Luigi Speranza – GRICE ITALO!;
ossia, Grice e Sarpi: la ragione conversazionale della meta-fisica del fenice,
o l’arte del bien conversar – filosofia veneta – la scuola di Venezia –
filosofia veneziana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Venezia). Filosofo veneziano.
Filosofo veneto. Filosofo italiano. Venezia, Veneto. Very important Italian
philosopher. Definito d’Acquapendente come oracolo, autore
della celebre Istoria del Concilio tridentino, subito messa all'indice. Fermo
oppositore del centralismo monarchico di Roma, difendendo le prerogative della
repubblica veneziana, colpita dall'interdetto emanato da Paolo V. Rifiuta di
presentarsi di fronte all'inquisizione romana che intende processarlo e sube un
grave attentato che si sospetta sta organizzato dalla curia romana,
"agnosco stilum Curiae romanae", che nega tuttavia ogni
responsabilità. L'infanzia e una ritiratezza in sé medesimo, un sembiante
sempre penseroso, e più tosto malinconico che serio, un silenzio quasi
continuato anco co' coetanei, una quiete totale, senza alcun di quei giuochi,
a' quali pare che la natura stessa ineschi i fanciulli, acciò che col moto
corroborino la complessione: cosa notabile che mai fosse veduto in alcuno. Poi,
così serve in tutta la sua vita, et all'occasioni dice non poter capir il gusto
e trattenimento di chi giuoca, se non fosse affetto d'avarizia. Un'alienazione
da ogni gusto, nissuna avidità de' cibi, de' quali si nutre così poco, che
restava meraviglia come stasse vivo. Nell'anno in cui proseguivano le sedute
del Concilio di Trento, Carlo V e in guerra con i prìncipi protestanti tedeschi
e il Parlamento inglese adotta un Libro di preghiere d'ispirazione luterana.
Figlio di Francesco di Pietro S., di famiglia di lontane origini friulane --
precisamente di San Vito al Tagliamento -- e mercante a Venezia eppure, scrive
Micanzio, per la sua indole violenta più dedito all'armi ch'alla mercatura. La
madre, veneziana, d'aspetto umile e mite e Isabella Morelli. Rimasta vedova, fu
accolta con il suo figlio e l'altra figlia Elisabetta nella casa del fratello
A. Morelli, prete della collegiata di Sant'Ermagora. Con lo zio, uomo d'antica
severità di costumi, molto erudito nelle lettere d'umanità addottrinando nella
grammatica e retorica molti fanciulli della nobiltà, fa i primi studi,
imparando presto e con facilità. A dodici anni, nell’anno dell'istituzione,
dopo la chiusura del Concilio, dell'Indice dei libri proibititra i tanti, vi
finirono il Talmud e il Corano, il De Monarchia di Dante e le opere di
Rabelais, Folengo, TELESIO, MACHIAVELLI, ed Erasmo, passa alla scuola di
Capella, dell'Ordine dei Servi di Maria, seguace delle dottrine di Scoto.
Capella gli insegna logica, filosofia e teologia, finché il ragazzo fece così
rapidi progressi che il maestro istesso confessa non aver più che insegnargli.
Con altri maestri veneziani apprese la matematica, la lingua greca e l'ebraica.
Con la familiarità e co' studii entra Panco in desiderio di ricevere l'abito
de' servi, o perché gli paresse vita conforme alla sua inclinazione ritirata e
contemplativa, o perché vi fosse allettato dal suo maestro, malgrado
l'opposizione della madre e dello zio che lo voleva prete nella sua chiesa,
entra nel monastero veneziano dei servi di Maria. Continua ancora a studiare
con il Capella, rimanendo alieno dalle distrazioni proprie della sua età finché
in occasione della riunione a Mantova del capitolo generale dell'Ordine
servita, mandato in quella città «ad onorar il congresso e far vedere che
gl'ordini non sono oziosi, ma spendono il tempo in sante e lodevoli operazioni,
difendendo 318 delle più difficili proposizioni della filosofia naturale. Il
qual carico con che felicità lo sostenesse e con che giubilo e stupore di
quella venerabile corona, si può dall'evento argomentare. Essersi così distinto
agli valse la nomina a teologo da parte del duca di Mantova. Prencipe di
grandissimo ingegno, così profondamente erudito nello scienze, che difficilmente
si discerne qual fosse maggiore, o la prudenza di governare, o l'erudizione di
tutte le scienze et arti, sino nella musica, mentre il Boldrino gli affida la
cattedra. Stabilito nel convento di San Barnaba, perfeziona la conoscenza della
lingua ebraica e inizia, col puntiglio consueto, ad applicarsi agli studi
storici. E certo a motivo di quest'interesse che a Mantova frequenta Olivo, già
segretario di Gonzaga, cardinale e legato pontificio nelle ultime sessioni del
concilio di Trento, la cui caduta in disgrazia presso Pio IV coinvolse anche
l'Olivo che fu dagl’inquisitori molto travagliato, col tenerlo longamente in
carcere dopo la morte del cardinale suo signore, ma che ora, dopo la morte del
pontefice, vive privatamente in Mantova. Il gusto principale che riceva in
conversare con lui e perché lo trovava d'una moderazione singolare, erudito, e
che, per esser stato col cardinale a Trento, ha gran maneggio in quelle azioni
e sa tutte le particolarità de' negozii più secreti, et ha anco molte memorie,
nell'intendere le quali riceve molto piacere. Sono gli anni in cui in Italia
continua con vigore la repressione inquisitoriale di Pio V. P. CARNESECCHI
venne decapitato. Gl’ebrei sono espulsi dallo stato pontificio tranne che da
Roma e da Ancona, nei ghetti delle quali vennero costretti a risiederee. E
impiccato l'umanista A. Paleario. Il papa scomunica Elisabetta d'Inghilterra,
oorganizzò la Lega contro i turchi, ottenendo la vittoria navale di Lepanto e a
Parigi, a migliaia di ugonotti sono massacrati. Fa la sua professione, entrando
ufficialmente nell'Ordine servita. Anche di lui l'Inquisizione si occupa
seguito della denuncia di un confratello che lo accusa di sostenere che dal
primo capitolo del Genesi non si può ricavare l'articolo di fede della trinità.
Ma, poiché effettivamente di trinità divina non vi è traccia nel vecchio
testamento, l'inquisizione gli diede ragione, archiviando il caso. Dopo aver
ricevuto nel convento mantovano il titolo di baccelliere, e invitato a Milano
da Borromeo il quale, dopo aver ottenuto dalle autorità contro la volontà del
Senato, il riconoscimento del tribunale e della polizia diocesana, avvia un
processo di riforma del clero. Ottenne di essere trasferito nel convento
dell'Ordine servita di Venezia, dove e incaricato dell'insegnamento della
FILOSOFIA e continua i suoi studi scientifici. Nella grande epidemia di peste,
che imperversa a Venezia, facendo 50.000 vittime tra le quali Tiziano frimase
immune dal contagio. Dopo essersi addottorato a Padova, e nominato reggente del
convento di Venezia e priore della provincia veneta. Durante il Capitolo a
Parma, nel quale venne rieletto priore G. Tavanti, tenne una dissertazione di
fronte ai cardinali protettori dell'Ordine, Farnese e Santori. Uno dei tre
saggi, insieme con Franco e Giani, incaricati di preparare una riforma della
regola. Il carico suo speziale e d'accommodare quella parte che tocca i sacri
canoni, le riforme del concilio di Trento, allora nuove, e la forma de'
giudizii quella parte tutta ove si tratta de' giudizii accommodatamente allo
stato claustrale. Lascia in questo carico in Roma fama di gran sapere e di
molta prudenza, non solo nelle corti de' due cardinali suddetti, co' quali, per
ordine contenuto in un breve apostolico di Gregorio XIII, conviene conferire
ogni legge che si fa, ma anco e necessario molte volte trattar col pontefice
medesimo. Sbrigato da quale peso ritorna al suo governo. Si tenne a Bologna il
nuovo Capitolo dell'Ordine servita e viene eletto procuratore generale, la
suprema dignità di quell'ordine dopo il generale il carico porta seco di
difender in Roma tutte le liti e controversie che vengono promosse in tutta la
religione. Dove pertanto trasferirsi a Roma dove conobbe e prende strettissima
familiarità col padre Bellarmino poi cardinale, e dura l'amicizia sin al fine
della vita, grazie al quale forse puo prendere visione di diversa
documentazione relativa alle istruzioni date ai legati pontifici durante il
Concilio di Trento. Conosce anche il dottor Navarro, teologo difensore
dell'arcivescovo di Toledo, B. Carranza, accusato di eresia, il gesuita
Bobadilla e il cardinale Castagna, poi Urbano VII. Ha occasione di passare a
Napoli per presiedere Capitoli e conversare con quel famoso ingegno Porta, il
quale, anco nelle sue opere mandate in luce, fa onorata menzione del padre
Paolo come di non ordinario personaggio. Scaduto il periodo di carica a
procuratore generale dell'Ordine servita, ritorna a Venezia, frequentandovi i
circoli intellettuali che si riunivano nella bottega di Sechini e nella casa del
nobile veneziano A. Morosini, dove conobbe anche BRUNO. A Padova frequenta la
casa di Pinelli, il ricetto delle muse e l'academia di tutte le virtù in quei
tempi, dove iincontrare Galileo e Bruno, il quale s'intrattenne a Padova più di
tre mesi, poco prima di essere arrestato a Venezia. Si dove scegliere il
generale dell'Ordine servita, e fra i due principali candidati, Baglioni e
Dardano, si espresse a favore del primo. Il rancore spinse Dardano a
denunciarlo al Sant'Uffizio, accusandolo di negare efficacia allo Spirito
Santo, di avere rapporti sospetti con ebrei e allegando una lettera che fgli
scrive da Roma, nella quale sono contenute alcune parole in discredito della
corte, come che in quella si viene alle dignità con male arti, e di tenerne
esso poco conto, anzi abominarla. Senza nemmeno essere chiamato a Roma per
discolparsi, e subito prosciolto da ogni accusa. Ma il cardinale di Santa
Severina, G. Santori, protettore dell'Ordine e capo del S. Uffizio, mostrò però
implacabile indignazione autilizzando tutta la sua autorità per escludere gli
amici dalli gradi et onori con maniere così strane e fini così bassi, ch'io non
ardisco poner i casi che mi sono stati dati in nota, perché troppo gran
scandalo arrecherebbono al mondo. Continua i suoi studi mentre non cessano le
rivalità nell'Ordine servita, del quale venne eletto priore, Montorsoli, che
morì tre anni dopo, succedendogli così, Dardano, accanito avversario del S..
Questi, deciso a uscire dall'Ordine per sottrarsi all'inimicizia dalla quale si
sentiva circondato, cerca di ottenere un vescovato, prima a Caorle e poi a
Nona, in Dalmazia, che però gli vengono rifiutati a causa delle negative
informazioni che di lui il Dardano e Gagliardi, preposito della casa veneziana
dei gesuiti, diedero al papa. Esse ssente mormorare alle volte che egli con
alcuni facci una scoletta piena d'errori. Non solo: nel Capitolo, Dardano
l’accusa di portare una berretta in capo contra una forma che sino sotto
Gregorio XIV disse esser proscritta; che portasse le pianelle incavate alla
francese, allegando falsamente esserci decreto contrario, con privazioni
divote; che nel fine della messa non recita lo Salve Regina. E assolto anche da
queste accuse. La Repubblica veneziana, stretta a nord dall'Impero, in Italia
dalla prevalenza spagnola e papale, in Oriente dalla potenza turca, e ormai
avviata a quel lungo declino politico ed economico che a la sua sanzione. Alla
prudente politica dei patrizi, rasseglla compromissione con l'Impero e il
papato, si sostituì quella degli innovatori, i cosiddetti «Giovani», decisi a
sottrarre la Serenissima all'invadenza ecclesiastica nell'interno e a
rilanciarne le fortune commerciali nell'Adriatico, compromesse dal controllo
dei porti esercitato dallo Stato pontificio e dalle azioni degli Uscocchi, i
pirati cristiani croati appoggiati dall'Impero. Iil Senato veneziano proibì la
fondazione di ospedali gestiti da ecclesiastici, di monasteri, chiese e altri
luoghi di culto senza autorizzazione preventiva della Signoria. Un'altra legge
proibiva l'alienazione di beni immobili dai laici agli ecclesiastici, già
proprietari, pur essendo solo un centesimo della popolazione, di quasi la metà
dei beni fondiari della Repubblica, e limita le competenze del foro
ecclesiastico, prevedendo il deferimento ai tribunali civili degli
ecclesiastici responsabili di reati di particolare gravità. Avvenne che il
canonico vicentino S. Saraceno, colpevole di molestie a una nobile parente, e
l'aristocratico abate di Nervesa, Brandolini, reo di omicidi e di stupri, sono
incarcerati. Paolo V emana due brevi richiedenti l'abrogazione delle due leggi
e la consegna al nunzio pontificio dei due ecclesiastici, affinché secondo il
diritto canonico fossero giudicati da un tribunale ecclesiastico. Il nuovo doge
Donà fece esaminare i due brevi da giuristi e teologi, fra i quali S., affinché
trovassero modo di controbattere alle richieste della Santa Sede. Venne
nominato teologo canonista proprio S. e lo stesso giorno il suo scritto:
Consiglio in difesa di due ordinazioni della Serenissima Repubblica, venne
inviato al Papa. Difese le ragioni della Repubblica con numerosi saggi. Sono di
questi mesi la scrittura sopra la forza e validità delle scomuniche, il
consiglio sul giudicar le colpe di persone ecclesiastiche, la scrittura intorno
all'appellazione al concilio, la scrittura sull'alienazione dei beni laici agli
ecclesiastici e altri ancora, poi raccolti nella sua successiva “Istoria
dell'interdetto”. In quell saggio è contenuta anche un saggio sulla validità
della scomunica, attaccato da BELLARMINO, al quale rispose allora con
l'Apologia per le opposizioni do Bellarmino. Mentre Micanziosuo inizia a
collaborare dopo che Paolo V scomunica il consiglio veneziano e fulminato con
l'interdetto lo Ssato veneto, pubblica il protesto del monitorio del pontefice,
nel quale il breve papale Superioribus mensibus è definito nullo e di nessun
valore, mentre impede la pubblicazione della bolla pontificia. Obbedendo alle
disposizioni del papa, i gesuiti rifiutano di celebrare le messe a Venezia e la
Repubblica reage espellendoli insieme con cappuccini e teatini. Parteno la sera
alle doi di notte, ciascuno con un Cristo al collo, per mostrare che Cristo
parte con loro. Concorse moltitudine di populo e quando il preposto, che ultimo
entra in barca, dimanda la benedizione al vicario patriarcale si leva una voce
in tutto il populo, che in lingua veneziana grida loro dicendo "Andé in
malora!". A Roma si spera che l'interdetto provocasse una sollevazione
contro i governanti veneziani ma i gesuiti scacciati, li cappuccini e teatini
licenziati, nissun altro ordine parteno, li divini uffizi sono celebrati
secondo il consueto il senato e unitissimo nelle deliberazioni e le città e
populi si conservano quietissimi nell'obbedienza. Venezia era alleata, in
funzione anti-spagnola, con la Francia, ed era in buoni rapporti con
l'Inghilterra e con la Turchia. Fingendosi veneziani, soldati spagnoli, per
provocare la rottura delle relazioni turco-veneziane, sbarcano Durazzo,
saccheggiandola, ma la provocazione e facilmente scoperta e i turchi offreno a
Venezia l'appoggio della loro flotta contro il papa. L'Inquisizione l’intima di
presentarsi a Roma per giustificare le molte cose temerarie, calunniose,
scandalose, sediziose, scismatiche, erronee ed eretiche contenute nei suoi
saggi ma naturalmente si rifiuta. Invano il papa che scomunica Sarpi e
Micanziosi dichiara favorevole a portare guerra a Venezia. La sua unica
alleata, la Spagna, minacciata da Francia, Inghilterra e Turchia, non puo
sostenerla in quest'impresa e si giunse così alle trattative diplomatiche,
favorite dalla mediazione del cardinale Joyeuse. Venezia rilascia i due
ecclesiastici incarcerati e ritira il suo protesto al papa in cambio della
revoca dell'interdetto, mentre le leggi promulgate dal Senato veneziano
restarono in vigore e i gesuiti non possono rientrare nella Repubblica. Riceve
Schoppe, molto intimo dei segreti affari della curia romana, il quale gli
confide che il papa, come gran prencipe, ha longhe le mani, e che per tenersi
da lui gravemente offeso non puo succedergli se non male, e che se sino a
quell'ora avesse voluto farlo ammazzare, non gli mancavano mezzi. Ma che il
pensiero del papa e averlo vivo nelle mani e farlo levare sin a Venezia e
condurlo a Roma, offerendosi egli, quando volesse, di trattare la sua
riconciliazione, e con qual onore avesse saputo desiderare. Asserendo d'aver in
carico anco molte trattazioni co' prencipi alemanni protestanti e la loro
conversione». Schoppe, ambiguo provocatore, intende convincerlo a mettersi
nelle mani dell'inquisizione come miglior partito che puo prendere, tanto
parvero strane le due proposte di far ammazzare o prender vivo il padre. I
disegni omicidi sono reali. Circa le 23 ore, ritornando al suo convento di San
Marco a Santa Fosca, nel calare la parte del ponte verso le fondamenta, e
assaltato da V assassini, parte facendo scorta e parte l'essecuzione, e resta
l'innocente ferito di tre stilettate, due nel collo et una nella faccia,
ch'entrava all'orecchia destra et usciva per apunto a quella vallicella ch'è
tra il naso e la destra guancia, non avendo potuto l'assassino cavar fuori lo
stillo per aver passato l'osso, il quale restò piantato e molto storto. I
sicari, fuggendo, trovano rifugio nella casa del nunzio pontificio e la sera
s'imbarcano per Ravenna, da dove proseguirono per Ancona e di qui raggiunsero
Roma. Si conoscono i loro nomi: l'esecutore materiale dell'attentato e Poma,
già mercante veneziano, poi trasferitosi a Napoli e di qui a Roma, dove divenne
intimo del cardinale segretario di Stato S. Caffarelli-Borghese e dello stesso
Paolo V. E co-adiuvato da tre uomini d'arme, tali A. Parrasio, Giovanni da
Firenze e Bitonto, mentre «a spia, o guida e Viti, solito offiziare in S.
Trinità di Venezia, che non lascia dubitare quanti mesi precedessero questo bel
effetto prima che fosse mandato alla luce. Poi che Viti la quadragesima
antecedente, sotto specie d'aver gusto delle predicazioni del padre maestro
Fulgenzio, anda ogni mattina in convento de' servi alla porta del pulpito, che
risponde alla parte di dentro, e cortesemente tratta con lui, ricercandolo anco
di qualche dubbio di coscienza. E continua di poi sempre a salutarlo et anco
andar in convento a visitarlo, parlandogli sempre di cose spettanti all'anima.
Il pugnale non ha tuttavia leso organi vitali e riusce a sopravvivere. Il
chirurgo Acquapendente, che l'opera, dice di non aver mai medicato una ferita
più strana, rispondendo allora con la famosa espressione. Eppure il mondo vuole
che sia data stilo Romanae Curiae. Le conseguenze furono la rottura della mascella
e vistose cicatrici nel volto. Il Senato, dichiarandolo persona di prestante
dottrina, di gran valore e virtù gli concede una casa in piazza San Marco ove
possa risiedere con il Micanzio e altri frati, e una sovvenzione affinché possa
acquistare una barca e provvedere alla sua sicurezza personale. Rifiuta la casa
ma si servì da allora di una barca che gli evita si pericolosi tragitti a piedi
per le calli veneziane. Poco più di un anno dopo, e sventato un secondo
attentato, ordito, sembra su mandato di Margotti, d’Antonio da Viterbo, i
quali, fatta una copia della chiave della sua camera vuoleno secretamente
introdurre nel monasterio due o più sicarii e la notte trucidare l'innocente.
Inizia a corrispondere con personalità soprattutto di fede calvinista o
gallicana. Fra questi ultimi, Leschassier e Gillot, che pubblica gli Actes du
concile de Trente, dimostrando le pressioni papali sui vescovi riuniti a
concilio, e fra gli altri l'italiano Castrino, i francesi Villiers, Casaubon,
Thou, Mornay, i tedeschi Achatius e Dohna. Attraverso il dialogo diretto con
gli intellettuali acquiesce quella straordinaria ampiezza di orizzonti e di
interessi, quella solida conoscenza dei problemi dello stato che gli permite di
arricchire la sua cultura storica, giuridica e scientifica e lo conduce a
incidere sulla sua posizione filosofica, ad approfondirne la crisi,
risolvendola poi con l'accoglimento di nuove prospettive e di nuove idealità;
spalancandogli un mondo nuovo, che gli fac sentire più soffocante, più viziata,
la vita italiana. Incontra a Venezia Bedell, che rifere di lui e del Micanzio
come essi sono completamente dalla nostra parte nella sostanza della religione
e, Dohna inviato da Cristiano I di Anhalt-Bernburg, e Diodati, per valutare la
possibilità di introdurre a Venezia la Riforma. La traduzione in lingua
italiana del nuovo testamento, viene diffusa a Venezia proprio in questo
periodo. Altre polemiche suscitano, le prediche quaresimali di Micanzio che
vengono interpretate a Roma come un attacco alla fede cattolica. -- è anche
preoccupato per la tregua stipulata tra la Spagna e i Paesi Bassi, perché vede
in essa un indebolimento di questi ultimi che, o prima o dopo, resteranno
sopraffatti dalle arti spagnole, mentre gli spagnoli ne potrebbero trarre
beneficio anche in vista del loro dominio in Italia. Spera in un'alleanza
generale di Francia, Inghilterra, principi protestanti, Paesi Bassi, Savoia e
Venezia che portasse alla guerra contro l'Impero cattolico ispano-tedesco e
cancellasse il dominio papale e spagnolo in Italia. Se sarà guerra in Italia,
va bene per la religione; e questo Roma teme. L’inquisizione cessa e
l'Evangelio ha corso. E ha bene anche per le libertà civili di Venezia: qui,
anche se il giogo ecclesiastico è assai più mite che nel rimanente d'Italia, in
quella parte nondimeno che tocca la stampa è l'istesso appunto che negli altri
luoghi. Nessuna cosa si può stampare se non veduta e approvata
dall'Inquisizione. Dove si ragiona di alcun papa, non permettono che si dica
alcuna di disonore, se bene vera e notoria. Non permettono che alcuno separato
dalla Chiesa romana sia lodato di qualsivoglia virtù, né nominato se non con
vituperio. Secondo la versione ufficiale, sebbene sfinito, volle alzarsi per il
mattutino, come al solito, e celebrare la Messa. Fatto chiamare il priore del
convento, lo prega che lo raccomandasse alle preghiere dei confratelli e che
gli portasse il Viatico. Gli consegna tutte le cose concesse a suo uso. Si fa
vestire, si confessa e passò il resto del mattino facendosi leggere da fra
Fulgenzio e da Fra Marco i Salmi e la Passione di Cristo narrata dagli
Evangelisti. Gli e quindi amministrato dal priore, alla presenza della
Comunità, il Viatico. E visitato dal medico che gli dice che ha poche ore di
vita. Sorridendo, rispose: Sia benedetto Dio. A me piace ciò che a Lui piace.
Col suo aiuto faremo bene anche quest'ultima azione -- quella di morire. E
udito ripetere più volte, con soddisfazione: Orsù, andiamo dove Dio ci chiama.
Secondo alcuni le sue ultime parole sarebbero state. Esto perpetua, riferendosi
a Venezia (v. Bianchi-Giovini, Esistono tuttavia altre versioni della sua morte
che lo fanno apparire più vicino al culto protestante. Figura assai complessa
di filosofo, occupa indubbiamente un posto di primo piano nella storia della
filosofia italiana. Fu uno dei più grandi filosofi. La sua prosa è una delle
più maschie ed efficaci di tutta la filosofia nostra, che non conosce lenocini
né fronzoli, che scolpisce le figure con raro risalto, che ha un magnifico
potere ri-evocatore allorché descrive dispute e contrasti, ch'è impareggiabile
nel sarcasmo, tutto contenuto in un'unica espressione, tre o quattro parole. G.
Papini, parlando della Istoria del Concilio di Trento, la define un modello di
lucidità narrative e di prosa semplice, esatta e rapida. Lascia orme indelebili
nella filosofia, nella matematica, nell'ottica, nell'astronomia, nella medicina
ecc. Galilei e suo grande amico, e non disdegna di appellarlo: Mio Maestro.
Dinanzi al primo avvertimento a Galilei, lui, che non visse abbastanza a lungo
per assistere alla condanna scrive. Verrà il giorno, e ne sono quasi certo, che
gl’uomini, da studi resi migliori, deploreranno la disgrazia di Galileo e
l'ingiustizia resa a sì grande uomo. Scopre la dilatabilità della pupilla sotto
l'azione della luce e le valvole delle vene. I suoi biografi parlano anche di
scoperte nel campo dell'anatomia, dell'ottica, ecc. L'invenzione del telescopio
dice Bianchi-Giovini il Galilei la dovette per certo ai lumi somministratigli
da lui, se pure questi non ne fu il primo inventore, come pensano alcuni. Sopra
la sua sapienza matematica si cita l'autorevole giudizio di Galilei. Galilei
non esita a dire della ‘fenice’: del quale posso senza iperbole alcuna
affermare che niuno l'avanza in Italia in cognizione di queste scienze
matematiche contro alle calunnie ed imposture diCapra, in ediz. naz., Firenze,
La teoria di GALILEI delle maree, successivamente dimostratasi erronea,
riprende le sue idee, esposte nei Pensieri naturali, metafisici e matematici.
Porta, dopo aver dichiarato di avere appreso alcune cose da lui, lo proclama
splendore ed ornamento non solo della città di Venezia e dell'Italia, ma di
tutto il mondo. (Magia naturalis). Passionei gli define dottissimo oltre ogni
espressione. In uno studio il cui intento era quello di misurare il Q.I. di 300
personaggi famosi. si posiziona al quinto posto, al pari del più noto
matematico Pascal. Alla grande intelligenza unì anchecome riconosciutagli da
tuttiun'esemplare integrità di vita. Jemolo, dopo essersi rivolto varie domande
intorno alla sua ortodossia, da questa risposta. Gli elementi ci mancano per
una risposta perentoria: noi non possiamo dissipare l'alone di mistero che lo
circonda. Questo non c'impedisce di ammirare l'uomo e l'opera. Fondamentalmente
lo scontro con la Curia romana e legato ad un progetto politico volto a
contenere il potere di Roma in ambito esclusivamente spirituale e a pro-muovere
un'alleanza tra Venezia e la Francia in un'ottica anti-imperiale. Per questo
intrattenne contatti con i riformati. Inoltre la sua visione di Roma e un vago
ritorno verso la chiesa primitive. Egli quindi e indotto a condannare il potere
temporale, il processo di mondanizzazione del clero, la superiorità del papa
sul Concilio. Stringe amicizia con Dominis, arcivescovo di Spalato, che tende
all'apostasia. La sua Istoria del Concilio Tridentino costituisce il suo
capolavoro storico ed offre la prima imponente ricostruzione del Concilio di
Trento. L’opera e ondannata dalla Congregazione dell'Indice e quindi posta all'Indice
dei libri proibiti. Sono intercettate dal nunzio pontificio a Parigi Ubaldini
compromettenti carteggi di lui con l'ambasciatore veneziano Foscarini e con
l'ugonotto Castrino; carteggi ben presto inviati a Roma per essere messi a
disposizione del Sant'Uffizio, ma anche da utilizzare per far ammettere una
buona volta al governo veneziano quanto da tempo da Roma si viene denunciando,
che lui che si proclamava più cattolico del Papa e come tale difeso
ufficialmente dai responsabili politici veneziani. Altri non era che un
protestante, al servizio delle forze ereticali europee. Dunque infedele e
ipocrita. Una taccia di ipocrisia che non da tregua alla sua figura lungo i
secoli, come stanno a provare innumerevoli esempi, da Aleandro, che ricevuta da
Peiresc la sua Istoria dell'Interdetto appena edita risponde all'illustre
erudito francese con fare perentorio che lui e nero ministro del diavolo che si
dice esser padre delle menzogna, se ben egli veramente non credeva né nel
diavolo né in Dio, al prelato friulano G. Fontanini con la sua velenosa Storia
arcana della sua vita a Passionei, che crede di avere le carte per dimostrare
che l'idea del furfante e di introdurre il calvinismo in Venezia, come ancora
ricorda A. Mercati. Un parere analogo si trova anche nella recente Storia della
Chiesa di Hertling e Bulla, dove viene definite un ipocrita che fino all'ultimo
fa la parte del religioso, sebbene nel suo intimo si fosse da tempo allontanato
dalla Chiesa. Saggi: “Trattato dell'interdetto di Paolo V nel quale si dimostra
che non è legittimamente pubblicato”; “Apologia per le opposizioni fatte da
Bellarmino ai trattati et risolutioni di G. Gersone sopra la validità delle
scomuniche; Considerationi sopra le censure della santità di Paolo V contra la
Serenissima Repubblica di Venezia, Istoria del Concilio Tridentino, Il trattato
dell'immunità delle chiese (De iure asylorum), Discorso dell'origine, forma,
leggi ed uso dell'Uffizio dell'Inquisizione nella città e dominio di Venezia,
Trattato delle materie beneficiarie, Opinione di Servita, come debba governarsi
la Repubblica Veneziana per havere il perpetuo dominio, Venezia, La
storiografia recente attribuisce lo scritto al patriziato veneziano medesimo.
Scritti giurisdizionalistici, Istoria del Concilio Tridentino (Geneua, Aubert);
Pagnoni Editore, Milano, Gambarin, Scrittori d'Italia, Bari, Laterza, G.
Gambarin, IScrittori d'Italia, Bari, Laterza, Gambarin, Scrittori d'Italia
Bari, Laterza, Istoria del Concilio Tridentino, testo critico di Giovanni
Gambarin, introduzione di Pecchioli, Collana Biblioteca, Sansoni, Firenze,
Lettere a Simone Contarini ambasciatore veneto in Roma, pubblicate dagli
autografi, Monumenti storici pubblicati dalla R. Deputazione veneta di storia
patria. Miscellanea, Venezia, Fratelli Visentini, Pagine scelte, Arturo Carlo
Jemolo, Vallecchi, Firenze, Lettere ai protestanti, Scrittori d'Italia, 1,
Bari, Laterza, Lettere ai protestanti, Scrittori d'Italia, Bari, Laterza,
Antologia degli scritti politici e storici. Roffarè, MILANI, Padova, “Istoria dell'Interdetto
e altri scritti editi e inedita” (Scrittori d'Italia Bari, Laterza); Amerio,
“Scritti filosofici e teologici” (Scrittori d'Italia, Bari, Laterza); “Pensieri
naturali, metafisici e matematici. anoscritto dell'iride e del calore; Arte di
ben pensare, Pensieri medico-morali, Pensieri sulla religione, Fabula e Massime
e altri scritti. Edizione integrale commentate, L. Sosio, Ricciardi,
Milano-Napoli, Scritti giurisdizionalistici” (Scrittori d'Italia, Bari,
Laterza); “Lettere ai Gallicani, B/ Ulianich, Wiesbaden, F. Steiner, La
Repubblica di Venezia la casa d'Austria e gli Uscocchi, Bari, Laterza, Scritti
scelti: Istoria dell'Interdetto, Consulti, Lettere, Pozzo, Collezione di
Classici Italiani, POMBA, Torino); Storici, Politici, e Moralisti, G. Cozzi,
Collana La Letteratura Italiana. Storia e Testi, Milano-Napoli, Ricciardi,
Istoria del Concilio Tridentino seguita dalla Vita, Corrado Vivanti, Collana
NUE Einaudi, Torino, Collana Piccola Biblioteca. Einaudi, Torino, “Pensieri”
Gaetano e Cozzi, Collana Classici Ricciardi, Torino, “Considerazioni sopra le
censure di Paolo V contro la Repubblica di Venezia e altri scritti
sull'Interdetto”, G. Cozzi, Collana Classici Ricciardi, Einaudi, Torino,
“Lettere a Gallicani e Protestanti, Relazione dello Stato della Relazione,
Trattato delle Materie Beneficiarie. Cozzi, Collana Classici Ricciardi,
Einaudi, Torino, Gli ultimi consulti. G. Cozzi, Collana Classici Ricciardi,
Einaudi, Torino, Dai Consulti, il carteggio con l'ambasciatore inglese
Carleston. Cozzi, Collana Classici Ricciardi, Einaudi, Torino, Dal Trattato di
pace et accomodamento e altri scritti sulla pace d'Italia. Cozzi, Collana
Classici Ricciardi, Einaudi, Torino, Consulti, Corrado Pin, Pisa, Poligrafici,
Letteratura e vita civile. Collana I Classici del Pensiero Italiano; Della
potestà de' prencipi; Collana I Giorni, Marsilio, Venezia, Scritti filosofici
inedita, tratti da un manoscritto della Marciana”; Papini, Collana Cultura
dell'anima, R. Carabba, Lanciano, Manoscritti Consulti: in Milano, Biblioteca
Nazionale Braidense, Fondo manoscritti, Ceretti, Cinque pugnali non bastano a
troncare la sua parola, in Historia, Touring club italiano, F. Micanzio, Vita,
in «Istoria del Concilio tridentino, Torino F. Micanzio. Scrive tra l'altro
nella lettera. E che volete ch'io speri in Roma, ove li soli ruffiani, cenedi
et altri ministri di piaceri o di guadagni hanno ventura? I cenedi sono
gl’uomini che si prostituiscono. Micanzio, cit. G, Cozzi, Sarpi, F. Micanzio,
Istoria dell'interdetto e altri scritti editi e inediti, F. Micanzio, dove
stilo può significare sia stile che stiletto Ivi Cozzi, Lettere a Groslot de
l'Isle, in «Lettere ai protestanti», Lettera a Francesco Castrino, Lettere ai
protestanti, Citato in C. Rizza, Peiresc e l'Italia, Torino, Giappichelli, Pin,
Senza maschera: l'avvio della lotta politica dopo l'Interdetto; L. Hertling e
A. Bulla, Storia della seconda Roma La penetrazione dello spazio umano ad opera
del cristianesimo” (Città Nuova, Borgna Romain, Lucien, Micanzio, Vita,
dell'ordine de' Servi e theologo della serenissima republ. di Venetia, Leida,
in “Istoria del Concilio tridentino” (Torino, Einaudi); Griselini, “Memorie
anedote spettanti alla vita ed agli studj del sommo filosofo e giureconsulto”
(Losanna, Bousquet); Griselini, “Del suo genio in ogni facolta scientifica e
nelle dottrine ortodosse tendenti alla difesa dell'originario diritto de'
sovrani né loro rispettivi dominj ad intento che colle leggi dell'ordine vi
rifiorisca la pubblica prosperita” (Venezia, Basaglia); Zerletti, “Storia
arcana della vita servita da Fontanini in partibus e documenti relative
(Venezia); “Cassani, Le scienze matematiche naturali” (Venezia;
Bianchi-Giovini, Basilea, Morghen, Getto, Firenze, Olschki; Gliozzi Relazioni
scientifiche con Porta, Cozzi, Tra Venezia e l'Europa” (Collana Piccola
Biblioteca, Torino, Einaudi); Frajese, “Scettico. Stato e Chiesa a Venezia,
Bologna, Il Mulino); Cacciavillani, I consulti sulla Vangadizza, Padova,
MILANI, Cacciavillani, Venezia, Fiore, Cacciavillani, S.. La guerre delle scritture
de la nascita della nuova Europa, Venezia, Fiore, Cacciavillani, S. giurista,
Padova, Pin, Ri-pensando S., Venezia, Ateneo veneto, Concilio di Trento,
Micanzio. Dizionario di storia, Dizionario biografico degl’italiani. OPERE
VARIE DEL MOLTO REVERENDO S. DELL’ORDINE DE’SERVI DI MARIA CONSULTORE DELLA
SERENISSIMA REPUBBLICA DI VENEZIA. 1 HELMSTAT Per Jacopo' Mulleri. Trattato
delle Materie Benefiziarie cx)lle annotazioni del Signor D. Amelot, tradotte
dalla lingua Francefe. De jure Afylorum. Storia degli Ufcocchi, Allegazione del
Frangipane. Dominio del Mare Adriatica della Sereniflima Repubblica di Venezia.
Dominio del Mare Adiiaticp, e fue ragioni pel Jus belli. Indice dei Libri
proibiti dell’anno ijpd. Il Concordato. TRATTATO DELLE MATERIE BENEFICIARIE nel
quale fi narra, col fondamento delle Storie come fi difpenfajfero le limofme
de' Fedeli nella primitiva Chicfa. reddito il fervor antico della caritk, che
non folo moveva i Principi, e a donar alle Chiefe copiofamentc ricmporali, ma
ancora fnduceva i Mini(ìartici a difpenfarle faniamente in cam è-maraviglia, fc
al prefente pare mancati i fedeli difpcnlatori, c fucluogo loro altri diligenti
folo in ritcac almeno a tollerabile moderazione. I difetti che ci par di vedere
al giorno d i oggi non fono entraci nell’ Ordine Chcricale tutti infieme, nè
cos^ eccellivi in un ifteflb tratto di tempo ; ma da una fomma, anzi divina
perfezione per gradi fono diIcefi air imperfezione che ora è manifcfta a tutti
y c confeflara dagli fteffi Ecclefiaffici, e da alcuni tenuta per
irremediabile. Con tutto ciò, piacendo a Dio N. Signore di donar a’ Fedeli fuoi
tanta grazia,, quanta donò a’noftri Maggiori, non dobbiamo perdere lafperanza
di vedetele medefime maraviglie anche ne’ noftrifecoli: è bennecef làrio che,
ficcomepergradifiamopcrvenutiaqucftaprolbnditkdimifcria, Tomo . A cos^ coc\ per
gli ilefì ci «ndumo ahEando | prr ritornare ve^o quella ioiQ' mit^ di
perfezione nella quale fu la Chiefa Santa t- Il che non potendofi fare, fé non
conofccndo qual folTe dapprincipio V amminiftrazione delle cofc temporali ; e
come fia mancato quel buon governo ; a parte a parte è neceffario, innanzi ogni
altra cola, dire come la Chiefa di tempo in tempo ha acquiftate le ricchezze
temporali ; e come in ciafeuna mutazione deputaHc i Minidri per difpenfarle, o
pofledcrie : il che ci Icoprirh gl’ impedimenti che in quelli tempi
attraverfano una buona riformazione ; ^ moftrerli le maniere di lupefarli; c
quello è il mio proponimento nel prefciue dilcorf^ delia ma-» teria Benefiziale
tanto ampia. a I» Tu il printipio de beni Ecclelìallic! mentre ancora
converfava in quello Mondo N. Signore Gesù Grillo ; ed il fondo loro non era
altro, che le obblazioni delle perfone pie, c divote, le quali eranoconfervale
da un Minillro, e diflribuite in due opere lolamente : Una per le nccelHth di
N. Signore, c degli Appoftoii Predicatori del Vangelo; c l’altra per far
limofina a poveri, Tutto ciò fi vede chiaro in San Giovanni, dove dice il
Vangelilla, che Giuda era quello che portava la tafea, o borfa, (rf) dove erano
ripolli i danari prclcntati al Signore; c che il medelìnio andava fpendendo, c
comprando le cofe nccelTarie a loro, ovvero dillribucndo a’ poveri, (b)
conforme a quanto il Signore alla giornata comandava Confiderà S. AgoUinoche,
avendo Grillo il miniflero degli Angeli che lo fervivano, non era in nccelTith
di confcrvar danari; con tutto ciò volle aver borfa, per dar ( ^efa di q uello
ch’ella doveva fare; e per ciò Icmprc intefe la Cnicik fofle ìllituita la forma
del danaro Ecclefìallìco dovclTe cavare, c in che cofa fi dovclic fpendere. È
fc nc^em^roAri non veggiamo oflcrvato qucAo fanto iilituto, dobbiamo
conlìdcrare che, per noftro ammaeAramemo, c per noHra conioiazione', racconta
la Scrittura divina che all' ora anche Giuda era un ladro, (c) c ufurpava per
sò i beni comuni al Collegio ApfpAoUco; e venne a tanto colmo d’avarizia, che,
non parendogli aÙai quelle thè rubbava, per far maggior lomma di danari, pal^
li e elTcr comune della Chiefa, e de’ poveri, pafTì cosf innanzi, che venda
anche, per far danari, le cole facre, c le grazie fpirituali, non dovremo
riferir ciò a particolar mUeria dc’noAri,o d’ alcuni tempi y ma afcriverlo a
pcrrailTione divina, per efcrcizio de’ buoni Loculo hibent, a qu« miuebintur
por. ubit. cip. >>• LÌkuIo lubcbtc )o«ias, qnoJ auiflét ci jefus : Eme
cu, opui &nt nohts sJ aiem Icllum, U( c^cnii ui tliqtiUi direi. (ip, ij.
quM de egeo» pertinebut ad cum, cip. II. ftT(hi tr U funtìmi dtl fut m'mi
Loculot > ti th fi tbismt Sftdsli il In0go -dovi (! rra«r dS d»’ (f> Fur
erat. »p. u. ciuto. Digitized by GoogU MATER. BENEFIC. 3 buoni; ^nfìderando che
il principio della Chiefa nafccnte fu fogget10 alle mcdefime imperfezioni: ben
dovr^ ciafcuna fecondo il grado, e la vocazione Tua, proccurar il rimedio chi
non può altrimenti, colle orazioni; e chi può impedire il male, con ovviare, e
opporfi agli abuft ; confiderando che, febben Giuda non fu umanamente punito,
pcrchò erano complici dcTuoi delitti quelli che dovevano,galligarlo; modrò
nondimeno la divina Provvidenza qual pena meritalTe; c dil^le ch’egli ftelTo
fofle Tefecutorc in sèmedefimo, per documento di quello che dovcflcro fare
quelli che la Macftìi fua avrebbe netempi Icgucnti dati per tutori, c difenfori
della fua Chiela. Dappoiché Crifto N. Signore Cili al Ciclo, i Santi Apposoli
Icguirono nella Chiefa di Gerufalemme lo HelTo ìnituto, d'aver il daiuro
Ecciefìaflico per Itdue effetti fopraddetti, cioè, perii bifogno deMiniftri del
Vangelo, c per le limoline de’ poveri.- e il fondo di quello danaro era
fìmilmente le obblazioni de’ Fedeli, i quali anche, mettendo ogni loro avere in
comune, vendevano le loro polTelfioni, per far danari a quell’ effetto; ficchè
non era dipinto il comune della Chiefa dai particolare di ciafeun fedele, {a)
come fi ulà ancora in alcune Religioni che fervano i primi iHituci. Erano molto
pronti i CriHiani in quei primi tempi a fpogliariì de’beni temporali, per
impiegarli in limoGne, perche afpettavano prolTimo il fine del Mondo; avendoli
Crillo N. Signor lafciati incerti.- e quantunque f(^c per durare quanto fi
volcflc, non 1 ’ avevano per confiderabilc più, chefe fofle all’ora per finire;
tenendo per fermo che la figura di quello mondo, cioè, lo fiato della vita
prcfentc trapalfa; (c) per lo che ancora le obblazioni fempre più $’
aumentavano. Il cofiume però di non aver cofa alcuna di proprio, ma »l «utt© ùi
comune, fioche non vi folfe alcuno povero, o ricco, ma tutti ugualmente
vivefiero, non ufei fuori di Gerufalemme; anzi nelle altre Chiefe che i Santi
Appofioli edificarono non fu ifiituico; nè in Gerufalemme durò molto
lungamente: imperocché zò. anni dopo la morte di Crillo fi legge che il
pubblico era didimo dal privato, conolcendo ciafeun il fuo, ra elTendovi anche
il danaro fondato nelle obblazioni, le quali, polle in comune, fcrvivapo per li
foli Minifiri, e perii poveri; nè era lecito viver di quel della Cliiefa a chi
aveva del Tuo: laonde S. Paolo ordina che le vedove, le quali hanno parenti,
fieno fpefate da’ loro proprj, acciocché i beni Ecclcfiafiici posano badar a
quelle che fono veramente Vedove, c povere. ( ), III. La cura di quelli beni
che N. Signore, mentre fu in vita mortale, diede a Giuda, dopo V Afeenfìone gli
Apposoli per pochiiTimo tempo r ammtnìArarono eglino IfelTi; ma poi vedendo
che, per la diAribuzione, nalccvano tra i fedeli mormorii, c fedizioni, ( ^ )
parendo ad alcuni di non participare quanto avrebbono voluto del comune, e
credendo che altri avelTero più del dovere ; ficcome il male è comune in tutti
i tempi nella diipenta de’ beni della Chiefa, conobbero gli Apposoli che non
potevano attendere a quello perfettamente, ed inficme alla predicazione delta
parola di Dio ; c determinarono di ritener ( c ) per se il minillero di
predicare, e infegnare; ( ) ordinando per quelV uffizio di tener cura delle
cofe temporali un altra Torta di Miniffri j ( ^ ) tutto al contrario di quello
che veggiamo fare nc’ tempi noftri, quando al governo delle cofe temporali
attendono i principali Prelati della Chiela; e l’uffizio del predicare, e
infegnare la parola di pio, eia dottrina del Vangelo, è lafciato a Frati, o. ad
alcuni poveri Preti iniimi nella Chiefa. Maque nuovi Miniffri che i fanti
Appoffoli iffituirono per governo delle cofe temporali, fi chiamarono Diaconi;
c cosi da tutto il corpo de Fedeli fu fatta elezione di d. a quell’ effetto, i
quali gli Appoffoli ordinarono a tal minifferio; e dovunque effi fondarono
Chiela, ordinarono anche Diaconi nellifteffa maniera, come anche ordinavano i
Vcicovi, e Preti, e altri Miniffri Eccleliallici; cioè, precedendo digiuni, e
orazioni, fulfeguendo f elezione comune de’ Fedeli; () fcrvando inviolabilmente
quell’ ordine, di non deputare m al wiiwi -carica- Fxclcllallico perlAna, la
quale prima non fofTe eletta dall’ univerlaie della Chiela, cioè, da tutti i
Fedeli infteme. Quell' ufo continuò nella Chida in tal maniera circa zoo. anni,
foftentandofi co’ beni pubblici i Miniffri Ecclcfiaftici, ci poveri ancora; nè
eflendovi altro fondo, falvo che le ubbUztoni eh erano fatte da’ Fedeli nella
Chiela, le quali però erano abbondantiflìme, perchè ciafeuno, per fervore di
caritìi, offeriva tutto quello che poteva fecondo il proprio avere; ficchè,
quando le facoltìi de’ Fedeli d’ una Cittk erano abbondanti per lupplire a
bilogni della propria Chiela, fi facevano collette anche per 1’ altre Chicle
povere : per lo che anche S. Jacopo, S. Pietro, e S. Giovanni, quando
riconobbero per conforti e compagni nel Vangelo S. Paolo, e S. Barnaba,
raccomandarono loro quell’ opera, di raccogliere qualche limofìna per la povera
Cliiela di Gerufalemme, per la quale (g) anche narra $. Paolo aver fatte («)
Per untm Sibòati, étt, unuf^utrqa \cltruni apiui (e fepuaAl, n«np4enf quoi ci
bene plottiem. i.Cor. cap. ultimo. ( i ) faAum rft umrmur ijrccutuin adverfui
Hehrjtoi, co cne s’ingannò quel Principe, credendo che i tefori folTero
ammalTati, c confcrvati ; perche quel fanto Diacono, acconofi della rapacità
del Tiranno, e prevedpndo la perfccuzione imminente, difpensò il tutto in ima
volta, com’erano teliti di fare, foprafiando fimili pericoli. e la maggior
parte delle perfecuzioni fatte alla Chiefa dopo la morte di C^ modo furono per
quefia caufa, cioè, perchè i Principi, o i Prefetti, ritrovandofi in firettezza
di danari, per quella via volevano impadronirfi di quelli della Chiefa
Crìfiiana Dappoiché le Chiefe furono fatte ricche, anche i Cherici cominciarono
a vivere con maggiori comodità; e alcuni, non contentandofi di quel vito comune
della Chiefa quotidiano, vollero viver feparatamente nella propria caia, e
dalla Chiefa aver la loro porzione feparatamente in danari ogni giorno, 0 per
un mefe continuo, c ancora per un lunpo tempo : cola, che, febben declinava
dalla prima perfezione, nondimeno era tollerata da’ Padri - Non fi fermò però
in qucfto fiato il difordine;; ma incominciarono i Vefeovi a mancare delle
folite Jimofine a poveri, c a ritener per se quello che doveva clTcr
diftribuito,• e co’ beni della Chiefa comuni fatti ricchi, facendo anche delle
ul'ure, per accrefcerli; e lafciando la cura dell’ infegnare la dottrina di
Crifio, tatti fi occupavàno nell’ avarizia le quali cofe S. Cipriano (à) piange
che nel fuo tempo folTero ufitate ; e conchiude che, per purgare la Tua . («1
rrnhitrrunr MAceJonia. Se Achij coll». iMMlcm sliqvtm licere in puiperei
S^ndorum, qttt fuM m Jerufilem .... Cuoi confainnuvcrot Se iUtgiuvcm ei« fruótun
hune, protit ikar in Roin. if. (A) De o(iauoiùs quxiluoCc nundinu sBcapari de
Lapfis. U fua Chielii da qucfti errori, Dio permettefle quella gran
pcrfccuzionc che fu fotto 1’ Imperio di Decio, perchè fempre la Maclli divina
ha riformata la fua Chiefa, o foavemente col mezzo de' legittimi Magiftrati; o,
quando gli eccefli fono paflaci troppo oltre, collo ftrumento delle
pctfecuzioni. Ma febben la Chielà polTedeva tante ricchezze, non ebbe però in
quelli tempi beni (labili ; prima, perchè non fe nc curavano per la ragione
luddetta, che (limavano il fine prolCmo, e tutte le cofe mondane efler
tranfìtorie, e di grave pefo a chi tende al Ciclo : poi ancora perche a neflun
Collegio, o Comunità, (^) o corpo, fecondo le leggi Romane, poteva cfTcr
donato, o lafciato per tedamenro ; nè quello per qualfìvoglia caufa poteva
polfeder beni immobili, le non era approvato dal Senato, o dal Principe : nc
ciò ft può metter in dubbio, febben vanno attorno alcune Pillole fotte nome di
Papi vecchi, che rendono ragione perche gli Appodoli vendelTcro le pofTellioni
in Giudea, c ìCridiani leguenti le conIcrvalTero, con dire che ciò fu, perchè
prevedevano gli Appoftoli che la Chiefa Cridiana non doveva rimaner in Giudea,
ma bensì fra le Genti; quafi che nel Vangelo la caufa del vendere non Qa
mollrata efprdl'amentc, quando Grido dide alla fua Chiefa : Nom temete, 9
piccioU compagnia : vendete quello che pojfedere, e fatte limojìna’^ (è) e
quafichè, febben Gerufalemme fu diltructa, alla fua riedificazione non avede
una quantità di Cridiani, e anche non fieno date didrutte delle Città dove le
Chicle fra Gentili avevano pofledìoni. Ma c fuperfluo travagliarfi a modrarc
queda falfìtà, elTendo cofa certa che quelle Pidole iono fuppode ^ c date
formate circa 1’ Soo. da quelli che aniepofcro, come fi fa anche al prefeme, le
ricchezze, e le pompe alla moderazione Appodoiica, idiruita, e comandata da
Grido: ma nella confiifionc che fu nell’ Imperio molto continuata dopo la
prigionia di V ulw l wu poc o in olTervanza le leggi > madimc in Affrica, in
Francia, c in Italia^ alcuni lafciarono, ovverodonarono anche degli Stabili
alle Chiefe, i quali 1’ anno 302. furono tutti confifeati da Diocleziano, e
MalTimiano; febbene in Francia, per la bontà di Codanzo Cloro Ccfarc che la
governava, il decreto degl’ Impcradori non fi efegui ma avendo quedi Principi
rinunziato Y Impcrb, Madenzio otto anni dopo reditul tutte le ponfedioni alla
Chiefa Romana ; e poco dopo CoiUmino, (r) e Licinio, conceda la libertà di
Religione a Cridiani, e approvati i CoUegj Ecclefìadici, che con voce Greca
chiamavano Chicle, concelTe generalmente per tutto 1’ Imperio che potedero
acquidare beni (labili, cos'i per donazione, come per tcdamenco, efentando
ancora i Chcrici dalie fazioni' perfonali pubbliche, acciò poteiTero attendere
più comodamente al lervizio della Religione. V. Cnl}e{iuni, fì nullo fpeciali
pnviregio fiiboiKum (ìt, tùredirarciu capere non pofle dubiuai non ed. Lt.C.dc
hzretiib. infiu leivlit. i bili r«, iu4, slh Chitfìi m.t farMi fiuti miglithi
omnino nutneribuscxeurentur, ne iàerìle. tivtffe iiuutt mtnn ìmftrurhì ttglm»
prt'r» Ro vigere efef, pr acmus boa non folum coritn Dco, feU etum corjm
botninibuf. Ctr. i. c pnpillamm ilmuoi non aileiat, feti publicif ezeemunentar
jadicm, ti coi i1>neemin. vel propinqui pirtimint deleren tot. Cenfèinu etùm
ur mraiorari nthil ii« e|ui maliem, cui fe privituo l’ub prxtexru reJiRÌonu
aJjunxcrinc, Uberxlince «ucuinque. vel cxircino judicio potlint adipiici leant
aliquid vel donaiione, vel teAamento percipere. t. io. C. Thtid. de Seti. C 4 )
Ifli dite ehi ihEctlefixfiiti del fiulrm fi c«r«](Ì4t'4a a i ItUxmtrhi M«4Xir
«i44« fattuali i a l'xtiéJI’axMna ìfia M artfmtxriara V «n«4Jerint inJigere
prartìJio, erigunrur in fuperbinn i tn, t» «» I dalle fma lettere. ( 4 ) Ipli
tanrum przdioratn riiaram redimi ronrequantr de quibua féi-vandi, abalienandi,
dnaandt. dillrahendi, relinquendi, vcl quead fupereil. rei, cuin in ^ta
conce.Ìit, 0e libera ei voluntat eft, inre^ Itt petelUt. Nihil de monilibuc, òc
fiip«llev)ili i nihil de auro, argento, czietifque dare dotoui infignibui fab
reJigiontt defciiHone contutrur ( fed anivtrra integra in libftòt, prazìnm, vel
in quoteumque allo arbinii liii cziftiimrione mnfcrilMt. Ac et quando diem
objerii. nullam Eeddìam, auU lun Cierkttm, nullum pauperem knbat hzredea. l- a-
Cad. Thtad, Àmm. ( f ) TvCTid. in vita Au^A. taf. aq. Dìgitized by Google
MATER. BENEFIC. 9 anche rifiuti delle ereditai lafcìate alla Chiefa Aia,
dicendo apertamente che ’l miniAero Ecclcfiaflico non ifUva in diftribuire
molto, ma in diilfibuire bene. Anzi riprendeva un nuovo modo d acquiftare alle
Chicle trovato in que tempi AelTi; e queAo fu comperando (labili coll' avan 20
che fi faceva dell' entrate: il qual modo da quel Santo fu fcmpre abborrito ;
nè mai egli io volle permettere nella fua Chiefa . anzi diceva nelle pubbliche
prediche, eh' egli avrebbe piuttoflo voluto vivere delle obblazioni, e
collette, come (i foleva lare ne’ primitempi della Chiefa, che aver cura di
poflèlfioni il che gli era grave, e gl’ impediva 1 attendere interamente al
carico principale del Vefeovo; cioè, delle cofe fpirituali; aggiungendo eh’ era
preurato a rinunziare le poircffioni, purché a’ Servi di Dìo, e a' Miniftii
folTe provveduto il vivere, come nel vecchio Teftamento, (a) per via di decime,
o di altre obblazioni, fenza che dovelTero e(Ter foggecii alla didrazione che
portava (eco 1' aver cura di cofe terrene. Ma con tutti i freni podi da fanti
Padri colle buone efortazioni, e da’Principi colle buone leggi, non fi potè
però fare che i beniEccledadici non crefccflero fopra il dovere redava pur il
modo del governarli, e difpenfarli antico, il quale durò fino al 420. fenza
notabile alterazione: ancora tutte le obblazioni, e altre entrate
Ecclefiailiche fi cavavano da' Diaconi ; e in ajuco loro da’ Suddiaconi, e aU
tri Economi ; ed erano didhbuite per mantenimento de' Minidri £cclefiadici, e
de’ poveri: il Collegio de Preti, c il Vclcovo principalmente erano
fopraintendenci ; e fi faceva in fomma ulta entrata, e una fpefa di tutto :
ficchè il Vefeovo difponeva d' ogni cofa, i Diaconi efeguivano, e tutti
iCherici vivevano di quel della Chiela, lebbene non tutti amminidravano. Fa
menzione S. Gian Grifodomo che la Chiefa d’ Antiochia in que’ tempi a fpefe
pubbliche nodriva più di 3000. perfonc t £an rk' i dtir MHH ftke fmt0’ mf$ n
ititmtt ttmf» ^rim» éi hit. (^Lxtuer lutrm, tun de rtiiitu, qium de obtarione
fideliom prout ruiuslibet Ercfelis ficoltiiei tdmotit, fin» diklBin
»tioAaUliter cA decretum, ronvrmr fieri ponienes > quarum fii u . I. Cd.TW.
d4 Mftt. ZuUJhsmm 9 Ué. Tarn SanfthuietB, quitn dudure in«r ruHle pcriiibetnim,
et voa, et mancìpu vcllra nallut novia cotratioi^bus robiigavic, Ad Mrénone
faiadebiài. pTJtiete neq«e horpitea pierii: de fialiqui de vobit alimoAÌc cauià
natidaein cM»et ««luot, tmauRiMate pticiv tur. S. Ctrtlmme jrtd» ttntr»
ffivtìttf, Negodatorem Ctenewn, dite, de ex innpe tflvi. tem, ex tgnobilt
glorinfum, quali qmmdunpc iUm fiige Cui nundinxr, fiìt plicent, de plarex, ac
Medicorans ubeteix. a. d (• )Vidt tre de’ Vcfcovi vicitii col confenfo di cflo,
c degli altri alTenti : e dappoiché molte Provincie, per miglior forma di
governo, furono po(le lotto un Primate, nell’ Ordinazione fu ricercato anche ti
conlcnfo di quello. I Preti poi, c i Diaconi, c gli altri Cherici erano
prclcntati dal popolo, e ordinati dal Velcovo ; ovvero nominati dal Vefeovo, e
col confenfo della plebe ordinati da lui. Un incognU to mai non era ricevuto ;
nc il Vefeovo mai ordinava chi non era approvato, e lodato, anzi propoOo dal
popolo : e tanto era giudicato neceiTario il confenfo, c la prclcnz» ( »» ) del
pispolo, che San Leone I., Pontefice, alla lunga tratta, non poter effcr
valida, nè legittima 1’ ordinazione d‘ «« Velcovo che dal popolo non fofle
richieflo, e approva il che anche dicono tutti i Santi di que’ tempi; e S.
Gregorio riputò che non potclTc clTcr confccrato Velcovo di Milano Collanzo
eletto da’ Cherici, (e non confentivano i Cittadini, i quali, fuggiti per le
incurfioni, s’ erano ritirati a Genova ; e operò che fi mandaffe prima ad
intender la loro volontà : cola degna da elTer notata per li tempi noftri,
quando fi predica per illcgitima, e nulla quella elezione dove il popolo
volelTc la parte fua : cosi le cole fono mutate, che lono palTatc in ufanza al
tutto contraria , chiamandofi legittimo quello che all’ ora fi diceva empio; e
iniquo quello che allora era riputato lanto. Alcune volte il Vefeovo, fatto
vecchio, fi nominava egli il luccclfi>re : cosi S. Agofiino nominò Eradio :
ma quella nominazione non era approvata dal popolo : le quali cofe tutte è
neceiTario tener in memoria, per confrontarle co’ modi che,fi vedranno ulati nc
tempi fulTegucnti. vili. Ora è neceirarlo lar tm pneo digjclTionc per una nuova
caufa, la qual ha apportato aumento grandilfimo a’ beni Ecciefìaflici, e nacque
in quelli fieflì tempi circa il 500. e quella fu un’altra Torta di Collegi
Religiofi, chiamati Monalleri. 11 Monacato nacque inEgitto circa l'anno 300. fu
formato nella maniera che ancora continua in que’ paefi. Ma in Italia circa il
350. fu portato a Roma da Atanafio, dove ebbe poco feguito, e appiaulo in
quella Citt^, c neTomo II. B 2 luo ( « ) Cnm de Smnmi SeccrJwi» elezione
treÀibimr, ille enmibut prxpnnitur quem Clerici, plcbildfle coafen&it
roncoiditer poilulene, tu ut, (1 in eliam forte perfonam ur. tium divifonnc,
Metropolitani fodicio it «iteti ptxforatur quim convenent, cui non licuent
hati«re quem voluit. Ifjf oachorum namine ceniérenmr, qui ficut a beaTX
meoiorùt Evangclilla Marco, quiprìmoa Ale nupdrìnx Urbi Pontife» prxtuie,
nontvm foltepere «ivcndi, Atc M. a. dt mfiitMt. Cai- ^ c«p. ). N« nu Etclelia
Olle mter ii’l' Fvenr.cUipnatipi! B. Marrum, B. Petti Apoiloli diinpulum. in
omnibua ouque doftoris lui magitten» coivfontmem KiUm fondatoretn, o-c. Lt
MégAAt tf. fT> f‘ 4- V- Mfiji- IO- d Viemn. fAf. 0. S. Anttni» « tl ftim eln
fitt vivtrf i Uà»Ati in CcmnniiÀ s fnvs tht In Ctimfimiti Htn difirmffj In
ftlituÀinei cmm t» di mcfitA d d' OffÀt A mn AiiAtt dt' Fé gliAAti, Vb
Ktl^itft, die' igli, (ht inttrvitnt a’ inAttntini, ti Agli Altri n^t-firdiAAti,
td imfiigA il TimAiuntt dii gitrim ndlt findu, t in Anslthr AltfA tmtfiA
tttufAXi»A4, ) ftlUAtu «nxe. t'iftu Dtftrt» ì d CéNvento. Ql A»t$tht, tkìAmAnd«
d Cenwnre Cxnobium, t i luch'», hAnn» fAita tbiAtAimAft vtdrrt tht m U fUMìs
C«flMiii4rie. iz juoghi vicini fino al tempo ^1 500. quando S. Equizio, e S.
Be« nedeitó gli diedero forma {labile, e lo diffufcro; {ebbene rillituzione di
Sf Equizio poco fi flefe, e preflo mancò; e quella di S. Bencdctto fi allargò
per tutta T Italia ^ e pafsò anche oltra i monti. 1 Monaci in que’ tempi, e per
lungo fpazio dopo, non erano Cherici, ma fecolari, t ne’ Monaileh (i) che
avevano fuori della Citili vivevano delle loro proprie fatiche d’ agricoltura,
c di altri ariifizj, e inficme di alcune obbiazioni fatte loro da’Fedeli; il
che tutto era governato dall’Abbate. ma nelle Citt^ vivevano delle loro opere;
e oltra di ciò, di quello che loro era coilituito a fpefe pubbliche dalla
Chicfa t Quelli ritennero la difciplina antica molto più lungamente.' i
Cherici, dopo divifi i beni della Chiefa, percUttcro afiài duella divozione del
Popolo; onde erano pochi che donalTero, o lafciafT«rd più beni a loro; 0 perciò
farebbe fiato il fine degli acquifii della Chiefa; ma i Monaci, continuando il
viver in comune, e le opere pie, furono caula che non fi efiinfe nel popolo la
liberalità; ma, lafciati i Cherici, fi voltò Verfo di loro, i quali furono
firumento grande di accrefcer le ricchezze Ecciefìafiiche ; e in progrelTo di
tempo crebbero grandemente iri poflefiioni, e in entrate donate loro, e lafciate
per tefiamento; effendo ben fpele all' ora da elfi in mantenimento di molto
numero di Monaci, in ofpitalitH, in educazione, in Icuole di giovani, c inalcre
opere pie^ Fa conto T Abbate Tritemio che i Monafteri de’ Monaci Benedettini
erano fino al numero di 15000. oltra le Frepofiture, c i Conventi minori. I
Monaci ftefli fi eleggevano 1 ’ Abbate, che gli governava fpiritualmente, e che
reggeva anche i'beni, cosi gli offerti dalla carità de’ Fedeli, come anche
quelli che fi guadagnavano colle opere, e coeI anifiizj dc’Monaci; c in
progreflTo quelli ancora tho fi cavavano dagli fiabili. Ma i Vefeovi ne tempi
che feguirono nel 500. clTendo fatti aflbluti difpcnfatori della quarta parte
de beni della Chiefa, cominciarono anche a penlar un poco più alle cofe temporali,
e a farli feguiio nelle Città; onde le elezioni fi trattavano non piùjcon fine
di fervizio divino, ma con pratiche; paflando bene fpefib dalle pratiche alle
violenze pubbliche : perlochè i Principi ^ che fino a quell’ ora non avevano
avuto molto penfiero intorno a chi folTe eletto a quel Minifiero,
incominciarono a penfarvi; effendo avvertiti da’ fanti uomini di quei tempi che
IDDIO aveva commefià alla protezione loro la Chiefa, e però etano (l> jtltni
tffn MtMsea, die» Mitra a^tra Cbtrua. Aiu Monacbonim eft cm(ì» ilii CTcnfonim.
Carrieàfana fMjtari, ad Jda»ri fatta la pteara. Ctencip«&unt tivesi Ego
paftor; rp. ad Hdiod. Ms « vie» idttamJheM faft •fatta deferratt dalia fiata
SttUfiafika, alla ara fari mn grada fra faina al Claaruàta. Sk vìve, dir’igti
ad «n Ùamaea, ut Cleritaj effe ire>t i»vtv dl frimnft, t‘
ffnffMmtmUMHalttterm di Déig»^rt9Ti(itit» ntlU mtd$fimts vie» di S. Drfidtn» tn
enmiitii Juit» Civium peiitimem nortran» quoiju« concor nomine perfimiiir, Se
Pontificali benKiifiinne fublimstu, peonobir, 8e prouniveritsOr«linibusBccleGx
Jebeat exorare, ftaccepiabilesDeoholliM fiudeat otferre a. »d Brumule.Ui, f.
tf. Il-, tom. I. Centi. GaU. ef. %r. md llttederit. (J. Tbtedtitrt, lei. 7 '•
i>4 t« I, CAtil. CaII. ef. st. (« ) Siene iriiu me Pater, Se Ego mitco VOt.
JtAA. IO, r>:.,;i; >ùz) che ras toccò loro niente, ma rutto iii divifo
tra il Vefcovo, e i Cherici : anzi ancora dove la divifione fu fatta con dehtta
proporzione, reflando tuttavia in mano d^li EcclefiaSici 1' ammioillrazione
della fabbrica, e della parte de’ poveri, a poco a poco quelle fi diminuivano,
accrelcendofi le altre due : e di quello ne lì fede il vedere che in pochiflìmi
luoghi la fabbrica ha proprie entrate; e per li poveri non rollano, fe non gli
Spedali; i quali però tutti fono di non antica illituzione. La parte de’
Cherici nel principio non fu tra loro divifa; anzi il Vefeovo aveva cura di
tratiare ciafeuno fecondo i meriti: ma poi i Cherici alTunfero il carico di
dividere, efclufo il Vefeovo : e poichò ebbero la loco parte, dove nò il
Vefeovo, nè altri aveva che fare, cfli ancora fi divilèro fra loro, ficchè ogni
particolare incominciò a conofeer il fuo, e fi lafciò di vivere in comune. Ma
febbene le rendite erano cosi divile, rellavano però i fondi tutti in un corpo
governati da’ Diaconi, e Suddiaconi, e le rendite rifcolTe da quelli, e
confegnate al Vefeovo, e a ciafeuno de’ Cherici fecondo la pteporzione delie
loro parti ; e in quelli tempi in Italia le polfelTioni delle Chiefe erano
chiamate patrimonj.' il che ho voluto rammemorare qui, acciò nelTuno penG che
quefto nome GgniGchi qualche dominio lupremo, o qualche giuriIdizione della
Chiefa Romana, o del PonteGce. Le polfelTioni di qualunque famiglia, che
venivano da’ loro Maggiori ne’ tempi de’ quali parliamo, fi chiamavano il
patrimonio di quella ; e chiamavaG anche patrimonio del Principe A fondo eh’
egli pofledeva in proprieA; e per dillinguerlo da’ patrimonj de’ privati, G
nominawa SarriM» Pturimoniiim, come in mtdte leggi del Itbro u- del Codjc» fi
.lqg' ge; fi diede poi per le illefli ragioni il aeme di lèffioni di ciafeuna
Chiefa : Gveggono nelle pilMe di S- Gregorio nominati noB foln i parrimcuii
ChtcU n.uui.uia, ma anebe il patrimonio della Chiefa di Rimini, il patrimonio
della Chiefa >dir Milano, il patrimonio della Chiefa di Ravenna. Alle Chiefe
poGe in Citik di abitatori di fortune mediocri non erano lalcute pgfléirtqpi
fuori del loro diflreiio; ma a quelle delle CitA Imperiali, ctmreRoma, Ravenna,
Milano, dove abitavano Senatori, e altre fetloM.jir lullri, erano lafciaie in
diverfe parti del Mondo. pa meniorc S. Gregorio del patrimoni» della Chiela di
Ravenna in Sicilia, n d’,HP aluo patrimonio ùi Sicilia della Chiela di Milano.'
la.jC|gì|fe:jf^|g%na avea patrimoni in più pani del^ando: fifa menaione^ì
'patri, monio, di Francia, d’ Affrica, di Sicilia^ delle AlpiCozie, e dimoiti
altri luoghi : anzi in tempo dell' iftelTo S. Gregorip vi fu littitialui, e il
Velavo di Ravenna perii patrimonj di amendqe le CMAèjiphe C accomodò anche per
tranlazione. Per far anche rifpettare le poffcGioni della Chiefa maggiormente,
folcvano dar loro il nome del Santo che quella Chiefa aveva in ifpcciale
venerazione : coiì UChicfa di Kàvenoa nominava le poITcGloni fue di
SantoApollinare; i^quella di Milano di Santo Ambrogio ; e la Romana diceva il
patrimònio di San Pietro in Abruzzo ; il patrimonio di San Pietro di Sicilia,
&c. al modo che a Venezia le pubbliche entrate G chiamano di S. Marco. Ne'
patrimoni del Principe ( quando non erano alTcgnati a’ foldati) era pofto un
Governatore (i) con giurifdizione nelle caufe che a queU la profe{Tione
fpertavano. Alcuni Ecclefiailici della Chiefa Romana tentarono d’ nfurpare
rimili ragioni ne’ patrimoni quella Chiefa, volendo far ragione da sè ftefii, e
non ricorrere al pubblico giudizio; la qual introduzione S. Gregorio riprefe, e
condannò, e proibì fotto pena di fcomunica che non fi faceife. Pagavano le
poirelTioni Ecclefiafliche tributi a! Principe, come manifeltamente appare dal
Canone 5# tribnt$tm, (#)ch’è di S. Ambrogio; ed è chiaro che Coflanlino, il
barbuto, nel 6 %i. conceHè efenzione da' tributi che laChieia Romana pagava wl
patrimonio di Sicilia, e Calabria ; e Giuflinìano il giovane (a) nel ^87.
rimifc il tributo che pagavano i patrimonj di Abruzzo, e della Baniicata. Non
riceveva la ChiefaRomana tanto grandi entrate da’ patrimoni Tuoi quanto alcuno
crede ^ imperocché, narrando le Storie che Leone Ifaurico nel 732. confifcò i
patrimoni di Calabria, e di Sicilia, fanno menzione che rendevano d’ entrata
tra tutti tre talenti d’ argento, e mezzo d' oro, che fanno in nollra moneta,
per non far m imito conto fopra la verith delle opinioni quanto precifameme
rifponda ad un talento, fomma non maggiore di 1500. feudi; e il patrimonio di
Sicilia molto ampio non pagava più di 2100. feudi. X Non è fuori del foggetto
di cut parliamo faper quefli particolari che occorfero, mentre le poflefriont
della Cht^a recarono tutte in un corpo, e fotto un governo fteflb, febbenc le
rendite erano divife .il che non potè durare lungamente, per le contefe che nafeevanc
tra quelli a’ quali appar teneva i’amminiftrazione, c gK altri che ftavanoalla
loro difcrezione UmiCj; iì^duìon^., cìiftwi Minidro incominciò a ritener per sè
le obblazioni eh' erano fatte nei fuo Tempio, le quali gtk fi folovano portar
al Vefeovo, acciò le dividelTe; ma, per ricogniuone della fuperiortt^
Epifcopale, ciafeuno dava la terza parte al Vefeovo, e qualcne cofa di più per
onore, che fu poi chiamato il Cattedratico (^), perchè era dato per riverenza
della Cattedra Epifcopale. Divifero anche i fondi, e alfegnarono a ciafeunò la
fua porzione. Quelle mutazioni però non furono fatte in tutti i luoghi infieme,
nè con un pubblico decreto; ma, come avviene a tutti gli ufi, che principiano
in qualche luogo, e fi comunicano fuccelTivamente agli altri, mafllmc i
cattivi, che hanno corfo più veloce, e meno impedito. In que’ tempi, quando le
cofe Eedefiafiiche furono ridotte a que ^ fio S tÌNtamMVM Cornei munì _MivÉnmm,
ptt dihmmrtU dal Cornei Sucri Pimcnonii. Si fari di ammdmt A friwm Ut dt
Ctditf. «de! frimt att fitti JJ. (iti fttfd »i titoU |r («) Si iribotum pem
Impcritor, non ne(;imH., a^ri Eccktu( (olvant tributsmt $i egm« ilelìderit
Imperator, poretUreoi hiMi Ten. t. if. (O traGi^^lm^aH, t»d[lmU 4 C^aafiH il
iariat. ) Cathedratirumeriimnon i«ipIioi, quim venAi mr>tit effi conAitcrit
^ ab loci Pteibytcro norerit exigendum. Ctlafimi FaliaaMfiTtéf ama 4fii.Caa,
i.f. Camfa lo.lUoJ te voUimurmodiianiùUiicuiiadirc^e^i EpiicofonitnSicilis de
|»arochiis ad te pertinentibosno(Bìm Cathedratici aoiplius, quam duoi folidotj
prvfunant accipere. aaa fto. Cam.i, Caafé I». Ud flato, erano dilribuiti Ja’
Principi agli uomini militari i fondi pubblici, con carico a chi di cuflodire i
confini ; a chi di fcrvire il Principe ne’ governi civili ; a chi di feguirlo
«dia milizia ; a chi di cullodire le Ci cù, o Fortezze; e quelli, che con
vocabolo Franco, e Longobardo, fi chiamavano Feudi, nella lingua Latina, che
ancora non era totalmente eilinta, fi chiamavano Beneficia, come donati per
beneficenza dal Principe : ( 1 ) pel qual rifpetto anco alle porzioni de' fondi
Ecclefiaftici, ovvero al ]us di poflèderli, fu dato il nome di benefizj >
perchè erano donati dal Principe, come i Vefeovati; o dal Vefeoro di fuo
comenlo, e concefiione, come gli altri ; e anche perchè i Cherici Ibno Soldati
fpirituali,e fanno guardie, ed efcrciuno milizie facrc. Le Badie di Ik da’
monti erano ormai fatte molto ampi», e ricche ; per lo che i Maefiri di Palazzo
alTunfero in sè T autorità di fare l’Abbate; e ciò con ragione affai apparente;
perchè i Monaci all ora, come fi è detto, erano laici, lenza alcun ordine
Ecclefiaflico Vero è che non Tempre lo davano elfi, ma anche alle volte
concedevano per grazia a' Monaci che le lo elegelTero. Ma in Italia, non
elTendovi Monafieri molto riguardevoii in ricchezze fino al fuddetto tempo del
750. i Re Goti, poi gl’lmperadori, ei Re Longobardi non ne fecero gran conto;
onde la elezione refiò a Monaci colla fola fopraintendenza del Vefeovo. Ma i
Vefeovi alle volte, intenti ad aggrandirfi, erano troppo molefii a Monafieri;
perlochè gli Abbati, e i Monaci, dcfideroli di libejarfi da quella foggezione,
trovarono il modo, ricorrendo al Pontefice Koiiiano, che li piglialTe fotto la
fua immediata protezione, e gliefentalTe dair autorità de’ Vefeovi. Fu ciò
lacilmente confemito da’ Papi ; fervendo loro, e per avere nelle Cittk d’ altri
perfone immediatamente dipendenti da loro, e per amplificare la podeili loro
fopra i Vefeovi ; importando molto che un membro cos^ notabile, come i Monaci,
che in quei tempi quali foli attendevano alle lettere, dipendefiè toulmence
dalia Sede Romana. XL Dato principio a quella efenzione, in brevilfimo tempo
tutti i Monaficri reilarono congiunti colla Sede Romana, e feparati da’ loro Ve
Icovi. ( 1 ) Timo IL cirearam, vel undenim. «pie ad prz#. ^rhfHtt Im f'ttnjtm
di S. Pittri m mmunrm .tkt Mu ifrr» fiù fi mlUSMMtm Sidt. iit etm fii rwndMMM m
vmutmffi» driU Certi di Ktmm, mtttf rie feeli rie •trrugtmi frivileif tmnu
imurtjfedidiffudert F mmtirifm diihilitiu€idr. Ml il Pmf» mdff) Viirutieri mllm
Urt fufflJtu, S- Btrnmrd, dettjfmud uevitm, fttt «edere fmfm Eufrm» HI. tb’ trm
uu irmudeiiuu' Aibmti riemfmff d' ulhiim mi fmm Vtfavt, • Viftrvi mi fu»
Mttrtfihtmn : rie tm Ciò m M«l^«iie devrvm rtiilmifi fui mmdilU detU
trtemfmmti, dm ma' Au^tl tua bm mmi detti: Io C In Fran non voglio eflcrealdi
ibeto deir Arcangelo. rè# mvreH mmi detti ifmifi trmm Smnt», fi ftfft vijfmti
in mltmu d Settli fufijmtnii ì S. Birmmr. d», dice mvvtjmmril Meumei, e Ztlmm
ej^«e ftr tm fmntm Stde, trmdmmmmvm mltmunutt ^ufJF iftHtitmi i M^«rri>
ifturmri %U AUmti dmllm {lurifditient di' l^tftevi rie tefm ir», duevm iflt, fi
meli emmmmdmrUri Im rìMliauì £ mm erm mmm difermiti A mifiiHtfm mi i»rf dilla
Cbtifm r umirt mimdimtmimimti «« CafitiU, t mmm Mmdim mllm fmmtm Sedi, litm uil
re^ «mm. m» l’MJiire mmdit mllm ttfim f Beli i hntefftrvmrt difmjfm^i ibi
^mijlm ifemùem ffiritmmU entri ftr Im fertm dell' tfim.iini dm'dirttu ttmfirmlì
eHti. dmtm Itr» dm' mtdtfmi Vefetvi. Titnc cibi liciiuna cenlcat lùit Ecelefiat
nmiilare raembrit. confundeK ordinem, perturbare termmoi, quoa poAieninc Pacm
niif Monftrum £icii, G, manui (ùbmovendigitum, (uii pendere de cwite,
fiiperiorem naaai, bciduo coilaKralcm.Taleed» fiiaChri,8 In Francia ì Vcfcovi
fatti dal Re, c molto più i fatti da' Mac(Iri di Palazzo, iminuita ('autorità
Regia, fì diedero tutti ade cole temporali; il che anche fecero gli Abbati, che
coniributvAnu Suidati al Re, e andavano in periona alla guerra, non come
Religiofi, per quivi far uHhzj di Minjllri di Grillo, ma armati, combattendo anche
colle loro mani; perlochè(i) anche non furono contenti deU la quarta pane de’
beni, ma li tirarono timi a loro; onde i poveri Preti, che nelle Chicle
amminiftravano a’Popoli la parola di Dio, e i Sacramenti, recavano lenza aver
di che vivere; perlochè i popoli per loro divozione contribuivano loro parte
dell’ aver proprio: il che facendoli in alcuni luoghi più largamente, in altri
più parcamente, ne nafeevano alle volte querimonie; perlochè, irattandofì
Ipeilo quanto folTc quello che fi dovellc dare al fuo Piovano, palsò in comune
opinione, clTcr conveniente, ad efempio della legge divina nel vecchio
tefiamento, il dare la decima ; la qual efiendo comandata da Dio a quel popolo,
fu facil cola rappreientare (tf) come debita ancora folto il Vangelo di Grillo;
febbene da efib N. Signore, c da San Paolo altro non è {b) detto, le non che al
Mipifiro fi dee dal popolo il fofientamento (c) necclTario; che il MiniUro, o
operajo, e degno della fua mercede; c chi ferve aU'Altare deve vivere deif
Altare, (d) fenza prcfcriverc la quantità determinata; perchè in alcun calo la
decima farebbe poco ; e in altro calo la cemefima bafterebbe ma perchè quella è
cola chiara, e di lotto avremo bilogno di trattarla più diffufamente, non dirò
altro per ora, le non che in quel tempo, e per qualche fecoio Icguentc, i
Icrmoni che erano fatti nella Chiefa, iaiciate le materie della fede, non
verlavano in altro, che in pruovc, cd elortazioni a pagare le decime: cola
ch'erano sforzati i Gurati a fare, c pel bilogno, c per T utilità; c nell’
amplificare oratoriamente, come occorre, fpelTo palTavano tanto innanzi, che
paicfa mtta.lu, perfezione nel paga re le decime (a); delle quali anche non
contenti, nè parendo aliai le prediali, cominciarono a portare per necefiarie
anche le pcrlonali, cioè, di quello che l’uomo guadagna colla lua fatica, e
indullria, della faccia, di ogni artifizio, e anche dello lìipcndio militare.
Di que C^l «luri delfrviuflt, cnm sicari fxriuù pane .... DotTM'iii tainivit
iù, qui Evanj^rlium «onuncisnc, 4e Evsngelta vime i. Ctrmih. y. Vedi V drtttete
(») U» PrtdMétfre mi f.mfe di Ctrl» fredù tst’St (bt mm fiUmmtt «r nueffMne d$
f-i.ir le Drtim «’ ^rrfi, m» njjiadi dt ftrtsr’.e ufft Un O». Nec e:ic «ptasre
k Clerici «111 decun» vobu rtquusnt, leJ dtriti tbt prtdtcàiM ttif. siitfp,
ttmtrs il fmlt Aln dentiiaruin elabori qu'S novetit tniina ApolUitrc pietaus
lade nucneiwit efl, donec trtiiat, convalelcar, t roboretar ad Kceptionem
lUltdi cibi. (^iii im. ponemlum eli fugum cervkibnt idiorrem, quod n«c|cie noi,
nei]uc fratrea Uullri lufre-rr {vnuelune ? £^iyf. i.éfud ìdAlilleif tim. 4. Ai
torpore membra sliter torta, cjutm ciirpoiuit fplc Sicuc Sc'tfhire, 0 c
Cberubim, tc c^eri quiepe ufquead Annloj, et A’rhtngctoordinanrur lub uoo
capite Deoi lu hic quoque fob uno fummo Pont ibee prinìatei, rei Parriirr hx,
Arrhiepircopi, Epiicnpi, prabyicri, velAiibaici, et re'iipii in bone modum Quod
lì dicat tp Cupui.'NQloellélubArrhiepircopui tur Abbtsi Nolo obedire Epifccqo,
hoc de Cxlo 000 eAj ailìcurone Angciorum quempum dicenrem audiHi? Nell fui
Artk»irt“ jf, ^. dt Ctnfid, hi. }. iini lUtum taluberriffiii fiaerK. a mcisbrM
Ecdeitz ooini tempore (èpareior. Cnm. f. m fin». (o, (]), « fmrldT
froftuurnnut, ajjnjara, tfdtftfHt, ) ttnfflMHldt». ilz veilrz falubrt debeamu
dirpoGtionc fÌKcitrme t de ideo leiundiire deSdenum vefirum, fratrem, 8c
Coepitropiun oodnim euju! Eceleiìa eli ab noAiaui occupata, Cardinelnn «eftrz
Ecclcltz, ficutperiftia, lonAituimui Sacerdorena» quitenua vot de propitio, At
ordinando, de vigilando (óllìeitc Audrai gubcrnarc. cui dedimuiinmandatif,
nemu{U3m ordinationet przfuinac Uticiua. Uitr. Dinrnm Smmm. I^unif. tir. II.
cp. 1 (c) Hzc vox, diti Ontpto Ptnifint mtUm fniattrprttdJtr dt' mnmu
IrrltS^nfiti, (vrquent ed in tegiliro D. Otrgoni, et Epiftoiis PontiScum R'munoruin,
et decrrtalUMU, qutbutÌ! Cardinali! dicitUT Preibyter, vel Oiaconua, qui certz
aliciri Ecciti, vel Diaeoeuz propria!, de adcMrtiaJicujau tituli,Ave Eccieliz
miniAeriunordinatu», inferiot, atuiexui, de, ut iplc loqaitur, meardtnatm cA.
Naia S. Gregorio idem eA Cardìnalcm conAituere in allquorituio, vel ficclcAa,
quod incardinare alleai Ec(Idìz, vel io altqua Ecckita cardinare. Idem rriam
drEpilcopit dirà, quod de tua EecleAa ad alìani. ncccATratii caufa, tramUtni^
EpitcopeM etoidem ficcieiàc fijz, iUius vero ad quana uaatUùlìuiri zo tu, eh
erano le principali, più ricclie, e con più carichi, e rainifteri, ricorrendo
per lo più cjuelli eh’ erano fcacciati da’ propr) luoghi ; e quelle Chiefe,
come più ricche, e abbondati, ricevevano più di quefti foreftieri, e però
avevano più Cardinali: il che anche era ricevuto dalle fuddette Chide, perche
con quella via acquiUavano da ogni luogo i più infigni uomini; ficcome al tempo
preicnce fifa, e però poche volte ordinavano de’ loro, ma [penilTimo
incardinavano foreftieri’, onde in quelle due Chicle rcllò che tutti fi
chiamalfero Cardinali. In quella di Roma dura ancora il nome , in quella di
Ravenna durò fino al 1543. quando Paolo III. con una lua Bolla annullò il nome
de’ Cardinali nella Chiclà di Ravenna : cos'ì il nome di Cardinali, che
moflrava infermiti, mutata fignificazione, è fatto nome di maggior digniù, e
viene detto che fieno Cardinali, cioè, Cardines Orbis tcrtaTum\ Ti) e quello
che non fu nc grado, nè ordine della Chiefa, ma indotto per accidente, è ialito
alla grandezza, e dignità nella quale oggi fi trova. Ma chi guarderà i Concili
fatti in Roma, dove fono intervenuti Vclcovi Italiani, e Preti Cardinali
Romani, vedrù che Tempre i Cardinali hanno fottoicritto dopo i Vefeovi , nc
alcun Vefeovo era fatto Prete Cardinale anche ne’ tempi polleriori. I primi
Vefeovi fatti Cardinali furono alcuni principali fcacciati dalle loro Chicle,
come Corrado Magontino, (cacciato per ribello da Federigo I. Imperadore, fu
abbracciato da Aleflandro III., c fatto Cardinale Sabinenfe. Non avevano
nemmeno i Cardinali Romani alcun abito, o infegna dìfiinta fino ad Innocenzio
IV., che nel 1244. la Vigilia di Natale diede loro il Capello ( 2 ) rolTo, a
cui Paolo 1 1. aggiunfe anche la Berretta rofla, (3) eccettuati i Regolari ma Gregorio
XIV. nel noftro tempo la conche ancora loro. £’ fiata necefiaria quefia poca
narrazione, poiché verrà Ji§nir\ che al prelcnic è primaria nella Chic fa, e
alla quale pare non trovarfi titoli fufricicntf. (4) Il Pontefice prefente,
Urbano Vili, ha per Bolla propria conceduta loro 1 ' Eminenza. (3) XIII. Suenlotes, Uve
Pamificct Cardinal«y vac» t t»44. Iug^uni,.in Concitio gm«ra!i la. Csr i«v‘ )
fin ft' incarJifure aliqocm S. dioslibui virii ctcelIeneinÌRn^ cr n»ìi. Sft frtmv.du pur lìium, li opu efliet, prò
I-ccJeiuilira libertà. ifU, i CHTMti dt Rimi riiJvtffiri dt freadiriit te
tuenda, gladio ofiène deberej et prxfettint tinti di Cirdunii, fif I mm co
rempore quo Romana Etdctu a federilo H. tkt «ttfMi d'iffm i fi" vHimi
mtmijhi atfifi, Imperaeore vcheioenter oppugnabumr, « ÀI firtieifitt dtU Jm»
iUimhiì tJtUitmm' fanvM. fifta i ijmali gita tattiilgl- ta d'efftn agginan alii
nijtn aaniritiiai, par cnu ! due lagiait ly. ita Tapcr hot Sede Apo- grmmditi
ni Un muta, fi lUnarima dalia Un jloliea, touuf Ecclefur oftium, quiciùl, Ac
iiu. dipraienia. ilencatur, (J) ^tjh "Itimi panie feaa finn ageimn (a) Hic
in vigilia lutai» Domini anno aiP OtfiaaU Jialiaai, a da' Cifijh, • dagli Dal
principio fino poco innanzi il 500. come li è detto, ogni Chierico era ordinato
a qualche uffizio, c viveva a fpcfc comuni; dopo fatti i Benefizi, l'idefla
cofa era ordinarlo, e alTegnargli Tuffizio da efcrcitarc, e il benefìzio dove
cavar il vivere; nè lenza Benefizio fi ordinava alcuno ; ma in progrcflb di
tempo, comparendo qualche foggetto atto al Chcricato, febbcnc non vi era luogo,
c benefizio vacuo, per non perdere quella pcrlòna, i Vefeovi T ordinavano fenza
certo uffizio, 0 titolo; c però anche fenza benefizio, per afpettare che alcuno
nc vacafle; « quelli ordinati fenza titolo aiutavano i Benefiziar), da quali
loro era dato trattenimento : ma in progrefTo di tempo crebbe a cosi ecceffivo
numero quella fona di Cherict ordinati lenza titolo, 0 benefizio, e fi diminuì
tanto la cariik ne’ Benefiziar) a dar loro foftentamento, che, naicendone
infinite indecenze, e Icandali, bilognò provvedervi con legge, c coftringere i
Vefeovi, che ordinavano fenza titolo, a fomminillrar il vitto agli Ordinandi ;
( V» ) c quelle provvifioni nel principio che furono Itatuice fopirono alquanto
il difordine; il quale però non flette molto a riforgcrc ; e più volte
repreflb, è fempre ritornato : al che due cote hanno data caufa infieme : Tuna,
il defiJerio di molti di farli £cclefiaflici, per goder Tefenzioni, e liberarfi
dalla foggezione de’ Principi : T altra, T ambizione de’ Prelati, di aver
loggctti molti a’ quali poter comandare ; nè ancora è provveduto bene a quello
dilordine, ficchè per tal caufa non fuccedano in diverfi Regni molte indecenze,
che fono cagioni dì far perder al popolo il rilpetto della Religione. Nemmeno è
fiato efentc da quello inconveniente T Ordine Epifeopalc, ficchc non fieno
fiati ordinati Vefeovi chiamati titolari, 0 con voce deriforia : Nulla tenenti
: ( i ) non fono però così volgarmente trattati, come gli altri Cherici non
benefiziati; imperocché, febbene fi ordinano Preti, Diaconi, e altri Minifiri
inferiori fenza carico, nè in fatti, nc in nome, non fi è però collumato fino
al prelcntc d’ordinar i fraintrtimfjlt h.t9H0 frtf» Hit' 0itatst.i9iit fatta
nrl maf^iat ftr maa tamtianaueat dttnjft; tatfatttthì F.e.ttU framtrt» iHnaat.1
V tfaltauMl al di U^ ^«>1# Vili Epiifoput, fi alivnec { nifi lalit oraioamt
de Tua paterna hzreditste, Val alta, boncitsMi caufa, fubruliutn polite habete.
CauMt i dtl C»ntiii lattraHtHjì fm» AÌt^amdn III., t fi trava ntl taf. 4. tg.
tra ir fréhtnda. (i> yJaVrft^' ntICmfilt dìTrta ta difia, ehf ti Vtftavata
rtetrra una Diattfi, a tk ti Vifeava, a la Ckitfa fatta rarrtlattvt, tth wta il
hiariia, a ta hlagiu ia maniera, tha f una Mb fu» fiat ftnta Faltra’. tbr dì
^ntfiaarà:nazJam man fi vedeva fata un vafiigia in tmitn F Antitiiktìk, in rati
i Vtftavi, tha aiiandanavama i lata nftavatt, a (he n'arana frnau, ntn arana
fià témfiderati ftr (alt i in fatila {aifa affante, thè Ma \Jemaa, al faale fia
eeeana la JUtfir, fià ii tn viem rm fidarata »er Uarira, Refltti nn Vtftava
Italiana, thè i Weftavi' titelari, avende félamtntt la fedtfia dtU'Ordine, uan
era nettfiaTia che mvefitfa ana Chìtfa t ebe fa una valta nen fi erdméva altun
Vefeapa, fanza afftinar{lirat nnai rA derivava, ferrhi ntm fi ardmavana ne'
Preti, ne' Diatam fenta tuaia: thè feftia era fiata rieantfuuta ^tr t^aumfati
ante al fervitia di Itia, thè vi fafitTa Preti fenta titeia, ed in tenfremenza
Vtftavi fiuta Dtattfi. Fra Paaia hh.t. del CentUea di Trentat Ftdi FArtitala
la. zx dinar Vefcovo fenza Dioccfi dalla quale (ì denomini ; perlochè fé gli
aflegna una Ci[t^ poflcduta al nrdènte dagl' Infedeli, dalla quale prenda il
nome; dove non cHcndo alcun Criftiano, TOrdinato refta col folo nome, fcnza
popolo; e vive fervendo qualche Vclcovo grande, il quale non polla, o reputi
cofa inferior a sè, 1' efercitarc per se Hcdò le funzioni Epifcopali. Di tali
Vefeovi titolari ve n' era gran numero innanzi il Concilio di Trento ; ma al
prclente è molto riflretto. Ma perche adeflb i Padri Gefuiti propongono
queffioni, fc il Papa poflfa ordinar Vclcovi fenza titolo alcuno, nè vero, nè
finto, Jìccome fi ordinano Preti, e Diaconi, e decidono che pofia; piaccia a
Dio che quella potenza non fi riduca in atto, e fia perduta la riverenza anche
a quell’ Ordine, la quale gi^ era grande vcrlb tutti ^li Ordini Ecclefiafiici,
quando non era ordinato, Ì^e non chi era iniìeme defiinato ad un’Uffizio, come
lì è detto. per la qual cagione tutti riledevano al loro carico, perchè non fi
poteva latciar vacuo; c non vi era chi potefle fupplirc, clTendo tutti occupati
nel proprio, onde era incognito il difordine di non rifedere . fimilmcmc era
incognita la difiinzione di benefìzio che ricerca rcfidenza, e che non la
ricerca, e, o ricco, o povero che fofle il benefizio; o di molto, o di legger
carico, conveniva che il poirclTore fcrvifle perfonalmente : ma dappoiché s’
.incominciò ad ordinare feoza titolo, avendo i Titolari chi mettere in luogo
loro, lalciavano il carico ad uno, che attendeva con qualche poca provvifione,
ed elfi attendevano ad altro. Così i Vefeovi in Francia Icrvivano alla Corte %
come pure i Parrochi, fofiituito qualche povero Prete. S’incominciò a provveder
al dilordine, non con legge, o con collituzioni, ma con gafiighi di cenfure, e
privazioni in maniera, che ne’ tempi de’ quali parliamo, cioè, ne’ prolfimi
innanzi P 800. con quelli gallighi erano tenuti in freno: ma co^ >>
a>MÌfìr>ge dc’bcnefizj, come anche rordinazionc di non titolari, e le
provvifioni per la rclìdenza, non pafiavano fcnza qualche diverfit^ da un luogo
all’ altro, c anche nella ficlTa Chiela non paflavano fcnza qualche variazione,
caufata sì per li diverfi pcnfieri de’ Vefeovi che lucccdcvano, come anche per
lo divcrfe provvifioni fatte di tempo in tempo da’Principi, per ovviare a
dilòrdini cagionati dal troppo volere di qualche Ecclefiaflico, o dall’
impazienza di qualche popolare, che non fi poteva veder efclufo totalmente
dalle cofe Ecclefialliehe, XV, Molta variazione pafsò fino a Carlo Magno, il
quale, ridotta fotte la fua ubbidienza l’Italia, la Francia, e la Germania,
riformò anche le cofe Ecclefialliche, riducendolc ad uniformità, le quali in
diverfi luoghi erano divcrfamcntc illituite; rinnovando molti de’ vecchi Canoni
Concitiarj andati in difluctudine, facendo egli divcrfe leggi Ecclefialliche
per la dìRribuzionc de’ benefizj fecondo rdìgenze dt quei tempi : reftituì in
parte a’ Parrochi le poflclfioni che i Vefeovi, come fi è detto, avevano tirate
a sè, ordinando ad ogni Prete Curato ne fofle aflegnata una della quantità che
in quel tempo chiamava. x3 mavafi Mcnfa. (i) Pafsò allora in Italia il coflume
di dare la decima alla Ghiera Parrocchiale, che gili molto innanzi era
introdotto in Francia. Aggiunlc però Carlo di nuovo, che il Vclcovo, come
Sopraincendente, e Pallore generale, potefle dare quell' ordine lopra la
didribuzione delle decime, (a) che parefle a lui; pcrlochè i Vcl'covi, dove
erano molte, c graffe, ne dil^lero in diverte maniere: ne attribuirono parte a
sè llcffi, parte a’Preti della loro Cattedrale; c ne aOegnarono anche qualche
parte a’Monafteri, con carico che cfli mctteOcro un Vicario alla cura, dandogli
la porzione conveniente: c, oltre airaffegnazione del Vefeovo, alle volte le
Chiefe non Parrocchiali fc ne appropriavano qualche parte, che in progreffo dì
tempo poi difendevano colla preferizione. I Princìpi ancora ne applicarono alle
Chicle verfo le quali avevano maggior divozione. Rcllitui Carlo la libertà a’
Popoli di eleggere i Velcovi, concedendo che il Clero, e il popolo doveffe
elegger uno della propria Diocefi, il quale folte prefentato al Principe; e
quando da quello foffe approvato, e invertito, dandogli il Partorale> e
TAncUo, doveffe efler conlccrato da’Vcfeovi vicini. Kcrtitui anche a’ Monaci la
facoltà di elegger l’Abbate del loro proprio Monartero : {if) rtaiuì ancora che
i Vefeovi doveffero ordinar Preti quelli che foffero prefentati da’ Popoli
delle Parrocchie, Stabili anche Carlo 1' elezione del Pontefice Romano in fimil
ma niera, ficcome era anche irtituita, quando gl’ Imperadori Orientali
dominavano Roma; cioè, che foffe il Papa eletto dal Clero e dal Popolo, e il
decreto della elezione foffe mandato all’ Imperadore, il quale fe approvaflc
(c) l’Eletto, foffe conlccrato. Vero è che, motto Carlo, quando gl’ Imperadori
della Tua porterità fono ffati deboli di forze, o di cervello, i Papi eletti
dal popolo fi fono fatti confccrare fenza afpettar il decreto dell' Imperadore
: cosà fece Pafqualc con Lodovico, figliuolo di Carlo; febbene manJà poi a
Icufarfi con elfo lui, che non era ciò proceduto per Tua volontà, ma per forza
del popolo, che cosà aveva voluto. Sono ben alcuni i quali dicono Lodovico aver
rinunziata la facoltà di confermar il Papa ; e perciò allegano il C. Ego
Ludovicui^ ( ) quale altri uomini di molta 0) fwL ri) HUfffMrié ftrvivtrt, t»mt
ntr 5 .Cr^iav# nell» vit» dt S.Ltfstié dArili. Ouncc omnn «l> iffo eflènt
redempri co tTgento mo AaterriW ejui Conici Eccirlìa Menfa rcin^ucnt. HitU
nMrrw ftmdaU mn c| firviMm» munr» dtll» farti» Urnf». ( .« ) Uc Derimz in
pcreJkste Epiftopi Hnt, qiuiibét a PresEycerìi dilpcnientur. t»f.i4i.lti. 1.
CsfirmUr. (i; Monichorum (ìipiiiiein caufam, Deo ojmuUiite, « pane
liilporueninui. Ac cuomodo ex (é ipfu libi eligendi Uccntiam deaeritcui, Ac
qualiter cjuiete vivere, propolitunique indetefli cutVdire valerent
ordinaxenmui, in •lu libcdula diligenter idnotari feamuit At ut Bpud
Suceellorei nofkr» ratum fbret, Ac invioUbiliter coniervarctur, conErmavimui.
tf, ltiii. t- CtfitmUr. (r) i U fimrmtiir» tir fm dal Clrrt, « dad fafaU XMMa»
frràata « il traigli», •d a Lttaru fu» fi'UmtU 1’ »n»» «14. Proemno ego Uk per
Deuni t^nmipotenreir, Ac per iUa qusruor Evangelia, Ac per bone Cnicem Domini
aoliri Jrfu Chndi, Ac per corpus BearilTìmi Petti, prinuj'ii ApoAolonim, quoo
ab hoc die in lidtlu ere Dorainis nollr» Imperato dot tri ribus, Hludovico,Ac
Hloario, dicbui vitjrnie«, }usr4 vim, Ac imelleòum meum, fine fi^ude, atqae
malo ingemo. Ulva fide, quam rrprninifi Domino Apo^iicoi Ac quod non conlentiam
ut alitcr in hsc Sede Romana fisi elegie Pontili(is, nifi ciaonue, Se julle,
fctundum virci, Se intclledum meum, Ac iile qui elechii fiierh, me conUatiente,
conlécvirui Poimiex non fiar, priurqu.''in tale làrtan>er.tuni U^iar in
prskmia milG Doaùnici Smperaions, Ac populi rum paramento, quale Dominus
Eagcoiui Papa Ip nte, prò coniérvaiione «^nnitun, Uftutri bibet per firiptum:
nmai. CafiimUr. fag. «47 yid» Tb»gaa. ad aaaam tiy. ferduravit hxc confiietudo,
dir Onifri», ufque ad BenediAum II., cujui fanfìiraie petmorus ConUmcmus Iniperator,
Heradii pronepm, et'.i&o tuo julTit ut deincepc, quem ui, pnpululque
Rotnanua Pontificcm aekgiQent, », nulla ampliui Imperatom confitnucmrtc
expéò-.ia, more vcmiiifiimo, Aatim ab Epilirop» orduuretur Aa»»t. ad mam frlaga
Jf. l) D Jtiaff. éj. Vidr Tltrmm dr rltHitnitMi i» fm tfrram Agttardt. taf. 6,
fag. i{t., rAi Balnuam. tdt ttiam Tbtran. ad oao.liO., et 17. f i I Z4 dottrina
mf più ragioni meflrano fatfo, e 6nto : (i) nel che è fuper6uo aflaticarfì,
perchè certo è che Lotario, Figliuolo di Lodovico, c Lodovico iecondo, tuo
Nipote, confermarono tutti i Papi elctti nelle loro etli. In quelli tempi, ne
precedenti, e fulTeguenti, quando, per afpctlare la confermazione del Principe
affenre, alcune volte paOava qualche mele innanzi che l’Eletto foife confermato,
e poi coniccraio, egli innanzi la conlecrazione non il portava da Papa, nè
amminiilrava, lalvo che qualche cofa particolare, a cui urgente necclTit^
collringefle di provvedere fui fatto; nè vi fbflc altri che vi attcnddfe; come
avvenne a San Gregorio; nè fi chiamava Epifeopus, ma EltBus, Anzi nemmeno
teneva il primo luogo, ma lo teneva 1 Arciprete ; il quale anche fi dava quello
titolo, cioè : Servaas locnm Seda Apojìol'tc^: ma dappoiché i Principi furono
elcliifi, come al fuo luogo fi dir^, pafiava Icmpre poco tempo dall’ elezione
alla confecrazione, nè per quello fi diceva che 1' elezione fola deffe il
Papato, ma la conlecrazione : perlochc, le alcun Eletto moriva innanzi d’effere
conkerato, non era pollo nel catalogo, e numero dePontefici, come avvenne ad un
Stefano eletto dopo la morte di Zaccheria nel 752. che non fu conlccrato; c
però non fu pollo nel catalogo. Papa Niccolò II., (nufei fTriru'-, Hi"C ob
ri(creiu, quoi ab hti vi too^ui rflet ^Aiifioutn irunitt nbì'e. Acirpu bsc
tàmfaéionf, Lalovicui ‘«'pò i.Ui Clero, Irta)u;uRi ipiìini», St pitia M«v8ne
drinrrp ouieftiTnR laelc eni : tu xitu fuf.bulit miti»- ^U4nt» gli Auttri fbt
b^mm ftriitt rbt Lut^i, il btn^u», uxtfit rmmuti dtrittt di rtufiruurt t
t'ti»9t dt fuftfiuii rr’trr tbt uufft ftrft dli' uxtf ttufuft (bt Hutiu»
Ttftnftt util» mtitfimu vii«| tbt il H bli0tHuru Aatfiugi», itti, il CuuctHurt
drHm feere Wr, rutttmt» tb taduvii» dttdt M fuifiMU f tturr» fdtfià d' titfgm i
|V fini, a f •« Ptmifi-tm ft^ului fiatim eriafiit, fNi tmia dir Ptaiiftatmi fm,
dumrtt dtmtjhcas diffcnttt uttifit, mtrb» àfifitxt» rrrrrfiut tnttrmt.. ^5 Papa
riceva tutta V autorità : e perciò i Scrittori mi fmt mi ntlU fmm Cnmìcm
Jt’PMfi. F ftiammn mtmxMm Ji ni in itrmm. Ante qnein tioxn Siephtnut qui«U
fdf»^ fidi» Sttfdm Ili. f» V dltr» ftfu fidi» fdfd iftttiv», I rietmfrtiu» t ìi
rkt damjh» tln dUr» tfftr Elcàuf n»m trm ifiir Epilcopui, « fdfivd drvtntdr
F.pili« nel fm Ltxitm, in Cenfitrohoiubiu Imperatorits, enniverlétiam
pearitatiooem, colUuòaetii, de prcAeaooem fi ! i nefizj molto ricchi, fi
creavano Vclcovi i principali della Cone, c della Cittì, a quali il Principe
ancora commetteva molta parte del governo politico, prima llraordinariamente;
cpoi, vendcndofi che riuIciva bene, anche ordinariainenie; non perh in tutte le
Cittì a!!'iflef|b modo, ma lecondo le occorrenze del luogo, e il valore, o la
boctì del Vefeovo; e anche Iccondo la poca attitudine del Conte alle volte, al
quale fi luppiiva col rimetter ai Velcovo. il che fu caufa che poi, degenerando
la poflcritì di Carlo, che bnalmente fi affogò nel prctondo dell’ignoranza, i
Vefeovi penlarono cITer meglio per loro non rl.‘him (redo bsc oppertunif(ce
Htdriinum. tjuod CftTOius, {quejh tr» C«rI it rnffirì Iinpcraeor, sb ImIU cum
«nrcitu diicMtiu, in Noroujinot rebeliintn moverat. Stiu vftM d' AdrUn» U. dtl
mrdtfimtt PUi$ms fi 4 i R»mMÌ, ftr mtier »» P»nt>firMt9 ftmx,' sffttfri l
(»nftrmst.iem dilT féiU, >r« etti i vttifimiU tb AdrUtu IH, mìU i'tftUdtrt P
ìmftrmd» r4 dtl P»f» (4) Vidi PVitKhmd fég. tt. mtam. to. Omnia, dtrr ii d‘
Agmtfy»»», &unini deben ror PantiKibiu, 8c non C'boi^ilcopir, nula f»rt»
Cbtltiahrta rmane Ckmi, quod lum failTc. cum )Un eo devemJtent Ecriclialìici,
«tuh> (ine perratonis t^ualtlet dMtunùc.rc tem- ut, non cnadi. ut aniea, Icd
ffKjnte, ^ laigi. pori de Erciedx rmuiBcraAonr pofTederint cum
nonibuarootifiiium nmnutobuent Rea (>ef '^aucioriuie Klonotìtlimi Ptincipia
nollti, in |ui finii «xempli, cum pndea ('ere (einper ferrata bare propnctarium
praeCciiptione tempotit non vncen. conliictud» (il, ut a^priorum Pontifimin
fe.p(en. tur, dummodo pateac Ercidix rem fuifTe; Nevi, tea aut infrinf^erent,
aut omnino inlleenr. R#. deaiuiu eiiam Eprfiupi admimaraitonu prtjlizx,
Manal.rra éStcfsMaVl. rii thi Sttfan vav«ut precatortaa, cuni «rdinici funi,
faceredcbotC fAtia a tarmafa. Steptuni PonitHch Jerreta, Ae le, aut diu lentit
Ecclefie ficultaTei prnpristati «tU ibtim tmprobat. abro^acque. dire iV R«rin«
fux polle tr»nfuiderat buie «tati ut hotninum indullru in rnitnonc inutilaiui
turpuer, alupundia vitam Ju. quovU cenere vittutia (oafeodlertc, nuliii calca
zie, cum ob inhoitelia vulnera i frababilmeata libui aunibim, quibu» hmuinuiu
ingeniaad lau' ftr tfitr^ii fiata tafliata il nafa, a la erieibu ) dein
eiuiirentur. piodire in puliblitum mibcKcrct. Plaiina in (JStimphaDUtVI.dirr il
Flaiina malia fna vi. vita, ta, tanto odio pcrfecuttis cd Formoli Homcn, ut
anni Giovanni XL ch’era figliuolo (4) baluardo d’ un altro Papa (h) morto 18.
anni prima’, e tanti inconvenienti nacquero in quelli anni, che gli Scrittori
dicono in qiie’ tempi non cflervi flati Pontefici, ma Mollri. 11 Cardinal (c)
Baronio, non fapendo Icufar alcuno di que’dilordini, dice che la Chiefa allora
per Io più (lette lenza Pontefice, non però lenza capo; rellando il fuo capo
Ipiricuale Grillo in Cielo, che non T abbandona: ed ò ben cola certa che Grillo
non ha mai ialciato, nè lalcierh mai la Chiela Tua, ne può mancare alla Tua
divina promelfa, eh’ egli lar^ con lei fino al fine del Mondo: (d) e in quello
ogni Crilliano dee ientire, e credere quello che il Baronio dice, penfando
anche che quello, che all’ora avvenne, fia avvenuto altre volte; c ficcorac in
que’ tempi la fola alTiflenza di Grillo confervò la Chiefa, cosi l’ha
confervata, e la conferverh in tutti i fimili accidenti in quel medefimo modo, con
tutto che non vi folTe minillero di Papa, (i) Può ciafeuno da sè fleffo
giudicare come folTero trattate le altre Ghiefe d’Italia, confiderando qual’ è
lo flato di tutte le membra nelle gravi indilpofizioni del capo. («) Non
flavano però meglio fuori d' Italia, dove i Grandi davano i Vefeovati a’ioro
foldati, e ancora a’ fanciulli in età fanciullefca. Eriberto, Conte, Zio di Ugo
Capeto, fece il fuo Figliuolo di etk di anni 5. Arcivefeovo ( a ) di Rems ;
Papa Giovanni X. confermò quella elezione. In que’ tempi nefTuno riccorreva a
Roma per divozione; ma Tempre chi di&gnava alcuna cofa contra i Canoni, e
ufi Ecclefiaflict, fe non trovava nel fuo paefe chi 1 ’ approvaife, ricorreva
(m) ^ejl fini ) riftrif i» mtl lArè frutto mi t»p» i J. Onofrio ?mmvitto itti
tbt Ìfio Psfn moH n» di Pof Srrgto IH. tomo mfierms PUtiM. (^) Di Sorgio III.,
c di Unroxj, figìiuolA dtlis Mtrfttitt ToodorA, Ia tfmAle profiimivA U f"
’. Joinnei XI. dir pAmvimi. S^gii l'apx. Se aIsickix notuUilimr inter Rmiunof
fiéminx {tlU n vtdovA di 0»ido ÀtArrbfft d T^trtnA"^ filius, vutri, qux
cune in urbepoteouirima erat, uiàoriuc?, et ttudio rucceflìt.;.. poli Leuneni
VI. 9c Steptunum VII. Pltuiti» U tbìAms CiovMMMiXll. patria Romanui, pane
Sergio Ponriike &c. (r) Wi fMin ifS tpAmt, «fìea PlacÌBa nelii vita di
BeneJetio IV. tAfrivir ttfit EìcUSa Dti, vttfir tfM! cnitorAtu a ftutritAt d
lAftivurm, ffprrit Atiu tAutA lirtHtiA fttcAAdi btportt»tA, A ATAiniitn, et
UtguioAt, fAitOiJimA P^ $ri ftdti nrnfAtA tfi forimi. feffrffA. Bm~ voiu rbiAAtA
imefii PAfi ftdu AfofioUt mvAfnri, itom AfofiAitoi, frd Af^Atirot, a 4 Aaitmm
pot. Jta Pool (a muA pmdttjoffiiimA imior Ito 0I dtftrditu dtll'ttrtnmi ai ami
itmfo. Sitfpu, dx' gli ìm kha dtlft fu Itttrrt, u h» irnAto Arfomtnfo fori it
provi tbt Ia fioTÌA dtllÀ PofiffA CttVAAAA fA VTr«i tott iitmPHn bo ttovAto
TàifioAi AblofiAntA hmont tbt n mtfiuAo Ia fAÌfitÀi tilde, pr pArUr
fiaertAmtmtt, io fmdt a trmnlA ftr fAljA, pia non pi ftr firAVAtAntt i poirkh
i» fMaa«i X.)ulutptitiin, in execnplmn cito rtanfiic aliorum, ut cumplures
hujus Ixculi Princt. fibi tinguine con^nftm adolclcencutos ia
unaaC-aUicdraituravaim ^nvinovendos ad aem. paf. a Roma, dove fi davano
difpenfe d'ogni cofa e Fambìzione, o F avarizia fi copriva con dilpenlazione
Appdlolica. 1 Papi, eifcndo quali abbiamo detto di lopra, non Facevano
didinzione di quello che poteffero; iiimando aumento delia lorp grandezza ogni
cola che folTe ibftenuca da qualche potente : quelli, per loro iinerefle,
difendevano quello che impetravano. Il popolo, parte per la lua lemplicitk,
parte pel terrore de’ potenti, approvava quello che non poteva impedire; onde
fi fiabill un’opinione, che di qualunque cofa, lubito che aveflc la
confermazione da Roma, ogni errore paflato folle coperto. XX, Alcuno crederebbe
che la poca cura che aveva V ordine Ecclcfial^ico delle cofe Ipirituali avclTe
fatto rafl'reddar il fervore de’lecolari a donar alle Chiefe, ed avelTc pollo
line agli acquilU nuovi degli EcclefiaAici; nondimeno non fu cos'i, imperocché,
quanto era diminuita ne’ Prelati la cura Fpirituale, tanto più erano intenti a
confervare j beni temporali, e avevano convertite le armi Ipirituali della
Icomunica, che fi ufava folo per la correzione de'peccarori, a difela delle
poflelTioni temporali, e per ricuperarle anche, Fe per calo la poca cura de’
PreccF(bri le avelfe lalciate perdere. e nel popolo tanto era il terrore delle
cenfure, che nefluna colà, metteva maggior (pavento; e colà mirabile era, che i
foldati, e i Capitani, fenza alcun timor di Dio, che ufurpavano quello del prolTimo
Fenza alcun riguardo d’ offendere S. D.M., gutrdavano con gran rilpetio, per
timor delle cenfure, le cofe della Chiefa: da quello molB molti di poco potere,
dclìderofi d'afltcurar il filo dalle violenze, ne facevano donazione alla Chtdà
con condizione che ella ^lielo^ delTe in feudo con una leggiera ricognizione.
Quello afHeurava i beni, che da Potenti non erano toccati, come quelli, il
dominio diretto de’ quali era della Chiela. Mancando poi la luccefllone
mafcolina de Feudarar)-, ctTmc- per iè Frequenti guerre, e fedizioni popolari,
i beni cadevano nella ChieU. Poiché (ino al prefente abbiamo detto in qual
maniera fieno fiati acqiiifiati i beni Ecclcfiafiici fiabili, c la ragione di
decimare quelli de’ Laici, quello luogo perfuadc che fi tratti, c rifolva,
prima chcpalfar innanzi, la quifiione trattata ne' nofiri tempi, cioè, le i
beni £cclefiafiici fieno pofleduti urc divino^ o humano'^ echi ne abbia il
dominio. la comune opinione difiingue le poireifioni lafciatc alle Chiefe per
teftamento, o per donazione dc'Fedeli, o in altra maniera da elTe acquifiate,
dallc{ decime, primizie, e alire obblazioni. £ quanto alle polFefiioni, tutti
concordano che fi debbano chiamare beni temporali, e che fono polTcduti dalla
Chiefa jura kumano : imperocché cena cofa è, come di Ibpra fi è narrato, che,
elfendo proibito a qualfivoglia Collegio r acquifiare ft.ibili, la Chiefa,
prima con permiflìonc degl’ Imperadori ebbe facoltà d’ acquiftarc, e apprefib
vi c il Canone : j«r^. d.S., do . 31 d. 8., dove fi afferma che col folo
Fondamento delle leggi umane fi dice: quella poffeflìone èrnia: quello Fervo è
mio: c che, levate Je leggi de’ Principi, nè la ChieFa,nè altri potrebbe dire
che cola alcuna Foffe lua. ( 4 ) Neffuno può dubitare che la divifione delle
ponTcffioni non fia per legge civile, e parimente i modi di trasferire i dominj
dall'uno allaltro, la donazione, il teflamento, e tutti i contratti, e tutte le
diFpofizìonì non fieno leggi umane. Sono flati nel mondo Repubbuche, e Regni,
dove il tellamento era incognito. Jure Romano al iolo Cittadino Romano era
conccflb di far teflamento: non c pofiibile che il modo di acquiflare fia per
ragione umana, e la continuazione dcU’acquiflo fia per divina.’ quando alcuna
cofa è donata, o legata alla Chiela, effendovi difficoltà, fc quei titolo fia
valido, fi giudica con leggi umane, c tenendo legittima ragione, fi mette al
poffeffo fecondo quelle. adunque anche in virtò di quelle, e non altrimenti,
continua nel dominio, e nella poffeffione : ma poiché in quello ogn'uno
concorda, non pafferò piò innanzi: lolo aggiungerò, come per corollario, che da
quello fi rifolvc chiaramente, e fenza difficoltà, fe T elenzioni, che hanno le
poffeffioni Ecclefiailiche, fono de jwc diviHo, ovvero bumano , poiché il
poffedere, ed il modo di poffedere, vengono femprc daU’ifleffa legge, e i
Giureconfulti dicono che dall’ illeffa viene la fervitù, o libertà de’ fondi,
daquali anche viene il dominio. Sarebbe gran contraddizione dire che la Chiefa
aveffe una poffeffione jure Veneto, la qual aveffe una libertà alio jure. Ma
quanto alle decime, fono due opinioni: una de Canonifli, 1altra de’ Teologi, e
Canonifli, che flndiano infieme la facra Scrittura, e la legge. Dicono i
Canoailli che le decime fono miv divino, () perchè nel Teflamento vecchio Dio
diede a’ Levili la decima, come {b) la Scrittura divina racconta. e non è
maraviglia che dicano cos), perchè non fono vcrlati nelle lezioni de’ Libri
facri, non effendo la loro profcillone d’intendere i nìifieri della Religione
Crifliana, cioè, che Dio per Mosè diede al popolo Ebreo la legge, la quale,
quanto alle oofe cerimoniali, t giudiziali, fofse propria di quella nazione
fino alla venuta di Criflo, il qual’ era per levarle la virtù obbligatoria.-
(r) ficchè la legge delle decime è ben legge divina Mofaica, ma non legge
divina naturale, nè Crifliana, ed obbligava quel popolo folo di allora, adeffo
non obbliga alcuno. Può bene chi regge una Repubblica far leggi fimill a quelle
, ma non obbligheranno come divine, nè fi dovranno chiamare uli, ma bens'i
leggi civili del Principe che le coflicuifce. Fu una legge divina Mofaieache il
beflemmiatore fofse uccifo. quella adeffo non ci obbliga; nè chi non l’uccide
pecca; e potrebbe il Principe imporre per la ^flemmia pena capiule; e farebbe
giuda, e fi dovrebbe fervale; non però fi direbbe legge divina. («) Jure Kumano
dkitar i h»c vilU mea cft: hcc dofnus mea - bit fervut renu eà. )ura au«m
hunana, jura Imperatoram (uDt. Tolte )ura Imperatorum, 9t quii aud« dicere :
mea eft ì0a Tiili, auc mnu eli itie fervui, aut dounii h«c IRM cft} ) Ctv»rmvi»
»a» J d» ftmimtnt». Vt il il it, iti Itkn frtmt variarum refolutioeuin. H )
Filiii Lavi dedi omnes devimas Kraelii in pofleftìoneTn t>ro ininlfteTio quo
ftrviunt mihi in tabamaculo nderis.... Decimarum nblatiem contenti, qiaas in uiùi
eonim, de nereftàna Tnnilato Saoerdotio, necefle eft ut et le. il rranilatio
fiat. Reprobano fit prxcedentif manB(i proptet iofinnitaccm c;iti, et
inuniitatoui. Htèr.7. vina, febben Dio gi^ la dicale al popolo Ebreo , (rf) ma
legge del Principe politico. In quelle, c in molte altre occorrenze, dove
allegano quelli uomini la Scrittura vecchia a loro interciTi, e loggiungono ch\
è de jure divino^ bilògna diflinguer loro l’equivocazione, che quei eh è de
jure divini) naturale, o Cnltiano, d obliga; ma quello eh’ è de jure divino
Molaico non ci obbliga; e fc chi ha un governo fa uno flaiuto fìmile a quello,
egli è de jure bttmano. Non poflb relìar di dire che non, per ignoranza, cosi
trattano qucfla materia; mt per ingannare gl’incauti, c per convalidare le cole
loro col nome dinr divma, e mctterfi in credito: ma fi potranno convincere qui,
e far tacere. In quell’ iltefib tefio della Scrittura Dio comanda eziandio che
non pollano pofl’cder terreno, e fi contentino delle decime.- (^) fé per quello
precetto il popolo è de jmre divino obbligato a dar loro le decime, efii
laranno obbligati a non aver polTclIioni. Ma apprelTo : Dio comandò le decime
foio de frutti della terra, (r) e le leggi canoniche dicono che fi paghino
ancora della milizia, della caccia, e di qualunque opera umana per la quale fi
guadagni. Se Dio comandò ai popolo Ebreo le loia decima prediale, lono sforzati
a dire che la pcrlonale non fia comandata, le non per legge umana. 1 Teologi,
de’ quali io non nomino alcuno in particolare, perchè ndfuno è cldufo ; e molti
Canonilli con loro dicono concordemente, clTer precetto della legge divina
naturale, che il minifiro della Religione viva del fuo uffizio che prefia,
fervendo .al popolo nelle cofe divine; ed elTere Ipeaiai precetto di Grillo N.
Sigli, nel Vangelo, che al mìnillro, il qual lerve al popolo nella predicazione
della parola di Dio, e nel minillero Ecclefiatli-o, ila lomminillrato il
vivere: in che quantità non è determinato, perchè lecondo il numero delle
perlone, la condizione dc’luoghi» c dc'tempi quei eh era molto una volta
farebbe poco un’airra; ficch.' il far parte al Minutro dt Cri^0 è de Jure
divino Che quella parte fia una decima, o una ventèlima, o una maggiore, o
c_llatutiro per legge moana « o per confuctudinc; che vagliono rilttflb. E quando
fi legge in ai^unc Dep-ciah che Dio ha illituita la decima, o j^e U decima è de
jure divi^ no^ $' intende (ff) la parte determinata per una indeterminata,
intendendo decima, cioè, quella pane che è debita, c neceflaria, ovvero che
i)io ha iitituiu la decima nel Vecchio Teftamemo, ca lua fimilitudine la Ugge
ha i^ituiio lo (leflb nel nuovo. Pcrlochc generalmente poffiamo dire che i beni
Ecclefullici, di qualunque Iona fieno, lono lotto il dominio di chi nè padrone,
e poflèduti per leggi umane. Nè alcuno muova dubbio fopra quella parte
indeterminata che è debita per legge divina naturale^ e Vangelica; perchè, come
ben narrano i Leg gittij (;) Ortinem meJutlani atei, viui, frame I I iiln
ileJi, '•fe Die d Ar$ tn uni>erÉi hu^utn imrUf ()iih EK'' ^ Dunituo
deportintur, cedcni ii\ aAit iuta. (dy (ilitt Levi, étti T)i, deiì aman drcimn
f€o uiiolUerio quo femiuit milu m uberoetulo IcJeri. Nnm. >1. («) Dominili
ordiittvtt iù qui gfiofcliun tonuncumt de Eviitgelw vivere, i. Or. i, elt^
lipoe e^ritelii vettra iDerimu»? Uni beoe |n«iuoi VrotiyteTi duplici honore
difini hsbeinnir, m». jMice qui loborant in verbo. Ac d''i£iiiu «U «periTMf
mercede Tua- i-T-fUi.I. PI ler cuni |v>pu!ui univeut, de iJ liliov Ifnel
loqueru ; Hntu», qui blalphemaiem D'imen !>>• mini, OMrte nii>riAtari
UptUibui e^lprmiet cuui mrme muliHud'', Zrwr. a,. Dixit O’unjnu. sd Aaron: in
te rt eorum mhi! p>(T> c' itii, iKc habebuis piriem inier co: fi sltnst
r$ar dt Nihil «l'ud pnili.!ebtini, dcrtouium ^!«none (unteixi. A'ana.il.
Nontubebuni Saeerd.ne», et Levirit psreem. de h«re ertem eem rrliqno Itraci,
quia bcrifiria D'xtunt, et oblatuinet eMi corpc-’^nr. V uim! aliud aeri, pieat
de pofldliooe Irinumliiorum. Unii. ra. il. gilli, altro i che una cofa Ca
debita; altro i che fé ne abbia dominio : la cola di cui li ha dominio C pud
dimandare drittamente in giudizio, come fi dice, Mont rei wneleesmnh ; ni fi
foddisfa con dargli r equivalente ; ma il creditore pud folo per azione
perlonale dimandar il debiiOt efièndo il debitore obbligato a dargli tanto, ma
non pid quello, chequello. Da quella rifoluzione rella anche con faciliti
decito, le i benefizi lono ite m Rivinti, e Je ere pofit 'mù ; imperocchi,
elfendo i (labili, e le decime poflèduti ite ere èemme, anche i benefizj
fondati (opra quelli avranno la forza deirilteiTa ragione: olirà che dalle cole
iuddette fi potrb pid agevolmente certificarfi di ciò; perchè, fe la Chiela è
(lata tanti anni con beni (labili goduti in comune, e non divili in benefizj,
come di fopn è fiato narrato, chiara cola è che i benefici tono (lati creati
dagli uomini in progrelTo; e perciò in quello tutti concordano- Non mi
ellenderd pid in lungo.- folo dirò che, Icbbcn quelle conlìderazioni pajono
aliai lottili, tono però neccOarie, come le cole feguenti mofircranno. Dalla
rifoluzione della prima quifiione farebbe facile rifponder alla fr' conda, cbi
abbia il dominio de' beni Ecclefiaftici ; ( degli (labili fi parla, poiché
de'Irutti fati il fuo luogo nel quarto quefiio) (l) imperocché, fe tono
polTeduti per legge umana, non iella le non vedere a chi la legge gli abbia
conceSl. Alcuni dicono che quelli beni fono di Dio; e lenza dubbio dicono il
vero; perché la Scrittura divina apertamente dice che della Maellh fua divina é
tutta laterta, («) e qualunque colà é foilentata da quella: ma in quella
maniera ogni cola é di Dio-, e non pid quelli beni, che tutti gli altri: una
fona di dominio univerlàle é il divino un' altro dominio ha ogni Principe
fupreno nel filo Stato, il quale, fecondo Seneca, fi può chiamare dominio
d'imperio, (é^ ovvero, fecondo 1 dottrina de'Gìureconfiilii, dominio dì
protezione, e di giurìfdizione : (r) Un'altro n'ha ciatcun privato, che é il
dominio di proprietà, dei quale parliamo, e del quale cerchiamo adeflb: né fi
pud dire che Dio abbia l'unìverlàle dominio di tutto, ma che abbia infieme la
proprietà di que'beni come il Re ha l'univcrlale in ratto il Regno, e nondimeno
poQiede in privato, e ha la proprietà di quella porzione che é di caufz fua.
Imperciocché al dominio univcriàle del Principe fi pud far aggiunu col
partfoolare della proprietà, per la quale crefoe, e fi aumenta; ma il divino di
Dio ha una univeriàlità cosi eccellente, e infinita, cin non pud ricever
aggiunta, e alb quale ripugna I’ «fière particolarizzat^ ficcome anche ripugna
che £a comunicata a qualfivoglia creatura; p^oà^ neffuno pud dire, efCendo Dio
padrone di quem beni, io, che ho J'iAalE> tribunale, T ifieffi) confifloto,
e rifieflà Corte con lui, fon io ancun fi^lrone. Egllé non meno fervo di
qualfivoglia Uomo minimo. Teme li. E Peid l«t mprkm. fMb r. Cbìm eli, ttm9, U
^aiA^oiaefl omflÌMif «un&nt ita t m 4- Domiu cft wm, picaitado oÀù (cncnun,
li unià-edi qui htbiwBC ta co. ffttim, ( noi» iwMa funi f;ti». vi mini.
poflc^Torii, i. %. 100. «rr. 1. rrff, «U UiS.7‘ tr) rtpv rwo fed ciilV«nrater
p«iun.« ■' pt doiiiinus, feiJi. fpeaCitwr, (èquitui quod de p!e ipiii ed
dominai quìa don^iortM a«ii «litnant. trvmfetur^ >»ra loft tu rapunf .aut
Pr^.(v«n, fc.i i« Zccielìim Kctnananij ve 1 ialem. (tvj r ttitadio tttf «a 4 r
1 f sdraiti, t ftmnfrmt luu d far Ur Is frnsrrtm Ncc pum, il, ^ojnetaa quod IV
Pi hibec plnuiudmcm pdtcftnl? Ecctettimcx,Db bóc podlt de SottuZiLldis
dtipi^eic^ fMt pqoelk Érclelia; quoiM.ini ‘pleniiudo p|itelUlii EiMletitltit
mcciligttur in fptriuiahbos Onmnt. a 4. y «rr. 4 J.. # unsCtafrÀteraits in
i’mtgJ», d\ tmtt ir Cta^sitrait fi (iusmsm dra«l«. \.i)L'A»trt dutdt'Frsn, tk'i
li uem ft» (ai S (ìtuum» .olare, o universale, a favore di cui la donazione, o
il legato fu fatto. Perlochè dovrebbe anche ogni Rettore di Chiela veder con diligenza
le obbligazioni lafciaregli, per eleguirle; e fe altritnenti fi fa, biiogna
imputare all impertezione umana : nè può alcuno perluaderfì che, per la
lunghezza del tempo, pofla clTervi prclcriziunc; imperocché quella lup-pone la
buona fede, la quale non è mai m alcuno; lapcndo ognuno in lua colcienza che
quei beni non lono Aati Jakiati, acciò li faceta quello che fi fa. Ma chi avrk
il dominio di quei beni Ecclefiallici de' quali non fi fa rillituzionc? la
legge naturale, c civile è, che in qucfli a’quali è mancato totalmente li
padrone privato lucccda la Comunità: adunque di quelli rcllerìi padrona la
Chiela. In modo cKc in poche parole i Bc-' nefiztarj lono dii penlatori de beni
dei betttftzio, ma padrone ne è quello a favore di cui è Hata fatta la donazione^
ovvero il tefiamento t quando non fi lappia, relìa padrona la Ghiefa» Non olla
a quello che vi fieno leggi de’ Principi, ed Ecclefiaftichc, che proibilciino
Valienazione; imperocché il pupillo è vero padrone del fuo, c pur non può
alienare : il dominio è un jus di fare della cola quello che fi vuole, quando
la legge permette; la qual legge obbliga alcune Ione di perlonc che baono
bilogno di governo alieno : tafè 1Univcrfitk, o Comuniii. Non fi dovr^
maravigliare alcuno, fe tanti moderni Scrittori in fimili quiltioni, come in
quella, che fa il Pontefice padrone alToluto di Tomo IJ, £ 1 tutti i Btnefìzj,
nini i beni EcclcGaRìci, difendendo opinioni contrarie ali’ Antichiù, c a
quelle ittkuzioni che ebbero origine eia’ medcGmi Af>polioli, e uamku Appoltolici,
perche, come con gran fentimento n doleva S. Opriano, è una dette umane
imperfezioni che, dove i colHimi fi dovrebbono conformare alle buone dourine,
eleggi, per lo contrario le dottrine degli uomini intereffati s' accomodano a’
cofiumi; e fi potrb offervare io tutto il corlo di tanti fecolt, non eflcrfi
introdotte novith, eziandio concernenti alla Religione, che immediatamente non
abbiano incontrati difcnlori, Che maraviglia fark che ciò avvenga in quelle
noviù, e introduzioni che icrvono a ricchezze, comodi, e umani incerefiì
a'quali molti poiTano afpirare? La confufione che fu ui Italia nelle cofe
politiche, per tanti che furono in quei tempi fatti Ré, c Imperadon, cagionò
anche nelle altre Cictà^ efiremo dilordme nelle cole Eccicfiafiichc; elTendo i
Vefeovi, egli Abbati ora fatti da' Principi, ora imrufi dalla potenza propria;
e gii altri Miniliri Ecclefialtici fìmilmente fatti, ora da quelli che
dominavano nelle Citù, e ora da'Veicovi; e alcune votte i benefizj anche
occupati da chi aveva- potenza, o favor popolare. Nell' anno p&i- venne in
Italia Ottone di Safibnia coll’ armi, () e fc ne impadronì ; e per dar forma al
governo, congregato un pio ck)l Concilio di Veicovi, privò Papa Giovanni XII.,
febben della maggior Nobiiù Romana, e di gran icguito in quella Citù, il quale,
fatto Papa in ctk minore di anni diecioito^ viveva nel Pontificato con
eicrcicar adulteri, Ipergiuri, e altre maniere poco rcligiofc : fi fece
rimmatar Ottone: dal popolo, (a) e da Papa Leone Vili, creato da lui in luogo di
Giovanni, ramonù di creare il Papa, (^) e gli altri Wfeovii in Italia^; la
quale ritenne efib, c il Figliuolo, e il Nipote fuo, dello fiefib nonir, fino
ai looi. per gd. anni; c del numero di dodeù Papi che furono in quei rompo, due
ne furono creati dal Principe quietamente, gH «W ùk.£edizioni periochè anche li
primo. Ottone(i) TìC menò uno prigione in Germania; e Ottone III. ne menò
un’altro.' uno fu lUangolato ( 2 ) da quello che volle effer fatto in luogo
fuo; uno fuggì, (r) rubbaio il telerò degli ornamenti della Chiefa; e un’altro
fi rmiò a voionurio cliiia; (d) di modo che anche in quefii an ni in StfnjH
tr^Omnr,, jSgUtuJv litiP ftpfrtMMmo i ÙcctUmcrt. flmrin inlutf dì XÌI. XÒmMMit-
AloWK» pai^u f^atì aufuiB occu^tti ho» An« onsubus {tfoom, u turpnuOifM conMiintuti
«cfritionibus maj.f, C (rapo ' 19 a Itàndiniliw ruprt-iv noni a mUm»» dtft i P
tli^McutUuia lU. n ciritKfu. Con .1 ina inJitit, fid Cjt^. I •. D mt J mt» V.
•ìfttt ft d in Mf ttm n H d»lU jùoat, d»l fMTMt»d» aOi^i««rXl( Cuiu li».
peraor. du il fUun», haAc clcàioMin omui. IWam prol’tKt. UoBtA'x compulit,
putto BrneJiixo, vel diiàum ipluni duiit, qui oon iptilto poi) dolore animi
«pud HamUirgum rooricur, um (elcgitm e»t. rtdi ImitfrMndt II. (OJMVfiitrrrr. •
fi» ttfit, ferendo Stntdffii y. f»i(bì fmtlU di »«mt, tkt f» tfrtt» dulU jAtJmt
di Cnvuniii Xtll. rra A»:ijMf. p thttt Tivrodr Irm» Vili. Itfittimémtne lìttté.
UcMciiifhic Vi- diti il fUtin», a CiJinoltooiaoocive pra-pote(M «aptiH. in
Omfti iKon inctuditur, eoOaiuque in loco noo niuUo polt Araneulacur. (f>
oonffeiui vii- diri UyUtim», rcUnqueie «rbem coodut. pwiolìiCnu qujcque e
Balìlira Tetri (ubtrahent. ConAaRonopolitn ronfucic. ubi landw fubihm, quuad,
diveoditu qu« ucriteio abitulerae. imgnain viin pecunùmim cooparallet. l'ontite
Romanus Ijcrorum Picer, 9cKcx, Ocra iplii hirto abftuliti et qui vindicari
Acrilegij deWerat, taiiu OtriUg)! fiOus eA au>%or. liAui, dit» ilPìnùn ntU
fm» vite, Joaiinì Aiehipreihytero S. Vanim ad po i^m Laimam, qui polle»
Gregoriui VI- appeitaius eli, Ponuficium irnnai, ut quidam a.lìrmant, vendiditi
td nl(M »4 Tgt dtfn; Dunt »nnn «lecexn per infciraU» Sedein l'etn occu^'allet,
tandem moritur. Nec vataflé rum fedet dici poteft, curoPootificafum vendiderit.
(f) Vide Otbun Frifing. ad ann. 1040. lib. 6. C.3». (f) Hu ob rei, diet t Plmin
ntU vitn di CriftritVl. Henrteo li. ni ranca difli Attmnwmi i fama III.
nitrimtntt dnt» JitnVa il Nrrt, in lialtam tum magno exercim vemei», habii#
Synodo, eum bencdidum IX. Silvrfimtn IIJ. Gregorium Vi tinquam tria ier«TÌin»
monftra abd» Papa' (a) c fece c^li tre Papi fuccefTivamcnte, tutti Tedefchi di
nazianc ; i quali, eletti, dall Impcradore afTunfero Tlnlegne, e l'abito
Pontificale fenza altro : il terzo, che fu Brunonc, Vdcovo di Tul, avendo
afTumo per la deputazione deli Imperadore l’abito in Frcefingen, (i) e fatto
con quello viaggio fino a Ctugn’l, Ildebrando Monaco, allievo della Chiefa di
San Pietro di Roma, uomo di fingolar accortezza, voile con arte reftituire
reiezione a’ Romani, c configli^ Brunonc, che, vefiito d’abito Pontificale, fi
chamava LconIX. a vcflirfi da pellegrino, centrar in Roma (^) cosi, che farebbe
fiato piu grato al popolo Romano. Acconfenti Leone, cd entrò in Roma vefiito da
Pellegrino, c dal Popolo, a fuggefiione d'ildcbrando, fu acclamato Pontefice
Romano. ma quell’ arie non impedì che, morto Leone, Tlmpcrador in Magonza non
cleggelTe Geberardo Elchfiat, che immediatementc mife l’abito, e fi chiamò
Vettor II. (c) L’ Imperador allora non folo donava i benefizj, ma fece anche
Cofiituzioni contra quelli che gli ottenevano perfimonia; perdonando gli errori
commcflTi fino a quel tempo; ma imponendo pene per l’avvenire. XXIII. Mori
Enrico, il Nero, ( 2 ) lafciato P Imperio al figliuolo Enrico IV,, che gli
fuccefle in ctb puerile; durando la minoriiii del quale, febbene i Papi erano
creati col conIcJìfo de’ Tutori dell’ Imperadore, c i Vc rtre Se maglAiaiu
Ascgliìtt, SviJegenmi, Eim- >i»m fcfti, jifrfttafere ttt, Jtpolìro
l^ontificsli orbr^«nrefi) fpifcopum, a due. ùu luii, Puotificcm trtat. rem
Hcnnrum nuUatn (reandi pontifieu ootelU m amtrUVI. U ùtnt fntmf lem • Deu
habere, fei ad acnim. populuinque Itfnitm, dktnd» thè wtH ft$ ilett», fe ut»
ra4}iur. Al vero Ronuauì denat, futdenacHil. r« def» «wr fc»ttt»to Si'tf^reTn..
SiìmmW. auuiidruu IkunneiH in Pcuuàhrem eligir, itr» Tifitmn iiPuirefifMftx
dite, probo- co hbenttua, «)us7 oinucfu aunuritaceia eltgendo rutn hommeni
precibuf, fteerdtiitrum fuvrum jw- rum l’i ;uiAevin ab lmpara(jte ad CicTUin
traa. rtcedcniibu^, aiaartui fiiAcébut cA Josnim Grecia- tUcliflec. flatiM i« \>its.
jiui, An.hipre»bjrccr S.Joanni ami poiiam Lati- (r) Vjòor II. -iut Qmtfri» mila
faa Crtmua barn, Grrgortut VI. \o ab Imp. Hentko IH. tele- Calbeniii. Epifcop.
EicAatculU. Henrici III. lai. cacai fiicrat, nioftuui eA. Amttti ad vir4« Or».
ucratom Confilianns pcop liiquu, creami ab j(«rH Vi. t fi [futa amara ftm
rkiaramtatt mtla HemicoIII. Mogumlc, coronami Komx idib. fma Cramta dt'Pafì.
Culti fponieabdicalTet, dèe' Aprii, loid. ajb farlanda dt BtmdttiaVlU.
ehiaokUaìX. dal (») llPtatmadìet th'tta fiati tletiePfèftradtrt tlafiea, in
ejui Jocum fa Vcccor 11 Ma Zana IV. m» fueieta Cutà dtl J4rrjiio»jH» di 4-
htirt m Trft i- avtva lafìsaid'ifiir tinti da lidtiraada, ftrfmt114, ab
Imp.Hcorcco 111. toogregjtn, abdicavit ttdtrt alVlmftm, d ^»al ita aUtra rrrd«r4rà»
: anno 1046. et ad MoaaAeriuDi ClUDÌare»rc relè- Cxfam. diti tìtUafit m rtft.
fr» Imfent, t. 1 . gatui, ibidéoi Mulo poli obiit, et lepulcus ciì. ulque sJ
Heniitum V. legitinia fucteAluRe Im jr É«, fruna di aemaart Citmrmt U. P
imferadtr E» jutiu Imperarorit id faccrv cogeremur. PUtiaaim na li. ftr dnaanta
Cinte di Bamitrta, Orco. vita Clrmmtu il. HI. fobrina», hxreditario fibi Jure
impenttm ( I ) Città di Baxitra fitti l' Artiytftnate di deberi coatta
Coloncenlèin lonwndeta. Lamfad. Saltabiars. Jltif. Rtmam. Ctrinaaua p4rr.|.r.4.
Z frr altri, (i) Cui Ronum Pontificio habitu petenti, Ab- « attaccarifì anche
ad una parte de’ Tutori, che vennero, per loro, a diflerenza, e fecero fa«.
zioni . onde Niccolò 1 1. fece una Cofhtuzione intorno ali’ elezione del Papa,
ordinando che pairafTe prima per li Vefeovi Cardinali; in fecondo luogo per i
Cardinali Chcrici ; in terzo luogo pel Clero, c Popolo, c in quarto luogo fi
ricercalTe il confenfo dell’ Imperadorc : nel qual modo (4) eflendo fiato
eletto Aleflantlro II., fuo Siicceflbrc, ITmperadore non volle confermarlo, nè
accertare la feufa che i Cardinali mandarono a fare coirambafceria di uno di
loro, dicendo che ciò foffe fatto, per fuggire un afpra diflenfionc civile , e
il tutto con gran rifpctto deir Imperadorc, clTcndo TEletto fuo amico, ed
clefle ITmperadorc per Papali Vclcovo di Parma (i) ad ifianza di Gerardo di (2)
Parma, fuo Cancelliere. Ma tre anni dopo, mutate le cofe nella Corte Imperiale,
c depofio Gerardo Cancelliere, fu infieme depofio il Vefeovo di Parma dal
Papato, e accettato Alefiandro, (j) il quale nel 1071. eflendo fiata fatta in
Germania congiura da’Bavari, e SalToni centra Tlmpcradore, fi congiunle con
loro, e entrò nella lega; e P anno fèguente citò rimperadore a Roma, come
imputato di nmonia, (^) per aver conferiri Vefeovati per danari. Fu fazione
Pontificia molto maravigliola, non eflendo mai alcun Pontefice paflato taiit’
oltre; ma prefio andò in filenzio, per la morte del Papa, dopo il quale
pervenne al Pontificato Gregorio VII., Scnefe, Monaco, che fu Ildebrando (4) di
fopra nominato dall’lmperadore.' ma nel 107^. eflendo fiato 3. anni nel
Pontificato, ritrovandofi f Imperadorc ancora giovine, e con molti moti in
Germania, deliberò di voler efcluderlo in tutto dalf elezioni de’Vefcovi, e degli
Abbati, e gli fece un monitorio, che non dovefle per favvenire ingerìrfene. (5)
Fece gran refifienza l lRiperadore; onde il Papa Io fcomunicò, aflblfc i
Ridditi dal giuramento di fcdclù, (r) c lo fo Jmferédrt, aufioriticc
J.ecariooif, rsmt diti U, fluii ti Pmft mrdtfimo »viVé fédtfiài Muu rtlniaii él
ff tiifmdn JaUs timftrmjitUBI étir In^eradirt J ( « ) Occeruioiut, arque
H^tuìnH» ur, obeuote blinda Rornaiu; Bcclelìjr Poniificc, in f nmii Car.
dinalea J^itcopi .limul iIcclecuoaerraCuiHet, mox ChniÙ Clerìcn Carelì,
crtcr.iqtae Roaoiillii uiagfli cincndaiusee purgaiMìt, tiipcr qciibui Rotbc
erat delstui. Krama, bili. Sixon. pg. lod. Ac Abbai Ur(a di Siaaa, fkeuia Citta
di Tiftaaa fHta ì' Aietvi(•tiatt.di Sitma. regta Comi. uUu Pitiluiu. deSossK.
Mon^chm tc prioreiua CluiuaccntU- la Chn-a.V»f. Rum. tc ) il ì'iatiaa Axt tht
(irifarw gU pretvt fai, menti di veaairt i i'iftivati, i i itàffiu ftn fama
della tmari kfiiijlajhilit, aiUa mila diliii gmi VII. (a) li Platina tifTftt la
farmiAala fommnir» d'£mrifo IV..MI tjurjh marni. R«aie Petre, Apoiluloram
Priiuiq>'', «mIjiu, atam itiaa, tc me lèrruni tuuiu callidi. n in te fde
odetunt. Se peiiccuti funt. fateer ego imbt graiu, Aoa mertiit mcii. populi
Cbriftuaicuram dnioodamn eCc. «oflceBiinque ligandi. Ac blvendi pocdUteni. Hac
itaque fiducu Imi», omnipotentu Dei nomme. Pairii, l-iltit&Sptrttus Sanai,
Hcnrìcua Rc|cm, Henna quoùdam Inpeutorii lilium, qui atiiaUei nimium et uinera
Io rofpefe dairamminHlrazione del Regno d’Italia, t di Germania: fcomimicò anche
i Velcovi Cuoi Mininh, fi coUegò co'fiioi ribeiU % concitò U Madre pcopria
deirimperapre centra il Figliuolo, e nel tempo in cui pafsò fino al 1085.,
quando il Papa mori efuJe in Salerno, komunicò Tlmperadoic 4. volte, e fece un
decreto generale, clic, ie alcun Cherico riceverà Vefeovato, o Badia da mano
laica, non fia tenuto per ClierJco da alcuno, e fia privato dall'entrar in
Chicla, c il fimile a chi riceverà altri bendìzj: alb qual pena foggiaccia
anche T Imperadorc, Re, Duca, Marchelc, c Conte, c ogni Podcft^i, o perfona
fccolare, che ardiri di dare invelliture di benefizj. (^) Solienne la fua
catifa V Imperadore colf armi centra i Collegati col Pontefice e fu ff^uito
dalla isaggior parte de’ Vefeovì; onde il Pontefice fu in grevifUmo pericolo:
ma egli, che gi^ aveva fcomunicati i Normanni come ufurpatorì de’ Regni dì
Sicilia, e Puglia, fi voltò allajuto loro; lor confenti tutto quello per cui li
perfeguìtava; e gli affoUe dalU fiuimunica. e fe per quella caufa Roberto (i)
Re di Napoli, e di Sicilia; che per innanzi era perlècutore del Papa, non fi
fofic voltato a Tua dtfeia, per far contrappelo aU Imperadore, egli avrebbe
iofientata la Tua caula con intera vittoria. (a) ma per gli ajuti di Roberto,
il Pontefice, febben efiile, fi fomentò; e morto quello, porgli ajuti ifiellì.
e di tre Rugìerì dell’ ifiefla famiglia, continuò l’ tficna contefa anche co’
due Succ^Ibri di Gregorio, amendue Monaci deli’ ifieffo Ordine: f ultimo de’
quali, che fu Urbano II., in premio de’ fervizj prdUti da’ Normanni, diede ad un
di loro la Bolla della Monarchia di Sicilia, (3) concedendogli in iatco maggior
maneggio nelle cofe Ecclefiaftiche di quello che voleva levar alf Imperadore .
perlochò, olcf» le &omuniche che più volte replicò colf Imperadore, e le
ribel rie m EccIrGam eaun «nsiius igjecit, tmperàiorié Kegitwe manim|'«rio fi ì
jm m jn iiii n a n illi •VMiamu ftdeot vexii R^ibut prsftarc confueverunt. AMm
ritti nut, tb t»» tfutjf» fttmmiMM i fdfi bsMit ttmautmlt ftmutrt it gm« dtii'
imfirstUri, 4t’ fiuti tTAtn PsfftiUn t ti tb'i fi», md mfumtrt il diritti di
tmar U Crru tfuillt tbi fttafrt tnHtm U féiifià di dtptrU, ftumd» àtlF
timtiriià fntiifi th. ( 4 ) A«Aorita« omnipotenrii Dei decernttntu ut «ii«
m’ùn, t m’l»n Hmpfr%'. nofinuhì i! din cb, fertbi i nftim tngmi no biìfimpaPimh,
tbifpttPtmgmt^iuÀtni ffirittnh full Im rnti4, ! p#rr«M no mlli im diti, per
mipiMn ilt b»Hi eimtrirti mirriminié tilÌ4 lin ebufm, porr ibt i iri»(ipi
xigiimmi mgtttrfi di d»n U p^mi,MffiritMAltcii« »« b4n»4, > m»m
mftrfrtt»t.ii9i fifPira, tkitmfmdiil firn’ pirati dal biaifitii, imdi il
friatifi ba la diffifi arimi, eeim frani Prifrittérii, irifgnfmUanti la fuftma
tir ffaH, reW» f funmatt, ib^_mim ì riavmti, fi Mia rWi’iH^i^MNr dilli mam di
tiliri ibi tenfaeraac iVtfrivi. C«eorroaMe, fbt firiih imititi, I dtrfirii, fi
l’imvejhtma dii fri»tifi naftrtfi P aaiiriià ffimmale. ^0 X>«e Caifrhard,
ttii, l'ahiti, Cij MittbiivtUi all libri arrove drU faa Stmia di Ftrtmai diti
rht dalli eiattfi di guifii tmievadiri n'Pafiaaffairi U fatiimi diCmtlp, •
drCbibtUiaii i pròni di’ f mah temrvami il Pierri' ti dii Fifa, ifli altri
faitU diU’ ìmf traditi. ijì ibi il dtrkiarava Ligati dell» Saura Sedi, I nmt
tali, U ttpitaiva Gimiin dilli Ca^i Etilifiajlubi- Awigmaihi amtla nmet^imi fia
afitrifa, t al riodrti'v dieltxjimim dmìafitti JaU fa, il Rt di Sfagma prH. f i
Cali Jdàayf ri ia Sicitia mi» laftiami di primalirfimi tim rmrti W rigiri, fimi
a (iimamifan i Prati, i Frati, gli Abbiti, i Viftimi,td taiaaàu i CardinaUtbi
rifiadiai mi JUgmi, t ad attribmirfi il tifili di Samtifiim Padri. Kiiramai
USb. ilCùmtglii distati di Sieilia, il fmalt frrmdi altrui ia fmahtà di Saffi
Ciihgii, fabbliti mm libri imiitAati la Me. fiatrhia, ftr aimritjtan
fmifiafnraaìrÀ ^ritmale. Il Cardimat Sarimii vi ma firitti tmira mili’ mnduiimi
lami de fan Ammali : ma rami i hmtam tb'igli firn rimftiti «» ri) rbt
frttimdema, tbt amrj i Vfit pi diKafili, i di Sieilia, i il Omarmalm di ttifami
prri^rma fari Filmimi, mm af tiliandi imai i limt^ti ibi il Càrdmali mi fin eia
Itti tre al Re d: Sft^am, Fìliffi IH y Digitized by Google f MATER. BENEFIC. 41
ribellioni che gli eccitò centra, gli fece anche ribellare il fiio Primogenito
,j(x) e col mezzo di quello efclufe T Imperadore quali d Italia: ma morto
quello, il Pontefice che fuccelTe, (2) replicate le feomuniche concra
l'imperadore, e fufeitate molte ribelliont, fece anche ribellare T altro
Figliuolo , co! quale venuto il Padre a guerra, una volta vinto, e l'altra
victoriofo, finalmente venne a condizioni d’accordo, nelle quali fu ingannato,
e ridotto in vita privata, lafciato V Imperio al Figlio, che pur Enrico fi
chiamava. (3) Morto Enrico IV., Palquale, che così fi chiamava il Pontefice (4)
quarto era quelli che, incominciando da Gregorio VII., combatterono con
Icomnniche, c armi fpirituali, per levare T invefiiturc de Vefeovati, e delle
Badie all’ Imperadore •, fece Concilio in Guadalla, () e poi a Trojà di
Francia, e rinnovò in ambiduc i Concilj i decreti di Gregorio VII., e di Urbano
II., che neflun Laico fi potelTe ingerire nelle collazioni de benefìzj. (5) In
Francia non fu accertato il decreto dal Re; anzi egli continuò fecondo il
cofiume; e anche Tlmperador Enrico V. fi oppofe; il quale finalmente nei ino.
venne in Italia armato per la Corona dell’ Imperio : al che elTcndofi il Papa
oppofio per le controverfie vertenti tra loro, convennero che Enrico andalTe a
Roma per la Corona, meffa in filenzio la coniroverfia delle invefiiturc, delle
quali nè l'una, nè Taltra parte dovelTe prlare. Andò Enrico a Roma, dove il
Pontefice Palquale, parendogli elfer fuperiore di forze, non fiando fermo alle
condizioni, voleva che rinunziafie le invefiiturc; e Enrico, confidato nelle
forze Aie, ardi, in contraccambio, di proporre che il Papa rivocafie il
decreto; dicendo di non voler efiér inferiore a Carlo Magno, Lodovico il pio, e
ad altri Impcradori, che quietamente, e pacificamente avevano date le
invefiiturc: () onde, crelcendo le contefe, l’ Imperadore fece prigione il
Papa, e la maggior parte de’Cardinali; e con loro fi allontanò dalla Citt^ : fi
trattò l’accordo; e finalmente convenne al Papa incoronarlo, lafciargli la
collazione dc’bencfizj, (tf) e non ifcomunìcarlo; c perciò fu giurata
roflcrvazione dell’accordo : Tomo 11. f il Pon ti) Ctffti. tht frtft il tU$lt
di Rj d ItMlim, t fi fttt €»Mp^r»rt indi ^ììa fyhi» Is d$ R«am titin Kpifcopii,
Caruvabo. Et do veram pscem Caiifto. Cinftx Komaax £cclelìar. 0c ocnnibui (|ui
in parte iptìuifiint, vet Eierunti flcini^ibas banfta Romana Enletla aaiiliam
poftulavcrit tidclKer juiabo. Ur^ffnìi imCirM, «Jrna 1 1 ss. iium, elcAU.
maelKmtatn virgx, Se annali cwnterati pni) invellitionem vero, canonice
conferranonrm iccipianr ab Epifropo ad quem pertmuerii. ifremi is CirMÌia ».
iiu. aifmt yrffrim~ fit f»im mmn». (a) ConErmaito parit inter ApoRotinim, et
tmperarorem, dum in eelcbratiotie mittx iradem ei Corpus de Sanguinem D. N.
lefii ChriDi: Domine Impentor, hoc Corpus Domini natum ex Maria Vitgine, paflum
in truce, damus tih) in cuiibrmacionens vere pacit inter me Jx ce. Stgebertiu
in Chron.anno cit. Vide Juret. in nodi si ep. %ì6. Yvonts Carnm. pag. ipf. ( '
) §l""»i V limftrMÌTi fi lamini dilla i#muinita fulminata ràdi i
Cmalta: al iti larù» ltevarniican thi^meila fumumitatra ma fattidtlla fiifa
t'af^mali, pttrM Ta^vva tenfermatm teìta tivaatitni dilli imfitnihi itati fu
ttndini ih gli 4r> Heiiritu», Dei grana dovrebbe tener per invalido i[
confenfo predato dall' Imperadore, per timore di tante fcomuniche, e anatemi,
di tante ribellioni, e macchinazioni. Perchè caula è (bctopodo a redituzione
quello eh’ è facto per timore di prigionia, e non quello eh’ è fatto per timore
d’anatemi, e per paura di veder tutto il (uo Suto, e popolo in confufione, e
guerra civile? Ufavano alcuni in Concilio alla prdenza di Paf lenendo il Re la
fua autorità, e difendendo l’Arcivelcovo coU'(2 ) a;uto del Papa la fua
oppofizione. Credette il Re di poter perfuadere quello che riputava giudo al
Papa; e gli mandò perciò un’ Ambafeiadore, il qual ebbe dal Pontefice cosi dure
riipode, e minacce, che, per rintuzzarle, r AmbalcUdore fu necediiaco a «Urglì
che il Re non voleva cedere la fua autoriili, fe avefle dovuto perdere il Regno
.• al che arditamente replicò il Papa, che non lo voleva permettere, fc dovefle
perdere il capo. (^) Stette il Re collante, e ad Anlèlmo convenne Tomo IL Fi..
1 parti» Abbt, UrpergctiJit in Chron. ftnioiii&. ( I ) Is ìtfft
JrvmmHMtmralt fi 0 tf f» Ìmm, ti immutmMt, t tttMitis eftmmtntt metffarit sii»
frrtti, jttsnis S. i irmsndsrmnti iìDit MItgsm sfl»xsmtHtti il rirt ss» smMo i
etmsnismttti itil» Chirfs, i, nem »rii»»it rffr sffolutstmntt ttterff’sru sii»
fàlttU, fsffitm» s\tri ^nsltbt imfi. titimst» tht difftsji islV ^trosrlt. ()
VHe OolTnxl Vindocin. rrift. 1. et 4. 4} Vide Ivoo. Ornot. ep. 60 \ Endcm anno
( oij. ^ Aaiétma Cintuayieofii Epirco,‘a- hibcre le rewuni opjKimmum, Epircopomm
libi min L^alaiu, tu PsUiio Regu. prfluicnic Ar> relUtui invcAinirti, quw ib
ejuCicm prcdecefloie chiipifirepo AuiÙmo, cui innuit Rei Hetukus» Inip.Hciuico
per qvuiìdoi libom RmiuiuEccU6t lUiuit u{ ab co (emport mtciiqnum nunquam iU
vnulicant. Exjpave&entibut Ratnanh Rcgii poper donationcBt bànlipuAoralia,
vclaAsali, quiC nnnani, munim k oppniùit Abbai fanflui. Auquam de Epil'copMu,
vel Abbaiia per Rcgem, dadei CQlm rclìiteni Regi, verbaoi oulignum mivel
qutmlibcf Ijicam manuBi inTefliretur in An. ra libertace redarguii, min
auftoruate cotnpercuii: glia, concedente Archieptkopo ut nullui ad pr«. iitil
fuA vù» é» Aìm», Vtfen» d' A m» lattonem eteCiiu, prò nutntgiu «)ttad Regi
lare- Ktrm, tMf.it. rei, conkcratMne lukrpti huootu privaretur .Afa (c) Mtltdù,
din Tacito, ftr fuM rifmriirtt il Mtttfi» t il fttfn»- Am. y m$9t n«M »rs, cbt
dirr>wj; im- (d) E0ij adbucvìfliaviresi ambiguta, fijelibera ftfteM
làifrtlMMmMggié t diftMdtÀMt- nati aerei, (ì delperifleiu; vidoriiiu conEliu,
de Im ftrffMM mìU ^»mU k prroi msiU vii» di tf- latione pcrEci. uìfi.i. iiffM
AMt»ft». () Abbai Urlpergcniìt, anno usi. ( I ^ ri auslt, ftt»d OM^rta, f»
ftiMit ml (a) Zn 9itg»U» »»n dar» ftiamtat» fiaa mlU jierna mtdifmiM i» i>
f» rrana lamoteMtJi IJ, tuauMmi iti Satctfftrt, m» fa ti'ifli »Sh» fri# ttam U
fidi» fiut »»•, a nava mtfi. J». fiali W ainrnaaana di ftitU» »l Xa, td mìAi»
aeBMitmtM f» ilitt» d» >r) colla privazione del Re, e colla conceflione del
Regno ad Alberto Imperadore, fe l’avcfTe acquillato, fu pollo in gran pericolo,
(i) Nel principio, quando s’affenti da quelli a’quali tornò conto in
conceflione Appollolica di confervarfi quello ch’era proprio del Principe, non
fu ben penfato che i Pontefici pretendono poi di poter rivocare i privilegi
concefli da’ Predeceffori, anche fenza caufa •, febben mai non mancano
pretelli, Kr finger caule', e chiunque poflcde per titolo proprio, e fi
contenta di riconofcere per grazia altrui, è come chi, lalciando il proprio
fondo, va a làbbricare nell’alieno. Ma all’ incontro, quando alcun Principe,
rotta la pazienza, conferiva qualche benefizio principale; il che i Re
d'Inghilterra, e di Sicilia facevano Ipefle fiate; i Papi, per non attaccare
contefe, non dicevano altro al Principe : ma, per non lafciarfi pregiudicare,
colle pratiche per mezzo de’ Monaci operavano che 1 ’ Eletto rinunzialfe in
mano del Papa ; (i) promettendogli che farebbe dal Papa invellito, e cosi
avrebbe quietamente quello a cui, fe non fi fofle contentato, il Papa fi
farebbe oppollo, e gli avrebbe meflb tutto in difficoltìi. Di quella pratica
ufata all' ora frequentemente da’ Pontefici ne fanno lunga menzione Florenzio
Wingerinenfe, e Ivone Camotenfe, Scrittori di que’tempi, () come di cofa
ordinariamente fatta in Germania, e in Francia con quella forma di parole, che
i Pontefici con una mano pigliavano, e coll'altra rendevano. Quello partito era
facilmente accettato, come quello che faceva ufeire di travaglio; e il medefimo
Re, fc lo veniva a rifapere dopo, lo tollerava, come cofa ehe non faceva
mutazione in effetto, fenza confiderare quello che importalfe per l’avvenire:
del qual modo fi vogliono anche adeffo contro i Vefeovi Cattolici di Germania
che non ubbidifeono alle loro rifervazioni, come a fuo luogo fi dirh. (') In
Spagna la natura quieta, e prudente della Nazione infieme col buon governo di
quei Re furono caufa che in un moto cosi univerfitle efli («) Miflb io FnncilR
Ar(bi 4 ixoAoNirbonen(ì, Philippum «me ( Booibciui ) qaid Ha( Tatiooe, atque
ordine PoniificatDs Ca. (tiedruD feandere coadùa, qntdem, flc emn otuiu hzfitatione
confralic, propter eontcntiostaa iUam qux «rae inter Regnum, Se SacerJerìum
’»care, Ebiqite vindicare plus zquo imebacur Impetialit auMritas. Rur^t autcoi
vciebatur, flon iìne Diriaicatii Doeu, jun terno (ibi auteni Epiicopatum,
«oinque, (i tertio repudiarci, pofle in ipfem competere ilU (cmentiam; Noluit
bencdi&ooeni, Se elongabitur ab eo. (mcr hai igicQC aagultiis poiims, qued
«iwm bluure eiilUinabat, ad SaudjtSe Apo(iolic« fedU auzilium eoit&ig«re
decrevit. In ipro igitur Artieulo, adhuc in Aula Imperatoriieflet, wmm
tmKmptvit DriRr#, mo. fuam ft im nifi tanfim. titntt, ^ ftflmlmnl Etdtfin f»n,
Faniiieh Uxi»imétni, {^ftnftffari, ^ invtjUturnm enft^mi wnTtrttmr. Ananym. io
viuS. Ottoo» anoo 1 ioa. (•> EpiRipo. ipt. Sca»}. t'»nni%'-\7- inno fìstmurn
eli Rome i Dumino Papi, Ce frnribu, CiTdinilibcs, qui vigittnter flit letnp
'ralla prò. corant commoda, 9c emnluinen», slie.ia non ramei, ut qatlibet. qui
la Abhaiem exem['4UiQ ex tUBc cligereiar, RgnuMmCurt'.in adirei coivSruundut,
et bcneZiceudiu. in HmritiiM. TA dirpofizionc Epifcopak. Rcflava tl Pontificato
Romano, che, efdulo il Principe, pareva doveffe ritornar alla libera eiezione
del popolo: ma nel ii45> venuto Innocenzio li. a dilferenza co' Romani, ed
dTeDdo da loro tcacciato dalla Citili, egli, in contraccambio, privò lorodella
podeltk d'eleggere il Papa, (a) Nelle turbolenze che lucceltero, per le caule
fuddeiie, molte Ciiik lollevate da'Velcovi confederati col Papa fi ribellarono
dairimperadore, e i Vefcovi le ne fecero capi, onde ottennero anche le
pubbliche entrate, e le ragioni Regie: e quando le differenze fi compolero, (i)
avevano prefo cosi fermo- poflefiTo, che fu necefiìcato il Principe a concedere
loro in feudo quello che di fatto avevano ulurpato, (z^ onde anche acquifiarono
i titoli di Duchi, Marchefi, Conti, come molti ne lono in Germania, che reltano
anche tali, e in nome, e in fatti, e in Italia di nome I0I0. il che fece
EcclefiaRici gran quantitli di ^nifecoiari; e fu aumento molto notabile, non
folo nelle turbolenze delie quali abbiamo parlato, ma in quelle ancora che
feguirono folto gflmperadori Svevi. XXVI. I Monaci in queRo tempo s' erano
imromefli grandemente a favorire rimprete de' Pontefici contra i Prìncipi; (3)
perlochè anche perderono affai della riputazione di fantiù anzi fi perdette
anche ia vehth molto della dilciplìna, e ofiervanza regolare ne' Monafieri,
poiché s’tntromifiero ne’negoz) di Stato, e di guerra; onde anche celarono
gliacquifii loro, le non in alcune picciole Congregazioni ifiituiie
nuovamenmcnte in Tolcana, le quali non s' intromilero in quelli moti, e coiv
fcrvarono la dilciplina ; (4) e però, continuando la divozione del popolo verlo
loro, furono Itrumcnti per acquifiare nuovi beni, ma non molti parò, eflendo
eifi pochi. XXVII. Ma un'altra occafione pafsò, la quale fece fare grandi
acquifii ne’ fecoli de'quali fi è parlato, e fu la milizia di Terra lama. Fu
allora cosi intenfo il fervore d'andar, c contribuire a quell' acquillo, che le
pcrlo («) l»nMns.ì» tl.iUtOtufnt, quiptcfm, ^nìZì } eh U Karnma^ v$ltv» UutttT
ii (Uff di’Prni, $ rifiékUiT$ f mu itvtrnt In qutbui rant'ovcr. fin po^lat
Ronunot, quod pontifici rebelli tC (et, aimheinaie nttrinit, tunc primuni a
rnntifitm comxiii onmjno ezclufineii, dca .1 (nIoaCarZiniles poaiilkn eleOio
putlatim. Cleri etbm primoribua ooinine eac’utu, revlaUs. P’itrur porro, fine
olio popoli inteircnru, Papa creanti eli. inutiuo Innoceniioll. Czlctlinui ( 1.
A»n$t. aiwtém l»e. Tn€it» dUt tk'ì 1 ftlt» d^it mf»TfstwTÌ t MH lmai§, td
tnpufi» fir mm ritWe ùgutumi Regi! Apioni>t|trr mialcrani. diiitjnic{ue
luentia. Se mforia. ujli jore. ft Jc«fao nitebancur. en. 14. Gre». I '■«»« meu
d ffrtfrutffi >»&» ir r» tht Ut ttr»» hn. A régUa dì futdi, melti
Vtfervi, 0 AlfT"0>i»f, 0 FfSHfri, 07000 0t4hf0l f 0 rt»rfi a» mUm 0 U 0
ft 0. --Ve) Utxjray di(0 tbì, in rtc«i«»iN'4 d'ftrvìgi nel tempa dtUt ceaeV
d0ll» fdnt» StJf etgf lr»ftrsd0TÌ, 1 f»f> Mer4.fiM f^i Akhati friniifaìi
dtfb frnnmiali Efift 0 faU, (mÌ, dilln Uut». dIU ThuH», dignmnu, dt'SnndnUt 0
fH dt! f»fl 0 TmU ! nella nta Zi tiiippo Au.utló. (4) t- fa0l0 Ud» tMiismné
POrdint mt'Str~ vi, U tni 0Ùit0 f0rrsvMi imffT0hqìulinrxli par tuum
(e-ixerat.Quod ia laudibui D.Vir^inn raatandU adìdue occuparentur. .. . a vulgo
tunc Stnd B. Mmti0 vocati, onde ad ooa fuccclTorea domen. perfonc, non tenendo
conto delle robe, delle Mogli, e de Figliuoli, fi mettevano in nen>
coueiUin«i>, et domot. et ftmiliaa, sti^ue orniti» bnn» enrunt 10 b. I^ri,
Oh Romaix firdclic (ìroMOtOBC. lìcu( Ormino noAro Pipi Urb«no tUtuiutn hiit,
tufitpimu. Ijuiiumque rrgo ciaulrahcfei veiigterre, qjeitidiu in vu ili»
mor.-.rinir, prae&mplc. nnc, eKooMitunKiuoni» uluone pieitannir. Ctir.
Csìixi» tl. 't»i. cxf. n. yrJt 11 fitand C«ai«« dtl di ChisrsxMtttt, t U
4$0iutsi.uMi del JjjMr di, ) 4 r (0, Ivemt di Chtrtra. ntlU fi. 4 'y. xÌMfMm»
Artivtft» ve dt Tir# ntl Ore pum» e»p. «f (irnslulau di Sen^MfS nl IH.}.
Knitfr» Utvvtdr» aìU Urtn fArti mill'Mnx» Oiiem di Fiijiagim di itfu Ffiàtrtri
fep.Jf. IU pi fi»U \97. d' ÌHHoteatM III- »tl lil >4 15. S»0, pmfsmd», tht
i'Auivtfttv» di Tir» dirt ebt mtlfi GtBliliiemuu fitte ftùmentt il Mitigi di
Tter» $4040, per effAtéra dml ptfsre i Ite dtiii al th fi rifteifee U leils IX.
Si S t vero pioStitrtiuiuai liluc, du' ^'VJVJR« 4 fna tipi d'smlMrfi {
rirfmev4Bt il fiiprtm» » •fmtgU « i.iiiri wM dt'lM i t fi TtvdlX4. 44 I» tm»
mule i Spatri di imiti iCrteimin 4»m fpjamtme ptrihi m'tfiirvAB» uUiduntA, rm
ptriht h premdrvmmt felte Im lrt prtitKxhr fi»4 I Ur» eiier»:lt f»»ìi ttft era»
ie»at Ittieri di Star, fbt jifptmdnan» pmalfifia tfumxttue tivtle, 4 tnmnaU.
Nell» tiu ..i I tiippo Augulio. (^> TempUrionim tmlitbm Ordo inftiiutus anM
Mi. Jernlblnmt ab Hugne de Pagana, Ac Gaafredo de S. Aldeniaro :
n>irunim>e a.1 làlutein pe'cgtmoram contea Ucrnnufa et incurlàntiuni
iRlidut prò viribuicoiktervarciu. Cumautem n >eot annit peli corum
tniliiuitoneni in habiiu fuiflcnt lèculan, ini oncilio Trccenli data (iuit eia
regub, Ac habitut alTignicus albut, vtdeliret, de mandato Hononi l'ipat. Ac
Stcphani jctorulùiiita' m PatruTchx: poilmixiuin tetu fub Eugenio Pa. pa crucci
de panno rubeo, ut intct ccieroi eflent noiabiliùrei, zlTuereccEperui't,
tamEquiies, cjiunt eorum fiaim infcnotcì,,um militei, quacn al(er:iii
condiiionit, ut in ea, relinu parcrtibut, Ac p-opriii patrimnfliii, regularicer
tivereat .ncitavit, actraait. Ac illene I i;uorum qui.iiia Holpiuloiii, (ìvc
{ratrei battere contra i Saraceni ; la qual cola, fcbbcn nuova ^ che folTero
irtituite Religioni, per fpargcr fanguc, fu però ricevuta con tanto fervore,
che in brevUTimo tempo acquiftarono ricchezze grandi : tutte quelle maniere
portarono grande aumento alle ricchezze EcdefiaAiche. XXVIII. Fu anche un modo
di dar accrcfcimento affai notabile a’ beni Ecclefiaffici il riveder bene la
materia delle decime; c dove non erano pagate procedere con cenfure, che fi
pagaffero non folo le prediali de frutti della terra, ma le mifte ancora, cioè,
de’ frutti degli animali, e ancora le pcrfonali deirinduftria, c fatica umana.
Alle decime aggiuofero le primizie ancora, le quali furono primieramente
iftitnite da Aleffandro II.; iraiwndo in ciò là legge Mofaka, nella quale
furono comandate a quel popolo. la quanriih di clic da Mosè non fu Aabilita, ma
lafciata in arbitro deli’offerente: ì Rabbini pofeia, come S. Gerolamo
teAifica, determinarono la quantità, che non folsc minore della fcfsagefima, nc
maggiore della quarantèiima; il che fu ben imitato da'noilri nel piò
profittevole modo, avendo Aatuito la quarantefima, che ne’tcmpi noAri fi chiama
il quartefe. Determinò Alcllàndro III. circa il 1170. che fi procedefse con Icomuniche,
per far pagar interamente le decime de’Mulini, Pefchicrc, fieno, lana, (i) e
delle api ; cchc(2) la decima foffe d'ogni cola pagata prima che fofsero
detratte le fpele fatte nel raccogliere i fruttile (?) CclcAinoIII. nel 1275.
Aatu'tchc fi proccilefse con Icomuniche, per far pagar le decime non folo del
Vino, dc’Grani, Frutti degli Alberi, Pecore, Orti, e Mercanzie, ma ancora dello
Aipendio de’ l'oldati, della caccia, (4)6 ancora demulini a vento: (5) tutte
qucAe cofe fono elprclw nelle E)ecrctali de Pontefici Romani: ma i CanoniAi
fono ben pafsati più oltre, dicendo che il povero è obbligato a pagar decima di
quello che trova per Umofìna, mendicando alle Porte; e che la meretrice è
tenuta a pagar decima del guadagno meretricio; e altrettali cofe, che il mondo
non ha mai potuto ricever in ufo. Le decime erano pagate a'Curati pel fervizio
che preAavano al 'popolo nell’ infegnare la parola di Dio, amminiArare i
Sacramenti, e fare le altre funzioni EcclefiaAicbe, onde per queAi miniAeh non
fi paT om 9 IJ, G gava ItafpitAlU S.Ja3Anii ahi, frarrci nulitic templi^ «In,
fratte» HoIpiiahfSar^ IttjrixTeutonicotam IO lerufUem nuntupoomr. Jm 0Ì dt
Ktrist» tsf. l'Ordmt d'TtfMt»r'i, i Uro hmi fmrono doti ifU SptdsUtri : il tho
) ntritt diffitUmetni di CfUtUmolOTi Vrfftrjtnfii it. ( I ) Miniimus
eaiitperte]JÌ. Volumut ergo, flcdiilrifte prxcipirnui.quatenu» dccimatEcclelìii
CUOI iiKegntate ddbita pctiblvatti. tini. t. ta. (f ) Quia fidelii homo de
ornnibui, quv Ikiie poieA ficquircre, dceimis erogare cenetur i MaivdamuN.
(Maeenm H miJitem ad tblutionem decimaium de hit. qux de inokndiiio ad ventutn
provemunt. (ine diminurioDcaliqua. comptUatii. UfJ.f.i. 5Q I ^ava cofa alcuna:
qualche perfona pia, e ricca donava, fe le piaceva^ per la lepulrura de’luoi, o
nei ricever i Sacramenti, qualche cofa, c palsò COSI innanr.i l’ulo, che la
cortefia fu convertita in debito, e simrodufTc anche in conluctudine il quanto
fi doveffe pagare, c fi venne alle controverfie, negando i S'ccolari di voler
pagare cola alcuna pel miniftero de’ Sagramenti, pcr#hè per ciò pagavano le
decime, c gli EcdcfiafUci negando di voler far le funzioni, le non fì dava loro
qiieh 10 eh’ era in uiànza. Rimediò a quello dilordinc Innocenzio III. circa 11
1200. proibendo veramente a' Chetici di pattuire cola alcuna pel imnidero; e di
negarlo a chi non voleva pagarli; c comandò che lenza altro faceflero le
funzioni ma dopo quelle -lòflero i Secolari con cenlure sforzati a fcrvarc la
lodevole conluctudine (così dice il Papa) di pagar quello eh era (olito; (i )
mettendo molta ditierenza tra lo sforzare innanzi per patto, e sforzare dopo
con cenlure; approvando que« fto per cola legimraap proibendo quello come
fimoniaco. (2) XXIX, Ifn altra novità ancora fo introdotta centra 1 Canoni
vecchi, la quale fece molto per 1 ’ acquido : era proibito per i Canoni di
ricever alcuna cofa per donazione, o per tedamemo, da diverlc forte di pubblici
peccatorf; da fagrileghi ; da chi redava in diicordia col proprio Fratello;
dalle meretrìci, e altrettali perfone: (4) furono levati affatto quedi
rilpetti, c ricevuto indifferentemente da tutti. anzi appunto i maggiori, c piò
frequenti legati, c donativi fono di meretrici, c diperlone, (3) che, per
difgudi co lor parenti, lafciano, o donano alla Chtefà. Così i Pontefici Romani
ufavano gran diligenza, per ajurare gli acquifti, quanto anche per confcrvarc
la podeM di didribuire gf acquilli ; la quale, come fi c detto, era con tanta
opera, e tanto fanguc cavata di mano de’Principi, c ridotta nel Clero. A ciò,
per proprio intereffe, tutto r ordine Scctefìadìi» «Ma £olo acconfentì, ma fi
ajutò colle predica fanftjin EtcleOun iDiroduàam niiumor idringere. Qut propter
pr«vu «uàionn 6en prohibeniuj, de pis« confuetudinn pweipimut obfervvi,
enefiziarfì nel loro Regno, iiebbcn erano beirignamehte ricevute, ed eleguite
da’Vdcovi, i quali, attenti loio ad clciiidcre i Principi f non penlavano mai
che altri, col privar clH, potelìe al trronim, ft pIftNinqftediKmttMi, ac
benefirù it. tabiluarc perionit cuniciuaiiir iMWcutit.ft iran probdm, ia oifiicin
b«ti«C(Jii uon fedìent i ticque aultui ftbi roauiuili nonaRooteuM. IjnRutm
altquaod» a»» iaicfliauetr qmn tiimw. taiatram cura ncglcóa, \eiat mmaaarii»^
htxmiMiio TcmpoMla locra. Praevu Prarinancr Saad. p»g. $a. l’aaarm. av%»atk't
tt altana, fi ìatatatm altra\ di qatfPéktlft. Effer, dù'aiti, vsidc boatHum, ft
Intcauwrum, ut qoiT. qoc in Puria fua ben«fium me feci. Lon|;e-eft iflud a te.
Nam par iniqòitsran filionm boAitDam, qaonuin ia t«c«npen tUa fu taamilata dal
fua PmIm Mjar a f fLaimauéa di fmmaftrt, Oatutmtaaa, dd rfi b mitrati tkitm»t»
1 Caapilasiaa. di I vecchi Collettori dcCanoni, Graziano parricolarmcncc,
raccolfe tutto quello che (limò proprio alla grandezza Pontifìcia^ eziandio non
fenza mutazioni, alterazioni, e anche falfifìcazioni de'luoghi onde cavava le
lentenze; (i) e credette d’aver innalzata qucirautoruh al fommo dove po tefTc
afccndcre; e per quei tempi non s’ingannò.- ma, mutate le cole, quella
compilazione non fu a propofito, ma al Tuo chiamato Decreto (uccefle quella
Decretale, che poi anche non ha lodJisfatro : ma, fecondo che di tempo in tempo
i Pontefici fi lono andati avanzando in autorità, fono (late formate nuove
regole; onde nella materia benefiziale particolarmente non hanno più luogo, nè
il Decreto, nè la Decretale, nè il Sedo, (3) ma altre regole, come fi dirk.
XXXII. I! modo grande di beneficare della Corte Romana col donare tanti
benefizi tirava Ih ogni lotta diChcrici; quelli che non avevano benefizi, per
acquillarnc; quelli che' ne avevano, per afpirar a maggiori, o migliori; onde,
oltre alle caule vecchie, s’ag^iiinfc anche quella a fare che molti non
rilcdelTcro. La Corre non potè dilTimularlo, perchè ogni Diocefi fi doleva che
le Chiefe fodero fenza governo ; c del male ne dava la caufa a chi veramente
l’aveva. perlochè fu rifoluco di farvi qualche provvifionc. Non parve però
a’Pontcfici di quelli fecoli che fofle bene procedere, come il dilordine era
troppo comune; come anche perchè quello era un modo di mandare fuori di Roma
tutti : il che quando fodc dato fatto, la Corte redava vota; c ogn’uno avrebbe
atteib ad acquillare i benefizi dal fuo Vefeovo predo al quale perlonalmente
fode dato, più todo che mandare ioidi, c medi a Roma, per acquidare alpcitativc
: fi trovò per tanto un temperamento, che fu, far leggi che comandadero la
refìdenza a quella lorta di Beneficiati che poco potevano afpcttare dalla
Corte, non parlando niente degli altri: (4) cosi Alcdandro III. nel 1 i7p.
coman^lò la rcrulenza a tutti i Benefiziati che avevano cura d’anime: () furono
poi aggiunti anche tutti quelli che avevano dignith, amminidrazione, 0
Canonicato: d'altri Benefiziati inferiori non m mai detto che non fodero
obbligati a rcfidcnza; non fu però nè meno comandato loro che riiededero;
perlochè a poco a poco fi riputarono non obbligaci in modo, che anche nacque
una didinzione di benefìzi che ricercano refideiua, e d’altri lemplici, che non
obbli do. £’ thisimitM, Extra, m téfìtBt tk'tU l» i imi Dttrot tmnfilttù
iaUrBttMB-, t leattcvtieaa, ftrrhi trntrrm4 Uiri tfrffi Am Aifiu$:Ti\idtx,
Judiciarti, Cleriu, Spon. en : Harc tik>i ddìgnant quid quinqnc volumina
li^nam. £llm md tffirt in nfr Bt ixji. Grti»i 0 IX. trm nifut d'InmmrwiiMUl. td
nmtndmt deHm fmmijii» d'Cmnti, arffdì «n-t dtUt ifMmttn fbt ftrimn il nttlt di
Uarooi Romani. ( I ) U» GìMTttmafnìtm Trmnttft diti (ht il IVttttg, it OttrtimU
fuftt compiUtiOACt, ac larraginn tatn bunanini,, rum privarum r«'uni,
incnitdite a‘trtt», tmmt mffrrv» tUrtÙ it PUtmm Mrl medrfim Imm^m liU > mn
Mrm rari fhumfm, ftrfbi ftrva di fMffirmratt m’ nm^ut libri dtUt tìttritmii. Fm
pmbblKAtm dm BmnifmtMWill. layH. de i deamminmtc Codrx BonilMiinitt. (4)
iiUnttm, diublii.e cumplcinnir. ài ftmp U di RriiHàiu, jfmttrt iti itrtm» fm»U,
mt! taf» mK. ItirafrimpàttlM (»• rstttlt» C$re r»r dciU Vetrmt —f f_ diti tbt n»n
fmrpn »réiM»te, fi m kiU'akm loyi. Anno Di>mtni lopf. Urhanut Pa|M,tn OalliK
venieaa, Gregom l^px d«crm rcnovat, ti confInnK. .. . Claromoa'c, in Arveraia
Con cilium te^elnat, meofe Novembri hoc anno (écjaenu, in qno Ihmtum cil, ut
Horx Beate Mane c^yotiilic Jicantur, otfitiumque eiut, diebui Sabbali fiat. Jm
Ckrmui, taftt. tr. (ONt'^rinNeMipi, dieeF.Poolo, i ^radULnUfisfitti »étt iTMH»
dignità, «e’Mvri, timi futa d uniti fettfi, m» tstubt, t mntfhn, tbt S. ì'nalt
ehmtnn tftri, t fmntitai, i tìifi Grifi» Oftrni. Opus fac EvangelilUr.
minillenuni tuuin imple. a. Tinvx, 4. Si (|uit bmU auinopus dtlìdctat. i. t.
Wma quulem multa, operarli tuiem )«auei. Man- 9. et Luc.ie.> im m^niertbt
U»rM »piiv pTomorcntut. il Parroco è impedito kgittimamente, egli può deputar
un Vicario che lèrva per lui, dandogli conveniente mercede: fi ritrovò che
fipotefle, coll'autorità del Papa però, crear un Vicario perpetuo, ( i )
alTegnatagU una porzione badante, e lafciando il rimanente al Rettore;
obbligando quel Vicario alla refidenza, febben il Rettore tira la maggior parte
deir entrate, redando libero; della porzione del quale è fatto un. Benefizio,
come femplice, e quella del Vicario feda per la provvifionc del Curato. £
ficcome fu incognito alla Chiefa antica che alcun Benefìzio fode dato, falvo
che per luffìzio, e affinchè ciafeuno fode obbligato a fervire nel Tuo carico
perfonalmcnte; cos^ non fu mai deputato uno a due carichi, non folo per efler
impodìbile, quando s’hanno da cfercitare in diverfi luoghi; ma anche perchè
reputavano quei fanti uomini che non folTe poco il fame uno bene; e vi fono
molti Canoni, dove fi riferifeono le idiruzioni antiche, che uno non pofla
clTcr ordinato a titoli, nc fcrvirc in dueChiefe. (4) XXXIII. In quedt tempi,
quando fi didtnfero i Benefìzj in quelli che hanno annefla la refidenza, ed in
quelli che non l’hanno, confeguentemente fi pafsò a dire che di quelli, dove
non era neceflarìo in perfona propria fervire, fi poteva averne ph't d’uno; ()
e nacque la didinzione de' Benefìzi compatibili, e incompatibili: quelli che
vogliono refidenza fono tra loro incompatibili; non potendo l’uomo dividerfì in
due luoghi; ma quedi cogli altri, e clTi tra loro, poiché non è neceflarìo
fervire perfonalmcnte, fono compatibili. Nel principio però fu proceduto in
queda materia con gran rìfpctto, e non fi paCÀ piò oltre, che a dire folamente,
quando un Benefizio non fofle fufficicncq, per far vivere il Cherico, le ne
potefle aver un'altro compatibile; ma non ardirono di paflàr al terzo mai; nè
meno al fecondo, fc il primo foflc dato badarne. Al Vclcovo non fu dela mai
rautoriù più oltre, ma al Papa fu aggiunto che avefle autorità di concederne
anche più di due, quando i uuc non badaflero per vivere; e queda fufficienza
per vivere da’ Canonidi è tagliata molTom» . H to lar ( I ) Ttimp n dtilji
SttrUdì tt9 fjìrù, th Vmft di tjmrJH nesristi etmMcii dir iKfbUnrré p tfmnUht
ttmfo frtmM dtl CtmedU LétttMMmf» f»it» jiltffMKdr» III. Ptrni i trtfti-, Extra
de Officio Victrii, ft»o tmdiritiéti •'Vtfrnid'h^ftUttrrA. Vedi ritlwuadcip. I.
bxira, de Odìcio Vicirii « Ttmméfi VvAlfiit^ 17^. in ilio titolo perfeTereat «
d quem confetnii funt, ifìiut nulinm de altetiiu tmxlo I>rabiteniin, aot
Diaconatn, &(ciperc przfliout. CotKil. Csichuicoié. ann.7>7. cjp, «.
Coor. Retuenle aon.li}. up. te. Conr. Mctenfe, ann.sn. On.|. Cui. 1. peni;, t.
difìiod. 10. ex Ceacilio Utbaiii li. (ubilo riicentijc finw lopf. 8c C&n.
1. CauE XI, qn. t. ex f, Syiiodo, cxp. if. ano. fi7> Prtffi m'titMhli »ntfA
i Pnti trMa ti mUm Tj!dn$tA. QuorJsiB exilix, dk Srntt4 «juofdxm (xcerdotix uno
loco tcnetu. Oc irxnouiUiute vite. Virus eft libi quis, iitt ma Itr» Gamtilt,
xd firraunennun tempii Nepnini ruent ahigitos «fi;; £idui di CKerdfosNeptuAÌ:
opottc. bit enito ipfiun infÓMnbiIen elTeCicerdoieni.'Ar. ttmidor. Iib.f. de tomnionim
evcatibui, Ibmnio t. Vide Ulpianom in 1^. x. if de in jus recxndoi &tcg.
pea.ir.de Vicit.dc excude. Muaer. ( ) Vide Caput, dudum. 54. exerx de eie.
Alone, Se ibi glolT. et Girciam de Benef. pene underinu tip. (. p«rag.x. et y
(O L’Autore coù rarcontt Torigine delle piurtlità de Benefizi nel libro fecondo
delle fux Storia del Concilio di Tremo. Sktatm, dir' egli, aatv» gli ttniithi
Cexani, t»(i u Citrita VM fatava ^rt dmt titaii, »> im ttafi[uant.» dtta
Bttuft.)'. raminàmnda « iùeMiiMr-. fi la rtadiit, a ftr U firagi dtlU gmarra, a
ftr linandatkaiti, fi taaftrivm »» BamfixJa tjasltUt Cherka il amala ma
fafftdtva già mma, fmrtUì tifii atraadtrt ad amamdtta ; il tUt fi fraaki
faf(ia, ma» già im favara dal Stn^Uàaia, «4 da!U Ckiafa, m^mtb^, ma» fattida fremdtrt
m» iiimifira farikalara, far mamtant.» d'm»a raadù ta Jmffiaknta aumttmttla,
alla m» laftuaffa d‘ afera firait» : ma tal fraifia, tha w inafiztm to larga,
() perchè nc’femplìci Preti dicono «he comprenda il vivere non lolo del
Benefiziato, ma per la iua famiglia, de’ Parenti, e per tre Servitori, e un
Cavallo, ed anche per ricever fordlicri; (i) ma quando il benefiziato folTc
nobile, o letterato, («) olcra quello, tanto più, che fi uguaglialTe alla lua
nobiltà. Per un Vclcovo poi è maraviglia 3 ueIlo che dicono; (a) che de’
Cardinali () baili il detto comune ella Corte: JEquiparantur Regibtts. (3) Ma
tutto quello procedendo co’ termini ordinar), e per dilpenla, ogni Canonilla
tiene che il Papa polU conceder ad uno di tener Benefizj fino a che numero gli
piace ; e in fatti le difpenle della pluralità de'Bencfìzj paflarono tanto
oltre, che circa il 1310. le rivocò tutte, rillringendo le diipenlc a due ioli
benefizj: {b) il che elTcndo fatto con rilcrvare a sè la dilpofizione degli
altri, (come, parlando delle rilcrvc, () fi diri) non fu creduto allora che
folle fatto, per levare l’abufo; ma pel guadagno, mafiimamente perchè quel
Pontefice fu lottil inventore de’ modi, per accrelccr l’erario : e ne fece fede
il tempo; imperocché fi tornò non lòlo alla pluraliti di prima, ma ancora a
maggiore; e fino a’ tempi nofiri abbiamo veduto, e veggiamo dilpenfe lenza
mifura Concordano tutti i Canonilli, e Cafifii, che tali dilpcnle debbano efier
anche date per caulà legittima; e che pecchi il Papa, fc lenza quella le
conceda ma fe chi fi vale della dilpenla lenza legittima caufa concefia fia
feuiato, non fono d'accordo: () altri dicono che quella lulfraghi innanzi agli
uomini; altri, che ferva, per fuggire le pene delle leggi Canoniche, e che in
cofeienza, e prefib a Dio non vaglia punto. Quello parere ^ feguito dalle
perlone pie. (r) li primo è più grato alla Corte, alla " quale nt» ftr, th
nìum^ {Mrftm li t»TU0, fi fftfi il fsrtitQ di d^tnt nwti sd H» ftU, SMitrthì
ti0 ara fnnta MnfSdrié fti ftrvmm dtiU Cbt^u 0 « f0 fafiaaa tffe re malti fia
tara, e tagli altri. ()Cloflà td On. Ctericat. l. CmC ii. qu. I. (O i»
tftimmavaaa in ^mefia rmada Ir taft, t»i fariHaaa al • d’mi fim freti, tbt Laùi
; td i ^imafi 0 fartilaaa, fa maa $ Caudatari dtfafi. Tatti ì Camaaifii frri Barn
fiat dt qarjla fiwiimata. Vide Oomei de expe^t. num. 1&7. llioùn. I‘am de rdtgn. beneC lib.5.
qu. 4. num. lj>. Asor. p. 1. Iil> 4. »p. le. qu. I. {fc PvMenoch. de Arbitrar, iìb.
». cafu N^rarr. Mi kellen. 61. de Orif. dt ClotH »d cap. 5. citi» de petulio
Clericonim. (a) Vide cap. de molta al. ia fine, extra de prxbcadii. t a) fatila
tha aaaQurmeatt farfrtndi ì il vrdart il fata eaaaa rha la Carta di Kaaaa fa
da't'ifeavi italiaai dalla Stata Zalrfiajhtt, i ^ati nam falaaaaata fiamma ia
fiadi alla frafaata da' Cardiaaii, aia aatara aaa fiiaaaaa difaaara il fatvirli
a tavaUi (aait il Vaftava di Ciafaa Cbiaa, Atrafimfiiadart dalT iaftradara al
Ciatilia di Trtmta, la rirpfrantra al Vefiava di Mirti ia piana Ca^r» faziaaa :
fra Paolii, lib. tf. della Tua Sicria del Contili». Oleta di fki, i lata
Viftavaii fama tairmnit taiuki dt ftnfiaai, tht fi npmtartbbaaafaliti^mì, fa il
Papa valafia raaetder tara il rapar ‘ere, aha i Caatnifii afi^mana a'ampiuà
Prati. () Vide Nicol, de
Clemangit de comipteEc» cleux Uaiu cip.it. dt Pet. «ieAlliico de reliorni. tapiti», ieu ilatus I^palù,
de lue Rooi. Cutis, dt Cardioalium. ( } ) Damdr atnthimiana, dìc’ egli ibidem,
rbt aajfmaa ramdita i frappa grandi pir tara, fa naa ì faprahhaadamta ptr gli
fit$ Rii 1 ptrtA il Papa ha tenetdata lata il frivilapia d' axar aa apemm ad
omnia beneficiai dai, ìù pater gadtrt apti fatta di irnafiz), a fataUrt, a
rtgaUri. (^4) fai>,parhfia dalla Diaetfe di Caari tnFriifl. tia. figitaala
d'ma pevere Ciahattina. ih) Noi omnn, et lìngulu difpenlatiofld litper
receptione, aut reteitnoAC plurium digniutvui, aut beneficierum, dee. quinis
cura animaruna Ut annexa .... cuieuntpte perlóaz concellas, (Cardinaiibui ramen
cxcepm J duiimuitahtcf moderando, qood per nttMeraioefl .noiìruin clinnatam
nliuni beneficioruni nmltnudinem re. Irertemui. Siatuipiu itaque quod obuncntn
piu raliMtnn hujurmodi beneficiorum unum tantum ex bencfliiii, quibui cura
unmmcc animarucn, aim beneficio Itnecura, quod haberenuhiennc, polTint licite
rcttaere. Zxtrav- tit. da prahtndU, tap. Emarrahtlit, () Fedi r attirala 37. a
ramattazieaa terza. Vide OloQiun a.1 capii. pi' CÌoTanni di Verdun 1
Bencdinino, Franccfe. dille molto di?erÌBiDeiRe il (ùo parere. Ki leggi umnt,
difiegli, fnt ft’Srtt U dif^nf, rafien dtir ìmnirfttMi del Ltfitlntirt, il mmU
nin fui frevidm tutti i tufi frtitlrt t£ dimundn» mnìietn.ini ; m deve Oia 1 i7
Leiitlntin, tjlH ^ fent. eteiniimit ferrh tuffnnn tfs hm ftui» Im nnftmdrrfì.
Chi difnenf n»m fu mi dtfUti(ri U firfin th'i eUligt, uà UftUr »Uligt» »ll
foalt i ingiuUmunt l dtffenf : à un rrnr fefiinrt tl rrtdtri th il difftnfnr fi
fnrt nn» gruu, pàthi U iiffmf i un tt di pmjliti» diJhUmtiv», ft tu n fu
limmmeli feer thi nn U d IU ftrfini nlU quali ì dtvut. L» Cbi^u um ì un Jtrv,
ni il Puf i il fmtPudran. Tet l Pf, ilqu‘ U nt» à, rii ri firvidtrt di thi th»
frtfijl» sii» Tumigli Crifiiun», U drt tiufthtdun l» f» fr»fri mffur, eiii,
quella th gh ì devut. Quem confliruirDoininiu &per familiam fitam, ut det
illia in lempcte tritici mnifuram. Lnczia. L àfffeufm M tigliezza umana,
volendo dare due Benefizj incompatibili ad una perlòna, unirne uno all’altro,
durante la vita di quella ( i ) in maniera, che, dandole il principale, era
dato in conleguenza anche Tunito; di modo che fi Ulva va benifiimo la legge di
non aver pjù, che un Benefizio in apparenza; ma in efifienza non era, fe non
oflcrvanza delle S arole con iralgrcnione del fenio; la chiamano i
Giureconfulti fraudo ella legge, (a) Quello fervi ancora per poter dare un
Benefizio Curato ad un fanciullo; o ad altra perlona fenza lettere, e lenza
obbligo di ricevere gli Ordini facri : unendo il Benefizio Curato ad un
lemplice, durante la vita; e coHlerendo il iemplice in titolo, rellava il
Benefiziario padrone anche di quello Curato; e le parole della legge erano
bcnilTimo olTcrvate. Ma il poter unire Benenzj ad vitam non fu mai concelTo
a'Velcovi per caufa alcuna, anzi rilervaco ai folo Pontefice Romano. Alcuni
Leggilti la chiamano unione in nome, ma in fatti è rilalfazione della legge; e
l'hanno per dannabile: (3) perlochè anche in qualche Regno è Itata proibita.
Fi; lungamente utata dalla Corte Romana. adelìb non è più in ulo ; (4) come nè
anche molte altre cautele^ per non le chiamar fraudi, come quelle, che parlano
troppo le? galmemc, per le caule che fi diranno, venendo a'noitri tempi. Anche
la Commenda ebbe una buona ifiltuzione antica ; imperocché, vacando un
Benefizio elettivo, un Velcovato, una Badia, ovvero un Benefizio che fofic
julpatronato, al quale l’Ordinario per qualche rifpctto non poiclTe provvedere
immediatcmente, la cura di quello era raccomandara «M- nnal r.hg losectto
degno, () fintantoché la provyifionc fi facefle, il quale peri non ivéVa
racoiift' dl valcrfi dell’ entrate, ma foto di governarle, c a quello fi
pigliava perfona eccellente, e perciò d'ordinario era un Benefiziato, al quale
la Cura commendata era di pelo, perchè |>ilognava che la prendefle per lolo
lervizio delia Chiela. Quelli non fi poteva dir avere il Benefizio
commendatogli, le non molto impropriamente; c perciò in realtà non aveva due
benefizj: («) con tutto ciò, per non far diificolt^ di parlare, nacque una
maflìma tra’Canonìlli, che uno poteva avere due Benefizj, uno in titolo,
l’altro in commenda ()• Non durava la Commen etra ptionltt defit «noli. Yfl
lUqaid deCt cq Ctrtt. Quid da aniooibaf bcflcficioniiii,4 tìcub t» fslioru.
Immt.Wl. tf- fa. mk. a. unmi, tf, nt, dilicct, obAct iDa bent» fttxunfrm.
fifiontm pleralitsa ad obnnenda lacompstìbilU d ftmf» dtfrmmdmt», fHthi
ilCtmm9»dmtmti» isvi. (cm CommcDdim, ut przmtmtur, ntc (ifhinde tm n» trm
diftrnut im vrrm» reati dmlTùmlmrt: cbrjBmt ultn femeAm temporit fpscium non
da- tijlimnié mt Jm fa^a fmmmU dlU Mit dtUm rsrei lUtuenrct «juiccjaid iecui de
Cotnmcadu Ec. Ctt mum dm i Curim mofMAern. tc tegicnen, de deiìanim
{Mrceciilium adiun Aieht eiTe irrirum «dminillritìoDent libi m rpirtcualibus,
de retnpoip(b jar«. CaÌA Ctmatrmis. Ma i fApt, fAttwiefi fuptrttri aUa U^ t,
pr$luaiATAt%t i tirmiu itllt CAAvuatit, • AAmetdttrtr Mmtf it' frutti 0^1,
ArnuumprAttrii ÌAÌi fAg Attua fini a itnurt — i it ia vi4 ttm tutti It lari
rtuitlt | étp di tbt muturiut uUrtJÌ It Jlilt dtilt Un MU, iumdf ti
rvconuiiduaio «yuclU Cbielà, uKachi tu poiTi (ulleanre ii tuo iUio ) DtlU
FauuiIia Fiifeki, it’ Cauti ii LaVàfnA, liuti ««Ì114J ikiAmAti il pAifl
uimifii. (i) Circe idein tempm milìc dommtu aovut Iepe quemdpRi nomm in Angliam
pecunie eetorlotem. Megittrum, videlieec. Meninuin aaten. tkum pipale
delìrteniem. de habentem poteiUtcìn eecommunicendi, fialpeBdeadi, de
multipliciter vu. lunati fii2 refiilenrn punieadi. Idem. £' do ifferVAtfi, tké
i Aoi priuàmua uum A grAuii autpriiA r«r «fbilrrrro i» virtù à'uu uutua diruti
fiuuAti JulU d«e4e.i4«e di Cifiumiiui, par ttd tutti l’«lr, par nutUt tkt
pritiuiavAut, uppurtiuavAui uliu Ckufu JUaioAo. Ad precei meu illoUn Regi
Angloram Henneo II. cooeellit, da dedite Haarianui)Hiberniun fare bicrediterio
poC (idendain. Nem omne» infiilx, de jgrc anoipw, tx dooecKine Confbnrini, qui
eun bindevM • d( dotavit, dicuntur ad Rotneaun EcclefUm pettinere. Joaaods
Surobcticniii |ib. 4. MetèlB|ici, ta del Re, cioè, doooo. marche. Propofe (i)
il Re di ciò querele nel Concilio di Lione, lamentandofi de' fuddetti aggravj.
al che rifpofe il Papa, che ij Concilio non era congregato per ciò, e non era
tempo di attendervi. Nella flelTa Cirù di Lione, al tempo del Concilio, il Papa
volle dar alcune prebende di quelle Chiefe a’iuoi Parenti; di, che fu moto
grande nella Citt^, e fu il Papa avvertito che fareb^ro flati gettaci nel
Rodano; (a) perlochè il Pontefice li fece occultamente partire. Non reftò per
quello la Corte dalle fuc imprefe; () anzi nel 1153riftefib Papa comandò a
Roberto Vefeovo Lincolienfe, uomo in quei tempi celebre in dottrina, e bonù,
che confcriflc certo Benefìzio ad un Genovefe contra i Canoni.' il che parendo
al Vefeovo inconveniente, c ingiuHo, rifpofe al Papa, che onorava i
comandamenti AppolloUci, conforme alla dottrina Appoftolica; ma che quel abftam'tbu%
era un diluvio d' incollanza, un mancamento di fede, una perturbazione della
tranquilliti del Crifiianefimo, ch’era grave peccato defraudare le pecore del
loro pafcolo, che la Sede AppoHolica aveva ogni podelli in edificazione,
nelTuna in dillruzione. Ricevuta quella rifpolla, il Papa fi fdegnò
grandemente.- (c) ma il Cardinal Egidio, Spagnuolo, uomo prudente, ten (i ) Il
mdtfimt Sttrir» diti tfn Ì0 rtmdìtM dt' aràqiftMi UmUmì fi»ktlitt in dm» fii di
70. imt» manh d'rgtntii t tht tv. »vn» fi» imfmrrita l» Ckitf» di Jh$, dt tht
»vtv »4 jfattp tufri $ V»fi d» S.fittn. Epifcoout Kobenus Liflcolnienl» ficit A
io'u Clertcis ailigemer cooipumi Alienoram pmeann in An^lù, Bc invennim rft. Se
vert caniibua qao£lam alicfugenas ronfàoguineoa, vel affìnea fiiM, inconEiho
Capitulo, iocrudere, re. fiitcrunt « in brie Canonici Lagdunenfès. coot'
ffitaaiiTcì, Se eum juramentoobteltintei, qood, iì tiki ipud LugduBucn
apparerenr, non pòilét eoi velArchiepilcopuf, vel Canonici, pro(c|;^re, Mat.
Vvtfiaaaafiar. Oroflet «ft. (S) Mandatu ApoAolicit, du'aili valla fa» tifpafla
al Fapa, aSedioue filiali devou Se reveren. ter oMio : hit qno^ qiaae nuodatia
ApoAoìiria adrcrtiintur, paternum xclani honorem, adverìor Scobftoi ad Drmmque
enitn teneorei dirtnomn. dato.,» Non «là igitor Itterz renor Afoftolica
fimAitati cxmibniu, r«l abionua pluràmutn Se di» icort. Priioo, luparbo animo
aitr Quia eft ifte fenex delirua, furdua, St ablurdua, qui fii^ mudar, imo
tetnerariua judiear} Chi atai di ^aafii daa vaatfriav», il Papa, akt walava i
Caaaai, a Lineala, rlta li. difandtvaì Cki di ^aafii daa tra fardat tÀaaala, r«
«». dava Jt iaat la vaca dal Sigaara, a laaartatia aUa aam vaiava aftaltar
gatlla d'm» Variata Appa^aìtta, tkt rl'^agnava il far davart ì Per Petratti, Se
PauTuma yi. giarava par Saa Piatta, a Saa Parla marre Listtain, tha gli fatava
aliar» l» settdafim» eaTrtt.iaaa tha Sa» Patir avtva fatta a Saa Pittra, quia
repreniibilii erat, Se non fede itnbulabn ad \erttatem Evangeliii Galat.x. la
xsatt i' imitata le» PUtra, il qaala prtfiul sii grufi» earrttàaati nKì moveret
noa innata ingenuitaa, iplàim in lanrain conliilìancm przcipitir«m, ut coti
munds bbula loret Se exemplum. Ihtdtm. t«, tentò di mitigarlo, moflrandoglt che
il procedere contri un uomo cosi riputato, per fiuia tanto abborrita dal mondo,
non poteva partorir buon effetto. (4) Ma mentre il Papa penfava al modo di
rilcmirn, s'ammalò Roberto; e in fine della vita tenne gli ftefli ragionamene
ti: (^) Mori con opinione di fanritli, e fu fama che facelTe miracoli. Il Papa,
udirà la morte, fece formar un proceffo al Re, che il morto fodè difotterrato ,
ma la notte feguente ebbe il Papa in vifione, o in fogno, Rcberto veflito in
Pontificale, che lo ripreie della pcrlecuzione alla memoria fiia, e lo percolTe
in un fianco col calcio dei pafiorale ; (c) fi dcflò il Papa con ccccflivo
dolore in quel luogo che lo colpi fino alla mone; la quale {d) fcgul indi a
pochi mefi nel 1^58. Alcffandro IV. fuo fucceifore, () fcomunicò TArcivefcovo
di Jorck per una caulà fimilc; il quale, perfcverando nella fua deliberazione,
fopportò la pcrlècuzionc con molta pazienza; () c avvicinato alla morte,
IcrifTc • al Pa tti) Nt^n ctpcdim, Donrin, ut altqaid daruin contri i|>tum
epifc(i«in ^'ini«rctna>{ utenim vera fateainur, vera Ciat cmx duit • noo poC
fnntui cum condemam. CaiholKUi eft, nno Ik (mdiCriotiii, eol>U religiufìor,
nobù (indlior, eice{Ìenùor, de ecccHeRnorti ritz ita, ut non credatur inter
oenno l'rckioj inajorem, imo noe parem habert. NoTÌt bnc GiUicaiu, Se Anglicana
CUn Univerlìiaij noan nou przvalem coniradiAio. Hojuftnodi epillslx vtritas,
quzjam torte muUis innocuità muicoi centra no poterit cominovere. Kzc difcrunt
Dominut iEgi-Uut • Hifpanut Cardinalif, dr atu. coniUium diucei Div mino Pape,
ut oninu hzc conaivearibui oculit fub dilTimulatton ttontire pcrmitieret, ne
fuper hoc tamuiiuf eiritamur. Ui^- ^t« « ir mtdtjimt Psris, tra m» fran
ptrftaafs»' carCD. iu' t^U, coluntRa in Curia Komartn veriutn Se iuftiar. et
muneTum aTperaaiar, qux ngernii «quirarh fleAere uL w r.T,! .. PrivilMia (kadonim
pomibcuBi Romane. rum prxdKcIwum fuorum Pipa impudenter in. nulisrc per hoc
rrpagulum, m« tSfiaatt, noo •rubefeit: qaod non b( line corum przudKÌe, et
incuria rmniielia k cniru reprobat, et dirute quod unti) St tot (anAi
xdificarunt. Nonne di. cu Papa de fu» plerilque PratJerclToribu, iìU, vai tUt
fu rttirdaritai PraJtttftr ntfitr, tc fzp«: adhartam fanUi ^Tadtttfftrn aaht
vtftuiis, Sei. (^are ergo, quz lecenint, duuant iundamenta qui lequuniur Nonne
pluiti, divina grata klirati, majotet funt uno fi>lo adhuc perieli. tanK?
Uode ergo hre injuriok lemeritss, prmlegia laiiquorum Sartftorum multcrrum in
irrituni levonre ? Ciaè i il Pafa aaa ta rtfftri di aafart, a d’aaaaUar cmm
Nonobtlance la Ce»atfiami, a {U atti dt'fmai fanti Aattctffari, fiata tta^trar
il sarta, a‘l difaaara rlt'tfli fa alla lira mimaria. gaitaada a urta tutta tl
lata tdtfetta fairianaU. jhj^amda ài Pafa farla nalla ftta Balla d' aitami
ddjiai Aatrttffar$, ma dita il nolìro Aniccelotc N. di Dia memotia? volen do
(egujr le TeftigM del oofiro Ciaio AnteccTortf Pttik!dma^naaaiuart i faadamemti
fat dagl' altri ì ideili Pafi, i gmah, ftr la Dia gratta, fama arrivati
ftUtamanta u» Mrre, nam iuamamaggiar tradita, t^a ama fata, il gnal ì mmtara im
ftrirala dt far naafragiaì Damda maftt dmagaa tka Jmaatantia vaala tan una
uaaaritd ftifmaliufa raimavart i friviltgi aamtadmti da tanti Saati Pamttfui
Bamant t Paria nella BKdefima TÌri. (c) Hoc anno (ttf4-) D'tniinut Papa, dum,
imut fnpra modum, vellrt oQa Epi£:ofH Lincotaicniis exua Ecclelìam mojkere.....
Juint taleni litenm fcribi Domino Regi Angliz tranfinirrendam; fcieni quod ipr#
Rex libentcr dcCrvirei in ipfucDtMiprracri&è, fir fatila tbiditi il aalra
Starila fai, a futi fagina immamti, ila^rre tra Do. mini Papi, de Rzgii
redargutor nuaifellui.)Seil no^ léqucnii appiruit CI idem Epilcoput LtiiroU
nieotU, pontiScaitbua redimiti» i ac voce icrri. bili tpÉim Papam in ledo fìoe
quiete quiekecu rem aggredUur, Se aAiiurt pungenv iplum in lateff iUu impetuofo
cufpide bacuLi fi» palloialit: Et «liait et: Simbnldo, Papa miièrriiM,
propoTui. iUoe oda mea extra E. mneni, 8c molclUin. J^d. (e) Ftrfa il fina
diU'anna iaj4> awdrjCew Matita Pari nfcrua tha lanatiatia, travaadafi uà
fama di marie, « vrdtada fugatri i faai f èrtati g iar Jiffa t Quid piangiti!, milen
I Nonne voe otnnea divitrv relinquol quid ampliiia exigitia t id eli: faribf
mai fiagaitt, a ftmfluiì ia vi taftia talli rtecbij tht vaia a di fitti ( )
J^l‘ ara di Cafa Canti, tama Xatatiatia III-, Urigaria IX () Anno ix{p.
aggravxvic manum luam Dominus Papa in ArchicoikopQm Eboraccniètn, pif. fitqoc
eum ijnoiriinioie nimii in tota Anglu exronunurucari. Ipk lauwn Archiep.
excmplo B. TiMuz Durtim, nec non B. RoIkiu Epilc. Lin. colnienlis, fidelitata
«rudkua, ^ lolatio csdcaa mirtendo minime dclpeiDvit, oennem ppalem ryrannideiB
piuenier lullinendo: t atta fagut dtfai Remili genuaSeUere Baal, et indignis
berbarii opima beneficia Eccidìc lux, quafi margaritai por. eia, imo rpurcia^
diHribueie. IbuUn, iero dichiararfì affoluti Padroni in tutte le collazioni de'
benefìzj per tutto il mondo ; e levarG dal bifogno di trovar Tempre modi, e
arti, per tirare le collazioni a Roma; e fece una Bolla la quale non conchiude
altro, l'alvo che la .rifcrvazionc de’ vacanti in Curia; dicendo che le
collazione di quelli per antica confuetudine è rìfervaca al Papa; e però
ch'egli approva quella confuetudìitc, e vuole che Aa olTcrvata : ma, per
conchiudere folo quello, intanto fa un proemio ipotetico, dicendo: benché la
plenaria dilpoAzione di tutti i BeneAz) appartenga al PontcAce Romano, Acchè
non folo può conferirli quando vacano; ma anche può, innanzi la vacanza,
conceder ragione per acquillarli ; nondimeno lantica confuetudine più
fpezialmenie ha rifervati i vacanti in Curia: perlochè noi approviamo tal
confuetudine. (^) Se il Papa avelTe fatto un editto conchiudente che la
difpoAzione di tutti i BeneAzj toccava a lui, il mondo A làrebbe melTo in moto;
e, cosi gli Ecdenaflici, cornei Principi, e gli altri Patroni Laici avrebbero
detto le loro ragioni ma quella propoAzione meffa in una condizionale, fenza
conchiufìone, pafsò facilmente lenza che foflè avvertito quanto imporiaCTe.
Anzi due anni dopo, cioè nel iz6$, fenza aver alcun rifpctto a quella Bolla,
S.Lodovico. Re di Francia, vedendo che le provvifioni fatte dalla Regina fua
Madre Reggente, mentre durò la fua minoriili, c TalTcnza in Terra (anta, non
giovavano, per levar le confuAoni introdotte nella materia bencAziale, fece la
fua celebre prammaticha, () dove comandò che ieChiefe CatteTomo Ih I dralt tri,
0 tinijMt P0tÌ0 dtf0t N« «enfi» prartereon. dum qaod B. Hdmandus, Le^r in
TheologuOXODiali, t ^ Arrhrrfr»V0 i C»Mttrifty, et direre roofticeK i O
Servale» fWjfd rr H rum di Artrvtfttx^ di erlc, nuttr ab hoc Ixotio
tnnlinterabU| kao» vel làltem gravibut, St inCàperabilibut in muodo
tribnietionibiu impemits, He trucidami. ì^itm »d et tifi. (4) In anurt(sdi.e
amiu« fctipùtl'apz, esem. I loRobeni Liocolnientif Epiùopi pntvo.uua» do!M
ioconlbUixliter quott camraauifirmicertplum fttigarat, co quod iacxpcrioi de
ltngu« AaglKanx igxan» renate accepure» nane tulbentieoda, nane tb iiedetìa
eliminando, nuoc Craeem aakrendn, dee. U pnii't 0I ftu frtm> Umùfi’ ntttr dt
f 0 rt 4 rgU ù Crtrt po. teli de ^re mnrerre» Tcnim eium juj in ipTrt tnbuere
vacatami colUrionem carnea Bccldia. tum» dignittnim» de beneficiontni «pud
Sedem ApotlolKim vartunuin ^cialiin cxterii antiqua oon^uctudo Ronunii
Poatititìbui rdervavu. itaque laudabilcm reputante hojuftnoii cojkòetadiiieiii,
de eam auclònuie apoUolica approbanrei» ac niltilominiu volentet ipkin innolabiter
obkr. vari, ead^ auAoritare ftaruimus ut beneficia qux apod Sedem iptàm
dcinccpi vacare conrigrnt ali. quia» OTxter Romanutn Pcimifi^m, coninre aliOli.
icu afiquibai, non prefunut. Sarti Owrar. m.j. tu. dt praitBdit. taf. a, () Si
dmku» tmité tbt ^utta framxtatitx ffa di Sa» Ltd0vtt0, ma» m farUmda im eamta
vtfitMt gli Sfrittari r«reiM#r«»n : altra di tha »t» fi vaia tkt il Pafa, il
^xalt Tignava alt», ra, aUia avuta altn» dtffartrt ea» fati Ut ; il tbt fariUi
ttrtaaaatt» attadmta, fa da la» fafa vernata una tal ardatatiaat. diBamr itìlUt
tht la rigHta «al ttxafa dt tadbanr# jdrali aveflero reiezioni libere, e i
Monaderi fìmilmente, e che gli altri Ber neiizj tutti folTcro dati lecondo la
dilpolizione della legge, c non potelTc eflèr levata alcuna impofìzione dalla
Corte Romana Topra i Benefìzi fenr za confenfo fuo, e della Chiefa del Tuo
Regno, (a) L’andata del Tanto Re in Affrica contea i Mori; la Tua morte, che
TucceTTe nel iZ7o’, il biTogno che la CaTa d’ Angiò ebbe del lavare Pontifìcio,
per idabilire il Tuo Regno in Napoli, e ricuperare quello di Sicilia, e la
Tacoltb che il Papa concelTe al Re d' impor decime Torto pretedo della guerra
di Terra Tanta, fecero che i Francefi facilmente lafciarono racquidare alla
Corte 1 ' idefla autorità', onde nel 1398. Bonifazio Vili. poTe la Codituzione
di Clemente nelle Decretali, e fece che quello ch’era ipotetico, e
incidentemente detto, folle il principale: e, per darle maggior autorità, la
poTe fotta nome di Clemente, lafciando in ambiguo. Te follé il quarto, o il
terzo", onde adedb in alcuni cTemplari fi legge in altri quario-, ()
perlochè all’ora fu dato principio a creder queda prowjfizione, cioè, che la
plenaria diTpofizione di tutti i Benefizi Ecdefiadici ap particne al Papa
", il che pretendefi intendere in TenTo non affatto perverto, cioè, che il
Papa abbia piena podedb, ma regolata perb dalle leggi, p della ragione, (f)
Clemente V. indi a poco fece ceflàre ogni buona intelligenza, con dire che 11
Papa abbia non fola piena podedb, ma anche libera Topra tutti i benefizi S W 1
^ liberà ì intende da’ Canonidi piente da ogni legge e ragione: ficchè egli
può, non odante la ragione, o l’interelfe di qual fi voglia ChieTa, o
particolar perlona, eziandio Padrone Laico, farne tutto quello che gii piace.
Queda propofizione con ogni occafione fi pone nelle Bolle", e non è
Canonida che non la palli per cliiara, anzi per articolo di fede, dicendo che
il Papa nella collazione di qualfivoglia Benefìzio può concorrere
coirOrdinario, e anche prevenirlo ", e, piacendagli cosi, dar anche
autoritli a chi gli piace di poter fimilmente concorrere coll’Ordinario, e
prevenirlo, ficcome hanno poi data queda facoltà a' Legati con una Codituzione
generale, NelTu te» »» Uhth iutìieUt» t Dc&n(brium CoiKortlAtoruffi iiucr
Seitm ApoflolKun, et R«^ni tnncùr Ludovicum XI, tht Àu» th'^ di S. LnUviee, it
ni psrli i» ttrmÌMi t Quod BUtsm etdem afcrioinir fecill« pragnurKAio, |«r
qutiR quuiun juAi&cafe nituatur PraKiTuttcim per Scicaifi. Principem
Ctroiiua Rc{[cni (VII.) donÌAi aoflri Lttduvici genKorem «ditam, Ot per
«(undcin dominum naliruin Liidovkuin «• tboike aiiscr •bro^tMoi, nlhìl
prtxietit cis, tie« qui prodenè fi tttendAnnir fingaU verbi ejufdeni benfli iùb
tenore bnjas aferipue libi Prtgpunea bcani, et uoicuique faa jurildidio lérvetur
.... Item prouMiioAca, MiUiionei, proTÌfiono, jlcdifpofìtionea prxlaturaxujB,
digaitatam, St alioruin ouoraowiUDque bencficiontoi « et OtlUiorum
fec(Wiaftk.aTuu Regni ootlri, (écutidum ddpofitiooetn, orduucioneis, Oc
determinadtiacm juria (ooifuUAu, Sactorum Conci lionim ficclelùe Dei, ttqae
infittutonia anitquorum Sarklnnitn rarruot, fieri ToJuatui, et ordinanu». Iretn
eu^onct,& onera gravillìnu pccumarum per Cunam Roauoam Ecdefiat regni
noflri impollta, tei impofirato quibu eiitcrabiltcer regnutn ooltrum
depauperarum enitk; lìveeuam un^toneiub», vel inipocven. da, ievtfi. ast
rolligi iwIIìucrui votiimut, nifi dumtucac prò rationabili, pia,
&ura[e.’uiflìma cau li, il quale è con proibire ogni torta d’alienazione,
cole per diame« tro contraria a quello che la primitiva Chiela olfervava.
Imperocché, febben le Chiefe, quando fu lecito per le leggi de’Principi
lacquiilare (labili, ritenevano quelli eh’ erano donati, o lalciati, era però
in liber del Velcovo non lolo di valerfì dell’ entrate, ma di vendere anche i
fondi fle(H, per fare le fpele necclTarie nel mantenere i Minillri, e i poveri,
() c anche di donare, (ccondo l'efìgenza , e T autoritli di difpenfatore
concelTa al Velcovo non fi llendcva lolo (opra i frutai, come adelTo, ma anche
(opra i fondi llcin, e altri capitoli.' il che da principio era amminillrato
con fìncertt^, lìcchè però non ne nafeevano inconvenienti, e durò anche
lungamente nelle Chiefe povere, dove, per elTervi pochi beni, e i Vdcovt di non
grande autoiritV ) non yi era materia di traigrellione : ma nelle Chicle
ricche, e grandi, dove la riputazione dava ardire a Velcovi di tentare quello
che ad ogn’uno non larebbe (lato permeflb; e l’abbondanza dava materia di poter
vaicrfi di qualche parte ad arbitrio, i Velcovi cominciarono ad eccedere i
termini della modedia, dal difpcnlarc pafTando al didìpare; onde fu neceffario
provvedervi; nè la provviGonc venne dagli Écclefìadici, ma da’ Secolari, in
pregiudizio de’ quali era : imperocché, diminuenJoG i beni pubblici della
Chiela, non pativano t Cherìci, eh' erano i primi a cavare il loro vitto, ma i
poveri, che fella vano nell’ ultimo luogo. () Nelle principalilTimc Chiefe,
ch’erano Roma, e CoflantinopoU, la provviGonc fu anche primieramente ncceGaria;
perloc he Leone Imperadore con una fua legge del 470. (i) proibì
ogni-aliehazione alla Chiela di Codantinopoli e nel 4S31. PrAfetto Pretorio del
Re Odoa ere in Ronta, (2) vacante la Sede di Simplicio, con un Decreto fatto
nella Chiefa ordinò che non poteffero elTcr alienati i beni della Chiela llomana;
il che da tre PonteGci Icguenti non fu trovato Urano: (3) nel 502. Simmaco
Papa, effendo gili morto Odoacre, e Gnita ogni fua potenza, congregò (4) un
Concilio di tutta Italia, dove propolc, come per grande ilravaganza, che un
Laico avelTc fatte Colticuzioni nella Chiefa; e con affento del Concilio le
dichiarò nulle: ma, per non parer che ciò facelTe per vbler feguire nel
dilordine, fu nel Concilio fatto decreto, che il Ponte Gce Romano, e gli altri
MiniGrì di quella Chiefa non potelTero alienare; (5) Ipccifi cando che il
decreto non obbligalTe altra Chiefa, che la Romana lolamenre. 1 tempi feguenti
moGrarono che vi era bifogno della GcHa legge in ^utee le Chiefe; perlochè
AtutGagio Gele la legge di Leone a tutte le Chiefe (•) ViJe C»n- 1 }. ac I®.
C4jt »• () Vidi Ititi r. $ 9. IO Sl»tfi i U Ufi 14. Co 4 Sact«CiD{^.
£(Ueil»> tk'ì di Lttf, • di (») dio; iJ MuchÙTcHi. tmfmdrtnifé fi dtll'
hmffTM, dtft mtmr mmm»tXJU0 Ortfi, t imff» in j"i» AngmJhU, fm, Ufti» il
pH i'Jmftrsdtrt, fi fnt tbimpur JU di Ktau, Urna tamtiafft tù^, tMH Hb ». dtlU
fnm Sttfi di Timtt. ( } ) F flirt IL ftrtndp altri III. Qtlafit I. « Jlnafiélit
IL (4} ^ Jtivrm. O) Qmtdt CiiHtmt > riftritt dMGriMBCsMf. t ». f w. ». Cm.
ut» M. Chiefe foggette al Patriarca Coilantinopolitano, (i) alle quali tutte
proibì il poter alienare. Ma Giuftiniano Imperadore nel 535. fece una
Coftituzione generale a tutte le Chicle di Oriente, di Occidente, c di Affrica,
c anche a rutti ì luoghi pii, con proibizione che non pote(Tero alienare ;
eccettuato Colo per nutrir poveri in cafo di fame RraordU naria, e di rifeattar
(2) prigioni, gli concelfe ralienazione, confórme air antico coRume del quale
S.Ambrogio fa menzione, che non lolo le polTenioni, ma anche i vaA fi vendevano
per quelle caufe. (4) La legge di GiuRiniano fu olfervata ne tempi feguenti
nell’Occidente, (3) lino che Roma rellò fotto l'Imperio Orientale; e vi fono
molte pillole dì S. Gregorio che fanno menzione de' beni alienati per rifeatto
degli Schiavi, Anzi da’tempi di Pdagio II. fino ad Adriano I. (4) per an ^ ni
200. fu incredibile la fpefa che faceva la Chiefa Romana, per ricomperarfi da’
longobardi, così acciò levalTero gli alfedj, come acciò non molefiafTero il
Contado : e S. Gregorio ne rende buon tefiimonio del fuo tempo. Non aveva
credito all’ora la dottrina che corre al prefente, che da’birogni comuni (5)
fieno efenii ì beni Ecdefiafiici ; anzi tutto il contrario, quelli erano ì
primi ad elTere fpefi, innanzi che fi venifle a porre contribuzioni fopra le
cofe private. Nè meno farebbe venuto in penfiero di porre in controverfia
lautorìt^ de’Principi nel fare le leggi, perchè, oltra la perpetua olfervanza,
vi era il lodo fondamento, che quelli erano beni delle Chiefe, cioè, del
comune, e della congregazione de' Fedeli; (d) onde toccava al Principe
procurarne la confervazione • Dappoiché fu fiabilito l’ Imperio in Carlo Magno,
reflando le leggi Romane fenza autorità, tornò l’abufo; onde furono fatte
diverfe proibizioni da diverfi Concilj, (7) in Francia malfime, dove la
dilfipazione era maggiore. (8) dappoiché ì Pontehei Romani aflunfcro piò parte
nel governo dell’ altre Chiefe, vedendo che la proibizione untveriale faceva
poco efiètto, non mancando preteRi a’ Prelati, per eccettuare 17. Cod. de
Sacro&oftù Ecclcfiu. (t) la Unitila 7 .eaf.l. tir. l. telLi, Pro
redemptione Capeirumui. Jut S.Ttat’ maft, Se aliis n«ceirir«cibus ptuperam,
vaTa cuU nii divino dieau duinhunrai', it AinWoiìu» dieie >• l. itf. mrr.7.
m rtff. a 4 J. Vtde Tur. itet iìGatiami JMn», r « Ramat CardriMU Rcgibut
zquipirantuT ) duiimu taliter modenndit, qood per cnodenmen noftmm eftrcnatain
riUum beseiictoniia muintudmem refreneoMis, ipdque impeiramet tru^
dif^nrationutnhuiulinodi toulittr non AuArentur. btatuiv.uu itaqueqaod
obtinencet nunc ei di^nUtione leginma plurali tatem huiul'inodi beaeheionim
unum tantum ex bencEcna, quibui cara imininet antnurum, culli dinirite, vei
beacEcìo line cura, quod hbere nuluerint. poflìac licite rvtiurre: t mna (i«a
dtf. Qac omnia ScEngula beneEcia vacamra. rei diiruUi, noArc, 3t Sedi Apoft.
dirpofinom reCervaimu: inhibenen ne quia, prcrer Ram. l>ontifieem, de
hu^finodi benefciii difponere, vel circa illa per viam permiiutionit. vel
alias. innovare quoquomodo praduoiat. ZjcrraMg. tit. dt frtk. tf. ZxtttMhHt,
(t'i a fHsU immidiMtsmmtf gli fnettff]) Speculiter fiurdcgaleniem Erclefuni. 8c
Moniilrrm— Cni.i> Buidegalentìi, C>di. eie UnCìi Henedidi Et generaliur
Patria^ ctulea. Archi^'^.tcopalei Epilcopale^ Ecclefias. MonaAeria, Priurttui
nec non Cinonicicat, Przbendai. EcrIetUs nia cura, velgna cura. Se aUa quziibet
beoetìcia BcrleSalìica, qu« apud Sedea ApoAolicim vacare a itoiaiur ad prz^cu.
et que toto aoliri potniEranu tempore vacare conticerK in Eirurum, pravitiofii,
collationi, li difpofitio. ni nollrR, 8c Sedia c)urjem, lue vice aucioriate
Apollolica relèrviimui. Extrsvtg. CummiB. 3. rùdf f^éttmdit, mp 3 C 4 ) Adeo
rcboi oorìi fluduit. ditt U ?Uth M tuli» fu» wtm, ut Se timpticea Epitcnpami
bi« iàruin diTitèric, ac dtvìfoi in unum rcdcgcrti. et Abbaiiw in Epikowruv, 8t
Epifeopami inAbbaciai vinflim mnihilenc. Novat quoque digoitatet, nova collegii
in Eededìt cooiluuit, &c. tgU dìvtf gmtlU d$ T»Uf» i» rnifiw. rrgtmjUU M
Artivtferauté, t duuJpgli ftr l§ ^»ttr$ Cirri eh’tgU fmtmh»v» dll» fu»
’>w»U»9f»mSu», L»vu»r, fUtug, Ltmii». Gli uSrgiù aai-tadie Eumett.. tkt
BmifuMà» Vili. uvtv» mtft f»tt» NArhtnu, di euìAUt, «S fwird$-Tt">itrt
divtmutr» fuffAtunù et» mw "utvu ttezitut. Stmmifi Cuftrtt i»l nfetvtt»
d'AUi^ S»i»tf»»r d»lU Cbir nrts U ^rnspiitm dtlU ms, uuutftkt rht
ptrtUtmtltilpàttfsisrt il v— ufism dtlls mdfint n) nrts ts msmitrs, ftrtki M
dttrrtUt fi mtm mtl fmt itlV enne. K Paole nel iib.t. del uo CoocUio di Trcnte.
na; e tanto più per grave, quanto quella opera è congiunta con fpeic di Bolle,
difpenl'c, c prefenti precedenti; che tutte levano il danaro, eh’ è il nervo
delle forze, il quale non torna mai, come fa per via dell’altre mercanzie.
Quando quella novicù fu introdotta dal Pontefice, le perfone ordinarie non
feppero vedere che differenza fofle tra quello pagamento, e quello che fu cosi
biafimato ne’ tempi in cui i Principi davano i BeHzj. Ma gli uomini letterati
in que’ primi renapi univerlalmente la dannavano come cofa fimoniaca. ( o ) In
progreflb di tempo alcuni iludiarono modi di giuili6carla in maniera, che lì
divifero ; altri riprendendola come cofa illegittima, fimoniaca, e proibita
dalle leggi divine, e umane ; altri lodandola come cofa lecita, anzi
necclTaria, e debiu al PontcBce Romano; pollando quelli innanzi lino al
difendere che il Papa, non fulo polla dimandar un’annata, ma anche più, come
quegli che c aflbluto padrone eziandio di tutti 1 frutti, Bon che d’ una parte
. e dicono che per qualunque contratto che il Papa faccia nella collazione de
Benenzj, non può commettere limonia ; e certamente, (^) fe egli folTe padrone,
come dicono, la confeguenza rollerebbe chiara ; perchè ogni perfona può
contrattar il filo in quella maniera che più le piace, fenza far torto ad
alcuno : ma nè Dio, nò il mondo pare che vi acconfentano. Quello Pontefice fU
cosi intento a cavar danari (fogni cofa, che in 20. anni di Pontiiicato
congregò incredibile teforo . certo è che nello fpendcrc, c donare non fu più
riftretto, che i fuoi PrcdecelTori ; e pule lafciò alla Tua morte 25. milioni.
Racconta Giovanni Villano che ad un fuo Fratello dal Collegio de’Cardinali dopo
la morte del Papa fu dato carico d’inventariar il danaro, e che trovò iS.
milioni in monca coniata, e 7. milioni in vali, e verghe da lui pefati. (1^
L'annata nella fua illituzione da Papa Giovanni XXII. non fi Refe, falvo che a’
Benefìzi che fì conferivano, e pagavalt nella fpedizione (ielle Bolle : cofa,
che continuò Ano a quel tempo ; ma pòfeia fu anche impoRo obbliga di pagar 1
annata ogni quindici Tomo Ut IC a pnj C«} Separ qiurlltum eft, diti md frs»
tiufulté, ui iure poffit eirip, Ac l»c Icre Tiiralogarum eft opiiuo, Junlque
lQncilicM Coatilca. THm, Roimnum Poniiticcin irge (imonitet bitiu, ut c«(erm
Epiliopof, tencr^ fi prò Sicrit mimàeriis {KCriaum accipiat. Not. la »p. 1. de
Simon. Nam, pnrter ònon«t. tbf U frimrifmU i iAtm fm mri. tpmt mfitna t Tmmtff
MtU'Mrunl» iht ha diati. A jMrftm riftfimi ma MfimfMiri Mrrro m» Mitra, U ^umI
i, tht l» Chitfa CslUtMMM mam ì miai fiata firn MfnMvatM, «> fiù ifif
mi""” dtritri tire» la iU’kintfit.1, fmanta da'fafi Traati^ fii t nt
famta tifiimmiMin.a h talli di CltMunte IV. Ciemtnra V. a Giavanni XXII.
rifirita dallAmtara, a eit iitvarajf dui dì Cltmnta VII. ?«• fa d’AvknMM. Sm
paffaaa, dk'cgH nella vita di Carle Vi. ratimtarfi fnta fdifaa tutta t rfati«'
ni, a la vMimia tht fi tamattuavana [afra ilctara, J trantafn CardinaU
d’Aìainmt nana tanti TirMiuat • Sfalla avtvana fer tutta Vraumratati eam natia
ii abitativa, tha raffmxaaa tutti i hm^tU fi Claufirali, la Caumniide; ri
ftuavana i mifliari far ù mtdtfimi, a vndavana gh altri, 0 gli mfatmvana.
Cltmmta firfa, altre tha %'imfadranìva daile f^lu di tutu i V^eavi, a di tutti
gli Attuti età luanvana, e fttndn.M iim' annata dalla nudità da' tanafit) ad
agni wu. tMtjaui di Titalare, a futftdife ftr varauta, far nfegna, a far
ftrmuta, .malmnava la Chiifa CalUtama tan Urna guantità iufmua d' tfinfiani, a
di tanfi (traariinaria. t«) l'rofiTcrea quod bcaeficia Onira Iiujufnmdi
«itipliue vacare noi» fpenretur, 6c eainde CauKra, et Oscilla Sedit Apoil.
«lenuneAfum non modicum MieteiKur. () Vam il taf, 4. « $. de Aonam in de(rcrtl.
(I ) Virfa 1470. (a) Jata^ fmaia, Mmata deirOrdima dfirrtienfa, uatiiia dalla
iÙatifi àt Pamirt, in Linamadata. tUtta utU’anna 1334. addì la Ditemfn. (i)
Genmiu in n'illrit dendenh, ut tlebni'us, ejand per QQl\ra diligentix iludium
ad cjui un>iide klpnadenoTuin r^innna. alu beneficia eccleiuàira viri
sllumantur ubmei. AoruiD, d( thclàurcriorum. .. . nane vacauiia, et in antea
vacanira, nbicumquediSoiLcptot, vclNuo. riot, leu leclom, aui cheiàurariae,
antec^uten ad Rncn.CuHam redierint« leu venenoc, rebus eiimi contipr’'i( ab
hamanu. Nec non ouoriialibet prò quibuiiuincpic negorìit aJ Rom. Curiim
veuientiom, léa cTiam rcteJentìun ab cadcm.fi in locii a dida Curia ultra d»as
durus legulei non di&antibui, cio^ in InagUi tha uam fitaa piiir diina tuanagmaatalantam
da Rane. jam |ir>i&n obierint. vel eu in antea tramite icuitigcrtr de
hac lu.c ... Nec non enim Bituzione, che incomincia . Paftoralis ^ la quale al
prefente non fi trova, ma di elTa fanno menzione motti celebri Canonici : e
l’iBelTo è avvenuto di unte altre, per le quali farebbono palefi gli abuiì, e
le ufurpazioni, come anche dalle etolfe fu levato nulo CIÒ che non favoriva la
Corte : ma peggio rooftrano gl Indici fpurgatori ( 3 ) fatti daDotcorì, per
accomowU agrimereOt di Roma, prima ai lafctarli iilcire alla Campa. Tom» II.
acionua coliuorum, a toBfamdomm inp» Acram, Mine « flc in aneti vteamra,
àiffofnom, provilìosi noftrs, dnaec aiiferatinan dtvìMt dcatntia noe nnimiali
Eeckfic TtgMÙni prsAatre emeeSatir, nfinvanus, acc. émnt$ > irf mtfi di
CesMje dtlFMUt (0) Qes fnvh, atijae tneoleranda, féd imccC Cui arrooniin
eicu&ca, criam in pace nuBiere, étti T»eit« fitf. a. ria! : Vifttim «rane
ftmfmtt Mm» tiffima; e i benefiz; {b) fi vendevano alla libera, e A levavano di
mano degli Ordinar; quanto A poteva. Sino a queAo tempo non A era fcopcrta la
Corte Romana apertamente, che non fi miralfe ad altro, che al foldo : di tutte
le cole che A facevano A rendeva la canfa eoa qualche apparenza, o di
provvedere alle Chiefe meglio che gli'-Ordinar; non facevano; ovvero di
provveder di Benefizio qualche perlona meritevole, (e) Ma Urbano VI. A
dichiarò, perchè s’ incromcctcflc nc' benefìzj, ordinando che non valeife r
impetrazione, le non era fatta menzione del valore del benefi lào . £ i 4
coTTÌgendum occurrit, pagi donati,, au( addili), cmendari poHc \ideaiur, fd
Corredueei tancndum curent> lilii Biinut, oninina deIciciir. Df ttrriài»
Mtvfmm, fr mrt nrt Mi «Mttinua egli, ftutttt, ft ffh it jiÀ ftt AMiM fiUmt», t
p», e da 70. ««nirj» fit«t Jt Sertttri Mn fi trivt r tuaM^ Jaitrum f»vrn»l
Mmtafitm rsU, rèi l’b» Icvmt i (t fi trtvrtb jia vart>U >rr TfLtthfi^itA,
rkrt' 0 n t 0 Tf^fis$ td i» f$mm» papmma ijir ttrH di «m fvtr itira sUwté
fimttfa. M Mi dam «. ti k pnftfftS' f tmirlinwltfWTyèma^ mmauà, 0 U iimifd$tjm0
; 0 elf fi AratnSUfà ;«# tkt «•;ar »4 f 0 Ìttt tirsMte», fi 0 lfi 4 mmt 0
thtrmmtM itiiualnu Rnrtfn di SUU0. Expurgiod (iiat propoiltiones quxUnc,
deluntur. Sm %»0fi0 {0idMmimt0 miti 0 triMcifi wM tiraami, imfi'arcLì, ftr T 0
~ hgiéfi ibf firma, tmrri bm a 4 |(éa« «1 r 4 fai rou dH> 0 at di Stait ««»
vi fmrtb Ì0 fnr MB0 rht f0t0fi0 mamtamarfi i' fimat Ì0iitin dittiti. Onda F.
fa0Ì0 ka tutta la raii0U0 di dira ut ma Imait dtl libra ftfia dii [ma Cmtiiia
dt Tftnta, ibi U Carta di Ramm niu uàwmaimm ftinta ftr imiafiardirt, a futt
ti,Ì0 ftr far Jivntmr brfitt ilt \J animi, tamtt amila di »fiV 4 rii dilla
(ffBittama tba lata imifiaria ftr dtjtadtrfi dalia fut mfmrfa t Mm, Cbt
fmtiadarÀ dmn^me, fa i mafin kUnfirati tt^muana a (affriri tha fu ZccìaJUfim
fraibJtttfU i bmami Mrit il Drttata, ibi £a mafia U imi dii CameiUa di Trama da
F- FaaU mal Catubga rde'Zi^ri perdi Mtl ibif, Ì 4 fira svmta «a li^ x««i ma i
ri mvwdmti dii tk^ma di frMttié hamaa detta ebeit fma tala maa ara fitamda la
frmata } t tba m» BibliatHétta davrtbbt mamlta tatandarfi i» matana di flint a
malli amaaraduanaebt, frrfianda mm iman farvigia alla Cyte di Hama, ma ha
fnfiéta «■ faffima a rjmtlla a» C) PViif Nauticr. in Cfiroiricn, voi. %, gener. 46,61 Albert.
Knukta. in Hin^.Suon. Ub-iu. cap. 4. et ia Hill. Viiidal. lib. p. caf.6.& Gigum. li». f. capti,
ilt CamUVl. (4> riverì ia Romano Pootifirani alter. cit|o mali» itKotiimefs
Ap>!t!ic« debtri Komini cnniendunt. Ctaium. fed.g. eaf.i- la Caratavi- Vide
Nie- de C^uMngis de comipto bcclclìe flnu, ctunÌ3n otTereniìbu. «la. tentur.
^k^uc|er. ia Cliron. voLu gener.4p.anu. IjSp. {t) Elli, diti Ctaaeata V. in
temporaliiun di. Ifolitionc bonorupi hsbcaJa fit diIrreiicHi» cauteu, precipue
ut ea digne, 5 c iuuiabiliter dirponantuti in btclclUftivli tunen rebus
BiuUofornu» iovigthre iiotìra debet intamio, ut peHboirum conditionei de Aami,
ad (ìm dequibes his fiisntpro>ifum, T«J coAcefliim, aut minittucn providerì,
vct«s anaaitt valor» per mare» argenn, aut iter» lingonini, vel libra
taroncniìam parvocuin, (m flonnoa «urf, ant ducara» vcl anicat aan, leu iliam
monetam, fimindum communem arlbmad^ oem exprinacor, nifi porfoos przdidc
beneficia, qiuB luoc obtinueriat i aut in tjaibur» vel adquc fui eii compeiit»
juita ip&rum ohligarioiiei, aur tbaa diniitrere teneanrur : atioqmn entir
prs4itìjt film ullz. Jtfrfflt d UrS«»a > di mm» CanttlUris, tdi !» dtU l»
nifi» itUa Ca'ttl{nta fadUttutt d Imnoteniit V- Vulc RebuL ail Rubric. de
Aonatii in ‘ConcsrJam, Se feitn. ad caper Ad amnt S. no. 4. barn de Refiriptii.
(t) Ci) fifa tanpMiUi fer aiilìgar tbt 'MW rhanna fmdtrt dtUt frtvvi^ firn»
firn tan dtilt ffènm, frr apeararfi ad ttméfiM tatfttrat». Ch dirM diMfw ag^i
jutlSaikt» Vtfnv» di Tamr 'aai, il tfaaìa, tbitdtad» ad u» fa» amin dtl danat»,
ftt taaiftrart dtl fmatia, a$a di tafrir la fa» Qkitfa, ali fcrivrva is amajft
uraUa I Rogamuf, Se peiimus, ui alit^id de bcaevoiU, ac benefica liberaliate
vellra Dgbsinnc tiiU, quo plumbuin euumur, nonRomanutn» litd AdcUcuiii i
quoniani Anglico pluu^ teguntur Ecclefìz, mJimur Romano. Ztrjkan. Twmattafit ad
Valdtmxfam, ( ) le tatti i frnuipi Crifiiaai avtjfrra fatta U fitffa, ftata
iadart a dumjlrart fartialitm far ama dilli farti, ^mifta frifam, tha dm^
ria^attatamai, nan avfMa a»aj fatata darart tiaaaaata frttitaaa ; im f mik tU
fw fafi mtm tfartÙaaa afiiaati a Wrr £t\wiadm favata »> atiU, lù aaan.
Ciàfrhtdaaa pt u kttfn tfett» tht kaan» fradatta la liittfa di fttfPkU^ tht il
Ri di ka faHluatt t mnt HuMCCBtiiu Papa Legarnm fiiamEnCcopum CalnitfMn prò
(ùoGdio Camerz.» Scaedir CI poiellacMi^tMMoCmdi cam ClerìcU ad beneficia ninti,
vai Bnerura, ad dignitiiet, aot elTtcM» qux tniRut tanonicehaberenc» aur
fuifliant aJq^i, cum fructibua inde perrept». Enne ibi ciitm Saltarne, et
Bm'izDu ci, vocavjtque Io. pertror Icgatum, Se au Adde Paralipdincna rentoi
nemoè^ liuffl CtatoBìi Mylii an. ti7f. Se Chxoaictui Gmv ( naiu Mtttu ao. 1
3S0. gualche parte alla Camera : ma dovendo per tal caufa ufeire molto danaro
di Germania, Carlo IV. Imperadore H oppole, e proibì letiraF zione, dicendo che
bilo^nava riformare i coflnmi del Clero, non le borie. Tutte queièe confufìoni
crebbero maggiormente quando fi aggiunte il terzo Papa nel I407. al quale
tebbene ì Trancefì aderiTono, e rendettero ubbidienza, nondimeno tennero fermo
un editto del Re (t) fatto Tre anni innanzi, () con cui proibivano le
rìfervazioni, e altre dazioni della Corte, Hnchò da un Concilio Generale
legittimo foITe provveduto. Non era il Re molto capace del governo, ma Lodovico
Uuca d’ Orleans, che lo governava, era autore di tutti gli editti : perlochè,
occiio quello, (3) fu facile a Papa Giovanni XXIII. racquiflar l’autoritìi di
conferire i Benebzj in Francia, dando nominazione al Re, e alla Regina, e al
Delfino, (4) e alla Cala di Borgogna per tutti i loro Servitori ; valendoli poi
egli del rimanente. il che U Corte conlervò fino alla mone dì quel Re;
imperocché Carlo VII. Tuo Figliuolo, che gli fuccedecte, rinnovò gli editti,
(j) In Italia ancora furono fatte varie provvifioni da diverfi Stati
diverlamcme, le quali tutte tendevano a levare gii abufi. Teftifica BaU do, che
fino i fiolognefi fecero provvifioni benefiziali ; e in particolare ordinarono
che non folTcro conferite, lalvo che a’ nativi di quella Città, e fuo Contado;
nè i Papi erano molto Rimati all' ora; anzi, clfcndo Giovanni XXIlI. in Firenze
colla iua Corte, nacque certo uilordine nella collazione di un Benefizio,
perlochè quella Repubblica lo privò della podellk di conferir Benefizj nello
Stato per cinque an» ni. (i) In quelli tempi s' inventarono claufule
ineflricabili da metter nelle Bolle, come mettendo difTerenja tra le fupplichc
lottukiriiie per cmcejfnm, e quelle che fono lottofcritte ptr fita; ( 5 ) tra
le (pCf (lite con cla^fot. Mmh proprio « e le altre con cLnilula tmrtftrri, ( 6
) Ù 1 1 ^ V. tUnt 4» C 0 rÌi»Mfi, Cru tmrt dtp'éUri dmtt (• «ir» JtlU ftttrmuw
tht U CrMrt>» di hi» irdim mÌ ffrmfit di tr» fi»t» fmttM I» TrMmti». lt>
ÌlQ»rdm»t dtTmr), JkeM«nrtreI«, a«v re roAtemporine i, S Ètrri a 4 enfili»,
rUnivttfitk, rt» ftrmttttfftf» Jllrjf»»dr 0, d4 fftrr frt m»ff !$rt tf»j»»i
f»il» Ckirf» TtéiKiff, I U fmpflK» »« lU f» ftrtii dtir VbìvìtÌi» éili'tPfMtrr#
fT tmtt» l» dittsClHtl», •Utr»ttT0 M»' Mut» in » iti fierue d«'i}. Afd» 14- ».
ed i ryVft# nella CeafeTmta delie ardtaatetmi lei. I. tu. f. pert. ». fataf.i.
(il rtorc.inni, proDter uairiun akifitm • Ps ft loatmillBin in ronwrerkio unirp
Abb:nun &• um iB eoninr ditione, privavcrunt loannem ZXIIL Wpun, in «orun
civitaie tuoi dn;Mtati. pur«. fiate rAn^erervdi beiveficia io enrom dnioM fit»
ulque ad oumquennium. fdeUaeui i» aatii adSét maiat teaf»ltmm r«fa mette fiat
ut peiimr, ì, eàt fatila teatrdam fempre fualdet fratta, e feae feetefttitte dt
marna prep'ta del Papa cella prima Uttera dtl fa» aaata di iatttfim» fra la
fauhca, e le tlamfale i taddeve l'aitre ma» fame fettefeture, tkt dal metaiha
dtl Coocefiufi r«« fatfia fermata • CooceiTun ue petitur in pecientia Damini
noRri nap« taUa prima lettera dei fae aame, e del fna eefmeema fra la fapplua,
e le Àmafale ^ e CuAuffitn a late della tlaafmU talir dae lettere raatiali ile'
fmat aam • Vedi la rtfeia }- di CeaeilUria, 16 ) ratte furfie rndrjri#
rNW»ri«r#w fette II Pentifitatr de Rea tfatte IX. Rapa di Amm, e fetta faellt
di Stmtdut XtU. Pa*» d' Avìfmaat. Pe«c che (i migliore la condizione; dalle
quali invènzioni nafceva ch^ più Bolle erano impetrate fopra T ìflefTo
Benefìzio, e oltre alle maggiori annate pagate, nalccvano anche liti, che
bifognava poi trattare a Roma con benefìzio della Corte. Si aggiunfe il
cofHtuir un’altro licigantC) fe uno moriva, acciò col Tuo 6ne non foffe il fine
della lite; ma dalla morte di quello fi cavava un'altra annata, e la
continuazione della lite, la qual anche moltiplicando, furono trovate le
claufuIe:S'fiiteri : Si neutri : Si nulli ; per le quali fi dava anche il
Benefìzio ad un terzo, durante pure la lite tra i due primi : il che coftrinfe
i Principi, per levare le confufìoni, il difordine, e le liti tra i loro
fudditi, a ripigliare nel foro fecolare la cognizione del poflcflorio de*
Benefizi.- cola, che, (ebbene legittima, era fiata per connivenza de’Principi
levata da'Magifirati Secolari, e alTunta dal Foro Ecclefiafiico. (i) Dalle
provvifioni eh’ erano fatte da qualche Principe, per ritener il corfo delle
introduzioni nuove nella materia benefiziale ne’ loro Stati, pigliava la Corte
occafione di trovarne dell'aftre, xosi per fare gli fief(i eliciti lotto altri
preiefii, come per moltiplicare modi dove potevano; e con quelli lupplire a
quanto non fi poteva lare, dove era gilt provveduto. XL. « In qucfti tempi fi
trovarono le rifegnaziont, non le buone, e lodevoli, che quefte fono
antichiflìme; ma cene altre, delle quali il Mondo al prefente non fi loda. Non
fu mai lecito a chi era pofio in U14 carico Ecclefiafiico di lafciarlo di
propria autorith; ed era ben conveniente che chi s’era dedicato ad un lervizio,
e ne aveva ricevuta la mercede, ch’era il Benefizio, pcrlevcrafic fervendo:
nondimeno, (2) perche qualche legittima caufa poteva occorrere, per la quale
foffe ncceffàrio, o almeno utiliih pubblica, o privata, che alcuno fe ne
fpogliaflc, fu introdotto per cofiume, che fi pocchc con autorith del
Superiore, (3) per qualche caufa legittima, rinunziare.* e le caufe cheli
praticavano erano, fe per infermirh di mente, o di corpo, o vecchiezza, foffe
fatto inabile; (4) fe, per inimicizia d’uomini potenti nel luogo, non poteflè
fenza pericolo fare la refidenza. Quando la rinunzia era ricevuu dal Vefeovo,
il Benefizio era tenuto per vacante. XIII. ditt Csrlt M Htlim ntUt fui «»»»•
fmU'HUtl» fmtn l’émm» 1 40*. r»ntrm zmm* MIm fil.a. Se (1 ) I f0rlMmt»t»
difmrigi, tr»infari tt di Ctnfigliart Gnriei, malto mlU dimutmxjom* drlf
aHtortti Àt'Qiuàui £rrfr^Jfjrt. Icem Junldidio tecnporali» per rpirimalem non
debet impediti 1 &, u contralìat, Curiaprcìtni coDfuevit compellrre
fpirìtaslem ad reatovendum impedinicnn talia per captionem Ttue temporaliram.
Ita dinnm luit per Arteilum Co« ri« in l’irlantento anni i|tf. contra
Epifcopuoi Khemenlnii prò Capiralo di^EccleCs. Cup.apw pMuitl. filli Cane
farlsm. ( a ) Cari, fì nui vero ■ (l'an. li quii preibfter. Se Cau. E^ihrt>pani
f. an. 1, Ctn. Cleticut ai.qo.i.Can.Sannonun^o. dift. Et YvoUe. «or. ep. i I. (}) Vide rap. 4.
estri de renannsrione. ( 4 ) Vide cap. io. extra de rcauntutioac. So «€, (é) c 4 Collatore a cui apparteneva, Io
conferiva cogli ftcIG modi, come fc fofle vacato per morte, S'imrodufTc in
quefti tempi il riounziare, non per alcuna caufa urgente, ma folo ad effetto
che il Benefìzio fofle ccnferico ad uno nominato dal Rinunziante: (ò) e come a
cofa nuova convenne anche dar nome nuovo, e chiamarla : Rejignatio ad favorente
imperocché è fatta fòlo per favorir il Rifegnatario, acciocché abbia il
Benefizio : c bcns'i in liberà del Superiore ricever, 0 no, la rinunzia ma non
la può ricevere, fc non dando il Benefizio al nominato. Quello,‘ febben fu un
modo d’introdur fucceflìone ereditaria ne’Bcncfizj, c perciò dannolo alfOrdine
Ecclefiallico, riufci utile alla Corte, in quanto più frequentemente fi
conferiva il Benefizio, e ella ne riceveva maggiori annate. L’avarizia, e gli
altri affetti mondani infegnarono anche a molti d'impetrare, e ricevere
Benefiz;, non con animo di perfeverar in quelli, ma con penfiero di goderli
finché nc orrcneffero di migliori, ovvero finche mettcflcro a fegno qualche
dilegno di matrimonio, o d'altro genere di vita: o pur finché qualche fanciullo
pcrvenilfe all'etk, al quale ppi potcfTcro rinunziare :coia, che dagli uomini
pii non fu mai Icuiata; e fi tiene per comune opinione, che chiunque riceve un
Benefizio con diiegno di rinunziarlo, non pofla con buona cofeienza ricevere i
frutti : il che alcuni di più larga cofeienza non vogliono dire cos^
ecneralmenie di tutt^, ma di quelli foli che lo fanno con diiegno d'abbandonare
l'Ordine Chericate. Per le rinunzie ad fawrem riulccndonc emolumenti a chi le
riceve, la Corte, acciò il frutto fofle tutto Igo, proibì a’Vefeovi di ricevere
tali rinunzie, e riferfiò che il lolp Pontefice BLpmano le poieffe fare (l). £
perché molti Benefiziarii, quando fi fentivano vicini a morte, per tal via
rifacevano un lucceflore, fu ordinato per regola di Cancellerìa, che non
vaiefle la rinunzia fatta dal Beneficiato infermo a favore d’uno, le il
ripunziante non fopraviveva venti giorni dopo preflato il conlenlo. (r) XLI, In
quelli tempi pareva feemato il fonte delle obblazioni de’ Fedeli : pa mentre
durò U guerra in Terra Santa, e durò per qualche anno, mentre Zignooi, «cl
quu> ie indignua rehttamio judjcsVII, conatur altendcre, hoc fraterniraa nir
re^udeo, quia jullum eXl ui in judicio, quod de K judietvit, permaneat, 0c
fpoaUm quam rrpudiavit, rivcnie iratre qui ei leeitime ipcardittaiia eli,
adultemc nonprztumu. YvoCarnot.ep.iri. .Vide cap. ). ettr. de renuntiat. (t)
Bmlftmotu fulCamtmt jb, Apf*Mi, diti thf avtnd» W*« «»• Vtftrvt amu* nftfnart
il fmt l'rfttvat» ad ma fmt amira, V di’ Vtftavi »am valli aamuiiri la ma
rifiraa, ^7 pafft nadiifi i» latim», U^maU(itama jUtafim diri iffm di malia
tanfidrratiami. Tu autem dìcquod, etiamfi non ad Uun (i«oatum Eptfeopuj
Epitcopanlm traormilèrii, iéd ad aiteuum, idcmCTÌT • F.piicopM enitnaSyRodii
fiendecreium eft. Et ideo ctiom vita fun^i lile urhia Phihppi Me. iropoUtanui
itujiùtuu ^ lìiz Metropoli iiib bar cop diiiotic renoRtians, fi cju Occenoainin
nrtniPkilippi Metropolitaouin prò ie ipio iiiafta SyaodM comthiuerct, non
edeiaudinui Mtiadiiiquod, fi rciquai polì cleàMnrin ea Ecelefi* «edinbiM
acqeàrtt, non potrAdare, vel ed quo» volt tnnlinutere, inulto m^uEpilVopanun. VideCan. ja. Cotte.
Caribag.Se aj. Antioih.di Can. i,. Cwt.y.qn.) ( I ) ìteamda é Camamih, am
ifitadavi aditi, ehi il Vafa, tha fifa efimtari dalla fimimia ■ Ve' di la Ulàfa
ai taf. 4. racra de pa^i, verbo iUt 8c poAea inlra vinnti din, a die per iptun
reUfnamcm {n^vdandi (onknlut cocnpoiandoa, de tptii infima laie dcceflcTji, ac
ipium beneficrain coolìrrarur per relìgoertoneiB fic fadam, coILmio hapifinodi
nulla fil, iplumque brnrficiuni per obiiujn vacare ceofirrtur. Vidi Malia, ad hmnt tei. aa.h^ mentre vi fu fperanza,
per quella caufa mole' oro perveniva all’Ordine Ecclefiaftico; ma, perduta ogni
fperanza, fi fermarono le obblazioni ■' fu nondimeno prclo efempio da quell’
opera, e fu introdotto il dar rindulgcnze, remilHoni, e conceflioni a chi
porgelTe, e conrribuillè per qualche opera pia; c cotidianamente s’ idituivano
nuove opere per ciafeuna Citch, per le quali era data Indulgenza da Roma;
partorendo quello molto frutto all’Ordine Chericale, e alla Corte, che ne
partecipava ; e ciò tanto innanzi pafsò, che nel 1517- nacque in Germania la
novith che ciafeuno fa. ( 1 ) Papa Pio V. all’etli noflra provvide con una
codituzione, con cui annullò tutte l’ Indulgenze concede colla claufula delle
mani adjutrici, (a) cioè, con obbligo d’ofierir danari ; cola che non ha ancora
fermato il corfo di queda raccolu- Imperocché, febbene le Indulgenze ora fi
danno fenaa quella condizione, indimene nelle Chiefe fono mefie fuori le
cadette, e il popolo crede di non ottener il perdono, fe non offerifee. XLII.
Ma tornando a quedi anni della feifma, per quanto tocca all’acquiftar di nuovo
entrate, e beni dabili alle Chiefe, pareva che fède affatto perduta la
fperanza. Giò i Monaci non avevano più credito di fantith ; il fervore della
milizia facra era non folo intiepidito, ma edinto; i Frati mendicanti, che
tutti furono idituiti dopo il 1200. perciò avevano credito, perche s’erano
Ipogliati adatto della podeflò d’;acquidar dabili, e avevano fatto voto di
vivere di fole oblazioni, e limofine ; onde pareva che qui dovcilc icrmarfi
l’aumento de’ bòli dabili : Iti però trovata una buona via, la quale fu il
concedere per privilegio della Sede Appodolica a' Frati mendicanti il poter acquidare
dabili; il che per voto, e idituzione loto era proibito. Molte perfone loro
devote erano prontidime ad arricchirli; nè redava fe non il modo ; quello
trovato, lubiio i Conventi de’ Mendicanti furono in Italia, in Spagna, e in
altri Regni, fatti in breve tempo affai comodi di dabili : lolo i Francefi
s’oppolero alla novità, dicendo che Cccome erano entrati nel Regno con quelle
idituzioni di povertà, conveniva che con quelle perfeveralfero : nè mai lino al
prelénte hanno voluto permettere che at^uidino; ( 3 ) dove in alcuni altri
luoghi gli acquilli loro fono dati affai notabili, madime ne’ tempi dello
Icifma; quando tutto il rimandate dell’ Ordine Chericale era in poco credito.
Tomt II. L Fu le iì") Li frifmd ZMtm. (») Omne* fc Tinnlai induT^ntiu,
«tiamrer ftniM qu>HranufM Ko«um« Pootibc noAm, *c «um mm, fiib cHBMde
tenoribui, tc Satmis, ac cum cUuiuIii, tt decrtfU, ac ex ^mbaTm mia or.
{cnnOimia canfii, ctiaiR caufa radoi^ionis capti, xerem, 0c alùa qimnoiiolibct
coaceflaai prò qui. bai coofaqutadit laac purrigendu sdfmtri. ttt. Oc quu
quftuadi facatrarem qunmode libet coatiftcm.... auAarktit apoAoIka, teoert pr».
fauiium, ptrpcao rwocaimu, eairooos, irUTsinas, 6c aanulbuRM, ae vtribaa
facaàRHH. VII. Dtrtrif. tf. C|) fsrummtt di Parigi, Ì 4 ÌU fma St0ri* dei
Ctntilié dì Tmu », um previTM il dterH0 eh* jtrmttit MgCOrdini mnUh. tmati di
f*S*dwr h*m fmhtU, diend* eh *, tftmdpmi futi il netymti 1» Trsnei* t*m
mm'ikime» etmrmtit, wu trm etfm gimfl* iln** ^trU »l*rim*»t*i * td« ^mlU trm
mnmntfitii U Ctrl» di Btmm, per tirmrt m li i hni dt’fm» Urti im pi r t e ehì
fmtilm Ctrtt Imftim primtrmmiemtt mt^Mìfimr trtdu» «'frati raa fura vtit f**^t
di ftvrrtà, ^ li fà tnfdtrmr* emme ftrftni ebt Ma hm»m» «iru* ÌMttrtS», fmMmt
tmit» per rudi t fri, fa wd * fi ftwt ftmhiUii n etmtttt, tUm li mifimfm imi
Itrt vttt, per dtr Urt U mt~ dt d'mrrieet^fi. Vedi U Cmifernim deil* trdtnit^
Miti W. t. tif.j. pmrt.t. pmrmg.f. 8xFu levato lo fcifma nel Coacilio di
Coflanza, avendo uno de* Papi rinunziato, (i) ed eifendo (lati gli altri due
(a) privati; e nel 1417fu eletto in Concilio Martino V. (j) Speravano tutti che
dal Concilio, e dal Papa fofle polla regola a tanti difordini della materia
benehziale ; e di fatto il Concilio propofe al Papa gli articoli da riformar le
riferve, annate, grazie, afpetrative, commende, e collazioni : ma ddìderando il
nuovo Papa, e la Corte (4) di tornar a cala; ed eifendo anche rutti i Padri del
Concilio Aanchi, per la lungha a 0 enza dalle cafe loro, fu facilmente rimelTo
il trattar materia cosi ardua, e che ricercava tanto tempo, al futuro Concilio,
ch’era intimato per celebrarfi in Pavia cinque anni dopo : il che molfe i
Francefi a non voler alpettare nuovo Concilio; onde fu per arredo del
Parlamento ordinato che non fi predaife ubbidienza al Papa, fe prima non fofle
intimato, e accettato da lui Teditto regio, (5) che Jevava le riicrvazioni, e
ledrazioni de* danari perlochc, avendo Martino mandato Nunzio, per dar conto al
Re della lua elezione, rilpole il Re che l’avrebbe accettato con condizione che
i Beneflzj elettivi fofsero conferiti per elezione, e le riferve, e afpertative
levate. Il Papa fi contentò per all’ora; ma nel 1422», acquidati alcuni
deirUniverfitlt a fuo favore, tentò di far ricevere le rilervazioni con tutto
ciò non potè ottener rintcnto; anzi fu proceduto contra i luoi fautori con
prigione, (d) 11 Pontehee mite l’ interdetto in LionC, e il Parlamento ordinò
che noti folse Icrvato; (7) e durò la contela fino al 1424- quando il Re fi
compofe col Papa, che Sua Samii^ avelTe per legittime le collazioni fatte fino
all'ora, e per l’avvenire foflfero accettati tutti i iuoi comandamenti: ma il
Proccuratore, e Avvocato Generale con molti Signori fi oppofero airefecuzione;
e rapprelentato al Re il danno dei Regno, fecero andar in fumo l’accordo fatto
col Re In quedo mentre fi fece il Concilio di Pavia, (8) il quale, appena
principiato, fu trasferito a Siena, (p) e fpedito con gran celerità ; (10) non
eifendo data in elfo trattata cofa di momento, ma iolo data jperanza che nel
Concilio da celebrarfi indi a fette anni in Bafilea lì farebbe riformato il
tutto : nel line de'quali lette anni mori Martino, e lègul nel Pontificato
Eugenio IV. (11) lotto il quale nel Concilio ^filenfe J431. fu (12) fatta la
provvifìone tanto neceflaria, e tanto defìderau a* difordini della materia
benefiziale : furono CittMUiì XXIII. Jgf* tjfrr fili*, $ def* ijfrtii fi*t»
ftttmiuta fjT (») Crum* Xll> • Btntd*tt*^f^h l}) 0r«M CéUmm^ ert*t* éUS.M**’
tm*i • tntii fftf* fm*l a«mi ( 4 ) t'I * l» f"* CM* tfit é lm n t* t*tk» M
Ctluilt* f' m awif t 0 ft, m*m Itiftgrtii im* dimuHAia»» U. Il fm tkimf* *idi
la. Afttlt dtlV *•• w l4i>. 4 wr àmtM* irt sm* * miM.9*. O) D*l ttrmà d*Uj.
Wfdi UC*m ftnkt* étti* OrdiMSM**mi j (« ) JUrtr* dtU’ V»rvrrJj4t, 4)1. rono
proibite le rifervazioni, eccetto de' vacanti in Curia*, furono anche proibite
iafpettaiive, le annate, e tutte l'altre efaziont della Corte. 11 Pontefice,
vedendo che gli fi riUringevano la podell^, e le ricchezze, non potè
fopportarc; fi oppoiè al Concilio. Tentò prima di trasferirlo altrove, in luogo
dove potefTc maneggiare i Prelati: (i) il che, ripugnando e(Ti, non gli potò
riufeire, e palTarono molte contefe tra il Papa, c il Concilio; alle quali alla
giornata gli uomini pii, inrerponendofi, trovarono temperamento: finalmente cITcndo
il O)ncilio rilòluto di provvedere airellcrfioni de’ danari, e il Papa di
confervarc Tautoriik, e comoditi fua, vennero a rottura irreconciliabile. Il
Papa ( 2 ) annullò il Concilio; e il Concilio privò il Papa, e n* elelTe
un’altro*, (3) onde nacque feifma nella Chiefa. Fu accettato quel Concilio in
Francia, e in Germania*, e nel 143^. fu pubblicata in Francia la prammatica
tanto famofa, (4) per cui fi refiituirono reiezioni a’ Capitoli, e le
collazioni agli Ordinar) *, e fi proibirono le rifervaziont come nel Concilio
Baftlienfe. XLIV, In Italia quel Concilio non fu ricevuto, e tutti aderirono al
Papa., onde le rifervazioni prefero piede : anzi ciafeun Pontefice le rinnova
lenza difficoltk, e introduce ancora nuovi aggravj nella collazione benefiziale*,
nefiun de’ quali mai fi modera, fe non quando fi trova modo di fare lo (le 0 b
effetto per via piò facile. IntrodulTero Giulio II., e Leon X. le rifervazioni
mentali, che cos\ le chiamavano, e con un altro nome, rifervazioni in pecore *,
( 5 ) le quali non fi pubblicavano come le altre., nè fi facevano : fe non che,
vacando un Benefizio, fe T Ordinario lo conferiva, o alcuno andava per
impetrarlo, rifpondeva il Datario che il Papa l’aveva in fua mente rtfervato :
modo, che { 6 ) durò qualche anno, ma poi fi difusò, (7) perchè tornava
incomodo anche alla medefima Corre di Roma. ( 8 J Gli altri modi pa(Tar«no
tutti in eccenb *, imperocché circa le rilegnaziont in favorem gik introdotte,
e praticate, s* aggiunfe il rifegnare folo il titolo del Benefìzio, rifervando
a sé tuctTomo li. La i frutti Ut» vi fu m»i, dice MeiCrjy, tM ftrfttf fr» imi,
! i fmdu di putita SmntAjtmèUMi imftrmtrki, ft d*i Un tmmtt i fmdti ftttr$
ftmferr» tét vltvsm» f*r frtm* stU fmmmtmtà, fthntmd$ hrnmtMtt pttirémtttm Is,
tht 1 C*mciUt e ti { tfU ^rimtmtt Ritmai*, ftr farfi Frtmua, td abbamdn^ fmtt
il fm» trema, ftr tffer f»f* • f" aitila mill'aan» 1 43^ « ruamaftimra
dalia framtia, dall' Aitmaarma a dalia jiMQwr farle deli'Oftidemii fi»» aita
maiitd’£mSiate ( dafa la ifmale efemdeS nvaiti i friatìfi dalla farle di SuiaU
V., fm aUligat» fané tea frirkiere, fané tan mimane ad attaafemiiri mila
rtmmtaae della Cbiefa, tiamaajaad» al Pamtifiiaief li tht feti nel 1447. nel
Centiii» tb' ili tf^tjfameaie iratferita da BaSlaa alamfama aag'i Svttjari,
IXifa da ibe i Padri lanfermaraa» l'eiaAtMf di HiteaU fatta dma anni utaamii a
Rea» da'Cardtaali dal fartit* iT Smseait Amedea, eh» aveva fref» il marne di
Feiin V. f4) Mexerty U cbiaau tl rifar» dalla Cbiefa Gallitama. (O Ciri ternate
i* futa. (tf) Giavaaai Smarei., Veftava di Cambra ha fartiallt, fartamd» mel
Camelli» di Tremi» mtaraa alla rifirve mentali, U tbiamb fmrn \ a dift tba
fattUe fiata mnlta lafnart al Fafa U eaJlatiana di tatti i btaifiti, ì» vaeedi
faffartart eb'ishdiffe fatta ad mm ftmfirr» mtm rammairala, maa faiHirai», a
fatava fimfiaamte eredarfi aaa ejfrr veanta al Taf a, fa aa» defa la fmetefa
vmeaata. faaU fiar. dtl Carne, iti. t. tri La riferva fkrtat frtibit» dal
CtaeiUt di Trtat». Caf.t^ Itila Rifatma. feff'.%4, . {t) La faale davava
faffartart egmttlara» eaairarietà, U effafiaitm dalla farle ae’CalUtari erdiaai
). ì frutti d’efTo; il che in eHIicnza non era altro, fé non reflar padrone del
Benefizio appunto come prima che folTe rinunziato, ma colìituen' dofi loio un
lucceiFore, il quale folTe ben in nome di titolare innanzi la morte del
riminziante, ma in fatti non avdfe ragione alcun^.- c ao ciò il nuovo liiolare,
volendo raccoglier egli i frutti, e aflfegnarli al Kinunziantc, non fi potdfe
far padrone di qualche colà, fu aggiunto anche che a! Rinunziante non iole
foTero niervati tutti i frutti, ma ancora egli porelTc efìgerli con propria
autorità. Non reOava al Rilegnante altro che lo facelTe diHcrcnte dal total
padrone, le non che, le il Titolare folTc morto prima di lui, egli beni! relbva
con tutti i frutti del Benefizio, ma non poteva più crearli un fuccclTorc; c il
titolo poteva elTer dal Collatore dato a chi piaceva a lui che dopo la morte
del Rinunziante folfc liicceduto. Non mancò alla Corte ottimo rimedio anche per
quello, il quale fu il regreflb. (i) XLV» Ne’ tempi primi della Chiefa era un
fanto, e lodevol ufo, che chi era ordinato ad una Chicla, mai in lua vita non
iat eiava il carico, per aver Benefizio di maggior rendita, o di maggior {a)
onore : pareva a cialcuno aOai fare T uffizio fuo al meglio .* per ncccfUt^
alle volte il Superiore, che non aveva periona atta a qualche gran carico, ne
pigliava una occupata in altro minore, (*) e per ubbidienza U trasferiva al
maggiore: cola che poi fu per maggior comodo, ovvero utile, ricercata da
alcuni; onde la traslazione (a) inufitata fi fece ufitatijfima: e tanta era la
follecitudine di ciaicuno di crelcer in grado, che IpefTe volte, lafciato il
pofleduto, e impetratone un altro, riufccn .. do r impetrazione viziola, rdlava
privato d'ambidue ; il che cflèndo in conveniente, l’ufo ottenne che, fc
rimpctrazioue del fecondo luogo non poteva aver ritornafl'c lenza altro al
primo; (») c quello fi chiamava regrefio. À TTriUTitudlnc d1ci6tu inventato di
conceder al Rifegname una facoltà, che qualunque volta il Riiegnatario morilTe,
o rinunziaflè il titolo, egli poieffe lenza altro riiornar al benefizio
rilegnato, e con propria automi prender di nuovo la pofTcffione, e farlo luo,
come le mai favcirc rinunziato : e quando anche non avefic ricevuta la
pofTcffione priiiia deda rinunzia, (nei qual calo il regrcHo non può aver luogo
) potefle per accclTo, c ingrelTo ( 3 ) prender la poflcllionc fimilmeiuc di
propria autorità, lenza altro mini llero H) Intclkitmut, C.Caaonioo retereiK*,
ouoj tuoi tpiè L n (MilTeDt Eccldùiltta bcncEcù pernuj» r, ut taoieo
lii»p>icniti ve.tu tnbiunif, mandanuii a uaiciiu) coaUueiu prxiavium O.
uUier ‘uilfe eicf^unit amotu a prtebeiula Tua crtnLingUineo ipliua L. vei
qoijlibet alto illicito deientore, e-in ledicui &CUU1 eiticin. Cip. >.
ulta de tctiun perimit. (j) Cit^, eiur allei a. IcJ oicbie et propria^ ut ncc
iJp-ò che, quando fi faceffe che il Coadiutore anche fuccedeffc, ne nalccrebbc
maggior bene: prima egli farebbe più diligente, maneggiando cola che doveva
cfTcr fua; gli altri ramerebbero, e riputerebbero più come proprio, che come
alieno; onde fi fece il Coadiutore con futura fucceffione : cofa eh’ ebbe
difenfori, c oppugnatori. Si oppugnava con dire che ogni fuccelfione nel
Benefìzio Écclefiallico è dannabile; porge occafione di proccurar, o defìderar
la morte altrui. Si difendeva col celebre efempio di S. Agoflino, che da
Valerio, fuo antecefsore, fu fatto Coadiutore con futura fucceffione: il qual
efempio non ferve troppo bene, perchè S. Agoliino flefso poi lo biafimò, e non
volle imitarlo; e non fi vergognò di dire che da lui, e dall’Antecefsorc ciò fu
fatto per ignoranza. (^) Ma i tempi, de’ quali parliamo, non folo davano i
Coadiutori con futura fucceffione a’ Prelati, z altri che tengono amminiflrazionc;
ma ancora ne’ Benefizi fempHci, dove non vi è a chi ajutarfi, in maniera che il
Coadiutore reila col puro nome, e non vi e di reale, fe non la futura
fucceffione; ch'è la cola cosi abborrira da’ Canoni. ( Dsl Cémntit, C*uf.T- U
> H rjfw Vtf{» r fi tirdt tki CÀtdiMttfi m*M *r*i*«, ft ptrfém* fiiftndiMtt,
ttucr Ac Coc(4fro||'ut Joinnei. ab hoc, nt oectflkrù cumpeccaii «lirponeiuc
IÌKÌinJuufuut ..... vien«iue prclenti vobtt juiTioflc prsi ipimut Uf, lervsn
priuxi in loco KpttVopo mcBiutato revoren», quieti w» convenit inculpibilucr
cobi, bere, prbext» obcJientum ConlLtufo coDipccentnn, in nullo
dif)«fitionti)ui ejua rpiritu conninuci rrfulianteii immo commenti vq;ihtiti«
veihr (luJio c(uie prò EcclclMllifa utilitste gerencU Conflitumt- otonueric
adimplenin i ut, hit iia dirprrntia, At etmttttm vt^ìJ JfiftudÌA minifirtnimr.
Ac qujtcuinque in pixfaccfectdùe patruuonio, vel Si ufa de rebus ad cani
perrinenrtbut repeten.:» tunc necelTari* conipleaniur. i fermtifiMJM quMleht
vtllq s' Vtfltvt. di dlflt»»ri fHtfli C*»tmiér* ftt Ut» fqutfftriì t.
ntlPHlMìtt flA ^tAXiA n* AfutTA TértfitmA, Vidi tl \T. O.Ce».?. I. S.Vé»Un» dkt
Ut ttrmini ftrptaVt, firn fon» di C*Ad)mt»ris rr» aSat firandinat»* i Noa
auiein, da t»!i, ranmiu line icribitnm gratdbndvm, quod Epircnpatiim Augudinut
acceper», (èJ qiod Kanc Dei turato uirruerìt AfricaiiT rrcleuc, ut verbe
teleilu AiguRjni ore perciperenc, qui ad wiJortQi Ocunìniei muiient gramin ntvt
mtrt pro«ftu*, ita ronfecracos eJ>, uc non futeedem in Cacbeiri Ei'ilc'ipo^
léd actéderrc. Nam incolumi Valerio Hipponedit Ecrtefìr Coepitcoput Auguìhnus
cA.ep.s7. num. a. Ae Cin. t so. r. Si tifava in quelli tempi da qualunque
Benefiziano, che voleva farfi un fuccelTore indifferentemente, fecondo il
divcrfo gullo, o fare un Coadiutore con futura (ucccifione, o rilegnar in
favore di quello, rifervandoli i frutti, e con regreffo : ma peri quello era
rifervato al foto Pontefice, e per neffuna maniera conceffo ad altri Collatori.
In Germania il Concilio di Bafilea fu da alcun ricevuto, e da altri no; e per
ciò diverfamente erano intefe le caule benefiziali. Per provvedere alle
diverlitk, e diffenfioni, nel 1448. fu concordato tra Niccolò V. e Federigo
Imperadore in quella guila : (i) che i benefizj vacanti in Curia foffero
rilervati al Papa, e nel rimanente degli elettivi fi procedeffe per elezione
quanto a gli altri i vacanti, in lei mefi foffero del Papa, negli altri lei
foffero dillribuiti dagli ordinar] Collatori; aggiunto anche, che, fe il Papa
non aveffe in termine di tre inefi conferiti gli fpettanti a sè, ne cadeffe(z)
la collazione negli Ordinar]. Non fu per tutta Germania ricevuto il concordato;
e alcune Diocefi fino dal 1518. fervano il Concilio Balìlienfe, che annulla
tutte le riferve. Ma in prc^reffo di tempo anche chi ricevette il concordato
nel principio, reltò poi d'offervarlo, e G difendeva, dicendo che il concordato
non fu ricevuto generalmente, ed ha perduto il vigore per la diffuetudine in
maniera, che (non trattiamo di quelle Citth dove i Velcovi, e i Capitoli fi
fono divifi dalla Chiefa Romana) anche nelle Chicle, che rellano l'otto
l’ubbidienza, poco, o niente era olTervato. Clemente VII. nel 1534- fece una
leverà Bolla,- ma ebbe poco effetto : un’altra ne fece Gregorio Vili, nel fenza
miglior fuc ceffo. E»m» y»,ffj afart, farai d» gt.'efi* tr»r, fiver» jta
aaert,,n iaefki d,fi*au feiameif' dm puaate àt tammiae, e\i f^ij?dtti»i»lala re
mette f at» f.^e ti huge delia tén étdì^^^ tauame f t fartmm* tatii i Seiufiai
firmari, • gelati, thè ufedatfamte^temf» delia Irte f rum ae ifmelii ebt tem
ftema^ alte dignità ta I narrali, Artiefìfti^U, ed £fiftofali et» varan fi,
> tilt vae^rénat per i* 4 Vtr»*er«. Utile ciiefe ìdetr^alitaat, e CattrdraU,
aia feetette èm me diat umn it alla Sede Appidthea, i Mftdeaahri ebt vi f»»a
imnt.haiameate fe^tut, i' eUtitai fi faranae Uitrameste, e fai feraitanpet'
tate alla dell» sede, eUe Uiea^iemer», fe fataant i»itaicit. £ et' àù^jteri
tif,ie» fine lev»» diatameaie faggettì, ed altri Benifia.] ngrUri, ftt h guai*
nam fi fati! ruarrtre alla faataSede, gli Utili aa» branma aUligati avtmra a
Raau perita lrra.tamftrmat.iana, a prev9tfiame\ aUrp ditpigiiii' fii lentjin
ma» laderanni futa tafptuatne, nè» hinfit.f dilla Uanaebe mam efeati fati* l»
difpafium ma éa» Umfm « Qgaata arti ahrilantfit.) feealari, arnatarinaa
eamprefi niile uftrve effriffi di fefra, ma* imptdirtau eh* hitramemii aaa nt
fi» Caliatati ardinarl, fmaada vailùraiiHa ae'mtfi a» febbrai», ^rile, Gimgae,
Agafia, Qet^rt, at>ttimbri, t m*(i di Gaamapa, Mara.», idaeei», Lm» gtu,
btiitmbii, e Nnembre, faraana rifttbaii al fapa ; ma fe fmteedarà tba i aim^ai,
eba vatbm raaa» f» ^mefii mefi, man fiea» fiati tamfenti dal Vapa mi‘i**m*fi,
eamiaeiaada dal giama della va^ r«u« fepma atl larga del itaefitua, U
CallaKÌaai niaraarà, a ad igni altra al fma le fprttird la difpt'fieiomt. Ma
awd» gaefia ahima lameifìaitt aperta Fadna a malte Ini tbe aafervama di giara»
im gura» fra fatili elee UVapa avena ueirntdiuiimaaaet tl termnae ffirata di
tre mefi, e ameilitbeav»’ vaa» alienata la tallagdaae dagUOrdiaarf, ipimU teaftrivaaa
i bi»rjfz.t dal gura» im tm fpiravaaa 1 tre uefi, per ^r«vritir«
leprattvifieaitìeeelP*' pa pattfie aver fatte verfa 1 fiat del termaan Or^
garie X(ll. fiee ama fiali» m data del prema di Ha vtm br* ij6. tea tm iuftiarì
eie ìd Camtefieme di Papa Pftttal» V. aaa dava altmm Imàgf Oreiear), «> agli
altri Cellatari di difparrt forati i tre mefi de' beaefiat ama vetta teweprep
fette fmefià brttifa teneijiami ( m» attriti thè fn V awtnaire gutUì, tbe il
Papa avrà prevnednti di tfnrfit benefi».}, faranm» ttnmti a a fifaifitatelm
lira impetranene a'CelLiteri atti» fpazia di tre mefi, fimianaada dal riama
dtllav*eamKa fepnt» nr! h"« dtl lr-'f%ìT, o n p^nil.ttrln im fuiiffi
cefib. Nella Dieta di Ratisbona de! 1 ^ 94. il Cardinal Madruedo, fi) Legato di
Papa Clemente Vili, fece gran querimonie per nome del Papa fopra di quello; nè
apparve frutto. Al prefentc rella ridcfsa varietà 9 e confuftone. La Corte
Romana non ba^ le non due rimedj .uno per mezzo delie ConfelTioni de’Gefuiti, i
quali operano per termine di cofeienza che i Benefiziar) provveduti da gli
Ordinar) lì contentino di pigliare le Bolle da Roma; e alcuni lo fanno: l'altro
rimedio ufato dalla; Corte, ma ne’Benefiz) importanti, e con perfone in parte
dipendenti da loro, è, che, fatta una eiezione, o collazione centra il
concordato, la Corte l’ annulla, ma conferifee poi elìà il Benefizio alla
llcfia perfona : rimedio in altre occalioni ancora gi^ molto ulato; non perchè
giovi neiriHelTo tempo; ma perchè, fervando quelle Scritture, le ne vagliene poi
a’tempi feguenti, per mollrare che avelTcro ubbidienza, come tante altre
Decretali, che non ebbero effetto: lono però ne’ Libri Decfetali per lo ftelTo
difegno. XLVII. In Francia la prammatica > ebbe rigidi combatrimgpti da Pio
IL, (2) acquali s’oppolero collantemente il Clero Francele, c rUnivcrfii^ di
Parigi ; perlochè il Papa fi voltò al Re Luigi XI,, e gli mollrò comò era
dildicevole a lui che nel Tuo Regno fi lervalfero i Decreti del Concilio
Bafilienie, contra il quale egli, eflendo primogenito regio, (*) c partito dal
Padre per dilgulli, andò con arme, ricevuti danari da Papa Eugenio IV. per
dillurbar il Concilio: alle quali ragioni il Re Luigi nel 14Ò1. cefie, e rivocò
la prammatica: (3) ma feguendo oppofizioni deinjniverfitk, e rimollranze del
Parlamento, le quali ancora fi ritrovano, nelle quali rapprclcntavano al Re gli
aggravj del Regno, c deir Ordine Ecclellallico con conto fatto minutamente, che
in tre anni erano andati (4) per caule benefiziali a Roma 4. milioni dopo tre
anni la prammatica fu daU’illcilo Re rellituita. Se le oppofc poi Siilo IV- c
fece un concordato per diftruggcrla, il quale fi ritrova ancora; ma quello non
fu ricevuto, e la prammatica reftò. Innoccnzio Vili. Aicflindro VI., c. Giulio
II. fecero ogni sforzo, per levarlafg) nè mai poterono ottenerlo,. fi» nt mtdfm
Imfé di i di ihin*ndo mmlU, t di nimns frZM, t VMÌ*rt tuttt t* àifftjiùeni, •
frvvifiiti fsit dn'fnddetii CfUdttn dif» t»l fmUlitntjdnt ; t fej^ndtndn U
t«U*t»nt di tmtu i, ed mjftf s ftuii iCeildferi rht Mrdirdnned’infrsngere t*
fi»* duki*rdti»ni fin (he ne Minae thitfie ftrdene *11* f*at* Sede, ^tufi*
téli* di GrtftrU XIII. iimtjh* tbt $ taf* ertJenó femfrt di fétte annutUre j
Ceneerd*U, e [li Mitéimdamenti (he fanne te' trintifi. fer non f**mdé le
frtttmfitni dell» Carte di Atm*, (he fer fre^tSene, e ftt mm rertt temfe, fin
(he féff*»* ferviefi del lare diritta ta» intia it rym. (t > Zadewa, Nifete
di Crifitfera Madrnfria, C*rìn*lt yiftava di Trtnta, a fma fnettfiera tm
Viftevata. (!) Etti [Tidmv* gmirr*, gntrr*, iil({ue ad «• filloa. xLvm. (*)
toQuif**-’ 9 p«rtl(o dal Psdn per di%s. fti; it tha né* f* niente mt frefefite.
L'nmma 1461. »« [matta narft dat fma iUima. (4> ?a»Ulì. U [H*U fmtttfit *Ha,
mandi al ta Gìavanmi Gwfftdi ^ CmràirnaU, V^eave dAldi, fer fatili vtr^ara la
riveeauamt dilla prmnmatka. Ha faffatm [mefia ri^aaitna nelCaklUtta, [nefia
CardiaaU travi nel Parlamenta Giàvanni di S.Rammna, frattutatar lemaraU, thè vi
fece e^fitàaae-, e ntermata a tafa, PVmnerfità,tha pi nnifiti U fna affaUmmiana
al futura oÌM, t fai mudi m farla regihari maiCafitUeum Vtdi t'aediMag,tme di
Ladevka XI. dtl parmii^itf Srtttmdre >464. mtUa Cemfemza dilla OadpeanJnmi
bh.i. tit.f.far.i.farng.i. (S*) Imfiratfhi avevmma mm pamdigllmi limmei (belli
altri Prtarifi Criiiami, ad delia Stantia, mm femfafftra m far fttm ali,'
amteritd Pafata tam fimli frammatuht. Viir. Fiiulmente Leon X fece un
concordato col Re Francefco I. per cui fu annullata la prammatica, e fu lUtuito
che a’ Capitoli delle Chiefe Cattedrali, e Conventuali fofle affatto levau la
podeflk d'elegger il Vefcovo, e l’Abbate; ma, vacando ì Vefcovati, e le Badie,
il Re nominalTe perfona idonea, alla quale fofle dal Papa conferito il
Benefizio. Che il Pontefice Romano non potefle dar alpettative, nè far riferve
generali, o fpeziali ; ma che i Bcnefizj vacanti in quattro meli deU’anno
foflero conferiti dagli Ordinar] a' Graduaci delle Univerfirìi; e i vacami
negli altri otto mefi foflero da efli Ordinar] conferiti liberamente ; che
folamence ogni Papa nella Tua vita potefle aggravar qualunque Collatore
de’Benefiz], fe ne avefle a conferire tra io. e 50. a conferirne uno fecondo la
dirpofizione di fua S^tith e fe ne avefle 50. o più, a conferirne due : ( i ) e
febbene neU'accettare il concordato vi furono molte diffìcolth, e TUniverfith
appellò al futuro Concilio legittimo, vinfc nondimeno Tautorità, e utiliih del
Re Francefco; e il concordato fu pubblicato in Francia, e pollo in efecuzione.
(a) In maniera che, dappoiché canti Pontefici dal 107^. fino al 1150.
combatterono con fcomuniche d'infinite perfone, morte d’ innuraerabili, (3) per
levar a’ Principi il conferire i Vefcovati, e dare reiezione a’ Capitoli ; per
lo contrario Pio IL, e cinque de'fuoi Succeflbri (4) hanno combattuto, per
levar a’CapitoU di Francia l'elezione, e darla al Re; e finalmente Leon X. l'ha
ottenuto: cosi la mutazione degrinterefll porta feco mutazione, e contrarietà
di dottrina. Hanno llimato gli Specolativi la ragione di ciò eflere, perchè
l'efempio che il Vefeovo, e'I Clero conferilca, tiene viva la pratica, e
dottrina univerfaliflìma della Chiefa, contraria alla moderna : altri perchè
fia più facile levarla ancora d^e niMii d’ua Re, che fofle o di fpirito debole,
0 in bifogno del Pontefice, che da’Vefeovi, e dal Ocro. Il Re Francefco fece
molte leggi ancora, per regolare il poflèlTorio de Benefiz]; e il concordato fu
fervato da lui: ma dal Figliuolo Enrico IL quando fu in guerra con Papa Giulio
III. per caufa di Parma, fu interrotta l’cfecuzionc per qualche anno; (5)
imperocché nel i55 etere di Freéné, dice il medrlìmo ia un «Uro lu(^, le
Umverfiie, i Pérlememet, e tétte ie ptreme dsHtee vi fi tfpefi'e tem iémté tif
rèm^ééte, pretifietiemi, éffellét.'eéi el futmte Ceétilie. Tmttévié i« téfe e
ime eent fm éK^érèe di tedtre siFéMerìti mfeimte, e di telifitéte 4 tenteedàte
mel Fertééiemre. 1)1 Dm armerie VII. fime mi IheeeeniJe I V. ttei, rnelie
fimeee di deigmte mméi feme flèti fette tmfermderi feemmmùmti, tiei,
FétueW.Eérke V. Fedente I. FUiffe 1. Otteme IV. Fedetifell. e Cerrmde f, (4)
P4«I*II. SiJhlV. léMettMàJe Vili. AJ^mmdreVl. e Gmliell, il Dme* di Fmréem ere
ftifimee fette U frettfeeme deUm Ftétteim, fer fetet itfknierfi temtrm
Fhmptrmdere, fme fmettre, 4 fémlt Vetevm imfédremttfi di fwi Dmtete, teme mvev*
fette il Viettéà», Il fepm eite 4 Dmei e Reme, e fei l» dukimri riFnle, per mem
tftrvifi prtfenimte. Lléepermdert, U f»«« 4vrtr« nfveelìet» le fé, prife i» lè
le fmmfm rPii4, e'I EediTtméfirn fmèllé del Dite tentrm 4 Pepe, e F Impptpdere.
1550. il Re proibì che fi riccvcffe alcuna provvifione de’ Benefizi pjpa; e
comandò che tutti folTero conferiti dagli Ordinar},• ma, fatta la pace, il
tutto lì compofe, e tornò Tofiervanza del concordato. Ma nel 14Ò0. furono
tenuti gli Stati in Orleans nella minoriti di Carlo IX. dove furono regolate le
collazioni de' Benefizi, e levate molte delle cofe contenute nel Concordato.
(2) Succeffero le gran confufiom, e guerre nel Regno; e fu mandato il Cardinal
di Ferrara (3) Legato in Francia, il quale ottenne che fi foprafedefie nelle
Ordinazioni d’Orlc.ins, ( 4 ) con promeffa, che il Papa avrebbe provveduto efib
a gli abufi, per li quali le ordinazioni erano fatte : del che poi non fi fece
altro; onde al prefente il concordato refla : cosi fono paiTate le cofe in
Germania, ed m Francia. XLIX. Ma lo fiato d’Italia, che ultimamente abbiamo
deferitto, fi è mutato in gran parte, per la celebrazione del Concilio di
Trento, il quale fece molti decreti in quefia materia, per provvedere a gli
abufi fopraddetti che dominavano e febbene dal Tuo principio, che fu nel 1547.
incominciò ad attendere a quelle correzioni, e fece molti decreti, non furono
però polli in efecuzione, falvo che dopo il fine, che fu nel 15^3. perloche fi
può dire che tutte le provvifioni fi riferifeano a quello tempo. Fu intenzione
di quel Concilio rimediare a tre cofe : prima alla pluralità de'Benefizj;
Iccondo alla liicceflìone ereditaria; terzo all’ aflenza de’Benefiziati : c,
per proibire ogni pluralità, ordinò che uno, eziandio che fofle Cardinale, non
potelTe aver piò d'un Benefizio: e fe quello fofsc cosi tenue, che non ballafse
per le Ipefe del Benefiziato, potefse averne anche un altro, che folsc però
fenza cura d' anime.* (5) proibì le commende de'Benefizj di Curati advifam^ per
efser un.i coperta di farne aver due : (rf) ordinò ancora che i Monafieri per
l’avvenire non Tomo li. M folsc (i> dirns »*i fm$ eéifr», tktM*» fi» thr l*
ftmminiftrrnfft dmnmr» si ftr fsrmt l» gmtTTM m'frtsetfi; eh» enfrf,Mt». t*
fruhivM sjftlMtsme»» di f»rr»r »r», m* srM R»im», 9 m saslfifi» altr» lu»g« eh»
fifi» fini» l'mdhiduatm d*l P.tfs, ftf dtfpenf», • altre grai.it, fette pna di
t»mif{ai.ttni^ agL £ ) « ^aefit Stati il deputate del Cl»r» dìfie, eh' era
fiat» èfitmat», eh» ' Eeefia di Lmter» era mata meli» fitf» ann» dii
Ceuterdat». ig) tpfelii» fEfit della tafa de' Daehi di Ferrara, Ntpeet di Papa
^trfandreVl, (4) una delle guati prtthva di pagare le Aanate, e di mandare
danare altane a Rema per htnefiny, e per difptnf». (f) Quoouin muUi «,r-chiilct
( rr eii.ts obtiitenc, tog:^n(ur ott-oinu, quibuftuitique frimnibut, c t>uin
Icx u^nlium aimitrcre, A( line o.ltnlenuitic», ac in t)«iibu|ue iterfjnja,
ct^oi C d'àiKai-tu^ Inm-i'e rulKentiuu>. Invitm h.leit ^ ]n 04
Ì)«.‘«>^iilqaoque eum futura,i‘W^ 14 *. rd frimi thè ritmmriareH» m
r^veghart gii feriti la yreffitt fureae tÌMi D«mrr.iV4«i ifaruitali,
BarulemmeeCaraKia, e Drmnue Sete, i ijttali frexarema feritmcai» eia l'all.' g»
dt rtf diit è ór jure d vino. Ofi>iieHe tha il C.rediaal(jaetane, fariunate
DemmUaHe, aravi ftfirnuia aleam mani frinai la ^nalt fi dna eh' egh mHie ^uande
fi Vifteve, aeagieat thè a*» fi fa>t» atai a! fue f'.fravate. Nel teli"
li'tro della (iia Storia del Con. tilni egli dite (he i L>‘ati Jeif'e
lig-rre in mas lieagregatieee eea.rAle uà» fritte, aea fui i !*•dri tran»
fregali a riCfeudtre teli* fila f*fela ptirtt, q phter, fi fi éerfirarafe la
rf^ldtmjt,a de jiite ditiiia4 e fh'iffiade Jtarr raeedte U rati, 6(. f arena di
pia ex, de aea phtct. ij. di plj«jii' ii». llro, c >7, di non pia et, iw.t p
.us ccAt-ito SD.N. j' g.''n >7 dif’cr.ie-redt!. iT.ftr ^hA It ibe Ji’unr,
^avJH I* ai'L.i-atue'tt ce jjre devntef laJde-.t le i-, uja la l'.rvjw >a
turte, me w Hirettiari^-tai, ft il T,ifa fi ei-'teiiuva, £ ex-vfg-iaial ‘jae.e
d:!hax>eai •atrè afin metafifi'hr, le 1,t e le >j.nea lafiiava»* di
ferieggiar egii.ilrmeate bear il Pafa. (6) l'soto Giov.c», diceoto il (uo
pi-ere nel C««ipcFjff, »•»•« velia u, evale, teli « tVrew rr*e.’-J :'«•
vrei-'eae nJ-ferata teme mae ffmd- temtra il fafa, quandi eie avrffe tinti a
fti>vta, ftr rei,att leale delle lera atieai, e della ̻re D.tiriaa, emme
aveva fatta ma Arrivefiev* dii plana eeatra l'aele HI. th'tgh temeva aeelie thè
aitaat Vefeard aea xe'.iffiit tei favere del )U» Divinuni fetttarfi dall'
mhbtdientA del l'afa, da teu daiadevm Viemiaat della Chtefa, ma thè velevm aeae
dir lare (he ^mefie fartiit ma tfamf'V thè dareidiina 4*C*rat!, fer fitmelrre
ilgieg* l^iftefait 4 feribl, ejftade ì'ajlpri uamtdiatì, freUmdertLlmaa, thè U
late greggia fftUafie fih ad rfì, ehi al lere Veftevei endt fai la Oer4ri.«
atila i.htfa ira^nmerelrhe ta Aaattkia. Stcìia «.et ConciUo tmbe le parti
foflenuta lopinione con grande ardire. Lacofapafsò alle pratiche; onde dopa 14.
mefi fi comandò bensì la refidcnza, ma non fi dichiarò però quo jure il Curato
folTc obbligato : folo furono aggiunte pene a* non refidenti; (i) nel rimanente
furono le cote lafciate nello flato di prima. Quelli però che fi trovarono nel
Concilio, e hanno lafciate opere fpezialmence di Teologia, hanno foficntata la
refidcnza de jure Divlno^y pafiando tant’olrre, che raffermar il contrario l'hanno
Rimato un deludere la facra Scrittura, e la ragione Refia naturale, (a) c tutta
r Antichitk.’ ma, per non irritarli la Corte centra, hanno ritrovate delle
eccezioni, per le quali il Papa polTa farvi delle difpenfe. Delle rifervazioni,
punto principaliffimo, le quali erano crefeiu te fopra modo, il Concilio non
parlò, perchè toccavano la pnmria perfona del Papa; perlochè anche rcRarono,
anzi furono poi accrefeiure. (*) L. Pareva che con aver levate le unioni, e
commende etdvìtamy ì regrefiì, e le Coadjutorie, folfe in gran parte
provveduto, fe non al tutto, almeno a gran parte. 'Fu però trovato dubito un
rimedio, che non folo fece lo RelTo, anzi ne fece un maggiore de’ quattro
fuddetti ; e queRo fu la penfione. E’olTervazione delle perfone pie, che in
queRi tempi mai la Corte non fi lalciafie indurre che venifie annullato, e
corretto un abufo lucrolo, che non ne aveflc preparato un maggiore, e più utile
; ma in queRo è ben certo effere cosi : è però da fapere che non è cola folo di
queRi noRri tempi il metter penfione fopra i Benefiz); folo è nuovo il modo, e
la frequenza c propria de'noRri tempi. Quando i Beni EcclefiaRici erano in
comune, il nome fu inaudito; dopo fatti in Benefizj,- la Regola, o il Canone
praticato da tutti era, che i Benefizj fofTero interamente, e fenza diminuzione
conferiti. Dappoiché i Chetici diedero principio a litigare, quando U caufa era
dubbiofa, cedendo una parte fe ragioni (ue, le le concedeva una parte deir
entrate con nome di penfione: ( *) ancora di due Benefizj quando l’entrace non
erano uguali, fi rifarciva quello che lafciava il più ricco con una penfione*
(T) Apprefib ancora, quando alcuno hlegnava IJ* M 2 con rut a (KroCinàx Sywlt
meoee ahmo* trahancur. .. . Jalarat làcTolanàa SynoJua aannei Patrurchatibni,
PrinwiaUbua, Meirofoliunii. ac Catheinlibua Bcdcfì» che lenza caufa alcuna il
Papa può dare pendone lopra qualfivoglia benefizio a qualunque perfona che gli
pare*, e colui che riceve eziandio fenza caufa veruna, ma !per fola volontà del
Papa, in cofeienza è ficuro. Una volta fi teneva due benefìz) Curati*, uno in
titolo, l’altro in Commenda*, ovvero fi univano ad vitam*, e il Benefiziato era
co(fretto a ftipendiare chi ferviva in uno d' elh : al prefente il Benefiziato
fa dare a quello il titolo, e a sè la pendone ch'egli ne cava*, la qual cofa è
di maggior fuo vantaggiò*, perchè una volta era (oggetto a dar conto degli
errori che il fuo Softituto faceva, e aveva pur qualche ncceftìtb di penfarci
*, clic cosi niente ripofa fopra lui, e l'utilith è fifteffa. Similrnente chi
faceva un Coadiutore, 0 rinunziava con regrelTo, doveva aver qualche penderò
del bcncdzio di cui aveva parte*, e poteva tornare tutto fuo*, ma rinunziando,
rifervaiafi una pendone, refta libero d’ogni cura, d'ogni penderò*, e fe il
Rjfegnatario muore, o cede, a lui non importa, U quale la fua pendone Ubera, c
lenza faftidio. Ancora è molto piu utile aver pendone, che benefizio. Prima
molti Benefizi ricercano TOrdinc (acro, e l'ctb di poterlo ricevere; per la
pendone bafta la prima tonlura, e Teth di fette anni. Anzi le pendoni fi danno
a’ Laici* come per Tordìnario a’ Cavalieri di S. Pietro, iftituiti da Leone X.
c a quelli di S. Paolo iftìtuiti da Paolo in. a’CavaUeri Pii, iftituiti da Pio
IV. e a quelli di Loreto, iftituiti da Sifto V., i quali podono avere, chi
150., chi zoo. feudi di penfione; e a tutti quelli a’quaU vuoi darle il
Pontefice. De’ Benefizi, anche ne’ tempi che fe ne teneva più d’uno, vi era
fempre che dire : era necelTaria la difpenfa, che pur faceva fpcndere : con
tutto ciò i Dottori mettevano in dubbio, ;le chi 1 * aveva ottenuta era ficuro
in cofeienza. Delle pcnfioni fc ne poflbno avere fenza fcrupolo in ogni numero;
e non vi è penfione incompatibile. Si può dare la pendone con autorità di
trasferirla in un’altro a proprio beneplacito; cofa che non fi può fare ne’
Benefizi fenza paftare per li termini, e per le cerimonie delle rinunzie; c le
rinunzie non vagliono, fc non fopravvive il Rifegnatario zo. giorni: la pendone
fi può trasferire anche in punto di morte. Quello (•) vide C«p. ex parte it.
ex»*, de ofCcio )udkit ileSeg. et ibi FcJio. oiim. i.Felin. ad Cip. »d
audiemiam. num. i. extra de refenpe». (^) Vide RcbuC traó. de paciticu oudi.
mo. DuareD. de Bene&c. Itb. 6. top. 4. Coni (acerd. paraph. i. cap.,. num.
la. et Joau. Davean de penltooib. beuefic. psg. SI. Cap. per tu»i, «irra, de
doiuitonibux. (* ) Cap. ce multa, in fine. extra, de prsbeodu. DÙveun de renfiunib. p.l^.
Digitized by Google MATER. BENEFIC. 93
Quello che foprattuto importa è, che la penlione fi può ellingucre ; il che in
Italiano vuol dire farne pecunia numerata; e ogni contratto fatto nel Benefizio
fi reputa fimoniaco. Eftinguere la penfione non vuol dir altro, che ricever una
quantità di danari, per lilxrar il Benefiziarlo dal pagarla; la qual quantità
fi tafla per accordo, fecondo la maggiore, o minor età del Penfionario. Non vi
era gfa innanzi 1 * età nolira modo di fare d’ un Benefizio danari con un ti ;
ciò farebbe fiato con affefa infinita di Dio, e degli uomini: adelTo fi fa
lecitamente, lo ho un Benefizia di aoo. feudi; lo rinunzio ad Antonio,
rilervandomi una penfione di loo. la quale, immediate ricevuu, con 700. feudi
io efiinguo', ciò è la rinunzia', e così ho del mio Benefizio fatti doo. feudi
contanti lenza peccato. Sono alcuni poco penetranti, a' quali pare che quefto
circuito non fia rifieflb, come fe vendefli il mio Benefizio per 700. feudi ma
mofirano ben d’ avere groHb giudizio. Malte altre cole fono nelle quali i molto
piò comoda la penfione, come fi ulà adefib nelle unioni. Commende, Coadjutorie,
e regreflì. Alcuni, magnificando la comodità di far danari che il Papa ha per
li bifogni della Sede Appofiolica, dicano che, fe aprifle i regreflì, caverebbe
quanto voleflc; e mofirano di non intendere la materia benefiziale. Non avrebbe
per quefto quattrino.- i molto piò utile, e comoda la penfione perciò fu facile
efeguir il Concilio, perchi tornò anche comodo ; ma il levare le Commende
da'Monafierj, (2) che parimente il Concilio comandò, non è fiato pollo in
efecuzione fino al prelente ', (3) anzi molti, che erano in titolo, fono fiati
di nuovo commendati', non elTendofi trovato modo di farlo con comodo. La
penfione non può efser impofta da alcuno, falvo che dal Papa ; cofa di grande
emolumento alla Corte Romana. Quella mutazione ha fatto in Italia il Concilia
di Trento-, il quale, non avendo trattato delle nfeivazioni, ed eflendo quelle
anche crefeiute', e ogni giorno crefeendo, reftano bene cinque felli de’
Benefizj d’ Italia alla dilpofizione del Papa, con buona fperanza che il fedo
che rimane fia per compire l’intero. Per le regole di Cancelleria fono
rifervati al Papa tutti i Benefizj che fi rifervarono (*) Giovanni XXII. e
Benedetto XII.; e in appreflò fono rifervati tutti gli ottenuti da qualunque
perfona, efsendo Minifiro di Corte, febben dopo folte ulcito dell' Uffizio.
Sono ancora rifervati tutti i Patriarchati, Arcivelcovati, Vefeovati, e
Monafieri di uomini, eh’ eccedono il valore di dugento fiorini d’oro-, (») e
ancora tutti i Benefizi che fpettano alla collazione di chi fi fia, e vacano per
la ceflione, privazione, o morte del Collatore, finché il Succeflore avrà
pigliato pacifico poflelTo .- ancora le dignità maggiori dopo le Pontificali
nelle Chiefe Canedrali -, e le dignità principali nelle Chiefe Collegiate-, (ò)
i Prio (I ) In^trtffliì gufili, i jmì gli «frrrri^Mw, rt i» C*mmmd», fétrwuu
tffrrxi BM t >t* fDtrtiitmt ftTMÌrt, M Imfttsti. Or» i* pi» à» ttnt' »m»i i
dt'ytftivt, t dt’ i ftpTMttmttt im «vrvM* mtfi ì»tii j BtmtjUf iw i dm it
FstUmiMt di t»rigi h* ftw^é C»mmtad», tth im tln «m impidit§ di ricrvrrti,
»veff*rt «vari lid dmt, « tf» CtmmmdjttMr) i td (t) Ntt r»p.tt. d*lU rifttm*
dt'Rr*»ÌMfÌ d*lU i» tpuft^unt* fi trmtv» €b'tr»»» XXV. fitétt »tlU MMttMfdnu
dtU'srtuti* fritti »d tfftrt ta Ctamiad ». aattitdtiitt. (’*) Vidi l» R^ri» di,C»a€tUtria
d’IaimtwaJà ( 3 ) Jmftréttti la Ciati di Rama, fiacri f*ltù Riitla i. le i»
difiiaùaaì, di dhi^hinfa ibi fa ro; o perchè fieno partiti; o perchè il
Cardinale fia morto: ancora tutti i BeneBzj de’ Collettori, e Sottocollettori;
tutti i Benefìzj de’ Cortigiani Romani che muojono in viaggio, quando la Corte
cammina; lutti i Benefizi dc’Camerieri, Curfori .* (a) olirà tatti quelli
Benefìzj, che comprendono tutti i principali, e una gran parte degli altri, It
riferva il Pontefice tutti i Benefìzj di qualunque lotta che vacano in otto
meli (h) dclfanno, lafciandone a gli altri quattro raefi folamente; e ciò
quanto a gli altri Benefìzj non nominati di fopra * Oltre a quelli ancora lòno
rilérvati per Collituzione di Papa Pio V. tutti i Benefizi vacanti per caufa
d’erefia (i), o per confidenza ; (2) c tutti quelli che non faranno conferiti
fecondo il decreto del Concilio di (3) Trento. Chi metterà infieme tutte quelle
rifervazioni, [ritroverà che almeno cinque felli fono del Papa, e un fello di
tutti gli altri Collalori inlìeme. Per render le lodi a chi fono debite, non è
da tralafciarc la diligenza ufata da’ Pontefici Romani, per non lafciare che i
Vefeovi, e altri Collatori de’fienefìzj, delfero luogo ad alcun abufo. Mai non
hanno permeflò loro il poter unire Benefìzj aà vham\ nè parimente il
commendarne ad vitam : non hanno permelTo che potefièro difpenfare fopra la
pluralità degl’incompatibili; nè concedere regrelli, o Coadjutoric con futura
luccelfìone : e ufando l’ ideffa diligenza adelTo, non concedono che pollano
imporre penfione, eziandio minima, fopra il Benefìzio : medefimamente non
ammettono che poflano ricevere le ril'egnazioni ad favorem : anzi ancho nel
ricevere le rifegnazioni aflblute, che (ono date antichildmamence nella Chiefa
ufate. Papa Pio V. nel 1508. (a) Rigti» ••‘t».. (*) 9. (t)Omma Se iln^U
beneiUia Eecl«(uftici. rum (Ora, et due tura, recularit, te qunnimvit Or(Ìmum,
ctiam S. J niiraln ma)ore$, rulia, prioratus, pi», potininr, prcpofiunti,
dignitites, euam ronvennMJo, vef oiHcia eciam ciaullralia. ac hafpttaha, le pr
jcceptorLc, ordiiuuioni ScdilpeaiàuoQiAOllrjr, At lèdU Apoftui. bac perpetuo
valicari(on0ituttone. audontaie apojtolica. tennre prarientium, reierramut s
Dcclsranrei emnet Ac quafeamque impeCTitior.et de beneikiii, quomodocumque
quabiic&m, in iumrutn iàcieudas Ac obnneiidat, beneli(ia buiufinodi,
propier iurreiltn vacaniia, At in fufurtim vatitura. non eomprcheodere, niiì
fpeeiaii. ter vacuionu mndui propter crmxn hsrelìt exprciTui fueric. Oteretul.
iet,?. rir.ii. )U Ctfittut**»* ) dii mtft di (a> Ad siires noftru perventt
ut nonnuliiaon vereanrur. .. . beneficia CècuUria, Ac regularia in cMijUrnMD».
qaam liinonuciin pravitaccm fapere ignorant. accepure. Ac retinere. Nm ne •
burnì,,vel potila deiiAum tupiftnodt ukenui pr ny Jiawi, ceUrì mneJio pfoviJere
ro!eafrt $ ptooinunnn omnium cognkioi>nn oubiii Ai SueccfToribu» nnAra Rom.
Pontificibut refervaDtef, omnn Ac iijiguJa r««>tdrfirijr«M bafulKiodìcauùs.
per no» (ùmmarie. limplkiter. Ac de plano ad«tiendat. toguofcendis, decidendai.
Ac totaiiter eaequendas, ad noi avocamuii decifìoniqucAc termifutinni per boi
ftipcr illts fiactendx lUndum, accjutei'cendum, Ac odidÌdo porenduen et
obedientium tbre. lUtuiinui, Ac otaiinamii. DKfit.7-tit. IO. cap.io. rj) Noe,
ad quorum nonriara pervenir, noonnJlof ex venrr. Irarribui aoilrii,
ArchiepiCcopis. Al F-pircoptt. oceurrenre racatione paroebialUuta Ectletianim.
«s ouljo, aut djiaui rite (ervato. cxtmine, prcl'eniui lUÓ qood per coacurfoin
fieri debet, CI OmciJio Trideitrifto. veUuam riceter^ veto, neribnii ininui
dicnii. camilititis. aut ahum liuirunx palTìonif a^*'tuni. non rationiiiu.
deciunt fequente», cuniitUAct volcntei bujurmodi^ flc rtiam iunuii periculU
octurrere. auOoritate apofiolita, tenore orgifcniium. emnet Ac fingulai collaxtonct,
proviuonct, inlliiunonei. Ac quafva dirpofitioneti parochieliam Ecclefiaram ab
eirdem Epifcupii, Ac Archtcptlcopis, acquibufirìseliKCoU iuurilma, prarter, Àc
contra iurnum ab eodem Concilio Tndemino ptjrkriptsm, iaOai, aat infiiturum
fiictcnilaa, Bullai. irnrM, ac nulliua robori» {ore. Ac ei)«, dcternimut. Se
detUramui. ealqiie crRines fix cecantn nortri;, Se Sedia Apc^ flohee dilpo^inni
rctcrvaiuua. ì^idm re.a 15^8. proibì fotto gnviflìme pene a tutti gli Ordinar;,
che, ricevuta la rilegua d*uu Benefizio, non potefTero conferirlo ad alcun
confanguineo, alfine, o familiare del Rilegnanre* avvertendo che nè con parole,
nè con cenni, o altri fegni folle loro dimoArata altra perfona a cui il
Rifcgname defideralTe che foffe fatta la collazione del Benefìzio. LI. Si
afferma coftantementc da tutti i Canon irti, c Cafifli, che ogni patto in
materia benefiziaic è firooniaco, rjuando fu fatto fenza participazione del
Papa; ma con Tuo conlenfo ogni cola lìa legittima; avendo per coffame quella
univcrlale propufizione, cioè: il Papa in materia benefiziale non può
commettere fimonia*, la quale non ai troppo buona edificazione al mondo*,
Icbbene i più modelli Canonìffi la limitano, diffinguendo effere alcuna Iona di
Emonia proibirà per legge divina, c altra per legge umana*, aggiungendo che il
Pontefice è elente folo dal commettere la fimonia proibita per legge umana ( 2
) ma con tutto ciò inciampano nelle medcfime difficoltà*, perchè quello che non
è male di lua natura, nè proibito da Dio, non merita quello nome*, ed è fuperduo
far una legge umana, per non offervarU*, e chi mirerà Tinterno, c non fi farà
prcielio colle parole, vedrà che tutto è proibito da Dio.* c certamente non fi
può dire che in quella parte, di tenere gli altri Vefeovi in Uffizio, il
Pontefice abbia mancato*, cd è (lata grazia divina molto grande fatta
a'Pontefici, che abbiano potuto tener fincero da fimonia il rimanente UeiU
Chiela ^ Icbhcnc nofv hanno potuto Rendere quello bene a sè meciefimi, nè alU
loro Corte: c le un giorno, come vi è Ipcranza, ( 3) entrerà penfiero in alcun
buon Pontefice di riformare la Corte, larà cola facilillima il farlo, col Iole
ricevere anche per sè quelle leggi che fono date agli altri Velicovi*, c
potremmo afpettare in breve una coA utile nformazionc, quando f adii, azione
non la tencP'e lontana, col metter innanzi a’PonccDci, che, effeado eglino in
pofleffo, almeno in lulia, c in altri pochi luoghi, di non dar loggetti a
regola alcuna, non è bene che le ne privino, e facciano quello pregiudìzio alla
Sede AppoRolica; eh* è il contrario appun (O Cav«»nr tpire>'{ii, ìtecmjue
o«tin« tffSam, PrxreiiMìgrci. Oc Ì*jirr CKiin.t, ne ip!ì bpfcoi'i, aut
aUiCollatoce», de bcscfiuis, Se o;1iui« te^fnanJiv, sut fui», aurjdmtnentium
enpUn^ineu, eilìmbat, vel fiUDÌlianbu», etùm per lillà. em riminum
inuliiphrata» rum in eztrsneof cullatifìnum, auCcnt providete ..i(iijne,
camdiu.fiili'cnfi remaiteant, dvMX *e*tii(liofle:n K(Hn.roDtittrit»U ì tn'dMim
dii 4' itfriUlfòt, ( ») ) Is dtìUCUf» ptlrMfi rum p-idem 4. vetb», llltcns,
e*»ni de pacrt, U i figiit* d.t tulli gi$ orr4XfM««i.Kt d$ F«ia.3(l eap.ea
patte t». lum. 1. extra, de oC fino jaditi» dckg'ti. mini mn, td n fami marra
ni Stimdi t Mibi Mufkiu» CruLilìzu» cA, MjiiJo, Gm Ut. m't. 14) tmfrriffht Im
Carli di Kimm kt 0JÌiHt» ptr faad.imrmtmU, iln il mm i il hdriu, na fjUmtmie il
Drffitmiii dt'.l'uHlirih tÀ Pnt-,ftm’i, ! lU im tinfi;"t’>t.i mam fmì,
•Ittiimminti, me vilidmmmte ttdirmi ftr ^mmlf^ TUgiimt virmm diruti. àppunto
d^Ia dottrina profdTata dagli antichi Santi Pontefici, e Dottori. Ma dalie cofe
di lopra dette è molto ben chiaro, fé il Pontefice Romano abbia pieniflima
autorìtk fopra i beni, e fìeneifizj EcclefiaUici^ ficchè non fu (oggetto ad
alcuna regola nel maneggiarli; imperocché, procedendo con ragione, fe la Chiefa
di ciafcun luogo è padrona debeni che poiTede, perchè il dominio è fiato
trasferito in lei da chi nera padrone, prima colla permifllone del Principe, il
quale colla legge le ha concedo T acquifiare; refia che i beni medefimt debbano
edere nel governo, e nella aiuminifirazione di quelli che lono deputati a tal
carico, prima fecondo la difpofìzione della legge; poi lecondo le condizioni
che hanno preferitto il Donatore, e Tefiatore, anteriore padrone; e finalmente
lecondo che la Chiela, latta padrona, ha concedo; non però contrariando alla
difpofìzione di quelli da* quali ella ha cauia .* e quefio è tanto chiaro, ed
evidente, che non può edere medb in dubbio, fe non da chi o non ha lenlo
comune; ovvero nel trattare, e parlare, non fegua quello che interiormente
fente. I Cherici fono fatti amminifiraiori di quefii beni per leggi che hanno
concedo a'CoHegj Criftiani il poter acquifiare fiabili; e per lì tefiamenri, e
per le donazioni di quelli che hanno lafciati i beni loro ; e per 1’ autorità
che la Chiefa ha data ad efli Cherici ne* Canoni: adunque cfli fono .obbligati
a governare, e dilpenlare que*beni fecondo le leggi, dilpofìzioni, donazioni, e
dìlpofìzioni tefiamentarie, e fecondo i Canoni; e quello, che in contrario
fofle fatto, non fi può chiamare, le non ingiufiizia, ingiuria, e ufurpazione.
Dicono i Canonifit, che il Papa fopra i beni, e Benefizi Ecclefiafiici ha
pienifiima autorità, ficchè può congiungerli, fminuirli, iltituime de' nuovi,
darli ad ttutum^ conferirli innanzi che vachino, impor loro « fervitù,
gravezza, e penfioni; (i) e univerfalmente che nelle cofe be nefiziati la
volontà del Papa è in luogo di ragione. Non balla quefio, ma* aggiungono che il
Papa può permutare in altre opere Ì ( 2 ) legati ài pitts Càufes ’ e *pnC)
*kcorBr« le dtfpofizioni de' Tc datori, applicando ad altro quello eh’ elfi
avranno ordinato ad un o(>era pia : e non (i può negare cW quefia fia la
pratica che ha mutato tutto il governo, c tutti grifiituti vecchi: ma refia
lempre in dubbio chi faccia male, e (e errino gli Antichi, o i Moderni, le pure
vi cade dubbio. Martino Navarro con alcuni de'Canonifii piò moderati limita
quefia propofizione, che il Papa po0*a commutare T ultime volontà, rifirìngen
dolo, «•« tìft, $ 4»l t ft mtr*»t Jitt iW « Tfli iti* tht il Tuf* «»■ i, tk* il
{fi* natmraU ) ibi dà ttt» \»Urt. fi ri» fruKtfU tifftitfélirf, 1 rè* U tiMiim
ì mmm r*m th* ftr uffmm» fU vi diu»»* MfféimtAMnn rutmfiM *t difftifsrtrt ^ bc-
ÌMa»* AVtf$ mt»» d' f«tikìn*» cletuliK''rum bonoruoì, dit'nli, fjrÌMnd» dr y*-
vt b», fe »»» U \ emaft il rni, fr* i ^mslt ttmfmdt tl \mfm mtdefmt, dm ifutfiA
Itfgt, ^tund» e%h aUia mwolw dt f*r» iuQt dir['cnÌs(Oiei. tei prof unrores.. ..
aJ té. O^a, ftttnd» S Pé»l«, i Xliaifiri di (Jtii Cr S» fatnreni autem
rcuuifkur bona iù'e,.. .. «m hsmM aUia AmmnAifiTAx»«i*4, f* mtm ^mAl ite. ATt 7
Or4 lA Umiià, f ad DUtuni. *«« Qfitfruru, Àit» tà ftf. qu In Ec clcfinnun mm.
44. Eim de ConiUcuctnmb. nipecht benc6cioriuii (U poteftu Pipar, mn reljpeftu
bonoram ip6ruin ficdefiinun tecni. Unire non PO smttrs fìi èà$$, 4* €Ui k*
uittt im, fhi mm nvr«M« «A tuaA tmnt tu mìl* lei», « fr'mn. u, ft Rj fU ftgtu
tmfrriti r DitUtmrmmimé ì'h» U#*» tk* mmi ni dtlU t^im* tk(f.z ni Ji fmitim tkt
hm mUmmémmrm, fff d*Bt»t,Ìx.ii * fht f'» fh mkn m$ uff. dt U4t ds Im si CtUsnu
m mm ^cu» dt fkfktff». i,t ( 4 % l.Csmn^, mm ttmttmti di dmrt e pmfm •t*s ftfr»
tutti fUUmmm, t'ìmn ^ M* sfU Amitit. Vtdi Ftitmt u quell’ autorith, qual’è la
cagione per cui i fuoi Antcccflori di mille, e piò anni, non l'hanno mai
efcrcitata; nè alcun antico Dottore, nè Concilio, nè Storico, nè Padre, nè
Canone, ne ha pur fàtta menzione? Non fi può attribuir ciò all’ elfervi più
bifogno adelTo, che in quei tempi, imperocché ne’fecoli che pacarono dall’Soo-
fino al Iioo. per 30a anni i difordini furono cosi grandi per tutta Europa,
che, in comparazione di quelli, i prcfenti Ibno tollerabili; e pure neffun
Pontefice dintromife m^am daU’altre Chiefe, eli quali avevano tanto bifogno d’
rifere governati. E ancora dappoicHt i n cuml i icim ii w i Papi ad
intrometterfi in qualche parte, ncfluno prcfe mai, fino a Clemente IV., cosi
ampia,' e alToluta podefili anzi lo fielTo Clemente non ha direttamente
pubblicata tanta podefiì; ma trattando altro, e quaC incidentemente.- (*) modo,
che non fuole far intera pruova, poiché le cofe incidentemente dette in un
modo, diretumente confiderate, ed efaminate, bene ipelTo fono in altra maniera
efpreffe. Nè meno fi può dire che ^uefi’ autoritk ferva a bene; imperocché per
quello pare che fieno fiati introdotti quali mtti gli abul!. Di qua fono venute
le Commende, le penfioni, i regrelfi, le unioni, le rifegnazioni, le
afpettative, le riferya I* tb* bmmtt9 imfitmt tutti iS*MÌ. Ma^eftì dù‘ tflt,
ittàQritw Hfipa. (]utfn S*nA»nun. ftr vuétn (•fru fin «fmtd*t» Im prttmfitintht
iu.it fufut éiijiltt UPudmt» ài tuttu • terr», l*fiir*UC«mm$ittMrmà'Ìm u ef m
*M IV. ftfrm il Cuf t. kitn de voto, devoti rodempt.iM umtjl» ftttnfimt i ii
mfi tm fmfmtmt» du Ftfmuuiu K»« futi libai. Cdotromf. iUHA.ctp.hi. « àuGfttJ»
tut }. d$i fu» Mire iibcrum. («) Tibi date, dira O'aii- Cnjfc a S, Fittr»,
tUves regni csloruni i Et quodcunvjtie ligaveni tHper cctnsi, ern liganiai et
in c«lu. Maer.ié. ($•1*. Quorum rcmlfentu peccata « ramituiiiar all et quonitn
minuerina, menta lóm. Jaamd ao. ^tr U citavi dtt Eejor dt'CitIfa imtiadtrt a $
^trrrr, eia mn gh dà fl mammut pmnfduàam ffiritmala, attafa ria il fa* Wagaa i
C amamtt ffirttmak. Regnum memn non «A d« Mniido. Juan. 1 1. ti tata luipta MWi
è MtitpCH ralc. C*) ArtiraUta. gmaft.ì. (*) Vedi Partitala jf. r taDHratata di
tt malta ammatautai. lifervazioni, le annate, i quindennj, e altri modi, che
nelTuno difende, fe non il'cufàndolì colla corruttela generale de’ tempi. Reità
ancora una terza dubitazione non meno confìderabile in quC' ita materia, ed è,
che di quella autorità cosi aifoluca, dappoiché i Pontefici hanno principiato a
valcrfene, i Regni CriHiani Tempre ft Tono doluti, e loro hanno fatta qualche
oppofizione, come nella Storia di Topra fì è narrato; ficchè i Pontefici lono
(lati necelTitati a moderarli. £ la moderazione non è fiata condeTcendendo elll
a laTciare d’eTcrcitare l'autorità prctelà, ma per modo di tranlazione, ufaro
nelle raVioni non chiare; concordando co’ Regni, e per forma di contratto rk
ìolvendo fino a che termine la podeflli loro fi flendeire : cola che non s
aVrebbe potuta fare in pregiudizio de’Succeflbri, quando foflfe nel Pontificato
oueU’aurorit^ cosi lil^ra. Papa Leone X., per levare la prammatica,» il
concordato*, e cos'l egli fleiro Io chiama nella Bolla. Non concorda chi (i) ha
una pienilTima autorità, ma tratta co’Sudditi come Superiore, e per modo di
conceflìone. Non To forza fulla voce, ma Topra tutta la cola ftelTa. Non Iblo
Leone la dimanda Concordia y (a) ma dice ancora ; Iliant veri contraHuSy
Ù" obligaeìonis inter Nos, et Seder» Apojiolicam pradidant ex unoy Ò"
prefatam Regem ex altera partibus legirime initi- Dimanderà alcuno che ciò fia
dichiarato; Eflendo il Pontificato Romano in differenza col Regno di Francia,
pretendendo il Pontefice d’avere affoluta autorità Topra i Benefizj, per rifcrvarfcgli
&c., e pretendendo il Regno, che l'autorità ila de’ loro Prelati, foraiano
due parti litiganti; e per impor fine alla controverfia, fanno un contratto
legittimo di obbligazione, con cui dichiarano qual debba efTere 1’ autorità
dell' una, e quale dell’ altra: come potrà dir alcuno che la pretenfione del
Pontefice fia legittima, e chiara? Non pofTo dire di Taper riipondere ad alcuna
di quelle difficoltà; e rimetto al giudizio de’Savj, fe vi fia qualche
riljpofia: dirò bens^ che, lervando quello che per più di mille anni è flato
lervato, che i beni Ecclefiallici fieno amminiflrati in ciateuna Diocefi
da’Mintflri proprj, fi fugge ogni difficoltà; e Te gli elempj ci debbono
iflruire, laranno meglio, e più fruttuoTamentc diTpenlaci, che ora non Tono.
Nelle tre QuiTlioni (*) prime fi è trattato de' fondi, e beni ftabili
Ecclcfiaftici : ora rcfla la quarta, dove fegue il trattare de’ frutti, o delle
rendite, ed entrate di quelli. 1 Santi Padri, che hanno Icritto innanzi la
divifione de’ beni in quattro parti, tutti concordemente hanno detto, ì beni
Ecclcfiaftici efler beni de’ poveri; c il Miniftro Ecclefiaftico non aver altro
potere in quelli, falvo che di governarli, c diTpenlarli fecondo i biiogni di
quelli; dichiarando non Tolo per ladri, ma anche per lagrileghi quei Miniftri
che fc ne vaìeirero per altri ufi, fuori della loro iilituzione. Non
maneggiavano tutti gli Ecclefiallici i beT omo II- N z ni ; c (t> > ftfft
M guita la divifione, S. Gregorio, che fu poco piu di 100. anni dopo, e S.
Bernardo, che fu quali mille anni dopo, efclamano gravilTimamente centra quelli
che fpcndono in mali ufi l’entrate de’ Benefìzi, come con. tra perfone
ufurpatrict de'beni comuni, e uccifori de'poveri,i quali dovrebbero eflcr
follcntati da quelli, {a) Cosi fcriflero tutti i Dottori fino al 1250., quando
s'incominciarono a trattare le cofe piò fotcilmente: e tenendo per cofa ferma,
come da tutti i Vecchi era fiato detto, ch’era peccato IpendcTC malamente
quello che fopra vanza al moderato bifogno del Chcrico, fu ricercato fe i
Benefiziaci, non fpendendo negli ufi debiti quello che fopra il bifogno loro
avanza, pecchino folapiente come chi fpcnde male il fuo, o pure fe anche, oltra
il peccato, fieno obbligati alla refiituzione, come chi malamente confuma quel
d’altri: le efii fono padroni de'frutti de’Benefìzj, o, come le leggi dicono,
ulufruttuarj, quantunque pecchino mal amminifirando, però non fanno ingiufiizia
contra alcuno, nè fono tenuti a rifarcirc alcuno, poiché non hanno mal
governato quel d’altri, ma il loro propria ma fe elfi fono dilpeufatori con
fola podefik di ricevere i loro bìiogni, che la legge chiama ufuarj, (^) quando
non «U^mioao.rettamente, refiano con ' obbli. ( I ) ijfraia U Ctitf* iivntut»
riee» ìm CafitsUi ut fffradB i t i Vtfttvi dijtraiti ialU r«r4 dtlSt ttft f»
•rimato dal CaBùlia Caittdantnft, ih* i Vtfttvi ifiitmjtr» a2t*nam», faniò tura
dtllt rndiit dtUt laro Ckieft. Quomiin, diet in noBouli» Bccleiiii Eplfcopi
abfque Occonora» tnéUfiT rn EtddladKU, pltcuit ooinctn Ecc(«Jìitn Epiftopum
habeotem «x propjio CJero Of. conomum qut!eo ret cius liilfipemur. Se ptubruin,
ac dedetuf Cucrdotio iniiramr: fi ameni hoc non fecerit, eom diviob niam
Cononibua fiibiict. VideCan.ii*CnnctU Nit^ni u GU £ù traat thiamati
VicediMnini, tono* fi vtdf dat Caaoiù Volonuii a. et Diaconum J. difi. *9. i
^uali ftnt tavati da $. Grtftria. KircdxMMi dt'nftovi, duo la V*rromiama, fi
thiamavaaa tmt Stgmari è ituali tra»» Vftar) it'Vtfttvt ntUa ttmftraluà àPlara
V^tavan, M Sknari dtll» ttrra. l*; Vide Nooiocan. rhotti, tit. la cap. i. 8t
ibi fialzamon. (a) 0» thiama^afi il CWijò if'Prrti, r do' Dlatami. Tatti
iFafari p fartavaao a f» C*f>' Uri», affiuilt} fU ijAmmaHf, t fei m jaeifit
la [ma Ttlavtnt allaÌ,»afTr^aiMa* giatraU, tUì, a tutta la dt'Ftdtli. ( 4 )
Cuoi BOSf diti S.Gr»i»ri» A4, j. dtUa faa fafi. amm. aa. neced'arU
indif^niib”'intnillraiMut, luailUireddiimu, jui'(jirqucp«iiitdd>itum, quatu
miièriciRdÙE opta, implemot. Cm^ 94-:.^* mai dtaaté il ntdrimtnt» afmri, nei
rrmdiam.* Ura tà dt Uro, i facriama fia tifi» ma' tptra di pmfiitia, fhr ma
aftra di «i^r«riÌ4 ■ Perciò dietro Cantore dice rbc i Stmefiuau a*» [anma lata
Uatefima, frfiamda lor» afifimta, arttfótbi rii ehi donamo »«a > di Itr», ma
di Gita Crifi», il rmi fstrimamta aoamiffian» im 9 « 4 netur Epifcopui duan nuanai
ad miniu diftrìbaere ia pau[ unomembro. fciijcer, Clero, a uli coaununiq^, quia
jaai tubet propnas pr» bendat loro fux poninnii, reminem bona epifio« palla
cooimunta reliquia trtbua tu, quod p;itiperitma remaneat debita quaru portio,
de Eecldùeitbricc fimiliier lua quatta pórttn. Camamat. a. a. }«. ilf. art, 7.
ia raff. ad qaafitanam l. Sì aurem, aU'tgii mila ttf^a alla fttanda faifi.
redirua Epifeopi untureti, ut rationabilitcr amareat quod non quali prebenda
fibi refpondetr, led quia pater di paupenim, iRÌnit ranta bona lux funi fi. dei
romnimt, ut diflribuenda ..... ita quod £pi« (icopui taiU male dirpenfaiu, de
illi od quot hxe perveniunt, teivei^tur ad reilituuonem orni urnil. In^m f)ti«
puuicnbut, vcl Ectlefij* dcbemur.R*. tiotubiie lUtem videtur quud, fi
abuitdanter redi, tut ex eccl«nafiici( dRÌm», aut poflcfitonibuiroR. ftant,
«ommilla line Erilcopii, ut pitribut pauperum.... PofleSìoaei aurem lepre,
aatdonatx Ec. clcfix caibedfìtU in ranu abundanria, proculoubio tTcdendum eli
quoti ut patri piupermn Epifcopo treditx fiiDcideo enim Epilcop» datx funr,
quia occutara fide perlpjciebiiiif eoi effit pitres uupe. (*) Neepum, dit’tfli,
propterea quod Papa ha. bet picnitudincm oorellatit Ecclefiaftir*, ^boe poflit
de bonia Ecclefix dirpqnerej quoniam plenitudo potcHatit Ecciefiailica;
intelliKìmr in ^frinii, libi» uiitum .... Unde ita tcnentur ad reniiutio. nem
qui a Papa bona Ectlefix fra lihita fafa ha. buerunt, ut ditcotur, exaltennir,
de magnifircn. cur, Cià tarea fUramaatt il Iftfatifmta, ataadaama faraaalaatata
la Dattriaa dt'Qaaanifii, i ^mati dira» uà eha il Fafa fai dart i Bemfit) ad
nurum, « a. fu. a. dUa tba papa p«c. rat monaliter, fi vult rei Eeclefialticas
confiimere in turpe* ufiu, vel dare Contàniuineii, ut eoa dìvttes prz aliit vel
ut ipfi con&nuoc p Io erodo che lenza una Cottile difputazione fi poITano
risolvere tutti I dubbj occorrenti in quclU materia: e primieramente, per
parlar a parte di quell’ entrate che per li teflamenti, o altre loro originarie
iHituzioni lòno dedicate, e ordinate a qualche opera pia, io credo che fieno
cosi obbligate a quella, che lo appropriarle a sè, o ad altri ufi mondani, po0a
efier chiamato liberamente ufurpazione di quel di altri : e Ce alcuno
de'Bcncfiziati Ecclefiallici refia di efeguire le ifiituzioni delle quali ha
cura, applicando a sè, o ad altri quell’entrare, non credo che pofTa Cotto
pretelle " t,• di non elTcr in pari grado ad a se quello eh’ è laCciato
dal il quale non ingannerà sè Ilei altro canto il debito vuole, che chi è
Cervito paghi la mercede all’opcraio, il quale polla fame quello che a lui
piace : nè può efler dubbio, che il Cantore, l' Organica, e altri uli che
fervono la Chiefa» non fieno padroni della mercede che perciò hanno. Non è
incovenientc dire che anche i Preti, c altri Chcrici, per li fcrvizj che
preflano alla ChieCa, debbano avere la loro mercede, della quale fieno padroni:
e quando un Benefizio e ifiiruito con un particolar obbligo di lervirc in
determinata coCa alla ChieCa, come fono molti Canonicati, manfionarie, ( 4 )
Prebende Teologali, e altri tali Benefiz;, non è inconveniente dire che fia
mercede di quell’ opera. Sono cos^ antichi i Benefiz), ch’è perduta la memoria
della loro ifiituzione; e però non fi fa, Ce aveitero obbligo alcuno, ovvero
no: ma anche l’uomo di coCcienza Car^ ben certificato, quando confiderei^ la
quantità dell’ entrate, e il fcrvizio ch’egli prefta alla ChieCa; perchè, le
quelli due fi bilanciano, può credere che il Benefizio fia un luo faJ.irio; ma
Ce l’entrate avanzano di molto, non potrà mai in sè ftcITo fingerfi cosi
lemplice, che creda tante entrate cllergli fiate Ufc late per fame quello che
vuole; c non Cappia clCer nccclfario che riftituzione portalfe Veco qoftlche
obbligo; non elTcndo veriCimile che per lui lolo tanto folTe aflcgnaio. (è) La
conirovcrfla tra ì Donori; ch’è difficile, dilputando in univerfale, da
riColvcrc; è faciliflìma, e Cenza difficoltà, dilcendendo a particolari; c la
coCcienza, a chi non l’ha per propria malizia foffogata, (i) fui panicolare
rilolvc facilmente tutte le difficoltà ; (e) imperocché Dio non ha lafciato
incertezza ad alcuno che voglia camminare fecondo i luoÌ conundamcnci. (d) ì di
quaiiivogua icuia, o colia, ictiiam ogni elecutore di tefiamento che applica
Tefiatore ad altri : e reputo che ogn uno, [fo. avrà per collante quella
verità. Dall LUI. (f ) Minfjonjnu», Ourfrit HtlU fus imttr}t*t*u*m* it'nmn
titiffimpin, difilli tft orti». * (onterraior acdium EccUfiiftkanim, te»pl^
inni, «c »lf«riuin. l«»n. et domeftì tu» • mtnfinne. Hodi* in nmltii Etflcnis
Mwnt. curitnquf pÉilmodi*, fi «luriuBi hsbene OmJil r»fi*m$[liM m»ii» *1. )
Iniqua, iùt il cHn In decima nm in novo TdUuicRto, fi ultra hooorabilc
fiipcndiiun MiniArorum Dei, fuica lenun aEAaeflón uni depueirerur cam ditnno
rotiiu populi. aifiae patri poupcnim CMMwu.a.a. «mr. M uff. »d ». (* ) Ck' >
(!• tkt S. rirtmfft l vrnra nrrtMjmjfiun, ventoiem Dei in injulUiin detinent.
X*». i (e) Intcllcfiai ben» ocnnibui fi^ientibui eum. Pu.tio. (d> Deui «nim
iUit nuniieiUTÌc IUin.i. LUI. Quanto a gli acquifti nuovi, ogni perfona prudente
avrebbe penfa. io che foflero al fine, ovvero almeno che poco più, e aflai
lentamente fi potelic acquiftare. I Cherici, i Monaci, e le Milizie non hanno
più petfona che porti loro divozione: i Mendicanti, che gii hanno avuta
facoltli di acquiftare, non poflbno fperare d'efeguirla dove non 1 ’ hanno
potato fare fin ora; e dove hanno acquiftato, fe infieme non hanno perduta la
divozione, poflbno fMrar ancora qualche aumento, ma molto leggiero : quegli
altri, che fi fono fatti deludere dal privilegio che il Concilio di Trento ha
conceffo a tutti, dell’acquiftare, come 1 Cappuccini, coniérvano la buona
opinione per caufa della loro povertà: laonde, fubito che mutaflèro in minima
parte il loro iftituto, non acquifterebbeto ftabili, e perderebbero le limole.
Adunque pare ebe non redi modo d’andar più innanzi. Chi vorrà iftimir Ordine
con facoìtb di acquiftare, non avri credito: chi lo fari con vera mendicità,
non può fperar acquifto, durante quella; nè 'credito, fe la muterà. Ma con
tutto ciò non è mancato anche modo proprio, e fingolare al noftro fecolo, c non
inferiore a tutti i paflàti; e quefto è fiato l'Iftitutp de’ Gefuiti, il quale,
profeflando una miftura di poverrà, e di abbondanza, colla poverrà acquUla il
credito, e la divozione ; .,e ha 1 altra mano capace di pofledere, la quale
riceve quello che la Compagnia acquifta. Hanno iftituite le Cafe Profefle (l)
con proibizione di poter poffedere ftabili; ma i Collegi con facoltà di
acquiftare, e pofledere. (z) Dicono, e bene, che neflun governo femplice nel
mondo è perfetto, ma che la miftura è utile ad ogni cofa: che lo flato di
poverrà Evangelica pigliato da' Mendicanti ha quello mancamento, che npn fi
pof-. fimo reggere con quello, fe non i giù incamminati il numero ' de quali
non può effer grande : ma effi ne’ Collegi ricevono, e iftruiicono la Gioventù,
e la rendono atta, dopo 1’ acquifto delle virtù, a vivere nella poverrà
Vangelica ; pcrlochè U poverrà è bene lo (copo, e il fine loro effenziale, ma
accidentalmente ricevono le pofleflloni : con tutto ciò è meglio fermare la
credulitì fopra quello che Q ve. de in effetto, che iopra quanto lì predica in
parole. Sino al prefente fcrivono elfi d’ aver Cafe Profefle zi. c Collegi zpj.
dalla proporzione del qual numero ogn' uno potrb conchiudere, quello che ila
loro effenziale, e accidentale. Certo è che gli acquifti fatti da loro fono
grandilfimi, e che camminano ancora verfb l'aumento. Siccome il temporale
tutto’, che la Chiefa poflede, viene da limofiae, e obblazioni de’ Fedeli, cosi
parimente la fàbbrica dell’antico San• tuaiìo ( I ) NtlU fmali U Cm» JUmit. ttm
éiktv* uG*mtrMlL*ì»*t. (s) Ifmdt fim$i ÌmàM% f«t «MMfwr* wutti fmdmm. l'htM
tgtrvm fw MttUtmtélmtntt, tStt. tJuU ùdiév» mkt» i Gtfmùi, * e*mt imt»
Vtmftrmtk'i un ftn» «Mi jf«ri »m*ti Vmnxi»t $ (tm ft (In il Urt IHttut,, fi»
autmfmtkiìt etti MUMM. t f» MM itìU firn ftrti r»timù ìIh »U*ii il Ehi* 0 #M«
mI C*ritM»l Jì Git)^0j il yiMr fMteitsv» il Ur» r 'utrm» um «M ttetfiv» frtmmrs
mtir»m»* 1607. « (à eh* U b* fti ffirit*, « dtfitfni. mtMt di tkt fi \»»U I» mm
G«v#pm, vt tute* fs tmief!, *d etti imftrt» per etrt» editai di Stmto, eii* i
Ireti, i twtuif i ftfUi tuario nel vecchio Tellainento fu fatta di UmoGne, e di
obblazioni. All'ora quando fu offerto dal popolo quanto ballava, e tuttavia le
obblazioni continuavano, i Ibpraflanti alla fabbrica ebbero ricorfo a Mosè,
dicendo : il popolo porta troppo per raperà che il Signore ha comandato.- e
Mosd fece un bando, che neffuno faccffe pià offerta al Santuario, perchè era
flato offerta quanto ballava, e di piùtonde (d) fi vede che Iddio non vuole il
fuperduo nel fuo Tempio; e fe nel Tellamenco vecchio, ch'era mondano, non volle
tutto per li fuoi Minillri, meno lo vuole nel nuovo. Ma dove hanno da terminare
quelli acquilli’ Quando s'ha da dire tra noi; il popolo ha offerto più di
quello che balla è Alf ora che i Minillri del Tempio erano la 13. pane del
popolo avevano la decima, e non era lecito di paffare 1 (r) adefe lo, che non
fono la centefima, hanno forfè più della quarta pane. Non è conveniente che
Taumento de' beni Eccfefiallici fia inlìiiito, e lìa ridotto tutto il Mopdo ad
effere afiìttuaie. Le leggi umane tra'Crillia. ni non hanno determinata la
quantità de'beni ad alcuna, perchè chi oggi acquilla, dimani aliena : £' molto
Cngolare uno flato perpetuo di perfone che fempre polfono acquillare fenza mai
poter alienare. ( i ) A'Leviti nel Vecchio Tellamento erano date le decime,
perchè erano l'eredità di Dio; (d) e per ciò era proibito loro aver altra
parte; (e) cofa, che conviene a chi vuol valerli de' privilegi loto,
pigliandoli tutti, e non quel fo|o che conviene al proprio profitto, (a) LIV. I
E' flato abbondantemente detto come fieno flati aoquillati i beni Ecclefiallici
a chi foffe commeffa là loro cura; e come foffero difpenfati. Non fi è parlato
niente di quello che £ faceffe, quando alla morte del Benefiziano fi ritrovano
alcuni de' frutti non ancora difpoili, fe egli per tellamenco ne difponeva, 0
fe «è inttfttn pafiàvano in altre -. petto. $ 4vvitif(tn» vhs lUtntiét, t BiW f
rsmtM. (») Obt^tfnint meme prnffip*tffnu «qtte devota firimitÌA» Domino, ad
facie^idum ofui ial>er. fàacuh ««ftimaiiit t ^ntcquel «id raltom neteditttim
«rat «tri cun nialieribiif pr»buctrMa M mifmrs eh* il Ckr* fm\ KtddCsni fui
Traicaco della Politica di Trao» eia. id) Ariff, dir* Di* ad Arem, da hù tfuar
ànttiàuumir, ét oblau iunt Dotruno .... Ooioia obiniio, et ehi, dk'e^li, m
mtdtjumt f*mt U trntft r utm, • U tmm nZlirÀ. It>l. emmf.tm. fw.i. con
fiJcnuQ, lènza che vi folTe alcun ordine, o legge che ci& concedcfTe ; ma
fempic con qualche mormorio, cosi degli eredi del Prete morto, come anche delle
altre perfone, per le lèvere eftorTioni che ^cevano i Collettori, e
$otiocollettori, i quali mettevano in conio di fpo^tie eziandio gli ornamenti
delle Cbiefe, c davano molta molellia a gli eredi, anche fopra i beni
acquillati con induftria, ocavati dal patrimonio; tentando di farli apparire
come cavati da’ Bene6 zj; e io dubbio di qual qualità foflcro, fentenziando che
apparteneffero alla Camera; e travagliando chi loro fi o^oneva con Icomuniche,
e cenfure. In Francia l’ulb aveva introdotto che le fpoglie de’Vefcovi, e degli
Abbati lì applicalTero al Papa : ma nell’ anno 1385. (*) Carlo VI. Iq proibì,
ordinando che gli eredi fuccedcflèro, cosi in eflè, come ne’ beni patrimoniali
> ( i J In molte Regioni fa l’ ufo introdotto, e continuato lino a quello
lècolo ; quando per 1 ’ eUorfìoni de’ Collettori crebbe cosi la querimonia di
molti, che alcuni ebbero ardire di opporfi apertamente, e negate che le fpoglie
de’ Chetici morti toccaflèro alla Camera del Papa : Perlochi nel 1341. Paolo
III. fu il ^rìmo che fopra quella maceria fece qpa Bolla, dicendo che alcum
curìoli, ( a ) per ufurparfi 1 ; ragioni della Camera Appollolica, e
defraudarla, mettevano in dubbio fe i beni de’ Prelati, e di alme perfone
Ecclelìadiche, chiamati, Sfoglie, appartengano alla Camera, per non eRèrvi
alcuna Coflituzione Appollolica che glieli applichi : febben dall’ aver mandati
Collettori in diverli luoghi apparifee chiaramente cOcro fiata mente della Sede
Appollolica di rìfervarli, e appropriarli alla fua Camera : per tanto dichiara,
e ordina, e collituilce, che alla Camera Pontincia ( 3 ^ appartengano le 1 ^
glie é. Otltitt.. Ó.) OrJùisuétu > riftriis »IU iifiaf fart. ).
luI.farlun'.TH. ar. tdm fittifm tlU t «»• fkMms, ft't ih^riu fmtln «• Jl éU4
Jtll* iJltrSni, $ d*lf4 tfif^fertsàUì rW TMifutmtt. ^od iptcwnabik, et
irrauopabilc exiftit, Ikci deiure.ufa, Accoofuetu.dine, Ac rommunt obrervantia
notorie obferritii. £piln>pÌ5 re^i noftri teftari iicest, Ae in IbU
reftamentu ft^utore» ordinarv i qnt prediAi ex*cutorv*> kìtrm ipforuen
EpidujB (afiu ereniunt, per iudicei i Ac ntEriarioi noilroe cocBpelluBiur, A(
cocnpelli conl^aeruat. Et cam ita Est, zdiÉc», le poJTclKonea didonim
adiEcieoim Epiftopaliiun in Qain non dcloniu pennanebuat onni ruins carvnen.
Anatm. bboc> ^un Bpifeopum in recno noltro ab lufc migrare contingir,
Cotleaaroi, sut ^bet^ledoret uumni Pontiiina tn provinciù, quibui iub&Qt
hujnfiaodi Epiiropt, ipuiu fiimmt Ponriiitie auAonute, bona moWia, tnmobtlit,
«x ^ceiTu talium ^iftoponun relìAa, ctiain illaoiij«r fuiot induQrum quaiìeraK
• que aoipliiu ipfbnim EpiEopo un ncquecanfeanir, iéd ad (boa bereder, aiu
comcn «aecutota rpcàaói, capiunt. Notum i|itur kcimut, Acc. Km i ^rfi titt»
emrùfitm, *mmuU fi Lt « fart fM frntnpmi trttfivaf Carta di Sjms à* prattft
tamta taft, rie fimsimtnta ì fimta tmtfisna dma»darU U rrrU. X# imtrapTifa da*
«pi kmmffaffa ftfimui trimaipi « pmdar Taratj, r %U UanNor datti m fmndat la
ptaaa, far liufiifitart l'armi. Cuoi a aonnuUir nimìum curìofìs, qui |u*•-
OmiiiM Apafiilw uiiarpara, ac Caineium pr«fiuam illta detraudare vdleni, in
dubiom reniga, tur, an rei. Ac bona, nur-ntpata. Prelatorum, catcraronqoe
perióoarum Erclefiadica’ucu, iècuIariiLm, Ac rcgularìum, Mmpore obhua iptò-,
rum rananentia, ex to quod Rom. Pontifici, Ac Camere prsteu rciervaii fore,
aliqoa gencraJi i^ftolica cooftituriooc fbrfin non caveatur, a4 Camcnin predi
Aam jure Iwititno tMftare Aeperlinerc debétne. Noi, età wu evidcatcr conibrc Ac
appareat, prsdetsBonun noftronim Romao, ponnneum, Ac nollram indubiaro
intentionem Ac voljtuatem faaper fuifle, ut haidaKiiti aa diebun Camerarn
CpeAnreocAc ^rrinereiK, Acquod prò eadem Camera eiigcrcntur, Ac mqperaikm cur,
mai Pnrrdeeenbm pnciiii divcrCa difiortim fpolioruu, ut ad Csmerapt rpcAanrìum
Ac pertincimuin, Coltedom, Ac Exa&orci in variu pròvincili Ac loctt
depataverint Ac rooiiituerinc, Ae noe depatavertmut Ac conlbnierinuis t ac
(ftnper de tlUs diài PrndeceiTotei per picrai'que liter», lantnam de rebua
adCanMram pemneoribut, dc^ naoM, vel craoilgendodifMAieriu, Ac noe
di^ofaerioiga..,. dubrua huiolinodi enucleare, ac ia pt« que qatlitat», de
ejaamitam exiftentu, aciaqnibufrii regionibui, de regnii, ae doenìniù, uni
citta, quain oltra montei, de maria coadQeotia^ per quotTÙ Clericet, tam
(ècatarei, qoatn tega, larei, dee. ex negonaiioae tlticita, aut aliai contra
(icrot caooaei quomodoiibetacquifìta, ad eamdem CaiDcram, de non aliot, etom 10
quiboC vis CathedraJibiu, etiam Metropolicanif, de Collegiitit, ac aliii
EetleGit, Monaftcriii, holpitaliboi, itvìIkì», dee. racceflbret fpeAare, ac fób
no. mine rpeliorum veaire, ii!sqae oti ff^s ad Cameram pertinentia, perpetuo
eolligi potuiffè, poC (tf oc debarc. tft vtm. 1560. iM. taf. mltim. o8 do, e
pagato quanto fi h convenuto, ogguno dice che del rimanente fia aflbluto, e lo
poflà lecitamente tener come fuo, perchè il Papa è, come fi è detto, o padrone,
o amminiflratore univeifale e quello chiamano compo^ colla Camera Appoilolica :
il che viene anche llefo molto ampiamente, ficchè quelli che o fanno in
cofcienza, o dubittno almeno di avere cofa che loro non appartenga, onon fanno
a chi reftituirb, fanno la compofizione i DE JURE ASYLORUM LIBER SINGULARIS
RETRI SARPI J. c. AUGERIUS FRIKELBURGIUS I- G. GERARDO MALDECHEMIO S. D. I NcidIt
tiuper iti manus neas Itali cnjufiam traSatus De Jure Ajylorum, quo cuuSa qua
hoc de re in memem wnirt pojfum non perpenduntur, «Ir examinantur nodo ; fed et
definiuntur ex legum prefcripto clara profe3o -, doSaque^ (y perfacili methodo.
Oper^ me pretium faSurum exijlimavi, fi, utcunque pojfem, Latine facercm qua
nagnus vir Italice confivipfit, tum ut ekgontijjimum opus ab iis etiom, qui
Italico nefciunt, legi, dr intelligi pojjit ; tum etiam ut tu ipfi, mi Gerarde,
tuique fimiles, pietate aliquanto plus quam aMSit cogmfiere pi^ tis quid
Itali-, nationum omnium religiofijfim -, hoc de re fentiant-, dum Ecclefiarum
quidem immunitatem non filum tuentur., atque fartam teSam conjervant; fed
au&am, &• ampl'ficatam quam maxime volunt. JuJUtian vero qua delilla pleSuntur,
ó" publica quies-, eb* tranquillitas maxime fufinetur-, tantum abeft ut
opprimani, ut etiam ubique adniniftrari, atque exerceri decernant. Quo egregio
umperamento non Ecclefia minus, quam Forum, dy Tribunalia, fitum jus retinere
ptffint. Vale. INSTITUTUM OPERIS ET SUMMA. Criptorum in Jurifprudentia gregcs,
atque adeo rem quamlibet facilem 8c cxpcdìtam obruunu et abfcondunt, ut per
mihi mirum videri non poU iìt, fi EcdeGanim, quam vocanc, immunius,tot
Poniificum dccrctis* ftatuiifquc legibus clara, Dodorum adverfis opinionibus
acqua fcntcntils mirum quantum di(ba£la, ac dilaniata, vix fpeciem reterai fui;
fitque fxpius in esula, ut intcr Eccle^ fiaUicos, dcLaicos Magiftratus, muli*
et mago*, immo vero inexplicabiles coatcntìoncs oriamur. Quam ob rem frequenter
in mcntem venit quam re£le, et ex ufu publico faccret is qui rem tanti ponderis
ac momenti, dilputationibus qu« vcritatem bue Uluc trahcrc lolcnc omiflìs, fine
fpe, Scambitionc, gravitcr, et accurate traftarct. Sed quo niagis id optabam-
fieri, eo quoque impenfius a fcriptione abhorrebac animus. Modo vero, cum mas
accepi licteras, Prsful fan{lUIime, quibus me diu repugnantem, et inviium ad
fcribendum hac de re lumma qua poUes au^orliate compellis potius, quam invitas,
et aU lids; tuo quidem imperio, prout maxime dccet, obtempcrarc decrevi; fcd
brevi, ccrtaque methodo, ut 1. Quid leges Principum, Quid EcclcfislHo» iuca.
Aatuant primo videamus: 3. Rationes deinde, e quibus tot Scriptorum opiniones
incer fe repugnames originem traxerunt, afieramus in medium ; ut deroum 3. Quid
in judiciis, 5 c praxi oiimìno Hatuendum fic a quolibet cognofei polTic; nec
valeant in pofterum nonnulli e dupondio Turifconfulti, aut verius, numeris
omnibus abloluti aHentatores, tam preclare imponere, et fucum facere judicantibus»
CAP. r. De Princl^ ìegìbas^ EcdeJiaJÌkif(jue eonJlU iutìonihus, T Otis
quingentis annis poti Chriilum Jefum natum, nujlus cft Ecclefialticus Canon qui
de hac iromunitate decemat. Imperatorumi tantummodo legibus Gatuitur; quarum
fex a JulUniano in Juris Civilis corpus rciat* mnt. Harum primam Arcadius et
Honorius, Augufti, anno poli Chriftum natura CCGXCVII. ftatucninc, qui reatu de
Ut, qui ad Eccitf. . Ili no» diqm), vel ieihù fotigéti, fimdant fe CImJHau legi
vtHt nojMgi, M, ai Ecclefua (mfiàgientn, evitate fojftnt crimma ^vel paniera
iebitanm, aneti debire; nec ante fafcipi, quam ieiita varuttfa reiiiieritit^
vel fnerint, innecentia iemoaftrata, purgati. Poli hanc iMem idem Honorius cum
Theodofio anno CDXIV. generatiin fanxiCy Netnini licere ai facrefaaSas
Ecciejias confugientas abin. cere, ea condjtìone ^ ut ^ Ji quifquam cantra barn
legem venire tentajfet ^ fchet fe Majtjiatis ctirnine effe retinenium. At anno
CDXXXII. Tbeodofius ipfe una cum Vaientiniano leg«m tuUt, ut ( A ) fermi, fi in
Ecclefiatn, altariave armatut trruarit, exinia prMinns abfirabatur, vel
caniinuo Damine iniicetur, eUtmque max abflraien. ài capia nan negetnr ; imrao
vero, fi armerunt fiducia refifienii anhuum canceperit, abripienJi,
extraeniique quibut ii parafi efficert viribut, atqua pugnanda impune
accidendi, Eadem lege Domino fàcultatem facic. Marlianus vero Imperator anno
COLI, edita tege, {c) feditianet amnes, canctamarianei, tumultum, et impetum in
facrafanSii Ecclefiit, et aliisvenerabitibus lacis, in quibut vara campetit
celebrati, omnino vetuii ; ultmù fupplicii poena propoliu. Et anno CDLXVI. Leo
Imperator (d) lege decrevit per amnia laca valitura, excepta urbe Regia, in qua
degem ipfe, quatiet ufiu exigeret, preUntanea eanftituta prafiaret ; nullas
penitut de facrafandis Ecclefiit expelli, aut trabi, vel,panabi canfigat, nec
pra bis Epifcapas exigi qua ab ipfis debeantur- iis, qui bec maìiri at^s
juerint, capitali, et ultimi fupplicii animadverjtane pleStendis : fed, ipju
Jervata lacis reverentia, vadati paffint^ r^uga, (5* Judicum, quibut fuojacent,
feneentiit maneri, atque earum arbitria, fiate per fe, five infiruRa felemniter
pracuratare, in ejus judicis, cujus pulfatur fententiit, examine refpandere ■.
Multis conftitutis tuiflionibus, ut credilores folvi pofTint a debitoribus ad
Ecclefiam confugicncibus : Servar autem, 0* Calanas, ftmiliaret, five libertas,
0* alias amtefiicat perfanes, vel canditiani fubditas, fi ad faerafanSa fe laca
contulerint, uhi remijfiane, venia, et ftcramenti interventiane fecuri fine, ad
lacum fiatumque praprium reverri aebere. ^ Juftinianus deniijue ipfe anno
DXXXVI. vcluti non minus jullam et reélam, quam ufu receptam, fanaionem refert,
et conftituit; (e) Nequa, bamicidis, ncque adulteris, ncque Virginum raptaribus
delmquentibui terminaram caueelam cufiadiendam; imma extrabandas, et fupplicium
tis in. ferendumt Cum templarum cautela, nan nacentibus, fed detur 4 lege'. ir
nata fa pajfibile, utrumque neri cautela facrmum lacarum et 1^tem, et lafum.
Fiuta fune notabilia, qua: ex hifee legibus manifefte conlUnt.' L
Ecclefiallicos Prsefules iis tempo^fana ne cogitaffe quidem ad ofiicium iuum
pertinere ut leges, aut conllitutioaes conderent de Eccle. Carum immunitate;
immo vero, cum certo Isiceot Principis eflè id (latore, ab eo leges accepilTe.
Huc accedit quod aiuto CCX^XCIX. Concilium, ut vocant, generate Africanum mifit
&ugonium, i(. Viocen^m, Epifeopos, ad Honoriust Csdàsem, qui i^^liciter
petetent ut m qui ad Ecclelias AIricanas confiigecent, licer deli^ pcrpettaOént
ab iis non extraberentur. IL De ( a ) Sai. I. rUclH. { b ) Ead. t. Si fcrvut.
(c) Eoi. I. Dauaàamai. (.a) Ead. LVrt^l. ( e ) .autx Ite nuui frinc. tal,, De
hac Ecclefìarum immunitatc ne vcrbum quidem faflum fuiffC) non modo dum Romani
Imperatorcs Idolorum culrores fuerunt; fed ctiam centum annos poflquam fibi
Chriftianam religionem ìnduerunc, nuUam omnino ejufdem immunitatis mentionem
effe fa6lam; cum nulla hac de re lex repcriatur ConlUntini, aut alionim
Imperatorum, ufque ad Arcadmm. Hujus autem rei ccrtilTima caufTa haud longe quzrenda
eli. Etcnim, fi Chrifli fideles ea temperare, prouc omnibus confpicuum ed)
nulla ratione in Ecclefiis admictebant eos qui cujulvis generis deli ab
Ecclejie 'Atriit, vel Pomo Epifcopi reos abfirahcre omnmo non liceat; JeUna
alteri coalgnare, nifi, ad Evangelia datis facramentis, de morte, p-
tlcvilitate, O- Omni panaram genere fint fecari: ita tamcn »f ri, coi «*
f"niinlfttS fiterit, da fatitfaHione conveniat : Servas etiim qai ad
Ecriejiam confugerit prò qualibet culpa, fi a B m im. odtnifia colpa
facramentim Mcepertt,fiatim ad fervitiam Domini fai rcdirt cogatae. ' Hifce in
Conftituiionibus mulu funt animadverCone dignillima." Primo non effe in
iuris Canonici corpus redaflas, temporis habita ratinw VTearum primam effe
llerdcnfis Concil.i, Anno DVII. ouam Hifpaniz a Romano Imperio le fubtraxerant
: qw faaum eft ut Episcopi il, qui certo fciebant quantum lua fe extenderet
auilorius, EccleCallicis tantum viris imperarent; citeris non iiem; ut ex
iploitiet Canone clariflimum, et cuique obvium eft. (g) Sed cenwm annis ut
Laicos etiam includerent, Reges rogarunt, ut ad EcclefiM confuEientes, ob lacrt
loci revercntiam. Regi* lolum committerentur : tandemque anno DCLXXM. in ea
Conftitutione qu« decima eff ex iis qu* fupta adduil* fuetunt, omnibus commune
dwretum fanxemnt; fcd Regis coiffenlu ^hibito : qu^ in tpt Conulu libris
particularitet expreffum eft hu ipfit verbtsr Confenttcnie glortofijfi. no
Domino Nofiro Eringio Rege, hoc fanaam Ceuciliam defintwt ;^ce( (1.) yr.Eod. Co
mctuentei. ( b ) ^. Eoi C- ifxar. ( c ) WA C. miUui. (d) JX. £-iit,C.fi
(e^X.Sod.CoiÌefir.m]to ({) Xo'o £od. Co ccrfiitmmuf o (g) meeo6.caf.tio in
corporc Concilionim fcriptum fit folummodo, DcJfjiww C»»«e ut, fcilicet, reo
avulfo ab Ecclefia, fit Ulico qui eum dirà devotus, et Chrirti-fidclium
commumone privatus. Sed lunt OMnes. ut vocant, ferendo e«eW; ut, poftquam reus
exiraaus fiieAt (ùbeat Prxlatus monete; et nifi fuerit reftitutus, aut,ufta
det.nendi caufa aliata, lune demum polfit ad cnemnmnicatmm fententiam le rendam
accedere. .,,. i Quatto confiderandum eft, Epiftolam Auguftmi nomine aUatam,
ep.ldero cene non effe; ficut etiam 15. alix qux Sanai Ulius nomine feruntnr ad
Bonifacium Comitem conlctiptx, «c Bonifacii ad Auguftmum, eujulvis potius, quam
eorum, effe poflunt. Id vero cum ipfa rauo latis fuperque demonfttat; tum multo
magis verbo illa, SpeH.»fil et Magnifici, honoris caufa Corniti tributa, abepis
tempeftatis confuetudine ionge remota, n« ab ipfomet Auguftmo uni^uam adhibita
iis in literis quas ad eumdem Comitem ipfe Mrfctipfit ; m quibus etum
quammaxima Divus ille vir agit cum modeftia, non autem fuperbe, et arroganter,
atque imperiofe, prout Sycophanta, quifquis ille, fcribere voluti. Quod vero
multo magis earura falfitatem yel coeco demonftrat, Bonifacius Comes nunquam
Hipponam incoiali Divi Augiiftini V«*>» Ji- ^ (a)lii.i.tjifl.S. civitaiem;
ut fieri omnino nor luti fucfiiJi;, tìullibct eorum, prout fibi, atquc
fcgionibiis fuis conduccrc vìtuin Canones confijtuit. Cum iiaquc varias rcgion«
diverfas ctiaui Icgcs itquirercot, prout homìncs plus, minufve ad dclffla
propenfì crant,^ uftufquifque proprias leger ad regionis lux nores adaptavit.
Hi vero Canones omnesante annum a Crìilo nato MCC> promuU. gati funf;^
deinceps vero Romanorum Pontificuin Decretales, quas vocant, rc. uregorim
autem, ejufdem norninis {b) Nonus, Pontifex, declaravìt Ecclejia y in qua
divina myjìeria celebrantuTy licet adéuc non extiterit con^ ftcraMy nullo jure
priviiegium immxnhatis adhnii ' Idcmque addiditf cum nonnulliy tmpunitatem
fuerum exceffman per deEccleU obtinerè f perente^ y bomtcidiay tT mutilationet
menu Trm-m fpjU Etcfejih y vai amum atme^eriìs. coipmiteere non veremtm f quey
njji fer Ecclcjìamy ad quam refugfunty crederent fe defendi y^ nutìtu tenui
fuerent commiffufy rales non debere gaudere privilegio quo faehuie fe indfgnos»
^ \ Hifce' Joannes, 'ejus norninis XXII., Pontifex Romanus, adjunxit etiam, (d)
Hereticos fefe Ecclejiis tueri non poffe,. Nec alic in medium afierri poflunc
ieges quibus Ecclefiarum kÉmunitas inniratur. Hz vero omnes adco clarz lunt,
adcoque faciles, ut., fi in judiciis, aique Eraxi fincere, et prout verba
exprimunt, adhibe ^enfur,^^' nihii oranino difficulratis fupereircr. At cum
Jurikonfultorum òpinionU)US, et interpretationibus ad diverfa protrahantur, de
his etiam, capOrque unde tot Scriptonim fententiz originem duxere,
fingillatiiii diccndum eli. CAP. hnmmìtatm. Exnavag.De variis Scripeertm
epiniomika órca Eniefimm mmunitafem^ Ó" tanm caujk, .Tanta profeto eft
fententiamm vxrietas intet Jurìrperitos qui de Ecclefìarum immunitate hai^cnus
fcriprenuit, iildemque Ugìbus innituntur, ut line dubio lAirmarì poHlt nullam
omnino hac de re quz(tk>ncm proponi, aut Cafum accidere, in quibus in
utramque partem res terminari non valeat, atque adeo Doélorem aliquem tefiem,
et aufìorem laudare. Ex iis tamen non pauci funt qui non modo fxcufationem
promereri, fed commiferationera etiam tommovere debent librifque vulgatis, non
Auftoribus, nota quzlibct inurcnda. Etenim ficuti 'in rebus aHis quz
Ecdefiafticam, aut fccuiarcm juriididionem attingunt, fic etiam in hac ipla,
nov^ims imprefliones cum antiquis non convenHint* led quscnnque Principum jus,
et audoriutera {M'onxv verent, ablata fuerunt; et fzpius negativa particula, ut
Grammatici lo^ qnuntur, addita, ve! delcta, mifcellos libros, vd invitos, et
centra Seriptoris mentetn, prò ConTflem arbitrio loqui cocgcrunt. Id vero non
modo ex librorum ipforum variis impreflxonibus invicem collarìs manifcfto
deprehenditur; fed Wcifair folummodo £x>argarorw infpedis, quibus facile
fingala quz immutau funt uno afpedu v:deri po^funt. Qiiate, ut in re tam dubia
rc£lam, tutamque viam amplefli iiceac, Ilatuendum eft ante omnia, quafnam
rcjicere dcbeamus,,quarve icqui Dodorum interpretationes, Id vero fàcillime
cognoTci poteri^, li vcratn illam, 3c germaham caufam, ex qua opinionucn
varietas exona c(^, animadvcrtcrimos. Hac vero eft, quia noluerunt Doélorcs
intra iegum ipfarum, 3t canonum verba luas opiniones, et dida contincre; immo
vero amplifìcationibus, 8n exceptianibus, quas fslkHtiat dicunt, eas
adaptarunr, prom aquitati convenire exiftimaverunt. Qua de caufa in nuU lam
debent reppehenlioném incurrere.* omnes enim nihil anciquius habuerunt, qu.im
ut communem iUam, aique difpatatìonibus cundis neceftariam, Reguiam jurk
fervatene, qua ftatuitur.* fi juris ipfm difpofitio bene finum alferius^
prsmiumve refpiaat, fififue favorMis^ l^um verba y lì. cet prejfa, atque Jìr
't^a, ampl'tjìejntda, atqut entcndenda ejje } fi vero ptznaruTrty atque rìaerU
rationem babet y fitque invidio fa y quam odioam appef hm y voces eafdcm
quanhìis latmty Ò" uberius loquanfuty prejfe ta mtn y firi^imquey
quatet^us jus patituty expiicattdas effe». • Qj 2 certe regala nanira maxime
conlona. coovenienfque apparet.Et enim, ficut rerum hitmanarum fapientes
coofìderant,, adiones omnes flint fìngulares; nec ulla ratione fieri poteft ut
due qualibet ex parte fine inter fe fimilcs, atque omnino pares.* quo fit ut
fingufis propria indiecant regola: lex vero, quz mi segula quxdam univerfalis
omoino conftituenda eft, necelario ob id ipfutn, quod untverialis eft» manca
quodainmodo fint, et imperfeda, aut comprehendens quas excipere, auc CTcipiens
quz comprehendere deberec. Qnamobrem neceflàrìa omnino videcur benigna quzdam
interpreutb, quz legem.dirigat, et ad zqui. tatem reducar. Hinc vero
prolìcifciiv ut, fi zquius amplior. videtur, quam legis verba, hzc debeanc
amplificari quamum «quicas ipTa po ftulat. Digitizad by Google Ii8 D E
y>U R E Enlat. Ae fi lex eadem verbis extra «quluris fines, 8c limites
egredia» tur, aequunt maxime eA ut interprecationibus intra eos coerceatur: Ut
n lege lata pana impofita fueric iis qui Dei optimi maxiroi nomea yanfiiflìmum
maledif^is, probrifque prolcindant, cum res ìpfa de qua decernitur, pietas,
fcilicec, in Deum, maxime favorabilis exìAat; juAa intcrpretatione a nomen
etiam facratiiTima! Virginis, epis matris, at« que SanBorum omnium extendicur»
Quod fi lex altera excipiat, qui motu quodam animi violento percitus, atque ira
prsceps furens, verba promleric igoominiolà in^eum ipfum; hoc invidiolum eA, nec
de quavis ira intelligendum fed juAa interprctafione ad eam tantummodo
rcdigendura qua celeri, atque inevitabili impetu fenur, mentifque et ratiunis
uium ita impcdit, ut quid homo Abi velit, quidve dicat» aut fadat, omnino
nefcire poRit« Quod vero IpeBat ad EccleAarum immunitatem, NonnulIi,cum
animadverterent eam non alia ratione conAitutam effe, quam ob revereiv riam in
locum Deo facrum, et ex co ad ipfius Dei maximi honorem, et cultum pertinere;
bu)us przcipue rationem babueruni; idque veluii zquitatis regulam lìatuentes,
cui legum verba adaptari debeani, estera cunBa fulque, deque daxerunt. Cumque
nullus omnino reperiri poffic honor quo multo major Deo tribui non debcai,
interpretati lunt eamdem pariter rcvcrentiam tribuendam efle non folum Deo
l'acris lock,*fed omnibus etiam qus iis adhsreant; iifque cunBif habendam efte
quantam maximam animus capere poieA, vel jultiùa ipla Aias fibi res habete
juAa; atque, ut ajimt, quibulcumque pravorum hominum oppreflionibas tokraiis,
ut iramunitatts honos iis omnibus tocis religiole concedatur qus Ecclefiarum
fpecicm aliquam quomodolibet referre poHìnc. Hifce vero, quafi fundamemis,
pofìtis, leges, et Canones omnes de Ecclefiis decememes, ad ea cunBa protulemnt
qus Coemccefia, MonaAeria, Oratoria, Sacella, Holpitalia vocam, feu quovis alio
nomine cenfeamur, ea in quibus pictatis opus gliquod peragi videatur« Ubi vero
leges i|^x, le Canones Ecclefiis immuniiatcm concdTerunc iis tantum in rebus
qus vel comimfenMìoaem movere, ve! ^Aa defendi exculatione poAint; idque honeAis,
ac tolerabilibus conditionibus ; Urdem amplìAcarc, atque dilatare rem totam ita
voluerunt, ut cnormia quae. que, et graviffima facinora comprehenderent quod A,
ragione coaBi, aliquid exccperini, jnlHiis tamen, atque judicibus ipAs eas
impoluerunc condiriones, ut, iis obiervatis, Aeri nuaquam omnino poAìc ut
debifum juAitia Anem obtinere, vixque nomen Atum, aut ne vix quidem rctincre
poAit : quodque caput eA, non modo perpetrata facinora, atque 4Bi^,
EeeltAaruffl immunitate inulta, impunitaque remanerenr ; Icd novis etiam,
iifdemque enormibus criminibus aditus tuiìAimus ape» ritur; ut qui jam
oommiAlTcnt, fecuri in utramvis aurem dormire £a» Cile podent; 3t qui admitterc
vellent, facilitate aìleBi, et lecurirace in» vitati, nihil prorlus tutum, aut
a crimine vacuum relinquerent, Id enini imcr estera DoBores aflìrmarc auA funt,
Principes ncque fententia da» fonare, ncque habere ^tisAionem poAecontra eos
qui ad EcclcAam con» fugeruAt, ncque dum tnibi pcrmaneanc, nec poAquam ab ca
difeefle» hot quodque rifum nagis, 8c Aomachum moveat, flatoerunt Ecclc» fiam
i^m teneri ad alimenta feeleAis homimbus prcAanda, dum ad eam cònfagientes ibi
reAdent. Alii Do£lores contri ei^inurunt iuflitum, atque deIi£lonitn pcelum,
publicarque tnnquulitatis confcrvationem magis cITc Dea maxima graiam, quam
EccIcGarum immunitatem : idque velati zquitatis fundamentum inrpicientes, legum
verbis, ut iplà rem quamquc nount, aeceptù, non petmittunt ut leges, et canone:
ad alia loca pcrtrahantur przter ea quorum rigillatim mentio fa^ fuerity
EcclePus, fcilicet, ipfas, quz reapfe, non autem nomine tantum, Ecclefiz funt.
His enim temporibus tanta eli ubique locorum frequentia quz piotati alicui
mancipata vìdentur, ut, C omnia comprehenderentur, jam quzcumque incolimus
Ecclefiallicz immuniutis privilegio donau eflent. Et quoniam gravium deli£lorum
exceptio, in quibus nulb conceditur imminitas, fpectare jullitiam videtur quam
zquitatis regulam llatuenint, exceptiones illas aut ufdcm rationibus, aut etiam
firmioribus, k validioribus ad alia facinorum genera extenderunt quz a legibus,
Se canonibus minime nominantur: idque tam ampie, ut nihil immunitas meri polGt,
nifi ea quz mifcricordiam merentur, prout etiam antiquorum fuilTe videtur
fitntentia. FaSlum eli etiam ut Doflores aliqui, cum, velati juris. Se
zquitatis regulam, modo hanc, modo illam ex iis quz diximus fumpfilTent, varie
loquuti fint, atque a femetipfis non femel del'civerint; alii vero, nelcientes
cuinam precipue ex iiliem regiilis adhzreicere debeant, adeo confule. Se
obicure pcrfcrlprcrini, ut nihil omnino ex eorum fcriptis elici poflit ; alii
vero do^rinam fibimet repugnanicm habere viC fuerint, ex eo quod ii qui eorum
libros, prout ipfis conducere vifum eli, interpolarunr, non mutaverint omnia :
quamobrem alibi Cncerz, atque germanz Scriptorum opùiionis vcftigia permanent ;
alibi vero eorum verba, Se fenientiz dumtaxat apparent qui Auflomm mentem
detorquere prave voluerunt ; ut Dollores fzpius fibimetipfis contrarii. Se
inconflantes, atqde volubilcs aliorum culpa exillimentur. Igitur qui velie ex
Do£lorum leflione fruSlum colligere, facileque ftatuere quid ipfe judicare
debeat, atque adeo in praxi executioni mandare, nccefie eli ut ante omnia certo
fcìat quznam ex iis duabus regulis norma effe debeat, qua opinione: examinare,
Se afliones inllimere, ac dirigere valeat. Id vero cum tanti ponderi:, atque
momenti exillat, quanti unulijuifque facillime cognolcere pote|l, operz prcr
tium eli ut exafle de ipfo trailemus. C A P. III. ^asnam tqmtatis norma in
juJicìù, tf prJxi equendn J!t, XTOmines cunflos ad honorem. Se gloriam Dei
Optimi Maximi non orane: modo, fed etiam languinem, Se vium profundere debere,
adeo notum, naturzquc legibus in omnium animi: infcriptum eli, ut nihil magis;
nobis autem Chrillifidelibus ipb quoque fide, ac Religione certiflìmum; ficuti
paritcr clarum eli nobii, ac minime anibigmim, duo effe honorum genera quz Deo
tribuuntur : Alterum eadem ipfii ratione aibuitur quam Deus ipfe nobis
conllituit, quam qu« a Digitized by Google I^o DE J U R E que a nobis fé
cxìgere dedaravit : Airerum ^vero ea forma qua nos Ipfi honorem habendum
exiftimamus. Scatuit igitur facrofanéla Ecclefìa linumquemque utrifque teneri ;
fed primis, Àvinis, fcUicec, praxeptis, multo magis : quod fi aliquando
evenirec, prout rerum humanarum conditi© fcrt, ut non poflemus utraque fimul
integre praeftare, iis exa6le parere dcbemus quae Deus manda vit, omiiTis iis
quz pendent a nofira voiuntate, fi impedimento fint quominus divina prxcepta
exequi poflìmus. Cum enim divinura przceptum foret Mofaica lege fìrmatum,
Parentibus opem ferendam; cumque ex hominum pietate fponte induAum fuiflet,
Tempio maxima dona elargiri y Chrifius jefus y Deus nofler, reprehcndit
acerrime Fharifxos qui tempio munera olferre, quam Genitoribus auxilium ferre,
atque fubvenire, impenfius laudabant : eamque divino ilio, atque fanétilTimo
ore caufam adduxit, quod, fcilicet, hoc divinum, illud vero humanum przceptum
elTet ; luofque docuit fideles nulla efic ratione laudanda munera quz tempio
tribuuntur, fi impedimento fint quominus Parentibus auxiliari pofiìmus, prout
Deus ipfe przcepit. Id vero ad ea quz
nunc agimus mirum in modum conducere, atque accommodari pofle manifefio
confiat. Exploratum fiquidem efi jufiitiam diferte, atque exprefie a Deo
przcipi, eaque Deum fummum honorem fibi haberi declarafle: quz fi jufiitia
defit, Principibus ipfis, ob id, atque Regibus regna, et imperia auferenda,
atque in alios transferenda docce : cujus doflrinz innumeros polTem facrarum
litterarum locos tefies laudare. Cercum pariter efi Ecclefiarum immunitatem ob
innocentium fecuritatem, et eorum qui jufiam aliquam erroris excufationem
afierre poflent, infiìtutam fuiiTe Principum legibus, et Ecclefiafiicis
confiitutionibus fancitam, ob reverentiam qua profequi decet locum illum Deo
lacnim ', non ut Ecclefiz ex orarionis domihusy fcclerum omnium rcceptacula, et
Utronum fpclunca fierent. Ex his omnibus confequens efi neceflario ut jufiitiz
habenda ratio, eaque veluti norma, et regula fpeflanda fit, qua legum omnium de
Écclefiafiica immunitate fententiz, et verba tanquam tratii»» ponderanda fint;
legefque omnes, et conftitutiones ita interpretentur, ut nulla ratìone Jufiitiz
obdTc, aut impedimento quomodolibec effe pofiint. Quoniam jufiitia, ut diximus,
honor efi in Deum, ab ipfo Deo nobis przcepius, et procul dubio femper optimus
; Ecclefiarum vero immunitas honor efi quem homines Iponte, ac fine ulla divina
przeeptione, Deo tribuunt ; quique, nifi, prout maxime decet adhibeacur,
Ecclefiam ipfam non honore, (ed ignominia quam maxima afficit, la$ronumfuc
fpcìuncam reddit, et feeleftorum homimim infiune Alylum. Hzc vero cun£U clarius
oftendit quod ait jeremias Propheta, dum populura reprehcndit, qui externis
hifee revcrentiz fignificatìonibus erga Dei templum plus zqu« fidebat ; eumque
monet, ne hac fiducia niteretur, fed in Deo fpem poneret, qui in genus hominum
quodlibec jufiitiam exercc•rct. Quam ob rem rationi maxime confentaneum, tutum,
atque optimis innixum fundamentis efi eorum confilium, atque fentenria, qui
lacrorum Jocorum immunitatem tuentur quidem, fed intra ccrtos limites, ne
jufiitia pereat, adeo necefiaria ad publicam tranquillitatem confervandam,
tolleifdafque injurìas, et dethmenu quz prìvatis infih ntntur. M. i«« ninnr. X(
in quotilxt -«vtiini jiMcrk fanc ««i» fivi,* &ChrttùuHM j» dex, fr ccntrarias
jaiit-^nfaliorani a^ioiM* 'àri^crit, M la frót iacMadnm ftaiiien quod
Eccldlanim ihioMninwlavnt, n tanna ntione, B« jaftiiiam ap[irimn. • • J
Quilitiet auKcn, t]u( aenm actem inwpdeK t ^ la arit, dare cogndcet hanc éfle
rationem qua cunda tolii poICnt oftenfiones, 8c mala qtn riginem craxeruM aa
ipia vilrittaia aon opniònant’ laaxn, gnem privatarum rationum. ut qaivis
bcitios po8w ' palpicene y aiTeram quid hac in Te Jtirta..€oiaài(i ftatubadan
cenloerinc, qaodqua kì opiiniz juTta, atque neceflanlB titilioncm ‘atiqaan
»hrte pofiìa* Ubi^veia ciitiÀi in eamden opiaionem non cdavemcac, AuAarum
noauaav qoi lentcntiam ^uioMni’ paobaverìnt « adfcnbam ; 'ta i am qae
tantaamuàia rocncìanem. t'aciam qui jhxioria, Bc cclebriarir fait aMoina, fc
exiAV marionù : Seplua ' SpH'capuan Covaiùviaai M(le«a kiidaba, nim quia Pnrfbl
Hil'pahua eft, qui ThdencàtatCaacilio i an a ^ ; tuia eAam- quia dodrina,
probiure, 8i pietaK minime datus ab omnibua, fi ctadpicuut habctur : Sapinc
Prolpemm Faaaaciiaai, qili diu Rena *nit, Advoeatus prima, max Audiioris .untai
m aaiw, ft'Fifoi deniquc PatnHit», etiam iiib hoc ipfo Patito V. Pontifiet. Ad
atam-wero cairanaiB Itbri, Bt Doh Viri Traufetlpini tnlciìt, loca ad n a t a hr
i, ur, fiqaia oGÓnliliariis tuis, 6c Jurii-CatiUiltis inWe^A^are cupiat,
Àcilidi cuaVa &i». venire, Se imdtigere pqffit. -Otania autem hac
dilqailìtio facilliiaa ad cria capita ledigi potorie : m,. Primum ; Qnzmun fiat
ea (acni lata qua ad fr aonfugiema Meatitur. . • j Seenndum': Qinenaai
pcf(ó«aMai toaditia, tt qaodnaoi deliéKi gcnus loco facro pr»tegi,^aut ma
paoxegi pOSit. ', .1 Teraium ; Quanaan ratioae a (acria locis eatrahi dafaeaat
ii qui eiliiA tagi idvctios jullitiam non poflìiat,..,'u. ^.i t .r .. Ul ..1 I
- .1 { ftet* Ik 4 td'fi amfiipmm ntmuwr. ’ -comprehendi; Ecclcfiamj-
fcilieótiQmdEcdefix adhkrent, leu folum fuarit adificiia omnibus vacuum, Mi
domibus tedhtm; ^ Xlwpafiiium Ipatibm, fi Ecdeha MetropoliiaBa fiicrit ; XXX.
vero, fi co tinllo iiifignita Mn fit; Et Epifeopi domum. Nfee alind eli de quo
raen-tio iis in legibut, A Canonibtts ftfia fit. Ecclefix nomine Haiuunt
unanimea Dodores omnes Oranriu non coraprehendi ^ quanv^m in où aliquando rct
(aera fiat ; aut ea qnc in privatomm doatibos, et in GoU^iìs hicorum, quas
vulgo confntcniitates vocant, zdilicantur, quafque domini diruere, atque mutare
prò votnntatii arÙtrio fàcile pofTunt. Ncque omini debet, immo attenta cura
animadverti, quod EpiTcopus Covaruvias hac de re diflerit, (a) Hifce,
videlicet, temporibus occurrendum maxime effe eorum temcriuti qui, Ecdefiarum
immunitate confili, quodeunqua ddiflum perpetrare Tom» il. Q audent. fovaiwiar
. i. var. r. io. i I1LA .D ;r joU' H ?E WI(Ì 4 M« coin «M! wwtowi» M W f w i h
B i itnaiftmum Buciwriaia itcrMMacMi lubcnt. Ubi umen Prxiutcs hac juiU
modowioM "ooii Ec ci«(ì«r«M iMfnin* «Mtemir ^«uKuii^e ùim «erto, ac
pxe|x:f«w divino «litui dÌMMC-A nen lintiv n. uiPt dM sui «dbatet Eukfia Xt>
(tu XXXi pi£>un fp*tio« ajuUnn àmaanitatrm Ecairrisàii 91M1. (dnt Mua
Ctviiaiia, vd^Catorun-moeOlia., iwuil convwirai^actifiiciaa Has enin 4
c.ie-.Ca«on ex frede-ftamia, D a ft a r ar oanianitcMH nec .atla pottft ho mi
èaUaatio; iauMi aero noa daiuiu i)ui id oiaat cuoi Urboi oouiim Mteoi» CIMI
diaMK.eàtl«Mdi^jus ni sudtiiani ulu obtiiuUfe, ^ dine amlucBidinv, ik^u» fuac,
danagaiuiD dk. Cauta me, cur neiMiiaierconclitdaM'dnMM ipMMn iUiid niiUana.
pradua habere immiuiMiam^ilicH al>rMaM«aM iaafoa- aautem, cum «lio Canone
Muntimi il qui tacMÀ hao paecat, eum laatj’-cujaajibeci laca immufocaia
dafopfore ie J«nd pafla,-ridM|. et XI^ fadaun tpatuM focnin afot, ifov-iàciatn
aliqnad in co ^mpetrarant, éideai ouliifei, ab EcclaEarna». {requantiaoi, Jcl»
imaH«MaiaMcn pi^r. Sad ^ ea «unqiie fuerit canfa, parvi rrfert, cune illud
cxpfomuini omniao fic in Cdfoan'ihaif et Calw buUmh anpina hujniceMÉdi. ffatiii
immuoitaKin concedi, i-Htac- etiaai cafoUftiur, qwid Manfoi)iiiir aadde»,
An.-fohcat liflorej polTmt cura qui ad Ba:OViPtm, dura de Ecclefiarara
traaiiiniuie apiau-, foe àia ^c||À« tfoinm tvmo cft qux extra Civicirà, et
Caltronn* m#. ma poCuit inHOUilitatcìii _adj^ pafUmm ipatium portiguiit^ . Quod
qfro atcinet.ad.E^ra^i im>m, non canveniust iatfrtiDodfoe«s{ rasici pamqqt.
ex aaroni uimmo animadvcrcuni alia Caaont Un^iu»>aflà.fo Bpfoopm doraaira
hum .£c«lefic ( e > proeimatn, de adhxremem hibcat. Quare neceforio intra XC
pafitwai t)uiium efltt k .jfto certo «ondiiuuoi Kpdcafo ’domnra, fi loogius ab
E«laAi dtjcc, rauiiam qsiniuq iqimumtiiteni obtiaeM. Cura ncro EL. [foruum fo
càviiaubua, et qaftria qqn babeat kicura, conlaqindls ed ut Jfifdcapi domila
raiUóra panici Munamcaiera babera potEm. ---c - iV* ... -V De eie-, '.ìu*' -
•••'• ‘ tajAx. fi) (pr»f ia. a,*.™’ ^Ux*rat\,ilr. f*. TW a i«. . ria K to.' iy#
•- *>. ihyCmhmHr.ir.ttem de ìmm- a^e. (c) 0 i.r 4 rf.«*|C yy. Clnf.e. CUnf.
jo. DC(Uk. lìb, 6. e.zy. 5. 14- Farfn. .jS. fetw. yauUue,ioit:»s» De
coemeteriis vero, Hofpiulibus, 8c ConcUvibut, ubi Fiatres doimiun[,-ae verbum
quidem lex ulla fedi. Canoniitz taniummodo, qu« ignoramia f»pe, aut ambitio
tranfverlbs rapir, Ecclefiarum nomcn amplificare, acque ad hJK eiiam pcrtrahcre
voluerunt; plurimis tan-.en condiiionibus, iifdemque adeo variis, ac itucr fe
repagnaniibus, ut vix duo conventant. Ex corum auiem lenccntiis confuetudo
diverfa induda eft, prone iUi plus, minufve audoritatis habuerunt, et hujuicemodi
locorum,iaal etiam deliftorum numerus exigere videbatur. Quo fit ut, ficuti
ddiit locis nihil omnmo legibus làncitum eft, led conliietudine tanium, atque
interpretationc eorum immunitas inirodufla, ita ubi contraria eft confuetudo,
eadem a quocumque judice fervati debeat, citta uUam ertandi formidinem.
Perfbnarum condì fio ^ et quodnam deìi9i genus loco jnero frotegi, mt non •
pniregi po£it. E st omnium certilCma fententia, qui in loco facro deliquerit,
(«) licei leve delidum, nec atrox fadnus fuerit, eum tamen facro eodem loco non
defendi; iitimo vero et ibidem, et quocumque alio fatto loco fifti a
lifloribus, k in carcerem trudi polfe Cum aquum nullo modo fit ut Ecclefia eos
tueatur qui, in ea peccames, injurias eidem intnlcrant; (i) nec Ecclefia:
ca:tera! defendant ejufmodi teum, cum omnes unum, ideraque fint, ob earum in
Chrilluro. Jefum conjunflionem. Quod ita clarum, atque certum eft, ut
fupetvacaneum omnino iiierit pluribus confirmare. Hinc etiam illud confequitur,
ut eadem Ecclefiarum immunitas nullo modo protegat eum qui verità legibus arma
in Ecclefiam detulerit,ea naroque deferre peccatum eft quique ca in Ecclefiam
defert, in Ecclefia peccar: quo fit ut in ea a lifloribus vinciti poflit, 8c in
quolibet alio facro loco. Quod ob publicam tranquiilitatem judicarunt Doaores
fingillatim monendum, et animadvertendum effe. Fnres etiam, qui aut in Ecclefia
furtum fecerint, aut cum re ablata in ipfam confugerint, ex eo quod in Ecclefia
peccant, ab eadem divelli queunt. . Poffunt. itidem ii a facris locis abftrahi
qui in Ecclefia crimina traaare audent, quz fponfionum vocant, aut quodvis
aliud negotii genus legibus prohibitum, ex eo quod in ipfa delinquunt. De
fponfionibus vero przeipue adeft etiam Xyfti V. Pont. Max. dcclaracio, buie
rationi, veluti fundamento, innixa. Nec differt an deliflum totum in Ecclefia perpetratum
fit, an quod extra Ecclefiam initium babuerit, in ipfa finem, vel etiam contra.
Pariter namque Ecclefia nec eum tegit qui, Hans in acro loco, aut extra cum,
bominem in Ecclefia exiftentem interficit.- nec eum qui. Tomo II. Q. * CUOI (a)
C.imnuaUotem. De trnmmiìtate. (b) Olìltnf.c.fm. de Inm. Eecì. .Aldus ìbitU
TeUf. dec.^is. Faróueap.iS. Jitait. 66. Cler. ept.jo.Coceriev. Fsr.Ub. i.
cap.io. p. iS. Iunior. Deciso, i. 6. e. x6. 0.1. HÒflieo.infum. Jo- de Fìf
ct.de m.p.6s. Coofer. Con.io.FoUer. prioe.e.mUe iut.jO. feuuc.e.iS. ««. 154.
Cox’ar. Fsr.l.tA.io.f.tS.1X4 D E J U R E nim Ct ipfe in EccIcRa, auc bellico
tomenta, aut fagitta, aut miflilìbus aliis alienim inceriicic qui extra lacrum
locum fuerit. Hac igitur certa, atque clariflim^t enunciaiione, abllrahendi a
qua vis Ecclciia, et iacro loco cu|u(vis generis reos, quamplurimse
dubitaciones e medio ablacx videmur. Etenim qui diligentìus attendere voluerit,
cogoofeet &• carios omnes, qui ad Ecclefias confugiunc, arma fecum ferre,
atque hahere, legibus etiam vetita, ut adverl'us juOitiam iplàm, fi ras ita
ferat, fefe tucri podìnt. Quare ii omnes EccIeCarum immuniute uà nequeunt, et
in quolibet facro loco prachendi pofTunt, lieet alia ratioAes non concurrercnt
in id ipfutn. Statutum etiam exprellìs verbis Canonis
ed, eot immunitatis privilegio protegi minime pofle (a) qui delizia commiferint
ca fpe, atque confilio, ut facro le loco tueantur. Siquidem Ecclcliarum auxilio
uri debemus, ut peccatorum veniam confequamur qua jam admifimus; non ut nova
facinora perpetrare turo valeamus: quod etiam nullam habet omnino
difficultatem. Verum enim vero, cum hominum mentes, atque co nfilia fint ab
oculis omnium remota, atque penitus abdiu, non polTumus, nifi conieéharis
decernere, an reus deliflum admiferit (i) fpe excitatus ad Ecclefiam
confugiendi. Doflores vero dicunt, qui, llatim ut làcinus perpetravit, ad
Ècclefiam fugit, eumdem eo confilio perpetrallé, ut co confugeret, datuendum
elle. Et certe qui jam datutum, atque decretum habet ut facinus committat,
necelfario ftatuendum videtur, eumdem etiam cogitalfe, non folum quanam ratione
ìllud polfit admittere; fed multo magis, quonam fugete debeat, ut lefe tueatur
: Skut etiam qui de improvifo in errorem incidii, ficut nunquam antea de
fàcinore cogitavit, ita quoque alfirmandum ed ne de refugio quidem cogitalfe.
Quare, quotiefciimque confilium, atque deliberatio deliSum preverterit, et reus
ad Ecclelìam confugerit, id coniulto iàdlum; ideoque loci lacri immuniate
defendi non pulfe certiflimi juris ed. At quoniam de conjedluris agitur, uirum
impeto quodxm, fc perrarbaiiiMie; an potiusconfulto, et cogiato perpetratum
delidium fuerit, Judicem ipfum pnidenter, atque ex animi fententia cognofccre
oportebit. Hac autem immuniatis exceptio, qua reum cxcludit, cogitato, et
confulto ad Ecclelìas et facra loca confugientem, quodeumque delidit genus
ampledlitur gencratim. Quod vero dngillatim ad homicidia pertinet, frequ entius
deliAi geBUS, eum non tegi ab Ecclelìa qui alfadinium, ut vocant, commifit,
ceniflimi juris ed; nec Scriptor ed qui didèntiat. Etenim juda Canonis
leveriate in (r) Lugduncnfi generali Concilio idiplum fuit diferte decretum.
Veritas tamen eli ance CCCLXXVI. circiter annos, cura Canon ille latus fuit,
aflaflìnos extitilfe quoldam Mahomecana perluaIkmis populos qui fìcarios le
ptolicebantur; atque eorum caufa Canoa datutus fuit. Podca vero, cum Dodlorum
omnium interpretatioBe, tura etiam ufu, atque adeo communi omnium locorum
praxi, AlfafGnorum nomine delignaacuT hodie quicunque, padlo pretio et mercede,
(a > C. ÌMminiifate. lìe ìmm. EctUf. (b) .rlWar.prrff. B. i6. Meno. pra.
IO.. iC. jliictf‘Ponf.Ocf.;4.Cltr.4H.io.far.c.r8.f.ti.C>' t. Far, f.io. J.
i.j.(c)0*j'.f'inr.s4. l.i.CjJfM. TrrcI'Salde Jrclì.c.f. de inju$ y ìgncv.$
TiÀoj. Bc«Mlii.'fgHardb>>J«« dclicluia-inpiiàa elfet, aquuBl viikn «•«
pottA W £celeCa cat lanMuf qui toM, iSc batta) >Raipuhlic»f cum nulla
omniMLilea OivUib, mila •Canonica, Ucaaniin im>ima MBaluaiuM itafcaiH ^uui-^iom
laatoKia cUmnavii; led eiK 'iamuBHiraio 9U«ii%julli«a iata|intaur| antc^ttn-
Icntemum fwci Eaal :)« jam.ilaaMaoB «A, Jn-.d«ÌMa opeta, a«]ue
nulki4c'i>i>) v*uiae éuesringradùiKainaMa, praaar ìAcuìib catffa «aiI»
mnlftatm eli, gr i mH cóam ddifliia hunnari vero ad uiraaMi, C.- dh p wn
tt.mqBcanapaaber pdeAacum iamnnicatt defendi, atque ledcam ad. .paaMmpianna ab
e« qua. diaiOMa, «aaatfaai 4 >bhmu lb(riat;riS«abru vera non damnans qiudem,
•Acd.aoi aaatummodc^ii^ «MliMa itàtem» laiiidum damnati faB, «aecàipofliH
«ci«B>A||iwldlmMHà' ad,iaanAra pape («dilicia.-làraiacdMbdMutilPadcgibuci,
aiyi'tcìinnBibus (id'aiui ad Ecclcfiam confugicnies non polTunc Domini
imperiiim excuier«;.Al.di>tuna-' ibMnanKateni a lu piaa a aijuttaa, vitate
ladùic.'ad iocviiio,. fau ci admodom bac de ae-BuflorcK^-diribuot, cmi id
cara,. de «te eiifi nantiiai) in Civitatibuc, qua L&uinicai amiare tgteK,
'accidat.-;«a vara (Muadfime liint. m al i tewiua Gramaui naa ialam’ m ca tioni
conteain in mediura attect; (mL Miim ali ufii caed^tuai y dbdege^in Luiitania
làacitiim, qood.aaaoi prafaat Vinccaduc f'Multa cctub qiua lìngillatiin
baqtMnicr. ialeai accidere, utaB -Juga. neratim colligi pottii laacoraa fa
facorura r~r~iif) cardcfàBdte osa putte qui quzvìt alia gravia tc enonaia
deliba comai^mf drente, aut iildem, aut mcfarfaiis oiiam dtv eaulis, quu liipra
leeenfainiu», quodeunque alind gnve.delttea cotapfafbaitur. Hac autam coaclidip
in univerlite prolataraaura, (cilieaf, cupifais atroeis facinacic, A èd facra
loca oonfugerit, ULproicgi haud potte| ima» a fattitia liaeMBipli violatione
extrahi fas «dày probatia a Jacate Ravamts-^ Cyte Piftonenic, Petra
Bellapeitica, ) n am « Igneo, Antonio a Buariai,.|facro Ancarano, Alphonlb
Aivarea, Petta.Cetgorio Tofatano, Tibatefi^tcit' ■» ...lu *■-. néy Ab ( b )
Cam, dcf.^6, Fratr. ctefai jo. OUra, (c) ytw..i.r.* O^.' « mr.c.U ver* Dt Imm.
f. iS. yintàr. codem. ^Izdre^ I» thef, t.i j. «. jo. Syittaj. l. j j, c.\ x.
DerÌ4E.. nut mOud omnino EcoMiam Rofliz hu ai» imouinma;* ied .pudica ip4n
tÌMuiora rat» a ^iW»« Ecclefi» vi «Mtiahi ) nh cw p ywd a iW tiic«>Manmo
perantaenr, ae jalMiia’ priauniwr iJ>«snim diòtac ncUTamiai jndicaluf.
fa^-Quacc Pnip«r Faritiacnifran« ulìaa ftcBia recepcuai, afirmat Bcoiofearim
ipa uma ii in oai, cun ftaiufa inen» ab ddiSs qua' aalto coa61ào,,fcd impaa»
quodim fiant. Siti rdugam» milòranim, non dcbei» KccleCas latnauw tpolaaca&
c^cK, et «ornai ricapnculaa qui aooaia facàtera pcrpsir«\ c>iac ; aieaqnO
talk,’ tap^rqua efloy iì Judkies miinoria >bibl«llii, qui Itvidia 4elii^
juilkant eam ' obloroeiu led OM^roi jndicni in aarooocibai ;ba non lencri;
prave oiiam Veneti 1 k» logr contUtueiam ilL Noa.> Aprili» Md>CX. Mii. .
'•io»l. .W.Ì Qnanam vero dtliAa aeibcianm luxnÌM otnfeaanr, peatar ùlqaeil
ipfum delifli gcnui prafefert, k ic^bn». impafita fack «dtipi poteA; dnbet
JtiMck tiomemia oagnoKly baiiiu aaiioBe flatus, comlkioniique, BM «jus qui
inpriam iirfiae, lam «jua ctiam qui cam paflia fuity aVaMniBi ^i^ oanla,
ccrapork, qua, fciUctt, de caufa, «by et quando, onaamifluaa fueric delkluni ;
roran etiam qua ob id evenarunt, perflirbaeionisi, kfleniionisy tt aliafwn, qas
ém majos angeni pctpeinoim làciau», iacmnique ut mugn, inagil^t in odio kabeaur
ab oauMbnt. •« ’uU leu i ribus
de eaufis, qa« iingni* fluir pon eflent, in enormu atqueatrocia facHioca
evadunt. Cun» ver» iannnlaaabiies rmt.aalas qui flepius accidoIV |Mnva» vas
aliquot opiniones habeant, baptiffiiatis tamen chara^ere infigniti, Chrifium
Jclum aliqua faltem ratione venerantur, quem infideics averfantur, atque
execrantur. Teme . R CAP. STORIA DEGL’USCOCCHI
SCRITTA DA MINUCIO MINUCCI, ARCIVESCOVO DI ZAKA, Co' progreJi di qoelU gty»o,
rnirìiauta fino alt anno MDcxri. DA P. M. DE’SERVI» della Serenijpma
Rept$bbiica Vènn^a, JON mi pongo a fcriverc la Stona degli Ufcocchi per far
celebre il nome di gente tale preiTo a quelli ebe la leggeranno; nemmeno per
foddisfar l'emplicemcnce alla curiofìt^ di chi fi perfuaderli forfè di aver a
vedere in quelli fcritti varj accidenti feguiti in molti anni nelle fcorreric
di terra, edi mare, colle quali quella razza di ladroni ha fpo' gliati ì
mercanti innocenti, e dilettate le Provincie, turbato il commercio, e cimentati
in pericolofe guerre i maggiori -Principi dei Mondo con dubbio di maggior
turbolenza nella Cridianitk, fe raltrui prudenza, e autoritlt non avelTe fempre
attefo a divertirle. Non è quello il mio fine, nè per quello vorrei io perdere
il tempo, che polfo, e fono obbligato a fpendere in pili giovevoli eferciz)
fecondo lo dato, e la condizione nella qual verfo, con obbligo piuttodo di
operare, che di fcrìvere.* ma penfo che fta fervizio di Sua Divina Maed^, e
utile a’ Principi Cridiani, che fi fappia onde fieno derivate le ragioni, *che
in fettanta anni non fi fia mai, potuto rimediare alle rubberie degli Ufcocehi;
e come fi fia ritrovato il modo di farlo in quedi ultimi tempi, quando
Tinfolenza loro era arrivata a tale, che non erapih pofiibile il folferìrla; ma
dinecelTitk fi aveva a reprimerla, o ad adpettare un'aperta guerra fuor di
tempo, colla Cafa dAudria, e la Repubblica di Venezia. Il difeoprimemo di quede
faccende cred* io che tanto pofia fervìre a* buoni Principi, per tener T occhio
alla mano, e agrinterefii de* maTomo II, S li Mi ; li Mipiflri in qaefta, o in
altre limili occorrenze^ biffine di non UfciarG ingannare in pregiudizio della
fama, e dello llato proprio, quan fogliano tener celau la verità altrui,
preferendo ringiufliOìnio guadagno alla riputazione, e al buon fervizio de’
loro Padroni; ficcome anche una tal notizia far^ atta a far conofcere al Mphdo
(he, quan^p i Principi dicqno,' e fennò daddovero, e fi fervono di flrumChto
fecale, c valoròG), non pnffono. aver tempo i ladroni che inquietano, e
danneggiano i vicini; e fono fpeiTo cagione di pericolofìflìme guerre. Quefli
lono adunque tutti gli (limoli che mi han tevano agli fpetracoli luUe Forche,
cominciarono per vendetta, o per rapacità, ad ammazzare, depredare, e ipogliare
anche i Valcelli, le Ville, c le Terre, e i fudditi Veneti; onde Gnalmente fu
coflfetta la Repubblica anche di perfeguitarli non folo lui mare, come aveva
fatto per innanzi, ma anche nelle Terre, Caflella, c Città ove fi ricoveravano,
fenza mirare a’ padroni de' quali erano; e lenza altro riipecto, che di levar
dal mondo gli affailini, che ogni giorno diventavano più fieri, più barbari, c
più ianguinarj : il che minacciava una manifeila guerra tra’Principi Cnfliani,
le Papa Clemente Vili,, vedendo il pericolo, non vi aveffe a tempo incerpolla
la lua autorità con graviflìmi configli, acciò, mentre fi guerreggiava in
Unghcru contra il Turco con tante difficoltà, quelli nuovi femi di comefe non
rocrceGero i Crifliani in maggior rilchio .* onde ne feguà in fine il
defidcrato accomodamento, che farà anche il termine al quale ha da arrivare con
l’ajuio di Dio quefla delchzione per l’ordine divifaio. GLI USCOCCHI SONO GENTE
Diltnatinà, dallo Stato di iln Principe, o. per delitti commeni, o per
impazienza del giogo tirannico, fuggiti ai Dominj di Principe vicino; e ciò fi
dimoftra dall' ilielTa voce fioco, che in latino fi direbbe transfuga. Quello nome,
lenza titolo però d’infamia, cominciò ad acquillar grido, non fono ancora cento
anni, in quel tempo in cui l’arme Turchelche, eflendofi dillefe per 1 ’
Ungheria, e per la Grecia, nella Bulghcria, nella Servia, e nella Rafcia,
travagliavano i confini della Croazia, e delta Dalmazia; perchè all' ora molti
Uomini valorofi, non potendo viver fotto la tirannide Turchefea, ricordandoli
di elTer nati nella vera Fede dei Vangelo, partendo dal paefe gib foggiogato
da’ nemici, fi ritiravano a qualche luogo forte de’ Criiliani ; e di Ib,
flimolati dal dolore delle cofe perdute, e della patria foggiogau, con molta
ferocia ajuuta dalla notizia de i palli, e dalle legrete intelligenze de’
parenti, e degli amici, corfeggiavano ogni gbmo, e portavano a’ Turchi molti
danni. La prima, e piò faraofa piazza che fi cl^gelTero gli Ufcocclii, come piò
opportuna a quelli loro furtivi alulti, fu quella di Clilfa, Fortezza polla
fopra Spalatro, poco difcolla dalle antiche rovine di Salona, in fito
fortillimo, ove fi apre un fenticro flretto, e pel quale foto fi cala dalle
vicine montagne della Morlacca verfo il mare ; ove portandoli diverfe
mercanzie, chi è padrone del luogo ne cava anche dazio importante. Era all’ora
Signor di Clilfa Pietro Crofichio, come feudatario della Corona di Ungheria, il
quale, fidandoli nella qualitb del fito, che pareva inefpugnabile, dava
volentieri nccrto agli Ufcocchi, giudicando incautamente di poter colf opra
loro render piò ficure le cole proprie, e forfè dilatare i confini, e
arricchire di fpoglie. Ma gli fucccCfe tutto il contrario; perchè, prov9cati i
Turchi da’ continui danni, voltarono il penfiero alla efpugnazione di Clilfa
nell’anno 1537. al che forfè non avrebbero afpirato mai per la difficoltb dell’
imprefa, fe il Crofichio fi folfe contentato di mantenere le cofe fue lenza
fluzzicare il verpajo, come fi dice : il efie può fervire di avvenimento ad
altri piccloU Signori, di non provocar l’ira del maggiore, confidandofi, 0 in
forze, o in appt^gio ^ altri Potentati; per^è Umili fperanze rìelbono per
ordinario fallui. Vedendo adunque il Crofichio la rovina che gli veniva
addoflb, fu af tempo d’invocare, c ricevere gli ajuti di Papa Paolo 111. e di
Ferdinando Imperadore, co’ quali elfendofi pollo a dillruggere due forti che fi
fabbricavano da’nemici, a fine di llrignere Clilfa con alfedio lungo, fu con
improvrifo affalto rotto da’Turchi, e uccifo; onde, mollrando la fua tella
a’Clilfani, mifero unto Ipavcnto, che tollo rilolfero di arrenderfi,
diffidandoli di poterli piò mantenere. Nell’ alfedio di Clilfa, che durò piò di
un anno, occorfe un fatto memorabile, del quale non cifendo (lata fatta
menzione da altri, non mi è paruto fuor di propofito il riferirlo in quello
luogo : pafiò egli dunque in quella maniera. Nel campo di fuori fi trovava un
Turco nominato Bagora, di natura grande, e di forze tremende, il quale, come un
nuovo Golia, sfidava ogni giorno quei di dentro a fingolar batuglia,
rimproverando loro la viltb, e la chiufura della muraglia : arroflivano i
CrilliaTomo !!• S z ni di 140 ’ STORIA fii di vergogna; nu ritenuti forfè dalla
prudenza del Capitano, e for« fé anche da ragionevol timore, non ulcivano da*
ripari : quando un giovinetto, nominato Miloflb, il quale ferviva al Crofìchio
di paggio, (t fece innanzi al padrone, diman^ndo il combattimento contra Bagora
: ma riprefo come troppo audace, e dilugaule à tanto nemico, f^giunle ch’egli
confidava in Dio di doverlo vincere.- c (c pur rimancfle perditore, farebbe
poco danno, c poco dilonore de’Criftiani, che un Turco di tanto creato foire recato
fupcriore ad un garzone : in fomma queOo era (laro detto da Dio, come un nuovo
David contra Golia, a- domare la luperbU orgogliola di Bagora. Ufei egli
adunque accompagnato da divote orazioni dc’Fedeti CrifUani, c con un colpo di
feimitarra, che fu forlc il primo, tagliò netta una gamba al nemico; il quale,
f^ermatofi nondimeno falla colcia manca, tutto rabbiofo fi andava girando con
tanta furia, che l’ardito giovane, febben gli laltellava intorno, per venire a
fine della vittoria, non poteva però avvidnarfegli per far alcun colpo; ma
aveva che fare alTai a fchifar quelli dellinfuriato nimico, il quale nemmeno
con tanto empito, che, Icaniando 10 il CrilUano coll’ agilità della perfona,
non potè il Turco reggerfx luila gamba tronca, o lulla lana, ma cadde boccone,
c nel medeGmo tempo gli cadde di mano la feimitarra; febben altri riferifeono
che U gittò via fpontaneameme, con dire a MilolTo, che lo feriva di lontano
con-fain, che non lo volciTè uccider come cane, ma come Uomo di guerra; o ooù
colf arma propria gli fu troncata la tefla, la quale fu portata con allegre
grida dentro a ClifTa; ma eirendoll ei 11 poco dappoi perdura*, non potè eifer
lunga Taltegrczza di cosi nobil fatto. Venuta* Cliilà> ia mano de' Turchi,
rellò loro libero il pafTo, per fare feorrerk in tutta la Dalmazia, e Croazia,
lenza impedimento; e lì ajirirono il primo adito nel Contado di Zara, dfendofi
loro io quei medefìmi gioni renduto anclic per tradimento Nadino, Camello
importanre, poAo nel bellico del medefimo territorio di Zara: ma gli Ufcocchi
a^'anzati alla infelice battaglia lì ricovenron» tu Segna, Citch polla in
un'intimo rcccflb del icno Flanonico, oggi detto corrotumente QuarnaTo, o
Carnaro, da’ monti di Gamia che l’inquietano con tempere continue, di rincontro
allTlola di Veglia; giudicandola opportuna a’ difegni loro, per; la fortezza
del fìto naturale, ajutaio anche aìTai con'arteiperchè per la via di terra,
rilpetto a’bolchi, c monti, non vi fi poteva accoftarc cfcrcito, ne condurvi la
cavalleria, non che le vettovaglie, o i arriglieria; e per mare non vi era
porto capace, nè anche di poca Armata; c il tenerfi fu quel canale era
perìcolofo eziandio in mezzo alla State, pel vento di ^rea che vi lòffia
fpelliflìmo, c che, per comune opinione, (febben par favola il dirlo) li può
concitare a voglia Perciò gli Ufcocchi tanto piò volentieri fi ridulTcro in
quel ricetto, condotti anche con onorati liipendj militari dalfimperadore,
perchè, eflendo ellt uomini feroci, e ufi non folo a camminare, ma anche a
correre con piedi faldi per bofehi, e per balze, pensò, mediante l’opera loro,
di tener lontani t Turchi da tutti quei confini, c far difabicare la Lica, e la
Corbavia, dalle quali Provincie foprallavano 1 piu vicini pericoli. Nè gli
riufe^ all'ora male il difegno, mentre gli Ulcocchì attefero con gagliadi
ftratageromi, e con repentine lòrtite a battere il nimico: ma tolto
cominciarono a convertire le onorare imprefe militari in latrocini, e
rubbamenti de'Criltiani, onde fi rendettero odiofi a tutti i vicini. Li
medefìmo MilolTo, che fottoClilTa nell' ammazzamento di Bagora aveva acquifiato
tanto onore, corrotto in Segna col mal’ ufo delle ingiufle depredazioni,
dappoiché era diventato Uomo di maravigliofa fortezza di corpo, contaminò la
lua fama, e fìnt poi la vita in Zara con un capefiro. Gli altri, valcndofi
della comoditi del Mare, e de'recefll fallaci, ne’ quali difficilmente potevano
elTer feguiri, avevano introdotto rcfercizio di alcune Barche vclociffime,
colle quali coiteggiavano le marine, e afficuravano le prede che facevano in
terra da qualunque improvvifa furia de’Turchi; coftumando di nafconderlc
ne’cefpugli, c anche di fommergerlc fotto l’acqua, per cavarle poi negli
urgenti bifogni. Colle medefime barche affairavano anche! Vaiceli! de’Mercanti,
o dentro i poni, o in altri luoghi opportuni con infidie notturne ; profelfando
però dapprincipio di non voler toccare nè le robe, nè le pcrlonc dc’Crilliani,
ma Iblo de’ Giudei, e de’Turchi; Icbben fpeflb trattavano tutti ugualmente.
Onde la navigazione veniva impedita, e il commercio interrotto; c in
Coftantinopoli fi facevano lamentazioni, c minacce contra i Veneziani, come
quelli, a’quali, per le condizioni^ della pace, toccava di tenere netto il
golfo Adriatico, e libera la navigazione per i Mercanti, e Sudditi Turchefehi,*
onde Solimano fi la-' feiava intendere liberamente di voler mandar l’Armata
propria alla eftirpazione degli Ufcocchi, e afficurazione del Golfo; cfib nei
capellri, e nelle catene. In quelli tempi l’Ilole di Veglia, d’Arbc, di Pago,
cogli Scogli di ^ara patirono tanti danni, che ne fegui poco meno che la
defolazione : molte Ville fi abbandonarono, i greggi, c gli armenti, che erano
numerofi, fi dilpcricro; c le genri, per difperazione, ftavano per abbandonar
il paeie : quelli che erano atti alle arme, e alle fatiche, corfero tanto più
prontamente ad alcrivcrfi fu le barche lunghe, che fino al numero di trenta
s'andavano armando dalia Repubblica, come piò atte d’ogni altro Valceilo a
Icguitar i ladroni per li ftretti canali, e per le Ipiaggie di poco fondo, colle
quali ft veniva anche a metter gli Ufcocchi in maggior, dilperazione, a’ quali
in Segna non fi pagavano gli ilipend) dalla Corte Cefarca; anzi di Ib
proccuravaoo di addolTar qualche carico all’ Arciduca di Grata, per eflTcr
Segna Frontiera particolare de’ fuoi Stati, lébben apparteneza del Regno
d’Ungheria : e dall’ altro canto il pacle non dava comodità alcuna di
agricoltura, o di altra induftria; le Icorrcrie di terra rilucivano di molto
pericolo, c di poco frutto; c quelle di ntare, per le caule accennate,
conducevano ben fpeffo alla forca, e non fempre alla preda: onde di pura rabbia
gli Ulcocchi, non potendo faziar la fame col cibo, la sfogavano col languc, e
colle uccifionì piene di crudeltà. J)a tutte quelle infolenze degli Ufcocchi,
oltra il danno che ricevev.ano i fudditi della ScrcnilTima Repubblica, e le
continue lamentazioni che portavano a Venezia elli, e 1 Mercanti che fpcflb
erano fvaligiati, venivano ad irriiarfi maggiormente (come fi è giU detto) i
Turchi- onde il gran Signore, c i Batà ne facevano in Collantinopoli continui
rifentimcnii con protellazioni che, non provvedendovi la Repubblica, «fiì vi.
provvederebbono da sè llcfli. I Veneziani all’ incontro, procèdendo colla
iblita loro propria ^denza, olt^ la iòllecitudine che ufavano fempre maggiore
di pcricguitar i ladri, e gafiigarli, facevano anche continui uffizj colf
Imperadore', che non tolleraffe né' fuoi Stati una uni tana ingiufiizia; nè
permctteOè contri quello che apparteneva alla dignità fui, e alla perpetua fama
dell’ integrità della Cafa d'Auftria, che ne gli Stati fuoi fi deOe ricetto ad
Uomini fcelleratilfimi, e a pubblici corfari congiungevano gli ufhzj a quello
medefimo fine i Papi, moOi parte dal pubblico fcrvizio della Crifiianità, e dal
peticolo di qualche guerra tra’ Principi fedeli ; vedendofi bene che a lungo
andare non avrebbono potuta i Veneziani dar faldi a tanta ingiuria ; parte
anche fpintì da' proprii intetelC loro, perchè nè anche fi portava rifpetto a'
Mercanti d’ Ancona, e di altre Città della Marca, e della Romagna ; e veniva ad
impedirli il commerzio, e il traffico con danno delle gabelle, e con rovina de’
Sudditi, Le quali tagioni movevano anche i Re di Spagna a concorrere nel
medeCmo defiderio, e nelle medefime illanze per quello che pativano gli
abiranti del Regno di Napoli, foliti a portar vini, grani, mandole, e altre
preziofe merci a Venezia ; le quali medefimamente erano mal licure dalla
rapacità di quella canaglia : oltra che il Re Rimava fua vergogna grande, che
il mondo vedeffe elTer ricettati, e alTicurati nelli Suti di Cafa d'Audria i
pubblj^ ci ladroni, oramai infami per le loro infolenze in tuta Europa, ? luori
d’ Europa. Ma un’altro detrimento confiderabile moveva il Papa, come il Re
Cattolico, a defiderare che foflc melTo freno a tante rubberie,* perchè,
impiegandoli le Galee Veneziane nella perfecuzione di quelli ribaldi, non
potevano elle a'tempi debiti ( come erano folite) feorrere U marine Pontificie,
e Regie, per aflicurarle da’Cotfari, i quali, fatti perciò più arditi, volavano
ciafeun anno di Barbaria, e di Grecia nella llagione delle Fiere, e ne
riportavano fempre ricchiffime prede con numera grande di Schiavi, quafi a mano
falva, non potcndofi tener netti quei mari con altri Vafcclli, parte per non
elTere frequentati i porti ; parte anche per antico Dominio fempre lafciato
libero a’ Veneziani di tutto il Golfo ; fotto il qual nome fi comptende quello
fpazio di mare che fi rinchiude tra Otranto, e la Vallona, feorrendo verfo
Ponente fino a Venezia. Tutte (quelle conliderazioni, e inierelli rapprefentati
a Cefare con anta autorità della Sede AppoRolica, e della Corona di Spagna, non
facevano altro effetto, che di Ipeziofe promeffe, e apparente indignazione,
dichiarandofi di volervi provvedere in ogni modo; ma nel fegreto li vedeva che
a’ Minillri corrotti piaceva il diflurbo che fi dava a’ Veneziani ; e forfè più
la parte che loro perveniva -• delle prede. Si mandarono però alcune volte a
quello effetto Comnicffarj a Segna con ordine di regolare quella milizia, o
mafnada di ladroni ; fe n’ impiccò ul vola qualch’ uno, forfè de’ meno
colpevoli ; fi reflituirono alcuni Vafcelli, e alcune merci di minor prezzo ;
fi diedero ordini divulgati al Capitano di Segna, di non lafciar ufeire gli
Ufeocchi per mare, e di non ricettarli dopo le lubberie : dopo i quali rimedj
fi procedeva per alcuni mefi con qualche maggior modellia.- ma indi a poco,
come ave llerò a rifarC del tempo perduto, fi faceva peggio, che prima. E
febben, arrivando i malandoni con qualche groffii preda, il Capitano, per
mofirarfi efecutore degli ordini, tal volta usò di chiuder loro le porte in
facTomo II, T eia, e eia, e di fparar anche loro ianiglieria contra, (ma fenza
danno per&) molìrando di non ammetterli, acciocché di tal Tua rifoluzione
natidafle ravvilo all’ Ifole Venete, e da quelle poi all’ armata, e a Venezia ;
nondimeno di notte s' [introducevano gl' Uomini, e le prede la maggior parte
delle quali era del Capitano > c i predatori ne riportavano lode, e ciò che
badava a trionfare colie loro famiglie per alcuni pochi giorni ; dopo i quali
conveniva trionfare alla buIca, o morire di fame ; perché tanto contribuivano i
mefehini in faziare l’ ingordigia del loro Capitano, e di qualche altro che co»
mandava al Capitano ; c in mantcnerfi i favori d' alcuni Miniftri nella Corte
Celarca, c dell’ Arciduca di Gratz, (che dovevano effer di quelli i quali, per
mancamento di fede, fi curavano poco delta Bolla in Cccna Domini, o d’ altre
cenfure ) che picciola parte ne rimaneva loro, come fi può argomentar
facilmente dalia povertà, e milcria colla quale fono fempre vifTuti ; né mai fi
è intcTo che alcuno fia divenuto ricco. anzi fi è fentito dir di un Ulcocco
vecchio, fìorpiato, che, dando lèmpre a giacere in Ietto dedituto ^ ogni ajuto,
confedava di efrerft ritrovato ne* fuoi d'i a tante preac, che le porzioni
toccate a lui per certi conti tenuti cos'i di grof*. fo pafiavano ottanta mila
ducaci; nondimeno era miferabilc, e mendico, cosi permettendo la divina
eiudizia. £ fu detto piu volte, che alcuni mercanti fvaligiati, efifendo
ricorfi alle Corti Audriache, per lamcncarfi, c per ottenere qualche
reintegrazione de’ loro danni, avevano riconolciute intorno alle mogli de’
principali Minidri i giojelli, c altre cole prcziolé tolte loro. Cosi i
Principi ottimi, e d’ imegriii, e giudizia incomparabile, vengono fpelTo
ingannaci da’ mali configli, abulando della bontk, c clemenza loro, con
denigrazione della* fama • c nel mondo fi celebra per gran gloria della Cafa d’
AudrU, che, dominando gìH 300. c più anni, cost lungo Impero, c cosi potenti
Regni, abbia però rariffime volte, o non mai gadigato per qualunque fallo
minidro alcuno, o nella vita, o nella roba mal acquidata : ma forfè meritano
maggior nome di prudenza quelli che, ficcome fono liberali nel premialo i
meritevoli, cosi gadigano .con feverii^ i mancatori : nè farò alcuno che polTa
biafimar Rodolfo Imperadore della ientenza che fece contra Giorgio Popel, per
nobiliò, c ricchezza tra' principali Cavalieri di Boemia, fc furono vere le
colpe fiie, privandolo della libertò, e della facoltò : piò todo fi poteva
dedderare che al mcdefimo rigore arrivane la giudizia contra altri due minidri
che ultimamente fi fcacciarono di Corte, i quali forfè predo alla Maedù Cefarea
furono autori di piu dannofi configli.' non fi è però anco ra pubblicato, fe
edì fieno veramente dati anche fomentatori derubbimcnti degli Ulcocchi.* ma fc
un giorno fi pubblicheranno i procedi che s* intende eder fiati fatti da’
Generali Veneti, cavando da diverfi cofiituti di rei condannati a morte t nomi
de’ loro particolari fautori ; e con quali, e con quanti prclenti le li
lenedcro amici ; forfè fi feopriranBo cofe che daranno cagione di arroflire a
molli ; e apriranno maggior lume a’ Principi di conolcere le fraudi colle quali
è fiata per tanti anni tradita. la fama, e il fervizio loro. Con qncfti mezzi
fi foftenevino adunque gli Ufcocchi ; e reftando fruftatori tutti gl’ufliz; che
fi facevano, per reprimere le loro infolenze, foddisfacendofi folo agl’
intereflati in parte con certe apparenti dimoftrazioni nel redo fi adducevano
per ilcole l’ordinaria natura de’ confini, che produce lempre uomini di mal’
affare; e che in quello di Segna, tanto importante, che difendeva lunghe
frontiere contra il Turco, non fi potevano cos'l vedere tutte le cole per
minuto, nè gaftigar con rigor di giuftizia ogni misfatto, per non diftruggere
gli Uommi forti, Lceffari a quella difefa: fi allegava l’efempio de’Cofachi, i
quali, abitando alcune ifole forti, e inacceflibili del Borillene; effendo effi
collegati de’Pollachi, e Mofcoviti, e de’ Tartari, danneggiano per mare, e ìtr
terra fpezialmente le Citt'a, e i Vafcelli de Turchi; ne bafta dili«nza alcuna
ad eftirparli: e lebben efft dipendono particolarmente da Pollachi, e da quel
Re fono loliti di ricevere il Capitano al quale ubbidifcono, nondimeno, quando
da Coftantinopoli, o dalla T«taria Precopenfe vengono querele delle
depredazioni, e degli incendjloro, che fanno affai fpeffo verfo Moncaftro, e
l’altre marittime terre della Moldavia che fi tengono con prefidj dal gran
Signore, e fono mercati celebri’ il Re di Pollonia luole Tempre Icufarfi, che
non è in lua mano di raffrenarli, dando nel rello buone fperanze, e parole. I
Colachi, per aggiungere quello, (poiché fiamo venuti in propcnto delle
condizioni loro) abitano, come abbiamo detto di fopra, I itole del Boriitene,
che, febben’è fiume ncchiffimo d acqua, non fi naviga però per effer
rapidifiimo, e pieno di Icogli, e di falfi eminenti; ma i Cofachi lo paffano
parte con picciole barchette, o d’un fol legno durilfimo Icavato, o di cuojo
cotto, acciò, urtando impetuolamente negli fcogli, non fi Ipezzino; pane
s’ajutano co ’l nuoto; neaqueUi, che non fono ben pratici, è ficuro accollarfi
alle loro tane, dove provvilli che fono di vettovaglie, non temono furia, o
potenza di qualunque nemico- neirilole cullodilcono le mogli, e i figliuoli in
mal compolle capanne- e quando elfi efeono, lafciano lempre alla guardia
qualche pane della milizia. Sogliono effere intorno a 5000. combattenti in
eredito di tanta virtù militare, e di tanta giullizia nella dillribuzione delle
prede che alcuni nobili Pollacchi hanno quella per buona Icuola, ove n’allevino
i figliuoli loro nelle arti della militar difciplina. quelli daMi Scrittori
Pollacchi fono chiamati Niforj; perchè il Borillene, che da’vicini popoli è
chiamato Nieper, da efli è detto Nis ; e Niforj fi nominano, come abitatori del
Borirtene, effendo il nome de’ Cofachi m Pollonia più generale, col quale
intendono la cavalleria leggiera. Ora i Cofachi o Nilotj, in tempo di guerra
crelcono maravigliolamente di numero, 'perchè molti s’accollano volentieri alle
b^e loro, o per la fama del loro valore militare, o per la fperanza della
preda; onde fi unifeono anche de’medefimi Sudditi Turchelchi, non lolo Moldavi,
e Vallachi, ma anche Tartari; delU qual nazione lono in gran parte gli
abitatori delle circonvicine riviere del mar maggiore, fpezialmente di Orzunia,
e di Balograd.. Ma tornando al nollro propofito, Cccome gl Impenah moftravano
coll’efempio de’ Cofachi che ne’ luoghi de’ confini era neceflario tollerare
anche le genti rapaci, e predatrici ; e che efli coll opera degli Ufcocchi
difendevano queUe importantilfime frontiere, arte qu^, per Tom. II. T a
lafprez-, lUfprezza de’ monti, niun’ altra Torta di gente farebbe ftau
egualmente jitta ; così promettevano nondimeno di azi ordine tale al Capitano
di &gna, che ptpibifle, e gaftigaflc quelli che danneggiaflTero >
confini Veneti, o in alerà modo deflero molelHa a’ Cridiani .* ma U Capitano (ì
fculava poi di non poterlo fare, per la tardanza, e pel mancamento de gli fUpendj,
fenza i quali era impolfibile trattener quei prefìdj, nequali ordinariamente fi
fpendevano venti mila Ducati all'anno; e niuno rilblfe di metter qualche fermo
aflegnamento per quella poca fomma, onde cenfalfero le querele, e le feufe:
anzi quando l'Arciduca Carlo rìfiedeva in Gratz, e poi l’Arciduca Ferdinando,
Tuo figliuolo, moffi, o dagli interein de'loro Sudditi, o dall'onor della cafa
d'Aullria, o dalla propria cofeienza, (come fono itati quei Principi dotati dì
una ingoiar virtù, e zelo) facevano iflaoza alla Corte Cefarea che non fi
tplieraflero i latrocin) infami, e che fi mandafiero a tempo le paghe, per
levar quella feufa a' ladroni, e per metter loro il freno; fi nlpondeva che
elfi, come più vicini, pìglUfTero la cura di pagar detti ihpendj, e poi regolalTero
le cofe a modo loro.* ma gli Arciduchi fi Iculavano, che Seg-na non era dello
Stato loro, ma appartenenza del Regno d'Ungheria; e che a quella Corona toccava
la cura,* die elTi però non potevano addofiarfi quella fpefa di più, avendo da
guardar tante altre Piazze centra il comun nemico. Con quelli trattaci, e con
quelli fviamenii s’andava prolungando il rimedio, che con onore non fi poteva
negare; ma, per altri rirpétti, non li penfava di applicare. Sopportavano
nondimeno i Veneziani con una prudente pazienza tanti aggravi, e tanti
pregiudizi, rifoluti di tentare ogni cola primacchè venire ad una manilefla
guerra, la quale abborrivano per tre cagioni.prima perchè vedevano che la
rovina cafchercbbc Ibpra grinnoccnti Sudditi degli Arciduchi, alla maggior
parte de’quali lapevano fermamente difpiacerc le fcelleraggini degli Ulcocchi,
ormai abl^miuaii da tutto il mondo ; nè fi poteva andar contra Segna, che ì
primi a fentire le miferie della guerra non folTcro i vicini Fiumani, quelli di
Lovrana, e di Novi, e altri non principali nella colpa. La lècoada caul'a, e
più importante, era, che, movendofì i Veneziani per mare contra di Segna, i
Turchi fi offerivano di movcrfi liibito per terra; nè clTi volevano in quel
modo aprire la porta a’ Turchi da penetrare nelle viteere d'Italia, per non
effer rei dinanzi a Dio, e nel colpetto degli Uomini, di aver voluto vendicare
le private ingiurie con damo uiiiverfale di tutta la Crillianitk. Moveva gli
Uomini prudentilTimi una terza ragione piti profonda, fondata nel loro
panicolar lervizio; perchè, elTendo loro rimafie in Dalmazia, dopo l’ultima
guerra de’ Turchi, le fole Citta marittime colle gengive di pochilfimi
territori, dubitavano che i Turchi, gih invaghiti della bellezza e fertilità
del paele, non s’ annidalTcro con villaggi, e palazzi fin fugU occhi delle lor
Cittì»; con che i Sudditi farebbono fiati elclufì da tutto l’efercizio dell’
agricoltura, e le Cittù (àrebbono fiate fogeettc a continue infidie della gente
di quella regione barbara, prelTo alfa quale non viene fiimata ragione alcuna
di pace, di patti, o di leggi. Quefie furono adunque le confiderazioni, c le
ragioni, per le quali s’andò portando innanzi il negozio, e proccurando il
rimedio con pazienza, fenza prorompere in una aperta guerra; perchè in fomroa
fi defiderava di vedere moderate le feorrerie degli Ulcocchi, ma non di vedere
t buoni eftinti ; e fì aveva riguardo di non facilitare la firada alle maggiori
rovine d’ Italia, e della Criflianit^ ; nè It veniva volentieri a partito di
far patir a gl’ innocenti la pena de’ falli altrui .* onde da’ Sommi Pontefici,
che Capevano U fegreto, fu grandemente lodata la pieù, e la prudenza del Senato
Veneto, colla quale veniva anche moderato l’ardir di quelli che avevano Tarme
in mano, e reggevano Tarmata; i qu^li', fecondo la loro natura militare, i più
impazienti non potevano lòpportar tanti oltraggi. Ma era necelTario che tanti
peccati di gente ribalda, tanti faccheggiamenti, e ammazzamenti di poveri,
tante lagrime di miferi affUcd movelTero Tira delT eterno Dio, acciò, fé in
terra andavano impuniti si gran delitti, ne moflrafTe vendetta il Cielo.* onde
venne in penfieroad AfOm Bafsh della Bellina, regno che confina colla Dalmazia,
di npprefentare alla Porta le molefiie, i danni, e le rovine continue che pativano
i Sudditi del Gran Signore da quello poco numero di ladroni; e che con
grandifilma indegnità d’un si grande Imperio, e di una tal potenza era il
tollerarlo : che egli, fé gli foflfe data autorità, colle forze del fuo governo
avrebbe non folo dillrutti gli Ufcocchi, ma allargati i confini per le reliquie
del r^no diCrovazia, e de’ vicini Stati Aullrìaci fino a Segna, e piò innanzi
folto i felici aufpicj Ottomani. Era Affan per vigore di corpo, e prudenza
d’animo affai inclinato alTarte della guerra; nè contento degli onori, a’ quali
da debole principio cosi olirà il corfo di mondana profperic^ era arrivato, che
afpirava di farli flrada celle fatiche militari a primi gradi di quel barbaro
Imperio: però difcorlè del negozio in maniera, che eli fu facile il periuaderlo
alla Porta, ove fi defiderava grandemente di galligare la temerità degli
Ufcocchi, ed erano inalpriti gli animi dalle continue lamentazioni de' Sudditi,
i quali deferivevano in modo la crudeltà dc’iadroni, ei flrazj che pativano i
fchiavi i quali capitavano in mano loro, che ormai fino in Cbllantinopoli, e
nelle vicine provincie Europee, quando fi voleva pregare ad alcuno che non
cadeffe in cllrema mileria, fe gli diceva cosi.* Dìo ti guardi dalle mani
de’Segnani. Però furono volentieri afcoltaci dai gran Signore, e da i Bafsh i
configli, e le proferte di Afian; onde gli fu data commilfione, che rómpelTe la
guerra, la quale per tal caufa cominciofii Tanno 15572. e durò fino a quello
del 1602, con variati luccelTi, ne’quali hanno avute continue occafioni i
Crifiiani di riconofeere la particolare protezione dell’onnipotente Dìo, il
quale, febben mollrò dapprincipio di volerli gallìgare, non ha però permeiTo
che fin ora fieno affatto caipcflaii da’ nemici del fuo tanto Nome. £
quantunque ad Affan vcniiì'cro profperi i principj della guerra, poiché lenza
molta difiicoltH s’impadronì di Sifacn, eBichiach, quefio fui fiume Una, e
l'altro sò la Cupa, come oggidì lo nominano i paeiani; ambi luoghi opportuni
a’fuoi difegni, a’ quali fi credea poterli dilficilmenre far conveniente
refiflcnza colle forze dell’Ungheria, che s’ erano debilitate, per eflerfi
colla fperanza della lunga guerra che avevano avuta i Turchi in Perfia diimelTo
nel regno Tufo dell' arme ; ed erano annichilati i prelidj di cavalleria, e di
Isteria, che per djfela delle frontiere fi folevano ne’ confini mamene;*e
nuracrofiinmì colle contribuzioni dclT Imperio; le quali, parendo che gih
ceiralfero ì pericoli, fi coovertivano in alui ufi. Ma quando cominciò la
guerra, fi accofTcro tutti quanto farebbe Ilato utUe l’aver in tal occafione
alla mano un corpo di milizia tale, ve^ terana, ed cfercitata; c fi vedeva che
lalpctcar foccorfo da’Principi dellImperio, o da altri Potentati più lontani,
era colà lontana, e incerta; ORoc fi temeva ragionevolmente che non andafie la
Crovazia, e TUnghcrìa tutta in poter del nimico t però fi maledicevano
UÌcocchi,e fi (kfiinavano loro gli ultimi lupplizj, come ad Uomini
icelleraiiffimi, c autori di tutte le rovine. Ma ne’ maggiori mancamenti di
forze, c di configli, volle la divina miiericordia loccorere i Crifiiani in
modo, che tutti conofeefiero efler ugualmente facile a lei il vincer con pochi,
o con molti: perchè, circndofi l'anno leguente condotto Afian collcfcrcito
vittoriofo, c invigorito da i profperi luccefiì, vcrioSifach, c paffata la Cupa
con dilegno di calate poi verfo il fiume,^e per quella via farli la lirada alia
prcla di Segna, c all’ertirpazione degli Ulcoccht, e ad altri più valli
progrefii, fu Icopcrto da alcune compagnie di cavaili, che*^ fi erano meflc
infiemc de’ vicini prefidj Audriaci, con fine d’offervare gli andamenti del
nemico, c di fargli alcun contrado in qualche anguilia dc’paffi, o d'
impedirgli le vettovaglie, più tofto che di far teda, e di combattere a
bandiere fpiegate in tanta dtiugiiaglianza di numero, efiendo i Turchi più
dÌ40ooo., e iCrilliani intorno 4000. ma edendo quelli tnafpettatamciue
avvicinati alla Cupa, e avuto l’avvilo che il nemico giù cominciava a paiTare,
fi leniirono infiammare da un’inlolito ardore, che fi vide poi cnere miracolofo
dono del Cielo; perchè, ove alla prima nuova della vicinanza deli’cfcrcito
Turchefeo, tutti gli animi fi vedevano volti alla fuga con dubbio che nè anche
quella fervide allo Icampo; ad una loia parola pronunziata dal Capitano, che
meglio era combattere con quella parte che era giù pacata il ponte, e che le ne
poteva Ipcrare qualche gloriofa vittoria, il gridar di tutti, che fi vciiilfe
alla battaglia, e il marciare in dretea ordinanza arditamente contra il nemico.
Tu tutto uno; ove T affalto improvvilo miie a’ Turchi tanto tpavenco, che,
lenza far un colpo di lancia, o d’archibufo, fi mifero m una dilperata fuga : c
perchè giù erano padati quali tutti per un pome non molto largo, (edendo il
fiume crclciuto d'acque, che non fi lalciava gu^zare ) pei medelimo ponte
conveniva ritomariene; il qual non era capace dì più di due cavalli al paro; e
perniile Dio, per maggior dragc de’ nemici del Tuo l'auto Nome, che nel mezzo
del ponte cadellè un cavallo ferito, che chiule il padb a gli altri; nè riirovandofi
in tanta fretta chi fi pigliad'e cura di farlo rilevare, o di farlo cader nel
fiume, fu cagione della morte di molti.perchè inanimiti dalla jnalpetraia
fdicitù, attendevano co archibufi, e colle Ipade a farne drage; onde i Turchi
fi i>ittavano prccipirofamente nel fiume. Le rive erano alte; l’acqua groda;
il tumulto grande; la mano di Dio Idegnata; onde di tanto numero pochidlmi fi
lalvarono; poohì morirono di ferite rìlpctto a quelli che fi annegarono; fi
penderono ìt bagaglio tutte, e i cavalli; rimale morto, tra gli altri, Adùn con
un fuo Iraicllo; c i Cridiani, allegri d* una si memorabile vittoria fcAza pur
una minima perdita, carichi di preda, ricuperarono indi a poco Silach, c
cominciarono fperar meglio di tutta la guerra, la quale ha portato in quedo
fpazio di dieci anni varj avvenimenti certo, mù nondimeno uli, che ciafeuno è
tenuto di confelftre, edeili «iTer(I manifeftamente fcoperti fegni evidenti
della protezione deironoipolente Dio verfo i Crìdiani, perchè fono date
efpugnatc le Cità xeaii, rotti gli efercìti formati, meifo in fuga il proprio
gran Signore : nò fi può che nella prelà di Cliffa confifleffe la diffruzione
de’Turchi; nè credevano altro, fé non che il Papa foffe per pigliarla per sè, e
per quella via mandar efercitt Crifliant nella Boffina, e far follevare tutte
le Provincie con fperanza di liberti: ma i difegni del Papa erano quelli che
fono llaii accenn.ui di fopra; nè fi giudicava conveniente fcoprìrli per fola
Cliffa; nè meno il manìfeflare a gente mal cauta la caufa della tardanza .però
s’andavano trattenendo, con induUria afcoltando in tanto le pretenfioni
eforbicanti colle quali ogni giorno fi facevano innanzi e l'Arcidiacono di
Spalatro, fratello di Giovanni Alberti, diceva che la nazione Schiavona non
voleva mettere mano in quella faccenda, fe non fi faceva un Cardinale della lua
lingua ; e penfava che doveffe toccar a lui, o ad un Aio fratello Dottore. Era
anche venuto per quello effetto Gaudenzio Canonico; ma più importuno de gli
altri era il Cavalier Bertucci, uomo arrogante, e di pochiffima levatura, il
quale dimandava il governo perpetuo di Cliffa con groffi Hìpendj; e già fi
faceva padrone lolo del negozio; parendogli di meritar molto, (ebbene ne aveva
pochiflima parte, perchè nè a lui, nè a gli altri fi rivelava il fegretò; ma le
generalità del trattato erano in bocca, per la poca avvertenza di coloro, di
tutti i Dalmatini che fi trovavano in Roma; onde pareva impQfiìbile che non ne
arrivaffe il fentore a'Turchi; e che non faceffero le debite provvifioni per afllcurar
la Piazza. Tutta quella gente negoziava col Segretario Minuzio; il quale,
mentre afpetrava la maturità degli altri più importanti difegni, loffriva
quelle impertinenze al meglio che poteva.* ma infallidito dalie contìnue
moIcllie del Cavalier Bertucci, come egli era tenuto per natura, per la
moltitudine delle occupazioni, e per la poca laniià, collerico, e impaziente,
fe lo levò dinanzi, accufandolo di prefuniuofo, e dicendogli che forte il
governo di Cliffa fi darebbe ad uomo di più merito di uii ., c che non
conveniva innanzi tempo pattuire della pelle deU’Orfo non ancor prefo. Il
Bertucci, il cui camino s’empiva di fumo con poco fuoco, fi voltò fubito verfo
il Barone diNorad, all’ora Ambafciadorc dellImperadore in Roma, e gli efpofe
tutto l’ordine della trattazione, motirando che ella era già matura; ma che il
Minuzio, come fuddito della Repubblica di Venezia, la impediva co’fuoi
configli. L'Ambafciadore fenz altro predò fede a quello gli fi diceva ; matfime
che, per altre cagioni, era fofpetta a gli Imperiali la perfona del Minuzio,
cosà per effer egli nato fuddito de’ Veneziani, come per effer dipendente da'
Duchi ai Baviera, tra i quali, e la Cafa d'Auflria correvano all' ora alcuni
difpareri ; onde egli abbracciò il negozio, e fubito fupplicò il Papa, che fi
conccntaffe di lafciar andar il Bertucci alla Corte Cefarea, e che 1' imprelà
di ClUIà fi tentaffe a nome di fua Tome if. V Maeflà:, .* il che non fii
diflidle da ottenere, eifendo ormai infìilìidict fua, Beatitudine della
prefunzione del Bertucci, e delle impertinenze di altri partecipi di quel
maneggio., Il Segretario Minuzio, quando vide dalla pazzia d un'Uomo impedirfi
U pubblico fervizio, e i concerti ben ordinati, cercò di divertire il mal
configiio; e trattandone con Tua Santità^ fi sforzò di perfuadere che fi defie
il Bertucci al Commendator Pucci, Generale delle galee Pontificie, il quale
all'ora fi trovava in Roma, acciò lo cufiodifie lopra la ^alea, ove non potefie
metter lòtto fopra materia di tanta importanza : tutto fu indarno, perchè,
follecitando TÀmbafciadore da una banda, e il Bertucci daH’altra, egli fu
Tpediio fegretanaence in fretu verfo la Corte ; nè fi perde tempo, che indi a
poco fu forprela Clifia in nome di Cefare, fenza aver prima penfato al modo di
provvederla di vecovaglie, e di munirla contrale forze Turchefche. Vi entrò
dentro Giovanni Alberti, fecon Qiiello fucceflb di Clifia elaccrbò gli animi de
gli Aullriaci, e de’lo ro Miniliri contra j Veneziani, verlò i qualli non
parevano nè anche ben difpolli, parte per grinierclfi de’ confini, e per lunghi
contraili frù dt loro; parte ancora per la mala inclinazione naturale che,
portano i Principi alle Repubbliche ; ora pareva loro che i Veneziani avrebbono
potuto provvedere CUllà di vettovaglie, o chiuder gli occhi, mentre i ludditi
loro, affezionati alla cauta, le provvedevano; ma chi fi trovava fuor
d'interelfe, ben vedeva, fc era pofiibile farlo: oltracchè, la vicinanza degli
Ufcocchi farebbe fiata loro incomparibilmcme più molefia, e pià travagliofa di
quella de’Turchi, co quali in tempo di pace fi vivequietamente con libero
commerzio. Nel medefimo tempo, per la ifteffa cauta, crebbe anche la rabbia*, e
il numero degli Ulcocchi : la rabbia, per la tagliata ricevuta folto ClifTa, e
per non eficre fiati favoriti, come forte pareva loro di meritare, da’
Veneziani : il numero, perchè i fudditi Turchetchi che avevano avuto mano nel
trattato, alcuni de’ quali erano propriamente di Clifla, altri di Polizza,
temendo di gaftigo, fc ne fuggirono a Segna: il che fecero ancora non pochi
fudditi della Repubblica, che imprudentemente fi erano ingeriti in quel
negozio, e dubitavano però de’ cafi loro. Le quali faccende la Veneta prudenza
non giudicò però doverfi andar più Ibttilmentc inveftigando, per non
moltiplicar diffidenza, e difpcrazioni, e non aumentar di vantaggio il feguito
agli Ufcocchi, i quali, dopo quefii avvenimenti, parte per isfogar Tedio
conceputo, parte per certa opinione di far cofa grata a’ loro Superiori, da’
quali forfè anche venivano infiigati, fenza alcun riguardo fi diedero a
danneggiare i fudditi Veneziani, Ivaligiando i Vafcelli de’proprj Dalmatinì,
ove non poteva effer pretefto dei Turchi, o dei Giudei; levando dall’ Itole gli
ammali, i vini, e ciò che vi era, e ammazzando anche gli uomini per qualunque
minima refifienza, per caprìccio: onde fi vedeva che avrebiMno in breve
dilolata la Dalmazia rutta, fe fi differivano le neceffaric provvitioni, la
cura delle quali fu comn^effa in Venezia ad Ermolao Ticpolo con titolo di
provveditor Generale, e con libera podefi^. Il Tiepolo fino da fanciullo sera
efercitato fui mare, e aveva in diverfi carichi fatte cote maravigtìote contra
Cortari, ed era grandemente temuto dagli Ufcocchi, perche era folito di fame
irremiffibilmente impiccare quanti gli nc capitavano in mano; onde fi giudicava
che fofle ora per far molto peggio. Si tapeva in oltre che era di parere che fi
dovelfcro aflalire con aperta guerra i nidi de’ malandrini, e difiruggerli con
ferro, e fuoco, c ne aveva dato principio, battendo Scriffa, terriccivola che gli
Auftrfaci chiamavano Carlo Iwgo, porta fui canale della Morlaca, dirimpetto
all’ Itola di Pago, la quale poiché ebbe prefa a furia di artiglieria, fece
lubito impiccare quanti nè trovò dentro, cominciando dal Capitano, e
Luogotenente con venti altri di quella ftirpe; e moftrava di dover feguitar
nell’ ifteffa maniera in tutti i ricetti de’mafnadieri, fe dalla Repubblica non
folfcro fiate temperate le ritoluzloni fue troppo ardenti, la qual era moda,
dalle ragioni toccate di fopra a non correre ancora, tirata dalla neceffitli,
in una manifejla guerra: ma ora aveva una confiderazione di più, che, effendo
gi^ acccla la guerra tt\ T Imperadorc, e il Turco, non pareva convc^ nire alla
pietk, e prudenza della Repubblica, fe aveffe nel medefimo tempo moffe le armi
contra la cafa d’Aufiria; la quale fe in tanto foffe fiata afirecta da altri
rifpetti, come grandemente fi temeva, di conchiuder la pace co’Turchi, eziandio
con patti difavvantaggiofì, la colpa ne farebbe fiata rovefeiata tutta fopra i
Veneziani ; onde efll prudentifiimamente fi aftenevano dalTapcrta guerra,
febbene le fpcte, e le forze erano tali, che avrebbono potuto bafiare a farla,
mentre i più prudenti volevano Tonu , V 2 pur por vedere fe la dilìruzione dt
Scrifla pofefta ballare a metter pende' fo kd altri d’ovviare a maggiori
pericoli; al che adoperava Papa Clemente tutta T autorità de' Tuoi configli; c
vi s'impiegava anche il Rè Cattolico per zelo di giulhzia, e per riputazione
della Tua cafa. Ma mentre che i Minillri di Tua Samitk cosi prafifo a Celare
> come prelTo agli Arciduchi accufavano le rapine, ed i misfatti degli
Ufccochi, efTì, per difcotparfi in qualche parte, avevano mandato a Roma il
Padre Cipriano Guidi, Lucchefe, deU'Ordine di S. Domenico, uomo di qualche
dottrina, ma di più audacia, di molle ciancie, e di gran vaniti, il quale e in
voce, e con lunghe fcritture pretendeva di giudificar nel Mondo le azioni degli
Ulcocchi, efaltandoli come tanti Maccabei, e actrì.buendo loro la falute
d'Italia, è la difefa di quei conhni .* diceva che le depredazioni dc’Vafcelli
di Levante erano idituite per zelo della fede, Up meme in «iw.fan»di ladaa
fawodo upuione, efapata» vano aaiaanafi l'im falò», ni aliai potevano avanzare
alcim di b>M. qnelb ara la fada na’p n bW ir i maneggi, c Belle aaminillcaaiaat
del pafa biKO danaro.- ad ok» owlbaRino tempre ebe pili ia^rafie laro l’uiil»
dei^ Patria, che le paiefte comodià; e tàiltir vera la doiniaa di IVh cidide,
efie era magli» efiàr poveao Cictadiae in rioca Repubblica, eh» rioco Ctnadino
i» paàeca Rcpubblica^Médema» gnelli mediocri làaa)tb, baftami però a fafiamaM
onoramaeme le Ifato cndkario da gU Antca»ei e cen «jnelle vivevano modaniamete,
fanza aadar con ^ aafiatb ocrcaad» quegli avanzamenti di factuaa che ia qaeftì
u lt i mi Ma» pi hanno rnarinnitn pah n dafiderarfi in Venezia, per eflére
erdeàna pib il lafln', e la pampa aaaoa i lodevolil&iiii coftarai de gli
Antiche. Oia non patendo, per altre ocanaaaiatil, sbrigaifi à «aA» li da
Vnnezia,-ad cftD^ d ai m a n di Bembo dalte-fae iadi%ofaiaai a totaarvi fubiaa,
fa per deetea» .dal 9bnaa» eommAà ia ttam tuo* 1» cute dèi nagazio ad Anma i o
Gii iftin iaaa, Cavaliere, Capita a o dalMfo, che, dopo eflèrC pebaatfo di iepa
anni eootiau» eletcicaia oaaa». lamcat» in diverfi «pNcfci maaMmi falle Galea,
fa aa taraava allBP»tra eoa gialia Iptt ml aa di maggiati aneti. U ^ftiaiajro
era gbviaa^ e nvMNio vaduie fn dbaa le pih canuta talk fona agella faerigMìCaao
nagaaio degli Ufooaahà, pcoo atl av a .eaa aaolm ai r aalp ea ioae, ma aon ima
inifafa- ddigenaa» latpmlagli letvt pai coahere fapta l' Itoli di Ikav»
niM*,'pregtnlifa«atc dd bada,, iaeiaat al numero di t^, pofia ia hmgo pabhiioa,
diadan gmm daime iMtiaceU a gli oocbi. di gidlli ebe taaaivana ogai giafaoir
t*a vidi delle nefande opemzieai di qalblU mala gente nd iè ri 1 11 É mm
tTavarna vedute in thrt tempi mma in una \ml(»r‘ onde ibtmata ‘dal Ghifiiniano
veniva ia Venenia alnaw fa|>ta le IbcHe; e parmra abdfa Ibn Wioiib poteflè
pnrmr anche gunkbe iMg^ bene, pafcbb‘b>ga4 gfarni a' era aperta la (bada a%
nranaaiooe d’aaaomodanmmo di tuoa il negotio. Perebi, avendo i’Aicivtfoovo di
Zara ptapofti ab Papa dhreti! modi di Ttrminaelov ^ Santnb.gli c o m m dt
chce’abaceaflà oel VdcBvadbSa. gna ' che faa loro vedifaio dt i nri ma pn are H
mgnaioa qnalcha via di«oiSellane, per poterla praporte a gTfamc eff aii aa«
nRipn fandaaiadco. n Vcleovo di Segaa àMitai» daU'Areivetehvo pw n Zatay 1 fii
fora fi maaciD dirwle coafarnuc per plbigforni, la gadfLdI maao in maao fi
eomumeavano al fopeaddetto Gin fii aiana. Per nadir la facili* della fa» faba
y- M fiaa 4 delibati eba II IMòafa anddfc afa Ora di 4fcua, «‘ dì'dPtaga, per
panar di fa gaalahe «onuneCaM famm iella rtffai xieac di'partiti, fafamma
de’-gadi tra» che ipMHa amltitadiat # aaafan rapaai non fi dfafadfe tataa-mMa
in fiagna, aia fa maggia»-]*». « fi omiddaefie a gaaidia.fa mrnf e
-^aal».pacevaaa afiàe pifi alili *1. U fifiefa de’ coafiai, a amna atfa afle
eabbama fi an fama da emgofa XbtI. par bene de’tlbagulei, i oaif il gnale
ricusH 4’andarvi, # fg privato deibilttpcudio: per kicbe lùarrtò a Segua, ove
viveva luetavb, «a meidiiinos e carico di. iigliualà, fcnia credito, e mezzo
fcenip. di ccVvella, Ma tornando ah ptopofiio noAio, à Vaibovo di Sogna,
arrivato aGratz, tiDvò in quella Com agni cofa beo ddpoAa, e unedbecra
incUnazione all' acoooodamenro,' perchè il Priocipe, ottinio, t gioMfimo, era
modo aon lob dalla -diminnzioac delb proprie gabelb, a dal pctimemo de'ludditi,
w gl'interrotti con f erai, e per rimpedna vettovagUa; ma moim più palla
prapiia caicicnta, e dall' intcìelb datb ripotaziasie della Cala d'Au. liru,
che, onorata nel mondo per «ami imperadori, e tanti Re, veni va ora htad'xtia
di fi>mentare nc'&ioi Stati pubblici Itdroat, crudalUiaw, miai imbranati
di langtie Criiinno : ma perghi aon dipendeva raccomodamento daU' AicidiKa, il
Vebovo 111 canfigliaio da lui di trasferirli olla Corte Celareai c lìi
aecoorpagna» a quaU'sBciio con lettere a ' peopolito. Ma in Praga la dtfiicolih
ota'era all'ora di veder la bccia delllmporadofc, eoo che di negoziare Icco, c
il mal animo d'alcuni principali Minifiri, i quali godevano di vedere cos'l
travagliala la Repubblica di Venezia, o' perchè avevano altra canb di bvorir le
rapine degli Ulcocchi, fece perdere il tempo al Vcliavo, chi noe ne e^rh, le
non buone parale, c dilcoifi di rmieiici tutta lo biKenda. oli' Arcidnea. In
tanto era nllr‘"T'‘‘ Venezia il Genezal Uooato, e datb una occhiala al
pacb y coniidefamfa i ptlTi per. h quali gli Ulcocchi potevano ufeire dal-Caneb
di Segnlbforrerc pop I» IMmatia, riloile con pruden;ifli«no «anfiglÌÉ di
cisiuderne con Foni oppartnni, e muniii dt geme, e di oriiglierin,
l'tmqnell'Udla «NVeglb el canafeiefelb MorUgea, ove è I «panguAa hoese,.per la
quale erano tolih-gli Ufeooahi di patfaroìèrequcMe benu. Qnelli Rccoam erano t
più coowdi pofli a chi voleva ulcira, ed eaiatie.&nmmcnce,-«aai erano piu
Acili a temi* per l'anguOia del fieove fehhene rimanevano o'hdrooi alcune altre
pocboutcMc kherc, nopdimtno, quandafi davo fero b caccio nei ritomoy
grantliflinio rifchio : però fi vide daircffetco che quel pmdentiflimo con.
figlio mife i ribaldi in efirema difpcrazionc, malTimc che col primo forte di
S. Marco s’impedì a’Segnani il commerzio di Fiume, donde erano fo. liti cavare
le vettovaglie, e provvederfi de gli altri bifogni : con che fi può dire che fi
toglicirero loro gli alimenti; però fi riduflero tofio all’e. flrcma necediih
di tut^c le cote.* e come un'impecuofo torrente, a cui fia pollo innanzi un
gagliardo riparo, è forza che sbocchi colla fua furia in altra parte; così
cofioro, (limolati dalla fame, ne potendo più ufeire per mare fenza manifeilo
jsericolo; vedendo che quanti di loro venivano alle mani a' Veneziani ( c ne
venivano molti ) tutti s’ impiccavano verfo i confini de' Turchi; (dfendo giìt,
come fi è detto, dilettata la Licca, e Ja Corbavia) non rcllando loro ipcranza,
fc non di mii'eric, e diffìciiilTime prede, fi voltarono temerariamente, e
rabbiofillìmameme (non mirando quanto importava tirar una nuova guerra addoflb
alla Caia d’Auilria, come ?rano fiati foli autori deli’ altra co’Turchi ) fopra
rifiria, e con terrore dì manifefia guerra, non che di rubberic, e laccomani,
entrarono ne'iuoghi murati, e anifièro fiendardi imperiali; iaccheggiarono le
terre, c le Caftclla, c fecero fino de’ prigioni ; onde fu ammirata la difcrczione,
c fapien za Veneta, di iaper divorar oltraggi tali, e non venire, per le
cagioni narrate di fopra, a manifefia rottura., Provvide ella bensì con fubtti
foccorfi alla ficurezza de'fuoi fuddici, inviando quel numero di cavalli, e
fanti che pareva necclTario al bifogno.il governo della qual gente, e di tutto
il maneggio deli'imprefa fu dato a Francefeo Cornare, Gentiluomo giovine, ma
che nel carico di Provveditor della Cavalleria di Dalmazia aveva dati legni
chiari di maturo giudizio, e di una incorrotta fede nel negozio de' danari
pubblici*, le quali virtù l’avevano fenduto maravigliofamcnce grato al General
Donato, il quale lo predicava con continue lodi, ovunque occorreva : c inficmc
colia commelfionc di provvedere alla ficurezza delie terre dell’ Ififia, e di
quei, popoli, gli fu dato il comando di non afialtar però i luoghi dcU’Arciduca
iu s^uei confine, ma di gafitgar i malfattori, di vendicar ringiiirie, c di
rifarcire i danni, 0 pubblici, o privati a mifura colma: Il che egli andò
efeguendo con tanta vigilanza, c con sì accorta maniera, che, feJgU Ulcocchi
trionfavano di qualche preda, tofio ne piangevano i fudditi Arciducali, c
maledicevano chi n’era caufa*, accorgendofi dì dover in breve (fe non fi
accelerava il rimedio) rimaner tutti diftrutti; perchè non indovinavano che
Tarmi Venete s'aveflcro fempre ad adoperare con quella rilcrva, e quella
dilcrczione la quale negli fieUì lagrimofi danni veniva lodata, c ammirata da
chi non s’internava neli’iiìternc caule d’im tal procedere. Quelle faccende fi
maneggiavano in Ifiria col configlioj e coir autoriih del Capitano di Ralpo,
ch’era ^rnardo Contarini, Sonator gravifilroo d’anni, e di prudenza, folendofi
dar quel carico, benché di luogo piccolo, ad uomini tali, e benemeriti della
Repubblica, alfine di rilàrcirli delle fpefe fatte in fervizto della Patria
coll' utile importante che fe ne cava*, onde s’ era trovato nei medefimo
Magiftraro il Ticpolo, quando egli fu creato Generale contra gli Ufcocchi: ma
il Contarmi, alla fomma degli affari,^ e delle fatiche mon potendo refificre
Perù fua, che palTava giù 80. anni, chiamò Giulio, luo figliuolo, che ne lo
follevalfe in qualche parte; il quale, elTcndo d’ ottimo giudizio, e molto
rifoluto ne gl’ importantidìmi negozj, Tpjw* il X a c con i 64 storia f congiunrifTiino
in amore col Cornaro, ebbe la mira Tempre a portar (juella nuova, e infolita
forma di guerra a quei fini che lono flati deIcritti con maniera molto accorra,
e lodata. Ora mentre che in Iflria cos^ s'andavano bilanciando le cofe, c fì
temeva che non riufcilTcro finalmente in una manifcfla guerra, il Donato aveva
gili fatto Taccheggiar da' Tuoi l'oldati la Terriciuola di Lourana, non lontana
da Fiume, con maniera tale, che ben fi vedeva effer lua intenzione, piuttollo
di pizzicare, che di ferire, a finche altri fi rilvcgliaflcro al rimedio, c
dopo aver con diligenza finiti i due forti fuddetti, e dopo averli provveduti
cos^ di milizia, come d’ogni altra cofa necelTaria, e vedendo andar a lungo
raccomodamento, il quale tuttavia fi trattava, aveva in animo di palTar ^
qualche maggiore progreffo. Nondimeno il Papa, il quale aveva per quello
accomodamento già molti mefi 'contuinui in Corte CeTarca Flaminio Delfino, che
non cavava rifoluzione alcuna, bens'i Tempre fperanze buone, e promefTe, fui
fondamento di quelle continuava a pregare i Veneziani a procedere co’ foliii
riguardi, lenza venire a guerra aperta, con rutto che parelTe loro grave la
fpda, c ormai foflcro infafliditi dalle lunghe, c vane fpcranze; poiché efTì
confumavano teforo tale, che avrebbe potuto ballare per una giufta guerra, ove
almeno avrebbono potuto pretendere non folo di render danno per danno, ma di
ridorarfi con qualche acquido dc’gravi patimenti. Ma elTendofi in qiieda
congiuntura accampato l’cfercito Ottomano guidato da Abram Bals^, Cognato del
gran Signore, fotto CanilTa, Piazza non lontana dalle Frontiere della Crovazia,
e dellIdria, parve piucchè mai necelTaria la pazienza, acciocché, fuccedendo
qualche finidro accidente, il Mondo non nc dede la colpa alla Repubblica, che
avede in tempo d’un tanto bifogno tenute occupate altrove le forze Aullriache;
onde non farebbe mancato chi 1' avede calunniata d’hueiligenza co’ Turchi. Per
quedo il Donato attefe a regolar le milizie, ordinandole in modo, che un numero
minore potedè predar il medefimo fervizio, e cosi fi diminuiffero Icfpcfc.
Erano neH'armata diftribuite parte lopra le Galee, parte fopra le barche lunghe
quattro divcrle nazioni, unte valorole, c acccfc di una onorata emulazione di
virtù, Italiani, Cord, Dalmatini, e Albancfi, co’quali era opinione dì molti
Capitani pratici, che s’avrebbe potuto tentare, c condurre a fine ogni ardua
imprcià; madimc comandando loro il Donato, che era mirabilmente ubbidito da
tutti, perchè, oltracchè li pagava a’tempi debiti di moneta con vantaggio,
ufava di trattenere i Capitani di tutte le dette nazioni, coridlemente
ammettendoli di continuo alla fua tavola, nella quale, febbene non voleva il
ludo, biafimato in quelle d’altri, fi vedeva però un’ordinaria fplendidczza; c
Tcbbene nel volto, e nelle parole lue fi feorgeva natura inclinata anzi a
fcvcric^, che a piacevolcza, nondimeno fapeva temperarla in modo, che riufeiva
grato z tutti.* ma principalmente i popoli di Dalmazia lo benedivano, per
l’incorotta fua giulìitia; c i Magillraii inferiori lo temevano, per Topinione
d' inviolabile integriti. Dilpoflc adunque le cofe nel modo che fi è detto di
fopra, il Donato con buona licenza del Senato fe ne tornò alla Patria, edendofi
in fuo luogo (con un giudizio univcrìale, non di Venezia loia, che lo elede, ma
deU’armata inficme, c di tutte le Cittì» marittime, che molto pri ro prima Io
prcdifTcro) commclTa la fafHdiofa cura degli Ufcocchi a Filippo Pafqualigp,
ch'era all'ora Provveditore dell’ armata, ed era palTato, fi può dire, per
tutti i carichi che comandano fui mare, nel quale aveva menata la maggior parte
della Tua vita fìno dal tempo in cui dall' armata CriOiana fu rotta la
Turchefca a Curzolari ; ed era flato riputato Capitano valorofo, vigilante, e
rifoluto, mafTÌBie contra i Corfari, de' quali fi faceva conto, cha avea prefo
fìno a quell’ ora gran numero di Vafcelli armati; onde tutti andavano
indovinando che per mano lua dovefTero anche reflare domati finalmente gli
Ufcocchi, contrai quali egli, conforme all' ordine ricevuto, fe n'andò colla
Tua Galea vecchia, e veloce: ove fi vide toflo ch’era per camminar dietro a gli
antichi configli, col perfeguitar i ladri, e impiccarli ovunque gli avefse
colti; e con rifarfì de’ danni de’fuddìti fopra chi gli inferivano, fofscro chi
fì voleffero: nella qual imprefa entrò, oltra gli ordini pubblici, con
gagliarda rifoluzione propria, con si fatto fpa vento de’ malfattori, e con
tanta fperanza dc’popoli afflitti, che la Dalmazia, e Tlflria cominciò fubito a
credere che fofTero toflo per finire i loro lunghi travagli. Tenne egli bene
cufloditi ì luoghi fortificati dal Donato, e ordinò le guardie a gli altri
paffì di mc^o, che ogni ufeita fo(Te agli UIcocchi pericolofa; e perchè il
porto di S. Pietro di Nembo neH’llola dOflcro era ordinario ricetto di molti
vafcelli, t quali o dalle oppofle rive d’Italia paffavano in Dalmazia, o di
Dalmazia navigando verfo quelle parti, o verfo Venezia, quivi fì fermavano, per
afpettare tempo opportuno al loro paflaggio, onde gli Ufcocchi erano ficuri di
trovarvi lempre occafìone di preda, quando potevano tirarfi fin 1^; Ì1 che
facevano tal volta cacciati dalla fame, e dalla difperazione ne’ tempi piò
fortunevoli di borea, quando nè le galee, nè le barche armate potevano reggerfi
alla furia del ventosi! Pafqualigo, per toglier a’Iadri quella comoditi, e per
aflìcurare a naviganti quella danza, fì fervi prima d’ una Chiefa vecchia, e
derelitta, per collocarvi dentro a quello fine un prefidio di foldati; c poi vi
fabbricò un forte in fito opportuno, con comoditi anche d’alloggio per qualche
pafTcggiero che vi capitafle ; c ridorò la Chidà, provedendola delle cole
necelTarie, con ordine che vi rifiedenc fempre un Cappellano, acciò a quei
foldati nè anche mancaffero le confolazioni fpirituali : il che tutto
l’efpericnza fin qui modra clTerfi latto con prudcntifllmo configlio. Con quede
diligenze redò, (i può dir, aflicurata tutta la Dalmazia; e i ladri, fuor di
qualche ben repentina fortita fopra Tllola di Arbè, e di Pago, ove depredavano
qualche animale, poco ardivano di folcare piò i canali di Dalmazia; e per ogni
poco danno che facevano a' fudditi Veneti, ne pagavano U ho, o cfli, o altri
fudditi Arciducali con ufura; perchè il Pafqualigo faccheggiò primieramente
Ledenici, poi Mofehenizze, c Terzato, c Belai, tutte Cadella del Contado di
àgna : fpogliò altri vicini luoghi di animali, e di abitatori di maniera, che
ogni cofa era piena di pianto, e di fpavento, nè alcuno fi teneva ficuro, fe
non ben lontano dalle marine, 0 in fortiflìmi ricetti: gfinnocenti maledicevano
i malfattori, che erano cagione della rovina loro; e i colpevoli reflavano
confufì, confiderando a quanto incendio avelTero elfi data occafione In quello
mentre co’medefimi paffi camminavano le cofe d’iflria, ove i ladroni, vedendofi
ormai chiufe le firade in Dalmazia, cercavano di rimediare alle loro neceflitìi
: ma il Cornar© vigilamiffimo, ficcome roetteva cura di non clTer il primo all’
ingiurie, e a i danni, cosi non era pigro di vendicare ogni minima ini'olenza;
e gi^ aveva empiute \ timo quelle frontiere* di terrore, c arricchiti i loldati
colle prede, colle quali s' erano anche rUiorati molti danni de’ poveri
ludditi, e quelli di Marc'Anionio Canale, che, mandando le lue bagaglie a Zara,
ove era desinato Conte, ne era Oato ipogliato da’ maledetti Uicocchi nel
cammino: Onde i ludditi Arciducali di quei contorni, afflitti da si fatti
danni, e temendo lempre di peggio, dopo il primo ricorfo che fecero
all’Arciduca Ferdinando, che gli liberafle da tante oppreflioni, c provvedelTe
che gli Uicocchi nqn fon'cro cauia delta dillruzionc di tutto il paefe; nel
qual tempo era flato loro rilpoflo con termini generali, che non fi prometteva
fc nop tardo rimedio, c incerto; ma fi confortava alla pazienza ; rinnovarono
poi Tinflanza con concetti piti veementi, moflrando che non era pu'i pofllbilc
fofferir tante rovine per colpa di pochi Matpadìeri; e che elfi làrebbpno
sforzati a metter alle cofe loro altro compenfo, fc fi differiva la
provvifione: c pareva veramente che, andando le faccende più in lungo, fc ne
potefle temere qualche rivolta; però, eflendofi già per le molnpiiqate iflanze
del Papa, c per le replicate propofte dell' Ambafciadorc, deliberato in Corre
Celarea di commettere con un'affoluta autorità tutto il negozio all'Arciduca,
fpediti furono finalmente i difpacci, dappoiché Celare s'aveva levati d’
attorno quelli che erano creduti ^iflu^hatori di buon configlio. L’Arciduca,
fenza perdervi più tempo, avendo fempre dcfidcrato di liberar la lua Cala da un
tanto obbrobrio, volle fra tutti i Miniflri fnoi Giufeppe Kabatta fuo Configliere,
e Vicedomino nel Ducato di Camicia, di cui fi fece menzione di Ibpra; c centra
l'iflituto della Cafa d’Auftria, lo deputò folo, c unico Commeflario, con
libera podeflH all’ accomodamento degl’ invecchiati contraili « ai gafligo
degli aflaflìnì; con ordine di dar ioddisfazione tale alla Repubblica di
Venezia, che z' ormai fi ccflafl'c da’danni, cos\ nciriflria, come nella
Dalmazia; fi le ' vaffero gli affedj delle Citt'a marittime, e fi rcfliiuiflc
il commerzio a’ fudditi con fìciira navigazione. S* induflc f Arciduca a
preferir quello foggetto a gli altri, conofccndolo Cavaliere d’ottima fede
verlo Dio, e verlò il Principe, come l’aveva efpcrimcntato nell’ eflirpazione
dell’ erefie per la C.arniola; nel qual negozio aveva Ipcffo moltrato di flimar
poco i pericoli della vita, putehe adempifle compitamente i’iiflìzio fùo: cos'i
fi ipcrava ch'egli folle per far anche in quello, il quale importava alla buona
fama de’ Principi, alla lalure de* ludditi, e alla gloria di Dio, in cui
ditonore facevano uomini Icclteraiiffimi patir tanti poveri innocenti, e perir
tante povere anime. Il Kabatta era di languc Italiano, e i progenitori lùoi con
carichi di guerra erano di Tofeana veruni al lervizio dell Imperador Carlo V-,
lotto il quale colla virtù acquiflarono onori, e ricchezze.* nè egli degenerava
punto dal valore de ’luoi Maggiori: però, volendo corritpondere all'opinione
dell’Arciduca, c al giudizio che fi faceva della pcrtona lua, fi mife con tutto
lo fpirito al maneggio impoflogli; e prima dogai altra cola deliberò dì
abboccarfl col Cornar©; c per allicurar di poter anche levar da quei confini
alcuni foldaii, c che in tanto non fi avclfc a proceder in quella parte con
termi icrmùù d'oAilitì, ove il Coriuro mollrò che, purché non iolTm cUnneggiati
i luddiii della Repubblica, egli Aon fi moverebbe di ui pelio, eflèlido tali
gli ordini fiioi, e avendo caiqoiioWb fin eli’ ore -con qiiella diicmione che i
Minifiri Auftriaci dovevano lodare: poiohi, Éebbenc aveva forze confiderabili
foliemue con molu ^la, colle queU avrebbe potuto far infiniti mali in pacié
poco (am, e poco prowifto, nundlnneno non s'era mofirato nemico; k neo ^ade
l’infialeBxn degli Ulcocchi, e la difela, o follevameiuo de’propr) fàddiii l’
avevano indotta! perb provvedeflc pur U Rabatia ^e dal canto fuo non fi
rinnovaifero l'ingiurie, che egli, tenendo le vecchie per ben veadican,
a'alicrrebbe v^eniien da ogni altra oStfa. Il Rabana redi conteonfiinKi della
riletta deldCniMio; e fi aaarayi|li& di vedeee un giovine coti valorolo
peli' armi, ooai pendente ae’ configli, e caci accorto nelle rifpo{le; nè
dubitò che potowc elTergli maBcato da ijaeila parte, vedendo che fi ptycedeva
finceraoMOte : potò, avendo abbaftanaa prawifto che con nuove rubberie non
fodero provocate quell' acme, levò ficuramente la gente di quella perù «he
parve neccllària a' Cuoi fini, e coadfii, e con altra raccolta' in altre pani,
fé ne venne verib Segna armato in modo di jntet ilbrzar afi'ubbidieoza quelli
che voloncariamence non vi c' inehinailero. Giunto adunque il Commeirano nella
tetta di Fiume con ul apparecchio; e fapaado che, per le molte pnwve, i
Veneziani. hvrebbono potalo afpetiare poco ^ttO| della fua commedieoe ; poiché
tutti glà.altri venuti in altri tcn^d cbn .fimil calicò avevano avuto poco
penfiero di medicale il male della radice, ma s' erano oonteneati di dame
un'apparente loddbfazione, non accomodamanio ; non coaando che poco dopo la
partenza loro le facceuda risadpITaaa :oef^adoCau dilbrdioi; elferiio nwluta 4
é-drizar la paaunn.alU.via d’un reale, e fodoaecomodamento, il quale conycoiva
alMl. dignità db' fiioi Principi, e alla ficurezza de'fuddfti, pensò eder
necedàrid di levar primieramenM fot»bw, e i fofpetti, che potedeio aver,
contrarii, e poco iinceri dilegni i Veneziani ; onde procciwò con lenere coufidenia
predo at Generale PaIqualigo; che, per piti facilitare la trattazione, fi era
trasferito con paiv re dcH'aamaia lopn Pifida di Veglia,, ove db da -Calici-
Mufebào mira con p04n anicrvallo le .-vicine riviere de gli Auflriacia i Qpivi
dunque fi portò il Vèicnvfli di Segna per oediae del CommUfario al Generale,
per alficuraria-che fi faceva da davero; e par precario a cornfjpoodere dal
canto fuo olla buona vnloacb degli Autteqtci,dove il Vclcovo riferi che i punti
dé^ corameflione erano veramciur di galligare i ladroni fecondo i merici;>(a
non tutti, almaio i capi ; difcacciar di Segna, e da tacco quel cragta>
IduUjpi Veu^i sbandici, fuggitivi, e fallili, dalle Galee con perpetua peoihnMa
di ano ricettarli per r avvenire; e, quplU che piò importa, dà levar gli
ilfigocchà da Segna, e da' vicini luoghi marittimi, tralporunduli mdi.ulcuni
.CallvUi fn terra, non raeim oppornini ajla difela de' confiìfi^ -eha .-dtaie
àcsunudati alle rapine del mare;, e in fine. di proibire a quelli che
nmt.nefiÌHo in o in altri luoghi mnrireimi, -ogni ule di bauahat-aa onare
(VàevaMo l'autofitli anche aà Capitnnla.di Segna di far limili Ipediniiaàp imi
• voiwo rirolvu-e; * f>rii bene, poiché fiams vewKi ia pnipofld), che qui li
ne difeorra bravcoienlc la caràne. ’MoAcaThno i MùùAri Imperiali d'aver gran
geloCa delia &ctena di Segna, • KrI'uadcvano i Principi, che, levando gli
Ulcocchi da quel pnlidio, (quafi che altri non olièra atti alla difcla) o i
Turchi l’occuperebbene, q t Veneziani, che gik podèdevano tutte l'liòle, e le
parti marittime della Daloizain, fi iatebbono tetto padroni anche di quel pone,
e che alla digiiitè della Cala d'Auttria, c della Corona d' Ungheria, impoKaea
rnelto conlcrvaz quelle picciole reliquie di dominio marittimo, si per dipender
da quelle la conlcrvazione d'altri Suti, come mobe percÀè mi giomo avrehbono
potuto eflèr oppoRimc alla ricupe-nuimte deU'altre coe preiqfè; poicÙ cop eA
Ièlle fi imaeerrebbe l ' mo della navigaziom per (didnatiao .. Qwttì, erano gli
argementi apparenti co'quali fi andava divenmdo ogni innmmiione ne gli affitti
di Segna, c per coniegnenza lotteuendo’ l’ io^natih da’ delitti i^li Ulcocchi:
imehè in iàtio non latebbe mancata altra nazione molto pih atta aUa dileià di
quella Piazza, la quale in mano- de' ladroni era anzi maUfiimo ficum, 'panc
.per la loro inlèdelih, e per elTere la maggior par. te amefii a'iiimiti
de'Tnrebi, e qmlla cittadinanza lenza alcun riguardo; cade facilmeatt avrebbono
potuto entrarvi de' traditori ; pane per. che fpeSe volte FaaKir della prùda, e
delle rapine aceva iaiciac vota attimo la Piazza, ulcendo tutti, or per terra,
or par mare, alla bnicaf Bai qual calò rìmaneTa la Eiaaaa cpotta a i repeatini
allkiti, e all'ii^die de'aemici.' eitre a che, le mbberic continue degli
Ufcocchi anzi acctclcevano i pqticoli, irrimado caci i Turchi, come i Venaai»ni
a tcacaiarli filari .di qaa^ iofimii nidi.- onde più volte avevano i Turchi
ièna iftaaea a'VeBeziani, O'cke etti •’ impadioiiilièro di Segna, e
permeitclièio kno di venir coU’ armata per mate, e pon> eli mii i di «cin
aU'cfiirpiuioBc de gli allèilHii, comuni Bo a n ci. Ma i Ycaevaot,
coafideianrio ^ pmiòadamcBte t’ùàaarfaBaa'di tal neg eai b ^ avevaao (emprc
aolla toro pradona dtvartM iHilt B*ni|^, taiaa pammiifi, bob fido alta Cafa
d’Aufirià, ma n taro itieiiefimi,.c a tutta Italia ‘liifiema; aè per sè ttcttb
potrebbe crcdeie alcun iwmo bivio eh’ alpirattèn mai i Veneziani al daininio di
Sopra, jxrchè con etto t'addottèrebboaa una grotta Ipeta, -c ua centhuiO rame
di contraili enza guadagno, o utile otauao, o cantbdiih Verona di roomeato per
tempi di guerra, o di pace t nè è venfimilc che Minittri Aullnaci non fofe»
affiti bea note tutte la rag ioni a ma con quei fimi lòlpatii coprivano altre
loco imerac pattanr, le qnali in alcuni pochi derivavano da un vii intgrefi le
detta pamnpaatataa delle prede; e in miti da ua comune mal-MHa vcrlo il Baine
VÒSiano, geneedio dalie amiche guerre, nelle qiuuoaàcrano in oumo dc'Vcaeziani
molte colè che pfi altri pracemkaaiio ttièr di loro ragiaae ; d ita Mei
naturali ttimuli che rcndoiw fenipre adiidè le fteanbUiclatini^ £aó tetti da un
iolo, e loipcRi i Principi Manarebi a' fa^Fcaai-dr tnplùtudiaè ; fé pure di
quelle avverta inclinoaiou non vàgleBaro ^ ta alla divetfitb deUe naaioai, eba,
doennfMiaaafiMM èowana, lotto ioliaa a aoo miraifi con basm ocebéa, ara m». lan
fcmpae i còKibbì dillihna^d'qgttb. mipànoatovnimno piglia baabta. o« lag ta naw
tai, «prtMÉtéMaU cfitatrtalim^ aiaii, ed attiaaa la voimnb; M che fivpofièbboao
adthace tabetai efempj, cos'i dc’noftri, come di altri tempi.* ma non facendo
più che tanto apropofìto, li tralafcieremo. Il Kabatta a quelle ragioni ne
aggiungeva un'altra piena di malvagità, e di fellonia, la quale nondimeno egli
teneva per la più reale, dicendo che i Miniftri eretici, Ipezialmente di Grata,
impedivano lo accomodamento cogli Ulcocchi, pcnlandò che per quella via avefle
il Principe loro ad intrigarfì in guerra anche co’ Veneziani; e che, immerfo in
tante occupazioni, avclTc finalmente a defUIere dalla riforina della religione,
nella quale con vero zelo di Principe Crìiliano, e Cattolico egli procedeva,
non olUnte i pericoli della guerra Turchefea. Veggafi di qua quanto importi
valerfi di Miniilri di mala fede verfo Dio, i quali fono anche per ordinario
infedeli verfo i loro Principi. Ma torniamo ormai alla Storia nodra, per dire
come finalmente i Princip i, adretti dalle accennate ncccHitH, e follecitati
da’continui uffizj del Papa, c inficme del Re Cattolico, non oiando i
Configlieri cattivi contrapporfi alle neceffarie riloliizioni, deliberarono di
rimediare leveramente alla malvagità degl' Ulcocchi, e di dar ordine il
Commilfario Rabatta, che dopo il gadtgo de' capi riformane gli altri alle
Cadclla fraterra, nè UrcialTe alle marine, fé non quelli da'qujli p')ceire
promeiterf» più moderate azioni j c a’ mcdefimi impedifle ogni elcrcizio di
corto, acciò tutto il dellderio, che avdfcro di preda, andadè asfogarfi fopra 1
Turchi. Col ledimonio di quede commedioni avendo il Commeffario data fperanza
al Generai Veneto che le cofe centra la prima credenza fodero per palfar
felicemente, e che egli per la pane fua rincamminerebbe con t^ni finceriih,
ottenne all'incontro ficurezza, che in tanto nè in Idria, nè in Dalmazia l’arme
Venete ofiènderebbero i fudditi Audriaci, e che a lui, alle genti fue, e alle munizioni,
e vettovaglie, che d condiiceflcro in Segna, farebbero liberi i partì lenza
alcuna molcdia: e con queda Ambalciata ritornò il Vefeovo di Segna a Fiume,
dove tiittavra lì tratteneva il Commeflàrio, actenJijndo anecertarl apparecchi,
e a prender quelle nccelfarie informazioni elio pòlevano ertcrgli di bitogno
nel progrelTo del negozio; follecitamio iopra tutto copia di vettovaglie, delle
quali fapeva dfer in Segna grandifftma penuria; la qitale fi farebbe
accrclciura colla gente d'arnie che fi doveva introdurvi, c-di gi^ aveva
cominciato ad entrarvi: c con quefto mezzo fece anche fegretamente trattato
'con fua Eccellenza, che volefi fc con qualche deliro uffizio provvedere che
gli Ulcocchi, che fuggiffero dagli Stati Arciducali per timor de’ iupplizj, non
avclTero ricetto prelTo a'I'urchi; parendo che così convcnifse, non tolo acciò
non fiiggilsero il meritato galtigo, ma anche acciò i medefimi rifuggili in
quella occafione non fcrvificro poi colla pratica de’ fui, c colla notizia tic’
parti a’ medefimi Turchi nella guerra contra i Cridiani.* il qual uffizio
confermò maggior opinione che il Commiflario forte per camminare di buon parto.
Del qual animo fi videro indi a pochi giorni fegni più certi; perchè non folo a
richicrta del Generale fece rertituir un grippo di Licfina che, carico di
lardelle, era fiato prefo poco prima da’ ladri, e condotto a Terlato; ma avendo
il medcftmo Generale fatta ifianza che fc gli dcfl'ero in mano alcuni luddui
Veneti, fuggiti' per misfatti, c annidati in Segna; egli, vedendo efler nuovo
rclempio, c inlolito tra’Principi, e die a tanto non arrivavano forfè le
fuecommirtioni, prefe parcitodi fcrivcrc al General di Tomo il. Y Crovazia,
mo(\rando che fcnza cjueflo farebbe come imponìbile Taccomoiiamcnto ; c che
perciò egli andava penlando di dar a’ Veneziani una tale foddisfazionC) poiché
in ogni modo pareva miglior condglio il darla coTudditi loro, riiparmiando
quanto piu potelfe t proprj. Di queAa lettera mandò anche copia alla Corte di
Gratz con penfiero che il filenzio gli icrvilTe per licenza, per cosi elèguire;
lapendo bene che, chiedendola, mai non l'avrebbe ottenuta; e fu partito di
accortilTimo minillro : e quando mafìàme s’ha da far con Principe di carda
riioluzione perchè cosi dalla tacitumitk fi prefuppone conlènfo, nè fi mette in
difputa quello che maggiormente importa alla conchiufione depili iunportanci
negozj. Dopo quelle preparazioni, il Commeflario rilolle di trasferirli in
Segna, dove aveva già fatto intimare che tutti gli uomini della Città, c delle
milizie dovclTcro ritrovarfi prclcnti alla fua venuta fotto gravi pene; i
quali, ricordandoli che gli altri Commillarj ancora avevano dato principio a*
loro uliìzj con certa apparenza di terrore, e con molta vetnicnza; credendo che
quefta volta dovclTe fucccdcre il mcJcfimo, e fidandofi de’buoni amici che
avevano nelle Corti, non cominciavano ancora a dubitare de* cafi proprj ; e
pare che peniafTero che fi avelie ad impiccarne alcuno in («^disfazione degli
altri.* onde i meno fccllerati fi confòlavano colla fperanza, che fi dovelTe
cominciare da’ più ribaldi: e quelli, avendo coi più grofll bottini avuta
comodità di farfi maggiori amici, e di acquiUare più credito, credevano pur di
poter fuggire in qualche modo il laccio, almeno colla fedirione, c col tumulto:
pcrlochc ordivano trame di lìar tutti uniti alla comune difefa, e di tenerfi in
piedi colle minacce, o d’abbandonar i conhni, o di tradirli: colè che in fimili
cafi aveva loro altre volte giovato a feanfar pene capitali: con tutto ciò
fcntcndofi avvicinare il tempo della venuta del CommclTario, e rilèrcndo quelli
che avevano trattato feco in Fiume, c altrove, ch’egli era Cavaliere molto
rtloluto, c fevcro, alcuni Himavano miglior partito TeiTcr uccelli di bolco,
che di gabbia, e fi aflentarono fino a do. fpcrando di potere, palTate le prime
furie, feufar poi in qualche modo la dilubbidienza.* fu creduto che Daniello
Barbo, Capitano di Segna, fautor degli Ulcocchi, e poco affezionato al Rabatta,
li configliaire ad «feire; almeno è chiara cofa, che, avendo potuto, e dovuto
proibir la loro partenza, non Io fece: onde fi cavò certo argomento, come poi
fc n’ebbero de’ più chiari, della ina mala volontà.- lebben in quello egli
venne a facilitar i difegni del Commiffario. Quelli, elfcndo indi a poco
entrato in Segna con 1500, archibuficri, trovò che la partenza di pochi aveva
impauriti gli altri, che non erano più di 300.; i quali maggiormente fi
sbigottirono, quando videro perduta ogni fperanza di fuggire dalla Città, per
la cudodia llrcttiflima delle porte; e udirono i rigorofi bandi che
commettevano, lutto pena della vita, che ciafeuno deponefie Tarmi, nè fi
laicialTc trovar con eflé nè di giorno, né di notte: che quando alcuno folfe
chiamato al Caflello, dovdfc pretcntarfi fubito: che in termine di due giorni
doveflero tutti unirfì a darfi in nota dinanzi al Commiffario, fc volevano
fedelmente, e modeflamente fcrvjre alla Cafa d’Auflria: e che quelli, che fi
ritrovavano confape voli di gravi delitti, veniifero fpoouncameme a chiedere
pentono de’loro falli, per efperimentar la clemenza, la quale non fi IhKbbc
negata a chi con opdre valorofe avefle prima prellaco, o foflo dHpollo di
predare nell’ avvenire ntil» fervizio alla Patria: ma chiunque arj^aAé che la
giuftizia gli metteflè la mino, indarno griderebbe poi mifericotdia, perchè fi
procederebbe concia tutti coneilremo rigore. Quefte cosi gagliarde
determinazioni attcrirono gK animi affatto; nè cofa alcuna pareva più «rana,
che il depor l’arme, non effendofi quello mai più veduto in Segna. M f-'*pùano
della Cictù, che di gih fccmrfva più chiaramente idifegni del Commifiiario,
cominciò a' diflUaderlo dall'imprefa con apparenza di gravi pericoli, e di
mille fpaventi dicendo che rederebbono abbandonati i confini ; e che quella
gente ardita, e pratica del paefe fi potrebbe unir co’Turchi, e apportar a’
Principi qualche nocabH danno: onde egli non foto biafimava il configlio, ma
protedava di non volerne parte in modo aienno. II Commillìirio, come quello chd
conofeeva 1’ umore interno, non fi mode però punto dal luo propofito; anzi
veduto un’Ufcocco in Chiefa con nna accetta in mano, gli fece una gran paura di
tagliarlo fubiio -in pezzi, fé non foli: dato il rifpetto del luogo' facro,
onde tutti rimafero sbigottiti, e facevano idanza, che fi liominìdrero i
delinquenti dedinati al gadigo, acciò gli altri poteflcro ufeir di tema, e
viver ficuri. ' Ma dfcndofi quel me^imo giorno cominciato a fiir la
deferizione, e dar in nota quelli che fi 4trivano di viver modedamence, e di
fervir fedelmente alla Cafa d’Audria; pel qual effetto comparivano in Cadello
difarnlati, e umili; il Commiffario fece ritener prigioni Martino Conce di
Poflidaria, che sera' latto capo de gli afiàffini, per l’aviditi delle prede,
centra quello che richiedeva la nobiltk dei fuo lingue, e la virtù de'fuoi
Maggiori; e iniìeme Marco Marchetich, che era Vaivo. da, o Capitano di
Ledenizze, Cadello delle appartenenze di Segna: aveva dUegnato d'imprigionare
nel medelimo tempo anche Giorgio Maliarda, Ragufeo, più Icellerato, e
facinorofo de gli altri: ma egli nel delcriverfi era pallàto con nome fuppodo;
nÒ il Commdfario lo riconofeeva di faccia: ma quando feppe la ftaude, mandò a
chiamarlo, effondo gik intorno a due ore dt notte, oèe egli, che fi l'entiva
reo di mille inauditi misfatti ; fpezialmente d' avere dopo lo iValigiamento
della fregata colle fuppellettili delCanale, Conte diZara, confinati i macinai
lotto le coperte, e alzando la vela, fpinta la barca in mare lenza governo, e,
fenza cudodia, a difcrezione dell’onde, e deVenti» latto veramente barbaro, e
orribile a raccontare; s'apparecchiava colla feimitarra alla refidenza: ma fu
prevenuto da Odoardo Locatello, Capitano delle' milizie di Gorizia, ohe gli
cacciò uno docco ne’ fianchi col quale lo pafsò da banda' a banda, lafciando
poi che i fuoi foldatt lo faceffero in pezzi. Era il Maslarda fra i capi
de’ladroni uno de’più Rimati e di maggior fegnito: nè la fua mone farebbe per
avventura dala lenza qualche tumulto del popolo, fe gii non fi foffero trùvau
gli animi ingombrati da draordinario fpavento. ° Il che intendendo
prudentemente il Commiffario, per acerefeer terrore fopra terrore, fece la
medefima notte appiccar alle mura del Odello il Puffidaria, e il Marchetich; il
qual fpetiacolo la mattina fini d’atterrire la Citti retta; nè alcuno fi teneva
più ficuro della vita, herebè ninno era Twio . Y a che 17 ?- ‘S ’T O .^R I A I
che in propri*, cofùcozz non. Q conotccIT^ reo di loone ; k porte Aavano
chiufe, k (Inde goard 4 te d* miìi»k ibrelUcre, oy* niuno aveva ardire d( ufcii
di cau, ni di dormir ia notte netta propria ftaqea r però il CommilTario, per
lakiar ad alcuni quaUlK fpecanza di, vita., fece loro intendere cbq, quando gli
fòdero dati in mano alcuni capi, e reRituito tutto il bottino che s en
ultimamente fatto in alcuni va6cUi dello Stato Eccleftajlico; di che il Papa
faceva grandURmo romoit,' atta fi farebbe a tutti chiufa la ftrada del perdono.
Con tal artifiaio ebbe in mano il Moretto, (araolò*(iapo di ladri, con un fuo
compagne,- che furono con inganno prefi' da gl» altri, « prefenuii con certa
l'peranza che 1( tcRe loco poteficro Xalyar -da vita a atolli.' nondimeno co'
medefimi che fi^o f impala fu tifato con tqolu (evecià, lafciaadoH piò toRo t'n
dubbio della morte, che ficari della viu; con tanto rigpre fi procedeva al
uRigo,. de’ ribaldi, Aveva il Commìflàrio al Rio piiaio arrivo a S^na ricercato
il Cenerai Veneto a mandar qualche perfonaggki che rifiedefle preflò iR .iui,
conte teRlmonio-, e Ipfttaiore di cjò $he fi faceva fincerameme, e
rilbluiamente, per. àcconodamento RablWv-q reale del, negozio ; .e acciò
proppnede ancora ili mano in mano quello che gli par efle opportuno a tal fine.
II. Generale deputi a quello .carico Veitor Barbaro, fno Segretario, come ben
pratico di tali afiàiri, è cosi pet natura, come per elperienza prudente, e
atrifiìmo a fimili maneggi.' ma fu in ^i giorni, come Ipcflb interveniva in
quei canali, dS S^an furia di Becca, che il Segrcurio non. potò accoRarfi cosi
predo, come defiderava: onde arrivò quando appunto i era dato cosi notabil
principio alla faccenda, e nel medefimo tempo in co», fi conducevano -alU forca
il.'Mnrettq, e Niccolò. ivo compagno;.! quali furano gratillimo fpeuacolo a gli
Albonefi, che- avevano condotta, colle loro Mtche armare il SegRtario; nò
poterono contcnerfi, c)^ verio la fera non troncalTero k loro tede ; parte per
faziar l'odio particolare della nazione; parte anche per portarle con dio loro,
affine di JcndCr ad altri tedimonio reale di tal effetto. U Barbato s'abboccò
la prima volta col CommilTario alla prefenza del -Vcrcovo di Segna, che aveva in
quei giorni appunto pigliata il poflefTo della fuz Chielà, e col cui configlio
s'indirizzavana tutte k co, fa, per efler Furiato ebe nelle Scuok -de' Padri
della Compagnia di G*. sò aveva acquidaic feienze profónde, che, accompagnate
còli' rio delk cefe del mondo, T avevano reoduio grato a' -Principi Audriaci, e
al medefimo Rabatut; ficcome,, per elTer della Fam^ia de Oominis, nobile
d'Arbò; ma piò p» euerfi modrato bene affetto al negozio, ed cfférC per ben
pubblico, e della patria fua molta affaticato intorno; e per cOer anche
confidente dc'Vcoeziaoi, In quel primo colloquio il Erbato, paflati i Coliti
termini di cortefia, feuiau In la fortuna del mare la tarda venuta, rapprefentò
la fpcranza che ^ en conceputa dai Generai Pafqualigo, c da. altri, di veder
ormai gadigate k fceltcratezze degli VHcoccha, poiebf s' en dato cosi buon
principio; e, oomiticiando a dire gli afTaffinamenii, k trucidazioni d* uomini
innocenri, le crudeltà di fiir. drazio de'corpi morti, « rii fiere il liuigue,
di icorricarli, per far dringhe deUe,priH, li dnpri,. k rapine di .donzelle, e
k infinite rubberk colle. quadi.t' era turfiata la quiete del mare, e della
terra, modrò con malta eloquenza^ ed efficacia, eh' era -bidono di rimedia •
celere. cckfe, e gagliarcki; e eonchiufe, che Tperava di vederlo appiicito
oppertQnameate da mano cosi perita, e valorola. Il Commiflarìo andh nella
rilnlb' fcufando in parte gli eccedi aecennati t come aggranditi dalia paffione
de gli uontini, o c^ionati dall armata Veneta, che, quando anche non fi ofièndevano
I fini fiid£ti, ara foiia di cercar gb Uicoahi a morte, e di tiior loro le
prede finte nella giiifta guerra conira i Turchi; « finalmente commelB da
altri, e poiqutribuiii a gb Ulcocchi; à quali confiifaiva però degni di
graviamo gal^, coma turbatori dalia pubblica pace; e che peiciò egli ne aveva
'gib- tolti di via cinque de' principali, che aveva potuto aver nelle nani;
lenderido in tanto le rea a gli altri, che ('erano polti alle Iclwi, 0 davano
nafcodi nella Citth : nel che aveva fatto chiaramenK-conoKerc la fua diligenza.
£ qmndi, come Cavaliere'di natura libera', e apena, incominciò ad aprir 'il
foglio delle Commiffioni; e de' difegai fnoi; dicendo che teneva ordine
primieramente di edertninar aflàtto i .capi de'ladri, e i priocipaU mafitadieri
avvezzi a corfeggiar nel mare ; foeondariamente difcacciar di Segna tutti t
Dalmatini o altri fiiddiii della Repubblica, chiudendo loro per fempre le
fperanze di ricovrarfi in quel alido : poi 'di lafciar Iblo in Segha cento di
queib nazione de' pih quieti, condiicendo tutti gli ahji piò addentro fra terra
in altre Piazze di frontieia per difela de' confini; e uliiiqamentc di
ridringer r nlb delie barche armate, che non poflàno ufeire lènza clpredà
licenza del General di Crdvazia-. Il precario, al quale erano piaciuti gli
altri pttnti, còme quelb da i quaU veramente dipendeva ogni Ccurezza del
defidemo componimento, ripigliando pih di propofiio l'ultimo delle barche
armate, difse che iperava che l’uto loro firirebbe dato proibito affatto,
poiché la Repubblica non era por confentim in modo alcuno che con l^nza del
Generale di.Crovazia, né feaaa, tranriafsero limili valcelli ndte appartenenze
della bre incera, e invaiata giurifdizione. Il CommilTario replicò che quedo
'era incerelse non folo del Regno d'Ungheria, e di Crovazia, ma anche della
Sede Appofiolica, e del Re di Spagna; però che a lui fob non- toccava di
decidere controrcrfia cosi imponame, né di za pubblici larrocin;, e
abboipinevoli aflà0ÌMamenti, era hfoluco dì continiiare dctenninatameare il rimedio,
i-.. .. Per quello il Barbaro, quaniQ più vcdci^ infervorato il CommiflTario,
unto più Io ifqportuqava, nè ^ mai moflrava di conrenurft di quello che fi
faccvai aè di vederlo liooiikorcere come fatto in eompiacimento della.
Repubblica, ma come a lervizio di necelfaria giuiUzia, e gallico 4e‘ privati
delitti; dicendo ^e il Moslarda era fiato facto morire, per opwfto coll'arme a
.chi.lp chiamava; il Pofiidaria per concetti fedixiofi iparfi da lui, quando fi
ricercava T opera della milita, per ritrovare i colpevoli nalcofii frale cafe^
e il Marchetick perchè aveva abbandonato Ledcmzze, dove egli era Capitano, c
aveva data oecafiooe che il luogo foflfè laccheggiato dal General Pafqualigo:
ficcome ellèndogli fiati confcgnaii nove Iùdditi Veneti, di molti, e molti che
erano dimandati, parte nominatamente, c pane con termini Onerali di mrti i
Iùdditi, fi doleva che fe gli defiero Iblapienre poveri artigiani, e che a'
maUatcori fi laicialse Ipazio di fuggire: febea in vero il Commcirario alava
ogni diligenza per poterli avere tutti in mano; ma elfi ic PC Ila vano alla
montagna, provviftì fcgrctamcnte da’ parenti, amici, e da quei medefimi, che fi
mandavano a pcrfeguiiarli, delle cole ncceiTarie; nè era poffibile a rimediare
a quello difordine, le non fi voleva difirug-« fiere tutta quella milizia: il
che certo farebbe fiato cantra il pubblico lervizio della Cafa d' Auftria, anzi
di juiia la Crifiianiti. Dolevafi però il Commefiario di non poter loJdisfare
con tutta la fua lollccitudine; e fi rararharicava principalmente che erano
fuggiti dalla^ Citik cinque Dalmatini, de più crifti, c de’ più defiderati dal
Generale; onde teneva che refiafle forpetta la fua fioceriib; c fu per far
appiccar due Capitani, alla neglkenza, e edeienza da’ quali s' imputava quella
foga: nè avreb^ lafciato aefiguirjo, fc i parenti non gii aveflcro promcITo di
portargli ovivo, o morto 9 kuno di quelli che fiavano alla montagna; come
fobiio fo facto: perchè un fratello d’ uno di quei Capitani, ufeito con altri
alla caccia, prefe up famòib de’ richiefii dal PafqtMligo, e lo condulTe in
Segna ferito d' archjbugiata nel capo,d 9 vefu fobico impiccato lemivivo, egli
fu data la teila; come indi a poco gli forqno conlègnati vivi quattro altri,
acciò vedefle pure che fi faceva, daddovero. In Venezia quelle operazioni erano
intelé con. grandilTmio gufio; e molti Senatori, nc paalavaqo con dolcezza col
Rofii Segretario refidepte in queli^ Cictb ^pcr la Maefi^ Cefarea, dando lodi
al Commefiario, e grazie a’Prmciu, che finalmente avevano leriamente rilolto di
gafiigar i ladroni., II Commefiario avvifato dì ciò dal Rofl» lo riferì al
Barbaro, Umenìandofi che tutti gli altri mofiraflero d’ efler contemì ideile
operazioni fue, fuor che egli folo; pregandolo a confidcrare la importanza delU
difelà di quei confiti anche per particoiar intcrefie deila Repubblica di
Venezia; onde non conveniva annichilare «mua quella milizia, la quale, ridotta
orp^i a difperazione, avrebbe potuto prendere qualche danoofo configlio^
Giudicando i medefimi>Segiij|iii che per gli ufiìzj del Segretar io
crefccfie il rigore dèi Rabatta,, A' almeno aìmpedìfie il miiigamento fpcrato,
riTolfcro di placarlo con uafcamune ambalcerìa, facendo capo il Vcfcovo
medefimOf il quale accomp^nato da* più vecchi entrò nelle fìanze di cHo
Segretario, recando gii altri lu la piazza; e quivi con molta umiltà, e lolpiri
lo pregarono a contenrarH del fangue fparib, e di tanti condotti alle galee, e
d’intercedere per un pcidono generale, riduceodogli alia memoria i Icrvizj che
nelle paHatc guerre avevano i medefimi Ulcocchi latti alla Repubblica, e
offerendo in altre occafioni di fpendere per T ifleffa cauta le vite che ora fì
confcrvaflcro loro: in fine del qual ragionamento gli offerirono in dono due
tappeti fini, non teffuii gi^ in Segna, nè comperati. 11 Segretario con brevi
parole mofirò che egli, come lemplice minifiro, non poteva preterire i termini
della fua commellione : nondimeno che averebbe giovato loro in quello che
aveffe potuto: fiimò che foife mezzo afironto r obblazione de' tappeti ; nè al
Velcovo fu di lode T efiere fiato ilfromento; febbene Icusò l'ufo del paefe,
che non tollera acceffo dell’ inferiore al fupcriore fenza prelènte: cofiuine
appunto da barbari, e che fra’ Turchi rare volte A tralalcia, ma che agli
Ufcocchi era forfè fiato inlcgnato altrove. IDopo ciò il Segretario rifolfe
però di procedere con qualche più di foaviti, anche perchè in quei tempi fu
avvertito da Venezia di dover COSI fare: onde piacevano molto gli andamenti del
Commiffario; e fi giudicava che non mettelTe conto tanto aflbitigliamento, per
non metcerfi a rifehio di romperla; e che egli anzi, procedendo cos^
chetamente, meritaffe corrifpondenza di uguale finccrìtli: dall’ altro canto
tornavano gli Ulcocchi a liipplicare il Rabatta che li levatfe di fpavento, e
fi dichiarane, fc altri di loro erano defiinati alla morte; o lo in fine
avevano da rimaner tutti efiinci; perchè il vivere con tale angolcia era
peggio, che la morte fieffa. Quelli uffizj, e i continui pianti delle donne,
molTero a compafiione il CommilTario ; onde rallencandofi dall'alero canto, per
le caufe accennare, l'ardore del Segretario Veneto, ne fece proclamar venti de’
più colpevoli, lafciando cos'i fperanza di perdono a gli altri, e afiègnando a
quelli un 'breve termine; dopo il quale cadeffero in bando capitale con taglia,
e con grazia di poterli aiutare l’uno colla tefia dell’ altro. Poi, per venire
al rimedio più fodo, più ficuro, e più atto ad impedire i corfeggtamenti, e i
lacrocinj di mare, deliberò il CommilTarìo, di tutta quella milizia non lafciare
in Segna più di cento fiipendiati, e con loro cento molchettieri Alemanni, e di
trasferire il rimanente ad altre Piazze più fra terra, volendo a quefio fine
che ufeiflero non foJo gli fiipendiati, ma anche dei proprj Cittadini tutti
quelli che foffero conofeiuti aderenti nelle prede, e volonterofi di
continuarle: pel Icro oafcere ma che avrebbe ben egli colla Tua autorità dato
ordine che n iaiciaifero pafTarc liberamente tutte le barche non armate, fen21
pih rìconolcerle, o cercar dove andalTero, nè d’onde vcniflero, 0 cib che
portaikro: e ciò doveva ballare alia lil^nU della navigazione, e del commerzto
amichevole tra 1 luddici dell' una, c dell' altra parte; tra' quali, e
ara'Principi raedefimi pareva che doveffe Correre ndiawenire migliore intelligenza,
perchè V accomodamento epa piaciuto unto ^ a’ Veneziani, quanto agli Arciduchi
: di che può addurli quello cerco argomento, che, dopo ravvilo che n'ebbero i
Principi AuHriaci; quantunque lìa trerifimile che il Barbo avefle rapprcfencaiò
gli avvenimenti lecondo la Tua propria palTtone; nondimeno fu al CommiiTario
rinnovata laucoriik.; ^giungendoli alTolucanientc il Capicaniaro di Segna, del
quale era gih fpogliato il Barbo, acciò tanto piò comodamente egli potefte
perfezionare il negozio, e levar affatto l' infamia di cosh nefandi latrocinj
dadi Stati della Olla d'AuHria. Onde fu chiaro l’error di quelli che ardivaho
d-impucar a Principi così religiofi, gialli, e benigni, il confeqtimtnto di sì
fatte iceileracezze, le quali li dovevano piucuillo atfribuire a gli inganni
de’ mali roinilln Eretici, che nò temevano Dio, nè miravano aU’ooor de’padroni,
o all'onor prozio; i quali co’loro artiBzj davano ad ìmendere che foflè
ùnpolhbile rimediare a quef diJbrdìni ; e li dipingevano dinanzi a’Prìncipi
come trafgrefioniordinarie, e neccBarìcde’conbni. Ma ficcome quelli tali
rimafero cqpfufi nella loro malizia, e privi degl’ ingiulli emolumenti che ne
folevano cavare i così arfero maggiormente di Idegno^ « invidia contra la virtù
del Rabatu, vedendolo in difpregio loro colmo di gloria, e di premj da ogni
parte: perchè anche i Veneziani, conforme all’ordinario loro collume di
corteCa, io avevano facto regalare d una grolla catena dì cinque, o fei
miladucìiti; i quali egli però non volle accettare fenza dame prima conto a’
Padroni, con offerta d’ impiegarla in pubblico fervizio, come aveva fatto di
fonitna maggiore de’ fuot proprj danari nella tardanza delle prowifìoni,
feufabile, per le più gravi urgenze delia guerra Turchelca: oltra di ciò li
fabbricava in Venezia una barca di piacere, e da viaggio, per donarla al
medefimo Rabatu, fornica di dtverfe comoditi, che a lui nel governo di Segna
farebbe Hata di molto (èrvizio nell’andare innanzi, e indietro per quei canali,
e per le vicine IfoIc. Tutte quelle cortefio, benché Ic^icrc, c difuguah a’
meriti di sì buon. Cavaliere, tervivano di materia a gU emoli ftx>i, per
lacerarlo, c aecterlo in dtlgrazia de’ Principi: perchè li Bvtp, irovando nella
Corte dìGratz accefi i cuori di molti Miniltri, fpexialmcnk Eretici, illrumenii
reali del Demonio, c Rimici della pubblica quiete, cominciò ad acculare l'opero
del Eabatta, affermando che egli, corrotto da’Veaeaani, non aveva avuto altro
fine, che di lóddisfàrU in pregiudizio di Ctfkte, della Corona d' Ungheria, e
della Cala d'Auflria; onde a fola riebiefta loro avevai^'fttio a iccare uomini
valorofi, c benemeriti, dandone altri contra ogni onotJtu ime de' Principi in
mano loro; e raettendoU in neceffith di volaaifi a fervile- negli «ferciti
Turchefehi, con manifello pericnio che, perla notizia che elh avevano paele, e
delle Piazze, av^ a cader ratto quel confine in mano de' nemici. k n Di i,ueft
II- Z intcn Digìtized by Google 173 s. ’tT or n': T A. ’ intenzione, vero
imitatore della vinti di Carlo fuo Padre, c Ferdioando Impcradorc ììk) Avo,
crede del nome; ma, per Tei^, non ancora cipaxto deile fraudi cortigiaoelche, c
degl' intcrefìì de’ mali Miniftri, febbeo per Datura, e per religione,
nemicillìmo de gJi Eretici. Movevafi ffdunqur con tali artifìzj inganneroli
Tanitno del Principe, ma più queU io dfif ArciduchelTa Tua madre, la quale più
veniva combattuta da quelli che lapevano come elTa poco prima era rimafla
difguflaia, per aver egli cercato d’ impedire il maritaggio dell' Arciduca
colla Figliuola del Duca, di baviera, la quale era nipote delia medeOma
ArciducheOa; pel quale .iinpcdimcnto fì dice che il Rabatta divulgalTc m
Venezia che la luddetia Spola fofle macchiata di lebbra; il che lì trovò poi
falfo, c Icguirono le nozze; nè al Rabatta fu facile a purgarfi dell’ imputazione;
c gli convenne adoprarvi molti intcrce0bri; lopra la qual cicatrice' ieppefo
beo dimenar 1* unghie i luci cnuilt : ónde gli accefero contra i'aniiTib della
Madre, e del, Figliuolo in male maniere^ appoggiando tutte le loro macchine
alle maligne relazioni del Barbo. Fu il Commtflario avviìato da gli amici di
rezze fi raccordafìfero delle lamentazioni, e de' gemiti dc'Ioro poveri ludditi
deinUria, e della Libnrvia; i quali, per le colpe di pochi ladroni, venivano
Taccheggiati, e rovinati, ed erano (lati a termine, per pura difperazione, di
vacillar nella Fede, perchè i Veneziani avevano gik prefa una riloluta forma
intorno a quelle feorrerie, ch’era, di non rompere in mamfella guerra, per non
iirarfi addolTo la malà fama nel Mondo d’aver molli) le armi centra i Principi
CriJUani, mentre gucrreggiavano contra i Turchi; ma rifarfi d’ogni oltraggio, o
danno che rlccvelTero i loro fudditi fopra i ludditi della Cala d’ Aulirla a
buona mìfura : onde il fomentar le rapine de' ribaldi non era altro, che
dillruggcr, c dìfabitarc le proprie terre delle loro Altezze, e neccflltar i
Varialli a pigliar altri partiti : che cosi s’ intefe il negozio, quando a lui
ne fu data commiflionc; c ch’egli, nell’ averla fapiita efegutre in quella
maniera, pretendeva anzi merito, e mercede: che non bilognava dar orecchie a
gli Eretici, i quali, vedendo procederfi contra con si gagliarde, c pie
rifoluzioni, c che i bilo^ni della guerra Turchefea non badavano ad impedir
Panimo zelante del Principe per rellcrminazioiic loro, volevano anche vederlo
intrigato di più in nuova guerra colla Repubblica di Venezia, acciò folTe
necelTìtato ad abbandonare V imprcla contra di loro; c ch'era ormai conolciuta
per tutta ‘Alcmagna, e per tutta Europa la malizia fcellerata de’fettarj, i
quali, per mantenerli nelle falfe opinioni, non fi guardavano di tradire i
proprj Principi, e la Patria; e che di qua era forfè derivata la perdita di
Giavarino, c poi di Canilfa .* che le loro Altezze foiTero certe, o che
bìTognava reprimere la rapacità degli Ufcocchi per la via cominciata, ovvero
didruggere, e dcrolare tutti i luoghi di marina, e gli altri de’ confini;
perchè egli aveva affai bene penetrato che i Veneziani erano rifoluti di
vendicar in quel modo le ingiurie degli Ufcocchi ; ovvero, fc in fine
bifognaffe, pigliar con effo lóro un aperta guerra: \ la qual cofa in niun
tempo poteva metter conto alle cofe delle loro Altezze; ma ora meno che mai,
per li travagli maggiori ne’ quali (ì trovavano col Turco.* che a quedo fine i
Veneziani avevano giudificata la caula preffo al Papa, e predò agli altri
Principi Crilllani, aquali tutti pareva drano che fi voleffero fomentare
nc'proprj Stati pub- blici, c infami Corfari a danno de’ vicini.* che in
cau> tale non s'a- vrebbe da far fondamento negli ajuti del Re di Spagna, il
quale, ol- irà i’effcr occupato in tante altre parti, e altre molte difficolà
di pò- ter mandar armata in quelle bande, dimerebbe fua vergogna, per la pict^,
e giudizi! fua, il favorire caufa tale .'il che fi poteva anche ar- gomentare
dairefiio deir uffìzio che a fuggedione del mcdefimo Rabat- ta fece in Venezia
Don Inico di Mendozza, Ambafeiador Cattolico, mi- nacciando le arme del Tuo Re,
fe non fi liberava dallo drccto affedio Tricde, c Fiume.- di che fi dimò
affrontato il Re; e per fame chia- ra la Repubblica, e il Mondo, levò todo il
Mendozza da quell’ Am- bafecria .* che quanto a t pericoli che gli Eretici
malignamente met- levano innanzi di perderfi Segna, foffero certe le loro
Altezze che Temo II. Z % meglio era afiìcurata quella con poche genti quiete, e
fedeli, che col numero maggiore di ladri; i quali, olrra il continuo
irraiamenIO de’ncmki, erano loHii rpcffiHimo di abbandonar la Cicih, per atten-
der alle rubbcric; onde non vi rimanevano per molti giorni, fé non le donne, e
le genti inutili; co’ quali mancamenti s’ èrano a’ Veneziani aperte mille
occafioni di lorprcndcrla, le v’ alpiraflcro : ma cfler cofa iroppo notoria tri
gli uomini prudenti, che i Veneziani Jafeieranno Icmpre volentieri a fpefe, e
carico di altri la difefa di quelle frontiere, eh' en medeìmi, confinando con
loro paciBcamente, ajuterebbono Tempre, pel proprio intcrelTe, almeno fotte
mano a difenderle. Onde non potendo i Turchi per terra avvicinarli a Segna, ne
condurre artiglie ria; nè clTendo mai i Veneziani per conl'cntire ch’ivi s’
accodino per mare, fi poteva tener fenz' altro la Piazza per ficura, purché gli
U- fcocchi colle loro rapine non ncccfiiraTcro i Veneziani ad accorJarfi per la
dillruzione di quel nido co’ Turchi, che oe avevano più volte promoisa la
pnitica; o elfi llcffi non la tradiTcro in mano de’ Turchi, de' quali lòno per
la maggior parte fudditi,e molti hanno fotto di loro i padri, le madri, i
fratelli, le foreile, e altri parenti: che in quefto confillcva il pericolo di
qualche gran perdita, non nelle vane inven- zioni de gli Eretici. Aggiunte il
Kabatia, che, per maggiormente affi- curare quei confini, e per la ipcranza di
poterli allargare a danno de' Turchi, larcbbe lato utilifTimo il compartimento
latto da lui di quelle milizie a i luoghi (oprannominaii di Otiolfaz, Brigne,
Profor, e Bortog, mediante i quali fi metterebbero in ficuro fpazio di terreni
fruttiferi, onde la gente potrebbe con giufie fatiche iofientar la vita lenza
illecite rapine; conchiudendo, ch'egli avrebbe poi mofirato il mo- do di ridurre
ì detti quattro luoghi in lìcura difcla lenza che fé n'ag- gravaflTero le
Oincrc di Sua Maefi^ Cefarea, o delle loro Altezze. Furono alcoltate quelle
ragioni, portate con molta eloquenza, e grand’efficacia, attcntiffimameme; e
tolo fi accoriero i Principi che fuor d’ ogni Tuo merito veniva loro mefso in
diicredito un tanto Mini- erò, pieno di prudenza, e di fede; onde lo
reintegrarono collo nella prilina grazia: e per darne fegno in faccia di quelli
emuli fuoi, eief- ièro luì medefimo con amplilfinia autoritli che andalse a
ricevere a'con- fini Gian Francefeo Aldobrandinì, Nipote di Papa Clemente, che
in quei giorni doveva sbarcare alle marine di Tricitc, e di Fiume con dicci
mila fanti Italiani pagati da fua Santitli, e D. Gian de’ Medici, che ne conduceva
due mila, pagati dal Gran Duca, iuo fratello, in fervizio della guerra contra
il Turco; la qual gente della marina doveva guidarli a Zagabria, defiinara per
Piazza della mofira, donde poi per acqua aveva a trasferirfi, come fece
felicemente, airafscdio di Onilsa. Amminiflrò quel carico il Rabatta con intera
loddisfazione, e de’ Principi, e de' Capi della gente Italiana; e sbrigatofi di
III, non vide l’ora di tornar a Segna, per dar compimento a quelle faccende;
nelle quali non pareva che rimanelse più difikoltìi alcuna ; poiché daPrincipi
Aullriaci erano fiate approvate tutte le fue azioni, e tutti i partiti prefi
per rimedio del male; e pareva che f autorità Tolse accrcIciuta tanto, ch’egli
dovcfsc lofio elscr elaltato a più lublimi carichi, defiinandotegU gib il
Generalato di Crovazia. Ma dopo la lua partenza, la malizia diabolica de gli
Eretici s' afsor ligliò figliò ranto più a* Janni di Ini, e fi sfoderarono
nuove calunnie, le quali, fe pure non erano afcohate da* Principi, almeno non
erano ribuitate con quella fermezza che pareva convenirfi a’ meriti di un tal
Cavaliere. Le cole arrivarono ad un tale lUco, che giù fi mormorava per le
Corti che fi formerebbero procefli contro di lui, fpezialmente per dimandargli
conto della morte del Conte di Poflidaria nella quale $* interefiiavano forte
con poco onor loro alcuni principali, mofirandofi parziali d' un pubblico
alsalUno, indegno d' elsere ufeito di quella nobile famiglia. Sentivano quelle
voci, e quelli grandi roraori gli Ulcocchi, che per cauta loro veriavano nelle
Corti; ne mancava chi loro feminalfe nell' orecchie che il Rabatta era in
difgrazia de'Priiicipi, a* quali non era piaciuto il fangue di tanti foldatt
valorofi ipario da lui furiolamente a compiacenza di altri. Qitdli ragionamenti
fi rapportavano poi in Segna, c fervivano a dimmuir l’ ubbidenza al
Commifsario; il quale, rrovandofi fearfo di danari, era anche llato sforzato a
fpogliarfi di quei prefidj che I* avevano fino all’ ora renduto tremendo in
Segna. Accadde in quei giorni che da’ Principi ebbe il comando di mandar al
campo fotto Oinitsa quel maggior numero di gente che potefse ; colla qual
occafionc pensò anche di Icvarfi dinanzi il retlo de* più inquieti, e più
ingordi, per lalciar poi gli afl’ari di Segna meglio regolati rac llrema cura
le Galee, e le barche armate, lenza impedir però il corto delle vettovaglie a
Segna, per non metter la geme in maggior difperazionc ma vedendo per alcuni
mefi che niuno fi moveva, c che fi olTervavano i patti, e che piU in Segna fi
rendeva agli Aufiriaci la folita ubbidienza, e che i Principi erano rifoluti di
mantenere gli accordi, e d’impedir l' ingioile rapine, ottenuu la licenza dal
Principe, fe, ne ritornò a Venezist, gloriofo, per aver mcllk T ultima mano a
così collol'o travaglio coll’ autorità, e colla prudenza fua; e tutto il Mondo
s’avvide che in mano de’Principi Aufiriaci flava il raffrenar quei la- droni,
con tutto che i mali MiniUri gli aveffero per tanti anni dato a credere
altrimenti: onde non pareva verifimile che doveflero acconicntire mai più ad
una tale infamia ; malTime avendo anche imparato i Veneziani il modo di far ad
altri celiar caro il danno che fi dii alloro fudditi. Cqn tutto ciò molti
uomini pratici dubitavano che, llando gli UfcocqIiì in quel luogo fenza altro
follentamento, folTe quali impofiìbtle che fi follentalTero fenza danno
de’vicini; malTimc cficodo gli llipendj leggieri, e difiicilmcnte pagati; nè
participando di elTi tutta la gente. Per li quali rifpetti fu prudentemente
confidcrato che T unico rimedio confilleirc nella traslazione di quella gente
a’ luoghi dilcofii dalle naarine, come Ibno i foprannominati, opportuni alle
tcorreric comra i Turchi, e capaci di qualche agricoltura; ne' quali ancora fi
dice elTcre alcune veo# di ferro, nelle quali potrebbono efcrcitarfi, e nodrire
le loro famiglie con utile induima quelli che eleggedero di preferire
un'onello, e legittimo modo di vivere alle maledette, e Icomunicate rapite,
calle forche, nelle quali, o prefio, o tardi, inciampavano poi tutti. Ma perchè
di fopra fi fece menzione d’ un partito propello dal Rabatta all''Arciduca, fU
fortificare alcuni luoghi di Frontiera fenza dìfpendio delle camera Ai'Ctducali
; e perchè nel punto della traslazione delle milizie Segnine a’Cafielli fra
terra, e in quello che fi accenna, gli uomini vertati nel negozio hanno creduto
(cnipre che coniìfietTe la certa fperanza di reprimere i latrocin; degli
Uicocchi, e ovviare a’ pericoli che ^ l^tteUi venivano minacciati, (àrX bene,
prima di metter fine a quefU. anche quella materia fi dichiari qui co iiioi
o^amentf. .j. ^ •1*" ^ da fapere che il Vefeovo ^ Segna, Prelato ornato di
pro« 'dotjrma, pratico del paele, e pmidenre, propofe che fi facefle unappalto
co’ Veneziani d’alcuni bokhi vicini a Segna, abbondami tanto di per arbori, e
antenne di qualunque genere di VafcelU, quanto anebe di faggi, del qual folo
legno fi fanno i remi per le galee; e cbn proccuraflc di avere da loro
un’anticipato sborlb di 50000. ducati, i quali fervirebbono abbafianza al
difegno di fortificar i luoghi dc^ confini nominati di fopra. Il configlio era
molto opportuno, perche i boTchi veramente abbondano di materia attifllma a’
bilogni luddctii,e fono cos'i vicini al mare, che con poca fatica, o fpefa, per
fenticri declivi, ufati anche in altri tempi, fi poflbno condurre all’ imbarco;
la qual copia, e comoditi efagerandofi un giorno in Segna dal Commiflàrio col
Segretario Barbaro, e dicendo egli che quello era veramente un teforo, l’altro
rifpole cos\ eOcr in effetto; ma teloro di metallo, o di moneu tale, che non
avrebbe mai fpaccio altrove, che in Venezia; la qual prudente rifpofta fe foffe
Hata ben confiderata da gli Auftriaci, non fi farebbono frappoffe nella
conchiufione di un utililfimo partito tante difficoltà; ma mentre l’Arciduca fu
collretto di darne parte alllmperadore, primieramente fi dubitò che quel taglio
poteffe agevolar la (Irada a’ Turchi d’ infeffare i confini: ma chiamato alla
Corte Cefàrea, per queffo effetto, il Vefeovo di Segna, con ordine di portar
feco ddegni reali di tutto il paefe, egli colla Ina prefeaza, e con vive
ragioni levò quel dubbio; onde gl'imperiali cominciarono poi a pretendere piò
grofla fomma, e dimandavano sborfo anticipato di joo. mila feum, lenza penfiero
forfè di fpendeme parte alcuna in fortiheaziune di quel conGne; non ponderando
effi che i Veneziani, febbene poffono ricever qualche comoditìt da que’
legnami, non hanno però piò che tanta neceffitò, perchi non mancano loro felve
che fomminiflrano materia fufficiente per le loro ordinarie, e flraordinarie
armate. £’ vero che la condotta de' remi, che ft ugliano principalmente
ne’bofchi d’Alpago, e di Cancerio, fi fa con dil^ndio, e con gravezza
de’fudditi, a' quali li aifparmierebbe volentieri quel travaglio; nel retto la
materia i inefaufla, tanto per remi, quanto per ogni altro bifogno di piò
numerofe armate: è però verifimile che anche per folo rilpetio della
fortificazione de’ luoghi tante volte nominati i Veneziani farebbono condefcefi
allo sborfo di qualche mediocre lumma a coojp di detti legnami, per interefle
proprio di veder ordinato in que'jconfini piò mimeroft, e gagliardi ritegni
contea i Barbari che penlaffitro mai per quella Brada d’infettar 1’ Italia,
come hanno fatto in altri tempi. \Ma il maggiore, e piò certo lérvizip, che fi
farebbe cavato da quell’ accordo, conullcva nell’ occupare la gente di quel
paefe nei taglio, e nella condotta ; che cosò ella fi lardffie avvezzata a
vivere delle lue fatiche, nè avrebbe avuta feufa, ohe la fame, e la neceffitò
fpingelfe in torlo • perchè que'bolèbi avrebbono data póftetua materia, non
folo di foltentarfi, ma anche di arricchirli; perchè, oltra i legnami opportuni
per le armate, fe ne làidlbBno tagliati infiniti per ogni altro bifogno di
fàbbriche; la comoditti portar le travi, e le tavole per mare verfo Venezia, o
agli oppolti lidi della Romagna, e della Marca, ove fono cariffirae, avrebbe
iltituito un traffico di molta ricchezza; ove ora i bofehi Hanno inutili, e la
gente oziolà ; elfendofi, perle caule accennate, dilmeffa già la pratica; ed
effendo infieme, come fi diffe di Copra, ritornati gli Ufcocchi alla vecchia
tana di Segna. In quelli due punti gli uomini prudenti, e pratici giudicavano
c& confilleffe la llabilità de gli accordi, e del ripofo. Però è molto da
temere che in breve tempo non fi rinnovino le miferie (febben farà Tempre in p
oter de’ Principi il rimediarvi) a 'maggior danno della Criflianità ; perchè
febben anche gli Ufcocchi s’ alleneffero per Tempre di non toccare le terre, i
Vafcelli, o i fudditi de’ Veneziani, nondimeno le continue fortite che fanno verfo
Obruazzo, Teme II, Aa ove •V pvt tcrmin* il canale della Morlapa, far^ fina
lmente aprir gli occhi a’ Turchi, ^rr provvedere a’ fatti loro con un cpnfiglio
non diflkile da cfeguire, che ritornerà in notabii {iregiudizio, e della Cafa
d'Aullria, e d’altri; il quale non infegnerò gih io in quella parte, ma egli
era ben intcfo dal Rabatta ; che pereti fi mollrava rifoluto di proibite che
quel canale con barche armate non fi navigale pib oltre, che da Se^a a Scrillà,
accib l’ingordigia di picciola preda di pochi animali, o pochi fchiavi, non
Tenifié una vola a pagarli con amare lagrime, e colla perdita d’ infinite anime
Crifiiane ; il che piaccia a Dio che non fegua, e che i Principi CtiUiani
cohofeano a tempo, e attendano a divertite i pericoli, acci^ ad altri non relli
campo di fcriveie pih dolorofe, e lagrimevoli Storie; dove qnella finifee con
un’ incera fperanaa di non ^ fondaa quicw; la quale piaccia a Sua Divina Maeltk
di rendere (labile colla Aia lana grazia, p terpreuzionc a cola che li polTa
ricever per buona; e fon licuro che, -leggendo quelli fncceffi, ogn'uno fi
c#tificheri che nei diiordini civili, noQ aliripemi che nei morbi naturali, i
rimqdj lenitivi, lcb|iÀ pare che di pRfen^ giovino, ènafpidlcono nondimepo il
male, e lo' rendano a 1 remp feguetlti più fiero, è atroce; e che, quando
coH'nfeldc'iwidi e appropriati rimedj, il male è guarito, conviene per lungo
tempo aver loipttto di recidiva, e governare il cor^, non meno il civile, che
il naturale f non colle regole de’lani, ma con quelle degl'infermi; e
Ibprattuito appa^rù chiaro, che' il buon'ordine in maceria fluttuante non può
elTcr incedono, le avA ì£ cura di proaurarlo thi dal dilofdinc cava profitto, E
per bene incamAinare la narrazione, mi i neccirarioriferiFe tutti infieme
gl'ntaieoli (iabilici tra il Rabat», -e il Palqnaligo, che'dall’Arcivclcoto
furono commemorati Iporlamcncc, acciò fi vegga in che, e guanto Intono
oRervaii, o inìmrediti; d'onde ebbero origine le qaeAte feguite. Conteneva
quell' accori»to lei capitoli, »• Che gli Ufcocchi non poteflcro' navigare, fe
non nel canale dell» Morlaca, tra Segna, e Serdfa, con altro nome detta
Carlobago. Che non poteflono accoftatfi all' Ifole della Repubblica, nè sbarcar
fopra i territori di quella, Che a gl’ altri luddiii Aollriaci folTe Ubera la
navigazione con VafelU difarmati, e il commerzio per tutto aperto, come per
l’innanzi. Che non foficro riconofciuii, paflàndo innanzi il Forte di San Marer
cuardia, col fcguitarli, 'ioapodivano loro f efecoaióné de'dilegni, avevano
però trovato un lociit modo di fatvar sé fteflì, e le barche .proprie, ion aver
far&> nel fbruio-'di ÉÌaicu^ un forame, il quale 'renevanotucato eoa una
grap fpina; e,vedth leo le pcffiÉie, indi, po0ato il pericolo, ricuperavano le
barche» Il Denaro, che im quei tempi fu rimandato in Dalmazia Generale per
diveric prowifioni, vedendo ripullulare i troncati inconvenienti, fece tracrar
col Capitano di Segna, e fargli apertamente intendere che, ficcoerte concedeva
molto cortefemente il libero t&mfito alle barche per vtage mercanzie, cos\
non era per confemire che gli Ulcocchi [tranfiralfcro armari, come pareva che
s’aveflcro arrogala facoltà dì fare nc*cgh emergenti che nacquero da quefte
occorrenze, e come ebbero fine, non fa hilogno dirne di più; non avendo altra
conncflTione colle cofe degli Ulcocchi, fc non che efiì allora, come Cavalli
lenza freno, corlcro come per gradì et maggiori latrocini, eofi'cfb; fi diedero
prima a fvaligiare le Caravane de’Morlachi, che conducevano vettovaglie, t
mercanzie alle Città della Repubblica. Per miglior Comodo, fi ridncevano colle
barche ne i porti delia Repubblica, opportuni per Icvarfi di là, e andar al
bditino ip Narerfta, Obroazzo, c altri luoghi de’ Turchi : irw troduflero di
corleft'iar anche nel Canale di Cattare; cofa da loro non più tenrara,
fervendoli* altresì per forza dcllè barche de’ luddici Veneri per caricar
^l’animali, -e gli khkvi predati nel parie de’Tuixhi fi fermavano nelle Ilole
Venete a partir le prede, c a dar rifeatto a’ prigioni con tanta libertà, e
ardire, come le le operazioni loro foflcro di Icrvizio alla Repubblica, c di
benefizio a’iuddiii di lei, c ne ntcritaflero commendazione. Aggianfero a 'ciò
il levar le mercanzie, c t dinari agli Ebrei, e à’Turchi naviganti per Venezia,
e far prigioni anche le j«crlunc; nè fedivano d’inferir qualche danno ancora
lopra le Ilole di Pago, c d' Arbi.’ c acciò non rìmanelTc alcuno de capitoli
accordati al quale non contravvcnillero, ricettarono nel loro conlorzio i
banditi Dalmatini, e i fuggitivi di Galea ; onde il numero degli Ufcoccht crebbe
grandemente; e i nuovi aggiunti, o per dcGderio di vendetta, a per modrarfi non
meno fcellerati, lervivano a gl' altri d'incitamento a moltiplicar le olTele.
Non racconterò in particolare le rapine, e violenze in quefto tempo occorfe,
cosi per effer troppo in eran numero, come per non infallidire chi leggeri
colla fimilitudine degl’ accidenti ; il che oflerverò anche all' avvenire, fc
non quand o qualche fingolare qualità mi collringerh a farne particolar
menzione ; e febben io fo thè le leggi della Storia ricercherebbono che folTero
tralafciati molti de i particolari che fono per narrare, e che i narrati anche
folTero più fuccintamente riferiti, per non caufare fazieth, e tedio; con tutto
ciò fcrivendo io non per la poderitù, ma principalmente per notizia di quei che
al prefente defiderano minuta cognizione ancora per altri riIpetti, che pel
frutto che fi cava dalla lezione ;delle Storie, ho giudicato di dover trapanare
i termini dello Storico, e più rodo allargarmi a far T uffizio di chi informa in
controverfia giudiziale, affinchè ila pronunziata lineerà, e giuda fentenza. Le
tante temerità, e cos'i ingiuriofe, codrinfero Andrea Gabrielli, all'ora
Provveditor Generale in Dalmazia, a rimandare fuificiente cudodia in quelle
acque, per levar a'malandrini il comodo di corfeggiarc, con feguitarli dovunque
s’ incamminavano, e impedire T alfaltar barche in Mare, e lo sbarcar in qual fi
voglia luogo in terra: cofa che all’ ora a i ladri non fu difeara, valendolene
per pretedo di prevenire predo l' loro Principi, figurando loro di non effer
dati i primi ad’ offendere ; e qiierelandofi che folTero a corco perfeguicati,
e mal trattati, mentre andavano per li fatti loro fenza far danno ad' altri,
che a’ Turchi; e alcrivendo a necelTaria difefa, ovvero a giuda vendetta gli
fpogli, e le altre tngiurie inferite a i naviganti, e fudditi della Repubblica
in mare, e in terra. E per le confeffioni d' alcuni di loro, che pofeia
capitarono in mano de' Veneziani; fi ebbe per cofa ceru, che defidetavano, e
proccuravano di edere non folo impediti, e feguitaii, ma ancora provocati con
qualche afsalto, per poter con più gindificato colore impetrarne da i loro
Principi licenza, e darli liberamente a faziare le ingordifiime voglie in
qualunque modo. Nè è da tralafciar di dire che alcuni Pugliefi colla iiberth
del tranlito incrcdulsero di andar a Segna per comperare la cole predace, c a
quedi vendevano i Morlachi, e le Morlache Cridiane, predati nel paefe
de'Turchi, accertandoli che non erano battezzatti, de' quali era facu pubblica mercanzia,
come fe fofsero dati infedeli. Al principio di quede predazioni non è certo che
il Capitana predafse conlenfo efprefso; ma bensù, dappoiché Giovanni Vularco,
famofo capo degli Ulcocchi, ritornato da una gro^ preda infieme con Pietro
Rofantich, gli donarono 1500. Tolleri, e un Cavallo di prezzo, fornito, fi
moltiò aperto protettore del corfo. Mandò in qualunque ufeita generale un fuo
famigliare infieme con loro alla preda, al ritorno participando la fua porzione
del bottino: e pafsò tanto innanzi, che fi mife egli defso capo nella compagnia
loto: la qual cofa anche un giorno gli ebbe a fucceder male; perchè, avendo
congregati non folo gli Ulcocchi di Segna, ma tutti quelli del Vinadoli, e aven
Digilized by Google I9^ S’ TORI A e avendoli fatti fcorrete nella I.icca, non
foto reflò defraudato del difegno, ma gli convenne anche fuggire con qualche
pericolo,- perchè i Turchi, avvifati, lo perfeguitarono; altri coriero ad
alTaltar Segna, la(ciata lenza guardia fuflìcienre, che con difficolih fi difefe.
Di tante ingiurie, e inlolenze a’ tempi opportuni furono dall’ AmbaIciadore
della Repubblica fatti lamenti alla Cone Imperiale, e furono riportale fempre
gran dimollrazioni dall' Imperadore, e da quei MiniUri, di léntirne difpiacere,
e promelse di rimedj.- ma efsendo occorfa nel idoj. la prefa di una Fregata
della Brezza nel Porto Cigalz, fopra la quale erano diverfi Mercanti con alcuni
groppi di Zecchini, e altra buona quantità nelle borie, e flati Ivaligiati
tutti con mal trattamen- gralirt fmontati alfaltarono Scardona, Città de'
Turchi, c riulci loro lenza alcuna difficoltli I’ imprefa, avendovi trovata
quella gente lenza nefiuna guardia; e uccifi quelli che, eccitati, fi oppolero,
depredarono la terra, fecero grolTo bottino di merci, e robe, e prefero 300.
Ichiavi, e accelo il fuoco nelle cafe da piò parti, partirono, e all'aurora
predo arrivarono al Canale,- e quello jiatTaro colle barche proprie, e con
quelle dc’Sebcnzani, ( le quali poi adoperate forarono, e milero a fondo)
inviati per terra quelli che non capivano nelle barche molto caricate, gli
altri per mare fe ne ritornarono colla preda. I Turchi imputarono i Sebenzatii
per complici, e fecero querele a Collantinopoli; perlochè fu anche mandato un
CiTiaus, e con molte difficoltà la cola fi pofe in negozio; c con maggior
opera, e fatica, e fon lunghezza di tempo fu fatto conolcere che gli
b'cardonefi, per la loro negligenza in guardarfi, furono principaliOima caufa
del danno; « che i Sel^Dzani non ebbero alcuna parte. Gl'Ufcocchi, e i Minidri
Audriaci difendono queda forte di azioni con dire che i Turchi fono nemici
della religione Cridiana, e de’ loro Principi, e giudamente polTono offenderli,
nè con ragione da altri poffono effere impediti; e fi lamentano che fieno
impediti da' Veneziani. Ma elfi dall’altra parte rifpondono, che non appartiene
in alcun conto loro attendere, o doleifi, le i Turchi fono danneggiati da'
nemici loro: e ficcome non attendono a quello che facciano i Perfiani, ovvero
gli Ungheri centra i Turchi, cos'i non attenderebbono a quello che gli Ufcocchi
tentaffero dove co' Turchi confinano : ma quello che loro tocca, e che loro
importa, è il tranfito pff^li loro territori, o pct le loro acque; non tanto
perchè cos'i vieiM jioiata la giurildizione, quanto perchè i Turchi pretendono
di elfer rifatti, come queda volta ; ovvero pij;liano di fatto il rifacimento
fopra i Ridditi Veneti, come in altri tempi è avvenuto; imputando loro che
tengano mano, 0 fieno complici, o almeno che fieno tenuti ad ovviare, e nonlo
facciano. Se vi e tanto zelo di religione, c di perfeguitar i nemici della
fede, vadano per li loro confini, che fono larghi, e fpazioC, e là efercitino
il loro zelo, e va ore. Che, per offendere i nemici della fede, entrar
violentemente in cala dell'amico, violarla, e metter le cole di quello in
pericolo, e in danno, non è uffizio, ma pretcflo di religione, contrario g i
fanti precetti di queda. Il Ba Digitized by Google di Pifino per li»
lìcdrciaii, promife con lue lettere al Genera! iRTo che avtehbe ifancenuca la
fua roldaéelca in difciplifia, fìcdKc ncfIbno avrebbe occafibne di querelarli.
Diedè -principifi ili’ informazlonè per mandar alla CArce, e delle cofe predate
ricijperb tre mila 'zecchini dc'gropii, perchè quelli erano capitali in ftunò
de' priocipali' ^r qdellh 'dhe Tbccava la robe',* ficcoma per li tempi palTati
11' mandaf per informazione ilon pdrrorl Inai ahrd efrecn>,~fe non
tfllazione', accioccU il rubbaro poteffe eflTer trafugato con comoAj; e TIldfi,
per non fSV la rHRtiizione, ne facelTero parte a chi poteflé'prdl^crli; cds’i
nelTocc*finne preftnte refe la ricoperzzSsne impoflibile. Imped'i il Baronè
agli Ufebethi Pufeir allS peda; e ^1 tempó'di fei raefi, che dimorò in Segòa,
le cofe panarono afiài Quiete Parti all’ improwflb pr Spagna, per la ’lffórte
di un fuo -fratello, e lalc^ le trfè in cdhMone; e de 1 tre mila ‘zecchini
de’groppì Hcòperari non li lepp mai che cofa ivvenilTe. Von Mterono i
pdroni'Vitrame parte alcuna, quantunque, ajutati dagli nmaj de’Minilirr della
RepaWiea, JafèlRro continuate iHanze in Se^af e aXìratt pef rtlHtuzfShe jdeW Ih
line, ftanchi, non tornardfr piò loro il cifnlò di profeguire, ihbandonarom 1è
loro ragioni. Fu un’ arcano ufato in tutti i tefpi da chi comanda agli
Ufcoccnl^ di deibdere gli uffizj de" Minillri * della Repubblica, e If
private iltanze', llancaido gf in tereffati colle diUèfimi, e nhtrehdo 1
pubblici MiniDri di fpranze d*^tera rèWruzIonc dei tolto, e galligo
de’ifelinquenti, fili tanl tq che, fitccedehdo uh altro rubbamento, e dopo
Quello un’altro, il parlare de’liiècelli frefcfii faccia porre prima in
lilenzto, e poi in obblivione i primi. e fi può ftire generalmente che fempre
hanno pollo in fiknzio, e coperto ogni 'fiìblnmenro con un'altro nuovo. Per la
partenza del Barone, gli Ufcocchi, reflati liberi, fi avanzarono nelle
iniblenze con dtqni di ‘tutti i generi di fopi^ raccontati ; e intraprefero -di
più tih tentativo chO ne'feguenti tempi ogn’anno tentarono di metter ih
effciro. E’ pollo in ufo che da "Venezia parte una Ga. le,!, che chiamano
della mercanzia, per Dalmazia, donde leva le merci che fono portate aquella
fotta.’ Gii Ufixcbhi penfanno che, venendo loro iicto di poterla una volta
fpoglldfe, foiebbe (lato un' grofiìlfimo boKìno per loro, c gran fervizio
a’Ioto Governatori, fe quel commerziO' foffe ftatn'- imcirotto ; però ile’
tempi dell'andata, e del 'iitomq maraviglia è quante. infidie*s'ingegnarono''di
porle; ma non hanno mai potuto colòrir il difegnb, perche h Galea, per fila
ficureiza, fempre i fiata da Galee, o barche armate accompagnata ; ma quantunque
la mi andaflè fallace, ^on rdlavano di (jdiptrè in altro, Icbben non di tanto
fratto, perdiè,- mentre fi attendeva alla cullòdia ’ della Calcai, conveniva in
qualche luogo rallentare l^'guardie; e reftava qualche parte del mare non
cullodita, e loto aperto il luogo datwtcr far de'mali pari a i loprannominati.-
A queili Igginnferu apprefliptn nuovo, e lirano ufo di violenza dove era
^nalche figliuola da marito di buon parentado neU’Ifole, 0 Terre marittime (tf
-Dalmazia; andati improwifamente,‘o di notte, o in ^Itfi tempi più opportuni,
con inforzar lecafe,Ia rapivano in matrimonio di alcuno di loro; e poi
co’congiuuti .(che al male palfato non potevano rimediar^’) iratiando {bee, e
feofando il fatloj pròecuravano d’ indurli a ficonoftérli per. parenti, e favorire
le cofe Tomo li. Bb z loto loro eoa intelligenze, zvyifi, e zltri zjaii- Pochi
ne poteyzno periiiadcrc, |>er le gran pene cb'cleguiva la giullizia contri
chi era trovato aver parte con lofi; ma citi contra qoclli che liculàvano
oftilmentc procedendo, valendoli di preteOo della dote della moglie, tenevano
in continua venazione le perlbne, c gli averi loro fin tanto che lioflcco
eoodotii a mileria efttcma. Alle violenze, arrapine ovviava,Giam • Battifia
Conntii^, Generale Veneto, guanto «jr’foflibile a chi non voleva ulare i mezzi
proprj di alidar a i nidi dp’iadroni, per non difpiacer a' Principi confinanti;
ma Iblo* difendere le cole proprie: il che riufeiva difficile, avendo a guaruna
Riviera di joo. miglia con unte Itole, e fcogli, cooira gente ardita, veloce, e
temeraria, che, fingendo andare in un luogo, paflàva ad nn altro, e con ellrema
preftezza fi Ipcdiva da quello, c ririravaC in licuro. Occorfe nel (idod. che,
ritrovandoli .nel porto di Veftria, rreCò a Rovigno in Ifiria, una Fregata
Catearina, la quale portava Icttere del Principe, c. lei mila ducati di danari
pubblici, e altra fomma ge' privati di circa quatira mila, con mercanzie, e
robe di valore, te barche di quelli fccilcraii raffidtarono, e In
lQ|p>gÌiorona di tutte le robe, e de' danari j, e, quello che peggio di
luitoifu, afponate k pubhliche Iettare, e partendo di li, con maggior crudeltà
Ihccheggiarano altri navilj ritrovati in altri porti della Rcpubhbca, levando
a' ^danti,,o a' Marinai ic camicie, e le fearpe; e 1 capi, dopo aver prefo per
sd (Icifi una grofià porzione della preda, il rimanente del botiino divife, IO
in i$o., che tanto era il numero. 11 Coniarini, che fin allora fi era
contentato di ftar loia alla difela, ed impedire ilenuiivi, cqnofcendo che per
tal via era impolfibile conseguirne il fine, vedendo giornalmen. te crefccrc
gl’ inconvenienti, coofidcniado il danno per la preti della Fregata, e, quc|ia
che più filmava, il pubblico altronio per le lettere interceite, giudicò
neceifario lerrar i palli a Fiume, Bttcari, e Segna, e impedire rufdca, e
andata di ogni t>ru di valceUb a quei luoghi, acciò quegli abitanti folfero
cofiretti a defiftere dal ricettare, e fitvoriK i predoni, ovvero trovar modo
di conrenerli m uffizio. la fola perle, dizione de'ladroni nel mzre non può
aver rimerò cilctto di reprimerli; imperocché, riduceqtlofi elfi, per dividere
le prede, fono là monta, gna della Morlaca, fito fortifiimo, e molto comodo,
per la moUipUciib dclté valli, e. de' porci, e per la proffimiib dcircmiiunae,
d'onde colle ^ardie fcuoprono da lontano, ktuvano la maggior parte de'
pericolì. Per tanto i Veneziani, ammaeftrati dall' efpcrìenza, hanno fiabilica
una mafiima, che fia di poco frutto, cosi il pcrfeguitarli, come impedir loro
l'ufcua; ma folo giovi l' impedire il ricetto che hanno |nellc terre, fon
gafligarle, levando loro il commerzio. I^r quella caiÀ il Generale pybhlicò un
leverò bandAv ohe nefiqno de j fumiti poteffic avere commerzio con quelle
terre; e neffun Vafcello di qualunque luogo vi fi potelTe aaA^are; e per aggiunger
la forza a' precetti, accreboc il numero delle bapchp frmaie ; a&ldaia
molta gente Albancfe, chiamò altre Galee, e fece cosi potente annata, ^che fuor
della fua inlenzione diede gelofia agli Arciducali di aver animo di efpugnar le
Fortezze, Per quello timore Gian Jacopo de Leo, Vice-capitano (che il Capù rane
Francol era allèntc) per, nome proprio, e della Citth, fi purgò con lettere
predò al Ceotarini, mollrando dirpiacere di quello che alcuni pochi ribaldi
centra il voler fuo, e della Ciiih, avevano operato; o&rendo
foddisfazinne.- e il Baron di Khisii, Gcncnl di Crovazia, calò a Segna in
diligenza, per rimedinte : fubito fece imprigionar quattro, i ^ calpevoli, e
con léveri bandi et diede a ricuperar quanto poteva del bottino, fiteendo intendere
al Contarini di aver ricuperata gran parte de' danari, e delle robe; e che
attenderebbe alla ricuperazione del rimanente ; che darebbe il gaftigo a'
colpevoli ; reftituireìdie i danari pubblici a ehi folTe mandato per riceverli;
e i privati a' padroni che andalTcro con iuficienii giultificaziooi : léce
ìmjMCcare un Albanefe, e uno di Segna, i due più colpevoli de' quattro
prigioni. Al Segretario del General Veneto, che a tal efictto fu mandato a
Segna, rellitu'i 7500. ducati, e la porzione di robe allora ricuperate,
oiTerendoli di ricuperare il rimanente; che quanto a' danari non arrivava a
3000. ducati; rellando però ancora buona quantità di roba ; il che per
eSèttuare', fece intendete a 150. che s' erano ritirati, che perdonerebbe loro,
tellicuendo cufcuoo compitainente la parte toccata toro ; avvertendoli che
lenza quello non av^bbono trovato perdono ’, e f ece pubblicar un fevero bando
da tutti gli Sud di S. M., e di S. A. in pena della vita, e con taglia contea
lèi aifentad de' molto colpevoli, ordtnando cheli differilTe a procedere contea
gl’ altri, fe però refiituHTero, Ciò fatto, il Baron ricercò per corrifpondenza
la rilaflàzione delle barche trattenute, la livoeazionc de’bAidi pubblicati, e
la liberazione del commerzio. Il Contarini, quantunque teneflè per impoflibile,
più tolto che diAcile, che dopo 1' aOédio levato lì dovcBe parlar più di
ricuperar il rimanente, reputò nondimeno di dover contenmrfi della promeflà;
foggiuogendo che ferebbe reltato laddisbcto, quando gli foBno coiifesnati i due
prigioni intervennti nel mitfatto, che orano ludditi Ve. neti banditi; e
folientava la fua dimanda, per efler loro flato dato ri. certo contea i Capimli
eoncordad col Rabatta. II Baron non-poteva fentir a parlare di quello. Diceva
che il ferlo era cola da sbirro ; ohe pretendeva r accordo in quella parte
nullo ; riprendeva il Rabatta, che in ciò non fi foflè portato da Cfavalicie :
e replicando le iflanze il Contarmi, ed egli le teufe, i Cittadini, anfiofi per
aver il commerzio Kliero, fecero iflanze cflìcaciflime, acciocchò per due
fcellerati canti aferi noti patilTero ; e quei di Bucati, e di Fiume,
intendendo la difficoltà, mandarono i principali de’ loro ad unire le preghiere
cogl’ altri. Il Barone, prclQ un partito, di fare la giufliaia, e infieme di
loddistàre sè fleflò, clevar il modo al Contarini di far maggiori iflanze, una
'mattina, nella quale fi afpeitava il Segretario Veneto, innanzi la fua venuta
fece atuccar amendne ad una forca. Non piacque al Contarini rdfer defraudato
della fila iflanza, la quale repuuva giufta, e neccITaria, -per contener i fuoi
in uffizio; tuttavia, non eflendo alcun rimedio a colà làia, mollrò di
contentarli. Fu dì nuovo confermalo da ambe le parti che farebbono fermati i
Capitoli concordati dol Rabatta ; c promife il Barone che innanzi la fua
panenza avrebbe lafciaii ali comandamenti, e ordini dì procedere col rigor
della giuAizia, che più non fi feniirebhono inconvenienti. Quello fuocefib
lUede maggior Iperanza di vederi nerpetuau la quipte, che l’opOTto dal Rabatta;
perchè, edendo queffli flato uccdiP, pareva che gli oiduti da lui polli
reflaflero fenza protettore, e che quell' el'empio dovclTa ipaventar ognuno
mandato per p{ov vedere. Ma rcflando m vita, e nel carioo lòtto la. fede ad
abboccarli eoa loro, conduccndo leco i prigioni; dove, avendo loro dato
rilcaiio per quello che poterono avere, fiabilirono una fer«ni0ima amicizia co*
Torchi, avendo mangiato, e bevuto con loro, e fatte aliegreize, e fefle
lolcnniUime per la riconciliazipneé-il Il Radich alla Corte Cclarea avendo inoltrato,
elfcr’ impoffibtle che gli Uioocc|ii^reflairero in Segna lenza le prede, quando
loro non' folTc dato ahro.modo di vivere, e mameneiTi; e avendo ritrovato
ncllTinpcradore, non maniunientodi volontà^ ma di forza per poter far
aflcgnamenio pervie paghe, fu|^licò che gli folTero cence^Ko k eonthbuuoni che
da molti Yiikiggi de MorUchi di quel pack tnaù rifeo^ dal Gecerale 41 Crovam;
modrando non eire(e neod&ria la fopraimqntkRza di querGéoem fcv. le, che
con quegli alfcgnamenti li faceva ricchiHìnio fenza predar alcun lervizio a Sua
Maefth ; ma che quelle con )wca cofa apprcITo làrcbbono badate per pagare la
Guarnigione dì Segna, e per mantener un Capitano (opra tutto il paefe : al che
fu predato orecchio dal Configlio Cefareo, e trovato buono di alTegnare le
contribuzioni al pagamento della milizia : dì che il Radich fu molto contento,
fperando di cavare dagli affegnamenti tanto utile, che fi potelTe fodentar il
prefidio. E oiienute diverfe efenzioni per tutto quello che portadèro fuori, o
dentro della regione, parti molto foddisfatto, con deliberazione di far ogni
sforza, per racquidare la grazia della Repubblica; avendolo per cofa facile,
quando fode adìcurata di non fentire moledìc da quella gente; difegnando,
tralafciato il corfo, e accomodate le didcrenze, far ben i fatti Tuoi con
mercanzie di legnami, Quedo era certamente un ottimo, e perfetto penderò per
benefizia di tutti quegli abitanti, molto più riufctbìle, che l' introdurre
negozio di quella mercanzia tra’ Principi ; al quale, per li rifpetti, e
fofpetti, è impedibile trovare forma che non abbia infiniti contrarj; che tra
privati l'introdurlo non averebbe difficolti alcuna; s’incamminerebbe a poco a
poco ; e da sè dedb per le vie che gl’ accidenti giornalmente fomniinidralfero
; non vi farebbe bifogno di Ipedizione di CommilTarj, n^ di altre lunghezze, e
fpefe fuperdue ma il mal codume di tjuegli abitanti, e la maggior dolcezza che
porta il viver di quello d’ altri più todo, che delle fatiche proprie, non
lafciava loro metter in efecuzione un canto buon penderò. Partito codui dalla
Corte, e rifaputafi la deliberazione Imperiale a Gratz, dal Generale di
Crovazia fu podo impedimento all’ eiccuzione del deliberato, perchè veniva
levato un grand’ emolumento al carico di quel Generalato, che fi dava per
rimeritare un l'erviiorc di Sua Altezza; nè gli Ufeocchi di ciò fecero
rifentimento, attefo che, dfendo interrotta la trattazione delle tregue
co’Turchi, per aver clli dato titolo Regio a Valentino Umonaj in Ungheria; e
per confeguenza cedata la cauli della proibizione di predare, gli Uicocchi
(tanto può la mala inclinazione aggiunta ad una coniuetudìne pcrverfa ) ebbero
più cara la liberti de i foliti ladronecci, che 1’ alTegnamcnto delle paghe;
onde ritornati all’ infame corfo, e ad infedar la navigazione, e le Ilble,
codrinfero i Veneziani a prefeguitarli in mare, e a metter impedimenti
all’ufcita loro. Dalle quali provvifioni febben era prevenuta gran parte del
male che lenza que’ rimedj (irebbe fucceduta, non erano però luffi.' cienci di
fare che i ladroni non pizzicalTero le Ifole, e che qualche Vafcello non
capitaffe loro in mano. Il Generale Veneto, per ovviare interamente al male, fi
voltò a inidi, dove fi falvavano colla preda, e proibì il commerzio a tutte le
terre Audriache dove fi ricoveravano ; onde, riufeendo maggiore il danno de
gl’altri abitanti, che de i medefimi Uicocchi, concorrevano perciò
continuamente in Gratz le querele, e le efclamazioni de’ Citadini contro di
loro, eleidanze, che finalmente una volta folle daddovero rimediato in modo,
che non patilfcro ogn’ anno un’ affedio : e mentre a quella Corte moltipicarono
i lamenti dei fudditi, quei Minidri opportunamente ebbero indizio, che i
principali Ùfcocchì, 0 difgudati per la proibizione di non ufeir alla preda,
ovvero intimoriti che non folfe rinnovata, rifpetto al trattata di tregua, eh’
erg LOO ch’era rimenb in negozio; o per loro maligna, t inquieta natura,
avevano contratta qualche i'egreca intelligenza coi Turchi, e iemintvano
pernizion, e fcdizioG concetti negli Ufcocchi minuti: per le quali cau« le
unite inficmc fu deliberato in quel Configlio di mandare CommUTarj di tutta la
Crovazia Lodovico Baron Diatriliain, e Giorgio Andrea Khazian; i quali, fatta
inquifizione de’ colpevoli, c ritrovato vero più Jore di quattro mila ducati,
fi ritirarono in Campagna prelTo a Segna, dove divifero la preda; e le loro
donne, ufeite di Segna, come per an» «Ur a veder i mariti, e parenti, la
portarono in quella Città. Quei di Segna, per timore che il commerzio non folte
loro levato, mandarono a far lamenti di quello fatto con Gian* Jacopo Zane,
Generale, che poco innanzi era luccelTo al Contarini, e a mofirar d' cirer in
quello lenza colpa; poic^^ t malfattori erano banditi, e ribelli. Dallaltra
par» te Rimavano i Veneziani quelli tutti artifici; anzi avevano qualche dubbio
che i bamii tufferò finti; poiché permettevano che le donne abitaflero io
Segna, e i Fuorukiti praiicaficro vicino alla Città, ^ forte anche dciiiro
occultamente; e fe non davano ricetto a’ Predatori, lo davano nondimeno alle
prede : però giudicò il Generale che l’aver ricevuto le donne colla preda folse
cai^ fuBìciente per rilentirfi centra di loro. Foie l’armata in guardia alle
bocche di Segna, che dava loro grand'incomodità; dal che nafeendo mancamento di
vettovaglie, gridarono centra gl’ Ulcocchi, e vennero anche alle mani i
Cittadini co' glUtcocchi; e tra' SegnaniJ, e Fiumani nacquero grandiilime
difeorde, perché que(K pativano effi ancora, e dicevaao «iiifr de’ Segnani. Il
bilbgno fece ulcir furiivamenit in una barca ad. Ufcocchi, i t^uali temen£>
il Capitano di Segna che col far nuovi danni foITcro caufa di far rillringere
maggiamente la Cittb ; e avendo avute comandamento di guardare che non fofféro
fatti danni a i Turchi, acciò non foHe dato impedimenm alla tregua, eh’ era
tornata in trattazione ; fece Caper alle barche de’ Veneziani che fi
guardafleco ; onde gl’Ulcocchi furono perfeguitati, e combattuti, e ne
refiarono i(. morti, prigio-' ni, e 3. falvati. Di ciò gli Ufcocchi entrarono
in gran contefa col Capitano, il quale fi feusò con dire di aveva avuto ordine
dalla Corte di coc\ fare ; e che qualunque volta ufeiranno lenza Ina licenza,
lo farh intendere o con avvilì, o con tiro d'aniglieria, ficchè non faranno
ficuri. Il che fe fofle fiato olTervato, era una via di fnidare i malvagi, 0
contenerli nei debiti termini.- non feguì più efempio tale, o perchè i
comandamenti foflero mandati per apparenza; o perchè a i Minifiri bafiaife
mofirare di dar loro efecuzione con ofiervarÙ una volta, 0 quanto meno folTe
poffibilc ; ' I Segnani, per liberarfi totalmente dagl’ incomodi che
fofienet-ario per l’impedito commeizio, vennero in riloluzione di congregar
quello che poterono avere del bottino, e far andar a Segna Girolamo Barbo,
Cittadino di Fola, per convenire con lui della rellituzione. Il General Veneto
fece rifolnzione di fiat a vedere fe quelle dimoftrazioni erano reali, o pur
de’foliti artifizj, per addormentare; e l’evento dimolirò che tali erano;
perchè al Barbo non fu renduta fe non una poca pane di quello ch’era fiato tolto
di fua ragione; quanto al rimanente ricercavano tante ginftificazioni, che fi
vedeva chiaro che non volevano far- altro .- il che fece anche dubitare fe
aveflero qualche intelligenza con GiurilTa, fe ben bandito, la 1 1 1. ' Ma fe'i
bandi fodero veri, o finti, non fi può affermare.- certo è bene, che innanzi il
fine di fei mefi dalla pubblicazione d’eflì, Giuriffa', e Vulatee con tutta la
compagnia furono ricevuti in grazia dal GetKrale di Crovazia, e rimefli le
colpe, ritornarono in Segna ; e Giilrilla fu anche nel medefimo grado di
comando. Ma non fi venne gih ad alcun’effetto della rellituzione.- anzi a quei
di Fola, alcuno delqoali andò per ricuperar il fuo, rifpondevano di voler
relhtuire a perfona pubblica ; fe il Generale diceva di mandare per ricevere,
rifpondevano effere neccITarie le giufiificazioni de’ privati; anrochè i poveri
Polani, fianchi, celfarono dalle ifianze. . -u Stettero quieti gl’ Ufcocchi
alcuni pochi mefi, edendo conchiufe le tregue co’ Turchi, c pubblicate in Segna
infierire con una proibizione in r na della vita, che nedu'no andade a’ioro
danni, nè ufeide per qual voglia caufa in corfo per Mare, con ammonizione di
contentarfi delle paghe; e a chi non paredero badanti, o non bafiade l’animo di
vivere fenza predare, fode libertk di portirfi. Non fu alcuno di loro che
reftade contento ; perchè, aOiiefetti a vivere con abbondanza di bottini, fi
conofeevano inabili a poterli foAenure, malfime non feorrendj le paghe; ma,
attefa la liberth conceda di partire, utM parte di loto diede orecchie a
perfona capitau a Segna, che trattava di condurli al fcrvizio del Gran Duca di
Tofeana. Un’altra parte, ch’era de’ foldati vecchi, a i qbali non piaceva mutar
paefe, e ufeire di D.ilmazia, Temo . Cc tratta ^o^ tniMrono di condurfi ^
liprvizÌ9 delU Repubblic*. Mandi rano per ciì Viaccnzo Sp^derich o trattarne
per nome loro col Generale, oiièrendolì di fervile o nelle barche, 0 nell?
tene, o tutti tenuti, odiviC, come (’ Principi lòde piaciitto ; ed cflcndo ftau
oppolU loro la profeffione del corfo tanto odiato dalla Repubblica, ritpofero
cbiaraiDcnte |ch' erano andati in corfo (piando chi loro comandava voleva che
così £icedèro; e ch'emendo in fervizio d’altro Signote che loro comandaliè il
vivere quieto, e ftare ne’ loro termini, ubbidirebbeno puntualmente. Si
offerivano che, quando ben abitaflèro divilì, avrebbono fatta licurtb 1’ uno
per l'altro, e tutti per cialcuno di qualunque male follé flato commeffot I-e
parole certo erano molto belle, e meriuvano che foffero loro aperte le
orecchie,- ma le operazioni di chi le urtava le chiudevano aJffatto ; e farebbe
flato moltq femplicc chi avelfe creduto che uomini, vifTuti Tempre fcellerati,
in un momento potefleio farfi buoni,- però il Generale non diede loro fperanza
alcuna nò meno li lafciò in difperazione, che non poteffero ai'pettare colla
mutazione delle operazioni qualche grazia, La condotta dal gran Duca fu
maneggiata quali un’anno, della quale qual foffe la conchiufione al fuo luogo
fi diÀ afflìtti i fudditi della Repubblica per U frequenza de’danni, c
intimoriti per rafpcttazione de’ peggiori, indufTero Marc’ Antonio Veniero,
Generale Veneto, ch’era lucceflo al Zane, a farne querimonia col Capitano, che
contra le promefTc tante volte replicate, agii Ulcocchi foflc permeiTo il
dannificarc i vicini ; c che i proprj Governatori delle terre, in luogo di
mortificare l’ardire loro, lo fomentaiTero con permetter loro di fabbricar
barche contra la promelTa, c l'ordinazione dì Sua Macfl^. Qiìefli lamenti non
riufeendo di alcun giovamento, perchè il Capitano foddisfaceva Tempre colla
medefima rilpolla, che non iifcivano con lua laputa, ma contra gl’ ordini di
Tua Altezza.* ehegli non aveva forze per far loro impedimento, ma bensì che
a(ipetriva 500. Alemanni per regolare quella milizia, la quale confcUava ch'era
trafcorla troppo, e pih che mai che per lo paflaco. 11 Generale, certificato
che tutte erano parole, c lufinghc, ricorfe al folito rimedio dì otturare le
bocche di Segna, e di altri luoghi Audriaci. Un calo avvenne, che codrinlc gl’
Arciducali a porgere rimedio; perchè VuUteo, ufeito di Segna con grofia mano d’
Ulcocchi, alTaltò un Galeoncino partito d’Ancona, per pafTar a Raglili, carico
di panni di feta, e lana, di valore dì 15. mila feudi; la maggior parte roba di
Crtdiani; la qual tutta depredarono, fatti prigioni quattro Turchi, e quattro
Ebrei che erano (opra il Valcetlo; al rittiedio della qual cofa, pel f rave
lamento del Nunzio di Gracz, da quella Corte furono fpediti raimo Dìatridain, e
Feliciano Rogato Commiffar;; i quali, giunti, prefero informazione delle qualiù
di cialcuno de capi, e delle male operazioni commenb da alcuni anni fino
allora, e ritolfcro di tornar a Graiz, per dar conto del tutto, e trasferirii
di nusvo a Segna con forzc, per poter clcguire quello che giudicavano
neccllàrio; avendo ordinato al Capitano che fino al loro ritorno non latciafTe
ufeir alcun Ufcoccho di Segna. Fecero anche ridurre inficme tutte le barche da
corfo, per mandarle a Fiume; affinchè foffero in quella terra abbruciate. E’
fama, che all’ arrivo di quedi Signori in Segna foHc loro prclcntato in dono
una porzione della preda, c che da effi foiìc riculata con mormorio dc’ladri,
che l’alcrivcvano al voler coftringerli, quando ritornati fofTcro, a farne loro
parte maggiore; aggiimgcndo effer co%\ avvenuto ne tempi pafTati ; e qualche
volta aver convenuto donare tutto il bottino. Non cosi predo furono i
Commiflarj partiti, che gli Ufcocchi, eccitata fedizione, contra la voiontk dei
Capitano ( che dopo l’ aver tenuto le porte tre giorni ferrate, fu codretto,
temendo della Tua vita, o fingendo di temere, ad aprirle) ulcirono di Segna, e
andati a Fiume, levate violentemente le barche ch’erano ridotte in terra, per
c0cr abbruciate, c occupatene molte altre dc’Dalmatinì, che fi trovarono in
quel porto, fi pofero in mare ; c lenza alcuna didinzione de luoghi depredarono
nell’ldria il Territorio di Barbana ; c poi rivolti veiv lo le Ifole, e fatti
molti danni, in Bue diedero anche fupra il paefe dc’Turchi : non riufeirono
però loro profpcramcntc tutti i tentativi, ficchc poceflcro gloriarli d’ aver
piò avanzato, che perduto. Incontrarono a cafo tre delle loro barche ben armate
il Capitano di Golfo, dal quale lèguiti, furono codretti a combattere, e morti
buon numero di loro^ gl’ altri, dati in terra, fi ùtvarono, abbandonare le
barche turche, che furono abbnitiate; e liberati quindici Vafcelli, che da loro
erano flati arredati nelle acque di Premoniore: un'altra bacca fu incontrata
dagli Albanefì, c combattuta, dalla quale fu rkuperan buona preda fatta fopra
una Fregata de'Padrovicchi, Il ritorno de' Commiffar; fi differì quafi un' anno
; durante l' affenza de'quali, erano frequenti le ufeite degli Ufcocchi alla
preda, e in groffo numero, fino di 400. Con molte barche faceva dimodrazionc il
Capitano, quando era nella Ciitb, 0 il Tuo Vicecapitano, quando egli era fuori,
di refidcre : ma non i cola facile da perluadcre che refidclfcro daddovcro
all'ufcita di quelli che al ritorno ammettevano nella Cittb fcnxa difficolth
alcuna : che le avedéro avuti per contumaci quelli che lontra il loro volere
ufeivano, con facilicb avrebbono potuto tenerli fuori al ritorno; o almeno
punirli nelle cafe, e nelle robe che lafciavano nella Citib; ovvero far avvUare
le guardie Veneziane, e in quella maniera vendicare gli fprezzatori dell'ordine
del Principe, e dell' autoritli loro. In molte ulcitc di quel tempo non fecero
prede di gran momento, per gl' impedimenti che l'armata della Repubblica loro
attraveriàva,' nè occorfero cafi memorandi, falvo che uno ridicolofo, e due
elemplari. Il primo fu, phe, avendo prefb un valccUo da Lanciano carica per
Venezia, penfando d'aver fatto graa bottino, fi ritirarono predo 4 Segna, per
dividerlo; e trovarono il carica tutto di mele con molto numero di Icattole di
manna, della quale, parte per fdegno di eifer ingannati dalla Iperanza, e parte
per appetito, credendo che folfe confezione, ne dtvurarunu quantitli grande :
il che inte fo dal loro Medico in Segna, ebbe opinione di doverli avete tutti
ammalati di fluflo : redò nondimeno l'arte dclufa, e ncOun di loto ebbe pur
minimo moto di ventre. Ma degli accidenti confiderabiii uno fu, che, avendo
prefa una Fregata, ed effeudo dati lopraggiunti da tre Galee Veneziane, fi
diedero alla fuga, e li ritirarono verlo Buccari, terra del Conte di Sdrino,
dove dalla Fortezza fn tirato un pezzo di ficurczza alle Galee; di che quelle
fidandofi, fmoniati, e gli Ufcocchi fuggendo, le Galee ancora pofero foldati in
terra; e non mefcolandofi m conto alcuno quei 'della fortezza, redando
folamente alla guardia delle fue mura, furono combattuli, e uccifi parte
de'ladri; il redo fi falvb con difordinata fuga ne'bolchi; c dalle Galeefu
condotta via la Fregata, e la barca de' ladri col bottino, che però non
eccedeva il valore di 400. ducati, e fu venduto a' padroni. Se dalia Cittb di
Segna, e dalle altre terre dove gli Ufcocchi fono dati ricevuti, e lai vati,
foffe dato ulaio quello jnedcfimo debito, per edirjMakine de' ladronecci, che
fu quella volta uiato da quei (li Buccari, u male non avrebbe fatto pragreflb,
ma farebbe da^ rimedialo nella fu» origine. L'altro accidente fu, che, fatta
un' ufciia generale, avendo penetrato nella Licca, per rubbare, furono adaiiti
da'Turchi, c Morlachi in gran numero; e rimanendo uccifi molti di loro de' pih
principali, e pili arditi, e numera maggiere feriti, rellarono gl'aliri aldini
molto, e con gran penfiero di vendicarfi wr la morte de' compagni. Sarebbono
lueceffi molti mali edetti, fc u ritorno de'Commilfarj non avelie coftretti i
Malandrini di peulare ad altro : i quali Commeflàrj, giunti in Segna, avendo
fan» impiccare ad un merlo del Caltello Purilfa, uno de’ Capi molto infolonte,
pofero tanto leriore, che molti fi ritirarono fuori colle bmiglie, pane nelle
altre terre del Vinadol, c i più colpevoli alla monugna> Alcuni di cffi
entrarono nel Callell o di Malvicino, non guardato, con penfiero di fortificarn
dentro, e tenerfi finché paflallé 1' impeto della giullizia; né lo poterono
elèguire, perchè in quell' illeflo tempo pallando di Ci la Galea Morofina, gli
alEtltò colla miliaia polla in terra; e da mare eoa l'aniglicria, e li
cofirioTe a ritirarfi alla montagna, efiendo rellati morti alcuni di loro.
Mandarono i Conamifiari oidinii, e bandi per tutte le terre, che ao. nominaci
da loto foliero prefi vivi, o morti. Quelli principi diedero fperanza di qualche
buona provvifione : ma durò poco, e non ebbe efietti dillimili dagli occoifi
altre volte. Imperocché i Commelsarj, lalciaci feverì ordini, e proibiaùni del
coriéggiare, e predare, e latta una compofizione per l e paghe decorfe, con
promefsa che in breve làrebbono fiati mandaci i danari, e che per l' avvenire
le paghe làrebbono fiate a' loro tempi sborùte, partirono. Ma lenza riTpecto di
quelle provvifioni, indi a poco tutti gli Urcoechi tornarono in Segna, e a
vivere lecondo rufato; c di paghe decorfe, o correnti non fi parlò più ; ma al
coriéggiare fi actefe, coma fe mai non fofse fiata ratta proibizione; non Colo
non vietandolo- il Capitano di Segna, ma dando anche molti légni che vi
acconfentifse : anzi la terra di Fiume col Capitano Tuo non prefiava loro
minori favo, ri, che Segna, ricettando le prede, e fmaitendole di là per
diverfi luoghi ; e pareva appunto che la provvifione foibe lana momentanea di
concerto; poiché, paniti i Commifsar;, le cofe peggiorarono con danni maggiori
del folicq a' naviganti, e agli abitatori delle Ifole. MoU tiplicando le
ingiurie, non falò 1' armata Veneta accrebbe [la diligenza, per impedir quanto
fi poteva i ladri, c perfeguitarli, quando funivameme ulcivano ', ma il Veniero
ancora ebbe in confidenzio. oc che, conforme a quanto da’fiioi Ancecebori era
fiato più volte fatto in fimili occafioni, era necefsario levare il vivere a t
luoghi dove fi ritrovavano, e che li fomentavano : per lo che pubblicò nn
bando, che neiruno de’ fudditi avellé ardire di portar robe, vettovaglie, o
merci, né di avere commerzio, trafiìco, o pratica colle terre Arciducali, dw
fono da Fianoaa nell' Ifliia fino incontro allo filetto di Gliuba fafa il
Canale della Moriaca; e ordinò che faflé ritenuto ogni Vafcello che partilTe da
quelle rive, o che cranfitaffe da luogo a luogo, ovvero d' alcrondc folTe
inviato a quelle terre. Per quelle prowifiom reilavano impediti i ladroni dal
fare tutto il male che in animo avevano; ma non era che alcuno de i tentativi
non riulcillé loro; imperocché il Maro è come un Bofeo, impofilbile ad elTer
cufiodito rotto, mafiime in quella tenone abbondate di ante Ifole,. e feogU; né
le bocche fono coti angufie, come I difegni le Ggumno. L’ ofcuriià della notte
ancora, e i tempi cattivi, c bnrrafcofi, prefiano comodo di fcanlàre le
guardie, aaaflime a chi Ila attenta, come gUUfizicchi, ad afpettarli con
pazioaza: nu bei) al certo ne fegui che a molti nuli fu ovviato; c quei, che
non fi poterono impedire, furono vendicati, quanto le occafioni comporurono: e
chi leggerò, che tante volte fieno fiati i ladri peifeguiuti, e fia fiata loro
impedita l'ufcita, e il commerzio alle terre proibite, e infieme vedrà narrato
che, con tutto ciò, fàcefléro grandi, c freqoroti danni, pòn dovrò credere che
fia eoa lepagnaiiza nda nar mio zoS SI T O R I A razk>ne, ma che la
condizione di quei tempi, e luoghi pm-taflc che queflir rimcdj baftaflero per
fminuire, non per oftirpare gi’ inoovenienti. Fra gl' incontri in quefto tempo
avvenuti uno dee efler narrato, per aver data caula a molti inconvenienti
feguiti poi, che al loro tempo faranno narrati. Le barche Albaneh raggtunfero
due degli Ufcocchi, e fi azzufTarono infieme; nè potendo gli Ufcocchi Ibflenere
il valore, e maggior numero degli Albanefi, di^ero io terra, e abbandonarono le
barche, e reftò in queffa zuffa prigione Giorgio Miianficich, Capicanio del
Caffeilo di Brigne, uomo fagace, e di teguito; uno de i pih vecehi, e meglio
apparentati Ufcocchi di Segna; il quale, febtm, per gli innumerabili misfatti
commeOì nel corJo, e per le molte ingiurie inferite, era meritevole di mille
morti, nondimeno per molti degni rifpetti fu rifervato in vita, e lotto
cullodia. Da quello uomo fopratcucto dcfiderolò di liberti, e comoditi, ch'era
confapevole di tutte le cofe più fcgrcte, s’ebbero informazioni molto
importanti per dilucidazione de’ dilegni e palTati, e futuri; e la prigionia
lùa fu a glt Ufcocchi ora freno, ora ipronc al far male; imperocché, quando
fperavano di poter con trattazione ricuperarla perfbna fua, in buona parte lì
contenet^no in uffìzio, e sì allenevano dalle ingiurie; e quando la fperanza fi
feemava, facevano alla peggio, acceft allo (degno, e alla vendeKa. Ne* quattro
anni precedenti non fu parlato degli Ufcocchi alla Corte Cclarea, per caufa
delle diffìcoitb che fi maneggiavano tra i Principi della Cala di Aulirla, che
non lafciavano dilccrnere con chi convenille trattare; delle quali non è
ncceflario al prelente propofito far relazione, poiché non evvt perfona che
tanto poco ne fappia, alla quale non fìa notiflìmo che T importanza di quelle
non permetteva che colla Maeltà Imperiale, o con alcuno de gl' Arciduchi fi
pronaovefle altro negozio : nè merto entrato l’anno del idii. fi aprì
congiuntura* di farlo: anzi’ che al contrario, elTendo nel principio d’eflb
hiccefib il tranfito a miglior vita deirimperador Rodolfo, per caufa del qoale
quei priacipi reliaioao molto più occupari nelle occoivcnao che quella
Corce^porfh in cOnleguenza ; vi era poca probabilità che per* più mefi avofiero
potuto prcliar orecchie ad altro negozio : perciò i Veneziani, non el^dovi
Ipcranza di rimedio per via di trattazione, tanto prik giudicarono Dcceisaria
quella dell' operazione. £ per la ilelsa caufa prelero anche animo ^KUfcocchi
di far H peggio, non temendo che potofsero, lecondo il lolito, andar Gommefrar)
ad impedir loro le ulcitc, ovvero ad alportar loro, come aitrt volte era
luccelso,' la maggior parte della preda : e per ordinarfi a far imprefa, e
fuperare gl' impedimenti oppolli da’ Veneziani, follecitmnente preparavano
materia in Fiume per la firuttura di molte barche; e diedero principio alla
fabbrica di una di grandezza inufitata, divulgando che Sua Altezza era fiata
concci» licenza di fabbricarne fei, (btm ^hrt pretefii afsai lontani dalla
verifimilitudine. Comunicato il oohfiglio infieme da quelli dr€egna ad altri di
Novi, Ledenizxe, e Brì^e, e prefi in compagnia alcuni fiKlditi Turchi, chiamati
Garpoti, ovolo Carpochéani, che, nuovamente partiti colle famiglie dal loro
paefe, invican dalla dolcécfea del vivere di latrocinj, Crino pafsatt ad abimr
in quella ^>Marinf; iiomhù allevati dalla fanciuUetza duramente, atti a i
fopportare ogni diiagio ; facili ad efporfi a qualiìvoglia manifeiìo pericolo,
e gran Iprezzatori della vita; fecero divcrfe uicìte. Nè le provvilìoni del
Generale Veneziano furono badami ad impedir loro in tutto» perchè, eflendo
molti ì pa(& da guardare, e t tempi molto contrarj al pocervifi fermar in
guardia, e elTi in coù groITo numero, che potevano tentar in un tempo AelTo
diverfi palTt, e con riioluzione, maflìme deGarpoci, di efporfi ad ogni
'pericolo; quello che un giorno loro non riufeiva, fuccedeva T altro; e T
impedimento che rifeontravano in im luogo, non lo trovavano nell' altro. Si
riducevano ora in uno, ora in un'altro de i porci Veneti, che trovavano non
eulloditi, come in quelle Ifole ve ne fono molti (dlirarj; di Ik partendofi a
far li bottini, paf-fando ora per lo drettodi Novegradi, ora per li territori
della Dalmazia cos'i all* im|>rovviro, che non potevano eflère prevenuti:
inferirono molti danni a -1 Turchi, e fudditi loro CriOiani, con rapir loro gli
animali; e, aiceli 1’ odinaztone che li conduceva, avrebbono fatte gran cole,
fe le nevi, che furono quell'anno altiflime, e gl’ impetuofìfnmi» e continui
venti boreali non avelTero combattuto centra di loro. Certa cofa è, che nella
feconda ufcica, quantunque fieno corpi atti, e afluefacti al patire. Tei di
loro redarono morti per li dilagi; e nel ritorno quaranta furono condotti cosi
dal freddo maltratuti, che poca fperanza avevano di ric^perarfi. Il maggior
bottino fu nell* apertura de* tem« pi, quando, fmomati in terra nella
giuhldizione di Selenico, od internatili in quella de' Turchi, depredarono la
terra di Gracevaz, uccid dieci Turchi, fktti molti prigioni, e carichi di robe,
conducendo ancora 400. animali grolTi, e aooo. minuti, parte per terra, e parte
pel Canale della Morlaca, ritomarono a Segna» Alle rapine aggìunfero in quedo
tempo un* altra offefa, che per tutti i luoghi dello Stato Veneto, dove
tranhtarono, c dovunque in quei de* Turchi fecero preda, lafciarono infieme
fama d* aver intelligenza co* Minidri Veneziani a* danni de* Turchi; facendo
correr voce che con loro confenfo, anzi convenzione contratta, erano ufeiti a
predare: e fomentando, e confermando la voce, modravano patenti falle col nome
loro con fìnti fìgillt, 0 fotiofcrizioni. Il che da* Turchi fu facilmente
creduto, cavandone argomento, per edere alcuni mefì prima, come fuol’ avvenire
tra’ confinanti, luccefle divcrfe prede, c rifacimenti fra le parti a quei
confini, per li quali anche s’ inlanguinarono gl* uni contra graltri, fenza
però che i pubblici Minidri de i Principi ne aveffero dato conlènfo; i quali,
febb^n fecero ogni sforzo, per reprimere ciafeuno de' fudditi loro, e
riconciliarli; non rinlcl però fenza diflicoltk, e col rimanere gl’ animi
alterati, e pronti ad eccitarfì per ogni minimo foljpetto. £ non tanto t
Turchi, quanto anche il numero maggiore degl’ Ulcocchi lo credeva, ingannati da
t capi, i quali, congregati nella pubblica Piazza di Segna in numero di circa
mille, affermando loro di avere parola da* Veneziani di andar liberamente a*
danni de* Turchi per Mare, cforundoli a corrifpondere verfo loro in corcefia; e
portato in quel luogo un Crocifìflb, fecero loro predar un folenne giuramento,
di non offender in parte alcuna i luoghi, e i fudditi Veneziani; nè meno in
Mare i Turchi, e gli Ebrei che fopra vafcellì Veneti tranfitaffero con
mercanzie ; e di perfeguitar i contrafìacicori, quantunque foffem congiunti di
parentado, e con ogni altro vincolo. £ ^ tutto ciò fecero A Dd iludio Z IO
liudioramcntc andar la nuova per la Licca, e per le altre regioni vici ne in
modo, che anche il Baisi di quei confini ne prefe Ibfpetto, e ne fece acerbe
querele col Generale Veneto con elprcffionc di concetti molto rifentiti; e ne
diede conto alla Porta in Collantinopoli. Per le congiunture di quei tempi,
quando era incerto dove fofiero per voltarfi quell'anno le arme de'Turchi, a i
Veneziani pareva di dover tenere grandilTimo conto di quelli tentativi ;
(limando la fama diffeminata, le falle patenti, e il finto giuramento, elfer
inviati tutti ad un medefimo fine di provocare farmi dei Turchi contra la
Repubblica; e fi perfuadevano che gli Ufcocchi, nè foli, nè principali follerò
autori di quei configli, perchè il giuramento pubblico in Piazza, la fabbrica
delle barche a Fiume, patrimonio di Sua Altezza, facevano palefe che il primo
moto proveniva da chi aveva il governo in mano ; maflime per la fama fparfa,
che tra gl' arcani de’ configli de' Miiiillri Aullriaci una maflima folle
(labilità, di far ogni cofa, per inviluppare la Repubblica in guerra co’Turchi,
per quei fini che ad ogn’ uno poflono clser molto ben noti. Ma gli Ufcocchi,
fidatili che quelle apparenze ingannafsero i' Dalmaiini, e che da loro non
dovefsero aver alcun impedimento, anzi diverlì favori, fecero come una ferma
dazione ne i contorni d' Almilfa, di l!i frequentemente palfando a’ danni dei
Turchi. Quelli avendo mandato prima a protcllarc a gli Almilfani vendetta, e
danni fopra le vigne, terreni, cale, e anime loro, non tralafciando la prima
occafione che fi porfe loro innanzi, prefero per ragione di rapprelàglia nella
terra loro di Macarfea do. fudditi Veneti, andati fa per negozj della Brazza,
Lefina, Almilfa, e Pago; laonde in fine avvenne .quello che più volte anche era
accaduto nei palTati tempi, che il danno lellò, non a gf infedeli inferito, ma
(òpra i Cridiani caduto. Partorì nondimeno quello di buono, che, giunti i
comandamenti venuti da Codantinopoli, fi compofero interamente le differenze
tra' confinanti : e gli Ufcocchi, Vedendo di non poter più peniate che i
fudditi Veneti li unilfero con loro, nè fi rompelfe la guerra tra la
Repubblica, e i Turchi, depofero la jnafchera; e, non odante il folenne
giuramento, corfeggiando intorno all' nòie, Ipogliarono una barca che da Venezia
conduceva mercanzia per la fiera di Cherfo, e un Grippo Ragufeo carico per
Venezia di merci di ragione d' alcuni Armeni Cridiani ; a parte de^quali
tagliarono la teda, e fecero altri prigioni; e ridotiifi con 14. barche
all'Ifola di Onia, prima che Agodino Canale, luccelfo Generale in luogo del
Veniero, avvifato, potelTe mandare per ifcacciarli, fpogliarono tutte le barche
de’ viandanti, eziandio quelle dove non era da fare preda, fef non di vedimemi,
e drumenti da navigare, non perdonando a'pefcatori, e Uomini dell'Ifole, che
per loro affari tranfitavano. Scacciati di lù, e ora in uno, ora in un’altro
luogo ritirati, non celfavano dalle moledie', le quali lungo, c tediolb larebbe
raccontare: ficcomc, per la deffa caufa, è bene tralafciar di dire come, feguiti,
più volte furoiv) codretli ad abbandonar la preda, e le barche, e falvarfi ne’
bofehi con difficoltli', e altri ribaldi ancora fono nome loro non mancavano di
comjnetter ogni fona di fcelleraggine. Un certo Giovanni Uibich, nativo di
Gliuba, commife in quei giorni in territorio della Repubblica un’importante, e
violentinijna latrocinio con diverfe male qualità*,: peclocbè il I&OVVC
Provveditor Generale giudici neccBario di averlo in mano; e intendendo ch'era
nelia viila di Artina, appartenente a Gliuba, mandi a quella il Govemator Paolo
Gbini con loo. Aibanefi per prenderlo, come gli fuccefle. Ma mentre
perfeguitava quello, vedendo un altro fuggire, giudicando qualche male di lui,
lo fece feguire, e fermare. Quelli notifici al Governatore d' eflcre Uicocco, e
che con lui erano nella terra llefsa cinque altri Ufcocchi. Il Governatore,
avendoli per complici, deliberi di pigliarli; ma elTi, ritiratifi in certe
cafe, in iito avvantaggiofo, lì prepararono a combattere. Il Governatore, che
poteva o col fuoco farli ufeire, o alTaltandoli con numero unto maggiore,
eollringerli, perdonando ailc abitazioni, e al fangue loro, o per qual fi
voglia altra cauta, gli accetti con quella condizione, che non riceverehbono
offelà; e fe il Provveditore non avefse approvata la fua promefsa, gli avrebbe
ritornati nel luogo ficfso, e nello llefso flato, per combatterli. Il
Provveditore fece efeguir quello ch’era di giullizia contra il Libieh. Quanto a
i cinque Ulcocchi, nè approvi, ni riprovi la promefsa del Governatore, ma diifer'i
la Tifpolla'^ e ordinò che frattanto fufsero cu-, floditi. Per quello
ac'id.itiv .citarono quel tU multo efacerbati e feb ben da loro erano fiati
ufati per lo innanzi tutti gli artilizj, c fatte promefse, per liberar il
Milanficich, e riporuta tempre o poca fperanza, o la negativa; aggiungendo
quello alla prefe de’ cinque, mandarono a far ifianza per la rilalsazione di
tutti fei,* e mifero in opera il Vicecapitano di Leo, e i Giudici della Cittb
per Intercefsori, a’qtiali non fu nè data, nè levata la f^ranza ; fu folo uu
intenzione di dovervi far confiderazione, e gratificare dove fofse fiato
conveniente. Ma gli Ufcocchi, non definendo per tanto dalle rapine, e da i
latrocinj, fe erano impediti loro i grolTi bottini, non s'allenevano da i
leggieri, e dal moltiplicare Pofiefe, che, non porundo loro militi
confidcrabile, caufava. no fofpctti di difegni piò dd folico pemiziofi. Quelli
movevano il Canale a continuare con piò diligenza ne’rimedj, conducendo numero
maggiore di foldati, e accrefeendo l’ armata de' Vafcelii con rinforzo di gente
; onde le terre, elsendo ferrate gii piò raefi, fenza commerzio, e con
ftrettezza di vivere, allora maggiormente riftrerte, refiarono quali private
totalmente. Mandarono perciò aH’Arciduca a rapprefentare i loro patimenti, a
far cl'clamazioni, amplificandoli piò del vero, e richie. dendo protezione, e
follevamento. Era in quello tempo felicemente fucceduta la nuova elezione di Re
de' Romani; onde l’Arciduca, follevato da quel grave penlìero, porfe orecchie
ai lamenti de’fuoi piò volte replicati. Pensò prima dimandarcome altre volte,
Commifsarj a Segna, che facefsero qualche dimofirazione, e ponefsero qualche
freno, tenendo che, ficcomc per lo pafsato, allora fimilmente da’Veneziani gli
farebbe corrifpofio. Ma da’ fuoì fu fconfigliato, acciò non parefse che,
cofiretto, per timor delle forze loro, facefse la provvifione ; laonde prefe
partito di mandar a Venezia Stefano della Rovere, Capitano di Fiume; il quale
fpedito, mentre faceva il fuo viaggio, quantunque fofse di mezza fiate, una
tempellofa, e grave fortuna apri l’adito agli Ufcocchi di ufeire con i6,
barche, e con rifoluzione di cfporfi ad ogni pericolo, non folo per bottinare
tanTima li. Dd I to, che ila tP, che fi rifaccfsero del perduto per
grirapedimenti pafsati; ma anco, ra per prendere qualche perfona infigne, col
rifeatto della quale pocef. fero aver alcuno de’ prigioni. Loro fu dato in
ifpia che Girolamo Mo. lino in una Fregata ritornava da Cataro, dove era fiato
Rettore di quella Citth. Furono allegri lòprammodo, cosi per l’occafione del
bottino delle robe, come per la perfona, penfaudo di dovere certamente riavere
il Milanficicb, e tutti gl’ altri uol cambio di un Magifirato Veneto, Volarono
per la via dove furono indrizzati; rifeontrarono la Fregata, e l’afialirono,
Non vi trovarono altro, che le robe, elfendo il Provveditore per buona fortuna
prima fraonuto in terra, NelTuna cofa affligge più l’animo, che il vederfi
defraudata d’una fperanza tenuta per certa, Quei ribaldi tanto certamente
credevano di dover far prigione quel perfonaggio, che, non avendola travato,
pareva loro che piit torto folTe lor fuggito, che non dato loro in mano, E
tanto fu l’aidore d’ aver nelle mani un pubblica Minifiro Veneziano, che
eccitatili l’un l’altro come a furore, immediate voltati, palTarono verfo
Rovigno ;iell’Iftria, per far prigione il Podefth di quella terra; il quale non
po. tendo avere, perchè fi falvè, alTalirono i Valcelli che nel porto fiavano
afptitando vento per Venezia, e li fpogliarono, uccifi i Mercanti, C i Marina]
che Inm .wOa, rifpetto ad alcu no, nè a grandi, nè a piccoli.- e più
infervorati, perchè anche il fecondo tentativo f©nè loro riulcìto vano,
ritornati con celerità, palTarono fopra l’Ilola di Veglia, dove ritrovandofi
Girolamo Marcello, Prov. veditore ^ell’lfola iq vifita di Befca, terra
deU’Ilola medefima, lo fecero prigione infieme co’fuoi miniftri, e l'ervidoti,
e lo conduflcro eoa vilipendio, e indigniti grande in certe grotte vicino a
Segna, tramutandolo fpelTo da una all’ altra, Nè è da tralafciar quella
particolare, che la barca, colla qual fu condotto prigione il Provveditore, fu
quella fabbricata in Fiume, della quale è fiata fatta menzione, Infieme
coll’awifo di quello misfatto il Capitano di Fiume arrivi wì Venezia. Non
poteva giunger in peggioe congiuntura, attefo che le ot. fole degli incocchi
mai non furono cosi frequenti, come in quell’ an. no-, né meno cosi rilevanti,
e malTime l’ultima-, la qual, intefa dal Capitano, poi giunto, lo fece reftare
molto prerpleffo, fe doveva dar immediate principio alla negoziazione, ovvero
alpettare fe da Grata, pel nuovo accidente, gli foflero mutate le iftruzioni; e
fe doveva fama menzione eflb, o tralafciare di parlarne. In line, prefa
rifoluzione, diede principio coll’afliftenza dell’ Àmbafciadorc della Maefià
Cattolica al fuQ negoziato, incominciando dalla buona mente del Sercnillimo
Arciduca, dall’ottima difpofizionc fua verlò i Principi confinanti, e la
Repubblica malfime ; loggiungendo che perciò 1’ aveva mandata con ampliflima
autorità, per pigliare fpedientp di foddisfazione di ciafeuno, e tranquillità
de’ludditi; e aggiunta un’ affettuofa condoglienza del fucceffo di Veglia, con
afiicurare che nè l’Arciduca, nè alcuno de'luoi Mipiftri, nè maggiori, nè
inferiori, vi avelTero conlenfo, e participazione ; ma forte fiato motivo di
quei di Segna difubbidienti a Sua Altezza,- dilcefe al fuo negozio, e per nome
dell’Arciduca fi dolfe di tre particolari ; Che certi Mercanti, andati alla
fiera in Albona fotto la pubblica fede, fortero fiati fpogliati delle merci da
loro portate.- Che pofeia fatto in Segna da tutti gli Ufcocchi un giuramento
tanto folennf di non offender I* cofe della Repubblica, cinque di loro,
fudditidiSui Aueaza, fodero (lati preG, e tenuti prigioni contra la fede loro
data : Che un Frate foffe flato porto prigione, e gli foflè flato tolto l’abito
per pagamento delle fpefe; c con lunghe ampliflcazioni aeeravati quefli tre
accidenti, ne richiefe foddisfazione. Quella forma di trattare da alcuni fu
tenuta prudente perchi, quantunque dall’atra parte vi folTero da contrapporre
non tre querele, ma trecento, nelTuno però è in obbligo di dire, falvo che le
ragioni proprie. Ad altri pareva che quello non avefle luogo, fe non quando le
ragioni di ambe le parti folTero del pari ma in quella occorrenza pareva,
attefe le molte male operazioni degli Ufeocebi, che lo flato delle cofe -
comportalTe più d’ufare feufa per lo paffato, e promelTa di rimedio per 1
avvenire, paflando poi a richieda di corrifpondenza ne’parncolari deliderati,
Ma lafciando di ciò il giudizio a gli uomini lavi, per intera cognizione di
quella che fi trattava, è necelurio narrare i particolari di Albona, e del
Frate, che non fono flati raccontati a’ loro tem- pi, come non appartenenti
agli Ufcocchi, e in foftanza leggieri. 11 latto in Albona pa6ò in quello modo.
Dovendofi fare la fiera in quella terra il penultimo di Giugno, fecondo il
confueto, i Mercanti di j I o j ni'’ P'"'“tvi le loro mercanzie licore,
ottennero patenn dal Podelti del luogo,- portate le merci in fiera, i Dazieri
preiefero contrabbando, non per ragione deUe perfone de i Meicanti, ma peri»
qua ta delle merci, e vi pofero mano fopra. Il Segretario Celareo in '
®’'Vifato, ne fece querimonia, dimandando la reftimzioiic ; ed ebbe rdpolla,
che s avrebl^ fcritto p«, e fatto quello, ncercafle il giullo. Cosi fu efeguito
immediate, con aver dato ordino di più, che le mercanzie li confervaflero tutte
interamente; e di tanta, Segretario per all'ora, afpettando giullizia, venuu
cho foffe r informazione ; nè aluimenti fi doveva procedere in negozio cho non
fu tentativo di oflèfa, ma pretenlìone d’ordine dì mercanzìa e folito tra’
confinanti avvenire giornalmente fenza turbazione della 'buona intelligenza;
effendo frequentiljime, e cotidiane le differenze fra’ Dazieri, e mercanti non
folo foggetti a diverfi Principi, ma ancora quando ambe le parti fono del
medefimo Suto, c anche delU medelima Cicti. Il Segretario avrebbe voluto che,
prima di replicare alcuna cofaia quello negozio, fi aveffe afpettato che
ferviffe il tempo di venire lari, fpolla.- nondimeno al Capitano, o perchè
avelie quello particolare in commiflione, o per proporre maggior numero di
querele, o per altra caufa, parve di non afpettare. L’evento mofltò buono il
parer del Segretario, perchè al fuo tempo la informazione tichiefla venne, e il
ne, gozio ebbe fine con intera rertituzione delle mercanzie. Il cafo del Frate
fu in quella maniera. Fra Antonio da Fiume, dellOrdine de i Minori Offervanti,
fi pofe fopra una barca d i làrina caricata in quella terra per Segna.: quella
fq feoperta dal Forte chiamato di San Marco, c arredata, in efecuzione de i
bandi del Generale di fopra racomaii. Il Frate diffe la farina effer fua, e
portarla al Convento di Ipitir Ordine in Segna ma i Barcaruoli parlarono
dlveriàmente • nominarono il Mercante di cui la farina era, e che il Frate era
imbarcato per paffar in paefe de’ Turchi. In quel tempo s’era feoperta certa
macchinazione di quelle alle quali viene preflato orecchie folto pretcfto di
pieiV, (he terminano in fine calla morte dc’poveri Criftiani che fi lafciano
follevare : perlochè il Frate, non rendendo buon conto del iuo viaggio, trovato
in varie contraddizioni, fu filmato fpia, e trattenuto in quel Caftello, dove
mentre dimorò, leggendo con quei foldati ne i libri fciolti che elfi fono foliti
a fiudiare, vi lafciò qualche danaro, ed alcune robiccivole che aveva. Non fi
trovarono fermi rifeontri per convincerlo, o per la fua fagaciii, o perchè non
fofle fpia: fu rifafeiato, e condotto da una Fregata in Venezia, yeftito da
frate; e cocomparve innanzi al Principe, richiedendo refiituzione del perduto
nella Fortezza; allegando che. come Religiofo, non fe gli poteva guadagnate. Fu
rimefib ad attender alla fua profelfione, e altro non fuccene in quello cafo,
». . La querimonia de i prigioni fu ftudiofamente dagli Aufiriact pubblicata
per tutto, e la foflentavano con quelle ragioni : Che quelli erano fudditi di
Sua Altezza, e fotto la protezione fua; ebe non poteva con fua riputazione
abbandonare la loro dlfefa: eh’ erano fiati ritenuti contra la fede, fiante la
quale, fi dovevano lafciare liberi; e fe quel Go. vernatore la diede, non
avendo facoltà, eflervi obbligo, fecondo la ragione delle genti, di mettere lui
in mano di Sua Altezza. Per lo contrario fi difeorreva, che gii tra il Rabatta,
e il Pafqualigo fi era convenuto che gli U fiocchi ufiiti in corfo non folfero
licuri, nè protetti: che Matteo Tomiz, fervitorc di Giurifla, nativo di Zara
vecchia, uno de' cinque, fu bandito l'anno innanzi da tutto il dominio per
omicidio commeflb nella perfona di Tommafii Malfiifich; però nè come bandito,'
tiè come fuddito fuggitivo ooteva capitare nello Stato : che gli altri due
èrano di nuovo venuti dal paefe de’ Turchi ad abiur in Segna; gl’altri t>cn
nativi di quella Cittì, ma eSi ancora Ufcocchi, ufati al corfo : E quando,
neffuna di quelle cofe fofiè, che la fede non fu loro data, fe non di
ritornarli neinfielfo luogo, e fiato, e combatterli, fe il Generale non avefic
voluto lafciarli liberi.- adunque non fi poteva per quella ragione pretendere
che folfero rilafeùti allblutamente, ma ritornati, e combattuti.' E chi può
dubitare che, ritornati con t oo. Albanefi attorno, non folfero refiati motti,
anche fenza alcun danno degli alTalitori coll’ufo del fuoco; e non elfcre però
alfolutamente, e univerfalmente vero, che il Principe fia protettore di tutti i
luci fudditi che fi ritrovano nel paefe del vicino, ma filo di quelli che vanno
in cafa dell’ amico per negozj, o per altro bene; non gii per far male, o per
accompagnar banditi, o dare fofpetto: che in quelli cafi, per ragione de’
delitti, fono foggetti alla giuftizia del luogo; altrimenti per la ragione loro
i Magillrati Arciducali non potrebbono mai giudicar alcun faddito Veneto
colpevole, o indiziato di delitto, fe quelli colpevoli, e indiziati non erano
foggetti alla giufiizia Veneta. Altri fi maravigliavano della nuova forma di
trattare, poiché gii molto tempo era divulgato che negli uffiz) fatti a i tempi
palfati, per la refiituzione del commerzio levato alle terre percaufa degli
Ufcocchi, i Principi, e i Miniftri Aullriaci erano foliti a colorire la
richiefia con dire che, fe la Repubblica era oftefa da quella gente, la facelfe
perfeguitare in mare, la prendelfc, e la impiccalfe; ma non delfe molefiia alle
terre per loro calila' il che pareva molto repugnantc a querelarli all’ora,
perchè fof. feto prefi nelle 'erre deUa Repubblica, Ma ri Mi ritonundo alla
ferie delle cofc, T Arciduca, immediate imefa U prigionia del Provveditore di
Veglia, mandò Gian Jacopo Ccfglin Commidàrio EipreiTo a' Segnani, il quale con
un leverò editto, pubblicato in quella Citth, comandò che il Provveditore folTc
condotto innanzi, a lui; al quale ubbidirono gli Ufcocchi; c levatolo dalle
Grotte, lo condulicro in Segna al CommiTario; ed egli, ricevutolo co
rtefemente, lo liberò immediate, dicendogli che il Scrcniffimo Arciduca, intclà
la fua pattivitli, aveva Ipedito immediate lui in pulU lolo per metterlo in
libertb, e che larebbe feguitaio da altri CommilTarj, che venivano per punire i
colpevoli. La preflezza, c prontezza di Sua Altezza a rimediar immediate alla
tralgrclTione de* Tuoi; la diligenza, e rifoluzlone del Commiirario nell’
elecuzione; c l* ubbidienza pronta preiUra da gli Ufcocchi, eziandio ritirati
nelle Caverne delle montagne, ad uno che fenza arme, e fenza alcuna forza andò
a Segna col folo nome di ComlniffariQ Arciducale, ficcomc fono indizio della
buona mente di quel principe, e che Sua Alrezza ha Minidri che, fe vogliono,
fanno efeguirla; c che gli Ulcocchi, Icbbcn nodriti in tutte le fccllcratczze,
non fono però ribelli, c cotumaci alloro Principe, quando cificaccmenle vuole
circr ubbidito, o non modra contcntarfi d* effer difubbidito; cosi dimodrano
che colia medcfima faciUù con cui fu provveduto a quel difordine, fi potrebbe,
e ft avrebbe potuto provvedere a qualunque altro, quando gli interedì non
avcflcro pr eponderato, c preponderadcro tuttavia al debito Cridiano, di
lafciar ad ognuno il fuo, cd effere buon vicino. Nò da alcun’avvenimento più,
che da quedo, fi può meglio penetrare nel fondo del negozio, c veder al chiaro
le caufc de i mali padati; e conqfccrc con fondamento quale fu il vero, c
proprio rimedio di queda pede Dopo la prigionia del Provveditore, i Minidri
Veneti non fì contennero, come prima, nella fola difefa delle cofe della
Repubblica, e nelcudodia de f paiTi; ma cercarono per ogni via, e modo il
rifacimento : ma (eguita la liberazione, fi farebbono contentati di dare fu le
loro guardie, come prima facevano, fe le cofc fuccede, mentre quella durò, non
avedero tirato dietro altri accidenti; accadendo in quede occorrenze come
avviene nel moto delle bilance, che, levate dall’ equilitrio, trapadano pivi
volte dall’uno, c dall’ altro canto, prima che pof{ano ritornarvi. Elfendo
ancora il Provveditore ritenuto nelle Grotte, alcuni foldati Veneti Imontarono
otto miglia vicino a Segna, e diedero il fuoco a certi Mulini di ufo di quella
Cittù, per fare danno fpe^ialmenie a Giorgio Danicich, padrone di parte di
elTi, che fu principale nell’infulto di Veglia, e cuilodiva il Provveditore
nelle grotte» Dall’altro canto gli Ulcocchi, non potendo vcndicarft, e far male
iti 2 uei contorni, per le grandi, e diligenti guardie, padaco con viaggio i
terra il Monte maggiore, ed entrati in Idria nelle Ville di Bergodai, e
Lanilchie, abbruciarono gran numero di Calali con fieni, e imjnenti, conducendo
via molta preda di robe, animali grodì, e minuti: dal qual accidente eccitate,
e irritate le milizie Venete, che in Idria erano, deliberarono di non camminare
più per via di ripetizione, tenendo che dalla fperienza di tanti anni fode
abbadanza dichiarata fuperdua; ma fecero rapprefaglie nel Cadello di Bugliou, e
in altri luoghi del Contado di Pidno; e dUendevanQ la loro azione, perché in
quedo occor zi6 STORIA occorrenze la ripetizione caufa pemizie colla
interpofizione del tempo, aicefochè, fe poi, quando l'ofTclo fì vede delulo
colla lunghezza delnegozio, viene al rifarcimcnto di rapprel'aglia, valendoli
gli offenditori di ogni vantaggio, e come le Toifela folTc dimenticata dal
tempo interpollo, danno al tifacimento nome di provocazione: la onde, atteft
quelli rifpetti, era commendata la celeriA nel rifarcitri, per evitare le
moleItie di dovere, oltra il danno, far anche una ditela. Ma giunto a Venezia
ravvilo della liberazione del Provveditore, come le con quella loderò emendati
tutti i lalli degli Ulcocchi, e loderò cedate tutte le caule de i padati
dilpareri, e i rilpetti di dare lulle guardie, il Capitano di Fiume colla
medelima adiuenza dell’AmbaIciadore Cattolico, magnificata, come meritava,
l’azione di Sua Altezza nel liberarlo, lece illanza che le lode corrilpodo
colla liberazione de gli Ulcocchi prigioni, e coll’apertura del commerzio; cosi
meritando la buona volontfi dell’Arciduca, e le azioni latte gi^ tanti anni in
foddislazione della Repubblica. D’Albona, e del Fiate più non parlò. IMon è da
tralalciare la narrazione de i concetti ulati da quedo Minidro per tre meli che
dimorò in Venezia, potendo da quelli prenderli grande idruzione de i penfieri
che nodrilcono quelli che hanno il governo degli Ulcocchi, e delle mallime colle
quali li reggono. Egli diceva di richiedere i prigioni, e la redituzione del
commerzio lolo per riputazione del luo Signore, figurandolo defiderolo di
rimediare alle male operazioni degli Ulcocchi; ma impedito dal larlo, per non
modrare di elferne codretto per la prigionia de i luoi, e pel commerzio levato
alle terre; colla rediluzione dc’quali gli larebbe aperta la via, ptomettendo
per nome di Sua Altezza, che all’ora fi rimedierebbe si fattamente, che mai più
non fi femirebbe moledia alcuna. D^Ii Ulcocchi diceva, che fono gente fiera, e
indomita; che non fi podono gadigate ; che, non fi polTono aver in mano, perchè
fi ritirano a i Monti; onde ellere di bil^no con dolcezza mitigarli più, che
reggerli con leveritll : chs colla rilaOazione de i compagni, e r^tuaione del
commerzio, fi lareb-bono addolciti ; dove colle durezze fi larcbbono renduti
più contumaci.- eh’ erano zooo. in numero, nati, allevati, e fortificati in
qnei fili; che a sforzarli vi larebbe bilogno di ze. mila foldati; che non
larebbe decoro di Sua Altezza, per leggiera caufa, far cos'i gran moto; nè me-i
no poterlo fare, non effendo Segna lua, ma del! Imperadore : e quan-^ do folle
fui, r avrebbe fpianata, non cllendole le non di Ipela col mandare fpello
Commiflarj, che le codavano dooo. feudi alla volta; e tan-i te volte, che con
quel danaro Segna farebbe due volte comperata ; che farebbe la provvifione
conveniente aU'autoritk che teneva di Governatore.- ma volendo un rimedio
totale, e durevole, fi doveva trattare C09 fua Maedù, eh’ era lupremo Signore.
Che non però fi poteva cogli Vfcocchi tutto quello die fi voleva; nè conveniva
metterli in difperaz ione, ellendo buoni Cridiani, e difendendo quella Citth, e
quel paele da’ Turchi: che vi era bilogno di tempo, e opportunith; e conveniva fopportar
qualche difetto, e alpettar quella provvifione che Sua Altezza farebbe, tubilo
redimiti i prigioni, e il commerzio; e poi negoziar il di più con Sua Maedìi.
Colle quali forme di parole dava ceru fperanza d’ intera provvifione ;
prometteva gran cofe ; ma infieme inferiva che non ^rebbono cdctcuatc, mettendo
al pari la caule, che fitrebbono ulate P" per prerelti ad ifcufarc il
ttuncamento delle promeflè : pareva ehe diinandane un puariglio, e tuttavia
dimand-ava quello ch’era il tutto nel negozio, cioè il commerzio; perchè col
folo impedimento di quello era pollo qualche freno alle operazioni nefande. Ma,
olita il modo di trattare luhrico, e in sè delio difeordante, la perfona ancora
di quedo Minidro non era ad alcuni molto accetta, per edere cob certa che gran
parte de' bottini li fmaltivano in Fiume, andando quei della Terra a pigliarli
in Segna, per non lafciare che gli Ufcocchi medefimi vi eompatilTero; e il
meglio fi riponeva in Cadello, dove il rafo, e’I damafeo era pagato mezzo
tallero il braccio. Ed era anche fama, febben non tanto certa, quanto quedo,
che i panni alti, de' quali la cab fua era fornita, fodero deUo Ipoglio fatto
alb Fregata gb tre anni nel porto di Torcola, del quale s’ c parbto a fuo
luogo. Ma avendo quedo Minidro prefo per ragione di feufare la tolleranza, per
non dir approvazione, di tanto male, il numero grande, e le forze degl’
Ufcocchi, e il pericolo di perdere Segna, privandola delb loro cudodia;
argomento ubto altre volte con maggior amplificazione, fino ad adermare che.
fono un propugnacolo della CrilUanith ; e che altra milizb non brebbe atta a
difendete quei confini, e quella regione da’ Turchi; predicandoli per buoni, e
veri Cridiani, partiti dalU loggezione degl’ infedeli folo per blvare 1’ anima,
e per educare b Poderità neUa l^ta religione,* che non è giudo fcaccbrli contra
la lede data, con pericolo che rinneghino, c altretuli fciocchezze; quedo luogo
ricerca che da narrata il numero, la qualitli, e k imprefe loro in queda etli;
non potendofi trarne cognirione dalla notizia dello dato loro nelle eb
(uperiori, edèndo geme che, per b mobiliti, cosi dell’ animo, come del corpo, è
foggetta a |varie mutazioni,* nè Colltnte in altro, che in non voler guadagnar
il vivere colb fatica, ma col l'angue; e da quedo apparirà chiaro che nè per
numero, nè per valore fimo da brfi temere^ nè la cofeienza loro meritevole di
dfere favorita, ovvero dimata Cridiana; nè il loro fervuto utile alb
oonferyaziooe di quelle marine,. : Sono tre forte d' Ufcocchi in Segna, cos'i
didimi, e nominati nelb Corte Arciducale.' Stipcndbti, Cafalini, e Venturieri.
Caiàlini fon» ? ueUi che, nativi, o gik abituati nella Citb, hanno da pih.
fucceSioiu èrmo domicilio in quella; i quali anche fi chiamano Ckadini, e fon»
al numero di loo. Altri zoo. fono con titolo, e narae pih rodo, che in realb,
di dipendiati, divill in quattro compagnie, a yx per cbfcuna, con quattro
Capitani, da loro chbmati Vaivodi. Ma olm quelli quattro (vi fono altri Capi di
Ufcocchi, col qual nome tòno chiamati tutti quelli che hanno ii modo di armar
barche, per andar in corfo. A quedi aderifeono, e fono compartiti, come in
comitive,! vagabondi, c quelli che, nuovamente partiti di Turchb, o banditi, di
Dalmazb, 0 di Fuglb, non hanno fermo domicilio in ^na; e tutti li Chiamano
Venturieri, e danno all’ ubbidieaza di quei Capi mentre fon» applicati alle
barche codeqaali vanno, oca in poco, oca in maggior numero, rubbando, e
predando fopra i vicini. Ix oidiuarie bacche degli Ufcoeahi bno capaci di 30.
per una- Alb volte ne hanno bbbricata alcuna maggiore, capace lino 50. come
quell’anno in Fiume. Fanno più fiate aie anno, fe non fono impediti, ulciu
generab,* ma due Tomo II. E e bno fono piCt ordinarie.- per PaTqua, e per
Natale, aggregandoli loro anche ^eUi che fono fparh nelle terre di Vinadol; e
all' ora quei di Segna votano cosi la Gitth, che reità culladita d>'
pochilTimi vecchi, infermi, dalle donne, e da’ fanciulli. Per le fpefe delle
fpedizioni generali contribuifcono i Vaivodi, i foldati ricchi, anzi le'donnc
ricche ancora, le V edove, e i Preti, e Frati, facendo la loro parte delle
fpefe, c participando parimente la parte de' bottini. £' cofa notoria, che in
quelli ultimi anni le loro ufcite fono Hate con 15. in 10. barche al pih, in
modo che il numero, il quale ora è maggiore, ora è minore, fecondo che i
Venturieri più, e meno concorrono ; più; quando il Mare i aperto; meno quando è
chiufo, e ferrato, è di doo. in 700. uomini da fazione : ma volendo metter in
conto i vecchi, fanciulli, e donne, fi potrìi dire che afcendano a aooo. Il numero
crebbe quando lì congiunfero con loro i Carampotani, altra gente ufcita di
Turchia. Crelcerebbono fenza dubbio giornalmente, fe il corfo non fofle loro
contefo, e impedite; perchè molti Morlachi, allcttati dalla dolcezza del vivere
di quello ed gli altri, fi adunerebbono con loro; e può, ben ciafcuno penlare,
fe, accrefciuti di numero, farebbono darmi maggiori. I Veneziani fono flati
coliretti a perfcguitarli, non tanto per li grandi, e frequenti danni inferiti
da loro, cosi a'naviganti in mare, come a'fudditi loro in terra; quanto per li
maggiori imminenti che avrebbono inferito, quando, tollerata quella licenza,
folTero crefciuti a numero fpavcnievole, come farebbono: c non v’ha dubbio,
che, quando la R^bblica non avclTe rimedia-' to giornalmente, come ha fatto,
rillringendoli, e incomodandoli, le forze loro fi farebbono fatte filmabili; i
Turchi; farebbono fiati cofiretti a rimediarvi da dovere, e per femore, come
fogliono fare quando rifolvono : e fccome i ladronecci, eie incurfioni, che
quella fona di gente ofava giù 80. anni, abitando in maggior numero nella Licca
lotta il Conte Pietro Cmfiob vecchio, firono caofa che la Licca, e la Corbavia
follerò occupate da’ Turchi; e quella medeCma caufa fece perdere Clifia al
Conte Pietro Crufich giovine; cosi a quell' iflelTa fine farebbono ormai giunti
i Contadi di Segna, Vinadol, e Fiumeancora, fe la Repubblica non fi folte colle
forze oppofta al libero corfo degl’ Ulcocchi. 11 che febben da lei è fiato
fatto per difefa delle cote proprie, è nondimeno feguka da quello la
confervazione di quei Contadi alla Cala d’ Auftria, che da' Turchi fenza dubbio
farebbono fiati occupati. Sa ognuno, che per caula degli Ufcocchi fu mollà da’
Turchi la guerra nel 1593. che durò 14, anni, nella quale, oltre alla perdita
d' innumerabili foldati Crilliani, la CrillianiA con tanto detrimento refiò
privata d’Agria con gran pane dell’Ungheria fuperìon, e di Canifla coi meglio
della Grovazia ; e quelli tono i bàiefizj che dagli Ufcocchi riceve. Hanno
aflài leggiera cognizione di quel paefe, e di quella gente, quelli che dicono
eOere vadorola, c tener a freno i Turchi, e cufiodire quelle marine, che fenza
loro fi perderebbono ; non elìéndo veto che mai dopo il 1540. abbiano tentato
di fiu- ineurfione nel paefe Turco, nè depredare le loro Terre, ovvero
combattere con loro a i confini del Contado di Segna, dove i Turchi fi
guardano; ma contra di loro fono fempte andati paflàndo funivamente per mare, e
per li tetritoi) Veneti, a i confini de' quali non compottandofi Icorrerie nè
dall’una. runa, nè daU’altra parte, gli abitanti fbmno per rordinario non
cnllodici. Se hanno cosi gran defiderio, che fieno predati, e pròvocati i
Turchi, hanno comodo di farlo aMoro proprj confini, e non debbono palare pel
paefe del vicino con pericolo, e danno dell' amico contra ogni legge divina, e
umana, fervendofi del territorio di quello con detrimento di lui, avendo il
proprio, e i proprii confini, per dove più da vicino polTono fare lo fteflb. Ma
gli U. fcocchi non fono buoni di far imprefa fenza foperchiaria, nè per aU tro
fine, che per alTaiTinare; e i Minifiri Arciducali non riceverebbono benefizio
alcuno, fe combatteflcro a’ loro confini, dove trove« rebbono la refiftenza, e
non comodo di rubbare. 11 valore degli Ufcocchi è infidiare i deboli; uccidere,
e fpogitare chi non fi d^ fende. Non fi potr^ mofirar mai un* azione fatta in
campagna da loro; nè che mai abbiano difefo un luogo afialito: ognun la con
qual vigliaccheria voltarono le fpalle neirafialco di Petrina; e qual danno
causò neirefercico Crifiiano la lor infame fuga. Non potrh alcun dire che
abbiano mai fatto una fcaramuccia ; non fanno che cola fia fcaramucciare ; fe
fono molto fiiperiori, danno la caccia; o fe non fuperano di molto, la ricevono
: mai non hanno impedita una tncurfione de'Turchi: anzi è cofa meritevole da
efiere laputa,' che molt e volte i Turchi hanno fatte delle feorrerie fino a
Segna, e fatti de’ prigioni a villa della Cittb; e fempre in tempo, che gli
Ufcocchi erano fuori alle prede, avendo i Turchi a bello fiu. dio elette fempre
tali occafionì, che avrebbono dovuto indurre i Govematori di quella Citth a
ritenere la guardia dentro, c levare r opportunità a* Turchi di feorrere fenza
rifpetto, quando loro fofic fiata più cara la difefadel paefe, che la porzione
delle nibberìe. Mai loro protettori, quando trattano con perfone non informate,
dicono che gl’ Ufcocchi di Segna fono un propugnacolo della Crillia» nit^; che
difende la Caxintia, ITllxia, e Vltalia ancora da’Turchi; febben la verith è
incontrario, non facendo elfi fe non tirare i Turchi in quelle regioni .* i
quali molte volte fono corfi fino a Gorbonich; nè pofiboo eflèr impediti che
non corrano anche nella Cla« na, e Piuca, e più oltre ancora, fenza che da
Segna pofla efiér loro Jimpedito. reftano i Turchi per li pericoU nel ritirarfi
^ eflendo aflaliti dall’unione che in quelle occafioni fznoo le genti dì
Carlillot, e altri Crovacini del paefe; da’ quali alle volte fono flati rotti
con grande uccifione: nè gli Ufcocchi fi fono mai trovati a quelU latti,
occupati foto nelle rapine, in modo, che fenza gli Ufcocchi il paefe è ben
cullodito : e da loro non fi^ha altro, che provocazioni. Ciò è raccontato
affine di moflrare che, per difendere quei luoghi a fervizio della Crillianith,
non vi è bifogno di loro; anzi dii^ ficulcano efiì la difefa; febbene i fautori
loro, come feci racconta A fero favole d’india, dicono ch’efli difertano per
fei giornate di paefe Turco; che da quegl’ infedeli non può efler abitato; che,
quando effi non fodero, i Turchi abiterebbono quei terreni; e, fatti più
vicini, fi darebbono alle incurfioni : però il mendacio non è facile da
follenure in cofe permanenti, e vicine, che fi pofibno ogni giorno vedere. La
Licca, e la Corbavla, regioni de’ Turchi a quei confini, fono pienC) e
abiiaciffime. DaOttoiàz, ultima terra apTttno IL £e 2 parte lio parteiiente al
Regno d’Ungheria, e lunghi 40. miglia da Segna, ad entrar in Corbavia
ncU'abitato da’Turchi fono io. miglia; c quelle poche miglia lòno delle
appartenenze d'Ottofaz; e non gl’Ufcocchi le rendono inabitabili a’Turchi, ma i
Turchi a' Criftianj, a’ confini de’ quali appartengono; che il proprio
de’Turchi è tutto abitato', e pur mai gli Ufcocchi non hanno ardito d’ entrare
da quella parte in quello de^Turchi, ovvero far abitare il proprio confine, non
che far a’ Turchi danno, falvo che paflando pel territorio Veneto, che non
vogliono urtare, le non i dilarraati. Viene rapprefentata per cofa prelente
quella che una volta avvenne innanzi il 1 540. nel tempo in cui gli Ufcocchi
profelTavano la milizia, non i ladronecci, quando per tre anni diedero molta
raoleftia a’Turchi confinanti; ma convertita la virtù in vizio, hanno pofeia
foftenuto,e foflengono al prelente gli ftefii incomodi da’Turchi eh’ elTt
inferivano loro, quando profelTavano di eflcre foldati, e non ladroni. Il corfo
da loro è fiato efercitato con qualche profpcritù, non per valore, ma per la
comoditi di tante Ifole, Icogli, e porti folitarj, de’ quali abbonda quel mare,
opportuni a tender infidie; nel che foUmente gli Ulcocchi vagliono. E il folo
confiderare le armi che portano, farà certezza che non fono foldati, nè abili
per combattere. NefTuno di loro porta fona alcuna di armi difcnfivc non
mortone, 0 celata, non arme in alla: portano folamente lin Archibufo a ruou,
ben picciolo, debole, e leggiero, come bifogna a chi confida più ne' piedi, ehe
nelle mani; c una picciola manna^. Alcuni di loro hanno di più uno fiiletto,
tutte armi, ficcome proprie per la profelTione del rubbare, cos'i inette alla
milizia, e per difendere nc'prcfidj, e per otfendere in campagna. Quelli
particolari fono fiati efplicati cosi diffufamente, per levare la malchera a
quelli che feufano colla impoflibilirà del remedio quel male eh' elfi
fpontaheamente fomentano a proprio profitto. Se 1 ’ eferopio del Rabatta non
fofle recente, folto gl' occhi di tutti fi potrebbe fingere, e palliare la
verità; ma egli fenza ventimila jwrfone con una guardia di Tedcfchi, fece
morire alquanti Capi di loro' diede in mano a i Miniftri Veneti i banditi dal
loro dominio; fcacciò molti indifciplinabili ; trafportò ad Ottofaz due terzi
de i rimanenti* ed era per mettere fine al tutto. Non fu uccifo quando molti
Ufcocchi erano in Segna, ma quando erano ridotti al fuddetto poco numero; e le
quei non folfero fiati fomentati da chi non poteva vederfi privato dell’utile,
con molta lode del Sereniffimo Arciduca fiabiliva quel negozio in modo, che con
quiete de’fudditi la buona intelligenza tra’ Principi non farebbe mai fiata
feemata. Ma poiché fono anche lodati gl’ Ufcocchi di buoni Crifiùni, C ha da
dire la verità. Non fono Luterani ; nè in Segna vi fono altre Chiefe, che della
Cattolica religione; ne fi può dire ch’efii fieno miferedenti in alcuno di
quegli articoli che fono controverfi co’ Protefianti. Però la purità della
nofira Religione non comporta che fi pollano chiamare buoni Crifiiani quelli
che non credono il furto, le rapine, i latrocini elfcre peccati ; nè fi ha da
dire che lo credano quelli che, non per fragilità, non per ignoranza, non per
qualche tempo, ma per tutta la vita loro, e come per profclTionc, c di padre in
figliuolo, e con pubblico cortame di tutta h nazione, perle verano nel corfo, e
latrocinio, non rertandone alcuno elclufo; poiché quelli, che non vanno in
mare, vedove, vecchi, c Religiofi, come s’ è detto, fono alla parte; c le maritate
fono d* incitamento a gli uomini di provvedere le cafe di quello d’altri a
concorrenza: e, quello cb’c notabile, ciò fi efercita piò ordinariamente al
tempo delia Fafqua, e del Natale, per diroortrare ben chiaro, ch'efìfL tengono
i iatrocinj, e le rapine nel luogo che i Criftiani tengono le opere di
penitenza. Nè fi polTono dir gPUfcocchi più buoni Crirtiani, che i Zingani, che
profertano il furto: fe non che gl’Ufcocchi in tanto fono peggiori, che paffano
alle rapine, c alle uccifioni, dalle quali i Zingani s’artengono. Ma tornando
all’ordine della Storia, da cui il tertimonio della verità mi ha divertito, il
Configlio di Gratz, vedendo che col negozio di Venezia non fi poteva ottenere
la refiituzìone del commerzio, fe non fatta prima una provvifione durevole, che
IcvalTe per fempre le molertic; la quale, o non potevano fare, per mancamento
de’danari da pagare la milizia; o non volevano, per le private comoditìi, e
forfè anche per mantenere la prctenfionc di poter corfeggiarc per l’ Adriatico;
deliberò di voliarfi alla Corre Cefarea, e indurre quella Maertk a congiungerfi
allo rtclTo fine. Perciò mandarono a Vienna a far querela degli aH^cidenti in
Ifiria occorfi, e di fopra narrati, come fc i luoghi di fua Altezza fofiero
fiati non folo i primi, ma anche foli afialiti; c foli aveffero fortenuto
danno; eccitando fua Maefib ad afiirterli, così pel rifacimento, come per
liberare i luoghi tuoi patrimoniali, e gli appartenenti alla Corona d’Ungheria,
tenuti rirtretti, c privati del commerzio con indigniti di fua Altezza, e di
fua Macllk, che n’è fupremo Signore. Ma dall’ altra parte efiènJo fiata fua
Maefiì i-iforv mata dell’intiero; ed eflcndolc fiato mofirato Toriginc del male
cflcrc provenuta dalla pertinacia del prefidio fuo di Segna, ofiinato a volerli
arricchire colle facoliò de’ Mercanti, e popoli; c dalle terre così dcIP
Ungheria, come patrimoniali d’Aufiria, c da' Governatori di effe, che fono
fiati a parte della colpa; e che la Repubblica, non avendo altre modo d’ovviare
a i danni de’fudditi fuoi, operava a necciraria difefa; che la cufiodia tenuta
in quelle acque non era per pregiudicare alla dignitìi di lua Macftò, ne di fua
Altezza, ma per proteggere le cofe proprie; c quanto alle cofe ultimamente
feguite in Ifiria, che gl’ UIcocchi, non potendo ulcirc per mare a far danni,
erano prima pafiati in quella Provincia, e avevano abbruciati, faccheggiati, e
dclolati molti Calali; onde i foldati Veneti^, dopo i danni ricevuti, erano
fiad cofirctti,pcr kidcnniù dc’popoli, a rifarcirli con rapprelaglie; Sua MaefPa
refiò con loddisfazione, e fn molto bene conolciuto a quella Corte che non era
poflìbile far cefiare il moto, fe non fermando la prima caufa d’eflb: e fu
rifoluio in quel Configlio, che fi trovafiè rimedio per via di trattazione; c
che Cefare pigltafie in sè i’aiTunto di fare le convenienti provvifioni; c che
non fi doveva incominciar a parlare della reiUtuzione delcommerzio, ma folo
fare che fi cefiaflc dalle ofiilitk da ambe le parti, defifiendo da nuovi
danni. Deliberò Tlmperadore di mandar a Segna il Traumefiorf, perfonaggio di
valore e riputazione, con danari, per rimediare fui fatto. Quefta
deliberazione^ che farebl^ (tata un* ottimo principio, non fi mife in effetto^
perchè, eOendo ciò fìgnificato all* Arciduca, per farlo dì fuo confenfo, non vi
alTenti ; ma fi offerì elfo di provvedere di perfona di comando, pra« tica dei
paefe, e del governo degli Ufcocchi, che farebbe ogni necefiaria provvifione.*
il che fu appunto il contrario di quello che il buon cfito del negozio
ricercava, cioè, che gli Ulcocchi foffero per Tavvenire governati, non lecondo
le pratiche, e i modi fino alfora ulati.ma ben fece chiaro in poded^ di chi
foffe il rimedio; poiché immediate dopo la rifpol^a dì lua Altezza, la
rifoluzione dì quelb quantunque pubblicata, e lodata, non ebbe luogo; anzi fi
raffreddò anche l'ardore col quale il Configlio Celareo prele penOero di
rcmedia^ re; e non fu più parlato che flmperadore affumeffe a sè il carico, ma
che l’Arciduca deffe principio all’ora per mezzo di perfona mandau
efpreiramente; e l’ultima mano s’avrebbe applicau, quando fu» Altezza foffe
andata alla Corte. Fu in un’iffcffo tempo pubblicato neU'armata Veneta, per
comandamento del Prìncipe, che, reffando i Vafcelli alle loro guardie, fenza
punto rallentarle, s’affeneffero da metter in terra, e fare danno ia luogo
alcuno.* e nelle terre Auffriache per nome dcU’Arciduca fu comandato che
da'fuoi non folle inferito alcun danno a’fudditi della Repubblica. Deputò anche
Tua Altezza due Commidarj, come per lo più nelle occorrenze paflate s’ era
fatto. Non affermerò gii, a quello fine; ma dirò bene, cho dal numero di effi
ne feguiva che Tefecuzione, per la varietà delle opinioni, era divertirà, o
almeno allungata tanto, che idannificatì, Ranchi, deffiReffero dalle iRanze. Si
fpedirono anche i Commiffarj lentamente pure, fecondo l'ufo ordinario, dal
quale era fempre leguica una pretenfione di tralafciare il mal paffato, come
troppo vecchio, e che mcrìtalfe effere poAo-in obblivìone. Ma ne* tre mefi che
feorfero, pubblicata la fofpenfione delle offefe,’ fino al line dell' anno,
eziandio dappoiché i Commiflarj di fua Altezza giunfero in paefe, non ceffarono
grUfcocchi, per quanto poterono, fcanfate le guardie, d’ ufeire di Segna in
picciol numero a far danni, riportata fempre la preda nella Citiù; poi
paffarono con più groffe incurfioni fopra l’ilola di Pago^ ; e dappoiché fu
provveduto col ritirar ne i luoghi fìcuri le robe, e gli animali, ritor narono
all’ Ifola d' Arbe, Veglia, molcllando, e rubbando in più volte in divcrfi
luoghi quantità d' animali, e di vini. Nel Mare ancora preffo a Zara vecchia
facheggiarono una Marciliana; e nel Canale della Morlaca fpogliarono un Grippo,
e una Fregata con robe, e danari, levando loro anche gli finimenti nautici.
£cofa degna di fpezial relazione, che, ritornando col bottino dt una barca
Chiozzou, e feguitati da una Galea, effendofi falvati nel porto della Cittù,
non furono ricevuti dentro per la porta del mare, per dove era il folito
entrare; ma., lafciate le barche in porto, c circuita la Cittù, entrarono per
la porta oppoRa di terra, e poi partita la Galea, con comodo ricevettero b
preda bfeiata nelle barche, e b porurono nelb Citti, In tante rubberle ebbero
fortuna di non incontrar, (alvo che due volte, nelle guardie, che li
conRrinfero a lafciare la preda e le barche, e falvarlì né’bofchi: e forfè
maggiori incontri avrebono avuti, fe, caiifa della infermitìi, e morte del
General Canale, non foffe Hata rallentata r riatta diligenza da lui ufata. I
Commilfarj Arciducali, giunti, fi fermarono in Fiume lungamente^ dove attelero
a far procefli, per verificare la quantità de’danni da'fudditi Aullriaci patiti
in Kiria i quali, fecondo il loro conto, facevano afcendere a loo. mila feudi.
Non farebbe alcuno che non fi molirafle creditore di molto, quando non mettefle
in bilancio i debiti fuoi. Se i danni di quelli pochi anni inferiti dagli
Ufcocchi, e non rifarciti, foffero contrappolli, fi troverebbono afcendere al
decuplo di quella fommat ma i Comminàrj aggrandirono i danni ricevuti, e degli
inferiti ne lafciarono la cura ad altri. Quello fatto, chiamarono a sì il Ca^
tono di Segna, i Vaivodi degli Ufcocchi, e altri principali di quella Città;
intimarono loro comandamenti di fua Maellà, e di fua Altezza, che non doveflèro
ufeire a' danni della Repubblica, fono pena della vita, con grandi, e feveri
minacciamenti : levarono il Capitano dal carico, per aver avuta parte nelle
turbazioni; quelle parole appunto tifarono. ferivendo a Venezia al Capitano di
Fiume, e dandogli conto dell'operato, conchiudenda che i capi degf Ufcocchi, e
i primi Cittadini avevano promelTo religiofamente di ollervare quei
comandamenti; e ch'elTi Gommiflàrj avrebbono ufau ogni cura, che folTero
ubbiditi ; aggiungendo che lellava fola il galtìgare feveramente i malfattori
per li delitti pallàti; ma lo differivano a quando folfero compolle le
differenze colla Repubblica,- che cosi fua Altezza aveva loro comandato; e
parimente farebbe flato all’ora punita il Capitano; che avevano mandato a
richiedere danari per pagar il preudio; e le cofe eflere tanto ben ordinate,
che fenza dubbio gli Ufcocchi non farebbono pih danni. Perì la dilazione ad
efeguire quelle deliberazioni fu cosi lunga, che mai fe ne vide effetto e
poIcia fu rifaputo che il Capitano fu levato non fenza fuo confenfo, e pollo ad
altro carico. II Capitano di Fiume, fatta quella relazione in Venezia, e
ottehuto che Ibfle dato in commiflìone a Filippo Pafqualigo, che doveva andar
Generale in Dalmazia, che, quando avelfe veduto chiaramente provvifioni che
ballalfero per renderla ficuro di non poter ricevere danno, potelfe rallentare
le flrettezze delcommerzio, o auolutamente, o quanto gli parefle potere con
ficurezza; e vedendo ch'era irimeflb a Vienna il dar perfezione al negozio, fi
parti ; e giunto in Fiume, riferì a i Commiliarj eflcrgli flato detto in
Venezia nel licenziarli, che la mente delia Repubblica era, e farebbe fempre,
d' eflér buona vicina di fua Altezza, mentre folfe rimediato a gl'
inconvenienti degli Ufcocchi ; cafo che no, avrebbe anche fuperata quells
difficoltà, come aveva (atto d'altre maggiori. Ma il Pafqualigo, giunto al fuo
carico, pratico del modo, come doveva procedete in ul’aSue, volendo ular tutti
i termini convenienti, in una lettera, ferita a i Commiflàr] a Fiume, fece
intera narrazione di tatti i danai inferiti cantra la parola daa alla Corte
Cefitrea, e in Venezia; e fece efficace ìllanza di provvifione per mantenimento
dell» ripuazione loro. Rifpolero cortefemente i Commiflàr;, aver intele con
difpiacarc le male operazioni degl’ Ufcocchi, non fapu te da ft»4 ' te ^ Jbrp
finp > quel tempo ; p che fr» quattro giorni farébbono mdati ;> Segna,
pee gaftigue i colpevoli, e (arrendere le cole depredate; inaOlme ie andalTerip
neU’illeflp luogo grinterelTati per dar piiV chiara, e minuta informazione. Ma
lenza andar a Segna, il Baron Aufpergct; principal GomraeKario, ritornb alla
Corte, dato compimento a quello, perchè era venuto, cioè, di prender
informazione de' danni inicciti, e in luogo fuo fi) mandato Daniello Gallo, il
quale colf altro Commeilàtio Ghetlin andarono a Segna accompagnati da t50.
(bldati; d’onde alla fama della loro andau erano gdi partiti Viccnzo
Cragliaoovich, e Giorgio Danifich con circa altri 40. Fecero i Commel^j
pubblicar un bando, che i Fugliefì, Dalmatini, e altri foreSierì, che avevano
prelb domicilio in. Segna, dovefero partire in termine di otto giorni colle
mogli, c famiglie; e crearono Capitano della Terra Niccoli Frangipane, Conte di
Terlàtz, chiamato dagli Vfeocchi Micleo; Terfatzi, Orppierc diijba Altezza. La
mutazione de’Capitani per li tempi addietro non causi fe non peggiori efietii;
non avendo portato i nuovi minare difpofizione, che I rimuiS, a pariicipare de’
latrocini di quella gente ; ma bensì. fempre entrati in governo meno (limati
dc’preceflbri, e pii avidi di arricchire,' con tutto cii di quella vi fu quiebe
buona Ipetanza, clTendo giovane ben nato, c Signore di Novi, Caftello poco da
Segna difcofto, che come inierclTato nella giurifdiziooe, faceva credere che
dovefle regoUte il tutto bene; maflìme intendendofi che aveva penfìcri di far
bene il fatto iuo con alcuni bofehi; quantunque refler naturale del paefe, e la
maniera iua molto limile a quella degl’ altri Ulcucchi, rendelTe il giudizio
iorpelo, £ egli )cr la prima fua azione, congregati tutti nella' Piazza, lue un
pubblico ragionamento, preferivendo i modi del governo che voleva ulare;
particolarmente afi'ermando di non dover permettere .l’andar a bottinare, nè
far colà diverfa dall’ obbligo di buoni, Crilliani; giurando di voler ehim
ubbidienza, quando ben credefle d’ aver perciò a perdere la tclla; promettendo
che all’avvenire farebbono pagati ; olfereudufi, che, le non trevalTc danari da
follentarli, fi lamemallero folo di |ui. In efecuzione del bando de’CommiUàrj
mandò fiuiri di Segna too. Ufeocchi Venturieri colle mogli, e co’ figliuoli, i
quali fi riduficro nelle marine di Selze, e Cerquinizza, tra Buccari,e Nuovi;
che fu un cavar Colonie di ladroni dalla Metropoli de’ predatori, e di ua nido
fame molti, c dar maggior comodo al mal operare. Poi egli infieme col Gallo,
partito gih il Cheslin, congregati tutti gl’Uloocchi ftipendiati nella Piazza a
luono di tamburo, fecero in loro pretensi pubblicare un lungo editto, o più
tofto una diceria, con molli capitali, che in lolianza proibivano le prede
contra i Crifiiani, e comra i 'Turchi, Efclamarono all’ora tumultuariamente,
dolendoli come avrebbonn potuto colla poca paga, che loro era data, vivere; eh’
«ano coàilaiti colla facoltà di poterli procacciare ; t che quella fofle loco
mantenuta, ovvero la paga accrefeiuta ad onefta qnantiih, Acquicuto alquanto il
tumulto; rifpofe il Capitano, ehe la paga farebbe badante, c d’avvamaggio,
quando s’aSenelIm dal. giuoco, e dall’imbriapirfi: che Totcndo l&e in
Segna, conveniva che fi contentafleio; e chi pon fentiva di poterlo fare, £
n’andaOè, che la porta era aperta. Il tumulto fi fece maggiore, dicendo eh’
erano creditori di molte pagbe, che i^he volte corrono; e anche quelle poche
fono defraudate, e diminuite; raccordarono che anche nel idod. fu fatto £mil
editto, che non fi andalTe alla preda, con proroeflà, e giuramento di dar loro
le paghe intere', nè però t'era mai elèguito. Bifognò, per la gran conhjfione,
dar 6ne a queU’azione, acciò non terminaffe in qualche finidro; e quella
difciolta, i tumulmanti furono facilmente acquetaci da iCapi, principalmente da
Giorgio Danilìch più volte di fopra nominato, il qual inCeme co’ compagni
effendo ritornato in S^na, ottenuto generai, perdono di tutti i falli commeflì,
a' adoperò più degl’ altri nel dar loro buona fperanza. Compolle le cofe in
quelli termini, parfi anche il Commillàrio Gallo, lafciata fama che altri
Commilur) farebbono venuti per raa^iori provvilioni; nè della rellituzione, nè
del galligo de i colpevoli ptomeflo in lettere al Pafqualigo fu detta altra
colà. Quello fu il fucceffo della cosi lungamente preparata, e canto bramerà
venuta de' Commifl'arj in Segna ; elTendoli tutta l’ opera loro rilblia in
proibizioni, e minacce di gaftigo, e cSétti £ perdono ; non avendo efeguito una
minima pena centra alcuno ( che pur molti furono, e manifelli )
de’.Concrafacicorì a i loro tanto Teveri bandi; ma folo, col tenere le porte
della Ciiib ferrate tre giorni, tentata d’ aver prigione Andrea Ferletich,
famofo Capo, e molto fceleraco, in maniera, che rellò quali chiaro che aveffe
avuto lo fcampo da chi ordinò la cattura. Quelle cole lafciarono nell' animo
delle perfone prudenti dubbio di vedere ridotto nell’ avvenire il negozio in
peggion termini, come per li tempi pollàci fecero le altre azioni «’Commillàrj,
offendo il collume de’ malfattori, che innanzi le proibizioni, e prima de'
tentativi inefficaci di galligarìi, per timor di quelli, non làpendo i modi,
come efentarfi traila giullizia, camminano cautamente, e riienutamente nel mal
fare; ma dopo avere fpecimentato_che la giullizia non può, o non vuole raffrenarli
da dovere, rimoffo ogni rifpetto, e certi dell’ impuniti, ardifeono quello a
cui prima non avrebbono penfato; è tanto più confidentemente, quanto più volte
la giullizia tenta fimulaiamente di proibirli, o galligarìi. In quello fiato di
cofe nel principio dell’anno idi;, arrivò il Sereniffimo Arciduca Ferdinando in
Vienna alla Corte, accompagnato dal Capitano di Fiume, daU’Echemberg, e da
altri luoi C^nli^eri, rifoluti ttb loro di non raffare più innanzi, che quanto
fin all’ora era fiato fatto da i Commiuàri in Segna, per dovere poi lafciargli
avere quel corfo che altre volte ebbe, quando fu ridotto nel termine fteffo; a
quello effetto vennero con due propofizioni non più- ptemeffe nelle trattazioni
di quell’affare; l’una, CM i danni fatti dalle milizie Venete in Ifiria alle
tene Arciducali foffeto pagati, e che degl’inferiti a i territor) della
Repubblica non fi pariafiè; I’ altra, che a’fudditi loro folle concellà libera
la navigazione. Quella feconda era ballante, per portare la tratazione, non folo
in lunghezza, ma anche in diuturnità; poiché era pretenfione ritrovata
dall’Impcradore Ferdinando, e a fua richiella trattau, e fatta conolcere poco
fondata | e poi rinnovata dall’ Arciduca Carlo, e maneggiata alla Corte di
Maffimigliano, e di Rodolfo collo fieffo fucceflò, Quanto alla priTanw i. Ff
ma, ax(5 .ognuno avrebbe per inverifimile che foffe (tata fatta propofla -di
hf^imemo per ima parte, elTcndovi parùK di ragioni da amcndue; però non è da
tacere qual foiìe la differenza che pretendevano. Dicevano i danni dati a
ludditi della Repubblica effere venuti da private pcribne contri la pubblica
volontà; ma gl’ inferiti da loro agl’Ar. cidiicali, eflcrc con confcnlo de’
pubblici Miniffri; però qucfti dover effère rifarci dal Pubblico immediate ; c (opra
quelli dovcrfi prima intendere le ragioni dcgl’interelTaii, Ma nel Confìglio
Imperiale, mafflme negli aTunti a quel carico da fua Maeffk, non era riffeflo
pcnOero; anzi una gran dilpofìzione dia(lopcrarG per compito affetramento;
perchè, conbderando quante querelè erano (bee portate a fua Macff^, dappoiché a
lua contemplazione fu pubblicato da ambe le pani che fi fofpendeffero le offde,
e gli Ufcocchi mai non ceffarono dalle rapine, e da i latrocinj, facendofi
fentire moleffiffimi, e infolentiinmi ogni giorno; e raccordandofi quante ne
udirono gflroperadori, Padre, e Fratello fuoì, giudicavano effere bene
libcrarla in tutto delle moleffie con un compito affettamento. In quello
principio s'applicò fua Macffk, e il £uo Confìglicx per alcurii giorni ad intendere
le ragioni di Sua Altezza, querelandufi i Tuoi Configlicri degl’ Ufcocchi
ritenuti nella villa d’Arctina, che, pretendendo offela dagli Ufcocchi,
aveffero penfato i Veneziani di rilarcirfì Ibpra altri fudditi fiioi
particolari, e aveffero invafi gli Stati proprj d’efla, non appancnemi alla
luogotenenza fuprema di Crovati, alla qual ^gna appartiene; che per danni fatti
da private peribne folTero tenute afi'ediatc le terre. I^olcvanfi anche molto,
che, avendo mandato a Venezia il Capitano di Fiume, non aveffe ricevuta
foJdiffazione alcuna, con tutto che fua Altezza molte ne aveffe date ^ e
tenendo perciò J' onore d’efla intereflàto, conchiudevano non poter fare di
più, fe la riputazione fua non folTe reintegrata, e perciò richiedevano prima
quattro cofe: che foffero riialciati i prigioni t che foflc liberato il
comracrzio alle terre; che a’ luoi ludditi fbffc lafciaia libera la navigazione
: che foffero rifarciti de’ danni ; le quali cole elcquire; Sua Altezza avrebbe
compito quello che rimaneva per rimedio totale. Veramente è degna di maraviglia
Y aflbluta promeffa di total rimedio, lenza parlar più, che foffe bifogno della
regia autorità dell’ Imperadore; nè che alcuna parte del rimedio Ibfle
rifervata alla Maeft^ fua, come Principe lupremo di Segna; il che tutto l’anno
innanzi era flato jl colore, col quale il Capitano di Fiume dtpinfc le
provvifioni fatte da’Commcffarj tutto quello che fua Altezza poteffe fare,
effendo rilervato il foprappiù alla Maelb Cclarea, Dopo lunghe confultazioni,
fua Maeffù fece intendere aU’AmbafctadorVeneto la buona volonb iua, che tutte
le dilBcolb foffero accomodate, e la prontezza d'imerporG come mediatore, e
amichevole compoGtore, e metter Gne a tutte le differenze: che le erano flati
elpoffi tutti gli aggravj, e le richiede di fua Altezza; però defiderava
d'intendere anche la volontà della Repubblica. L’ Ambalciadore non voile fare
alcuna particolare querela di cofe paflaic, forfè perche, avendole per
manifede, la giudicalTe fuperdua; ma G riffrinfe alle richiede. Della navigazione
diffe, che quello cran^ozio altre volte trattato, del quale la Repubblica non
avrebbe rkufato di trattare di nuovo; ma non avendo alcuna 5 connefTione cogli
Ufcocchi, non era giuHo confondere infìeme materie diverfc ; del rifacimento
rifpofe che conveniva fofle reciproco; fi conofce0e chi aveva participato nei
danni, e a refHtuire incominciaffe chi prima aveva inferito danno. Dimandò egli
in fofianza che di Segna folTero fcacciati affatto tutti i ladri, e la mala
gente, che inquietavano i vicini; e gli fcacciati non foffero più ricevuti, nè
foffe dato ricapito a' banditi dalla Repubblica, e a* ribaldi; che in Segna
folTe pollo prefidio d'altra nazione, e pagato ordinariamente; che fofle
provveduta per Governatore di perfona d’onore, e difintereflàta; che foffero
abbruciate tutte le barche dacorfo, e airavvcnire nè in Segna nè altrove in
quei contorni ne foflero fabbricate, poiché non poflbno averne bifogno
perdifefa, non avendo moleflia alcuna in mare; e non fono più utù li, anzi
molto meno delle comuni, per portar vettovaglie, e mercanzie. Dopo diverfe
conferenze colf una, e coll’altra parte, lafciati i particolari che non era
opportuno di trattare, parve alla Maelfù Cefarea che le difficoltà poieflero
eflere compofie nella forma in cut di fotta fi dirh; e mandò il Vicecancelliere
a darne conto all’ Ambafeiadore con dirgli, che r Arciduca aveva accecuci quafi
tutti i Capitoli da lui propofli, « aveva data parola a fua Maeflh Cefarea, che
la Repubblica non avrebbe più dtflurbo immaginabile, e che Tlmperadore era
rifolutiflimo che ciò reflafle efeguÀo; il quale dava parola che rutto
paflarebbe con quiete.* che mai non il era parlato cosi chiaramente; e che
poteva ilare ficuro che il negozio farebbe ben accomodato; foggiungendo che
anche dal canto della Repubblica conveniva corrifpondere con rimovere TafTedio,
e con rendere i prigioni. Gli efib^ il Vicecancelliere una fcrittura, che
conteneva le promefle di fua M. e di fua Altezza flela in lingua Italiana, la
forma della quale è qui polla in copia. L'IlUflr. Sig. Vicecancelliere ha
detto, per ordine di fua Maeflh Cefarea, che il Sereniflìmo Arciduca Ferdinando
si ha dichiarato fopra i punti che cflb Illuflrils. Sig. Vicecancelliere
fcrifle nel Configlio di Stato; che fua Altezza promette a fua Maeflà, che il
mare reflerh netto, e libero da’ Pirati di Segna, e altri luoghi fotto il fuo
coinando; e che non nfeiranno di Segna, nè di quei contorni perfone per
danneggiare la navigazione, ne i vicini fotto pena dellaviu. I ribaldi faranno
aflblutamente fcacciati di Segna. II Governatore gib è mutato, cd è perfona di
valore, e difintereflata .* che avendo fua Altezza dato principio a rimettere
in Segna prefidio Tedefeo aflbldato, ovvero pagato, continuerb anche ad
ampliarlo; e che non lo fa ora puntualmente, perchè non vuole moflrare di
efleme affretta. Ma fua Maefli Cefarea procurerb aflblutamente che ciò fegua, e
che tutte le fopraddette cofe fieno interamente efeguite, quando la Serenifllma
Repubblica rilafcierb i prigioni, e leverb 1' aflraio da lei meffo, dovendo
reflare la navigazione de’ commerci nel folito termine, e mantenuta la buona
vicinanza. Quanto alla libera navigazione del mare, fua Altezza non meno, che
TAmbafeiadore l'ha rimefle ad altra trattazione. La ccnchiufione prefa in
Vienna fu fenza alcuna difficoltb ricevuta in Venezia, e attendendo Toitìma
volomh di fua Maeflh Cefarea, e la buona rifbluzione alia provvifione, per
corrifponder a lei, e al Sereniflimo Arciduca, e dimoflrare la (lima verfo
laCafad’Auflria, fu ordinato al Fafqualigo di ritirare le guardie da Segna, e
da Fiume, e altri luoghi, Tèmo II. Ff a c la e lafcìar il conmerzio libero
a’fuddici Aufbiaci, come era. innanzi gli accidenti occorfi; e di far
coniegnare a chi Tua Maeilh comanderebbe i prigioni: fu anche commeflb
airAinbafciadore, di darne conto del autto alla Maeflk Imperiale. Arrivò
l’ordine al Pafqualigo il fecondo di Marzo, e quell’ iiìelTo giorno fu
ei'eguito con molta allegrezza defuddiri Arciducali, e rilcontrò, per buon
accidente > che il medefimo fu fatta Tambafciara alia MaeA^ Cefarea; alla
quale rìufc^ tanto più grata, qtiando alla Corte non fi fpctava che doveflero
le condizioni cilere accettate per iutheienci in Venezia, elTcndo in altre
occafioni pm volte Hate oflerte, nè mai vi era (lato acconfemito. Della grati’
rudine ne fece fua MacfUi dimodrazione non folamente con lodare la
deliberazione, e i’elècuzionc immediate data, ma con alTicurare fopra la parola
Celarea che da quella parte non si avrebbe avuto per l'avvenire difgiido
immaginabile. Fece del tutto dare avvifo a fua Altezza, ch’era già partita di
Vienna, con una buona eforcazione all’ ofkrvanza delie cole promelTe. Comandò
anche la Maefl^ fua al Conte di Sdrin, (otto pena di perdere il feudo, che
ne’luoghi fuoì del Vina« dol non folle dato ricetto a’Piratì, o ladroni, e all'
Ambaiciàdore fece dire che intorno a’ prigioni s’era fcritto a Gratz, e che sì
avrebbe prefo ordine come riceverli, quando fofle venuta la rilpoda In
confeguenza di ciò il Segretario Cefareo in Venezia per ordine efprelìb dell'
Arciduca diede conto delle provvifìoni gih fatte ^ e degl’ ordini dati in
Segna, per rimediare a’ mali palTaii; e della rifoluzione fua deliberata a dare
perfezione al rimanente per. intera oifervazione delie cole promelTe in Vienna;
e dell' ottima volontk fua a perfervcrarc in buona vicinanza; c del piacere,
che fentiva, per clTcrc le palTatc differenze accomodate. Non farebbe facile
diilinguere, fe i popoli di Dalmazia, gl’lfolani malTime di quella regione, o
pure t fudditi Auflrìacì confinanti fentiffero maggior piacere di
un’accomodamento così facilmente fucceifo dopo le molte diflìculTa, dalle quali
furono ambe le parti per tanti anni travagliate, k non che dagli Aullriaci il
frutto era goduto in realt^, i quali con l’apertura del commerzio recarono
liberati delle ìncomoditk che lentivano ma i fudditi Veneti non godevano fc non
la loia fperanza di quiete, la quale nè men ardivano di ben abbracciare, e
tenere per ferm a, afpertando di vedere prima qualche principio di efecuzione
che la confcrmalTe, o colTabbruciamento delle barche da corfo; o collo
(cacciare gli Ulcocchi Venturieri non folo fuori di Selozione di non voler
abbandonare il corfo. In poco tempo ancora vide pian piano ritornare i
fuggitivi a Segna, ed elTere ricevuti in modo, che in termine di un mele furono
ritornati tutti.- del che non intendendo la vera caufa, ni penetrando, fe fofle
con ordine di fua Altezza per adunarli, e fervirfì di loro in altro luogo,
rimafe in molta ambiguità dove il negozio dovefle terminare t ma predo redò
chiaro a tutti che l' accomodamento -fatto non poteva fortir fine migliore
degli altri in altri tempi conchiufi. Imperocché, avendo gli Ulcocchi la
fettimana Tanta fatta deliberazione di far un ufcita generale, e avendo,
Iccondo il lolita, contribuito anche i vecchi, le vedove, e i religiofi, a
metter infieme una munizione di polvere, e viveri, e danari per comperarne,
quando quella mancafle- ufeirono il di de' fette Aprile, giorno della Santidìma
Refurrezione di nodro Signore, in numero di quattrocento in dieci barche; e avendo
navigata per ito. miglia, fmontarono a Crepano, giurifdizione di Sebenico, e
per quel territorio padarono nel paefe deTurchi, facendo preda di uomini,
animali, e robe;c ritornati pel medefimo ter. ritorio, nelle marine di quello
imbarcarono la preda, e la ridulfero in Segna; avendo lafciata fparfa voce,
ch’erano accordati co’Veneziani di poter andar a' danni de’Turchi pel
territorio Veneto, mentre non oifendedero le perfone, e i luoghi per li quali
palfadcro, e ne’ giorni feguenti, palTando piu innanzi, all’ improvvifo fecero
molti danni in Macarfea, e Narenta ; e internatili piò oltre per le terre
de'Ragufei, depredarono la Villa di Trebigne, la migliore, e piò ricca che fia
ne’ contorni di Gadel Nuovo, con grodo bottino d’ animali, e prigionia di
uomini ; e nelle molto andate, e ritorni, fi ricoveravano ora in una, ora in un
altra delle Ifole Venete dove intendevano non effervi armata; cosi per
ripofare, come per provvedere i viveri; i quali ora pigliavano con violenza,
ora pagavano. Durò per alquanti giorni quella imprefa, che tiufcf loro
felicemente; perchè la fama All’accordo llabìlìto, e la credenza certa di non
avere piò moledie dagli Ufcocchi, fecero redar i Turchi lènza guardarli, c quei
dell’ Ifole Venete fenza la diligenza eh’ erano foliti ufare ne’ tempi de'
pericoli. Ma i Turchi, podit in arme, e fatta calare moltitudine grande in
ajuto, minacciavano di vendicarfi centra le terre del Dominio Veneto confinanti
; e mandarono a protedare a’ Rettori delle terre della Repubblica; e il Bafslt
di Bodina, nuovamente venuto a quel governo, ne fece rifentimento gagliardo col
Generale, ufando quedo concetto alla Turchefea, che la complicità non fi poteva
negare, valendofi gli Ufcocchi della cafa della Repubblica, come della propria
; minacciando di avvifar la Porca in Codantinopoli ; e che farebbe mandata
armata; per guardare quelle marine. Nel principio di quelli mfulci il Generale,
non con fperanza di provvifione, ma affine che i Minidri Audriaci non poteUcro
negare di averla faputo, mandò a Segna a dolerfi che centra la parola daa, non
elfendo ancora afeiutto finchiodro del decreto Cefareo, e delle promilfioDi
Arciducali, fi contravveailT* cosi manifedamente alle promede tanto confermate,
violando le giurifdizioni col tranCto di gente tnnau; provocando con quede
azioni, e con falfe didènunazioni, la flndctta de’Turchi fopra i fudditi
innocenti. A quedi lamenti Gioan Deleo, Vicecapitano di Segna, rifpofe, fentire
Tal»» . Gg gran 154STORIA graiì difpiacerc di cos'i finlftri avvcnìmemi, c che
il vale era provenuto da perfone bandite da quella Cittk, alle quali egli non
poteva comandare. Si fdegnò grandemente il Generale della rifpoda, come che
foffe riputato tanto femplice, che fi potefTe fargli credere, quattrocento
banditi eflèr entrati in una Cittlt; e valendoli delle barche proprie di
quella, elTcr ufeiti dal porto, e ritornati colla preda più volte ; clTere
i^aii Tempre ricevuti, e il tutto contra il volere di chi governa* Più fi
riputava offelo per le vettovaglie pagate nelVlfolc, che per le rubbate, tenendo
che foife cos"! latto, per metterlo alle mani co'Turchi* £ lebbcne in
quella occorrenza era più urgente bifogno jl guardarfi di non ricevere danno
da'Turchi, che r ovviare all’infolenze degli Ufcocchi, deliberò nondimeno di
attendere all’uno, e alfaltroy e a quciìo effetto ordinò che dodici barche
Albancfi fotto il Governatore Giovanni Dobracuich bene rinforzate di uomini
trafeorreflero per tutto, con ordine erpreflb di non offendere i luoghi, nè
meno i fudditi Aaffriaci che foffero ritrovati in barche da viaggio, o
difarmate* irà folo ovviare alle rubberie degli Ufcocchi, e perfcguitarli,
ritrovandoli ne’ mari, o altri diff retti della Repubblica. Ma gli Ufcocchi,
che avevano fatti grpffiffimi bottini, tnaffime di fchiavi, fra i quali vi
erano anche perfone ricche, e di conto, per cavare il frutto, levarono bandiera
di rifeatto in Sabioncello, territorio de‘Ragufet,> dove andando i Turchi
per contrattare con loro, effi ancora fpeffe volte tranfitavano trh Segna, e
Sabioncello per le occorrenze che quella negoziazione portava, Avvenne che la
lèra del giorno degli otto Maggio ritrovandofi con dodici barche armate da
corfo, incontrarono a S, Giorgio, a capo di Tielina,'ialtrettante barche di
Albanefi, e combatterono ferocemente inficme, attaccata una fanguinofa fazione,
die durò Cnp alla notte, la quale li divife; e in quel combattimento reffarono
prete due barche dt Ufcocchi con morte di feflanta perfone; e trh queffi
Niccolò Craglianovich, capo principale di loro, t dal canto degli Albanefi
reffarono uccifi otto loldati ‘con dicianovc feriti, tra* quali il figliuolo
del Governatore le altre dicci barche prefero la fuga, falvandofi a Segna.
Queffo conflitto fu dagli Ufcocchi, e dagl' Albanefi divetfamenic riferito.
Quelli differo di efferc fiati aflìcuraiì dagli Albanefi di poter entrar in
porto; e dopo entrata due barche, queU le efferc fiate affalitc, che le altre
non potevano focorrerJe, e però fi ritirarono * Quelli affermarono di aver
combattuto con tutte le dodici barche da buoni loldati, e di averne a buona
guerra prefe due, adduccndo, per confermazione, che fc dodici barche di loro
con cinquecento uomini eh’ erano, aveffero affali to a tradimento due fole, non
larebbe refiaro morto, c ferito tanto numero di loro, Ma comunque quello fi
foffe, certo è bene che il conflitto non fucceffe in porto, ma nel mare aperto
tr^ ITlola diLiefcna, eia terra ferma* Gli Ufcocchi fuggiti per la vergogna, e
per li compagni perduti, refiarono pieni di rabbia, e di appetito di
vendicarli; e più di tutti Vincenzo, fi-atello di Niccolò Craglianovich, uccifo
nella fazione. La mala ventura s'accoi^ò colla rabbiofa maligniti loro a far
fuccedcrc un altro accidente di peffima confeguenza. In quel tempo fitffo parfi
d’Ififia, per andar all’ubbidienza del Generale, la Galea di Cristoforo
Veniero, ilquile, non avendo alcuna notizia del fucceflb occorfo a San Giorgio,
lenza alcun Ibrpetto facendo il fuo viaggio, cri giorni dopo quel conflitto,
capitò la fera nelportodi Mandre dell’Ifola di Pago. Gli Ufcocchi, avutone
l’avvifo da una fpia,in gran numero fmontarono in terra, e fipofero
occultamente fopra il monte che circonda il porto, in aguato,- e la mattina fet
barche d' elli, entrate in quello, aflaltarono la Galea, e quelli eh' erano in
terra, in molto numero con archibufate, e fafli uccidendo, e ferendo dalla
parte fuperiore, levarono il modo di pocerfi metter in difefa, fene
impadronirono; e preti ifoldati, e grUlBziali della Galea, ad unò ad uno,
facendoli palfar alla fcaletta, gli accopparono crudelmente, e gettarono i
corpi in mare. Fucofadi gran compaflione, chea fangue freddo folTero cosi
barbaramente uccife quaranta perfone innocenti ; fecero vogare la Galea pel
Canale verfo Segna, e nel viaggio cagliarono la teda colle mannaje a Lugrezio
Gravile, Cavaliere, gentiluomo di Capo d’Idria, e al fratello, e nipote,
ch’erano fo. pra la Galea per paflTaggio ; e fpogliarono delle perle, monili,
anelli, e vedi Paola Stralbldo, moglie del Cavaliere, colle fue donne, ch’erano
in compagnia del marito. Servarono vivo il Veniero folamente- Si conduflero
lotto la Morlaca, pocolonunoda Segna, e quivi difcefi in terra, per flgillo
della barbarie, fecero fmontare lui ancora, e gli troncarono il capo colla
mannaia, c fpogliato il corpo. Io gettarono in mare, e apparecchiato il
deCnare, poterò il capo deir infelice Ibpra la menfa, dove dette mentre durò il
convito. Quede cofe tutte furono vedute dalle donne, e da'Galeotti redati fopra
il Vaf. cello; alcuni de quali afiermarono ancora che dimandò con molta pieth
la confelUone, e gli fu negata. Altri diOero che gli mangialfero il cuore;
altri che folotingeflero il pane nel fangue, per certa fuperdizionetrìi
lororadicau, che il gudar inficme del fangue del nemico Ga un'arcano, e una
Gretta obbligazione di non abbandonarG mai, e correre la medefima fortuna.
Finito il delinars, condulTcro la Galea a Segna, dove divifero le robe, e le
munizioni di quella; rilafciarono i Galeotti con minaccia, e obbligazione di
non ritornare nello Stato della Repubblica; e didefero l’artiglierìa fopra
lemura della Cittk. Andati gli avvifi di cosi atroci fatti a Gratz, da’ fautori
degli Ufcocchi fu perl'uafo l'Arciduca che tutto fatto dalarofofle con ragione;
e alla provvifione fatta da’ Minidri della Repubblica fu data Anidra
interpretazione, incitando fua Altezza alla rottum, e guerra; cofa da loro glh
molto tempo defiderata, per una vecchia Iperanza di facilitò conceputa, che fua
Altezza acquidezebbe, e aggrandirebbe, sò, e loro con quel mezzo : il che fu
anche caufa, che fcrilTelua Altezza a tutte le terre fue diconGne, che delTero
fopra le guardie, e A fortìAcadcro, dal qual comandamento nacque che a Segna
con gran follecitudine portarono terra, e prepararono legname, per munire
laFortezza. Il Capitano di Fiume ancora fece fpianare gli orti, le vigne, e gli
uliri attorno le mura di quella terra, e in tutte le terre a’ conAni eziandio
in iflria A dava qualche fegno di preparazioni militari, il che diede gran
fofpetto a’ Veneziani che iblfe un’ apertura di guerra ; perchè, non parenw
loro di vedere che, pel conflitto di S. Giorgio, caufato e riufeito in qual
modo A iblle, i Miniftri Arciducali avefléro caufa alcuna di dolerA, non
putendo, nè dovendo loro importare, fei violatori della giurìAUzione Veneta, e
contumaci del Principe loro proprio, che centra la volonth, di quella erano
andati in corfo, folfero flati ucciA fuori della fua giurifdizione in qual A Aa
modo, tenevano d aver ragione di credere che quei preparamenti folfero, non
peraflieurarfL, non cflendo preceduta occaGone da generar fofpetto, ma
perdilegnodi mettetele cole loro in Acuro, e aflalure Io Stato della
Repubblica. Toma 11. Gg ^ Ricevettero un gran difgafto, avendo intefo per la
confeDìone d’ un Ufcoeco prefo vivo nel combattimenioa capo S. Giorgio, e di
quattro altri prefi dopo in Arbe, chel’urcita fu con partecipazione del
Vicecapitano, il quale centribui anche la fua parte; mcfirando chiaro
l'evidenza del fatto che non potevano elTere ufciti alla preda in tanto numero
fenza Caputa de'Minillri Aullriaci ; e i’alfalto, eia crudeltà commeflà contra
la Galea, febben poteva eflère fatu fenza confenfo loro, per rabbia e vendetta
propria di que' ìcelerati, nondimeno non fu fenza precedente caula, dau dalla
pubbHca Autorità, col permettere l’ufcita al predare contra la promelTa del fuo
Principe, tanto recente, e con fuccedente approvazione, dimollrata nell'avere
ricettati i malfattori, Se gli Ufcocchi, per vendicare la morte de’ compagni,
hanno ufata la crudeltà contra i foldati, e padrone della Galea, quando bene
ciò valeffe per feufa loro, non farebbe buono per ifeufar il governo di Segna
dal conceder loro la facoltà di predare; dal riceverli colla Galea; dal portare
le robe, e munizioni nella Città; dal difiendere le artiglierie Culle muraglie.
Quelle opere non pofTono aver il primo mo. to dagli Ufcocchi, ma da chi governa
Segna; i quali, oltradi ciò, anche nella prela della Galea, e morte de’foldati,
e del ^praccomito, non fi polTono feufare, di non aver parte, almeno in quanto
hanno alficurato, e partecipato con chi hà commelTe le fceleratezze. Ma Niccolò
Frangipane, Capitano di Segna, ch'era allora alla Corte, per aver danari da
pagare i foldati, pafsò immediate a Novi, fua terra, e raccolti cinquanta buoni
uomini, con quelli accompagnato andò a Segna. Chiamò a fé in Cafiello Cotto la
fede i principali intervenuti alla prefit della Galea c da loro pigliò
informazione del (ucceffo, e ne formò procelTo, il quale mandò alla Corte di
Gratz in diligenza. Vifitò anche l'artiglieria polla Còpra le muraglie, non
facendo dimofirazione alcuna di approvare, o non approvare il fau to. Il
Generale Veneto, per bene certificarli le il Colo Vicecapitano Dcleo trà i
Miniftri Coffe in colpa, udito l’arrivo del Frangipane, mandò in Segna perfona
efpreffa con lettere lue, dimandando la refiituzione della Galea, e delle robe,
e CfKcialmente delle artiglierie, anela la buona intelligenza, e amicizia
tràiFrincipi,eraccordoultimamentcfeguito. Dal Capitano|fii rilpollo pel
medefimo Meffo con lettere, le quali fono ancora in effere, dolcndofi del male
fucceffo con molte parole di cortefia; e quanto alla refiituzione della Galea
rifpondendo che già l’Arciduca fuo Padrone aveva ordinato che la Galea Coffe
tenuta cosi; però egli non poteva far altra dilix>fizione;maavrebbeavvifaio
fua Altezza della riebiefia fattagli, per efeguire ciò che da quella gli
foffefiato comandato. Dopo molti giorni il Capitano, per qual caufa fi Coffe,
mandò al Generale una caffetta colla tefiadel Venicro inclufa; egli feriffedi
mandarla, per mofirare di non cffergli nemico; einfiemefoggiunfe che in materia
dalla Galea nonaveva avuta riipofia alcuna; ma però mandò uno de'pczzi dell’
artiglieriadella Galea a Novi, Fortezza propria lua ; dalle quali azioni fi
certificò il Pafqualigodell’animo fermoanonrefiituire; e giunto quello indizio
alle frequenti ufcite,e a’paffaggi degli Ufcocchi pel Canale della Morlaca con
maggior numero di barche fornite, di fuochiartifiziati,eaItri apprefiamenti, e
provvifioni non piò da loro ufate, ebbe dubbio che vi poteffe effere qualche
penfiero di fare un’occulu guerra alla Repubblica Cotto nome degli Ufcocchi.-
laonde giudicò neceffario aflieurarfidi non ricevere qualche affronto maggiore;
congregò le fue forze, per ferrar i palli, je impedirei foccorfi di munizioni,
e vettovaglie a Segna, afienendofi però di sbarcare,o d'inferire alcun danno
alla terra ifolo proibii ad ogni Corta di Vafcelli,chenon ufeiffero, ni
entrafTero;e a'fudditi ogni fona di commerzio con Segna, ealtre Terre di quel
Capitanato. La provvifisnenon fu di quel efficacia, come altre volte era
rìufcia ; percbi, eirendò Fiume Ubero, di IV andava per terra vettovaglia,
febben v’interveniva pib fpefa. Ma il Generale Veneto non giudicò condecente
operaralcuna cofacontra Fiume, perché dopo raccordato di Vienna non l'aveva
trovato in alcuna complicitV cogÙ Ufcocchi. Arrivò il Generale di Crovazia a
Fiume, e raunò deToldati in quella Terra con difegno di paflàr a Segna, diceva
egli, per dare rimedio a quegl' inconvenienti febbene poi non relegut, Mr la
urettezza del vivere cbe in quella CittV era, la quale non comportava ette
accrefcelTe numerodi gente; mV Tdegnatopel commerzio impedito, che la teneva in
Urettezza, fece correr voce per tutto il paefe che Sua Altezza aveva deliberato
di non accommodarle differenze co'Veneziani, fe non avendo libera la
navigazione del Golfo, per andar a danni de’ Turchi: cofa della quale gli
Ufcocchi furono molto contenti, e pieni di fperanza di dover vivere in
felicitU. Da quello moflb il Ferletich, andò a Fiume, per divilare fopra il
modo d'idiluire un corfo formato per l'Adriatico. Ma dopo diverfe trattazioni fu
dal Capitano di Fiume, o di legreto ordine del Generale, o di proprio moto,
pollo prigione. Corfe Tubilo la moglie del carcerato a Fiume ; portò in dono al
Generale due pezze di panno d’oro, e un padiglione di prezzo ; donò anche a
Volfango Frangipane, fratello del Capitano di Segna, una littiera di valore; i
quali prefenti, uniti allalperanza d’averne de'maggiori, ebbero forza di
conciliar l'animo del Generale in tal maniera, cbe tentava diverfe vie per
levarlo di prigione.- al che non conlentendo il Capitano, oper zelo di
giuflizia, o perchè gli pareffe Urano che il Generale godclTc il frutto dell’
opera Tua, palfarono uh loro gravi parole, e in 6ne il Capitano condannò il
prigione a morte, e il Generale lofpele la fentenza. Scrilfero ambidue alla Corte,
e venne rifpolla che foOc giudicato fecondo le leggidi Ungheria onde
nefeguiva,chc non fi poteva far il giudizio in Fiume, non appartenente a quel
Regno; e per non tornar a parlar piò né del prigione, né del Generale, dirò
folamente che, elfcndo quelli dimorato in Fiume fino alla partenza dalla Corte
Cefarea de'Commilfarj, de’ quali fi dirò a Tuo luogo, fenza far altro di piò,
che udir piò volte la moglie del prigione, fe ne parti, menandolo leco in
Crovazia. Mh nel mcdefimo tempo alla Corte Cclarea, fecondo chei difordini
luccef(èro, furono rapprefentati a Sua Maellh dall’Ambafciadore Veneto con
illanza di provvifione ; e fi dolle Cefare degl’ inconvenienti occorfi, e
maflìme della morte crudele de’lóldati, eSopraccomiio della Galea con tanta
atrocith epromife di dare fodddUfazione, e rimediare daddovero. Fece dire per
nome fuo all’Ambafciadore da principale Minillro, che la Repubblica era in
illatodi ragione e cbe Sua Maellh aveva inclinazione a levar quella gente dalle
marine nel tempo delle palfate differenze ; ma incontrò divede opinioni
de’Minillri, che non la lafciaronofpuntare: cheDioaveva permeflbpolcia
queigrandifeandali, per porvi quell’ ultima mano cheli doveva porre all'ora.
Alle illanze dell’ Ambafeiador Veneto s’aggiunfero quelle del Nunzio Pontificio,Mrché
il P gior amplifìcaztonelc querele contri il commerzio interdetto a Segna,
conrap. prefentarlo come una dimunizione di riputazione, e di ofiefa della
dignità Im« penale, e di tutta la Cafa d’Aullria, acciò l'uà MaelU fi
dichiarane congiunta ne« gl'intereni loro : ealcunide’ConfìglieriCerarei, da
quelle propodc molli, entraTono in alcuni pareri marziali, per compiacere ai
defìderio degli Arciducali. altri di loro ebbero per inverifimile che il
Generale Veneto avelTe conceduta licenza agli Ulcocchi di ufeire contri
iTurchi, acciò elll aveflèrole prede, ei fudditi le rovine; e pareva gran
llravaganza, chegliaveire fatti combattere per quelloche gli avclTe ali ora
conceduto. Ma quei di loro, che fi raccordavano che per ottanta anni continui i
Veneziani s’ erano dichiarati di ricevere ugual danno, e offefa, quando gli
Ufcocchi paflavano a predar altri per li diUrctci della Repubblica, come quando
bottinavano i fudditi loro proprj; Tebberoper un’invenzione molto fctocca; e
non pareva loro conveniente nè alla dignità, nèalla religione di tanto
Principe, che movefle una guerra, per mantenimento di ladri infami. S. M., alla
rapprefentazione del commerzio levato a Segna, H commoffe alquanto, come che
foflc airediata una.fua Terra; ma, certiheato che non iì pretendeva di far
offefa alla Citt^, ma folo di afncurarfi che nonfoflcro inferiti nuovidanni,
comegrufcocchi giornalmente tentavano, reilòquieta; eavendo colla prudenza fua
penetrato il vero, preflo conobbe che tutto il male era nato per rinolTcrvanza
delle cofe prom effe ; e nel ConHglto fu conchìufo di mandare
CommifTarlpernomediCefarechc con fuprema autoritli metceflero la
mano,eapplicaflcro il rimedio proporzionato al bifogoo corrente ; e furono
nominati il Conte Altani,il Baron Bech, e il Sig. fiuonomo, a’quali furono date
commiifioni molto ampie, e chiare, di levare da Segna gli Ufcocchi, e mettervi
prefìdioTedefeo, egafligare pofeia i colpevoli degli ecceflì commeflì. Il Sig.
Buonomo fu fpedho immediate a Gratz, per conferire la rifoluzione prefa, e
ricevere iflruzione anche da fua Altezza. Ma avvenne quello che piò volte
eraoccorfo, c regnante ITmp. Rodolfo, che nel Confìglio Cefareo fu prefa
rifoluzione, per rimediare al male, la quale in Gratz fu convertita fempre in
quella forta di medicina che lo fa peggiorare : cosi occorfe nell’occafìone
prefente, che gli Arciducali diflero eflfere cofa giuda il gadigare, e
rimediare; ma, per farlo in modo che metta fine,
efrerneceflarìocheiCommiirarjs'informaffero, cractafleroco’Minidri Veneti, e
riferifTero a’ Serenifs. Imperadore, e Arciduca ; e non efeguiffero, fe prima
da fua Maed^ eda fua Altez. non foffe deliberato quello che fi dovede mettere
in effetto. In Venezia comeladeliberazionedegr Imperiali fu commendata di
giudizia e finceriik, cos'i fu immediate intefo dove mir^e f aggiunta degl’
Arciducali, cioè, che, non potendo trovare pretedo di difobbligarfi
dall’accordato di Vienna con allegare eccezione alcuna contra di quello,
penlalTero difobbligarfi con idi mire una nuova tratuzione,nella quale obbliquamente
fodero introdotte le medcfime cofe, e con qualche maniera, o hdrette, o
glofate, fìcchè rimanedero fenza effetto: imperocché in altra maniera non
vedevano pretedo, per dipartirfi dalle cole promeffc; poiché dall’altra parte
era efeguito quello che le toccava, e in quelbche re^ dava far loro non
potevano pretendere aggravio; non eflendo cola piò giuda, quanto proibirci!
corfo, e nelle guarnigioni tenere mfidio pagato ; ch’era la fodanza delia
promefTa;né avendo probabilità,perinodrare d'edere dati in pane alcuna gabbati;
poiché lafcritturafufonnata,e defa non, come è folito, da ambo le parti, ma
dallaloro folamente, fenza che v'imervcnilfero i Veneziani, da' quali poi fu
accettato. Non fi venne in Senato a deliberazione di mandare perlona alcuna a trattare
con quei Comminar], 0 per la ragione fopraddeita, o perchè era noto che il
motivo non veniva dagl' Imperiali, ma da'medefimi Arciducali; o forfè anche
perchè volellero alpettare di vedere le prime operazioni de'Commifiarj in
efecuzioae delle cole promclTe, per regolarfi poi come quelle aveffero
infegnato« Mentre i Commiflar) erano in viaggio, occorfe all’ Arciduca, per li
Tuoi negozj, vifitare la Maefi^ Imperiale in Lintz, dove, conforme a quanto
prima da Gratz era fiato fcritto, furono replicate le feufazioni degli
Ulcocclii, e rinnovate le querele pel commerzio,levato alla Giuli; e propofio
il progreflb che potrebbono fare le armi Imperiali in Ita^a colla fponda
deirefercito che fi trovava ammafiàto in Milano; e furono anche fatti diverfi
ulBzj, acciocché non foife difarmaco prima che fi vedelTc l’efito delle cole di
Segna. Ma 1 CommilTarj, giunti a Fiume, chiamarono a sè i Capi degli Ufcocchi
da Segna, i quali ricufarono di andarvi fenza falvocondotto. Furono i
Commiflar] cofiretei a concederlo, parendo loro ciò minore Indignitk, che fe i
chiamati foflero refiati contumaci. Col falvocondouo andarono a Terfau, e di
111 mandarono a richiederne un piò ampio, diffidando del primo; e ottenutolo,
andarono a Fiume, dove furono ricevuti con termini amorevoli, e correli. I
Comfniflàri prefero da loro informazione del conflitto cogli Albanefi a
Liefina, 6 della prelà della Galea, e delle altre cole occorfe dopo il
concordato, e fubito li licenziarono, per ritornar a cafa ; o perchè da loro
altro non volelTero, o perchè, fiance il faivocondotto, non potelfera efeguire
altro difegno. Dopo alcuni giorni mandarono il Segretario loro a Segna a
comandare che folfero confcgnaii i Turchi fatti prigioni in Trebigne; e il
Segretario non folo non fu ubbidito, ma git convenne partire fenza veder
efletio alcuno degli ordini de' Commiflar]: e quantunque ufafie minacce di
feveriffimo gafiigo contra i contumaci, nè meno gli fu data rifpofia per
riportare a' Padroni.* le quali cofe dimofirarono in fatti quanto ditferente
foflè la filma che da quei ribaldi era fatta de Minifiri di Celare fupremo
Signore, dal rifpetto, e dalla ubbidienza che fu da' medefimt prefiata un' anno
prima al Cheslin Commiffario Arciducale; e diedero materia agli fpecolativi di
credere che, quando alcuna cofa da quei di Gratz èrimefla a quella Maefià, come
eccedente la podefià concefTa, ciò fia per forma di apparenza, e coperta di
Icufa Mentre che furono i Commiflar] in quel luogo, altro non fucceffe di
conftderabile, fe non che i Kagufei Ipedirono Achille Pozza a richiedere loro
rimedio, per li danni degli Ulcocchi, e per li perìcoli Turchefobi, ne' quali
li gettavano, il quale non ottenne provvifione alcuna. Avvenne anche che la
Galea, o per fortuna, o per malizia, andò a traverfo, efidifllpò in tal maniera,
che fe ne vedevano le parti nuotare per la riviera; e finalmente il corpo fi
ruppe Cotto la torre Saba : c quello eh' è di maggior confiderazione, fu gli
occhi de medefimi Commiflar] fette barche di Ufcocchi ufeirono di Segna,
camminando dietro terra lotto la Morlaca, e pizzicandt» le Ifole quanto
poterono ; il che fu poco, per la fquifita guardia Ttmù IL Gg g, eh x3« STORIA
ch’era in quelle, rirtirono i Commiflari nn dopo l' altro, mandata a Grata l’
informazione fenea aver fatta altra cofa che ibfle veduta, o faputa; non
mancando gli Arciducali in Fiume di luggerire, e imprimere, eflère paflàto con
loro dilbnorc che non fóllè ttato mandato a trattare foco ; e aggravando, con
dire che altre volte fi era mandato a trattare cogli Commiliari Arciducali
tanto inferiori degl'imperiali. Della dimora, e opera infruttuofa di tre
perfone infigni fpiccate dalla Corte Imperiale era attribuitala colpa
diverfamente. Altri l'afcrivcvano a mancamento del Senato Veneto, che non
aveflc mandato alcuno per fu» nome, allegando che, quamfe fi tratta caufa
comune, come fono tutte quelle di (Ubilire una buona vicinanza, conviene che
fia per Miniftri da ambe le parte maneggiata, acciò riefea con reciproca
fodditfazione: che i Cefarei non avellerò fatto colà alcuna, per elTere mandati,
non ad operare foli, ma uniumente co' Veneziani : e quando bene avelièro veduto
foli applicare qualche rimedio, non avrebbero potuto lark>, per eflèr
incerti fe quello folTe poi piaciuto a'Veneziani, e gli aveflè renduti
contenti; e però che con ragione dovevano eflèie feufati gli Aoftriaci di ogni
inconveniente che fol^ potuto fuccedere. Altri dicevano che alfora fi tratta
per comuni Minillri, quando vi ò bifogno di concordare diffèrenze; ma per
efeguire le cofe concordate, ognuno dee fare la fua parte da fe fteBb: che
quando il Generale Veneto refiàtul il comerzk), lo fece da sò, lènza alTiflenza
di altri; che i prigioni erano fiati liberamente offèrti a chi fua Mael&
avelTe comandato fenza tratare del modo di darli: che, quelle cofe fatte, i Veneziani
non avevano altro che fare, fe non afpettare corrifpondenza coll'oirervanza
delle cofe pròmeffe ; che il mandare la Repubblica Commiflàri, per trattare
accomodamemo, non farebbe fiato altro, che rinunziare l'accordato di Vienna,
nel quale, poiché la parte Arciducale era fiata tanto avvantaggiata, ed era
efeevito interamente tutto il vantaggio di quella, nel nuovo congrelfo non n
poteva propone, ni rilbivcre fe non qualche cofa di più per gl’Arv ciducali, e
qualche maggiore difavvantagio per la Repubblica.- lenza, che fi poteva con
cenezza prevedere che, non avendo avuto luogo qoello che fi era fermato colla
Maeftà Imperiale, e coll’Altezza dell’ Arciduca, molto meno fi avrebbe potuto
fperare della trattazione de’ Minillri, i quali fe erano andati per efeguire le
cofe concordate, neflìin impedimento fi può diré che aveflèro ritrovato, il
quale colla prefenza de’ Veneti poteficro fupetare.- ma fe con altro dife^ gno,
che daU’alTenza de’ Veneti, folTe fiato difiurbato, non poteva quello eflère fe
non pregiudiziale alla Repubblica. Gl’intendenti delle cofe di governo dicevano
di più, che occorre fpeflb trà i Principi mandare Minillri per negoziare, ni
mai quella fi fii altramente, che avendo prima rifoluto l’uno, e l’altro, che
il bifogno vi fia, e concerrato quello che s’abbia a trattare, il luogo, e bene
fpefia anche il modo a tenere. Ma che uno fpedifea Minillri dove, e con quelle
commiflìoni che a lui piace, e fenz’altro dire, afpetri che l’ altro mandi a
tratura con quelli, ficcome i cofa non mai ufata, cosi, quando avveniflè, più
rollo avrebbe ragràoe di dolerli rinvinro lenza precedente concerto, che l’
invitante a cui non folTe corrifpofio.' non poterfi però aferivere a mancamento
di fapienta, e prudenza in Cefare, che non fu autore di ut configlio, ma di chi
T inventò, e aggiunfe in Gratz oltra le commiflìoni Imperiali. Partiti i
Commiflkn, refta^oBo i kdfi alTicurati deli'impuiiiik per le cole facte^ e
inanimiti a tenere ritafiTa (lile alPavvenire. Non racconterò le pertico lari
prede di barche, o re(celli, e le incurfioni fatte l'opra le Ifole con una, ò
due barche, perchè moh te furono; e futbbetedio, perl'uniibrmitb, commemorarle
tutte.* narretò folo una generai ufeita fatta mentre il rigor del vento
doofteinfe rallentar le guardie, nella quale prefero quante barche incontmroRò
alle riviere d’illria; e in Dalmazia i due grippi con mercanzie, e da» nari; e
alii fcogli di Zara tré marciliane cariche di pannina, renft, c fpczicric; e
una Nave che poruva drappi di feta, lana, zuccheri, e altre merci di valore v
Paflkrono dopo quelli Ipogii ad offefe non più da loro ternate. Si ritrova in
faccia di Zara uno Scoglio, nominato di San Michiele, con un CalUllctto nella
lòmmith, dove ne i tempi de’fofpetti 0 tengono guardie, e lentinelle, per
ilcoprir il mare; ne i tempi tranquilli reità il luogo, come di leggier
momento, lenza guardia 4 Quelli uomini, con molto ardire ivi montaci, e munito
il luogo per quello che poterono repentinamente, pofero dentro guardia della
loro gente, per ben ifcoprire il mare, e non folo ìnGdiare la navigazione,
dando legni accompagni de* Valcelli di viaggio, ma ancora per awifarli di
ichivar Tarmata chetrandea per guardia di quelle riviere; e ciò fatto, con
incredibile audacia fi mifefo ìoGeme in forma digtulla guerra, e in numero dÌ
40 o.con lèi iiilègnc sbarcarono a Ro» iiaoze, vaia della medefìmaCitth, e
predato in qirella quanto vi 0 ri» trovò, pailatt innanzi ad Islan,
luogode’Turchi, preferoanimali, donne, e nnciudt; ritornali per la via Aefla,
portarono tutto a Segna, linfbrzata prima la guardia, e la munizione di S.
Michele ;donde per dilcac’ciarli, eflèndo lo fcoglio forte di Geo, fu bifogno
di congregare la foldate» ica, e adunare molta gente, per paflare nello
fcoglio, e alTaltarii : di che elfi avvedutifi, la notte fuggirono. A tanti
inconvenienti avendo con0dcrazione, il Generale Veneziano riputò neceflàrio
ufare più potente ri» medio, che T impedimento del commerzio a Segna, per
confolazione dc’fudditi, che, ritrovandofi danneggiati e afflitti, erano vicini
alla difperazione, e a gettarfi lotto la volontà degTUfcocchi. Era debole il
rimedio ufato contra Segna folamente, poiché quella gente, con ar« rifchìarh ad
ogni pericolo, luperava parte delle difficoltà; e col riee» vere per via di
terra fbccorfo da altri luoghi Arciducali, rendeva io» fruttuola Topera
impiegata nell’ incomodarli. Sino a qucRo tempo i’ era alìenuto di levar il
commerzio all’ altre terre, per non diipiacere a fua MaeOà, c a fua Altezza:
all' ora, vinto dalla ncccffità, pensò che quei (Principi colla prudenza avrebbono
bene conofeimo che, quando fi foflè riientico con tutte le terre loro polle a
quella marina pel favore preparo a cosà fceleraci ladri, non doveva cflère
hcevuco per ofièfa da chi fi difendeva da cosà gravi olt^gi, mà da chi lì
cotnmetteva fono T ombra loro; e perciò proibì ad ogni fona di perfone di poter
andare cofi vafcelli, .0 barche di mercanzie, vettovaglie, e di ogn’ altra
Ibrta diprovvifìoni a qualunque terra polla fopra il Quar. ner, c fopra il
Canale della Morfaca dì Bcfezfino a ScriUà. Ancorché 0no al tempo prefente non
fia mai (lato applicato rimedio proprio, che abbia potuto ovviare pienamente
alle fcorreriedegrufcoccni, que00 nondimeno é Rato in tutti i tempi il più
efficace ; perché, oltre al x 38 storia al levar a' ladri la comoditi di Ilare
rutti uniti in uni uogo, pel mancamento delle vettovaglie, gli altri ludditi
Audriaci, che per cauli loro pativano, fi Iòno concitati centra i ladri, ed
efclamando alle orecchie della Corte Arciducale, hanno collretti quei Miniftri
a fare qualche provvifione, per cllcre liberati dall’ incomodo per all’ora.
Cosi in quella occafionc le querele, e i lamenti de’fudditi andati a Grata,
giunti cogli lifliz) dall’ altro canto fatti da i Miniflri della Repubblica
alla Corte Cclarea, indulTero gl’ Imperiali apenlàr di levare quella molellia a
lua Maellb con rimedio perpetuo; e gli Arciducali a peniate di portar il tempo
innanzi, con dare qualche apparente, 0 almeno leggiera loddisfazione : e
communicati i configli infieme, rimilèro a trattarne unitamente al leguente
Agollo, pei qual tempo avevano i Principi di Cala d’ Aulirla intimato un
congrelTo dì tutti loro, e de’ deputati delle Provincie foggette in Lintz, dove
l’Imperadore fi ritrovava, per rilolvere negoz) importanti de’ loro Principati.
E per dar ingreflb a quella trattazione, fecero gl’Aullriaci per nome di lua
Altezza querela coll’ Ambalciadore della Repubblica, Refidentc prcITo a lua
Maellb, che il Generale in Dalmazia avelTe pubblicato un bando, proibendo il
commercio alle terre, c a’ ludditi tuoi di quelle riviere; e con effetti avelie
trattenuto diverfi valcelli che navigavano a quei luoghi, per fomminillrar
vettovaglie ; e ne avelie anche gettati a fondo parte di elfi ; e che ciò folle
non tanto con fua offefa, e danno dc’fudditi, quanto ( il che piò loto
importava ) a pregiudizio della libera navigazione che pretendeva nel Mare.- al
ch'era flato giullo, e neceflario rimediare; che gib in Vienna fi erano ptomoHe
parole di quell’ ìflellà materia, e concordemente era fiata rimeflz ad altra
trattazione: che quello era il tempo, e luogo opportuniflimo di trattarla, che
facilmente non fi prelenterebbe una congiuntura ule, quando foffero prefenti in
una raunanza tanto frequente tutti i Principi di Cala d’Aullria, e anche i
Deputati degli Stati loro; deU’inicrelle de’quali tutti fi trattava: e che,
decifo quello capo, infieme fi avrebbe trovato rimedio alle cofe degli
Ulcocchi. A quella propofizione fu dall’ Ambafciadorc rifpollo in follanza.-
che in quella materia dì navigazione non era fncceduta novitk alcuna; ma era
fiata femjrfe libera ad ogni torta di perlonc lotto le leggi della Repubblica,
che fono neccllaric per conlervarla; e tale cllece la men-, te di lei che fia
mantenuta tempre. Elfere flato proibito nuovamente^ il commerzio alle terre,
dove gli Ulcocchi erano ricettati, foccorfi, e favoriti, appunto per ovviare
alle infellazioni loro maritime principalmento, e mantenere libera la
navigazione, e a’ danni, e alle ollefe che inferifeono in terra.- che mentre
gli Ulcocchi avellerò ricetto in quelle terre, nè elfi potrebbono allenerli da’
ladronecci, nè la Repubblica lafciare di perfeguitarli, e ribattere le offelc.
Raccordò le promelfe fatte in Vienna con parola di fua Maellk, c di fua Altezza
in ifcritto, e replicate molte volte in voce, che il Mare rollerebbe netto, e
liberato da’Pirati di Segna; e che nè di la, nè da quei contorni ufeirebbono
perfone a danneggiare la navigazione, nè i vicini: e recitate tutte le
molcllie, e offelc dagli Ulcocchi inferite dopo il tratuto di Vienna fino a
quel tempo, loggiunfe che per religione, ginftizia, e riputazione de i
Principi, erano obbligati ad efeguire le pro melfe; melTe, con che anche per
corrifpondenz» farebbe retiduto il commerzio alle terre, ficcome fu renduio
l'anno innanzi per rifpetco, e offervanza verfo fua Maedb finceramcnte, fenza
aver altra fìcurezza, che la fola fua promcfsa, quantunque le ingiurie ricevute
dagli Ufcocchi fin’ all’ ora folTero da non fcordarfi facilmente; e che gli
at;ticoU da fua Maeflli, e da fua Altezza promefli all’ara non conteheiTero, il
total rimedio, e folTero flati conglciuti per molte fpertenze paflàte
infufficienti ; laonde, per debita corrjfpondenza, fe la ragione, l’oneflb, e
roITervanza della fede debbano aver luogo, fi dovrebbe ormai vedere Teffetto
delle promelTe: ch’egli afpettava che da quella raunanza, fecondo la intenzione
datagli, da Configlieli di Cefarc folfc pollo fine a tjucllo fpinolb negozio. E
perciò riulcirgli cofa molto inafpettata l'udire in luogo di qnello, che fi
trattafie d’ implicarvi altri negozj di lunga digeflione, che non potevano
fervire ad altro, che a portar in lungo Tefecuzione delle cole promelTe; che il
negozio degli Ufcocchi gik era in piedi, e fi ritrovava in tale flato, che non
fi vedeva adito, nè apertura di ravvilupparlo con pretenfione di libera
navigazione, ovvero con alcun’ altra fomigliante; ma bensì, terminato quella,
che non aveva bifogno di trattazione, ma di efecuzione della parola, e fede
data, la Republica non farebbe fiata aliena di trattare ogni altra difficoltb :
anzi il metter fine alle moleflie degl’ Ufcocchi farebbe flato un facilitare la
tratuzione di navigazione; che la Republica aveva fempre ricevute, e incontrate
tutte le occafioni, per metter fine a qualunque differenza colla Cala
d’Aullria,- e che in Vienna erano fiate conofeiute le urgenti ragioni, per le
quali non fi poteva trattare, nè di libera navigazione, nè d’altro negozio
prima che a quello degl’ Ufcocchi folTe rimediato; e perciò di comune confenlo
era Hata rimelTa ad altra occafione: e rellando le caule le medefime, conveniva
tener per decifo, che nelTuna opportunità di trattar altro poteva venire, (e
non era levato di mezzo quello impedimento, che non concedeva T unire altra
cola con lui. I Configlieri di Gratz per quello non fi molTero dalla loro
rifoluzione; ma fi fermarono collantemente in quello, che non occorreva parlare
degli Ufcocchi, fe infieme non fi parlava di quell’ altro punto; il quale tanto
premeva a fua Altezza, che fenza quello non avrebbe potuto afcoltare
ragionamento di altro; febben gl’imperiali non fecero fopra illanza alcuna.
Quelli che fludiano, per indagare i fini delle deliberazioni, credettero lo
feopo degli Arciducali non eflcre flato altro, che di fcanfare il parlare degli
Ufcocchi; cofa molto abborrita da loro in ogni tempo; e la mira de’Celarei
elTere fiata di vedere prima rifoluto un altro punto, che fu propollo, e rellò
iniecifo nella raunanza, cioè, fe fi doveva attender alla guerra, o alla pace
co’ Turchi, forfè a fine di cavar alcuna fomma di danari, quando fofle llau la
guerra rifoluta, con negoziare qualche cola d; Segna. Quello che in ciò fólTe
di vero non fi può affermare. Ma poiché il negozio della libera navigazione
Tanno precedente in Vienna fu difgiumo da quello degli Ufcocchi, e rimelTo ad
altra trattazione, e a quello tempo in Lintz fu promollb dagli Auflriaci, per
riunirlo a quello degli Ufcocchi, e non fu trattato, avendo i Veneziani
perfeverato m tenerlo difgiunto; quello luogo ricerca un poco di digreflione,
per efplicarc che cofa fi pretendeva colla richief^a dì libera navigazione, e
in che tempo ebbe origine la pretenfione; e qua^ li ragioni aironi ^fTero ufate
da ambe le parti. Dopo una lunghiflìma pace trli i progenitori di Mafllmigliano
I. Imperadore, e la {Repubblica dì Venezia nel 1508. ebbero principio leggiere
perturbazioni, le quali fecero progrclTo a notabili, e memorande guerre ; e fu
la Repubblica per zz. anni feguenti con quel Prin« cipe, c colla pofteriib lua
per varj rifpetriora in guerra, ora in pace, e ora in tregua; nel fine de
quali, l'anno 1528. furono compolle tut“ te le differenze, e conchiufa in
Bologna una pace, la quale durò oltra tutto quel fecolo con Carlo V.
Imperadore, infìeme con Ferdinando fuo fratello, Rè d’ Ungheria > e Arciduca
d’AuRria, Perchè nella divìlìonc tra loro fratelli lette anni hmanzi fatta,
tutte le Terre AuRriache conhnanti co' Veneziani erano toccate al Rè
Ferdinando; \ confini delle quali colle Terre della Repubblica erano molto
intrigati ; perlochè molte difHcolt^ erano da decidere, parte per le ragioni
pubbliche de' Principi, e parte per quelle de’fudditi privati, che non
poterono, per la moltiplicitb, e per la lunghezza della cognizione che
ricercavano, elTere terminate in quel trattato di pace. Fu aU'ora il tut« to
pollo in quiete con un capitolo, che dovefle elfer iRituito un tri. banale
arbitrario, per deciderle. II tribunale fu eretto in Tremo, dal quale fu la
Icntenza pronunziata nel 1535*) c tutte le differenze ( eh' eccedevano il
numero centenario ) difHnitivamente furono terminate. Qui però non ebbero fine
le diihcoltky imperocché, neU'eleguìre la Temenza, altre si attraverfarono, e
col progrclTo di tempo ebbero origine da ambe le parti nuove querele;
pretendendo ciafeuna che dalTaltra folTcro fatte varie innovazioni. Laonde, per
metter fine a tutte le differenze, fu da Ferdinando, fuccelfo all’ Imperio per
la cefllone del fratello, e della Repubblica dì concerto comune iRituiu in
Friuli nel 1503. una raunanza di cinque Commìflàri, un Proccuratorc, c tre
Avvocati per parte, i quali trattalTcro le dilhcoltli, cosi antiche, come
nuove; e da’ Commilfarj folle poRo fine lotto la ratiheazione de’ Principi.
QucRo cosi gran numero di giudici fu dall’ Imperadorè richieflo, per loddisfare
a’fudditi fuoi di varie Provincie intcreffati in quelle caule. Per la parte
Imperiale i Commillàrj furono, Andrea Pcghcl, Barone in AiiRria, MalTimigliano
Dorimbergli, EIcngero da Gorizia, Stefano Sourz, Antonio Statemberg ;
Procuratore Jacopo Campana Cancellier di Gorizia.* Dottori, Andrea Rapizio,
Qervafìo Alberti, Gian-Maria Grazia-Dei « Per la Veneta CommiRàrj furono
SebaRian Veniero, Marino de'Cavalli, Pietro Sanudo, Gian BattiRa Centanni,
AgoRio Barbarigo: Procuratore Gian Antonio Novellò Segretario.* Dottori,
Marquardo Sufanna, Francefeo Graziano, Jacopo Chizzola. Nella Radunanza furono
da ambe le parti efprefle IcrichieRe; e dopo aver difputato, e parte compoRo,
parte decifo le altre differenze pubbliche, fu prefa in mano una richicRa del
Procurator AuRriaco in qucRa forma .* Ejufdem ÌIajejlatis nomine re^uiritur ut
poft bac illm fubditisy atque ei'tis in Jìnu Adriatico tuth navigare ^ ac
negotiari liceat» Jtem ut damna Tergejìitth Mcrcatoribus, atque aliis illata
rejlituantw\ c accompagnò il Rapizio Avvocato la dimanda con dire che quella
non era caufa da trattare fotttlmente : effer cofa notininia, che la
navigazione doveva efler libera: con tutto ciò i Navilj de'fudditi di Tua
Maefìò erano alle volte fatti andar a Venezia, a pagar dazj; che di queAo fua
MaeA^ A doleva, e faceva idanza, che vi fì rimediafle. A ciò rifpofe il Chizzola,
Avvocato della Repubblica, elTer coÌk chiara che la navigazione dee eflfer
libera; ma a queAa libertà non eflere ripugnante quello di cui fi dolevano;
poiché ne i paefi liberìflU mi chi domina rifcuote dazj, e ordina per qual via
debbano tranfitare le mercanzie; e nelTuno fi può dolere, Tela Repubblica per
li fuoi rifpetti ufa quoAa facoltà nel Mare Adriatico, eh’ è fotto il fuo
Dominio: e foggiunfe che, fe intendevano di difputar la loro richieda, gli
avvertiva che non poteva elfer introdotta tal caufa in quel giudizio, idituito
folo per elecuzione delle cofe fentenziate; elTendo cofa notidima che la
Repubblica, come Signora del Mare Adriatico, efercitava appunto c^uel dominio
che da immemorabile tempo aveva fenza neffuna interruzione el'erciuto, cos^ nel
rilcuoter dazj, come neU’adegnar luogo per la efazione.* e che la protenfione
propoda era nuova, e mai piò da nedun antecefsore delflmperadore, nè come Rè d
Ungheria, nè come Arciduca d'Audria,e delle Provincie adiacenti, nè da fua
Maedà in tanti anni mai per innanzi permefsa. Interrogò ì Cefarei che diceffcro
quando mai piò era data pretefa tal cofa.* che non fu pretefa innanzi la pace
di Bologna, perchè la differenza farebbe data terminata all' era, ovvero nmefsa
al giudizio arbitrario: che in Trento furono traratte piò di izo. controverfie,
e di queda non fu fatta menzione: adunque fino a quel tempo non fu in piedi una
tale pretenGone.* Mà s’era nata all’ora per innovazione fuccefsa dopo la
fentenza di Trento, diceffero quale, e quando ebbe principio; perchè egli era
pronto a modrare ogni cofa efsere di aniichidimo ufo, fenza una minima novità:
però non doveva elser udito chi veniva con dimando non originate, o dalla
fentenza, o dall* innovazione. A ciò il Rapizio rifpofe che non intendeva far
il fuo principale fondamento fopra quello che a rutti è notiflìmo, cioè, che il
Mare è comune, e libero; e che però a nefsuno poteva proibirfi il navigare per
qualunque luogo gli parelse, e febbene alcuni Dottori dicono che la Repubblica
hà preferitto il Dominio dell’ Adriatico col lungo pofsefso, però non Io
provano; e a* Dottori che affermano una cofa di fatto non fì crede lenza pruova
; e perciò non voleva dimorar in quedo, ma venir al principale, cioè, che,
quando anche la Repubblica folse padrona del Mare, i fudditi Imperiali potevano
navigare Uberamente per le capitolazioni che trà i Principi tono dabilìre; e
però cfser appartenente a quella Radunanza la richieda proMda; alla quale,
poiché cosi era da' Veneti richiedo, aggiungeva per fondamento: ^ra libera navigaM
mmris Adriatici cum Majejìatis fu€ Cefarex, tur» fttbditorum damno^ Ò"
incommodo ab Jllujhijpmi Dominii Veneti triremimn PrxfeBis impedita ftmit
cantra capttula Vorma^ tixy Bononix^ Andeeaviy et Venetiis inita, £ qui portò U
pafso della capitolazione dì ^logna, la quale cosi dice: comune% fuhdito
tiberey tutOy et featre pojjjint in utriuftpue StatibuSy et Domi niis, tam
terra, tjuam mari moran, negotimi non bonis fuh ; be neqke (T umamter tradenìur
y ac Ji cjjcnt imoUy tT fnbditi iUius Prit^ Tomo li. Hh r^ù, X Domlali, mui
fratrias et imùaia rJihuu; pnvUexur^ ni va, auf alitfua iajuria ulta de caufa
iis inferatur > celeriterque fvt adannijintar, Recitò anche i capitoli delle
tregue d‘ Afigiers, e de Vomies, e della pace di Venezia, che fu regidrata a’fuoi
tetnpi, benché non folTe bifogno, per elTere dello fteflb tenore. Ponderò la
parola libere, confìderando che libere è aggiunto al verbo navigare ; perlochè
fi dee intendere fecondo la legge comune, per cui ognuno può navigar
liberamente: e non farebbe libero chi follie corretto andar a Venezia. Aggiunfe
di più che la parola libere conveniva che non folfe fuperflua, ma bifognava che
operalfe alcuna cola di più, che le due parole iati, et fecare ; nè altro
poteva importare, falvo che, fenza impedimento, o molellia, o pagamento di
dazio : a ciò aggiunfe che vi erano più di 400. ijucrele de’fudditi con
vafcelli fatti andar a Venezia, e fatti pagar dazj, per elTere capiuti ne i
Porti per fortuna, o per altro. Leflc una fentenza d’un Rettore di LieCna, che
liberò una Nave capitata a quell' Ifola per fortuna; e narrò che alcune barche
di fale erano Rate lafciate andare dall’armata Veneu al loto viaggio fenza
mandarle a Venezia. Conchiufe che la fua richicRa fi Rendeva a quelli tre
ponti.- Che i Ridditi AuRriaci poteflero navigare per tutto dove loro piaceva.-
Che per andare ne i Porti della Repubblica per tranCto non pagaRero; E andando
per mercantare in quelli non pagaflcro più, che i ludditi del Dominio. Replicò
il Chizzola promettendo di rifolvere chiaramente le obbjezioni dall'altro
introdotte, ficchè non rcRcrebbe luogo a replica; e di moRrare con ragioni
vere, ed elhcaci, che quanto veniva operato da’MiniRri della Repubblica nel
Golfo era fatto con legittima autorith. £ rifervandoR a parlare dei Dominio del
mare dopo, ma prcfupponendolo, nel prmcipio incommeiò dalle Capitolazioni, e
difse prima che la parola libere non Rava appoggiata, come il Rapizio diceva,
al verbo Navigare; ma a' verbi .- marari, tS" negaeiari tàm terra, qudm
mari ; e però conveniva intendere libere come la legge comune intende, quando
fi dimora, o negozia in cala d'altri; ch'è olfervando le leggi, e pagando i
diritti del paefe. So^iunfe poi che quelle capitolazioni trh la Cafa d’AuRria e
la Repub^ca erano ugualmente reciproche, e che non vi ora convenzione più a
favore degli AuRriaci nello Stato di Venezia, che de’ Veneziani nello Stato
degli AuRriac^ nè cRer paniita maggiore liherth nel mare, che nella terra; ed
edere chiare le parole colle quali fi dice che i Ridditi di ciafeuna delle due
parti poRano (limo, rare, negoziare e mercantare negli Stati dell’ altro, cosi
in terra, come in mare, e fieno ben trattati. In modo che i Ridditi Veneti non
hanno d’avere minore liberih nelle terre AuRriache, che i Ridditi AuRriaci ne’
mari di Venezia; e per virtù di quelle parole, quello che Sua MaelHi vuole
avere nello Stato della Repubblica, conviene che lo conceda a lei nel Rio.- e
fe Sua MaeRù Cefarea nello Sato Rio di terra non concede a’fudditi della
Repubblica fare la Rrada che loro piace, ma li coRringe paRare per quei luoghi
dove fono pagati i dazj, non può dimandare che i fuoi poflàno andare pel mare
della Repubblica per tutto dove l»r» piace, ma ded contentarli ohe vadano dovei
rifpetti diRuelU che ne bù il dominio comportano. Se Sua Maeft^ fa pagar dazj
nella Aia terra, la Repubblica faccia pagar nel Tuo mare. Gl'interrogò, fe pel
capitolo volevano che foC» ie levata, 0 riAretta la facoltà all’ Imperadore di
efigere dazj? le nò, perchè volevano che folTe levata, 0 rìAretta alla
Repubblica per un capitolo che parla di ambi i Potentati colle Aefle parole?
MoArò con narrazione particolare, che dalla pace Veneta del 1523. fino allora V
Imperaaore aveva crefeiuto dazio con aggravio de’ ludditi Veneti alle
vettovaglie, e mercanzie che palTano dall’ uno all* altro Stato in maniera, che
ciò che pagava uno era aumentato in alcune a 16. in altre a 20. In particolare
narrò che il ferro già a quel tempo aveva libero tranfito,| e non pagava cofa
alcuna: che di nuovo Sua Mae Ah aveva impoAo per dazio lire 18. per miglia)o, e
aveva ordinati i luoghi per dove fi paAalTc a pagarlo; fuori de’quali foAe
contrabr bando, dove prima il mercante poteva fare che Arada gli piaceva; che
fi pagava un carantano per manzo che fi conduceva per Venezia e l’aveva
accrclciuto ad un ducato con danno delli Beccati di quella Città: e fe Sua
Maellà Aima lecito nello Stato Tuo fare quello che le piace, fenza repugnar
alle convenzioni, non può penfare che la Repubblica, facendo quello che le
torna bene nel proprio, le contravvenga: aggiunfe che in ogni pace Aabilita trà
due Principi dopo una guerra, h conviene che i fudditi poflano dimorare, e
negoziare liberamente, non ad efclufione de’daz), ma bensì sì efcludono le
violenze le oAiliià, e impedimenti ch’erano ulatt prima, durante la guerra, e
non fi leva, o rìAringe l’autorità, nè dall’uno nè daU’altro Principe, nè in
terra, ne in mare. Alla clùarezza, e forza di queAo dilcorld rcAarono così
lotpefi gli AuAriaci mirandofi Tun Taltro, che il Chìzzola giudicando non
elsere ncccfsario fermarfi più in ciò, pafsò alla pruova del capo prefuppofio
che la Repubblica abbia il dominio del mare, e dìise; Efsere veriffima la
propofizione che il mare è comune, e libero, ma non altrimenti di quello che fi
dice ie vie pubbliche elsere comuni, e libere: il che s’intende, che non
polsono etscr ufurpate da alcuni privati per loro proprio fervizio, ma rcAino
alfulo di cialcuno;non però libere sì, che flon fieno lòtto la protezione, e l’
imperio del Principe; che ognuno pofià far in quelle liberamente tutto quello
che gli piace, a dritto, e a torto; che tal licenza, e anarchia è abborrita da
Dio, c dalla Natura, così in Mare, come in terra: che la vera libertà del Mare
non el'clude la protezione, c fupcriorità di chi lo nunticne in libertà; nè la
foggezione alle leggi di chi ne ha l’imperio; anzi ncccAariamenic le include;
che tanto U Mare, quato la terra è foggetto ad elser divifo trà gl' uomini, e
appropriato alle Città, a’ Potentati ; il che, già ordinato da Dio nel
principio del genere umano come cola naturale, fu anche molto ben conofciuio da
AriAotile quando diAc che alle Città marittime il mare è territorio, perchè da
quello cavano l' alimento, e la difcla: cofa che non potrebbe elTere, fe non
fofle loro appropriata parte di effo, non altrimcnte che al modo, come fi
appropria la terra, la quale è divila trà le Città, non in partì uguali, nè
proporzionate alla loro grandezza, ma quanto hanno potuto dominare, e guardare.
Berna non è la maggior Città deU’Elvczia, e pure hà tanto territorio, quanto le
altre dodici inficme, c la Città di Norimberga, molto grande, appena efee col
territorio fuori delle mura. La Città di Venezia molti anni è vifiìuta lènza
punto dipofiènìone in T0mo II, Hh 2 terra ferma. In mane parimente alcune Citt^
di molta fona, e vitti hanno occupato molto mare; altre di poche forze fi fono
contentate delle proflime acque; nè Inno mancate di quelle che, (ebben
marittime, avendo alle fpalle terra fertile, fi lono contentate di quella,
fenza ulcir in mare; altre che, impedite da pii potenti, fono fiate coftrette
ad afienerlene,- per le quali due caule una Cittì, febben marittima, può Aare
fenza poOédcr mare. Aggiunfe che Dio ha ifiituiti i Principati per mantenere la
giufiizia ad militi del genere umano : che quelli fono nccelfarj cosi in terra,
come in mare. Che San Paolo dille per quella cauta eflère debite a’Principi le
gabellee contribuzioni.- che larebbc una gran firavat ganza lodare le terre
guardate, regolate, e difefe, e biafimaie ciò nei mari. Che fe qualche mare ^r
la fua ampiezza, ed ellrema lontananza dalla terra, non può eflere protetto, e
governato, quella è pena del genere umano, Cccome è anche, che vi fieno difetti
cosi grandi in terra, che neflimo pollà proteggerli, come nei fabbioni di
Affrica, e in molti luoghi immenfi dell' Atlante. E ficcome è dono di Dio che
una terra fia colle leggi, e colla forza pubblica retu, protetta, e governata,
cosi il medefimo avviene in mare ; che furono ingannati danna grolla
equivocazione quelli che diisero, la terra per la fua llabilià poter elser dominata,
ma non il mare, per efser elemento inconllante, ficcome nè anche l’aria;
imperocché, fe pel mare, e per l’aria intendono tutte le parti di quegli
elementi fluidi, certa cofa è che non polsooo eÈere dominate, perxJtè, mentre
fi fervono gli uomini di una parte, l’altra fcorre.- ma quello avviene anche
a’Fiumi, che non poflono elsere ritenuti. Quando fi dice dominar il mare, overo
il fiume, non s'intende l'elemento, ma il fito dove quelli fono polli. Scorre
ben l’acqua dell’Adriatico, e non può efsere ritenuta tutta,- ma il mare è
l’illefso, ficcome il fiume; e quello è quello che flhfoggetto alla proiezione
de' Principi. Interrogò gli Aullriaci, fc la pretenlione loro era che il mare
fot fe lafciaio fenza protezione, ficchè ognuno potelse lare in elso, e bene, e
male, corteggiarlo, depredarlo, e renderlo innavigabile? quello efser tanto
firavagante, ch’egli voleva per loro rifpondere che nò.- adunque conchiufe che
per necefsaria confeguenza la Maellh fua voleva che fofse guardato, protetto, e
'governato da quelli a’ quali toccava per dilpofizione divina: ma le cosi era,
ricercò, fc loro pareva ginfta cofa che quelli tali lo facelsero con fola loro
fatica, loro fangue, e loro fpefe; o pure che vi coniribuifsero quelli che ne
godevano frutto? A quello anche rifpofe per loro, eh’ è troppo chiara la
dottrina di San Paolo, per non alleare la Gmrifprudcnza, che tutti i governali,
e protetti fono obbligati alle contribuzioni, e gabelle. Adunque conchiufe che,
fe la Repubblica è quel Principe a cui appartenga dominare, e prot^ere
l’Adriatico, fegue neccefsariamcnie che chi le navin debba Ilare foggetto alle
fuc leggi, non altrimenti che a quelle «Ila rcgioiie ttrrellre chi tranCta per
quella. Pafsò allora a moflrare che quefio dominio da immemorabil tempo era
della Repubblica, e fece leggete da una raccolta i luoghi di trenta
Giureconfàlti, che dal ijoo. fino all’eth fua parlarono del dominio della
Repubblica fopia U mare, tome di cofa notilIima,e imme morabile ne' loro tempi,
difcendendo alcuni fino a dire che la Repubblica hb dominio di eflb non meno
che della Citth di Venezia; dicendo altri che l’Adriatico i il territorio, d il
diftretto di quella Cittb, facendo menzione della legittima podeltti fua di
lUtuire leggi alla navigazione, e d’imporre dazj a’ naviganti; e foggiunlè
ch'egli non fi raccordava di aver veduta alcuno che diceflè in contrario; e
rivoltoG al Rapizio, dilTe che, s’egli non voleva credere a quegli Scrittori i
quali attcllavano, che il mare foOé de' Veneziani, poffeduto da immemorabile
tempo, precedente la loro eth, perche non lo provavano, non però poteva negare
di riceverli per telUmonj di quello che nel loro tempo vedevano; e averli per
fuperiori ad ogni eccezione, efièndo uomini famofi, e che, da tanto tempo
morti, non fono interelTati nelle cofe prefenti, e per 150. e più anni corrono
dal più vecchio degli allegati all'ultimo, teda per l’attellazione. loro
provato che giù più di unti anni la Repubblica hh dominato il mare, e per ciò
non poterli negare l’immemorabile poflelTo al prefente. Indi rivolto a’
Giudici, li pregù che fopra le autorith allegate afcoltalTera una fua breve
coqfiderazione, la quale lafcierebbe Toro compiutamente impreflà la verith.
Ponderò prima, che febbene alcuni de’ recluti luoghi parlano con parole
generali, dicendo, il mare de’ Veneziani, non efprimendo quale, e quanto quello
fia, altri però lo Ijpecificano, ufando il nome di Golfo, e altri con termine
più erpreluvo, dicendo l’Adriatico, che fpecifica non loia il fito, ma anche la
quantità del mare poffeduto; e con quelli che parlano più cfprellàmente modrò
doverfi dichiarare quelli che in termini più generali fcrivono, conforme al
comune precetto, che co’luoghi chiari conviene illuminare gli ambigui.
Confiderò apprefib che il varùi parlare di quei Dottori, facendo derivare il
dominio della Repubblica in mare, chi da preferizione, altri da fervitù
indotta, e alcuni da privilegio, è nato, perchè, ficcome erano inrormaiiRlmi
del poOeflb, ed efercizio di quello che vedevano, e udivano ellèrc dato
l’ideflb da tempo immemorabile; cosi, fcrivendo in quella materia, non ad
idanza d’ alcuno, ma di proprio moto, e per forma di dottrina, ciafeuno giudicò
erprimcre meglio il titolo, chi con un termine, chi coll’altro, fenza curarli
di ufare il foln, vero, e proprio, come avrebbono fatto, dove fofl’ero dati
condotti a fcrivcre per interede di alcuno; nel qual cafo i Confultori fono
fempre conformi, ricevendo daU’intereffato la medefima idruzione. Soggiunfc che
però quella varictb non diminuifee punto la fede, anzi faccrefee, come Sant’Agodino
dice, parlando della diverfitli che trù i Santi Vangelidi s’odcrva; perchè dal
modo diverfo, ufato da que’ Scrittori, può redare ognuno certificato che
nefliino di elfi ha fcritto nè pagato, nè pregato; ne’ quali cafi non lì
farebbono partiti dall’tinico modo, dall’ interede loro preferitto.- anzi da
chi ben efitmina, vcderfi tiù quei Dottori una mirabile concordia in queda
unica, e lineerà veritù; e che dopo la declinazione dell’ Imperio
Codaniinopolitano, ritrovandoli 1 ’ Adriatico per più anni abbandonato ( come
anche molte Ifole, e Cittù di quello Stato ) in modo, che redava non cudodito,
c lenza protezione, e governo di Principe alcuno, c fodit la giurifdizione di
neduno, fu dalla Repubblica, per ricevere il fuo vitto da quello, codretta a
mantenerla netto, prelò fotta fua protezione, acquiilatone governo, e dominio
nel modo in cui per diritto naturale, e delle genti le terre, i mari, e le
altre cole che non fono lotto il dominio di alcuno, diventano di quello che
prima le occupa; colla qual ragione furono fondati i primi Imperj, COSI in
terra, come in mare; e alla giornata le ne formano de’nuovi, quando alcuno, per
la vecchiezza, e per li vizj, indebolito, manca di forze, e cade. £ in quella
cudodia, e in quel governo del mare cos'i acquidato, la Repubblica s"è
andata avanzando con potenti e fempre maggiori armate; con fpefa di molti
teforì, e con profufìone di molto languc de’ tuoi Cittadini, e fudditi,
continuando lenza interruzione in colpetto di tutto il Mondo rincominciato
domìnio, e cudodia, e fuperando, e rimovendo tutti gl' impedimenti che in
prògrelTo, o da Pirati, o da Potentati, cos\ d’Italia, come dalfoproda riviera,
le furono in diverfi tempi eccitati. Soggiunfc che ì Profcflbri del parlare con
erquifui termini di gìurifprudcnza non codumano dire acquidato per
conluetudine, falvo che il poter valerfi di quello che de jtrrc civili è
pubblico ad alcun ufo privato, fenza impedimento dcirunivcrlàle, come di
pefcarc nel fiume fenza impedire la navigazione; con tuttociò nem
impropriamente fi dar^ anche titolo di confiietudine, dove lark acquidato, e
continuamente tenuto in protezione e dominio, un didretto, o terredre, o
marittimo, abbandonato, c da neduno pofleduto, come Bartolo, Baldo, Cadrò, e
altri alTegnano. Ma bensì per virtù di prclcrizionc non poterfi dire
propriamente pofTcduto, fé non quello di cui colf ufo fia dato un’altro
IpogUato; il qua) titolo non cade in quedo luogo, poiché la Repubblica non hù
ipogliato alcun poflcflbre del mare, ma l’ha acquidato, ritrovandolo
abbandonato, e lenza Padrone, o podeffore; poterfi però dire in certo modo
prefcrizionc, come fe un Falcone, abbandonato dal Padrone, e inlelvatichito,
poi da un'altro prefo, fofle addomedicato, e per lungo tempo nodrito; lebbene
non propriaaittnce, però non inconvenicntemente d*rebbc codui d’ averlo
prelcritto. Similmente la proprietà di parlare non ammettere Tufo della voce,
Servitù, fe non quando al proprio territorio è acquidato alcun particolar ufo
in quello del vicino, il quale però redi Padrone del fuo: in quedo fenfo U
Repubblica non ha indotta fervitù nel mare alla lua Cittù, perche non vi ha
acquidato foio un ufo l'peztale, redando il dominio ad altro Padrone; ma vi ha
aflunto l’intero, c totale dominio di quello ch’era abbandonato, nè da alcuno
governato, o dominato.* poterfi nondimeno, per certa projxirzionc, chiamare
lervitù, in quanto la Repubblica è data codrctta ad adlimcrc quel totale
dominio, e governo per fervizio della fua Citr\, che nè aveva bifogno. Qiianio
a privilegio, ceru cofa edere che qui non può avere luogo alcuno, poiché non vi
era all’ ora chi lo potefTe concedere. L’imperador Occidentale in nedun tempo
mai vi ha avuta podedk, nè autorità alcuna; nè i Principi in Occidente vi hanno
avuta alcuna giurildizionc, o lupcriorith, tanto meno potevano darla ad altri.
In Oriente queirimperadorc, per non avere forze da tenerlo, gii l’aveva
abbandonato, e perciò fpogliatofi di ogni forta di podedi, c di quella
podèdìone, che avvede potuto ritenere coir animo, ne fece cedione nelle paci,
etranfazioni fuccede pofeia tri queir Imperio', c la Repubblica. Con tutto ciò
i Giureconfulti Italia oi, come profeflbrì del jus CefareO) e giurati nelle
parok di qudloi dcvotiflìmi della Maedà Imperiale^ come fc ancora regnafle
Augudo) overo Antonino, G fono sforzati con ogni eftorGonc di verificar
neUImperador Occidentale quel detto.* Imperata tft Dimtinm Mtindi^ il quale
fino in quel tempo, quando Ga pronunziato, non era vero in, una centefima parte
del Mondo, e al prefente non è in alcuna confiderabile proporzione e mentre
vogliono far onore alflmpecidore, e dargli con parole quello che nè bk, nè può
avere, non fi guardano dalla firavaganza di parlare: e ficcome diflero che
neflun Rè pofiede Stato alcuno legittimamente, fé non per concefiione
Imperiale, diflero ancora che la Repubblica pofledeva il mare per privilegio
deirimperadore. Mli ben apparifee in che fcnlb fu da loro detto, poiché nefluno
di elfi vuole che vi fia intervenuta mai conceflìone; ma chi lo figura
privilegio prefunto dalla immemorabile pofleflìone; chi interpretativo dalla
feienza, e pazienza deiflmperadore, che vuol dire tanto, che fe diceflero che i
Rè Crifiiani pofleggono i loro Regni, e la Repubblica poQ'ede TAdriatico cosi
legittimamente pel titolo del loro acquifio, come fe que' Regni, e quel mare foflero
fiati deirimperadore, e da lui a quei Principi, c ad efla Repubblica conceduto.
Cosi fi dilatò il Chizzola rpaziofamence in parlare de'Giureconfulti, per
eflèrc campo di Tua proteflione; e conchiufe poter ognuno refiar certificato,
che cosi in fatto, come in ragione) coll' autorità di quei Dottori erano pofii
fodi fondamenti alia caufa che difendeva. Indi al tefiimonio de’Giureconfulti
aggiunte gli Storici, i quali nar« rano che la Repubblica già più di 300. anni
rifcuoceva dazj da’ naviganti, e teneva barche armate in guardia con ordine di
far andar i NavUj a Venezia; tefiificando che continuamente dopo fino al tempo
loro fi fcrvò i’ificflb; ma fopra le loro attefiazioni non fi fermò molto,
dicendo che ficcome fono buoni tefiimonj de i fucceflì occorrenti, cosi, quando
fi tratta di provare le ragioni de'Principi, o de’privatt, convien valerfi di
fcritture autentiche, e ufar gli Storici con gran diicrezione; eflendone alcuni
mofli, chi da amore, chi da odio, e da fperanze ancora, che li cofiringono ad ufare
adulazione, ovvero iperMi, fopra le quali non fi può fare fodo fondamento.
Portò ancora l’atto del Concilio generale di Lione nel 1274. dove l’Abbate di
Nervefa, delegato dal Pontefice in una pretenfione degli Anconiuni, d« avere
libera navigazione, fencenziò che la dimanda fofle rigettata, e che i Veneziani
non foflèro molefiati nella difefa, e protezione dellAdriatico da’ Saraceni, e
Pirati, ne foflero turbati nella pofleflìone loro d’efigere i diritti delle
gabelle, e de’noli. Aggiunfe il Chizzola, non eflervi memoria quando
primieramente fbfle fiata creato in Venezia un Capiuno di Golfo, perchè nel
1230. fi abbruciò la Cancellerìa colle memorie di tali elezioni: mà da quel
temp o fino al fuo fi poteva mofirare da’regifiri pubblici la continua fucceflìone
degl’ eletti fenza alcuna interruzione. Similmente aggiunfe ancou che refiano i
regifiri da quel tempo fino all’ora delle licenze di tranfitare pel mare con
legni armati, o con perfone, o con robe per loro ufo, da diverfi Principi
poflelfi}ri di riviere fopra l’Adriatico xichieftc, da Pontefici Romani,
Legati, Vicari, e Governatori, c Comunità delie terre di Romagna, e della
Marca, da’ Rè di Napoli per la Ph 2.48 STORIA ti Puglia; delle quali molte
furono concefle, alcune negate, e alcune anche in parte folamente concedute; mk
elTere fuperfluo allegare i fatti di quelli, i fuccefibri de'quali non
promuovono dillìcoltk. Difcenderebbe allo ipeziale folo de’ PrecelTori di Sua
Maeftk, come de’ Rè d’ Ungheria, e dell’Arciduca d’Auftria. Recitò un breve di Papa
Urbano Sello diretto al Doge Antonio Veniero folto la data in Lucca 14. Giugno
I j88. in cui gli rende grazie che colle fue Galee deputate alla cuRodia del
Golfo fia Rata liberata Maria Regina d’Ungeria, ritenuta in prigione a CaRel
nuovo; e due altri congratulatorj; uno alla Regina fuddctta ; l'altrp al Rè
Sigifmondo, che poi fu Imperadore, marito di quella, rallegrandofi parimente
con loro deiriRcffa liberazione fatta per opera del Capiuno, c delle Galee
Veneziane deputate alla cuRodia del Golfo. Indi fece leggere un falvo condotto
conceflb a richicRa di Rodolfo Conte di Sala per nome di Ladislao Rè di Napoli,
e di Guglielmo d’ AuRria del iì 99 - ta. Dicembre, che la forella del predetta
Rè, fpofata al foprannominato Arciduca, fi poteflc condurre per Mare dalla
Puglia alle riviere dello Spofo con Galee, e altri legni in tutto in numero
circa di dodici, con condizione che, fopra quelli non folfe ricevuto alcan
bandito da Venezia, o che avelfe operato contra il dominio cofa per la quale
meritalfe la mone ; del qual làlvocon^otto fi valfcro gli AuRriaci, che a
TrieRe s’imbarcarono per Puglia a quel fine COSI nell'andare, come nel ritorno.
Non fu però la Spofa condotta, perchè avendo il Rè differito alquanto tempo la
partenza della forella, in quel mentre ella s’infermò, e pafsò all’altra vita.
Ancora portò due lettere dell’ Imperador Federigo al Doge Giovanni Mocenigo, la
prima in dau di Gratz l’anno 1478. 24. Settembre, la feconda nel 147?. a.
Aprile dal medefime luogo, nelle quali narra d’aver ordinato che fia portato di
Puglia, e Abruzzo a’ fuoi CaRelli del Carfo, e dell’lRr», «srta quantitk di
frumento, e richiedendo permiflione che fia portata liberamente; chegli fark
unpiacere il quale riconofeerk colle maggiori grazie. Soggiunfe una lettera di
Beatrice Regina d’Ungheria a Giovanni Mocenigo Doge nel 1.^1. ultimo Gennajo,
dove narrato il fuo defiderio d’avere per ufo proprio diverfe cole da’ luoghi
d’Italia; le quali non potendoli portare fenza permiflione della Repubblica,
dimanda che per li^ralitk, e amicizia le fia conceflb, che loriceverk percola
grau, e corrifponderk. E un altra del Rè Mattia d’ Ungheria alTiReflb Doge nel
1482. atf. Febbrajo, in cui dopo aver narrato che la Repubblica era folita a
concedere licenza ogn’anno a’Conti Frangipanni, padroni di Segna, c altri
luoghi marittimi, di portare dalla Puglia, c dalla Marca una quantitk di
vettovaglia, e dappoiché erano paflàti quei luoghi in mano fua, s’era
tralalciaio il farlo; pregava che folfe conceflb l’iReflb a lui, e fofsero
fpedite le lettere fopra di ciò, e date alla perfona mandata efprefsamente per
riceverle, che lo riconolccrcbbe in grazia e corrifponderebbe. E un’altra del
medefimo Rè ad AgoRino Barbarigo Doge 1487. 18. Ottobre, nella quale, dopo aver
narrato di avere bifogno di legname, per riftaurar una Fortezza nella bocca di
Narenu; prega di poterlo condurre da Segna per mare, e che gli fieno fatte le
lettere patenti, ofierendofi a gratificarne anche incofe maggiore. Aggiunfe
aquefie una lettera di Anna, Regina d'Ungheria, nel 1502 30. Agofto, nella
quale narrata la fterilith del paefe di Segna, pregat dipoter farcondurre
inquella Citth cerca vettovaglia di Puglia, e della Marca, dando al portatore
mandato erpreOamente la lettera della licenza, offerendo di riceverlo in gran
piacere. Per ultimo portò una lettera del 1504. 3. Settembre, di Giovanni da
Dura, Capitano di Pifino, Minilfro deU’Imperador Maflìmigliano, il quale ferivo
al Doge Leonardo Lotedano, che Jacopo Croato, fiiddito di SuaMaefih, partito da
Fianona, entrò, nel mare il qual i fàttopollo al dominio della Repubblica, per
andar a Segna, e fu aflalito da una barca armata di violatori del Mare in
vilipendio della Signoria; e fupplica che fia fatta qualche provvifione., Sopra
tutti quelli particolari ponderò quello che meritava di elfere confidcraco,
rifpetto a i tempi, alle pecione, e qnalich de’Principi: e per maggior
confermazione deU’aflcnfo loro, raccordò, l’anniverlària cerimonia di fpofare
il Mare in prefenza degli Ambafeiadori, e particolarmente di quello di fua
Maeflh, e de’ tuoi Antecefibri, coile parale tifate : Dcfpmfamia te Mere in
Jigman veri, et perpetui àominii. La qual cerimonia febben dagli Serheori è
detto che avefle principia alfendo Alelfandro III. in Venezia; dagli llefli
nondimeno ò aggiunto che folfe illituita in legno del dominio acquillato
innanzi jme te! li. Alle 400. querele, e alla fentenza di Liefìna rìfpofe,
ringraziando come di cofe portate a favor fuo, perché le querele prefiippongono
la proibizione; e le fentenze, o condennatorie, o alfolutorie, provano la
giurifdizione : e intorno alle barche di tale diffe che non furono fatte andar
a Venezia, come non fi fa mai andar alcuna, per elfere proibito ch’entri in
quella CitA l'ale forclliero; e fe non lu gettata in Mare, fu cortefìa, che non
dee effer imputata a pregiudizio. Conchiufe di avere dato il vero fenfo alle
capitolazioni, eprovata la poffelfione immemorabile dell'Adriatico; che avrebbe
potuto dire più cole; ma gli pareva fuperlluo, rollando chiaro per quelli due
punti che la pretenfione era nuova, e la richiella non poteva aver luogo. I
Cefarei, dopo aver trattato infieme, vennero in rifoluzione di non. perfeverare
nella dimanda per giullizia; e il Barone del Suora apertamente differo la
Repubblica elfere Padrona del Golfo, e potere metter i dac) che le piace; • che
cos'i fentivano in loro cofeienza: ma infieme aa 'be erano di opinione che, per
l’onellh, e per l’amicizia della Cala H' Aulirla, dovefle farlo col minor
incomode de’fudditi di quella che fjf. ;ogibile. DilTero gli altri tre, che non
era tempo di approvare, nc «il contrailare il dominio del mare, ma bensì di
ritrovare per curtefia qualche temperamento: che la Repubblica riceveflé i fuoi
diritti da'UiJditi Aullriaci naviganti, e folfero levate quelle condizioni che
lOno d’ iiieomodo loro, e di nelfun utile a lei. Furono efaminari diverfi
partili, e fi conchiufe di riferire a’ Principi, ficcome convenivjTf^erire ogni
altra cof.v determinata; eflendo lacommilCone fotta
)aratilicaziomdiefli,elaraunanza ebbe fine. Ma la relazione arrivò in tempo T
om, It ‘ li che rherimperadore,pcr gi«veinfennid,nonpoMviati«a animali, e
grofli, e minuti. Quefto accidente difpiacque molto a fua Altezaa, per le
circoftanze di efler occorfo nello Stato proprio, ej contra la fede daa da’fuoi
Miniftri; e con indizio anche molto violenta di complicithcosl attefo il lungo
viaggio fetto dagli Ufcocchi per la giurifdizione Arciducale feima elTer mai
fiati impediti, n- divertiti; come anche attefa la refiituzione btu per ordine
de’Magifttatia’fudditi.loro folaiqente, reftando tutto il danno agli altri. 1
Miniftri della Repubblica riputarono che per li danni inferiti non baftafle
rifentirfi cantra gli Ufcocchi fojamente ; ma convenire appref lo in tal
accidente, per debito delia protezione dovuu a’fuoditi, che si adoperalfeto per
zilàrcirli con appreiaglie : opera, che fu fata da una, Galei che sbarcò veriò
Fianona,emcoòvia, febben non uguale numero di animali, quanti gli Ufcocchi
avevano predato, quei perù che fi poterono aver ne i luoghi vicini, i quali
furono ìmmediate diftrihuiti a proporzione a dannificati per rifacimento. Per
quefto fetto gli Ardwali rimaUi alla Corte. Ceferea, dopo la jarienza del lor»
padrone, fecero grave lamento, che fua Altezza foT(e fiata provocata da’Veneti
nelle terre fue patrimoniali lenza nelTuna olTela precedente dal canto fuo e
de’fuoi fudditi; e rifpondendo a chi loro opponeva la prenarrala, che non era
con violazione della giurifdizione Veneta; che toccava a liiaAlteaza rifentirlì
come di malecommellb nello Stato Tuo proprio ; e che prima del partir fuo da
Lintz aveva rifolnto di volerlo fare ; quefia rirpolla fece maravigliare
ciafcun intendente delle leggi, e del diritto delle rapprefaglie, che appunto
fi concedono,, perche quegli, cui tocca fare riTeniimento contra i malfattori
colla giuflizia ordinaria, non lo là. Ma la Maefh Cefarea, acciò, moltiplicando
le offeCe^ non nafceflè qualche grave fcandalo, fcrifle lettere all’ Aroiduca,
cfonandolo efficacemente a mettere la mano, e provvedere. Mentre a Gtatz fi
configlia come foddisfare alla volonà della Maeflk fua, accollatofi il verno,
quando alle guardie riefce dannofo lo Ilare lungamente in mare, fecero gli
Ufcoahi diverfe furtive,] e improwife ufcite. Diedero fopra l'Ifoh d'Ofléro con
generale preda delle due Ville di Luffin, fpogliatt delle proprie vedi fino i
fanciulli, e le donne ; baflonati, e feriti quelli che fi dolevano, e pregavano
di mifericordia ; e fopra Pago fvaligiarono la Villa di 0>lune, e poi lo
Scoglio di Proveechio appartinente all’ Ifola di Veglia. In mare non perdonarono
a Valbello di qualGvoglia fora, non fo!u rubbando ; ma ritenendo i marinai più
principali, e dando loro rl'-rtco. Tanti inconvenienti, e le lettere della
Maellh Cefarea m..ro.o finalmente il Seteniffimo Arciduca a mandar a Segna il
Signor Ha’:, Baron di Echembeig, General di Crovazia, accompagnato i! a buon
numero di faldati, parte Tedefchi, parte del Contado di Gorizia, acciò potelTe
sforzare i contumaci, e regolare quella Cittb. Qucito Signore, giunto in Segna,
con fcvero comandamento fece adunare il bottino^ delle teire di Luffin, e altre
del dominio Veneto ultimamente fatto, e fece pagar lire quaranta per tclla a
cinquanutrè Ufcocchi che intervennero a quella preda, pel mancamento che fi
poicffe trovar in efla • Fece un bando, che io termine di quindici giorni tutti
i Venturieri fi prefentaflero a lui, altrimenti reflaflero banditi colle loro
famiglie; de’ quali una parte ubbidì, e un altra fi ritirò alle montagne. Dopo
aver fata più volte la moflra, e rafiegna di tutti, improwifamentc ne
imprigionò noi CalleUo trenunove, nel qual numero furono i C^pi tutti, e alcuni
anche di baffa lega, e degl’ infimi ; a’ quali tutti fece immediate fvaligiare
le cafe da’ Tedefchi condotti ficco ; e per sé pigliò l'oro gli argenti, le
fete, e altre cofe di prezzo ; immediate fece tagliare il capo a quattro
Ufcocchi, ladri, ma uomini lenza feguito, di baffa condizione e de’ più
miicrabili. Fu anche Autore che in Bucati foffero imprigionati da quel
Governatore due Ufcocchi fuggitivi da Segna ; e ne| giorni feguenti imprigionò,
e fvaligiò la cafà ad alquanti altri ad uno ad uno ; fece correr voce di volere
lafciar in Segna pez guarnigione cento Tedefchi, e cento nativi di quella Citih
lolamentc, e trafponar* gli altri in Ottofàz ; ma indi a pochi giorni gl'
intTom, II. ' li I prt prigioiuti, eh’ erano al numero di trentarei, avendo
dalle lorofacohì, e dagli amici, trovato modo di ricompetarfi, pagando tutto
quello che poterono, furono liberati T Non ardf peri egli di liberare
apertamente Vincenzo Carlinovicli, capo, e autore d'innumcrabili mali,
particolarmente del barbaro trucidamento di tutti i faldati, e pafleggicrì
della Galea, e dell’atroce, e hera uccifìone del Sapraccomito, febben donò
grolTamentc per cjuefla caula; ma lolo gli diede modo di fi'^ire. Fatte queue
elecuzioni, mandò il Conte Cefana a parlare col Generale Veneto, e dargli parte
delle caufe della fua miflìone, e richiedere che foITcro aperti i palli,- folTe
reflituito il commerzio, offerendogli, quando dcfiderafle alcuna foddisfazione
particolare, far tutto il poflìbile, acciò la ricevelTc. A quell' uffizio il
Generale corrifpofe, nar. rande la mente della Repubblica elfer tutta volta
alla quiete, nò altro efla defiderare, fe non l'cfecuzinne delie promelfe
fattele.- che i Venturieri toffero tutti fcacciati; non folfe dato ricetta
a’banditi; e foOero levati i ribaldi dal nido dove ricevono comodo di offender
il vicino: che, quelle cole fatte, egli troverebbe in tutti iMiniflri della
Repubblica una perfetta corrifpondenza di buona vicinanza.- mi non fapeva gik
come perfuaderfi di vedere melfo in opera quello debito, men. tre le reliquie
della Galea erano nel porto di Segna, c Icartigliericfopra le muraglie, e gl'
imprigionati gittflamente per quello, e per altri midatti, liberati, ^uell’
uflizio non ponò in confeguenza alcun buon'effetto; anzi i Capi gl'; tmtti di
prigione Aitoiio onorati, e favoriti, particolarmente Vincenzo Carlinovich Ji
fopra nominato; il quale, dopo effer fuggito, gli donò, oltra le cole dette, un
prigion Turco, a cut era fiata impolia una taglia di quattro mila ducati. Non
loto egli fu richiamato in Segna, ma gli fu dato uno de' quattro Capitanati, e
fu pigliato tn protezione di- fua Altezza Fu. pgfta m -filenzio la traslazione
in Òttolaz ; i rifuggiti alla a poco prefero annuo di ritornare e il Generale,
dopo tfere idtlBoylftin quella Cittk circa cinquanta- giorni, parti ioicp ^
conto a fua Altezza delie cofe fatte, e ricever ordme mnllielle che doveva
fare, lafciata parte dei prefidio de’ Tedcldtt che feco aveva condotto, e
Iparla fama, che Ira due mefi farebbe ritornato. Pigliò in compaoM fua Vincenzo
Carlinovich, per condarlo alla Corte, e fargli comennare il Capitanato.
Candulfe feco dodici cavalli da foma, due carichi tra danari, e argenti,- dicci
carichi dipanni; e altri lavori di leta, tappeti prcziolì, e cùmbelioti cavati,
parte da’ prigioni che liberò, e ^rte dagl’altri cbe.^ «menda il medefuno,
prevennero la mata .ortuna, avendo .reBdutaiquclla gente piò avida alle prede
coll'inpoveiirla, aggtula impalilo di chi, ellratto dalle giumente tutto il
latte, le manda. a PUtdo altrui, acc^ fi riempiano delle foflumze di altri'. S'
ceno che in danari portò via cento cinqoanta mila fiorini: di quanto prezzo
iblfcro le altre cofe afporiate li parlò variamente; c, quello eh' c notabile,
appropriò anche a sè quello che,, raccolto aveva de’boitini fatti ultimamente a
Lufiìn, e a Collane. ( Immediate dopo la fua partenza ritornò in Segna il
rimanente di quelli «h’ èrano fuggiti alla. montagna, e iodi a pochi giorni
parti la Campagoiade’Teddchi, da lui lafciata^ per mancamento di viveri ; fe
però ciò non fu piuttonopretefto, cheveritli; e quello fu il fine limile in
tutto a quello che le altre milfioni Je’ CommilTar j hanno cotifeguito; fe non
che quello eccede, avendo non participato, come gl’ altri, ma prefo il tutto, e
lafciati gli Ufcocchi dirguflatilTimi, che fi querelavano al Cielo dell’
ellorlioni fatte all’aperta, e fenza alcun riguardo; e a bocca aperta dicevano
ch’egli aveva potuto operare con confidenza tutto quello che gli tornava
meglio, confidato nella potenza del fratello, uno de’ piò favoriti Minillri di
fua Altezza. Il medefiliao Capitano Frangipane rellò tanto difgullato, che
rinunziò il Capitanato, e fi ritirò alla fua terra di Novi, feben la rinunzia
alla Corte non fu accettata. Ma i Minillrà Ifeaeti, dopo il facco generale
delle terre di LulTin, di Collane, c di Porpecchio, gih preparati al
rifacimento de’ danni de’ fudditi, intefo l’ordine dato da fua’ Maefiò, e poi
la rllbluzione di fua Altezza coll’attuale milfione deU’Echemberg, giudicarono
bene fopralTedere, e afpeturo le provvilioni che folTero da lui fatte: e quando
intefero ch’era raccolta quella preda per ordine fuo, tanto piò lì confermarono
che convenifle veder feCto. Ma udita la fua partenza da Segna nel modo
deferitto, irritati, maICme dall’ aver applicato a sò il bottino fatto io
quelle terre, vennero in rifoluzione di rilarcire ì fudditi colle rapprefaglie,
cosi per conlolazione loro, che, veduti i finillri andamenti, s’alìliggevano,
difperati di poter vedere folievamento ; come ancora per gaitigo, e per metter
freno a’ misfatti; e il Ca S itano del Golfo, pollato nella riviera di Valofca,
e Lovrana, depreò quelle urre. Ritrovò tra le altre cofe alcuni maggazzini con
molta quamitò di frumento, biada, e farina, che raccolta dal Contado di Pifino,
era ivi polla in rilerva, per ellòre condotta a Segna; della quale riputaudo
necelTario privarne quella terra, ricatto de' ladri, nè potendo afportarla,
ordinò che felTe abbruciata; e palsò l’ incendio oltra quello che fu creduta,
parte per la vicinanza degli edifizj, e parte per gli eccein de’lolJati, in
modo che rellarono molte cale abbrociate; e fu maggiore il danno del fuoco, che
delle robe tolte,* le quali elfendodillribuite a' danneggiati, non ballarono
per rifarcirti iKlIa meth. Non rellò oifefo alcuno nella perfona, e leChiefc
rellarano intatte per efpreflo comandamento del Capitano; e quantunque la
principale li rìtrovalfe piena di frumento, quello rimale lalvo per rìverenaa
del luogo. Un’altro accidente fuccelTe nella fortezza di ScrilTa, con altra
nome chiamato Carlobago, eh' è uno dc'fcUi degli Ufcocchi dirin^petto, e tre
miglia Iblamente lontana da Bagof Ctuata in luogo eminente della Morlaca, che
domina tutta quell' Ifoia, la quale dagli Ufcocchi di quel prcfidio viene dannificata,
non come gli altri luoghi, alle volte, c con intervallo, ma perpetuamente;
avendo quelli della Fortnza comoditb, come da luogo* fuperiore, di veder dove
li facciano le adunanze dì animali, andando appoftatamente a' luoghi, e fenza
fallóe. Gli Ufcocchi che guardavano quella Fortezza, ben confapevoli
deV^difperazione degl' iTblani, e quanto fitrrebbono Rati pronti ad
attentaW|,ogm cola, per lìberarfi, penfando di ulare la miferia e femplicitò dt
poveri uomini per mezzo di acquilbr premj da i loro Padroni, ouMuoaiono un
trattata doppio. Negoziarono Con ogni for ta Digilized by Google Z54 STORIA u
di apparai u di rcaltii, e promirero al Conte di Pago, che ad ua legno
ravrcbbono introdotta nel Callello. Dall'altro canto mandarono a Segna ad
avvilàre il trattato, donde fu immediate fpedito fegretamente Paolo Dianifi
vich con 30. Ufcocchi. Al giorno deilinato il Conte, prefa una parte di una
Compagnia di foldati, ch’era alla guardia ordinaria dell'Ifola, e buon numero
d’ifolani, al fegno dato andò; ed elTendogii aperte le porte, lenza ufare le
canzioni debite, e folite in fimili occorrenze, molto fcmplicemente entrò il
primo, e fu feguito da tutu la gente con molta confufione: furono immediate
colle archibulate alTaliti dagli Ufcocchi, che ulcirono dalle infidie, onde
renarono morti il Conte, e il Capitano de' foldati, e alquanti de' primi; e
degl' altri parte fuggirono, e altri circondati furono tagliati in pezzi, e
reliarono morti quaranta foldati, e altrettanti uomini dellIlola, perduta la
bandiera cosi degl’lfolani, come della compagnia de' faldati, le quali dagli
Autori del doppio trattato furano portate prima a Gratz alla Corte Arciducale,
e poi anche aH'Imperiale, per ricevere premio. Quello fecondo accidente fu
fentito in Segna con piacere; nè è maraviglia, poiché fu operazione degli
Ul.occhi; ma è ben maraviglia che fentUfera con gudo il fatto di Lovrana,
quantunque folTero reftati privi della vettovaglia, (perando che per quello
foffe loro concefla aperta liberà di Icorrerie dal loro Principe, 1 Miniftri di
fua Altezza fecero gran lamento alla Corte CeOirea per tutti due quelli
fuccelD, ehtgerando il primo per l'importanza del unno, e il fecondo pel
rilpetto della Fonezza; e aggravando, che, per elTere terra della Corona di
Ungheria, era flato tentato un’atta odile contra la Maelà Cefarea
principalmente. Ma quanto al fatto di ScrilTa tre cofe dicevano i Veneziani.-
Prima, per quello, che tocca gli Autori del doppio trattato, che le infidie
tele a quei poveri innocenti furono effetto della perfida di quella gente, che
tempre da nell' inventare modi di feminare dilcordie tra i Principi, per
confervarfi nella licenza del far male : poi per quello che appartiene al
Conte, e a gl'lfolani di Pago, che il loro hne di liberarli dalle molcdie degli
Ufcocchi m qualunque modo fu buono, elfendo per necctfaria di^; ma il difetto
di prudenza, in non faper dtfeernere un trattato finto, fu alfai pagato da loto
colla vita. Ma per quanto tocca i Principi; che il tentativo, quando fofTe
anche riulcito, non avrebbe avuto fine con ofiela della Maedi Celarea : e per
fede di qtu-do, nartavano che nel I5pz, avendo gli Ulcocchi di Scnlfa fatti
danni notabili in Pago, il General Veneto aflaitò la Fortezza, e la prefe; e
pochi giorni dopo mandò a lignificare a’Commcflài; Celarci, che allora erano in
Segna, non aver avuto altro fine, che di gailigare gli Ufcocchi con ogni
rilpetto allaMaedli deU’Imperadore ; però mandafléro altri Soldati, che
Ulcocchi, per guardarla, che l’avrebbe confegnata: il che quando non aveffero
fatto, egli però non intendeva di tenerla, ma l'avrebbe fpianata, acciò i
Turchi non fc ne impadroniffero,I CommelTarj mandarono nn Capitano Tedclco che
con loro era, al quale fu coniegnaca immediate ; ficchè l’Imperadore non udì
prima la piefa, che la confegnazione, e cosi fua Maellk, come 1 ' Arciduca
Ernello, che allora governava per la minor eih di Ferdinanda, iniele le caute
dd fuccelTo,nan riputarono che loffe coatta la buona intelligenza. Ma tm,
cucilo che m yiieuQ» er* coavci^ito : e w u ui i»»** m fe cob impofllbile^' e
«he le «ofe opecue ae',mfnifto Veneti so» Mfero i>er neceflitìi di
fjcurexza, o per ^ullo riiarcu^to de duni dp fudditi, ccene predicaveng poifhe
non era proceduto al,cim dannolgro dagli Ufcocchi, ma eia uea pigvof^iaM, e
dUwne di oneUcw intacco della riputaaiooe di fua AIuim^ la |luaU> quando non
joDe reintegrata colla relUtuzione, e con laftiare libero il naceva effer
falvan, fe non colla guerra; non manundo chi loltenelle la parte de’ Veneziani,
rifpondendo, non eflere biu^lp> di dilcono, ma d’infpezioae g dimollrare, fe
Taccordaito fofc (lato adempiuto, vedeodofi tutti gli Ufcoecbi ritorngti in ^
nazioni, e incurlioni non pib per intervalli di Wpu, continua ferie di oSéfe;
non i Qipi, ma alcuni miferi, S'“' lÙzìati per fola apparenza, eflere de’meno
colpevoli ; che niente eia dato operato dai Miniftti Veneti, fe no"
8^*" prvocazione : u ìucccflo delle barche ptefe efler originato dalle
prede, e da altre mgiuM precedentemente latte : quello di tovrana elfete dato
una giuda corrifpendenza per li gravi danni di Lufm^ C Collane; eia dilazione
^r a(pettare, le TCctiemberg avefle provveduto, non dover pregiudic^.; ft il
tempo ÙKcrpofto ildanno, e'J riiarcimento, che non amvòa tje meli, poteva date
nome d’ illazione d’inporia a quello che tu ^ bcimento differito; mentre vi ea
mgione d’afpettar® 1 *• • andava pubblicamente lettera del Vedovo m
"S"*» fu-itm ad un'altro Prelato alla CorteCeiàrea, la quale
attribuiva all Eehembere la caufa di ogn’ iuconvcnience,. • i. la Maedh Cebrea,
eccitata dalle moltiplicate querimonie ^ ambe k P*^ti, oosi precedenti b
mildone deU'Echemberg, come fmeguenti la partenza dì gnello, deMftnla di metter
fine a cmi moleuo oMOaio comandà m fuo Gonfiglio c!« vi applicaffe 1' apirao
con maggior ac^ratczza- e fu tifiJuto di tenere una confiiltazione, nella qi^
veniflè ancora l’Ambafcbdor Veneta, accib con difculjone di ambe If parti più
beilmente foffe trovato lo fpediente. Furònoanclie rn^rnu in ConfinUo l’
Ambafciador Cattolico, e il Fiorentino, Minidti di Prìncipi cerumente colmi di
bonth, e giudizb, c cosi «ingiunti cm SereiiiBimo Arciduca Ferdinando, che per
fangue, e ^nith, umpoifeno effer più prollimi. Non è certo fc foffero inv.tar^
per «Viatori non parendo che nè delluna, nè dell’altra gualuh Vi toffe bilb to.
In^lU Raunaiua, dopo tango dihaKimento di tag^, fio», fu conchiulbche,
affermando una Wtte di condii, e negando 1’ altra, hifognava vederne U venb ; e
perù cho l’impcradorc fpeditehbe immediate Comminino a Segna, P« •j?’’ cuziow
aUe cofe concordate, quando nttovaffe ™ efeeuita msiù fi eSèttuerebbe in
termine di un mef; Che la EepabWica pm irebbe manèbr Miniftti ivi, non per
trattare, maperap^e >.f afficutarfi cha in acfiun conto fofte .mancato;
nmeirouJo P*” mandar, u non ^uUlfcre, come' meglio le foITe parato ; e fn tanto
da ambe le pari? fi fofpendcflero le oflefe. Fecero iftanea gli ArciducaU. che
folfe dichiarato dovcrfi imendcrc lotto nome di fofpendeofTcfe, il celTare di
tenere le terre rifirctte ; inretelTando qtiiden^ tn f-tmpenidqre con dire, non
elTere dignità di Celare operare cola U'Rnubblica teneva la Ipada in mano
minacciando, tóme fe per foni .'\^i^e. cnftringete foa Maefià ; e tanto
maggior, mente, quanto elm ipcótnIiilMfva a far fatti colla milTione di
CommilTario. Ma daU'ahta ^He era confiderato non potcrfi fperare che 'la
Repubblica condifcendelTe ad allargar comodo a' ladri di faredam ni ma^iori,
avendo tante volte veduto che mainon erano flati aperti i pam fenza quella
confegnenza; e che larebbe difficile farla venir a fatto cosi importante, non
dando in cambio altro che. parole: imperoccl)^ la miluone innanzi che il
Commiflàrio aveffie eleguito con-, fiflcva in parole, e non i fatti; e che non
teneva la Repubblica le arme in mano per minacciar Principe alcuno, non che fua
Maeflh, fcmpre olTervata, come metiu tanu dignità ; ma folo per difendere lì
flelTa, e i luoi fudditi.- che le continuate dimoflrazioni diperpetua
olTervanza della Repubblica verfo quella Maeflà non lalcierebtono entrare Cmili
conce tti ; e la virtù dell’ Imperadore renderebbe certo ognuno che farebbe
molto folo dal fuo religiolo animo, e per puro zelo di giuflizia:
anzi,pinttoflo che potelse el'ser alcritto a timore di quello ch'era per debito
di religione, e di promelsa, potrebbe dar a molti maraviglia la dilazione
neU’eleguirlo - I Celarci con^ chiufero che alla Repubblica fofsc rimelso il
levare, o non levare le guardie ; e folo ballar loro che operalse in tal
maniera, che il Commilsario potelse ftar in quelle terre con dignità di Sua
Maeflà. Di quella riloluzione fu data parte all’ Arciduca con lettere Impe.
riali; c lua Maeflà ordinù al luo Segretario refidente in Venezia, il quale
accompagnò con fua fpezial lettera credenziale per quello particolare, d’
efporre, come anche, dopo aver prclentata Inietterà, efpofe,cbe Sua Maeflà aveva
rifoluto di mandare Commilsario a Segna, per vedere, intender, e regolare tutto
quel negozio, e fare quanto conviene alla buona vicinanza: che pregava Sua
Serenità a dare que. gli ordini le parefsero concernenti pel .buon fuccefso, ed
effetto, di quella fptdizione- A quello uffizio, degno della religione, e
giuflizia di tanto Principe, iu corrifpofto con lignificare al Segreurio quanto
fof.fe grata la comunicazione di mandare Commilsario a Segna; e con quanto
maggior contento si avrebbono intefi gli effetti; aggiungendo, obblazionc di
non tralalciarc cofa alcuna, per foddUlàre Sua Maeflà, e per far ogni
dichiarazione co’ fatti dell’animo fempre diipoflo. a continuare in buona
vicinanza: e con lettera di fpeziale creanza peri’ Ambafeiadore le fece dire lo
fleflb- Fu gratiflìina a’Veneziani quella deliberazione dell' Imperadore, cosi
per defiderio di veder il fine delle moleftie; come per efsere chiaro
teftimonio che Sua Maeflà medcfima non feiuiva efsere flato mancato ad alcun
debito di csnvenicnzaquaqdo non fu maudato alcuno a trattar col Conte Aluni, e
coi CoUeghi a Fiume. Diedero immediate ordine al Generale di Dabnazia che fofse
fatto ogni onore, edita ogni comodità a quello che per nome di Sua
Maeflàandafse aSegna, einqualunquealtro luogo di quelle marine. Deliberò Su*
Maeft^ mandare per CommiBario Giovanni Prainer, Governator di Giavarino,
pcrfonaggio di gran qualità, reputato giu(lo, di valore, e con riroluzione; il
quale lebben fi ritrovava allora in Ternavia per negoziazione importante (opra
le cofe diTranfilvania, lo fece andar alla. Corte, e lo fpedi con iftruaione,
dcU* if capo principale fu di vedere fe il trattato di V^nn* *t* eieguito; c
fare quello che fofle neceflarip per total efie^uaione; con ordine che andaflc
prima a Gratz, conferifle l’iftruzione coll’ Arciduca, e immediate paflàlTe a
Segna per l’ cfecuzione ; tenendo per fermo che avelTe Sua Altezza lo lleflb
fine, e defiderio di una buona provvifiione ; e folfe per coadiuvare ;
aggiungendo alle iftruzioni imperiali le fue maggiori faciliti, e la lua
fermezza. Andò il Prainer a Gratz, e dall’ Arciduca non gli fu ^rmeflò il
palTare piò oltre; ma rifpedito indietro nel fine di Luglio con rifpolla in
ifcritto alle cofe da Sua Maefti ordinate; la (oftanza della quale fu ; che non
poteva aifentire al levate gli Ufcocchi, e fare le altre cofe ricercate dalla
Repubblica, mentre quella (lava armata, per non dare fegno che lo facefie fer
forza, e violentato; ma, levate le armi, (irebbe pronto a far il tutto: anzi
che gii aveva incamminate le cofe ad ottima difpofizione, avendo ridotto quel
prefidio, che richiedeva due cento mila fiorini per le paghe (corfe, fe doveva
partire, a cento mila, con ifp«anM di ridurlo a molto meno : onde, levato lo
fcrupolo di apparir violentato, metterebbe mano all' opera - Siccome il veder
partire dalla. Corte Celar ea cjucl perfonaggio con tanta rifoluzione di
Ccfare, del ConCglio. Imperiale, e fua propria, di metter fine all’ imprefa,
fece tenere quello travggliofo negozio, per ridotto a buon yalTo; cosi la
canfa, perchè fu rimandato indietro, diede gran maraviglia; poiché avendo
confideratamente rifoluto la Maefti Celare*, Principe fupremo, e Padrone della
regione, che la miffione d’ un CommiOàrio fuo non derogava alla fua dignità
Imperiale, non pareva eOervi coperta di pretendere che derogane alla
riputazione Arciducale. Non mancava chi artribuilfe il male a’Miniftri, che,
non volendo il rimedio, nè per termine di buona vicinanza, nè di amicizia, nè
di colcienza, nè in qualunque altro modo, non potendo addutrefcule apparenti,
nonaveftèro rifpetto di dare nelle ftravaganti, purché in qualche modo
impedilfero l’effetto. Il ritorno del Prainer non fu di gufto alla Corte
Ccfarea, parendo che folfe con poca dignità di quella Maeftà, che una
riloiuzione prefa da lei confideratamente, con aflìftenza, e approvazione
ancora di Ambalciadori di altri Principi, e di uno 'cosi grande, come il Re
Cattolico, c fignificata anche elprcltamente a Venezia, folfe attraverfata
fenza ufar almeno qualohe colore di riverenza; e con chi ne parlava con loro
non fapevano fcufarla, fe non con riftringere le fpalle, o divertire il
ragionamento.- e ficcome a Venezia riufcl molefta, privando della fperanza
conceputa, cosi certificò che, quando i Miniftri Arciducali rimettono qualche
cola all‘ Impcradore, ‘lo fanno per futterfugio, ma tutto proviene da loro. In
quello mentre gli Ufcocchi, che fono temerarj in ogni imprefa, e inconfiderati
del fine che ne polla feguire, fecero molti Tom.'JJ Kk tenta x 58 storia
tentativi; che, per la grande oppofizione, non poterono mandar ad effetto, le
non in cofe leggiere, che non meritano di edere memorate particolarmente; ma
ben occorlc quello che luole partorire la lunghezza de i negozj, quando ogni
minima preparazione di arme fìa in edere; imperocché le lòfpezioni che nalcono,
e la inquietudine defoldati, le minacce che alle volte imprudentemente cleono
di bocca, aumentano le diffidenze ; e il lungo negoziare caula motivi di
ofiefe,, e le nuove offde aUungano il negozio. Avvenne che Niccolò Frangipane,
gih nominato per Capitano di Segna, e Signor di Novi, adunò in queffa lua
terra, quindici miglia lontana da Segna, molte vettovaglie, e altre provvidoni;
condulTe quivi le armi, e le munizioni, e tre pezzi di Artiglieria della Galea
Veniera; e li fece mettere fopra le muraglie; e vi condufle numero maggiore di
Uicocchì, che diede veemente lolpetto al Generale Veneto che avelfe in trattato
qualche importante imprela; e fì accrebbe Ve fbfpezione, perché, dopo efler
(iato rimandato il Prainer da Gratz, e pubblicato che fua Altezza non alTeniiva
all' accomodamento, andò a Segna Groffredo Stodler, al quale davano titolo di
Prendente, con numero di foldati, e aveva in compagnia il Frangipane. Quefh
mandò a vedere la Fortezza di Scriffa; icorfe a Fiume, e a Buccari, trartenendofi
in quelle regioni quindici giorni; ne ì quali furono molte andate, e ritorni di
Ulcocchi da Segna, così verfo Scrifla, come anche a Novi, che milèro in gran
timore glilolani di Veglia, {limando effì ciò cfTere fatto, o per qualche
imprefa iopra di loro;o perfermarvi dentro per ordinario una cosi numeroLa
guarnigione di Ufcocchijchefc^effata unacontimiadiftruzione deU'UoU. Ne fecero
gran lamenti col Generale, pregandolo di liberarli da quel pericolo. A quello
fi aggiunfe che 1* armata Veneziana, la quale (pedo tranntava di là, vedendoli
quell' artiglieria dinanzi agli occhi, fi commofle talmente a fdegno, a
vendetta, c a defidcrio di racquìflarla, che i Opitani, confìderata la facilità
della ricuperazione, lo efqftarono all’ imprefa. Egli, per prevenire i mali
desìi nolani, non fenza cauià temuti*, e per rilarcimento della pubblica
dignità, le cui armi erano tenute come trofei degli Ulcocchi, venne in
rifoluzione di alTaltar quella terra, e Imantellarla *, e diede gli ordini
necelTarj, non loto per effettuare 1* imprela con ficurez21, ma ancora per
farlo fenza danno degli abitanti Fu la terra, che é iìtuata lopra il mare,
affaiita una mattina con pettardo, e Icalata così ordinatamente, che non
morirono in quell* adalto di quei dentro le non venti che fecero olìinacamente
refillcnza colle arme in mano ; rellarono intatte le Chicle, e 1’ onore delle
donne *, fu ricuperata rartiglicria, e abbattuto il Torrione ; e le mura furono
in divede parti aperte : ciò facto, il luogo fu abbandonato, e iafeiato in
podelVà degli abitanti • La fama del lucceffo, come fpeffo avviene, paffò a
Gratz amplificata, effendovi flato aggiunto, che foffe fiata ulata crudeltà
contragli abitanti, conculcazione di reliquie, incendj, e diffruzione di Qiiele
: rumore che predo Ivaì\\, cflinto dalla verità ; poiché fi videro reflatc le
Chicle cogli ornamenti loro nell’ effer iftcflb ; c nella terra non vi fu
veftigio di abbruciamento alcuno, Ma da quella Corte, immediate doporavvifo, fu
fpedito un Corriera all'Imperadore, aggravando il fucceflb; e furono aggiunte
alle querele, per qucDo accidente, altre ancora, per un'ordine dato
antecedentemente dal Generale Veneto, col proibire il commerzio anche per
terra; e una fama dagli Ufcocchi liudiofamente dilfeminata, che Segna dovelTe
eOere aOaliu. Ulàrono ogni arte, affine di perfuadera che la demolizione di
Novi folTe una rottura di aperta guerra. Alla Cone Cefarea non la tennero per
tale ; piuttolio ebbero opinione che a Venezia, veduta la milTione del Frainer
con ampie commillioni di rimediare, e come a mezzo viaggio era (lato rimandato
indietro, fofle (lato giudicato necefsario fare qualche motivo, non per
rompere, ma per eccitar al rimedio che (i andava procra(linando; non parendo
che l'aver aperta la Fortezza, e 1' averla ab-, bandonata, mentre ft avrebbe
potuto ritenere fenza timore che fofse ricuperau, folfe indizia di volere
pafsare pid oltre.- anzi dicevano i Veneziani quello efsere chiaro indizio che
lei mcC prima il Conte di Pago non ebbe penliero d' occupare Scrifsa, ma di
levare folo a quella il poter offendere la fua Ifola. Ma lo Stodler, e il
Frangipani, quelli, peldanno della fua terra, e ambedue forfè perchi folte
prevenuto qualche loro difegno, fecero uffizi cos'i efficaci, che fu da Grata
daa libera licenza agli Ufeocchi di far tutto quel male che potefsero; e a loro
data facoltà di levare parte della milizia di Crovazia, per fare rifentimento :
per lo che immediate in Segna rilarcirooo, e armarono tutte le b arche al
numero di venticinque; unirono tutti gli Ufcocchi fparfi per I» altre terre
della regione fecero diverte ù^e, ora in. molto, ora in poco numero.- non perb
riulcl loro di poter metter in efietto dìfegno alcaao, perchi i Veneziani
ancora erano beo preparaci, e avevano accrefeiute le lOTOforze; e quandonon
potevano impedire gli incocchi daH'ufcire; ufeici. Li perlcguitavano fenza
lafciarli fermar in luogo alcuno., Di tempo in tempo cha gli avvili degl'
accidenti giunfero zGrat^ furono anche di Ut fpedite IlaRctte, per dar coniu
all' Imperadore de'fucceffi, con interpretazione che fofscro oifele
priucipalmence inferite a fua Maella; e che a lei coccalse mentirli colle armi;
portando diverfe perfuafioni, per indurla alla guerra. Con tutto ciò a quella
Corte non fi defilleva dal trattare negozio di accomodamento; • tutta la
differenza era da qual capo cominciare; iltando i Celare!, conforme alla
volonih dell'Àrciduca, che s' mcomincialse dall' apertura de'paffi; e i
Veneziani dal levar gli Uliocchi dalle marine: quelli, comendando le opere
fatte dall' Imperadore me la concordia, che farebbe (eguiu ; fe da altri non
foire fiata impedita ; e la buona volontà di far il di piò che fi poiefse con
lua dignità ; efortavano a corrifpondergli con quella dimoflrazione di onore ;
confidando oeUa fua parola, acciò potelse proleguir innanzi, fenza far credete
al Mondo che lo tacelie sforzato ; e dall' altra pane a' Veneziani pareva «(tc
nefsuno fi potcfse dolete e di quello ch’era (lato fatto per difela, ei;blicarc
il bando contra 41 Peuzzo co’medefimi termini da lui ulàti. Ma mentre era olirà
il Itorrente della RoCanda, confine tra i territorj Arciducale di TricRe, e
Veneto di Muglia, in dalle genti di quei luoghi avvertito «he in quelle marine
erano certe faline del Pcuzzo fabbi icate, e che alla bocca della Rofanda erano
fiate da chi fi fofie riedificate alcune, uhc già circa quarant’ anni di nuovo
erette, furono in quel medeCnoi tempo tUfirutie come quelle che fpingevano il
torentc lopra «onfiui del vicino con gravilfimo danno. Per quelle caule il
Prov.veditort, non -parendogli avere iàttoalfai per reintegrazione
dell’onorefuo cqiKra. if Petazzo ; e per levar le novità fitte a’ danni di quei
«onfioi, deliberò di andare alla devafiazionc : e mentre chiamava in •jnio una
Galea,, e congregava le barche che per l'opera erano necedàrie; difcele in quelle
parti b geme che col Terlatz,e col Franco! veniva alla quale s’erano aggiunti
altri ancora per viaggio, moffi dalb fperanza di rubbare : Andò il Frovvediiote
con buon numeio di padani, per far l’opera, e co’foldaci, per guardarli, e
difenderli. Il Petazzo s'aflaiieò per far loro impedimento,- ma non gli riufcl.
Mentre però quelli fi trattenevano nelb difiruzione degli argini, b gente di
’Tcrfatz venne in loccorfo del Pcuzzo in numero di 3000. dalb -quale allaltato
il Provveditore nel ritornarfi, eflèndo fopr^tto il numero tanto maggiore, non
eOendo -con lui fe non 800. perfo' ne tra a piedi, e a cavallo, dopo aver
combattuto, e fatto rcnUen. za a (juella milizia, gli convenne cedere alla
forza maggiore, e ritirarfi in Muglia. Durò il conflitto due ore, nel quale
intervenne la morte di 12». de’ tuoi con alcuni feriti, e dalla contraria con
perdiu di alquanti mentre il combattimento durò dal qual lucceflb inanimiti gli
Arciducali, eflendo loro anche fopraggiunto qualche numero maggiore di
Cavalleria di Crovazia, fcorfero tutta l'illria ; mettendo ogni cofa a fèrro, e
fuoco, e depredando, e fvaligiando tutto il paefe. Reitarono tutte abbruciate
le Ville di Ofpo', Abrovizza, Bettovizza, e Lonchi; e in quella, ch’era aflai
ben abitata, fpogliarono le Chiefe, guallarono le Immagini de’Santi, gettarono
in terra il Santilfimo Sagramento, per afportare la pillide d’argento. Fecero
l’illcfl'o ancora nella terra di Marceniglia, e ne’territor; di Barbane, e San
Vicenzo ; Poche delle Ville non murate rellarono eienti dall’ incurfione di
quella gente, c maflime dagli Ufcocchi, che ufarono ogn’ immanità contra le
perfone, e ogni rapacità comra le cofe divine, e umane: il che loro fu ^cile,
effondo la Provincia tutta aperta, ed efpolla alle fcorrerie. Per dodici giorni
durarono gl’incendj, ne’ quali rellarono abbruciate, oltre alle terre nominate
di fopra, Xafe, Grimalda, Rofarolo, Figarolo, Recatovi, Valmorola, Craficchia,
Sacemo,Cerncza, e Barato, le Ville del territorio di Dignano, c molte di quello
di Rovigno; e pareva quafi che tutto folle fatto affine di devaftare tutta la
regione, acciò, combattuti poi i luoghi alquanto minuti, fblTe loro facile
occuparli, e fortificali dentro. Tenurono a quello effetto l’oppugnazione del
GaQello di Dra f uch, donde furono ributtati, e colli etti a ritirarfi,
abbruciato il orgoj. Avvenne l’IlelTo alCaflello diColmo. Indi in maggior
numero, con maggior ordine a bandiere fpiegate affaltarcno Ducallelli, come
luogo- di confeguenza, dove diedero fcalata,e con tutte le forze tentarono
l’oppugnazione; la quale durò quattro ore con. morte di molti degli aflaliiori,
i quali in fine, coflretti a ritirarfi, polero fuoco in tutte le Ville del
contorno per dove palfarano: Ma etTendo giunta milizia di Corfi, e AibaneG,
fpediti immediate che capitò l’avvito delle prime devallazioni, furono
coflretti gli Arciducali ad abbandonar l’imprefa difegnata di occupar l’I Uria;
la quale i Veneziani, ai efa 1’ univerfale devaflazione del paefe tutto, e gli
affalti de' luoghi forti, tennero per principio di guerra formale; e fi coiw
fermarono poi per quello che legul pofeia immediate : imperocchi i Capi
Aiiflriaci, perduta la Iperanza d’ impradronirfi d’ alcun luogo munito,
lafciati in quella Provincia i Villani di PiCno, e ZiminofoDto Aianagij
Callioti da Sogliaco, e alquanti Ufcocchi, e Tedefchi per dilcia delie cofe
proprie, col rimanente della gente paflàrono le montagm del Carlo; epe! vallone
di Vermigliano entrati nel territorio di .Monfalcone, che folo i nel Dominio
della Repubblica oltre al Ulonzo, tra quel Fiume, e le radici del Carlo, e
fvaligiace nuove Ville; e a fette di quelle dato il fuoco, colla llellà impieth
verfo le chiefe, non perdonando alle donne, a’ fanciulli, e alle altre perfone
innocenti; alTaltarono la Rocca per impadronirfene, e fermarfi quivi; fecero
ogni sforzo per occuparla: il che veduto non effero STORIA riufcibile, e
fopravvenuti foldati dì Palma per foccorfo, fi ritirarono nel Cario. Quelli
motivi, non più di rubberie degli Ufcocchi, ma di eccelli militari dc'Capitani,
e foldati Arciducali, collrinfcro i Minillri della RepubbUca, per ficurezza de
i confini loro, fare camminar a Faima le milizie del paefe, c quei numero di
altri foldati che fi potè raccogliere all' improvvifo quando ogni altra colà
era afpettata, falvo che fentirc guerra in iftria, e molto meno in Friuli. Ma
capitato l'awifo a Grata, eccitò maggior allegrezza della foUta in quella
Corte; la quale qualunque volta ne’ tempi palTati ha udito avvifo che gl’
Ufcocchi avelTcro ufato qualche notabil infolenza, danno, o ingiuria, non fi è
allenuta con parole, e con altri modi di moltrarne la giocondità interna, cosi
pel benefizio che le veniva in parte ; come per l' invidia verfo il nome Veneto
; e pel defiderio di veder che fuccedeflero mali maggiori ; eccitando ì loro
Principi a’medefimi aifetti, e a tutto quello che potelTe caufar rottura. Ma
nella prefente occorrenza, parendo loro avere ottenuto colà da tanto tempo
defiderata, l’allegrezza fu fomma, divifàndofi vana- ‘ mente vittorie, e
aumento di Stato, e ricchezze immenfe. Rivolti però a’ configli della guerra,
fu dato ordine alle genti del Contado di Gorizia, e della giurisdizione di
Gradifca, che fi mettelTero in arme nelle cale proprie: Al Conce di Terfatz, e
al Francol, che paflaifero ad alloggiar in quelle parti: Alle milizie paefane
di Carintia, e di Stiria, che difeendefiero ne i luoghi medefimi. Conlìgliarono
ancora di levar fei mila Aiduchi, che fono Villani Ungheri, con una paga fola,
che non farebbe coflau -più di dicci milla fiorini; e pel Contado di Gorizia, e
territorio di Aquilefa fpingerli in Friuli, nel paefe della Repubblica, e farli
vivere in quello; penfando far anche cofa grata aH’Imperadore, al quale la
partenza di Ungheria di quella geme fenza dtfciplina avrebbe fervito a levare
gl’ impedimenti, per metter in efecuzione le cole convenute co’Turchi; e
liberarlo da molti pericoli di fedizione; e a Sua Altezza farebbe flato di
mollo utile, facendo la guerra fenza fpefa. Furono Icritte lettere all’
Imperadore con difcollarfi maggiormente dal modo del componimento trattato, e
con avvifo eh era feguiio conflitto tra ambe le parti; nel quale ■ fuoi erano
reflati fuperiori; amplificando molto il valore della fua milizia, e pregando
S. M. di prendere la difefa di S. A. colle armi; mollnndo facilità di aver una
preda, e intera vittoria. Ma a’Capitani, e Minillri della Repubblica ridotti in
Palma, per prendere configlio fopra la difefa dc'fuoi confini, era data molta
materia di conlultazione, e difficile, avuta la debita confiderazione fopra il
tentativo delle genti Arciducali di foriificarfi in Monfalcone; e avvertiti del
numero di milizia di Cariniia che già era giunto a Tolmino; che il Conte di
Terfatz, alloggiato a Profeto colle fuq genti di Crovazia, e 'cogli Ulcocchi,
fi ordinava per palfar innanzi; e intendendo che quei di Gorizia offerivano
laro contribuzione con condizione che pafTaReco il Lifonzo; e che l’Arciduca
aveva fpedite patenti per far joo. Cavalli in Audriay e ne i confini di quella
Provincia fi congregavano di foldati a piedi i vagabondi', eponderato an- cora
ancon il difegne di levare ì lei mila Aiduchi^ molto facile da efTertuare, e
molto pericolofo, pofto in opera; e attefi i molti configli di guerra tenuti in
Grata, e che il Conte di Sdrin s'era offerto di condurre Coliuhi, Cavalleria
Unghera, lolita pure alle incurfìoni, c per queOo erano ordinate preparazioni
di alloggiamenti nel Contado di Pifino; e che in Gorizia fi erano ridotti i
Capitani Imperiali a configlio, correndo da più parti voci, che, quando foffero
accrcfciuti du^nto Cavalli Valloni, ùtti dal Ferino in Vienna, e alcuni fanti
raccolti a Gratz, che tutti erano in viaggio, larebbono palfati nel Friuli; e
che eli abitami nel contado di Gorizia fi preparavano, per coadjjuvare; b
videro in necelTith di prevenire tanti pericoli, e tanto certamente} imminenti
perlocbè,coDchiudendodienereiniHato di necefìTaria difeia da una imminente, e
certa incurfione, che, pereifereil Friuli paelc piano, c aperto, farebbe liau
dannofìflVma; perù deliberarono di farfì innanzi ad occupare i podi Gtuati
ne’confìni di quel Contado ac» ciò qualunque geme venifTe fode codrecta a
femurfi in quello, e non potede far incurfìone nel Friuli; e il d\ xp. Dicembre
fpinte le geiK ti raccolte a Palma, che fino alfora erano date tenute folo per
foccorrere, e proibire le feorrerie dell' altra parte, furono occupati Medea,
Sagra, Cervignan, Cormon&, Merian, Porpeto, ed altri luoghi aperti lenza
violenza, nè ingiuria di perfona alcuna, mandati paciRcameme ad abitare in
altri luoghi que foli che fii modravano mal contenti di quella mutazione; c
furono quei luoghi trincerati, e vi fu pollo (dentro, prefidio fufiìciente per
difenderli, e man^ tenerli. Alcuni giorni dopo eflendo partita quella poca
guardia Arciducale ch'era in Maranuto, gli uomini della terra andarono
fpontaneamcntei a darli ; e i^j^uìleja col terrkoiio. ^o fi diede, da lè
ali’ubbìdìenza ien*^ za contraddizione di alcuno.. La Corte di Gratz, avuto
avvifo che le miliziè della Repubblica la arano alloggiate nel Contado di
Gorizia, prete di qui occafionc dà dichiarare la guerra elTer aperta; e di ciò
darne conto^ a tutti i fudditi Aullhaci, e a* Principi di Germania amici, cosi
Ecclefiallici, ce» me fecolari, con lettere contenenti in foRania, che avendo
la Repub» blica. di Venezia inferìte diverfe ingiurie, a danni- alle terre, e
lud» diti della Cafa d'AuHria fotto colore di rifarcirfi de danni dati dagl»
Dlcoccht, quantunque gli efagerafiè oltre al dovere, fua Altezza, per levar
ogni occafìone di difparere, aveva tempre ofata intera diligono za, per dar
ogni IbdJisfazione, cosi galtiganck) i colpevoli, come meftendo buoni ordini,
per impedire nuovi danni; ma che i Veneziana non crauo fiati di alcuna cola
concenti.* anzi, proleguendo nelle offeie, uliMiainente avevano invaio il
Contado- di Gorizia, e gliene ave» vano occupata pane lenza alcun fondamento di
ragione; ma con dk fegno, e dcRderio di ulurpare Palmiì, com'era tuo ordinano
cotlu» me, e icacciare la Caia d’Aufirja d'Italia; onde tua Altezza era ilata
coltretu a pigliare Tarmi per confervazione del luo Stato e della riputazione
propria.* Ricercava però da cialcuno alTillcnza, e ajuto, per onore della
nazione, e favore della Giultizia. 1 Miniftrì prelcntatori delle lettere
a^iunlero il loro uffizio, e{ponendo in panicoiare tutte le miffioni w
Commifluj a Segna, e a Tom^ II LI Fuk 1 Fiume òz alquanti anni in qtia ;
narrando fpezialmeote ì gaflighi, e gii ordini poAi da loro moUrando che da'
Veneziani dovevano ciTer nimati baiUnti, perchè lenza quelli avrebbono gli
Uifeocchi fatti danni maggiori, pretendendo di elTere provocati da loro.*
maebequei Si J mori non fi erano contentati degli onelU rioicdj, infillendo in
quel olo, che tutti gli Ulcocchi foflero levati da Segna; rimedio inumano,
imponibile, e contrario al bene della Criftianith ; propplto non peraltro, a
hne di trovar apparente preteso, per ect^iur una guerra contra la Cala
d’Auflria; gii Stati, e le giurildizioni della. quale han no leinpre proccurato
d’intaccare, com’ è manifedo per tante Citth» e Terre che tengono, levate a
quella Sereniflìma Caia, Qhe Ugitti-, inamente le poiTedeva prima: e
quantunque, per confervare la buona vicinanza, deno date dabilite da cento anni
in qua diverfe capitolazioni in BrulTeUcs,in Vonnes, in Venezia, in Bologna, c
in Trento, non fono mai date da’Veneziani olTervate ; e Xpezialmente, iebbene
da ambe le parti fu promcITo che i fudditi dovdTero avere per terra, e per
cotnmerzio libero, come le fodero di un’tdedo dominio, edi avevano aggravati i
luddiii della C^la d'Àudria che negoziavano nel loro Stato con ogni iorta di
novìth, con inufiuti da^ z): avevano impedito loro Tulo dei mare conira
quel)’autoriilt che pretendeva iua Altezza di avere, che i iuddixi
Audriacipoiedero navigare, contrattare, e corleggiare per TAdriacico con ogni
li^rik, lenza che alcuno potede loro contraddire; e che i Veneziani non
potedero adìcurare lopra i loro valceUi, nè in loro cau, Turchi, Giudei, e Mori
dalle forze di fua Altezza, per li diritti, e ragioni che aveva in quel mare. £
in terra ancora, violando le convenzioni, avevaBo con falle pratiche, e aduzie
ridotto lotto il loro dominio la For^ uzza di Marano*, e dnalmence edificata la
Fortezza di Palma nel Territorio altrui centra le protedazioni del le|ittimo
Signore dH Territorio t Fu anche mandato Gian Criftkao Smidlino Amhafctadore
agli Sviz« zeri, per dar loro conto della guerra co* Veneziani aperta*, e
richiedere a quella viaorola nazione il non permettere che alcuno fì conducede
al lervizio della Repubblica : dal quale Ambalciadorc fu prefentaca in ileritto
un'elpofizione, che per tutto fu pubblicata colle querele, e precenfioni di
lopra narrate. E per pubblicar, e imprimere ì concetti delfi anche nelle menti
de i )K>poU, fu dampata in lingua Tedefca una relazione contenente U mededme
fcule de'Principi Audriaci, querele, e imputazioni nuo« ve, e vecchie contra la
Repubblica, con difefa delle azioni degli Ulcocchi*, con particolare narrativa
di divcrfi accidenti occorfi, accomodata però a’medenmi lenG con molta
amplificazione. £ polcia ancora m lingua Spagnuola fu da pedona nominata con
pubblica participazione di quel Governo mandata in luce una arttfìziola
narrazione dclieiitcde cole, e ragioni co’medcdmi concetti del dominio del
mare, della facoltà di corleggiarlo, della fabbrica di Palma, e in difela degli
Ulcocchi. Ma i Minidri Veneziani, uditi grufiìz) eh’ erano fatti contra i lo ro
Signori, elG ancora informarono i Principi prelTo a’ quali rifìdevano, e altri
amei delia loro Repubblica, di quei lolo che alle co fc l DEQLI USCOCCHI z6^ fe
allora profenti apparteneva*, giudicando che pienamente rcItafTe giuftificata
la lua caula, quando folTe dimollrato ch'ella avefle prefe le armi per
neceffaria ^fefà. Erpofero in foftanza che gli Ufcocchi hanno per un corfo di
molte decine di anni diliurbato il commerzio, inquietata la navigazione,
depredate le terre de’ vicini con cftrema inlolenza, e con ofTefa delle
pcrione, fenza rifpetto diqualfivoglia qualità, fcnza rifguardoa’piibblici
Rapprefentanti, e alle pubbliche lettere: Che oltra le ingiurie pubbliche, e i
danni inferiti a’fudditi col palTareper li Territor) della Rpubblica a
bottinare, hanno molTi i Turchi a rifarfi centra i Sudditi di quella, e le
hanno eccitate diverfe difficolth alla Porta di Collantinopoli : die da’
Miniltri Aulliaci fono flati ricettati, confentendo loro dividere le cofe
rubbate, e venderle, e donarle a' loro Fautori.- che non fi i veduto contra i
colpevoli dimoflrazione alcuna, nè provvilione effettiva, per ovviare a nuove
offele, quantunque piii volte l’uno, e l’altro rimedio fieno flati richiefli, e
promeffi già dagflmperadari defunti, e ultimamente nel trattato di Vienna ;
anzi tutte le miffioy de’ Commiffarj aver partorito contrario effetto, avendo
coll’ efempio alGcurati i ladri, che mai i bottini non farebbono reflituiti, nè
i depredatori gafligati,- anzi avendoli fpogliati, e refili piCi bifognofi, e
avidi alle prede: ch’è colà indegna, contra ogni ragione divina, e umana, il
foftentare gente cosà perverfa, e nimica della pace, e quiete: che da alquanti
anni è flata fatta alla Repubblica una occulta guerra col mezzo di quei ladri
nelle fue acque, Ifole, e marine del Quamer, e della Dalmazia; nelb quale,
oltral’effere fiata difertau la regione, e diflurbati i commerzj, il Pubblico
ha fpefo ogni anno non meno di quello che fi farebbe fitto in una manifefla
guerra.- e che finalmente, veduu la rifoluzione deUa Repubblica a volerfene
liberare, U guerra occulta fi è convertita in una iQoffa di arme manifefla con
molte provocazioni, e oflilith inferite prima nell’Iflrb, e poi nel Friuli: per
le quali, e per rifpetto delle molte prowiConi di arme ridotte in quei confini,
i fuoi Capi di guerra fono flati coftretii, per ficurezza dello Stato, e per
difefa dalle rubberie, e ìncurConi che loro erano minaccbte, e preparate,
fpingerfi innanzi, e alloggiarfi in polli Ccuri pih prefló al Lifonzo. Non aver
avuto la Repubblica in tutte le azioni fiie paflà^ te altra intenzione, fe non
che le promeffe le faffero olfervatc; e k foffe finalmente corrlfpofto nell’
offervare una buona vicinanza co'fatti, e non con iole parole, per tanti anni
efperimentate lenza effetti; e le cofe fue reltaffero alficurate: il che quando
foffe efà fettuato in modo, che poteffe avere certezza di buona vicinanza,
corrifponderebbe interamente, ritornando le cofe nello flato di prima con ogni
fincerità. Fu anche divulgala una fcritimra in forma di manif» fio con fuccinta
relazione delle frequenti rubberie', ingiurie, e crudeità degli Ufcocchi, e del
conlcnlo., anzi della participazione de’ Mìnillrl Arciducali, e del mancamenia
de’ Principi a porgere i debiti, e ptomeffi rimed); e gli artifizj co’ quali
tòno fiate delufe, anzi derife le querimonie delU Repubblica e fu traitenuia
dal provvedere all' indenti^ fua colb forza. Per quelli mezzi reflarone
divulgati per r Europa iffi folo i motivi di guerra, ma lecaufe loro ancora colle
ragioni, e prcmtCpai delle pani; onde cufeono fecondo ' b pror Ttm. Ù. LI a
pria pcrfuiftoné, è inclinazione afpetrava Tcfito, c difcorreva dell^
èiuftìzia, ' >. A favore d’Auftrra, poiché gli Ufcocchi nòh potevano cITcr
ftufati, le cólpe loro erano alleggerite con dire, che clTetido in padc
ftcrilc, e fenza paghe, non potevano altrimenti vivere, che dclìotuni; non peri
di quello poteva efler attribuito colpa a fua Altezza, che Icmpre gli ave^ va
proibiti centra ’Criftuni; e che non poteva fare di piu, quando non tveflè
voluto tentare di fcacciarli tutti colle mogli, c co’figUuoli, e vec-, chi ;
che (arebbe (fato cola inumana: oltra che farebbe (lata impoifibile mandare ad
eflèito, clTendo quella gente fiera, c indomita, c in pae(e di accélTo
difficile: e quando bene folTc riufeito lo fcacciarli, farebbe (lato con
difervigio della Crillianit^, alla quale era utile che fi conlcrvafTe
queirantemurale contra gl’infedeli. Che a* Governato*, ri, o Capitani di Segna
non potevano effer imputate a colpa le ufeite pcrmclTc loro nel mare, pferchè
un capo della commilfione che fua Altezza dava ad ognun Capitano era formato
con oueffe precife parole: Non pèrmetrfraì che JM fatto alcun pregiudezio alia
^iurtfdÌT^iohe nojha nelin naitigaifone ai quel tnare. E poiché altri non cranq
che poteflero mantenere quella giurifdiziorie, fc non gli Ufcocchi, fi poteva
dire elTere in facoltà del Capitano proibir Tulcita.* fe jpox ttfeendòv
facevano dei (naie, la colpa era della rtiala confuctudi«e loro, non di chi fe
ne valeva a bene : cosi avvenire in ogni luodóve i foldati dannificaho i
popoli; nè però aferiverfi a colpa del Plihcipc, o del Capirano, collretti a
valerfi dell* opera loro. Ma ^chè parevano tjuéfle giuflificazioni aver bifogno
di c(Ter appoggia «d altre di maggior apparènza 1 acciò folTcro portate s’i,
enepoteffero ^effer approvate, le accompagnavano per loftcniatnento colle
prc\enfiohi vcctÀic delle convenzioni non fcrvate, de* (udditi aggravati contra
i mpatti, della navigazione libera non concelfa, delle tette póflèdute dalla
Re^bbUca^. ite erano d’Aultria, nominan do parte del Contado di *^Gorizia’,* C
*Màftino, uliimamchte dopo le convenzioni (òttoihd!^, e Palma nel diltreito
Auffriaco edificata ;còi\ Quelle fortificando le proprie nella caula degli
Ufcocchi, e che (ola fi trattava, ' Ma per dìfefa de’ Veneziani difcorreva, che
nel panicolate degli yicocchi ti poteva dire Iquanto ognuno voleva per iteufa
dc’Govcrtetori, c di altri, che fìnalm ente rutto fi rilolveva con urta fola
paòhe la caufa era di ladroni abbominevoli a Dio, e agl* nomi*%ii; ^He flon
folo il proteggerli, ma anche il fopportarli, c il parlar % faVófe Cosi di
loro, come di chi li fomentava, è tollerava, era \co(a it^egna ; e che la vcriA
fi poteva tene palliare con àp|Ktrenza di parole -, ina in lóffanza fi vedeva
ben chiaro la differenza elTcre, che unà parie dimandava di viver in pace,
Taltra voleva foffentare ladroni a fpefe altrui. Che al rimediare alle
(celleraggini loro coti levagli da quelle ma'rine non fi poteva dare titolo
d’inumaflirti, eflèndo ufhanità grande verfb, ì miferi vicini, e i navigami,
Kht da lóro 'erano (pogliati, uccifi, e coh ogni barbara fierezza trarrti. Che
il levar lóro la comodici, e l’occifiohe di rubbarc eralervizio divino, c
benefizio loro, cóftiii|gertdoti ad iftenerfi dall’ offende^ lua divina Maeffb:
bendt^ «fipckhb de’ loro figliuoli, togliendo^ |()rq il comodo di allevarli
nella itieddima {imfelinotie efccrandt; ^ levandogli dallo (lato di dannazione
in cui fi Mantenevano effi, i 8, gli, e le mogli, e ogni altro abitante di
quella regione. Che non fi poteva lenza ingiuria della verità dire che le
donne, 0 glcuno dt loro foirero fenza colpa, poiché quelle hon fapevanti che
cofa fbTe ago, o conocchia, ed ergqo incitamento a' mariti di fornire cafa col
fangue alimi. Che gl’iftefli Religiofi nelle pubbiiche prediche efertavanq alle
mbberie ; che del rubbatq le Chiel'e ricevevano la decima. Che in Segna, e iq
rutta quella regione le pib onorate famiglie erano quelle che da pid difcoda eù
traevamo Argine dg una continuata dircenden-; za d’impiccati, ovvero uccifi
nell’eferciziq del ladroneccio. Che alti-' tolo d’ impoRìbilith era nuovamente
inventato, e troppo' apparentemen-. te alieno dalle cole vedute; perchè, fe
iólse impolfibile,' non farebbe flato tante volte promelTo. da due Tmperadori
defunti ultimamen-, te .• perchè nella fcrittura del trattato di Vienna' non fi
feusè Ina Altezza, della dilazione di rimoverli tutti per impqflìbiHth, nè
tampoco per. difficoltà, ma diSè per non parere di farlo, coll retto. Chela pot
fibilith, e fàcilith, t r utilità anche fu, mofhata dal Habatta; il che elTendo
(lato da lui feoperto contra rintereffe di chi voleva mollrare impoffibilith,
gli coflò la vita. Se il levarli di Ih folTe di danno al Crillianefimo, badava
dire che, per cauta loro, veniva ogni giono minacciato da’Turchi di fare cofa
che avrebbe meda in pericolo., non foto la Dalmazia, ma la Puglia, la Romagna,
e tutta l'Italia. Che il confervare le pretenfioni del proprio Principato non
era cbfa riprenfibile, quando non fofliiro volontarie, avelièro, qualche
aj^taiea^ za di giudizia; ma il volerne acquidarè, e mantenere le inmagiim. rie
a fpefe, e con danno del vicino amico, era cofa di chi reputava i propr;
appetiti regola della ragione, e della Giudizia. Che del male fatto da^oldaci
a'proprj, liidditi il Principe aveva da rendere conto a Dio folo; ma di quello
ch’era dato a’iudditi del vicino, era in debito di renderne conto al
danoificato; che poteva anche, feconlo il diritto delle gemi, rifare con
rapprefaglie. Che l’attribuire a diicem di cacciare la Cala d’Audria d’Italia
le azioni della Repùbblica, Smte per Uberarfi dalle inginrie, e moledie di quei
ladri renduti incorrigibili, e intollerabili, era contrario a tutto quello che
aveva vedalo il Mondo da'fucceflt di più centinaja d’anni, in qua; neflano de’
quali aveva modrato nella Repubblica avidità di dominare; ma bea rdbluto animo
di mantenere quello che Dio le aveva donato. Non mancavano ancora di quelli che
difendevano le azioni de’- Veneziani ne’ tempi palTati, fodentando che mai la
Repi^lica non aveva mofla guerra ad alcun Principe Auftriaco, ma' folo.
provocata prima, era data codretta a difenderli. Che farebbe molto difficile da
mantenere. che il Contado di Gorizia, apperfcnentelalla Repùbblica per 1» motte
dell’ ultimo di quella Cala, non fofre dato occupato lenza bu». na ragione. Che
Marano particolarmente, foprail quale facevano, rame parole, era dato dal Re
Francefeo Primo di Fnncia con ragione g>uda guerra occupato, e per più anni
difelò. comra le forae di Culo Imperadcd^, e di Ferdinardo Re de'Romani unite,
nnici anche i favori della Hh^nbUma. Ma quando l' elpugnazione parve
impoffibile, e fucceflè pcrìedftelie cadeflc in mano di Principe, la cui
vicinatnn in Digilized by Google DEGLI USCOCCHI gazione h reciproca, e debbono
eflér trattati gli Aunriaci nello Stato di Venezia come i fudditi Veneti negli
Stati Auftriaci; ma ben vedcrìì in quelli tempi in fatto, per non andare troppo
lontano, che nel fola dillretto di Trieile fono aggravati i Negozianti Veneti
pib de'fudditi AuHriaci incomparabilmente; poiché quelli per alcune merci 15.
volte più, e per altre fino a ì 6. volte tanto come quelli pagano, cosi nell’
afportarle, come nell' introdurle nel paefe. Ma eh’ era ul'cir del cafo, e
confelTare mancamento di ragione nella caufa degli Ufcocchi, il paflàr in altre
materie; e tanto più, quanto in quelle non fi poteva dimandar efecuzionc di
cofa decila, dove quella degli incocchi era ponchiula con accordato, e
promilTioni. Ili quelle conirarietV di gSltri, e di dilcorfi a me non conviene
il dare fentenza, né da qual parte abbiano origine i motivi di guera, ni quale
d> effe fomenti caufa giulla; ovvero nelle antiche occorrenze fi fia portata
con mancamento, ma bensì, come aggiunto, e lupplito alla Storia dell’
Arcivelcovo di Zara, affine di lomminiftrare materia, per ibrmaro (ano giudizio
-fopra gl’ accidentu moderni, oiiginaii dagli Ufcocchi; cosi mi .vedrei
invitato dall’oppartanith, anzi dalla neceOìtì dèi mio Atie coftreito a-telTerc
una: bitve, e vera relazione delle guerre, e convenzioni, oflervanze, ed
inolservanze delle capitolazioni per li tempi palsati occorfe tra quelli
duePotentati; e in quella occafione rammemorarle, e rawiluppatle a colle
prefenii, fe la Iperanza di vedere ben prello rinnovata la pace, c miona intelligenza
tra i Principi, e la uanquilliih de'fudditi, non pii fàceite credere che
làrebbe opera fuperflua, e importuna. ALLEGAZIONE, OVVERO, CONSIGLIO l'N IURE
di Gl. Corndio Frangipane J. C. ftr la 'uiueria navale contro Federigo J.
Im^adire, eJ Alto di Papa Alejfatidro III. PROPOSTA DA aRILLO MICHELE per
Dominio i^Ia„Screniflìma Repub» blica di Venèzia fopra il fuo GOLFO, CONTEA
ALCUNE SCRFITURE DE'NAPOUIANI. 1 TNtcnzion deirAutore di difender
l’attcftazione che della StoX ria di Papa Alcflandro fa la Sedia Appoltolica
nella Sala Regia, e la Repubblica in quella del maggior Coafiglio. 2 Autoritli
che hanno gl’inferiori di buon zelo neirerror de’ Mag giori • 3 Dilcordia degli
Storici circa la venuta di Papa Alcflandro a Ve nezia in che confìfla. 4 Modi
Averli di provar una Storia I. ISCRIZIONE DE’ MARMI. 5 Stilografla deferive le
Vittorie nelle colonne, e in altri marmi pubblici. Efempio di quelle di
Augufto, di Irajano, ejdi Antonino, num.17. 4 Vittoria navale de Veneziani
contra Federigodeferitta in un marino antico pubblico dove è intravenuta. Opere
pubbliche fondano le Storie. 7 Colonne, c pietre pubbliche fanno fede certa di
quel che è fcritro in elle. 8 Ifcrizioni pubbliche inducono il notorio, non
eflendo contraddet te, num. 25. 5) Ifcrizioni pubbliche contraddette, num. i6.
rp Pratica di contraddir alle memorie pubbliche pregiudiziali imparata
da’Greci. ti llcrizioni nc’fepolcri non s’intendono pubbliche^ ma private nè
fono affine di memoria pubblica y quando vi fono denuo 1 cadaveri. 12
Ifcrizioni deTepolai, fe non fanno prova certa, fono adminicolo di pruova*. (3
Maraviglia vana del Sabellico, perchè nel fepolcro del Doge Ziani non fia fatta
menzione delia vittoria navale contra Federigo. Ragioni che ne’fepolcri de’
Principi, e Capitani non lì fuol far, menzione delle lor vittorie. Sepolcro del
Doge Andrea Dandolo fenza narrazion delle fue imprefe. 14 Ulo de Dogi antichi,
di non aver iferizione ne’lor fepolcri « 15 Sepolcro del Doge Andrea Contarini
lènza menzion delle fue imprele, cos^ di fuo ordine. 16 Mctid.'icio di Giorgio
Merula neU'Epitaflo del Doge Ziam a S. Giorgio maggiore. H. PITTURE. 17
Stilografla che fa fede pubblica delle vittorie è anche la pittixra. Vittorie
degli Antichi ordinariamente defcriite in pittura. 18 Pittura è orazion che tace,
ed è di maggior efficacia nel ri cordar, che la orazione. Tomo il. Mm 19 Pit 1
\ 2-74 ip Pitture pubbliche della Storia di Papa Aleflandro in Venezia, in
Siena, in Germania, in Roma nclLatcrano, nella Sala Regia del Vaticano di quanu
efficace fede fieno da per loro. (P^'Ilcrizione (otto la pittura del Vaticano.
IO Congrcgazion de' Cardinali ifiiinita da Pio IV, per canonizzar la veriib di
detta Storia avanti che fì dipingeflc nella Sala Regia da Giiileppe Salviati,
at A’ Principi liberi fi dee creder, ne’ quali non cade mendacio, aa Dio non
lalcia, che la Chiefa s'inganni per le male confeguenze, che luccedercbbono. a3
Repubblica di Venezia, che dica falfith affermano i Giureconfulti, che fia
bellcmmia a peniate, non che a dire. Z4 Conluetudine di creder alle fcritture
della Repubblica dove fi tratta anche del luo comodo, Autorità del Cardinal
Tofco. 2 $ Pitture non contraddette dagl' intereffati inducono il notorio. a 5
Contraddizione di Federigo alle pitture fatte far da Innoc. II. nel Laterano.
27 Intelligenza del verfo d' Orazio fopra la licenza de' Pittori. 28 Effetto
mirabile che operano le pitture a’ lifguardanti, autorità del Conc. Nic. II. ‘
III. C R O N I e H 2p Croniche fanno fede di quel che narrano quando è folito,
che lor fi pretta fede. 30 Croniche che narrano la Storia di Papa AlelTandro
conformi al le fuddette ttilografie. Cronica Delfina, e Sanuta. Cronica del
Doge Dandolo allegata dal Cardinal Baronio. Cronica Alexandri/ fuo Sommario a
S. Ciriaco^ in Ancona, ed a Parenzo, Cronica amica ritrovara nel Monatterio
delle Vergini, num. 33. de' Ginonici di San Salvator, num. 75. Generale dell'
ordine de’ Canonici Regolari, num. 32. 3 1 Epittola del Vefeovo Capitenfe
fcritta al Doge Giovanni Delfino già anni 300. in circa, che fa '1 tranfunto di
detta Storia da un libr 100 Libri fenza nome d’ Autore non ancora ricevuti fi
chiamano apocrifi, e non fi debbono leggere. 101 Libro fenza titolo è come uno
Strumento, lenza nome del Noe tajo, che lo ha fcritto, però non ha credito. tea
Autor quando non vuol fodentar le cole, che dice nel libro lafciato fenza
titolo, non può un altro fondarli sò detto libra per foficntarle efib. 103
Vangeli co’l nome d’ alcuni difcepoli, che furono prefenti agli atti di Grido
rigettati come Apocrifi. 104 Libro di Romualdo prodotto dall’ Avyerfario ha
molte, e gravi oppofizioni. 105 Stnanenti imperfetti non hanno nome di
Strumenti, e non fi rilevano in pubblica forma. lei Volumi del Cardinal Baronio
quando fodero imperfetti non fi potrebbono legger per le cofe, che dipoi tante volte
muta, e rimuta. 107 Romualdo Autor allegato dall’ Avverfario facendo menaion d’
ecclide del Sole nel legno della Vergine, che accadede ai tempo della pace con
Federigo prende grave errore, che lo dóno Ara poderior al Belluacenfc. log
Regola legale per accordar gli Storici quando difeordano in un atto iterabile.
Autorith, e precetto di Sant’Agodino fopra i Vangelj quando pajo. no dilcordi.
lep Storie che parlano della venuta di Papa AleOTandro a Venezia incognito
fcrivono, che ciò folfe avanti la vittoria fuccellà nel ii7d. Storici che
fcrivono della venuta di Papa Aledandro trionfante, per quanto allega lo deflb
Avvcrlario, dicono, che folfe nel 1177. L’ Avverfario per la regola legale
aveva obbligo credendo a’ fuoi Storici di dire, che due fodero date le venute
di Papa Aleffandro. Regola legale fopra gli atti iterabili in altre
controverfie Pontificie gl. in cap. fi Petrus 8. q. i. 1. j. C. de fum. Trin.
Card. Bellarm. 2-79 ^Ilarm. de Romano Pontifice lib. a. c. 6, verf. non (amen
ral. dij. XIII. VERISIMILEI. fio. Argomento dal verilimile della venuta di Papa
Aleflàndro a Venezia per rifugio. Ili Luoghi diverfi ricercati dal Papa per
falvarfi. Ili Venezia fatta da Dio Cittì di rifugia per ialvezza dell’Italia '
contri ’l furor de' Barbari. 1 1 3 Venezia Paradifo di delizie dove i Papi ed
altri Principi rifug' giti non hanno piii defìderato ni il Principato perduto,
nè 4 Patria. 114 Auioritì de’Giureconfulti fonllieri. Autoritì del Petrarca, e
d’altri. ilj Veneziani difendono Papa Gregorio II. e la venerazion delle facre
Immagini contri Leon Imperador Iconomaco. 116 Cardinal Baronio in lode de’
Veneziani per la difefa del Papa, ' e delle Immagini, e per la lor religione.
117 Chiefa di San Marco carica di fante Immagini come trionfante contri
rimperadore. 118 Certezza della Storia di Papa Gregario fa argomento verifmile
di quella di Papa Aleffandro. VERISIMILE E SEGNO IL, lip Papa Onorio onora i
Veneziani con titolo di Repnbblica CriftianilTima per difender la Religione,
per la qual fempre crebbe. Trionfo della Chiefa per opera de’ Veneziani fopra
Federigo la vigilia di San Jacopo a’ 24. Luglio 1177. Dall' ora in poi i
Veneziani nel mefe di Luglio ebbero da Dio fingolari grazie. 111 Mele di Luglio
per avanti infaulio a’ Romani, ed all’Italia per diverfi infortuni ^be
occorrevano. Circuito d’armonia di Platone, che in certi tempi altera le
Repubbliche come ne’ giorni decretar], ed anni climaterici i cotw pi umani. Ili
Romani rotti due volte nel di XVII., di Luglio; nel XIX. due volte Roma
abbruciata; oflervazione di Cornelio Tacito. 113 Due volte il Tempio di
Getulalemme abbruciato nello ftelTo giorno di Luglio, che ora cade nel d’i di
San Jacopo; ofler-, vazione de'facri Canoni, e di Giufeppe, 114 Chiefa di San
Jacopo prima fondazion di Venezia per occafion di voto per cflinguer
un’incendio. 113 Allegrezze, e felici avvenimenti alla Repubblica dal 11-7. in
qui nel mefe di Luglio, nei quale indi ad anni 24. ella fece il primo acquifio
di Coliantinopoli. (id Argomento della vendetta della morte di Crifio dal tempo
mcdefimo, che intravenne f eccidio di Gerufalemme dopo anni quaranta, ed altri
efempj. 117 Primo di Luglio celebrato da’ Veneziani per la fella di San
Marziale, nel qual ebbero diverfe vittorie. 128 Fella della Maddalena per
Tacquiflo fatto nel concluder la Capitolazione di pace co’ Genovefì ; della
qual Angelo Aretino nel conf. 2Sp. I2p Fano d'arme del Taro adi 6. di Luglio,
nei qual fi ccuninciÀ a ricuperar T Italia dalla man de'Francefi, e la preda
che da efla gloriofi portavano via. 130 Prefa di Colfantinopoli la prima volta
adì XVII. Luglio nel giorno di Santa Marina. 131 Feda di Santa Marina
celebrata, nel qiul giorno la Repubblica acquidò due volte Padova, e diè
principio ad acquidar il redo dello Stato occupatole dalla Lega di Gambrai.
Parole della parte di celebrar detta fedivith. Prefa di Cadiglione, e Lodi dopo
Tettava di Santa Marina, che cade nella vigilia di San Jacopo. 133 Capitolazion
tra Collegati dove fi conferrnano gli Stati diTcrra ferma alla Repubblica fatta
adi 2p. Luglio 1523. 234 La Serenidima Signoria vifita folennemente la Chiefa
del Redentor la III. Domenica di Luglio, nella qual la Citt^ fu lù berata da
una orribile, ed inaudita pede. Repubblica riceve vittorie, cd altre allegrezze
da Dio nel mefé di Luglio in fegno di remunerazione d^l fetvizio predato a
fanta Chiefa in detto mele. 1^6 Domenico Memmo, Procurator di S. Marcp, uno
de’Capitani di galea che combattè nella giornata contra Federigo. 137 Filippo
Memmo, Dottor, guidò Otton prefo nella giornata navale al Padre, che lo fè venir
3 Venezia ad umiliarfi la vigilia di San Jacopo, 138 Dio non ceda di dar premj
a’difcendcnti difeendendo in edi S er ragion ereditaria la virrii, e meriti
de’Maggiori. Sercnldimo M. Anronìo Mommo rapprcfcntantc,i fuoi Maggiori col
merito, e colle virtù cfercitate ne’ fupremi carichi della Repubblica. 140
Creato Principe la vigilia di San Jacopo miracoloramente, nella quale per opera
de’ fuoi maggiori Papa Aleffandro pofe il piè fui collo di Federigo. 141
Portato fuora il dì feguente dal luogo dove Papa AlefTandra fece il detto atto
trionfante a Ipargcr oro e argento con /ingoiar applaufo di tutti gli ordini
della Cittk. 142 Dio ha voluto dar fegno di raccordarfi del merito pel fervigio
di Santa Chiefa. Efempio che di quanto ben fi opera fi crafmecta il merito an-^
che 3 i poderi ben lontani. // del Sommario^ PER LA storia DI PAPA ALESSANDRO
IIL Pubblica nella Sala Regia a Roma, e nel maggior Configlio a Venezia,
ALLEGAZIONE DI CL. CORNELIO FRANGIPANE J. C. Contrd h narraj^one contenuta nel
Duodecimo Tomo degli Annali Ecclejiaftici. Deus aferiat labia mea ad
veritateìi. Leu NI penfano fottrarre alla Sereni/Tima Rcpubblica di Venezia il
fondamento delle Tue prerogative ) fé impugnano la veritk delia Storia di Papa
Aleflandro III. venuto qui profu*. go dalla perfecuzion di Federigo I.
Imperatore, rimeflTo in Sedia, dopp la vittoria navale centra quello ottenuta
dal Doge Ziani. Nel che quanto s*ingannino ognun potrb veder, c coaolcer dalla
noiira Allegazione del Mar Ubero fcritta centra il Valquio, e Ugon Grotto,
Autore del libro intitolato : Mare liherum * e centra altri : tanto ancora
s'ingannano, negando quella Storia, dove, in vece dì acutezza d’ingegno,
cortezza, e ^arlitb ne mollrano • Alcuni con femplicc narrazione diverfa, altri
con alTai poco penetrar di penna, ma a guila di Scorpione, la pungono; altri
fcrivendo, non mano, ma calcio par che adoprino, cosV l^n calpedano. Aperto
morte la impugna 1* Autor degli Annali Ecclefìadici, collantemente,
intrepidamente tanto, che egli, come foldato gloriolb, avanti che combatta,
Tuona la tromba, vantandoli di doverla far conofeer una impodura ; quafì, per
ingannar il mondo, Te l’abbia fìnta; e dice di proporre una pietra Lidia da
paragone, per conoicer la veritb dal mendacio. Ma fe fìa tale, o elitropia del
mugnone, efamineremo nella prelente Allegazione. Non redo però di compianger
PAutor in molte parti de’ Tuoi volumi, che, ùtrovatafi una teda come di acciajo
a tanta fatica di Icrittura, Opera già grandemente defìderata ( come riferifee
il Cario ) da’ Padri nel (acro Concilio di Trento; dovendofi impiega^v re in
avvivar' le memorie di fanu Chiela, e de' Tuoi Fedeli, e Tomo IL Nn devoti, col
raccontarle cofcfucccfle, come è oggetto de gli Scrit» tori delle Storie; fi è
affaticato in alcune fcriver contra il co appiglia alla narrazione di due
Autori uovati da nuovo, contemporanei ( com' egli dice ) del fucceflb ; 'uno i
lenza nome, che [crive i fatti di Papa Aleflàndro ; l'altro i un Romnaldo
Arcivefcovo di Salerno, che fcrive le Cconicke del Mondo; i quali Autori dice
anche elfer Dati prefenti.- parò gli elàlta come tedimonj maggiori di ogni
eccezione, che lor non G pofla dir in contrario; da’ quali cava che Federigo I.
Impeindore l’anno precedente, che fu del tipd., vinto con gran (Irage
da’Milanefi, non Papa Alelfandro, ma eUQ era che fuggiva ; e ili quel che mandò
a dimandar pace al Papa in Anania; e che il Papa, aifcntendo, non profugo, .ma
trionfante venifle a Venezia accompagnato da tredici galee dd Rè di Sicilia,
che lo conduBcro pel mar Adriatico in lllria, e poi a San Niccolò del Udo, dove
il Doge Ziani io andò a le-, ^ar, e io condulTe dentro a Venezia: indi che
andalfe a Ferrara, e poi tornalTe, q che trattalTe coi Minillri Imperiali la
pace ; vi venifle l’ Imperadore, e che la vigilia di San Jacopo andafle alla
Chiefa di San Marco a baciar il piede al Papa; il quale il di feguente a
richieda dell’ Imperadore cantalfe la Meda, e fermoneggiade in un pulpito ; e
le parole che Latine diceva, acciò, r imperadore le intendede, un Prelato gli
replicava in Tedefeo ; e vi narra di mofebe, e zanzare, e di altri liroili
particolari accaduti, e la dimora, e la partita de’ detti Principi. Quedi due
libri vuol che fieno una pietra Lidia da conofeer la verich dal mendacio delle
cofe che narrano le Storie Veneziane. Ma quelle per principale, e in fodanza,
dicono.- che Papa Alcdan-. dro fuggidc incognito per fua compiuta ficurth a
Venezia che per lui, divotamente ricevuto, la Repubblica mandade AmMfeiadori
all’ Imperadore per uffizio di Pace : che non folo non la conccdcde, ma che m
andade un’ armata verfo Venezia, perchè gli fi dede nelle mani il Papa ■* che
la Repubblica armalTc, c gli mandade il Poge Ziani contra : che combattede, che
vincede, c che menade cattiva l’armata con Otton Figliuolo dell' Imperadore,
che ne era Capitano, prigion a Venezia : e che egli, mandata con compagnia di
Senatori al Padre, fodc mezzo di coochiuder la Pace : che 1’ Imperador venide a
Venezia a geitarfi a’ piedi del Pontefice, il quale gli mettede il piede fui
collo, dicendo le parole del Salmo Super afpidem &c. che l’impeiadore gli
Tomo II, Nn z rifpon. f irppndefTe che ’l Papa gli replicafle, per la qual
azione folTe iHituita la folennick di Spofar ogn’anno il Mare. Narrano anche la
conccITtoD delie infegne che in cerimonia la Sereninima Signoria porta, e delle
Indulgenze: ma il lodo che vorrebbono elpugnar è la vittoria ottenuta centra
l’Imperadore; chelaltre circoHanze poco rilevano, fe non in quanto che Ibno
adminicolo della prova principale. 4 £ perché a provar le vittorie li fbgliono
allegar opere pubbliche de’marmi, o delle pitture, dove, lucccfle, dcfcriverfi
fogliono, o Croniche, o Storie, o felle pubbliche, ofatna, che, correndo, e
Tuonando, a guila di fiume, nella poHerith fi diffonde, e ne perpetua la fede,
e la memoria loro; benché una di quelle at*. tellazioni ci ballerebbe, le
addurremo tutte; così ben e fondata la verità di quello iucceiro; e mollreremo
che gli Autori i quali pare che ferivano fin in contrario, ne prellano il
confenfo, dato anche che fufTcro legali, e degni di tffer creduti. 5 La prima
pruova fi chiamava iStilograha, che é, quando, fuccelfa la vittoria, fi
delcrive in colonna, o altra pietra che fi mette in pubblico. Quello titolo
predò a'Settanu Interpreti ha •1 quinto decimo Salmo, dove Teodoreto dice:
Columna Vincen „ TiBUS quoque nigitur ceeUta Uttem nefcìentibus, viCiorism^
indi-,, ctmtibus • Come anche ordinò Augullo, che le fue imprefe fece fcriver
in colonne di mecalb avanti il Tuo Sacrario. Se ne veg^ gono anche di altri
Impcradori, e Re per tutto il mondo. La vittoria contra Federigo l'abbiamo
dcfcriira in una pietra a Salbore affida alla Chiefa avanti la quale fucceffe
la giornata: le lettere fono antiche ; e quando fu polla, 1 ’ Iflria era nel
temporale fotto il Patriarca d' Aquile)a .* in ella i feguenti verfì leggono:
Hbus, porut. 1, celebrate
locum cìuem Tertius olim Factor alexander donis coelbstibus auxit. Hoc ETENIM PELAGO VENRTAE VICTORIA CLASSI DbSUPER
ELUXIT, CECIDITQUB SVPBRBIA MACNf Indvpbratoris Federici, rbddita sanctab
ECCLESIAB pax; TVMQVB FVIT IAM TEMPORA MILLE Septvaginta dabat centvii,
sbptemqve supernvs Pacifbr advbniens ab origine carms amictab, Quella pietra, a
ragion di Scoglio, l’Autor degli Annali ha fuggito di toccare, perchè certo, le
ci avede ben penfato fopra, non farebbe andato ramo oltre a fcriver come h^
prclunto; perché quello folo ballerebbe per piena fede, c tcflimonio, quando
anche altro non ci fode: al che tutti gli uomini ragionevoli, e legali fon
tenuti a prcfiir compita fede, perché quelle fono vere pietre Lidie da far
conofeer laverith dal mendacio, fenza le quali è ncceflaiia alcuna Storia ^ per
atiellarci la verità, fecondo „ Ciuleppe ad Apirne, che dice. Eo quod ab initio
non fuerat jìud'tum apud Gr^cos publicas de bis qua femper agunttsr proferre
con-,, fcriptioneSy bec etenim praeiput (T erroremy poteflatem merendi ^y
pojìsris vetus aliquod volentibus fcfiptitare cencefpt\ però dicono le „ Glofe,
c ì Dottori.* Sì in aliquo Lapide, vel columna inveniatu „fcripn. Jqriptyra ejì
éàbihenéa, in c. fané in vcrb. dijiich 24^ q, 2, et in c, cum cavjja de probat.
et ibi omnes Scribenres» Speatl. de prober. •ùidendumy num. 12. taf. in l. fané, num. 26, ff. fi
cert. petat. Aret, infi. de eHion, §. psneles^ num. 2. H/ppol^r. in l. prenatn,
§, in rationibus. C. de felfisy Ù" de probar. num. 191. Hier. de Monte de
finib. cap. 61. per totum. Mefeard. de pròbar. conci. 105. pofieaquam, nu. IO. Ù" conci. ^99. confineSy num. 5. et allegata
per Cagnol. in I. 2. num. 6y. ff. de orig. jur. Ò*pcr Potjfdorum Ripam
obfervar. 6%, Craver.de antiq. tempor.par, l. verf. oB/rva daruTy man. 13.
traB. ro, vj. fol. 141. ) dove dicono U 8 ragion dcllcfficacia di tal prova.
Talis fcriprura in Lapidibus^ aut ^y cofumnis publice apparet y (T inducit
nororium: ob id impuratfdum yy viderur et de cujut jnajudicio agiruTy cùr non
contradixerir y come . fece lo ReiTo Fedengo, il qual contraddìlTe alla memoria,
e iferi 9 zione che fì trovava nel palazzo Laterancnlè ; tenendo egli, roa
centra ragione, che foffe pregiudiziale alllmperio.* di che lì ragionerà più ^
^Hb; e come è il cafo che narra il Coppola. ( de fervir. urb. prted. c. 70. nu.
9. ) Quella pratica forfè fh apio prefa da' Greci, come da quelli da^ quali fì
hanno, imparate le altre leggi; (A a. ^ de orig. /ur. T. Uvius dee. \. lib. 3.
Dio. Halicarnas. lib. io. } perciocché i Mantinei, avendo fatta giornata con i
Tegeati preifo Laodicea convittoria incerta; ìTegeari, a che chi leggeva le
ifcrìziont de'fepolcri pcrdefse la memoria.* di che ne artefta Cicerone: ( de
feneBurv in princip. ) „ fepulcbra legens vereoTy quod ajunty ne perdam
memoriam: onde di certa forta di memorie ne'lalfi vicn detto ap prdfo Digilized
by Google ^86 ALLEGAZIONE preflb Tacito* prò fcpulcèrh fpcmuntur ( lìb. 4. )
Con tutto ciò non fono tanto prive di fede, che non diano adminicoio di pruova;
come, per provar il buon fucceflb del fano di arme delTaro, dei qual fi parlerà
infra al num. jip, il Guicciardini addace la infcrizione del fepolcro di
Melchiqr Trivifano qui nella Chicfa de’Frati Minori: per i’acquillo di Ceneda
facto dalla Repub" blica, oltra altre pruove, fi adduce i’epicafìo nella
fcpoìcura de! Doge Tommafo Mocenigo t S.S. Giovanni e Paolo. ( Mafcard, (ie
probat. con. conpnes aum.n. Guicciard. bijì. lib. z. Onde, fe non li cava fe
non tal qual pruova delle cofe dalle ifcrizioni de’lepolcri, non doveva il
Sabellico, contrario a sé llcf^ fo di quanto ha ferite* nella Storia Veneziana,
nella univerfai che fcrive ( lib. 5. Eneadc p. ) maravigliarn che nel fepolcro
del Doge Ziani non li facefle alcuna menzione dì tal vittoria; perché
loimlTione in fimilì luoghi può venir da diverfe caule; o da umiltà, o da
grandezza, che balli a dir il nome del perlonaggio che fì rinchiude, come quel
che, dettoli nome, dice carera norunr Ù" Tagus, et Cnages, Scrive il
Guicciardini che Gian Jacopo Triulzio, tanto celebre Capitano, non avelTe altro
Icritto nel fuo fepolcro, le non, in quello eflb ripofTarfì chi innanzi non
s’era mai ripofato. (lib. pag.^po.) Può ancora avvenir una tal ommilTione per
non render ingrati i fepolcri a’vinti, ed efporli alla loro ingiuria, col
commemorar le vittorie oi'« tenute: perlochè Ciro, Rè de'Per/l, nel fuo
(epolcro, dove loit „ narrate le fue gtandezze, vi fe in 6n aggionger : Jra^uc
ne miI, hi ob hoc monurnentum invideas rogo. A quello fin nel fepolero del Doge
Andrea Dandolo, che è nella cappella del BattiHerk> di S. Marco, fu
tralafciato l'Elogio fattogli dal Petrarca, che £ l^ge nella pillola 25.
foritia al Bcnimendi, Canccllier grande, che ne lo aveva richiello dove
commemorandoli le fue im' prefe di Candia, del Tirolo, dciridrìa, di Zara,
della rotta data a'Gcnovclì a Sardegna, fu tralalciato, e poHovi quel che al
prefente fi legge, dove non fì Hi menzione veruna di quelle im14 prefe.
Oltreachò, è flato ufo de Dogi antichi ne’ lor fepolcri non metter nè ornamento
Ducale, nè anche il nome proprio, come neirillefsa cappella fì vede quel del
Dcge Soranzo. Il Doge Andrea Concarini fepolto a San Stefano nel claullro non
vi aveva ornamento Ducale, nè veruna lettera; e pur fu quello che liberò la
Patria daÌi’alTedÌQ con vittoria cost fìneolaro, e al tutto "^ifognofa
centra i GenovefìaChioggia. Scritte da me le fuddetee cofe, mi è venuto a mano
il Libro della Repubblica del Cardinal Contarini, il quale nel Libro primo in
quello propofìto cosi fcrive: „ Mk gli Antichi nollri tutti di uno in uno
confenti-,, rono dì aggrandire la Repubblica fenza aver rifpetto dell' utilità
pri-,, vata, e deironore. Da quello cialcun può far conghiettura, che,,
nclTuna, o molto poche memorie di Antichi fono a Venezia, di „ uomini per altro
chiarilTimi in cafa, e fuori: dirò un’efempio fo„ lo, tra molli, di Andrea
Contarini Doge, mio parente, Al lem-,, pQ della guerra Genovefe,
importantilfìma, e pericolofìfìima di „ tutte, con incredibU fapienza, e
(ingoiar grandezza di animo, „ lalvò. z 87,) falvò la Repubblica; e data loro
un^ grandifllma rotta, fracafsò yy i nemici gii vitioriofi, tutti, o ammazzati,
o fatti prigioni. Confervata la Patria, ordinò nel Tuo tcllamenio che alla
IcpoU yy tura fua, la qual ancora al «fi d* oggi fi vede a San Stefano, yy non
fi mctteffero alcune infegne, nè armi della famiglia noUra; yy ma che pur ivi
non vedrai fcritto il nome di $j gran Doge. Il nome, e adornamento, che ora fi
vede, è per opera di Jacopo Contarmi, Senator di riverente memoria ^ il qual,
tutte le buone arti, e ogni virtù amando, ravvivarle fi affaticava : Egli fù il
promotor, coadjmor, e mantenitor del Bardi, che le la raccolta della Storia di
Papa Aleffandro, alla qual però TAvverfajdrio non fi ha fapuio acquetare. Qu'i
non debbo ommettere lo sfacciato mendacio che contra le predette cale dice
Giorgio Menila ( Uh, 6, Ccograpb, Jivc anriq. Vicheom. ) che nell’ Epitafio del
Doge Ziani, dopo aver numerate le vittorie ottenute da altri, di queffo fatto
di Papa Aleffandro. non dica altro, fe non : kinos conjunxir gladios : fc
quello folle vero, forfè avrebbe qualche ragion effo., e il Sabellico di
dubitare. Ma la Icrittura è molto diverfa; la qual, avanti che fi. perdeffe
nella nuova falbrica della Chiefa di S. Gregorio Maggiore, il Sanfovino, tanto
benemerito di quella Citt^, nel dar conto delle fuc preclare cole memorande,
l’ha regifirata nel libro quinto della fua Venezia; non mi difpiacerb, qui
fcrivendola, farla legger, per convincer di tanto mendacio l’Autore, qualunque
i verfi fiano, f/ic Dhx egregiwr, fapicnSy dives cenerefeity Vivir cum CbnJÌOy
Mundo. fua famrn_ nhefeity Sebafìianus vochatus in orbe ZianuSy Cum Papay
PrincepSy CleruSy ^tebs Jbunc rccolebaty JnJìut^ purusy cajìusy mìfisy cutque
placcbap. Confitto poilcns, bona planrans, et mala tollens, Robur amicorumy
patria luxy fpei mìferorum Et flos cun^orumy Duk eteClus Venetorum ', Binos
eon/unxìt gtadioSy O' more rcfulfty Etoquìum fenfus, bonitas. degnila cenfus,
liti parebanty nulla •virtute cartbat. Dove le parole : mundo fua fama nitefeh,
cum Papa Prineeps Jbunc rccokbat \ bona planrans y et mala tollens, robur
amteorum, fpes miferàrumy binos conjunxit gladios y non venendo a nomi
particolari, per li rifpetti gi^ detti, ma applicate al fatto tanto notorio,
come era allora, ed è al preleme, pur troppo ballano : maflime che fotte di Ini
non vi è da raccontar altre vittorie, nè fatti notabili, come afferifee i!
Merula.. II. Seconda fiilografia è la pittura roeffa ne’ luoghi pubblici, dove
17 fi deferivono le vittorie ottenute ; come quelle marittime di Agrippa, che
le fè dipinger nel portico di Nettuno ; quella di Gracco nel tempio della
Concordia .• ne’ pubblici, trionfi ancora fi poruvano .• di quella di Meffala,
di L. Scipion, di Ollilio Mancino Ch menzion Plinio ( lib. 30. cap. 4. ) :
quelle di Tramano, e di Antonino, lono defericte nelle loro colonne a Roina, ma
con figure di mezzo rilievo in marmo, che ancora fi V veggo x vedono : quefla
fk fede, come le lettere feoipire neTaHì, non efl^do altro la pittura, che
orazion che tace, c Torazion pittura che parla* onde i Greci, non facendo
differenza da Pittura a Scrittura, come confìdera il Cardinal Paleotto, ambe le
chiamano yp^m : anzi per memoria ^ piu efficace la Pittura, che la narrazione
in iferitto, come fi vede nell' uio della memoria sSartifiziale, che per via
d’immagini lì fupplilce alla naturale .fopra che dice Qiiintilliano : ( Uh. ii.
cap, 3. ) pidura taccns,, aÙus y Ù" babhui femper cofdem Jic ìntemos
penarat affehius, uf „ ipjam vim dicendi nonnunquam fuperare videatur : „ dove
i Padri nel Concilio Niceno fecondo differo : „ major tft intano, quam „ orario
; atque hoc providentia Dei conttgu propter idiotas bomiftes, perche fervono
per lettere degli ignoranti. ( j^dion. 5. Concilior, rom, 3. foi, 501. c.
ptriatum de confecr. dijì. 3. D. Tbom. %. a. q. P4. arr. 1. primum. CapcHa
Tbolofan. q. 303. Ct* allegata per
Cardinalem Paleottum de Jacris imaginihusy et profan. lHt*l. cap.^» Frane.
Curt. de feud. par, j. in princ. num. i6. (T per Cepollpm de fero. urh. prsd, c. in f. ( 5 *
per Dod. in c, l. in prin. ae pace Ijtenend. ) Dove l’Alvarotto, volendo addur
teffimon; della verith di detta Storia, dopo aver allegate fopra ciò le
croniche, e gli annali de' Pontefici, allega le pitture che la deferivono in
Venezia, e in Siena.* „ Ut de prxdidis pa/ee in aula folemni Civitatit,,
Venetiarunìy uhi bac bifiorta mirabÙiter pida ejl. Fraterea dieta,, bijioria
fatU diffufa in aula Civitatis Senarum, ex eo quoà àidut „ Papa jilexander fuit
nationc Senenfis. Così anche altri, come teffimonio degno di fede, allegano
dette pitture; Ermano Schedel nella cronica ffampata in Norimberga, Giovanni
Stella nelle vite de'Pontebci fotto AlefTandro; Erancefeo Modello nel libro z.
della fua Venezia di Pietro McfTia nella vita di Federigo ; Remigio Pofliilator
di Giovanni Villani, per fuppiir quel che ivi manca { Uh. 5. c. 3. ): ma
Francefeo Sanfovino nella Ina Venezia vi aggiunge quelle di Roma coq le fue
inlcrizioni : dice eh; ve ne era una nel Palazzo Laterancnfe con alcuni verfi ;
gli ultimi de’qnali dicevano: Naw pRorucus Latet in VenetJs tandem manifejlus
Regi Romano pacifeatus abit. La ifcrizione fotto la pittura del Vaticano nella
Sala Regia così dice: „ Alexander Papa III. Federici I. Imp. iram, bt,, IMPBTUM
FUGIENS, ABDIDIT SE VeNETIAS J COGNITOM, BT A,, SENATO I’ERHONORIFICE
SUSCEPTUM, OtHONE ImP. Fìtto NA-,, VALI PROBLIO A VeNBTIS VICTO, CAPTOti.
FeOERICUS PACB „ FACTA SUPPLEX ADORAT, FlDfeM,ET 0BE9IENTIAM POLLICITUS. 5, ITA
Pontifici sua dignitas Venet* Reip. beneficio re„ STITUTA. MCLXXVII. ■2.0 B
perchè non fi creda che ciò Ila flato capriccio del Pittore, come vuol inferir
T Autor degli Annali, è da laper, prima che detta Storia foffe dipinta, c col
predetto Elogio fottofcritia, fu da Pio IV. ordinata una congregazione di
Cardinali, tr^ i quali entrava 1 ' Illuflriflìmo Cardinal Sirletio di veneranda
xnemotia .di che me ne diede conto Marc’ Antonio Gadaldino, luo fapula m, c
Digitized by Google DEL FRANGIPANE. z8p re, e gentil* uomo letteratiflimo :
quefli fecero dìIigentUTimo proceffo degli Scrittori, e delle fcritture, come
de’tcHimonj degni di fede, in guifa che fi dovefle far una canonizzacione, e in
quella maniera che Dio non lafci fallar la Chiela nelle liie.aP ferzioni :
pervenuto il Pontefice in fondatiilima cognizione di verità, ordinò la pittura
a Giufeppe Salviati, Maeflro celebre, e ringoiare, che da Venezia fb chiamato,
e di tal lavoro mi dilTe aver avuto mille ducati, che non fi fpendono cosi in
meri caprieej de’ pittori* £ .perchè la pittura cosi ordinata dee far pniova, e
piena fede; Aleffandro VI. fè dipingere in una loggia dì Cafiel Santo Angiolo
rofTequio, e la riverenza di Carlo VIU. fervente alla fua Meflà Pontificale,
acciò tal cerimonia fi confervafle nella memoria de'pofleri. ( Guicciard. lib.
i. car. 35» ) 21 Quelli fono lenimenti pubblici rogati db Principi iit^ri, e
che non co(^ofcono fuperiore; che la lor gloria, e grandezza è la liberti/ ne’
quali quando cadeffe mendacio, imbrattar il lo ro fplendore; perchè è qualitb quidditativa
di chi è libero non dir, fe non verità; come è qualità fervile dir il mendacio.
12 Però dicono t facri Canoni che Pio non lafci mentir la Chiefa Romana,
(e.srcHm, gi. m Z4. 1.) alla qual anche fi convien quel che fi dice delle
perfone pefate, e. gravi; Nm éiirJ il fsljo effetti il fntdtntt. Qui corre la
fleffà ragione che cade, fe occorrefTe feoprir un mendace nelle làcre Icttercj
delle quali dice Sant’ Agollino {inEpifl, MdHi lamente, non fuggitivo, non è da
tralalciarc il tdlimonio di Pietro dalle Vigne, il quale 6or'i in que’ tempi,,
nè maneggi, c negozi dell’Impcradore con Sanca Chidà ; nel principio delle Tue
piitolc, dove intieramente è regiArato il c. ad apojìoiico de te jud. in 4.
dice!,, fece ( Federico ) uri altro Papa ^ e pìife altri „ Vejcovi nelle Chieje
dell Imperio^ ma alla fine andh a ({inedia y ove,, il diritto Papa era FuciTO,
e li fece fuo comandamento : “ la qual autorità (i può -aggiunger a quello che
di quello dice di aver villo il Bardi; cioè, nella vita deU’Imperador che fcrive,
fa menzion della prefa di Ottone. Con quella AclTa regola rela^'tum cenfttur in
referente fi poObno legger i Commentatori di Dante, luoi fcolari, che furono
gih trecento anni, nel commento del I^ndino al canto i8. del purgatorio, i
quali egli afferma aver veduti, c ad unguem ferivo la detta Storia come i Venc.
ziani la narrano e dipingono ; parte de' quali regìAra il Bardi con molto
numero di altri Storici che in conformità fcrivono ; ^ al quale aggiungerò i
feguenti da lui tralalciati colle confidera2Ìoni fopra alcuni che egli
fimplicemente nomina : quanto agli ^paltri, che egli allega, intendo, per
corroborazione della verità, che qui lì abbiano per rcpetiti. Benvenuto de’
Rambaldi, Autor di trecento anni, nel iuo AuguAal, che irà le opere latine del
Petrarca fi legge lotto Federigo, Icgue detta Storia / e in fine dice: „
Alexandram Papam perfecutuSy apud Veneros vitlusy “ (?*r. 40 che è (guanto piò
difiiiiamente fcrive il beato Antonino nella ivia 'Storia; ( p. 2. tit, 17. c.
i. io. in fi, fot, 214. ) „ Cum Friyy deritut Imper, veniret ad Urbemy
Alexander y timens ejus potentiamy „ Fernet ias refugity ut manut e/us evaderet
: fuper quo indignatus Jm~ „ perator y armavit cantra Venetot claffem, cui
prafeùt Otbenem fi»,, iium fuum ; 0 “ ad repofeendum AlexandrurH Pontifkem
mijit. Fe~ rum Otbo fUius Imper. primo concurfu navali prodio fuper atw J yy
Clajfc Fenetorum, qui juvabant partem E(cUf$te .SanSìx, Ù" Aleyy xanàri,
captus, duéius ejì Fenetias. Anno autem fcqueuti, procurante Otbone filio Imp.
qui captus erat, ablata e(l dijjeafto inter yy Papam, Imperatorem ; et faHa afì
pax, indeque magnus ■ bonor,, et gloria fecuta funt Fenetos, quibus ad
ptrpatuam tei memoriam „ Pomifex Jummus quadam injignia perpetuò ferendo
donavd, Miror „ autem quhd nec Fincentìus in fpeculo bijìorialiy nec Joannes de
Co. yy li faciane mentionem. “ Dove è da notar che fcrive la fuga di Papa
Alclìàndro a Venezia; la vittoria avuta contra l'imperadore; e la prefa di
Ottone fuo figliuolo. Si attenda ancora che la battaglia fu un’anno avanti la
pace fatta ; e che in quello luogo non vi metta il calcar del piede del Papa
fui collo dell’ Impcradorc; il che riferilcc poi in altra fcritiura, come
diremo ai luo luogo, ai num. 55. Oltra ciò, la maraviglia che fa, che Vincenzo,
nè Giovanni di Coli, non abbiano tocca queAa Storia. Confidcrafi poi la gravità
dello Storico, che è Teologo, e verfati 01 ino in tutte le Storie, avendole
fcrìtte dal principio del Mondo fino a i fuói tempi. 41 Nello fiefib tempo
Laonico Calcondila, Areniefe, nella fiia Storia Greca al lib. 4. fcrive dello
fiefiò fatto, come i Veneziani hanno meno in Sedia Papa Alefiandro dopo la
vittoria ottenuta centra Federigo, il quale chiama Re barbaro, infinuando il
fuo cognome di BarbaroUa. 42 £ perchè gli Scrittori delle Storie dicono : lUud
veritash „ bijìoria Jifftum eertum effe y fi de iifdem tebus wmes confentiant :
„ ( Jofepk. cMtTM Apptenem lib. j. ) emnes fcilicer y ^ued a pluribus yy
dignieribus ( gl. in eap, de quibus. difiin. 20. r. in eanonicis. ^ fui dem de
conjecr. difi. 1. Barbai, cmjtl. 12. illum num. 21. W. 4.) Reciterò alcuni,
olirà i predetti, che feguono la detta Storia forelheri, e alfai interefiati
per l'altra parte, che, non elTendo vera, dovrebbono piò lofio contraddire; e
fono di tal graviti, che il Mondo lor crMer fuole ; anzi alcuni dì efll come
tali fovente fono allegati dall’ Avveriario. Raffaello Volaterrano in due
luoghi ne fcrive, ( Urbanor. •commentar, lib, ^ et 27, ) il quale è da
attender, come quel che aveva alle mani, e verlava i libri della libreria
Vaticana, come egli attefia nel lib. 3. nè fi è ptinto moflb dagli firaccioni
de* libri, come ha fatto rAvverfario, fe pur vi eianoi al luo tempo : ha
dedicata l’opera a Papa Giulio li. in faccia del quale, e di tutto il Mondo
nell’ arringo di Roma fcrive detta Storia eOer fuccefia come la narrano i
nofiri 43 Scrittori : così fono lo fieffo Giulio II. ha fatto Giovanni Stella
nelle vite di 230. Pontefici che fcrive. ]acopo Spigellio, Tedefeo, parlando di
Ottone dice : „ fttem cateri Scripteres y et e»*,, temi y ò" nofiri, ■
vi&um navali praiio a Venetis ajunt in caafit „ fuijfe fuibd fiater ex
diutina difeordia in Alexandri Papa gratiam „ redierit. ^ ( >« Scbolm ad
Gumermm lib. 1. de gefiU Fnderici ) Ertemano Schedel) Tedefeo, nel fuo volume
De biflortis atatum mtmdi fol,t%i. Rampato in Norimberga, fcrive parimente la
prefa di Ottone, e la pace feguita per opera de’ Veneziani. Alberto Cranzio,
Autor diligemiffimo delle cole idi Germania, che Icrive, fpefib allegato dall’
Avverfario, fegue la detta Storia, e dice ( Metrop, Saxon. lib, 6. cap, 37. „
Annui erat feptuagefimus fe„ ptimnSy Ò" Eufebii contìnuator tradir,
oSavus, ut AH nonni pofl „ mille eentumy cum- Imperaror y capto Otbone fiUo,
quem rlajfi prg*. yy fecity Veneta classe intercefto, Vbnbtias, ubi erat fummus
yy Pontifex Alexander y ebeoucto, de pace, Ò" reeonciliatione tffira*,,
citer cogitavit. Il Contìnuator di Eufebio dice lo fieffo tutto di diretto
contra quanto vuol affermar rAvverlario; come Martin Cromero nella Storia di
Pollonia, ( lib, ii, p, 2. ) e gli al44legati dal Genebrardo nella Cronolt^ia.
( lib» 4. foL dii. ) Vi fi aggiungono altri forefiieri, Giovacchimo Becichemo,
Scodrenfe, nel fuo panegirico; Gregorio Oldovino, Cremonefe, nella fua Venezia
al lib. 3. Orlando Malavolta nella Storia di Siena p. i, lib. 3. car. 34. tien
quefia narrazione per maggior verirh. Modernamente Giofeppe Bonfiglio,
Cofianzo, Cavalier Meffinefe, nella Storia Siciliana p. i. lib. d. e p. 3. lib.
2. e per ultimo i Padri Digiti. by Googlc DEL FRANGIPANE. Padri Gefniti, nel
cui feno ora unico refugio hanno tutte le fcienze, dottrine, e buone arti (
minalecito, quando allego uno di cflt che Icriva, allegarlo così in plurale;
poiché i loro Icritti non cleono, le non purgati, ed approvati dagli altri)
dicono per cola chiara, lenza veruna dubbierà, parlaiido de* Veneziani : „
licere Fi-,, itum F edntci Aembarbi Otbonem^ captumque ohulere AUx. Ul.Pon„
tifici^ ijui Vertetias Profug&rat. “ Marrmus del Rio diftfuijitio. Ultimo,
lalciando altri moderni, non lafeierò di allegar anche i noltri Giureconfulti,
i quali léguono la detta Storia, effendo Autori di profcHione, dove fi tratta
di roba, e di vita, che gli uomini pih cauti, ed accurati; e Mrò degni di efler
leguiti in quel che Icguono. Pietro Ancarano, IX}Cror antico, nelle lue letture
canoniche {in c.i, nu.io. de conjìit.) facendo mcnzion di Papa AlelTandro, dice
tanto, quanto balla per confcrmazion della Storia : „ prò quo Vr.NBTi arma
fumpfere,, contro Imperatorem Federirum y Ò" ohinuerunt in beilo. ^ M.
Antonio Pellegrini de ;wre fijci nel tib.Z. ai titolo de mari num. i8. fìt la
iìefla narrazione. Camillo Borello nel volume fuo de RegisCa tboltci
praftentiay al cap. ^6. num. a^4. allega, e iiegue Angelo Mattiaccio de vta
jurisy nel lib. i. cap. ^6. e gli allegati dal Dottor Marta, i quali fìegue
parimente (ri» Jlar.de /urifdiBione p.t. cap. i8. num. 21. ) : i Dottori
Francefi parimente la feguono : Stefano Forcatulo J. C. { deCalUr.Jmper, fib.
pag.q.ij.) yy Planb ^ Duch {Venetiarwn) ematus didici non parum aMÌàilfe Alexandrum
„ III. Pontificem renmutrantem fcilicee Venetos y quiy SebapianoZia» „ noy
Federkum AemAarbum Imp. navali pralio profiigarunt. Guglielmo Sodino nel luogo
contra il quale fcriveremo infra al num. 67- fegue la detta Storia, come egli
dice : „ qua omnibus,, omnium feri biftoricorum fctiptis eonsinetur : e da
alcune paro le ivi molila di non creder sì facilmente certe cole ; e pur crede
queOa. Crifioforo Sturcio, Dottor di legge, Tcdcico, nel luo libro de Imperio
Gtrmanorum cap. 4p. num. 17. inerendo alla detta Storia, conferma la rotta
dell' armata* di Federigo da' Veneziani; e giuda la dottrina legale di accordar
la dilcordia de* tedimonj in quel che dicono alcuni, che non Ottone, ma Arrigo,
phmogeniio di Federico, folle Capitano ; alTcrendo altri che Ottone non avelTc
et^ abile a quel carico, egli Icnve che vi 45folTcio due hgliudi. Ma io non mi
contento di quello accordo, perché non c é bilogno ; che punto non olla Tardilo
argomento del Sigonio centra la detta Storia, il qual ha tralatuaca di narrare .*
die* egli che Arrigo dei 117^. aveva anni undici ; onde Otton terzo fratello
allora non poteva aver ec^ abile a trattar negoz;, pruova che Arrigo m quell*
anno avvflc anni undici, perché di lopra ha riferito che ave/Tc anni cinque,
quando fh fatto Ré di Germania, che fb del 1170. le lue parole così dicono .* (
de Oicident. Imper. lib.ì^ fub anno iiyó. fol. ^43.) „ Hcnricus fuit Rex
Germania y ut fupra diximus y qui cum annis zi. „ ejfet natusy fatili quam
atatem agere Federicus, Ù" Otbo pofì eum,, nati pofuerint, ìdefì, quam
minhnè rebus agendis idoneam, „ vidersnt li, qui Otbonem ante bac tempora
pralio navali eum Tom IL Pp,, Fade ipS ALLEGAZIONE „ Faderatìs nnflixijfe
fmpfcrmt, con quii pruova poi di fopn abbia detto che Arrigo avelTe cinque anni
quando fu latto Re, Dio ve lo dica; perchè egli non dice altro, che cosi. „
Henricum fi„ /ivi» Minmim gu'mquc punm Refem Ccrrnmit legi, tvmdem^uc „ per
PhUippum CoUmieaJem jtrehiepifcepim Aqws currnit, “ Quello e quanto il libro
del Battefmo adduce, per provar la fua etìiy con che intende aver a fcriver
contri quella Storia contri le atte4$ dazioni di Roma, e di Venezia, e tante
altre. £’ da notar ancora, che egli non vuol che Otton, il qual, elTendo
terzogenito, poteva aver otto, o nove anni, ( al fuo conto ) non potefle effer
Capitano, ma fh che Arrigo di cinque anni Ca dato fatto Re : al che non fi può
rifponder altro, che un Regno può aver un fanciullino per Rè, e poi elTer
governato da fapienti perfonaggi : perchè adunque un' elèrcito non può aver un
fanciullo per Capitano per infegna, per dover poi efler retto col confìglio dei
Veterani ; Mrlochè Caligola confidava ( come aveva in mente di fare ) di crear
Confolo un fuo cavallo prediletta, ( Suet. in Calig. pag. ioa. Die. Ut, 6p.
ptg, 830. ) Pofeia chè anche egli cosi era dato condotto nell' elercito Romano
; cosi anche i Rè di francia fono dati portati bambini. Non odan te la eth
tenera di Corradino, i Guelfi di Tofeana non mancarono di far idanza per via di
Ambafeiaduri in Alemagna di farlo venir contri Manfredo fuo Zio, che gli
occupava il Regno di Sicilia, e di Paglia .■ al che non acconfentendo la madre,
forfè impauriu dal cafo di Ottone, fi fecero dar un fuo mantellino, e lo
portarono a’ Tuoi, che gran feda ne fecero; follmente ^ aver pegno, ed infegna da
moQrar contri i nemici ; acciò fapelTero che fotto l' ombra dell' imperio
combattevano ; venuto poi Corradino a maggior eth, ma pur ancora fanciullo, non
redò d'andar contri Carlo. (PsuJns AemUius tifi. Sut. Edutrrdo.Jo, Pii. luna!
Ut. 6. cup.8ì. ' M.p. eup.%ì. ) C «1 Otton non farò dato „ il primo, ut quem
vet imperare jujjilìis., is Jiti Imperuterem etium „ queret, fimut eliqutm i
pepulo meniterem effitii fui; SaJluJi. de teliJugureb. pag. no. } jdclla qual
colà i nodri Giureconfulti dicono: htfant petejl effe miteif Ò" Rex, (Bar.
ini, l. in prine. C.de muner.&bener.fii.io.O' allegat.per Hippet.de
MarJU.in l. infans. nu.p.ff.ad l.Cem, de Jicar.iT S/lvan. de feudi
recegnieienem q. jd. ma». 7. ) Ma che Ottone non poflà elTer dato abue a quel
carico, fe cosi poca età avelfe di otto, o nove anni, l'argomento è da
retorquer con• tra '1 Sigonio, che, eflendo dato Capitano in quella fazione,
foflc dato di età abile; da ehe fi potrebbe argomentare che Arrigo avelfe molto
piò anni, dopa che fi vuol argomentar la età di un fratello all'altro,' maflime
di Arrigo fi potrebbe, non avendo altra pruova, che quella di fopra, la qual
oltra che è leggeriffima, ha congettura che mollra certezza in contrario ;
perchè nella Cronica ai Otton Frigingenfe, (lit.j.cap.fi.) ed in altri autori
fi trova, che ad Arrigo nell'anno 1170. quando fìl coro47 nato il Padre, diede
moglie Codanza, figliuola del Rè di Sicilia, di modo che in quellàmto, elfendo
uomo da moglie, non poteva aver anni cinque. £fe il Sigonio fi feufa d’aver
ieguito Gottifreddo Viterbienfe, ilqual ferivo che tal matrimonio foguifTe del
tiSò. fi rilponde colle lue proprie parole ( lib, 15. de reg. haiyy f to meno
lo doveva fare, quanto che il numero di quegli anni con corrilponde
aU'indizione che vi mette i hcchè ragionevolmente li può fofpettar effeme
errore ; però del tempo di detto matrimonio non h fidando il Nauclero, per la
varietà degli Scrittoti, dice ; yy Vides bic qubd Scriptotts fantpji non folum
diverfa, fed adverfa ferh yy pferunt. Utruu verius s(t Qbus novit. Qlcra ciò,
fi lu un48 altro argomento contra ilSigonio, che Arrigo in quell’anno tiy6folfe
molto maggior di età ; perciocché vi Hende l' illrumento della pace (atta da
Federigo col Pap a, e della triegua col Ke di Sicilia, e co’ Lombardi/ dove il
Padre, e Arrigo Tuo figliuolo giurano la manutenzion di dettò frumento: fe
Arrigo adunque del 1176, • folfe (lato minor in quella maniera di undici anni,
non avrebbe potuto giurar dante i capitoli dei Lombardi tranfunti ne’facri
Canoni, e feguiti dalla Chicla, e oflèrvati ne’ comuni giudicj; (r, vuli. e,
pu^i* 22. ^.5. S. Thomas, 2.2. 8p. arhc. 10. in, corpotc, (T allegata per
AffitH. in cap> i. §• hem facramenta* mtnu 7, 8. de pace ptranu firmand.
Socin, conjil, j 3. vtfis copJUiis, num, 3. voium, I. ) perchè fpccialmente i
Lombardi non avrebbero accettato il Sagramento di un fanciullo di undici anni,
fe fecero querimonia contra la legge promulgata da elfo Federigo, che i minori
codituiti in pubertà di anni quattordici potedero giurar, per validar i
contratti ; per la qual querin^nia Arrigo era rifoluto rivocarla; e non io
avendo fatrq, ( percioochè 1^ da morte foprapprefo) molte Città di Lombardia le
hanno derogato efpreflamente ne'lor Statuti, come le predette cofe attedano. ( Jifjlt8us in d, §. jin, nu,
8. Àtber. Fuìgof Paul, relat. per Igneum tn autben» Sjtcram. pub. C. fi adver. ven* d'u* Qumer. ltb.%, de
uftisFridersci fot. 127. ) Avendo adunque i Lombardi accettato u giurameni» di
Arrigo, è conghicttura fondata, che egli non avelTe quella età di undici anni;
ma per aver fottoferitto, e giurato, fi dee creder, e tener che folfe molto
maggiore di quattordici anni. ( per glo. in c. prttfentia de probat, allegat.
per Alciat. de prxfumpt, reg. 2. prsfumpt. 14. nunu d. traS^. som* 4. foL 313.
et per Mcnach. ^^prtefumpt. 50. nitnu 22. Uh. 2, ) Onde il Sigonio, fondandoli
in cofa si dubbia, non folo non prova quel che intendeva di provare, ma
s’incende aver provato tutto il contrario per r^ion legale, che dice : „ Dubia
prchatio facn cantra prodttcentem. „ ( f. in prafemia de probat. Ò* ibi Card,
col, 2. Abb. num. 34. „ Bero. nu. 138. Mafcard. concluf. ^71. Dubia res- num.
2. Sytag*com.,, mu». opin, Cod, fit, eod, num. et sìlegat. per Vincent,
Annibat.,, m nddit. ad Albam confil. 244. dedu^um in fi. et per Cardin„ Ti^.
pnabL conclufi in verbo probatio dubia conctuf. 766. num. 8. voi. 6, fai' 5P4.
) Però, tornando ad Ottone, e recorqueodo, come dicemmo, l’argomento,
cheOccone, cflendo dato Capitano deirarmaia^ave> va età abile a qoel carico:
quedo fi conferma, perchè egli reggeva Tomo II. Pp 2 la Borgogna, e tutto
quello Stato, fuccelTovi per eredik mater-i na, del qual fcrive Guntero, Autor
che feguiva la Corte di Fedcrigo. ( lih* I. de gcfìis Friderici /. ) „ Òubium
puer incfyte dici,, Resene y Come/ne veln\ vererum nant Rcgné PoTBNTER,,
AUobregutn materna R e G I s, regntque decore „ Dignns ab encelfo nomen deducit
Otbone, 51 Dice, dnbittm, &c. perchè fi legge eh? il Ducato di Borgot gna
per avanti folTc Regno, ma de’popoli fieri: ebbe Re piu di cento trenta anni
fin a Rodolfo ; il qual, non potendo pih lopportar le continue fedizioni di
qucTudditi, rinanziò il Regno a Corrado Impcradorc, che fh ridotto in
Provincia, come era di prima • ora è Ducato, ma con potenza, e prerogativa
regia. ^ r* vùìumvs. li. l* cap, cum Captila de privil. Cencil. Tridente cap.
II. fejf. 24. de reformar. Abb. conf. 62, in controverjia p. 2. Cbejfan in
princ. Juper confuet. Burgand, Ò" in catalog. p. l. conJider. 44.
Sigibert. in cbronico fub anno 1032. lare Frane. Gnì/ìman. de reb. Heluet.^ lib.
2. c. 8, (Sr 13, Jac. de Ardi?^n. l. f. i. quibus mod. feud. amir. Petrus. Caiefat. de equeflr. dignitar, mmu 120. rraH.
tom. 18. fot. 31. ) Ma il Sigonio dice che Ottone non aveva ek abile a
maneggiar negozio tale di combatter coVeneziani; e ciò dice, come gli Storici
diceflero, che fi abbia portato bene, e vinto ; c poteva penfare che quefia
fofle fiata fa caufa, che egli non avendo eth di fperienza forte rotto, c prefo
quafi dalla mek meno di numero di galee; fcrivendo Obon Ravennate : pars
Otbonem increpare, qui inesplorato es IJÌriee ora foìvtjfer. Or lafciamo d’inveir
piu oltre, come fi potrebbe, centra quell’ uomo in altro cosV benemerito delle
buone lettere. 5iManco crror è quefto del Sigonio, che la sfacciataggine di
Gior* gio Menila; il qual, icrivendo d# ansiquieare Viceeomitum al lib. ò. per
tirar ancor erto che la concilìazion con Papa Alelfandro fia fiata per U
vittoria de’ Milancfi, nega la vittoria navale de’ Veneziani, c la preCa di
Ottone ; procura diverfi argomenti vaniffimi, c frivolìflimi; fpccialmente nega
che Federigo averte alcun figliuolo nomato Ottone; e dice non aver letto che ne
averte i'e non due, Arrigo, e Filippo : adunque le la Storia non è vera per
lui, che non ha letto che averte altri, che i predetti due figliuoli ; farà
vera per gli altri che avranno letto, c tutuvia leggono, che ne averte cinque,
tra’quali il terzo genito era Ottone, come abbiam veduto di fopra jper Guntero,
Corti^ano dì Federigo. L'Abbate Urlpergcnfc, viciniflSmo a quc'tempi, e for-,
fe contemporaneo, nella lua Cronica fotte l’anno nytf.dice : „ Jm„ pcrator
quinque jam gcnucrar filioSy Enricum^ videlicet y quem defu „ ^avir fieri
Jmperatorem y Friderkum y quem effecir Ducem Sitevo^,, rum, ér Otbonem, qui
poji modum babuir terram matris fine : “ poi tratta di Corrado, e Filippo : qui
fi leggano tutti i l’edeIchi, la Cronica di Suevia, la fpofizion, la
Cofmografia della Germania, il Teforo delle GeneaU^ie. Il Nauclero generat. 40.
fot. 2^6. ) oltre ciò nega che pqtcrtc aver annata, perche non aveva erre
marittime ; fopra di che dilcorreremo nella fecondi^ parte di quefb allegazione
: il Bardi fopra ciò dice tanto che ba vi è quello connunaerato, che dice. „
Ante prin„ Cipem portam templi y inter angiporti ojìiay lapis ma^nus rubeus
qua„ dratus tjìy in quo aris quadrata itidem lamina infixa foliis vefiitOy „ in
qua Alexander IH. Federici Imperatoris Collo pedem imponi „ /wr; ubi propterea
litterx incifas leguntur : Super Aspidem &c.I ( Itinerarium Ital. p. i.
pag, 34. F. Sanfovinus in deferìptione Venet. lib. 1. pag. 34. Jofepb
Bonfìl'tus Conjìantius in bijìoria SicuU p. I. lib. 6. pag. 241. ) Egidio
Bellamera, Prefule di Avignone, vicino molto a quei tempi {in c. faerk de bis y
qua vi metufque) dice:,, Alexander Papa y ponens pedem fuum fuper Cervi CEM j,
Imperatori, ipfum cenando (iixie : Super ofpìdejn, Ò“ Bajilifeum 0'c. 11 Cardinal
Giacobazio nel fuo libro de Concilio ( lib. i. art. 18. fol. ì6. col. I. ) „
Alexander III. pojìquam apud Claramontem ( Federicitm ) Imperatorem damnaverat,
et Venetik ante fores S. Mor ii 3o^ ALLEGAZIONE ^ S, Marci frQjhatttm collo
caUover^, QucfH fono PrcUti gn^i^ e Canoiiifli dotcilTimi, e por lo credono, e
rifcrifcono, come fanno gli allegati dal Dottor Marta ( frsB, de /»« fifàid. p.
a. e, antichi Qommentacori di Dance» che fi leggono rifioriti dal X^ndino, nel
iS. canto dei Purgato» rio, per quel che dicemmo fopra al num. jS. riferifcono
Io ftcRb atto. Lo riferifce Giovan Villani» tutti quelli vicini aquetempi, (
hb» i* bifi* ^»p* 3^ ) Gennadio, Patriarca di Collanti' nopoli ( de primatu
Petri cap, i. fe 3. 6. ) COs!i dice.,» Romano^ »» rum Jmpcrator Aioxandrc Papa
inclinata cerwe coUum ejus pedi „ fubmijit^ arm dteeret'. SupiR afpidem ^ tT
bajilifeum, &€. et ille j» re/pondif : non (ibi fed peno obediemiam exbibeo
: (Sr Pontifen : ^ Cjr mibi, et peno, “ Il B, Giovan Gerfone, fehben non loda
quello atto, non rella però di crederlo.- de ponft, pcclejiaft. p.U
conjiderat.^f» ) Il B. Antonino nell* orazion a Pio II. ( bi/ì.par,^, fif. 11.
cap, 17. §. I. col, 4. foL 185. ) dice: „ Alexander III, „ ut juhar emicuit^
fridericum J, Imperatorem ut afpidcm ^ 0 ! baJUh, „ feum perfecuforem Ecclefie
proprio pedo concjtlcam» “ Quello è lànto, e iettcratilQmo Teologo, e CanoniUa,
e ciò riferilce per 5d trionfo della Chiefa, tanto è lontano che fi
fcandalezzì, corno fa TAvverlario. Non fi fcandalezza manco l’Abbate Tritemio
diligentifiimo io tutto quel che fcrive : dice che Chiliano, Arcicancellier di
Federigo, ilqual dalla Storia di Obon, e da altri è mentovato eOer fiato
prefente, abbia icricta un opera che intitola : Friderici Imper. gejia^ 0 vita
^ riferifce ( de feriptor. Ecclejié^. fub anflo xiòo- fol, p, ),, Alexander
Papa IIL fedir in „ Cattedra Peni annis uno, et viginti .• multas in/urias d
Friderieo », Imperatore fuftinuh ; ipfunufue Imperatorem tandem fuperans, in „
SiGNUM suBtECT(ON(s e/US COLLUM pcde eonculcovìf, dieens : I, fcriptum eft »
Suptr a^idem, 0 e, Non fi fcandaleziano manca i Greci, i quali, aderendo a
quanto è fiato conchiufo nel Concilio Fiorentino, che 1 Primato di Pietro
continui ne’ Romani ^7 Pontefici che di tempo in tempo fuccedono, nella cenfura
Orienule recitano la detta Storia per le parole che difle Federigo al Pontefice
: non tibiyfed Petroy efiendogli mefib il piede fui collo ; unendo quelle a
quelle di Cofiantino dette a S. Silvefiro : ( Cenfura Orientai, cap. 13. pag.
334. ) Però i Moderni che Icrivono le Vite de i Pontefici recitano la detta
Storia in quella di Papa AlelTaodro^ ( Alpbonfus Ciaeonius fol, 470. } Lo
recita medefimamente Lodovico DomenicKi nella Storia de’detti, e fatti de’
Principi. ( lib, 6, ear. 287. ) Non lo ha manco faputo negar Giorgio Menila,
dove nega il refio della veritb di quella Stona; ( de antiq, Vkeeom,) il qual
atto febben non è efpreflb cosi ben dagli Autori, che dice rÀvverfario efier
fiati prefenti, non va la confeguenza, che non fia fiato vero : come non va la
confeguenza di fopra al num. 48. il B. Antonino ^non lo riferilce, adunque non
io ha faputo, nè creduto ; perchè lo riferifce por ( come abbiam mefirato ) in
un’altro libro : ma i detti Au» 5Stori rlferifcono la umiltazion dell’ Inperadore
con certe circoAaoze che non danno a creder che non fia vero il redo.
L’Avverfarto riferifce che Romualdo Icriva: „ Cumque ad Papam apn y traBus
divino fphiiu y D E U w in Akxandro vcne~ „ ransy Imperiali dignitate poftpojua
^ rejeBo pallio y ad pedes Papa,, rotum fe extenfo torpore iaclinavir. “ ( fol,
450. ) Recita parimente che l'Aucor degli atti d’Aleifandro dica : yy Depofito
da-,, m/dcy proflrmjàt fe in terram y et deofculasis PontificiSy Tamquam „
Principis Apostolorum, pedibus'y *•*" che è ^uei che gli altri Storici
raccontano elTer dato detto dall’ Imperadore : Hon eibi, fed Petto y di modo
che quelle parole, tamquam, verranno ad eder dell’Impcrador, e non dello
Storico. Provata con tanti te5pflimonj quell’azione, fi prova la vittoria
antecedente; perchè metter il piè fui collo, 0 il giogo a i nemici, è ngiUo, e
confermazion delle vittorie : onde i Grammatici dicono dare yy CoLLUM ejl BELLO
viCTUM effe “ ( ejp Propertio ),• come fecero i Milanefì, che, vinti da
Federigo, fi gettarono a’ Tuoi piedi co* coltelli al collo. ( Abbas
Urfpergenjis in Chronieo fol, ipp. ) Scrivono di Marzian Imperadore, per modrar
che vinfe i fuoi nemici,, omninmque inimicorum fuorum colla Domini virtute yy
CALCANS, fex annis y me^e y regnans y in pace quievit, “ ( /ornandes de
Re^torum fuctejpone fd, 78. ) perchè il vinto, jnre belli redando di ragion del
vincitore con quell’atto fe ne toglieva il poflelTo; giuda quel che è fcritto
nell’xi. del Deuteronomio :,, quem calcaverit Pet vqfter, erit : dal qual
calcar de yy piedi è propriamente detta pjfejfioy quafi pedum pofirio,yy ( /.
r. et ibi ff. ff, de acqtùr, fo^ef, Ù" Axp* nnm, Pad, de Caftr, nunu 5.
Jaf. nwn. z, AffitB, decif. zpq, Rex nnm, 7. Facon, de^ dar. lib, 2. cap.^ 6.
poft medium. Tbolofanus in Jj/ntag. /uris Itb.Xy cap. i3« num. q. ) In
contrario di quede pruove 1 * Avverfario dice che Papa Aieflandro non puè aver
fatto qued’ atto, edendo vergognofo, arrogante, e totalmente infoUto : cosi
appunto egli dice. „ Magie indeeorumy qno ajferitury Factum iliud arrocans,,, Cr
FENiTUs iNSUETUM, quhd bumiliatmn ad pedes Pontificit caput,, Imperatorie pedo
ipfe prefferity acque infultaverit verbis ilìit e Super,, afpidem Ù'c. Come
arrogane tT injuetum ?" Si legge nelle lacre di lettere che Giol'uè fì
lece condur avanti i cinque Rè amili, e tremanti, i quali, rotto il lor
elercico, fi aveano nafeodi in una fpelonca; ed ordinò a’fuoi Capitani: „ ItOy
et ponite Pedes „ SUPER colla Rbguu ijlorwn, " ( Jofue io. ) Virgilio
induce Turno a far qued* atto fopra Eumede vinto a mone. ( Aeneid. lib.io.) yy
Semìanimie lapjoque fupervenity Pedb Collo iMtR&ESO£* da creder qued' ulo
eder continuato, e fe non fe ne fa menzion nelle Storie tal volta, fia per
efler dato tanto ordinario, che, fenza dirlo, s’intenda; perchè fi legge a’
tempi piò moderni queda dd& cerimonia col verfo del Salmo ; Super afpidem (
ferivo .Otcon Friimingeilfe, il qual dicono edèr dato Nipote di Federigo ) che
fede mta da Giudiniano, ilqual, preib Tiberio Apfimaro, avendofi concia lui
fatto Imperadore infieme con Leonzio, dice : „ Trberinm, Cr Leomium captat y ae
in cateni^ „ pfuos pojttos per platees trabìy (JT pofiy univcrfo pepalo
adamante y Suyy PER ASPiD^M et hejiiifcum y Ù'c. Ò*Pedibus COLLA corum CaLCANS.
( Cbronic* tib» 5. cop. 174 ) La ftefla cerimonia ferivo Zonara di Diogene
Imperadore, quando fu prefo in battaglia da A(Tan Soldano, condotto alia fua
prefenza: „ Sdtanusy nomine Axan y gayy vifus efi y ut natura fere, neque tamen
fuperbia elatus y de cupu yy moderetione y Ù" jujìitia multa memorantury
addudus ( Diogene! ) „ ad pedet fiens fe projìravif* Tum ( Ananas ) quafi
numine j> ^ exiìtìt\ (T de MORE bumi jacentem calcavit : „ deinde erexity
atque amplexus ejl eum bujufmodi verbis: Noli maeyy rerCy hnperator'y ita enirn
fune res bumantr. Ego verh te y non ut yy captivumy fed ut hnperatoremy
traSabo, Et Jtarhn ei tabernacula,, Imperatoria, menfafque adbibitum Juxta fe
collocar y captivi! quot~ yy quot redditi!, ^ Qui è da notar che il metter il
piè fui collo del vinto, per umile che fi apprefenti y è de more, Jtem che
quefto è atto di poflefTo debito, non di Àiperbia ; perchè dice, ncque fuperbia
elatus, Jtem che Alhm y avendo l’animo moderato, e volendo trattar Diogene da
Imperadore, non reflò di calcarlo. Item che ciò fece come tnfpiraco da Dio, che
dice : quafi numine affata!, da Lo fieno fecero i Romani, perchè T. Quinzio
Cincinnato, volendo rilafciar gli Equicoli da lui vinti, volle però che
fottometteffero il collo al giogo.*,, ut exprimatur tandem confe/fio fub^ „
oHam domìtamque gentem fub jugum abituro! ) come fecero anche I Sanniti a’
Romani : quoniam vidi, et y forrunam fate^ yy ri feirent. " ( T. Uvius
lib, 3. Cf Itb. p, dee, i, ) In vece di piè, con che dovevan calcar il collo a*
vinti, era il giogo dirizzato con tre afte in forma del Fi Greco, che forca,
come ora, djfi chiamava. Era fatta quefta cerimonia, acciò non fi mettefle in
contefa, cerne fpeflb fi fa, la vittoria ; dicendo Ennio ( ex Prifehmo hbro 4.
) vkit non eft viUory nifi vtdus fatetur, Dionifio AUcarnaffeo nel libro io. vi
aggiunge che quefta era meda in cerimonia dì religione, dove, cosi pafl'andovi
i nemici, toccando l’afta, di fopra, chiamata tigillo, era far confeffione,
come di fopra, e reftavano Uberi, ed aflbiri; forì'e fu ombra di quel che,
venuta la luce, fi vede nella Chiefa adoperato; come tante altre cofe fimiU fi
veggono. Nè manco quella è fpiegata fempre dagli Scrittori, quando fanno
menzion della confelTion devinti. Efleodo vinte le navi diAntioco avanti il
porto di Efefo, non iferivono, fe non „ pofieaquam conftjjionem vidh fatti
expref, yy ferum, “ f T. Livius dee. 4. lib. 6. inf, ) Vifto adunque che quell’
atto è ordinario, che il vincitor, per modello che fia, fuol ufar,. togliendo
il poirelTo del vinto, ne vk confeguenza^ che fia preceda vittoria contra
Federigo ; che non può elfer fiata, come fi dirV a baflb al nom. y 6,, fe non
la Navale de’ Veneziani, dove fii prefo Ottone fuo figliuolo, Duca, anzi Rè' di
d4 Borgogna. Ora veggiamo fe era lecito a Papa AleflTandro di pre. icrmctterlo
: troveremo che no, dicendo i Giureconfulri : „ ij „ quod confuetum eft fitti
non dicitur aréitrariumy fed neeeffarium, ( Bai Bill* if 9 /« qutatm^ue netnh,
4* Everard, in Topica /vrh y loco facit gl, in c, ad yipojìolicie in vcrò.
fadtfoHionemy de re /ttd.iné, vide Novar. in terminis in c, inter verba, un.
47. 11. g. opewum ìom,u fol,io. Late Cenehardus Cronaleg, lib,^, fot, 50^.) Ma
PaAieflandro bilognavache lo facelTe in efecuzion del precetto di Dio, per quel
che è icritto nel 33. del Deuteronomio i „ Nega^ bunt te mimiri tui, (27* tu
eorum Colla calcasis : ^ a nei Sai'1 roo 17. Cadent fubtus pedes meos, conforme
al vedo che egli difTe : Juper ajp 'idem, dove dice Eufebio : „ Dig^atem
propbetiyy ci fpirhus contemplare, qua pronùjjionem ArosTOLiS Salvator fe»,,
citi Ecce^ da vobis porejlatem oalCaNdi fuper ferpentes > et fior»,, piones
y (y [uper omnem virtuten» inimici, ( Catena Barbati fuperPfal.ty,) Ónde anche
A può conghietturar che forfè per pre» 66 rogativi di quelU promiOione i piedi
del Pontefìce fi dicono beati. Non far^ fuor della mia profelfion legale dir
quello/ perchè i nofirì Dottori prendono argomento, come lor torna bene, non
(blo dalle voci delta lingua Ebrea, e Greca, ma anche dalla Caldea v gl. in
rubr. ff, fol, matrhn, Efièndo adunque quello un trionfo preordinato, • pronunaiato
da Dio agli Apposoli, e alia dignità loro, Papa Aleflandro non lo doveva
pretermeeeere lotto pretello di modefiia, per mio parere ; perchè avrebbe
mancato, come Saul, il ^ual credè far meglio laJvar le pruniaie della preda pel
lacrìfizio, e non le uccider, come Dio aveva comandato, (i.ileg. 15. r.
fiiendumZ.q. i.) Gli Atcniefi, daquali i Romani, come dicemmo, hanno imparate
le leggi, par che anche eifi decidano quello punto come riferifee Tucidide. y,
Gli uomini, dice egli, dalla naturai ncceflìth fon modi a figno„ reggiare,
ciafeun a colui il qual è fiato vinto da eflb. ^ Però Papa Alelfandro,
trovandoli in quello fiato, gli conveniva dir, e ollcrvarquel chefegue: „ itane
autem hgem ncs ncque tuUmusy „ nequCy ea latay primi ufi fumm\ fed jam reeeptam
à Matoribui oc„ cepimus y O" ufarpemus, perpetuarti funtram reliHuri. ( T
bweyd^ Itb.é, inf ) Onde fi v^ qual ragione abbia il Cerione nella fua Cronica,
il Bodino, e altri, benché Cattolici, a dannar quello atto; tra’ quali danno
maraviglia ilGerfon, quello Autor degli annali, e Francefeo Duareno ; {de
beneficih lib. i. cap, 3.) uomini di caiua letteratura, a‘ quali lono da
rii'ponder anche le coie (critte da Giuiep)>e Stevano, leguace anche egli di
quefia Storia: (deAdoration. pedum Roman. Pont, cap. 5. col. 3« tr^^. tom, 1 3.
p. 2. fot, 53.) „ Alcitandri III, fa&umy quoé tantopsrCy ut tjvannicum ^
elevat Fran„ cifius Duarenus, commendare pottfì cum jure, meritoque in religia„
nisy Ù’ Ezclejue infenfiffimum bofìem Federicum Barbarujfam, non „ ut in falem
infatuatum^ quem jubet Cbriftus pedibus protereri, fed „ potius in borrendam
belbtam calcibus infultaverit, ^ Però Papa Alcffandro non doveva mancar (h
eiercitar il luo )u^, per la vittoria conceifagli da Dio colle felici arme di
quella SerenilTima Repubblica; col qual atto ora ne vien a far foie al mondo a
confufion de’luoi contraddittori. VI. L*Avvelario col Tuo argomento ci dk
materia di far un'altra dppruova di detta Storia. Se il calcar del piede è atto
unto infoTomo II. Qq lente) come egli dice „ uf gàb^ tanto hherc inàu^um
Imperatortm y yy- Jttfifiim to modo exnfperfitum faHis y et di^is iwtrban 'n
tnnJU „ taùsy dkrisy efptrisy ptr Pontificcm enacerbatum y cum a panìtentiee yy
tempio procul abfgcm. “ ( eod, fol. 456. ) Se adunque, facendo detto atto, flmperador
fe ne farebbe tornato addietro, e ritrat^ tata la penitenza di che era
compunto, come egli fuppone, conflando chiaro per tanti tefUmon) che Papa
Aleflandro lo fece ;ed avendolo tollerato i’imperadpre luperbiHìmo, bifogna che
la cau(a fta prima, perché il Pontefice efercitava quel che gli competeva jure
belli; fecondo, per ricuperar il figliuolo, il qual, non feguendo la pace,
(lava ne’ patti di refiar prigione. Cos\ allegano i Dottori. „ ImperatOT
FtdericMsBarbatubeay ut Kecupbraret ejus „ jìitumy pajjus cjì Paptm Aiexandmm
JIJ, calcajfe ptdìbus ejui ca„ fmt, ‘‘ ( allegata per DoU, Martam d. C4p.l8.
nu.2l,) Nè fi per7ofuada rAvveriario, come facciamo ancor noi, che ri'
umiliazione deU’Imperador folle atto di vera interna penitenza, perciocché non
lo inoltrano tale le parole dette al Pontefice: „ non tibiyfedPe„ tro ;
Itantechc petnitemU cogit pcecatorem omnia libenter fufferre ; yy in tarde ejus
conttitio, in ore ejus confejffo, in o^ere tota bwmlu „ “ ( r. perfeiia dìft,
de panie. ) comC: ne (ù 1 efempio il Van gelo nella Cananea, che, più che era
fprezzata, ed ingiuriata, più s’accendeva a dimandar la grazia della fanii^ per
la figliuola a Crifto. ( Mattè» 15. ) Si accorda ancora che non vi folle
7icontrizion nella lettera rhe poco avanti i’imperador fcrilTe al Papa-, piena
di accufe, e di iir^properj, fenza ninna confcfnon del iuo peaato ; della qual
lettera, trovata a Roma nella Badia di S. Gregorio, ne regiftra parte U Bardi a
car. 151. dove tra le altre dice.* yy Et quod manimwn eji y novijfme Vbnetos,
0“ Veneti a„ RUM ’Dmqs.vl adverfui nos dhrexijìi quorum ope y (T auxilio terre„
firn, Ù" maritimas noflfài copias in unum conera Mauros congregayy tot y
Uffa cum F I LIO. /^fito. y qmm vi y Ù" dolo Coepf.runt, „ difperdere
volutjìiy \. 55. Candinus in traila. moUf. fub ruèr^ qualiter Jit jidett,
tortur, Ò" at^ togat, per lo. Baptifi, Bo/ard, in addition. ad Clar. ji,
64» nu, pi. Ó" per Tiraq.
in Jnrtef. icgis Ji mnquam. C. de revoc. donat, nu, 7. Ò' fequen, Bernaràm
Scardonius. de motejiiis conjugatorum. lib. 4. eap. 14. ubi.,, ^ippe nulla re
parentet afficiuntur atrociui, „ qudm ntàloy et incommodis jilionmy ut qui /ape
etiam ftviffimosfui „ corporU cruciatui neglexerinty eorum tormenta nequiverint
iene: re„ pertìque Junt quiy ut feryarent viram filiisy fe ipfos perdiderunty
vh „ ta ìaHura ìltis fuccunere non verentes. ) I Canoni Ai, da i caA feguentt confermando.* Che
Bater diligit ma^s filiumy qudm feipfumy recitano un cafo imravenuto in Puglia
fotto Carlo li. d’ un omicidio, dove il Padre, dopo efler Aato coAamiflimo ne*
tormenti, trattandoA di liberare il figliuolo, confefsò aver egli commefib il
delitto, e cos^ ne andò all'ultimo fupplizio • ( Aod. Barbat, i" c. atm in
prefentia nu. 8l. de probat. alias eafus vide apud Dh.bifi. tìb. 15. de Àqudio
fioro pag. 88d. Valer. Maxim, li. 5. cap. 7. Kavijiui Textor in officina, p.i.
tit. amor parentum) Appreuo gli efemp) che add&cono i predetti Autori A da
aggiunger queAo di Federigo, al qual non avendo potuto ammollir la ferocia
dciraniroo tlpfut ricuperar il figliùolo, abbia ceffo, e A abbia umiliato a
ricever gl* infoiti ordinar) che fanno i vincitori a i vinti, ma ordinati da
Dio a i fommi Pontifici. Vili. Si dice per argomento^ legale :• La ciofa
limitata produce effetto limitato; on^ da tal efietto A conofee la caufa, dr è
con 77 verjo da tal caufa, l’ effetto. ( Bai. in rubr. ff, fi eert. pet. ver/Cr
dÌBo de caufa,. Card, in 'c. cvm dilcBi verf. et nota argumentum de accifat,
Thatml. trBat. ctjfante caufa §. z.nu. 147. et alleg. per Affi, in confit. fi
quìs ahquem q. 5. in fi. allég. Card. Tufebum praB, concluf. in verb. effcBus regulatur conci. 47. et
per Menoc. confi ^16. hi eadem. nvm. 6. Capo,
confi. 133. multa, nu. 31* ) Se la rotta data da*MilaneA a Federigo aveffe
caufaca la 78 pace, e la umiliazione a’piedi del Pontefice, ciò avrebbe caufato
prima a’MilaneA.* e fe cAi ebbero appena fei annidi triegua, bifognava che il
Papa aveffe triegua di altrcttantitonde, effendoque ' Ai effetti diverfi,
bifogna che nonfia una la caufa, ma dìverfa.Oltra di ciò, non può Aar che chi
ha vinto acquiAi manco beneficio di quel 77 che ha acqulAato chi non ha vinto;
nafeerebbe una Aravaganza, dicendo i Giureconfolti:,,^! vicit ahum tnneit
propter ficy non propter,, aliumy ( jBtf/d. in l, fi d^un^us nu. 4. C. de fiuis Ò* le^thn. liP^- • '
••vvr „ Atfr. et in A y? ^uis vtt Jt que, »«.i, C. Tertul, Cam. conf, vjx „ ie
ha nnltjiom m. 5. iW. 4. ) Altra
era la conterà de’Milane.. fi, conte aUtiam deno, che era, per liberarli dal
giogo de'niioifiri imperiali; altra era quella di Papa Alcflandro, che era, di
eflér me&> in Sedia, erduii gli Antipapi ; però, combattendo i
hdilanefi,pcr fe dovevano vincer, ed ottenere il fine per cui combattevano; non
erano come i Veneziani, che combatterono, c vinfero, per metter in Sedia Papa
AlelTandro. Però fe i Milanefi per la detta rotta aveflèro aftretto
l’imperadore alla pace, ed alla umiliazione a' piedi del Pontefice, e a
conceder la triegua di anni quindici ai Rè di Sicilia, avrebbono vinto per
altri, e non per fe, che non ebbero, fe non i fei anni di triegua : blfognava
ben dir loro ; per altri, e non per voi, avete arato, o buoi.Onde bea fi adagia
la rotta che dietro con la triegua che ottennero, e la rou dell’armata, e prela
del figliuola con la umiliazione, e pace col Pontefice. E fe fi vorrS trovar
caufa, perchè, gonel trattar la pace con Papa Alcflandro, fi trattaflè la
triegua co'Milanefi, e col Rè di Sicilia, fi trove^ che il Papa, favorendo i
Milanclì, e le altre Citth confederate, e, vice verfa, cflè favorendo il Papa,
ma non per ragion di Lega, non doveva coneluder pace fenza la ficurth di elfi:
il che è arto proprio della Chiefa Romana, come ne fcrive Papa Innocenzio ( in
diSo c, jfpi^nlicn, n». 3. Cr Hi Jom, Monah. nu. 3. de re jude. in d.) „ Nera
fdeluetem Ecclefu Remmie, numjatm voluit hn-,, bere faem^ na pais /raèfanrm,
niji prius exprimeret de pae ytfi „ ndhnreniium, 6 " de perpetue feenritate
emtm. “ Oltra di ciò, fe i Veneziani, invigilando alla follevazione, e
liberazione dcllltalia fecero far efli la Lega delle Citth di Lombardia, per
liberarle dalla mala amminiflrazion de’minillri Imperiali, ma con patto, che
oflervarfero la fede data aH’Imperadore; '( Blend. dee. 1. Hi. i. Siun.de Regna
Itel. Lii. 13. ftd. 518. 6" JIJ. Bare», d. rem. iz, [tX. anno 1104. Jb/.
jt^. ) è ben da creder che, trattandoli di pace in Venezia coll'lmperadore, non
abbandonaflero la caufa di quelli che per opera loro erano fiati mclfi in
guerra ; profelTando la Repubblica di non aver mai mancato di fede ad alcuno;
come fegnalatamente narrano le Storie, ( Saiell. dee. i. li. i. c. 58.
Gniceierd, li. 3. c. pp. ) IX. La pruova della detta vittoria la fella che
s’incomincia a lòlennizzar la vigilia dell' Afeenzione colla Indulgenza nella
Chiefa di San Marco, e colla cerimonia di fpofar il mare il di feguente, pel
trionfo che in effa Chiefa celebrò, il Papa per detta vittoria; fopra che
dicono i facri Canoni:,, ( trnnkxrferie recordetio „ repreefentet ^qnod elim
foRum. efi^ et Jte not fait moveri^ tom^m „ ’tèdeamus, “ ) e. femel. difi.^ 2.
de confecr. ) Per lo fieflb effetto di memoria de’ felici fuccelfi anche le
genti infiituivano folennità di felle.- nel qual propolito fcrive Amobio net
lib. 5.,, Acne illem „ ( bifìoriem ) vis tempority Ó" vetejlatis
obfolejeeret ìongitudoy per. „ petuitais honore mandafìis: perocché quella
folennith di fpofar il mare che fi faceflè col concorlb di tutti i popoli
circonvicini, gih tKcento anni ne la fede il Petrarca ( Senilium lii. 4. epi/le
^ 4. ) A quV tempi, ne’ quali ancora il fatto era recente, ancor feguiva a
giubbilarne I* Italia ridotta in liberti l'uor del dorainio de' Barbari per tal
imprela, perchè per le vittorie acquillate è flato coflume de’ Popoli, ed è
meflb in obbligo dalle leggi, idituir un giorno fedivo, (che ferve come
Stilografia deirallegrez» za pubblica, e ferve per riconofeer il Sign. Dioche
l'ha donata. ( L I. C. ae pubiic. lath. tib. xa. CT ibi And* de Band, man* a. Jo. de Platea in princip*
lofepb. Moniard. verf nane tjuibttSy nnm. • 2. )
dove fcrivono: „ oh viHeriam^ quam Jibi gloriofam imp. confc',, curut fnijf^ì
fa/li dtes celebrari confuevcrune ^ Jiqtt gentes fe iniùjìb „ faOuToSy Ji Diis
dies In perpetuum opthd rei gejìay Ò" nmneris „ memoriam non dedicabunt:
però conchiudono che della pace, che fegu'i a S.Chiefa, ed a tutta la
Lombardia, nominata la pace di Codanza, che fu parto, e frutto della detu
vittoria, le ne doveva far allegrezza pubblica folenne. ( allegat* per lo* de
Platea ibi Refiaurus q. Ji. Cajlald, traHat* de Imp^at. ) Conforme a quelli
dice il Card. Earonio, per la pace feguita.* ( tom* eod. fol. 4^5. B ) quis
bac,, tanta nondejiciae admtrando Imgua^verb viBorialem „ occinat bj'mnum
Cbrijìo FiHeri, etti Ù" erigat Jtmut de fuperatis bo‘ „ /iibuSj
infuperabilibus inhnicis, tropbtea perpetM permanfura. Il che non fi vede
fatto, fe non a Venezia, perchè ivi è fuccefià la vittoria, e la pace, effeodo
fcritto neU’ApocalilTe. 2. Vincenti dabo calculum candidum: dove dicono i Teologi:
y^conjlat apud Ve»,, teres VlCTORlARUM DIES publieit fajiorum talfulis
infcriptos confuc" 51 candido lapillo pranotari, a quo elarius a caterif
diebus difeef „ neretta', pofuit autem^ hoc loco calculum candidum^ quod ir
nottts ef? yy Jet bity qui in tbeatrisy oc Jìadih certabanty et Vincentibus
tra» „ debatur* ( Sixtus in bibliotbeca p. 1* Ìd>. 2. in •verb. calculus y
faeie glc. in l. i. in yerb. errorem, C.de error. calcidi*)SQ adunque fi
debbono celebrar le fede, fi debbono celebrar dal vincitore, perchè cos\ è
confuetudinc; cd il tedo dice .*,, Vincenti dabo,, calculum candidum.^*- Ma
della vittoria con tra Federigo, onde fe ? ;u'i la pace alla Chiefa ed a tutta
la Lombardia, non fi celebra eda altrove, che a Venezia, viene la confeguenza
certa, che i Veneziani abbiano ottenuta la vittoria, e non ^Itri: cos'i quelli
che combattono, debbono aver la corona, non quelli che danno 82 a vedere. Se
muove qualche fcrupolo perchè la commemorazion del trionfo intravvenuto 1 nella
vigilia dì San Jacopo fi fia ridotta all' Afeenzìone, fi può dir con buona
ragione, che ciò fia, acciocché in quel giorno nel giubbilo che la Chiefa colla
mefn.oria deU'afcender di Cbrido in Cielo, efprimefTc anche quella del Trionfo
che ebbe fopr» la perfona del iuo perfccuiore ; perciocché in quel giorno nella
colletta de’ divini uffizj fi legge nelle lczioni(:.*„, bumilia refpicit,
Ò" alta a longe cognifcit : ilìa utex„ tollaty bete ut deprimati le quali
parole fanno memoria di. quel „ che l’imperador rifpofe aH'orazion del Papa,
come riferifee il Ba„ ronio: ( to. 12. fub anno 1177. 45 ^ faHum efi qubd yy
*^^^y 0 *** bumilia refpicit y et alta a longe cognofeity patientiant no^ „
Jlram, ( 5 " adverfte partii bumilitatem confiàeram, more fuo potem de ^
fede depofuity et bumiles exalavit* Oltre a ciò nella pidola alla mcl Digitized
by Google DEL, FRANGIPANE. 51 r meATa, e ne" refpoiiforj fi legge,jifccn 4
ens in ahttm ceptiv*mi!u83x1/ captivitatcm ^ ch*é del Salmo ^7. nel qual avanci
per canto tempo dallo Spirito fanco h ^A^ta dclcritia rninutamcme qucAa
vittoria, come dime Areremo in altra carta; qui baAandoci dire che, ficcome il
verfetto.* AfcewUf io altunty Icritto da David per una uittoria, che [doveva
luecedcr, è ridotto dall'ApoAolo; e dalla Cbiefa airAfccnfìon dì CriAo, cosi al
giorno di eAa c ridotta la celebrazion di detta vintala colla Aefla colletta^
che ferve aU’ur^a, ed k ali’ altra X. Perchè tutto l’ argomento dell’
Avverfario verfa fopra queAo, 84che gli Autori da cito trovati dicono che Papa
AlelTandro fia venuto a Venezia accopipagnato da tredici galee mandategli dal
Rè di Sicilia; che par Aa totalmente contrario a quei che noi alTcrimmo, che
veniAc incognito in abito di Cuoco, e A accomodaffe nel MonaAero della Caritk;
par di averci convinti di falfo in tutto; avendo per coAantc che qucAo Aa
fallo: però ci reAa un’ altra pruoya, ch’è la indulgenza della Caritk, dove
ogni anno concorre tutto il popolo a riceverla con queAo concetto ^ che Papa
AleAandro la lafciaAe, per quando fconolciuto ivi capitò per refugio, come ne
fa memoria e fede la Cronica di que'Padri memorata di fopra. Il Popolo concorre
parimente alla porta della Chiefa di San Salvatore, dove. ha. per coAante, che
il detto Papa, giunto la prima notte a Venenfa, vi dontniAe fotto la coppola
che vi era.’ la qual memoria è regiArata in una Cronica di que’Padri, A trova
copiata nella Cronica Sanuta, che cqsV dice: Alexanàcr III. Pontifex^ „ dum
morem trsèerer tl^tnifiisy confecra„ vh AtMTf S. SAvaioris, prasjentc Federico
Imptfatote, fuper cjftod „ etiam Mijfam ceUbravit anno 1177. die 2p. Augujìi,
Ù" Ecclejiam „ dedicavit ù" multas indulgenttes conCeJJit i Ù“ in
fc/ìo Transfigura^ „ tionisy 0“ omnibus tranfeuntibus per porticaU^ fub quo
ipfe dotmierat „ prima noQcy quando Vcncnas applìcuit erat Prior D. Vivìanus^
qA „ pojìea anno 1180. menfe Martii fui$ eonfecratus Epi/copof Em«s» 8 5 QucAa
continuata amica memoria di un Popolo A tiene per pruova di verità infallibile;
fopra di che, come teAimonio ordinato da Dio lenza altr^ fcrittura, è fermo nel
Salmo 77.,, ^anra mandavit paìribus nojìris noia facere eafiliis fuis^ ue
cognofeas s^ene„ ratio Aia, Filii qui nafccntuTy 0 exurgenty 0 narrabunt filiis
Juis, Per qcAa via i Principi mandavano i raccordi importanti a’ loro PaAori,
come faceva Antigono;, qui pracepijje fiJis diceretury ut 0 „ ipji meminijfcnty
0 ita pofieris prederant,^ ( T. Livius dcc. 3. /zèlo p, 505. ) Però dicono i
Giureconlulti: Longa^ 0 tenax Po-’ » putì, Jeu Republicae memoria prò vernate]
bAetur „ ( BAd, conf, „ 48. ses. probibita, num. 2. vol.i.frquitur Ttraquel de
prK pri, ma parte nu. 2 treB, tom. 17, fA 141. ) perchè dicono:,. Raro fi fAfum
invenitur quod Universi dkunt\ però danno il precetto di Catone, che doveva
cAcr oHcrvato dall’ Avverlario .* yy Judicium /•opULl nunquam contempferis
unus. ( Alex, confi, 53. profpcHis num, IO. vA. 4. Barbato, in c, tertio loco
num. 3Ò. de probat, AfjiiH. de pace tenend, quarto notabili num, 22. ) 11 che
ferve per U il redo detto di fopra^eflTendo anche di quella tenace, e
continuata memoria appreflo tutto il Popolo. 3 C 1. Seguendo ancor io l'antica
memoria della Repubblica, e di Sd tutto il Popolo, ricevuta ancora da quelli
che non fcrìvono punto della vittoria centra Tlmperadore; i quali dicono che
Papa AlelTandro concede le infegne le quali porta la SerenifUma Signoria in
cerimonia; dico eder ringoiar argomento di quanto i Venezianì hanno operato per
lui, e per la Sedia Apodolica; perchè quelle infegne fono le itede che
portavano gli Inmeradori Orientali, come fi può veder nel Curopalata, ( de
official'thus Palatii Cenft. ] come altrove pienamente abbiamo dimodrato. Quedo
dichiara che la Repubblica predaiTe l’uffizio d’Imperadore nel difender Santa
Chiefa; che è proprio di chi ottien l* Imperio di effer fuo Avvocato, c
difenfore. f c. vmerahileM^, tm. é, fot. }ó 6. ) onde dicono mem» nudifar i
Ttgulis. j»TÌS,, Qiuncp all'ofinion di Giovan Andrea, sii che gli altri (i
fondano, l’addizipna. l’Abba^ nel. detto capitolo aun inflmtis, e dice „ Std
ofonte, io, jladrets femit oppa/imm, dnm dkit Regem „ frtmit ex frivilfgia
jifeflolm mw» pojfe McemnmKrori 4 borni„ »e, mn à cmooxe^^ Scrivono di pib i
Dottori Francefi efleie ftato pi^, dichiarato, che ta\ pivilegio li elienda
ancor uli Uflìziali, five Magiftrari delKegno; perchè il privilegio cancello al
Padrone comprende anche la ina famiglia.- ( r. ecdtfìa i%. p. a. glof. in c,
etniconun 1 1. tf. I. re/»», lo, Rerctd. de /'«r. Cf prèvi/, Reg. Frane, m. p.
Cero!. Degroffal. Regalium Francia d. verf. marna /»» §. hmc ejiy et fcemdo (T
allegata per Prohan in addit. ad lo. Monacò, in c._ ne aiiqm de pnvil. in 6. )
\e quali cofe s'intendono qui introdotte remiffive con tutte le loro
oppolizioni, eccezioni, c intelletti^ ^ «flèndo Hata bm una tal concdCone fuori
delle tegole (di ragione, fi cavi argomento y efler giandillitno il merito ^Ua Kepnbhlica/
che vicino a ^ue' tempi fu combatter, e vincer in difela della Sede
AppollqIjEa. Mi refian certi altri argomenti, i quali lin fin del prefente
difeorfo^ pe-r finiilo in ricreazione, ho deliberaro riferbare; e dirò le
(eguenti cofe, traponcndole come intercalari. Abbiamo vide tante pruove tratte
da memorie pubbliche di marmi, di pitture, da Croniche, da Storie fcritte dagli
Autori di quei tempo, e da’ vicini, e da tanti altri poderi, che han lor
creduto.- oltra di ciò, da tanti altri argomenti neceUàrf, ficchè a Roma, nella
fala Regia fc ne è filtra pubblica atteftazione. Non è però da prender
maraviglia, che vi fieno così arditi, che la vogliono impugnare,' perche iìnahè
vi farh Sannaflb al mondo, vi faranno miriti di 'contraddizione, che a vele piene
urteranno, ed opporrano alla vcrià, come le tenebre s'agitano alla luce. Chi a
P7CÌÒ guardafle, non leggerebbe mai Storia, fe non a ragion di Romanzi. Volendo
il mondo anche neHe azioni palfiite de'miferl mortali aver mano con innalzarle,
abbaflarle,ed a fuo arbitrio anche annoiarle, e come alle cofe future, non
lafciarvi verith determinata. „ aidee mìnima ( dice Tacito IH, j. ) „ tfanfue
amiigaa funt, dam ali/ quoque, ntode audiea pre corrtpertis baione/ ali/ vera,,
«I! eentrarium vertunt, et gUfeit utnmque pmfieritaee. Cicerone nel Bruto
imbrutta tutte le Storie Romane, dove dice.',, multa ferij, pta funt in eh
quafaSa non funt ; fatji triumpbi plures confulatus,, genera ttìam falf‘y Arar
beinngegnoj vpol moArar Dion Grildftomo, che Troia non lìa lUta iprela, contra
la fama impennata da tahtt Scrittori, e anche dalle noAre leggi: {Lverbum in
fi, ff, deverb,fign,Bórbat,m t rubr.deptobat.»u,29,) yoXgzxvttA'^cìst il
detto'dì Paufania, e di > Licofìone, che Penelope non fìa fiata pudica': -1
• • I i che ferfe non fi pub leggere, dicendo di quelli libri i facri Canoni.-
„JùigfJari ctuelt intRtr „ mau Enlejia «m Icguntiir, emm qi$i firiffirttìouitiA
PeNiTua IcNoaANTUa.^ c, fanH» ^ item gefla fanHorum diji, 15. ) dove la gioia,
e l’Arcidiacono dichiarano, che apocrifo fia quei libro nt/M mmen >gnm»r*r,
I libti che non hanno il titolo del .nome loi dell’ Autore non hanno credito,
perchè pub avvenire che l'ABtòre lo abbia lafciato, per non aver obbligo di
difender )• cofe che vi narra ; cosi fcrive S. Girolamo in una fua pillola ( t4
Evopnm 1x1, j, fui, jg. cosi fcrivono i Canonilli ( /e. jiaJr. ia Diut. Iti. 6.
max, a}, vaf, qumui quando id agii, ) Titolo, fecondo i Grammatici, vien detto
a tiùndc; onde un libro lenza titolo viene a dir lenza difelà, che ne abbia a
far l’Autore, tolto il traslato da’foldati, che fi chiamano Thuiiy quafi nndi,
quad fatriam auartntur: ( Feflus, et Bhmdus mumfbanth Rema Hi. 6, a* Ulpiam {
ait ) da militari teftamtn. ) ed è pallàto in comun parlare, che, riptovandofi
un libro, febben fi sh l'autore, non ne avendo il nome, fi dice, che è fenza
titolo, e cosi fenza autorità. ( Aueraet Hi, 4, phffic, nmm, 15. Baccachu in
quarta ditta Decameranis in princ. ^ allegra in liiro nofiro; da aiuSoritattf
Ò" Judic'tB paitorum tit, da liiris legati!. ) Dove un’Autore non volendo
loilentar le cofe ch’egli nana, cab non pub lare un’altro; loacome quando uno
rinunzia ad una lite occorla ibpra la fede di fuo illrumento, il qual fi
prefume che abbia confellàto che poflà eflèr fallo, non può egli, nè altri mai
ularlo: ( t. peftaquam liti C, da pad, (T t. }. C. da fide injhrum, Barèat.
eanf iz. illud ififtram nu. g. voi. 4. ) di modo che, fe l’ Autor non ha voluto
metter il nome, per non aver obbligo a foUentare le cofe che dice de i fatti di
Papa Aleflàndro, per la incertezza che ne ha di effe, manco lo può far
l’Avverlàrio. Le Oeffe oppofizioni ha Romualdo, perchè, ora ufeendo in luce,
non ha ufo di effergli creduto; e non ha opera pubblica, come a’ è detto, che
(t gli confórmi; nè farh che fe gli creda, febben dica effer flato prefente;
perche chi finge un mendacio di un libro, finge anche il nome di Autore che fia
flato prefente; lo conferma lo fleffoAvvertarìo in altra materia; Falieas oanas
fiarent „ impofloret, fi e* falfo tantum fuper pafite titula quad cupereut fra„
batum iaberent { tam. iz. fui anna ligi. fai. 535. ) Però non fi 103 legge il
Vangelo di Nicodemo, nè gli altri con nome di quelli che fono flati prefenti,
di Taddeo, Tommafo, Barnaba, &utolommeo, Andrea; perchè, non fi avendo certezza
che fieno flati feticci da elfi, come apocrifi, non hanno acquiflato fede; anzi
fon rigettati da fama Chiefà. ( O. jbgufiin. da confenfu Evangelifl. Ili. t.
cap, I. et d. cap. Romana. §, item Cbranicam. Candì. Trident. feff. 4. in
prineip. cum cancardantis iU. Cardia. Bateaius tam, I, fui anno 44. fai, Z34. )
E fe il libro è di Romualdo, dove è fede che fedelmente Ila flato copiato; che
non vi fia fla104 to aggiunto, o diverfificatoè Ma come fminuito fia, lo ftefio
Avverfario il conferma; che di due copie, una trovau, dice, nella Libreria
Vaticana, l’ altra a Salerno, ( fai. 444. nwr. iz, ) » in. Cadi 3i8 allegazione
Ctniice LMgobarào Sakmhano ^ ubi àtfinit,, Impbrfectb, ftcut ^ tùem idem S.
Pem-codex eft Imperfectus : cd altrove ( eod, » fol. 7^0. ) collarus cum codice
S* Peni in Vaticano Haud inteGRÒ, SBD FiKE CARENTE* Abbiamo in jure che le cofe
imperfette fi hanno per nulle/ ( /. cum Sillejanum, C. de iis quibus pt indign,
per Canones concordantes ibi, Cravet. de antiqu. tem~ 'fot, p. 3* wr[, vidimuf.
num.Ji. troBat, ìom.i'p, fol. iqp. Menocb, confai, /uris num. 13.) pcrlochè
concludono. „ Imperia autem,, infirwnenta inflrumentorum nomen non retinent ob
id in publicam,, Jormam bevati ^ Ù" redigi non poffunt ! onde fe quello
libro era 1053! tempo del Volaterano nella Ebrerìa Vaticana da lui, come
afferma, maneggiata, meritamente, e fanamente ha fatto a non hCr tener alcun
conto, avendo ferino in altra forma, come lo abbiamo allegato fopra, al numero
42. Non ne hanno manco tenuto conio i Cardinali della Congregazione lotto Pio
IV. che non abbiano perfaafo il Papa a far la iferizione di tale Storia nella
Sala Regia; còme non hanno tenuto conto del libro degli Atti di Papa
AlefTandro. loò Sb bene il Cardinal Baronio come riufeirebbono i Tuoi volumi de
gli Annali, fe vi mancadè il fine di alcuni tomi, dove tante volte con
appendici muta, e rimuta, aggiunge, e ridice quanto per avanti aveva detto, ed
ingenuamente confeflTa Terrore. „ A priore fententìa recedere^ ^ et qm firmiter
pabiliijfe vi„ debaty re&aHare minimi diffidam. £ pih oltre.,, Re autem vi»
gdantiffimo fiudio exaBius pervefiigatay atque attentius difqui/tta a „ priore
fententia volensj tibenfque difeendens ^ in eam potius vento, „ quam verteas
perfnadet. ^ (Annoi, tom.j. fol. Sé.) Se il libro non ioffe Siterò, e vi
mancafle quella pane, e quella delle appendici, fi direbbe che T Autore aveflc
una opùiiono, k qual avendola retrattata, non ebbe per vera. 107 Nel margine
che vi è meffó al teAo di Romualdo citato da-llAvverkrìo ( fol. 444. ) fi dice
„ incìpiendo ab illh verbis’. in hoc,, eapitulo Fodericus Jmporator^ ò'c. ufque
ad illa verbo; Eccl/fationes „ Solit. f. in figao Virginisì ^ le quali parole
però fi è Icordato di porm; o che fi è Icordato di levar dal margine; non
avendole polle nel tallo / forfè per non levar la fede all’ Autore, il qual
pare attefii che fia in quel tempo fucceduto Eccliffi del Sole nel legno della
Vergine; il che è fallo; perchè per quanto fi ha dal Calcola Allronomico non
fon fuccefii tali Ecclifli, nè fucceder potevano, non fervendo alcun dei nodi a
quel fogno. Secondo i Compuùlli del 1 177. furono due Ecclifiì della Luna ^ il
primo fu nel di 2Ò. d’ Aprile, T altro a’ tp. d’ Ottobre : Ecclifli del Sole
non fu fe non del iiSo. a’aS. di Gennajo, c del 1181. a1 3.' di Loglio ; nel qual
tempo il Sol non poteva elTer in Vergine : di che TAvverfario, forfè avvifato,
non ha polle le parole del teflo promefle nel margine. £* vero che fcritte le
fuddecte cole, mi è occorfo veder d'un EcclifG accaduto in quellanno 1177* nel
di 8. Settembre, prdfo Vincenzo Belvacenfe nello Speculo lllorkie lib. 2p. cap.
ar* ma quello appunto ci pone il fofpetto, che il detto Autor Romualdo,
feguendo l'error del Belva Selvtcenfc in queftn Tua Cranici, fìa autor
|»fteriore al 1144. Ca dove ó:rifle il Bcivacenfe, e non prefente al fucceOb
del 1177. come vuoi r Avverlario, Della ^ual falfià di Ecclillì non avendo
veduto il tello di Romualdo, le non quanto fcrive l’ Avverbrio nel margine non
fò alKduiamente fondamento fino che non lo vegga. Ora quelli Autori dicoaa che
Papa Aleflàndra venilTe trionfante con tredici galee mandategli dal Rè di
Sicilia, cosi negano che avefle bifogno dell'.ajuto de' Veneziani, per vincer
Federigo, che gih era vinto, e ne ricluedefié la pace ; e vogliono far . mentir
gli altri, che venilTo. profugo, e di nafcoHo; che fcoperto poi, la Repubblica
toglieflè la Tua difefa, e ne feguiflero le cofe prenarrate. Qui laicio di
confideiar le flat^ite, che dicono in numero aflai dove, dato che detti Autori
fodero ftnza quelle mende che li modrano mendaci, e fenza credito, è in obbligo
chi vuol por loro penderò, e tener conto d’adopnr le regole leloSgali, che
infegnano quello G ha a bre, quando vi' fono tefti. monj difeordi, per fuggir
la bIGth di efli, per rifolverd come G abbi a credere. Se trattano di atti
iterabili, la contrarietà fa che ft abbia a prefumere eder lùccedi più d' una
volta.- ( ri t»» ( 14. de
ttflH, et lèi glaf. 0 ~ omnes ScrHe4U(i et m cap. m prafen(ia de proiat. Bar.
(rriit, de ta/tii, coi, 1. jirtr, m fi 4»ima in p, Ittliu. dt efl». Ancbm. cm[,
J35. /iree primt, imm. t, Frane, Care. tir. eod. p. 7. nam. 1^6. varf. ftcmi&
rtdncrauar. Fot, Ant. pietra de fideicammifi. 4. ta. Nkelatts Lejènt, de ttjì
'ti, verf. eenfequttuer traS. rem.4. fol. Z37. dove G dico in torminis :
Conetr. datar ficnt Bvangelifta, juiM quei dkitnr difihtgue ttntptra, et
rencardaiis Scrtpttlras^ ite tttagii ahfervandttt» tttea dherfitatem
Hifiericomm Ctrtmograpiemm. Quella
Dottrina Circa gl' Evangelìdi infegnb Sant'Agodino molto avanti, de Certfenfu
EvartgeUftarttm IH. a. cap. 50. oper. Toiei. 4. fot. 153. Sk nii fintile
invenittr fatìttm a Dwnioe, qnaà in aliqne alteri Evongellfia ita eepttgrtare
videtmr, ttt emnhii pdvi tiett pefftty triiil alind intelligittir, quam
utrttmqtte faÉhm ejftj et alittd ab alio eonotterrteratttrH ^e. Cosi G dee far
degl' altri Storici ; cosi doveva far l'Avverfario nel cafo di Papa AlelTandn)
: il che non avendo egli fatto, lo faranno gl' altri, dando loro ampia materia,
e teftìmonio i proprj Avvefarj. lop I Nollri affermano che Papa Alelfandro.
venilTe incognito a Venezia avanti la Vittoria, la qual fia fuccedà del ityó. e
Tanno feguente feguide la pace ; cosi lo atteftano anche i Foreflieri Beat.
Anton. Hiftorico par. 2. eie. 17. Cap. i. §. io. Polater. IH. az. /e/. 234.
Coritts par.i. fot. 51. La venuta poi, dicono, colle Galee del Rè di Sicilia fu
del 1177. cioè nell'anno che fi fece h pacecosi per li fuoi Autori Tanefta T
Avverfario l. D. Tiem. 12. pH anno 1177. Jot. 430. Gli Storici dunque, parlando
di due anni dillinti, danno all' Avverbrio obbligo di dire che due Geno fiate
le venate del Pontefice; una quando venne incognito, dove dimoraffe finché la
Vittoria Giccelfe contro Federigo, ed il trattamento, e la conclufion delb Pace
lo aflìcuralfe cb potefie andar libe lamente ninente dove pI 2 ì gli piacefle,
poi dovendo venir Federigo ad umtliarA a’ Tuoi piedi a Venezia, il Papa venire
la feconda volu trionfante con tredici Galee del Rè di Sicilia.* non oftante
dunGue r improperio, e la oppofizione che hanno gli Storici addotti dall'
Avverfario, concedendo ancora che integri fieno, punto non contraddirebbero
alli nodri, quando l’Avverlìario ha un obbligo di credere, e dire, cóme infegna
Sant'AgoiUno, Ihrumqut faHum ffffy Cr aytud alio omijfum. Stante le quali cofe,
febbene allora per opera de' Veneziani fu levato quel fcifma, e conoiciuto il
vece Pontefice, ed ottenuta la pace, ben farebbe conveniente ^n• cera che da
qui folle levato Io fcifma trb gli Storici, e fermata concordia trb e0i; fofle
conofeiuta la veritb certa di quanto apprclTo la Sede Appoftolica nella Sala
Regia, e nella Regia del Maggior Conlìglio in Venezia è confermato. Alle
predette cofe s'aggiunge per argomento più rìfervato, che fi cava dal
veribmile, prova efficace, cera, econcludentene'Giudizj con che f( fanno le
X^^i> e fi dlfinilcono i Litìgj, come fi ten« ga per vero quel che e
verifimile. jfUcgtt. per lìipolit, im tvè. dt pnéét» num* lo8. et fea, Tiraq,
in ptxfat, /. fi unquam «m. 37* et ftqq. C. de revoc» aonats 0 “ Mafcard, de
pnbar, eencl. 1402. verijimiiie$tdù in prinàp, 0 nu^ 22. 0 feq, Parfan, de
probat. lib, I, Cép. 8. 20. 0 fca*
Mandof. in - regul. Camelb, in prafat» per $ 9 fum lat^ Card, Tufil, pad.
Cenci, in verb, verifimHe quid fit 9 M. 0 feq. tom^ 8. fel, 375. Chi dià che un Vafcello travagliato da grave tempefia
di Mare, o da perfecuzion de'Corlàrì, non fi fia ridotto in Porto ficuIO, che
gli fia vicino ogn* altra pendice, minacciando cattivici, e storte? £ dove Papa
Aleflaodro, per afficurarfi andò? prima raccontano: Pimijffe Lateranenji
Pélatio^ ad tutor domet ìb^ngipanas ad Ciftemam Neronis, m qua latuit Nna
fi*giem Rotnanos infequentes metu ab Urbe fugam, medhantem Cuglielmui Rea fuis
Trf temibuky e Terracina in Franciam deduxit^ poftea Francia y 0 Anglia Regum
Conjtlio Remam. Ex, Ottene Fringenfi
de rebus geflis F rider, lib. X. cap, 66. Tbom, Favelli de rebus Skulis dee. 2.
Uh. 7. fot. 410. 0 ex olieg. per Baren, D. Tbom. li. fd. 342. Di modo che è verifimile, e coti fi dee tener por
vero quel che ferive Obon Ravennate.- Defperaiis rebus Vtltelmiy ad tamos
Friderki Exercitus vires imbccillas fuadebanty ne illi falutem fuam facile
erederefy PrefeBionem in Cahiam ut rnanimumy 0 qui prater fuga di^ verrkulumy
nibil ei adverfus Friderkum praft intra effe damnabaty Venetam Chitatem liberam
y 0 oh id minimi fufpeBam, quam ifem amicam potius, 0 fuarum partiunt fuifse
cognoverat maxuni ad eumdum probabat. Chi può dunque in quella difperazidn di cofe
non credere ehegli fi lift ridotto a Venezia, la qual Iddio, in vece delle
Ciith di rifugio concefib al fuo popolo, ha fatta riforger per falvezza
l'Italia contra il furor de’Barbari? Per lo che Leon IX. fuo PredecelTore, vi
fi trasferì perfeguitato da* Greci, e da' Normanni, dove fono cacciati tanti
altri Principi da' loro fiati iòccorfi, e ne hanno ricevuta tanta confoUiiooe
nelle efireme loro miferte, che han Digilized by Google DEL FRANGIPANE. 311
tanno confelTaro non aver più defìderio nè della Pairia, nè del perduto
Principiato SM. dee. 3. li. i. pag. 152. ne fuona la Tromba per tutto il Mondo.
I nodri Giurc-Confulti, benché efteri, di lei dicono ; Urie prtelariffima,
deevs. fplnidm eeiius Italia, v'trntihts, divitiis, ac Religione ornata, Paradifus
delitiarum'. Bald. conf. 41 1. qu'tdam man. 2. voi. 4. Carnati, conf. 72. de
fare Col. }. Menoei. conf. 75. tac /am dici nam. yS. Jaf in l. fi Infalam nam.
y. ff. de veri, oiligat. Gomef. li. ft faerat tnjlit. de aHion. Kevii^n. Iti.
5. nam. jy, Catelian. Crfia Memorai, in Veri. Fenetis. Tomai Deplovat. in
Mditio ad Cepoltam de fervit. raflic. prad, e. 16. Mandof reg. 1 3. qu. 6. in
fine Pietro Antonio Petra de Principe Cap. 3. qa. 4. nam. 34, Ai quali fi
aggiunge Pietro Bellino Configlicr del Serenilfimo Emanuello Duca di Savoja nel
fuo trattato de re milit. lit. 5. i» princ. traCl. tom. tS. fol. 335. Il quale
cosi dice, Urne Uriem Novam Romam dixie Falgofas, et Commanem Patriam vocat
Cama, eamque, et noi non immeriii calme n, et decui Italia dieemas, ehm fola,
nel exorieni conira Bariaricaa Gemei, et rapin.ti, er vifiationei tatiffimam
praiuerit llalii refitgium, folaqae tedia halicam liiereatem, tr dignhatem
confervet, et taeaiar. Il Petrarca che godeva lo ftefeo rifugio. Seniliam, hi.
4. Epiti. 4. Aagaflilfitma Fenelianim (Iris, qaa ana todie liiettatii, ac
pacii, et tifiiHa Domai e fi, anam ioaorum refugiam, ama Portai, qaem IM vivere
capientiam, tjirannitii andiqaeiellicii tempefiaiiim ipuafia rate: pelane,
Urli, aari divei, fed ditior pradentia, poiens opiiai, fid vinate poteniior;
folidii fandata marmor Hai, fed filidiori eiiam fand.imento Civili! concordia
fiaiilita, falfit einSa fiaàiiat, fed falfioriita tata Confila! tee. Onde Sabba
Calliglionc ne’fuoi ricordi num. 114. dice, Fenexia bonor, repataxion, ed
ornamento dell afflitta, e fconfolata IiÀia : per la Cai confcrvaxione ogni
iaon Italiano dovreiie pregar noftro Signor Iddio. E certo a me pare mirabile b
continua conlervazione della prima liberti fino a’prefenti tempi, e per Mar, e
per Terra, in Levante, e Ponente, col Senno, e colle Mani valorofamente
confervata, mantenuta, e direfa, cosi poITiamo fperare in Dio che fi confervi
per l’avvenire di bene in meglio per la vera Giu. flizia, per la Religione, pel
cattolico Culto di Dio, e per le opere pie, e fante, ch’in queUa abbondano ad
onor e fervizio di noftro Signor GESIT CRISTO; Onde in modo di profezia è
introdotto a parlar l’Angelo neU'Italia ìibettu da Gin; Giorgio Trifin. Hi. y.
Mira qaetla Cini, ci' a mexpep alt acque Sorge tri'l Sde, t Adige, e la Brenta
I^uella è Fenexia gloria del Terrena Italico, e Rifagio delle genti Dalla
Sevi-gia' Barbara percoffe. $mfla Regina è di late' il Mare Specchio di
liberti. Madre di fede. Albergo di Giuflixia, e di qaiere. Le cui virtìt fempre
faranno eccelfe. Ed ampie in ogni fan futura etade. Però la fama che con fimili
Trombe fuona poteva invitar Papa Aleffandro ad aver quel ricorfo, coU'cfcmpio
de’ fuoi Predcceffori, cb’ Tomo II. Ss ebbero foccorfo, e difesa coatra i
Perfeemorì loro, e di Santa Chìcla Lo dovea fpcztalmente inanimar il cafo di
CregorÌ0 //. qoaB fìmiquando JUcn Impttudort^ eiTendofi meflTo aD’imprcfa di
diflruggef« tucte k Santi Immagini della CriHianit^ far ciò oOinatamente ne lo
richiele; qual villo che il Papa non volle, come non poteva ubbidirlo, richiefe
il PuceOrfo, cd i| Popolo di Venezia, o a dargli in man il Pontefìce, 0 che
Tainmazzairero; arditamente gli rifpolero quel che è regiurato da Bernardo
Giudiniano nella Tua Storia al Libro X. Refponftan iis magno animo advertero
po$utJfc quanto femper fiudio^ et bonort omnU bus ttmporibui Imptraroriam
enolZcrcMa/eJlatem : maximb ramtn nowjjima Ravenna Urbis retfptione ^ non verim
in corum gratiam Regem amiÒ" ficderatitm belìo ìacefeere : efse tamen ita
a Majoribns injìitur rum, Ht ubi de facrofanbia agatnr Religiotte Romanee
Ecclejùe /aiuti y Cr bonari mtllo modo dejint, rum omnipottnti DeOy porìus quam
tdli mortaliwn fit partndum, Jraqtte Romanum Pontificem non daferturos» Ma farh
meglio feguitar il fatto con quel che regi&ra, e diceda fe per meraviglia
il Cardinal Baroinio. Sub amo 7 ad. num. 37. tom, p. fol, 18. perrmti
Venetiarum Esttreitus jujjioni Impcratorit re Jiituerunt \ Ijla ingenti
prsjìantique animo Veneti Tkef terra y marique protrimi ejsenf Imperatori, a
quo deieri timere ponti ffettt, fi adbuc viribus y adeò fortes prò Ponti/ce
certamen èrme adveìfia ipfum atiquo modo prafumerenty fed ubi de Religione
feient effe certamen y eun 3 a ei pojì babenda nterith cen/uerunt. Indi ne
ebbero tal gloria che contrariando^ airimpieib deU’Imperadere, ne riportarono
trionfo, ch*ad onta fua hanno fabbricata la Chiefa di San Marco carica di Santi
Immagini didentro, e di fuori ùi (cultura di Marmo, d’oro, e d’ Argento, di
Bronzo, di Molaico, nel letto, nelle Pareti, nelle Colonne (ino nel Pavimento,
ma pròpor7Ìonatamefite collocandone. £d ivi contro la Pazza erefta
deH'lmperador Iconomaco, che alTeriva ciò effèr Idolatria, fcrifle in Molaici
verfo la Canonica. Nam Deus efi quod Imago docety non Deus ipfaHanc videaSy fed
mente calasyquod cernii in ipfa. Chi è quello dunque, che avvuta un
ardentilTtroa, e mortale febbre, fie tic rìlànato per opera d’un fuo valorolo
Medico amorevole, cd affezionato, che trovandofi con gli flefli fegni, e
parofilmi, non torni allo deflb Medico come certo di liberarfi. Però la Chiefa
cd il Papa liberato dalla pcrlecntion d'un empio Imperadore per opera
deVeneziani; chi dir^, che tornatagli li lleflì travagli non Ha ricorfo alli
HelTi, 0 incognito per llar Ccuro; o feoperto per efler difefo? Certo il
vcrillìmilc, c la prelunzione è per raffermativa ; perche dalle cofe pallate,
ft conofeono le prefenti, C. mandata C.Scriban, de prO' fumpt, Menocb. eod.
lib, i. prafump. 24. ir». 8. La Storta dt Papa Gregorio certamente vera lo
fcrive il Bibliotecario allegato, e feguito dal Cardinal Baronio è regillrata
nel Pontibcal Tom. i.conf. 410. è Icritta parimenti da Paolo Diacono nella
Storia de’ Longobardi nel Libro 6. Cap. 4p. Se quella di Papa AIclTandro non
foffe fiata vera, nè la Sede Apollolica 1 avrebbe fatta dipingere, nè i Veneziani
lafciando quella ^ Gregorio vera, e^ tanta gloria; Ufquequb gravi cordcy ut
quid iiligitis vanitatemy et quaritis mendaciumì Pfalm. 4. perchè giufla il
proverbio, ]!le matici in favor di Papa Onorio, dice, cbe acquiilarono dal Papa
titolo di Repubblica. CrilHaninima, e di Dominio ampio per Terra, e per Mare,
perchè Nallum kommt mtpouneratum Tom, 5. fub tmM 6^0, n, 17. fol. 6i%, to, p.
fub an. yi6, ». 37. fui. 58, quedo fi vede conlcguito fobico dopo la vittoria
conF^erigo, e meìlb in fedia Papa Ai^lTandro, perchè oiiracolofamente la
Repubblica collegata co’Francefi, fece l'acquida dell'Imperio d’Oriente, che di
fopra al numer. 78. abbiamo narrato, e poi fempre piò crebbe. i Il trionfo, e
fine quando il Papa milè il piè fui collo di Federi' go, e figillò la pace, fu
adì 24. Luglio la ;VigiLia di San Jacopo come dicemmo del 1177. dall’ ora in
poi il Signor Iddio G è compiaciuto di donare diverfe grazie, ed allegrezze
immenfe alla Repubblica fino ad oggi giorno nel detto Mefe, che ben d^ fegno in
rìcompenia di quanto merito 6a. Per avanti il Mefe di Luglio era infaudo a’
Romani, ed aH’Italia per li sfortunati avvenimenti, cbe loro intervenivano, e
par che ave^e principio da peccato di Religione; per lo che alcuni Politici, e
Qiure^Ionfulti, pcrGufi della Dottrina di Platone ofTervato che certi cafi G
trovavano iterati quafi all'idefib tempo, differo, che era un Orcuito di
proportion armonica cbe girava, e giunto alle corde dello deflb numero iterade
lo deffo tener di cole, come nel Corpo umano, quando è infermo per lo perìodo
degli umori fi fanno le crifi nelli giorni decretor), e l’altre alterazioni
negli anni climaterici, allegar, per Valentin. Forjlerum de hifi, /ut, civiUs,
ì. i. in prin^ cip, frati, tom. 1 fol. 25. AUi II. di Luglio i Romani ebbero due
rotte d’Eferciti in diverfi tempi cioè f Alienfcy c la Gremercnfey però quel di
fu chiamato ni j^uJÌOy ni infauflo Corm Tacir. tib, 18. Tir, Uvitn dee. r. Uh,
6, Macrob. Satttrnal. l, I. c, 16. alti II. Nacque Giulio Cefare che diè nome
al Mefe prodigiofamente ufeito a guifà diferpe, tagliato il ventre della Madre,
e ne fegui con tanta uccifione ledinzion della liberti della Patria, della qual
ben dide il Voicì. ^ Socerque y Gener, que perdidijii omnia. Succederò poi a
dominarla i Tiberjy i Cajy i Nereaiy e tanti altri ferpi. AUi ip» cominciò
Tincendio in Roma, comandato come alcuni vogliono da Nerone che tutta Tarfe.’
nel qual giorno per avanti da Calli Senoni fu prefa, et abbruciata. Tacitò Tib.
15, AUi X. Tito, non valfe ad impedire che a fuo difpetto i fuoi Soldati non
abbruciadero il Tempio di GeruQUcoime, abbruciato la prìma volta da
Nabucodonofor nelb dedb giorno, che fu il decimo del Mele quinto, che appredb i
Latini è il LugUo, però detto tilcy ma comandofi perKaIende,che retrocedendo,
principiano a'feoici, fi chiama Agodo, il qual giorno per^edi incend) Giufeppo
chiama Tomo il. Ss 2 fa 3^4 ALLEGAZIONE &ulc, e cadetcbbc a'i5> Coà lì
Calva quel che dice San Girolamo Copra Zaccheria S. Tt/mfumpùvi i» r. jciimmm
àifi. Jcfcpbo Je itilo Juào'uo Hi. 7> e. e dove in. tal giorno per meilizia
era inftiruto U diurno. In contrario qu^ lì celebta la feda di San JacopO in
Rialto, quella Chiefa la qual la Cùtìi volle che foflc prima Pietra, e
fondameto della dia foodazionequando ottenne grazia Cubito Catto voto, che li
eflingueflè rincendio appiccato, che di giìi abbruciate 14, Cale era per
abbruciaala tutta; così avendo colle Cue Celici armi ottenuto che d edinguelCe
l' incendio di tanta guerra con Federigo che affligeva la Chiefa, e cenCumava
tutta l’Italia. Quel MeCe dall’ora in quh Dio condituì che folTe tempo di dar
la paga a' tuoi Soldati benemeriti, perchi in elfo Ce che la RepubUica
conùnciaOc a far il predetto aoquido, prima col romper l’armata dell’
fmptsadore nello AelTo Areno di Collaniinopoli, e dopo affediata, e prcià la
Citth, fugato il Tiranno AlelTio, col rimetter in ie^ liàccio, ed AleOio, fuo
h^Iiuolo, i quali Cubito uccili da Marcilo occupò, la feconda volta V Imperio,
dico la Città, e l' Impcrio ; non ancora partito 1’ Efercito nè 1’ armata dalle
mura, uccifo Marcirò, a lui rimafe la Grecia; del qual primo acquiflo, fcrive
Niceta. Aniwlium Lii. 3. Col. i a. fri, 177. ABom toc tfi Menfe JuHo onno lyii.
che rifponde all’anno del Signore izol. cioè anni 24. dopo la detta imprela;
l’anno feguente fu poi il total acquiAo : la qual’imprefa ora^i man di Jacopo
Palma rendè fplendida la fua arte colla Pittura nella Sàia del maggior
Configlio a dirimpetto deH'imprefa fatta per Papa Alefiandro, quafi due partite
de’ libri de Conti aU’incontro di dare, e d’avere. Dalla Morte di CriAo lino
aU’imprefa, e diAruzione di Gerufalemme, che fcgu'i per vendetta, pallarono
anni quaranta, e qui 24. Coli, volendo il Signor eAer affai piò preAo alla
rimunerazione, eh’ alla pena, dove Eufebio In Cronico confiderando il tempo
della PaCqua, nel quale per quella imprefa fei cento mila Ebrei furono uocifi,
ne cava argomento che ciò Iblfe per divina vendetta dal fegno del tempo, come
intendiamo ora di far ancora noi, e dice, Oportliif onim iifilcm ditha Pojcbtt
coi mterfei in quihn Solvotorem crutifxcnmt. Però nel Mefedi Luglio la Città
feAeggia per diverfi altri feliciffiini avvenimenti, come per avanti forfè per
altre fimili caufe leinteivenivano il dì di San Pietro. Nel primo celebra la
feAa di San Marziale per tre Vittorie da lei in diverfi tempi in detto giorno
ottenute; Al che fi aggiunge che nello Aeffo giorno il Doge Andrea Contarini fi
refe a Chiozza trionfiinte per la vittoria contra Genovefi narrata di fopra al
num. 15. Contra gli Aefli alli 22. fi conclufe la Capitolazione, e pace con
tanto onore, ed acquiAo della Repubblica, che ancor fi celebra per memoria di
allegrezza pubblica la fella di Santa Maria Maddalena. Alli 6. fucceffe il
fatto d'arme al Taro, nel quale il Rèdi Francia ricevè così buon accordo, che
fuggito per voto, come riferifee il Guicciardini Hi. z. cor. jg. e sbigottito
da queir angofeia, gli feappò la voglia di fapct dove piò fbAe l'Italia,
intento all'ora folamente al Digitized by Google DEL FRANGIPANE. 32^ ai pafTàr
avanti nonvolendo^mtender più pratica alcuna, con celeritk fegultanda il Tuo
cammino, levandofi aguifa di vinto fcnzafaonar la Tromba* Gmcciard. lib, 3.
car^ 5p. e 6 p. ed ivi queirifteflb giorno cominciò a ceder forzatamente i
luoghi che teneva confederati della Repubblica richiel^ill dalli Provediiori
Veneti nella rifpofU data al fuo Araldo quando richiefe U paiTo, Bentbus Hb. 2.
cor. 44. j 4 lexanà, in diario ejuuUm belli y Jov/uilib» 2. car. 8^ per chè
all’ ora angoTciato a difender la propria perfona più colla ferocia del fuo
Cavallo, e colle orazioni,che da* fuoi eHèndo. anche eflì occupati nel difender
la Tua,, cosi che io avevano abbandonato, non potè mandar come doveva la gente
fui Genovefe,. però ufcita Tarmata di Genova,, prefo fenza difllcoltk il Borgo
di Rapallo col prefidio de* Francelì che lo teneva, e prefa l'Armata loro che
ritirata in quel Golfo di li a poco il Rè Ferdinando ricuperò il Regno di
Napoli, ed il Duca di Milano Novara : pel qual fine la Repubblica s’armò e
combattè, ed avendolo ottenuto da Dio, ne vicn aver avuta la vittoria all’ora
felice per T Italia, colla ricuperazione della ricca, e gro 0 a preda, che
dalla mifera Italia, fpoglìata in Francia gloriofi riportavano. Allt 17. che fi
fece appunto U primo acquilo di CofianttnopoU y come di fopra al num. I20. fi fcfieggia
la memoria di Sanu Marina, perchè in quel giorno fcrive il Bembo, fi fece
Tacquifio diPadova due volte, ma la feconda Dio fece, che ficcome era d^ di
Santa Marina foflc luce di Stella Marina per ralTèrenar le tenebre della
Repubblica, in mezzo della fiera tempefia della Lega di Cambra;, fopra che dice
la Parte prefa nel Sereninimo Senato per folennizzare detta Fella 1712. Die XXK
Junij fide prhtcipiam Uberationis a eonventu maiignanìium y CT a fmcibus
inimìcontm nojlrcrmn y Civi^ fas Padiue non bumana opv, aut ConJUtOy fed^
Divino auxilio fiiir cuperatay t per dame qualche argomento, e fcgnodicc, In
cuyasetimt T'empio tppcnfn ClavesÒ" Sigillo Civitatit fitb feptdcro
Serenifs. Dtteis D.Miibaei ’hSfeno in monwmntum prim^ %pfiu% acquifmonis, Quello
giorno fu principio tale, che da indila Repubblica ricuperò tutto il fuo Stato,
cho aveva perduto, c ciò con tanta gloria., che il Guicciardini dice /i^.4r.
327. Con ejini Icp^ieriy e poco dwrabili fi terminarono i movirnertm ti dell
armi fen- 3 ^ utilità y ma non ferrea ignominia del nome di Cefore, e con
accrtfeimento della riputatone de' yenezi^*** 9 ^be a ff aitati dagli Eferciti
di CefarCy e del Rè di Francia mantenejjero alla fine le medefimt forze, ed il
medefimo Dominio, Indi alTottava, che è la Vigilia di San Jacopo. Renzg da Ceri
ufcico da Crema prefe Cafiiglione, e menò prigione Ì 1 Capitano, che Io teneva,
e iubito prete Lodiy c confegnollo a’ Collegati. Aleman. Tinus in Hifi,
Erement, lib, 8. AlU 2p. di Luglio del 1523. fu fatta la Capitolazione della
pace, colla confermazione di quanto pofledeva la Repubblica in Terra ferma • La
Signoria vifìta folennemente la Chiefa del Redentore la ter2a Domenica di
Luglio, nella qual fu liberau la Citta da una gran pelle. Cof^ il Mefe,
temperai per avanci degli Infortunj, è divenuto (Ragion Digilized by Google 3zo
Raven. fih. 8. Bard^ cor. 24. FiJi(q>o Memo Dottor andò ad accompagnar
Ottone, che fu prefo all’ Imperator Tuo Padre, Crontcs Samtìa M. S, fai. 84. ed
ambi ebbero in tal fatto merito, uno per la Vittoria, l’altro per la con»
clufion della pace col ridur T Impecadore a* piedi del Pontefice nel
jnunesazione io quel giorno, e celcbrandofi 1* annuale dell’Afcenfione ravvivar
la gloria della Repubblica con ravvivar la memo^ ria del trionfo, confeguito contra
i Perfecutori di Sama Chiefa, c fpiegaic elempio a’prcfentt) ebe abbino a
perfeverare, e non effere, degeneri a* luoi Progenitori, dovendo per le proprie
confeguirne premio Gngolare in perpetuo, e trafmettere il merito anche a’
pofleri, per lo che ogn’uno dee defiderare, e pregare con devoto Inno di
Policromo, che il Signor Iddio faccia perpetua quella bnta, gloriola, ed a lui
gradita REPUBBLICA, che fia cuBodita flagl’ Angioli^ Grazia-. DOMINIO DEL MAR
ADRIATICO DELLA SERENISSIMA REPUBBLICA DI VENEZIA SERENISSIMO PRINCIPE. t L
Dommio della Serenedima Repubblica fopra il Mar Adriatico i cos» celebre, e
famofo, che forfè non fi troverà akan’ altro, del quale dopo la declinazione
dell’Imperio Romana più Storici, eGiureconfulii abbiano fatta menzione, ed
approvato di comune confcntimento per le. gicimo, e giuflii&mo; nel che
elTendo tutti con ^ cordi,fifone però trovati differenti neiraflegnar vi
l'origine, e varj'nell’allegar il tellimonio, fondandolo, chi lopra privilegio
conceffo dal Papa, chi fopra privilegio, e conceflione dellimpcradore, ed
alcuni fopra la prucrizione, altri ancora fopra antica confuetudine.
L’opinione, e ragioni de’ quali avendo io confrontato con le Puh. blice
Scritture, che per comandamento di 'Voftra Serenità mi fono Ihte mollrate per dover
metter infieme un'iniera relazione, ed informazione delle ragioni di quella
antichiffima, e nobililfima giurifdizione, confiderato il tutto accuratamente,
ho creduto che quella materia poffa effer ben dducidata, ponendola in cinque
confidcrazioni. La prima tratterà il vero tellimonio, e poffeflione, de’quali
quello Dominio colla, mollrandolo non acquillato, ma anche infieme con la
Repubblica confervato, ed aumentato con la virtù dell’ armi, e fiabiìito con la
conluetudine eh’ eccede ogni memoria. La feconda larà in mollrare non effer
vero, ni utile il dire, che la fercniffima Repubblica abbia il Dominio del Marc
per privilegio del Papa, o dell’ Impcradore, ni meno per preferizione. La terza
confiderazione farà vedere fe il Dominio del Mare comprenda i Seni, Porti, et
altri ridotti, ed inclufi i Lidi ancora, e le quella giurifdizione s'^llenda a
llatuire, ed imponer Leggi a’ Naviganti, facendo quell'otbuùzioni, che ricerca
la pubblica utilità, ed a pe Digilized b, - ìoogle 3z8 DOMNIO del a punire i
delitti commeflì in Mare ^ e ^ imporre gravezze a quelli, che fi vaglino dell’
ufo di elfo.. quarta far^ in efplicare, e rifolverc ropinioni d’ alcuni che
vengono fatte in contrario. ^ Nella quinta metterò infleme le ragioni
particolari, c proprie della Sava di Goro^ ed in quelle ^coofid^zioni non mi
vaierò fe non di cofe » chq fi poffono moftrare per le Scritture pubbliche, ed
"autentiche di Voffra Sereniti, ovvero per tefiimonj, ma degli Storici, c
Giurcconfulti approvati^ Il vero Tefiimonio, pel quale la Serenifiima
Repubblica ha il Dominio del Mare è quell’ ifieflO) pel quale ella ha la fua
liberti, fi che al piiqcipio del fuo nafeimento per una IWfia caufa ella nacque
libera^ ed ebbe rimpcrio maritimo, e quella caufa fu reffer edificata, e
cofirutt^ in Mare, il quale all’ora non era fono il Dominio d’aìcuno. E’
termine indubitato appreffo i Giurcconfulti effcrc de ]ttre Gett^ ri»m, che
ognìCiti^fia libera s’ è fondau nel fuo, ficcome le Cincin luogo dominato fono
dal fuo nascimento Soggette al Dominante; quelle, che naicendo in Terra non
foggetea ad altri, nafeono libere per quella ragione, che fono libere per la
Slcflà fono Padrone della Terra dove hanno il loro principio. Co$‘( quella
inclita Citt b nata nel Mare, del quale non eia alcun Padrone, è nata libera, e
per rifielTa r:tgione Padrona dell’acqua dove ebbe il fuo principio; per Io che
tanto è il ricercare rimpcrio Maritimo di Venezia, quanto ricercare roriginc
della liberti fua, ovvero la fua fondazione. A quello non olla, che ne* tempi
precedenti la Repubblica Ro^ roana abbia fignoreggiato rillefib Mare;
ùpperocchè non fi ricerca per l’edificazione ad una libera Cittì, che il luogo
mai in alcun tempo fia ftato dominato da altri, elTendo che per ifiabiliiì
dello cofe mondane, non v’è ragione,che non fia fiata loggetta ad innumerabiii
mutazioni, ma bens'i ricerca, che nel tempo deiredilicazione il luogo non fblTc
fo^getto ad alcuno. L’Imperio di tutto rAdriaiico per molti fecoli innanzi il
nafeiinento di Venezia, fu deirimperio Romano, ma nè Dominj de'Popoli avviene
quello ftcITo che net Privati; cioè che cìafcheduno per tanto tempo è Padrone
della fiia cifa per quanto la tiene in proprietì Sua, nel qual tempo non gli
può eflcre legata lenza ing^llizia; ma s* egli l’abbandona, o non ne tiene il
polTeflb, o irait ne può piò tener conto, quella difoccupata può elTere
privilegiata per propria dì qual fi voglia, che primo le mettcrii la mano
fopra. Così le Cittì, che foggette ad un Principe, non poflbno eflérgii levate
fenza IngiulHzia, ma s’egli abbandonerà la loro cuftodia, c non la govcrnerì, o
perchè non voglia, o perche le forze glie fieno tanto mancate, che non poffa,
faranno di quello, che prima ne piglierà il governo, c protezione ; c per legge
divina, ed umana dovranno fiare fotto di quello, mentre egli cominueA a
reggerle. Anzi il Dominio così acquifiato anderì prendendo fcropre maggiori
radici, e confermandofi per quanto nuggior tempo durerà, in mo do Digitized by
Coogic MAR ADRIATICO, szg do che avendo continualo in cosi lungo Tpazio d’anni,
che non vi fu memoria d'uomini in contrario, fata perfcMamente llabilito,e&
poirh dire acquillaio per confuetudine. Certa cola i, ehe innanzi l'anno 400.
dalla Nafcita di nodro gnore, gl'imperatori pollédevano Tacque del Mar
Adriatico, partW colarmente le Lagune dove quella inclita Citth i fondata, ma
ef. fendo dedicata la forza dell'Imperio in Occidente per Toccupazione di gran
pane dell'Iialia da' Barbari, quelle acque furono dagl’Imperadori abbauJcnate;
onde redando fenza Dominante, per legge Divina, ed umana, poterono i Popoli,
che fi ritirarono per l’inonda. alone de’ Barbari, indituire in qued'acque una
Repubblica libera, e per virtù della fila Nativith Padrona del luogo,
abbandonato da chi prima lo dominava era all' ora fenza Padrone, e difoccupato.
Ma mentre dico, che il Dominio del Mare fia naturale a quella Repubblica, e
nato infieme con lei, non voglio intendere, che tutto in un tempo abbia
ac^nidata la padronanza di tutto TAdrfatico, perchè le forzo nel principio non
erano tante di poterlo cudodire, e guardare tutto; ma nel fuo principio ebbe
Dominio di quel tanto, che con la virtù delle lue forze poteva cudodire, e
proteggere, che fu il tratto contenuto trk Ravenna, ed Acquileja; redando il
rimanente fenza Padrone come abbandonato dalTImperadore, e non dominato da’
Barbari, che s'impadronirono d’Italia lenza forze maritime, fintato che
Giudiniano mandò per la ricuperazione d’Italia Efercito terredre, ed Armata di
Marc, e fcacciati i Barbari, ripigliò il Dominio, e cadodia dell'Adriatico,*
nel che avendo avuti favorevoli i Popoli di Venezia, non toccò, ma lalciò nella
fua liberti la parte, che è da Ravenna in qiù, come polTeduta legitimamcme
dalla Screnilfima Repubblica, contentandoli di quell'altea parte ch’ò oltre
Ravenna : ficchi ilSerenifilmo Dominio della Repubblica in Mare fn di quella
fola parte di edb, che è prollima a queda inclita Citch. Ma in progreflo di
tempo fatti gTImperalori un’altea volta debo'lì, ceflaronu di mandare Arma» in
Ravenna, ed abbandonala quella parte, che è dal fiume di Tronto in quh fi
ritirarono nella Puglia, il che mife in ncceflìtii queda Repubblica, la quale
era crefciuia anche di forze a pigliar cudodia piò ampia del Mare, e tenerlo
netto da'Cotlari per mantener Scura la navigazione, incominciando dalla Riviera
della Marca Anconitana, e dal Quarner fino a Venezia: il che lecoftava ogn’anno
moltoifangue dc'fuoi Cittadini, e molto tefoio. Seguile le cole per alcun tempo
in queda maniera, fu moda guerra da’.Normani aU'imperadorCodaatinopolicano
nella Puglia, il quale non elTcndo badante a difenderfi per fe IlelTo in quella
regione ricercò Tajuto della Serenifiiina Repubblica, il che fu uccafioneche
ella palTafle con le file armi anche nella Riviera di Puglia. Molte fazioni
Icguirono, nelle quali avendo AleOio Comneno Imperadoco fodenuta la gueira piò
con Tajuto Veneto, che con le forze proprio per tré anni in circa, il quarto
abbandonò Timprela, ne mai piò mandò Tarmata neU'Adtiatico - per lo che redò la
Puglia occupata da' Normani, i quali elTcndo fcaz'arme maritime, il Golfo da quella
parte fino a capo d'Octanto, abbandonato deUTmperadore, non poteva elTer,
protetto, e cudodito, falvo che dalla ScreoiOima Tomo IL T t Repubblica.; oiide
per neceflitìt di. render Scura la navigazione aTuoi Sudditi^ eOi. che gib.
aveva con la forza acquiftato, quel Mare, con• tìnuò. a cudodirlo, e difenderlo
da’ Corfari, e da altri turbatori, e oc acquiSb. il Dominio come di cofa
abbandonata, e non poCTeduta da alcuno. Per lo. che ficcome s'i detto, ch'il
Dominio del Mare d: naturale alla Repubblica, principiato inficmc con lei nelle
parti proflimeaquell’inclitaCittk,cosV anche infìeme fi dee dire,
chefiaamplificato fuqceflivamente neiraltre parti di elfo Mare, che fono ab-
bandonate da quelli, che le pofledevano. prima, e prefe in protezione, c cuSodia
dalla Repubblica fin tanto ch’ella s’è fatta Padrona. di tutto il Golfo, e
perchè cib eccede fei centinaja d’anni, fupera, e di giìi, molta ha fuperato
ogni memoria, ficchc è confermato con la confuetudine immemorabile. Di tal
confuetudine convien fare ogni capitale, perchd la legge la ptefuppone tempre
buona, ragionevole, e lodevole, e che fia intervenuto tutto, quello, ch’era
neecITario a làr cofa legitima, che fia equivalemeadogni contratto, e
convenzione. Per dottrina de’Giurtconlulti a (labilir una giurifdizione per
conluctudine irrevocabile fi ricercano, che fieno fiati fatti atti
giurildizionali continuamente da tempo. che non vi fia memoria in contrario, e
che altri non abbiano elercitato. atto alcuno, fe non con licenza del
Polfellbre : c che da. quello, fe alcuno, ha tentato, di farlo, gli fia fiato
proibito, tutto ciò non occultamente, ma con faputa, e tolleranza di quelli,
che avrebbero potuto pretendere altramente, le quali cole tutte fono
intervenute nella continuata; polTel&one di quello Mare, Da tempo che non
vi ò memoria in contrario è fiato eletto continuamente un Capitano di Golfo,
fono fiate tenute Galee, ed altri Legni armati per cafiodia ordinaria,
continuamente è fiato proibito efiicacemente, o con tutta tratuzione, o con
forze a qualunque altroPotentato il tenervi Legni armati; ed i Pontefici,
Imp'cradori, ed altri Principi hanno aflcnciio a quella giurifdizione, o col
confeffarla in parole, ovvero per effetti, ricorrendo, implorando l’a)uto,e
quando hanno voluto trafportar|Vettovaglie, od altre cofe pel Mare ricercando
licenza, ricevendo le Patenti della conceflione ; e alle volte anche fono le
licenze fiate negate, ovvero concedute limitatamen* te, e non quanto la loro
dimanda richiedeva. A’ Naviganti fono fempre fiate date le Leggi fopra la
navigazione, coti quanoo al luogo, dove dovevano far la Icala, come alla
qualità delle merci; Li Conaabbandi fono fiati confilcati, e fono fiate impofte
dazioni de’ Dazj, azioni tutte di giurifdizioni, e fupreme Dominio. Non v’ò
memoria quando avelTe principio l’elezione d’un Capita, no di Golfo, ma ben nel
ijp;. fi vede una lettera dell’Eccellentifiimo Senato ferina al Capitano dì
quel tempo con precetto, che feorefle la Riviera della Marca Anconitana, e la
Puglia fino b Capo d’ Otranto, e dal tcnor di quella lettera appare che il
carico di Capitano non comincialTc all’ora. E' notoria la cufiodia tenuta
continuamente con Galee, e Vafcelli armati per difenderlo da’ Corfari, e Ladri
maritimi, «dopporfi a quelli, che voleficro impadronirfene;efisbinficme quante
civefeovo di Magonza Vicario imperiale in Italia con la Sercnil&ma
Repubblica nel 1174. che Ancona fodeadaltata con l’Armi Imperiali per Terra, e
con quelle della Repubblica per Mare, ficcome fu anche pugnau, ed elpugnati.
Fu-.ancora un’cfprcflb confenfo del Papa, e dell'Imperadore Federigo infieme
l’anno 1177. imperocché avendo il Pontefice Alcflàndro Terzo implorate le pie
Armi della Repubblica per difefa Tua, t della Sede Appodolica dalllmperadorc
Combattuta, ed avendo Tlmpcradore dopo la rotta della Tua Armata acconfentito
di venir a Venezia, Tuno, e l’altro confeflarooo in quede lue azioni legicimo
il di lei Dominio Maritimo; e fé bene alcuni pochi Storici non fanno menzione
di battaglia, e vittoria marìtl ma, attedano non di meno che il Principe Ziani
incontrò prima il Papa, e poi Tlroperadore con potentidlma Armata, con TideHa
li condude nella Marca Anconita. na, ed. aggiungono, che fu eletta la Citù di
Venezia da ambe le parti, come quella che non foggetti ad alcuno aveva forze
d’impedire, che dall’uno non foffe fatta violenza all’altro di quei Principi
Valendofidel Dominio maritimo della Repubblica, come loconfeifarono. A qufda
s’aggiunge, che il medefimo Federigo Imperadore quando' i’anno xi88. fi mife in
viaggio per Terra £inta, Icrìvendo una lettera comminatoria al Palatino, e
magificando le forze del Cridia. nefimo, oberano in fuo ajuto, mife frh le
principali aver in lega, e compagnia la Repubblica di Venezia, encrau a fua
difefa ad indanza,, e preghiere del Pontefice Romano, lafciato ben gorvenato, e
cudodito il Mare.* il che tutto modra non folo ralTenfo di elfi Pontefici, ma
anche quanto fofle loro grato per fervizio pubblico della Cridianith, che la
Repubblica av^e forze non foto da protegere il Mare Adriatico, ma da mandare
anche in Paefe lontano. Celebri furono ira le altre le fpedizioni £ute ad
indanza d'Urba. no Secondo, e nei 1111. a preghiere diCalido Secondo; ma
foprartutto è notabile la fpedizionc fatta h Coftantinopoli l’anno 1202. con il
potente Arnuu, che inlìene con la Nobiltà Fraticefe, che vi era lopra fu
fufficiente di reftituire in Coftantinopoli l'Impeiadore I fcacciato il
Tiranno, e dopo la morte di elfo Imperadore acquilare il Dominio della Citth, e
delflmperio, lafciando peri tanta Armata in Golfo, che fu fufficiente a
guardarlo, ed a ricuperar Zara, che all’ora fi ribellò fenza muover le forze
ch’erano in Coliantinopoli. Forfè la più notabil memoria ò, che nel ia7}.
avendo congiurata quali tutta la Riviera della Romagna, e Marca Anconitana per
ufurparC il Dominio di quei Mari, turbando la poireffione della Serenilfima
Repubblica, fu nundata potentiifima Armau per reprimerli; e dopo alcune
Batuglie, fu fatu pace con quei di Romagna, de’ quali erano Capi i Bolognefi 4
convenuto, che la SerenilEma Repubblica continuaflè nella poflefCone fua
dicufiodire, e dominar quel Mare; Per lo che quelli della Marca, refiati foli,
non potendo far rcfiflenza, fecero ricorfo al Pontefice Romano Gregorio Decimo,
il quale tentò di far comandamento al Duce di quel tempo di defifiere, al che avendo
egli rifpofio, che il Dominio del Mare era della Repubblica, e che voleva in
ogni modo difenderlo, e proibire a tutti il tener Legni, e Galee armate, e
trattar da nemici quelli, che avelfero pretefo di tenerli, il negozio fu
poitato dallo flelTo Pontefice nel Concilio Generale di Lione, dove fu commeflà
la caufa degli Anconitani all’Abate Naverfa, il quale udite le loro ragioni
folamcme perchè la Serenillìnia Repubblica non confenfi di mettere in litigio
quello, che da tanto tempo poffedeva, conobbe il Giudice, che gli Anconitani
non avevano fondamento alcuno; onde furono coftretti d’ acquietarli, e cedere.
Fece parimente guerra la Serenilfima Repubblica col Rè d’Ungheria, tth le altre
caule, anche pel Dominio del Mare dirimpetto alla Dalmazia, ed in fine fi fece
la pace in Tarino nel ijSt. dove fu convenuto, che la giurifdizione di quell'
acque rellalfe alla Repubblica. Di quella ulnma guerra, e pace fono le
Scritture pubbliche in Segreteria; le altre cote narrate di fopra fono tratte
dagli Storici, eDendo cofe fuccelfé innanzi l’anno izji. quando furono
abbruciate tutte le Scritture pubbliche. ‘ Più efficace prova ancora fi cava
da’ricorfi fatti -da diverfe Citth, e Principi polli fopra il Mare Adriatico, i
quali avendo ricevute irt‘ giurie nel Mare da’Corlàri, ovvero altri Ladri
maritimi, fono ricorfi a quella Principe, dimandando ragione, e giulliziz. Per
le Scritture pubbliche appare, che nel 1377. gli Anconitani prefero ardire di
far diverfe novitb in Mare contro i Mercanti di Fermo, eÌAfcoli. (^elli di
Fermo fecero ricorfo a Venezia, e dal Principe fu mandato in Ancona a
ricercarli della Conveniente emen. da, ed a dolerli delle novit b da loro fatte
in Mare, la cui guardia era acquifiata con tanto fangue: al che avendo elfi
finillramente rifpollo, e non celfando di velare il Mare, fu perciò mandata una
potente Armata per reprimérli; nel che volendo interponerfi il Pontefice Papa
Gregorio Undccimo, al qual-efiètto mandò un’Amhafeiadore a Venezia, gli ih
rifpoflo eoo aperte parole, non elTervi altra maniera d’accomodamento, fe non
celfimdo gli Anconitani di molcllare i Naviganti, perchè la cullodia del Mare
en llau dalla Repubblica icquillata con fuodori, e fangue da tanto tempo, cht
non vi è memoria in contrario, come i ben noto; e perciò facevano intendere a
Sua Santità, e cosi erano per dire a tutto il Mondo, che volevano foli
culfodire il Mare, e proibir^ ad ogn'uno l’offendere in elfo chi fi fia. Furono
coftretii in fine gli Anconitani a deri(lere,ed a ftxldisfare ancora a danni
dati nel Mare a quelli di Fermo, e di Afcoli, Ebbero ancora ricorfo quelli di
Spoleti airEccellentiflime Senato nel iì 9 ì- per elTcre ftau prefa una loro
Barca fopra la Spiaggia di Rccanaii, onde fu comincio al Proveditore d'andare
in Ancona, o sforzare gli Anconitani alla rcllituzione come di cofa prefa
indebitamente nel Golfo di giurifdizione della Repubblica ac^uiftau eoa indori,
fangue, e fpefa. £ nel 1408. corteggiando intorno alla punta d'Italia alcuni
GenovcC con una Nave, una Caravella, ad una FuRa facendo danni particolarmente
a Sudditi dal Principe di Taranto, egli fcrifle una lettera al Duce, avvilando
i danni ricevuti, c ft^iuitgendo, che la forze fue farebbero Baie baflanti per
rifarcirli de’ danni de'fuoi Sudditi; con tutto ciò aveva voluto prima darne
notizia a Sua Serenitb, fperando, che vi rimedicrli, ficchò non fatò nOceflario
per altra via provedere all' immunità de’fuoi Sudditi. L'illeflb anno eflendo
fuggite due Galee al Rò Ferdinando di Sicilia di quà dal Faro, ed entrante net
Golfo Adriatico, quel Rò non giudicò gli fo 0 c lecito il léguitarle, ma mandò
a pregare il Sereniflimo Dominio, eh’ effendo enitate nel Mar fuo, voìeflie
perfeguà. farle, e prenderle. In quegli (lem tempi del nti, eflendo fatte
diverfe novità, e prede da' Golfari nelle acque della Marca, ficchè anche il
viaggio alla divozione della Madonna di Loreto era impedito, quei della Ri.
vieia mandarono a Cgnilìcarlo al Principe, avvifandioio della violazione della
giurifdizione del fuo Mare, e che le prede fatte in quello erano con danno, e
vergogna fna, pregandolo a prevedere con la fua potenza, e giulliaia, maflitee
per heureeza di quelli, che dovevano andare alla Madonna di Loreto. L'illeflia
illasza fu fatta nel 141(4. dall' Ambafeiadore dello Beflò Ri Feidinando per le
Riviere della Puglia. Nel 1483. eflendo Baie predate da un Corfaro alcune robe
del Ri d'Ungheria, i fnoi Miniflri ebbero ricorfo al Principe Cgoificandoli,
che le offefe erano fatte a lui eflendo occorlé nel fuo Marc, c dimandando
provinone, acciò la Navigazione fofle libera. E quello che i di maggior momento
nel i48d. avendo i Turchi fatta una incurliene ikIU Marca Anconitana, predando
uomini,e robe, Rapa Innoccnzio Ottavo con un fuo Breve, che ancora G ve. da,
ordinò al fuo Nunzio AppoQolioo di fare doglianze con l'EccellentiiGiao Senato,
e GgniGcarli, che all'onor fuo conveniva, che il Mar Adriatico faflc tenuto
libera' da' Coefari, t far anche efficaci inflanze acciò raflrenafl'e l'ardire
di quei l'urchi, che corleggiavano il Mare con vergogna, e fprczzo della
Sereniflima Repubblica, aggiungendo, che cosi facendo farebbero opera gloriofa,
e gratiffima alla Sede AppoRolica. In quelli ultimi tempi attenta nel 1577.
Papa Gregaria DecimoWnio fece pregare rEcc^llentiflimo Senato di liberare il
Golfo dall’ infedazione di una Galea del Marchefe di Vico, dicendo, che alla
SerenilEaia K,cpubb.lica fpettava la coliodia d'elTo Golfo. Non i da
tralalciare una lòtta d'ai^ellazione de'Pontefici Romani, che ii Dominio di
quello. Mare fpetti alla Repubblica, alla quale hanno fatto alcuni d’elTi nel
conceder le Pecime particolarmeule per le fpeGc della guardia del Qolfo^.Viè un
Breve d’Adriano Sello noi un'altro di clemente Settimo nel ijzd. uno di Paolo
Terzo nel ijjS, ed uno di Pio Qaaito nel 1504. che ciò dicono erpreOàniente, e
forfè chi ricercaOc piò minuumente ne’ tempi innanzi, e dopo ne troverebbe
degl’ altri dello flelTo tenore. Similmente manifeliilTimo confenfo
degl’Imperadori fono le Sei Bolle Imperiali d’Enrico Quarto, Lotario Secondo,
Federigo Primo, Enrico Sedo, Ottone Quarto, e Federigo Secondo, refemplare de'
quali ò nella Segreteria, dove ciafeheduno d’efli pattuifee, che i Sudditi
Veneti pol&no liberamante tranfiiare per le Terre, e Fiumi deli' Imperio,
ed i Sudditi Imperiali pel Mare, e Fiumi di Venezia. Non fi dee tralalciare trb
le dichiarazioni Imperiali la pace con Carlo Quinto, ed Ferdinando Secondo nel
i5Zp. nella quale vi ò un Capitola, dovei! contiene, che i Sudditi polTano
negoziare in Terra, ed in Mare, che è ben una chiara canfclTione, che la
Repubblica ha il Dominio del Mare. Ma che quedo Mate fi debba intendere tutto
l’Adriatico, Io moflra un’altro Capitolo dove dice, che la SeTcnilEma
Repubblica continui a poircdere,come in quel tempo podedeva Terre, Fiumi,
Laghi, ed Acque; il che non fi può intendere fe non dell’ acque del Mare,
avendo prima detto Fiumi, Laghi, ed Acque; ma all’ora polTedcva tutto
l’Adriatico, (wrehè ella in qud tempo y’ aveva l’armau dentro: Adunque quei
Principi acconfentirono ìa poiTcuione dell Adriatico. La cerimonia ancora di
fpofiir il Mare, che annualmente fi fa in prefenza degli Ambafeiadori, e
Miniftri del Papa, e dell’ Imperadore, che non è data mai interrotta,è
un’indizio deU’attedazione di quei Principi. Modrano ancora il confenfo di
molti Principi, e Potentati le licenze chiede da loro per tranfirare con
vettovaglie nel Mare. Ve ne fono innumcrabili concedè ai Marchefi di Ferrara,
alla Cittì di Cefena, ai Signori di Ravenna, ai Malateda Signori di Rimini, ai
Rè d’Ungheria, ai Ragufei, ai Rè di Napoli, ed all’ Imperadore deifoj ed al Pontefice
ancora, che farebbe troppo lungo riferirle tutte. Io ne ho da’ Libri pubblici
raccolte trenta nave, e fono certo, che ve ne fono dell' altre. ' Fra quelli
fono notabili per la grandezza de’ Principi, Che le han. no richiede le
concedioni fatte a petizione ;del Pontefice, e de’ fuoi Minidri, come nel ladp.
all’Arcivefcavo di Spalatro Governatore della Marca, e Patriarca Antiocheno
Governatore della Romagna di poter condur grano dalla Marca, e nel 1477. il
Pontefice Sido Quarto per un luo Breve ricercò di poter trasferire grano dalla
Marca in Cefena, e nel 1505. Giulio II. per un fuo Breve chiefe licenza di
portar {rumenta dalla Marca a Roma. Si 33 che nel 1 3pp. efRtndo contratto
matrimonio erb Guglielmo Arciduca d’Auflria, e la Sorella di Ladislao di
Napoli, la quale volendo il Fratteilo, ed il Marito condur per Marc di l^glìa
alla Riviera di Dalmazia con la. Vafeelli, tré Galee, e Navigli, dimandarono
falvocondottp per li legni, c per le |>crfone^ ed il lalvocondotto fu
concelfo a compiacenza di que’ Principi, a tutte le perlone, eccetto quelle,
che fofTero bandU te da Venezia per delitto di Maeflh ofTelà, o per omicidio;
col qual falvo condotto la Spola palsò con tutta la fua Compagnia; pniova
noubiliinma della luperiorith del Mare; poiché i Banditi da Venezia tono
banditi dall’Adriatico, come da Territorio fuo, e non è loro permeflb il
femplice paffaggio, tranficando di Terre aliene in Terra aliena, ed in
compagnia di gran Principi, Aggiungerò con qued’occafìone, non efler leggiera
pniova di giuriidizioac in tutto il Mare il colhime antichidimo di bandir da’
Navigli armati, e dilarmati, che fi vede efegmto caiandy) ne* Navigli d’altri
Principi, come neiroccafioni narrate* ^ f Dell’ aver ftatuite leggi, ed
ordinazioni fopra fa navigatone, e deU’efazione de'Dazj, urh il luogo dì
dilccNTcre à|l particolare nella terza Scrittura, ficcome anche il ledknonio
de’Gìdreconlulti (i riferidi nella feconda, come in luogo proprio. Per
compimento di queùo teda folo raccogliere con bwiÀme parola tutte infìemo le con«
chiiìoni propode,^ o per dir meglio provate Ogni Dominio conda di titolo, e
pofleflb « 11 titolo del Dominio dalla Sereniifima Repubblka fopra il Golfo
contiene quattro condì» zbni edenzialt^ La prima, che non é in modo alcuno
acquidato, ma nato ìnfìeme colla Repubblica, a colla liberti fua in acque
libeiQ, non foggette allora a ;giuriidnions d' alcuno.* la feconda che fi é-
aumentato, c dUaiak» per occafioni fopra le acque/ dappoiché furono abbandonate
da chi le podedeva, e redavano fenza Padrone, che vi avelie giurildizione ; la
terza, eh.' è conlervato colla forza deir armi, con fpargimenta di langue,
profufione di cefori, o. tutto a cagione di rendere più ficura la navigazione;
la quarta^ eh’ è- confermato pec una lunghidlma confuecudine, il principio della
quale fupera ogni memoria Ma oltre quede quattro condizioni intrìnfeche, ed
eifenziali, s‘ agghusgono altre tre, che febbene noa apponano ragione, lervono
a maggior decoro, c manifedazione della veriii, e lono quedeLa prima, raflènlo
di molti Pcincipi coli’ implorar gli ajuti marìtimi, o chieder licenza di)
iralportare robe o con pace, o convenzione; la feconda il tedimonio degli
Storici; la terza 1 ' attedazione, ed approvazione de'Giureconluici, la
poflelTionc continuata attuale, e veduta in tutti i tempi, e fi vode ancora al
prelenre da tutti per quattro .continuati, e non mai intcrxotti cfercizj di
Dominio. Il primo per la continuata elezbne de’ Magidrati, ch’elercUana il
Governo panicolaie pel Capitano di Golfo. Il fecondo per b cuRodia armata continuamente
tenuta, con proi. birc ad ogn'uno if entrarvi armato, j 11 terzo per le leggi
ogni tempo Ratuite fopra la navigazione, ed efeguite con pena centra i
trafgrefsori. Il quarto per refazìoni impoRe, c rifeofle in c^ni tempo; le
quali cofe eflèndo tutte notorie, non può queRo Dominio eÓcr dedotto in
controvetlia, nè dilputato; ma reRa falò il continuar la polléflione
cott’efercizio de'medefimi atti giurisdizionali, opponendo la forza a
tentativi, che foflero fatti in contrario; perchè ficceme le ragioni, ed i
titoli de’ privati fono cadaveri fenz’ anima, quando non fieno vivificati dalla
forza della legge e del giudizio, che danno il vigore; cosi la ragione, ed il
titolo del Principe fono cadaveri, quando non fieno animati dalla forza, ed ufo
di quella, dalla quale ricevono la vita. 1 I Principi tengono vive coll'
efercizio, e coll’efecuzione le proprie ragioni, per uno di queRi tré rifpetii,
o perchè portino dignità, e utile; o; per efler necefiàrie alla converfazione
del Governo. Si vede con quanta accuratezza i Regni di Francia, c di SpagAa.
IbReptano le loro pretenfioni dì precedenza, dove non vi è pun. to d’utilit'a,
fenz’aver rifguardo a' difguRi, che perciò fi danno 1' uno all’altro; ed
agrìmpedìmenti, che portano alle negoziazioni; E queRo folaroentc per
confcrvare l' onorcvolezza. Delle ragioni, che portano utile non occorre parlar
più innanzi, elfendo certo che gli Stati non fi mantengono fenza fpefe, e la
fpefa non fi fa comodamente fe non fi cava l’ utilità : dove la ncceflith
interviene, ella ha ranta forza, che non permetre dubbio, nè lungo configlìo;
ma fpigne immediaramente all’efeCDzione. . . Ma la giurìfdizione di queRa
Repubblica fopra il Mare ha le due prime qualii'a, la dignità; eflendo un
titolo molto fpeziofo, ed onorevaie l’elfcr chiamato Signore di tutto
l'Adriatico. Che fe i Rè dì Portogallo ebbero per titolo d’onorevoiczza il
chianurfi Padroni d’ un Commerzio dclflndie Orientali, che s'intitolavano nelle
loro pubbliche lettere ; molto maggior dignità fi dee fare 1’ elfer detti Si'I gnori
non del Commerzio raaritimo, ma del Mare fldfo., L’ utilità è manifeRa; poiché
oltre il benefizio de’Dazj, riduce il Commerzb in Venezia, accrefee il negozio
della Citti, e. quella fi fa più ricca, ed abbondante; dacché il Principe può
cavare maggior frutto pubblico; ma all'utilità, e dignlth s’aggiugne la
ncccRiih ancora; poiché la vita di quell' inclita Citth Rànci Mare,
efuoCommerzio, con quel fole è ridotta a queRa grandezza ; fe quello è
diminuito, bifogna ancora, che queRa indebolifca, onde per confcrvarla é
neceflario mantenerlo, e s'è diminuito, teRituirlo come prima; e dove fono
congiunte tutte qucRe tré ragioni infieme, non fi può aggiugnere eccitamento
maggiore. £ qucR’é quello, che ho giudicato rapprcfentarc a V. S. per
cfplicazìone del vero titolo, e poflcRione tua fopra il Golfo; il che apparirà
maggiormente neceRàrio, quando nell'altra Scrittura tratterò gl’ inconvenienti,
che feguirebbono, valendofi d'altro titolo. Avendo, efplicato. nella prima
Scrittura,, eh» il titolo di V. S. fopra il Dominio, del Golfo non t in. alcan
Modo, acquiftato, ma nato, colla liberti deiJa Repubblica, aumentato c
confervata colla Tirtbi delibarmi, e fpefe di lefort, e confetvaio. per
immemocabils confuetudin* conleguita neceffiinameme^ che preferizìone, o privilegia
Boa vi abbiano, luogo - ne (irebbe bilogno conftderara gtlncovenienù di quelli
ckoli, quando riifarli non blTe di pregiudizio. Non b Iblo opinione tuia, che
fia cofa pregiudiziale allegar privi, legi in quella matetn, ma alcuni ancora
de’ ane ediGcare un’ediGaio fopra fuolo alieno. AppreGb di ciò è cofa cena, che
ninne può concedere Dominio ad adtri di cofa, che non Ga fua; ed infieme è
ceno, che nè il Papa, nè rimperadore da Carlo Magno in qui, dal quale viene
l’origine di queG’Imperio, nui hanno avuto Dominio, ne cuGodia di quefto Mare;
nè. mai hanno tenuta Amata in cGb ; adunque non ^nno mai poiuth concederlo ad
altri; laonde fe V. S. che tiene quello Dominio da fc GeGà, diceffe d' averlo
avuto dal PontcGce^ o* dall’ Imperadore, G priverebbe di quello, ch’è fuo; e
darebbe loro quello, che non hanno, nè mai hanno avuto. A quello G aggiugne,
che chiunque afferifee di poGédere per privilegio alcuna cola, oltre l'obbligo
di confeflare, che il Concedente fia legitimo Padrone, e fuo Superiore quanto a
quella, è tenuto anche a moftraic la conceflione, fe fu fatta in tempo, del
quale vi Ga memoria; il che non è neceGàrio, fe è da tempo immemorabile; noi
qual cafo bada la fama, ed opinion com^ che il privilegio vi Ga, e hafta
allegarlo; ma oltre di ciò è ohhligato chi l’allega a rifpmdere a quelli, che
voleffero provare che non Ga vero; E gli EccleGaGici fi fono dichiarati di
voler eombattcre la verith della .Srorii |d’ Aieffanòro terzo, quanto fpetta
alla vittoria avuta dal Principe Ziani conera il Gglìoolo dcH’Impetadore; e
potò hanno fatto lérivcre al Bironio un lungo difeortd nel Tomo fecondo in
contrario, dove G sforza con molti arteGz^ e con grande aflètiaaione di
molfrare, che allora il Papa era al di fopra, e che non ebbe infogna d’ajuto nè
v’imervennero le forze della Repubblica ; e naolte cofe dice, abbaffando anche,
e vilipendendo quanto può il Governo, e la potenza della GeGà Repubblica in
quel tempo; il qaal difcorfo, fe ben è impreGb da lui con proicGa di vetith, e
Gncerith,' non afconde però affatto G vero Gne Romano, ch’è di GabUire due
pretenGont lorouna, che il Mare debba effere riconofeiut» da Roma; l'altra,
ch’i per pura, e mera grazia, e non ricompenfa d'ajuti pieGati. Lo icopo di
tolta l'Onta del Baronio non è altro, le non moGrare, che tutti i Principati
hanno dipendenaa dal Papa, ed ora tocca queGo, ora quello. Nell’ XI. Tomo
fcrive centra' U Monarchia di Sicilia, Gccome nel XII. concia la Storia
d’Aleffandro; ed il SereniGimo Rè Cattolico, con tutto che parrebbe, che la fua
potenza lo doveffe nodere illefo da tutte le macchinazioni, che poteffero effer
fatte, con Sciitiute, t libri, nondimeno vi ha fatta riGeffione fopra,, Temo
II. V u a e l’ha ( rii9 Annatx coTi dx non fprczzare, ed i venuti quella Macflì
in riiblpzione,. non folo di proibir quella parte d'opera del detto Caidioale
io tutti t fuoi Stati con pene graviilime a chi la ponalTe, a htenelle appreCTo
di fé- ma ancora con fuo Editto pubblico per tutti i liiaii Stati pronanziò una
fcvcriiriuia Centura cantra il Cardinale, il qual eferepio mollra, che'
quett'altro- tentativo del Baronio circa la Storia d'Aleflàndro Terzo inerita,
che dalla Sereniti Voiln vi fia avuta (opra la debita confìderazione, acciò in
progtelTo di tempo non partorilca qualche Icandalo ; ma perchè quaG tutti i Ciureconlulti
atteilano quello Dominio del Mare, e rattribuifcono a privilegio,, alcuni pochi
dicono del Papa, altri in gran numero dicono dciriinpcradore,èneccirario
fcoprire la cagione del loro errore, per aver che rilpondere a chi rallegaflè.
Quelli, che l'attribuiJcono a privilegio Papale fono i Fautori delle
prccenfioni Romane, che hanno tentato di fottopone con varie invenzioni tutti
gUStati ai Ponieiici piòvecchi, innanzi che le forze maritime della Repubblica
Ci Gendelfero a' luoghi lontani ; >' arredano però per noa aver
vcrifimilitudine; ma Teircr fatta in Venezia con tanta iblennith la pace trli
Papa Alellàndro, e l’Imperador Federigo preda loro probabiliih, come fe folTe
dato per allegrezza del buon lucceflo, come volgarmente li dice per buona mano.
La falli' tb fi convince, elfendo quafi cent'anni innanzi liiccellé tante
fpedizioni in Terra Santa, che fecero fentire a tutto il Mondo le forze, che la
Repubblica contibul, oltre le altre guerre latte in Dalmazia, ed in Puglia; e
dall'altra parte non avendo mai quel Pontefice avito in Mare un Legno armato, e
nella Riviera di Romagna, non avendo come nella Marca fe non qualche ben
generale ricognizione ; onde fecondo quafi, che non aveva niente a che fare in
Ma.re, lo concede a chi prima lo polfedeva. Credo bene, che alcuni abbiano
equivocato, e preio lo Ipofare del Mare in luogo di dominarlo, e cuftodirlo.
Che io fpofare veniffe da Aledandro Terzo,efe tie fa menzione in alcuni libri
antichi, de' quali v'j copia nella Segretaria, perché le Icritture di que'
tempi s'abbruciarono dopo. In quella Copia fi fa menzione, che al ritorno del
Duce, dopo ottenuta la vittoria, il Pontefice le falutò Dominator del Mare ;
per tanto gli concede fpofare il Mare, ficcome il Marito fpofa la Moglie nelle
dita- Non v'é parola alcuna, che concedede Dominio d' autorità,' cofa che non
farebbe data taciuta, come più importante dà chi fece menzione della Cerimonia
; la quale chi conudereiù, avvertendo quanto rEcclefialtico v'iniervenga, e
quanto fia ringoiale e fenza efempio,fi tenderh facile a credete che poteva
eflére inflituità dal Papa. Primieramente il nome di fpofare é quell' idedo,
che fi ufa nel parlare del Sagramertto del Matrimonio ; v' interviene
benedizione; tutte cofe, che niun Principe temporale avrebbe ardito d'indituire
da fe medelimo, ma dime in que'tempi, quando i Principi, e Monarèlti
dipendevano tutti da'femplici cenni del Papa, If quali ben confiderate fervono
a levar l'equivocazione, e modratc, donde ha avuta origine queda falla fama.
Più abbiamo da penlare a que’Giurecoafulti Legidi, i quali fodengono, che
qualunque Fomentato podeda Mare de /aS» l'abbia per concdliane Cefaru ; ma
aocorach! non po!Ta «Ocre itgicimzmenie da alcimo' tenuto fe non per privilegio
deU'Impeiadore, e fono-molu e £unoll, che diTcendcndo. a. tal particolare
ancora dicono, che ^ privil^io. Imperiale la ScceoilTiaria Repubblica tiene il
Mare Ad^ tico, ed ogni altro li»' Dominio,, e la liberti fua medefima; edAt
bcrico da Rofates antico Giurecónfulto attelU d’ aver veduto fteflb il privilegio
Imperiale autentico boUato con bolli d'oro ed i Dottori feguentt, fccoiKlo ch'è
loro coRumedi citarfi Tun l’altro {anno menzione del fuo tcRiraonio occulto, e
lo feguono; anzi il Dottor Marta configlia la Repubblica, à guardarli dal dine
di dominare il Mare per altro titolo, che per privilegio Imperiale, perché ogni
altro farebbe ufurpativo, e tanto peggiore, quanto più antico. Ifoodamenti loto
tono, che il Mare I del Principe, e del Popolo Romano, perchè da niuno può
eiretepoireduto,nè occupato, nè ufurpato; onde fé alcuno lo poDede, conviene,
che ciò abbia avuu origine da conccOione Imperiale, della quale le la memoria
non refla, C deprefuporre, che per l’antichiii fia perduta, perchè altrimente
il principio larebbe viziolà Ma queRi Eccellcntiflimi Dottori foliti a Rudiare
nelle antiche leggi Romane, e quando con veriti -que'Principi fi chiamavano
Padroni del Mare Mediterraneo, e de’Golfi di quello, e fpellb anche IV droni
del Mondo, intendendo però del Mondo praticato da' Romani, hanno penfato, che ficcome
gl’Inaperadori di quelli Secoli fuccedoBO a quelli in nome, cosi fuccedono in
ragione, ed in podeRà, e che tutto fia di queRi quello, che fu di quelli; ed
ancora in que. Ri temj» vi fono de'LegiRi che fcrivon», che 1' Impeiadore è
Padrone di Francia, e di Spagna de jm fe bene me de feSe. Ma rimperadore è Rato
Padrone del Mondo Romano, menireha avute fora* terreRri da dominarlo, e del
Mare, mentre ha avute forzo maricime per difenderlo, e cuRodirlo; e quando non
ha avute forze con che tenere, e guardate il Mare, quello è leflato
fenzPadrone, e paflàto poi nel Dominio di chi. avendo forze ha prefo a
cuRodirlo, e, proteggerlo.. E' veriflimo, che le cole pubbliche dej Principe
non pslfono eOère appetiate da alcuno; ma. s'intende con due limitazioni; runa
da niun privato; perchè da m‘un. altro.- Principe poObno eflér vinte con
guerra, e l’altra limiuzione è, che s’inteiw de mentr’ elio le cuR^ce, e
protegge; perchè fe le abbandona affatto reRano di chi prima colla fua
protezione le occupa ; onde le leggi, le quali dicono, che il Mare è del Popolo
Romano,' o dell’Iinperadore, s'intendono, mentre il[Popolo Romano lo cuRodiva;
e prote«eva colla fua Armata, e non pel tem^. presente, quando non retta deila
Repubblica Romana altro, che il nome. E quando dicono, che la confueiudine
immemorabile preRippone privilegio, conviene intendere cosi quando fi tratta
del fupremo Principe al fuo fitddito, il quale pt^eda alcuna giurisdizione che
fpet. ' alfe gà pet l' addietro al Principe, fi dee prefuporre privilegio,
perchè per nelTùn altro titolo la giurisdizione può paffar dal Principe al
privato, liilvo che per concelCone; ma quando fi trata tA due Principi
fupreini, ed uno tiene da tempo immemorabile Territorio, o
ginritdizione,chel'altrQ aveffe prima, non fi bada pitfupporre privilegio;
imperocché non cade tri i fupremi: ma kens^una dcU'altrc ragioni, coUe quali
iDominj paflano da Principe a Principe, che fono ragioni di guerra,
convenzioni, patti, ovvero mancamenti di forze; onde avendo la Sereniflima
Repubblica da tempo immemorabile il Dominio del Mare, che gii fu del Popolo
Romano, fc per le Storie non fi fapeflc, come fia {Htlfats in lei, fi dovrebbe
prelupporre uno de'fuddeiti titoli; il che non occorre trattare alternatamente;
effendo certo, che v’intervcnifle la debolezza di quello a poterlo pih tenere,
e le forze della Repubblica a cuRodirIp; e fe palsb qualche Scrittura, che
quella folfe una confelliozic di legitimo titolo gii acquifiato.Ed in fatti è
cosi ; perché nella fegreta di V. S. vi fono lettere di lei Imperadori Enrico
Quinto, Lotario Secondo. Federigo Primo, Enrico Sedo. OttoneQuarto,
FedcrigoSecondo, che durarono pili di cent' anni, incominciando dal un. fino ai
izio. nelle quali fimo defcritic le convenzioni, ed i patti loro colla
Sereniflima Repubblica, ed é fpecificatamente convenuto, che fia amicizia trh i
popoli fudditi dell'Imperio in Italia, cd i fuddiii delta ftelfa Repubblica, e
fatta nominatamente menzione di quelli, e di quelli; fòggiugnendo,che i fudditi
di Venezia poffano andare per le terre, e Fiumi deU'impetio, ed i fudditi dell’
Imperio, poOano andare pel Mare, e Fiumi di Venezia ; dalle quali convenzioni
fi veggono tre cofs chiaie. L' una che rimperadore non aveva Dominio d' alcun
Mare. L’altra che la Repubblica aveva Mare dominato da lei, e non concelTole da
loto. La terza, che fi convenne del pari tra la Repubblica, e 1’ Imperadore,
che i fudditi dcU’uno fieno ficuri per li luoghi dell' altro. Al prefente le
convenzioni tea' Principi fi fanno per un Infirumento, che poi è ratificato da
loro. In que’tempi la grandezza dclF Imperio non cofiumava di fare IiUlmmenro;
ma le contrattazioni fi fpedivano folamentc per Bolla Imperiale; appunto come
collu. mano di fare al prefente i Turchi nel trattare con Principi Criftiani.
Ma di quelle. Bolle Imperiali o alcuna non farh fiata veduta da Alberico, o
egli pel troppo aSetto, che i LegiRi in paeticolaro por. uvano ail’antoriih
Impeciale, che perniò fii anche in poca grazia della Corte Romana, e fegui
Lodovico Imperadorc comra PapaGiovanni XXII., c per onorar piò rimperadore
'avrò voluto chiamarla ptiviIegio.,ovvcTO avrò veduta la Bolla col figlilo in
oro, c letto il nome dcU'Imperadore, e non pafihnd» più oltre, avrò per
conghiet. pire imefo. il ioggetto, ed avtù dato quel nome, che larh Rato ca.
sione dell'errore degli altri, che lenza efóminace piò oltre hanno lerotto il
fuo tcRimonio. ° Seno altri Giureconfulti, che aRérifeon» il Dominio del Mare
alla Repubblica per titolo di prelchzioae, il quale non fi può, réfi dee in
iciodo alcuno ufare; principalmente perchè non è vera; poi ancora, perché mette
in campò molte diHìcolth. : Si dice acquiRata per ptelcrizionc quella cola, la
quale effendo veramente id'un altro, tifando per lungo tempo |con buona fède
come propria, per virtò del lungo ufo muea Padrone, e palla dal pri. i ma di
rao di chi ai ai fiKoodo," che l’ha ufaik ia modo che pce ciwiodj
prefciizionc non li pofledonio fe non cofe d'altri. La natura della ptdctiztone
d qucliav che linfa accompagnaiodalk bnona fede' lena la cagione, e ’l titola,.
che un altro ha, e trasferì, fce il. Dominio, in chi ha poflèdiua
ultitoamente.k cola. . Hifittifcona i Dottori, che dilborrona dà giuriadiuone,
che il Marc fi>nè. delllmr pnadotc di Geonania, • che: la Repobhto ufandplo
per lup^ilE. mo tempo, del principio del quale i»n v Memoria, fenaa.ch’ efc
Impcradote' fi Isa appofl», ne ha acquillato il Domàiio. A quella dottrina
divcrfe oppofizioni fi fanno, una che il Ma-, re Adriatico non fa mai
dell’ImperadaK Germanico, lìcchà pglkeffere preferino cantio di luii, raltra,
che k pKfcriziooe i ooia odiohy pigliando a Ho, e legitimo. Quelli fono
Alberico di Roface, Bartolo, Baldo, Angelo Bonarb,. Bartolonmieo Saliceto,
Selino Sardco, Paolo da Ca Uro, Angelo Are-, tino, Gialone, Bartolormmco
Cepolk, Lorenzo Colca, Gtoranoi da Imola. Carlo..... E^o Balco, Giulio Folcilo,
Giovanni Beitachrno. Benvenuto Inaccia, Martin Laudeirfe, Fiaocefco Balbo,
Nicolò Triftavio, Angelo MuÀ)', Gio.- Jacopo Marta, e'I Collegio d’Ingolllad,
de’ quali fi pone k fola conclufione, che la RcpubUàca di Venezia ha il Dominio
deirAdriaeico, lenza (Blcendcre ad cfpUcare il titolo ; otto r alcrivoro a
privilegio, quattro a prefcrizione. Ma i più celebri, che fono èrtolo. Baldo,
Saliceto, Paolo da Cadrò, c Franccteo Balbo, tengono il fondamento, ch'è k fokpofi
feffionc peramichitliditeinpe,'eiunghiffimaconfùetudine immemorabile; al quale
io aggiunga, anzi mando innanzi quello d’ rifer nato inficine colla Repubblica,
aumcniaKi, e mantenuta con virtù fempre con fangue, e f^k; e vi aggiunga pofeia
il confenló degli al. tri 344 DOMINIO DEL tn Pilitcipi, il tefbmonio degli
Storici, e 1 ' apptavaziaoe de' Giureconfulfi, quantunque non debbano elTcre
ricevuti quelli, che G vagliono'di privilegio, o confuetudinc recita, ovvero
efprefla, o prefunu; nè quelli, che G ibndano in preferiaione- Quanto a quella
ragione, dove fanno il fondamento, dobbiaina -però valerci della loro
autoriilt, in quanto tengono il Dominio della Repubblica fopra il Mare per
giuGo, e legitimo, ed in quanto rendono chiaro teìlimonio,'cbe gìk 300. anni a
tutta l'Italia em noto, che il Mare Gpoffedeva gii canto tempo, che allora non
vi em memoria del principio. ' r E (è alcuna diceflìc, che -non è lecito di
valcrG di. parte nel detto d'un Teftimonio, fe non ricevendolo ‘ tutto,
rifponderemo ciè effer vero- nelle cofe dt fa(h, che il TeGimonio dice di
propria icicnza ma non di quello’, ch’egli conghiettura fopra, ovv«o difeorre
effer de falUy. - - •. i:, QueGo Hi de fede, che nè tempi de ij. GiureconGtlti
fopraddetti era notorio il Dominio della Serenifllma Repubblica (apra il Mare,
e che del principio d'cfTo allora non v’era memoria; maqual ioGe il titolo di
qucGo Dominio, non apparteneva ad alcuno il dirlo per conghiettura; ma folo a
chi iblTero Rate moGratc le ragioni pubbliche: onde con buone ragioni G riceve
il loro lefiimoniodi quello^ che hanno per licenza in fedo, e C riprovano le
loro conghietture in Jure, Dal che G avn come rifponderc a quelli, che hanno
introdotti falQ titoli di privilegio, o prclcrizione, o fecondo il mio
riverente patere, il quale rimetto al giudizio di VV. ££. G ufer^il vero, e’I
p*Dprio tante volte replicato. Grazia. •' .1 SCRITTURA TERZA. i O Ltre hi
conCderazionfe: del Dominio del Mare in generale rcAa il terzo capo propello,
cioè particolarmencc parlare de* Porti, Ridotti, e Seni, lion per que’ luoghi,
dove lo (leflb Principe è Padrone del Mare, e deitaiTerra, come in Idria, e
Dalmazia, ma rìfpetto a quelli, dove il Mare è lòtto la giuriidtzione d’un
altro, eia Terra lotto quella d' un’altro, come occorre in Puglia, Rom;^na,cd
altre pani deirAdriatico: la qual diveifit^ di Dominj può far naicexe difputa,
(è le acqtie vicine a ter/a debbano feguire le condizioni dellaltro Mare, cd
effere fono la giurildizionc della Signoria d' eflb, ovvero quella del
Continente, llando foggette al Signore della Terra; c vi e apparenza, che non G
dovelTe aver riguardo al Mare; perchè Tacque de'feni tono cosi poco profoflde,
che piuttoHo G polTono dimandar Terre; appreflb ciò G può allegare Tautoritb di
molti Dottori, i quali dicono, che ogni CitiX è Padrona del Mare vicino a fe; e
maggiormente de* Porti, i quali alcune Cittk hanno edificati di nuova,
ferrandoli con Moli, o con altri EdiGzj, che farebbe grande inconveniente
volerli fottoporre ad altri. Ma in contrario è l'opinione univ^rfaJe de’Gìurcconfulci,
che deSeni, e de’Poni ( degli aperti parlando, che deTerrati G diri a Tuo Uiogo
) abbia il Dominio quello Geflb, ch’è Padrone del Mare, e nofninacamente
delTAdriatico. Que’ Dottori, che attcGano il Domi nio Digilized by Google MAR
ADRIATICO. 345 DÌO della SerenUStna Repubblica, cfplicando, ch'eflèndo a' Seni,
e Ridoni, eh’ e&t chbmaao ftaaioni, ed a’ Foca, adducono per ragiooc, che
quelle acque che fono continuale a quelle del Mare, fi che frh loro non fi pub
metter termne, che le divida; iti fi pub trovare un confine, dove l'uoe
fòmilca, e l’altio principj, non ^ tendo, eflére fctio il governo di due,
ledano alla confiderazione del Mare^ del quale fono i Porci, non mettendo
difTerenza tra acqua profonda, e non proionda,' poiché può anche elTere in
qualche luogo vicino a terra maggior profondià, che in un altro molto lontano.
Ma la, formai ragione, per la quale tutte le acque marine debbono cITerc
fottopode a chi fignoreggia il Mare, i pcrchò il Dominb del Mare fi dice
protezione, e cudodia per ficurezza de'Naviganti, ed i Seni, Ridotti, e Porti
hanno maggior bifogno di queda prò. lezione e difefa, come luoghi, dove i
0>tfari, e Ladroni marittimi hanno maggior comodo di fax ruberie/ adunque
lupra quedi il Signore del Mare ha da efercitare la Tua cudodia, e protezione,
come nell'alto Mare ò più eflèndo. il bifogno maggiore: S’aggiunge, che vana
farebbe la difeia dell'alto Mare, quando i Violatori di quello fof&ro bivi
ne’Seni, e Porti, potendo edi dopo aver fatta la preda loro) aver dove ritirare,
fenza timore d'alcun, il che riufeirebbe anche a danno delle CittV vicine, le
quali non hanno forze marittime da reprimerli, fe non foOero raflrcnati da chi
domina il Mare, fiuebbero le prede fenz’alcim impedimento: per la qual 'ragione
la giurifdizione del Marre fi dende anche a’ Lidi, che hanno bifogno della
defla cudodia, e protezione : e buona parte de'Giureconfulti ateedano.
nominatamente, che b Setenidìma Repubblica abbb anche la giurifdizione ne' lidi
; e fi può provare con una legge, la quale dice, che ilPadrone delMareha
infieme Dominio di tutte le cofe, che il Mare non lafcia altri tifi, come il
fuo. fondo, che col dufo,e rifludb ordinarìaihente copre, e difcopre,fu eoa
molta, o poca acqua, e quella poca arena appena, che copre nelle fue eferefeenze,
fe ben d’ordinario non ò coiidianamente coperta. E’ ben necedario metter
didcRoia tih i Seni, Ridotti, e Porti aperti a' Porri ferrati, perrifblvere
queU’inconveniente, che feguircbbe,fit. le Citth non fodera Padrone de’ Porti
edificaci irò bro. I ferrali, Irecome fono cudoditi da Terra, cosi appartengono
ad ed'a, e non al Mare, e fono folto la giurìfdizbne dd Padrone della Terra/
perla che il Dominator dd Mare non ne ha ragione, dove non i Signore anche
della Terra; ma gli ^rti, non elTendo cudoditi da Ter» ra, ma folo da Mare, e
colle forze- marittime, fanno un'deda giuritdizione coll’alto Mare. Il detto
d’alcuni Giureconfulti, che ogni Citth marittima podeda la pane del Mare vicina
a fe non. conclude, che il folo Mar alto fia fono il Dominio dd Principe, ed il
prodimo a Tetra, appartenga alb Cint, fc farù iniefo il beo veto fenfo il qual
è, che il Dominb univcrbie del Prmeipe fopra tutto, il Territorio fb infieme
con un altro fpcziair, che cufeun privato ha fopra una parte d’ eflb b qual
poflede, e non s'oppugna l’un l’altro., anzi per b contrario uno fenza l'altro
ceda impenetlo.. £ dove il Principe ha la giurifdizione, c più d’una Citth
viòuo, Tomi X X terzo Dominio, intermedie, che cUrcheduna Citth ha fopra il
fuo' Tenitor», il quale è fuperiore a quello' del privato, ed inferiore a
quetlo- del Principe. Quefto lì llende lopra certe cofe comuni, le quali benché
ad ufo' fieno di ciafcliedun privato'/ da ninno però polfono effete
appropriate, ed ufupaie perfefolo,^ ma reflano in comune della Citth. Il Mare:
non puh cadere in Dominio dei privato; perchè non potendo per la fua
inflabilitìi efler divifo,non può parimente il privato occupare in parte,,e
circondarla,, e cullodirla per fé foto; eccetto che dove folTe qualche recedo
che potelTe edcr ferrato co’ pali, e cosV fatto proprio. Ma perchè il Mare
profiimo alla Terra può ben edere ulaio continuamente dagli Uomini della Città
ora da uno, ora da un altro per tranfitarc con barche, ovvero per padarvi; per
tanto vi è oltre il Dominio del Principe fopra il Mare, anche quella che
ciafeheduna Città ha fopra la parte contigua a fé. Cercano i Giureconfulti
quanta parte del Mare appartenga a ciafcheduna Città r ed alcuni d'edì hanno
detto cento miglia; ma parlando propriamente ella è tanto grande, quanto può ad
operare a fuo ufo, lenza ingiuria de'vicini; perchè una grande, e popolata
Città fui Mare, la quale abbondi di lìti terrcllri, dove cavi il fuovit10, avrà
pochi, che vogliano fare il melliere di Pefeatore, e fi valeià di poco Mare,
dove una picciola Città con un poco di comodità in Terra attenderà a cavare
iivittodalMare, e li vaierà di gran Mrte d'edb; e non altrimente hanno voluta
intendete i Giurcconfolti de'cento miglia/ ponendo un numero determinato per un
incerto; cioè le Città fono Padrone di tanta parte di Mare, di quanta hanno
bifogno di valerli fenza ingiuria d’altri, fe folfero ben cento miglia. Quelli
forra di Dominio, che le Città hanno nelle parti vicine a loro, non ripugna a
quello, che ha fopra fe flelTo un Padrone di tutto il Mare; imperocché non fi
Rendono alle medefime ragioni. Quello del Principe llà nella cuRodia, difela,
protezione, e giurifdizione ; e quello dePaCittà è nel valerfi dell’ acque a
benefizio comune de’popoli. V’è dilferenza, fe quelli fieno Sudditi deiriReifo
Principe, opure d’uà altro; ma ficcome del Dominio, che ha la Sereni&ma
Repabblica in tutto il Mare, ne hanno la parte forale Città di IRria e di
Dalmazia fuddiie, così anche he hanno leCittà diRomagna, e della Marca non
fuddite; ma nè queRe, nè quelle per poter culladire la detta parte coll'armi,
mafolamente per poter valertene a’ loro ufi. ElTendo rifoluio, che il Dominio
del Mare fi Renda anche a tutte le pani di quello, rcRa a vedere con che fotta
d'azione s’efcrcita quello nel Mare Adriatico, e nel Territorio di Venezia,
dove ha quella RelTa podcRà, che ciafehedun Principe ha nel Ino Territorio; per
lo che ha da efeteitare in Mare quelle azioni, che fono elèrcitale. da’Principi
nelle terre di loro foggezione. 11 Signor del Territorio per rirtò della fua
giurifdizione ha podeRà di dar legge a tutti gli Uomini, che fi ritrovano in
quello, di punirei delitti fatti contrale leggi, ed’imporre contribuzioni, e
gravezze per foRenete i pefi, e lefpele di chi ha della fua cuRodia, e
protezione bifogno; adunque per la ragione della giurifidiaione, e ciModia del
Mare, la Sereniilìma Repubblica può metter leggi a' Navigami, gaRigare i
delitti commelli in Mate, ed efigere Daz), ed altri diritti. Che poITi far
leggi a’ Naviganti, fecondo che giudica nece fili che II poflà Mettere in diffieolth,
è coCa decifa per univetfal latrina di. tnate ie.«enii, cmfiennata anche per la
Dottrina di S. Fa^ nella PiOola. f Kenuni; e quella i, .che Dio ha polii i
Prin, cipi, e Potentati per proteaioira i’buoni, e gaftigo de’caitivi, e per,
che fon» Miniftri di DI» in quello; per tanto ipiotetci fono inobhligo di
pagare i irihutà, e le gabelle, lìcoame al .Principe., che ha cultodia, f
guardia I della Xcira, per conlervazieoe della ppbblica iranqqilhtlit quelli,
che ne godono, debbono contribuirà alle tpele, cbc; fi .fiiinnn,. e non folo- i
luddhi, ma anche gli alieni, (he tran, filando per la Regione godono la
ficurezza del cammino, fono ob, bjigati a pagar paflàggi, e pedagi; cosi tutti
quelli, che,tranfiuno pel Marci a Mrtanto godono la ficurezza daCorfati, e
Ladri cagio, nata dalk Ctwiditt arraata- dei Betnìnante, la 'quale non fi può
tenere fenzz difpendio, fono obbligati e per ricognizione di quella pròMaioBe,
e per oontrjbnire altafpelà, a pagar l'impoCaione, eziandio, a ohe noti
toccafiero Terre del Padrone del Mate per cagione di quella enfiodia,, che li
rende ficuri. 5 tanto d da dubitare, fe ;i Naviganti fieno obbligati a
contribuire per la igufiodia dd Mate, quanta i da dubitare, fe nel tranfilo
terreflre chi pafla per lo llrade d’un Dominio fenza toccar le Citth lia
obbligato a pagar dizip. Di quello nefiitno debita ma cgnfelTa, che dee
Wonolcere quello, ehe gli tiene la riva ficura’, cosi nell’alto Mare per la
llelli ragione ha da riconofeere, chi glielo tiene fieuro : e quella v«rith i
fiata praticata pir li tempi paffati nel Mare Adriatico ; onde refia memoria
nelle Storie, che nel laag. il Duce Tiepolo meltelTe un Dazio a qualunque
Navigante pel Mare ; la qual impofiaione però non fi dee credere, che foOè la
prima, ma che fofiefempre in tfib pel tempo innanzi, dappoiebi fu prefa la
protezione, e cu. Ilodia del Colfo. A quella impofizione hanno accotuemiio i
Principi ppfielfori del Continente intorno al Golfo, i quali volendo tiafporur
robe per Mare da un luogo all'altro, eziandio efiendo ambedue fatto illoto
.Dominio, hanno xiohitfta lictnza, il,. Rè di Napoli, Pottmati, « Commiflarj
della Marca d’Ancuna, e 4* Rodjagna, Duchi di Ferrara, «d altri Potentati, che
r»IUmleglttraK ne' libri pubblici „,oqde, ho latta 'ntenaicae |neùa firiina
Scotiura. .l'i I 1 i Dc’Oatj impolU dalla SereniSina Repubblica
'particoUrnieate fora le Mcrci^ de' Ma vif^Mui: per l'Adriatico tratcano. i
Giuieceniiilci pa me veduti Baldo, Angelo da Perugia, ^tolomneo Saliceto, Ciò:
4’Anania, figndommoo CepoUa, Martino LaudchTe,. Giulio FofecCo, Gio:
ficctachino, Egidio BalTo, c tutti approvano tal fotta d' ùnporiaipni nome
legiiime, ed alcuni d'elB dicono che tanto la SerenilBma Repubblica ha auaorilb
d'imporre Qaaj nel Mare, e conhfeare i ooncrabbandi, .quanto nella medeCnia
Ciltb iii Veneaia. -1 le gravezze, quando, lóno. antiche, ed ulàte .pare che
non Geno da'.po^li. malp^volmente Capponate quando di nuovo s'impongono; •
dilulàte,làac: rinnovate, yengono riputate gravami: e Gccooie la Sereniilima
Repubblica è- ftata coofueta per h tenapi pallàti a rnett lere irapoGzioni’
lepra. i Naviganti, q coRringeili a làr fcala in Ve. zia; così potrebbe in
avvenire tornar la. Acfla ixceflitb, fe roGèrvanaa fari Hata neglena, e
i'efazwnn dìGtfata; il Nmetcerla farli una dificnUb, e..maU fodditCwione; il
iche. avendo però legge antica, ed eiegaita, fark con giulUzia > ed vtiliik
prefente e futura il continuare colla GcGa equitk, e modetaziune .nfléryata
coti neU'mdituzipoe) come neU'cfecuziofii p^zie. f n Quelli, che per lo paflato
hanno, voluto metter >. dilScoltk al ginfto, e leghimo Dominio della
Seteni/Snu: Repubblica (òpra il Ma, perchè il Mare di tua natura e libero, e
comune; la feconda, perchè la SereniiGma Repubblica ha convenzioni con diverfi
Principi, che la navigazione del Mare rdlaGè libera a' loro. Aiddiù; la terza è
una Capwplaato, ne,, che dicono. eGèr contratta con Papa Giulio. U,. j-n Per la
prima ragione diconq, che nelle Leggi fpeQb G ritrova, che il Mare non è d’
alcuno, ch'è comune di Iva natura, ch’è pubblico per ragione delle genti, che
non pub edèr occupato, perchè non può cG :e la SereniSima Repubblica, e per
col», leguènza anche olliiitb verfo i Sudditi, ed impèdimeuoal tranlitar, e
negoziar ne’paefi dell’ uno, e dell’ altro cosi, per terra, come m mare; e
nella pace levandofi l’ollilitb tib Prìncipi, per un capa ^eziale, conforme
all’ufo degli altri PaeC, è datala Geurezza lÙ tran, filare, e negoziare per
tctra^ è per mare. Sintenderà dunqub ti navigar ficuro, e liberamcRia nel
Golfi» Adriatico, fervate le òrdìna; znni di quella .navigazione.: ' Potar fare
imaioofa noa Uberdi, e Scurezza non vaol dire arbh trarìamente, e fecondo
rappetllo irragionevole dì tialicheduno; ma vuol dire Gcuramente, e
libcraOlcnte, fervate però le leggi.. Quando fi dice, che cìafcheduno può
liberamente fiù' tetUniento, non a’ intende però', che k> polla fare
inuifizi oro, ed impertinente; ma che dee fervar le leggi tcllametarie ; e chi
può far viaggiò Uberamente, e ficuramenie non può navigare, le non fervale le
leggi di chi domina il Mare, che fona di far fcala a’iuoghi determinati, no»
portar cole proibite, pagare i Dazj, c diritti llatuiti. £ che cosi fi debba
intendete lo dichiarano le medeCme parole, le quali dicono, che i Sudditi
deH’altro Prìncipe pollano tranfitory c mercantare cosi per terra, come per
mare rwC, et iétri-, ma le per terra non poiibna mctcahure, falvo, che fervale
(eleggi, e pagati i Dazj; dunque nè pure per Mare Io pollano fare, le non
cònlucic le iuddctie condizioni. Ciò fi Confatma, perchè non è di ragione, che
i Sudditi del Principe amico Ceno maggiormente privilegiati, che i propri;
dunque (e i proprj fono fimgetti alle proìbi-. ziooi, ed a’ Dazj; debbono
eflcre cosi anche gli flranieri. Oltre di ciò dimofirano lo lleflb chiaramente
le parole del medefimo Capìtolo, il quale dopo aver detto, che pollano
negoziare per terra, e per mare, tati, neralmentc a fare ogni altra opportuna
operazione circa le predette cole. Gli Ambafeiadori andati a Roma negoziarono;
ma per (labilire il Negoziato il Pontefice non contento della Proccura, ne
ricercò un’altra più ampia. Per lo che lotto il giorno degli 1 1. Decembre
fulTeguente fu fatto un altro Mandato di ^Ueflo tenore .* che volendo il Papa
trattare alcune cofe cogli Ambafeiadori, fe bene perciò fu fatto loro Mandato
anaptillìmo fotto il giorno de’ 31. Luglio, nondimeno di nuovo conlUtuifcono
gli (lem fei Nobili Proccuratori della Repubblica a trattar, e conchiuder col
Papa, o co‘Depurati di lui qualunque cofa, quantunque fodè di quelle, che
ricercano Mandato fpeziale, unto come fodero efpreflc iliigolarmente,
promettendo dr T0tùy &c. La Negoziazione fegu'i lino al
Febbralofudeguentejedovendoncoochiudere, il Papa non lì contentò de’due Mandati
; ma colla fevcverii^ dei tuo animo avendo (labilito il giorno de’ 14. di quel
Mefe, ch’era la feconda Domenica di Quatefima per giorno di trionfare a dare
pubblicamente ralfoluzione, fermò una modula, o minuta dell'Idrumento, che
voleva, che fode fatto in quell'azione, contenente i Capitoli, che ricercava
gli fodero accordati.* volle, chela Serenidìma Repubblica iacefse un'altra
Proccura, inferendo di parola in parola quella Minuta. La proccura fu fatta
fono il giorno de15. Febbrajo, e vi fu inferca la Modula dciridrumenio, che il
Papa voleva dabilire, e data autorità agli Ambafeiadori di convenire con que’
Capìtoli. Qiied’Idrucnento è quello, che fi produce, ed a nome di
Capitolazione, fatta eoo Papa Giulio li. Se abbiamo qued’lUrumento autenticato,
o nò, io non lo sò; ma dato, che fofsc in forma approvante bada Iblo per
modrarc, che per quello è data autoritli agli Ambafeiadori, ma non appare,
ch’eifi Tabbiano efeguica. Oltre quello Mandato fi ricerca necessariamente che
gl’ambafeiadori innanzi il Nocajo in Roma modrafsero queda loro Proccura
prenarrau, e pregafsero il notajo a fare un Indrumenro, com'edi per autorità
data loro dalla Repubblica promettevano le tali, e tali cole al Proccuratore
del Papa, o ad alcuft fuo MiniRro, o ad eflb Notajo, che riceveva la Pniccura,
di che era pregato da ambe le parti a fare ridnimento. Queda farebbe la dipulazione,
la quale fe fofse fatta io non lo sò; ma veggo certamente, che i Romani non la
poftono produrre; ed in luc^o di quella producono il Proccuracorìo coliamo i 3
nU fteUsat che non ferve; perché come s'ì detto, ft ben la furrauU vi é dentro
inferta, altra cofa però é il Mandato Procuratorio, altro é la Convenzione
ftipulata. 11 Proccuratorio da podelllt di convenire, ma non fa che Ua
convenuto; né mai prova, che la cofa fia fatta. Innumerabili volle occorre, che
làrh data autorità ad un Froccuratore di contrattare una cofa, che non viene
poi contratutaper qiulche rifpetto ; anzi quello, che piò importa, fi trovano
Mandati autentici, ed Inllmmcmi (leifi,ma non flipulati per qualche oc cafione
nata pofcia full' elécuzione. Ebbero i Proccaratori autorità della Sereniflìma
Repubblica di convenir col Pontefice in que' Capitoli folto il giorno de’ij.
Febbrajo in nove giorni, che paflàrono fino pi giorno de'24. che fu quello
dell' allbluzione, in tempo che tutta riulia era in armi. Infinite cofe poffono
elTere occorfe, che abbiano fatto aggiuenere, fminiiire, od alterar i Capitoli.
Bifogna però mollrare non quello, che folle commetTo di fare, ma quello che fia
fiato fatto, e fiipulato; il che cfli non mofirano né autentico, né non
autentico. A’Proccuratori fidò autoriib di contrattare, ed cK fui fatto veggono
quello, che occorre; non poflbnotmpaflàre il Mandato, ma cercar d’cSieguirlo
totalmente, ovvero ufarlolimitamente a favore del loco Principale. Chi vuol
fapere, che dalla Serenifltma Repubblica non folle data linfiruzionc agli
Ambafeiadori di confeniire a que’Capiioli, fe non con qualche condizione dal
canto del Papa, la quale non cgnfentita da lui gli Ambafeiadori follerò refiati
di concludere la Capitolazione nella formula data’ Infomtua Mandalo di capitolare
non é d'aver per capitolato.- e fe la Repubblica veduta la Modula mandata da
Rtyna folle fiau rifoluia, t che fi avelie per conclulb in quella forma, poteva
fare rifinimento del filo Confenfo qui in Venezia, c non dare autorìtò, che
folle fatto a Roma; tanto che non é buona confeguenza dal vedere l'autoritli di
capitolare, dire dunque fi é capitolato. Quando penfavano i Romani di valerfi
di quello Proccuratorio in luogo di Capitolazione fiipulato con Launlio Nocajo
ilella Camera, fi aegiunié una nota fotio,allefendo, che la Capitolazione fu
fatta, ed i Proccuratori promifero, e giurarono i Capitoli; e quella natta fu
fatta dopo la morte di Giulio; il che apparifee; perché in ella é chiamalo piò
volte falicii moritaiimh^ titolo, che fi dà a' Papi morti. Non ha il Noiajo
pollo il tempo quando l'ba notata; ina fi congh lettura, che folle 15. ed anche
20. anni dopo. In quella fórma Papa Gregorio XIII. diede l'ailetta
Capitolazione agli Ambafciadpri del 157?. adì 17. Settembre. Di quella nota non
é da tener conto alcuno, poiché le Scritture di Notajo non fanno fede, le non
fatte per decreto del Giudice, (e non Giudiziali ; e le fono contratti, fimi in
prefeoza de' Tefiimon), e delle parli con rogito d'elle. £ qui un Notajo molti
anni dopo 1 ’ allerte pani fcrille quello, che fuccellc, e con parole anche
piene d'ambiguità; perché chiama quella fua Scrittura Trtnjimta, e dice
d’averla collazionata coll'Otigmale lenza dire che Originale fia quello, e da
chi fatto. Quelli difetti furono fuperati da'Confultori di V. $. il che venne a
notizia della Corte Romana, onde nel lioé. per occalione dc’meti pailati
ftamparono 1 ' afierta Capitolazione colla fede dello ildla 1-anti I^urilio; m«
corretta non iniitolaniÌQ pib Giulio di felice memoria, e mettendovi il teqapo fieOo
dellafToIuzione 14. Febbraja ij 2^. Ma non avendo ardire di dire, che foflè
rogata dagli Ambafeiadori, fotiofcrillè non come Noujo, che facea Inftrumento
trh le Parti contrae enti ; ma come quello, che icriveva un Decreto giudiziale,
dicendo Jc Mmdut ftiferiffi ^ onde fuggendo un inconyeni^te (tanno dato ia un
ina^^te, ( Ma vi i chw liacamciua, che queU'aano 105;, Laurilio nonem Notajo di
Camera; perchè nell'alTeTta Capitolazione fono nominaci tutti i Notai di Camera
per nome proprio, e quello non i in^el numero. Tra diverle pretenfioni Romane
apparifeono molte alTordith ; ma nelTuna ha tante oppofiaioni, come quella,
delia quale quando in avvenire venilfe parlato dagli Eccleliallici il mio
riverente parere è che,fe ralleghetanno folamente,(ia loro rifpollo, che da
pochi anni in quk s’è dato principio a nominarla; nè però mai è nato veduto nè
l’autentico, nè l'efemplare di quella Capitolazione; perchè cosi veramente è. £
fe produrranno quella, che dal Papa Gregorio fu dau, ovvero la Rampata, fia
riljiollo, che quella è un Mandato Proccuratorio per Capitolare. ReRa, che
moftrino, che la ftipulazione fia fatta, e fe voranno venire con argomento,
dicendo, che trovandoli il Procctiratorio,.C dee prefupporre la flipulazione.
Ila replicato, che tutto è contrario per le molte,, ragioni efplicaie dì fopra.
Dalle cofe moRrate in quella Scrittura apparifee chiara, che le difiicolth
promoRé fopra il Dominio di V.S. nel Golfo hanno vera, e facile nfoluzìone,
ch'è quanto col mìa riverentiflìmo Zelo ho làpuw ritrovare, rimettendolo perb
come mio umilinimo parere alla prudenza di V. V. EE. GRAZIA. » O M I DOMINIO
DEL MARE ADRIATICO E SUE RAGIONI PEL JUS BELLI DELLA serenissima repubblica DI
VENEZIA Drfcrino da S., Suo Confultore d’ordine pubblico. v»:r • n 1 ^1 —w»,
SERENISSIMO PRINCIPE. Orna molto, a propoGto nelle Oufe forenG, com« uifegD^ i
IXattori, ualafciar le diTpute fopi^ le ragioni GeirAvverTario quando fono
tanto forti, e gagliarde, che non G poGbno didru^e-. k; però G Gioie parlar
fuor di propoGto tirando fa Cauta fuor del fuo alveo, per tirare il Giudice
fuor di buon (lato, che non attenda alle buone ragioni, e (accia fentenza in-,
giufta. QueG’ artiGzio viene uiàto da alcuni Dottori melG sii non da alt», che
da diaboGco fpirito a far novità per turbazione della pubblica quiete, con far
venir Vafcelli foreGieri in queGo Golfo, in futura petnizie del comun
commerzio, e della Gcurezza delle Città marittime, contra l’antiche, a legali
ragioni, che ne ha quella SereniIGma Repubblica inveterate, appio, vate, ed
acconfentite da tutto il Mondo, da’Grandi, e da’ piccioli, da’ Principi e da
tutti gli Ordini Gno agli ultimi plcbbei, con prc. fcrizione di Secoli, che vi
aveva poGo Glenzio,- Operazione percer10 diabolica per mettere alle mani i
Principi, che non abbiano a goder la pace, la quale il Signor noGro in
miniGero,e tutela ha loro laiciata- Segno di queGo è, che nel priucìpio
cominciano a fcrivera contri rautorii'i del Papa, ch't il primo alTalto
de’NovaCori, i quali il Diavolo mette in battaglia per rovinare il Mondo, e
come aque. fta difgufla fi titano, fingono che i Signori Veneziani fondino le
loro ragioni fopra privilegj di Papa Aleflando, e deU’Imperadore; e per
diltruggerli fuori di propofito li mutano contri lauiorith loro, e li mefchiano
come fodero le Carte dei Tarocchi, che al fine fono pazaie, bagattelle, e
giuochi di mano, trattando materia di tanta importanza con forme non degne nè
del nome di Dottore, nè di Crifliano ; cosi infamano le fteffi, ed in certo
modo i Miniftri de' Principi, come a bella polla vadano ad incontrar briga, per
effére adoperati, e mettere di le medeCmi neceffitb a'Principi loro in ali
maneggi malHmamente nel Regno di Napoli, dov'è fama, che le contenzioni fono
fiate maggiormente nutricate per confentimento de'Rè. ( Gicc. I. ). Cari. iji.
) Non è vero altrimenti, che i Veneziani, fondino le loro ragioni del Dominio
del Golfo fopra privilegio di Papa, o d'Iroperadore; che fé ciò foffe, forfè
per certe ragioni non tornerebbe conto aprir bocca, però quelli Dottori fondano
la loro difputa sò cosi sfacciato e vano mendacio, fanno alle pugna, danno dei
calci a lovefcio, e cambationo lenza incontro, come i Tori, che hanno perdita
la Vacca, dicendo, che nè pur fono fognate dalla Repubblica di Venezia, ed
anifìziofamente lafoiano quelle, che pubblicamente fi leggono fcritte da
Marc’Antonio Pellegrini nel libro ottavo de Jote Fifii, da Angelo Macacio nel
libro primo da Giambatiila Leoni nel libro delle Confidenzioni del
Guicciardini, da Augullo Treo nel fuo Panegirico, da Jacopo Chizzuola nel fuo
Confìglio, ed allegazione pubblicata nel fupplemento della Storia degli
Dirocchi, e da Prorperu Urbani nella nife-. Ca fatta centra Emanuello.
Tertoviglia Spagnuoto. Gli Amichi Ginreconfulti, non avendo trovato chi abbia
fcritto, o detto in contrario del Dominio, che ha V. SereniiU lopra il Golfo,
dìfsero, che aveva prefcrizione immemorabile, volendo dire non efservi bifogno
di mollrare altro titolo, facendo quelVeffotto la prefcrizione tanto antica,
che fi abbia a credere il maggiore, e'I piò laido, e forte, che poflà mantenere
tal polfelTo; conira i quali non conviene llraparlare, dicendo, che fono
ignoranti delle Storie, benché abbiano acquiftato come di prudenti, e da loro
fi governi il Mondo. Quelli, che forivono per la Repubblica gli allegano, e fe
ne fervono come diteflimonj, elTcndoflati in tempo della preterizione non mai
imerrota a’ loro tempi. A quelli gli Avverlar} oppongono tellimonj di Storici,
che riferilcono diverfi Rè in divelli tempi elfer venuti in Golfo con Legni
armati; e però aver interotta fa preferizione ; nel qual calo fecondo i termini
legali, bifognerebbe, che cercaflero d’ accordar tali tellimon j, come
facilmente fi propone, quando fi dèce, che que'Rè fieno venuti con aver
ottenuta licenza dalla Seteniflima Repubblica; perchè i fuoi Confultori
Marc’Antonio Pellegrini, e Jacopo Chizzuola nella dilpua fatta, prefenti i
Commelhirj Imperiali, adducono Principi, che vi fono venuti, ed hanno dimandata
la licenza ; dove biiogna dire ^md folinmeji fieri, frefuminr feSum. Quel ch'è
folito a farli, fi prelume fatto ;edè benefpiegato ed ellegete dìCora.
Conl.z87.num.i i. voi.p.fapradi cheiContraddittori fi riducono adire che
bifognerebbe mollraie, che almeno due volte ne avelTo lata refifienzaj Temo li,
^ Zz ma dille cefe fegocnti lo intenderemo^ oltre molte altre rifpoflc legali)
che ù pofsono dare a tale inllanza; ma perchè centra G grati legge della
prdcrizione fi ardil'ce di parlare) cos^ fi dee renderconto dì titolo di COSI
amico pofTefib per ovviar per via di ragione,fe fi può) a quel malC) che
potrebbe nafeere per mala ed ingannevole perfuafiooe di cofioro» Se ne parivi
altrove) ma per oi^nitk. Ora quefii tra gli altri fìngono di parlare fopra il
]us belli ^ che ha la Signoria Screniffiiaa ) il qual titolo toccano, come
parlano appunto. Non fanno, ma faper dovrebbono, quandola guerra ègiuila queir
eflere il piò faldo titolo che pofla aver una Repubblica, e qualunque altro
Pnneipe deVuoi Stati; perchè quello vince il Jusna^ furJcy e mette fervirtù,
dove la Natura, non che il Jut genrium ha melTa liberti, e comunione; onde fi
vede quanto ridicolo riefee il di(pmare,cbeneirun Potentato EcclcGallico, o
Secolare polsa farleggì, dar termini, o conceder cola in pregiudizio della
legge naturale, t con quello gli altri inicG, vogliono, che riefeano bagattelle.
Vuole il belli y o Jus gemhtmy che vinto il Nemico, tutto quel)o« ch’egli
pofiede s'intenda del Vincitore. Il primo premio, che zia, dove Baldo dice,
effe re come dar della teda nel Muro/ inquedo. oKiza. bifogna mantenere il
poflellb a chi lo tiene. Al Cecondo fi. ciCponde, che quando la Repubblica
fbndaffè le fue ragioni. fbpra..puMlogj le baderebbe la faìna dèfTi;CosÌ
conclude Mariaoo Cpccina nc Cuoi Conigli ; come fa la Sede Appodoiica trattando
la ^a^ooc de'iuoi Stati, che non L’è necciTario naodrare alcun lodcuoiemo
JeTcoiacquidi. Sarebbe error grave tnodrairli per farli leggere, diffidando
della fàma. £ quando la Repubblica aveflìr a moArareglIdxiuscnù ripofU. nella
Segreta,ic le prederebbe pienifCma fede ? A quedo proposto, dicono i Giureconfulti
non elTcr lecUodire, ne menopenfàre, che laiRepubblicadicelTe una fallici,
benché delfuocomodofitratci; cost aliega'ilCardinalTofco ne'Cuoi Volumi delle
Capitolaziom praticabili. Àltcrzofìrirponde; cheCe il Papa aveCse conccCso tal
privilegio, fenza la libci^ ve^ontV, quando ritornò in Roma lo avrebbe
rivocato, come fece PalqualIL de'privilegj concedi ad Enrico IV. Imperadore,
quando esa nelle lue mani/ il queir fcibko giunto a Roma in pubblico Concifloro
li rivocò, come editti in dato, dove non era indio potere di negare; e fé
durano i titoli privilegiane* Rè di Napoli con-celila Guifeardo da Leon IX..
quandolofecero prigione eo’Cardinali nella guerra di Benevento y perchè non li
rivocò* quando tornò a Roma, mcglia avrebbe a durar quedo fàttO' da Papa,, che
non fu mai prigione in Venezia,ie fe avelie voUmo U Repubblica edorquere tal
privilegio, ed altri titoli,, gllavrebbc avuti mdto prima dallo llefroLeoo IX.
quando venne a Venezia., del qual anche la Repubblica aveva prefa la dif'ela.
Al quarto fi rllponde, che Papa Àledandro, quando dille HocMawl ipfum Mare ha*
detto di qbedo Golfo, il quale comincia da queda parte, ed intero, (enea mutar
nome, fi donde fino a Corfb; nè manco più oltre vogliamo, che ptflì « òsi fi ha
intefo da tanto tempoinquà, che non v’è memoria in contrario, chefinal prefente
ft chiamatGolfcr di Venezia. Ben> ir DottopìNapoliiani aivevano imparato
nciUdifputa tra’ Francefi,. eSpagnuoU per caufa de’ Confini dei Capitaniato, le
fodé deif Abruzzo,, o della Puglia*, dove fio tenuta concilifione
pergliSpagnuoli, che nella difierenab de nomi, e de* Confini délIcProvincic, fi
debba^attenden fempre alfulo prefenter. Fu confemiaca qucda> ragione colie
armi contra> i Francefi; pCTÒ nemcnte quando fi À il mireflb d'nn podere,
balla una gleba d'effo; cosi per hoc Mare lì e intefo tatto T Adriatico, dove
fi ebbe la vittòria, ch'era avanti gli occhiti ut: n Ma quclladifpau i
friulratoria, o perdimento di tentpoi, che la Repubblica non dice
d’elTerPadrona del Mare, perehè il Papa le abbia còticeflb privilegia, nè il
Pape in quella parte fa conceflìone; ma dichiara^ • aiODe, e coDcefrione, ebe
làRepubblica fiaSignora del Marò Jkre talli, ebe qucHoTha de Jurt gaathm; e di
tal dkniaràaione fe n’è compiaciuta la Repubblica, ad imitazione di Nollro
Signore, le cui azioni fono inftruziòni noftre ; ilquale ficompiacque della
confellìoiw, chePieuo fece qualtncme era Figliuolo di Dio; quando non fi
voglia, che il Papa, d qual è nel pofiéflo prenatrato anche di maggior
autorità, non abbini fiuta tal dichiarazione; queflo non leva alla Repubblica
il Domintojm talli acquillaio, per aver vinti non foiamente i Rè di Sicilia, ma
i Saraceni, ed altri Infedeli, e perfecutori di Santa Chiefa; nel quat cefo
dicorm i Giurcconfulti, che lènza- altra dichiarazione, oConcefiCoite
Pontificia fi acquifia piena ragione negli Stati conquillati di mano d’efii. Ne
daimo efempio de’ Rè di Spagna Aeiracquifto di qtie’Hegni filori delle mani di
uli nemici, c pètA ivi nen riconolce fuperiore flmpefadore, inquanto gli abbia
a comdtidare ; Con- i eludendo lopra quelli quattro capi anche a modo degli
avverfarp ; che il Papa non abbia dette quelle parole, e fe dette le ha, non
abbia avuta aumriib di dirle / confidcrino bÓMy e vedranno con qual azione aveb
potuto dirle il Papa. - A chi vince i Nemici in Mare, ebe occilpavaiio, fi dee
J tare talli flmperio del Mare; LaRepubblicadi Venezia havifiti ìNemiciinMa-'
re, che occupavano; adunque a' Veneziani fi dee ima talli l'Imperio del Mare.
Si provala maggiore per li Giurcconfulti, i quali dicono^ che la Vittoria db in
mano del Vincitore tutte le cofe, e di quello, che alcuno ha prefo in guerra ne
ha il Dominio : ed aliti Dottori dicono, che finite le guerre i popoli
vincitori, tutte le terre, dalle quali hannofcacciati i Vincitori
pubblicamente, ed atiiverTalmentc dicono loro Territorio
•,SicFtac.daCa»iit.Agt. frf. Bap. ^jnn.ila Allimianitut Cap.iy. m. 9, /iè. II.
E ne’tcTffliai dcIMain, che fi faccia Territorio, e polIcflione di chi
vittoriofamenfe vi ha combattuti, e vinti i Nemici diremo, come allega
ancoraGioiFrancefco da Ponte dnadeDottoriav. vetfarj nel fuo lib. de PattHata
Prafrii eap.ìj^ Uti Re» fama conertojiam a»mE*areia», iti efiTcrrhartum Ragia,
et aala Ttrritariam diainr a potaftata tanamis, ÌT Jiaua dkitwr Cataefis prima;
Spiritu Domini faratarna fiapat aquas, Jia famr fapar Mate paaaftaa éatanris
JnrifdiSianam. Cioè dove ilRè va con efercito contea iNemici, ivi è il
Territorio del Rè, perchè Territorio è detto dalla ^ellb del tenere, ficcarne
fi dice nel primo del Gencfi ; Lo Mrito del Signore fi trasferiva fopra Tacque,
cosi fi trasferifee la Ginrifdizione Ibpaa il Mare a chi n'è reliato Padhme.
Perloabè t Romani lotto Scipiane, vinti i Cartagineli, dice Polibio nel lib.
yuikviSK iaflitm Impari» Maria fojiai fiata ; ciò! vinti iCartagmefi, tolat.le
loro Navi, emefli i rollrtnellelororeftò flmperio del Mare a'Rommilip
iMtadaa.i, lib. 4. Satalt.diS.^lit.^. Gli Atenieft potimun tc dopo la- vktoria
di Salamina contra i Fani confeguirono, dice Lcuda, rimperio del Mare. Qui
anche fa a pròpoCto il cafQ allegato da^i Avverfar), che Ferrando figliuolo del
Rà Ferrante con 53. Galee paisà tutto rAdriatico, e fugò la numeroia Ar« mata
de'Veneziani fino a villa del lor Generale Marcello ; didrufle la Dalmazia con
tanto terrore de"Veneziani,die dice il Sabeliico diél. 4. Iib« 2,
Eififtinunttt flHum effe àe Imperio Marit\ perchè da quello ficavaparimente,
che chi fuga e vince Tarmate nemiche nelMare,togliendoad altri riiien per fé
Tlmperio del Mare divenuto Tuo Territorio dai tener fuorii Nemici, di modo che
TAdciatico farebbealiora divenuto tutto Tehttorìo deRè di Napoli ) ma v|
lalciano il piu bello da narrare. Del vincer, e del perdere nella guerra fifa
contoin fine ; difopra abbiamo Bellis bakitis dove quello avviene, conte negli
altri giuochi; chechinel principiovince, alfine dirperataraence
perde/xomeavvenneaPompeonellagucrra centra Cerare; nel principiogloriaodoC di
certa vittoria, come appunto ora fan no gli Avverlar); non fanno fcrivere di
ceno poco dtfordine accidentale; onde perchè la narrazione di quel fatto abbia
a galligare i Milantatori de*primi lucceiTi nelle guerre, e perchè torna a
propofuo per provare la fuddetra nollra minor propofizione flendcremo il luogo
del Sabeliico, che Io narra. Federigo ArrigodiFerdinandofigliuotopiagiovanecon43.
Galee, eFufUencròneIportodi.M,,Diedequelloaflàia temere al Sonato; edera
veriAmile, che il Nemico ivifermandofipotelTc contcnderea Venezia il Mare.
Tutta U Citik aveva gli occhi rivolti al Marcello, cadauno a lui, ed alla fua
Armata guardava ) credutoaver perduta SignoriadelMare, quando non fofle
cacciato a forza il Nemico di quel luogo, il che era mantfcAo non poterfì fare
fenza grave confiùto, Stava adunque laCitthin afpettazione, che Marcello,
ilqualera a Geldra, o ardefle TArmaca, che aveva nel Porto Anconitano,
fopravvenendovi alTimprovUb, ovvero la conducete olfattod'armi, elalcaccialfedi
1^; mafrateanto, ch’^lifupplifce a'bifipgni delle Navi condotte dal Pò, mentre
fi apparecchia la vettovaglia, ed ogni altra cola bilogne vale, il Nemico non
fi tenendo Acuto io quel luogo, fatta vela, fi part'i d’Ancona, prima, che vi
venineTArmata Veneziana. Panar» tal cola grand* odio centra il Marcello
fpezialraente del Volgo, ù quale mifura il tuuodalT avvenimento; e giudicò, che
non fofTc (iato ardito d'andare contrai! Nemico venuto in alto Marc per
mofirare dinon efiere venuto in vano, alTaltando alTimproviloLUlairela della
Dalmazia., qiiafi tutta con ferro, e fuoco la difertò. Cosi
parlailTefiimonioallegato dagli Avverfarj, dov’è prima da notare, cheTArmaia
Aragonefenonfugò lanofira. Secondo, non vi enarrato il tanto tremore de*
Veneziani. Terzo fi vede, che non i Veneziani, ma l’Armata di Napoli era
alquanto tremante; imperocché dice, che il Nemico, non fi tenendo ftcuro in
quel luogo, fece vela, ma vediamo piò oltre, chi ebbe il tanto tremore, perchè
1 Autore di quella Scrittura non ha inietto il Sabeliico. Si vede dall’ eiroie,
che prende circa il nome di Fernando BgliuoIodiFcrranteconM.Galee, in vece di
Federigo figliuo. lodi Ferdinando COD43. Galee, eFuAe, ^ice ilSabeltico;
adunquequeAi dopo aver meffa LiÀà a ferro, ed a fuoco andò ad aflalire Corfò,
Pietro GiuAinian, e Niccolò Bigan, dicono Curzola, dove da principio furono fi
terribili gii alfalti, che ad un tempo vi pofero le Scale alle mura, ondo
avevano fpaventaii i Terrazzani, Giorgio Viaro ivi Capitano, diffidane dodel
poco numero de’ fuot, hfpettoaquc! de'Nemici, per intimorirli fece fparger voce
per la Terra > che rArmata Veneziana lo veniva a foc correre, efecerUrealIc
Campane per tutto, e levar dalle mura un lieto grido, che gàvenilTe l’Armata. I
Nemici dalla paura del pcridsio agitati, perduti circa aoo. fi ritirarono
inMare comeOmbre, e Ipiriti tenebrofi di procelle, anzicomeComacchie, che
fuggono il (uono delle Campane de' Campanili, dove fi aggirano.
Vibannoanchelaiciatodidire, cherArmataVenezianaandò a prendere a forza
Gallipoli in Regno, dove li llende la Colonna in confine dell’ Adriatico, e
Ionio; e che Trento Terra de’Tolemini, Rudis, ed
altrevicineTerreim^ientidelcal'adiGallipali,fi arrenderono, oltre di ciò hanno
lalciato, cneFerdinando vedendo fi grave rotta in cafa fua, pensòalla pace,
^guerra fu la sfortuna di tutti i Principi d'Italia congiurati cantra i
Venezianiper caufadella guerradiFertara, dellaquale (crivc il Giovio nel
principio delle Storie, ed il Guicciardini nclLibro ottavo nel principio,
dovelìlegge, cornei Veneziantconfe^uirono la pace onorevolmente per fe, e
vittuperofamente pel rello d’Italia, che con fenlimentotantogrande, e nel tempo
che fioriva di ricchezze, d'armi, e virtù s'era unita tutta contra. Per
concluderla vi fu lafciato tutto il Polefene di Rovigo, ed i Rè di Napoli per
la fuga, fe pur avellerò avuta qualche ragione nel Marc Adriatico ravret^apo
perduta. Vi farebbe anche per provar la minore la fuga dell’armata di Federigo
II. ImperadoreRèdiSicilia, e Napoli recitata da PandolfoCoUeruvio nel libro 4.
delle Storie di Napoli, oltre di ciò la rotta data da Ruggiero Rè diSicilia,
ilquale infeftando l’ImperioGreco aveva prefoCorlò, dove fatto un Arfcnale,
dominava tutto il Mare. La Repubblica, che aveva giulfamentela protezione di
quell’ Imperio, fe gli mollè centra conArmata, loincontrò, c ruppe dice
Tommafo.Gazzilio Siciliano ScrittoredellaStoriaSiciliana Ub.p.dec. z. Commijfo
prttio ex fuisTriremiha, undevìpnli amijps, fxinUTfifqut yRugeriui vilha rwn
Juueis dijjìpttiiSicilimi profughi et pojit» bello fe fuitraxh. Cioè lucceSà
una fanguinofa battaglia Ruggiero perdette, e fommerfeip. delle fue Galee, con
poche, e diifipate vinto fe ne fuggi in Sicilia, e poi Rette ritirato
fuorde'travaglidellagufrra. Parliamo adunque, ficcome abbiamo deliberato centra
Federigo Imperadore, come quello, che abbiamo detto elfer chiamalo
DeminmA&odi, ed è quello, che i Dottori dicono, che il Mare fi pofla far
proprio, quello concederfi, e fe egli vinto ha ceffo al Vincitore il luogo,
fiamo nella regola Finro vineentem. La Repubblica ne aveva il Dominio exiiujhii
ad omnes, quella dunque farò per finita pruova della minore.. Edin
rifpoRadelquintoArgomento degli Avverfarj, col quale parlano, come dicemmo a
propofito, ma vanamente in riguardo allaveritò dellaStoria, come a quello
invigilano tutti i Regnicoli eccetto il Collanzo autore, e tellimonio
degli.Awerfarj, l’Auior degliAnnali Ecclefiallici parte per emenda, c parte per
rifacimento di guanto ha fetitto contea la Monarchia di Sicilia, li è melfo a
quell’ unprcfa, ci ha prodotto per apparenza di tellimonio uno Straccia fcritto
da penna d un altro Regnicolo, ed un'altro Apocrifo fenza nome, trovati
folamenie a quello tempo tutti due a bufi leggere difuccelC di
quattrocent’anni, vogliono anteporli a' Scrittori pubblici di quel tempo, a
tante memorie antiche di Marmi, e pitture antiche non mai contraddette. Se
Romoaldo Arcivefeovo di Salerno, del quale dicono elfer uno degli Stracci
prodotti, non fa menzione di quella vittoria, ec. torit, non va la confcguenza,
che pon fiafuccefla; poflbno enervi mille caofe d* una tal ommUTione, o per
invidia, o per fcoprire U mancamento, e Timpotenu del Kè di Sicilia fuo
Signore, o per non confeirare il Dominio di Volita Sereniti, o che non ha
Icritto, • che gli è (lato levato, e fìmili. Si adducono anche altri, che non
ne parlano punto; aniche, e Pitture palefano. 11 Padre }acopo Cordano Gefuita
in una fua Cronologia fcrìtta in quei Ila materia feguita per fuo Autore il
Compoficor degli Annali, ma non nega quella vittoria, ed i PadrìGefuiti,
chehanno mandato fuori in Colonia un libro intitolato Dtfenfiones Ànnatium
Ectlejiaftkorum. non la negano ; però per pruova della minore, e per rirpolla
del 2.. c. 63. dove introduce il Cardinal di Monopoli a dire al medefìmo
Pontifìce dell^ltalia, come la liia liberti, e grandezza rìfiede nelle Lagune
del Mar Adriatico; e come fi deb. bono bilanciare t fervig; della Repubblica
antica, e moderna fatti a Santa CKiefa, ed a tutta la CrìAÌMÙt^ parimente;
(ìccomc ampiamente fi leggono in molte Scorie i validi ajuti dati per 1 *
acquifio di Terra Santa, e le vittorie ottenute centra Infedeli, f ubbidienza
verlo la Santa Sede, ed i Tuoi Sommi Pontefici ne* più urgenti bifogni; ficcome
ad AlelfaRctro III. fugato, e fcacciato dall’ Imperadore Federigo Fnobarbo, per
la cui li^rt^, ed onore prodigo fu il Principe Ziani, e quel Senato delle
facolcli, e della vita tu acquiilare quella famofa vittoria in Ifiria al Capo
di Salbore con cattiviti d’Ottone figliuolo dell’ Imperadore, e non effendo mcn
liberale ne* tempi di Leon X., ed altri Pontefici ec. Onde gli Avverfarj non
offendono la Repubblica, ma i loro Principi, mentre vogliono indurre i Miniflri
non folo a far guerra, ma a commettere infame latrocinio, dicendo S. Agoflino
nel lib*4.c.4. e ò. deCivitate Dei. Remora Juftitia quid fum Regna, nifi magna
latrocinia ? e piu oltre muover guerra a’ vicini, e procedere ad altre
confeguenze, e per cupidità di Regno affliggere, c foperchiare i popoli, che
non danno impaccio, che altro fi dee chiamare, che gran latrocinio? Penfo
d’aver adem^ piuto a ciò, che per tal materia brevemente fi abbia potuto dire,
GRAZIA I N- I N P E 5^ LIBRORUM PROHIBITORUM, Pum R?§uii^ pqpftfli* p^r P^trcs
a Tridentina Synodo dclcAos. AWCTORITATE PII IV, PRIM^M EDITUS. 1 -i. f»Jìe*
vtra ^ S/nt» ofiiu jht Et KUNS p«MVMS.p. n, CLEMENTIS ^ P A P ^ Vni, Jitffu
rtu^iùtia, ^ paUictun. INSTRUCTIONE adiecta, {V mjuniét fnhUmmh, itfiù Jbictri
tmeniaitdi, CLEMEN5 PAPA VIIE Ad perpetuam rei memorfam. tacaosaNCTUN acho. Uem
Mii éqNfinMii fise ^ PcopUccRi Mtctertìitfì iàUiKin confc^tu nemini Ikxt >
ut Ciivua in Ecclefla Dei perpetuò eoo(tfvaresur » p^rifque iovioUrutn crade
aercitanm, ut haoc fideà catbo^ìca; dpr firnwfM ioGigrkttem t (»Unm » incorna
pcam^'ie òi Mcidila Dei reciaarent, ApoAokci animi magnitudine» prò muro domuv
Ifraei, advcrAis einrdeni fidei hoAes»^ fciproa oppooentei, ne iAoram doHi, 8c
infidiia imprudenter> &limplickaiit vctcres ex infcm excitanecr ficn
riiu: Noi. ranl eandcm Pjì pndeceiToris Tri^ntitu Synodba» pefVileijceiB
ooxicv- Conllitu^eoem» &]iiclicen>y acReguias« TUO libroTuo copivm, qoc
plbs. nitpio ^uonim q^iam. tenorer haberi voiutous cxercventr coerceiet auferre
èu> cxpiemh ^uam hxc ip^ p'iens prìnram quìdem dò^iflìmos alì- ta> prour
ìnKrms dcfcrìpt# Aific oronui quoc vnosnfetl^iei qu^de
d^T||hgila»i|in^oi^araAp^ft^fi^^ tenore ^norceti^,;fc,der^r 4 ^tt''.*’ pcrmota»
ad ipfxm Apoftblicam l^deni» gurarìbui peribnis ubiqiie loconmr exiuucgram rem
défertndara Aan]tc»-Itaqpe Itentibua» Aib ufdem p in did^aPìì fel. ree, Pius.
Papa qitamìs przdeceflbr, ConnjtDCrone COTcentis» obiérvari prveinoAcr, qat
hcofcTw xpbrrpacV J de; (fiadamut^rQ^ «ovai faci fa fedebat, Przbcis
qui&atàam doé^rina» Itas negqtuim» cùm prombìrionìSf rum et
prudentiaprxlUntibusy^adbibirxar.^DK^exputjacioais, de imprcfConia libromm
dìeem librorum prohibitofun) » À Re^* pcragamr» eas omnci £acalcate mein. Fias
firevi^, proinulgavic ì de c/ufmodi noxìo- Qiintus. MagiAro facriPalatii primum
rum Itbronmrdetrimcncisdicpcitcnn^» op- dcipdeGrcgoriin dccimas rcrtius > 9c
Stxfortunè- pfOTìdìt, CarteruTn, Ticct illa tur qumtusi
CardinaTibosCongregarionir prò rempfìrtii raiionc prudenter ruqrinc predi^z
concelRrtinc « quornm tcnores rune conAiruca j rameó'^ -Icum Sarimiz me
vofaraus haberi proexprefliSi conArafhuia» in bujufniodi librorum edhione
mamus* Se qiucenus opmeA innovamus. finva ili dfi^t mala ( nam.polV in- bis
ornniros, qu;r addiùi in bne In ìUlhI tempi» afit erùm libri pcrnicioA dice»
noti adverfantur, volumurqric propartim cqnfcripri, atqiie «dici. parcim>
prcreai ac dccemimus > ut fi q;;x inpoqui fcriplfì e^aKc» de antèa
JcTicùerthti' Atrum dubìtaironet aùttóntfoverfix circa in medium prodiere i ic
mem. Sixtns Papa Quinta» przdccef- aliomio» qut prò tempore fiiper Iiunce òr
noftcr,|mildt ilIaArari«« acque àd hu;iifa)odi deputati fherinv» rd'eraneur i
l’cgoUi a^iMs neceflàrif» rebus » liianda* et ex fencemia eonindeih*
Cardinalium y vie » nr nonuutli alii ejufdear generis (i- nobisi aur fuccefioribus
noAris > fi rei bri V eidem* Indici ad^ereptiu;. Vei^m gravita» id
poAulaverit» conrultis>declacuro: idem Sixeus I rè minimé abfoluca » ^
rencur» et decidantur, quorum audorìhumani* ezcefcrìtJ Noe la fw fqi»» fai^
fuem » cuir pennittcndtt » tum prohiti quantuiTP CQQT Doniìoò' poiAnnez con-
bendii ex{àirgandis » 6c 'imprimeniis 4ìfiilcntes»
quodjampridentiiuliccrarpcoior brit, airifqoe ad eam rem pcrcìncnribos 9c a
mulcis- dia defideratunr cratr hoc expiicandìs» volaouis efie przeipuam,
artempore oronino perficiendum » atqw in ^ èra mandaimts ab oomibiis
venerabilocem edcnditm duxtaui-- Venerabiliigi- libus Aatribos
noArisPatriarchis, Arcbietur fratrr noAro Marco Amooio Epìl^ pifcopii»
EpKcopis» aliifque locorumOrpo PreneAino de Colamela dilt^is dinariist «uroque
gradò»» ordini»» aoc diruti»» Oc Marie Angelorairr intbensi»^ Borro* cam
EccìefiaAicis rccnlatibas» vcl regumeo, Fratinlco SanOcMaric Tran^n* laribu»»
quiro laici», quocunanebonore, tiuc Tcd'eto r titulorum Presbyteris» nec*^ ve!
digicitare prediti», ioviolabicerobAi» non Afeanio SaoOe Narie in CoAixdio
vari. Non obAamibos ApoAoIùis» acin de Columoa diacooo» Cardinalibu»r fu-
tmivcHaUbo», Provinctalibm» et Synodar per hnjufmodi Indice per no» depinari»,
fibus Concilii», editi» generalibu» » vd aliifque pit»« ficcruditis» viri» in
colIfi•^ fpecialihusConAitationibut» drordiiurioliom adhibici», ca omoia, ac
fingala» nibo»/ ac qnibufri» Aatml», 2c coornetitqoe a Suro quinto» oc fupra
dixtistt»» dioìbus» etuni fitramento confirmatione ìnAicuta ennt, diligcmer
exiroimnda» ApoAoKca» vcl quavi» firmitace alia ro«ommilinm»» que cum magno
Audio vÌp> bomis privilegi» qooqoc indcllds» fieli ter» PROHIBITORUM. 371
teris Apoftolìclst rubquìbiircunque tenoribusj &- formis in cor^crarium
pnrmifforura conccflif t confirnoarh, approbacis, et innovatisi Qjtibus
otnnibus. Oc fìngiilì etiamfì prò ìTlonun fufficienci dtrogatfone fpeciaUs,
rpecìflca» Oc ad verbum in(«rta mcntio kabenda cCkci tenores hujulmodi
przfenribns prò expreilis habentes, hac vice dnnraxat, rpecialicer»
&exprcriè derogamus *. czccriiqne conrrariis quibufcunqiK. ^cemenccs
camndcm przfentium cxemplis, cciafn imprefljs, Notarli publicì manu
fubfcriptis» Oc figìtlo Trslati a!icu/us Bccldtafticì obfìgnatis» car^m haberi
fidem > qux hibcrerur ipHs prxfentibus, iì forenr exhibitSi vd oiicnfx. Dar.
if’urculi, fnb Atmulo Pifratoris. Die decimafeptìnia OOobris, MiHenmo
quingenrefìmo nonageiìrao^ninto, Pontilìcarus Noftri, Anno Q^no M, f^ìus
Bibrianusy PIUS PAPA Ad perpetuam r?i meraor jam. OMINICI ^egis cuftodix Domino
dil^nente» pr^pofìci ) vigilili n>ore paftorisnon dciìAimusx ipAgrcgi ab
immineniibuspcricuh's,quanta maxima pofsomus cura, et diligencia rrcavcrc, ne
propter negiigenclam noum peream ovcs, qnz prction/Cmo Domini Noftri Jcfn
Chrifti fanguine, fune rcdcmpcx* Eifì autem, qua adAdeì vesitacem
parefacicndain, et ad horum temporum hareics confutandas pcrtinebant, in
orcuraenico, Oc generali^ concK Ho Tridentino, SanÀi Spiritus aflìfteiK ce
gratta, nupcr adeò enucleata, ac definka fueriint, ut facile jam fit tmÌcui-que
fanaro catholicamque dodrinam, a falia, adulterataque intemoTcere ; ta-. men
cam libronim abharericis ediroram iefiio, non modo Cmpliciores hnminet
corrumpere folent, verura fcpd etiamdoùoi, cruditorque in variot crrorcs, Oc a
veritate Adci cathoticx alienas opinionet inductre, buie quoque rei effe
diximus providenduno Cum auietn aptiiBmum et inalo remedium c0e feirerDus, A
componeretnr, atque ederceur Index, Ave catalogus librorum, qui vel hzretici
fìnt, vel deb?tciica gravitate fufpcfli, vel ctr» xè ptoribua, Oc pktaù
ooccanc; idnego» Tvm ìk tfum ad facram Tridentinam SjrnodBna rejeceramus. Ea
vero ex tanta Epifeop». rum, Oc aliorum dodiflimorum virortim copia delegit, ad
eum conAcicndum in*» diccm, multos cum doéVrma, tum judiciò in/ìgnes Pralatos,
ex omnibus fere nacionibus, qui quidem non Anc maai'mo hbore, phirimifqua
vigilits euro ii>^ diccm tandem, Deojuvante, perfccenmt» adhibitis etiaro in
conAlium Ic^iflimiquibufdain Teologis. Prraé^lo aatcroCondlio, cum ex iplìus
Synodi decreto, is Index nobis oblacus fuifict, nt ne anrc ederetur, quam a
nobis approbaius fuitfee, nos doAiffìmis quibuldam, probacìfAmifquePralatis
eunaccurati0ìnrk Icgendum, examinandumque tradidimus, et ipit edam Cumigkur cmn
ma gno Audio, acri judicio, diuturna cura confefhim. Oc praterca
commodiflimèdigeAum e(W cognovertmus,* Nos falutianimarumconfnlcre, camqueob
caufampro*. videre cupicntes, nc libri, et fcripcacu^ iufeunque generis, qua in
cd-*improbai>tur, fìve ut harccìca. Ave ut de hzretifa pravicate fufpcffa,
Ave ut pietati, acmorum hoocAatt inutilia» aut aliqua corre» fHone faltem
Indigeniia, poAhac a Chri« Ai Adelibus tegamur : mfum ittdiccm, nnacuro Rcgulis
et prarppfitis, anAorirate^ ApoQoItea tenore prafenrìum approbamus impriroique
ac divulgar!, et ab omnibus UnivcrArafibus cathoNcis, ac quibufeun^ qne aliit,
ubique. fufeìpi, eafque Regulas obfervari mandamus, atque dcccmimiis;
Inhibcntes omnibus, Oc Anguh's, ram EccleAaAicis pcrronis,SarcnIaribDS, fir
Re*, gularibus, cu/ufeunque gradui, ordinis,& dìgniiaiis 6nt, quim Laicis,
quocimque honorc,ac digniiate praditistne qiits centra earum Regularum
pr^rcriptum, au( ipAus prohibicionem Indicis, fibros uUos legere, babenve
audaas. $i quù autena adverfus eas Regulas, prohibirionemque Acerit, isquidem,
qui hxrericorum libros, vel cujnfvis auaorisfcripta propter hzrcAm, vel falA
dogmatis lufpicioncm damnata, atque prohibitalegerir, habueritve, ipfo ;ure in.
excommunìcationis pGcnam incìdac, eamque ob canfam in eum, tamquam de harefì
rurpcdiiin inquiri, Oc procedi liceaa.' przter aliaspor. nas fuper hoc, ab
ApoAolica Sede, f»crifque canonìbtis conAitmas- Quiautem Hbros a|Ì4 de cau/a
prohibitos Icgerit, habucritve, prxter peccati morcalìs reaturo, Epifeoporum
arbitrio feverd fé noverte punienduflD, non obAanrfbus conAinitionibus, Oc
ordinarionibus ApoAoli(is contrariis quibufeunque, aut A quÌ-« Aaa i bus.INDEX
LIBRORUM I)Ri comfTiunirer, vel dìvirim, ab eadcm tadm
faumlMMipt^dìmunanT'Jcllbe-, /ic Sede indulcum, nc cxeoinirxinicari raiiowmt
wncruRi, ut jiulUartnt nUùi ir: ‘;7pf>(Tìnt; per Iitera$ ‘Apo^olicas, non
fa- us fitti poffe% tfttàm fi F^itutniu ÌUe cientes pcrnam»& expre(ram>
ac de ver* forum ^.'^rruriati Index, aò tn^uifitorìouf ^ a^yerbum,de indulto
.hiijurinodi menr tM pofiremò nnfediuf ^pa^lelftanllm dttr.pùs, (ipnem. Ut h«c
aucem ad omnium nO; «ifae erùm addiiìst Teùneretur s ^nippe neve quìs
excufaritv cum ma^r.a mAturitate 2 mulfis virif doÙU pe ignorationis uti pofGc»
voItiiDUS> et cempofiiuj, piurlmot compre(:endat au8oft$, mandamuijUt hz
licere per aliquos Cu- «if«e /a erdinem fatU commdum diiefifu tfri» noflr*
Curforef in Balilica Vatica- fe ^idcatur. rii PiÌBcipis ApoAoiorunij et io
Ecclelia Laterancnil cune, aitn in eis popului» ucrmirarnmfolcmnibus
inccrni> congregari folce» palam» et cUra voce reci« lemuri et poflquam
recitate fuerint ad valvas earutn Ecclefìarum » itcìnque Cancdl 4 ri»
Apoftolic» » et in loco folito Campi Flore afligancur: ibique ut Icgi» et
omnibus innotefeere poflìnr» aliquarv tifper rclinquamur* Cuin autem inde
amovebuntur» earurn excmpla in iiidem tocis affixa remancant. Nos enim per
rccicationcm hanc» publicationcm » &a£Bxionen)» omnes» et lingutos » qui
bis liccris comprehen^tur» poft tres menfes» a die pubiicationis» A affixionis
earum» numcrandos» volumus perinde aAri£Ios» 9c obiiqatos effe» ac ù ipAfmcc
ille edite» Ic^equc fuiflent. Tranfumptis quoque carum, que manu alicujus
publici Notarli fcripta» fabfcriptavc » A figlilo» ac rubfcripcione alicu/iis
pcrfonz in dignitate Ecclefiaftica conftùute » munirà hKrint» fidem fine ulla dubitationc
habcri inandamus» acque deràmimus. Dar. Rome apud S. Pctrum fub Annulo Tifearoris, die
xxiiii. Marcii». Pontifica cm Noftri Anno Qjiinco. »^Rimus FioTeìfelUt
LaxellìnutConfe£Iuin a deputatione Tridentine Synodi R. P. F. Francifei Forsrii
» OriL Fratrum Pred. S. T. Profcflbris. A cjufdcm Depucationis Sccrcurii UM
SanSd ttamunuA TfldeutU «4 Sytf»dMt ÙV roimììfus Addita #.t g4j fjfcc « fecnuU
fefioaU De creio Jub BeajlUimo Tio Qjfario Toni. Max. txplicatj Ju», c«ifmffet
» «r Tarrer Ali^uct » ex ctmibui feri nstlonihuf deU8i$ de Ubrorum etnfurif
^uld Mutuendum tfjet » di/ij;e>ttcr coptaiiatus, in j^oniaw vero
ìiuelli^ebAnt t propiere* In alì^Uibui 'PrttLìiuus, oc loels haSenus eum
fndìcem rteeptum non tffe^ i^«odÌ» eo ifuldam ìlbri prol/ibereatur t quorum
leOione viri da~ Bi pTivari ^magnoincommodo afficerniur » Atque animo
advtrttntts etMin» in eo effe nonmUa forum expticati pafitUf qua interpreiO'
tlone indl^eretìt j re, multum diuque delibera' tionibur abitata, ac vÌtìs
etiam ex ornai notiene, Tixoitt^ica facuìtatls fcìentifjimìs, in coafilium adinbUìf
» fuhieQoi Ryguiat componcndas ;ndir4rmr» ut quoad tjus fieri pofjtt, dìBorum
homlnum eommodht &" Jìudiii faii'4 vtrhaie, oc reli^icne,
frojpUeretur. Jllud i^itur in prtmìe aà fervore oporiet, utumquamque peni
aipiìobeti literam, tret hobtre ciajjet, Ja primA non tam libri, quòm Ubrorum
fcripiorct, eoiuaientier, qui aut haraici, aut nota Ifartfit fnJpeBi fuerunt ;
horum enim Ca~ toìof^um fieri i^riuìt., m omw ìmeUi^ant, eorum fcripta, non
edita folum, fed tdenda etìoM, Orohibìta effe. Sed iitni etum
aifimadverrendna^» quod lieet muliì pratcrtA fini, qui jufiiffmìs de cortfis in
Imuic ilaffem refern pourani, Tairibus temoi non is fult animui, aut ad cerum
pertÌKcbat ii|^ii«rj 0 ii » ut eot ad unum ferquirCm nnt, fed Ut pene contenti
fuere, qui in mano Catalt^o dtftripti funi, de aliìf veri ejufdem green'/
auBoribus, idem ab trènorìU, et biquifitoribuf fiaiuendum effe exiflimarmt. Ih
fecundam Clafjm ron auBortt, fed libri futa r fiati, qui propier doBrinam quòm
tontlnent, non fanam, aut fufpeBatu, aut qua tffenfionem etltm in morìbut untum
fideiimit aficrre potefi, re/ieiuttur, etiam fi auBorts, a quìbut prodiere ^ ab
Eetìefia Tjaiquam defeherunt Tenia vero et ultima claffis, eot llbrot
compleBìiur, qui fine fertpiopt nomine exìeruttt la vulpts, et tam doBrlnam
emtlnent, quam H^ntana £eelefia tzmquam eathoUea fidel, aut morum IntexTÌtail
contrariam, rtfi^ tanibm ae repci/endraii effe defrrrtif. >(on enlni om^es
llbrot, qui Komen auBorjt nonpraferunt, damnandot putarunt : quandoquldem fapè
virot doBot, ae SanBos noviniii » M Cbrlfiìana quldem Ppfp, ex eorum vigiliir
lìiiU etpent » ^ ivr^ ìnstiem rUm fvìiarau, ùkru ofnimoi /ine nemne edi^ àlffe,
ftd tos taravm » ftu ent lujiiìdo prtvtm 1 «•w diibUm fidel doSTtnamy /Ìi«
BMnA*a fcruienfém ecniìnpu • vero /mf hujnfmodl, aiit tales omnino prohibeneur,
AUorum. autem. bxreticorttni libri » qui de religione quidem ex profeflb
trapani » omnino damnancur. Qui vero de religione non crafUnr » a Thedogii
catholicis, iulTu Epircopomm|_ et Inquifitorum exairinati» U approbari »
permitrunrur. Libri eriam cathoUcé confcripti» cani •b ini*» qui Qoftea in
hxrcfìm lapH Ainr» quaiD ab illis» qui poti lapfum ad Eccleuz gremium rediere»
approbari a faculca-. tc Theoiogica allcujus UniverfiratU cacholics» vel ab. Inquinrione generali» per«. mirti poterunc. V
Erfìone* fcriptonim.^iam EcdeHa-. Ricorum. quz haf^nui edita fune a damiutis
Au^Voribu*, modo nihil conrra fanare do^rina cootineant » permiccunmr. Librornm
autem vetcris teRamenri verr fìonet» viri tantum doOis » Se pii* Sudicio
Epifeopi concedi poterunc; modo hu» jui^mondi vcrilonibu* tamquam elucidatici
nibtt* vulgatx cdicionis» ad intelligcndam facram Scripturam» non autem tamquam
(acro texcUf utanmr. Verfiones vero novi ceRamcnci, ab auOoribu* prime cladis huju*
Indici* faneraini coneeJantur » quia utilitàti* parum»periculi vero pluritnum
leftoribn* ex earum lefUone manate folet. Si qui vero annorationcs cum
huiufroodii^ qua permictunnir vernonibus» vet cum vulgata editione
circumferunrur» ex pun^is loci* fafpcftì* a facultatc Theoiogica alicujus
Univerfitacis catMicc» auc Inquiruione generali tpcrmicti eifdempoterunt »
quih^ Se vcrnones. Qu^ibu* conditionibus tocum volumen Bi« bliorum, quod vulgo
fiiblia Vatabli dicitur, auc parte eju*» concedi viri* piis»& do£li*
poterunc. Ex Bibfii* vero Ifidori Clarii Brixiant prologus et prologomeru
przcidanrur eju* vero cexrum» nemo tex. vulgata edi-« ^ionis ciTc exiRimet. C
Um expcrimcnto maniféRnm fìr» (t Sacra Bibtia vulgari lingua, palÉm (ine
diferimine pcrmittaniur» plut inde, ob hominum temerirarem» detrimenti qiiam
ucilitatis otiri» hicin parte jndicio Epifeopi » aut Inquifuoris Recur » tic
cum conltlio Parochi vel Confedarii » fiibliorutn, acatbolicis AuOonbus
verforum» leAionem in vulgari lìngua ci* concedere poRìnt} quo* inccllexerinr»
ex hu. jufmodi lefiione non damnum» fed (idei, acque pieracis argumentum capere
pofTe; quain facnirarem in fcripti* habeant» Qui amem» abfque cali facultate ea
legete » fen habere przrampferit» nifi priaBiblii* Ordinario redditi* »
peccatorum abfolutionem pcrcìpere non pofEc. Bibliopola veròqui prxdidam
faculcarem non habenc » Bìblia idiomgte volgari confcripra vendidèrint» vel
alio quovi* modo concerserint» librorum pretium» in
uTupiosabEpifcopoconvcrtcndum, amitrant; aliifqoe perni) prodeliAi qualicace
eiurdem Epifeopi arbitrio fubìaccant. Rcgulare* vero » non nifi facuirate 1
Prelaris fui habica» ea iegere» aut eroe(e pcdCnc. RE L ibri il!i} qui
hcrcciconun Auélonim opera, Imcrdum prodeuac, in quibus nulla j lut pauca de
Tuo appoiiunc» icdaliorum di£iacolligunc>cu/uraK)diruiic Lcxica >
Concordancix, Apophiegmara i Si-railifudincit Indice», Se hujuftnodi, fi quz ne
admixea, quzexpui^atione geam illi», Epifeopi, et Inquifitoris,una curo
Theologorum caibolicorum confilio ^bJacii» eaMndaci», perraùrantur, L ibri
vulgati idiomare de conrrover» fiiss inier carholicos, Se bareticos noAri
tempori», difiercmcf, non palGm i^rmìttancur, fed idem de iis ferveotur, quod
de Bibliis vu^ari lingua Jcrjptis, flatutam eft, Qui vero de ratione bend vivondi,
comemplandi, confitendt, ac fimìlibus argumemis volgare r«m»onc confcripti
iiiiu, fi fanam do^rinam coiuiiieanc, non cA cur prohibcantur, ficuc nec
lìcrmone» populares, volgari lingua babiti. Quod d ha£lemi», inaliquo regno,
vel provincia, aliqnt libri funt prohibiri, 2 'iiod ivooQuUa coiuùterentiqua
fine dcle;u ab omnibo» legi non expediat, fico, fum aufloret cacKolici fum
poAquam cmm Chiromantix, Necromantir, five in quibus concia, nentur fonikgia,
veneficia, at^ria » auTpicia, incantariooe» arti» magicz, prorfus rejiciantur.
Epifeopi vero, diligcnccr provideant, nc AArologix /udkiaric libri, trapani»,
indice» Icgantur, vel habeantur, qui de futuri» concingencibus, fucceffibus,
fortuicifve cafibus, aut iis afiionibus quz ab humaiu vohintate pendenc, cerco
aliquid evcnn irum affirmare audene. Permiiruorur auccm judicia Se naturaks
obrervationes, quz navigationes, agricolturz, five medicz artis juvandz gracia,
confcripea fune. I N libronim, aliammve fcripnirarum, imprefilo nefervetur,
quod in Coucìlio Lateranenfi fub Leone X. feffione decima Ratutum eft, Qgasè fi
in alma urbe Roma, liber aliqui» fic imprimcndm » per Vicarium Sununi Pont, de
{acri Paiatti Magifiruin, vel perfonas a SerenifiCmo Dominio NoAro deputaiula»,
prius cxamincntuF. In alii» vero locis ad Epifeopum, vel aliiim habentem
fcicntiam libri, vel feriprurz impriinendz, ab eodem Epifeopo depucartdum, ac
Inquifiiorem hzrcticz pravitati», e;us civitatis,veldÌGrccfis, ioqua iinpreflìo
fiet,e)usapprobacio, Se examen pertineat, Se per eorum manum propria
rubfcriptione gratis, et fine dilatione imponendam, fub perni», Se cenfuris in
eodem decreto contenti», approbecur, hac lege, de conditiorte addita, ut
exempluas libri iraprimersdi autheniicuai, de manu autori» mbfcripaim, apud
Examìnatorem rcmaocat. Hot vcrò, qui libellos.manDfcrìptos volgane, nifi ante
axaminati,probaiiquc fuerint, jirdemp^nitfubiicidebcrc )udicarunt Patres
depurati, quibus iniprclTorcs, et qui co» habuerinc, de Icgcrint, nifi aurore»
prodidcrint, prò aufloribus habeantur. Ipfa vero huiufinodi librorum ptobarlo
in fcriptis detur lA in fronte libri vcl feripei, xel impreffi authcnticc
appareat, probatioque de examen, ac czteragratis nanr, pQt Pmirct, in fiiagatis
cfVitatibaB > le Ckteniin nomìtUt ctzm Hbronim « ^ur 4i«cefi&(tt4 doonuyvet
toei>,«bi an im* t Pasnbus «lepucac» porgati funt, tura pretfotiL termnir »
8c bìMìothcat 1ibr» maiur defcripca» San£UiEmi Domiiu Noie hcreeiÈfc
praricacis» oc nihM commi ftri. ìaiTa. tmdidit.. quK pfoiUbaxur» ant
imprioiacuri auc. Ad c xa t ma re verò- oranibot fidbMmwdttnr» aòl hdieamr..
prccipinir» ne qaìv aodeac eoocra hanim Oranea ««t6. librarìi » fle qucunqne 1
n> Rcgnlamaó pm(crìptu{D« luchiijui Indie» bcoQim. ecadéco res ^hab^c io
6iis bibiiou pn&biuoocm a. libro» aliqoos legem » ibedi» ifidkxaadibaMnm
mp^um» aufbabere.. habenc» cum Tnbiccipcìone di^bruen per- - H qni> - libro»
kat«rieofumv v# Ibnarum, » aJip»viiproaL habeant » auc oipiìvìi Au^r» feripea
> ob h«rentai''>cl vendanoli ib? qujCBAqole adbnecridaoci ob £alfi A»mii»
rufpietonem damnaca» line lieencia corundem depucandoram » i^ue prohiDiéa,
Inerir, live habucric»iU miniRri publici ejtlT'loci»i predifì» peifonis
fignsfieenr » libro» 4 ^e addu£b».. - « ^. Nono veto aadear • iifarara » qo^
jpft, «aitati» io cÌTÙateiB mtrodoxie» alwai lefeodutt tradem » mi aliqna fa»
tiona atnaare » «ar commolam » nifi o» Aenfo pnnt libro » bi bab^ Ueaocia a
hane ìmpnfBonem » et edìtioneni de nòvo pec&fiis depucandi» » ant -oifr
nocoeid. trlbui ^culcaiem Epireopis» veMnquifito«oofiei »> librasi jam
c& otuùbux per- ribu»» toc Regutarium Sc^rìoribu^i con tini ia
caconunicacionis Iracenciam iiw tiiKrac. ’ - Qui verò libro» > alio Domine
intetdi£lo»Wgecic » aut haboerìt, pretcr peccati morrai» rea tura quo aftcituri
/ndicio Epifcoponim fcvcrd puuiantr. Ckra qmtrtam - 1. A NImadVertendtim eft
«Irta fapraraw pcamqdattain r^hiiD Indici» felic.^ recòrd/ Pii Pape XV. nulfam
per mefiurn • ideici qooqne (ervetur » sd Ksrediba» ». le eicèquiicoribui
oldmaniin vt^uwaioro» m libro* a defooftì» rolidh»» firo corub iodicea>»ìllia
peiWi» dqpgcanditoéGmnc • et ab ii» lieeMiam obcìneaoc » prìorqnaa ei» ucasuur
» aot in alias perfonat qu^ cuDqoe rariooe eos traufiecaor. cedendi nbenciam
emendi » iegendi t àul retinendr fiibliavulgari lingua mira «cura ha£lenot
mandato, le nfu Sanf^e Romane le univerfali» loqui/ìcionis fublaca ei» fiierìc
fiicaicas oeocedendìluilDfmódilicentias l^endi» vcl rctinendi fiibìlia
vtilgaria» auc aliai (acre Scriptnrc cara i^vi qndm veteri» tcRamcnti parte»
qoaviaVdl Jn hi» a^fo oranibui» le fiagul»» pf- ^ri lingua edia»; ac infopcr
ruraraaifa sa ftaraaror» vel amiffianù Ubr^iBiVei le compendia eciam hiAoriea
coruodcra alia. arbirrìA corudera £pi£ooponira» vd Bibliorum^ feu librortuo
(Kie fcripcnrci Inquifitoram» proqoalitatq «oocnniaels». quocuoque vulvari
idiocoace conlcripu c vel dclidi-. * quod quidem inviolati (ervandam eA. Circa
verd libros» qooi ^tma deputa» -ti. aut examraanmr. aui expo^runc » Crrni. «nmm
auc eirptireando» cradideriioc « ant cerei» _ condittonwoi.ocntrfa»
excudueneirtcofi- ^^Trci Rmdam ìx. aiddem Xndicti » ccfi*e^t» mìdcpiid ilio»
Aatmiiflé confti- 1. abEpifropt», IclaquificoribusChricerit y cara bibliopolc »
quim. esteri ob^ fiifi^le» fedulò adinonendi fune » £rrveiit. quòd in legente»*
auc rerineote» concra Liberum taraen fic Epiicopii* aot tiv r^Iam banc» libros
huiufooodi Aftroloquifitoribus generalìbu» » fecnidum &cui- gis |odiciarÌs
divinarionum le fortìfegio. tatem quam hatency eosecUm libroiyqut rum»
rercmiqtte aliaramin eadem Reguia hi» Regulis perroitti videiirur » prt^ibcre»
«xprefiaruaiy procedi poteft, non raodò fi hoc in fui» tvffi» aut proviociit»
vcl per ìpfos EptTcopoiy A Ordinariosi fed dioNcfibus expeiure iròicaverine.
eciam per Inquificores loconim ex conAi tutioM feU ree* |jxti Pap» C^mn contea
.exercentes A(bplogÌx judicùrùe artem et alia qocnwtpic «livuutioattm genera »
UbroCque de cn kgences t ac ceoent«s» protnulgaeat Tub Damai Roniz aptid
&an£^un Pcfmm I anno. locamationixDo^ ininicz M. D.JkXXXV^ Noni». Jannarii
» Pc«(ilkatu« (lù aDi¥> primo t Px Ttéhi^ k et lìkth Uthémm, Q Uimvìs in
tenia c1a0é lodkiia p*v» di^i Pii ffapz IV. Itfb licera Thabmid Hcbwocuia »
epiTigue gioite k anoocatiojies i iacarpMUtioacs » £c cxpofiiiooes. onmes
pmlubnitmr i ^ quòd Q abTque ooaiiiie Thilaisd g et ne iDjuriis, Oc calumniis
in Religiooem ChriftiaDam abquaodo prodiiiTena * lOkxareiuur: quia tamen
Saa£Uil$iniu Domi90S NolUr Domiqp*^ Clemens FapaVlIL Mr Tuam eoaRitutìoneio
concra inapia uripea et libro» Hebrroram » fub Datum Rorpe * 0 ^ Sartfbiux
Paniai anno Incarsacioais Doffiiniac prbtie Kal. Marcii Pontificar, fui, anno
lecunlicioQÌb«s. pcnaicegp» auc co^randi i fed ^ialicer et exprefie Aacqic Oc
vuki u; ^/uf^niodi impti ThaUnpdici, CabalilUci,, aliiqpe ne4im. Hcbrsonim
libri omnino Canati Aeprobibiti manche et ^nfcaocnr f ^tqoe foper eis > de.
ali/T librii hujufiooìU > pr»4iAa cooAicutia perpetua j Oc iqTÌpUbi:^ U(ce
Qbfcrvcrar. lUfn A d bee (citnt Epifeopit OrdiBOni». et lj>qwiricore»
locorom 1 libmna Magazor HebraeormB t qui eoocU net pariem oUcioram, fic
ocrimoniamm. ipforum t 6c ^ynag^z * Luficaoica > Hiipanica t Gallica »
Germanica > Italica ». auc quavù alia rulgari lingua i praterquam Hebraca »
edimm * iamdiii ex fpe(iali decreto, racionabilirer, prohibìtum c(Te. Idcirco
provideanc illuni nuMarenns pennitri auc tederari debesEL > oiR Hqbraica
lingua pr«U{^a. De iihrìs Jeewy/ 3edùu. C Um in Appendice » fecundz clafEl iub
lirera L dicami ( Joaqoit Bo(lini Andegavenfit DcmocKimania omnino prohibeenr»
liber ueiò de Repoblica » Oc Methodus ad £icikm HiRoria ram cognttiooem tamdib
prohibói fintqaotdque ab AufVore expurgata » com approMtione Magifiri (acri
Palaiii prò^riot • X Id widem per eirocem forcaffe librani fauum credicnr r nam
liber de RepuUica einfdena JoacnÌB Bodini • primùm die xv. Mentii
Odcb*M.DJfCII« detnde liber Demonomanùt dio priioo Menfit Septembris. M> D.
XCIV* eodem Sao£lUSmo Domino onftroPapa firn^iciter damnati funcf ac proiode
ueerque daiimanu Oc probihitai aideodm cft INSTRUCTIO, Eomm» qui librii turo
prohibeodùi com expurgandis> turo eciaro iropriroendisa diligcntiam» ac
fidcleiQ ( ut par eft 2. operam fune daturi« A P fHà CéiMkit canfenmomm t nm
fmtt « fai MMM ex jm ectJtit !/•% Ont dxmau USìtaU iu t n ( fited Jadite, per
Patttr a fOicMii T^Uemàu Sponde dUeSot^ fréuìpai Jrnrìnm (fl tufi iiiui etiém
raveuur • M vai iiém deene poiiidair IHrrì't vd fm^ olii emetxmt t et pn^mtir •
mù iaeuutMt fideiium^mmtes «ante vateca u^cÙBtet • iiifiu, ét «erica dcMorùiee
dejxi/iidwaiaxt _i (A ^rfm, fuìemtpie pefi hit fìu vetem, fot naeù Uhi edmur »
MÒm m*xlmi furi « ^ MB À «r pta «( pdmi, ^oaai qoa ad 9 um ftrUmt hemumìaaii
extfioMt i foad efiva ma i wnm Ubnrim imndì^ouem • ad 40/ fmùtu aèoieuio/t um
ab Epifeapùi ^ jifiq^tMciio/ i fodoi a camli » «nenon ad ti tu MaeUfia pei
fiudum miere % ^ enfiarito/ perdi ; preperr e« fna TVidexlMenoie ‘PornoM ^oùr
jMpraMSù * decreta fmt ) ftiUUa miluM exigat, (ofuJbits i^/ra fcfh di t
dUìgeutim jbwùor » tifdemw JtamtW t M «Miiae io «nf ak Ufidem /rtftV » et
lu^tfitcìribtu, aliìf^ i o» pM)trNot f tu loaienww. ii&rorna»
ÌN/exdifi>eoe » et éboÙtme • tm a CcnrefieriW c InJev weric publicants )
eocum juriCiifìionì (ubjef ad ipfoi defcripca Angillatim dc&renc noaiuia
librorum omnium iTugulumm > spui (c in codcm Indice prokibitos» qniique
rcperiet« Ad hujuimodi vero libros fic lignificandos » infri certujn cempus ab
Epifco» pOi vcllnquifìtoreprxrcribcndunii omnes cuiiifcunque gradua»
&condicionìs exciterinc > fub gravi porua » corun) arbtcrant inAIgenda»
tcneancnr. Homx vero hac omnia certo a &• piopoficis edi4tii »
prafcriberulo tempore » przilari curabic Sacri Palaci i MagiAer^ S I qui crune
qui libnun unum aut plorer » ex prohibids!» qui ad prxfenpeum Regulanim pennini
poAunc » certa aJiqua ex cau£a poteAatem Abì retincndii aur legendi &ri»
anc& expurgationem defiJereoc t concedendz faojutis extra Urbem » cric
pcndr Epifeopam » atic Inquifiiorena# Romei penés ^cri Paiaca. Qju quidem
gratis eam » et foripco naaiw liu lubAgnaco uibuent » de triennio in triennìum
renovaniatsi ea in primis adhibicaconrideratioae» ut noonifi viris dignìs» tc
piccare » 8t do£Vrina confpicuis » cuna dele£iu ( ejufmodi licenriam largiantur
» iii aiKom in primis, quorum Audia, militaci pubUcx» &(anéW Cackolicx
EcclcA* ufuè cAe, compercura hahuerins. Q^i inrer l^ndum > quaecvnqne
repererinc ani>rcdvcr(;one digna, nocads capiiibi:, Afbliis, AgniAcare
Epifeopo, vel InquiAtori tencanrur. IL IH I LIud etiam Catholirx fidet
confervanJz neceflìcas extra Italiani, maximè cùm ab Epifeopts, et
Inquintoribus, cùm a publicisUniverAtaribus, Omni do£Vrinx laude
AorentibuspoAulat» uceorutn librorum Indicem connei, et publicari curcnt; qui
percorum regna, acque provincias » harctica labe, ac bonis motibui concrarii
vaganiur » Ave ÌIU J iroprta nacionit» Ave aliena lingua concripti fuerinr.
Utque ab corum leflione, feu rerentione » ceciis poenis » ab eifdeni EpifcOpi$,
dt InqtùAioribus propoAds » eorundem regnoruia » gc provindaruoi homi» nca,
arceanc. Tom ik Ad qttod exequendum, ApoAolicc Sedif Niinriì » et Legati extra
Italtam » cordem Epifeopos » Inquìtìcores, he UnW verArates» feduJò excitare
debebnnc. 1 IV» 1 Idem ApoAoIici extra ItaliamNuncii Ave Legali » ncc non in
Italia Epifeopi, he InquiAcores, cani curatn furcipientaic Angulisannis,
cacalogum diligencer colle£lum librorum in iuis partibus impreAbnim, qui aur
prohibici Am!, aut expurgatione indigeant, ad fao^m Sedere ApoAolicam, vcl
Congregatìonem iDdicii, ab illa depucatam» cnn^ictaoc s. V. E Pifeopi, he
Inquiiicores, feu ab iifdem fubdelegaci » he depuucj, tam io Italia, quitti
extra, pends fé habeaut AnguJarum nationure Indices,ut librorum, qui ap^ tUas
damnati, ac pròhibiti fune • ct^nitioncra babcnces, raci« litts profpiccre
poflìnt, an cciaoi, a Aiz >utildi£liuQÌ& terris « eofdere recognitos,
arcere, vel retincre debeanc S. VI. 1 M UDiverfuiD aurerede tnalis,
&pernicioAs librts id declararur, acque Atrairur, uc qui certa aliqita
lingua initio edili, ac deinde prohibici, ac damnati a Sede ApoAohea fune i
eofdem quoque, io. quarecunque poAea txrtamur linguam» ccnieri, ab cadere Sede,
ubigeaeium, fub. eifcleoi poenis interdi-, he damoatos DE CORRECTIDNE LIBRORUM.
S- L H Abeant Epiicopt, et InquiAcores con;unLlim facultatem quofeunque libros,
;uxta przfcrìpcum hujus Indicts, expurgandi, eciam in Jocis cxenipcis, de
nullius, ubi vero. nuUi fune InquiAcores, Epifeopi foli*. Librorum verò expurgatio,
nonniA viris eruditione, he piente inAeiiibus committacur, iìque Ant tres, niA
forté conAderaro. genere libri, aut eruditione corum, qui ad‘ id dfligcncur,
plurcs, vel pauciores ksdicentur cxpedtrc. Ubi emendacio conferà cric, notacis
capicibns, paragraphis, he foli», manu illìus, vel illoruru, qui expuigaverinc,
fubfcripca, reddatur, eifdem Epifet^is, et loquìAtoribus, ut przfertur t qui A
etnendacionem af^robaverioc, cune iibet pertniccacur. fbb s-n.. s- u. Q ui
ncgotiitm. fiifeeperit corrigendi ac. ^ moia », flcaicemé. norare deber» non
Colum» que in curfu opcris» manifeftd k otferunr » Ted » Ci qtuc in IchoIiLs ».
in rtrnnnitii4 », in (nar^inidut >Jn indicibiu librorufn » in prdacioQibus»
aut.epHlolisdedicatoriis» unquim in inftdm».dcliterctinr.. ~ aurem correflione
» aroue txpur^ gacìonc indigene. » ferd hxc fune, qux iequunrar^ PropoHrionef
hxreticx». erronex-» hxre« firn, fapiences » fcandaloTx », pianim aurium
odénfìvx».rerDerarix» et rchifmaci» tliciorx» biafpheinx^ Qtó centra Sacramcncoruni
ritus, et cxrcmòniaf » coorrac^uc recepnim ufiim » flb cofiruecudinem Tan^be
Komanz Ecdelix».novitatem aiiqnam indnettnt. Profattx eciam novitates vocum
abhx-. rccicis exeogitatx j, ic ad falicndum in», uoduflz Verba dubia et
ambigua » gux legcntiiim animo$».a rc£Io» eatholicoque feniu>» ad nciarias
opinioncs adducerc poiTunt*. Verba Sacrx Scripturx, non fùfelirer proiara » vcl
d pravisrizretieoruinvcrrionibus. deprompta » nifi forte aflcrcnmr » ad eofdem
hxrccicos irnpiigiundot, de proprtis. celia, jugulandos» de convincendoti
Expungi etiam oporrcc vcrba.Scnpturx Sacrx, quxeunque ad profannm ufum ienpiè
accormnoiantur »’ rum qux ad fcnfnn) detor-. queneur abhorrenrem a CathoUcorum
Pa» trutn» atquc Dofioruin nnaninii fenccn-. tia .. Ircmquc epithera Konorìfìca»
Si omnìx in laudcm hxrcticorum » dcleatitur. Ad hxc re/iciuntar omnia» qux
fupcrflU tioncf * fortiicgia ». aedìvinatiooes Capiunt. Item quxeunque faco^»
auc fallacibus lìgntv»- auc echn l'ex fonuRx, haitiani acbicrii libertatem
fub/iciunr» oblirercnnir.. Ea quoque aboleamur » qux paganifmum redoJcnc •'
itemqux famx proxiiQonim, et przfertim eccleiiaAtconim» de Prìncipum detrahunt
> booifqiic morjhps de ChriAianx difciplinz fune contraria » expui^cmur
Expurgandx funt etiam prop^icioncf » qux lune ccmtra libercacem » immunitatem»
de jurildiflionem Hcclcfìafticam. Irem qux ex gemiiium placitis » moribus »
cxcmpli» t}Tain)icam policiam foveoc» de quam falco vocanr rationemftatui >
ab Evangelica »- et Chriiliana Icge abhorrcntem inducunr» delcancur» Explodantur
exempta » qux Bccleiia fìicos rìtus». religiofomm ordines » ftarum » digniutem
» ac perfonai ixdunc Se violane.. Facccix etiam, auc difteria in pernictem»auc
f^xiudicium famx, de exifti. macionis .aliorum ja£Uca» repudientur. DcniqtK
lafciva» quxbnnot raorescorrumpere poHant > ddcaniur.. Et fi qux obfccna
imarinc», pf.vii^is libri expurgandit iniprcfTx» auc extenc » eciam in liceris
grandi • quas inirio lìbrorum, vclcapicum imprimi morii. efii hujus geoeris
oiania pcni« tuf obliterentur^ S. in. r i libris autem catholtconim recentio.
rum» quodpoftannum Cheifiianz Ca« lutii. M. D.. XV..ooiilcrip s- ly I N libris
autem catholicomm, vetertmi mhii mutare fas fic» nifi» ubi auc - fraude
bxreticorum » auc typographt in caria» laanifeftus errar irreplcrii. Si quid
autem majoris momenti» Se animadverfiooc dignum occurrcrit» liceac in novis
cditionibus ». vcl ad margincs» vei in fcholiis adnocare; ea m primis adhibica.
dili^entia» an ex do^Irjru» lo» ciique collaris» ejufdein aufloris rcntcntìa
difficilior illufirari» ac mens ejus planiut. expticari 'pofièt .. 5.V.. P
pfiquam codex expurgatorius con» «fefrus erit, ac mandacoEpifcopi.de
Inquificoris imprclTus ; qui libros cxpurgandoihabcbunc» potcrtinr de corundem
Itcencia juxta formain in codice cradiraiD eos corrigere» ac purgare. DE
IMPRESSIONE lìbrorum. 5- L N t.Mlus libcr in pofiemm excudarur» qu)
noninfronten»nomcn»cr^nomen, Se pacriam prxferac Auéìoris. Qiiòd fi de aufìore
non confiec» aut jufiam aliquam ob caufam » tacito e;us nomine» Epifeopo» Se
Inquifirori Uber edi pofTe viJcacur» nomea iliius ononino defenbatur » qui
libnim exaroinaveric » arque approbaveric. In hit verò generibus librorum» qui
ex vacionim frriptorum di£Iis » aut e» zcmplis» auc vocibus » compilali folcnc»
is ^ui laborem coHigendl» et compilaQdi rufceperic» pra auf^ore habcatur*. R
EguIvc^t preter Epilcopj, ^ Irv qui/ìtoris licentiamCde quaregula (Kcinu dìàum
cft ) meiniaerinc» ceneri k (acri Conciliì Tridencini decretoopcris in Incem
eiendì faculcaccoi * aPra^lato cui fubiacent, obrinere. Utramque ^em
concefiCooem > que appareac* ad principiqui operiti Etcianc • S III. C
Urent^pifeopi* et Inqui(3tores* p3nis etiam propoHci^* ne impreiTo riam arrem
excrceiu«s*obrccnas iro^gioet, tarperve * etiam in grandìufcuUs literii
imprimiconfuetat * in librorutodcìnctpf impreiCone apponanr. Ad libros vero»
qui de rebus eccledafticis I auc (pìriciulibus couferipei fune* ne charaderibus
grandioribus utafimr « in quibcu exprei^ appareat aUaijut rei pròphans, nedara
rurpis obfcena fpecies. Qui etiam invigilabunt furafflofarp.ut ^ (inguldenm
impreffione librorum > no9 K 0 lmprc(Toris* locui icnprefConia* 6c annui*
quo liber imptelTus e(^* in principio e)a$ * acque in iìne anno retar. s. IV, Q
ui opcris alicu^ edicioftem inccfmm eins exemplar cxbibeac Epilmpo» vel
Inquincori; id ubi feoo(novtrioc,probavcrintqoepcoes fe tesineaai i qnod Roma
qaidem in Archivio Magiftri (Icti Palatii* extra Urbem vero in mo idoneo* quem
Epiicc^uts mk In» quifìtor ciprie* referveatar. Poftqnim aiwem liber impr^ns
eci»non liceat cuiqtiani veoakro in vulgua, proponete * auc quoquomodo
publicareanrequàm is* ad qnem hcccura pertinec» illuni cum manurcripto apud fe
rereneo » diligciucrcontuleric* Ucencìamqne ctveivt di» publicarique poffit*
concelferir. Idque rum demum fiaciendum* cum expIorMMu habebicur* sppoeraphum
(ideliMr fe in fuo manece geiSnè « ncque ab exemphrì manoTcripco » vel minimum
difcciSée « Qpi contrafacere toTus (uerit, graviccr et feverd puniacur. 5. V. C
UrentEpifeopi* atInqmncores«QUOrum munerit cric faculcatem libros imprifiiendi
» concedere* ut eis. cxaminandts* fpe^Uaeptecatis* et do^iqc viros adhibeanc*
de quorumfide« et inteXmw Ik grirarci (ibi polliccri ^anr; nihi! eos gracia
daruros* oihii ouio* fed omni humano afTe^ poUhabito * Dei dumraxac gloriam
fpeAatuto&i ic fideU popuIiaiiUurem. Talmm antem vironim approbacio » una
cum iicentia Epifctqpi, et Jnquifitorìs» ance initium opcris* imprimatur, s.
VI. T Ypogtaphi, 6c BibKojioln » coram Hpifcopo* auc Inqui (icore* 6c Iloma,
coram Magi(tro Sacri Palarii jurc/urando fpondeanc* fc munus fnum cachohcè,
(Incerè * ac fidclicer cxequururoS| hu)ufq(ie Indicis» decrecis* ac regulis*
Epifeoporumque* ficlnquifìtorum edi£lis, quatenus corum artei attingunt,
obtemperaruros, ncque ad fita anis minifterium quemquam l'ciemer adiniduros»
qui barerica laM fìt inquinacus. Quodd inter illos* inTignes, ae^ eroditi
nonnulli repertantur, 6dem etiam cachotlicam, ;xta fbrmam a Pio IV. fcl. ree.
praferipeam* corundem Superioruoi arbitrio > pro(iccri tcneancur .. S- VIL L
iber an£loHs damnati, qui ad praferU peum Regularnm expiiigari permiccicur*
poftquam accurate rec^nirus» de puigams, legitiméque perroiflus literit» u
denuo ftt imprimendus, praferat rinilo inreripturonoroenau^ris* ^um nota
dampationis * ut qnamvis, quoad ahqoa liber rteipi * audlor tamen repudiar!
intelligarur. Inejufdcm quoque libri principio, rum veteris prohibitionis * tum
recencis emenditÌocHX*acperminionis mencio (ut *exempii gratia, Bibiiotheca a
Courado Gefnero Tigurino, damnato au^re, dim edita* ac prolubita* nunc jnlfii
Supcriorum expurgaca* et permida .INDEX AUCTORUM ET LIBRORUM PROHIBITORUM
AUCTORES PRIMIS CLASSIS A A Bydentts Corallus* alias Huldricut Huttenm, AcJuUes
Pyrminius Gadarus. Bbb i Adolphns
Clarembach. Aibercut Bran CaroIoAadius.'’ Andreas Cratauder. ^ Andréas
Dieihcrus.Andreas Fabritios» Chemniccnits.Andrcas Fricius, Modrevius. Andreas
Hyperius. Andreas Knopen. Andreas Miifailits. Andreas Ofiander. Andreas Poach •
Angelus Odonns.’ Anronias Alieust vcl Halieus. Antohùis Anglus • au^or libri tU
orìgine Antonius Bruccfolus Antonius Corvini». ' Antonius Otho. Arccit»
Felinus, et Marttnus Buceni^ Antoldus Montami. Arfatius Schoflcr. Amints
Briranmis.. Auguftinus Mainardus Pedemonfanus. appendix. r:.v| r*.v fi t icj-.
A Bdias Libcrinus * vel Liberinus.' ' Ahdias L • ^. Abdiav Pratoritrt.*’-'*^
" Abrahamus a Munsholt, Aniucrpienfis? Abrahatmts Mufculus. . ^ Achatius
Brandeburgenfìs. Adansus Hoppitis’; ~ Adamus Fafìoris.'- • ‘ Adaiuus Schmìdt.
vcl Schuberts. AdaTfuis Sjbcnjs:-”'""~' ' Aciiiiliujn .portw,
FMncjffi filius.Albertus Htrdtfjt»bcyius.‘'‘ A Al^rtus I.yttichius. AJceus
Antij^iusX) T D Ij ì. Alexander Novcllus. Alcian4« iFcOfa^. t -r T Apòftata
iCTipm bnno '^'^41. Alexius Alcxa^tf l-ipfcofi?». Alphonfus Còffaditis; vei
Conradi»; Ainbrofiys Uhvu^i&r., Ambrofìus féiidcljins. Ainbtofìus VvolfiuSj
Vcl Vvolfius. Andreas Cclichigs,,, AAdrcas Corvimis. ’ /^ Andreas Crithis,
Polomjt. Andteas Ell^cri». Andreas Freyhnb.Andreas Fulda. Andreas de Gorlitz»
ProfelTor LiprenfìsAndreas Gomitius. • Andreas Hondorffius. Andreas Jacobi Gojjingenlt.
Andreas Krcuch. Andreas Lang. Andreas Muncems. Andreas Oiho, Hcrtzbergenfìs •
Andreas Pancracius. Andreas Petrhis. Andreas Poucheraias. Andreas ScofRus, vcl
Scoppius Andreas Volanns. ^ Andreas SKcvvc. ^ Antonius Ccvalterins» Antonius
Cooke. Ancmiius Corramis. Anttwius Fayus Antonius Gelbiu»* Linconicn/ìi.' Antonius Herfortus. ' Antonius
Mocherus. Antonius Pafquius. Antonius Probus. Antonius Sadecl. Antoniin Schoms»
Anglos. Antonius Palcarius. Augnftinus Marloratnr Cetcrorum AuftorunXr-'^ Libri
prohibtiii ' * ) Auguftinl de Roma Naaarc.. ) ni Epifeopi, traiUtui de ) -
facramenco Divinitau* Jc-i) fu Chrifti, 3c Ecclcfir; ) Donce’; item rraflatus'
dc Chrifto ) cxpufge»^ 'capire» et c^usùulico priiH > tur cipatu : ) ''Itern
tradlanis de charitatè Chifti» circa elcfìos,- ) ‘ A de e)us infinito amore. )
-, 1 I>fiartiBar)andi; libcr fcteéUsTJnJ dam Bpiftotas EraTmi Rotcrodat
concinciu. Alberti Artfcntinenfii ) Cronichon,edkioBaJiieeiu ) (is. ) Alberti
Krantii Hareborgen» ) Nifioorrì/i* ) gantur. HiAori», Au Cbroni» ) edicz
Franconfurci. ) Alphonft ErtAt^d», xlcfenfio|>ro Erafmo 1 conrra Eduardum
Lzum, &contra Uniref’fitatem Parifrenfcm. f Amati Liifìtani Centurixi donec
e«{»u|gentuf. Ambrofii Carharinì Politi > quxArotìeduz, deverbis,
quibusChriftusfanOKfimum Eochariftiz Sacnmenrumeonfécit. Afvlrcz Corri, libcr
de Chyromantia. Andrcz Mafìì, Comcntaria, fupcr Jofuc, □fqtie emendentur.
Annali gcnth Silcfiz, )oachimo Curco aurore « AnnotatiorK^ fupcr Inftir.
Joannis SchcncKdfvuini,nift cmciuientur Antiochi Tiberttj libcr de Chyromantia.
Anronii Bonhmi, Commentarla de pudin; A Cca Noribergz ., vìddicec» OHaiv.
drifmu». Ada Synodi ìkmenAv. Adionc» dtix Sccrctarii Ponrificu. Admonitio
MiniArorutn verbi ArgeminenCdiD • ' i Aenuitatis difeuf^o, fupcr (^onAlìo
delcdorum Cardinalium. Alchimia Purgatorii. .--r Alchoranu» Francifeanorum. .
Alchoranus Mahomcti, Bafiléz. imprcL Acnilcs cum ScholiiS} et impiit
Annotacionibu», et Pncfatinntbui. Item
in vulgati lingua, non nifi ex conecAìone Inquilìrorum haberi polBr. Alphaberum
ChriAianum. Amica, &hnmilis, &: devota admonitio. Anatomia cxcuAa
Marpurgi, per Eucharium Ccrvicofnum • Anatomia della McAa. Annotaiione» in Ada
CoitciliiTridenrini. Annoratione» inChronica Abbati» Urfpcrgenfis. Anonymi
cniufdam, Libcr de Repugnantia Dodrinz ChriAianz. Apologia ConleAioni»
AugnAanz. Apologia de Dodrini Vvaldenfimn. Apologia contra Henricuin Ducem.
Apologia Grzeorum, de Igne Purgatorii, &c. Argyrc^hylaci», fen Thefaurarii
EpìAbli. Artiaili AnabatiAaruin Moravix. Arciculi AnabatiAarum Saxoniz.
Articuli» a facuiratc Thcologica Parifienfi dcterininait, fupcr matcrii» Fide)
noArz hodie controver fi», cnm Antidoto, Alidore ut ereditar, Calvino. Articuli
novorum Vvonnatiz EvangcIiAarum. Articuli quadraginta feptem » plebi»
Francfofdicnfi». AagufianzConfcAìonis Ecclèfiarum caufz, qiure ampicxz fine» et
rctinendam ducane fuam Dodrinaró A Cadeniiarum Lipfenfis, A Vvirebergenfi»,
rcpctido Ofthodoxz Conf^cAioitt». j Ada, et Scripta Tbébfóem Vrirebt^ gcflfium
A ParViaiWif'iCoftA'anrinr^h cani, D. Hieremiz, Aci quz de Angunina
Confeflìoivùuerfemifcrunt i.Grzcd, A: Latine ab eifdem Thcologis edita»
Adiones, A monumenta Martyrum corum, quia VViclcAb, et HuA. ad^ii Aram hanczcatcmrn
Germania, G;d!lil, Britannia. et i^dcmumHilpania, vericacem Evitn^rfeam,
fanguìnc foo conAanter obfignaveotht. Agenda, feu forrbula; Officia Hx.
rcticorum; quacunquC tiogiia confcriptaAnalyfi» rcfolucio Dialcdica, quaiuor
Li. bronim InAitutionum IibpcriaUum. Annatz TaxationeiEcclefiarum, et
MonaAcriomm, per imiverfum Orbcm, ab Hzreticis depravatz., ;nris, quòd In
approbandi» Pontificìbits Imperatori» habenc. Apologia Anglicana, feu Ecclefiz
Anglicanz, five Apologia Anglorum Apologia Catholica » advcrfi^s IribelK^ »
declaration'S) &cOQruUatiof>e minus Fratcì unicus Regìa » vixa fui^ fhta
eft 1 per E. D. L. L C. Parifica > 4pud Jacobiim Peciichov. i5S 9 c PatrecK
nia diverforuni Au^orum » intcr quoa cR unus Philippus Melanchthoo. B àlcbalar
Hiebnaa)er« BalthaCir Pacìrpootami). Laptifta Lardcrmiut. Bartholonazua
Bernardi. Ba^tholomxus Conformi i^aribolonifut Roiinua, ÈartholQmzui
Vvcfthcroerus. Baltliat Groeningenlia aliai Vvcffelut, Balìlips Joannes Heroiet
Acropoiica^ Bciiedi^us MorgenRcrn Bcnedi£Iu$ Schurmeginus » Bcrengariiu
Diaconua Andegnavenns. Bemardinus Ochinus t vcl Onichipm, ScncnHiv Bcrn^rdos
Rotmanua Rernardus Zieglerus. Bertholdus HaUerua^ Bilibaldua Pirkaymerua.
EUkaQi» TheobaldiKv Blaurcfu» An^rofuu.. Bocerus Martiom Bullingerus Uenricua.
Bu^genhagiua Porucranna y feti Joanock BH^n£|cuvius. Bemandus Loquam Baquimn
Pernii. Brentiniu» vei Proncia». Bruno Qpinos Builingaiims Anglus«. Certorum
Auftorum Libri prohibiti, B Aptiftx CreroenGs opeca omfiU t quatndip emcQdata«
non prodierinc^ Banholomxi Janoeit de Advencu AntichriRi. Beati Rhenani Scolia
in Tertnllianuin. Benonis Liber» de Vita Hildebrandi. Bctcrami Liberi qui
inicribitur dq Corpore, A Santino Chrifti.. Boccacii Decade! five Novella
c«niiDquamdiu expuigatx non prodierinc. fininonis Heidclii QMrBtrdràfìs $
Pocnaacum Libri fepceio,. appendi».. B Artbolomxi Canfxi opera omnia.
Barcholomxi Caran», MirandetK dti Catheehifmui. Bartholoroxi Coclitis Anaftadt
* Chyromamixi et Phyfiooomix. Bar(holomci FerraricodSi de Chrifto Je, fu
abrcoodiio « Libri fcx quoofqoe ex-pureeocar. Beati Bhetunì Epiftola t de
Primaca Pecri ubicunouereperiauir» five feorfum» five libro decimo Opcris ad
Fridericum, Naufearo Bcmamin Cantabri* kinerartumBcrhardi Lotii Hadanurii * feu
Cerardi Lorichii AJamarii • Col!c£Iio trium Li^ bronim RaceourìonumBrnnonis
Scillif de Mi(Ta publica prorogtnda. Bcrrurdini Telelìi i. de Na. ) cura retum^ ) Itcm de
fomno. ) Donecept. item quod animai Univer- ) purgennir. film ab iTpica animx
fub- ) Aantia gubcrnarur. ) Bemardini Tomicani t Bxpofitio in Martlurum ..
Bononia, five de Lìbris facris coover^p^ di* 1 in Vcmaculam Linguatn » Ubij.
duo 1 Aii^^orc Friderico Furio Cariolane Valentino. Inqcrtorum Au^ìorum. Libri
pnhibiti. Elial» five de Confolacione Peccalorum. Beneficmm CbriAi.' Ber
Bemcn/t5. DiTpuratio*. Bcmenfii.Keformacio conrra Minam.. Brevji, Se compendiosa lollruAio de Religione
ChriAiana. Brevis, TraOatus ad omnes in ChriAianam libercaeera. malevolo!.. \
Brevi! PaAonim. Jfagogz. B^.(ilien(iam MiniAroruro refponTio.t. scontra Millam.
Biblia Hzrecicoram, opera ). impreifa, vel eomnÌJcro ) Annotationibus * Argu. )
mentis» SummariÌs,Scho- ) liis» et Indicibus referta» ) omnino prohibenrur. )
Bibliocheca ConAancinopoH-, ) tana. ) Biblioibeca Sanflorum Pa- ) trum.
Farifiisedita» Se per ). Margarinum de la Bignè in ) Donec exunum coUcfla. ) purgentur.
Biblioiheca Srudii Thoolo- ChriAophorus Hoflmano. ChriAophorus Mclhoverus.
ChriApphorus Rheiter ChriAophonis Trafibulus. Claudiu! Scnarclamus. Claudius
Taurinenfìs» ^ fettffa de ìum» ginìbur. Clemens Maror Conradus Claiiferm.
Conradus Cordarus. Conradus Dafypodiin. CcMiradus Gemems. Conradus C (bel us
> vel Crebellit» Tigurinus. Conradus Lagus. Conradus Lycofthenes. Conradus
Pcllicanus# Conradus Perca • Conradus SchrecK. ^ Conradns Somius. Conradus
Trewe de Fridesleren.. Comelius Agrippa Craco Miiius. Cyprianus Lcovicius.
gici»expperibu5SS.Hiero- ) nymi » AuguAini, A re- > r liquorumconA£Iai vel
Sub >., alio.Ticulo* ) Bibliocheca Studii Theologi- ) ci,ex
p.lerirqjDo£ioruinPri- ) fei fzcuU monumemis col- ) leOaiapud JoaanemCrifpi- )
num» Au alibi impreifa. ) Bnicum Fulmen Papz XìAì Quinci, adverfus Henricum,
Rcgem Navarrz, et Henricum Bortenium » Principem Condenfem » una cum
proceAatiooe ronlciplicis nuUicatis C \ElÌus Horatius Curio. Cztius Secundus Curio. Calvinos.
Capito Vuolphanghus Fabcicius*. CaroloAadtus*. Carolus Molinzus. Cafpar
Cniciger. Calpar Pcucerus» BudilGnos.. Caiparus Taubcrus. Caflatsde.'
Brugeniis. Carieus Cc^dìus*. .ChriAianus Bcycr. ChriAianus Locichins Hdfus.
ChriRophorus Clarius. ChriAophorus Cornems ex Fagit*. ChriAophoru! Frofcovenis.
ChriAophorus Hegendorphinas C Arlus ChriAo{^K>rus Be/erus. Carohis
Joovileus. Carolus Vvrenhovius. Cafiiodorut Kein\ius. ChriAianus Granimdr.
ChrìRianus Hcfiìandcr. ChriAophorus Fifcher* vel FifehemsChriAophorus
Godmannus. Chriilophoms Imlerus. ChriAophorus Ireyns Paifavienlls. ChriAophorus
LalTus. ChriAophorus MarAallcr. ChriAophorus MoIhufenAs. ChriAophorus
Obenhemus. ChriAophorus Ohenhin, Ochingenlìs. ChriAophorus PezcUus.
ChriAophorus Ricardus. ChriAophorus, Spamgenbergius • ChiiAophonis Scolberg.
ChriAophorus Stymmelius Churrcrus Cpnradus Clemens Schuberui. Ciementius
Gulhielmus» Conradus Badius. Conradus Churrcrus. Conradus Brcberus. Conradus
Hcrsbachjus*. Cooradui Laurcnbacl^» vel Lutenbac. Conradus MerchKalinus.
Conradus Neander BergenAs. Conradus Porca. Cooradus Ulmerus. Cooradus VVolA. Piacz. Conflancinus de la
Fuontc» Hif|ianus^ Copics Balrha£ar. Coranos Antoniiis Cyriacus Spanigcnbergius
Ccrtorum Auftorum, Libri prohibiù. C Aptìccì del Bonajo, Joannit Bapti-, 1^
Gclliii qiurodia emendatus noQ prodicrit» C^aucDani Hliafpachii, de Tabemh
Montanis» Chronologia, ex Sacris Litcris. Cyri Theodori Padfomij. Epigrimnjacav
Claudi! EImiiczI) Commen- ) taria, « cbHtinenria, 6c ) Nifi corriin Epiftolam
ad Timm. ) gantur. Cicmenris Scuberrì» Liber ) de Scn*puli$Chronologorum»)
Commcncaria Rabbi Salomoni?, A Chi» rni) et Rabbini Hierololyniitani) A
nmiiium, fupcr Vecuj TcfUnjencum, tara fcrrpta Hcbraicè » qodtn Latiné
translata, per Conradum, et Paulun) Fagiuin Hcreticos. Confilium Abbaiis Panorraitani proConcilto
Bafileenfr. Con De Subtiliute, ). De ConTolatione* ) Nifi corri-» Coromchtaria
in Quadripar- ) gantur» citura Ptolonutijde Cenim*) ri»,& reliqua omnia,
qua de Medicina non tramane. ) CafGani Cotiftancinopolirani, de Libero arbitrio
CollacioilU, quz Agano^im^prelTa eft» per Joanoero Sicerum 15x8. Gbriftophori a
Caoitc Fonciotoj LibrÀde oeceflaria correzione, Tbeologic ScholaQics.. ).
Omnloa D$ Mìffs GhriRi ordine^ ) prohiben^ fi riru. ) tur*. Epitomar nov^ Illuftratio-
nis Chrii^ianff Fidei Reliqua vero ipCus opera icem pvohLbemur doncc
cxpurgcncur. Chronica T u re ica collega a ). Phi'i'rpo Lonicero, cni cft
)Nificmcnadjcitnni opiu quoddam ) dentur». Joaniris AvemmiHerecici, Ó in quo
dcclaramur caufs ) mifcriarqm» Ac. ) ContinoatioTemporum Ger- ) mani aipildam»
ab Anno ) Salucisijij. ufqucadAn- ) num 1 y 49. Qu* folce addi ) Chroflico
Enfcbii» ab eo >Ninefnciv. loco nbì incipit, Nova ) denrur». Temporiim
concimuiio, &c. Chionologit Gerard! Merca- ) coFÌs, qu« a Sleidano, et )
daranatis AuOorlbus fum-pta cR • ) Claudi! Baduclis, Liber de ration( Vice
ftudioTx, et Ùterata in Maerknonio collocandz. expurKntur. Coropxdia, fivc de
Moribus, et Vita VireinumSacrarum, Gafpare SryWino AuZore •. Iixcertorum
Auftorum Ijbri ptohibirì. C Apice Fidei Chriflianx centra Papam, fi Porcas
Infcrorum. Capo Finto. Caronria, A Mercurii Dìalogi. Catalogus Pap*, et Moyfft.
Cacalogttt ceRium
veritaiis, ex Sandis Patribus. Catechefis Pueroturo in Fide, Litcris » et
Moribus. Carechifmin Ecclefìat Ai^nroratenfiiCauchiùnus, prò Ecclcfta
VVitebcrgcnfi. Cathcb Ocus, ani Titnluscft, Cathechifrrus Major, A Minor. Cathechirmus, cui Titulus. Qjial manie, ca. Ac.
CaihechifnfK), ciod Formulario, per iClniire, ed ammaeflrare i Fanciulli nella
Religione GhrtRiana, farro a modo di Dialogo. Cathcchifmus, five cxplicatio
Symboli Apoflolict.. Cethcchirmas parvus, prò Pii»r« m Scholis, nopcr au£lus.
Cathechiftuus fupcr Evangelium Marci. Cathechifmus, Óve Symboli cxpofitio.’
Cathcchifmus Tubicenfis. Cauf*, quarcSynedum indiftam aRoma. no Pont. Paulo
III. rccufarint PrincipeStatus, ACivitates Lnperii» profitentes puram, ACarholicam
doitrinam. Centum gravamitu, Ac. Cantoni, A C^atuordecim Sententi* Ptrum, de
Officio vcroftim Reélorum Eccidio Chnflhna inft 1 turia. Chriftianz juveocurìs
crcpunJìa*. Chriftùna R«fponfio MtniArorum Evan gelii Bafilc*: cur MifTani
&c., ^^]AIvinianus Candor^ ChriAiar» Scholx, Epfgrammaram, Lì> C.
Cantica felef^a vcrerìs, Ije novi re bri duo, variis Poecis, excepii. Civiraris
Madcburgcnfìsipublicario Literarum ad omnes CbriAi Adc]es,annat;;p« Clavicula
Salomonis» Collacio Oivinorura» et Papalium canoDum t. CoJleflanea
demonArationum ex Propheiii, AooAotis, fleDoAoribus Eccle» fìz, quòd Spiricos
Sanfhis a foto Patte procedit • Colloquium Coelei « Ac Lutheri • Coiloquium
Marpurgenfe. Colloquium VVorinatiz inAiracm», av no 1540. Comedix fuper
qaicAione » qnz cA major confoUtio moriendis Acc. Comedix, ^ Tragedie aliqtiot
ex Veteri Teftamento,colIeAore Toanne Oporino. Conuneorarias de Angelo
Melanchchonis Commencaria germanica» in Coroelium Tacirarn. Coromentarius In
pcioirm Thìmotzi epiAÓlàa viro fumniz pietaris confcrrpeus Concilium Pifanura,
quòd ver.iut Con^iliabulum dicendtipi cA. Cc^iliabolumTh^ogicorutn» adverfus
bonarum literarum Autliolbs » Acc. Coociones dedecemlprzceptnDominicii.
Concordancix Principum,*nationti vel Curtiranorum. Confeffio Ecclefìz Tigurinz.
ConÀAio fidei AognAanz. ConfelCo Adei Baronum» Ac Nobilinm» Bohemi*. ConAAio
Saxnnica^ Confrflio VVitebergenfi*. Coufuuuo dctenninacionis DofVorum
Pafircnfium.confra Martinnm L’trherwm. ConAicurio u;uiv> V vj'’irci
Propol^tio nu:n> de diii'prenru. Legis»Ac Evangelii. ^ Congregar io, Ave
coUe£iio ioAgnium co^ cordintiarum B*btix. CoaAglio d.'ajcuni Vefeovi, congr^aù
in Bologna. Contra Regulam
VCnoritaruro, Ac ijntverfas peMitionis fedas. Conta San£h>s Zcylleyften.
Conventos AuguftenAs. Copia 4 'unalectera fcrittaalli ^.diGei^' nare M. D. t.
Coptis Chriftianui,. Cordigerx navU conflagratio DiaIogu$ « Cyntbalum Mundi*,
rene JU Aamenti,cum hymni«,&colle^ts» feu orationibuspurioribiis, qux iti
orthodoxa, atqiieeatholica EcdeAa cantari foienr, addica dirpoAtione, Ac
tàmihari expe^tione Chriftophori Comeri. Carmina» Acepìftol* de coniugio
adl>lvidem Chycrxum hzrericum. Carmina amicorum in honorem nuprìanim. R. et
viriute, dofirinaque Aancis viriSrephani Ifaaci, verbi divini apud
Hcyibcrgenies minìAri. Cache^cAs do^rinxChriiUatl*, innfum fcbolarum Pomeranix.
CatheebeAs religionii ChriAi^n* » qux tra bri duo. ) Circnlut chariratif dtvmx,
) Ave (ubatio rìtulo, circu.)NiAexparhi$ divìnitati»., - ) geatur CoiieAio
Agnrarumomnium ) facrx Scripturx. Colloquium Altembuigeofe.. Colloqjiium
Badenlè. Colloquium Bcrnenfe. Colloquium Clerici» A: Mititisv 1 Colloquinm
Htrphordienfe. ' Colloquium lefuiticum. Colloquium Lypfenlè. Cplloqumm
Marpnrgenfe*. Colloquium Parificnfc. Colloqtiium PnlB.'Cum. Colloquium
Schmaldicum. Colloquium -Witcrbergen/c. Comedia Tragica SiUarmx, quandoque cuir
nominc,qtiandoq;etiam Anc nomine Au£)ons prodiir, urraque prohibetuf ^ Comedix,
Se Tragedix» ex novo, le veteri Teftamento, imprcAx BaAlex 1 ^40. per Nicolaum
BryUiogenim. C cc Comitia Spirac» et Vvormati*.. Comencacium Biblioram.
Commencanus captar Urbis dué^ore Borbonioadexqui/iium niodum Con^jendiupì )
five Breviariam cextus « A: gloffaematon > in otenes vccerh Inftrumet^
libros.. Compcndiutn oradoanm. imprcfTum Veneti >$), per jun£Varo, et alios,
docce czpargattun iuen’c.. Concordia pia r et unanimi confearu»repecita comeiCo
fìdei» 9 e doAriuz eleQorum Prìncipum, &or«Ìimim Imperli, atque eerundem
Thcologomm, Qui Augufianam confciSoocm compie«unrur. ConfclSo Anglicana
Confeflìo Antiierpieoiìs ConfeCào Argentineniìs. ConfclBo do^Vrinx Saxonicartim
Ecclcfiarum» Synodo Trid. oblata« amto Domini 1551 ConicniìoBdei, de EuebariAis
Sacramento, per Miiiìftros Ecclelìx Saxotucx. Confc&o fvdei Minifirorum
VVitebergeiifium. Confeflìo Miniftronim lefu
CbriHiConft;ffiopizdOu>rinx,qi7Z nomincChriflophori Dncis VVirebergenfo,
&Tcccniis Comitis &:c. fuit propoHia.per legato» eius, die 14. Menfls
laauarii, anno ly/a. coogrc^auoni Conc* Trid. Cpnfcnio rcligionis» feu fidei
ChriAianar facratiffimo Im()eratori Carolo Qpinco » Cxfari AuguAoiin Comttiis
Auguflar anno Domini ijfo. per iegatoteiviracum Argeiuoratt » ConAancix, I^nmogx
- et Lìodagùt >^ib ift».TonumCathechefis^ Ave pnma mflicutio, aut rudimenia
religioni». ChriAianx, KciTraicè, grxcd, latind explicata, Li^duni Batavoium.,
ex nflìctna Plantinia^ na, apud Francifciim RachclengiumD Avid Geotgius ex
Delphis*. David Fettcrus Liptìui, vclPfcffinger. David SchcAcr Dydimus
Faventinus^ui eA Melanihchon Dicthclmus Cellarius. DionyHus Melander. Dommicus
Caraminiut. Dominicus Melguitius D Aniel Bodembergius Daniel Hofmanus Daniel
Toffaniis David Chytrzus David Parzus. David Stangius David Thoner. David
VVetterus. David VVithedus. David VVoitus Doiuttts Gotuirus. Durandus de
Baldach Ccrtorum Au£\onim litm prohibìti*. Ami» Monarchia-.. Davidi»
Chytrxl,!iberdeiu«orj-. tate* ccrtitudinc ChriAian* Dtv firinx, ac rationc
dilccndi Thcolt^iam. Dendetii ErafmiRorcrodamì, Colloquio rum liber. Moria»
Lingua, ChriA^ni Matrimooii inAinuio.dc intcrditto «fu carnium » ejufdcm
ParaphrsAs in Matthxum, *1**® a Bernardino Toniitano in Italicam lii^uaro
convcA Cecera vero Opera ipAus, in quibu» de Religione naftat .tandiu prohibiw
fine, quandi u a facultatc Thcologica Panficn. fis ve! LovanicnA» cxpurgaca non
nierinr. Adagia vero ex cditionc, quam molitur Faulus Manuciu», permittenrur.
Interim vcrò,qu®;ainedita funt,cxpuntìi» loci»(ufpeftis,iudicio alicuiu»
facultatisTheologic* Univerfitati» catholic®, vel InquiAtionis alicuju»
Generalipermiicantur ., Davìd de Porais Hibrci, de M^ dico Hxbrco enarrarlo
Apolt^tica»quamdiucmédaca non prodierie. Defideriì Erafmì Rotcrodaim adagia
iampridem edita a Paulo Manutio» pcrmittumur Dialogm Petri Mochii de cmciatu »
exilioque cupidinis. Dialogus Fontani Charon • Pldaci Steli* Commentarla in
Evang^ lium Lue*, m'A fuerint fx ìmprelm ab Anno ij8i Puareni, Liber de S*
EcclcA» min^ms pcrmittitur, Atamcncotrcftus fucrii. Libellm vep6 ei^m adian^us»
ab co for finus £atìu?, cui citulus cft, Pro libcrtatc Ecclclix
Gallicanxadvcrfu» Ro« maium auUm, dclainoPadneons Curi^t Lodovico Xl.CaJlorurn
Regi»quotvt daiDoblaUi oimuno prohibetur « Auflorum incerti nqminis, libri
prohibiti, D BcIaiatoria Jtibihci. Dcececurn Noribci^ctgeUe » odieuro anno
ifajt)cfÌEu\fìo prò Zvinglio. Peienfìo adverius axioma catholicum 1 ideft
criminatiopem Roberti Episcopi Abriacon/컫 Piatc^ adverius loiortecn Edo'um. Dialogì de Mercurio, et
Charonte. Dialogtts de I>o£lrioa CHriRiana. Dialogus Karftans, et
Rcgeilians. Dialogm de mone julii II. Pape, fìve JoJìuh D ialogm Mumarus
Leviathan. Dialo^s obreueonim virorum > ia ^uo rics colloquuntur Tbcologi.
Diali^s Orar. Pooeificis Rornam^Rr illius, qui cRFontiiki a confaflÌDiubus.
Diali^s paradozDs, quo Romani PoocU^ iicisOratort una coq) eo qui cft » flte. Difeorfi fbpra lì fioretti di S. Fraqceico. Digrado
Badenfis. Di^caxio. ^emenfis. BilputacioCrociiccn. eum diiabuiepiftolii.
Bifpucacio inter clericum » Se milicem, Aiper poceftate PoiUcis Eccleftc atqtie
Principibus ternrum corpmjflà • alida fomnium viridatii Dirputacio Lypfica-
inter MoKÙinO). » di Hitroaymum Em(etuiD^ Diìordine della Chieia. Diurnale
Romanum > ìmpreffiim Eogduni > in edibus Filibcni RoUeti » de Bartholomau
Frtat. Do£lrÌna verilStaDa fumpea » a cap. ^ epift- ad Komaoost ut coufolentur
ah fti£)a conl'ricntix*. Doéìrina vctui, de nova-. Dragale locorum communiunh
Due difpuuc. Herfiordiana: Langi » de Nauclerii • Due letrere d’im Cortigiano,
nelle quali fi dimoftra, che la me, ec*.. D e au£^oritace » officio, de
potefta. te Paftorum Écclefiafticocum • Declaratio i nifi corrigatui^làmo V, De
dirciplinit poeronin » re^^ue for. mandts eorum ftudiis, Se morlbus, ac fimul ^
um parencura, quiro pnece^ prorum in eot'dCm, offiao doflomr^ virorum libelli
vccò aurei. De Scripeura CinÀe przftancia, dignitate ». au£Voritacc, &c. De
Chriftianiftimi Regts periculia, de aocaa qoadam, ad Sfiindrare, Pontifici»
Romani licera» monicorùle», Frincofiirci, apudMarcinum LechJeruro DialeOica
Legali», edam ctua nomino Au£lod». Dialogi lucri, fine nomine i^^orì», qui
camen film Sebaftiani Caftalionishérecici ^ Diljpatatio de fcfto Corpori»
CbriiU^ Di^catio de peccato origini», pilpucado de poeni». Difpueatio de
i^iniOerio verbi Dolina /efiiiranim precipua capirà, a do£li» quibuTdam.
Thcole^s retexta folidisrarionibus, ceftitDonùiqoe Ikcrarurn Scriptuearuiq, de
doé^orum vereri» Ecclcfia confiitata. Tomi tre». AU cera editio priore
emendatior, co diapio major, de fub. ci (dem vel parum diverfi» tirnlis,
doghine ^fuicica, && Tomu» priiDus, Tomus ^undo», ter J^4 ia /( WfU ù.
Eraùsu» Sarecrius. Erafmu» Snepfiu». Eurititts Corda». Eutycbiua Mion, qui de
Mofculii». Ccc a A P E Admiindu» Hilen Hordevolgiusj vel Nordovolcgius. • •
Edmundas Gdl Anglus. l;dmut>dut Criiidìitts Anglus. EJmundus BunnìQs.
iUgidtus Huntiius. Eichanon Pragenfts. Elias Palmgenim. Enochus Sar^cenos
Gencvcnfis. Efartmis A!bcnn • Erafttis Thomas. ErhardiK Schnepfnn. Kmefhis
Vogciin. Efaias HcinJfihich. Eufcbcus C!eU;rin. Ccrtprum. Auifìorum, Libri
prohibiti Lereenta magica Petri de Abano. Enchiridioo doCtrinrChri- ) • Ibnx
ConciiiiColoitieniis.) Enchirrdion loilitis Chriilianxi) aiiflore Ioanne lufto
Lanfper>) purgengioifcu Hne nomine auflorìs,) tur. iinpre/bm Comphiu. )
Epitome omniutn opcrnm D. Aurclii I AugulUni • per loannem Pifeatortm » jllx
(|iie itnpreft« fune per loannem Crirpmunti. »i Euicbii Candidi, ptaefus
Lu£kiflcx mortis. Examen ordinandorum lounnis Feri » . oili Ht ex impreffis ab.
anno. Auftorum incerti nomlnis, libri prohibiti.. Lcmenra Chrìiliana, ad
inAititcndos pucros. Enarraiiones Epiflo!arufn)& Evangcliormn • Enchiridion
CriAianirmi. Enchiridion piarum prccaeìoitaro. * y Epigrammatum ChriArana (e^x
» (ibii duo^x varìisChriAianis Poecis dccci^nrff EpìAola Apoloccrica ad
ftneerioresChriAiaiu'rmi k^atores,pcr PhrjAam 0 riencaicm, &c. EpiAola ChriAiaru»
de Cona Domini. EpiAoIa dircela ad Paupcrem, Se Mendicam Ecclenam Lucheranam. '
EpìAola de non A^«oAoloci» qiiorundam moribus, qui in ApoAoloruin fe, Sic,
Spinola de XlagiAris Lovanienilbus. EpiAo?^ MinìAri cu)ufdam Verbi Dei»ds
EcclcAx clavibuS} SacrametKÌs, vcraque MiniArorum Spirims clc£Iiooe. Epiftelz
piz> et ChriAianz. EpiltoUi et Przfatio in Decalogura. EpìAola SanOo Ulrico
adferipea in EpiAolam ad Thimothzuin Commentaria. Epitome Belli PapiAarum
contraGermoniam, atquc Patriam ipfam» Czfare Carolo Qiiimo Duce. Epitome Dccem
Przcepromm, pront qitcmqucChriAianumcognoicere decec. Epitome EcclcAz rcnovarz.
Epitome RefponAonis ad Martinum Lorhcnim. Efdrz lamcntariones Petri.
Eipofìzìone dell'Orazione del Signore in volgare » compoAa per un Pa^ s non
nominato. Evangciicz Conciones. Evangelium ztcrnum Evangclium Pafalli. Exameron
Dei opus^ Expofìtio Sympoli ApoAolorum t Orationis Dominicz, et Przeeptorum» E
Legìz aliquocs de morte Conjugis, Si libcrorum» quz fune loahnisPiAorii
Hzretici. Eqchiridion Man gale s Romz exciiAum » apud Thomam Membronium ( ut
qui• dem apparet in Fixmtifpitio ) tic vero in calce legirnry Trccis» nbì cimi
libnrm excuoerat Francifciis TrumcAii. Enchiridion parvi Catcchifmi, Ioannis
Brentii in Colloquia rcda£Iuin. Enchiridion aliiid} piarum przeationum, cum
Kalendario, et Paflìonali ( ut vocattir ) VVircrbcrgz, apud loannem LuA. anno
trip. Eyichiridion Principis, A MagiAratus ChriAtanì, quod referrur ad Pctrum
Egidium» Sl Comelium Scribonìum. Epigrammatum Flores, nifi corrigantur.
EipiAoIa confolaroria ad Reverc'ndos Se graviffitnos Thcologos. EpiAola
LiKÌfcri ad malos Principe», CbHAianns, > • BpiAokc cpnfolatoriz, collcfìz
per Cyrlacum Spangcnbetgium. EpiAolz Obfcurorom Virornm. Epitome Chronicorum,.
et HiAoriarum Mundi, Velftt Index primz, et fecimdz impreflìonis, in quo fimt
impref• fz, atque figiìratz Imperatorun^ Ìm«gincs. Epitome Figvrarum Sacrz
Scripmrz. Epiiomatz HiAoriz de Bello Religionis Epitome Hiilorànim Sacrarum, et
lo* Frìderìcus a Than. corum communium. Fridolinus Broiubach* t Ethiex
ChriAianx Libri cres > .in ^ui- Fridolinus Lindovems. biis &c.
Evangelium Lzcum, Regni Nundum» Excerpta quzdam capita ex Scrrpturis) omnibus
lidelibus neccffaria. Exempla Virmeum. Vicionim. Excmplarium Sanf^x Fidxi
Cacholicx» quocunque idiomare> impTetTum. Excmplonim variortnn liber»
dcApoAoiis, et Marryribus» Hve feorrum » fìve conjundtus catalogo. S. Hieroayim
de EcclefiafticM ^riptoribta • Bxcrciratìo Vitx Spirhualis .) Explicacio
Symboii pcrDia* Ic^os. ) Explicatio Primi.Tcrtii.Qoar- tii j^Q^iinti cap.A^.
Aj-oft. ) Sine noExpofìtio SccunJx EpiilolXy) mine au*D. Ferri» 5c ludz. ),
£^oram»&: Expo/ìiio nominUIefatiinta) quocummentem Hcbrzornm,Caba>) quc
ìdioli(Urum»Grzcorumi ChaU) mare inadzorum, Perfarum, et La-) prcffatinorum ^
). Expo/ìtio fuper Cantica Can- ) ticoruin ^lomonis. ), tm •Expofitio in
Epifìolas» Paoli ad RomaDOS, et ad Galatas» cujus Przfatioirl Epiftolani
adRomanoi incipit; Variai narrationei » 6(C. Et in expoikiooe prU mi Cap. ad
Rocnanos» cuhM inicium cft. Qnum ficatus ApoRoles Romanis fcm>crc
inAituiffet» Sic. 4aoT^>- ' i F .Abricius Opiro VVOIf^ngus: 'Fabritius
Montanus. Felle lanus de Civitclla. Felix Mallcolus Tigurinus. Felix Manfius. Firmianus
Clorus, qxi et Viretiis.» Francifeus Betttts. ' XJ Francircus Burgardi.
Francifeus Cotta. LembiBgiBs*^ Francilcus Enzinas. • T Fraiicilcus Kolbius. f -
i-qlw Fiancifcus Lambertus» Francifeus Lamperti • Francifeus Lifmaniniis. : -O
- % Francìieps Niger Baitanenfis. FrancHl^ Portiis Grxclti» ' Francifcib
Stancarus. Fridcricus^a^irtheim. Fridericus Fridericus Mycoiriw» F AuAtn
Souinust Filli Pal}or io AuAria. Fiiis PaAor HtlberAadknAs» vet HalberAatcnfis.
Forrunanis Creliius* 1 Francifei Zabarcllz. Liber de SchiTmate ) ai^» cjmtd^
P»£auQoei» ' Aigennrnrdfripvefie.'donecexpurgeaciir. Friderici FruoAì tra£Vatns
de Orattooc, de juAincacione, de Fide, Se Openbtu* Se prefatioin EpiAolao)
S&oiOi Paiiii adRomanos,qui umen falsò creditur adferiptu». 1 Friderici Furi! CcriuUni Valentia! &>nonia;
ftve de libris facris» in verna*k Tcniam Unguam convcrccndis. a 1 ... 1
..L-ysril. J rA« r . /Ótiv''- '••r' 1 xÌìjM F Abricii» Liber o^aoBs
£piftolftiBmad Fridericom Naufeam» qui cA Roberti a MofliaWv t Farrago
Poemacum, LeodegariiaQuercu. Fiorei IQRoriarum» per Ma^•0 monia mondi t et
Problema- ) ta Sacrar Scrìptiuar « Fr^ncifei Gicciardini, Hiftorta ) larinè
recita per Coeliìim ) dooec iècundum Curiooero* > expar Franciki Irenici*
Endingiacen- ) gcntufCs Gcmnanjar. Exqgereos* vo*lamina duodecim. ) Francifei
Polvngrani aftrtio. ) nes quonujurs Ecdrlìae dog- matum. X francifei Patritii
Nova de Vniverfi» phi* ]o(bphia*nifì fueric ab Au^Iore correÙXt 9t Rema cum
approbaciòne R« Sacri PaUcii Auftoium incerti nominis, Libri ptohibiti F ^mgo
C^cordantiamm inngbiaiQ;. (o^iut. Biblia • Faìctcttlt» RerufD.expetcndaniiQ*^^
iugiendamm-. Forma delle Orazioni Ecclefoftiche .. ed il traodo di
ammiiiiflrare i Sacrameocic di celebrare il Santo MatrimonioÀu£Ior credkuz efle
Calvinm. Francilci No^nu. apparicio» Fandamóncuni malòruiBi de booomm o>.
pcrum. F .KrcìaiUw Mirra, Ccnevx imprei^. fu». Pidei.l^l^ftianz c^icF*
conerapa^ F^S» i^rvi fubiiw inKyefr ren^ponfo, una curo crroruin et
eahtmniaruin .. Flore» epigramma-) turo* Flore» Romani ) Flores
San£bocum..).ubieanq>*& ^aacwnÉkVe» VinunvD. ) qne lingua imprelG» Foni
Vit*. > donec coKigantur. Formala MifTx Unitebergenfis. Formule Precaro *.
feo agenda * aat Of. fteia Hanecieomm* Olona » ^uacanqitc ; lingua confcripea
.G Alalitts Zwmglit * defenfor » vcl Nicolaos Galalìus * Olivini defenfor.
Gafpar Brurchias Egranua Carpar Charreras. Gafpar Cruciger. Galjpar Grctteris
Galrar Hedio Galpar Heldelinus. Gaf^r Kubertinus. Gafpar Megander TigurillDS^
Gafpar Rodulphìus. Gafpar Swcacfcldius « Geòrgia» £milius MansfeIdeoNotgreiui»v
Gorcìniamit Gregoan» Brnck Gregorìu» Cafelius*. Gregofius Giraldo»* 2{an ìilc
Ptrrsntff^ ^ dlcìUIT LÌfÌHS. Grinsn» Sinv^. Gualieriu» Tignino» Gulieloui»
AurifcxGuliclmo» Guaphxu» Hagien-, Gulìelmu» Pofttllu»»Barenrorio$-. Giilic'mu»
Sartori». Guliclmu» Tayloii», Angla»., Gu'Krou» Tin^lus. Aa G Afpir Adeler..
Ga^r Braummilkr-. Gal^r Elogia». Ga^r Eurioacbea *. vel Eurymschnra^. Garoar
Faber. Olroir Gooderoan.^ Garoar Canea. Gi^r Gómbe^ias. Galpar M^cer* vel
Micras.. GalMi MetUlnder. Gawt Morthvru» SemansildenB» ^ Oal^K Olevianu».
Gafpar Peucerus Budifiìniu. Gafpar Scolihagios Gafpar Taoberu» Gcorgtus
Autumnu». Gcorgius Blaruirara* vel Blao^acrajGeorgius Brin fìve Novipiagijs ^
Germanus Peyer. Gothardus, qui et Cpnradtv Gregorius Paoli. Cr^orms Pcrlidus
LubcqepTis» Gregorius Voerier. Gulicimus Barloupe. 1 Guliclmus Bidembachius.,
Gulielmus Charcus.. Cutielmus Cpius Gulielmus Fuhureìus» vef Paquerius •
Gulielmus Fulcus. Guliclmus Htcron. Guliclmus BÒdigiius yaiTw* -Guliclmus
Sarccrius» Gulielmus Turacrus. t Gulielmus Tumerus*, ^ Gulielmus Vdalus
Gulielmus VvitakeAs. ^ 4 Culiclnius Vvidephus Gulielmus Vvirte» Gidielmui
YvictinganDua.. Gulicltous Kilandcr. . •. t..,. ..H, :.Certorum Auflorum, Libri
prohibici. G Aufridi de Monte cicalo, Ti*Oa« rus fupea materia Coocilii
Balilcenf)s« Georgi CafTandri» Hymni EccIefialUci. Gracia Dei de Monte Satino,
Epiilolc pix, Se Chrillian*. Gripbit Pr^cationes Dominici. Gutielmi
Occhamit^snonagintadierum. Icem Dial(^i • et Icripia omnia, coocra Joannem
Vigcftmum iecundum. G Afparis
Caballini Tra é\atuscommercioniro, ) &ufuraru I reddituum- ) que pecunia
conftiimomm, j Se monetarum. E;ofdcm traftatus deeoqoad ) nifi ctnciiintereft.
Etdedividuo» Se ) decur. individuo ; qua onenes font ) ' Caroli Molinai morato
) tantum aufìoris nomipe. ), { Gaijparii Scibitni Corqpadia. •• i, i Caudentii Mrrulc,
MemorabiUm» lij^s nifi emeodetur# ^ Georgi! Nicrini Concioocs. j Georgii
Viaorii Poemau. Gulieìmi Grattarolc opeaa 1 quasidiu mendaca non prodierint. .
i l't Auftorum incerti nominis, Libri prohibiti. G Eographia UmVef/àlii. Gerreanicae
Nationii Lamenti^tù^ fws, Giuditio (opra le Lettere di tredici Uo, mini
ftampate il qual fi cooofee eficr del Vergerio G Hnefis cum Catholica
expofitiooe . Ecclefiafiica. Geofnaneic libri omnes • Gefta Komanorum. GloiTa
Ordinaria Genevenfis « Gioite ordìnariz rpccirneo.. Craiianus Anrijefoita,
ìdefi cai^num ei feripeis Au£lorum Theologonun, a Gradano in ilfod volumcn (
quod Docrenim af^llatur) collcflorum, &doftrin* /cmitiec ex .vadis.. iftius
nuper fefì* MaKologdmiQ fcriptii -fxo^ pw * collacie I 4 quodato vericatii
;tEofo inftituta, Se ounc priiman m l^eip edita Trancifci Gcoi^ii Vcacti,Har-
monia oiundti et Probicma- ) ta Sacre Scriptarx. Francifei Gicciardint,
Hiftorìa htinè réddita per Coelium ) dooec fecundum Cortonem. > expar }
gcntuf(n Germantz, Ex^efeos* vo-) hiiDÌna duodecim» ) Franeifci PoJvngrani
afRrrdo» ) oe$ macum. Francifei
Patritii Nova de Vniverfi»phi' lorophia, nifi fueric ab Auflore corredi, Se
Rems cum approbacione R« Magiari Sacri Palatii imprefla. Auftorum incerti
nominis, Ubii pfghibin Arrago OM^dantiamm inng&iaiB; todus. Bibliz.
Fakic^iK Reru{D eKpetcndanmi>a( fugiendanim.. Forma delle Orazioni
RceUfoRiehe ..ed il modo di ammjniftrare i Sacramentie; di celebrare il Santo
Matrimoi^'o *, Àu^Ior creditus eflè Calvioos. Franci/ci Noibima tpparitio.
Fondamencure maloruis* et bonoEum o«. pcrum. ’ A.PPENDIX. Afcieuliia Mirre,
Gene^ imprtft. fus. Fidei/^^Uanz capita-, coovaPa F^dSit fervi fubdito infidcli
mnfpónÉó una CIMO erronun &calumDÌar«Dnjuaaundam examine, cjuz conrinentur.
in feptera libris, de vifìbiti EccleTix Monarchia, a. Nicolio> Sandero
conferìpta>«. Flore» Epigramma-) tnm. ) Flores Romani ) Flores San£kotucn.
}-ubi donco corrìgantur. Fonnyla Miflie Unhebergcnfis. FormulK Precnm %. fen
agenda, aat («» ^ dicitur tUiusCnnxu» Simot}. Guaherius Tigminus» Culielnuis
Aurifex. Gultelmos Ouaphea» HagienGolielmus PoftelUis,Bareotoria»^ Galic^mus
Sartori». Gulichno» Taylous, Anglus.. Goliemu» Tinoalus G .Afpar Adeler. Ga^r Braammiller*.
Galpar Elogio». Gaipar EuriouclKa i. vcl Euryoachxra... Ga(^ Faber. Gal^r
GondelBaa^. Ga^r Ganez. Ga^r GòmbtrgittsGalpar Màccr, vcl Macrus.. Gafpac
Melilander. Gamac MottKzru» ScmaJkaldenfi» ^ Gal^c Olevianus. Gafpar Peucerus
Budi/Bnus. Gafpar Siolshagius Gafpar Taoberos Gcorgfus Aurumnus. Gcorgiin
Blandran, ve! BJaotUtrai. Gcorgìiu Brinderus. Gcorgius Bochanani^s Scotus
Ctorgitis Ca(fander Bru§enn$f fìve Veranius UodeAus Pacitnomaout. Gcorgius
Codonigs. Gcorgiuf CooftantÌDUs Aoglus. Gcorgius David. Gcorgius Dieterichus.
Gcorgius EboufT Gcorgius Eckarc. Georgius Edclmai\n Gcorgius Fladorius.
Qcofgius Grynaut Bo 4 icetius Gcorgius Hanfcldt. Gcorgius Hcnninges. Gcorgius
Toye ^diòrdicons Gcorgius Kupelich. Gcorgius Lyàeoiua Gcorgius Mcckart,
Gcorgius Mylius. Gcorgius Niger. Gcorgius Nigrtnus Gcorgius Princeps Aiultioos.
Gcorgius Raudat • Gcorgius Schmàlczing « Gcorgius Scholrz. Gcorgius Shoo.
Gcorgius Silbcrfchalg. Gcorgius Sohnius. Gcorgius Spintleru). Gcorgius Tilenus.
Gcorgius Vvatihenu. Gcrardus Ncomagus « live NovimagHt s Gcrroanus Peyer.
Gothardust qui et Cptiradoi. Gregorius Pauli. Cx^oritts PcrUrius
LubeqciiBsGregorius Voerfer. Culicimns Barloupe. Gulicloius Bidcmbachius
Guliclmus Charcus. Culielpius CqIus. Guliclmus Fuhurcius» vcl'
FuqueriuiGuliclmus fukus.. j Guliclmus Hìcron. ^ ' Guliclmus Bódiigmts |lafini.
Guliclmus Sarccrins. Guiielmus Turaems. T T Gulieitnm Tumerus GiiUclmus Vdalus.
Gulicloius VvùakcAs. ^. -! Guiielmus Vvidephus Guliclmus Vvitre. Gidieimm
Vvirringamus» Gulielmtis Kilandcr. ' t . I. '.’H. Certorum Auflorum, Libri
prohibiti. G Aufridi de Monte cleflo t TnlOacus fupsi saarcria Concilii
BafiIccnHc • Georgi CaiTandri, Hymni Eccleftaftici. Gratia Dei de Monte San£ko,
EpiftolpiaCt ^ Chrillianx. Gripbii Prfcationes Dominica Gulielmi Occhimi 8c
(cripta omnia, coiKra Joannem Vigeiimum Cccuodum G Afparis Caballini Tractatus
commerciomm, &ufurarù, reddituum- ) que pecunia conftieuionun, et
monctarum. ) BiuTdem traf^atus deeoqnod > niii ciixih incercA. Etdedividuo,
et ) dotar • individuo i qua orsnes Àiot } Caroli Molinzi mutato ) tantum
au£lorisnon)io«. J { Gafpatis Stiblini Coropaedia. 1. ! Caudeniii Mcfultr»
McmorabilioiD lihó>s nifi emenderur.. ^
Ceorgii Nigrini Conciqnea, ..a Georgii Vi^orii Poeinata. Gulielmi Grattarolc
opeaa quamdiu emendaca non prodierinc- ;; -t .0:,' ‘d Au£Vorum incerti nominis,
Libri prohjbiti. ' Eographia Univetralis. Germanicx Nacionii Lamentaciqs ncs •
., Giuditio (opra le Lettere di tredici Uor mini Aampace l’anno M- D. L. V. il
qual fi conofee cfTcr del Vergerio G Enefis cnm Catholica eapofitiooc .
EcclcfiaAica. Geopiantia libri omnes GcAa Romanorum. GloiTa Ordinaria
Geneyenfis. ^ Gioita ordinaria (pccimea. Cratianus AnriJeliiica, tdefi canonum
ei Ccriptis Au^orum Thcologorum, a Graciano in illud volumcn (quodD^cretuffl
appcllatur) co1lc£k)rum, et dottrina Jelmtica ex .vaxiis/ iAius nuper fe£ù
Ma^logòmm rcripciifKc^ pta, coUatio, a quodam veritatft^. «boto inAituta et muw
pnimiin Tb bice^ edita. H H Adrumu Junius. Harrminnas Beyer >. ^ HarcmAimas
PaUcinus h C. Hebcrns. Hedio Cafpar. Heitas» vel Helin* Eobanas Heflns., Helìas
Pandochcus» Henricin Lapulu». Henricus Pancatcon. Henricus Scoms. Henricns
Srollit». Henricus Surphanus. Henricus Vvelf^ii» Lingcn«, Henricus Uringenis. Hermanus Bodiiit. Herroanus
Bonnus. Hermamu Burchiut Pa^hilm*^ Hermanus Heflùs Hermanus Itali». Hermanus
Kìdvuch. Hcrmama Luiciis. ^ Hetxenis. Hicrooymus Baflanns. Gicroi\^^s Cam
PHaurio)*, Kieronyraus Galatharus ., Hieionymus'Kiuf(hcrv ' Hieronymus Mar*u»:
Hleron^jus Maiurius* % Hicronymus de Praga, i\ J Hicronymos Sabir de $ai\flo
Gallp,, Hieronymu} Savonen. Hieronjmius Schiurptf. ‘ Hitronjmius Vicellerms
Friburgeii.. Hieronymus Viiolphigs» Hiob Gaft. ' A Hippinus. Hortenfis
Tranquiftos, aliis Hicremias^. aliis Landus.,, Hugo Latimcrus. Hudricus
Bnchau/lius. HulJrici» Htmenoi, five de Uttcn.. ' Hnldricns Mutins
Hiiguraldus.. Huldricus Zvvingiltis Toggius H Mlerus Barcholdiis. Hamefus
Godoffredos. Harrmannus Scopenis, Novofefenfis. ^pricus. Hclias Ho^en9 Helias
Palingcnius Helìas Scadzus. Hetningius NicohttS4 Henricus Boethios Henricus
Brinkelous » ^ eiUtt fiorar Ab nmiiu BfldtrUi Morfii» Henricus Ètfbrhen» vcl
ESordenHenricus Enberg. Henrù;us Harcopcnt. Henricus Hufanus. Henricus Mylius.^
Henricus Modec Henricus Mollerov, Henricus Nicolata, five ìibri mrat n-
fitfutlHenricus Petreus^ Henricus Rhodut, vel Rodnu Henricus Senenlìs. Henricus
Stbenius Mimderpi Henricus Scephanos. Henricus Tbylo. Henricus Tbolofanus ..
Menricus VVolphins. Hermanus Pigofus Hemunns Hamehnannus,. Hermanus Pacilkus. •
Hieremias BaiUi^ius. Uierooymus Hambol^us, vel Hauboldus Ratisbonenfis.
Ijieronyinus Hennit^s*^ Hieronymus Maocelius. Hieronymus Panchus. Hieronymus
PcrUhrìss. Hieronymus Pumekius. Hieronymus Valler. Hicronymu» Vchus Hieronymus
Vuatenis. Hieronymus VuihlcmbergiusAurimÓtanDs, Hieronymus Zanchius vel
Pancus.. Himmanucl TremcMus. Hovardps. Hugo Hugaldus. Hugo Sureaov cognomine
Rodere.. Ccrtorum Auftorum, Libn ptobibiti. H Enrìci Bebcblii JuRiagen/ts,
Facc« liz, ioRicucìo pucrorum, (cium« phus Vcncris. Hlcronymi Gebiulcri,
liberdefacrilcgio4 item exhortacio ad lacram Comma» nionem. * ' Hicrooymi Melfi
Pifcn r fi i s, Proverbia^ et Prognoliica. ’ Hicronymi Savonarola Fcrraricnih
Sermones, qui olim in Romano Indice prohibiti mere, noo leganmr* donec iuitu
;uxra cenTuraf Tacrum Dcpiicacorum cmencUri prcJcanr, et funr hi. In cxodum
fermo primuj tncipicns Dornine (]uid mu1tip(icati, &c. Ircm S •u’s
Chriftìani. Ha-iriau' l>am nacGandavcnl^s liber iftfcripms Imnerii ac
Sacerdoeii ornacus. DiverCaram itemgentiuin peculiaris veftitus, cure
Commcncarìolo Cocfanim, Pontifìcum, ac Sacerdotum. Henrici Decimarons
Gifiìiomenns, fylva voeabuforum, A phralìum, cum folucx, rum ligai« oracionis,
dee. t)i rum, permittìcur. Henrici Harphii Theologia millica, nifi repurcata
fuerìc ad exemplar illius, quz mie impretfa Romx anno Domini Hieronymi Serrz
Lutheranorum Se£lz in fcrvumarbirrium liber, nifi prius, corrigacur, 1 Hiftoriz
Magdeburgicz '^ab lllyrico, et complicibus coaccrvatz. Hifiona de Schifmare
Theodorici Nemienfis. Huldarìco Epifeopo Anguftano epifiola adfirripta,
adverfu^ Nicolaum Papam. Hyporypofeon Martini Martinet Canupecrenfis liber,
nifi fucrint ex impreffis Auflorum, incetti nominis, Libri prohibiti. Enfici
Quarti Ofaris vitaHifioriade Germanoniro orìgine. Hilloriadc iis quzjnanni HuÌT.in in Conftanricnii
Concilio everte ntnt. HiAoria demone Joannis Daaii Hifpani » quem fratcr ejus
germanus incer;ccic H iEbrea,Chaldzai 8c Latina i-'terprecario Bibliornm, cum
Indice Robenì Stephaui « Hetvecìz graculatioad Gal'iam, dcHenricohujui noiDÌnis
Orario Galluruaa, et Navarrz Rege. Hcidelbergeiifis jTheologia, de Cotoa Domìni
• Hilloriarum, 8c Chroniconim Epitome, velut ludex ufque ad annum {4.
Hilloriarum > et Chronìcorum cocius, mundi, Epitome, imprelT. Bafilcz. HìAoria
Belgica HiAoria Cermaniz, Fran- I cofurti edita. ) donec ex Hilloria Graciz,
nuper odi- ) purgeoturta. ) HIAoria Scotorum, nuper ) edita. ) Hiftoria
HulCtarum. ) HiAoria vera, de rebus Martini Buceri, PauH Fagli A Chatcrinz
Vermilyz, Petti Mar(iri>Uxorì$, vcl rubaliotitulo Hidoria de vira, obicu, et
icpulrura, &c. Martini Buceri, A Paul! Fagli, qua intra annos duodccim tn
Angliz Regno accidie. Ddd Hortulus aniipi, ni/i corrigamr. Hortnhis Pa/Eonii in
ara Aitarti fiori dus. loanncs Coman«fcr» Ioanncs Colmius. Hjrdroniinti* artis.
Opera omnia J Acoou! Bcdrotuj, Pludcntinusla^bui a Burgundia, Hit Acropolica
loanncs Hcrvagius. loanncs HefFus. loanncs Homburgius. loanncs Hopcrus, Anghis.
loanncs Holpinianas, Sceinamis loanncs Hofl. loanncs Huichinus. loanncs HulT.
loanncs Huflcrus. loanncs HuccìcHìuSé loanncs de Indagine» 7^"« ioannes
ZuicKius. ' lobGeft. 3 : Joannes Avicioi lodocbot Coch, fivc Cocusj mi et /«k J
vel Co» CUI. luftus MenioS} Kènacen» Acobus Acoocius. lacobus Anetius» vel
Aenetios. lacobus Andre». lacobus Andreas ShihìdellinoS} vel lacobus
Shmìddiinuse lacobus Arrifonlacobus* Brocardus. lacobus BninicenCs. lacobus
Cornerns. lacobus Eifcmbcrglacobus Frindaogus. lacobus Grynsus. lacobus
Heerbrandus. lacobus lufti. lacobus Kiincndociusolacobus Koich. lacobus
Linfìor. lacobus LachKem. - lacobus Palieologiis. lacobus Pcregrinus. lacobus
Ruogius. . lacobus Scoppenis. j lacobus Sobius. lercmias Piflorius. lercmias
Horabergcrlui I loanncs Acrocianus. ” Ioannes Avenarius, vel Habermarm. i
Ioannes Avicinius^ loduchus, yvUlichiut. lonai, qui. ^/Jpdochu^Coojs^ lonat
Philologtti. Tm» li Ioannes Belizìus • Ioannes Bocenis, Li^ccnfìs. Ioannes
BortAyus. loaooes Bradibrdui. Digitized by Google 39 Ulajcnis. loanncs
Crifpinus. loanncs Cronerus, vd Crumerm^ loanncs Cimo. loanncs Darriiis. *
loanncs DauTus, vd Douiar Ioannes Fcidc. Ioannes Fcrinarius^ loanncs Filpotus.
loanncs Gallits «• loanncs Garczus.^ Joanucs Gamcrìus» loanncs Gcorgius
CodelmaniA •• loanncs Griffin. loanncs Gtilicimus Soickiosf Tigutinus.loanncs Harrungus.
loanncs Hctlcricus. loanncs Hedierus. loanncs Hcidcnreich. Ioannes Hcrzbcrg.,
loanncs Hugo. loanncs lac^us Gryn«|U. Ioannes lederusi Scaphufiinus# loanncs
Irenxus. ioannes Index. Ioannes Ivellust Angltis^ Joannes Kenerus tamdiu
prohibira iìnr » quamdiu ab alicuius Untvxrfìcatis catholtoE facaltatc
Theolc^ìca» vel ju infetìptas Imperatonim • tc CTfantm vita, cum imaginibus ad
vivam effigìem exprefn$y donec corrigatur. Ioannis Fabriciì Montani» Pocmacom
ber» Ioannis Cerrophìi > Recriminacio adverfus Eduardum Lzum Ai)gium. ^
Ioannis Lubicenits » de Antichrifti adventu » et de Media lud^onrm. - ^ Ioannis
Pici Carthadenfìs > Para|dirafes » et Annotatioocs in Pfalmos» Ioannis
Reuchlini» rpeculum oculare » de verbo mirifico» ars Cabalidica» Ioannis Soccri
liber » iive epigrammata » ex variis auAoribus collcaa v Ioannis Surei » de
rerribili excidio Hierofolyrnirarum. Ioannis Vnnfchelbui^enl>s > de
fìgnis et miracttlis falfìs » et de fupcrftionibus. lalianiCoIen» de
cercirodine grati» Dei» et làlucis Dodr» craélaius» J Acobi a Burgnndia >
Apologia ad Carolum Cxiarem. lacobi Scbecii liber» de una perfona^ Se duabus
naenris in Chrifto • lannoccius de Mannectis Florencinos d^ digoicace, et
cxcellencia hominis, doneC emendemr. Ioachimus fuper citulum iT. de ;are;urande.
Ioannis Baptid» Folengii CommencarU fuper Epidolas Canonicas San£fi Pem> Se
San^i lacobi, Se fuper primaiq Epiftolam Sanali Ioannis. Ioannis Bodini
Andegavenfìs » Demonomauia omnit» prohibetur, Liber vero de Uvfntblica, A:
Methodus ad fecileni liiftoriarum cc^nirionern, randiu prohibita finr,
qnoufiijuc ab Anafore exporgata, cum appiobatione Magiflri Sacri Palatii
piodicn'nt. Ioannis Cafì Splixra Civita- ) tis, hoc elt Rctpubltc» ) rciVc T ac
pie fccundu-u ) Icgcs adminidntnd» ratio- ) Ioannis Corafìi 'liber, de ) donec
emennniverfa brardotum ma- ) dentar, teria. ; i--. ) Ioannis Drudi opera. )
Ioannis Feri opera omnia. ) Excipittnmr tancn, cjufileii) Feri, Annotationes »
Se Coromentaria in S. Macih»i, Se S* Ioannis Evaiuclia, ac in ejufdem S. Ioannis
Epimlain primam, Rom» recognica, et iropreda. loanni Fifeherìo liber (liso
adferiptus, de fiducia I Se mifericorJia Dei. Ioannis Forfleri, Difiiona-) rmm
hxbraìcum. ) Ioannis Lalamancii Medici,) exrerarum fere omoiom, ) Se
przeipuarnm gcntinm») nifi corrianni rario, de cum Ro* > gantur. mano
collatio. Ioannis Mahufii Aldemadenn.) Epitome annocationam E- ) rafmi in novum
teflamen- ) cum. ) Ioannis Mattkci Tofeani » Pfalmi Davidis. Ioannis Mevìxatit
Afteofìs. I. C* Silva nuptialis, donec emendecur, Ioannis Pauli Donati libeOus
de refervacione cafuum. Ioannis Peregrini Pcrroreilani, liber convivilium
iennonum ., Ioannis de Roa, de Avila, Apologia de iuribas principalibus,
defendeous, et raoderandis jnhè. Ioannis Rutbeni, r^l» lo-) coronsioomiinimum
utriuf^i) leflanenti. } Ioannis ScapuI» » Lexicon ) nifi corriGrxcolatinum. )
gantor. Ioannis Scbenekdevuini fuper) Inftit* Commentaria, feu) annotationes. )
Ioannis Wierii Medici, libri qutnque de przfiigiìs damonuro, incancationibus,
Se vencficiis. lulii Cafaris Scaligeri >Coin- ) mentarii in Theophrafhim,)
donec e--' et Poemaca. > roendétur. lofeph Scaligeri liber de e-) mendatiooe
cemporuro. ) luliani Tabaocii de quadrimlici Monarchia. Inlii Ccifiì (Xrj/iV)
vera» Chrifiùmaque Philofophia comprobatoris » a^oe emuli, quinq; Antichrìfii
do^rinamfe^uirar per contenrionena, compari, uocemqoe deferiptio. Incer
Librorum Incertomm Auftorum, Ubri prohibiu I Mperatorumi 8c CxtaruiQ- vit».
Jndru^io vi/ìutiofiis Sayonicz. Intcrpreurio oomiuam Cbaldxomm. lorrodu^io pucrorum,
lulii» Dùlogus, aliis AqU. Jnc?rtorum Auflorum, ^^brl prohibiù. K Alcndaria
omnia ab hxreticìs. con» fleéU, io quibus aomioa hxrctico^ rum poountur. I
Magitiet CDortis > cum roedkìM ini« IT)X. Index biblicMom imprefi» Colonie,
icv edibcu Qgenteliaais « Index re rum omnium» qnz in novp« ac veccri
ccftarDcnco habetunr locupleti!fimus» no» cum hebrxorum» duldeo turni, ac
loUDoruizi nominom incerprclatiottCì &c. Vencuis ad figoom fpei. Index
utriufque ceftamenti * penè fimilis Indici Bibiiomm Roberti Scephani. InAinici.ones
Graromatke > et aliarono Artium, niil repu^nens » Infticncio Principù.
loAiturio religionis ChriRiancj impreilà Vvitebergz» an. InAruflio, qua vitam
zcemaHi obeinebU mu|. Introducilo admirabilium antiqua > 9c moderna • feu
Apologia iicla prò Herodotoi anno ludicium t et Cenfura Eedefianun pti»rum » de
dogmatc » in quibuldam Provjneiis Septentrionalibus» coopta taodam.
Trinitaictu.. Pomeranus*. Leo ludai Leooandus Culman Leonardus Fuchfius.
Leonardus lacobuti Norchu!iaout Leonardo» Srrobin. Leopoldo» Dickius» Lolla
rdus. Luca» Lofllu» Luca» Chrotek » feu Schrotcyfen * Rtibeaqueniì». Lucim
HaCIeneusi vel Hedcctus Lucius Pifxus. Ludovico»» ab EbcrAain*; t Ludovico»
HcAzer « Lutheru». Lyfmaninus. L Ambertu» Daoxus% Laooicu» AnxiAurmiu» oeck. a
Sturine Laurentius Codmann Laurentius Ludovico» > LeobocgcAn$ Leonardus
PelUcanus» RubeaqutnA$A Leonardus Schveiglinus.. Leonardus Stockclius.
LcfOnardus VVannundus», Leonardus Werner Lucas BackmeiAents LuneburgeunsLuca»
Mainus Luca» Ofiander Lucas Steenbcr^i;) Moraws*. Ludo I Ludovicm BcrqQtnQS.
Ludovicus Evans. Ludovictis Helmboldus. Ludovicus LevachcniS} vd
LavatcriusLudovicus Kabus. Ludovicus Villebois. Certcum Au£lorum, Libri
prohibiti. Aorcntii Vili* in fcilCi Jolutione Conftantmì. Itcm de libero
arbitrio. Ircm de voluptate Lclil Capilupì, Cento ex Virgilio non nifi cKpur 4
»aiit$ Icgutur Lue* flcctinì libcr infcripttis, Oracolo della rcnovationc della
CUiefa. Luciani Mantuani > annotationes in Cor^ menrum. 1>. Joannis
Chryfoftomi in Epillolam ad Romanos. Luciani Samolatcnfis, Dialogì, videlicct,
mors Peregrini* et Philopatris. •Ludovici* feu Z.aonici Cbalcondylc Aihenien.de
origine* et rebus geflis Turcarum, libri dccem » Conrado Cl^nerio interprece,
cum annorarionibus. Lodovici Pultii, Focmaca, ncmpc,Od*, Sonetti, Canzoni. L
Anrentii Vali*, annotatione» in novum Tefiamcnium * òc Ubcr de pcrfoiu centra
fioechium, nfTì corrigantur Laus Matrimonii, et congcftìo bonarum mulienim ex
diverfis biftoriis, M. Perri Lefvandcrt. Lclii Capilupi Ccntoncs ex Virgilio, Roinz
anno Domini 1590. iropreif*, |)crmittuntur. Levinii Lemnii Medici Zi- ) rizei *
occulta nacur* mi* ) donec exraciila. ) purgentur. Lexicon S monis Schardii. )
Ludovici fiorbonii, Priocipis Condxi liter Ludovici Carvajalì. Dulcora- } tio
amarulcntiarnm Eraf- > nifi prius mie* refponfionw, ad A- ) repurgeapologiam
ejafdem Ludo- ) tur. vici Carvajali. Ludovici Caftelvecrii » ope- ) ra omnia. )
Ludovici Impetacoris nomine liber fi£ìu$» contra facras imagines. Ludovici Vivo
Valcmini, annmationct in $. Augufiinum, nifi expurgentur. ineertorum Auflorum,
Libri prohibiti. Amentationes Petti, aufiorcs Efdra. Lamentatio* A quarimonìa
MifT. Libcr inl'criptus, de au£ioritatc, Officio > et potcllate PartorutD
Ecclefiafiicorum. Libcr inicriptus > Anguftini, A Hicronymi Theologia Libcr
infcripius, alcuni importanti luoghi, tradotti fuori dcM' Epifiole latine di M.
Francefeo Petrarca, Ac. con tre Sonetti funi, A xviii. ftanze dd Bernia avanti
il xx. canto* Ac. LibcHus aurcus quod fdola. Ac. Libcr infcriptu» Baniccnfis
Ecclcfi* cur MilTam » Ac. Liber infcripms. Bulla diaboli • A£. Libcr
infcripnis, capo finro. Libcr infcriptus» de corna Dominica. Libcr infcriptus,
confilium de emendai^ da Ecclcna. Libcr infcriptus* confilium PauSi III. datum
Imperatori in ficlgis cum Eufebii Pamphili pia expUcarione • Lilier infcriptus
delle commìflioni, A facoltd che Papa Giulio 111. ha dato a M. Fatilo
Odcfchalco. Liber infen^us * de difciplìna puerqrum, rcetdque formandis eorum
Audiis, A monbus. Liber infcriptus. Dottrina vcriffima tolta dal Capitolo
quarto, a’ Romani, per confolare l’affiitte cónfcicuic Libcr infcriptus, Cur
Ecclefia qbanior Evangelia acceptavir. Libcr infcriptus, de emendatione, A corrc£h‘onc Aartis
ChriAiani. Libcr infcriptus, de genuino EuchariAiz negotii inccllc£Iu, A ufu »
ex vetuAiflìmis orthodoxorum Patrum libris, Ac. ^ Liber infcripnis, de falfa
religione. Liber infcriptm, de fatis Monarchi* Romanz, fomnium, vacicinium
Efdr*, Ac. Liber infcriptus, la Forma delle prehiere EcclefiaAichc, con la
maniera ’ammìniArar* i Sacramenti, A celebrare il matrimonio. Liber infcrìpeus,
de Gratia A libero ejus, vclociquc curfu. Libri Hcrmetii Magi ad AriAntelem
Libcr infcriptus, llluAriffimi A potcnliffimi Senarus populique Angli*
fencencia, de co confilio. Libcr quod Paulus Epifeopus Romantis, Ac.Liber
infcrìptut. Miliraiuis, Occ. Liber micripcu» » Nicodcmus de paflìone Chridi,
Liber in(cripiu$ 1 opus IHuflriffimi $c ExcclJtnfiffimi, icii fpcftjbilis vy-i
Caroli Magni > &c. coocra lynodum, in partibus Grzcix 1 prò adoranvis
in'>agmibus Aoliddj five atroganter gefta cA. Xibcr inlcriptus j in,
orationem Dominio cam, &c. 4 lbcr infcriptiu » in orarioncs Dominio cas
faluberrimx » et lanf^inìrox medi» tariones « ex 1 U>. oacholieorum Fatrurn,
&'c Liber infcriprus « Lettera di N. ad uno Ambafeiatore di Papa Giulio HI.
Liber infcriptus, Fauli IV. Papx Ronaani ) EpiAoIa confolatoria 1 et horcato.
ria ad fuos dilcflos filios. Liber
inicriptus» Poiirificii oratoris legatio I in coflvencu Noribergeniì. Liber
infcriptus, de providentia Dei. Liber ioferipm, de facerdociot Icgibtrt, et
^crificiis PapXf &c. Liber infcriptus t delle Aatuc 1 et itnagU ni I
&c. Liber infcriptus » in Aaruì > et digniraci ^clcliafticoruto t m;igis
conducati aiflaictere rynodum Nationalern * piam « flcliberam» quamdecemere
bello, &c. Liber infcriptus» de vera dìAèrentia regie poteftatii, 9 c
EcclelTaAicx • Liber iaferipnK » de vita juvencutis inAiruenda » reoribus, Se
Audiis corrigendis, Liber inicrìpeu « de unitale Ecclefiaftica. Licanix
Cermanorom. Loci coreiDunes, de boAli operibus, et de potcAare EccleAaAica.
Loca inlìgnia. Loci infigniores. Loci omnium ferd capiruro Evangeliorum « Loci
utriufque teftameari. LnÀi ChriAiana. Ludus PyramiduiQ» appendi X. Lexicorv
Grxcum novnm » GenevimprciTum. Ljbellus A. P. C. trai^ans rudiincnr.t
Kcligkmis. Liber qui infcribicur.afla Conctlii Tridentini anno i5'4^. celebrati
.una cum annorarinnibuspiis» et lcC>u digniilimis. Liber Anonymt cuiufdam,
de repugnantia do^lrinx ChriALmx. Liber Infcriptus, Annatx, caxatlones
Eeclefiarum, et Monafteriormn per uni-, verfum orbem, ab hxrcticis adverfut
Anniras confcriprus. Liber contincns articulos reprobatos a faailrarc Parilìenn, conrra do^rinam
S.I Tbomx. Libri duo, de laira, Se vera unius Dei
Patria, et Fitti, et Spirimi San^i cognitione, au£IorÌbus ininiAri Ecclenarum
confcnticittium in Sanuacia»& Tranfìlvania. Libelius de Concordia Ecdelix.
Liber de Convento Haganoen. Liber infcriptus, Crux ChriAiani, cuoi qtiibufdam
annocationibus, in fandium Hilarium. Libri dece CD annuloram » quaruor
fpe^lorum, ihiaginum Thobix, imagioum Ptolomxi vitgìnalis clavicola Salomonis.
Liber infcriptus, Dìalogi fieri. Libri infcripti, comra diccam Imperialem
Ratisbonen. Libclluf infcriptus, dedrgna prxparatione ad Sacramcnniin
EuchariAix. Liber infcriptus, de divinis Se Apoftolicis tradttiontbus. Liber
infcriptus, Genefìs, cum catholid expofirione EcclcfìaAica, idcA, ex U.
niverfìs probatis Theologìs, quos Dominut futs Eccleriit dedic • excerpta l
quodam verbi Dei ininiAro, diu, mulnimque inThcoIt^ia verfatos, live Bi«
bliothecicxpoI'tioniiraGencfeos, ìdcA, expolìtio, ex probacis Thcologis,
quocquot io Genefim aliquid fcriplcrunt. collcfla, et in unum corpus Angulan
artifìcio confata, Ac. Libelius intitularus de Jefu ChrìAo Poolifìce Maximo, A
Re» fìdelium fummo, regenre in Ecclcfìa fanflorum. Liber qui infcribirur,
IlluAriffimi Prìncipis, ac DD. Joannis Friderici feamdi Ducis Saxonix, Ac. fuo
> ac Frtrum D. Joan. VVilhclioi» A D. Joan. Friderici nani junioris» nomine,
lolida confutatio, A condemnatio pnrapuarnm corruprelarum, fe£Iariim» A erro,
rum, hoc tempore ad inAaurationem, Ae. Liber qui infcribinjr, Interim, anno
edirus. Liber qui infcribiiur, Libelius ApoAolo. rum nationis Gallicanx cum
conAicutione lacri Conctlii Baniecnfìs. Liber contincns doftrinam
adminìAraeionem Sacramentouim, rirus Eccle/saAicos, formam ordinactonis
conflAorii, viAtacionis fcholarum, in ditione Principutn, A Dominorum D.
Joannis Alberti, ft n. Hulderici Fratnim 1 Ducum» &:c cimr in dieCorpori»
Chriftì. Liber iorcriprwS» Ordo baptizandì iuxta rirum fin^z Renunz Eccicliz»
Venetiis Apud Joaniwm Guirifcuiii » et A>cios» ; nHì corTÌ|atur. Liber
infcriprcH » de officio pii » et pablicc cranqailliraiii verè amarnis viri, in
hoc religionit diffidiot fine auAo. hs nomine» Se alias ab eo» quero fob Mdem
infcripeione compoTuic loannes Hefielz DoQor Lovaruenfis. Liber iafcriptus>
de petfecutione Barbarorum. Liber infcrìptus, prò libertattf Ecclefiz»
Callicanz» adverfus Romanam auUm defenfio farifienfis curiz, Ludovico XL
Gallorum Regi quondam chiara » qui circumicrrur cum rra^am Duarr ni de S.
Ecclefizminiftcriis; ab eolatinus Liber infcriprus» de protrabenda vim ultra
vigintiquinqiie annos. Liber Pfalmorun) Davidis, cum catholicaexpofirione
EcclcfiaAica» iinprcfii^ per Hcnricum Srephanum» annoi^as. Liwr inlcriptus» que
regìa potefias» quo debent aii-f^ore folemnes Ecclefiz Conventus indici»
cogique, &c. Liber inlcriptus, de Regno,Civitare. Se domo !>j, ac Domini
lefn Chrifti. Liber in quod fit homiiii moricnci Buxio)um foUiium.TbuK) lU M M
Arcellus Palìngenins» Srellatus. Marcus Anconius Calvinus. Marcus
AnroniasCorvinos. Marcus CordeJius» Torgeofis. Marcus Ephefinus. Marcus
Tilemann. Heshufius. Marfilius de Padua. Martinus Ko» vel Martiniko. Martimis
Borrhaus» Stugardian. Martinus Bucerus. Martinus Freflhus. Martinus Lurherus.
Maninus Meglio. Martinus Oftermineherus. Ma. tinus VVolphius Mitthzof Albems»
vel Albertus; Matchzus Judex. Matthzui Phylaigyras. Macthzus, qui Se Afiarcius
Scofier. Maithzus Zelius*, Keifefpergenfis » vel Kiferpergen. Matthzus Zifer.
Matthias Fhccus, lliyricas» vel Flavios. Maturìnus Corderìiis. Maximilianus
Maurus. Melanchton. Melchior Ambachius Mekhior Clinch» vel Mlinch. Melchior
Hoftnanaus. Memnon Symwi. Meoardu^ Molchcms. '' Michael Celarios. Michael de
Cxfena. Michael Kothingius. Michael SchuJ(hejs « Michael ScIIarius. Michael
Servccus. Michael Toxica. Milo Coverdale» Eboracenfis. Morlinus. Munccrjs,
Murnerus. Munfteros. Mufeuttts. Myconius OTvaldiis; fF Agdalena Aymairus. I^Y I
Manfon Anglus Marcus Andreas Falkehenbergerus. Marats Blcumlerus» Tigurinns. M.
Marcus Mennigos. Martinus Agricola Martinns Crufius. Martinus Faber Eeé Mar
Martious HcMingus. Mafluccìi Salernitani > Novell*. Martinus Hofmann. .
Martinm Kemnìcius», vei Chemnìtius. Marcinua Lochandrus» Gorliceniìs» Sile
>Iartiniia Mollems».,. Martinu» Morlin Martinus Salbach.. Martìnuv
Schalincius ». Farens .. Matihaus Bcroaldos. ' Matthaus Chcmnicius Matthanis
Colfebui^ias Mattharm * fca Matthias, fireflènis^ Matcharus Huttenus Macrhsus
Ludtke. Matthzus Veghel. Matthzi» VVeflenWccìus., Matthias Bcrgius,
Brunrvicenl!s «. Matthias Ebcrhart. Matthias ErbiuSi aor ErbeBUs» «cl Hfibeous
Matthias Ludccus Matthias Ritter.u Matthias Schneider*. Matthiav Tinflorius
Matthias Vebus. Melchior Bifcoft'. Melchior Ncofarius.. Melchior Socket.
Melchior VVildiuaM. Mento.. Mcrterus. Mentrius adverfm BalearÌMm, Epìfccotm
Mercdirn Hanmerus. Michael Aichlerus ». vet EychlerUs.. Michael Czliits..
Michael Dilerus. Michael DincUus. Mtcbael Hagenx». Michael Hampclus. M. Michael
Hcnnig». DreUenfis». Michaet HcrmaoBus.. Michael HimmeU Michael Mclllinus.
Michael Neaoder». Soravienns. Michael Rennems, Michael Rcnn^crus, Anelus.
Michael Scrmiua» Danii^anus.. Michael ITraniui. Mintts Cclfus. Moyfes
Pclacheras Ccrtorum Auflorum, Libri Prohibiti. M Arci Pagani Carminum 1
iber»cuius tituluv cR Tiionfo Angelico. Et airer qui dictrar. Sonetti diverfi
di Marco Pagano. Merlini Angli liber» tobreurarum predifUonuxt] M Accaronicortira
opus » Merlini Coccaci» Poet* Manruani» nifi reporgatum fuerir. Mahomcris
Saraccnorum Principis» c/ufque fucccnòrum virar, icem Alchoran» cum. przfatione
Martini Lutberi. Martini Eifengrenii Traflarus A;h>Ic^.. ticus, de
certifudine grati*, prò canone xiii,. fcfT. 6, Concilii Tridentini. Martini
Martinez Cantapcrrenfis » HypocjmoTcon* liber, ruTÌ fueric ex ìtiprefiis, ab
anno i;Sa«. Melchior Klingius, in praxipuos iccundi libri Dccrctaliom Tir. 8c
in ìnRU tmiones Juris Civilis. Michaelis Carranzz, annotano macinalis, ad D.
lldcfonfum» Au(ftorum incerti nominis. Libri prohibiti. M ^nicra di tenere ad
infegnare i figliuoli Crifiianii Margarita Thcologica. MacrimoniodelliPreti»
&. (ielle Monache» Medieina anitn » Meditaciones in Orarionem Domìnicarn.
Meditationes, Se prccationes pi*, aJmomodum uciics, Se ncceffari*, prò
formandis» rum confcicniiis* cum moribuftcleOonim. Mccaphrafcs Epifiolarum SaOi
Palili » ad communein Eccicnarum concordia. Mcchodi facr* fcripturz » Thoini
duo. Mcthodns» in przcipuos fcripturz divinz locos. Microfynodus,
Noribergenfis. MiniRrorum Verbi Argeotmennum admonitio, ad miruftroi
Heivcticos. Modo di tenere ncll'infcgnarc, e nel predicare al principio della
Religione ChrlRiafea. Modo, e via breve di confotire quelli, che Ranno in pericolo
di morve. Modus folemnis, Se authenticus ad in^uirendum, &c. AP. appendi X;
appendix M “ArpaTÌtji Paftonim. Mcdfciiu aniiDZt prò fantu fi ‘ mul et zgrotis
indaote morrt^ Medicina anitoa adjunfia ima^inibm nK>njs ^ Medicina animai
cam hi» ^uam ()tti adverfa corporis valetudine prillici fune» |n moru a^ne, et
extremis bis periculonffimù cempocibusa roaxmè nece&ria quÌ-« bus Dominica
paffioois myftcìiuni ex^. plicatur. Methodica Juris uinur^ firadi(io. Minbllis
Libec^ MiiT.t Hvangeh’ca. MifTa Latina, qua olim ance Romanam circitcr annnm
700. crac, Modiu confitcTidi » et ipodiii oraodi, prout impreffie Polccus*.
Modus orandi. 6 c conficendi. Monumenta (^iorum Patrum » ortho. doxograpba, hoc
eft « croTan£te, aciincerìorìs Mei Dc 2 h>res, numero circiter ofloginta
qiiinque Ecdelia lumina, au£^ores partim Oraci, patim Latini, BaTicIa 1 jtfp.
nifi enKAdencur. Multi integn loci facra Do£hioa, vetq- ris, 6 t novi
teftameoti, ex Hebraa, et Graca lingua, inLatimuo, &Germanurn lermone
crauslati* N Atalis Torneerai. Nathan Chythraui, Natbanacl Nc&kius, ideft
Theo- donis Beai. Nicolaus Bioccitis Ludima^ftei 1 denits. Nicolaus Bocerus,
Brugenfis. Nicolaus Cancerinos. Nicolaus Qoeltanitis. Nicolaua Collado.
Nicolaus Erbenius. Nicolaus Florus. Nicolans Griroaldus Nicolaus HemmiMim, v«l
RewngiM.». Nicolaus Jagenteu^. Nicolaus Leflerus. Nicolaus Opton Nicolaus
Rndingenis».. Nicolaus Sfkcpi^tts. y» A Cer forum Auflorum, Libri prohibiti. N
'colli Clemingi». opera illa oik rum modo permicti pocenmt,qua .uxtt cenfnras
Patrum deputatorum, emendata excudentur. Nicolai, Franci (Jacmina. conua Pecnim
Arecinum. Nicolai Rodingi cahonitio ad Ccrmat niam. Itera Pradicationes
carmineconfcripta. Nicolai VVinmanni Colymbcfcs, fivp de alte naundi, Dialogus.
N icolaus Amldorfius Nicolans Balingius. > MicotausBorbootus,Vandoferanus»
Nicolaus Bryl'ng. NicoUus de Cilibria. Nicolaus Caltilim. Nicolaus Galeats^
Nicolaus GaVus., Nicolaus Gcrbellifii. Nicolaus Herforde» Anglus Nicolaus
Krompach. Nicolaus Macchiavcllns. Nicolaus de Pclhrtimorv.. Nicolaus Qitodus.
NicoUus Rhadivil, Palatimis VVilncfii Nicolaus Ridlaus. Nicolaus ^eubellius.
Nicolans belnccccrusi vcl Sclneckerps •. Nicolaus Scorckios. Ni^laus Udall,
Angkiv. N Vtalis Bedc, liber confeffionìs. Nibulus ThclTalonicenlìs, contri PP.
Aliis Illirico lupponcos. Incertorum Aui^orum, Libri prohibiti. N Omendator
infìgnium fcriptorum. Notoria anis» opera omnia ^ Nera vera Ecd»a. appendix. N
\rtatio* eornm, qua conrigcrnoc io> Patria inferiori, anno Nccromanrìa
opera, et fenpta omnia. Nova gioita ordinaria, doncc metiora Dominus, &c.
fivc io Evangclium, fecundum Matrhaum » Marcum, et Ecc ^ Jàm Ik Lucam.
Commeruariij obicun^ue ixu. prtfli ferine ^oy* prccationc) I. ex optimis,
quibuTqu? Tcriptis» przcìpaorum noftri fzcu» 1 1 Thedogpruro. ., O O
EcoIompailius joannnes.^ Onholphus Marolc, Frànnis, Olìandcr Andreas.^ Ofualdus
Myconius Orbo BrunsfclHiis Oiho Cerbems Pabergen Otho H?nricus Otho Vfncriw
Otho, Vvcrdmiiferus pthoncllu Vida O Siande Lucas Oiiuldus Betus Otho
Gryphius.Gparinas Cattin Otho Wiflcnburgìusjfivc Luroburgenpa Otho Zander.
Q/cnus CuntCTUs. Certorum Auftorum Libri prohibiti, O Gerii Dani Fabulz In
OVIDIO (vedasi) Mctitnorphofiros Jibrosi commcncaria, fivc cnarrationcs al.
Icgoricx» veJ tropologieO Limpì* Fulvi* Morate, Dialogi, Epiilolx, et Carmina k
Prima ratio conponendxreligiocuii I quz fict ' Opas magni
lapidispcrLocidariam^^ Orario I^minica,. cum aliis quibofdam Precatiunculis
grxcc ctim latiua verHoae, è regione polita, quibus adiun^um cft Alphabetum
Grzeum. Orario Ecelenarum Germanie, ac BeU. gix fub, &c. Orationet
Furtebres, et Epiccdia, per Tomos diftinOum opus» Orationes Fimcbres. de
hxrccicis habire^ ccrtis romis imprdre«i^ Ofdo Ecclcfiafticus, circa'
do£lrinam, Sacramenta, et Ceremonias, in Duca ru IjluftriffimiDucisBavarie
Frideridorus« Pcirus CUrke. Petrus Dathenus • Petrus Dilleras. Petrus Dc^inus.
Petrus Qcdulcig, (ea Pati'em« Petrus GU(fet^ Petrus Hafiùius. Petrus
LandsbergiuSf vel Liodemburgìus « Pccruv Palladiusii. Perros Pateshul. t »
Petrus. Panlas, Nochtefterus. Pernii Ramus Petrus Kinavvs Petrus Scatorius«
Petrus Trevver, Petrus Vvaremborg, ab Alcenkircfiea. Pcims Vvartei, vel Vattcs,
Pctrm VVirth Philippus Deibrunerus. Philippui Dirixfon « qui fuot ^tukaptlfm
fmut ferlìiit lìuTÌs « T« i>. Philippus FcKìqìus Philippus Gcrrarde.
Philippus Neibronnerus^ Philippus Kcifer. Philippus Lontcerut4 Philippus
Marbachius. Philippus ie Marnix> Domlnut de 5* Hd~ degMia, Philippus
Merziliust Philippus Momrus, PlelTeui. Philippus NycoU Phili^TpQs Rufticns.
Philippus VVagncnis, Pilkioionios Preudoepifeopus, Dunilmenfis. Prinius Tuberus
Carmqlanus Procopius Lupacius. Certorum Auflorum, labri prohibiti P AuU Dolfcit
pralrerium» Grzeo catmine ver{uiD» cum prxiacione Philippi Melanchthonis. Pccri
Aretini, opera onmia Petri Lignzi, Parabola. Tetri Mofcllani, Protegend,
Pedalogia in puerorum ufutn confcripea. Petri de Virea,
PercgriaatioHicnifalemPhilipp] Catti, liber adverfus Heaticum Bninrviiceni'em
Pogii Fiorentini, Facetiz Polydori Virgilii, de invcnioribus rerum liber, qui
ab hzrcùcis au£lus, et de. pravatus eli. Rotopzii Barbz, liber
deSccrectsNaturz, P AnopIia omnium il!iberalium, Me. chanicarum, auc
Sedentariarum artium,cucn imaginibiis «sudore Harcaman Scoppcro»
NovofofCD/ì,Norico, Fran((qjti adMxnum ijdS. donec ex. purgetue, Papyrii
Madbnii, libri fex, de vitisEpi. feoporum Urbis Rotnx, nifi hicrit ex corrc^is,
abaudore, cum approbationc Maeiftri Sacri Palacii. Taraphraus Cornclii
Chaidaica, ìa facta Biblia. Tauli Diaconi hiAoria, impreca Badler nifi delcarur
epifiola, qux habetur in ejus principio, quz clè, no^ probati Auaoris, Petri de
Abano, opet^CeomaDtix, &e)or. dcmdcQinnì genere divirutionÌso}>era.
Pccri Fcrmandca de Villegas, Archidiaconi Burgenlìs, Flofculus Sandorum. Petri
Gunchcri, Rhetorica, nifi expurgecur. Petrus Pomponatius, de Incantacioitibus.
Petri Romani, Circulus Diviniiacis. Ferri de Vineis, Querimonia Friderici
Cecundi Imperatpris« Polydori Virgilii,, de invenroribus rerirni liber,
RoinzjulfuGreg.XIII. lyy^.ex. puigarus, 6c excufl'us, permittiturPofiillz Draconitis,
per annum^ Pradica Mufica, Hcrmanni Finehii. Przfaclo JacobiHarcelii, in
quìncjtuginra Comicorurn rententiasGrzcolacinas. PCUmi aliquoc Davidici, per
Hcnriaim Stephannm, et quofdam alios, Grzeo carmine rradudi « Pfalcerium Hebrai
ant Apoftolic* Sedi quoniodoc'jnque dctrabatur. falquilliB prpfcriptua a cibo.
Pafqitil'n Scmirocta. PalquiUoruin. Toroi djiOc Pàiquim> ti Matphofii
Hyninui in PaiW IniD III. Paffio Martini UthetJ, fccundinn Mar-, celluin
Phalarifmu» c ' rhralca {acri Scriprai». quandiu eapn»-. gara non hictint
atqtie ab Inquilìto-. ribuJ Gencr.ilibui racojnlw. Pii, St Chriftiani Epiltoli
ciiiuldam fervi Jefij ChriiU, de file, operibui, !c charitate. Pracationum
aliquof, tc piaruin Meduaciomim t Enchiridion ^ Pfccationit Biblici.
Precationer Chriftiani, ad miitationet» Pfalmorum. ^ Precationcs Dominici,
Griphn. Precaiionn Pfalmomm, per )oanncni Hombutgiuin latinirate donati.
PrteedenK all' Apologia della Cooteffione VVittcmbcrgenlc. Pioceirns
ConfiAorialia, Martini Joann.s Huls. pliltcriam ttanrlationia veteris, cum no.
vq Pnfatione Maitiai Luthcri P Aralipomeno* .ómniam i^in meinorabiliuin a
Fridenco Secmido, ufquc ad CirolutnQuintnm, HiKotii Ahbatis UfpergcnIIa, per
qncndara fiudiolutn. Annexum Patquilb «latici, feu nuper icoalorcverfi,
JctebttS patrim fopena, partim inrer homin». in Chriftiana Rel.gione paffim
hodie controvetlis, cnm Matphorio Colloquinm. pjqnilll iDinufcriptl, Santìwt
aucSicrannciKJS» autCatholicEcclefiz 1 et fjui caltui » aut
Apoftolicquoraoèxunqac de Todygncoo.. Ricardus VVick. Ról^rcus Anglas. Robenus Bonnes. Robertus
Baus. Robcrtus a Moshaim • Robertus Stephanus. Rod NajaI Rodulphus GualceniSf
Tigurinos. R Einerius Rcìneccius, Sceinchenms • RcinhoMus Marcaaus, VVcftpbav
Ricardus Coxus » Ricardus Fcums. Ricardus VVyfe. Robcnfonus Bangareufis.
Robertus Crovuicyus. Robertus Hornus. Robertus Recordus. Robertus VVakefelde.
Robertus VVarfwius. Rodulphus Hofpiniatms. Rodulphus Lemanus. Rodulphus
Ladolif. Rodulphus Sncllius. Certorum Auflorum, Libri prohibitì. Rayymundi de
Sabaude, prologus in Thedogiam naturalem. R leardi Dìnothi, de re- )
doneccorbus, ic faftìs inemo- ) rigannir. rahibbus, loci com- ) munes
Hiftorici. ) Et eiuiilcm Adverfaria Hiftorica. Roffcnll falfo adferiptus, liber
de fiducia j et mircricoriia Dai. Inccrtorum Auflorutn, Libri prohibiti. R Aeio
bcevìs, facrarum tramandanim Cancionum. Ratio, CUT • qui coafeflìoneiD At^iUnam
proficenrar» &c. Ratio, Jc Methodus coniblandi perielilosd decumbences,
&c. Receptacio omnium figurarum focrx Scrìprnrsr. Reformacio Ecclefia;
Coionienfis, Regis, et Senarus Anglici fententia de Concilio, quod Paulits
Epifeopus Ro. roanus Mantuz fiiturum fimulavit. Reftitucionum doftrtnar,
&vit*Chriftian* libcr, per Monafterienfes Anabapriftls edicus. R Acìo } et
forma pt^lice onndi Deum, acque adminiftrandi Sacramenta in Anglofum Ecclcfia,
qus Ceneya coHigirar. Rccanrario de inferno Rerum ìnGalUa ob
religionemgefUru^n^ libri cres. S S \pidus Poeta. Sclaperus. Schnepplus, vel
SehekiasScbaldus Hanrencius Sebaldus Hcyden SebaUianus CalUlion Sebaftianus
Francus. Sebafiianus Frofchelius. SebaBianus Lcpufculus. Scbaflianus Meyer.
Scbailianus MunAcrus. Servetus Hifpanus Simon Grytmis Simon Heilus. Simon
Mufzus. Simon Saltzenis. Stephanus Dolecus. Syven Kfeidius S \daeIIns Antonius
Samuel Fifcher. Samuel Hebelus Samuel Ncvuheiircr. Samuel Radrrpinner. Siwìct
VVigormicnlis, PfeaJotpifcopu». Scamblcnis Pctroburgtniis, Pfeudoepifeo. pus.
SebaAiaoat Figuhis. Sebafhanus Henriepetri. Sebafttamis Lupulus Sebaftianqs
Sperber. Seba t Sebafliinus Spradler^ Sjc^irìdtii Saccus. Sigirnundus Suevui^
Sinicn Cn»iliccvus^ 5iincn Mej'er SiiroQ Pauii» v(l Panhis STcrineofisi Shnon
Sidenis Slmnu Simoniiu. Simon Snc^derus. S»ni!> Wi. òatniciiK.« Sicpoanu-»
Gerbchtuv Srrphtf-iut de Malefcot,. Srr; hanui Rcich». Stephaons Szcgcdimis.
|tc^’i-unus VVacker4 Ccrtorum Au^orum, Libri prohibiti. S Tgibcrtì libcr,
centra Papam Gregorium t et centra Epiftolamr Pafchalii Papx. Scraphini Firmaiu
Apologia» prò BaptiAa «ie Cremai (tephani VVindonieoAs Epifcopl > l lionec
rcpuigaca fuerìc.Scephani Lindii EpiAoU ». de Magù Arata» et MifTa Svidar
Hiftoria » nuper Bafitec imprcHa ». ^uaiodiu annotarionci oMiginalcs » et
indicci» emendeatur Incertorum Auflorum, Libii prohibiti. S Cholìa in EpiAohim
Paoli 111. Pon> tiftcì* Maximi. Script! quxdam Papx, &Monarcha« rum >
de Concilio Trideotiao &c. Sentenrix piieriles. Sernaones Convivalea. Sermoaes ite proviJcntia Dei.
Similitudinnin, et DiAìtnilicudinum libcr. Simplex» &' foccinOm oranJi
modus. SimplicifISnu» et brcviiTima Cathechi(mi expofitio. Simulacri, Iftorie,
e Fignrc della Mone. Somnium, et Vaticinium Efdrx, de £ati& Monarchix
Romat:.x. Spcculum exeorum, ad cognicionem Evangclic* vcriiatis Swermenica
Doflrina Somna totius Scriptur Sammarinm Scrìpturx» 8umro| in Smaragdum >
Aipcr Erange. lia » &: EpiAolai totius ann>. ram Ceparatim» quiin nna »
cuna ipfo Au£lo> re impreifa. Snpplicacio quonmdam, apud Helvcrios
EvangelìAarum » ad Epifeopum Coo» Aanticnfcm. Supplica loerortazione, di nuovo
mandata ali'tfìvittiffimo CeCarc, Carlo Qpinco Suppucatìo aonorain Mundi.
Syncrama clariflrmoruin virorum, cuginale pcccarum dcpuigentes» Ac. Stateri
PruJtmuiti • grracagcmaca Satbanx. Summa piuioris doflrinx »pcr M3 fes»
adCallicarn EcclenatiuntiVa, ^c. Synodus Sait^ioruni Patrum c«>nvocara ad
cognofccndam, et dljodicandam controverAam » multos jam annoi £ccleAam ChiiAì
gravilGmc cxercemcm» de majcAate Corporis ChriAi T HeobaldmCerrachius»
BillicanuiTheodorus Biblìander. Tbonui Blaurems Thomas Cramner Thomas ab Hofen.
homas Munccrns. Thomas Nec^eorgius^ Thmnas Plaitcnis^ Thomas Vcnatorios, Thomas
VVolphius. Titetmanus Heshu^us Timotbeus NeocorusT Halounnos Beaedi6his.
Thcodoricns Scheneppius. Thendoms Bcza^ VcxcUnS\ Thcodorus Ncc^eofgus.
Thcoioras Sneppius. Thcodorus Zuvingerus Theophilus Bfidanus Theophilus
Frcurelìus TheopbraAus Paracclfus Thobias brmon Thomas Bcconus. Thomas Carcuvzightas
^ Thomas Copperos. Thomas CprbcM Thomas E^nta. Thomas Eraftui. Thomas
Gotctsf»nhi»«, Thomas Gybfooas p Thoous Leverus. Thomas Pavjpell Thomas
Scndbachiu» veL Seltbachliii é T homas Swinercon Thomas Thanhoinmi Thotms
VViJfoflui, Thomas VViftadias. Thirootheus Kfrclmerus, TriAramus* RevcU^
Ccrtorum Aué^orum libii ^rohibitt T Argpm, hoc Paraphnfis C^-. oeTii Chaldaica*
in facra Bibita ^ ùuc^cete». Paulo Eagio. Tbeacnim vitaebumanx» prlmunta Cou«
ra^ LicoAhena: Ru^aqoepfi inchoa» deinda a. Theodoro Zvringero aUolucum»
cuitifcnaqae fit iroprtìfioais» nifi corrigarur. Thcodorici Nemicnfisi vel' a
Niemen Hiftoria de Cchiiinaie, The^nna lioeua Grece» ) Henricì Srej^ani. )
Thelaun» Lingue Hebraice > ) San£h Pagnini » aufVtts opera omnia «
Incertorum Auftorum, Libri probibiti. T Halmud Hebreorym» eiulquc gl fumma
sotius icripturevetcris,Se novi TcAamcod > altera vero de dccem Preoapiis^
Theologorum VVitebergenAum vera» 8 c folida rcfuaauo» duorum libellonim
lefuiramm • Threnodia Ecclcfie Catholiee» ad Chrìftam ^ponfiimv fwim ^ Triumphi
Aoonmmcw»^ Ir jfde GhrtAi» in cotlum afeendentta coilado. Turco grecic libri
ofio,Bafilee impre{« fi 1584. donec corriganrur. • Turingtcoiiim exolun)
rdponfio. Xotini Belgica > Urbium» Abbaciarum» CoUegk>rufu. divifio» ad
opprimendum per novos Epiicopos Evan^iium» 8 k^ fine nomine Ao£mNs ccafiurc »
impref> ipris». Se loci..V Adianus )oachimtts Valerìus Anfelmus Ry 4
Valerius Philarcas. Vareroimdit» Loitholdus. Velcurio Vergerius^ Fffi Vi Vi£loE
di Bonkaaxi ve[ de Bordcns.. Vi^ormus. Strigqlius. Vincentiut Obibp«t»«
Virctus. Petras. Y i r i I iog4>Sjfìye Brenti us>. yito$, T^codorus.. .,
Virt» Vvif«pin$v i ^ Vlricus, Scuderius,, Yltictt* VeknuSf Minhomenft., ^
Virila* 4c Vvitera Vrbamn Rhegitti.. YVendelinusi ab Kdbach., VVcnriclaaJ
Linck. YVefelus» live Balilias CroeningenCs., VVcfphalus Ipa^imus VVig^us
óro^er* Wilhidmus Hefenos WlIhieliròs Ibadcnlis Wolphapgus FabrUius, Capito
Wolphangos Mater Wolphangus Meufd Volphatigtts MuCcuIub Wolphangus Uuce#/
WolpIungus Rupercus Wolphangus WaUaenn^ yVoIphan^ VvtlTcn^burgiis Valcntinos
Eryihwus. VaknKinuv Frottdorfiuiv Vaicntimis. Cìreflérns^. a Valentinus
HeiLind^ r. Valcntijius Hefenenu Valeatinos MecckcK* Valcmious Schacbtiut^
Valentinus Shinidclenis Valentinus Tro^cdorSus VakQtiiHUk VaJenrintts
VwinfchOTUsv Valarius Fildl^rus\i'>--' Vcnis C^at^amls Veitranos Pinfcrus^.
i Vinc^n.tios, Cmnchor^ Vinitos^ J. T • Vjcui Bfcfchvucrtibach> Vùus
MoUcfus-, Vhiaricu» RuppincoTtiK Vlricus. J.vuinglius.. Volradsis, Conjcs,
Mansfcldcplii^ Vvahiclmits BiJcrtìbachius^ Vvilheilnjus, Clcbitius Vvilhichnus.
Nolderus^ Vvilhielmus Sarcerius^ Y^ilichius Fikhcrus Wolphangus AmliJi| •. ^ f
Wolphangus Ammonms Wolphaogus AmpelaAdatP\ Wolphangus Audingus Wolphangus
Bisbachius. Vuolphangus Cam!inm« Vvolphangus Finckclnaus^ Vvolphangus Maler
Vvolphangus Martius Tvolphangus Ochelìus. V voi phangus FeriRerus x Vvolphangus
Frisbach^u»^ I \volphius. Certorum AuftoruniJ libri protlibiti^ i V iti
Amcibichii., A"tipari de Officio pii viri traOatut» Vinccntii Ciconi* Vcfoni^nns,
Enarra-. tiones in pralmos, nifi còrrigantur^. Vldarict ad Paptm Nicolaum
EpiRola; VIdarict Zafii, opera omniai donec C0C\ rigantur«, i IncQttotum
Au£lorumi (.ibri prohibiti^ V Valdenfium conleffio x, et Apologia fìdei, ad
Uladislaum Kcgcm Un^ gari Varia dotìorum, piorumquc virorum* de corrupto
Ecclefia; Aacu > Poemata* Yindarii* ^mbdìuio » de EotelUtePapcj^ de.
Principum facitiartuniv Vificacio Saxpnica Yitai et gefta Hildebrandi^ Vi»
Patrum,, cum przfatipae Maftirii Lutberi VitK Pont. Rom. VViteberg* iroprelt*Un
breve modo,, ^ual deve tener ciafcun Padre Unia diffidentium. Tripartita*.
Vniverfitaiis VViiebcrKnfis, feria aflio», apud Principem FrldcricuQi Wa
Juyennitis cum anoocationibosx \f feti aildittonibus ?hilippi Me* ^ lanchthonis
x Vvitcbergica afta SynoJaUa> a quodatn • COl-v collega et per
Vvttcbei^icost Jlieokv go» probara» concra ]Hyricanos« Vvormatienfes Arciculì.
Urfuis Mnnfterlcrgenfìt Docidie defenfia* no licenza, dall’ ondiuarioi poRo in.
una calTa iìcura nella CanccU ovvero dali'In^uificore di pocerh tenere», laria
Ducale per (ervirTene» qnarJo fa- Se li Stampatori foranno ri bifogno, nella
oaa! calta fi tenghi, rifiamj'« 4 e li (addetti Libri (pipefi.» Ala- un
Inventario de* Libri, che 1! riponeraniro infianza per U correzione» si cor- ranno:
e ciò s’ incendi folamcnre de’iiregeranno efpeditaroence in Venezia» e bri
novi, ed ancor de* Libri rofpcfi, che nell’ altre Citti del Sraro Teoia
ODandaili. fi corrtgeranao» e riftamf^ranno. Nelle a Roma avendo fufiicieBcc
facolti per Cicti j>oi del Stato gU originali predecii il novo Indice gli
Vefeovi infietoe con li fi conlegncranno al Cancelliero del ClaInquifirafi» e
rifiampandofi corretti» fi riOìmo Capitanio, acciò li tenghi net* vmdcranno
liberamente a tutti. modo predetto» q. fi confegnino focecfiiUferanno diligenza
gliScam* earocnre con .l' Inventario da Canceliiepatori per confervaie oqi
migliar moda» ro 4 Gancelliero* nmezfc Pff a Nel ftampar Libri 9 ^ terefticrl».
0 con &Ifc % t finte licenza impriina a tergo del prinio tV^lio la Ih
Qampati * e rariflìme volrc fi dari il «enza folita deli Magifirato» nella
quale calo» nc fi fiiri fenza giullifliroa caufai fiaoa cfprcflj li nomi di
quelli » che a*n e con parcictpazione dei Santo Officio, vranno rtvifio,cd
approvato detti Libri», ed incervemo di CiactiSmi Signori Af(ome è dilpoita per
le L^gi.. - fifiemi rantoin Vcneziicome aelloStato. Aveniranno li Stampatori»,
La regola dgl giuramento da che r>e‘ Libri novi, che fiamperanno«"ò,
darfi a* Librari, e Stampatori npn.s’cf*. oc’ Vecchi che riftaropanero. non.
tifino tguìfea in quello Sercnils. Dominiò s figure » che ripprefeniino acci
difonefiiv. Tutti gli eredi doveranno dar ooit efjendo però prohibitcle figure
pros nota al Padre Inquifitorc de' Libri profane. che non comenefsero
dishoniftè- ibìti » e fi>rpefi » che ritrovarsero nell* SESTO*. Lt Librari
dovecanno far T* erediti / e ouelU eredi » che non fufInvcntario di- tutti li
Libri > cift, fi fero abili a aifcemérli > doveranno lo trovano per
cfpurgari; in quello princi>. ro, o Tuoi Cantori chiamar perfone mpio le
Librarie da‘‘ Libri cfprefiamenre teliigenri che vifiiino tutta la Libraria
proibiti nel novo Indice » e prefenrar» per cavarne nota delli proibiti, c
iòflo al Padre Inquifitorc, e quello s’in-, pefi) et prefencarla come dì fopra
in tenda per una volta folamenre v termine dì mefi tré dopo ebe V avran-,
Intorno la liberti » che ho, avuti irt fuo potere c fri tarn / vtcn conceda,
all i Vefeovi, ed* Inquìfico- co non pofsano ufare. ni in qualitnque i ri di
poter proibire altri Libri non cf- modo alienare i Libri proibiti, o rof ^
^refi rMiriiWice~» fi didilira. che t'ìn-. pefi « c ciò fono |e pene • e
aenfurq tendi de.‘ Libri contrarj aM^ Religione,, (latuiie^ Feo fede» e
corroborazione di tutto» ciò. li fuddetti Illuftrifljmi Cardina*, le
Patriarca». 3c Nunzio^ Infieme co' 1 Reverenda Padre Inquifitore di Venezia
fottofcrivqranno le prclqnti. c le affermeranno eoa proprj loro Sigi(li
coniinci|coda.|er Vautor/ih alatale *d» fua Beatitudine che inviolaWiécnte
debbano «flervare le predette. dichiarazioni tanto in Venezia» quanto in tutte
le altre Cittb » e Luoghi fudditi ai detta ScrcoilD'mò. lJominio; D aniello
Barbo Capitano di Segna Faiitor degli ÙlcoccKi. 174 Daniello Francol
Ifricilitip facce, de 4I KabattA nel Capit^niaeo. di ìk Decime (e l^no de fure
divino. Decime prediali che eofa fieno. 18 Diaconi infitruùi dagli AppoftoK per
governo delle cole tcinpor^i. a pifeorfo del Chiazola in propofito del Dominio
4 el Mare della Reptibbllci. pnpenfa é tm mso di giallitìa ^^ributiva > c
pecca chi apn ht * perfone» alle quaK è dovuta» Doge Ticpolo mette un dazio a
quaUmque Navigante p& TAdriatico. ^48 Pottori Napolitani ; loro opinion^
circa ilPrmcipaco di tutto il Mgodo» E MerìroGtierri vuole piutrofb abbandonare
il filo ArciveKOvaro, ebev^ der la fua ChieCa mclTa 4 Cacce da ln;iocenzto IV.
Pontefice» ^rìberto Conte Zio d'Ugo Caperò fii fuo Figtioolo in eti d'ansi 7.
Arciv^feovo di Remi» c Papa Giovanni X. ne eoo. ferma reiezione. api Rtmolao
Tiepolo ProveJitor in Dalma, zia con iibera podeiti • temuto dagli Ufeocchi^
t}x F Anioni de'Gnelfi» e Ghib^niquan». do oacqueto*. 40 Ferdinando Vefpio» fua
opinione in. tomo al Mate.. 74> Filippo Pafqualigo Provedìtor Generale in
4^1m«iaconm gliUfcocchi. igf Francdco'Allegreiti Kc 4 >ilc Ragufeo Ca> pirano
dHina Calca P-ootificia. 17^ frati Mc^can^ quando ìdOìomiì. 8| G Fftiin» loro
infeirato. 107 Giovanni XI. fatto Papa d’anni xo* figliuolo naturale di Sergio
III. » e di Marozia figliuola della meretrice Tcodor^ * 4 quale proftituiva le
fuc figlinole a’ Papi x xp Giovanni ^ (oti intento a cavar danari d’ogni
cofa> che lalciòalla fua inorte x^. milioni. 77 Giovanni Alberti
dccapicaMda'Turchi in Gli A. 174. Giovanni Bembo Provediior in Dalmazia centra
gli Ufeocehi. Gio: BattiAa ConraeÌDÌ Proveditov in Dal. mazia contri gli
Ufcocchi. 19S Gio:Criftiano SmidHDoAmbafciador Ce> fareo agli Svizzeri per
dar loro conto deh la guerra aperta co* Veneziani. Gio: Taeopo pelco
Vice.CapicaMxdi Segna, ipd OicK Jacopo Zane Proveditor in Dalmazia contri gli
Ufcocchi. xoo Ck>: Jacopo Cafglin Ipedito a Segna dall* Afcidsca per
liberare dalle mani degli Ufcocchi il Proveditor di VecHa Marcello. X17
Ciroiaono MarcctIO’Provedùore di Veglia fatto prigione dagli Ufcocchi. x 1 a
Governo di Santa Chiefa nel fua principio ebbe fivioa Democratica. Giuda aveva
la boria dd’daaati prefencati a) Signore. a Giuramento de) Clero > e del
popolo Ro. mtao ferro all’ loperadore incocuo air •fezione del Papa. X4
CiuriCdiaione EccleliaRica quando abbia avuto principio. x 179. fatto
Comnffciferro daH’Arciduca contragli Ufcocchi. i 4 d. trucidato dagli Ufcocchi
• i8a CiuAinfeno ricuperando I’ Italia da' Barbari lafciò il Dominio intatto
delia Repubblica fai .Marc da Raveniu in qua. 7x9. fiu legge circa aUenaie ni
EcclefiaAici. Gradi EcclefiaAici ne’ primi tempi noo erano nd dignird» nè
onori. come fono da molli Secoli » ma cariche « e miniAerJ. 7$ Guido Bacon di
KùK General in Cr» vaila fpedito dall’lmperator a Segna per informarfi de’
mii^i d^Dicoc-J Acopo Coreana Gefufta in unA foz Cronol(^ia confdlà victoria
della Repubblica nell,’ Adriatico « 1^9 Imperio dell' Adriatico innanzi il
nal’cU mento, di Venezia bx dell’ Imperio Romano^ 5x8 Indulgenze quando
incrodocce« 81 Inico di Mendozza Ambafeiador di Spagna a Venezia levato dall'
Ambafceria con ftx) poco onore. i|$» Innocenzio IV. muore da nna percoflà
datagli in fogno col calcio del PaAoralc da Roberto Vefeovo di Lineo! Uomo
celebre in dottrina» e bontà. ^4 L Orenzo Diacono ritenuto da Pedo per levargli
i, Telori Ecdefiafti ci., 5 M M Anfionario» che cofa na e quando introdotta pz
Pietra Croltcchio Signor di Cliflà. ijp fia II. vuole armare dne FuRe in An.
coni, e gli vien proibito dalla Repubblica* SP Pontelice » che non era
confermare ujlP Jmpcradorr "o» ^ «hltjtuvì Zfìjc^uf, ma dtfftu'. Z4,
Pontefice dee pafeere non tofare le pecore pontefici pretendono che gli atti
Concili non fieno validi, fé noa in virtù della confermazione Papale. 41.
proibifeono l’aver benefizio maffime di Curata a chi non imetide la lingua del
pc^lo. 5ji Povero obbligato fecondo i CanoniAi a pagar la decima di quello» che
trova per iimofina », mendicando alle portc*, Preferizionc che cofa fia* ^41
Pragmatica pubblicata in Francia. 85 Principi chiedona licenza alla RepubbliI
ca di pattare pel Golfo Proibizione fatta da' Veneziani a quelli di Riminì»
Ancona» Fermo, cdAfcoU » che non navighino in Schiavonia. 547 R Egalia è un ;us
del Ré di conferire tutti X ^ncfìzjlcmpUci vacanti dopo, la morte de'Vefcovi
Rn. eh’ è acato il SuccdTore. KccreCro che cola fìa* 84 Reudenza tenuta da
molti, che fi trovavano nel Concilio di Trento de Jare divino, 91 Rifervazioni,
annate, afpetracive, c tutte le altre etazicmi della Corte Romana iDsna t
proibite dal Concìlio Balilen* fc. S S Vnro» SantiiBmo, beato, beaciUìmo •lami
t che convenirano una volqi a tutti i fedeli j che afpiravano. al* Sanciti j
ora particolari fmo del Son>* mo Po«if:6cc. »7 Scrittura dclP Imperadore s c
deirArci-i dura io favore dcU^ Repubblica, ^on* tra gli UlcoccKi. Segna Citti
de’ Conti Frangipani . 1 49 Signor di Lenovicb Genqral di Crovaaia . 1J4
Spoglie» che cofa fitop. 10; Stefano eletto Papa dopo la mprrc di * Zuccheri^
> perché non fii conlàgrato, non fu'pofto nel Catalogo de* Papi che non Ù
lafcit^ mai vedere in pubblico i fatto Pap^ la Teodora faraoTa Meretriae Roooa^
na • Stefano della Rovere Qapiuno (H Fiu* me ^Apita in Veneaia per trattar^ in
propolìco degli VTCtxtbi a V U Scocchi di che paefe fieno. loro violerà?, e
rapine I C E, no di tre forte > ftipendìati » CafalU ni e Venturieri 1x7.
loro delcrizione» 11® Veneaia fi fa Padrona di tutto il Col- fio . 510* proibi
fee a nxt| dì tener le* f ni armati nel Golfo» jt** non fon- a le file ragioni
del Dominio del Ma* re fopra privilegi dì Papa* o d'Impe* radere . {^7. Signorn
dell* Adriattep >irre feiìi. jdf Véfeovo anricamente era chetio dal Po polo»
le. quando era morto fi por* Cava U fno anello » e ’l fuo Pafiorale
all’Imperadore > affinché lo conferiite ad un altro. $7 Veicovi titolari i
gran numero vt n’era innanzi il Concilio di Trento» al pre* lente é molto
ri^retco. a a Vefeovi Italiani dello Stfto Ecdefiafii* co non folamente
fiam>o in piedi al* la prefenaa de' Cardinali { nu ancora noa Aiisano
difboore fervirli a tavola. 5® Vefeovi delle Chiefe ricche > e gr;:n- di
fono pafTati dal dirpenQire al diffiparc • Fu provedgto a dd d..' 5^ coleri.
Vector Barbaro Segretario fpedico dal General Pafq04li|o al Coinmetririo Rabatn
per 1* iniereflè d^li .Ufeoe* chi, ' 57^ , A.A. F. Paolo Sarpi. Paolo Sarpi.
Sarpi. Keywords: l’arte del bien pensar, Locke, impression, reflection, metaphysics,
Bibioteca Marciana, pensieri, pensiero, logica, bien pensare, galilei, hobbes,
metodo, sensismo, il fenice di Venezia, scritti filosofici inedita. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Sarpi” – peri il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Sarpi.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Sasso:
la ragione conversazionale da Crotone a Velia – la potenza e il atto in Gentile
– Gentile megarico -- Lucrezio e Machiavelli – allegoria e simbolo in Vico – la
scuola di Roma -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo romano. Filosofo lazio. Filosofo
italiano. Studia a Roma. Si laurea sotto
ANTONI e CHABOD con Machiavelli. Studia con CARABELLESE, RUGGIERO, SCARAVELLI,
NARDI, PETTAZZONI, SAPEGNO, GABETTI, PERROTTA, E SANCTIS. Insegna ad Urbino e
Roma. Studia l’idealismo italiano (CROCE) e MACHIAVELLI. Si occupa di
ontologia, ALIGHERI, Platone, Polibio, LUCREZIO, GUICCIARDINI, Shakespeare e
Mann. Presidente della "Fondazione GENTILE", Lincei. Altri saggi: “Machiavelli
e Borgia. Storia di un giudizio” (Roma, Ateneo); “Machiavelli” (Napoli,
Morano); “La storia della filosofia” (Bari, Laterza); “La ricerca della dialettica”
(Napoli, Morano); “Lucrezio: progresso e morte” (Bologna, Mulino); “L'illusione
della dialettica” (Roma, Ateneo); “Guicciardini” (Istituto Storico Italiano per
il Medio Evo, Roma); “Essere e negazione, Napoli, Morano); “Machiavelli e gl’antichi”
(Milano, Ricciardi); “Tramonto di un mito: l'idea di progresso” (Bologna,
Mulino); Per invigilare me stesso. I Taccuini di lavoro di Croce, Bologna,
Mulino); “L'essere e le differenze nel "Sofista” (Bologna, Il Mulino); “Variazioni
sulla storia di una rivista italiana: "La Cultura"; Mulino); “Machiavelli,
Bologna, Il Mulino, Comprende: Il pensiero politico, Napoli, IISS, Bologna,
Mulino, Premio Viareggio di Saggistica, La storiografia. La fedeltà e
l'esperimento, Scarpelli, Trincia e Visentin interrogano S. (Bologna, Mulino); Filosofia
e idealismo, Napoli, Bibliopolis, Comprende: Croce, Gentile, Ruggiero,
Calogero, Scaravelli, Paralipomeni, Secondi paralipomeni, Ultimi paralipomeni, Tempo,
evento, divenire” (Bologna, Il Mulino); “Gentile: La potenza e l'atto” (Firenze,
La Nuova Italia); Le due Italie di Gentile, Bologna, Il Mulino); “La verità,
l'opinione, Bologna, Il Mulino, Martino fra religione e filosofia, Napoli, Bibliopolis);
Il guardiano della storiografia. Profilo di Chabod (Bologna, Il Mulino [Napoli,
Guida, del Profilo di Chabod, Bari, Laterza); Dante. L'imperatore e Aristotele,
Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo); Fondamento e giudizio. Un
duplice tramonto?, Napoli, Bibliopolis); Il principio, le cose, Torino, Aragno,
Delio Cantimori. Filosofia e
storiografia, Pisa, Edizioni della Scuola Normale Superiore); “Dante, Guido e
Francesca, Roma, Viella); “Le autobiografie di Dante, Napoli, Bibliopolis, Discorsi
di Palazzo Filomarino, raccolti da Herling, premessa di Irti, Napoli, IISS, Il
logo, la morte, Napoli, Bibliopolis); “Ulisse e il desiderio. Il canto XXVI
dell'Inferno, Roma, Viella); “La voce dei ricordi, Napoli, Bibliopolis); “Decadenza”
(Roma, Viella); “Machiavelli: I corrotti e gli inetti” (Milano, Bompiani);
“Allegoria e simbolo” (Torino, Aragno); “La lingua, la Bibbia, la storia. Su
"De vulgari eloquentia" (Roma, Viella); Su Machiavelli. Ultimi
scritti, Roma, Carocci, Croce. “Storia d'Italia” Napoli, Bibliopolis, La 'Storia d'Italia' di Croce. Napoli, Bibliopolis. "Forti cose a pensar
mettere in versi". Studi su Dante, Torino, Aragno, Purgatorio e Anti-purgatorio.
Un'indagine dantesca, Roma, Viella,. Croce e le letterature, Napoli,
Bibliopolis, Biografia e storia. Saggi e variazioni, Roma, Viella,. Mulino Riviste
La Cultura, su mulino. Premio letterario Viareggio-Rèpaci, Croce. Dibattito, Il
Cannocchiale, Arnaldi, Calabrò, Jannazzo, S., Stella, F. Valentini, Visentin. Arnaldi,
S.: uno specialista di più specialità, in Id., Conoscenza storica e mestiere di
storico, il Mulino, IISS-Napoli, A. Bellocci, Verità e doxa: la questione dello
sguardo e della relazione ne Il logo, la morte; Bellocci, Laicismo della
verità, della doxa e tolleranza; Leussein, Bellocci, L'impossibilità della
differenza e i paradossi dell'identità; Archivio di filosofia, Bellocci, Il
problema della 'non' relazione ne Il principio, le cose, Giornale critico della
filosofia italiana, Bellocci, La verità, l'opinione. Lo ''specchio'' della
verità e l'eterna opinione metafisica, Filosofia italiana, R. Berutti, Annotazioni critiche sull’essere ovvero
sul non essere essere del discorso che lo concerne. Il problema dell'ontologia,,
Pólemos, Capati, Paragone. Letteratura, Cardenas,
L'auto-noema. Il giudizio tra attualismo e neo-eleatismo, Filosofia italiana, Cesa, “S. interprete di Gentile”, Archivio di
storia della cultura, Vicentiis, Storiografia e pensiero politico nelle
"Istorie fiorentine" di Machiavelli: Bullettino dell'Istituto Storico
Italiano per il Medio Evo, F. Fronterotta, L'essere e le differenze. In margine
al Sofista, Novecento, Herling Reale, Storia, filosofia e letteratura. Studi in
onore Bibliopolis, Napoli, G. Inglese,
Machiavelli: una storia del suo pensiero politico, Bullettino dell'Istituto
Storico Italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano, Enciclopedia
machiavelliana, Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, Roma, Enciclopedia
filosofica (a cura del Centro Studi Filosofici di Gallarate), Milano, Maschietti,
Dire l'incontrovertibile. Intorno all'analisi filosofica, Giornale di
filosofia, Mignini, Essere e negazione. Giornale critico della filosofia
italiana, Crisi e critica" dello storicismo. Filosofia e storiografia, Novecento,
Filosofia e storia della filosofia, Filosofia italiana, Parise, Sulla
relazione. Critica della metafisica, L. Passerino Editore, Gaeta. Parise,
Figure della scissione. A proposito di Allegoria e simbolo, filosofia, Parise, L’aporia del nulla, Filosofia
italiana, Perazzoli, Il concetto di laicità. in G. Perazzoli, Miligi, Laicità e
filosofia, Mimesis, Milano Udine, Pietroforte, Problema del nulla e principio
di non contraddizione. Intorno a "Essere e negazione" Novecento, Salina, Neoparmenidismo e teorie della verità,
Filosofia italiana, F. Scarpelli, Nulla, anamnesi, riflessivita (Il Cannocchiale,
Tessitore, interprete di Croce, in Id., La ricerca dello storicismo. Mulino, IISS-Napoli,
Vander, Critica della filosofia italiana
contemporanea. Dialettica e ontologia: i termini di una contrapposizione,
Marietti, Genova; Visentin, Tempo e giudizio. La Cultura, Visentin,
Sull'identità e sull'essenza del laicismo italiano. A proposito del "Le
due Italie di Gentile", Giornale critico della filosofia italiana, Visentin,
Il parmenidismo (VELIA). Considerazioni intorno alla verità, l'opinione', in
Id., Il neo-parmenidismo italiano. Dal neoidealismo al neoparmenidismo, Bibliopolis,
Napoli, Visentin, Aletheia e doxa oltre
Parmenide, in Id., Onto-Logica: sull'essere e il senso della verità, Bibliopolis,
Napoi, Zanetti, Critiche al divenire. Filosofia italiana, X S. Zurletti, Lo
specchio di Perseo, Chaos Kosmos, Vico e il simbolo», «Atti dell’Accademia
Nazionale dei Lincei. Memorie della Classe di Scienze morali, storiche e
filologiche», costituzione mista, Croce, Dante, Discorsi sopra la prima deca di
Livio, eternità del mondo, Sanctis, Lucrezio in Machiavelli, in Enciclopedia
machiavelliana, S., Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani, Roma Dalla
concordia discors alla polemica: filosofia e psicologia di una vicenda,
Ripensando la Storia d'Europa, Ripensando la Storia d'Italia, in Croce e
Gentile, la cultura italiana e europea, Ciliberto. LE RAGIONI DI UN DISSENSO. La polemica
Croce-Gentile Intervista a Gennaro S.
1 di Gianluca Miligi Nelle vicende della cultura italiana della
prima metà del Novecento assume una
particolare rilevanza la polemica tra Benedetto Croce e Giovanni Gentile. Tra i due grandi filosofi e
intellettuali, i quali avevano collaborato
assiduamente nella rivista “La Critica”, matura nel 1913 un contrasto teoretico, che si manifesta su “La Voce”
diretta da Giuseppe Prezzolini. Più
tardi, alla fine del 1924, si assiste invece alla drammatica rottura dal
punto di vista politico-ideologico. Professor S., come si presentavano le figure
di Croce e Gentile, e quali erano le
loro rispettive posizioni? Innanzi tutto
credo che si debba forse risalire a un periodo precedente. La polemica del 1913 fu provocata da Croce.
Croce scrisse una lettera aperta a
Gentile e ai suoi allievi palermitani - Gentile era allora professore di
Storia della Filosofia dell’università
di Palermo -, pubblicata non su “La Critica” ma
su “La Voce” di Prezzolini in modo che l’eventuale polemica potesse
avere luogo su un territorio neutro.
Ricevette poi da Gentile, all’inizio del 1914, la replica, sempre su “La Voce”, ma la polemica
fra loro era già sostanzialmente in atto
da tempo, una polemica, in questo periodo, sempre amichevole. Direi comunque che fin dall’inizio, fin da quando
Gentile entra in contatto con Croce
(Gentile era ancora studente all’università, alla Scuola Normale di Pisa), fra i due si verificò un
contrasto di opinioni o perlomeno emerse
una differenza che di volta in volta fu superata, integrata, risolta ma che era destinata a risorgere per una ragione
che occorrerà definire in termini
generali una volta per tutte.
Gentile era un discepolo diretto della scuola di Spaventa; naturalmente non aveva potuto conoscere
quest’ultimo, che era morto quando
Gentile cominciò gli studi filosofici, ma era stato allievo di un
allievo di Bertrando Spaventa, Donato
Jaja, professore di Filosofia teoretica
all’università di Pisa. Quindi aveva in un certo senso assorbito fin
dall’inizio quel particolare modo di
intendere la filosofia moderna che trovava nei filosofi dell’idealismo tedesco il suo punto di
riferimento principale, e poi di riflesso
L’intervista, riveduta e corretta, è stata realizzata per RAI
EDUCATIONAL, “Enciclopedia Multimediale
delle Scienze Filosofiche” (2001) e pubblicata sul sito Caffeeuropa altro punto
di riferimento nella filosofia di Rosmini e Gioberti, due importanti pensatori dell’Ottocento italiano che,
secondo lo schema spaventiano della
“circolazione della filosofia europea”, ripetevano nelle forme culturali
in cui essi si erano definiti, l’uno,
Rosmini, il pensiero di Kant e, l’altro, Gioberti, il pensiero di Hegel. La formazione di Gentile è perciò una
formazione filosofica in senso stretto,
spaventiana in senso filosofico e storico. E da questo punto di vista quando Gentile si presenta a Croce, gli appare
con un volto molto ben definito, laddove
il volto di Croce era, allora, quello di uno studioso giovane anche lui, sebbene di otto, nove anni più vecchio di
Gentile, dagli interessi molteplici non
ancora perfettamente chiusi in un sistema o anche in una circolazione
coerente di idee: da una parte, infatti,
c’era l’erudito, lo storico, e dall’altra, ancora, il critico del marxismo. Gentile colse nella
figura di Croce non soltanto, come è
ovvio, la grande intelligenza, la libertà di opinioni, la
spregiudicatezza critica, ma, in
particolare, il modo in cui Croce, attraverso la critica che rivolgeva al marxismo, veniva elaborando – sul campo si
direbbe oggi, e non più in laboratorio –
una serie di criteri filosofici particolarmente interessanti anche se discutibili dal punto di vista di Gentile:
essi stimolavano fortemente questo
giovane studioso all’elaborazione del suo stesso pensiero. Quali sono gli esordi della polemica tra
Croce e Gentile e su cosa verteva
precisamente? La prima polemica riguardo
al marxismo fu una polemica non indifferente
perché riguardò questo punto: se il marxismo fosse, come riteneva
Gentile, una filosofia della storia e
quindi da interpretarsi filosoficamente, anche se in modo critico, oppure se fosse, come pensava Croce,
non una filosofia della storia – sotto
quel punto di vista lì non aveva molto rilievo e molta importanza – ma piuttosto un canone empirico per la
comprensione della società del capitalismo
moderno, quindi uno strumento di lavoro particolarmente utile da usarsi secondo lo spirito realistico che a suo
giudizio era effettivamente l’anima del
marxismo. Su questo punto avvenne la prima polemica, la quale sostanzialmente non si chiuse né a favore
dell’uno né a favore dell’altro, perché
entrambi rimasero con la loro idea. Con questa differenza: la presenza
di Marx fu molto profonda in Croce fino
a un certo periodo e forse sempre, sotto alcuni
aspetti; in Gentile molto meno, tanto che Marx ritornò a un certo punto,
come all’improvviso, nel suo pensiero:
quando Gentile rimise insieme i suoi
vecchi studi sul materialismo storico e li unì ad altri che intanto
aveva composto sulla dottrina dello
Stato etico, e poi a quell’altra sua piccola opera che si chiama I fondamenti della filosofia
del diritto. La seconda polemica si svolse sempre nel chiuso della loro
corrispondenza privata quindi senza che
il pubblico ne sapesse niente e senza che “La Critica”, che, dal 1903 fondata da Croce, aveva in
Gentile il principale collaboratore,
registrasse questa polemica. Questa seconda polemica si svolse sul tema
della storia della filosofia, cioè se ci
fosse un nesso, un circolo, come Gentile
riteneva, tra la filosofia e la storia della filosofia oppure se questo
circolo, come riteneva invece Croce, non
si desse. Anche quella fu una polemica piuttosto rilevante che toccò punti profondi e che mise
in luce il diverso temperamento
intellettuale dei due studiosi: quello più sistematicamente filosofico
di Gentile, più legato anche ai modi
dell’hegelismo napoletano – che a lui erano mediati da Bertrando Spaventa come ispiratore, ma da
Donato Jaja e da Sebastiano Maturi, il
suo grande amico professore di un liceo di Napoli, come elementi “minori” di questa costellazione – e quello
di Croce, che si muoveva in modo molto
più libero nel riferimento alle fonti e traeva la sua ispirazione più che
da Spaventa, che, tra l’altro, era suo
zio, da Francesco De Sanctis, il filosofo o il
critico letterario al quale egli di preferenza si rivolgeva. Professor S., vediamo più in dettaglio la
cruciale polemica. La polemica è una
polemica che nasce proprio nel momento in
cui la filosofia dello spirito di Croce era giunta alla sua compiutezza,
nel senso che Croce aveva scritto anche
il quarto volume inizialmente non previsto della “Filosofia dello spirito” ossia la Teoria e
storia della storiografia, pubblicata
prima in Germania e poi in Italia. Quindi il sistema crociano era assolutamente definito quando egli aprì la
polemica con Gentile. Che cosa era
accaduto? Era accaduto che Gentile aveva pubblicato nell’“Annuario
della Biblioteca Filosofica” di Palermo
una serie di scritti, in modo particolare il
famoso L’atto del pensare come atto puro che è del 1911, e poi gli
altri, Il metodo dell’immanenza e La
riforma della dialettica hegeliana che si
legavano al primo volume del Sommario di pedagogia: anche lui, quindi, mentre Croce concludeva il sistema della
filosofia dello spirito, aveva prodotto
una serie di scritti che davano fondamenti molto forti al sistema che inevitabilmente di lì in poi sarebbe stato
scritto. Croce si accorse sùbito che il
vecchio conflitto che lo divideva da Gentile
ormai aveva preso delle forme assai più nette, si era come solidificato
in articoli, scritti o volumi eccetera.
Pensò quindi che fosse giunto il momento di
prendere le distanze dal suo principale collaboratore, non perché
volesse arrivare a una rottura ma perché
era necessario chiarire che tra la sua filosofia, che era fondamentalmente una filosofia della
distinzione-unità, e la filosofia di
Gentile, che a parere suo era una filosofia dell’unità senza
distinzione, non c’era possibilità di
accordo sul quel punto specifico. Questo anche perché le conseguenze che derivavano
dai due modi di intendere la realtà erano
profondamente diverse, quella di Croce essendo una concezione della
realtà articolata e storicamente
determinata dalle forme che la costituiscono, quella di Gentile essendo una concezione della
realtà interamente culminante nell’atto
del pensiero senza possibilità di distinzione e quindi senza possibilità di riconoscere ‘autonomia’ alle forme dello
spirito, autonomia alla quale Croce,
invece, attribuiva grande importanza. Quindi la polemica ha questo fondamento; lo ha anche nella dichiarazione
esplicita di Croce che per questa
ragione disse di “essere sceso in campo”. La polemica fu comunque dirompente nella
esperienza dei due, soprattutto in
quella di Gentile che accolse malissimo il fatto che Croce avesse messo in pubblico il loro dissenso. La
rottura rischiò di avvenire non per quello
che nell’articolo di Croce si diceva, ma perché l’articolo era stato
reso noto anche a lettori diversi da
lui, Gentile: qui interveniva anche quella sua natura siciliana un po’ sospettosa, un po’ gelosa
della privatezza. Ma in ogni caso la
polemica fu dirompente perché i due personaggi, che ai più erano
sembrati sostanzialmente “una sola persona”–
all’interno di “La Critica” avevano
lavorato insieme, si erano divisi il campo, gli oggetti polemici erano
gli stessi, la tonalità fondamentale
della polemica era la medesima –, improvvisamente invece si presentavano come due persone
diverse, in un certo senso l’una armata
contro l’altra, cosicché il “fronte unico dell’idealismo”, come allora si diceva, parve di colpo spezzato. Professor S.,
cosa si deve dire in generale riguardo alla “sostanza” strettamente filosofica della polemica tra
Croce e Gentile? A tale riguardo ho
un’idea che forse non è né ortodossa né in linea con l’autoconsapevolezza che i due autori della
polemica ebbero. Croce non aveva il
minimo dubbio che quella di Gentile fosse una filosofia dell’unità senza distinzione, Gentile da parte sua non aveva
il minimo dubbio che quella di Croce
fosse una filosofia della distinzione che non riusciva a conseguire
l’unità, e questo era il tema esplicito
del loro dissenso. Croce controbatteva che non era per niente vero che la sua filosofia fosse
una filosofia della distinzione senza
unità; Gentile controbatteva che anche lui aveva un’idea della
distinzione, sebbene diversa da quella
di Croce: ma sostanzialmente erano d’accordo nel riconoscersi in queste due caratterizzazioni
del loro pensiero. Perché dico che sono
d’accordo fino a un certo punto con l’uno e con l’altro in quanto si rappresentassero, autorappresentassero così?
Perché io non ritengo che la filosofia
di Croce – potrà sembrare un paradosso – sia in re, cioè “nella cosa stessa”, non dico nelle intenzioni del suo
autore, veramente una filosofia della
distinzione, e non credo che quella di Gentile sia soltanto una
filosofia dell’identità o
dell’unità. La distinzione si presenta
nella filosofia di Croce come una distinzione
assoluta. La conseguenza è che non ci può essere differenza o distinzione
fra ciò che è stato distinto, perché ciò
che è stato distinto è stato identicamente
distinto, e l’identità appartenendo a entrambi i distinti, questi non
riescono più a esser tali, in quanto
sono, in realtà, identici. Ciò lo si vede se si considera che tutti i distinti crociani sono “sintesi a
priori”. Ora, come si fa a distinguere una
sintesi a priori da una sintesi a priori? La si potrà distinguere in
base a elementi empirici, cioè in base
ad elementi che rispetto alla sintesi siano stati scissi dalla sintesi stessa e considerati di
per sé; ma se gli elementi sono,
viceversa, considerati nella fusione sintetica in cui sono
effettivamente reali, non c’è nessuna possibilità
di distinguere distinto da distinto. Per
quanto riguarda Gentile, la questione si presenta per un aspetto identica per un altro diversa da come si
presenta in Croce, soprattutto se la
filosofia di Gentile venga considerata non come appariva nel 1913 quando
la polemica avvenne, ma come si presenta
oggi a noi che possiamo considerarla in
tutto l’arco del suo svolgimento, quindi, direi, essenzialmente
valutandola nel primo e nel secondo
volume del Sistema di logica, e poi anche
nella Filosofia dell’arte, che in un certo senso conclude il sistema dell’attualismo. Per un aspetto la filosofia di Gentile,
l’atto puro gentiliano, su cui così
violentemente i due polemizzarono, se si guarda dentro la sua struttura,
lo si trova costruito in modo analogo,
ma io mi spingerei fino a dire identico, a
come è costruito il distinto crociano: anche l’atto è una sintesi! Di
che cosa? Nel linguaggio gentiliano –
mediato dalla filosofia di Fichte, probabilmente, e anche dai modi seguiti da Spaventa nell’interpretare
la filosofia di Hegel – l’atto puro è Io
sintetico di Io e di non-Io. Di che cosa è sintesi il distinto crociano? È sintesi, per esempio,
del bello che opponendosi al brutto,
viene sintetizzato dal bello. Se noi consideriamo questa struttura, che
è triadica, sia nell’ambito del distinto
crociano sia nell’ambito dell’atto
gentiliano, vediamo che la struttura della filosofia dello spirito di
Croce e della filosofia dell’atto di
Gentile è la stessa. Professor S.,
quanto e come incide nella polemica tra Croce e Gentile il fattore politico-ideologico che subentra
in primo piano, in particolare, a
partire dal 1924? Abbiamo visto
che la questione del confronto tra Gentile e Croce, tra Croce e Gentile, si presenta molto più complessa di
quanto i due pensatori non ritenessero
che fosse, o diversa da come essi ritenessero che fosse, nel corso della loro
polemica. Ad aggravarla poi – Lei ha ricordato il 1924 – naturalmente era intervenuta la Prima guerra
mondiale, era intervenuto il fascismo. La
distanza dei due personaggi sia sulla Prima guerra mondiale sia, soprattutto, sul fascismo si fece sempre più
netta. L’iniziativa fu presa da Croce,
che scrive a Gentile una lettera che non
era in realtà di rottura ma di constatazione di un allontanamento definitivo delle loro
posizioni sul terreno delle scelte etico politiche. Gentile rispose con una
lettera “accorata” ma di fatto i due non si
incontrarono più: erano destinati a non parlarsi più. C’erano poi
intorno a loro i gentiliani da una parte,
i crociani dall’altra. In particolare gli allievi gentiliani di Gentile ebbero anche, direi, una
responsabilità piuttosto pesante nel
determinare una serie di equivoci e di ulteriori tensioni tra i due. Il
risultato fu che dopo vari tentativi di
riconciliazione, operati soprattutto da Adolfo
Omodeo, falliti miseramente, nel 1928, in Storia d’Italia dal 1871 al
1915¸ precisamente nel capitolo in cui
Croce parla di “La Critica” e quindi anche
dell’opera di Gentile, su quest’ultimo pronunziò una parola
durissima, terribile: disse che
l’attualismo era un “cattivo consigliere pratico”. E a questo punto, naturalmente, la rottura fu
irreparabilmente segnata, sebbene poi negli
ultimi anni ogni tanto ci fossero delle aperture, soprattutto da parte
di Gentile: che nascessero dalla
malinconia dell’amicizia perduta o da altro, è molto difficile determinarlo. Croce in ogni caso
respinse sempre, fino all’ultimo
momento, ogni possibilità che con Gentile si potesse riavere, non dico
un accordo, ma comunque anche
semplicemente un contatto. Non so – è
una curiosità che nessuno mi ha saputo togliere – se quando si incontravano in Senato si rivolgessero un
cenno di saluto o si evitassero
completamente, ma pare che Croce ignorasse sempre Gentile, cioè non
gli rivolgesse assolutamente più né lo
sguardo né la parola ogni volta che gli
capitava di incontrarlo.Gennaro Sasso. Sasso. Keywords: Potenza ed atto
in Gentile – Lucrezio in Macchiavelli, Lucrezio, simbolo ed allegoria in Vico,
la scuola di Velia, veliati, veliani, parmenide, scuola di Crotone. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Sasso” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Saturnino: la ragione conversazionale del probabile
– Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza. (Roma). Filosofo Italiano. Seguace di Sesto Empirico,
della scesi pirroniana e medico, non si ricordano sue dottrine particolari, ma
si può supporre che accettasse quelle fondamentali del maestro che, negando la
possibilità di una scienza razionale che pretendesse di cogliere le cause
nascoste delle cose, ammette la legittimità d’arti -- prima fra esse la
medicina -- che si limitano a constatare empiricamente coincidenze e
successioni di fenomeni per fondare così previsioni probabili per il
futuro. Diogene Laerzio dice che è soprannominato Kuthenas o Cythenas. La
parola è incomprensibile, ma forse indica un’origine greca. Given that Sesto teaches at
Rome, we may assume Cythenas, albeit his esoteric name, is a Roman! Luigi Speranza, “Grice e Saturnino,” per il
gruppo di gioco di H. P. Grice, The Swmming-Pool Library, Villa Speranza.
Luigi Speranza -- Grice e Saufeio: la ragione converesazionale dell’orto
romano -- Roma – la scuola di Praeneste -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Praeneste). Filosofo italiano. Praeneste, Palestrina, Roma,
Lazio. He comes from a rich and privileged
family. He is a close friend of Tito POMPONIO
(si veda) detto l’Attico, who intervenes to save his property from
confiscation. S. us elsewhere at the time, idly studying the doctrines of the
Garden. Lucio Saufeio. Luigi
Speranza, “Grice e Saufeio,” per il grupo di gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Sava:
FILOSOFIA SICILIANA, NON ITALIANA -- all’isola: la ragione conversazionale del dovere
e dei doveri – la scuola di Belpasso -- filosofia siciliana -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Belpasso). Filosofo siciliano. Filosofo italiano.
Belpasso, Catania, Sicilia. Enciclopedia Popolare Italiana. Saggi:“Sui pregi”, “Doveri
dei medici”, A. Prezzavento. /t'iti SUI PREGI E DOVERI DEI. MONOGRAFIA I
STRUTTI VA,: ED^NTER. ESSANTE l'tlt «CM i:i.,lssli : Ilf.-.^OLIi: MlllSOHE
'IIP, UttSCHLTTI L FliftKKtll /s: xss SUI PREGI E DOVERI DEI MEDICO. SOCIO
DELLE ACCADEMIE DELLA SICILIA, ! E D'iTl LI A, DI «DELLE DI FILADELFIA E
NUOVA-TOUR, hehbho DEPUTATO AL conc-resso degli scienziati italiani riKLLA
SESTA LORO JIIUMOHE 13 MILANO PER l'aCADEMIA SUJIICO-UUIHL'KGICA DI NAPOLI E
DEGLI ASPMA3T1 BATUHALISTI MILANO Pbesso gli EniToni-Linmj Maxtucelli e C.
Conimi del Lioto, H. i3^i Non sempre la censura di Seneca, in ima sua epistola
espressa con quella sentenza — ut omnium rerum } sic litterarum quoque, in
temperanti a laboramus — scoraggiar deve ogni scrittore che al pubblico il
bibulo di sue veglie presenta, avvegnaché non bisogna imitare lo svanissimo
pensamento di Lemonnier, il botanico di Luigi XF^i il quale, allorquando veniva
richiesto perchè non s' induceva mai a scrivere qualche sua opera, era solito
rispondere, come attesta Cuvier, che il tempo impiegato ad instruire gli altri
è perduto per la disciplina di sè stesso; appoggiandosi allo stolto paradossale
so~ fisma che, tutto è stato jdtto, tutto è stato detto, e si viene troppo
tardi per aggiugnerc una sola parola. Con simile sutterjugio, all'uomo timido,
naturalmente infingardo e presuntuoso, che travaglia e si ammaestra poco, e
crede saper tutto e saper meglio degli altri, la ignavia, tanto 'a lui
connaturale, arresterebbe, al menomo ostacolo, le ricerche, le osservazioni, ì
risultamenti, fornendogli sempremai delle risorse per trarsi d'impaccio. Io ho
indugiato a rendere di pubblica ragione questo lavoro, ma alla fine mi vi sono
determinato. In esso soltanto, meno avido della brama di creare, come in altre
mie opere, che di quella d'esser nule, e simile all'ape che dal sugo di tutti i
fiori il suo mele compone, ho raccolto ciò che mi è sembrato potersi esibire
con utilità, e al mio oggetto meglio servire; perciocché nel troppo die
s'ignora, il poco che si sa, si. sappia bene almeno. Che se.talvolia le mìe
proprie idee presento,. egli è con la più scrupolosa accortezza, e per
richiamare un utile principio, manifestare un grave errore, o dimostrare una
sconosciuta lacuna. Ma, in generale, . io mi sono . appalesato il. meno che mi
è statò possibile. No adottato la massima, di Bayle: Une bornie pensee, de quelque endroit
quelle parte, vaudr'a toujours mieux qu'une soLLÌse de son crù n'en deplaise a
ceux qui se va lite ut detrouver tout chez eux, et ne rieO lenir de persoli ne.
Per nitro, un libro redatto con
accorgimento, è quasi sempre l'epilogò de' lumi dell'epoca sua ; è una pietra
migliare posta dalia mano del talento nella strada dell'esperienza e del
sapere. Io mi sono limitato a scegliere, nelle opere le più conosciute e
applaudite, le opinioni che più sagge mi sono sembrate, ed ho avuto impegno
citare quegli uomini dotati di Jbrte ragione, di sagacità poco ordinaria, e
d'infaticabile ardore per lo studio e per la meditazione ; lungi però dalla
sciocchezza quasi universale, che volentieri crede la verità sotto la barba
canuta de' vecchi secoli, e sotto un nome d'antica e pomposa rinomanza. In
riguardo alle quali opinioni qui addotte, ne ho indicato costantemente le
origini; e nel riprodurre le attinte citazioni, rimossa bensì la servile
pedanteria, ne ho in gran parte verificata la esattezza, dichiarando tuttavìa
con Montaigne: Tel allegne Platon et Homère, qui ne les void onques; et riìoy,
ay prins des lieux assez, ailleurs qu'en leur sotirce. Questa sorge/ite di'
erudizione e faconda dottrina, al chiarissimo Monfalcon, qui principalmente si
debbe. Egli ne è il modello, la guida, l'originale ; come Luciano e Vi. Lo
studente dee viver fra te IlevoI mente co*suoì condiscepoli ; ei deve scegliere
fra loro un Mentore, richiederlo di consigli, pregarlo dirìgerlo, mancando
talvolta questa guida tra 1 professo ri; avvegnaché l'alunno che studia senza
consiglio e senza norma, lentamente e disordinatamente si avvia nella sua
camera, profitta poco di sue letture e di sue osservazioni. Ma allorquando, più
inoltrato, è idoneo a rendere ad altri principianti i huoni avvisi che ha
ricevuto, non debba egli mostrarsene avaro o restìo, e tanto meno, poiché
insegnando ad altri, accrescesi maggiormente la propria istruzione. Se egli
vuole impiegar bene il suo tempo, sfuggir deve tutù quei fra' suoi condiscepoli
che passano i più bei giorni di loro giovinezza nella infingardaggine, nel
gioco, nello stravizzo, nel libertinaggio, net perditempo. L'ignoranza, la
presunzione, la necessità di palliare Iti appresso coll'intrigo il difetto di
sapere, la perdita della salute e dei costumi, sono i funesti risultamenti
delle associazioni sotto auspicii diversi da quelli della positiva diligenza
agli studi e dell'ardore per la scienza. Ricercate voi alunni quello tra'
vostri compagni, che a preferenza si mostra animato di verace filantropia,
disgraziatamente assai rara, che, felicitandosi de' suoi progressi, si anima
all'idea de'servigi ch'ei potrà prestare un giorno in sollievo de' suoi simili.
Penetratevi di questi nobili sentimenti, onde abbia a potersi dire di voi; Egli
è uno del picciol numero fra coloro che onorano una professione, tutti i membri
della quale onoratissimi esser dovrebbero. Ma se non sentite questo nobile
amore dell'umanità, che eleva l'uomo sopra sè stesso, non lo simulate almeno;
siate probo soltanto, e non ostentate una virtù a voi estranea. I professori
hanno dritto al rispetto degli alunni, le loro lezioni ascoltar si devono in
silenzio, gli applausi e i segni d'iinp roba z ione sono del pari biasimevoli.
Il discepolo giudizioso applaude al professore dotto e benemerito
coll'assiduità : alle lezioni di lui, da libera scelta esclusivamente spintovi
; e, pur troppo! Io biasima, dimenticandosene: privare gli allievi di questa
libertà, equivale togliere a' professori la più dolce ricompensa del loro
sapere, del loro talento e zelo. Giovani e stranieri ad ogni vergognoso
interesse, gli alunni giammai si ingannino nella scelta del corso che seguir
devono, proferendo essi ognora se non il professore più eloquente e più dotto,
il più insinuante almeno e chiaro, nelle lezioni del quale maggior profitto
ritraggano, Finalmente sostenuti gli esami, disviluppata la tesi, ed il
candidalo pervenuto al grado di dottore, gli è necessario dedicarsi a riuscir
medico. Egli va ad entrare nel mondo, bisogna quindi additargliene la condotta,
di che abbisogna il giovane che è passato dal collegio all'anfiteatro, e da
questo agli ospedali. Colui che ha più lavorato è quegli che maggiormente
trovasi imbarazzato in tale incontro ; colui che si è indonnato della società
correndo dietro «'piaceri, sente appena la transizione; avvegnaché, familiare
alle sociali abitudini, avendo intrigato pe 'capricci, gli è facile intrigare
per la fortuna: lo scopo solo è cambiato, ovvero modificato, il mezzo rimane
sempre lo stesso. Questa norma è degna d'ogni attenzione. Il giovane dottore
ritorna da suo padre, e riceve da lui una disposta clientela: inatruito o
ignorante, egli eredita la paterna rinomanza, e questa eredità non è al certo
la meno curiosa di quant'altre in società si acquistano; ovvero gode de* beni
di famiglia, dimentica i suoi libri, non vìsita ammalati, sol vagheggiando una
ricca ereditiera di cui lusingasi essere sposo; oppure ostenta un'opulenza
iittiz.ìa; ed il maggior numero si agita per ottenere un posto, da valere qual
patrimonio di talenti. Le circostanze però aiutano talvolta lo istruito e
modesto, e la fortuna è allora giustificata de'favori che spesso largisce al
ciarlatanismo ed all'ignoranza. Additare dunque all'inesperto medico il
sentiero onde trionfare degli ostacoli che incontratisi ad ogni passo nella
società; fargli conoscere la dignità del suo ministero, ed i doveri che adempir
deve socialmente in generale, ed in particolare verso i suoi ammalati:
giustificare i medici e dilènderli dalle calunniose persecuzioni; e, quali sono
precisamente, dimostrarli: ecco il sommario di questa monografia. Veggasi
all'uopo il Dictionnaire abrégé de médecine; ed anche De Renzi, Sullo stato
della medicina nell'Italia meridionale e sui mezzi di migliorarlo. Un medico ha
trascorso gran numero d'anni nelle scuole, ha frequentato con zelo gli
ospedali, con assiduità le biblioteche; nessuna parte della teorica gli è ormai
straniera: dopo avere consumato il tempo più bello di sua vita nello studio
tanto lungo e laborioso dell' arte di guarire, egli viene a chiedere al
pubblico quella fiducia di cui per il suo sapere si crede degno. Ma la nuova
carriera the gli si apre dinanzi, non è meno laboriosa di quella che ha già
percorsa. Aspri scogli l'attorniano da tutte le parti: la teoria cosi bella,
attraente e facile ne'libri, è una guida insufficiente o infedele presso
gl'infermi: tutto è generalizzato negli scrittori, tutto è particolareggiato
nella clinica. Egli cerca indarno sovente que' segni che gli si è detto
caratterizzare le affezioni morbose : quelle malattie organiche, che facili a
conoscere ei supponeale, lo avviluppano con sìntomi ingannatori o larvati ;
quelle febbri essenziali, descritte a lungo dagli autori, che frequentissime ideavasi
osservarsi, giammai al suo esame si presentano. Ei vede con sorpresa
l'esperienza smentire le magnifiche promesse della terapeutica. Facilissima
giudicava la esecuzione dei processi operatori! sul cadavere, ma sul vivente
ripetuti ostacoli lo imbarazzano. Incertezza e pericoli dappertutto egli trova.
Niente di positivo apprendesi nelle scuole, è stato detto altra volta da alcuno
; e negh' ospedali, il grande numero degli ammalati, la brevità delle cliniche
lezioni, l'ignoranza de'veri motivi che determinano il trattamento curativo,
una lunga serie di enigmi da indovinare allo studioso allievo ordinariamente
presentano. Comunque inslruito esser possa un giovine medico, osserva
Vicq-d'Azyr (Eloges hisloriques), egli teme sempre l'istante di agire per la
prima volta, allorquando, dopo avere ascoltato e letto, bisogna giudicare e
scegliere. Scrupoloso osservatore delle regole dell'arte, e temendo ingannarsi
nella loro applicazione, egli esamina con accurata diligenza, e pauroso
delìbera. Gli si appresentano incessantemente allo sguardo gli ostacoli che
nascono dalla complicazione degli accidenti, e le obbligazioni che il suo
dovere g l'impone. Ei consiglia pochi rimedii per dubitanza, come il pratico
sperimentato avvedutamente pochissimi ne prescrive. L'uno indaga la natura ed
agisce di rado per 26 chè non si crede troppo illuminato su 'bisogni dì essa ;
l'altro conosce i suoi sforzi, ed a secondarne i movimenti si limila, e perchè
teme perturbarli, di rado anch'egli agisce. Entrambi hanno una grande riservatezza,
perchè hanno i medesimi principii, e tendono al medesimo scopo. L'ignorante al
contrario comincia con arditezza, e finisce con audacia. Ed in generale i
giovani medici i più istruiti, sono i meno intrepidi ed animosi nella loro
pratica; sempre diffidano di sé stessi, e dopo molle esitazioni acquistano
finalmente quella sicurezza che al vero sapere tanto bene compete: eppure
quando indefessi prolungati studj li abbinilo resi pratici cons unitissimi,
diffidano rullavi» di non aver fallo troppo. Qual contrasto questi uomini
laboriosi fanno col volgo de' medici! Un giovane, al primo sortir d'un liceo, e
forse senza precedente educazione, vuol divenir medico: la sorte è gettala:
eccolo recarsi in una facoltà di medicina. Ma i parenti suoi, poco fortunati,
bastar non possono alle considerevoli spese necessarie per il trascelto stato,
se non coll'imporsi le più crudeli ed oppressive privazioni : come fare allora?
il tempo pressa; egli si affretta, ei s' industria per affrancarsi di esami
nientemai rigorosi; saperne alquanto per sostenerli è tutto ciò ch'egli
ambisce, e, appena scorsi già sono i termini prescritti, ghigne in fatto a
liberarsene: adunque non più corso, nè clinica, nè libri. Qual cosa egli ignora
ond'essere profondo medico? La cupidigia si sveglia: non meno eccessiva
dell'ignoranza e della impudenza del novello Esculapio, essa pone tutto in uso
per imporre al pubblico, e vi riesce sovente; mentre in opposto il modesto
sapere, senza fautori, vegeta nell'obbho. La Bruyère ha molto bene osservato
die gli uomini sono troppo occupati di loro, per aver agio di penetrare o
caratterizzare gli altri. Da ciò deriva che con merito grande e con più grande
modestia, si può languire lungo tempo nella dimenticanza. Non vi è nel mondo
tanto penoso mestiere, che farsi un gran, nome. La vita finisce, quando
quest'opera si è appena abbozzata. Un giovine medico che entra nel mondo,
desidera con impazienza l'epoca quando potrà godere mia generale
considerazione. Incerto del destino che l'attende, ei s'inquieta, ei s'agita,
si lagna della sua situazione: allorquando frequentava le scuole, riguardava
qual istante di sua felicità quello in. cui non avrebbe ormai bisogno delle
lezioni de'suoi maestri; adesso che è libero di questo peso, e che il titolo di
dottore gli permette esercitarne le funzioni, vorrebbe che gli anni maturato
avessero la sua hsonomia, perchè la gioventù sembragli ostacolo insormontabile
ai suoi successi. Egli anela il momento quando la fiducia de'suoi concittadini
lo ricompenserà di tanti anni da lui consacrati allo studio dell'arte sua. Un
pratico, che numerosa clientela priva di tutti i piaceri, compiange quel tempo,
"allorché, più felice, abbandonar potevasi alle sue propensioni, e godere
principalmente di sua libertà: con dolce soddisfazione rammenta l'epoca de'suoi
studj; paragona con amarezza l'indipendenza e la felicità di sua gioventù alla
dura servilità nella quale ridncelo il suo ministero, e se talvolta sorride
allo spettacolo del benessere clic lunghi e penosi travagli bannogli acqui stato,
la canizie de'suoi capelli avvelena bentosto la gioia sua. Laonde l'uomo mai
non è contento della sua sorte ! Da' primi successi o da'primi rovesci del
medico nella sua pratica, in gran parte dipende l'opinione degli uomini sul di
lui merito. Quanto è delicata, quanto difficile la posizione del medico
all'ingresso iu società! Quanto interessasi egli de'primi suoi malati che le di
lui c ure reclamano! con quale attenzione analizza tutti i sintomi morbosi ! e,
nell' impiego de'mezzi terapeutici, quanta riserba tczza egli usa!! Se
l'ammalato guarisce, essendo stato semplice il caso e del numero di quelli che
del solo regime abbisognano, mille voci celebreranno il profondo sapere del
giovane dottore, la rinomanza si spargerli da tutte le parti, magnificando lo
strepito de'suoi successi; la fiducia nascerà al grido ripetuto della
riconoscenza, ed il tranquillo spettatore degli sforzi della natura, sarà agli
occhi di tutti un genio che comanda alla morte. Ma che una fleminasia grave e
rapida nel suo corso, gli spenga in pochi giorni un infermo nel fior degli
auni, che sintomi consecutivi conducano alla tomba quello sventurato
chirurgicamente operato, o quel calcoloso liberato dalla pietra, l'ingiustizia
e la mala fede si uniranno contro di lui : si accusano le sue cure, si incolpa
la sua giovinezza, gli si contendono le sue cognizioni, e dappertutto incontra
la più cieca prevenzione e le più calunniose imputazioni; e talvolta egli è
costretto recarsi altrove ad iucon. tra re casi meno disgraziati e maggiore
equità. Tuttavia compiagnere, un giovane medico, che nel princìpio di sua
carriera non imbattesi in malattie di 29 felice risultamonto, contro te quali
la natura e l'arte uniscali loro possanza, non è un motivo ad impegnarlo
prestar le sue cure per le sole affezioni morbose, di cui è probabile la
guarigione. La religione e l'umanità gl'impongono una legge ili visitare col
medesimo zelo o colia stessa assiduità 1 infelice che un'organica affezione
conduce alla tomba, o quel malato ebe i soccorsi dell'arie richiameranno infallibilmente
alla vita. Uomo pubblico, egli appartiene a tutti coloro che invocano il suo
ministero, quindi non può negarlo ad alcuno. Nò l'incertezza del successo, nè
il pericolo di rovesciare una riputazione tuttora mal ferma, non sono ragioni
sufficienti perchè un medico sia pigro o sordo a' preghi degli sventurati, che
hanno riposta in lui l'ultima loro speranza. Del pari un chirurgo non deve
negarsi giammai ad una operazione d'esito incerto ma bene indicata.
Condannevole pur troppo è la pretesa politica di alcuni individui dell'arte, i
quali, temendo di compromettersi, hanno sommo impegno ad evitare le pericolose
curagioni. L'ingiustizia frequentissima de'giuchzj del pubblico può mai
scolparli di un fallo le di cui conseguenze sono tanto gravi? Quanti malati
sono quindi vittima di questa falsa prudenza! Quanto la fiducia può esser
corrotta da vani interessi dell'amor proprio! Le qualità essenziali al medico,
per riuscire nel mondo, non sono un merito trascendente, un grande impegno per
lo studio ed un profondo giudizio, ma sibbene esorbitante ammasso di
ciarlataneria, instancabile cicalamento, ed un'audacia che niente può
sconcertare giammai. Perche tacerlo or vi a? gli uomini hanno un pendio
naturale per i ciarlatani: conoscerli bene, ecco il cardine per chi aspira a
grandi successi nell'esercizio della medicina. Una vernice di sanere basta per
illudere il rozzo volgo. Egli è vero che la grand'arte di ammassare danari non
è meta per il medico che conosce la digitila di sua professione; non men vero è
altresì che gli uomini illustri, che si sono creati dei diritti alla
venerazione della posterità pe'loro rari talenti, non hanno credulo onde
giug-icrvi bastare uno stodio sufficiente e porre in opera ogni astuzia ed ogni
raggiro, il cui insieme compone il saper fare. Ma che importa ? quei che
scorgono nella pratica medica un eccellente mezzo di fortuna, non fissano alcun
significato al risonante = amor della gloria, amor dell'umanità = ed inutile
giudicano la scienza, poiché non è indispensabile ad essi per l'acquisto di
vistosa opulenza. Eppure i medici hanno ragione di lagnarsi
spessodell'ingiustizia degli uomini, Qual forza d'animo non abbisogna loro per
sormontare i disgusti ila cui sono sopraffatti? Voi non sapete, diceva Lorry
alla gente, quanto ci costa per esservi utili! Un medico amante dello studio ha
languito quindici anni nelle scuole e negli anfiteatri fisici ed. anatomici, ha
trascorso poscia gli anni più belli della sua vita nell'aria infetta degli
ospedali, il pallore del suo colorito e la emaciazione del suo viso attestano
la moltipheilà delle sue veglie e delle fatiche sue. Con qual premio sono
indennizzati tanti lavori? Qui, l'uomo del mondo declama contro la certezza
della più nobile delle umane scienze, e confonde senza pudore la medicina ed il
ciarlatanismo; là, qoeglino stessi a' quali le di lui cure hanno reso la vita,
negano il ricevuto benefizio, onde dispensarsi della riconoscenza: altrove,
qualunque sia l'estensione e la base di sue cognizioni e gì' incredibili suoi
studi per aumentarle, il dotto filantropo medico stentatamente può formarsi una
mediocre clientela, mentre al contrario nn ignorante non ha, dovuto die
presentarsi in società per occupare tutlo il grido della rinomanza. Se gli
uomini non ricevono dalla, medicina tutti i benelicii che sperar ne possono, ne
debbono incolpare sè stesi. Essi, che all'intrigo ed alla ciarlataneria tanto
facilmente accordano fidanza, solo dovuta al vero sapere; che favoriscono così
spesso l ignoranza senza discernimento alcuno, e disconoscono il inerito verace
; che non aprendo mai gli occhi sopra i mezzi adoperati a sedurli, non sanno
che nulla può supplire all'applicazione ed allo studio, che l' esperienza non
istruirà giammai colui che non sia in istato di profittarne, e che il maneggio
è quasi sempre la sorgente de'più funesti emiri. I giovani medici generalmente
sono buoni, umani, compassionevoli, pronti a credere le promesse colle quali
vengono lusingati; amano i loro infermi; nessuno ostacolo a' loro occhi mai non
si fa incontro: la carriera che s'apre loro dinanzi sembra sparsa di fiori; e
la loro immaginazione sedotta li persuade che per riuscire nel mondo è
sufficiente servire gli uomini ed amarli. Illusioni amabili, voi sedurrete
pòco! II paradosso del trionfo dell'ignoranza non tarderà a stancare bentosto
ed opprimere il loro amor proprio ; la dimenticanza, l'ingiustizia, la
parzialità, il raggiro squar ceranno a brani il troppo sensibile loro cuore ; e
l'ingratitudine sarà il colmo del disinganno. Veggansi a questo proposito le
seguenti opere: Plàtius, De medico audace; Heister, De medico nimìs timido;
Sonnet, Satire contre les cliarlatans et les pseudo-médecins empiriques;
Coquelet, Criiique de la charlahmerie; Dolàeus, De juvenis medici idea errante
philosophico-medica; MimcHmr, La scuola del giovane' medico. Una' diffusa'
celebrili) talvolta è meno l' elogio di un medicoj'cbe la satira del pubblico.
V, : ' Si consultino le opere seguenti: Licetusv De optiiuo ^medico: Chiappa,
Ippocrate, modello de' medici. La medicina non è una scienza incompatibile
coli' uso de' sociali trattenimenti, nè esclude colui che l'esercita dalla
politezza, dall'amenità, dalle grazie, clic formano il socievole diletto. Si
può esser medico ed uomo di società medesimamente; e se alcuni malinconici
dottori declamano contro lo sludio dell'arte di piacere, in ciò hanno essi meno
riguardo alla dignità di loro professione, che all' impossibilità di correggere
la pedanteria del loro carattere, ed il ridicolo delle loro maniere. Quella
imperturbabile gravità che portano in società, come al letto de'malati, è un
velo sotto il quale occultano sovente una crassa -ignoranza; e quegli inetti
sarcasmi che lanciano contro que' loro colleghi che aggiungono al sapere uno
spirito penetrante ed amabili forme, altro non sono che la confessione della
secreta loro gelosìa. V arte di piacere e quella di guarire hanno fra loro
strette connessioni. Se nn medico, troppo tardi apparso net mondo, 0 di
carattere molto serio e grave, non può acquistar quella giocondità e quelle
grazie naturali che costituiscono l'uomo amabile, egli deve mostrarsi tale,
qual egli i; ma non sostenere un posto in cui sarebbe fuor di luogo. Chi dalla
natura non riceve la piacevolezza, indarno vorrà simularla; colui che non è
dotato d'un facile umore, affetta invano l'amenità: ì suoi tratti, le sue
maniere, i suoi discorsi, tutto in lui è stentalo; ei diviene ridicolo per la
ricercatezza di voler piacere. Pochi medici hanno goduto pieni successi di
amena società come il famoso Procopio. Egli era amicissimo di molti uomini
celebri del secolo dee imo Ita vo, ed il suo nome si trova spesso ripetuto ne'
loro scrìtti. Piccolo di statura, brutto e gibboso, non fu perciò men ricercato
nella società. Si hanno di lui alcuni brani di versi piacevolissimi, una
commedia dimenticata, e cattive opere di medicina. Per riuscire nel mondo,
bisogna formarsi necessariamente una maniera di essere fittizia, giungendo a
possedere quella riserva abituale che reprime tutti 1 movimenti spontanei,
quella pieghevole compiacenza che a tutto si adatta, ed una attenzione sempre
vigile nel ccrcarè in ogni oggetto una occasione di piacere. Il medico più d'
ogn' altro ha bisogno di un carattere flessibile e dì uno spirito insinuante:
chi meglio di lui conosce quanto le passioni siano i motori degli uomini?
Alcuni, giovani medici, troppo cruciati dello studio, vivono co' libri e nella
lettura, e si. sottraggono alla società, per dedicarsi alle. (lolle loro
ricerche, Questa occupazione postante ; dà. loro un;. aspetto imbarazzate», ed
un timido coufteguo, di cui mai non possono correggersi, e che nuocono talvolta
ai successi, a'quali la mqltiplicità e la profondità delle loro cognizioni li
appellano. Ogni uomo pubblico. non deve dimenticare sulla di ciò che può
assicurare la sua rinomanza. Ogni medico deve portare molta, cura ad .
acquistarc i ciò che può mancargli sotto il rapporto delie .apparenti qualità,
come eziandio a per fon io u are quelle del suo ingegno. I medici poi sono
dispensati il' assoggettarsi interamente alle leggi dell' etichetta, .come una
dì loro prerogative.,., >, I 1 >, >.• i.'-i-i i'. Raccomandare al
medico 1' uso della società., non importa volerne fare un. zerbino, uu £iceto,
uu bell'umore di sollazzevole compagnia ; dissuadergli il pcdautismo od una
esagerata gravila, non tende, a prei scrivergli di abbandonarsi senza ritegno a
divertimenti innocenti in sè s lessi e piacevolissimi, ma poco compatibili
colla dignità del. suo carattere. Un dottore non deroga punto, coltivando,
j^rti- amen q, q prestandosi talvolta a'giuoclu. di. Tersicore.,,; in .un
convegno di scelti, anaci : uia il ridicolo è prossimo all'abuso, e la
professione di quello è : molto grave f onde porre molta. riserbate,zza in tali
l'utili passatempi. La vera urbanità sceglie e, conferma i'modi esteriori con
le condizióni. È: tale la. severità del pubblico, che pensa male di un medico
troppo abile nelle arti 4t ci nette - scienze, -'ohe -non,1 tanno rapporto
dilètto colla sua professione essenziale e p ri mitri' aJ Gohii; chs vedesi
sempre! ih iriiezzo alte feste ed a'tripudii) séni, braló^pqcd-bccup'àto oi
tròppo aliedo idaH'arle sua. Rmunziare-idunque a' suoi gusti più diletti; eia»
u^ahriegàzÌQne di sé stesso, ecco! il saccifiaioinlposU a medici. Essi
appartengono alla /società, ;.!e: jquestì chiede da loro stretto conto di tutti
i loro istanti, e sorveglia i loro piaceri; Un medico non; può gustare in
riposo alcon sollazzo':. di giorno, non. può egli promettersi clie poche. ore
di quiete; nella notte, il sonno 'suo dura sino a tanto che gli altri non r
librino . bisogno di turbarlo con le ordinarkriiótturHe'niòieatie :( Ficq,
ifìdfyrfr, ., .,„j,./.,{ ..)'.,(, B Kf'ì'il» ; Sotto Luigi XIV, i medici
affettavano una pravi là eccessiva, . Molière; IsìibeSb di ! loro: i mpedantì
dispaiv vero; ma i cicisbei sono venuti; e questo ridicolo È -forse più
insopportabile dei pruno. Oh airip fori racconta l' aneddoto seguente sopra!
uno di qile' dottori alla moda. D'Alembert trovatasi: presso madama J)u
.Deuaiit,'ove erano il 'i presidente HenuùH :ed- il.'ia»gnor iPont-de-Vesle: sovraggiugne
un medico nominato Fournidi^ il: quale, eulraiide; :dice- a màdaiha Ueffant:
Madama, io . vi presento il mìa umilissimo iritìptUtOt al presidente Hénault:
Signore, io li ò l'onore di salutarvi; al signor Pont-de-Velsè : iSignore, io
sono il vostro iiuiilìssimo servitore; e rivoltosi a D'Alembert: Buon 'giorno,
signor abate. Evvl più ridicola peUegoleria.'d*, questa vana e falsa
pretensione ad osservare le sociali convenienze ì Questo stesso -.Fouinier è
l'originale del Medico del Circolo, commedia di Poiusinet, dedotto da quella di
Palissot col medesimo titolo. A qnal punto ormai può un medico liberamente
coltivare le arti dilettevoli! La soluzione del quesito è di già presentita.
Qualunque sìa il di lui gusto per esse, sacrificar lo deve al pregiudizio del
pubblico, o secondarlo con estrema circospezione. Senza dubbio, il flauto a
Boerhaave niente scemava a'di lai rari talenti; laonde coloro che godranno di
uguale sorprendente celebrità, potranno allora, ad esempio di quello, mostrar
senza pericolo il loro trasporto per la musica; ma fintantoché analoga
reputazione acquistar si dovranno, prudenza esige, far bene astenersene. Ed
avvegnaché, oltre l'opinione conosciuta del pubblico sulla incompatibilità
della coltura della medicina e delle arti, bisogna ritenere ancora quante
seducenti attrattive sono in queste, che dallo studio cosi arido e penoso delle
mediche scienze possono facilmente distogliere. Colui che al sapere unisce la
civiltà, un carattere piacevole affettuoso ed ameno, e la compagnevole leggiadria,
è più opportuno d'ogn'altro a bene esercitare la medicina: egli onora la sua
professione, ei la fa amare. Alcuni medici vivamente sensibili, o per dir
meglio di poco spirito, si irritano contro la società declainatrice contro
l'arte loro, e contro i filosofi che, come Montaigne, Molière, Rousseau, non
credono alla certezza di essa. Qnal bizzarro capriccio) Veggansi le opere: Le
Fhàhcois, Réflexions crìtìques sur la médecine. Odwyer., Querela medica.
Pljitz, De oedantismo medico. Il ginevrino Odier, in nna Memoria letta all' In
stituto Nozionale di Francia, ha provato con evidente dimostrazione i vantaggi,
che trarrebbe la medica scienza nel suo paese, da una fondazione a perpetuità,
destinata al sostegno di alcuni medici nelle università straniere. Una tale
istituzione sembra dover essere la più utile. Questo progetto è stato gik
concepito ed eseguito in Inghilterra dal dottor Radctiffe, che ha legato i suoi
beni ad un al nobile uso. "Volle questo medico che due studenti,
dell'università di Oxford, godessero per sei anni d'un* annua rendita di
seicento lire sterline, a condizione di passare almeno cinque anni fuori della
Gran Brettagna. La poca cura posta nella scelta de' soggetti, la coi nomina ad
alcuni signori appartiene; ¥ assoluto difetto di regolamenti per esìgere da
loro un discarico dell'impiego del loro tempo, hanno paralizzata una
istituzione, clip sembrava 'promettere, dice Oilier, grandissimi vantaggiosi
risii! lamenti. Ma, secondo Valentin, i candidati ora ottengono queste missioni
a concorso, nella gran sala dell'Università, in presenza del suo cancelliere e
degli nffiziali della Corona. Allorquando un uomo d'alto merito si annunzia in
alcun luogOj la rinomanza proclama bentosto il suo nome da tutte le parti; il
suo genio esercita sommo potere sulle nazioni straniere, e le contrade le piti
remote gli inviano discepoli ed. ammiratori. Chi ignora l'inconcepibile
affluenza degli allievi d' ogni paese alle lezioni di Boerhaave, di Morgagni,
di Unnici-, di G. P. Franck, di Scarpa, di Sementini? La scienza deve molto a
questi omaggi resi alla celebrila. Quanti abili chirurghi, anche fra gli
stranieri, non ha
for.fl*i^J'UlM*re;ne9aMtì.Moltìic^eriìWri-.disliiUi;jiiit:ii•mpltèi diivano il
vanto essere stati allievi di ini; le,»iie. leziqjli ed i suoi esempi inibivano
più de' miglio ri libri nello ammaestramento : e- quei che pec goderne
oltrepassavano .immense distanze, 'iie trovavano la ricompensa .nell'entusiasmo
di cui egli li accendeva per la phiiiurgia, e nel rapido incremento del loro
sapere. . r .; Superfluo ; sarebbe provare ulteriormente l'utilità dti' viaggi
iinedici : essi estendono la sfera delle cognizioni del medico, gì' 1 insegnano
a comparare le opinioni, tid .apprezza re i sistemi') ma il maggior vantaggio
che. gli' procurano è dì metterlo iti relazione .cogli: uomini più celebri
d'ogni contrada, e fargli Ot;te.ne(e. dalla .loro; beilevoleftza' conoscenze,e
.rapporti . del, .maggiore interesse. j., „ '-. ii l. !.. cniutou Qual,
differenza. ..jj-a il leggere là descrizione, di un . processo operatorio in
un'opera periodica, e vederlo praticare 'dliì suo inventore sul vivente !
-Quanto i«na' prezióse le Osservazioni cliniche filliteial letto- degli
ammalati; o nella, intimità del congresso de" dotti -'ohe primeggiano
nell'arte di guarire! Un mcdieo illumi-; nato che visita gli stranieri 1,
studia con cura ti! lorte metodi' d' insegnamento e di terapeutica ; >
osserva i grandi medici nella Iqrd predica pat'ticdlarej si ini pai-, dronisce
sul luogo del carattere delle endemìe, osserva le gradazioni die esibiscono
secondo lemslat^' lie epidemiche e sporàdiche, e secondo le rpgicmi; nota con
esattezza tutto ciò che- e raltttivo alla pò*, lizia degli ospedali, visita le
collezioni, di storia natoraic e di anatomia, patologica, e fissa principalmente'
l'attenzione sulle innovazioni introdotte nel dominio; della materia medicai' 1
'i*f ' ' h >i'»"l '">i liti Mn un medico non può trarre
vantaggio del suo soggiorno nelle straniere focóltà, s'ei non adempie le'
seguenti condizioni: i.° È indispensabile possedere la lingua 'del paese : coma
potrebbe egli, se l'ignora,' seguire le lezioni de' professori, leggere Je
opere no-, vel!e, ed assistere alle mediche conferenze?' un^int^r-' prete, è
fastidiosa ed insufficiente risorsa. à"-Se'iè>cognizioni tìi lui non
siano di già molto éste'seì, gli sarà impossibile ben ponderare le teoriche ed
i fottirecenti che gli; saranno' partecipati, e comparare ciò che
preventivamente ei sa. Per questa ragione i vjag^i' mèglio ammaestrano gli
uomini instruiti: costoro sa mio difendersi dalla seduzione a cui sospinge
naturalmente tutto ciò che è nuovo; essi soli sanno ««servare, di*- . scutere e
giudicare. 3° Di tutte le qualità morali; la più preziosa per il . medico
viaggiatore è un sano giudizio, col quale indaga e distingue ciò che è buono
essenzialmente, da ciò che è vizioso o indifferenti;; né ritiene come scoverte
preziose le bizzarre innovazioni, ed apprezza di più i fatti pratici, e gli
oggetti di utilità dimostrata, che non lo vane teorìe o le brillanti speculazioni.
Alcuni medici o chirurghi di chiara rinomanza, animali d'ardente zelo per i
progressi deli' arte di guarire, hanno intrapreso, in epoche diverse, parecchi
viaggi presso le nazioni più illuminate e dotte d'Europa, onde conoscere da
loro stessi i gradi di perfezionamento della scienza. In effetto allorquando
sparsesi in Francia la fama che Cheselden onerava col massimo successo un nuovo
processo operatorio per eslrarre i calcoli dalla vescica, Morand propone
all'Accademia delle Scienze d'andarvi in persona ad esaminare ciò localmente:
egli vi fu spedito, ed ottenne dal celebre operatore di Londra le istruzioni
ohe desiderava con tanto ardore. Simili nobilissimi motivi condussero Chopart,
Valentin e Roux in Inghilterra, e G. Franck a Parigi: merito più laudevole in
questi sommi dotti che nulla aveano da invidiare agli stranieri ! ' t Il più
illustre de'medici viaggiatori è stato il gran vecchio di Coo. Ippocrate, ad
esempio de'filosofi del suo tempo, andò a cercar lumi in remote contrade: egli
percorse la Grecia, l'Asia e l'Europa, le isole dell'Arcipelago e delle coste
del Settentrione, e le contrade che avvicinatisi agli Sciti nomadi ; in Tracia
poi ed in Tessaglia egli si fermò assai lungo tempo. Riconoscendo nei viaggi
fatti tra le indicate condizioni, vantaggi certi ed evidenti, creder pero non
debbo n si d'estrema o precisa necessità. Avvegnaché qual è il loro scopo!
conoscere i progressi dell'arte di guarire presso gli esteri: ma tutte le utili
scoverte, tutt' i fatti degni di rilievo, i nuovi interessanti processi
cperatorii, sono pubblicati da'loro autori, o da quelli ebe li avvicinano,
quindi conosciuti pur sono da tutta la gente dotta europea. Morand non era
pervenuto ancora in Londra, nel 1736, che Garengeot e Perebet aveano scoperto
ciò che egli cola andava rintracciando. Lo aver troppo vagato nel mondo è anche
meno un titolo di raccomandazione. Quanti medici, per lungo tempo cosmopoliti,
che vengono finalmente a stabilirsi fra noi, non hanno guadagnato nelle loro
corse moltiplicate fuorché alcuni errori dippiùl Aggiungasi a queste
considerazioni che un medico, arrivato in una capitale straniera, può
difficilmente giudicare convenientemente gli uomini co'quali è in rapporto, e
gli accade sovente considerare e spacciare, colla miglior fidanza possibile,
per grandi medici o abili operatori, individui troppo mediocri, mentre si tace
di dotti valentissimi, di cui ignora vasi l'intrinseco merito. Veggasi
Bartholihks, De peregratione medica. pX»^um^J^;l ! r; ^ Delle Società di
Medioimt. ['' ili : perfezionamento dell'arte di guarire; è Io .scopo delle •
Società ili medicina: esse esaminano lo acquistàle> cognizioni, ripetono gli
sperimenti ed i ..saggi), li ritrovati, le scoverte che interessano la salute
degli nomini, coltivano tutte le scienze mediche e le scienze fisiche ne 1 lóro
rapporti colla medicina, chiamano nel, loro seno tutti coloro che si addicono
con ardore e : successo al loro studio, si valgono de' lumi di tutti i dotti
dell' Europa, mantenendo con essi una attiva corrispondenza, raccolgono gli sparsi
fatti, e pubblicano le nuove invenzioni e scoperte, propagando delle questioni
di cui la soluzione c propria a favorire lo sviluppo delle mediche venia
teoriche o pratiche; e finalmente nessuno de'mezzi trascurano che liberar
possano l'arte di guarire da vani sistemi, e stabilire principii generali
fondati sull'osservazione della natura. Molte di esse hanno instituito vari
regolamenti onde soccorrere l'indigenza di gratuite consultazioni : queste
cliniche sono vantaggiose, e per l'onore che la loro esistenza fa diffondere
sulla medicina, e per gl'importanti servigi che gli sventurati ne riscuotono :
e sottraggono inoltre non poche vittime al ciarlatali ismo. Nelle pubbliche
tornate di queste dotte adunanze, uno de'membri rende conto de* lavori della società:
altri membri l'anno omaggio a' loro concittadini dei risultameuti delle loro
ricerche e delle loro meditazioni sopra i punti diversi delle mediche scienze
che hanno occupato la loro attenzione. Non si farà qui la superflua e troppo
lunga enumerazione de' benefizi, che la società deve allo stabilimento delle
Academie di medicina; nè insisterassi sugli immensi progressi che hanno
concorso a migliorare l'arte di guarire; nè qui vuoisi presentare lo storico
ragguaglio de'fasti loro, che hanno cotanto illustrato la medicina e la
chirurgia. Pubblicando le loro Memorie eia raccolta de'premj per quelle diggià
coronate, le società mediche molto contribuiscono al perfezionamento della
scienza di cui si occupano. Ed i giornali ch'esse rendono eziandio di pubblica
ragione, riguardar si debbono qual deposito de' loro lavori, e generalmente
come quello di tutte le mediche cognizioni. Compongousi questi di osservazioni,
di memorie, di analisi di opere nuove, sotto i quali rapporti utile interesse
presentano. È loro scopo far conoscere tutte le scoperte, diffonderle
dappertutto, e valutarle: l'esteso dominio della medicina loro appartiene, il
quadro statistico presentar ne deggiono, e seguire passo a passo ì progressi
delle diverse scienze clic vi si riferiscono, paragonare la dottrina degli
antichi a quella de'modemi, ed apprestare sufficiente idea della letteratura
medica straniera. Un pratico occupatissimo non ha il tempo di leggere molti
libri: un buon giornale gli offre il sommario delle mediche novità; e per i medici
di provincia è specialmente utilissimo, che di rado le novità conoscono, ed in
gran parte le ignorano. I giornali di medicina offrono utili materiali allo
storico dell' arte, di guarire; agli oltramontani conoscer fanno lo stalo della
scienza; e presentando in fine un momentaneo interesse, che formane il pregio,
possono perfettamente conciliarsi col merito più solido dell' istruzione. Un
giornalista di queste materie apportar deve, nello adempimento dell'impegno
suo, uno spirito emancipato d'ogni sistema, d'ogni pregiudizio; mostrar
l'errore con accorgimelo } ma perseguitare il ciarlatanismo con intrepido
coraggio ed inalterabile costanza. Le analisi delle novità mediche non potranno
esser utili, che allorquando avranno una estensione proporzionata all'importanza
dell' opera, e la critica o la polemica siensi compenetrate evidentemente nelle
idee dell'autore. E debbesi ornai desiderare che non avvengano più a' dì nostri
quegli attacchi indecenti e vergognosi, che offuscano la reputazione d'uomini,
meritevoli di slima reciproca e del civile rispetto di ognuno. Nò tale e il
linguaggio che i dotti usar devono: i giornali di medicina sono fatti per
arricchirsi de' loro lumi, non per servir loro a campo di guerra. È però vero
clic all' aggressori; il torto :ippartieiie, ma uno spirito superiore nioslra
maggior grandezza d' animo nello sdegnare una ingiuria die nel vendicarsene ;
dirigendo egli a' suoi nemici, a'suoi vili detrattori (che, forse inabili in
tutto, vanamente si sforzano atterrare l'altrui rinomanza, alla (.pitale
pervenir non polendo sì vendicano col dime male) le severe derisioni del
ferneyano filosofo, ilfjle, mais rampe; o imitando l'austero disprezzo di
Fontanelle, un silenzio cioè imperturbabile e costante, dedotto dall'avviso
dantesco: Boa rujjiouar,|i „, a guarda e passa; omettendo anche spesso di
guardar mezzo facce, bifronti o protei mostri. Un giornalista imparziale, nel
render conto di un'opera, manifesta gli errori e le inesattezze, ma rispelta
sempre l'autore; nè mai permettesi lanciargli contro verun epigramma. Gli amari
sarcasmi ristuccano, senza persuadere giammai. Egli deve accuratamente
astenersi e dalla preoccupazione dell' odio, e ' dalla prevenzione
dell'amicizia o delia stims; questa ' accieca talvolta i nostri aristarchi;
laonde si desidera almeno che non profondano con eccesso i loro elogi a coloro
non del tutto sforniti di merito, ma che in realtà non sono quali voglionsi
magnificare. Le lodi {Dici, fjhilosophitj-) recano nocumento a chi le dà, senza
giovare a chi le riceve. Taluno de' nostri medici è qualificato come eccellente
scrittore, e frattanto nello sue opere sembra che ignori le regole primordiali
dell'arte di scrivere. Queste perpetue ed esagerale adulazioni, che ricevono
ne' giornali alcuni individui titolali, non daranno peso alla posterità:
bisogna anche una misura negli encomi che si dedicano a' sommi talenti.
Gliénier ha esposto perfettamente le qualità che un buon critico posseder
debbe. L'ignorante, egli dice, non vede la beltà, il detrattore non vuole
vederla, il critico la vede e la mette in evidenza. Parla egli de' grandi
scrittori che furono, con rispetto se ne occupa, ma non già con idolatria. Il
critico, giusto verso i trapassati, è giusto e benevolo verso i viventi: ei non
si limita all'ammirazione de' capi d'opera, ma paga un tributo di stima agli
utili lavori. La critica è la scienza del gusto, illuminata dalla giustizia.
Scoprire e mostrare gli errori in una medica novità, rilevarne le inesattezze,
dimostrare 1 vizi del piano, estrarre e volgere in ridicolo alcuni brani
difettosi, non è impegno troppo difficile; un giornalista però opera meglio nel
far conoscere il buono d'una produzione, che fermandosi sui difetti di quella.
I sarcasmi costano meno d' una giudiziosa riflessione, imperciocché — Crìtiquer
est aisé, juger est difficile. — D'ordinario gli errori di un'opera non
attirano tante critiche all' autore, guanto le bel Istruire è lo scopo della
critica : per adempirlo, un giornalista deve possedere profonde e svariate
cognizioni, onde ben giudicare delle relazioni riferibili alle mediche scienze.
Una vasta erudizione non lo dispensa dall'arte di scrivere, e principalmente
dal gusto, senza il quale le sue critiche ributterebbero il leggitore. E nel
render conto di un libro novello. eviterà egli ogni sorta di digressione,
seguirà ii cammino dell'autore, e produrrà le di lui principali idee, sia per
approvarle, o per confrontarle con altre analoghe, emesse da contemporanei o
dagli antichi ; cercando ancora per sostener l'attenzione di variare il suo
stile secondo il tema. La natura delle materie sottoposte alla sua critica, non
lo esclude di scrivere colla bramata eleganza. Queste riflessioni generali
sulle società dì medicina saranno scusabili certamente, avendosi avuto l'
intendimento di seguire il medico in tutte le situazioni, ove la sua
professione potrebbe ridurlo, cioè di accademico, giornalista, ed autore. Il
medico più abile è colui che alla vecchiezza riunisce un vero sapere: gli anni
nulla hanno tolto alle suo cognizioni: l'età anzi lia maturalo di più il suo
giudizio. Non meno istruito del giovane medico, più franco nell'arte
d'osservare, ed a costui superiore, egli possiede inoltre il prezioso vantaggio
d'una lunga esperienza. È vecchio medico colui che è saggio ne' consigli,
intrepido ne' pericoli, accorto a preveder l'avvenire, di molte risorse, e di
grande dottrina. 11 sapere invecchia un giovane, l'ignoranza fa d'un vecchio un
alunno; ciò che manca all'eLà, lo compensa il talento : Quid numeras annos ?
vixi 'maturior annis, Ada semin facilini, haer, numeranda fili. Ma non per lo
scoprire una calva testa o adorna di capelli bianchi, può un pratico
manifestare d'aver del merito, chè dimostrasi bensì in una professionale
conferenza, principalmente al lcllo dell'ammalato. Gli antichi statuari! non depilavano
la testa venerabile di Esculapio; nè la calvizie fu mai una prora del genio. Un
giovane può essere gran medico; e difficile cbe un vecchio sia gran chirurgo
d'esercizio. Celso vuole che il chirurgo sia giovane, almeno poco inceppalo
dagli anni: allora soltanto egli unisce il fuoco dell' immaginazione alla
destrezza ed alla fermezza della mano. Un vecchio operatore non intraprender?!
giammai quanto un giovane; l'età gli comunica Una invincibile timidezza, che
spesso col nome di circospezione si onora. Il positivo ingegno, non il corso
degli anni, fa 1' elà del medico. Un giovane dotato di criterio medico, può
essere precocemente un buon medico; ed un pratico di sessantanni, tuttoché egli
ave&c veduto centomila infera», non sarà medico giammai, se trovasi
sfornito d'i questo prezioso dono della È un pregiudizio adunque il riguardare
qnal miglior medico colui, che ha veduto il massimo numero possibile di
ammalati. Tale è pur tuttavia Io errore del popolo; egli non domanda, dice
Zimmermann, se i'l tal medico sia istruito, penetrante, di genio, ma se abbia
canuti i capelli: per lui un uomo maturo è necessariamente più abile di un
giovane, e conchìude che avend' egli più veduto, debba anche più rettamente
pensare. Epperciò c comune Co^a negarsi dal volgo la (tua fiducia ad alcuni
medici di segnalalo merito, a'quali non sa perdonare la loro gioventù;
mentrecbè senza misura inconsideratamente l'accorda a vecchi medici, indegni di
qualunque stima. Esperienza e vecchiaia, sono due espressioni ch'egli crede inseparabili:
e la deduzione di ciò emerge naturalmente, imperciocché ei non distingue la
vera esperienza dal semplice vedere ed esercizio superficiale. I vecchi, anche
più istrutti, secondano estesamente l' opinione del volgo. Un giovane del più
grande talento, è a'ioro occhi mi giovane soltanto; e giammai possono
sospettare probabile alcuna parila fra loro provetti. Ed ìntimamente convinti
del proprio grado superiore, mai lasciali essi sfuggire occasione veruna onde
far ciò valere, sia ne' consulti o negli scrini loro: eglino li videro nascere,
hanno diretto i loro primi passi nella medica imitici':], comi? agguagliar li
potrebbero? Indarno sarebbesi quegli dedicato tutto intero allo studio- della
medicina, e negli ospedali sotto i migliori maestri, in quella età felice
quando l'immaginazione è vivissima, e la memoria tanto vasta e tenace: invano
sarebbe egli debitore alla costanza de' suoi lavori, favorita da propizie
naturali disposizioni, e da brillanti ripetuti successi } cionuonoslanle sarà
egli sempre pei vecchi un giovane senza esperienza, che promette solo qualche
cosa per l'avvenire. Sessant'anni di pratica è una prerogativa, alla quale
riunisconsi tutte quelle qualità, il cui insieme forma un gran medico! Però
meno si vanaglorierebbero dì loro esperienza, se ricordassero il saggio dettato
di Galeno: Medicos qui solam experientìam scquiuitur non admitlimas 3 quonìam
ipsi siati Ulìotae jacittnl, quae vident inspicieru.es, et rerum quidem
eventata cohtuentes, causam autem ignorantes. Un poco d' invidia forse nemmeno
manca ne'giudi zi resi da' piatici anziani pe'loro giovani colleghi : tulli
mettono al confronto l'annosa esperienza, di cui tanto premurosamente si
prevalgono, conlro la non curva gioventù, che sembra loro difetto grandissimo
per un medico. 11 che non a' vecchi medici in generale si dirige, ina a'
pratici di mestieri esclusiva mente. Allorquando un medico arriva ad avanzala
età, dopo lunga e felice pratica; allorquando un sapere estesamente
riconosciulo gli ha acquistato una meritala considerazione, onorato nel mondo,
veneralo da' giovani di cui è il Mentore, termina egli infine gloriosamente una
carriera percorsa con distinzione. Chi non ha provato un vivo sentimento di
ammirazione e di rispetto, avvicinando questi illustri vegliardi, la cui testa
oltraggiata dagli anni, conservando bensi il fuoco di giovinezza, richiama
l'immagine degli antichi grand' uomini ? Chi non ha sentilo una religiosa
emozione, ascoltando la loro voce tremante e fioca in quegli anfiteatri che per
sì lungo tempo hanno eccheggiato delle loro dotte lezioni ì Non havvi
spettacolo cosi imponente nè più rispettabile della vecchiaia di un medico, che
ha passatola vita sua nell'esercizio de' doveri del suo slato, nè altra stima
esiste più legittima di quella profondamente sentita, che egli inspira. Ma
concedere una cieca insensata considerazione ad un pratico, unicamente perchè
il tempo ha increspato la sua fronte ed incanutito la capelliera, e 58 negare
Farle di osservare e l'esperienza . a' giovani perchè non sono ancora vecchi, non'
è qucslo un ridicolo pregiudizio, contro il quale la ragione e l'interesse
dell'umanità non reclama abbastanza? E mentre la vecchiaia indebolisce le
intellettive facoltà degli uomini, un medico ignorante goderà forse egli solo
l'esclusivo privilegio di ricever per essa f esperienza il giudizio e l'
ingegno, di cui è Stalo privo per tutta sua vita? Firtiitem non prima negatit,
non ultima domini Tempora. Quali prerogative in favor" loro invocano i
vecchi medici? I giovani, essi dicono, hanno poca pazienza, nessuna assiduità,
nessuna circospezione; la loro impetuosità li trasporta; noi soli interrogar
sappiamo la natura, noi giudicare maturamente, perseverare con costanza nelle
nostre risoluzioni, e finalmente osservar bene V andamento delle malattie; un
lungo esercizio ci ha illuminati sulle loro complicazioni, e loro varietà: fami
gli a ri zza ti con esse, al primo colpo d'occhio discernere noi sappiamo il
loro vero genuino carattere, malgrado l'oscurità del diagnostico; instruiti
dalla pratica, noi soli conosciamo bene l'azione de' medicamenti, e la scelta
che di questi far convienili; alla conoscenza squisita del genio delle malattie
aggiungiamo inoltre nuovo vantaggio, non meno prezioso, quello di un metodo
sicuro, invariabile, e che venne da una lunga sperienza consacrato, 17 età,
replicano i giovani, sminuisce i lievi tab ilmente 1? energia delle facoltà in
Ielle ttuali. Orazio lia detto : Multa senati circumt'enìunt incommoda; e
Virgilio : Tarda renectut Debilitai viret animi, mutatque vigorem. "Sii puossi
più disputare sul vantaggio d' una felice memoria. Questa dà la scienza, e,
secondo Galeno, la scienza è l'esperienza; ed a' vecchi, pur si conosce che la
memoria manca: . Prima lunguescit semini Memoria lorigb lassa sublabens fimi.
Gli oggetti esercitano Sopra di noi una impressione più viva; noi siamo più
atti ad osservare e ad agire, più fecondi in risorse, più indipendenti d'ogni
sistema, più intrepidi ne'pericoli. Eaglivi, morto a trenlanove anni, fu il
restauratore della medicina. Prospero Alpino^ prima del trigesimo suo anno,
disposti avea i materiali della sua grand'opera l'Egitto. Bi chat, morto di
trentun anni, e Scliwilgné e Boisseau, rapiti nel fiore dell'età, sono nel
rango di coloro che hanno grandemente illustrato l'arte di guarire. Chiunque, a
treni' anni, non è buon medico, non lo sarà giammai: non per gli anni, pel
sapere bensì, debbe un medico essere stimato. Utilissima a'giovani sarebbe la
loro unione con i pratici, che per lungo esercizio di loro professione limino
acquisiate) molta esperienza; desiderevole sarebbe ancora che solto di questi
dimostrassero il primo eaggio di loro idoneità: laonde, guidati per avveduti
consigli, eviterebbero quegli errori che le più estese teoriche cognizioni non
bastano far loro prevedere. Questa sorta di patronato era prima più comune
d'oggidì: di rado veggonsi altrove come nella capitale, de' giovani dottorelli
seguir tuttavia la pratica degli spedali, o collegarsi a que'clie li hanno
preceduti nella carriera. Pregevolissimi saranno sempre gli avvisi d' uno
sperimentalo clinico, gl 1 insegnamenti, ed ì suoi discorsi. H seguire per
parecchi anni la pratica di un buon medico, offre ancora ai giovani un altro
vantaggio: essi si avviano nell' acquisto della fiducia degli ammalati, e
cominciano a farsi conoscere. Spesso il rispettabile professore che li dirige,
lor cede ed assegna interessanti casi ed osservazioni, compiacendosi egli
ognora d'agevolare la loro gloria ed i loro trionfi. Partecipando al frutto
della clientela di lui e della sua esperienza, quella propria più
sollecitamente sì formano; al che riuscir non potrebbero, se di sè stessi
fossero in balia. Nè solamente il loro Mentore conducali alla via
dell'istruzione, ma eziandio li guida a quella della fortuna. Colui che avrà la
sorte di trovare sin da principio un abile pratico, che voglia scortarlo in
società, e formarlo nell'arte di osservare, dovrà retribuire beneficj tanto
segnalati colla più viva riconoscenza; Glie egli ascolti con rispetto le
lezioni dell'età matura: che si proibisca quella presunzione cosi familiare
a'giovani, e tanto contraria Y progressi della scienza; e si accostumi ben
presto anteporre i precetti dell'esperienza alie brillanti teorie delle scuole.
Conservino sempre i giovani medici, si ripete, la. più fervida gratitudine per
colui che li ha iniziati ne' misteri dell'arte di guarire, ed abbiano per lui
un profondo rispetto ed invariabile attaccamento; quindi amarlo è uno de' loro
primi doveri. Onorare i suoi maestri, importa onorare sè stesso. Se il
discepolo venera il professore, si gloria costui de'progressi del suo allievo,
i dì lui successi formano il di lui gaudio; egli identifica la sua riputazione
alla propria rinomanza, ed un medesimo vincolo di stima e di amicizia li
affratella ed unisce. Mancano le espressioni onde potersi degnamente lodare
quell'uomo illustre, da cui tanti giovani medici hanno ricevuto cosiffatti
benefizj, vedendolo interamente impegnato ad aiutare il merito nascente, ed a
sostenere colla sua prolezione e co' suoi mezzi tutte le intraprese dirette al
perfezionamento della scienza. Veggansi le opere di Stebler, Optima seu non
annorum sed virtutum numero computata medici aetas deducla; Stahl, Disertano da
practicorum veteranvrum praestantìa; Ioncker, Diss, inaugar. medica qua esemplo
plethorae demostratur quod bonus theoreu'cus bonus quoque sit praticus.
Giovan-Giacomo Treyling ha sostenuto nell'università d'Ingoiataci, nel 1736,
una tesi, nella quale sono discusse queste due quistioni ; Un medico debb'egli
menar moglie? Qual donna gli conviene mai? Eppure costui non ha tratto forse
dal suo tenia Lutto il partito eh' ei presenta. Tréyling declama troppo contro
lo slato del maritaggio, confessando medesimamente che il volgo accorda con
minor facilità la sua fiducia a' medici celibi che a quelli avvinti da'nodi
d'imeneo:' osservazione evidentissima questa, e di gran peso. Egli passa in
rivista successivamente lutti i disgusti e gli affanni che fa provare al marito
la moglie opulenta, o quella che per natali dislinguesi, ovvero se alla classe
plebea appartiene; e piacegii citare tutti i passaggi e dettati de'filosofi
diretti contro il maritaggio, insistendo finalmente su certo pericolo che si
indica L'i j i Dy Co qui appresso con le testuali parole del dottore di Baviera
: Jccidit et hoc viro praesertim medico, quod si juvenculam sibi junxerit,
fiancque fbrmosani, Imbeat quod metuat ìllud Epicteti dicentis: Qui formosam
duxerit, habebit communem. Cura enim medicus densa praxì obrutus, nec domus nec
uxoris custos esse valeal, quid? si haec interim hospitalis alt, et Dianam
aemulata cornifica metamorphosi marilum cervina superbum corona in Acieonem
transformat, kaeredesque ipsi afferai, non nisi adamitico cum ipso sanr guine
conjunctos? Ita ut non sernel saltem tacite secum murmurare querelas debeat:
hauti ego mi uxorem duxi, tulit alter amorem: sic vos non vob'is. ( J. J. Treyung, An et qualern
medicus debet uxorem ducere, Orai. ìnaugur.). Questo scrittore più serie obbiezioni avrebbe dovuto
proporre contro i legami del maritaggio: le declamazioni sono sempre false, e
fanno vedere un lato solo degli oggetti. A'ridicoli pericolameli ti che fa
temere il tedesco dottore, ben si possono opporre j vuutaggi grandissimi, di
cui l'imeneo fa godere il medico. Altri dimostreranno i gravi perigliosi
inconvenienti del celibato, e faran conoscere il benessere di una scelta
unione, benedetta dal cielo; io mi limiterò ad indicare molti efficaci motivi,
che impegnar devono principalmente i medici ad associarsi di buon'ora una
compagna degnissima. Il maritaggio dà al giovane medico maggior consistenza,
più solida maturila, gli fa scusare folli sua; gli acquista la fidanza di vari
mariti e di capi di famiglia, i quali, s'ei non fosse ammoglialo,
rifiuterebbero forse le di lui cure. 04 Pensa HiifFmann clic un mediai
affrettar non dobhest al mairi moiuo, mrnochè non Irosi mi vantaggiosissimo
stabilimento; perchè, die' egli, una moglie e l' imbarazzo, il disordine, il
viluppo della domestici ei-niwmia, assorbiscono la moti del tempo che n>ige
lo studio. Questa riflessione è fonduta sino ad un eerto punto, ma non deroga
quella precedentemente emessa. Un medico assai dedito a' lavori ilei gabinetto,
rifugge le delizie dell'imeneo; per lo che fra' dotti, molti celibi si
numerano; ma tuttavia una moglie e figli possono perfettamente conciliarsi coU
l' a more dello studio. Bacine era maritato, ed occupavasi egualmente di sua
famìglia e de'suoi studi, e le domestiche cure non gli menomarono hè i suoi
lavori, ne la sua gloria. Montaigne eralo pure. Cicerone, Plutarco, quasi tutti
i filosofi e gli antichi letterati di Grecia e di Boma, erano virtuosi mariti
ed ottimi padri. Tale fu Ippocrate. Il grand'Haller trovò la felicità con una
sposa diletta, e fu uno degli autori piò fecondi del tempo suo. Morgagni era
maritato. Sabatier contrasse un secondo maritaggio in età anche sconveniente.
Frank, Pi nel, Broussab, ed allrì chiarissimi luminari, non sono vissuti nel
celibato. L'uomo non è fatto per viver solo, dicono le sacre carte, ed è
ripetuto con entusiasmo dallo scrittore dell'Emilio. E Socrate richiesto, se
fosse miglior partito prendere o no moglie, rispose: Qual dei due si faccia,
dovrassene* sempre aver pentimento. Dell" Esteriore del Medico. Molière ha
vendicato l'affettata gravità ed il pedantismo de'medici del secolo di Luigi
XIV. I Diafoirus ed i Purgon sono rari adesso: trovansi tuttavia nel mondo
taluni degli originali, di cui egli ha così bene dipinto i ridicoli portamenti,
di que'dottori cioè nutriti d'antiche teorie, che in medicina nulla scorgono
difficile o inesatto, che prestati fede a'ioro sistemi come a dimostrazioni di
matematica, e che se mai si osasse sottoporli a discussione, qaal reato il
terrebbero. Ad udirli, l'eleganza, la socievolezza, le urbane maniere,
risultano incompatibili con la professione del medico; essi fuggon le grazie, e
le grazie rifuggono costoro. Stranieri a' progressi dell'arte ed alle scoperte
del genio, distribuiscono senza discernimento qualunque rimedio, uccidono ì
loro ammalati nel modo più coscienzioso; ed in ciò agiscono, come il Piirgon,
di Molière, qual farebbero ali' uopo pe'loro figli o amici loro. Malouin, a
que'tempi medico della regina, era di si fatto carattere: egli prescrisse molti
farmaci ad un celebre letterato, che li usò con diligente esattezza, e guarì.
Rapito di tanta docilità, il dottore gli disse abbracciandolo: Yoi siete
veramente degno d'essere ammalato. Un medico deve attentamente evitare nel suo
linguaggio la precipitazione, ed il parlare con esagerata gravità: il
barbugliamento del dottor Bahis, non è meno ridicolo della pedantesca lentezza
del dottor Macrotoo. Le sue maniere, il suo linguaggio, tutto il suo esteriore
dev'essere in armonia con la dignità del suo ministero. ' Un medico ciarlone è
un accrescimento di mali per l'ammalato) Se l'esteriore del medico è
naturalmente imponente, gli sarà più facile ottenere la fiducia e gli omaggi
del volgo. Però un talento grande, è un mezzo più sicuro per ottenere la stima
degli uomini. Lìeutaud, di una costituzione debole, di un carattere
indifferente e freddo, privo d'ogni esteriore vantaggio e dalla natura ancbe
malconcio, non pervenne meno al primo posto dello stato suo. Alcuni moralisti,
e lo stesso Ippocrate ( Dè decente habitu a ut decoro), vogliono che
all'esteriore di un medico pompeggiasse la salute; e sono d' avviso inoltre
essere ridicolo visitare infermi con una gracile complessione ed un pallido
viso: tali considera zìo iti però sono futili interamente. Certi indivìdui
godono integra salute, malgrado tutti gli esterni segni di pervertimento delle
vitali funzioni. Non per la pinguedine, l'altezza della statura, la barba, od
il colorito del viso, bisogna giudicare giammai del sapere di un medico. Fare
alcune osservazioni sugli abili del medico, non è un occuparsi di frivoli
oggetti, poco degni al tema di questo lavoro. Ippocrate, non poche ma replicate
volte, è disceso a dettagli di questo genere. Ma si potrebbero omettere dacché
direttamente influiscono sul giudizio degli uomini? Chi ignora che l'esteriore
è tutto o quasi tutto per essiì Clic sol dall'eslerìor giudica il Biondo. Un medico
presuntuoso e ridicolo si adorna di una cravatta, annodata con l'ultima
eleganza, e di un abito di colore e di forme alla moda: tutto nel suo vestire,
anche sino al bastone, è di modesco gusto: egli escogita, come un galante
zerbino, il modo di farsi abbigliare sin da un giorno prima pel di prefisso. Un
medico filosofo lasciasi vestire dal suo sarto; e tanta debolezza vi è nel
fuggir la moda r quanta a ricercarla. Allorquando la carenala della seta
rendeva le stoffe seriche preziose come oro, i medici ed i chirurghi sì
distinguevano per questo genere di lusso: gli abiti di seta erari loro rimasti
in consuetudine. Montaigne rimprovera tal magnificenza. Al tempo di G. Patin, i
chirurghi vestivano a nero, con rosse calze: i medici prendevano la toga nelle
pubbliche solennità, e 68 la ornavano d'una cappa di scarlatto, oltre agli
speroni d' oro: e godevano sin dalla più remota antichità particolari
prerogative, attinenti al loro costume, di cui erano gelosissimi. A' giorni
nostri siffatte disùnzioni nemmeno si rimembrano. Sarebbe curioso ed ameno
soggetto di ricerche per un erudito, la storia della toga e del cappello
de'medici. Egli potrebbe seguire, nel corso delle età, le variazioni delle
mutate forme, con le considerazioni principalmente sulle qualità a questo
imponente esteriore dal volgo assegnate. Ed in vero il tale dottore doveva al
suo vestire la metà di sua rinomanza; per cui i medici scagliaronsi con furore
contro alcuni temeravii chirurghi, che osarono ambire all'onore della veste
lunga; nè ignorasi che in tale importante ostinata mischia, quantità cV
inchiostro fu versata a ribocco da' due partiti; ed i medici più volte
pervennero a scorciare gli abiti ed i cappelli de' loro avversari, quantunque
alla fine costoro trionfarono, ed ottennero di partecipare a tutti i privilegi
degli emuli invidiosi. Un medico che gode grande rinomanza, può impunemente
cedere al suo gusto per la semplicità; la negligenza del suo esteriore serve
pure ad accrescere la sua riputazione: ma un giovane pratico farà bene nel
seguire un opposto metodo : il volgo attribuir potrebbe la modestia del suo
esteriore al ristretto numero de' suoi clienti. Si compiacciono alcuni uomini
bizzarri coprirsi d'abiti i più grossolani, sebbene non costrettivi dallo stato
di loro fortuna, nè curano nemmeno il governo e la nettezza della persona. A
creder loro, un dotto pone severamente in non cale il suo esteriore, e
l'occuparsene sarebbe per lui fattissima cura, chiamando filosofia questo
ridicolo dispregio. Ma le sociali convenienze prescrivono al medico d'evitare
ne'suoi vestimenti ogni pretensione alla singolarità. Gonviene f anzi interessa
al chirurgo, dice Percy, il vestire comodamente. Ippocrate {De arte), gliene fa
un dovere; e l'interesse degli infermi, affidati alle sue cure, e quello della
sua riputazione e della sua propria salute, imperiosamente glielo impongono. La
negligenza ed il lusso degli abiti, come si disse, sono due estremi da evitare.
Bisogna che l'esteriore di un medico annunziar debba esser egli di troppo
superiore all'indigenza. Nettezza, decenza, comodità, eleganza senza
pretensione, sono le qualità che al sor cìale costarne di lui debbono
presiedere e sempre accompagnarsi. Il dottor G. N. Stock (De temperar! da
madicorum), oltre all'avere dato saggi precetti sugli abiti de'medici, si
occupa anche d'altri argomenti relativi al loro esteriore; egli vieta d' essere
ornata la loro capigliatura, interdice il tabacco, il di cui uso, a dir di lui,
li priva delle grazie dell'amabilità, e può altronde ferire la delicatezza di
certe persone. Triller ha scritto una lunga dissertazione intitolata De odore
medico, nella quale egli commenta, ripetendoli, i precetti del padre della
medicina sopra l'uso degli odori. Ippocrate avverte il medico di non profumarsi
giammai di odorose essenze, dispiacevoli o nocive al malato. Costante
circostanza ella è che certi principii odoriferi attivissimi, eccitar
potrebbero violenti spasimi sopra donne isteriche, od eminentemente nervose. (Stahl, De frequentiti mar
horum in carpare kumano prue brutìs. — Tissot, Des maladies des gens da monde).
Più severo del vecchio di Coo, che
almeno permette al medico i grati odori, avvertendo che dilettano ancora gli
ammalati, Dieterich annunzia pure la sua opinione sul loro uso : Vitare omnino
medica* vestimento odorìfera; optine olet medicus quam nìhil olet. Septal e
Roderigo da Castro invitano il medico a non usar degli odori, se non che con
estrema parsimonia. Il medico circospetto e conseguente a sè stesso, che
ambisce il pubblico rispetto, deve adunque esser semplice ne'suoi abiti, grave
con gli uomini, rispettoso verso le donne, senza bassezza co'grandi e cogli
opulenti, serio coi membri del sacerdozio, affabile cogli inferiori, coi
poveri. Il colto lettore potrà vedere all'uopo le seguenti opere: Dìctionn. des
sàences médicales;V^aih, Galateo de' medici; Di-Filippi, Nuovo Galateo pei
medici. La coltura delle lettere non fa parte essenziale degli studj del medico
: ma può egli essere abilissimo, ed almeno mediocremente versato nella
letteratura j essendoché, occupando un posto nella società, e non comparendovi
come dotto ed erudito, -quale idea darebbe di se, qualora fosse costretto a
mantenere un vergognoso silenzio sopra tutti gli oggetti stranieri al rapporto
diretto con la medicina, o, peggio assai, se la di lui ignoranza strappassegli
ad ogni istante delle scipite inezie sopra materie comunissime a chiunque
possiede le istruzioni elementari? Alcuni dottori declamano contro la sollecita
accuratezza de' loro colleghi, Dell' ornare il loro spirito di svariate cognizioni.
Senza gusto e senza giudizio, essi denigrano tutto ciò che non sanno
acquistare. Il più degno passatempo per un medico è la coltura delle lettere ;
e se in convenienti limili egli la rislrigne, gli sarà utile infinitamente. La
storia, la critica, l'arte drammatica diletteranno gli istanti di suo riposo.
Nelle opere de" filosofi si avvezzerà egli a pensare, a conoscere il cuore
umano in quelle dei moralisli, ed a scriver bene in quelle de' più forbiti
eloquenti scrittori. I suoi progressi lo sorprenderanno bentosto: la di lui
memoria, arricchita de' più bei tratti di poeti e di oratori, renderà il suo
conversare molto piacevole; il suo spirito, nutrito e adorno de' lavori degli
antichi e de' moderni, acquisterà nuova forza e maggiore attività. La sciocchezza
sola può sorprendersi di veder un medico a ragionare saggiamente di
letteratura, e la gelosa ignoranza può soltanto proibirgli di occuparsene per
alcuni momenti. Quanti medici chiarissimi e celebri pratici di prim'ordine,
appassionati per le belle lettere, hanno acquistata una meritata rinomanza
colla varietà delle loro letterarie cognizioni! Non è questo, è vero, il genere
di gloria che un medico debba ambire; ma per l'unico scopo di istruirsi e di
formare il suo gusto, le occupazioni letterarie gii convengono, avvegnaché
niente d'incompatibile presentano coli' esercizio della medicina. Bensì non
inutilizzi egli mai iti accessorii studi uri tempo prezioso, di cui la società
gli chiede conto: faccia egli delle belle lettere un divertimento, non già la
sua occupazione esclusiva, ed allora degno sarà di lode, cercando ornare
l'ingegno con la coltura di quelle. Laonde chi consacra tutto il suo tempo agii
studi medici, f u cosa degna; ma colui che dedicando visi col medesimo ardore,
sa impiegare altresì alcuni istanti alla utile letteratura, fa assai meglio.
Una educazione eccellente e scelte letture, maturano singolarmente il giudizio,
infondono forza maggiore allo spirito, e, perfezionando il criterio, regolano
l' immaginazione. Le belle lettere producono allo spirito ciò che produce al
corpo un ottimo cibo; e chiunque è insensibile a' loro incantevoli o seducenti
diletti, ha senza dubbio una organizzazione in felice. Tutti coloro che per
loro professione sono ammessi in ogni classe della società, devono giovarsi del
loro soccorso. Un medico che non conosce i capi d'opera de' sommi scrittori
almeno del suo paese, disonora il titolo eh' ei porta : nessuna scusa per la
sua vergognosa ignoranza s' incontra. Ma fortunatamente pochi meritano questo
rimprovero; e non vi è professione in cui le cognizioni d' ogni genere siano
più comuni, quanto in quella del medico. Alcuni medici sono comparsi con tutto
splendore nella repubblica delle lettere, come Guido Patin, uno dei più dotti
del suo tempo, che ha lasciato una raccolta di lettere, spesso ristampale,
sopra vari soggetti di medicina, di biografia e di storia. Lo spìrito mordace e
caustico di questo medico, e l'incanto della sua conversazione, aveangli
acquistato una riputazione così grande, che i signori ed i principi a gara
contendevansi per averlo a desinare od a cena. Ma chi fu più dotto, chi più
celebre di Rabelais? Prima francescano, poscia benedettino, poi medico, indi
curato di Meudon, ecc., quest'uomo sorprendente possedeva una prodigiosa
erudizione, e parlava quasi tutte le antiche e moderne lingue. Tacesi qui il
tema della sua bizzarra opera, ma trasandar non si dee come l'individuo stesso
che narra le strane avventure di Gargantue e di Bantagruello, ci ha dato una
edizione assai corretta degli Aforismi d' Ippocrate, di cui il nome
dell'editore forma il merito principale. Presentemente il gusto delle scienze
naturali è tanto generalmente sparso, che a' medici non è più permesso
ignorarle. Ad essi socievolmente suppongono estese cognizioni in botanica ed in
zoologia, e spesso lor si dirigono delle questioni sopra queste scienze. Un
individuo qualunque avrebbe svantaggiosa idea d'un medico, che ignorasse del
tutto la storia de' vegetabili e degli animali. Non è possibile, ò vero, che un
medico sappia la botanica come un, Jussieu, Mirbel, o Richard ; la chimica come
Va'uquèlin, Thénard, e Bouillon-Lagrange ; la fìsica come Biot e Gay-Lnssac; la
mineralogia come Haùy, Brongniart, o Beudant; la storia naturale come Cuvier e
Duméril: ma il conoscere gli elementi di queste scienze è assolutamente per
esso indispensabile. E tuttoché immenso sia il dominio della sola medicina,
egli può benissimo, se il vuole, trovare il tempo di far qualche sortita in
estraneo campo di scienze, lettere ed arli. Si esigono pure in un medico esatte
cognizioni di storia generale e particolare, di geografia fìsica e politica, e
sul sistema del mondo. La storia ci mette sott' occhio le vicissitudini degli
imperii, onde noi possiamo conoscere la via che conduce alla pubblica felicità.
La nautica insegna ove sienvi secche, ove scogli, e mediante la bussola, ci
guida al porto cui agogniamo pervenire: ora la storia è la nautica morale. La
geografia, se abbiasi rispetto alla sola etimologia e descrizione della terra,
un siffatto lavoro affatto nudo, sarebbe troppo sterile: ma i geografi sogliono
dare maggiore eslensione alla loro disciplina; essi alla descrizione delle
varie regioni della terra aggiungono la cognizione de' prodotti della natura e
dell'industria, le vicissitudini degl' imperii, lo stato delle scienze e delle
arti. Quindi la geografia non appartiene più ad una sola ragione di studii, ma
a molti. Essere al medico politico necessario lo studio della storia e della
geografia, ciascuno immediatamente sei vede. Le leggi e le costumanze de'
popoli sono in istretta relazione con infiniti avvenimenti che no vengono dalla
storia descritti. Basta l'ardimento d'un sol uomo per indurre (a necessità di
temperare, od anche mutare le leggi. Altri oggetti, che riferisconsi alla
legislazione de' popoli, spettano evidentemente alla geografia : tali sono l'
influsso della varia latitudine e de' climi secondari. Esigonsi eziandio
principalmente nel medico, una precisa logica, uno studio profondo
dell'ideologia, una filosofia pratica, fondata sull'accordo della morale e
della religione. Queste cognizioni si posseggono tuttavia da non pochi medici;
per cui, son eglino senza dubbio la più erudita classe della società; ed alla
dottrina che lì distingue, agginngonsi le urbane garbatezze e la virtù,
associate alle grazie del loro ingegno. Veggansi le opere : Hennhanius, De
eloquenUa medici} Vicq d'Aztr, Eloges historìques; Le Francois, Riflexians
criliques sur la módecrrte; De Beza^ok, Les médccins à la censure; Martini,
Manuale di palma medica. Alcuni medici hanno coltivato la poesia con successo.
Il nume della medicina era nella favola anche quello de* versi. Apollo dice in
Ovidio: Inventarti medicina meum est ; opiferque per orbem Dicor, et herbanim
subjecla potentìa nobìi. Girolamo Fracastoro f stimatissimo qual medico e come
poeta, si è reso immortale per il suo poema latino sulla SijiUde: i suoi versi
sono degni dell' antica Roma e della Corte di Augusto. La riputazione di lui
crebbe tanto, che Yerona sua patria, sei anni dopo la sua morte, gli eresse una
statua. Se ingegno poetico sufficiente bastato fosse per ottenere questo
supremo onore, Claudio Quillet pretender vi poteva : la sua Calìipedìa contiene
grande numero di eccellenti versi. Questi due scrittori hanno posseduto in
grado eminente, l'arte difficilissima a' moderni di parlar bene la favella di
Lucrezio; nè uguagliati sono da Quinto Sereno Sammonico, quantunque non affatto
privo di merito. Gli Inglesi si gloriano di Samuele Garth, poeta s medico
ordinario del re Giorgio I. Sotto il nome di Dispensary } Gartli ha fondato uno
stabilimento destinato a dare a' poveri gratuite consultazioni e medicinali a
discreto prezzo, ed ha pubblicato col nome stesso un burlesco poema in sei
canti, del quale è soggetto una gara ed una lotta fra' medici e gli speziali.
Voltaire, che ne tradusse l'esordio in bellissimi versi, lo antepone di molto
al Lutrìn. Questo strano parere d'uomo sommo in poesia, si spiega solo con
rammentare l'epoca del promulgato avviso, e l'estrema iracondia del di lui
carattere. Pretesi ammiratori di Eoilean servivansi del chiaro suo nome per
vilipendere il grand' uomo di Ferney: l'abate Batteux avea pubblicato il suo
paralello del Lutrìn e della Enrìade: Voltaire, profondamente ferito, estese il
suo risentimento anche sopra Boileau. Ma tutta la rinomanza de' medici poeti si
prostra ed abbassa innanzi quella dello illustre Haller. Questo genio, onore
immortale della Svizzera, fu uno de' poeti più distinti del suo secolo.
Erudito, fisiologìsta, ed in tutto alto maestro, Haller ha in sè riunito ogni genere
di gloria. Le Muse furono compagne di lui, ed ora scendevano a trattare con
esso il ferro anatomico, ora il traevano sulla cima delle Alpi a cantarne le
maraviglie iti dolcissimi versi, che l'aspetto sublime di quelle inspiravagli,
resi mirabili in molle lingue. Le Muse 79 versarono sul Redi il nettare di
Montepulciano e di Chianti, e lungi dallo squallore degli ospedali
l'introdussero nelle orgie delle Baccanti. (Monti, Necessità dell 'eloquenza).
Troppo severo parrà forse il mio pensiero, ma 10 non posso approvare che un
medico ambisca un genere di gloria, per lui poco dicevole. Che egli faccia de'
versi destinati ad essere letti dagli amici, nulla di meglio in ciò; un tal
passatempo niente ha in sè stesso di reprensibile : ma pubblicarli, ma, ascoltando
un amor proprio pur troppo male inteso, affrontare 11 ridicolo che umilia i
cattivi poeti, e compromettere in tal modo la dignità della medicina, ciò, a
mio avviso, è la più evidente palpabile inconseguenza. Qual vano merito per un
medico è quello d'una poetica rinomanza! Archidamo rimproverò Pena udrò, che
lasciava la gloria di ottimo medico per acquistare quella di cattivo poeta:
Basti al nocchiero ragionar de' venti, Al bifolco de' tori; e le sul* piaghe
Conti 'I guerrier, coati '1 paetor gli armenti. Nutrita de ventis, de tauris
narrai arator, Enumerai miles vulnera, pastor oves. Avvegnaché devesi pur
ricordare la sentenza, Qua potè quisque in ea conterai diem. la quell'arte
ciascun, cui atto il fece Natura, i giorni e l'opra ivi egli spenda. Più importanti
cure esigono le veglie del medico: se egli ha la smania di poetare, non abbia
almeno quella di promulgar colla stampa le sue bassezze e nullità. Qual è il
suo scopo pubblicando cattivi versi? die pretende egli ? — un poco di fumo,
alcuni effimeri elogi. Uscendo meschinamente dalla sua professione, si espone a
tutto il rigore della critica e del dileggìo; e senza un talento preclaro,
altro premio non può ricevere dalla inconsiderata sua intrapresa, die
l'indelebile scherno della berlina. ( Bartholikus, De medicìs poetisi. La
struttura de'n ostri organi è tale, che l'osservatore, colpito dal ridicolo
degl’errori del materialismo, ricouosce ed ammira l'essere supremo – IL
GENITORE DI H. P. GRICE -- clic ha creato tante maraviglie. Lo scalpello dell'anatomico
fornisce adunque un mezzo di prova principale della esistenza d'un celeste
Superno Moderatore. Tutte le virtù sono riunite nell'esercizio delta medicina,
la quale estoltesi alle più alte combinazioni; dal che emerge essere ogni
medico necessariamente cultore della filosofìa. Con questa non si Ìndica già
quella marna, che fa porre nel rango de' pregiudizi tutto ciò che gli nomini
d'unanime accordo riguardano e rispettano come base della morale; mania
funesta, che umilia l'anima e corrompe il cuore, di cui però i medici sono meno
suscettìbili degli altri uomini ; ma si addita quella filosofia che mostra
all'uomo tutti i mali ebe l'ateismo ha cagionato al mondo, facendogli vedere la
felicità nella virtù, la virtù nella religione ; che lo rende padrone delle sue
passioni, gli illumina lo "spirito, e' ne matura il giudizio; ed ha in
fine per oggetto primordiale, il fargli conoscere di amare e adempire i suoi
doveri. Tale fu sempre la filosofia, d'Jppocrate: i di lui scritti mostrano
ovunque la più saggia morale, e dipingono la bell'anima del loro autore. Molti
filosoli, e Montesquieu fra' primi, hanno attinto grandi verità dal vecchio di
Coo. Ciò ch'ei disse della possente influenza che esercitano i climi sul corpo
dell'uomo, e delle modificazioni che questa influenza fa provare alle sociali
istituzioni, è stata adottata e sviluppata dall'autore dello Spirito delle
Leggi, ed egregiamente modificata dal chiarissimo scrittore della Scienza della
Legislazione. Ippocratc trasportò, come egli stesso lo dice (De prisca
medicina), LA FILOSOFIA NELLA MEDICINA, e la medicina nella filosofia. Scorgesi
nelle opere degli antichi la osservazione d'una corrispondenza tra certi stati
fisici, certi caratteri delle facoltà intellettuali e certe passioni; cioè che
a tale abitudine del corpo, a tal proporzione delle membra, tal colore della
pelle, -tale disposizione de' vasi sanguigni e delle parti molli,
corrispondevano una data tendenza ed ùu determinato nesso di idee. Motti' fra
que'savi, nella organizzazione dell'uomo comparata a'fenomeni della vita,
trovarono la ragione de' fenomeni e la soluzione de' problemi morali i più
importanti. La superstizione proibendo loro di licer - 83 care la verità nel
.corpo, umano,- obbligava a rintracciarla ne' cadaveri, degli ammali. Diversi
.medici hanno scritto opere pregiate sopra argomenti di filosofia. Antonio
Van-Dale, medico dello spedale di Harlcm, erudito «omino, è l'autore d'una
disseriazione siigli Oracoli, che parve troppo ardita iìlFepoca ili sua
pubblicazione, di cui Fontanelle si e poscia servito a redigere, la sua Storia
degli Oracoli. Si legge tuttora e. si cita con, considerazione il libro
de'Caratteri delle Passioni di Marino Cureau de la Chambre, membro dell'
Academia Francese, medico ordinario' del -Re. Ma pochi libri agguagliar possono
l'alta filosofia dell'aureo Trattato de* rapporti del fisico e del morale
dell'uomo. Cabanis ha istradato a grandi progressi la medicina filosofica.
Eloquenza trascendente, pompa di stile, forza dì giudizio, elevazione di' idee,
ardire saggio, tali sono le brillanti qualità che hanno generato il durevole
successo dell'opera sua. Egli ha sviluppato con rara sagacita i rapporti dello
studio dell'uomo fisico con quello de' progressi delT umana intelligenza, e
quei dello sviluppo sistematico de'suoi organi con lo sviluppo o la sede delle
sue sensazioni e -delle sue passioni. Egli ha illustrato - alcuni punti oscuri
della fisiologia de'nervi ; Iva stabilito la importante distinzione tra i
movimenti che dipendono dai nervi, organi della sensibilità, ed i movimenti
iuvo:d b, HI Ohimè! per quale porta sortiremo noi? Perla porta d'onde si paga,
rispose l'intrepido professore. All'istante, seguito dal suo collega,
attraversa fieramente 1' anticamera, e va a reclamare il suo onorario. Vi sono
de' medici che hanno un raro talento per raccogliere dalle loro cure
ricchissimi guiderdoni. Alcune in eminente grado lo possedeva: ramato per
un'ammenda di due milioni, alla quale condannato avealo l'imperatore Claudio,
seppe egli in pochi anni ristabilir Lene la sua fortuna. Quest'arte studiasi
accuratamente dagli uomini che preferiscono V oro alla gloria, e consiste nel
far valere lievi cure, ad incitare una straordinaria riconoscenza, od a
mascherarsi d'un affettato disinteresse per ottenere dallo imbarazzo di un convalescente,
che teme di comparire ingrato, più vistose ricompense di quelle che richieste
si sarebbero. La penna ormai rifugge e si nega a questi vili dettagli, pur
troppo comuni in società. Si preferisce, come dice Gravina {Praefat. ad cupìd.
ìeg. juvenC), uno gloria facile ad acquistarsi^ a quella che è il prezzo delle
fatiche; ed un precoce qualsiasi guadagno ad un guadagno più onesto; Facilem
enim gloriata laboriosae praefcrimits et premattina» lucrimi plemmque
anteponìmus konestiorì. Ma non mirare nell'arte di guarire che un mezzo di
fortuna, e sacrificare la dignità della più onorevole fra le professioni alla
insaziabile sete delle ricchezze, è nfl vituperevole obbrobrio, di 'cui non si
lorderà giammai quel medico che appieno conosce la nobiltà e la santità del
.suo ministero. ( Mosehus, De honoribus et divitih medicìnae). I grandi talenti
non sono la più sicura e pronta via per acquistare rinomanza. Un uomo di genio
limitato, dice La Bruyère, agogna avanzarsi ; laonde tutto sorpassa, e dal
mattino alia sera non pensa, non mira che ad un solo oggetto, lo avanzarsi.
Egli ha cominciato di buon' ora a mettersi nel cammino della fortuna: ma se una
barriera, che chiude di fronte il suo passo, egli trova, subito ei sbieca,
rigira, temporeggia placidamente, e va a destra ed a sinistra, secondo che
adito od apparenza di passaggio rincontravi ; e se nuovi ostacoli l' arrestano,
bentosto rientra nel sentiero che avea lasciato. La natura delle ti i Incolta
lo determina ora a sormontarle, ora ad evitarle, od a prendere altre misure;
quindi il suo interesse soltanto, l'uso, le congiunture, Io dirìgono. l'i j
io:d e. Difficilissimo è ad Un giovane medico farsi' conoscere in grande e
spaziosa città. Ivi si accumulano una prodigiosa quantità di dottori d'ogni
genere : ufficiali di salute, chirurghi d'armata, chirurghi condotti*
ostetricanli, medici titolati, medici senza titoli e senza nome, levatrici,
eccetera, Colà pullulano i ciarlatani di tutte le specie, dall' erborista,
dati' omiopatico, dal chirurgo ortopedico, sino all' operatore erniario ed al
guaritore delle' malattie -veneree: i farmacisti medesimi, colla sciringa o il
pestello in- mano, mutilando le foratole, danno consulti. Quante pene adunque,
quanti travagli, qual accorgimento bisognano per ritrarsi dalia folla! Come
potrà il modesto nledico elevar solo l'edilizio di sua rinomanza? Quanto tempo,
onde giugnervi, gli sarà necessario} Ecco ora la. indicazione di alcuni mezzi,
proprj a far Ottenere al medico una sufficiente clientela; senza' pretermettere
tuttavia essere assai più regolare, dignitoso ed onorevole non adoperarne
alcuno. Il pubblico- sarebbe meno spesso ingannato, se non chiudesse gli occhi
sugli artifìcj che impieganti pér sedurlo; se persuaso egli fosse che niente
può supplire al difetto di stùdio e di esperienza, e se più avveduto ei si
mostrasse nella scelta delle persone, alle quali accorda pienamente la sua
fiducia. Epperò dispostò pep naturai indole ad accogliere coloro che
l'abbagliano con brillanti promesse, indifferente per il merito che sdegna la
briga e le vie tenebrose o l'artifizio, ei costringe talvolta il sapere a
nascondersi sotto la superficie del ciarlatanismo. Uomini di nome distinto, o
grandi personaggi, si degnano in qualche incontro introdurre in società 1 un
medico nascente. Spesso, fra costoro, è scopo l'in- 7 l'i 4 te resse della
scienza, ed i! produrre l' avvilito merito occulto; ma i più proteggono per
vanita. Poco circospelli o poco idonei nella loro scelta, accolgono essi
l'intrigo ed il raggiro, lasciano languire il sapere moderato e verecondo, e
prodigano all' ignoranza ed al maneggio ciò che all' jslxozione ed al talento
accordar dovrebbero, . Ma ordinaria, cosa è vedere il genio perseguii ato,
mentre l'ignoranza trova formidabili protettori. Oh ] quanto è da compiangere
un medico che sente la dignità di sua professione, e frattanto si avvede
essergli indispensabile il favore di un opulento o di un magistrato! A qual
prezzo compra questa umiliante protezione, di cui gli si fa sentire tanto
duramente il peso ! I I protettori naturali di un giovane mèdico sono i di lui
maestri, o que'pratici che, per lungo e felice esercizio dell' arte di guarire,
hanno acquistato grande celebrità : la stima generale di cui godono, permette
Edilmente istradare la riputazione di quello; e le lezioni ed i datigli esempi
guidano i di lui primi passi nel pratico esercizio. • y, Ogni medico desideroso
che il pubblico si occupi di lui, deve incessantemente agire, e procurare
ognora di prodursi. Molta attività, una delicatezza che facilmente combina
colle circostanze, ed un certo fondo di ragionevol ciarlatanismo, ècco il
principio, delle grandi riputazióni e delle grandi fortune. Di rado il talento
solo, nemico dell' artifìcio,, conduce alla celebrità. II saper-fare d'un
medico può avere per oggetto la gloria o la fortuna. Pochi verso il primo scopo
s’indirizzano, la folla si precipita verso il secondo. È troppo difficile,
anche con molto intrigo, crearsi una fama letteraria; ma sicuri e pronti mezzi
di ridursi opulento, largamente si offrono ad nomo abile ed audace, che ha
preparato i suoi successi con sovvertire ogni sentimento di pudore e di urbana
delicatezza. Richiamare e. fissar su di sè la pubblica attenzione, è unica
bisogna. Molte strade n questa meta possono condurre, sebbene non siano tutte
onorevolij ed in alcune di esse giammai incamminar non si dee un medico degno
di sentito onore. Alcuni medici, giunti presso un infermo, a cui vogliono dare
alta idea del loro sapere, l' ascoltano con molta gravita, affettano un
profondo raccogli mento, pronunziano poche parole col tono più magistrale, e si
affienano congedarsi. Ovvero alcun di loro opprime di interrogazioni il malato
e quei che lo circondano, non per chiarirsi sopra oscuri punti del diagnostico*
ma per dare un'alta idea di sua esattezza ed abilità nella difficile arte di
osservare. Oppure un altro, ilistrutto preventivamente della ctiologia, sintomi
e natura: della malattia, da un famigliare, da un amico o dal medico ordinario
del paziente, traccia a costui, prima di interrogarlo, la; storia fedele; de'.
suoi patimenti j e tutti gli astanti, ed il malato: stesso, sorpresi ed
estatici della mirabile saga cita di lui, -interamente si soddisfano. Se il.
medico perviene ad ottenere una clamorosa cu ragiono, o ad aprirsi l'entrata
d'una gran casa, ed a fissare sopra di sè il pubblico sguardo, la fama non
tarderà a bandire d'ogni parte il suo nome. Quasi tulli gli nomini rassomigli a
no a'inonloui del Panurgo, od alle pecorelle dell' italiano poetai Dacché un
ciarlatano si è procacciato un entusiasta, potrà star sicuro che in breve tempo
mille altri gliene guadagnerà l'esempio. gamento dello scroto. Nel mattino
seguente, io assicurai a one' curanti ed a tutta le gente, averlo io
felicemente guarito: il che mi acquisto grandissimo onore e somma rinomanza. I
felici successi nella pratica giovano massimamente a formare la riputazione di
un medico. Il principale mezzo d'ottenerne è il circoscriversi in una ragionata
aspettazione, e prescrivere, ne' casi in cui la medicina attiva non 0
evidentemente indicata, sostanze poco capaci dì suscitare notabili cambiamenti
nell'animale economia. Nel trattamento, del maggior mimerò delle interne
malattìe, il regime ed i mezzi igienici bastano costantemente a ritornare la
salute al suo tipo normale. È dimostrato che, in questi casi, le medicazioni
consigliate dagli autori, esasperano gli accidenti, e suscitano spesso delle
complicazioni. Va medico giudizioso deve quindi ritenere qual regola
fondamentale di pratica, il bisogno di lasciar spesse volte agire la natura. Scorgonsi
sovente alcuni medici cominciare il loro pratico esercizio: prodigando
agl'indigenti disinteressati soccorsi; visite, consulti, operazioni,
assistenze, medicamenti a vii prezzo o gratuiti : tali sono i mezzi chf
impiegano, onde eccitare l'attenzione del pubblico. 11 più urgente loro bisogno
è d'esser conosciuti: tutto si pone ip opera, niente costa loro per gìugneryiì
Dacché poi cominciano a cogliere i, frutti di loro simulata beneficenza, la
maschera cade, ed appare manifestamente T uomo cupido ed interessato. Base del
saper-fare è lo giudicar, bene del rapporto delle cose e de' mezzi idonei che
vi concorrono. L' opinione pubblica, che è un mostro, un m proteo, offre
altresì un fondo mobile, sui quale talora è facile edificare. Laonde mettere a profitto
le circostanze locali, farle scaturire se tardano a presentarsi ; eludere le
difficoltà, od a forza di perseveranza vincerle; e, principalmente, saper
attendere, sono le condizioni da adempirsi dal medico che aspira a brillante
rinomanza. Alcuni dottoroni hanno sempre, qu al principio .del Saper-fare,
l'aspetto stranamente preoccupato: il loro contegno è quello di un uomo immerso
in profónda meditazione; negletto è- il lóro esteriore, come quello d'un
filosofo tutto dedito allo studio di importanti scienze; gravi ne' loro
discorsi, solo si esprimono con laconici aforismi; nelle strade, nelle
pubbliche piazze, ne' luoghi più frequentati, dappertutto in fine ove la
moltitudine può vederli, affettano esai la distrazione ed il raccoglimento; uè
mancano di quelli dal naso adunco, dagli occhi aggrottali, dal viso scarno,
ulivigno, pallido e tetro per ispida barba, che baloccandosi per le. vie vanno
leggendo alcuna fanfaluca per far credere essere occupatissimi, nè perdere
nemmeno quel tempo ad istruirsi. Ma il loro occulto argomento,, simulando non
conoscere gli usi della società, ovvero non attendere alle convenienze, che le
dicono bagattelle, è quello di far sembiante d'essere esclusivamente occupati
di libri e di malattie, ed ambiscono essere additati come prova del trito
volgare assioma, che sempre un poco di capriccio o di follia al merito
trascendente è congiunto. Presso un malato, ascoltano attentamente la storia
de' suoi malori, dicono poche parole con misurata gravità, ripigliano il
bastone, e scompariscono. Il ciarlatanismo di questi medici Iraluce in mezzo
all' affettata lor maestrevole gravità, come V orgoglio d'Antistene attraverso
i forami del lacero mantello che lo copriva. Si possono vedere le seguenti
opere: Hilscher, De slralagetnaL medicis; Cobchwiz, DUsert. de requisilis
medico ad praxin felicem stanate necessari^; Brisbane, Dissert. de us quae a
medico ad artem bene cxei'cendam abesse deberti; Gregory, Lcciures on duties
and qualificalions of a phjràcìan; Uden, Mcdicinìsche politìk; Frank, Senno
academicus de civis medici in rcpubUca candidane atque officiis ex lege
praacipvg eta-is; Bath, Essay ont the medicai character; Ploucquet, Der arzl;
Bohn, Dasert, de officio medici; Tuessink, Oralio de eo quod medicns in arie
/adendo impriutis agat ; Hufelikd, Die VerhàlLiìsse des arzles; Schinko, SjsU
officiar, medici conspecuts. ; "Wagber, De medicoiwn jurìbus atque
officiis. Il medico sarebbe indarno debitore alla mi tura d'un grave esteriore,
e dello studio di molte teoriche cognizioni, se egli non acquistasse giammai
una estesa clientela, ignorando l'arte d'ottenere la fiducia de'snoi malati ;
senza la quale il più vasto talento perde la maggior parte dei suo pregio ;
mentre con essa tutto riesce possibile alla mediocrità. Conosca dunque il
medico per tempo quanto importi lo inspirarla. Ora pronta a nascere, essa è
cieca, irriflessiva; è un sentimento involontario, di cui gli ammalati non
sanno rendersi conto, ma li soggioga potentemente. Ora debole nella sua
origine, si accresce con lentezza, ed intera, forte ed assoluta dopo replicate
prove diviene, essendone diretta da) successo. Giudice infedele de' talenti,
spesso all' ignoranza profondasi, ed al sapere si nega. Ma le ingiustizie della
moltitudine sono tanto fugaci, quanto sconsiderati sono Ì motivi che le
determinano ; ed il sapere, prima ignoto o non calcolato, non tarderà ad
ottenere quella fiducia, di cui è ben degno. Un giovane medico non deve mai
confondere la confidenza, frutto d'una stima ragionatamente sentita, con le
effusioni di colui che varia con indifferenza ogni giorno il suo gusto e le sue
idee, ed il caprìccio, l'azzardo o la voglia di novità solo consulta nella
scelta di quegli, al quale ampiamente rimette la cura di sua salute. Una
signora vi fa richiedere, voi subito accorrete. Questa languida beltà,
negligentemente sdraiata sopra un canapè, apre un occhio moribondo, e con fioca
lamentevole voce, comincia il tremendo racconto d'una pervigilia, che per tutta
la notte F ha tormentata : ovvero traccia: l'allarmante dipintura dell'agitazione
de' suoi nervi, dotati d'estrema irritabilità, coni' ella dice. Eppure la
freschezza di sua pingue carnagione non dimostra che la più integra salute.
Dietro il vostro attento esame frattanto, e dopo le risposte eziandio della
pretesa inférma, voi avete già conchiuso essere immaginari i mali di lek...
Oli! malaccorto dot. torci! Come, non: vedete voi che si vuol essere qual
egrotante? Guardatevi di cosi fatta incauta imprudenza, che vi rovinerebbe peC
certo.. Ma ascoltate Col più vivo interesse la prolissa storia de crudeli
dolori ch'ella dice soffrire, diffondete i: più affettuosi consigli ed i più
gradevoli rimedi, compiangetela di quella eccessiva suscettibilità, che a
continue angosce ed a ripetuti trambasciamenti assoggetta tante attrai 425 tivc,
e declamate contro la natura, che, accordando alle donne tutte le seducenti
beltà, tutte le grazie e l'arte di piacere, ha menomato il pregio di tante
prerogative j dando loro troppo delicata organizzazione, punendole d'essere
belle col formarle sensibilissime. Ove non giunge la fiducia d' un malato pel
suo medico? Vedete quell'infelice, con occhio estinto, depresse le forze,
assiderato e macilento il corpo: un medico insinuante ed abile s'impossessa
della costui fiducia; all'istante la speranza rinasce nell'animo di quello, il
Bangue circola con maggiore rapidità, risvegliasi il perduto coraggio, e la
natura e l'arte riconducono la salute. Quanto è esteso adunque l' impero della
fiducia! Quanto è possente la sua influenzai Quanto immensa è la stima che
eccitai Indarno una fallace speciosa lettera accusa il medico Filippo d'un
orribile progetto; Alessandro con una mano gliela presenta, con l'altra porla'
alla sua bocca la sospetta coppa. L'arte di persuadere è il principale mezzo di
ottenere la fiduciadegli ammalali: questo è un dono che manca talvolta al
genio. Non urtate giammai di fronte le opinioni ed i pregiudizi di colui che
invoca le vostre cure, ma lusingate le sue idee; nè dimenticate mai che per
condurlo alle vostre, vi bisogna prestarvi alle sue. Siate quindi compiacente
senza debolezza, e fermo senza rigida austerità: che le più consolanti parole
siano profferite da voi, ed un tenero interesse animi sempre il vostro aspetto.
Interrogate con destrezza, rispondete con riserva : spiegate talvolta al vostro
malato la Causa de'mali ch'ei soffre, e dichiarategli sopra quali motivi la
vostra tan speranza riposa; poiché queste confidenze inspirano sincera stima, e
rianimano il coraggio. Guardatevi mai sempre di annunziare un prossimo
ristabilimento, ma oscurate tuttavia l'avvenire con densi nugoli: i soccorsi
dell'arte sono spesso tanto incerti e deboli, che troppo pericoloso sarebbe
appoggiarsi all'efficace loro forza; ed il medico, sollecito di sua fama, deve
annunziare più ordinariamente un esito funesto della malattia o grandi
pericoli, anziché favorevole terminazione e pronta convalescenza. I talenti del
medico, per quanto trascendenti e sublimi siano, allorché vanno scevri di
successi, non conservano T ottenuta fiducia; ed un piccol numero di avvenimenti
disgraziati, possono facilmente atterrare la più solida e stabilita
riputazione. Il pubblico, in generale, è portato ad attribuire a' medici l'
insufficienza della medicina. Per ottenere la fiducia del pubblico, dice
Vicqd'Azyr, si tratta meno di piacergli che di fissare la sua attenzione; e
colui che aspramente lo pratica o con rigore lo maneggia, non sempre è chi ne
riceve più scarse carezze. Ogni tempra di spirito ha i suoi bisogni: alcuni
vogliono trovare nella figura, nel contegno, nel carattere del loro mèdico la
dolcezza e la consolazione; altri amano che sia un uomo rigido, severo,
minaccevole; se ei fi garrisce per gli errori commessi nel regime, essi gli
sanno grado di tali rimproveri e della durezza ancora j che sembrangli effetto
dell'interesse preso alla loro conservazione: altri finalmente, riguardando la
medicina come una specie di magistratura, desiderano che il loro giudice sia un
uomo freddo, imparziale, austero. Allorquando un malato domanda al suo medico
qual sia l'indole del male di cui è aggredito, sì guardi bene costui
rispondere' ignorarlo, avvegnaché eoa questa spropositata dichiarazione
ruinerebbesi infallibilmente da sè medesimo; però abbia pronta sempre una
spiegazione qualunque, né importa qual sia. Se lo ammalato sarà dì goffo
ingegno, materiale e rozzo, alcune grandiloquenti parolone, alcuni vaghi
enfatici discorsi basteranno: ma non bisogna appagare così la curiosità di un
uomo di lettere, d' uno perspicace e dotto; fa d'uopo con essi di molta
destrezza e di non pochi raggiri; bisogna rispondere che la medicina è una
scienza di osse rvazi ohe, che il loro stato morboso non è ben caratterizzato
ancora, che il tempo farà conoscere il diagnostico smascherandolo ad evidenza,
o altro di simil tenore. Lusingando il malato d'una sicura e prossima
convalescenza, il medico s' impossessa della di lui immaginazione, e con
vantaggio serresi della energica influenza che esercita sul fisico. La speranza
di guarire è un valido mezzo di guarigione. Felice colui che sa farla nascere o
la sa alimentare ! Quanti : rimedi agiscono soltanto per l'idea che nutrono gli
animalati circa le loro proprietà! Quel farmaco prescritto col volgare suo
nome, non sarà produttivo d'effetto veruno, ma decorato di fastosa
nomenclatura, opera portentosi ri sultani enti. Darà quindi il medico soverchia
importanza alla sollecitudine di infondere a'suoi malati la speme d'una pronta
convalescenza, e li terrà a bada adducendo altri esempi di fortunate
guarigioni, tacendo loro i pericoli dello stato in cui ritrovatisi, nutrendoli
sino all' ultimo istante di loro mìsera esistenza, se l'arie npn può salvarli,
di quelle illusioni da essi chieste ed accarezzate; del che sono tanto comuni i
vantaggiosi effetti, quanto funesti pur sono quelli d'una verace, ma crudele
franchezza. Si è adunque indicato per quali mezzi il medico fissar potrebbe su
di lui l'attenzione pubblica, e crearsi numerosa clientela. Non ci si faccia
tuttavia il rimprovero d'essersi preteso erigere come precetti lè vie
clandestine dell'intrigo, o consacrar l' artificio, il manéggio, la mala fede.
Se però individui di raro merito, e nella professione applauditi, avranno
creduto dover affrettare la generale fiducia con un destro ciarlatanismo, io
sono ben lungi di proporre qua! modello una condotta che solo certe locali
circostanze hanno potuto esclusivamente permettere. Ma il medico penetrato
della nobiltà di sua professione, aspetterò sempre dal tempo la giustizia
dovuta al suo merito, e di rado V attenderà invano. Sdegnerò egli di affettare
la singolarità : il vero dotto, come il vero saggio, non combatte gli usi della
società; ei non disprezza nemmeno i capricci della moda. Cile se vi si conforma
senza esserne Io schiavo, i di lui successi saranno le sue prodezze, nè si vfr
drà mendicare l'umiliante protezione dell'opulenza o del potere. 11 medico
dev'essere indipendente, ed altro vincolo conoscer non deve fuorché i doveri
del suó stato. L'uomo di questo carattere aspetterà forse per lungo tempo i
favori della fortuna, ma allorquando numerosi ammalati chiederanno l'assistenza
e la cura di lui, potrà egli, senza arrossire, dare uno sguardo sul passato, e
con nobile amor-proprio dire a sè stesso : Je ne dois qu'à ìnoi seni loule ma
renorttmée. Veggansi le seguenti opere : Amatus Lusitanus, Da introito medici
ad aegrotantem ; Hilscherius, De medicorum ingressa ad infirmos perquam
necessarios; Rais, De officio medici in itinere principis; Fischer, De medici
circa moralia et physica in curandis morbis prudetitia; Chiappa, Del£ eloquenza
del medico. Boerhaave non vedeva giammai un malato, nel comincìamento della sua
pratica, senza registrare tutte le circostanze e tutti i segni della malattia
nell' ordine che si presentavano ; . e, questo metodo, egli afferma, essergli
stato di grande utilità. Ogni medico, ad esempio di questo grand' uomo, deve
tracciarsi un piano invariabile, per combinare con la pratica gli studi del
gabinetto. Se egli non rendesi un esatto ragguaglio di ciò che vede, i suoi
falli ed i suoi .successi saranno perduti per lui; e ciò, non dalla esperienza
ma dall'uso, verrà ad acquistar cogli anni. Sin dalla prima visita fatta
all'ammalato, il medico scriverà ciò che avrà conosciuto, quel che ha raccolto
dai racconti altrui, tutte le circostanze in une da lui osservate. Gli oggetti
separatamente considerar sì debbono e con riflessione: i sintomi studiar si
dovranno isolatamente. Dietro tali elementi, cercherà egli caratterizzar la
malattia, avendo cura bensì di non cadere in precipitato giudizio. Bisogna
lungo tempo ponderare ogni circostanza, isolarla, riunirla, 'compararla, prima
di pronunziare. Tracciala la parte isterica della malattia, noterà egli nel suo
giornale le indicazioni curative da lui stabilite, ed i prescritti medicamenti.
La prima visita è d'una estruma importanza; essa ordinariamente decide del
trattamento cmativo. Se il malato sarà esaminato in modo superici ni e, il
medico giudicherà male del di lui slato; ci si inganna, e dì rado dal suo
errore si emenda : ina se nulla ha egli negletto per fissare la diagnosi, il
risultato confermerà, nel maggior numero de' casi', le prime di lui idee. Alia
seconda -visita, ricercherà egli quali cambiamenti avranno prodotto gli
impiegali medicinali, quali, modificazioni provato i sintomi della malattia, lo
stalo di tutte le funzioni, degli organi digestivi, degli organi secrelorj, di
quelli della locomozione, del polso, della respirazione, della circolazione,
did calore della pelle, delle facoltà intellettuali ; le diverse giaciture del
corpo, ed i tratti del viso, utili deduzioni talvolta esibiscono. Van-Swieten
consigliava di visitare gli ammalati, in certi tempi, dieci e quindici volte
per giorno, e ad ogni ora tanto di fiorilo che di notte. Ma questo precetto
di,flicihiieuie potrebbesi mettere in uso nella pratica particolare. Per ben
conoscere una malattia acuta, bisogna Spesso decomporla: sovente ancora, onde
possedere la intera storia d'una morbosa affezione, il medico deve tener conto
dell'influenza che possono esercitare sopra dj, essa la natura del clima, la
-varietà delle stagioni, il regime, le passioni ed altre cose. Importa assai
notar con esaltezza l'ora delle esacerbazionì o parosismi, e la natura degli
epifenomeni che esister potrebbero. Senza di questo metodo, è impossibile
seguire la malattia ne* suoi diversi gradi di sviluppo, di ben conoscere i suoi
periodi ed il suo cammino, e finalmente di giudicare del suo stalo di genuina
primitiva semplicità, o di complicazione. Tutli i sintomi caratteristici
debbonsi tracciare ogni giorno, come pure i cambiamenti diversi ebe provar
possono nella durata della malattia in disamina. Le impressioni fatte sopra i
sensi richiedono sole un'attenzione speciale, perchè dietro un insieme di segni
esterni non equivoci, e loro analogia con i risultamenti dell'esperienza, il
medico deve condurre il suo giudizio. Ed ei continuerà regolarmente questo
lavoro sino alla guarigione, o alla morte dell' infermo} senza dimenticare la
circostanza del modo e l'epoca di terminazione della malattia. Le apposite
riflessioni sulle cause del successo ottenuto, o del disastro sofferto,
contribuiranno moltissimo a formare la di lui esperienza, e gli additeranno se
egli abbia bene o male agito. Ma non affidi alla memoria gli osservati
caratteri, li deponga bensì sulla carta, e dopo la morte del malato, o del
ritorno a salute, redìga egli la storia della malattia, sopprimendo tutte le
circostanze meno essenziali. Coloro che ignorano l'arte di osservare, sdegnano
gli scritti di Ippocrale. I soli uomini di genio possono apprezzarne il merito,
e far calcolo di molte particolarità che. sfuggono agli sguardi poco
esercitati. Nicomaco diceva ad uno spettatore che niente di bello vedeva in un
quadro d'Apelle: Prendi adunque i miei occhi e guarda. Il medico avrà già
considerato attentamente tutti i fenomeni che possono guidarlo a caratterizzare
la malattia, senza della quale precisa determinazione nessuna certezza induce
alle terapeutiche indicazioni ; eppure non ha tutto adempito per meglio basare
il suo diagnostico : interroghi egli gli autori originali e loro chieda lumi,
confronti ciò che ha osservato con fatti analoghi consegnati negli scritti di
attenti pratici, e faccia accurata comparazione della sua idoneità con la
dottrina di quelli. Deve inoltre affezionarsi co'lihri de'grandi maestri
dell'arte, che hanno seguilo la natura sulla via dell'osservazione. Il primo ed
il terzo libro delle Epidemie di Ippocrate, i suoi Aforismi ed -i Pronostici,
il suo Trattato dell' aria delle acque e de'luoghi; Galeno, de' luoghi affetti;
Sydeftham, e gli - altri classici ; molte ottime semeiotiche, e nosografie ;
ecco le opere principali su cui incessantemente deve meditare, e che, bene
studiate, lo dispenseranno della prodigiosa, moltitudine di volumi che
disutilmente ingombrano le biblioteche polverose: e poco scelte. Un medico
principiante, instatilo quanto si voglia, qualunque sia la sua prudenza, non
può giammai promettersi di non commettere errori nella sua pratica; e la più
scelta erudizione, il giudizio il più profondo, non saprebbero dispensarlo di
siffatto tributo che paga l 1 inesperienza. Prima di possedere quel tatto che
caratterizza 1' abile pratico, sarà egli costretto per lungo tempo tasteggiare
ed oscillare) indi, poco a poco, il suo occhio si perfezionerà a vedere
clinicamente, e viemeglio famiglia rizzarsi colle varie fisionomie delle malattie.
Un anno di pràtica forma assai più un medico che dieci anni di lettura o di
lezioni. Quantunque i principi! della medicina sieiio costanti, spesso è
difficile farne l'applicazione a casi particolari. La verità non ai presenta
mai subito. Per cogliere l'indole d'una malattia, bisogna cercare scovrirla col
ragionamento, eseguire ora una cosa, ora tentarne un'altra, nulla trasandare,
niente precipitare, regolarsi a norma delle circostanze, ed almeno mai nuocere
all'ammalato, se non puossi aju tarlo. Talvolta è utile deviare dalle strade
conosciute, e deferire qualche cosa all'accidente. I metodi rigorosi presentano
pochi vantaggi, e molti inconveiiienLi arrecano. Giammai un cieco operato non
condurrà a rìsuUamehtì tanto soddisfacenti, quanto un empirismo diretto dalla
ragione e riunito al talento dell'osservatore. Qualunque sia il carattere d'una
malattia, le funzioni del medico sempre riduconsi a dirigere o eccitare gli
sforzi della natura, ed a lasciarli operare. Veder molti malati non è il mezzo
migliore onde apprendere a bene osservare. Una pratica poco estesa istruisce
meglio il medico studioso. Colui che esercita la medicina negli spedali,
vede,molto, e non vede troppo : la rapidità, con cui trascorre i moltiplicati
oggetti, non gli permette fissarli. Come esaminare profondamente, ini due ore,
tutte le circostanze relative alla storia delle malattie di cento a dugéutó
individui? Come variare i metodi curativi secondo le indicazioni? Come, in
tempo cosi breve, puossi riflettere m sopra ciò die si è veduto, rimontare da'
fenomeni alla loro etiologia, e approfondir tutto? Vi abbisogna vasto talento,
bisogna anzi genio per sottrarsi dal basso mestiere, praticando in grande
spedale. È stato delto che un medico, il quale dì c notte corre da un malato
all'altro, è simile al prete die va attorno ognora co' Sacramenti ; tulli due
veggono a modo stesso molti ammalali, ed entrambi hanno della medicina la
medesima esperienza. Laonde tra' medici di pari ingegno o di pari goffaggine,
sono incontrastabilmente più malsicuri quelli che ad un colpo deggiono visitare
un mondo dì malati. La meiite non è così veloce come le gambe di questi medici.
Un medico sommamente occupato, quanti più vede ammalali, tanto manco vi pensa.
La rapidità con cui gli scorrono gli obbietti, come dissesi, non gli permette
osservarli, perchè gli sfuggono con la slessa prestezza, e nella sua testa non
gliene rimane che an confuso barlume. Quindi non può egli penetrare le
circostanze precise d'un malato e d'una maialila, nè a norma della loro differenza
variare i suoi metodi e i suoi rimedi, ma prende tutto all'ingrosso. Io
conosco, dice lo Zimmcrmann nel Trattato sull'esperienza in. medicina, tra la
folla di medici, il più stupido di loro, secondo la moda dì oggidì, passare pel
migliore. Questo Esculapio ba ogni mattina nella sua anticamera da cinquanta a
sessanta maiali: egli ascolta le magagne di tulli, indi ordinariamente li
schiera in quattro file; alla prima ordina un salasso, un purgante alla
seconda, un crislero alla terza, ed alla quarta un cambiamento d'aria. . Un
medico non può azzardare un farmaco,, senza essere impegnato ad amministrarlo
colle leggi della più esatta analogìa. Per bene osservare, bisogna interrogare
la natura con pazienza, e considerar, tutto il corso d'una malattia con profonda
attenzione. La riunione di. queste condizioni dà sola la vera esperienza, che
si è definita « l'abilità a garantire il corpo umano dalle malattie alle quali
sta esposto, ed a guarire queste malattie allorquando . si sono sviluppate: Un
medico, che non è dotato della felice organizzazione suscettiva e dello spirito
attento e scrutatore che richiede l'arte di osservare, può veder molti ammalati
e mancare interamente d'esperienza. Questi generali riflessi sulla pratica
dell' arte dì guarire negli ospedali, si applicano a' medici delle grandi città
estremamente occupati. Continue assenze, numero eccessivo di malati, intoppi
incessantemente rinascenti, permettono loro assai poco di raccogliere esatte
osservazioni; ed eglino non ne hanno il tempo nè la premura. Le grandi pittà
sono il punto di unione de'medici e de' medicastri d' ogni genere, né *
rifluiscono nelle campagne che allorquando, imperiose circostanze ve li
astringono. Per riuscire in qualche città capitale, bisogna tempo, gran
pazienza, e molto sapere. E diffìcile impegno il fissare la pubblica
attenzione, e vi si giunge trovando da percorrere piuttosto ignote strade nella
folla che si urta e si sforza onde pervenire [alla meta stessa. Nelle piccole
città, al con-i trano, se- il medico non può sperare tanta opulenza, che
sarebbeglì possibile acquistare altrove, ha il vantaggio almeno di possedere
più sollecitamente la fiducia e la stima pubblica; ed ivi ricavar può egli
tanta esperienza come nelle popolose città. Ippocrate ha esercitato in
ristretti paesi o in borghi, nessuno de' quali era sufficiente a mantenervi un
sol medico. 11 maggior numero delle sue osservazioni fu raccolto in Tessaglia e
nella Tracia, di cui rammenta Lnrissa, Cranone, Acno, Oeniade, Jera, Eliso,
Perinlo, Taso, Abdera ed Olinto, tutti allora piccoli villaggi. Galeno dice che
in un solo quartiere di Roma eravi più gente che nella più estesa contrada dove
Ippocrate si esercitava. La grandezza di un medico adunque non vuol esser
dedotta dalle farraggine degli ammalati, bensì dal talento di saper trarre
d'ogni caso particolare tutti i possibili vantaggi. Un antico regolamento in
Francia prescriveva ai medici che destinavansi alla pratica nelle grandi citta,
di esercitarsi prima molti anni nelle campagne vicine. ( Knipliof, Novo medico
praxln non esse concedendam). Sembra ch'essi avessero il tacilo permesso di
scozzonarsi a rischio della parte più sana e più utile dello Stato, osserva
giudiziosamente Vieq-d'Azyr, e che la medicina abbia bisogno di simili
espedienti ond'essere praticata, i quali sono tanto vituperosi per essa, quanto
insultanti per l'avvilita umanità. Ingannetebbesi pur troppo un medico se
credesse arrivare facilmente all'auge di fortuna, apprestando le sue cure a
titolali infermi, e consacrando esclusivamente il suo tempo alle classi
superiori della società; avvegnaché la classe agiata del popolo gli presenta
una via più sicura alla sua pratica. Presso di ucsta, meno avviluppato nel!'
esercizio della professione, divincolato e libero Dell'impiegare i mezzi
terapeutici che giudica convenienti, di rado responsa bilo dell'avvenire, egli
vi trova ancora una riconoscenza più liberale: e men negligente della vantata
munificenza de' grandi. e,.,' w. .Nella estese citta eziandio, ed ovunque
altrove, la chirurgia offre mezzi di sussistenza meno moltiplicali di quei
della medicina. Hanno alcuni i esclusiva reputazione per la pratica delle
operazioni. Costoro sono sempre quelli che 1' accidente i ha posto ;il governo
degli spedali. Quindi i chirurghi lèi gli ufiiuiali di salute, dappertutto più
numerosi, assai de'iuedici, non possono mantenere le loro famiglie che
esercitando indistintamente, ed' alla meglio, le due: partii dell'urte di
guarire. Senza vero sapere medico, ma con sufficiente giudizio per lasciare
agire la natura, un inedie^ può usurpare facilmente una estèsa celebrità. Per
un chirurgo è tutt'altio: i di lui errori si scorgono .in pieno giorno,, se la
Sua mano è inabile,, e lutto il . superfare possibile non può 'salvarlo
d'essere -designato bentosto qu al cattivo operatore. . questo, nessuna
certezza in medicina. Egli . è difficile veder molti malati, e difendersi dalla
tendenza del ceco medicare che inspira all'uomo la naturale infingardaggine del
suo spirito; per lo che negli spedali massimamente i medici ru lini eri si rinvengono,
.. Costoro, con un sol colpo d'occhio, riconoscono uua malattia; la quale,ipìù
oscuro diagnòstico presenta, più facilmente da loro vien già caratterizzata:
nel che, niente imbarazzali. Dietro brevi interrogazioni fatto all'infermo per
sola forma, prescrivono macchinalmente un Ordinativo, che lo allievo,
incaricato del lòglio di visito, scrive per esteso dopo avere udita la
indicativa parola. Tale è tutta l'arte loro; tale è la loro condotta,
costantemente la stessa. Ma questi pratici, il cui numero fortunatamente è poco
considerevole, le sole facce de' loro ammalati conoscono appena., Alcuni medici
divengono macchine coli* in vece h iare ; leti non permette ad .essi di seguire
i progressi della scienza, o assoggettarsi a nuovi sludi : ostinatamente
fissati alle antiche loro dottrine, non vogliono variarvi alcuna cosa: tutto.
ciò che è nuovo li disgusta e li sdegna, quindi più non leggono. Dopo
cinquantanni di medico esercizio, è impossibile per loro adottare altri
principii, diversi degli acquistati, che per sì lungo tempo sono abituati
seguire. Hokbtjus, Manudìictìo ad medfqinani. 2. f. - , Btìiti Presunzione. 1,
Non chiedete a quel dottore ciò eh' ei su, si bene ciò che ighpraL Egli ha
letto tutto, ha veduto tuUo: i più difficili casi non lo sorprendono; le
operazioni chirurgiche più delicate sono per lui un passatempo: niente lo con
l'onde; il suo genio tutto, prevede, .tutto intraprende. Di.' sè egli parla in
termini magnifici: e- terrebbe a disdoro il sembrar d'ignorare cosa veruna.
Quali malattie non ha egli guarito mai? H c anero e l'.'ìdrofobià confermata,
nelle sue mani,' hanno cessato d' essere incuràbili ; egli 'crede possedere,
senza accorgersi della tròppa arroganza, tutto il sapere che puossi avere, che
giammai potrà egli acquistare: ii primo! aforismo d'Ippocrate non. ha
significato alcuno per lui; e finalmente crede aver egli in .sè -infusa 'il
genio ed il potete d'Esculapio: stesso. Pochi medici hanno spinto cos'i lungi
il ridicolo della vanità, quanto Menecrale, nè s' ignora quali lezioni da
Filippo-, egli abbia ricevuto; ovvero Come Paracelso. Ethullerus, De medico
mendace. Talun medico ha grandi talenti e profondo vastissimo sapere, frattanto
ei non fa numero, e giammai verun posto occuperà egli nella gerarchia di sua
professione ; e eoa le' più estese cognizioni, egli ha l'aspetto dell'
ignoranza. Interrogatelo: le sue risposte sono le più confuse ed inette. I casi
i più semplici lo sgomentano; detesta sempre di agire, e con paura ne determina
la esecuzione. Invano la natura annuncia un esito salutare; tremante ognora,
non osa secondarla. Giammai non ha sentito egli quelle subitanee improvvise
inspirazioni che rivelano ad na uomo di genio il carattere di una malattia
complicata nel suo andamento e nel diagnostico, e fuor delle vie comuni gli
fanno trovar i mezzi di trionfare della violenza e della sua pertinace
resistenza. Conseguentemente nel deliberare ei perde la favorevole occasione ed
il momento di rischiare con vantaggio. Un tal medico non uccìde i suoi malati,
ma egli li lascia morire. Heister, De medico nimis timido; Steìnmxtzkjs, De juxta
media timiditate. Alcuni medici si
inorgogliscono pompeggiando non credere alla loro scienza. Svincolati d'ogni
pregiudizio, trattano di vane ciance i precetti dèli' oracolo di Coo.
Irremovibili nelle loro opinioni, riguardano come Favole i fatti più autentici;
e l' arte di conoscere e di trattare le malattie è a' loro sguardi un
ciarlatanismo, fondato sull' ignoranza e sulla credulità del volgo. Ma come non
lasciarsi imporre da individui, iniziati in tutti i secreti delja medicina?
Come sospettarli di malafede, allorquando in verità fanno il sacrifizio di
tanti anni di studi e di lavori còsipenosi ? In siffatta guisa argomentano
alcune persone volgari. Tuttavia l'uomo imparziale scopre bentosto' in questi
pirronisti, que* medicastri, che, disgustati d'una pratica disgraziata,
accusano senza pudore la medicina degli errori esclusivamente imputabili alla
loro ignoranza. Alcuni pretesi dottori, senza istruzione, .senza talento, e
sforniti non meno di scienza che di principii elementari, coloro in 6ne il di
cui giudìzio è essenzialmente falso, che, per comparire spiriti forti nella
professione, denigrano ciò che ignorano, condannano tutto quel che sono
incapaci di comprendere, e rendonsi segno del pubblico dispregio, osando
esercitare un ministero che giudicano inutile alla società. Altri medici niente
scorgono di oscuro nella scienza dell'uomo. La natura non ha segreto -veruno,
che non discoprano; nessun velo occulta a' loro sguardi penetranti i misteri
della nostra organizzazione. Non vi sono malattie che non possano perfettamente
spiegare e guarire. Questi pratici si uniformano ciecamente a tutte le
osservazioni che i libri contengono; e tutti gli assiomi d'Ippocrate sembran
loro immutabili verità. Inutilmente l'esperienza accuserebbe la loro dottrina;
il maestro l'ha detto, èssi in discolpa rispondono, egli non ha potuto
ingannarsi giammai. Laonde, per loro di nessun valore risultano le scoperte
novelle della scienza, che nemmeno vere le supporrebbero. Tutti i fenomeni,
tutti i cambiamenti che presenta una malattia, durante il suo corso, dipendono,
agli occhi loro, non dagli sforzi della natura, ma bensì da' farmaci diggià
somministrati, quantunque inattivi altronde ed inutili siano stati. E nell'alta
idea che hanno della forza della medicina, si immaginano che nessuno de'mali, che
affliggono la specie umana, non possa loro resistere; e spreca tori, senza
discernimento, di tonici, di salassi, di emetico, e de'più attivi medicamenti,
pensano sempre che agir si debbe, ed agire con tutta energia, i .Vi sono
de'fanatici in medicina: con questo nome indicatisi i partigiani esaltati di
tale o tal altra dottrina. Guardisi bene ognuno di osar censurare il loro idolo
venerato: se avrassi tanta temerità, le ingiurie vomitate dalla loro bocca
sarebbero in tanto cumulo, come eran le parole che Omero, in pubblica conclone,
fa dire al vecchio Nestore, oh' ei paragona alle onde di neve, impetuosamente
in copia cadenti. Costoro di esclusiva ammirazione si preoccupano, disprezzando
tutto ciò che ad altrui partito giudizioso concorre. Gagnok, De la recerefte de la
vénti dans la médecine. Le querele
e le doglianze del malato e la storia ch'ei narra de'mali suoi, sono le basi
sullo quali il medico appoggia la sua diagnosi, e gli forniscono la
determinazione alle principali indicazioni terapeutiche- Senza questo soccorso
non può egli formare evidenti distinzioni, ma appena sole congetture. Le
interrogazioni senza metodo, gli schiarimenti mal diretti, stancano l'infermo
senza illuminare il medico. Girolamo Ca podi va ce a ha sentito bene quant'era
necessario stabilirle metodicamente, ed ha lasciato su questi elementi
essenziali di pratica, i più utili avveduti precetti. (Capivacius, De modo
interrogarteli aegros; opera omnia). Alcuni ammalati esprimer non possono le
loro idee. Indarno si sforzano manifestare le proprie angosce, tutto è confuso
ne'loro discorsi. Inutilmente si domanda loro un esatto ragguaglio delle cause
e de 1 fé nome ni della malattia ebe li tormenta; nella risposta, si spaziano
in prolisse digressioni, si fissano sopra indifferenti circostanze, ed i più
disparati oggetti sciopera Latuco te con fondono. Con tali cervelli dovrà il
medico tuttavia istituire i suoi quesiti. 11 metodo ù la fiaccola, che Io
guiderà in mezzo alle dense tenebre clie lo circondano; per esso distinguerli
il medico le peculiari circostanza clie li, inno preceduto la malattia, da
tntl'altri fenomeni clic lo colpiscono 3 ed i riflessi indifferenti ed estranei
alla patologica sua relazione, da quelli che soli caratterizzar la possono.
Finito il racconto che un malato lia fatto di ciò eli' ei soffre, non deve il
medico interrogarlo seirzu ordine sopra tutti gli clementi de' inali di lui, o
sopra i segni die vi scorge, ma deve informarsi piuttosto del princìpio d'ogni
passato avvenimento, avanti esaminare lo stato utluale delle organiche
funzioni. Spesso alcune circostanze in apparen/.a futili, sulle quali è
ricondotto il paziente, spargono una viva luce per la diagnosi della malattia
in esame. Conosciute le cause d'una malattia, e stabilito consegue n temente il
trattamento curativo. Accora la mente istrutto del corso de' primi sintomi e
dell'ordine col quale sono apparsi, il medico medita sui fenomeni che già
osserva; ed ingegnasi quindi unificare ciò che realmente scorge coi ricevuti
schiarimenti. Vi sono alquante espressioni, famigliari agii ammalati, il di cui
significato non deve esser per il medico quello da essi apposto\L Alcuni
individui sono portati naturata e nte"ad esagerare i loro dolori; ma il
medico su questo eccesso di doglianze dovrà diffidare con discernimento. Le
espressioni del dolore non sono sempre sincere. Ascoltando un malato, nella
narrazione de' suoi patimenti, cercherà il medico carpire il soggetto dello
allarme di lui, vero o esagerato; e porrà ogni attenta cura ad esplorare quel
cuore, e penetrare in quel pensiero, onde squarciare il velo ad ogni occulta
imagiuata chimera. Altri ammalati fanno al loro medico insidiose dimande, non
già per conoscere il di lui avviso sullo stato in cui trovansì, ma per
giustificare l'opinione da loro concepita; e cercano ne' discorsi di un uomo
della professione un alimento a' timori, di cui la loro immaginazione è
cupamente ingombra ed oppressa. Tale è lo scopo de' malinconici, de' tisici, e
di alcuni tabidi, nelle interrogazioni numerose che dirigono a chi prende cura
di loro salute. Un medico che sagacemente ha cólto la causa delle loro
sollecitudini, deve subito dare una diversione al loro spirito angosciato,
simulando un pericolo differente di quello che li allarma. Non è diffidi cosa
scorgere una donna tentar d'ingannare il suo medicò, narrandogli malori che
affatto non soffre; è simular malattie nervose con la più esatta naturalezza. I
segni morbosi' che appartengono a funzioni dipendenti dal dominio encefalico,
non possono giammai essere simulati, e sono i soli a cui il medico accorderà
assoluta fiducia. Quasi tutte le storie di malattie- nervose straordinarie,
hanno abili donne per eroine; ed e accaduto sovente che la estrema loro
destrezza nel sostenere la propria furberia, ha deluso la prudenza di qualche
medico illuminato ed accorto. Interrogando un malato, è utile talvolta
distrarlo dal tema principale delle richieste che gli si fanno: allora quegli
si tiene meno in guardia, e più facilmente avviene d'ottenere la verità nelle
sue confessioni. Il medico -avrà cura di addolcire le inflessioni della sua
voce, scegliere le espressioni che infondono la più anì'ttiuis;» benevolenza,
onde padroneggiare sul cuore dell' infermo, facendogli mauiffito in suo bene un
vivissimo interesse. Le austere laconiche interrogazioni, ritengono le
effusioni del dolore sui labbri dell'infelice, che ne soffre Io strazio: ma le
dimande fatte con dolcezza e con pietosa commiserazione, provocano ogni
larghezza di fidanza, e quella espansiva loquacità che le angosce desiati
mitiga diggià, e solleva. Ed al contegno grave ma aperto del medico, un dolce
sorriso sul labbro di lui, fa nascere o ravviva la speranza, e dissipa molti:
timori spesse volte ai misero inférmo funesti. Ma se ad elevato rango il malato
appartenga, non dimenticherà il medico che un servile abbietto portamento degrada,
né inspira fiducia alcuna; come un'aria di superiorità verso un infelice
plebeo, è vile e crudele. Si deve alla dottrina di Doublé un eccellente
capitolo sul modo d' interrogare e di esaminar gli ammalati. Dividesij die'
egli, in due parti naturalmente distintissime: la prima abbraccia la conoscenza
di ciò che ha preceduto la malattia ; la seconda comprende la conoscenza delle
circostanze alla stessa malattia appartenenti; e deve il medico informarsi J52
inoltre di tutto ciò che si riferisce all'influenza degli esterni modi fica
tori, c conoscere la temperatura e la topografia medica del luogo ov'egli
pratica. 1 Laonde esaminerà egli primamente 1' età, il sesso, ];i professione;
le passioni, le abitudini, il genere di vita dell'ammalato; l'esercizio
generale delle sue funzioni nello stato di salute; richiederà del corso di
questa salute anteriore alla invasione della malattia attuale, d'altra forse
antecedentemente sofferta, degli effetti generali de'me dica menti sulla sua
costituzione, delle malattie di famiglia o de' genitori. È utile sapersi con
precisione l' ora fìssa dell' ingresso del morbo, e la determinazione del suo
periodo, e se per ripetuti accessi, per prima invasione O altamente. Se tali
notizie potesse il medico ottenerle dai circostanti, risparmierebbesi al
paziente cosiffatta noiosa fatica. Ottenuti i preliminari ragguagli, si procede
ad una serie di interrogazioni direttamente relative alla regione, sede del
patimento del dolore e dello scompiglio delle funzioni, di cui lagnasi specialmente
l'individuo. Indi si chiederà esatto conto di tutte le altre parti del corpo,
procedendo metodicamente dietro l'ordine naturale e la successione delle
funzioni. Cosi, pe' fanciulli, bisogna richiedere della dentizione, del sonno e
dell'appetito. Chè se le malattie de'bambini sono spesso difficili a trattarsi,
ciò in gran, parte, deriva perchè esprimer non possono que'poverini i mali che
risentono, ed il medico non può trarre alcun lume sull'indole, de' loro
patimenti; essi rispondono male alle di luì inchieste, soffrono e si tacciono.
F. pei* ima donna, della mestruazione, e delta supposizione di gravidanza: se
trattasi di alcuna nubile, si è in dovere parecchie Tolte informarsi, iu modo
dubitativo, de' suoi rapporti col sesso più forte. Fer un vecchio, ond'esser
qui breve, cliè biugo sarebbe per sìngolo enumerare ogni quesito da proporsi,
bisogna investigare lo stalo delle f.icolià imelleitualì, delle forze
muscolari, dello stomaco, della imitazione, defecazione, sonno, cec. Utilissimo
riuscir potrebbe esplorare assolutamente ogni regione ed ogni parte della
persona degli unimalati, ma il pudore vero o simulalo delle donne e la
convenienza abituale, impediscono frequentemente di fare queste indagini colta
esaltezza desiderabile. Nò bisogna tacere che fino a questi ultimi tempi,
Utnita vanii 1 mediei all'esame del l'aspetto, della lingua, del polso, delle
orine, degli escrementi, delle materie vomitale, o del detratto sangue. E meno
attenti degli umidii, die almeno esploravano sempre gU ipocondri, i medici
dell'ultimo secolo non palpavano le regioni del corpo de'loro ammalati, se non
erano di ciò richiesi!. Ma Corvisart, rimodernando i lavori di Avcnbnigger,
richiamò l'attenzione agli esploramene del torace - e lìiunssais ha dimostrato
quanto sia vantaggióso il palpamento dell'addome sopra tutti i punti della sua
superficie. L'esplorazione clinica ha fatto sufficienti progressi in questi
ultimi tempi: ciò che segue a tale soggetto, emerge dal piano traccialo per
Morejon, sommariamente esposto ne'dizionarj di medicina. La vista ci fa
riconoscere una colorazione insolita, il cangiamento di forma, di volume e di
rapporto, o le soluzioni di continuità delle parti situate alla siipeplicie, o
. accidentalmente poste a nudo.. Per essa ci rendiamo esatto conto dell'aspetto
della cute capelluta, della faccia, della Locca, della pelle, e di tutte le
materie evacuate naturalmente o artificialmente. L'odorato ci appresta la
conoscenza dello olezzo generico che emana dal corpo del inalato, di quello
elle esala dalla bocca di lui, dalle fosse nasali, da tutt'altra parte
esteriore, o finalmente da materie evacuate o estratte. Il gusto è di poco uso,
avvegnaché lungi di esplorare queste sostanze, volentieri si ammette ciò che
l'ammalato stesso ne accusa. L'udito ci fa riconoscere lo strepito che risulta,
dalla locomozione naturale o provocata delle parti contenenti o contenute,
naturalmente o casualmente poste in movimento. La succussione raccomandata da
Ippocrate, la percussione da Avenbrugger, la stetoscopia da Laènnec, la plessimetria
da Piorry, la pressione in diversi sensi, dan luogo a rumoreggia menti, che
l'orecchia, nuda o armata di strumenti, raccoglie, su' quali riposa talora la
diagnosi di malattie oscurissime senza questo mezzo di esplorazione. Il tatto è
di grande importanza, poiché ci istruisce dello slato della cute, del suo
tessuto cellulare, dei muscoli, del cuore, de' visceri addominali, delle parti
genitali della donna, ecc. Laonde per l'applicazione de'cinque 1 sensi ad ogni
organo, raccolgo nsi per quanto è possibile gli elementi razionali ed esatti
sullo stato delle parli dell'organismo, sopra le quali possono agire
maggiormente. Non basta però esercitarsi a far questa esplorazione con ogni
metodo e complessivamente; è necessario altresì che il raziocinio concorra ad
unificare tutti i dati esibiti per l'uso de'sensi, li disponga nell'ordine di
loro naturale concatenazione, e distingua quelli che hanno maggiore importanza
nella ricerca dell'indole e della sede del male. Bisogna che la sagace
avvedutezza del medico ponga a confronto lo ammalato attuale con malati
analoghi, già da lui osservati, e con quelli di cui ha letto la storia
patologica negli scritti di buoni osservatori, o di nosografi di prima classe;
nel qual paralello, rafforzerà lo scontro ed il concorso delle cognizioni
anatomiche e fisiologiche che rapportar si possono al caso presente. La vita è
assai variata, gli organi sono troppo numerosi, le azioni organiche molto
diverse e ripetute, e le malattie oscurissime in varf casi, onde esser
possibile decidere sempre, sin dal. primo giorno, della loro natura e della
sede loro. Come condursi sino a che tale incertezza in tutto od in parte sia
dissipala? Lo illustre Stoll ci fornisce la. migliore regola: lndicatione
incerta, maneas in generalibus .- la quale però è poco utile per esser troppo
generica. Ovvero presumere con Pinel ed i naturismi che bisogna restare in
aspettazione, è quasi un dire nulla.' La sola regola in simil caso, e
frequentissimo è un tal riucontro, sia quella di dirigere e moderare l'azione
de* modifica tori dì ciascun organo, e rimovere ancora tutti quelli che
suscettibili pur sono di sopreccitare l'azione organica in ognuno di essi.
Questa è la sola aspettazione razionale, che spesso allontana efficacemente
lutto ciò che impedjr potrebbe il ritorno al tipo normale di vita, e la
guarigione ha effetto senza dover ricorrere a mezzi ulteriori. L' indole e la
sede della malattia trovatisi forse manifeste, intenso il morbo, importante
l'organo affetto? bisogna di conseguenza ricorrere sollecitamente al
trattamento più diretto ed energico, nella indicazione terapeutica che seguir
si debbe. Nelle malattie croniche, è necessario ora indugiare, quando incerta
siane l'indicazione; or adoperare tutto il medico potere, tostochè la diagnosi
in modo non equivoco SÌ presenta. Il medico che si occupa del suo malato
solamente allorquando gli siede accanto, tradisce la di lui fiducia, ne la
merita per quell'istante. Terminando di visitarlo, dev'egli riflettere eziandio
a quanto ha diggià osservato, a quel che ha prescritto, e riassumere 1' idea
generale che ritenere egli deve sulla clinica osservazione da lui fatta; nè in
ciò bisogna che la sua attenzione sia assorbita e distolta dal calcolo degli
onorari che gli competono. La frequenza delle visite dev'essere in ragione
della gravezza del male, o dell'espresso desiderio dell'infermo o della sua
famiglia. Gli ammalati visitar si debbono per lo più ogni giorno ad ore
diverse, ma nei parossismi a preferenza. Spesso è indispensabile per due volte
al giorno eseguirsi la visita clinica, talvolta anche di notte; ed in pressanti
incontri il medico non potrà abbandonare ìl malato. Util cosa è frattanto non
accondiscendere sempre alla -richiesta di un infermo, che per pusillanimità
esige ognora presso di sè l'assistenza del curante, avvegnaché si giudica male
sovente di colai che spesso non involasi nè facciasi cleside. are. Ma 1' esperi
SUu a è l'arbitra delta moderazione. Eppure quanto precede non è tulto sul modo
di interrogar gli ammalati. Ed in generale, gl' individui i di cui malori sono
l'effetto dui libertinaggio, • quali il dolore, giunto, ad insoffribile grado,
strappa involontariamente delle imprecazioni 1 contro colui che è costretto
assoggettarli a crudeli manòvre. L'eccesso de'Wo tormenti rende perdonabili i
loro oltraggi.. Dippiù; tal ammalate non vuol prendere che farmaci gustosi ;
laonde rifiuta tutti quelli, di cui l'odore, la forma o il sapore gli
dispiacciono; persiste ostinato nelle sue risoluzioni, c per questa condotta
irnigionevole riduce il suo medico nell'impossibilità di agire. Tal altro non
ba questa mania, ma curioso all'eccesso, ei vuol saper tutto: bisogna rendergli
ragione dell'azione de' medicinali, istruirlo dei fenomeni delle funzioni
vitali, e spiegargli le menome particolarità de' mali eli' ci prova. Spesse
volte vi sono ammalati, che fanno disperare il medico per la loro .indocilità.
Dietro aver ad essi profuso tutte le possibili cure, dopo avere sofferto
vivissimo inquietudini sulla sorte loro, sarà pervenuto egli alla fine a
condurli ad insperata convaIescenza ; lieto del successo degli sforzi suoi,
promette loro una guarigione sicura, se per altro breve corso di tempo
sottoporsi vorranno ad una indispensabile dieta: inutili precauzioni, superfluo
avviso! in dispregio degli indicati saggi consigli, ogni disordine _ nel regime
essi commettono, e ricadono nell'abisso de' mali, d'onde erano stati tanto
penosamente sottratti. Molte e varie circostanze richiamare io potrei, per le
quali le passioni e disposizioni di spirito de’malati esercitano la pazienza
del medico: perlochè facile mi sarebbe additare l'inconseguenza, la'
leggerezza, la meschinità di cosiffatti ammalati, i quali, dopo avere
manifestata intera fiducia al loro medico, ad un tratto, sènza ragione veruna,
si intiepidiscono à di lui riguardo, e gli manifestano una ingiuriosa
diffidenza: o potrei indicare coloro che esigon troppo, sempre malcontenti, i
quali vogliono che lutto ciò die li attornia sia vittima de' loro capricci; e
se fossero assecondati, erigerebbero ancora una diuturna indefessa assistenza
del loro medico, che dovrebbe dimenticar per essi tutti gli altri suoi
ammalati. E dir potrei di quegli esseri spietatamente ingrati, che dovendo l'
esistenza, di cui sono indegni, alle sollecite cure di un abile professore,
stancano la di lui delicatezza con vani pretesti, con affettati indugi, e
talora non trovano altro mezzo onde sdebitarsi dell'obbligo doveroso della ri
conoscenza,, che dirigendo contro di lui i dardi più acuti della calunnia, o lo
strazio più accanito della malevolenza ! ! Ma' io non pretendo esaurir la
materia : ed à questa succinta sposizione limito la enumerazione delle
principali cagioni che possono cimentare la pazienza del medico. Ed il
principiante, al suo ingresso in società, deve opporre un fondo inesauribile di
pazienza all' .indifferenza, talvolta contumeliosa, del pubblico. Se egli
pratica in una vasta città, lungo tempo negletto, sarà sposso testimonio de'
trionfi di medicastri spregevolissimi: ma l'oro prezioso ed il fango putente
non saranno sempre confusi, e verrà il tempo in cui ne saranno separati. In
tutti gli incontri, in ogni passo di loro carriera, i medici hanno un bisogno
estremo di pazienza ; e per essi principalmente dir si può: ^a pazienza è il
genio! Necessario in ógni istante è al medico, nell'esercizi» di sue funzioni,
il soccorso della prudenza. Nè di quella conveniente alla scelta de' farmaci, o
alla determinazione delle terapeutiche indicazioni, qui si ragiona; benvero di
quella che dee guidare la morale condotta del seguace d' Ippocrate. Conservare
V integrità della propria riputazione, è un impegno che esige da lui attenzione
perenne. La tendenza degli uomini, propensa ad accusarlo dell'impotenza della
natura, è tale, che, in tutte le malattie gravi, la' prudenza inculca al
curante richiedere avviso d'altri medici, onde mettersi in salvo dagli attacchi
della malvagità e dell' invidia, e per ajutare l' infermo, se mai potrassi, con
più efficaci sussidi. In alcuni casi adunque, ia difficoltà della diagnosi
d'una malattia, l'imminenza del' pericolo in cui trovasi l' ammalato, la
necessità di ricorrere u mezzi estremi, impegnano il medico prudente a
sollecitare il convegno d’uno o iti parecchi suoi colleglli, più o meno
rinomali, per conferire sullo slato di chi trovasi affidato alle di lui cure, a
chiedere cioè una coiisidtnzione. Ovvero, l' aspettazione del medico ordinario
delusa per la durata, per i temibili progredimenti del male, o per altri motivi
più o meno fondati; o il solo desiderio dì procurare all'infermo, come si
disse, tutti gli aiuti della scienza disponibili, inducono i parenti del malato
a riunire attorno al suo letto parecchi uomini dell' arte, nella speranza di
vedere scaturire nel loro concorso lumi novelli in di lui vantaggio. Stabilito
il progetto del desiderato consulto, il numero e la scelta de 1 medici clic
devono formarlo, sarà premura degli interessati, che sì invitino i più idonei;
o si determinerà ciò dal medico curante stesso, che na. c stalo fatto
l'arbitro. Nell'ora del giorno fra loro convenuta, o fissata ordinariamente dal
più anziano, eglino riunirannosi presso l'infermo. Prima di entrare nella
camera di costui, il medico curante farà l'esposizione della malattìa, de'
mezzi adoperali e degli effetti di ri sul lamento. Indi gli aggiunti e
consultori si recano dall' infermo, lo esaminano, esauriscono tutte lé ricerche
e le domande necessarie a stabilire opportunamente la diaguosi ed il pronostico
dell'affezione; ed in tal modo, si accertano essi sulla veracità della
narrazione già preceduta, o modificano le loro idee dietro ciò che inesatto o
incompleto avranno dedotto. Di ritorno nella sala di riunione, ciascuno di
loro, prendendo la parola in ordine inverso alla maggioranza di età, esporrà la
sua opinione sulla analizzati malattia, e sul trattamento curativo die adottar
si «rede. Finite la discussione, i consultori si riconducono presso l'infermo.
Allora il più anziano accenna, secondo le circostanze, in tutto od in parte
soltanto, il ri sult amento della discussa deliberazione, e le speranze da loro
fondale sulla di lui guarigione. Uno de'mediei redige la consultazione o la
prescrizione,, da tutti poscia firmata. Ma Ordinariamente qnes té mediche
radunanze non si adempiono con tanta solenne pompa: un solo aggiunto basla da
consultore, ad invitò del medico curante od a richiesta dell'ammalato ; e, non
osservando di tutte le descritte convenienze cbe le necessarie, imposte dalle
peculiari circostanze, si accordano di subito intorno al trattamento più
cordacente al caso. Eppure ai 1 è supposta finora una unanimità di opinioni,
cbe non si osserva quasi giammai. Qual sarà la condotta del medico ordinario,
tostochè il suo di vis amento sarà opposto a quello de' col leghi intervenuti?
Nel caso in cui l'uguaglianza dell'avviso deb maggior numero, supponendolo poco
saggio, non possa cagionare notabile pregiudizio all'infermo, prudenza richiede
poter visi uniformare, con la restrizione di arrestare lo adempimento
dell'adottata terapeutica, se l'esperienza farà riconoscerne inconvenienti;
ovverò se, dopo sufficiente tempo, non avrà prodotto il bramato risultamento,
impedendo in tal guisa l'adoperare di più utili rimedj. Ma quando trattasi di
quei mezzi estremi, che erroneamente appli 470 cali comprometterebbero la vita
del paziente, o Io esporrebbero all'inutile sacrifizio di un membro di sè
stesso, come in alcune chirurgiche operazioni, il medico curante ponderar dee
allora l'autorevole credito di coloro dalla cui opinione egli dissente. Ed
accederà a questo divisamente, se nella costoro riconosciuta abilità e
consumata esperienza potrà dedurre inconcusse ragioni da quietare la sua
titubanza. Laonde, senza mancare ai giusti riguardi dovuti a'
professoricolleglli, dichiarerà egli la sua opposizione in divergenza di
avvisi, e chiederà un nuovo congresso, composto per intero od in parte d'altri
aggiunti consultori. Le considerazioni medesime di onore e di probità
dirigeranno la condotta del medico consultore. Se, per delicatezza, dovrà
questi ognora astenersi dal disapprovare apertamente ciò che è stato eseguito,
il dovere gli impone eziandio di opporsi energicamente ad ogni metodo di
trattaménto curativo che sembrassegli pernicioso. L'utilità di queste
consultazioni non puossi contraddire giammai, specialmente se risultano dal
convegno di medici, che per attestato anche de' colleghi hanno diritto alla
pubblica fiducia. Tuttavia la difficoltà dì adunarne un cerio numero con la
garanzia di tali requisiti, particolarmente nelle città poco popolate, ove
sovente regna fra' medici una scandalosa detestabile rivalità, ha fatto
considerare le consultazioni medico-cliniche più funeste che vantaggiose agli
infermi. Talvolta li an dato luogo a dissensioni puerili e ridicole, che hanno
fornito a'detrattori della medicina l'occasione di lanciare satirici strali
contro l'utilitè di questa scienza. Ma siffatti sarcasmi avranno colpito
soltanto qne'medioi, che la vana loro presunzione o le passioni loro vilissime
rendono in ogni tempo spregevoli ed odiosi. La prudenza inculca al medico
curante" di avvertire chi è interessato per l'infermo sul pericolo del
male, su bit oc li è dichiarasi, od anche appena comincia a sospettarne il
pencolo. Chiamato a trattar malattie, di cui l'avverata esistenza recar
potrebbe il disordine in alcuna famiglia, il medico prenderà le più accorte
precauzioni, onde non compromettere la sua riputazione ed i segreti che gli si
affidano. Si troppa importanza per lui è il non errare, uè accusare una donna,
un marito senza colpa, o una fanciulla d'intatti costumi, di qualunque malattia
che l'opinione pubblica come vergognosa dichiara. Ledi lui funzioni spesso lo
iniziano- in reconditi misteri, sia per loro importanza sia per singolarità.
Depositario de'secreti delle famiglie e degli individui, egli conosce le loro
pene, le loro passioni, le speranze loro più intime; confidente dello sposo e
della sposa, de'consanguinei e degli affini, de' genitori e dei figliuoli,
de'fràtelli e delle sorelle, del superiore e dell'inferiore, egli deve
dimenticare con l'uno ciò che sa dell'altro, e non avvilirsi giammai a tradire
la fiducia de'suoi clienti: i segreti che gli si affidano più abbietti, turpi o
criminosi, maggiormente occultar li deve col silenzio più scrupoloso. A tal
riguardo, il ministero di lui è più delicato di quello dell'avvocato e del
confessore. Ma quale scrupolosa decenza, quale attenta ritenutézza non deve
egli serbare nelle cure ch'ei presta alle cenobite, alle ragazze, alle donne!
(Doublé, Séméiolog. -generale). Esigerà egli la presenza della madre, o di una
prossima parente, nelle delicate frequentissime circostanze, allorquando
costretti!, sottoporre ad indispensabile perscrutatone ogni più occulta parte,
una timida verginella, ritrosa, confusa, vergognando, depone nelle di lui mani
l'ultimo velo del pudore. Se una donna dehbasi sottoporre all'esame accennalo,
richiederà la presenza del marito. Se la inspezione per una claustrale si
richiede, si farà assistere da una delle vecchie suòre. Per una legge de'
Visigoti, era espressamente proibito al medico e al chirurgo di salassare una
donna, senza che fosse presente il padre o la madre, un fratello, un figlio o
lo zio di lei. (Iìodemcus A Castro, Med. polit). Nel trattamento delle donne
luciate, vi sono poi regole di decenza, dalle quali in ver un caso non può
l'ostetrico dipartirsi giammai. Alcune affezioni patologiche, mascherate con
estrema . astuzia da chi le soffre, nè mai rivelate, esigono che il medico le
tratti convenientemente, occultando altresì la natura degli adoperati
medicinali Non vi sono elogi che alla prudenza non siano dovuti: ha detto
Rochefoucauld. Per quanto estesa, cauta ch'ella sia, non può star sicura del
menomo avvenimento, perchè si esercita sull'uomo, il più mutabile soggetto
dell'universo. Laonde, malgrado tutta la immaginabile attenzione ed i lumi
esercitati più accorti ed omnigeni, un medico manca talvolta alle leggi della
prudenza. Le migliori intenzioni hanno sovente le più funeste conseguenze,
quando regolate non sono, dalla prudenza: « Saepe honestas rerum causas, in
jiujiciuin adhibeas, perniciosi exìttts conseqiiunlur « . (Tàcit., Uh. 1,
Hist), Il medico portar deve inoltre la più riservata prudenza ne'suoi
pronostici: si persuada giugnervi diffidando del suo giudizio, ed osservando
lungo tempo i fatti, prima di volerli spiegare: e con saggia lentezza, le sue
decisioni esser debbono dirette. Se alcuni medici sono debitori di loro
rinomanza per i pronostici confermati dal successo, quanti P hanno perduta per
la precipitazione inconsiderata nel giudicare ! Alcuni casi particolari
impongono al medico molta prudenza ne'suoi discorsile non sa dissimulare rio
che vede, gravi pericoli Io minacciano insieme al suo ammalato. Morgagni curava
un uomo robusto d'una febbre, la cui terminazione era tanto prossima da ridursi
a convalescenza, permettendo lasciare il letto dopo la refezione, composta di
tenue panata. Costui, ad un tratto, fu assalito da vomito violentissimo e
continuo, - dietro un pasto di simil natura; perlochè si andò di fretta a
chiamare Morgagni: il quale, giudicando il caso poco grave, senza recarsi a
lui, si limitò prescrivere alcuni medicamenti. Frattanto l'oppio stesso
inoperoso ed inutile riuscendo, si determinò di egli visitare l'infermo; or
cammin facendo, e meditando sullo strano avvenimento, interrogava il domestico
del malato che lo seguiva, se questi commesso avesse alcun disordine nel regime.
Nessuno ; Tisposegli; il mio padrone h stato servito d' una panata, leggiera,
sulla quale K. M. ha sparso la polvere da voi prescritta. Morgagni sicuro non
avere ordinato per tal uso veruna polvere, conoscendo al iti tronde l'uinore di
quel tuie che impolverato avea la pappu, comprese subito e ciò che doveà fare e
quel che bisognava evitare. Giunto adunque presso il richiedente, al quale
cessato era il vomito, ma era sottentrato il singhiozzo e lo sfinimento di
forze, con difficile respirazione e polso piccolo frequentissimo: Coraggio, gli
disse il grand' uomo, voi avete molti umori cattivi, ed in breve sarete
totalmente ristabilito. Morgagni apprestò bentosto gli opportuni rìmedj ed
antidoti, e felicemente in tal guisa prevenne e dissipò la lugubre catastrofe
che gli effetti del veneficio seguir dovea. Fodere -{MéUec. legai.), da cui è
tratto questo aneddoto, fu testimonio di una scena orribile del pari ; ma la
vittima spirò sotto gli attoniti suoi sguardi, per tardo o inefficace soccorso.
L'incontro più difficoltoso, esigente la maggiore indispensabile prudenza del
medico, è il caso molto frequente, allorché da lui dipendono la vita e l'onore
di un individuo imputato d'alcun reato. Richiesto sopra fatti di procedimento
penale, nell'interesse della giustizia punitrice, con una inconsiderata parola
può egli sterminare l'innocente o salvare il colpevole. L'ignoranza, la
precipitazione di giudizio, la prevenzione, hanno spesso cagionalo funesti
iri-e-' paratili errori. Laonde, chiamato innanzi a' tribunali come esperto per
esporre il suo medico avviso intorno alcun fatto relativo alla sua professione,
o per deporre sopra fatti di cui è stato testimonio in occasione del proprio
suo esercizio, o per guidare il potere legislativo od esecutivo sopra qualunque
qmst'ione non determinabile senza concorso del di lui pavere, il medico dovrà
saggiamente ricordarsi di quanta importanza risulta la sua deposizione verbale
o scritta; non rispondere alle dimande che colla massima circospezionej
trincerarsi spesse volle fra' baluardi del dubbio; non oltrepassare le sue
attribuzioni di medico, nè perorare con entusiasmo o con forza itllbrmativa
clic ne' casi propizi da poter salvare felicemente un innocente oppresso,
contro il quale incritinniscono false apparenze, ebe, per attento esame
fisiologico, o sperimento fisico o chimico, non constalo e svaniscono. Veggansi
in proposito le seguenti opere: Usler, De eventu in morbis praecognosccndo;
Hdcheu, De prognosi malica; Horstius, De siguìs prognosticis; IIehedia, De
prognosi fallacia; StockiiaxiseNj Dissert. da praesageiulis morbis; Juucker,
Dissert. circa progtiosim rito instìtuendam; Idem, De canta prognosi a cauto
medico instituenda; Pleutsch, Dissert. fàntes praedictionum in morbis;
Kaltschmied, Dissert. de prognosi status morb. rite formattila; Tomaiàsijji,
Sul pronostico nelle malattìe, discorso; Falcoburgo-\eoMAticBicus, De prudentia
medicomm; HoFFMA&r, Medictts poliliais .... opera omnia, traduz. pei-
BauiiiEn, De la politit/ue de mh/ecins; Fischer, De medici circa morali et
phjsìca in enrandis morbis pnulcntia ; Pero a m, Nuovo saggio di procedura
medica; Sava, Manuale per il pratico esercizio della medicina legale. t •
ossalo. Immensum nobis aperii medicina campnm ad. exercendma in proacimos
amorem » ha detto Pichler. Questo volgatissimo assioma è di grande
irrefragabile, verità. Un cuore generoso e sensibile fa brillare l'ingegnoso
intelletto d'un nuovo splendoce, e nessuna virtù non onora cosi (fattameli te
il medico, quanto la beneficenza. Molti attributi lo vincolano agli
sventurati., i quali in lui solo sperano e da lui attendono il sollievo ai
propri patimenti: primo bisogno in essi è «li versare il lor cuore nel suo, e
di espanderne j sentimenti: il di lai primo dovere è di porgere attento
orecchio alle doglianze loro, e rianimarne il coni gg in illanguidito
dall'indigenza e dal dolore. Ma il consolarli non ò tatto : bisogna ancora
soccorrerli. L'umanità, l'interesse di sue funzioni, tutto gli prescrìve
ascoltare la voce supplichevole del misero. Esiste inai più ineffabile
compiacenza dì quel]» che si sublima nel tergere le lagrime degli sfortunati ì
Vi è felicità più estesa ed intera del raccogliere attorno a sè i tributi di
venerazione e di amore, superiori ad ogni più viva gratitudine? La beneficenza
porta seco il suo guiderdone. Un medico, dotato di questa virtù, diffonde da
tutte le parti le consolazioni, la speme e iu t'elice tranquillità dell' animo.
I dì lui talenti, il suo tempo, la sua fortuna ei lutto prodiga per calmare le
grida dilaniali ti della miseria. Colui, eli' egli ha già richiamato alla vita,
è per lui oggetto di attenta c benefica amicizia; sembragli poco avergli
impartito tutti i soccorsi dell' arte, chè tuttora ei veglia al rimanente de'
pressanti bisogni. Vicq-d'Azyr, con l'energia dell'ordinaria sua eloquenza,
raccomanda la beneficenza a' medici: « Se lodevoli e belle sono le funzioni del
medico, egli dice, 10 sono meno però ne' palagi e tra le grandezze, ove i
molivi apparenti 0 reali dell'iute resse, non lasciano adito alcuno a quei
dell'umanità che nell'angusto, squallido e malsano abituro del povero. Ivi,
nessun protettore si incontra, nessuna cupidigia ; la rinomanza non si accosta
a questi asili: lutto vi tace, fuorché 11 dolore, che li fa spesso echeggiare
de* suoi singhiozzi. Le vittime della miseria, quelle delle malattie e della
morte, ammassate e confuse, vi offrono un quadro straziante e terribile. Ivi
puù ìl bene largirsi, colà puù l'uomo soccorrere l'uomo senza soccorsi ed anche
senza chi il veda; e ben vi si allogano la generosità, la verace beneficenza,
la tenera pietà; uè ivi si dubita trovar lagrime da prosciugare e averiturati
da compiangere ed aiutare. Dicasi talmente in lode de' medici, qual altro
ordine di cittadini adempie mai tali doveri con altrettanto zelo e coraggio?
Queste fatiche, queste compiacenze competono quasi a tutti i ministri
sacratissiini dell'arte salutare: e»lino soli possono trovare le primo lezioni
dell'esperienza nella class» più indigente del popolo, scambiandole con quelle
di benefica virtù ... Le cure disinteressale accordate agli infelici, di rado
rimangono prive di ricompensa; ed il medico trova quasi sempre nella sua
beneficenza il principio della propria fama. Allorquando salii egli giunto a
chiara e grande celebrità, non dimentichi coloro a cui dove la sua istruzione e
la sorgente di sua fortuna. Questa ingratitudine, ordinaria in quelli che hanno
simulalo beneficenza per attirarsi la pubblica considerazione, non troverà
luogo giammai nel cuore dell' uomo onesto e virtuoso senza ostentazione.
L'essere ricco, sarà per lui causa d'esercitare più liberamente la sua favorita
proclività alla filantropia, quindi non allontana l'indigente che implora le
buone grazie di lui, anzi lo previene soccorrendolo. E losiochè riceve doni
dalla fortuna, ne consacra una parte a sminuire i bisogni degli infelici; c por
questa generosa condotta rendesi degno del titolo onorevolissimo di medico,'
che nobilmente lo fa lieto e prospero. Si possono vedere in proposito le
seguenti opere; Sonni, De medico «ehementer laudari (Ugnai Do,Auettiue,
Caractère des médecins. La probità più rigorosa e la più severa temperanza,
sono virtù indispensabili al medico: esse fanno parte de' doveri di lui, come
d'ogni uomo onesto. Depositario, come si disse, de secreti delle famiglie,
padrone talora della riputazione di coloro che liannogli accordata intera
fiducia, a quale ignominia noti si esporrebbe egli, se per debolezza o per
volubilità, svelasse recondite cose, che nascoste esser debbono a qualsiasi
sguardo? Ora una disgraziata giovane, vittima della seduzione, implora da lui
aiuto e silenzio: ora un padre, un marito gli appalesa le funeste conseguenze
d'una gioventù in balia all'impeto irrepiimibile delle passioni. Ma qualunque
si fosse la confidenza o la rivelazione, che l'esercizio della sua nobil arte
gli permette ricevere, l'onore gli im Ì80 pone ìt sacro dovere di tacersi
serapremaì, anche con pericolo di sua libertà o della sua vita. u Quae vero
inter curandum aut edam medicinam mìnime faciens, in communi hominum vita, vel
videro^ vel audiero, quae minime in vulgus effèri oporteatj ea arcana esse
ratus } silebo ». (Hipp. Jusiua. Foés). Veggansi all'uopo i seguenti autori:
Albertus, De confessione aegri erga medicum; Reis, De officio medici in itinere
principe Stock, De temperaniia mediconan. Nessuna professione esige
costumatezza d'irreprensìbile condotta morale quanto quella del medico. Questa
purità di costumi, questa castità particolare, virtù che la filosofia ha
trasandato annoverare fra quelle che onorano l'umanità, è necessariamente indispensabile
al medico, richiesto di prestar l'opera sua presso una donna inferma.
Confidente intimo di un sesso, dì cui egli è l'appoggio ; onnipossente sullo
spirito de' suoi malati, quanta sarebbe colpa in lui, se della sua posizione
osasse abusare? No, un medico non adoprerk giammai il suo ascendente per
sedurre l'innocenza, che ripone il suo destino nelle di lui mani; ovvero
scoraggiare la volontà di un moribondo, a cui ha aspirato una tanta fiducia. La
sua voce non farà udire mai alle donne, che l'avranno scelto per consolatore e
per amico, corruttori discorsi. Colui che Ja'suoi vizii avvolger si lascia e
trascinare nel baratro della dissolutezza, non tarda molto, ad essere perduto
nel connetto degli uomini, .ed i più grandi talenti non -potranno guarentirlo
dal dispregio e generalo abbandono. Quindi il medico sovente è diviso fra'suoi
doveri ed il vizio. Lo stalo suo l'espone ogni giorno a sacrificare l'onore
all'interesse; eppure quanto più frequenti sono le occasioni di secondare senza
pericolo le sue passioni, tanto più gloriosa virtù è il vincerle. Pel bene
della società egli deve impiegare l'efficace influenza di cui l'investe il suo
ministero. Gli uomini che gli affidano ciecamente ciò che hanno di più caro,
l'onore delle loro mogli e delle figliuole, hanno diritto esiger da lui un
cuore puro ed illibati costumi. E dicasi pure in lode de'medicì : essi hanno
dato e donano incessantemente l'esempio delle più elevate virtù. Generosi
sacrifizj, grandezza d'animo, magnanimità, beneficenza, sono attributi che
brillano in una moltitudine di sublimi azióni, che la storia conserva ne'suoi
fasti, e di cui i inedici furono gli eroi. Gli Stati di Àrtaserse re di Persia
erano distrutti dalla peste. Il inonàrca, occupato nel volersi vendicare
de'Greci, scorgèudo con dolore la spaventósa malattia portar dappertutto la
morte nel suo Impero, credè che il solo Ippocrate poteva opporre qualche argine
a tanta strage. Inviò adunque al figlio d'Eraclide una deputazione, incaricata
esibirgli i doni più ricchi^cogli onori più lusinghieri, s'egli determinar
voleusi a combattere in Persia quel torri bil flagello che la desolava. Dite al
vostro signore, rispose Ippocrate agli Inviati del gran re, che io sono troppo
ricco, e che l'onore mi proibisce accettare i doni di lui, di passare in Asia,
e soccorrere i Persiani, nemici de'Greci. Quante volte i medici si sono
immolati per la salute de'loro concittadini! Quante volte hanno essi sprezzato
quelle epidemiche malattie che spargono iti ogni luogo un soffio avvelenalo I
Con qual coraggio si sono eglino sepolti vivi nel baratro della morte I Molti
di questi uomini virtuosi non potè ano contare sugli elogi della posterità, i
loro oscuri nomi non potevano lor sopravvivere, ma l'amore dell'umanità era per
essi un sfinimento non meno violento di quello della gloria. Più ammirabili del
guerriero, che nel combattimento sì e te mi zza con la morte, essi corcar non
potevano, sacrificando la vita, che tergere amare lagrime, e soccorrere alcuni
infelici. Qnal eroismo nel sacrifizio di Bertrand e Deidier durante la famosa
peste di Marsiglia ! Quanto stupenda fu la loro condottai Questi uomini
generosi, in pochi mesi, affrontarono più spesso la morte che non il più
intrepido combattente nel corso di molte battaglie. Potrebbesi omettere
d'associare alla loro gloria l'illustre professore barone Dcsgcnettes? Ei non
oppose pusillanimi precauzioni alla peste che minacciava Y armata francese in
Oriente, nè mostrò inquieti timori; la sfidò bensì col più eroico coraggio.
Spaventato dal nome solo del funesto disastro che ingigantiva, il soldato erano
interamente vinto. Desgencttes osò egli solo avvicinare, in pubblico, e toccare
gli appestali, ed inocularsi quel virus. Giammai altro medico non fu più colmo
d'onore quanto quest'uno immortale, nè altro nomo ebbe un earattare più franco
di lui, più leale, più intrepido, più nobile. Così potrà liberamente lodarsi
ogni iaitro, ebe non essendo insensibile alla critica, e- pareggiar lo possa,
non lo sarà agli elogi; avvegnaché il dettato 'virpfobus dicentti peritus, esclusivamente
applicar gli si deve. Tostocbè una epidemica malattia si dichiara, lungi di
fuggire Ì luoghi ch'essa devasta, un saggio medico dovrà sacrificare i propri
giorni alla salvezza de'suoL desolali concittadini. Il teatro della morte, ecco
il suo posto. Sin dalla invasione del contagio, ne avviserà il magistrato
competente incaricalo della pubblica salute, dimostrando i mezzi più idonei a
limitarlo. Non pochi medici sono stali vittime di spcrienze sopra sé stessi
tentate. Animati d' un forte amore per l'umanità, e d'uno zelo vivissimo per i
progressi dell'arte di guarire, cercando la gloria, hanno invece trovato la
morte. Gli archiatri ed i primi chirurgi de'monarchi hanno mostrato sovente
alla Corte virtù e coraggio, poco comuni presso i grandi, ed hanno usato il
favore di cui il regnante onoravali, col fargli udire la voce della verità.
Alcuni storici narrano interessanti ragguagli sulla stima, anzi sull'amicizia,
che alcuni medici hanno inspirato a'sovrani, che affidata aveano la loro salute
al sapere di essi. Ambrogio Pareo, per l'amenità del suo spirito e per lo
splendore di sua celebrità, aveva addolcito il carattere feroce dì Carlo DÌ.. A
dimostrare il favore di questo gran chirurgo presso il suo re, Sally scrisse
nelle sue Memorie, che il re Carlo, avendo narralo una sera i massacri,
eseguiti in quel giorno stesso, de' vecchi, donne e fanciulli, affermò averne
orrore, e ne discorse come se tali crudeltà, a Tessergli fatto raccapriccio e
generato male al cuore, o grave turbamento nell'animo; talmente che avendo
tratto in disparte il suo primo chirurgo, infinitamente stimato e
famigliarissimo, gli disse: Ambrogio, non so ciò che avvenuto mi sia da due o
tre giorni in poi, ma ;io mi trovo lo spirito e la persona eccessivamente
commossi, nel modo stesso come se avessi la febbre, sembrandomi ad ogni
istante, sì vegliando cbe dormendo, quei cadaveri a me appressarsi colle facce
brutte cosparse di sangue,; io vorrei non vi fossero almeno compresi i vecchi e
i fanciulli. E dietro ciò che Pareo ebbe l'intrepidezza di manifestargli,
proibì il re con tutta severità di non massacrare più la tradita gente.
Innanzi. Luigi XIV, il più assoluto fra'monarchì, Muréclial solo, di cuore e di
animo retto, non ebbe timore combattere tutta la Corte, disarmare l'ira del re,
e sviare la ingiusta condanna del duca d'Orleans. Come ancora, Fagon e Féìix,
1' uno primo medicoj, l'altro primo chirurgo dello stesso re, soli ardirono
porgergli suppliche in favore dell'illustre arcivescovo di Cambiai,
disgraziato. La molliplicilà delle cognizioni necessarie al medico, i suoi
doveri, l'esercizio di sua professione, i rapporti colla società, la gelosa
conservazione della riputazione, tutto gli vieta di prender partito fra gli
scioperali turbini sovvertitori degl'imperi. Deve egli astenersi, per riguardo
a sè stesso, di pubblicare o diffondere veruna politica opinione, allorquando
ei vive in epoca sconvolta da civili discordie. Non è impresa d'uomo eaggio
entrare senza esservi chiamato nelle querele de'sovrani: Un medico, amico della
pace, e benefattore, per sua professione a tutti appartiene. Unifichi egli
quindi le sue veglie allo studio lungo, penoso e difficile dell'arte sua, e
diffonda a larga mano le sue cure senza distinzione a tutti coloro che ne
abbisognano; perchè altri, in vece di lui, veglieranno a'destini del mondo.
Essere straniero a tutte la dissensioni che seno il flagello della società,
esser lontano da tutto ciò- che potrebbe distrarlo dai doveri del suo nobile
esercizio, ecco il carattere di un- vero medico filosofo. Uomini poco
considerati ed oscuri che hanno preso parte nelle rivoluzioni, di rado non ne
sono rimasti vittime. Leatocq, chirurgo* abilissimo, irta dotato eminentemente
del genio funesto de' co spira tori, molto contribuì a porre Elisabetta sul
trono di Russia; ma l'imperatrice, che tutto dovcagli, nulla fece in bene di
lui. Nelle violenti convulsioni che hanno lacerato la Francia e l'Italia,
parecchi medici hanno sofferto pene crudeli, e ritardato 0 perduto il frutto di
loro fortuna con la temerità de'loro incauti discorsi e della loro sconsigliata
condotta. Altri hanno pagato, con la perdita della salute o della vita, la
deplorabile mania di volere occupare un posto nelle cospirazioni e nelle
sommosso, che hanno tante volte sfigurato l'aspetto di classici regni.
Abbandonare il servizio de'malatì per aver parte ne'furori de'sediziosi, ciò
deriva dal conoscere male l'intima unione dell'arte di guarire con la morale.
Si può conciliar facilmente l' amore di patria col dovuto rispetto per ogiii
governo stabilito; ma per una inconseguenza, di cui il ridicolo agguaglia il
pericolo, non andrò mai un medico ad immolare con cuor giulivo la sua fortuna,
la sua tranquillità e la cura della sua rinomanza per interessi a lui non
competenti. Non potrà senza dubbio sfuggire d'i sentir vivamente le disgrazie
del suo paese, ed indignarsi contro tutto ciò che ne compromette l'onore; ma
non vada egli più lungi: soffrire e tacere d'ordinario basta. La società
attende da lui non una opinione politica dichiarata, ma la scienza associata a
zelo grandissimo per l'adempimento dei doveri del suo stato. Ubbidire, e
religiosamente sommettersi alle leggi del proprio paese, è una massima che ogni
medico, più d'ogni altro cittadino, debbe ritenere impressa indelebilmente nel
suo docile cuore. Veggansi in proposito le seguenti opere: Albertus» De voto
caslitatis medica ; Bienvbmu, Des qualités murales da médecin; Castellus, De
visita/ione aegroutntiian; Stàhzbnbbb.g, De voto obedientiae medico ;
Desgenettes, Histoire medicale de l'armèe d'orient; Luther, De solititdinis
militate medica ; Idem, De sale medico; Hoffmàhn, Medicus politìcus; Rodericus
a Castro, Medicus politìcus; Strobelbekger, Gallica?, politica medica
descriplio ; Miiuchini, Doveri e qualità del medico. Celso (De re medica) vuole
che il chirurgo sia giovane, o almeno poco inoltrato negli anni; esige dippiù
che abbia la mano ferma, snella, nè mai tremante; che sia ambidestro con uguale
abilità; di vista chiara, distinta, permanente, acuta; d'animo intrepido ed
inesorabile se Vuol guarire chi affidasi alle sue cure, nè affretti o risparmi!
la recisione delle parti che il caso richiede, ma compisca la sua Operazione
come se le grida del paziente nessuna impressione facessero sopra di lui. I
giovani medici e chirurghi, dice Vicq-d'Azyr, trovano a preferenza utili
insegnamenti negli ospizi, ove ima saggia amministrazione diffonde ogni
soccorso alla umanità povera ed inferma. Ivi fra' moribondi ammalati, o fra i
convalescenti, si istruiscono essi a conoscere le diverse gradazioni della vita,
e gli orrori anche della morte: colà senza ostacolo alcuno si ricercano ne'varj
organi lo cagioni delle malattie, e la mano incerta dell'allievo può ben
esercitarsi sopra corpi inanimati : là il chirurgo si abitua a menomare una.
parte di quella sensibilità, che, se intera esistesse, Iremante e timido
renderebbelo, o se distrutta fosse, in uomo duro e crudele lo trasformerebbe:
ivi finalmente acquistasi l'esercizio di scorgere negli occhi, ne'lineamentì
del viso, ne' gesti, nel contegno tutto degli ammalati, que'scgni che
l'osservatore percepisce e distingue senza poterli ben descrivere, che indarno
si cercano ne'libri, c su' quali è troppo importante non ingannarsi. Un sangue
freddo imperturbabile, fra le richieste qualità, importa maggiormente al chirurgo
di possedere. Un lungo esercizio può- dirigere una mano da principio mal
adatta, ma nessun surrogato dà la fermezza d'animo a colui che non l'ha
ricevuta dalla natura. Haller ne era privo: giammai questo grand'uomo, tanto
profondo nelle teorie, osò praticare nessuna operazione sul vivente.
L'esercizio dà solo al chirurgo quella intrepida fidanza, che gb fa sostenere
le più difficili operazioni d' alta chirurgia ; e quella sicura calma
gl'infonde, che s'eleva sopra tutti gli ostacoli ed i pericoli. Forse più
favorevolmente bisognerà giudicarsi colui, che, operando per la prima volta,
sarà profondamente commosso dalla scena di quel tetro spettacolo, stomacato dal
peculiare odore del sangue, ed oppresso dalle grida del dolore, in confronto a
quell'altro, che, straniero alle impressioni della i pietà, conduce con
lentezza nelle carni palpitanti il tagliente strumento, con la calma medesima
come se incitasse i frodili inanimati organi di un cadavere. I più abili
chirurghi hanno durato fatica a sottrarsi da turbamento siffatto, e da
quell'interno tremito, acci gnendosi ad una complicata ed ardua operazione.
Dono della natura, la destrezza della mano è frutto talvolta dell'abitudine;
senza di ciò, l'operatore trovasi in difetto: I i - Quanto è penoso per gli
assistenti; e quanto è disonorevole per il chirurgo, una mano inabile, che
spinge a caso il tagliente scalpello ne' luoghi affetti, stranamente eseguisce
i più semplici processi', erra ad ogni istante attorno grosse arterie, e
tormenta l'infermo con moltiplicate dolorose manovre! Quante volte il coltello
de' litotomisti, poco esercitati o imperili, si è smarrito ue'còn torni della
vescica! Quei, che le circostanze hanno situato alla testa della chirurgia
operatoria negli ospedali, devono familiarizzare di buon'ora la loro mano
all'esercizio delle grandi operazioni. •; Alcuni operatori, che hanno mostrato
aver per precetto', sat bene, sìt sat cito, sì distinguono per l'estrema
abilita di operare; tali furono Sharp, Gheselden e Shankius. Taluni cisto toni
isti si vantano dì operare un calcoloso in meno di un minuto. Lécat operava con
mirabile celerità, malgrado la complicazione dei processi da lui usali. Questa
gloriola però ha costato la vita di parecchi pietranti: quantunque quelli- che
si operano bene, lo sono assai presto. Freudesberg, De abusis et impostura
medicantium tibetius. Se il medico sarà attivo, ma non spinto da simulato
interesse per la salute de'suoì ammalati, il di lui contegno nobile e franco,
la sua favella dolce ed affabile, l' animo suo compassionevole, rinascer
faranno il coraggio nel cuore dell'infelice, benché prossimo ad esalare
l'estremo soffio di vita. Pochi medici conoscono il modo di governare negli
infelicissimi infermi le ore fatali di agonìa. Non devon essi abbandonare i
pazienti } che allorquando avranno raccolto tutti i segni dimostrativi della
vicina morte; uè dovranno volger le spalle a' moribondi, finche rima ngon
costoro nella possibilità di avvertire l'abbandono di colui, nel. quale hanno
riposta l'ultima loro speranza. Il rispetto ad essi dovuto e le leggi di
umanità impongono al medico il dovere di rianimare la estinta loro speme,
occultare ed inorpellare il colpo tremendo che va a percuoterli, nutrendoli di
lusinghiere illusioni sino all' ultimo termine di loro esistenza; avvegnaché in
questo emergente, come in altri incontri, l'uomo esìge tacitamente essere
ingannato, ond' esser meno infelice. D'altronde gravi inconvenienti
emergerebbero dal sollecito inconsiderato dubitar del medico sulle risorse
della natura: il precipitato di lui pronostico accrescerebbe la riputazione di
chi succèder gli possa, scemando di gran lunga la sua. Con volto sempre placido
e tranquillo, avvicinatevi o dipartitevi d'un infermo in pericolo. Non è più
ormai in potere dell'arte renderlo a vita? Sarebbe proprio di un cuor feroce ed
inumano, parlar di lui in sua presenza come di uno già spedilo o aggiudicato a
capital condanna. 11 primo dovere del medico presso colui che è destinato
vittima di morte, è lo allontanare, por quanto sia possibile, gli orrori compagni
necessariamente di questo momento gravissimo. E non sonosi forse veduti più
infermi, in disperato stalo, essere richiamati a vita? Chi assicura dunque che
una incauta parola chiuder non possa la pietra sepolcrale sopra colui che
sfuggiva alla tomba? Tostoche l'ora tremenda per l'ammalato è pronta a suonare,
prevenuti quietamente i di lui congiunti, la religione impone al medico una
severa legge dì prepararlo ad adempire i grandi doveri ch'essa comanda. Momento
penoso e delicato! Quanta prudenza, quanta destrezza, quanta circospezione
abbisognano per eludere uno sfortunato che riguarda qtial' sentenza di morie la
presenza dell' Ecclesiastico ! Le consolazioni sublimi del cristianesimo, e la
calma resa ad un'agitata coscienza, hanno scemato senza dubbio più d'una volta
il peso esorbitante de' mali, di cui il corpo era oppresso; ma una rivoluzione
funesta nel fisico e nel morale dell'infermo, sono slati altresì qualche volta
i terribili effetti dell' imprudenza, con cui egli è stalo invitato ad occuparsi
di ascetiche meditazioni, e delle importune sollecitazioni colle quali una poco
illuminata pietà l'ha tormentato. Si possono vedere all' uopo le seguenti
opere: Bichter, De medico morientìs adspeclum magis tjuam mortuì Jugienle;
Frank, Polizia medica, traduz. Udì.; IIufelànd, L'art da prolungar la vie de l'homme,
(rad. de l'allem., ou la Macrobiotiqite. LA MEDICINA DELLO SPIRITO O LA CONOSCENZA DEL MORALE DELL’UOMO importa
assaissimo al medico. Non sono sempre i farmaci che guariscono un malato j i
saggi consigli, i discorsi che illuminano la ragione, le dimostrazioni
d'amicizia, che il cuore commovonò, sono pure mezzi efficacissimi per
ricondurre un infermo alla speranza ed alla vita. Chi ben conosce i caratteri
delle passioni, ne modera l'impulso, ed i movimenti a sua voglia dirige; e,
sminuendo la molesta loro influenza, strappa alla morte quelle vittime
acerbamente dispostevi. Ma chi appoggia la sua sapienza alla gretta abitudine
di poche forinole, vede perire sotto gli occhi proprii, d'un male di cui ignora
la natura, tanti sventurati, i quali soccombono occultando incautamente la
piaga che li consuma, alimentata con improvvida costanza. Si sa quanto importi
nelle malattie dello spìrito, dice Zimmerraann (Fon der Erfahrung ui der
Jineikunst), avere un medico che non badi di sacrificare il suo riposo ed i
suoi piaceri, onde prestarsi ognora in sollievo de'miseri ammalati; che si
faccia un essenziale dovere di entrare a parte de'loro affanni; che penetri
nell'umor del malato, e sia tratta* hile per mostrarsi con lui secondo le
circostanze esigono, e per soffrirne la sua miseria e la sua pusillanimità; che
sappia tacere quando è vano il parlare, cattivarsi il suo animo con la
piacevolezza quando è inutile ogni altro tentativo, e toccargli il cuore con
delicati e nobili sentimenti, tu ti a volta che il di lui seno si apre ad essi,
come la terra . isquallidila dal lungo orrore dell'inverno, rhigiovinisce e
risorge al rinnovellarsi della fiorita primavera. L'arte di leggere e
perscrutare nel cuore degli uomini è adunque indispensabile al medico; e spesso
questa è l'unica che gli rimane ad usare. Faccia quindi uno studio profondo
delle loro passioni, si eserciti a sorprendere i più occulti loro pensieri,
sappia discernere, malgrado costanti abnegazioni od accorta dissimulazione, la
verità nelle risposte di un infermo, il quale maschera e sa nascondere spesso la
natura dell'insidioso vcleuo che a larghi sorsi ha bevuto. Senza una grande
abilità ili quest'arte, necessariamente importantissima, non potrà mai il
medico governare un misantropo, trargli dal cuore gli annidati secreti,
vinicere l'estrema sua diffidenza, e renderò la calma all'agitata sua
immaginazione. Senza una estesa cagni 496 zione de' disordini dello spirito
umano, vani soccorsi opporrà egli a numeroso stuolo di malattie nervose che
infestano la società. Le passioni hanno troppa influenza sull'uomo fisico:
laonde come rimediare ai frequenti disordini che nella sua organizzazione
cagionano, se i caratteri se ne ignorano nè rintracciare si sappiano? La
debolezza dello spirito umano non permette soventi volte potervisi cancellare
quelle idee di cui è impressionato, fuorché d'altre solamente preoccupandolo.
Celso consiglia a'medici ciò che da altri è stato più volte ripetuto,
correggere cioè una passione con un' altra. Per signoreggiare sulla fiducia di
un malato, non bisogna urtare le sue tendenze, ma lusingarle, blandirle; egli
rivoltasi contro la ragione, se a lui si appresenta con severa fronte, ed ei
chiude il suo cuore a chi non sa compatire i suoi trascorsi e le sue debolezze.
Non si può allontanare il nostalgico da'suoi cupi lugubri pensieri fuorché
ragionando del suo paese, uè i sospiri di un amante disavventurato scemar si
possono se non seco parlando dell' oggetto de' suoi voti. Erasislrato, per le
circostanze di quel celebre scoprimento di affetti che Stratonica inspirava,
apri l'adito ad Ippocrale onde riconoscere l' amore di Perdicca per Filla, ed a
Galeno quello di una romana per il danzatore Pìlade; senza dir oltre di
consimili particolari che di frequente accadono, ma ignorati dalla storia
pubblica de'fasti medici. L'importanza de'morali . soccorsi nella terapeutica è
tanto estesa ed energica, che gli antichi riguardavano la morale, la filosofia
e l'eloquenza come utilissimi medicinali. Ed in effetto la impressione che
eseroi tano sull'anima, salutari mutamenti fisici spesso cagionar deve. Quanto
è superiore al medico limitato all'arte di forraolarej colui fra'suoi colleglli
che ad un vasto sapere unisce una elegante locuzione, un fondo inesausto di
principii dettati dalla ragione, uno spirito in gegnoso perfezionato dalla
coltura delle lettere, ed una eloquenza cui nulla non può- resisterei Per
Fintini a unione con la morale, la medicina si estolle al rango eminente che
occupa fra le umane scienze; e chi la facesse consistere esclusivamente nella
cognizione delle proprietà de' medica menti, non sarebbe degno di coltivarla.
Si possono vedere in proposito le seguenti opere: Hipfocratis Opera, De prisca
medicina; Ljcetus, De optimo medico; Albertus, De medici officio circa animam
in causa sanilatis ; Idem, De convenienza medicinae cum theologia pratica;
CueitschiuSj De me~ dico nalurae magiaro; Bohemerus, De medicorum animae et
corporis in sanandis aegris conjunctione ; Fischer, De medici circa moralia et
phjsica in curandis morbis prudentia ; Hennmanius, De eloquentia medici; Petit
M. A., Médecìne du coeur; Cabakis, Bapport du phfsique et du maral de l'homme;
Alibert, Phjsio~ logie des passions. Il medico di eslesa pratica deve possedere
quella sensibilità, quella dolcezza, quella facilità d' umore senza di cui lo
spirito, 1' ingegno, il talento è quasi sempre pericoloso per colui che se ne
serve, ed inopportuno per quelli che ne abbisognano. La di lui amena ilarità
dipinta e trasfusa nelle sue maniere e ne'-suoi discorsi, sia il primo di tutti
i mezzi da -esso impiegati, onde il misero languente informo trovar possa in
lui non un uomo duro, ma un amico ingegnoso a fargli credere la possibilità
della speranza e del benessere, ed abile a guarirlo de' mali che lo tormentano.
Felice quel medico dalla natura formato umano, amabile, compassionevole! Felice
colui, che per comparire sensibile, non ha bisogno simulare il gesto, moderare
gli scoppii immoderati, rudi o imperiosi della sua voce, reprimere un carattere
violento ed altiero, ovvero occultare, sotto affettuose apparenze, un cuore
freddo, indifferente e morto alle dolci impressioni della pietà! Si proibisca
attentamente il medico a Rè stesso la freddezza e la taciturnità, ordinarie a
coloro che non hanno mai saputo o voluto domare il cagnesco loro umore, e che
indarno scusar vorrebbero con la seria profonda attenzione voluta dalla
investigazione delle malattie. Nessuna cosa può dispensarlo della piacevole
urbanità, per la quale la scienza si adorna ed abbella: nulla esclude, nella
sua professione, l'arte importantissima di soggiogare il pubblico con quella
forza che si modifica secondo il bisogno e la tempra ta n to.di versa dello
spirito umano. Qual decreto di Esculapio proibisce forse al medico di onorare
le Grazie? Un medico, che giungendo presso un malato, si limitasse ad
esaminarlo, dettare una forinola, e prender commiato, non potrà ottenere molta
celebrità. Il medico, dice Hoffmanno, non dee recarsi dall'ammalato per farsi
unicamente vedere, bisogna pure ch'ei parli. Che giova un muto sapere? Un
medico taciturno presenta alla società un essere inferiore al mediocre. Varj
dottori hanno dovuto una clientela numerosissima, unicamente al diletto de'loro
ragionari. Da noi medici si attende troppo nella società: ci suppongono, a
ragione, una educazione eccellente e svariate cognizioni; ma se noi resteremo
mutoli, il nostro tacere, il nostro silenzio si riterrà qual dichiarazione
espressa di nostra ignoranza. Tale è la società, né i medici hanno il potere di
riformarla; anzi a'pregiudizii moderatamente conformar si degano giono,
avvegnaché il capo d'opera dell'uomo è saper vivere a proposito (Montaigne):
vive ut in publico! Ma un mezzo termine esiste tra il cicalamento ed ii
silenzio: ogni medico di sguardo penetrante, conosce questo limite, e sa
intrattenére piacevolmente i suoi inalati senza stancarli con ridicola
ciarlatanesca loquacità. È impossibile, dice il riputalo Vicq-d'Azyr, che
ignorato possa restare per lungo tempo il carattere degli uomini pubblici.
Osservati incessantemente da persone interessale a ben perscrutarli, indarno
vorrebbero essi occultarsi o mentire. Un medico occupatissimo particolarmente
non può sottrarsi alla vigile penetrazione de'suoi malati, i quali si avvedono
bentosto se generoso egli sia, dolce, compassionevole, ovvero duro, ostinato,
severo. Da questa cognizione il pubblico deduce se gli fosse mestieri
impallidire o rassicurarsi, parlare o tacersi in presenza di colui che si è
fatto l'arbitro de'giorni dell'afflitto valetudinario; starglisi giulivamente
s'egli è amabile, od a prevenire il suo umore, se sventuratamente sarà di que'
malaugurati individui, che, aggiungendo la paura, il più grande di tutti i
mali, alle infermila di cui la specie umana è assalita, sembrano ignorare che
lo spaventare un moribondo, è fra le inumane azioni la più vile, crudele ed
ingiusta. Ma il medico puù meglio che altri far mostra del suo carattere d'uomo
probo per eccellenza, imparziale, integro, inaccessibile alle passioni od al
clamore del pubblico; anima energica senza esaltazione, cuore buono e sensibile
senza debolezza, costumi puri e dolci, franchezza inalterabile, discernimento
diritto, giudizio squisita, sapienza l erudizione, manifeste esser deggiono sue
doti Or ecco il medico al colpetto dell'infermo: l'agitazioni? che la presenza
sua cagiona, accelera in molti ammalati il movimento del polso; laonde di
quinto fenomeno bisogna tener conto nidi' esplorare la circola/ioni; ; « Cum
ftrìmum medivus vcia't, ha detto Celso, solitc'Uudo acgii d/diìtaittis ijuomodo
dli se /tubero vidcatiir arterìas inovct, oh quam caiisam periti medici est non
pmtinus ut venit, apprehendere ma/ut brachium; sed primuin residere hìlari
vultu .... tft" 1 deìnde ejus carpo immuni adiiioverc. Le donne, a cui la
natura ha dato de' nervi dotati di singolare mobilità, ed una organizz azione
molle, debole, tutta di sensazioni; le donne, naturalmente soggette a
moltiplicate dolorose malattie, in preda alle angosce le più crudeli, spesso
esposte a grandi pericoli durante il travaglio de' loro parti, sono interessale
a preferenza di trovare nel medico, che hanno scelto, un carattere garbato,
dolce, cortese, uno spirito llessibile, avvincente, un cuore affettuoso e
sensibile. Nè egli perverrà mai a piacer loro, se indifferente o stoico pur
sia; nè otterrà la loro benevolenza ed amicizia, se imperioso, duro,
inaccessibile si mostri. Pulitezza, amabilità, condiscendenza, pazienza a tutLa
prova, attenzioni adorne di seducente delicatezza, sono il maggior novero delle
qualità che esse esigono in colai che hanno investito della cura della loro
salute. E tostochè rassicurate si credono per le provale maniere, colme di
riguardi, sedotte dal linguaggio che provoca ed induce ogni intimità, esse
ripongono ben tosto nel medico la confidenza de'mali d'una languida e debole
struttura, lo fanno depositario di mille minuziosi secreti che hanno bisogno
manifestargli, ma per nasconderli in seno, alla fedele amicizia; esse gli
affidano ciò clie ritengono di più caro, la vita cioè dei loro figli, clie
eziandio dalla mano di lui per sè medesime fa ricevono. Allorquando finalmente
hanno giudicato l'animo suo ed ì suoi talenti in rapporto confacente al loro
carattere, egli allora è il loro consolatore, un angelo tutelare, un sostegno
necessario alla loro felicità. Se alcuni doveri in vantaggio degli ammalati il
medico non può mai infrangere, altri doveri i malati adempir debbono verso il
medico. Essi saranno sempremai costanti nella scelta che di lui hanno fatta,
onde non diffondere inconsideratamente a questo ed a quello le confidenze loro.
Adempiranno fedelmente tutto ciò ch'ei prescrive in sollievo della loro salute,
perchè a tanto impegno egli è stato prescelto ; nò trasgredir dovranno in
qualunque circostanza le additate prescrizioni e gli ordini imposti. E
finalmente devono guiderdonare le cure di lui colla dovuta gratitudine e
riconoscenza. La scelta delle persone per assistere gli ammalati non è
indifferente. Una fi so nomi a piacevole, una pazienza conosciuti ss ima, una
inalterabile- dolcezza, un. cuore compassionevole, sono le qualità principali
delle donne da prescegliersi al nobile ma penoso incarco di servire gl'infermi.
Ed in ciò gli uomini non possono pareggiarle giammai. Esse sole sanno dare'
agli infelici, consumati da patimenti crudeli, ogni minuto soccorso che il
deplorabile loro stato richiede, sollevar con leggerezza i loro membri addolorati,
e con attedia e carezzevole mano destramente supplire a quella languente
inazione. I più circospetti premurosi servigi, i più teneri riguardi, tutto
profondono agli infermi affidati alla loro vigilanza: né i portamenti in
apparenza capricciosi di uno sventurato, sovente reso ingiusto ed esigente per
lo eccesso de' mali suoi, nè le fatiche, nè i disgusti, nè i pericoli, menomar
possono o indebolire il loro zelo, esaltato talvolta sino all'eroismo, che
niente mutasi al letto del dolore. Ricavando Ì particolari sullo stato del
vostro infermo, abbiate cura di nulla dire che possa spargere il turbamento o
la paura nel di lui animo: nè fate alcun moto, alcun gesto, che possa
interpretarsi in modo sinistro da una mente ingegnosa a rivolgere tutto in
proprio svantaggio. E già vedetelo cercar la sua sorte nella espressione della
vostra voce, nel vostro contegno, nel vostro silenzio. Gli avidi suoi sguardi
chiedono agli assistenti la fatale sentenza, ch'egli teme qual ultima: nessuna
cosa è per lui indifferente ; ei tutto indaga, egli è tutto occhi, tutto
orecchie. E quando bisogna rassicurare la esaltala imaginazione di un infermo,
i migliori ragionamenti non valgono quanto una idea falsa, che, non preveduta e
bruscamente espressa, si tro. vassé in opposizione totale coll'oggetto de'suoi
timori 11 chiarissimo Petit ha fatto sentire vivamente l'interesse del
precetto, che non bisogna giammai .parlare de'funesti avvenimenti d'una
malattia innanzi di colui che potrebbe temerne le conseguenze. Non parlate-mai
di morte coi vecchi e coi tnori bendi. Se dovrete eseguire una grave
operazione, evitate dichiararla; ma imprimete un'idea di speranza e di buon
esito per tal temuto istante, servendovi pressappoco d'alcuna ingegnosa
perifrasi, come: il momento allorquando io vi libererò; ovvero: quando
cesseranno i vostri mali ec. Su di ciò nessuno ha pensato meglio del citato
Petit; nò con maggior finezza o più eloquenti maniere si è giammai espresso.
Astenetevi presso un infermo pericolante da un turbato contegno, o da
tumultuosi movimenti. Accorrete forse contro una pericolosa emorragia? non
dimenticate che il vostro primo impegno debb'esserc di signoreggiare
immantinente sul morale dell'individuo. Se incerto, agitato vi vedesse, ei
perderebbe ogni fiducia e si crederebbe perduto. Sottraetegli destramente lo
spettacolo degli stranienti di cui vi servite, e più di tutto lo spargimento
del proprio sangue. Qual funesta impressione non farebbe su giovane donna,
nervosa, esaurita per uterina emorragia, l'aspetto d'uno ostetrico, il quale,
con le maniche ripiegale sino al gomito, le mani, le braccia, il viso, gli
abiti bruttati di sangue, la tormentasse con le più aspre manovre, e, dopo
averle fatto soffrire un lungo e doloroso supplìzio, facesse mostra di esitare,
e le lasciasse travedere la scoraggiante impotenza dell' arte! Allontanale da
un malato che state per sottoporre a qualche importante operazione, tutto ciò
che sbigottir potrebbe il suo cuore e portare lo spavento nel suo spirito,
diggia pel timor del dolore agitalissimo. L'uomo più coraggioso ed intrepido
non vede giungere senza fremere rabbonito momento. In quali angosce suppor si
debbe colui che, debole e pusillanime, si è pur deciso sottoporsi a' crudeli
soccorsi dell'arte, dopo lunghe esitazioni e penosi contrasti! Guardatevi di
oltraggiarlo o ferirlo colle più insignificanti facezie, le quali tanto più
crudeli sarebbero quanto maggiormente inopportune. Imponete a' vostri aiutanti
ed agli astanti un silenzio assoluto. In siffatti terribili istanti, tutto ciò
che vi attornia deve respirare la calma più tranquilla e perfetta. Alcuni
infermi prossimi alla tomba, sospettando il loro stato, supplicano il medico a
dichiarar loro in qual .situazione siano ridotti. Istanze pressanti, commoventi
preghiere, nulla tralasciano per vincere la ripugnanza di lui: lo illudono
interessandolo sulla necessità di metter ordine ad importanti affari} gli
vantano il loro coraggio, simulano una perfetta rassegnazione alla sorte loro:
diffidi il medico di tali fìnti motivi. Parecchi infermi, che si vantano mirar
la morte senza timore, conservano tuttavia una forte secreta speranza d'essere
ricondotti alla perduta salute, nè udir possono quella tremenda verità senza
darsi in preda ad orribile disperazione. Alcuni di questi sventurati hanno
punito l'incauto medico di sua imprudente condiscendenza con darsi spontanea
morte. Bisogna morire, egli è incontrastabile, quando batte 1' ora di morie; ma
è fatale il volersi intuonare la requie, quando il coraggio e la intrepidezza
potrebbero trionfare ancora sovra la lunga notte del sepolcro. Si possono
consultare in proposito le seguenti opere: LutheEj De praecipuis cautelis
praxin adeimti juxta clinicos probe aUendenlis; W. Wedelius, De officio
aegrotanlium; Bienve.w, Des qualitis morales du m£decin, et de la condotte
qu'il dtsit tenir auprès des malades; Detebgie, Àrlic. Consultatìons, dans le
Dici, de Mèd. et Chir. praliq.; Vavasseur, Manuel de patJiolog. génèr.; Angeli,
// medico giovane al leUo dell ammalato. Lieto il medico d'essere stato utile
al suo ammalato, il premio delle sollecite penose sue cure dovrà giustamente
attendere. Eppure bisogna assuefarai alla sconoscenza de' clienti, ed abituarsi
a sollecitare un compenso, più spesso ritardato dal ricco, meno esalto d'ogni
altro. Desideraci cosa sarebbe il gratuito esercizio della medicina: ma in qual
classe della società trovare individui animati d' ardentissima filantropia, per
consacrarsi a' disgusti e pericoli di questa professione, senza altro
guiderdone fuorché la virtù? Di qual pane vivrà il medico e la di lui famiglia?
Cessi ornai la società di calunniare i medici, poicbè dal suo seno sono
prodotti; uè essendo una specie d'uomini eccezionali, son eglino, come tutti
gli altri, ciò che la natura e le civili istituzioni ebbero a formarli. Ogni
fortuna suppone in sua origine un salario, un lucro otl una rapina. Questa
sorgente è accresciuta per successioni. Ma se il negoziante che si arricchisce
calcolando i bisogni delle derrate, se V artigiano che appigiona ii suo braccio
o vende il frutto del suo lavoro, se il nobile che pone al soldo la sua spada,
niente operano che si possa loro biasimare senza fare la satira dello stato
sociale, chi oserebbe vituperare e riprendere il medico che accetta o richiede
qualche onorario per cura ed assistenza ad un malato prestata? Per esser capace
di opera cosiffatta, ha consumato egli una parte della sua vita, ha erogato
porzione delle sostanze sue O della sua famiglia, ha sequestrato la sua
gioventù in severe discipline lungi d' ogni diletto, finalmente egli ha
travagliato per la società, e questa mostar gli si deve riconoscente. Se gli
individui che esercitano l' arte di guarire avessero parte a' primi onori dello
Stato, vedrebbesi precipitare nella loro coorte tutti quelli che la fortuna ha
colmato de' doni suoi. Allora la medicina esser potrebbe gratuita, pagando la
società in onorificenze ciò che in costosi servigi riceve. Ma l'esercizio della
medicina attualmente procura appena qualche considerazione; un medico gode
alcun credito, occupa talora un posto, tos toch è abbandona la sua professione,
ovvero allorquando, giunto a sufficiente fortuna, riposa tranquillo gli stanchi
suoi giorni. La vista d’un medico ha qualche cosa di apprensivo, perchè ridesta
ciò che ogni uomo maggiormente teme e detesta dopo la indigenza o la morte, la
malattia. £ qual mezzo si adopera oryle risolversi ad onorare colui che tanto
giova all'umanità? Iticupe rata la sanità da chicchessia, cominciasi a
dimenticare il male già terminato, ed insieme in ente dileguasi la ricordanza
del medico, e la riconoscenza ccu tunicatamente a lui riprotestata. Questa
condotta degli ammalati disgusta ed indegna il medico principiante, quantunque
animato d'ogni nobile sentimento, che i progressi poi dell'età estinguono in
ogni cuore. Perchè egli desiderava amicizia gli si nega la stima, anzi si
opprime di sarcasmi, fors'anco di villanie, finché una nuova malattia riproduce
l' umile preghiera c la vile e bassa adulazione, suggerite dal timor della
morte. Ingannato nelle sue fantastiche speranze, dà egli uno sguardo beranza
gl'infelici loro clienti, occultando l'avida loro cupidigia sotto la capziosa
maschera dello zelo. Crcderebbesi egli mai che agli ammalati ed ; agli
assistenti l'impostore l'assembra uomo filantropo ed abile, mentrechè il
circospetto vien supposto ignorante e disattento! E ciò avviene perchè i
movimenti delle gambe, dèlie braccia, e della lingua principalmente, sono
valutabili soltanto dall'ammalato, ossia da giudici incompetenti. Ma ognuno dee
far sacrificii nell'interesse della società: ciascuu le deve un tributo, ed il
medico più che ogn' altro; egli, i cui doveri sono consacrati all'umanità, ne
darà il buon esempio, ricavando costantemente per l'esercizio del suo ministero
la soddisfazione' di avere agito secondo coscienza e possibilità. Laonde se le
mediche funzioni espongono tutto giorno chi le adempie allo sdegno
dell'ignoranza), all'obblio dell'ingrato, agli oltraggi del calunniatore: se
troppo disgraziato sentesi. il medico, :-, perchè la sua 1 riputazione,
acquistata penosamente opn. veglie, privazioni e stenti, da' capricci della
moltitudine totalmente; dipende : ise, : per'.' bene adompirc i penosi doveri!
che gli si impongono, rinunciar gli bisogna tutti i godimenti della vita c la
domestica sua libertà, -egli trova, però nell'esercizio stesso della
professione qualche compenso, che da così numerosi ed ines ideabili contrasti
in parte lo risarcisce. La stima del poco numero di uomini assennati Io
consola, c gli f;i dimenticare la gelosa invidia degli emuli, e la fredda
indifferenza ingratissima di coloro che maggiormente obbligali gli sono egli
deggiono riconoscenza. L'intimo convincimento e la verace persuasione che i
suoi malati hanno ricevuto tutte le cure che lo stato loro esigeva e da lui
apprestar si potevano, lo sottraggono agl'insulti dell'affannoso rimorso, ed
invulnerabile Io rendono all' avvelenato strale delia smaniali Le invida
malignità, allorquando un avvenimento funesto non si è potuto prevenire da'
soccorsi dell'arte nò per gli sforzi della natura. Una coscienza calma e
tranquilla, assicurando a La buona compagnia che l'onta francheggia n Sotto
l'usbergo del sentirsi pura, è già la ricompensa del medico, che esercita con
probità ed onore i suoi doveri, Il guiderdone cT una buona azione, è di averla
fatta : Recte farti, fecìsse merces est; diceva Seneca (epist.); Le frali iTun
b'tenfait, d'est le bienjuil lui-méme, Egli è contento e pago del bene da luì
fatto, e molto può farne. Lo infelice a preferenza l'implora, ed ei seco
conduce la speranza e la consolazione nell'asilo della miseria : e le
benedizioni degli sventurati, sono il compenso di cosiffatte beneficenze,
premiate da calde lagrime di immutabile riconoscenza. Tostochè un medico giugne
a ridonare un ma 2(3 lato dati' orlo della tomba alla vita : allorquando ei
conduce ad assicurata convalescenza un disgraziato, già sottoposto a chirurgica
pericolosa operazione; questi fausti risultameli d'ogni sua cura largamente lo
indennizzano. Colui che è stato salvato, diviene suo amico e fratello. Il
vederlo, gli procura la più singolare e deliziosa compiacenza j ed il mutamento
più vantaggioso di sua fortuna non gli apporterebbe una pari così grata gioia.
Al contento di togliere una de- signata vittima alla morte, niente è che
agguaglia. Un infermo ch'egli ha liberato da gravissimi peri- coli, lo consola
d'essere stato meno felice in altri in- contri. ' ! . i . ; i i i i ' Il medico
adunque, tolte alcune eccezioni, ndn acqui- sta generalmente vistosa e grande
fortuna : ma il frutto de'tooi lavori non è esposto mai a repentini
sconvolgimenti, che spesso rovesciano il commer- ciante dall'estrema dovizia
nell'estrema miseria. Egli gode d'una sorte piacevole e tranquilla; egU.c posto
in quella buona e sicura mediocrità, ohe,, fra .tutte ic condizioni della vita,
è la più compatibile con la felicità. Accollo, gradito, festeggiato nella
società; stimato dalla gente di lettere, desiderato dal ricco e dal pitocco, il
medico, sino alla più tarda età, vive amato, onorato, richiesto da ognuno.
Montuus, De stìpendìis medicorum. In questa Monografia sono stati i medici
Spesse Tolte da me lodati con ingenua franchezza, an- tGoradhó sia- del lóro
numero anch'io. Mi sono iit- igegnato ìàre il loro elogio senza prevenzióne, né
-ho dissimulato i loro difetti. Ho esposto i,loro doveri, ed ho curato
mostrarli quali realmente pur 'son^ij^r^ii&repj^ritato/iliii^mproyece di
parzialità,? ÌS,ox io crédo averlo. heoe evitalo.! n tiniw$ rthtv '.( M. Vr^.tVstV <-v,-v
.w.s^l*U ifliifc. Roberto Sava.
Sava. Keywords. Refs.: dovere, i doveri – pregi. Luigi Speranza, “Grice e Sava”
– The Swimming-Pool Library.


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