ADELINO ZANINI, Ordoliberalismo. Costituzione e critica dei concetti (1933-1973) Bologna, il Mulino, 2022, pp. 568, Euro 40,00. Con la pubblicazione del suo recente libro Adelino Zanini, docente di Filosofia Poli-tica e Storia del Pensiero economico presso l'Università Politecnica della Marche, intende offrire una panoramica lucida ed esaustiva della corrente dell'Ordoliberalismo, mettendone in luce aspetti inediti e spesso trascurati dalla critica, anche grazie ad una scrupolosa in-dagine di ricostruzione delle fonti e dei concetti. Come viene messo in luce nel libro, l'Or-doliberalismo è una dottrina ibrida e peculiare, spesso associata al cosiddetto "modello tedesco in un arco temporale che va dalla crisi di Weimar al secondo dopoguerra, con-traddistinta da una forte aderenza alla cornice concettuale dello "Stato-Nazione" e dello Stato di diritto (ben diverso dal modello anglosassone, e invece inteso secondo la tradizione tedesca Rechtsstaat), ma allo stesso tempo caratterizzata anche da una forte adesione ai valori della libertà e del libero mercato. Benché per molto tempo l'Ordoliberalismo sia stato interpretato come un movimento unitario, spesso inglobato o associato all'economia sociale di mercato di Alfred Muller-Armack e alle riforme di Ludwig Erhard, all'epoca ministro dell'Economia, o addirittura assimilata a quello che oggi viene definito, spesso in maniera confusa, "neoliberalismo", il volume intende cogliere la peculiarità del fenomeno, mostrando fin dalle prime pagine le problematicità legate all'invocazione di una dottrina unitaria e isolando dunque le po-sizioni degli originali fondatori del movimento (Franz Böhm, Walter Eucken e Hans Gro-Bmann-Doerth) da quelli degli altri importanti esponenti della Scuola di Friburgo (Wilhelm Röpke e Alexander Rüstow), che "forniranno a loro volta il canone sociologico che [...] introduce e accompagna l'analisi del sistema teorico della Sozial Marktwirtschaft" (p. 16). Il volume riesce pienamente nel suo intento grazie ad un'attenta ricostruzione storica e cronologica, impreziosita e arricchita dai riferimenti alle fonti - molto spesso di difficile reperibilità e non sempre tradotte in lingua italiana - dei principali protagonisti delle diverse fasi del movimento di crisi e rinascita della società politica ed economica tedesca, in quello cheè stato forse il più difficile e ambiguo periodo di tutta la sua storia. Tra le altre cose, uno dei meriti del volume è quello di mostrare come l'Ordoliberali-smo non possa essere esclusivamente interpretato come un policy paradigm, ossia come una dottrina basata sull'implementazione di politiche pubbliche e riforme giuridiche e isti-tuzionali, scevra di una riflessione di carattere metodologico e teorico sul ruolo delle scienze sociali, della scienza economica in particolare, e del potere politico. Al contrario, ad essere messa in luce è la riflessione prettamente filosofica che anima gli scritti di molti dei suoi protagonisti (non dimentichiamoci che fino all'inizio del XX secolo le facoltà di economia non esistevano e gli economisti compivano studi di diritto e di filosofia). Il volume restituisce in maniera genuina l'immagine di intellettuali a tutto tondo, che si batte-rono in prima linea per cambiare le sorti del loro paese, ben consapevoli dei grandi cambiamenti nelle scienze e nella cultura del loro tempo. Per parafrase Michel Foucault - che pure viene menzionato più volte nel libro e cheè tra i primi a dedicare attenzione, sep-pur in maniera peculiare, al tenomeno ordoliberale - la loro visione consiste in una "go-vernamentalita": una riflessione sul principio della razionalità del governo in grado di sopperie alla crisi in cui versavano allora la scienza giuridica e la scienza economica, per dare una nuova legitima al potere dello Stato. La meticolosa critica dello storicismo e del suo relativismo, incapaci di fomire una bussola per orientare la scienza, ma anche gli in-teressi della vita economica della nazione; la presa di posizione all'interno dell'annoso di-battito sul Methodenstreit e il rifiuto delle idee che in quegli anni presero piede a partire dal Logical Positivism e dal Wiener Kreis, le quali presupponevano l'idea di una societa organizzata e diretta dall'alto; la critica del laissez-faire e la consapevolezza che il "nuovo" liberalismo avrebbe dovuto essere caratterizzato da un certo tipo di regolamentazione giu-ridica, affinché il mercato fosse il risultato di un ordine legale e non semplicemente natu-rale: sono questi tutti elementi indispensabili per comprendere il punto focale della dottrina ordoliberale. Da qui deriva infatti l'idea centrale e insita nel concetto di Ordnung, di una costituzione economica, da intendersi *come 'una decisione politica generale circa la vita economica nazionale, atta quindi a stabilire i principi idonei e conclusivi tramite i quali interpretare i molteplici aspetti del diritto pubblico e privato" (p. 11). Da qui derivano le premesse di carattere normativo della loro visione politica basata sull'adesione al diritto privato e ad una forte presenza dello Stato in grado di tutelarlo, che porterá a quel nesso tra politica economica e politica sociale (che tanto interessava Foucault da portarlo ad in-terpretare il movimento ordoliberale come espressione "biopolitica" di una Vitalpolitik) - nesso che, come sottolineato nel volume, risultava piuttosto problematico per gli stessi fondatori dell'Ordoliberalismo, Eucken e Böhm, ma che era più facile da accettare per gli esponenti dell'economia sociale di mercato. Si tratta in sintesi di un volume che non può mancare nella collezione degli studiosi di storia delle dottrine politiche ed economiche contemporance, ma anche nelle librerie d coloro che intendono studiare in maniera più chiara le radici fondamentali dei concetti ap-partenenti al pensiero politico europeo, molti dei quali - come sottolineato anche da una crescente letteratura sull'argomento - sono poi stati canonizzati nei trattati europei. Il volume si chiude infatti con una disamina dell'eredità ordoliberale e sull'influenza che essa ha avuto rispetto ai fondamenti dottrinali dell'odierno edifico europeo, ribadendo però che più che di una tradizione, ci si debba riferire "alla trasformazione epocale che ha caratte-rizzato - non in senso unilaterale, peraltro - la crisi avviatasi nei primi anni Settanta del Novecento. La quale certo, ha trovato, dopo, una sponda importante in un modo già definito e sperimentato d'intendere l'Europa a trazione tedesca e quindi in una concezione neoli-berale che di fatto faceva perno su di una tradizione forte" (p. 477); uno scenario da cuismo non possa essere esclusivamente interpretato come un policy paradigm, ossia come una dottrina basata sull'implementazione di politiche pubbliche e riforme giuridiche e isti-tuzionali, scevra di una riflessione di carattere metodologico e teorico sul ruolo delle scienze sociali, della scienza economica in particolare, e del potere politico. Al contrario, ad essere messa in luce è la riflessione prettamente filosofica che anima gli scritti di molti dei suoi protagonisti (non dimentichiamoci che fino all'inizio del XX secolo le facoltà di economia non esistevano e gli economisti compivano studi di diritto e di filosofia). Il volume restituisce in maniera genuina l'immagine di intellettuali a tutto tondo, che si batte-rono in prima linea per cambiare le sorti del loro paese, ben consapevoli dei grandi cambiamenti nelle scienze e nella cultura del loro tempo. Per parafrase Michel Foucault - che pure viene menzionato più volte nel libro e cheè tra i primi a dedicare attenzione, sep-pur in maniera peculiare, al tenomeno ordoliberale - la loro visione consiste in una "go-vernamentalita": una riflessione sul principio della razionalità del governo in grado di sopperie alla crisi in cui versavano allora la scienza giuridica e la scienza economica, per dare una nuova legitima al potere dello Stato. La meticolosa critica dello storicismo e del suo relativismo, incapaci di fomire una bussola per orientare la scienza, ma anche gli in-teressi della vita economica della nazione; la presa di posizione all'interno dell'annoso di-battito sul Methodenstreit e il rifiuto delle idee che in quegli anni presero piede a partire dal Logical Positivism e dal Wiener Kreis, le quali presupponevano l'idea di una societa organizzata e diretta dall'alto; la critica del laissez-faire e la consapevolezza che il "nuovo" liberalismo avrebbe dovuto essere caratterizzato da un certo tipo di regolamentazione giu-ridica, affinché il mercato fosse il risultato di un ordine legale e non semplicemente natu-rale: sono questi tutti elementi indispensabili per comprendere il punto focale della dottrina ordoliberale. Da qui deriva infatti l'idea centrale e insita nel concetto di Ordnung, di una costituzione economica, da intendersi *come 'una decisione politica generale circa la vita economica nazionale, atta quindi a stabilire i principi idonei e conclusivi tramite i quali interpretare i molteplici aspetti del diritto pubblico e privato" (p. 11). Da qui derivano le premesse di carattere normativo della loro visione politica basata sull'adesione al diritto privato e ad una forte presenza dello Stato in grado di tutelarlo, che porterá a quel nesso tra politica economica e politica sociale (che tanto interessava Foucault da portarlo ad in-terpretare il movimento ordoliberale come espressione "biopolitica" di una Vitalpolitik) - nesso che, come sottolineato nel volume, risultava piuttosto problematico per gli stessi fondatori dell'Ordoliberalismo, Eucken e Böhm, ma che era più facile da accettare per gli esponenti dell'economia sociale di mercato. Si tratta in sintesi di un volume che non può mancare nella collezione degli studiosi di storia delle dottrine politiche ed economiche contemporance, ma anche nelle librerie d coloro che intendono studiare in maniera più chiara le radici fondamentali dei concetti ap-partenenti al pensiero politico europeo, molti dei quali - come sottolineato anche da una crescente letteratura sull'argomento - sono poi stati canonizzati nei trattati europei. Il volume si chiude infatti con una disamina dell'eredità ordoliberale e sull'influenza che essa ha avuto rispetto ai fondamenti dottrinali dell'odierno edifico europeo, ribadendo però che più che di una tradizione, ci si debba riferire "alla trasformazione epocale che ha caratte-rizzato - non in senso unilaterale, peraltro - la crisi avviatasi nei primi anni Settanta del Novecento. La quale certo, ha trovato, dopo, una sponda importante in un modo già definito e sperimentato d'intendere l'Europa a trazione tedesca e quindi in una concezione neoli-berale che di fatto faceva perno su di una tradizione forte" (p. 477); uno scenario da cuicomunque "uscirono ribaditi il suo possibile inveramento", ma anche "la sua ineludibile ¡bridazione a livello europeo" che portò d'altro canto anche ad un suo "forzato imbastar-dimento" (p. 478). JACOPo MaRchETT
Wednesday, June 18, 2025
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