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Friday, June 20, 2025

Grice e Simoni

 ZD_A.'V"IID f MILANO DITTA GAETANO BRIGO LA DI G. OTTINO E C. 1883, * *. LA MENTE DI MICHELANGELO Digitized by th Internet Archive in 2015 https://archive.org/details/lamentedimichelaOOIevi ID-A-VIID LETTI Li MENTE MICHELANGELO MILANO DITTA GAETANO ERIGOLA DI G. OTTINO E C. 1883. PROPRIET LETTERARIA MILANO, 1383  TIP. GOLIO. PARTE PRIMA LA CAPPELLA SISTINA LA CAPPELLA SISIINA i. Quando Michelangelo, dopo un lavoro indefesso di venti mesi, senza aiuto pure di chi gli macinasse i colori (i), ab- battuti i ponti, scopri al pubblico i dipinti della vlta della Sistina, tutta Roma accorse ad ammirare lopera meravi- gliosa. Mancava il ritoccarla collazzurro oltremarino a seccore con oro in qualche luogo perch paresse pi ricca. Giulio II voleva che la fornisse. Bisognerebbe pur ritoccarla d'oro, (1) Vasari. Vita di Michelangelo.  Gaetano Milanesi nelle sue an- notazioni al Vasari (Sansoni, editore, Firenze 1881, pag. 177) scrive: Non sintende come un artista pratico qual era il Vasari abbia potuto scrivere che in venti mesi, ecc.  M. Paride de Grassi, cameriere se- greto di papa Giulio II, nel suo Diario, ci dice, che nel 1512 erano tut- tavia in piedi i ponti; anzi, che nemmeno alla morte di papa Giulio, avvenuta nel 1513, la cappella era aperta al pubblico. Non sarebbero dunque pi n venti n ventun mese, ma quattro anni, ne quali il Buonarroti condusse a fine quella stupenda opera della vlta della Sistina. 4 PARTE PRIMA gli disse,  la sar povera.   Quei che sono quivi di- pinti, rispose il Buonarroti, furon poveri aneli essi. Cosi, aggiunge il suo diligente biografo Ascanio Condivi, si butt in burla ed  cosi rimasta! Ma la burla, come ogni detto di quel sommo, involgeva un pensiero profondo. I profeti, le sibille, gli esseri umani ad un tempo e divini dipinti nella Sistina erano poveri s, ma Toro lavevano nella mente e nel cuore; gli  tutta una miniera ricca del piu prezioso dei metalli chessi avevano nel cuore, e che lartista profuse nel suoi dipinti, e i secoli non cesseranno di sfruttare senza esaurirla. E i secoli passarono sulla vlta meravigliosa, ogni et l'ammir, la medit, ne scrisse. Ogni classe di persone, ogni razza, ogni popolo vi rinvenne alcuna parte di s, un riflesso del suo pensiero, un riverbero dellanima sua; pochi o forse nessuno, ch'io sappia, seppero sinora abbracciarne il vasto e ardito concepimento nel suo complesso, estrarre il metallo prezioso, il tesoro nascosto nelle cavit e nei meandri de suoi filoni, e produrlo alla luce. II. I dipinti Michelangioleschi della Sistina, sono tutto un poema; vasta epopea che ha riscontro con quella Dantesca, e ne  il complemento. Poema sacro esso pure, cui hanno posto mano e cielo e terra, e sul quale si pu scolpire, come sul frontale di quello di Dante:  Giustizia mosse il mio alto fattore, a E giustizia sociale, un alto concepimento del diritto indi- LA CAPPELLA SISTINA. 5 viduale e umano, moveva il suo pennello, e ispirava sulla vlta quasi un epilogo della storia dei popoli, e ne stam- pava poscia, sopra il muro di fronte, la nuova Apocalisse dellUniversale, Giudizio. Sinora di questo lavoro, in Italia sopratutto, non si am- mir che la forma. Litaliano, artista innamorato delle apparenze e delle esteriorit, rado o mai suole penetrare di una grande opera oltre la corteccia. Indagare il signifi- cato, sviscerare il pensiero che alita sotto la forma, non suole o non osa; non suole perch troppo spesso si pasce o si piace della magia delle forme, e si arresta alle appa- renze; non osa, perch il pensiero fu schiavo della paura, dei pregiudizi e delle violenze dei poteri ecclesiastici e politici, che sinora lo tennero incatenato e schiavo. Av- venne quindi che ognuno si strinse ad ammirare il vasto lavoro ad un punto di veduta particolare. Cos larchi- tetto si arrest ad ammirare la struttura del claustro mar- moreo coronato della robusta cornice architravata, e larte mirabile con cui nella parete, interpolata da pilastri spor- genti, movesi come una corona d insenamenti a guisa di cattedra, e nellapertura spettrale, seguendo la simmetria dellaula, lartista la chiuse ad intervalli simulandovi get- tate cinque grandi arcature a botte, nascenti dagli acro- teri delle cattedre disegnate. Ne descrisse 1 ardita combi- nazione architettonica, per cui venne lo spazio aereo diviso in nove compartimenti alternatamente uguali, e ammir quel miracolo di fecondit, per cui in ogni lato nei vani delletere, nel vlto dei grandi archi, nei quadrilateri cur- vilinei, negli angoli della vlta, per tutto rifluisce e palpita la vita, e poi nellintero claustro, negli acroteri, piedestalli, timpani, mensole, gli  un succedersi, scaglionarsi di figure 6 PARTE PRIMA diverse per forma, per et, per misura, per carattere; tal che il sommo artista sembra aver qui convocati tutti i po- poli, le razze, per raffigurarvi i tipi principali che rappre- sentano il genere umano. % Il pittore poi soleva arrestarsi sbalordito a studiare la perfezione degli scrti, la stupenda rotondit dei contorni, che accoppiano alla forza tanta leggiadria, grazia e svel- tezza, gl ignudi in cui mostra gli estremi e la perfezione dell arte, le attitudini bellissime e svariate, la potenza dei lumi e delle ombre, il girare delle linee negli scrti e nella prospettiva, le difficolt dell'arte superate, lo spiccato ri- lievo dei gruppi, delle figure, che imprime alla pittura T energia scultoria. Tutti poi, gli architetti, i pittori, come il volgo, che visitavano la meravigliosa cappella, ammi- rando lespressione delle figure, le movenze, ben si avve- devano, sentivano, che quelle figure innumerevoli erano unite da uno spirito, dominate da un pensiero, da un con- cetto generale... Ma qual era quel concetto? Quale lo spirito che corre su di loro, e le guida ad unopera comune, e ne forma la unit? I teologi dell'epoca ed i critici che si succedettero, non vollero mirare nei soggetti dipinti che la riproduzione dei soggetti biblici e religiosi, gi da altri in tanti modi trat- tati e dipinti, cio le storie e le leggende bibliche della creazione, del diluvio, la creazione e la caduta delluomo, poscia i profeti e le sibille, banditori alle genti della ve- nuta del Messia, e la progenie di Davide in attesa del Re- dentore. LA. CAPPELLA SISTINA. 7 Per tal guisa questo dipinto non significherebbe che lannuncio e la genealogia del Salvatore. Ma tal spiega- zione non regge, se altri si fa ad esaminare minutamente ne suoi particolari, come nellinsieme, la volta. Infatti molti critici osservavano, come Michelangelo abbia sempre sde- gnato, al pari dei genii superiori, di calcare i sentieri gi battuti cos nella forma come nel pensiero. Egli soleva dire  chi si abitua a seguire altrui, non andr mai avanti  e cantava:  Io vo per vie non calpestate e sole.  Egli aprivasi vie nuove, inesplorate ancora. Come si era creato uno stile proprio, e in esso raggiunse la perfezione, cos interpretava in un modo proprio i grandi soggetti religiosi e storici. E i fatti, come i personaggi biblici, gli eroi dellantico e del nuovo Testamento erano per lui i mezzi, glistrumenti per manifestare il suo pensiero; egli ringiovaniva i soggetti antichi, non solo di forme, ma di pensiero; incarnava in loro le idee proprie, come accadde nel David, nel Mos, nella stessa Piet, forme nuove cor- rispondenti alla filosofa e alla nuova fede, alle quali si era sollevata la sua mente. Inoltre, in questo affollamento di figure, di forme, di sim- boli che saddensano sulla volta, non rinvieni pure un sim- bolo, una traccia del Cristianesimo ortodosso e della li- turgia cattolica. Mentre che i teologi ripetono che rappresenta la genea- logia del Cristo, la sua glorificazione, non trovi traccia delle storie evangeliche, non un simbolo dei miti della Chiesa Romana. Non S. Giovanni che precede Ges, non 8 PARTE PRIMA s. Giuseppe, non Maria, non Ges bambino, non vestigia del mistero o della leggenda della Passione. Una folla di putti incontri in ogni angolo, ma quale di essi ricorda pure T aspetto, le movenze di Ges bambino? Come manca il Bambino, cosi non ci ritrovi pure un cenno o episodio della vita o della morte di Ges. Del Cristianesimo ufficiale non un'ombra; vi sfolgoreggia tutto il mondo antico biblico, parte del mondo pagano e del moderno addombrato, epi- logato, scolpito; del Cristianesimo, dei suoi fasti, del suo martirologio, nessuna traccia. Ci era pur stato osservato dai coetanei. Sino dal secolo quindicesimo si disse che i dipinti della vlta e del Giu- dizio contengono alcuni sensi allegorici, che vengono intesi da pochi, e nei nostri tempi quel valente artista e scrittore che fu il Giovanni Dupr, soleva dire, che il giorno di spiegare il concetto riposto nelle opere del Buonarroti non era sorto ancora, e il Dolci nel suo Dialogo sulla Pittura , scrive :  Parrebbe che egli avesse imitato quei gran filo-  soli che nascondevano sotto il velo di poesia, misteri  grandissimi della filosofia umana e divina, affine che  ei non fossero intesi dal volgo.... per che Michelangelo  non vuol che le sue invenzioni vengano intese se non  da pochi e dotti, e non vuol gettare ai porci le mar-  gherite.  Non  per al volgo che i filosofi e pensatori italiani in- tendevano celare il loro pensiero, ma erano costretti dalla tristizia dei tempi a velarlo e dissimularlo, per sottrarsi ai sospetti e alle persecuzioni della Curia Romana, e ad ab- bandonarli all'avvenire. LA CAPPELLA SISTINA. 9 IV. E lavvenire non poteva spiegarlo che alla luce della li- bert. Di questa feconda epoca del Risorgimento, all'Italia non venne sinora concesso di studiare che il lato esteriore; letteratura ed arti plastiche; solo in questo ultimo periodo, alla luce delle libert rivendicate, si cominci ad indagarne il lato religioso, politico e filosofico, ed  questo tutto un tesoro di idee e di concepimenti che giacque sinora in gran parte obliato (1). I brevi confini che io mi sono imposto in questo saggio, non mi consentono pur di compendiare questo lavoro filo- sofico ad un tempo e religioso, che si and compiendo ora nelle accademie, ora nei sodalizi delle stte segrete, ora nella vita pubblica; mi limito ad accennare alcune parti che pi si riattaccano al mio soggetto. Serpeggiavano in Italia, sino dal principio del medio evo, numerose le stte religiose, come quelle dei Cattari, dei Patterini, dei Templari. A queste nel secolo decimoquarto e quinto, in sui primordi del Rinascimento, si erano aggiunte le filosofiche. Firenze era divenuta una vasta accademia, (l) Mi sia concesso fra questi indagatori e scrittori ricordarne due dei pi eruditi e coraggiosi ; il Villari colla sua stupenda Vita del Savonarola, e il suo recente e vasto lavoro sopra Macchiavelli; e il Fiorentino, che va risuscitando col Pomponaccio e col Bruno la li- bera filosofia italica ; a questi vorrei pure aggiungere il nome del mio amico Berti, che mi auguro fosse meno politicante per poter conti- nuare e compiere gli eruditi suoi lavori sui grandi del nostro Rina- scimento. io TARTE PRIMA dove si potevano liberamente professare e discutere tutte le dottrine e tutte le opinioni filosofiche e religiose: il Giu- daismo, la Cabala, lAvcroismo, il Gnosticismo, il Neopla- tonismo, lo Scetticismo, 1* Umanismo politeistico, T Epicu- reismo, e quanti sistemi possiamo immaginare, avevano in Firenze espositori e difensori (1). Il movimento da Firenze si era diffuso a Bologna, a Padova, a Venezia e a Milano. La stessa Roma aveva le sue accademie segrete religiose e politiche, sino dalla prima met del XV secolo. Durante il pontificato di Pio II, si era fondata unaccademia platonica di cui erano membri Bartolomeo Plutino, Pomponio Leto, Agostino Campanio ed altri; accademia, che venne in ap- prsso sciolta da Paolo II. Molti dei suoi membri, accusati come paganizzanti, miscredenti, cospiranti a rivendicare la libert di Roma, furono imprigionati, torturati od uccisi. Per a Firenze, sopratulto ai tempi di Lorenzo il Magni- fico, si godeva la maggior libert; ivi la vita intellettuale si svolgeva orgogliosa in tutte le sue splendide forme, era un rifiorimento filosofico ed artistico che accennava a dare presto o tardi i pi rigogliosi frutti, quando non fosse stato soffocato ne suoi primordi, insieme colle libert politiche. Quivi convenivano Angelo Poliziano, Marsilio Ficino, Cri- stoforo Landino, Roberto Salviati, Pico della Mirandola, Mattia Paimeri, Alamanno Rinuccini, il Filelfo ed altri. Gli studi filosofici si confondevano coi religiosi. Si voleva pro- vare le verit del Cristianesimo colle dottrine di Platone; (1) In Firenze, scrive il Villari, quei dotti e lItalia iniziavano allora una nuova civilt. Per tutto erano cattedre affollate, universit fiori- tissime, un'attivit&incredibile di studi, ecc.  ( Vita del Saconarola). LA CAPPELLA SISTINA. li coi versi di Virgilio e dOmero erano interpretati Isaia e  Salmi. Vi si era costituita una specie di scuola o di sttai la quale ispirandosi alle dottrine platoniche, alessandrine, non si limitava allo studio dell antichit, ma tendeva ad eser- citare unazione riformatrice negli ordini religiosi e sociali. Questa scuola, mentre copiava, traduceva e diffondeva con ardente zelo i codici dellantichit classica e sacra, mirava a fondare sulle tradizioni antiche, tutto un nuovo sistema filosofico, religioso. Non si arrestava, come la cri- tica moderna, alla fredda disamina dei libri antichi, alla parte archeologica e filologica, ma continuando il pensiero religioso e filosofico dell' antichit^ lo contrapponeva agli ordini esistenti, e ne faceva unarma per combattere la scolastica e la filosofia del medio evo. Era una critica che demoliva, ad un tempo, il medio evo e la sua ortodossia, e cercava nelle antiche civilt gli elementi per elevare un nuovo edificio religioso e morale. La cattedrale medioevale pareva troppo angusta e tenebrosa alle loro menti. Sentivano che il gran nemico dell umanit era il medio evo; conveniva svincolare i popoli dalle sue spire per ele- varli ad orizzonti pi larghi e sereni. Cosi Genesto Pletone si riprometteva il trionfo dei numi antichi; Marsilio Ficino intendeva scrivere la sua grande opera sulla Teologia Pla- tonica in senso pagano; il Landino vaticinava che prima della fine del secolo avverrebbe una grande mutazione nella religione cristiana. Principi, filosofi, letterati, poeti sattende- vano a prossimi rivolgimenti religiosi, chessi preparavano colle opere, colle accademie e gli studi, e tentavano di trasci- nare in questa tacita cospirazione, persino alcuni dei grandi pontefici del Rinascimento. Per questi innovatori prudenti 12 PARTE PRIMA e cauti, non combattevano di fronte la Chiesa, anzi ne pra- ticavano i riti e professavano, a parole, obbedienza e de- vozione, ma dicevano anzi che conveniva studiare nella antichit classica e nei sistemi filosofici di ogni popolo, quanto si accoglieva di bello, di retto e luminoso, per meglio comprendere i dogmi cristiani. Per non si limitavano a stu- diare le origini del Cristianesimo, nei soli dettati dei Concilii e nei rituali e storie ecclesiastiche, ma risalivano alle fonti primitive della Bibbia, della Cabala, della filosofa alessan- drina e dei primi padri della Chiesa, e sopra queste basi pensavano fondare la nuova religione dellumanit, un nuovo Cristianesimo, e diremo la Chiesa dellavvenire. Essi ave- vano iniziato quel lavoro di ricerche e di critiche, che negli ultimi tempi condussero con tanto successo in Germania, in Francia, in Olanda a scrutare le origini del Cristiane- simo, studiandole nella filosofia cabalistica alessandrina e nella teologia e nei misteri pagani; interpretavano i dogmi colle occulte dottrine cabalistiche; dichiaravano bens di volersi attenere fedelmente alle dottrine della Chiesa, ma nel fondo le manomettevano, le scalzavano e sostituivano ad esse un razionalismo critico, un ecletticismo religioso. Perocch, secondo la dottrina loro, le religioni antiche, come la mosaica e la cristiana, avevano un doppio significato, il volgare od allegorico, e il filosofico o recondito; nel signi- ficato volgare si discostavano le une dalle altre, nel filo- sofico si ravvicinavano e si confondevano insieme. Capo di quella scuola era stato Genesto di Costantinopoli, che per la sua profonda conoscenza di Platone era appel- lato Genesto Pletone; egli era venuto in Italia al tempo del Concilio di Firenze, convocato da Eugenio IV per la riu- nione delle chiese greca e latina. LA CAPPELLA SISTINA. 13 Egli asseriva che, tra pochi anni, il mondo intero abbrac- cerebbe unanime una sola e medesima religione, la quale non sarebbe n di Cristo n di Maometto, ma non diversa dal Paganesimo, e che le prime due religioni dovevano spe- gnersi; altra ne sorgerebbe, che diffonderebbe su tutto il mondo il vero assoluto. Aveva fondata una societ segreta in Oriente a propagare le sue dottrine, che i Greci venuti in Italia avevano trasportato in Firenze e in altre citt della penisola. Il centro di questa societ e focolare delle nuove dottrine filosofiche e religiose era Firenze, s perch qui pi nume- rosi si raccoglievano i cultori delle lettere greche e latine, come per la libert di cui si godeva, nonch pel genio ar- tistico del luogo, che dava forma, vita e calore daffetto alle nuove dottrine. Negli scritti di Marsilio Ficino si scorge un continuo sforzo per mettere daccordo Mos con Platone, Socrate con Ges; tenta di riunire in un sistema di sapiente piet , di culto divino , insieme con Mos, i Profeti, Cristo, Mercurio Trismegisto, Platone, Plotino, Zoroastro, e, come dice argu- tamente legregio Berti, in un notevole studio sopra Pico della Mirandola,  il buon Canonico tenta di far entrare nel  Duomo di Firenze, insieme col Dio Trino dei Cristiani, le  Divinit egizie, caldaiche e greche.  Il Pico port alla dottrina lappoggio della sua portentosa erudizione, del suo entusiasmo giovanile, della sua dialettica vigorosa e del suo nome. Il conte Gioanni Pico fu alla restaurazione della antichit biblica ci che i Giorgio, Genesto, Marsilio Ficino, Filelfo e altri, alla filosofia alessandrina e platonica. LAntico Testamento, era nel medio evo un libro appena noto; tutti 14 PARTE PRIMA ne -parlavano, obbedivano ad alcuni de suoi precetti, ma a pochissimi il libro era noto. Gli eruditi del secolo decimo- quinto cominciarono a decifrarne il testo, e la stampa do- veva poscia -metterlo nelle mani di tutti, e farne la pietra angolare della riforma religiosa. Alle traduzioni latine suc- cessero numerose le traduzioni italiane, alle traduzioni si alternavano i nuovi commentari, gli studi sulle antichit ebraiche, sulla Cabala, sulla filosofia rabinica. Tra questi eruditi e filosofi primeggi Gioanni Pico della Mirandola; leggeva con entusiasmo e fervore quanti codici ebraici gli capitavano nelle mani, insisteva nella necessit dello studio della lingua Ebraica e Caldaica; in essa, egli predicava, trovarsi il fondamento della fede e il significato dei dogmi Cristiani: sotto l'ispirazione dei libri e della filosofia caba- listica, dett prima YEptaplo (De Septi formi sex dierum ge~ neseos enaratione ), che dest immensa ammirazione ed elogi sconfinati. Qui la Genesi veniva interpretata allegori- camente e secondo le tradizioni cabalistiche associate al razionalismo mistico, che era in voga nel secolo XV. Ma la Corte di Roma condann il libro come eretico, minac- ciando il Pico d'esser anche arso e vituperato in eterno. Il Pico dett un'apologi del suo libro per difenderlo dalla Curia Romano, ma in essa mentre procura di scolparsi, rincalza di nuovi argomenti le tesi condannate da Roma. Perocch in essa sostiene e difende la concordanza di tutte le religioni, come dei principali sistemi di Filosofia; enumera e commenda oltre un centinaio dautori i pi disparati fra loro. Anima elevato, cuore generosissimo, egli mira sopra- tutto n conciliare e a riunire tutti i sistemi religiosi in una sintesi superiore; per cui Ficino, scrivendo a Roberto Sai- viali e a Gerolamo Renuccini, lo appella non solo il Conte LA CAPPELLA SISTINA. 15 della Concordia, ma Duce perch egli riconcilia  Giudei coi Cristiani , i peripatetici coi platonici , i Greci coi Latini. Il Pico dettava poscia il trattato De Ente et Uno , clic de- dic al Poliziano. In esso si fa a dimostrare, che tanto Pla- tone come Aristotile, consentivano nel modo dintendere; il concetto dell Uno e dellEssere, fondamento dell' universo; dichiara l Unit al dissopra dell'Essere, e che lUno metaf- sico  fondamento dellUno aritmetico, e, come gi aveva sostenuto il Ficino nelle sue opere, lEnte supremo essere lUnit, e Dio essere infinito e causa di ogni cosa. Innamo- rato delle ; Sacre Scritture le leggeva il giorno e ia notte, in esse diceva trovare  una forza celeste, viva, efficace,  che con meraviglioso potere converte gli animi allamore  divino.  Capitava in queir epoca a Firenze il celebre Reuchlino; questi strinse amicizia con Ficino, con Pico, e da questi ellenici ebraizzanti trasse argomento pei suoi libri deru- dizione ebraica, e all'opera che dest si alto rumore nel mondo religioso e scientifico, De Verbo Mirifico, la quale, ispirandosi alla Cabala e al Zoar, si epiloga in questo con- cetto, che soli gli Ebrei avevano sino allora avuta la co- noscenza del nome divino. In tal modo a Firenze, culla del Rinascimento, come gi neU'antica Alessandria, si agitano liberamente i grandi si- stemi filosofici dal Pitagorismo all' Aristotelismo, dal Giu- daismo, dal Gnosticismo al Politeismo e Cristianesimo,' e si tentava di fondere insieme un grande sistema filosofico e religioso. Firenze contrappose a Roma un nuovo Cattolicismo ra- zionale, a quello soprannaturale e mistico da lei professato; il Cattolicismo delia conciliazione e della pace contrapposto 1G PARTE PRIMA al Cattolicismo della divisione, della persecuzione e del- l'odio. Perocch la scienza, le lettere erano per questa congrega di sommi, pi che uno studio arido e freddo; essa era una religione, una fede; si prostravano innanzi ad Omero, ad Eschilo, a Platone, come a nuovi santi. Il busto di Platone collocato in luogo eminente nell'Accademia Fiorentina era soggetto dinni e apostrofi; alcuni proposero si chiedesse a Roma di canonizzare il gran filosofo. Festa religiosa era il 20 novembre, giorno in cui nacque e mori. Si adoravano i Mani di Pitagora, come gli ebraizzanti indagavano nei Profeti, nella Cabala, la parola di un Cristianesimo innovato. Innanzi a questa resurrezione del mondo ellenico e bi- blico, sembra eclissarsi il mondo evangelico. I tipi cosi scolpiti e vigorosi dei Profeti e del mondo antico, offuscano quelli sereni e mansueti, ma fiacchi e scoloriti della nuova fede. David, come dice Michelet, tentava pi che Ges, i profeti pi dei santi. V.  in mezzo a questa atmosfera filosofica ed artistica che crebbe Michelangelo. Accolto nella prima sua et, e ospi- tato in casa di Lorenzo il Magnifico, dest sino dai primi giorni il pi vivo interesse e meraviglia pel suo genio pre- coce; strinse amicizia con Poliziano, Pico della Mirandola Ficino, e con tutta quella plejade di filosofi e letterati che accorrevano allora a Firenze, e formavano il lustro di Casa Medici; divenne in breve membro dellAccademia Platonica. Filosofi e poeti ispiravano il soggetto delle sue opere darte. I sistemi pi contraddicenti, come abbiamo accennato, si LA CAPPELLA SISTINA. 17 agitavano nel seno delle loro scuole e si cercava conci- liarli, stringerli in una sintesi, imprimere loro una forma; ma ci non era loro dato, s pel timore della Curia Ro- mana, sempre minacciosa e sospettosa, che gi aveva ini- ziato il processo contro Pico della Mirandola, accusato di eresia, come perch la nuova fede non aveva tradizioni, radici nel cuore delle moltitudini, n simboli per parlare ai sensi delle masse. Era ancora il segreto di pochi neo- fiti. Spetta allarte nuova concretare lidea astratta, darle forma, vita, e creare, diremo, il nuovo simbolo. Sar que- sto il pensiero dominante, lintento che si proporr, du- rante la sua vita laboriosa, il Buonarroti. Concretare lidea astratta in simboli, poich mal poteano essere compresi dai coetanei, e legarli in forme splendide e durature al- lavvenire. Esaminiamo infatti' il sommo artista pensatore, nelle opere che venne compiendo; esse riveleranno la fede che, professata nei suoi primi anni, non cess di nutrire nel suo segreto, e forse ci verr dato di scoprire il mistero della filosofia umana e divina , alla quale esse si ispirano; ed ora, che i tempi sono maturi, svelare al popolo e al volgo quelle invenzioni , le quali, al dire dei coetanei, non voleva che venissero intese se non che da pochi e dotti. Indaghiamo al lume della filosofia segreta e palese del- lepoca, quel pensiero che da gran tempo serpeggiava nel- l intimo del cuore dItalia, quel pensiero che Alighieri av- volse, sotto il velame delti versi strani , e che Buonarroti scolp in simboli misteriosi, e presto o tardi dovr elevarsi a verbo vivente della nazione italiana. La mente di Michelangelo . 2 18 PARTE PRIMA VI. Il primo lavoro al quale in questa epoca mise mano,  il bassorilievo che rappresenta la battaglia drcole col Centauro.  Il Poliziano, che molto ramava e conosceva  Michelangelo di spirito elevato, gliene propose il soggetto,  Pico della Mirandola e i Pitagorici gliene dichiararono  parte a parte la favola (1).  Lartista si mise a farla di mezzo rilievo, la condusse con tale ardore che in breve l'ebbe terminata. Il soggetto di questo lavoro  per s tutto un programma. Come  noto, Ercole, secondo i Mitografi Alessandrini, si- gnifica non solo la forza e le audaci imprese, ma la luce, l'aria pura, la libert; significa pure la sapienza, Athene, del Dio protettrice e amica; mentre il Centauro, nato dal commercio incestuoso di Isione e duna nube, raffigura la barbarie, la brutalit, per cui luomo  ancora immerso nella bestia. Egli significa ad un tempo la falsa scienza ed il sofsmo. Perci noi, in quella opera, gi vediamo adom- brato quel concetto che sotto forme diverse, verr poscia riproducendo, cio la lotta delluomo, delleroe e della forza intelligente, contro la forza brutale; della verit, della realt, contro la finzione che si pasce di vento, la superstizione, il sofisma. Per questo lavoro  gi tutto un programma, simbolo e profezia. L'aveva appena condotto a termine che Lorenzo il Ma- gnifico moriva. In quellanno stesso Ludovico il Moro (l) Condivi. Vita di Michelangelo. LA CAPPELLA SISTINA. 19 apriva le porte dItalia allo straniero e iniziava quel pe- riodo, disastroso allItalia, d invasioni, doppressione teo- cratica e imperiale che, con diverse forme e vicende, doveva perdurare oltre tre secoli, e contro cui il popolo italiano, come Ercole contro i Centauri, dovette combattere una battaglia secolare fino allepoca nostra, per rivendicare la propria libert contro tutti i Centauri e le Idre congiu- rate a suoi danni. Morto Lorenzo, il Buonarroti, dindole austera e disde- gnosa, mal sopportando le insolenze e le baldorie a cui si abbandonava Pietro, e il suo mal governo, lasci la casa de Medici e Firenze. Vi fece ritorno un anno dopo, quando i Medici erano stati cacciati. Frate Savonarola commoveva allora la citt, ed esaltava le menti colle sue prediche info- cate. IUerribile frate iniziava in Italia una grande riforma, la quale, soffocata nel germe, non pot svolgersi e produrre effetti durevoli, ma che avrebbe potuto infondere nuova forza morale alle nostre popolazioni, rinvigorirne gli spiriti. Gli umanisti, come Pletone, Marsilio Ficino, Pico, Poli- ziano, Salviati, iniziavano la riforma filosofica e razionale; ma la filosofia pu formare, educare individui, non un po- polo. La religione invece, la quale  la filosofia delle masse, pu formare un popolo, ed il frate parlando al cuore delle moltitudini con impeto sublime ed entusiasmo di fede, fon- dandosi sulle tradizioni pi pure ed elevate dellantico e del nuovo Testamento, tentava risuscitare un energico sen- timento religioso nelle masse corrotte ed ignoranti, scetti- che o superstiziose; egli predicava in pari tempo la riforma nei costumi, negli studi, nelle arti, le quali, divenute quasi un slazzo, una seduzione, e spesso istrumento di corru- zione, intendeva richiamare ad alto ministero, a scopo ci- 20 PARTE PRIMA vile, mentre poi volle dare un nuovo e disciplinato assetto alla forma governativa, e fondare la Repubblica sulla virt dei cittadini. La parola del frate, che penetrava nelle co- scienze popolari e commoveva i pi eletti ingegni, accese di nobile entusiasmo il Buonarroti, che ne divenne ausiliario e seguace; egli tenne sempre in alta venerazione il rifor- matore durante la lunga sua vita, e ne portava seco gli scritti, che medit e fece argomento di studi e dispirazione. Nel Savonarola sentiva alitare lo spirito dei Profeti antichi; ne vedeva la viva immagine. Egli aperse alla sua giovine mente il concetto religioso morale che domina lantico Te- stamento e i Profeti, come lAccademia Platonica gli aveva  rivelato il pensiero classico e greco. Il filosofo si rinfiam- mava nel concetto religioso; Isaia gli spiegava Platone, la Sibilla Eritrea completava la Delfica. E quasi presentisse in Savonarola il S. Gioanni della Riforma, come lo divenne storicamente, egli prese in quei giorni a scolpire un S. Gio- vanni, e poscia, quasi a meglio colorire il concetto reli- gioso col politico, immaginava la statua del David. VII. Quando prevalse il partito del Savonarola e sinstaur il nuovo Governo repubblicano, il Consiglio a serbare pub- blica memoria della felice mutazione (1598), aveva delibe- rato di porre nella ringhiera del palazzo della Signoria, il gruppo di Giuditta, gi fuso in bronzo dal Donatello, in me- moria della cacciata del Duca d Atene, ma il Buonarroti scolpi il David, acciocch, soggiunge il Vasari:  siccome  David aveva difeso il suo popolo, e governatolo con giu-  stizia, cosi chi governava quella citt dovesse animosa- LA CAPPELLA SISTINA. 21  mente difenderla e giustamente governarla.  Quale am- mirazione, anzi entusiasmo, destasse allora quella statua veramente meravigliosa, si pu argomentarlo da queste parole del Vasari, che non possiamo trattenerci dal ripor- tare:  questa opera ha tolto il grido a tutte le statue mo-  derne ed antiche, greche o latine che elle si fossero... con  tanta natura e bellezza la fini Michelangelo, n mai pi  si  veduto un posamento s dolce, n grazia che tal cosa  pareggi... e certo chi vede questa non deve curarsi di  vedere 'altra opera di scoltura fatta ne nostri tempi o  negli altri, da qualsiasi artefice (1).  Vili. Dante, nel suo poema, suole alternare gli esempi di sog- getto biblico coi mitologici, mettendo a riscontro i fatti del- l'antichit classica con quelli che si raffrontano nella sacra. Non altrimenti procede nei suoi lavori il Buonarroti, i quali sembrano svolgersi, a chi li esamina nel loro complesso, come un continuato poema, e formano lunit di pensiero e di intento di questa vita virtuosissima. Alla zuffa di Ercole contro i Centauri, fa riscontro quella di David contro Golia, ambi simboleggiano, sotto forma diversa, un identico concetto. Durante il primo suo soggiorno a Roma, alterna le statue del Cupido dormente e del Bacco che tiene in mano un (1) Il collocamento del David fu in Firenze un avvenimento, e pel popolo acquist limportanza di una data storica. Si soleva direnelle scritture, anche in quelle che non riguardano cose darte, tanti anni dopo lerezione del David. Statua che venne considerata come il ge- nio tutelare di Firenze. oo PARTE PRIMA grappolo duva, col celebre gruppo della Piet, o col Tondo conservato ora nella Galleria degli Uffizi, che rappresenta dipinta la Vergine colla Sacra famiglia, dipinto che, come da vari scrittori venne notato, mal si saprebbe distinguere se rappresenti un soggetto sacro od uno dellantichit pagana. Verso quell epoca (1503) si era obbligato di scolpire dodici statue degli Apostoli per la chiesa di Santa Maria del Fiore, ne abbozz una sola, quella di S. Matteo, que- sta pure non finita, poi smise n volle saperne altro. Altre quindici statue di santi aveva a lui allogate il cardi- nale Picolomini, per la sua Cappella di Siena, ma vi ri- nunzi del pari. Sembra che il suo genio mal si piegasse a ritrarre soggetti di santi e di sante. Austero e indipendente, nulla poteva fare che non rispon- desse alla sua mente, alla sua intima coscienza, o all'idea ondera dominato. Anzi, verso quellepoca, al primo e in- tenso suo ardore per larte, vediamo succedere un periodo di noia, di sconforto e spossatezza, quale ad intervalli suole invadere i sommi genii. Essi sentono come la realt mai corrisponda allimpeto de loro desideri, e alle loro aspira- zioni torni inutile lottare contro le prepotenze prevalenti e le ingiustizie sociali, si sentono sfiduciati, e cadono d'animo sino a che lurto di nuovi eventi, l'attrito di forti passioni, non destino nel loro cuore la scintilla che scuote e rialza. Egli gett via mazzuolo e pennelli, si diede alla lettura dei poeti, dei filosofi, degli oratori nostri, e prese a scrivere versi; si chiuse in s, compreso da quella mestizia che invade gli animi austeri e forti allo spettacolo delle grandi sventure patrie, contro le quali l individuo sentesi impotente di lottare, e alla vista del vizio e dellingiustizia trionfanti. Tristezza questa che fiacca, snerva e vince le anime deboli LA CAPPELLA SISTINA. 23 e dubbiose, ma finisce per ritemprare di nuove forze gli spiriti gagliardi, i quali sogliono rilevarsi di questo com- battimento interno pi agguerriti e presti, a compiere opere pi eccelse. E giorni cupi e obbrobriosi volgevano allora per V Italia. Savonarola, di cui il Buonarroti era divenuto uno degli am- miratori e seguaci, appunto mentre egli terminava in Roma il gruppo della Piet, per decreto del Papa, era stato arso in piazza della Signoria in Firenze; le sciagure da lui pro- fetate' piombavano sulla nostra patria. Gli eserciti Fran- cesi, condotti prima da Carlo Vili, poscia da Luigi XII scorrevano vittoriosi l Italia, mettevano a ruba la Lom- bardia, minacciavano le Repubbliche Toscane, si appa- recchiavano alla conquista di Napoli. Alessandro VI co- priva di turpitudini Roma, suo figlio Cesare atterriva con guerre scellerate, con tradimenti, eccidii, le Romagne e si preparava a far peggio. Svizzeri, Tedeschi, Spa- gnuoli , Francesi, orde selvaggie si versavano gi da ogni parte delle Alpi, scorrevano la penisola, mettevano a ruba le citt e il contado, e quanto non potevano rubare, ar- devano. Pareva, che la civilt rinascente, dovesse spegnersi fra barbarie le pi tetre. Re e masnade straniere, ora amici ora divisi e schierati uno contro laltro, ma pronti ad unirsi e accordarsi per depredare, ardere, schiacciare il popolo, lacerare la nazione, dividerne i brani insanguinati; i signo- rotti, i vicari pontifici in guerra fra di loro, come i Co- lonna, gli Orsini intorno a Roma, i Baglioni, i Vitelli, i Malatesta, gli Ordelaffi nelle Romagne e nelle Marche ; assassini essi stessi alla loro volta, traditi, trucidati, avve- lenati ; tradimenti, assassinii perpetrati con freddo calcolo da papi, da figli e nipoti di papi, come da principi e si- 24 PARTE PRIMA. gnorotti; il senso morale pervertito, spento; lingannare virt quando giovava e riesciva, la vilt era colpa quando accoppiata allastuzia falliva allo scopo. I veleni strumenti di governo, come le frodi di religione e culto. Ed in mezzo a questa ridda sanguinosa e tetra, campeggiare i due grandi perversi, Alessandro Papa e Cesare Borgia. Tale lo spettacolo che offriva in questo intervallo di tempo lItalia allo sguardo del pensatore austero e dell'artista di- sdegnoso. Non  meraviglia se egli sconfortato e stanco, si ritraesse in s chiuso nel suo pensiero per non sentire, per non vedere. L individuo, compreso da un gagliardo senti- mento della giustizia, a fronte della fatalit del male che trionfa* delle sventure inesorabili che percotono la patria, delle calunnie velenose, delle ire che lo perseguitano, si sente spesso impotente a lottare, ma allora si raccoglie in s, condensa nel silenzio le forze, aspetta l'istante pro- pizio per prorompere, e colla mano e col pensiero rivendi- care gli oltraggi sofferti, e rialzare il sentimento morale che i prepotenti e i tristi avevano offeso e calpestato. IX. Moriva intanto il Borgia (1503) e gli succedeva Giulio II della Rovere, anima deroe, chiusa e soffocata sotto il peso della pacifica tiara. Uomo di forti e gagliardi propositi, di vasti concepimenti, nato ad opere grandi, fu uno dei pochi capaci di apprezzare degnamente Buonarroti; due persona- lit poderose destinate a incontrarsi nella vita e degne di comprendersi. Salito appena sul trono pontificio, volle Mi- chelangelo, che aveva allora ventinove anni, presso di s; sentiva come dal sommo artista poteva venire gloria e LA CAPPELLA SISTINA. 25 splendore al pontificato. Bench lavesse chiamato a Roma colla maggior sollecitudine, sulle prime era dubbioso qual incarico affidargli; poi, come se egli desiderasse di asso- ciare il suo nome a quello del grande artista, sino dai primi giorni del suo pontificato, gli commise di disegnare ed elevare in S. Pietro un monumento per la sua sepoltura. Intendeva egli di erigere il proprio sepolcro, o quello dItalia che precipitava di nuovo nel servaggio e nella morte? Certo lartista immagin tosto un monumento degno dellItalia e del genio del grande Pontefice. Questo monumento fu il pensiero che perseguit e do- min lintiera sua vita, fu lincubo del suo genio; si strug- geva di condurlo a termine; e la fatalit, le circostanze ne lo allontanavano sempre. Delle quaranta statue che dovevano ornare lavello non pot compierne che una, ma quelluna  tutto un monu- mento; essa non solo rappresenta il genio di Michelangelo, ma compendia tutto un popolo,  il pensiero di molti secoli.  lestremo dellidealismo, o diremo della filosofia della storia, petrifcato in una divina realt.  la forza, la virt inflessibile, locchio luminoso e profondo che misura i se- coli, domina i popoli e le et ;  la Giustizia e la Legge. Tale  la statua del Mos, in essa effigi lideale dun popolo grande, unico nella storia, lidea dun pontefice sommo; e in esso vers intera lanima sua di scultore, di pensatore, di politico e di filosofo. Il Buonarroti era gi corso a Carrara, e si occupava di far estrarre e trasportare masse di marmo per erigere il sepolcro di Giulio II, quando questi mut consiglio. Glinvidiosi del Buonarroti gli susurravano essere tristo presagio, il farsi edificare la sepoltura in vita, e lo persua- 20 PARTE PRIMA sero che commettesse invece allo scultore di dipingere la vlta della Sistina; i nemici speravano cosi di sfatare l'ar- tista, levandolo dalla scoltura dove si scopriva perfetto, e cos spingendolo a dipingere a fresco, per non aver speri- mento nei colori, facesse opera men lodata ed avesse a riuscire da meno de suoi emuli. * X. Infatti, quando fu dal Papa ricercato perch dipingesse la vlta, egli ricorse ad ogni mezzo per schermirsene, anzi metteva per ci innanzi Raffaello. Ma quanto pi egli ricu- sava, tanto pi impetuoso il Papa insisteva incalzando. Forse mai accadde che lo Spirito Santo ispirasse cosi fe- licemente un papa per affrettare un capo lavoro all'arte e al mondo. In questo pontefice che sente e comprende il genio, e nell'artista, che temendo di sobbarcarsi all'alta impresa, dubita di s e delle sue forze, si sente la lotta del genio col proprio destino, che lo trae e finisce per imporsi inop- pugnabile alla sua volont.  questo il momento psicologico del genio che ne deter- mina il fato. Tale fu per avventura la condizione danimo di Dante quando pose mano al poema sacro, e che egli stesso volle dipingerci colla mirabile precisione de suoi versi scultorii; da un lato si strugge daffrontare lalta im- presa, dall'altro sfiduciato perde la speranza dell' altezza, in questalternativa come  . . . . quei che disvuoi ci che volle  E per novi pensier cangia proposto,  Si die dal cominciar tutto si tolle.  LA CAPPELLA SISTINA. 27 Ma limperiosa volont del sommo pontefice fini per pre- valere, e a lui dobbiamo, nel pi meraviglioso monumento- delia pittura moderna, un nuovo Poema Sacro. Egli si mise tosto allopera con quellardore impetuoso con cui soleva affrontare le ardue imprese; si rinchiuse nella cappella, non volle n compagni n aiuti. Il Papa aveva ordinato al Bramante di costruirgli il palco, ma es- sendo incomodo e mal disposto egli lo fece buttare a terra e da queireccellente meccanico che era, altro ne costruisse a modo suo (1). Erano venuti da Firenze a Roma alcuni amici suoi, pit- tori, per porgergli aiuto  ma veduto le fatiche molto lon-  tane dal desiderio suo, e non soddisfacendogli, una mat-  tina si risolv a gettare a terra ogni cosa che avevano  fatta, e, richiusosi nella cappella, non vuoile pi nemmeno  aprir loro (2) . Non si mostr pi neppure in casa sua, immerso nel lavoro, e ne suoi pensamenti faceva tutto da s, pre- parava le mastiche, macinava i colori, acconciava i ponti; lavorava indefesso il giorno e la notte, e per continuare il lavoro anche nelle ore notturne, erasi fatta una celata di cartone con cui copriva il capo piantandovi in mezzo una candela accesa, la quale rendeva lume dove egli la- vorava senza impedimento delle mani. Errava, a guisa di Ciclope, fra le ombre in mezzo al palco; un pezzo di pane che teneva in tasca bastava a sfamarlo; per pi mesi si rifiut di vedere nessuno; per quanto fosse sollecitato da amici, da artisti, da prelati, dallo stesso Pontefice, non (1) Vasari. Vita di Michelangelo. (2) Idem. Ibidem. 28 PARTE PRIMA volle ammettere nessuno a visitare lopera. Cominciato il 10 maggio 1508, fu compiuto in meno di venti mesi, il 1 no- vembre 1509 (1). XI. Questo dipinto, come accennammo,  tutto un poema, e come la Divina Commedia , esso  il Poema Sacro del po- polo italiano. Virgilio, il grande italiano del mondo antico, fu maestro e duce aH'Alighieri, Dante del Buonarroti. Come la Divina Commedia fu pei molti lenimma forte, che solo nei nostri tempi trov lEdippo che ne schiar le note oscure e sol- lev il velo che copriva i versi strani, cosi accadde di que-? sto dipinto.  Solo al tempo  dato rimovere il velo che copre la divina nudit del vero. Al pari deUAlighieri, il Buonarroti suole mostrare la pi alta riverenza per le somme chiavi, mentre fulmina gli atti del papato  che il mondo attrista  Calcando i buoni e sollevando i pravi;  Inferno , xix. al pari di lui alterna il sacro e il profano, il biblico e il classico, e suole coprire con una cotale vernice dorto- dossia immagini e simboli, che ne sono la critica pi ar- guta e la protesta pi energica. E fu ventura che sapesse velare in tal guisa il suo pensiero, altrimenti ci sarebbe dato (l) Ci, ripeto, secondo il Vasari: secondo altri vi avrebbe impiegato quattranni circa. LA CAPPELLA SISTINA. 29 di ammirare ancora questo capolavoro dellarte? Quando la Corte di Roma cominci a penetrare il significato se- greto della terribile Allegora Dantesca , volle proibire la lettura del poema, e il suo nome fu iscritto nel Catalogo degli eretici (1), e i Cardinali di Bernardo e del Pogetto, le- gati apostolici in Lombardia, vollero far disseppellire il cadavere del fiero Ghibellino, e darlo alle fiamme. Ora che sarebbe accaduto dei dipinti della Sistina se la Chiesa avesse potuto penetrare il pensiero ben pi ardito che si celava sotto il velo, e si ravvolgeva sotto forme ortodosse? G. Domenico Romagnosi agli appunti che da taluno gli venivano fatti pel suo scrivere attorcigliato, confuso e spesso oscuro, soleva rispondere, accennando alla duplice censura politica ed ecclesiastica, la quale sino agli ultimi tempi tarp le ali allingegno italiano  noi in Italia dobbiamo  far i contrabbandieri delle idee.  E dal Trecento, fino a questa seconda met del secolo nostro, i pensatori italiani furono costretti a fare i contrab- bandieri d'idee, n poterono oltrepassare le vigilate fron- tiere del paese, che ravvolgendole in frasi tortuose, oscure, ricorrendo alle allegorie, al gergo, al parlare velato, come dicevano i trecentisti, e parlando per figure e per simboli. Alcuni lampi bastano a gettar luce tra le ombre addensate sotto la selva oscura dei simboli, delle allegorie dei loro poemi, ed a svelarne il pensiero segreto che da secoli ser- peggia nella coscienza del popolo italiano. (l) V. Rossetti. Amor Platonico. Commento analitico di Dante.  Lettera di Dante a Can Grande, in cui dichiara che lopera sua  po- lisensa, cio di pi sensi, luno per la lettera, laltro per le cose dalla lettera significate. PARTE PRIMA -30 Ornai lepoca del dire avvolto e del parlare oscuro, del gergo esoterico e dellessoterico,  tramontato in Italia e in Europa. Il sole della libert risplende dal Campidoglio e penetra entro le penombre e oscurit del Vaticano; n dogmi n stte segrete hanno pi misteri per la critica moderna. Invano i commentatori ortodossi vollero con sbiadite allegorie velare il concetto politico e religioso che informa il poema di Dante; ornai dopo i commenti del Foscolo e di Gabriele Rossetti e altri,  facile scoprire sotto il velo del poeta ortodosso, l'eresiarca, il vigoroso riformatore politico e religioso nellautore della Monarchia , del Convito e del Poema Sacro. In ogni tempo si sospett del secreto senso allegorico dei dipinti del Buonarroti, del mistero che nascondevano al- cune delle sue figure e simboli; quel mistero  tempo di penetrare e svellarne apertamente il significato; e se la spiegazione  sar molesta * Nel primo gusto, vital nutrimento  Lascer poi, quando sar digesta.  Dante, Par., xvii, 132. XII. Chi penetri la prima vlta nella cappella Sistina, e sar- resti a contemplare il soffitto, il primo effetto da cui  in- vaso,  un senso di sbalordimento, di profondit, di maest, che ci atterra e ci sgomenta. Noi ci sentiamo sopraffatti da tanta terribilit e grandezza. Ci pare di assistere ad uno LA CAPPELLA SISTINA. 31 dei grandi spettacoli della natura, quando luragano si avventa dal fondo dell' Oceano, sconvolge le onde tem- pestose, accumula fantasticamente gruppi di nuvole agitate, vaganti per lorizzonte; o, se vuoisi, esso richiama alla nostra mente alcune delle visioni grandiose di Ezechiele, una nuova Apocalisse di S. Giovanni; se non che le imma- gini michelangiolesche, anzi che larve impagabili della fan- tasia, sembrano rizzarsi innanzi ai nostri sguardi, vive, parlanti; noi vediamo, noi tocchiamo esseri umani ad un tempore sopraumani, fantastici e reali, e la loro voce sem- bra tuonare dallaltezza di quella volta, nel fondo dei nostri pensieri. Chetata questa prima impressione, vinto il tumulto e la meraviglia destata nellanima, noi cominciamo ad ammi- rare in mezzo a tanta variet di figure e di contrasti, un ordine, unarmonia e un ritmo come allaspetto di vasta e ordinata mole architettonica; e alla vista di quellaffolla- mento di figure dogni et, dogni sesso, d'ogni gente, al mirare quella serie di gruppi cos finiti e segregati, ma ad un tempo vincolati e dominati da uno spirito stesso, infor- mati da un pensiero che li agita e congiunge, noi ci do- mandiamo, che cosa  questo? Quale il pensiero che li com- move, quale lo spirito che passa sopra di loro? Sono storia o fantasia? Sono idea o realt? Ed invero mentre questi di- pinti si presentano alla mente come astrazione, idealit, gioco di fantasia, essi ci parlano, si spiegano innanzi ai sensi, quasi come realt palpabili;  in loro una potenza di attitudini, di posamenti, di muscoli, di scrti, che li fa vi- vere, movere, operare.  lastratto che si fece reale, lombra che divenne persona. Pure questo complesso di cose, que- sto spettacolo che si presenta ai nostri sensi  desso un 32 PARTE PRIMA passato lontano che lartista ha evocato dal sepolcro, op- pure la divinazione del futuro?  la storia ornai tramontata, od un mondo nuovo che dovr spuntare ancora, maturare nellet lontane, e che il vate artista profeticamente si leva ad annunciare alle genti? Sinora si ebbe una facile risposta a questi dubbi, la quale pot quietare la curiosit del volgo, che non va oltre dalle apparenze, ma essa non appag il pensatore e il critico. Nei nove scompartimenti, si diceva, sono dipinte le scene principali dellantico Testamento, il Padre Eterno, la Crea- zione delluomo e della donna, il Diluvio Universale, e cosi via via; quanto agli altri scompartimenti cio nelle gal- lerie, nei grandi archi, nelle mensole, negli specchi, nei pedcci, nelle sedie, ove stanno le figure dei profeti, delle sibille, si diceva,  dipinta la genealogia di Davide, la quale aspetta e prenunzia il Redentore; e quanto al resto, alle altre figure, rispondevano, non sono che accademie, ornati e fantasie! Come il Padre Eterno, riprende il critico, Iddio! ma del Dio cattolico, non vi ha ombra, del suo simbolismo, non traccia. Invece della Trinit noi vediamo un essere immenso, tutto pensiero e forza nella sua unit, che empie di s gli spazi immensurati.  Il Redentore! ma dove  desso? della sua vita, dei suoi miracoli della sua leggenda, degli apostoli, della sua passione, della sua morte, non vi si scorge il pi piccolo vestigio; nelle cento figure che si agilano nella vlta, non uno dei suoi seguaci, apostoli, ado- ratori, non una delle donne che ne accompagnarono la vita, e presenti alla passione, alla morte, ne aspettarono la ri- surrezione; della storia posteriore del Cristianesimo non vestigio. Come mai avrebbe voluto dipingere una Crista- logia senza il Cristo, il Cristianesimo senza uno dei riti, LA CAPPELLA SISTINA. 33 dei simboli del nuovo Testamento e dei fasti della nuova fede? Inoltre il Messia avrebbe dovuto recare la promessa salute  la lunga in terra lagrimata pace  ; pure nella dipinta vlta, ove volgiamo lo sguardo, tutto  perturba- zione, sgomento, sconforto, e spesso disperazione e terrore. Anzich la sicurt della fede nella venuta del Cristo, la se- rena pace che doveva tener dietro alla divina incarnazione, noi vediamo le cento figure dei profeti, delle sibille, dei po- poli diversi che compiono la vlta, dominati tutti da una pas1 sione febbrile, commossi come da uno sgomento arcano, quasi fossero in preda al dubbio, a terrori, e presentissero una catastrofe imminente, e nuovi flagelli dovessero piom- bare sul genere umano e trascinarlo in un abisso di sven- ture. Per tutto  un grido dangoscia, di morte; per tutto la tempesta dellira, la desolazione che non ha conforto. Per qui tutto ci presenta un simbolismo, il quale non solo si stacca da quello liturgico ed officiale, ma ne  quasi la negazione, la protesta. Negli stessi nove compartimenti di soggetto biblico, ci sta innanzi come una nuova crea- zione, una nuova Genesi, che dellantico Testamento non serba che qualche apparenza, del nuovo Testamento non trovi vestigia di sorta; come nel metodo, nella forma, nel meccanismo dell'arte, qui tutto  nuovo nel simbolismo, nelle idee, nel pensiero. A tacere dei profeti e delle sibille noi ci incontriamo ai primi passi, in tre figure titaniche, le quali dominano colla loro potenza tutta la scena. Sono il gruppo di Amano, quello di Giona e quello del Serpente di bronzo. Ora quelle immagini non potrebbero in verun modo attribuirsi alla leggenda di Ges, attaccarsi alla sua storia oa quelle del La mente eli Michelangelo. 3 34 PARTE PRIMA Cristianesimo. Pure in queste tre figure che rappresentano un antico simbolismo metafisico, o diremo, cabalistico,  avvolto il nodo dellenimma,  riposto il segreto che il pen- satore-artista legava ai secoli futuri. XIII. Appena scoperta la vlta venne osservato dagli artisti come dai critici, che il Buonarroti aveva adoprato il mas- simo studio, posta ogni cura nel dipingere e far spiccare queste tre figure; esaur in esse lestremo dellarte; ed esse, per le mosse, l perfezione delle tinte e degli scorci, per la espressione, per le difficolt superate, possono annove- rarsi fra i pi finiti e spiccati capolavori della pittura mo- derna. La figura d' Amano di scrto,  straordinariamente condotta. Il tronco che ne regge la persona, il braccio che viene innanzi il corpo abbandonato, la gamba ripiegata convulsivamente, non sono dipinti ma vivi, rilevati e slan- ciati dal fondo, e la figura, come scrive il Vasari nel suo entusiasmo pel divino artista, fra le difficili e belle ,  bel- lissima e difficilissima. Arrogi che pensatamente e con alto intento venne da lui collocata in un angolo della cappella, e sospesa met in una superficie e met in unaltra mentre poi a forza di prospettiva appare tutta nel medesimo piano, ed essendo disegnata quasi in profilo, un braccio della croce va indietro e laltro viene in fuori, si che pare stac- cato del muro. Quale fosse la ragione filosofica di tale di- sposizione si vedr in appresso, perocch quel sommo nulla facea per caso, tutto  in questa vlta calcolato, meditato e simbolico. LA CAPPELLA SISTINA. 35 Ora continuiamo lesame delle altre figure che spiccano nei triangoli dei cantoni e alle testate della vlta. Nellaltra vla angolare che fa riscontro alla Crocifis- sione di Amano, vediamo quellaltra meraviglia dellarte: il Serpente di bronzo.  Tu miri da un lato un affollarsi duomini, di donne, di bambini, che guardano affascinati il Serpente, stendono verso dui le mani supplichevoli, una madre che sorregge le braccia prostese della figliuola in- ferma e cadente supplicando da lui la vita, la salute, la redenzione; per contro dallaltro lato, il Serpente spiccasi dal tronco, si avventa sopra le turbe, spaventate e fug- genti; ravvolge fra le spire tortuose uomini, donne, fan- ciulli; quale di loro tenta fuggire, quale si schermisce col braccio, quale ravvolto, come Laocoonte, fra le squamme dun drago immane, combatte e si sforza di svincolarsi, quale smarrita ogni speranza, muore soffocato fra spasimi atroci. Atti diversi di orrore, di piet, di sgomento chiudono in lontananza il quadro spaventevole. Terza figura che levasi giganteggiando a capo della vlta,  quella di Giona liberato dall Orco, la quale, non  lul- tima, come suole dirsi dai critici, sibbene la prima, che al pari di Amano e del Serpente aprono tutto un ordine di secoli e di simboli.  questo pure un miracolo darte : cediamo la parola al valente Vasari, che s modesto, s accurato e grande diede allItalia una meravigliosa enciclopedia degli artisti.  Chi non ammirer e non rester smarrito, veggendo la terribilit di Jona, ultima figura della cappella, dove  con la forza dellarte la vlta, che per natura viene in-  nanzi, girata dalla muraglia, sospinta dallapparenza di  quella figura, che si piega inditro, apparisce diritta; e 56 PARTE PRIMA  vinta dall'arte del disegno, ombre e lumi, e pare che ve-  ramente si pieghi indietro?  Ben si scorge come il Profeta, dopo dura battaglia, svin- colatosi dalle fauci dellOrco ne balza fuori trionfante, lo sfida col guardo, mentre colla testa eretta e la figura sfol- gorante e titanica, sembra dominare tutto il dipinto della vlta e le pareti della cappella. XIV. Queste tre figure, che destarono in ogni tempo lammi- razione degli artisti, furono sempre mai un mistero, un problema pel critico e pel filosofo. Infatti, la Crocifissione di Amano,  un fatto isolato della storia biblica; e non si rannoda in verun modo n alla genea- logia di David, n al mistero e all'epopea della redenzione. La storia di Giona, straniera del pari alle origini del Cri- stianesimo, fu gi considerata da molti Rabini e Padri della Chiesa, pi come mero simbolo, anzich una storia reale; e simbolo del pari  il Serpente di bronzo. Come mai avrebbe lartista-pensatore disposto queste tre figure a testa del dipinto, se avesse voluto significare lori- gini e i fasti del Cristianesimo? Con quale intento le colloc nella pi chiara prospettiva? Basterebbero queste tre figure, che sono la chiave del dipinto, a provare quanto si appongano al vero le inter- pretazioni sinora adottate. Cerchiamo dunque in qualche modo nel concetto simbolico e filosofico dellepoca di pene- trare il pensiero che moveva la mano dell'artista. j Chi , chi raffigura Ama'n? Aman, secondo i teologi e LA CAPPELLA SISTINA. 37 cabalisti, rappresenta il genio del male;  lodio, il rancore, linvidia, la calunnia, che tenta dilaniare il giusto, e avvolge i popoli delusi e i principi nelle reti dellinganno. Esso corrisponde forse allArimano Persiano, ed in Persia fu scritta la storia di Ester, la cui verit storica  da alcuni messa in dubbio. Inoltre Aman , secondo i mistici ed i gnostici, il falso Cristo, il Cristo dellerrore, della violenza, della perversit, il quale con inganno si  insinuato nel Santuario della Chiesa, e prese il posto del Cristo  verit e giustizia  e la profan, la deturp. Sopra di lui, che  il falso Croci- fsso, fu fondata la falsa Chiesa, la quale simula il Drago della famosa allegoria dantesca,  Che per lo carro su la coda fisse.  Purg., xxxii.  Trasformato cosi Vedifico santo  sostituendo il falso Cristo, ir Cristo della calunnia e dellodio a quello della verit e dell amore, ecco l artista ci presenta nella vela angolare a sinistra, gli effetti prodotti da questa trasforma- zione della Chiesa gi santa, in perversa. Questa allegoria  identica nel pensiero e nelle immagini a quella di Dante nel 32 del Purgatorio , la quale non allude per nessun modo alleresia, come vogliono i commentatori ortodossi, n a Filippo il Bello; il concetto dantesco  pi vasto e pi vero; esso dipinge in ogni verso la trasformazione e la corruzione che mut la Chiesa santa nella profana; e qui il dipinto imita in tutto il poema dantesco con immagine anche pi scolpita. Vi si vede il Drago o la donazione di Costantino, il poter temporale venirne fuori 38 PARTE PRIMA A s traendo la coda maligna Trasse del fondo, e gissen vago vago. Purg., xxxii. Il concetto, che nel poeta  rappresentato dal Drago,  qui raffigurato dal Serpente di bronzo. A destra una folla di donne, uomini, fanciulli stendono verso lui le . braccia, credendolo il vero Cristo; ma ei si muta nel falso, che si avventa su di loro e ne fa strage. Il serpe della salute di- venta il serpe della morte. Il suo Vicario arde Savonarola, avvelena l'Italia, ed il pittore esclama col poeta: Fatto ha del cimiterio mio cloaca Del sangue e della puzza... In vesta di pastor lupi rapaci Si veggion di quass per tutti i paschi 0 difesa di Dio, perch pur giaci? Par., xxvir. Ci che significa Jona, la cui figura titanica intercede fra Amano e il Serpente di bronzo, lo vedremo in seguito. In- tanto continuiamo ad esaminare dietro queste due figure del Serpente e d'Aman, le conseguenze che scaturiranno dalla trasformazione del Cristo o dal falso Crocifisso. Negli archi, nelle lunette, nei peducci, nei medaglioni e nelle mensole che si svolgono dietro di loro vediamo tutto un popolo di figure, che si seguono con attitudine e abbi- gliamenti svariati. I critici, soffermandosi appena ad esa- minarle, le battezzavano colla facile parola di Accademie , Medaglioni ed Ornamenti ; ma, come nel poema dantesco non v'ha un verso che non racchiuda unidea, cosi non una figura dipinge e scolpisce il Buonarroti, che non incarni LA CAPPELLA SISTINA. 39 un significato, un concetto. Tutto  qui simbolo e pensiero;  un pensiero che si continua, si completa, e ci confonde colla sua immensurabile grandezza, e in queste figure, non che decorazioni e accademie , egli scolp simboleggiata in altrettante figure e movenze la storia dei secoli. Lumanit fu delusa, tradita; si  sostituito il Cristo della calunnia e dellodio a quello della verit e dellamore. Per col vedete dietro Aman crocifisso, re, regine, sacerdoti, che banchettano sul tradimento compiuto; qui il serpe della salute trasformato nel drago velenoso; dietro loro svol- gonsi gli effetti del tradimento ; V umanit, che sperava si aprisse l ra della giustizia, il millenario del regno dei cieli, vede rovesciarsi su lei flagelli e sciagure pi atroci; la caduta dell Impero Romano, V oscurarsi di ogni civilt, guerre su guerre, distruzioni, rovine. Quelle vicende di secoli tetri, di furori bestiali, sono raffigurate dalle forme strane, arruffate, sconvolte e atterrite, che si succedono, e aggrappansi negli archi, nelle lunette, negli zoccoli dietro le figure di Amano e del Serpente. Anzi con profondo calcolo egli collocava, cme vedemmo, quelle due figure, mezze in una prospettiva, mezze in un altra, mentre sembrano disposte in un medesimo piano, quasi a significare come la ingiustizia del mondo antico, le violenze, gli errori del Paganesimo, che si dissero interrotti, si sono continuati ancora nei secoli cristiani.  ancora il Paganesimo in cui domina la forza brutale, che si continua nell et nuova; non  il nuovo ordine che  succeduto allantico, ma il male perdura e il danno e il servaggio. Egli anzich ri- trarre unra di pace e di redenzione, ci presenta con ca- ratteri strazianti quale una scena dell inferno, i patimenti moderni, le sofferenze, le crudelt inflitte ai popoli. 40 PARTE PRIMA Qui vedi dipinta una donna che tiene in mano uno spec- chio, e vi mira raccapricciando le scene dorrore che si avvicendano, e sarretra spaventata; col un'altra gira nel- larcolaio lo stame della vita e della morte; altra, levato sul culmine dellarco lo sguardo immoto e fisso, mira il fiotto della sciagura avanzarsi mugghiando intorno, e in- vano attende un raggio di salute; questa tiene in mano il cranio del suo figliuolo e ride impazzata;... questi afferra il suo bordone di pellegrino e percorre la terra quasi cer- cando una patria che gli  negata; per tutto nei mezzo- tondi, negli spicchi semicircolari si seguono altre figure in atto di chi, affranto dalla fatica e dal cammino, si getta entro una fossa, altri pure cammina sempre sempre in- stancabile e appena trova una pietra ove riposi il capo; altri geme, si copre il volto per terrore e dispera; per tutto domina una voce che grida sconforto, delusione, pianto ed oppressura! Tuttavolta in ogni parte, in ogni gruppo miri un fanciullo staccarsi, spiccare e agitarsi; ecco qui nasce, l vagisce in fasce, altrove  sollevato sulle braccia della madre, si dibatte, cresce, corre; egli  lumanit che si rinnova, si rifeconda, si innalza e ci ricorda le parole del profeta:  Nulla  consumato ancora. Spera e attendi; il giorno della redenzione ha da venire, la giustizia matura; Dio e i profeti non hanno mentito! XV. E la salute, la redenzione comincia da Giona.  questa la seconda parte del poema simbolico, di cui il Giudizio Universale sar la terza, abbracciando cosi tutta la storia moderna e formando come la palingenesi del Cristianesimo. LA CAPPELLA SISTINA. 41 Giona, dall artista collocato alla testa della volta,  il prototipo di questa seconda parte, come il Cristo, un Cristo trasformato, un Cristo-popolo, sar leroe della terza o del Giudizio. Giona, nel simbolismo cristiano come nel rabinico, rap- presenta lUmanit che si svincola dalle spire dellidola- tria, dellerrore, o dal ventre del Drago ove stava sepolto; dal fondo degli abissi ove lo sommersero per elevarsi al Dio di verit e di giustizia. E il sommo artista dipinge Giona nel momento in cui con sforzo immane prorompe fuori impetuoso dal ventre dellOrco, il quale pi tenace, si affatica ancora di trattenerlo e addentrarlo nel fianco, e slanciasi dalle tenebre dellabisso alla luce distesa del cielo aperto. Egli tiene ancora congiunte ambe le braccia, con cui si sgrupp dal mostro; solleva il dito pollice come in atto di proclamare lunit divina; dietro di lui si leva e spicca la testa di una donna bellissima, composta, serena e forte ad un tempo, donna, che noi vedremo ripetuta in seguito sotto le stesse sembianze nella vlta, come nella parete del Giudizio, e raffigura la nuova Chiesa e il Cri- stianesimo futuro. Dietro Giona, nei vani dei nove compartimenti, si spie- gano dipinti i fatti biblici, o il primo periodo dellumanit liberata dall incubo dell' idolatria.  questa come una se- conda genesi, una nuova creazione, forse ispirata dalle idee mistiche e filosofiche svolte dal suo maestro Pico nell ' He- ptaptas (1). Nel primo vano della testata di sopra si vede ritta, li- (l) Pico, Heptaptas de septi formi sex dierunt genesos enaratione. 42 PARTE PRIMA brata in aria la figura colossale dun gigante in sembianza duomo, il quale, prostese le braccia in alto, separa la luce dalle tenebre; poi lAdamo ricreato, e il maligno volto in fuga; la donna, che con atto damore, al soffio creatore, levasi umilmente altera e in uno spontaneo impeto daspira- zione, quasi si prostende e inchina innanzi allEterno; e via via negli altri compartimenti alcune scene dell antico Testamento. Poscia, frapposte ai nove compartimenti so- pra le lunette tra pilastro e pilastro, quasi nel secondo cerchio di quella mole architettonica sopra quella turba di angosciati e di sconfortati, posano e stanno a sedere nelle cattedre del claustro i profeti e le sibille. I giganti della Bibbia e della poesia classica, dice Gastelar, non sono cosi alti come questi profeti; sono uomini si, ma uomini, che portano con s i dolori e le speranze di tutti i tempi, di tutti i popoli; questi esseri giganteschi, straordinari, che, come immaginarono le varie cosmogonie, sembrano pro- rompessero fuori dal seno del nostro pianeta appena creato, dominano colle loro pose agitate insieme e maestose tutta la scena, a quel modo che la loro parola si diffonde sopra le et e le governa e guida. Primo fra questi sta Geremia.' Dolore senza conforto siede sulla sua fronte. Invano, sembra dire, fummo redenti, lingiustizia regna pi sempre sulla terra;  inutile ornai lottare, vietata ne  pure la parola, le lagrime sono ri^ stagnate nelle pupille immote, si chiude colla destra la bocca per non tradire il segreto del suo dolore/ e la sini- stra mano casca abbandonata sulle ginocchia; ma bella e raggiante si leva a tergo la figura della Chiesa futura che vedemmo risplendere dietro Giona.  Spera, sembra dire, non tutto  finito.  Ezechielle si agita impetuoso sul suo LA CAPPELLA SISTINA. 43 seggio; lingiustizia dunque regner eterna sulla faccia della terra? La dirittura non sar mai che trionfi? I figli sono dunque risponsabili delle colpe paterne (1).. Se la giustizia esiste, perch il giusto  sempre perseguitato e soccombe? Questo il problema che va scrutando nellampio volume che tiene nelle mani convulse; e un fanciullo, che scuote colle mani una face, sta sulle mosse e sembra dire :  Allavve- nire la risposta.  E il fanciullo oltrepassando il profeta Joel arriva alla sibilla Eritrea. Gi la lampada della spe- ranza sta per ispegnersi innanzi alla divina profetessa stanca di leggere e daspettare; la notte cade e s addensa intorno ad essa, la fede vien manco, il fanciullo o lumanit che si rinnovella, passa, riaccende la lampada che conti- nua a splendere e rompe le ombre della notte; e nei due angoli pi vicini allEritrea, dove si confondono le due vele, che fanno riscontro a quelle, che alla testa dellen- trata rappresentano il falso Cristo e la delusione del Ser- pente di bronzo, ecco due composizioni, le quali aprono lepoca della redenzione vera. Da un lato miri David, che uccide il Gigante; dallaltro Giuditta, che rappresenta la Giudea , la quale tronca il capo ad Oloferne ed all idola- tria; luno simboleggiante la libert politica, la indipen- denza nazionale dal giogo straniero, laltra la vittoria del pensiero e della coscienza liberati dal mito, o dallidola- tria; da essi si inizi la nuova palingenesi religiosa e so- ciale. Zaccaria, il quale nellaltra estremit della vlta fa ri- scontro a Giona, medita, assorto nella lettura dun libro, il (l) Y. Ezgchielle. Cap. xviii, 44 PARTE FRIMA disegno, la mole e struttura del nuovo tempio che dovr elevarsi; due fanciulli da tergo, si chinano a leggere, a notare e pendono dalle sue parole. Nel mezzo arco di sotto a destra un vecchio, coperto il capo del berretto frigio:  Va, dice al fanciullo, lora tua  venuta,  lora doperare!  A sinistra un altro vecchio, solleva il fanciullo sulle braccia e sembra dire  al fine sei nato, a te spetta aprire i giorni della libert e della giustizia.  In mezzo alle due sibille, la Delfica e la Gumea, quella sempre giovane e bellissima, questa austera, pensierosa, solcato il volto da rughe profonde, sorge ispirato, Isaia. Per tal modo sem- pre si afferma il concetto della conciliazione dei popoli, lo spirito umanitario, universale del secolo decimosesto, il pensiero- del Rinascimento, che pone alla stessa altezza i profeti e le sibille messe a canto a loro, annunziatrici delle stesse verit; Isaia, la Delfica, la Cumea, ossiano la Grecia, l Italia, la Giudea, congiunte in un pensiero che, rappresentando lumanit, innalzano lo stesso cantico di speranze al cielo. E il profeta dIsrael, levando il brac- cio, vaticina ai secoli i giorni di libert, di fratellanza e pace. Ma quei giorni son lontani ancora. Qui vedi negli spicchi sopra le ogive dei mezzi archi, uno schiavo africano incatenato; disotto Aza, la quale, cinto il capo dal turbante siriaco, rappresentante la Giudea, ovvero l'umanit esule, oppressa, abbandonate le braccia, sta distesa sul sepolcro ira il vecchio padre e il fanciullo, e guarda, e geme, ed aspetta. A fianco siede Daniele, il cui nome significa Giu- stizia o Giustizia di Dio , che, alta la fronte, irti e agitati i capelli, come dal turbine della profezia che passa, scrive e scrive; ha gi pieno un volume, che il puttino regge sul capo; pure il Profeta continua a scrivere e notare... Che cosa LA CAPPELLA SISTINA. 45 scrive? Raccoglie le parole dei secoli? o ne segna sul libro il giudizio? Sotto di lui, negli spicchi semicircolari, unaltra figura nota anche essa e scrive; unaltra volge nellarco- laio rapido il filo dellet, e una figura cupa, avvolta nella tonaca orientale, affila nel silenzio il coltello nascosto, quasi attendesse il giorno della vendetta e del giudizio univer^ sale. Perocch il giudizio universale deve precedere lor- dine morale che ha da sorgere; conviene spazzare il ter- reno dalle tristi macerie dun passato ingannevole e funesto', per aprire poscia il nuovo tempio della verit, della fra- tellanza e della pace. > XVI. .. . . . ... E trentanni erano corsi dal di, in cui termin i dipinti della vlta a quello in cui pose mano al grande affresco del Giudizio Universale (dal 1507 al 1533-34). Egli aveva veduto in questo intervallo di tempo, tutto un edificio scosso dalle fondamenta crollare, e sorgere un nuovo ordine di cose e trasformarsi religioni, istituzioni e popoli. Quanto egli aveva amato, idoleggiato da giovane, si era corrotto, pervertito, ed egli doveva assistere alla sua rovina e pronunziarne il giu- dizio. Mentre in Europa tutto tendeva a rinnovellarsi di leggi, di costumi, di religione, lItalia ripiombava nelle te-* nebri del servaggio, e, uscita appena dalla notte del medio evo, quando cominciava a salutare il crepuscolo del Rina- scimento, re, imperatori, pontefici, popoli, tutti cospiranti a suoi danni, si gettavano su di lei, la facevano a brani, schiacciavano le libert de suoi Comuni, lindipendenza de suoi Stati, il rinnovamento, le riforme della Chiesa, e la ri- sospingevano in un servaggio pi cupo dellantico, pi tetro del medio evo. 46 PARTE PRIMA Egli vide lItalia percorsa, depredata, lacerata da orde straniere; gi opulente per industrie, per ricchezze, grande per intelligenze e per arti, ma al solito fiacca, debole, cor- rotta da una civilt precoce e imbelle; divisa e lacerata da piccole invidie e ire insane, essa cade facile preda delle compatte nazionalit, che sotto le forti monarchie sanda- vano ordinando in Europa; eserciti stranieri scendevano d oltre Alpi a dividere le sue spoglie; essa divenne il campo di battaglia aperto alle ire, alle gelosie, alle am- bizioni della Francia, della Spagna, della Germania e del- lAustria, aperta alla ingordigia di tutti i conquistatori stranieri, a tutti soggetta e preda. Michelangelo vide il pontefice da lui pi pregiato e amato, Giulio II, portare il colpo mortale a Venezia colla lega di Cambray; vide poscia, col pretesto o il vanto di voler libe- rare lItalia dagli stranieri, gettarla preda ai Tedeschi, ai Francesi, agli Spagnuoli, agli Svizzeri; vide altri pontefici parricidi aizzare principi e predoni stranieri contro la sua patria, Firenze espugnata, disertata e schiava, e cadere a mano a mano con lei le Repubbliche di Siena e delle Ro- magne; mir con orrore il sacco spaventevole di Brescia, di Vicenza, di Milano, di Prato e infine quello di Roma, e Clemente VII incoronando a Bologna Carlo V stringere e intrecciare la spada col triregno, e consacrare per secoli la servit dItalia. Vide per contro la riforma religiosa pre- sentita, annunziata dal suo maestro Savonarola, nascere, crescere e prorompere impetuosa nella Germania, scuotere la Scandinavia, la Svizzera e lInghilterra, e svellere met d'Europa dal grembo della Chiesa di Roma; le guerre politiche rese pi feroci dalle passioni religiose. Mentre che i popoli cristiani si lacerano tra loro l Islamismo si LA CAPPELLA SISTINA. 47 avanza, Solimano percorre saccheggiando lUngheria, e minaccia Vienna, e, colle sue scorrerie, getta lo spavento su Napoli, sulle isole e sulle coste italiane. Allo spirito riformatore, che commoveva lEuropa, rispon- devano le molte sette antipapali, che mai si erano potuto domare in Italia, e alle scuole filosofiche venivano ad ag- giungersi le sette di riforme religiose, i Paterini, i Soci- niani od Unitari, i Luterani. La Corte di Roma, appoggiata dalla Spagna, dai piccoli principi, dal braccio secolare, sguinzagliava, sulle terre e citt italiane branchi d'assas- sini, di delatori, di sgherri. Le carceri riboccavano di so- spetti deresia ; si vuotavano per alimentare le fiamme dei roghi, ove ardevano filosofi ed eretici. Il dominio, che non poteva sostenersi colla ragione e colla fede, veniva pun- tellandosi sulla punta della spada, imponendosi coi terrori, col ferro e coi roghi. Tutto ci sentiva, mirava e notava il Buonarroti. Edu- cato alle dottrine dei filosofi, discepolo del Savonarola, sentiva nel fondo del cuore la riforma religiosa e morale, suprema salute dItalia, la quale dalla superstizione, .dalla falsit, dallerrore, era caduta nella corruttela e da questa precipitava nel servaggio e nella rovina. Sdegnoso, chiuso in s, egli non poteva favellare, n aprire il suo pensiero. Quel cumulo di sciagure piombate sulla patria, quei vitu- peri, quelle codardie, quei delitti, avevano condensata nel fondo dellanima sua fiera e disdegnosa, una tempesta di dolori, di ire, di passioni gagliarde e feconde, e quel di- sdegno, quelle passioni a lungo rinchiuse e soffocate nel profondo del cuore, ei vers collimpeto del suo grande animo nel sublime dipinto del Giudizio Universale. 48 PARTE PRIMA XVII. La volta della cappella Sistina fa appellata un presenti- mento: qui dipinse un nuovo mondo messiaco, invano a lungo atteso, e quale, dopo i profeti, avevano idoleggiato e annunziato i Gioachim da Flora, i Giovanni di Parma, i Re* nuccini, i seguaci dell 'Evangelo Eterno , nunzi di un nuovo Cristianesimo. Nel Giudizio universale segna la sentenza e la condanna del falso Cristianesimo, e il preludio della catastrofe e della sua caduta. Conveniva loro sfolgorare la falsit, il sofisma, lipocrisia, spazzare la terra dalle loro immonde macerie, per aprire i tempi della nuova religione evangelica, o meglio per ri- fecondare e condurre a maturanza quei germi ricchi e feraci, che lantica racchiudeva ancora nel seno, e che non poterono andar del tutto dispersi e spegnersi. Giovinetto, aveva il Buonarroti scolpita la battaglia di Ercole contro i Centauri; vecchio, sapr suscitare un Ercole pi santo; evocare un Apollo pi sfolgorante che sorge a giudicare i vivi e i morti, e lo effigia terribile l nel Vaticano, per pronunciarne innanzi ai secoli l'alto giudizio. Il Giudizio Universale fu terminato e scoperto il 25 di- cembre 1541, il giorno di Natale, ed era un nuovo Cristo infatti che, non in un villaggio umile ed ignoto, ma in Roma, ma nella capitale del mondo cattolico, veniva alla luce del giorno. E questo Cristo gigantesco, che si vede l campeg- giare nel vasto affresco,  gi un Cristo trasformato, quale non era mai stato n concepito, n veduto, e quale non altri che quellanima invitta di Buonarroti avrebbe potuto immaginare, accogliere e imprimere. In quella folla di put- LA CAPPELLA SISTINA. 49 tini, che egli aveva sparsi e dipinti nella vlta, pi non ve- diamo traccia del buon bambino Ges. Essi non sono flosci* "f leziosi e slavati, ma vigorosi, audaci, riboccanti di vita; sono tutti membruti, ora frementi di inquietudine, ora in un vior lento riposo e avidi del pari dazione; tutti sono come usciti da uno stampo; ed ormai quei bambini e quegli adolescenti sono cresciuti, sono uomini, divennero giganti, e li miri ef- figiati e raccolti nel nuovo Cristo. Qui non pi traccia del Ges mansueto, umile, sereno della liturgia, non pi i tratti nazareni idoleggiati dalla Chiesa Greca o Latina, non pi le forme raggianti e placide che ritrassero i Giotto, i Gian Bellino, i Perugino; egli ti presenta lenergia dun Giove irato o drcole che abbatte il Centauro; ha la nobile fierezza fieli Apollo del Belvedere, che scende a saettare il Serpente; ha la terribilit di Mos che spezza le tavole della legge. Egli ha vedute le violenze dei forti, mir le turpitudini, 1q ingiustizie, le frodi degli ipocriti che tradiscono la fede, ha ascoltato e raccolto i gemiti, le querimonie de deboli, le proteste degli oppressi. I clamori de popoli e degli individui torturati nelle prigioni, conculcati, arsi su roghi, salirono sino a lui; egli si solleva nella sua forza, egli riparatore, egli scudo, egli giudice.  il nume antico proclamato dalla legge, vaticinato dai profeti, atteso dai derelitti e dai mi- seri; il suo nome  Giustizia (1). (l) Tra i molti errori e le menzogne che si sono diffuse intorno a Jeova o il Divino idoleggiato dagli Ebrei, suole ripetersi che esso sia il Dio dellodio, della vendetta, e per fu contrapposto a Satana, ed ora, con errore piu stolto, fu confuso con Satana. Jeova, nel suo si- gnificato filosofico e metafisico, vuol dire l'Essere assoluto, fonda- mento del tutto; in questa voce  contenuto tutto lo spazio, tutto il La mente di Michelangelo. 4 50 PARTE PRIMA Tutto, dice Tertulliano, matura nei secoli, anche la Giu- stizia; e quel gigante che miriamo sopra la vlta tra Joel ed Ezechielle, posato sopra un cesto di frutta ancora acerbe,  la Giustizia che si matura nei secoli, si nutre nelle ansie, si fortifica nei tormenti dei popoli, e poi s'innalza possente, come il Cristo, a chiamare a giudizio inesorabile pontefici, e imperatori, popoli e plebi. Egli si leva in forma colossale in mezzo al dipinto ; sem- bra col capo attingere ai cieli, e la terra gli  sgabello ai piedi; i capelli abbandonati ai venti, il fronte accigliato, maestosamente severo, l' una mano levata in atto di male- dire, l'altra in atto di chi respinge con orrore colui che gli si vede primo presentarsi innanzi, tutto in lui  severit, forza ed ira. Dietro a lui siede, e quasi si nasconde, la Ma- donna. Quanto mutata dalla Vergine delle liturgie, la Regina dei cieli; quanto diversa dalle Madonne ingenue, serene di Giotto, di frate Angelico e delle formosissime di Raffaello! Non pi di sol vestita , non pi cinta la fronte della divina aureola, non pi come la cant nel suo lirismo il poeta moderno, terribil come  oste schierata in campo ; ma smarrita, ma paurosa e dimessa e ravvolta nel suo manto, quasi nascosto il volto dietro il figlio, essa non appare pi che donna. 11 tempo della grazia mite, obbliosa, fiacca,  tramontato. Troppo a lungo questItalia molle e snervata tempo; nel significato morale significa l Equazione , la Giustizia . Ecco i termini mirabili di grandezza e di precisione coi quali il Dio Ebreo  definito nella Genesi stessa dal legislatore:  Dio  verit senza iniquit, Egli  giustizia e dirittura.  Dei perfecta sunt opera, et omncs viro eius judicia: Deus fldelis, et absque nulla iniquitate, justus et rectus. * Deut. xxxii, 4. / LA CAPPELLA SISTINA. 51 immol alla grazia la giustizia; sagrific la legge ad una piet morbosa, funesta e colpevole; la verit alle seduzioni di una bellezza fallace e alle finzioni; l'antica e maschia -virt agli incanti della grazia, affascinata sempre e sog- getta alle sirene umane e divine. Quel fascino  tempo di spezzarlo, l'ora  sorta della luce aperta, della verit pro- clamata sopra i tetti, della Giustizia, che > impassibile innanzi alle lusinghe della bellezza, come alle minaccie dei grandi e agli urli delle turbe tumultuanti, colpisce del pari grandi e plebei, pontefici, operai, popoli o principi. Dopo il Cristo, laltra figura che campeggia, e rilevata sembra staccarsi e presentarsi innanzi agli spettatori,  san Pietro;  in atto di avanzarsi e presentarsi al Cristo per essere giudicato. Queste due figure sono tutta una rivela- zione, terribile rivelazione che domina il gran poema e ne -spiega il pensiero. Ecco il Cristo accigliato, sdegnoso, in atto di fulminare; poi col il suo vicario, che turbato in volto, sospettoso e peritante si fa innanzi, e con unumilt infinta e sospettoso gli porge le sacre chiavi, che il Cristo respinge con orrore. Intorno a loro vedi affollarsi tutta una turba di. persone diverse, vera accozzaglia, come dice un critico, di esseri umani, che quel grande aveva dipinti in- teramente ignudi, come la verit vuol essere, e che i pre- lati fecero imbrattare o velare come l ipocrisia; tutti questi hanno forme erculee, figure volgari, atti paurosi, suppliche- voli, smarriti, ignobili; qual regge le tenaglie, quale il ma- glio, il coltello, la sega, quale altro strumento di tortura e supplizio; si volea ravvisare in questi gruppi i santi o i morti per la fede, i quali fanno sfoggio degli istrumenti con cui subirono il martirio; ma chi ben mira le figure strane, sconvolte, i volti volgari di questi santi,  costretto a 52 PARTE PRIMA chiedersi se cotesti sono santi o reprobi, martiri o carne- fici. Non sarebbero, per avventura, essi, i frati, gl inquisi- tori, gli aguzzini, che per tanti anni hanno condannato, torturato, arso gli eretici, i pensatori, che superano in nu- mero, in virt e spasimi patiti i santi del calendario? E questa figura lunga, nerboruta, che quasi in rilievo si fa innanzi a tutti, e che colle gambe larghe sembra a caval- cione di una nube, ai piedi del Cristo, sarebbe invero san Bar- tolomeo, o non piuttosto uno dei frati inquisitori scemi e fanatici, una specie di Torquemada, cui il pittore volle stim- matizzare? E quellinvolto che tiene in mano, anzi che la sua pelle sparuta e svelta, non sarebbe la larva con cui celava le opere ree, o la maschera dellimpostura? ^ .. A meglio chiarire il suo pensiero, egli tratteggi a destra di questo gruppo di gente, che altri battezz per santi, scene terribili, oscene, feroci. Aveva suscitato gran scan- dalo, appena scoperta, limmagine di santa Caterina, nuda, stretta voluttuosamente fra le braccia di non so qual santo. Altre scene si seguono confusamente, che denotano pi che la piet, il terrore, lira, lo smarrimento, ma lo spettatore si arresta sopratulto su quel terribile gruppo dipinto sotto questi martiri o carnefici. Sotto i piedi di san Pietro vedi alcuni demoni, che agguantano un reprobo col capo arro- vesciato in gi, sotto quel fascio di vesti e di carni umane, e gi lungo i fianchi gli cadono penzoloni le chiavi, che pi sopra san Pietro presentava a Cristo, il che par signi- ficare il giudizio pronunziato ed eseguito; e infatti si sco- prono qua e l altri religiosi e religiose, cui demoni dai ceffi spaventevoli, afferrano colle branche e con forconi; essi lottano invano, e tentano districarsi dalle ferree mani, agi- tandosi e springando le piante, mentre che due donne bel- LA CAPPELLA SISTINA. 53 lissime, colle braccia in alto, in atto di percuotere, li spin- gono, li urgono, li precipitano gi nellaverno; e queste donne, se ben miri, hanno forme eguali a quelle dipinte dietro Giona, e di altre medaglie della vlta, e che raffigurano la Chiesa futura. Sotto questi gruppi si seguono i rei dan- nati per peccati capitali, che rovinano nell inferno dove li accompagna colla barca Caron demonio , in atto di battere qualunque s adagia; nel mezzo poi si apre lantro d Averno, come dai Ghibellini era appellato il Vaticano. Anzi, a me- glio spiegare il concetto riposto, lartista entro quellantro cacci il noto messer Biagio, custode del Vaticano. Un demone si china verso di lui, gli susurra allorecchio una parola: non sarebbe per avventura il segreto del Buo- narroti? Lantro, il gruppo degli angeli librati nellaria, come tra i due mondi, il celestiale e linfernale, e che tengono aperto il volume dei destini dei popoli e deglindividui, servono di transazione al lato destro del Cristo, a sinistra dello spet- tatore ove succede la risurrezione dei beati. Qual variet di scena si offre allora allo sguardo ! Men- tre a sinistra nel complesso era una confusione, un affol- lamento di persone dal guardo obliquo, pauroso, dalle mosse tortuose come di reprobi e d ipocriti, qui tutto spira grazia, serenit, bellezza ineffabile e leggiadria. Sono figure tratteggiate con forza e grazia infinita, che sciogliendosi dal sonno della morte si innalzano a vita eterna. Sembianze di donne, di fanciulli, di pensatori, che nella vlta abbiamo veduti accasciati sotto al pondo dei loro dolori, seduti sul sasso, affranti, e nei quali molti secoli di patimenti e doltraggi non valsero a scuotere la fede nel giusto e nel vero, ora, rigenerati da questa fede, risorgono, 54- PARTE PRIMA e sono come da forze arcane tirati nel cielo. Qui una ma- dre bellissima solleva la figliuola, che si avvince intorno al suo cinto, e seco T innalza ai beati; col un bambino stende le braccia alla madre, lo sposo alla sposa; altrove una monaca getta ad altri la catena del Rosario, la fede semplice e popolana, e a lei si rannodano altre suore;  linfanzia del cuore che ricomincia la vita. Qui un gruppo di sposi librati nello spazio, soli e intrecciate le braccia 1 uno collaltro, si sollevano come attratti per virt damore. Pi sotto vedi gruppi diversi, ora ischeletriti, ora gi rive- stiti di carni, appoggiati sui gomiti, svincolarsi dalla tomba contratti, portentosi di ossa, di muscoli, di tendini, di cui consta la macchina umana, nei quali trionfa larte reale e ideale, tal che la materia s eleva e diviene spirito. Cosi alcuni, che agli atti, al volto diresti pensatori, scienziati, torturati o costretti al silenzio nella vita, rimovono il co- perchio della tomba, si levano in piedi, e attendono im- pavidi il giudizio, o si elevano al cielo e salutano laurora della nuova fede, il sole della verit, mentre una folla di uomini, di fanciulli, di donne, non daltro rivestiti che dalla loro innocenza, per virt spontanea, si librano insieme in alto, e reggendosi l un laltro per mano, intrecciano la ca- tena degli esseri, e rappresentano la concordia delle razze diverse, la serie dei secoli ora compenetrati della giustizia divina, e del pari rigenerati. Superiormente si spiegano due campi semicircolari, for- mate dalle masse della vlta, e rappresentano la parte ce- lestiale della vasta epopea. Vi si vedono staccarsi falangi di angioli, di santi, che portano gl istrumenti della passione. Qui pure il simbolismo  diverso dal liturgico, qui pure il nuovo Cristianesimo LA CAPPELLA SISTINA. 55 crea il nuovo simbolismo. Gli angeli pi non portano le' ali ufficiali, pi non presentano gli aspetti molli, sfiaccolati* svenevoli; li miri fieri, virili, sono persone, non fantasmi, sono uomini e realt, non finzioni. Portano la croce, che, vacilla loro in mano, sta per cadere, e tentano invano so- stenere e reggere in piedi. Nellaltro compartimento la co- lonna, gi quasi rovesciata, sta per precipitare loro sul capo, una donna ne  quasi schiacciata, mentre altra donna, in sembianza di quella gi dipinta presso Giona, tenta risol- levarla, simboleggiando la nuova Chiesa, che succedp alla Chiesa caduta. In ogni parte, chi sappia penetrare il significato simbolico di questa Apocalisse italica, pu scoprire il concetto ripo- sto dellantico domma che tramonta e cade, del nuovo che si leva e trionfa; la religione della grazia, della morbosa scuola delle restrizioni mentali, della falsa piet, che cede il passo a quella della legge, della giustizia, delle maschie virt; il culto dei rancori, degli antagonismi, degli odii sosti- tuito dal fecondo concetto, della conciliazione e dellamore; la legge sostituita al privilegio; la realt forte, virile, alle finzioni, allidealismo snervante, all ipocrisia ; la sicurezza allequivoco, al sofisma; la verit al mito; alla fede cieca, un sentimento religioso pi alto, la scienza. XVIII. La scienza fu l ultima parola del sommo artista. La vlta, le pareti della Sistina rappresentano in certo modo il Purgatorio e lInferno del suo poema sacro, la Basilica ne sar il Paradiso. Nella sua prima giovinezza, la forma in cui impresse il suo pensiero fu la scoltura; poscia lo 56 PARTE PRIMA svolse in modo pi preciso e largo colla pittura, nelle pa- gine degli affreschi; ora, attempato, finisce collo stamparlo in forme architettoniche nelle pareti, nella cupola, nell1 im- menso edificio di S. Pietro. Quest immensa Basilica rappresenta e compendia in s la storia del Rinascimento italiano, e in parte dellepoca mo- derna. Tutti i sommi artisti avevano messo mano al vasto edilzio; fu il lavoro non mai scontinuato del secolo deci- moquinto e sesto. Si successero nellopera Bramante, Raf- faello, Baldassare Peruzzi, frate Giocondo, Antonio di San- gallo. Avvenne che questi mor nel 1546; onde, mancato chi guidasse i lavori della fabbrica,  furono varii i pareri,  scrive il Vasari  a chi dovessero darli.  Finalmente credo che Sua Santit, ispirata da Dio,  si risolv di mandare per Michelangelo.  Questi sulle prime ricus, come quando gli si commise di dipingere la vlta, dubit di s, si ri- trasse dicendo che larchitettura non era larte sua; final- mente ai preghi e alla volont imperiosa del Pontefice gli fu forza cedere, ed entr in quellimpresa. Tutti i suoi biografi narrano le insidie tese al sommo artista dagli invidiosi e dai tristi, mentre attendeva a diri- gere il grande lavoro; i conflitti sostenuti contro la setta Sangallesca, le calunnie e intrighi, che amareggiarono la sua vecchiezza, e per contro, la forza danimo, la pertinacia e l'abnegazione da lui spiegata per tener fronte a suoi ne- mici, e il disinteresse col quale quest uomo non volle ac- cettare compenso di sorta, dicendo che egli lavorava per amor di Dio e dellarte. Noi ci limiteremo a studiare il pen- siero a cui sispirava l'opera sua, e che riusci a stampare nel tempio meraviglioso. L'idea, che si proponeva imprimere,  la stessa che mo- LA CAPPELLA SISTINA. 57 veva il suo pennello dipingendo la Sistina; qui la pittura diviene architettura, assume forma pi precisa e gagliarda, permanendo nel fondo identica. Egli si propone ancora di uscire dal medio evo, dal confuso, dal contorto, dallartif- cia-le e dal falso, per aspirare alla semplicit, alla realt, alla verit; lasciare le assurdit del mito, loscuro del fa- voloso, l indeterminato del soprannaturale, per fondare sulla natura e sulle sue leggi eterne; sprigionarsi, come il simbolico Giona da lui effigiato, dalle spire dellOrco, svel- lersi dal fondo del pelago tenebroso, per cercare la libert, la verit in s, ed elevarsi alla pienezza della luce. Questo concetto, come verremo dimostrando, non  parto della nostra fantasia, ma ci viene chiarito ed esposto dal- lartista stesso. Il disegno della fabbrica, quale fu ideato dal Sangallo, era una mescolanza di stile gotico e di ro- mano; egli aveva sprecato gi somme enormi, consumati quarantanni di lavoro, e ledifzio riusciva confuso, stentato, oscuro, con proporzioni meschine.  Il Sangallo aveva con-  dotta la fabbrica cieca di lumi, aveva di fuori troppi or-  dini di colonne, le une sopra le altre, e con tanti risalti  e aguglie e tritume di membra, che teneva pi dellopera tedesca, che del buon modo antico, e della vaga e bella  maniera moderna.  Michelangelo invece ide di condurla  con minor spesa ad un tempo e con pi maest, gran-  dezza, facilit e maggior disegno dordine, bellezza e co-  modit.  In queste parole del discepolo si compendia il pensiero del maestro. Il gotico, sotto quellapparenza di sveltezza e leggerezza che presentano le sue guglie, gli archi a sesto acuto, la vaghezza dei lavori cesellati e dei contorni,  stentato, impacciato, pesante; la Cattedrale  oscura, cupa, come let che ledifcava. La fabbrica si pre- 58 PARTE PRIMA senta come una ftta foresta di colonne, di angoli acuti, che sintrecciano colle vlte;  un insieme di tritume di membra aggiunte l une allaltre, ricinte da una moltitudine di minuti ornamenti, di fronzoli, di civetterie, che si ripro- ducono all infinito; fragile qual , e priva di saldezza, si regge come sulle stampelle per opera di contrafforti, spun- toni, ferri nascosti e dissimulati nel muro. Specchio del sistema teologico dal quale emergeva, che non aveva sicurezza, consistenza in s, n fondava sopra solida base. Anzi che su principi scientifici e sulle propor- zioni geometriche, si fondava sul numero mistico del tre e del sette, che si ripetono allinfinito. Perocch la Chiesa, al pari della Teologia, doveva edifi- carsi sopra i numeri tre e sette, e al pari del domma, anzi che sulle teorie della ragione e le leggi eterne della natura e della scienza, poggiare sopra un insieme di pratiche, di finzioni, di teorie fantastiche, di tradizioni erronee e impo- ste colla simulazione e colla violenza. Per, come il sistema ortodosso ha bisogno di tutto un apparato esteriore di forze, d un esercito di prelati, di frati, di inquisitori, di milizie ec- clesiastiche e del braccio secolare per imporsi alla ragione umana e conservare l impero, cos ledifizio gotico e medio- evale composto qual di minuterie e fronzoli, di rappez- zature, che si ripetono sempre, ha un continuo bisogno di custodi, di riparatori, di medici, i quali vigilino sopra l infermo debole e pericolante; si sostiene con contrafforti, con chiavi palesi o mascherate, e per poco si lasci in ab- bandono, ledificio vacilla, si sfascia, si sgretola pietra a pietra. L Italia si lev prima a combattere questa architettura mistica, tenebrosa, stantia del medio evo. I grandi edifizii LA CAPPELLA SISTINA. 59 dellantichit .romana, i quali sembrano emergere dal fonda del suolo, gettati in un sol pezzo, e saldi al pari delle no- stre alpi, sfidano i secoli, porsero il primo modello della nuova architettura. Mancava il genio pratico, ardito, capace di comprenderli, d imitarli e dimprimere loro il concetto religioso e cristiano. Questo genio sorse col sommo Brune-' leschi, il quale, dopo lunghe e faticose battaglie sostenute contro gli oscurantisti dellepoca, colla cupola del Duomo in Firenze gett la prima pietra angolare del Rinascimento.' Egli prese le msse dalla prospettiva, dalla meccanica per riescire alla costruzione, che imit la regolarit delle leggi celesti e leternit delle leggi meccaniche che reggono il mondo. Inizi per tal modo la feconda riforma, la quale non era in fondo che lo studio della natura e delle sue, leggi per riverberarle nellarte. Buonarroti la compi e he suggell il pensiero, l nel grande centro dellortodossia cattolica, culla e centro dellarte moderna, in Roma. XIX. Riformatore, pensatore, come artista sommo, egli aveva coscienza chiara e piena dellopera che stava per compiere. Infatti egli stesso ne chiarisce e spiega il pensiero con pa- role precise in una notevole lettera, che dirigeva ad un amico nei giorni in cui stava per mettere mano ai lavori, sulle traccie di Bramante,  valente nelV architettura quanto ogni altro , che sia stato dagli antichi in qua.  Egli inten- deva di elevare una fabbrica  non piena di confusione , ma chiara , luminosa, isolata a torno ,  non come ha fatto il Sangallo  che si  discostato dalla verit , e toglie tutti i lumi alla pianta di Bramante , ma per s non ha ancor 60 PARTE PRIMA lume nessuno , tanti nascondgli tra di sopra e dissotto scuri , che fanno comodit grande ad infinite ribalderie.  In altri termini, col dove il Sangallo e la sua maniera avevano portate le tenebri insidiose, egli intende recare la luce, la serenit; a queiraffastellamento di ordini diversi, di architettura mistica, intende sostituire unarchitettura semplice, grandiosa, che s ispirava alla romanit e al genio italico antico, disegnando le grandi linee, e si basava sul calcolo, sulla scienza, sulle leggi eterne della natura. Que- ste idee egli seppe imprimere, non solo nel marmo ma nel- ledifizio tutto, il quale, secondo il suo concetto, doveva riescire il pi omogeneo, uno, armonioso, che sia stato immaginato, ed elevarsi in Roma siccome tempio dei tem- pli, e cattedrale del genere umano. Tale lo ideava, lo idoleggiava nella gran mente il Buo- narroti, e tale lo disegnava; ma i suoi disegni furono in appresso manomessi e adulterati. La reazione cattolica, che tenne dietro ai grandi Papi del Rinascimento, incoraggi ed ottenne un'arte che ben corrispondeva a quel feroce e barocco sistema teologico, il quale mirava a prolungare le confuse e paurose tenebrie del medio evo, mentre gi in- vadevano la terra i fulgri dell'et moderna, e fu visto pro- dursi un mostro ibrido che teneva di tutti i sistemi, senza averne uno, e ne nacque il barocco. La Basilica Vaticana fu sopraccaricata di ornamenti, di fronzoli, di larghe cornici, di pilastri, di ricchi dipinti, di tutto quanto potesse parlare ai sensi, abbagliare la vista, smarrire e snervare il pensiero (1). (i) Noi avevamo gi scritte queste pagine quando ci cadde sotto gli occhi un notevole articolo sulla Basilica dellinsigne prof. Barzelotti, che corrisponde perfettamente alle nostre idee: vi  uno sforzo inge- LA CAPPELLA SISTINA. 61 Laccessorio divenne principale, mentre che secondo il con- cetto di Michelangelo, le scolture, le pitture, gli ornati, non dovevano figurare a capriccio, ma quali elementi architet- tonici, concorrere a costituire larmonia, a crescere decoro al suo tempio. Nulla doveva sorgere a distrarre locchio, fuorviare la mente daHahbracciare il complesso colossale. Ispirandosi alla Bibbia, e compreso da quel severo senti- mento religioso, che mosse gi la sua mano a ritrarre i profeti, a scolpire lispirata sembianza del Mos, egli in- tendeva di sollevare il tempio al Dio del Pensiero, impri- mendo e traducendo con ben altro genio e con arte pi in- gegnosa, in forma architettonica pi pura e regolare, quel Vacuo sublime che, secondo la forte e precisa espressione di Tacito, arrest meravigliato Pompeo sulla soglia del Santissimo in Gerusalemme. Quel vacuo sublime, che aderge la mente dal vario allunit, dallaugusto e caduco della terra alla infinitudine delleterno. Pure, malgrado le alterazioni recate al suo disegno, il con- cetto michelangiolesco domina ancora sovrano nella grande Basilica, e la riempie di s. Infatto la parte essenziale del tempio, la cupola ed il suo ordinamento cos esterno come interno, ritrae la vastit del suo pensiero, ci empie di una soave e sublime meraviglia, non gi per il soverchio degli ornati, ma per la sua semplicit, larditezza con cui si slancia nello spazio, in mezzo a quella leggiadra armonia delle forme, e alla purezza, ed al sapiente accordo delle  gnoso che accumula, moltiplica i ripieghi; mancando il sostanziale,  cio lo spirito, il sentimento, si cerca lefficacia nellarte particolar-  mente nella quantit, nel lusso, pi che nella qualit, ecc., ecc.  (Vedi Nuova Antologia , luglio 1882). C2 PARTE PRIMA  LA CAPPELLA SISTINA. linee; la vlta che spazia cosi vasta e leggiera accoppia lunit e la semplicit alla maest pi grandiosa. Tutto porge immagine di sterminata grandezza, la quale, anzi che soverchiare i sensi, parla al pensiero, lo soffolce, lo aiuta quasi per moto istintivo, spontaneo, a sollevarsi e poggiare sempre pi in alto;  il vero Excelsior, che scol- pito in una massa architettonica, favella allo spirito, e grida alle generazioni che si avanzano: sempre in alto. A questo effetto cospirano le cupole laterali, le quali co- ronano, come serti minori, la vasta superficie. Esse si le- vano a guisa di templi isolati, che accrescono maest alla grande cupola centrale. La quale, mentre  un vero miracolo di calcolo e darte, incarna un alto concetto filosofico e re- ligioso. Esso  il Panteon antico sovrapposto come a co- ronare il tempio moderno. Sono tutti i Numi, i concepimenti religiosi e parziali del mondo antico, che accolti con armo- nioso accordo nel nuovo tempio, sembrano convocati qui alla contemplazione del Dio infinito, che di s empie luniverso. A nessuno dei coetanei fu dato di mirare la gran cupola terminata, solo il Buonarroti la vedeva elevarsi grandeg- giente innanzi allo sguardo, quasi a chiudere lepoca dei cieli angusti, che si curvano come a serrare entro a breve confine il globo, ed aprire ai posteri spazi pi luminosi, orizzonti sempre pi vasti, in cui navigano, come in un mare di luce, miriadi di mondi viventi. L'artista aveva in quel tempio, nella sublime cupola, ef- figiato il simbolo; non tardarono dopo di lui, quasi nuovi profeti, i Kepler, i Copernico, i Giordano Bruno, Galileo, Newton i determinarne le leggi, e su di essa deve forse l'avvenire fondare la religione della scienza, il domma di tutti i popoli. PARTE SECONDA LUOMO IL FIGLIO E IL CITTADINO LUOMO IL FIGLIO E IL CITTADINO I. A comprendere la mente del Buonarroti, non conviene limitarsi a considerare soltanto lartista e le sue opere, ma vuoisi studiare luomo. Luomo nella vita domestica e cit- tadina spiega l'artista; questo irraggia di viva luce 1 uomo. Vittoria Colonna, con quella intuizione, che le donne dalto cuore sogliono avere nel comprendere e definire l uomo grande, diceva che la vita di Michelangelo era una, sempre uguale a s stessa in ogni atto, in ogni periodo della sua vita, e che in lui era da pregiarsi, anche pi delle opere, il carattere. E a dir vero, dote singolare che distingue e privilegia fi uomo sommo,  il giusto equilibrio dogni facolt, le quali, pur svolgendosi nella loro pienezza si contemperano ed ar- monizzano per modo, che sembrano sempre mosse da uno stesso spirito, rette, in ogni circostanza, da un pensiero dominante; virt questa che quasi mai si riscontra anche in taluni uomini grandissimi. La mente di Michelangelo. 5 66 TARTE SECONDA Infatto, in alcuni, come in quel genio sovrano che fu Torquato Tasso, soverchia V immaginazione, il sentimento, a scapito della ragione; in altri, come nell'Ariosto, sover- chia ed eccede la fantasia; in altri, una co tal sensualit volgare, o sentimentalismo morboso; in altri, il calcolo, lambizione, legoismo, e nei tempi moderni la tendenza al paradosso, allaffettato pessimismo, o la vanit che cela la vacuit del pensiero e la fiacchezza dellindole. Vha al- cunch di discorde, di balzano, che per eccesso o per di- fetto rompe la rettitudine, larmonia di una vita. Michelan- gelo invece, come Dante, Shakespeare, Galileo Galilei, Gote, Humboldt, ed altri pochissimi, sono tali personalit, in cui ogni attitudine, ogni facolt si bilancia per modo, che con- corre a costituirne un tipo, e fonderle in una possente e compatta individualit. Esse sono sempre uguali a s stesse; sinnalzano e spiccano come lApollo del Belvedere e la statua di Sofocle, del Pensieroso, salde, alte, in s secure, sopra il loro piedestallo; sia che tu li contempli di fronte, di profilo, sia nel torso, nel fianco, in ogni loro particolarit, tu sei costretto ad esclamare: bello! perfetto! Tale apparve il Buonarroti ai coetanei, e lo appellarono il Divino; per, a meglio comprenderne la mente, conviene pur penetrarne il cuore, seguirlo in alcune vicende della vita, studiare insieme coll'artista sommo e col pensatore, il figlio, il fratello nella vita domestica, il cittadino nelle battaglie politiche, fra le tempeste e vicende della patri, il suo cuore damante nel fuoco delle passioni, e per tal modo si verr forse a comprendere e afferrare nella sua interezza luomo. Il che tenteremo di fare a larghi tratti in questo studio, il quale sulle prime non doveva essere che una introdu- luomo. 67 zione ad un lavoro poetico, ma che in seguito prese pi larghe proporzioni a mano che ci sentivamo pi e pi at- tratti e affascinati da questa figura simpatica e colossale, la quale, anche pi della Dantesca, deve levarsi e grandeg- giare come modello di virt, di dignitosa indipendenza, di nobile disdegno, di volont tenace, di operosit instanca- bile e di grandezza, ad unItalia, la quale voglia sorgere a dignit di nazione maschia, rispettata e libera. II. Studiamo prima luomo nella vita domestica, poi nella cittadina. E qui, per quant possibile, cediamo la parola allo stesso Michelangelo, il quale spesso, anche parlando o scrivendo, scolpisce. Numerose lettere sue furono pub- blicate in questi ultimi tempi, sia dal Grimm nellerudita sua biografia tedesca, sia dal diligente Aurelio Gotti nel- loccasione dellanniversario, sia da Cesare Guasti nel vo- lume in cui con tanto amore ne raccolse e ne chios le rime. Noi ci limiteremo a spigolarne alcuni brani, che me- glio possano rilevare il carattere dellartista. In quellet corruttissima di costumi, in cui la coscienza individuale era eclissata e pervertita, la dissolutezza era virt, l inganno vanto, lamore tradimento, seduzione e li- bidine sfrenata, e ognuno, chiuso nel suo egoismo, viveva per s solo, i vincoli di famiglia, sopratutto fra gli artisti, erano rilassati e sciolti (I). Michelangelo, che pur viveva (1) Sui costumi degli artisti ci limitiamo a ricordare la sregolata vita del Lippi, che era pur monaco carmelitano ; alcune lettere di Sebastiano del Piombo, in cui narra quando si fece frate; la vita del Celimi, ecc. 68 PARTE SECONDA solo, per lo pi lungi da suoi, fu un eccezione. Egli anche lontano  affettuoso, austero e illibato, e porta sempre il padre, i fratelli in cima d'ogni suo pensiero; egli alla fa- miglia consacra le sue fatiche e la sua esistenza.  Io voglio <c,che voi stiate certo, egli scrive al padre (1), che tutte le  fatiche che io ho sempre durate non sono state manco  per voi che per me medesimo, e quello che ho compiuto,  perch sia vostro ; e mentre voi vivete... con quelle en-  trate e con quello che vi dar io, voi vivrete come un  signore.  E in altra lettera :  Attendete a vivere, o piut-  tosto lasciate andare la roba che patire disagi, che io vi  ho pi caro vivo e povero, che, morto voi, io arei tutto  loro del mondo...  E scrive al fratello Giovansimone, di cui aveva a lagnarsi per il suo procedere poco rispettoso verso il suo genitore:  Io ho provato gi pi anni sono  con buone parole e buoni fatti, di ridurti al vivere bene  e in pace col tuo padre e con noi altri; e tu peggiori  tuttavia.  E poi con quanta delicatezza e semplicit sog- giunge:  Io non ti dico che tu sei un tristo, ma tu sei in  modo che non piaci pi n a me, n agli altri... Ora io  sono certo che tu non sei mio fratello, come gli altri,  perch se lo fossi, tu non minaccieresti mio padre, anzi,  sei una bestia... Sappi che chi vede minacciare, o dare al  padre suo  tenuto a mettere la vita, e basta...  E poi nel poscritto:  Io non posso fare che non ti scriva ancora  due versi, e questo , che son ito da dodici anni in qua  tapinando per tutta Italia, sopportando ogni vergogna^  patito ogni stento, lacerato il mio corpo in ogni fatica,  messa la vita propria a mille pericoli solo per aiutar la (1) Lettere di Michelangelo, agosto 1508. l uomo. 69  casa mia, ed ora che io ho cominciato a rilevarla un poco, tu solo voglia esser quello che scompigli e rovesci  in un ora quel che ho fatto in tanti anni, e con tante fatiche. Al corpo di Cristo, che non sar vero! Che io  sono per scompigliare diecimila tuoi pari quand ei biso-  gner. Or sia savio , e non tentare chi ha altra pas-  sione! (1)  Un altro fratello, Gismondo, pare voglia venire a Roma appunto nei giorni in cui egli stava dipingendo la vlta ;, egli incarica Buonarroti padre di trattenerlo dal recarvisi:  Perch non lo posso aiutare in nessuna cosa.  Non  posso servire a me le cose necessarie. Io sto qua in  grande affanno e con grandissima fatica del corpo, e  non ho amici di nessuna sorta e non ne voglio, e non ..ho tempo che io possa mangiare al bisogno mio; per non mi sia pi data noia, che io non ne potrei soppor-  tare un oncia...  Austero a s stesso, non cerca agi n commodi, ma quanto guadagna manda alla famiglia. E a buon diritto pu scrivere :  Voi siete vissuti del mio gi quarantanni  n mai ho avuto da voi, non che altro, una buona pa-  rola... E i danari li ho guadagnali con quella fatica che  non pu sapere chi  nato calzato e vestito come tu.  E in altra lettera al nipote :  Abbia cura a non gettar via i ' danari che vi ho mandati... perch chi non li ha guada- ' gnati non li conosce, e questo si vede per esperienza, che  la maggior parte di quegli che nscono in ricchezza, li  gettan via e muoion rovinati. Sicch apri gli occhi, e   " ' ' ' ;  . '.v (1 (l) Lettere Archivio Buonarroti. 70 PARTE SECONDA  pensa e conosci in che miserie e fatiche vivo io bench  vecchio come sono (1).  Mentre dipingeva la vlta scrive ancora al padre accen- nando a qualche sventura domestica:  Intendo dallultima  vostra come la cosa va. Nho passione assai. Non vi  posso aiutare altrimenti; ma per questo non vi sbigottite  e non ve ne date un oncia di melanconia, perch se si  perde la roba, non si perde la vita. Io ne far tanta per  voi, che sar pi che quello che perderete... Attendete a  vivere, e pi presto lasciate andare la roba che patire  disagi... che, morto voi, io non arei tutto loro del mondo.  E quando il 15 di settembre 1512 gli fu dato avviso che i Medici erano rientrati in Firenze sospettosi e cupidi di vendetta, scriveva ancora a Buonarroti:  Statevi in pace,  non vi fate amici n familiari di nessuno, se non di Dio...  Attendete ai casi vostri... Io vi avviso che non ho un  grosso, e sono, si pu dire, scalzo e ignudo, e non posso  avere il mio resto, se non ho finita lopera, e patisco  grandissimi disagi e fatiche... Pure quando avessi qualche  grandissimo bisogno, vi prego che prima me lo scriviate,  se vi piace. Io sar qua presto (2).  Essendosi sparsa la voce, che egli aveva sparlato dei Medici, nebbe molestie e noie il padre; e Michelangelo gli scrive con infinita amorevolezza per confortarlo e offrirgli aiuto.  Bisogna aver pazienza e raccomandarsi a Dio e  ravvedersi degli errori. Queste avversit non vengono per  altro e massimamente per la nostra ingratitudine; ch (1) Lettera del 6 febbraio al nipote Leonardo, Firenze 1525.  Idem agosto 1548 (pubblicate per cura di G. Milansi). (2) Archivio Buonarroti di Roma, 18 febbruio 1512. l'uomo. 71  mai non praticai gente n pi ingrate n pi superbe dei  Fiorentini. Per se la giustizia viene  ben ragione... At-  tendete a vivere, e se voi non portate anco "gli onori della  terra come gli altri cittadini, bastivi aver il pane, e vivete  ben con Cristo e poveramente.  Indi con quanta semplicit, affetto e grandezza, riandan- done i diversi casi della sua vita, soggiunge:  Io vivo me-  schinamente, e non mi curo n della vita, n dello onore;  ci  del mondo, e vivo con grandissime fatiche e con  mille sospetti. E sono gi stato cos circa da quindici anni,  che mai ebbi unora di bene, e tutto ho fatto per aiu-  tarvi, n mai lavete conosciuto, n creduto. Io sono parato  a fare ancora il simile mentre io vivo, purch lo possa.  Ecco leroe nella vita domestica, il vero figlio sempre immemore di s; schiavo del dovere, che sprezzando ogni agio, vive per la famiglia e per il padre. Allorch questi, carico danni mancava, quella natura, chiusa in s stessa, non trovava conforto che sfogando il dolore con alcune terzine semplici, affettuose, sgorgate dal fondo del cuore. Eccone un saggio :  Gi piansi e sospirai, misero tanto,  Ch io ne credei per sempre ogni dolore  Coi sospiri esalar, versar col pianto...  Ma qual core  crude], che non piangesse  Non dovendo veder di qua pi mai  Chi gli di Tesser pria, nutrillo e resse?...  Nel tuo morir il mio morire imparo,  Padre felice  Goder coi} la mia la tua salute (I).  (1) Cap. in morte del padre e del fratello. 72 PARTE SECONDA Quanto si mostrava fiero e indipendente coi grandi, al- trettanto soleva essere semplice, benevolo co suoi famigli e cogli umili, riguardoso nei modi per non urtare chicches- sia, n recar danno. Cosi mentre dipingeva la vlta e si trovava solo, e abbandonato dall unico servo, che teneva il governo della casa, chiede al padre che gli mandi  un  fanciullo, figlio di buone persone, povero... perch di qua  (in Roma) non si trova se non tristi.  Il fanciullo inviatogli dal padre non gli serve, l infastidi- sce; egli chiede che il padre rimandi per esso. Per  tanta la bont e delicatezza dellanimo, che, temendo sia rimprove- rato dal padre, aggiunse a guisa di poscritto alla lettera queste parole:  Se poi parlassi al padre del fanciullo, di-  tegli la cosa con buoni modi, che gli  buono il fanciullo,  ma che gli  troppo gentile e non atto al servizio mio.  Tutto amorevolezza per la sua famiglia, si mostra coi fratelli e nipoti pi che fratello e zio, padre ed amico; desi- dera che il nipote Leonardo conduca in sposa una donna virtuosa, e sia di casa onorevole e conveniente; perci gli scrive:  Se tu vuoi torre donna che tu non stia a mia bada  perch non ti posso consigliare del meglio... ma ben ti  dico che tu non vada dietro a denari, ma solo alla bont  e alla buona fama. Io credo che in Firenze siano molte  famiglie nobili e povere, che sarebbe unelemosina impa-  Tentarsi con loro, quando bene non vi fosse dote, perch  non vi sarebbe anche superbia. Tu hai bisogno duna  che stia teco... che non voglia stare in su le pompe, e an-  dare ogni di a convitti e nozze (1).  (1) Vita di M. Buonarroti di A. Gottt, pag. 289. Vedi pure una sua lettera a Leonardo, da Roma, 28 giugno 1554. 1/ UOMO. 73 ' E nel maggio del 1553 Leonardo tolse per donna la Cas- sandra Ridolfi. E quando,, avutone un figliuolo, Leonardo gli scrive  che con onorato corteggio di donne nobilissime  lo avevano accompagnato al battesimo rinnovando il  nome del Buonarroti,  egli risponde:  Ho preso gran-  dissimo piacere della vostra, e visto che pur vi ricordate 5< del povero vecchio... e di aver visto rinascere un altro  Buonarroti... ma ben mi dispiace tal pompa, perch luomo  non dee ridere, quando tutto il mondo piange, mi pare  non sabbia a fare tanta festa d uno che nasce, con quella  allegrezza che s ha a serbare alla morte di chi  ben  vissuto.  Egli vide morire suo fratello Giovansimone il 9 gennaio  1548.  Ne ho avuta grandissima passione, scrive al ni-  pot Leonardo, perch speravo, bench fossi vecchio, ve- , derlo innanzi chei morisse, e innanzi che morissi io:  piaciuto cos a Dio, pazienza!  - E quando sette anni dopo, il 13 novembre 1555, ebbe la notizia della morte di Gilmondo, versava pure in grave pericolo di morte il suo servo ed amico Urbino. Egli, ben- ch vecchio e travagliato da molti mali, vegliava sollecito giorno e notte al letto del suo fedele servo, e quando manc, ecco con quali parole, che rivelano quel gran cuore, lo an- nunzia al nipote:  Avvisoti che jersera, add 3 di dicembre,  pass di questa vita Francesco, detto Urbino, con gran-  dissimo mio afianno.... tanto che mi sarebbe stato pi  dolce morir con esso seco, per ramose chio gli portavo..*  onde a me pare essere ora restato per la morte sua .<< senza vita; e non mi posso dar pace...  E al Vasari pochi giorni dopo scriveva:  .... Egli in vita  mi teneva vivo, morendo mi ha insegnato a morire; non 74 PARTE SECONDA  con dispiacere, ma con desiderio della morte... La mas-  sima parte di me se ne  ita, n mi rimane altro che  uninfinita miseria.  L'affetto, l interesse che aveva per Urbino, conserv per la vedova, e in quanta venerazione essa teneva Michelan- gelo basti a dimostrarlo una lettera bellissima che essa gli diresse, quando il padre ed un abate le facevano violenza, acciocch sposasse un cugino di questo, di poco buoni co- stumi, e che non possiamo trattenerci di riprodurla in ap- pendice, come vero modello epistolare italiano, e saggio dei costumi popolari dellepoca (1). III. Pure questuomo cosi affettuoso co' suoi, semplice di costume, cosi benevolo cogli umili, era altrettanto fiero coi grandi.  noto che presentatosi due volte nellantica- mera di Giulio II, ed essendogli negato lingresso, e ve- dendosi cos trascurato, disse al palafreniere:  E voi di- rete al Papa,  che se di me curarsi vorr, mi cercher altrove.  E tornato a casa, venduti i mobili, si parti per Firenze. Giulio mand invano dietro a lui cinque corrieri, ma egli si rifiut di tornare; invano mand tre brevi alla Signoria pieni di minaccie; finch dopo tre mesi, vedendo minacciata la sua citt per lira del Papa, a preghi del Gonfaloniere, si pieg a ritornare. E quell' uomo veramente terribile di Giulio II,  egli  terribile, soleva dire, non si pu praticare con lui.   Voi, (l) V. Appendice. l uomo. 75 gli scrive Sebastiano del Piombo, voi fate paura ad  ognuno, perfino al Papa.  Era temuto ad un tempo e amato. Nelle sue parole vera la benevolenza ed insieme larguzia; nel volto, negli atti, austerit insieme e cortesia.  Io lo so, scriveva ancora  Sebastiano del Piombo con lettera delli 9 novembre 1529,  in che conto vi tiene il Papa (Paolo III), e quando parla di voi, pare ragioni d un suo fratello, colle lagrime agli  occhi.  Papa Clemente non osava sedere quando favellava Buo- narroti, per timore che quegli facesse altrettanto senza chiedere il permesso. Rifiuta lospitalit dei principi e dogi a Ferrara, a Venezia; preferisce starsene solo nella sua modesta camera. Non conobbe mai agiatezza; quanto gua- dagnava mandava al padre, ai fratelli, e largheggiava di carit ad amici ed artisti poveri.  Per quanto ricco io mi fossi, diceva negli ultimi suoi anni al Condivi, ho vissuto sempre come un povero.  Buono per indole, paziente, generoso, non tollerava torti, n di essere soverchiato da nessuno, fosse grande o plebeo, equanime  giusto con tutti; larte era per lui cosa sacra; sprezzava chi ne faceva mestiere per accumulare denaro. Di ci faceva rimprovero al Perugino, il quale, dopo aver prodotto lavori di cos alto pregio, era diventato fabbrica- tore materiale di quadri.  Io non fui mai pittore n scul-  tore  egli scriveva  come chi ne fa bottega; sempre  me ne son riguardato per P onore di mio padre e de miei fratelli, ben io abbia servito tre papi: che  stato  forza (1).  (l) Lettera a Leonardo, da Roma, 2 marzo 1518. .76 PARTE SECONDA Non mercanteggiava sopra i suoi lavori, e quando un gen- tiluomo, mandato dal Duca di Ferrara, non si comport seco in modo degno, rifiut di consegnare il quadro della Leda, e ne fece regalo ad un suo discepolo, Antonio Meno, per agevolargli il mezzo di maritare le sue due sorelle. Dodici papi si succedettero nella sedia di S. Pietro durante la sua vita di artista, e sette di questi devono parte della loro gloria alla luce da lui riverberata; e al fortunato con- corso dei grandi pontefici del Rinascimento e del Buonar- roti deve la Roma moderna parte del suo splendore, T Ita- lia il primato delle arti. Tale luomo nella sua vita privata, ne suoi atti; ora ci giova studiare il cittadino nelle lotte per la patria, e nella vita pubblica. IV. Letterati ed artisti, per molti  secoli , non avrebbero po- tuto in Italia campare la vita senza mecenati e protettori. Mancava, come manca pur troppo ancora presso noi, quel gran mecenate, che  il pubblico; per abbiamo avuto unarte, una letteratura, anzich libera nelle sue mosse e ne suoi pensieri, in gran parte schiava e cortigiana. La cortigianeria, come ora la consorteria, fu sempre mezzo di successo, fu il segreto ai deboli, per arrampicarsi e rie- scire. Il secolo dAugusto, corrotto e servile, divenne il se- colo doro vagheggiato da* principi, da letterati e artisti. I principi dEste, d Urbino, i Medici, Leone X e i pontefici del Rinascimento, trassero in parte la forza, e il prestigio loro dai letterati e artisti di cui si circondavano. Erano piccoli Augustoli, ciascuno dei quali aspirava ad avere il luomo. 77 suo Virgilio, il suo Orazio od Ovidio. Esaltavano, salaria-^ vano un poeta, calpestavano i popoli. Larte inorpellava le catene di ferro; e il letterato scambiava miserie e servit cittadine per fasti e glorie. Anche la cortigianeria divenne unarte, come pi tardi cadendo sempre pi bassi, i vezzi e le grazie di cantanti e mimi si dissero virt, e quegli virtuosi. Per vediamo sommi artisti, filosofi insigni e poeti eccelsi, da Raffaello a Tasso; da Perugino e Giulio Romano all Ariosto, da Filelfo, Mar- silio Ficino al Caro, avvinti alle Corti, colorire colle arti e indorare le catene ribadite intorno al popolo, inneggiare con canzoni e con poemi a coloro che squarciavano il seno della patria, e con turpitudini, tradimenti sprofondavano in servit abbietta la nazione. ) Michelangiolo anche in ci fa eccezione ; si leva dal volgo degli artisti, libero nelle sue mosse, e fa parte da s stessa  de pochi sommi, che anche in mezzo a quella greggia, che si stipa intorno alle Curie, alle Corti, ai duchi, seppe sollevarsi incorrotto e austero, serbando intera la sua in* dipendenza e la sua dignit dartista, duomo, di libero cittadino. Pure nessuno de sommi artisti e poeti versava in posizione cos ardua e delicata al pari di lui, combattuto da tanti contrasti, alle prese con difficolt cosi uggiose e ardue. Cresciuto, educato nella famiglia de Medici, cui non poteva combattere senza taccia di sconoscenza, era costretto dal dovere di cittadino di avversarla e di opporsi alle sue usurpazioni. Seguace del Savonarola, e cresciuto ad un pensiero religioso, elevato e libero,  costretto a porsi al servizio dei pontefici e della Chiesa; egli non solo  artista, ma aspira ad elevare monumenti colossali, ad ornare lItalia e Roma di chiese, di palazzi, di statue. 73 TARTE SECONDA che solo  dato ai principi e papi far eseguire;  circon- dato, combattuto da invidiosi, da cortigiani, da rivali, i quali T osteggiano, e lindole sua ripugna del pari alle adulazioni come agli intrighi. In mezzo a tutti questi attriti, in cui la riconoscenza si urta co' suoi doveri di cittadino, le convinzioni religiose e i simboli del culto sono in conflitto coi convincimenti del pensatore, il sistema del riformatore, il genio dellartista colle necessit e convenienze sociali, egli sa pure sempre serbare la propria indipendenza, e conciliare le dure neces- sit della vita colla libert nellarte, adattare i riguardi sociali colla dignit delluomo. Sino dalla prima adolescenza venne accolto, educato nella Casa de' Medici; ma, morto Lorenzo il Magnifico, quando vide i figli e i nipoti tralignare e cospirare con pontefici e re stranieri a danno di Firenze, egli non  pi che citta- dino. Cacciati i Medici, egli segue la dottrina del Savona- rola, l'eloquente propugnatore dei diritti popolari, e simbo- leggia la vittoria del popolo sopra i suoi oppressori nelle statue di Davide, che atterra Golia, di Ercole che uccide Caco. Ma una prova ben altramente ardua era a lui serbata nella battaglia suprema per la libert non solo fiorentina, ina italiana, durante lassedio di Firenze. I fatti sono troppo noti, perch noi li ricordiamo in questo studio; essi furono stampati nella mente delle nostre ge- nerazioni, non solo da sommi storici, ma in quel romanzo degno d'un' Italia libera e virile, da quella gagliardamente di Guerrazzi. Egli seppe comprendere il sommo artista, tratteggiare il magnanimo cittadino e farlo rivivere innanzi ai nostri sguardi nelle sue pagine immortali. l uomo. 79 Tutte le tirannie de secoli posteriori, le brutture medio- evali, le corruttele del secolo cospiravano ai danni di Fi- renze. Clemente VII, Carlo V, principi francesi e italiani, pontefici, patrizii, popolo grasso o borghesi, lastuzia, la forza, il tradimento, tutti i vari partiti si trovarono asso- ciati in lega per ischiacciare la libert fiorentina. Essa cadde, ma la caduta fu un trionfo, che leg, cadendo, un retaggio di glorie e di nobili esempi all Italia futura. V. La repubblica fiorentina si era levata in grandezza per virt dellarte e delle industrie popolane, e un artista e un popolano, Michelangiolo e Ferruccio, furono lanima della sua resistenza nel giorno della prova suprema. Fu questo uno dei periodi pi tempestosi e angosciosi della vita del Buonarroti. Egli non isfugg ai sospetti, alle calunnie dei coetanei, alle critiche dei posteri. Parve che in quei mo- menti supremi per la patria fosse venuto meno a suoi do- veri, e si volle scoprire, secondo la frase moderna, un punto nero nella sua vita. Per il tempo rese tarda ma aperta giustizia a quel ma- gnanimo, e ornai anche questo punto storico  chiarito, e qui pure egli si mostra sempre retto e uguale a s stesso. Egli era stato nominato, sino dal principio dell'assedio, de nove della milizia, procuratore e. governatore generale sovra le fortificazioni e i ripari con queste parole:  Sic-  come quegli che oltre alle altre singolarissime virt e  arti liberali, in modo che per universale consenso dell!  uomini non trova oggi superiore ed appresso come per  amore ed affezione verso la patria  pari a qualunque 80 PARTE SECONDA  buono ed amorevole cittadino, ricordandosi della fatica per  lui durata e diligentia usata nella sopradetta opera sino  a questo d gratis e amorevolmente... spontaneamente  e per lor proprio moto... detto Michelangelo conduxono <v in generale governatore e procuratore costituito sopra  detta fabbrica e fortificazione delle mura, ecc. ecc. (1).  Egli si gett con febbrile attivit allopera; non si limita ai lavori delle fortificazioni di Firenze; visita, rialza quelle di Livorno, specula sulle fiumare del Pisano, e solleva ri- pari;  mandato per ragioni di Stato a Ferrara, a Venezia per cercare alleati, raccogliere aiuti alla citt; poi ritor- nato a Firenze, percorre giorno e notte la collina, le mura intorno;  dappertutto, provvede a tutto. Oltre, alle opere, fece dono alla repubblica di una gran parte del suo peculio, pi di mille e cinquecento ducati, e rimase senza mezzi. Tuttoci non lo sottrasse dalle ac- cuse e dalla calunnia , anzi accrebbe le ire de suoi detrat- tori e le frodi di tali, che avevano interesse di allontanarlo da Firenze. Avveduto qual era, e profondo conoscitore degli uomini e delle cose, egli comprendeva che Firenze non bastava da sola a combattere tante forze riunite e collegate a suoi danni al di fuori, mentre conservava pure in seno subdoli e numerosi i partigiani de Medici e del papa, che con sorde cospirazioni stremavano le forze interne, e davano ansa e forza ai nemici aperti. (l) Questo documento venne per la prima volta pubblicato nel Gior- nale Istorico degli Archici Toscani, Voi. II, 1858. E da questo si prova che Michelangelo aveva prestato, anche avanti, gratuitamente lopera sua nella fortificazione della citt. l uomo. S I ricchi, il popolo grasso per avarizia, per egoismo e per codardia, certi nobili, come Nicol Capponi e i suoi per ambizione, altri non pochi per spirito partigiano, per an- tichi vincoli co Medici, sopponevano ai forti propositi della resistenza, e inclinavano a scendere a patti col Pontefice. Non riuscendo nel loro intento ricorrevano a intrighi, a frodi, al tradimento. Nicol Capponi ed altri si oppongono a che si fortifichi S. Miniato; Malatesta Boglione, che fin dal principio dellassedio era stato nominato governatore generale, erasi venduto al Pontefice; e anzich disporre i pezzi di artiglieria sopra i bastioni del monte, li colloca non dentro, ma sotto i bastioni senza guardia alcuna. Mi- chelangelo sospett subito dessere circondato da ribaldi, e che la repubblica si covava nel seno i traditori in coloro stessi, che erano chiamati e pagati per difenderla; svel i sospetti al gonfaloniere Carducci... Non solo non si tenne conto delle sue rivelazioni, ma venne irriso come sospettoso e sognatore. Allora egli domanda, insistendo, per essere in- viato in Francia, certo per sollecitare i promessi aiuti da quel Re; ma gli venne negata la licenza (1). I suoi sospetti divennero certezza, quando un cotale Marco Orsini gli disse temer fortemente che Malatesta, accorda- tosi col Papa, dovesse tradire. I traditori, vuoi perch si vedevano scoperti e designati da un tantuomo, vuoi perch sapevano che egli era una potenza e lanima della difesa, (1)  E bench io come sapete volessi ad ogni modo andare in  Francia, e avessi chiesta licenza e non avuta, non era per che io  non fossi risoluto, senza paura nessuna, di vedere il fine della  guerra.  ( Lettera di Michelangelo allamico Paletta della Palla). Gotti, 190. La mente di Michelangelo, 6 82 PARTE SECONDA per allontanarlo ricorsero alla frode.  Martedi mattina,  egli scrive nella lettera citata pi sopra, ai venti settem-  bre venne uno fuori di porta S. Nicol dove io era a' ba-  stioni, e nelborecchio mi disse, ch'ei non era pi da star  qui a voler campare la vita; e venne meco a casa, e non  mi lasci mai, che non mi cav di Firenze, mostrandomi  che ci fosse il mio bene; o Dio, o il diavolo quello che  sia stato, non lo so.  Arte diabolica fu per fermo coiesta, con cui fu circuito, alettato, sedotto, spaventato, e costoro non lasciarono presa finch e fu partito. Uomo impetuoso, di subiti propositi, sdegnato perch vedeva respinti i suoi consigli, e i capi del governo accecati, illusi e inetti, se ne part. Ma dove volse i passi? Ove si diresse? E qui manifestasi la prudenza, il senno del gran cittadino, e come il Guerrazzi, degno inter- prete del grand'uomo, prima ancora che la celebre lettera fosse scoperta, avesse colla sua ipotesi colpito nel vero. Se lintento del Buonarroti fosse stato meno che generoso, si sarebbe diretto verso Roma, ove dal papa Clemente avrebbe ricevuto le pi festose accoglienze. Ma egli s'af- fretta a recarsi a Ferrara, poi a Venezia, ove, inviato dalla repubblica pochi mesi innanzi, aveva iniziate le pratiche per ottenere soccorsi (1). Ma sembra che a Venezia e a Ferrara non abbia avuto ancora che promesse; allora sin- (i)  Io non vi scrivo lo stato mio particolarmente perch non ac-  cade. Solo vi dico questo, che portai a Venezia tra oro e moneta tre-  mila ducati; diventarono, quando io tornai a Firenze, cinquanta, e  tolsemene el Comune mille cinquecento : per non posso pi pi, ma  troverassi modo.   ( Lettera a Sebastiano del Piombo  dalle leltere di Michelangelo pubblicate da G. Milanesi). luomo. 83 forma, prende consigli per recarsi in Francia, ma, sog- giunge:  emmi detto che andando di qua sha da passare  per terra tedesca  e ne dimette il pensiero. Intanto i suoi amici gli scrissero da Firenze essersi sparsa voce essere egli fuggito per pochezza danimo , che la Signoria gli diede il bando come rubello, come ad altri, i quali avevano abbandonata la citt e non avevano obbedito al richiamo. Intanto a Firenze gli animi si erano rifrancati, la citt si preparava a difesa disperata. Michelangelo si persuade non poter sperare soccorsi da stranieri; gli amici gli fanno istanza perch ritorni; gli ottengono un salva- condotto e passando per Ferrara e per la Garfagnana  di ritorno a Firenze, dondera partito in sul finire di settem- bre, addi venti novembre.  Al suo ritorno, dice il Varchi  fu gran letizia nelluniversale e non poca invidia in molti  particolari.  Riprende l'opera delle fortificazioni; rimedia il campanile di S. Miniato, chera stato battuto dai cannoni grossi del nemico; sale sul campanile per osservare dal- lalto tutte le circostanze di Firenze, le posizioni e i movi- menti dellinimico; con lui comincia veramente la guerra, saccende lentusiasmo e il furore nella resistenza e la vit- toria avrebbe coronato i magnanimi sforzi, se la citt non fosse stata minata dai tradimenti. Spie e partigiani dei Me- dici e degli Imperiali riportavano nel campo nemico le deliberazioni del Consiglio; altri ritardavano ed impedivano le mosse de soldati; infine le arti sataniche del Baglioni paralizzavano la resistenza, tenevano a bada i cittadini, mentre questi si accordava di nascosto coi nemici. Tutto ci vede, sente, nota Michelangelo. Qual cuore fu il suo in que terribili giorni! Qual tempesta in quellanimo generoso al vedere un popolo deliberato ad ogni sacrificio 84 PARTE SECONDA per la salute della patria, mentre il tradimento affilava nel silenzio le armi per colpirlo a morte, e rendere vana ogni resistenza. Il popolo passava dalla sfiducia alla speranza, dalla speranza al disinganno, e i traditori attendevano il momento propizio per venderlo e immolarlo. Questo stato di cose egli ritrae in un sonetto enimma- tico (1), in cui vede s stesso sospeso fra due morti:  Poco giova, che chi cadere vuole  Non basta 1 altrui man pronta e vittrice....  Io conosco i miei danni e l vero intendo....  In mezzo di due morti  il mio signore.  Questo non voglio, questo non comprendo,  Cos sospeso il corpo e lalma muore.  E Firenze e la libert sono colpite a morte. Invano Fer- ruccio opera prodigi di valore; egli cade a Gavinana. In- vano mentre Ferruccio combatte di fuori, il popolo di den- tro si agita, prende le armi, insiste per uscire contro il nemico, assalirlo alle spalle. Malatesta si oppone, consuma il suo tradimento, e occupa colle sue truppe parte della citt, ormai venduta agli Imperiali. Michelangelo st saldo al suo posto nel forte di S. Mi- niato, cui era preposto a guardare; egli che era stato la- nima della resistenza, vedeva che vano riesciva ornai com- battere, perch il tradimento rendeva inutile ogni conato; (l) Non si appone forse il Grimm supponendo, che tal sonetto sia stato scritto in que momenti angosciosi.  un sonetto politico, n pu alludere allamante; lamante  la patria. Sembra che un altro sonetto poco dissimile da questo parli damore, come qui di politica. Raffrontare il sonetto xm con questo. l uomo. 85 pure comp sino allultimo il suo dovere. Egli aveva bastio- nato il monte, aveva armato il campanile di S. Miniato, aveva perfino proposto di spiantare e spianare il palazzo dei Medici, farne unaia, che si chiamerebbe  laia dei muli.  E quando le masnade spagnuole, tedesche, papaline e na- poletane irruppero in Firenze, la tenace difesa non si poteva obliare, n perdonare dai suoi nemici, egli venne cercato a morte. Abbandon la sua casa e ripar nel campanile di S. Nicol. Per, passata dopo alcuni giorni la furia delle sol- datesche, e sbollita lira di Clemente VII, questi ricerc del sommo artista. Il Papa desiderava che fosse terminata la sa- crestia e deliberava affidargli altro lavoro, n ritrovava un altro Michelangelo; lo fece assicurare della vita, ed esso riprese i lavori della sacrestia, e da quel d non trov pi altro conforto che larte, e si diede tutto a lavorare. Larte divenne, fin da quellistante, il suo rifugio, la sua patria; larte la sua arma, e la sua vendetta. Da quel giorno gli riesce pure increscioso il soggiorno di Firenze, e vi rimase solo il tempo necessario per porre termine a lavori, e so- pratutto al sepolcro de Medici. E in quel monumento , chi sappia contemplarlo cogli occhi della mente e del cuore, egli sollev non solo il sepolcro a casa Medici, ma la tomba o il deposito della libert italiana, sepolta colla ca- duta della repubblica fiorentina, ma nella morte il cittadino gi presente il crepuscolo della risurrezione e della vita. VI. Chi penetra per la prima volta in questa meravigliosa sa- crestia, rimane compreso da un sentimento lugubre ad un tempo e solenne. Egli sente che non ha intorno a s una ne- 86 PARTE SECONDA cropoli, ma piuttosto un luogo sacro, un tempio leggiadro insieme ed augusto, sul quale un genio divino ha fermato la sua sede; un luogo in cui ferve nascosa, e fermenta sepolta e profonda, la vita. Nulla ha di sepolcro, nulla di tetro e pauroso. La luce piove dalle vaste finestre e dalla vlta serena e tranquilla. Le mura si spiegano alte, a linee leggiadre e armoniose ; tutto invita a pensare, e il pensiero non  tormentoso, sepolcrale, ma concentrato, forte e fe- condo. Le pareti, che si levano dietro i sarcofaghi, leggiere e ri- vestite di marmo liscio, sono divise in due campi dalla cornice uscente, che corre intorno in forma squisita e serve di base allarchitettura superiore; essa vi conduce grada- tamente su alla leggiadra volta, la quale non preme sul sacrario, quale coperchio dun sepolcro, ma pare traspor- tarci ancora in alto, a cercare nuovi spazi, orizzonti piu vasti. Intorno a noi, a destra e a manca, stanno qui le stupende statue coricate sopra i sarcofaghi, colle teste rilevate, e su di esse ritte nella loro nicchia, fiancheggiate da pilastri scanalati, le statue dei duchi. Ogni gruppo forma un tutto per s stesso; mentre poi collegate, unite in un concetto, concorrono a costituire un tutto che sintegra in un effetto complesso. Architettura, pittura, scoltura e ornato, non sono come nei monumenti moderni, parti distinte, ma sin- trecciano, si adempiono a vicenda; sono come altrettante scene del dramma greco, in cui le varie parti del coro, dei personaggi, delle decorazioni concorrono a ordire la tra- gedia, e presentano un complesso armonico e maestoso. Sembra che quel sommo con questo Deposito , anzich, alla morte, ispirandosi alla natura vivente che lo circon- l uomo. 8 dava, in questeuritmia di forme, di colori e di linee, siasi propos'to di ritrarre la vaghezza dei panorami che pre- sentano allo sguardo le colline e le convalli toscane, la purezza delle linee degli orizzonti, la quiete serena del cielo azzurro dItalia, di cui la leggiadra Toscana  il centro e il cuore. LItalia, l in quei marmi di morte, aspira alla vita; essa  simboleggiata ne suoi periodi di cadute, di morte, di rinascimenti, ne ricorsi storici della notte che pes su di lei, del crepuscolo che si leva, e del giorno lontano che lattende. Era stato commesso allartista di ritrarre leffigie del Duca di Urbino e quella del Duca di Nemours; ma i coe- tanei non riconobbero nelle statue veruna rassomiglianza colle sembianze conte dei due duchi. L'artista non fece che adombrare le sembianze di Lo- renzo e Giuliano; scolp piuttosto nel marmo il suo pen- siero; e il popolo nostro, che ha lintuito del simbolismo, appell luno il Pensieroso , laltro il Guerriero ; luno sta concentrato in s, chiuso in un profondo pensiero che lo tormenta, come potrebbe venir per avventura effigiato il Principe di Macchiavelli; volge dentro di s un disegno profondo, misterioso, che lo preoccupa; laltro, in faccia, chiuso nelle armi, coperta la fronte dellelmo, la mano sul- lelsa, si dispone ad attuarlo. Ai piedi del Pensieroso (il Duca d Urbino) si distendo la meravigliosa statua della Notte o del Sonno. Un sonno, che non  pur sonno; questo colosso  pro- steso, col  A guisa di leon quando si posa.  Non  sonno,  stanchezza, che in mezzo al furore del combat- timento lha vinto; ma tanta  lenergia della volont, la forza che palesa pur nel sonno, che tu presenti quindi non 88 PARTE SECONDA lontano il suo risvegliarsi, e quel risveglio sar terrore agli stessi vincitori. Miratela? Questa statuasi presenta di profilo distesa da destra a sinistra. Sta la coscia volumi- nosa ripiegata col ginocchio sollevato, quasi airaltezza del capo inclinato sul davanti, il piede posa sopra un fascio di papaveri; la spalla sollevata e sporgente comprime un lato del corpo, r avambraccio si ritira alquanto indietro, laltro ripiegato sostiene il gomito che sappoggia sopra la coscia colossale, mentre colla mano regge la testa incli- nata e trattiene il diadema che vacilla, e sta per cadere gi dalla fronte. Tutto in questa statua  colossale; il petto ampio, le mammelle divise l'una dallaltra, turgide, salde, il sangue corre bollente nelle vene rigonfie, il cuore palpita impetuoso, tutti i muscoli del collo rilevati, e sono caldi di sangue e di vita. Dorme, ma agitata da sogni misteriosi; vi ha un incubo, una forza arcana che lo tiene come in- chiodato nel sasso. Non  una donna, ma la moglie di un Titano, che in mezzo al furore della mischia casca come colpita da spossamento, o vinta dal sonno. Oh! aspettate! essa non pu tardare a scuotersi, a sollevarsi, e sfider a guerra i leoni! Essa  Firenze,  l'Italia, cui forze brutali e straniere ten- gono soffocata, compressa; ma, caduta, sfida ancora i suoi vincitori;  sicura in s, e vede non lontano il giorno della riscossa. Per appoggia il braccio sinistro sopra il macigno, il macigno delle Alpi e degli Apennini, sul quale  dipinta la maschera che ne simboleggia il concetto arcano; sotto le ascelle si scopre il gufo, la triste notte delloppressura nordica e del lamento; ed essa giace ravvolta in un ma- gnifico mantello a larghe pieghe, come entro il paluda- mento delle sue glorie antiche. luomo. 89 Molti dei coetanei compresero il significato politico del monumento, a quel modo che la nostra generazione affer- rava di volo le allusioni del Nabucco, del Procida nelle tragedie del pi libero e invitto poeta italiano moderno, G. B. Nicolini, o i simboli del Vela. Egli scrisse bens di suo pugno, dietro un disegno una cotal spiegazione del mo- numento; ma tale scritta,  un vero logogrifo, un enimma, che ne accresce loscurit (1).  facile a comprendere come (l) Gi G. B. Nicolini, poeta troppo oggi obbliato dalla floscia e ras- segnata scuola sorta sulle orme manzoniane, aveva divinato e spiegato nel suo discorso Del Sublime il concetto politico del Deposito. Poco dopo si ritrov la dichiarazione scritta da Michelangelo stesso dietro uno de suoi disegni. Ma dichiarazione siffatta  tutto un arzigogolo e gioco di parole, il quale, anzi che chiarire il suo pensiero, tende a velarlo maggiormente, e sviare la mente dal significato vero. Per a ragione quel valentuomo che fu il Dupr, nel suo studio sopra i se- polcri medicei (Ricordo al popolo Italiano), dopo aver riportate quelle confuse frasi, che riconosce dettate per artifizio o per ischerno, sog- giunge: La generazione, la quale possa fissare lo sguardo della mente  nelle profondit michelangiolesche, forse non  nata ancora; cia-  scuno spinge lo sguardo secondo le proprie forze. Il Buonarroti con  potenza meravigliosa fiss il suo sguardo nellEterna Luce, ne rap  una favilla, e la trasfuse nelle sue opere immortali I maligni non  possono sopportarlo; ch laquila figge severa e gioiosa lo sguardo  nel sole, mentre le nottole ne restano accecate. Parole doro degne del sommo artista e scrittore. Del resto sulle idee che il Buonarroti incarn nelle sue opere potremo dire ci che Gote rispose ad Esker- mann, il quale lo interrogava sulle idee che intese di personificare nel Faust:  Come se io lo sapessi!  soggiunse,  come se io fossi in  grado a dirlo a me medesimo!... Il Fausto  un soggetto incommen-  surabile, e tutti gli sforzi dello spirito per penetrarvi interamente  riesciranno vani.  E tali sono i sapienti e i grandi concepimenti di quel divino artista. 90 TARTE SECONDA intendeva di dare lo scambio agli interpreti e sviare latten- zione dei nemici. Per il significato vero che come meglio tenteremo dimostrare nel capitolo seguente, lo grid egli stesso in un momento di generoso disdegno colla terribile quartina (1):  Grato m il sonno, e pi Tesser di sasso, Infin eh il danno e la vergogna dura; Non veder, non udir m gran ventura, Per non mi destar, deh parla basso.  In que marmi, durante e dopo lassedio di Firenze vers il furore, il disdegno, lirrequietezza, che tormentava lanima sua esulcerata; ad essi fid le sue vendette per i secoli futuri, come Filippo Strozzi, quando prima di suicidarsi scriveva sulle mura nel carcere:  Deo liberatori.   Exoriare aliquis nostris ex ossibus ultor. * VII. Caduta la libert, egli deliber di abbandonare la citt nativa. Vi rimase qualche tempo ancora per condurre a (1) V. GuAsrr, pag. xxxix. E meglio ancora apriva il suo pensiero, quando scolpiva a Ridolfo Cardinale una testa di Bruto, aperta allu- sione di Lorenzino, e chiaramente alludeva alla spenta repubblica nella medaglia fatta per quel Bindo Altovito, che nella guerra di Siena spieg la verde bandiera col motto dantesco:  Libert vo cercando, ch s cara  Come sa chi per lei vita rifiuta. luomo. 91 termine i lavori intrapresi, e che Clemente VII voleva ve- dere ultimati. Morto il Pontefice (il 25 settembre 1534) egli abbandon i lavori della sacrestia, della biblioteca, della facciata di S. Lorenzo, che rimasero incompiuti. Non ristava dal gemere sulla sorte di Firenze che creata dangelica forma e per mille amanti, cade preda dun solo. Ma questi, che lha spoglia di libert ,  Col gran timor non gode il gran peccato (l). Fiss dimora in Roma, come la citt dellarte, ma non lamava; viveva solitario, mesto, con pochissimi amici. Ri- chiesto dal duca Alessandro di disegnare il luogo per eri- gere una fortezza contro Firenze, vi si rifiut. Cosimo gli promise onori e beni per lettere e per messi orali, perch ri- tornasse in Firenze, ma egli con diversi pretesti declin sem- pre linvito; risponde  che gli onori non erano fatti per lui ; la patria portava ognora nel cuore, e non gli reggeva la- nimo di vederla schiava. Inviava spesso sussidi di danaro per mezzo del suo nipote alle confraternite e a famiglie povere di Firenze. Bench cinto di sospetti continu pure ad aver rapporti cogli esuli toscani, che cospiravano per rivendicare la libert della patria. E per mezzo di Scipione Strozzi, e poi per certo Deo, corriere, mand a dire a Fran- cesco I re di Francia, che se fosse sceso in Italia  e se rimetteva Firenze in libert, gli voleva fare una statua di bronzo a cavallo sulla Piazza dei Signori, a sue spese.  (l)  Per molti, Donna, anzi per mille amanti Creata fosti, e dangelica forma.  Madr. I., Firenze e gli esuli fiorentini.  .  PARTE TERZA VITTORIA COLONNA VITTORIA COLONNA i. Dopo la famiglia e la patria, la donna. Lamore  nelle grandi personalit la pietra di paragone, che prova la tempra del cuore. Il quale, secondo la pas- sione che domina la vita, si svela grande o meschino, ma- gnanimo o dappoco. Per il femminile viene considerato nella nostra letteratura come il complemento del poeta e dellartista. Sulla passione, che ne irradia la vita, si suole ordire la sua storia o la leggenda, e portare un giudizio sul carattere. Il nostro popolo non sa scompagnare il suo poeta dalla donna dell animo suo. I grandi poeti stranieri , come Shakespeare, Corneille, Klopstoch, Gote, Schiller se ne stanno virilmente soli o vivono della vita domestica e reale; in Italia si vuol circondarne la vita colla storia e colla leggenda dellamore. E non sappiamo scompagnare Dante, Petrarca, Boccaccio, Tasso, Raffaello, da Bea- trice, da Laura, da Fiammetta, da Eleonora e dalla For- narina. Lolimpo religioso non sembra completo senza la 96 PARTE TERZA Madonna; 1 Olimpo del poeta e dellartista senza la sua donna , che il poeta attira e solleva seco lui nella sua im- mortalit. Anche a quellanimo austero e maschio di Michelangelo si doveva attribuire il suo femminile, e lebbe ; ma lamore suo  un amore a parte ,  un amore eccezionale. Anche qui esso batte strade disusate e sole. Egli come i geni sovrani, che appellerei profetici o sa- cerdotali, non ha conosciuta giovinezza. Sino dalla prima et egli si mostra innanzi a noi austero e adulto; lo ve- diamo dai primi suoi passi nella vita compreso dun alto sentimento, chiamato come ad una missione arcana, schiavo del dovere e del lavoro. Non  mai vissuto per s, come scrive in una sua lettera, ma per la famiglia, per la patria e per larte. Tutto in lui  austero e fortemente sentito. Lamore, che per gli altri artisti e letterati era riguardato come un tra- stullo, unavventura, un piacere fugace, era per lui quale una religione, era passione dellanima, ed elevazione. Scipione ammirato nelle sue storie scrive:  Che essendo  il Buonarroti vissuto per lo spazio di novanlanni, non si  trov mai in tanta lunghezza di tempo e licenza di pec-  care, gli si potesse meritamente apporre macchia o brut-  tezza alcuna di peccare.  E il Condivi, il quale era stato compagno della sua gio- vinezza, e ne raccoglieva con religiosa cura i ricordi, dice di lui: Non altrimenti averlo mai sentito a parlare e  ragionare d amore di quello che appresso Platone si  lesse.... Non sentii mai uscire di sua bocca che parole  onestissime.  Quali fossero i costumi dell'epoca  noto; ne fanno te- VITTORIA COLONNA. 97 stimonianza oltre gli scandali di cui riboccavano le storie, le commedie del Bibbiena, i capitoli di monsignore Della Gasa, del Berni, del Macchiavelli, i novellisti, le storie dei principi, di pontefici e di artisti. Il secolo decimoquinto e decimosesto  un baccanale di coltura, di poesia, darte e di turpitudini. Michelangelo spicca anche qui come es- sere eccezionale. Le numerose sue lettere non accen- nano mai a venture e intrighi amorosi; pure era uomo di passioni violenti e fortemente sentite. E lanimo suo, avido daffetti e di passioni, egli soleva versare in rime amorose, come a cercare sollievo e sfogo alle interne tem- peste. Di queste rime non si conoscono le date, n le circo- stanze in cui furono scritte; ma si sente che sono medi- tate a lungo nel silenzio de suoi affetti, e prorompono dal fondo del cuore. Non sono fuochi fatui, finzioni come quelle dei numerosi e sfibrati imitatori del Petrarca, ma sono ac- cesi lampi, che rischiarano la profondit dunanima agi- tata, gli oscuri e intimi involgimenti di un cuore chiuso in s, che cerca di comprendersi e di rivelarsi. Sono pi an- cora che voci damore, aspirazioni, lampi, fantasie o versi con affetto elevato e intimamente sentito, e pi spesso pen- sieri condensati in versi. Un concetto ideale e reale damore risplende ne suoi versi, e si svela a tratti brevi, luminosi e scultorii. Spesso la statua  abbozzata appena, come nel Giorno della sacrestia. Il concetto  oscuro, perch la pa- rola non  pronta ad atteggiare il pensiero, ed egli, al pari di Dante, sdegna di sagrifcare il pensiero alla frase o alla parola. Questa deve rispondere alla sua volont. Berni nota esser egli fra pochi poeti che dicono  cose e non La mente di Michelangelo. 7 98 PARTE TERZA parole (1).  schivo di vezzi e di adornamenti. Scolpisce pi che non scrive, ma se penetri oltre la scorza della sua statua, senti fremere un anima, palpitare un cuore acceso. II. Come dell'arte, egli si era formato un ideale eccelso della sua donna e dell'amore. Qual fosse cotesto ideale, ce Io dir egli stesso; la parola del biografo riescir sempre sco- lorita e fiacca a petto di quella deH'artista-poeta.  Amore quando l'anima sua si  dipartita da Dio, occhio sano me fece, e te splendore.  Sonetto vi:  Come dal fuoco il caldo, esser diviso  Non pu l bel dalleterno; e la mia stima  Esalta chi ne scende e chi l somiglia.  Veggendo ne tuo occhi il paradiso,  Per ritornar l dove io tamai prima,  Ricorro ordendo sotto le tue ciglia.  Sonetto vii:  Non so sell limmaginata luce  Del suo primo Fattor, che lalma sente,  0 se dalla memoria, o dalla mente  Alcuna altra belt nel cuor traluce.  (Guasti, 200). (l) Derni nel suo capitolo a Sebastiano del Piombo dice:  Ilo visto qualche sua composizione; Sono ignorante, o pur direi davelie Lette tutte nel mezzo di Platone. S chegli  nuovo Apollo e nuovo Apelle; Ei dice cose, e voi dite parole.  VITTORIA COLONNA. 99  Chi mi pu guidare a lei?  Vede la sua donna, l ideale che irraggia T anima sua pende tra il dolore, il dubbio e il desiderio:  Questo, Donna, mavvien poi chio vi vidi  Chun dolce amaro, un s e no mi muove.  (Guasti, 200). E nel madrigale vii:  Nascendo, dice, mi fu data la bellezza :  Che di due arti m  lucerna e specchio...  Questa sol locchio porta a quellaltezza  Per cui scolpire e pinger mapparecchio.  Sono giudizi temerari e sciocchi quelli che tirano al senso, la belt che< muore, e poi   porta al cielo ogni intelletto sano.  Ci che muore non pu porgere . quiete alluomo saggio, n soddisfarlo:  Voglia sfrenata  .1 senso, e non amore,  Che lalma uccide. Amor pu far perfetti  Gli animi qui, ma pi perfetti in cielo.  Non basta a lui il bel chagli occhi piace; ma nella belt individuale lanima sua cerca larchetipo della bel- lezza: - * Trascenda in ver la forma universale. 1*00 PARTE TERZA Per svolgendo anche in una forma pi precisa e chiara il concetto, nel sonetto in (211) scrive:  La forza dun bel volto al ciel mi sprona,  (Chaltro in terra non  che mi diletti),  E vivo ascendo tra gli spirti eletti; "Grazia eh ad uom mortai raro si dona...  Onde se mai da due begli occhi il guardo  Torcer non so, conosco in lor la luce  Che mi mostra la via eh a Dio mi guida.  E nel sonetto vili:  Amore sveglia e muove, e impenna lale  Per alto volo; ed  spesso il suo ardore  Il primo grado, onde al suo Creatore,  Non ben contenta qui, lanima sale.  Lamor che di te parla, in alto aspira,  Ned  vano e caduco; e mal conviensi  Arder per altro, a cuor saggio e gentile.  Egli aspira al bello eterno, e a dargli forma precisa, im- peritura quale la stamp nel pensiero, talch  Se poi l tempo ingiurioso, aspro e villano  Lo rompe o storce o del tutto dismembra,  La belt, che prim era, si rimembra  Dentro 1 pensier  Similemente la tua gran beltade,  Chesempio  di quel ben chil ciel fa adorno,  Mostroci in terra dallArtista eterno, ecc. * E altrove, rivolgendosi alla sua Donna:  Vidi umil nel tuo volto ogni mia altezza;  Rara ti scelsi, e me tolsi dal volgo;  E fla con lopre eterno anco il mio amore. * VITTORIA COLONNA. 101 E ancora:  Fallace speme ha sol lamor che muore  Con la belt, che scema a ciascun ora.,  Perch  suggetto al variar dun viso.  Certa  ben quella in un pudico cuore,  Che per cangiar di scorza non si sflora  N langue  La belt chegli mira  vera, reale, e l ha il poeta dentro il cuore :  Dimmi, di grazia, Amor, se gli occhi miei  veggono il ver della belt eh io miro,  O s i l ho dentro il cor, eh ovunque io giro,  Veggio pi bello il volto di costei...  La belt che tu vedi,  ben da quella  Ma cresce poi eh a miglior loco sale,  Se per gli occhi mortali allalma corre:  Quivi si fa divina  Che cosa  amore, onde scende a noi?  Dalle pi alte stelle  Discende uno splendore,  Che l desir tira a quelle;  E quel si chiama amore.  Ned altro ha gentil cuore  Che lo innamori, e arda, e chel consigli,  Ch un volto che negli occhi lor somigli.  Nella perfetta bellezza si svela Dio:  N Dio, sua grazia, mi si mostra altrove  Pi che in alcun leggiadro e mortai velo,  E quel sol amo, perch in quel si specchia.  102 PARTE TERZA III. Tale la sua teoria dell'amore, tale 1 ideale femmineo, che splendeva innanzi alla sua mente, o, come egli stesso dice, aveva dentro il cuor.  Innamorato dogni maniera di bello, egli cerc a lungo il bello che vagheggiava la sua mente. Affetti diversi e ardenti hanno senza dubbio agitato il suo cuore giovanile. Egli stesso scrive ne' suoi tardi anni:  Affetto alcun mortale non m  nuovo. * Ma il bello che sentiva in s, la donna che vagheggiava col pensiero, non si offri che tardi innanzi agli occhi suoi. Raffaello aveva trovato la sua donna nella Fornarina, e in altre bellezze non so se pi sedutrici o mistiche, che vediamo riverberate in forme meravigliose ne' suoi dipinti. Tutti gli artisti la riprodussero nelle diverse bellezze o modelli che ritraevano. Per essi si sono per lo pi arrestati alla bellezza esteriore. Perugino, Gian Bologna, il Masaccio, lo stesso sommo Raffaello, Tiziano, prendono a ritrarre larmonia delle forme, la purezza delle linee, la rotondit dei contorni, lo splendore del colorito, o vuoi, come frate Angelico, il candore, lingenuit dellanima che traluce dal sembiante, o vuoi, come i Veneziani, il foco della passione, lo sfolgorio delle carni, lardore della sensualit nel colorito caldo e smagliante. Altra cosa era la bellezza che vagheggiava il Buonarroti. La bellezza che egli cerca,   la desiata luce  Del suo primo fattor, che lalma sente,  VITTORIA COLONNA. 103  quella bellezza che non  fallace , e  Trascende in ver la forma universale.  (1) Prima ancora che vivente apparisse innanzi a suoi oc- chi, egli laveva scolpita, egli laveva realizzata nei dipinti e nelle statue. Queste donne, che noi ammiriamo nei suoi dipinti, a prima veduta non ci sembrano belle secondo il concetto della bellezza, che ci lasciarono i Greci, o molti dei nostri pittori, anche sommi; le sue donne hanno alcun che dirregolare nelle forme, di turbato, dirrequieto nelle mosse, talora anche un non so che di scomposto, di subi^ taneo e di colossale; sembrano tipi, pi che personalit vi- venti; pure vedute, si stampano nella mente per modo che non solo non le dimentichi pi, ma ti perseguitano, tin- vadono, ti stanno fsse innanzi agli occhi, ti favellano.  una bellezza di cui egli solo possiede il segreto. Quale  questo segreto? La donna dipinta da molti pittori  un es- sere per lo pi passivo, essa  il riflesso di una bellezz esteriore, non duna passione, d un idea che prorompe dall intimo dellessere, ma viene dal di fuori, ed  bellezza obbiettiva. Essa  la vergine che in s riflette lo spirit divino, che transita su di lei, in s lo accoglie, anzi che elevarsi a lui;  la Madonna, che in s rispecchia la in- genuit, lamore, lo spirito del suo bambino, o l Assunta che  trasportata dallestasi, e da nimbi dangeli che lele- vano ai cieli;  sempre una potenza esteriore, angelica, soprannaturale, od umana che opera, e di cui essa non  che listrumento, il ricettacolo, il Vas delezione. Invece (1) Rime di Michelangelo , sonetto lu, 214. 104 PARTE TERZA la donna di Michelangelo  una forza in s stessa. Essa  per s una volont, unenergia, unintelligenza. Egli non cerca di sedurci, di allettarci colla soavit delle forme, la regolarit delle linee, d innamorarci colla leggiadria delle pose, ma ci signoreggia e simpone a noi. Egli lha concetta, l'ha fecondata, riscaldata a lungo nellinterno della sua mente, e quando prorompe fuori, imprime in lei la vita che sente in s, lispirazione che lha creata, e la passione che lo tormenta. Quando dal mondo delle idee le sue donne sor- gono allesistenza nel mondo dei fatti, traboccano di vitalit, di forza, si muovono, operano.. Tu le miri non solo, ma le senti, e si stampano colle loro attitudini strane e indimen- ticabili nella mente, per modo che sorprendono e sbalordi- scono. Sono le dee madri, sono i grandi tipi femminei, che lumanit conserva, riscalda in s di secolo in secolo per rinnovellare i popoli, per trasformare, rialzare le razze. Tali ci appariscono le Sibille che scolpi, pi che non dipinse, nella volta Sistina; veri archetipi delle cose, ideali dellarte. Tali le cento donne che or si elevano, or sinchinano fles- suose, or si esaltano, ora sabbracciano per innalzarsi al cielo, ora precipitano tormentate negli abissi, nelle scene del Giudizio Universale. Tale la Madonna cosi passionatamente mesta, che tiene Ges morto su le sue ginocchia; tale la Madonna ancora, che atterrita si nasconde paurosa ed esta- tica dietro il Cristo-Giudice. Queste donne sono quali le vagheggiava nel suo pensiero, e sono il risultato conver- gente di tutte le facolt attive della sua mente, del suo cuore; ed egli a tratti le dipinge ne suoi versi, non molli, caduche, sfibrate, o tutta leggiadria, moine e dolcezza, come le donne di Petrarca, del Perugino, di Gian Bellino; ma sono donne energiche, operose, intelligenti. La loro forza risiede VITTORIA COLONNA, 105 in loro; non  passiva, non riverbero di potere estraneo; la bellezza risiede sopratutto nella espressione, riflesso dellanima, nella volont indomita; donne, che, superiori alle leggi del tempo, illumina una bellezza  che per can- giar di scorza non si sfiora , N langue, o scema a cia- scurora  (1), ma perdura come il pensiero da cui irraggia il sentimento, la passione del cuore che le accende e agita, lispirazione da cui sono invasate; non sono n la Marta che mesce e serve a tavola il Signore, n la Maddalena che versa ol odorosi ai piedi del Signore, e stemprasi in lagrime di pentimenti o di passioni; sono forme superiori, superbe, sicure in s; hanno dell eroico insieme e del soave; alla forza virile accoppiano la bellezza, la grazia; alla bont, allabnegazione gli impeti e gli entusiasmi fem- minei.  la donna biblica, come veniva concepita Rachele, la quale in s incarna le passioni e l'anima di un popolo; la profetessa Ulda, che si presenta temuta e minacciosa al Re di Giuda; la donna guerriera e liberatrice, come Debora, Giuditta;  ia donna di valore, la donna solerte e forte quale  cantata dal Savio dei proverbi; quella che cinge i suoi lombi di fortezza e la cui luce non scema , n si estingue la notte, che stende la mano al bisognoso e che pu sfidare V avvenire (2). Ma la donna di valore, dice il Savio, chi sapr trovarla? Mulierem fortem quis inveniet? (1) V. Sonetto ix di Michelangelo. (2) Proverbi, Cap. xxxi. 106 PARTE TERZA IV. E questa donna, si a lungo vagheggiata col pensiero, non si offr al suo sguardo che nellet gi matura; Michelan- gelo aveva compiti i cinquantanni quando in una delle gite che faceva fra Firenze e Roma nel 1532-1533, s incontr con Vittoria Colonna.  questa forse, meglio che let dei trentacinque anni, segnata dal Romanziere moderno , per luomo e per la donna, che l esistenza non corruppero e sfibrarono, let degli amori energici, passionati e du- revoli. Amore nella prima giovinezza si alimenta d immagina- zioni, di fantasie, di facili entusiasmi, e svampa insieme coi piaceri dei sensi; spesso non lascia dietro di s che delu- sioni, spossatezza e scoramento; del fuoco avvampante non rimane che carbone e cenere. Rado o mai la realt corri- sponde allardore delle nostre fantasie, all intensit del de- siderio, e nasce nell uomo e nella donna il disinganno, la delusione, una disgustosa saziet e il tedio. Il tedio, il vuoto del cuore, che nelle anime passionate sopratutto, corrode innanzi tempo il verde della giovinezza, sfronda dogni ramo l'albero della vita, e affretta il gelo dellet senile e della morte. Ma nelle anime forti e virili d'ambo i sessi l'amore si rinnova, si trasforma cogli anni; si raccende ed ascende come fiamma; esse hanno sete damore nelle di- verse fasi della vita. Tramontato il primo periodo, l'anima, anzi che satolla, anela ad un pascolo pi elevato, pi du- revole.  un nuovo aspetto damore, o, come dicevano gli antichi, un novello grado nell'ascesa, nella scala damore, che saccende nel focolare del cuore, come dellintelletto; VITTORIA COLONNA. 107 diviene il vincolo di due anime, le quali sanno compren- dersi, di due spiriti che sanno identificarsi e si completano a vicenda. Non  solo amore, ma  fiamma che va a con- fondersi, identificarsi nellanima a lei gemella; sono due pensieri, che saccentrano in uno solo; e siccome il pensiero non muore, quel vincolo non si frange colla morte, perdur pi forte sopravvivendo alle vicende del tempo e al gelo della tomba. Rari sono questi amori; pochi ne ricordano le storie degli amanti, n si riscontrano che in esseri eletti e supe- riori.  il pensiero, che, dopo un faticoso agitarsi nella vita, ritrov il suo pensiero corrispondente; lo spirito, che dopo intenso anelito e lungo cercare, ha alfine rinvenuto lo spi- rito, che nelle lotte della vita lo conforta, lo sostiene, lo sorregge, lo spinge a meta pi eccelsa, lo affina e leleva al suo cielo (1).  questa non solo unaffinit elettiva, ma diremmo, intellettiva. Nelluomo  intelligenza, energi, volont ferrea ad un tempo, ed affettuosa e riguardosa ; nella donna fuoco di pensieri e di affetti, abnegazione  tutta prova,  passione dellanima che si converte in una specie di culto, nel senso umano ad un tempo e divino. In (1) Questi concetti ecco come sono espressi da Michelangelo :  Che quel che non  te, non  mio bene.  Ogni stupore ed ogni meraviglia  Delluniverso par che a te mi chiami,  E nel pensier mi si dipinge e tiene...  Chi da voi si parte  Pace non trova, n salute poi  Ch l ciel non  dove non siete voi.  {Rime, Mad. xlii e var.) 108 PARTE TERZA ambo  svolgimento all ultima potenza delle facolt pi nobili della mente, pi affettuose e passionate del cuore. Questo amore si differenzia del pari dagli amori volgari, come dalle vacuit e finzioni dellamore detto platonico. Esso si pasce di letizie arcane, di piaceri pi profondi e durevoli del primo, e meglio del secondo si fonda e si radica sulla realt dellesistenza, e corrisponde ai bisogni, agli istinti, agli aneliti della coscienza umana. Dante, la cui anima ha tanta affinit con quella di Mi- chelangelo, comprese e descrisse quella specie damore, o meglio diremo, deline questeducazione ed elevazione del- lamore nelle varie fasi che percorre. N solo lo sent, ma ne descrisse e ne segn il passaggio dalluno allaltro pe- riodo. Beatrice, la quale incarna insieme lintelletto e lamore, la scienza e il sentimento, la filosofia e la religione, nel trentesimo canto del Purgatorio , ricorda al poeta laffetto, dal quale egli fu acceso al suo primo apparire. Ma il gio- vane imberbe non seppe in lei discernere se non la bel- lezza esteriore:  Mai non tappresent natura ed arte  Piacer, quanto le belle membra in chio  Rinchiusa fui, e che son terra sparte.  E allora lo sostenne col suo volto,  Mostrando glocchi giovanetti a lui.  (l) Poscia accenna al secondo periodo in cui lamore dei (1) Dante, Purgatorio , xxx. VITTORIA COLONNA. 109 sensi o delle belle membra si muta in affetto pi nobile, in sentimento :  S tosto come in su la soglia fui Di mia seconda etade e mutai vita.  E infine al periodo pi elevato:  Quando di carne a spirto era salita  E bellezza e virt cresciuta mera.  Sinch sollevato da lei all ultima visione di amore, nella quale mille desiri pi che fiamma caldi, stringono gli occhi suoi agli occhi rilucenti, l'animo gusta di quel cibo  Che, saziando di s, di s asseta.  (1) Allora discerne la seconda bellezza chessa cela, e di- viene isplendor di viva luce eterna. Per tal modo Dante percorre la gamma delfiamore, che forma la grande sinfonia della umana esistenza. Dal senso si eleva al sentimento, da questo si trasforma nell intelletto, intelletto damore. Il concetto estetico e psicologico si mut in realt nella vita del Dante, come in quella di Michelan- gelo. Con questa differenza, che il primo sincontr con Beatrice nella prima sua et, a nove anni. Sparita Beatrice, egli la segue col pensiero nella tomba, e si tramuta in un amore ideale. Il simbolo si confonde colla realt, anzi questa si eclissa nel simbolo. Mentre il secondo sincontr colla (1) Dante, Purgatorio , xxxi. HO PARTE TERZA Colonna, pervenuti entrambi allet matura. Lartista allora si trasforma in poeta, e segna quasi le fasi del suo amore nelle sue rime, in cui stampa, anzi, spesso scolpisce le impressioni dellanima accesa. V. Vittoria Colonna accoppiava in s tutte le qualit fem- minee che Michelangelo aveva vagheggiate come artista, come pensatore, come poeta. Esso pot in lei  disbramarsi la decenne testa  ed appagare le aspirazioni dellintera sua vita. Essa toccava i quarantanni; vedova da otto anni, splendeva della venusta maest di una bellezza matura e gentile. Alta e leggiadrissima persona, fronte larga, rilevata e luminosa, capelli lunghi, sottili e d un biondo doro; occhio tutto intelligenza e fuoco, collo alto, spiccato e marmoreo, dalla bocca, dallo sguardo spirava una tranquillit gran- diosa, l incesso, gli atti tanto pi ardenti quanto pi com- pressi e avvolti in un velo di mestizia profonda, che pi non labbandon dopo la morte dello sposo. Sotto la rigida severit della gentildonna le grazie della poesia, la forza del pensiero, labbandono di un cuore benevolo e acceso di fuoco inconsuntibile damore : cuore di colomba, tempra dacciaio. Poeti, prosatori, gentiluomini, levavano a cielo le virt, le bellezze, lingegno della Colonna; ed i coetanei unirono lei e lui , ambidue, in uno stesso appellativo, chiamando essa pure Divina. E sembra che siansi incontrati la prima volta a Viterbo, ne frequenti viaggi che il Buonarroti faceva da Firenze a VITTORIA COLONNA. Ili Roma, quando attendeva a lavori della sacrestia.  Ap-  pena la vide, dice il Vasari, egli am grandemente la Marchesana di Pescara, del cui divino spirito era in-  namorato, essendo all" incontro da lei amato sviscerata-  mente.  Questamore ebbe la durata di dieci anni, e segna unepoca nella vita di questi due geni potenti, che si levavano come aquile solitarie sul loro secolo. Ambi erano gi stati pro- vati da tutte le gioie, le amarezze, le grandezze e le mise- rie della vita. Michelangelo portava il cuore spezzato per la perdita della patria e di molti amici, essa per quella del marito e per sventure domestiche; il dolore gli univa come lamore. Pure questi furono per Michelangelo i giorni meno tristi della lunga sua vita. Lamore loro  per av- ventura una delle pagine pi notevoli e degne di studio nelle numerose storie degli amanti. Noi possiamo se- guirne le fasi, sia dietro brevi accenni sparsi nelle lettere, che si vennero tratto tratto scoprendo in questi ultimi tempi, sia colla scorta de biografi coetanei, sia dei versi, in cui il Buonarroti disvela lanimo suo, e ne esprime gli affetti. E in questo decennio percorsero intera lorbita della passione, preludiando dall idillio di Beethoven, poi passando a traverso le melodie affettuose e concitate del Bellini, per elevarsi alle mistiche note di Palestrina e Mozart. VI. Come prima, si sono scontrati a Viterbo nel 1532, si sono compresi e amati. In un sonetto che porta appunto la data del 5 agosto 1532, accenna Michelangelo a questo primo 112 PARTE TERZA incontro. Come Fenice egli si sent rinnovare per foco. Non si duole del suo amore:  perch io veggio  Negli occhi di quellangiol lieto e solo  Mia pace, mio riposo, mia salute,  Seco m impenna a seguir sua virtute (1).  Pare sia cominciato tra loro uno scambio di lettere e di versi, che si facevano pervenire per mezzo d un comune e fido amico, messer Tomaso dei Cavalieri, giovane romano colto e nobilissimo. In una di queste lettere, Michelangelo rispondendo ad altra precedente della Colonna, dice, che per piacere a lei, luce del secol nostro , unica al mondo , vuol dedicarle tutto il suo tempo , tutte le opere sue ; e sempre infervorandosi vieppi in questo pensiero aggiunge che, vorrebbe pur ria- vere il suo passato per metterlo a' suoi piedi; ed eccessivo nel suo sentire, dorrammi , ripete, molto forte non poter riavere il passato , per quella servire. E in altra che tiene subito dietro a questa in risposta alla Marchesa, dopo averla fatta certa del grandissimo, anzi, sviscerato amore che le porta, soggiunge, che la sua lettera in lui accese nuovo e massimo foco, se nuovo e maggiore pu essere.  Io posso prima dimenticare il cibo di che io vivo, che  nutrisce solo il corpo infelicemente, che il nome vostro,  che nutrisce il cuore e lanima, riempiendo luno e laltra  di tanta dolcezza che n noia, n timor di morte, mentre  la memoria mi si serba, posso sentire. Pensate se l'occhio  avesse ancora la sua parte in che stato mi troverei.  (1) Sonetto l, pag. 211. VITTORIA COLONNA. 113 Essa, come si esprime, era divenuta V anima sua; egli ardeva di riveder lei, ed essa, per mezzo di Bartolomeo Angiolini, il quale, come amico di Michelangelo, era a parte dogni cosa, gli fa scrivere:  Per quanto ritrassi dal suo  parlare, mostra non aver altro desiderio al mondo che  la tornata vostra, perch, dice, quand con voi le pare  desser felice; perch  tutto quel che desidera al mondo;  di modo che mi pare, che se voi vi consumate di tornare,  lei abbrucia dal desiderio che voi torniate: s che state  contento e attendete a spedirvi per tornare a dar quiete  a voi e ad altri... Ho vista V anima vostra. Attende voi.  In una lettera del Michelangelo, di cui rimangono pochi frammenti, diretta all Angiolini, delli 11 di ottobre 1533, parla di lei come dellanima sua.  Se io desidero giorno e notte  essere cost, non  altro che per tornare in vita: la qual  cosa mai pu essere senza Yanima, e perch il cuore   veramente la casa dellanima, ed essendo prima il mio  nelle mani di colei, a cui voi lanima mia avete dato, na-  turai forza era ritornarlo al luogo suo... (1). Come lanima arde darle il corpo, tutto s stesso.  S che non sarei qua  in tanti affanni; ma se non  stato possa essere, quanto  pi presto, meglio, ne possa in eterno vivere altrove.  Parole di foco che prorompono dal fondo dellanima. Colla lettera manda pure alla Marchesana versi damore (1) Lo stesso concetto esprime in varie poesie dettate in quei giorni :  Come avr dunque ardire  Senza voi mai, mio ben, tenermi in vita,  Se io non posso al partir chiedervi aita?...  Il cor lasso con voi che non  mio.  (Madr. xxiv, pag. 49.) La mente di Michelangelo. 114 PARTE TERZA ed a queste lettere risponde Angiolini il 18 dello stesso mese di ottobre:  Per sapere quanta affezione ei porti a tutte le cose vostre, ei m'ha permesso farvi risposta,  la quale sar inquieta, e per quanto ho visto, conta lore,  nonch li giorni che voi dite essere qua; pure ha cara  ogni vostra comodit, e molto vi si raccomanda.  Era un ricambio di lettere e di poesie tra la Marchesana e il sommo artista. Ed egli si recava da lei a Viterbo, e forse allora dettava questo sonetto, che porta pure la data del 1532:  Tu sai chio so, signor mio, che tu sai  Chio venni per goderti pi da presso...  Se vera  la speranza che mi dai,  Se vero 1 buon desio che m concesso,  Rompasi 1 mur fra luno e laltro messo  Che doppia forza hanno i celati guai.  Come fu smisurata l'angoscia che gli cagion tal affetto,  cos pur nel diletto  Non fu, n sia, di me nissun pi lieto... * E qui tronca il madrigale xcix, come Dante  Quel giorno pi non vi leggemmo avanti.  Egli in quei giorni alternava il soggiorno tra Roma e Firenze, ove attendeva ai lavori della Sacrestia di san Lo- renzo. Sinch morto papa Clemente VII sul cadere del 1534, prese ferma stanza in Roma. In questepoca, cio il 27 set- tembre 1534, vi fiss pure la dimora la Marchesana. Qui cessa la corrispondenza epistolare tra di loro, e intorno ai loro rapporti, non ci rimane altra scorta se non alcuni ri- VITTORIA COLONNA. 115 cordi dei coetanei, e le rime che egli dettava e inviava a lei. La Colonna pure nel 1534 si recava spesso a Roma, ove faceva lunghi soggiorni, e vi ferm dimora sino al 1539. Visitava spesso lo studio di Michelangelo, dovegli lavo- rava, e questi si recava da lei nel suo ritiro a S. Silvestro. Lamore non era unico soggetto de loro colloquii, dice uno dei biografi, ma essi parlavano darte, di religione, del mo- vimento riformatore che agitava Germania e Italia. Soleva spesso convenire nella sagrestia di S. Silvestro o nei giar- dini, che da palazzo Colonna si estendono a piedi della collina che conduce al Quirinale, uneletta di letterati e dartisti, presso la Marchesana; fra questi giova ricordare il Contarmi, il Polo, Perin del Voga, Latanzio Tolomei, Baccio Rondinelli, Sebastiano del Piombo, e pi altri che vi si recavano desiderosi di vedere e conoscere Michelan- gelo; uomini insigni, i cui nomi sono ricordati fra quegli che presero viva parte al movimento religioso, politico o artistico dei tempi. La maggior parte delle sue poesie furono scritte in que- sto periodo di tempo che corse dal 1532 al 1542. Egli le vergava a sollievo dellanimo mentre scolpiva o dipingeva; venivano raccolte dagli amici, e la maggior parte furono stampate nel sessantesimo anno dopo la sua morte, nel 1623, da suo nipote, figlio di Leonardo. Non abbiamo di tutte la data in cui furono scritte; ma, dettate ne giorni de suoi rapporti colla Marchesana, esse portano qualche luce sulle fasi e sull intensit delle sue passioni. Ci limiteremo a ci- tarne qualche brano (1). (l) Le poesie furono raccolte con religiosa cura in un splendido vo- lume da Cesare Guasti; esse abbondano di varianti, di prove e di ri- 116 PARTE TERZA Ecco come amore lo tiene soggetto e ne occupa la mente:  Amor cos mi tiene  N vuole chaltro brami,  Se a te non sassomiglia,  Che sol da le tue ciglia  Dipende ogni virtute,  Onor, vita e salute. * Challalma grave ognor chiaro rivela  Quanto natura e l ciel nasconde e cela. * E nel madrigale ix (228):  Ogni cosa chio veggio mi consiglia,  E prega, e sforza eh io vi segua ed ami,  Che quel che non  voi non  l mio bene.  Amor che sprezza ogn altra meraviglia  Per mia salute vuol eh io cerchi e brami  Voi Sole sola. E cos lalma tiene  Dogni altra speme, e dogni desir priva...  E chi da voi si parte,  Occhi mia vita, non ha luce poi.  Chl ciel non  dove non siete voi. * Essa  il suo cielo e gli occhi; essa la luce, ed essa pu trasformarlo come si trasforma pietra dura in viva figura , e dalle sue estreme parti quel pu levarne , che lega in me prove. Noi fra tante varianti tentammo scegliere quel testo che sem- bra esprimere il pensiero con maggior forza ed evidenza, poich in questo studio ci occupiamo pi che della forma, della mente e del- lanimo del Buonarroti. VITTORIA COLONNA. 117 ragion vrtuie e forza. Il suo amore gli accrebbe pregio e virt:  Poi chio tebbi in cuor, pi (fi me vaglio:  Come pietra chaggiuntovi lintaglio   di pi pregio chel suo primo scoglio.  (Sonetto, xix). Essa pu rendere pi perfetta lanima sua, come lartista il suo modello:  Da che concetto ha larte intera e diva,  Le membra e gli atti dalcun, poi di quello  Diemmi materia un semplice modello...  Tal di me stesso nacqui e venni prima  Umil model, per opra pi perfetta,  Rinascer poi di voi, Donna alta e degna.  E quanta potenza esercitasse nellanimo suo, espresse nel sonetto xn:  Nel voler vostro sta la voglia mia,  I miei pensier nel cuor vostro si fanno;  Nel vostro spirto son le mie parole.  Ella sola a lui par donna, un Dio parla per la sua ingua:  D uno in altro desio  Si minnalza il bel volto,  Ch io veggio morte in ogni altra beltate.  O Donna, che passate  Per acqua e fuoco Palme ai lieti giorni,  Deh! fate che a me stesso pi non torni.  118 PARTE TERZA Vorrebbe che le sue membra si convertissero tutte in un occhio solo:  Ne fla parte di me che non ti godo.  Morendo gli sembrerebbe di essere seco beato anche nell inferno:  Se dolce mi saria  Linferno teco, in ciel dunque che fora?  Beato a doppio allora  Sare a goder io sol nel divin coro  Quel Dio in ciel, e quel che in terra adoro.  La gioia luccide come il dolore:  La tua piet chamore e l ciel qui folce,  Se mi vuol vivo, affreni il gran contento;  Chai don soverchio debil virt muore. * Il nodo indissolubile d'amore che lo avvince, e quel- l immedesimarsi danima con anima, di cuore con cuore e la suprema, ineffabile, volutt di due spiriti che si inte- grano, e quel presentimento od illusione negli amanti che credono di essere da molti secoli innanzi, e prima di scen- der in questa terra, vincolali, uniti nellamore e come iden- tificati per tutta leternit, e quella la suprema volutt del- lamore mistico, per cui unanima  come il complemento dellaltra o, come fu detto nel linguaggio moderno, nel fra- sario damore, quel riconoscere o rinvenire il suo doubl , la sua anima affine, il nostro poeta non solo descrive, ma scolpisce in questo stupendo sonetto, in cui ricorda forse VITTORIA COLONNA. 119 gli istanti pi soavi deUamor corrisposto e che non posso frenarmi di trascrivere per intero:  Se un casto amor, se una piet superna,  Se una fortuna infra due amanti uguale,  Se unaspra sorte allun dellaltro cale,  Se uno spirto, un voler due cor governa;  Se unanima in due corpi  fatta eterna,  Ambo levando al cielo con pari ale; .  Se amor d'un colpo e con dorato strale  Le viscer di due petti, arda, discerna;  Lamar l un laltro, e nssun s medesmo,  Dun gusto e dun diletto, a tal mercede,  Cha un fin voglia luno e laltro porre;  Se mille e mille non sarian centesmo  A tal nodo damore, a tanta fede,  E sol lo sdegno il pu rompere e sciorre.  (l). VII. Alla Marchesana egli insieme colle sue poesie inviava lavori darte, fra quali un Cristo dipinto, quando  tolto dalla croce:  e lo viddi, essa gli scrive, cos mirabile, che  super in tutti i modi la mia aspettazione.... Sta da ogni (i) Credo, a meglio chiarire il concetto, riprodurre questa variante:  Samar l un laltro, e nessun mai s stesso,  Sol desiando amor damor mercede,  E se quel che vuol l un laltro precorre,  A scambievole imperio sottomesso,  Son segni pur d indissolubil fede,  Or potr sdegno tanto nodo sciorre?  GuAsrr, 190. 120 PARTE TERZA  parte in somma perfezione, che non se ne potria deside-  rare di pi, n giungere a desiderare tanto.  Venne asserito che ne avesse fatto di sua mano il ri- tratto, ma la cosa  incerta. Il Condivi e il Vasari non ne fanno cenno; e da suoi versi parrebbe si fosse posto a ritrarla o scolpirla, ma egli di fronte a lei sentendo la- nimo conturbato e mesto (1) ; ora larte non risponde, ora la mano freme, e non  pronta allintensit del desiderio, mentre vorrebbe pure eternarne limmagine:  Dunque posso a ambo noi dar lunga vita  In qual sia modo, o di color o sasso  Di noi sembrando luno e laltro volto;  S, che millanni dopo la partita  Quanto voi bella foste, e quantio lasso  Si veggia, e come amarvi non fui stolto.  La sua immagine gli  impressa cos profondamente nel cuore che per ritrarla conviene rompa e strazi s stesso. Mentre vuol dipingere lei, dipinge solo ed esprime il suo aspetto :  Se avvien talor che in pietra un rassomigli  Per fare unaltra imagine, s stesso  Squallido e smorto, spesso  Esprimo in me che tal son per costei,  E par che sempre io pigli  Limagin mia, chio pensi di far lei.  (1) Madrig. xxr. VITTORIA COLONNA. 121 Vili. Fu Vittoria Colonna una dalle personalit pi spiccate del secolo decimosesto cos fecondo di caratteri vigorosi e svariati. Essa fa degno riscontro a quello di Michelangelo e ne rappresenta in certo modo il lato femmineo. Levata sopra il suo piedestallo di marmo, gentildonna, musa e sibilla, non sai se in essa sia pi da ammirarsi la tenera venust delle forme, la passione dellanima, la gen- tilezza, o la forza della volont, o laltezza dellintelletto (1). Passioni impetuose, ardenti, fervono nel 'fondo di quel cuore meridionale; come una figlia del Norte essa vive di vita interna, e severa a s, ma benigna, umile cogli altri;  sempre donna di s stessa, si sforza di comprimere le sue passioni e padroneggiarsi, talch, come avviene nelle donne forti, lintelletto finisce per vincere i sensi, la pas- sione si converte in abnegazione, in oblio di s e di ogni cosa terrena, per non vivere pi che della vita del pen- siero, o gettarsi in quegli ardori mistici, in cui il cuore in- fermo e deluso trova talora conforto e pace, o un degno pascolo allansie dello spirito irrequieto. (l) Di lei scriveva ad un suo amico di .Brescia, il conte F. Marti- nengo, in una lettera del giugno 1546.  Certo ella  donna rara e sin-  golare per quel che ho potuto comprendere, molto accesa dellamor  di Cristo, che sempre ne ragiona non meno col cuore che colla bocca.  Che umilt poi  quella sua ! Che bont senza esempio! Che maniere da principessa come veramente !... Ella ha tal forza di ragionare  che par quasi che dalla sua bocca escan catene, colle quali tragga  i sensi degli ascoltanti...: io mandr almen consolando daver cono-  sciuto la pi segnalata e degna donna che oggi vegga il sole.  122 PARTE TERZA La nobilt dei natali, lalto parentado, prima del padre, il celebre Fabrizio Colonna, poi dello sposo, lei spinsero giovinetta sui primi gradi della gerarchia sociale; ma egli  sopratutto per l'ingegno, la grazia nativa e la grandezza dellanimo, che pot elevarsi al dissopra delle donne del Rinascimento (1). Essa, al pari di madama Rolland, della Recamier, e degli astri pi fulgidi dei saloni parigini, sapeva raccogliere intorno a s leletta dei letterati, degli artisti, degli uomini politici pi insigni dellepoca; per mentre le celebrit femminee dei saloni parigini brillavano sopra- tutto per riverbero della luce altrui e di celebri adoratori, essa spiccava e risplendeva pel suo genio. - Era una forte personalit per s stessa, era unintelli- genza che dava luce e scintille anzi che riceverne. Per la mente del pi grande degli artisti meglio si fa manifesta pel valore della donna amata. Noi troviamo in Vittoria il grande tipo della donna del Rinascimento. Vi si riscontra il valore, la bont, la cortesia della leggendaria castellana medioevale, un cotal spirito ghibellino e antipapale dei li- beri e fieri baroni romani; ma essa, anzi che schierarsi in campo a combattere il pontefice-re, anela a riformare la Chiesa; mentre poi lindole femminea, le circostanze, il carattere dei tempi la spingono a devozioni claustrali, alle pratiche rigorose della Chiesa cattolica, il genio classico (i) E questo primo posto, fra le coetanee,  a lei assegnato dal- IAriosto, il quale di lei cantava:  Scieglieronne una, e scieglierolla tale  Che superata avr linvidia in modo,  Che nessun altro avr da averla a male,  Se laltre taccio, e se lei sola lodo.  VITTORIA COLONNA. 123 e pagano del Rinascimento, le idee filosofiche, laudacia del pensiero, svellendola spesso dalle severe pratiche monacali e dalle sottigliezze teologiche, le aprono quegli orizzonti re- ligiosi pi vasti, in cui, come nella suprema contemplazione del divino, si confondono tutti i culti, e sono la essenza e il fondamento delle grandi e durevoli manifestazioni reli- giose dei giusti di tutti i tempi, e di tutte le credenze. IX. Il sangue di due nobili case, che empirono il medio evo del loro nome, si confondeva nelle sue vene. La madre, donna di. alto ingegno, era una Montefeltro; il padre, il va- loroso Fabrizio Colonna. Essa pass i primi suoi anni in Napoli, presso la zia Costanza dAvalos, o in mezzo a quella poesia di giardini, di ville, di spiaggie fiorite che presen- tano Margellina, i boscosi dintorni del lago d Albano, Pie- traia, e il paesaggio cos vario, sorridente ad un tempo e pauroso dellisola d Ischia, dove i boschi di rose, daranci, mirti e oliveti coprono e dissimulano le mille screpolature dei vulcani sempre aperti e minacciosi. A cinque anni venne fidanzata al marchese Ferrante, unico figlio dAvalos. Laffetto pel Pescara crebbe in lei collo svolgersi degli anni. Crebbero insieme fanciulletti; amore e ragione avvinsero quei nodi (1), e and sposa (l)  La ragion, chassai tempo prima volse  Allamata mia luce i miei pensieri   Ella fu che ne bei lacci mavvolse * Non mica i sensi semplici e leggieri.  V. Colonna. Sonetto xxix. 124 TARTE TERZA quando essa raggiunse i diciannove anni, il 27 dicem- bre 1509. Brevi per furono le gioie coniugali. Correvano i tempi delle guerre epiche fra i due grandi rivali Francesco I e Carlo V. Il padre di lei Fabrizio e il Pescara, avidi di guerre e di nobili imprese, combattevano alla testa delle schiere spa- gnuole, mentre ella solitaria poetava:  Non credeva un marchese ed un Fabrizio  Lun sposo e laltro padre, al mio dolore  Fusser s crudo e dispietato inizio,  Del padre la piet, di te lamore,  Come due angui rabidi, affamati,  Rodendo stavan sempre nel mio cuore.  (1). Essa ardeva di seguirli nel campo di battaglia, pugnare al lor fianco, ma non le era concesso (2) :  Tu vivi lieto, e non hai doglia alcuna,  Che pensando di fama al nuovo acquisto,  Non curi farmi del tuo amor digiuna.  Tuttavia, donna sempre di s, si confortava della loro gloria e della loro gioia,  E col vostro gioir tempro il mio duolo. * (1) Epistola di V. Colonna al consorte dopo la rotta di Ravenna. (2)  Seguir si d lo sposo c dentro e fora ;  E segli pat affanno, ella patisca,  Se lieta, lieto; e se vi muore, mora,  A quel che arrischia luno e laltro arrisco,  Eguali in vita, e eguali siano in morte.... * VITTORIA COLONNA. 125 Il Pescara ferito nella memorabile battaglia di Pavia, sfinito di salute, e forse punto da rimorsi pel gran tradi- mento, quando vendette a Carlo Y il segreto del Moronp cospirante per liberare lItalia, cadde infermo e mor a Milano il novembre del 1525 nel trentatreesimo anno del- let sua. Mor non senza sospetto di veleno amministrato da Carlo V, il quale, dopo aver profittato del tradimento, cominciava a dubitare della fede del traditore. Egli moriva aborrito dagli Italiani, in sospetto e mala fama presso la Spagna. X. Vittoria  Che sol dal vver suo conobbe vita  allanr nunzio della sua morte si ritir a Roma nel monastero di S. Silvestro, che apparteneva ai Colonnesi, e, vinta dal dolore, aveva deliberato di farsi monaca; il Pontefice con- sent alla superiora di accoglierla, ma viet, sotto pena delle censure ecclesiastiche, di lasciarle prendere il velo. La vita claustrale era allora meno severa e ristretta che non fu dopo il Concilio di Trento; nobili donne erano ac- colte nei monasteri senza appartenere a verun ordine, erano servite dalle loro donne, e vi ricevevano, come a fidato convegno, gli amici. I chiostri offrivano alle derelitte la serena quiete della solitudine senza sequestrarle dalla vita sociale. La Colonna mutava spesso il soggiorno del chio- stro con viaggi a Napoli, a Marino, a Viterbo, ad Ischia, soggiorno a lei prediletto, ma in ogni luogo portava seco il suo dolore, e disacerbava il duolo cantando il valore, le imprese, le cortesie dellestinto consorte. Le sue poesie, che dettava  per sfogar V interna doglia 126 PARTE TERZA  di che si pasce il core  fanno riscontro alle petrar- chesche in morte di Laura; e quando si libera dal manie- rismo dellepoca e vola colle proprie ali senza ormeggiare i petrarchisti, sa trovare note sempre profonde, affettuose, che prorompono dall intimo del cuore e che svelano un affetto impetuoso, un cuore gentilissimo e vera potenza di ispirazione. Anni terribili volgevano allora per lItalia; la guerra tra Spagna e Francia infuriava in Lombardia ; Roma, nel 1527, era stata saccheggiata; la peste faceva strage a Napoli e penetrava nellisola d Ischia, ove erasi Vittoria rifug- gita. Essa scriveva, ora allimperatore Carlo V, ora ai sommi uomini politici, come Bembo, Sodaleto, Gilberti ten- tando di pacificare gli animi, conciliare i principi cristiani perch si unissero e volgessero le armi contro i Turchi. Sforzavasi di obliare i suoi dolori privati per imprimere un alto intento alla vita:  Meglio assai fora che alle chiuse porte  Chieder mercede, aprirne una alloblio: rimane a provare se meco vive tanta ragione , essa ag- giunge,  Ch io volga quest insano  Desir fuor di speranza a miglior opra.  Nel 1533, come vedemmo, sincontr in Viterbo col Mi- chelangelo. Egli, dice il Condivi, si era innamorato del divino spirito di lei, essendo all'incontro da lei amato svisce- ratamente.... Ella pi volte si mosse da Viterbo e d'altri luoghi dove fosse andata per diporto e per passare l'estate , VITTORIA COLONNA. 127 ed a Roma se ne venne, non mossa da altra cagione se non di vedere Michelangelo , e forse a questo periodo della vita di lei appartiene il madrigale, che chiude la prima parte delle sue poesie, e apre come un nuovo periodo della sua esistenza. Il madrigale  oscuro, enimmatico come so- leva essere il linguaggio degli amanti a quei tempi; sottili astrazioni filosofiche e platoniche coprono un affetto reale, ed ella con squisita grazia e femminea accortezza svela il fondo del suo dire: dal soverchio desio, essa dice, nasce la tema, e fa che lalma in un gioisca e gema; sente lardore che le offende il cuore quando  ascoso ancora e non com- preso. Ma poich il lume irradia l'intelletto, il male, la noia spariscono, si dilegua lequivoco ed il falso, il vero, il reale rimane e trionfa (1). Gi accennammo alle fasi che percorse questo amore; vedremo in breve come si doveva poi mutare in  stabile amicizia legata da un cristiano nodo d'affezione. (1) Ecco il madrigale, che ha lo stile o la maniera di alcuni scritti da Michelangelo, e forse risponde ad uno dal sommo artista diretto a lei :  Dal soverchio desio nasce la tema  E fa che lalma in un gioisca e gema.  Sente lardor che T miser cuore offende,  Quando dal suo imperfetto  Il sublime valor non si comprende.  Ma poi che 1 lume irradia lintelletto,  Il mal fugge e la noia,  E sol mi apporta gioia,  E fa laltezza del mio bel pensiero  Il falso falso, e l ver pi che mai vero.  ( Rime della Colonna). 128 PARTE TERZA Ma le gioie della vita dovevano essere di breve durata per la Colonna, come per Michelangelo. Soffrire, lottare  la sorte del genio, ed ella, sublime infelice, dovette soffrire, lottare, finch sotto il peso dei suoi dolori e delle sue virt cadde accasciata e vinta. XI. La seconda met del secolo decimosesto fu appellata Tet dei teologi; tutti si preoccupavano delle questioni re- ligiose. Vittoria aveva frequentato in Roma quella scuola di religiosi e pensatori in Trastevere, che convenivano presso il fiorentino Giuliano Dati, e che, sotto il nome di Oratorio del Divino Amore , intendevano di rigenerare la Chiesa; a Napoli interveniva alle conferenze di Giovanni Valdes, che propagava i principii della riforma. Ad essa s erano associati Giulia Gonzaga, sua parente, Caterina Cybo, duchessa di Camerino, il Carnasecchi, Martire Ver- migli, Occhino, ed altri che divennero poscia gli apostoli della riforma religiosa in Italia. Forse collintento di meglio conoscere e propagare i prin- cipi della riforma, nelle diverse parti dItalia, essa si rec nellanno 1537 da Napoli e Roma, a Lucca e poscia a Fer- rara, che erano i due focolari della riforma religiosa. A Fer- rara contrasse stretta amicizia con Renata di Valois, prin- cipessa protestante e moglie del duca Ercole dEste. Un anno prima dellarrivo di Vittoria, Calvino aveva fatto un lungo soggiorno in Ferrara, e vi sparse i germi delle sue dottrine; durante il soggiorno di Vittoria veniva pubblicata l'opera capitale di Calvino  Istituzione della Religione VITTORIA COLONNA. 129 Cristiana  che lev si alto rumre. Cos le tendenze re- ligiose di Vittoria trovarono quivi nuovo stimolo, vuoi pep le memorie lasciate da Calvino, vuoi per le frequenti riu- nioni de suoi discepoli che professavano la dottrina della riforma, e infine per le relazioni pi intime strette colla celebre Renata. Lasciando Roma, essa aveva fatto credere che si sarebbe recata a Venezia per quivi imbarcarsi per la Terra Santa; invece protrasse di un anno la dimora in Ferrara; rinun- zi al suo viaggio in Terra Santa, ed essa, con Olimpia Morato e la Renata, divenne centro della riforma reli- giosa in Italia; e infatti, dopo il viaggio a Ferrara, si apre come un nuovo periodo di vita intima e religiosa per la Colonna, ed ella stessa in que giorni, corrispondendo con Giulia Gonzaga, le scrive di essersi liberata dalla super- stizione. La Riforma in Italia vest un carattere proprio, che la differenzia dalla Luterana. Da un lato non vorrebbe scin- dere lunit della Chiesa, e tende ad una rinnovazione di questa conservando in parte le tradizioni del passato; dal- l altro mira ad una rivoluzione pi radicale nel domma e nella disciplina; scalza dalle fondamenta alcuni dommi pro- fessati dalla Chiesa, combatte la divinit di Cristo, coi due Soccino, con Occhino, con Pietro Vermigli; Riandrete pre- dica lUnitarismo. Vittoria non divideva le idee di questi. Fervente ammi- ratrice di Occhino, essa vide con dolore che si discostava pi e pi dallortodossia cattolica, sin che la sua posizione in Italia divenne insostenibile; il Papa e lTnquisizione do- vettero procedere contro di lui, ed egli, per sottrarsi alle La mente di Michelangelo. 130 PARTE TERZA / persecuzioni, pass le Alpi, esul in Zurigo e poscia in Germania (1). Ma mentre Occhino, Pier Martire Vermigli, Celio Cu- rione e altri seguaci di Valdes o di Soccino tendevano a pre- dicare una riforma radicale, Vittoria, dopo il suo ritorno da Ferrara, ritirata ora a Roma, ora a Viterbo, si circon- dava degli uomini eminenti che miravano ad una riforma nella Chiesa, pi che a rivoluzioni religiose. Quivi conven- nero Reginaldo Polo, inglese di nascita e parente non lontano del re Enrico Vili, ma per lungo soggiorno in Italia fatto italiano, nominato poscia cardinale nel 1536 da Paolo III, Gaspare Contarini, Luigi Priuli, Lodovico Beccadelli, se- gretario del Contarini divenuto poscia vescovo di Ragusa, Vittore Soranso, al pari del Priuli, dillustre famiglia ve- neta, nominato poscia vescovo di Bergamo, ma sospetto cV opinione eterodossa; e a questi convien aggiungere il Flaminio, il Carnasecclii e altri. Cosi intorno al Polo e alla Colonna si era formato un cir- (1) Ascanio, fratello della Colonna, diede il cavallo ad Occhino e gli agevol i mezzi per sottrarsi dall Inquisizione e fuggire in Svizzera. Prima di fuggire dallItalia dirigeva alla marchesa di Pescara questa lettera, che porta la data del 22 agosto 1542. In questa, dopo averdetto che aveva in animo di recarsi a Roma, dove il Tribunale lo invitava a presentarsi, e che ne fu dissuaso dogli amici, soggiunge :  Perch a  Roma non potrei se non negare Cristo od essere crocifisso; il primo  non vorrei fare, il secondo s, con sua grazia, ma quando lui vorr.  Andare alla morte volontariamente non ho questo spirilo, per oro...  Dappoi che farei pi in Italia? Predicare sospetto, o predicar Cristo  mascherato in gergo? e molte volte bisogna bestemmiarlo per sod-  disfare alla superstiziona del mondo... Per questo e altri rispetti  preferisco partirmi, che vedo vorrebbero infine esaminarmi e farmi * rinnegar Cristo, o ammazzarmi, ecc.  VITTORIA COLONNA. 131 colo duomini, che riprendendo le idee agitate in Roma nel- YOratorio del Divino Amore , discutevano le questioni teolo- giche, politiche, miravano a riformare la Chiesa, conciliare le opinioni religiose che scindevano lOccidente, e ricosti- tuirne lunit. Essi speravano che le loro idee, propagandosi colla persuasione, colla virt della fede, finissero per alli- gnare in Roma e imporsi alla Chiesa. Alla morte di Paolo III, intendevano di portare alla Sede pontificia il Contarini od il cardinale Polo, assicurando in tal modo il trionfo delle loro idee; come ai nostri tempi i neo-cattolici si sono per qualche tempo illusi di ottenere un papato liberale e nazionale. Ma la speranza fu di breve durata nel XVI secolo, come nel nostro, e non lasci che delusioni pi dolorose. Il cardinale Polo fu allontanato da Roma; Gaspare Contarini, la cui gra- zia e virt la Colonna sperava potessero rendere alle torbide e irate onde del Tbro ogni sua gloria antica (1), moriva; il Caraffa e il suo partito presero il dissopra, e la Roma del Rinascimento divenne la Roma della grande reazione catto- lica, preda alle ire dellInquisizione e alla politica dei gesuiti. A queste delusioni, che colpivano la Colonna nelle spe- ranze pi caramente accarezzate, altri dolori si erano in- tanto aggiunti, che la ferivano nei suoi affetti domestici, nellalterezza del suo nobile casato, di cui erasi dai Far- nesi ormai statuita la rovina. XII. Il Papato, che vedeva venir meno il potere spirituale, mirava a rafforzarsi collo estendere il temporale. I papi (l) Sonetto della Colonna sul Contarmi. 132 PARTE TERZA di casa Medici non avevano osato muovere guerra ai Co- lonnesi, che erano troppo forti e popolari, e protetti da Carlo V. I Farnesi invece non dubitarono di cercare ogni pretesto per debellarli, e cosi disfarsi dei piccoli Stati, abbattere le castella che circondavano Roma, e sottoporre i baroni romani. Paolo III, dopo aver espugnato Camerino, assediata e sottomessa Perugia, volge le armi contro i Colonna. Manda contro loro il suo figlio Pier Luigi Far- nese di Castro, che aveva costretto Perugia ad arrendersi; poi muove ad essi una guerra spietata, piena di orrori, di saccheggi, di terrore. Espugna le citt, arde le castella, ne diserta le campagne. Ascanio Colonna, fratello di Vit- toria, oppone una resistenza vigorosa, arma i sudditi, rac- coglie soldatesche nel Napolitano per opporsi alle truppe pontificie. Vittoria, ora scrive al papa per ottenere mercede, per iscongiurarlo a posar Tarmi, ora scrive a Carlo V perch sinterponga fra il papa e i suoi. Quando vede ogni opera vana contro la ferrea volont del papa, pi non sente in s che fervere il fiero sangue dei Colonnesi, e scrive al fratello:  Casa Colonna  sempre la prima.... Tutto si   scritto a Sua Maest. Ma vostra Signoria attenda a guar-  darsi.... Vedevate bene ogni d che costoro hanno buone  parole e tristi fatti: per difendetevi, e Dio vi aiuti e spero  nella sua bont (1).  E la guerra fra i Pontifici e i Colonnesi continua pi feroce. I primi sono capitanati da Alessandro Vitelli e Sa- velli sotto il comando del Farnese, ed  commissario ge- nerale Giovanni Guidaccione, stretto in amicizia con Vit- toria. Ascanio Colonna, fratello di lei, ora combatte chiuso (1) Lettera della Colonna del febbraio 1541 a suo fratello Ascanio. VITTORIA COLONNA. 133 nelle castella, ora spinge le soldatesche sin sotto Roma, ma, sopraffatto da forze superiori, vede ad una ad una le sue citt e castella espugnate. Cadono Genazzano, Cave, Ceciliano e altre citt, preda ai Pontifici. La potenza dei Colonna  infranta per lungo tempo; Ascanio, colla sua famiglia, erra esule per le citt dItalia; Vittoria, la quale aveva abbandonata Roma in sul principio della guerra, si ritira prima ad Orvieto, poscia a Viterbo. Ricorre agli amici, a Carlo V, perch acquetino il furore del Pontefice e ten- tano riconciliarlo colla sua famiglia; ma questi  irremovi- bile; a lei non rimane pi che la preghiera, Dio, la solitu- dine del chiostro, ove scrive di voler condurre i suoi giorni, e di non pi parlare che a Dio e non al mondo (1). Fece per poco ritorno a Roma, ove ritirata nell antico suo chiostro a S. Silvestro, vedeva spesso Michelangelo e gli amici, ma il soggiorno di Roma le riesciva increscioso; lantico palazzo Colonna presso la chiesa degli Apostoli era vuoto, il fratello, i parenti esuli, o morti, molti degli amici assenti. La nave di S. Pietro  carica d'alga e di fango , scrive ad un amico; essa non pu pi attendere al servizio di Dio, e si ritir in Viterbo nel convento di S. Caterina. E quivi, nelle solitudini del chiostro, essa, come diceva, non voleva pi pensare al mondo, non vivere nella terra e per la terra, ma di vita spirituale per lanima e per Dio. (l) Lettera di Reginando Polo da Roma al cardinale Contarmi, in cui scrive, che Vittoria aveva fatto quanto per lei si poteva per sedare la ribellione e conciliare suo fratello col papa, ma invano. Ora non essere pi rimasto a lei che la preghiera; si era ritirata in un chiostro da cui gli scriveva, voler ivi condurre i suoi giorni :    per vero una felicit il pensare a Dio e non al mondo.  134 PARTE TERZA Un affetto per ancora la vincolava alla terra, e volle colla sua ferrea volont svellerlo dal cuore. Michelangelo continuava a scriverle da Roma, ed essa cos tenta con questa lettera troncarne la corrispondenza:  Non ho risposto prima della lettera vostra, per essere  stata, si pu dire risposta della mia, pensando che se  voi ed io continuiamo il scrivere secondo il mio obbligo  e la vostra cortesia, bisogner che io lasci qui la cap-  pella di Santa Caterina senza trovarmi alle ore ordinate  in compagnia di queste sorelle, e che voi lasciate la cap-  pella di San Paolo senza trovarvi dalla mattina innanzi  giorno a star tutto il d nel dolce colloquio delle vostre  dipinture, quali con li loro naturali accenti non manco  vi parlano, che facciano a me le proprie persone che ho  dintorno; s che io alle spose e voi al Vicario di Cristo  mancaremo. Per, sapendo la vostra stabile amicizia   ligata in cristiano nodo a sicurissima affezione, non mi  par procurar con le mie il testimonio delle vostre let-  lere, ma aspettar con preparato animo sustanziosa occa-  sione di scrivervi, pregando quel Signore, del quale con  tanto ardente ed umil core mi parlaste al mio partir da  Roma, che io vi trovi al mio ritorno con limagin sua s  rinnovata e per vera fede viva nell anima vostra, come  ben l'avete dipinta nella mia Samaritana. E sempre a  voi mi raccomando e cosi al vostro Urbino.  Una lettera piena di misticismo teologico dirige nel tempo stesso a Costanza dAvalos sua parente; in essa la prega di farla partecipe delle grazie ricevute (dal Signore) ch merc sua l'alta invisibile luce si fa visibile a' suoi eletti... ch Egli ha sublimato tanto questa nostra umanit , che l'ha fatta una medesima cosa con Dio:  ti prego ti VITTORIA COLONNA. 135  sforzi vedere come la singolarissima patrona e regina  nostra Maria il mirabil mistero dell'altissimo Vefbo in-  carnato in lei.... di veder la sua istessa carne fatta un  vivo eterno sole.... e che per la sua benignit possano nei  beati unirli e acquetarli nellalta luce di Dio.  Il cardinale Reginaldo Polo, il quale era divenuto durante il soggiorno di lei in Viterbo il suo direttore spirituale, esercitava un potente dominio sullanima sua; essa ammi- ratrice delle sue virt, a lui scriveva nel suo entusiasmo:  Sa il Signore nostro che per altro non desidero ecces-  sivamente di parlar con Vostra Signoria, se non perch  vedo in lui un ordine di spirito, che solo lo spirito lo  sente, e sempre mi tira su a quell amplitudine di luce  che non mi lascia troppo fermare nella miseria propria:  anzi con s alti e sostanziosi concetti mi mostra la gran-  dezza di lass e la bassezza e nichilit nostra, che ve-  dendo noi stessi e tutte le cose create servire a questa,  bisogna trovarci soli in Colui che  ogni cosa.... Ed ogni  volta che Vostra Signoria mi parla di quel stupendissimo  sagrificiOj dell'eterna destinazione dell esser preamati... fa  stare l'anima sulle ali sicura di volare al desiderato nido.  Il Polo moderava i suoi ardori mistici, trattenendola dal macerarsi con digiuni e cilici, come dall agitare le ardue questioni teologiche. Avida di conoscere e di sapere, essa leggeva tutte le opere che venivano pubblicandosi in ma- terie religiose e filosofiche. Si sprofondava sul problema della giustificazione per la fede, o per le opere, della Gra- zia, e del Sacrifizio di Cristo, e a sua volta sfiduciata, o credente scriveva che dei sacri detti pi si fa certo Colui che poco legge e molto crede. 436 PARTE TERZA A questo periodo della sua vita appartengono le sue poesie religiose. Sono queste per avventura uniche nel suo genere nella nostra letteratura. Mentre i nostri poeti per lo pi sispirano alle bellezze delle forme, allo spettacolo della natura, e alla vita esterna, queste sono lespressione della vita intima, voci del suo cuore, delle aspirazioni dellintelletto. Non sispirano, come gli inni sacri moderni, al solo culto e ai riti sacri, ma alle ansie profonde del- lanimo, e prorompono fuori, come faville, da una mente accesa dei pi nobili entusiasmi religiosi. Spesso, come nelle sue lettere e come nelle poesie di Michelangelo, non vi si trova traccia d un culto positivo; ma sa poggiare a quellaltezza di sentimenti, daffetti e di speranze, nella quale tutte le religioni si confondono come in unaspira- zione infinita; sono voci dellanima, son lampi accesi in quel Sole che alluma gli elementi e il cielo. Vha in esse forza contro limperversare delle sventure, e soave ab- bandono femmineo, e sana rassegnazione avvivata da ric- chezza di colore, severit, ardore e grazia.  la donna umile, benevole ed invitta, la quale combatte, sente ed ama;  la pensatrice, la poetessa sempre accesa di affetti nobili ed alti. Essa invoca con tutto lardor dellanimo la riforma  . . . . che purga e rinnova  Dal lezzo antico lalma vera Chiesa,  ma nellinterno dellanimo edifica in s stessa la vera Chiesa colla virt e la fede. Essa spinta dall' amore interno , sente per che invano vuole sollevarsi colle ali a Dio , Prima che il caldo vostro interno vento - M'apra l'aere intorno ; solo allora VITTORIA COLONNA. 137  Sgombra dal terren costume,  Tutta al divino amor lanima intesa  Si muove a volo altero in altre piume.  Dio solo pu fare,  Che lalma inferma e frale  Al tuo vivo splendor serga e respiri.  Lanima cerca il suo bene, ma poi singombra  S stesso amando, pi che l vero bene,  n pu la virt finita sentir lardore  Dell infinito Sol senza l suo lume.  Essa si preoccupa sopratutto degli ardui problemi che agitavano il suo secolo, cio della grazia, della predesti- nazione, dellefficacia delle opere e della giustificazione per la fede; ma in lei non vha, come nelle poesie di Miche- langelo, vestigie della lotta dello spirito, di dubbio, dirre- quietezza; essa riposa sicura nella sua fede, e, scampata dall' acerba atra tempesta del travagliato mondo entr nel- larca di No, larca della salvezza, e chiusa interna - mente dentro dell'arca , chiara , sicura, vive la fede mia dogni ombra scarca. Simile a Pietro , il mio cuore , essa canta :  allor chio sento  Cader la fede al sollevar dellonde,  Dalla divina man sentisse alzarsi.  138 PARTE TERZA Pur talora si lagna misera che per fede ancor non arde ; bene ha l'occhio al miglior fine del suo corso ,  ma non vola ancora  Per lo destro sentier salda e leggiera.  Questi versi, che sono un vivido diamante incastonato nella nostra letteratura, meglio che le lettere di Santa Te- resa e di Santa Caterina di Siena, potrebbero offrire ar- gomento duno studio psicologico e patologico intorno al sentimento religioso nella donna dalto intelletto. Esse sono scevre del barocco misticismo, che spesso sincontra negli scritti delle donne mistiche e dei predicatori di quel secolo, ma in ogni parte riverberano il candore, specchio duna fede sincera, e i sentimenti d un anima elevata, umile e benevola e di un cuore affettuoso. XIII. In lei la lama rodeva la guaina; linterno foco aveva consunta la debole cera. Questa continua tensione dello spirito, i digiuni, le ansie, le preghiere, i fervidi entusiasmi che levavano sempre la sua mente ad orizzonti infiniti, avevano affievolito il suo corpo gi provato da tante sven- ture terrene. Lanima non pu sempre star librata sullali tra il finito e limmenso. Nella primavera del 1543 essa cadde pericolosamente ammalata; gli amici, che la cir- condavano, ne furono turbati, e consultarono fra i molti medici anche il celebre Fracastoro a Verona, il quale, dopo alcuni particolari sulla malattia della Marchesa, ri- VITTORIA COLONNA. 139 spose:  Vorrei che si trovasse il suo medico all'animo,  che calcolasse tutte le sue operazioni, et, fatto giusto equi -  librio , desse al Signore quel che  suo, et al servo quel  che  suo... altrimenti io vedo che il pi bel lume di questo  mondo a non so che strano modo si estinguer  (1). Nel finire del 1544 fece ritorno da Viterbo a Roma, si ritir ancora nel suo convento de Benedettini di SantAnna dei Fornari. Era quivi pure servita dalle sue dame, ma la vita rinchiusa, laria pesante di Roma, la continua eccitazione e tensione degli spiriti, i dispiaceri, le delusioni , avevano logorate tutte le sue forze. Il suo palazzo avito era an- cora deserto, i beni dei Colonna, confiscati, il suo fratello colpito d'interdetto, il secondogenito di lui, ancor giovinetto, estinto ; estinti molti de suoi migliori amici , tutte le sue speranze di veder riformata la Chiesa e rapacificati i mo- narchi cristiani per muover concordi contro glinfedeli, svanite; anzi i Turchi, alleati del re Cristianissimo, s av- vanzavano trionfanti nel centro d Europa, e disertavano le coste del Mediterraneo. Essa, ritirata nel convento, colpita da ripetuti rovesci, ma pure piena ancora di poesia e di fede, era spesso visitata dagli amici come il Sadoleto, il Morone, il Bembo, e Michelangelo, il quale abitava a breve distanza da SantAnna. Nel 1547 vide morire anche il Bembo, ultimo rappresentante dellepoca aurea della Rinascenza. Crescevano le sue sofferenze fisiche, ma si mostrava ognor serena danimo, invitta di spirito. A curarla meglio e in luogo pi comodo, venne trasportata nel vicino palazzo dei Cesarmi; e sentendosi ornai a fine di vita, dett le sue ul- time disposizioni, che segn di sua mano; e circondata da (l) Lettere volgari di diversi nobilissimi uomini , ecc. Venezia 1567. 140 PARTE TERZA parenti pi a lei affezionati, dai pi stretti amici, la sua grande anima spirava il 27 febbraio allet di cinquanta- sette anni. Secondo le disposizioni da lei date, venne se- polta la sera stessa della sua morte nella tomba comune delle monache con cerimonie funebri semplici e senza fasto. XIV. Michelangelo che aveva assistito a suoi momenti supremi, quando la vide estinta, cadde al suolo privo di sensi. Rial- zato e rinvenuto in s stesso, si affiss silenzioso sul ca- davere e le baci la mano. Da quel giorno egli si senti tutto solo sopra la terra, e i suoi pensieri non gli parla- vano pi che di morte. Sopravvisse ancora dodici anni alla donna dellanima sua. La ferrea sua natura non ce- deva sotto i colpi dellangoscia. Per, come si esprime il Condivi:  Per la costei morte pi volte se ne stette sbi-  gottito e come insensato.  Dolori su dolori si aggrava- vano in quellanno sopra il vecchio suo capo. La sola donna che egli aveva amato del pi intenso amore, spenta ; morto pure nellanno medesimo il suo fratello Giovan Si- mone. Mori eziandio Francesco I, appunto quando sera accordato col papa e cogli esuli toscani per liberare Fi- renze. Inutile e tardo vedeva ormai ogni tentativo per re- stituire l'antica libert alla patria. Tutto precipitava a vilt e servaggio. Tutto era trasformato intorno a lui, e in peggio. Leroica schiera dei liberi cittadini, come Baccio Valori, gli Strozzi, gli Alemanni, esuli, o morti, e l Italia percorsa da bande di Tedeschi e di Spagnuoli, che ne fa- cevano strazio. E un pi crudo servaggio vedeva aggra- VITTORIA COLONNA. 141 varsi sopra Roma, e sulle menti italiane. I grandi papi del Rinascimento che per qualche anno lasciarono sperare ad un rinnovamento della Chiesa, spariti ; ad essi sottentrarono i pontefici irosi e feroci; i caratteri pi puri ed elevati dItalia perseguitati a morte, le intelligenze pi luminose soffocate; le arti belle sospettate anch esse deresia, cor- rotte e volte al barocchismo; soli padroni dItalia a Roma il sospetto, lintolleranza e la morte; Sant Ignazio e l' In- quisizione. XV. Michelangelo aveva da pochi anni terminato il gran di- pinto del Giudizio Universale, e attendeva ai lavori della cappella Sistina; gli era stato commesso di dipingere nella parete corrispondente a quella del Giudizio, la caduta degli Angioli; ma egli pure era venuto in sospetto di eresia; co- minciava a trapelare il significato recondito e terribile del suo Giudizio, e frati e predicatori scagliavano dal pulpito contro di lui ingiurie ed anatemi; e non gli fu pi possibile di dipingere nella Sistina. Allora egli si chiude in s nel silenzio, non conosce pi che Dio, larte, la poesia e larchitettura; questi furono i supremi conforti nella sua vecchiaia. Mentre collarchitet- tura mette tutta lanima sua nella gran Basilica di San Pie- tro, e nelle poesie versa le angoscie e i profondi lacera- menti del suo cuore; a lui tutto favella ornai di morte. Il Vasari dice che non nasceva in lui pensiero, che non vi fosse scolpita la morte, per il che si vedeva che san- dava ritirando verso Dio. Ei sembra che si diletti a cercare e penetrare il segreto della morte, come prima indagava 142 PARTE TERZA quello della vita; si sprofonda pi e pi in esso, e per usare le sue parole:  Non trovo altro soccorso  Che limagin sua ferma in mezzo al core.  Cerca la morte  che ogni mal sana, chi la vita toglie:  In ciel quel solo ha miglior sorte  Chebbe al suo parto pi presso la morte.  Egli vede intorno a s la nuova generazione pervertita, il male in pieno trionfo:  Il tristo esempio ancora  Vince e perverte ogni perfetta usanza...  Spenta  la luce, e seco ogni baldanza * Trionfa il falso, e il ver non sorge fuora.  Rammarica non esser morto mentre ella era in vita, che gli avrebbe fatta pi dolce la morte: ora non  per che un carbone acceso e ricoperto, e  Morendo senza, al ciel lalma non sale.  Ora prorompe in un terribile grido di desolazione, appo cui sono fiacche declamazioni e freddi piagnistei, i gemiti dei Werner, dei Byron, dei Leopardi, tanta  la verit e il vigore di cui sono improntati questi versi, che riportiamo secondo il testo di Michelangelo nipote:  Ohim! Ohim! che pur pensando  Agli anni corsi, lasso ! non ritrovo  Fra tanti un giorno che sia stato mio !  Le fallaci speranze e il van deso  Piangendo, amando, ardendo, e sospirando.  VITTORIA COLONNA. 143  (Che affetto alcun mortai non mi  pi nuovo)  Mhanno tenuto, ora il conosco e provo,  E dal vero e dal ben sempre lontano.  Io parto a mano a mano,  Crescemi ognor pi lombra, e il sol vien manco  E son presso al cader infermo e stanco.  Per in questo gemito supremo che prorompe dal fondo del cuore, quanta energa v  condensata ; quanta modestia in tanta grandezza! Nessuna vita fu della sua pi piena e operosa! Egli, si pu dire, ha rifatta Roma nel Vaticano, nella gran Basilica, nel Campidoglio, nella Porta Pia, nei palazzi; in ogni parte lasci vestigia del suo genio, vi stamp impronte delle sue grandezze; egli, la pi pura gloria dItalia; egli, una delle figure pi maschie e gene- rose dellumanit... Pure, non contento di s, sente di non aver fatto abbastanza! Qual divario dai moderni Leopardi in miniatura, che a trent'anni, senza nulla aver pur tentato, saccasciano sfiancolati e vinti, e non hanno che guaiti sul- V infinita vanit del tutto! XVI. Vecchio e stremato qual era, n il dolore, n la delu- sione, n la fallacia delle cose umane valgono a scorag- giarlo, a scemare la sua operosit. Fugge lozio; lavora giorno e notte. Combattuto da una turba di invidiosi e sub- doli, che tentano sostituirsi a lui per dirigere i lavori della Basilica, per cui egli rifiut sempre ogni assegno, non si perde danimo, non si dimette. Sinch gli regge la mano, va mattutino a presiedere i suoi lavori in Roma, adopera matita e scalpello. Ottuagenario si alzava appena giorno, 144 PARTE TERZA si metteva a lavorare intorno alle statue o sopra i cartoni, senza scarpe e senza calze, si che un giorno, dopo aver lavorato per oltre tre ore, gli vennero meno le forze e cadde estenuato a terra senza conoscimento; accorsero le persone che erano in casa; lo raccolsero, credendo fosse giunta Testrema sua ora; ed ecco egli si rialza, e, schiavo del suo dovere, monta a cavallo, e si reca ad attendere ai lavori di Porta Pia. Il pensiero della morte anzich impaurirlo suscita in lui energia novella.  Il pensiero della morte, soleva dire, distrug-  gendo per natura tutte le cose, conserva e mantiene coloro  che a lei pensano, e da tutte le umane passioni li difende.  In una sua poesia descrive una vecchia donna curvale innanzi a suoi passi si leva da terra la mano di uno sche- letro coirorologio a polvere. A met della scala di sua casa dipinge uno scheletro colla bara sulle spalle. Contempla da tutta Taltezza della sua mente le vicende terrene, e,  tutto, dice, nel mondo  ornai bruttezza e noia.   Condotto da molti anni allultimore  Tardi conosco, o mondo, i tuoi diletti :  La pace che non hai altrui prometti,  E quel riposo ciianzi tempo muore. * E altrove canta:  Non temo invidia o pregio, onore o lode  Del mondo cieco, che rompendo fede,  Pi giova a chi pi scarso esser ne suole,  E vo per vie men calpestate e solo. * Egli sprezza quanto  caduco e grida:  Mettimi in odio quanto al mondo vale,  E quanto sue bellezze onora e cale,  Chanzi tempo caparro vita eterna. * VITTORIA COLONNA. 145 Non vive pi che per il suo pensiero e Dio. Continua a gettare i suoi pensieri sulla carta, ma pi che poesie sono lampi e pensieri condensati. Ora  assalito da dubbi; sente che gli manca la fede, e dice a Dio:  Io tamo colla lingua, e poi mi doglio,  Che amor non giunge al cuore....  Squarcia 1 vel tu, Signor, rompi quel muro  Che con la sua durezza ne ritarda  Il sol della sua luce al mondo spenta.  ( Sonetto lxxv, 214).  Dio sol pu rinnovarlo fuori e dentro....  Perocch 1 proprio voler nulla mi vale....  Il cangiar sorte  sol voler di Dio.  ( Sonetto lxx, 10). Or si volge al Cristo Redentore, per rinascere in lui, ma si sente preda al peccato:  Vivo al peccato, a me morendo vivo  Vita gi mia non son, ma del peccato.  Serva mia libert.  Or tutti i suoi pensieri restringe in un solo, in Dio.  Le favole del mondo mihanno tolto  Il tempo dato a contemplar Iddio...  Ammezzami la strada che al ciel sale,  Signor, mio caro, e a quel mezzo solo  Salir m  di bisogno la tua aita.  La mente di Michelangelo. 10 14G PARTE TERZA Incerto a chi rivolgersi per assicurarsi leterna salute, scrive:  Sotto qual debba ricovrar insegna  Non so, Signor, se la tua non maffida,  Come al tumulto dellavverse strida  Perire, ove il tuo amor non mi sostegno...  Tu solo il puoi, la tua piet suprema  Soccorra al mio dolente, iniquo stato,  S presso a morte e s lontan da Dio.  Come prima egli si sentiva tutto assorto nellarte, ora - tutto assorto in Dio, si solleva a lui, lo cerca e con Dio lenta penetrare il mistero dell universo, mentre non rista dall' agitare nel suo segreto i problemi della vita e della fede.  Io vo, misero, ahim! ne so ben dove;  Aspro temo il viaggio e 1 tempo andato,  Cora mappressa perch glocchi chiuda,  Or che let, la scorza cangia a muda.  La morte e lalma insieme fan gran prove,  Con dura, incerta guerra del mio stato... * Leterna pena mia,  Nel mal inteso, e mal usato vero  Veggio, Signor, n so quel eh io mi spero.  Spettacolo sublime presenta questa grande anima, che misura col pensiero' tutto il suo passato, le vicende tra- scorse nella vita, le angosce sofferte, le battaglie affron- tate, e cerca di comprendere lavvenire prima di sprigio- narsi dal corpo e salire alleterno. Baster a salvarlo la fede? le opere che condusse gioveranno alla salute? Ma che VITTORIA COLONNA. 147 fu mai la vita, a che giova il lungo operare, i miei trava- gli, i miei dolori? Sotto qual insegna ricovrare? Ove si trover la salute? Che mai  la morte?... E mentre il suo spirito agita questi problemi poderosi, la mano mai non rista dal lavorare. Collo scalpello dirozza il marmo e trae dalla pietra forme viventi; col pensiero interroga la Sfinge del destino, e tenta penetrare i misteri della vita. La mano tenta estrinsecare le forme del bello, l intelletto scrutare nella sua realt il vero. Il mattino, appena giorno, balza sul cavallo e corre ad assistere ai lavori della Basilica, e, ritornato a casa, si chiude nello studio, ove tenta scolpire la testa di Bruto, o di condurre all ultima perfezione la statua del Mos, che fu opera di quarantaquattro anni, il lavoro di tutta la sua vita, e in essa ha epilogato il suo pensiero. Colla mano spiritualizza la materia, col pensiero tenta i faticosi problemi dello spirito. Le rime, che dettava a mano che egli si sentiva assalito e agitato dal pensiero, non sono che frammenti, schggie balzate dal marmo, che d scintille e lampi. Ma questi lampi rischiarano le procelle della- nimo suo.  questo il soliloquio del Genio alle prese col destino. Ci ricordano il soliloquio di Edipo a Colono quando sente rumoreggiare il tuono e appressarsi la catastrofe; ci ricordano i soliloqui del Manfredi di Byron alle prese col suo genio, e che, prima di morire, cerca di penetrare nel mondo invisibile. Per in questi abbiamo innanzi allo sguardo il mito, la finzione; con Michelangelo invece, si leva innanzi a noi V Edipo vivente, l Edipo che si comprende, che s'interroga, che getta Femmina del suo genio e de' suoi pen- sieri alle et future. Qui sentiamo, nelle rime, trasalire un cuore, agitarsi tumultuoso il pensiero, che lotta tra la fede e 148 PARTE TERZA il dubbio, tra la terribilit del destino e la provvidenza, tra il giudice inesorabile e lamor divino,  Che aperse, a prender noi, in croce, le braccia.  Chi dovr prevalere nellultimo combattimento della vita? La giustizia inflessibile dei profeti ebrei, o la piet della grazia cristiana? Sar il Cristo che redime il fato della tragedia greca che cieco domina, trascina? Sar una legge arcana che muove e sperde pel nulla il mondo e i popoli, uomini e cose? Stanco alfine di questa battaglia interna, sentendo la propria debolezza, rompe in questo grido:  Il proprio mio voler nulla mi vale,  Tul ferma in me, come lo spirto in cielo  Che nessun buon voler contro te dura  (l). (l) Byron invece nel Manfredi non si assoggetta allo spirito invi- sibile, padrone di s; vuol lottare cogli angeli, col cielo:  My life is in its last hour, that I Know Norwould redeem a moment of that hour; Idonot combat agaido death, but tliee And lliy surrounding angels... Thou didst not temptjne, and thou couldst not tempt me.... Back,ye baffled flends ! The liand of death is on me  but not yours!  In questi due soliloqui del genio che combatte colla morte si sente lanima di due secoli; nelluno il genio che dubita ma pur non sa discredere, anzi safferra alla fede, e nellaltro il genio che ha gi oltrepassalo il dubbio, nega, respinge la fede. L un Dio che non  morto, qui un Dio che si eclissa. Ma ove sar la realt, dove la fanta- sia e limmaginazione? VITTORIA COLONNA. 149 E di lotta in lotta, di pensiero in pensiero, si appressava allora suprema. Il 14 febbraio 1564, un suo amico, Calca- gni, avendo saputo che stava male, si rec presso lui per visitarlo, lo trov che passeggiava fuor di casa, mentre pioveva dirotto. Gliene fece rimprovero affettuoso.  Che vuoi, rispose, mi sento propriamente male, n so dove stare.  Visse ancora quattro giorni; il 18 di febbraio, verso Tavemmaria, quella grande anima era spirata. XVII. Ultima sua volont fu che il corpo venisse trasportato a Firenze e l sepolto. I Romani negavano avere egli ma- nifestato tal desiderio, e insistevano per dargli onorevole sepoltura in Roma; ma il nipote Leonardo ne trafug la salma, che venne trasportata a Firenze, e, dopo trentanni di esiglio, rientrava morto nella citt natale. Le esequie furono degne del gran cittadino e dell'artista sovrano. Tutta Firenze artistica e popolana accorse a quelle esequie. Ognuno sentiva che con Michelangelo non si seppelliva un uomo, ma che tutta un'epoca, e la pi gloriosa d'Italia, tramontava; succederebbe la notte; e il crepuscolo del nuovo d era lontano ancora! Benvenuto Celimi, impedito da una malattia di assistere alla tornata in cui V Accademia deliberava le prescrizioni da prendere per celebrare le esequie, in una lettera diretta al Priore dell Accademia, descrive il modo in cui vorrebbe si adornasse la Chiesa per la cerimonia solenne.  Io aveva  pensato, egli scriveva, che intorno al suo cataletto noi  scultori, cio messer Bartolomeo ed io... dovessimo fare  sei figure di quattro braccia l una, le quali fossero queste: 150 PARTE TERZA  VITTORIA COLONNA.  la scultura, la pittura, larchitettura, e la quarta fosse  figurata la gran madre Filosofia. A capo del cataletto la  Morte fatta bene di ossature, in atto pi presto, ardita e  e fiera che languida e afflitta; e per ornamento e impresa  fargli una vita riccamente acconcia... e questa vita de-  nota che questo grand uomo colla sua morale virt, ha  dato maggior vita alla sua morte, che egli non ebbe in  vita, perch essendo vissuto novantanni, cos viver no-  vanta volte novanta.  Per tal modo il Gellini riassumeva l' uomo. Artista, il Cellini, non ammirava in Michelangelo solo lartista, ma il filosofo che sapeva animare col suo pensiero il marmo, scolpirlo nelle tele; e per virt del pensiero, cui imprime forma perfetta, pot vincere la morte, ch la sua fama dura quanto il moto lontana. PARTE QUARTA LARTISTA LARTISTA La personalit di Michelangelo, pi ancora che nella vita privata e cittadina, emerge e grandeggia nellartista e nel pensatore. I suoi coetanei, mentre assegnavano a Leo- nardo da Vinci il secondo posto fra gli artisti e a Raffaello il terzo, lui dichiaravano primo fra quei sommi. Francesco De Hollando, pittore portoghese, in una notevole lettera, descrivendo uno di quei convegni in cui nel 1534 uomini insigni per lettere, per arti e scienze, si raccoglievano presso Vittoria Colonna e Michelangelo nel giardino del convento' di S. Silvestro, detto di Monte Cavallo, soggiunge:  Maestro Michelangelo m ispir tale ammirazione, che  incontrandolo nel palazzo papale e nella via, dovevano  sorgere le stelle, per indurmi ad andarmene;  e sog- giunge, che la Colonna lo qualificava liberale con prudenza, non prodigo per spensieratezza, e ci che essa pregiava in lui sopratutto era la dignit del carattere, per cui si teneva in disparte, sottraendosi dagli inutili discorsi, dal 154 PARTE QUARTA corteggiare i grandi oziosi, per vivere solo dellarte e per larte. Lartista in lui, come in tutti i sommi, non si scom- pagna dal pensatore; per, a meglio comprenderlo, con- viene conoscere lambiente intellettuale, flosofco-religioso in cui viveva e a cui sispirava; ed  quello che tenteremo di fare in questo studio. Cominciamo dallartista. Qui il suo genio non ha misura, e campeggia solitario. Dante dice Lacqua che io prendo giammai non si corse ed il Buonarroti scriveva:  Io vo per vie men calpestate e sole.  Nei campi dell'arte egli fa parte di s stesso, ma ap- partiene ad un tempo a quella famiglia di pensatori e geni sovrani, i quali, come i profeti, Eschilo, Dante, Shakespeare e altri pochissimi, dominano i secoli, abbracciano collo sguardo dell'aquila la serie del tempo, lo svolgersi lontano degli eventi; li presentano, li vaticinano, o li stampano, come nel bronzo, in simboli eterni. Essi non sono figli di un epoca, n appartengono ad un popolo, ma allumanit e a tutti i tempi. Levati sopra il culmine pi sublime del mondo umano, mal compresi, irrisi dal volgo o temuti, sono come un fenomeno, un enimma pei loro coetanei, sembrano esseri strani e diversi, non vivono col secolo, ma col pensiero gi vivono nellavvenire e lo ricreano. Per avviene talora di essi, ci che Dante dice di Beatrice, che non sapendo come si chiamare , lo dicevano il divino , nel duplice significato di sommo, e di vate. I loro scritti, o le immagini e figure dei loro dipinti, al pari delle visioni di Ezechiello, percotono di confusione e di smarrimento i coe- tanei, i quali ammirano istintivamente senza penetrarne lartista. 155 il fondo, e solo col progredire del tempo, collo affinarsi delle intelligenze, si viene svelando il pensiero, che vol- lero incarnare nelle loro opere. Cos in Eschilo, solo merc le successive trasformazioni religiose, potemmo spiegarci il pensiero che ispirava il Prometeo; cosi da pochi anni soltanto viene fatto di pene- trare il polisenso della Commedia dantesca; lunit politica, lidea filosofica, che mira a ricreare un nuovo Cristiane- simo ideale e razionale, cominciano a chiarire il concetto filosofico e politico, che informa l Inferno e il Paradiso dantesco; soltanto dopo i successivi rivolgimenti di popoli, il sorgere e cadere dimperi, lelevarsi del senso morale, e colla filosofia della storia, si cominciano ad illuminare di luce storica e razionale le visioni d Isaia, d Ezechiello e Geremia, e a comprendere le aspirazioni universali, a cui levavano le menti. Alcuni astri remotissimi non arrivano alla terra e non si fanno visibili allocchio mortale, se non dopo centinaia di secoli; non altrimenti i pensamenti di pochi geni sovrani, solo dopo lungo correre di et, possono penetrare nei consorzi sociali. Questi geni vissero bens in mezzo alle loro famiglie, parteciparono ai movimenti delle loro epoche, vennero a contatto coi re e sacerdoti, ma anche in mezzo alle Corti ed ai movimenti popolari sono i grandi solitarii, inebbriati (1) si partono dalle genti, vi- vono delle loro aspirazioni, hanno preso il loro posto nel- l avvenire lontano. 0) Come inebbriato mi partii dalle genti Dante, Vita Nuova. 156 PARTE QUARTA II. Il Buonarroti era costretto dallarte sua a vivere nelle Corti, in mezzo ai principi, ai papi, ai cardinali; essi soli potevano a quei tempi offrirgli il mezzo di lavorare, espli- care il suo genio, imprimerlo nei dipinti e nel marmo; pure, come gi osservammo, egli non solo si schermi in ogni occasione dal vivere nelle Corti, rifiutando l'ospitalit dei grandi, ma, altiero e sdegnoso, vive solitario, modesto, appartato dalle genti, assorto nei suoi pensieri, tutto in- tento all'arte. Ed egli fece a s l 'arte idolo e monarca. Ma larte stessa non era per lui che un mezzo per imprimere il proprio pensiero, dar vita al suo ideale. Non si contentava, come il vacuo realismo moderno dellesteriorit; anzi, come dice egli stesso, talora la vista del modello gli era dimpaccio, assegnando confini a quella fantasia, che non conosceva misura. Egli aveva levata la mente ad un grande ideale di bel- lezza, che gli era guida e lume. Questo egli sentiva dentro di s, lebbe come per istinto fin dalla prima et, e si sfor- zava di dargli forma. Dipingere, scolpire, non era per lui un atto materiale, ma nell eseguire traeva ispirazione e vigore dal pensiero. Al suo amico Marco Vigerio scrive:  Si dipinge col cervello, non colla mano, e chi non pu  aver cervello si vitupera.  Quel sommo avrebbe sorriso di piet e di sdegno a certe teorie moderne dellarte per l'arte. Facile teoria creata a comodino di poetastri privi di idee e di convinzioni, o di scrit- tori, che sono vesciche gonfie di vento e riboccanti di rime lartista. 157 rifritte, di artisti, la cui scienza consiste nello stemperare i colori, scimmiottare modiste e parrucchieri; ed essendo sif- fatta arte facile e alla mano, vedemmo giornalisti eunuchi, e critici senza studi n calore daffetti e di passioni, fog- giare la teoria per dissimulare l'aridit del cuore, ed il vuoto del loro cervello o la loro ignoranza. Pei grandi larte fu in ogni tempo potenza creatrice, edu- catrice. Pensiero, passione e forma sono e saranno sempre la santa trinit dellarte. Prima il pensiero, che raccoglie, come prisma, i fenomeni esteriori, ne penetra lo spirito; poi laffetto che li anima, li riscalda; infine la forma che li colora, li scolpisce. Questa la trinit dellarte vera, e che, una e trina pur essa, non si pu scindere. La loro scissura segna non solo la deca- denza dellarte, ma lo infiacchimento e la corruttela duna civilt, la miseria di unepoca. Chi pinge e scolpisce senza pensiero, imitando goffamente e pedantescamente la natura copiandola, dice Buonarroti, si vitupera.  Crede dessere artista e non  che fotografo, questa scimmia dellarte. Lartista vero contempla il mondo umano e la natura; il mondo dei fenomeni organici, come dello spirito, che si ma- nifesta e si svolge nella storia, negli affetti del cuore, nelle religioni, li riflette in s, li avviva delle sue idee, de suoi affetti, poi ne accentua i tratti con finitezza di linee, con simboli e figure, porge loro una espressione, un linguaggio, li anima di una vita intensa, e riassume la natura e la sto- ria, le riflette in s e le ricrea. Per egli  per virt del concetto che grandeggia lartista vero, ed  pregio particolare del Buonarroti fondere in un tutto pensiero e forma. Non sapeva, come certi moderni, distinguere, analizzare, sottilizzare; la forma prorompeva 158 PARTE QUARTA in lui, come in un sol parto, insieme col pensiero, e a nes- suno fu dato, come a lui, imprimere un concetto, anche dei pi astratti, in forma pi plastica e vivente. Sotto il tessuto di quelle membra e muscoli, si agita sempre unidea, pal- pita un cuore, ferve una corrente di vita e di passioni; in ogni lavoro egli determina l indeterminato, scolpisce una passione, rende sensibile linfinito, per cui nei suoi dipinti le stesse ombre si toccano come cosa salda. III. Quell'anima era come un mare in tempesta. Tutto nei suoi dipinti  movimento e forza. Il suo genio fu parago- nato al mare, ed era del pari vasto e profondo. Tranquillo, calmo alla superficie, austero nei modi, in fondo a quel- 1' anima si agitavano le passioni pi ardenti e tempestose, che spesso era costretto a comprimere e a dissimulare; ma poi si rivendica, si sfoga col versarle impetuoso nei dipinti. I suoi coetanei avevano osservato sulla sua fronte di ferro, come impresse, sette rughe; sono i sette colori delliride, che non annunziano il sereno dopo la procella, sibbene la tempesta, che senza posa tumultuava nel fondo al suo cuore; perocch, come vedemmo, pari al mare, il suo genio era sempre in moto. Tutto  movimento e vita, nelle sue figure; alcune delle sue statue non sono finite, altre appena abbozzate, pure anche queste vivono, parlano. La vita trabocca impetuosa, ardente in ogni parte, anche minima, delle sue creazioni dalla punta dei capelli sino alle piante dei piedi. Da ci limpressione profonda che si prova alla vista delle sue opere. Ogni sua figura si stampa nel- l'anima, ci penetra, ci perseguila. l'artista. 159 Potrete criticarla, scoprirvi molti di fletti, ma siete co- stretti a mirarla, a occuparvi di lei; la sua memoria vi sta sopra,  con voi.  la vita che parla alla vita, ma una vita sana, gagliarda, agitata da passioni impetuose, illuminata dal pensiero. In quasi tutti i dipinti del Rinascimento, anche dei sommi, i personaggi posano. L'artista, non escluso talora lo stesso meraviglioso Raffaello, mira a dare ai suoi personaggi un atteggiamento accomodato, una posa, talora teatrale, cos nella figura isolata, come nei gruppi, che lusinghi e seduca lo spettatore; si occupa, diremo, pi del modello che a lui sta davanti, che del soggetto. Michelangelo invece, cerca di sfuggire le pose artificiose, composte, di schivare quegli atteggiamenti solenni o classici. Egli si sforza di cogliere la natura allimprevvisto, di sorprenderla ne' suoi capricci, ne suoi balzi, nellimpeto d'un affetto, sotto il peso d'un do- lore, nel lampeggiare dun pensiero, e stampare quel mo- mento nei suoi dipinti e nelle sue statue. Non si preoccupa della posa, ma della passione che lo tormenta. Per le sue figure, pinte o scolpite, si movono sempre. Mirate i Pro- feti, le Sibille, le cento figure del Giudizio, la Maria nella Piet: nulla di manierato, nulla d artifiziale; esse si agi- tano, si sprofondano nel pensiero, o sorgono irrequiete, tormentate.  una psicologia fisiologica, o una psiche rea- lista. I moderni volendo fare del realismo cadono nel vul- gare, nel triviale;  il piccolo realismo. Egli cre, disegn il grande realismo. Non trovando nei suoi dipinti, negli scritti, traccia delle potenti e soavi scene della natura, altri disse eh egli non ne sentiva e non ne comprendeva le bellezze. Quanto la sentisse lo provano talune stanze, che ci porgono la de- 160 PARTE QUARTA scrizione della vita campestre, del pi schietto realismo (1); ma nella natura egli cercava la semplicit, la schiettezza e la quiete. Fra la tempesta del suo animo cercava, al par di Dante, in mezzo alla serenit della natura, la pace. Dopo aver visitati certi luoghi romiti nelle montagne di Spoleto, egli scriveva al Vasari:  Ho avuto gran disagio   spesa e gran piacere a, visitare quei romiti, or son  ritornato men che mezzo a Roma, perch non si trova  pace che nei boschi.   Egli amava il bello, ma il bello finito, individuale, amava universalmente ogni cosa bella, un bel cavallo, dice il Condivi  un bel paese, una  bella montagna, una bella selva, ammirando con mera-  viglioso affetto.  Uomo tutto intelletto, non  a stupirsi non si fermasse a ritrarre le scene della natura. La natura ha alcun che di oscuro, dinconsapevole, dindifferente, che mal risponde ad unindole violenta, passionata ad un tempo e compresa da un alto sentimento morale ed umano. Sentiva la natura, ma essa non bastava al suo genio; egli la oltrepassava. La vera, la grande arte per lui, come ripete spesso nelle sue lettere,  luomo. Luomo, la manifestazione pi elevata della natura, la quale in lui si esalta ed esulta, in lui acquista pieno conoscimento di s stessa. L uomo indivi- duo, 1' uomo umanit. Per il suo antropomorfismo non  armonico, come quello dei Greci ; anzi sdegna la bellezza nella sua immortale serenit ; ripugna al freno dellarte per (i)  Novo piacere e di maggiore stima  Veder lardite capre sopra un sasso  Montar pascendo, or questa or quella cima.  (Rime: Sulla cita campestre). L ARTISTA. 161 raggiungere il gigantesco, il sublime. Ei fu primo fra gli artisti a considerare le grandi questioni storiche, e a rap- presentarle come tipi nellarte. Consider lumanit nel suo complesso, quasi un uomo solo dotato d uno spirito, che percorre i vari stadi di sviluppo. Per studi luomo indi- viduo, lo seguit nella sua vita lungo i secoli, per sco- prirne e dipingerne le origini, comprenderne lo svolgimento, i destini futuri; lo studiava con tenacit di osservazione, per conoscerne la struttura, nella morte, per meglio sco- prire il segreto e il meccanismo della vita. La vita per lui si continuava nella morte, la quale non gli appariva che come una trasformazione della vita. Anzi ci narrano i coe- tanei come egli investigava la natura nella morte.  Vi-  veva le intere giornate sui cadaveri tanto da portarne  stemprato lo stomaco.  Ma nella morte studiava gli aspetti diversi, i misteri della vita, che infondeva poscia nelle sue opere ri traendone, non che il corpo, lo spirito immortale. IV. E lo spirito, o meglio il pensiero interno conviene inda- gare in ogni suo lavoro, anche pi che il meccanismo della forma. Nellartista scoprire il pensatore ed il filo- sofo. Cercare questo pensiero, e con esso penetrare pi innanzi, che non ci consenta la letteratura e la stessa filo- sofa, il concetto di riforma morale e sociale che agitava allora l Italia e usciva dalle viscere stesse del Rinasci- mento,  lo scopo che proponemmo a questo nostro stu- dio. Questo pensiero, come accennammo,  ravvolto come d'un velo, dun simbolismo arcano nelle sue opere. Solita- la mente di Michelangelo. il 162 PARTE QUARTA rio, sdegnato d una societ corrotta, o frivola, o codarda, raccolto in s, circuito da invidiosi o da nemici, che lo rendevano cautissimo, egli soleva chiudere i suoi pensa- menti nel profondo del cuore, costretto spesso a celare e dissimulare la sua fede, che si rivela a lampi, sia in al- cune delle sue parole, sia nelle grandi opere darte, le quali sorgono come un mistero innanzi agli occhi de suoi coe- tanei, e stanno innanzi a noi come una sfinge che attende il suo Edipo. E tal segreto non riveleranno solo le opere darte da lui condotte, ma le sue abitudini, gli studii e lambiente intel- lettuale e locale nel quale  cresciuto, e in cui si vennero formando e maturando i suoi convincimenti. Le letture, che altri predilige, ci svelano luomo: Simili similia, spesso si cerca s stesso, lo specchio, la parola dei propri affetti nel libro. Il libro  il riflesso dellanimo. Nel romanzo prediletto trovi spesso la tendenza della donna, e diremmo, il modello a cui vorrebbe accostarsi il giovane. Se coi nostri costumi, nellet moderna, il libro diviene spesso un trastullo per ingannare il tempo e la noia, o per istordirsi, tal che si legge molto, si scrive troppo, e non si pensa punto, nelle et antiche invece si leggeva poco, si scriveva meno, si pensava molto; e sui libri, po- chi e sani, luomo di genio foggiava il suo carattere. Tre libri predilesse il Buonarroti, ed aveva fatti compagni in- separabili ne suoi viaggi, nelle sue solitudini, nel suo la- boratorio: la Bibbia, il poema di Dante, gli scritti del Sa- vonarola. A questi possiamo aggiungere le opere della filosofia platonica alessandrina, da lui imparata e profes- sata sino dalla prima giovinezza, di cui vediamo le traccie lartista. 163 ne suoi scritti e nelle poesie che iva dettando pi per se stesso, per bisogno del suo animo, che per altri, e sopra- tutto per isfogo dei suoi pensieri, e per sollevare e rinfre- scare la sua mente nelle ore di ozio e riposo. Ora, nessuna di queste tre opere era ben accetta alla Curia romana. La Bibbia, lantico come il nuovo Testa- mento, erano libri quasi ignorati dal popolo italiano; non si conosceva di loro che quanto andava dicendone il clero di Roma; la lettura non era permessa (1) che sulla tradu- zione della Vulgata e coi commenti teologici, che spesso corrompono, velano il senso originale e lo tradiscono. V. Il Cristianesimo aveva bens trionfato del mondo antico, ma pi di nome e di apparenza, che nelle idee e nella so- stanza. Era divenuto nella forma una continuazione di Pagane- simo in parte peggiorato. E nella sostanza nessuno de vi- tali principii filosofici e sociali, banditi dallantico Testa- mento e dal nuovo, erano stati accolti, tradotti nella vita sociale ed applicati. La parola biblica ed evangelica sa- rebbe suonata come condanna inflessibile alle abitudini, ai maneggi della Chiesa e dellImpero; per venne vietata, soffocata, confiscata solo in quanto tornasse a vantaggio della Chiesa regnante e militante. Cos, a cagion desem- pio, la Bibbia, nelle istituzioni mosaiche, era avversa al (l) Gregorio IX e diversi Concilii, dopo di lui, decretarono, che nissun laico potesse leggere i libri santi in lingua vulgare sotto pena des- sere scomunicato e perseguitato dallInquisizione come eretico. 164 PARTE QUARTA dominio della teocrazia, il sacerdozio veniva dalla legge confinato ad una casta rilegata al tempio, limitato ad una sola famiglia, ed i Leviti erano tutta una trib dedicata ad istruire le plebi: insegnanti pubblici e maestri. La Chiesa invece, cercando alle sue istituzioni un appoggio nella so- ciet ebraica, fece credere che i Leviti fossero sacerdoti, e fond su questa erronea interpretazione il dominio teocra- tico della Chiesa. Samuel, che unse a re Saul, era profeta, uscito dal popolo; ed essa ne fece un sacerdote, una specie di papa che corona limperatore. Nella societ ebrea lugua- glianza sociale era fondamento alla citt, un Dio uno, un popolo uno, uguale, quindi nessuna casta o classe privile- giata: tutta la societ del medio evo invece era fondata sulla disuguaglianza, sul dualismo, Impero e Chiesa; sulla trinit, feudalismo, baroni e sudditi. La legge, la giustizia sociale era la vera religione, o vincolo che univa trib e famiglia e individui in Israele; alla legge scritta e alle isti- tuzioni dirette a provvedere ai bisogni civili e positivi del popolo, si sostitu una legge mistica, ideale, in opposizione sempre della realt, che predicava un mondo oltre umano, e condannava il mondo terreno; la vera societ era fuori e sopra le leggi sociali, era rappresentata dalla Chiesa; la vera vita era nella morte, o oltre tomba; la vita non era che una prova, la terra non era che un passaggio, la so- ciet civile, operosa, vivente veniva immolata alla Chiesa, che viveva appartata, in ozio e fuori di essa. Avvedendosi della contraddizione che correva tra i suoi ordinamenti ed i postulati biblici, essa predicava che la Bibbia doveva essere interpretata dalla Chiesa, n pote- vasi leggere dai secolari, e che essa rappresentava la legge materiale e temporale, mentre alla Chiesa spettava sosti- lartista. 165 tuirvi la spirituale e mistica. Ma questa ad un tempo con- fermava i privilegi di pochi eletti, e le violenze sulla terra, facendo lampeggiare la speranza di felicit mistiche, remote e rilegate oltre il sepolcro. Quei principii di giustizia politica e di leggi pratiche, che lantico Testamento aveva voluto tradurre in istituzioni so- ciali ed applicare nei consorzi umani, Cristo, san Paolo e alcuni dei primi cristiani avevano elevati ad alte massime morali e sociali, per applicarle nelle comunanze cristiane, generalizzandole per diffonderle nel mondo dei gentili, e farne la sostanza del Cristianesimo, ovvero la forza, la ragione dessere del Messianismo. Cos essi popolarizza- rono nel mondo greco-romano, quei principii nati, cre- sciuti, fecondati nel seno della societ ebrea, quali sono la redenzione, la libert reale, individuale, e non mistica, leguaglianza sociale, la giustizia, la carit e la fratellanza umana, presentando di essi siccome tipo umano ad un tempo e divino, il figlio di Maria. Ma trascorso quel primo e mirabile periodo dellesplo- sione del vero Messianismo redentore r tutto fu mutato e quasi tutto fu falsato. Forse i tempi non erano maturi per la loro esplicazione ed applicazione in mezzo ai popoli appena usciti dal Paganesimo; forse convenne transigere colle condizioni sociali esistenti, cedere a bisogni reali e ideali, che le miserie dei tempi avevano fatto sorgere, e a queste considerazioni venne sagrificata lidea, il principio immolato al successo. Allora alla dottrina di Cristo si so- stitu la leggenda di Cristo; al vero Cristianesimo o Mes- sianismo la Cristologia; alla Croce, segnacolo di pace e di martini pazientemente sofferti e di redenzione, si sostitu il Labaro collaquila e la spada della guerra e della con- 166 PARTE QUARTA quista; alla diffusione del Cristianesimo colla persuasione, coHinsegnamento, collesempio dabnegazione e di martirio, le violenze, le oppressioni, ed i martiri si mutarono in car- nefici. Gli Ebrei, che pi non potevano riconoscere, nella stta uscita dal loro seno, il vero Messianismo, si allontana- rono sempre pi da lei; la scissione tra la nuova dottrina e lantica si fece pi radicale e larga. I filosofi e i razio- nalisti alla lor volta si staccarono sempre pi da una dot- trina, che aggiungeva nuove superstizioni alle tante del- lantichit, e la Bibbia, la quale era come una protesta contro il nuovo sistema, e sorgeva a testimoniare contro di sso, venne vietata ai credenti; e allora pullularono ogni sorta di eresie, che con mille forme scissero la societ re- ligiosa e laica. La Chiesa e lImpero, divisi fra loro per cupidigia di regno, si trovavano sempre uniti per combat- tere la libera ragione, per reprimere e soffocare leresia. Queste lotte insanguinarono lOriente e lOccidente. Nella loro storia  contenuto e si esplica tutta la storia del pen- siero e della civilt moderna. Noi vediamo det in et elevarsi spiriti generosi a protestare contro il falso Cri- stianesimo, e pontefici, imperatori e re unirsi a soffocarne le voci.  questo un lungo martirologio che si apre sino dai tempi di Costantino, e si prolunga det in et sino a noi. Tutti i grandi eresiarchi, che si successero in Italia da Ar- naldo a Savonarola caddero, ma il loro spirito sopravvive ad essi. La Bibbia, l'Evangelo si falsarono invano, non si poterono sopprimere, e con essi vivono, si propagano i principii, che portano in seno. lartista. 167 VI. Il Rinascimento classico, come gi notammo, sorse ge- mello col Rinascimento biblico. Fu una doppia rivelazione e risurrezione (1). La Curia romana aveva proibita la Bibbia? Sorge la stampa a riprodurla a milioni di esem- plari; innumerevoli edizioni latine si fecero in pochi anni di questo libro, a cui, come dice Michelet (2), da secoli luma- nit obbediva senza conoscerlo; le traduzioni nelle lingue europee si succedevano; la Germania ne ebbe diciassette in pochi anni. Innanzi alla parola biblica dellantico come del nuovo Testamento, si ecclissano quelle dei glossatori, dei predicatori, e degli scolastici della Curia romana. Tutti cercano nelle fonti vive e primitive la parola redentrice. (1) Intorno allimportanza che acquistarono in Italia nel XVI secolo gli studi biblici e sui diversi modi d interpretarne i fatti storici, le parole, rimandiamo ancora il lettore all erudito e notevole capitolo del Villari, su questo argomento nella Vita del Savonarola, voi. n, pag. 114.  A forza di studio e di meditazione essa (la Bibbia) aveva  cessato di essere per lui un libro, era divenuto un mondo vivo e  parlante, un mondo infinito in cui trovava la rivelazione del pas-  sato e dellavvenire... Vi trovava come il microcosmo dellumanit,  lallegoria di tutto, di tutta la storia del genere umano... Oltre al-  linterpretazione letterale, egli ne faceva altre quattro sopra quasi  ciascun passo della Bibbia, ed erano: spirituale , morale, allego-  rica ed anagogica .  La Bibbia, come  noto, era il libro favorito di Michelangelo, il suo compagno fedele; discepolo del gran frate, egli ne suoi dipinti non si arrestava a ritrarre il fatto storico, ma lo spirito, il genio dellepoca e il senso allegorico e morale; da ci lim- portanza filosofica dogni opera del grande artista. (2) La Renaissance, xc. 1C8 PARTE QUARTA Singolare dote dellantico Testamento  quella di plasmare caratteri energici, elevati, interi, dempirli dun fuoco sacro, che si propaga, si comunica; dote del nuovo Testamento di temprare quest ardore con parole di carit, damore, dabnegazione; e questi libri meditati nelle loro forme pri- mitive, produssero quella Riforma in Germania, in Inghil- terra, in Olanda, che da secoli covava e maturava, ben pi radicale e razionale, in Italia. La storia della riforma religiosa in Italia  ancora da farsi, n si potranno riempire i molti vuoti, le incertezze che presenta, se non quando potremo penetrare gli archivi vaticani che ne serbano il segreto, e scrutare le denunzie ed i numerosi processi per eresia accumulati nelle biblio- teche principali dItalia. Roma aveva cento occhi aperti in ogni citt, in ogni villaggio, in ogni casa; vigilava, spiava, e appena nasceva un sospetto deresia colpiva, imprigio- nava, alzava roghi, ne soffocava la voce. Malgrado la vigilanza ecclesiastica, in tutta la storia d Italia noi pos- siamo seguire le vestigia di questo movimento religioso, ma in gran parte le fila principali si nascondono fra i misteri delle societ segrete. I sodalizi religiosi, in varie provincie, si confondono colle accademie filosofiche e colle societ ghibelline antispagnuole e politiche. Esse avevano i loro concili, i loro gerghi segreti, i loro ritiri misteriosi per sottrarsi alla vigilanza ecclesiastica e civile, e non si rivelano che a lampi, e per chi sa comprenderli. Noi sappiamo che le citt italiane erano nel secolo de- cimoterzo e quarto piene di Paterini, di Templari, di Ca- tari; che i Ghibellini stessi non erano solo un partito poli- tico, ma religioso e antipapale; le loro idee si ravvolgevano in un gergo, noto solo agli affigliati. Forse Gabriele Ros- L'ARTISTA. 169 setti, nelle varie sue opere, esager nella interpretazione dei nostri poeti e prosatori di quei secoli, volendo ritro- vare in tutte le poesie, le novelle, i poemi, da Dante e Boccaccio, al Bajardo e all Ariosto, il gergo antipapale; ma certo vi ha di molto vero nelle sue interpretazioni; perocch molti di questi scritti, ove non coprissero un significato segreto, o riescono inintelligibili o sembrano parto di menti inferme (1). Lo spirito antipapale di Dante non  pi un mistero; invano si vollero interpretare in senso ortodosso le sue allegorie, far credere, merc com- menti foggiati da Roma, o dentro i claustri dei conventi, che alludesse ai peccati capitali e alle virt teologali, nelle audaci sue allegorie politiche; si tent scambiare con fred- (1) Tali sono : la lettera da Dante diretta ai principi per la morte di Beatrice, VAmeto, la Fiammetta del Boccaccio, le Egloghe di Pe- trarca, e il suo libro intitolato Segretum meum, le opere di Cecco d Ascoli, di Frizzo e altri. Gli scritti del Rossetti, pieni di erudizione e di vedute profonde e pellegrine, furono stampati a Londra, e quasi pi non si trovano ; pare che una mano misteriosa o la setta gesuitica si adoperi per ritirarle dalla circolazione; i numerosi manoscritti da lui lasciati, ci venne asserito siano stati abbruciati dalle sue figlie, le quali divennero istromento del partito nero. Da gran tempo io mi adopero perch venisse ristampato in Italia \ Commento Analitico di Dante, e alcune delle sue opere principali, ma sinora non ho potuto rinvenire un editore italiano, che vi si sobbarchi.  da desiderarsi che in Italia si facciano meno monumenti di marmo ai nostri grandi estinti, e si ristampino e propaghino le loro opere dove essi vivono veramente. Ma in Italia, e sopratutto nei giorni che corrono, la vanit soverchia la realt, le finzioni tengono luogo delle idee. Si sperava di rifare una Italia giovane, ed  senile, forte ed  fracida e pettegola; credevamo trovare Roma in Roma, ed  Bisanzio con un Basso Im- pero bassissimo. 170 PARTE QUARTA dure scolastiche o rettoriche, i grandi concetti religiosi e morali coi quali fulmina i vizi della Corte romana, e pre- nunzia la riforma negli ordini religiosi e la caduta del potere temporale. Merc i lavori eruditi e profondi del Foscolo, del Rossetti, ed il nuovo spirito di libert che percorre lItalia, gi si comincia a veder chiaro nel parlare oscuro , o nei versi strani dello sdegnoso Ghibellino; nel poeta si svela il riformatore religioso. E Dante era, dopo la Bibbia, il libro prediletto di Buo- narroti, e molti de suoi simboli vennero ispirati dal divino poema, a cui egli aggiunse, completandoli, quei concetti, a cui il lungo studio e il movimento religioso e filosofico dellet, aveva elevato la sua mente. VII. Fra le diverse stte religiose e scuole filosofiche, che miravano a suscitare una riforma religiosa in Italia, aveva, gettate pi profonde radici nel nostro suolo, quella iniziata in Calabria da Joachim da Flora, che predicava YEvan- gelo Eterno. Era ad un tempo la pi radicale ed elevata, e la pi temuta, per cui i seguaci eran costretti a celarsi nel mistero. Questa eresia era nata nei conventi della Ca- labria sino dal duodecimo secolo; combattuta invano e perseguitata da Roma, perdura, si diffonde dalle Calabrie, gettando propaggini nelle altre parti dell Italia Centrale e Superiore. Raccoglie numerosi seguaci negli stessi con- venti, e molti Francescani e Domenicani se ne fanno apo- stoli ardenti, e di convento in convento, di terra in terra, ne diffondono la dottrina nella Romagna, nellUmbria, nella Toscana, e da essa partono le prime scintille, che poi ac- lartista. 171 ceser le menti dei numerosi riformatori usciti dai sodalizi di Francescani, Domenicani, Capuccini sparsi in Firenze, Lucca, Siena, Venezia. La dottrina predicata dai seguaci di Joachim era assai pi radicale, che non quella che diffondevano i riforma- tori tedeschi e svizzeri. Vi si sentiva il genio di una ci- vilt pi avanzata, il concetto chiaro e purificatore del vero Cristianesimo; ma appunto per esser troppo elevata e spesso mistica, non rispondeva ai bisogni sentiti dalle mol- titudini, e mentre era pascolo di poche intelligenze elette, non pot penetrare nelle masse, e si limit ad una generosa utopia, che i tempi non erano ancora preparati e maturi per tradurre in realt, e farne fondamento alla nuova Chiesa (1). Questa dottrina predicava, che l'antico e il nuovo Testa- mento avevano compiuto il loro tempo.  L Evangelo (di-  cevano i seguaci di Joachim da Flora) non  il vero  Evangelio; dibatti non seppe edificare la vera Chiesa, n  condurre il mondo alla perfezione... n produrre la sa-  Iute del genere umano... La Chiesa greca, dicevano,   Sodoma, la latina Gomorra... La dottrina di Ges non   definitiva, n per suo mezzo il regno dello Spirito Santo  pot essere fondato.... Il regno spetta allEvangelo Eterno  che sar predicato a tutti i popoli...  Al regno del pa-  dre e del figlio deve succedere quello dello Spirito Santo (1) Infatti, se solo nei nostri tempi, dopo cinquecento anni, il po- polo nostro comincia a comprendere ed apprezzare Arnaldo da Bre- scia, quanto tempo correr prima che sappia levarsi al concetto ra- dicale di Joachim che abbatteva lantico domma, e mirava a fondare la nuova Chiesa ? 172 PARTE QUARTA  che sar quello della scienza. Invece del falso pontificato  dovr elevarsi un pastore evangelico che far fiorire in  tutta la terra l Evangelo Eterno; sorger una nuova re-  ligione libera e spirituale.... in cui il romano pontefice  dominer spiritualmente sopra ogni gente dalluno al-  laltro mare.  Nei numerosi scritti dei seguaci di Joachim, si riscon- trano frequenti allusioni politiche, che sono governate da uno spirito solo, il quale ne forma la unit, cio lavversione alla Corte di Roma, che  paragonata come nel Canto xm del Purgatorio, alla prostituta de\Y Apocalisse, e il ponte- fice, identificato allanticristo, si propone di predicare un nuvo Evangelo, il quale in s accolga la morale universale per tutti i popoli e per tutti i tempi. Limperatore vi  rap- presentato come loppressore dItalia, e si palesa chiaro nei numerosi scritti della stta, che lo scopo cui mira,  di produrre una riforma radicale nella Chiesa e fondare un nuovo Cristianesimo.  questa la dottrina, che potremo appellare nata in Ita- lia, la riforma autoctona col Genio nazionale. Ne troviamo i germi diffusi in ogni provincia, propagati in gran parte dagli stessi frati di terra in terra, dalla Calabria al Pie- monte. Bastici fra gli altri ricordare frate Salimbeni, Gio- vanni da Parma, Leonardo, Giovanni, Labertini da Casale, fra Dolcino da Novara, e molti Francescani e Domenicani dogni provincia d Italia. Perseguitati in ogni dove, gli af- figliati assumono forme diverse; quale si limita a svolgere e predicare la parte politica della dottrina, come Arnaldo; quale la parte sociale, come fra Dolcino; quale la religiosa e filosofica; sinch la dottrina trasse nuovo vigore e in- cremento dal Rinascimento classico e biblico. Cominci a lartista. 173 vedersi un principio del loro trionfo nella Riforma luterana, che essi avevano preconizzata da due secoli, e le numerose stte religiose, che serpeggiavano presso di noi, cercarono imprimere certa consistenza e unit alle nuove dottrine. A fianco alle stte religiose, sorsero nel secolo decimo- quarto le filosofiche. Sino dalla met del secolo decimo- quinto nelle universit di Bologna, di Padova, di Mantova, si agitavano i pi arditi e delicati problemi filosofici e re- ligiosi; ma verso la fine del secolo, vero centro del movi- mento filosofico era divenuta, come gi si disse, Firenze, e le varie scuole filosofiche vi presero il maggior svi- luppo e incremento, appunto nel periodo delladolescenza e giovinezza di Michelangelo. Quivi si discuteva liberamente sulla rivelazione, sulla religione suHimmortalit dellanima, sulla Provvidenza divina; la citt traboccava di vita intel- lettuale. Tutto questo lavorio recondito ad un tempo e pa- lese riesciva ad un eclettismo filosofico religioso, per far concordare Platone con Aristotile, ad indagare nei misteri della teologia pagana la parentela e comunanza colla teo- logia mosaica e cristiana. Nella Cabala e nei libri della filosofia segreta ed orale degli Ebrei indagavano lorigine e lo svolgimento della dottrina e dei misteri fondamentali della fede cristiana; per cui la Cabala, o filosofia segreta degli Israeliti, contenuta nello Zoar (Libro della luce), di- veniva la chiave per aprire i misteri del Cristianesimo e pervenire alla vera fede. Ardente propugnatore di queste dottrine fu  - come ve- demmo  il Pico, il quale voleva dimostrare che Cristo e Mos non avevano usato che parabole, figure e allegorie per potere essere compresi dalle moltitudini; avvolgendo, come Pitagora e i Savi egiziani, di un velo i sommi veri 174 PARTE QUARTA che trasmettevano oralmente a pochi iniziati.  Le reli-  gioni antiche, come la mosaica e la cristiana, avevano  per Pico (dice col suo solito acume, riassumendone la  dottrina, il Berti) un doppio significato, il volgare ed al-  legorico, ed il filosofico e recondito. Nel significato vol-  gare si discostavano le une dalle altre, nel filosofico si  confondevano tutte insieme. Per tal modo la Teologia  cristiana si trasformava in un razionalismo mistico e  indefinito, qual quello dei Neoplatonici di Alessandria e  dei Neoplatonici di Firenze.  E questo era infatti lo intento, al quale miravano le grandi scuole religiose e filosofiche del Rinascimento ita- liano. Ben  vero, come nota con soverchia timidit il Berti, che tal dottrina avrebbe avuto per risultato, la ne- gazione del Cristianesimo ; ma avrebbe fondato, con buona venia del mio illustre amico, una dottrina ben pi feconda e comprensiva, la religione deirUmanesimo, che sarebbe lul- tima e grande parola dei due grandi sistemi, i quali sotto di- verse forme, riescono ad un risultato identico (1). Da un lato il Razionalismo filosofico, che si insinua negli ordini re- ligiosi, dallaltro il Razionalismo politeistico e umanistico, che ispira la letteratura e le arti; luno, che scaturisce dalle vere sorgenti della Bibbia, e fonda l'E vangelo Eterno; lal- (1) Con Pomponazzi e la Scuola bolognese, una dottrina libera e audace veniva propagandosi sulle religioni. Anche le religioni, egli in- segna, nascono, crescono e muoiono, per necessaria vicenda causata dai rivolgimenti degli astri, e dalle vicende storiche. Anche la cri- stiana  soggetta a questa inesorabile legge, e il filosofo bolognese ne prenunzia prossima la fine dallo intiepidirsi della fede, e dal dira- darsi dei miracoli. Quare , et nunc in fide nostra omnia frigescunt, miracola desinimi... nam propinquus ctdetur finis. L ARTISTA. 175 tro dall antichit classica, e ispira le arti, le lettere, le scienze, e convergono nella dottrina dellUmanismo. Queste idee, che si diffondevano negli ultimi anni del se- colo decimoquarto e nei primi del decimoquinto, non spa- ziavano nelle sfere dellastratta speculazione, n si arre- stavano a pure teorie, ma si tentava di tradurle in sistema e applicarle; si fondavano Accademie per meglio discutere le dottrine platoniche e pitagoriche e ordinarle a sistemi; e, dietro le Accademie, si costituivano le societ segrete per applicarle nella vita civile. Allapparenza, per fuggire noie, si continuava a professare il Cattolicismo, nel fondo si era scettici o pagani, o si tendeva ad una riforma radicale, a rinnovare la Chiesa. Per Roma non si lasci mistificare; condann le Tesi e i libri di Pico, fece chiudere molte delle Accademie pla- toniche in Roma e in altre citt d Italia, e soffoc nel suo germe la dottrina nascente. Vili. Intanto limpulso era dato; lo studio della filosofia, del- lantichit classica e della sacra, la passione per le discus- sioni speculative e per le arti, tutto spingeva ad un movi- mento rinnovatore. La parola del Savonarola, che da Fi- renze si diffondeva in ogni parte d'Italia, annunziava che i giorni di questa grande rinnovazione si avvicinavano. Nelle sue prediche, ne suoi libri, egli si professa cattolico e non parla di donimi, non segna i termini della riforma, non sottilizza sulle dottrine; ma la sua parola infiammata mirava piuttosto a suscitare il sentimento religioso sopito o soffocato o falsato in Italia; egli tende a ridestare la co- 176 PARTE QUARTA scienza morale pervertita, a richiamare in vita la sempli- cit, la morale evangelica (1); flagella i vizi, si leva contro le corruttele delle alte classi, e appoggiando la riforma reli- giosa alla politica, ispirandosi allantico Testamento, rico- stituisce il regime popolare e repubblicano in Firenze. Sa- vonarola fu arso il 23 maggio 1498, ma le sue ceneri erano calde ancora quando in Germania si levava Lutero e spie- gava la bandiera della Riforma, che il Papato credeva aver abbattuta e arsa sul rogo in piazza della Signoria (2). (1) Savonarola, scrive il Villari nella sua bellissima Storia del Sa- vonarola, fu primo assentire che si avvicinava un grande rinnova- mento pel genere umano, che i popoli dovevano ritemprarsi in un nuovo sentimento religioso; rammenta che labate Joachim predisse questa rinnovazione.  Il Signore, egli predicava al popolo fioren-  tino, vuole che rinnoviate ogni cosa, che distruggiate tutto il passato,  che non resti nulla del cattivo governo... E tu, popolo di Firenze, in-  comincierai in tal modo la riforma di tutta Italia, e spanderai su lali  per tutto il mondo per portarvi la riforma di tutti i popoli...  Parole terribili pronunzia contro Roma:  Apparecchiati, egli tuona, che la  tua bastonata sar grande, o Roma, tu sarai cinta di ferro, tu an-  drai a spade, a foco e fiamme... Italia, tu sei inferma di una grave  infermit... Roma tu sei inferma di una grave infermit. Tu hai  perduta la tiyi sanit, ed hai lasciato Iddio, sei inferma di peccati, e.  tabulazioni... Abbasser i tuoi principi, e far cessare la superbia  di Roma. Voi siete corrotti in tutto. Fuggite da Roma, fuge, Sion,  qui habitos apud silicem Babilonis. Fuggite da Roma, perch Ba-  bilonia vuol dire confusione; e Roma ha confuso tutta la Scrittura,  ha confusi insieme tutti i vizi, ha confuso ogni cosa. Fuggite dun-  que da Roma. Tornate a penitenza.  (Prediche del Savonarola so- pra Amos e Zaccaria). (2) Cosi il giorno 23 maggio 1498, si vide in piazza della Signoria costruito un gran rogo, all estremit dei quale sorgeva una croce, alle cui braccia furono impiccati i tre frati, il Savonarola nel mezzo, gli altri due dai lati.  (Villaiu, N  Macchiacene, voi. i, p. 299). lartista. 177 In Lutero l Italia vide avverate le profezie del frate. Aspettata, preparata da lunga mano, la Riforma fu salu- tata in Italia come un evento provvidenziale. Guicciardini stesso, che aveva veduto ardere il Savonarola, scrive nelle sue memorie che, ove non lavessero trattenuto riguardi personali verso due pontefici, alla cui grandezza ha do- vuto affaticarsi, amerebbe pi Martino Lutero che s me- desimo,  perch spererei che la sua stta potesse rovi- ne nare, o almeno tarpare le ali a questa scellerata tiran-  nido dei preti. * Le semenze della Riforma, deposte nel nostro suolo da lunga et, riscaldate ora dalla terribile parola del Rifor- matore tedesco, non tardarono a fruttare. In molte citt si formarono comunit cristiane per occuparsi di riforme re- ligiose, fissarne i principii e le dottrine. Varii focolari ci sono dagli storici segnalati, dai quali irradiavano le idee dei novatori. Uno a Venezia, dove era consentita maggior libert di pensiero, laltro in Savoia, ove regnava Marghe- rita, sorella di Francesco, e amica di Calvino; laltro, come vedemmo, a Ferrara, ove Renata di Valois manteneva con- tinue relazioni con Calvino e ne professava pubblicamente le, dottrine; e altro a Napoli, ove le dottrine filosofiche pi audaci si alternavano colle riforme religiose propagate dal Valdes. Lo spirito innovatore si fece strada in Roma stessa e assumeva il nome di  Oratorio dellamor divino.  Qui si cercava di trovare una conciliazione coi luterani, e rie- scire a quella rinnovazione della Chiesa, che da due secoli era predicata e annunziata in Italia. E gi uomini notevoli per dignit, per posizione sociale e per dottrina, speravano poter raggiungere lo scopo anelato, quando ai pontefici moderati, prudenti e dotati dalto e largo pensiero, succes- sa mente di Michelangelo. 12 178 PARTE QUARTA sero i pontefici rigidi e talora feroci, e col Caraffa pre- valse il partito della grande reazione cattolica e dell In- quisizione. A fronte del nuovo sistema di terrore, che inaugurava il Cattolicismo, vediamo succedersi in Italia, a breve inter- vallo di tempo, due fatti che chiudono, in certo modo, il movimento riformatore, e ne determinano presso noi il concetto: uno artistico, laltro religioso. Nel Natale 1541 si scopriva in Roma il Giudizio Universale di Michelangelo; nel 1545 si raccoglievano in Vicenza quaranta persone no- tevoli per nascita, per influenza sociale, insigni per dot- trina, collo scopo di conferire su materia religiosa e fissare le fondamenta della riforma corrispondente ai bisogni e al- lindqle del popolo italiano. Intervennero a questa riunione il celebre Ochino, Gentili, Giulio Trevisan, Socino e altri, e gettarono le fondamenta dell Unitarismo. Scoperti e accusati al Tribunale dellIn- quisizione, alcuni di essi vennero torturati, dannati alle pri- gioni o allestremo supplizio, altri poterono salvarsi colla fuga, e, come Ochino, Gentili, Soccino, Biandrate, valicarono le Alpi cercando rifugio in Germania, nella Transilvania, in Ungheria, in Svizzera e in Inghilterra; e, come nel no- stro secolo vedemmo i Santa Rosa, i Mazzini, i Ruffini e l'eletta dei nostri emigrati, propagare nell Europa i prin- cipii di libert e dindipendenza nazionale, cosi nel XVI se- colo gli esuli italiani propagarono in Ungheria, in Tran- silvania, Polonia, Olanda, Inghilterra i principii dellUnita- rismo, che ora negli Stati pi civili dei due mondi divenne l'espressione pi elevata della riforma religiosa nel Cri- stianesimo. lartista. 179 IX. Noi ci siamo soffermati pi che non convenga al nostro soggetto intorno a questo punto storico, non tanto per ri- chiamare F attenzione del Paese sopra questo movimento intellettuale e religioso iniziato dal Rinascimento, quanto per meglio far conoscere lambiente morale che si andava formando in Italia, e a cui s ispirava il pensiero di Mi- chelangelo. Antico seguace di Savonarola, cresciuto nella scuola di Marsilio Ficino, di Pico, di Poliziano, egli non po- teva a meno di tenere dietro a questo movimento riforma- tore, che gi era stato vaticinato dal frate in sul finire del secolo decimoquinto, e che prorompendo nella prima met del decimosesto, scuoteva Francia, Italia, e in breve aveva scissa met dEuropa dalla Chiesa romana, e mirava a fondare un nuovo Cristianesimo. In Italia, le nuove dot- trine combattute dalla violenza, dai sospetti, dal terrore, del potere ecclesiastico unito alla potest civile e politica, non pot gettare larghe radici. Coloro stessi, i quali le professavano in segreto, erano costretti a smentirsi negli atti e a praticare il culto cattolico. Anzi era vezzo in Roma stessa seguire scrupolosamente le forme, mentre si criti- cava -il domma, e si volgevano in ridicolo le istituzioni. La Chiesa se ne contentava, purch si rispettassero le apparenze.  In quel tempo, scrive il Caracciolo nella Vita di Paolo IV,  non pareva che fosse galantuomo e buon cortigiano colui  che dei dogmi cattolici non aveva qualche opinione er-  ronea ed eretica.  Pochi avevano il coraggio della propria opinione. Le 180 PARTE QUARTA persecuzioni, l'intolleranza religiosa, mentre scemano forza e sincerit al vero sentimento religioso, creano lipocrisia, la vilt da una parte, il libertinaggio, lo scetticismo dallal- tra. E quellepoca infatti segna un nuovo grado di deca- denza nel carattere italiano, che si riflette nelle lettere e nelle arti. La reazione e il terrore cattolico anzich rialzare la religione e insieme con essa la forza morale nella nostra societ, logor, fiacc i caratteri, e aggiunse alle antiche corruttele la simulazione e un vacuo pietismo. Pochi ave- vano il coraggio delle proprie opinioni; si passava dal pie- tismo al libertinaggio, dall'ortodossia allo scetticismo, al- lepicureismo come dal confessionale agli assassinii. Il genio pi poetico, passionato, elevato che vanti lItalia, Torquato Tasso, canta le armi pietose, e diviene pietista e ortodosso; Pulci  materialista e ateo; Ariosto scettico, umorista, e si crea un mondo ora fantastico, ora troppo reale, mentre il volgo de' poeti nella seconda met del secolo sedicesimo sar vieppi frivolo, vacuo o licenzioso. Le arti plastiche, che in quest'et salirono ad una perfe- zione non pi raggiunta, coi Ghirlandajo, coi Gian Bellini, coi Lippi e col Raffaello stesso, lusingano i sensi, parlano alla fantasia pi che al pensiero. I dipinti di Raffaello, che fu ed  il vero genio della pittura, se si eccettuano la stupenda Storia di Psiche e la Scuola d Atene, sono me- ravigliosi di forma e colorito; si mostra per lo pi pittore ortodosso e ufficiale, straniero ai movimenti filosofici del secolo, egli non vede che l'arte. Uno solo si leva sovrano fra queila pleiade di sommi artisti, e rappresenta il pen- siero filosofico e religioso dellepoca in tutta la sua gran- dezza e verit, ed  Michelangelo; ci che non os o non pot la letteratura, oser, per virt di quel grande, larte. l'artista. 181 X. Larte fu sempre la coscienza, la parola vivente dItalia. La nazione  da dieci secoli oppressa dalla triplice tirannia imperiale, ecclesiastica e locale, le quali si danno la mano; si reggono a vicenda per soffocarne il pensiero, e vietarne le libere manifestazioni nellordine politico, nel religioso e scientifico. La coscienza nazionale, che nessuna forza pu mai violare e sopprimere, cerc sempre altro mezzo per manifestarsi, per esprimere i suoi dolori, le sue speranze, le aspirazioni, le ire ; abbiamo veduto come i Catari, i Ma- nichei, i Troveri, i Ghibellini nei secoli decimoterzo e quarto ricorressero al parlare segreto , al gergo settario, al lin- guaggio velato. Talora ricorrevano ai simboli antichi e classici, come vediamo in alcuni scritti di Dante, nelle Eglo- ghe del Petrarca, nellAmeno e altri scritti di Bocaccio. Ta- lora adoperavano un linguaggio figurativo, tolto dai Profeti e dallApocalisse, linguaggio che si presta ad un doppio senso, interno ed esterno, isoterico ed essoterico. Natural- mente a questi mezzi si aggiunsero pure le arti plastiche pi perfezionate, nelle quali, anche durante il medio evo,  facile' scoprire un simbolismo antipapale. In tempi a noi pi vicini ricordiamo, che quando era impedita la parola, schiava la patria e la stampa, e sottoposta alla censura ecclesiastica e politica, e certi soggetti vietati alla stessa pittura, uno dei mezzi a cui ricorse il genio nazionale per manifestarsi fu la musica; e le note ispirate di Guglielmo Teli, della Norma , dei Puritani, del Nabucco e altri capo- lavori di Rossini, di Bellini, Donizetti e Verdi, furono come la voce della coscienza nazionale, manifestavano in profe- 182 PARTE QUARTA  LARTISTA tiche note i dolori, i fremiti, le passioni, che tumultuavano nel cuore del popolo. Tutti, senza parlarsi, senza essere iniziati, ne compren- devano il significato, perocch erano la nota dei tempi. Quando il Vela, artista sommo e grande cittadino, scopriva in faccia alla nazione la sua stupenda statua dello Spar- taco, ogni uomo grid: Ecco V Italia! Essa simboleggia il nostro dovere, le nostre battaglie future. Non altrimenti avvenne a Michelangelo, il quale cre- sciuto in mezzo a quel movimento riformatore, allorch la parola era vietata, tent esprimerne il pensiero e con- tinuarlo nelle sue opere darte. Questo intento era com- preso e indovinato dai coetanei. Non si ignorava che queste opere nascondevano sotto il velo dell'arte , misteri grandissimi in filosofia umana e divina , misteri, che tutti quelli che vivevano della vita dellepoca comprendevano, ma che era forza dissimulare. PARTE QUINTA LE SUE OPERE LE SUE OPERE i. Quali fossero questi misteri, noi accennammo appena nella prima parte di questi studi, soffermandoci sopra tutto a descrivere ed esaminare i dipinti della Sistina e a trat- teggiarne le figure e il lato esterno. Ora, dopo aver seguito di volo il movimento riformatore di questo secolo, che ap- pelleremo il Gran Secolo in Italia, ci giova meglio rile- varne la parte interna, il pensiero nascosto, con cui volle incarnare alcune di queste idee porgendo ai secoli futuri il nuovo simbolo, o il concetto religioso e sociale dellUma- nismo. Michelangelo al pari di Goethe (due genii i quali hanno tra loro tanti punti di riscontro) visse intera la vita del suo secolo. Ma il poeta tedesco, innamorato dellarte in tutte le sue diverse manifestazioni, nella sua olimpica se- renit, assisteva impassibile ai rivolgimenti, che sconvol- sero il suo secolo. Dallaltezza del suo piedestallo, egli mirava lo insorgere dei popoli, il crollare degli imperi, il 186 PARTE QUINTA succedersi degli avvenimenti, che trasformarono la societ moderna. Lartista italiano invece, dalle riforme predicate dal Sa- vonarola, allassedio di Firenze, ai grandi movimenti della Riforma, alle seguaci guerre politiche e religiose, si me- scol a tutte le battaglie, che si combattevano per la libert e per la patria, e quando fu costretto dalle circostanze o dalla fatalit inesorabile di forze soverchienti, a ritirarsi in disparte, tutto mir, not e medit; spettatore solitario e giudice, senti nel profondo del cuore le angoscie, gli or- rori del secolo e le lontane speranze, e di questa pas- sione dellanima scopriamo le traccie in ciascuna delle sue opere. Tutte prorompono ad un tempo dal fondo del- lintelligenza, nutrite colle lacrime del cuore. Esaminiamo alcune di queste opere cominciando dalle minori, sebbene anche queste si possono qualificare somme. Uno dei primi suoi lavori  il celebre Tondo che si con- serva nella Galleria di Firenze; esso rappresenta la Ver- gine inginocchiata, che tiene sulle braccia il bambino Ges in atto di porgerlo a S. Giuseppe. L estetica religiosa, i pietisti dell'arte cristiana, scomunicano questo dipinto. Il pio Selvatico, il quale non sa vedere nell'arte nulla al di l delle secche e compassate figure di Giotto, di Beato An- gelico, condanna solennemente questa Sacra Famiglia come opera pi che profana , e tale, non lo neghiamo, pu appa- rire al punto di veduta ortodossa. Esso infatti pi non rappresenta la famiglia mistica, fit- tizia, convenzionale, ma la famiglia reale; non pi la fa- miglia divina, ma la umana. Il medio evo, il dogma cat- tolico o meglio la sua teocrazia e disciplina, avevano distrutta, scalzata la famiglia reale; da un lato predicando LE SUE OPERE. 187 siccome stato di perfezione, il celibato, la verginit, dal- laltro sostituendo una famiglia ibrida e falsa; la chimera alla realt sociale. Alla madre, base della famiglia, ave- vano sostituito il misticismo della vergine; al fratello, il frate o il monaco; al padre naturale, un padre fittizio, il santo padre, il frate, il prete ancora; alla santit dei lari domestici, le soglie del convento, o il monastero, come alla patria la Chiesa. La famiglia era soppressa, l indi- viduo uomo o donna, svelto dalla societ operosa, dalla vita civile e laica per appartarlo, isolarlo, renderlo schiavo ed istrumento della Chiesa. Per una delle conseguenze pi feconde della Riforma che ne costitu la forza, la durata, e divenne fondamento alla civilt e grandezza de popoli protestanti, fu appunto la ricostituzione della famiglia. Perocch la societ umana suole sempre in s rispecchiare e riflettere lideale, che si forma del divino. Alla parola del prete, Lutero, sostitu quella del libro, la parola rivelata, la Bibbia, che mise nella mano di tutti.  Leggete, disse, studiate, pensate colla vostra mente.  Dopo lindividuo, rialz la famiglia. Egli consacr la religione della famiglia, la vita e santit del focolare domestico preposta al convento, la patria antepose alla Chiesa. Il genio di Michelangelo, il quale ha non solo il senti- mento della riforma religiosa e sociale, ma il presentimento della vita moderna, e che sempre combatt lequivoco, lipo- crisia, la menzogna, alla famiglia ibrida sostitu quella reale, alla vergine la madre, a quelle figure convenzionali, che pur meravigliose per contorno, per dolcezza e sem- plicit armonica di colorito e bellezza di linee, sembrano per sempre fredde, inanimate, prive di gagliardia e di vita, 188 PARTE QUINTA egli surrog figure reali, tutte vita, affetto, movimento e realt. Irreligioso pure e profano venne giudicato da critici pie- tisti il celebre gruppo della Piet. La Vergine, essi osser- vano, pi non ha qui F aureola del divino,  troppo bella e giovane per essere madre; nel Cristo, notano ancora questi zelanti dell arte cosi detta cristiana o medioevale, nel Cristo, che casca abbandonato sul seno materno, nes- suna traccia scorgi del divino; non  desso il Redentore, che deve risuscitare, in cui la morte non fu che un pas- saggio e una finzione, che anzi la morte vi  scolpita in tutte le sue membra; nulla in lui che accenni al forte che ne spezza le catene. Tutto ci  verissimo, rispetto alle teorie della scultura teologica e tradizionale, ma altrettanto falso rispetto all idea, che voleva trasfondere nei suoi la- vori lartista. Egli volle presentare innanzi al pubblico, non tanto una divinit, ma la passione di una madre affettuosa, sconsolata, che tiene sulle ginocchia il figliuolo morto, e posa e fissa su lui i suoi sguardi, e lo serra contro al seno, e cerca riscaldarlo, avvivarlo, e vuole sperare ancora! Tutto ci ha sentito il popolo romano, il quale appena terminato il celebre gruppo, accorreva affollato ad ammi- rarlo. N io posso mai soffermarmi innanzi a quella statua senza un senso daffetto pietoso, e sento ripetersi dentro di me le parole del poeta:  Non odi tu la piet del mio pianto?  Anche qui non  pi il dolore convenzionale, sfibrato, duna fede femminea e fiacca, ma un dolore elevato, ma la nobile, fiera e soave piet umanamente divina. LE SUE OPERE. 189 Con parole anche pi acerbe fu condannato il Deposito della Croce, che si ammira a Santa Maria del Fiore.  La  realt di quel Cristo  scrive Camillo Boito in un volu- metto gravido di pensieri, e ispirato a un sentimento sereno e forte dellarte (1)  con le membra stecchite, fa rabbri-  vidire. Casca davvero gi come un morto ; tutte le sue  parti tendono al basso, si sfasciano... Quello non  Ges,   un cadavere da ospedale.  E larguto critico ha ragione, quello non  il Ges teo- logico, non  pi il Cristo ufficiale del medio evo, ma  il Cristo, che volle veramente effigiare in quei giorni il sommo artista pensatore. Fu questo uno degli ultimi suoi lavori; il Cristo antico, convenzionale, falsato, si dissolve,  morto ; ma il nuovo gi si agita in fasce, cresce. Il Cristo del so- fismo, della violenza, del rancore si spegne: si desta il nuovo Cristo, il Cristo della realt, della giustizia; il Cri- sto-popolo, gi  nato, si leva in tutta la sua vigoria, l nelle pareti della Sistina. Quivi  la sua epopea, anzi lepo- pea italica del Rinascimento. IL E qui riprendendo il nostro soggetto onde abbiamo co- minciato questo studio, ci  forza rientrare nella Sistina, a meglio chiarire il nostro concetto intorno alla pi grande delle opere michelangiolesche. Fu questo l enimma forte, che il Rinascimento gett ai secoli successivi, e che tenta pur sempre i critici del secolo decimonono.  In qual ordine  si domanda Michelet nel suo spien- ti) Leonardo da Vinci e Michelangelo , presso H. I-Iepli, Milano. 190 PARTE QUINTA elido volume del Rinascimento, parlando della vlta  in  qual ordine conviene studiare questo libro sibillino?   questa una delle pi ardue quistioni che la critica si  proponga. Egli (il Buonarroti) ha durato quattro anni a  dipingerla, io durai trentanni a interrogarla; non pas-  sava un anno che io non venissi a meditare questa Bib-  bia, questo Testamento che non , n il Testamento vec-  cliio, n il nuovo, ma d'un'et sconosciuta ancora. Nata  dalla Bibbia ebraica, la oltrepassa e va molto al di l.  Ecco infatti cosa dice Castelar:  Essa sembra comin-  ciare una nuova umanit;  l'apoteosi del corpo umano << rigenerato; esseri giganteschi, straordinarii, quale fu im-  maginato nelle varie cosmogonie che uscissero fuori dalla  prima feracit del nostro pianeta appena creato e rigo-  glioso di vita... Il pensiero e lo sguardo volano dall una  all'altra di queste figure senza sapere su quale fermarsi...  Leggi tutti i Trattati del Sublime , e non riescirai a capir  bene questo concetto (1).  Lordine col quale conviene studiare quel dipinto, rico- struirne il poema, lo indica lo stesso vate col posto asse- gnato ai suoi eroi, ciascuno dei quali porta in s tutta un'epoca. I protagonisti si riducono a tre principali ed essi sono la chiave dell'enigma. A meglio significare il suo pensiero egli li collocava in sullingresso della cappella alla testata della vlta. Essi sono Aman, Giona e il Serpente di bronzo, e da essi si svolge come una triplice azione o meglio la vasta tragedia dei secoli. Gi accennammo a questi concetti nella prima parte di (1) Castelar, Ricordi d' Italici. LE SUE OPERE. 191 questo studio, ora ci si consenta di meglio chiarirli anche a costo di ripeterci. Il problema, che visitando e medi- tando questo dipinto, ci preoccupa a lungo, non  tanto lordine con cui conviene studiarlo, quanto il significato dei tre protagonisti, che dominano la scena. Intatto se egli intendeva alludere al presentimento della nascita di Ges, alla sua genealogia, come centrano queste tre figure? Quale strana idea fu cotesta di presentare da un lato la crocifissione di Aman, che non ha verun rapporto con quella di Ges, dall'altro il Serpente di bronzo, e nel mezzo, come leroe posto in cima del poema, la figura titanica di Giona che campeggia sovrano in mezzo a questa scena? Nulla faceva il sommo artista, se non dopo lungo studio e meditazione, e certo non poteva essere condotlo se non che da un profondo intendimento, perocch in lui tutto era studio, calcolo, e ad un tempo entusiasmo e genio. Cercai il significato simbolico delle tre figure e sopra- tutto di Aman nei libri cabalistici, nelle tradizioni ebraiche, come nei santi Padri, e non tardai a chiarire, che Aman personificava lodio, la calunnia, lipocrisia, la cupa perse- cuzione, egli era il ... Crocifisso dispettoso e rio  Nella sua vista (1) ...  contrapposto al vero Cristo, al crocifisso sereno, pietoso e divino (2). Il Serpente significa il vero e il falso Cristo, o (1) Dante, Purg. (2) Aman personific in s lante-semitismo, o meglio il funesto odio di razza. E per singolare coincidenza, Michelangelo, questo terribile 192 PARTE QUINTA la trasformazione del vero Cristo nel falso. Infine Giona, che si libera con sforzo titanico dalle spire del falso, per elevarsi alla libert, alla vera redenzione, alla luce. Fermata la mente su quelle tre grandi figure o simboli comprensivi, la scena si svolge ordinata nella vasta tela? allora si apre la tragedia dei secoli. La sostituzione del falso Crocifisso al vero reca i suoi frutti. L'umanit, riguar- dando al Serpente della distruzione, invece che a quello della salute, rimane oppressa, divorata, fatta a brani. Dietro loro si svolge quel seguito di figure, le quali rotte dagli scomparti delle cornici e dei costoloni, invade ogni riposto angolo delle lunette, degli spicchi, dei pennacchi. Si aggrappano in ogni parte figure varie e terribili agi- tate da passioni violenti, tutto un mondo di tormenti e tor- mentati; in essi tumultuano tempestose tutte le passioni, i deliri, i fremiti, le speranze che agitano i cuori umani ciascuno rappresenta una passione particolare, un dolore; un sentimento, e in mezzo a tanta diversit di forme e di atteggiamenti, senti uno spirito solo, un pensiero potente che le domina, agita e move.  il mare in tempesta della grande visione dEzechiello. giudice d ogni iniquit, vindice dogni ingiustizia, stampava l, nella Sistina. Aman crocefisso, nel 1508, nellepoca della grande persecu- zione degli Ebrei in Spagna, allorch centinaia di famiglie ebree, spo- gliate, torturate, affamate, fuggendo le persecuzioni della Spagna, ap- prodavano a cercar rifugio nel littorale italiano a Livorno, a Civita- vecchia, a Roma. Il grande artista mirava egli forse, dipingendo il Crocefisso dellodio, a stimmatizzare la rea persecuzione contro la razza, che diede al mondo la Bibbia e tenne viva la speranza di ogni libert nel suo concetto del Messia, che doveva elevarsi come giudice dogni violenza, quale liberatore dogni oppresso? LE SUE OPERE. 193 Tutte queste figure corrono, s attorcono, fuggono, ritor- nano  come folgore in vista, ciascuno di essi cammina  diritto davanti a s, il loro suono  simile al suono delle  grandi acque, alla voce dellonnipotente, cajnminano dove  lo spirito li move  (1); in questo mare in burrasca, i fiotti sono le onde dei popoli commossi, la tempesta, il vento impetuoso, che passa su di loro le sventure, che i secoli le oppressioni, le tirannie, i tradimenti, le ipocrisie hanno accumulato sulle nazioni. Al Crocefsso del Golgota, Dio damore, di carit hanno sostituito il Crocefsso dellodio, del rancore. D allora il Serpente alzato da Mos o dagli Apostoli simboleggiante redenzione e salute, si mut in serpe di tossico e di morte, e cominci la tragedia che insanguina e tormenta da quin- dici secoli luman genere, e trasform la redenzione in de- solazione;  il lenzuolo sanguinoso che luna et passa allaltra, e non sar lavato e purificato sinoch lumanit possa rialzarsi dal pelago d'errore e dipocrisia, in cui fu immersa, e uno spirito nuovo, quasi nuovo Evangelo, passi sulla fronte dei popoli. Non  questa lepopea duna stirpe sola e d un epoca, ma quella di tutte le nazioni e di tutti i secoli. Il pittore non sentiva solo, n pingeva gli anni terribili, che allora si aggravavano sopra l Italia, la lega di Cam- bray, le cospirazioni dei principi , imperatori e papi a danno della libert d'Italia, gli assedi, le guerre fratricide, i saccheggi spaventosi di Brescia, di Vicenza, di Prato, di Roma, ma compendiava tutta la serie di sciagure, che si versarono sullumanit dopo la caduta dellimpero romano; (1) Ezech. Cap. 1. La mente di Michelangelo . 13 104 PARTE QUINTA linvasione dei barbari, le pazzie e furori delle crociale, le tenebri monastiche e cattoliche, l Inquisizione, le guerre fratricide deirimpero e della Chiesa, che distaccarono ipo- poli del pari dalla Chiesa e dall Impero, e prepararono la riforma religiosa, nunzia delle rivoluzioni politiche moderne. A ritrarre il suo concetto, cerca i tipi appo tutti i popoli, e nei secoli: ove trovarli? La Grecia, Roma, danno dei tipi nazionali, particolari, che si incarnano nelle sibille, ma la Bibbia e i profeti porgono i tipi dellumanit. Perocch la Bibbia, per Savonarola ed i suoi seguaci, rappresentava il passato e lavvenire; era come il microcosmo dell uma- nit e delluniverso, 1 allegoria del genere umano. Adam, i patriarchi, Mos, i profeti, non rappresentano un popolo, un momento storico, un individuo, ma tutta la storia del passato, e il Messianismo futuro. Ad esso si ispir lartista, e cre i tipi generali o lepopea dei tempi nuovi. L'epopea si apre colla figura di Gionata. Egli  il nuovo Prometeo, il nuovo Apollo dei tempi futuri. E lo colloca l nel mezzo della vasta apertura alla testata della vlta. Non ha la sembianza d' un profeta, ma del Titano che emerge fuori vittorioso da una lotta di giganti. Egli pugn contro gli abissi dellonde tenebrose, e dopo lunga battaglia, risorse a respirare la luce; pugn contro le tempeste, contro lorco, che ancora tenta addentarlo nel fianco, ne esce trion- fante coi segni di vittoria sulla fronte, spezza i ceppi deller- rore, del servaggio, dellidolatria, anela alla libert, alla luce, e colla mano incrociata, col dito pollice in alto, proclama il Dio Uno. E dietro a lui ecco si leva, erto in piede, in forma colossale, il nuovo Dio, che, le braccia tese in alto, divide la luce dalle tenebre; lAdam, uomo e donna sono ricreati; su loro corre come un nuovo spirito, comincia una nuova LE SUE OPERE. 195 umanit. Adam levasi da terra, ove giace oblioso, e riconosce il vero Dio, la nuova va in un impeto damore; in s rac- colta, umilmente altera, si slancia verso il suo Dio, lama, l'adora. Il diluvio delle grandi acque, che passarono sopra la terra, va ad ora ad ora abbassandosi per cedere il luogo all'et novella. I profeti lannunziano alle sibille, la Giudea alla Persia, a Roma, alla Grecia, al mondo futuro. Tutti insieme preconizzano, maturano il nuovo Cristo. Ecco egli  nato. Ma invano quivi cercherete un segno del Cristianesimo ufficiale, del figlio di Maria, del Nazaret.  un Cristo novello, quello eh egli ha concepito, e che stampa nelle sue tele. Egli  il Cristo figlio dei profeti e delle sibille, fecondato dai dolori, dai pensieri, dalle aspi- razioni di tutti i popoli. Lo vedete l, bambino appena nato, sulle braccia materne, tra il profeta Geremia e la Persiea, che l ha concepito nel dolore, e il profeta Ezechiello, il profeta della giustizia; egli passa di profeta in profeta, di epoca in epoca sempre pi robusto, vivace, ardente, forte di intelligenza, di muscoli; qui si china a meditare la strut- tura del nuovo tempio, a tergo del vecchio Zaccaria; col ne porta la parola alle sibille Delfica e alla Cumana, alla Grecia e a Roma, indi si leva ispirato a fianco d Isaia, regge sulla testa il grande volume vergato da Daniello, che infaticato continua a scrivere. Che cosa scrive? Ci proclama il nome di Daniel, che significa Giudizio. Scrive le parole profetiche , destrues et cedifices , distruggi ed edifica, perch il falso dia luogo al vero, la molle grazia e la ipocrisia, alla sincerit e alla giustizia. 196 PARTE QUINTA  LE SUE OPERE. III. E tutto verit e giustizia  limmenso quadro che, nuova Apocalisse, dipinse dopo treni anni di dolori e di medita- zioni, l nella parete di fronte. Il fanciullo che abbiamo veduto sul soffitto  cresciuto gigante,  il nuovo Cristo denudato , quale predicavano Ochino e i grandi eresiarchi del secolo. Non  pi la con- ciliazione dellantichit classica colla biblica, di Platone ed Isaia,  la guerra, la condanna dei falsi Santi, del falso Cristianesimo, dellipocrisia, della menzogna, nel nome della sincerit, della verit, della giustizia umana e divina, la condanna di unepoca per preparare la via allaltra che si avanza. Da un lato a sinistra del Cristo, tutto  gagliardia impetuosa, smarrimento, ansia irrequieta, furore e con- danna,  come il soffio della rivoluzione che mormora e fermenta nel seno dei nepoti, e irrompe impetuosa; dal- laltro, tutto  movimento rinnovatore, una specie di risor- gimento umano, lalba di un giorno sereno che si avanza, la sicurezza, la fede incrollabile nellavvenire di giustizia e di carit, che non pu fallire. Tutta Europa, dall' Inghilterra alla Francia e Germa- nia, era in orgasmo, agitata da un movimento riforma- tore; questo movimento serpeggiava sotterraneo in Italia, ma vi era costretto al silenzio; quel silenzio ruppe, col suo pennello di ferro, Michelangelo, e l nel Vaticano an- nunzia e proclama e incide la rivoluzione, che maturano i secoli, la rivoluzione, che abbatte e che edifica. PARTE SESTA IL PENSATORE E LERESIARCA DELLARTE IL PENSATORE E LERESIARCA DELLARTE i. Fu questo il segreto della sua vita, che il grande soli- tario chiudeva nel profondo del cuore, per non tradirsi , e non essere tradito. La nuova signoria de Medici, che cupi e sospettosi dominavano in Toscana, circuiti da delatori, la reazione cattolica che prevaleva e soffocava ogni manife- stazione del pensiero, i furori dell Inquisizione che per quasi un secolo, dalla met del decimoquinto al 1540, al- lontanata o mitigata dallalto senno e nobilt danimo dei papi del Rinascimento, ora impera e infierisce sullItalia, e tenta rinnovarvi le selvagge stragi commesse in Spagna (1) (l) Fra il 1448 ed il 1515 in Spagna furono arsi trediciraille ' eretici , furono condannate a pene ecclesiastiche 170,000 persone, e nello spazio di quarantanni, nella sola Siviglia, 45,000 persone perirono nelle fiamme ; nel 1519 furono abbruciati in Salamanca 6000 volumi. Il popolo si af- follava a queste immani ecatombe di carne umana, come allo spetta- colo dei combattimenti dei tori.  Grimm, p. 220  Storia dell In- quisizione- PARTE SESTA 203 tutto lobbligava a proceder cauto, ed a dissimulare. Egli stesso era circuito da nemici, insidiato, spiato, e doveva ap- plicare a se i consigli che soleva dare al padre, ai fratelli, in sui primordi del regime dei Medici a Firenze.  Statevi in  pace,  scriveva loro  non vi fate n amici, n fami-  gliari con nessuno se non di Dio, e non parlate di nes-  suno n bene n male, perch non si sa il fine delle  cose  Ed in altra lettera al padre:  Attendete a vivere e vivete bene con Cristo e povera-  mente come fo io qua, che vivo meschinamente, e vivo  con grandissime fatiche e mille sospetti.  Questa condizione dellanimo suo costretto a comprimere il segreto pensiero della sua vita, egli simboleggi in una lunetta, dipinto meraviglioso di passione e di mistero, che si vede nella vlta della Sistina. Nello spazio che intercede tra Isaja e la Delfica, spicca quasi vivo e parlante, un vecchio seduto fra una donna bellissima ed un fanciullo , che, ritto in piedi, sembra ascoltare e raccoglie ogni pa- rola dal labbro paterno; questi cinge colle braccia la donna ed il bambino, e gli occhi spalancati, sospettoso negli atti, ch altri non l'ascolti, confida loro un segreto pauroso. La testa del vecchio ha qualche rassomiglianza collo stesso Buonarroti, ed il fanciullo non sarebbe lavvenire? e quella donna bellissima, che giace l distesa e abbandonata tra il padre ed il bambino, non sarebbe questa Italia, a cui affida il segreto del suo cuore, e che passer det in et allavvenire, a cui spetter di tradurre nei fatti?... Non sarebbe questo il segreto che avvolge le grandi opere Mi- chelangiolesche, e il vero santo mistero dellavvenire umano, di cui la volta  il presentimento? Buonarroti, che scolpiva IL PENSATORE E LERESIARCA DELLARTE. 201 per leternit, gettava Femmina; ai secoli spiegarlo , com- prendere a fondo il suo pensiero e dargli movimento, realt e vita (1). IL Soggetto di lunghe discussioni fu la religione da lui pro- fessata. In un epoca, in cui gli artisti facevano pompa del cinismo pi sfrontato e di ateismo, o erano schiavi delle su- perstizioni e pregiudizi pi volgari, tutti, ammirando la virt , la rettitudine di Michelangelo e F alto sentimento religioso, non scompagnato dalla pi assoluta indipendenza, che in ogni circostanza dimostrava, si domandavano, qual  la sua religione ? E a questa domanda, da suoi coetanei fino a noi, si rispose in modo molto contraddiente. Cosi per non riassumere che le opinioni di autori recenti, il Foscolo, il Nicolini, dietro alcuni cenni di scrittori antichi, ne fanno un seguace della scuola Platonica o della Pitagorica, il Guasti, il Gotti, il Conti vogliono scorgere in lui un cat- (l)  attribuito al Savonarola un opuscolo stampato nel 1497 contro la Chiesa di Roma, che ha per titolo : Loqui prohibeor et tacere non possuin , in cui dopo aver flagellate le violenze, le corruttele della Corte Romana, dimostrando che larbitrio  in luogo della legge e la malva- git sopprime la debole voce del giusto, onde gli  vietato di parlare, conclude : Ideo loqui cogor et esclamare compellor. Ora questa lu- netta non sarebbe il simbolo e la glossa del concetto svolto dal frate? Gli  vietato parlare, ma affida il segreto dellavvenire al bambino, perocch, come soggiunse il frate : Gi cade la notte e sorge l'aurora di un giorno migliore , la redenzione  vicina. Questi e simili libri erano dettati e diffusi in quellepoca, e ne vediamo le immagini di- pinte e simboleggiate in quella e in altre figure della vlta. 202 PARTE SESTA tolico, apostolico, romano; il pio Selvatico ne dubita e vede in lui un eresiarca artista; il Grimm, e con lui varii tede- schi, scoprono nelle lettere, negli scritti, nelle parole, nei dipinti, il luterano mal velato; altri, come Michelet, ci ve- dono il libero pensatore , che da gran tempo erasi , non solo scisso dalla Chiesa romana, ma staccato dal Cristia- nesimo. Fra tanta variet di opinioni e contraddizioni di dati e e sintomi,  arduo pronunciarsi in modo assoluto. Erano tempi tristi, sospettosi, e come vedemmo, conveniva dis- simulare e tacere, massime ad un uomo che vivea in mezzo a cardinali, a prelati e adorava, come suo Dio, l'arte, e solo, merc pontefici e cardinali e grandi, poteva dar vita e corpo alle sue idee, dipingere, scolpire, elevare mo- numenti. Per, anzich in altri, cerchiamo in lui, nei suoi detti, nelle opere sue, quali fossero le opinioni da lui pro- fessate, quale il concetto suo intorno a Roma e al poter temporale ? Mentre lavorava nella cappella, scriveva al padre gli mandasse da Firenze,  un figliuolo di buone persone e  povero , per fare tutte le cose di casa , perch in Roma  non si trova se non tristi.  Tra i diversi papi, che si succedettero sul trono di S. Pietro durante la sua vita, quello che egli tenne sempre in maggior pregio fu Giulio II, e pure in alcuni brani di un sonetto, che sembra sia stato scritto nel principio di questo pontificato, nel 1506, cos si esprime:  Signor, se vero  alcun proverbio antico * Questo  ben quel, che chi pu mai non vuole;  Tu hai creduto a favole e parole  E premiato, chi  del ver nemico. * IL PENSATORE E LERESIARCA DELLARTE. 203 Ma il cielo, dice nell ultima terzina, non vuole esaltata la virt dopo averla messa al mondo, e pretende, che ' vada a prender frutto da un arbor che  secco, alludendo al Papato. Per anche pi terribile di quanto sia stato forse scritto da Dante a noi contro la curia romana  questo sonetto che sembra dettato, non sotto Giulio II, come argomenta il Guasti, ma nella sua vecchia et, contro Paolo Farnese, forse quando moveva guerra ai Colonna (1).  Qua si fan elmi di calici e spade,  Sangue di Cristo si vende a giumelle,  E croci e spine son lance e rotelle;  E pur da Cristo pazienza cade !  Ma non carrivi pi in queste contrade,  Che nandr il sangue suo Ano alle stelle,  Poscia che in Roma gli vendon la pelle,  Ed ecci dogni hen chiuso le strade.  Sio ebbi mai voglia a posseder tesauro  Per ci che qua opra da me  partita,  Pu quel nel manto che Medusa in Mauro (2)  Ma se alto in cielo  povert gradita  Qual sia di nostro stato il gran ristauro  Se un altro segno amorza laltra vita.  (1) Questo sonetto sembra far riscontro a quello che Vittoria Co- lonna indirizz a Paolo III guerreggiante contro la sua famiglia , so- netto che prende appunto le mosse dallo stesso concetto con cui comincia quello di Buonarroti; ma in uno si scorge la donna ango- sciata, paurosa e supplice, nell altro si vede Michelangelo giudice e vindice ; il sonetto della Colonna comincia  Veggio rilucer pur darmate squadre  I miei s larghi campi...  Pag. 290. (2) Forse  incorso qualche errore nel testo che converrebbe con- frontare con altri manoscritti se pur esistono : V interpretazione ch 204 PARTE SESTA e quasi sdegnoso e di Roma e del Pontefice egli segna il sonetto, che credo diretto a Vittoria Colonna , con queste parole:  Vostro Michelangelo , in Turchia.  Guasti, p. 157. III. Costretto a vivere nella Corte per la necessit dellarte, ne flagella i vizi, nelle stanze  In lode della vita rusticale: ne d il Guasti, cio che il secondo verso accenni a mancanza di lavoro, parmi erronea e puerile. Infatti Michelangelo non manc mai di lavoro, e non  possibile che dopo una sfuriata simile, il poeta si occupi di siffatte miserie. In questa come nelle poesie del Buonar- roti conviene afferrare il complesso dellidea pi che arrestarsi alla parola che talora mal risponde alla potenza del pensiero ; inoltre bi- sogna ricorrere al simbolismo , e cercarne il significato nel suo gran modello, Dante. Nella Divina Commedia , Inf. ix, troviamo  Venga Medusa, sil farem di smalto.   noto che le Gorgone e Medusa nel gergo Ghibellino significavano il Papato.il quale impone il silenzio, toglie la parola e impietrisce; ora qui , dopo aver detto nella seconda quartina  Ma non c' arrivi pi in queste contrade  non capiti qui, che sarebbe straziato, dissan- guato di nuovo , e si vende la sua pelle , e vi  chiusa la strada ad ogni bene, aggiunge : se avessi avuto voglia darricchirmi, mi sarei partito da qui, ove il Mauro (o Papato) come Medusa in Mauritania, converte luomo in sasso; ma la povert pu esser gradita in cielo, se pure ci  vero, e si pu sperare salute (o ristauro) sotto un segno o vessillo che uccide la vita ? 0, come spiega il Guasti , che conduce alla morte e alla dannazione. E come se egli stesso volesse andarsene, per farsi turco, e abbandonare il vessillo , scrive sotto il sonetto ^ Vostro Michelangelo, in Turchia. IL PENSATORE E LERESIARCA DELLARTE. 205  Povero e nudo sol se ne va l vero...  Vestito doro e di vari ricami  Il Falso va che ai giusti sol fa guerra...  Ed ha per sua difesa e compagnia  La frode, la discordia e la bugia.  Mancano alcune ottave, e poi si fa a descrivere un gi- gante (1)  Che molte volte ha ricoperta e franta  Una citt colla pianta del piede;  Al sole aspira, e lalta torre pianta  Per aggiungere al cielo, e non lo oede,  Che l corpo suo cos robusto e magno  Un occhio ha solo, e quello in un calcagno (2).  (1)  Torreggiavan di mezza la persona  Gli orribili giganti...  La faccia sua mi parea lunga e grossa  Come la pina di S. Pietro a Roma.  Dante, In/, xxxi. Molti spiegano anche qui che il poeta volle alludere al Papato, o al govern temporale, e ne chiarisce meglio il concetto, il paragone con S. Pietro in Roma. (2)  Vidi di costa a lei dritto un gigante;  E baciavansi insieme alcuna volta  e poi nel canto seguente, Purg., xxxm  Messo da Dio, ancider la fuja  E quel gigante che con lei delinque.  In tutti questi brani e nel complesso del canto  chiara V allu- sione alla falsa Chiesa e al Papato che raffigura ad un gigante mo- struoso. 236 PARTE SESTA Il gigante  il Papato, la citt  Roma. Egli ha, seguita ancora, il capo fermo e prossimo alle stelle (Vicario di Dio). Tutti calpesta sulla terra. Sotto la pianta a lui son le mon- tagne (i sette colli). Seco una donna ha per sostegno eletta  in cui ricovra in ogni sua paura (la falsa Chiesa).  Quando il gran Giove fulmina e saetta  Nelle sue braccia sol si rassicura.  Egli prescrive al popolo inopia, cresce del male altrui.  N sempie, per cibarsi a tutte l'ore (1). * - Di pietra ha il cuore {super liane petram) e di ferro le braccia ; per lor sapre e si serra leterno abisso (le chiavi di S. Pietro); sette lor figliuoli (i sette peccati capitali? o gli ordini religiosi?) vanno pel mondo e ciascun di loro ha mille membra,  E solo al giusto fanno insidia e guerra.  Hanno le chiavi (di S. Pietro) e 1 eterno abisso per lor s apre e serra (2), colle lor membra ci avvolgono e avvin- ghiano  passo passo  Com edera fra 1 mur, tra sasso e sasso. * (1)  E dopo l pasto lia pi fame clic pria.  (2) Lallusione a Roma e alla Corte romana, in queste stanze,  chia- rissima; pur anche qui, come nella Lonzo, nella Pantera e nella Lupa della Dicina Commedia, si vuole dai timorati e pictisti interpreti, so- stituire le fredde allegorie dellorgoglio, de peccati originali, a figure politiche cos vive ed evidenti in ogni verso. IL PENSATORE E LERESIARCA DELLARTE. . 207 Tale la pittura che fa di Roma e della Corte romana in queste stanze di cui non ci restano che frammenti incom- pleti. I suoi biografi narrano che teneva in poco conto gli atti della Chiesa, n gli andavano a verso frati e preti. Quando Sebastiano del Piombo dipingeva in S. Pietro in Montorio una cotal storia con entrovi un frate, egli sog- giunse che quel frate guasterebbe tutta V opera. Richiesto della ragione, rispose,  che avendo i frati guasto il mondo  che  s grande, non sarebbe gran fatto se guastassero  la cappella che  s piccola.  Al suo nipote che si pro- poneva di recarsi in pellegrinaggio a Loreto, risponde:  Non conviene perdere tempo, ne portare denaro ai preti:  chi sa quel che ne fanno.   noto che quando Paolo IV voleva fargli acconciare le figure del Giudizio e coprirne le nudit, egli rispose  dite al Papa, che le pitture si ac-  conciano presto, pensi egli ad acconciare il mondo.  LAretino ammette che era un grande artista, ma ostile alla religione cristiana (1); altri lo diceva luterano, perch frequentava i convegni di Valdes, del Mercantonio Flaminio, (l) Ecco le parole dellAretino sul Giudizio Universale , e sulla irreli- gione di Michelangelo, citate dal Grimm:  . . . . Dunque quel Miche-  langelo, stupendo in la fama, quel M. notabile in la prudenza, ha  voluto mostrare alla gente non meno empiet dirreligione che per-  fezione di pittura ?  possibile che voi, che per essere divino non de-  gnateil consorzio degli uomini, abbiate ci fatto nel maggior tempio  di Dio? Sopra il primo altare di Ges? Nella pi gran cappella del  mondo? .... Per un bagno delizioso, e non in un coro supremo,  si conveniva il far vostro. Onde sara men vizio voi non credeste,  che in tal modo credendo, scemate la credenza in altri...  Cos osava scrivere quel timorato di Dio, luomo pi abietto dellet sua ! 208 PARTE SESTA Cernasechi, Ochino e Pietro Vermigli, che furono in ap- presso perseguitati ed arsi dall Inquisizione, e Michelet, dopo aver esaminato le sue grandi opere , si domanda :  Si era egli staccato dal Cristianesimo?  (1). IV. A questa domanda rispondono ad un tempo le rime che egli compose in gran parte quando carico d'anni , e giunto il corso della vita al comun porto (2), e le opere darte che portano lo stampo de suoi pensieri. Le rime, come il lettore avr potuto giudicare dai brani da noi riportati, sono frammenti spesso rilevati, duri come il marmo, nel quale gettava i suoi pensieri, condensandoli. Sono lampi che mandano qualche luce sugli avvolgimenti di queUanima solitaria e meditabonda. In queste poesie, che chiameremo religiose, non sacre nel significato moderno, indarno cercheresti quello spirito di umilt, di contrizione e di compunzione, in cui diluiscono il loro zelo i nostri poeti pietisti dal Lemene agli inni sacri di Manzoni e de suoi imitatori; indarno cercheresti le palinodie dei canti divoti del secolo decimosesto e set- timo, che si volgono ora alla Vergine, ora al Bambino, ora alle gerarchie serafiche o a Santi e Sante, invano il gemito della colomba, o i pianti sui misteri della passione, sui sa- (1) Michelet.  La Renaissance. (2)  Giunto gi l corso della vita mia  Con tempestoso mar per fragil barca  Al comun porto,..  ( Sonetto cxv, 230). IL PENSATORE E LERESIARCA DELLARTE. 209 cri chiodi, e sulle divine piaghe. Del formulario leggendario, serafico e monacale non vi  ombra nelle rime sue, come nei suoi dipinti; qui senti sempre, anche quando sembra accasciato sotto il peso degli anni e dei dolori, senti una- nima alta, libera e virile. Al par dei Profeta egli si leva, e sta faccia a faccia col suo Dio. Anche credendo e pregando pensa altamente, liberamente, ed agita i problemi pi for- midabili della vita umana. Si sente in questi versi, ora lo spirito filosofico dellepoca, ora il transito del genio di Lu- tero e di Calvino. Egli si affatica intorno al gran problema dellepoca, al problema della predestinazione, del servo ar- bitrio, della grazia, senza mai preoccuparsi del domma cattolico della salute per la efficacia delle opere, o della mediazione della Chiesa, del prete sostituito a Cristo re- dentore, a Cristo Uomo-Dio, per cui luomo si salva per virt della fede, o della grazia. Ora al pari di Pascal, sente la vanit de suoi sforzi per ottenere la fede :  Il proprio mio voler nulla mi vale  Che nessun buon voler senza te dura.  Ora egli pure  assalito dal dubbio, mira stendersi un velo di ghiaccio tra s e Dio , e ammorzare il foco del cuore. Lamore, la fede non giungono sino allanimo suo, e chiede a Dio che gli mandi la fede, per modo che  Il cuor senza alcun dubbio te sol senta.  Or afferma che vive al peccato, gli manca la volont:  Del mio sciolto voler, d che io son privo,  Serva mia libert.  Sonetto xc, 255. La mente di Michelangelo. 41 210 PARTE SESTA Op sentendosi giunto agli ultimi anni di vita , vorrebbe restringere gl1 infiniti pensieri in un solo, in Dio, che sia  Guida agli eterni suoi giorni sereni.  Sublime soliloquio di unanima solitaria, che sentendosi giunta al limitare della morte, agita in s gli ardui problemi della vita. Invasato da un alto sentimento religioso che riscalda lanimo suo si solleva al disopra delle cose ter- rene. Pure tranne pochi tratti, che sono per lo pi simboli immaginosi, atti a meglio significare e imprimere il suo pensiero e servire alle circostanze, non si rinviene in esso ombra della pura ortodossia cattolica, o che esprima la sua fede in un culto positivo. Cresciuto, come vedemmo, nella prima giovinezza, fra letterati, eruditi, filosofi, egli aveva levata la mente ad un concetto religioso, vasto, conciliante, libero. Discepolo e seguace del Savonarola sino dal 1492 (1), egli credeva alla necessit di una riforma nel dogma e e nella disciplina; questa riforma, vaticinata dal frate mar- tire, proruppe in Germania, si estese sullEuropa e scisse in due campi il mondo cristiano. Egli per non poteva arrestarsi n alla dottrina di Cal- vino, n a quella di Lutero. I convegni di novatori italiani, la piet della Colonna, l'influsso dell'epoca, avevano deter- minata in lui una cotal tendenza alle questioni teologiche^ (l) Savonarola, abbandonando le dispute teologali, nelle sue prediche ripeteva:  La perfezione nostra non sta nella fede o nella legge, ma  nella carit... Chi dice il contrario, fosse pur papa,  anatema,   ferro rotto. * IL PENSATORE E E ERESIARCA DELLARTE. 211 e quasi raccostavano alla Riforma luterana, ma questa non bastava ad appagare il cuore, a quietare i dubbi del pensiero. I riformatori e pensatori italiani avevano da gran tempo oltrepassati i limiti fssati dai Calvino e dai Lutero alla Riforma. Essi ripugnavano al particolarismo prote- stante; per essi la religione era una sintesi vasta, che riu- nire doveva intorno a s non un popolo , ma tutti i popoli. Per in Italia si predicava da due secoli quasi un nuovo Cristianesimo, ed un Evangelo Eterno, da sostituirsi al Cristianesimo storico e agli Evangeli esistenti (1) ; si voleva erigere una nuova Chiesa, sulla rovina della Chiesa orto- dossa romana, che appellavano Sodoma, o la grande adul- tera. Era questa la Chiesa, che Buonarroti aveva effigiata nel profondo simbolismo della Sistina. Per non diremo, come Michelet, che egli si era staccato del Cristianesimo, era scisso dalla Chiesa, ma ne era uscito per rientrarvi; aveva, come ne suoi dipinti, abbandonatoci Cristianesimo Jeratico, leggendario, per elevarsi al Cristianesimo ideal e morale, abbandonata la Cristolatria, per abbracciare il Cristianesimo nella sua verit ed essenza. Ed il Cristia- nesimo nella sua idealit corrisponde allessenza di tutte le grandi manifestazioni religiose, anzi  la essenza della .religione. Infatti questa n si pu limitare alle minute pra- tiche dei riti, ed al meccanismo del culto, n si risolve tampoco nelle astrazioni metafisiche di alcuni filosofi se- gregati dalla vita popolana, ma la religione si fonda nel- lindividuo, sopra i bisogni profondi dello spirito, e nei po- (l) Queste idee si diffondono ora con un metodo , direi, scientifico dai ministri protestanti in America, che insegnano di sceverare nel Cristianesimo lelemento transitorio dal permanente. 212 PARTE SESTA poli, sulle grandi tradizioni del genere umano. Essenza delle religioni  laspirazione continuata verso il giusto, verso un vero assoluto, eterno, non contingente o passeg- gero, verso un bello perfetto, che parla allo sguardo e al- l intelletto. V. Questaspirazione, la quale nellindividuo si manifesta, si concreta nel sentimento dell immortalit dun premio o dun bene oltre la tomba, diviene nel mondo dei popoli pre- sentimento di pi alti destini pel genere umano; ovvero credenza nel trionfo della verit, della giustizia e della fra- tellanza sopra la terra: credenza, che concepita e procla- mata nel seno della civilt ebrea colla dottrina del Mes- sianismo, fu propagata nel mondo dallApostolato cristiano, e divenne parte sostanziale delle sue dottrine e della sua religione. La quale nelle lente e necessarie trasformazioni imposte dai bisogni sociali, tende a integrarsi colle verit, che a mano a mano vanno discoprendo le scienze nel mondo della natura e della storia, collapplicare i principi di giustizia, di moralit negli, ordini economici e civili, il bello o il perfetto sensibile nel mondo dellarte o nel culto. Per oziose riescono per lo pi le discussioni intorno ai diversi culti e le sottigliezze teologiche intorno allessenza divina, al libero arbitrio, alla grazia, allefficacia delle opere e della fede, perocch la vera soluzione risiede nella ap- plicazione dei principi del giusto, del buono, per modo che ciascuno individuo o popolo, scopra o senta in s il di- vino , cio il sommo buono , il giusto e il vero, ne informi ogni suo atto, e risponda di s verso lumanit e verso IL PENSATORE E LERESIARCA DELLARTE. 213 Dio. Oziosa del pari la discussione intorno ai diversi culti, i quali nella loro essenza tendono sopratutto a riflettere e rappresentare in s il vero, il buono e il bello, e compene- trarne individui e popolo.  questa la religione professata dal Cakyamuni nelle Indie, dai profeti e dai giusti nel mondo ebraico, da Eschilo, da Platone nell ellenico, come dai sommi geni nel mondo moderno.  Tutti del pari professano il culto del vero, del buono e del bello; tutti del pari animati da ardenti aspi- razioni verso un avvenire di umanit e di giustizia. Molte e varie sono le manifestazioni di queste idee nel mondo della storia. La Giudea sar la gran sibilla, che presenta e profetizza lavvenire. Il popolo-profeta, segna il cammino prescritto al genere umano. Il verbo  a cui la parola  culto  suona umanit, fratellanza dei popoli, e giustizia. La Grecia mira meno all avvenire, pi al pre- sente, meno alla umanit, pi alla natura e alla patria, e cerca e idoleggia il bello nella sua forma pi eletta e pura, canta e dipinge le armonie del mondo e delle cose. Roma antica, in mezzo alle sue lotte, agli orgogli delle conquiste, si travaglia a cercare lidea del dritto , a fissare e definire i rapporti fra individuo e individuo, po- polo e popolo. Sorge il Cristianesimo che sinnesta sul tronco ebraico, ma cresce, si alimenta e si svolge nellam- biente greco romano; prende a diffondere i principi di ca- rit, di solidariet umana, la virt di sacrifizio, e prescrive, sanziona il culto della carit e del dovere. Infine, dopo un sordo e vasto movimento filosofico e razionale, scoppia la rivoluzione, che apre let nuova, fissa, proclama i diritti. Ciascuna di queste manifestazioni, tanto pi sappressa alla perfezione, quanto meglio in s rispecchia nella loro es- 214 PARTE SESTA senza il sommo vero, il sommo bene, e il bello perfetto, e sa compenetrarne le moltitudini. VI. Questi concetti che i grandi legislatori e i tesmofori ten- c tarono trasfondere nelle istituzioni sociali, che i sommi filosofi concepirono nella loro essenza ed attrazione, l'arte, la poesia, la musica, la pittura e la scoltura procacciarono di estrinsicare e vestire di forme perfette, doffrire allo sguardo, di rendere sensibile alla mente, al cuore. La filosofia ne scopre e ne detta i principi assoluti; i grandi geni deH'umanit, profeti, salmisti, poeti, li ritrag- gono nelle note ispirate, li esaltano coi ritmi armonici per- ch parlano ai cuori ; larte vera li fissa nella tela, li stampa nei marmi, e ne presenta i simboli, e i tipi eterni. A queste famiglie, che appellerei artisti-sacerdoti, che imprimono loro la forma perfetta, appartiene Michelangelo. Egli fu per avventura il primo e solo che seppe incarnare nellarte 1 ideale del sentimento religioso, creare, diremo, il simbolo della religione dellumanit. La religione, la quale per molti filosofi del Rinascimento non era considerata che come stimolo alla virt, pei poli- tici, che come mezzo di governo, per molti teologi e per la stessa Corte di Roma, che una specie di monopolio a suo benefizio, un artifizio, od un tirocinio scolastico, e che non era, pel volgo degli artisti, ohe lenocinio dei sensi e uno splendido lusso e ornamento e distrazione, egli richiam a pi alto ministero. E per lui divenne simbolo di una nuova religione, della religione universale, la quale si risolve in una aspirazione IL PENSATORE E LERESIARCA DELLARTE. 215 infinita. Ma non linfinito vago dei metafisici, sibbene lin- finito che poggia sopra il reale e si svolge in una scala ascendente nei secoli. Egli prende i suoi simboli, l dove li trova pi perfetti, pi interi, pi spiccati, dalla Bibbia, dal mondo greco-romano, figure archetipe dellumanit, come i Profeti, Mos, le Sibille, che in s concretano un grande momento storico; ma questo momento  il punto di par- tenza per un rifiorimento di nuovi simboli e di un evolu- zione pi vasta nel corso dei secoli; sono personalit, che intercedono fra il mondo e Dio, il presente e lavvenire, la materia, lo spirito, il finito e linfinito, che esprimono il pensiero religioso, il quale si continua lungo le et, e sono il legame dei tempi;  lideale infine della Storia ridotta a concretezza. VII. Mirate la volta della Sistina, da cui non possiamo dilun- garci essendo essa lo scopo e la ragione di questo scritto. La storia porge allartista il tipo, la forma, i colori, talch le figure sembrano come statue, ciascuna finita, compiuta in s, ritta sulle sue basi; pure uno spirito vasto aleggia- sopra di loro e le collega insieme e le agita e le muove. Questo spirito  limmanenza del divino che muove il mondo umano, a quel modo che le correnti dellaria, del calorico, dellelettrico spaziano sulla natura, e le compenetrano di s, la muovano e fecondano. Essa venne appellata lepopea del presentimento; ma al pari del sentimento religioso da cui sispira  presenti- mento e realt. Ed  infatti quellansia continuata e faticosa, quellarcana ) 216 PARTE SESTA aspirazione che si travaglia del pari nel fondo dell indi- viduo come nel fondo della storia, che Michelangelo sentiva nella vita e stamp nell'arte. Le sue figure sono i veri Raprescatwes mens , tratteg- giati da Emerson, che compendiano e rappresentano luma- nit. Quella figura colossale, titanica, che domina lepo- pea,  Jona, ma in questo Jona voi scoprite nel volto, negli atti, nella passione che ne commove ogni membra, il forte che si solleva, leroe il quale, dopo lunga lotta, perviene a spezzare i suoi ceppi, e beve a larghi polmoni le aure di libert, e sfida a battaglia eterna i tiranni. Egli  Ercole,  Teseo,  Spartaco,  Prometeo liberato, raffigura in s la lotta continuata nei secoli contro ogni oppressione,  il prototipo di un arte che non appartiene ad un momento storico, ad unepoca, ma riassume in s, come sintesi, tutta una storia, e inizia larte, che appellerei pe- renne. A tergo gli si leva unaltra figura colossale, ritta in piedi, le braccia sporgenti in alto, e continua lazione di Jona, drcole, di Prometeo. Esso non solo ha rapito il fuoco, ma lo padroneggia, e colle braccia poderose separa la luce dalle tenebre, mette in fuga lignoranza, la superstizione, l'errore. Ecco un altro archetipo dellarte perenne, del Dio liberatore, il Dio della luce e della forza, in ogni epoca della storia. Infatti nofl vedete pi in lui traccia del Dio dei teologi, dei metafisici, ma il Dio intelligenza, il Dio della storia, il Dio-umanit, e con lui comincia una creazione novella. Ecco il diluvio ha cancellato il mondo antico,, ricomincia il nuovo Adamo, la nuova va, che tolti alla vita inco- sciente, si destano alla conoscenza della natura, di s stessi e di Dio. IL PENSATORE E LERESIARCA DELLARTE. 217 Lo spirito della storia passa sopra a tutte quelle figure che si continuano; ogni figura, ogni gruppo, sono come categorie determinate in s e in simboli, mentre lidea, lim- manente, spazia su di loro e li lega ; lo spirito dell uma- nit li move in un circolo infinito ascendente. Dalla Giudea, passa alla Grecia, da questa sopra Roma, da Roma ri- torna ad Isaia, il profeta dei popoli, a Daniele, l'uomo che vive per la giustizia, e tutti rappresentano lintimit del pensiero nel mondo , limmanenza del divino sull umanit e sono appellati col vecchio Zacaria ad elevare il tempio dei templi, il culto del genere umano. Ma lumanit non si rinnova che per la giustizia, e la giustizia non si compie che colla rivoluzione; la rovina ac- cumulata di un mondo che si disfa e cade sar la base su cui si elever il mondo novello. Il Giudizio Universale scolpito , anzich dipinto, l nella grande parete della Sistina,  la giustizia,  la rivoluzione, la gran catastrofe che chiude unepoca, cancella una ge- nerazione, per suscitarne unaltra pi pura. Qui ancora larte perenne riproduce lideale della storia, lo concretizza, e quel gran giudice che  il tempo,  invo- cato a compiere lopera, a giudicare i vivi e i morti. Anche qui nessun vestigio dellantico Cristianesimo,  una nuova umanit, un altro culto e simbolismo che levasi in- nanzi a noi. La figura colossale che domina la scena, come notammo, non  gi il Cristo dell Evangelo ,  Ercole an- cora,  Prometeo,  Jona, che spezzati i suoi ceppi, chiama a giudizio gli oppressori dei popoli, e giudica tutti, dai pontefici ai santi, al plebeo, secondo le sue opere. Egli ci appare e grandeggia in forma di un personaggio ignoto, non visto;  una forza arcana che domina la scena, 218 PARTE SESTA come il Fato dei Greci che invisibile conduce la vasta tra- gedia greca;  limperativo morale, la giustizia, che con- tinua lopera sua a traverso lo spazio e i tempi. Questa persistenza del divino nella storia dei popoli, questaspirazione verso linfinito,  il concetto che, sotto di- verse forme, imprime Michelangelo nelle sue opere. Il sepolcro di Giulio II , che i coetanei chiamavano la tragedia del Buonarroti, e fu il pensiero della intera sua vita,  tutto un poema, che ne esprime lidea con forme colossali. Questo monumento, di cui abbiamo diversi disegni, doveva elevarsi a modo di una montagna di bronzo e di marmo in Roma, e constava di tre parti sovrastanti luna sullaltra. Fra quell incrociarsi di cordici capricciosamente scolpite, fra quella folla di statue che rappresentavano le scienze , le arti, la vita attiva, la passiva, poi S. Paolo, che apre il il mondo moderno, Mos, che spinge il guardo fisso e sfol- gorante nellavvenire dei popoli e domina la storia, i due giovinetti incatenati morenti, cio il pensiero e l'Italia in- catenati, che attendono il nuovo Mos liberatore, pi in alto doveva elevarsi sopra trofei, i tributi della natura, le memorie della storia, grandeggiante la statua di Cibele, simboleggiante la terra , ed essa mentre sostiene il lembo dun lenzuolo mortuario, appunta lo sguardo in alto sopra Urano o nellinfinit dei cieli. La terra non basta alla sete infinita che divora lanima: nella terra tutto  caduco e muore. Cibele,  vero, veste formo colossali, ma la mano sua regge il lenzuolo mortuario, il piede posa sulle tombe dei morti, per aspira al cielo, con- templa Urano. Ed Urano, sfavillante di un riso divino sulla yetta del mausoleo, collocava in mezzo a nimbi di luce, fra IL PENSATORE E LERESIARCA DELLARTE. 219 aureola di stelle, il sommo pontefice simboleggiante la Chiesa futura, la Chiesa della verit e della luce. Questa aspirazione all alto , o meglio la sublimazione della materia, fu la passione della vita del nostro artista. Dopo avere svolto questo concetto nella pittura, averlo ri- prodotto, scolpito nel marmo, lo plasm nellarchitettura che fu il supremo studio, la fatica della sua vecchiaia. E che altro  la grande Basilica di S. Pietro, quale era stata da lui concepita e disegnata, colla vastit della mole, la pu- rezza delle linee , la semplicit delle pareti s solenni ed eloquentemente nude, se non il tempio dei templi che do- veva in s riunire tutti i popoli, conciliare le razze, e poi colle tre cupole slanciate negli spazi aerei , elevarle del pari riconciliate e purificate, al cielo? Vili. Conciliazione era stata F ultima parola pronunziata dal pensiero filosofico-religioso della Rinascenza italiana; ma il nostro pensatore-artista non pot soffermarsi ad essa; altro termine vi aggiunse, che schiude e rischiara F avve- nire , e lo stamp , pi profondamente che nelle tavole di bronzo del Sinai , nelle sue opere immortali , ed  , Eleva- zione. Questa  veramente lultima parola dellarte nella Rina- scenza, questa vuol pur essere la parola dordine, il motto del Rinnovamento Italico, ma questa  pur troppo, per ora, appena nota,susurrata da pochi ed irrisa, come aereo sogno, dai molti. Il periodo nel quale versiamo, che fu grande veramente e splendido pel nostro rinnovamento politico, si manifesta, 900 PARTE SESTA per quanto altri voglia illudersi e millantarsi, sempre pi basso e meschino nelle arti e nelle lettere, vacuo, sterile nelle scienze morali e filosofiche. La filosofia, che  pure il pi glorioso e splendido portato del pensiero umano, si confonde ormai colle scienze positive, e suona positivismo l'ultima parola del secolo nostro. Tutte coteste teorie di evoluzioni, selezioni, e questa fraseologia darwiniana, la quale non ha di nuovo neppure la parola e il nome, tende ad applicarsi, come al mondo naturale, cosi allo storico, alla letteratura, allarte. E l'arte e le lettere, ali- mentandosi dell ambiente filosofico in cui vivono , cercano vieppi di farsi positive, pi e pi realiste. La filosofia, la scienza, non cura pi, non vuol esaminare altro che il fatto, la realt che parla ai sensi, il fenomeno, il momento che la colpisce; e l'arte, alla sua volta, non cerca che di ripro- durre pi che 1 atto e il fatto materiale. Essa s industria di ritrarre nelle sue pi minute particolarit l' individuo , un uomo, una donna, un albero, una marina, un evento, quale si offre ai sensi, la realt pura; la filosofia nuova e la scienza non vogliono pi mirare altro che la materia , non conoscono in essa che due attributi, il moto e la forza, e larte alla sua volta non sapp mirare nella vita che la materia, la corteccia, lesteriore. Per lultima parola, che, scienza e filosofa del secolo decimonono trasmettono al ventesimo  , evoluzione, sele- zione, forza e movimento; e lultima parola dell'arte , materia, sensualit e realismo. Ora nessuno, meglio del Buonarroti, senti, comprese la materia, e seppe ritrarla, plasmarla. Le sue statue gran- diose, i muscoli risentati, le membra titaniche, le prospet- tive, che mai non vengono a fine, gli atteggiamenti, le pose IL PENSATORE E LERESIARCA DELLARTE. 221 ardite, tutto nelle sue statue, nei dipinti  un apoteosi del corpo , parebbe un orgia della materia. Pure in esse non resti mai colpito dalla materia; in esse non  lesteriorit, la sensualit che ti commove e sbalordisce. A che attribuirlo ? Avviene da ci che lartista non , come i moderni, alettato, padroneggiato dalla forma materiale, ma egli sa padroneg- giare la materia, non  asservito ad essa, ma la domina, non  soverchiato, ma la oltrepassa. Egli studi bens la forma, lesteriorit, ma non si limit a ritrarla nella sua cruda realt. Non  lo scienziato , il quale, nel silenzio del suo gabi- netto di clinica, mira innanzi a s disteso il cadavere, e collo scalpello in mano ne tronca i muscoli, le arterie, poi 10 dissecca, per sottoporlo brano per brano a minuto esame; ma nella materia egli vuol indagare la vita , dalla selice fa scaturire la scintilla, in ogni sua fibra e cellula cerca la vita. Non si arresta, freddo osservatore, allesteriorit, ma penetra nella natura intima, ma cerca lo spirito, ma ne ravviva la passione, ma la riscalda ancora col foco del suo core, collentusiasmo del suo genio. Di pi lartista osserva 11 mondo umano e naturale nella storia, nelle religioni, come nella natura, ma non si arresta alla pura osserva- zione; questa non  diretta, sibbene riflessa, e ne ricrea in s i grandi tipi, i fantasmi che sono il risultato dellazione convergente di tutte le facolt attive della sua mente, ed estrinsecandoli, ravviva la materia del suo soffio animatore? la riscalda colla passione del suo genio, per cui i suoi dipinti rivivono e divengono la storia riflessa del mondo. Cos la realt, la carne esce dalle sue mani trasformata, o se vuoisi transubstanziata. Come mai ha egli potuto imprimere tal po- tenza nella materia? quale fu il segreto dellarte sua? Il segreto lo rivel egli stesso, quando disse che non dipinge^ 222 PARTE SESTA non scolpisce colla mano, ma col cervello. L impressione esteriore si fa dentro di lui pensiero, passione, vita, e nel- T esteriorit trasfonde il foco della sua vita, lardore delle sue passioni. Egli non si arrester a cercare le minuzie n le particolarit; nelle opere sue non trovila squisita finitezza dei dettagli, la correzione nelle minute parti, che scopri nei dipinti e nelle statue moderne, ma in tutto  movimento, ferve la passione, palpita la vita. Non trovi neppure in esso quel vago idealismo che aleggia sui dipinti di Raffaello, o la metafisica del bello assoluto, ma vi trovi sempre unindividua- lit energica, e in ogni individualit la potenza interna del carattere, la foga duna passione, la vigoria dun pensiero dominante. Egli, meglio d ogni moderno, comprendeva, sentiva la realt , ma per lui il moto , la forza , la evolu- zione, non bastavano, sentiva che queste qualit non co- stituiscono ancora tutta la materia. E a dir vero esse non ne sono neppure la legge da cui  dominata e determinata, ma sono piuttosto attributi di essa , sono indizio di una legge che esprime la successione dei fenomeni, lo svolgimento di un principio, vera legge dominante, e determinante essendo la vita, la potenza interna, l'intelligenza, la volont; la vita che parla alla vita, il pensiero che parla al pensiero, nel pen- siero, pel pensiero. Ora il pensiero, forza vivente, la vera realt dellessere ed essenza delle cose, non si arresta alla evoluzione , al movi- mento, anchesso passeggier, ma va oltre, ed  questo il punto per cui il genio michelangiolesco oltrepassa non solo il secolo decimosesto,ma il decimonono, e sar forse faro al ventesimo; perocch nelle sue grandi opere insegna, come l evoluzione la selezione nella materia come nellarte, si completa ed in- tegra con un terzo termine che gli  scorta e meta, ed  eleva- IL PENSATORE E LERESIARCA DELLARTE. 223 zione. La materia non si ravvolge in un circolo fatale, sempre uguale, ma si affina si elabora, si eleva, si transubstanzia; la vita aspira ad elevarsi alla verit pura, alla luce della luce, a svolgersi nella pi alta potenzialit. La elevazione della vita, la sua sublimazione nella materia e per mezzo della mate- ria  il segreto dellarte di Michelangelo.  questo il prin- cipio dellarte che pochi sommi artisti preanunziarono; e primo Michelangelo ha divinato ed offerto agli sguardi, e sar forse questa larte dellavvenire, quando, come scriveva il Dupr, la generazione, la quale possa fissare gli occhi della mente nelle profondit michelangiolesche, sar nata. Noi tentammo di studiare lartista: una filosofia e una cri- tica pi comprensiva che non la presente, sapr apprez- zare in tutta la sua grandezza il pensatore, ed ^offrire ai- fi Italia il grande modello dellarte futura, dellarte perenne. EPILOGO La mente di Michelangelo. 15 EPILOGO Giova ora ricapitolare brevemente questa vita , la quale abbracciando quasi un secolo, chiuse il Rinascimento e pu, meglio dogni altra, degnamente inauspicare il Rin- novamento italico. Questa vita cosi complessa ad un tempo, cosi armonica ed uguale in ogni sua parte, si pu dividere in tre periodi, i quali furono mai sempre dominati da uno stesso pen- siero, rivolti ad uno stesso altissimo intento. Ogni pe- riodo in s riflette e riassume un importante evento storico e T evento si riverbera e simpronta in un gruppo di capo- lavori darte. Il primo periodo, quello delladolescenza e della giovi- nezza, si  svolto in Firenze, culla e sede della Rinascenza, in mezzo ai poeti, agli eruditi ed ai filosofi dellAccademia Platonica; e, frutto di questo periodo, che diremo filosofico, sono la battaglia di Ercole contro i Centauri , l idea della vlta della Sistina, anche simboleggiante la lotta delluomo contro le forze brutali della natura, e il presentimento e le aspirazioni continuate del genere umano verso i suoi 228 EPILOGO. grandi destini, le sue sofferenze e battaglie pel trionfo della verit e della giustizia. Il secondo periodo, che diremo politico, segna la cac- ciata dei Medici, la lotta per le libert cittadine e lassedio di Firenze; e si riflette nelle statue di David, del Bruto, si epiloga nel Deposito di S. Lorenzo, e ci presenta nelle statue del Giorno, del Crepuscolo, dell Aurora, della Notte come effigiati i corsi e ricorsi storici, e i periodi di sonno, d'oblio, di vergogna, di decadenza, di riscossa e rinnova- mento del popolo italiano. Il terzo periodo, che corrisponde all'epoca pi fortunosa d'Italia, in cui ai pugnali, agli incesti, ai veleni, agli orrori dei saccheggi savvicendarono le invasioni straniere, le guerre fratricide accese da re, imperatori, pontefici, le agitazioni e le guerre religiose per la riforma, che scon- volgono lEuropa intiera, ispira alla sua mente lApoca- lisse del Giudizio Universale. A questi potremo aggiungere il periodo della tarda vec- chiaia. Egli aveva veduto tutto un mondo sparire, inabissarsi innanzi a s; tutta quella pleiade di artisti sommi, di pen- satori, di poeti, che fecero per quasi un secolo il lustro di Firenze e Roma, erano scesi nella tomba; la libert di Fi- renze, lindipendenza dItalia manomesse e spente; tutta lantica generazione dei suoi parenti, damici, dartisti, di donne, che aveva amati, discesi nel sepolcro, ed egli so- pravissuto a tutto un mondo , si trova come solo , invaso dalla immagine della morte, agitato dal problema dellav- venire. Solo, sdegnoso, chiuso in s, egli si travaglia nel fondo del suo pensiero a cercare il suo Dio, a trovare in lui conforto e pace. Agita nella mente tutti gli ardui secreti EPILOGO. 229 dell umanit, si sprofonda nel mistero della vita e della morte. Mentre il pensiero  combattuto tra i dubbi paurosi e la fed che si svelano a lampi nelle sue rime, la mano con- tinua a lavorare, a lottare col marmo, e conduce all ul- tima perfezione le due opere, che furono il travaglio della sua vita , nelle quali epiloga s stesso , la sua mente , il suo cuore. La statua del Mos in cui lavor quaranta- quattro anni, e la immensa Basilica di S. Pietro, con cui sembra non solo dominare lo spazio, ma signoreggiare i tempi, sollevare le menti all infinit dei cieli, e inau- spicare, insieme colla nuova Roma, i nuovi secoli ita- liani. Tale fu luomo. Quale fu lazione sua, la sua influenza nellet che gli tenne dietro? Quale potr essere lazione della sua mente, della sua vita nella nazione italiana, che caduta si basso dopo la sua morte, ora risorge a civilt per la terza volta, e aspira a rinnovarsi? Il suo destino  quello dei Profeti, quello di Dante, di Shakespeare, e di tutti i geni sovrani, poco compresi dai loro coetanei, ma la cui azione si svolge a poco a poco , e lenta si propaga , si diffonde per rischiarare i tortuosi sentieri che lumanit deve percorrere. Le sue opere sulle prime destano un arcano senso di me- raviglia e di terrore religioso, che confonde la mente e sba- lordisce; sono creazioni straordinarie, un mondo a parte; il pensiero  appena compreso o male interpretato; ma, pari a Dante  Se la voce sua sar molesta  Nel primo gusto, vital nutrimento  Lascier poi quando sar digesta..  230 EPILOGO. Tal fu di lui. Dopo la sua morte, la sua influenza nel- larte non fu efficace n sana, anzi si ripete tuttavia (1) che fu cattiva, e produsse il barocco; e l insigne critico che vide pur profondamente nell animo e nelle opere del Buonarroti, non ha torto al punto di veduta dellesteriorit dellarte; ma conviene aggiungere che i suoi imitatori nulla seppero comprendere del vero Michelangelo, n po- tevano apprezzare in lui quelle qualit che non erano atti ad afferrare e scoprire per T angustia delle loro menti , e per difetto dei tempi poco propizi. Col doppio servaggio politico e religioso , che oppresse ITtalia dalla met del secolo decimosesto alla met del nostro, cess la vera vita morale e artistica italiana. Venne meno quella vita facile, aperta ad un tempo seria e grave, che pre- valeva nei nostri Comuni e nelle citt ; pi non avveniva quello scambio didee, di consigli tra artisti, poeti, eruditi, scien- ziati, quell incoraggiamento ed entusiasmo pel bello, che scendea dalle alte classi sociali, dai pontefici, dai principi, dai patrizi, e trovava sempre eco vigorosa nel seno del popolo. Le classi furono divise da sospetti, rose da invidie, agitate da paure. Lartista visse appartato, cess dal pensare, non fu pi che un esecutore, un mestierante, ligio per lo pi al padrone, schiavo nel suo studio, e prigione entro 1 of- ficina, come il poeta, il pensatore rilegati nel gabinetto, non seppe elevarsi al di sopra de suoi marmi, al di l de suoi colori e disegni; si occup sopratutto dellesteriore, del meccanismo dellarte. Nefle opere di Michelangelo egli non seppe vedere nulla al di l del meccanismo, delle pose, dei panneggiamenti, del (1) Bono. Leonardo e Michelangelo. EPILOGO. 231 gioco dei muscoli, delle meraviglie degli scorci: quando si avevano superato felicemente queste difficolt dellarte, si avevano dipinti e scolpiti scorci pi arditi, e paneggiamenti pi ricchi e grandiosi, muscoli pi veri e risentiti, si credeva di aver superato il maestro. Del pensiero non si preoccupa- vano, o scambiavano per pensiero le gelide allegorie di virt, e di vizi che effigiavano sui mausolei e nelle tombe, o nelle chiese. Non sapevano che pensiero  verit,  pas- sione,  forza, che linterno d vita e venust all esterno, ed  per queste qualit, che vivono tutte le grandi opere darte, e giganteggia Michelangelo. Egli fu 1 ultimo artista veramente libero d Italia , libero nel pensiero , libero nella forma. Cre la libert nell arte come Lutero nel pensiero. Avverso al convenzionalismo, come alla teologia. Il gran nemico, che egli combatte du- rante tutta la sua vita, fu appunto lartificiale, il falso. Quel barocco, che si dice derivato da lui, egli laveva in orrore, e concorse con tutte le sue forze per combatterlo e schiac- ciarlo. Ma colla reazione cattolico-spagnola, il fasto, il teatrale, il barocco prevalse, ruppe gli argini, inond ogni ordine di cose , nella religione , nel culto , nelle abitudini , e riverber nelle arti. Qualche sintomo di questa tendenza si era gi palesata pur troppo, e tale tendenza conviene ri- cercarla nellindole di alcune provincie dItalia ; ma la parte buona e sopratutto la Toscana, la contenne, limped di al- largarsi, e di prevalere. Venuti gli Spagnoli, e trionfando la reazione cattolica, caddero le dighe, lindole nazionale nel suo lato sano, energico fu compressa, avversata, soppressa; prevalse il teatrale, il convenzionale nellarte, come la falsit, lipo- crisia nell ordine morale e sociale. Tutto divenne , e in 232 EPILOGO. parte dura ancora in Italia, convenzionale e falso, orpello pi che oro, lustro pi che vera luce. Nel domma le alte aspirazioni profetiche, i concepimenti di verit e giustizia, di cui abbonda lantico Testamento, quelli di moralit e damore, di semplicit, che formano il prestigio e la virt del Nuovo , diedero luogo a una mitologia erronea e vol- gare, che cade al disotto del Paganesimo , e ad un etica immorale, fallace e morbosa, che fiacca gli spiriti e cor- rompe e degrada i caratteri; il culto fu mutato in un apparato teatrale, collaccompagnamento di musiche, pro- cessioni, pantomime, in unadorazione delle parti materiali del corpo di Ges e della Madonna, pi che del suo spirito, dei privilegi da lui predicati; la poesia divenne arcadia, tutta concettini, finzioni, convenzionalismo, barocchismo; la prosa, rettorica, suono di frasi risuonanti e vuote. Sopra tutte le arti prevalse la musica, arte la quale, checch sene dica,  segno di decadenza, perniciosa sirena che ci seduce i sensi, ci getta 1 animo in vacui fantasticamenti e ci dispensa dal pensare, solletica l'orecchio, spesso molce e addormenta il cuore a detrimento dellintelligenza. Non  passione, ma si- mulazione di affetti, ipocrisia, di passioni. Sopprimere il pen- siero sotto la vernice sfarzosa della parola, cullarlo, addor- mentarlo con profluvio di note armoniose, molli, soffocare le passioni sotto un sentimentalismo piagnucoloso e sterile, ostentato, divenne scopo e venust dellarte. La natura fu immolata al soprannaturale, la religione ad un falso misti- cismo, la verit alla rettorica, il reale al convenzionale; la chimera aveva sostituito la realt, i Centauri avevano ucciso Ercole. Ora come vedemmo, l'intento che nella vita, nelle opere si era proposto Michelangelo, fu sempre mai quello di abbat- EPILOGO. 233 tere i Centauri, mettere in fuga le chimere, dissipare le tenebre fallaci. Egli abborr le forme convenzionali del bello, anche quando vestivano le apparenze pi lusinghiere, affascinanti, come in alcuni dei pittori sommi, per sosti- tuirvi il forte, Tintelligente, la bellezza virile, l'espressione. Abbattere le vecchie forme molli , slavate , per contrap- porvi il virile, il semplice, il vero: combattere il conven- zionale, il teatrale, lo spettacoloso, per sostituirvi la schiet- tezza, la verit, la realt; non un realismo volgare e ab- bietto, come si tenta fare da alcuni nei nostri tempi, ma la realt elevata, energica, accesa di nobili affetti, illuminata dal pensiero ; confondere l idolatria, che falsa e corrompe la vita, portare da per tutto, nella pittura, nella scoltura, nella poesia, la vita, il movimento, e colla vita la sincerit e la spontaneit, ecco quale fu lo scopo che egli si propose. E in quel mondo di sole apparenze, dipocrisie, didoli vani, che si avanzava, e ornai doveva prevalere, egli fu la sincerit, la realt, la virt, la forza che si afferma, e posa in s sicura. Di fronte a quei paludamenti imperiali, pontificali, i quali avvolgevano entro le pieghe di manti sfarzosi fantocci vacui o mostri turpi e inumani, egli cerc la realt in s, ed impresse il nuovo nudo vero ; Cristo de- nudato , ovvero vestito solo della sua moralit e giustizia, come gridavano e predicavano Savonarola, O chino, Soc- cino; e Cristo denudato egli dipinse e scolpi. Ai scenari di cartone egli sostitu il marmo , all orpello 1 oro puro dei- fi arte, e il diamante che splende al pari del pensiero, di luce schietta e durevole. Per venne appellato leresiarca dellarte, il Lutero dItalia. Tuttavia la riforma artistica morale egli pot iniziarla ap- pena; l'Italia  lontana ancora dal comprenderlo e dallap- 234 EPILOGO. prezzarlo degnamente. Al pari di Dante ebbe i suoi periodi di ecclissi e di oblio, e al par di lui risorge e risplende col risorgere della nazione. Egli deve inauspicare V era del Rinnovellamento; da lui e dai sommi riformatori di quel- T epoca, la nuova et deve prendere gli auspici; larte ispirarsi ai suoi grandiosi simboli, il filosofo ai suoi pen- sieri, il cittadino alle sue virt. La sua mano ha, pos- siamo dire, rinnovata e ricreata la Roma artistica mo- derna , la sua grande figura basterebbe a rialzare e ri- creare, appo un popolo energico e sano, la Roma e lItalia politica e morale. APPENDICE APPENDICE Lettera diretta da Cornelia Colonnelli, gi moglie d Ur- bino, a Michelangelo, in cui io avverte delle pratiche che si facevano da suo padre e da un abate per rimaritarla ad un cugino di costui, giovane di poco buoni costumi:  Molto magnifico come patre optimo  La cortese amorevolezza che V. S. ha sempre mostro a miei figliuoli e a me  stata tale, che io posso vera- mente dire che sia stata maggiore et habbi di gran pezza avanzato quella de mio patre, de mia matre, ed ogni altro mio attinente. Cognoscendio esser cosi in verit, lho sempre amata, obedita e riverita da patre e da mio patrone amo- revolissimo, sempre har Tanimo prontissimo ad obbedirla, servirla et osservarla; n mai penser far cosa veruna, se prima io non so la sua volunt e il suo consiglio. Se V. S. se racorda, questi giorni passati io gli scrissi una mia, nar- randogli il desiderio grande che mio patre e mia matre havevano de rimaritarmi; e che oltre glaltri partiti, molto gli piaceva un giovane da Santagnolo in Vado, fratello 238 APPENDICE. consobrino dellabate di questo luoco. Essend egli, sempre contro ogni mia fantasia, sopra tutti gli altri piaciuto e a mio patre e mia matre, et essendio amonita e consigliata da V. S. de adempiere il volere loro; volsi, come si con- veniva a obbedientissima figliuola, obedire e fare quanto da loro m era comandato; e cosi consentirei de pigliare per marito, ancor che fosse contro lanimo mio, quello che a loro piaceva tanto. E per mia mala sorte ho inciampato, come si suol dire, in un fil de paglia, et ho rotto il collo merc de mio patre; il quale ha fatto il maggior errore che forse mai facesse altr huomo , lasciandosi persuadere da persone pocho amorevole a lui, a mia sorella, a miei nepoti et a me istessa, di fare quello che mai dovea pen- sare, non che fare, a persuasione dellabbate e del patre di quello a cui io dovea esser sposa e moglie. Subbito doppo che furono cellebrati i contratti delle dote (li quali furono fatti pubblicamente, presenti tutti i mariti de mie sorelle, et altri parenti et amici amorevoli nostri) mio padre na- scostamente, senza mia saputa, contro ogni ragione, solo per gratificarsi labbate, me fece donatione de tutta la sua robba, privando senza causa alcuna tutte le altre sue fi- gliuole e nipote; per la qual cosa tanto poco honesta e mancho raggionevole, io me so tanto afflitta e conturbata, che io oggimai mi trovo fuori de ogni sentimento; consi- derando che a mio patre non se conveniva de privare le sue legitirne figliuole, cariche de sedice figliuole tra ma- schi e femine, e donare a me , che gi ero dottata da lui di p' assai maggior dote dellaltre mie sorelle, havendio havuto mille fiorini per le mie dote, e mie sorelle solo dua cento per ciascheduna de loro. Havendomi egli poi fatto questa donatione, V. S. puoi considerare quanto danno sia APPENDICE. 239 alle povere mie sorelle, le quali sono pur ancho figliuole de mio patre , legittime e naturale com io. Ma Iddio , al quale dispiace le fraude e V inganno , non ha voluto com- portare una tale iniquit. Prima ch'il sposo venisse a me, ha discoperto alle mie sorelle e a me questa donatione, la quale dispiacendomi oltre muodo, per mostrare amorevo- lezza alle mie chare sorelle et a miei diari nepoti , e per fare capace il mondo eh' io non so' stata consapevole de simil trappole e inganni, con quel miglior muodo e via chio ho saputo e potuto, ho cercato de tirare indietro questo mal fatto, con il consenso del patre dello sposo e dell abbate; volendo retrocedere e redonare a mie sorelle tutto quello che mio patre havea donato a me; contentan- domi della mia prima dote , e volendo , come  convene- vole, che le mie sorelle habbino altrettante dote quantho haut io. Ma loro , privi di quella charit che conviene al christiano, non hanno voluto consentire; anzi hanno fatto e fanno pi conto della robba che della carne mia, et io, con animo pi generoso, ho fatto e faccio fermo proposito di fare pi conto delle mie sorelle e de suoi mariti e fi- gliuoli, che di quanta robba mhabbi donato mio padre; essendo io certissima che, non facendo questo, ero perpe- tuamente in continua inimicitia con le mie sorelle , con suoi mariti e figliuoli. Ondio mi risolvette con prontanimo de mandare per il patre del sposo; al quale io con gran- dissimo mio affanno e fastidio dissi quanto a me parea raggionevole, supplicandolo che si volesse contentare della mia prima dote, e non volere esser caggione chio sia, in- sieme con suo figliuolo, in perpetue inimicitie con mie so- relle, Suoi mariti e figliuoli. Dal quale io non ebbi risolu- tone alcuna: per mandai mia matre allabbate, facendogli 240 APPENDICE. la medema proposta che io havea fatto al patre del sposo, pregandolo nei medesimi muodi: il quale similmente poco ragionevole, disse che non voleva consentire altrimenti alla retrocessione e redonatione; anzi accenn a mia matre, che s io era malcontenta e poco sodisfatta della donatione, e sio non mi contentava che sequisse in questo muodo , chio facesse i fatti miei, che loro farebbono i suoi. Onde, non volendo li predetti consentire a questo ragionevol mio proposito, et oltre havend io hauto molte sinistre e cative informatione di lui, che  pieno di mal francioso, giovane poco accorto e manco virtuoso, con molti altri mancha- menti della persona sua, con pochissima robba e quasi niente; ho publicato di non volere in alcun muodo esser pi moglie di suo figliuolo , et hogli fatto sapere che fac- cino i fatti suoi, chio far i miei. Onde per questo suc- cesso io mi trovo molto malcontenta e soddisfatta, e tanto pi quanto vedo ancor mio patre poco amorevole dellaltre sue figliuole, stare fermo in quel primo proposito di volere ch'io piglia anche costui per marito, non curando il grave lamento, li stridi e il tumulto delle sue figliuole, de generi e nepoti; ahi quali io non posso patire, n mai so per sopportare, che gli sia fatto s grave danno et espresso torto, essendo elle tutte poverissime. S che, magnifico come patre honorandissimo, io mi trovo in questi travagli e guai, come ha inteso, n so con qual via me ne uscire, merc del mio ostinato patre, il quale, anchor che sia stato pregato da molti e diversi huomini da bene , non dimeno non vuole confessare de havere mal fatto, e pentirse del- lespresso torto che ha fatto alle sue figliuole. E se V. S. con una sua amorevol lettera non me aiuti , io so affatto affatto disperata. Ch il parentado vada innanzi , io non vi APPENDICE. 241 cognosco ordine alcuno , si per la villania usata , come ancho per le cative qualit da lui; et ancho perch, es- sendo successo tra noi queste male sodisfattone e rumori, io so certissima chio non ce harei mai un hora di bene; onde mi so resoluta per il meglio di non volere altrimente che il parentado segua. E per seguire questo mio buono proposito, la prego quanto pi so e posso, che mi dia aiuto e consiglio da removere mio patre dalla sua dura ostina- tione, la quale tengo al fermissimo, che per persuasione di V. S. lui lascier da parte, per haverla molto in os- servanza e riverirla da maggior suo osservandissimo. Io star ad aspettare che V. S. mi dia qualche consiglio, e che persuada a mio patre che non vogli, con tanto grave danno dellaltre sue figliuole, darmi questa discontentezza, facendosi tenere huomo partiale, crudele e senza piet al- cuna. E se tra questo mezzo io posso qualche cosa per lei, mi comandi da figliuola, che io sempre sar prontissima a suoi servigi, e perdonimi, se io non gli scrivo pi spesso, chi travagli mi tengano s occupata la mente, che alle volte io non so in questo mondo. Michelagnolo (1) se raccomanda insieme con Francesco a V. S. , mio patre e mia matre. Io gli bacio la mano; V. S. se degni raccomandarmi a Luisa e a tutti.  Di Gastei durante, l 4 ott.e 1558. (l) Michelangelo e Giovan Francesco, figli di Cornelia- FINE. La mente di Michelangelo. 16 * INDICE-SOMMARIO PARTE PRIMA. La Cappella Sistina. I. Michelangelo scopre gli affreschi della vlta della Sistina  Giulio II  Risposta di Michelangelo Pag . 3 II. La Sistina  il poema sacro dellarte  Suo riscontro col poema dantesco  Impressione prodotta in Roma appena la vlta fu scoperta  Incertezza sul concetto che lispirava .... Pag. 4 III. LItalia non ammir sinora che lesteriore del dipinto  Non si os, non si pot scrutarne il pensiero segreto  Architetti, pit- tori, letterati, storici, teologi, ciascuno lesamin sotto un aspetto particolare, senza abbracciarne il concetto generale  Molti coe- tanei supposero che velasse un mistero  Nessuno os pale- sarlo  Parole del Dolci nel Dialogo delle pitture  Quale pu essere il concetto segreto Pag. 6 IV. Rinascimento classico in Italia  Firenze centro del rinasci- mento filosofico e artistico  Lorenzo De Medici il Magnifico  Accademia Platonica  Politeismo religioso e filosofico  Cri- tica e razionalismo  Tendenza segreta ad una riforma reli- giosa  Genesto Pletone, Ficino  Rinascimento biblico  Pico, la Cabala e l antichit Ebraica  Reuchlino  La Bibbia Pag. 9 V. Michelangelo  accolto in casa dei Medici  Seduca alle dot- trine di Platone  Poliziano , Ficino , Pico della Mirandola gli spiegano il senso dei miti antichi  Gli suggeriscono i primi sog- getti delle sue opere Pag  16 244 INDICE-SOMMARIO. VI. Battaglia di Ercole e i Centauri  Significato simbolico  Morte di Lorenzo il Magnifico  Savonarola  Sue prediche  Impressione che ne riceve Michelangelo  Scolpisce il S. Gio- vanni, nunzio della nuova Redenzione Pag. 18 VII. Rivoluzione di Firenze  I Medici scacciati  Statua di David  Simbolo politico  Parole del Vasari intorno a questa statua Pag. 20 Vili. Primo soggiorno a Roma di Michelangelo  Alterna, come Dante, i soggetti dargomento classico a quelli biblici  LItalia non pu rinunziare all antichit classica del Paganesimo , che segna 1 epoca della sua grandezza  Come raffronto al David immagina la statua di Ercole che abbatte Caco  Sconforto del- l artista  Smette ogni lavoro  Tristizia dei tempi  Condi- zione infelice d Italia . Pag. 21 IX. Giulio II e Michelangelo  Due anime grandi che si compren- dono  Il sepolcro di Giulio e il sepolcro dItalia  Statua del Mos  Mos liberatore e legislatore  Giulio gli impone di di- pingere la vlta della Sistina Pag. 24 X. Dubitanza e timore di accingersi allimpresa, come Dante ad intraprendere il poema sacro  S accinge al lavoro  Rifiuta ogni aiuto  Lo termina Pag. 23 XI. Il Poema della Sistina e il Poema dantesco  IL parlar co- perto nella poesia, e il simbolismo nellarte  Detto del Roma- gnoli sul contrabbando delle idee  LItalia costretta da secoli a velare e dissimulare le sue idee  Linguaggio esoterico ed essoterico  Lepoca della luce  La nuova critica apre e schiara i misteri antichi Pag. 28 XII. Meraviglia prodotta nei coetanei quando scopr i dipinti della vlta  Impressione di sbalordimento e di terrore che destano tuttavia  Quale  il pensiero che li domina?  Una risposta fa- cile ma non convincente  Michelangelo abbandona ogni mito .ieratico e cristiano  Crea un nuovo simbolismo .... Pag. 30 XIII. Analisi del dipinto  Tre figure, tre protagonisti dominano la scena e porgono la chiave delloscuro poema  Amano, il Ser- pente di bronzo c Giona  Il falso crocefisso e il vero mar- tirio Pag. 34 XIV. Cosa rappresenta ciascuna di queste figure  Aman e il Ser- INDICE-SOMMARIO. 245 pente di bronzo aprono la prima parte del poema  Loro si- gnificato storico e simbolico  Significato dei medaglioni e delle diverse figure Pag. 36 XV. Giona apre la seconda parte del Poema  L uomo liberato dallorco  La vera redenzione  La nuova creazione  Sim- bolismo biblico  La Chiesa adultera e la Chiesa legittima  Il falso Cristo e il vero  La Chiesa futura  I Profeti e le Si- bille  La Giudea, 1 Ellenia e Italia  La Palingnesi umana  Daniele  Il giudizio dei popoli e dei re Pag . 40 XVI. Trent anni dopo  Vicende politiche  L Italia preda agli stranieri  Giulio II  Lega di Cambray  Francia e Spagna  Lotta eroica di Firenze contro Spagna e Clemente VII  La Ri- forma luterana  Tristizia dei tempi  Michelangelo, come sde- gnosa protesta , dipinge il Giudizio Universale Pag. 45 XVII. Laffresco del Giudizio  Giovane, scolp la lotta drcole contro i Centauri ; vecchio, il Giudizio sul Papato  Cristo de- nudato contrapposto al Cristo orpellato  La realt contro il sofismo e lipocrisia  Analisi del dipinto  S. Pietro respinto  La Grazia e la Legge  Condanna del Papato  I falsi Santi  La pelle o la maschera?  Il Vaticano e lantro di Averno  Messer Biagio custode del Vaticano  Gli Eletti  La nuova Chiesa e lantica  Un nuovo domma che sorge, lantico che cade  La scienza Pag. 48 XVIII. La Basilica di S. Pietro   il Paradiso della grande tri- logia michelangiolesca  S. Pietro compendia la Storia del Ri- nascimento   il vero tempio italico  Primo disegno della Basilica  Sangallo  Lo stile gotico  Il domma cattolico, il Medioevo e la sua Architettura  Oscurit e mistero  Luce e scienza  Lo stile italico  Brunelleschi  Il Rinascimento Pag. 55 XIX. Concetto di Michelangelo sulla Basilica  Vuol farne il tempio de templi  Ecletticismo italico  Umanesimo  Il vacuo sublime  La Cupola  Copernico  Bruno  Galileo  Lin- finito nel tempio, l infinito ne cieli Pag. 59 16 246 INDICE- SOMMARIO. PARTE SECONDA. HjtLonao, il figlio e il cittadino. I. Luomo spiega lartista  Opinione della Colonna su Michelan- gelo  Dote che privilegia luomo grande: confronti  Lunit della sua vita  La sua individualit  Si leva come modello al popolo italiano Pag. 65 II. Il figlio  Michelangelo nella vita domestica  Sue lettere al padre, al fratello  Lavora per la sua famiglia  Amorevolezze al padre, ai fratelli  Consigli al nipote per condurre moglie  Fierezza e cortesia  Liberale cogli altri, duro a s stesso Pag. 67 III. Rapporti suoi coi Papi  Sua indipendenza e fierezza  Aned- doti Pag. 74 IV. Il cittadino  Servilit dei letterati e degli artisti  Cortigia- neria e consorteria  Mecenati e servi  Diffcili condizioni in cui si trov Michelangelo  Assedio di Firenze  Il romanzo di Guerrazzi solo degno d unItalia libera Pag. 76 V. Firenze difesa da un artista e da un operaio  Michelangelo e Ferruccio  Operosit e oculatezza di Michelangelo  Cospira- zioni e tradimenti  Sospetti di Michelangelo Va a Ferrara, a Venezia per soccorsi  Ritorno a Firenze  Difesa  Sonetto politico  Caduta della Repubblica  Il guerriero ritorna artista  Lartista scampa dalla morte il repubblicano  Come riven- dica la libert oppressa Pag. 79 VI. I sepolcri medicei  Il Pensiero  Il Guerriero  Il Sonno , il Crepuscolo  Significato del Deposito  Il busto di Bruto Pag. 85 VII. Michelangelo si ritira a Roma Pag. 90 PARTE TERZA. "Vittoria, Colonna. I. Dopo la famiglia e la patria, la donna  Il femminile nella let- teratura italiana  Ad ogni poeta la sua donna uniti nella vita INDICE-SOMMARIO. 247 e nellimmortalit  Lamore nelluomo di genio  L ideale fem- minile ne poeti e artisti italiani Pag. 95 II. Lideale di Michelangelo e la sua teoria dellamore . . Pag. 98 III. La donna e gli artisti  Confronti  La donna dell Evangelo e la biblica  La donna forte ove trovarla? Pag . 102 IV. Let dei forti amori  Le tre fasi damore descritte da Dante  Il simbolismo dantesco realizzato nella vita di Michelangelo  Suo primo incontro con Vittoria Colonna Pag . 106 V. Ritratto della Marchesana Pag. 110 VI. Fasi diverse del loro amore  Dallidillio al misticismo e al- lelegia Pag. ili VII. Michelangelo invia a Vittoria lavori darte  Le fece il ri- tratto? Pag. 119 Vili. Lanimo della Colonna   il tipo della donna del Rinasci- mento Pag. 121 IX. Sue nozze col Pescara  Sua vedovanza Pag. 123 X. Si ritira in un monastero  Soggiorno di lei a Ferrara, a Na- poli, a Viterbo e a Roma Pag. 125 XI. Sue idee religiose  Movimento della riforma religiosa in Italia Pag. 128 XII. Feroce guerra di Paolo III contro i Colonna  Resistenza e di- sfatta dei Colonna  Ultima lettera di Vittoria a Michelangelo Pag. 131 XIII. Sua malattia e sua morte . Pag. 138 XIV. Michelangelo dopo la morte di Vittoria  Egli pure  invaso dal pensiero della morte Pag. 140 XV. Si concentra nel lavoro della Rasilica * Pag. 141 XVI. Le sue ultime poesie  Combattimento interno  Fede e dub- bio  Fatalit  Libero arbitrio  Predestinazione e provvi- denza  Edipo a Colono  Il Manfredi di Byron e Michelangelo alle prese colla morte  Sua morte Pag. 143 XVII. Esequie  Benvenuto Cellini  Tramonto d un secolo Pag. 149 248 INDICE-SOMMARIO. PARTE QUARTA. Lartista. I. Artista e pensatore  Il suo genio campeggia sovrano nellarte  I geni dellumanit  Luomo del presente, luomo dellavvenire  I geni profetici pag. 153 II. L arte per l arte e l arte-pensiero  Michelangelo imprime forma all idea , determina l indeterminato : dipinge col cer- vello Pag. 156 III. I suoi dipinti sono il moto, la passione  Il manierismo  Il realismo volgare e il grande realismo  Lantropomorfismo greco e quello di Michelangelo  Il sentimento della natura in Michelangelo  Ama la natura e loltrepassa  La grande arte per lui  luomo  Luomo individuo, luomo nella storia Pag. 158 IV. Ne suoi dipinti conviene cercare il pensiero  I libri a cui sispirava Pag. 161 V. La Bibbia  Dante, Savonarola e Platone  La Bibbia proibita dal Papato  Antinomia tra il falso Cristianesimo e le dottrine politiche e morali dellantico Testamento Pag. 163 VI. Le eresie del medio evo  Gergo antipapale e Ghibellino  * Rossetti  Nuovo commento di Dante Pag. 167 VII. Riformatori italiani  Rinascimento classico e biblico  Eclet- ticismo filosofico  Conciliazione religiosa Pag. 170 Vili. Savonarola e la Riforma  I focolari della Riforma in Italia  L Oratorio del Dioino Amore  Il Congresso di Vicenza del 1515 Pag. 175 IX. Reazione cattolica, persecuzioni  Effetti della reazione sulle arti Pag. 179 X. Larte  la coscienza dItalia e la sua parola  Michelangelo raccoglie il pensiero del Rinascimento Pag. 81 INDIDE-SOMMARIO. 249 PARTE QUINTA. Le sue opere. I. Michelangelo e Goethe: Michelangelo domina, come Goethe, il suo secolo  Vive la vita del suo secolo  Concetto religioso e sociale che ispirarono le sue opere  Il Tondo  La famiglia mistica e la reale  Il gruppo della Piet  La passione di una madre  Il Deposito della Croce  Il vecchio e il nuovo Cristo Pag. 185 II. Ancora la vlta della Sistina e il Giudizio Universale  Opi- nioni del Michelet e del Castelar  Il nuovo simbolismo  Si espli- cano meglio le principali figure della vlta Pag. 189 III. Ancora del Giudizio Universale  La Rivoluzione che atterra ed edifica  Pcig  196 PARTE SESTA. Il pensatore e lEresiarca dell Arte. I. Segreto di Michelangelo  Lambiente  La lunetta della vlta  Loqui prohibeor et tacere non possum Pag. 199 II. Quale fu la religione da lui professata?  Opinioni diverse Pag. 201 III. Suoi sonetti e stanze contro Roma papale  Michelangelo sera scisso dal Cristianesimo? Pag. 204 IV. Lotta tra il dubbio e la fede  Il Cristianesimo storico e il Cristianesimo ideale  L Evangelo storico e l Evangelo eterno  La essenza delle religioni Pag. 208 V. Segue lo stesso argomento  Oziosit delle discussioni sulla bont o meno di un culto  Il culto del vero, del bello, del buono Pag. 212 VI. Artisti-sacerdoti  Eclettismo religioso di Michelangelo Pag. 214 VII. Ritorno nella Sistina  Limmanenza del divino nellumanit  Larte perenne e i suoi tipi  I Rapresentatives Mens  Sim- bologia dellUmanesimo e gli uomini che rappresentano lUrna- 250 INDICE- SOMMARIO. nit  Il Giudizio Universale e la Rivoluzione  Mausoleo di Giulio II  La sublimazione della materia Pag. 215 Vili. Conciliazione fu lultima parola della Rinascenza  Eleva- zione fu il motto dellarte michelangiolesca e dovrebbe esserlo del Rinnovamento italico  Il realismo moderno e il realismo di Michelangelo  Levoluzione dominata dal Pensiero  Michelan- gelo precursore dellarte futura Pag. 219 EPILOGO. Tre periodi della sua vita  Triplice serie di opere: quelle del- l et giovanile, dell adulta e della vecchiaia  Suo intento  Si epiloga nel Mos, nella Basilica di S. Pietro, tempio dellU- manit  Influenza da lui esercitata nellarte  Giudizio di Boito  Reazione cattolico-spagnuola  Servilismo  Ipocrisie  Finzioni spettacoli e apparenze  Il barocco  Larte che lu- singa, fiacca, sopprime il pensiero  La musica, arte della de- cadenza  Michelangelo combatte il convenzionalismo e le fin- zioni  Inizia larte libera  Leresiarca dellarte  Dante rias- sume il medio evo; Michelangelo corona la Rinascenza, inau- spica il Rinnovamento  Da lui si devon prendere gli auspici  Come ricre Roma artistica , la sua mente potrebbe rinnovare Roma morale e politica Pag. 227 Appendice Pag. 237 GETTY RESEARCH INSTITUTE 3 3125 01295 7128 OPERE DELLO STESSO AUTORE Patria f. Affetti  Liriche. Emma Liona o I Martiri di Napoli nel 1799  Dramma storico. Lunit Cattolica e lunit Moderna  Questione Ro- mana. Democrazia e Papismo  Questione Romana. Il Profeta o la Passione di un popolo  Poema-Dram- matico. Martirio e Redenzione  Canti patrii. Ausonia.  Vita dAzione. Vita di Pensiero  Ricordi e Liriche. Demeter. Cuor di Madre  Racconto in versi, e saggio sullIdeale Femminile in Italia. Lo Stato in Italia  Nuovo programma. Il Femminile Eterno. Canto dei Cantici  La donna nelle civilt dei popoli.

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