizione dell'amor platonico. Io mi son provato in buona fede a questa operazione chimico-farmaceutica e confesso dì averne ottenuto un polifarmaco arabico-bizantino che mi richiamava alla mente i preparati più bizzarri del medio evo. Ho buttato via dunque il mio pasticcio, e facendo appello al senso comune, che anche nei più astrusi problemi della psicologia spesso li risolve meglio d'ogni altro senso, ebbi questa risposta. L'amore platonico è il aentimmto che unisce un uomo e una donna, che pur desiderandosi, rinunziano volontariamente all'intreccio del corpi, maritando le anime. Fin dove arrivi quest'amore, fino a quando possa vivere, io non so. Ho scritto un libro (Le Tre Oraaie) per dimostrare la possibilità di quest'amore, ma una gentile e dotta scrittrice inglese scrisse argutamente neWAcademy che io avevo tagliato il nodo gordiano, ma non l'aveva sciolto. Consultai molti inglesi, intenditori profondi delle ipocrisie dell'amore, chiedendo loro che cosa fosse la flirtaUon, quali i confini entro i quali si muovesse questa intraducibilissima fra le intraducibili parole e ne ebbi così svariate risposte, le une metafisiche, le altre ciniche, da scoraggiarmi e da fJEurmi desistere da ogni ulteriore ricerca in proposito. Dunque? Dunque io, aspettando da altri più profondi conoscitori del cuore umano, definizione più precìsa, più scientifica, conservo la mia, bastandomi per ora di affermarvi che io credo fermamente nell'esistenza dell'amore platonico, che credo nella sua rarità, nella sua altissima idealità, e che lo riconosco per uno dei fiori più belli e più fragranti che fioriscono nel cuore umano. É capace di rapimenti ineffabili, di estasi degne di vivere all'altezza dell'estasi religiosa e dell'affetto materno. Non ammetto amore platonico fra dae vecchi, fra due brutti, fra due creature che non possono desiderarsi. Si dice da tutti, ma falsamente, che le anime non invecchiano, ma invece le anime invecchiano come i corpi, e le anime che si uniscono nel santo vincolo dell'amore platonico, hanno ad essere giovani e bèlle. Questo sentimento sublime non è possibile che a rare creature elette, che sanno compiere il miracolo di spogliare le anime da ogni veste corporea, che sanno spogliare la passione da ogni desiderio della carne, e contemplandosi si ammirano e si amano. Anche le anime come i corpi hanno un sesso, e nell'amor platonico stanno faccia a faccia e guardandosi eternamente si rimandano senza toccarsi, torrenti di luce e di calore. Due astri che girano nella stessa orbita, che non si toccanmai; che sorgono insieme con una stessa alba, che collo stesso tramonto svaniscono e sfumano nella grande voragine dell'infinito. Sempre in moto, ma sempre distanti Vnn dal* l'altro, attratti allo stesso centro e respinti dagli stessi poli; in relazione tra di loro soltanto per fasci di luce e oitde di calore. L'anima dell'aomo fatta di forza e di azione, l'anima della donna è fatta di grazia e di bontà; e queste dne natnre umane che sommate insieme formano l'uomo completo si attraggono eternamente, ma non si fondono insieme, arrestate dal dovere, che permette loro di amarsi, ma proibisce loro di toccarsi e di fondersi. La massima delle attrazioni diventita immobilità, la massima delle forze divenuta ammirazione, contemplazione, estasi divina. Nessun attrito, nessuna resistenza, nessuna trasformazione di energia; nessuna cenere perchè non vi è fiamma; ma luce; nessuna stanchezza, perchè non vi è lavoro; nessuna morte perchè la vita è arrestata dal miracolo sublime che faceva arrestare il sole nel cielo nei tempi della Bibbia. Nessun bisogno di mutamento, perchè solo la stanchezza o la noia (che non è altro che una forma di stanchezza) può dar desiderio d' incostanza. L'amore platonico deve essere puro da ogni voluttà terrena; è questa la sua grandezza, è questa l'acqua lustrale che lo battezza e lo santifica. Quelle due immense forze che si attraggono senza toccarsi e senza confondersi, rimangono immobili e fìsse; ma se una delle due vacilla, diminuisce d'un battito solo la propria energia, la più debole è subito attratta dall'altra e l'urto è irresistibile. Schizza una scintilla o divampa una fiamma ; ma l'amore platonico è distrutto. Più volte i due astri vengono così vicini l'uno all'altro che ne oorrusoan lampi. Son due . creature che nello spazio si son toccate appena con un fremito di ali spasimanti, ma l'ala deve fuggire con santo e rapido pudore dal contatto dell'ala. Guai a chi crede o sogna che due grandi amori possano vivere della vita celeste delle cose eterne, dopo una carézza o dopo un bacio. Molti, anzi i più degli amori platonici, muoiono in questa maniera, perchè le due anime innamorate sognano questo sogno, che si possa fermarsi a metà strada sulla china di certi pendii; ohe li' credono o sperano che Torlo di certi precipizi possa essere pietoso. Non un bacio, non una carezza, non fosse che qaella delle ali. Anche le ali sono materia e materia viva e calda. Quando due labbra si son toccate, ahimè, l'amor platonico è ferito e per lo più a morte. Le anime sole possono amarsi platonicamente e la materia è sempre dotata di gravità; fosse pnre piuma d'ala, vello di cotone o massa di piombo. Il precipitare di essa sarà lento o veloce secondo la diversa densità della materia: i venti pietosi delle reticenze, delle difese, delle foghe faranno volare per l'aria Iqngamente il filo di seta e il fiocco di cotone, ma fatalmente, ma inesorabilmente avranno a cadere. O tutto o nulla è in amore un assioma di quasi matematica precisione, e le donne, sempre più sapienti di noi in questa materia, lo sanno e lo ripetono sempre all'orecchio degli impazienti. Esse sono le vestali dell'amore platonico, le custodi del pudore, e quando esse vengon meno per le prime ai giuramenti dell'amore platonico, non v'ha quasi uomo su questa terra, che le aiuti a salire. La caduta è fatale, è irresistibile! Al contrario di quanto si crede volgarmente, non sono i piccoli aniQri, ma i f^frandi che soli sono capaci di salire alle altezze dell’estasi platonica, di subire quella sublime transustanziazione, che arresta il desiderio alla soglia del tempio, che trasforma la più ardente delle passioni in una luce di luna, che illumina, ma non riscalda. I piccoli amori son pruriti animaleschi, che si soddisfano grattandoci o applicandovi dei pannolini bagnati nell’acqua fredda. Essi non possono salire le alte cime, perchè son deboli, molto meno poi possono attraversare lo spazio, perchè sono senz'ali. Molte false virtù non sono che piccoli amori domati coi fomenti freddi e quando li vedo innalzati ai supremi onori del sagrificio e dell'eroismo mi vien voglia di ridere. I grandi amori invece non si domano che colla morte o con un miracolo. Questo miracolo è Vamoi e platonico. II credente, pieno di fede, di speranza e soprattutto d'amore è venuto al tempio, per pregare ed amare. È venuto da lontano: almeno per venti, forse per trent'anni ha viaggiato e sudato per monti e per valli, attratto alla Mecca dall'amore. Nel lungo pellegrinaggio ha sudato e ha pianto, ha patito la fame e la sete, ma è giunto vivo alle porte del tempio. I minareti dorati scintillano al sole e dalle porte aperte escono profumi di mirra e di rose. I grandi amori sono religione o idolatria, e il pellegrino s' inginocchia e prega prima di essere ammesso all'adorazione del Dio. Ed egli lo vede, ed egli lo sente vicino. Nella luce rosea del tempio egli ha veduto il gran Dio, che dispensa la vita e la morte: ai suoi occhi lampeggianti d'impazienza e di, ardore hanno risposto altri due occhi, lampeggianti e ardenti come i suoi. Egli ama e sarà amato; ancora una preghiera e san consacrato li in fondo al santuario del Sancta sanctorum, dove il fumo degli incensi gli nasconde la voluttuosa visione, dove un coro di angeli gli cela i sospiri, di chi come lui aspetta e desidera. Un istante ancora, ancora una preghiera, e tu avrai il premio del lungo pellegrinaggio, dei lunghi dolori patiti. Sei nato e hai vissuto venti, trent'anni per cogliere quel fiore, che anch'esso non sbocciò che dopo altri venti o trent' anni vissuti da un' altra creatura che nacque e visse per te. Oh perchè quelli istanti non diventan secoli e quei secoli Vili non ardono in un istante sulUara del desiderio e dell' amore? Una voce vi ha chiamato, vi chiama. Voi siete esauditi; voi siete ammessi nel tempio. La creatura sognata per tanti anni, intraveduta fra le nuvole della fantasia e le iridi del desiderio, è là, vivente, calda, giovane, davanti a voi e vi sorride. Anch' essa aveva sognato, desiderato, aspettato: se 1' asceta ha bisogno di un Dio, anche Dio ha bisogno dell'adoratore, e voi siete la creatura sognata e aspettata da lei. Ogni vostro sguardo diventa una carezza, ogni vostra carezza un desiderio di carezze nuove, e i baci aleggiano per l'aria facendo intorno a voi un nembo di petali di rose. I desiderii son divenuti benedizioni: due primavere, due vite, due amori aspettano di fondersi fra un istante in un solo paradiso di fiori, di profumi e di voluttà. Venga pure la morte; avrete vissuto abbastanza, il mare vi sommerga pure, il fuoco vi incenerisca, la terra vi ingoi; al di là dell'infinito non v' ha altro pensabile; al di là del tutto, che cosa desiderare ancora? Amate e morite! Ma ecco che fra voi e lei un angelo o un demonio, il fato o il dovere ha messo una spada di fuoco. Voi vi amate e vi amerete fino all' ultimo respiro, ma voi non vi toccherete. Non una carezza, non un bacio; neppure i flati confonderanno i tepori delle anime. Io afiretto colla penna impaziente ciò che in natura avviene lentamente, più spesso per una serie non interrotta di uragani. Senza lotta, senza agonia, senza l'orto di Getsemani non avviene quella trasformazione che muta due desiderii in una rassegnazione, due passioni in un'estasi, due soli nell'astro della notte. Nulla si perde di quanto vive o si muove, non la materia, non la forza che non è altro che l'atteggiamento della materia, e anche ì cataclismi della terra e del cielo, anche i cicloni che sconvolgon la terra e rovesciano le città sono trasformazioni di forze, sono equazioni matematiche nelle quali il prima e il poi si dimostrano come quantità eguali. Così avviene anche negli uragani del cuore. Due amori dovevano confondersi insieme per riaccendere la fiaccola della vita, due baci dovevano salire al cielo confusi in una sola benedizione della vita trionfatrìce. E invece, passata la procella, vin rasserenato il cielo, noi vediamo il pellegrino venuto da lontano al tempio d'amore ancora sulla soglia, ancora prosternato e in atto di rassegnata e serena adorazione. E^ nel tempio, là in fondo, fra le nuvole degli incensi e il coro degli angeli, immoto il Dio,che guarda il pellegrino con tenerezza serena; e là rimarranno entrambi Dio e creatura, idolo e sacerdote fino all' ultimo respiro. L'amore che feconda è divenuto l'amore che ammira; l'amore che ama è divenuto l'amore che adora; il sole che tutto colorisce e riscalda si è trasformato nella luna, che fa fantasticare e sospirare. Se avete letto la mia Filologia del dolore, dovete ricordare le pagine, nelle quali ho tentato di studiare la psicologia della malinconia. Fra questo caro fiore del giardino del cuore e l'amore platonico vi sono grandissimi rapporti di somiglianza. L'amore platonico è una grande e soave malinconia e chi l'ha potuto e saputo godere, non rimpiange la gioia, perchè quel sentimento ha bellezze più alte, ha misteri più delicati, segreti più riposti e sublimi. Dei vulcani, dei terremoti, degli uragani che sono vita quotidiana dell'amore nulla è rimasto : delle battaglie combattute nessun cadavere, nessun membro divelto; il terreno l'amob platonico lacerato dalle bombe, solcato dalle artiglierie, madido di sangue umano, è ritornato all'aratro; e le spighe fioriscono, dove corsero i gemiti dei moribondi e gli urli dei feroci. Una croce di legno piantata sull'orlo del campo vi ricorda però la storia del dolore e spande all'intorno un'aria malinconica. Non invano io ho invocato il tempio ad esprimere e contenere i misteri dell'amore platonico, perchè questo ha forme mistiche e le sue estasi presentano molti caratteri del rapimento religioso. Soffocato e spento il desiderio, inutile la lotta, che cosa rimane fuorché l'adorazione? E questa adorazione che prima è consagrata all' idolo, si affina sempre più, man mano andiamo perdendo la memoria delle battaglie combattute e la figura che adoriamo perde ogni giorno più la propria personalit\ per prendere forma di mito o di simbolo. La donna che adoriamo d'amore platonico non è più per noi Laura o Beatrice, ma è la donna, la donna unica e sola che per noi personifica tutte le bellezze, tutte le grazie, tutti gli incanti di Venere e di Eva. La donna amata ha occhi che ci incantano, membra che le mani accarezzano, chiome entro le quali si smarriscono i desiderii come in un labirinto incantato. La donna amata d' amore platonico non ha occhi, non membra, non chiome, e perchè le avrebbe se noi non possiamo baciarli e possederli ? Dio ha forse occhi, membra e chiome f Noi amiamo platonicamente, ma amando adoriamo; e l'adorazione è l'estetica divenuta affetto o l'affetto divenuto estetica, o direi meglio è un sentimento che aleggia eternamente fra l'ammirazione di una bellezza assoluta e un amore infinito per questa bellezza, a cui non osiamo dar forma, perchè anche questa ci sembra una profanazione. L' amore abbraccia sempre qualche cosa, colle mani o colle braccia, colle labbra o col cuore; l'amore platonico non abbraccia, perchè l'infinito non si stringe; l'amore platonico, contempla, ammira, adora. Siamo in piena estasi e in estasi permanente: nessun carattere del rapimento gli manca, non la fissazione, non lo sprofondarsi di tutte le sensazioni in una sensazione sola, non la immobilità per tensione di tutti i muscoli antagonisti, non la catalessi, non la insensibilità per eccesso di sensazione. E le estasi son due: due come le creature che mutuamente si contemplano e si adorano; due come le forze, che campate nello spazio e sempre lontane si invocano e si attraggono e eternamente rimangono fìsse, senza avvicinarsi di nna lìnea né toccarsi mai. In cielo fra gli astri avvengono questi fenomeni che gli astronomi studiano; nel cuore umano avvengono gli stessi fenomeni con leggi eguali, con eguale miracolo di potenza e di bellezza. Se l'amore platonico per la sua alta idealità si avvicina ai rapimenti mistici dell'asceta, ha per altri suoi caratteri le profonde sensualità del-l'avarizia. L'avaro e l'amor platonico hanno questo di comune: possedere un tesoro che contemplano, che adorano, ma che non spendono. Quella donna che voi adorate, è d' altri o di nessuno in apparenza, ma nessuno l'ama come voi, per nessuno è bella quanto lo è per vói. I vostri sguardi, le vostre aspirazioni, i vostri pensieri sempre rivolti a lei la circondano d' un’aureola, che la isola dal mondo. Essa è chiusa in uno scrigno invisibile, ma non meno inviolabile; in uno scrigno d'oro e di gemme di cui voi solo avete la chiave. E anch'essa, voi lo sapete, non ama che voi. È il possesso potenziale, è la proprietà ideale. Gosì appunto è dell'avaro: egli contempla quei fasci di biglietti miracolosi che possono a un cenno trasformarsi in gioie, in lusso, in ogni ben di Dio. E per volontà nostra quella donna è intangibile, quel denaro non si muove, ma quella donna è nostra, quel tesoro è nostro. L'amore platonico, ricco com' è di rapimenti, ci presenta allucinazioni di trascendente bellezza. Nessuno più abile sarto per vestire i corpi nudi, nessuno più ardito per spogliare i corpi vestiti. Nelle visioni dell' asceta Dio appare (come vedremo più innanzi) in aspetti svariati, ma sempre bellissimo; e l'adorazione che crea l'immagine si raddoppia neir estasi d'ammirazione di quelle bellezze. E così è noli' amore platonico, in cui tutte le forze del pensiero, tutte le energie del sentimento, concentrandosi in un punto solo, danno tali ali alla fantasia e tale energia al suo pennello da trasformare l'uomo in un poeta e in un pittore in una volta sola. Poeta che abbellisce e idealizza tutto ciò che tocca; pittore che della sua tavolozza fa una verga magica che tntto riveste di un'iride afiascinante. La donna adorata e non posseduta è sempre Venere per noi; Venere Afrodite quando la fantasia la spoglia, Venere Urania quando la fantasia la ravvolge nei densi veli della nostra gelosia e del nostro rispetto. Nuda o vestita è sempre una Dea per noi, e noi ne siamo i sacerdoti. Anche le sante vedono Dio nudo nelle loro visioni, né quella nudità è meno casta o meno pudica. L'amore platonico è tutto un pudore, perchè il pudore è la riverenza dell'amore, è la santificazione del desiderio. Oh quante volte nei sileuzii della notte le tenebre si illuminano per noi alla luce mistica della fantasia e dall'onda azzurra d'un mare tranquillo sorge per incanto al fremito impercettibile d'una brezza che vien dal profondo una visione di donna. E noi assistiamo al mistico nascere della Dea d'amore, assistiamo al nascer della vita. Estasi umane, vili E sorge dall'onda Spumeggiante pregna degli inebbrianti e salsi aromi del mare la visione della creatura amata, della sola donna che per noi è donna, e che nuda e casta come una statua di Fidia, lucente dell' onda che cade in mille perle su quella perla sola che è il corpo di lei, s'innalza fremente e flessuosa, come una palma umana; e sorge e s'innalza sulle sue colonne di marmo pario, inghirlandata dalle chiome fluenti, che fanno piovere una pioggia di perle sui morbidissimi flanchi intomo a lei bolle e freme l'onda, quasi ebbra dei contatti voluttuosi della Dea, e guizzano nereidi e naiadi a farle corona di bellezze minori, mentre angioletti rosei svolazzano all'intorno di lei, impazienti di accarezzarla colle ali convulse. E nessuna lascivia scuote le nostre membra e nessun desiderio osa turbare Testasi di quella contemplazione. Voi siete sempre in ginocchio, col corpo o col pensiero, davanti alla divina immagine che adorate. E altre volte Venere non esce dal mare, umida e calda delle sue feconde aspergini, ma in un bosco di allori sotto il cielo ellenico, scende dal tempio e passeggia sorvolando sull'erba, quasi statua che ubbidisce all'evocazione del suo creatore e ritoma alla vita. E gli inni dei poeti e le corde d'oro delle arpe eolie cantano e suonano le loro armonie, facendo coro di ammirazione e osanna di adorazione alla dea della bellezza, alla madre di tutti ì viventi. E noi prostesi al suolo baciamo l'orma profumata, che il piede divino lascia sui muschi vellutati e fra l'erbe odorose. Ma terra e mare non bastano più a fare cornice alla nostra visione trascendente e noi vediamo la nostra Dea farsi creatura alata e spiccare il volo nelle alte regioni del cielo. Non più carni rosee o colonne di marmo parlo, ma la carne dive-vni nuto opale e le membra trasformate in ali. E vìa per Paria e gli spazi infiniti del vuoto, un aleggiar robusto e un ondeggiar di chiome, or dorate dai raggi del sole, or argentine al chiaror della luna, or buie come le tenebre degli abissi. E un fiammeggiar degli astri, che anch'essi nell'eterna pace dei secoli, fremono alla vista di quella divina bellezza e scintillano più caldi e più splendidi, salutando colle ebbrezze della luce una creatura deUa terra. E noi dietro a quella visione, convertiti da creature mortali in un sospiro di desiderio che vola e insegue la donna alata. La via lattea ci è guida al nostro volo audace e tra la polvere degli astri che non abbiam tempo di ammirare e fra gli abissi dell'infinito e le meteore deUo spazio cogli occhi fissi a quella creatura che è cosa nostra e di cui sentiamo nel vuoto infinito il batter dell'ali, Siam rapiti in estasi e speriamo di confonderci e sparire in quella donna, che non è più donna, ma angelo; che non è più angelo, ma Dio; un Dio creato dalla nostra fantasia e dal nostro amore. Sparire per sempre e con lei, come dicesi che le comete attratte dal sole si consumino in un bacio ardente come loro, ciclopico come lo spazio. Sparire e confondersi, non ritrovar più il nostro Io, non distinguere più qua! differenza passi tra noi e lei, fra l'amare e Tessere, fra l'uno e il due; non ricordarsi della terra, del nascere e del morire, della gioia e del dolore; non pensare altro pensiero che il pensiero di lei, perdere tutta la coscienza e tutta la memoria, per sommergerle nel grande oceano di una sensazione sola, l'estasi; spogliarsi di tutte le passioni, dimenticarle tutte, per non ardere che d'una sola passione, l'amore. L'uomo e la donna disgiunti sulla terra, ricongiunti nel cielo e per sempre con un bacio che non ha domani, con un amplesso che trasforma le anime nella carezza di quattro ali. L’estasi dell'amore platonico non sono tutte di adorazione, ma possono presentarci le forme della devozione, del sagrifizio spinto fino al martirio. Allora noi abbiamo i rapimenti già descritti nell'amore materno, nell'amor figliale e negli altri affetti minori. Inutile ripetizione sarebbe quella di ritrarre i lineamenti di questi quadri sublimi, che tanto si rassomigliano. L'ionico carattere che distingue tutte queste forme svariate è quello di essere accompagnato dall'ardore della più calda delle passioni, di esser tutto imbevuto di quell'amore che fu chiamato con questo nome senza aggiunta di alcun aggettivo, quasi prototipo di tutti gli altri amori. L'amore platonico può essere potente e fecondo di estasi, anche quando non è diviso da un'altra creatura. Anche quando vibra in un solo cuore, anche quando contraddice, rarissima eccezione, il verso famoso del poeta. Amor ch'a nullo amato amar perdona, può durare tutta la vita, può essere il palpito di ogni ora, il sogno d'ogni notte, la religione mistica di un solo cuore. In questi casi soltanto vi ha di diverso e di caratteristico una soave malinconia, forse confortata da una speranza lontana che il nostro amore, pur rimanendo sempre pia* tonico, 8iia diviso da un' altr' anima. Xie estasi dell' amicizia. Rapimenti dell'amor fraterno. Anche senza il fascino del sesso, anche senza i vincoli del sangue l'nomo può amar l'uomo di quel sentimento che si chiama amicizia. Ho gii\ parlato troppe volte e a lungo nella mia fisiologia del piacere e in altri miei libri più recenti dell'amicizia, né starò a ripetermi. Qui non dobbiamo occuparci che di quelle rarissime forme di questo sentimento che possono portarci fino all'estasi. L'amicizia è possibile fra uomini e uomini, fra uomini e donne, fra donne e donne; ma il sesso è tale un elemento perturbatore d'ogni altro affetto, che non sia amore, da rendere 1' amicizia assai rara fra ue persone di sesso diverso, e anche quando i sensi non parlano e nessun desiderio accompagna l'amicizia, questa è però modificata profondamente da quella tenerezza irresistibile che l'uomo ha per la donna, di quel bisogno di protezione che la donna sente dinanzi all'uomo. Ecco perchè preferirei separare dal gruppo delle Estasi umane. L’ amicizie vere quella che Tuomo e la donna possono intrecciare tra di loro, ravvicinando queste alla famiglia degli amori platonici. V amicizia è un sentimento di lusso e noi lo vediamo mancare affatto o presentarci forme atrofiche negli uomini di bassa gerarchia psichica. Le sue energie sono deboli, talché cedono subito il campo ad altri sentimenti più imperiosi e che hanno una grande missione nel ciclo della vita. È anche per questo che le donne ci presentano più raramente esempio di calde e tenere amicizie. In esse l' amore e la maternità occupano tanta parte del cuore da non lasciare il posto per altri sentimenti minori, e d'altronde la galanteria virile fa delle donne altrettanti rivali e semina la gelosia e inviperisce le vanità e solletica la malizia e la maldicenza; per cui V amicizia fra donne è pianta rara, che vive per lo più vita breve e fra le pareti di una stufa ben calda e custodita. Che l'amicizia sia una pianta di lusso lo prova il vederla fiorire nell' età delle massime energie affettive, cioè nella giovinezza. Col primo aocenno di capelli bianchi, col primo chinar della curva vitale, le amicizie nuove sono molto rare e le antiche si conservano spesso per abitudine, per riconoscenza, ma son fiacche e messe quasi sempre nel secondo giro degli affetti. Se r amicizia è sentimento raro, è tanto più delicato e si muove in una sfera di altissima idealità. Intendo sempre parlare della vera, della sublime amicizia, di quel sentimento che fa di due nomini un nomo solo, che li unisce mano con mano, cuore con cuore, anima con anima. Per lo più fra la massa del volgo si chiamano con quésto nome simpatie fugaci, associazioni d'interessi, consuetudini d'occasione ed altre cose ancor più volgari e più basse. Per questa via di certo nessun rapimento è possibile. Ciò che dà il marchio di nobiltà all'amicizia è V eleziùne che ne è il midollo e lo scheletro, chene è il motivo informatore. Non è soltanto negli ordini politici che relezione sostituita all'eredità o alla forza segna un gigantesco progresso: anche nel campò degli affetti l'elezione è il battesimo che li consacra ad una vita gloriosa, che li tra-sporta dai bassi fondi delle necessità organiche nel cielo dell' idealità. Neil' amore, nell' affetto di patria, nella maternità, in tutti i potenti affbtti che stringono l'uomo coi vincoli della famiglia, vi è un vigore irresistibile, vi è una forza trascendente, ma nello stesso tempo noi ci sentiamo rapiti dal fato, dalla necessità:. Siamo ben felici di questa cara necessità, Ina V Io, sempre superbo, sente qualcosa più forte di lui e riverente s' inchina e ubbidisce alle leggi della natura. Nell'amicizia invece nulla di tutto questo: nessun fato, nessuna necessità, nessuna tirannia d'uomini, di cose o di tempi. Due anime umane si incontrano nel viavai della folla, si contemplano e s'intendono. Un riso sorriso in due, una lagrima pianta in due, un grido d' entusiasmo escito prorompente, irresistibile in uno stesso momento da due petti umani, avvicina i cuori e stringe le destre. Son due note musicali, che partito da due strumenti lontani si sono incontrate pell’aria, formando un accordo d'armonia. E quello stringersi delle mani rivela nella sua espressione semplicissima tutta la psicologia più fine e più profonda dell'amicizia. In amore son le labbra che tendon l’arco e si cercano. In amore son le viscere che s’intrecciano e si fecondano. Nell’amicizia son le mani, che si cercano e si stringono; gl’istrumenti del pensiero e dell'azione. Sentire insieme e sentire egualmente, ammirare le stesse cose e disprezzare gli stessi uomini, parlare commossi cogli stessi i)oeti e benedire con una voce sola lo stesso sole, ci fa parenti nelle anime, come in amore le simpatie fanno di due sangui un sangae solo, DI DUE DESIDERII UN DESIDERIO SOLO – Grice, CO-OPERATIVE PRINCIPLE -- , e colla fiisione intima di due esistenze, creano una terza vita. L'amicizia è una parentela d'elezione, è un amore delle anime, è un sentire il proprio pensiero sommato a un altro; i proprii sentimenti, le proprie simpatie, le proprie aspirazioni ripercossi sempre dall'eco affettuosa di un'altra simpatia, di un'altra natura umana, che risponde alla nostra. Dolcezze ineffabili, voluttìi di altissima sfera, che fanno l'uomo superbo d'esser uomo. Questo consenso non cercato ma trovato, questo combaciarsi intero e completo di due anime, questo libero matrimonio di due nature umane può bastare a rapirci in estasi; quando soprattutto ci rifugiamo in seno all' amicizia per sfug;^ire dagli urli del profanum vulgus; quando siamo inseguiti dal latrato dei cani; quando ci sentiamo asfissiati dal lezzo del fango in cui pur troppo dobbiamo le tante volte camminare e sommergerci. È allora che l'oasi dell'amicizia ci stende la sue braccia e ci involge colle sue ombre profumate, colle sue brezze inebbrianti, e proviamo la santa gioia di chi escito da una cloaca immonda e oscura, si trova nell'aperto cielo in mezzo alla luce, all'aria pura; fors'anche fra il profiimo dei fiori e il sorriso dei bambini. L'estasi di due amici che si comprendono, che ^i stringon le mani. che si guardan negli occhi, leggendovi riflessa Pimmagine di so stessi, è muta come quasi tutti i rapimenti della vita. É muta ed è profonda: è serena eie azzurra. Non si sa eome incominci e dove finisca; appunto come noi non sappiamo, guardando in alto, dove il cielo incominci e dove esso finisca. Tiriamo profondo profondo il respiro, perchè vorremmo quasi ingrandirci di dentro, come ci sentiamo raddoppiati di fuori; e il nostro Io si confonde, si sprofonda con un'altra coscienza, quasi due parti di un'anima sola, che separate dalla violenza, incontratesi nello spazio, ritornano ad essere una cosa sola. In quei momenti beati ogni confine ben definito della coscienza si ofiftisca e si sperde : ci pare di essere due, perchè godiamo sentimenti, bellezze, splendori el vero o del buono in due; ci par di essere uno, perchè sentiamo vibrare due coscienze in unacocienza sola; perchè le due anime si son abbraociate e strette e confuse in un'anima sola. Sante e care e dolci ebbrezze dell'amicizia, che si elevano per la loro purezza nelle sfere più alte dei sentimenti umani. Se sono men calde di quelle dell'amore, sono però più durevoli e serene; se vi è meno volutto, vi è più pensiero; se vi è meno fuoco, vi è più luce. Ma perchè questi sterili e vani confronti? Perchè sagrificare anche noi a quel maledetto gallo d' Esculapio, che costringe sempre l’uomo a confrontare le cose che studia e descrive? Forse che si pota risolvere il problema la rosa sia più bella del giglio, lo zafiBro più splendido del diamante, il cavallo più bello del leone? Lasciamo ogni bellezza al suo posto e non tormentiamo le creature del nostro pianeta, facendole passare sotto le forche caudine delle nostre gerarchie. La natura feconda e generosa non ha mai scrìtto dei numeri sulle proprie creature: nessuna prima, nessuna ultima, e il muschio microscopico che nasce e fiorisce fra le fessure del tronco d'una palma superba, è bello quanto l'albero maestoso che le offre l'ospitalità; e la stretta di mano dell'amicizia è cara quanto lo stringersi insieme delle labbra innamorate. Le estasi dell'amicizia sono di varie forme, ma quasi tutte possono ridursi a queste due: estasi di simpatm e estasi di conforto. Delle prime ho parlato fin qui, riducendole ad un'espressione sola. Le altre sono più facili e più. comuni. Esse non sono che estasi di carità rese più intense, più cald, più poetiche, perchè il sentimento che le ispira è di più alta natura. Nella carità facciamo il bene agli altri, solo perchè uomini; all'amico diamo tutto noi stessi, per lui facciamo i maggiori sagrifizii, perchè uomo e perchè amico. Dall'elemosina che ci umilia e può anche avvilirci, incomincia una scala ascendente e che ha mille gradini e pei quali si sale alle forme più squisite della beneficenza. Sulla più alta cima sta sempre 1' amicizia, che conforta e aiuta e soccorre senza umiliare e porge il dono con tale delicatezza, che mal sapresti dire, se sia più prezioso il dono o più caro il modo con cui ti vien presentato. ESTASI dell'amicizia Impiccolire il sagrifizio fino a nasconderlo affatto, mostrare che chi dà è invece colui che riceve, ohe il donatore rimane debitore; nascondere nella gioia di dare l'orgoglio di dare e soffocare fin dal suo nascere l' involontario rossore di chi riceve, sono altrettanti miracoli che l’amicizia compie colla massima agilità, colla maggiore naturalezza di questo mondo. Indovinare il dolore anche senza il pianto, presentire l'imbarazzo quando nessuno lo sospetta, prevedere la sventura prima che arrivi, il pericolo prima che l'allarme sia dato, non attender mai che la mano si stenda a voi, ma stendere la vostra e nella stretta di mano nascondere il benefizio, sono le prime lettere dell' alfabeto dell' amicizia; son problemi elementari che il cuore risolve di primo acchito e senza bisogno di studiare la matematica. Davvero che in questi ca^i è diflBcile dire chi più goda dei due, chi primo arrivi al rapimento del benefizio fatto o della riconoscenza caldissima. L'uno ha preveduto, ha presentito, ha indovi-nato. L' amico soffre ed io posso far tacere quel dolore. L'amico ha bisogno di soccorso, di conforto, ed io sarò quei fortunato che potrò soccorrere e confortare. Il cuore batte forte forte in petto, le mani tremano per 1' emozione e un sorriso involontario e angelico corre sul nostro volto. Tutti gli artificii più astati sono da noi adoperati per far sembrar facile ciò che è difficile, naturale ciò che forse è per noi un doloroso sagrìflzio. Nessuna astuzia è più raffinata, nessuna ipocrisia più opaca, nessuna fantasia più immaginosa di quella che adopera l'amico per occultare il benefizio, per giungere in tempo; per abbellire la carità collo splendore della sorpresa. Il dono dell'amico è un fiore bello e profumato che ci presenta la mano di un bambino, innocente e giulivo come la bontà sempre aperta dell'uomo generoso, rìdente come tutte le primavere della vita e della natura. E chi riceve ed è costretto a non vergognarsi di ricevere e chi indovina tutte le sante astruserie e i fini accorgimenti che accompagnano V opera del conforto e chi misura tutta 1' altezza dell' anima che corre soccorrevole a noi, rimane confuso e commosso e dallo strazio della disperazione è portato di volo alla beatitudine più sicura e più alta. L'amico ci ha indovinato e l'amico risponde con un'onda di riconoscenza; il sorriso di chi fa il bene è nobile come il sorriso di chi lo riceve, e due estasi si confondono in un'estasi sola. Chi più felice dei due? Nessuno. Chi più grande? Nessuno. Quale il debitore, quale il creditore? Nessuno dei due; o entrambi creditori, entrambi debitori. Chi più bello del sole che illumina o della terra che è baciata dal sole! Chi più bello del cielo che si specchia nel mare o del mare che si fa azzurro al sorriso del cielo? Chi più dà e più riceve della gloria dei grandi o del riflesso d' amicizia che le turbe innalzate dal genio rimandano al sole del pensiero? Beata ignoranza codesta, di non poter distinguere due bellezze che si fondono in una bellezza sola; due gioie che si unificano ìa una voluttà sola; due grandezze che si sperdono e si consumano in una sola immensità. Non malediciamo la vita, se questa ci lascia lo spazio e il tempo per essere uno di questi amici o per assistere ad una di queste scene del mondo morale. Quante bassezze, quante viltà, quanto fango si devono trovare nei sentieri pedestri della vita por dimenticare uno di quei quadri, quante tenebre ci vorranno per cancellare tanta luce, quanto male per far dimenticare tanto bene! Nessun fiume, per fangoso che sia, ha potuto togliere all'oceano le sue trasparenze; nessun sofiQo di uomo ha potuto spegnere il sole, nessun gelo Tha mai potuto raffreddare! L'affetto che ravvicina i nati tVuno stesso padre e d'una stessa madre, esiste abbozzato anche negli animali. Gli uccellini allevati in uno stesso nido, spesso anche quando Thanno abbandonato, vivono assieme e si amano: spesso anche le scimmie ed altri mammiferi sentono di essere fréitelli, ma queste fratellanze son pallide e di piccola durata. I colpi di fucile del cacciatore crudele, i lunghi viaggi, i nuovi amori, spezzano ben presto i vincoli di fratellanza, e dopo pochi giorni, o poche settimane, o pochi mesi, secondo i casi; ogni riconoscimento di uno stesso sangue si dilegua e scompare. I fratelli possono intrecciare un nuovo nido, un incestuoso amore, o possono farsi la più spietata guerra. Anche fra gli uomini l'amore fraterno è spesso pallido e non presenta che deboli energie; i molti cuculi deposti nel nido d'una famiglia, le antipatie e le dissonanze dei caratteri troppo frequenti ad onta della comune genealogia, le lotte d'interesse opposto, le lunghe e necessarie assenze imposte dalle vicende della vita, sono altrettante cause l'amoe fraterno che possono rallentare o rompere le catene fraterne. Fra fratello e fratello, fra sorella e sorella si aggiunge poi la ruggine delle gare di vanità e d’emulazione, e questa ruggine corrode più ohe la lima di forti passioni. Per tutte queste ragioni i forti amori fraterni son rari, rarissime le estasi affettive. Oserei però dire che, meno rare eccezioni, Tamore fraterno non ci mostra scene commoventi e sublimi, che quando è rafforzato dalla simpatia dei sessi opposti. Earo V affetto intenso fra due fratelli, forse più raro ancora quello fra due sorelle; più comune invece il sentimento che lega il fratello alla sorella. Quando fratello e sorella si amano davvero, si amano molto, il sentimento che li unisce è un'amicizia resa ancor più calda dalla comunanza del sangue e può giungere a tanta forza e a tanta idealità da avvicinarsi assai all' amore platonico. Son due creature che non possono amarsi d'amore, perchè troppo rassomiglianti, perchè esciti dalle stesse viscere, perchè hanno ricevuto il primo bacio dalle stesse labbra, perchè hanno succhiato dallo stesso seno quel secondo sangue che è un secondo vincolo di parentela. E poi son cresciuti insieme, hanno respirato i)er tanti anni l'aria dello stesso nido, hanno dormito tra le pareti della Stessa casa, hanno pregato sotto la vòlta della stessa chiesa, hanno pianto le tante volte insieme; hanno diviso i terrori infantili, si sono inebbriati insieme nelle feste dell' infanzia e insieme hanno subito le procelle dell'adolescenza e della prima giovinezza. Come e perchè non si amerebbero quelle due creature, che vedono a vicenda rispecchiata tanta parte di sé stesso nel cuore e nel pensiero dell'altra? La comunanza delle memorie è parentela del cuori e ad essa basta un cenno, un sorriso, una parola per rifare quei viaggi poetici e affascinanti nel tempo che fu. Quei due forse hanno già passata più che mezza la vita insieme, fors'anche hanno insieme composto nella fossa il loro babbo e la loro mamma, e in un certo giorno dell'anno, anche lontani e senz'essersi chiamati, si trovano insieme sopra una stessa tomba. E come e perchè quelle due creature non si amerebbero; non si amerebbero molto; non si amerebbero sempre? La nostra sorella slam noi stessi incarnati in un sesso diverso e quando in essa noi vediamo riprodotti i nostri lineamenti, rifatti gli stessi gesti, riprodotti gli stessi gusti, le stesse antipatie; sor-ridiamo di compiacenza, esclamando: s'io fossi una donna, sarei lei! E la nostra sorella non solo ci rassomiglia nel volto, nei gesti, ma desidera le stesse cose, sorride degli stessi scherzi, ha come noi qnelle stesse debolezze, delle quali dobbiamo spesso arrossire. E si ride insieme, e si arrossisce insieme, dicendoci nell'orecchio : Anche tuf 8Ì anch^io! E la nostra sorellina (che sorellina è sempre ogni sorella, quando è molto amata), e la nostra sorellina rassomiglia tanto alla nostra mamma, che la si direbbe la mamma ringiovanita. Essa ha per noi tenerezze materne, indulgenze materne; essa ci può abbracciare e baciare, benché essa sia una donna. Quanto è indulgente e buona! Con lei possiamo sfogare le nostre bizze, confessare i nostri rancori; con lei possiamo dividere tutte le amarezze dell' orgoglio offeso, dell' ambizione delusa, delle speranze svanite. Essa non e' invidia ma ci ama. Essa non riderà di noi, né ci vorr.Y consolare coll’accusarci fattori della nostra sventura. Essa è donna e con noi quasi madre; nessuna osservazione, nessun rimprovero prima di averci medicati e guariti. Nessuna domanda importuna o impertinente prima di averci fasciata la ferita. Possiamo essere più vecchi di lei; essa ci tratterà sempre come bambini, sarà capace perfino di prenderci fra le sue braccia e di farci la ninna nanna. E la sorella si getta fra le braccia del fratello. come non può fare colle braccia di nessun altro uomo. Del marito ha suggezione, del padre ha rispetto; davanti al figlio vuol essere infallibile. Il fratello invece non è né marito, né padre, né figlio, ma un po' di tutto questo. Egli è un uomo e la sorella può appoggiarsi a lui come alla forza che protegge e difende. Egli é un uomo, ma non sarà mai un giudice severo, perchè anch' egli prima di gridare al peccatore, vorrà guarire il peccato e risanare la ferita. La sorella è sicura che il fratello di lei avrebbe peccato come lei, s'egli si fosse trovato nelle stesse circostanze ed essa è sicura di trovare una grande indulgenza, una misericordia grande come quella del Cristo. Ma non occorre peccare per rifugiarsi fra le braccia fraterne del figlio della nostra mamma. Il fratello ha piti ingegno di noi, più di noi ha studiato e vissuto. Egli ci darà la luce per camminare nelle tenebre della vita, egli ci darà un braccio poderoso per appoggiarsi, egli sarà la nostra bussola nel gran mare delle umane dubbiezze. E che faresti tu In questo caso f Come esciresii tu da questo labirinto f Dimmi se io ho fatto benet Dimmi vi è ancora un rimedio a tanto male f „ E le domande si succedono le une alle altre, senza attender risposta e le risposte diventan altrettante domande; ed è un affollarsi confuso e prorompente di parole, di sorrisi, di lagrime: e sono abbracci che interrompono domande e risposte e sono baci che valgono più d'un volume di ragionamenti e son singhiozzi che taciono alla soavità d'una carezza e son carezze che vogliono esser rimproveri e rimangono invece carezze dolcissime e sono due anime di uomo e di donna, che possono vedersi nudi l'un l'altro senza arrossire, perchè non hanno sesso e sono come Adamo ed Eva prima che avessero bisogno di coprirsi delle foglie dell'albero mistico dell'Eden. n questi casi e in altri consimili la commozione può giungere fino al rapimento, e l'estasi si afferma con tutti i suoi caratteri di isolamento dal mondo esterno e di concentrazione di tutte le forze del sentimento e del pensiero in un punto solo del mondo psicologico. Beati coloro che l’hanno Estasi liman, provata, fosse poi gioia che prendeva il posto d'un grande dolore o gioia che si faceva cento volte maggiore, perchè si moltiplicava colla igioia d' nn' anima sorella. L'amore fraterno è un sentimento di lusso, tanto è vero che è appena abbozzato e fuggevole negli animali e così pure è debole nelle razze e nelle nature inferiori. I sentimenti di lusso sono i più indistinti, quelli che hanno frontiere meno sicure, per modo che si confondono facilmente con altri affetti di analoga natura. L'amore fraterno confina coir iimore platonico e coli' amicizia, e tanto è vero che spesso udiamo escire dalle labbra commosse di due amici, che non pensan punto a far della psicologia, questi gridi dell'anima: Io il amo più che un Fratello. Tu mi sei più fraUllo che amico. La nostra amicizia è una vera fratellanza delle anime. Noi non siamo amici ma frnt4ilU! E d' altra parte non di raro due fratelli esclamano alla lor volta. Ma il nostro affetto è una santa amicizia. Ma anche senza i lincoli del sangue noi saremmo due amici. Se mi fosse permesso tentare di distinguere il caratt-ere proprio delle estasi dell'amicizia e quello dei rapimenti dell'affetto fraterno, direi che nel primo caso vi è una grande fratellanza nell'urnanità che ci eleva al disopra del volgo e che nel secondo la voce del sangue ci tiene più vicini al nido e quindi piti caldi, più commossi, più inteneriti. Nei rapimenti dell'amicizia vi è più pensiero, in quelli dell'affetto fraterno vi è più viscere.Nei primi la differenza di sesso turba l'estasi o la porta in altre regioni, nei secondi invece questa differenza è quasi sempre necessaria e contribuisce assai ad accendere i cuori, ad affinare, a intenerire, a commuovere gli animi che salgono insieme in quest'Olimpo del sentimento. Descrivere tutte le possibili estasi umane s.irebbe dar fondo all'universo psicologico e nessuna forza d'uomo vi basterebbe. Io mi accontenterli accennare ad alcuni rapimenti dell'affetto fratemo: altrettanti quadri presi dal vero e che potrebbero ispirare il poeta, il pittore, lo scultore.Due fratelli vivono in paesi lontani Uun dall'altro e vengono a conoscere per via indiretta, che il babbo si trova in grave imbarazzo di afifari commerciali. Accorrono non chiamati, si incontrano sulla soglia della casa paterna. Si sorprendono, si interrogano. Son venuti per la stessa ragione chiamati dalla stessa voce interiore. Hanno pensato la stessa cosa, lo stesso piano, gli stessi progetti per salvare l'onore del padre. Lo possono fare e lo faranno. Esaltati, commossi, si gettan nelle braccia l'un dell'altro e godono un soavissimo rapimento dell'anima. Due fratelli che lavorano insieme, hanno pensato uno stesso libro, senza scambiarsi una sola parola. Venuti a comunicarsi a vicenda i loro progetti, si trova che essi si incontrano e si combaciano.Lo stupore diventa ammirazione, l’ammirazione contentezza, beatitudine. Essi si abbraccino, si inebbriano della gioia di aver fusi due pensieri in un solo pensiero. I fratelli De Goncourt devono aver provato più volte quest'estasi deliziosa. Due sorelle hanno perduto runico fratello, vedovoe padre di numerosa famiglia. Sul cadavere del caro perduto suggellano un bacio in due, che è conclusione d'un giuramento fatto in silenzio, nello stesso momento. Esse non prenderanno marito,esse daranno tutto il loro tempo, il loro dinaroai nipotini che fanno loro figlinoli, che si stringono al seno in uno slancio di carità generosa. Quelle due anime beate di aver pensato in uno stesso istante la stessa cosa si abbracciano, si stringon forte forte cuore contro cuore; confondono lagrime, singhiozzi, sorrisi e godono una delle estasii fraterne più complesse e più alte che possa godere anima umana. Una donna è tradita, tradita nel santuario della famiglia, precipitando nella disperazione dall'alto d'ana felicità senza nubi.Tutto si oscura, l’aria diviengelo, la terra spine, il cielo un'uragano. Essa ha un fratello, le scrive una parola sola: Vieni e mi salva! Ma il fratello ha saputo la sventura piombata sul capo della sorella, prima ancora che la lettera fosse scritta. Suona un campanello, si apre un uscio, vi si precipita un uomo. La sorella lo guarda, non sa piangere e non può ridere. Gli porge la lettera ancora umida dall'inchiostro ed egli legge quelle quattro parole e neppur lui può ridere o piangere o parlare. Perchè quei due fortunati non cadrebbero in estasi in quel momento? Due naufraghi iV una fiera procella della vita son rimasti soli nel mondo. La donna in un mese ha perduto tuttii figliuoli uccisi dalla difterite, ruomo era solo ed è divenuto cieco. Quei due non hanno più né padre, né madre, né zii, né cugini, ma essi son fratello e sorella. Questi hanno attraversato continenti e mari e si sono abbracciatiper non separarsi più mai. Perché non cadrebberoessi in estasi? L'estasi è sempre uno stato eccezionale, passeggero,e la più partedegli uomini non l'hanno mai provato.Taluni piìl rozzi e incolti durano fatica anche a immaginarselo. La sua bella etimologia greca f x-a radice, lo star fuori, esprime mirabilmente questo concetto. La parola di estasi è dunque greca, e i greci pia poeti dei latini, dovettero conoscere meglio di questi uno stato di trascendente idealità. I romani, gente positiva, patica, popolo d'azione, non conobbero Vestasi, ma l'indicarono con perifrasi diverse : mentis excessu, animi abalienatio. Tommaso Campailla. Keywords: oposcolo, ecstasi, estasi, animis abalienation, mentis excessus. discorso disordinato, discorso ordinato, discorso umano, uomo, vita. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Campailla” – The Swimming-Pool Library.

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