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Saturday, June 21, 2025

GRICE ITALO A-Z S SA

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Sarpi: la ragione conversazionale della meta-fisica del fenice, o l’arte del bien conversar – filosofia veneta – la scuola di Venezia – filosofia veneziana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Venezia). Filosofo veneziano. Filosofo veneto. Filosofo italiano. Venezia, Veneto. Very important Italian philosopher. Definito d’Acquapendente come oracolo, autore della celebre Istoria del Concilio tridentino, subito messa all'indice. Fermo oppositore del centralismo monarchico di Roma, difendendo le prerogative della repubblica veneziana, colpita dall'interdetto emanato da Paolo V. Rifiuta di presentarsi di fronte all'inquisizione romana che intende processarlo e sube un grave attentato che si sospetta sta organizzato dalla curia romana, "agnosco stilum Curiae romanae", che nega tuttavia ogni responsabilità. L'infanzia e una ritiratezza in sé medesimo, un sembiante sempre penseroso, e più tosto malinconico che serio, un silenzio quasi continuato anco co' coetanei, una quiete totale, senza alcun di quei giuochi, a' quali pare che la natura stessa ineschi i fanciulli, acciò che col moto corroborino la complessione: cosa notabile che mai fosse veduto in alcuno. Poi, così serve in tutta la sua vita, et all'occasioni dice non poter capir il gusto e trattenimento di chi giuoca, se non fosse affetto d'avarizia. Un'alienazione da ogni gusto, nissuna avidità de' cibi, de' quali si nutre così poco, che restava meraviglia come stasse vivo. Nell'anno in cui proseguivano le sedute del Concilio di Trento, Carlo V e in guerra con i prìncipi protestanti tedeschi e il Parlamento inglese adotta un Libro di preghiere d'ispirazione luterana. Figlio di Francesco di Pietro S., di famiglia di lontane origini friulane -- precisamente di San Vito al Tagliamento -- e mercante a Venezia eppure, scrive Micanzio, per la sua indole violenta più dedito all'armi ch'alla mercatura. La madre, veneziana, d'aspetto umile e mite e Isabella Morelli. Rimasta vedova, fu accolta con il suo figlio e l'altra figlia Elisabetta nella casa del fratello A. Morelli, prete della collegiata di Sant'Ermagora. Con lo zio, uomo d'antica severità di costumi, molto erudito nelle lettere d'umanità addottrinando nella grammatica e retorica molti fanciulli della nobiltà, fa i primi studi, imparando presto e con facilità. A dodici anni, nell’anno dell'istituzione, dopo la chiusura del Concilio, dell'Indice dei libri proibititra i tanti, vi finirono il Talmud e il Corano, il De Monarchia di Dante e le opere di Rabelais, Folengo, TELESIO, MACHIAVELLI, ed Erasmo, passa alla scuola di Capella, dell'Ordine dei Servi di Maria, seguace delle dottrine di Scoto. Capella gli insegna logica, filosofia e teologia, finché il ragazzo fece così rapidi progressi che il maestro istesso confessa non aver più che insegnargli. Con altri maestri veneziani apprese la matematica, la lingua greca e l'ebraica. Con la familiarità e co' studii entra Panco in desiderio di ricevere l'abito de' servi, o perché gli paresse vita conforme alla sua inclinazione ritirata e contemplativa, o perché vi fosse allettato dal suo maestro, malgrado l'opposizione della madre e dello zio che lo voleva prete nella sua chiesa, entra nel monastero veneziano dei servi di Maria. Continua ancora a studiare con il Capella, rimanendo alieno dalle distrazioni proprie della sua età finché in occasione della riunione a Mantova del capitolo generale dell'Ordine servita, mandato in quella città «ad onorar il congresso e far vedere che gl'ordini non sono oziosi, ma spendono il tempo in sante e lodevoli operazioni, difendendo 318 delle più difficili proposizioni della filosofia naturale. Il qual carico con che felicità lo sostenesse e con che giubilo e stupore di quella venerabile corona, si può dall'evento argomentare. Essersi così distinto agli valse la nomina a teologo da parte del duca di Mantova. Prencipe di grandissimo ingegno, così profondamente erudito nello scienze, che difficilmente si discerne qual fosse maggiore, o la prudenza di governare, o l'erudizione di tutte le scienze et arti, sino nella musica, mentre il Boldrino gli affida la cattedra. Stabilito nel convento di San Barnaba, perfeziona la conoscenza della lingua ebraica e inizia, col puntiglio consueto, ad applicarsi agli studi storici. E certo a motivo di quest'interesse che a Mantova frequenta Olivo, già segretario di Gonzaga, cardinale e legato pontificio nelle ultime sessioni del concilio di Trento, la cui caduta in disgrazia presso Pio IV coinvolse anche l'Olivo che fu dagl’inquisitori molto travagliato, col tenerlo longamente in carcere dopo la morte del cardinale suo signore, ma che ora, dopo la morte del pontefice, vive privatamente in Mantova. Il gusto principale che riceva in conversare con lui e perché lo trovava d'una moderazione singolare, erudito, e che, per esser stato col cardinale a Trento, ha gran maneggio in quelle azioni e sa tutte le particolarità de' negozii più secreti, et ha anco molte memorie, nell'intendere le quali riceve molto piacere. Sono gli anni in cui in Italia continua con vigore la repressione inquisitoriale di Pio V. P. CARNESECCHI venne decapitato. Gl’ebrei sono espulsi dallo stato pontificio tranne che da Roma e da Ancona, nei ghetti delle quali vennero costretti a risiederee. E impiccato l'umanista A. Paleario. Il papa scomunica Elisabetta d'Inghilterra, oorganizzò la Lega contro i turchi, ottenendo la vittoria navale di Lepanto e a Parigi, a migliaia di ugonotti sono massacrati. Fa la sua professione, entrando ufficialmente nell'Ordine servita. Anche di lui l'Inquisizione si occupa seguito della denuncia di un confratello che lo accusa di sostenere che dal primo capitolo del Genesi non si può ricavare l'articolo di fede della trinità. Ma, poiché effettivamente di trinità divina non vi è traccia nel vecchio testamento, l'inquisizione gli diede ragione, archiviando il caso. Dopo aver ricevuto nel convento mantovano il titolo di baccelliere, e invitato a Milano da Borromeo il quale, dopo aver ottenuto dalle autorità contro la volontà del Senato, il riconoscimento del tribunale e della polizia diocesana, avvia un processo di riforma del clero. Ottenne di essere trasferito nel convento dell'Ordine servita di Venezia, dove e incaricato dell'insegnamento della FILOSOFIA e continua i suoi studi scientifici. Nella grande epidemia di peste, che imperversa a Venezia, facendo 50.000 vittime tra le quali Tiziano frimase immune dal contagio. Dopo essersi addottorato a Padova, e nominato reggente del convento di Venezia e priore della provincia veneta. Durante il Capitolo a Parma, nel quale venne rieletto priore G. Tavanti, tenne una dissertazione di fronte ai cardinali protettori dell'Ordine, Farnese e Santori. Uno dei tre saggi, insieme con Franco e Giani, incaricati di preparare una riforma della regola. Il carico suo speziale e d'accommodare quella parte che tocca i sacri canoni, le riforme del concilio di Trento, allora nuove, e la forma de' giudizii quella parte tutta ove si tratta de' giudizii accommodatamente allo stato claustrale. Lascia in questo carico in Roma fama di gran sapere e di molta prudenza, non solo nelle corti de' due cardinali suddetti, co' quali, per ordine contenuto in un breve apostolico di Gregorio XIII, conviene conferire ogni legge che si fa, ma anco e necessario molte volte trattar col pontefice medesimo. Sbrigato da quale peso ritorna al suo governo. Si tenne a Bologna il nuovo Capitolo dell'Ordine servita e viene eletto procuratore generale, la suprema dignità di quell'ordine dopo il generale il carico porta seco di difender in Roma tutte le liti e controversie che vengono promosse in tutta la religione. Dove pertanto trasferirsi a Roma dove conobbe e prende strettissima familiarità col padre Bellarmino poi cardinale, e dura l'amicizia sin al fine della vita, grazie al quale forse puo prendere visione di diversa documentazione relativa alle istruzioni date ai legati pontifici durante il Concilio di Trento. Conosce anche il dottor Navarro, teologo difensore dell'arcivescovo di Toledo, B. Carranza, accusato di eresia, il gesuita Bobadilla e il cardinale Castagna, poi Urbano VII. Ha occasione di passare a Napoli per presiedere Capitoli e conversare con quel famoso ingegno Porta, il quale, anco nelle sue opere mandate in luce, fa onorata menzione del padre Paolo come di non ordinario personaggio. Scaduto il periodo di carica a procuratore generale dell'Ordine servita, ritorna a Venezia, frequentandovi i circoli intellettuali che si riunivano nella bottega di Sechini e nella casa del nobile veneziano A. Morosini, dove conobbe anche BRUNO. A Padova frequenta la casa di Pinelli, il ricetto delle muse e l'academia di tutte le virtù in quei tempi, dove iincontrare Galileo e Bruno, il quale s'intrattenne a Padova più di tre mesi, poco prima di essere arrestato a Venezia. Si dove scegliere il generale dell'Ordine servita, e fra i due principali candidati, Baglioni e Dardano, si espresse a favore del primo. Il rancore spinse Dardano a denunciarlo al Sant'Uffizio, accusandolo di negare efficacia allo Spirito Santo, di avere rapporti sospetti con ebrei e allegando una lettera che fgli scrive da Roma, nella quale sono contenute alcune parole in discredito della corte, come che in quella si viene alle dignità con male arti, e di tenerne esso poco conto, anzi abominarla. Senza nemmeno essere chiamato a Roma per discolparsi, e subito prosciolto da ogni accusa. Ma il cardinale di Santa Severina, G. Santori, protettore dell'Ordine e capo del S. Uffizio, mostrò però implacabile indignazione autilizzando tutta la sua autorità per escludere gli amici dalli gradi et onori con maniere così strane e fini così bassi, ch'io non ardisco poner i casi che mi sono stati dati in nota, perché troppo gran scandalo arrecherebbono al mondo. Continua i suoi studi mentre non cessano le rivalità nell'Ordine servita, del quale venne eletto priore, Montorsoli, che morì tre anni dopo, succedendogli così, Dardano, accanito avversario del S.. Questi, deciso a uscire dall'Ordine per sottrarsi all'inimicizia dalla quale si sentiva circondato, cerca di ottenere un vescovato, prima a Caorle e poi a Nona, in Dalmazia, che però gli vengono rifiutati a causa delle negative informazioni che di lui il Dardano e Gagliardi, preposito della casa veneziana dei gesuiti, diedero al papa. Esse ssente mormorare alle volte che egli con alcuni facci una scoletta piena d'errori. Non solo: nel Capitolo, Dardano l’accusa di portare una berretta in capo contra una forma che sino sotto Gregorio XIV disse esser proscritta; che portasse le pianelle incavate alla francese, allegando falsamente esserci decreto contrario, con privazioni divote; che nel fine della messa non recita lo Salve Regina. E assolto anche da queste accuse. La Repubblica veneziana, stretta a nord dall'Impero, in Italia dalla prevalenza spagnola e papale, in Oriente dalla potenza turca, e ormai avviata a quel lungo declino politico ed economico che a la sua sanzione. Alla prudente politica dei patrizi, rasseglla compromissione con l'Impero e il papato, si sostituì quella degli innovatori, i cosiddetti «Giovani», decisi a sottrarre la Serenissima all'invadenza ecclesiastica nell'interno e a rilanciarne le fortune commerciali nell'Adriatico, compromesse dal controllo dei porti esercitato dallo Stato pontificio e dalle azioni degli Uscocchi, i pirati cristiani croati appoggiati dall'Impero. Iil Senato veneziano proibì la fondazione di ospedali gestiti da ecclesiastici, di monasteri, chiese e altri luoghi di culto senza autorizzazione preventiva della Signoria. Un'altra legge proibiva l'alienazione di beni immobili dai laici agli ecclesiastici, già proprietari, pur essendo solo un centesimo della popolazione, di quasi la metà dei beni fondiari della Repubblica, e limita le competenze del foro ecclesiastico, prevedendo il deferimento ai tribunali civili degli ecclesiastici responsabili di reati di particolare gravità. Avvenne che il canonico vicentino S. Saraceno, colpevole di molestie a una nobile parente, e l'aristocratico abate di Nervesa, Brandolini, reo di omicidi e di stupri, sono incarcerati. Paolo V emana due brevi richiedenti l'abrogazione delle due leggi e la consegna al nunzio pontificio dei due ecclesiastici, affinché secondo il diritto canonico fossero giudicati da un tribunale ecclesiastico. Il nuovo doge Donà fece esaminare i due brevi da giuristi e teologi, fra i quali S., affinché trovassero modo di controbattere alle richieste della Santa Sede. Venne nominato teologo canonista proprio S. e lo stesso giorno il suo scritto: Consiglio in difesa di due ordinazioni della Serenissima Repubblica, venne inviato al Papa. Difese le ragioni della Repubblica con numerosi saggi. Sono di questi mesi la scrittura sopra la forza e validità delle scomuniche, il consiglio sul giudicar le colpe di persone ecclesiastiche, la scrittura intorno all'appellazione al concilio, la scrittura sull'alienazione dei beni laici agli ecclesiastici e altri ancora, poi raccolti nella sua successiva “Istoria dell'interdetto”. In quell saggio è contenuta anche un saggio sulla validità della scomunica, attaccato da BELLARMINO, al quale rispose allora con l'Apologia per le opposizioni do Bellarmino. Mentre Micanziosuo inizia a collaborare dopo che Paolo V scomunica il consiglio veneziano e fulminato con l'interdetto lo Ssato veneto, pubblica il protesto del monitorio del pontefice, nel quale il breve papale Superioribus mensibus è definito nullo e di nessun valore, mentre impede la pubblicazione della bolla pontificia. Obbedendo alle disposizioni del papa, i gesuiti rifiutano di celebrare le messe a Venezia e la Repubblica reage espellendoli insieme con cappuccini e teatini. Parteno la sera alle doi di notte, ciascuno con un Cristo al collo, per mostrare che Cristo parte con loro. Concorse moltitudine di populo e quando il preposto, che ultimo entra in barca, dimanda la benedizione al vicario patriarcale si leva una voce in tutto il populo, che in lingua veneziana grida loro dicendo "Andé in malora!". A Roma si spera che l'interdetto provocasse una sollevazione contro i governanti veneziani ma i gesuiti scacciati, li cappuccini e teatini licenziati, nissun altro ordine parteno, li divini uffizi sono celebrati secondo il consueto il senato e unitissimo nelle deliberazioni e le città e populi si conservano quietissimi nell'obbedienza. Venezia era alleata, in funzione anti-spagnola, con la Francia, ed era in buoni rapporti con l'Inghilterra e con la Turchia. Fingendosi veneziani, soldati spagnoli, per provocare la rottura delle relazioni turco-veneziane, sbarcano Durazzo, saccheggiandola, ma la provocazione e facilmente scoperta e i turchi offreno a Venezia l'appoggio della loro flotta contro il papa. L'Inquisizione l’intima di presentarsi a Roma per giustificare le molte cose temerarie, calunniose, scandalose, sediziose, scismatiche, erronee ed eretiche contenute nei suoi saggi ma naturalmente si rifiuta. Invano il papa che scomunica Sarpi e Micanziosi dichiara favorevole a portare guerra a Venezia. La sua unica alleata, la Spagna, minacciata da Francia, Inghilterra e Turchia, non puo sostenerla in quest'impresa e si giunse così alle trattative diplomatiche, favorite dalla mediazione del cardinale Joyeuse. Venezia rilascia i due ecclesiastici incarcerati e ritira il suo protesto al papa in cambio della revoca dell'interdetto, mentre le leggi promulgate dal Senato veneziano restarono in vigore e i gesuiti non possono rientrare nella Repubblica. Riceve Schoppe, molto intimo dei segreti affari della curia romana, il quale gli confide che il papa, come gran prencipe, ha longhe le mani, e che per tenersi da lui gravemente offeso non puo succedergli se non male, e che se sino a quell'ora avesse voluto farlo ammazzare, non gli mancavano mezzi. Ma che il pensiero del papa e averlo vivo nelle mani e farlo levare sin a Venezia e condurlo a Roma, offerendosi egli, quando volesse, di trattare la sua riconciliazione, e con qual onore avesse saputo desiderare. Asserendo d'aver in carico anco molte trattazioni co' prencipi alemanni protestanti e la loro conversione». Schoppe, ambiguo provocatore, intende convincerlo a mettersi nelle mani dell'inquisizione come miglior partito che puo prendere, tanto parvero strane le due proposte di far ammazzare o prender vivo il padre. I disegni omicidi sono reali. Circa le 23 ore, ritornando al suo convento di San Marco a Santa Fosca, nel calare la parte del ponte verso le fondamenta, e assaltato da V assassini, parte facendo scorta e parte l'essecuzione, e resta l'innocente ferito di tre stilettate, due nel collo et una nella faccia, ch'entrava all'orecchia destra et usciva per apunto a quella vallicella ch'è tra il naso e la destra guancia, non avendo potuto l'assassino cavar fuori lo stillo per aver passato l'osso, il quale restò piantato e molto storto. I sicari, fuggendo, trovano rifugio nella casa del nunzio pontificio e la sera s'imbarcano per Ravenna, da dove proseguirono per Ancona e di qui raggiunsero Roma. Si conoscono i loro nomi: l'esecutore materiale dell'attentato e Poma, già mercante veneziano, poi trasferitosi a Napoli e di qui a Roma, dove divenne intimo del cardinale segretario di Stato S. Caffarelli-Borghese e dello stesso Paolo V. E co-adiuvato da tre uomini d'arme, tali A. Parrasio, Giovanni da Firenze e Bitonto, mentre «a spia, o guida e Viti, solito offiziare in S. Trinità di Venezia, che non lascia dubitare quanti mesi precedessero questo bel effetto prima che fosse mandato alla luce. Poi che Viti la quadragesima antecedente, sotto specie d'aver gusto delle predicazioni del padre maestro Fulgenzio, anda ogni mattina in convento de' servi alla porta del pulpito, che risponde alla parte di dentro, e cortesemente tratta con lui, ricercandolo anco di qualche dubbio di coscienza. E continua di poi sempre a salutarlo et anco andar in convento a visitarlo, parlandogli sempre di cose spettanti all'anima. Il pugnale non ha tuttavia leso organi vitali e riusce a sopravvivere. Il chirurgo Acquapendente, che l'opera, dice di non aver mai medicato una ferita più strana, rispondendo allora con la famosa espressione. Eppure il mondo vuole che sia data stilo Romanae Curiae. Le conseguenze furono la rottura della mascella e vistose cicatrici nel volto. Il Senato, dichiarandolo persona di prestante dottrina, di gran valore e virtù gli concede una casa in piazza San Marco ove possa risiedere con il Micanzio e altri frati, e una sovvenzione affinché possa acquistare una barca e provvedere alla sua sicurezza personale. Rifiuta la casa ma si servì da allora di una barca che gli evita si pericolosi tragitti a piedi per le calli veneziane. Poco più di un anno dopo, e sventato un secondo attentato, ordito, sembra su mandato di Margotti, d’Antonio da Viterbo, i quali, fatta una copia della chiave della sua camera vuoleno secretamente introdurre nel monasterio due o più sicarii e la notte trucidare l'innocente. Inizia a corrispondere con personalità soprattutto di fede calvinista o gallicana. Fra questi ultimi, Leschassier e Gillot, che pubblica gli Actes du concile de Trente, dimostrando le pressioni papali sui vescovi riuniti a concilio, e fra gli altri l'italiano Castrino, i francesi Villiers, Casaubon, Thou, Mornay, i tedeschi Achatius e Dohna. Attraverso il dialogo diretto con gli intellettuali acquiesce quella straordinaria ampiezza di orizzonti e di interessi, quella solida conoscenza dei problemi dello stato che gli permite di arricchire la sua cultura storica, giuridica e scientifica e lo conduce a incidere sulla sua posizione filosofica, ad approfondirne la crisi, risolvendola poi con l'accoglimento di nuove prospettive e di nuove idealità; spalancandogli un mondo nuovo, che gli fac sentire più soffocante, più viziata, la vita italiana. Incontra a Venezia Bedell, che rifere di lui e del Micanzio come essi sono completamente dalla nostra parte nella sostanza della religione e, Dohna inviato da Cristiano I di Anhalt-Bernburg, e Diodati, per valutare la possibilità di introdurre a Venezia la Riforma. La traduzione in lingua italiana del nuovo testamento, viene diffusa a Venezia proprio in questo periodo. Altre polemiche suscitano, le prediche quaresimali di Micanzio che vengono interpretate a Roma come un attacco alla fede cattolica. -- è anche preoccupato per la tregua stipulata tra la Spagna e i Paesi Bassi, perché vede in essa un indebolimento di questi ultimi che, o prima o dopo, resteranno sopraffatti dalle arti spagnole, mentre gli spagnoli ne potrebbero trarre beneficio anche in vista del loro dominio in Italia. Spera in un'alleanza generale di Francia, Inghilterra, principi protestanti, Paesi Bassi, Savoia e Venezia che portasse alla guerra contro l'Impero cattolico ispano-tedesco e cancellasse il dominio papale e spagnolo in Italia. Se sarà guerra in Italia, va bene per la religione; e questo Roma teme. L’inquisizione cessa e l'Evangelio ha corso. E ha bene anche per le libertà civili di Venezia: qui, anche se il giogo ecclesiastico è assai più mite che nel rimanente d'Italia, in quella parte nondimeno che tocca la stampa è l'istesso appunto che negli altri luoghi. Nessuna cosa si può stampare se non veduta e approvata dall'Inquisizione. Dove si ragiona di alcun papa, non permettono che si dica alcuna di disonore, se bene vera e notoria. Non permettono che alcuno separato dalla Chiesa romana sia lodato di qualsivoglia virtù, né nominato se non con vituperio. Secondo la versione ufficiale, sebbene sfinito, volle alzarsi per il mattutino, come al solito, e celebrare la Messa. Fatto chiamare il priore del convento, lo prega che lo raccomandasse alle preghiere dei confratelli e che gli portasse il Viatico. Gli consegna tutte le cose concesse a suo uso. Si fa vestire, si confessa e passò il resto del mattino facendosi leggere da fra Fulgenzio e da Fra Marco i Salmi e la Passione di Cristo narrata dagli Evangelisti. Gli e quindi amministrato dal priore, alla presenza della Comunità, il Viatico. E visitato dal medico che gli dice che ha poche ore di vita. Sorridendo, rispose: Sia benedetto Dio. A me piace ciò che a Lui piace. Col suo aiuto faremo bene anche quest'ultima azione -- quella di morire. E udito ripetere più volte, con soddisfazione: Orsù, andiamo dove Dio ci chiama. Secondo alcuni le sue ultime parole sarebbero state. Esto perpetua, riferendosi a Venezia (v. Bianchi-Giovini, Esistono tuttavia altre versioni della sua morte che lo fanno apparire più vicino al culto protestante. Figura assai complessa di filosofo, occupa indubbiamente un posto di primo piano nella storia della filosofia italiana. Fu uno dei più grandi filosofi. La sua prosa è una delle più maschie ed efficaci di tutta la filosofia nostra, che non conosce lenocini né fronzoli, che scolpisce le figure con raro risalto, che ha un magnifico potere ri-evocatore allorché descrive dispute e contrasti, ch'è impareggiabile nel sarcasmo, tutto contenuto in un'unica espressione, tre o quattro parole. G. Papini, parlando della Istoria del Concilio di Trento, la define un modello di lucidità narrative e di prosa semplice, esatta e rapida. Lascia orme indelebili nella filosofia, nella matematica, nell'ottica, nell'astronomia, nella medicina ecc. Galilei e suo grande amico, e non disdegna di appellarlo: Mio Maestro. Dinanzi al primo avvertimento a Galilei, lui, che non visse abbastanza a lungo per assistere alla condanna scrive. Verrà il giorno, e ne sono quasi certo, che gl’uomini, da studi resi migliori, deploreranno la disgrazia di Galileo e l'ingiustizia resa a sì grande uomo. Scopre la dilatabilità della pupilla sotto l'azione della luce e le valvole delle vene. I suoi biografi parlano anche di scoperte nel campo dell'anatomia, dell'ottica, ecc. L'invenzione del telescopio dice Bianchi-Giovini il Galilei la dovette per certo ai lumi somministratigli da lui, se pure questi non ne fu il primo inventore, come pensano alcuni. Sopra la sua sapienza matematica si cita l'autorevole giudizio di Galilei. Galilei non esita a dire della ‘fenice’: del quale posso senza iperbole alcuna affermare che niuno l'avanza in Italia in cognizione di queste scienze matematiche contro alle calunnie ed imposture diCapra, in ediz. naz., Firenze, La teoria di GALILEI delle maree, successivamente dimostratasi erronea, riprende le sue idee, esposte nei Pensieri naturali, metafisici e matematici. Porta, dopo aver dichiarato di avere appreso alcune cose da lui, lo proclama splendore ed ornamento non solo della città di Venezia e dell'Italia, ma di tutto il mondo. (Magia naturalis). Passionei gli define dottissimo oltre ogni espressione. In uno studio il cui intento era quello di misurare il Q.I. di 300 personaggi famosi. si posiziona al quinto posto, al pari del più noto matematico Pascal. Alla grande intelligenza unì anchecome riconosciutagli da tuttiun'esemplare integrità di vita. Jemolo, dopo essersi rivolto varie domande intorno alla sua ortodossia, da questa risposta. Gli elementi ci mancano per una risposta perentoria: noi non possiamo dissipare l'alone di mistero che lo circonda. Questo non c'impedisce di ammirare l'uomo e l'opera. Fondamentalmente lo scontro con la Curia romana e legato ad un progetto politico volto a contenere il potere di Roma in ambito esclusivamente spirituale e a pro-muovere un'alleanza tra Venezia e la Francia in un'ottica anti-imperiale. Per questo intrattenne contatti con i riformati. Inoltre la sua visione di Roma e un vago ritorno verso la chiesa primitive. Egli quindi e indotto a condannare il potere temporale, il processo di mondanizzazione del clero, la superiorità del papa sul Concilio. Stringe amicizia con Dominis, arcivescovo di Spalato, che tende all'apostasia. La sua Istoria del Concilio Tridentino costituisce il suo capolavoro storico ed offre la prima imponente ricostruzione del Concilio di Trento. L’opera e ondannata dalla Congregazione dell'Indice e quindi posta all'Indice dei libri proibiti. Sono intercettate dal nunzio pontificio a Parigi Ubaldini compromettenti carteggi di lui con l'ambasciatore veneziano Foscarini e con l'ugonotto Castrino; carteggi ben presto inviati a Roma per essere messi a disposizione del Sant'Uffizio, ma anche da utilizzare per far ammettere una buona volta al governo veneziano quanto da tempo da Roma si viene denunciando, che lui che si proclamava più cattolico del Papa e come tale difeso ufficialmente dai responsabili politici veneziani. Altri non era che un protestante, al servizio delle forze ereticali europee. Dunque infedele e ipocrita. Una taccia di ipocrisia che non da tregua alla sua figura lungo i secoli, come stanno a provare innumerevoli esempi, da Aleandro, che ricevuta da Peiresc la sua Istoria dell'Interdetto appena edita risponde all'illustre erudito francese con fare perentorio che lui e nero ministro del diavolo che si dice esser padre delle menzogna, se ben egli veramente non credeva né nel diavolo né in Dio, al prelato friulano G. Fontanini con la sua velenosa Storia arcana della sua vita a Passionei, che crede di avere le carte per dimostrare che l'idea del furfante e di introdurre il calvinismo in Venezia, come ancora ricorda A. Mercati. Un parere analogo si trova anche nella recente Storia della Chiesa di Hertling e Bulla, dove viene definite un ipocrita che fino all'ultimo fa la parte del religioso, sebbene nel suo intimo si fosse da tempo allontanato dalla Chiesa. Saggi: “Trattato dell'interdetto di Paolo V nel quale si dimostra che non è legittimamente pubblicato”; “Apologia per le opposizioni fatte da Bellarmino ai trattati et risolutioni di G. Gersone sopra la validità delle scomuniche; Considerationi sopra le censure della santità di Paolo V contra la Serenissima Repubblica di Venezia, Istoria del Concilio Tridentino, Il trattato dell'immunità delle chiese (De iure asylorum), Discorso dell'origine, forma, leggi ed uso dell'Uffizio dell'Inquisizione nella città e dominio di Venezia, Trattato delle materie beneficiarie, Opinione di Servita, come debba governarsi la Repubblica Veneziana per havere il perpetuo dominio, Venezia, La storiografia recente attribuisce lo scritto al patriziato veneziano medesimo. Scritti giurisdizionalistici, Istoria del Concilio Tridentino (Geneua, Aubert); Pagnoni Editore, Milano, Gambarin, Scrittori d'Italia, Bari, Laterza, G. Gambarin, IScrittori d'Italia, Bari, Laterza, Gambarin, Scrittori d'Italia Bari, Laterza, Istoria del Concilio Tridentino, testo critico di Giovanni Gambarin, introduzione di Pecchioli, Collana Biblioteca, Sansoni, Firenze, Lettere a Simone Contarini ambasciatore veneto in Roma, pubblicate dagli autografi, Monumenti storici pubblicati dalla R. Deputazione veneta di storia patria. Miscellanea, Venezia, Fratelli Visentini, Pagine scelte, Arturo Carlo Jemolo, Vallecchi, Firenze, Lettere ai protestanti, Scrittori d'Italia, 1, Bari, Laterza, Lettere ai protestanti, Scrittori d'Italia, Bari, Laterza, Antologia degli scritti politici e storici. Roffarè, MILANI, Padova, “Istoria dell'Interdetto e altri scritti editi e inedita” (Scrittori d'Italia Bari, Laterza); Amerio, “Scritti filosofici e teologici” (Scrittori d'Italia, Bari, Laterza); “Pensieri naturali, metafisici e matematici. anoscritto dell'iride e del calore; Arte di ben pensare, Pensieri medico-morali, Pensieri sulla religione, Fabula e Massime e altri scritti. Edizione integrale commentate, L. Sosio, Ricciardi, Milano-Napoli, Scritti giurisdizionalistici” (Scrittori d'Italia, Bari, Laterza); “Lettere ai Gallicani, B/ Ulianich, Wiesbaden, F. Steiner, La Repubblica di Venezia la casa d'Austria e gli Uscocchi, Bari, Laterza, Scritti scelti: Istoria dell'Interdetto, Consulti, Lettere, Pozzo, Collezione di Classici Italiani, POMBA, Torino); Storici, Politici, e Moralisti, G. Cozzi, Collana La Letteratura Italiana. Storia e Testi, Milano-Napoli, Ricciardi, Istoria del Concilio Tridentino seguita dalla Vita, Corrado Vivanti, Collana NUE Einaudi, Torino, Collana Piccola Biblioteca. Einaudi, Torino, “Pensieri” Gaetano e Cozzi, Collana Classici Ricciardi, Torino, “Considerazioni sopra le censure di Paolo V contro la Repubblica di Venezia e altri scritti sull'Interdetto”, G. Cozzi, Collana Classici Ricciardi, Einaudi, Torino, “Lettere a Gallicani e Protestanti, Relazione dello Stato della Relazione, Trattato delle Materie Beneficiarie. Cozzi, Collana Classici Ricciardi, Einaudi, Torino, Gli ultimi consulti. G. Cozzi, Collana Classici Ricciardi, Einaudi, Torino, Dai Consulti, il carteggio con l'ambasciatore inglese Carleston. Cozzi, Collana Classici Ricciardi, Einaudi, Torino, Dal Trattato di pace et accomodamento e altri scritti sulla pace d'Italia. Cozzi, Collana Classici Ricciardi, Einaudi, Torino, Consulti, Corrado Pin, Pisa, Poligrafici, Letteratura e vita civile. Collana I Classici del Pensiero Italiano; Della potestà de' prencipi; Collana I Giorni, Marsilio, Venezia, Scritti filosofici inedita, tratti da un manoscritto della Marciana”; Papini, Collana Cultura dell'anima, R. Carabba, Lanciano, Manoscritti Consulti: in Milano, Biblioteca Nazionale Braidense, Fondo manoscritti, Ceretti, Cinque pugnali non bastano a troncare la sua parola, in Historia, Touring club italiano, F. Micanzio, Vita, in «Istoria del Concilio tridentino, Torino F. Micanzio. Scrive tra l'altro nella lettera. E che volete ch'io speri in Roma, ove li soli ruffiani, cenedi et altri ministri di piaceri o di guadagni hanno ventura? I cenedi sono gl’uomini che si prostituiscono. Micanzio, cit. G, Cozzi, Sarpi, F. Micanzio, Istoria dell'interdetto e altri scritti editi e inediti, F. Micanzio, dove stilo può significare sia stile che stiletto Ivi Cozzi, Lettere a Groslot de l'Isle, in «Lettere ai protestanti», Lettera a Francesco Castrino, Lettere ai protestanti, Citato in C. Rizza, Peiresc e l'Italia, Torino, Giappichelli, Pin, Senza maschera: l'avvio della lotta politica dopo l'Interdetto; L. Hertling e A. Bulla, Storia della seconda Roma La penetrazione dello spazio umano ad opera del cristianesimo” (Città Nuova, Borgna Romain, Lucien, Micanzio, Vita, dell'ordine de' Servi e theologo della serenissima republ. di Venetia, Leida, in “Istoria del Concilio tridentino” (Torino, Einaudi); Griselini, “Memorie anedote spettanti alla vita ed agli studj del sommo filosofo e giureconsulto” (Losanna, Bousquet); Griselini, “Del suo genio in ogni facolta scientifica e nelle dottrine ortodosse tendenti alla difesa dell'originario diritto de' sovrani né loro rispettivi dominj ad intento che colle leggi dell'ordine vi rifiorisca la pubblica prosperita” (Venezia, Basaglia); Zerletti, “Storia arcana della vita servita da Fontanini in partibus e documenti relative (Venezia); “Cassani, Le scienze matematiche naturali” (Venezia; Bianchi-Giovini, Basilea, Morghen, Getto, Firenze, Olschki; Gliozzi Relazioni scientifiche con Porta, Cozzi, Tra Venezia e l'Europa” (Collana Piccola Biblioteca, Torino, Einaudi); Frajese, “Scettico. Stato e Chiesa a Venezia, Bologna, Il Mulino); Cacciavillani, I consulti sulla Vangadizza, Padova, MILANI, Cacciavillani, Venezia, Fiore, Cacciavillani, S.. La guerre delle scritture de la nascita della nuova Europa, Venezia, Fiore, Cacciavillani, S. giurista, Padova, Pin, Ri-pensando S., Venezia, Ateneo veneto, Concilio di Trento, Micanzio. Dizionario di storia, Dizionario biografico degl’italiani. OPERE VARIE DEL MOLTO REVERENDO S. DELL’ORDINE DE’SERVI DI MARIA CONSULTORE DELLA SERENISSIMA REPUBBLICA DI VENEZIA. 1 HELMSTAT Per Jacopo' Mulleri. Trattato delle Materie Benefiziarie cx)lle annotazioni del Signor D. Amelot, tradotte dalla lingua Francefe. De jure Afylorum. Storia degli Ufcocchi, Allegazione del Frangipane. Dominio del Mare Adriatica della Sereniflima Repubblica di Venezia. Dominio del Mare Adiiaticp, e fue ragioni pel Jus belli. Indice dei Libri proibiti dell’anno ijpd. Il Concordato. TRATTATO DELLE MATERIE BENEFICIARIE nel quale fi narra, col fondamento delle Storie come fi difpenfajfero le limofme de' Fedeli nella primitiva Chicfa. reddito il fervor antico della caritk, che non folo moveva i Principi, e a donar alle Chiefe copiofamentc ricmporali, ma ancora fnduceva i Mini(ìartici a difpenfarle faniamente in cam è-maraviglia, fc al prefente pare mancati i fedeli difpcnlatori, c fucluogo loro altri diligenti folo in ritcac almeno a tollerabile moderazione. I difetti che ci par di vedere al giorno d i oggi non fono entraci nell’ Ordine Chcricale tutti infieme, nè cos^ eccellivi in un ifteflb tratto di tempo ; ma da una fomma, anzi divina perfezione per gradi fono diIcefi air imperfezione che ora è manifcfta a tutti y c confeflara dagli fteffi Ecclefiaffici, e da alcuni tenuta per irremediabile. Con tutto ciò, piacendo a Dio N. Signore di donar a’ Fedeli fuoi tanta grazia,, quanta donò a’noftri Maggiori, non dobbiamo perdere lafperanza di vedetele medefime maraviglie anche ne’ noftrifecoli: è bennecef làrio che, ficcomepergradifiamopcrvenutiaqucftaprolbnditkdimifcria, Tomo . A cos^ coc\ per gli ilefì ci «ndumo ahEando | prr ritornare ve^o quella ioiQ' mit^ di perfezione nella quale fu la Chiefa Santa t- Il che non potendofi fare, fé non conofccndo qual folTe dapprincipio V amminiftrazione delle cofc temporali ; e come fia mancato quel buon governo ; a parte a parte è neceffario, innanzi ogni altra cola, dire come la Chiefa di tempo in tempo ha acquiftate le ricchezze temporali ; e come in ciafeuna mutazione deputaHc i Minidri per difpenfarle, o pofledcrie : il che ci Icoprirh gl’ impedimenti che in quelli tempi attraverfano una buona riformazione ; ^ moftrerli le maniere di lupefarli; c quello è il mio proponimento nel prefciue dilcorf^ delia ma-» teria Benefiziale tanto ampia. a I» Tu il printipio de beni Ecclelìallic! mentre ancora converfava in quello Mondo N. Signore Gesù Grillo ; ed il fondo loro non era altro, che le obblazioni delle perfone pie, c divote, le quali eranoconfervale da un Minillro, e diflribuite in due opere lolamente : Una per le nccelHth di N. Signore, c degli Appoftoii Predicatori del Vangelo; c l’altra per far limofina a poveri, Tutto ciò fi vede chiaro in San Giovanni, dove dice il Vangelilla, che Giuda era quello che portava la tafea, o borfa, (rf) dove erano ripolli i danari prclcntati al Signore; c che il medelìnio andava fpendendo, c comprando le cofe nccelTarie a loro, ovvero dillribucndo a’ poveri, (b) conforme a quanto il Signore alla giornata comandava Confiderà S. AgoUinoche, avendo Grillo il miniflero degli Angeli che lo fervivano, non era in nccelTith di confcrvar danari; con tutto ciò volle aver borfa, per dar ( ^efa di q uello ch’ella doveva fare; e per ciò Icmprc intefe la Cnicik fofle ìllituita la forma del danaro Ecclefìallìco dovclTe cavare, c in che cofa fi dovclic fpendere. È fc nc^em^roAri non veggiamo oflcrvato qucAo fanto iilituto, dobbiamo conlìdcrare che, per noftro ammaeAramemo, c per noHra conioiazione', racconta la Scrittura divina che all' ora anche Giuda era un ladro, (c) c ufurpava per sò i beni comuni al Collegio ApfpAoUco; e venne a tanto colmo d’avarizia, che, non parendogli aÙai quelle thè rubbava, per far maggior lomma di danari, pal^ li e elTcr comune della Chiefa, e de’ poveri, pafTì cosf innanzi, che venda anche, per far danari, le cole facre, c le grazie fpirituali, non dovremo riferir ciò a particolar mUeria dc’noAri,o d’ alcuni tempi y ma afcriverlo a pcrrailTione divina, per efcrcizio de’ buoni Loculo hibent, a qu« miuebintur por. ubit. cip. >>• LÌkuIo lubcbtc )o«ias, qnoJ auiflét ci jefus : Eme cu, opui &nt nohts sJ aiem Icllum, U( c^cnii ui tliqtiUi direi. (ip, ij. quM de egeo» pertinebut ad cum, cip. II. ftT(hi tr U funtìmi dtl fut m'mi Loculot > ti th fi tbismt Sftdsli il In0go -dovi (! rra«r dS d»’ (f> Fur erat. »p. u. ciuto. Digitized by GoogU MATER. BENEFIC. 3 buoni; ^nfìderando che il principio della Chiefa nafccnte fu fogget10 alle mcdefime imperfezioni: ben dovr^ ciafcuna fecondo il grado, e la vocazione Tua, proccurar il rimedio chi non può altrimenti, colle orazioni; e chi può impedire il male, con ovviare, e opporfi agli abuft ; confiderando che, febben Giuda non fu umanamente punito, pcrchò erano complici dcTuoi delitti quelli che dovevano,galligarlo; modrò nondimeno la divina Provvidenza qual pena meritalTe; c dil^le ch’egli ftelTo fofle Tefecutorc in sèmedefimo, per documento di quello che dovcflcro fare quelli che la Macftìi fua avrebbe netempi Icgucnti dati per tutori, c difenfori della fua Chiela. Dappoiché Crifto N. Signore Cili al Ciclo, i Santi Apposoli Icguirono nella Chiefa di Gerufalemme lo HelTo ìnituto, d'aver il daiuro Ecciefìaflico per Itdue effetti fopraddetti, cioè, perii bifogno deMiniftri del Vangelo, c per le limoline de’ poveri.- e il fondo di quello danaro era fìmilmente le obblazioni de’ Fedeli, i quali anche, mettendo ogni loro avere in comune, vendevano le loro polTelfioni, per far danari a quell’ effetto; ficchè non era dipinto il comune della Chiefa dai particolare di ciafeun fedele, {a) come fi ulà ancora in alcune Religioni che fervano i primi iHituci. Erano molto pronti i CriHiani in quei primi tempi a fpogliariì de’beni temporali, per impiegarli in limoGne, perche afpettavano prolTimo il fine del Mondo; avendoli Crillo N. Signor lafciati incerti.- e quantunque f(^c per durare quanto fi volcflc, non 1 ’ avevano per confiderabilc più, chefe fofle all’ora per finire; tenendo per fermo che la figura di quello mondo, cioè, lo fiato della vita prcfentc trapalfa; (c) per lo che ancora le obblazioni fempre più $’ aumentavano. Il cofiume però di non aver cofa alcuna di proprio, ma »l «utt© ùi comune, fioche non vi folfe alcuno povero, o ricco, ma tutti ugualmente vivefiero, non ufei fuori di Gerufalemme; anzi nelle altre Chiefe che i Santi Appofioli edificarono non fu ifiituico; nè in Gerufalemme durò molto lungamente: imperocché zò. anni dopo la morte di Crillo fi legge che il pubblico era didimo dal privato, conolcendo ciafeun il fuo, ra elTendovi anche il danaro fondato nelle obblazioni, le quali, polle in comune, fcrvivapo per li foli Minifiri, e perii poveri; nè era lecito viver di quel della Cliiefa a chi aveva del Tuo: laonde S. Paolo ordina che le vedove, le quali hanno parenti, fieno fpefate da’ loro proprj, acciocché i beni Ecclcfiafiici posano badar a quelle che fono veramente Vedove, c povere. ( ), III. La cura di quelli beni che N. Signore, mentre fu in vita mortale, diede a Giuda, dopo V Afeenfìone gli Apposoli per pochiiTimo tempo r ammtnìArarono eglino IfelTi; ma poi vedendo che, per la diAribuzione, nalccvano tra i fedeli mormorii, c fedizioni, ( ^ ) parendo ad alcuni di non participare quanto avrebbono voluto del comune, e credendo che altri avelTero più del dovere ; ficcome il male è comune in tutti i tempi nella diipenta de’ beni della Chiefa, conobbero gli Apposoli che non potevano attendere a quello perfettamente, ed inficme alla predicazione delta parola di Dio ; c determinarono di ritener ( c ) per se il minillero di predicare, e infegnare; ( ) ordinando per quelV uffizio di tener cura delle cofe temporali un altra Torta di Miniffri j ( ^ ) tutto al contrario di quello che veggiamo fare nc’ tempi noftri, quando al governo delle cofe temporali attendono i principali Prelati della Chiela; e l’uffizio del predicare, e infegnare la parola di pio, eia dottrina del Vangelo, è lafciato a Frati, o. ad alcuni poveri Preti iniimi nella Chiefa. Maque nuovi Miniffri che i fanti Appoffoli iffituirono per governo delle cofe temporali, fi chiamarono Diaconi; c cosi da tutto il corpo de Fedeli fu fatta elezione di d. a quell’ effetto, i quali gli Appoffoli ordinarono a tal minifferio; e dovunque effi fondarono Chiela, ordinarono anche Diaconi nellifteffa maniera, come anche ordinavano i Vcicovi, e Preti, e altri Miniffri Eccleliallici; cioè, precedendo digiuni, e orazioni, fulfeguendo f elezione comune de’ Fedeli; () fcrvando inviolabilmente quell’ ordine, di non deputare m al wiiwi -carica- Fxclcllallico perlAna, la quale prima non fofTe eletta dall’ univerlaie della Chiela, cioè, da tutti i Fedeli infteme. Quell' ufo continuò nella Chida in tal maniera circa zoo. anni, foftentandofi co’ beni pubblici i Miniffri Ecclcfiaftici, ci poveri ancora; nè eflendovi altro fondo, falvo che le ubbUztoni eh erano fatte da’ Fedeli nella Chiela, le quali però erano abbondantiflìme, perchè ciafeuno, per fervore di caritìi, offeriva tutto quello che poteva fecondo il proprio avere; ficchè, quando le facoltìi de’ Fedeli d’ una Cittk erano abbondanti per lupplire a bilogni della propria Chiela, fi facevano collette anche per 1’ altre Chicle povere : per lo che anche S. Jacopo, S. Pietro, e S. Giovanni, quando riconobbero per conforti e compagni nel Vangelo S. Paolo, e S. Barnaba, raccomandarono loro quell’ opera, di raccogliere qualche limofìna per la povera Cliiela di Gerufalemme, per la quale (g) anche narra $. Paolo aver fatte («) Per untm Sibòati, étt, unuf^utrqa \cltruni apiui (e fepuaAl, n«np4enf quoi ci bene plottiem. i.Cor. cap. ultimo. ( i ) faAum rft umrmur ijrccutuin adverfui Hehrjtoi, co cne s’ingannò quel Principe, credendo che i tefori folTero ammalTati, c confcrvati ; perche quel fanto Diacono, acconofi della rapacità del Tiranno, e prevedpndo la perfccuzione imminente, difpensò il tutto in ima volta, com’erano teliti di fare, foprafiando fimili pericoli. e la maggior parte delle perfecuzioni fatte alla Chiefa dopo la morte di C^ modo furono per quefia caufa, cioè, perchè i Principi, o i Prefetti, ritrovandofi in firettezza di danari, per quella via volevano impadronirfi di quelli della Chiefa Crìfiiana Dappoiché le Chiefe furono fatte ricche, anche i Cherici cominciarono a vivere con maggiori comodità; e alcuni, non contentandofi di quel vito comune della Chiefa quotidiano, vollero viver feparatamente nella propria caia, e dalla Chiefa aver la loro porzione feparatamente in danari ogni giorno, 0 per un mefe continuo, c ancora per un lunpo tempo : cola, che, febben declinava dalla prima perfezione, nondimeno era tollerata da’ Padri - Non fi fermò però in qucfto fiato il difordine;; ma incominciarono i Vefeovi a mancare delle folite Jimofine a poveri, c a ritener per se quello che doveva clTcr diftribuito,• e co’ beni della Chiefa comuni fatti ricchi, facendo anche delle ul'ure, per accrefcerli; e lafciando la cura dell’ infegnare la dottrina di Crifio, tatti fi occupavàno nell’ avarizia le quali cofe S. Cipriano (à) piange che nel fuo tempo folTero ufitate ; e conchiude che, per purgare la Tua . («1 rrnhitrrunr MAceJonia. Se Achij coll». iMMlcm sliqvtm licere in puiperei S^ndorum, qttt fuM m Jerufilem .... Cuoi confainnuvcrot Se iUtgiuvcm ei« fruótun hune, protit ikar in Roin. if. (A) De o(iauoiùs quxiluoCc nundinu sBcapari de Lapfis. U fua Chielii da qucfti errori, Dio permettefle quella gran pcrfccuzionc che fu fotto 1’ Imperio di Decio, perchè fempre la Maclli divina ha riformata la fua Chiefa, o foavemente col mezzo de' legittimi Magiftrati; o, quando gli eccefli fono paflaci troppo oltre, collo ftrumento delle pctfecuzioni. Ma febben la Chielà polTedeva tante ricchezze, non ebbe però in quelli tempi beni (labili ; prima, perchè non fe nc curavano per la ragione luddetta, che (limavano il fine prolCmo, e tutte le cofe mondane efler tranfìtorie, e di grave pefo a chi tende al Ciclo : poi ancora perche a neflun Collegio, o Comunità, (^) o corpo, fecondo le leggi Romane, poteva cfTcr donato, o lafciato per tedamenro ; nè quello per qualfìvoglia caufa poteva polfeder beni immobili, le non era approvato dal Senato, o dal Principe : nc ciò ft può metter in dubbio, febben vanno attorno alcune Pillole fotte nome di Papi vecchi, che rendono ragione perche gli Appodoli vendelTcro le pofTellioni in Giudea, c ìCridiani leguenti le conIcrvalTero, con dire che ciò fu, perchè prevedevano gli Appoftoli che la Chiefa Cridiana non doveva rimaner in Giudea, ma bensì fra le Genti; quafi che nel Vangelo la caufa del vendere non Qa mollrata efprdl'amentc, quando Grido dide alla fua Chiefa : Nom temete, 9 piccioU compagnia : vendete quello che pojfedere, e fatte limojìna’^ (è) e quafichè, febben Gerufalemme fu diltructa, alla fua riedificazione non avede una quantità di Cridiani, e anche non fieno date didrutte delle Città dove le Chicle fra Gentili avevano pofledìoni. Ma c fuperfluo travagliarfi a modrarc queda falfìtà, elTendo cofa certa che quelle Pidole iono fuppode ^ c date formate circa 1’ Soo. da quelli che aniepofcro, come fi fa anche al prefeme, le ricchezze, e le pompe alla moderazione Appodoiica, idiruita, e comandata da Grido: ma nella confiifionc che fu nell’ Imperio molto continuata dopo la prigionia di V ulw l wu poc o in olTervanza le leggi > madimc in Affrica, in Francia, c in Italia^ alcuni lafciarono, ovverodonarono anche degli Stabili alle Chiefe, i quali 1’ anno 302. furono tutti confifeati da Diocleziano, e MalTimiano; febbene in Francia, per la bontà di Codanzo Cloro Ccfarc che la governava, il decreto degl’ Impcradori non fi efegui ma avendo quedi Principi rinunziato Y Impcrb, Madenzio otto anni dopo reditul tutte le ponfedioni alla Chiefa Romana ; e poco dopo CoiUmino, (r) e Licinio, conceda la libertà di Religione a Cridiani, e approvati i CoUegj Ecclefìadici, che con voce Greca chiamavano Chicle, concelTe generalmente per tutto 1’ Imperio che potedero acquidare beni (labili, cos'i per donazione, come per tcdamenco, efentando ancora i Chcrici dalie fazioni' perfonali pubbliche, acciò poteiTero attendere più comodamente al lervizio della Religione. V. Cnl}e{iuni, fì nullo fpeciali pnviregio fiiboiKum (ìt, tùredirarciu capere non pofle dubiuai non ed. Lt.C.dc hzretiib. infiu leivlit. i bili r«, iu4, slh Chitfìi m.t farMi fiuti miglithi omnino nutneribuscxeurentur, ne iàerìle. tivtffe iiuutt mtnn ìmftrurhì ttglm» prt'r» Ro vigere efef, pr acmus boa non folum coritn Dco, feU etum corjm botninibuf. Ctr. i. c pnpillamm ilmuoi non aileiat, feti publicif ezeemunentar jadicm, ti coi i1>neemin. vel propinqui pirtimint deleren tot. Cenfèinu etùm ur mraiorari nthil ii« e|ui maliem, cui fe privituo l’ub prxtexru reJiRÌonu aJjunxcrinc, Uberxlince «ucuinque. vel cxircino judicio potlint adipiici leant aliquid vel donaiione, vel teAamento percipere. t. io. C. Thtid. de Seti. C 4 ) Ifli dite ehi ihEctlefixfiiti del fiulrm fi c«r«](Ì4t'4a a i ItUxmtrhi M«4Xir «i44« fattuali i a l'xtiéJI’axMna ìfia M artfmtxriara V «n«4Jerint inJigere prartìJio, erigunrur in fuperbinn i tn, t» «» I dalle fma lettere. ( 4 ) Ipli tanrum przdioratn riiaram redimi ronrequantr de quibua féi-vandi, abalienandi, dnaandt. dillrahendi, relinquendi, vcl quead fupereil. rei, cuin in ^ta conce.Ìit, 0e libera ei voluntat eft, inre^ Itt petelUt. Nihil de monilibuc, òc fiip«llev)ili i nihil de auro, argento, czietifque dare dotoui infignibui fab reJigiontt defciiHone contutrur ( fed anivtrra integra in libftòt, prazìnm, vel in quoteumque allo arbinii liii cziftiimrione mnfcrilMt. Ac et quando diem objerii. nullam Eeddìam, auU lun Cierkttm, nullum pauperem knbat hzredea. l- a- Cad. Thtad, Àmm. ( f ) TvCTid. in vita Au^A. taf. aq. Dìgitized by Google MATER. BENEFIC. 9 anche rifiuti delle ereditai lafcìate alla Chiefa Aia, dicendo apertamente che ’l miniAero Ecclcfiaflico non ifUva in diftribuire molto, ma in diilfibuire bene. Anzi riprendeva un nuovo modo d acquiftare alle Chicle trovato in que tempi AelTi; e queAo fu comperando (labili coll' avan 20 che fi faceva dell' entrate: il qual modo da quel Santo fu fcmpre abborrito ; nè mai egli io volle permettere nella fua Chiefa . anzi diceva nelle pubbliche prediche, eh' egli avrebbe piuttoflo voluto vivere delle obblazioni, e collette, come (i foleva lare ne’ primitempi della Chiefa, che aver cura di poflèlfioni il che gli era grave, e gl’ impediva 1 attendere interamente al carico principale del Vefeovo; cioè, delle cofe fpirituali; aggiungendo eh’ era preurato a rinunziare le poircffioni, purché a’ Servi di Dìo, e a' Miniftii folTe provveduto il vivere, come nel vecchio Teftamento, (a) per via di decime, o di altre obblazioni, fenza che dovelTero e(Ter foggecii alla didrazione che portava (eco 1' aver cura di cofe terrene. Ma con tutti i freni podi da fanti Padri colle buone efortazioni, e da’Principi colle buone leggi, non fi potè però fare che i beniEccledadici non crefccflero fopra il dovere redava pur il modo del governarli, e difpenfarli antico, il quale durò fino al 420. fenza notabile alterazione: ancora tutte le obblazioni, e altre entrate Ecclefiailiche fi cavavano da' Diaconi ; e in ajuco loro da’ Suddiaconi, e aU tri Economi ; ed erano didhbuite per mantenimento de' Minidri £cclefiadici, e de’ poveri: il Collegio de Preti, c il Vclcovo principalmente erano fopraintendenci ; e fi faceva in fomma ulta entrata, e una fpefa di tutto : ficchè il Vefeovo difponeva d' ogni cofa, i Diaconi efeguivano, e tutti iCherici vivevano di quel della Chiela, lebbene non tutti amminidravano. Fa menzione S. Gian Grifodomo che la Chiefa d’ Antiochia in que’ tempi a fpefe pubbliche nodriva più di 3000. perfonc t £an rk' i dtir MHH ftke fmt0’ mf$ n ititmtt ttmf» ^rim» éi hit. (^Lxtuer lutrm, tun de rtiiitu, qium de obtarione fideliom prout ruiuslibet Ercfelis ficoltiiei tdmotit, fin» diklBin »tioAaUliter cA decretum, ronvrmr fieri ponienes > quarum fii u . I. Cd.TW. d4 Mftt. ZuUJhsmm 9 Ué. Tarn SanfthuietB, quitn dudure in«r ruHle pcriiibetnim, et voa, et mancìpu vcllra nallut novia cotratioi^bus robiigavic, Ad Mrénone faiadebiài. pTJtiete neq«e horpitea pierii: de fialiqui de vobit alimoAÌc cauià natidaein cM»et ««luot, tmauRiMate pticiv tur. S. Ctrtlmme jrtd» ttntr» ffivtìttf, Negodatorem Ctenewn, dite, de ex innpe tflvi. tem, ex tgnobilt glorinfum, quali qmmdunpc iUm fiige Cui nundinxr, fiìt plicent, de plarex, ac Medicorans ubeteix. a. d (• )Vidt tre de’ Vcfcovi vicitii col confenfo di cflo, c degli altri alTenti : e dappoiché molte Provincie, per miglior forma di governo, furono po(le lotto un Primate, nell’ Ordinazione fu ricercato anche ti conlcnfo di quello. I Preti poi, c i Diaconi, c gli altri Cherici erano prclcntati dal popolo, e ordinati dal Velcovo ; ovvero nominati dal Vefeovo, e col confenfo della plebe ordinati da lui. Un incognU to mai non era ricevuto ; nc il Vefeovo mai ordinava chi non era approvato, e lodato, anzi propoOo dal popolo : e tanto era giudicato neceiTario il confenfo, c la prclcnz» ( »» ) del pispolo, che San Leone I., Pontefice, alla lunga tratta, non poter effcr valida, nè legittima 1’ ordinazione d‘ «« Velcovo che dal popolo non fofle richieflo, e approva il che anche dicono tutti i Santi di que’ tempi; e S. Gregorio riputò che non potclTc clTcr confccrato Velcovo di Milano Collanzo eletto da’ Cherici, (e non confentivano i Cittadini, i quali, fuggiti per le incurfioni, s’ erano ritirati a Genova ; e operò che fi mandaffe prima ad intender la loro volontà : cola degna da elTer notata per li tempi noftri, quando fi predica per illcgitima, e nulla quella elezione dove il popolo volelTc la parte fua : cosi le cole fono mutate, che lono palTatc in ufanza al tutto contraria , chiamandofi legittimo quello che all’ ora fi diceva empio; e iniquo quello che allora era riputato lanto. Alcune volte il Vefeovo, fatto vecchio, fi nominava egli il luccclfi>re : cosi S. Agofiino nominò Eradio : ma quella nominazione non era approvata dal popolo : le quali cofe tutte è neceiTario tener in memoria, per confrontarle co’ modi che,fi vedranno ulati nc tempi fulTegucnti. vili. Ora è neceirarlo lar tm pneo digjclTionc per una nuova caufa, la qual ha apportato aumento grandilfimo a’ beni Ecciefìaflici, e nacque in quelli fieflì tempi circa il 500. e quella fu un’altra Torta di Collegi Religiofi, chiamati Monalleri. 11 Monacato nacque inEgitto circa l'anno 300. fu formato nella maniera che ancora continua in que’ paefi. Ma in Italia circa il 350. fu portato a Roma da Atanafio, dove ebbe poco feguito, e appiaulo in quella Citt^, c neTomo II. B 2 luo ( « ) Cnm de Smnmi SeccrJwi» elezione treÀibimr, ille enmibut prxpnnitur quem Clerici, plcbildfle coafen&it roncoiditer poilulene, tu ut, (1 in eliam forte perfonam ur. tium divifonnc, Metropolitani fodicio it «iteti ptxforatur quim convenent, cui non licuent hati«re quem voluit. Ifjf oachorum namine ceniérenmr, qui ficut a beaTX meoiorùt Evangclilla Marco, quiprìmoa Ale nupdrìnx Urbi Pontife» prxtuie, nontvm foltepere «ivcndi, Atc M. a. dt mfiitMt. Cai- ^ c«p. ). N« nu Etclelia Olle mter ii’l' Fvenr.cUipnatipi! B. Marrum, B. Petti Apoiloli diinpulum. in omnibua ouque doftoris lui magitten» coivfontmem KiUm fondatoretn, o-c. Lt MégAAt tf. fT> f‘ 4- V- Mfiji- IO- d Viemn. fAf. 0. S. Anttni» « tl ftim eln fitt vivtrf i Uà»Ati in CcmnniiÀ s fnvs tht In Ctimfimiti Htn difirmffj In ftlituÀinei cmm t» di mcfitA d d' OffÀt A mn AiiAtt dt' Fé gliAAti, Vb Ktl^itft, die' igli, (ht inttrvitnt a’ inAttntini, ti Agli Altri n^t-firdiAAti, td imfiigA il TimAiuntt dii gitrim ndlt findu, t in Anslthr AltfA tmtfiA tttufAXi»A4, ) ftlUAtu «nxe. t'iftu Dtftrt» ì d CéNvento. Ql A»t$tht, tkìAmAnd« d Cenwnre Cxnobium, t i luch'», hAnn» fAita tbiAtAimAft vtdrrt tht m U fUMìs C«flMiii4rie. iz juoghi vicini fino al tempo ^1 500. quando S. Equizio, e S. Be« nedeitó gli diedero forma {labile, e lo diffufcro; {ebbene rillituzione di Sf Equizio poco fi flefe, e preflo mancò; e quella di S. Bencdctto fi allargò per tutta T Italia ^ e pafsò anche oltra i monti. 1 Monaci in que’ tempi, e per lungo fpazio dopo, non erano Cherici, ma fecolari, t ne’ Monaileh (i) che avevano fuori della Citili vivevano delle loro proprie fatiche d’ agricoltura, c di altri ariifizj, e inficme di alcune obbiazioni fatte loro da’Fedeli; il che tutto era governato dall’Abbate. ma nelle Citt^ vivevano delle loro opere; e oltra di ciò, di quello che loro era coilituito a fpefe pubbliche dalla Chicfa t Quelli ritennero la difciplina antica molto più lungamente.' i Cherici, dopo divifi i beni della Chiefa, percUttcro afiài duella divozione del Popolo; onde erano pochi che donalTero, o lafciafT«rd più beni a loro; 0 perciò farebbe fiato il fine degli acquifii della Chiefa; ma i Monaci, continuando il viver in comune, e le opere pie, furono caula che non fi efiinfe nel popolo la liberalità; ma, lafciati i Cherici, fi voltò Verfo di loro, i quali furono firumento grande di accrefcer le ricchezze Ecciefìafiiche ; e in progrelTo di tempo crebbero grandemente iri poflefiioni, e in entrate donate loro, e lafciate per tefiamento; effendo ben fpele all' ora da elfi in mantenimento di molto numero di Monaci, in ofpitalitH, in educazione, in Icuole di giovani, c inalcre opere pie^ Fa conto T Abbate Tritemio che i Monafteri de’ Monaci Benedettini erano fino al numero di 15000. oltra le Frepofiture, c i Conventi minori. I Monaci ftefli fi eleggevano 1 ’ Abbate, che gli governava fpiritualmente, e che reggeva anche i'beni, cosi gli offerti dalla carità de’ Fedeli, come anche quelli che fi guadagnavano colle opere, e coeI anifiizj dc’Monaci; c in progreflTo quelli ancora tho fi cavavano dagli fiabili. Ma i Vefeovi ne tempi che feguirono nel 500. clTendo fatti aflbluti difpcnfatori della quarta parte de beni della Chiefa, cominciarono anche a penlar un poco più alle cofe temporali, e a farli feguiio nelle Città; onde le elezioni fi trattavano non piùjcon fine di fervizio divino, ma con pratiche; paflando bene fpefib dalle pratiche alle violenze pubbliche : perlochè i Principi ^ che fino a quell’ ora non avevano avuto molto penfiero intorno a chi folTe eletto a quel Minifiero, incominciarono a penfarvi; effendo avvertiti da’ fanti uomini di quei tempi che IDDIO aveva commefià alla protezione loro la Chiefa, e però etano (l> jtltni tffn MtMsea, die» Mitra a^tra Cbtrua. Aiu Monacbonim eft cm(ì» ilii CTcnfonim. Carrieàfana fMjtari, ad Jda»ri fatta la pteara. Ctencip«&unt tivesi Ego paftor; rp. ad Hdiod. Ms « vie» idttamJheM faft •fatta deferratt dalia fiata SttUfiafika, alla ara fari mn grada fra faina al Claaruàta. Sk vìve, dir’igti ad «n Ùamaea, ut Cleritaj effe ire>t i»vtv dl frimnft, t‘ ffnffMmtmUMHalttterm di Déig»^rt9Ti(itit» ntlU mtd$fimts vie» di S. Drfidtn» tn enmiitii Juit» Civium peiitimem nortran» quoiju« concor nomine perfimiiir, Se Pontificali benKiifiinne fublimstu, peonobir, 8e prouniveritsOr«linibusBccleGx Jebeat exorare, ftaccepiabilesDeoholliM fiudeat otferre a. »d Brumule.Ui, f. tf. Il-, tom. I. Centi. GaU. ef. %r. md llttederit. (J. Tbtedtitrt, lei. 7 '• i>4 t« I, CAtil. CaII. ef. st. (« ) Siene iriiu me Pater, Se Ego mitco VOt. JtAA. IO, r>:.,;i; >ùz) che ras toccò loro niente, ma rutto iii divifo tra il Vefcovo, e i Cherici : anzi ancora dove la divifione fu fatta con dehtta proporzione, reflando tuttavia in mano d^li EcclefiaSici 1' ammioillrazione della fabbrica, e della parte de’ poveri, a poco a poco quelle fi diminuivano, accrelcendofi le altre due : e di quello ne lì fede il vedere che in pochiflìmi luoghi la fabbrica ha proprie entrate; e per li poveri non rollano, fe non gli Spedali; i quali però tutti fono di non antica illituzione. La parte de’ Cherici nel principio non fu tra loro divifa; anzi il Vefeovo aveva cura di tratiare ciafeuno fecondo i meriti: ma poi i Cherici alTunfero il carico di dividere, efclufo il Vefeovo : e poichò ebbero la loco parte, dove nò il Vefeovo, nè altri aveva che fare, cfli ancora fi divilèro fra loro, ficchè ogni particolare incominciò a conofeer il fuo, e fi lafciò di vivere in comune. Ma febbene le rendite erano cosi divile, rellavano però i fondi tutti in un corpo governati da’ Diaconi, e Suddiaconi, e le rendite rifcolTe da quelli, e confegnate al Vefeovo, e a ciafeuno de’ Cherici fecondo la pteporzione delie loro parti ; e in quelli tempi in Italia le polfelTioni delle Chiefe erano chiamate patrimonj.' il che ho voluto rammemorare qui, acciò nelTuno penG che quefto nome GgniGchi qualche dominio lupremo, o qualche giuriIdizione della Chiefa Romana, o del PonteGce. Le polfelTioni di qualunque famiglia, che venivano da’ loro Maggiori ne’ tempi de’ quali parliamo, fi chiamavano il patrimonio di quella ; e chiamavaG anche patrimonio del Principe A fondo eh’ egli pofledeva in proprieA; e per dillinguerlo da’ patrimonj de’ privati, G nominawa SarriM» Pturimoniiim, come in mtdte leggi del Itbro u- del Codjc» fi .lqg' ge; fi diede poi per le illefli ragioni il aeme di lèffioni di ciafeuna Chiefa : Gveggono nelle pilMe di S- Gregorio nominati noB foln i parrimcuii ChtcU n.uui.uia, ma anebe il patrimonio della Chiefa di Rimini, il patrimonio della Chiefa >dir Milano, il patrimonio della Chiefa di Ravenna. Alle Chiefe poGe in Citik di abitatori di fortune mediocri non erano lalcute pgfléirtqpi fuori del loro diflreiio; ma a quelle delle CitA Imperiali, ctmreRoma, Ravenna, Milano, dove abitavano Senatori, e altre fetloM.jir lullri, erano lafciaie in diverfe parti del Mondo. pa meniorc S. Gregorio del patrimoni» della Chiela di Ravenna in Sicilia, n d’,HP aluo patrimonio ùi Sicilia della Chiela di Milano.' la.jC|gì|fe:jf^|g%na avea patrimoni in più pani del^ando: fifa menaione^ì 'patri, monio, di Francia, d’ Affrica, di Sicilia^ delle AlpiCozie, e dimoiti altri luoghi : anzi in tempo dell' iftelTo S. Gregorip vi fu littitialui, e il Velavo di Ravenna perii patrimonj di amendqe le CMAèjiphe C accomodò anche per tranlazione. Per far anche rifpettare le poffcGioni della Chiefa maggiormente, folcvano dar loro il nome del Santo che quella Chiefa aveva in ifpcciale venerazione : coiì UChicfa di Kàvenoa nominava le poITcGloni fue di SantoApollinare; i^quella di Milano di Santo Ambrogio ; e la Romana diceva il patrimònio di San Pietro in Abruzzo ; il patrimonio di San Pietro di Sicilia, &c. al modo che a Venezia le pubbliche entrate G chiamano di S. Marco. Ne' patrimoni del Principe ( quando non erano alTcgnati a’ foldati) era pofto un Governatore (i) con giurifdizione nelle caufe che a queU la profe{Tione fpertavano. Alcuni Ecclefiailici della Chiefa Romana tentarono d’ nfurpare rimili ragioni ne’ patrimoni quella Chiefa, volendo far ragione da sè ftefii, e non ricorrere al pubblico giudizio; la qual introduzione S. Gregorio riprefe, e condannò, e proibì fotto pena di fcomunica che non fi faceife. Pagavano le poirelTioni Ecclefiafliche tributi a! Principe, come manifeltamente appare dal Canone 5# tribnt$tm, (#)ch’è di S. Ambrogio; ed è chiaro che Coflanlino, il barbuto, nel 6 %i. conceHè efenzione da' tributi che laChieia Romana pagava wl patrimonio di Sicilia, e Calabria ; e Giuflinìano il giovane (a) nel ^87. rimifc il tributo che pagavano i patrimonj di Abruzzo, e della Baniicata. Non riceveva la ChiefaRomana tanto grandi entrate da’ patrimoni Tuoi quanto alcuno crede ^ imperocché, narrando le Storie che Leone Ifaurico nel 732. confifcò i patrimoni di Calabria, e di Sicilia, fanno menzione che rendevano d’ entrata tra tutti tre talenti d’ argento, e mezzo d' oro, che fanno in nollra moneta, per non far m imito conto fopra la verith delle opinioni quanto precifameme rifponda ad un talento, fomma non maggiore di 1500. feudi; e il patrimonio di Sicilia molto ampio non pagava più di 2100. feudi. X Non è fuori del foggetto di cut parliamo faper quefli particolari che occorfero, mentre le poflefriont della Cht^a recarono tutte in un corpo, e fotto un governo fteflb, febbenc le rendite erano divife .il che non potè durare lungamente, per le contefe che nafeevanc tra quelli a’ quali appar teneva i’amminiftrazione, c gK altri che ftavanoalla loro difcrezione UmiCj; iì^duìon^., cìiftwi Minidro incominciò a ritener per sè le obblazioni eh' erano fatte nei fuo Tempio, le quali gtk fi folovano portar al Vefeovo, acciò le dividelTe; ma, per ricogniuone della fuperiortt^ Epifcopale, ciafeuno dava la terza parte al Vefeovo, e qualcne cofa di più per onore, che fu poi chiamato il Cattedratico (^), perchè era dato per riverenza della Cattedra Epifcopale. Divifero anche i fondi, e alfegnarono a ciafeunò la fua porzione. Quelle mutazioni però non furono fatte in tutti i luoghi infieme, nè con un pubblico decreto; ma, come avviene a tutti gli ufi, che principiano in qualche luogo, e fi comunicano fuccelTivamente agli altri, mafllmc i cattivi, che hanno corfo più veloce, e meno impedito. In que’ tempi, quando le cofe Eedefiafiiche furono ridotte a que ^ fio S tÌNtamMVM Cornei munì _MivÉnmm, ptt dihmmrtU dal Cornei Sucri Pimcnonii. Si fari di ammdmt A friwm Ut dt Ctditf. «de! frimt att fitti JJ. (iti fttfd »i titoU |r («) Si iribotum pem Impcritor, non ne(;imH., a^ri Eccktu( (olvant tributsmt $i egm« ilelìderit Imperator, poretUreoi hiMi Ten. t. if. (O traGi^^lm^aH, t»d[lmU 4 C^aafiH il iariat. ) Cathedratirumeriimnon i«ipIioi, quim venAi mr>tit effi conAitcrit ^ ab loci Pteibytcro norerit exigendum. Ctlafimi FaliaaMfiTtéf ama 4fii.Caa, i.f. Camfa lo.lUoJ te voUimurmodiianiùUiicuiiadirc^e^i EpiicofonitnSicilis de |»arochiis ad te pertinentibosno(Bìm Cathedratici aoiplius, quam duoi folidotj prvfunant accipere. aaa fto. Cam.i, Caafé I». Ud flato, erano dilribuiti Ja’ Principi agli uomini militari i fondi pubblici, con carico a chi di cuflodire i confini ; a chi di fcrvire il Principe ne’ governi civili ; a chi di feguirlo «dia milizia ; a chi di cullodire le Ci cù, o Fortezze; e quelli, che con vocabolo Franco, e Longobardo, fi chiamavano Feudi, nella lingua Latina, che ancora non era totalmente eilinta, fi chiamavano Beneficia, come donati per beneficenza dal Principe : ( 1 ) pel qual rifpetto anco alle porzioni de' fondi Ecclefiaftici, ovvero al ]us di poflèderli, fu dato il nome di benefizj > perchè erano donati dal Principe, come i Vefeovati; o dal Vefeoro di fuo comenlo, e concefiione, come gli altri ; e anche perchè i Cherici Ibno Soldati fpirituali,e fanno guardie, ed efcrciuno milizie facrc. Le Badie di Ik da’ monti erano ormai fatte molto ampi», e ricche ; per lo che i Maefiri di Palazzo alTunfero in sè T autorità di fare l’Abbate; e ciò con ragione affai apparente; perchè i Monaci all ora, come fi è detto, erano laici, lenza alcun ordine Ecclefiaflico Vero è che non Tempre lo davano elfi, ma anche alle volte concedevano per grazia a' Monaci che le lo elegelTero. Ma in Italia, non elTendovi Monafieri molto riguardevoii in ricchezze fino al fuddetto tempo del 750. i Re Goti, poi gl’lmperadori, ei Re Longobardi non ne fecero gran conto; onde la elezione refiò a Monaci colla fola fopraintendenza del Vefeovo. Ma i Vefeovi alle volte, intenti ad aggrandirfi, erano troppo molefii a Monafieri; perlochè gli Abbati, e i Monaci, dcfideroli di libejarfi da quella foggezione, trovarono il modo, ricorrendo al Pontefice Koiiiano, che li piglialTe fotto la fua immediata protezione, e gliefentalTe dair autorità de’ Vefeovi. Fu ciò lacilmente confemito da’ Papi ; fervendo loro, e per avere nelle Cittk d’ altri perfone immediatamente dipendenti da loro, e per amplificare la podeili loro fopra i Vefeovi ; importando molto che un membro cos^ notabile, come i Monaci, che in quei tempi quali foli attendevano alle lettere, dipendefiè toulmence dalia Sede Romana. XL Dato principio a quella efenzione, in brevilfimo tempo tutti i Monaficri reilarono congiunti colla Sede Romana, e feparati da’ loro Ve Icovi. ( 1 ) Timo IL cirearam, vel undenim. «pie ad prz#. ^rhfHtt Im f'ttnjtm di S. Pittri m mmunrm .tkt Mu ifrr» fiù fi mlUSMMtm Sidt. iit etm fii rwndMMM m vmutmffi» driU Certi di Ktmm, mtttf rie feeli rie •trrugtmi frivileif tmnu imurtjfedidiffudert F mmtirifm diihilitiu€idr. Ml il Pmf» mdff) Viirutieri mllm Urt fufflJtu, S- Btrnmrd, dettjfmud uevitm, fttt «edere fmfm Eufrm» HI. tb’ trm uu irmudeiiuu' Aibmti riemfmff d' ulhiim mi fmm Vtfavt, • Viftrvi mi fu» Mttrtfihtmn : rie tm Ciò m M«l^«iie devrvm rtiilmifi fui mmdilU detU trtemfmmti, dm ma' Au^tl tua bm mmi detti: Io C In Fran non voglio eflcrealdi ibeto deir Arcangelo. rè# mvreH mmi detti ifmifi trmm Smnt», fi ftfft vijfmti in mltmu d Settli fufijmtnii ì S. Birmmr. d», dice mvvtjmmril Meumei, e Ztlmm ej^«e ftr tm fmntm Stde, trmdmmmmvm mltmunutt ^ufJF iftHtitmi i M^«rri> ifturmri %U AUmti dmllm {lurifditient di' l^tftevi rie tefm ir», duevm iflt, fi meli emmmmdmrUri Im rìMliauì £ mm erm mmm difermiti A mifiiHtfm mi i»rf dilla Cbtifm r umirt mimdimtmimimti «« CafitiU, t mmm Mmdim mllm fmmtm Sedi, litm uil re^ «mm. m» l’MJiire mmdit mllm ttfim f Beli i hntefftrvmrt difmjfm^i ibi ^mijlm ifemùem ffiritmmU entri ftr Im fertm dell' tfim.iini dm'dirttu ttmfirmlì eHti. dmtm Itr» dm' mtdtfmi Vefetvi. Titnc cibi liciiuna cenlcat lùit Ecelefiat nmiilare raembrit. confundeK ordinem, perturbare termmoi, quoa poAieninc Pacm niif Monftrum £icii, G, manui (ùbmovendigitum, (uii pendere de cwite, fiiperiorem naaai, bciduo coilaKralcm.Taleed» fiiaChri,8 In Francia ì Vcfcovi fatti dal Re, c molto più i fatti da' Mac(Iri di Palazzo, iminuita ('autorità Regia, fì diedero tutti ade cole temporali; il che anche fecero gli Abbati, che coniributvAnu Suidati al Re, e andavano in periona alla guerra, non come Religiofi, per quivi far uHhzj di Minjllri di Grillo, ma armati, combattendo anche colle loro mani; perlochè(i) anche non furono contenti deU la quarta pane de’ beni, ma li tirarono timi a loro; onde i poveri Preti, che nelle Chicle amminiftravano a’Popoli la parola di Dio, e i Sacramenti, recavano lenza aver di che vivere; perlochè i popoli per loro divozione contribuivano loro parte dell’ aver proprio: il che facendoli in alcuni luoghi più largamente, in altri più parcamente, ne nafeevano alle volte querimonie; perlochè, irattandofì Ipeilo quanto folTc quello che fi dovellc dare al fuo Piovano, palsò in comune opinione, clTcr conveniente, ad efempio della legge divina nel vecchio tefiamento, il dare la decima ; la qual efiendo comandata da Dio a quel popolo, fu facil cola rappreientare (tf) come debita ancora folto il Vangelo di Grillo; febbene da efib N. Signore, c da San Paolo altro non è {b) detto, le non che al Mipifiro fi dee dal popolo il fofientamento (c) necclTario; che il MiniUro, o operajo, e degno della fua mercede; c chi ferve aU'Altare deve vivere deif Altare, (d) fenza prcfcriverc la quantità determinata; perchè in alcun calo la decima farebbe poco ; e in altro calo la cemefima bafterebbe ma perchè quella è cola chiara, e di lotto avremo bilogno di trattarla più diffufamente, non dirò altro per ora, le non che in quel tempo, e per qualche fecoio Icguentc, i Icrmoni che erano fatti nella Chiefa, iaiciate le materie della fede, non verlavano in altro, che in pruovc, cd elortazioni a pagare le decime: cola ch'erano sforzati i Gurati a fare, c pel bilogno, c per T utilità; c nell’ amplificare oratoriamente, come occorre, fpelTo palTavano tanto innanzi, che paicfa mtta.lu, perfezione nel paga re le decime (a); delle quali anche non contenti, nè parendo aliai le prediali, cominciarono a portare per necefiarie anche le pcrlonali, cioè, di quello che l’uomo guadagna colla lua fatica, e indullria, della faccia, di ogni artifizio, e anche dello lìipcndio militare. Di que C^l «luri delfrviuflt, cnm sicari fxriuù pane .... DotTM'iii tainivit iù, qui Evanj^rlium «onuncisnc, 4e Evsngelta vime i. Ctrmih. y. Vedi V drtttete (») U» PrtdMétfre mi f.mfe di Ctrl» fredù tst’St (bt mm fiUmmtt «r nueffMne d$ f-i.ir le Drtim «’ ^rrfi, m» njjiadi dt ftrtsr’.e ufft Un O». Nec e:ic «ptasre k Clerici «111 decun» vobu rtquusnt, leJ dtriti tbt prtdtcàiM ttif. siitfp, ttmtrs il fmlt Aln dentiiaruin elabori qu'S novetit tniina ApolUitrc pietaus lade nucneiwit efl, donec trtiiat, convalelcar, t roboretar ad Kceptionem lUltdi cibi. (^iii im. ponemlum eli fugum cervkibnt idiorrem, quod n«c|cie noi, nei]uc fratrea Uullri lufre-rr {vnuelune ? £^iyf. i.éfud ìdAlilleif tim. 4. Ai torpore membra sliter torta, cjutm ciirpoiuit fplc Sicuc Sc'tfhire, 0 c Cberubim, tc c^eri quiepe ufquead Annloj, et A’rhtngctoordinanrur lub uoo capite Deoi lu hic quoque fob uno fummo Pont ibee prinìatei, rei Parriirr hx, Arrhiepircopi, Epiicnpi, prabyicri, velAiibaici, et re'iipii in bone modum Quod lì dicat tp Cupui.'NQloellélubArrhiepircopui tur Abbtsi Nolo obedire Epifccqo, hoc de Cxlo 000 eAj ailìcurone Angciorum quempum dicenrem audiHi? Nell fui Artk»irt“ jf, ^. dt Ctnfid, hi. }. iini lUtum taluberriffiii fiaerK. a mcisbrM Ecdeitz ooini tempore (èpareior. Cnm. f. m fin». (o, (]), « fmrldT froftuurnnut, ajjnjara, tfdtftfHt, ) ttnfflMHldt». ilz veilrz falubrt debeamu dirpoGtionc fÌKcitrme t de ideo leiundiire deSdenum vefirum, fratrem, 8c Coepitropiun oodnim euju! Eceleiìa eli ab noAiaui occupata, Cardinelnn «eftrz Ecclcltz, ficutperiftia, lonAituimui Sacerdorena» quitenua vot de propitio, At ordinando, de vigilando (óllìeitc Audrai gubcrnarc. cui dedimuiinmandatif, nemu{U3m ordinationet przfuinac Uticiua. Uitr. Dinrnm Smmm. I^unif. tir. II. cp. 1 (c) Hzc vox, diti Ontpto Ptnifint mtUm fniattrprttdJtr dt' mnmu IrrltS^nfiti, (vrquent ed in tegiliro D. Otrgoni, et Epiftoiis PontiScum R'munoruin, et decrrtalUMU, qutbutÌ! Cardinali! dicitUT Preibyter, vel Oiaconua, qui certz aliciri Ecciti, vel Diaeoeuz propria!, de adcMrtiaJicujau tituli,Ave Eccieliz miniAeriunordinatu», inferiot, atuiexui, de, ut iplc loqaitur, meardtnatm cA. Naia S. Gregorio idem eA Cardìnalcm conAituere in allquorituio, vel ficclcAa, quod incardinare alleai Ec(Idìz, vel io altqua Ecckita cardinare. Idem rriam drEpilcopit dirà, quod de tua EecleAa ad alìani. ncccATratii caufa, tramUtni^ EpitcopeM etoidem ficcieiàc fijz, iUius vero ad quana uaatUùlìuiri zo tu, eh erano le principali, più ricclie, e con più carichi, e rainifteri, ricorrendo per lo più cjuelli eh’ erano fcacciati da’ propr) luoghi ; e quelle Chiefe, come più ricche, e abbondati, ricevevano più di quefti foreftieri, e però avevano più Cardinali: il che anche era ricevuto dalle fuddette Chide, perche con quella via acquiUavano da ogni luogo i più infigni uomini; ficcome al tempo preicnce fifa, e però poche volte ordinavano de’ loro, ma [penilTimo incardinavano foreftieri’, onde in quelle due Chicle rcllò che tutti fi chiamalfero Cardinali. In quella di Roma dura ancora il nome , in quella di Ravenna durò fino al 1543. quando Paolo III. con una lua Bolla annullò il nome de’ Cardinali nella Chiclà di Ravenna : cos'ì il nome di Cardinali, che moflrava infermiti, mutata fignificazione, è fatto nome di maggior digniù, e viene detto che fieno Cardinali, cioè, Cardines Orbis tcrtaTum\ Ti) e quello che non fu nc grado, nè ordine della Chiefa, ma indotto per accidente, è ialito alla grandezza, e dignità nella quale oggi fi trova. Ma chi guarderà i Concili fatti in Roma, dove fono intervenuti Vclcovi Italiani, e Preti Cardinali Romani, vedrù che Tempre i Cardinali hanno fottoicritto dopo i Vefeovi , nc alcun Vefeovo era fatto Prete Cardinale anche ne’ tempi polleriori. I primi Vefeovi fatti Cardinali furono alcuni principali fcacciati dalle loro Chicle, come Corrado Magontino, (cacciato per ribello da Federigo I. Imperadore, fu abbracciato da Aleflandro III., c fatto Cardinale Sabinenfe. Non avevano nemmeno i Cardinali Romani alcun abito, o infegna dìfiinta fino ad Innocenzio IV., che nel 1244. la Vigilia di Natale diede loro il Capello ( 2 ) rolTo, a cui Paolo 1 1. aggiunfe anche la Berretta rofla, (3) eccettuati i Regolari ma Gregorio XIV. nel noftro tempo la conche ancora loro. £’ fiata necefiaria quefia poca narrazione, poiché verrà Ji§nir\ che al prelcnic è primaria nella Chic fa, e alla quale pare non trovarfi titoli fufricicntf. (4) Il Pontefice prefente, Urbano Vili, ha per Bolla propria conceduta loro 1 ' Eminenza. (3) XIII. Suenlotes, Uve Pamificct Cardinal«y vac» t t»44. Iug^uni,.in Concitio gm«ra!i la. Csr i«v‘ ) fin ft' incarJifure aliqocm S. dioslibui virii ctcelIeneinÌRn^ cr n»ìi. Sft frtmv.du pur lìium, li opu efliet, prò I-ccJeiuilira libertà. ifU, i CHTMti dt Rimi riiJvtffiri dt freadiriit te tuenda, gladio ofiène deberej et prxfettint tinti di Cirdunii, fif I mm co rempore quo Romana Etdctu a federilo H. tkt «ttfMi d'iffm i fi" vHimi mtmijhi atfifi, Imperaeore vcheioenter oppugnabumr, « ÀI firtieifitt dtU Jm» iUimhiì tJtUitmm' fanvM. fifta i ijmali gita tattiilgl- ta d'efftn agginan alii nijtn aaniritiiai, par cnu ! due lagiait ly. ita Tapcr hot Sede Apo- grmmditi ni Un muta, fi lUnarima dalia Un jloliea, touuf Ecclefur oftium, quiciùl, Ac iiu. dipraienia. ilencatur, (J) ^tjh "Itimi panie feaa finn ageimn (a) Hic in vigilia lutai» Domini anno aiP OtfiaaU Jialiaai, a da' Cifijh, • dagli Dal principio fino poco innanzi il 500. come li è detto, ogni Chierico era ordinato a qualche uffizio, c viveva a fpcfc comuni; dopo fatti i Benefizi, l'idefla cofa era ordinarlo, e alTegnargli Tuffizio da efcrcitarc, e il benefìzio dove cavar il vivere; nè lenza Benefizio fi ordinava alcuno ; ma in progrcflb di tempo, comparendo qualche foggetto atto al Chcricato, febbcnc non vi era luogo, c benefizio vacuo, per non perdere quella pcrlòna, i Vefeovi T ordinavano fenza certo uffizio, 0 titolo; c però anche fenza benefizio, per afpettare che alcuno nc vacafle; « quelli ordinati fenza titolo aiutavano i Benefiziar), da quali loro era dato trattenimento : ma in progrefTo di tempo crebbe a cosi ecceffivo numero quella fona di Cherict ordinati lenza titolo, 0 benefizio, e fi diminuì tanto la cariik ne’ Benefiziar) a dar loro foftentamento, che, naicendone infinite indecenze, e Icandali, bilognò provvedervi con legge, c coftringere i Vefeovi, che ordinavano fenza titolo, a fomminillrar il vitto agli Ordinandi ; ( V» ) c quelle provvifioni nel principio che furono Itatuice fopirono alquanto il difordine; il quale però non flette molto a riforgcrc ; e più volte repreflb, è fempre ritornato : al che due cote hanno data caufa infieme : Tuna, il defiJerio di molti di farli £cclefiaflici, per goder Tefenzioni, e liberarfi dalla foggezione de’ Principi : T altra, T ambizione de’ Prelati, di aver loggctti molti a’ quali poter comandare ; nè ancora è provveduto bene a quello dilordine, ficchè per tal caufa non fuccedano in diverfi Regni molte indecenze, che fono cagioni dì far perder al popolo il rilpetto della Religione. Nemmeno è fiato efentc da quello inconveniente T Ordine Epifeopalc, ficchc non fieno fiati ordinati Vefeovi chiamati titolari, 0 con voce deriforia : Nulla tenenti : ( i ) non fono però così volgarmente trattati, come gli altri Cherici non benefiziati; imperocché, febbene fi ordinano Preti, Diaconi, e altri Minifiri inferiori fenza carico, nè in fatti, nc in nome, non fi è però collumato fino al prelcntc d’ordinar i fraintrtimfjlt h.t9H0 frtf» Hit' 0itatst.i9iit fatta nrl maf^iat ftr maa tamtianaueat dttnjft; tatfatttthì F.e.ttU framtrt» iHnaat.1 V tfaltauMl al di U^ ^«>1# Vili Epiifoput, fi alivnec { nifi lalit oraioamt de Tua paterna hzreditste, Val alta, boncitsMi caufa, fubruliutn polite habete. CauMt i dtl C»ntiii lattraHtHjì fm» AÌt^amdn III., t fi trava ntl taf. 4. tg. tra ir fréhtnda. (i> yJaVrft^' ntICmfilt dìTrta ta difia, ehf ti Vtftavata rtetrra una Diattfi, a tk ti Vifeava, a la Ckitfa fatta rarrtlattvt, tth wta il hiariia, a ta hlagiu ia maniera, tha f una Mb fu» fiat ftnta Faltra’. tbr dì ^ntfiaarà:nazJam man fi vedeva fata un vafiigia in tmitn F Antitiiktìk, in rati i Vtftavi, tha aiiandanavama i lata nftavatt, a (he n'arana frnau, ntn arana fià témfiderati ftr (alt i in fatila {aifa affante, thè Ma \Jemaa, al faale fia eeeana la JUtfir, fià ii tn viem rm fidarata »er Uarira, Refltti nn Vtftava Italiana, thè i Weftavi' titelari, avende félamtntt la fedtfia dtU'Ordine, uan era nettfiaTia che mvefitfa ana Chìtfa t ebe fa una valta nen fi erdméva altun Vefeapa, fanza afftinar{lirat nnai rA derivava, ferrhi ntm fi ardmavana ne' Preti, ne' Diatam fenta tuaia: thè feftia era fiata rieantfuuta ^tr t^aumfati ante al fervitia di Itia, thè vi fafitTa Preti fenta titeia, ed in tenfremenza Vtftavi fiuta Dtattfi. Fra Paaia hh.t. del CentUea di Trentat Ftdi FArtitala la. zx dinar Vefcovo fenza Dioccfi dalla quale (ì denomini ; perlochè fé gli aflegna una Ci[t^ poflcduta al nrdènte dagl' Infedeli, dalla quale prenda il nome; dove non cHcndo alcun Criftiano, TOrdinato refta col folo nome, fcnza popolo; e vive fervendo qualche Vclcovo grande, il quale non polla, o reputi cofa inferior a sè, 1' efercitarc per se Hcdò le funzioni Epifcopali. Di tali Vefeovi titolari ve n' era gran numero innanzi il Concilio di Trento ; ma al prclente è molto riflretto. Ma perche adeflb i Padri Gefuiti propongono queffioni, fc il Papa poflfa ordinar Vclcovi fenza titolo alcuno, nè vero, nè finto, Jìccome fi ordinano Preti, e Diaconi, e decidono che pofia; piaccia a Dio che quella potenza non fi riduca in atto, e fia perduta la riverenza anche a quell’ Ordine, la quale gi^ era grande vcrlb tutti ^li Ordini Ecclefiafiici, quando non era ordinato, Ì^e non chi era iniìeme defiinato ad un’Uffizio, come lì è detto. per la qual cagione tutti riledevano al loro carico, perchè non fi poteva latciar vacuo; c non vi era chi potefle fupplirc, clTendo tutti occupati nel proprio, onde era incognito il difordine di non rifedere . fimilmcmc era incognita la difiinzione di benefìzio che ricerca rcfidenza, e che non la ricerca, e, o ricco, o povero che fofle il benefizio; o di molto, o di legger carico, conveniva che il poirclTore fcrvifle perfonalmente : ma dappoiché s’ .incominciò ad ordinare feoza titolo, avendo i Titolari chi mettere in luogo loro, lalciavano il carico ad uno, che attendeva con qualche poca provvifione, ed elfi attendevano ad altro. Così i Vefeovi in Francia Icrvivano alla Corte % come pure i Parrochi, fofiituito qualche povero Prete. S’incominciò a provveder al dilordine, non con legge, o con collituzioni, ma con gafiighi di cenfure, e privazioni in maniera, che ne’ tempi de’ quali parliamo, cioè, ne’ prolfimi innanzi P 800. con quelli gallighi erano tenuti in freno: ma co^ >> a>MÌfìr>ge dc’bcnefizj, come anche rordinazionc di non titolari, e le provvifioni per la rclìdenza, non pafiavano fcnza qualche diverfit^ da un luogo all’ altro, c anche nella ficlTa Chiela non paflavano fcnza qualche variazione, caufata sì per li diverfi pcnfieri de’ Vefeovi che lucccdcvano, come anche per lo divcrfe provvifioni fatte di tempo in tempo da’Principi, per ovviare a dilòrdini cagionati dal troppo volere di qualche Ecclefiaflico, o dall’ impazienza di qualche popolare, che non fi poteva veder efclufo totalmente dalle cofe Ecclefialliehe, XV, Molta variazione pafsò fino a Carlo Magno, il quale, ridotta fotte la fua ubbidienza l’Italia, la Francia, e la Germania, riformò anche le cofe Ecclefialliche, riducendolc ad uniformità, le quali in diverfi luoghi erano divcrfamcntc illituite; rinnovando molti de’ vecchi Canoni Concitiarj andati in difluctudine, facendo egli divcrfe leggi Ecclefialliche per la dìRribuzionc de’ benefizj fecondo rdìgenze dt quei tempi : reftituì in parte a’ Parrochi le poflclfioni che i Vefeovi, come fi è detto, avevano tirate a sè, ordinando ad ogni Prete Curato ne fofle aflegnata una della quantità che in quel tempo chiamava. x3 mavafi Mcnfa. (i) Pafsò allora in Italia il coflume di dare la decima alla Ghiera Parrocchiale, che gili molto innanzi era introdotto in Francia. Aggiunlc però Carlo di nuovo, che il Vclcovo, come Sopraincendente, e Pallore generale, potefle dare quell' ordine lopra la didribuzione delle decime, (a) che parefle a lui; pcrlochè i Vcl'covi, dove erano molte, c graffe, ne dil^lero in diverte maniere: ne attribuirono parte a sè llcffi, parte a’Preti della loro Cattedrale; c ne aOegnarono anche qualche parte a’Monafteri, con carico che cfli mctteOcro un Vicario alla cura, dandogli la porzione conveniente: c, oltre airaffegnazione del Vefeovo, alle volte le Chiefe non Parrocchiali fc ne appropriavano qualche parte, che in progreffo dì tempo poi difendevano colla preferizione. I Princìpi ancora ne applicarono alle Chicle verfo le quali avevano maggior divozione. Rcllitui Carlo la libertà a’ Popoli di eleggere i Velcovi, concedendo che il Clero, e il popolo doveffe elegger uno della propria Diocefi, il quale folte prefentato al Principe; e quando da quello foffe approvato, e invertito, dandogli il Partorale> e TAncUo, doveffe efler conlccrato da’Vcfeovi vicini. Kcrtitui anche a’ Monaci la facoltà di elegger l’Abbate del loro proprio Monartero : {if) rtaiuì ancora che i Vefeovi doveffero ordinar Preti quelli che foffero prefentati da’ Popoli delle Parrocchie, Stabili anche Carlo 1' elezione del Pontefice Romano in fimil ma niera, ficcome era anche irtituita, quando gl’ Imperadori Orientali dominavano Roma; cioè, che foffe il Papa eletto dal Clero e dal Popolo, e il decreto della elezione foffe mandato all’ Imperadore, il quale fe approvaflc (c) l’Eletto, foffe conlccrato. Vero è che, motto Carlo, quando gl’ Imperadori della Tua porterità fono ffati deboli di forze, o di cervello, i Papi eletti dal popolo fi fono fatti confccrare fenza afpettar il decreto dell' Imperadore : cosà fece Pafqualc con Lodovico, figliuolo di Carlo; febbene manJà poi a Icufarfi con elfo lui, che non era ciò proceduto per Tua volontà, ma per forza del popolo, che cosà aveva voluto. Sono ben alcuni i quali dicono Lodovico aver rinunziata la facoltà di confermar il Papa ; e perciò allegano il C. Ego Ludovicui^ ( ) quale altri uomini di molta 0) fwL ri) HUfffMrié ftrvivtrt, t»mt ntr 5 .Cr^iav# nell» vit» dt S.Ltfstié dArili. Ouncc omnn «l> iffo eflènt redempri co tTgento mo AaterriW ejui Conici Eccirlìa Menfa rcin^ucnt. HitU nMrrw ftmdaU mn c| firviMm» munr» dtll» farti» Urnf». ( .« ) Uc Derimz in pcreJkste Epiftopi Hnt, qiuiibét a PresEycerìi dilpcnientur. t»f.i4i.lti. 1. CsfirmUr. (i; Monichorum (ìipiiiiein caufam, Deo ojmuUiite, « pane liilporueninui. Ac cuomodo ex (é ipfu libi eligendi Uccntiam deaeritcui, Ac qualiter cjuiete vivere, propolitunique indetefli cutVdire valerent ordinaxenmui, in •lu libcdula diligenter idnotari feamuit At ut Bpud Suceellorei nofkr» ratum fbret, Ac invioUbiliter coniervarctur, conErmavimui. tf, ltiii. t- CtfitmUr. (r) i U fimrmtiir» tir fm dal Clrrt, « dad fafaU XMMa» frràata « il traigli», •d a Lttaru fu» fi'UmtU 1’ »n»» «14. Proemno ego Uk per Deuni t^nmipotenreir, Ac per iUa qusruor Evangelia, Ac per bone Cnicem Domini aoliri Jrfu Chndi, Ac per corpus BearilTìmi Petti, prinuj'ii ApoAolonim, quoo ab hoc die in lidtlu ere Dorainis nollr» Imperato dot tri ribus, Hludovico,Ac Hloario, dicbui vitjrnie«, }usr4 vim, Ac imelleòum meum, fine fi^ude, atqae malo ingemo. Ulva fide, quam rrprninifi Domino Apo^iicoi Ac quod non conlentiam ut alitcr in hsc Sede Romana fisi elegie Pontili(is, nifi ciaonue, Se julle, fctundum virci, Se intclledum meum, Ac iile qui elechii fiierh, me conUatiente, conlécvirui Poimiex non fiar, priurqu.''in tale làrtan>er.tuni U^iar in prskmia milG Doaùnici Smperaions, Ac populi rum paramento, quale Dominus Eagcoiui Papa Ip nte, prò coniérvaiione «^nnitun, Uftutri bibet per firiptum: nmai. CafiimUr. fag. «47 yid» Tb»gaa. ad aaaam tiy. ferduravit hxc confiietudo, dir Onifri», ufque ad BenediAum II., cujui fanfìiraie petmorus ConUmcmus Iniperator, Heradii pronepm, et'.i&o tuo julTit ut deincepc, quem ui, pnpululque Rotnanua Pontificcm aekgiQent, », nulla ampliui Imperatom confitnucmrtc expéò-.ia, more vcmiiifiimo, Aatim ab Epilirop» orduuretur Aa»»t. ad mam frlaga Jf. l) D Jtiaff. éj. Vidr Tltrmm dr rltHitnitMi i» fm tfrram Agttardt. taf. 6, fag. i{t., rAi Balnuam. tdt ttiam Tbtran. ad oao.liO., et 17. f i I Z4 dottrina mf più ragioni meflrano fatfo, e 6nto : (i) nel che è fuper6uo aflaticarfì, perchè certo è che Lotario, Figliuolo di Lodovico, c Lodovico iecondo, tuo Nipote, confermarono tutti i Papi elctti nelle loro etli. In quelli tempi, ne precedenti, e fulTeguenti, quando, per afpctlare la confermazione del Principe affenre, alcune volte paOava qualche mele innanzi che l’Eletto foife confermato, e poi coniccraio, egli innanzi la conlecrazione non il portava da Papa, nè amminiilrava, lalvo che qualche cofa particolare, a cui urgente necclTit^ collringefle di provvedere fui fatto; nè vi fbflc altri che vi attcnddfe; come avvenne a San Gregorio; nè fi chiamava Epifeopus, ma EltBus, Anzi nemmeno teneva il primo luogo, ma lo teneva 1 Arciprete ; il quale anche fi dava quello titolo, cioè : Servaas locnm Seda Apojìol'tc^: ma dappoiché i Principi furono elcliifi, come al fuo luogo fi dir^, pafiava Icmpre poco tempo dall’ elezione alla confecrazione, nè per quello fi diceva che 1' elezione fola deffe il Papato, ma la conlecrazione : perlochc, le alcun Eletto moriva innanzi d’effere conkerato, non era pollo nel catalogo, e numero dePontefici, come avvenne ad un Stefano eletto dopo la morte di Zaccheria nel 752. che non fu conlccrato; c però non fu pollo nel catalogo. Papa Niccolò II., (nufei fTriru'-, Hi"C ob ri(creiu, quoi ab hti vi too^ui rflet ^Aiifioutn irunitt nbì'e. Acirpu bsc tàmfaéionf, Lalovicui ‘«'pò i.Ui Clero, Irta)u;uRi ipiìini», St pitia M«v8ne drinrrp ouieftiTnR laelc eni : tu xitu fuf.bulit miti»- ^U4nt» gli Auttri fbt b^mm ftriitt rbt Lut^i, il btn^u», uxtfit rmmuti dtrittt di rtufiruurt t t'ti»9t dt fuftfiuii rr’trr tbt uufft ftrft dli' uxtf ttufuft (bt Hutiu» Ttftnftt util» mtitfimu vii«| tbt il H bli0tHuru Aatfiugi», itti, il CuuctHurt drHm feere Wr, rutttmt» tb taduvii» dttdt M fuifiMU f tturr» fdtfià d' titfgm i |V fini, a f •« Ptmifi-tm ft^ului fiatim eriafiit, fNi tmia dir Ptaiiftatmi fm, dumrtt dtmtjhcas diffcnttt uttifit, mtrb» àfifitxt» rrrrrfiut tnttrmt.. ^5 Papa riceva tutta V autorità : e perciò i Scrittori mi fmt mi ntlU fmm Cnmìcm Jt’PMfi. F ftiammn mtmxMm Ji ni in itrmm. Ante qnein tioxn Siephtnut qui«U fdf»^ fidi» Sttfdm Ili. f» V dltr» ftfu fidi» fdfd iftttiv», I rietmfrtiu» t ìi rkt damjh» tln dUr» tfftr Elcàuf n»m trm ifiir Epilcopui, « fdfivd drvtntdr F.pili« nel fm Ltxitm, in Cenfitrohoiubiu Imperatorits, enniverlétiam pearitatiooem, colUuòaetii, de prcAeaooem fi ! i nefizj molto ricchi, fi creavano Vclcovi i principali della Cone, c della Cittì, a quali il Principe ancora commetteva molta parte del governo politico, prima llraordinariamente; cpoi, vendcndofi che riuIciva bene, anche ordinariainenie; non perh in tutte le Cittì a!!'iflef|b modo, ma lecondo le occorrenze del luogo, e il valore, o la boctì del Vefeovo; e anche Iccondo la poca attitudine del Conte alle volte, al quale fi luppiiva col rimetter ai Velcovo. il che fu caufa che poi, degenerando la poflcritì di Carlo, che bnalmente fi affogò nel prctondo dell’ignoranza, i Vefeovi penlarono cITer meglio per loro non rl.‘him (redo bsc oppertunif(ce Htdriinum. tjuod CftTOius, {quejh tr» C«rI it rnffirì Iinpcraeor, sb ImIU cum «nrcitu diicMtiu, in Noroujinot rebeliintn moverat. Stiu vftM d' AdrUn» U. dtl mrdtfimtt PUi$ms fi 4 i R»mMÌ, ftr mtier »» P»nt>firMt9 ftmx,' sffttfri l (»nftrmst.iem dilT féiU, >r« etti i vttifimiU tb AdrUtu IH, mìU i'tftUdtrt P ìmftrmd» r4 dtl P»f» (4) Vidi PVitKhmd fég. tt. mtam. to. Omnia, dtrr ii d‘ Agmtfy»»», &unini deben ror PantiKibiu, 8c non C'boi^ilcopir, nula f»rt» Cbtltiahrta rmane Ckmi, quod lum failTc. cum )Un eo devemJtent Ecriclialìici, «tuh> (ine perratonis t^ualtlet dMtunùc.rc tem- ut, non cnadi. ut aniea, Icd ffKjnte, ^ laigi. pori de Erciedx rmuiBcraAonr pofTederint cum nonibuarootifiiium nmnutobuent Rea (>ef '^aucioriuie Klonotìtlimi Ptincipia nollti, in |ui finii «xempli, cum pndea ('ere (einper ferrata bare propnctarium praeCciiptione tempotit non vncen. conliictud» (il, ut a^priorum Pontifimin fe.p(en. tur, dummodo pateac Ercidix rem fuifTe; Nevi, tea aut infrinf^erent, aut omnino inlleenr. R#. deaiuiu eiiam Eprfiupi admimaraitonu prtjlizx, Manal.rra éStcfsMaVl. rii thi Sttfan vav«ut precatortaa, cuni «rdinici funi, faceredcbotC fAtia a tarmafa. Steptuni PonitHch Jerreta, Ae le, aut diu lentit Ecclefie ficultaTei prnpristati «tU ibtim tmprobat. abro^acque. dire iV R«rin« fux polle tr»nfuiderat buie «tati ut hotninum indullru in rnitnonc inutilaiui turpuer, alupundia vitam Ju. quovU cenere vittutia (oafeodlertc, nuliii calca zie, cum ob inhoitelia vulnera i frababilmeata libui aunibim, quibu» hmuinuiu ingeniaad lau' ftr tfitr^ii fiata tafliata il nafa, a la erieibu ) dein eiuiirentur. piodire in puliblitum mibcKcrct. Plaiina in (JStimphaDUtVI.dirr il Flaiina malia fna vi. vita, ta, tanto odio pcrfecuttis cd Formoli Homcn, ut anni Giovanni XL ch’era figliuolo (4) baluardo d’ un altro Papa (h) morto 18. anni prima’, e tanti inconvenienti nacquero in quelli anni, che gli Scrittori dicono in qiie’ tempi non cflervi flati Pontefici, ma Mollri. 11 Cardinal (c) Baronio, non fapendo Icufar alcuno di que’dilordini, dice che la Chiefa allora per Io più (lette lenza Pontefice, non però lenza capo; rellando il fuo capo Ipiricuale Grillo in Cielo, che non T abbandona: ed ò ben cola certa che Grillo non ha mai ialciato, nè lalcierh mai la Chiela Tua, ne può mancare alla Tua divina promelfa, eh’ egli lar^ con lei fino al fine del Mondo: (d) e in quello ogni Crilliano dee ientire, e credere quello che il Baronio dice, penfando anche che quello, che all’ora avvenne, fia avvenuto altre volte; c ficcorac in que’ tempi la fola alTiflenza di Grillo confervò la Chiefa, cosi l’ha confervata, e la conferverh in tutti i fimili accidenti in quel medefimo modo, con tutto che non vi folTe minillero di Papa, (i) Può ciafeuno da sè fleffo giudicare come folTero trattate le altre Ghiefe d’Italia, confiderando qual’ è lo flato di tutte le membra nelle gravi indilpofizioni del capo. («) Non flavano però meglio fuori d' Italia, dove i Grandi davano i Vefeovati a’ioro foldati, e ancora a’ fanciulli in età fanciullefca. Eriberto, Conte, Zio di Ugo Capeto, fece il fuo Figliuolo di etk di anni 5. Arcivefeovo ( a ) di Rems ; Papa Giovanni X. confermò quella elezione. In que’ tempi nefTuno riccorreva a Roma per divozione; ma Tempre chi di&gnava alcuna cofa contra i Canoni, e ufi Ecclefiaflict, fe non trovava nel fuo paefe chi 1 ’ approvaife, ricorreva (m) ^ejl fini ) riftrif i» mtl lArè frutto mi t»p» i J. Onofrio ?mmvitto itti tbt Ìfio Psfn moH n» di Pof Srrgto IH. tomo mfierms PUtiM. (^) Di Sorgio III., c di Unroxj, figìiuolA dtlis Mtrfttitt ToodorA, Ia tfmAle profiimivA U f" ’. Joinnei XI. dir pAmvimi. S^gii l'apx. Se aIsickix notuUilimr inter Rmiunof fiéminx {tlU n vtdovA di 0»ido ÀtArrbfft d T^trtnA"^ filius, vutri, qux cune in urbepoteouirima erat, uiàoriuc?, et ttudio rucceflìt.;.. poli Leuneni VI. 9c Steptunum VII. Pltuiti» U tbìAms CiovMMMiXll. patria Romanui, pane Sergio Ponriike &c. (r) Wi fMin ifS tpAmt, «fìea PlacÌBa nelii vita di BeneJetio IV. tAfrivir ttfit EìcUSa Dti, vttfir tfM! cnitorAtu a ftutritAt d lAftivurm, ffprrit Atiu tAutA lirtHtiA fttcAAdi btportt»tA, A ATAiniitn, et UtguioAt, fAitOiJimA P^ $ri ftdti nrnfAtA tfi forimi. feffrffA. Bm~ voiu rbiAAtA imefii PAfi ftdu AfofioUt mvAfnri, itom AfofiAitoi, frd Af^Atirot, a 4 Aaitmm pot. Jta Pool (a muA pmdttjoffiiimA imior Ito 0I dtftrditu dtll'ttrtnmi ai ami itmfo. Sitfpu, dx' gli ìm kha dtlft fu Itttrrt, u h» irnAto Arfomtnfo fori it provi tbt Ia fioTÌA dtllÀ PofiffA CttVAAAA fA VTr«i tott iitmPHn bo ttovAto TàifioAi AblofiAntA hmont tbt n mtfiuAo Ia fAÌfitÀi tilde, pr pArUr fiaertAmtmtt, io fmdt a trmnlA ftr fAljA, pia non pi ftr firAVAtAntt i poirkh i» fMaa«i X.)ulutptitiin, in execnplmn cito rtanfiic aliorum, ut cumplures hujus Ixculi Princt. fibi tinguine con^nftm adolclcencutos ia unaaC-aUicdraituravaim ^nvinovendos ad aem. paf. a Roma, dove fi davano difpenfe d'ogni cofa e Fambìzione, o F avarizia fi copriva con dilpenlazione Appdlolica. 1 Papi, eifcndo quali abbiamo detto di lopra, non Facevano didinzione di quello che poteffero; iiimando aumento delia lorp grandezza ogni cola che folTe ibftenuca da qualche potente : quelli, per loro iinerefle, difendevano quello che impetravano. Il popolo, parte per la lua lemplicitk, parte pel terrore de’ potenti, approvava quello che non poteva impedire; onde fi fiabill un’opinione, che di qualunque cofa, lubito che aveflc la confermazione da Roma, ogni errore paflato folle coperto. XX, Alcuno crederebbe che la poca cura che aveva V ordine Ecclcfial^ico delle cofe Ipirituali avclTe fatto rafl'reddar il fervore de’lecolari a donar alle Chiefe, ed avelTc pollo line agli acquilU nuovi degli EcclefiaAici; nondimeno non fu cos'i, imperocché, quanto era diminuita ne’ Prelati la cura Fpirituale, tanto più erano intenti a confervare j beni temporali, e avevano convertite le armi Ipirituali della Icomunica, che fi ufava folo per la correzione de'peccarori, a difela delle poflelTioni temporali, e per ricuperarle anche, Fe per calo la poca cura de’ PreccF(bri le avelfe lalciate perdere. e nel popolo tanto era il terrore delle cenfure, che nefluna colà, metteva maggior (pavento; e colà mirabile era, che i foldati, e i Capitani, fenza alcun timor di Dio, che ufurpavano quello del prolTimo Fenza alcun riguardo d’ offendere S. D.M., gutrdavano con gran rilpetio, per timor delle cenfure, le cofe della Chiefa: da quello molB molti di poco potere, dclìderofi d'afltcurar il filo dalle violenze, ne facevano donazione alla Chtdà con condizione che ella ^lielo^ delTe in feudo con una leggiera ricognizione. Quello afHeurava i beni, che da Potenti non erano toccati, come quelli, il dominio diretto de’ quali era della Chiela. Mancando poi la luccefllone mafcolina de Feudarar)-, ctTmc- per iè Frequenti guerre, e fedizioni popolari, i beni cadevano nella ChieU. Poiché (ino al prefente abbiamo detto in qual maniera fieno fiati acqiiifiati i beni Ecclcfiafiici fiabili, c la ragione di decimare quelli de’ Laici, quello luogo perfuadc che fi tratti, c rifolva, prima chcpalfar innanzi, la quifiione trattata ne' nofiri tempi, cioè, le i beni £cclefiafiici fieno pofleduti urc divino^ o humano'^ echi ne abbia il dominio. la comune opinione difiingue le poireifioni lafciatc alle Chiefe per teftamento, o per donazione dc'Fedeli, o in altra maniera da elTe acquifiate, dallc{ decime, primizie, e alire obblazioni. £ quanto alle polFefiioni, tutti concordano che fi debbano chiamare beni temporali, e che fono polTcduti dalla Chiefa jura kumano : imperocché cena cofa è, come di Ibpra fi è narrato, che, elfendo proibito a qualfivoglia Collegio r acquifiare ft.ibili, la Chiefa, prima con permiflìonc degl’ Imperadori ebbe facoltà d’ acquiftarc, e apprefib vi c il Canone : j«r^. d.S., do . 31 d. 8., dove fi afferma che col folo Fondamento delle leggi umane fi dice: quella poffeflìone èrnia: quello Fervo è mio: c che, levate Je leggi de’ Principi, nè la ChieFa,nè altri potrebbe dire che cola alcuna Foffe lua. ( 4 ) Neffuno può dubitare che la divifione delle ponTcffioni non fia per legge civile, e parimente i modi di trasferire i dominj dall'uno allaltro, la donazione, il teflamento, e tutti i contratti, e tutte le diFpofizìonì non fieno leggi umane. Sono flati nel mondo Repubbuche, e Regni, dove il tellamento era incognito. Jure Romano al iolo Cittadino Romano era conccflb di far teflamento: non c pofiibile che il modo di acquiflare fia per ragione umana, e la continuazione dcU’acquiflo fia per divina.’ quando alcuna cofa è donata, o legata alla Chiela, effendovi difficoltà, fc quei titolo fia valido, fi giudica con leggi umane, c tenendo legittima ragione, fi mette al poffeffo fecondo quelle. adunque anche in virtò di quelle, e non altrimenti, continua nel dominio, e nella poffeffione : ma poiché in quello ogn'uno concorda, non pafferò piò innanzi: lolo aggiungerò, come per corollario, che da quello fi rifolvc chiaramente, e fenza difficoltà, fe T elenzioni, che hanno le poffeffioni Ecclefiailiche, fono de jwc diviHo, ovvero bumano , poiché il poffedere, ed il modo di poffedere, vengono femprc daU’ifleffa legge, e i Giureconfulti dicono che dall’ illeffa viene la fervitù, o libertà de’ fondi, daquali anche viene il dominio. Sarebbe gran contraddizione dire che la Chiefa aveffe una poffeffione jure Veneto, la qual aveffe una libertà alio jure. Ma quanto alle decime, fono due opinioni: una de Canonifli, 1altra de’ Teologi, e Canonifli, che flndiano infieme la facra Scrittura, e la legge. Dicono i Canoailli che le decime fono miv divino, () perchè nel Teflamento vecchio Dio diede a’ Levili la decima, come {b) la Scrittura divina racconta. e non è maraviglia che dicano cos), perchè non fono vcrlati nelle lezioni de’ Libri facri, non effendo la loro profcillone d’intendere i nìifieri della Religione Crifliana, cioè, che Dio per Mosè diede al popolo Ebreo la legge, la quale, quanto alle oofe cerimoniali, t giudiziali, fofse propria di quella nazione fino alla venuta di Criflo, il qual’ era per levarle la virtù obbligatoria.- (r) ficchè la legge delle decime è ben legge divina Mofaica, ma non legge divina naturale, nè Crifliana, ed obbligava quel popolo folo di allora, adeffo non obbliga alcuno. Può bene chi regge una Repubblica far leggi fimill a quelle , ma non obbligheranno come divine, nè fi dovranno chiamare uli, ma bens'i leggi civili del Principe che le coflicuifce. Fu una legge divina Mofaieache il beflemmiatore fofse uccifo. quella adeffo non ci obbliga; nè chi non l’uccide pecca; e potrebbe il Principe imporre per la ^flemmia pena capiule; e farebbe giuda, e fi dovrebbe fervale; non però fi direbbe legge divina. («) Jure Kumano dkitar i h»c vilU mea cft: hcc dofnus mea - bit fervut renu eà. )ura au«m hunana, jura Imperatoram (uDt. Tolte )ura Imperatorum, 9t quii aud« dicere : mea eft ì0a Tiili, auc mnu eli itie fervui, aut dounii h«c IRM cft} ) Ctv»rmvi» »a» J d» ftmimtnt». Vt il il it, iti Itkn frtmt variarum refolutioeuin. H ) Filiii Lavi dedi omnes devimas Kraelii in pofleftìoneTn t>ro ininlfteTio quo ftrviunt mihi in tabamaculo nderis.... Decimarum nblatiem contenti, qiaas in uiùi eonim, de nereftàna Tnnilato Saoerdotio, necefle eft ut et le. il rranilatio fiat. Reprobano fit prxcedentif manB(i proptet iofinnitaccm c;iti, et inuniitatoui. Htèr.7. vina, febben Dio gi^ la dicale al popolo Ebreo , (rf) ma legge del Principe politico. In quelle, c in molte altre occorrenze, dove allegano quelli uomini la Scrittura vecchia a loro interciTi, e loggiungono ch\ è de jure divino^ bilògna diflinguer loro l’equivocazione, che quei eh è de jure divini) naturale, o Cnltiano, d obliga; ma quello eh’ è de jure divino Molaico non ci obbliga; e fc chi ha un governo fa uno flaiuto fìmile a quello, egli è de jure bttmano. Non poflb relìar di dire che non, per ignoranza, cosi trattano qucfla materia; mt per ingannare gl’incauti, c per convalidare le cole loro col nome dinr divma, e mctterfi in credito: ma fi potranno convincere qui, e far tacere. In quell’ iltefib tefio della Scrittura Dio comanda eziandio che non pollano pofl’cder terreno, e fi contentino delle decime.- (^) fé per quello precetto il popolo è de jmre divino obbligato a dar loro le decime, efii laranno obbligati a non aver polTclIioni. Ma apprelTo : Dio comandò le decime foio de frutti della terra, (r) e le leggi canoniche dicono che fi paghino ancora della milizia, della caccia, e di qualunque opera umana per la quale fi guadagni. Se Dio comandò ai popolo Ebreo le loia decima prediale, lono sforzati a dire che la pcrlonale non fia comandata, le non per legge umana. 1 Teologi, de’ quali io non nomino alcuno in particolare, perchè ndfuno è cldufo ; e molti Canonilli con loro dicono concordemente, clTer precetto della legge divina naturale, che il minifiro della Religione viva del fuo uffizio che prefia, fervendo .al popolo nelle cofe divine; ed elTere Ipeaiai precetto di Grillo N. Sigli, nel Vangelo, che al mìnillro, il qual lerve al popolo nella predicazione della parola di Dio, e nel minillero Ecclefiatli-o, ila lomminillrato il vivere: in che quantità non è determinato, perchè lecondo il numero delle perlone, la condizione dc’luoghi» c dc'tempi quei eh era molto una volta farebbe poco un’airra; ficch.' il far parte al Minutro dt Cri^0 è de Jure divino Che quella parte fia una decima, o una ventèlima, o una maggiore, o c_llatutiro per legge moana « o per confuctudinc; che vagliono rilttflb. E quando fi legge in ai^unc Dep-ciah che Dio ha illituita la decima, o j^e U decima è de jure divi^ no^ $' intende (ff) la parte determinata per una indeterminata, intendendo decima, cioè, quella pane che è debita, c neceflaria, ovvero che i)io ha iitituiu la decima nel Vecchio Teftamemo, ca lua fimilitudine la Ugge ha i^ituiio lo (leflb nel nuovo. Pcrlochc generalmente poffiamo dire che i beni Ecclefullici, di qualunque Iona fieno, lono lotto il dominio di chi nè padrone, e poflèduti per leggi umane. Nè alcuno muova dubbio fopra quella parte indeterminata che è debita per legge divina naturale^ e Vangelica; perchè, come ben narrano i Leg gittij (;) Ortinem meJutlani atei, viui, frame I I iiln ileJi, '•fe Die d Ar$ tn uni>erÉi hu^utn imrUf ()iih EK'' ^ Dunituo deportintur, cedcni ii\ aAit iuta. (dy (ilitt Levi, étti T)i, deiì aman drcimn f€o uiiolUerio quo femiuit milu m uberoetulo IcJeri. Nnm. >1. («) Dominili ordiittvtt iù qui gfiofcliun tonuncumt de Eviitgelw vivere, i. Or. i, elt^ lipoe e^ritelii vettra iDerimu»? Uni beoe |n«iuoi VrotiyteTi duplici honore difini hsbeinnir, m». jMice qui loborant in verbo. Ac d''i£iiiu «U «periTMf mercede Tua- i-T-fUi.I. PI ler cuni |v>pu!ui univeut, de iJ liliov Ifnel loqueru ; Hntu», qui blalphemaiem D'imen !>>• mini, OMrte nii>riAtari UptUibui e^lprmiet cuui mrme muliHud'', Zrwr. a,. Dixit O’unjnu. sd Aaron: in te rt eorum mhi! p>(T> c' itii, iKc habebuis piriem inier co: fi sltnst r$ar dt Nihil «l'ud pnili.!ebtini, dcrtouium ^!«none (unteixi. A'ana.il. Nontubebuni Saeerd.ne», et Levirit psreem. de h«re ertem eem rrliqno Itraci, quia bcrifiria D'xtunt, et oblatuinet eMi corpc-’^nr. V uim! aliud aeri, pieat de pofldliooe Irinumliiorum. Unii. ra. il. gilli, altro i che una cofa Ca debita; altro i che fé ne abbia dominio : la cola di cui li ha dominio C pud dimandare drittamente in giudizio, come fi dice, Mont rei wneleesmnh ; ni fi foddisfa con dargli r equivalente ; ma il creditore pud folo per azione perlonale dimandar il debiiOt efièndo il debitore obbligato a dargli tanto, ma non pid quello, chequello. Da quella rifoluzione rella anche con faciliti decito, le i benefizi lono ite m Rivinti, e Je ere pofit 'mù ; imperocchi, elfendo i (labili, e le decime poflèduti ite ere èemme, anche i benefizj fondati (opra quelli avranno la forza deirilteiTa ragione: olirà che dalle cole iuddette fi potrb pid agevolmente certificarfi di ciò; perchè, fe la Chiela è (lata tanti anni con beni (labili goduti in comune, e non divili in benefizj, come di fopn è fiato narrato, chiara cola è che i benefici tono (lati creati dagli uomini in progrelTo; e perciò in quello tutti concordano- Non mi ellenderd pid in lungo.- folo dirò che, Icbbcn quelle conlìderazioni pajono aliai lottili, tono però neccOarie, come le cole feguenti mofircranno. Dalla rifoluzione della prima quifiione farebbe facile rifponder alla fr' conda, cbi abbia il dominio de' beni Ecclefiaftici ; ( degli (labili fi parla, poiché de'Irutti fati il fuo luogo nel quarto quefiio) (l) imperocché, fe tono polTeduti per legge umana, non iella le non vedere a chi la legge gli abbia conceSl. Alcuni dicono che quelli beni fono di Dio; e lenza dubbio dicono il vero; perché la Scrittura divina apertamente dice che della Maellh fua divina é tutta laterta, («) e qualunque colà é foilentata da quella: ma in quella maniera ogni cola é di Dio-, e non pid quelli beni, che tutti gli altri: una fona di dominio univerlàle é il divino un' altro dominio ha ogni Principe fupreno nel filo Stato, il quale, fecondo Seneca, fi può chiamare dominio d'imperio, (é^ ovvero, fecondo 1 dottrina de'Gìureconfiilii, dominio dì protezione, e di giurìfdizione : (r) Un'altro n'ha ciatcun privato, che é il dominio di proprietà, dei quale parliamo, e del quale cerchiamo adeflb: né fi pud dire che Dio abbia l'unìverlàle dominio di tutto, ma che abbia infieme la proprietà di que'beni come il Re ha l'univcrlale in ratto il Regno, e nondimeno poQiede in privato, e ha la proprietà di quella porzione che é di caufz fua. Imperciocché al dominio univcriàle del Principe fi pud far aggiunu col partfoolare della proprietà, per la quale crefoe, e fi aumenta; ma il divino di Dio ha una univeriàlità cosi eccellente, e infinita, cin non pud ricever aggiunta, e alb quale ripugna I’ «fière particolarizzat^ ficcome anche ripugna che £a comunicata a qualfivoglia creatura; p^oà^ neffuno pud dire, efCendo Dio padrone di quem beni, io, che ho J'iAalE> tribunale, T ifieffi) confifloto, e rifieflà Corte con lui, fon io ancun fi^lrone. Egllé non meno fervo di qualfivoglia Uomo minimo. Teme li. E Peid l«t mprkm. fMb r. Cbìm eli, ttm9, U ^aiA^oiaefl omflÌMif «un&nt ita t m 4- Domiu cft wm, picaitado oÀù (cncnun, li unià-edi qui htbiwBC ta co. ffttim, ( noi» iwMa funi f;ti». vi mini. poflc^Torii, i. %. 100. «rr. 1. rrff, «U UiS.7‘ tr) rtpv rwo fed ciilV«nrater p«iun.« ■' pt doiiiinus, feiJi. fpeaCitwr, (èquitui quod de p!e ipiii ed dominai quìa don^iortM a«ii «litnant. trvmfetur^ >»ra loft tu rapunf .aut Pr^.(v«n, fc.i i« Zccielìim Kctnananij ve 1 ialem. (tvj r ttitadio tttf «a 4 r 1 f sdraiti, t ftmnfrmt luu d far Ur Is frnsrrtm Ncc pum, il, ^ojnetaa quod IV Pi hibec plnuiudmcm pdtcftnl? Ecctettimcx,Db bóc podlt de SottuZiLldis dtipi^eic^ fMt pqoelk Érclelia; quoiM.ini ‘pleniiudo p|itelUlii EiMletitltit mcciligttur in fptriuiahbos Onmnt. a 4. y «rr. 4 J.. # unsCtafrÀteraits in i’mtgJ», d\ tmtt ir Cta^sitrait fi (iusmsm dra«l«. \.i)L'A»trt dutdt'Frsn, tk'i li uem ft» (ai S (ìtuum» .olare, o universale, a favore di cui la donazione, o il legato fu fatto. Perlochè dovrebbe anche ogni Rettore di Chiela veder con diligenza le obbligazioni lafciaregli, per eleguirle; e fe altritnenti fi fa, biiogna imputare all impertezione umana : nè può alcuno perluaderfì che, per la lunghezza del tempo, pofla clTervi prclcriziunc; imperocché quella lup-pone la buona fede, la quale non è mai m alcuno; lapcndo ognuno in lua colcienza che quei beni non lono Aati Jakiati, acciò li faceta quello che fi fa. Ma chi avrk il dominio di quei beni Ecclefiallici de' quali non fi fa rillituzionc? la legge naturale, c civile è, che in qucfli a’quali è mancato totalmente li padrone privato lucccda la Comunità: adunque di quelli rcllerìi padrona la Chiela. In modo cKc in poche parole i Bc-' nefiztarj lono dii penlatori de beni dei betttftzio, ma padrone ne è quello a favore di cui è Hata fatta la donazione^ ovvero il tefiamento t quando non fi lappia, relìa padrona la Ghiefa» Non olla a quello che vi fieno leggi de’ Principi, ed Ecclefiaftichc, che proibilciino Valienazione; imperocché il pupillo è vero padrone del fuo, c pur non può alienare : il dominio è un jus di fare della cola quello che fi vuole, quando la legge permette; la qual legge obbliga alcune Ione di perlonc che baono bilogno di governo alieno : tafè 1Univcrfitk, o Comuniii. Non fi dovr^ maravigliare alcuno, fe tanti moderni Scrittori in fimili quiltioni, come in quella, che fa il Pontefice padrone alToluto di Tomo IJ, £ 1 tutti i Btnefìzj, nini i beni EcclcGaRìci, difendendo opinioni contrarie ali’ Antichiù, c a quelle ittkuzioni che ebbero origine eia’ medcGmi Af>polioli, e uamku Appoltolici, perche, come con gran fentimento n doleva S. Opriano, è una dette umane imperfezioni che, dove i colHimi fi dovrebbono conformare alle buone dourine, eleggi, per lo contrario le dottrine degli uomini intereffati s' accomodano a’ cofiumi; e fi potrb offervare io tutto il corlo di tanti fecolt, non eflcrfi introdotte novith, eziandio concernenti alla Religione, che immediatamente non abbiano incontrati difcnlori, Che maraviglia fark che ciò avvenga in quelle noviù, e introduzioni che icrvono a ricchezze, comodi, e umani incerefiì a'quali molti poiTano afpirare? La confufione che fu ui Italia nelle cofe politiche, per tanti che furono in quei tempi fatti Ré, c Imperadon, cagionò anche nelle altre Cictà^ efiremo dilordme nelle cole Eccicfiafiichc; elTendo i Vefeovi, egli Abbati ora fatti da' Principi, ora imrufi dalla potenza propria; e gii altri Miniliri Ecclefialtici fìmilmente fatti, ora da quelli che dominavano nelle Citù, e ora da'Veicovi; e alcune votte i benefizj anche occupati da chi aveva- potenza, o favor popolare. Nell' anno p&i- venne in Italia Ottone di Safibnia coll’ armi, () e fc ne impadronì ; e per dar forma al governo, congregato un pio ck)l Concilio di Veicovi, privò Papa Giovanni XII., febben della maggior Nobiiù Romana, e di gran icguito in quella Citù, il quale, fatto Papa in ctk minore di anni diecioito^ viveva nel Pontificato con eicrcicar adulteri, Ipergiuri, e altre maniere poco rcligiofc : fi fece rimmatar Ottone: dal popolo, (a) e da Papa Leone Vili, creato da lui in luogo di Giovanni, ramonù di creare il Papa, (^) e gli altri Wfeovii in Italia^; la quale ritenne efib, c il Figliuolo, e il Nipote fuo, dello fiefib nonir, fino ai looi. per gd. anni; c del numero di dodeù Papi che furono in quei rompo, due ne furono creati dal Principe quietamente, gH «W ùk.£edizioni periochè anche li primo. Ottone(i) TìC menò uno prigione in Germania; e Ottone III. ne menò un’altro.' uno fu lUangolato ( 2 ) da quello che volle effer fatto in luogo fuo; uno fuggì, (r) rubbaio il telerò degli ornamenti della Chiefa; e un’altro fi rmiò a voionurio cliiia; (d) di modo che anche in quefii an ni in StfnjH tr^Omnr,, jSgUtuJv litiP ftpfrtMMmo i ÙcctUmcrt. flmrin inlutf dì XÌI. XÒmMMit- AloWK» pai^u f^atì aufuiB occu^tti ho» An« onsubus {tfoom, u turpnuOifM conMiintuti «cfritionibus maj.f, C (rapo ' 19 a Itàndiniliw ruprt-iv noni a mUm»» dtft i P tli^McutUuia lU. n ciritKfu. Con .1 ina inJitit, fid Cjt^. I •. D mt J mt» V. •ìfttt ft d in Mf ttm n H d»lU jùoat, d»l fMTMt»d» aOi^i««rXl( Cuiu li». peraor. du il fUun», haAc clcàioMin omui. IWam prol’tKt. UoBtA'x compulit, putto BrneJiixo, vel diiàum ipluni duiit, qui oon iptilto poi) dolore animi «pud HamUirgum rooricur, um (elcgitm e»t. rtdi ImitfrMndt II. (OJMVfiitrrrr. • fi» ttfit, ferendo Stntdffii y. f»i(bì fmtlU di »«mt, tkt f» tfrtt» dulU jAtJmt di Cnvuniii Xtll. rra A»:ijMf. p thttt Tivrodr Irm» Vili. Itfittimémtne lìttté. UcMciiifhic Vi- diti il fUtin», a CiJinoltooiaoocive pra-pote(M «aptiH. in Omfti iKon inctuditur, eoOaiuque in loco noo niuUo polt Araneulacur. (f> oonffeiui vii- diri UyUtim», rcUnqueie «rbem coodut. pwiolìiCnu qujcque e Balìlira Tetri (ubtrahent. ConAaRonopolitn ronfucic. ubi landw fubihm, quuad, diveoditu qu« ucriteio abitulerae. imgnain viin pecunùmim cooparallet. l'ontite Romanus Ijcrorum Picer, 9cKcx, Ocra iplii hirto abftuliti et qui vindicari Acrilegij deWerat, taiiu OtriUg)! fiOus eA au>%or. liAui, dit» ilPìnùn ntU fm» vite, Joaiinì Aiehipreihytero S. Vanim ad po i^m Laimam, qui polle» Gregoriui VI- appeitaius eli, Ponuficium irnnai, ut quidam a.lìrmant, vendiditi td nl(M »4 Tgt dtfn; Dunt »nnn «lecexn per infciraU» Sedein l'etn occu^'allet, tandem moritur. Nec vataflé rum fedet dici poteft, curoPootificafum vendiderit. (f) Vide Otbun Frifing. ad ann. 1040. lib. 6. C.3». (f) Hu ob rei, diet t Plmin ntU vitn di CriftritVl. Henrteo li. ni ranca difli Attmnwmi i fama III. nitrimtntt dnt» JitnVa il Nrrt, in lialtam tum magno exercim vemei», habii# Synodo, eum bencdidum IX. Silvrfimtn IIJ. Gregorium Vi tinquam tria ier«TÌin» monftra abd» Papa' (a) c fece c^li tre Papi fuccefTivamcnte, tutti Tedefchi di nazianc ; i quali, eletti, dall Impcradore afTunfero Tlnlegne, e l'abito Pontificale fenza altro : il terzo, che fu Brunonc, Vdcovo di Tul, avendo afTumo per la deputazione deli Imperadore l’abito in Frcefingen, (i) e fatto con quello viaggio fino a Ctugn’l, Ildebrando Monaco, allievo della Chiefa di San Pietro di Roma, uomo di fingolar accortezza, voile con arte reftituire reiezione a’ Romani, c configli^ Brunonc, che, vefiito d’abito Pontificale, fi chamava LconIX. a vcflirfi da pellegrino, centrar in Roma (^) cosi, che farebbe fiato piu grato al popolo Romano. Acconfenti Leone, cd entrò in Roma vefiito da Pellegrino, c dal Popolo, a fuggefiione d'ildcbrando, fu acclamato Pontefice Romano. ma quell’ arie non impedì che, morto Leone, Tlmpcrador in Magonza non cleggelTe Geberardo Elchfiat, che immediatementc mife l’abito, e fi chiamò Vettor II. (c) L’ Imperador allora non folo donava i benefizj, ma fece anche Cofiituzioni contra quelli che gli ottenevano perfimonia; perdonando gli errori commcflTi fino a quel tempo; ma imponendo pene per l’avvenire. XXIII. Mori Enrico, il Nero, ( 2 ) lafciato P Imperio al figliuolo Enrico IV,, che gli fuccefle in ctb puerile; durando la minoriiii del quale, febbene i Papi erano creati col conIcJìfo de’ Tutori dell’ Imperadore, c i Vc rtre Se maglAiaiu Ascgliìtt, SviJegenmi, Eim- >i»m fcfti, jifrfttafere ttt, Jtpolìro l^ontificsli orbr^«nrefi) fpifcopum, a due. ùu luii, Puotificcm trtat. rem Hcnnrum nuUatn (reandi pontifieu ootelU m amtrUVI. U ùtnt fntmf lem • Deu habere, fei ad acnim. populuinque Itfnitm, dktnd» thè wtH ft$ ilett», fe ut» ra4}iur. Al vero Ronuauì denat, futdenacHil. r« def» «wr fc»ttt»to Si'tf^reTn.. SiìmmW. auuiidruu IkunneiH in Pcuuàhrem eligir, itr» Tifitmn iiPuirefifMftx dite, probo- co hbenttua, «)us7 oinucfu aunuritaceia eltgendo rutn hommeni precibuf, fteerdtiitrum fuvrum jw- rum l’i ;uiAevin ab lmpara(jte ad CicTUin traa. rtcedcniibu^, aiaartui fiiAcébut cA Josnim Grecia- tUcliflec. flatiM i« \>its. jiui, An.hipre»bjrccr S.Joanni ami poiiam Lati- (r) Vjòor II. -iut Qmtfri» mila faa Crtmua barn, Grrgortut VI. \o ab Imp. Hentko IH. tele- Calbeniii. Epifcop. EicAatculU. Henrici III. lai. cacai fiicrat, nioftuui eA. Amttti ad vir4« Or». ucratom Confilianns pcop liiquu, creami ab j(«rH Vi. t fi [futa amara ftm rkiaramtatt mtla HemicoIII. Mogumlc, coronami Komx idib. fma Cramta dt'Pafì. Culti fponieabdicalTet, dèe' Aprii, loid. ajb farlanda dt BtmdttiaVlU. ehiaokUaìX. dal (») llPtatmadìet th'tta fiati tletiePfèftradtrt tlafiea, in ejui Jocum fa Vcccor 11 Ma Zana IV. m» fueieta Cutà dtl J4rrjiio»jH» di 4- htirt m Trft i- avtva lafìsaid'ifiir tinti da lidtiraada, ftrfmt114, ab Imp.Hcorcco 111. toogregjtn, abdicavit ttdtrt alVlmftm, d ^»al ita aUtra rrrd«r4rà» : anno 1046. et ad MoaaAeriuDi ClUDÌare»rc relè- Cxfam. diti tìtUafit m rtft. fr» Imfent, t. 1 . gatui, ibidéoi Mulo poli obiit, et lepulcus ciì. ulque sJ Heniitum V. legitinia fucteAluRe Im jr É«, fruna di aemaart Citmrmt U. P imferadtr E» jutiu Imperarorit id faccrv cogeremur. PUtiaaim na li. ftr dnaanta Cinte di Bamitrta, Orco. vita Clrmmtu il. HI. fobrina», hxreditario fibi Jure impenttm ( I ) Città di Baxitra fitti l' Artiytftnate di deberi coatta Coloncenlèin lonwndeta. Lamfad. Saltabiars. Jltif. Rtmam. Ctrinaaua p4rr.|.r.4. Z frr altri, (i) Cui Ronum Pontificio habitu petenti, Ab- « attaccarifì anche ad una parte de’ Tutori, che vennero, per loro, a diflerenza, e fecero fa«. zioni . onde Niccolò 1 1. fece una Cofhtuzione intorno ali’ elezione del Papa, ordinando che pairafTe prima per li Vefeovi Cardinali; in fecondo luogo per i Cardinali Chcrici ; in terzo luogo pel Clero, c Popolo, c in quarto luogo fi ricercalTe il confenfo dell’ Imperadorc : nel qual modo (4) eflendo fiato eletto Aleflantlro II., fuo Siicceflbrc, ITmperadore non volle confermarlo, nè accertare la feufa che i Cardinali mandarono a fare coirambafceria di uno di loro, dicendo che ciò foffe fatto, per fuggire un afpra diflenfionc civile , e il tutto con gran rifpctto deir Imperadorc, clTcndo TEletto fuo amico, ed clefle ITmperadorc per Papali Vclcovo di Parma (i) ad ifianza di Gerardo di (2) Parma, fuo Cancelliere. Ma tre anni dopo, mutate le cofe nella Corte Imperiale, c depofio Gerardo Cancelliere, fu infieme depofio il Vefeovo di Parma dal Papato, e accettato Alefiandro, (j) il quale nel 1071. eflendo fiata fatta in Germania congiura da’Bavari, e SalToni centra Tlmpcradore, fi congiunle con loro, e entrò nella lega; e P anno fèguente citò rimperadore a Roma, come imputato di nmonia, (^) per aver conferiri Vefeovati per danari. Fu fazione Pontificia molto maravigliola, non eflendo mai alcun Pontefice paflato taiit’ oltre; ma prefio andò in filenzio, per la morte del Papa, dopo il quale pervenne al Pontificato Gregorio VII., Scnefe, Monaco, che fu Ildebrando (4) di fopra nominato dall’lmperadore.' ma nel 107^. eflendo fiato 3. anni nel Pontificato, ritrovandofi f Imperadorc ancora giovine, e con molti moti in Germania, deliberò di voler efcluderlo in tutto dalf elezioni de’Vefcovi, e degli Abbati, e gli fece un monitorio, che non dovefle per favvenire ingerìrfene. (5) Fece gran refifienza l lRiperadore; onde il Papa Io fcomunicò, aflblfc i Ridditi dal giuramento di fcdclù, (r) c lo fo Jmferédrt, aufioriticc J.ecariooif, rsmt diti U, fluii ti Pmft mrdtfimo »viVé fédtfiài Muu rtlniaii él ff tiifmdn JaUs timftrmjitUBI étir In^eradirt J ( « ) Occeruioiut, arque H^tuìnH» ur, obeuote blinda Rornaiu; Bcclelìjr Poniificc, in f nmii Car. dinalea J^itcopi .limul iIcclecuoaerraCuiHet, mox ChniÙ Clerìcn Carelì, crtcr.iqtae Roaoiillii uiagfli cincndaiusee purgaiMìt, tiipcr qciibui Rotbc erat delstui. Krama, bili. Sixon. pg. lod. Ac Abbai Ur(a di Siaaa, fkeuia Citta di Tiftaaa fHta ì' Aietvi(•tiatt.di Sitma. regta Comi. uUu Pitiluiu. deSossK. Mon^chm tc prioreiua CluiuaccntU- la Chn-a.V»f. Rum. tc ) il ì'iatiaa Axt tht (irifarw gU pretvt fai, menti di veaairt i i'iftivati, i i itàffiu ftn fama della tmari kfiiijlajhilit, aiUa mila diliii gmi VII. (a) li Platina tifTftt la farmiAala fommnir» d'£mrifo IV..MI tjurjh marni. R«aie Petre, Apoiluloram Priiuiq>'', «mIjiu, atam itiaa, tc me lèrruni tuuiu callidi. n in te fde odetunt. Se peiiccuti funt. fateer ego imbt graiu, Aoa mertiit mcii. populi Cbriftuaicuram dnioodamn eCc. «oflceBiinque ligandi. Ac blvendi pocdUteni. Hac itaque fiducu Imi», omnipotentu Dei nomme. Pairii, l-iltit&Sptrttus Sanai, Hcnrìcua Rc|cm, Henna quoùdam Inpeutorii lilium, qui atiiaUei nimium et uinera Io rofpefe dairamminHlrazione del Regno d’Italia, t di Germania: fcomimicò anche i Velcovi Cuoi Mininh, fi coUegò co'fiioi ribeiU % concitò U Madre pcopria deirimperapre centra il Figliuolo, e nel tempo in cui pafsò fino al 1085., quando il Papa mori efuJe in Salerno, komunicò Tlmperadoic 4. volte, e fece un decreto generale, clic, ie alcun Cherico riceverà Vefeovato, o Badia da mano laica, non fia tenuto per ClierJco da alcuno, e fia privato dall'entrar in Chicla, c il fimile a chi riceverà altri bendìzj: alb qual pena foggiaccia anche T Imperadorc, Re, Duca, Marchelc, c Conte, c ogni Podcft^i, o perfona fccolare, che ardiri di dare invelliture di benefizj. (^) Solienne la fua catifa V Imperadore colf armi centra i Collegati col Pontefice e fu ff^uito dalla isaggior parte de’ Vefeovì; onde il Pontefice fu in grevifUmo pericolo: ma egli, che gi^ aveva fcomunicati i Normanni come ufurpatorì de’ Regni dì Sicilia, e Puglia, fi voltò allajuto loro; lor confenti tutto quello per cui li perfeguìtava; e gli affoUe dalU fiuimunica. e fe per quella caufa Roberto (i) Re di Napoli, e di Sicilia; che per innanzi era perlècutore del Papa, non fi fofic voltato a Tua dtfeia, per far contrappelo aU Imperadore, egli avrebbe iofientata la Tua caula con intera vittoria. (a) ma per gli ajuti di Roberto, il Pontefice, febben efiile, fi fomentò; e morto quello, porgli ajuti ifiellì. e di tre Rugìerì dell’ ifiefla famiglia, continuò l’ tficna contefa anche co’ due Succ^Ibri di Gregorio, amendue Monaci deli’ ifieffo Ordine: f ultimo de’ quali, che fu Urbano II., in premio de’ fervizj prdUti da’ Normanni, diede ad un di loro la Bolla della Monarchia di Sicilia, (3) concedendogli in iatco maggior maneggio nelle cofe Ecclefiaftiche di quello che voleva levar alf Imperadore . perlochò, olcf» le &omuniche che più volte replicò colf Imperadore, e le ribel rie m EccIrGam eaun «nsiius igjecit, tmperàiorié Kegitwe manim|'«rio fi ì jm m jn iiii n a n illi •VMiamu ftdeot vexii R^ibut prsftarc confueverunt. AMm ritti nut, tb t»» tfutjf» fttmmiMM i fdfi bsMit ttmautmlt ftmutrt it gm« dtii' imfirstUri, 4t’ fiuti tTAtn PsfftiUn t ti tb'i fi», md mfumtrt il diritti di tmar U Crru tfuillt tbi fttafrt tnHtm U féiifià di dtptrU, ftumd» àtlF timtiriià fntiifi th. ( 4 ) A«Aorita« omnipotenrii Dei decernttntu ut «ii« m’ùn, t m’l»n Hmpfr%'. nofinuhì i! din cb, fertbi i nftim tngmi no biìfimpaPimh, tbifpttPtmgmt^iuÀtni ffirittnh full Im rnti4, ! p#rr«M no mlli im diti, per mipiMn ilt b»Hi eimtrirti mirriminié tilÌ4 lin ebufm, porr ibt i iri»(ipi xigiimmi mgtttrfi di d»n U p^mi,MffiritMAltcii« »« b4n»4, > m»m mftrfrtt»t.ii9i fifPira, tkitmfmdiil firn’ pirati dal biaifitii, imdi il friatifi ba la diffifi arimi, eeim frani Prifrittérii, irifgnfmUanti la fuftma tir ffaH, reW» f funmatt, ib^_mim ì riavmti, fi Mia rWi’iH^i^MNr dilli mam di tiliri ibi tenfaeraac iVtfrivi. C«eorroaMe, fbt firiih imititi, I dtrfirii, fi l’imvejhtma dii fri»tifi naftrtfi P aaiiriià ffimmale. ^0 X>«e Caifrhard, ttii, l'ahiti, Cij MittbiivtUi all libri arrove drU faa Stmia di Ftrtmai diti rht dalli eiattfi di guifii tmievadiri n'Pafiaaffairi U fatiimi diCmtlp, • drCbibtUiaii i pròni di’ f mah temrvami il Pierri' ti dii Fifa, ifli altri faitU diU’ ìmf traditi. ijì ibi il dtrkiarava Ligati dell» Saura Sedi, I nmt tali, U ttpitaiva Gimiin dilli Ca^i Etilifiajlubi- Awigmaihi amtla nmet^imi fia afitrifa, t al riodrti'v dieltxjimim dmìafitti JaU fa, il Rt di Sfagma prH. f i Cali Jdàayf ri ia Sicitia mi» laftiami di primalirfimi tim rmrti W rigiri, fimi a (iimamifan i Prati, i Frati, gli Abbiti, i Viftimi,td taiaaàu i CardinaUtbi rifiadiai mi JUgmi, t ad attribmirfi il tifili di Samtifiim Padri. Kiiramai USb. ilCùmtglii distati di Sieilia, il fmalt frrmdi altrui ia fmahtà di Saffi Ciihgii, fabbliti mm libri imiitAati la Me. fiatrhia, ftr aimritjtan fmifiafnraaìrÀ ^ritmale. Il Cardimat Sarimii vi ma firitti tmira mili’ mnduiimi lami de fan Ammali : ma rami i hmtam tb'igli firn rimftiti «» ri) rbt frttimdema, tbt amrj i Vfit pi diKafili, i di Sieilia, i il Omarmalm di ttifami prri^rma fari Filmimi, mm af tiliandi imai i limt^ti ibi il Càrdmali mi fin eia Itti tre al Re d: Sft^am, Fìliffi IH y Digitized by Google f MATER. BENEFIC. 41 ribellioni che gli eccitò centra, gli fece anche ribellare il fiio Primogenito ,j(x) e col mezzo di quello efclufe T Imperadore quali d Italia: ma morto quello, il Pontefice che fuccelTe, (2) replicate le feomuniche concra l'imperadore, e fufeitate molte ribelliont, fece anche ribellare T altro Figliuolo , co! quale venuto il Padre a guerra, una volta vinto, e l'altra victoriofo, finalmente venne a condizioni d’accordo, nelle quali fu ingannato, e ridotto in vita privata, lafciato V Imperio al Figlio, che pur Enrico fi chiamava. (3) Morto Enrico IV., Palquale, che così fi chiamava il Pontefice (4) quarto era quelli che, incominciando da Gregorio VII., combatterono con Icomnniche, c armi fpirituali, per levare T invefiiturc de Vefeovati, e delle Badie all’ Imperadore •, fece Concilio in Guadalla, () e poi a Trojà di Francia, e rinnovò in ambiduc i Concilj i decreti di Gregorio VII., e di Urbano II., che neflun Laico fi potelTe ingerire nelle collazioni de benefìzj. (5) In Francia non fu accertato il decreto dal Re; anzi egli continuò fecondo il cofiume; e anche Tlmperador Enrico V. fi oppofe; il quale finalmente nei ino. venne in Italia armato per la Corona dell’ Imperio : al che elTcndofi il Papa oppofio per le controverfie vertenti tra loro, convennero che Enrico andalTe a Roma per la Corona, meffa in filenzio la coniroverfia delle invefiiturc, delle quali nè l'una, nè Taltra parte dovelTe prlare. Andò Enrico a Roma, dove il Pontefice Palquale, parendogli elfer fuperiore di forze, non fiando fermo alle condizioni, voleva che rinunziafie le invefiiturc; e Enrico, confidato nelle forze Aie, ardi, in contraccambio, di proporre che il Papa rivocafie il decreto; dicendo di non voler efiér inferiore a Carlo Magno, Lodovico il pio, e ad altri Impcradori, che quietamente, e pacificamente avevano date le invefiiturc: () onde, crelcendo le contefe, l’ Imperadore fece prigione il Papa, e la maggior parte de’Cardinali; e con loro fi allontanò dalla Citt^ : fi trattò l’accordo; e finalmente convenne al Papa incoronarlo, lafciargli la collazione dc’bencfizj, (tf) e non ifcomunìcarlo; c perciò fu giurata roflcrvazione dell’accordo : Tomo 11. f il Pon ti) Ctffti. tht frtft il tU$lt di Rj d ItMlim, t fi fttt €»Mp^r»rt indi ^ììa fyhi» Is d$ R«am titin Kpifcopii, Caruvabo. Et do veram pscem Caiifto. Cinftx Komaax £cclelìar. 0c ocnnibui (|ui in parte iptìuifiint, vet Eierunti flcini^ibas banfta Romana Enletla aaiiliam poftulavcrit tidclKer juiabo. Ur^ffnìi imCirM, «Jrna 1 1 ss. iium, elcAU. maelKmtatn virgx, Se annali cwnterati pni) invellitionem vero, canonice conferranonrm iccipianr ab Epifropo ad quem pertmuerii. ifremi is CirMÌia ». iiu. aifmt yrffrim~ fit f»im mmn». (a) ConErmaito parit inter ApoRotinim, et tmperarorem, dum in eelcbratiotie mittx iradem ei Corpus de Sanguinem D. N. lefii ChriDi: Domine Impentor, hoc Corpus Domini natum ex Maria Vitgine, paflum in truce, damus tih) in cuiibrmacionens vere pacit inter me Jx ce. Stgebertiu in Chron.anno cit. Vide Juret. in nodi si ep. %ì6. Yvonts Carnm. pag. ipf. ( ' ) §l""»i V limftrMÌTi fi lamini dilla i#muinita fulminata ràdi i Cmalta: al iti larù» ltevarniican thi^meila fumumitatra ma fattidtlla fiifa t'af^mali, pttrM Ta^vva tenfermatm teìta tivaatitni dilli imfitnihi itati fu ttndini ih gli 4r> Heiiritu», Dei grana dovrebbe tener per invalido i[ confenfo predato dall' Imperadore, per timore di tante fcomuniche, e anatemi, di tante ribellioni, e macchinazioni. Perchè caula è (bctopodo a redituzione quello eh’ è facto per timore di prigionia, e non quello eh’ è fatto per timore d’anatemi, e per paura di veder tutto il (uo Suto, e popolo in confufione, e guerra civile? Ufavano alcuni in Concilio alla prdenza di Paf lenendo il Re la fua autorità, e difendendo l’Arcivelcovo coU'(2 ) a;uto del Papa la fua oppofizione. Credette il Re di poter perfuadere quello che riputava giudo al Papa; e gli mandò perciò un’ Ambafeiadore, il qual ebbe dal Pontefice cosi dure riipode, e minacce, che, per rintuzzarle, r AmbalcUdore fu necediiaco a «Urglì che il Re non voleva cedere la fua autoriili, fe avefle dovuto perdere il Regno .• al che arditamente replicò il Papa, che non lo voleva permettere, fc dovefle perdere il capo. (^) Stette il Re collante, e ad Anlèlmo convenne Tomo IL Fi.. 1 parti» Abbt, UrpergctiJit in Chron. ftnioiii&. ( I ) Is ìtfft JrvmmHMtmralt fi 0 tf f» Ìmm, ti immutmMt, t tttMitis eftmmtntt metffarit sii» frrtti, jttsnis S. i irmsndsrmnti iìDit MItgsm sfl»xsmtHtti il rirt ss» smMo i etmsnismttti itil» Chirfs, i, nem »rii»»it rffr sffolutstmntt ttterff’sru sii» fàlttU, fsffitm» s\tri ^nsltbt imfi. titimst» tht difftsji islV ^trosrlt. () VHe OolTnxl Vindocin. rrift. 1. et 4. 4} Vide Ivoo. Ornot. ep. 60 \ Endcm anno ( oij. ^ Aaiétma Cintuayieofii Epirco,‘a- hibcre le rewuni opjKimmum, Epircopomm libi min L^alaiu, tu PsUiio Regu. prfluicnic Ar> relUtui invcAinirti, quw ib ejuCicm prcdecefloie chiipifirepo AuiÙmo, cui innuit Rei Hetukus» Inip.Hciuico per qvuiìdoi libom RmiuiuEccU6t lUiuit u{ ab co (emport mtciiqnum nunquam iU vnulicant. Exjpave&entibut Ratnanh Rcgii poper donationcBt bànlipuAoralia, vclaAsali, quiC nnnani, munim k oppniùit Abbai fanflui. Auquam de Epil'copMu, vel Abbaiia per Rcgem, dadei CQlm rclìiteni Regi, verbaoi oulignum mivel qutmlibcf Ijicam manuBi inTefliretur in An. ra libertace redarguii, min auftoruate cotnpercuii: glia, concedente Archieptkopo ut nullui ad pr«. iitil fuA vù» é» Aìm», Vtfen» d' A m» lattonem eteCiiu, prò nutntgiu «)ttad Regi lare- Ktrm, tMf.it. rei, conkcratMne lukrpti huootu privaretur .Afa (c) Mtltdù, din Tacito, ftr fuM rifmriirtt il Mtttfi» t il fttfn»- Am. y m$9t n«M »rs, cbt dirr>wj; im- (d) E0ij adbucvìfliaviresi ambiguta, fijelibera ftfteM làifrtlMMmMggié t diftMdtÀMt- nati aerei, (ì delperifleiu; vidoriiiu conEliu, de Im ftrffMM mìU ^»mU k prroi msiU vii» di tf- latione pcrEci. uìfi.i. iiffM AMt»ft». () Abbai Urlpergcniìt, anno usi. ( I ^ ri auslt, ftt»d OM^rta, f» ftiMit ml (a) Zn 9itg»U» »»n dar» ftiamtat» fiaa mlU jierna mtdifmiM i» i> f» rrana lamoteMtJi IJ, tuauMmi iti Satctfftrt, m» fa ti'ifli »Sh» fri# ttam U fidi» fiut »»•, a nava mtfi. J». fiali W ainrnaaana di ftitU» »l Xa, td mìAi» aeBMitmtM f» ilitt» d» >r) colla privazione del Re, e colla conceflione del Regno ad Alberto Imperadore, fe l’avcfTe acquillato, fu pollo in gran pericolo, (i) Nel principio, quando s’affenti da quelli a’quali tornò conto in conceflione Appollolica di confervarfi quello ch’era proprio del Principe, non fu ben penfato che i Pontefici pretendono poi di poter rivocare i privilegi concefli da’ Predeceffori, anche fenza caufa •, febben mai non mancano pretelli, Kr finger caule', e chiunque poflcde per titolo proprio, e fi contenta di riconofcere per grazia altrui, è come chi, lalciando il proprio fondo, va a làbbricare nell’alieno. Ma all’ incontro, quando alcun Principe, rotta la pazienza, conferiva qualche benefizio principale; il che i Re d'Inghilterra, e di Sicilia facevano Ipefle fiate; i Papi, per non attaccare contefe, non dicevano altro al Principe : ma, per non lafciarfi pregiudicare, colle pratiche per mezzo de’ Monaci operavano che 1 ’ Eletto rinunzialfe in mano del Papa ; (i) promettendogli che farebbe dal Papa invellito, e cosi avrebbe quietamente quello a cui, fe non fi fofle contentato, il Papa fi farebbe oppollo, e gli avrebbe meflb tutto in difficoltìi. Di quella pratica ufata all' ora frequentemente da’ Pontefici ne fanno lunga menzione Florenzio Wingerinenfe, e Ivone Camotenfe, Scrittori di que’tempi, () come di cofa ordinariamente fatta in Germania, e in Francia con quella forma di parole, che i Pontefici con una mano pigliavano, e coll'altra rendevano. Quello partito era facilmente accettato, come quello che faceva ufeire di travaglio; e il medefimo Re, fc lo veniva a rifapere dopo, lo tollerava, come cofa ehe non faceva mutazione in effetto, fenza confiderare quello che importalfe per l’avvenire: del qual modo fi vogliono anche adeffo contro i Vefeovi Cattolici di Germania che non ubbidifeono alle loro rifervazioni, come a fuo luogo fi dirh. (') In Spagna la natura quieta, e prudente della Nazione infieme col buon governo di quei Re furono caufa che in un moto cosi univerfitle efli («) Miflb io FnncilR Ar(bi 4 ixoAoNirbonen(ì, Philippum «me ( Booibciui ) qaid Ha( Tatiooe, atque ordine PoniificatDs Ca. (tiedruD feandere coadùa, qntdem, flc emn otuiu hzfitatione confralic, propter eontcntiostaa iUam qux «rae inter Regnum, Se SacerJerìum ’»care, Ebiqite vindicare plus zquo imebacur Impetialit auMritas. Rur^t autcoi vciebatur, flon iìne Diriaicatii Doeu, jun terno (ibi auteni Epiicopatum, «oinque, (i tertio repudiarci, pofle in ipfem competere ilU (cmentiam; Noluit bencdi&ooeni, Se elongabitur ab eo. (mcr hai igicQC aagultiis poiims, qued «iwm bluure eiilUinabat, ad SaudjtSe Apo(iolic« fedU auzilium eoit&ig«re decrevit. In ipro igitur Artieulo, adhuc in Aula Imperatoriieflet, wmm tmKmptvit DriRr#, mo. fuam ft im nifi tanfim. titntt, ^ ftflmlmnl Etdtfin f»n, Faniiieh Uxi»imétni, {^ftnftffari, ^ invtjUturnm enft^mi wnTtrttmr. Ananym. io viuS. Ottoo» anoo 1 ioa. (•> EpiRipo. ipt. Sca»}. t'»nni%'-\7- inno fìstmurn eli Rome i Dumino Papi, Ce frnribu, CiTdinilibcs, qui vigittnter flit letnp 'ralla prò. corant commoda, 9c emnluinen», slie.ia non ramei, ut qatlibet. qui la Abhaiem exem['4UiQ ex tUBc cligereiar, RgnuMmCurt'.in adirei coivSruundut, et bcneZiceudiu. in HmritiiM. TA dirpofizionc Epifcopak. Rcflava tl Pontificato Romano, che, efdulo il Principe, pareva doveffe ritornar alla libera eiezione del popolo: ma nel ii45> venuto Innocenzio li. a dilferenza co' Romani, ed dTeDdo da loro tcacciato dalla Citili, egli, in contraccambio, privò lorodella podeltk d'eleggere il Papa, (a) Nelle turbolenze che lucceltero, per le caule fuddeiie, molte Ciiik lollevate da'Velcovi confederati col Papa fi ribellarono dairimperadore, e i Vefcovi le ne fecero capi, onde ottennero anche le pubbliche entrate, e le ragioni Regie: e quando le differenze fi compolero, (i) avevano prefo cosi fermo- poflefiTo, che fu necefiìcato il Principe a concedere loro in feudo quello che di fatto avevano ulurpato, (z^ onde anche acquifiarono i titoli di Duchi, Marchefi, Conti, come molti ne lono in Germania, che reltano anche tali, e in nome, e in fatti, e in Italia di nome I0I0. il che fece EcclefiaRici gran quantitli di ^nifecoiari; e fu aumento molto notabile, non folo nelle turbolenze delie quali abbiamo parlato, ma in quelle ancora che feguirono folto gflmperadori Svevi. XXVI. I Monaci in queRo tempo s' erano imromefli grandemente a favorire rimprete de' Pontefici contra i Prìncipi; (3) perlochè anche perderono affai della riputazione di fantiù anzi fi perdette anche ia vehth molto della dilciplìna, e ofiervanza regolare ne' Monafieri, poiché s’tntromifiero ne’negoz) di Stato, e di guerra; onde anche celarono gliacquifii loro, le non in alcune picciole Congregazioni ifiituiie nuovamenmcnte in Tolcana, le quali non s' intromilero in quelli moti, e coiv fcrvarono la dilciplina ; (4) e però, continuando la divozione del popolo verlo loro, furono Itrumcnti per acquifiare nuovi beni, ma non molti parò, eflendo eifi pochi. XXVII. Ma un'altra occafione pafsò, la quale fece fare grandi acquifii ne’ fecoli de'quali fi è parlato, e fu la milizia di Terra lama. Fu allora cosi intenfo il fervore d'andar, c contribuire a quell' acquillo, che le pcrlo («) l»nMns.ì» tl.iUtOtufnt, quiptcfm, ^nìZì } eh U Karnma^ v$ltv» UutttT ii (Uff di’Prni, $ rifiékUiT$ f mu itvtrnt In qutbui rant'ovcr. fin po^lat Ronunot, quod pontifici rebelli tC (et, aimheinaie nttrinit, tunc primuni a rnntifitm comxiii onmjno ezclufineii, dca .1 (nIoaCarZiniles poaiilkn eleOio putlatim. Cleri etbm primoribua ooinine eac’utu, revlaUs. P’itrur porro, fine olio popoli inteircnru, Papa creanti eli. inutiuo Innoceniioll. Czlctlinui ( 1. A»n$t. aiwtém l»e. Tn€it» dUt tk'ì 1 ftlt» d^it mf»TfstwTÌ t MH lmai§, td tnpufi» fir mm ritWe ùgutumi Regi! Apioni>t|trr mialcrani. diiitjnic{ue luentia. Se mforia. ujli jore. ft Jc«fao nitebancur. en. 14. Gre». I '■«»« meu d ffrtfrutffi >»&» ir r» tht Ut ttr»» hn. A régUa dì futdi, melti Vtfervi, 0 AlfT"0>i»f, 0 FfSHfri, 07000 0t4hf0l f 0 rt»rfi a» mUm 0 U 0 ft 0. --Ve) Utxjray di(0 tbì, in rtc«i«»iN'4 d'ftrvìgi nel tempa dtUt ceaeV d0ll» fdnt» StJf etgf lr»ftrsd0TÌ, 1 f»f> Mer4.fiM f^i Akhati friniifaìi dtfb frnnmiali Efift 0 faU, (mÌ, dilln Uut». dIU ThuH», dignmnu, dt'SnndnUt 0 fH dt! f»fl 0 TmU ! nella nta Zi tiiippo Au.utló. (4) t- fa0l0 Ud» tMiismné POrdint mt'Str~ vi, U tni 0Ùit0 f0rrsvMi imffT0hqìulinrxli par tuum (e-ixerat.Quod ia laudibui D.Vir^inn raatandU adìdue occuparentur. .. . a vulgo tunc Stnd B. Mmti0 vocati, onde ad ooa fuccclTorea domen. perfonc, non tenendo conto delle robe, delle Mogli, e de Figliuoli, fi mettevano in nen> coueiUin«i>, et domot. et ftmiliaa, sti^ue orniti» bnn» enrunt 10 b. I^ri, Oh Romaix firdclic (ìroMOtOBC. lìcu( Ormino noAro Pipi Urb«no tUtuiutn hiit, tufitpimu. Ijuiiumque rrgo ciaulrahcfei veiigterre, qjeitidiu in vu ili» mor.-.rinir, prae&mplc. nnc, eKooMitunKiuoni» uluone pieitannir. Ctir. Csìixi» tl. 't»i. cxf. n. yrJt 11 fitand C«ai«« dtl di ChisrsxMtttt, t U 4$0iutsi.uMi del JjjMr di, ) 4 r (0, Ivemt di Chtrtra. ntlU fi. 4 'y. xÌMfMm» Artivtft» ve dt Tir# ntl Ore pum» e»p. «f (irnslulau di Sen^MfS nl IH.}. Knitfr» Utvvtdr» aìU Urtn fArti mill'Mnx» Oiiem di Fiijiagim di itfu Ffiàtrtri fep.Jf. IU pi fi»U \97. d' ÌHHoteatM III- »tl lil >4 15. S»0, pmfsmd», tht i'Auivtfttv» di Tir» dirt ebt mtlfi GtBliliiemuu fitte ftùmentt il Mitigi di Tter» $4040, per effAtéra dml ptfsre i Ite dtiii al th fi rifteifee U leils IX. Si S t vero pioStitrtiuiuai liluc, du' ^'VJVJR« 4 fna tipi d'smlMrfi { rirfmev4Bt il fiiprtm» » •fmtgU « i.iiiri wM dt'lM i t fi TtvdlX4. 44 I» tm» mule i Spatri di imiti iCrteimin 4»m fpjamtme ptrihi m'tfiirvAB» uUiduntA, rm ptriht h premdrvmmt felte Im lrt prtitKxhr fi»4 I Ur» eiier»:lt f»»ìi ttft era» ie»at Ittieri di Star, fbt jifptmdnan» pmalfifia tfumxttue tivtle, 4 tnmnaU. Nell» tiu ..i I tiippo Augulio. (^> TempUrionim tmlitbm Ordo inftiiutus anM Mi. Jernlblnmt ab Hugne de Pagana, Ac Gaafredo de S. Aldeniaro : n>irunim>e a.1 làlutein pe'cgtmoram contea Ucrnnufa et incurlàntiuni iRlidut prò viribuicoiktervarciu. Cumautem n >eot annit peli corum tniliiuitoneni in habiiu fuiflcnt lèculan, ini oncilio Trccenli data (iuit eia regub, Ac habitut alTignicus albut, vtdeliret, de mandato Hononi l'ipat. Ac Stcphani jctorulùiiita' m PatruTchx: poilmixiuin tetu fub Eugenio Pa. pa crucci de panno rubeo, ut intct ccieroi eflent noiabiliùrei, zlTuereccEperui't, tamEquiies, cjiunt eorum fiaim infcnotcì,,um militei, quacn al(er:iii condiiionit, ut in ea, relinu parcrtibut, Ac p-opriii patrimnfliii, regularicer tivereat .ncitavit, actraait. Ac illene I i;uorum qui.iiia Holpiuloiii, (ìvc {ratrei battere contra i Saraceni ; la qual cola, fcbbcn nuova ^ che folTero irtituite Religioni, per fpargcr fanguc, fu però ricevuta con tanto fervore, che in brevUTimo tempo acquiftarono ricchezze grandi : tutte quelle maniere portarono grande aumento alle ricchezze EcdefiaAiche. XXVIII. Fu anche un modo di dar accrcfcimento affai notabile a’ beni Ecclefiaffici il riveder bene la materia delle decime; c dove non erano pagate procedere con cenfure, che fi pagaffero non folo le prediali de frutti della terra, ma le mifte ancora, cioè, de’ frutti degli animali, e ancora le pcrfonali deirinduftria, c fatica umana. Alle decime aggiuofero le primizie ancora, le quali furono primieramente iftitnite da Aleffandro II.; iraiwndo in ciò là legge Mofaka, nella quale furono comandate a quel popolo. la quanriih di clic da Mosè non fu Aabilita, ma lafciata in arbitro deli’offerente: ì Rabbini pofeia, come S. Gerolamo teAifica, determinarono la quantità, che non folsc minore della fcfsagefima, nc maggiore della quarantèiima; il che fu ben imitato da'noilri nel piò profittevole modo, avendo Aatuito la quarantefima, che ne’tcmpi noAri fi chiama il quartefe. Determinò Alcllàndro III. circa il 1170. che fi procedefse con Icomuniche, per far pagar interamente le decime de’Mulini, Pefchicrc, fieno, lana, (i) e delle api ; cchc(2) la decima foffe d'ogni cola pagata prima che fofsero detratte le fpele fatte nel raccogliere i fruttile (?) CclcAinoIII. nel 1275. Aatu'tchc fi proccilefse con Icomuniche, per far pagar le decime non folo del Vino, dc’Grani, Frutti degli Alberi, Pecore, Orti, e Mercanzie, ma ancora dello Aipendio de’ l'oldati, della caccia, (4)6 ancora demulini a vento: (5) tutte qucAe cofe fono elprclw nelle E)ecrctali de Pontefici Romani: ma i CanoniAi fono ben pafsati più oltre, dicendo che il povero è obbligato a pagar decima di quello che trova per Umofìna, mendicando alle Porte; e che la meretrice è tenuta a pagar decima del guadagno meretricio; e altrettali cofe, che il mondo non ha mai potuto ricever in ufo. Le decime erano pagate a'Curati pel fervizio che preAavano al 'popolo nell’ infegnare la parola di Dio, amminiArare i Sacramenti, e fare le altre funzioni EcclefiaAicbe, onde per queAi miniAeh non fi paT om 9 IJ, G gava ItafpitAlU S.Ja3Anii ahi, frarrci nulitic templi^ «In, fratte» HoIpiiahfSar^ IttjrixTeutonicotam IO lerufUem nuntupoomr. Jm 0Ì dt Ktrist» tsf. l'Ordmt d'TtfMt»r'i, i Uro hmi fmrono doti ifU SptdsUtri : il tho ) ntritt diffitUmetni di CfUtUmolOTi Vrfftrjtnfii it. ( I ) Miniimus eaiitperte]JÌ. Volumut ergo, flcdiilrifte prxcipirnui.quatenu» dccimatEcclelìii CUOI iiKegntate ddbita pctiblvatti. tini. t. ta. (f ) Quia fidelii homo de ornnibui, quv Ikiie poieA ficquircre, dceimis erogare cenetur i MaivdamuN. (Maeenm H miJitem ad tblutionem decimaium de hit. qux de inokndiiio ad ventutn provemunt. (ine diminurioDcaliqua. comptUatii. UfJ.f.i. 5Q I ^ava cofa alcuna: qualche perfona pia, e ricca donava, fe le piaceva^ per la lepulrura de’luoi, o nei ricever i Sacramenti, qualche cofa, c palsò COSI innanr.i l’ulo, che la cortefia fu convertita in debito, e simrodufTc anche in conluctudine il quanto fi doveffe pagare, c fi venne alle controverfie, negando i S'ccolari di voler pagare cola alcuna pel miniftero de’ Sagramenti, pcr#hè per ciò pagavano le decime, c gli EcdcfiafUci negando di voler far le funzioni, le non fì dava loro qiieh 10 eh’ era in uiànza. Rimediò a quello dilordinc Innocenzio III. circa 11 1200. proibendo veramente a' Chetici di pattuire cola alcuna pel imnidero; e di negarlo a chi non voleva pagarli; c comandò che lenza altro faceflero le funzioni ma dopo quelle -lòflero i Secolari con cenlure sforzati a fcrvarc la lodevole conluctudine (così dice il Papa) di pagar quello eh era (olito; (i ) mettendo molta ditierenza tra lo sforzare innanzi per patto, e sforzare dopo con cenlure; approvando que« fto per cola legimraap proibendo quello come fimoniaco. (2) XXIX, Ifn altra novità ancora fo introdotta centra 1 Canoni vecchi, la quale fece molto per 1 ’ acquido : era proibito per i Canoni di ricever alcuna cofa per donazione, o per tedamemo, da diverlc forte di pubblici peccatorf; da fagrileghi ; da chi redava in diicordia col proprio Fratello; dalle meretrìci, e altrettali perfone: (4) furono levati affatto quedi rilpetti, c ricevuto indifferentemente da tutti. anzi appunto i maggiori, c piò frequenti legati, c donativi fono di meretrici, c diperlone, (3) che, per difgudi co lor parenti, lafciano, o donano alla Chtefà. Così i Pontefici Romani ufavano gran diligenza, per ajurare gli acquifti, quanto anche per confcrvarc la podeM di didribuire gf acquilli ; la quale, come fi c detto, era con tanta opera, e tanto fanguc cavata di mano de’Principi, c ridotta nel Clero. A ciò, per proprio intereffe, tutto r ordine Scctefìadìi» «Ma £olo acconfentì, ma fi ajutò colle predica fanftjin EtcleOun iDiroduàam niiumor idringere. Qut propter pr«vu «uàionn 6en prohibeniuj, de pis« confuetudinn pweipimut obfervvi, enefiziarfì nel loro Regno, iiebbcn erano beirignamehte ricevute, ed eleguite da’Vdcovi, i quali, attenti loio ad clciiidcre i Principi f non penlavano mai che altri, col privar clH, potelìe al trronim, ft pIftNinqftediKmttMi, ac benefirù it. tabiluarc perionit cuniciuaiiir iMWcutit.ft iran probdm, ia oifiicin b«ti«C(Jii uon fedìent i ticque aultui ftbi roauiuili nonaRooteuM. IjnRutm altquaod» a»» iaicfliauetr qmn tiimw. taiatram cura ncglcóa, \eiat mmaaarii»^ htxmiMiio TcmpoMla locra. Praevu Prarinancr Saad. p»g. $a. l’aaarm. av%»atk't tt altana, fi ìatatatm altra\ di qatfPéktlft. Effer, dù'aiti, vsidc boatHum, ft Intcauwrum, ut qoiT. qoc in Puria fua ben«fium me feci. Lon|;e-eft iflud a te. Nam par iniqòitsran filionm boAitDam, qaonuin ia t«c«npen tUa fu taamilata dal fua PmIm Mjar a f fLaimauéa di fmmaftrt, Oatutmtaaa, dd rfi b mitrati tkitm»t» 1 Caapilasiaa. di I vecchi Collettori dcCanoni, Graziano parricolarmcncc, raccolfe tutto quello che (limò proprio alla grandezza Pontifìcia^ eziandio non fenza mutazioni, alterazioni, e anche falfifìcazioni de'luoghi onde cavava le lentenze; (i) e credette d’aver innalzata qucirautoruh al fommo dove po tefTc afccndcre; e per quei tempi non s’ingannò.- ma, mutate le cole, quella compilazione non fu a propofito, ma al Tuo chiamato Decreto (uccefle quella Decretale, che poi anche non ha lodJisfatro : ma, fecondo che di tempo in tempo i Pontefici fi lono andati avanzando in autorità, fono (late formate nuove regole; onde nella materia benefiziale particolarmente non hanno più luogo, nè il Decreto, nè la Decretale, nè il Sedo, (3) ma altre regole, come fi dirk. XXXII. I! modo grande di beneficare della Corte Romana col donare tanti benefizi tirava Ih ogni lotta diChcrici; quelli che non avevano benefizi, per acquillarnc; quelli che' ne avevano, per afpirar a maggiori, o migliori; onde, oltre alle caule vecchie, s’ag^iiinfc anche quella a fare che molti non rilcdelTcro. La Corre non potè dilTimularlo, perchè ogni Diocefi fi doleva che le Chiefe fodero fenza governo ; c del male ne dava la caufa a chi veramente l’aveva. perlochè fu rifoluco di farvi qualche provvifionc. Non parve però a’Pontcfici di quelli fecoli che fofle bene procedere, come il dilordine era troppo comune; come anche perchè quello era un modo di mandare fuori di Roma tutti : il che quando fodc dato fatto, la Corte redava vota; c ogn’uno avrebbe atteib ad acquillare i benefizi dal fuo Vefeovo predo al quale perlonalmente fode dato, più todo che mandare ioidi, c medi a Roma, per acquidare alpcitativc : fi trovò per tanto un temperamento, che fu, far leggi che comandadero la refìdenza a quella lorta di Beneficiati che poco potevano afpcttare dalla Corte, non parlando niente degli altri: (4) cosi Alcdandro III. nel 1 i7p. coman^lò la rcrulenza a tutti i Benefiziati che avevano cura d’anime: () furono poi aggiunti anche tutti quelli che avevano dignith, amminidrazione, 0 Canonicato: d'altri Benefiziati inferiori non m mai detto che non fodero obbligati a rcfidcnza; non fu però nè meno comandato loro che riiededero; perlochè a poco a poco fi riputarono non obbligaci in modo, che anche nacque una didinzione di benefìzi che ricercano refideiua, e d’altri lemplici, che non obbli do. £’ thisimitM, Extra, m téfìtBt tk'tU l» i imi Dttrot tmnfilttù iaUrBttMB-, t leattcvtieaa, ftrrhi trntrrm4 Uiri tfrffi Am Aifiu$:Ti\idtx, Judiciarti, Cleriu, Spon. en : Harc tik>i ddìgnant quid quinqnc volumina li^nam. £llm md tffirt in nfr Bt ixji. Grti»i 0 IX. trm nifut d'InmmrwiiMUl. td nmtndmt deHm fmmijii» d'Cmnti, arffdì «n-t dtUt ifMmttn fbt ftrimn il nttlt di Uarooi Romani. ( I ) U» GìMTttmafnìtm Trmnttft diti (ht il IVttttg, it OttrtimU fuftt compiUtiOACt, ac larraginn tatn bunanini,, rum privarum r«'uni, incnitdite a‘trtt», tmmt mffrrv» tUrtÙ it PUtmm Mrl medrfim Imm^m liU > mn Mrm rari fhumfm, ftrfbi ftrva di fMffirmratt m’ nm^ut libri dtUt tìttritmii. Fm pmbblKAtm dm BmnifmtMWill. layH. de i deamminmtc Codrx BonilMiinitt. (4) iiUnttm, diublii.e cumplcinnir. ài ftmp U di RriiHàiu, jfmttrt iti itrtm» fm»U, mt! taf» mK. ItirafrimpàttlM (»• rstttlt» C$re r»r dciU Vetrmt —f f_ diti tbt n»n fmrpn »réiM»te, fi m kiU'akm loyi. Anno Di>mtni lopf. Urhanut Pa|M,tn OalliK venieaa, Gregom l^px d«crm rcnovat, ti confInnK. .. . Claromoa'c, in Arveraia Con cilium te^elnat, meofe Novembri hoc anno (écjaenu, in qno Ihmtum cil, ut Horx Beate Mane c^yotiilic Jicantur, otfitiumque eiut, diebui Sabbali fiat. Jm Ckrmui, taftt. tr. (ONt'^rinNeMipi, dieeF.Poolo, i ^radULnUfisfitti »étt iTMH» dignità, «e’Mvri, timi futa d uniti fettfi, m» tstubt, t mntfhn, tbt S. ì'nalt ehmtnn tftri, t fmntitai, i tìifi Grifi» Oftrni. Opus fac EvangelilUr. minillenuni tuuin imple. a. Tinvx, 4. Si (|uit bmU auinopus dtlìdctat. i. t. Wma quulem multa, operarli tuiem )«auei. Man- 9. et Luc.ie.> im m^niertbt U»rM »piiv pTomorcntut. il Parroco è impedito kgittimamente, egli può deputar un Vicario che lèrva per lui, dandogli conveniente mercede: fi ritrovò che fipotefle, coll'autorità del Papa però, crear un Vicario perpetuo, ( i ) alTegnatagU una porzione badante, e lafciando il rimanente al Rettore; obbligando quel Vicario alla refidenza, febben il Rettore tira la maggior parte deir entrate, redando libero; della porzione del quale è fatto un. Benefizio, come femplice, e quella del Vicario feda per la provvifionc del Curato. £ ficcome fu incognito alla Chiefa antica che alcun Benefìzio fode dato, falvo che per luffìzio, e affinchè ciafeuno fode obbligato a fervire nel Tuo carico perfonalmcnte; cos^ non fu mai deputato uno a due carichi, non folo per efler impodìbile, quando s’hanno da cfercitare in diverfi luoghi; ma anche perchè reputavano quei fanti uomini che non folTe poco il fame uno bene; e vi fono molti Canoni, dove fi riferifeono le idiruzioni antiche, che uno non pofla clTcr ordinato a titoli, nc fcrvirc in dueChiefe. (4) XXXIII. In quedt tempi, quando fi didtnfero i Benefìzj in quelli che hanno annefla la refidenza, ed in quelli che non l’hanno, confeguentemente fi pafsò a dire che di quelli, dove non era neceflarìo in perfona propria fervire, fi poteva averne ph't d’uno; () e nacque la didinzione de' Benefìzi compatibili, e incompatibili: quelli che vogliono refidenza fono tra loro incompatibili; non potendo l’uomo dividerfì in due luoghi; ma quedi cogli altri, e clTi tra loro, poiché non è neceflarìo fervire perfonalmcnte, fono compatibili. Nel principio però fu proceduto in queda materia con gran rìfpctto, e non fi paCÀ piò oltre, che a dire folamente, quando un Benefizio non fofle fufficicncq, per far vivere il Cherico, le ne potefle aver un'altro compatibile; ma non ardirono di paflàr al terzo mai; nè meno al fecondo, fc il primo foflc dato badarne. Al Vclcovo non fu dela mai rautoriù più oltre, ma al Papa fu aggiunto che avefle autorità di concederne anche più di due, quando i uuc non badaflero per vivere; e queda fufficienza per vivere da’ Canonidi è tagliata molTom» . H to lar ( I ) Ttimp n dtilji SttrUdì tt9 fjìrù, th Vmft di tjmrJH nesristi etmMcii dir iKfbUnrré p tfmnUht ttmfo frtmM dtl CtmedU LétttMMmf» f»it» jiltffMKdr» III. Ptrni i trtfti-, Extra de Officio Victrii, ft»o tmdiritiéti •'Vtfrnid'h^ftUttrrA. Vedi ritlwuadcip. I. bxira, de Odìcio Vicirii « Ttmméfi VvAlfiit^ 17^. in ilio titolo perfeTereat « d quem confetnii funt, ifìiut nulinm de altetiiu tmxlo I>rabiteniin, aot Diaconatn, &(ciperc przfliout. CotKil. Csichuicoié. ann.7>7. cjp, «. Coor. Retuenle aon.li}. up. te. Conr. Mctenfe, ann.sn. On.|. Cui. 1. peni;, t. difìiod. 10. ex Ceacilio Utbaiii li. (ubilo riicentijc finw lopf. 8c C&n. 1. CauE XI, qn. t. ex f, Syiiodo, cxp. if. ano. fi7> Prtffi m'titMhli »ntfA i Pnti trMa ti mUm Tj!dn$tA. QuorJsiB exilix, dk Srntt4 «juofdxm (xcerdotix uno loco tcnetu. Oc irxnouiUiute vite. Virus eft libi quis, iitt ma Itr» Gamtilt, xd firraunennun tempii Nepnini ruent ahigitos «fi;; £idui di CKerdfosNeptuAÌ: opottc. bit enito ipfiun infÓMnbiIen elTeCicerdoieni.'Ar. ttmidor. Iib.f. de tomnionim evcatibui, Ibmnio t. Vide Ulpianom in 1^. x. if de in jus recxndoi &tcg. pea.ir.de Vicit.dc excude. Muaer. ( ) Vide Caput, dudum. 54. exerx de eie. Alone, Se ibi glolT. et Girciam de Benef. pene underinu tip. (. p«rag.x. et y (O L’Autore coù rarcontt Torigine delle piurtlità de Benefizi nel libro fecondo delle fux Storia del Concilio di Tremo. Sktatm, dir' egli, aatv» gli ttniithi Cexani, t»(i u Citrita VM fatava ^rt dmt titaii, »> im ttafi[uant.» dtta Bttuft.)'. raminàmnda « iùeMiiMr-. fi la rtadiit, a ftr U firagi dtlU gmarra, a ftr linandatkaiti, fi taaftrivm »» BamfixJa tjasltUt Cherka il amala ma fafftdtva già mma, fmrtUì tifii atraadtrt ad amamdtta ; il tUt fi fraaki faf(ia, ma» già im favara dal Stn^Uàaia, «4 da!U Ckiafa, m^mtb^, ma» fattida fremdtrt m» iiimifira farikalara, far mamtant.» d'm»a raadù ta Jmffiaknta aumttmttla, alla m» laftuaffa d‘ afera firait» : ma tal fraifia, tha w inafiztm to larga, () perchè nc’femplìci Preti dicono «he comprenda il vivere non lolo del Benefiziato, ma per la iua famiglia, de’ Parenti, e per tre Servitori, e un Cavallo, ed anche per ricever fordlicri; (i) ma quando il benefiziato folTc nobile, o letterato, («) olcra quello, tanto più, che fi uguaglialTe alla lua nobiltà. Per un Vclcovo poi è maraviglia 3 ueIlo che dicono; (a) che de’ Cardinali () baili il detto comune ella Corte: JEquiparantur Regibtts. (3) Ma tutto quello procedendo co’ termini ordinar), e per dilpenla, ogni Canonilla tiene che il Papa polU conceder ad uno di tener Benefizj fino a che numero gli piace ; e in fatti le difpenle della pluralità de'Bencfìzj paflarono tanto oltre, che circa il 1310. le rivocò tutte, rillringendo le diipenlc a due ioli benefizj: {b) il che elTcndo fatto con rilcrvare a sè la dilpofizione degli altri, (come, parlando delle rilcrvc, () fi diri) non fu creduto allora che folle fatto, per levare l’abufo; ma pel guadagno, mafiimamente perchè quel Pontefice fu lottil inventore de’ modi, per accrelccr l’erario : e ne fece fede il tempo; imperocché fi tornò non lòlo alla pluraliti di prima, ma ancora a maggiore; e fino a’ tempi nofiri abbiamo veduto, e veggiamo dilpenfe lenza mifura Concordano tutti i Canonilli, e Cafifii, che tali dilpcnle debbano efier anche date per caulà legittima; e che pecchi il Papa, fc lenza quella le conceda ma fe chi fi vale della dilpenla lenza legittima caufa concefia fia feuiato, non fono d'accordo: () altri dicono che quella lulfraghi innanzi agli uomini; altri, che ferva, per fuggire le pene delle leggi Canoniche, e che in cofeienza, e prefib a Dio non vaglia punto. Quello parere ^ feguito dalle perlone pie. (r) li primo è più grato alla Corte, alla " quale nt» ftr, th nìum^ {Mrftm li t»TU0, fi fftfi il fsrtitQ di d^tnt nwti sd H» ftU, SMitrthì ti0 ara fnnta MnfSdrié fti ftrvmm dtiU Cbt^u 0 « f0 fafiaaa tffe re malti fia tara, e tagli altri. ()Cloflà td On. Ctericat. l. CmC ii. qu. I. (O i» tftimmavaaa in ^mefia rmada Ir taft, t»i fariHaaa al • d’mi fim freti, tbt Laùi ; td i ^imafi 0 fartilaaa, fa maa $ Caudatari dtfafi. Tatti ì Camaaifii frri Barn fiat dt qarjla fiwiimata. Vide Oomei de expe^t. num. 1&7. llioùn. I‘am de rdtgn. beneC lib.5. qu. 4. num. lj>. Asor. p. 1. Iil> 4. »p. le. qu. I. {fc PvMenoch. de Arbitrar, iìb. ». cafu N^rarr. Mi kellen. 61. de Orif. dt ClotH »d cap. 5. citi» de petulio Clericonim. (a) Vide cap. de molta al. ia fine, extra de prxbcadii. t a) fatila tha aaaQurmeatt farfrtndi ì il vrdart il fata eaaaa rha la Carta di Kaaaa fa da't'ifeavi italiaai dalla Stata Zalrfiajhtt, i ^ati nam falaaaaata fiamma ia fiadi alla frafaata da' Cardiaaii, aia aatara aaa fiiaaaaa difaaara il fatvirli a tavaUi (aait il Vaftava di Ciafaa Cbiaa, Atrafimfiiadart dalT iaftradara al Ciatilia di Trtmta, la rirpfrantra al Vefiava di Mirti ia piana Ca^r» faziaaa : fra Paolii, lib. tf. della Tua Sicria del Contili». Oleta di fki, i lata Viftavaii fama tairmnit taiuki dt ftnfiaai, tht fi npmtartbbaaafaliti^mì, fa il Papa valafia raaetder tara il rapar ‘ere, aha i Caatnifii afi^mana a'ampiuà Prati. () Vide Nicol, de Clemangit de comipteEc» cleux Uaiu cip.it. dt Pet. «ieAlliico de reliorni. tapiti», ieu ilatus I^palù, de lue Rooi. Cutis, dt Cardioalium. ( } ) Damdr atnthimiana, dìc’ egli ibidem, rbt aajfmaa ramdita i frappa grandi pir tara, fa naa ì faprahhaadamta ptr gli fit$ Rii 1 ptrtA il Papa ha tenetdata lata il frivilapia d' axar aa apemm ad omnia beneficiai dai, ìù pater gadtrt apti fatta di irnafiz), a fataUrt, a rtgaUri. (^4) fai>,parhfia dalla Diaetfe di Caari tnFriifl. tia. figitaala d'ma pevere Ciahattina. ih) Noi omnn, et lìngulu difpenlatiofld litper receptione, aut reteitnoAC plurium digniutvui, aut beneficierum, dee. quinis cura animaruna Ut annexa .... cuieuntpte perlóaz concellas, (Cardinaiibui ramen cxcepm J duiimuitahtcf moderando, qood per nttMeraioefl .noiìruin clinnatam nliuni beneficioruni nmltnudinem re. Irertemui. Siatuipiu itaque quod obuncntn piu raliMtnn hujurmodi beneficiorum unum tantum ex bencfliiii, quibui cura unmmcc animarucn, aim beneficio Itnecura, quod haberenuhiennc, polTint licite rcttaere. Zxtrav- tit. da prahtndU, tap. Emarrahtlit, () Fedi r attirala 37. a ramattazieaa terza. Vide OloQiun a.1 capii. pi' CÌoTanni di Verdun 1 Bencdinino, Franccfe. dille molto di?erÌBiDeiRe il (ùo parere. Ki leggi umnt, difiegli, fnt ft’Srtt U dif^nf, rafien dtir ìmnirfttMi del Ltfitlntirt, il mmU nin fui frevidm tutti i tufi frtitlrt t£ dimundn» mnìietn.ini ; m deve Oia 1 i7 Leiitlntin, tjlH ^ fent. eteiniimit ferrh tuffnnn tfs hm ftui» Im nnftmdrrfì. Chi difnenf n»m fu mi dtfUti(ri U firfin th'i eUligt, uà UftUr »Uligt» »ll foalt i ingiuUmunt l dtffenf : à un rrnr fefiinrt tl rrtdtri th il difftnfnr fi fnrt nn» gruu, pàthi U iiffmf i un tt di pmjliti» diJhUmtiv», ft tu n fu limmmeli feer thi nn U d IU ftrfini nlU quali ì dtvut. L» Cbi^u um ì un Jtrv, ni il Puf i il fmtPudran. Tet l Pf, ilqu‘ U nt» à, rii ri firvidtrt di thi th» frtfijl» sii» Tumigli Crifiiun», U drt tiufthtdun l» f» fr»fri mffur, eiii, quella th gh ì devut. Quem confliruirDoininiu &per familiam fitam, ut det illia in lempcte tritici mnifuram. Lnczia. L àfffeufm M tigliezza umana, volendo dare due Benefizj incompatibili ad una perlòna, unirne uno all’altro, durante la vita di quella ( i ) in maniera, che, dandole il principale, era dato in conleguenza anche Tunito; di modo che fi Ulva va benifiimo la legge di non aver pjù, che un Benefizio in apparenza; ma in efifienza non era, fe non oflcrvanza delle S arole con iralgrcnione del fenio; la chiamano i Giureconfulti fraudo ella legge, (a) Quello fervi ancora per poter dare un Benefizio Curato ad un fanciullo; o ad altra perlona fenza lettere, e lenza obbligo di ricevere gli Ordini facri : unendo il Benefizio Curato ad un lemplice, durante la vita; e coHlerendo il iemplice in titolo, rellava il Benefiziario padrone anche di quello Curato; e le parole della legge erano bcnilTimo olTcrvate. Ma il poter unire Benenzj ad vitam non fu mai concelTo a'Velcovi per caufa alcuna, anzi rilervaco ai folo Pontefice Romano. Alcuni Leggilti la chiamano unione in nome, ma in fatti è rilalfazione della legge; e l'hanno per dannabile: (3) perlochè anche in qualche Regno è Itata proibita. Fi; lungamente utata dalla Corte Romana. adelìb non è più in ulo ; (4) come nè anche molte altre cautele^ per non le chiamar fraudi, come quelle, che parlano troppo le? galmemc, per le caule che fi diranno, venendo a'noitri tempi. Anche la Commenda ebbe una buona ifiltuzione antica ; imperocché, vacando un Benefizio elettivo, un Velcovato, una Badia, ovvero un Benefizio che fofic julpatronato, al quale l’Ordinario per qualche rifpctto non poiclTe provvedere immediatcmente, la cura di quello era raccomandara «M- nnal r.hg losectto degno, () fintantoché la provyifionc fi facefle, il quale peri non ivéVa racoiift' dl valcrfi dell’ entrate, ma foto di governarle, c a quello fi pigliava perfona eccellente, e perciò d'ordinario era un Benefiziato, al quale la Cura commendata era di pelo, perchè |>ilognava che la prendefle per lolo lervizio delia Chiela. Quelli non fi poteva dir avere il Benefizio commendatogli, le non molto impropriamente; c perciò in realtà non aveva due benefizj: («) con tutto ciò, per non far diificolt^ di parlare, nacque una maflìma tra’Canonìlli, che uno poteva avere due Benefizj, uno in titolo, l’altro in commenda ()• Non durava la Commen etra ptionltt defit «noli. Yfl lUqaid deCt cq Ctrtt. Quid da aniooibaf bcflcficioniiii,4 tìcub t» fslioru. Immt.Wl. tf- fa. mk. a. unmi, tf, nt, dilicct, obAct iDa bent» fttxunfrm. fifiontm pleralitsa ad obnnenda lacompstìbilU d ftmf» dtfrmmdmt», fHthi ilCtmm9»dmtmti» isvi. (cm CommcDdim, ut przmtmtur, ntc (ifhinde tm n» trm diftrnut im vrrm» reati dmlTùmlmrt: cbrjBmt ultn femeAm temporit fpscium non da- tijlimnié mt Jm fa^a fmmmU dlU Mit dtUm rsrei lUtuenrct «juiccjaid iecui de Cotnmcadu Ec. Ctt mum dm i Curim mofMAern. tc tegicnen, de deiìanim {Mrceciilium adiun Aieht eiTe irrirum «dminillritìoDent libi m rpirtcualibus, de retnpoip(b jar«. CaÌA Ctmatrmis. Ma i fApt, fAttwiefi fuptrttri aUa U^ t, pr$luaiATAt%t i tirmiu itllt CAAvuatit, • AAmetdttrtr Mmtf it' frutti 0^1, ArnuumprAttrii ÌAÌi fAg Attua fini a itnurt — i it ia vi4 ttm tutti It lari rtuitlt | étp di tbt muturiut uUrtJÌ It Jlilt dtilt Un MU, iumdf ti rvconuiiduaio «yuclU Cbielà, uKachi tu poiTi (ulleanre ii tuo iUio ) DtlU FauuiIia Fiifeki, it’ Cauti ii LaVàfnA, liuti ««Ì114J ikiAmAti il pAifl uimifii. (i) Circe idein tempm milìc dommtu aovut Iepe quemdpRi nomm in Angliam pecunie eetorlotem. Megittrum, videlieec. Meninuin aaten. tkum pipale delìrteniem. de habentem poteiUtcìn eecommunicendi, fialpeBdeadi, de multipliciter vu. lunati fii2 refiilenrn punieadi. Idem. £' do ifferVAtfi, tké i Aoi priuàmua uum A grAuii autpriiA r«r «fbilrrrro i» virtù à'uu uutua diruti fiuuAti JulU d«e4e.i4«e di Cifiumiiui, par ttd tutti l’«lr, par nutUt tkt pritiuiavAut, uppurtiuavAui uliu Ckufu JUaioAo. Ad precei meu illoUn Regi Angloram Henneo II. cooeellit, da dedite Haarianui)Hiberniun fare bicrediterio poC (idendain. Nem omne» infiilx, de jgrc anoipw, tx dooecKine Confbnrini, qui eun bindevM • d( dotavit, dicuntur ad Rotneaun EcclefUm pettinere. Joaaods Surobcticniii |ib. 4. MetèlB|ici, ta del Re, cioè, doooo. marche. Propofe (i) il Re di ciò querele nel Concilio di Lione, lamentandofi de' fuddetti aggravj. al che rifpofe il Papa, che ij Concilio non era congregato per ciò, e non era tempo di attendervi. Nella flelTa Cirù di Lione, al tempo del Concilio, il Papa volle dar alcune prebende di quelle Chiefe a’iuoi Parenti; di, che fu moto grande nella Citt^, e fu il Papa avvertito che fareb^ro flati gettaci nel Rodano; (a) perlochè il Pontefice li fece occultamente partire. Non reftò per quello la Corte dalle fuc imprefe; () anzi nel 1153riftefib Papa comandò a Roberto Vefeovo Lincolienfe, uomo in quei tempi celebre in dottrina, e bonù, che confcriflc certo Benefìzio ad un Genovefe contra i Canoni.' il che parendo al Vefeovo inconveniente, c ingiuHo, rifpofe al Papa, che onorava i comandamenti AppolloUci, conforme alla dottrina Appoftolica; ma che quel abftam'tbu% era un diluvio d' incollanza, un mancamento di fede, una perturbazione della tranquilliti del Crifiianefimo, ch’era grave peccato defraudare le pecore del loro pafcolo, che la Sede AppoHolica aveva ogni podelli in edificazione, nelTuna in dillruzione. Ricevuta quella rifpolla, il Papa fi fdegnò grandemente.- (c) ma il Cardinal Egidio, Spagnuolo, uomo prudente, ten (i ) Il mdtfimt Sttrir» diti tfn Ì0 rtmdìtM dt' aràqiftMi UmUmì fi»ktlitt in dm» fii di 70. imt» manh d'rgtntii t tht tv. »vn» fi» imfmrrita l» Ckitf» di Jh$, dt tht »vtv »4 jfattp tufri $ V»fi d» S.fittn. Epifcoout Kobenus Liflcolnienl» ficit A io'u Clertcis ailigemer cooipumi Alienoram pmeann in An^lù, Bc invennim rft. Se vert caniibua qao£lam alicfugenas ronfàoguineoa, vel affìnea fiiM, inconEiho Capitulo, iocrudere, re. fiitcrunt « in brie Canonici Lagdunenfès. coot' ffitaaiiTcì, Se eum juramentoobteltintei, qood, iì tiki ipud LugduBucn apparerenr, non pòilét eoi velArchiepilcopuf, vel Canonici, pro(c|;^re, Mat. Vvtfiaaaafiar. Oroflet «ft. (S) Mandatu ApoAolicit, du'aili valla fa» tifpafla al Fapa, aSedioue filiali devou Se reveren. ter oMio : hit qno^ qiaae nuodatia ApoAoìiria adrcrtiintur, paternum xclani honorem, adverìor Scobftoi ad Drmmque enitn teneorei dirtnomn. dato.,» Non «là igitor Itterz renor Afoftolica fimAitati cxmibniu, r«l abionua pluràmutn Se di» icort. Priioo, luparbo animo aitr Quia eft ifte fenex delirua, furdua, St ablurdua, qui fii^ mudar, imo tetnerariua judiear} Chi atai di ^aafii daa vaatfriav», il Papa, akt walava i Caaaai, a Lineala, rlta li. difandtvaì Cki di ^aafii daa tra fardat tÀaaala, r« «». dava Jt iaat la vaca dal Sigaara, a laaartatia aUa aam vaiava aftaltar gatlla d'm» Variata Appa^aìtta, tkt rl'^agnava il far davart ì Per Petratti, Se PauTuma yi. giarava par Saa Piatta, a Saa Parla marre Listtain, tha gli fatava aliar» l» settdafim» eaTrtt.iaaa tha Sa» Patir avtva fatta a Saa Pittra, quia repreniibilii erat, Se non fede itnbulabn ad \erttatem Evangeliii Galat.x. la xsatt i' imitata le» PUtra, il qaala prtfiul sii grufi» earrttàaati nKì moveret noa innata ingenuitaa, iplàim in lanrain conliilìancm przcipitir«m, ut coti munds bbula loret Se exemplum. Ihtdtm. t«, tentò di mitigarlo, moflrandoglt che il procedere contri un uomo cosi riputato, per fiuia tanto abborrita dal mondo, non poteva partorir buon effetto. (4) Ma mentre il Papa penfava al modo di rilcmirn, s'ammalò Roberto; e in fine della vita tenne gli ftefli ragionamene ti: (^) Mori con opinione di fanritli, e fu fama che facelTe miracoli. Il Papa, udirà la morte, fece formar un proceffo al Re, che il morto fodè difotterrato , ma la notte feguente ebbe il Papa in vifione, o in fogno, Rcberto veflito in Pontificale, che lo ripreie della pcrlecuzione alla memoria fiia, e lo percolTe in un fianco col calcio dei pafiorale ; (c) fi dcflò il Papa con ccccflivo dolore in quel luogo che lo colpi fino alla mone; la quale {d) fcgul indi a pochi mefi nel 1^58. Alcffandro IV. fuo fucceifore, () fcomunicò TArcivefcovo di Jorck per una caulà fimilc; il quale, perfcverando nella fua deliberazione, fopportò la pcrlècuzionc con molta pazienza; () c avvicinato alla morte, IcrifTc • al Pa tti) Nt^n ctpcdim, Donrin, ut altqaid daruin contri i|>tum epifc(i«in ^'ini«rctna>{ utenim vera fateainur, vera Ciat cmx duit • noo poC fnntui cum condemam. CaiholKUi eft, nno Ik (mdiCriotiii, eol>U religiufìor, nobù (indlior, eice{Ìenùor, de ecccHeRnorti ritz ita, ut non credatur inter oenno l'rckioj inajorem, imo noe parem habert. NoTÌt bnc GiUicaiu, Se Anglicana CUn Univerlìiaij noan nou przvalem coniradiAio. Hojuftnodi epillslx vtritas, quzjam torte muUis innocuità muicoi centra no poterit cominovere. Kzc difcrunt Dominut iEgi-Uut • Hifpanut Cardinalif, dr atu. coniUium diucei Div mino Pape, ut oninu hzc conaivearibui oculit fub dilTimulatton ttontire pcrmitieret, ne fuper hoc tamuiiuf eiritamur. Ui^- ^t« « ir mtdtjimt Psris, tra m» fran ptrftaafs»' carCD. iu' t^U, coluntRa in Curia Komartn veriutn Se iuftiar. et muneTum aTperaaiar, qux ngernii «quirarh fleAere uL w r.T,! .. PrivilMia (kadonim pomibcuBi Romane. rum prxdKcIwum fuorum Pipa impudenter in. nulisrc per hoc rrpagulum, m« tSfiaatt, noo •rubefeit: qaod non b( line corum przudKÌe, et incuria rmniielia k cniru reprobat, et dirute quod unti) St tot (anAi xdificarunt. Nonne di. cu Papa de fu» plerilque PratJerclToribu, iìU, vai tUt fu rttirdaritai PraJtttftr ntfitr, tc fzp«: adhartam fanUi ^Tadtttfftrn aaht vtftuiis, Sei. (^are ergo, quz lecenint, duuant iundamenta qui lequuniur Nonne pluiti, divina grata klirati, majotet funt uno fi>lo adhuc perieli. tanK? Uode ergo hre injuriok lemeritss, prmlegia laiiquorum Sartftorum multcrrum in irrituni levonre ? Ciaè i il Pafa aaa ta rtfftri di aafart, a d’aaaaUar cmm Nonobtlance la Ce»atfiami, a {U atti dt'fmai fanti Aattctffari, fiata tta^trar il sarta, a‘l difaaara rlt'tfli fa alla lira mimaria. gaitaada a urta tutta tl lata tdtfetta fairianaU. jhj^amda ài Pafa farla nalla ftta Balla d' aitami ddjiai Aatrttffar$, ma dita il nolìro Aniccelotc N. di Dia memotia? volen do (egujr le TeftigM del oofiro Ciaio AnteccTortf Pttik!dma^naaaiuart i faadamemti fat dagl' altri ì ideili Pafi, i gmah, ftr la Dia gratta, fama arrivati ftUtamanta u» Mrre, nam iuamamaggiar tradita, t^a ama fata, il gnal ì mmtara im ftrirala dt far naafragiaì Damda maftt dmagaa tka Jmaatantia vaala tan una uaaaritd ftifmaliufa raimavart i friviltgi aamtadmti da tanti Saati Pamttfui Bamant t Paria nella BKdefima TÌri. (c) Hoc anno (ttf4-) D'tniinut Papa, dum, imut fnpra modum, vellrt oQa Epi£:ofH Lincotaicniis exua Ecclelìam mojkere..... Juint taleni litenm fcribi Domino Regi Angliz tranfinirrendam; fcieni quod ipr# Rex libentcr dcCrvirei in ipfucDtMiprracri&è, fir fatila tbiditi il aalra Starila fai, a futi fagina immamti, ila^rre tra Do. mini Papi, de Rzgii redargutor nuaifellui.)Seil no^ léqucnii appiruit CI idem Epilcoput LtiiroU nieotU, pontiScaitbua redimiti» i ac voce icrri. bili tpÉim Papam in ledo fìoe quiete quiekecu rem aggredUur, Se aAiiurt pungenv iplum in lateff iUu impetuofo cufpide bacuLi fi» palloialit: Et «liait et: Simbnldo, Papa miièrriiM, propoTui. iUoe oda mea extra E. mneni, 8c molclUin. J^d. (e) Ftrfa il fina diU'anna iaj4> awdrjCew Matita Pari nfcrua tha lanatiatia, travaadafi uà fama di marie, « vrdtada fugatri i faai f èrtati g iar Jiffa t Quid piangiti!, milen I Nonne voe otnnea divitrv relinquol quid ampliiia exigitia t id eli: faribf mai fiagaitt, a ftmfluiì ia vi taftia talli rtecbij tht vaia a di fitti ( ) J^l‘ ara di Cafa Canti, tama Xatatiatia III-, Urigaria IX () Anno ix{p. aggravxvic manum luam Dominus Papa in ArchicoikopQm Eboraccniètn, pif. fitqoc eum ijnoiriinioie nimii in tota Anglu exronunurucari. Ipk lauwn Archiep. excmplo B. TiMuz Durtim, nec non B. RoIkiu Epilc. Lin. colnienlis, fidelitata «rudkua, ^ lolatio csdcaa mirtendo minime dclpeiDvit, oennem ppalem ryrannideiB piuenier lullinendo: t atta fagut dtfai Remili genuaSeUere Baal, et indignis berbarii opima beneficia Eccidìc lux, quafi margaritai por. eia, imo rpurcia^ diHribueie. IbuUn, iero dichiararfì affoluti Padroni in tutte le collazioni de' benefìzj per tutto il mondo ; e levarG dal bifogno di trovar Tempre modi, e arti, per tirare le collazioni a Roma; e fece una Bolla la quale non conchiude altro, l'alvo che la .rifcrvazionc de’ vacanti in Curia; dicendo che le collazione di quelli per antica confuetudine è rìfervaca al Papa; e però ch'egli approva quella confuetudìitc, e vuole che Aa olTcrvata : ma, per conchiudere folo quello, intanto fa un proemio ipotetico, dicendo: benché la plenaria dilpoAzione di tutti i BeneAz) appartenga al PontcAce Romano, Acchè non folo può conferirli quando vacano; ma anche può, innanzi la vacanza, conceder ragione per acquillarli ; nondimeno lantica confuetudine più fpezialmenie ha rifervati i vacanti in Curia: perlochè noi approviamo tal confuetudine. (^) Se il Papa avelTe fatto un editto conchiudente che la difpoAzione di tutti i BeneAzj toccava a lui, il mondo A làrebbe melTo in moto; e, cosi gli Ecdenaflici, cornei Principi, e gli altri Patroni Laici avrebbero detto le loro ragioni ma quella propoAzione meffa in una condizionale, fenza conchiufìone, pafsò facilmente lenza che foflè avvertito quanto imporiaCTe. Anzi due anni dopo, cioè nel iz6$, fenza aver alcun rifpctto a quella Bolla, S.Lodovico. Re di Francia, vedendo che le provvifioni fatte dalla Regina fua Madre Reggente, mentre durò la fua minoriili, c TalTcnza in Terra (anta, non giovavano, per levar le confuAoni introdotte nella materia bencAziale, fece la fua celebre prammaticha, () dove comandò che ieChiefe CatteTomo Ih I dralt tri, 0 tinijMt P0tÌ0 dtf0t N« «enfi» prartereon. dum qaod B. Hdmandus, Le^r in TheologuOXODiali, t ^ Arrhrrfr»V0 i C»Mttrifty, et direre roofticeK i O Servale» fWjfd rr H rum di Artrvtfttx^ di erlc, nuttr ab hoc Ixotio tnnlinterabU| kao» vel làltem gravibut, St inCàperabilibut in muodo tribnietionibiu impemits, He trucidami. ì^itm »d et tifi. (4) In anurt(sdi.e amiu« fctipùtl'apz, esem. I loRobeni Liocolnientif Epiùopi pntvo.uua» do!M ioconlbUixliter quott camraauifirmicertplum fttigarat, co quod iacxpcrioi de ltngu« AaglKanx igxan» renate accepure» nane tulbentieoda, nane tb iiedetìa eliminando, nuoc Craeem aakrendn, dee. U pnii't 0I ftu frtm> Umùfi’ ntttr dt f 0 rt 4 rgU ù Crtrt po. teli de ^re mnrerre» Tcnim eium juj in ipTrt tnbuere vacatami colUrionem carnea Bccldia. tum» dignittnim» de beneficiontni «pud Sedem ApotlolKim vartunuin ^cialiin cxterii antiqua oon^uctudo Ronunii Poatititìbui rdervavu. itaque laudabilcm reputante hojuftnoii cojkòetadiiieiii, de eam auclònuie apoUolica approbanrei» ac niltilominiu volentet ipkin innolabiter obkr. vari, ead^ auAoritare ftaruimus ut beneficia qux apod Sedem iptàm dcinccpi vacare conrigrnt ali. quia» OTxter Romanutn Pcimifi^m, coninre aliOli. icu afiquibai, non prefunut. Sarti Owrar. m.j. tu. dt praitBdit. taf. a, () Si dmku» tmité tbt ^utta framxtatitx ffa di Sa» Ltd0vtt0, ma» m farUmda im eamta vtfitMt gli Sfrittari r«reiM#r«»n : altra di tha »t» fi vaia tkt il Pafa, il ^xalt Tignava alt», ra, aUia avuta altn» dtffartrt ea» fati Ut ; il tbt fariUi ttrtaaaatt» attadmta, fa da la» fafa vernata una tal ardatatiaat. diBamr itìlUt tht la rigHta «al ttxafa dt tadbanr# jdrali aveflero reiezioni libere, e i Monaderi fìmilmente, e che gli altri Ber neiizj tutti folTcro dati lecondo la dilpolizione della legge, c non potelTc eflèr levata alcuna impofìzione dalla Corte Romana Topra i Benefìzi fenr za confenfo fuo, e della Chiefa del Tuo Regno, (a) L’andata del Tanto Re in Affrica contea i Mori; la Tua morte, che TucceTTe nel iZ7o’, il biTogno che la CaTa d’ Angiò ebbe del lavare Pontifìcio, per idabilire il Tuo Regno in Napoli, e ricuperare quello di Sicilia, e la Tacoltb che il Papa concelTe al Re d' impor decime Torto pretedo della guerra di Terra Tanta, fecero che i Francefi facilmente lafciarono racquidare alla Corte 1 ' idefla autorità', onde nel 1398. Bonifazio Vili. poTe la Codituzione di Clemente nelle Decretali, e fece che quello ch’era ipotetico, e incidentemente detto, folle il principale: e, per darle maggior autorità, la poTe fotta nome di Clemente, lafciando in ambiguo. Te follé il quarto, o il terzo", onde adedb in alcuni cTemplari fi legge in altri quario-, () perlochè all’ora fu dato principio a creder queda prowjfizione, cioè, che la plenaria diTpofizione di tutti i Benefizi Ecdefiadici ap particne al Papa ", il che pretendefi intendere in TenTo non affatto perverto, cioè, che il Papa abbia piena podedb, ma regolata perb dalle leggi, p della ragione, (f) Clemente V. indi a poco fece ceflàre ogni buona intelligenza, con dire che 11 Papa abbia non fola piena podedb, ma anche libera Topra tutti i benefizi S W 1 ^ liberà ì intende da’ Canonidi piente da ogni legge e ragione: ficchè egli può, non odante la ragione, o l’interelfe di qual fi voglia ChieTa, o particolar perlona, eziandio Padrone Laico, farne tutto quello che gii piace. Queda propofizione con ogni occafione fi pone nelle Bolle", e non è Canonida che non la palli per cliiara, anzi per articolo di fede, dicendo che il Papa nella collazione di qualfivoglia Benefìzio può concorrere coirOrdinario, e anche prevenirlo ", e, piacendagli cosi, dar anche autoritli a chi gli piace di poter fimilmente concorrere coll’Ordinario, e prevenirlo, ficcome hanno poi data queda facoltà a' Legati con una Codituzione generale, NelTu te» »» Uhth iutìieUt» t Dc&n(brium CoiKortlAtoruffi iiucr Seitm ApoflolKun, et R«^ni tnncùr Ludovicum XI, tht Àu» th'^ di S. LnUviee, it ni psrli i» ttrmÌMi t Quod BUtsm etdem afcrioinir fecill« pragnurKAio, |«r qutiR quuiun juAi&cafe nituatur PraKiTuttcim per Scicaifi. Principem Ctroiiua Rc{[cni (VII.) donÌAi aoflri Lttduvici genKorem «ditam, Ot per «(undcin dominum naliruin Liidovkuin «• tboike aiiscr •bro^tMoi, nlhìl prtxietit cis, tie« qui prodenè fi tttendAnnir fingaU verbi ejufdeni benfli iùb tenore bnjas aferipue libi Prtgpunea bcani, et uoicuique faa jurildidio lérvetur .... Item prouMiioAca, MiUiionei, proTÌfiono, jlcdifpofìtionea prxlaturaxujB, digaitatam, St alioruin ouoraowiUDque bencficiontoi « et OtlUiorum fec(Wiaftk.aTuu Regni ootlri, (écutidum ddpofitiooetn, orduucioneis, Oc determinadtiacm juria (ooifuUAu, Sactorum Conci lionim ficclelùe Dei, ttqae infittutonia anitquorum Sarklnnitn rarruot, fieri ToJuatui, et ordinanu». Iretn eu^onct,& onera gravillìnu pccumarum per Cunam Roauoam Ecdefiat regni noflri impollta, tei impofirato quibu eiitcrabiltcer regnutn ooltrum depauperarum enitk; lìveeuam un^toneiub», vel inipocven. da, ievtfi. ast rolligi iwIIìucrui votiimut, nifi dumtucac prò rationabili, pia, &ura[e.’uiflìma cau li, il quale è con proibire ogni torta d’alienazione, cole per diame« tro contraria a quello che la primitiva Chiela olfervava. Imperocché, febben le Chiefe, quando fu lecito per le leggi de’Principi lacquiilare (labili, ritenevano quelli eh’ erano donati, o lalciati, era però in liber del Velcovo non lolo di valerfì dell’ entrate, ma di vendere anche i fondi fle(H, per fare le fpele necclTarie nel mantenere i Minillri, e i poveri, () c anche di donare, (ccondo l'efìgenza , e T autoritli di difpenfatore concelTa al Velcovo non fi llendcva lolo (opra i frutai, come adelTo, ma anche (opra i fondi llcin, e altri capitoli.' il che da principio era amminillrato con fìncertt^, lìcchè però non ne nafeevano inconvenienti, e durò anche lungamente nelle Chiefe povere, dove, per elTervi pochi beni, e i Vdcovt di non grande autoiritV ) non yi era materia di traigrellione : ma nelle Chicle ricche, e grandi, dove la riputazione dava ardire a Velcovi di tentare quello che ad ogn’uno non larebbe (lato permeflb; e l’abbondanza dava materia di poter vaicrfi di qualche parte ad arbitrio, i Velcovi cominciarono ad eccedere i termini della modedia, dal difpcnlarc pafTando al didìpare; onde fu neceffario provvedervi; nè la provviGonc venne dagli Écclefìadici, ma da’ Secolari, in pregiudizio de’ quali era : imperocché, diminuenJoG i beni pubblici della Chiela, non pativano t Cherìci, eh' erano i primi a cavare il loro vitto, ma i poveri, che fella vano nell’ ultimo luogo. () Nelle principalilTimc Chiefe, ch’erano Roma, e CoflantinopoU, la provviGonc fu anche primieramente ncceGaria; perloc he Leone Imperadore con una fua legge del 470. (i) proibì ogni-aliehazione alla Chiela di Codantinopoli e nel 4S31. PrAfetto Pretorio del Re Odoa ere in Ronta, (2) vacante la Sede di Simplicio, con un Decreto fatto nella Chiefa ordinò che non poteffero elTcr alienati i beni della Chiela llomana; il che da tre PonteGci Icguenti non fu trovato Urano: (3) nel 502. Simmaco Papa, effendo gili morto Odoacre, e Gnita ogni fua potenza, congregò (4) un Concilio di tutta Italia, dove propolc, come per grande ilravaganza, che un Laico avelTc fatte Colticuzioni nella Chiefa; e con affento del Concilio le dichiarò nulle: ma, per non parer che ciò facelTe per vbler feguire nel dilordine, fu nel Concilio fatto decreto, che il Ponte Gce Romano, e gli altri MiniGrì di quella Chiefa non potelTero alienare; (5) Ipccifi cando che il decreto non obbligalTe altra Chiefa, che la Romana lolamenre. 1 tempi feguenti moGrarono che vi era bifogno della GcHa legge in ^utee le Chiefe; perlochè AtutGagio Gele la legge di Leone a tutte le Chiefe (•) ViJe C»n- 1 }. ac I®. C4jt »• () Vidi Ititi r. $ 9. IO Sl»tfi i U Ufi 14. Co 4 Sact«CiD{^. £(Ueil»> tk'ì di Lttf, • di (») dio; iJ MuchÙTcHi. tmfmdrtnifé fi dtll' hmffTM, dtft mtmr mmm»tXJU0 Ortfi, t imff» in j"i» AngmJhU, fm, Ufti» il pH i'Jmftrsdtrt, fi fnt tbimpur JU di Ktau, Urna tamtiafft tù^, tMH Hb ». dtlU fnm Sttfi di Timtt. ( } ) F flirt IL ftrtndp altri III. Qtlafit I. « Jlnafiélit IL (4} ^ Jtivrm. O) Qmtdt CiiHtmt > riftritt dMGriMBCsMf. t ». f w. ». Cm. ut» M. Chiefe foggette al Patriarca Coilantinopolitano, (i) alle quali tutte proibì il poter alienare. Ma Giuftiniano Imperadore nel 535. fece una Coftituzione generale a tutte le Chicle di Oriente, di Occidente, c di Affrica, c anche a rutti ì luoghi pii, con proibizione che non pote(Tero alienare ; eccettuato Colo per nutrir poveri in cafo di fame RraordU naria, e di rifeattar (2) prigioni, gli concelfe ralienazione, confórme air antico coRume del quale S.Ambrogio fa menzione, che non lolo le polTenioni, ma anche i vaA fi vendevano per quelle caufe. (4) La legge di GiuRiniano fu olfervata ne tempi feguenti nell’Occidente, (3) lino che Roma rellò fotto l'Imperio Orientale; e vi fono molte pillole dì S. Gregorio che fanno menzione de' beni alienati per rifeatto degli Schiavi, Anzi da’tempi di Pdagio II. fino ad Adriano I. (4) per an ^ ni 200. fu incredibile la fpefa che faceva la Chiefa Romana, per ricomperarfi da’ longobardi, così acciò levalTero gli alfedj, come acciò non molefiafTero il Contado : e S. Gregorio ne rende buon tefiimonio del fuo tempo. Non aveva credito all’ora la dottrina che corre al prefente, che da’birogni comuni (5) fieno efenii ì beni Ecdefiafiici ; anzi tutto il contrario, quelli erano ì primi ad elTere fpefi, innanzi che fi venifle a porre contribuzioni fopra le cofe private. Nè meno farebbe venuto in penfiero di porre in controverfia lautorìt^ de’Principi nel fare le leggi, perchè, oltra la perpetua olfervanza, vi era il lodo fondamento, che quelli erano beni delle Chiefe, cioè, del comune, e della congregazione de' Fedeli; (d) onde toccava al Principe procurarne la confervazione • Dappoiché fu fiabilito l’ Imperio in Carlo Magno, reflando le leggi Romane fenza autorità, tornò l’abufo; onde furono fatte diverfe proibizioni da diverfi Concilj, (7) in Francia malfime, dove la dilfipazione era maggiore. (8) dappoiché ì Pontehei Romani aflunfcro piò parte nel governo dell’ altre Chiefe, vedendo che la proibizione untveriale faceva poco efiètto, non mancando preteRi a’ Prelati, per eccettuare 17. Cod. de Sacro&oftù Ecclcfiu. (t) la Unitila 7 .eaf.l. tir. l. telLi, Pro redemptione Capeirumui. Jut S.Ttat’ maft, Se aliis n«ceirir«cibus ptuperam, vaTa cuU nii divino dieau duinhunrai', it AinWoiìu» dieie >• l. itf. mrr.7. m rtff. a 4 J. Vtde Tur. itet iìGatiami JMn», r « Ramat CardriMU Rcgibut zquipirantuT ) duiimu taliter modenndit, qood per cnodenmen noftmm eftrcnatain riUum beseiictoniia muintudmem refreneoMis, ipdque impeiramet tru^ dif^nrationutnhuiulinodi toulittr non AuArentur. btatuiv.uu itaqueqaod obtinencet nunc ei di^nUtione leginma plurali tatem huiul'inodi beaeheionim unum tantum ex bencEcna, quibui cara imininet antnurum, culli dinirite, vei beacEcìo line cura, quod hbere nuluerint. poflìac licite rvtiurre: t mna (i«a dtf. Qac omnia ScEngula beneEcia vacamra. rei diiruUi, noArc, 3t Sedi Apoft. dirpofinom reCervaimu: inhibenen ne quia, prcrer Ram. l>ontifieem, de hu^finodi benefciii difponere, vel circa illa per viam permiiutionit. vel alias. innovare quoquomodo praduoiat. ZjcrraMg. tit. dt frtk. tf. ZxtttMhHt, (t'i a fHsU immidiMtsmmtf gli fnettff]) Speculiter fiurdcgaleniem Erclefuni. 8c Moniilrrm— Cni.i> Buidegalentìi, C>di. eie UnCìi Henedidi Et generaliur Patria^ ctulea. Archi^'^.tcopalei Epilcopale^ Ecclefias. MonaAeria, Priurttui nec non Cinonicicat, Przbendai. EcrIetUs nia cura, velgna cura. Se aUa quziibet beoetìcia BcrleSalìica, qu« apud Sedea ApoAolicim vacare a itoiaiur ad prz^cu. et que toto aoliri potniEranu tempore vacare conticerK in Eirurum, pravitiofii, collationi, li difpofitio. ni nollrR, 8c Sedia c)urjem, lue vice aucioriate Apollolica relèrviimui. Extrsvtg. CummiB. 3. rùdf f^éttmdit, mp 3 C 4 ) Adeo rcboi oorìi fluduit. ditt U ?Uth M tuli» fu» wtm, ut Se timpticea Epitcnpami bi« iàruin diTitèric, ac dtvìfoi in unum rcdcgcrti. et Abbaiiw in Epikowruv, 8t Epifeopami inAbbaciai vinflim mnihilenc. Novat quoque digoitatet, nova collegii in Eededìt cooiluuit, &c. tgU dìvtf gmtlU d$ T»Uf» i» rnifiw. rrgtmjUU M Artivtferauté, t duuJpgli ftr l§ ^»ttr$ Cirri eh’tgU fmtmh»v» dll» fu» ’>w»U»9f»mSu», L»vu»r, fUtug, Ltmii». Gli uSrgiù aai-tadie Eumett.. tkt BmifuMà» Vili. uvtv» mtft f»tt» NArhtnu, di euìAUt, «S fwird$-Tt">itrt divtmutr» fuffAtunù et» mw "utvu ttezitut. Stmmifi Cuftrtt i»l nfetvtt» d'AUi^ S»i»tf»»r d»lU Cbir nrts U ^rnspiitm dtlU ms, uuutftkt rht ptrtUtmtltilpàttfsisrt il v— ufism dtlls mdfint n) nrts ts msmitrs, ftrtki M dttrrtUt fi mtm mtl fmt itlV enne. K Paole nel iib.t. del uo CoocUio di Trcnte. na; e tanto più per grave, quanto quella opera è congiunta con fpeic di Bolle, difpenl'c, c prefenti precedenti; che tutte levano il danaro, eh’ è il nervo delle forze, il quale non torna mai, come fa per via dell’altre mercanzie. Quando quella novicù fu introdotta dal Pontefice, le perfone ordinarie non feppero vedere che differenza fofle tra quello pagamento, e quello che fu cosi biafimato ne’ tempi in cui i Principi davano i BeHzj. Ma gli uomini letterati in que’ primi renapi univerlalmente la dannavano come cofa fimoniaca. ( o ) In progreflb di tempo alcuni iludiarono modi di giuili6carla in maniera, che lì divifero ; altri riprendendola come cofa illegittima, fimoniaca, e proibita dalle leggi divine, e umane ; altri lodandola come cofa lecita, anzi necclTaria, e debiu al PontcBce Romano; pollando quelli innanzi lino al difendere che il Papa, non fulo polla dimandar un’annata, ma anche più, come quegli che c aflbluto padrone eziandio di tutti 1 frutti, Bon che d’ una parte . e dicono che per qualunque contratto che il Papa faccia nella collazione de Benenzj, non può commettere limonia ; e certamente, (^) fe egli folTe padrone, come dicono, la confeguenza rollerebbe chiara ; perchè ogni perfona può contrattar il filo in quella maniera che più le piace, fenza far torto ad alcuno : ma nè Dio, nò il mondo pare che vi acconfentano. Quello Pontefice fU cosi intento a cavar danari (fogni cofa, che in 20. anni di Pontiiicato congregò incredibile teforo . certo è che nello fpendcrc, c donare non fu più riftretto, che i fuoi PrcdecelTori ; e pule lafciò alla Tua morte 25. milioni. Racconta Giovanni Villano che ad un fuo Fratello dal Collegio de’Cardinali dopo la morte del Papa fu dato carico d’inventariar il danaro, e che trovò iS. milioni in monca coniata, e 7. milioni in vali, e verghe da lui pefati. (1^ L'annata nella fua illituzione da Papa Giovanni XXII. non fi Refe, falvo che a’ Benefìzi che fì conferivano, e pagavalt nella fpedizione (ielle Bolle : cofa, che continuò Ano a quel tempo ; ma pòfeia fu anche impoRo obbliga di pagar 1 annata ogni quindici Tomo Ut IC a pnj C«} Separ qiurlltum eft, diti md frs» tiufulté, ui iure poffit eirip, Ac l»c Icre Tiiralogarum eft opiiuo, Junlque lQncilicM Coatilca. THm, Roimnum Poniiticcin irge (imonitet bitiu, ut c«(erm Epiliopof, tencr^ fi prò Sicrit mimàeriis {KCriaum accipiat. Not. la »p. 1. de Simon. Nam, pnrter ònon«t. tbf U frimrifmU i iAtm fm mri. tpmt mfitna t Tmmtff MtU'Mrunl» iht ha diati. A jMrftm riftfimi ma MfimfMiri Mrrro m» Mitra, U ^umI i, tht l» Chitfa CslUtMMM mam ì miai fiata firn MfnMvatM, «> fiù ifif mi""” dtritri tire» la iU’kintfit.1, fmanta da'fafi Traati^ fii t nt famta tifiimmiMin.a h talli di CltMunte IV. Ciemtnra V. a Giavanni XXII. rifirita dallAmtara, a eit iitvarajf dui dì Cltmnta VII. ?«• fa d’AvknMM. Sm paffaaa, dk'cgH nella vita di Carle Vi. ratimtarfi fnta fdifaa tutta t rfati«' ni, a la vMimia tht fi tamattuavana [afra ilctara, J trantafn CardinaU d’Aìainmt nana tanti TirMiuat • Sfalla avtvana fer tutta Vraumratati eam natia ii abitativa, tha raffmxaaa tutti i hm^tU fi Claufirali, la Caumniide; ri ftuavana i mifliari far ù mtdtfimi, a vndavana gh altri, 0 gli mfatmvana. Cltmmta firfa, altre tha %'imfadranìva daile f^lu di tutu i V^eavi, a di tutti gli Attuti età luanvana, e fttndn.M iim' annata dalla nudità da' tanafit) ad agni wu. tMtjaui di Titalare, a futftdife ftr varauta, far nfegna, a far ftrmuta, .malmnava la Chiifa CalUtama tan Urna guantità iufmua d' tfinfiani, a di tanfi (traariinaria. t«) l'rofiTcrea quod bcaeficia Onira Iiujufnmdi «itipliue vacare noi» fpenretur, 6c eainde CauKra, et Oscilla Sedit Apoil. «lenuneAfum non modicum MieteiKur. () Vam il taf, 4. « $. de Aonam in de(rcrtl. (I ) Virfa 1470. (a) Jata^ fmaia, Mmata deirOrdima dfirrtienfa, uatiiia dalla iÙatifi àt Pamirt, in Linamadata. tUtta utU’anna 1334. addì la Ditemfn. (i) Genmiu in n'illrit dendenh, ut tlebni'us, ejand per QQl\ra diligentix iludium ad cjui un>iide klpnadenoTuin r^innna. alu beneficia eccleiuàira viri sllumantur ubmei. AoruiD, d( thclàurcriorum. .. . nane vacauiia, et in antea vacanira, nbicumquediSoiLcptot, vclNuo. riot, leu leclom, aui cheiàurariae, antec^uten ad Rncn.CuHam redierint« leu venenoc, rebus eiimi contipr’'i( ab hamanu. Nec non ouoriialibet prò quibuiiuincpic negorìit aJ Rom. Curiim veuientiom, léa cTiam rcteJentìun ab cadcm.fi in locii a dida Curia ultra d»as durus legulei non di&antibui, cio^ in InagUi tha uam fitaa piiir diina tuanagmaatalantam da Rane. jam |ir>i&n obierint. vel eu in antea tramite icuitigcrtr de hac lu.c ... Nec non enim Bituzione, che incomincia . Paftoralis ^ la quale al prefente non fi trova, ma di elTa fanno menzione motti celebri Canonici : e l’iBelTo è avvenuto di unte altre, per le quali farebbono palefi gli abuiì, e le ufurpazioni, come anche dalle etolfe fu levato nulo CIÒ che non favoriva la Corte : ma peggio rooftrano gl Indici fpurgatori ( 3 ) fatti daDotcorì, per accomowU agrimereOt di Roma, prima ai lafctarli iilcire alla Campa. Tom» II. acionua coliuorum, a toBfamdomm inp» Acram, Mine « flc in aneti vteamra, àiffofnom, provilìosi noftrs, dnaec aiiferatinan dtvìMt dcatntia noe nnimiali Eeckfic TtgMÙni prsAatre emeeSatir, nfinvanus, acc. émnt$ > irf mtfi di CesMje dtlFMUt (0) Qes fnvh, atijae tneoleranda, féd imccC Cui arrooniin eicu&ca, criam in pace nuBiere, étti T»eit« fitf. a. ria! : Vifttim «rane ftmfmtt Mm» tiffima; e i benefiz; {b) fi vendevano alla libera, e A levavano di mano degli Ordinar; quanto A poteva. Sino a queAo tempo non A era fcopcrta la Corte Romana apertamente, che non fi miralfe ad altro, che al foldo : di tutte le cole che A facevano A rendeva la canfa eoa qualche apparenza, o di provvedere alle Chiefe meglio che gli'-Ordinar; non facevano; ovvero di provveder di Benefizio qualche perlona meritevole, (e) Ma Urbano VI. A dichiarò, perchè s’ incromcctcflc nc' benefìzj, ordinando che non valeife r impetrazione, le non era fatta menzione del valore del benefi lào . £ i 4 coTTÌgendum occurrit, pagi donati,, au( addili), cmendari poHc \ideaiur, fd Corredueei tancndum curent> lilii Biinut, oninina deIciciir. Df ttrriài» Mtvfmm, fr mrt nrt Mi «Mttinua egli, ftutttt, ft ffh it jiÀ ftt AMiM fiUmt», t p», e da 70. ««nirj» fit«t Jt Sertttri Mn fi trivt r tuaM^ Jaitrum f»vrn»l Mmtafitm rsU, rèi l’b» Icvmt i (t fi trtvrtb jia vart>U >rr TfLtthfi^itA, rkrt' 0 n t 0 Tf^fis$ td i» f$mm» papmma ijir ttrH di «m fvtr itira sUwté fimttfa. M Mi dam «. ti k pnftfftS' f tmirlinwltfWTyèma^ mmauà, 0 U iimifd$tjm0 ; 0 elf fi AratnSUfà ;«# tkt «•;ar »4 f 0 Ìttt tirsMte», fi 0 lfi 4 mmt 0 thtrmmtM itiiualnu Rnrtfn di SUU0. Expurgiod (iiat propoiltiones quxUnc, deluntur. Sm %»0fi0 {0idMmimt0 miti 0 triMcifi wM tiraami, imfi'arcLì, ftr T 0 ~ hgiéfi ibf firma, tmrri bm a 4 |(éa« «1 r 4 fai rou dH> 0 at di Stait ««» vi fmrtb Ì0 fnr MB0 rht f0t0fi0 mamtamarfi i' fimat Ì0iitin dittiti. Onda F. fa0Ì0 ka tutta la raii0U0 di dira ut ma Imait dtl libra ftfia dii [ma Cmtiiia dt Tftnta, ibi U Carta di Ramm niu uàwmaimm ftinta ftr imiafiardirt, a futt ti,Ì0 ftr far Jivntmr brfitt ilt \J animi, tamtt amila di »fiV 4 rii dilla (ffBittama tba lata imifiaria ftr dtjtadtrfi dalia fut mfmrfa t Mm, Cbt fmtiadarÀ dmn^me, fa i mafin kUnfirati tt^muana a (affriri tha fu ZccìaJUfim fraibJtttfU i bmami Mrit il Drttata, ibi £a mafia U imi dii CameiUa di Trama da F- FaaU mal Catubga rde'Zi^ri perdi Mtl ibif, Ì 4 fira svmta «a li^ x««i ma i ri mvwdmti dii tk^ma di frMttié hamaa detta ebeit fma tala maa ara fitamda la frmata } t tba m» BibliatHétta davrtbbt mamlta tatandarfi i» matana di flint a malli amaaraduanaebt, frrfianda mm iman farvigia alla Cyte di Hama, ma ha fnfiéta «■ faffima a rjmtlla a» C) PViif Nauticr. in Cfiroiricn, voi. %, gener. 46,61 Albert. Knukta. in Hin^.Suon. Ub-iu. cap. 4. et ia Hill. Viiidal. lib. p. caf.6.& Gigum. li». f. capti, ilt CamUVl. (4> riverì ia Romano Pootifirani alter. cit|o mali» itKotiimefs Ap>!t!ic« debtri Komini cnniendunt. Ctaium. fed.g. eaf.i- la Caratavi- Vide Nie- de C^uMngis de comipto bcclclìe flnu, ctunÌ3n otTereniìbu. «la. tentur. ^k^uc|er. ia Cliron. voLu gener.4p.anu. IjSp. {t) Elli, diti Ctaaeata V. in temporaliiun di. Ifolitionc bonorupi hsbcaJa fit diIrreiicHi» cauteu, precipue ut ea digne, 5 c iuuiabiliter dirponantuti in btclclUftivli tunen rebus BiuUofornu» iovigthre iiotìra debet intamio, ut peHboirum conditionei de Aami, ad (ìm dequibes his fiisntpro>ifum, T«J coAcefliim, aut minittucn providerì, vct«s anaaitt valor» per mare» argenn, aut iter» lingonini, vel libra taroncniìam parvocuin, (m flonnoa «urf, ant ducara» vcl anicat aan, leu iliam monetam, fimindum communem arlbmad^ oem exprinacor, nifi porfoos przdidc beneficia, qiuB luoc obtinueriat i aut in tjaibur» vel adquc fui eii compeiit» juita ip&rum ohligarioiiei, aur tbaa diniitrere teneanrur : atioqmn entir prs4itìjt film ullz. Jtfrfflt d UrS«»a > di mm» CanttlUris, tdi !» dtU l» nifi» itUa Ca'ttl{nta fadUttutt d Imnoteniit V- Vulc RebuL ail Rubric. de Aonatii in ‘ConcsrJam, Se feitn. ad caper Ad amnt S. no. 4. barn de Refiriptii. (t) Ci) fifa tanpMiUi fer aiilìgar tbt 'MW rhanna fmdtrt dtUt frtvvi^ firn» firn tan dtilt ffènm, frr apeararfi ad ttméfiM tatfttrat». Ch dirM diMfw ag^i jutlSaikt» Vtfnv» di Tamr 'aai, il tfaaìa, tbitdtad» ad u» fa» amin dtl danat», ftt taaiftrart dtl fmatia, a$a di tafrir la fa» Qkitfa, ali fcrivrva is amajft uraUa I Rogamuf, Se peiimus, ui alit^id de bcaevoiU, ac benefica liberaliate vellra Dgbsinnc tiiU, quo plumbuin euumur, nonRomanutn» litd AdcUcuiii i quoniani Anglico pluu^ teguntur Ecclefìz, mJimur Romano. Ztrjkan. Twmattafit ad Valdtmxfam, ( ) le tatti i frnuipi Crifiiaai avtjfrra fatta U fitffa, ftata iadart a dumjlrart fartialitm far ama dilli farti, ^mifta frifam, tha dm^ ria^attatamai, nan avfMa a»aj fatata darart tiaaaaata frttitaaa ; im f mik tU fw fafi mtm tfartÙaaa afiiaati a Wrr £t\wiadm favata »> atiU, lù aaan. Ciàfrhtdaaa pt u kttfn tfett» tht kaan» fradatta la liittfa di fttfPkU^ tht il Ri di ka faHluatt t mnt HuMCCBtiiu Papa Legarnm fiiamEnCcopum CalnitfMn prò (ùoGdio Camerz.» Scaedir CI poiellacMi^tMMoCmdi cam ClerìcU ad beneficia ninti, vai Bnerura, ad dignitiiet, aot elTtcM» qux tniRut tanonicehaberenc» aur fuifliant aJq^i, cum fructibua inde perrept». Enne ibi ciitm Saltarne, et Bm'izDu ci, vocavjtque Io. pertror Icgatum, Se au Adde Paralipdincna rentoi nemoè^ liuffl CtatoBìi Mylii an. ti7f. Se Chxoaictui Gmv ( naiu Mtttu ao. 1 3S0. gualche parte alla Camera : ma dovendo per tal caufa ufeire molto danaro di Germania, Carlo IV. Imperadore H oppole, e proibì letiraF zione, dicendo che bilo^nava riformare i coflnmi del Clero, non le borie. Tutte queièe confufìoni crebbero maggiormente quando fi aggiunte il terzo Papa nel I407. al quale tebbene ì Trancefì aderiTono, e rendettero ubbidienza, nondimeno tennero fermo un editto del Re (t) fatto Tre anni innanzi, () con cui proibivano le rìfervazioni, e altre dazioni della Corte, Hnchò da un Concilio Generale legittimo foITe provveduto. Non era il Re molto capace del governo, ma Lodovico Uuca d’ Orleans, che lo governava, era autore di tutti gli editti : perlochè, occiio quello, (3) fu facile a Papa Giovanni XXIII. racquiflar l’autoritìi di conferire i Benebzj in Francia, dando nominazione al Re, e alla Regina, e al Delfino, (4) e alla Cala di Borgogna per tutti i loro Servitori ; valendoli poi egli del rimanente. il che U Corte conlervò fino alla mone dì quel Re; imperocché Carlo VII. Tuo Figliuolo, che gli fuccedecte, rinnovò gli editti, (j) In Italia ancora furono fatte varie provvifioni da diverfi Stati diverlamcme, le quali tutte tendevano a levare gii abufi. Teftifica BaU do, che fino i fiolognefi fecero provvifioni benefiziali ; e in particolare ordinarono che non folTcro conferite, lalvo che a’ nativi di quella Città, e fuo Contado; nè i Papi erano molto Rimati all' ora; anzi, clfcndo Giovanni XXIlI. in Firenze colla iua Corte, nacque certo uilordine nella collazione di un Benefizio, perlochè quella Repubblica lo privò della podellk di conferir Benefizj nello Stato per cinque an» ni. (i) In quelli tempi s' inventarono claufule ineflricabili da metter nelle Bolle, come mettendo difTerenja tra le fupplichc lottukiriiie per cmcejfnm, e quelle che fono lottofcritte ptr fita; ( 5 ) tra le (pCf (lite con cla^fot. Mmh proprio « e le altre con cLnilula tmrtftrri, ( 6 ) Ù 1 1 ^ V. tUnt 4» C 0 rÌi»Mfi, Cru tmrt dtp'éUri dmtt (• «ir» JtlU ftttrmuw tht U CrMrt>» di hi» irdim mÌ ffrmfit di tr» fi»t» fmttM I» TrMmti». lt> ÌlQ»rdm»t dtTmr), JkeM«nrtreI«, a«v re roAtemporine i, S Ètrri a 4 enfili», rUnivttfitk, rt» ftrmttttfftf» Jllrjf»»dr 0, d4 fftrr frt m»ff !$rt tf»j»»i f»il» Ckirf» TtéiKiff, I U fmpflK» »« lU f» ftrtii dtir VbìvìtÌi» éili'tPfMtrr# fT tmtt» l» dittsClHtl», •Utr»ttT0 M»' Mut» in » iti fierue d«'i}. Afd» 14- ». ed i ryVft# nella CeafeTmta delie ardtaatetmi lei. I. tu. f. pert. ». fataf.i. (il rtorc.inni, proDter uairiun akifitm • Ps ft loatmillBin in ronwrerkio unirp Abb:nun &• um iB eoninr ditione, privavcrunt loannem ZXIIL Wpun, in «orun civitaie tuoi dn;Mtati. pur«. fiate rAn^erervdi beiveficia io enrom dnioM fit» ulque ad oumquennium. fdeUaeui i» aatii adSét maiat teaf»ltmm r«fa mette fiat ut peiimr, ì, eàt fatila teatrdam fempre fualdet fratta, e feae feetefttitte dt marna prep'ta del Papa cella prima Uttera dtl fa» aaata di iatttfim» fra la fauhca, e le tlamfale i taddeve l'aitre ma» fame fettefeture, tkt dal metaiha dtl Coocefiufi r«« fatfia fermata • CooceiTun ue petitur in pecientia Damini noRri nap« taUa prima lettera dei fae aame, e del fna eefmeema fra la fapplua, e le Àmafale ^ e CuAuffitn a late della tlaafmU talir dae lettere raatiali ile' fmat aam • Vedi la rtfeia }- di CeaeilUria, 16 ) ratte furfie rndrjri# rNW»ri«r#w fette II Pentifitatr de Rea tfatte IX. Rapa di Amm, e fetta faellt di Stmtdut XtU. Pa*» d' Avìfmaat. Pe«c che (i migliore la condizione; dalle quali invènzioni nafceva ch^ più Bolle erano impetrate fopra T ìflefTo Benefìzio, e oltre alle maggiori annate pagate, nalccvano anche liti, che bifognava poi trattare a Roma con benefìzio della Corte. Si aggiunfe il cofHtuir un’altro licigantC) fe uno moriva, acciò col Tuo 6ne non foffe il fine della lite; ma dalla morte di quello fi cavava un'altra annata, e la continuazione della lite, la qual anche moltiplicando, furono trovate le claufuIe:S'fiiteri : Si neutri : Si nulli ; per le quali fi dava anche il Benefìzio ad un terzo, durante pure la lite tra i due primi : il che coftrinfe i Principi, per levare le confufìoni, il difordine, e le liti tra i loro fudditi, a ripigliare nel foro fecolare la cognizione del poflcflorio de* Benefizi.- cola, che, (ebbene legittima, era fiata per connivenza de’Principi levata da'Magifirati Secolari, e alTunta dal Foro Ecclefiafiico. (i) Dalle provvifioni eh’ erano fatte da qualche Principe, per ritener il corfo delle introduzioni nuove nella materia benefiziale ne’ loro Stati, pigliava la Corte occafione di trovarne dell'aftre, xosi per fare gli fief(i eliciti lotto altri preiefii, come per moltiplicare modi dove potevano; e con quelli lupplire a quanto non fi poteva lare, dove era gilt provveduto. XL. « In qucfti tempi fi trovarono le rifegnaziont, non le buone, e lodevoli, che quefte fono antichiflìme; ma cene altre, delle quali il Mondo al prefente non fi loda. Non fu mai lecito a chi era pofio in U14 carico Ecclefiafiico di lafciarlo di propria autorith; ed era ben conveniente che chi s’era dedicato ad un lervizio, e ne aveva ricevuta la mercede, ch’era il Benefizio, pcrlevcrafic fervendo: nondimeno, (2) perche qualche legittima caufa poteva occorrere, per la quale foffe ncceffàrio, o almeno utiliih pubblica, o privata, che alcuno fe ne fpogliaflc, fu introdotto per cofiume, che fi pocchc con autorith del Superiore, (3) per qualche caufa legittima, rinunziare.* e le caufe cheli praticavano erano, fe per infermirh di mente, o di corpo, o vecchiezza, foffe fatto inabile; (4) fe, per inimicizia d’uomini potenti nel luogo, non poteflè fenza pericolo fare la refidenza. Quando la rinunzia era ricevuu dal Vefeovo, il Benefizio era tenuto per vacante. XIII. ditt Csrlt M Htlim ntUt fui «»»»• fmU'HUtl» fmtn l’émm» 1 40*. r»ntrm zmm* MIm fil.a. Se (1 ) I f0rlMmt»t» difmrigi, tr»infari tt di Ctnfigliart Gnriei, malto mlU dimutmxjom* drlf aHtortti Àt'Qiuàui £rrfr^Jfjrt. Icem Junldidio tecnporali» per rpirimalem non debet impediti 1 &, u contralìat, Curiaprcìtni coDfuevit compellrre fpirìtaslem ad reatovendum impedinicnn talia per captionem Ttue temporaliram. Ita dinnm luit per Arteilum Co« ri« in l’irlantento anni i|tf. contra Epifcopuoi Khemenlnii prò Capiralo di^EccleCs. Cup.apw pMuitl. filli Cane farlsm. ( a ) Cari, fì nui vero ■ (l'an. li quii preibfter. Se Cau. E^ihrt>pani f. an. 1, Ctn. Cleticut ai.qo.i.Can.Sannonun^o. dift. Et YvoUe. «or. ep. i I. (}) Vide rap. 4. estri de renannsrione. ( 4 ) Vide cap. io. extra de rcauntutioac. So «€, (é) c 4 Collatore a cui apparteneva, Io conferiva cogli ftcIG modi, come fc fofle vacato per morte, S'imrodufTc in quefti tempi il riounziare, non per alcuna caufa urgente, ma folo ad effetto che il Benefìzio fofle ccnferico ad uno nominato dal Rinunziante: (ò) e come a cofa nuova convenne anche dar nome nuovo, e chiamarla : Rejignatio ad favorente imperocché è fatta fòlo per favorir il Rifegnatario, acciocché abbia il Benefizio : c bcns'i in liberà del Superiore ricever, 0 no, la rinunzia ma non la può ricevere, fc non dando il Benefizio al nominato. Quello,‘ febben fu un modo d’introdur fucceflìone ereditaria ne’Bcncfizj, c perciò dannolo alfOrdine Ecclefiallico, riufci utile alla Corte, in quanto più frequentemente fi conferiva il Benefizio, e ella ne riceveva maggiori annate. L’avarizia, e gli altri affetti mondani infegnarono anche a molti d'impetrare, e ricevere Benefiz;, non con animo di perfeverar in quelli, ma con penfiero di goderli finché nc orrcneffero di migliori, ovvero finche mettcflcro a fegno qualche dilegno di matrimonio, o d'altro genere di vita: o pur finché qualche fanciullo pcrvenilfe all'etk, al quale ppi potcfTcro rinunziare :coia, che dagli uomini pii non fu mai Icuiata; e fi tiene per comune opinione, che chiunque riceve un Benefizio con diiegno di rinunziarlo, non pofla con buona cofeienza ricevere i frutti : il che alcuni di più larga cofeienza non vogliono dire cos^ ecneralmenie di tutt^, ma di quelli foli che lo fanno con diiegno d'abbandonare l'Ordine Chericate. Per le rinunzie ad fawrem riulccndonc emolumenti a chi le riceve, la Corte, acciò il frutto fofle tutto Igo, proibì a’Vefeovi di ricevere tali rinunzie, e riferfiò che il lolp Pontefice BLpmano le poieffe fare (l). £ perché molti Benefiziarii, quando fi fentivano vicini a morte, per tal via rifacevano un lucceflore, fu ordinato per regola di Cancellerìa, che non vaiefle la rinunzia fatta dal Beneficiato infermo a favore d’uno, le il ripunziante non fopraviveva venti giorni dopo preflato il conlenlo. (r) XLI, In quelli tempi pareva feemato il fonte delle obblazioni de’ Fedeli : pa mentre durò U guerra in Terra Santa, e durò per qualche anno, mentre Zignooi, «cl quu> ie indignua rehttamio judjcsVII, conatur altendcre, hoc fraterniraa nir re^udeo, quia jullum eXl ui in judicio, quod de K judietvit, permaneat, 0c fpoaUm quam rrpudiavit, rivcnie iratre qui ei leeitime ipcardittaiia eli, adultemc nonprztumu. YvoCarnot.ep.iri. .Vide cap. ). ettr. de renuntiat. (t) Bmlftmotu fulCamtmt jb, Apf*Mi, diti thf avtnd» W*« «»• Vtftrvt amu* nftfnart il fmt l'rfttvat» ad ma fmt amira, V di’ Vtftavi »am valli aamuiiri la ma rifiraa, ^7 pafft nadiifi i» latim», U^maU(itama jUtafim diri iffm di malia tanfidrratiami. Tu autem dìcquod, etiamfi non ad Uun (i«oatum Eptfeopuj Epitcopanlm traormilèrii, iéd ad aiteuum, idcmCTÌT • F.piicopM enitnaSyRodii fiendecreium eft. Et ideo ctiom vita fun^i lile urhia Phihppi Me. iropoUtanui itujiùtuu ^ lìiz Metropoli iiib bar cop diiiotic renoRtians, fi cju Occenoainin nrtniPkilippi Metropolitaouin prò ie ipio iiiafta SyaodM comthiuerct, non edeiaudinui Mtiadiiiquod, fi rciquai polì cleàMnrin ea Ecelefi* «edinbiM acqeàrtt, non potrAdare, vel ed quo» volt tnnlinutere, inulto m^uEpilVopanun. VideCan. ja. Cotte. Caribag.Se aj. Antioih.di Can. i,. Cwt.y.qn.) ( I ) ìteamda é Camamih, am ifitadavi aditi, ehi il Vafa, tha fifa efimtari dalla fimimia ■ Ve' di la Ulàfa ai taf. 4. racra de pa^i, verbo iUt 8c poAea inlra vinnti din, a die per iptun reUfnamcm {n^vdandi (onknlut cocnpoiandoa, de tptii infima laie dcceflcTji, ac ipium beneficrain coolìrrarur per relìgoertoneiB fic fadam, coILmio hapifinodi nulla fil, iplumque brnrficiuni per obiiujn vacare ceofirrtur. Vidi Malia, ad hmnt tei. aa.h^ mentre vi fu fperanza, per quella caufa mole' oro perveniva all’Ordine Ecclefiaftico; ma, perduta ogni fperanza, fi fermarono le obblazioni ■' fu nondimeno prclo efempio da quell’ opera, e fu introdotto il dar rindulgcnze, remilHoni, e conceflioni a chi porgelTe, e conrribuillè per qualche opera pia; c cotidianamente s’ idituivano nuove opere per ciafeuna Citch, per le quali era data Indulgenza da Roma; partorendo quello molto frutto all’Ordine Chericale, e alla Corte, che ne partecipava ; e ciò tanto innanzi pafsò, che nel 1517- nacque in Germania la novith che ciafeuno fa. ( 1 ) Papa Pio V. all’etli noflra provvide con una codituzione, con cui annullò tutte l’ Indulgenze concede colla claufula delle mani adjutrici, (a) cioè, con obbligo d’ofierir danari ; cola che non ha ancora fermato il corfo di queda raccolu- Imperocché, febbene le Indulgenze ora fi danno fenaa quella condizione, indimene nelle Chiefe fono mefie fuori le cadette, e il popolo crede di non ottener il perdono, fe non offerifee. XLII. Ma tornando a quedi anni della feifma, per quanto tocca all’acquiftar di nuovo entrate, e beni dabili alle Chiefe, pareva che fède affatto perduta la fperanza. Giò i Monaci non avevano più credito di fantith ; il fervore della milizia facra era non folo intiepidito, ma edinto; i Frati mendicanti, che tutti furono idituiti dopo il 1200. perciò avevano credito, perche s’erano Ipogliati adatto della podeflò d’;acquidar dabili, e avevano fatto voto di vivere di fole oblazioni, e limofine ; onde pareva che qui dovcilc icrmarfi l’aumento de’ bòli dabili : Iti però trovata una buona via, la quale fu il concedere per privilegio della Sede Appodolica a' Frati mendicanti il poter acquidare dabili; il che per voto, e idituzione loto era proibito. Molte perfone loro devote erano prontidime ad arricchirli; nè redava fe non il modo ; quello trovato, lubiio i Conventi de’ Mendicanti furono in Italia, in Spagna, e in altri Regni, fatti in breve tempo affai comodi di dabili : lolo i Francefi s’oppolero alla novità, dicendo che Cccome erano entrati nel Regno con quelle idituzioni di povertà, conveniva che con quelle perfeveralfero : nè mai lino al prelénte hanno voluto permettere che at^uidino; ( 3 ) dove in alcuni altri luoghi gli acquilli loro fono dati affai notabili, madime ne’ tempi dello Icifma; quando tutto il rimandate dell’ Ordine Chericale era in poco credito. Tomt II. L Fu le iì") Li frifmd ZMtm. (») Omne* fc Tinnlai induT^ntiu, «tiamrer ftniM qu>HranufM Ko«um« Pootibc noAm, *c «um mm, fiib cHBMde tenoribui, tc Satmis, ac cum cUuiuIii, tt decrtfU, ac ex ^mbaTm mia or. {cnnOimia canfii, ctiaiR caufa radoi^ionis capti, xerem, 0c alùa qimnoiiolibct coaceflaai prò qui. bai coofaqutadit laac purrigendu sdfmtri. ttt. Oc quu quftuadi facatrarem qunmode libet coatiftcm.... auAarktit apoAoIka, teoert pr». fauiium, ptrpcao rwocaimu, eairooos, irUTsinas, 6c aanulbuRM, ae vtribaa facaàRHH. VII. Dtrtrif. tf. C|) fsrummtt di Parigi, Ì 4 ÌU fma St0ri* dei Ctntilié dì Tmu », um previTM il dterH0 eh* jtrmttit MgCOrdini mnUh. tmati di f*S*dwr h*m fmhtU, diend* eh *, tftmdpmi futi il netymti 1» Trsnei* t*m mm'ikime» etmrmtit, wu trm etfm gimfl* iln** ^trU »l*rim*»t*i * td« ^mlU trm mnmntfitii U Ctrl» di Btmm, per tirmrt m li i hni dt’fm» Urti im pi r t e ehì fmtilm Ctrtt Imftim primtrmmiemtt mt^Mìfimr trtdu» «'frati raa fura vtit f**^t di ftvrrtà, ^ li fà tnfdtrmr* emme ftrftni ebt Ma hm»m» «iru* ÌMttrtS», fmMmt tmit» per rudi t fri, fa wd * fi ftwt ftmhiUii n etmtttt, tUm li mifimfm imi Itrt vttt, per dtr Urt U mt~ dt d'mrrieet^fi. Vedi U Cmifernim deil* trdtnit^ Miti W. t. tif.j. pmrt.t. pmrmg.f. 8xFu levato lo fcifma nel Coacilio di Coflanza, avendo uno de* Papi rinunziato, (i) ed eifendo (lati gli altri due (a) privati; e nel 1417fu eletto in Concilio Martino V. (j) Speravano tutti che dal Concilio, e dal Papa fofle polla regola a tanti difordini della materia benehziale ; e di fatto il Concilio propofe al Papa gli articoli da riformar le riferve, annate, grazie, afpetrative, commende, e collazioni : ma ddìderando il nuovo Papa, e la Corte (4) di tornar a cala; ed eifendo anche rutti i Padri del Concilio Aanchi, per la lungha a 0 enza dalle cafe loro, fu facilmente rimelTo il trattar materia cosi ardua, e che ricercava tanto tempo, al futuro Concilio, ch’era intimato per celebrarfi in Pavia cinque anni dopo : il che molfe i Francefi a non voler alpettare nuovo Concilio; onde fu per arredo del Parlamento ordinato che non fi predaife ubbidienza al Papa, fe prima non fofle intimato, e accettato da lui Teditto regio, (5) che Jevava le riicrvazioni, e ledrazioni de* danari perlochc, avendo Martino mandato Nunzio, per dar conto al Re della lua elezione, rilpole il Re che l’avrebbe accettato con condizione che i Beneflzj elettivi fofsero conferiti per elezione, e le riferve, e afpertative levate. Il Papa fi contentò per all’ora; ma nel 1422», acquidati alcuni deirUniverfitlt a fuo favore, tentò di far ricevere le rilervazioni con tutto ciò non potè ottener rintcnto; anzi fu proceduto contra i luoi fautori con prigione, (d) 11 Pontehee mite l’ interdetto in LionC, e il Parlamento ordinò che noti folse Icrvato; (7) e durò la contela fino al 1424- quando il Re fi compofe col Papa, che Sua Samii^ avelTe per legittime le collazioni fatte fino all'ora, e per l’avvenire foflfero accettati tutti i iuoi comandamenti: ma il Proccuratore, e Avvocato Generale con molti Signori fi oppofero airefecuzione; e rapprelentato al Re il danno dei Regno, fecero andar in fumo l’accordo fatto col Re In quedo mentre fi fece il Concilio di Pavia, (8) il quale, appena principiato, fu trasferito a Siena, (p) e fpedito con gran celerità ; (10) non eifendo data in elfo trattata cofa di momento, ma iolo data jperanza che nel Concilio da celebrarfi indi a fette anni in Bafilea lì farebbe riformato il tutto : nel line de'quali lette anni mori Martino, e lègul nel Pontificato Eugenio IV. (11) lotto il quale nel Concilio ^filenfe J431. fu (12) fatta la provvifìone tanto neceflaria, e tanto defìderau a* difordini della materia benefiziale : furono CittMUiì XXIII. Jgf* tjfrr fili*, $ def* ijfrtii fi*t» ftttmiuta fjT (») Crum* Xll> • Btntd*tt*^f^h l}) 0r«M CéUmm^ ert*t* éUS.M**’ tm*i • tntii fftf* fm*l a«mi ( 4 ) t'I * l» f"* CM* tfit é lm n t* t*tk» M Ctluilt* f' m awif t 0 ft, m*m Itiftgrtii im* dimuHAia»» U. Il fm tkimf* *idi la. Afttlt dtlV *•• w l4i>. 4 wr àmtM* irt sm* * miM.9*. O) D*l ttrmà d*Uj. Wfdi UC*m ftnkt* étti* OrdiMSM**mi j (« ) JUrtr* dtU’ V»rvrrJj4t, 4)1. rono proibite le rifervazioni, eccetto de' vacanti in Curia*, furono anche proibite iafpettaiive, le annate, e tutte l'altre efaziont della Corte. 11 Pontefice, vedendo che gli fi riUringevano la podell^, e le ricchezze, non potè fopportarc; fi oppoiè al Concilio. Tentò prima di trasferirlo altrove, in luogo dove potefTc maneggiare i Prelati: (i) il che, ripugnando e(Ti, non gli potò riufeire, e palTarono molte contefe tra il Papa, c il Concilio; alle quali alla giornata gli uomini pii, inrerponendofi, trovarono temperamento: finalmente cITcndo il O)ncilio rilòluto di provvedere airellcrfioni de’ danari, e il Papa di confervarc Tautoriik, e comoditi fua, vennero a rottura irreconciliabile. Il Papa ( 2 ) annullò il Concilio; e il Concilio privò il Papa, e n* elelTe un’altro*, (3) onde nacque feifma nella Chiefa. Fu accettato quel Concilio in Francia, e in Germania*, e nel 143^. fu pubblicata in Francia la prammatica tanto famofa, (4) per cui fi refiituirono reiezioni a’ Capitoli, e le collazioni agli Ordinar) *, e fi proibirono le rifervaziont come nel Concilio Baftlienfe. XLIV, In Italia quel Concilio non fu ricevuto, e tutti aderirono al Papa., onde le rifervazioni prefero piede : anzi ciafeun Pontefice le rinnova lenza difficoltk, e introduce ancora nuovi aggravj nella collazione benefiziale*, nefiun de’ quali mai fi modera, fe non quando fi trova modo di fare lo (le 0 b effetto per via piò facile. IntrodulTero Giulio II., e Leon X. le rifervazioni mentali, che cos\ le chiamavano, e con un altro nome, rifervazioni in pecore *, ( 5 ) le quali non fi pubblicavano come le altre., nè fi facevano : fe non che, vacando un Benefizio, fe T Ordinario lo conferiva, o alcuno andava per impetrarlo, rifpondeva il Datario che il Papa l’aveva in fua mente rtfervato : modo, che { 6 ) durò qualche anno, ma poi fi difusò, (7) perchè tornava incomodo anche alla medefima Corre di Roma. ( 8 J Gli altri modi pa(Tar«no tutti in eccenb *, imperocché circa le rilegnaziont in favorem gik introdotte, e praticate, s* aggiunfe il rifegnare folo il titolo del Benefìzio, rifervando a sé tuctTomo li. La i frutti Ut» vi fu m»i, dice MeiCrjy, tM ftrfttf fr» imi, ! i fmdu di putita SmntAjtmèUMi imftrmtrki, ft d*i Un tmmtt i fmdti ftttr$ ftmferr» tét vltvsm» f*r frtm* stU fmmmtmtà, fthntmd$ hrnmtMtt pttirémtttm Is, tht 1 C*mciUt e ti { tfU ^rimtmtt Ritmai*, ftr farfi Frtmua, td abbamdn^ fmtt il fm» trema, ftr tffer f»f* • f" aitila mill'aan» 1 43^ « ruamaftimra dalia framtia, dall' Aitmaarma a dalia jiMQwr farle deli'Oftidemii fi»» aita maiitd’£mSiate ( dafa la ifmale efemdeS nvaiti i friatìfi dalla farle di SuiaU V., fm aUligat» fané tea frirkiere, fané tan mimane ad attaafemiiri mila rtmmtaae della Cbiefa, tiamaajaad» al Pamtifiiaief li tht feti nel 1447. nel Centiii» tb' ili tf^tjfameaie iratferita da BaSlaa alamfama aag'i Svttjari, IXifa da ibe i Padri lanfermaraa» l'eiaAtMf di HiteaU fatta dma anni utaamii a Rea» da'Cardtaali dal fartit* iT Smseait Amedea, eh» aveva fref» il marne di Feiin V. f4) Mexerty U cbiaau tl rifar» dalla Cbiefa Gallitama. (O Ciri ternate i* futa. (tf) Giavaaai Smarei., Veftava di Cambra ha fartiallt, fartamd» mel Camelli» di Tremi» mtaraa alla rifirve mentali, U tbiamb fmrn \ a dift tba fattUe fiata mnlta lafnart al Fafa U eaJlatiana di tatti i btaifiti, ì» vaeedi faffartart eb'ishdiffe fatta ad mm ftmfirr» mtm rammairala, maa faiHirai», a fatava fimfiaamte eredarfi aaa ejfrr veanta al Taf a, fa aa» defa la fmetefa vmeaata. faaU fiar. dtl Carne, iti. t. tri La riferva fkrtat frtibit» dal CtaeiUt di Trtat». Caf.t^ Itila Rifatma. feff'.%4, . {t) La faale davava faffartart egmttlara» eaairarietà, U effafiaitm dalla farle ae’CalUtari erdiaai ). ì frutti d’efTo; il che in eHIicnza non era altro, fé non reflar padrone del Benefizio appunto come prima che folTe rinunziato, ma colìituen' dofi loio un lucceiFore, il quale folTe ben in nome di titolare innanzi la morte del riminziante, ma in fatti non avdfe ragione alcun^.- c ao ciò il nuovo liiolare, volendo raccoglier egli i frutti, e aflfegnarli al Kinunziantc, non fi potdfe far padrone di qualche colà, fu aggiunto anche che a! Rinunziante non iole foTero niervati tutti i frutti, ma ancora egli porelTc efìgerli con propria autorità. Non reOava al Rilegnante altro che lo facelTe diHcrcnte dal total padrone, le non che, le il Titolare folTc morto prima di lui, egli beni! relbva con tutti i frutti del Benefizio, ma non poteva più crearli un fuccclTorc; c il titolo poteva elTer dal Collatore dato a chi piaceva a lui che dopo la morte del Rinunziante folfc liicceduto. Non mancò alla Corte ottimo rimedio anche per quello, il quale fu il regreflb. (i) XLV» Ne’ tempi primi della Chiefa era un fanto, e lodevol ufo, che chi era ordinato ad una Chicla, mai in lua vita non iat eiava il carico, per aver Benefizio di maggior rendita, o di maggior {a) onore : pareva a cialcuno aOai fare T uffizio fuo al meglio .* per ncccfUt^ alle volte il Superiore, che non aveva periona atta a qualche gran carico, ne pigliava una occupata in altro minore, (*) e per ubbidienza U trasferiva al maggiore: cola che poi fu per maggior comodo, ovvero utile, ricercata da alcuni; onde la traslazione (a) inufitata fi fece ufitatijfima: e tanta era la follecitudine di ciaicuno di crelcer in grado, che IpefTe volte, lafciato il pofleduto, e impetratone un altro, riufccn .. do r impetrazione viziola, rdlava privato d'ambidue ; il che cflèndo in conveniente, l’ufo ottenne che, fc rimpctrazioue del fecondo luogo non poteva aver ritornafl'c lenza altro al primo; (») c quello fi chiamava regrefio. À TTriUTitudlnc d1ci6tu inventato di conceder al Rifegname una facoltà, che qualunque volta il Riiegnatario morilTe, o rinunziaflè il titolo, egli poieffe lenza altro riiornar al benefizio rilegnato, e con propria automi prender di nuovo la pofTcffione, e farlo luo, come le mai favcirc rinunziato : e quando anche non avefic ricevuta la pofTcffione priiiia deda rinunzia, (nei qual calo il regrcHo non può aver luogo ) potefle per accclTo, c ingrelTo ( 3 ) prender la poflcllionc fimilmeiuc di propria autorità, lenza altro mini llero H) Intclkitmut, C.Caaonioo retereiK*, ouoj tuoi tpiè L n (MilTeDt Eccldùiltta bcncEcù pernuj» r, ut taoieo lii»p>icniti ve.tu tnbiunif, mandanuii a uaiciiu) coaUueiu prxiavium O. uUier ‘uilfe eicf^unit amotu a prtebeiula Tua crtnLingUineo ipliua L. vei qoijlibet alto illicito deientore, e-in ledicui &CUU1 eiticin. Cip. >. ulta de tctiun perimit. (j) Cit^, eiur allei a. IcJ oicbie et propria^ ut ncc iJp-ò che, quando fi faceffe che il Coadiutore anche fuccedeffc, ne nalccrebbc maggior bene: prima egli farebbe più diligente, maneggiando cola che doveva cfTcr fua; gli altri ramerebbero, e riputerebbero più come proprio, che come alieno; onde fi fece il Coadiutore con futura fucceffione : cofa eh’ ebbe difenfori, c oppugnatori. Si oppugnava con dire che ogni fuccelfione nel Benefìzio Écclefiallico è dannabile; porge occafione di proccurar, o defìderar la morte altrui. Si difendeva col celebre efempio di S. Agoflino, che da Valerio, fuo antecefsore, fu fatto Coadiutore con futura fucceffione: il qual efempio non ferve troppo bene, perchè S. Agoliino flefso poi lo biafimò, e non volle imitarlo; e non fi vergognò di dire che da lui, e dall’Antecefsorc ciò fu fatto per ignoranza. (^) Ma i tempi, de’ quali parliamo, non folo davano i Coadiutori con futura fucceffione a’ Prelati, z altri che tengono amminiflrazionc; ma ancora ne’ Benefizi fempHci, dove non vi è a chi ajutarfi, in maniera che il Coadiutore reila col puro nome, e non vi e di reale, fe non la futura fucceffione; ch'è la cola cosi abborrira da’ Canoni. ( Dsl Cémntit, C*uf.T- U > H rjfw Vtf{» r fi tirdt tki CÀtdiMttfi m*M *r*i*«, ft ptrfém* fiiftndiMtt, ttucr Ac Coc(4fro||'ut Joinnei. ab hoc, nt oectflkrù cumpeccaii «lirponeiuc IÌKÌinJuufuut ..... vien«iue prclenti vobtt juiTioflc prsi ipimut Uf, lervsn priuxi in loco KpttVopo mcBiutato revoren», quieti w» convenit inculpibilucr cobi, bere, prbext» obcJientum ConlLtufo coDipccentnn, in nullo dif)«fitionti)ui ejua rpiritu conninuci rrfulianteii immo commenti vq;ihtiti« veihr (luJio c(uie prò EcclclMllifa utilitste gerencU Conflitumt- otonueric adimplenin i ut, hit iia dirprrntia, At etmttttm vt^ìJ JfiftudÌA minifirtnimr. Ac qujtcuinque in pixfaccfectdùe patruuonio, vel Si ufa de rebus ad cani perrinenrtbut repeten.:» tunc necelTari* conipleaniur. i fermtifiMJM quMleht vtllq s' Vtfltvt. di dlflt»»ri fHtfli C*»tmiér* ftt Ut» fqutfftriì t. ntlPHlMìtt flA ^tAXiA n* AfutTA TértfitmA, Vidi tl \T. O.Ce».?. I. S.Vé»Un» dkt Ut ttrmini ftrptaVt, firn fon» di C*Ad)mt»ris rr» aSat firandinat»* i Noa auiein, da t»!i, ranmiu line icribitnm gratdbndvm, quod Epircnpatiim Augudinut acceper», (èJ qiod Kanc Dei turato uirruerìt AfricaiiT rrcleuc, ut verbe teleilu AiguRjni ore perciperenc, qui ad wiJortQi Ocunìniei muiient gramin ntvt mtrt pro«ftu*, ita ronfecracos eJ>, uc non futeedem in Cacbeiri Ei'ilc'ipo^ léd actéderrc. Nam incolumi Valerio Hipponedit Ecrtefìr Coepitcoput Auguìhnus cA.ep.s7. num. a. Ae Cin. t so. r. Si tifava in quelli tempi da qualunque Benefiziano, che voleva farfi un fuccelTore indifferentemente, fecondo il divcrfo gullo, o fare un Coadiutore con futura (ucccifione, o rilegnar in favore di quello, rifervandoli i frutti, e con regreffo : ma peri quello era rifervato al foto Pontefice, e per neffuna maniera conceffo ad altri Collatori. In Germania il Concilio di Bafilea fu da alcun ricevuto, e da altri no; e per ciò diverfamente erano intefe le caule benefiziali. Per provvedere alle diverlitk, e diffenfioni, nel 1448. fu concordato tra Niccolò V. e Federigo Imperadore in quella guila : (i) che i benefizj vacanti in Curia foffero rilervati al Papa, e nel rimanente degli elettivi fi procedeffe per elezione quanto a gli altri i vacanti, in lei mefi foffero del Papa, negli altri lei foffero dillribuiti dagli ordinar] Collatori; aggiunto anche, che, fe il Papa non aveffe in termine di tre inefi conferiti gli fpettanti a sè, ne cadeffe(z) la collazione negli Ordinar]. Non fu per tutta Germania ricevuto il concordato; e alcune Diocefi fino dal 1518. fervano il Concilio Balìlienfe, che annulla tutte le riferve. Ma in prc^reffo di tempo anche chi ricevette il concordato nel principio, reltò poi d'offervarlo, e G difendeva, dicendo che il concordato non fu ricevuto generalmente, ed ha perduto il vigore per la diffuetudine in maniera, che (non trattiamo di quelle Citth dove i Velcovi, e i Capitoli fi fono divifi dalla Chiefa Romana) anche nelle Chicle, che rellano l'otto l’ubbidienza, poco, o niente era olTervato. Clemente VII. nel 1534- fece una leverà Bolla,- ma ebbe poco effetto : un’altra ne fece Gregorio Vili, nel fenza miglior fuc ceffo. E»m» y»,ffj afart, farai d» gt.'efi* tr»r, fiver» jta aaert,,n iaefki d,fi*au feiameif' dm puaate àt tammiae, e\i f^ij?dtti»i»lala re mette f at» f.^e ti huge delia tén étdì^^^ tauame f t fartmm* tatii i Seiufiai firmari, • gelati, thè ufedatfamte^temf» delia Irte f rum ae ifmelii ebt tem ftema^ alte dignità ta I narrali, Artiefìfti^U, ed £fiftofali et» varan fi, > tilt vae^rénat per i* 4 Vtr»*er«. Utile ciiefe ìdetr^alitaat, e CattrdraU, aia feetette èm me diat umn it alla Sede Appidthea, i Mftdeaahri ebt vi f»»a imnt.haiameate fe^tut, i' eUtitai fi faranae Uitrameste, e fai feraitanpet' tate alla dell» sede, eUe Uiea^iemer», fe fataant i»itaicit. £ et' àù^jteri tif,ie» fine lev»» diatameaie faggettì, ed altri Benifia.] ngrUri, ftt h guai* nam fi fati! ruarrtre alla faataSede, gli Utili aa» branma aUligati avtmra a Raau perita lrra.tamftrmat.iana, a prev9tfiame\ aUrp ditpigiiii' fii lentjin ma» laderanni futa tafptuatne, nè» hinfit.f dilla Uanaebe mam efeati fati* l» difpafium ma éa» Umfm « Qgaata arti ahrilantfit.) feealari, arnatarinaa eamprefi niile uftrve effriffi di fefra, ma* imptdirtau eh* hitramemii aaa nt fi» Caliatati ardinarl, fmaada vailùraiiHa ae'mtfi a» febbrai», ^rile, Gimgae, Agafia, Qet^rt, at>ttimbri, t m*(i di Gaamapa, Mara.», idaeei», Lm» gtu, btiitmbii, e Nnembre, faraana rifttbaii al fapa ; ma fe fmteedarà tba i aim^ai, eba vatbm raaa» f» ^mefii mefi, man fiea» fiati tamfenti dal Vapa mi‘i**m*fi, eamiaeiaada dal giama della va^ r«u« fepma atl larga del itaefitua, U CallaKÌaai niaraarà, a ad igni altra al fma le fprttird la difpt'fieiomt. Ma awd» gaefia ahima lameifìaitt aperta Fadna a malte Ini tbe aafervama di giara» im gura» fra fatili elee UVapa avena ueirntdiuiimaaaet tl termnae ffirata di tre mefi, e ameilitbeav»’ vaa» alienata la tallagdaae dagUOrdiaarf, ipimU teaftrivaaa i bi»rjfz.t dal gura» im tm fpiravaaa 1 tre uefi, per ^r«vritir« leprattvifieaitìeeelP*' pa pattfie aver fatte verfa 1 fiat del termaan Or^ garie X(ll. fiee ama fiali» m data del prema di Ha vtm br* ij6. tea tm iuftiarì eie ìd Camtefieme di Papa Pftttal» V. aaa dava altmm Imàgf Oreiear), «> agli altri Cellatari di difparrt forati i tre mefi de' beaefiat ama vetta teweprep fette fmefià brttifa teneijiami ( m» attriti thè fn V awtnaire gutUì, tbe il Papa avrà prevnednti di tfnrfit benefi».}, faranm» ttnmti a a fifaifitatelm lira impetranene a'CelLiteri atti» fpazia di tre mefi, fimianaada dal riama dtllav*eamKa fepnt» nr! h"« dtl lr-'f%ìT, o n p^nil.ttrln im fuiiffi cefib. Nella Dieta di Ratisbona de! 1 ^ 94. il Cardinal Madruedo, fi) Legato di Papa Clemente Vili, fece gran querimonie per nome del Papa fopra di quello; nè apparve frutto. Al prefentc rella ridcfsa varietà 9 e confuftone. La Corte Romana non ba^ le non due rimedj .uno per mezzo delie ConfelTioni de’Gefuiti, i quali operano per termine di cofeienza che i Benefiziar) provveduti da gli Ordinar) lì contentino di pigliare le Bolle da Roma; e alcuni lo fanno: l'altro rimedio ufato dalla; Corte, ma ne’Benefiz) importanti, e con perfone in parte dipendenti da loro, è, che, fatta una eiezione, o collazione centra il concordato, la Corte l’ annulla, ma conferifee poi elìà il Benefizio alla llcfia perfona : rimedio in altre occalioni ancora gi^ molto ulato; non perchè giovi neiriHelTo tempo; ma perchè, fervando quelle Scritture, le ne vagliene poi a’tempi feguenti, per mollrare che avelTcro ubbidienza, come tante altre Decretali, che non ebbero effetto: lono però ne’ Libri Decfetali per lo ftelTo difegno. XLVII. In Francia la prammatica > ebbe rigidi combatrimgpti da Pio IL, (2) acquali s’oppolero collantemente il Clero Francele, c rUnivcrfii^ di Parigi ; perlochè il Papa fi voltò al Re Luigi XI,, e gli mollrò comò era dildicevole a lui che nel Tuo Regno fi lervalfero i Decreti del Concilio Bafilienie, contra il quale egli, eflendo primogenito regio, (*) c partito dal Padre per dilgulli, andò con arme, ricevuti danari da Papa Eugenio IV. per dillurbar il Concilio: alle quali ragioni il Re Luigi nel 14Ò1. cefie, e rivocò la prammatica: (3) ma feguendo oppofizioni deinjniverfitk, e rimollranze del Parlamento, le quali ancora fi ritrovano, nelle quali rapprclcntavano al Re gli aggravj del Regno, c deir Ordine Ecclellallico con conto fatto minutamente, che in tre anni erano andati (4) per caule benefiziali a Roma 4. milioni dopo tre anni la prammatica fu daU’illcilo Re rellituita. Se le oppofc poi Siilo IV- c fece un concordato per diftruggcrla, il quale fi ritrova ancora; ma quello non fu ricevuto, e la prammatica reftò. Innoccnzio Vili. Aicflindro VI., c. Giulio II. fecero ogni sforzo, per levarlafg) nè mai poterono ottenerlo,. fi» nt mtdfm Imfé di i di ihin*ndo mmlU, t di nimns frZM, t VMÌ*rt tuttt t* àifftjiùeni, • frvvifiiti fsit dn'fnddetii CfUdttn dif» t»l fmUlitntjdnt ; t fej^ndtndn U t«U*t»nt di tmtu i, ed mjftf s ftuii iCeildferi rht Mrdirdnned’infrsngere t* fi»* duki*rdti»ni fin (he ne Minae thitfie ftrdene *11* f*at* Sede, ^tufi* téli* di GrtftrU XIII. iimtjh* tbt $ taf* ertJenó femfrt di fétte annutUre j Ceneerd*U, e [li Mitéimdamenti (he fanne te' trintifi. fer non f**mdé le frtttmfitni dell» Carte di Atm*, (he fer fre^tSene, e ftt mm rertt temfe, fin (he féff*»* ferviefi del lare diritta ta» intia it rym. (t > Zadewa, Nifete di Crifitfera Madrnfria, C*rìn*lt yiftava di Trtnta, a fma fnettfiera tm Viftevata. (!) Etti [Tidmv* gmirr*, gntrr*, iil({ue ad «• filloa. xLvm. (*) toQuif**-’ 9 p«rtl(o dal Psdn per di%s. fti; it tha né* f* niente mt frefefite. L'nmma 1461. »« [matta narft dat fma iUima. (4> ?a»Ulì. U [H*U fmtttfit *Ha, mandi al ta Gìavanmi Gwfftdi ^ CmràirnaU, V^eave dAldi, fer fatili vtr^ara la riveeauamt dilla prmnmatka. Ha faffatm [mefia ri^aaitna nelCaklUtta, [nefia CardiaaU travi nel Parlamenta Giàvanni di S.Rammna, frattutatar lemaraU, thè vi fece e^fitàaae-, e ntermata a tafa, PVmnerfità,tha pi nnifiti U fna affaUmmiana al futura oÌM, t fai mudi m farla regihari maiCafitUeum Vtdi t'aediMag,tme di Ladevka XI. dtl parmii^itf Srtttmdre >464. mtUa Cemfemza dilla OadpeanJnmi bh.i. tit.f.far.i.farng.i. (S*) Imfiratfhi avevmma mm pamdigllmi limmei (belli altri Prtarifi Criiiami, ad delia Stantia, mm femfafftra m far fttm ali,' amteritd Pafata tam fimli frammatuht. Viir. Fiiulmente Leon X fece un concordato col Re Francefco I. per cui fu annullata la prammatica, e fu lUtuito che a’ Capitoli delle Chiefe Cattedrali, e Conventuali fofle affatto levau la podeflk d'elegger il Vefcovo, e l’Abbate; ma, vacando ì Vefcovati, e le Badie, il Re nominalTe perfona idonea, alla quale fofle dal Papa conferito il Benefizio. Che il Pontefice Romano non potefle dar alpettative, nè far riferve generali, o fpeziali ; ma che i Bcnefizj vacanti in quattro meli deU’anno foflero conferiti dagli Ordinar] a' Graduaci delle Univerfirìi; e i vacami negli altri otto mefi foflero da efli Ordinar] conferiti liberamente ; che folamence ogni Papa nella Tua vita potefle aggravar qualunque Collatore de’Benefiz], fe ne avefle a conferire tra io. e 50. a conferirne uno fecondo la dirpofizione di fua S^tith e fe ne avefle 50. o più, a conferirne due : ( i ) e febbene neU'accettare il concordato vi furono molte diffìcolth, e TUniverfith appellò al futuro Concilio legittimo, vinfc nondimeno Tautorità, e utiliih del Re Francefco; e il concordato fu pubblicato in Francia, e pollo in efecuzione. (a) In maniera che, dappoiché canti Pontefici dal 107^. fino al 1150. combatterono con fcomuniche d'infinite perfone, morte d’ innuraerabili, (3) per levar a’ Principi il conferire i Vefcovati, e dare reiezione a’ Capitoli ; per lo contrario Pio IL, e cinque de'fuoi Succeflbri (4) hanno combattuto, per levar a’CapitoU di Francia l'elezione, e darla al Re; e finalmente Leon X. l'ha ottenuto: cosi la mutazione degrinterefll porta feco mutazione, e contrarietà di dottrina. Hanno llimato gli Specolativi la ragione di ciò eflere, perchè l'efempio che il Vefeovo, e'I Clero conferilca, tiene viva la pratica, e dottrina univerfaliflìma della Chiefa, contraria alla moderna : altri perchè fia più facile levarla ancora d^e niMii d’ua Re, che fofle o di fpirito debole, 0 in bifogno del Pontefice, che da’Vefeovi, e dal Ocro. Il Re Francefco fece molte leggi ancora, per regolare il poflèlTorio de Benefiz]; e il concordato fu fervato da lui: ma dal Figliuolo Enrico IL quando fu in guerra con Papa Giulio III. per caufa di Parma, fu interrotta l’cfecuzionc per qualche anno; (5) imperocché nel i55 etere di Freéné, dice il medrlìmo ia un «Uro lu(^, le Umverfiie, i Pérlememet, e tétte ie ptreme dsHtee vi fi tfpefi'e tem iémté tif rèm^ééte, pretifietiemi, éffellét.'eéi el futmte Ceétilie. Tmttévié i« téfe e ime eent fm éK^érèe di tedtre siFéMerìti mfeimte, e di telifitéte 4 tenteedàte mel Fertééiemre. 1)1 Dm armerie VII. fime mi IheeeeniJe I V. ttei, rnelie fimeee di deigmte mméi feme flèti fette tmfermderi feemmmùmti, tiei, FétueW.Eérke V. Fedente I. FUiffe 1. Otteme IV. Fedetifell. e Cerrmde f, (4) P4«I*II. SiJhlV. léMettMàJe Vili. AJ^mmdreVl. e Gmliell, il Dme* di Fmréem ere ftifimee fette U frettfeeme deUm Ftétteim, fer fetet itfknierfi temtrm Fhmptrmdere, fme fmettre, 4 fémlt Vetevm imfédremttfi di fwi Dmtete, teme mvev* fette il Viettéà», Il fepm eite 4 Dmei e Reme, e fei l» dukimri riFnle, per mem tftrvifi prtfenimte. Lléepermdert, U f»«« 4vrtr« nfveelìet» le fé, prife i» lè le fmmfm rPii4, e'I EediTtméfirn fmèllé del Dite tentrm 4 Pepe, e F Impptpdere. 1550. il Re proibì che fi riccvcffe alcuna provvifione de’ Benefizi pjpa; e comandò che tutti folTero conferiti dagli Ordinar},• ma, fatta la pace, il tutto lì compofe, e tornò Tofiervanza del concordato. Ma nel 14Ò0. furono tenuti gli Stati in Orleans nella minoriti di Carlo IX. dove furono regolate le collazioni de' Benefizi, e levate molte delle cofe contenute nel Concordato. (2) Succeffero le gran confufiom, e guerre nel Regno; e fu mandato il Cardinal di Ferrara (3) Legato in Francia, il quale ottenne che fi foprafedefie nelle Ordinazioni d’Orlc.ins, ( 4 ) con promeffa, che il Papa avrebbe provveduto efib a gli abufi, per li quali le ordinazioni erano fatte : del che poi non fi fece altro; onde al prefente il concordato refla : cosi fono paiTate le cofe in Germania, ed m Francia. XLIX. Ma lo fiato d’Italia, che ultimamente abbiamo deferitto, fi è mutato in gran parte, per la celebrazione del Concilio di Trento, il quale fece molti decreti in quefia materia, per provvedere a gli abufi fopraddetti che dominavano e febbene dal Tuo principio, che fu nel 1547. incominciò ad attendere a quelle correzioni, e fece molti decreti, non furono però polli in efecuzione, falvo che dopo il fine, che fu nel 15^3. perloche fi può dire che tutte le provvifioni fi riferifeano a quello tempo. Fu intenzione di quel Concilio rimediare a tre cofe : prima alla pluralità de'Benefizj; Iccondo alla liicceflìone ereditaria; terzo all’ aflenza de’Benefiziati : c, per proibire ogni pluralità, ordinò che uno, eziandio che fofle Cardinale, non potelTe aver piò d'un Benefizio: e fe quello fofsc cosi tenue, che non ballafse per le Ipefe del Benefiziato, potefse averne anche un altro, che folsc però fenza cura d' anime.* (5) proibì le commende de'Benefizj di Curati advifam^ per efser un.i coperta di farne aver due : (rf) ordinò ancora che i Monafieri per l’avvenire non Tomo li. M folsc (i> dirns »*i fm$ eéifr», tktM*» fi» thr l* ftmminiftrrnfft dmnmr» si ftr fsrmt l» gmtTTM m'frtsetfi; eh» enfrf,Mt». t* fruhivM sjftlMtsme»» di f»rr»r »r», m* srM R»im», 9 m saslfifi» altr» lu»g« eh» fifi» fini» l'mdhiduatm d*l P.tfs, ftf dtfpenf», • altre grai.it, fette pna di t»mif{ai.ttni^ agL £ ) « ^aefit Stati il deputate del Cl»r» dìfie, eh' era fiat» èfitmat», eh» ' Eeefia di Lmter» era mata meli» fitf» ann» dii Ceuterdat». ig) tpfelii» fEfit della tafa de' Daehi di Ferrara, Ntpeet di Papa ^trfandreVl, (4) una delle guati prtthva di pagare le Aanate, e di mandare danare altane a Rema per htnefiny, e per difptnf». (f) Quoouin muUi «,r-chiilct ( rr eii.ts obtiitenc, tog:^n(ur ott-oinu, quibuftuitique frimnibut, c t>uin Icx u^nlium aimitrcre, A( line o.ltnlenuitic», ac in t)«iibu|ue iterfjnja, ct^oi C d'àiKai-tu^ Inm-i'e rulKentiuu>. Invitm h.leit ^ ]n 04 Ì)«.‘«>^iilqaoque eum futura,i‘W^ 14 *. rd frimi thè ritmmriareH» m r^veghart gii feriti la yreffitt fureae tÌMi D«mrr.iV4«i ifaruitali, BarulemmeeCaraKia, e Drmnue Sete, i ijttali frexarema feritmcai» eia l'all.' g» dt rtf diit è ór jure d vino. Ofi>iieHe tha il C.rediaal(jaetane, fariunate DemmUaHe, aravi ftfirnuia aleam mani frinai la ^nalt fi dna eh' egh mHie ^uande fi Vifteve, aeagieat thè a*» fi fa>t» atai a! fue f'.fravate. Nel teli" li'tro della (iia Storia del Con. tilni egli dite (he i L>‘ati Jeif'e lig-rre in mas lieagregatieee eea.rAle uà» fritte, aea fui i !*•dri tran» fregali a riCfeudtre teli* fila f*fela ptirtt, q phter, fi fi éerfirarafe la rf^ldtmjt,a de jiite ditiiia4 e fh'iffiade Jtarr raeedte U rati, 6(. f arena di pia ex, de aea phtct. ij. di plj«jii' ii». llro, c >7, di non pia et, iw.t p .us ccAt-ito SD.N. j' g.''n >7 dif’cr.ie-redt!. iT.ftr ^hA It ibe Ji’unr, ^avJH I* ai'L.i-atue'tt ce jjre devntef laJde-.t le i-, uja la l'.rvjw >a turte, me w Hirettiari^-tai, ft il T,ifa fi ei-'teiiuva, £ ex-vfg-iaial ‘jae.e d:!hax>eai •atrè afin metafifi'hr, le 1,t e le >j.nea lafiiava»* di ferieggiar egii.ilrmeate bear il Pafa. (6) l'soto Giov.c», diceoto il (uo pi-ere nel C««ipcFjff, »•»•« velia u, evale, teli « tVrew rr*e.’-J :'«• vrei-'eae nJ-ferata teme mae ffmd- temtra il fafa, quandi eie avrffe tinti a fti>vta, ftr rei,att leale delle lera atieai, e della Ì»re D.tiriaa, emme aveva fatta ma Arrivefiev* dii plana eeatra l'aele HI. th'tgh temeva aeelie thè aitaat Vefeard aea xe'.iffiit tei favere del )U» Divinuni fetttarfi dall' mhbtdientA del l'afa, da teu daiadevm Viemiaat della Chtefa, ma thè velevm aeae dir lare (he ^mefie fartiit ma tfamf'V thè dareidiina 4*C*rat!, fer fitmelrre ilgieg* l^iftefait 4 feribl, ejftade ì'ajlpri uamtdiatì, freUmdertLlmaa, thè U late greggia fftUafie fih ad rfì, ehi al lere Veftevei endt fai la Oer4ri.« atila i.htfa ira^nmerelrhe ta Aaattkia. Stcìia «.et ConciUo tmbe le parti foflenuta lopinione con grande ardire. Lacofapafsò alle pratiche; onde dopa 14. mefi fi comandò bensì la refidcnza, ma non fi dichiarò però quo jure il Curato folTc obbligato : folo furono aggiunte pene a* non refidenti; (i) nel rimanente furono le cote lafciate nello flato di prima. Quelli però che fi trovarono nel Concilio, e hanno lafciate opere fpezialmence di Teologia, hanno foficntata la refidcnza de jure Divlno^y pafiando tant’olrre, che raffermar il contrario l'hanno Rimato un deludere la facra Scrittura, e la ragione Refia naturale, (a) c tutta r Antichitk.’ ma, per non irritarli la Corte centra, hanno ritrovate delle eccezioni, per le quali il Papa polTa farvi delle difpenfe. Delle rifervazioni, punto principaliffimo, le quali erano crefeiu te fopra modo, il Concilio non parlò, perchè toccavano la pnmria perfona del Papa; perlochè anche rcRarono, anzi furono poi accrefeiure. (*) L. Pareva che con aver levate le unioni, e commende etdvìtamy ì regrefiì, e le Coadjutorie, folfe in gran parte provveduto, fe non al tutto, almeno a gran parte. 'Fu però trovato dubito un rimedio, che non folo fece lo RelTo, anzi ne fece un maggiore de’ quattro fuddetti ; e queRo fu la penfione. E’olTervazione delle perfone pie, che in queRi tempi mai la Corte non fi lalciafie indurre che venifie annullato, e corretto un abufo lucrolo, che non ne aveflc preparato un maggiore, e più utile ; ma in queRo è ben certo effere cosi : è però da fapere che non è cola folo di queRi noRri tempi il metter penfione fopra i Benefiz); folo è nuovo il modo, e la frequenza c propria de'noRri tempi. Quando i Beni EcclefiaRici erano in comune, il nome fu inaudito; dopo fatti in Benefizj,- la Regola, o il Canone praticato da tutti era, che i Benefizj fofTero interamente, e fenza diminuzione conferiti. Dappoiché i Chetici diedero principio a litigare, quando U caufa era dubbiofa, cedendo una parte fe ragioni (ue, le le concedeva una parte deir entrate con nome di penfione: ( *) ancora di due Benefizj quando l’entrace non erano uguali, fi rifarciva quello che lafciava il più ricco con una penfione* (T) Apprefib ancora, quando alcuno hlegnava IJ* M 2 con rut a (KroCinàx Sywlt meoee ahmo* trahancur. .. . Jalarat làcTolanàa SynoJua aannei Patrurchatibni, PrinwiaUbua, Meirofoliunii. ac Catheinlibua Bcdcfì» che lenza caufa alcuna il Papa può dare pendone lopra qualfivoglia benefizio a qualunque perfona che gli pare*, e colui che riceve eziandio fenza caufa veruna, ma !per fola volontà del Papa, in cofeienza è ficuro. Una volta fi teneva due benefìz) Curati*, uno in titolo, l’altro in Commenda*, ovvero fi univano ad vitam*, e il Benefiziato era co(fretto a ftipendiare chi ferviva in uno d' elh : al prefente il Benefiziato fa dare a quello il titolo, e a sè la pendone ch'egli ne cava*, la qual cofa è di maggior fuo vantaggiò*, perchè una volta era (oggetto a dar conto degli errori che il fuo Softituto faceva, e aveva pur qualche ncceftìtb di penfarci *, clic cosi niente ripofa fopra lui, e l'utilith è fifteffa. Similrnente chi faceva un Coadiutore, 0 rinunziava con regrelTo, doveva aver qualche penderò del bcncdzio di cui aveva parte*, e poteva tornare tutto fuo*, ma rinunziando, rifervaiafi una pendone, refta libero d’ogni cura, d'ogni penderò*, e fe il Rjfegnatario muore, o cede, a lui non importa, U quale la fua pendone Ubera, c lenza faftidio. Ancora è molto piu utile aver pendone, che benefizio. Prima molti Benefizi ricercano TOrdinc (acro, e l'ctb di poterlo ricevere; per la pendone bafta la prima tonlura, e Teth di fette anni. Anzi le pendoni fi danno a’ Laici* come per Tordìnario a’ Cavalieri di S. Pietro, iftituiti da Leone X. c a quelli di S. Paolo iftìtuiti da Paolo in. a’CavaUeri Pii, iftituiti da Pio IV. e a quelli di Loreto, iftituiti da Sifto V., i quali podono avere, chi 150., chi zoo. feudi di penfione; e a tutti quelli a’quaU vuoi darle il Pontefice. De’ Benefizi, anche ne’ tempi che fe ne teneva più d’uno, vi era fempre che dire : era necelTaria la difpenfa, che pur faceva fpcndere : con tutto ciò i Dottori mettevano in dubbio, ;le chi 1 * aveva ottenuta era ficuro in cofeienza. Delle pcnfioni fc ne poflbno avere fenza fcrupolo in ogni numero; e non vi è penfione incompatibile. Si può dare la pendone con autorità di trasferirla in un’altro a proprio beneplacito; cofa che non fi può fare ne’ Benefizi fenza paftare per li termini, e per le cerimonie delle rinunzie; c le rinunzie non vagliono, fc non fopravvive il Rifegnatario zo. giorni: la pendone fi può trasferire anche in punto di morte. Quello (•) vide C«p. ex parte it. ex»*, de ofCcio )udkit ileSeg. et ibi FcJio. oiim. i.Felin. ad Cip. »d audiemiam. num. i. extra de refenpe». (^) Vide RcbuC traó. de paciticu oudi. mo. DuareD. de Bene&c. Itb. 6. top. 4. Coni (acerd. paraph. i. cap.,. num. la. et Joau. Davean de penltooib. beuefic. psg. SI. Cap. per tu»i, «irra, de doiuitonibux. (* ) Cap. ce multa, in fine. extra, de prsbeodu. DÙveun de renfiunib. p.l^. Digitized by Google MATER. BENEFIC. 93 Quello che foprattuto importa è, che la penlione fi può ellingucre ; il che in Italiano vuol dire farne pecunia numerata; e ogni contratto fatto nel Benefizio fi reputa fimoniaco. Eftinguere la penfione non vuol dir altro, che ricever una quantità di danari, per lilxrar il Benefiziarlo dal pagarla; la qual quantità fi tafla per accordo, fecondo la maggiore, o minor età del Penfionario. Non vi era gfa innanzi 1 * età nolira modo di fare d’ un Benefizio danari con un ti ; ciò farebbe fiato con affefa infinita di Dio, e degli uomini: adelTo fi fa lecitamente, lo ho un Benefizia di aoo. feudi; lo rinunzio ad Antonio, rilervandomi una penfione di loo. la quale, immediate ricevuu, con 700. feudi io efiinguo', ciò è la rinunzia', e così ho del mio Benefizio fatti doo. feudi contanti lenza peccato. Sono alcuni poco penetranti, a' quali pare che quefto circuito non fia rifieflb, come fe vendefli il mio Benefizio per 700. feudi ma mofirano ben d’ avere groHb giudizio. Malte altre cole fono nelle quali i molto piò comoda la penfione, come fi ulà adefib nelle unioni. Commende, Coadjutorie, e regreflì. Alcuni, magnificando la comodità di far danari che il Papa ha per li bifogni della Sede Appofiolica, dicano che, fe aprifle i regreflì, caverebbe quanto voleflc; e mofirano di non intendere la materia benefiziale. Non avrebbe per quefto quattrino.- i molto piò utile, e comoda la penfione perciò fu facile efeguir il Concilio, perchi tornò anche comodo ; ma il levare le Commende da'Monafierj, (2) che parimente il Concilio comandò, non è fiato pollo in efecuzione fino al prelente ', (3) anzi molti, che erano in titolo, fono fiati di nuovo commendati', non elTendofi trovato modo di farlo con comodo. La penfione non può efser impofta da alcuno, falvo che dal Papa ; cofa di grande emolumento alla Corte Romana. Quella mutazione ha fatto in Italia il Concilia di Trento-, il quale, non avendo trattato delle nfeivazioni, ed eflendo quelle anche crefeiute', e ogni giorno crefeendo, reftano bene cinque felli de’ Benefizj d’ Italia alla dilpofizione del Papa, con buona fperanza che il fedo che rimane fia per compire l’intero. Per le regole di Cancelleria fono rifervati al Papa tutti i Benefizj che fi rifervarono (*) Giovanni XXII. e Benedetto XII.; e in appreflò fono rifervati tutti gli ottenuti da qualunque perfona, efsendo Minifiro di Corte, febben dopo folte ulcito dell' Uffizio. Sono ancora rifervati tutti i Patriarchati, Arcivelcovati, Vefeovati, e Monafieri di uomini, eh’ eccedono il valore di dugento fiorini d’oro-, (») e ancora tutti i Benefizi che fpettano alla collazione di chi fi fia, e vacano per la ceflione, privazione, o morte del Collatore, finché il Succeflore avrà pigliato pacifico poflelTo .- ancora le dignità maggiori dopo le Pontificali nelle Chiefe Canedrali -, e le dignità principali nelle Chiefe Collegiate-, (ò) i Prio (I ) In^trtffliì gufili, i jmì gli «frrrri^Mw, rt i» C*mmmd», fétrwuu tffrrxi BM t >t* fDtrtiitmt ftTMÌrt, M Imfttsti. Or» i* pi» à» ttnt' »m»i i dt'ytftivt, t dt’ i ftpTMttmttt im «vrvM* mtfi ì»tii j BtmtjUf iw i dm it FstUmiMt di t»rigi h* ftw^é C»mmtad», tth im tln «m impidit§ di ricrvrrti, »veff*rt «vari lid dmt, « tf» CtmmmdjttMr) i td (t) Ntt r»p.tt. d*lU rifttm* dt'Rr*»ÌMfÌ d*lU i» tpuft^unt* fi trmtv» €b'tr»»» XXV. fitétt »tlU MMttMfdnu dtU'srtuti* fritti »d tfftrt ta Ctamiad ». aattitdtiitt. (’*) Vidi l» R^ri» di,C»a€tUtria d’IaimtwaJà ( 3 ) Jmftréttti la Ciati di Rama, fiacri f*ltù Riitla i. le i» difiiaùaaì, di dhi^hinfa ibi fa ro; o perchè fieno partiti; o perchè il Cardinale fia morto: ancora tutti i BeneBzj de’ Collettori, e Sottocollettori; tutti i Benefìzj de’ Cortigiani Romani che muojono in viaggio, quando la Corte cammina; lutti i Benefizi dc’Camerieri, Curfori .* (a) olirà tatti quelli Benefìzj, che comprendono tutti i principali, e una gran parte degli altri, It riferva il Pontefice tutti i Benefìzj di qualunque lotta che vacano in otto meli (h) dclfanno, lafciandone a gli altri quattro raefi folamente; e ciò quanto a gli altri Benefìzj non nominati di fopra * Oltre a quelli ancora lòno rilérvati per Collituzione di Papa Pio V. tutti i Benefizi vacanti per caufa d’erefia (i), o per confidenza ; (2) c tutti quelli che non faranno conferiti fecondo il decreto del Concilio di (3) Trento. Chi metterà infieme tutte quelle rifervazioni, [ritroverà che almeno cinque felli fono del Papa, e un fello di tutti gli altri Collalori inlìeme. Per render le lodi a chi fono debite, non è da tralafciarc la diligenza ufata da’ Pontefici Romani, per non lafciare che i Vefeovi, e altri Collatori de’fienefìzj, delfero luogo ad alcun abufo. Mai non hanno permeflò loro il poter unire Benefìzj aà vham\ nè parimente il commendarne ad vitam : non hanno permelTo che potefièro difpenfare fopra la pluralità degl’incompatibili; nè concedere regrelli, o Coadjutoric con futura luccelfìone : e ufando l’ ideffa diligenza adelTo, non concedono che pollano imporre penfione, eziandio minima, fopra il Benefìzio : medefimamente non ammettono che poflano ricevere le ril'egnazioni ad favorem : anzi ancho nel ricevere le rifegnazioni aflblute, che (ono date antichildmamence nella Chiefa ufate. Papa Pio V. nel 1508. (a) Rigti» ••‘t».. (*) 9. (t)Omma Se iln^U beneiUia Eecl«(uftici. rum (Ora, et due tura, recularit, te qunnimvit Or(Ìmum, ctiam S. J niiraln ma)ore$, rulia, prioratus, pi», potininr, prcpofiunti, dignitites, euam ronvennMJo, vef oiHcia eciam ciaullralia. ac hafpttaha, le pr jcceptorLc, ordiiuuioni ScdilpeaiàuoQiAOllrjr, At lèdU Apoftui. bac perpetuo valicari(on0ituttone. audontaie apojtolica. tennre prarientium, reierramut s Dcclsranrei emnet Ac quafeamque impeCTitior.et de beneikiii, quomodocumque quabiic&m, in iumrutn iàcieudas Ac obnneiidat, beneli(ia buiufinodi, propier iurreiltn vacaniia, At in fufurtim vatitura. non eomprcheodere, niiì fpeeiaii. ter vacuionu mndui propter crmxn hsrelìt exprciTui fueric. Oteretul. iet,?. rir.ii. )U Ctfittut**»* ) dii mtft di (a> Ad siires noftru perventt ut nonnuliiaon vereanrur. .. . beneficia CècuUria, Ac regularia in cMijUrnMD». qaam liinonuciin pravitaccm fapere ignorant. accepure. Ac retinere. Nm ne • burnì,,vel potila deiiAum tupiftnodt ukenui pr ny Jiawi, ceUrì mneJio pfoviJere ro!eafrt $ ptooinunnn omnium cognkioi>nn oubiii Ai SueccfToribu» nnAra Rom. Pontificibut refervaDtef, omnn Ac iijiguJa r««>tdrfirijr«M bafulKiodìcauùs. per no» (ùmmarie. limplkiter. Ac de plano ad«tiendat. toguofcendis, decidendai. Ac totaiiter eaequendas, ad noi avocamuii decifìoniqucAc termifutinni per boi ftipcr illts fiactendx lUndum, accjutei'cendum, Ac odidÌdo porenduen et obedientium tbre. lUtuiinui, Ac otaiinamii. DKfit.7-tit. IO. cap.io. rj) Noe, ad quorum nonriara pervenir, noonnJlof ex venrr. Irarribui aoilrii, ArchiepiCcopis. Al F-pircoptt. oceurrenre racatione paroebialUuta Ectletianim. «s ouljo, aut djiaui rite (ervato. cxtmine, prcl'eniui lUÓ qood per coacurfoin fieri debet, CI OmciJio Trideitrifto. veUuam riceter^ veto, neribnii ininui dicnii. camilititis. aut ahum liuirunx palTìonif a^*'tuni. non rationiiiu. deciunt fequente», cuniitUAct volcntei bujurmodi^ flc rtiam iunuii periculU octurrere. auOoritate apofiolita, tenore orgifcniium. emnet Ac fingulai collaxtonct, proviuonct, inlliiunonei. Ac quafva dirpofitioneti parochieliam Ecclefiaram ab eirdem Epifcupii, Ac Archtcptlcopis, acquibufirìseliKCoU iuurilma, prarter, Àc contra iurnum ab eodem Concilio Tndemino ptjrkriptsm, iaOai, aat infiiturum fiictcnilaa, Bullai. irnrM, ac nulliua robori» {ore. Ac ei)«, dcternimut. Se detUramui. ealqiie crRines fix cecantn nortri;, Se Sedia Apc^ flohee dilpo^inni rctcrvaiuua. ì^idm re.a 15^8. proibì fotto gnviflìme pene a tutti gli Ordinar;, che, ricevuta la rilegua d*uu Benefizio, non potefTero conferirlo ad alcun confanguineo, alfine, o familiare del Rilegnanre* avvertendo che nè con parole, nè con cenni, o altri fegni folle loro dimoArata altra perfona a cui il Rifcgname defideralTe che foffe fatta la collazione del Benefìzio. LI. Si afferma coftantementc da tutti i Canon irti, c Cafifli, che ogni patto in materia benefiziaic è firooniaco, rjuando fu fatto fenza participazione del Papa; ma con Tuo conlenfo ogni cola lìa legittima; avendo per coffame quella univcrlale propufizione, cioè: il Papa in materia benefiziale non può commettere fimonia*, la quale non ai troppo buona edificazione al mondo*, Icbbene i più modelli Canonìffi la limitano, diffinguendo effere alcuna Iona di Emonia proibirà per legge divina, c altra per legge umana*, aggiungendo che il Pontefice è elente folo dal commettere la fimonia proibita per legge umana ( 2 ) ma con tutto ciò inciampano nelle medcfime difficoltà*, perchè quello che non è male di lua natura, nè proibito da Dio, non merita quello nome*, ed è fuperduo far una legge umana, per non offervarU*, e chi mirerà Tinterno, c non fi farà prcielio colle parole, vedrà che tutto è proibito da Dio.* c certamente non fi può dire che in quella parte, di tenere gli altri Vefeovi in Uffizio, il Pontefice abbia mancato*, cd è (lata grazia divina molto grande fatta a'Pontefici, che abbiano potuto tener fincero da fimonia il rimanente UeiU Chiela ^ Icbhcnc nofv hanno potuto Rendere quello bene a sè meciefimi, nè alU loro Corte: c le un giorno, come vi è Ipcranza, ( 3) entrerà penfiero in alcun buon Pontefice di riformare la Corte, larà cola facilillima il farlo, col Iole ricevere anche per sè quelle leggi che fono date agli altri Velicovi*, c potremmo afpettare in breve una coA utile nformazionc, quando f adii, azione non la tencP'e lontana, col metter innanzi a’PonccDci, che, effeado eglino in pofleffo, almeno in lulia, c in altri pochi luoghi, di non dar loggetti a regola alcuna, non è bene che le ne privino, e facciano quello pregiudìzio alla Sede AppoRolica; eh* è il contrario appun (O Cav«»nr tpire>'{ii, ìtecmjue o«tin« tffSam, PrxreiiMìgrci. Oc Ì*jirr CKiin.t, ne ip!ì bpfcoi'i, aut aUiCollatoce», de bcscfiuis, Se o;1iui« te^fnanJiv, sut fui», aurjdmtnentium enpUn^ineu, eilìmbat, vel fiUDÌlianbu», etùm per lillà. em riminum inuliiphrata» rum in eztrsneof cullatifìnum, auCcnt providete ..i(iijne, camdiu.fiili'cnfi remaiteant, dvMX *e*tii(liofle:n K(Hn.roDtittrit»U ì tn'dMim dii 4' itfriUlfòt, ( ») ) Is dtìUCUf» ptlrMfi rum p-idem 4. vetb», llltcns, e*»ni de pacrt, U i figiit* d.t tulli gi$ orr4XfM««i.Kt d$ F«ia.3(l eap.ea patte t». lum. 1. extra, de oC fino jaditi» dckg'ti. mini mn, td n fami marra ni Stimdi t Mibi Mufkiu» CruLilìzu» cA, MjiiJo, Gm Ut. m't. 14) tmfrriffht Im Carli di Kimm kt 0JÌiHt» ptr faad.imrmtmU, iln il mm i il hdriu, na fjUmtmie il Drffitmiii dt'.l'uHlirih tÀ Pnt-,ftm’i, ! lU im tinfi;"t’>t.i mam fmì, •Ittiimminti, me vilidmmmte ttdirmi ftr ^mmlf^ TUgiimt virmm diruti. àppunto d^Ia dottrina profdTata dagli antichi Santi Pontefici, e Dottori. Ma dalie cofe di lopra dette è molto ben chiaro, fé il Pontefice Romano abbia pieniflima autorìtk fopra i beni, e fìeneifizj EcclefiaUici^ ficchè non fu (oggetto ad alcuna regola nel maneggiarli; imperocché, procedendo con ragione, fe la Chiefa di ciafcun luogo è padrona debeni che poiTede, perchè il dominio è fiato trasferito in lei da chi nera padrone, prima colla permifllone del Principe, il quale colla legge le ha concedo T acquifiare; refia che i beni medefimt debbano edere nel governo, e nella aiuminifirazione di quelli che lono deputati a tal carico, prima fecondo la difpofìzione della legge; poi lecondo le condizioni che hanno preferitto il Donatore, e Tefiatore, anteriore padrone; e finalmente lecondo che la Chiela, latta padrona, ha concedo; non però contrariando alla difpofìzione di quelli da* quali ella ha cauia .* e quefio è tanto chiaro, ed evidente, che non può edere medb in dubbio, fe non da chi o non ha lenlo comune; ovvero nel trattare, e parlare, non fegua quello che interiormente fente. I Cherici fono fatti amminifiraiori di quefii beni per leggi che hanno concedo a'CoHegj Criftiani il poter acquifiare fiabili; e per lì tefiamenri, e per le donazioni di quelli che hanno lafciati i beni loro ; e per 1’ autorità che la Chiefa ha data ad efli Cherici ne* Canoni: adunque cfli fono .obbligati a governare, e dilpenlare que*beni fecondo le leggi, dilpofìzioni, donazioni, e dìlpofìzioni tefiamentarie, e fecondo i Canoni; e quello, che in contrario fofle fatto, non fi può chiamare, le non ingiufiizia, ingiuria, e ufurpazione. Dicono i Canonifit, che il Papa fopra i beni, e Benefizi Ecclefiafiici ha pienifiima autorità, ficchè può congiungerli, fminuirli, iltituime de' nuovi, darli ad ttutum^ conferirli innanzi che vachino, impor loro « fervitù, gravezza, e penfioni; (i) e univerfalmente che nelle cofe be nefiziati la volontà del Papa è in luogo di ragione. Non balla quefio, ma* aggiungono che il Papa può permutare in altre opere Ì ( 2 ) legati ài pitts Càufes ’ e *pnC) *kcorBr« le dtfpofizioni de' Tc datori, applicando ad altro quello eh’ elfi avranno ordinato ad un o(>era pia : e non (i può negare cW quefia fia la pratica che ha mutato tutto il governo, c tutti grifiituti vecchi: ma refia lempre in dubbio chi faccia male, e (e errino gli Antichi, o i Moderni, le pure vi cade dubbio. Martino Navarro con alcuni de'Canonifii piò moderati limita quefia propofizione, che il Papa po0*a commutare T ultime volontà, rifirìngen dolo, «•« tìft, $ 4»l t ft mtr*»t Jitt iW « Tfli iti* tht il Tuf* «»■ i, tk* il {fi* natmraU ) ibi dà ttt» \»Urt. fi ri» fruKtfU tifftitfélirf, 1 rè* U tiMiim ì mmm r*m th* ftr uffmm» fU vi diu»»* MfféimtAMnn rutmfiM *t difftifsrtrt ^ bc- ÌMa»* AVtf$ mt»» d' f«tikìn*» cletuliK''rum bonoruoì, dit'nli, fjrÌMnd» dr y*- vt b», fe »»» U \ emaft il rni, fr* i ^mslt ttmfmdt tl \mfm mtdefmt, dm ifutfiA Itfgt, ^tund» e%h aUia mwolw dt f*r» iuQt dir['cnÌs(Oiei. tei prof unrores.. .. aJ té. O^a, ftttnd» S Pé»l«, i Xliaifiri di (Jtii Cr S» fatnreni autem rcuuifkur bona iù'e,.. .. «m hsmM aUia AmmnAifiTAx»«i*4, f* mtm ^mAl ite. ATt 7 Or4 lA Umiià, f ad DUtuni. *«« Qfitfruru, Àit» tà ftf. qu In Ec clcfinnun mm. 44. Eim de ConiUcuctnmb. nipecht benc6cioriuii (U poteftu Pipar, mn reljpeftu bonoram ip6ruin ficdefiinun tecni. Unire non PO smttrs fìi èà$$, 4* €Ui k* uittt im, fhi mm nvr«M« «A tuaA tmnt tu mìl* lei», « fr'mn. u, ft Rj fU ftgtu tmfrriti r DitUtmrmmimé ì'h» U#*» tk* mmi ni dtlU t^im* tk(f.z ni Ji fmitim tkt hm mUmmémmrm, fff d*Bt»t,Ìx.ii * fht f'» fh mkn m$ uff. dt U4t ds Im si CtUsnu m mm ^cu» dt fkfktff». i,t ( 4 % l.Csmn^, mm ttmttmti di dmrt e pmfm •t*s ftfr» tutti fUUmmm, t'ìmn ^ M* sfU Amitit. Vtdi Ftitmt u quell’ autorith, qual’è la cagione per cui i fuoi Antcccflori di mille, e piò anni, non l'hanno mai efcrcitata; nè alcun antico Dottore, nè Concilio, nè Storico, nè Padre, nè Canone, ne ha pur fàtta menzione? Non fi può attribuir ciò all’ elfervi più bifogno adelTo, che in quei tempi, imperocché ne’fecoli che pacarono dall’Soo- fino al Iioo. per 30a anni i difordini furono cosi grandi per tutta Europa, che, in comparazione di quelli, i prcfenti Ibno tollerabili; e pure neffun Pontefice dintromife m^am daU’altre Chiefe, eli quali avevano tanto bifogno d’ rifere governati. E ancora dappoicHt i n cuml i icim ii w i Papi ad intrometterfi in qualche parte, ncfluno prcfe mai, fino a Clemente IV., cosi ampia,' e alToluta podefili anzi lo fielTo Clemente non ha direttamente pubblicata tanta podefiì; ma trattando altro, e quaC incidentemente.- (*) modo, che non fuole far intera pruova, poiché le cofe incidentemente dette in un modo, diretumente confiderate, ed efaminate, bene ipelTo fono in altra maniera efpreffe. Nè meno fi può dire che ^uefi’ autoritk ferva a bene; imperocché per quello pare che fieno fiati introdotti quali mtti gli abul!. Di qua fono venute le Commende, le penfioni, i regrelfi, le unioni, le rifegnazioni, le afpettative, le riferya I* tb* bmmtt9 imfitmt tutti iS*MÌ. Ma^eftì dù‘ tflt, ittàQritw Hfipa. (]utfn S*nA»nun. ftr vuétn (•fru fin «fmtd*t» Im prttmfitintht iu.it fufut éiijiltt UPudmt» ài tuttu • terr», l*fiir*UC«mm$ittMrmà'Ìm u ef m *M IV. ftfrm il Cuf t. kitn de voto, devoti rodempt.iM umtjl» ftttnfimt i ii mfi tm fmfmtmt» du Ftfmuuiu K»« futi libai. Cdotromf. iUHA.ctp.hi. « àuGfttJ» tut }. d$i fu» Mire iibcrum. («) Tibi date, dira O'aii- Cnjfc a S, Fittr», tUves regni csloruni i Et quodcunvjtie ligaveni tHper cctnsi, ern liganiai et in c«lu. Maer.ié. ($•1*. Quorum rcmlfentu peccata « ramituiiiar all et quonitn minuerina, menta lóm. Jaamd ao. ^tr U citavi dtt Eejor dt'CitIfa imtiadtrt a $ ^trrrr, eia mn gh dà fl mammut pmnfduàam ffiritmala, attafa ria il fa* Wagaa i C amamtt ffirttmak. Regnum memn non «A d« Mniido. Juan. 1 1. ti tata luipta MWi è MtitpCH ralc. C*) ArtiraUta. gmaft.ì. (*) Vedi Partitala jf. r taDHratata di tt malta ammatautai. lifervazioni, le annate, i quindennj, e altri modi, che nelTuno difende, fe non il'cufàndolì colla corruttela generale de’ tempi. Reità ancora una terza dubitazione non meno confìderabile in quC' ita materia, ed è, che di quella autorità cosi aifoluca, dappoiché i Pontefici hanno principiato a valcrfene, i Regni CriHiani Tempre ft Tono doluti, e loro hanno fatta qualche oppofizione, come nella Storia di Topra fì è narrato; ficchè i Pontefici lono (lati necelTitati a moderarli. £ la moderazione non è fiata condeTcendendo elll a laTciare d’eTcrcitare l'autorità prctelà, ma per modo di tranlazione, ufaro nelle raVioni non chiare; concordando co’ Regni, e per forma di contratto rk ìolvendo fino a che termine la podeflli loro fi flendeire : cola che non s aVrebbe potuta fare in pregiudizio de’Succeflbri, quando foflfe nel Pontificato oueU’aurorit^ cosi lil^ra. Papa Leone X., per levare la prammatica,» il concordato*, e cos'l egli fleiro Io chiama nella Bolla. Non concorda chi (i) ha una pienilTima autorità, ma tratta co’Sudditi come Superiore, e per modo di conceflìone. Non To forza fulla voce, ma Topra tutta la cola ftelTa. Non Iblo Leone la dimanda Concordia y (a) ma dice ancora ; Iliant veri contraHuSy Ù" obligaeìonis inter Nos, et Seder» Apojiolicam pradidant ex unoy Ò" prefatam Regem ex altera partibus legirime initi- Dimanderà alcuno che ciò fia dichiarato; Eflendo il Pontificato Romano in differenza col Regno di Francia, pretendendo il Pontefice d’avere affoluta autorità Topra i Benefizj, per rifcrvarfcgli &c., e pretendendo il Regno, che l'autorità ila de’ loro Prelati, foraiano due parti litiganti; e per impor fine alla controverfia, fanno un contratto legittimo di obbligazione, con cui dichiarano qual debba efTere 1’ autorità dell' una, e quale dell’ altra: come potrà dir alcuno che la pretenfione del Pontefice fia legittima, e chiara? Non pofTo dire di Taper riipondere ad alcuna di quelle difficoltà; e rimetto al giudizio de’Savj, fe vi fia qualche riljpofia: dirò bens^ che, lervando quello che per più di mille anni è flato lervato, che i beni Ecclefiallici fieno amminiflrati in ciateuna Diocefi da’Mintflri proprj, fi fugge ogni difficoltà; e Te gli elempj ci debbono iflruire, laranno meglio, e più fruttuoTamentc diTpenlaci, che ora non Tono. Nelle tre QuiTlioni (*) prime fi è trattato de' fondi, e beni ftabili Ecclcfiaftici : ora rcfla la quarta, dove fegue il trattare de’ frutti, o delle rendite, ed entrate di quelli. 1 Santi Padri, che hanno Icritto innanzi la divifione de’ beni in quattro parti, tutti concordemente hanno detto, ì beni Ecclcfiaftici efler beni de’ poveri; c il Miniftro Ecclefiaftico non aver altro potere in quelli, falvo che di governarli, c diTpenlarli fecondo i biiogni di quelli; dichiarando non Tolo per ladri, ma anche per lagrileghi quei Miniftri che fc ne vaìeirero per altri ufi, fuori della loro iilituzione. Non maneggiavano tutti gli Ecclefiallici i beT omo II- N z ni ; c (t> > ftfft M guita la divifione, S. Gregorio, che fu poco piu di 100. anni dopo, e S. Bernardo, che fu quali mille anni dopo, efclamano gravilTimamente centra quelli che fpcndono in mali ufi l’entrate de’ Benefìzi, come con. tra perfone ufurpatrict de'beni comuni, e uccifori de'poveri,i quali dovrebbero eflcr follcntati da quelli, {a) Cosi fcriflero tutti i Dottori fino al 1250., quando s'incominciarono a trattare le cofe piò fotcilmente: e tenendo per cofa ferma, come da tutti i Vecchi era fiato detto, ch’era peccato IpendcTC malamente quello che fopra vanza al moderato bifogno del Chcrico, fu ricercato fe i Benefiziaci, non fpendendo negli ufi debiti quello che fopra il bifogno loro avanza, pecchino folapiente come chi fpcnde male il fuo, o pure fe anche, oltra il peccato, fieno obbligati alla refiituzione, come chi malamente confuma quel d’altri: le efii fono padroni de'frutti de’Benefìzj, o, come le leggi dicono, ulufruttuarj, quantunque pecchino mal amminifirando, però non fanno ingiufiizia contra alcuno, nè fono tenuti a rifarcirc alcuno, poiché non hanno mal governato quel d’altri, ma il loro propria ma fe elfi fono dilpeufatori con fola podefik di ricevere i loro bìiogni, che la legge chiama ufuarj, (^) quando non «U^mioao.rettamente, refiano con ' obbli. ( I ) ijfraia U Ctitf* iivntut» riee» ìm CafitsUi ut fffradB i t i Vtfttvi dijtraiti ialU r«r4 dtlSt ttft f» •rimato dal CaBùlia Caittdantnft, ih* i Vtfttvi ifiitmjtr» a2t*nam», faniò tura dtllt rndiit dtUt laro Ckieft. Quomiin, diet in noBouli» Bccleiiii Eplfcopi abfque Occonora» tnéUfiT rn EtddladKU, pltcuit ooinctn Ecc(«Jìitn Epiftopum habeotem «x propjio CJero Of. conomum qut!eo ret cius liilfipemur. Se ptubruin, ac dedetuf Cucrdotio iniiramr: fi ameni hoc non fecerit, eom diviob niam Cononibua fiibiict. VideCan.ii*CnnctU Nit^ni u GU £ù traat thiamati VicediMnini, tono* fi vtdf dat Caaoiù Volonuii a. et Diaconum J. difi. *9. i ^uali ftnt tavati da $. Grtftria. KircdxMMi dt'nftovi, duo la V*rromiama, fi thiamavaaa tmt Stgmari è ituali tra»» Vftar) it'Vtfttvt ntUa ttmftraluà àPlara V^tavan, M Sknari dtll» ttrra. l*; Vide Nooiocan. rhotti, tit. la cap. i. 8t ibi fialzamon. (a) 0» thiama^afi il CWijò if'Prrti, r do' Dlatami. Tatti iFafari p fartavaao a f» C*f>' Uri», affiuilt} fU ijAmmaHf, t fei m jaeifit la [ma Ttlavtnt allaÌ,»afTr^aiMa* giatraU, tUì, a tutta la dt'Ftdtli. ( 4 ) Cuoi BOSf diti S.Gr»i»ri» A4, j. dtUa faa fafi. amm. aa. neced'arU indif^niib”'intnillraiMut, luailUireddiimu, jui'(jirqucp«iiitdd>itum, quatu miièriciRdÙE opta, implemot. Cm^ 94-:.^* mai dtaaté il ntdrimtnt» afmri, nei rrmdiam.* Ura tà dt Uro, i facriama fia tifi» ma' tptra di pmfiitia, fhr ma aftra di «i^r«riÌ4 ■ Perciò dietro Cantore dice rbc i Stmefiuau a*» [anma lata Uatefima, frfiamda lor» afifimta, arttfótbi rii ehi donamo »«a > di Itr», ma di Gita Crifi», il rmi fstrimamta aoamiffian» im 9 « 4 netur Epifcopui duan nuanai ad miniu diftrìbaere ia pau[ unomembro. fciijcer, Clero, a uli coaununiq^, quia jaai tubet propnas pr» bendat loro fux poninnii, reminem bona epifio« palla cooimunta reliquia trtbua tu, quod p;itiperitma remaneat debita quaru portio, de Eecldùeitbricc fimiliier lua quatta pórttn. Camamat. a. a. }«. ilf. art, 7. ia raff. ad qaafitanam l. Sì aurem, aU'tgii mila ttf^a alla fttanda faifi. redirua Epifeopi untureti, ut rationabilitcr amareat quod non quali prebenda fibi refpondetr, led quia pater di paupenim, iRÌnit ranta bona lux funi fi. dei romnimt, ut diflribuenda ..... ita quod £pi« (icopui taiU male dirpenfaiu, de illi od quot hxe perveniunt, teivei^tur ad reilituuonem orni urnil. In^m f)ti« puuicnbut, vcl Ectlefij* dcbemur.R*. tiotubiie lUtem videtur quud, fi abuitdanter redi, tut ex eccl«nafiici( dRÌm», aut poflcfitonibuiroR. ftant, «ommilla line Erilcopii, ut pitribut pauperum.... PofleSìoaei aurem lepre, aatdonatx Ec. clcfix caibedfìtU in ranu abundanria, proculoubio tTcdendum eli quoti ut patri piupermn Epifcopo treditx fiiDcideo enim Epilcop» datx funr, quia occutara fide perlpjciebiiiif eoi effit pitres uupe. (*) Neepum, dit’tfli, propterea quod Papa ha. bet picnitudincm oorellatit Ecclefiaftir*, ^boe poflit de bonia Ecclefix dirpqnerej quoniam plenitudo potcHatit Ecciefiailica; intelliKìmr in ^frinii, libi» uiitum .... Unde ita tcnentur ad reniiutio. nem qui a Papa bona Ectlefix fra lihita fafa ha. buerunt, ut ditcotur, exaltennir, de magnifircn. cur, Cià tarea fUramaatt il Iftfatifmta, ataadaama faraaalaatata la Dattriaa dt'Qaaanifii, i ^mati dira» uà eha il Fafa fai dart i Bemfit) ad nurum, « a. fu. a. dUa tba papa p«c. rat monaliter, fi vult rei Eeclefialticas confiimere in turpe* ufiu, vel dare Contàniuineii, ut eoa dìvttes prz aliit vel ut ipfi con&nuoc p Io erodo che lenza una Cottile difputazione fi poITano risolvere tutti I dubbj occorrenti in quclU materia: e primieramente, per parlar a parte di quell’ entrate che per li teflamenti, o altre loro originarie iHituzioni lòno dedicate, e ordinate a qualche opera pia, io credo che fieno cosi obbligate a quella, che lo appropriarle a sè, o ad altri ufi mondani, po0a efier chiamato liberamente ufurpazione di quel di altri : e Ce alcuno de'Bcncfiziati Ecclefiallici refia di efeguire le ifiituzioni delle quali ha cura, applicando a sè, o ad altri quell’entrare, non credo che pofTa Cotto pretelle " t,• di non elTcr in pari grado ad a se quello eh’ è laCciato dal il quale non ingannerà sè Ilei altro canto il debito vuole, che chi è Cervito paghi la mercede all’opcraio, il quale polla fame quello che a lui piace : nè può efler dubbio, che il Cantore, l' Organica, e altri uli che fervono la Chiefa» non fieno padroni della mercede che perciò hanno. Non è incovenientc dire che anche i Preti, c altri Chcrici, per li fcrvizj che preflano alla ChieCa, debbano avere la loro mercede, della quale fieno padroni: e quando un Benefizio e ifiiruito con un particolar obbligo di lervirc in determinata coCa alla ChieCa, come fono molti Canonicati, manfionarie, ( 4 ) Prebende Teologali, e altri tali Benefiz;, non è inconveniente dire che fia mercede di quell’ opera. Sono cos^ antichi i Benefiz), ch’è perduta la memoria della loro ifiituzione; e però non fi fa, Ce aveitero obbligo alcuno, ovvero no: ma anche l’uomo di coCcienza Car^ ben certificato, quando confiderei^ la quantità dell’ entrate, e il fcrvizio ch’egli prefta alla ChieCa; perchè, le quelli due fi bilanciano, può credere che il Benefizio fia un luo faJ.irio; ma Ce l’entrate avanzano di molto, non potrà mai in sè ftcITo fingerfi cosi lemplice, che creda tante entrate cllergli fiate Ufc late per fame quello che vuole; c non Cappia clCer nccclfario che riftituzione portalfe Veco qoftlche obbligo; non elTcndo veriCimile che per lui lolo tanto folTe aflcgnaio. (è) La conirovcrfla tra ì Donori; ch’è difficile, dilputando in univerfale, da riColvcrc; è faciliflìma, e Cenza difficoltà, dilcendendo a particolari; c la coCcienza, a chi non l’ha per propria malizia foffogata, (i) fui panicolare rilolvc facilmente tutte le difficoltà ; (e) imperocché Dio non ha lafciato incertezza ad alcuno che voglia camminare fecondo i luoÌ conundamcnci. (d) ì di quaiiivogua icuia, o colia, ictiiam ogni elecutore di tefiamento che applica Tefiatore ad altri : e reputo che ogn uno, [fo. avrà per collante quella verità. Dall LUI. (f ) Minfjonjnu», Ourfrit HtlU fus imttr}t*t*u*m* it'nmn titiffimpin, difilli tft orti». * (onterraior acdium EccUfiiftkanim, te»pl^ inni, «c »lf«riuin. l«»n. et domeftì tu» • mtnfinne. Hodi* in nmltii Etflcnis Mwnt. curitnquf pÉilmodi*, fi «luriuBi hsbene OmJil r»fi*m$[liM m»ii» *1. ) Iniqua, iùt il cHn In decima nm in novo TdUuicRto, fi ultra hooorabilc fiipcndiiun MiniArorum Dei, fuica lenun aEAaeflón uni depueirerur cam ditnno rotiiu populi. aifiae patri poupcnim CMMwu.a.a. «mr. M uff. »d ». (* ) Ck' > (!• tkt S. rirtmfft l vrnra nrrtMjmjfiun, ventoiem Dei in injulUiin detinent. X*». i (e) Intcllcfiai ben» ocnnibui fi^ientibui eum. Pu.tio. (d> Deui «nim iUit nuniieiUTÌc IUin.i. LUI. Quanto a gli acquifti nuovi, ogni perfona prudente avrebbe penfa. io che foflero al fine, ovvero almeno che poco più, e aflai lentamente fi potelic acquiftare. I Cherici, i Monaci, e le Milizie non hanno più petfona che porti loro divozione: i Mendicanti, che gii hanno avuta facoltli di acquiftare, non poflbno fperare d'efeguirla dove non 1 ’ hanno potato fare fin ora; e dove hanno acquiftato, fe infieme non hanno perduta la divozione, poflbno fMrar ancora qualche aumento, ma molto leggiero : quegli altri, che fi fono fatti deludere dal privilegio che il Concilio di Trento ha conceffo a tutti, dell’acquiftare, come 1 Cappuccini, coniérvano la buona opinione per caufa della loro povertà: laonde, fubito che mutaflèro in minima parte il loro iftituto, non acquifterebbeto ftabili, e perderebbero le limole. Adunque pare ebe non redi modo d’andar più innanzi. Chi vorrà iftimir Ordine con facoìtb di acquiftare, non avri credito: chi lo fari con vera mendicità, non può fperar acquifto, durante quella; nè 'credito, fe la muterà. Ma con tutto ciò non è mancato anche modo proprio, e fingolare al noftro fecolo, c non inferiore a tutti i paflàti; e quefto è fiato l'Iftitutp de’ Gefuiti, il quale, profeflando una miftura di poverrà, e di abbondanza, colla poverrà acquUla il credito, e la divozione ; .,e ha 1 altra mano capace di pofledere, la quale riceve quello che la Compagnia acquifta. Hanno iftituite le Cafe Profefle (l) con proibizione di poter poffedere ftabili; ma i Collegi con facoltà di acquiftare, e pofledere. (z) Dicono, e bene, che neflun governo femplice nel mondo è perfetto, ma che la miftura è utile ad ogni cofa: che lo flato di poverrà Evangelica pigliato da' Mendicanti ha quello mancamento, che npn fi pof-. fimo reggere con quello, fe non i giù incamminati il numero ' de quali non può effer grande : ma effi ne’ Collegi ricevono, e iftruiicono la Gioventù, e la rendono atta, dopo 1’ acquifto delle virtù, a vivere nella poverrà Vangelica ; pcrlochè U poverrà è bene lo (copo, e il fine loro effenziale, ma accidentalmente ricevono le pofleflloni : con tutto ciò è meglio fermare la credulitì fopra quello che Q ve. de in effetto, che iopra quanto lì predica in parole. Sino al prefente fcrivono elfi d’ aver Cafe Profefle zi. c Collegi zpj. dalla proporzione del qual numero ogn' uno potrb conchiudere, quello che ila loro effenziale, e accidentale. Certo è che gli acquifti fatti da loro fono grandilfimi, e che camminano ancora verfb l'aumento. Siccome il temporale tutto’, che la Chiefa poflede, viene da limofiae, e obblazioni de’ Fedeli, cosi parimente la fàbbrica dell’antico San• tuaiìo ( I ) NtlU fmali U Cm» JUmit. ttm éiktv* uG*mtrMlL*ì»*t. (s) Ifmdt fim$i ÌmàM% f«t «MMfwr* wutti fmdmm. l'htM tgtrvm fw MttUtmtélmtntt, tStt. tJuU ùdiév» mkt» i Gtfmùi, * e*mt imt» Vtmftrmtk'i un ftn» «Mi jf«ri »m*ti Vmnxi»t $ (tm ft (In il Urt IHttut,, fi» autmfmtkiìt etti MUMM. t f» MM itìU firn ftrti r»timù ìIh »U*ii il Ehi* 0 #M« mI C*ritM»l Jì Git)^0j il yiMr fMteitsv» il Ur» r 'utrm» um «M ttetfiv» frtmmrs mtir»m»* 1607. « (à eh* U b* fti ffirit*, « dtfitfni. mtMt di tkt fi \»»U I» mm G«v#pm, vt tute* fs tmief!, *d etti imftrt» per etrt» editai di Stmto, eii* i Ireti, i twtuif i ftfUi tuario nel vecchio Tellainento fu fatta di UmoGne, e di obblazioni. All'ora quando fu offerto dal popolo quanto ballava, e tuttavia le obblazioni continuavano, i Ibpraflanti alla fabbrica ebbero ricorfo a Mosè, dicendo : il popolo porta troppo per raperà che il Signore ha comandato.- e Mosd fece un bando, che neffuno faccffe pià offerta al Santuario, perchè era flato offerta quanto ballava, e di piùtonde (d) fi vede che Iddio non vuole il fuperduo nel fuo Tempio; e fe nel Tellamenco vecchio, ch'era mondano, non volle tutto per li fuoi Minillri, meno lo vuole nel nuovo. Ma dove hanno da terminare quelli acquilli’ Quando s'ha da dire tra noi; il popolo ha offerto più di quello che balla è Alf ora che i Minillri del Tempio erano la 13. pane del popolo avevano la decima, e non era lecito di paffare 1 (r) adefe lo, che non fono la centefima, hanno forfè più della quarta pane. Non è conveniente che Taumento de' beni Eccfefiallici fia inlìiiito, e lìa ridotto tutto il Mopdo ad effere afiìttuaie. Le leggi umane tra'Crillia. ni non hanno determinata la quantità de'beni ad alcuna, perchè chi oggi acquilla, dimani aliena : £' molto Cngolare uno flato perpetuo di perfone che fempre polfono acquillare fenza mai poter alienare. ( i ) A'Leviti nel Vecchio Tellamento erano date le decime, perchè erano l'eredità di Dio; (d) e per ciò era proibito loro aver altra parte; (e) cofa, che conviene a chi vuol valerli de' privilegi loto, pigliandoli tutti, e non quel fo|o che conviene al proprio profitto, (a) LIV. I E' flato abbondantemente detto come fieno flati aoquillati i beni Ecclefiallici a chi foffe commeffa là loro cura; e come foffero difpenfati. Non fi è parlato niente di quello che £ faceffe, quando alla morte del Benefiziano fi ritrovano alcuni de' frutti non ancora difpoili, fe egli per tellamenco ne difponeva, 0 fe «è inttfttn pafiàvano in altre -. petto. $ 4vvitif(tn» vhs lUtntiét, t BiW f rsmtM. (») Obt^tfnint meme prnffip*tffnu «qtte devota firimitÌA» Domino, ad facie^idum ofui ial>er. fàacuh ««ftimaiiit t ^ntcquel «id raltom neteditttim «rat «tri cun nialieribiif pr»buctrMa M mifmrs eh* il Ckr* fm\ KtddCsni fui Traicaco della Politica di Trao» eia. id) Ariff, dir* Di* ad Arem, da hù tfuar ànttiàuumir, ét oblau iunt Dotruno .... Ooioia obiniio, et ehi, dk'e^li, m mtdtjumt f*mt U trntft r utm, • U tmm nZlirÀ. It>l. emmf.tm. fw.i. con fiJcnuQ, lènza che vi folTe alcun ordine, o legge che ci& concedcfTe ; ma fempic con qualche mormorio, cosi degli eredi del Prete morto, come anche delle altre perfone, per le lèvere eftorTioni che ^cevano i Collettori, e $otiocollettori, i quali mettevano in conio di fpo^tie eziandio gli ornamenti delle Cbiefe, c davano molta molellia a gli eredi, anche fopra i beni acquillati con induftria, ocavati dal patrimonio; tentando di farli apparire come cavati da’ Bene6 zj; e io dubbio di qual qualità foflcro, fentenziando che apparteneffero alla Camera; e travagliando chi loro fi o^oneva con Icomuniche, e cenfure. In Francia l’ulb aveva introdotto che le fpoglie de’Vefcovi, e degli Abbati lì applicalTero al Papa : ma nell’ anno 1385. (*) Carlo VI. Iq proibì, ordinando che gli eredi fuccedcflèro, cosi in eflè, come ne’ beni patrimoniali > ( i J In molte Regioni fa l’ ufo introdotto, e continuato lino a quello lècolo ; quando per 1 ’ eUorfìoni de’ Collettori crebbe cosi la querimonia di molti, che alcuni ebbero ardire di opporfi apertamente, e negate che le fpoglie de’ Chetici morti toccaflèro alla Camera del Papa : Perlochi nel 1341. Paolo III. fu il ^rìmo che fopra quella maceria fece qpa Bolla, dicendo che alcum curìoli, ( a ) per ufurparfi 1 ; ragioni della Camera Appollolica, e defraudarla, mettevano in dubbio fe i beni de’ Prelati, e di alme perfone Ecclelìadiche, chiamati, Sfoglie, appartengano alla Camera, per non eRèrvi alcuna Coflituzione Appollolica che glieli applichi : febben dall’ aver mandati Collettori in diverli luoghi apparifee chiaramente cOcro fiata mente della Sede Appollolica di rìfervarli, e appropriarli alla fua Camera : per tanto dichiara, e ordina, e collituilce, che alla Camera Pontincia ( 3 ^ appartengano le 1 ^ glie é. Otltitt.. Ó.) OrJùisuétu > riftriis »IU iifiaf fart. ). luI.farlun'.TH. ar. tdm fittifm tlU t «»• fkMms, ft't ih^riu fmtln «• Jl éU4 Jtll* iJltrSni, $ d*lf4 tfif^fertsàUì rW TMifutmtt. ^od iptcwnabik, et irrauopabilc exiftit, Ikci deiure.ufa, Accoofuetu.dine, Ac rommunt obrervantia notorie obferritii. £piln>pÌ5 re^i noftri teftari iicest, Ae in IbU reftamentu ft^utore» ordinarv i qnt prediAi ex*cutorv*> kìtrm ipforuen EpidujB (afiu ereniunt, per iudicei i Ac ntEriarioi noilroe cocBpelluBiur, A( cocnpelli conl^aeruat. Et cam ita Est, zdiÉc», le poJTclKonea didonim adiEcieoim Epiftopaliiun in Qain non dcloniu pennanebuat onni ruins carvnen. Anatm. bboc> ^un Bpifeopum in recno noltro ab lufc migrare contingir, Cotleaaroi, sut ^bet^ledoret uumni Pontiiina tn provinciù, quibui iub&Qt hujnfiaodi Epiiropt, ipuiu fiimmt Ponriiitie auAonute, bona moWia, tnmobtlit, «x ^ceiTu talium ^iftoponun relìAa, ctiain illaoiij«r fuiot induQrum quaiìeraK • que aoipliiu ipfbnim EpiEopo un ncquecanfeanir, iéd ad (boa bereder, aiu comcn «aecutota rpcàaói, capiunt. Notum i|itur kcimut, Acc. Km i ^rfi titt» emrùfitm, *mmuU fi Lt « fart fM frntnpmi trttfivaf Carta di Sjms à* prattft tamta taft, rie fimsimtnta ì fimta tmtfisna dma»darU U rrrU. X# imtrapTifa da* «pi kmmffaffa ftfimui trimaipi « pmdar Taratj, r %U UanNor datti m fmndat la ptaaa, far liufiifitart l'armi. Cuoi a aonnuUir nimìum curìofìs, qui |u*•- OmiiiM Apafiilw uiiarpara, ac Caineium pr«fiuam illta detraudare vdleni, in dubiom reniga, tur, an rei. Ac bona, nur-ntpata. Prelatorum, catcraronqoe perióoarum Erclefiadica’ucu, iècuIariiLm, Ac rcgularìum, Mmpore obhua iptò-, rum rananentia, ex to quod Rom. Pontifici, Ac Camere prsteu rciervaii fore, aliqoa gencraJi i^ftolica cooftituriooc fbrfin non caveatur, a4 Camcnin predi Aam jure Iwititno tMftare Aeperlinerc debétne. Noi, età wu evidcatcr conibrc Ac appareat, prsdetsBonun noftronim Romao, ponnneum, Ac nollram indubiaro intentionem Ac voljtuatem faaper fuifle, ut haidaKiiti aa diebun Camerarn CpeAnreocAc ^rrinereiK, Acquod prò eadem Camera eiigcrcntur, Ac mqperaikm cur, mai Pnrrdeeenbm pnciiii divcrCa difiortim fpolioruu, ut ad Csmerapt rpcAanrìum Ac pertincimuin, Coltedom, Ac Exa&orci in variu pròvincili Ac loctt depataverint Ac rooiiituerinc, Ae noe depatavertmut Ac conlbnierinuis t ac (ftnper de tlUs diài PrndeceiTotei per picrai'que liter», lantnam de rebua adCanMram pemneoribut, dc^ naoM, vel craoilgendodifMAieriu, Ac noe di^ofaerioiga..,. dubrua huiolinodi enucleare, ac ia pt« que qatlitat», de ejaamitam exiftentu, aciaqnibufrii regionibui, de regnii, ae doenìniù, uni citta, quain oltra montei, de maria coadQeotia^ per quotTÙ Clericet, tam (ècatarei, qoatn tega, larei, dee. ex negonaiioae tlticita, aut aliai contra (icrot caooaei quomodoiibetacquifìta, ad eamdem CaiDcram, de non aliot, etom 10 quiboC vis CathedraJibiu, etiam Metropolicanif, de Collegiitit, ac aliii EetleGit, Monaftcriii, holpitaliboi, itvìIkì», dee. racceflbret fpeAare, ac fób no. mine rpeliorum veaire, ii!sqae oti ff^s ad Cameram pertinentia, perpetuo eolligi potuiffè, poC (tf oc debarc. tft vtm. 1560. iM. taf. mltim. o8 do, e pagato quanto fi h convenuto, ogguno dice che del rimanente fia aflbluto, e lo poflà lecitamente tener come fuo, perchè il Papa è, come fi è detto, o padrone, o amminiflratore univeifale e quello chiamano compo^ colla Camera Appoilolica : il che viene anche llefo molto ampiamente, ficchè quelli che o fanno in cofcienza, o dubittno almeno di avere cofa che loro non appartenga, onon fanno a chi reftituirb, fanno la compofizione i DE JURE ASYLORUM LIBER SINGULARIS RETRI SARPI J. c. AUGERIUS FRIKELBURGIUS I- G. GERARDO MALDECHEMIO S. D. I NcidIt tiuper iti manus neas Itali cnjufiam traSatus De Jure Ajylorum, quo cuuSa qua hoc de re in memem wnirt pojfum non perpenduntur, «Ir examinantur nodo ; fed et definiuntur ex legum prefcripto clara profe3o -, doSaque^ (y perfacili methodo. Oper^ me pretium faSurum exijlimavi, fi, utcunque pojfem, Latine facercm qua nagnus vir Italice confivipfit, tum ut ekgontijjimum opus ab iis etiom, qui Italico nefciunt, legi, dr intelligi pojjit ; tum etiam ut tu ipfi, mi Gerarde, tuique fimiles, pietate aliquanto plus quam aMSit cogmfiere pi^ tis quid Itali-, nationum omnium religiofijfim -, hoc de re fentiant-, dum Ecclefiarum quidem immunitatem non filum tuentur., atque fartam teSam conjervant; fed au&am, &• ampl'ficatam quam maxime volunt. JuJUtian vero qua delilla pleSuntur, ó" publica quies-, eb* tranquillitas maxime fufinetur-, tantum abeft ut opprimani, ut etiam ubique adniniftrari, atque exerceri decernant. Quo egregio umperamento non Ecclefia minus, quam Forum, dy Tribunalia, fitum jus retinere ptffint. Vale. INSTITUTUM OPERIS ET SUMMA. Criptorum in Jurifprudentia gregcs, atque adeo rem quamlibet facilem 8c cxpcdìtam obruunu et abfcondunt, ut per mihi mirum videri non poU iìt, fi EcdeGanim, quam vocanc, immunius,tot Poniificum dccrctis* ftatuiifquc legibus clara, Dodorum adverfis opinionibus acqua fcntcntils mirum quantum di(ba£la, ac dilaniata, vix fpeciem reterai fui; fitque fxpius in esula, ut intcr Eccle^ fiaUicos, dcLaicos Magiftratus, muli* et mago*, immo vero inexplicabiles coatcntìoncs oriamur. Quam ob rem frequenter in mcntem venit quam re£le, et ex ufu publico faccret is qui rem tanti ponderis ac momenti, dilputationibus qu« vcritatem bue Uluc trahcrc lolcnc omiflìs, fine fpe, Scambitionc, gravitcr, et accurate traftarct. Sed quo niagis id optabam- fieri, eo quoque impenfius a fcriptione abhorrebac animus. Modo vero, cum mas accepi licteras, Prsful fan{lUIime, quibus me diu repugnantem, et inviium ad fcribendum hac de re lumma qua poUes au^orliate compellis potius, quam invitas, et aU lids; tuo quidem imperio, prout maxime dccet, obtempcrarc decrevi; fcd brevi, ccrtaque methodo, ut 1. Quid leges Principum, Quid EcclcfislHo» iuca. Aatuant primo videamus: 3. Rationes deinde, e quibus tot Scriptorum opiniones incer fe repugnames originem traxerunt, afieramus in medium ; ut deroum 3. Quid in judiciis, 5 c praxi oiimìno Hatuendum fic a quolibet cognofei polTic; nec valeant in pofterum nonnulli e dupondio Turifconfulti, aut verius, numeris omnibus abloluti aHentatores, tam preclare imponere, et fucum facere judicantibus» CAP. r. De Princl^ ìegìbas^ EcdeJiaJÌkif(jue eonJlU iutìonihus, T Otis quingentis annis poti Chriilum Jefum natum, nujlus cft Ecclefialticus Canon qui de hac iromunitate decemat. Imperatorumi tantummodo legibus Gatuitur; quarum fex a JulUniano in Juris Civilis corpus rciat* mnt. Harum primam Arcadius et Honorius, Augufti, anno poli Chriftum natura CCGXCVII. ftatucninc, qui reatu de Ut, qui ad Eccitf. . Ili no» diqm), vel ieihù fotigéti, fimdant fe CImJHau legi vtHt nojMgi, M, ai Ecclefua (mfiàgientn, evitate fojftnt crimma ^vel paniera iebitanm, aneti debire; nec ante fafcipi, quam ieiita varuttfa reiiiieritit^ vel fnerint, innecentia iemoaftrata, purgati. Poli hanc iMem idem Honorius cum Theodofio anno CDXIV. generatiin fanxiCy Netnini licere ai facrefaaSas Ecciejias confugientas abin. cere, ea condjtìone ^ ut ^ Ji quifquam cantra barn legem venire tentajfet ^ fchet fe Majtjiatis ctirnine effe retinenium. At anno CDXXXII. Tbeodofius ipfe una cum Vaientiniano leg«m tuUt, ut ( A ) fermi, fi in Ecclefiatn, altariave armatut trruarit, exinia prMinns abfirabatur, vel caniinuo Damine iniicetur, eUtmque max abflraien. ài capia nan negetnr ; imrao vero, fi armerunt fiducia refifienii anhuum canceperit, abripienJi, extraeniique quibut ii parafi efficert viribut, atqua pugnanda impune accidendi, Eadem lege Domino fàcultatem facic. Marlianus vero Imperator anno COLI, edita tege, {c) feditianet amnes, canctamarianei, tumultum, et impetum in facrafanSii Ecclefiit, et aliisvenerabitibus lacis, in quibut vara campetit celebrati, omnino vetuii ; ultmù fupplicii poena propoliu. Et anno CDLXVI. Leo Imperator (d) lege decrevit per amnia laca valitura, excepta urbe Regia, in qua degem ipfe, quatiet ufiu exigeret, preUntanea eanftituta prafiaret ; nullas penitut de facrafandis Ecclefiit expelli, aut trabi, vel,panabi canfigat, nec pra bis Epifcapas exigi qua ab ipfis debeantur- iis, qui bec maìiri at^s juerint, capitali, et ultimi fupplicii animadverjtane pleStendis : fed, ipju Jervata lacis reverentia, vadati paffint^ r^uga, (5* Judicum, quibut fuojacent, feneentiit maneri, atque earum arbitria, fiate per fe, five infiruRa felemniter pracuratare, in ejus judicis, cujus pulfatur fententiit, examine refpandere ■. Multis conftitutis tuiflionibus, ut credilores folvi pofTint a debitoribus ad Ecclefiam confugicncibus : Servar autem, 0* Calanas, ftmiliaret, five libertas, 0* alias amtefiicat perfanes, vel canditiani fubditas, fi ad faerafanSa fe laca contulerint, uhi remijfiane, venia, et ftcramenti interventiane fecuri fine, ad lacum fiatumque praprium reverri aebere. ^ Juftinianus deniijue ipfe anno DXXXVI. vcluti non minus jullam et reélam, quam ufu receptam, fanaionem refert, et conftituit; (e) Nequa, bamicidis, ncque adulteris, ncque Virginum raptaribus delmquentibui terminaram caueelam cufiadiendam; imma extrabandas, et fupplicium tis in. ferendumt Cum templarum cautela, nan nacentibus, fed detur 4 lege'. ir nata fa pajfibile, utrumque neri cautela facrmum lacarum et 1^tem, et lafum. Fiuta fune notabilia, qua: ex hifee legibus manifefte conlUnt.' L Ecclefiallicos Prsefules iis tempo^fana ne cogitaffe quidem ad ofiicium iuum pertinere ut leges, aut conllitutioaes conderent de Eccle. Carum immunitate; immo vero, cum certo Isiceot Principis eflè id (latore, ab eo leges accepilTe. Huc accedit quod aiuto CCX^XCIX. Concilium, ut vocant, generate Africanum mifit &ugonium, i(. Viocen^m, Epifeopos, ad Honoriust Csdàsem, qui i^^liciter petetent ut m qui ad Ecclelias AIricanas confiigecent, licer deli^ pcrpettaOént ab iis non extraberentur. IL De ( a ) Sai. I. rUclH. { b ) Ead. t. Si fcrvut. (c) Eoi. I. Dauaàamai. (.a) Ead. LVrt^l. ( e ) .autx Ite nuui frinc. tal,, De hac Ecclefìarum immunitatc ne vcrbum quidem faflum fuiffC) non modo dum Romani Imperatorcs Idolorum culrores fuerunt; fed ctiam centum annos poflquam fibi Chriftianam religionem ìnduerunc, nuUam omnino ejufdem immunitatis mentionem effe fa6lam; cum nulla hac de re lex repcriatur ConlUntini, aut alionim Imperatorum, ufque ad Arcadmm. Hujus autem rei ccrtilTima caufTa haud longe quzrenda eli. Etcnim, fi Chrifli fideles ea temperare, prouc omnibus confpicuum ed) nulla ratione in Ecclefiis admictebant eos qui cujulvis generis deli ab Ecclejie 'Atriit, vel Pomo Epifcopi reos abfirahcre omnmo non liceat; JeUna alteri coalgnare, nifi, ad Evangelia datis facramentis, de morte, p- tlcvilitate, O- Omni panaram genere fint fecari: ita tamcn »f ri, coi «* f"niinlfttS fiterit, da fatitfaHione conveniat : Servas etiim qai ad Ecriejiam confugerit prò qualibet culpa, fi a B m im. odtnifia colpa facramentim Mcepertt,fiatim ad fervitiam Domini fai rcdirt cogatae. ' Hifce in Conftituiionibus mulu funt animadverCone dignillima." Primo non effe in iuris Canonici corpus redaflas, temporis habita ratinw VTearum primam effe llerdcnfis Concil.i, Anno DVII. ouam Hifpaniz a Romano Imperio le fubtraxerant : qw faaum eft ut Episcopi il, qui certo fciebant quantum lua fe extenderet auilorius, EccleCallicis tantum viris imperarent; citeris non iiem; ut ex iploitiet Canone clariflimum, et cuique obvium eft. (g) Sed cenwm annis ut Laicos etiam includerent, Reges rogarunt, ut ad EcclefiM confuEientes, ob lacrt loci revercntiam. Regi* lolum committerentur : tandemque anno DCLXXM. in ea Conftitutione qu« decima eff ex iis qu* fupta adduil* fuetunt, omnibus commune dwretum fanxemnt; fcd Regis coiffenlu ^hibito : qu^ in tpt Conulu libris particularitet expreffum eft hu ipfit verbtsr Confenttcnie glortofijfi. no Domino Nofiro Eringio Rege, hoc fanaam Ceuciliam defintwt ;^ce( (1.) yr.Eod. Co mctuentei. ( b ) ^. Eoi C- ifxar. ( c ) WA C. miUui. (d) JX. £-iit,C.fi (e^X.Sod.CoiÌefir.m]to ({) Xo'o £od. Co ccrfiitmmuf o (g) meeo6.caf.tio in corporc Concilionim fcriptum fit folummodo, DcJfjiww C»»«e ut, fcilicet, reo avulfo ab Ecclefia, fit Ulico qui eum dirà devotus, et Chrirti-fidclium commumone privatus. Sed lunt OMnes. ut vocant, ferendo e«eW; ut, poftquam reus exiraaus fiieAt (ùbeat Prxlatus monete; et nifi fuerit reftitutus, aut,ufta det.nendi caufa aliata, lune demum polfit ad cnemnmnicatmm fententiam le rendam accedere. .,,. i Quatto confiderandum eft, Epiftolam Auguftmi nomine aUatam, ep.ldero cene non effe; ficut etiam 15. alix qux Sanai Ulius nomine feruntnr ad Bonifacium Comitem conlctiptx, «c Bonifacii ad Auguftmum, eujulvis potius, quam eorum, effe poflunt. Id vero cum ipfa rauo latis fuperque demonfttat; tum multo magis verbo illa, SpeH.»fil et Magnifici, honoris caufa Corniti tributa, abepis tempeftatis confuetudine ionge remota, n« ab ipfomet Auguftmo uni^uam adhibita iis in literis quas ad eumdem Comitem ipfe Mrfctipfit ; m quibus etum quammaxima Divus ille vir agit cum modeftia, non autem fuperbe, et arroganter, atque imperiofe, prout Sycophanta, quifquis ille, fcribere voluti. Quod vero multo magis earura falfitatem yel coeco demonftrat, Bonifacius Comes nunquam Hipponam incoiali Divi Augiiftini V«*>» Ji- ^ (a)lii.i.tjifl.S. civitaiem; ut fieri omnino nor luti fucfiiJi;, tìullibct eorum, prout fibi, atquc fcgionibiis fuis conduccrc vìtuin Canones confijtuit. Cum iiaquc varias rcgion« diverfas ctiaui Icgcs itquirercot, prout homìncs plus, minufve ad dclffla propenfì crant,^ uftufquifque proprias leger ad regionis lux nores adaptavit. Hi vero Canones omnesante annum a Crìilo nato MCC> promuU. gati funf;^ deinceps vero Romanorum Pontificuin Decretales, quas vocant, rc. uregorim autem, ejufdem norninis {b) Nonus, Pontifex, declaravìt Ecclejia y in qua divina myjìeria celebrantuTy licet adéuc non extiterit con^ ftcraMy nullo jure priviiegium immxnhatis adhnii ' Idcmque addiditf cum nonnulliy tmpunitatem fuerum exceffman per deEccleU obtinerè f perente^ y bomtcidiay tT mutilationet menu Trm-m fpjU Etcfejih y vai amum atme^eriìs. coipmiteere non veremtm f quey njji fer Ecclcjìamy ad quam refugfunty crederent fe defendi y^ nutìtu tenui fuerent commiffufy rales non debere gaudere privilegio quo faehuie fe indfgnos» ^ \ Hifce' Joannes, 'ejus norninis XXII., Pontifex Romanus, adjunxit etiam, (d) Hereticos fefe Ecclejiis tueri non poffe,. Nec alic in medium afierri poflunc ieges quibus Ecclefiarum kÉmunitas inniratur. Hz vero omnes adco clarz lunt, adcoque faciles, ut., fi in judiciis, aique Eraxi fincere, et prout verba exprimunt, adhibe ^enfur,^^' nihii oranino difficulratis fupereircr. At cum Jurikonfultorum òpinionU)US, et interpretationibus ad diverfa protrahantur, de his etiam, capOrque unde tot Scriptonim fententiz originem duxere, fingillatiiii diccndum eli. CAP. hnmmìtatm. Exnavag.De variis Scripeertm epiniomika órca Eniefimm mmunitafem^ Ó" tanm caujk, .Tanta profeto eft fententiamm vxrietas intet Jurìrperitos qui de Ecclefìarum immunitate hai^cnus fcriprenuit, iildemque Ugìbus innituntur, ut line dubio lAirmarì poHlt nullam omnino hac de re quz(tk>ncm proponi, aut Cafum accidere, in quibus in utramque partem res terminari non valeat, atque adeo Doélorem aliquem tefiem, et aufìorem laudare. Ex iis tamen non pauci funt qui non modo fxcufationem promereri, fed commiferationera etiam tommovere debent librifque vulgatis, non Auftoribus, nota quzlibct inurcnda. Etenim ficuti 'in rebus aHis quz Ecdefiafticam, aut fccuiarcm juriididionem attingunt, fic etiam in hac ipla, nov^ims imprefliones cum antiquis non convenHint* led quscnnque Principum jus, et audoriutera {M'onxv verent, ablata fuerunt; et fzpius negativa particula, ut Grammatici lo^ qnuntur, addita, ve! delcta, mifcellos libros, vd invitos, et centra Seriptoris mentetn, prò ConTflem arbitrio loqui cocgcrunt. Id vero non modo ex librorum ipforum variis impreflxonibus invicem collarìs manifcfto deprehenditur; fed Wcifair folummodo £x>argarorw infpedis, quibus facile fingala quz immutau funt uno afpedu v:deri po^funt. Qiiate, ut in re tam dubia rc£lam, tutamque viam amplefli iiceac, Ilatuendum eft ante omnia, quafnam rcjicere dcbeamus,,quarve icqui Dodorum interpretationes, Id vero fàcillime cognoTci poteri^, li vcratn illam, 3c germaham caufam, ex qua opinionucn varietas exona c(^, animadvcrtcrimos. Hac vero eft, quia noluerunt Doélorcs intra iegum ipfarum, 3t canonum verba luas opiniones, et dida contincre; immo vero amplifìcationibus, 8n exceptianibus, quas fslkHtiat dicunt, eas adaptarunr, prom aquitati convenire exiftimaverunt. Qua de caufa in nuU lam debent reppehenlioném incurrere.* omnes enim nihil anciquius habuerunt, qu.im ut communem iUam, aique difpatatìonibus cundis neceftariam, Reguiam jurk fervatene, qua ftatuitur.* fi juris ipfm difpofitio bene finum alferius^ prsmiumve refpiaat, fififue favorMis^ l^um verba y lì. cet prejfa, atque Jìr 't^a, ampl'tjìejntda, atqut entcndenda ejje } fi vero ptznaruTrty atque rìaerU rationem babet y fitque invidio fa y quam odioam appef hm y voces eafdcm quanhìis latmty Ò" uberius loquanfuty prejfe ta mtn y firi^imquey quatet^us jus patituty expiicattdas effe». • Qj 2 certe regala nanira maxime conlona. coovenienfque apparet.Et enim, ficut rerum hitmanarum fapientes coofìderant,, adiones omnes flint fìngulares; nec ulla ratione fieri poteft ut due qualibet ex parte fine inter fe fimilcs, atque omnino pares.* quo fit ut fingufis propria indiecant regola: lex vero, quz mi segula quxdam univerfalis omoino conftituenda eft, necelario ob id ipfutn, quod untverialis eft» manca quodainmodo fint, et imperfeda, aut comprehendens quas excipere, auc CTcipiens quz comprehendere deberec. Qnamobrem neceflàrìa omnino videcur benigna quzdam interpreutb, quz legem.dirigat, et ad zqui. tatem reducar. Hinc vero prolìcifciiv ut, fi zquius amplior. videtur, quam legis verba, hzc debeanc amplificari quamum «quicas ipTa po ftulat. Digitizad by Google Ii8 D E y>U R E Enlat. Ae fi lex eadem verbis extra «quluris fines, 8c limites egredia» tur, aequunt maxime eA ut interprecationibus intra eos coerceatur: Ut n lege lata pana impofita fueric iis qui Dei optimi maxiroi nomea yanfiiflìmum maledif^is, probrifque prolcindant, cum res ìpfa de qua decernitur, pietas, fcilicec, in Deum, maxime favorabilis exìAat; juAa intcrpretatione a nomen etiam facratiiTima! Virginis, epis matris, at« que SanBorum omnium extendicur» Quod fi lex altera excipiat, qui motu quodam animi violento percitus, atque ira prsceps furens, verba promleric igoominiolà in^eum ipfum; hoc invidiolum eA, nec de quavis ira intelligendum fed juAa interprctafione ad eam tantummodo rcdigendura qua celeri, atque inevitabili impetu fenur, mentifque et ratiunis uium ita impcdit, ut quid homo Abi velit, quidve dicat» aut fadat, omnino nefcire poRit« Quod vero IpeBat ad EccleAarum immunitatem, NonnulIi,cum animadverterent eam non alia ratione conAitutam effe, quam ob revereiv riam in locum Deo facrum, et ex co ad ipfius Dei maximi honorem, et cultum pertinere; bu)us przcipue rationem babueruni; idque veluii zquitatis regulam lìatuentes, cui legum verba adaptari debeani, estera cunBa fulque, deque daxerunt. Cumque nullus omnino reperiri poffic honor quo multo major Deo tribui non debcai, interpretati lunt eamdem pariter rcvcrentiam tribuendam efle non folum Deo l'acris lock,*fed omnibus etiam qus iis adhsreant; iifque cunBif habendam efte quantam maximam animus capere poieA, vel jultiùa ipla Aias fibi res habete juAa; atque, ut ajimt, quibulcumque pravorum hominum oppreflionibas tokraiis, ut iramunitatts honos iis omnibus tocis religiole concedatur qus Ecclefiarum fpecicm aliquam quomodolibet referre poHìnc. Hifce vero, quafi fundamemis, pofìtis, leges, et Canones omnes de Ecclefiis decememes, ad ea cunBa protulemnt qus Coemccefia, MonaAeria, Oratoria, Sacella, Holpitalia vocam, feu quovis alio nomine cenfeamur, ea in quibus pictatis opus gliquod peragi videatur« Ubi vero leges i|^x, le Canones Ecclefiis immuniiatcm concdTerunc iis tantum in rebus qus vel comimfenMìoaem movere, ve! ^Aa defendi exculatione poAint; idque honeAis, ac tolerabilibus conditionibus ; Urdem amplìAcarc, atque dilatare rem totam ita voluerunt, ut cnormia quae. que, et graviffima facinora comprehenderent quod A, ragione coaBi, aliquid exccperini, jnlHiis tamen, atque judicibus ipAs eas impoluerunc condiriones, ut, iis obiervatis, Aeri nuaquam omnino poAìc ut debifum juAitia Anem obtinere, vixque nomen Atum, aut ne vix quidem rctincre poAit : quodque caput eA, non modo perpetrata facinora, atque 4Bi^, EeeltAaruffl immunitate inulta, impunitaque remanerenr ; Icd novis etiam, iifdemque enormibus criminibus aditus tuiìAimus ape» ritur; ut qui jam oommiAlTcnt, fecuri in utramvis aurem dormire £a» Cile podent; 3t qui admitterc vellent, facilitate aìleBi, et lecurirace in» vitati, nihil prorlus tutum, aut a crimine vacuum relinquerent, Id enini imcr estera DoBores aflìrmarc auA funt, Principes ncque fententia da» fonare, ncque habere ^tisAionem poAecontra eos qui ad EcclcAam con» fugeruAt, ncque dum tnibi pcrmaneanc, nec poAquam ab ca difeefle» hot quodque rifum nagis, 8c Aomachum moveat, flatoerunt Ecclc» fiam i^m teneri ad alimenta feeleAis homimbus prcAanda, dum ad eam cònfagientes ibi reAdent. Alii Do£lores contri ei^inurunt iuflitum, atque deIi£lonitn pcelum, publicarque tnnquulitatis confcrvationem magis cITc Dea maxima graiam, quam EccIcGarum immunitatem : idque velati zquitatis fundamentum inrpicientes, legum verbis, ut iplà rem quamquc nount, aeceptù, non petmittunt ut leges, et canone: ad alia loca pcrtrahantur przter ea quorum rigillatim mentio fa^ fuerity EcclePus, fcilicet, ipfas, quz reapfe, non autem nomine tantum, Ecclefiz funt. His enim temporibus tanta eli ubique locorum frequentia quz piotati alicui mancipata vìdentur, ut, C omnia comprehenderentur, jam quzcumque incolimus Ecclefiallicz immuniutis privilegio donau eflent. Et quoniam gravium deli£lorum exceptio, in quibus nulb conceditur imminitas, fpectare jullitiam videtur quam zquitatis regulam llatuenint, exceptiones illas aut ufdcm rationibus, aut etiam firmioribus, k validioribus ad alia facinorum genera extenderunt quz a legibus, Se canonibus minime nominantur: idque tam ampie, ut nihil immunitas meri polGt, nifi ea quz mifcricordiam merentur, prout etiam antiquorum fuilTe videtur fitntentia. FaSlum eli etiam ut Doflores aliqui, cum, velati juris. Se zquitatis regulam, modo hanc, modo illam ex iis quz diximus fumpfilTent, varie loquuti fint, atque a femetipfis non femel del'civerint; alii vero, nelcientes cuinam precipue ex iiliem regiilis adhzreicere debeant, adeo confule. Se obicure pcrfcrlprcrini, ut nihil omnino ex eorum fcriptis elici poflit ; alii vero do^rinam fibimet repugnanicm habere viC fuerint, ex eo quod ii qui eorum libros, prout ipfis conducere vifum eli, interpolarunr, non mutaverint omnia : quamobrem alibi Cncerz, atque germanz Scriptorum opùiionis vcftigia permanent ; alibi vero eorum verba, Se fenientiz dumtaxat apparent qui Auflomm mentem detorquere prave voluerunt ; ut Dollores fzpius fibimetipfis contrarii. Se inconflantes, atqde volubilcs aliorum culpa exillimentur. Igitur qui velie ex Do£lorum leflione fruSlum colligere, facileque ftatuere quid ipfe judicare debeat, atque adeo in praxi executioni mandare, nccefie eli ut ante omnia certo fcìat quznam ex iis duabus regulis norma effe debeat, qua opinione: examinare, Se afliones inllimere, ac dirigere valeat. Id vero cum tanti ponderi:, atque momenti exillat, quanti unulijuifque facillime cognolcere pote|l, operz prcr tium eli ut exafle de ipfo trailemus. C A P. III. ^asnam tqmtatis norma in juJicìù, tf prJxi equendn J!t, XTOmines cunflos ad honorem. Se gloriam Dei Optimi Maximi non orane: modo, fed etiam languinem, Se vium profundere debere, adeo notum, naturzquc legibus in omnium animi: infcriptum eli, ut nihil magis; nobis autem Chrillifidelibus ipb quoque fide, ac Religione certiflìmum; ficuti paritcr clarum eli nobii, ac minime anibigmim, duo effe honorum genera quz Deo tribuuntur : Alterum eadem ipfii ratione aibuitur quam Deus ipfe nobis conllituit, quam qu« a Digitized by Google I^o DE J U R E que a nobis fé cxìgere dedaravit : Airerum ^vero ea forma qua nos Ipfi honorem habendum exiftimamus. Scatuit igitur facrofanéla Ecclefìa linumquemque utrifque teneri ; fed primis, Àvinis, fcUicec, praxeptis, multo magis : quod fi aliquando evenirec, prout rerum humanarum conditi© fcrt, ut non poflemus utraque fimul integre praeftare, iis exa6le parere dcbemus quae Deus manda vit, omiiTis iis quz pendent a nofira voiuntate, fi impedimento fint quominus divina prxcepta exequi poflìmus. Cum enim divinura przceptum foret Mofaica lege fìrmatum, Parentibus opem ferendam; cumque ex hominum pietate fponte induAum fuiflet, Tempio maxima dona elargiri y Chrifius jefus y Deus nofler, reprehcndit acerrime Fharifxos qui tempio munera olferre, quam Genitoribus auxilium ferre, atque fubvenire, impenfius laudabant : eamque divino ilio, atque fanétilTimo ore caufam adduxit, quod, fcilicet, hoc divinum, illud vero humanum przceptum elTet ; luofque docuit fideles nulla efic ratione laudanda munera quz tempio tribuuntur, fi impedimento fint quominus Parentibus auxiliari pofiìmus, prout Deus ipfe przcepit. Id vero ad ea quz nunc agimus mirum in modum conducere, atque accommodari pofle manifefio confiat. Exploratum fiquidem efi jufiitiam diferte, atque exprefie a Deo przcipi, eaque Deum fummum honorem fibi haberi declarafle: quz fi jufiitia defit, Principibus ipfis, ob id, atque Regibus regna, et imperia auferenda, atque in alios transferenda docce : cujus doflrinz innumeros polTem facrarum litterarum locos tefies laudare. Cercum pariter efi Ecclefiarum immunitatem ob innocentium fecuritatem, et eorum qui jufiam aliquam erroris excufationem afierre poflent, infiìtutam fuiiTe Principum legibus, et Ecclefiafiicis confiitutionibus fancitam, ob reverentiam qua profequi decet locum illum Deo lacnim ', non ut Ecclefiz ex orarionis domihusy fcclerum omnium rcceptacula, et Utronum fpclunca fierent. Ex his omnibus confequens efi neceflario ut jufiitiz habenda ratio, eaque veluti norma, et regula fpeflanda fit, qua legum omnium de Écclefiafiica immunitate fententiz, et verba tanquam tratii»» ponderanda fint; legefque omnes, et conftitutiones ita interpretentur, ut nulla ratìone Jufiitiz obdTc, aut impedimento quomodolibec effe pofiint. Quoniam jufiitia, ut diximus, honor efi in Deum, ab ipfo Deo nobis przcepius, et procul dubio femper optimus ; Ecclefiarum vero immunitas honor efi quem homines Iponte, ac fine ulla divina przeeptione, Deo tribuunt ; quique, nifi, prout maxime decet adhibeacur, Ecclefiam ipfam non honore, (ed ignominia quam maxima afficit, la$ronumfuc fpcìuncam reddit, et feeleftorum homimim infiune Alylum. Hzc vero cun£U clarius oftendit quod ait jeremias Propheta, dum populura reprehcndit, qui externis hifee revcrentiz fignificatìonibus erga Dei templum plus zqu« fidebat ; eumque monet, ne hac fiducia niteretur, fed in Deo fpem poneret, qui in genus hominum quodlibec jufiitiam exercc•rct. Quam ob rem rationi maxime confentaneum, tutum, atque optimis innixum fundamentis efi eorum confilium, atque fentenria, qui lacrorum Jocorum immunitatem tuentur quidem, fed intra ccrtos limites, ne jufiitia pereat, adeo necefiaria ad publicam tranquillitatem confervandam, tolleifdafque injurìas, et dethmenu quz prìvatis infih ntntur. M. i«« ninnr. X( in quotilxt -«vtiini jiMcrk fanc ««i» fivi,* &ChrttùuHM j» dex, fr ccntrarias jaiit-^nfaliorani a^ioiM* 'àri^crit, M la frót iacMadnm ftaiiien quod Eccldlanim ihioMninwlavnt, n tanna ntione, B« jaftiiiam ap[irimn. • • J Quilitiet auKcn, t]u( aenm actem inwpdeK t ^ la arit, dare cogndcet hanc éfle rationem qua cunda tolii poICnt oftenfiones, 8c mala qtn riginem craxeruM aa ipia vilrittaia aon opniònant’ laaxn, gnem privatarum rationum. ut qaivis bcitios po8w ' palpicene y aiTeram quid hac in Te Jtirta..€oiaài(i ftatubadan cenloerinc, qaodqua kì opiiniz juTta, atque neceflanlB titilioncm ‘atiqaan »hrte pofiìa* Ubi^veia ciitiÀi in eamden opiaionem non cdavemcac, AuAarum noauaav qoi lentcntiam ^uioMni’ paobaverìnt « adfcnbam ; 'ta i am qae tantaamuàia rocncìanem. t'aciam qui jhxioria, Bc cclebriarir fait aMoina, fc exiAV marionù : Seplua ' SpH'capuan Covaiùviaai M(le«a kiidaba, nim quia Pnrfbl Hil'pahua eft, qui ThdencàtatCaacilio i an a ^ ; tuia eAam- quia dodrina, probiure, 8i pietaK minime datus ab omnibua, fi ctadpicuut habctur : Sapinc Prolpemm Faaaaciiaai, qili diu Rena *nit, Advoeatus prima, max Audiioris .untai m aaiw, ft'Fifoi deniquc PatnHit», etiam iiib hoc ipfo Patito V. Pontifiet. Ad atam-wero cairanaiB Itbri, Bt Doh Viri Traufetlpini tnlciìt, loca ad n a t a hr i, ur, fiqaia oGÓnliliariis tuis, 6c Jurii-CatiUiltis inWe^A^are cupiat, Àcilidi cuaVa &i». venire, Se imdtigere pqffit. -Otania autem hac dilqailìtio facilliiaa ad cria capita ledigi potorie : m,. Primum ; Qnzmun fiat ea (acni lata qua ad fr aonfugiema Meatitur. . • j Seenndum': Qinenaai pcf(ó«aMai toaditia, tt qaodnaoi deliéKi gcnus loco facro pr»tegi,^aut ma paoxegi pOSit. ', .1 Teraium ; Quanaan ratioae a (acria locis eatrahi dafaeaat ii qui eiliiA tagi idvctios jullitiam non poflìiat,..,'u. ^.i t .r .. Ul ..1 I - .1 { ftet* Ik 4 td'fi amfiipmm ntmuwr. ’ -comprehendi; Ecclcfiamj- fcilieótiQmdEcdefix adhkrent, leu folum fuarit adificiia omnibus vacuum, Mi domibus tedhtm; ^ Xlwpafiiium Ipatibm, fi Ecdeha MetropoliiaBa fiicrit ; XXX. vero, fi co tinllo iiifignita Mn fit; Et Epifeopi domum. Nfee alind eli de quo raen-tio iis in legibut, A Canonibtts ftfia fit. Ecclefix nomine Haiuunt unanimea Dodores omnes Oranriu non coraprehendi ^ quanv^m in où aliquando rct (aera fiat ; aut ea qnc in privatomm doatibos, et in GoU^iìs hicorum, quas vulgo confntcniitates vocant, zdilicantur, quafque domini diruere, atque mutare prò votnntatii arÙtrio fàcile pofTunt. Ncque omini debet, immo attenta cura animadverti, quod EpiTcopus Covaruvias hac de re diflerit, (a) Hifce, videlicet, temporibus occurrendum maxime effe eorum temcriuti qui, Ecdefiarum immunitate confili, quodeunqua ddiflum perpetrare Tom» il. Q audent. fovaiwiar . i. var. r. io. i I1LA .D ;r joU' H ?E WI(Ì 4 M« coin «M! wwtowi» M W f w i h B i itnaiftmum Buciwriaia itcrMMacMi lubcnt. Ubi umen Prxiutcs hac juiU modowioM "ooii Ec ci«(ì«r«M iMfnin* «Mtemir ^«uKuii^e ùim «erto, ac pxe|x:f«w divino «litui dÌMMC-A nen lintiv n. uiPt dM sui «dbatet Eukfia Xt> (tu XXXi pi£>un fp*tio« ajuUnn àmaanitatrm Ecairrisàii 91M1. (dnt Mua Ctviiaiia, vd^Catorun-moeOlia., iwuil convwirai^actifiiciaa Has enin 4 c.ie-.Ca«on ex frede-ftamia, D a ft a r ar oanianitcMH nec .atla pottft ho mi èaUaatio; iauMi aero noa daiuiu i)ui id oiaat cuoi Urboi oouiim Mteoi» CIMI diaMK.eàtl«Mdi^jus ni sudtiiani ulu obtiiuUfe, ^ dine amlucBidinv, ik^u» fuac, danagaiuiD dk. Cauta me, cur neiMiiaierconclitdaM'dnMM ipMMn iUiid niiUana. pradua habere immiuiMiam^ilicH al>rMaM«aM iaafoa- aautem, cum «lio Canone Muntimi il qui tacMÀ hao paecat, eum laatj’-cujaajibeci laca immufocaia dafopfore ie J«nd pafla,-ridM|. et XI^ fadaun tpatuM focnin afot, ifov-iàciatn aliqnad in co ^mpetrarant, éideai ouliifei, ab EcclaEarna». {requantiaoi, Jcl» imaH«MaiaMcn pi^r. Sad ^ ea «unqiie fuerit canfa, parvi rrfert, cune illud cxpfomuini omniao fic in Cdfoan'ihaif et Calw buUmh anpina hujniceMÉdi. ffatiii immuoitaKin concedi, i-Htac- etiaai cafoUftiur, qwid Manfoi)iiiir aadde», An.-fohcat liflorej polTmt cura qui ad Ba:OViPtm, dura de Ecclefiarara traaiiiniuie apiau-, foe àia ^c||À« tfoinm tvmo cft qux extra Civicirà, et Caltronn* m#. ma poCuit inHOUilitatcìii _adj^ pafUmm ipatium portiguiit^ . Quod qfro atcinet.ad.E^ra^i im>m, non canveniust iatfrtiDodfoe«s{ rasici pamqqt. ex aaroni uimmo animadvcrcuni alia Caaont Un^iu»>aflà.fo Bpfoopm doraaira hum .£c«lefic ( e > proeimatn, de adhxremem hibcat. Quare neceforio intra XC pafitwai t)uiium efltt k .jfto certo «ondiiuuoi Kpdcafo ’domnra, fi loogius ab E«laAi dtjcc, rauiiam qsiniuq iqimumtiiteni obtiaeM. Cura ncro EL. [foruum fo càviiaubua, et qaftria qqn babeat kicura, conlaqindls ed ut Jfifdcapi domila raiUóra panici Munamcaiera babera potEm. ---c - iV* ... -V De eie-, '.ìu*' - •••'• ‘ tajAx. fi) (pr»f ia. a,*.™’ ^Ux*rat\,ilr. f*. TW a i«. . ria K to.' iy# •- *>. ihyCmhmHr.ir.ttem de ìmm- a^e. (c) 0 i.r 4 rf.«*|C yy. Clnf.e. CUnf. jo. DC(Uk. lìb, 6. e.zy. 5. 14- Farfn. .jS. fetw. yauUue,ioit:»s» De coemeteriis vero, Hofpiulibus, 8c ConcUvibut, ubi Fiatres doimiun[,-ae verbum quidem lex ulla fedi. Canoniitz taniummodo, qu« ignoramia f»pe, aut ambitio tranfverlbs rapir, Ecclefiarum nomcn amplificare, acque ad hJK eiiam pcrtrahcre voluerunt; plurimis tan-.en condiiionibus, iifdemque adeo variis, ac itucr fe repagnaniibus, ut vix duo conventant. Ex corum auiem lenccntiis confuetudo diverfa induda eft, prone iUi plus, minufve audoritatis habuerunt, et hujuicemodi locorum,iaal etiam deliftorum numerus exigere videbatur. Quo fit ut, ficuti ddiit locis nihil omnmo legibus làncitum eft, led conliietudine tanium, atque interpretationc eorum immunitas inirodufla, ita ubi contraria eft confuetudo, eadem a quocumque judice fervati debeat, citta uUam ertandi formidinem. Perfbnarum condì fio ^ et quodnam deìi9i genus loco jnero frotegi, mt non • pniregi po£it. E st omnium certilCma fententia, qui in loco facro deliquerit, («) licei leve delidum, nec atrox fadnus fuerit, eum tamen facro eodem loco non defendi; iitimo vero et ibidem, et quocumque alio fatto loco fifti a lifloribus, k in carcerem trudi polfe Cum aquum nullo modo fit ut Ecclefia eos tueatur qui, in ea peccames, injurias eidem intnlcrant; (i) nec Ecclefia: ca:tera! defendant ejufmodi teum, cum omnes unum, ideraque fint, ob earum in Chrilluro. Jefum conjunflionem. Quod ita clarum, atque certum eft, ut fupetvacaneum omnino iiierit pluribus confirmare. Hinc etiam illud confequitur, ut eadem Ecclefiarum immunitas nullo modo protegat eum qui verità legibus arma in Ecclefiam detulerit,ea naroque deferre peccatum eft quique ca in Ecclefiam defert, in Ecclefia peccar: quo fit ut in ea a lifloribus vinciti poflit, 8c in quolibet alio facro loco. Quod ob publicam tranquiilitatem judicarunt Doaores fingillatim monendum, et animadvertendum effe. Fnres etiam, qui aut in Ecclefia furtum fecerint, aut cum re ablata in ipfam confugerint, ex eo quod in Ecclefia peccant, ab eadem divelli queunt. . Poffunt. itidem ii a facris locis abftrahi qui in Ecclefia crimina traaare audent, quz fponfionum vocant, aut quodvis aliud negotii genus legibus prohibitum, ex eo quod in ipfa delinquunt. De fponfionibus vero przeipue adeft etiam Xyfti V. Pont. Max. dcclaracio, buie rationi, veluti fundamento, innixa. Nec differt an deliflum totum in Ecclefia perpetratum fit, an quod extra Ecclefiam initium babuerit, in ipfa finem, vel etiam contra. Pariter namque Ecclefia nec eum tegit qui, Hans in acro loco, aut extra cum, bominem in Ecclefia exiftentem interficit.- nec eum qui. Tomo II. Q. * CUOI (a) C.imnuaUotem. De trnmmiìtate. (b) Olìltnf.c.fm. de Inm. Eecì. .Aldus ìbitU TeUf. dec.^is. Faróueap.iS. Jitait. 66. Cler. ept.jo.Coceriev. Fsr.Ub. i. cap.io. p. iS. Iunior. Deciso, i. 6. e. x6. 0.1. HÒflieo.infum. Jo- de Fìf ct.de m.p.6s. Coofer. Con.io.FoUer. prioe.e.mUe iut.jO. feuuc.e.iS. ««. 154. Cox’ar. Fsr.l.tA.io.f.tS.1X4 D E J U R E nim Ct ipfe in EccIcRa, auc bellico tomenta, aut fagitta, aut miflilìbus aliis alienim inceriicic qui extra lacrum locum fuerit. Hac igitur certa, atque clariflim^t enunciaiione, abllrahendi a qua vis Ecclciia, et iacro loco cu|u(vis generis reos, quamplurimse dubitaciones e medio ablacx videmur. Etenim qui diligentìus attendere voluerit, cogoofeet &• carios omnes, qui ad Ecclefias confugiunc, arma fecum ferre, atque hahere, legibus etiam vetita, ut adverl'us juOitiam iplàm, fi ras ita ferat, fefe tucri podìnt. Quare ii omnes EccIeCarum immuniute uà nequeunt, et in quolibet facro loco prachendi pofTunt, lieet alia ratioAes non concurrercnt in id ipfutn. Statutum etiam exprellìs verbis Canonis ed, eot immunitatis privilegio protegi minime pofle (a) qui delizia commiferint ca fpe, atque confilio, ut facro le loco tueantur. Siquidem Ecclcliarum auxilio uri debemus, ut peccatorum veniam confequamur qua jam admifimus; non ut nova facinora perpetrare turo valeamus: quod etiam nullam habet omnino difficultatem. Verum enim vero, cum hominum mentes, atque co nfilia fint ab oculis omnium remota, atque penitus abdiu, non polTumus, nifi conieéharis decernere, an reus deliflum admiferit (i) fpe excitatus ad Ecclefiam confugiendi. Doflores vero dicunt, qui, llatim ut làcinus perpetravit, ad Ècclefiam fugit, eumdem eo confilio perpetrallé, ut co confugeret, datuendum elle. Et certe qui jam datutum, atque decretum habet ut facinus committat, necelfario ftatuendum videtur, eumdem etiam cogitalfe, non folum quanam ratione ìllud polfit admittere; fed multo magis, quonam fugete debeat, ut lefe tueatur : Skut etiam qui de improvifo in errorem incidii, ficut nunquam antea de fàcinore cogitavit, ita quoque alfirmandum ed ne de refugio quidem cogitalfe. Quare, quotiefciimque confilium, atque deliberatio deliSum preverterit, et reus ad Ecclelìam confugerit, id coniulto iàdlum; ideoque loci lacri immuniate defendi non pulfe certiflimi juris ed. At quoniam de conjedluris agitur, uirum impeto quodxm, fc perrarbaiiiMie; an potiusconfulto, et cogiato perpetratum delidium fuerit, Judicem ipfum pnidenter, atque ex animi fententia cognofccre oportebit. Hac autem immuniatis exceptio, qua reum cxcludit, cogitato, et confulto ad Ecclelìas et facra loca confugientem, quodeumque delidit genus ampledlitur gencratim. Quod vero dngillatim ad homicidia pertinet, frequ entius deliAi geBUS, eum non tegi ab Ecclelìa qui alfadinium, ut vocant, commifit, ceniflimi juris ed; nec Scriptor ed qui didèntiat. Etenim juda Canonis leveriate in (r) Lugduncnfi generali Concilio idiplum fuit diferte decretum. Veritas tamen eli ance CCCLXXVI. circiter annos, cura Canon ille latus fuit, aflaflìnos extitilfe quoldam Mahomecana perluaIkmis populos qui fìcarios le ptolicebantur; atque eorum caufa Canoa datutus fuit. Podca vero, cum Dodlorum omnium interpretatioBe, tura etiam ufu, atque adeo communi omnium locorum praxi, AlfafGnorum nomine delignaacuT hodie quicunque, padlo pretio et mercede, (a > C. ÌMminiifate. lìe ìmm. EctUf. (b) .rlWar.prrff. B. i6. Meno. pra. IO.. iC. jliictf‘Ponf.Ocf.;4.Cltr.4H.io.far.c.r8.f.ti.C>' t. Far, f.io. J. i.j.(c)0*j'.f'inr.s4. l.i.CjJfM. TrrcI'Salde Jrclì.c.f. de inju$ y ìgncv.$ TiÀoj. Bc«Mlii.'fgHardb>>J«« dclicluia-inpiiàa elfet, aquuBl viikn «•« pottA W £celeCa cat lanMuf qui toM, iSc batta) >Raipuhlic»f cum nulla omniMLilea OivUib, mila •Canonica, Ucaaniin im>ima MBaluaiuM itafcaiH ^uui-^iom laatoKia cUmnavii; led eiK 'iamuBHiraio 9U«ii%julli«a iata|intaur| antc^ttn- Icntemum fwci Eaal :)« jam.ilaaMaoB «A, Jn-.d«ÌMa opeta, a«]ue nulki4c'i>i>) v*uiae éuesringradùiKainaMa, praaar ìAcuìib catffa «aiI» mnlftatm eli, gr i mH cóam ddifliia hunnari vero ad uiraaMi, C.- dh p wn tt.mqBcanapaaber pdeAacum iamnnicatt defendi, atque ledcam ad. .paaMmpianna ab e« qua. diaiOMa, «aaatfaai 4 >bhmu lb(riat;riS«abru vera non damnans qiudem, •Acd.aoi aaatummodc^ii^ «MliMa itàtem» laiiidum damnati faB, «aecàipofliH «ci«B>A||iwldlmMHà' ad,iaanAra pape («dilicia.-làraiacdMbdMutilPadcgibuci, aiyi'tcìinnBibus (id'aiui ad Ecclcfiam confugicnies non polTunc Domini imperiiim excuier«;.Al.di>tuna-' ibMnanKateni a lu piaa a aijuttaa, vitate ladùic.'ad iocviiio,. fau ci admodom bac de ae-BuflorcK^-diribuot, cmi id cara,. de «te eiifi nantiiai) in Civitatibuc, qua L&uinicai amiare tgteK, 'accidat.-;«a vara (Muadfime liint. m al i tewiua Gramaui naa ialam’ m ca tioni conteain in mediura attect; (mL Miim ali ufii caed^tuai y dbdege^in Luiitania làacitiim, qood.aaaoi prafaat Vinccaduc f'Multa cctub qiua lìngillatiin baqtMnicr. ialeai accidere, utaB -Juga. neratim colligi pottii laacoraa fa facorura r~r~iif) cardcfàBdte osa putte qui quzvìt alia gravia tc enonaia deliba comai^mf drente, aut iildem, aut mcfarfaiis oiiam dtv eaulis, quu liipra leeenfainiu», quodeunque alind gnve.delttea cotapfafbaitur. Hac autam coaclidip in univerlite prolataraaura, (cilieaf, cupifais atroeis facinacic, A èd facra loca oonfugerit, ULproicgi haud potte| ima» a fattitia liaeMBipli violatione extrahi fas «dày probatia a Jacate Ravamts-^ Cyte Piftonenic, Petra Bellapeitica, ) n am « Igneo, Antonio a Buariai,.|facro Ancarano, Alphonlb Aivarea, Petta.Cetgorio Tofatano, Tibatefi^tcit' ■» ...lu *■-. néy Ab ( b ) Cam, dcf.^6, Fratr. ctefai jo. OUra, (c) ytw..i.r.* O^.' « mr.c.U ver* Dt Imm. f. iS. yintàr. codem. ^Izdre^ I» thef, t.i j. «. jo. Syittaj. l. j j, c.\ x. DerÌ4E.. nut mOud omnino EcoMiam Rofliz hu ai» imouinma;* ied .pudica ip4n tÌMuiora rat» a ^iW»« Ecclefi» vi «Mtiahi ) nh cw p ywd a iW tiic«>Manmo perantaenr, ae jalMiia’ priauniwr iJ>«snim diòtac ncUTamiai jndicaluf. fa^-Quacc Pnip«r Faritiacnifran« ulìaa ftcBia recepcuai, afirmat Bcoiofearim ipa uma ii in oai, cun ftaiufa inen» ab ddiSs qua' aalto coa61ào,,fcd impaa» quodim fiant. Siti rdugam» milòranim, non dcbei» KccleCas latnauw tpolaaca& c^cK, et «ornai ricapnculaa qui aooaia facàtera pcrpsir«\ c>iac ; aieaqnO talk,’ tap^rqua efloy iì Judkies miinoria >bibl«llii, qui Itvidia 4elii^ juilkant eam ' obloroeiu led OM^roi jndicni in aarooocibai ;ba non lencri; prave oiiam Veneti 1 k» logr contUtueiam ilL Noa.> Aprili» Md>CX. Mii. . '•io»l. .W.Ì Qnanam vero dtliAa aeibcianm luxnÌM otnfeaanr, peatar ùlqaeil ipfum delifli gcnui prafefert, k ic^bn». impafita fack «dtipi poteA; dnbet JtiMck tiomemia oagnoKly baiiiu aaiioBe flatus, comlkioniique, BM «jus qui inpriam iirfiae, lam «jua ctiam qui cam paflia fuity aVaMniBi ^i^ oanla, ccrapork, qua, fciUctt, de caufa, «by et quando, onaamifluaa fueric delkluni ; roran etiam qua ob id evenarunt, perflirbaeionisi, kfleniionisy tt aliafwn, qas ém majos angeni pctpeinoim làciau», iacmnique ut mugn, inagil^t in odio kabeaur ab oauMbnt. •« ’uU leu i ribus de eaufis, qa« iingni* fluir pon eflent, in enormu atqueatrocia facHioca evadunt. Cun» ver» iannnlaaabiies rmt.aalas qui flepius accidoIV |Mnva» vas aliquot opiniones habeant, baptiffiiatis tamen chara^ere infigniti, Chrifium Jclum aliqua faltem ratione venerantur, quem infideics averfantur, atque execrantur. Teme . R CAP. STORIA DEGL’USCOCCHI SCRITTA DA MINUCIO MINUCCI, ARCIVESCOVO DI ZAKA, Co' progreJi di qoelU gty»o, rnirìiauta fino alt anno MDcxri. DA P. M. DE’SERVI» della Serenijpma Rept$bbiica Vènn^a, JON mi pongo a fcriverc la Stona degli Ufcocchi per far celebre il nome di gente tale preiTo a quelli ebe la leggeranno; nemmeno per foddisfar l'emplicemcnce alla curiofìt^ di chi fi perfuaderli forfè di aver a vedere in quelli fcritti varj accidenti feguiti in molti anni nelle fcorreric di terra, edi mare, colle quali quella razza di ladroni ha fpo' gliati ì mercanti innocenti, e dilettate le Provincie, turbato il commercio, e cimentati in pericolofe guerre i maggiori -Principi dei Mondo con dubbio di maggior turbolenza nella Cridianitk, fe raltrui prudenza, e autoritlt non avelTe fempre attefo a divertirle. Non è quello il mio fine, nè per quello vorrei io perdere il tempo, che polfo, e fono obbligato a fpendere in pili giovevoli eferciz) fecondo lo dato, e la condizione nella qual verfo, con obbligo piuttodo di operare, che di fcrìvere.* ma penfo che fta fervizio di Sua Divina Maed^, e utile a’ Principi Cridiani, che fi fappia onde fieno derivate le ragioni, *che in fettanta anni non fi fia mai, potuto rimediare alle rubberie degli Ufcocehi; e come fi fia ritrovato il modo di farlo in quedi ultimi tempi, quando Tinfolenza loro era arrivata a tale, che non erapih pofiibile il folferìrla; ma dinecelTitk fi aveva a reprimerla, o ad adpettare un'aperta guerra fuor di tempo, colla Cafa dAudria, e la Repubblica di Venezia. Il difeoprimemo di quede faccende cred* io che tanto pofia fervìre a* buoni Principi, per tener T occhio alla mano, e agrinterefii de* maTomo II, S li Mi ; li Mipiflri in qaefta, o in altre limili occorrenze^ biffine di non UfciarG ingannare in pregiudizio della fama, e dello llato proprio, quan fogliano tener celau la verità altrui, preferendo ringiufliOìnio guadagno alla riputazione, e al buon fervizio de’ loro Padroni; ficcome anche una tal notizia far^ atta a far conofcere al Mphdo (he, quan^p i Principi dicqno,' e fennò daddovero, e fi fervono di flrumChto fecale, c valoròG), non pnffono. aver tempo i ladroni che inquietano, e danneggiano i vicini; e fono fpeiTo cagione di pericolofìflìme guerre. Quefli lono adunque tutti gli (limoli che mi han tevano agli fpetracoli luUe Forche, cominciarono per vendetta, o per rapacità, ad ammazzare, depredare, e ipogliare anche i Valcelli, le Ville, c le Terre, e i fudditi Veneti; onde Gnalmente fu coflfetta la Repubblica anche di perfeguitarli non folo lui mare, come aveva fatto per innanzi, ma anche nelle Terre, Caflella, c Città ove fi ricoveravano, fenza mirare a’ padroni de' quali erano; e lenza altro riipecto, che di levar dal mondo gli affailini, che ogni giorno diventavano più fieri, più barbari, c più ianguinarj : il che minacciava una manifeila guerra tra’Principi Cnfliani, le Papa Clemente Vili,, vedendo il pericolo, non vi aveffe a tempo incerpolla la lua autorità con graviflìmi configli, acciò, mentre fi guerreggiava in Unghcru contra il Turco con tante difficoltà, quelli nuovi femi di comefe non rocrceGero i Crifliani in maggior rilchio .* onde ne feguà in fine il defidcrato accomodamento, che farà anche il termine al quale ha da arrivare con l’ajuio di Dio quefla delchzione per l’ordine divifaio. GLI USCOCCHI SONO GENTE Diltnatinà, dallo Stato di iln Principe, o. per delitti commeni, o per impazienza del giogo tirannico, fuggiti ai Dominj di Principe vicino; e ciò fi dimoftra dall' ilielTa voce fioco, che in latino fi direbbe transfuga. Quello nome, lenza titolo però d’infamia, cominciò ad acquillar grido, non fono ancora cento anni, in quel tempo in cui l’arme Turchelche, eflendofi dillefe per 1 ’ Ungheria, e per la Grecia, nella Bulghcria, nella Servia, e nella Rafcia, travagliavano i confini della Croazia, e delta Dalmazia; perchè all' ora molti Uomini valorofi, non potendo viver fotto la tirannide Turchefea, ricordandoli di elTer nati nella vera Fede dei Vangelo, partendo dal paefe gib foggiogato da’ nemici, fi ritiravano a qualche luogo forte de’ Criiliani ; e di Ib, flimolati dal dolore delle cofe perdute, e della patria foggiogau, con molta ferocia ajuuta dalla notizia de i palli, e dalle legrete intelligenze de’ parenti, e degli amici, corfeggiavano ogni gbmo, e portavano a’ Turchi molti danni. La prima, e piò faraofa piazza che fi cl^gelTero gli Ufcocclii, come piò opportuna a quelli loro furtivi alulti, fu quella di Clilfa, Fortezza polla fopra Spalatro, poco difcolla dalle antiche rovine di Salona, in fito fortillimo, ove fi apre un fenticro flretto, e pel quale foto fi cala dalle vicine montagne della Morlacca verfo il mare ; ove portandoli diverfe mercanzie, chi è padrone del luogo ne cava anche dazio importante. Era all’ora Signor di Clilfa Pietro Crofichio, come feudatario della Corona di Ungheria, il quale, fidandoli nella qualitb del fito, che pareva inefpugnabile, dava volentieri nccrto agli Ufcocchi, giudicando incautamente di poter colf opra loro render piò ficure le cole proprie, e forfè dilatare i confini, e arricchire di fpoglie. Ma gli fucccCfe tutto il contrario; perchè, prov9cati i Turchi da’ continui danni, voltarono il penfiero alla efpugnazione di Clilfa nell’anno 1537. al che forfè non avrebbero afpirato mai per la difficoltb dell’ imprefa, fe il Crofichio fi folfe contentato di mantenere le cofe fue lenza fluzzicare il verpajo, come fi dice : il efie può fervire di avvenimento ad altri piccloU Signori, di non provocar l’ira del maggiore, confidandofi, 0 in forze, o in appt^gio ^ altri Potentati; per^è Umili fperanze rìelbono per ordinario fallui. Vedendo adunque il Crofichio la rovina che gli veniva addoflb, fu af tempo d’invocare, c ricevere gli ajuti di Papa Paolo 111. e di Ferdinando Imperadore, co’ quali elfendofi pollo a dillruggere due forti che fi fabbricavano da’nemici, a fine di llrignere Clilfa con alfedio lungo, fu con improvrifo affalto rotto da’Turchi, e uccifo; onde, mollrando la fua tella a’Clilfani, mifero unto Ipavcnto, che tollo rilolfero di arrenderfi, diffidandoli di poterli piò mantenere. Nell’ alfedio di Clilfa, che durò piò di un anno, occorfe un fatto memorabile, del quale non cifendo (lata fatta menzione da altri, non mi è paruto fuor di propofito il riferirlo in quello luogo : pafiò egli dunque in quella maniera. Nel campo di fuori fi trovava un Turco nominato Bagora, di natura grande, e di forze tremende, il quale, come un nuovo Golia, sfidava ogni giorno quei di dentro a fingolar batuglia, rimproverando loro la viltb, e la chiufura della muraglia : arroflivano i CrilliaTomo !!• S z ni di 140 ’ STORIA fii di vergogna; nu ritenuti forfè dalla prudenza del Capitano, e for« fé anche da ragionevol timore, non ulcivano da* ripari : quando un giovinetto, nominato Miloflb, il quale ferviva al Crofìchio di paggio, (t fece innanzi al padrone, diman^ndo il combattimento contra Bagora : ma riprefo come troppo audace, e dilugaule à tanto nemico, f^giunle ch’egli confidava in Dio di doverlo vincere.- c (c pur rimancfle perditore, farebbe poco danno, c poco dilonore de’Criftiani, che un Turco di tanto creato foire recato fupcriore ad un garzone : in fomma queOo era (laro detto da Dio, come un nuovo David contra Golia, a- domare la luperbU orgogliola di Bagora. Ufei egli adunque accompagnato da divote orazioni dc’Fedeti CrifUani, c con un colpo di feimitarra, che fu forlc il primo, tagliò netta una gamba al nemico; il quale, f^ermatofi nondimeno falla colcia manca, tutto rabbiofo fi andava girando con tanta furia, che l’ardito giovane, febben gli laltellava intorno, per venire a fine della vittoria, non poteva però avvidnarfegli per far alcun colpo; ma aveva che fare alTai a fchifar quelli dellinfuriato nimico, il quale nemmeno con tanto empito, che, Icaniando 10 il CrilUano coll’ agilità della perfona, non potè il Turco reggerfx luila gamba tronca, o lulla lana, ma cadde boccone, c nel medeGmo tempo gli cadde di mano la feimitarra; febben altri riferifeono che U gittò via fpontaneameme, con dire a MilolTo, che lo feriva di lontano con-fain, che non lo volciTè uccider come cane, ma come Uomo di guerra; o ooù colf arma propria gli fu troncata la tefla, la quale fu portata con allegre grida dentro a ClifTa; ma eirendoll ei 11 poco dappoi perdura*, non potè eifer lunga Taltegrczza di cosi nobil fatto. Venuta* Cliilà> ia mano de' Turchi, rellò loro libero il pafTo, per fare feorrerk in tutta la Dalmazia, e Croazia, lenza impedimento; e lì ajirirono il primo adito nel Contado di Zara, dfendofi loro io quei medefìmi gioni renduto anclic per tradimento Nadino, Camello importanre, poAo nel bellico del medefimo territorio di Zara: ma gli Ufcocchi a^'anzati alla infelice battaglia lì ricovenron» tu Segna, Citch polla in un'intimo rcccflb del icno Flanonico, oggi detto corrotumente QuarnaTo, o Carnaro, da’ monti di Gamia che l’inquietano con tempere continue, di rincontro allTlola di Veglia; giudicandola opportuna a’ difegni loro, per; la fortezza del fìto naturale, ajutaio anche aìTai con'arteiperchè per la via di terra, rilpetto a’bolchi, c monti, non vi fi poteva accoftarc cfcrcito, ne condurvi la cavalleria, non che le vettovaglie, o i arriglieria; e per mare non vi era porto capace, nè anche di poca Armata; c il tenerfi fu quel canale era perìcolofo eziandio in mezzo alla State, pel vento di ^rea che vi lòffia fpelliflìmo, c che, per comune opinione, (febben par favola il dirlo) li può concitare a voglia Perciò gli Ufcocchi tanto piò volentieri fi ridulTcro in quel ricetto, condotti anche con onorati liipendj militari dalfimperadore, perchè, eflendo ellt uomini feroci, e ufi non folo a camminare, ma anche a correre con piedi faldi per bofehi, e per balze, pensò, mediante l’opera loro, di tener lontani t Turchi da tutti quei confini, c far difabicare la Lica, e la Corbavia, dalle quali Provincie foprallavano 1 piu vicini pericoli. Nè gli riufe^ all'ora male il difegno, mentre gli Ulcocchì attefero con gagliadi ftratageromi, e con repentine lòrtite a battere il nimico: ma tolto cominciarono a convertire le onorare imprefe militari in latrocini, e rubbamenti de'Criltiani, onde fi rendettero odiofi a tutti i vicini. Li medefìmo MilolTo, che fottoClilTa nell' ammazzamento di Bagora aveva acquifiato tanto onore, corrotto in Segna col mal’ ufo delle ingiufle depredazioni, dappoiché era diventato Uomo di maravigliofa fortezza di corpo, contaminò la lua fama, e fìnt poi la vita in Zara con un capefiro. Gli altri, valcndofi della comoditi del Mare, e de'recefll fallaci, ne’ quali difficilmente potevano elTer feguiri, avevano introdotto rcfercizio di alcune Barche vclociffime, colle quali coiteggiavano le marine, e afficuravano le prede che facevano in terra da qualunque improvvifa furia de’Turchi; coftumando di nafconderlc ne’cefpugli, c anche di fommergerlc fotto l’acqua, per cavarle poi negli urgenti bifogni. Colle medefime barche affairavano anche! Vaiceli! de’Mercanti, o dentro i poni, o in altri luoghi opportuni con infidie notturne ; profelfando però dapprincipio di non voler toccare nè le robe, nè le pcrlonc dc’Crilliani, ma Iblo de’ Giudei, e de’Turchi; Icbben fpeflb trattavano tutti ugualmente. Onde la navigazione veniva impedita, e il commercio interrotto; c in Coftantinopoli fi facevano lamentazioni, c minacce contra i Veneziani, come quelli, a’quali, per le condizioni^ della pace, toccava di tenere netto il golfo Adriatico, e libera la navigazione per i Mercanti, e Sudditi Turchefehi,* onde Solimano fi la-' feiava intendere liberamente di voler mandar l’Armata propria alla eftirpazione degli Ufcocchi, e afficurazione del Golfo; cfib nei capellri, e nelle catene. In quelli tempi l’Ilole di Veglia, d’Arbc, di Pago, cogli Scogli di ^ara patirono tanti danni, che ne fegui poco meno che la defolazione : molte Ville fi abbandonarono, i greggi, c gli armenti, che erano numerofi, fi dilpcricro; c le genri, per difperazione, ftavano per abbandonar il paeie : quelli che erano atti alle arme, e alle fatiche, corfero tanto più prontamente ad alcrivcrfi fu le barche lunghe, che fino al numero di trenta s'andavano armando dalia Repubblica, come piò atte d’ogni altro Valceilo a Icguitar i ladroni per li ftretti canali, e per le Ipiaggie di poco fondo, colle quali ft veniva anche a metter gli Ufcocchi in maggior, dilperazione, a’ quali in Segna non fi pagavano gli ilipend) dalla Corte Cefarca; anzi di Ib proccuravaoo di addolTar qualche carico all’ Arciduca di Grata, per eflTcr Segna Frontiera particolare de’ fuoi Stati, lébben apparteneza del Regno d’Ungheria : e dall’ altro canto il pacle non dava comodità alcuna di agricoltura, o di altra induftria; le Icorrcrie di terra rilucivano di molto pericolo, c di poco frutto; c quelle di ntare, per le caule accennate, conducevano ben fpeffo alla forca, e non fempre alla preda: onde di pura rabbia gli Ulcocchi, non potendo faziar la fame col cibo, la sfogavano col languc, e colle uccifionì piene di crudeltà. J)a tutte quelle infolenze degli Ufcocchi, oltra il danno che ricevev.ano i fudditi della ScrcnilTima Repubblica, e le continue lamentazioni che portavano a Venezia elli, e 1 Mercanti che fpcflb erano fvaligiati, venivano ad irriiarfi maggiormente (come fi è giU detto) i Turchi- onde il gran Signore, c i Batà ne facevano in Collantinopoli continui rifentimcnii con protellazioni che, non provvedendovi la Repubblica, «fiì vi. provvederebbono da sè llcfli. I Veneziani all’ incontro, procèdendo colla iblita loro propria ^denza, olt^ la iòllecitudine che ufavano fempre maggiore di pcricguitar i ladri, e gafiigarli, facevano anche continui uffizj colf Imperadore', che non tolleraffe né' fuoi Stati una uni tana ingiufiizia; nè permctteOè contri quello che apparteneva alla dignità fui, e alla perpetua fama dell’ integrità della Cafa d'Auftria, che ne gli Stati fuoi fi deOe ricetto ad Uomini fcelleratilfimi, e a pubblici corfari congiungevano gli ufhzj a quello medefimo fine i Papi, moOi parte dal pubblico fcrvizio della Crifiianità, e dal peticolo di qualche guerra tra’ Principi fedeli ; vedendofi bene che a lungo andare non avrebbono potuta i Veneziani dar faldi a tanta ingiuria ; parte anche fpintì da' proprii intetelC loro, perchè nè anche fi portava rifpetto a' Mercanti d’ Ancona, e di altre Città della Marca, e della Romagna ; e veniva ad impedirli il commerzio, e il traffico con danno delle gabelle, e con rovina de’ Sudditi, Le quali tagioni movevano anche i Re di Spagna a concorrere nel medeCmo defiderio, e nelle medefime illanze per quello che pativano gli abiranti del Regno di Napoli, foliti a portar vini, grani, mandole, e altre preziofe merci a Venezia ; le quali medefimamente erano mal licure dalla rapacità di quella canaglia : oltra che il Re Rimava fua vergogna grande, che il mondo vedeffe elTer ricettati, e alTicurati nelli Suti di Cafa d'Audria i pubblj^ ci ladroni, oramai infami per le loro infolenze in tuta Europa, ? luori d’ Europa. Ma un’altro detrimento confiderabile moveva il Papa, come il Re Cattolico, a defiderare che foflc melTo freno a tante rubberie,* perchè, impiegandoli le Galee Veneziane nella perfecuzione di quelli ribaldi, non potevano elle a'tempi debiti ( come erano folite) feorrere U marine Pontificie, e Regie, per aflicurarle da’Cotfari, i quali, fatti perciò più arditi, volavano ciafeun anno di Barbaria, e di Grecia nella llagione delle Fiere, e ne riportavano fempre ricchiffime prede con numera grande di Schiavi, quafi a mano falva, non potcndofi tener netti quei mari con altri Vafcclli, parte per non elTere frequentati i porti ; parte anche per antico Dominio fempre lafciato libero a’ Veneziani di tutto il Golfo ; fotto il qual nome fi comptende quello fpazio di mare che fi rinchiude tra Otranto, e la Vallona, feorrendo verfo Ponente fino a Venezia. Tutte (quelle conliderazioni, e inierelli rapprefentati a Cefare con anta autorità della Sede AppoRolica, e della Corona di Spagna, non facevano altro effetto, che di Ipeziofe promeffe, e apparente indignazione, dichiarandofi di volervi provvedere in ogni modo; ma nel fegreto li vedeva che a’ Minillri corrotti piaceva il diflurbo che fi dava a’ Veneziani ; e forfè più la parte che loro perveniva -• delle prede. Si mandarono però alcune volte a quello effetto Comnicffarj a Segna con ordine di regolare quella milizia, o mafnada di ladroni ; fe n’ impiccò ul vola qualch’ uno, forfè de’ meno colpevoli ; fi reflituirono alcuni Vafcelli, e alcune merci di minor prezzo ; fi diedero ordini divulgati al Capitano di Segna, di non lafciar ufeire gli Ufeocchi per mare, e di non ricettarli dopo le lubberie : dopo i quali rimedj fi procedeva per alcuni mefi con qualche maggior modellia.- ma indi a poco, come ave llerò a rifarC del tempo perduto, fi faceva peggio, che prima. E febben, arrivando i malandoni con qualche groffii preda, il Capitano, per mofirarfi efecutore degli ordini, tal volta usò di chiuder loro le porte in facTomo II, T eia, e eia, e di fparar anche loro ianiglieria contra, (ma fenza danno per&) molìrando di non ammetterli, acciocché di tal Tua rifoluzione natidafle ravvilo all’ Ifole Venete, e da quelle poi all’ armata, e a Venezia ; nondimeno di notte s' [introducevano gl' Uomini, e le prede la maggior parte delle quali era del Capitano > c i predatori ne riportavano lode, e ciò che badava a trionfare colie loro famiglie per alcuni pochi giorni ; dopo i quali conveniva trionfare alla buIca, o morire di fame ; perché tanto contribuivano i mefehini in faziare l’ ingordigia del loro Capitano, e di qualche altro che co» mandava al Capitano ; c in mantcnerfi i favori d' alcuni Miniftri nella Corte Celarca, c dell’ Arciduca di Gratz, (che dovevano effer di quelli i quali, per mancamento di fede, fi curavano poco delta Bolla in Cccna Domini, o d’ altre cenfure ) che picciola parte ne rimaneva loro, come fi può argomentar facilmente dalia povertà, e milcria colla quale fono fempre vifTuti ; né mai fi è intcTo che alcuno fia divenuto ricco. anzi fi è fentito dir di un Ulcocco vecchio, fìorpiato, che, dando lèmpre a giacere in Ietto dedituto ^ ogni ajuto, confedava di efrerft ritrovato ne* fuoi d'i a tante preac, che le porzioni toccate a lui per certi conti tenuti cos'i di grof*. fo pafiavano ottanta mila ducaci; nondimeno era miferabilc, e mendico, cosi permettendo la divina eiudizia. £ fu detto piu volte, che alcuni mercanti fvaligiati, efifendo ricorfi alle Corti Audriache, per lamcncarfi, c per ottenere qualche reintegrazione de’ loro danni, avevano riconolciute intorno alle mogli de’ principali Minidri i giojelli, c altre cole prcziolé tolte loro. Cosi i Principi ottimi, e d’ imegriii, e giudizia incomparabile, vengono fpelTo ingannaci da’ mali configli, abulando della bontk, c clemenza loro, con denigrazione della* fama • c nel mondo fi celebra per gran gloria della Cafa d’ AudrU, che, dominando gìH 300. c più anni, cost lungo Impero, c cosi potenti Regni, abbia però rariffime volte, o non mai gadigato per qualunque fallo minidro alcuno, o nella vita, o nella roba mal acquidata : ma forfè meritano maggior nome di prudenza quelli che, ficcome fono liberali nel premialo i meritevoli, cosi gadigano .con feverii^ i mancatori : nè farò alcuno che polTa biafimar Rodolfo Imperadore della ientenza che fece contra Giorgio Popel, per nobiliò, c ricchezza tra' principali Cavalieri di Boemia, fc furono vere le colpe fiie, privandolo della libertò, e della facoltò : piò todo fi poteva dedderare che al mcdefimo rigore arrivane la giudizia contra altri due minidri che ultimamente fi fcacciarono di Corte, i quali forfè predo alla Maedù Cefarea furono autori di piu dannofi configli.' non fi è però anco ra pubblicato, fe edì fieno veramente dati anche fomentatori derubbimcnti degli Ulcocchi.* ma fc un giorno fi pubblicheranno i procedi che s* intende eder fiati fatti da’ Generali Veneti, cavando da diverfi cofiituti di rei condannati a morte t nomi de’ loro particolari fautori ; e con quali, e con quanti prclenti le li lenedcro amici ; forfè fi feopriranBo cofe che daranno cagione di arroflire a molli ; e apriranno maggior lume a’ Principi di conolcere le fraudi colle quali è fiata per tanti anni tradita. la fama, e il fervizio loro. Con qncfti mezzi fi foftenevino adunque gli Ufcocchi ; e reftando fruftatori tutti gl’ufliz; che fi facevano, per reprimere le loro infolenze, foddisfacendofi folo agl’ intereflati in parte con certe apparenti dimoftrazioni nel redo fi adducevano per ilcole l’ordinaria natura de’ confini, che produce lempre uomini di mal’ affare; e che in quello di Segna, tanto importante, che difendeva lunghe frontiere contra il Turco, non fi potevano cos'l vedere tutte le cole per minuto, nè gaftigar con rigor di giuftizia ogni misfatto, per non diftruggere gli Uommi forti, Lceffari a quella difefa: fi allegava l’efempio de’Cofachi, i quali, abitando alcune ifole forti, e inacceflibili del Borillene; effendo effi collegati de’Pollachi, e Mofcoviti, e de’ Tartari, danneggiano per mare, e ìtr terra fpezialmente le Citt'a, e i Vafcelli de Turchi; ne bafta dili«nza alcuna ad eftirparli: e lebben efft dipendono particolarmente da Pollachi, e da quel Re fono loliti di ricevere il Capitano al quale ubbidifcono, nondimeno, quando da Coftantinopoli, o dalla T«taria Precopenfe vengono querele delle depredazioni, e degli incendjloro, che fanno affai fpeffo verfo Moncaftro, e l’altre marittime terre della Moldavia che fi tengono con prefidj dal gran Signore, e fono mercati celebri’ il Re di Pollonia luole Tempre Icufarfi, che non è in lua mano di raffrenarli, dando nel rello buone fperanze, e parole. I Colachi, per aggiungere quello, (poiché fiamo venuti in propcnto delle condizioni loro) abitano, come abbiamo detto di fopra, I itole del Boriitene, che, febben’è fiume ncchiffimo d acqua, non fi naviga però per effer rapidifiimo, e pieno di Icogli, e di falfi eminenti; ma i Cofachi lo paffano parte con picciole barchette, o d’un fol legno durilfimo Icavato, o di cuojo cotto, acciò, urtando impetuolamente negli fcogli, non fi Ipezzino; pane s’ajutano co ’l nuoto; neaqueUi, che non fono ben pratici, è ficuro accollarfi alle loro tane, dove provvilli che fono di vettovaglie, non temono furia, o potenza di qualunque nemico- neirilole cullodilcono le mogli, e i figliuoli in mal compolle capanne- e quando elfi efeono, lafciano lempre alla guardia qualche pane della milizia. Sogliono effere intorno a 5000. combattenti in eredito di tanta virtù militare, e di tanta giullizia nella dillribuzione delle prede che alcuni nobili Pollacchi hanno quella per buona Icuola, ove n’allevino i figliuoli loro nelle arti della militar difciplina. quelli daMi Scrittori Pollacchi fono chiamati Niforj; perchè il Borillene, che da’vicini popoli è chiamato Nieper, da efli è detto Nis ; e Niforj fi nominano, come abitatori del Borirtene, effendo il nome de’ Cofachi m Pollonia più generale, col quale intendono la cavalleria leggiera. Ora i Cofachi o Nilotj, in tempo di guerra crelcono maravigliolamente di numero, 'perchè molti s’accollano volentieri alle b^e loro, o per la fama del loro valore militare, o per la fperanza della preda; onde fi unifeono anche de’medefimi Sudditi Turchelchi, non lolo Moldavi, e Vallachi, ma anche Tartari; delU qual nazione lono in gran parte gli abitatori delle circonvicine riviere del mar maggiore, fpezialmente di Orzunia, e di Balograd.. Ma tornando al nollro propofito, Cccome gl Impenah moftravano coll’efempio de’ Cofachi che ne’ luoghi de’ confini era neceflario tollerare anche le genti rapaci, e predatrici ; e che efli coll opera degli Ufcocchi difendevano queUe importantilfime frontiere, arte qu^, per Tom. II. T a lafprez-, lUfprezza de’ monti, niun’ altra Torta di gente farebbe ftau egualmente jitta ; così promettevano nondimeno di azi ordine tale al Capitano di &gna, che ptpibifle, e gaftigaflc quelli che danneggiaflTero > confini Veneti, o in alerà modo deflero molelHa a’ Cridiani .* ma U Capitano (ì fculava poi di non poterlo fare, per la tardanza, e pel mancamento de gli fUpendj, fenza i quali era impolfibile trattener quei prefìdj, nequali ordinariamente fi fpendevano venti mila Ducati all'anno; e niuno rilblfe di metter qualche fermo aflegnamento per quella poca fomma, onde cenfalfero le querele, e le feufe: anzi quando l'Arciduca Carlo rìfiedeva in Gratz, e poi l’Arciduca Ferdinando, Tuo figliuolo, moffi, o dagli interein de'loro Sudditi, o dall'onor della cafa d'Aullria, o dalla propria cofeienza, (come fono itati quei Principi dotati dì una ingoiar virtù, e zelo) facevano iflaoza alla Corte Cefarea che non fi tplieraflero i latrocin) infami, e che fi mandafiero a tempo le paghe, per levar quella feufa a' ladroni, e per metter loro il freno; fi nlpondeva che elfi, come più vicini, pìglUfTero la cura di pagar detti ihpendj, e poi regolalTero le cofe a modo loro.* ma gli Arciduchi fi Iculavano, che Seg-na non era dello Stato loro, ma appartenenza del Regno d'Ungheria; e che a quella Corona toccava la cura,* die elTi però non potevano addofiarfi quella fpefa di più, avendo da guardar tante altre Piazze centra il comun nemico. Con quelli trattaci, e con quelli fviamenii s’andava prolungando il rimedio, che con onore non fi poteva negare; ma, per altri rirpétti, non li penfava di applicare. Sopportavano nondimeno i Veneziani con una prudente pazienza tanti aggravi, e tanti pregiudizi, rifoluti di tentare ogni cola primacchè venire ad una manilefla guerra, la quale abborrivano per tre cagioni.prima perchè vedevano che la rovina cafchercbbc Ibpra grinnoccnti Sudditi degli Arciduchi, alla maggior parte de’quali lapevano fermamente difpiacerc le fcelleraggini degli Ulcocchi, ormai abl^miuaii da tutto il mondo ; nè fi poteva andar contra Segna, che ì primi a fentire le miferie della guerra non folTcro i vicini Fiumani, quelli di Lovrana, e di Novi, e altri non principali nella colpa. La lècoada caul'a, e più importante, era, che, movendofì i Veneziani per mare contra di Segna, i Turchi fi offerivano di movcrfi liibito per terra; nè clTi volevano in quel modo aprire la porta a’ Turchi da penetrare nelle viteere d'Italia, per non effer rei dinanzi a Dio, e nel colpetto degli Uomini, di aver voluto vendicare le private ingiurie con damo uiiiverfale di tutta la Crillianitk. Moveva gli Uomini prudentilTimi una terza ragione piti profonda, fondata nel loro panicolar lervizio; perchè, elTendo loro rimafie in Dalmazia, dopo l’ultima guerra de’ Turchi, le fole Citta marittime colle gengive di pochilfimi territori, dubitavano che i Turchi, gih invaghiti della bellezza e fertilità del paele, non s’ annidalTcro con villaggi, e palazzi fin fugU occhi delle lor Cittì»; con che i Sudditi farebbono fiati elclufì da tutto l’efercizio dell’ agricoltura, e le Cittù (àrebbono fiate fogeettc a continue infidie della gente di quella regione barbara, prelTo alfa quale non viene fiimata ragione alcuna di pace, di patti, o di leggi. Quefie furono adunque le confiderazioni, c le ragioni, per le quali s’andò portando innanzi il negozio, e proccurando il rimedio con pazienza, fenza prorompere in una aperta guerra; perchè in fomroa fi defiderava di vedere moderate le feorrerie degli Ulcocchi, ma non di vedere t buoni eftinti ; e fì aveva riguardo di non facilitare la firada alle maggiori rovine d’ Italia, e della Criflianit^ ; nè It veniva volentieri a partito di far patir a gl’ innocenti la pena de’ falli altrui .* onde da’ Sommi Pontefici, che Capevano U fegreto, fu grandemente lodata la pieù, e la prudenza del Senato Veneto, colla quale veniva anche moderato l’ardir di quelli che avevano Tarme in mano, e reggevano Tarmata; i qu^li', fecondo la loro natura militare, i più impazienti non potevano lòpportar tanti oltraggi. Ma era necelTario che tanti peccati di gente ribalda, tanti faccheggiamenti, e ammazzamenti di poveri, tante lagrime di miferi affUcd movelTero Tira delT eterno Dio, acciò, fé in terra andavano impuniti si gran delitti, ne moflrafTe vendetta il Cielo.* onde venne in penfieroad AfOm Bafsh della Bellina, regno che confina colla Dalmazia, di npprefentare alla Porta le molefiie, i danni, e le rovine continue che pativano i Sudditi del Gran Signore da quello poco numero di ladroni; e che con grandifilma indegnità d’un si grande Imperio, e di una tal potenza era il tollerarlo : che egli, fé gli foflfe data autorità, colle forze del fuo governo avrebbe non folo dillrutti gli Ufcocchi, ma allargati i confini per le reliquie del r^no diCrovazia, e de’ vicini Stati Aullrìaci fino a Segna, e piò innanzi folto i felici aufpicj Ottomani. Era Affan per vigore di corpo, e prudenza d’animo affai inclinato alTarte della guerra; nè contento degli onori, a’ quali da debole principio cosi olirà il corfo di mondana profperic^ era arrivato, che afpirava di farli flrada celle fatiche militari a primi gradi di quel barbaro Imperio: però difcorlè del negozio in maniera, che eli fu facile il periuaderlo alla Porta, ove fi defiderava grandemente di galligare la temerità degli Ufcocchi, ed erano inalpriti gli animi dalle continue lamentazioni de' Sudditi, i quali deferivevano in modo la crudeltà dc’iadroni, ei flrazj che pativano i fchiavi i quali capitavano in mano loro, che ormai fino in Cbllantinopoli, e nelle vicine provincie Europee, quando fi voleva pregare ad alcuno che non cadeffe in cllrema mileria, fe gli diceva cosi.* Dìo ti guardi dalle mani de’Segnani. Però furono volentieri afcoltaci dai gran Signore, e da i Bafsh i configli, e le proferte di Afian; onde gli fu data commilfione, che rómpelTe la guerra, la quale per tal caufa cominciofii Tanno 15572. e durò fino a quello del 1602, con variati luccelTi, ne’quali hanno avute continue occafioni i Crifiiani di riconofeere la particolare protezione dell’onnipotente Dìo, il quale, febben mollrò dapprincipio di volerli gallìgare, non ha però permeiTo che fin ora fieno affatto caipcflaii da’ nemici del fuo tanto Nome. £ quantunque ad Affan vcniiì'cro profperi i principj della guerra, poiché lenza molta difiicoltH s’impadronì di Sifacn, eBichiach, quefio fui fiume Una, e l'altro sò la Cupa, come oggidì lo nominano i paeiani; ambi luoghi opportuni a’fuoi difegni, a’ quali fi credea poterli dilficilmenre far conveniente refiflcnza colle forze dell’Ungheria, che s’ erano debilitate, per eflerfi colla fperanza della lunga guerra che avevano avuta i Turchi in Perfia diimelTo nel regno Tufo dell' arme ; ed erano annichilati i prelidj di cavalleria, e di Isteria, che per djfela delle frontiere fi folevano ne’ confini mamene;*e nuracrofiinmì colle contribuzioni dclT Imperio; le quali, parendo che gih ceiralfero ì pericoli, fi coovertivano in alui ufi. Ma quando cominciò la guerra, fi accofTcro tutti quanto farebbe Ilato utUe l’aver in tal occafione alla mano un corpo di milizia tale, ve^ terana, ed cfercitata; c fi vedeva che lalpctcar foccorfo da’Principi dellImperio, o da altri Potentati più lontani, era colà lontana, e incerta; ORoc fi temeva ragionevolmente che non andafie la Crovazia, e TUnghcrìa tutta in poter del nimico t però fi maledicevano UÌcocchi,e fi (kfiinavano loro gli ultimi lupplizj, come ad Uomini icelleraiiffimi, c autori di tutte le rovine. Ma ne’ maggiori mancamenti di forze, c di configli, volle la divina miiericordia loccorere i Crifiiani in modo, che tutti conofeefiero efler ugualmente facile a lei il vincer con pochi, o con molti: perchè, circndofi l'anno leguente condotto Afian collcfcrcito vittoriofo, c invigorito da i profperi luccefiì, vcrioSifach, c paffata la Cupa con dilegno di calate poi verfo il fiume,^e per quella via farli la lirada alia prcla di Segna, c all’ertirpazione degli Ulcoccht, e ad altri più valli progrefii, fu Icopcrto da alcune compagnie di cavaili, che*^ fi erano meflc infiemc de’ vicini prefidj Audriaci, con fine d’offervare gli andamenti del nemico, c di fargli alcun contrado in qualche anguilia dc’paffi, o d' impedirgli le vettovaglie, più tofto che di far teda, e di combattere a bandiere fpiegate in tanta dtiugiiaglianza di numero, efiendo i Turchi più dÌ40ooo., e iCrilliani intorno 4000. ma edendo quelli tnafpettatamciue avvicinati alla Cupa, e avuto l’avvilo che il nemico giù cominciava a paiTare, fi leniirono infiammare da un’inlolito ardore, che fi vide poi cnere miracolofo dono del Cielo; perchè, ove alla prima nuova della vicinanza deli’cfcrcito Turchefeo, tutti gli animi fi vedevano volti alla fuga con dubbio che nè anche quella fervide allo Icampo; ad una loia parola pronunziata dal Capitano, che meglio era combattere con quella parte che era giù pacata il ponte, e che le ne poteva Ipcrare qualche gloriofa vittoria, il gridar di tutti, che fi vciiilfe alla battaglia, e il marciare in dretea ordinanza arditamente contra il nemico. Tu tutto uno; ove T affalto improvvilo miie a’ Turchi tanto tpavenco, che, lenza far un colpo di lancia, o d’archibufo, fi mifero m una dilperata fuga : c perchè giù erano padati quali tutti per un pome non molto largo, (edendo il fiume crclciuto d'acque, che non fi lalciava gu^zare ) pei medelimo ponte conveniva ritomariene; il qual non era capace dì più di due cavalli al paro; e perniile Dio, per maggior dragc de’ nemici del Tuo l'auto Nome, che nel mezzo del ponte cadellè un cavallo ferito, che chiule il padb a gli altri; nè riirovandofi in tanta fretta chi fi pigliad'e cura di farlo rilevare, o di farlo cader nel fiume, fu cagione della morte di molti.perchè inanimiti dalla jnalpetraia fdicitù, attendevano co archibufi, e colle Ipade a farne drage; onde i Turchi fi i>ittavano prccipirofamente nel fiume. Le rive erano alte; l’acqua groda; il tumulto grande; la mano di Dio Idegnata; onde di tanto numero pochidlmi fi lalvarono; poohì morirono di ferite rìlpctto a quelli che fi annegarono; fi penderono ìt bagaglio tutte, e i cavalli; rimale morto, tra gli altri, Adùn con un fuo Iraicllo; c i Cridiani, allegri d* una si memorabile vittoria fcAza pur una minima perdita, carichi di preda, ricuperarono indi a poco Silach, c cominciarono fperar meglio di tutta la guerra, la quale ha portato in quedo fpazio di dieci anni varj avvenimenti certo, mù nondimeno uli, che ciafeuno è tenuto di confelftre, edeili «iTer(I manifeftamente fcoperti fegni evidenti della protezione deironoipolente Dio verfo i Crìdiani, perchè fono date efpugnatc le Cità xeaii, rotti gli efercìti formati, meifo in fuga il proprio gran Signore : nò fi può che nella prelà di Cliffa confifleffe la diffruzione de’Turchi; nè credevano altro, fé non che il Papa foffe per pigliarla per sè, e per quella via mandar efercitt Crifliant nella Boffina, e far follevare tutte le Provincie con fperanza di liberti: ma i difegni del Papa erano quelli che fono llaii accenn.ui di fopra; nè fi giudicava conveniente fcoprìrli per fola Cliffa; nè meno il manìfeflare a gente mal cauta la caufa della tardanza .però s’andavano trattenendo, con induUria afcoltando in tanto le pretenfioni eforbicanti colle quali ogni giorno fi facevano innanzi e l'Arcidiacono di Spalatro, fratello di Giovanni Alberti, diceva che la nazione Schiavona non voleva mettere mano in quella faccenda, fe non fi faceva un Cardinale della lua lingua ; e penfava che doveffe toccar a lui, o ad un Aio fratello Dottore. Era anche venuto per quello effetto Gaudenzio Canonico; ma più importuno de gli altri era il Cavalier Bertucci, uomo arrogante, e di pochiffima levatura, il quale dimandava il governo perpetuo di Cliffa con groffi Hìpendj; e già fi faceva padrone lolo del negozio; parendogli di meritar molto, (ebbene ne aveva pochiflima parte, perchè nè a lui, nè a gli altri fi rivelava il fegretò; ma le generalità del trattato erano in bocca, per la poca avvertenza di coloro, di tutti i Dalmatini che fi trovavano in Roma; onde pareva impQfiìbile che non ne arrivaffe il fentore a'Turchi; e che non faceffero le debite provvifioni per afllcurar la Piazza. Tutta quella gente negoziava col Segretario Minuzio; il quale, mentre afpetrava la maturità degli altri più importanti difegni, loffriva quelle impertinenze al meglio che poteva.* ma infallidito dalie contìnue moIcllie del Cavalier Bertucci, come egli era tenuto per natura, per la moltitudine delle occupazioni, e per la poca laniià, collerico, e impaziente, fe lo levò dinanzi, accufandolo di prefuniuofo, e dicendogli che forte il governo di Cliffa fi darebbe ad uomo di più merito di uii ., c che non conveniva innanzi tempo pattuire della pelle deU’Orfo non ancor prefo. Il Bertucci, il cui camino s’empiva di fumo con poco fuoco, fi voltò fubito verfo il Barone diNorad, all’ora Ambafciadorc dellImperadore in Roma, e gli efpofe tutto l’ordine della trattazione, motirando che ella era già matura; ma che il Minuzio, come fuddito della Repubblica di Venezia, la impediva co’fuoi configli. L'Ambafciadore fenz altro predò fede a quello gli fi diceva ; matfime che, per altre cagioni, era fofpetta a gli Imperiali la perfona del Minuzio, cosà per effer egli nato fuddito de’ Veneziani, come per effer dipendente da' Duchi ai Baviera, tra i quali, e la Cafa d'Auflria correvano all' ora alcuni difpareri ; onde egli abbracciò il negozio, e fubito fupplicò il Papa, che fi conccntaffe di lafciar andar il Bertucci alla Corte Cefarea, e che 1' imprelà di ClUIà fi tentaffe a nome di fua Tome if. V Maeflà:, .* il che non fii diflidle da ottenere, eifendo ormai infìilìidict fua, Beatitudine della prefunzione del Bertucci, e delle impertinenze di altri partecipi di quel maneggio., Il Segretario Minuzio, quando vide dalla pazzia d un'Uomo impedirfi U pubblico fervizio, e i concerti ben ordinati, cercò di divertire il mal configiio; e trattandone con Tua Santità^ fi sforzò di perfuadere che fi defie il Bertucci al Commendator Pucci, Generale delle galee Pontificie, il quale all'ora fi trovava in Roma, acciò lo cufiodifie lopra la ^alea, ove non potefie metter lòtto fopra materia di tanta importanza : tutto fu indarno, perchè, follecitando TÀmbafciadore da una banda, e il Bertucci daH’altra, egli fu Tpediio fegretanaence in fretu verfo la Corte ; nè fi perde tempo, che indi a poco fu forprela Clifia in nome di Cefare, fenza aver prima penfato al modo di provvederla di vecovaglie, e di munirla contrale forze Turchefche. Vi entrò dentro Giovanni Alberti, fecon Qiiello fucceflb di Clifia elaccrbò gli animi de gli Aullriaci, e de’lo ro Miniliri contra j Veneziani, verlò i qualli non parevano nè anche ben difpolli, parte per grinierclfi de’ confini, e per lunghi contraili frù dt loro; parte ancora per la mala inclinazione naturale che, portano i Principi alle Repubbliche ; ora pareva loro che i Veneziani avrebbono potuto provvedere CUllà di vettovaglie, o chiuder gli occhi, mentre i ludditi loro, affezionati alla cauta, le provvedevano; ma chi fi trovava fuor d'interelfe, ben vedeva, fc era pofiibile farlo: oltracchè, la vicinanza degli Ufcocchi farebbe fiata loro incomparibilmcme più molefia, e pià travagliofa di quella de’Turchi, co quali in tempo di pace fi vivequietamente con libero commerzio. Nel medefimo tempo, per la ifteffa cauta, crebbe anche la rabbia*, e il numero degli Ulcocchi : la rabbia, per la tagliata ricevuta folto ClifTa, e per non eficre fiati favoriti, come forte pareva loro di meritare, da’ Veneziani : il numero, perchè i fudditi Turchetchi che avevano avuto mano nel trattato, alcuni de’ quali erano propriamente di Clifla, altri di Polizza, temendo di gaftigo, fc ne fuggirono a Segna: il che fecero ancora non pochi fudditi della Repubblica, che imprudentemente fi erano ingeriti in quel negozio, e dubitavano però de’ cafi loro. Le quali faccende la Veneta prudenza non giudicò però doverfi andar più Ibttilmentc inveftigando, per non moltiplicar diffidenza, e difpcrazioni, e non aumentar di vantaggio il feguito agli Ufcocchi, i quali, dopo quefii avvenimenti, parte per isfogar Tedio conceputo, parte per certa opinione di far cofa grata a’ loro Superiori, da’ quali forfè anche venivano infiigati, fenza alcun riguardo fi diedero a danneggiare i fudditi Veneziani, Ivaligiando i Vafcelli de’proprj Dalmatinì, ove non poteva effer pretefto dei Turchi, o dei Giudei; levando dall’ Itole gli ammali, i vini, e ciò che vi era, e ammazzando anche gli uomini per qualunque minima refifienza, per caprìccio: onde fi vedeva che avrebiMno in breve dilolata la Dalmazia rutta, fe fi differivano le neceffaric provvitioni, la cura delle quali fu comn^effa in Venezia ad Ermolao Ticpolo con titolo di provveditor Generale, e con libera podefi^. Il Tiepolo fino da fanciullo sera efercitato fui mare, e aveva in diverfi carichi fatte cote maravigtìote contra Cortari, ed era grandemente temuto dagli Ufcocchi, perche era folito di fame irremiffibilmente impiccare quanti gli nc capitavano in mano; onde fi giudicava che fofle ora per far molto peggio. Si tapeva in oltre che era di parere che fi dovelfcro aflalire con aperta guerra i nidi de’ malandrini, e difiruggerli con ferro, e fuoco, c ne aveva dato principio, battendo Scriffa, terriccivola che gli Auftrfaci chiamavano Carlo Iwgo, porta fui canale della Morlaca, dirimpetto all’ Itola di Pago, la quale poiché ebbe prefa a furia di artiglieria, fece lubito impiccare quanti nè trovò dentro, cominciando dal Capitano, e Luogotenente con venti altri di quella ftirpe; e moftrava di dover feguitar nell’ ifteffa maniera in tutti i ricetti de’mafnadieri, fe dalla Repubblica non folfcro fiate temperate le ritoluzloni fue troppo ardenti, la qual era moda, dalle ragioni toccate di fopra a non correre ancora, tirata dalla neceffitli, in una manifejla guerra: ma ora aveva una confiderazione di più, che, effendo gi^ acccla la guerra tt\ T Imperadorc, e il Turco, non pareva convc^ nire alla pietk, e prudenza della Repubblica, fe aveffe nel medefimo tempo moffe le armi contra la cafa d’Aufiria; la quale fe in tanto foffe fiata afirecta da altri rifpetti, come grandemente fi temeva, di conchiuder la pace co’Turchi, eziandio con patti difavvantaggiofì, la colpa ne farebbe fiata rovefeiata tutta fopra i Veneziani ; onde efll prudentifiimamente fi aftenevano dalTapcrta guerra, febbene le fpcte, e le forze erano tali, che avrebbono potuto bafiare a farla, mentre i più prudenti volevano Tonu , V 2 pur por vedere fe la dilìruzione dt Scrifla pofefta ballare a metter pende' fo kd altri d’ovviare a maggiori pericoli; al che adoperava Papa Clemente tutta T autorità de' Tuoi configli; c vi s'impiegava anche il Rè Cattolico per zelo di giulhzia, e per riputazione della Tua cafa. Ma mentre che i Minillri di Tua Samitk cosi prafifo a Celare > come prelTo agli Arciduchi accufavano le rapine, ed i misfatti degli Ufccochi, efTì, per difcotparfi in qualche parte, avevano mandato a Roma il Padre Cipriano Guidi, Lucchefe, deU'Ordine di S. Domenico, uomo di qualche dottrina, ma di più audacia, di molle ciancie, e di gran vaniti, il quale e in voce, e con lunghe fcritture pretendeva di giudificar nel Mondo le azioni degli Ulcocchi, efaltandoli come tanti Maccabei, e actrì.buendo loro la falute d'Italia, è la difefa di quei conhni .* diceva che le depredazioni dc’Vafcelli di Levante erano idituite per zelo della fede, Up meme in «iw.fan»di ladaa fawodo upuione, efapata» vano aaiaanafi l'im falò», ni aliai potevano avanzare alcim di b>M. qnelb ara la fada na’p n bW ir i maneggi, c Belle aaminillcaaiaat del pafa biKO danaro.- ad ok» owlbaRino tempre ebe pili ia^rafie laro l’uiil» dei^ Patria, che le paiefte comodià; e tàiltir vera la doiniaa di IVh cidide, efie era magli» efiàr poveao Cictadiae in rioca Repubblica, eh» rioco Ctnadino i» paàeca Rcpubblica^Médema» gnelli mediocri làaa)tb, baftami però a fafiamaM onoramaeme le Ifato cndkario da gU Antca»ei e cen «jnelle vivevano modaniamete, fanza aadar con ^ aafiatb ocrcaad» quegli avanzamenti di factuaa che ia qaeftì u lt i mi Ma» pi hanno rnarinnitn pah n dafiderarfi in Venezia, per eflére erdeàna pib il lafln', e la pampa aaaoa i lodevolil&iiii coftarai de gli Antiche. Oia non patendo, per altre ocanaaaiatil, sbrigaifi à «aA» li da Vnnezia,-ad cftD^ d ai m a n di Bembo dalte-fae iadi%ofaiaai a totaarvi fubiaa, fa per deetea» .dal 9bnaa» eommAà ia ttam tuo* 1» cute dèi nagazio ad Anma i o Gii iftin iaaa, Cavaliere, Capita a o dalMfo, che, dopo eflèrC pebaatfo di iepa anni eootiau» eletcicaia oaaa». lamcat» in diverfi «pNcfci maaMmi falle Galea, fa aa taraava allBP»tra eoa gialia Iptt ml aa di maggiati aneti. U ^ftiaiajro era gbviaa^ e nvMNio vaduie fn dbaa le pih canuta talk fona agella faerigMìCaao nagaaio degli Ufooaahà, pcoo atl av a .eaa aaolm ai r aalp ea ioae, ma aon ima inifafa- ddigenaa» latpmlagli letvt pai coahere fapta l' Itoli di Ikav» niM*,'pregtnlifa«atc dd bada,, iaeiaat al numero di t^, pofia ia hmgo pabhiioa, diadan gmm daime iMtiaceU a gli oocbi. di gidlli ebe taaaivana ogai giafaoir t*a vidi delle nefande opemzieai di qalblU mala gente nd iè ri 1 11 É mm tTavarna vedute in thrt tempi mma in una \ml(»r‘ onde ibtmata ‘dal Ghifiiniano veniva ia Venenia alnaw fa|>ta le IbcHe; e parmra abdfa Ibn Wioiib poteflè pnrmr anche gunkbe iMg^ bene, pafcbb‘b>ga4 gfarni a' era aperta la (bada a% nranaaiooe d’aaaomodanmmo di tuoa il negotio. Perebi, avendo i’Aicivtfoovo di Zara ptapofti ab Papa dhreti! modi di Ttrminaelov ^ Santnb.gli c o m m dt chce’abaceaflà oel VdcBvadbSa. gna ' che faa loro vedifaio dt i nri ma pn are H mgnaioa qnalcha via di«oiSellane, per poterla praporte a gTfamc eff aii aa« nRipn fandaaiadco. n Vcleovo di Segaa àMitai» daU'Areivetehvo pw n Zatay 1 fii fora fi maaciD dirwle coafarnuc per plbigforni, la gadfLdI maao in maao fi eomumeavano al fopeaddetto Gin fii aiana. Per nadir la facili* della fa» faba y- M fiaa 4 delibati eba II IMòafa anddfc afa Ora di 4fcua, «‘ dì'dPtaga, per panar di fa gaalahe «onuneCaM famm iella rtffai xieac di'partiti, fafamma de’-gadi tra» che ipMHa amltitadiat # aaafan rapaai non fi dfafadfe tataa-mMa in fiagna, aia fa maggia»-]*». « fi omiddaefie a gaaidia.fa mrnf e -^aal».pacevaaa afiàe pifi alili *1. U fifiefa de’ coafiai, a amna atfa afle eabbama fi an fama da emgofa XbtI. par bene de’tlbagulei, i oaif il gnale ricusH 4’andarvi, # fg privato deibilttpcudio: per kicbe lùarrtò a Segua, ove viveva luetavb, «a meidiiinos e carico di. iigliualà, fcnia credito, e mezzo fcenip. di ccVvella, Ma tornando ah ptopofiio noAio, à Vaibovo di Sogna, arrivato aGratz, tiDvò in quella Com agni cofa beo ddpoAa, e unedbecra incUnazione all' acoooodamenro,' perchè il Priocipe, ottinio, t gioMfimo, era modo aon lob dalla -diminnzioac delb proprie gabelb, a dal pctimemo de'ludditi, w gl'interrotti con f erai, e per rimpedna vettovagUa; ma moim più palla prapiia caicicnta, e dall' intcìelb datb ripotaziasie della Cala d'Au. liru, che, onorata nel mondo per «ami imperadori, e tanti Re, veni va ora htad'xtia di fi>mentare nc'&ioi Stati pubblici Itdroat, crudalUiaw, miai imbranati di langtie Criiinno : ma perghi aon dipendeva raccomodamento daU' AicidiKa, il Vebovo 111 canfigliaio da lui di trasferirli olla Corte Celareai c lìi aecoorpagna» a quaU'sBciio con lettere a ' peopolito. Ma in Praga la dtfiicolih ota'era all'ora di veder la bccia delllmporadofc, eoo che di negoziare Icco, c il mal animo d'alcuni principali Minifiri, i quali godevano di vedere cos'l travagliala la Repubblica di Venezia, o' perchè avevano altra canb di bvorir le rapine degli Ulcocchi, fece perdere il tempo al Vcliavo, chi noe ne e^rh, le non buone parale, c dilcoifi di rmieiici tutta lo biKenda. oli' Arcidnea. In tanto era nllr‘"T'‘‘ Venezia il Genezal Uooato, e datb una occhiala al pacb y coniidefamfa i ptlTi per. h quali gli Ulcocchi potevano ufeire dal-Caneb di Segnlbforrerc pop I» IMmatia, riloile con pruden;ifli«no «anfiglÌÉ di cisiuderne con Foni oppartnni, e muniii dt geme, e di oriiglierin, l'tmqnell'Udla «NVeglb el canafeiefelb MorUgea, ove è I «panguAa hoese,.per la quale erano tolih-gli Ufeooahi di patfaroìèrequcMe benu. Qnelli Rccoam erano t più coowdi pofli a chi voleva ulcira, ed eaiatie.&nmmcnce,-«aai erano piu Acili a temi* per l'anguOia del fieove fehhene rimanevano o'hdrooi alcune altre pocboutcMc kherc, nopdimtno, quandafi davo fero b caccio nei ritomoy grantliflinio rifchio : però fi vide daircffetco che quel pmdentiflimo con. figlio mife i ribaldi in efirema difpcrazionc, malTimc che col primo forte di S. Marco s’impedì a’Segnani il commerzio di Fiume, donde erano fo. liti cavare le vettovaglie, e provvederfi de gli altri bifogni : con che fi può dire che fi toglicirero loro gli alimenti; però fi riduflero tofio all’e. flrcma necediih di tut^c le cote.* e come un'impecuofo torrente, a cui fia pollo innanzi un gagliardo riparo, è forza che sbocchi colla fua furia in altra parte; così cofioro, (limolati dalla fame, ne potendo più ufeire per mare fenza manifeilo jsericolo; vedendo che quanti di loro venivano alle mani a' Veneziani ( c ne venivano molti ) tutti s’ impiccavano verfo i confini de' Turchi; (dfendo giìt, come fi è detto, dilettata la Licca, e Ja Corbavia) non rcllando loro ipcranza, fc non di mii'eric, e diffìciiilTime prede, fi voltarono temerariamente, e rabbiofillìmameme (non mirando quanto importava tirar una nuova guerra addoflb alla Caia d’Auilria, come ?rano fiati foli autori deli’ altra co’Turchi ) fopra rifiria, e con terrore dì manifefia guerra, non che di rubberic, e laccomani, entrarono ne'iuoghi murati, e anifièro fiendardi imperiali; iaccheggiarono le terre, c le Caftclla, c fecero fino de’ prigioni ; onde fu ammirata la difcrczione, c fapien za Veneta, di iaper divorar oltraggi tali, e non venire, per le cagioni narrate di fopra, a manifefia rottura., Provvide ella bensì con fubtti foccorfi alla ficurezza de'fuoi fuddici, inviando quel numero di cavalli, e fanti che pareva necclTario al bifogno.il governo della qual gente, e di tutto il maneggio deli'imprefa fu dato a Francefeo Cornare, Gentiluomo giovine, ma che nel carico di Provveditor della Cavalleria di Dalmazia aveva dati legni chiari di maturo giudizio, e di una incorrotta fede nel negozio de' danari pubblici*, le quali virtù l’avevano fenduto maravigliofamcnce grato al General Donato, il quale lo predicava con continue lodi, ovunque occorreva : c inficmc colia commelfionc di provvedere alla ficurezza delie terre dell’ Ififia, e di quei, popoli, gli fu dato il comando di non afialtar però i luoghi dcU’Arciduca iu s^uei confine, ma di gafitgar i malfattori, di vendicar ringiiirie, c di rifarcire i danni, 0 pubblici, o privati a mifura colma: Il che egli andò efeguendo con tanta vigilanza, c con sì accorta maniera, che, feJgU Ulcocchi trionfavano di qualche preda, tofio ne piangevano i fudditi Arciducali, c maledicevano chi n’era caufa*, accorgendofi dì dover in breve (fe non fi accelerava il rimedio) rimaner tutti diftrutti; perchè non indovinavano che Tarmi Venete s'aveflcro fempre ad adoperare con quella rilcrva, e quella dilcrczione la quale negli fieUì lagrimofi danni veniva lodata, c ammirata da chi non s’internava neli’iiìternc caule d’im tal procedere. Quelle faccende fi maneggiavano in Ifiria col configlioj e coir autoriih del Capitano di Ralpo, ch’era ^rnardo Contarini, Sonator gravifilroo d’anni, e di prudenza, folendofi dar quel carico, benché di luogo piccolo, ad uomini tali, e benemeriti della Repubblica, alfine di rilàrcirli delle fpefe fatte in fervizto della Patria coll' utile importante che fe ne cava*, onde s’ era trovato nei medefimo Magiftraro il Ticpolo, quando egli fu creato Generale contra gli Ufcocchi: ma il Contarmi, alla fomma degli affari,^ e delle fatiche mon potendo refificre Perù fua, che palTava giù 80. anni, chiamò Giulio, luo figliuolo, che ne lo follevalfe in qualche parte; il quale, elTcndo d’ ottimo giudizio, e molto rifoluto ne gl’ importantidìmi negozj, Tpjw* il X a c con i 64 storia f congiunrifTiino in amore col Cornaro, ebbe la mira Tempre a portar (juella nuova, e infolita forma di guerra a quei fini che lono flati deIcritti con maniera molto accorra, e lodata. Ora mentre che in Iflria cos^ s'andavano bilanciando le cofe, c fì temeva che non riufcilTcro finalmente in una manifcfla guerra, il Donato aveva gili fatto Taccheggiar da' Tuoi l'oldati la Terriciuola di Lourana, non lontana da Fiume, con maniera tale, che ben fi vedeva effer lua intenzione, piuttollo di pizzicare, che di ferire, a finche altri fi rilvcgliaflcro al rimedio, c dopo aver con diligenza finiti i due forti fuddetti, e dopo averli provveduti cos^ di milizia, come d’ogni altra cofa necelTaria, e vedendo andar a lungo raccomodamento, il quale tuttavia fi trattava, aveva in animo di palTar ^ qualche maggiore progreffo. Nondimeno il Papa, il quale aveva per quello accomodamento già molti mefi 'contuinui in Corte CeTarca Flaminio Delfino, che non cavava rifoluzione alcuna, bens'i Tempre fperanze buone, e promefTe, fui fondamento di quelle continuava a pregare i Veneziani a procedere co’ foliii riguardi, lenza venire a guerra aperta, con rutto che parelTe loro grave la fpda, c ormai foflcro infafliditi dalle lunghe, c vane fpcranze; poiché efTì confumavano teforo tale, che avrebbe potuto ballare per una giufta guerra, ove almeno avrebbono potuto pretendere non folo di render danno per danno, ma di ridorarfi con qualche acquido dc’gravi patimenti. Ma elTendofi in qiieda congiuntura accampato l’cfercito Ottomano guidato da Abram Bals^, Cognato del gran Signore, fotto CanilTa, Piazza non lontana dalle Frontiere della Crovazia, e dellIdria, parve piucchè mai necelTaria la pazienza, acciocché, fuccedendo qualche finidro accidente, il Mondo non nc dede la colpa alla Repubblica, che avede in tempo d’un tanto bifogno tenute occupate altrove le forze Aullriache; onde non farebbe mancato chi 1' avede calunniata d’hueiligenza co’ Turchi. Per quedo il Donato attefe a regolar le milizie, ordinandole in modo, che un numero minore potedè predar il medefimo fervizio, e cosi fi diminuiffero Icfpcfc. Erano neH'armata diftribuite parte lopra le Galee, parte fopra le barche lunghe quattro divcrle nazioni, unte valorole, c acccfc di una onorata emulazione di virtù, Italiani, Cord, Dalmatini, e Albancfi, co’quali era opinione dì molti Capitani pratici, che s’avrebbe potuto tentare, c condurre a fine ogni ardua imprcià; madimc comandando loro il Donato, che era mirabilmente ubbidito da tutti, perchè, oltracchè li pagava a’tempi debiti di moneta con vantaggio, ufava di trattenere i Capitani di tutte le dette nazioni, coridlemente ammettendoli di continuo alla fua tavola, nella quale, febbene non voleva il ludo, biafimato in quelle d’altri, fi vedeva però un’ordinaria fplendidczza; c Tcbbene nel volto, e nelle parole lue fi feorgeva natura inclinata anzi a fcvcric^, che a piacevolcza, nondimeno fapeva temperarla in modo, che riufeiva grato z tutti.* ma principalmente i popoli di Dalmazia lo benedivano, per l’incorotta fua giulìitia; c i Magillraii inferiori lo temevano, per Topinione d' inviolabile integriti. Dilpoflc adunque le cofe nel modo che fi è detto di fopra, il Donato con buona licenza del Senato fe ne tornò alla Patria, edendofi in fuo luogo (con un giudizio univcrìale, non di Venezia loia, che lo elede, ma deU’armata inficme, c di tutte le Cittì» marittime, che molto pri ro prima Io prcdifTcro) commclTa la fafHdiofa cura degli Ufcocchi a Filippo Pafqualigp, ch'era all'ora Provveditore dell’ armata, ed era palTato, fi può dire, per tutti i carichi che comandano fui mare, nel quale aveva menata la maggior parte della Tua vita fìno dal tempo in cui dall' armata CriOiana fu rotta la Turchefca a Curzolari ; ed era flato riputato Capitano valorofo, vigilante, e rifoluto, mafTÌBie contra i Corfari, de' quali fi faceva conto, cha avea prefo fìno a quell’ ora gran numero di Vafcelli armati; onde tutti andavano indovinando che per mano lua dovefTero anche reflare domati finalmente gli Ufcocchi, contrai quali egli, conforme all' ordine ricevuto, fe n'andò colla Tua Galea vecchia, e veloce: ove fi vide toflo ch’era per camminar dietro a gli antichi configli, col perfeguitar i ladri, e impiccarli ovunque gli avefse colti; e con rifarfì de’ danni de’fuddìti fopra chi gli inferivano, fofscro chi fì voleffero: nella qual imprefa entrò, oltra gli ordini pubblici, con gagliarda rifoluzione propria, con si fatto fpa vento de’ malfattori, e con tanta fperanza dc’popoli afflitti, che la Dalmazia, e Tlflria cominciò fubito a credere che fofTero toflo per finire i loro lunghi travagli. Tenne egli bene cufloditi ì luoghi fortificati dal Donato, e ordinò le guardie a gli altri paffì di mc^o, che ogni ufeita fo(Te agli UIcocchi pericolofa; e perchè il porto di S. Pietro di Nembo neH’llola dOflcro era ordinario ricetto di molti vafcelli, t quali o dalle oppofle rive d’Italia paffavano in Dalmazia, o di Dalmazia navigando verfo quelle parti, o verfo Venezia, quivi fì fermavano, per afpettare tempo opportuno al loro paflaggio, onde gli Ufcocchi erano ficuri di trovarvi lempre occafìone di preda, quando potevano tirarfi fin 1^; Ì1 che facevano tal volta cacciati dalla fame, e dalla difperazione ne’ tempi piò fortunevoli di borea, quando nè le galee, nè le barche armate potevano reggerfi alla furia del ventosi! Pafqualigo, per toglier a’Iadri quella comoditi, e per aflìcurare a naviganti quella danza, fì fervi prima d’ una Chiefa vecchia, e derelitta, per collocarvi dentro a quello fine un prefidio di foldati; c poi vi fabbricò un forte in fito opportuno, con comoditi anche d’alloggio per qualche pafTcggiero che vi capitafle ; c ridorò la Chidà, provedendola delle cole necelTarie, con ordine che vi rifiedenc fempre un Cappellano, acciò a quei foldati nè anche mancaffero le confolazioni fpirituali : il che tutto l’efpericnza fin qui modra clTerfi latto con prudcntifllmo configlio. Con quede diligenze redò, (i può dir, aflicurata tutta la Dalmazia; e i ladri, fuor di qualche ben repentina fortita fopra Tllola di Arbè, e di Pago, ove depredavano qualche animale, poco ardivano di folcare piò i canali di Dalmazia; e per ogni poco danno che facevano a' fudditi Veneti, ne pagavano U ho, o cfli, o altri fudditi Arciducali con ufura; perchè il Pafqualigo faccheggiò primieramente Ledenici, poi Mofehenizze, c Terzato, c Belai, tutte Cadella del Contado di àgna : fpogliò altri vicini luoghi di animali, e di abitatori di maniera, che ogni cofa era piena di pianto, e di fpavento, nè alcuno fi teneva ficuro, fe non ben lontano dalle marine, 0 in fortiflìmi ricetti: gfinnocenti maledicevano i malfattori, che erano cagione della rovina loro; e i colpevoli reflavano confufì, confiderando a quanto incendio avelTero elfi data occafione In quello mentre co’medefimi paffi camminavano le cofe d’iflria, ove i ladroni, vedendofi ormai chiufe le firade in Dalmazia, cercavano di rimediare alle loro neceflitìi : ma il Cornar© vigilamiffimo, ficcome roetteva cura di non clTer il primo all’ ingiurie, e a i danni, cosi non era pigro di vendicare ogni minima ini'olenza; e gi^ aveva empiute \ timo quelle frontiere* di terrore, c arricchiti i loldati colle prede, colle quali s' erano anche rUiorati molti danni de’ poveri ludditi, e quelli di Marc'Anionio Canale, che, mandando le lue bagaglie a Zara, ove era desinato Conte, ne era Oato ipogliato da’ maledetti Uicocchi nel cammino: Onde i ludditi Arciducali di quei contorni, afflitti da si fatti danni, e temendo lempre di peggio, dopo il primo ricorfo che fecero all’Arciduca Ferdinando, che gli liberafle da tante oppreflioni, c provvedelTe che gli Uicocchi nqn fon'cro cauia delta dillruzionc di tutto il paefe; nel qual tempo era flato loro rilpoflo con termini generali, che non fi prometteva fc nop tardo rimedio, c incerto; ma fi confortava alla pazienza ; rinnovarono poi Tinflanza con concetti piti veementi, moflrando che non era pu'i pofllbilc fofferir tante rovine per colpa di pochi Matpadìeri; e che elfi làrebbpno sforzati a metter alle cofe loro altro compenfo, fc fi differiva la provvifione: c pareva veramente che, andando le faccende più in lungo, fc ne potefle temere qualche rivolta; però, eflendofi già per le molnpiiqate iflanze del Papa, c per le replicate propofte dell' Ambafciadorc, deliberato in Corre Celarea di commettere con un'affoluta autorità tutto il negozio all'Arciduca, fpediti furono finalmente i difpacci, dappoiché Celare s'aveva levati d’ attorno quelli che erano creduti ^iflu^hatori di buon configlio. L’Arciduca, fenza perdervi più tempo, avendo fempre dcfidcrato di liberar la lua Cala da un tanto obbrobrio, volle fra tutti i Miniflri fnoi Giufeppe Kabatta fuo Configliere, e Vicedomino nel Ducato di Camicia, di cui fi fece menzione di Ibpra; c centra l'iflituto della Cafa d’Auftria, lo deputò folo, c unico Commeflario, con libera podeflH all’ accomodamento degl’ invecchiati contraili « ai gafligo degli aflaflìnì; con ordine di dar ioddisfazione tale alla Repubblica di Venezia, che z' ormai fi ccflafl'c da’danni, cos\ nciriflria, come nella Dalmazia; fi le ' vaffero gli affedj delle Citt'a marittime, e fi rcfliiuiflc il commerzio a’ fudditi con fìciira navigazione. S* induflc f Arciduca a preferir quello foggetto a gli altri, conofccndolo Cavaliere d’ottima fede verlo Dio, e verlò il Principe, come l’aveva efpcrimcntato nell’ eflirpazione dell’ erefie per la C.arniola; nel qual negozio aveva Ipcffo moltrato di flimar poco i pericoli della vita, putehe adempifle compitamente i’iiflìzio fùo: cos'i fi ipcrava ch'egli folle per far anche in quello, il quale importava alla buona fama de’ Principi, alla lalure de* ludditi, e alla gloria di Dio, in cui ditonore facevano uomini Icclteraiiffimi patir tanti poveri innocenti, e perir tante povere anime. Il Kabatta era di languc Italiano, e i progenitori lùoi con carichi di guerra erano di Tofeana veruni al lervizio dell Imperador Carlo V-, lotto il quale colla virtù acquiflarono onori, e ricchezze.* nè egli degenerava punto dal valore de ’luoi Maggiori: però, volendo corritpondere all'opinione dell’Arciduca, c al giudizio che fi faceva della pcrtona lua, fi mife con tutto lo fpirito al maneggio impoflogli; e prima dogai altra cola deliberò dì abboccarfl col Cornar©; c per allicurar di poter anche levar da quei confini alcuni foldaii, c che in tanto non fi avclfc a proceder in quella parte con termi icrmùù d'oAilitì, ove il Coriuro mollrò che, purché non iolTm cUnneggiati i luddiii della Repubblica, egli Aon fi moverebbe di ui pelio, eflèlido tali gli ordini fiioi, e avendo caiqoiioWb fin eli’ ore -con qiiella diicmione che i Minifiri Auftriaci dovevano lodare: poiohi, Éebbenc aveva forze confiderabili foliemue con molu ^la, colle queU avrebbe potuto far infiniti mali in pacié poco (am, e poco prowifto, nundlnneno non s'era mofirato nemico; k neo ^ade l’infialeBxn degli Ulcocchi, e la difela, o follevameiuo de’propr) fàddiii l’ avevano indotta! perb provvedeflc pur U Rabatia ^e dal canto fuo non fi rinnovaifero l'ingiurie, che egli, tenendo le vecchie per ben veadican, a'alicrrebbe v^eniien da ogni altra oStfa. Il Rabana redi conteonfiinKi della riletta deldCniMio; e fi aaarayi|li& di vedeee un giovine coti valorolo peli' armi, ooai pendente ae’ configli, e caci accorto nelle rifpo{le; nè dubitò che potowc elTergli maBcato da ijaeila parte, vedendo che fi ptycedeva finceraoMOte : potò, avendo abbaftanaa prawifto che con nuove rubberie non fodero provocate quell' acme, levò ficuramente la gente di quella perù «he parve neccllària a' Cuoi fini, e coadfii, e con altra raccolta' in altre pani, fé ne venne verib Segna armato in modo di jntet ilbrzar afi'ubbidieoza quelli che voloncariamence non vi c' inehinailero. Giunto adunque il Commeirano nella tetta di Fiume con ul apparecchio; e fapaado che, per le molte pnwve, i Veneziani. hvrebbono potalo afpetiare poco ^ttO| della fua commedieoe ; poiché tutti glà.altri venuti in altri tcn^d cbn .fimil calicò avevano avuto poco penfiero di medicale il male della radice, ma s' erano oonteneati di dame un'apparente loddbfazione, non accomodamanio ; non coaando che poco dopo la partenza loro le facceuda risadpITaaa :oef^adoCau dilbrdioi; elferiio nwluta 4 é-drizar la paaunn.alU.via d’un reale, e fodoaecomodamento, il quale conycoiva alMl. dignità db' fiioi Principi, e alla ficurezza de'fuddfti, pensò eder necedàrid di levar primieramenM fot»bw, e i fofpetti, che potedeio aver, contrarii, e poco iinceri dilegni i Veneziani ; onde procciwò con lenere coufidenia predo at Generale PaIqualigo; che, per piti facilitare la trattazione, fi era trasferito con paiv re dcH'aamaia lopn Pifida di Veglia,, ove db da -Calici- Mufebào mira con p04n anicrvallo le .-vicine riviere de gli Auflriacia i Qpivi dunque fi portò il Vèicnvfli di Segna per oediae del CommUfario al Generale, per alficuraria-che fi faceva da davero; e par precario a cornfjpoodere dal canto fuo olla buona vnloacb degli Autteqtci,dove il Vclcovo riferi che i punti dé^ corameflione erano veramciur di galligare i ladroni fecondo i merici;>(a non tutti, almaio i capi ; difcacciar di Segna, e da tacco quel cragta> IduUjpi Veu^i sbandici, fuggitivi, e fallili, dalle Galee con perpetua peoihnMa di ano ricettarli per r avvenire; e, quplU che piò importa, dà levar gli ilfigocchà da Segna, e da' vicini luoghi marittimi, tralporunduli mdi.ulcuni .CallvUi fn terra, non raeim oppornini ajla difela de' confiìfi^ -eha .-dtaie àcsunudati alle rapine del mare;, e in fine. di proibire a quelli che nmt.nefiÌHo in o in altri luoghi mnrireimi, -ogni ule di bauahat-aa onare (VàevaMo l'autofitli anche aà Capitnnla.di Segna di far limili Ipediniiaàp imi • voiwo rirolvu-e; * f>rii bene, poiché fiams vewKi ia pnipofld), che qui li ne difeorra bravcoienlc la caràne. ’MoAcaThno i MùùAri Imperiali d'aver gran geloCa delia &ctena di Segna, • KrI'uadcvano i Principi, che, levando gli Ulcocchi da quel pnlidio, (quafi che altri non olièra atti alla difcla) o i Turchi l’occuperebbene, q t Veneziani, che gik podèdevano tutte l'liòle, e le parti marittime della Daloizain, fi iatebbono tetto padroni anche di quel pone, e che alla digiiitè della Cala d'Auttria, c della Corona d' Ungheria, impoKaea rnelto conlcrvaz quelle picciole reliquie di dominio marittimo, si per dipender da quelle la conlcrvazione d'altri Suti, come mobe percÀè mi giomo avrehbono potuto eflèr oppoRimc alla ricupe-nuimte deU'altre coe preiqfè; poicÙ cop eA Ièlle fi imaeerrebbe l ' mo della navigaziom per (didnatiao .. Qwttì, erano gli argementi apparenti co'quali fi andava divenmdo ogni innmmiione ne gli affitti di Segna, c per coniegnenza lotteuendo’ l’ io^natih da’ delitti i^li Ulcocchi: imehè in iàtio non latebbe mancata altra nazione molto pih atta aUa dileià di quella Piazza, la quale in mano- de' ladroni era anzi maUfiimo ficum, 'panc .per la loro inlèdelih, e per elTere la maggior par. te amefii a'iiimiti de'Tnrebi, e qmlla cittadinanza lenza alcun riguardo; cade facilmeatt avrebbono potuto entrarvi de' traditori ; pane per. che fpeSe volte FaaKir della prùda, e delle rapine aceva iaiciac vota attimo la Piazza, ulcendo tutti, or per terra, or par mare, alla bnicaf Bai qual calò rìmaneTa la Eiaaaa cpotta a i repeatini allkiti, e all'ii^die de'aemici.' eitre a che, le mbberic continue degli Ufcocchi anzi acctclcevano i pqticoli, irrimado caci i Turchi, come i Venaai»ni a tcacaiarli filari .di qaa^ iofimii nidi.- onde più volte avevano i Turchi ièna iftaaea a'VeBeziani, O'cke etti •’ impadioiiilièro di Segna, e permeitclièio kno di venir coU’ armata per mate, e pon> eli mii i di «cin aU'cfiirpiuioBc de gli allèilHii, comuni Bo a n ci. Ma i Ycaevaot, coafideianrio ^ pmiòadamcBte t’ùàaarfaBaa'di tal neg eai b ^ avevaao (emprc aolla toro pradona dtvartM iHilt B*ni|^, taiaa pammiifi, bob fido alta Cafa d’Aufirià, ma n taro itieiiefimi,.c a tutta Italia ‘liifiema; aè per sè ttcttb potrebbe crcdeie alcun iwmo bivio eh’ alpirattèn mai i Veneziani al daininio di Sopra, jxrchè con etto t'addottèrebboaa una grotta Ipeta, -c ua centhuiO rame di contraili enza guadagno, o utile otauao, o cantbdiih Verona di roomeato per tempi di guerra, o di pace t nè è venfimilc che Minittri Aullnaci non fofe» affiti bea note tutte la rag ioni a ma con quei fimi lòlpatii coprivano altre loco imerac pattanr, le qnali in alcuni pochi derivavano da un vii intgrefi le detta pamnpaatataa delle prede; e in miti da ua comune mal-MHa vcrlo il Baine VÒSiano, geneedio dalie amiche guerre, nelle qiuuoaàcrano in oumo dc'Vcaeziani molte colè che pfi altri pracemkaaiio ttièr di loro ragiaae ; d ita Mei naturali ttimuli che rcndoiw fenipre adiidè le fteanbUiclatini^ £aó tetti da un iolo, e loipcRi i Principi Manarebi a' fa^Fcaai-dr tnplùtudiaè ; fé pure di quelle avverta inclinoaiou non vàgleBaro ^ ta alla divetfitb deUe naaioai, eba, doennfMiaaafiMM èowana, lotto ioliaa a aoo miraifi con basm ocebéa, ara m». lan fcmpae i còKibbì dillihna^d'qgttb. mipànoatovnimno piglia baabta. o« lag ta naw tai, «prtMÉtéMaU cfitatrtalim^ aiaii, ed attiaaa la voimnb; M che fivpofièbboao adthace tabetai efempj, cos'i dc’noftri, come di altri tempi.* ma non facendo più che tanto apropofìto, li tralafcieremo. Il Kabatta a quelle ragioni ne aggiungeva un'altra piena di malvagità, e di fellonia, la quale nondimeno egli teneva per la più reale, dicendo che i Miniftri eretici, Ipezialmente di Grata, impedivano lo accomodamento cogli Ulcocchi, pcnlandò che per quella via avefle il Principe loro ad intrigarfì in guerra anche co’ Veneziani; e che, immerfo in tante occupazioni, avclTc finalmente a defUIere dalla riforina della religione, nella quale con vero zelo di Principe Crìiliano, e Cattolico egli procedeva, non olUnte i pericoli della guerra Turchefea. Veggafi di qua quanto importi valerfi di Miniilri di mala fede verfo Dio, i quali fono anche per ordinario infedeli verfo i loro Principi. Ma torniamo ormai alla Storia nodra, per dire come finalmente i Princip i, adretti dalle accennate ncccHitH, e follecitati da’continui uffizj del Papa, c inficme del Re Cattolico, non oiando i Configlieri cattivi contrapporfi alle neceffarie riloliizioni, deliberarono di rimediare leveramente alla malvagità degl' Ulcocchi, e di dar ordine il Commilfario Rabatta, che dopo il gadtgo de' capi riformane gli altri alle Cadclla fraterra, nè UrcialTe alle marine, fé non quelli da'qujli p')ceire promeiterf» più moderate azioni j c a’ mcdefimi impedifle ogni elcrcizio di corto, acciò tutto il dellderio, che avdfcro di preda, andadè asfogarfi fopra 1 Turchi. Col ledimonio di quede commedioni avendo il Commeffario data fperanza al Generai Veneto che le cofe centra la prima credenza fodero per palfar felicemente, e che egli per la pane fua rincamminerebbe con t^ni finceriih, ottenne all'incontro ficurezza, che in tanto nè in Idria, nè in Dalmazia l’arme Venete ofiènderebbero i fudditi Audriaci, e che a lui, alle genti fue, e alle munizioni, e vettovaglie, che d condiiceflcro in Segna, farebbero liberi i partì lenza alcuna molcdia: e con queda Ambalciata ritornò il Vefeovo di Segna a Fiume, dove tiittavra lì tratteneva il Commeflàrio, actenJijndo anecertarl apparecchi, e a prender quelle nccelfarie informazioni elio pòlevano ertcrgli di bitogno nel progrelTo del negozio; follecitamio iopra tutto copia di vettovaglie, delle quali fapeva dfer in Segna grandifftma penuria; la qitale fi farebbe accrclciura colla gente d'arnie che fi doveva introdurvi, c-di gi^ aveva cominciato ad entrarvi: c con quefto mezzo fece anche fegretamente trattato 'con fua Eccellenza, che volefi fc con qualche deliro uffizio provvedere che gli Ulcocchi, che fuggiffero dagli Stati Arciducali per timor de’ iupplizj, non avclTero ricetto prelTo a'I'urchi; parendo che così convcnifse, non tolo acciò non fiiggilsero il meritato galtigo, ma anche acciò i medefimi rifuggili in quella occafione non fcrvificro poi colla pratica de’ fui, c colla notizia tic’ parti a’ medefimi Turchi nella guerra contra i Cridiani.* il qual uffizio confermò maggior opinione che il Commiflario forte per camminare di buon parto. Del qual animo fi videro indi a pochi giorni fegni più certi; perchè non folo a richicrta del Generale fece rertituir un grippo di Licfina che, carico di lardelle, era fiato prefo poco prima da’ ladri, e condotto a Terlato; ma avendo il medcftmo Generale fatta ifianza che fc gli dcfl'ero in mano alcuni luddui Veneti, fuggiti' per misfatti, c annidati in Segna; egli, vedendo efler nuovo rclempio, c inlolito tra’Principi, e die a tanto non arrivavano forfè le fuecommirtioni, prefe parcitodi fcrivcrc al General di Tomo il. Y Crovazia, mo(\rando che fcnza cjueflo farebbe come imponìbile Taccomoiiamcnto ; c che perciò egli andava penlando di dar a’ Veneziani una tale foddisfazionC) poiché in ogni modo pareva miglior condglio il darla coTudditi loro, riiparmiando quanto piu potelfe t proprj. Di queAa lettera mandò anche copia alla Corte di Gratz con penfiero che il filenzio gli icrvilTe per licenza, per cosi elèguire; lapendo bene che, chiedendola, mai non l'avrebbe ottenuta; e fu partito di accortilTimo minillro : e quando mafìàme s’ha da far con Principe di carda riioluzione perchè cosi dalla tacitumitk fi prefuppone conlènfo, nè fi mette in difputa quello che maggiormente importa alla conchiufione depili iunportanci negozj. Dopo quelle preparazioni, il Commeflario rilolle di trasferirli in Segna, dove aveva già fatto intimare che tutti gli uomini della Città, c delle milizie dovclTcro ritrovarfi prclcnti alla fua venuta fotto gravi pene; i quali, ricordandoli che gli altri Commillarj ancora avevano dato principio a* loro uliìzj con certa apparenza di terrore, e con molta vetnicnza; credendo che quefta volta dovclTe fucccdcre il mcJcfimo, e fidandofi de’buoni amici che avevano nelle Corti, non cominciavano ancora a dubitare de* cafi proprj ; e pare che peniafTero che fi avelie ad impiccarne alcuno in («^disfazione degli altri.* onde i meno fccllerati fi confòlavano colla fperanza, che fi dovelTe cominciare da’ più ribaldi: e quelli, avendo coi più grofll bottini avuta comodità di farfi maggiori amici, e di acquiUare più credito, credevano pur di poter fuggire in qualche modo il laccio, almeno colla fedirione, c col tumulto: pcrlochc ordivano trame di lìar tutti uniti alla comune difefa, e di tenerfi in piedi colle minacce, o d’abbandonar i conhni, o di tradirli: colè che in fimili cafi aveva loro altre volte giovato a feanfar pene capitali: con tutto ciò fcntcndofi avvicinare il tempo della venuta del CommclTario, e rilèrcndo quelli che avevano trattato feco in Fiume, c altrove, ch’egli era Cavaliere molto rtloluto, c fevcro, alcuni Himavano miglior partito TeiTcr uccelli di bolco, che di gabbia, e fi aflentarono fino a do. fpcrando di potere, palTate le prime furie, feufar poi in qualche modo la dilubbidienza.* fu creduto che Daniello Barbo, Capitano di Segna, fautor degli Ulcocchi, e poco affezionato al Rabatta, li configliaire ad «feire; almeno è chiara cofa, che, avendo potuto, e dovuto proibir la loro partenza, non Io fece: onde fi cavò certo argomento, come poi fc n’ebbero de’ più chiari, della ina mala volontà.- lebben in quello egli venne a facilitar i difegni del Commiffario. Quelli, elfcndo indi a poco entrato in Segna con 1500, archibuficri, trovò che la partenza di pochi aveva impauriti gli altri, che non erano più di 300.; i quali maggiormente fi sbigottirono, quando videro perduta ogni fperanza di fuggire dalla Città, per la cudodia llrcttiflima delle porte; e udirono i rigorofi bandi che commettevano, lutto pena della vita, che ciafeuno deponefie Tarmi, nè fi laicialTc trovar con eflé nè di giorno, né di notte: che quando alcuno folfe chiamato al Caflello, dovdfc pretcntarfi fubito: che in termine di due giorni doveflero tutti unirfì a darfi in nota dinanzi al Commiffario, fc volevano fedelmente, e modeflamente fcrvjre alla Cafa d’Auflria: e che quelli, che fi ritrovavano confape voli di gravi delitti, veniifero fpoouncameme a chiedere pentono de’loro falli, per efperimentar la clemenza, la quale non fi IhKbbc negata a chi con opdre valorofe avefle prima prellaco, o foflo dHpollo di predare nell’ avvenire ntil» fervizio alla Patria: ma chiunque arj^aAé che la giuftizia gli metteflè la mino, indarno griderebbe poi mifericotdia, perchè fi procederebbe concia tutti coneilremo rigore. Quefte cosi gagliarde determinazioni attcrirono gK animi affatto; nè cofa alcuna pareva più «rana, che il depor l’arme, non effendofi quello mai più veduto in Segna. M f-'*pùano della Cictù, che di gih fccmrfva più chiaramente idifegni del Commifiiario, cominciò a' diflUaderlo dall'imprefa con apparenza di gravi pericoli, e di mille fpaventi dicendo che rederebbono abbandonati i confini ; e che quella gente ardita, e pratica del paefe fi potrebbe unir co’Turchi, e apportar a’ Principi qualche nocabH danno: onde egli non foto biafimava il configlio, ma protedava di non volerne parte in modo aienno. II Commillìirio, come quello chd conofeeva 1’ umore interno, non fi mode però punto dal luo propofito; anzi veduto un’Ufcocco in Chiefa con nna accetta in mano, gli fece una gran paura di tagliarlo fubiio -in pezzi, fé non foli: dato il rifpetto del luogo' facro, onde tutti rimafero sbigottiti, e facevano idanza, che fi liominìdrero i delinquenti dedinati al gadigo, acciò gli altri poteflcro ufeir di tema, e viver ficuri. ' Ma dfcndofi quel me^imo giorno cominciato a fiir la deferizione, e dar in nota quelli che fi 4trivano di viver modedamence, e di fervir fedelmente alla Cafa d’Audria; pel qual effetto comparivano in Cadello difarnlati, e umili; il Commiffario fece ritener prigioni Martino Conce di Poflidaria, che sera' latto capo de gli afiàffini, per l’aviditi delle prede, centra quello che richiedeva la nobiltk dei fuo lingue, e la virtù de'fuoi Maggiori; e iniìeme Marco Marchetich, che era Vaivo. da, o Capitano di Ledenizze, Cadello delle appartenenze di Segna: aveva dUegnato d'imprigionare nel medelimo tempo anche Giorgio Maliarda, Ragufeo, più Icellerato, e facinorofo de gli altri: ma egli nel delcriverfi era pallàto con nome fuppodo; nÒ il Commdfario lo riconofeeva di faccia: ma quando feppe la ftaude, mandò a chiamarlo, effondo gik intorno a due ore dt notte, oèe egli, che fi l'entiva reo di mille inauditi misfatti ; fpezialmente d' avere dopo lo iValigiamento della fregata colle fuppellettili delCanale, Conte diZara, confinati i macinai lotto le coperte, e alzando la vela, fpinta la barca in mare lenza governo, e, fenza cudodia, a difcrezione dell’onde, e deVenti» latto veramente barbaro, e orribile a raccontare; s'apparecchiava colla feimitarra alla refidenza: ma fu prevenuto da Odoardo Locatello, Capitano delle' milizie di Gorizia, ohe gli cacciò uno docco ne’ fianchi col quale lo pafsò da banda' a banda, lafciando poi che i fuoi foldatt lo faceffero in pezzi. Era il Maslarda fra i capi de’ladroni uno de’più Rimati e di maggior fegnito: nè la fua mone farebbe per avventura dala lenza qualche tumulto del popolo, fe gii non fi foffero trùvau gli animi ingombrati da draordinario fpavento. ° Il che intendendo prudentemente il Commiffario, per acerefeer terrore fopra terrore, fece la medefima notte appiccar alle mura del Odello il Puffidaria, e il Marchetich; il qual fpetiacolo la mattina fini d’atterrire la Citti retta; nè alcuno fi teneva più ficuro della vita, herebè ninno era Twio . Y a che 17 ?- ‘S ’T O .^R I A I che in propri*, cofùcozz non. Q conotccIT^ reo di loone ; k porte Aavano chiufe, k (Inde goard 4 te d* miìi»k ibrelUcre, oy* niuno aveva ardire d( ufcii di cau, ni di dormir ia notte netta propria ftaqea r però il CommilTario, per lakiar ad alcuni quaUlK fpecanza di, vita., fece loro intendere cbq, quando gli fòdero dati in mano alcuni capi, e reRituito tutto il bottino che s en ultimamente fatto in alcuni va6cUi dello Stato Eccleftajlico; di che il Papa faceva grandURmo romoit,' atta fi farebbe a tutti chiufa la ftrada del perdono. Con tal artifiaio ebbe in mano il Moretto, (araolò*(iapo di ladri, con un fuo compagne,- che furono con inganno prefi' da gl» altri, « prefenuii con certa l'peranza che 1( tcRe loco poteficro Xalyar -da vita a atolli.' nondimeno co' medefimi che fi^o f impala fu tifato con tqolu (evecià, lafciaadoH piò toRo t'n dubbio della morte, che ficari della viu; con tanto rigpre fi procedeva al uRigo,. de’ ribaldi, Aveva il Commìflàrio al Rio piiaio arrivo a S^na ricercato il Cenerai Veneto a mandar qualche perfonaggki che rifiedefle preflò iR .iui, conte teRlmonio-, e Ipfttaiore di cjò $he fi faceva fincerameme, e rilbluiamente, per. àcconodamento RablWv-q reale del, negozio ; .e acciò proppnede ancora ili mano in mano quello che gli par efle opportuno a tal fine. II. Generale deputi a quello .carico Veitor Barbaro, fno Segretario, come ben pratico di tali afiàiri, è cosi pet natura, come per elperienza prudente, e atrifiìmo a fimili maneggi.' ma fu in ^i giorni, come Ipcflb interveniva in quei canali, dS S^an furia di Becca, che il Segrcurio non. potò accoRarfi cosi predo, come defiderava: onde arrivò quando appunto i era dato cosi notabil principio alla faccenda, e nel medefimo tempo in co», fi conducevano -alU forca il.'Mnrettq, e Niccolò. ivo compagno;.! quali furano gratillimo fpeuacolo a gli Albonefi, che- avevano condotta, colle loro Mtche armare il SegRtario; nò poterono contcnerfi, c)^ verio la fera non troncalTero k loro tede ; parte per faziar l'odio particolare della nazione; parte anche per portarle con dio loro, affine di JcndCr ad altri tedimonio reale di tal effetto. U Barbato s'abboccò la prima volta col CommilTario alla prefenza del -Vcrcovo di Segna, che aveva in quei giorni appunto pigliata il poflefTo della fuz Chielà, e col cui configlio s'indirizzavana tutte k co, fa, per efler Furiato ebe nelle Scuok -de' Padri della Compagnia di G*. sò aveva acquidaic feienze profónde, che, accompagnate còli' rio delk cefe del mondo, T avevano reoduio grato a' -Principi Audriaci, e al medefimo Rabatut; ficcome,, per elTer della Fam^ia de Oominis, nobile d'Arbò; ma piò p» euerfi modrato bene affetto al negozio, ed cfférC per ben pubblico, e della patria fua molta affaticato intorno; e per cOer anche confidente dc'Vcoeziaoi, In quel primo colloquio il Erbato, paflati i Coliti termini di cortefia, feuiau In la fortuna del mare la tarda venuta, rapprefentò la fpcranza che ^ en conceputa dai Generai Pafqualigo, c da. altri, di veder ormai gadigate k fceltcratezze degli VHcoccha, poiebf s' en dato cosi buon principio; e, oomiticiando a dire gli afTaffinamenii, k trucidazioni d* uomini innocenri, le crudeltà di fiir. drazio de'corpi morti, « rii fiere il liuigue, di icorricarli, per far dringhe deUe,priH, li dnpri,. k rapine di .donzelle, e k infinite rubberk colle. quadi.t' era turfiata la quiete del mare, e della terra, modrò con malta eloquenza^ ed efficacia, eh' era -bidono di rimedia • celere. cckfe, e gagliarcki; e eonchiufe, che Tperava di vederlo appiicito oppertQnameate da mano cosi perita, e valorola. Il Commiflarìo andh nella rilnlb' fcufando in parte gli eccedi aecennati t come aggranditi dalia paffione de gli uontini, o c^ionati dall armata Veneta, che, quando anche non fi ofièndevano I fini fiid£ti, ara foiia di cercar gb Uicoahi a morte, e di tiior loro le prede finte nella giiifta guerra conira i Turchi; « finalmente commelB da altri, e poiqutribuiii a gb Ulcocchi; à quali confiifaiva però degni di graviamo gal^, coma turbatori dalia pubblica pace; e che peiciò egli ne aveva 'gib- tolti di via cinque de' principali, che aveva potuto aver nelle nani; lenderido in tanto le rea a gli altri, che ('erano polti alle Iclwi, 0 davano nafcodi nella Citth : nel che aveva fatto chiaramenK-conoKerc la fua diligenza. £ qmndi, come Cavaliere'di natura libera', e apena, incominciò ad aprir 'il foglio delle Commiffioni; e de' difegai fnoi; dicendo che teneva ordine primieramente di edertninar aflàtto i .capi de'ladri, e i priocipaU mafitadieri avvezzi a corfeggiar nel mare ; foeondariamente difcacciar di Segna tutti t Dalmatini o altri fiiddiii della Repubblica, chiudendo loro per fempre le fperanze di ricovrarfi in quel alido : poi 'di lafciar Iblo in Segha cento di queib nazione de' pih quieti, condiicendo tutti gli ahji piò addentro fra terra in altre Piazze di frontieia per difela de' confini; e uliiiqamentc di ridringer r nlb delie barche armate, che non poflàno ufeire lènza clpredà licenza del General di Crdvazia-. Il precario, al quale erano piaciuti gli altri pttnti, còme quelb da i quaU veramente dipendeva ogni Ccurezza del defidemo componimento, ripigliando pih di propofiio l'ultimo delle barche armate, difse che iperava che l’uto loro firirebbe dato proibito affatto, poiché la Repubblica non era por confentim in modo alcuno che con l^nza del Generale di.Crovazia, né feaaa, tranriafsero limili valcelli ndte appartenenze della bre incera, e invaiata giurifdizione. Il CommilTario replicò che quedo 'era incerelse non folo del Regno d'Ungheria, e di Crovazia, ma anche della Sede Appofiolica, e del Re di Spagna; però che a lui fob non- toccava di decidere controrcrfia cosi imponame, né di za pubblici larrocin;, e abboipinevoli aflà0ÌMamenti, era hfoluco dì continiiare dctenninatameare il rimedio, i-.. .. Per quello il Barbaro, quaniQ più vcdci^ infervorato il CommiflTario, unto più Io ifqportuqava, nè ^ mai moflrava di conrenurft di quello che fi faccvai aè di vederlo liooiikorcere come fatto in eompiacimento della. Repubblica, ma come a lervizio di necelfaria giuiUzia, e gallico 4e‘ privati delitti; dicendo ^e il Moslarda era fiato facto morire, per opwfto coll'arme a .chi.lp chiamava; il Pofiidaria per concetti fedixiofi iparfi da lui, quando fi ricercava T opera della milita, per ritrovare i colpevoli nalcofii frale cafe^ e il Marchetick perchè aveva abbandonato Ledcmzze, dove egli era Capitano, c aveva data oecafiooe che il luogo foflfè laccheggiato dal General Pafqualigo: ficcome ellèndogli fiati confcgnaii nove Iùdditi Veneti, di molti, e molti che erano dimandati, parte nominatamente, c pane con termini Onerali di mrti i Iùdditi, fi doleva che fe gli defiero Iblapienre poveri artigiani, e che a' maUatcori fi laicialse Ipazio di fuggire: febea in vero il Commcirario alava ogni diligenza per poterli avere tutti in mano; ma elfi ic PC Ila vano alla montagna, provviftì fcgrctamcnte da’ parenti, amici, e da quei medefimi, che fi mandavano a pcrfeguiiarli, delle cole ncceiTarie; nè era poffibile a rimediare a quello difordine, le non fi voleva difirug-« fiere tutta quella milizia: il che certo farebbe fiato cantra il pubblico lervizio della Cafa d' Auftria, anzi di juiia la Crifiianiti. Dolevafi però il Commefiario di non poter loJdisfare con tutta la fua lollccitudine; e fi rararharicava principalmente che erano fuggiti dalla^ Citik cinque Dalmatini, de più crifti, c de’ più defiderati dal Generale; onde teneva che refiafle forpetta la fua fioceriib; c fu per far appiccar due Capitani, alla neglkenza, e edeienza da’ quali s' imputava quella foga: nè avreb^ lafciato aefiguirjo, fc i parenti non gii aveflcro promcITo di portargli ovivo, o morto 9 kuno di quelli che fiavano alla montagna; come fobiio fo facto: perchè un fratello d’ uno di quei Capitani, ufeito con altri alla caccia, prefe up famòib de’ richiefii dal PafqtMligo, e lo condulTe in Segna ferito d' archjbugiata nel capo,d 9 vefu fobico impiccato lemivivo, egli fu data la teila; come indi a poco gli forqno conlègnati vivi quattro altri, acciò vedefle pure che fi faceva, daddovero. In Venezia quelle operazioni erano intelé con. grandilTmio gufio; e molti Senatori, nc paalavaqo con dolcezza col Rofii Segretario refidepte in queli^ Cictb ^pcr la Maefi^ Cefarea, dando lodi al Commefiario, e grazie a’Prmciu, che finalmente avevano leriamente rilolto di gafiigar i ladroni., II Commefiario avvifato dì ciò dal Rofl» lo riferì al Barbaro, Umenìandofi che tutti gli altri mofiraflero d’ efler contemì ideile operazioni fue, fuor che egli folo; pregandolo a confidcrare la importanza delU difelà di quei confiti anche per particoiar intcrefie deila Repubblica di Venezia; onde non conveniva annichilare «mua quella milizia, la quale, ridotta orp^i a difperazione, avrebbe potuto prendere qualche danoofo configlio^ Giudicando i medefimi>Segiij|iii che per gli ufiìzj del Segretar io crefccfie il rigore dèi Rabatta,, A' almeno aìmpedìfie il miiigamento fpcrato, riTolfcro di placarlo con uafcamune ambalcerìa, facendo capo il Vcfcovo medefimOf il quale accomp^nato da* più vecchi entrò nelle fìanze di cHo Segretario, recando gii altri lu la piazza; e quivi con molta umiltà, e lolpiri lo pregarono a contenrarH del fangue fparib, e di tanti condotti alle galee, e d’intercedere per un pcidono generale, riduceodogli alia memoria i Icrvizj che nelle paHatc guerre avevano i medefimi Ulcocchi latti alla Repubblica, e offerendo in altre occafioni di fpendere per T ifleffa cauta le vite che ora fì confcrvaflcro loro: in fine del qual ragionamento gli offerirono in dono due tappeti fini, non teffuii gi^ in Segna, nè comperati. 11 Segretario con brevi parole mofirò che egli, come lemplice minifiro, non poteva preterire i termini della fua commellione : nondimeno che averebbe giovato loro in quello che aveffe potuto: fiimò che foife mezzo afironto r obblazione de' tappeti ; nè al Velcovo fu di lode T efiere fiato ilfromento; febbene Icusò l'ufo del paefe, che non tollera acceffo dell’ inferiore al fupcriore fenza prelènte: cofiuine appunto da barbari, e che fra’ Turchi rare volte A tralalcia, ma che agli Ufcocchi era forfè fiato inlcgnato altrove. IDopo ciò il Segretario rifolfe però di procedere con qualche più di foaviti, anche perchè in quei tempi fu avvertito da Venezia di dover COSI fare: onde piacevano molto gli andamenti del Commiffario; e fi giudicava che non mettelTe conto tanto aflbitigliamento, per non metcerfi a rifehio di romperla; e che egli anzi, procedendo cos^ chetamente, meritaffe corrifpondenza di uguale finccrìtli: dall’ altro canto tornavano gli Ulcocchi a liipplicare il Rabatta che li levatfe di fpavento, e fi dichiarane, fc altri di loro erano defiinati alla morte; o lo in fine avevano da rimaner tutti efiinci; perchè il vivere con tale angolcia era peggio, che la morte fieffa. Quelli uffizj, e i continui pianti delle donne, molTero a compafiione il CommilTario ; onde rallencandofi dall'alero canto, per le caufe accennare, l'ardore del Segretario Veneto, ne fece proclamar venti de’ più colpevoli, lafciando cos'i fperanza di perdono a gli altri, e afiègnando a quelli un 'breve termine; dopo il quale cadeffero in bando capitale con taglia, e con grazia di poterli aiutare l’uno colla tefia dell’ altro. Poi, per venire al rimedio più fodo, più ficuro, e più atto ad impedire i corfeggtamenti, e i lacrocinj di mare, deliberò il CommilTarìo, di tutta quella milizia non lafciare in Segna più di cento fiipendiati, e con loro cento molchettieri Alemanni, e di trasferire il rimanente ad altre Piazze più fra terra, volendo a quefio fine che ufeiflero non foJo gli fiipendiati, ma anche dei proprj Cittadini tutti quelli che foffero conofeiuti aderenti nelle prede, e volonterofi di continuarle: pel Icro oafcere ma che avrebbe ben egli colla Tua autorità dato ordine che n iaiciaifero pafTarc liberamente tutte le barche non armate, fen21 pih rìconolcerle, o cercar dove andalTero, nè d’onde vcniflero, 0 cib che portaikro: e ciò doveva ballare alia lil^nU della navigazione, e del commerzto amichevole tra 1 luddici dell' una, c dell' altra parte; tra' quali, e ara'Principi raedefimi pareva che doveffe Correre ndiawenire migliore intelligenza, perchè V accomodamento epa piaciuto unto ^ a’ Veneziani, quanto agli Arciduchi : di che può addurli quello cerco argomento, che, dopo ravvilo che n'ebbero i Principi AuHriaci; quantunque lìa trerifimile che il Barbo avefle rapprcfencaiò gli avvenimenti lecondo la Tua propria palTtone; nondimeno fu al CommiiTario rinnovata laucoriik.; ^giungendoli alTolucanientc il Capicaniaro di Segna, del quale era gih fpogliato il Barbo, acciò tanto piò comodamente egli potefte perfezionare il negozio, e levar affatto l' infamia di cosh nefandi latrocinj dadi Stati della Olla d'AuHria. Onde fu chiaro l’error di quelli che ardivaho d-impucar a Principi così religiofi, gialli, e benigni, il confeqtimtnto di sì fatte iceileracezze, le quali li dovevano piucuillo atfribuire a gli inganni de’ mali roinilln Eretici, che nò temevano Dio, nè miravano aU’ooor de’padroni, o all'onor prozio; i quali co’loro artiBzj davano ad ìmendere che foflè ùnpolhbile rimediare a quef diJbrdìni ; e li dipingevano dinanzi a’Prìncipi come trafgrefioniordinarie, e neccBarìcde’conbni. Ma ficcome quelli tali rimafero cqpfufi nella loro malizia, e privi degl’ ingiulli emolumenti che ne folevano cavare i così arfero maggiormente di Idegno^ « invidia contra la virtù del Rabatu, vedendolo in difpregio loro colmo di gloria, e di premj da ogni parte: perchè anche i Veneziani, conforme all’ordinario loro collume di corteCa, io avevano facto regalare d una grolla catena dì cinque, o fei miladucìiti; i quali egli però non volle accettare fenza dame prima conto a’ Padroni, con offerta d’ impiegarla in pubblico fervizio, come aveva fatto di fonitna maggiore de’ fuot proprj danari nella tardanza delle prowifìoni, feufabile, per le più gravi urgenze delia guerra Turchelca: oltra di ciò li fabbricava in Venezia una barca di piacere, e da viaggio, per donarla al medefimo Rabatu, fornica di dtverfe comoditi, che a lui nel governo di Segna farebbe Hata di molto (èrvizio nell’andare innanzi, e indietro per quei canali, e per le vicine IfoIc. Tutte quelle cortefio, benché Ic^icrc, c difuguah a’ meriti di sì buon. Cavaliere, tervivano di materia a gU emoli ftx>i, per lacerarlo, c aecterlo in dtlgrazia de’ Principi: perchè li Bvtp, irovando nella Corte dìGratz accefi i cuori di molti Miniltri, fpexialmcnk Eretici, illrumenii reali del Demonio, c Rimici della pubblica quiete, cominciò ad acculare l'opero del Eabatta, affermando che egli, corrotto da’Veaeaani, non aveva avuto altro fine, che di lóddisfàrU in pregiudizio di Ctfkte, della Corona d' Ungheria, e della Cala d'Auflria; onde a fola riebiefta loro avevai^'fttio a iccare uomini valorofi, c benemeriti, dandone altri contra ogni onotJtu ime de' Principi in mano loro; e raettendoU in neceffith di volaaifi a fervile- negli «ferciti Turchefehi, con manifello pericnio che, perla notizia che elh avevano paele, e delle Piazze, av^ a cader ratto quel confine in mano de' nemici. k n Di i,ueft II- Z intcn Digìtized by Google 173 s. ’tT or n': T A. ’ intenzione, vero imitatore della vinti di Carlo fuo Padre, c Ferdioando Impcradorc ììk) Avo, crede del nome; ma, per Tei^, non ancora cipaxto deile fraudi cortigiaoelche, c degl' intcrefìì de’ mali Miniftri, febbeo per Datura, e per religione, nemicillìmo de gJi Eretici. Movevafi ffdunqur con tali artifìzj inganneroli Tanitno del Principe, ma più queU io dfif ArciduchelTa Tua madre, la quale più veniva combattuta da quelli che lapevano come elTa poco prima era rimafla difguflaia, per aver egli cercato d’ impedire il maritaggio dell' Arciduca colla Figliuola del Duca, di baviera, la quale era nipote delia medeOma ArciducheOa; pel quale .iinpcdimcnto fì dice che il Rabatta divulgalTc m Venezia che la luddetia Spola fofle macchiata di lebbra; il che lì trovò poi falfo, c Icguirono le nozze; nè al Rabatta fu facile a purgarfi dell’ imputazione; c gli convenne adoprarvi molti intcrce0bri; lopra la qual cicatrice' ieppefo beo dimenar 1* unghie i luci cnuilt : ónde gli accefero contra i'aniiTib della Madre, e del, Figliuolo in male maniere^ appoggiando tutte le loro macchine alle maligne relazioni del Barbo. Fu il Commtflario avviìato da gli amici di rezze fi raccordafìfero delle lamentazioni, e de' gemiti dc'Ioro poveri ludditi deinUria, e della Libnrvia; i quali, per le colpe di pochi ladroni, venivano Taccheggiati, e rovinati, ed erano (lati a termine, per pura difperazione, di vacillar nella Fede, perchè i Veneziani avevano gik prefa una riloluta forma intorno a quelle feorrerie, ch’era, di non rompere in mamfella guerra, per non iirarfi addolTo la malà fama nel Mondo d’aver molli) le armi centra i Principi CriJUani, mentre gucrreggiavano contra i Turchi; ma rifarfi d’ogni oltraggio, o danno che rlccvelTero i loro fudditi fopra i ludditi della Cala d’ Aulirla a buona mìfura : onde il fomentar le rapine de' ribaldi non era altro, che dillruggcr, c dìfabitarc le proprie terre delle loro Altezze, e neccflltar i Varialli a pigliar altri partiti : che cosi s’ intefe il negozio, quando a lui ne fu data commiflionc; c ch’egli, nell’ averla fapiita efegutre in quella maniera, pretendeva anzi merito, e mercede: che non bilognava dar orecchie a gli Eretici, i quali, vedendo procederfi contra con si gagliarde, c pie rifoluzioni, c che i bilo^ni della guerra Turchefea non badavano ad impedir Panimo zelante del Principe per rellcrminazioiic loro, volevano anche vederlo intrigato di più in nuova guerra colla Repubblica di Venezia, acciò folTe necelTìtato ad abbandonare V imprcla contra di loro; c ch'era ormai conolciuta per tutta ‘Alcmagna, e per tutta Europa la malizia fcellerata de’fettarj, i quali, per mantenerli nelle falfe opinioni, non fi guardavano di tradire i proprj Principi, e la Patria; e che di qua era forfè derivata la perdita di Giavarino, c poi di Canilfa .* che le loro Altezze foiTero certe, o che bìTognava reprimere la rapacità degli Ufcocchi per la via cominciata, ovvero didruggere, e dcrolare tutti i luoghi di marina, e gli altri de’ confini; perchè egli aveva affai bene penetrato che i Veneziani erano rifoluti di vendicar in quel modo le ingiurie degli Ufcocchi ; ovvero, fc in fine bifognaffe, pigliar con effo lóro un aperta guerra: \ la qual cofa in niun tempo poteva metter conto alle cofe delle loro Altezze; ma ora meno che mai, per li travagli maggiori ne’ quali (ì trovavano col Turco.* che a quedo fine i Veneziani avevano giudificata la caula preffo al Papa, e predò agli altri Principi Crilllani, aquali tutti pareva drano che fi voleffero fomentare nc'proprj Stati pub- blici, c infami Corfari a danno de’ vicini.* che in cau> tale non s'a- vrebbe da far fondamento negli ajuti del Re di Spagna, il quale, ol- irà i’effcr occupato in tante altre parti, e altre molte difficolà di pò- ter mandar armata in quelle bande, dimerebbe fua vergogna, per la pict^, e giudizi! fua, il favorire caufa tale .'il che fi poteva anche ar- gomentare dairefiio deir uffìzio che a fuggedione del mcdefimo Rabat- ta fece in Venezia Don Inico di Mendozza, Ambafeiador Cattolico, mi- nacciando le arme del Tuo Re, fe non fi liberava dallo drccto affedio Tricde, c Fiume.- di che fi dimò affrontato il Re; e per fame chia- ra la Repubblica, e il Mondo, levò todo il Mendozza da quell’ Am- bafecria .* che quanto a t pericoli che gli Eretici malignamente met- levano innanzi di perderfi Segna, foffero certe le loro Altezze che Temo II. Z % meglio era afiìcurata quella con poche genti quiete, e fedeli, che col numero maggiore di ladri; i quali, olrra il continuo irraiamenIO de’ncmki, erano loHii rpcffiHimo di abbandonar la Cicih, per atten- der alle rubbcric; onde non vi rimanevano per molti giorni, fé non le donne, e le genti inutili; co’ quali mancamenti s’ èrano a’ Veneziani aperte mille occafioni di lorprcndcrla, le v’ alpiraflcro : ma cfler cofa iroppo notoria tri gli uomini prudenti, che i Veneziani Jafeieranno Icmpre volentieri a fpefe, e carico di altri la difefa di quelle frontiere, eh' en medeìmi, confinando con loro paciBcamente, ajuterebbono Tempre, pel proprio intcrelTe, almeno fotte mano a difenderle. Onde non potendo i Turchi per terra avvicinarli a Segna, ne condurre artiglie ria; nè clTendo mai i Veneziani per conl'cntire ch’ivi s’ accodino per mare, fi poteva tener fenz' altro la Piazza per ficura, purché gli U- fcocchi colle loro rapine non ncccfiiraTcro i Veneziani ad accorJarfi per la dillruzione di quel nido co’ Turchi, che oe avevano più volte promoisa la pnitica; o elfi llcffi non la tradiTcro in mano de’ Turchi, de' quali lòno per la maggior parte fudditi,e molti hanno fotto di loro i padri, le madri, i fratelli, le foreile, e altri parenti: che in quefto confillcva il pericolo di qualche gran perdita, non nelle vane inven- zioni de gli Eretici. Aggiunte il Kabatia, che, per maggiormente affi- curare quei confini, e per la ipcranza di poterli allargare a danno de' Turchi, larcbbe lato utilifTimo il compartimento latto da lui di quelle milizie a i luoghi (oprannominaii di Otiolfaz, Brigne, Profor, e Bortog, mediante i quali fi metterebbero in ficuro fpazio di terreni fruttiferi, onde la gente potrebbe con giufie fatiche iofientar la vita lenza illecite rapine; conchiudendo, ch'egli avrebbe poi mofirato il mo- do di ridurre ì detti quattro luoghi in lìcura difcla lenza che fé n'ag- gravaflTero le Oincrc di Sua Maefi^ Cefarea, o delle loro Altezze. Furono alcoltate quelle ragioni, portate con molta eloquenza, e grand’efficacia, attcntiffimameme; e tolo fi accoriero i Principi che fuor d’ ogni Tuo merito veniva loro mefso in diicredito un tanto Mini- erò, pieno di prudenza, e di fede; onde lo reintegrarono collo nella prilina grazia: e per darne fegno in faccia di quelli emuli fuoi, eief- ièro luì medefimo con amplilfinia autoritli che andalse a ricevere a'con- fini Gian Francefeo Aldobrandinì, Nipote di Papa Clemente, che in quei giorni doveva sbarcare alle marine di Tricitc, e di Fiume con dicci mila fanti Italiani pagati da fua Santitli, e D. Gian de’ Medici, che ne conduceva due mila, pagati dal Gran Duca, iuo fratello, in fervizio della guerra contra il Turco; la qual gente della marina doveva guidarli a Zagabria, defiinara per Piazza della mofira, donde poi per acqua aveva a trasferirfi, come fece felicemente, airafscdio di Onilsa. Amminiflrò quel carico il Rabatta con intera loddisfazione, e de’ Principi, e de' Capi della gente Italiana; e sbrigatofi di III, non vide l’ora di tornar a Segna, per dar compimento a quelle faccende; nelle quali non pareva che rimanelse più difikoltìi alcuna ; poiché daPrincipi Aullriaci erano fiate approvate tutte le fue azioni, e tutti i partiti prefi per rimedio del male; e pareva che f autorità Tolse accrcIciuta tanto, ch’egli dovcfsc lofio elscr elaltato a più lublimi carichi, defiinandotegU gib il Generalato di Crovazia. Ma dopo la lua partenza, la malizia diabolica de gli Eretici s' afsor ligliò figliò ranto più a* Janni di Ini, e fi sfoderarono nuove calunnie, le quali, fe pure non erano afcohate da* Principi, almeno non erano ribuitate con quella fermezza che pareva convenirfi a’ meriti di un tal Cavaliere. Le cole arrivarono ad un tale lUco, che giù fi mormorava per le Corti che fi formerebbero procefli contro di lui, fpezialmente per dimandargli conto della morte del Conte di Poflidaria nella quale $* interefiiavano forte con poco onor loro alcuni principali, mofirandofi parziali d' un pubblico alsalUno, indegno d' elsere ufeito di quella nobile famiglia. Sentivano quelle voci, e quelli grandi roraori gli Ulcocchi, che per cauta loro veriavano nelle Corti; ne mancava chi loro feminalfe nell' orecchie che il Rabatta era in difgrazia de'Priiicipi, a* quali non era piaciuto il fangue di tanti foldatt valorofi ipario da lui furiolamente a compiacenza di altri. Qitdli ragionamenti fi rapportavano poi in Segna, c fervivano a dimmuir l’ ubbidenza al Commifsario; il quale, rrovandofi fearfo di danari, era anche llato sforzato a fpogliarfi di quei prefidj che I* avevano fino all’ ora renduto tremendo in Segna. Accadde in quei giorni che da’ Principi ebbe il comando di mandar al campo fotto Oinitsa quel maggior numero di gente che potefse ; colla qual occafionc pensò anche di Icvarfi dinanzi il retlo de* più inquieti, e più ingordi, per lalciar poi gli afl’ari di Segna meglio regolati rac llrema cura le Galee, e le barche armate, lenza impedir però il corto delle vettovaglie a Segna, per non metter la geme in maggior difperazionc ma vedendo per alcuni mefi che niuno fi moveva, c che fi olTervavano i patti, e che piU in Segna fi rendeva agli Aufiriaci la folita ubbidienza, e che i Principi erano rifoluti di mantenere gli accordi, e d’impedir l' ingioile rapine, ottenuu la licenza dal Principe, fe, ne ritornò a Venezist, gloriofo, per aver mcllk T ultima mano a così collol'o travaglio coll’ autorità, e colla prudenza fua; e tutto il Mondo s’avvide che in mano de’Principi Aufiriaci flava il raffrenar quei la- droni, con tutto che i mali MiniUri gli aveffero per tanti anni dato a credere altrimenti: onde non pareva verifimile che doveflero acconicntire mai più ad una tale infamia ; malTime avendo anche imparato i Veneziani il modo di far ad altri celiar caro il danno che fi dii alloro fudditi. Cqn tutto ciò molti uomini pratici dubitavano che, llando gli UfcocqIiì in quel luogo fenza altro follentamento, folTe quali impofiìbtle che fi follentalTero fenza danno de’vicini; malTimc cficodo gli llipendj leggieri, e difiicilmcnte pagati; nè participando di elTi tutta la gente. Per li quali rifpetti fu prudentemente confidcrato che T unico rimedio confilleirc nella traslazione di quella gente a’ luoghi dilcofii dalle naarine, come Ibno i foprannominati, opportuni alle tcorreric comra i Turchi, e capaci di qualche agricoltura; ne' quali ancora fi dice elTcre alcune veo# di ferro, nelle quali potrebbono efcrcitarfi, e nodrire le loro famiglie con utile induima quelli che eleggedero di preferire un'onello, e legittimo modo di vivere alle maledette, e Icomunicate rapite, calle forche, nelle quali, o prefio, o tardi, inciampavano poi tutti. Ma perchè di fopra fi fece menzione d’ un partito propello dal Rabatta all''Arciduca, fU fortificare alcuni luoghi di Frontiera fenza dìfpendio delle camera Ai'Ctducali ; e perchè nel punto della traslazione delle milizie Segnine a’Cafielli fra terra, e in quello che fi accenna, gli uomini vertati nel negozio hanno creduto (cnipre che coniìfietTe la certa fperanza di reprimere i latrocin; degli Uicocchi, e ovviare a’ pericoli che ^ l^tteUi venivano minacciati, (àrX bene, prima di metter fine a quefU. anche quella materia fi dichiari qui co iiioi o^amentf. .j. ^ •1*" ^ da fapere che il Vefeovo ^ Segna, Prelato ornato di pro« 'dotjrma, pratico del paele, e pmidenre, propofe che fi facefle unappalto co’ Veneziani d’alcuni bokhi vicini a Segna, abbondami tanto di per arbori, e antenne di qualunque genere di VafcelU, quanto anebe di faggi, del qual folo legno fi fanno i remi per le galee; e cbn proccuraflc di avere da loro un’anticipato sborlb di 50000. ducati, i quali fervirebbono abbafianza al difegno di fortificar i luoghi dc^ confini nominati di fopra. Il configlio era molto opportuno, perche i boTchi veramente abbondano di materia attifllma a’ bilogni luddctii,e fono cos'i vicini al mare, che con poca fatica, o fpefa, per fenticri declivi, ufati anche in altri tempi, fi poflbno condurre all’ imbarco; la qual copia, e comoditi efagerandofi un giorno in Segna dal Commiflàrio col Segretario Barbaro, e dicendo egli che quello era veramente un teforo, l’altro rifpole cos\ eOcr in effetto; ma teloro di metallo, o di moneu tale, che non avrebbe mai fpaccio altrove, che in Venezia; la qual prudente rifpofta fe foffe Hata ben confiderata da gli Auftriaci, non fi farebbono frappoffe nella conchiufione di un utililfimo partito tante difficoltà; ma mentre l’Arciduca fu collretto di darne parte alllmperadore, primieramente fi dubitò che quel taglio poteffe agevolar la (Irada a’ Turchi d’ infeffare i confini: ma chiamato alla Corte Cefàrea, per queffo effetto, il Vefeovo di Segna, con ordine di portar feco ddegni reali di tutto il paefe, egli colla Ina prefeaza, e con vive ragioni levò quel dubbio; onde gl'imperiali cominciarono poi a pretendere piò grofla fomma, e dimandavano sborfo anticipato di joo. mila feum, lenza penfiero forfè di fpendeme parte alcuna in fortiheaziune di quel conGne; non ponderando effi che i Veneziani, febbene poffono ricever qualche comoditìt da que’ legnami, non hanno però piò che tanta neceffitò, perchi non mancano loro felve che fomminiflrano materia fufficiente per le loro ordinarie, e flraordinarie armate. £’ vero che la condotta de' remi, che ft ugliano principalmente ne’bofchi d’Alpago, e di Cancerio, fi fa con dil^ndio, e con gravezza de’fudditi, a' quali li aifparmierebbe volentieri quel travaglio; nel retto la materia i inefaufla, tanto per remi, quanto per ogni altro bifogno di piò numerofe armate: è però verifimile che anche per folo rilpetio della fortificazione de’ luoghi tante volte nominati i Veneziani farebbono condefcefi allo sborfo di qualche mediocre lumma a coojp di detti legnami, per interefle proprio di veder ordinato in que'jconfini piò mimeroft, e gagliardi ritegni contea i Barbari che penlaffitro mai per quella Brada d’infettar 1’ Italia, come hanno fatto in altri tempi. \Ma il maggiore, e piò certo lérvizip, che fi farebbe cavato da quell’ accordo, conullcva nell’ occupare la gente di quel paefe nei taglio, e nella condotta ; che cosò ella fi lardffie avvezzata a vivere delle lue fatiche, nè avrebbe avuta feufa, ohe la fame, e la neceffitò fpingelfe in torlo • perchè que'bolèbi avrebbono data póftetua materia, non folo di foltentarfi, ma anche di arricchirli; perchè, oltra i legnami opportuni per le armate, fe ne làidlbBno tagliati infiniti per ogni altro bifogno di fàbbriche; la comoditti portar le travi, e le tavole per mare verfo Venezia, o agli oppolti lidi della Romagna, e della Marca, ove fono cariffirae, avrebbe iltituito un traffico di molta ricchezza; ove ora i bofehi Hanno inutili, e la gente oziolà ; elfendofi, perle caule accennate, dilmeffa già la pratica; ed effendo infieme, come fi diffe di Copra, ritornati gli Ufcocchi alla vecchia tana di Segna. In quelli due punti gli uomini prudenti, e pratici giudicavano c& confilleffe la llabilità de gli accordi, e del ripofo. Però è molto da temere che in breve tempo non fi rinnovino le miferie (febben farà Tempre in p oter de’ Principi il rimediarvi) a 'maggior danno della Criflianità ; perchè febben anche gli Ufcocchi s’ alleneffero per Tempre di non toccare le terre, i Vafcelli, o i fudditi de’ Veneziani, nondimeno le continue fortite che fanno verfo Obruazzo, Teme II, Aa ove •V pvt tcrmin* il canale della Morlapa, far^ fina lmente aprir gli occhi a’ Turchi, ^rr provvedere a’ fatti loro con un cpnfiglio non diflkile da cfeguire, che ritornerà in notabii {iregiudizio, e della Cafa d'Aullria, e d’altri; il quale non infegnerò gih io in quella parte, ma egli era ben intcfo dal Rabatta ; che pereti fi mollrava rifoluto di proibite che quel canale con barche armate non fi navigale pib oltre, che da Se^a a Scrillà, accib l’ingordigia di picciola preda di pochi animali, o pochi fchiavi, non Tenifié una vola a pagarli con amare lagrime, e colla perdita d’ infinite anime Crifiiane ; il che piaccia a Dio che non fegua, e che i Principi CtiUiani cohofeano a tempo, e attendano a divertite i pericoli, acci^ ad altri non relli campo di fcriveie pih dolorofe, e lagrimevoli Storie; dove qnella finifee con un’ incera fperanaa di non ^ fondaa quicw; la quale piaccia a Sua Divina Maeltk di rendere (labile colla Aia lana grazia, p terpreuzionc a cola che li polTa ricever per buona; e fon licuro che, -leggendo quelli fncceffi, ogn'uno fi c#tificheri che nei diiordini civili, noQ aliripemi che nei morbi naturali, i rimqdj lenitivi, lcb|iÀ pare che di pRfen^ giovino, ènafpidlcono nondimepo il male, e lo' rendano a 1 remp feguetlti più fiero, è atroce; e che, quando coH'nfeldc'iwidi e appropriati rimedj, il male è guarito, conviene per lungo tempo aver loipttto di recidiva, e governare il cor^, non meno il civile, che il naturale f non colle regole de’lani, ma con quelle degl'infermi; e Ibprattuito appa^rù chiaro, che' il buon'ordine in maceria fluttuante non può elTcr incedono, le avA ì£ cura di proaurarlo thi dal dilofdinc cava profitto, E per bene incamAinare la narrazione, mi i neccirarioriferiFe tutti infieme gl'ntaieoli (iabilici tra il Rabat», -e il Palqnaligo, che'dall’Arcivclcoto furono commemorati Iporlamcncc, acciò fi vegga in che, e guanto Intono oRervaii, o inìmrediti; d'onde ebbero origine le qaeAte feguite. Conteneva quell' accori»to lei capitoli, »• Che gli Ufcocchi non poteflcro' navigare, fe non nel canale dell» Morlaca, tra Segna, e Serdfa, con altro nome detta Carlobago. Che non poteflono accoftatfi all' Ifole della Repubblica, nè sbarcar fopra i territori di quella, Che a gl’ altri luddiii Aollriaci folTe Ubera la navigazione con VafelU difarmati, e il commerzio per tutto aperto, come per l’innanzi. Che non foficro riconofciuii, paflàndo innanzi il Forte di San Marer cuardia, col fcguitarli, 'ioapodivano loro f efecoaióné de'dilegni, avevano però trovato un lociit modo di fatvar sé fteflì, e le barche .proprie, ion aver far&> nel fbruio-'di ÉÌaicu^ un forame, il quale 'renevanotucato eoa una grap fpina; e,vedth leo le pcffiÉie, indi, po0ato il pericolo, ricuperavano le barche» Il Denaro, che im quei tempi fu rimandato in Dalmazia Generale per diveric prowifioni, vedendo ripullulare i troncati inconvenienti, fece tracrar col Capitano di Segna, e fargli apertamente intendere che, ficcoerte concedeva molto cortefemente il libero t&mfito alle barche per vtage mercanzie, cos\ non era per confemire che gli Ulcocchi [tranfiralfcro armari, come pareva che s’aveflcro arrogala facoltà dì fare nc*cgh emergenti che nacquero da quefte occorrenze, e come ebbero fine, non fa hilogno dirne di più; non avendo altra conncflTione colle cofe degli Ulcocchi, fc non che efiì allora, come Cavalli lenza freno, corlcro come per gradì et maggiori latrocini, eofi'cfb; fi diedero prima a fvaligiare le Caravane de’Morlachi, che conducevano vettovaglie, t mercanzie alle Città della Repubblica. Per miglior Comodo, fi ridncevano colle barche ne i porti delia Repubblica, opportuni per Icvarfi di là, e andar al bditino ip Narerfta, Obroazzo, c altri luoghi de’ Turchi : irw troduflero di corleft'iar anche nel Canale di Cattare; cofa da loro non più tenrara, fervendoli* altresì per forza dcllè barche de’ luddici Veneri per caricar ^l’animali, -e gli khkvi predati nel parie de’Tuixhi fi fermavano nelle Ilole Venete a partir le prede, c a dar rifeatto a’ prigioni con tanta libertà, e ardire, come le le operazioni loro foflcro di Icrvizio alla Repubblica, c di benefizio a’iuddiii di lei, c ne ntcritaflero commendazione. Aggianfero a 'ciò il levar le mercanzie, c t dinari agli Ebrei, e à’Turchi naviganti per Venezia, e far prigioni anche le j«crlunc; nè fedivano d’inferir qualche danno ancora lopra le Ilole di Pago, c d' Arbi.’ c acciò non rìmanelTc alcuno de capitoli accordati al quale non contravvcnillero, ricettarono nel loro conlorzio i banditi Dalmatini, e i fuggitivi di Galea ; onde il numero degli Ufcoccht crebbe grandemente; e i nuovi aggiunti, o per dcGderio di vendetta, a per modrarfi non meno fcellerati, lervivano a gl' altri d'incitamento a moltiplicar le olTele. Non racconterò in particolare le rapine, e violenze in quefto tempo occorfe, cosi per effer troppo in eran numero, come per non infallidire chi leggeri colla fimilitudine degl’ accidenti ; il che oflerverò anche all' avvenire, fc non quand o qualche fingolare qualità mi collringerh a farne particolar menzione ; e febben io fo thè le leggi della Storia ricercherebbono che folTero tralafciati molti de i particolari che fono per narrare, e che i narrati anche folTero più fuccintamente riferiti, per non caufare fazieth, e tedio; con tutto ciò fcrivendo io non per la poderitù, ma principalmente per notizia di quei che al prefente defiderano minuta cognizione ancora per altri riIpetti, che pel frutto che fi cava dalla lezione ;delle Storie, ho giudicato di dover trapanare i termini dello Storico, e più rodo allargarmi a far T uffizio di chi informa in controverfia giudiziale, affinchè ila pronunziata lineerà, e giuda fentenza. Le tante temerità, e cos'i ingiuriofe, codrinfero Andrea Gabrielli, all'ora Provveditor Generale in Dalmazia, a rimandare fuificiente cudodia in quelle acque, per levar a'malandrini il comodo di corfeggiarc, con feguitarli dovunque s’ incamminavano, e impedire T alfaltar barche in Mare, e lo sbarcar in qual fi voglia luogo in terra: cofa che all’ ora a i ladri non fu difeara, valendolene per pretedo di prevenire predo l' loro Principi, figurando loro di non effer dati i primi ad’ offendere ; e qiierelandofi che folTero a corco perfeguicati, e mal trattati, mentre andavano per li fatti loro fenza far danno ad' altri, che a’ Turchi; e alcrivendo a necelTaria difefa, ovvero a giuda vendetta gli fpogli, e le altre tngiurie inferite a i naviganti, e fudditi della Repubblica in mare, e in terra. E per le confeffioni d' alcuni di loro, che pofeia capitarono in mano de' Veneziani; fi ebbe per cofa ceru, che defidetavano, e proccuravano di edere non folo impediti, e feguitaii, ma ancora provocati con qualche afsalto, per poter con più gindificato colore impetrarne da i loro Principi licenza, e darli liberamente a faziare le ingordifiime voglie in qualunque modo. Nè è da tralafciar di dire che alcuni Pugliefi colla iiberth del tranlito incrcdulsero di andar a Segna per comperare la cole predace, c a quedi vendevano i Morlachi, e le Morlache Cridiane, predati nel paefe de'Turchi, accertandoli che non erano battezzatti, de' quali era facu pubblica mercanzia, come fe fofsero dati infedeli. Al principio di quede predazioni non è certo che il Capitana predafse conlenfo efprefso; ma bensù, dappoiché Giovanni Vularco, famofo capo degli Ulcocchi, ritornato da una gro^ preda infieme con Pietro Rofantich, gli donarono 1500. Tolleri, e un Cavallo di prezzo, fornito, fi moltiò aperto protettore del corfo. Mandò in qualunque ufeita generale un fuo famigliare infieme con loro alla preda, al ritorno participando la fua porzione del bottino: e pafsò tanto innanzi, che fi mife egli defso capo nella compagnia loto: la qual cofa anche un giorno gli ebbe a fucceder male; perchè, avendo congregati non folo gli Ulcocchi di Segna, ma tutti quelli del Vinadoli, e aven Digilized by Google I9^ S’ TORI A e avendoli fatti fcorrete nella I.icca, non foto reflò defraudato del difegno, ma gli convenne anche fuggire con qualche pericolo,- perchè i Turchi, avvifati, lo perfeguitarono; altri coriero ad alTaltar Segna, la(ciata lenza guardia fuflìcienre, che con difficolih fi difefe. Di tante ingiurie, e inlolenze a’ tempi opportuni furono dall’ AmbaIciadore della Repubblica fatti lamenti alla Cone Imperiale, e furono riportale fempre gran dimollrazioni dall' Imperadore, e da quei MiniUri, di léntirne difpiacere, e promelse di rimedj.- ma efsendo occorfa nel idoj. la prefa di una Fregata della Brezza nel Porto Cigalz, fopra la quale erano diverfi Mercanti con alcuni groppi di Zecchini, e altra buona quantità nelle borie, e flati Ivaligiati tutti con mal trattamen- gralirt fmontati alfaltarono Scardona, Città de' Turchi, c riulci loro lenza alcuna difficoltli I’ imprefa, avendovi trovata quella gente lenza nefiuna guardia; e uccifi quelli che, eccitati, fi oppolero, depredarono la terra, fecero grolTo bottino di merci, e robe, e prefero 300. Ichiavi, e accelo il fuoco nelle cafe da piò parti, partirono, e all'aurora predo arrivarono al Canale,- e quello jiatTaro colle barche proprie, e con quelle dc’Sebcnzani, ( le quali poi adoperate forarono, e milero a fondo) inviati per terra quelli che non capivano nelle barche molto caricate, gli altri per mare fe ne ritornarono colla preda. I Turchi imputarono i Sebenzatii per complici, e fecero querele a Collantinopoli; perlochè fu anche mandato un CiTiaus, e con molte difficoltà la cola fi pofe in negozio; c con maggior opera, e fatica, e fon lunghezza di tempo fu fatto conolcere che gli b'cardonefi, per la loro negligenza in guardarfi, furono principaliOima caufa del danno; « che i Sel^Dzani non ebbero alcuna parte. Gl'Ufcocchi, e i Minidri Audriaci difendono queda forte di azioni con dire che i Turchi fono nemici della religione Cridiana, e de’ loro Principi, e giudamente polTono offenderli, nè con ragione da altri poffono effere impediti; e fi lamentano che fieno impediti da' Veneziani. Ma elfi dall’altra parte rifpondono, che non appartiene in alcun conto loro attendere, o doleifi, le i Turchi fono danneggiati da' nemici loro: e ficcome non attendono a quello che facciano i Perfiani, ovvero gli Ungheri centra i Turchi, cos'i non attenderebbono a quello che gli Ufcocchi tentaffero dove co' Turchi confinano : ma quello che loro tocca, e che loro importa, è il tranfito pff^li loro territori, o pct le loro acque; non tanto perchè cos'i vieiM jioiata la giurildizione, quanto perchè i Turchi pretendono di elfer rifatti, come queda volta ; ovvero pij;liano di fatto il rifacimento fopra i Ridditi Veneti, come in altri tempi è avvenuto; imputando loro che tengano mano, 0 fieno complici, o almeno che fieno tenuti ad ovviare, e nonlo facciano. Se vi e tanto zelo di religione, c di perfeguitar i nemici della fede, vadano per li loro confini, che fono larghi, e fpazioC, e là efercitino il loro zelo, e va ore. Che, per offendere i nemici della fede, entrar violentemente in cala dell'amico, violarla, e metter le cole di quello in pericolo, e in danno, non è uffizio, ma pretcflo di religione, contrario g i fanti precetti di queda. Il Ba Digitized by Google di Pifino per li» lìcdrciaii, promife con lue lettere al Genera! iRTo che avtehbe ifancenuca la fua roldaéelca in difciplifia, fìcdKc ncfIbno avrebbe occafibne di querelarli. Diedè -principifi ili’ informazlonè per mandar alla CArce, e delle cofe predate ricijperb tre mila 'zecchini dc'gropii, perchè quelli erano capitali in ftunò de' priocipali' ^r qdellh 'dhe Tbccava la robe',* ficcoma per li tempi palTati 11' mandaf per informazione ilon pdrrorl Inai ahrd efrecn>,~fe non tfllazione', accioccU il rubbaro poteffe eflTer trafugato con comoAj; e TIldfi, per non fSV la rHRtiizione, ne facelTero parte a chi poteflé'prdl^crli; cds’i nelTocc*finne preftnte refe la ricoperzzSsne impoflibile. Imped'i il Baronè agli Ufebethi Pufeir allS peda; e ^1 tempó'di fei raefi, che dimorò in Segòa, le cofe panarono afiài Quiete Parti all’ improwflb pr Spagna, per la ’lffórte di un fuo -fratello, e lalc^ le trfè in cdhMone; e de 1 tre mila ‘zecchini de’groppì Hcòperari non li lepp mai che cofa ivvenilTe. Von Mterono i pdroni'Vitrame parte alcuna, quantunque, ajutati dagli nmaj de’Minilirr della RepaWiea, JafèlRro continuate iHanze in Se^af e aXìratt pef rtlHtuzfShe jdeW Ih line, ftanchi, non tornardfr piò loro il cifnlò di profeguire, ihbandonarom 1è loro ragioni. Fu un’ arcano ufato in tutti i tefpi da chi comanda agli Ufcoccnl^ di deibdere gli uffizj de" Minillri * della Repubblica, e If private iltanze', llancaido gf in tereffati colle diUèfimi, e nhtrehdo 1 pubblici MiniDri di fpranze d*^tera rèWruzIonc dei tolto, e galligo de’ifelinquenti, fili tanl tq che, fitccedehdo uh altro rubbamento, e dopo Quello un’altro, il parlare de’liiècelli frefcfii faccia porre prima in lilenzto, e poi in obblivione i primi. e fi può ftire generalmente che fempre hanno pollo in fiknzio, e coperto ogni 'fiìblnmenro con un'altro nuovo. Per la partenza del Barone, gli Ufcocchi, reflati liberi, fi avanzarono nelle iniblenze con dtqni di ‘tutti i generi di fopi^ raccontati ; e intraprefero -di più tih tentativo chO ne'feguenti tempi ogn’anno tentarono di metter ih effciro. E’ pollo in ufo che da "Venezia parte una Ga. le,!, che chiamano della mercanzia, per Dalmazia, donde leva le merci che fono portate aquella fotta.’ Gii Ufixcbhi penfanno che, venendo loro iicto di poterla una volta fpoglldfe, foiebbe (lato un' grofiìlfimo boKìno per loro, c gran fervizio a’Ioto Governatori, fe quel commerziO' foffe ftatn'- imcirotto ; però ile’ tempi dell'andata, e del 'iitomq maraviglia è quante. infidie*s'ingegnarono''di porle; ma non hanno mai potuto colòrir il difegnb, perche h Galea, per fila ficureiza, fempre i fiata da Galee, o barche armate accompagnata ; ma quantunque la mi andaflè fallace, ^on rdlavano di (jdiptrè in altro, Icbben non di tanto fratto, perdiè,- mentre fi attendeva alla cullòdia ’ della Calcai, conveniva in qualche luogo rallentare l^'guardie; e reftava qualche parte del mare non cullodita, e loto aperto il luogo datwtcr far de'mali pari a i loprannominati.- A queili Igginnferu apprefliptn nuovo, e lirano ufo di violenza dove era ^nalche figliuola da marito di buon parentado neU’Ifole, 0 Terre marittime (tf -Dalmazia; andati improwifamente,‘o di notte, o in ^Itfi tempi più opportuni, con inforzar lecafe,Ia rapivano in matrimonio di alcuno di loro; e poi co’congiuuti .(che al male palfato non potevano rimediar^’) iratiando {bee, e feofando il fatloj pròecuravano d’ indurli a ficonoftérli per. parenti, e favorire le cofe Tomo li. Bb z loto loro eoa intelligenze, zvyifi, e zltri zjaii- Pochi ne poteyzno periiiadcrc, |>er le gran pene cb'cleguiva la giullizia contri chi era trovato aver parte con lofi; ma citi contra qoclli che liculàvano oftilmentc procedendo, valendoli di preteOo della dote della moglie, tenevano in continua venazione le perlbne, c gli averi loro fin tanto che lioflcco eoodotii a mileria efttcma. Alle violenze, arrapine ovviava,Giam • Battifia Conntii^, Generale Veneto, guanto «jr’foflibile a chi non voleva ulare i mezzi proprj di alidar a i nidi dp’iadroni, per non difpiacer a' Principi confinanti; ma Iblo* difendere le cole proprie: il che riufeiva difficile, avendo a guaruna Riviera di joo. miglia con unte Itole, e fcogli, cooira gente ardita, veloce, e temeraria, che, fingendo andare in un luogo, paflàva ad nn altro, e con ellrema preftezza fi Ipcdiva da quello, c ririravaC in licuro. Occorfe nel (idod. che, ritrovandoli .nel porto di Veftria, rreCò a Rovigno in Ifiria, una Fregata Catearina, la quale portava Icttere del Principe, c. lei mila ducati di danari pubblici, e altra fomma ge' privati di circa quatira mila, con mercanzie, e robe di valore, te barche di quelli fccilcraii raffidtarono, e In lQ|p>gÌiorona di tutte le robe, e de' danari j, e, quello che peggio di luitoifu, afponate k pubhliche Iettare, e partendo di li, con maggior crudeltà Ihccheggiarano altri navilj ritrovati in altri porti della Rcpubhbca, levando a' ^danti,,o a' Marinai ic camicie, e le fearpe; e 1 capi, dopo aver prefo per sd (Icifi una grofià porzione della preda, il rimanente del botiino divife, IO in i$o., che tanto era il numero. 11 Coniarini, che fin allora fi era contentato di ftar loia alla difela, ed impedire ilenuiivi, cqnofcendo che per tal via era impolfibile conseguirne il fine, vedendo giornalmen. te crefccrc gl’ inconvenienti, coofidcniado il danno per la preti della Fregata, e, quc|ia che più filmava, il pubblico altronio per le lettere interceite, giudicò neceifario lerrar i palli a Fiume, Bttcari, e Segna, e impedire rufdca, e andata di ogni t>ru di valceUb a quei luoghi, acciò quegli abitanti folfero cofiretti a defiftere dal ricettare, e fitvoriK i predoni, ovvero trovar modo di conrenerli m uffizio. la fola perle, dizione de'ladroni nel mzre non può aver rimerò cilctto di reprimerli; imperocché, riduceqtlofi elfi, per dividere le prede, fono là monta, gna della Morlaca, fito fortifiimo, e molto comodo, per la moUipUciib dclté valli, e. de' porci, e per la proffimiib dcircmiiunae, d'onde colle ^ardie fcuoprono da lontano, ktuvano la maggior parte de' pericolì. Per tanto i Veneziani, ammaeftrati dall' efpcrìenza, hanno fiabilica una mafiima, che fia di poco frutto, cosi il pcrfeguitarli, come impedir loro l'ufcua; ma folo giovi l' impedire il ricetto che hanno |nellc terre, fon gafligarle, levando loro il commerzio. I^r quella caiÀ il Generale pybhlicò un leverò bandAv ohe nefiqno de j fumiti poteffic avere commerzio con quelle terre; e neffun Vafcello di qualunque luogo vi fi potelTe aaA^are; e per aggiunger la forza a' precetti, accreboc il numero delle bapchp frmaie ; a&ldaia molta gente Albancfe, chiamò altre Galee, e fece cosi potente annata, ^che fuor della fua inlenzione diede gelofia agli Arciducali di aver animo di efpugnar le Fortezze, Per quello timore Gian Jacopo de Leo, Vice-capitano (che il Capù rane Francol era allèntc) per, nome proprio, e della Citth, fi purgò con lettere predò al Ceotarini, mollrando dirpiacere di quello che alcuni pochi ribaldi centra il voler fuo, e della Ciiih, avevano operato; o&rendo foddisfazinne.- e il Baron di Khisii, Gcncnl di Crovazia, calò a Segna in diligenza, per rimedinte : fubito fece imprigionar quattro, i ^ calpevoli, e con léveri bandi et diede a ricuperar quanto poteva del bottino, fiteendo intendere al Contarini di aver ricuperata gran parte de' danari, e delle robe; e che attenderebbe alla ricuperazione del rimanente ; che darebbe il gaftigo a' colpevoli ; reftituireìdie i danari pubblici a ehi folTe mandato per riceverli; e i privati a' padroni che andalTcro con iuficienii giultificaziooi : léce ìmjMCcare un Albanefe, e uno di Segna, i due più colpevoli de' quattro prigioni. Al Segretario del General Veneto, che a tal efictto fu mandato a Segna, rellitu'i 7500. ducati, e la porzione di robe allora ricuperate, oiTerendoli di ricuperare il rimanente; che quanto a' danari non arrivava a 3000. ducati; rellando però ancora buona quantità di roba ; il che per eSèttuare', fece intendete a 150. che s' erano ritirati, che perdonerebbe loro, tellicuendo cufcuoo compitainente la parte toccata toro ; avvertendoli che lenza quello non av^bbono trovato perdono ’, e f ece pubblicar un fevero bando da tutti gli Sud di S. M., e di S. A. in pena della vita, e con taglia contea lèi aifentad de' molto colpevoli, ordtnando cheli differilTe a procedere contea gl’ altri, fe però refiituHTero, Ciò fatto, il Baron ricercò per corrifpondenza la rilaflàzione delle barche trattenute, la livoeazionc de’bAidi pubblicati, e la liberazione del commerzio. Il Contarini, quantunque teneflè per impoflibile, più tolto che diAcile, che dopo 1' aOédio levato lì dovcBe parlar più di ricuperar il rimanente, reputò nondimeno di dover contenmrfi della promeflà; foggiuogendo che ferebbe reltato laddisbcto, quando gli foBno coiifesnati i due prigioni intervennti nel mitfatto, che orano ludditi Ve. neti banditi; e folientava la fua dimanda, per efler loro flato dato ri. certo contea i Capimli eoncordad col Rabatta. II Baron non-poteva fentir a parlare di quello. Diceva che il ferlo era cola da sbirro ; ohe pretendeva r accordo in quella parte nullo ; riprendeva il Rabatta, che in ciò non fi foflè portato da Cfavalicie : e replicando le iflanze il Contarmi, ed egli le teufe, i Cittadini, anfiofi per aver il commerzio Kliero, fecero iflanze cflìcaciflime, acciocchò per due fcellerati canti aferi noti patilTero ; e quei di Bucati, e di Fiume, intendendo la difficoltà, mandarono i principali de’ loro ad unire le preghiere cogl’ altri. Il Barone, prclQ un partito, di fare la giufliaia, e infieme di loddistàre sè fleflò, clevar il modo al Contarini di far maggiori iflanze, una 'mattina, nella quale fi afpeitava il Segretario Veneto, innanzi la fua venuta fece atuccar amendne ad una forca. Non piacque al Contarini rdfer defraudato della fila iflanza, la quale repuuva giufta, e neccITaria, -per contener i fuoi in uffizio; tuttavia, non eflendo alcun rimedio a colà làia, mollrò di contentarli. Fu dì nuovo confermalo da ambe le parti che farebbono fermati i Capitoli concordati dol Rabatta ; c promife il Barone che innanzi la fua panenza avrebbe lafciaii ali comandamenti, e ordini dì procedere col rigor della giuAizia, che più non fi feniirebhono inconvenienti. Quello fuocefib lUede maggior Iperanza di vederi nerpetuau la quipte, che l’opOTto dal Rabatta; perchè, edendo queffli flato uccdiP, pareva che gli oiduti da lui polli reflaflero fenza protettore, e che quell' el'empio dovclTa ipaventar ognuno mandato per p{ov vedere. Ma rcflando m vita, e nel carioo lòtto la. fede ad abboccarli eoa loro, conduccndo leco i prigioni; dove, avendo loro dato rilcaiio per quello che poterono avere, fiabilirono una fer«ni0ima amicizia co* Torchi, avendo mangiato, e bevuto con loro, e fatte aliegreize, e fefle lolcnniUime per la riconciliazipneé-il Il Radich alla Corte Cclarea avendo inoltrato, elfcr’ impoffibtle che gli Uioocc|ii^reflairero in Segna lenza le prede, quando loro non' folTc dato ahro.modo di vivere, e mameneiTi; e avendo ritrovato ncllTinpcradore, non maniunientodi volontà^ ma di forza per poter far aflcgnamenio pervie paghe, fu|^licò che gli folTero cence^Ko k eonthbuuoni che da molti Yiikiggi de MorUchi di quel pack tnaù rifeo^ dal Gecerale 41 Crovam; modrando non eire(e neod&ria la fopraimqntkRza di querGéoem fcv. le, che con quegli alfcgnamenti li faceva ricchiHìnio fenza predar alcun lervizio a Sua Maefth ; ma che quelle con )wca cofa apprcITo làrcbbono badate per pagare la Guarnigione dì Segna, e per mantener un Capitano (opra tutto il paefe : al che fu predato orecchio dal Configlio Cefareo, e trovato buono di alTegnare le contribuzioni al pagamento della milizia : dì che il Radich fu molto contento, fperando di cavare dagli affegnamenti tanto utile, che fi potelTe fodentar il prefidio. E oiienute diverfe efenzioni per tutto quello che portadèro fuori, o dentro della regione, parti molto foddisfatto, con deliberazione di far ogni sforza, per racquidare la grazia della Repubblica; avendolo per cofa facile, quando fode adìcurata di non fentire moledìc da quella gente; difegnando, tralafciato il corfo, e accomodate le didcrenze, far ben i fatti Tuoi con mercanzie di legnami, Quedo era certamente un ottimo, e perfetto penderò per benefizia di tutti quegli abitanti, molto più riufctbìle, che l' introdurre negozio di quella mercanzia tra’ Principi ; al quale, per li rifpetti, e fofpetti, è impedibile trovare forma che non abbia infiniti contrarj; che tra privati l'introdurlo non averebbe difficolti alcuna; s’incamminerebbe a poco a poco ; e da sè dedb per le vie che gl’ accidenti giornalmente fomniinidralfero ; non vi farebbe bifogno di Ipedizione di CommilTarj, n^ di altre lunghezze, e fpefe fuperdue ma il mal codume di tjuegli abitanti, e la maggior dolcezza che porta il viver di quello d’ altri più todo, che delle fatiche proprie, non lafciava loro metter in efecuzione un canto buon penderò. Partito codui dalla Corte, e rifaputafi la deliberazione Imperiale a Gratz, dal Generale di Crovazia fu podo impedimento all’ eiccuzione del deliberato, perchè veniva levato un grand’ emolumento al carico di quel Generalato, che fi dava per rimeritare un l'erviiorc di Sua Altezza; nè gli Ufeocchi di ciò fecero rifentimento, attefo che, dfendo interrotta la trattazione delle tregue co’Turchi, per aver clli dato titolo Regio a Valentino Umonaj in Ungheria; e per confeguenza cedata la cauli della proibizione di predare, gli Uicocchi (tanto può la mala inclinazione aggiunta ad una coniuetudìne pcrverfa ) ebbero più cara la liberti de i foliti ladronecci, che 1’ alTegnamcnto delle paghe; onde ritornati all’ infame corfo, e ad infedar la navigazione, e le Ilble, codrinfero i Veneziani a prefeguitarli in mare, e a metter impedimenti all’ufcita loro. Dalle quali provvifioni febben era prevenuta gran parte del male che lenza que’ rimedj (irebbe fucceduta, non erano però luffi.' cienci di fare che i ladroni non pizzicalTero le Ifole, e che qualche Vafcello non capitaffe loro in mano. Il Generale Veneto, per ovviare interamente al male, fi voltò a inidi, dove fi falvavano colla preda, e proibì il commerzio a tutte le terre Audriache dove fi ricoveravano ; onde, riufeendo maggiore il danno de gl’altri abitanti, che de i medefimi Uicocchi, concorrevano perciò continuamente in Gratz le querele, e le efclamazioni de’ Citadini contro di loro, eleidanze, che finalmente una volta folle daddovero rimediato in modo, che non patilfcro ogn’ anno un’ affedio : e mentre a quella Corte moltipicarono i lamenti dei fudditi, quei Minidri opportunamente ebbero indizio, che i principali Ùfcocchì, 0 difgudati per la proibizione di non ufeir alla preda, ovvero intimoriti che non folfe rinnovata, rifpetto al trattata di tregua, eh’ erg LOO ch’era rimenb in negozio; o per loro maligna, t inquieta natura, avevano contratta qualche i'egreca intelligenza coi Turchi, e iemintvano pernizion, e fcdizioG concetti negli Ufcocchi minuti: per le quali cau« le unite inficmc fu deliberato in quel Configlio di mandare CommUTarj di tutta la Crovazia Lodovico Baron Diatriliain, e Giorgio Andrea Khazian; i quali, fatta inquifizione de’ colpevoli, c ritrovato vero più Jore di quattro mila ducati, fi ritirarono in Campagna prelTo a Segna, dove divifero la preda; e le loro donne, ufeite di Segna, come per an» «Ur a veder i mariti, e parenti, la portarono in quella Città. Quei di Segna, per timore che il commerzio non folte loro levato, mandarono a far lamenti di quello fatto con Gian* Jacopo Zane, Generale, che poco innanzi era luccelTo al Contarini, e a mofirar d' cirer in quello lenza colpa; poic^^ t malfattori erano banditi, e ribelli. Dallaltra par» te Rimavano i Veneziani quelli tutti artifici; anzi avevano qualche dubbio che i bamii tufferò finti; poiché permettevano che le donne abitaflero io Segna, e i Fuorukiti praiicaficro vicino alla Città, ^ forte anche dciiiro occultamente; e fe non davano ricetto a’ Predatori, lo davano nondimeno alle prede : però giudicò il Generale che l’aver ricevuto le donne colla preda folse cai^ fuBìciente per rilentirfi centra di loro. Foie l’armata in guardia alle bocche di Segna, che dava loro grand'incomodità; dal che nafeendo mancamento di vettovaglie, gridarono centra gl’ Ulcocchi, e vennero anche alle mani i Cittadini co' glUtcocchi; e tra' SegnaniJ, e Fiumani nacquero grandiilime difeorde, perché que(K pativano effi ancora, e dicevaao «iiifr de’ Segnani. Il bilbgno fece ulcir furiivamenit in una barca ad. Ufcocchi, i t^uali temen£> il Capitano di Segna che col far nuovi danni foITcro caufa di far rillringere maggiamente la Cittb ; e avendo avute comandamento di guardare che non fofféro fatti danni a i Turchi, acciò non foHe dato impedimenm alla tregua, eh’ era tornata in trattazione ; fece Caper alle barche de’ Veneziani che fi guardafleco ; onde gl’Ulcocchi furono perfeguitati, e combattuti, e ne refiarono i(. morti, prigio-' ni, e 3. falvati. Di ciò gli Ufcocchi entrarono in gran contefa col Capitano, il quale fi feusò con dire di aveva avuto ordine dalla Corte di coc\ fare ; e che qualunque volta ufeiranno lenza Ina licenza, lo farh intendere o con avvilì, o con tiro d'aniglieria, ficchè non faranno ficuri. Il che fe fofle fiato olTervato, era una via di fnidare i malvagi, 0 contenerli nei debiti termini.- non feguì più efempio tale, o perchè i comandamenti foflero mandati per apparenza; o perchè a i Minifiri bafiaife mofirare di dar loro efecuzione con ofiervarÙ una volta, 0 quanto meno folTe poffibilc ; ' I Segnani, per liberarfi totalmente dagl’ incomodi che fofienet-ario per l’impedito commeizio, vennero in riloluzione di congregar quello che poterono avere del bottino, e far andar a Segna Girolamo Barbo, Cittadino di Fola, per convenire con lui della rellituzione. Il General Veneto fece rifolnzione di fiat a vedere fe quelle dimoftrazioni erano reali, o pur de’foliti artifizj, per addormentare; e l’evento dimolirò che tali erano; perchè al Barbo non fu renduta fe non una poca pane di quello ch’era fiato tolto di fua ragione; quanto al rimanente ricercavano tante ginftificazioni, che fi vedeva chiaro che non volevano far- altro .- il che fece anche dubitare fe aveflero qualche intelligenza con GiurilTa, fe ben bandito, la 1 1 1. ' Ma fe'i bandi fodero veri, o finti, non fi può affermare.- certo è bene, che innanzi il fine di fei mefi dalla pubblicazione d’eflì, Giuriffa', e Vulatee con tutta la compagnia furono ricevuti in grazia dal GetKrale di Crovazia, e rimefli le colpe, ritornarono in Segna ; e Giilrilla fu anche nel medefimo grado di comando. Ma non fi venne gih ad alcun’effetto della rellituzione.- anzi a quei di Fola, alcuno delqoali andò per ricuperar il fuo, rifpondevano di voler relhtuire a perfona pubblica ; fe il Generale diceva di mandare per ricevere, rifpondevano effere neccITarie le giufiificazioni de’ privati; anrochè i poveri Polani, fianchi, celfarono dalle ifianze. . -u Stettero quieti gl’ Ufcocchi alcuni pochi mefi, edendo conchiufe le tregue co’ Turchi, c pubblicate in Segna infierire con una proibizione in r na della vita, che nedu'no andade a’ioro danni, nè ufeide per qual voglia caufa in corfo per Mare, con ammonizione di contentarfi delle paghe; e a chi non paredero badanti, o non bafiade l’animo di vivere fenza predare, fode libertk di portirfi. Non fu alcuno di loro che reftade contento ; perchè, aOiiefetti a vivere con abbondanza di bottini, fi conofeevano inabili a poterli foAenure, malfime non feorrendj le paghe; ma, attefa la liberth conceda di partire, utM parte di loto diede orecchie a perfona capitau a Segna, che trattava di condurli al fcrvizio del Gran Duca di Tofeana. Un’altra parte, ch’era de’ foldati vecchi, a i qbali non piaceva mutar paefe, e ufeire di D.ilmazia, Temo . Cc tratta ^o^ tniMrono di condurfi ^ liprvizÌ9 delU Repubblic*. Mandi rano per ciì Viaccnzo Sp^derich o trattarne per nome loro col Generale, oiièrendolì di fervile o nelle barche, 0 nell? tene, o tutti tenuti, odiviC, come (’ Principi lòde piaciitto ; ed cflcndo ftau oppolU loro la profeffione del corfo tanto odiato dalla Repubblica, ritpofero cbiaraiDcnte |ch' erano andati in corfo (piando chi loro comandava voleva che così £icedèro; e ch'emendo in fervizio d’altro Signote che loro comandaliè il vivere quieto, e ftare ne’ loro termini, ubbidirebbeno puntualmente. Si offerivano che, quando ben abitaflèro divilì, avrebbono fatta licurtb 1’ uno per l'altro, e tutti per cialcuno di qualunque male follé flato commeffot I-e parole certo erano molto belle, e meriuvano che foffero loro aperte le orecchie,- ma le operazioni di chi le urtava le chiudevano aJffatto ; e farebbe flato moltq femplicc chi avelfe creduto che uomini, vifTuti Tempre fcellerati, in un momento potefleio farfi buoni,- però il Generale non diede loro fperanza alcuna nò meno li lafciò in difperazione, che non poteffero ai'pettare colla mutazione delle operazioni qualche grazia, La condotta dal gran Duca fu maneggiata quali un’anno, della quale qual foffe la conchiufione al fuo luogo fi diÀ afflìtti i fudditi della Repubblica per U frequenza de’danni, c intimoriti per rafpcttazione de’ peggiori, indufTero Marc’ Antonio Veniero, Generale Veneto, ch’era lucceflo al Zane, a farne querimonia col Capitano, che contra le promefTc tante volte replicate, agii Ulcocchi foflc permeiTo il dannificarc i vicini ; c che i proprj Governatori delle terre, in luogo di mortificare l’ardire loro, lo fomentaiTero con permetter loro di fabbricar barche contra la promelTa, c l'ordinazione dì Sua Macfl^. Qiìefli lamenti non riufeendo di alcun giovamento, perchè il Capitano foddisfaceva Tempre colla medefima rilpolla, che non iifcivano con lua laputa, ma contra gl’ ordini di Tua Altezza.* ehegli non aveva forze per far loro impedimento, ma bensì che a(ipetriva 500. Alemanni per regolare quella milizia, la quale confcUava ch'era trafcorla troppo, e pih che mai che per lo paflaco. 11 Generale, certificato che tutte erano parole, c lufinghc, ricorfe al folito rimedio dì otturare le bocche di Segna, e di altri luoghi Audriaci. Un calo avvenne, che codrinlc gl’ Arciducali a porgere rimedio; perchè VuUteo, ufeito di Segna con grofia mano d’ Ulcocchi, alTaltò un Galeoncino partito d’Ancona, per pafTar a Raglili, carico di panni di feta, e lana, di valore dì 15. mila feudi; la maggior parte roba di Crtdiani; la qual tutta depredarono, fatti prigioni quattro Turchi, e quattro Ebrei che erano (opra il Valcetlo; al rittiedio della qual cofa, pel f rave lamento del Nunzio di Gracz, da quella Corte furono fpediti raimo Dìatridain, e Feliciano Rogato Commiffar;; i quali, giunti, prefero informazione delle qualiù di cialcuno de capi, e delle male operazioni commenb da alcuni anni fino allora, e ritolfcro di tornar a Graiz, per dar conto del tutto, e trasferirii di nusvo a Segna con forzc, per poter clcguire quello che giudicavano neccllàrio; avendo ordinato al Capitano che fino al loro ritorno non latciafTe ufeir alcun Ufcoccho di Segna. Fecero anche ridurre inficme tutte le barche da corfo, per mandarle a Fiume; affinchè foffero in quella terra abbruciate. E’ fama, che all’ arrivo di quedi Signori in Segna foHc loro prclcntato in dono una porzione della preda, c che da effi foiìc riculata con mormorio dc’ladri, che l’alcrivcvano al voler coftringerli, quando ritornati fofTcro, a farne loro parte maggiore; aggiimgcndo effer co%\ avvenuto ne tempi pafTati ; e qualche volta aver convenuto donare tutto il bottino. Non cosi predo furono i Commiflarj partiti, che gli Ufcocchi, eccitata fedizione, contra la voiontk dei Capitano ( che dopo l’ aver tenuto le porte tre giorni ferrate, fu codretto, temendo della Tua vita, o fingendo di temere, ad aprirle) ulcirono di Segna, e andati a Fiume, levate violentemente le barche ch’erano ridotte in terra, per c0cr abbruciate, c occupatene molte altre dc’Dalmatinì, che fi trovarono in quel porto, fi pofero in mare ; c lenza alcuna didinzione de luoghi depredarono nell’ldria il Territorio di Barbana ; c poi rivolti veiv lo le Ifole, e fatti molti danni, in Bue diedero anche fupra il paefe dc’Turchi : non riufeirono però loro profpcramcntc tutti i tentativi, ficchc poceflcro gloriarli d’ aver piò avanzato, che perduto. Incontrarono a cafo tre delle loro barche ben armate il Capitano di Golfo, dal quale lèguiti, furono codretti a combattere, e morti buon numero di loro^ gl’ altri, dati in terra, fi ùtvarono, abbandonare le barche turche, che furono abbnitiate; e liberati quindici Vafcelli, che da loro erano flati arredati nelle acque di Premoniore: un'altra bacca fu incontrata dagli Albanefì, c combattuta, dalla quale fu rkuperan buona preda fatta fopra una Fregata de'Padrovicchi, Il ritorno de' Commiffar; fi differì quafi un' anno ; durante l' affenza de'quali, erano frequenti le ufeite degli Ufcocchi alla preda, e in groffo numero, fino di 400. Con molte barche faceva dimodrazionc il Capitano, quando era nella Ciitb, 0 il Tuo Vicecapitano, quando egli era fuori, di refidcre : ma non i cola facile da perluadcre che refidclfcro daddovcro all'ufcita di quelli che al ritorno ammettevano nella Cittb fcnxa difficolth alcuna : che le avedéro avuti per contumaci quelli che lontra il loro volere ufeivano, con facilicb avrebbono potuto tenerli fuori al ritorno; o almeno punirli nelle cafe, e nelle robe che lafciavano nella Citib; ovvero far avvUare le guardie Veneziane, e in quella maniera vendicare gli fprezzatori dell'ordine del Principe, e dell' autoritli loro. In molte ulcitc di quel tempo non fecero prede di gran momento, per gl' impedimenti che l'armata della Repubblica loro attraveriàva,' nè occorfero cafi memorandi, falvo che uno ridicolofo, e due elemplari. Il primo fu, phe, avendo prefb un valccUo da Lanciano carica per Venezia, penfando d'aver fatto graa bottino, fi ritirarono predo 4 Segna, per dividerlo; e trovarono il carica tutto di mele con molto numero di Icattole di manna, della quale, parte per fdegno di eifer ingannati dalla Iperanza, e parte per appetito, credendo che folfe confezione, ne dtvurarunu quantitli grande : il che inte fo dal loro Medico in Segna, ebbe opinione di doverli avete tutti ammalati di fluflo : redò nondimeno l'arte dclufa, e ncOun di loto ebbe pur minimo moto di ventre. Ma degli accidenti confiderabiii uno fu, che, avendo prefa una Fregata, ed effeudo dati lopraggiunti da tre Galee Veneziane, fi diedero alla fuga, e li ritirarono verlo Buccari, terra del Conte di Sdrino, dove dalla Fortezza fn tirato un pezzo di ficurczza alle Galee; di che quelle fidandofi, fmoniati, e gli Ufcocchi fuggendo, le Galee ancora pofero foldati in terra; e non mefcolandofi m conto alcuno quei 'della fortezza, redando folamente alla guardia delle fue mura, furono combattuli, e uccifi parte de'ladri; il redo fi falvb con difordinata fuga ne'bolchi; c dalle Galeefu condotta via la Fregata, e la barca de' ladri col bottino, che però non eccedeva il valore di 400. ducati, e fu venduto a' padroni. Se dalia Cittb di Segna, e dalle altre terre dove gli Ufcocchi fono dati ricevuti, e lai vati, foffe dato ulaio quello jnedcfimo debito, per edirjMakine de' ladronecci, che fu quella volta uiato da quei (li Buccari, u male non avrebbe fatto pragreflb, ma farebbe da^ rimedialo nella fu» origine. L'altro accidente fu, che, fatta un' ufciia generale, avendo penetrato nella Licca, per rubbare, furono adaiiti da'Turchi, c Morlachi in gran numero; e rimanendo uccifi molti di loro de' pih principali, e pili arditi, e numera maggiere feriti, rellarono gl'aliri aldini molto, e con gran penfiero di vendicarfi wr la morte de' compagni. Sarebbono lueceffi molti mali edetti, fc u ritorno de'Commilfarj non avelie coftretti i Malandrini di peulare ad altro : i quali Commeflàrj, giunti in Segna, avendo fan» impiccare ad un merlo del Caltello Purilfa, uno de’ Capi molto infolonte, pofero tanto leriore, che molti fi ritirarono fuori colle bmiglie, pane nelle altre terre del Vinadol, c i più colpevoli alla monugna> Alcuni di cffi entrarono nel Callell o di Malvicino, non guardato, con penfiero di fortificarn dentro, e tenerfi finché paflallé 1' impeto della giullizia; né lo poterono elèguire, perchè in quell' illeflo tempo pallando di Ci la Galea Morofina, gli alEtltò colla miliaia polla in terra; e da mare eoa l'aniglicria, e li cofirioTe a ritirarfi alla montagna, efiendo rellati morti alcuni di loro. Mandarono i Conamifiari oidinii, e bandi per tutte le terre, che ao. nominaci da loto foliero prefi vivi, o morti. Quelli principi diedero fperanza di qualche buona provvifione : ma durò poco, e non ebbe efietti dillimili dagli occoifi altre volte. Imperocché i Commelsarj, lalciaci feverì ordini, e proibiaùni del coriéggiare, e predare, e latta una compofizione per l e paghe decorfe, con promefsa che in breve làrebbono fiati mandaci i danari, e che per l' avvenire le paghe làrebbono fiate a' loro tempi sborùte, partirono. Ma lenza riTpecto di quelle provvifioni, indi a poco tutti gli Urcoechi tornarono in Segna, e a vivere lecondo rufato; c di paghe decorfe, o correnti non fi parlò più ; ma al coriéggiare fi actefe, coma fe mai non fofse fiata ratta proibizione; non Colo non vietandolo- il Capitano di Segna, ma dando anche molti légni che vi acconfentifse : anzi la terra di Fiume col Capitano Tuo non prefiava loro minori favo, ri, che Segna, ricettando le prede, e fmaitendole di là per diverfi luoghi ; e pareva appunto che la provvifione foibe lana momentanea di concerto; poiché, paniti i Commifsar;, le cofe peggiorarono con danni maggiori del folicq a' naviganti, e agli abitatori delle Ifole. MoU tiplicando le ingiurie, non falò 1' armata Veneta accrebbe [la diligenza, per impedir quanto fi poteva i ladri, c perfeguitarli, quando funivameme ulcivano ', ma il Veniero ancora ebbe in confidenzio. oc che, conforme a quanto da’fiioi Ancecebori era fiato più volte fatto in fimili occafioni, era necefsario levare il vivere a t luoghi dove fi ritrovavano, e che li fomentavano : per lo che pubblicò nn bando, che neiruno de’ fudditi avellé ardire di portar robe, vettovaglie, o merci, né di avere commerzio, trafiìco, o pratica colle terre Arciducali, dw fono da Fianoaa nell' Ifliia fino incontro allo filetto di Gliuba fafa il Canale della Moriaca; e ordinò che faflé ritenuto ogni Vafcello che partilTe da quelle rive, o che cranfitaffe da luogo a luogo, ovvero d' alcrondc folTe inviato a quelle terre. Per quelle prowifiom reilavano impediti i ladroni dal fare tutto il male che in animo avevano; ma non era che alcuno de i tentativi non riulcillé loro; imperocché il Maro è come un Bofeo, impofilbile ad elTer cufiodito rotto, mafiime in quella tenone abbondate di ante Ifole,. e feogU; né le bocche fono coti angufie, come I difegni le Ggumno. L’ ofcuriià della notte ancora, e i tempi cattivi, c bnrrafcofi, prefiano comodo di fcanlàre le guardie, aaaflime a chi Ila attenta, come gUUfizicchi, ad afpettarli con pazioaza: nu bei) al certo ne fegui che a molti nuli fu ovviato; c quei, che non fi poterono impedire, furono vendicati, quanto le occafioni comporurono: e chi leggerò, che tante volte fieno fiati i ladri peifeguiuti, e fia fiata loro impedita l'ufcita, e il commerzio alle terre proibite, e infieme vedrà narrato che, con tutto ciò, fàcefléro grandi, c freqoroti danni, pòn dovrò credere che fia eoa lepagnaiiza nda nar mio zoS SI T O R I A razk>ne, ma che la condizione di quei tempi, e luoghi pm-taflc che queflir rimcdj baftaflero per fminuire, non per oftirpare gi’ inoovenienti. Fra gl' incontri in quefto tempo avvenuti uno dee efler narrato, per aver data caula a molti inconvenienti feguiti poi, che al loro tempo faranno narrati. Le barche Albaneh raggtunfero due degli Ufcocchi, e fi azzufTarono infieme; nè potendo gli Ufcocchi Ibflenere il valore, e maggior numero degli Albanefi, di^ero io terra, e abbandonarono le barche, e reftò in queffa zuffa prigione Giorgio Miianficich, Capicanio del Caffeilo di Brigne, uomo fagace, e di teguito; uno de i pih vecehi, e meglio apparentati Ufcocchi di Segna; il quale, febtm, per gli innumerabili misfatti commeOì nel corJo, e per le molte ingiurie inferite, era meritevole di mille morti, nondimeno per molti degni rifpetti fu rifervato in vita, e lotto cullodia. Da quello uomo fopratcucto dcfiderolò di liberti, e comoditi, ch'era confapevole di tutte le cofe più fcgrcte, s’ebbero informazioni molto importanti per dilucidazione de’ dilegni e palTati, e futuri; e la prigionia lùa fu a glt Ufcocchi ora freno, ora ipronc al far male; imperocché, quando fperavano di poter con trattazione ricuperarla perfbna fua, in buona parte lì contenet^no in uffìzio, e sì allenevano dalle ingiurie; e quando la fperanza fi feemava, facevano alla peggio, acceft allo (degno, e alla vendeKa. Ne* quattro anni precedenti non fu parlato degli Ufcocchi alla Corte Cclarea, per caufa delle diffìcoitb che fi maneggiavano tra i Principi della Cala di Aulirla, che non lafciavano dilccrnere con chi convenille trattare; delle quali non è ncceflario al prelente propofito far relazione, poiché non evvt perfona che tanto poco ne fappia, alla quale non fìa notiflìmo che T importanza di quelle non permetteva che colla Maeltà Imperiale, o con alcuno de gl' Arciduchi fi pronaovefle altro negozio : nè merto entrato l’anno del idii. fi aprì congiuntura* di farlo: anzi’ che al contrario, elTendo nel principio d’eflb hiccefib il tranfito a miglior vita deirimperador Rodolfo, per caufa del qoale quei priacipi reliaioao molto più occupari nelle occoivcnao che quella Corce^porfh in cOnleguenza ; vi era poca probabilità che per* più mefi avofiero potuto prcliar orecchie ad altro negozio : perciò i Veneziani, non el^dovi Ipcranza di rimedio per via di trattazione, tanto prik giudicarono Dcceisaria quella dell' operazione. £ per la ilelsa caufa prelero anche animo ^KUfcocchi di far H peggio, non temendo che potofsero, lecondo il lolito, andar Gommefrar) ad impedir loro le ulcitc, ovvero ad alportar loro, come aitrt volte era luccelso,' la maggior parte della preda : e per ordinarfi a far imprefa, e fuperare gl' impedimenti oppolli da’ Veneziani, follecitmnente preparavano materia in Fiume per la firuttura di molte barche; e diedero principio alla fabbrica di una di grandezza inufitata, divulgando che Sua Altezza era fiata concci» licenza di fabbricarne fei, (btm ^hrt pretefii afsai lontani dalla verifimilitudine. Comunicato il oohfiglio infieme da quelli dr€egna ad altri di Novi, Ledenizxe, e Brì^e, e prefi in compagnia alcuni fiKlditi Turchi, chiamati Garpoti, ovolo Carpochéani, che, nuovamente partiti colle famiglie dal loro paefe, invican dalla dolcécfea del vivere di latrocinj, Crino pafsatt ad abimr in quella ^>Marinf; iiomhù allevati dalla fanciuUetza duramente, atti a i fopportare ogni diiagio ; facili ad efporfi a qualiìvoglia manifeiìo pericolo, e gran Iprezzatori della vita; fecero divcrfe uicìte. Nè le provvilìoni del Generale Veneziano furono badami ad impedir loro in tutto» perchè, eflendo molti ì pa(& da guardare, e t tempi molto contrarj al pocervifi fermar in guardia, e elTi in coù groITo numero, che potevano tentar in un tempo AelTo diverfi palTt, e con riioluzione, maflìme deGarpoci, di efporfi ad ogni 'pericolo; quello che un giorno loro non riufeiva, fuccedeva T altro; e T impedimento che rifeontravano in im luogo, non lo trovavano nell' altro. Si riducevano ora in uno, ora in un'altro de i porci Veneti, che trovavano non eulloditi, come in quelle Ifole ve ne fono molti (dlirarj; di Ik partendofi a far li bottini, paf-fando ora per lo drettodi Novegradi, ora per li territori della Dalmazia cos'i all* im|>rovviro, che non potevano eflère prevenuti: inferirono molti danni a -1 Turchi, e fudditi loro CriOiani, con rapir loro gli animali; e, aiceli 1’ odinaztone che li conduceva, avrebbono fatte gran cole, fe le nevi, che furono quell'anno altiflime, e gl’ impetuofìfnmi» e continui venti boreali non avelTero combattuto centra di loro. Certa cofa è, che nella feconda ufcica, quantunque fieno corpi atti, e afluefacti al patire. Tei di loro redarono morti per li dilagi; e nel ritorno quaranta furono condotti cosi dal freddo maltratuti, che poca fperanza avevano di ric^perarfi. Il maggior bottino fu nell* apertura de* tem« pi, quando, fmomati in terra nella giuhldizione di Selenico, od internatili in quella de' Turchi, depredarono la terra di Gracevaz, uccid dieci Turchi, fktti molti prigioni, e carichi di robe, conducendo ancora 400. animali grolTi, e aooo. minuti, parte per terra, e parte pel Canale della Morlaca, ritomarono a Segna» Alle rapine aggìunfero in quedo tempo un* altra offefa, che per tutti i luoghi dello Stato Veneto, dove tranhtarono, c dovunque in quei de* Turchi fecero preda, lafciarono infieme fama d* aver intelligenza co* Minidri Veneziani a* danni de* Turchi; facendo correr voce che con loro confenfo, anzi convenzione contratta, erano ufeiti a predare: e fomentando, e confermando la voce, modravano patenti falle col nome loro con fìnti fìgillt, 0 fotiofcrizioni. Il che da* Turchi fu facilmente creduto, cavandone argomento, per edere alcuni mefì prima, come fuol’ avvenire tra’ confinanti, luccefle divcrfe prede, c rifacimenti fra le parti a quei confini, per li quali anche s’ inlanguinarono gl* uni contra graltri, fenza però che i pubblici Minidri de i Principi ne aveffero dato conlènfo; i quali, febb^n fecero ogni sforzo, per reprimere ciafeuno de' fudditi loro, e riconciliarli; non rinlcl però fenza diflicoltk, e col rimanere gl’ animi alterati, e pronti ad eccitarfì per ogni minimo foljpetto. £ non tanto t Turchi, quanto anche il numero maggiore degl’ Ulcocchi lo credeva, ingannati da t capi, i quali, congregati nella pubblica Piazza di Segna in numero di circa mille, affermando loro di avere parola da* Veneziani di andar liberamente a* danni de* Turchi per Mare, cforundoli a corrifpondere verfo loro in corcefia; e portato in quel luogo un Crocifìflb, fecero loro predar un folenne giuramento, di non offender in parte alcuna i luoghi, e i fudditi Veneziani; nè meno in Mare i Turchi, e gli Ebrei che fopra vafcellì Veneti tranfitaffero con mercanzie ; e di perfeguitar i contrafìacicori, quantunque foffem congiunti di parentado, e con ogni altro vincolo. £ ^ tutto ciò fecero A Dd iludio Z IO liudioramcntc andar la nuova per la Licca, e per le altre regioni vici ne in modo, che anche il Baisi di quei confini ne prefe Ibfpetto, e ne fece acerbe querele col Generale Veneto con elprcffionc di concetti molto rifentiti; e ne diede conto alla Porta in Collantinopoli. Per le congiunture di quei tempi, quando era incerto dove fofiero per voltarfi quell'anno le arme de'Turchi, a i Veneziani pareva di dover tenere grandilTimo conto di quelli tentativi ; (limando la fama diffeminata, le falle patenti, e il finto giuramento, elfer inviati tutti ad un medefimo fine di provocare farmi dei Turchi contra la Repubblica; e fi perfuadevano che gli Ufcocchi, nè foli, nè principali follerò autori di quei configli, perchè il giuramento pubblico in Piazza, la fabbrica delle barche a Fiume, patrimonio di Sua Altezza, facevano palefe che il primo moto proveniva da chi aveva il governo in mano ; maflime per la fama fparfa, che tra gl' arcani de’ configli de' Miiiillri Aullriaci una maflima folle (labilità, di far ogni cofa, per inviluppare la Repubblica in guerra co’Turchi, per quei fini che ad ogn’ uno poflono clser molto ben noti. Ma gli Ufcocchi, fidatili che quelle apparenze ingannafsero i' Dalmaiini, e che da loro non dovefsero aver alcun impedimento, anzi diverlì favori, fecero come una ferma dazione ne i contorni d' Almilfa, di l!i frequentemente palfando a’ danni dei Turchi. Quelli avendo mandato prima a protcllarc a gli Almilfani vendetta, e danni fopra le vigne, terreni, cale, e anime loro, non tralafciando la prima occafione che fi porfe loro innanzi, prefero per ragione di rapprelàglia nella terra loro di Macarfea do. fudditi Veneti, andati fa per negozj della Brazza, Lefina, Almilfa, e Pago; laonde in fine avvenne .quello che più volte anche era accaduto nei palTati tempi, che il danno lellò, non a gf infedeli inferito, ma (òpra i Cridiani caduto. Partorì nondimeno quello di buono, che, giunti i comandamenti venuti da Codantinopoli, fi compofero interamente le differenze tra' confinanti : e gli Ufcocchi, Vedendo di non poter più peniate che i fudditi Veneti li unilfero con loro, nè fi rompelfe la guerra tra la Repubblica, e i Turchi, depofero la jnafchera; e, non odante il folenne giuramento, corfeggiando intorno all' nòie, Ipogliarono una barca che da Venezia conduceva mercanzia per la fiera di Cherfo, e un Grippo Ragufeo carico per Venezia di merci di ragione d' alcuni Armeni Cridiani ; a parte de^quali tagliarono la teda, e fecero altri prigioni; e ridotiifi con 14. barche all'Ifola di Onia, prima che Agodino Canale, luccelfo Generale in luogo del Veniero, avvifato, potelTe mandare per ifcacciarli, fpogliarono tutte le barche de’ viandanti, eziandio quelle dove non era da fare preda, fef non di vedimemi, e drumenti da navigare, non perdonando a'pefcatori, e Uomini dell'Ifole, che per loro affari tranfitavano. Scacciati di lù, e ora in uno, ora in un’altro luogo ritirati, non celfavano dalle moledie', le quali lungo, c tediolb larebbe raccontare: ficcomc, per la deffa caufa, è bene tralafciar di dire come, feguiti, più volte furoiv) codretli ad abbandonar la preda, e le barche, e falvarfi ne’ bofehi con difficoltli', e altri ribaldi ancora fono nome loro non mancavano di comjnetter ogni fona di fcelleraggine. Un certo Giovanni Uibich, nativo di Gliuba, commife in quei giorni in territorio della Repubblica un’importante, e violentinijna latrocinio con diverfe male qualità*,: peclocbè il I&OVVC Provveditor Generale giudici neccBario di averlo in mano; e intendendo ch'era nelia viila di Artina, appartenente a Gliuba, mandi a quella il Govemator Paolo Gbini con loo. Aibanefi per prenderlo, come gli fuccefle. Ma mentre perfeguitava quello, vedendo un altro fuggire, giudicando qualche male di lui, lo fece feguire, e fermare. Quelli notifici al Governatore d' eflcre Uicocco, e che con lui erano nella terra llefsa cinque altri Ufcocchi. Il Governatore, avendoli per complici, deliberi di pigliarli; ma elTi, ritiratifi in certe cafe, in iito avvantaggiofo, lì prepararono a combattere. Il Governatore, che poteva o col fuoco farli ufeire, o alTaltandoli con numero unto maggiore, eollringerli, perdonando ailc abitazioni, e al fangue loro, o per qual fi voglia altra cauta, gli accetti con quella condizione, che non riceverehbono offelà; e fe il Provveditore non avefse approvata la fua promefsa, gli avrebbe ritornati nel luogo ficfso, e nello llefso flato, per combatterli. Il Provveditore fece efeguir quello ch’era di giullizia contra il Libieh. Quanto a i cinque Ulcocchi, nè approvi, ni riprovi la promefsa del Governatore, ma diifer'i la Tifpolla'^ e ordinò che frattanto fufsero cu-, floditi. Per quello ac'id.itiv .citarono quel tU multo efacerbati e feb ben da loro erano fiati ufati per lo innanzi tutti gli artilizj, c fatte promefse, per liberar il Milanficich, e riporuta tempre o poca fperanza, o la negativa; aggiungendo quello alla prefe de’ cinque, mandarono a far ifianza per la rilalsazione di tutti fei,* e mifero in opera il Vicecapitano di Leo, e i Giudici della Cittb per Intercefsori, a’qtiali non fu nè data, nè levata la f^ranza ; fu folo uu intenzione di dovervi far confiderazione, e gratificare dove fofse fiato conveniente. Ma gli Ufcocchi, non definendo per tanto dalle rapine, e da i latrocinj, fe erano impediti loro i grolTi bottini, non s'allenevano da i leggieri, e dal moltiplicare Pofiefe, che, non porundo loro militi confidcrabile, caufava. no fofpctti di difegni piò dd folico pemiziofi. Quelli movevano il Canale a continuare con piò diligenza ne’rimedj, conducendo numero maggiore di foldati, e accrefeendo l’ armata de' Vafcelii con rinforzo di gente ; onde le terre, elsendo ferrate gii piò raefi, fenza commerzio, e con ftrettezza di vivere, allora maggiormente riftrerte, refiarono quali private totalmente. Mandarono perciò aH’Arciduca a rapprefentare i loro patimenti, a far cl'clamazioni, amplificandoli piò del vero, e richie. dendo protezione, e follevamento. Era in quello tempo felicemente fucceduta la nuova elezione di Re de' Romani; onde l’Arciduca, follevato da quel grave penlìero, porfe orecchie ai lamenti de’fuoi piò volte replicati. Pensò prima dimandarcome altre volte, Commifsarj a Segna, che facefsero qualche dimofirazione, e ponefsero qualche freno, tenendo che, ficcomc per lo pafsato, allora fimilmente da’Veneziani gli farebbe corrifpofio. Ma da’ fuoì fu fconfigliato, acciò non parefse che, cofiretto, per timor delle forze loro, facefse la provvifione ; laonde prefe partito di mandar a Venezia Stefano della Rovere, Capitano di Fiume; il quale fpedito, mentre faceva il fuo viaggio, quantunque fofse di mezza fiate, una tempellofa, e grave fortuna apri l’adito agli Ufcocchi di ufeire con i6, barche, e con rifoluzione di cfporfi ad ogni pericolo, non folo per bottinare tanTima li. Dd I to, che ila tP, che fi rifaccfsero del perduto per grirapedimenti pafsati; ma anco, ra per prendere qualche perfona infigne, col rifeatto della quale pocef. fero aver alcuno de’ prigioni. Loro fu dato in ifpia che Girolamo Mo. lino in una Fregata ritornava da Cataro, dove era fiato Rettore di quella Citth. Furono allegri lòprammodo, cosi per l’occafione del bottino delle robe, come per la perfona, penfaudo di dovere certamente riavere il Milanficicb, e tutti gl’ altri uol cambio di un Magifirato Veneto, Volarono per la via dove furono indrizzati; rifeontrarono la Fregata, e l’afialirono, Non vi trovarono altro, che le robe, elfendo il Provveditore per buona fortuna prima fraonuto in terra, NelTuna cofa affligge più l’animo, che il vederfi defraudata d’una fperanza tenuta per certa, Quei ribaldi tanto certamente credevano di dover far prigione quel perfonaggio, che, non avendola travato, pareva loro che piit torto folTe lor fuggito, che non dato loro in mano, E tanto fu l’aidore d’ aver nelle mani un pubblica Minifiro Veneziano, che eccitatili l’un l’altro come a furore, immediate voltati, palTarono verfo Rovigno ;iell’Iftria, per far prigione il Podefth di quella terra; il quale non po. tendo avere, perchè fi falvè, alTalirono i Valcelli che nel porto fiavano afptitando vento per Venezia, e li fpogliarono, uccifi i Mercanti, C i Marina] che Inm .wOa, rifpetto ad alcu no, nè a grandi, nè a piccoli.- e più infervorati, perchè anche il fecondo tentativo f©nè loro riulcìto vano, ritornati con celerità, palTarono fopra l’Ilola di Veglia, dove ritrovandofi Girolamo Marcello, Prov. veditore ^ell’lfola iq vifita di Befca, terra deU’Ilola medefima, lo fecero prigione infieme co’fuoi miniftri, e l'ervidoti, e lo conduflcro eoa vilipendio, e indigniti grande in certe grotte vicino a Segna, tramutandolo fpelTo da una all’ altra, Nè è da tralafciar quella particolare, che la barca, colla qual fu condotto prigione il Provveditore, fu quella fabbricata in Fiume, della quale è fiata fatta menzione, Infieme coll’awifo di quello misfatto il Capitano di Fiume arrivi wì Venezia. Non poteva giunger in peggioe congiuntura, attefo che le ot. fole degli incocchi mai non furono cosi frequenti, come in quell’ an. no-, né meno cosi rilevanti, e malTime l’ultima-, la qual, intefa dal Capitano, poi giunto, lo fece reftare molto prerpleffo, fe doveva dar immediate principio alla negoziazione, ovvero alpettare fe da Grata, pel nuovo accidente, gli foflero mutate le iftruzioni; e fe doveva fama menzione eflb, o tralafciare di parlarne. In line, prefa rifoluzione, diede principio coll’afliftenza dell’ Àmbafciadorc della Maefià Cattolica al fuQ negoziato, incominciando dalla buona mente del Sercnillimo Arciduca, dall’ottima difpofizionc fua verlò i Principi confinanti, e la Repubblica malfime ; loggiungendo che perciò 1’ aveva mandata con ampliflima autorità, per pigliare fpedientp di foddisfazione di ciafeuno, e tranquillità de’ludditi; e aggiunta un’ affettuofa condoglienza del fucceffo di Veglia, con afiicurare che nè l’Arciduca, nè alcuno de'luoi Mipiftri, nè maggiori, nè inferiori, vi avelTero conlenfo, e participazione ; ma forte fiato motivo di quei di Segna difubbidienti a Sua Altezza,- dilcefe al fuo negozio, e per nome dell’Arciduca fi dolfe di tre particolari ; Che certi Mercanti, andati alla fiera in Albona fotto la pubblica fede, fortero fiati fpogliati delle merci da loro portate.- Che pofeia fatto in Segna da tutti gli Ufcocchi un giuramento tanto folennf di non offender I* cofe della Repubblica, cinque di loro, fudditidiSui Aueaza, fodero (lati preG, e tenuti prigioni contra la fede loro data : Che un Frate foffe flato porto prigione, e gli foflè flato tolto l’abito per pagamento delle fpefe; c con lunghe ampliflcazioni aeeravati quefli tre accidenti, ne richiefe foddisfazione. Quella forma di trattare da alcuni fu tenuta prudente perchi, quantunque dall’atra parte vi folTero da contrapporre non tre querele, ma trecento, nelTuno però è in obbligo di dire, falvo che le ragioni proprie. Ad altri pareva che quello non avefle luogo, fe non quando le ragioni di ambe le parti folTero del pari ma in quella occorrenza pareva, attefe le molte male operazioni degli Ufeocebi, che lo flato delle cofe - comportalTe più d’ufare feufa per lo paffato, e promelTa di rimedio per 1 avvenire, paflando poi a richieda di corrifpondenza ne’parncolari deliderati, Ma lafciando di ciò il giudizio a gli uomini lavi, per intera cognizione di quella che fi trattava, è necelurio narrare i particolari di Albona, e del Frate, che non fono flati raccontati a’ loro tem- pi, come non appartenenti agli Ufcocchi, e in foftanza leggieri. 11 latto in Albona pa6ò in quello modo. Dovendofi fare la fiera in quella terra il penultimo di Giugno, fecondo il confueto, i Mercanti di j I o j ni'’ P'"'“tvi le loro mercanzie licore, ottennero patenn dal Podelti del luogo,- portate le merci in fiera, i Dazieri preiefero contrabbando, non per ragione deUe perfone de i Meicanti, ma peri» qua ta delle merci, e vi pofero mano fopra. Il Segretario Celareo in ' ®’'Vifato, ne fece querimonia, dimandando la reftimzioiic ; ed ebbe rdpolla, che s avrebl^ fcritto p«, e fatto quello, ncercafle il giullo. Cosi fu efeguito immediate, con aver dato ordino di più, che le mercanzie li confervaflero tutte interamente; e di tanta, Segretario per all'ora, afpettando giullizia, venuu cho foffe r informazione ; nè aluimenti fi doveva procedere in negozio cho non fu tentativo di oflèfa, ma pretenlìone d’ordine dì mercanzìa e folito tra’ confinanti avvenire giornalmente fenza turbazione della 'buona intelligenza; effendo frequentiljime, e cotidiane le differenze fra’ Dazieri, e mercanti non folo foggetti a diverfi Principi, ma ancora quando ambe le parti fono del medefimo Suto, c anche delU medelima Cicti. Il Segretario avrebbe voluto che, prima di replicare alcuna cofaia quello negozio, fi aveffe afpettato che ferviffe il tempo di venire lari, fpolla.- nondimeno al Capitano, o perchè avelie quello particolare in commiflione, o per proporre maggior numero di querele, o per altra caufa, parve di non afpettare. L’evento mofltò buono il parer del Segretario, perchè al fuo tempo la informazione tichiefla venne, e il ne, gozio ebbe fine con intera rertituzione delle mercanzie. Il cafo del Frate fu in quella maniera. Fra Antonio da Fiume, dellOrdine de i Minori Offervanti, fi pofe fopra una barca d i làrina caricata in quella terra per Segna.: quella fq feoperta dal Forte chiamato di San Marco, c arredata, in efecuzione de i bandi del Generale di fopra racomaii. Il Frate diffe la farina effer fua, e portarla al Convento di Ipitir Ordine in Segna ma i Barcaruoli parlarono dlveriàmente • nominarono il Mercante di cui la farina era, e che il Frate era imbarcato per paffar in paefe de’ Turchi. In quel tempo s’era feoperta certa macchinazione di quelle alle quali viene preflato orecchie folto pretcfto di pieiV, (he terminano in fine calla morte dc’poveri Criftiani che fi lafciano follevare : perlochè il Frate, non rendendo buon conto del iuo viaggio, trovato in varie contraddizioni, fu filmato fpia, e trattenuto in quel Caftello, dove mentre dimorò, leggendo con quei foldati ne i libri fciolti che elfi fono foliti a fiudiare, vi lafciò qualche danaro, ed alcune robiccivole che aveva. Non fi trovarono fermi rifeontri per convincerlo, o per la fua fagaciii, o perchè non fofle fpia: fu rifafeiato, e condotto da una Fregata in Venezia, yeftito da frate; e cocomparve innanzi al Principe, richiedendo refiituzione del perduto nella Fortezza; allegando che. come Religiofo, non fe gli poteva guadagnate. Fu rimefib ad attender alla fua profelfione, e altro non fuccene in quello cafo, ». . La querimonia de i prigioni fu ftudiofamente dagli Aufiriact pubblicata per tutto, e la foflentavano con quelle ragioni : Che quelli erano fudditi di Sua Altezza, e fotto la protezione fua; ebe non poteva con fua riputazione abbandonare la loro dlfefa: eh’ erano fiati ritenuti contra la fede, fiante la quale, fi dovevano lafciare liberi; e fe quel Go. vernatore la diede, non avendo facoltà, eflervi obbligo, fecondo la ragione delle genti, di mettere lui in mano di Sua Altezza. Per lo contrario fi difeorreva, che gii tra il Rabatta, e il Pafqualigo fi era convenuto che gli U fiocchi ufiiti in corfo non folfero licuri, nè protetti: che Matteo Tomiz, fervitorc di Giurifla, nativo di Zara vecchia, uno de' cinque, fu bandito l'anno innanzi da tutto il dominio per omicidio commeflb nella perfona di Tommafii Malfiifich; però nè come bandito,' tiè come fuddito fuggitivo ooteva capitare nello Stato : che gli altri due èrano di nuovo venuti dal paefe de’ Turchi ad abiur in Segna; gl’altri t>cn nativi di quella Cittì, ma eSi ancora Ufcocchi, ufati al corfo : E quando, neffuna di quelle cofe fofiè, che la fede non fu loro data, fe non di ritornarli neinfielfo luogo, e fiato, e combatterli, fe il Generale non avefic voluto lafciarli liberi.- adunque non fi poteva per quella ragione pretendere che folfero rilafeùti allblutamente, ma ritornati, e combattuti.' E chi può dubitare che, ritornati con t oo. Albanefi attorno, non folfero refiati motti, anche fenza alcun danno degli alTalitori coll’ufo del fuoco; e non elfcre però alfolutamente, e univerfalmente vero, che il Principe fia protettore di tutti i luci fudditi che fi ritrovano nel paefe del vicino, ma filo di quelli che vanno in cafa dell’ amico per negozj, o per altro bene; non gii per far male, o per accompagnar banditi, o dare fofpetto: che in quelli cafi, per ragione de’ delitti, fono foggetti alla giuftizia del luogo; altrimenti per la ragione loro i Magillrati Arciducali non potrebbono mai giudicar alcun faddito Veneto colpevole, o indiziato di delitto, fe quelli colpevoli, e indiziati non erano foggetti alla giufiizia Veneta. Altri fi maravigliavano della nuova forma di trattare, poiché gii molto tempo era divulgato che negli uffiz) fatti a i tempi palfati, per la refiituzione del commerzio levato alle terre percaufa degli Ufcocchi, i Principi, e i Miniftri Aullriaci erano foliti a colorire la richiefia con dire che, fe la Repubblica era oftefa da quella gente, la facelfe perfeguitare in mare, la prendelfc, e la impiccalfe; ma non delfe molefiia alle terre per loro calila' il che pareva molto repugnantc a querelarli all’ora, perchè fof. feto prefi nelle 'erre deUa Repubblica, Ma ri Mi ritonundo alla ferie delle cofc, T Arciduca, immediate imefa U prigionia del Provveditore di Veglia, mandò Gian Jacopo Ccfglin Commidàrio EipreiTo a' Segnani, il quale con un leverò editto, pubblicato in quella Citth, comandò che il Provveditore folTc condotto innanzi, a lui; al quale ubbidirono gli Ufcocchi; c levatolo dalle Grotte, lo condulicro in Segna al CommiTario; ed egli, ricevutolo co rtefemente, lo liberò immediate, dicendogli che il Scrcniffimo Arciduca, intclà la fua pattivitli, aveva Ipedito immediate lui in pulU lolo per metterlo in libertb, e che larebbe feguitaio da altri CommilTarj, che venivano per punire i colpevoli. La preflezza, c prontezza di Sua Altezza a rimediar immediate alla tralgrclTione de* Tuoi; la diligenza, e rifoluzlone del Commiirario nell’ elecuzione; c l* ubbidienza pronta preiUra da gli Ufcocchi, eziandio ritirati nelle Caverne delle montagne, ad uno che fenza arme, e fenza alcuna forza andò a Segna col folo nome di ComlniffariQ Arciducale, ficcomc fono indizio della buona mente di quel principe, e che Sua Alrezza ha Minidri che, fe vogliono, fanno efeguirla; c che gli Ulcocchi, Icbbcn nodriti in tutte le fccllcratczze, non fono però ribelli, c cotumaci alloro Principe, quando cificaccmenle vuole circr ubbidito, o non modra contcntarfi d* effer difubbidito; cosi dimodrano che colia medcfima faciUù con cui fu provveduto a quel difordine, fi potrebbe, e ft avrebbe potuto provvedere a qualunque altro, quando gli interedì non avcflcro pr eponderato, c preponderadcro tuttavia al debito Cridiano, di lafciar ad ognuno il fuo, cd effere buon vicino. Nò da alcun’avvenimento più, che da quedo, fi può meglio penetrare nel fondo del negozio, c veder al chiaro le caufc de i mali padati; e conqfccrc con fondamento quale fu il vero, c proprio rimedio di queda pede Dopo la prigionia del Provveditore, i Minidri Veneti non fì contennero, come prima, nella fola difefa delle cofe della Repubblica, e nelcudodia de f paiTi; ma cercarono per ogni via, e modo il rifacimento : ma (eguita la liberazione, fi farebbono contentati di dare fu le loro guardie, come prima facevano, fe le cofc fuccede, mentre quella durò, non avedero tirato dietro altri accidenti; accadendo in quede occorrenze come avviene nel moto delle bilance, che, levate dall’ equilitrio, trapadano pivi volte dall’uno, c dall’ altro canto, prima che pof{ano ritornarvi. Elfendo ancora il Provveditore ritenuto nelle Grotte, alcuni foldati Veneti Imontarono otto miglia vicino a Segna, e diedero il fuoco a certi Mulini di ufo di quella Cittù, per fare danno fpe^ialmenie a Giorgio Danicich, padrone di parte di elTi, che fu principale nell’infulto di Veglia, e cuilodiva il Provveditore nelle grotte» Dall’altro canto gli Ulcocchi, non potendo vcndicarft, e far male iti 2 uei contorni, per le grandi, e diligenti guardie, padaco con viaggio i terra il Monte maggiore, ed entrati in Idria nelle Ville di Bergodai, e Lanilchie, abbruciarono gran numero di Calali con fieni, e imjnenti, conducendo via molta preda di robe, animali grodì, e minuti: dal qual accidente eccitate, e irritate le milizie Venete, che in Idria erano, deliberarono di non camminare più per via di ripetizione, tenendo che dalla fperienza di tanti anni fode abbadanza dichiarata fuperdua; ma fecero rapprefaglie nel Cadello di Bugliou, e in altri luoghi del Contado di Pidno; e dUendevanQ la loro azione, perché in quedo occor zi6 STORIA occorrenze la ripetizione caufa pemizie colla interpofizione del tempo, aicefochè, fe poi, quando l'ofTclo fì vede delulo colla lunghezza delnegozio, viene al rifarcimcnto di rapprel'aglia, valendoli gli offenditori di ogni vantaggio, e come le Toifela folTc dimenticata dal tempo interpollo, danno al tifacimento nome di provocazione: la onde, atteft quelli rifpetti, era commendata la celeriA nel rifarcitri, per evitare le moleItie di dovere, oltra il danno, far anche una ditela. Ma giunto a Venezia ravvilo della liberazione del Provveditore, come le con quella loderò emendati tutti i lalli degli Ulcocchi, e loderò cedate tutte le caule de i padati dilpareri, e i rilpetti di dare lulle guardie, il Capitano di Fiume colla medelima adiuenza dell’AmbaIciadore Cattolico, magnificata, come meritava, l’azione di Sua Altezza nel liberarlo, lece illanza che le lode corrilpodo colla liberazione de gli Ulcocchi prigioni, e coll’apertura del commerzio; cosi meritando la buona volontfi dell’Arciduca, e le azioni latte gi^ tanti anni in foddislazione della Repubblica. D’Albona, e del Fiate più non parlò. IMon è da tralalciare la narrazione de i concetti ulati da quedo Minidro per tre meli che dimorò in Venezia, potendo da quelli prenderli grande idruzione de i penfieri che nodrilcono quelli che hanno il governo degli Ulcocchi, e delle mallime colle quali li reggono. Egli diceva di richiedere i prigioni, e la redituzione del commerzio lolo per riputazione del luo Signore, figurandolo defiderolo di rimediare alle male operazioni degli Ulcocchi; ma impedito dal larlo, per non modrare di elferne codretto per la prigionia de i luoi, e pel commerzio levato alle terre; colla rediluzione dc’quali gli larebbe aperta la via, ptomettendo per nome di Sua Altezza, che all’ora fi rimedierebbe si fattamente, che mai più non fi femirebbe moledia alcuna. D^Ii Ulcocchi diceva, che fono gente fiera, e indomita; che non fi podono gadigate ; che, non fi polTono aver in mano, perchè fi ritirano a i Monti; onde ellere di bil^no con dolcezza mitigarli più, che reggerli con leveritll : chs colla rilaOazione de i compagni, e r^tuaione del commerzio, fi lareb-bono addolciti ; dove colle durezze fi larcbbono renduti più contumaci.- eh’ erano zooo. in numero, nati, allevati, e fortificati in qnei fili; che a sforzarli vi larebbe bilogno di ze. mila foldati; che non larebbe decoro di Sua Altezza, per leggiera caufa, far cos'i gran moto; nè me-i no poterlo fare, non effendo Segna lua, ma del! Imperadore : e quan-^ do folle fui, r avrebbe fpianata, non cllendole le non di Ipela col mandare fpello Commiflarj, che le codavano dooo. feudi alla volta; e tan-i te volte, che con quel danaro Segna farebbe due volte comperata ; che farebbe la provvifione conveniente aU'autoritk che teneva di Governatore.- ma volendo un rimedio totale, e durevole, fi doveva trattare C09 fua Maedù, eh’ era lupremo Signore. Che non però fi poteva cogli Vfcocchi tutto quello die fi voleva; nè conveniva metterli in difperaz ione, ellendo buoni Cridiani, e difendendo quella Citth, e quel paele da’ Turchi: che vi era bilogno di tempo, e opportunith; e conveniva fopportar qualche difetto, e alpettar quella provvifione che Sua Altezza farebbe, tubilo redimiti i prigioni, e il commerzio; e poi negoziar il di più con Sua Maedìi. Colle quali forme di parole dava ceru fperanza d’ intera provvifione ; prometteva gran cofe ; ma infieme inferiva che non ^rebbono cdctcuatc, mettendo al pari la caule, che fitrebbono ulate P" per prerelti ad ifcufarc il ttuncamento delle promeflè : pareva ehe diinandane un puariglio, e tuttavia dimand-ava quello ch’era il tutto nel negozio, cioè il commerzio; perchè col folo impedimento di quello era pollo qualche freno alle operazioni nefande. Ma, olita il modo di trattare luhrico, e in sè delio difeordante, la perfona ancora di quedo Minidro non era ad alcuni molto accetta, per edere cob certa che gran parte de' bottini li fmaltivano in Fiume, andando quei della Terra a pigliarli in Segna, per non lafciare che gli Ufcocchi medefimi vi eompatilTero; e il meglio fi riponeva in Cadello, dove il rafo, e’I damafeo era pagato mezzo tallero il braccio. Ed era anche fama, febben non tanto certa, quanto quedo, che i panni alti, de' quali la cab fua era fornita, fodero deUo Ipoglio fatto alb Fregata gb tre anni nel porto di Torcola, del quale s’ c parbto a fuo luogo. Ma avendo quedo Minidro prefo per ragione di feufare la tolleranza, per non dir approvazione, di tanto male, il numero grande, e le forze degl’ Ufcocchi, e il pericolo di perdere Segna, privandola delb loro cudodia; argomento ubto altre volte con maggior amplificazione, fino ad adermare che. fono un propugnacolo della CrilUanith ; e che altra milizb non brebbe atta a difendete quei confini, e quella regione da’ Turchi; predicandoli per buoni, e veri Cridiani, partiti dalU loggezione degl’ infedeli folo per blvare 1’ anima, e per educare b Poderità neUa l^ta religione,* che non è giudo fcaccbrli contra la lede data, con pericolo che rinneghino, c altretuli fciocchezze; quedo luogo ricerca che da narrata il numero, la qualitli, e k imprefe loro in queda etli; non potendofi trarne cognirione dalla notizia dello dato loro nelle eb (uperiori, edèndo geme che, per b mobiliti, cosi dell’ animo, come del corpo, è foggetta a |varie mutazioni,* nè Colltnte in altro, che in non voler guadagnar il vivere colb fatica, ma col l'angue; e da quedo apparirà chiaro che nè per numero, nè per valore fimo da brfi temere^ nè la cofeienza loro meritevole di dfere favorita, ovvero dimata Cridiana; nè il loro fervuto utile alb oonferyaziooe di quelle marine,. : Sono tre forte d' Ufcocchi in Segna, cos'i didimi, e nominati nelb Corte Arciducale.' Stipcndbti, Cafalini, e Venturieri. Caiàlini fon» ? ueUi che, nativi, o gik abituati nella Citb, hanno da pih. fucceSioiu èrmo domicilio in quella; i quali anche fi chiamano Ckadini, e fon» al numero di loo. Altri zoo. fono con titolo, e narae pih rodo, che in realb, di dipendiati, divill in quattro compagnie, a yx per cbfcuna, con quattro Capitani, da loro chbmati Vaivodi. Ma olm quelli quattro (vi fono altri Capi di Ufcocchi, col qual nome tòno chiamati tutti quelli che hanno ii modo di armar barche, per andar in corfo. A quedi aderifeono, e fono compartiti, come in comitive,! vagabondi, c quelli che, nuovamente partiti di Turchb, o banditi, di Dalmazb, 0 di Fuglb, non hanno fermo domicilio in ^na; e tutti li Chiamano Venturieri, e danno all’ ubbidieaza di quei Capi mentre fon» applicati alle barche codeqaali vanno, oca in poco, oca in maggior numero, rubbando, e predando fopra i vicini. Ix oidiuarie bacche degli Ufcoeahi bno capaci di 30. per una- Alb volte ne hanno bbbricata alcuna maggiore, capace lino 50. come quell’anno in Fiume. Fanno più fiate aie anno, fe non fono impediti, ulciu generab,* ma due Tomo II. E e bno fono piCt ordinarie.- per PaTqua, e per Natale, aggregandoli loro anche ^eUi che fono fparh nelle terre di Vinadol; e all' ora quei di Segna votano cosi la Gitth, che reità culladita d>' pochilTimi vecchi, infermi, dalle donne, e da’ fanciulli. Per le fpefe delle fpedizioni generali contribuifcono i Vaivodi, i foldati ricchi, anzi le'donnc ricche ancora, le V edove, e i Preti, e Frati, facendo la loro parte delle fpefe, c participando parimente la parte de' bottini. £' cofa notoria, che in quelli ultimi anni le loro ufcite fono Hate con 15. in 10. barche al pih, in modo che il numero, il quale ora è maggiore, ora è minore, fecondo che i Venturieri più, e meno concorrono ; più; quando il Mare i aperto; meno quando è chiufo, e ferrato, è di doo. in 700. uomini da fazione : ma volendo metter in conto i vecchi, fanciulli, e donne, fi potrìi dire che afcendano a aooo. Il numero crebbe quando lì congiunfero con loro i Carampotani, altra gente ufcita di Turchia. Crelcerebbono fenza dubbio giornalmente, fe il corfo non fofle loro contefo, e impedite; perchè molti Morlachi, allcttati dalla dolcezza del vivere di quello ed gli altri, fi adunerebbono con loro; e può, ben ciafcuno penlare, fe, accrefciuti di numero, farebbono darmi maggiori. I Veneziani fono flati coliretti a perfcguitarli, non tanto per li grandi, e frequenti danni inferiti da loro, cosi a'naviganti in mare, come a'fudditi loro in terra; quanto per li maggiori imminenti che avrebbono inferito, quando, tollerata quella licenza, folTero crefciuti a numero fpavcnievole, come farebbono: c non v’ha dubbio, che, quando la R^bblica non avclTe rimedia-' to giornalmente, come ha fatto, rillringendoli, e incomodandoli, le forze loro fi farebbono fatte filmabili; i Turchi; farebbono fiati cofiretti a rimediarvi da dovere, e per femore, come fogliono fare quando rifolvono : e fccome i ladronecci, eie incurfioni, che quella fona di gente ofava giù 80. anni, abitando in maggior numero nella Licca lotta il Conte Pietro Cmfiob vecchio, firono caofa che la Licca, e la Corbavia follerò occupate da’ Turchi; e quella medeCma caufa fece perdere Clifia al Conte Pietro Crufich giovine; cosi a quell' iflelTa fine farebbono ormai giunti i Contadi di Segna, Vinadol, e Fiumeancora, fe la Repubblica non fi folte colle forze oppofta al libero corfo degl’ Ulcocchi. 11 che febben da lei è fiato fatto per difefa delle cote proprie, è nondimeno feguka da quello la confervazione di quei Contadi alla Cala d’ Auftria, che da' Turchi fenza dubbio farebbono fiati occupati. Sa ognuno, che per caula degli Ufcocchi fu mollà da’ Turchi la guerra nel 1593. che durò 14, anni, nella quale, oltre alla perdita d' innumerabili foldati Crilliani, la CrillianiA con tanto detrimento refiò privata d’Agria con gran pane dell’Ungheria fuperìon, e di Canifla coi meglio della Grovazia ; e quelli tono i bàiefizj che dagli Ufcocchi riceve. Hanno aflài leggiera cognizione di quel paefe, e di quella gente, quelli che dicono eOere vadorola, c tener a freno i Turchi, e cufiodire quelle marine, che fenza loro fi perderebbono ; non elìéndo veto che mai dopo il 1540. abbiano tentato di fiu- ineurfione nel paefe Turco, nè depredare le loro Terre, ovvero combattere con loro a i confini del Contado di Segna, dove i Turchi fi guardano; ma contra di loro fono fempte andati paflàndo funivamente per mare, e per li tetritoi) Veneti, a i confini de' quali non compottandofi Icorrerie nè dall’una. runa, nè daU’altra parte, gli abitanti fbmno per rordinario non cnllodici. Se hanno cosi gran defiderio, che fieno predati, e pròvocati i Turchi, hanno comodo di farlo aMoro proprj confini, e non debbono palare pel paefe del vicino con pericolo, e danno dell' amico contra ogni legge divina, e umana, fervendofi del territorio di quello con detrimento di lui, avendo il proprio, e i proprii confini, per dove più da vicino polTono fare lo fteflb. Ma gli U. fcocchi non fono buoni di far imprefa fenza foperchiaria, nè per aU tro fine, che per alTaiTinare; e i Minifiri Arciducali non riceverebbono benefizio alcuno, fe combatteflcro a’ loro confini, dove trove« rebbono la refiftenza, e non comodo di rubbare. 11 valore degli Ufcocchi è infidiare i deboli; uccidere, e fpogitare chi non fi d^ fende. Non fi potr^ mofirar mai un* azione fatta in campagna da loro; nè che mai abbiano difefo un luogo afialito: ognun la con qual vigliaccheria voltarono le fpalle neirafialco di Petrina; e qual danno causò neirefercico Crifiiano la lor infame fuga. Non potrh alcun dire che abbiano mai fatto una fcaramuccia ; non fanno che cola fia fcaramucciare ; fe fono molto fiiperiori, danno la caccia; o fe non fuperano di molto, la ricevono : mai non hanno impedita una tncurfione de'Turchi: anzi è cofa meritevole da efiere laputa,' che molt e volte i Turchi hanno fatte delle feorrerie fino a Segna, e fatti de’ prigioni a villa della Cittb; e fempre in tempo, che gli Ufcocchi erano fuori alle prede, avendo i Turchi a bello fiu. dio elette fempre tali occafionì, che avrebbono dovuto indurre i Govematori di quella Citth a ritenere la guardia dentro, c levare r opportunità a* Turchi di feorrere fenza rifpetto, quando loro fofic fiata più cara la difefadel paefe, che la porzione delle nibberìe. Mai loro protettori, quando trattano con perfone non informate, dicono che gl’ Ufcocchi di Segna fono un propugnacolo della Crillia» nit^; che difende la Caxintia, ITllxia, e Vltalia ancora da’Turchi; febben la verith è incontrario, non facendo elfi fe non tirare i Turchi in quelle regioni .* i quali molte volte fono corfi fino a Gorbonich; nè pofiboo eflèr impediti che non corrano anche nella Cla« na, e Piuca, e più oltre ancora, fenza che da Segna pofla efiér loro Jimpedito. reftano i Turchi per li pericoU nel ritirarfi ^ eflendo aflaliti dall’unione che in quelle occafioni fznoo le genti dì Carlillot, e altri Crovacini del paefe; da’ quali alle volte fono flati rotti con grande uccifione: nè gli Ufcocchi fi fono mai trovati a quelU latti, occupati foto nelle rapine, in modo, che fenza gli Ufcocchi il paefe è ben cullodito : e da loro non fi^ha altro, che provocazioni. Ciò è raccontato affine di moflrare che, per difendere quei luoghi a fervizio della Crillianith, non vi è bifogno di loro; anzi dii^ ficulcano efiì la difefa; febbene i fautori loro, come feci racconta A fero favole d’india, dicono ch’efli difertano per fei giornate di paefe Turco; che da quegl’ infedeli non può efler abitato; che, quando effi non fodero, i Turchi abiterebbono quei terreni; e, fatti più vicini, fi darebbono alle incurfioni : però il mendacio non è facile da follenure in cofe permanenti, e vicine, che fi pofibno ogni giorno vedere. La Licca, e la Corbavla, regioni de’ Turchi a quei confini, fono pienC) e abiiaciffime. DaOttoiàz, ultima terra apTttno IL £e 2 parte lio parteiiente al Regno d’Ungheria, e lunghi 40. miglia da Segna, ad entrar in Corbavia ncU'abitato da’Turchi fono io. miglia; c quelle poche miglia lòno delle appartenenze d'Ottofaz; e non gl’Ufcocchi le rendono inabitabili a’Turchi, ma i Turchi a' Criftianj, a’ confini de’ quali appartengono; che il proprio de’Turchi è tutto abitato', e pur mai gli Ufcocchi non hanno ardito d’ entrare da quella parte in quello de^Turchi, ovvero far abitare il proprio confine, non che far a’ Turchi danno, falvo che paflando pel territorio Veneto, che non vogliono urtare, le non i dilarraati. Viene rapprefentata per cofa prelente quella che una volta avvenne innanzi il 1 540. nel tempo in cui gli Ufcocchi profelTavano la milizia, non i ladronecci, quando per tre anni diedero molta raoleftia a’Turchi confinanti; ma convertita la virtù in vizio, hanno pofeia foftenuto,e foflengono al prelente gli ftefii incomodi da’Turchi eh’ elTt inferivano loro, quando profelTavano di eflcre foldati, e non ladroni. Il corfo da loro è fiato efercitato con qualche profpcritù, non per valore, ma per la comoditi di tante Ifole, Icogli, e porti folitarj, de’ quali abbonda quel mare, opportuni a tender infidie; nel che foUmente gli Ulcocchi vagliono. E il folo confiderare le armi che portano, farà certezza che non fono foldati, nè abili per combattere. NefTuno di loro porta fona alcuna di armi difcnfivc non mortone, 0 celata, non arme in alla: portano folamente lin Archibufo a ruou, ben picciolo, debole, e leggiero, come bifogna a chi confida più ne' piedi, ehe nelle mani; c una picciola manna^. Alcuni di loro hanno di più uno fiiletto, tutte armi, ficcome proprie per la profelTione del rubbare, cos'i inette alla milizia, e per difendere nc'prcfidj, e per otfendere in campagna. Quelli particolari fono fiati efplicati cosi diffufamente, per levare la malchera a quelli che feufano colla impoflibilirà del remedio quel male eh' elfi fpontaheamente fomentano a proprio profitto. Se 1 ’ eferopio del Rabatta non fofle recente, folto gl' occhi di tutti fi potrebbe fingere, e palliare la verità; ma egli fenza ventimila jwrfone con una guardia di Tedcfchi, fece morire alquanti Capi di loro' diede in mano a i Miniftri Veneti i banditi dal loro dominio; fcacciò molti indifciplinabili ; trafportò ad Ottofaz due terzi de i rimanenti* ed era per mettere fine al tutto. Non fu uccifo quando molti Ufcocchi erano in Segna, ma quando erano ridotti al fuddetto poco numero; e le quei non folfero fiati fomentati da chi non poteva vederfi privato dell’utile, con molta lode del Sereniffimo Arciduca fiabiliva quel negozio in modo, che con quiete de’fudditi la buona intelligenza tra’ Principi non farebbe mai fiata feemata. Ma poiché fono anche lodati gl’ Ufcocchi di buoni Crifiùni, C ha da dire la verità. Non fono Luterani ; nè in Segna vi fono altre Chiefe, che della Cattolica religione; ne fi può dire ch’efii fieno miferedenti in alcuno di quegli articoli che fono controverfi co’ Protefianti. Però la purità della nofira Religione non comporta che fi pollano chiamare buoni Crifiiani quelli che non credono il furto, le rapine, i latrocini elfcre peccati ; nè fi ha da dire che lo credano quelli che, non per fragilità, non per ignoranza, non per qualche tempo, ma per tutta la vita loro, e come per profclTionc, c di padre in figliuolo, e con pubblico cortame di tutta h nazione, perle verano nel corfo, e latrocinio, non rertandone alcuno elclufo; poiché quelli, che non vanno in mare, vedove, vecchi, c Religiofi, come s’ è detto, fono alla parte; c le maritate fono d* incitamento a gli uomini di provvedere le cafe di quello d’altri a concorrenza: e, quello cb’c notabile, ciò fi efercita piò ordinariamente al tempo delia Fafqua, e del Natale, per diroortrare ben chiaro, ch'efìfL tengono i iatrocinj, e le rapine nel luogo che i Criftiani tengono le opere di penitenza. Nè fi polTono dir gPUfcocchi più buoni Crirtiani, che i Zingani, che profertano il furto: fe non che gl’Ufcocchi in tanto fono peggiori, che paffano alle rapine, c alle uccifioni, dalle quali i Zingani s’artengono. Ma tornando all’ordine della Storia, da cui il tertimonio della verità mi ha divertito, il Configlio di Gratz, vedendo che col negozio di Venezia non fi poteva ottenere la refiituzìone del commerzio, fe non fatta prima una provvifione durevole, che IcvalTe per fempre le molertic; la quale, o non potevano fare, per mancamento de’danari da pagare la milizia; o non volevano, per le private comoditìi, e forfè anche per mantenere la prctenfionc di poter corfeggiarc per l’ Adriatico; deliberò di voliarfi alla Corre Cefarea, e indurre quella Maertk a congiungerfi allo rtclTo fine. Perciò mandarono a Vienna a far querela degli aH^cidenti in Ifiria occorfi, e di fopra narrati, come fc i luoghi di fua Altezza fofiero fiati non folo i primi, ma anche foli afialiti; c foli aveffero fortenuto danno; eccitando fua Maefib ad afiirterli, così pel rifacimento, come per liberare i luoghi tuoi patrimoniali, e gli appartenenti alla Corona d’Ungheria, tenuti rirtretti, c privati del commerzio con indigniti di fua Altezza, e di fua Macllk, che n’è fupremo Signore. Ma dall’ altra parte efiènJo fiata fua Maefiì i-iforv mata dell’intiero; ed eflcndolc fiato mofirato Toriginc del male cflcrc provenuta dalla pertinacia del prefidio fuo di Segna, ofiinato a volerli arricchire colle facoliò de’ Mercanti, e popoli; c dalle terre così dcIP Ungheria, come patrimoniali d’Aufiria, c da' Governatori di effe, che fono fiati a parte della colpa; e che la Repubblica, non avendo altre modo d’ovviare a i danni de’fudditi fuoi, operava a necciraria difefa; che la cufiodia tenuta in quelle acque non era per pregiudicare alla dignitìi di lua Macftò, ne di fua Altezza, ma per proteggere le cofe proprie; c quanto alle cofe ultimamente feguite in Ifiria, che gl’ UIcocchi, non potendo ulcirc per mare a far danni, erano prima pafiati in quella Provincia, e avevano abbruciati, faccheggiati, e dclolati molti Calali; onde i foldati Veneti^, dopo i danni ricevuti, erano fiad cofirctti,pcr kidcnniù dc’popoli, a rifarcirli con rapprelaglie; Sua MaefPa refiò con loddisfazione, e fn molto bene conolciuto a quella Corte che non era poflìbile far cefiare il moto, fe non fermando la prima caufa d’eflb: e fu rifoluio in quel Configlio, che fi trovafiè rimedio per via di trattazione; c che Cefare pigltafie in sè i’aiTunto di fare le convenienti provvifioni; c che non fi doveva incominciar a parlare della reiUtuzione delcommerzio, ma folo fare che fi cefiaflc dalle ofiilitk da ambe le parti, defifiendo da nuovi danni. Deliberò Tlmperadore di mandar a Segna il Traumefiorf, perfonaggio di valore e riputazione, con danari, per rimediare fui fatto. Quefta deliberazione^ che farebl^ (tata un* ottimo principio, non fi mife in effetto^ perchè, eOendo ciò fìgnificato all* Arciduca, per farlo dì fuo confenfo, non vi alTenti ; ma fi offerì elfo di provvedere di perfona di comando, pra« tica dei paefe, e del governo degli Ufcocchi, che farebbe ogni necefiaria provvifione.* il che fu appunto il contrario di quello che il buon cfito del negozio ricercava, cioè, che gli Ulcocchi foffero per Tavvenire governati, non lecondo le pratiche, e i modi fino alfora ulati.ma ben fece chiaro in poded^ di chi foffe il rimedio; poiché immediate dopo la rifpol^a dì lua Altezza, la rifoluzione dì quelb quantunque pubblicata, e lodata, non ebbe luogo; anzi fi raffreddò anche l'ardore col quale il Configlio Celareo prele penOero di rcmedia^ re; e non fu più parlato che flmperadore affumeffe a sè il carico, ma che l’Arciduca deffe principio all’ora per mezzo di perfona mandau efpreiramente; e l’ultima mano s’avrebbe applicau, quando fu» Altezza foffe andata alla Corte. Fu in un’iffcffo tempo pubblicato neU'armata Veneta, per comandamento del Prìncipe, che, reffando i Vafcelli alle loro guardie, fenza punto rallentarle, s’affeneffero da metter in terra, e fare danno ia luogo alcuno.* e nelle terre Auffriache per nome dcU’Arciduca fu comandato che da'fuoi non folle inferito alcun danno a’fudditi della Repubblica. Deputò anche Tua Altezza due Commidarj, come per lo più nelle occorrenze paflate s’ era fatto. Non affermerò gii, a quello fine; ma dirò bene, cho dal numero di effi ne feguiva che Tefecuzione, per la varietà delle opinioni, era divertirà, o almeno allungata tanto, che idannificatì, Ranchi, deffiReffero dalle iRanze. Si fpedirono anche i Commiffarj lentamente pure, fecondo l'ufo ordinario, dal quale era fempre leguica una pretenfione di tralafciare il mal paffato, come troppo vecchio, e che mcrìtalfe effere poAo-in obblivìone. Ma ne* tre mefi che feorfero, pubblicata la fofpenfione delle offefe,’ fino al line dell' anno, eziandio dappoiché i Commiflarj di fua Altezza giunfero in paefe, non ceffarono grUfcocchi, per quanto poterono, fcanfate le guardie, d’ ufeire di Segna in picciol numero a far danni, riportata fempre la preda nella Citiù; poi paffarono con più groffe incurfioni fopra l’ilola di Pago^ ; e dappoiché fu provveduto col ritirar ne i luoghi fìcuri le robe, e gli animali, ritor narono all’ Ifola d' Arbe, Veglia, molcllando, e rubbando in più volte in divcrfi luoghi quantità d' animali, e di vini. Nel Mare ancora preffo a Zara vecchia facheggiarono una Marciliana; e nel Canale della Morlaca fpogliarono un Grippo, e una Fregata con robe, e danari, levando loro anche gli finimenti nautici. £cofa degna di fpezial relazione, che, ritornando col bottino dt una barca Chiozzou, e feguitati da una Galea, effendofi falvati nel porto della Cittù, non furono ricevuti dentro per la porta del mare, per dove era il folito entrare; ma., lafciate le barche in porto, c circuita la Cittù, entrarono per la porta oppoRa di terra, e poi partita la Galea, con comodo ricevettero b preda bfeiata nelle barche, e b porurono nelb Citti, In tante rubberle ebbero fortuna di non incontrar, (alvo che due volte, nelle guardie, che li conRrinfero a lafciare la preda e le barche, e falvarlì né’bofchi: e forfè maggiori incontri avrebono avuti, fe, caiifa della infermitìi, e morte del General Canale, non foffe Hata rallentata r riatta diligenza da lui ufata. I Commilfarj Arciducali, giunti, fi fermarono in Fiume lungamente^ dove attelero a far procefli, per verificare la quantità de’danni da'fudditi Aullriaci patiti in Kiria i quali, fecondo il loro conto, facevano afcendere a loo. mila feudi. Non farebbe alcuno che non fi molirafle creditore di molto, quando non mettefle in bilancio i debiti fuoi. Se i danni di quelli pochi anni inferiti dagli Ufcocchi, e non rifarciti, foffero contrappolli, fi troverebbono afcendere al decuplo di quella fommat ma i Comminàrj aggrandirono i danni ricevuti, e degli inferiti ne lafciarono la cura ad altri. Quello fatto, chiamarono a sì il Ca^ tono di Segna, i Vaivodi degli Ufcocchi, e altri principali di quella Città; intimarono loro comandamenti di fua Maellà, e di fua Altezza, che non doveflèro ufeire a' danni della Repubblica, fono pena della vita, con grandi, e feveri minacciamenti : levarono il Capitano dal carico, per aver avuta parte nelle turbazioni; quelle parole appunto tifarono. ferivendo a Venezia al Capitano di Fiume, e dandogli conto dell'operato, conchiudenda che i capi degf Ufcocchi, e i primi Cittadini avevano promelTo religiofamente di ollervare quei comandamenti; e ch'elTi Gommiflàrj avrebbono ufau ogni cura, che folTero ubbiditi ; aggiungendo che lellava fola il galtìgare feveramente i malfattori per li delitti pallàti; ma lo differivano a quando folfero compolle le differenze colla Repubblica,- che cosi fua Altezza aveva loro comandato; e parimente farebbe flato all’ora punita il Capitano; che avevano mandato a richiedere danari per pagar il preudio; e le cofe eflere tanto ben ordinate, che fenza dubbio gli Ufcocchi non farebbono pih danni. Perì la dilazione ad efeguire quelle deliberazioni fu cosi lunga, che mai fe ne vide effetto e poIcia fu rifaputo che il Capitano fu levato non fenza fuo confenfo, e pollo ad altro carico. II Capitano di Fiume, fatta quella relazione in Venezia, e ottehuto che Ibfle dato in commiflìone a Filippo Pafqualigo, che doveva andar Generale in Dalmazia, che, quando avelfe veduto chiaramente provvifioni che ballalfero per renderla ficuro di non poter ricevere danno, potelfe rallentare le flrettezze delcommerzio, o auolutamente, o quanto gli parefle potere con ficurezza; e vedendo ch'era irimeflb a Vienna il dar perfezione al negozio, fi parti ; e giunto in Fiume, riferì a i Commiliarj eflcrgli flato detto in Venezia nel licenziarli, che la mente delia Repubblica era, e farebbe fempre, d' eflér buona vicina di fua Altezza, mentre folfe rimediato a gl' inconvenienti degli Ufcocchi ; cafo che no, avrebbe anche fuperata quells difficoltà, come aveva (atto d'altre maggiori. Ma il Pafqualigo, giunto al fuo carico, pratico del modo, come doveva procedete in ul’aSue, volendo ular tutti i termini convenienti, in una lettera, ferita a i Commiflàr] a Fiume, fece intera narrazione di tatti i danai inferiti cantra la parola daa alla Corte Cefitrea, e in Venezia; e fece efficace ìllanza di provvifione per mantenimento dell» ripuazione loro. Rifpolero cortefemente i Commiflàr;, aver intele con difpiacarc le male operazioni degl’ Ufcocchi, non fapu te da ft»4 ' te ^ Jbrp finp > quel tempo ; p che fr» quattro giorni farébbono mdati ;> Segna, pee gaftigue i colpevoli, e (arrendere le cole depredate; inaOlme ie andalTerip neU’illeflp luogo grinterelTati per dar piiV chiara, e minuta informazione. Ma lenza andar a Segna, il Baron Aufpergct; principal GomraeKario, ritornb alla Corte, dato compimento a quello, perchè era venuto, cioè, di prender informazione de' danni inicciti, e in luogo fuo fi) mandato Daniello Gallo, il quale colf altro Commeilàtio Ghetlin andarono a Segna accompagnati da t50. (bldati; d’onde alla fama della loro andau erano gdi partiti Viccnzo Cragliaoovich, e Giorgio Danifich con circa altri 40. Fecero i Commel^j pubblicar un bando, che i Fugliefì, Dalmatini, e altri foreSierì, che avevano prelb domicilio in. Segna, dovefero partire in termine di otto giorni colle mogli, c famiglie; e crearono Capitano della Terra Niccoli Frangipane, Conte di Terlàtz, chiamato dagli Vfeocchi Micleo; Terfatzi, Orppierc diijba Altezza. La mutazione de’Capitani per li tempi addietro non causi fe non peggiori efietii; non avendo portato i nuovi minare difpofizione, che I rimuiS, a pariicipare de’ latrocini di quella gente ; ma bensì. fempre entrati in governo meno (limati dc’preceflbri, e pii avidi di arricchire,' con tutto cii di quella vi fu quiebe buona Ipetanza, clTendo giovane ben nato, c Signore di Novi, Caftello poco da Segna difcofto, che come inierclTato nella giurifdiziooe, faceva credere che dovefle regoUte il tutto bene; maflìme intendendofi che aveva penfìcri di far bene il fatto iuo con alcuni bofehi; quantunque refler naturale del paefe, e la maniera iua molto limile a quella degl’ altri Ulcucchi, rendelTe il giudizio iorpelo, £ egli )cr la prima fua azione, congregati tutti nella' Piazza, lue un pubblico ragionamento, preferivendo i modi del governo che voleva ulare; particolarmente afi'ermando di non dover permettere .l’andar a bottinare, nè far colà diverfa dall’ obbligo di buoni, Crilliani; giurando di voler ehim ubbidienza, quando ben credefle d’ aver perciò a perdere la tclla; promettendo che all’avvenire farebbono pagati ; olfereudufi, che, le non trevalTc danari da follentarli, fi lamemallero folo di |ui. In efecuzione del bando de’CommiUàrj mandò fiuiri di Segna too. Ufeocchi Venturieri colle mogli, e co’ figliuoli, i quali fi riduficro nelle marine di Selze, e Cerquinizza, tra Buccari,e Nuovi; che fu un cavar Colonie di ladroni dalla Metropoli de’ predatori, e di ua nido fame molti, c dar maggior comodo al mal operare. Poi egli infieme col Gallo, partito gih il Cheslin, congregati tutti gl’Uloocchi ftipendiati nella Piazza a luono di tamburo, fecero in loro pretensi pubblicare un lungo editto, o più tofto una diceria, con molli capitali, che in lolianza proibivano le prede contra i Crifiiani, e comra i 'Turchi, Efclamarono all’ora tumultuariamente, dolendoli come avrebbonn potuto colla poca paga, che loro era data, vivere; eh’ «ano coàilaiti colla facoltà di poterli procacciare ; t che quella fofle loco mantenuta, ovvero la paga accrefeiuta ad onefta qnantiih, Acquicuto alquanto il tumulto; rifpofe il Capitano, ehe la paga farebbe badante, c d’avvamaggio, quando s’aSenelIm dal. giuoco, e dall’imbriapirfi: che Totcndo l&e in Segna, conveniva che fi contentafleio; e chi pon fentiva di poterlo fare, £ n’andaOè, che la porta era aperta. Il tumulto fi fece maggiore, dicendo eh’ erano creditori di molte pagbe, che i^he volte corrono; e anche quelle poche fono defraudate, e diminuite; raccordarono che anche nel idod. fu fatto £mil editto, che non fi andalTe alla preda, con proroeflà, e giuramento di dar loro le paghe intere', nè però t'era mai elèguito. Bifognò, per la gran conhjfione, dar 6ne a queU’azione, acciò non terminaffe in qualche finidro; e quella difciolta, i tumulmanti furono facilmente acquetaci da iCapi, principalmente da Giorgio Danilìch più volte di fopra nominato, il qual inCeme co’ compagni effendo ritornato in S^na, ottenuto generai, perdono di tutti i falli commeflì, a' adoperò più degl’ altri nel dar loro buona fperanza. Compolle le cofe in quelli termini, parfi anche il Commillàrio Gallo, lafciata fama che altri Commilur) farebbono venuti per raa^iori provvilioni; nè della rellituzione, nè del galligo de i colpevoli ptomeflo in lettere al Pafqualigo fu detta altra colà. Quello fu il fucceffo della cosi lungamente preparata, e canto bramerà venuta de' Commifl'arj in Segna ; elTendoli tutta l’ opera loro rilblia in proibizioni, e minacce di gaftigo, e cSétti £ perdono ; non avendo efeguito una minima pena centra alcuno ( che pur molti furono, e manifelli ) de’.Concrafacicorì a i loro tanto Teveri bandi; ma folo, col tenere le porte della Ciiib ferrate tre giorni, tentata d’ aver prigione Andrea Ferletich, famofo Capo, e molto fceleraco, in maniera, che rellò quali chiaro che aveffe avuto lo fcampo da chi ordinò la cattura. Quelle cole lafciarono nell' animo delle perfone prudenti dubbio di vedere ridotto nell’ avvenire il negozio in peggion termini, come per li tempi pollàci fecero le altre azioni «’Commillàrj, offendo il collume de’ malfattori, che innanzi le proibizioni, e prima de' tentativi inefficaci di galligarìi, per timor di quelli, non làpendo i modi, come efentarfi traila giullizia, camminano cautamente, e riienutamente nel mal fare; ma dopo avere fpecimentato_che la giullizia non può, o non vuole raffrenarli da dovere, rimoffo ogni rifpetto, e certi dell’ impuniti, ardifeono quello a cui prima non avrebbono penfato; è tanto più confidentemente, quanto più volte la giullizia tenta fimulaiamente di proibirli, o galligarìi. In quello fiato di cofe nel principio dell’anno idi;, arrivò il Sereniffimo Arciduca Ferdinando in Vienna alla Corte, accompagnato dal Capitano di Fiume, daU’Echemberg, e da altri luoi C^nli^eri, rifoluti ttb loro di non raffare più innanzi, che quanto fin all’ora era fiato fatto da i Commiuàri in Segna, per dovere poi lafciargli avere quel corfo che altre volte ebbe, quando fu ridotto nel termine fteffo; a quello effetto vennero con due propofizioni non più- ptemeffe nelle trattazioni di quell’affare; l’una, CM i danni fatti dalle milizie Venete in Ifiria alle tene Arciducali foffeto pagati, e che degl’inferiti a i territor) della Repubblica non fi pariafiè; I’ altra, che a’fudditi loro folle concellà libera la navigazione. Quella feconda era ballante, per portare la tratazione, non folo in lunghezza, ma anche in diuturnità; poiché era pretenfione ritrovata dall’Impcradore Ferdinando, e a fua richiella trattau, e fatta conolcere poco fondata | e poi rinnovata dall’ Arciduca Carlo, e maneggiata alla Corte di Maffimigliano, e di Rodolfo collo fieffo fucceflò, Quanto alla priTanw i. Ff ma, ax(5 .ognuno avrebbe per inverifimile che foffe (tata fatta propofla -di hf^imemo per ima parte, elTcndovi parùK di ragioni da amcndue; però non è da tacere qual foiìe la differenza che pretendevano. Dicevano i danni dati a ludditi della Repubblica effere venuti da private pcribne contri la pubblica volontà; ma gl’ inferiti da loro agl’Ar. cidiicali, eflcrc con confcnlo de’ pubblici Miniffri; però qucfti dover effère rifarci dal Pubblico immediate ; c (opra quelli dovcrfi prima intendere le ragioni dcgl’interelTaii, Ma nel Confìglio Imperiale, mafflme negli aTunti a quel carico da fua Maeffk, non era riffeflo pcnOero; anzi una gran dilpofìzione dia(lopcrarG per compito affetramento; perchè, conbderando quante querelè erano (bee portate a fua Macff^, dappoiché a lua contemplazione fu pubblicato da ambe le pani che fi fofpendeffero le offde, e gli Ufcocchi mai non ceffarono dalle rapine, e da i latrocinj, facendofi fentire moleffiffimi, e infolentiinmi ogni giorno; e raccordandofi quante ne udirono gflroperadori, Padre, e Fratello fuoì, giudicavano effere bene libcrarla in tutto delle moleffie con un compito affettamento. In quello principio s'applicò fua Macffk, e il £uo Confìglicx per alcurii giorni ad intendere le ragioni di Sua Altezza, querelandufi i Tuoi Configlicri degl’ Ufcocchi ritenuti nella villa d’Arctina, che, pretendendo offela dagli Ufcocchi, aveffero penfato i Veneziani di rilarcirfì Ibpra altri fudditi fiioi particolari, e aveffero invafi gli Stati proprj d’efla, non appancnemi alla luogotenenza fuprema di Crovati, alla qual ^gna appartiene; che per danni fatti da private peribne folTero tenute afi'ediatc le terre. I^olcvanfi anche molto, che, avendo mandato a Venezia il Capitano di Fiume, non aveffe ricevuta foJdiffazione alcuna, con tutto che fua Altezza molte ne aveffe date ^ e tenendo perciò J' onore d’efla intereflàto, conchiudevano non poter fare di più, fe la riputazione fua non folTe reintegrata, e perciò richiedevano prima quattro cofe: che foffero riialciati i prigioni t che foflc liberato il comracrzio alle terre; che a’ luoi ludditi fbffc lafciaia libera la navigazione : che foffero rifarciti de’ danni ; le quali cole elcquire; Sua Altezza avrebbe compito quello che rimaneva per rimedio totale. Veramente è degna di maraviglia Y aflbluta promeffa di total rimedio, lenza parlar più, che foffe bifogno della regia autorità dell’ Imperadore; nè che alcuna parte del rimedio Ibfle rifervata alla Maeft^ fua, come Principe lupremo di Segna; il che tutto l’anno innanzi era flato jl colore, col quale il Capitano di Fiume dtpinfc le provvifioni fatte da’Commcffarj tutto quello che fua Altezza poteffe fare, effendo rilervato il foprappiù alla Maelb Cclarea, Dopo lunghe confultazioni, fua Maeffù fece intendere aU’AmbafctadorVeneto la buona volonb iua, che tutte le dilBcolb foffero accomodate, e la prontezza d'imerporG come mediatore, e amichevole compoGtore, e metter Gne a tutte le differenze: che le erano flati elpoffi tutti gli aggravj, e le richiede di fua Altezza; però defiderava d'intendere anche la volontà della Repubblica. L’ Ambalciadore non voile fare alcuna particolare querela di cofe paflaic, forfè perche, avendole per manifede, la giudicalTe fuperdua; ma G riffrinfe alle richiede. Della navigazione diffe, che quello cran^ozio altre volte trattato, del quale la Repubblica non avrebbe rkufato di trattare di nuovo; ma non avendo alcuna 5 connefTione cogli Ufcocchi, non era giuHo confondere infìeme materie diverfc ; del rifacimento rifpofe che conveniva fofle reciproco; fi conofce0e chi aveva participato nei danni, e a refHtuire incominciaffe chi prima aveva inferito danno. Dimandò egli in fofianza che di Segna folTero fcacciati affatto tutti i ladri, e la mala gente, che inquietavano i vicini; e gli fcacciati non foffero più ricevuti, nè foffe dato ricapito a' banditi dalla Repubblica, e a* ribaldi; che in Segna folTe pollo prefidio d'altra nazione, e pagato ordinariamente; che fofle provveduta per Governatore di perfona d’onore, e difintereflàta; che foffero abbruciate tutte le barche dacorfo, e airavvcnire nè in Segna nè altrove in quei contorni ne foflero fabbricate, poiché non poflbno averne bifogno perdifefa, non avendo moleflia alcuna in mare; e non fono più utù li, anzi molto meno delle comuni, per portar vettovaglie, e mercanzie. Dopo diverfe conferenze colf una, e coll’altra parte, lafciati i particolari che non era opportuno di trattare, parve alla Maelfù Cefarea che le difficoltà poieflero eflere compofie nella forma in cut di fotta fi dirh; e mandò il Vicecancelliere a darne conto all’ Ambafeiadore con dirgli, che r Arciduca aveva accecuci quafi tutti i Capitoli da lui propofli, « aveva data parola a fua Maeflh Cefarea, che la Repubblica non avrebbe più dtflurbo immaginabile, e che Tlmperadore era rifolutiflimo che ciò reflafle efeguÀo; il quale dava parola che rutto paflarebbe con quiete.* che mai non il era parlato cosi chiaramente; e che poteva ilare ficuro che il negozio farebbe ben accomodato; foggiungendo che anche dal canto della Repubblica conveniva corrifpondere con rimovere TafTedio, e con rendere i prigioni. Gli efib^ il Vicecancelliere una fcrittura, che conteneva le promefle di fua M. e di fua Altezza flela in lingua Italiana, la forma della quale è qui polla in copia. L'IlUflr. Sig. Vicecancelliere ha detto, per ordine di fua Maeflh Cefarea, che il Sereniflìmo Arciduca Ferdinando si ha dichiarato fopra i punti che cflb Illuflrils. Sig. Vicecancelliere fcrifle nel Configlio di Stato; che fua Altezza promette a fua Maeflà, che il mare reflerh netto, e libero da’ Pirati di Segna, e altri luoghi fotto il fuo coinando; e che non nfeiranno di Segna, nè di quei contorni perfone per danneggiare la navigazione, ne i vicini fotto pena dellaviu. I ribaldi faranno aflblutamente fcacciati di Segna. II Governatore gib è mutato, cd è perfona di valore, e difintereflata .* che avendo fua Altezza dato principio a rimettere in Segna prefidio Tedefeo aflbldato, ovvero pagato, continuerb anche ad ampliarlo; e che non lo fa ora puntualmente, perchè non vuole moflrare di efleme affretta. Ma fua Maefli Cefarea procurerb aflblutamente che ciò fegua, e che tutte le fopraddette cofe fieno interamente efeguite, quando la Serenifllma Repubblica rilafcierb i prigioni, e leverb 1' aflraio da lei meffo, dovendo reflare la navigazione de’ commerci nel folito termine, e mantenuta la buona vicinanza. Quanto alla libera navigazione del mare, fua Altezza non meno, che TAmbafeiadore l'ha rimefle ad altra trattazione. La ccnchiufione prefa in Vienna fu fenza alcuna difficoltb ricevuta in Venezia, e attendendo Toitìma volomh di fua Maeflh Cefarea, e la buona rifbluzione alia provvifione, per corrifponder a lei, e al Sereniflimo Arciduca, e dimoflrare la (lima verfo laCafad’Auflria, fu ordinato al Fafqualigo di ritirare le guardie da Segna, e da Fiume, e altri luoghi, Tèmo II. Ff a c la e lafcìar il conmerzio libero a’fuddici Aufbiaci, come era. innanzi gli accidenti occorfi; e di far coniegnare a chi Tua Maeilh comanderebbe i prigioni: fu anche commeflb airAinbafciadore, di darne conto del autto alla Maeflk Imperiale. Arrivò l’ordine al Pafqualigo il fecondo di Marzo, e quell’ iiìelTo giorno fu ei'eguito con molta allegrezza defuddiri Arciducali, e rilcontrò, per buon accidente > che il medefimo fu fatta Tambafciara alia MaeA^ Cefarea; alla quale rìufc^ tanto più grata, qtiando alla Corte non fi fpctava che doveflero le condizioni cilere accettate per iutheienci in Venezia, elTcndo in altre occafioni pm volte Hate oflerte, nè mai vi era (lato acconfemito. Della grati’ rudine ne fece fua MacfUi dimodrazione non folamente con lodare la deliberazione, e i’elècuzionc immediate data, ma con alTicurare fopra la parola Celarea che da quella parte non si avrebbe avuto per l'avvenire difgiido immaginabile. Fece del tutto dare avvifo a fua Altezza, ch’era già partita di Vienna, con una buona eforcazione all’ ofkrvanza delie cole promelTe. Comandò anche la Maefl^ fua al Conte di Sdrin, (otto pena di perdere il feudo, che ne’luoghi fuoì del Vina« dol non folle dato ricetto a’Piratì, o ladroni, e all' Ambaiciàdore fece dire che intorno a’ prigioni s’era fcritto a Gratz, e che sì avrebbe prefo ordine come riceverli, quando fofle venuta la rilpoda In confeguenza di ciò il Segretario Cefareo in Venezia per ordine efprelìb dell' Arciduca diede conto delle provvifìoni gih fatte ^ e degl’ ordini dati in Segna, per rimediare a’ mali palTaii; e della rifoluzione fua deliberata a dare perfezione al rimanente per. intera oifervazione delie cole promelTe in Vienna; e dell' ottima volontk fua a perfervcrarc in buona vicinanza; c del piacere, che fentiva, per clTcrc le palTatc differenze accomodate. Non farebbe facile diilinguere, fe i popoli di Dalmazia, gl’lfolani malTime di quella regione, o pure t fudditi Auflrìacì confinanti fentiffero maggior piacere di un’accomodamento così facilmente fucceifo dopo le molte diflìculTa, dalle quali furono ambe le parti per tanti anni travagliate, k non che dagli Aullriaci il frutto era goduto in realt^, i quali con l’apertura del commerzio recarono liberati delle ìncomoditk che lentivano ma i fudditi Veneti non godevano fc non la loia fperanza di quiete, la quale nè men ardivano di ben abbracciare, e tenere per ferm a, afpertando di vedere prima qualche principio di efecuzione che la confcrmalTe, o colTabbruciamento delle barche da corfo; o collo (cacciare gli Ulcocchi Venturieri non folo fuori di Selozione di non voler abbandonare il corfo. In poco tempo ancora vide pian piano ritornare i fuggitivi a Segna, ed elTere ricevuti in modo, che in termine di un mele furono ritornati tutti.- del che non intendendo la vera caufa, ni penetrando, fe fofle con ordine di fua Altezza per adunarli, e fervirfì di loro in altro luogo, rimafe in molta ambiguità dove il negozio dovefle terminare t ma predo redò chiaro a tutti che l' accomodamento -fatto non poteva fortir fine migliore degli altri in altri tempi conchiufi. Imperocché, avendo gli Ulcocchi la fettimana Tanta fatta deliberazione di far un ufcita generale, e avendo, Iccondo il lolita, contribuito anche i vecchi, le vedove, e i religiofi, a metter infieme una munizione di polvere, e viveri, e danari per comperarne, quando quella mancafle- ufeirono il di de' fette Aprile, giorno della Santidìma Refurrezione di nodro Signore, in numero di quattrocento in dieci barche; e avendo navigata per ito. miglia, fmontarono a Crepano, giurifdizione di Sebenico, e per quel territorio padarono nel paefe deTurchi, facendo preda di uomini, animali, e robe;c ritornati pel medefimo ter. ritorio, nelle marine di quello imbarcarono la preda, e la ridulfero in Segna; avendo lafciata fparfa voce, ch’erano accordati co’Veneziani di poter andar a' danni de’Turchi pel territorio Veneto, mentre non oifendedero le perfone, e i luoghi per li quali palfadcro, e ne’ giorni feguenti, palTando piu innanzi, all’ improvvifo fecero molti danni in Macarfea, e Narenta ; e internatili piò oltre per le terre de'Ragufei, depredarono la Villa di Trebigne, la migliore, e piò ricca che fia ne’ contorni di Gadel Nuovo, con grodo bottino d’ animali, e prigionia di uomini ; e nelle molto andate, e ritorni, fi ricoveravano ora in una, ora in un altra delle Ifole Venete dove intendevano non effervi armata; cosi per ripofare, come per provvedere i viveri; i quali ora pigliavano con violenza, ora pagavano. Durò per alquanti giorni quella imprefa, che tiufcf loro felicemente; perchè la fama All’accordo llabìlìto, e la credenza certa di non avere piò moledie dagli Ufcocchi, fecero redar i Turchi lènza guardarli, c quei dell’ Ifole Venete fenza la diligenza eh’ erano foliti ufare ne’ tempi de' pericoli. Ma i Turchi, podit in arme, e fatta calare moltitudine grande in ajuto, minacciavano di vendicarfi centra le terre del Dominio Veneto confinanti ; e mandarono a protedare a’ Rettori delle terre della Repubblica; e il Bafslt di Bodina, nuovamente venuto a quel governo, ne fece rifentimento gagliardo col Generale, ufando quedo concetto alla Turchefea, che la complicità non fi poteva negare, valendofi gli Ufcocchi della cafa della Repubblica, come della propria ; minacciando di avvifar la Porca in Codantinopoli ; e che farebbe mandata armata; per guardare quelle marine. Nel principio di quelli mfulci il Generale, non con fperanza di provvifione, ma affine che i Minidri Audriaci non poteUcro negare di averla faputo, mandò a Segna a dolerfi che centra la parola daa, non elfendo ancora afeiutto finchiodro del decreto Cefareo, e delle promilfioDi Arciducali, fi contravveailT* cosi manifedamente alle promede tanto confermate, violando le giurifdizioni col tranCto di gente tnnau; provocando con quede azioni, e con falfe didènunazioni, la flndctta de’Turchi fopra i fudditi innocenti. A quedi lamenti Gioan Deleo, Vicecapitano di Segna, rifpofe, fentire Tal»» . Gg gran 154STORIA graiì difpiacerc di cos'i finlftri avvcnìmemi, c che il vale era provenuto da perfone bandite da quella Cittk, alle quali egli non poteva comandare. Si fdegnò grandemente il Generale della rifpoda, come che foffe riputato tanto femplice, che fi potefTe fargli credere, quattrocento banditi eflèr entrati in una Cittlt; e valendoli delle barche proprie di quella, elTcr ufeiti dal porto, e ritornati colla preda più volte ; clTere i^aii Tempre ricevuti, e il tutto contra il volere di chi governa* Più fi riputava offelo per le vettovaglie pagate nelVlfolc, che per le rubbate, tenendo che foife cos"! latto, per metterlo alle mani co'Turchi* £ lebbcne in quella occorrenza era più urgente bifogno jl guardarfi di non ricevere danno da'Turchi, che r ovviare all’infolenze degli Ufcocchi, deliberò nondimeno di attendere all’uno, e alfaltroy e a quciìo effetto ordinò che dodici barche Albancfi fotto il Governatore Giovanni Dobracuich bene rinforzate di uomini trafeorreflero per tutto, con ordine erpreflb di non offendere i luoghi, nè meno i fudditi Aaffriaci che foffero ritrovati in barche da viaggio, o difarmate* irà folo ovviare alle rubberie degli Ufcocchi, e perfcguitarli, ritrovandoli ne’ mari, o altri diff retti della Repubblica. Ma gli Ufcocchi, che avevano fatti grpffiffimi bottini, tnaffime di fchiavi, fra i quali vi erano anche perfone ricche, e di conto, per cavare il frutto, levarono bandiera di rifeatto in Sabioncello, territorio de‘Ragufet,> dove andando i Turchi per contrattare con loro, effi ancora fpeffe volte tranfitavano trh Segna, e Sabioncello per le occorrenze che quella negoziazione portava, Avvenne che la lèra del giorno degli otto Maggio ritrovandofi con dodici barche armate da corfo, incontrarono a S, Giorgio, a capo di Tielina,'ialtrettante barche di Albanefi, e combatterono ferocemente inficme, attaccata una fanguinofa fazione, die durò Cnp alla notte, la quale li divife; e in quel combattimento reffarono prete due barche dt Ufcocchi con morte di feflanta perfone; e trh queffi Niccolò Craglianovich, capo principale di loro, t dal canto degli Albanefi reffarono uccifi otto loldati ‘con dicianovc feriti, tra* quali il figliuolo del Governatore le altre dicci barche prefero la fuga, falvandofi a Segna. Queffo conflitto fu dagli Ufcocchi, e dagl' Albanefi divetfamenic riferito. Quelli differo di efferc fiati aflìcuraiì dagli Albanefi di poter entrar in porto; e dopo entrata due barche, queU le efferc fiate affalitc, che le altre non potevano focorrerJe, e però fi ritirarono * Quelli affermarono di aver combattuto con tutte le dodici barche da buoni loldati, e di averne a buona guerra prefe due, adduccndo, per confermazione, che fc dodici barche di loro con cinquecento uomini eh’ erano, aveffero affali to a tradimento due fole, non larebbe refiaro morto, c ferito tanto numero di loro, Ma comunque quello fi foffe, certo è bene che il conflitto non fucceffe in porto, ma nel mare aperto tr^ ITlola diLiefcna, eia terra ferma* Gli Ufcocchi fuggiti per la vergogna, e per li compagni perduti, refiarono pieni di rabbia, e di appetito di vendicarli; e più di tutti Vincenzo, fi-atello di Niccolò Craglianovich, uccifo nella fazione. La mala ventura s'accoi^ò colla rabbiofa maligniti loro a far fuccedcrc un altro accidente di peffima confeguenza. In quel tempo fitffo parfi d’Ififia, per andar all’ubbidienza del Generale, la Galea di Cristoforo Veniero, ilquile, non avendo alcuna notizia del fucceflb occorfo a San Giorgio, lenza alcun Ibrpetto facendo il fuo viaggio, cri giorni dopo quel conflitto, capitò la fera nelportodi Mandre dell’Ifola di Pago. Gli Ufcocchi, avutone l’avvifo da una fpia,in gran numero fmontarono in terra, e fipofero occultamente fopra il monte che circonda il porto, in aguato,- e la mattina fet barche d' elli, entrate in quello, aflaltarono la Galea, e quelli eh' erano in terra, in molto numero con archibufate, e fafli uccidendo, e ferendo dalla parte fuperiore, levarono il modo di pocerfi metter in difefa, fene impadronirono; e preti ifoldati, e grUlBziali della Galea, ad unò ad uno, facendoli palfar alla fcaletta, gli accopparono crudelmente, e gettarono i corpi in mare. Fucofadi gran compaflione, chea fangue freddo folTero cosi barbaramente uccife quaranta perfone innocenti ; fecero vogare la Galea pel Canale verfo Segna, e nel viaggio cagliarono la teda colle mannaje a Lugrezio Gravile, Cavaliere, gentiluomo di Capo d’Idria, e al fratello, e nipote, ch’erano fo. pra la Galea per paflTaggio ; e fpogliarono delle perle, monili, anelli, e vedi Paola Stralbldo, moglie del Cavaliere, colle fue donne, ch’erano in compagnia del marito. Servarono vivo il Veniero folamente- Si conduflero lotto la Morlaca, pocolonunoda Segna, e quivi difcefi in terra, per flgillo della barbarie, fecero fmontare lui ancora, e gli troncarono il capo colla mannaia, c fpogliato il corpo. Io gettarono in mare, e apparecchiato il deCnare, poterò il capo deir infelice Ibpra la menfa, dove dette mentre durò il convito. Quede cofe tutte furono vedute dalle donne, e da'Galeotti redati fopra il Vaf. cello; alcuni de quali afiermarono ancora che dimandò con molta pieth la confelUone, e gli fu negata. Altri diOero che gli mangialfero il cuore; altri che folotingeflero il pane nel fangue, per certa fuperdizionetrìi lororadicau, che il gudar inficme del fangue del nemico Ga un'arcano, e una Gretta obbligazione di non abbandonarG mai, e correre la medefima fortuna. Finito il delinars, condulTcro la Galea a Segna, dove divifero le robe, e le munizioni di quella; rilafciarono i Galeotti con minaccia, e obbligazione di non ritornare nello Stato della Repubblica; e didefero l’artiglierìa fopra lemura della Cittk. Andati gli avvifi di cosi atroci fatti a Gratz, da’ fautori degli Ufcocchi fu perl'uafo l'Arciduca che tutto fatto dalarofofle con ragione; e alla provvifione fatta da’ Minidri della Repubblica fu data Anidra interpretazione, incitando fua Altezza alla rottum, e guerra; cofa da loro glh molto tempo defiderata, per una vecchia Iperanza di facilitò conceputa, che fua Altezza acquidezebbe, e aggrandirebbe, sò, e loro con quel mezzo : il che fu anche caufa, che fcrilTelua Altezza a tutte le terre fue diconGne, che delTero fopra le guardie, e A fortìAcadcro, dal qual comandamento nacque che a Segna con gran follecitudine portarono terra, e prepararono legname, per munire laFortezza. Il Capitano di Fiume ancora fece fpianare gli orti, le vigne, e gli uliri attorno le mura di quella terra, e in tutte le terre a’ conAni eziandio in iflria A dava qualche fegno di preparazioni militari, il che diede gran fofpetto a’ Veneziani che iblfe un’ apertura di guerra ; perchè, non parenw loro di vedere che, pel conflitto di S. Giorgio, caufato e riufeito in qual modo A iblle, i Miniftri Arciducali avefléro caufa alcuna di dolerA, non putendo, nè dovendo loro importare, fei violatori della giurìAUzione Veneta, e contumaci del Principe loro proprio, che centra la volonth, di quella erano andati in corfo, folfero flati ucciA fuori della fua giurifdizione in qual A Aa modo, tenevano d aver ragione di credere che quei preparamenti folfero, non peraflieurarfL, non cflendo preceduta occaGone da generar fofpetto, ma perdilegnodi mettetele cole loro in Acuro, e aflalure Io Stato della Repubblica. Toma 11. Gg ^ Ricevettero un gran difgafto, avendo intefo per la confeDìone d’ un Ufcoeco prefo vivo nel combattimenioa capo S. Giorgio, e di quattro altri prefi dopo in Arbe, chel’urcita fu con partecipazione del Vicecapitano, il quale centribui anche la fua parte; mcfirando chiaro l'evidenza del fatto che non potevano elTere ufciti alla preda in tanto numero fenza Caputa de'Minillri Aullriaci ; e i’alfalto, eia crudeltà commeflà contra la Galea, febben poteva eflère fatu fenza confenfo loro, per rabbia e vendetta propria di que' ìcelerati, nondimeno non fu fenza precedente caula, dau dalla pubbHca Autorità, col permettere l’ufcita al predare contra la promelTa del fuo Principe, tanto recente, e con fuccedente approvazione, dimollrata nell'avere ricettati i malfattori, Se gli Ufcocchi, per vendicare la morte de’ compagni, hanno ufata la crudeltà contra i foldati, e padrone della Galea, quando bene ciò valeffe per feufa loro, non farebbe buono per ifeufar il governo di Segna dal conceder loro la facoltà di predare; dal riceverli colla Galea; dal portare le robe, e munizioni nella Città; dal difiendere le artiglierie Culle muraglie. Quelle opere non pofTono aver il primo mo. to dagli Ufcocchi, ma da chi governa Segna; i quali, oltradi ciò, anche nella prela della Galea, e morte de’foldati, e del ^praccomito, non fi polTono feufare, di non aver parte, almeno in quanto hanno alficurato, e partecipato con chi hà commelTe le fceleratezze. Ma Niccolò Frangipane, Capitano di Segna, ch'era allora alla Corte, per aver danari da pagare i foldati, pafsò immediate a Novi, fua terra, e raccolti cinquanta buoni uomini, con quelli accompagnato andò a Segna. Chiamò a fé in Cafiello Cotto la fede i principali intervenuti alla prefit della Galea c da loro pigliò informazione del (ucceffo, e ne formò procelTo, il quale mandò alla Corte di Gratz in diligenza. Vifitò anche l'artiglieria polla Còpra le muraglie, non facendo dimofirazione alcuna di approvare, o non approvare il fau to. Il Generale Veneto, per bene certificarli le il Colo Vicecapitano Dcleo trà i Miniftri Coffe in colpa, udito l’arrivo del Frangipane, mandò in Segna perfona efpreffa con lettere lue, dimandando la refiituzione della Galea, e delle robe, e CfKcialmente delle artiglierie, anela la buona intelligenza, e amicizia tràiFrincipi,eraccordoultimamentcfeguito. Dal Capitano|fii rilpollo pel medefimo Meffo con lettere, le quali fono ancora in effere, dolcndofi del male fucceffo con molte parole di cortefia; e quanto alla refiituzione della Galea rifpondendo che già l’Arciduca fuo Padrone aveva ordinato che la Galea Coffe tenuta cosi; però egli non poteva far altra dilix>fizione;maavrebbeavvifaio fua Altezza della riebiefia fattagli, per efeguire ciò che da quella gli foffefiato comandato. Dopo molti giorni il Capitano, per qual caufa fi Coffe, mandò al Generale una caffetta colla tefiadel Venicro inclufa; egli feriffedi mandarla, per mofirare di non cffergli nemico; einfiemefoggiunfe che in materia dalla Galea nonaveva avuta riipofia alcuna; ma però mandò uno de'pczzi dell’ artiglieriadella Galea a Novi, Fortezza propria lua ; dalle quali azioni fi certificò il Pafqualigodell’animo fermoanonrefiituire; e giunto quello indizio alle frequenti ufcite,e a’paffaggi degli Ufcocchi pel Canale della Morlaca con maggior numero di barche fornite, di fuochiartifiziati,eaItri apprefiamenti, e provvifioni non piò da loro ufate, ebbe dubbio che vi poteffe effere qualche penfiero di fare un’occulu guerra alla Repubblica Cotto nome degli Ufcocchi.- laonde giudicò neceffario aflieurarfidi non ricevere qualche affronto maggiore; congregò le fue forze, per ferrar i palli, je impedirei foccorfi di munizioni, e vettovaglie a Segna, afienendofi però di sbarcare,o d'inferire alcun danno alla terra ifolo proibii ad ogni Corta di Vafcelli,chenon ufeiffero, ni entrafTero;e a'fudditi ogni fona di commerzio con Segna, ealtre Terre di quel Capitanato. La provvifisnenon fu di quel efficacia, come altre volte era rìufcia ; percbi, eirendò Fiume Ubero, di IV andava per terra vettovaglia, febben v’interveniva pib fpefa. Ma il Generale Veneto non giudicò condecente operaralcuna cofacontra Fiume, perché dopo raccordato di Vienna non l'aveva trovato in alcuna complicitV cogÙ Ufcocchi. Arrivò il Generale di Crovazia a Fiume, e raunò deToldati in quella Terra con difegno di paflàr a Segna, diceva egli, per dare rimedio a quegl' inconvenienti febbene poi non relegut, Mr la urettezza del vivere cbe in quella CittV era, la quale non comportava ette accrefcelTe numerodi gente; mV Tdegnatopel commerzio impedito, che la teneva in Urettezza, fece correr voce per tutto il paefe che Sua Altezza aveva deliberato di non accommodarle differenze co'Veneziani, fe non avendo libera la navigazione del Golfo, per andar a danni de’ Turchi: cofa della quale gli Ufcocchi furono molto contenti, e pieni di fperanza di dover vivere in felicitU. Da quello moflb il Ferletich, andò a Fiume, per divilare fopra il modo d'idiluire un corfo formato per l'Adriatico. Ma dopo diverfe trattazioni fu dal Capitano di Fiume, o di legreto ordine del Generale, o di proprio moto, pollo prigione. Corfe Tubilo la moglie del carcerato a Fiume ; portò in dono al Generale due pezze di panno d’oro, e un padiglione di prezzo ; donò anche a Volfango Frangipane, fratello del Capitano di Segna, una littiera di valore; i quali prefenti, uniti allalperanza d’averne de'maggiori, ebbero forza di conciliar l'animo del Generale in tal maniera, cbe tentava diverfe vie per levarlo di prigione.- al che non conlentendo il Capitano, oper zelo di giuflizia, o perchè gli pareffe Urano che il Generale godclTc il frutto dell’ opera Tua, palfarono uh loro gravi parole, e in 6ne il Capitano condannò il prigione a morte, e il Generale lofpele la fentenza. Scrilfero ambidue alla Corte, e venne rifpolla che foOc giudicato fecondo le leggidi Ungheria onde nefeguiva,chc non fi poteva far il giudizio in Fiume, non appartenente a quel Regno; e per non tornar a parlar piò né del prigione, né del Generale, dirò folamente che, elfcndo quelli dimorato in Fiume fino alla partenza dalla Corte Cefarea de'Commilfarj, de’ quali fi dirò a Tuo luogo, fenza far altro di piò, che udir piò volte la moglie del prigione, fe ne parti, menandolo leco in Crovazia. Mh nel mcdefimo tempo alla Corte Cclarea, fecondo chei difordini luccef(èro, furono rapprefentati a Sua Maellh dall’Ambafciadore Veneto con illanza di provvifione ; e fi dolle Cefare degl’ inconvenienti occorfi, e maflìme della morte crudele de’lóldati, eSopraccomiio della Galea con tanta atrocith epromife di dare fodddUfazione, e rimediare daddovero. Fece dire per nome fuo all’Ambafciadore da principale Minillro, che la Repubblica era in illatodi ragione e cbe Sua Maellh aveva inclinazione a levar quella gente dalle marine nel tempo delle palfate differenze ; ma incontrò divede opinioni de’Minillri, che non la lafciaronofpuntare: cheDioaveva permeflbpolcia queigrandifeandali, per porvi quell’ ultima mano cheli doveva porre all'ora. Alle illanze dell’ Ambafeiador Veneto s’aggiunfero quelle del Nunzio Pontificio,Mrché il P gior amplifìcaztonelc querele contri il commerzio interdetto a Segna, conrap. prefentarlo come una dimunizione di riputazione, e di ofiefa della dignità Im« penale, e di tutta la Cafa d’Aullria, acciò l'uà MaelU fi dichiarane congiunta ne« gl'intereni loro : ealcunide’ConfìglieriCerarei, da quelle propodc molli, entraTono in alcuni pareri marziali, per compiacere ai defìderio degli Arciducali. altri di loro ebbero per inverifimile che il Generale Veneto avelTe conceduta licenza agli Ulcocchi di ufeire contri iTurchi, acciò elll aveflèrole prede, ei fudditi le rovine; e pareva gran llravaganza, chegliaveire fatti combattere per quelloche gli avclTe ali ora conceduto. Ma quei di loro, che fi raccordavano che per ottanta anni continui i Veneziani s’ erano dichiarati di ricevere ugual danno, e offefa, quando gli Ufcocchi paflavano a predar altri per li diUrctci della Repubblica, come quando bottinavano i fudditi loro proprj; Tebberoper un’invenzione molto fctocca; e non pareva loro conveniente nè alla dignità, nèalla religione di tanto Principe, che movefle una guerra, per mantenimento di ladri infami. S. M., alla rapprefentazione del commerzio levato a Segna, H commoffe alquanto, come che foflc airediata una.fua Terra; ma, certiheato che non iì pretendeva di far offefa alla Citt^, ma folo di afncurarfi che nonfoflcro inferiti nuovidanni, comegrufcocchi giornalmente tentavano, reilòquieta; eavendo colla prudenza fua penetrato il vero, preflo conobbe che tutto il male era nato per rinolTcrvanza delle cofe prom effe ; e nel ConHglto fu conchìufo di mandare CommifTarlpernomediCefarechc con fuprema autoritli metceflero la mano,eapplicaflcro il rimedio proporzionato al bifogoo corrente ; e furono nominati il Conte Altani,il Baron Bech, e il Sig. fiuonomo, a’quali furono date commiifioni molto ampie, e chiare, di levare da Segna gli Ufcocchi, e mettervi prefìdioTedefeo, egafligare pofeia i colpevoli degli ecceflì commeflì. Il Sig. Buonomo fu fpedho immediate a Gratz, per conferire la rifoluzione prefa, e ricevere iflruzione anche da fua Altezza. Ma avvenne quello che piò volte eraoccorfo, c regnante ITmp. Rodolfo, che nel Confìglio Cefareo fu prefa rifoluzione, per rimediare al male, la quale in Gratz fu convertita fempre in quella forta di medicina che lo fa peggiorare : cosi occorfe nell’occafìone prefente, che gli Arciducali diflero eflfere cofa giuda il gadigare, e rimediare; ma, per farlo in modo che metta fine, efrerneceflarìocheiCommiirarjs'informaffero, cractafleroco’Minidri Veneti, e riferifTero a’ Serenifs. Imperadore, e Arciduca ; e non efeguiffero, fe prima da fua Maed^ eda fua Altez. non foffe deliberato quello che fi dovede mettere in effetto. In Venezia comeladeliberazionedegr Imperiali fu commendata di giudizia e finceriik, cos'i fu immediate intefo dove mir^e f aggiunta degl’ Arciducali, cioè, che, non potendo trovare pretedo di difobbligarfi dall’accordato di Vienna con allegare eccezione alcuna contra di quello, penlalTero difobbligarfi con idi mire una nuova tratuzione,nella quale obbliquamente fodero introdotte le medcfime cofe, e con qualche maniera, o hdrette, o glofate, fìcchè rimanedero fenza effetto: imperocché in altra maniera non vedevano pretedo, per dipartirfi dalle cole promeffc; poiché dall’altra parte era efeguito quello che le toccava, e in quelbche re^ dava far loro non potevano pretendere aggravio; non eflendo cola piò giuda, quanto proibirci! corfo, e nelle guarnigioni tenere mfidio pagato ; ch’era la fodanza delia promefTa;né avendo probabilità,perinodrare d'edere dati in pane alcuna gabbati; poiché lafcritturafufonnata,e defa non, come è folito, da ambo le parti, ma dallaloro folamente, fenza che v'imervcnilfero i Veneziani, da' quali poi fu accettato. Non fi venne in Senato a deliberazione di mandare perlona alcuna a trattare con quei Comminar], 0 per la ragione fopraddeita, o perchè era noto che il motivo non veniva dagl' Imperiali, ma da'medefimi Arciducali; o forfè anche perchè volellero alpettare di vedere le prime operazioni de'Commifiarj in efecuzioae delle cole promclTe, per regolarfi poi come quelle aveffero infegnato« Mentre i Commiflar) erano in viaggio, occorfe all’ Arciduca, per li Tuoi negozj, vifitare la Maefi^ Imperiale in Lintz, dove, conforme a quanto prima da Gratz era fiato fcritto, furono replicate le feufazioni degli Ulcocclii, e rinnovate le querele pel commerzio,levato alla Giuli; e propofio il progreflb che potrebbono fare le armi Imperiali in Ita^a colla fponda deirefercito che fi trovava ammafiàto in Milano; e furono anche fatti diverfi ulBzj, acciocché non foife difarmaco prima che fi vedelTc l’efito delle cole di Segna. Ma 1 CommilTarj, giunti a Fiume, chiamarono a sè i Capi degli Ufcocchi da Segna, i quali ricufarono di andarvi fenza falvocondotto. Furono i Commiflar] cofiretei a concederlo, parendo loro ciò minore Indignitk, che fe i chiamati foflero refiati contumaci. Col falvocondouo andarono a Terfau, e di 111 mandarono a richiederne un piò ampio, diffidando del primo; e ottenutolo, andarono a Fiume, dove furono ricevuti con termini amorevoli, e correli. I Comfniflàri prefero da loro informazione del conflitto cogli Albanefi a Liefina, 6 della prelà della Galea, e delle altre cole occorfe dopo il concordato, e fubito li licenziarono, per ritornar a cafa ; o perchè da loro altro non volelTero, o perchè, fiance il faivocondotto, non potelfera efeguire altro difegno. Dopo alcuni giorni mandarono il Segretario loro a Segna a comandare che folfero confcgnaii i Turchi fatti prigioni in Trebigne; e il Segretario non folo non fu ubbidito, ma git convenne partire fenza veder efletio alcuno degli ordini de' Commiflar]: e quantunque ufafie minacce di feveriffimo gafiigo contra i contumaci, nè meno gli fu data rifpofia per riportare a' Padroni.* le quali cofe dimofirarono in fatti quanto ditferente foflè la filma che da quei ribaldi era fatta de Minifiri di Celare fupremo Signore, dal rifpetto, e dalla ubbidienza che fu da' medefimt prefiata un' anno prima al Cheslin Commiffario Arciducale; e diedero materia agli fpecolativi di credere che, quando alcuna cofa da quei di Gratz èrimefla a quella Maefià, come eccedente la podefià concefTa, ciò fia per forma di apparenza, e coperta di Icufa Mentre che furono i Commiflar] in quel luogo, altro non fucceffe di conftderabile, fe non che i Kagufei Ipedirono Achille Pozza a richiedere loro rimedio, per li danni degli Ulcocchi, e per li perìcoli Turchefobi, ne' quali li gettavano, il quale non ottenne provvifione alcuna. Avvenne anche che la Galea, o per fortuna, o per malizia, andò a traverfo, efidifllpò in tal maniera, che fe ne vedevano le parti nuotare per la riviera; e finalmente il corpo fi ruppe Cotto la torre Saba : c quello eh' è di maggior confiderazione, fu gli occhi de medefimi Commiflar] fette barche di Ufcocchi ufeirono di Segna, camminando dietro terra lotto la Morlaca, e pizzicandt» le Ifole quanto poterono ; il che fu poco, per la fquifita guardia Ttmù IL Gg g, eh x3« STORIA ch’era in quelle, rirtirono i Commiflari nn dopo l' altro, mandata a Grata l’ informazione fenea aver fatta altra cofa che ibfle veduta, o faputa; non mancando gli Arciducali in Fiume di luggerire, e imprimere, eflère paflàto con loro dilbnorc che non fóllè ttato mandato a trattare foco ; e aggravando, con dire che altre volte fi era mandato a trattare cogli Commiliari Arciducali tanto inferiori degl'imperiali. Della dimora, e opera infruttuofa di tre perfone infigni fpiccate dalla Corte Imperiale era attribuitala colpa diverfamente. Altri l'afcrivcvano a mancamento del Senato Veneto, che non aveflc mandato alcuno per fu» nome, allegando che, quamfe fi tratta caufa comune, come fono tutte quelle di (Ubilire una buona vicinanza, conviene che fia per Miniftri da ambe le parte maneggiata, acciò riefea con reciproca fodditfazione: che i Cefarei non avellerò fatto colà alcuna, per elTere mandati, non ad operare foli, ma uniumente co' Veneziani : e quando bene avelièro veduto foli applicare qualche rimedio, non avrebbero potuto lark>, per eflèr incerti fe quello folTe poi piaciuto a'Veneziani, e gli aveflè renduti contenti; e però che con ragione dovevano eflèie feufati gli Aoftriaci di ogni inconveniente che fol^ potuto fuccedere. Altri dicevano che alfora fi tratta per comuni Minillri, quando vi ò bifogno di concordare diffèrenze; ma per efeguire le cofe concordate, ognuno dee fare la fua parte da fe fteBb: che quando il Generale Veneto refiàtul il comerzk), lo fece da sò, lènza alTiflenza di altri; che i prigioni erano fiati liberamente offèrti a chi fua Mael& avelTe comandato fenza tratare del modo di darli: che, quelle cofe fatte, i Veneziani non avevano altro che fare, fe non afpettare corrifpondenza coll'oirervanza delle cofe pròmeffe ; che il mandare la Repubblica Commiflàri, per trattare accomodamemo, non farebbe fiato altro, che rinunziare l'accordato di Vienna, nel quale, poiché la parte Arciducale era fiata tanto avvantaggiata, ed era efeevito interamente tutto il vantaggio di quella, nel nuovo congrelfo non n poteva propone, ni rilbivcre fe non qualche cofa di più per gl’Arv ciducali, e qualche maggiore difavvantagio per la Repubblica.- lenza, che fi poteva con cenezza prevedere che, non avendo avuto luogo qoello che fi era fermato colla Maeftà Imperiale, e coll’Altezza dell’ Arciduca, molto meno fi avrebbe potuto fperare della trattazione de’ Minillri, i quali fe erano andati per efeguire le cofe concordate, neflìin impedimento fi può diré che aveflèro ritrovato, il quale colla prefenza de’ Veneti poteficro fupetare.- ma fe con altro dife^ gno, che daU’alTenza de’ Veneti, folTe fiato difiurbato, non poteva quello eflère fe non pregiudiziale alla Repubblica. Gl’intendenti delle cofe di governo dicevano di più, che occorre fpeflb trà i Principi mandare Minillri per negoziare, ni mai quella fi fii altramente, che avendo prima rifoluto l’uno, e l’altro, che il bifogno vi fia, e concerrato quello che s’abbia a trattare, il luogo, e bene fpefia anche il modo a tenere. Ma che uno fpedifea Minillri dove, e con quelle commiflìoni che a lui piace, e fenz’altro dire, afpetri che l’ altro mandi a tratura con quelli, ficcome i cofa non mai ufata, cosi, quando avveniflè, più rollo avrebbe ragràoe di dolerli rinvinro lenza precedente concerto, che l’ invitante a cui non folTe corrifpofio.' non poterfi però aferivere a mancamento di fapienta, e prudenza in Cefare, che non fu autore di ut configlio, ma di chi T inventò, e aggiunfe in Gratz oltra le commiflìoni Imperiali. Partiti i Commiflkn, refta^oBo i kdfi alTicurati deli'impuiiiik per le cole facte^ e inanimiti a tenere ritafiTa (lile alPavvenire. Non racconterò le pertico lari prede di barche, o re(celli, e le incurfioni fatte l'opra le Ifole con una, ò due barche, perchè moh te furono; e futbbetedio, perl'uniibrmitb, commemorarle tutte.* narretò folo una generai ufeita fatta mentre il rigor del vento doofteinfe rallentar le guardie, nella quale prefero quante barche incontmroRò alle riviere d’illria; e in Dalmazia i due grippi con mercanzie, e da» nari; e alii fcogli di Zara tré marciliane cariche di pannina, renft, c fpczicric; e una Nave che poruva drappi di feta, lana, zuccheri, e altre merci di valore v Paflkrono dopo quelli Ipogii ad offefe non più da loro ternate. Si ritrova in faccia di Zara uno Scoglio, nominato di San Michiele, con un CalUllctto nella lòmmith, dove ne i tempi de’fofpetti 0 tengono guardie, e lentinelle, per ilcoprir il mare; ne i tempi tranquilli reità il luogo, come di leggier momento, lenza guardia 4 Quelli uomini, con molto ardire ivi montaci, e munito il luogo per quello che poterono repentinamente, pofero dentro guardia della loro gente, per ben ifcoprire il mare, e non folo ìnGdiare la navigazione, dando legni accompagni de* Valcelli di viaggio, ma ancora per awifarli di ichivar Tarmata chetrandea per guardia di quelle riviere; e ciò fatto, con incredibile audacia fi mifefo ìoGeme in forma digtulla guerra, e in numero dÌ 40 o.con lèi iiilègnc sbarcarono a Ro» iiaoze, vaia della medefìmaCitth, e predato in qirella quanto vi 0 ri» trovò, pailatt innanzi ad Islan, luogode’Turchi, preferoanimali, donne, e nnciudt; ritornali per la via Aefla, portarono tutto a Segna, linfbrzata prima la guardia, e la munizione di S. Michele ;donde per dilcac’ciarli, eflèndo lo fcoglio forte di Geo, fu bifogno di congregare la foldate» ica, e adunare molta gente, per paflare nello fcoglio, e alTaltarii : di che elfi avvedutifi, la notte fuggirono. A tanti inconvenienti avendo con0dcrazione, il Generale Veneziano riputò neceflàrio ufare più potente ri» medio, che T impedimento del commerzio a Segna, per confolazione dc’fudditi, che, ritrovandofi danneggiati e afflitti, erano vicini alla difperazione, e a gettarfi lotto la volontà degTUfcocchi. Era debole il rimedio ufato contra Segna folamente, poiché quella gente, con ar« rifchìarh ad ogni pericolo, luperava parte delle difficoltà; e col riee» vere per via di terra fbccorfo da altri luoghi Arciducali, rendeva io» fruttuola Topera impiegata nell’ incomodarli. Sino a qucRo tempo i’ era alìenuto di levar il commerzio all’ altre terre, per non diipiacere a fua MaeOà, c a fua Altezza: all' ora, vinto dalla ncccffità, pensò che quei (Principi colla prudenza avrebbono bene conofeimo che, quando fi foflè riientico con tutte le terre loro polle a quella marina pel favore preparo a cosà fceleraci ladri, non doveva cflère hcevuco per ofièfa da chi fi difendeva da cosà gravi olt^gi, mà da chi lì cotnmetteva fono T ombra loro; e perciò proibì ad ogni fona di perfone di poter andare cofi vafcelli, .0 barche di mercanzie, vettovaglie, e di ogn’ altra Ibrta diprovvifìoni a qualunque terra polla fopra il Quar. ner, c fopra il Canale della Morfaca dì Bcfezfino a ScriUà. Ancorché 0no al tempo prefente non fia mai (lato applicato rimedio proprio, che abbia potuto ovviare pienamente alle fcorreriedegrufcoccni, que00 nondimeno é Rato in tutti i tempi il più efficace ; perché, oltre al x 38 storia al levar a' ladri la comoditi di Ilare rutti uniti in uni uogo, pel mancamento delle vettovaglie, gli altri ludditi Audriaci, che per cauli loro pativano, fi Iòno concitati centra i ladri, ed efclamando alle orecchie della Corte Arciducale, hanno collretti quei Miniftri a fare qualche provvifione, per cllcre liberati dall’ incomodo per all’ora. Cosi in quella occafionc le querele, e i lamenti de’fudditi andati a Grata, giunti cogli lifliz) dall’ altro canto fatti da i Miniflri della Repubblica alla Corte Cclarea, indulTero gl’ Imperiali apenlàr di levare quella molellia a lua Maellb con rimedio perpetuo; e gli Arciducali a peniate di portar il tempo innanzi, con dare qualche apparente, 0 almeno leggiera loddisfazione : e communicati i configli infieme, rimilèro a trattarne unitamente al leguente Agollo, pei qual tempo avevano i Principi di Cala d’ Aulirla intimato un congrelTo dì tutti loro, e de’ deputati delle Provincie foggette in Lintz, dove l’Imperadore fi ritrovava, per rilolvere negoz) importanti de’ loro Principati. E per dar ingreflb a quella trattazione, fecero gl’Aullriaci per nome di lua Altezza querela coll’ Ambalciadore della Repubblica, Refidentc prcITo a lua Maellb, che il Generale in Dalmazia avelTe pubblicato un bando, proibendo il commercio alle terre, c a’ ludditi tuoi di quelle riviere; e con effetti avelie trattenuto diverfi valcelli che navigavano a quei luoghi, per fomminillrar vettovaglie ; e ne avelie anche gettati a fondo parte di elfi ; e che ciò folle non tanto con fua offefa, e danno dc’fudditi, quanto ( il che piò loto importava ) a pregiudizio della libera navigazione che pretendeva nel Mare.- al ch'era flato giullo, e neceflario rimediare; che gib in Vienna fi erano ptomoHe parole di quell’ ìflellà materia, e concordemente era fiata rimeflz ad altra trattazione: che quello era il tempo, e luogo opportuniflimo di trattarla, che facilmente non fi prelenterebbe una congiuntura ule, quando foffero prefenti in una raunanza tanto frequente tutti i Principi di Cala d’Aullria, e anche i Deputati degli Stati loro; deU’inicrelle de’quali tutti fi trattava: e che, decifo quello capo, infieme fi avrebbe trovato rimedio alle cofe degli Ulcocchi. A quella propofizione fu dall’ Ambafciadorc rifpollo in follanza.- che in quella materia dì navigazione non era fncceduta novitk alcuna; ma era fiata femjrfe libera ad ogni torta di perlonc lotto le leggi della Repubblica, che fono neccllaric per conlervarla; e tale cllece la men-, te di lei che fia mantenuta tempre. Elfere flato proibito nuovamente^ il commerzio alle terre, dove gli Ulcocchi erano ricettati, foccorfi, e favoriti, appunto per ovviare alle infellazioni loro maritime principalmento, e mantenere libera la navigazione, e a’ danni, e alle ollefe che inferifeono in terra.- che mentre gli Ulcocchi avellerò ricetto in quelle terre, nè elfi potrebbono allenerli da’ ladronecci, nè la Repubblica lafciare di perfeguitarli, e ribattere le offelc. Raccordò le promelfe fatte in Vienna con parola di fua Maellk, c di fua Altezza in ifcritto, e replicate molte volte in voce, che il Mare rollerebbe netto, e liberato da’Pirati di Segna; e che nè di la, nè da quei contorni ufeirebbono perfone a danneggiare la navigazione, nè i vicini: e recitate tutte le molcllie, e offelc dagli Ulcocchi inferite dopo il tratuto di Vienna fino a quel tempo, loggiunfe che per religione, ginftizia, e riputazione de i Principi, erano obbligati ad efeguire le pro melfe; melTe, con che anche per corrifpondenz» farebbe retiduto il commerzio alle terre, ficcome fu renduio l'anno innanzi per rifpetco, e offervanza verfo fua Maedb finceramcnte, fenza aver altra fìcurezza, che la fola fua promcfsa, quantunque le ingiurie ricevute dagli Ufcocchi fin’ all’ ora folTero da non fcordarfi facilmente; e che gli at;ticoU da fua Maeflli, e da fua Altezza promefli all’ara non conteheiTero, il total rimedio, e folTero flati conglciuti per molte fpertenze paflàte infufficienti ; laonde, per debita corrjfpondenza, fe la ragione, l’oneflb, e roITervanza della fede debbano aver luogo, fi dovrebbe ormai vedere Teffetto delle promelTe: ch’egli afpettava che da quella raunanza, fecondo la intenzione datagli, da Configlieli di Cefarc folfc pollo fine a tjucllo fpinolb negozio. E perciò riulcirgli cofa molto inafpettata l'udire in luogo di qnello, che fi trattafie d’ implicarvi altri negozj di lunga digeflione, che non potevano fervire ad altro, che a portar in lungo Tefecuzione delle cole promelTe; che il negozio degli Ufcocchi gik era in piedi, e fi ritrovava in tale flato, che non fi vedeva adito, nè apertura di ravvilupparlo con pretenfione di libera navigazione, ovvero con alcun’ altra fomigliante; ma bensì, terminato quella, che non aveva bifogno di trattazione, ma di efecuzione della parola, e fede data, la Republica non farebbe fiata aliena di trattare ogni altra difficoltb : anzi il metter fine alle moleflie degl’ Ufcocchi farebbe flato un facilitare la tratuzione di navigazione; che la Republica aveva fempre ricevute, e incontrate tutte le occafioni, per metter fine a qualunque differenza colla Cala d’Aullria,- e che in Vienna erano fiate conofeiute le urgenti ragioni, per le quali non fi poteva trattare, nè di libera navigazione, nè d’altro negozio prima che a quello degl’ Ufcocchi folTe rimediato; e perciò di comune confenlo era Hata rimelTa ad altra occafione: e rellando le caule le medefime, conveniva tener per decifo, che nelTuna opportunità di trattar altro poteva venire, (e non era levato di mezzo quello impedimento, che non concedeva T unire altra cola con lui. I Configlieri di Gratz per quello non fi molTero dalla loro rifoluzione; ma fi fermarono collantemente in quello, che non occorreva parlare degli Ufcocchi, fe infieme non fi parlava di quell’ altro punto; il quale tanto premeva a fua Altezza, che fenza quello non avrebbe potuto afcoltare ragionamento di altro; febben gl’imperiali non fecero fopra illanza alcuna. Quelli che fludiano, per indagare i fini delle deliberazioni, credettero lo feopo degli Arciducali non eflcre flato altro, che di fcanfare il parlare degli Ufcocchi; cofa molto abborrita da loro in ogni tempo; e la mira de’Celarei elTere fiata di vedere prima rifoluto un altro punto, che fu propollo, e rellò iniecifo nella raunanza, cioè, fe fi doveva attender alla guerra, o alla pace co’ Turchi, forfè a fine di cavar alcuna fomma di danari, quando fofle llau la guerra rifoluta, con negoziare qualche cola d; Segna. Quello che in ciò fólTe di vero non fi può affermare. Ma poiché il negozio della libera navigazione Tanno precedente in Vienna fu difgiumo da quello degli Ufcocchi, e rimelTo ad altra trattazione, e a quello tempo in Lintz fu promollb dagli Auflriaci, per riunirlo a quello degli Ufcocchi, e non fu trattato, avendo i Veneziani perfeverato m tenerlo difgiunto; quello luogo ricerca un poco di digreflione, per efplicarc che cofa fi pretendeva colla richief^a dì libera navigazione, e in che tempo ebbe origine la pretenfione; e qua^ li ragioni aironi ^fTero ufate da ambe le parti. Dopo una lunghiflìma pace trli i progenitori di Mafllmigliano I. Imperadore, e la {Repubblica dì Venezia nel 1508. ebbero principio leggiere perturbazioni, le quali fecero progrclTo a notabili, e memorande guerre ; e fu la Repubblica per zz. anni feguenti con quel Prin« cipe, c colla pofteriib lua per varj rifpetriora in guerra, ora in pace, e ora in tregua; nel fine de quali, l'anno 1528. furono compolle tut“ te le differenze, e conchiufa in Bologna una pace, la quale durò oltra tutto quel fecolo con Carlo V. Imperadore, infìeme con Ferdinando fuo fratello, Rè d’ Ungheria > e Arciduca d’AuRria, Perchè nella divìlìonc tra loro fratelli lette anni hmanzi fatta, tutte le Terre AuRriache conhnanti co' Veneziani erano toccate al Rè Ferdinando; \ confini delle quali colle Terre della Repubblica erano molto intrigati ; perlochè molte difHcolt^ erano da decidere, parte per le ragioni pubbliche de' Principi, e parte per quelle de’fudditi privati, che non poterono, per la moltiplicitb, e per la lunghezza della cognizione che ricercavano, elTere terminate in quel trattato di pace. Fu aU'ora il tut« to pollo in quiete con un capitolo, che dovefle elfer iRituito un tri. banale arbitrario, per deciderle. II tribunale fu eretto in Tremo, dal quale fu la Icntenza pronunziata nel 1535*) c tutte le differenze ( eh' eccedevano il numero centenario ) difHnitivamente furono terminate. Qui però non ebbero fine le diihcoltky imperocché, neU'eleguìre la Temenza, altre si attraverfarono, e col progrclTo di tempo ebbero origine da ambe le parti nuove querele; pretendendo ciafeuna che dalTaltra folTcro fatte varie innovazioni. Laonde, per metter fine a tutte le differenze, fu da Ferdinando, fuccelfo all’ Imperio per la cefllone del fratello, e della Repubblica dì concerto comune iRituiu in Friuli nel 1503. una raunanza di cinque Commìflàri, un Proccuratorc, c tre Avvocati per parte, i quali trattalTcro le dilhcoltli, cosi antiche, come nuove; e da’ Commilfarj folle poRo fine lotto la ratiheazione de’ Principi. QucRo cosi gran numero di giudici fu dall’ Imperadorè richieflo, per loddisfare a’fudditi fuoi di varie Provincie intcreffati in quelle caule. Per la parte Imperiale i Commillàrj furono, Andrea Pcghcl, Barone in AiiRria, MalTimigliano Dorimbergli, EIcngero da Gorizia, Stefano Sourz, Antonio Statemberg ; Procuratore Jacopo Campana Cancellier di Gorizia.* Dottori, Andrea Rapizio, Qervafìo Alberti, Gian-Maria Grazia-Dei « Per la Veneta CommiRàrj furono SebaRian Veniero, Marino de'Cavalli, Pietro Sanudo, Gian BattiRa Centanni, AgoRio Barbarigo: Procuratore Gian Antonio Novellò Segretario.* Dottori, Marquardo Sufanna, Francefeo Graziano, Jacopo Chizzola. Nella Radunanza furono da ambe le parti efprefle IcrichieRe; e dopo aver difputato, e parte compoRo, parte decifo le altre differenze pubbliche, fu prefa in mano una richicRa del Procurator AuRriaco in qucRa forma .* Ejufdem ÌIajejlatis nomine re^uiritur ut poft bac illm fubditisy atque ei'tis in Jìnu Adriatico tuth navigare ^ ac negotiari liceat» Jtem ut damna Tergejìitth Mcrcatoribus, atque aliis illata rejlituantw\ c accompagnò il Rapizio Avvocato la dimanda con dire che quella non era caufa da trattare fotttlmente : effer cofa notininia, che la navigazione doveva efler libera: con tutto ciò i Navilj de'fudditi di Tua Maefìò erano alle volte fatti andar a Venezia, a pagar dazj; che di queAo fua MaeA^ A doleva, e faceva idanza, che vi fì rimediafle. A ciò rifpofe il Chizzola, Avvocato della Repubblica, elTer coÌk chiara che la navigazione dee eflfer libera; ma a queAa libertà non eflere ripugnante quello di cui fi dolevano; poiché ne i paefi liberìflU mi chi domina rifcuote dazj, e ordina per qual via debbano tranfitare le mercanzie; e nelTuno fi può dolere, Tela Repubblica per li fuoi rifpetti ufa quoAa facoltà nel Mare Adriatico, eh’ è fotto il fuo Dominio: e foggiunfe che, fe intendevano di difputar la loro richieda, gli avvertiva che non poteva elfer introdotta tal caufa in quel giudizio, idituito folo per elecuzione delle cofe fentenziate; elTendo cofa notidima che la Repubblica, come Signora del Mare Adriatico, efercitava appunto c^uel dominio che da immemorabile tempo aveva fenza neffuna interruzione el'erciuto, cos^ nel rilcuoter dazj, come neU’adegnar luogo per la efazione.* e che la protenfione propoda era nuova, e mai piò da nedun antecefsore delflmperadore, nè come Rè d Ungheria, nè come Arciduca d'Audria,e delle Provincie adiacenti, nè da fua Maedà in tanti anni mai per innanzi permefsa. Interrogò ì Cefarei che diceffcro quando mai piò era data pretefa tal cofa.* che non fu pretefa innanzi la pace di Bologna, perchè la differenza farebbe data terminata all' era, ovvero nmefsa al giudizio arbitrario: che in Trento furono traratte piò di izo. controverfie, e di queda non fu fatta menzione: adunque fino a quel tempo non fu in piedi una tale pretenGone.* Mà s’era nata all’ora per innovazione fuccefsa dopo la fentenza di Trento, diceffero quale, e quando ebbe principio; perchè egli era pronto a modrare ogni cofa efsere di aniichidimo ufo, fenza una minima novità: però non doveva elser udito chi veniva con dimando non originate, o dalla fentenza, o dall* innovazione. A ciò il Rapizio rifpofe che non intendeva far il fuo principale fondamento fopra quello che a rutti è notiflìmo, cioè, che il Mare è comune, e libero; e che però a nefsuno poteva proibirfi il navigare per qualunque luogo gli parelse, e febbene alcuni Dottori dicono che la Repubblica hà preferitto il Dominio dell’ Adriatico col lungo pofsefso, però non Io provano; e a* Dottori che affermano una cofa di fatto non fì crede lenza pruova ; e perciò non voleva dimorar in quedo, ma venir al principale, cioè, che, quando anche la Repubblica folse padrona del Mare, i fudditi Imperiali potevano navigare Uberamente per le capitolazioni che trà i Principi tono dabilìre; e però cfser appartenente a quella Radunanza la richieda proMda; alla quale, poiché cosi era da' Veneti richiedo, aggiungeva per fondamento: ^ra libera navigaM mmris Adriatici cum Majejìatis fu€ Cefarex, tur» fttbditorum damno^ Ò" incommodo ab Jllujhijpmi Dominii Veneti triremimn PrxfeBis impedita ftmit cantra capttula Vorma^ tixy Bononix^ Andeeaviy et Venetiis inita, £ qui portò U pafso della capitolazione dì ^logna, la quale cosi dice: comune% fuhdito tiberey tutOy et featre pojjjint in utriuftpue StatibuSy et Domi niis, tam terra, tjuam mari moran, negotimi non bonis fuh ; be neqke (T umamter tradenìur y ac Ji cjjcnt imoUy tT fnbditi iUius Prit^ Tomo li. Hh r^ù, X Domlali, mui fratrias et imùaia rJihuu; pnvUexur^ ni va, auf alitfua iajuria ulta de caufa iis inferatur > celeriterque fvt adannijintar, Recitò anche i capitoli delle tregue d‘ Afigiers, e de Vomies, e della pace di Venezia, che fu regidrata a’fuoi tetnpi, benché non folTe bifogno, per elTere dello fteflb tenore. Ponderò la parola libere, confìderando che libere è aggiunto al verbo navigare ; perlochè fi dee intendere fecondo la legge comune, per cui ognuno può navigar liberamente: e non farebbe libero chi follie corretto andar a Venezia. Aggiunfe di più che la parola libere conveniva che non folfe fuperflua, ma bifognava che operalfe alcuna cola di più, che le due parole iati, et fecare ; nè altro poteva importare, falvo che, fenza impedimento, o molellia, o pagamento di dazio : a ciò aggiunfe che vi erano più di 400. ijucrele de’fudditi con vafcelli fatti andar a Venezia, e fatti pagar dazj, per elTere capiuti ne i Porti per fortuna, o per altro. Leflc una fentenza d’un Rettore di LieCna, che liberò una Nave capitata a quell' Ifola per fortuna; e narrò che alcune barche di fale erano Rate lafciate andare dall’armata Veneu al loto viaggio fenza mandarle a Venezia. Conchiufe che la fua richicRa fi Rendeva a quelli tre ponti.- Che i Ridditi AuRriaci poteflero navigare per tutto dove loro piaceva.- Che per andare ne i Porti della Repubblica per tranCto non pagaRero; E andando per mercantare in quelli non pagaflcro più, che i ludditi del Dominio. Replicò il Chizzola promettendo di rifolvere chiaramente le obbjezioni dall'altro introdotte, ficchè non rcRcrebbe luogo a replica; e di moRrare con ragioni vere, ed elhcaci, che quanto veniva operato da’MiniRri della Repubblica nel Golfo era fatto con legittima autorith. £ rifervandoR a parlare dei Dominio del mare dopo, ma prcfupponendolo, nel prmcipio incommeiò dalle Capitolazioni, e difse prima che la parola libere non Rava appoggiata, come il Rapizio diceva, al verbo Navigare; ma a' verbi .- marari, tS" negaeiari tàm terra, qudm mari ; e però conveniva intendere libere come la legge comune intende, quando fi dimora, o negozia in cala d'altri; ch'è olfervando le leggi, e pagando i diritti del paefe. So^iunfe poi che quelle capitolazioni trh la Cafa d’AuRria e la Repub^ca erano ugualmente reciproche, e che non vi ora convenzione più a favore degli AuRriaci nello Stato di Venezia, che de’ Veneziani nello Stato degli AuRriac^ nè cRer paniita maggiore liherth nel mare, che nella terra; ed edere chiare le parole colle quali fi dice che i Ridditi di ciafeuna delle due parti poRano (limo, rare, negoziare e mercantare negli Stati dell’ altro, cosi in terra, come in mare, e fieno ben trattati. In modo che i Ridditi Veneti non hanno d’avere minore liberih nelle terre AuRriache, che i Ridditi AuRriaci ne’ mari di Venezia; e per virtù di quelle parole, quello che Sua MaelHi vuole avere nello Stato della Repubblica, conviene che lo conceda a lei nel Rio.- e fe Sua MaeRù Cefarea nello Sato Rio di terra non concede a’fudditi della Repubblica fare la Rrada che loro piace, ma li coRringe paRare per quei luoghi dove fono pagati i dazj, non può dimandare che i fuoi poflàno andare pel mare della Repubblica per tutto dove l»r» piace, ma ded contentarli ohe vadano dovei rifpetti diRuelU che ne bù il dominio comportano. Se Sua Maeft^ fa pagar dazj nella Aia terra, la Repubblica faccia pagar nel Tuo mare. Gl'interrogò, fe pel capitolo volevano che foC» ie levata, 0 riAretta la facoltà all’ Imperadore di efigere dazj? le nò, perchè volevano che folTe levata, 0 rìAretta alla Repubblica per un capitolo che parla di ambi i Potentati colle Aefle parole? MoArò con narrazione particolare, che dalla pace Veneta del 1523. fino allora V Imperaaore aveva crefeiuto dazio con aggravio de’ ludditi Veneti alle vettovaglie, e mercanzie che palTano dall’ uno all* altro Stato in maniera, che ciò che pagava uno era aumentato in alcune a 16. in altre a 20. In particolare narrò che il ferro già a quel tempo aveva libero tranfito,| e non pagava cofa alcuna: che di nuovo Sua Mae Ah aveva impoAo per dazio lire 18. per miglia)o, e aveva ordinati i luoghi per dove fi paAalTc a pagarlo; fuori de’quali foAe contrabr bando, dove prima il mercante poteva fare che Arada gli piaceva; che fi pagava un carantano per manzo che fi conduceva per Venezia e l’aveva accrclciuto ad un ducato con danno delli Beccati di quella Città: e fe Sua Maellà Aima lecito nello Stato Tuo fare quello che le piace, fenza repugnar alle convenzioni, non può penfare che la Repubblica, facendo quello che le torna bene nel proprio, le contravvenga: aggiunfe che in ogni pace Aabilita trà due Principi dopo una guerra, h conviene che i fudditi poflano dimorare, e negoziare liberamente, non ad efclufione de’daz), ma bensì sì efcludono le violenze le oAiliià, e impedimenti ch’erano ulatt prima, durante la guerra, e non fi leva, o rìAringe l’autorità, nè dall’uno nè daU’altro Principe, nè in terra, ne in mare. Alla clùarezza, e forza di queAo dilcorld rcAarono così lotpefi gli AuAriaci mirandofi Tun Taltro, che il Chìzzola giudicando non elsere ncccfsario fermarfi più in ciò, pafsò alla pruova del capo prefuppofio che la Repubblica abbia il dominio del mare, e dìise; Efsere veriffima la propofizione che il mare è comune, e libero, ma non altrimenti di quello che fi dice ie vie pubbliche elsere comuni, e libere: il che s’intende, che non polsono etscr ufurpate da alcuni privati per loro proprio fervizio, ma rcAino alfulo di cialcuno;non però libere sì, che flon fieno lòtto la protezione, e l’ imperio del Principe; che ognuno pofià far in quelle liberamente tutto quello che gli piace, a dritto, e a torto; che tal licenza, e anarchia è abborrita da Dio, c dalla Natura, così in Mare, come in terra: che la vera libertà del Mare non el'clude la protezione, c fupcriorità di chi lo nunticne in libertà; nè la foggezione alle leggi di chi ne ha l’imperio; anzi ncccAariamenic le include; che tanto U Mare, quato la terra è foggetto ad elser divifo trà gl' uomini, e appropriato alle Città, a’ Potentati ; il che, già ordinato da Dio nel principio del genere umano come cola naturale, fu anche molto ben conofciuio da AriAotile quando diAc che alle Città marittime il mare è territorio, perchè da quello cavano l' alimento, e la difcla: cofa che non potrebbe elTere, fe non fofle loro appropriata parte di effo, non altrimcnte che al modo, come fi appropria la terra, la quale è divila trà le Città, non in partì uguali, nè proporzionate alla loro grandezza, ma quanto hanno potuto dominare, e guardare. Berna non è la maggior Città deU’Elvczia, e pure hà tanto territorio, quanto le altre dodici inficme, c la Città di Norimberga, molto grande, appena efee col territorio fuori delle mura. La Città di Venezia molti anni è vifiìuta lènza punto dipofiènìone in T0mo II, Hh 2 terra ferma. In mane parimente alcune Citt^ di molta fona, e vitti hanno occupato molto mare; altre di poche forze fi fono contentate delle proflime acque; nè Inno mancate di quelle che, (ebben marittime, avendo alle fpalle terra fertile, fi lono contentate di quella, fenza ulcir in mare; altre che, impedite da pii potenti, fono fiate coftrette ad afienerlene,- per le quali due caule una Cittì, febben marittima, può Aare fenza poOédcr mare. Aggiunfe che Dio ha ifiituiti i Principati per mantenere la giufiizia ad militi del genere umano : che quelli fono nccelfarj cosi in terra, come in mare. Che San Paolo dille per quella cauta eflère debite a’Principi le gabellee contribuzioni.- che larebbc una gran firavat ganza lodare le terre guardate, regolate, e difefe, e biafimaie ciò nei mari. Che fe qualche mare ^r la fua ampiezza, ed ellrema lontananza dalla terra, non può eflere protetto, e governato, quella è pena del genere umano, Cccome è anche, che vi fieno difetti cosi grandi in terra, che neflimo pollà proteggerli, come nei fabbioni di Affrica, e in molti luoghi immenfi dell' Atlante. E ficcome è dono di Dio che una terra fia colle leggi, e colla forza pubblica retu, protetta, e governata, cosi il medefimo avviene in mare ; che furono ingannati danna grolla equivocazione quelli che diisero, la terra per la fua llabilià poter elser dominata, ma non il mare, per efser elemento inconllante, ficcome nè anche l’aria; imperocché, fe pel mare, e per l’aria intendono tutte le parti di quegli elementi fluidi, certa cofa è che non polsooo eÈere dominate, perxJtè, mentre fi fervono gli uomini di una parte, l’altra fcorre.- ma quello avviene anche a’Fiumi, che non poflono elsere ritenuti. Quando fi dice dominar il mare, overo il fiume, non s'intende l'elemento, ma il fito dove quelli fono polli. Scorre ben l’acqua dell’Adriatico, e non può efsere ritenuta tutta,- ma il mare è l’illefso, ficcome il fiume; e quello è quello che flhfoggetto alla proiezione de' Principi. Interrogò gli Aullriaci, fc la pretenlione loro era che il mare fot fe lafciaio fenza protezione, ficchè ognuno potelse lare in elso, e bene, e male, corteggiarlo, depredarlo, e renderlo innavigabile? quello efser tanto firavagante, ch’egli voleva per loro rifpondere che nò.- adunque conchiufe che per necefsaria confeguenza la Maellh fua voleva che fofse guardato, protetto, e 'governato da quelli a’ quali toccava per dilpofizione divina: ma le cosi era, ricercò, fc loro pareva ginfta cofa che quelli tali lo facelsero con fola loro fatica, loro fangue, e loro fpefe; o pure che vi coniribuifsero quelli che ne godevano frutto? A quello anche rifpofe per loro, eh’ è troppo chiara la dottrina di San Paolo, per non alleare la Gmrifprudcnza, che tutti i governali, e protetti fono obbligati alle contribuzioni, e gabelle. Adunque conchiufe che, fe la Repubblica è quel Principe a cui appartenga dominare, e prot^ere l’Adriatico, fegue neccefsariamcnie che chi le navin debba Ilare foggetto alle fuc leggi, non altrimenti che a quelle «Ila rcgioiie ttrrellre chi tranCta per quella. Pafsò allora a moflrare che quefio dominio da immemorabil tempo era della Repubblica, e fece leggete da una raccolta i luoghi di trenta Giureconfàlti, che dal ijoo. fino all’eth fua parlarono del dominio della Repubblica fopia U mare, tome di cofa notilIima,e imme morabile ne' loro tempi, difcendendo alcuni fino a dire che la Repubblica hb dominio di eflb non meno che della Citth di Venezia; dicendo altri che l’Adriatico i il territorio, d il diftretto di quella Cittb, facendo menzione della legittima podeltti fua di lUtuire leggi alla navigazione, e d’imporre dazj a’ naviganti; e foggiunlè ch'egli non fi raccordava di aver veduta alcuno che diceflè in contrario; e rivoltoG al Rapizio, dilTe che, s’egli non voleva credere a quegli Scrittori i quali attcllavano, che il mare foOé de' Veneziani, poffeduto da immemorabile tempo, precedente la loro eth, perche non lo provavano, non però poteva negare di riceverli per telUmonj di quello che nel loro tempo vedevano; e averli per fuperiori ad ogni eccezione, efièndo uomini famofi, e che, da tanto tempo morti, non fono interelTati nelle cofe prefenti, e per 150. e più anni corrono dal più vecchio degli allegati all'ultimo, teda per l’attellazione. loro provato che giù più di unti anni la Repubblica hh dominato il mare, e per ciò non poterli negare l’immemorabile poflelTo al prefente. Indi rivolto a’ Giudici, li pregù che fopra le autorith allegate afcoltalTera una fua breve coqfiderazione, la quale lafcierebbe Toro compiutamente impreflà la verith. Ponderò prima, che febbene alcuni de’ recluti luoghi parlano con parole generali, dicendo, il mare de’ Veneziani, non efprimendo quale, e quanto quello fia, altri però lo Ijpecificano, ufando il nome di Golfo, e altri con termine più erpreluvo, dicendo l’Adriatico, che fpecifica non loia il fito, ma anche la quantità del mare poffeduto; e con quelli che parlano più cfprellàmente modrò doverfi dichiarare quelli che in termini più generali fcrivono, conforme al comune precetto, che co’luoghi chiari conviene illuminare gli ambigui. Confiderò apprefib che il varùi parlare di quei Dottori, facendo derivare il dominio della Repubblica in mare, chi da preferizione, altri da fervitù indotta, e alcuni da privilegio, è nato, perchè, ficcome erano inrormaiiRlmi del poOeflb, ed efercizio di quello che vedevano, e udivano ellèrc dato l’ideflb da tempo immemorabile; cosi, fcrivendo in quella materia, non ad idanza d’ alcuno, ma di proprio moto, e per forma di dottrina, ciafeuno giudicò erprimcre meglio il titolo, chi con un termine, chi coll’altro, fenza curarli di ufare il foln, vero, e proprio, come avrebbono fatto, dove fofl’ero dati condotti a fcrivcre per interede di alcuno; nel qual cafo i Confultori fono fempre conformi, ricevendo daU’intereffato la medefima idruzione. Soggiunfc che però quella varictb non diminuifee punto la fede, anzi faccrefee, come Sant’Agodino dice, parlando della diverfitli che trù i Santi Vangelidi s’odcrva; perchè dal modo diverfo, ufato da que’ Scrittori, può redare ognuno certificato che nefliino di elfi ha fcritto nè pagato, nè pregato; ne’ quali cafi non lì farebbono partiti dall’tinico modo, dall’ interede loro preferitto.- anzi da chi ben efitmina, vcderfi tiù quei Dottori una mirabile concordia in queda unica, e lineerà veritù; e che dopo la declinazione dell’ Imperio Codaniinopolitano, ritrovandoli 1 ’ Adriatico per più anni abbandonato ( come anche molte Ifole, e Cittù di quello Stato ) in modo, che redava non cudodito, c lenza protezione, e governo di Principe alcuno, c fodit la giurifdizione di neduno, fu dalla Repubblica, per ricevere il fuo vitto da quello, codretta a mantenerla netto, prelò fotta fua protezione, acquiilatone governo, e dominio nel modo in cui per diritto naturale, e delle genti le terre, i mari, e le altre cole che non fono lotto il dominio di alcuno, diventano di quello che prima le occupa; colla qual ragione furono fondati i primi Imperj, COSI in terra, come in mare; e alla giornata le ne formano de’nuovi, quando alcuno, per la vecchiezza, e per li vizj, indebolito, manca di forze, e cade. £ in quella cudodia, e in quel governo del mare cos'i acquidato, la Repubblica s"è andata avanzando con potenti e fempre maggiori armate; con fpefa di molti teforì, e con profufìone di molto languc de’ tuoi Cittadini, e fudditi, continuando lenza interruzione in colpetto di tutto il Mondo rincominciato domìnio, e cudodia, e fuperando, e rimovendo tutti gl' impedimenti che in prògrelTo, o da Pirati, o da Potentati, cos\ d’Italia, come dalfoproda riviera, le furono in diverfi tempi eccitati. Soggiunfc che ì Profcflbri del parlare con erquifui termini di gìurifprudcnza non codumano dire acquidato per conluetudine, falvo che il poter valerfi di quello che de jtrrc civili è pubblico ad alcun ufo privato, fenza impedimento dcirunivcrlàle, come di pefcarc nel fiume fenza impedire la navigazione; con tuttociò nem impropriamente fi dar^ anche titolo di confiietudine, dove lark acquidato, e continuamente tenuto in protezione e dominio, un didretto, o terredre, o marittimo, abbandonato, c da neduno pofleduto, come Bartolo, Baldo, Cadrò, e altri alTegnano. Ma bensì per virtù di prclcrizionc non poterfi dire propriamente pofTcduto, fé non quello di cui colf ufo fia dato un’altro IpogUato; il qua) titolo non cade in quedo luogo, poiché la Repubblica non hù ipogliato alcun poflcflbre del mare, ma l’ha acquidato, ritrovandolo abbandonato, e lenza Padrone, o podeffore; poterfi però dire in certo modo prefcrizionc, come fe un Falcone, abbandonato dal Padrone, e inlelvatichito, poi da un'altro prefo, fofle addomedicato, e per lungo tempo nodrito; lebbene non propriaaittnce, però non inconvenicntemente d*rebbc codui d’ averlo prelcritto. Similmente la proprietà di parlare non ammettere Tufo della voce, Servitù, fe non quando al proprio territorio è acquidato alcun particolar ufo in quello del vicino, il quale però redi Padrone del fuo: in quedo fenfo U Repubblica non ha indotta fervitù nel mare alla lua Cittù, perche non vi ha acquidato foio un ufo l'peztale, redando il dominio ad altro Padrone; ma vi ha aflunto l’intero, c totale dominio di quello ch’era abbandonato, nè da alcuno governato, o dominato.* poterfi nondimeno, per certa projxirzionc, chiamare lervitù, in quanto la Repubblica è data codrctta ad adlimcrc quel totale dominio, e governo per fervizio della fua Citr\, che nè aveva bifogno. Qiianio a privilegio, ceru cofa edere che qui non può avere luogo alcuno, poiché non vi era all’ ora chi lo potefTe concedere. L’imperador Occidentale in nedun tempo mai vi ha avuta podedk, nè autorità alcuna; nè i Principi in Occidente vi hanno avuta alcuna giurildizionc, o lupcriorith, tanto meno potevano darla ad altri. In Oriente queirimperadorc, per non avere forze da tenerlo, gii l’aveva abbandonato, e perciò fpogliatofi di ogni forta di podedi, c di quella podèdìone, che avvede potuto ritenere coir animo, ne fece cedione nelle paci, etranfazioni fuccede pofeia tri queir Imperio', c la Repubblica. Con tutto ciò i Giureconfulti Italia oi, come profeflbrì del jus CefareO) e giurati nelle parok di qudloi dcvotiflìmi della Maedà Imperiale^ come fc ancora regnafle Augudo) overo Antonino, G fono sforzati con ogni eftorGonc di verificar neUImperador Occidentale quel detto.* Imperata tft Dimtinm Mtindi^ il quale fino in quel tempo, quando Ga pronunziato, non era vero in, una centefima parte del Mondo, e al prefente non è in alcuna confiderabile proporzione e mentre vogliono far onore alflmpecidore, e dargli con parole quello che nè bk, nè può avere, non fi guardano dalla firavaganza di parlare: e ficcome diflero che neflun Rè pofiede Stato alcuno legittimamente, fé non per concefiione Imperiale, diflero ancora che la Repubblica pofledeva il mare per privilegio deirimperadore. Mli ben apparifee in che fcnlb fu da loro detto, poiché nefluno di elfi vuole che vi fia intervenuta mai conceflìone; ma chi lo figura privilegio prefunto dalla immemorabile pofleflìone; chi interpretativo dalla feienza, e pazienza deiflmperadore, che vuol dire tanto, che fe diceflero che i Rè Crifiiani pofleggono i loro Regni, e la Repubblica poQ'ede TAdriatico cosi legittimamente pel titolo del loro acquifio, come fe que' Regni, e quel mare foflero fiati deirimperadore, e da lui a quei Principi, c ad efla Repubblica conceduto. Cosi fi dilatò il Chizzola rpaziofamence in parlare de'Giureconfulti, per eflèrc campo di Tua proteflione; e conchiufe poter ognuno refiar certificato, che cosi in fatto, come in ragione) coll' autorità di quei Dottori erano pofii fodi fondamenti alia caufa che difendeva. Indi al tefiimonio de’Giureconfulti aggiunte gli Storici, i quali nar« rano che la Repubblica già più di 300. anni rifcuoceva dazj da’ naviganti, e teneva barche armate in guardia con ordine di far andar i NavUj a Venezia; tefiificando che continuamente dopo fino al tempo loro fi fcrvò i’ificflb; ma fopra le loro attefiazioni non fi fermò molto, dicendo che ficcome fono buoni tefiimonj de i fucceflì occorrenti, cosi, quando fi tratta di provare le ragioni de'Principi, o de’privatt, convien valerfi di fcritture autentiche, e ufar gli Storici con gran diicrezione; eflendone alcuni mofli, chi da amore, chi da odio, e da fperanze ancora, che li cofiringono ad ufare adulazione, ovvero iperMi, fopra le quali non fi può fare fodo fondamento. Portò ancora l’atto del Concilio generale di Lione nel 1274. dove l’Abbate di Nervefa, delegato dal Pontefice in una pretenfione degli Anconiuni, d« avere libera navigazione, fencenziò che la dimanda fofle rigettata, e che i Veneziani non foflèro molefiati nella difefa, e protezione dellAdriatico da’ Saraceni, e Pirati, ne foflero turbati nella pofleflìone loro d’efigere i diritti delle gabelle, e de’noli. Aggiunfe il Chizzola, non eflervi memoria quando primieramente fbfle fiata creato in Venezia un Capiuno di Golfo, perchè nel 1230. fi abbruciò la Cancellerìa colle memorie di tali elezioni: mà da quel temp o fino al fuo fi poteva mofirare da’regifiri pubblici la continua fucceflìone degl’ eletti fenza alcuna interruzione. Similmente aggiunfe ancou che refiano i regifiri da quel tempo fino all’ora delle licenze di tranfitare pel mare con legni armati, o con perfone, o con robe per loro ufo, da diverfi Principi poflelfi}ri di riviere fopra l’Adriatico xichieftc, da Pontefici Romani, Legati, Vicari, e Governatori, c Comunità delie terre di Romagna, e della Marca, da’ Rè di Napoli per la Ph 2.48 STORIA ti Puglia; delle quali molte furono concefle, alcune negate, e alcune anche in parte folamente concedute; mk elTere fuperfluo allegare i fatti di quelli, i fuccefibri de'quali non promuovono dillìcoltk. Difcenderebbe allo ipeziale folo de’ PrecelTori di Sua Maeftk, come de’ Rè d’ Ungheria, e dell’Arciduca d’Auftria. Recitò un breve di Papa Urbano Sello diretto al Doge Antonio Veniero folto la data in Lucca 14. Giugno I j88. in cui gli rende grazie che colle fue Galee deputate alla cuRodia del Golfo fia Rata liberata Maria Regina d’Ungeria, ritenuta in prigione a CaRel nuovo; e due altri congratulatorj; uno alla Regina fuddctta ; l'altrp al Rè Sigifmondo, che poi fu Imperadore, marito di quella, rallegrandofi parimente con loro deiriRcffa liberazione fatta per opera del Capiuno, c delle Galee Veneziane deputate alla cuRodia del Golfo. Indi fece leggere un falvo condotto conceflb a richicRa di Rodolfo Conte di Sala per nome di Ladislao Rè di Napoli, e di Guglielmo d’ AuRria del iì 99 - ta. Dicembre, che la forella del predetta Rè, fpofata al foprannominato Arciduca, fi poteflc condurre per Mare dalla Puglia alle riviere dello Spofo con Galee, e altri legni in tutto in numero circa di dodici, con condizione che, fopra quelli non folfe ricevuto alcan bandito da Venezia, o che avelfe operato contra il dominio cofa per la quale meritalfe la mone ; del qual làlvocon^otto fi valfcro gli AuRriaci, che a TrieRe s’imbarcarono per Puglia a quel fine COSI nell'andare, come nel ritorno. Non fu però la Spofa condotta, perchè avendo il Rè differito alquanto tempo la partenza della forella, in quel mentre ella s’infermò, e pafsò all’altra vita. Ancora portò due lettere dell’ Imperador Federigo al Doge Giovanni Mocenigo, la prima in dau di Gratz l’anno 1478. 24. Settembre, la feconda nel 147?. a. Aprile dal medefime luogo, nelle quali narra d’aver ordinato che fia portato di Puglia, e Abruzzo a’ fuoi CaRelli del Carfo, e dell’lRr», «srta quantitk di frumento, e richiedendo permiflione che fia portata liberamente; chegli fark unpiacere il quale riconofeerk colle maggiori grazie. Soggiunfe una lettera di Beatrice Regina d’Ungheria a Giovanni Mocenigo Doge nel 1.^1. ultimo Gennajo, dove narrato il fuo defiderio d’avere per ufo proprio diverfe cole da’ luoghi d’Italia; le quali non potendoli portare fenza permiflione della Repubblica, dimanda che per li^ralitk, e amicizia le fia conceflb, che loriceverk percola grau, e corrifponderk. E un altra del Rè Mattia d’ Ungheria alTiReflb Doge nel 1482. atf. Febbrajo, in cui dopo aver narrato che la Repubblica era folita a concedere licenza ogn’anno a’Conti Frangipanni, padroni di Segna, c altri luoghi marittimi, di portare dalla Puglia, c dalla Marca una quantitk di vettovaglia, e dappoiché erano paflàti quei luoghi in mano fua, s’era tralalciaio il farlo; pregava che folfe conceflb l’iReflb a lui, e fofsero fpedite le lettere fopra di ciò, e date alla perfona mandata efprefsamente per riceverle, che lo riconolccrcbbe in grazia e corrifponderebbe. E un’altra del medefimo Rè ad AgoRino Barbarigo Doge 1487. 18. Ottobre, nella quale, dopo aver narrato di avere bifogno di legname, per riftaurar una Fortezza nella bocca di Narenu; prega di poterlo condurre da Segna per mare, e che gli fieno fatte le lettere patenti, ofierendofi a gratificarne anche incofe maggiore. Aggiunfe aquefie una lettera di Anna, Regina d'Ungheria, nel 1502 30. Agofto, nella quale narrata la fterilith del paefe di Segna, pregat dipoter farcondurre inquella Citth cerca vettovaglia di Puglia, e della Marca, dando al portatore mandato erpreOamente la lettera della licenza, offerendo di riceverlo in gran piacere. Per ultimo portò una lettera del 1504. 3. Settembre, di Giovanni da Dura, Capitano di Pifino, Minilfro deU’Imperador Maflìmigliano, il quale ferivo al Doge Leonardo Lotedano, che Jacopo Croato, fiiddito di SuaMaefih, partito da Fianona, entrò, nel mare il qual i fàttopollo al dominio della Repubblica, per andar a Segna, e fu aflalito da una barca armata di violatori del Mare in vilipendio della Signoria; e fupplica che fia fatta qualche provvifione., Sopra tutti quelli particolari ponderò quello che meritava di elfere confidcraco, rifpetto a i tempi, alle pecione, e qnalich de’Principi: e per maggior confermazione deU’aflcnfo loro, raccordò, l’anniverlària cerimonia di fpofare il Mare in prefenza degli Ambafeiadori, e particolarmente di quello di fua Maeflh, e de’ tuoi Antecefibri, coile parale tifate : Dcfpmfamia te Mere in Jigman veri, et perpetui àominii. La qual cerimonia febben dagli Serheori è detto che avefle principia alfendo Alelfandro III. in Venezia; dagli llefli nondimeno ò aggiunto che folfe illituita in legno del dominio acquillato innanzi jme te! li. Alle 400. querele, e alla fentenza di Liefìna rìfpofe, ringraziando come di cofe portate a favor fuo, perché le querele prefiippongono la proibizione; e le fentenze, o condennatorie, o alfolutorie, provano la giurifdizione : e intorno alle barche di tale diffe che non furono fatte andar a Venezia, come non fi fa mai andar alcuna, per elfere proibito ch’entri in quella CitA l'ale forclliero; e fe non lu gettata in Mare, fu cortefìa, che non dee effer imputata a pregiudizio. Conchiufe di avere dato il vero fenfo alle capitolazioni, eprovata la poffelfione immemorabile dell'Adriatico; che avrebbe potuto dire più cole; ma gli pareva fuperlluo, rollando chiaro per quelli due punti che la pretenfione era nuova, e la richiella non poteva aver luogo. I Cefarei, dopo aver trattato infieme, vennero in rifoluzione di non. perfeverare nella dimanda per giullizia; e il Barone del Suora apertamente differo la Repubblica elfere Padrona del Golfo, e potere metter i dac) che le piace; • che cos'i fentivano in loro cofeienza: ma infieme aa 'be erano di opinione che, per l’onellh, e per l’amicizia della Cala H' Aulirla, dovefle farlo col minor incomode de’fudditi di quella che fjf. ;ogibile. DilTero gli altri tre, che non era tempo di approvare, nc «il contrailare il dominio del mare, ma bensì di ritrovare per curtefia qualche temperamento: che la Repubblica riceveflé i fuoi diritti da'UiJditi Aullriaci naviganti, e folfero levate quelle condizioni che lOno d’ iiieomodo loro, e di nelfun utile a lei. Furono efaminari diverfi partili, e fi conchiufe di riferire a’ Principi, ficcome convenivjTf^erire ogni altra cof.v determinata; eflendo lacommilCone fotta )aratilicaziomdiefli,elaraunanza ebbe fine. Ma la relazione arrivò in tempo T om, It ‘ li che rherimperadore,pcr gi«veinfennid,nonpoMviati«a animali, e grofli, e minuti. Quefto accidente difpiacque molto a fua Altezaa, per le circoftanze di efler occorfo nello Stato proprio, ej contra la fede daa da’fuoi Miniftri; e con indizio anche molto violenta di complicithcosl attefo il lungo viaggio fetto dagli Ufcocchi per la giurifdizione Arciducale feima elTer mai fiati impediti, n- divertiti; come anche attefa la refiituzione btu per ordine de’Magifttatia’fudditi.loro folaiqente, reftando tutto il danno agli altri. 1 Miniftri della Repubblica riputarono che per li danni inferiti non baftafle rifentirfi cantra gli Ufcocchi fojamente ; ma convenire appref lo in tal accidente, per debito delia protezione dovuu a’fuoditi, che si adoperalfeto per zilàrcirli con appreiaglie : opera, che fu fata da una, Galei che sbarcò veriò Fianona,emcoòvia, febben non uguale numero di animali, quanti gli Ufcocchi avevano predato, quei perù che fi poterono aver ne i luoghi vicini, i quali furono ìmmediate diftrihuiti a proporzione a dannificati per rifacimento. Per quefto fetto gli Ardwali rimaUi alla Corte. Ceferea, dopo la jarienza del lor» padrone, fecero grave lamento, che fua Altezza foT(e fiata provocata da’Veneti nelle terre fue patrimoniali lenza nelTuna olTela precedente dal canto fuo e de’fuoi fudditi; e rifpondendo a chi loro opponeva la prenarrala, che non era con violazione della giurifdizione Veneta; che toccava a liiaAlteaza rifentirlì come di malecommellb nello Stato Tuo proprio ; e che prima del partir fuo da Lintz aveva rifolnto di volerlo fare ; quefia rirpolla fece maravigliare ciafcun intendente delle leggi, e del diritto delle rapprefaglie, che appunto fi concedono,, perche quegli, cui tocca fare riTeniimento contra i malfattori colla giuflizia ordinaria, non lo là. Ma la Maefh Cefarea, acciò, moltiplicando le offeCe^ non nafceflè qualche grave fcandalo, fcrifle lettere all’ Aroiduca, cfonandolo efficacemente a mettere la mano, e provvedere. Mentre a Gtatz fi configlia come foddisfare alla volonà della Maeflk fua, accollatofi il verno, quando alle guardie riefce dannofo lo Ilare lungamente in mare, fecero gli Ufcoahi diverfe furtive,] e improwife ufcite. Diedero fopra l'Ifoh d'Ofléro con generale preda delle due Ville di Luffin, fpogliatt delle proprie vedi fino i fanciulli, e le donne ; baflonati, e feriti quelli che fi dolevano, e pregavano di mifericordia ; e fopra Pago fvaligiarono la Villa di 0>lune, e poi lo Scoglio di Proveechio appartinente all’ Ifola di Veglia. In mare non perdonarono a Valbello di qualGvoglia fora, non fo!u rubbando ; ma ritenendo i marinai più principali, e dando loro rl'-rtco. Tanti inconvenienti, e le lettere della Maellh Cefarea m..ro.o finalmente il Seteniffimo Arciduca a mandar a Segna il Signor Ha’:, Baron di Echembeig, General di Crovazia, accompagnato i! a buon numero di faldati, parte Tedefchi, parte del Contado di Gorizia, acciò potelTe sforzare i contumaci, e regolare quella Cittb. Qucito Signore, giunto in Segna, con fcvero comandamento fece adunare il bottino^ delle teire di Luffin, e altre del dominio Veneto ultimamente fatto, e fece pagar lire quaranta per tclla a cinquanutrè Ufcocchi che intervennero a quella preda, pel mancamento che fi poicffe trovar in efla • Fece un bando, che io termine di quindici giorni tutti i Venturieri fi prefentaflero a lui, altrimenti reflaflero banditi colle loro famiglie; de’ quali una parte ubbidì, e un altra fi ritirò alle montagne. Dopo aver fata più volte la moflra, e rafiegna di tutti, improwifamentc ne imprigionò noi CalleUo trenunove, nel qual numero furono i C^pi tutti, e alcuni anche di baffa lega, e degl’ infimi ; a’ quali tutti fece immediate fvaligiare le cafe da’ Tedefchi condotti ficco ; e per sé pigliò l'oro gli argenti, le fete, e altre cofe di prezzo ; immediate fece tagliare il capo a quattro Ufcocchi, ladri, ma uomini lenza feguito, di baffa condizione e de’ più miicrabili. Fu anche Autore che in Bucati foffero imprigionati da quel Governatore due Ufcocchi fuggitivi da Segna ; e ne| giorni feguenti imprigionò, e fvaligiò la cafà ad alquanti altri ad uno ad uno ; fece correr voce di volere lafciar in Segna pez guarnigione cento Tedefchi, e cento nativi di quella Citih lolamentc, e trafponar* gli altri in Ottofàz ; ma indi a pochi giorni gl' intTom, II. ' li I prt prigioiuti, eh’ erano al numero di trentarei, avendo dalle lorofacohì, e dagli amici, trovato modo di ricompetarfi, pagando tutto quello che poterono, furono liberati T Non ardf peri egli di liberare apertamente Vincenzo Carlinovicli, capo, e autore d'innumcrabili mali, particolarmente del barbaro trucidamento di tutti i faldati, e pafleggicrì della Galea, e dell’atroce, e hera uccifìone del Sapraccomito, febben donò grolTamentc per cjuefla caula; ma lolo gli diede modo di fi'^ire. Fatte queue elecuzioni, mandò il Conte Cefana a parlare col Generale Veneto, e dargli parte delle caufe della fua miflìone, e richiedere che foITcro aperti i palli,- folTe reflituito il commerzio, offerendogli, quando dcfiderafle alcuna foddisfazione particolare, far tutto il poflìbile, acciò la ricevelTc. A quell' uffizio il Generale corrifpofe, nar. rande la mente della Repubblica elfer tutta volta alla quiete, nò altro efla defiderare, fe non l'cfecuzinne delie promelfe fattele.- che i Venturieri toffero tutti fcacciati; non folfe dato ricetta a’banditi; e foOero levati i ribaldi dal nido dove ricevono comodo di offender il vicino: che, quelle cole fatte, egli troverebbe in tutti iMiniflri della Repubblica una perfetta corrifpondenza di buona vicinanza.- mi non fapeva gik come perfuaderfi di vedere melfo in opera quello debito, men. tre le reliquie della Galea erano nel porto di Segna, c Icartigliericfopra le muraglie, e gl' imprigionati gittflamente per quello, e per altri midatti, liberati, ^uell’ uflizio non ponò in confeguenza alcun buon'effetto; anzi i Capi gl'; tmtti di prigione Aitoiio onorati, e favoriti, particolarmente Vincenzo Carlinovich Ji fopra nominato; il quale, dopo effer fuggito, gli donò, oltra le cole dette, un prigion Turco, a cut era fiata impolia una taglia di quattro mila ducati. Non loto egli fu richiamato in Segna, ma gli fu dato uno de' quattro Capitanati, e fu pigliato tn protezione di- fua Altezza Fu. pgfta m -filenzio la traslazione in Òttolaz ; i rifuggiti alla a poco prefero annuo di ritornare e il Generale, dopo tfere idtlBoylftin quella Cittk circa cinquanta- giorni, parti ioicp ^ conto a fua Altezza delie cofe fatte, e ricever ordme mnllielle che doveva fare, lafciata parte dei prefidio de’ Tedcldtt che feco aveva condotto, e Iparla fama, che Ira due mefi farebbe ritornato. Pigliò in compaoM fua Vincenzo Carlinovich, per condarlo alla Corte, e fargli comennare il Capitanato. Candulfe feco dodici cavalli da foma, due carichi tra danari, e argenti,- dicci carichi dipanni; e altri lavori di leta, tappeti prcziolì, e cùmbelioti cavati, parte da’ prigioni che liberò, e ^rte dagl’altri cbe.^ «menda il medefuno, prevennero la mata .ortuna, avendo .reBdutaiquclla gente piò avida alle prede coll'inpoveiirla, aggtula impalilo di chi, ellratto dalle giumente tutto il latte, le manda. a PUtdo altrui, acc^ fi riempiano delle foflumze di altri'. S' ceno che in danari portò via cento cinqoanta mila fiorini: di quanto prezzo iblfcro le altre cofe afporiate li parlò variamente; c, quello eh' c notabile, appropriò anche a sè quello che,, raccolto aveva de’boitini fatti ultimamente a Lufiìn, e a Collane. ( Immediate dopo la fua partenza ritornò in Segna il rimanente di quelli «h’ èrano fuggiti alla. montagna, e iodi a pochi giorni parti la Campagoiade’Teddchi, da lui lafciata^ per mancamento di viveri ; fe però ciò non fu piuttonopretefto, cheveritli; e quello fu il fine limile in tutto a quello che le altre milfioni Je’ CommilTar j hanno cotifeguito; fe non che quello eccede, avendo non participato, come gl’ altri, ma prefo il tutto, e lafciati gli Ufcocchi dirguflatilTimi, che fi querelavano al Cielo dell’ ellorlioni fatte all’aperta, e fenza alcun riguardo; e a bocca aperta dicevano ch’egli aveva potuto operare con confidenza tutto quello che gli tornava meglio, confidato nella potenza del fratello, uno de’ piò favoriti Minillri di fua Altezza. Il medefiliao Capitano Frangipane rellò tanto difgullato, che rinunziò il Capitanato, e fi ritirò alla fua terra di Novi, feben la rinunzia alla Corte non fu accettata. Ma i Minillrà Ifeaeti, dopo il facco generale delle terre di LulTin, di Collane, c di Porpecchio, gih preparati al rifacimento de’ danni de’ fudditi, intefo l’ordine dato da fua’ Maefiò, e poi la rllbluzione di fua Altezza coll’attuale milfione deU’Echemberg, giudicarono bene fopralTedere, e afpeturo le provvilioni che folTero da lui fatte: e quando intefero ch’era raccolta quella preda per ordine fuo, tanto piò lì confermarono che convenifle veder feCto. Ma udita la fua partenza da Segna nel modo deferitto, irritati, maICme dall’ aver applicato a sò il bottino fatto io quelle terre, vennero in rifoluzione di rilarcire ì fudditi colle rapprefaglie, cosi per conlolazione loro, che, veduti i finillri andamenti, s’alìliggevano, difperati di poter vedere folievamento ; come ancora per gaitigo, e per metter freno a’ misfatti; e il Ca S itano del Golfo, pollato nella riviera di Valofca, e Lovrana, depreò quelle urre. Ritrovò tra le altre cofe alcuni maggazzini con molta quamitò di frumento, biada, e farina, che raccolta dal Contado di Pifino, era ivi polla in rilerva, per ellòre condotta a Segna; della quale riputaudo necelTario privarne quella terra, ricatto de' ladri, nè potendo afportarla, ordinò che felTe abbruciata; e palsò l’ incendio oltra quello che fu creduta, parte per la vicinanza degli edifizj, e parte per gli eccein de’lolJati, in modo che rellarono molte cale abbrociate; e fu maggiore il danno del fuoco, che delle robe tolte,* le quali elfendodillribuite a' danneggiati, non ballarono per rifarcirti iKlIa meth. Non rellò oifefo alcuno nella perfona, e leChiefc rellarano intatte per efpreflo comandamento del Capitano; e quantunque la principale li rìtrovalfe piena di frumento, quello rimale lalvo per rìverenaa del luogo. Un’altro accidente fuccelTe nella fortezza di ScrilTa, con altra nome chiamato Carlobago, eh' è uno dc'fcUi degli Ufcocchi dirin^petto, e tre miglia Iblamente lontana da Bagof Ctuata in luogo eminente della Morlaca, che domina tutta quell' Ifoia, la quale dagli Ufcocchi di quel prcfidio viene dannificata, non come gli altri luoghi, alle volte, c con intervallo, ma perpetuamente; avendo quelli della Fortnza comoditb, come da luogo* fuperiore, di veder dove li facciano le adunanze dì animali, andando appoftatamente a' luoghi, e fenza fallóe. Gli Ufcocchi che guardavano quella Fortezza, ben confapevoli deV^difperazione degl' iTblani, e quanto fitrrebbono Rati pronti ad attentaW|,ogm cola, per lìberarfi, penfando di ulare la miferia e femplicitò dt poveri uomini per mezzo di acquilbr premj da i loro Padroni, ouMuoaiono un trattata doppio. Negoziarono Con ogni for ta Digilized by Google Z54 STORIA u di apparai u di rcaltii, e promirero al Conte di Pago, che ad ua legno ravrcbbono introdotta nel Callello. Dall'altro canto mandarono a Segna ad avvilàre il trattato, donde fu immediate fpedito fegretamente Paolo Dianifi vich con 30. Ufcocchi. Al giorno deilinato il Conte, prefa una parte di una Compagnia di foldati, ch’era alla guardia ordinaria dell'Ifola, e buon numero d’ifolani, al fegno dato andò; ed elTendogii aperte le porte, lenza ufare le canzioni debite, e folite in fimili occorrenze, molto fcmplicemente entrò il primo, e fu feguito da tutu la gente con molta confufione: furono immediate colle archibulate alTaliti dagli Ufcocchi, che ulcirono dalle infidie, onde renarono morti il Conte, e il Capitano de' foldati, e alquanti de' primi; e degl' altri parte fuggirono, e altri circondati furono tagliati in pezzi, e reliarono morti quaranta foldati, e altrettanti uomini dellIlola, perduta la bandiera cosi degl’lfolani, come della compagnia de' faldati, le quali dagli Autori del doppio trattato furano portate prima a Gratz alla Corte Arciducale, e poi anche aH'Imperiale, per ricevere premio. Quello fecondo accidente fu fentito in Segna con piacere; nè è maraviglia, poiché fu operazione degli Ul.occhi; ma è ben maraviglia che fentUfera con gudo il fatto di Lovrana, quantunque folTero reftati privi della vettovaglia, (perando che per quello foffe loro concefla aperta liberà di Icorrerie dal loro Principe, 1 Miniftri di fua Altezza fecero gran lamento alla Corte CeOirea per tutti due quelli fuccelD, ehtgerando il primo per l'importanza del unno, e il fecondo pel rilpetto della Fonezza; e aggravando, che, per elTere terra della Corona di Ungheria, era flato tentato un’atta odile contra la Maelà Cefarea principalmente. Ma quanto al fatto di ScrilTa tre cofe dicevano i Veneziani.- Prima, per quello, che tocca gli Autori del doppio trattato, che le infidie tele a quei poveri innocenti furono effetto della perfida di quella gente, che tempre da nell' inventare modi di feminare dilcordie tra i Principi, per confervarfi nella licenza del far male : poi per quello che appartiene al Conte, e a gl'lfolani di Pago, che il loro hne di liberarli dalle molcdie degli Ufcocchi m qualunque modo fu buono, elfendo per necctfaria di^; ma il difetto di prudenza, in non faper dtfeernere un trattato finto, fu alfai pagato da loto colla vita. Ma per quanto tocca i Principi; che il tentativo, quando fofTe anche riulcito, non avrebbe avuto fine con ofiela della Maedi Celarea : e per fede di qtu-do, nartavano che nel I5pz, avendo gli Ulcocchi di Scnlfa fatti danni notabili in Pago, il General Veneto aflaitò la Fortezza, e la prefe; e pochi giorni dopo mandò a lignificare a’Commcflài; Celarci, che allora erano in Segna, non aver avuto altro fine, che di gailigare gli Ufcocchi con ogni rilpetto allaMaedli deU’Imperadore ; però mandafléro altri Soldati, che Ulcocchi, per guardarla, che l’avrebbe confegnata: il che quando non aveffero fatto, egli però non intendeva di tenerla, ma l'avrebbe fpianata, acciò i Turchi non fc ne impadroniffero,I CommelTarj mandarono nn Capitano Tedclco che con loro era, al quale fu coniegnaca immediate ; ficchè l’Imperadore non udì prima la piefa, che la confegnazione, e cosi fua Maellk, come 1 ' Arciduca Ernello, che allora governava per la minor eih di Ferdinanda, iniele le caute dd fuccelTo,nan riputarono che loffe coatta la buona intelligenza. Ma tm, cucilo che m yiieuQ» er* coavci^ito : e w u ui i»»** m fe cob impofllbile^' e «he le «ofe opecue ae',mfnifto Veneti so» Mfero i>er neceflitìi di fjcurexza, o per ^ullo riiarcu^to de duni dp fudditi, ccene predicaveng poifhe non era proceduto al,cim dannolgro dagli Ufcocchi, ma eia uea pigvof^iaM, e dUwne di oneUcw intacco della riputaaiooe di fua AIuim^ la |luaU> quando non joDe reintegrata colla relUtuzione, e con laftiare libero il naceva effer falvan, fe non colla guerra; non manundo chi loltenelle la parte de’ Veneziani, rifpondendo, non eflere biu^lp> di dilcono, ma d’infpezioae g dimollrare, fe Taccordaito fofc (lato adempiuto, vedeodofi tutti gli Ufcoecbi ritorngti in ^ nazioni, e incurlioni non pib per intervalli di Wpu, continua ferie di oSéfe; non i Qipi, ma alcuni miferi, S'“' lÙzìati per fola apparenza, eflere de’meno colpevoli ; che niente eia dato operato dai Miniftti Veneti, fe no" 8^*" prvocazione : u ìucccflo delle barche ptefe efler originato dalle prede, e da altre mgiuM precedentemente latte : quello di tovrana elfete dato una giuda corrifpendenza per li gravi danni di Lufm^ C Collane; eia dilazione ^r a(pettare, le TCctiemberg avefle provveduto, non dover pregiudic^.; ft il tempo ÙKcrpofto ildanno, e'J riiarcimento, che non amvòa tje meli, poteva date nome d’ illazione d’inporia a quello che tu ^ bcimento differito; mentre vi ea mgione d’afpettar® 1 *• • andava pubblicamente lettera del Vedovo m "S"*» fu-itm ad un'altro Prelato alla CorteCeiàrea, la quale attribuiva all Eehembere la caufa di ogn’ iuconvcnience,. • i. la Maedh Cebrea, eccitata dalle moltiplicate querimonie ^ ambe k P*^ti, oosi precedenti b mildone deU'Echemberg, come fmeguenti la partenza dì gnello, deMftnla di metter fine a cmi moleuo oMOaio comandà m fuo Gonfiglio c!« vi applicaffe 1' apirao con maggior ac^ratczza- e fu tifiJuto di tenere una confiiltazione, nella qi^ veniflè ancora l’Ambafcbdor Veneta, accib con difculjone di ambe If parti più beilmente foffe trovato lo fpediente. Furònoanclie rn^rnu in ConfinUo l’ Ambafciador Cattolico, e il Fiorentino, Minidti di Prìncipi cerumente colmi di bonth, e giudizb, c cosi «ingiunti cm SereiiiBimo Arciduca Ferdinando, che per fangue, e ^nith, umpoifeno effer più prollimi. Non è certo fc foffero inv.tar^ per «Viatori non parendo che nè delluna, nè dell’altra gualuh Vi toffe bilb to. In^lU Raunaiua, dopo tango dihaKimento di tag^, fio», fu conchiulbche, affermando una Wtte di condii, e negando 1’ altra, hifognava vederne U venb ; e perù cho l’impcradorc fpeditehbe immediate Comminino a Segna, P« •j?’’ cuziow aUe cofe concordate, quando nttovaffe ™ efeeuita msiù fi eSèttuerebbe in termine di un mef; Che la EepabWica pm irebbe manèbr Miniftti ivi, non per trattare, maperap^e >.f afficutarfi cha in acfiun conto fofte .mancato; nmeirouJo P*” mandar, u non ^uUlfcre, come' meglio le foITe parato ; e fn tanto da ambe le pari? fi fofpendcflero le oflefe. Fecero iftanea gli ArciducaU. che folfe dichiarato dovcrfi imendcrc lotto nome di fofpendeofTcfe, il celTare di tenere le terre rifirctte ; inretelTando qtiiden^ tn f-tmpenidqre con dire, non elTere dignità di Celare operare cola U'Rnubblica teneva la Ipada in mano minacciando, tóme fe per foni .'\^i^e. cnftringete foa Maefià ; e tanto maggior, mente, quanto elm ipcótnIiilMfva a far fatti colla milTione di CommilTario. Ma daU'ahta ^He era confiderato non potcrfi fperare che 'la Repubblica condifcendelTe ad allargar comodo a' ladri di faredam ni ma^iori, avendo tante volte veduto che mainon erano flati aperti i pam fenza quella confegnenza; e che larebbe difficile farla venir a fatto cosi importante, non dando in cambio altro che. parole: imperoccl)^ la miluone innanzi che il Commiflàrio aveffie eleguito con-, fiflcva in parole, e non i fatti; e che non teneva la Repubblica le arme in mano per minacciar Principe alcuno, non che fua Maeflh, fcmpre olTervata, come metiu tanu dignità ; ma folo per difendere lì flelTa, e i luoi fudditi.- che le continuate dimoflrazioni diperpetua olTervanza della Repubblica verfo quella Maeflà non lalcierebtono entrare Cmili conce tti ; e la virtù dell’ Imperadore renderebbe certo ognuno che farebbe molto folo dal fuo religiolo animo, e per puro zelo di giuflizia: anzi,pinttoflo che potelse el'ser alcritto a timore di quello ch'era per debito di religione, e di promelsa, potrebbe dar a molti maraviglia la dilazione neU’eleguirlo - I Celarci con^ chiufero che alla Repubblica fofsc rimelso il levare, o non levare le guardie ; e folo ballar loro che operalse in tal maniera, che il Commilsario potelse ftar in quelle terre con dignità di Sua Maeflà. Di quella riloluzione fu data parte all’ Arciduca con lettere Impe. riali; c lua Maeflà ordinù al luo Segretario refidente in Venezia, il quale accompagnò con fua fpezial lettera credenziale per quello particolare, d’ efporre, come anche, dopo aver prclentata Inietterà, efpofe,cbe Sua Maeflà aveva rifoluto di mandare Commilsario a Segna, per vedere, intender, e regolare tutto quel negozio, e fare quanto conviene alla buona vicinanza: che pregava Sua Serenità a dare que. gli ordini le parefsero concernenti pel .buon fuccefso, ed effetto, di quella fptdizione- A quello uffizio, degno della religione, e giuflizia di tanto Principe, iu corrifpofto con lignificare al Segreurio quanto fof.fe grata la comunicazione di mandare Commilsario a Segna; e con quanto maggior contento si avrebbono intefi gli effetti; aggiungendo, obblazionc di non tralalciarc cofa alcuna, per foddUlàre Sua Maeflà, e per far ogni dichiarazione co’ fatti dell’animo fempre diipoflo. a continuare in buona vicinanza: e con lettera di fpeziale creanza peri’ Ambafeiadore le fece dire lo fleflb- Fu gratiflìina a’Veneziani quella deliberazione dell' Imperadore, cosi per defiderio di veder il fine delle moleftie; come per efsere chiaro teftimonio che Sua Maeflà medcfima non feiuiva efsere flato mancato ad alcun debito di csnvenicnzaquaqdo non fu maudato alcuno a trattar col Conte Aluni, e coi CoUeghi a Fiume. Diedero immediate ordine al Generale di Dabnazia che fofse fatto ogni onore, edita ogni comodità a quello che per nome di Sua Maeflàandafse aSegna, einqualunquealtro luogo di quelle marine. Deliberò Su* Maeft^ mandare per CommiBario Giovanni Prainer, Governator di Giavarino, pcrfonaggio di gran qualità, reputato giu(lo, di valore, e con riroluzione; il quale lebben fi ritrovava allora in Ternavia per negoziazione importante (opra le cofe diTranfilvania, lo fece andar alla. Corte, e lo fpedi con iftruaione, dcU* if capo principale fu di vedere fe il trattato di V^nn* *t* eieguito; c fare quello che fofle neceflarip per total efie^uaione; con ordine che andaflc prima a Gratz, conferifle l’iftruzione coll’ Arciduca, e immediate paflàlTe a Segna per l’ cfecuzione ; tenendo per fermo che avelTe Sua Altezza lo lleflb fine, e defiderio di una buona provvifiione ; e folfe per coadiuvare ; aggiungendo alle iftruzioni imperiali le fue maggiori faciliti, e la lua fermezza. Andò il Prainer a Gratz, e dall’ Arciduca non gli fu ^rmeflò il palTare piò oltre; ma rifpedito indietro nel fine di Luglio con rifpolla in ifcritto alle cofe da Sua Maefti ordinate; la (oftanza della quale fu ; che non poteva aifentire al levate gli Ufcocchi, e fare le altre cofe ricercate dalla Repubblica, mentre quella (lava armata, per non dare fegno che lo facefie fer forza, e violentato; ma, levate le armi, (irebbe pronto a far il tutto: anzi che gii aveva incamminate le cofe ad ottima difpofizione, avendo ridotto quel prefidio, che richiedeva due cento mila fiorini per le paghe (corfe, fe doveva partire, a cento mila, con ifp«anM di ridurlo a molto meno : onde, levato lo fcrupolo di apparir violentato, metterebbe mano all' opera - Siccome il veder partire dalla. Corte Celar ea cjucl perfonaggio con tanta rifoluzione di Ccfare, del ConCglio. Imperiale, e fua propria, di metter fine all’ imprefa, fece tenere quello travggliofo negozio, per ridotto a buon yalTo; cosi la canfa, perchè fu rimandato indietro, diede gran maraviglia; poiché avendo confideratamente rifoluto la Maefti Celare*, Principe fupremo, e Padrone della regione, che la miffione d’ un CommiOàrio fuo non derogava alla fua dignità Imperiale, non pareva eOervi coperta di pretendere che derogane alla riputazione Arciducale. Non mancava chi artribuilfe il male a’Miniftri, che, non volendo il rimedio, nè per termine di buona vicinanza, nè di amicizia, nè di colcienza, nè in qualunque altro modo, non potendo addutrefcule apparenti, nonaveftèro rifpetto di dare nelle ftravaganti, purché in qualche modo impedilfero l’effetto. Il ritorno del Prainer non fu di gufto alla Corte Ccfarea, parendo che folfe con poca dignità di quella Maeftà, che una riloiuzione prefa da lei confideratamente, con aflìftenza, e approvazione ancora di Ambalciadori di altri Principi, e di uno 'cosi grande, come il Re Cattolico, c fignificata anche elprcltamente a Venezia, folfe attraverfata fenza ufar almeno qualohe colore di riverenza; e con chi ne parlava con loro non fapevano fcufarla, fe non con riftringere le fpalle, o divertire il ragionamento.- e ficcome a Venezia riufcl molefta, privando della fperanza conceputa, cosi certificò che, quando i Miniftri Arciducali rimettono qualche cola all‘ Impcradore, ‘lo fanno per futterfugio, ma tutto proviene da loro. In quello mentre gli Ufcocchi, che fono temerarj in ogni imprefa, e inconfiderati del fine che ne polla feguire, fecero molti Tom.'JJ Kk tenta x 58 storia tentativi; che, per la grande oppofizione, non poterono mandar ad effetto, le non in cofe leggiere, che non meritano di edere memorate particolarmente; ma ben occorlc quello che luole partorire la lunghezza de i negozj, quando ogni minima preparazione di arme fìa in edere; imperocché le lòfpezioni che nalcono, e la inquietudine defoldati, le minacce che alle volte imprudentemente cleono di bocca, aumentano le diffidenze ; e il lungo negoziare caula motivi di ofiefe,, e le nuove offde aUungano il negozio. Avvenne che Niccolò Frangipane, gih nominato per Capitano di Segna, e Signor di Novi, adunò in queffa lua terra, quindici miglia lontana da Segna, molte vettovaglie, e altre provvidoni; condulTe quivi le armi, e le munizioni, e tre pezzi di Artiglieria della Galea Veniera; e li fece mettere fopra le muraglie; e vi condufle numero maggiore di Uicocchì, che diede veemente lolpetto al Generale Veneto che avelfe in trattato qualche importante imprela; e fì accrebbe Ve fbfpezione, perché, dopo efler (iato rimandato il Prainer da Gratz, e pubblicato che fua Altezza non alTeniiva all' accomodamento, andò a Segna Groffredo Stodler, al quale davano titolo di Prendente, con numero di foldati, e aveva in compagnia il Frangipane. Quefh mandò a vedere la Fortezza di Scriffa; icorfe a Fiume, e a Buccari, trartenendofi in quelle regioni quindici giorni; ne ì quali furono molte andate, e ritorni di Ulcocchi da Segna, così verfo Scrifla, come anche a Novi, che milèro in gran timore glilolani di Veglia, {limando effì ciò cfTere fatto, o per qualche imprefa iopra di loro;o perfermarvi dentro per ordinario una cosi numeroLa guarnigione di Ufcocchijchefc^effata unacontimiadiftruzione deU'UoU. Ne fecero gran lamenti col Generale, pregandolo di liberarli da quel pericolo. A quello fi aggiunfe che 1* armata Veneziana, la quale (pedo tranntava di là, vedendoli quell' artiglieria dinanzi agli occhi, fi commofle talmente a fdegno, a vendetta, c a defidcrio di racquìflarla, che i Opitani, confìderata la facilità della ricuperazione, lo efqftarono all’ imprefa. Egli, per prevenire i mali desìi nolani, non fenza cauià temuti*, e per rilarcimento della pubblica dignità, le cui armi erano tenute come trofei degli Ulcocchi, venne in rifoluzione di alTaltar quella terra, e Imantellarla *, e diede gli ordini necelTarj, non loto per effettuare 1* imprela con ficurez21, ma ancora per farlo fenza danno degli abitanti Fu la terra, che é iìtuata lopra il mare, affaiita una mattina con pettardo, e Icalata così ordinatamente, che non morirono in quell* adalto di quei dentro le non venti che fecero olìinacamente refillcnza colle arme in mano ; rellarono intatte le Chicle, e 1’ onore delle donne *, fu ricuperata rartiglicria, e abbattuto il Torrione ; e le mura furono in divede parti aperte : ciò facto, il luogo fu abbandonato, e iafeiato in podelVà degli abitanti • La fama del lucceffo, come fpeffo avviene, paffò a Gratz amplificata, effendovi flato aggiunto, che foffe fiata ulata crudeltà contragli abitanti, conculcazione di reliquie, incendj, e diffruzione di Qiiele : rumore che predo Ivaì\\, cflinto dalla verità ; poiché fi videro reflatc le Chicle cogli ornamenti loro nell’ effer iftcflb ; c nella terra non vi fu veftigio di abbruciamento alcuno, Ma da quella Corte, immediate doporavvifo, fu fpedito un Corriera all'Imperadore, aggravando il fucceflb; e furono aggiunte alle querele, per qucDo accidente, altre ancora, per un'ordine dato antecedentemente dal Generale Veneto, col proibire il commerzio anche per terra; e una fama dagli Ufcocchi liudiofamente dilfeminata, che Segna dovelTe eOere aOaliu. Ulàrono ogni arte, affine di perfuadera che la demolizione di Novi folTe una rottura di aperta guerra. Alla Cone Cefarea non la tennero per tale ; piuttolio ebbero opinione che a Venezia, veduta la milTione del Frainer con ampie commillioni di rimediare, e come a mezzo viaggio era (lato rimandato indietro, fofle (lato giudicato necefsario fare qualche motivo, non per rompere, ma per eccitar al rimedio che (i andava procra(linando; non parendo che l'aver aperta la Fortezza, e 1' averla ab-, bandonata, mentre ft avrebbe potuto ritenere fenza timore che fofse ricuperau, folfe indizia di volere pafsare pid oltre.- anzi dicevano i Veneziani quello efsere chiaro indizio che lei mcC prima il Conte di Pago non ebbe penliero d' occupare Scrifsa, ma di levare folo a quella il poter offendere la fua Ifola. Ma lo Stodler, e il Frangipani, quelli, peldanno della fua terra, e ambedue forfè perchi folte prevenuto qualche loro difegno, fecero uffizi cos'i efficaci, che fu da Grata daa libera licenza agli Ufeocchi di far tutto quel male che potefsero; e a loro data facoltà di levare parte della milizia di Crovazia, per fare rifentimento : per lo che immediate in Segna rilarcirooo, e armarono tutte le b arche al numero di venticinque; unirono tutti gli Ufcocchi fparfi per I» altre terre della regione fecero diverte ù^e, ora in. molto, ora in poco numero.- non perb riulcl loro di poter metter in efietto dìfegno alcaao, perchi i Veneziani ancora erano beo preparaci, e avevano accrefeiute le lOTOforze; e quandonon potevano impedire gli incocchi daH'ufcire; ufeici. Li perlcguitavano fenza lafciarli fermar in luogo alcuno., Di tempo in tempo cha gli avvili degl' accidenti giunfero zGrat^ furono anche di Ut fpedite IlaRctte, per dar coniu all' Imperadore de'fucceffi, con interpretazione che fofscro oifele priucipalmence inferite a fua Maella; e che a lei coccalse mentirli colle armi; portando diverfe perfuafioni, per indurla alla guerra. Con tutto ciò a quella Corte non fi defilleva dal trattare negozio di accomodamento; • tutta la differenza era da qual capo cominciare; iltando i Celare!, conforme alla volonih dell'Àrciduca, che s' mcomincialse dall' apertura de'paffi; e i Veneziani dal levar gli Uliocchi dalle marine: quelli, comendando le opere fatte dall' Imperadore me la concordia, che farebbe (eguiu ; fe da altri non foire fiata impedita ; e la buona volontà di far il di piò che fi poiefse con lua dignità ; efortavano a corrifpondergli con quella dimoflrazione di onore ; confidando oeUa fua parola, acciò potelse proleguir innanzi, fenza far credete al Mondo che lo tacelie sforzato ; e dall' altra pane a' Veneziani pareva «(tc nefsuno fi potcfse dolete e di quello ch’era (lato fatto per difela, ei;blicarc il bando contra 41 Peuzzo co’medefimi termini da lui ulàti. Ma mentre era olirà il Itorrente della RoCanda, confine tra i territorj Arciducale di TricRe, e Veneto di Muglia, in dalle genti di quei luoghi avvertito «he in quelle marine erano certe faline del Pcuzzo fabbi icate, e che alla bocca della Rofanda erano fiate da chi fi fofie riedificate alcune, uhc già circa quarant’ anni di nuovo erette, furono in quel medeCnoi tempo tUfirutie come quelle che fpingevano il torentc lopra «onfiui del vicino con gravilfimo danno. Per quelle caule il Prov.veditort, non -parendogli avere iàttoalfai per reintegrazione dell’onorefuo cqiKra. if Petazzo ; e per levar le novità fitte a’ danni di quei «onfioi, deliberò di andare alla devafiazionc : e mentre chiamava in •jnio una Galea,, e congregava le barche che per l'opera erano necedàrie; difcele in quelle parti b geme che col Terlatz,e col Franco! veniva alla quale s’erano aggiunti altri ancora per viaggio, moffi dalb fperanza di rubbare : Andò il Frovvediiote con buon numeio di padani, per far l’opera, e co’foldaci, per guardarli, e difenderli. Il Petazzo s'aflaiieò per far loro impedimento,- ma non gli riufcl. Mentre però quelli fi trattenevano nelb difiruzione degli argini, b gente di ’Tcrfatz venne in loccorfo del Pcuzzo in numero di 3000. dalb -quale allaltato il Provveditore nel ritornarfi, eflèndo fopr^tto il numero tanto maggiore, non eOendo -con lui fe non 800. perfo' ne tra a piedi, e a cavallo, dopo aver combattuto, e fatto rcnUen. za a (juella milizia, gli convenne cedere alla forza maggiore, e ritirarfi in Muglia. Durò il conflitto due ore, nel quale intervenne la morte di 12». de’ tuoi con alcuni feriti, e dalla contraria con perdiu di alquanti mentre il combattimento durò dal qual lucceflb inanimiti gli Arciducali, eflendo loro anche fopraggiunto qualche numero maggiore di Cavalleria di Crovazia, fcorfero tutta l'illria ; mettendo ogni cofa a fèrro, e fuoco, e depredando, e fvaligiando tutto il paefe. Reitarono tutte abbruciate le Ville di Ofpo', Abrovizza, Bettovizza, e Lonchi; e in quella, ch’era aflai ben abitata, fpogliarono le Chiefe, guallarono le Immagini de’Santi, gettarono in terra il Santilfimo Sagramento, per afportare la pillide d’argento. Fecero l’illcfl'o ancora nella terra di Marceniglia, e ne’territor; di Barbane, e San Vicenzo ; Poche delle Ville non murate rellarono eienti dall’ incurfione di quella gente, c maflime dagli Ufcocchi, che ufarono ogn’ immanità contra le perfone, e ogni rapacità comra le cofe divine, e umane: il che loro fu ^cile, effondo la Provincia tutta aperta, ed efpolla alle fcorrerie. Per dodici giorni durarono gl’incendj, ne’ quali rellarono abbruciate, oltre alle terre nominate di fopra, Xafe, Grimalda, Rofarolo, Figarolo, Recatovi, Valmorola, Craficchia, Sacemo,Cerncza, e Barato, le Ville del territorio di Dignano, c molte di quello di Rovigno; e pareva quafi che tutto folle fatto affine di devaftare tutta la regione, acciò, combattuti poi i luoghi alquanto minuti, fblTe loro facile occuparli, e fortificali dentro. Tenurono a quello effetto l’oppugnazione del GaQello di Dra f uch, donde furono ributtati, e colli etti a ritirarfi, abbruciato il orgoj. Avvenne l’IlelTo alCaflello diColmo. Indi in maggior numero, con maggior ordine a bandiere fpiegate affaltarcno Ducallelli, come luogo- di confeguenza, dove diedero fcalata,e con tutte le forze tentarono l’oppugnazione; la quale durò quattro ore con. morte di molti degli aflaliiori, i quali in fine, coflretti a ritirarfi, polero fuoco in tutte le Ville del contorno per dove palfarano: Ma etTendo giunta milizia di Corfi, e AibaneG, fpediti immediate che capitò l’avvito delle prime devallazioni, furono coflretti gli Arciducali ad abbandonar l’imprefa difegnata di occupar l’I Uria; la quale i Veneziani, ai efa 1’ univerfale devaflazione del paefe tutto, e gli affalti de' luoghi forti, tennero per principio di guerra formale; e fi coiw fermarono poi per quello che legul pofeia immediate : imperocchi i Capi Aiiflriaci, perduta la Iperanza d’ impradronirfi d’ alcun luogo munito, lafciati in quella Provincia i Villani di PiCno, e ZiminofoDto Aianagij Callioti da Sogliaco, e alquanti Ufcocchi, e Tedefchi per dilcia delie cofe proprie, col rimanente della gente paflàrono le montagm del Carlo; epe! vallone di Vermigliano entrati nel territorio di .Monfalcone, che folo i nel Dominio della Repubblica oltre al Ulonzo, tra quel Fiume, e le radici del Carlo, e fvaligiace nuove Ville; e a fette di quelle dato il fuoco, colla llellà impieth verfo le chiefe, non perdonando alle donne, a’ fanciulli, e alle altre perfone innocenti; alTaltarono la Rocca per impadronirfene, e fermarfi quivi; fecero ogni sforzo per occuparla: il che veduto non effero STORIA riufcibile, e fopravvenuti foldati dì Palma per foccorfo, fi ritirarono nel Cario. Quelli motivi, non più di rubberie degli Ufcocchi, ma di eccelli militari dc'Capitani, e foldati Arciducali, collrinfcro i Minillri della RepubbUca, per ficurezza de i confini loro, fare camminar a Faima le milizie del paefe, c quei numero di altri foldati che fi potè raccogliere all' improvvifo quando ogni altra colà era afpettata, falvo che fentirc guerra in iftria, e molto meno in Friuli. Ma capitato l'awifo a Grata, eccitò maggior allegrezza della foUta in quella Corte; la quale qualunque volta ne’ tempi palTati ha udito avvifo che gl’ Ufcocchi avelTcro ufato qualche notabil infolenza, danno, o ingiuria, non fi è allenuta con parole, e con altri modi di moltrarne la giocondità interna, cosi pel benefizio che le veniva in parte ; come per l' invidia verfo il nome Veneto ; e pel defiderio di veder che fuccedeflero mali maggiori ; eccitando ì loro Principi a’medefimi aifetti, e a tutto quello che potelTe caufar rottura. Ma nella prefente occorrenza, parendo loro avere ottenuto colà da tanto tempo defiderata, l’allegrezza fu fomma, divifàndofi vana- ‘ mente vittorie, e aumento di Stato, e ricchezze immenfe. Rivolti però a’ configli della guerra, fu dato ordine alle genti del Contado di Gorizia, e della giurisdizione di Gradifca, che fi mettelTero in arme nelle cale proprie: Al Conce di Terfatz, e al Francol, che paflaifero ad alloggiar in quelle parti: Alle milizie paefane di Carintia, e di Stiria, che difeendefiero ne i luoghi medefimi. Conlìgliarono ancora di levar fei mila Aiduchi, che fono Villani Ungheri, con una paga fola, che non farebbe coflau -più di dicci milla fiorini; e pel Contado di Gorizia, e territorio di Aquilefa fpingerli in Friuli, nel paefe della Repubblica, e farli vivere in quello; penfando far anche cofa grata aH’Imperadore, al quale la partenza di Ungheria di quella geme fenza dtfciplina avrebbe fervito a levare gl’ impedimenti, per metter in efecuzione le cole convenute co’Turchi; e liberarlo da molti pericoli di fedizione; e a Sua Altezza farebbe flato di mollo utile, facendo la guerra fenza fpefa. Furono Icritte lettere all’ Imperadore con difcollarfi maggiormente dal modo del componimento trattato, e con avvifo eh era feguiio conflitto tra ambe le parti; nel quale ■ fuoi erano reflati fuperiori; amplificando molto il valore della fua milizia, e pregando S. M. di prendere la difefa di S. A. colle armi; mollnndo facilità di aver una preda, e intera vittoria. Ma a’Capitani, e Minillri della Repubblica ridotti in Palma, per prendere configlio fopra la difefa dc'fuoi confini, era data molta materia di conlultazione, e difficile, avuta la debita confiderazione fopra il tentativo delle genti Arciducali di foriificarfi in Monfalcone; e avvertiti del numero di milizia di Cariniia che già era giunto a Tolmino; che il Conte di Terfatz, alloggiato a Profeto colle fuq genti di Crovazia, e 'cogli Ulcocchi, fi ordinava per palfar innanzi; e intendendo che quei di Gorizia offerivano laro contribuzione con condizione che pafTaReco il Lifonzo; e che l’Arciduca aveva fpedite patenti per far joo. Cavalli in Audriay e ne i confini di quella Provincia fi congregavano di foldati a piedi i vagabondi', eponderato an- cora ancon il difegne di levare ì lei mila Aiduchi^ molto facile da efTertuare, e molto pericolofo, pofto in opera; e attefi i molti configli di guerra tenuti in Grata, e che il Conte di Sdrin s'era offerto di condurre Coliuhi, Cavalleria Unghera, lolita pure alle incurfìoni, c per queOo erano ordinate preparazioni di alloggiamenti nel Contado di Pifino; e che in Gorizia fi erano ridotti i Capitani Imperiali a configlio, correndo da più parti voci, che, quando foffero accrcfciuti du^nto Cavalli Valloni, ùtti dal Ferino in Vienna, e alcuni fanti raccolti a Gratz, che tutti erano in viaggio, larebbono palfati nel Friuli; e che eli abitami nel contado di Gorizia fi preparavano, per coadjjuvare; b videro in necelTith di prevenire tanti pericoli, e tanto certamente} imminenti perlocbè,coDchiudendodienereiniHato di necefìTaria difeia da una imminente, e certa incurfione, che, pereifereil Friuli paelc piano, c aperto, farebbe liau dannofìflVma; perù deliberarono di farfì innanzi ad occupare i podi Gtuati ne’confìni di quel Contado ac» ciò qualunque geme venifTe fode codrecta a femurfi in quello, e non potede far incurfìone nel Friuli; e il d\ xp. Dicembre fpinte le geiK ti raccolte a Palma, che fino alfora erano date tenute folo per foccorrere, e proibire le feorrerie dell' altra parte, furono occupati Medea, Sagra, Cervignan, Cormon&, Merian, Porpeto, ed altri luoghi aperti lenza violenza, nè ingiuria di perfona alcuna, mandati paciRcameme ad abitare in altri luoghi que foli che fii modravano mal contenti di quella mutazione; c furono quei luoghi trincerati, e vi fu pollo (dentro, prefidio fufiìciente per difenderli, e man^ tenerli. Alcuni giorni dopo eflendo partita quella poca guardia Arciducale ch'era in Maranuto, gli uomini della terra andarono fpontaneamcntei a darli ; e i^j^uìleja col terrkoiio. ^o fi diede, da lè ali’ubbìdìenza ien*^ za contraddizione di alcuno.. La Corte di Gratz, avuto avvifo che le miliziè della Repubblica la arano alloggiate nel Contado di Gorizia, prete di qui occafionc dà dichiarare la guerra elTer aperta; e di ciò darne conto^ a tutti i fudditi Aullhaci, e a* Principi di Germania amici, cosi Ecclefiallici, ce» me fecolari, con lettere contenenti in foRania, che avendo la Repub» blica. di Venezia inferìte diverfe ingiurie, a danni- alle terre, e lud» diti della Cafa d'AuHria fotto colore di rifarcirfi de danni dati dagl» Dlcoccht, quantunque gli efagerafiè oltre al dovere, fua Altezza, per levar ogni occafìone di difparere, aveva tempre ofata intera diligono za, per dar ogni IbdJisfazione, cosi galtiganck) i colpevoli, come meftendo buoni ordini, per impedire nuovi danni; ma che i Veneziana non crauo fiati di alcuna cola concenti.* anzi, proleguendo nelle offeie, uliMiainente avevano invaio il Contado- di Gorizia, e gliene ave» vano occupata pane lenza alcun fondamento di ragione; ma con dk fegno, e dcRderio di ulurpare Palmiì, com'era tuo ordinano cotlu» me, e icacciare la Caia d’Aufirja d'Italia; onde tua Altezza era ilata coltretu a pigliare Tarmi per confervazione del luo Stato e della riputazione propria.* Ricercava però da cialcuno alTillcnza, e ajuto, per onore della nazione, e favore della Giultizia. 1 Miniftrì prelcntatori delle lettere a^iunlero il loro uffizio, e{ponendo in panicoiare tutte le miffioni w Commifluj a Segna, e a Tom^ II LI Fuk 1 Fiume òz alquanti anni in qtia ; narrando fpezialmeote ì gaflighi, e gii ordini poAi da loro moUrando che da' Veneziani dovevano ciTer nimati baiUnti, perchè lenza quelli avrebbono gli Uifeocchi fatti danni maggiori, pretendendo di elTere provocati da loro.* maebequei Si J mori non fi erano contentati degli onelU rioicdj, infillendo in quel olo, che tutti gli Ulcocchi foflero levati da Segna; rimedio inumano, imponibile, e contrario al bene della Criftianith ; propplto non peraltro, a hne di trovar apparente preteso, per ect^iur una guerra contra la Cala d’Auflria; gii Stati, e le giurildizioni della. quale han no leinpre proccurato d’intaccare, com’ è manifedo per tante Citth» e Terre che tengono, levate a quella Sereniflìma Caia, Qhe Ugitti-, inamente le poiTedeva prima: e quantunque, per confervare la buona vicinanza, deno date dabilite da cento anni in qua diverfe capitolazioni in BrulTeUcs,in Vonnes, in Venezia, in Bologna, c in Trento, non fono mai date da’Veneziani olTervate ; e Xpezialmente, iebbene da ambe le parti fu promcITo che i fudditi dovdTero avere per terra, e per cotnmerzio libero, come le fodero di un’tdedo dominio, edi avevano aggravati i luddiii della C^la d'Àudria che negoziavano nel loro Stato con ogni iorta di novìth, con inufiuti da^ z): avevano impedito loro Tulo dei mare conira quel)’autoriilt che pretendeva iua Altezza di avere, che i iuddixi Audriacipoiedero navigare, contrattare, e corleggiare per TAdriacico con ogni li^rik, lenza che alcuno potede loro contraddire; e che i Veneziani non potedero adìcurare lopra i loro valceUi, nè in loro cau, Turchi, Giudei, e Mori dalle forze di fua Altezza, per li diritti, e ragioni che aveva in quel mare. £ in terra ancora, violando le convenzioni, avevaBo con falle pratiche, e aduzie ridotto lotto il loro dominio la For^ uzza di Marano*, e dnalmence edificata la Fortezza di Palma nel Territorio altrui centra le protedazioni del le|ittimo Signore dH Territorio t Fu anche mandato Gian Criftkao Smidlino Amhafctadore agli Sviz« zeri, per dar loro conto della guerra co* Veneziani aperta*, e richiedere a quella viaorola nazione il non permettere che alcuno fì conducede al lervizio della Repubblica : dal quale Ambalciadorc fu prefentaca in ileritto un'elpofizione, che per tutto fu pubblicata colle querele, e precenfioni di lopra narrate. E per pubblicar, e imprimere ì concetti delfi anche nelle menti de i )K>poU, fu dampata in lingua Tedefca una relazione contenente U mededme fcule de'Principi Audriaci, querele, e imputazioni nuo« ve, e vecchie contra la Repubblica, con difefa delle azioni degli Ulcocchi*, con particolare narrativa di divcrfi accidenti occorfi, accomodata però a’medenmi lenG con molta amplificazione. £ polcia ancora m lingua Spagnuola fu da pedona nominata con pubblica participazione di quel Governo mandata in luce una arttfìziola narrazione dclieiitcde cole, e ragioni co’medcdmi concetti del dominio del mare, della facoltà di corleggiarlo, della fabbrica di Palma, e in difela degli Ulcocchi. Ma i Minidri Veneziani, uditi grufiìz) eh’ erano fatti contra i lo ro Signori, elG ancora informarono i Principi prelTo a’ quali rifìdevano, e altri amei delia loro Repubblica, di quei lolo che alle co fc l DEQLI USCOCCHI z6^ fe allora profenti apparteneva*, giudicando che pienamente rcItafTe giuftificata la lua caula, quando folTe dimollrato ch'ella avefle prefe le armi per neceffaria ^fefà. Erpofero in foftanza che gli Ufcocchi hanno per un corfo di molte decine di anni diliurbato il commerzio, inquietata la navigazione, depredate le terre de’ vicini con cftrema inlolenza, e con ofTefa delle pcrione, fenza rifpetto diqualfivoglia qualità, fcnza rifguardoa’piibblici Rapprefentanti, e alle pubbliche lettere: Che oltra le ingiurie pubbliche, e i danni inferiti a’fudditi col palTareper li Territor) della Rpubblica a bottinare, hanno molTi i Turchi a rifarfi centra i Sudditi di quella, e le hanno eccitate diverfe difficolth alla Porta di Collantinopoli : die da’ Miniltri Aulliaci fono flati ricettati, confentendo loro dividere le cofe rubbate, e venderle, e donarle a' loro Fautori.- che non fi i veduto contra i colpevoli dimoflrazione alcuna, nè provvilione effettiva, per ovviare a nuove offele, quantunque piii volte l’uno, e l’altro rimedio fieno flati richiefli, e promeffi già dagflmperadari defunti, e ultimamente nel trattato di Vienna ; anzi tutte le miffioy de’ Commiffarj aver partorito contrario effetto, avendo coll’ efempio alGcurati i ladri, che mai i bottini non farebbono reflituiti, nè i depredatori gafligati,- anzi avendoli fpogliati, e refili piCi bifognofi, e avidi alle prede: ch’è colà indegna, contra ogni ragione divina, e umana, il foftentare gente cosà perverfa, e nimica della pace, e quiete: che da alquanti anni è flata fatta alla Repubblica una occulta guerra col mezzo di quei ladri nelle fue acque, Ifole, e marine del Quamer, e della Dalmazia; nelb quale, oltral’effere fiata difertau la regione, e diflurbati i commerzj, il Pubblico ha fpefo ogni anno non meno di quello che fi farebbe fitto in una manifefla guerra.- e che finalmente, veduu la rifoluzione deUa Repubblica a volerfene liberare, U guerra occulta fi è convertita in una iQoffa di arme manifefla con molte provocazioni, e oflilith inferite prima nell’Iflrb, e poi nel Friuli: per le quali, e per rifpetto delle molte prowiConi di arme ridotte in quei confini, i fuoi Capi di guerra fono flati coftretii, per ficurezza dello Stato, e per difefa dalle rubberie, e ìncurConi che loro erano minaccbte, e preparate, fpingerfi innanzi, e alloggiarfi in polli Ccuri pih prefló al Lifonzo. Non aver avuto la Repubblica in tutte le azioni fiie paflà^ te altra intenzione, fe non che le promeffe le faffero olfervatc; e k foffe finalmente corrlfpofto nell’ offervare una buona vicinanza co'fatti, e non con iole parole, per tanti anni efperimentate lenza effetti; e le cofe fue reltaffero alficurate: il che quando foffe efà fettuato in modo, che poteffe avere certezza di buona vicinanza, corrifponderebbe interamente, ritornando le cofe nello flato di prima con ogni fincerità. Fu anche divulgala una fcritimra in forma di manif» fio con fuccinta relazione delle frequenti rubberie', ingiurie, e crudeità degli Ufcocchi, e del conlcnlo., anzi della participazione de’ Mìnillrl Arciducali, e del mancamenia de’ Principi a porgere i debiti, e ptomeffi rimed); e gli artifizj co’ quali tòno fiate delufe, anzi derife le querimonie delU Repubblica e fu traitenuia dal provvedere all' indenti^ fua colb forza. Per quelli mezzi reflarone divulgati per r Europa iffi folo i motivi di guerra, ma lecaufe loro ancora colle ragioni, e prcmtCpai delle pani; onde cufeono fecondo ' b pror Ttm. Ù. LI a pria pcrfuiftoné, è inclinazione afpetrava Tcfito, c difcorreva dell^ èiuftìzia, ' >. A favore d’Auftrra, poiché gli Ufcocchi nòh potevano cITcr ftufati, le cólpe loro erano alleggerite con dire, che clTetido in padc ftcrilc, e fenza paghe, non potevano altrimenti vivere, che dclìotuni; non peri di quello poteva efler attribuito colpa a fua Altezza, che Icmpre gli ave^ va proibiti centra ’Criftuni; e che non poteva fare di piu, quando non tveflè voluto tentare di fcacciarli tutti colle mogli, c co’figUuoli, e vec-, chi ; che (arebbe (fato cola inumana: oltra che farebbe (lata impoifibile mandare ad eflèito, clTendo quella gente fiera, c indomita, c in pae(e di accélTo difficile: e quando bene folTc riufeito lo fcacciarli, farebbe (lato con difervigio della Crillianit^, alla quale era utile che fi conlcrvafTe queirantemurale contra gl’infedeli. Che a* Governato*, ri, o Capitani di Segna non potevano effer imputate a colpa le ufeite pcrmclTc loro nel mare, pferchè un capo della commilfione che fua Altezza dava ad ognun Capitano era formato con oueffe precife parole: Non pèrmetrfraì che JM fatto alcun pregiudezio alia ^iurtfdÌT^iohe nojha nelin naitigaifone ai quel tnare. E poiché altri non cranq che poteflero mantenere quella giurifdiziorie, fc non gli Ufcocchi, fi poteva dire elTere in facoltà del Capitano proibir Tulcita.* fe jpox ttfeendòv facevano dei (naie, la colpa era della rtiala confuctudi«e loro, non di chi fe ne valeva a bene : cosi avvenire in ogni luodóve i foldati dannificaho i popoli; nè però aferiverfi a colpa del Plihcipc, o del Capirano, collretti a valerfi dell* opera loro. Ma ^chè parevano tjuéfle giuflificazioni aver bifogno di c(Ter appoggia «d altre di maggior apparènza 1 acciò folTcro portate s’i, enepoteffero ^effer approvate, le accompagnavano per loftcniatnento colle prc\enfiohi vcctÀic delle convenzioni non fcrvate, de* (udditi aggravati contra i mpatti, della navigazione libera non concelfa, delle tette póflèdute dalla Re^bbUca^. ite erano d’Aultria, nominan do parte del Contado di *^Gorizia’,* C *Màftino, uliimamchte dopo le convenzioni (òttoihd!^, e Palma nel diltreito Auffriaco edificata ;còi\ Quelle fortificando le proprie nella caula degli Ufcocchi, e che (ola fi trattava, ' Ma per dìfefa de’ Veneziani difcorreva, che nel panicolate degli yicocchi ti poteva dire Iquanto ognuno voleva per iteufa dc’Govcrtetori, c di altri, che fìnalm ente rutto fi rilolveva con urta fola paòhe la caufa era di ladroni abbominevoli a Dio, e agl* nomi*%ii; ^He flon folo il proteggerli, ma anche il fopportarli, c il parlar % faVófe Cosi di loro, come di chi li fomentava, è tollerava, era \co(a it^egna ; e che la vcriA fi poteva tene palliare con àp|Ktrenza di parole -, ina in lóffanza fi vedeva ben chiaro la differenza elTcre, che unà parie dimandava di viver in pace, Taltra voleva foffentare ladroni a fpefe altrui. Che al rimediare alle (celleraggini loro coti levagli da quelle ma'rine non fi poteva dare titolo d’inumaflirti, eflèndo ufhanità grande verfb, ì miferi vicini, e i navigami, Kht da lóro 'erano (pogliati, uccifi, e coh ogni barbara fierezza trarrti. Che il levar lóro la comodici, e l’occifiohe di rubbarc eralervizio divino, c benefizio loro, cóftiii|gertdoti ad iftenerfi dall’ offende^ lua divina Maeffb: bendt^ «fipckhb de’ loro figliuoli, togliendo^ |()rq il comodo di allevarli nella itieddima {imfelinotie efccrandt; ^ levandogli dallo (lato di dannazione in cui fi Mantenevano effi, i 8, gli, e le mogli, e ogni altro abitante di quella regione. Che non fi poteva lenza ingiuria della verità dire che le donne, 0 glcuno dt loro foirero fenza colpa, poiché quelle hon fapevanti che cofa fbTe ago, o conocchia, ed ergqo incitamento a' mariti di fornire cafa col fangue alimi. Che gl’iftefli Religiofi nelle pubbiiche prediche efertavanq alle mbberie ; che del rubbatq le Chiel'e ricevevano la decima. Che in Segna, e iq rutta quella regione le pib onorate famiglie erano quelle che da pid difcoda eù traevamo Argine dg una continuata dircenden-; za d’impiccati, ovvero uccifi nell’eferciziq del ladroneccio. Che alti-' tolo d’ impoRìbilith era nuovamente inventato, e troppo' apparentemen-. te alieno dalle cole vedute; perchè, fe iólse impolfibile,' non farebbe flato tante volte promelTo. da due Tmperadori defunti ultimamen-, te .• perchè nella fcrittura del trattato di Vienna' non fi feusè Ina Altezza, della dilazione di rimoverli tutti per impqflìbiHth, nè tampoco per. difficoltà, ma diSè per non parere di farlo, coll retto. Chela pot fibilith, e fàcilith, t r utilità anche fu, mofhata dal Habatta; il che elTendo (lato da lui feoperto contra rintereffe di chi voleva mollrare impoffibilith, gli coflò la vita. Se il levarli di Ih folTe di danno al Crillianefimo, badava dire che, per cauta loro, veniva ogni giono minacciato da’Turchi di fare cofa che avrebbe meda in pericolo., non foto la Dalmazia, ma la Puglia, la Romagna, e tutta l'Italia. Che il confervare le pretenfioni del proprio Principato non era cbfa riprenfibile, quando non fofliiro volontarie, avelièro, qualche aj^taiea^ za di giudizia; ma il volerne acquidarè, e mantenere le inmagiim. rie a fpefe, e con danno del vicino amico, era cofa di chi reputava i propr; appetiti regola della ragione, e della Giudizia. Che del male fatto da^oldaci a'proprj, liidditi il Principe aveva da rendere conto a Dio folo; ma di quello ch’era dato a’iudditi del vicino, era in debito di renderne conto al danoificato; che poteva anche, feconlo il diritto delle gemi, rifare con rapprefaglie. Che l’attribuire a diicem di cacciare la Cala d’Audria d’Italia le azioni della Repùbblica, Smte per Uberarfi dalle inginrie, e moledie di quei ladri renduti incorrigibili, e intollerabili, era contrario a tutto quello che aveva vedalo il Mondo da'fucceflt di più centinaja d’anni, in qua; neflano de’ quali aveva modrato nella Repubblica avidità di dominare; ma bea rdbluto animo di mantenere quello che Dio le aveva donato. Non mancavano ancora di quelli che difendevano le azioni de’- Veneziani ne’ tempi palTati, fodentando che mai la Repi^lica non aveva mofla guerra ad alcun Principe Auftriaco, ma' folo. provocata prima, era data codretta a difenderli. Che farebbe molto difficile da mantenere. che il Contado di Gorizia, apperfcnentelalla Repùbblica per 1» motte dell’ ultimo di quella Cala, non fofre dato occupato lenza bu». na ragione. Che Marano particolarmente, foprail quale facevano, rame parole, era dato dal Re Francefeo Primo di Fnncia con ragione g>uda guerra occupato, e per più anni difelò. comra le forae di Culo Imperadcd^, e di Ferdinardo Re de'Romani unite, nnici anche i favori della Hh^nbUma. Ma quando l' elpugnazione parve impoffibile, e fucceflè pcrìedftelie cadeflc in mano di Principe, la cui vicinatnn in Digilized by Google DEGLI USCOCCHI gazione h reciproca, e debbono eflér trattati gli Aunriaci nello Stato di Venezia come i fudditi Veneti negli Stati Auftriaci; ma ben vedcrìì in quelli tempi in fatto, per non andare troppo lontano, che nel fola dillretto di Trieile fono aggravati i Negozianti Veneti pib de'fudditi AuHriaci incomparabilmente; poiché quelli per alcune merci 15. volte più, e per altre fino a ì 6. volte tanto come quelli pagano, cosi nell’ afportarle, come nell' introdurle nel paefe. Ma eh’ era ul'cir del cafo, e confelTare mancamento di ragione nella caufa degli Ufcocchi, il paflàr in altre materie; e tanto più, quanto in quelle non fi poteva dimandar efecuzionc di cofa decila, dove quella degli incocchi era ponchiula con accordato, e promilTioni. Ili quelle conirarietV di gSltri, e di dilcorfi a me non conviene il dare fentenza, né da qual parte abbiano origine i motivi di guera, ni quale d> effe fomenti caufa giulla; ovvero nelle antiche occorrenze fi fia portata con mancamento, ma bensì, come aggiunto, e lupplito alla Storia dell’ Arcivelcovo di Zara, affine di lomminiftrare materia, per ibrmaro (ano giudizio -fopra gl’ accidentu moderni, oiiginaii dagli Ufcocchi; cosi mi .vedrei invitato dall’oppartanith, anzi dalla neceOìtì dèi mio Atie coftreito a-telTerc una: bitve, e vera relazione delle guerre, e convenzioni, oflervanze, ed inolservanze delle capitolazioni per li tempi palsati occorfe tra quelli duePotentati; e in quella occafione rammemorarle, e rawiluppatle a colle prefenii, fe la Iperanza di vedere ben prello rinnovata la pace, c miona intelligenza tra i Principi, e la uanquilliih de'fudditi, non pii fàceite credere che làrebbe opera fuperflua, e importuna. ALLEGAZIONE, OVVERO, CONSIGLIO l'N IURE di Gl. Corndio Frangipane J. C. ftr la 'uiueria navale contro Federigo J. Im^adire, eJ Alto di Papa Alejfatidro III. PROPOSTA DA aRILLO MICHELE per Dominio i^Ia„Screniflìma Repub» blica di Venèzia fopra il fuo GOLFO, CONTEA ALCUNE SCRFITURE DE'NAPOUIANI. 1 TNtcnzion deirAutore di difender l’attcftazione che della StoX ria di Papa Alcflandro fa la Sedia Appoltolica nella Sala Regia, e la Repubblica in quella del maggior Coafiglio. 2 Autoritli che hanno gl’inferiori di buon zelo neirerror de’ Mag giori • 3 Dilcordia degli Storici circa la venuta di Papa Alcflandro a Ve nezia in che confìfla. 4 Modi Averli di provar una Storia I. ISCRIZIONE DE’ MARMI. 5 Stilografla deferive le Vittorie nelle colonne, e in altri marmi pubblici. Efempio di quelle di Augufto, di Irajano, ejdi Antonino, num.17. 4 Vittoria navale de Veneziani contra Federigodeferitta in un marino antico pubblico dove è intravenuta. Opere pubbliche fondano le Storie. 7 Colonne, c pietre pubbliche fanno fede certa di quel che è fcritro in elle. 8 Ifcrizioni pubbliche inducono il notorio, non eflendo contraddet te, num. 25. 5) Ifcrizioni pubbliche contraddette, num. i6. rp Pratica di contraddir alle memorie pubbliche pregiudiziali imparata da’Greci. ti llcrizioni nc’fepolcri non s’intendono pubbliche^ ma private nè fono affine di memoria pubblica y quando vi fono denuo 1 cadaveri. 12 Ifcrizioni deTepolai, fe non fanno prova certa, fono adminicolo di pruova*. (3 Maraviglia vana del Sabellico, perchè nel fepolcro del Doge Ziani non fia fatta menzione delia vittoria navale contra Federigo. Ragioni che ne’fepolcri de’ Principi, e Capitani non lì fuol far, menzione delle lor vittorie. Sepolcro del Doge Andrea Dandolo fenza narrazion delle fue imprefe. 14 Ulo de Dogi antichi, di non aver iferizione ne’lor fepolcri « 15 Sepolcro del Doge Andrea Contarini lènza menzion delle fue imprele, cos^ di fuo ordine. 16 Mctid.'icio di Giorgio Merula neU'Epitaflo del Doge Ziam a S. Giorgio maggiore. H. PITTURE. 17 Stilografla che fa fede pubblica delle vittorie è anche la pittixra. Vittorie degli Antichi ordinariamente defcriite in pittura. 18 Pittura è orazion che tace, ed è di maggior efficacia nel ri cordar, che la orazione. Tomo il. Mm 19 Pit 1 \ 2-74 ip Pitture pubbliche della Storia di Papa Aleflandro in Venezia, in Siena, in Germania, in Roma nclLatcrano, nella Sala Regia del Vaticano di quanu efficace fede fieno da per loro. (P^'Ilcrizione (otto la pittura del Vaticano. IO Congrcgazion de' Cardinali ifiiinita da Pio IV, per canonizzar la veriib di detta Storia avanti che fì dipingeflc nella Sala Regia da Giiileppe Salviati, at A’ Principi liberi fi dee creder, ne’ quali non cade mendacio, aa Dio non lalcia, che la Chiefa s'inganni per le male confeguenze, che luccedercbbono. a3 Repubblica di Venezia, che dica falfith affermano i Giureconfulti, che fia bellcmmia a peniate, non che a dire. Z4 Conluetudine di creder alle fcritture della Repubblica dove fi tratta anche del luo comodo, Autorità del Cardinal Tofco. 2 $ Pitture non contraddette dagl' intereffati inducono il notorio. a 5 Contraddizione di Federigo alle pitture fatte far da Innoc. II. nel Laterano. 27 Intelligenza del verfo d' Orazio fopra la licenza de' Pittori. 28 Effetto mirabile che operano le pitture a’ lifguardanti, autorità del Conc. Nic. II. ‘ III. C R O N I e H 2p Croniche fanno fede di quel che narrano quando è folito, che lor fi pretta fede. 30 Croniche che narrano la Storia di Papa AlelTandro conformi al le fuddette ttilografie. Cronica Delfina, e Sanuta. Cronica del Doge Dandolo allegata dal Cardinal Baronio. Cronica Alexandri/ fuo Sommario a S. Ciriaco^ in Ancona, ed a Parenzo, Cronica amica ritrovara nel Monatterio delle Vergini, num. 33. de' Ginonici di San Salvator, num. 75. Generale dell' ordine de’ Canonici Regolari, num. 32. 3 1 Epittola del Vefeovo Capitenfe fcritta al Doge Giovanni Delfino già anni 300. in circa, che fa '1 tranfunto di detta Storia da un libr 100 Libri fenza nome d’ Autore non ancora ricevuti fi chiamano apocrifi, e non fi debbono leggere. 101 Libro fenza titolo è come uno Strumento, lenza nome del Noe tajo, che lo ha fcritto, però non ha credito. tea Autor quando non vuol fodentar le cole, che dice nel libro lafciato fenza titolo, non può un altro fondarli sò detto libra per foficntarle efib. 103 Vangeli co’l nome d’ alcuni difcepoli, che furono prefenti agli atti di Grido rigettati come Apocrifi. 104 Libro di Romualdo prodotto dall’ Avyerfario ha molte, e gravi oppofizioni. 105 Stnanenti imperfetti non hanno nome di Strumenti, e non fi rilevano in pubblica forma. lei Volumi del Cardinal Baronio quando fodero imperfetti non fi potrebbono legger per le cofe, che dipoi tante volte muta, e rimuta. 107 Romualdo Autor allegato dall’ Avverfario facendo menaion d’ ecclide del Sole nel legno della Vergine, che accadede ai tempo della pace con Federigo prende grave errore, che lo dóno Ara poderior al Belluacenfc. log Regola legale per accordar gli Storici quando difeordano in un atto iterabile. Autorith, e precetto di Sant’Agodino fopra i Vangelj quando pajo. no dilcordi. lep Storie che parlano della venuta di Papa AleOTandro a Venezia incognito fcrivono, che ciò folfe avanti la vittoria fuccellà nel ii7d. Storici che fcrivono della venuta di Papa Aledandro trionfante, per quanto allega lo deflb Avvcrlario, dicono, che folfe nel 1177. L’ Avverfario per la regola legale aveva obbligo credendo a’ fuoi Storici di dire, che due fodero date le venute di Papa Aleffandro. Regola legale fopra gli atti iterabili in altre controverfie Pontificie gl. in cap. fi Petrus 8. q. i. 1. j. C. de fum. Trin. Card. Bellarm. 2-79 ^Ilarm. de Romano Pontifice lib. a. c. 6, verf. non (amen ral. dij. XIII. VERISIMILEI. fio. Argomento dal verilimile della venuta di Papa Aleflàndro a Venezia per rifugio. Ili Luoghi diverfi ricercati dal Papa per falvarfi. Ili Venezia fatta da Dio Cittì di rifugia per ialvezza dell’Italia ' contri ’l furor de' Barbari. 1 1 3 Venezia Paradifo di delizie dove i Papi ed altri Principi rifug' giti non hanno piii defìderato ni il Principato perduto, nè 4 Patria. 114 Auioritì de’Giureconfulti fonllieri. Autoritì del Petrarca, e d’altri. ilj Veneziani difendono Papa Gregorio II. e la venerazion delle facre Immagini contri Leon Imperador Iconomaco. 116 Cardinal Baronio in lode de’ Veneziani per la difefa del Papa, ' e delle Immagini, e per la lor religione. 117 Chiefa di San Marco carica di fante Immagini come trionfante contri rimperadore. 118 Certezza della Storia di Papa Gregario fa argomento verifmile di quella di Papa Aleffandro. VERISIMILE E SEGNO IL, lip Papa Onorio onora i Veneziani con titolo di Repnbblica CriftianilTima per difender la Religione, per la qual fempre crebbe. Trionfo della Chiefa per opera de’ Veneziani fopra Federigo la vigilia di San Jacopo a’ 24. Luglio 1177. Dall' ora in poi i Veneziani nel mefe di Luglio ebbero da Dio fingolari grazie. 111 Mele di Luglio per avanti infaulio a’ Romani, ed all’Italia per diverfi infortuni ^be occorrevano. Circuito d’armonia di Platone, che in certi tempi altera le Repubbliche come ne’ giorni decretar], ed anni climaterici i cotw pi umani. Ili Romani rotti due volte nel di XVII., di Luglio; nel XIX. due volte Roma abbruciata; oflervazione di Cornelio Tacito. 113 Due volte il Tempio di Getulalemme abbruciato nello ftelTo giorno di Luglio, che ora cade nel d’i di San Jacopo; ofler-, vazione de'facri Canoni, e di Giufeppe, 114 Chiefa di San Jacopo prima fondazion di Venezia per occafion di voto per cflinguer un’incendio. 113 Allegrezze, e felici avvenimenti alla Repubblica dal 11-7. in qui nel mefe di Luglio, nei quale indi ad anni 24. ella fece il primo acquifio di Coliantinopoli. (id Argomento della vendetta della morte di Crifio dal tempo mcdefimo, che intravenne f eccidio di Gerufalemme dopo anni quaranta, ed altri efempj. 117 Primo di Luglio celebrato da’ Veneziani per la fella di San Marziale, nel qual ebbero diverfe vittorie. 128 Fella della Maddalena per Tacquiflo fatto nel concluder la Capitolazione di pace co’ Genovefì ; della qual Angelo Aretino nel conf. 2Sp. I2p Fano d'arme del Taro adi 6. di Luglio, nei qual fi ccuninciÀ a ricuperar T Italia dalla man de'Francefi, e la preda che da efla gloriofi portavano via. 130 Prefa di Colfantinopoli la prima volta adì XVII. Luglio nel giorno di Santa Marina. 131 Feda di Santa Marina celebrata, nel qiul giorno la Repubblica acquidò due volte Padova, e diè principio ad acquidar il redo dello Stato occupatole dalla Lega di Gambrai. Parole della parte di celebrar detta fedivith. Prefa di Cadiglione, e Lodi dopo Tettava di Santa Marina, che cade nella vigilia di San Jacopo. 133 Capitolazion tra Collegati dove fi conferrnano gli Stati diTcrra ferma alla Repubblica fatta adi 2p. Luglio 1523. 234 La Serenidima Signoria vifita folennemente la Chiefa del Redentor la III. Domenica di Luglio, nella qual la Citt^ fu lù berata da una orribile, ed inaudita pede. Repubblica riceve vittorie, cd altre allegrezze da Dio nel mefé di Luglio in fegno di remunerazione d^l fetvizio predato a fanta Chiefa in detto mele. 1^6 Domenico Memmo, Procurator di S. Marcp, uno de’Capitani di galea che combattè nella giornata contra Federigo. 137 Filippo Memmo, Dottor, guidò Otton prefo nella giornata navale al Padre, che lo fè venir 3 Venezia ad umiliarfi la vigilia di San Jacopo, 138 Dio non ceda di dar premj a’difcendcnti difeendendo in edi S er ragion ereditaria la virrii, e meriti de’Maggiori. Sercnldimo M. Anronìo Mommo rapprcfcntantc,i fuoi Maggiori col merito, e colle virtù cfercitate ne’ fupremi carichi della Repubblica. 140 Creato Principe la vigilia di San Jacopo miracoloramente, nella quale per opera de’ fuoi maggiori Papa Aleffandro pofe il piè fui collo di Federigo. 141 Portato fuora il dì feguente dal luogo dove Papa AlefTandra fece il detto atto trionfante a Ipargcr oro e argento con /ingoiar applaufo di tutti gli ordini della Cittk. 142 Dio ha voluto dar fegno di raccordarfi del merito pel fervigio di Santa Chiefa. Efempio che di quanto ben fi opera fi crafmecta il merito an-^ che 3 i poderi ben lontani. // del Sommario^ PER LA storia DI PAPA ALESSANDRO IIL Pubblica nella Sala Regia a Roma, e nel maggior Configlio a Venezia, ALLEGAZIONE DI CL. CORNELIO FRANGIPANE J. C. Contrd h narraj^one contenuta nel Duodecimo Tomo degli Annali Ecclejiaftici. Deus aferiat labia mea ad veritateìi. Leu NI penfano fottrarre alla Sereni/Tima Rcpubblica di Venezia il fondamento delle Tue prerogative ) fé impugnano la veritk delia Storia di Papa Aleflandro III. venuto qui profu*. go dalla perfecuzion di Federigo I. Imperatore, rimeflTo in Sedia, dopp la vittoria navale centra quello ottenuta dal Doge Ziani. Nel che quanto s*ingannino ognun potrb veder, c coaolcer dalla noiira Allegazione del Mar Ubero fcritta centra il Valquio, e Ugon Grotto, Autore del libro intitolato : Mare liherum * e centra altri : tanto ancora s'ingannano, negando quella Storia, dove, in vece dì acutezza d’ingegno, cortezza, e ^arlitb ne mollrano • Alcuni con femplicc narrazione diverfa, altri con alTai poco penetrar di penna, ma a guila di Scorpione, la pungono; altri fcrivendo, non mano, ma calcio par che adoprino, cosV l^n calpedano. Aperto morte la impugna 1* Autor degli Annali Ecclefìadici, collantemente, intrepidamente tanto, che egli, come foldato gloriolb, avanti che combatta, Tuona la tromba, vantandoli di doverla far conofeer una impodura ; quafì, per ingannar il mondo, Te l’abbia fìnta; e dice di proporre una pietra Lidia da paragone, per conoicer la veritb dal mendacio. Ma fe fìa tale, o elitropia del mugnone, efamineremo nella prelente Allegazione. Non redo però di compianger PAutor in molte parti de’ Tuoi volumi, che, ùtrovatafi una teda come di acciajo a tanta fatica di Icrittura, Opera già grandemente defìderata ( come riferifee il Cario ) da’ Padri nel (acro Concilio di Trento; dovendofi impiega^v re in avvivar' le memorie di fanu Chiela, e de' Tuoi Fedeli, e Tomo IL Nn devoti, col raccontarle cofcfucccfle, come è oggetto de gli Scrit» tori delle Storie; fi è affaticato in alcune fcriver contra il co appiglia alla narrazione di due Autori uovati da nuovo, contemporanei ( com' egli dice ) del fucceflb ; 'uno i lenza nome, che [crive i fatti di Papa Aleflàndro ; l'altro i un Romnaldo Arcivefcovo di Salerno, che fcrive le Cconicke del Mondo; i quali Autori dice anche elfer Dati prefenti.- parò gli elàlta come tedimonj maggiori di ogni eccezione, che lor non G pofla dir in contrario; da’ quali cava che Federigo I. Impeindore l’anno precedente, che fu del tipd., vinto con gran (Irage da’Milanefi, non Papa Alelfandro, ma eUQ era che fuggiva ; e ili quel che mandò a dimandar pace al Papa in Anania; e che il Papa, aifcntendo, non profugo, .ma trionfante venifle a Venezia accompagnato da tredici galee dd Rè di Sicilia, che lo conduBcro pel mar Adriatico in lllria, e poi a San Niccolò del Udo, dove il Doge Ziani io andò a le-, ^ar, e io condulTe dentro a Venezia: indi che andalfe a Ferrara, e poi tornalTe, q che trattalTe coi Minillri Imperiali la pace ; vi venifle l’ Imperadore, e che la vigilia di San Jacopo andafle alla Chiefa di San Marco a baciar il piede al Papa; il quale il di feguente a richieda dell’ Imperadore cantalfe la Meda, e fermoneggiade in un pulpito ; e le parole che Latine diceva, acciò, r imperadore le intendede, un Prelato gli replicava in Tedefeo ; e vi narra di mofebe, e zanzare, e di altri liroili particolari accaduti, e la dimora, e la partita de’ detti Principi. Quedi due libri vuol che fieno una pietra Lidia da conofeer la verich dal mendacio delle cofe che narrano le Storie Veneziane. Ma quelle per principale, e in fodanza, dicono.- che Papa Alcdan-. dro fuggidc incognito per fua compiuta ficurth a Venezia che per lui, divotamente ricevuto, la Repubblica mandade AmMfeiadori all’ Imperadore per uffizio di Pace : che non folo non la conccdcde, ma che m andade un’ armata verfo Venezia, perchè gli fi dede nelle mani il Papa ■* che la Repubblica armalTc, c gli mandade il Poge Ziani contra : che combattede, che vincede, c che menade cattiva l’armata con Otton Figliuolo dell' Imperadore, che ne era Capitano, prigion a Venezia : e che egli, mandata con compagnia di Senatori al Padre, fodc mezzo di coochiuder la Pace : che 1’ Imperador venide a Venezia a geitarfi a’ piedi del Pontefice, il quale gli mettede il piede fui collo, dicendo le parole del Salmo Super afpidem &c. che l’impeiadore gli Tomo II, Nn z rifpon. f irppndefTe che ’l Papa gli replicafle, per la qual azione folTe iHituita la folennick di Spofar ogn’anno il Mare. Narrano anche la conccITtoD delie infegne che in cerimonia la Sereninima Signoria porta, e delle Indulgenze: ma il lodo che vorrebbono elpugnar è la vittoria ottenuta centra l’Imperadore; chelaltre circoHanze poco rilevano, fe non in quanto che Ibno adminicolo della prova principale. 4 £ perché a provar le vittorie li fbgliono allegar opere pubbliche de’marmi, o delle pitture, dove, lucccfle, dcfcriverfi fogliono, o Croniche, o Storie, o felle pubbliche, ofatna, che, correndo, e Tuonando, a guila di fiume, nella poHerith fi diffonde, e ne perpetua la fede, e la memoria loro; benché una di quelle at*. tellazioni ci ballerebbe, le addurremo tutte; così ben e fondata la verità di quello iucceiro; e mollreremo che gli Autori i quali pare che ferivano fin in contrario, ne prellano il confenfo, dato anche che fufTcro legali, e degni di tffer creduti. 5 La prima pruova fi chiamava iStilograha, che é, quando, fuccelfa la vittoria, fi delcrive in colonna, o altra pietra che fi mette in pubblico. Quello titolo predò a'Settanu Interpreti ha •1 quinto decimo Salmo, dove Teodoreto dice: Columna Vincen „ TiBUS quoque nigitur ceeUta Uttem nefcìentibus, viCiorism^ indi-,, ctmtibus • Come anche ordinò Augullo, che le fue imprefe fece fcriver in colonne di mecalb avanti il Tuo Sacrario. Se ne veg^ gono anche di altri Impcradori, e Re per tutto il mondo. La vittoria contra Federigo l'abbiamo dcfcriira in una pietra a Salbore affida alla Chiefa avanti la quale fucceffe la giornata: le lettere fono antiche ; e quando fu polla, 1 ’ Iflria era nel temporale fotto il Patriarca d' Aquile)a .* in ella i feguenti verfì leggono: Hbus, porut. 1, celebrate locum cìuem Tertius olim Factor alexander donis coelbstibus auxit. Hoc ETENIM PELAGO VENRTAE VICTORIA CLASSI DbSUPER ELUXIT, CECIDITQUB SVPBRBIA MACNf Indvpbratoris Federici, rbddita sanctab ECCLESIAB pax; TVMQVB FVIT IAM TEMPORA MILLE Septvaginta dabat centvii, sbptemqve supernvs Pacifbr advbniens ab origine carms amictab, Quella pietra, a ragion di Scoglio, l’Autor degli Annali ha fuggito di toccare, perchè certo, le ci avede ben penfato fopra, non farebbe andato ramo oltre a fcriver come h^ prclunto; perché quello folo ballerebbe per piena fede, c tcflimonio, quando anche altro non ci fode: al che tutti gli uomini ragionevoli, e legali fon tenuti a prcfiir compita fede, perché quelle fono vere pietre Lidie da far conofeer laverith dal mendacio, fenza le quali è ncceflaiia alcuna Storia ^ per atiellarci la verità, fecondo „ Ciuleppe ad Apirne, che dice. Eo quod ab initio non fuerat jìud'tum apud Gr^cos publicas de bis qua femper agunttsr proferre con-,, fcriptioneSy bec etenim praeiput (T erroremy poteflatem merendi ^y pojìsris vetus aliquod volentibus fcfiptitare cencefpt\ però dicono le „ Glofe, c ì Dottori.* Sì in aliquo Lapide, vel columna inveniatu „fcripn. Jqriptyra ejì éàbihenéa, in c. fané in vcrb. dijiich 24^ q, 2, et in c, cum cavjja de probat. et ibi omnes Scribenres» Speatl. de prober. •ùidendumy num. 12. taf. in l. fané, num. 26, ff. fi cert. petat. Aret, infi. de eHion, §. psneles^ num. 2. H/ppol^r. in l. prenatn, §, in rationibus. C. de felfisy Ù" de probar. num. 191. Hier. de Monte de finib. cap. 61. per totum. Mefeard. de pròbar. conci. 105. pofieaquam, nu. IO. Ù" conci. ^99. confineSy num. 5. et allegata per Cagnol. in I. 2. num. 6y. ff. de orig. jur. Ò*pcr Potjfdorum Ripam obfervar. 6%, Craver.de antiq. tempor.par, l. verf. oB/rva daruTy man. 13. traB. ro, vj. fol. 141. ) dove dicono U 8 ragion dcllcfficacia di tal prova. Talis fcriprura in Lapidibus^ aut ^y cofumnis publice apparet y (T inducit nororium: ob id impuratfdum yy viderur et de cujut jnajudicio agiruTy cùr non contradixerir y come . fece lo ReiTo Fedengo, il qual contraddìlTe alla memoria, e iferi 9 zione che fì trovava nel palazzo Laterancnlè ; tenendo egli, roa centra ragione, che foffe pregiudiziale alllmperio.* di che lì ragionerà più ^ ^Hb; e come è il cafo che narra il Coppola. ( de fervir. urb. prted. c. 70. nu. 9. ) Quella pratica forfè fh apio prefa da' Greci, come da quelli da^ quali fì hanno, imparate le altre leggi; (A a. ^ de orig. /ur. T. Uvius dee. \. lib. 3. Dio. Halicarnas. lib. io. } perciocché i Mantinei, avendo fatta giornata con i Tegeati preifo Laodicea convittoria incerta; ìTegeari, a che chi leggeva le ifcrìziont de'fepolcri pcrdefse la memoria.* di che ne artefta Cicerone: ( de feneBurv in princip. ) „ fepulcbra legens vereoTy quod ajunty ne perdam memoriam: onde di certa forta di memorie ne'lalfi vicn detto ap prdfo Digilized by Google ^86 ALLEGAZIONE preflb Tacito* prò fcpulcèrh fpcmuntur ( lìb. 4. ) Con tutto ciò non fono tanto prive di fede, che non diano adminicoio di pruova; come, per provar il buon fucceflb del fano di arme delTaro, dei qual fi parlerà infra al num. jip, il Guicciardini addace la infcrizione del fepolcro di Melchiqr Trivifano qui nella Chicfa de’Frati Minori: per i’acquillo di Ceneda facto dalla Repub" blica, oltra altre pruove, fi adduce i’epicafìo nella fcpoìcura de! Doge Tommafo Mocenigo t S.S. Giovanni e Paolo. ( Mafcard, (ie probat. con. conpnes aum.n. Guicciard. bijì. lib. z. Onde, fe non li cava fe non tal qual pruova delle cofe dalle ifcrizioni de’lepolcri, non doveva il Sabellico, contrario a sé llcf^ fo di quanto ha ferite* nella Storia Veneziana, nella univerfai che fcrive ( lib. 5. Eneadc p. ) maravigliarn che nel fepolcro del Doge Ziani non li facefle alcuna menzione dì tal vittoria; perché loimlTione in fimilì luoghi può venir da diverfe caule; o da umiltà, o da grandezza, che balli a dir il nome del perlonaggio che fì rinchiude, come quel che, dettoli nome, dice carera norunr Ù" Tagus, et Cnages, Scrive il Guicciardini che Gian Jacopo Triulzio, tanto celebre Capitano, non avelTe altro Icritto nel fuo fepolcro, le non, in quello eflb ripofTarfì chi innanzi non s’era mai ripofato. (lib. pag.^po.) Può ancora avvenir una tal ommilTione per non render ingrati i fepolcri a’vinti, ed efporli alla loro ingiuria, col commemorar le vittorie oi'« tenute: perlochè Ciro, Rè de'Per/l, nel fuo (epolcro, dove loit „ narrate le fue gtandezze, vi fe in 6n aggionger : Jra^uc ne miI, hi ob hoc monurnentum invideas rogo. A quello fin nel fepolero del Doge Andrea Dandolo, che è nella cappella del BattiHerk> di S. Marco, fu tralafciato l'Elogio fattogli dal Petrarca, che £ l^ge nella pillola 25. foritia al Bcnimendi, Canccllier grande, che ne lo aveva richiello dove commemorandoli le fue im' prefe di Candia, del Tirolo, dciridrìa, di Zara, della rotta data a'Gcnovclì a Sardegna, fu tralalciato, e poHovi quel che al prefente fi legge, dove non fì Hi menzione veruna di quelle im14 prefe. Oltreachò, è flato ufo de Dogi antichi ne’ lor fepolcri non metter nè ornamento Ducale, nè anche il nome proprio, come neirillefsa cappella fì vede quel del Dcge Soranzo. Il Doge Andrea Concarini fepolto a San Stefano nel claullro non vi aveva ornamento Ducale, nè veruna lettera; e pur fu quello che liberò la Patria daÌi’alTedÌQ con vittoria cost fìneolaro, e al tutto "^ifognofa centra i GenovefìaChioggia. Scritte da me le fuddetee cofe, mi è venuto a mano il Libro della Repubblica del Cardinal Contarini, il quale nel Libro primo in quello propofìto cosi fcrive: „ Mk gli Antichi nollri tutti di uno in uno confenti-,, rono dì aggrandire la Repubblica fenza aver rifpetto dell' utilità pri-,, vata, e deironore. Da quello cialcun può far conghiettura, che,, nclTuna, o molto poche memorie di Antichi fono a Venezia, di „ uomini per altro chiarilTimi in cafa, e fuori: dirò un’efempio fo„ lo, tra molli, di Andrea Contarini Doge, mio parente, Al lem-,, pQ della guerra Genovefe, importantilfìma, e pericolofìfìima di „ tutte, con incredibU fapienza, e (ingoiar grandezza di animo, „ lalvò. z 87,) falvò la Repubblica; e data loro un^ grandifllma rotta, fracafsò yy i nemici gii vitioriofi, tutti, o ammazzati, o fatti prigioni. Confervata la Patria, ordinò nel Tuo tcllamenio che alla IcpoU yy tura fua, la qual ancora al «fi d* oggi fi vede a San Stefano, yy non fi mctteffero alcune infegne, nè armi della famiglia noUra; yy ma che pur ivi non vedrai fcritto il nome di $j gran Doge. Il nome, e adornamento, che ora fi vede, è per opera di Jacopo Contarmi, Senator di riverente memoria ^ il qual, tutte le buone arti, e ogni virtù amando, ravvivarle fi affaticava : Egli fù il promotor, coadjmor, e mantenitor del Bardi, che le la raccolta della Storia di Papa Aleffandro, alla qual però TAvverfajdrio non fi ha fapuio acquetare. Qu'i non debbo ommettere lo sfacciato mendacio che contra le predette cale dice Giorgio Menila ( Uh, 6, Ccograpb, Jivc anriq. Vicheom. ) che nell’ Epitafio del Doge Ziani, dopo aver numerate le vittorie ottenute da altri, di queffo fatto di Papa Aleffandro. non dica altro, fe non : kinos conjunxir gladios : fc quello folle vero, forfè avrebbe qualche ragion effo., e il Sabellico di dubitare. Ma la Icrittura è molto diverfa; la qual, avanti che fi. perdeffe nella nuova falbrica della Chiefa di S. Gregorio Maggiore, il Sanfovino, tanto benemerito di quella Citt^, nel dar conto delle fuc preclare cole memorande, l’ha regifirata nel libro quinto della fua Venezia; non mi difpiacerb, qui fcrivendola, farla legger, per convincer di tanto mendacio l’Autore, qualunque i verfi fiano, f/ic Dhx egregiwr, fapicnSy dives cenerefeity Vivir cum CbnJÌOy Mundo. fua famrn_ nhefeity Sebafìianus vochatus in orbe ZianuSy Cum Papay PrincepSy CleruSy ^tebs Jbunc rccolebaty JnJìut^ purusy cajìusy mìfisy cutque placcbap. Confitto poilcns, bona planrans, et mala tollens, Robur amicorumy patria luxy fpei mìferorum Et flos cun^orumy Duk eteClus Venetorum ', Binos eon/unxìt gtadioSy O' more rcfulfty Etoquìum fenfus, bonitas. degnila cenfus, liti parebanty nulla •virtute cartbat. Dove le parole : mundo fua fama nitefeh, cum Papa Prineeps Jbunc rccokbat \ bona planrans y et mala tollens, robur amteorum, fpes miferàrumy binos conjunxit gladios y non venendo a nomi particolari, per li rifpetti gi^ detti, ma applicate al fatto tanto notorio, come era allora, ed è al preleme, pur troppo ballano : maflime che fotte di Ini non vi è da raccontar altre vittorie, nè fatti notabili, come afferifee i! Merula.. II. Seconda fiilografia è la pittura roeffa ne’ luoghi pubblici, dove 17 fi deferivono le vittorie ottenute ; come quelle marittime di Agrippa, che le fè dipinger nel portico di Nettuno ; quella di Gracco nel tempio della Concordia .• ne’ pubblici, trionfi ancora fi poruvano .• di quella di Meffala, di L. Scipion, di Ollilio Mancino Ch menzion Plinio ( lib. 30. cap. 4. ) : quelle di Tramano, e di Antonino, lono defericte nelle loro colonne a Roina, ma con figure di mezzo rilievo in marmo, che ancora fi V veggo x vedono : quefla fk fede, come le lettere feoipire neTaHì, non efl^do altro la pittura, che orazion che tace, c Torazion pittura che parla* onde i Greci, non facendo differenza da Pittura a Scrittura, come confìdera il Cardinal Paleotto, ambe le chiamano yp^m : anzi per memoria ^ piu efficace la Pittura, che la narrazione in iferitto, come fi vede nell' uio della memoria sSartifiziale, che per via d’immagini lì fupplilce alla naturale .fopra che dice Qiiintilliano : ( Uh. ii. cap, 3. ) pidura taccns,, aÙus y Ù" babhui femper cofdem Jic ìntemos penarat affehius, uf „ ipjam vim dicendi nonnunquam fuperare videatur : „ dove i Padri nel Concilio Niceno fecondo differo : „ major tft intano, quam „ orario ; atque hoc providentia Dei conttgu propter idiotas bomiftes, perche fervono per lettere degli ignoranti. ( j^dion. 5. Concilior, rom, 3. foi, 501. c. ptriatum de confecr. dijì. 3. D. Tbom. %. a. q. P4. arr. 1. primum. CapcHa Tbolofan. q. 303. Ct* allegata per Cardinalem Paleottum de Jacris imaginihusy et profan. lHt*l. cap.^» Frane. Curt. de feud. par, j. in princ. num. i6. (T per Cepollpm de fero. urh. prsd, c. in f. ( 5 * per Dod. in c, l. in prin. ae pace Ijtenend. ) Dove l’Alvarotto, volendo addur teffimon; della verith di detta Storia, dopo aver allegate fopra ciò le croniche, e gli annali de' Pontefici, allega le pitture che la deferivono in Venezia, e in Siena.* „ Ut de prxdidis pa/ee in aula folemni Civitatit,, Venetiarunìy uhi bac bifiorta mirabÙiter pida ejl. Fraterea dieta,, bijioria fatU diffufa in aula Civitatis Senarum, ex eo quoà àidut „ Papa jilexander fuit nationc Senenfis. Così anche altri, come teffimonio degno di fede, allegano dette pitture; Ermano Schedel nella cronica ffampata in Norimberga, Giovanni Stella nelle vite de'Pontebci fotto AlefTandro; Erancefeo Modello nel libro z. della fua Venezia di Pietro McfTia nella vita di Federigo ; Remigio Pofliilator di Giovanni Villani, per fuppiir quel che ivi manca { Uh. 5. c. 3. ): ma Francefeo Sanfovino nella Ina Venezia vi aggiunge quelle di Roma coq le fue inlcrizioni : dice eh; ve ne era una nel Palazzo Laterancnfe con alcuni verfi ; gli ultimi de’qnali dicevano: Naw pRorucus Latet in VenetJs tandem manifejlus Regi Romano pacifeatus abit. La ifcrizione fotto la pittura del Vaticano nella Sala Regia così dice: „ Alexander Papa III. Federici I. Imp. iram, bt,, IMPBTUM FUGIENS, ABDIDIT SE VeNETIAS J COGNITOM, BT A,, SENATO I’ERHONORIFICE SUSCEPTUM, OtHONE ImP. Fìtto NA-,, VALI PROBLIO A VeNBTIS VICTO, CAPTOti. FeOERICUS PACB „ FACTA SUPPLEX ADORAT, FlDfeM,ET 0BE9IENTIAM POLLICITUS. 5, ITA Pontifici sua dignitas Venet* Reip. beneficio re„ STITUTA. MCLXXVII. ■2.0 B perchè non fi creda che ciò Ila flato capriccio del Pittore, come vuol inferir T Autor degli Annali, è da laper, prima che detta Storia foffe dipinta, c col predetto Elogio fottofcritia, fu da Pio IV. ordinata una congregazione di Cardinali, tr^ i quali entrava 1 ' Illuflriflìmo Cardinal Sirletio di veneranda xnemotia .di che me ne diede conto Marc’ Antonio Gadaldino, luo fapula m, c Digitized by Google DEL FRANGIPANE. z8p re, e gentil* uomo letteratiflimo : quefli fecero dìIigentUTimo proceffo degli Scrittori, e delle fcritture, come de’tcHimonj degni di fede, in guifa che fi dovefle far una canonizzacione, e in quella maniera che Dio non lafci fallar la Chiela nelle liie.aP ferzioni : pervenuto il Pontefice in fondatiilima cognizione di verità, ordinò la pittura a Giufeppe Salviati, Maeflro celebre, e ringoiare, che da Venezia fb chiamato, e di tal lavoro mi dilTe aver avuto mille ducati, che non fi fpendono cosi in meri caprieej de’ pittori* £ .perchè la pittura cosi ordinata dee far pniova, e piena fede; Aleffandro VI. fè dipingere in una loggia dì Cafiel Santo Angiolo rofTequio, e la riverenza di Carlo VIU. fervente alla fua Meflà Pontificale, acciò tal cerimonia fi confervafle nella memoria de'pofleri. ( Guicciard. lib. i. car. 35» ) 21 Quelli fono lenimenti pubblici rogati db Principi iit^ri, e che non co(^ofcono fuperiore; che la lor gloria, e grandezza è la liberti/ ne’ quali quando cadeffe mendacio, imbrattar il lo ro fplendore; perchè è qualitb quidditativa di chi è libero non dir, fe non verità; come è qualità fervile dir il mendacio. 12 Però dicono t facri Canoni che Pio non lafci mentir la Chiefa Romana, (e.srcHm, gi. m Z4. 1.) alla qual anche fi convien quel che fi dice delle perfone pefate, e. gravi; Nm éiirJ il fsljo effetti il fntdtntt. Qui corre la fleffà ragione che cade, fe occorrefTe feoprir un mendace nelle làcre Icttercj delle quali dice Sant’ Agollino {inEpifl, MdHi lamente, non fuggitivo, non è da tralalciarc il tdlimonio di Pietro dalle Vigne, il quale 6or'i in que’ tempi,, nè maneggi, c negozi dell’Impcradore con Sanca Chidà ; nel principio delle Tue piitolc, dove intieramente è regiArato il c. ad apojìoiico de te jud. in 4. dice!,, fece ( Federico ) uri altro Papa ^ e pìife altri „ Vejcovi nelle Chieje dell Imperio^ ma alla fine andh a ({inedia y ove,, il diritto Papa era FuciTO, e li fece fuo comandamento : “ la qual autorità (i può -aggiunger a quello che di quello dice di aver villo il Bardi; cioè, nella vita deU’Imperador che fcrive, fa menzion della prefa di Ottone. Con quella AclTa regola rela^'tum cenfttur in referente fi poObno legger i Commentatori di Dante, luoi fcolari, che furono gih trecento anni, nel commento del I^ndino al canto i8. del purgatorio, i quali egli afferma aver veduti, c ad unguem ferivo la detta Storia come i Venc. ziani la narrano e dipingono ; parte de' quali regìAra il Bardi con molto numero di altri Storici che in conformità fcrivono ; ^ al quale aggiungerò i feguenti da lui tralalciati colle confidera2Ìoni fopra alcuni che egli fimplicemente nomina : quanto agli ^paltri, che egli allega, intendo, per corroborazione della verità, che qui lì abbiano per rcpetiti. Benvenuto de’ Rambaldi, Autor di trecento anni, nel iuo AuguAal, che irà le opere latine del Petrarca fi legge lotto Federigo, Icgue detta Storia / e in fine dice: „ Alexandram Papam perfecutuSy apud Veneros vitlusy “ (?*r. 40 che è (guanto piò difiiiiamente fcrive il beato Antonino nella ivia 'Storia; ( p. 2. tit, 17. c. i. io. in fi, fot, 214. ) „ Cum Friyy deritut Imper, veniret ad Urbemy Alexander y timens ejus potentiamy „ Fernet ias refugity ut manut e/us evaderet : fuper quo indignatus Jm~ „ perator y armavit cantra Venetot claffem, cui prafeùt Otbenem fi»,, iium fuum ; 0 “ ad repofeendum AlexandrurH Pontifkem mijit. Fe~ rum Otbo fUius Imper. primo concurfu navali prodio fuper atw J yy Clajfc Fenetorum, qui juvabant partem E(cUf$te .SanSìx, Ù" Aleyy xanàri, captus, duéius ejì Fenetias. Anno autem fcqueuti, procurante Otbone filio Imp. qui captus erat, ablata e(l dijjeafto inter yy Papam, Imperatorem ; et faHa afì pax, indeque magnus ■ bonor,, et gloria fecuta funt Fenetos, quibus ad ptrpatuam tei memoriam „ Pomifex Jummus quadam injignia perpetuò ferendo donavd, Miror „ autem quhd nec Fincentìus in fpeculo bijìorialiy nec Joannes de Co. yy li faciane mentionem. “ Dove è da notar che fcrive la fuga di Papa Alclìàndro a Venezia; la vittoria avuta contra l'imperadore; e la prefa di Ottone fuo figliuolo. Si attenda ancora che la battaglia fu un’anno avanti la pace fatta ; e che in quello luogo non vi metta il calcar del piede del Papa fui collo dell’ Impcradorc; il che riferilcc poi in altra fcritiura, come diremo ai luo luogo, ai num. 55. Oltra ciò, la maraviglia che fa, che Vincenzo, nè Giovanni di Coli, non abbiano tocca queAa Storia. Confidcrafi poi la gravità dello Storico, che è Teologo, e verfati 01 ino in tutte le Storie, avendole fcrìtte dal principio del Mondo fino a i fuói tempi. 41 Nello fiefib tempo Laonico Calcondila, Areniefe, nella fiia Storia Greca al lib. 4. fcrive dello fiefiò fatto, come i Veneziani hanno meno in Sedia Papa Alefiandro dopo la vittoria ottenuta centra Federigo, il quale chiama Re barbaro, infinuando il fuo cognome di BarbaroUa. 42 £ perchè gli Scrittori delle Storie dicono : lUud veritash „ bijìoria Jifftum eertum effe y fi de iifdem tebus wmes confentiant : „ ( Jofepk. cMtTM Apptenem lib. j. ) emnes fcilicer y ^ued a pluribus yy dignieribus ( gl. in eap, de quibus. difiin. 20. r. in eanonicis. ^ fui dem de conjecr. difi. 1. Barbai, cmjtl. 12. illum num. 21. W. 4.) Reciterò alcuni, olirà i predetti, che feguono la detta Storia forelheri, e alfai interefiati per l'altra parte, che, non elTendo vera, dovrebbono piò lofio contraddire; e fono di tal graviti, che il Mondo lor crMer fuole ; anzi alcuni dì efll come tali fovente fono allegati dall’ Avveriario. Raffaello Volaterrano in due luoghi ne fcrive, ( Urbanor. •commentar, lib, ^ et 27, ) il quale è da attender, come quel che aveva alle mani, e verlava i libri della libreria Vaticana, come egli attefia nel lib. 3. nè fi è ptinto moflb dagli firaccioni de* libri, come ha fatto rAvverfario, fe pur vi eianoi al luo tempo : ha dedicata l’opera a Papa Giulio li. in faccia del quale, e di tutto il Mondo nell’ arringo di Roma fcrive detta Storia eOer fuccefia come la narrano i nofiri 43 Scrittori : così fono lo fieffo Giulio II. ha fatto Giovanni Stella nelle vite di 230. Pontefici che fcrive. ]acopo Spigellio, Tedefeo, parlando di Ottone dice : „ fttem cateri Scripteres y et e»*,, temi y ò" nofiri, ■ vi&um navali praiio a Venetis ajunt in caafit „ fuijfe fuibd fiater ex diutina difeordia in Alexandri Papa gratiam „ redierit. ^ ( >« Scbolm ad Gumermm lib. 1. de gefiU Fnderici ) Ertemano Schedel) Tedefeo, nel fuo volume De biflortis atatum mtmdi fol,t%i. Rampato in Norimberga, fcrive parimente la prefa di Ottone, e la pace feguita per opera de’ Veneziani. Alberto Cranzio, Autor diligemiffimo delle cole idi Germania, che Icrive, fpefib allegato dall’ Avverfario, fegue la detta Storia, e dice ( Metrop, Saxon. lib, 6. cap, 37. „ Annui erat feptuagefimus fe„ ptimnSy Ò" Eufebii contìnuator tradir, oSavus, ut AH nonni pofl „ mille eentumy cum- Imperaror y capto Otbone fiUo, quem rlajfi prg*. yy fecity Veneta classe intercefto, Vbnbtias, ubi erat fummus yy Pontifex Alexander y ebeoucto, de pace, Ò" reeonciliatione tffira*,, citer cogitavit. Il Contìnuator di Eufebio dice lo fieffo tutto di diretto contra quanto vuol affermar rAvverlario; come Martin Cromero nella Storia di Pollonia, ( lib, ii, p, 2. ) e gli al44legati dal Genebrardo nella Cronolt^ia. ( lib» 4. foL dii. ) Vi fi aggiungono altri forefiieri, Giovacchimo Becichemo, Scodrenfe, nel fuo panegirico; Gregorio Oldovino, Cremonefe, nella fua Venezia al lib. 3. Orlando Malavolta nella Storia di Siena p. i, lib. 3. car. 34. tien quefia narrazione per maggior verirh. Modernamente Giofeppe Bonfiglio, Cofianzo, Cavalier Meffinefe, nella Storia Siciliana p. i. lib. d. e p. 3. lib. 2. e per ultimo i Padri Digiti. by Googlc DEL FRANGIPANE. Padri Gefniti, nel cui feno ora unico refugio hanno tutte le fcienze, dottrine, e buone arti ( minalecito, quando allego uno di cflt che Icriva, allegarlo così in plurale; poiché i loro Icritti non cleono, le non purgati, ed approvati dagli altri) dicono per cola chiara, lenza veruna dubbierà, parlaiido de* Veneziani : „ licere Fi-,, itum F edntci Aembarbi Otbonem^ captumque ohulere AUx. Ul.Pon„ tifici^ ijui Vertetias Profug&rat. “ Marrmus del Rio diftfuijitio. Ultimo, lalciando altri moderni, non lafeierò di allegar anche i noltri Giureconfulti, i quali léguono la detta Storia, effendo Autori di profcHione, dove fi tratta di roba, e di vita, che gli uomini pih cauti, ed accurati; e Mrò degni di efler leguiti in quel che Icguono. Pietro Ancarano, IX}Cror antico, nelle lue letture canoniche {in c.i, nu.io. de conjìit.) facendo mcnzion di Papa AlelTandro, dice tanto, quanto balla per confcrmazion della Storia : „ prò quo Vr.NBTi arma fumpfere,, contro Imperatorem Federirum y Ò" ohinuerunt in beilo. ^ M. Antonio Pellegrini de ;wre fijci nel tib.Z. ai titolo de mari num. i8. fìt la iìefla narrazione. Camillo Borello nel volume fuo de RegisCa tboltci praftentiay al cap. ^6. num. a^4. allega, e iiegue Angelo Mattiaccio de vta jurisy nel lib. i. cap. ^6. e gli allegati dal Dottor Marta, i quali fìegue parimente (ri» Jlar.de /urifdiBione p.t. cap. i8. num. 21. ) : i Dottori Francefi parimente la feguono : Stefano Forcatulo J. C. { deCalUr.Jmper, fib. pag.q.ij.) yy Planb ^ Duch {Venetiarwn) ematus didici non parum aMÌàilfe Alexandrum „ III. Pontificem renmutrantem fcilicee Venetos y quiy SebapianoZia» „ noy Federkum AemAarbum Imp. navali pralio profiigarunt. Guglielmo Sodino nel luogo contra il quale fcriveremo infra al num. 67- fegue la detta Storia, come egli dice : „ qua omnibus,, omnium feri biftoricorum fctiptis eonsinetur : e da alcune paro le ivi molila di non creder sì facilmente certe cole ; e pur crede queOa. Crifioforo Sturcio, Dottor di legge, Tcdcico, nel luo libro de Imperio Gtrmanorum cap. 4p. num. 17. inerendo alla detta Storia, conferma la rotta dell' armata* di Federigo da' Veneziani; e giuda la dottrina legale di accordar la dilcordia de* tedimonj in quel che dicono alcuni, che non Ottone, ma Arrigo, phmogeniio di Federico, folle Capitano ; alTcrendo altri che Ottone non avelTc et^ abile a quel carico, egli Icnve che vi 45folTcio due hgliudi. Ma io non mi contento di quello accordo, perché non c é bilogno ; che punto non olla Tardilo argomento del Sigonio centra la detta Storia, il qual ha tralatuaca di narrare .* die* egli che Arrigo dei 117^. aveva anni undici ; onde Otton terzo fratello allora non poteva aver ec^ abile a trattar negoz;, pruova che Arrigo m quell* anno avvflc anni undici, perché di lopra ha riferito che ave/Tc anni cinque, quando fh fatto Ré di Germania, che fb del 1170. le lue parole così dicono .* ( de Oicident. Imper. lib.ì^ fub anno iiyó. fol. ^43.) „ Hcnricus fuit Rex Germania y ut fupra diximus y qui cum annis zi. „ ejfet natusy fatili quam atatem agere Federicus, Ù" Otbo pofì eum,, nati pofuerint, ìdefì, quam minhnè rebus agendis idoneam, „ vidersnt li, qui Otbonem ante bac tempora pralio navali eum Tom IL Pp,, Fade ipS ALLEGAZIONE „ Faderatìs nnflixijfe fmpfcrmt, con quii pruova poi di fopn abbia detto che Arrigo avelTe cinque anni quando fu latto Re, Dio ve lo dica; perchè egli non dice altro, che cosi. „ Henricum fi„ /ivi» Minmim gu'mquc punm Refem Ccrrnmit legi, tvmdem^uc „ per PhUippum CoUmieaJem jtrehiepifcepim Aqws currnit, “ Quello e quanto il libro del Battefmo adduce, per provar la fua etìiy con che intende aver a fcriver contri quella Storia contri le atte4$ dazioni di Roma, e di Venezia, e tante altre. £’ da notar ancora, che egli non vuol che Otton, il qual, elTendo terzogenito, poteva aver otto, o nove anni, ( al fuo conto ) non potefle effer Capitano, ma fh che Arrigo di cinque anni Ca dato fatto Re : al che non fi può rifponder altro, che un Regno può aver un fanciullino per Rè, e poi elTer governato da fapienti perfonaggi : perchè adunque un' elèrcito non può aver un fanciullo per Capitano per infegna, per dover poi efler retto col confìglio dei Veterani ; Mrlochè Caligola confidava ( come aveva in mente di fare ) di crear Confolo un fuo cavallo prediletta, ( Suet. in Calig. pag. ioa. Die. Ut, 6p. ptg, 830. ) Pofeia chè anche egli cosi era dato condotto nell' elercito Romano ; cosi anche i Rè di francia fono dati portati bambini. Non odan te la eth tenera di Corradino, i Guelfi di Tofeana non mancarono di far idanza per via di Ambafeiaduri in Alemagna di farlo venir contri Manfredo fuo Zio, che gli occupava il Regno di Sicilia, e di Paglia .■ al che non acconfentendo la madre, forfè impauriu dal cafo di Ottone, fi fecero dar un fuo mantellino, e lo portarono a’ Tuoi, che gran feda ne fecero; follmente ^ aver pegno, ed infegna da moQrar contri i nemici ; acciò fapelTero che fotto l' ombra dell' imperio combattevano ; venuto poi Corradino a maggior eth, ma pur ancora fanciullo, non redò d'andar contri Carlo. (PsuJns AemUius tifi. Sut. Edutrrdo.Jo, Pii. luna! Ut. 6. cup.8ì. ' M.p. eup.%ì. ) C «1 Otton non farò dato „ il primo, ut quem vet imperare jujjilìis., is Jiti Imperuterem etium „ queret, fimut eliqutm i pepulo meniterem effitii fui; SaJluJi. de teliJugureb. pag. no. } jdclla qual colà i nodri Giureconfulti dicono: htfant petejl effe miteif Ò" Rex, (Bar. ini, l. in prine. C.de muner.&bener.fii.io.O' allegat.per Hippet.de MarJU.in l. infans. nu.p.ff.ad l.Cem, de Jicar.iT S/lvan. de feudi recegnieienem q. jd. ma». 7. ) Ma che Ottone non poflà elTer dato abue a quel carico, fe cosi poca età avelfe di otto, o nove anni, l'argomento è da retorquer con• tra '1 Sigonio, che, eflendo dato Capitano in quella fazione, foflc dato di età abile; da ehe fi potrebbe argomentare che Arrigo avelfe molto piò anni, dopa che fi vuol argomentar la età di un fratello all'altro,' maflime di Arrigo fi potrebbe, non avendo altra pruova, che quella di fopra, la qual oltra che è leggeriffima, ha congettura che mollra certezza in contrario ; perchè nella Cronica ai Otton Frigingenfe, (lit.j.cap.fi.) ed in altri autori fi trova, che ad Arrigo nell'anno 1170. quando fìl coro47 nato il Padre, diede moglie Codanza, figliuola del Rè di Sicilia, di modo che in quellàmto, elfendo uomo da moglie, non poteva aver anni cinque. £fe il Sigonio fi feufa d’aver ieguito Gottifreddo Viterbienfe, ilqual ferivo che tal matrimonio foguifTe del tiSò. fi rilponde colle lue proprie parole ( lib, 15. de reg. haiyy f to meno lo doveva fare, quanto che il numero di quegli anni con corrilponde aU'indizione che vi mette i hcchè ragionevolmente li può fofpettar effeme errore ; però del tempo di detto matrimonio non h fidando il Nauclero, per la varietà degli Scrittoti, dice ; yy Vides bic qubd Scriptotts fantpji non folum diverfa, fed adverfa ferh yy pferunt. Utruu verius s(t Qbus novit. Qlcra ciò, fi lu un48 altro argomento contra ilSigonio, che Arrigo in quell’anno tiy6folfe molto maggior di età ; perciocché vi Hende l' illrumento della pace (atta da Federigo col Pap a, e della triegua col Ke di Sicilia, e co’ Lombardi/ dove il Padre, e Arrigo Tuo figliuolo giurano la manutenzion di dettò frumento: fe Arrigo adunque del 1176, • folfe (lato minor in quella maniera di undici anni, non avrebbe potuto giurar dante i capitoli dei Lombardi tranfunti ne’facri Canoni, e feguiti dalla Chicla, e oflèrvati ne’ comuni giudicj; (r, vuli. e, pu^i* 22. ^.5. S. Thomas, 2.2. 8p. arhc. 10. in, corpotc, (T allegata per AffitH. in cap> i. §• hem facramenta* mtnu 7, 8. de pace ptranu firmand. Socin, conjil, j 3. vtfis copJUiis, num, 3. voium, I. ) perchè fpccialmente i Lombardi non avrebbero accettato il Sagramento di un fanciullo di undici anni, fe fecero querimonia contra la legge promulgata da elfo Federigo, che i minori codituiti in pubertà di anni quattordici potedero giurar, per validar i contratti ; per la qual querin^nia Arrigo era rifoluto rivocarla; e non io avendo fatrq, ( percioochè 1^ da morte foprapprefo) molte Città di Lombardia le hanno derogato efpreflamente ne'lor Statuti, come le predette cofe attedano. ( Jifjlt8us in d, §. jin, nu, 8. Àtber. Fuìgof Paul, relat. per Igneum tn autben» Sjtcram. pub. C. fi adver. ven* d'u* Qumer. ltb.%, de uftisFridersci fot. 127. ) Avendo adunque i Lombardi accettato u giurameni» di Arrigo, è conghicttura fondata, che egli non avelTe quella età di undici anni; ma per aver fottoferitto, e giurato, fi dee creder, e tener che folfe molto maggiore di quattordici anni. ( per glo. in c. prttfentia de probat, allegat. per Alciat. de prxfumpt, reg. 2. prsfumpt. 14. nunu d. traS^. som* 4. foL 313. et per Mcnach. ^^prtefumpt. 50. nitnu 22. Uh. 2, ) Onde il Sigonio, fondandoli in cofa si dubbia, non folo non prova quel che intendeva di provare, ma s’incende aver provato tutto il contrario per r^ion legale, che dice : „ Dubia prchatio facn cantra prodttcentem. „ ( f. in prafemia de probat. Ò* ibi Card, col, 2. Abb. num. 34. „ Bero. nu. 138. Mafcard. concluf. ^71. Dubia res- num. 2. Sytag*com.,, mu». opin, Cod, fit, eod, num. et sìlegat. per Vincent, Annibat.,, m nddit. ad Albam confil. 244. dedu^um in fi. et per Cardin„ Ti^. pnabL conclufi in verbo probatio dubia conctuf. 766. num. 8. voi. 6, fai' 5P4. ) Però, tornando ad Ottone, e recorqueodo, come dicemmo, l’argomento, cheOccone, cflendo dato Capitano deirarmaia^ave> va età abile a qoel carico: quedo fi conferma, perchè egli reggeva Tomo II. Pp 2 la Borgogna, e tutto quello Stato, fuccelTovi per eredik mater-i na, del qual fcrive Guntero, Autor che feguiva la Corte di Fedcrigo. ( lih* I. de gcfìis Friderici /. ) „ Òubium puer incfyte dici,, Resene y Come/ne veln\ vererum nant Rcgné PoTBNTER,, AUobregutn materna R e G I s, regntque decore „ Dignns ab encelfo nomen deducit Otbone, 51 Dice, dnbittm, &c. perchè fi legge eh? il Ducato di Borgot gna per avanti folTc Regno, ma de’popoli fieri: ebbe Re piu di cento trenta anni fin a Rodolfo ; il qual, non potendo pih lopportar le continue fedizioni di qucTudditi, rinanziò il Regno a Corrado Impcradorc, che fh ridotto in Provincia, come era di prima • ora è Ducato, ma con potenza, e prerogativa regia. ^ r* vùìumvs. li. l* cap, cum Captila de privil. Cencil. Tridente cap. II. fejf. 24. de reformar. Abb. conf. 62, in controverjia p. 2. Cbejfan in princ. Juper confuet. Burgand, Ò" in catalog. p. l. conJider. 44. Sigibert. in cbronico fub anno 1032. lare Frane. Gnì/ìman. de reb. Heluet.^ lib. 2. c. 8, (Sr 13, Jac. de Ardi?^n. l. f. i. quibus mod. feud. amir. Petrus. Caiefat. de equeflr. dignitar, mmu 120. rraH. tom. 18. fot. 31. ) Ma il Sigonio dice che Ottone non aveva ek abile a maneggiar negozio tale di combatter coVeneziani; e ciò dice, come gli Storici diceflero, che fi abbia portato bene, e vinto ; c poteva penfare che quefia fofle fiata fa caufa, che egli non avendo eth di fperienza forte rotto, c prefo quafi dalla mek meno di numero di galee; fcrivendo Obon Ravennate : pars Otbonem increpare, qui inesplorato es IJÌriee ora foìvtjfer. Or lafciamo d’inveir piu oltre, come fi potrebbe, centra quell’ uomo in altro cosV benemerito delle buone lettere. 5iManco crror è quefto del Sigonio, che la sfacciataggine di Gior* gio Menila; il qual, icrivendo d# ansiquieare Viceeomitum al lib. ò. per tirar ancor erto che la concilìazion con Papa Alelfandro fia fiata per U vittoria de’ Milancfi, nega la vittoria navale de’ Veneziani, c la preCa di Ottone ; procura diverfi argomenti vaniffimi, c frivolìflimi; fpccialmente nega che Federigo averte alcun figliuolo nomato Ottone; e dice non aver letto che ne averte i'e non due, Arrigo, e Filippo : adunque le la Storia non è vera per lui, che non ha letto che averte altri, che i predetti due figliuoli ; farà vera per gli altri che avranno letto, c tutuvia leggono, che ne averte cinque, tra’quali il terzo genito era Ottone, come abbiam veduto di fopra jper Guntero, Corti^ano dì Federigo. L'Abbate Urlpergcnfc, viciniflSmo a quc'tempi, e for-, fe contemporaneo, nella lua Cronica fotte l’anno nytf.dice : „ Jm„ pcrator quinque jam gcnucrar filioSy Enricum^ videlicet y quem defu „ ^avir fieri Jmperatorem y Friderkum y quem effecir Ducem Sitevo^,, rum, ér Otbonem, qui poji modum babuir terram matris fine : “ poi tratta di Corrado, e Filippo : qui fi leggano tutti i l’edeIchi, la Cronica di Suevia, la fpofizion, la Cofmografia della Germania, il Teforo delle GeneaU^ie. Il Nauclero generat. 40. fot. 2^6. ) oltre ciò nega che pqtcrtc aver annata, perche non aveva erre marittime ; fopra di che dilcorreremo nella fecondi^ parte di quefb allegazione : il Bardi fopra ciò dice tanto che ba vi è quello connunaerato, che dice. „ Ante prin„ Cipem portam templi y inter angiporti ojìiay lapis ma^nus rubeus qua„ dratus tjìy in quo aris quadrata itidem lamina infixa foliis vefiitOy „ in qua Alexander IH. Federici Imperatoris Collo pedem imponi „ /wr; ubi propterea litterx incifas leguntur : Super Aspidem &c.I ( Itinerarium Ital. p. i. pag, 34. F. Sanfovinus in deferìptione Venet. lib. 1. pag. 34. Jofepb Bonfìl'tus Conjìantius in bijìoria SicuU p. I. lib. 6. pag. 241. ) Egidio Bellamera, Prefule di Avignone, vicino molto a quei tempi {in c. faerk de bis y qua vi metufque) dice:,, Alexander Papa y ponens pedem fuum fuper Cervi CEM j, Imperatori, ipfum cenando (iixie : Super ofpìdejn, Ò“ Bajilifeum 0'c. 11 Cardinal Giacobazio nel fuo libro de Concilio ( lib. i. art. 18. fol. ì6. col. I. ) „ Alexander III. pojìquam apud Claramontem ( Federicitm ) Imperatorem damnaverat, et Venetik ante fores S. Mor ii 3o^ ALLEGAZIONE ^ S, Marci frQjhatttm collo caUover^, QucfH fono PrcUti gn^i^ e Canoiiifli dotcilTimi, e por lo credono, e rifcrifcono, come fanno gli allegati dal Dottor Marta ( frsB, de /»« fifàid. p. a. e, antichi Qommentacori di Dance» che fi leggono rifioriti dal X^ndino, nel iS. canto dei Purgato» rio, per quel che dicemmo fopra al num. jS. riferifcono Io ftcRb atto. Lo riferifce Giovan Villani» tutti quelli vicini aquetempi, ( hb» i* bifi* ^»p* 3^ ) Gennadio, Patriarca di Collanti' nopoli ( de primatu Petri cap, i. fe 3. 6. ) COs!i dice.,» Romano^ »» rum Jmpcrator Aioxandrc Papa inclinata cerwe coUum ejus pedi „ fubmijit^ arm dteeret'. SupiR afpidem ^ tT bajilifeum, &€. et ille j» re/pondif : non (ibi fed peno obediemiam exbibeo : (Sr Pontifen : ^ Cjr mibi, et peno, “ Il B, Giovan Gerfone, fehben non loda quello atto, non rella però di crederlo.- de ponft, pcclejiaft. p.U conjiderat.^f» ) Il B. Antonino nell* orazion a Pio II. ( bi/ì.par,^, fif. 11. cap, 17. §. I. col, 4. foL 185. ) dice: „ Alexander III, „ ut juhar emicuit^ fridericum J, Imperatorem ut afpidcm ^ 0 ! baJUh, „ feum perfecuforem Ecclefie proprio pedo concjtlcam» “ Quello è lànto, e iettcratilQmo Teologo, e CanoniUa, e ciò riferilce per 5d trionfo della Chiefa, tanto è lontano che fi fcandalezzì, corno fa TAvverlario. Non fi fcandalezza manco l’Abbate Tritemio diligentifiimo io tutto quel che fcrive : dice che Chiliano, Arcicancellier di Federigo, ilqual dalla Storia di Obon, e da altri è mentovato eOer fiato prefente, abbia icricta un opera che intitola : Friderici Imper. gejia^ 0 vita ^ riferifce ( de feriptor. Ecclejié^. fub anflo xiòo- fol, p, ),, Alexander Papa IIL fedir in „ Cattedra Peni annis uno, et viginti .• multas in/urias d Friderieo », Imperatore fuftinuh ; ipfunufue Imperatorem tandem fuperans, in „ SiGNUM suBtECT(ON(s e/US COLLUM pcde eonculcovìf, dieens : I, fcriptum eft » Suptr a^idem, 0 e, Non fi fcandaleziano manca i Greci, i quali, aderendo a quanto è fiato conchiufo nel Concilio Fiorentino, che 1 Primato di Pietro continui ne’ Romani ^7 Pontefici che di tempo in tempo fuccedono, nella cenfura Orienule recitano la detta Storia per le parole che difle Federigo al Pontefice : non tibiyfed Petroy efiendogli mefib il piede fui collo ; unendo quelle a quelle di Cofiantino dette a S. Silvefiro : ( Cenfura Orientai, cap. 13. pag. 334. ) Però i Moderni che Icrivono le Vite de i Pontefici recitano la detta Storia in quella di Papa AlelTaodro^ ( Alpbonfus Ciaeonius fol, 470. } Lo recita medefimamente Lodovico DomenicKi nella Storia de’detti, e fatti de’ Principi. ( lib, 6, ear. 287. ) Non lo ha manco faputo negar Giorgio Menila, dove nega il refio della veritb di quella Stona; ( de antiq, Vkeeom,) il qual atto febben non è efpreflb cosi ben dagli Autori, che dice rÀvverfario efier fiati prefenti, non va la confeguenza, che non fia fiato vero : come non va la confeguenza di fopra al num. 48. il B. Antonino ^non lo riferilce, adunque non io ha faputo, nè creduto ; perchè lo riferifce por ( come abbiam mefirato ) in un’altro libro : ma i detti Au» 5Stori rlferifcono la umiltazion dell’ Inperadore con certe circoAaoze che non danno a creder che non fia vero il redo. L’Avverfarto riferifce che Romualdo Icriva: „ Cumque ad Papam apn y traBus divino fphiiu y D E U w in Akxandro vcne~ „ ransy Imperiali dignitate poftpojua ^ rejeBo pallio y ad pedes Papa,, rotum fe extenfo torpore iaclinavir. “ ( fol, 450. ) Recita parimente che l'Aucor degli atti d’Aleifandro dica : yy Depofito da-,, m/dcy proflrmjàt fe in terram y et deofculasis PontificiSy Tamquam „ Principis Apostolorum, pedibus'y *•*" che è ^uei che gli altri Storici raccontano elTer dato detto dall’ Imperadore : Hon eibi, fed Petto y di modo che quelle parole, tamquam, verranno ad eder dell’Impcrador, e non dello Storico. Provata con tanti te5pflimonj quell’azione, fi prova la vittoria antecedente; perchè metter il piè fui collo, 0 il giogo a i nemici, è ngiUo, e confermazion delle vittorie : onde i Grammatici dicono dare yy CoLLUM ejl BELLO viCTUM effe “ ( ejp Propertio ),• come fecero i Milanefì, che, vinti da Federigo, fi gettarono a’ Tuoi piedi co* coltelli al collo. ( Abbas Urfpergenjis in Chronieo fol, ipp. ) Scrivono di Marzian Imperadore, per modrar che vinfe i fuoi nemici,, omninmque inimicorum fuorum colla Domini virtute yy CALCANS, fex annis y me^e y regnans y in pace quievit, “ ( /ornandes de Re^torum fuctejpone fd, 78. ) perchè il vinto, jnre belli redando di ragion del vincitore con quell’atto fe ne toglieva il poflelTo; giuda quel che è fcritto nell’xi. del Deuteronomio :,, quem calcaverit Pet vqfter, erit : dal qual calcar de yy piedi è propriamente detta pjfejfioy quafi pedum pofirio,yy ( /. r. et ibi ff. ff, de acqtùr, fo^ef, Ù" Axp* nnm, Pad, de Caftr, nunu 5. Jaf. nwn. z, AffitB, decif. zpq, Rex nnm, 7. Facon, de^ dar. lib, 2. cap.^ 6. poft medium. Tbolofanus in Jj/ntag. /uris Itb.Xy cap. i3« num. q. ) In contrario di quede pruove 1 * Avverfario dice che Papa Aieflandro non puè aver fatto qued’ atto, edendo vergognofo, arrogante, e totalmente infoUto : cosi appunto egli dice. „ Magie indeeorumy qno ajferitury Factum iliud arrocans,,, Cr FENiTUs iNSUETUM, quhd bumiliatmn ad pedes Pontificit caput,, Imperatorie pedo ipfe prefferity acque infultaverit verbis ilìit e Super,, afpidem Ù'c. Come arrogane tT injuetum ?" Si legge nelle lacre di lettere che Giol'uè fì lece condur avanti i cinque Rè amili, e tremanti, i quali, rotto il lor elercico, fi aveano nafeodi in una fpelonca; ed ordinò a’fuoi Capitani: „ ItOy et ponite Pedes „ SUPER colla Rbguu ijlorwn, " ( Jofue io. ) Virgilio induce Turno a far qued* atto fopra Eumede vinto a mone. ( Aeneid. lib.io.) yy Semìanimie lapjoque fupervenity Pedb Collo iMtR&ESO£* da creder qued' ulo eder continuato, e fe non fe ne fa menzion nelle Storie tal volta, fia per efler dato tanto ordinario, che, fenza dirlo, s’intenda; perchè fi legge a’ tempi piò moderni queda dd& cerimonia col verfo del Salmo ; Super afpidem ( ferivo .Otcon Friimingeilfe, il qual dicono edèr dato Nipote di Federigo ) che fede mta da Giudiniano, ilqual, preib Tiberio Apfimaro, avendofi concia lui fatto Imperadore infieme con Leonzio, dice : „ Trberinm, Cr Leomium captat y ae in cateni^ „ pfuos pojttos per platees trabìy (JT pofiy univcrfo pepalo adamante y Suyy PER ASPiD^M et hejiiifcum y Ù'c. Ò*Pedibus COLLA corum CaLCANS. ( Cbronic* tib» 5. cop. 174 ) La ftefla cerimonia ferivo Zonara di Diogene Imperadore, quando fu prefo in battaglia da A(Tan Soldano, condotto alia fua prefenza: „ Sdtanusy nomine Axan y gayy vifus efi y ut natura fere, neque tamen fuperbia elatus y de cupu yy moderetione y Ù" jujìitia multa memorantury addudus ( Diogene! ) „ ad pedet fiens fe projìravif* Tum ( Ananas ) quafi numine j> ^ exiìtìt\ (T de MORE bumi jacentem calcavit : „ deinde erexity atque amplexus ejl eum bujufmodi verbis: Noli maeyy rerCy hnperator'y ita enirn fune res bumantr. Ego verh te y non ut yy captivumy fed ut hnperatoremy traSabo, Et Jtarhn ei tabernacula,, Imperatoria, menfafque adbibitum Juxta fe collocar y captivi! quot~ yy quot redditi!, ^ Qui è da notar che il metter il piè fui collo del vinto, per umile che fi apprefenti y è de more, Jtem che quefto è atto di poflefTo debito, non di Àiperbia ; perchè dice, ncque fuperbia elatus, Jtem che Alhm y avendo l’animo moderato, e volendo trattar Diogene da Imperadore, non reflò di calcarlo. Item che ciò fece come tnfpiraco da Dio, che dice : quafi numine affata!, da Lo fieno fecero i Romani, perchè T. Quinzio Cincinnato, volendo rilafciar gli Equicoli da lui vinti, volle però che fottometteffero il collo al giogo.*,, ut exprimatur tandem confe/fio fub^ „ oHam domìtamque gentem fub jugum abituro! ) come fecero anche I Sanniti a’ Romani : quoniam vidi, et y forrunam fate^ yy ri feirent. " ( T. Uvius lib, 3. Cf Itb. p, dee, i, ) In vece di piè, con che dovevan calcar il collo a* vinti, era il giogo dirizzato con tre afte in forma del Fi Greco, che forca, come ora, djfi chiamava. Era fatta quefta cerimonia, acciò non fi mettefle in contefa, cerne fpeflb fi fa, la vittoria ; dicendo Ennio ( ex Prifehmo hbro 4. ) vkit non eft viUory nifi vtdus fatetur, Dionifio AUcarnaffeo nel libro io. vi aggiunge che quefta era meda in cerimonia dì religione, dove, cosi pafl'andovi i nemici, toccando l’afta, di fopra, chiamata tigillo, era far confeffione, come di fopra, e reftavano Uberi, ed aflbiri; forì'e fu ombra di quel che, venuta la luce, fi vede nella Chiefa adoperato; come tante altre cofe fimiU fi veggono. Nè manco quella è fpiegata fempre dagli Scrittori, quando fanno menzion della confelTion devinti. Efleodo vinte le navi diAntioco avanti il porto di Efefo, non iferivono, fe non „ pofieaquam conftjjionem vidh fatti expref, yy ferum, “ f T. Livius dee. 4. lib. 6. inf, ) Vifto adunque che quell’ atto è ordinario, che il vincitor, per modello che fia, fuol ufar,. togliendo il poirelTo del vinto, ne vk confeguenza^ che fia preceda vittoria contra Federigo ; che non può elfer fiata, come fi dirV a baflb al nom. y 6,, fe non la Navale de’ Veneziani, dove fii prefo Ottone fuo figliuolo, Duca, anzi Rè' di d4 Borgogna. Ora veggiamo fe era lecito a Papa AleflTandro di pre. icrmctterlo : troveremo che no, dicendo i Giureconfulri : „ ij „ quod confuetum eft fitti non dicitur aréitrariumy fed neeeffarium, ( Bai Bill* if 9 /« qutatm^ue netnh, 4* Everard, in Topica /vrh y loco facit gl, in c, ad yipojìolicie in vcrò. fadtfoHionemy de re /ttd.iné, vide Novar. in terminis in c, inter verba, un. 47. 11. g. opewum ìom,u fol,io. Late Cenehardus Cronaleg, lib,^, fot, 50^.) Ma PaAieflandro bilognavache lo facelTe in efecuzion del precetto di Dio, per quel che è icritto nel 33. del Deuteronomio i „ Nega^ bunt te mimiri tui, (27* tu eorum Colla calcasis : ^ a nei Sai'1 roo 17. Cadent fubtus pedes meos, conforme al vedo che egli difTe : Juper ajp 'idem, dove dice Eufebio : „ Dig^atem propbetiyy ci fpirhus contemplare, qua pronùjjionem ArosTOLiS Salvator fe»,, citi Ecce^ da vobis porejlatem oalCaNdi fuper ferpentes > et fior»,, piones y (y [uper omnem virtuten» inimici, ( Catena Barbati fuperPfal.ty,) Ónde anche A può conghietturar che forfè per pre» 66 rogativi di quelU promiOione i piedi del Pontefìce fi dicono beati. Non far^ fuor della mia profelfion legale dir quello/ perchè i nofirì Dottori prendono argomento, come lor torna bene, non (blo dalle voci delta lingua Ebrea, e Greca, ma anche dalla Caldea v gl. in rubr. ff, fol, matrhn, Efièndo adunque quello un trionfo preordinato, • pronunaiato da Dio agli Apposoli, e alia dignità loro, Papa Aleflandro non lo doveva pretermeeeere lotto pretello di modefiia, per mio parere ; perchè avrebbe mancato, come Saul, il ^ual credè far meglio laJvar le pruniaie della preda pel lacrìfizio, e non le uccider, come Dio aveva comandato, (i.ileg. 15. r. fiiendumZ.q. i.) Gli Atcniefi, daquali i Romani, come dicemmo, hanno imparate le leggi, par che anche eifi decidano quello punto come riferifee Tucidide. y, Gli uomini, dice egli, dalla naturai ncceflìth fon modi a figno„ reggiare, ciafeun a colui il qual è fiato vinto da eflb. ^ Però Papa Alelfandro, trovandoli in quello fiato, gli conveniva dir, e ollcrvarquel chefegue: „ itane autem hgem ncs ncque tuUmusy „ nequCy ea latay primi ufi fumm\ fed jam reeeptam à Matoribui oc„ cepimus y O" ufarpemus, perpetuarti funtram reliHuri. ( T bweyd^ Itb.é, inf ) Onde fi v^ qual ragione abbia il Cerione nella fua Cronica, il Bodino, e altri, benché Cattolici, a dannar quello atto; tra’ quali danno maraviglia ilGerfon, quello Autor degli annali, e Francefeo Duareno ; {de beneficih lib. i. cap, 3.) uomini di caiua letteratura, a‘ quali lono da rii'ponder anche le coie (critte da Giuiep)>e Stevano, leguace anche egli di quefia Storia: (deAdoration. pedum Roman. Pont, cap. 5. col. 3« tr^^. tom, 1 3. p. 2. fot, 53.) „ Alcitandri III, fa&umy quoé tantopsrCy ut tjvannicum ^ elevat Fran„ cifius Duarenus, commendare pottfì cum jure, meritoque in religia„ nisy Ù’ Ezclejue infenfiffimum bofìem Federicum Barbarujfam, non „ ut in falem infatuatum^ quem jubet Cbriftus pedibus protereri, fed „ potius in borrendam belbtam calcibus infultaverit, ^ Però Papa Alcffandro non doveva mancar (h eiercitar il luo )u^, per la vittoria conceifagli da Dio colle felici arme di quella SerenilTima Repubblica; col qual atto ora ne vien a far foie al mondo a confufion de’luoi contraddittori. VI. L*Avvelario col Tuo argomento ci dk materia di far un'altra dppruova di detta Storia. Se il calcar del piede è atto unto infoTomo II. Qq lente) come egli dice „ uf gàb^ tanto hherc inàu^um Imperatortm y yy- Jttfifiim to modo exnfperfitum faHis y et di^is iwtrban 'n tnnJU „ taùsy dkrisy efptrisy ptr Pontificcm enacerbatum y cum a panìtentiee yy tempio procul abfgcm. “ ( eod, fol. 456. ) Se adunque, facendo detto atto, flmperador fe ne farebbe tornato addietro, e ritrat^ tata la penitenza di che era compunto, come egli fuppone, conflando chiaro per tanti tefUmon) che Papa Aleflandro lo fece ;ed avendolo tollerato i’imperadpre luperbiHìmo, bifogna che la cau(a fta prima, perché il Pontefice efercitava quel che gli competeva jure belli; fecondo, per ricuperar il figliuolo, il qual, non feguendo la pace, (lava ne’ patti di refiar prigione. Cos\ allegano i Dottori. „ ImperatOT FtdericMsBarbatubeay ut Kecupbraret ejus „ jìitumy pajjus cjì Paptm Aiexandmm JIJ, calcajfe ptdìbus ejui ca„ fmt, ‘‘ ( allegata per DoU, Martam d. C4p.l8. nu.2l,) Nè fi per7ofuada rAvveriario, come facciamo ancor noi, che ri' umiliazione deU’Imperador folle atto di vera interna penitenza, perciocché non lo inoltrano tale le parole dette al Pontefice: „ non tibiyfedPe„ tro ; Itantechc petnitemU cogit pcecatorem omnia libenter fufferre ; yy in tarde ejus conttitio, in ore ejus confejffo, in o^ere tota bwmlu „ “ ( r. perfeiia dìft, de panie. ) comC: ne (ù 1 efempio il Van gelo nella Cananea, che, più che era fprezzata, ed ingiuriata, più s’accendeva a dimandar la grazia della fanii^ per la figliuola a Crifto. ( Mattè» 15. ) Si accorda ancora che non vi folle 7icontrizion nella lettera rhe poco avanti i’imperador fcrilTe al Papa-, piena di accufe, e di iir^properj, fenza ninna confcfnon del iuo peaato ; della qual lettera, trovata a Roma nella Badia di S. Gregorio, ne regiftra parte U Bardi a car. 151. dove tra le altre dice.* yy Et quod manimwn eji y novijfme Vbnetos, 0“ Veneti a„ RUM ’Dmqs.vl adverfui nos dhrexijìi quorum ope y (T auxilio terre„ firn, Ù" maritimas noflfài copias in unum conera Mauros congregayy tot y Uffa cum F I LIO. /^fito. y qmm vi y Ù" dolo Coepf.runt, „ difperdere volutjìiy \. 55. Candinus in traila. moUf. fub ruèr^ qualiter Jit jidett, tortur, Ò" at^ togat, per lo. Baptifi, Bo/ard, in addition. ad Clar. ji, 64» nu, pi. Ó" per Tiraq. in Jnrtef. icgis Ji mnquam. C. de revoc. donat, nu, 7. Ò' fequen, Bernaràm Scardonius. de motejiiis conjugatorum. lib. 4. eap. 14. ubi.,, ^ippe nulla re parentet afficiuntur atrociui, „ qudm ntàloy et incommodis jilionmy ut qui /ape etiam ftviffimosfui „ corporU cruciatui neglexerinty eorum tormenta nequiverint iene: re„ pertìque Junt quiy ut feryarent viram filiisy fe ipfos perdiderunty vh „ ta ìaHura ìltis fuccunere non verentes. ) I Canoni Ai, da i caA feguentt confermando.* Che Bater diligit ma^s filiumy qudm feipfumy recitano un cafo imravenuto in Puglia fotto Carlo li. d’ un omicidio, dove il Padre, dopo efler Aato coAamiflimo ne* tormenti, trattandoA di liberare il figliuolo, confefsò aver egli commefib il delitto, e cos^ ne andò all'ultimo fupplizio • ( Aod. Barbat, i" c. atm in prefentia nu. 8l. de probat. alias eafus vide apud Dh.bifi. tìb. 15. de Àqudio fioro pag. 88d. Valer. Maxim, li. 5. cap. 7. Kavijiui Textor in officina, p.i. tit. amor parentum) Appreuo gli efemp) che add&cono i predetti Autori A da aggiunger queAo di Federigo, al qual non avendo potuto ammollir la ferocia dciraniroo tlpfut ricuperar il figliùolo, abbia ceffo, e A abbia umiliato a ricever gl* infoiti ordinar) che fanno i vincitori a i vinti, ma ordinati da Dio a i fommi Pontifici. Vili. Si dice per argomento^ legale :• La ciofa limitata produce effetto limitato; on^ da tal efietto A conofee la caufa, dr è con 77 verjo da tal caufa, l’ effetto. ( Bai. in rubr. ff, fi eert. pet. ver/Cr dÌBo de caufa,. Card, in 'c. cvm dilcBi verf. et nota argumentum de accifat, Thatml. trBat. ctjfante caufa §. z.nu. 147. et alleg. per Affi, in confit. fi quìs ahquem q. 5. in fi. allég. Card. Tufebum praB, concluf. in verb. effcBus regulatur conci. 47. et per Menoc. confi ^16. hi eadem. nvm. 6. Capo, confi. 133. multa, nu. 31* ) Se la rotta data da*MilaneA a Federigo aveffe caufaca la 78 pace, e la umiliazione a’piedi del Pontefice, ciò avrebbe caufato prima a’MilaneA.* e fe cAi ebbero appena fei annidi triegua, bifognava che il Papa aveffe triegua di altrcttantitonde, effendoque ' Ai effetti diverfi, bifogna che nonfia una la caufa, ma dìverfa.Oltra di ciò, non può Aar che chi ha vinto acquiAi manco beneficio di quel 77 che ha acqulAato chi non ha vinto; nafeerebbe una Aravaganza, dicendo i Giureconfolti:,,^! vicit ahum tnneit propter ficy non propter,, aliumy ( jBtf/d. in l, fi d^un^us nu. 4. C. de fiuis Ò* le^thn. liP^- • ' ••vvr „ Atfr. et in A y? ^uis vtt Jt que, »«.i, C. Tertul, Cam. conf, vjx „ ie ha nnltjiom m. 5. iW. 4. ) Altra era la conterà de’Milane.. fi, conte aUtiam deno, che era, per liberarli dal giogo de'niioifiri imperiali; altra era quella di Papa Alcflandro, che era, di eflér me&> in Sedia, erduii gli Antipapi ; però, combattendo i hdilanefi,pcr fe dovevano vincer, ed ottenere il fine per cui combattevano; non erano come i Veneziani, che combatterono, c vinfero, per metter in Sedia Papa AlelTandro. Però fe i Milanefi per la detta rotta aveflèro aftretto l’imperadore alla pace, ed alla umiliazione a' piedi del Pontefice, e a conceder la triegua di anni quindici ai Rè di Sicilia, avrebbono vinto per altri, e non per fe, che non ebbero, fe non i fei anni di triegua : blfognava ben dir loro ; per altri, e non per voi, avete arato, o buoi.Onde bea fi adagia la rotta che dietro con la triegua che ottennero, e la rou dell’armata, e prela del figliuola con la umiliazione, e pace col Pontefice. E fe fi vorrS trovar caufa, perchè, gonel trattar la pace con Papa Alcflandro, fi trattaflè la triegua co'Milanefi, e col Rè di Sicilia, fi trove^ che il Papa, favorendo i Milanclì, e le altre Citth confederate, e, vice verfa, cflè favorendo il Papa, ma non per ragion di Lega, non doveva coneluder pace fenza la ficurth di elfi: il che è arto proprio della Chiefa Romana, come ne fcrive Papa Innocenzio ( in diSo c, jfpi^nlicn, n». 3. Cr Hi Jom, Monah. nu. 3. de re jude. in d.) „ Nera fdeluetem Ecclefu Remmie, numjatm voluit hn-,, bere faem^ na pais /raèfanrm, niji prius exprimeret de pae ytfi „ ndhnreniium, 6 " de perpetue feenritate emtm. “ Oltra di ciò, fe i Veneziani, invigilando alla follevazione, e liberazione dcllltalia fecero far efli la Lega delle Citth di Lombardia, per liberarle dalla mala amminiflrazion de’minillri Imperiali, ma con patto, che oflervarfero la fede data aH’Imperadore; '( Blend. dee. 1. Hi. i. Siun.de Regna Itel. Lii. 13. ftd. 518. 6" JIJ. Bare», d. rem. iz, [tX. anno 1104. Jb/. jt^. ) è ben da creder che, trattandoli di pace in Venezia coll'lmperadore, non abbandonaflero la caufa di quelli che per opera loro erano fiati mclfi in guerra ; profelTando la Repubblica di non aver mai mancato di fede ad alcuno; come fegnalatamente narrano le Storie, ( Saiell. dee. i. li. i. c. 58. Gniceierd, li. 3. c. pp. ) IX. La pruova della detta vittoria la fella che s’incomincia a lòlennizzar la vigilia dell' Afeenzione colla Indulgenza nella Chiefa di San Marco, e colla cerimonia di fpofar il mare il di feguente, pel trionfo che in effa Chiefa celebrò, il Papa per detta vittoria; fopra che dicono i facri Canoni:,, ( trnnkxrferie recordetio „ repreefentet ^qnod elim foRum. efi^ et Jte not fait moveri^ tom^m „ ’tèdeamus, “ ) e. femel. difi.^ 2. de confecr. ) Per lo fieflb effetto di memoria de’ felici fuccelfi anche le genti infiituivano folennità di felle.- nel qual propolito fcrive Amobio net lib. 5.,, Acne illem „ ( bifìoriem ) vis tempority Ó" vetejlatis obfolejeeret ìongitudoy per. „ petuitais honore mandafìis: perocché quella folennith di fpofar il mare che fi faceflè col concorlb di tutti i popoli circonvicini, gih tKcento anni ne la fede il Petrarca ( Senilium lii. 4. epi/le ^ 4. ) A quV tempi, ne’ quali ancora il fatto era recente, ancor feguiva a giubbilarne I* Italia ridotta in liberti l'uor del dorainio de' Barbari per tal imprela, perchè per le vittorie acquillate è flato coflume de’ Popoli, ed è meflb in obbligo dalle leggi, idituir un giorno fedivo, (che ferve come Stilografia deirallegrez» za pubblica, e ferve per riconofeer il Sign. Dioche l'ha donata. ( L I. C. ae pubiic. lath. tib. xa. CT ibi And* de Band, man* a. Jo. de Platea in princip* lofepb. Moniard. verf nane tjuibttSy nnm. • 2. ) dove fcrivono: „ oh viHeriam^ quam Jibi gloriofam imp. confc',, curut fnijf^ì fa/li dtes celebrari confuevcrune ^ Jiqtt gentes fe iniùjìb „ faOuToSy Ji Diis dies In perpetuum opthd rei gejìay Ò" nmneris „ memoriam non dedicabunt: però conchiudono che della pace, che fegu'i a S.Chiefa, ed a tutta la Lombardia, nominata la pace di Codanza, che fu parto, e frutto della detu vittoria, le ne doveva far allegrezza pubblica folenne. ( allegat* per lo* de Platea ibi Refiaurus q. Ji. Cajlald, traHat* de Imp^at. ) Conforme a quelli dice il Card. Earonio, per la pace feguita.* ( tom* eod. fol. 4^5. B ) quis bac,, tanta nondejiciae admtrando Imgua^verb viBorialem „ occinat bj'mnum Cbrijìo FiHeri, etti Ù" erigat Jtmut de fuperatis bo‘ „ /iibuSj infuperabilibus inhnicis, tropbtea perpetM permanfura. Il che non fi vede fatto, fe non a Venezia, perchè ivi è fuccefià la vittoria, e la pace, effeodo fcritto neU’ApocalilTe. 2. Vincenti dabo calculum candidum: dove dicono i Teologi: y^conjlat apud Ve»,, teres VlCTORlARUM DIES publieit fajiorum talfulis infcriptos confuc" 51 candido lapillo pranotari, a quo elarius a caterif diebus difeef „ neretta', pofuit autem^ hoc loco calculum candidum^ quod ir nottts ef? yy Jet bity qui in tbeatrisy oc Jìadih certabanty et Vincentibus tra» „ debatur* ( Sixtus in bibliotbeca p. 1* Ìd>. 2. in •verb. calculus y faeie glc. in l. i. in yerb. errorem, C.de error. calcidi*)SQ adunque fi debbono celebrar le fede, fi debbono celebrar dal vincitore, perchè cos\ è confuetudinc; cd il tedo dice .*,, Vincenti dabo,, calculum candidum.^*- Ma della vittoria con tra Federigo, onde fe ? ;u'i la pace alla Chiefa ed a tutta la Lombardia, non fi celebra eda altrove, che a Venezia, viene la confeguenza certa, che i Veneziani abbiano ottenuta la vittoria, e non ^Itri: cos'i quelli che combattono, debbono aver la corona, non quelli che danno 82 a vedere. Se muove qualche fcrupolo perchè la commemorazion del trionfo intravvenuto 1 nella vigilia dì San Jacopo fi fia ridotta all' Afeenzìone, fi può dir con buona ragione, che ciò fia, acciocché in quel giorno nel giubbilo che la Chiefa colla mefn.oria deU'afcender di Cbrido in Cielo, efprimefTc anche quella del Trionfo che ebbe fopr» la perfona del iuo perfccuiore ; perciocché in quel giorno nella colletta de’ divini uffizj fi legge nelle lczioni(:.*„, bumilia refpicit, Ò" alta a longe cognifcit : ilìa utex„ tollaty bete ut deprimati le quali parole fanno memoria di. quel „ che l’imperador rifpofe aH'orazion del Papa, come riferifee il Ba„ ronio: ( to. 12. fub anno 1177. 45 ^ faHum efi qubd yy *^^^y 0 *** bumilia refpicit y et alta a longe cognofeity patientiant no^ „ Jlram, ( 5 " adverfte partii bumilitatem confiàeram, more fuo potem de ^ fede depofuity et bumiles exalavit* Oltre a ciò nella pidola alla mcl Digitized by Google DEL, FRANGIPANE. 51 r meATa, e ne" refpoiiforj fi legge,jifccn 4 ens in ahttm ceptiv*mi!u83x1/ captivitatcm ^ ch*é del Salmo ^7. nel qual avanci per canto tempo dallo Spirito fanco h ^A^ta dclcritia rninutamcme qucAa vittoria, come dime Areremo in altra carta; qui baAandoci dire che, ficcome il verfetto.* AfcewUf io altunty Icritto da David per una uittoria, che [doveva luecedcr, è ridotto dall'ApoAolo; e dalla Cbiefa airAfccnfìon dì CriAo, cosi al giorno di eAa c ridotta la celebrazion di detta vintala colla Aefla colletta^ che ferve aU’ur^a, ed k ali’ altra X. Perchè tutto l’ argomento dell’ Avverfario verfa fopra queAo, 84che gli Autori da cito trovati dicono che Papa AlelTandro fia venuto a Venezia accopipagnato da tredici galee mandategli dal Rè di Sicilia; che par Aa totalmente contrario a quei che noi alTcrimmo, che veniAc incognito in abito di Cuoco, e A accomodaffe nel MonaAero della Caritk; par di averci convinti di falfo in tutto; avendo per coAantc che qucAo Aa fallo: però ci reAa un’ altra pruoya, ch’è la indulgenza della Caritk, dove ogni anno concorre tutto il popolo a riceverla con queAo concetto ^ che Papa AleAandro la lafciaAe, per quando fconolciuto ivi capitò per refugio, come ne fa memoria e fede la Cronica di que'Padri memorata di fopra. Il Popolo concorre parimente alla porta della Chiefa di San Salvatore, dove. ha. per coAante, che il detto Papa, giunto la prima notte a Venenfa, vi dontniAe fotto la coppola che vi era.’ la qual memoria è regiArata in una Cronica di que’Padri, A trova copiata nella Cronica Sanuta, che cqsV dice: Alexanàcr III. Pontifex^ „ dum morem trsèerer tl^tnifiisy confecra„ vh AtMTf S. SAvaioris, prasjentc Federico Imptfatote, fuper cjftod „ etiam Mijfam ceUbravit anno 1177. die 2p. Augujìi, Ù" Ecclejiam „ dedicavit ù" multas indulgenttes conCeJJit i Ù“ in fc/ìo Transfigura^ „ tionisy 0“ omnibus tranfeuntibus per porticaU^ fub quo ipfe dotmierat „ prima noQcy quando Vcncnas applìcuit erat Prior D. Vivìanus^ qA „ pojìea anno 1180. menfe Martii fui$ eonfecratus Epi/copof Em«s» 8 5 QucAa continuata amica memoria di un Popolo A tiene per pruova di verità infallibile; fopra di che, come teAimonio ordinato da Dio lenza altr^ fcrittura, è fermo nel Salmo 77.,, ^anra mandavit paìribus nojìris noia facere eafiliis fuis^ ue cognofeas s^ene„ ratio Aia, Filii qui nafccntuTy 0 exurgenty 0 narrabunt filiis Juis, Per qcAa via i Principi mandavano i raccordi importanti a’ loro PaAori, come faceva Antigono;, qui pracepijje fiJis diceretury ut 0 „ ipji meminijfcnty 0 ita pofieris prederant,^ ( T. Livius dcc. 3. /zèlo p, 505. ) Però dicono i Giureconlulti: Longa^ 0 tenax Po-’ » putì, Jeu Republicae memoria prò vernate] bAetur „ ( BAd, conf, „ 48. ses. probibita, num. 2. vol.i.frquitur Ttraquel de prK pri, ma parte nu. 2 treB, tom. 17, fA 141. ) perchè dicono:,. Raro fi fAfum invenitur quod Universi dkunt\ però danno il precetto di Catone, che doveva cAcr oHcrvato dall’ Avverlario .* yy Judicium /•opULl nunquam contempferis unus. ( Alex, confi, 53. profpcHis num, IO. vA. 4. Barbato, in c, tertio loco num. 3Ò. de probat, AfjiiH. de pace tenend, quarto notabili num, 22. ) 11 che ferve per U il redo detto di fopra^eflTendo anche di quella tenace, e continuata memoria appreflo tutto il Popolo. 3 C 1. Seguendo ancor io l'antica memoria della Repubblica, e di Sd tutto il Popolo, ricevuta ancora da quelli che non fcrìvono punto della vittoria centra Tlmperadore; i quali dicono che Papa AlelTandro concede le infegne le quali porta la SerenifUma Signoria in cerimonia; dico eder ringoiar argomento di quanto i Venezianì hanno operato per lui, e per la Sedia Apodolica; perchè quelle infegne fono le itede che portavano gli Inmeradori Orientali, come fi può veder nel Curopalata, ( de official'thus Palatii Cenft. ] come altrove pienamente abbiamo dimodrato. Quedo dichiara che la Repubblica predaiTe l’uffizio d’Imperadore nel difender Santa Chiefa; che è proprio di chi ottien l* Imperio di effer fuo Avvocato, c difenfore. f c. vmerahileM^, tm. é, fot. }ó 6. ) onde dicono mem» nudifar i Ttgulis. j»TÌS,, Qiuncp all'ofinion di Giovan Andrea, sii che gli altri (i fondano, l’addizipna. l’Abba^ nel. detto capitolo aun inflmtis, e dice „ Std ofonte, io, jladrets femit oppa/imm, dnm dkit Regem „ frtmit ex frivilfgia jifeflolm mw» pojfe McemnmKrori 4 borni„ »e, mn à cmooxe^^ Scrivono di pib i Dottori Francefi efleie ftato pi^, dichiarato, che ta\ pivilegio li elienda ancor uli Uflìziali, five Magiftrari delKegno; perchè il privilegio cancello al Padrone comprende anche la ina famiglia.- ( r. ecdtfìa i%. p. a. glof. in c, etniconun 1 1. tf. I. re/»», lo, Rerctd. de /'«r. Cf prèvi/, Reg. Frane, m. p. Cero!. Degroffal. Regalium Francia d. verf. marna /»» §. hmc ejiy et fcemdo (T allegata per Prohan in addit. ad lo. Monacò, in c._ ne aiiqm de pnvil. in 6. ) \e quali cofe s'intendono qui introdotte remiffive con tutte le loro oppolizioni, eccezioni, c intelletti^ ^ «flèndo Hata bm una tal concdCone fuori delle tegole (di ragione, fi cavi argomento y efler giandillitno il merito ^Ua Kepnbhlica/ che vicino a ^ue' tempi fu combatter, e vincer in difela della Sede AppollqIjEa. Mi refian certi altri argomenti, i quali lin fin del prefente difeorfo^ pe-r finiilo in ricreazione, ho deliberaro riferbare; e dirò le (eguenti cofe, traponcndole come intercalari. Abbiamo vide tante pruove tratte da memorie pubbliche di marmi, di pitture, da Croniche, da Storie fcritte dagli Autori di quei tempo, e da’ vicini, e da tanti altri poderi, che han lor creduto.- oltra di ciò, da tanti altri argomenti neceUàrf, ficchè a Roma, nella fala Regia fc ne è filtra pubblica atteftazione. Non è però da prender maraviglia, che vi fieno così arditi, che la vogliono impugnare,' perche iìnahè vi farh Sannaflb al mondo, vi faranno miriti di 'contraddizione, che a vele piene urteranno, ed opporrano alla vcrià, come le tenebre s'agitano alla luce. Chi a P7CÌÒ guardafle, non leggerebbe mai Storia, fe non a ragion di Romanzi. Volendo il mondo anche neHe azioni palfiite de'miferl mortali aver mano con innalzarle, abbaflarle,ed a fuo arbitrio anche annoiarle, e come alle cofe future, non lafciarvi verith determinata. „ aidee mìnima ( dice Tacito IH, j. ) „ tfanfue amiigaa funt, dam ali/ quoque, ntode audiea pre corrtpertis baione/ ali/ vera,, «I! eentrarium vertunt, et gUfeit utnmque pmfieritaee. Cicerone nel Bruto imbrutta tutte le Storie Romane, dove dice.',, multa ferij, pta funt in eh quafaSa non funt ; fatji triumpbi plures confulatus,, genera ttìam falf‘y Arar beinngegnoj vpol moArar Dion Grildftomo, che Troia non lìa lUta iprela, contra la fama impennata da tahtt Scrittori, e anche dalle noAre leggi: {Lverbum in fi, ff, deverb,fign,Bórbat,m t rubr.deptobat.»u,29,) yoXgzxvttA'^cìst il detto'dì Paufania, e di > Licofìone, che Penelope non fìa fiata pudica': -1 • • I i che ferfe non fi pub leggere, dicendo di quelli libri i facri Canoni.- „JùigfJari ctuelt intRtr „ mau Enlejia «m Icguntiir, emm qi$i firiffirttìouitiA PeNiTua IcNoaANTUa.^ c, fanH» ^ item gefla fanHorum diji, 15. ) dove la gioia, e l’Arcidiacono dichiarano, che apocrifo fia quei libro nt/M mmen >gnm»r*r, I libti che non hanno il titolo del .nome loi dell’ Autore non hanno credito, perchè pub avvenire che l'ABtòre lo abbia lafciato, per non aver obbligo di difender )• cofe che vi narra ; cosi fcrive S. Girolamo in una fua pillola ( t4 Evopnm 1x1, j, fui, jg. cosi fcrivono i Canonilli ( /e. jiaJr. ia Diut. Iti. 6. max, a}, vaf, qumui quando id agii, ) Titolo, fecondo i Grammatici, vien detto a tiùndc; onde un libro lenza titolo viene a dir lenza difelà, che ne abbia a far l’Autore, tolto il traslato da’foldati, che fi chiamano Thuiiy quafi nndi, quad fatriam auartntur: ( Feflus, et Bhmdus mumfbanth Rema Hi. 6, a* Ulpiam { ait ) da militari teftamtn. ) ed è pallàto in comun parlare, che, riptovandofi un libro, febben fi sh l'autore, non ne avendo il nome, fi dice, che è fenza titolo, e cosi fenza autorità. ( Aueraet Hi, 4, phffic, nmm, 15. Baccachu in quarta ditta Decameranis in princ. ^ allegra in liiro nofiro; da aiuSoritattf Ò" Judic'tB paitorum tit, da liiris legati!. ) Dove un’Autore non volendo loilentar le cofe ch’egli nana, cab non pub lare un’altro; loacome quando uno rinunzia ad una lite occorla ibpra la fede di fuo illrumento, il qual fi prefume che abbia confellàto che poflà eflèr fallo, non può egli, nè altri mai ularlo: ( t. peftaquam liti C, da pad, (T t. }. C. da fide injhrum, Barèat. eanf iz. illud ififtram nu. g. voi. 4. ) di modo che, fe l’ Autor non ha voluto metter il nome, per non aver obbligo a foUentare le cofe che dice de i fatti di Papa Aleflàndro, per la incertezza che ne ha di effe, manco lo può far l’Avverlàrio. Le Oeffe oppofizioni ha Romualdo, perchè, ora ufeendo in luce, non ha ufo di effergli creduto; e non ha opera pubblica, come a’ è detto, che (t gli confórmi; nè farh che fe gli creda, febben dica effer flato prefente; perche chi finge un mendacio di un libro, finge anche il nome di Autore che fia flato prefente; lo conferma lo fleffoAvvertarìo in altra materia; Falieas oanas fiarent „ impofloret, fi e* falfo tantum fuper pafite titula quad cupereut fra„ batum iaberent { tam. iz. fui anna ligi. fai. 535. ) Però non fi 103 legge il Vangelo di Nicodemo, nè gli altri con nome di quelli che fono flati prefenti, di Taddeo, Tommafo, Barnaba, &utolommeo, Andrea; perchè, non fi avendo certezza che fieno flati feticci da elfi, come apocrifi, non hanno acquiflato fede; anzi fon rigettati da fama Chiefà. ( O. jbgufiin. da confenfu Evangelifl. Ili. t. cap, I. et d. cap. Romana. §, item Cbranicam. Candì. Trident. feff. 4. in prineip. cum cancardantis iU. Cardia. Bateaius tam, I, fui anno 44. fai, Z34. ) E fe il libro è di Romualdo, dove è fede che fedelmente Ila flato copiato; che non vi fia fla104 to aggiunto, o diverfificatoè Ma come fminuito fia, lo ftefio Avverfario il conferma; che di due copie, una trovau, dice, nella Libreria Vaticana, l’ altra a Salerno, ( fai. 444. nwr. iz, ) » in. Cadi 3i8 allegazione Ctniice LMgobarào Sakmhano ^ ubi àtfinit,, Impbrfectb, ftcut ^ tùem idem S. Pem-codex eft Imperfectus : cd altrove ( eod, » fol. 7^0. ) collarus cum codice S* Peni in Vaticano Haud inteGRÒ, SBD FiKE CARENTE* Abbiamo in jure che le cofe imperfette fi hanno per nulle/ ( /. cum Sillejanum, C. de iis quibus pt indign, per Canones concordantes ibi, Cravet. de antiqu. tem~ 'fot, p. 3* wr[, vidimuf. num.Ji. troBat, ìom.i'p, fol. iqp. Menocb, confai, /uris num. 13.) pcrlochè concludono. „ Imperia autem,, infirwnenta inflrumentorum nomen non retinent ob id in publicam,, Jormam bevati ^ Ù" redigi non poffunt ! onde fe quello libro era 1053! tempo del Volaterano nella Ebrerìa Vaticana da lui, come afferma, maneggiata, meritamente, e fanamente ha fatto a non hCr tener alcun conto, avendo ferino in altra forma, come lo abbiamo allegato fopra, al numero 42. Non ne hanno manco tenuto conio i Cardinali della Congregazione lotto Pio IV. che non abbiano perfaafo il Papa a far la iferizione di tale Storia nella Sala Regia; còme non hanno tenuto conto del libro degli Atti di Papa AlefTandro. loò Sb bene il Cardinal Baronio come riufeirebbono i Tuoi volumi de gli Annali, fe vi mancadè il fine di alcuni tomi, dove tante volte con appendici muta, e rimuta, aggiunge, e ridice quanto per avanti aveva detto, ed ingenuamente confeflTa Terrore. „ A priore fententìa recedere^ ^ et qm firmiter pabiliijfe vi„ debaty re&aHare minimi diffidam. £ pih oltre.,, Re autem vi» gdantiffimo fiudio exaBius pervefiigatay atque attentius difqui/tta a „ priore fententia volensj tibenfque difeendens ^ in eam potius vento, „ quam verteas perfnadet. ^ (Annoi, tom.j. fol. Sé.) Se il libro non ioffe Siterò, e vi mancafle quella pane, e quella delle appendici, fi direbbe che T Autore aveflc una opùiiono, k qual avendola retrattata, non ebbe per vera. 107 Nel margine che vi è meffó al teAo di Romualdo citato da-llAvverkrìo ( fol. 444. ) fi dice „ incìpiendo ab illh verbis’. in hoc,, eapitulo Fodericus Jmporator^ ò'c. ufque ad illa verbo; Eccl/fationes „ Solit. f. in figao Virginisì ^ le quali parole però fi è Icordato di porm; o che fi è Icordato di levar dal margine; non avendole polle nel tallo / forfè per non levar la fede all’ Autore, il qual pare attefii che fia in quel tempo fucceduto Eccliffi del Sole nel legno della Vergine; il che è fallo; perchè per quanto fi ha dal Calcola Allronomico non fon fuccefii tali Ecclifli, nè fucceder potevano, non fervendo alcun dei nodi a quel fogno. Secondo i Compuùlli del 1 177. furono due Ecclifiì della Luna ^ il primo fu nel di 2Ò. d’ Aprile, T altro a’ tp. d’ Ottobre : Ecclifli del Sole non fu fe non del iiSo. a’aS. di Gennajo, c del 1181. a1 3.' di Loglio ; nel qual tempo il Sol non poteva elTer in Vergine : di che TAvverfario, forfè avvifato, non ha polle le parole del teflo promefle nel margine. £* vero che fcritte le fuddecte cole, mi è occorfo veder d'un EcclifG accaduto in quellanno 1177* nel di 8. Settembre, prdfo Vincenzo Belvacenfe nello Speculo lllorkie lib. 2p. cap. ar* ma quello appunto ci pone il fofpetto, che il detto Autor Romualdo, feguendo l'error del Belva Selvtcenfc in queftn Tua Cranici, fìa autor |»fteriore al 1144. Ca dove ó:rifle il Bcivacenfe, e non prefente al fucceOb del 1177. come vuoi r Avverlario, Della ^ual falfià di Ecclillì non avendo veduto il tello di Romualdo, le non quanto fcrive l’ Avverbrio nel margine non fò alKduiamente fondamento fino che non lo vegga. Ora quelli Autori dicoaa che Papa Aleflàndra venilTe trionfante con tredici galee mandategli dal Rè di Sicilia, cosi negano che avefle bifogno dell'.ajuto de' Veneziani, per vincer Federigo, che gih era vinto, e ne ricluedefié la pace ; e vogliono far . mentir gli altri, che venilTo. profugo, e di nafcoHo; che fcoperto poi, la Repubblica toglieflè la Tua difefa, e ne feguiflero le cofe prenarrate. Qui laicio di confideiar le flat^ite, che dicono in numero aflai dove, dato che detti Autori fodero ftnza quelle mende che li modrano mendaci, e fenza credito, è in obbligo chi vuol por loro penderò, e tener conto d’adopnr le regole leloSgali, che infegnano quello G ha a bre, quando vi' fono tefti. monj difeordi, per fuggir la bIGth di efli, per rifolverd come G abbi a credere. Se trattano di atti iterabili, la contrarietà fa che ft abbia a prefumere eder lùccedi più d' una volta.- ( ri t»» ( 14. de ttflH, et lèi glaf. 0 ~ omnes ScrHe4U(i et m cap. m prafen(ia de proiat. Bar. (rriit, de ta/tii, coi, 1. jirtr, m fi 4»ima in p, Ittliu. dt efl». Ancbm. cm[, J35. /iree primt, imm. t, Frane, Care. tir. eod. p. 7. nam. 1^6. varf. ftcmi& rtdncrauar. Fot, Ant. pietra de fideicammifi. 4. ta. Nkelatts Lejènt, de ttjì 'ti, verf. eenfequttuer traS. rem.4. fol. Z37. dove G dico in torminis : Conetr. datar ficnt Bvangelifta, juiM quei dkitnr difihtgue ttntptra, et rencardaiis Scrtpttlras^ ite tttagii ahfervandttt» tttea dherfitatem Hifiericomm Ctrtmograpiemm. Quella Dottrina Circa gl' Evangelìdi infegnb Sant'Agodino molto avanti, de Certfenfu EvartgeUftarttm IH. a. cap. 50. oper. Toiei. 4. fot. 153. Sk nii fintile invenittr fatìttm a Dwnioe, qnaà in aliqne alteri Evongellfia ita eepttgrtare videtmr, ttt emnhii pdvi tiett pefftty triiil alind intelligittir, quam utrttmqtte faÉhm ejftj et alittd ab alio eonotterrteratttrH ^e. Cosi G dee far degl' altri Storici ; cosi doveva far l'Avverfario nel cafo di Papa AlelTandn) : il che non avendo egli fatto, lo faranno gl' altri, dando loro ampia materia, e teftìmonio i proprj Avvefarj. lop I Nollri affermano che Papa Alelfandro. venilTe incognito a Venezia avanti la Vittoria, la qual fia fuccedà del ityó. e Tanno feguente feguide la pace ; cosi lo atteftano anche i Foreflieri Beat. Anton. Hiftorico par. 2. eie. 17. Cap. i. §. io. Polater. IH. az. /e/. 234. Coritts par.i. fot. 51. La venuta poi, dicono, colle Galee del Rè di Sicilia fu del 1177. cioè nell'anno che fi fece h pacecosi per li fuoi Autori Tanefta T Avverfario l. D. Tiem. 12. pH anno 1177. Jot. 430. Gli Storici dunque, parlando di due anni dillinti, danno all' Avverbrio obbligo di dire che due Geno fiate le venate del Pontefice; una quando venne incognito, dove dimoraffe finché la Vittoria Giccelfe contro Federigo, ed il trattamento, e la conclufion delb Pace lo aflìcuralfe cb potefie andar libe lamente ninente dove pI 2 ì gli piacefle, poi dovendo venir Federigo ad umtliarA a’ Tuoi piedi a Venezia, il Papa venire la feconda volu trionfante con tredici Galee del Rè di Sicilia.* non oftante dunGue r improperio, e la oppofizione che hanno gli Storici addotti dall' Avverfario, concedendo ancora che integri fieno, punto non contraddirebbero alli nodri, quando l’Avverlìario ha un obbligo di credere, e dire, cóme infegna Sant'AgoiUno, Ihrumqut faHum ffffy Cr aytud alio omijfum. Stante le quali cofe, febbene allora per opera de' Veneziani fu levato quel fcifma, e conoiciuto il vece Pontefice, ed ottenuta la pace, ben farebbe conveniente ^n• cera che da qui folle levato Io fcifma trb gli Storici, e fermata concordia trb e0i; fofle conofeiuta la veritb certa di quanto apprclTo la Sede Appoftolica nella Sala Regia, e nella Regia del Maggior Conlìglio in Venezia è confermato. Alle predette cofe s'aggiunge per argomento più rìfervato, che fi cava dal veribmile, prova efficace, cera, econcludentene'Giudizj con che f( fanno le X^^i> e fi dlfinilcono i Litìgj, come fi ten« ga per vero quel che e verifimile. jfUcgtt. per lìipolit, im tvè. dt pnéét» num* lo8. et fea, Tiraq, in ptxfat, /. fi unquam «m. 37* et ftqq. C. de revoc» aonats 0 “ Mafcard, de pnbar, eencl. 1402. verijimiiie$tdù in prinàp, 0 nu^ 22. 0 feq, Parfan, de probat. lib, I, Cép. 8. 20. 0 fca* Mandof. in - regul. Camelb, in prafat» per $ 9 fum lat^ Card, Tufil, pad. Cenci, in verb, verifimHe quid fit 9 M. 0 feq. tom^ 8. fel, 375. Chi dià che un Vafcello travagliato da grave tempefia di Mare, o da perfecuzion de'Corlàrì, non fi fia ridotto in Porto ficuIO, che gli fia vicino ogn* altra pendice, minacciando cattivici, e storte? £ dove Papa Aleflaodro, per afficurarfi andò? prima raccontano: Pimijffe Lateranenji Pélatio^ ad tutor domet ìb^ngipanas ad Ciftemam Neronis, m qua latuit Nna fi*giem Rotnanos infequentes metu ab Urbe fugam, medhantem Cuglielmui Rea fuis Trf temibuky e Terracina in Franciam deduxit^ poftea Francia y 0 Anglia Regum Conjtlio Remam. Ex, Ottene Fringenfi de rebus geflis F rider, lib. X. cap, 66. Tbom, Favelli de rebus Skulis dee. 2. Uh. 7. fot. 410. 0 ex olieg. per Baren, D. Tbom. li. fd. 342. Di modo che è verifimile, e coti fi dee tener por vero quel che ferive Obon Ravennate.- Defperaiis rebus Vtltelmiy ad tamos Friderki Exercitus vires imbccillas fuadebanty ne illi falutem fuam facile erederefy PrefeBionem in Cahiam ut rnanimumy 0 qui prater fuga di^ verrkulumy nibil ei adverfus Friderkum praft intra effe damnabaty Venetam Chitatem liberam y 0 oh id minimi fufpeBam, quam ifem amicam potius, 0 fuarum partiunt fuifse cognoverat maxuni ad eumdum probabat. Chi può dunque in quella difperazidn di cofe non credere ehegli fi lift ridotto a Venezia, la qual Iddio, in vece delle Ciith di rifugio concefib al fuo popolo, ha fatta riforger per falvezza l'Italia contra il furor de’Barbari? Per lo che Leon IX. fuo PredecelTore, vi fi trasferì perfeguitato da* Greci, e da' Normanni, dove fono cacciati tanti altri Principi da' loro fiati iòccorfi, e ne hanno ricevuta tanta confoUiiooe nelle efireme loro miferte, che han Digilized by Google DEL FRANGIPANE. 311 tanno confelTaro non aver più defìderio nè della Pairia, nè del perduto Principiato SM. dee. 3. li. i. pag. 152. ne fuona la Tromba per tutto il Mondo. I nodri Giurc-Confulti, benché efteri, di lei dicono ; Urie prtelariffima, deevs. fplnidm eeiius Italia, v'trntihts, divitiis, ac Religione ornata, Paradifus delitiarum'. Bald. conf. 41 1. qu'tdam man. 2. voi. 4. Carnati, conf. 72. de fare Col. }. Menoei. conf. 75. tac /am dici nam. yS. Jaf in l. fi Infalam nam. y. ff. de veri, oiligat. Gomef. li. ft faerat tnjlit. de aHion. Kevii^n. Iti. 5. nam. jy, Catelian. Crfia Memorai, in Veri. Fenetis. Tomai Deplovat. in Mditio ad Cepoltam de fervit. raflic. prad, e. 16. Mandof reg. 1 3. qu. 6. in fine Pietro Antonio Petra de Principe Cap. 3. qa. 4. nam. 34, Ai quali fi aggiunge Pietro Bellino Configlicr del Serenilfimo Emanuello Duca di Savoja nel fuo trattato de re milit. lit. 5. i» princ. traCl. tom. tS. fol. 335. Il quale cosi dice, Urne Uriem Novam Romam dixie Falgofas, et Commanem Patriam vocat Cama, eamque, et noi non immeriii calme n, et decui Italia dieemas, ehm fola, nel exorieni conira Bariaricaa Gemei, et rapin.ti, er vifiationei tatiffimam praiuerit llalii refitgium, folaqae tedia halicam liiereatem, tr dignhatem confervet, et taeaiar. Il Petrarca che godeva lo ftefeo rifugio. Seniliam, hi. 4. Epiti. 4. Aagaflilfitma Fenelianim (Iris, qaa ana todie liiettatii, ac pacii, et tifiiHa Domai e fi, anam ioaorum refugiam, ama Portai, qaem IM vivere capientiam, tjirannitii andiqaeiellicii tempefiaiiim ipuafia rate: pelane, Urli, aari divei, fed ditior pradentia, poiens opiiai, fid vinate poteniior; folidii fandata marmor Hai, fed filidiori eiiam fand.imento Civili! concordia fiaiilita, falfit einSa fiaàiiat, fed falfioriita tata Confila! tee. Onde Sabba Calliglionc ne’fuoi ricordi num. 114. dice, Fenexia bonor, repataxion, ed ornamento dell afflitta, e fconfolata IiÀia : per la Cai confcrvaxione ogni iaon Italiano dovreiie pregar noftro Signor Iddio. E certo a me pare mirabile b continua conlervazione della prima liberti fino a’prefenti tempi, e per Mar, e per Terra, in Levante, e Ponente, col Senno, e colle Mani valorofamente confervata, mantenuta, e direfa, cosi poITiamo fperare in Dio che fi confervi per l’avvenire di bene in meglio per la vera Giu. flizia, per la Religione, pel cattolico Culto di Dio, e per le opere pie, e fante, ch’in queUa abbondano ad onor e fervizio di noftro Signor GESIT CRISTO; Onde in modo di profezia è introdotto a parlar l’Angelo neU'Italia ìibettu da Gin; Giorgio Trifin. Hi. y. Mira qaetla Cini, ci' a mexpep alt acque Sorge tri'l Sde, t Adige, e la Brenta I^uella è Fenexia gloria del Terrena Italico, e Rifagio delle genti Dalla Sevi-gia' Barbara percoffe. $mfla Regina è di late' il Mare Specchio di liberti. Madre di fede. Albergo di Giuflixia, e di qaiere. Le cui virtìt fempre faranno eccelfe. Ed ampie in ogni fan futura etade. Però la fama che con fimili Trombe fuona poteva invitar Papa Aleffandro ad aver quel ricorfo, coU'cfcmpio de’ fuoi Predcceffori, cb’ Tomo II. Ss ebbero foccorfo, e difesa coatra i Perfeemorì loro, e di Santa Chìcla Lo dovea fpcztalmente inanimar il cafo di CregorÌ0 //. qoaB fìmiquando JUcn Impttudort^ eiTendofi meflTo aD’imprcfa di diflruggef« tucte k Santi Immagini della CriHianit^ far ciò oOinatamente ne lo richiele; qual villo che il Papa non volle, come non poteva ubbidirlo, richiefe il PuceOrfo, cd i| Popolo di Venezia, o a dargli in man il Pontefìce, 0 che Tainmazzairero; arditamente gli rifpolero quel che è regiurato da Bernardo Giudiniano nella Tua Storia al Libro X. Refponftan iis magno animo advertero po$utJfc quanto femper fiudio^ et bonort omnU bus ttmporibui Imptraroriam enolZcrcMa/eJlatem : maximb ramtn nowjjima Ravenna Urbis retfptione ^ non verim in corum gratiam Regem amiÒ" ficderatitm belìo ìacefeere : efse tamen ita a Majoribns injìitur rum, Ht ubi de facrofanbia agatnr Religiotte Romanee Ecclejùe /aiuti y Cr bonari mtllo modo dejint, rum omnipottnti DeOy porìus quam tdli mortaliwn fit partndum, Jraqtte Romanum Pontificem non daferturos» Ma farh meglio feguitar il fatto con quel che regi&ra, e diceda fe per meraviglia il Cardinal Baroinio. Sub amo 7 ad. num. 37. tom, p. fol, 18. perrmti Venetiarum Esttreitus jujjioni Impcratorit re Jiituerunt \ Ijla ingenti prsjìantique animo Veneti Tkef terra y marique protrimi ejsenf Imperatori, a quo deieri timere ponti ffettt, fi adbuc viribus y adeò fortes prò Ponti/ce certamen èrme adveìfia ipfum atiquo modo prafumerenty fed ubi de Religione feient effe certamen y eun 3 a ei pojì babenda nterith cen/uerunt. Indi ne ebbero tal gloria che contrariando^ airimpieib deU’Imperadere, ne riportarono trionfo, ch*ad onta fua hanno fabbricata la Chiefa di San Marco carica di Santi Immagini didentro, e di fuori ùi (cultura di Marmo, d’oro, e d’ Argento, di Bronzo, di Molaico, nel letto, nelle Pareti, nelle Colonne (ino nel Pavimento, ma pròpor7Ìonatamefite collocandone. £d ivi contro la Pazza erefta deH'lmperador Iconomaco, che alTeriva ciò effèr Idolatria, fcrifle in Molaici verfo la Canonica. Nam Deus efi quod Imago docety non Deus ipfaHanc videaSy fed mente calasyquod cernii in ipfa. Chi è quello dunque, che avvuta un ardentilTtroa, e mortale febbre, fie tic rìlànato per opera d’un fuo valorolo Medico amorevole, cd affezionato, che trovandofi con gli flefli fegni, e parofilmi, non torni allo deflb Medico come certo di liberarfi. Però la Chiefa cd il Papa liberato dalla pcrlecntion d'un empio Imperadore per opera deVeneziani; chi dir^, che tornatagli li lleflì travagli non Ha ricorfo alli HelTi, 0 incognito per llar Ccuro; o feoperto per efler difefo? Certo il vcrillìmilc, c la prelunzione è per raffermativa ; perche dalle cofe pallate, ft conofeono le prefenti, C. mandata C.Scriban, de prO' fumpt, Menocb. eod. lib, i. prafump. 24. ir». 8. La Storta dt Papa Gregorio certamente vera lo fcrive il Bibliotecario allegato, e feguito dal Cardinal Baronio è regillrata nel Pontibcal Tom. i.conf. 410. è Icritta parimenti da Paolo Diacono nella Storia de’ Longobardi nel Libro 6. Cap. 4p. Se quella di Papa AIclTandro non foffe fiata vera, nè la Sede Apollolica 1 avrebbe fatta dipingere, nè i Veneziani lafciando quella ^ Gregorio vera, e^ tanta gloria; Ufquequb gravi cordcy ut quid iiligitis vanitatemy et quaritis mendaciumì Pfalm. 4. perchè giufla il proverbio, ]!le matici in favor di Papa Onorio, dice, cbe acquiilarono dal Papa titolo di Repubblica. CrilHaninima, e di Dominio ampio per Terra, e per Mare, perchè Nallum kommt mtpouneratum Tom, 5. fub tmM 6^0, n, 17. fol. 6i%, to, p. fub an. yi6, ». 37. fui. 58, quedo fi vede conlcguito fobico dopo la vittoria conF^erigo, e meìlb in fedia Papa Ai^lTandro, perchè oiiracolofamente la Repubblica collegata co’Francefi, fece l'acquida dell'Imperio d’Oriente, che di fopra al numer. 78. abbiamo narrato, e poi fempre piò crebbe. i Il trionfo, e fine quando il Papa milè il piè fui collo di Federi' go, e figillò la pace, fu adì 24. Luglio la ;VigiLia di San Jacopo come dicemmo del 1177. dall’ ora in poi il Signor Iddio G è compiaciuto di donare diverfe grazie, ed allegrezze immenfe alla Repubblica fino ad oggi giorno nel detto Mefe, che ben d^ fegno in rìcompenia di quanto merito 6a. Per avanti il Mefe di Luglio era infaudo a’ Romani, ed aH’Italia per li sfortunati avvenimenti, cbe loro intervenivano, e par che ave^e principio da peccato di Religione; per lo che alcuni Politici, e Qiure^Ionfulti, pcrGufi della Dottrina di Platone ofTervato che certi cafi G trovavano iterati quafi all'idefib tempo, differo, che era un Orcuito di proportion armonica cbe girava, e giunto alle corde dello deflb numero iterade lo deffo tener di cole, come nel Corpo umano, quando è infermo per lo perìodo degli umori fi fanno le crifi nelli giorni decretor), e l’altre alterazioni negli anni climaterici, allegar, per Valentin. Forjlerum de hifi, /ut, civiUs, ì. i. in prin^ cip, frati, tom. 1 fol. 25. AUi II. di Luglio i Romani ebbero due rotte d’Eferciti in diverfi tempi cioè f Alienfcy c la Gremercnfey però quel di fu chiamato ni j^uJÌOy ni infauflo Corm Tacir. tib, 18. Tir, Uvitn dee. r. Uh, 6, Macrob. Satttrnal. l, I. c, 16. alti II. Nacque Giulio Cefare che diè nome al Mefe prodigiofamente ufeito a guifà diferpe, tagliato il ventre della Madre, e ne fegui con tanta uccifione ledinzion della liberti della Patria, della qual ben dide il Voicì. ^ Socerque y Gener, que perdidijii omnia. Succederò poi a dominarla i Tiberjy i Cajy i Nereaiy e tanti altri ferpi. AUi ip» cominciò Tincendio in Roma, comandato come alcuni vogliono da Nerone che tutta Tarfe.’ nel qual giorno per avanti da Calli Senoni fu prefa, et abbruciata. Tacitò Tib. 15, AUi X. Tito, non valfe ad impedire che a fuo difpetto i fuoi Soldati non abbruciadero il Tempio di GeruQUcoime, abbruciato la prìma volta da Nabucodonofor nelb dedb giorno, che fu il decimo del Mele quinto, che appredb i Latini è il LugUo, però detto tilcy ma comandofi perKaIende,che retrocedendo, principiano a'feoici, fi chiama Agodo, il qual giorno per^edi incend) Giufeppo chiama Tomo il. Ss 2 fa 3^4 ALLEGAZIONE &ulc, e cadetcbbc a'i5> Coà lì Calva quel che dice San Girolamo Copra Zaccheria S. Tt/mfumpùvi i» r. jciimmm àifi. Jcfcpbo Je itilo Juào'uo Hi. 7> e. e dove in. tal giorno per meilizia era inftiruto U diurno. In contrario qu^ lì celebta la feda di San JacopO in Rialto, quella Chiefa la qual la Cùtìi volle che foflc prima Pietra, e fondameto della dia foodazionequando ottenne grazia Cubito Catto voto, che li eflingueflè rincendio appiccato, che di giìi abbruciate 14, Cale era per abbruciaala tutta; così avendo colle Cue Celici armi ottenuto che d edinguelCe l' incendio di tanta guerra con Federigo che affligeva la Chiefa, e cenCumava tutta l’Italia. Quel MeCe dall’ora in quh Dio condituì che folTe tempo di dar la paga a' tuoi Soldati benemeriti, perchi in elfo Ce che la RepubUica conùnciaOc a far il predetto aoquido, prima col romper l’armata dell’ fmptsadore nello AelTo Areno di Collaniinopoli, e dopo affediata, e prcià la Citth, fugato il Tiranno AlelTio, col rimetter in ie^ liàccio, ed AleOio, fuo h^Iiuolo, i quali Cubito uccili da Marcilo occupò, la feconda volta V Imperio, dico la Città, e l' Impcrio ; non ancora partito 1’ Efercito nè 1’ armata dalle mura, uccifo Marcirò, a lui rimafe la Grecia; del qual primo acquiflo, fcrive Niceta. Aniwlium Lii. 3. Col. i a. fri, 177. ABom toc tfi Menfe JuHo onno lyii. che rifponde all’anno del Signore izol. cioè anni 24. dopo la detta imprela; l’anno feguente fu poi il total acquiAo : la qual’imprefa ora^i man di Jacopo Palma rendè fplendida la fua arte colla Pittura nella Sàia del maggior Configlio a dirimpetto deH'imprefa fatta per Papa Alefiandro, quafi due partite de’ libri de Conti aU’incontro di dare, e d’avere. Dalla Morte di CriAo lino aU’imprefa, e diAruzione di Gerufalemme, che fcgu'i per vendetta, pallarono anni quaranta, e qui 24. Coli, volendo il Signor eAer affai piò preAo alla rimunerazione, eh’ alla pena, dove Eufebio In Cronico confiderando il tempo della PaCqua, nel quale per quella imprefa fei cento mila Ebrei furono uocifi, ne cava argomento che ciò Iblfe per divina vendetta dal fegno del tempo, come intendiamo ora di far ancora noi, e dice, Oportliif onim iifilcm ditha Pojcbtt coi mterfei in quihn Solvotorem crutifxcnmt. Però nel Mefedi Luglio la Città feAeggia per diverfi altri feliciffiini avvenimenti, come per avanti forfè per altre fimili caufe leinteivenivano il dì di San Pietro. Nel primo celebra la feAa di San Marziale per tre Vittorie da lei in diverfi tempi in detto giorno ottenute; Al che fi aggiunge che nello Aeffo giorno il Doge Andrea Contarini fi refe a Chiozza trionfiinte per la vittoria contra Genovefi narrata di fopra al num. 15. Contra gli Aefli alli 22. fi conclufe la Capitolazione, e pace con tanto onore, ed acquiAo della Repubblica, che ancor fi celebra per memoria di allegrezza pubblica la fella di Santa Maria Maddalena. Alli 6. fucceffe il fatto d'arme al Taro, nel quale il Rèdi Francia ricevè così buon accordo, che fuggito per voto, come riferifee il Guicciardini Hi. z. cor. jg. e sbigottito da queir angofeia, gli feappò la voglia di fapct dove piò fbAe l'Italia, intento all'ora folamente al Digitized by Google DEL FRANGIPANE. 32^ ai pafTàr avanti nonvolendo^mtender più pratica alcuna, con celeritk fegultanda il Tuo cammino, levandofi aguifa di vinto fcnzafaonar la Tromba* Gmcciard. lib, 3. car^ 5p. e 6 p. ed ivi queirifteflb giorno cominciò a ceder forzatamente i luoghi che teneva confederati della Repubblica richiel^ill dalli Provediiori Veneti nella rifpofU data al fuo Araldo quando richiefe U paiTo, Bentbus Hb. 2. cor. 44. j 4 lexanà, in diario ejuuUm belli y Jov/uilib» 2. car. 8^ per chè all’ ora angoTciato a difender la propria perfona più colla ferocia del fuo Cavallo, e colle orazioni,che da* fuoi eHèndo. anche eflì occupati nel difender la Tua,, cosi che io avevano abbandonato, non potè mandar come doveva la gente fui Genovefe,. però ufcita Tarmata di Genova,, prefo fenza difllcoltk il Borgo di Rapallo col prefidio de* Francelì che lo teneva, e prefa l'Armata loro che ritirata in quel Golfo di li a poco il Rè Ferdinando ricuperò il Regno di Napoli, ed il Duca di Milano Novara : pel qual fine la Repubblica s’armò e combattè, ed avendolo ottenuto da Dio, ne vicn aver avuta la vittoria all’ora felice per T Italia, colla ricuperazione della ricca, e gro 0 a preda, che dalla mifera Italia, fpoglìata in Francia gloriofi riportavano. Allt 17. che fi fece appunto U primo acquilo di CofianttnopoU y come di fopra al num. I20. fi fcfieggia la memoria di Sanu Marina, perchè in quel giorno fcrive il Bembo, fi fece Tacquifio diPadova due volte, ma la feconda Dio fece, che ficcome era d^ di Santa Marina foflc luce di Stella Marina per ralTèrenar le tenebre della Repubblica, in mezzo della fiera tempefia della Lega di Cambra;, fopra che dice la Parte prefa nel Sereninimo Senato per folennizzare detta Fella 1712. Die XXK Junij fide prhtcipiam Uberationis a eonventu maiignanìium y CT a fmcibus inimìcontm nojlrcrmn y Civi^ fas Padiue non bumana opv, aut ConJUtOy fed^ Divino auxilio fiiir cuperatay t per dame qualche argomento, e fcgnodicc, In cuyasetimt T'empio tppcnfn ClavesÒ" Sigillo Civitatit fitb feptdcro Serenifs. Dtteis D.Miibaei ’hSfeno in monwmntum prim^ %pfiu% acquifmonis, Quello giorno fu principio tale, che da indila Repubblica ricuperò tutto il fuo Stato, cho aveva perduto, c ciò con tanta gloria., che il Guicciardini dice /i^.4r. 327. Con ejini Icp^ieriy e poco dwrabili fi terminarono i movirnertm ti dell armi fen- 3 ^ utilità y ma non ferrea ignominia del nome di Cefore, e con accrtfeimento della riputatone de' yenezi^*** 9 ^be a ff aitati dagli Eferciti di CefarCy e del Rè di Francia mantenejjero alla fine le medefimt forze, ed il medefimo Dominio, Indi alTottava, che è la Vigilia di San Jacopo. Renzg da Ceri ufcico da Crema prefe Cafiiglione, e menò prigione Ì 1 Capitano, che Io teneva, e iubito prete Lodiy c confegnollo a’ Collegati. Aleman. Tinus in Hifi, Erement, lib, 8. AlU 2p. di Luglio del 1523. fu fatta la Capitolazione della pace, colla confermazione di quanto pofledeva la Repubblica in Terra ferma • La Signoria vifìta folennemente la Chiefa del Redentore la ter2a Domenica di Luglio, nella qual fu liberau la Citta da una gran pelle. Cof^ il Mefe, temperai per avanci degli Infortunj, è divenuto (Ragion Digilized by Google 3zo Raven. fih. 8. Bard^ cor. 24. FiJi(q>o Memo Dottor andò ad accompagnar Ottone, che fu prefo all’ Imperator Tuo Padre, Crontcs Samtìa M. S, fai. 84. ed ambi ebbero in tal fatto merito, uno per la Vittoria, l’altro per la con» clufion della pace col ridur T Impecadore a* piedi del Pontefice nel jnunesazione io quel giorno, e celcbrandofi 1* annuale dell’Afcenfione ravvivar la gloria della Repubblica con ravvivar la memo^ ria del trionfo, confeguito contra i Perfecutori di Sama Chiefa, c fpiegaic elempio a’prcfentt) ebe abbino a perfeverare, e non effere, degeneri a* luoi Progenitori, dovendo per le proprie confeguirne premio Gngolare in perpetuo, e trafmettere il merito anche a’ pofleri, per lo che ogn’uno dee defiderare, e pregare con devoto Inno di Policromo, che il Signor Iddio faccia perpetua quella bnta, gloriola, ed a lui gradita REPUBBLICA, che fia cuBodita flagl’ Angioli^ Grazia-. DOMINIO DEL MAR ADRIATICO DELLA SERENISSIMA REPUBBLICA DI VENEZIA SERENISSIMO PRINCIPE. t L Dommio della Serenedima Repubblica fopra il Mar Adriatico i cos» celebre, e famofo, che forfè non fi troverà akan’ altro, del quale dopo la declinazione dell’Imperio Romana più Storici, eGiureconfulii abbiano fatta menzione, ed approvato di comune confcntimento per le. gicimo, e giuflii&mo; nel che elTendo tutti con ^ cordi,fifone però trovati differenti neiraflegnar vi l'origine, e varj'nell’allegar il tellimonio, fondandolo, chi lopra privilegio conceffo dal Papa, chi fopra privilegio, e conceflione dellimpcradore, ed alcuni fopra la prucrizione, altri ancora fopra antica confuetudine. L’opinione, e ragioni de’ quali avendo io confrontato con le Puh. blice Scritture, che per comandamento di 'Voftra Serenità mi fono Ihte mollrate per dover metter infieme un'iniera relazione, ed informazione delle ragioni di quella antichiffima, e nobililfima giurifdizione, confiderato il tutto accuratamente, ho creduto che quella materia poffa effer ben dducidata, ponendola in cinque confidcrazioni. La prima tratterà il vero tellimonio, e poffeflione, de’quali quello Dominio colla, mollrandolo non acquillato, ma anche infieme con la Repubblica confervato, ed aumentato con la virtù dell’ armi, e fiabiìito con la conluetudine eh’ eccede ogni memoria. La feconda larà in mollrare non effer vero, ni utile il dire, che la fercniffima Repubblica abbia il Dominio del Marc per privilegio del Papa, o dell’ Impcradore, ni meno per preferizione. La terza confiderazione farà vedere fe il Dominio del Mare comprenda i Seni, Porti, et altri ridotti, ed inclufi i Lidi ancora, e le quella giurifdizione s'^llenda a llatuire, ed imponer Leggi a’ Naviganti, facendo quell'otbuùzioni, che ricerca la pubblica utilità, ed a pe Digilized b, - ìoogle 3z8 DOMNIO del a punire i delitti commeflì in Mare ^ e ^ imporre gravezze a quelli, che fi vaglino dell’ ufo di elfo.. quarta far^ in efplicare, e rifolverc ropinioni d’ alcuni che vengono fatte in contrario. ^ Nella quinta metterò infleme le ragioni particolari, c proprie della Sava di Goro^ ed in quelle ^coofid^zioni non mi vaierò fe non di cofe » chq fi poffono moftrare per le Scritture pubbliche, ed "autentiche di Voffra Sereniti, ovvero per tefiimonj, ma degli Storici, c Giurcconfulti approvati^ Il vero Tefiimonio, pel quale la Serenifiima Repubblica ha il Dominio del Mare è quell’ ifieflO) pel quale ella ha la fua liberti, fi che al piiqcipio del fuo nafeimento per una IWfia caufa ella nacque libera^ ed ebbe rimpcrio maritimo, e quella caufa fu reffer edificata, e cofirutt^ in Mare, il quale all’ora non era fono il Dominio d’aìcuno. E’ termine indubitato appreffo i Giurcconfulti effcrc de ]ttre Gett^ ri»m, che ognìCiti^fia libera s’ è fondau nel fuo, ficcome le Cincin luogo dominato fono dal fuo nascimento Soggette al Dominante; quelle, che naicendo in Terra non foggetea ad altri, nafeono libere per quella ragione, che fono libere per la Slcflà fono Padrone della Terra dove hanno il loro principio. Co$‘( quella inclita Citt b nata nel Mare, del quale non eia alcun Padrone, è nata libera, e per rifielTa r:tgione Padrona dell’acqua dove ebbe il fuo principio; per Io che tanto è il ricercare rimpcrio Maritimo di Venezia, quanto ricercare roriginc della liberti fua, ovvero la fua fondazione. A quello non olla, che ne* tempi precedenti la Repubblica Ro^ roana abbia fignoreggiato rillefib Mare; ùpperocchè non fi ricerca per l’edificazione ad una libera Cittì, che il luogo mai in alcun tempo fia ftato dominato da altri, elTendo che per ifiabiliiì dello cofe mondane, non v’è ragione,che non fia fiata loggetta ad innumerabiii mutazioni, ma bens'i ricerca, che nel tempo deiredilicazione il luogo non fblTc fo^getto ad alcuno. L’Imperio di tutto rAdriaiico per molti fecoli innanzi il nafeiinento di Venezia, fu deirimperio Romano, ma nè Dominj de'Popoli avviene quello ftcITo che net Privati; cioè che cìafcheduno per tanto tempo è Padrone della fiia cifa per quanto la tiene in proprietì Sua, nel qual tempo non gli può eflcre legata lenza ing^llizia; ma s* egli l’abbandona, o non ne tiene il polTeflb, o irait ne può piò tener conto, quella difoccupata può elTere privilegiata per propria dì qual fi voglia, che primo le mettcrii la mano fopra. Così le Cittì, che foggette ad un Principe, non poflbno eflérgii levate fenza IngiulHzia, ma s’egli abbandonerà la loro cuftodia, c non la govcrnerì, o perchè non voglia, o perche le forze glie fieno tanto mancate, che non poffa, faranno di quello, che prima ne piglierà il governo, c protezione ; c per legge divina, ed umana dovranno fiare fotto di quello, mentre egli cominueA a reggerle. Anzi il Dominio così acquifiato anderì prendendo fcropre maggiori radici, e confermandofi per quanto nuggior tempo durerà, in mo do Digitized by Coogic MAR ADRIATICO, szg do che avendo continualo in cosi lungo Tpazio d’anni, che non vi fu memoria d'uomini in contrario, fata perfcMamente llabilito,e& poirh dire acquillaio per confuetudine. Certa cola i, ehe innanzi l'anno 400. dalla Nafcita di nodro gnore, gl'imperatori pollédevano Tacque del Mar Adriatico, partW colarmente le Lagune dove quella inclita Citth i fondata, ma ef. fendo dedicata la forza dell'Imperio in Occidente per Toccupazione di gran pane dell'Iialia da' Barbari, quelle acque furono dagl’Imperadori abbauJcnate; onde redando fenza Dominante, per legge Divina, ed umana, poterono i Popoli, che fi ritirarono per l’inonda. alone de’ Barbari, indituire in qued'acque una Repubblica libera, e per virtù della fila Nativith Padrona del luogo, abbandonato da chi prima lo dominava era all' ora fenza Padrone, e difoccupato. Ma mentre dico, che il Dominio del Mare fia naturale a quella Repubblica, e nato infieme con lei, non voglio intendere, che tutto in un tempo abbia ac^nidata la padronanza di tutto TAdrfatico, perchè le forzo nel principio non erano tante di poterlo cudodire, e guardare tutto; ma nel fuo principio ebbe Dominio di quel tanto, che con la virtù delle lue forze poteva cudodire, e proteggere, che fu il tratto contenuto trk Ravenna, ed Acquileja; redando il rimanente fenza Padrone come abbandonato dalTImperadore, e non dominato da’ Barbari, che s'impadronirono d’Italia lenza forze maritime, fintato che Giudiniano mandò per la ricuperazione d’Italia Efercito terredre, ed Armata di Marc, e fcacciati i Barbari, ripigliò il Dominio, e cadodia dell'Adriatico,* nel che avendo avuti favorevoli i Popoli di Venezia, non toccò, ma lalciò nella fua liberti la parte, che è da Ravenna in qiù, come polTeduta legitimamcme dalla Screnilfima Repubblica, contentandoli di quell'altea parte ch’ò oltre Ravenna : ficchi ilSerenifilmo Dominio della Repubblica in Mare fn di quella fola parte di edb, che è prollima a queda inclita Citch. Ma in progreflo di tempo fatti gTImperalori un’altea volta debo'lì, ceflaronu di mandare Arma» in Ravenna, ed abbandonala quella parte, che è dal fiume di Tronto in quh fi ritirarono nella Puglia, il che mife in ncceflìtii queda Repubblica, la quale era crefciuia anche di forze a pigliar cudodia piò ampia del Mare, e tenerlo netto da'Cotlari per mantener Scura la navigazione, incominciando dalla Riviera della Marca Anconitana, e dal Quarner fino a Venezia: il che lecoftava ogn’anno moltoifangue dc'fuoi Cittadini, e molto tefoio. Seguile le cole per alcun tempo in queda maniera, fu moda guerra da’.Normani aU'imperadorCodaatinopolicano nella Puglia, il quale non elTcndo badante a difenderfi per fe IlelTo in quella regione ricercò Tajuto della Serenifiiina Repubblica, il che fu uccafioneche ella palTafle con le file armi anche nella Riviera di Puglia. Molte fazioni Icguirono, nelle quali avendo AleOio Comneno Imperadoco fodenuta la gueira piò con Tajuto Veneto, che con le forze proprio per tré anni in circa, il quarto abbandonò Timprela, ne mai piò mandò Tarmata neU'Adtiatico - per lo che redò la Puglia occupata da' Normani, i quali elTcndo fcaz'arme maritime, il Golfo da quella parte fino a capo d'Octanto, abbandonato deUTmperadore, non poteva elTer, protetto, e cudodito, falvo che dalla ScreoiOima Tomo IL T t Repubblica.; oiide per neceflitìt di. render Scura la navigazione aTuoi Sudditi^ eOi. che gib. aveva con la forza acquiftato, quel Mare, con• tìnuò. a cudodirlo, e difenderlo da’ Corfari, e da altri turbatori, e oc acquiSb. il Dominio come di cofa abbandonata, e non poCTeduta da alcuno. Per lo. che ficcome s'i detto, ch'il Dominio del Mare d: naturale alla Repubblica, principiato inficmc con lei nelle parti proflimeaquell’inclitaCittk,cosV anche infìeme fi dee dire, chefiaamplificato fuqceflivamente neiraltre parti di elfo Mare, che fono ab- bandonate da quelli, che le pofledevano. prima, e prefe in protezione, c cuSodia dalla Repubblica fin tanto ch’ella s’è fatta Padrona. di tutto il Golfo, e perchè cib eccede fei centinaja d’anni, fupera, e di giìi, molta ha fuperato ogni memoria, ficchc è confermato con la confuetudine immemorabile. Di tal confuetudine convien fare ogni capitale, perchd la legge la ptefuppone tempre buona, ragionevole, e lodevole, e che fia intervenuto tutto, quello, ch’era neecITario a làr cofa legitima, che fia equivalemeadogni contratto, e convenzione. Per dottrina de’Giurtconlulti a (labilir una giurifdizione per conluctudine irrevocabile fi ricercano, che fieno fiati fatti atti giurildizionali continuamente da tempo. che non vi fia memoria in contrario, e che altri non abbiano elercitato. atto alcuno, fe non con licenza del Polfellbre : c che da. quello, fe alcuno, ha tentato, di farlo, gli fia fiato proibito, tutto ciò non occultamente, ma con faputa, e tolleranza di quelli, che avrebbero potuto pretendere altramente, le quali cole tutte fono intervenute nella continuata; polTel&one di quello Mare, Da tempo che non vi ò memoria in contrario è fiato eletto continuamente un Capitano di Golfo, fono fiate tenute Galee, ed altri Legni armati per cafiodia ordinaria, continuamente è fiato proibito efiicacemente, o con tutta tratuzione, o con forze a qualunque altroPotentato il tenervi Legni armati; ed i Pontefici, Imp'cradori, ed altri Principi hanno aflcnciio a quella giurifdizione, o col confeffarla in parole, ovvero per effetti, ricorrendo, implorando l’a)uto,e quando hanno voluto trafportar|Vettovaglie, od altre cofe pel Mare ricercando licenza, ricevendo le Patenti della conceflione ; e alle volte anche fono le licenze fiate negate, ovvero concedute limitatamen* te, e non quanto la loro dimanda richiedeva. A’ Naviganti fono fempre fiate date le Leggi fopra la navigazione, coti quanoo al luogo, dove dovevano far la Icala, come alla qualità delle merci; Li Conaabbandi fono fiati confilcati, e fono fiate impofte dazioni de’ Dazj, azioni tutte di giurifdizioni, e fupreme Dominio. Non v’ò memoria quando avelTe principio l’elezione d’un Capita, no di Golfo, ma ben nel ijp;. fi vede una lettera dell’Eccellentifiimo Senato ferina al Capitano dì quel tempo con precetto, che feorefle la Riviera della Marca Anconitana, e la Puglia fino b Capo d’ Otranto, e dal tcnor di quella lettera appare che il carico di Capitano non comincialTc all’ora. E' notoria la cufiodia tenuta continuamente con Galee, e Vafcelli armati per difenderlo da’ Corfari, e Ladri maritimi, «dopporfi a quelli, che voleficro impadronirfene;efisbinficme quante civefeovo di Magonza Vicario imperiale in Italia con la Sercnil&ma Repubblica nel 1174. che Ancona fodeadaltata con l’Armi Imperiali per Terra, e con quelle della Repubblica per Mare, ficcome fu anche pugnau, ed elpugnati. Fu-.ancora un’cfprcflb confenfo del Papa, e dell'Imperadore Federigo infieme l’anno 1177. imperocché avendo il Pontefice Alcflàndro Terzo implorate le pie Armi della Repubblica per difefa Tua, t della Sede Appodolica dalllmperadorc Combattuta, ed avendo Tlmpcradore dopo la rotta della Tua Armata acconfentito di venir a Venezia, Tuno, e l’altro confeflarooo in quede lue azioni legicimo il di lei Dominio Maritimo; e fé bene alcuni pochi Storici non fanno menzione di battaglia, e vittoria marìtl ma, attedano non di meno che il Principe Ziani incontrò prima il Papa, e poi Tlroperadore con potentidlma Armata, con TideHa li condude nella Marca Anconita. na, ed. aggiungono, che fu eletta la Citù di Venezia da ambe le parti, come quella che non foggetti ad alcuno aveva forze d’impedire, che dall’uno non foffe fatta violenza all’altro di quei Principi Valendofidel Dominio maritimo della Repubblica, come loconfeifarono. A qufda s’aggiunge, che il medefimo Federigo Imperadore quando' i’anno xi88. fi mife in viaggio per Terra £inta, Icrìvendo una lettera comminatoria al Palatino, e magificando le forze del Cridia. nefimo, oberano in fuo ajuto, mife frh le principali aver in lega, e compagnia la Repubblica di Venezia, encrau a fua difefa ad indanza,, e preghiere del Pontefice Romano, lafciato ben gorvenato, e cudodito il Mare.* il che tutto modra non folo ralTenfo di elfi Pontefici, ma anche quanto fofle loro grato per fervizio pubblico della Cridianith, che la Repubblica av^e forze non foto da protegere il Mare Adriatico, ma da mandare anche in Paefe lontano. Celebri furono ira le altre le fpedizioni £ute ad indanza d'Urba. no Secondo, e nei 1111. a preghiere diCalido Secondo; ma foprartutto è notabile la fpedizionc fatta h Coftantinopoli l’anno 1202. con il potente Arnuu, che inlìene con la Nobiltà Fraticefe, che vi era lopra fu fufficiente di reftituire in Coftantinopoli l'Impeiadore I fcacciato il Tiranno, e dopo la morte di elfo Imperadore acquilare il Dominio della Citth, e delflmperio, lafciando peri tanta Armata in Golfo, che fu fufficiente a guardarlo, ed a ricuperar Zara, che all’ora fi ribellò fenza muover le forze ch’erano in Coliantinopoli. Forfè la più notabil memoria ò, che nel ia7}. avendo congiurata quali tutta la Riviera della Romagna, e Marca Anconitana per ufurparC il Dominio di quei Mari, turbando la poireffione della Serenilfima Repubblica, fu nundata potentiifima Armau per reprimerli; e dopo alcune Batuglie, fu fatu pace con quei di Romagna, de’ quali erano Capi i Bolognefi 4 convenuto, che la SerenilEma Repubblica continuaflè nella poflefCone fua dicufiodire, e dominar quel Mare; Per lo che quelli della Marca, refiati foli, non potendo far rcfiflenza, fecero ricorfo al Pontefice Romano Gregorio Decimo, il quale tentò di far comandamento al Duce di quel tempo di defifiere, al che avendo egli rifpofio, che il Dominio del Mare era della Repubblica, e che voleva in ogni modo difenderlo, e proibire a tutti il tener Legni, e Galee armate, e trattar da nemici quelli, che avelfero pretefo di tenerli, il negozio fu poitato dallo flelTo Pontefice nel Concilio Generale di Lione, dove fu commeflà la caufa degli Anconitani all’Abate Naverfa, il quale udite le loro ragioni folamcme perchè la Serenillìnia Repubblica non confenfi di mettere in litigio quello, che da tanto tempo poffedeva, conobbe il Giudice, che gli Anconitani non avevano fondamento alcuno; onde furono coftretti d’ acquietarli, e cedere. Fece parimente guerra la Serenilfima Repubblica col Rè d’Ungheria, tth le altre caule, anche pel Dominio del Mare dirimpetto alla Dalmazia, ed in fine fi fece la pace in Tarino nel ijSt. dove fu convenuto, che la giurifdizione di quell' acque rellalfe alla Repubblica. Di quella ulnma guerra, e pace fono le Scritture pubbliche in Segreteria; le altre cote narrate di fopra fono tratte dagli Storici, eDendo cofe fuccelfé innanzi l’anno izji. quando furono abbruciate tutte le Scritture pubbliche. ‘ Più efficace prova ancora fi cava da’ricorfi fatti -da diverfe Citth, e Principi polli fopra il Mare Adriatico, i quali avendo ricevute irt‘ giurie nel Mare da’Corlàri, ovvero altri Ladri maritimi, fono ricorfi a quella Principe, dimandando ragione, e giulliziz. Per le Scritture pubbliche appare, che nel 1377. gli Anconitani prefero ardire di far diverfe novitb in Mare contro i Mercanti di Fermo, eÌAfcoli. (^elli di Fermo fecero ricorfo a Venezia, e dal Principe fu mandato in Ancona a ricercarli della Conveniente emen. da, ed a dolerli delle novit b da loro fatte in Mare, la cui guardia era acquifiata con tanto fangue: al che avendo elfi finillramente rifpollo, e non celfando di velare il Mare, fu perciò mandata una potente Armata per reprimérli; nel che volendo interponerfi il Pontefice Papa Gregorio Undccimo, al qual-efiètto mandò un’Amhafeiadore a Venezia, gli ih rifpoflo eoo aperte parole, non elTervi altra maniera d’accomodamento, fe non celfimdo gli Anconitani di molcllare i Naviganti, perchè la cullodia del Mare en llau dalla Repubblica icquillata con fuodori, e fangue da tanto tempo, cht non vi è memoria in contrario, come i ben noto; e perciò facevano intendere a Sua Santità, e cosi erano per dire a tutto il Mondo, che volevano foli culfodire il Mare, e proibir^ ad ogn'uno l’offendere in elfo chi fi fia. Furono coftretii in fine gli Anconitani a deri(lere,ed a ftxldisfare ancora a danni dati nel Mare a quelli di Fermo, e di Afcoli, Ebbero ancora ricorfo quelli di Spoleti airEccellentiflime Senato nel iì 9 ì- per elTcre ftau prefa una loro Barca fopra la Spiaggia di Rccanaii, onde fu comincio al Proveditore d'andare in Ancona, o sforzare gli Anconitani alla rcllituzione come di cofa prefa indebitamente nel Golfo di giurifdizione della Repubblica ac^uiftau eoa indori, fangue, e fpefa. £ nel 1408. corteggiando intorno alla punta d'Italia alcuni GenovcC con una Nave, una Caravella, ad una FuRa facendo danni particolarmente a Sudditi dal Principe di Taranto, egli fcrifle una lettera al Duce, avvilando i danni ricevuti, c ft^iuitgendo, che la forze fue farebbero Baie baflanti per rifarcirli de’ danni de'fuoi Sudditi; con tutto ciò aveva voluto prima darne notizia a Sua Serenitb, fperando, che vi rimedicrli, ficchò non fatò nOceflario per altra via provedere all' immunità de’fuoi Sudditi. L'illeflb anno eflendo fuggite due Galee al Rò Ferdinando di Sicilia di quà dal Faro, ed entrante net Golfo Adriatico, quel Rò non giudicò gli fo 0 c lecito il léguitarle, ma mandò a pregare il Sereniflimo Dominio, eh’ effendo enitate nel Mar fuo, voìeflie perfeguà. farle, e prenderle. In quegli (lem tempi del nti, eflendo fatte diverfe novità, e prede da' Golfari nelle acque della Marca, ficchè anche il viaggio alla divozione della Madonna di Loreto era impedito, quei della Ri. vieia mandarono a Cgnilìcarlo al Principe, avvifandioio della violazione della giurifdizione del fuo Mare, e che le prede fatte in quello erano con danno, e vergogna fna, pregandolo a prevedere con la fua potenza, e giulliaia, maflitee per heureeza di quelli, che dovevano andare alla Madonna di Loreto. L'illeflia illasza fu fatta nel 141(4. dall' Ambafeiadore dello Beflò Ri Feidinando per le Riviere della Puglia. Nel 1483. eflendo Baie predate da un Corfaro alcune robe del Ri d'Ungheria, i fnoi Miniflri ebbero ricorfo al Principe Cgoificandoli, che le offefe erano fatte a lui eflendo occorlé nel fuo Marc, c dimandando provinone, acciò la Navigazione fofle libera. E quello che i di maggior momento nel i48d. avendo i Turchi fatta una incurliene ikIU Marca Anconitana, predando uomini,e robe, Rapa Innoccnzio Ottavo con un fuo Breve, che ancora G ve. da, ordinò al fuo Nunzio AppoQolioo di fare doglianze con l'EccellentiiGiao Senato, e GgniGcarli, che all'onor fuo conveniva, che il Mar Adriatico faflc tenuto libera' da' Coefari, t far anche efficaci inflanze acciò raflrenafl'e l'ardire di quei l'urchi, che corleggiavano il Mare con vergogna, e fprczzo della Sereniflima Repubblica, aggiungendo, che cosi facendo farebbero opera gloriofa, e gratiffima alla Sede AppoRolica. In quelli ultimi tempi attenta nel 1577. Papa Gregaria DecimoWnio fece pregare rEcc^llentiflimo Senato di liberare il Golfo dall’ infedazione di una Galea del Marchefe di Vico, dicendo, che alla SerenilEaia K,cpubb.lica fpettava la coliodia d'elTo Golfo. Non i da tralalciare una lòtta d'ai^ellazione de'Pontefici Romani, che ii Dominio di quello. Mare fpetti alla Repubblica, alla quale hanno fatto alcuni d’elTi nel conceder le Pecime particolarmeule per le fpeGc della guardia del Qolfo^.Viè un Breve d’Adriano Sello noi un'altro di clemente Settimo nel ijzd. uno di Paolo Terzo nel ijjS, ed uno di Pio Qaaito nel 1504. che ciò dicono erpreOàniente, e forfè chi ricercaOc piò minuumente ne’ tempi innanzi, e dopo ne troverebbe degl’ altri dello flelTo tenore. Similmente manifeliilTimo confenfo degl’Imperadori fono le Sei Bolle Imperiali d’Enrico Quarto, Lotario Secondo, Federigo Primo, Enrico Sedo, Ottone Quarto, e Federigo Secondo, refemplare de' quali ò nella Segreteria, dove ciafeheduno d’efli pattuifee, che i Sudditi Veneti pol&no liberamante tranfiiare per le Terre, e Fiumi deli' Imperio, ed i Sudditi Imperiali pel Mare, e Fiumi di Venezia. Non fi dee tralalciare trb le dichiarazioni Imperiali la pace con Carlo Quinto, ed Ferdinando Secondo nel i5Zp. nella quale vi ò un Capitola, dovei! contiene, che i Sudditi polTano negoziare in Terra, ed in Mare, che è ben una chiara canfclTione, che la Repubblica ha il Dominio del Mare. Ma che quedo Mate fi debba intendere tutto l’Adriatico, Io moflra un’altro Capitolo dove dice, che la SeTcnilEma Repubblica continui a poircdere,come in quel tempo podedeva Terre, Fiumi, Laghi, ed Acque; il che non fi può intendere fe non dell’ acque del Mare, avendo prima detto Fiumi, Laghi, ed Acque; ma all’ora polTedcva tutto l’Adriatico, (wrehè ella in qud tempo y’ aveva l’armau dentro: Adunque quei Principi acconfentirono ìa poiTcuione dell Adriatico. La cerimonia ancora di fpofiir il Mare, che annualmente fi fa in prefenza degli Ambafeiadori, e Miniftri del Papa, e dell’ Imperadore, che non è data mai interrotta,è un’indizio deU’attedazione di quei Principi. Modrano ancora il confenfo di molti Principi, e Potentati le licenze chiede da loro per tranfirare con vettovaglie nel Mare. Ve ne fono innumcrabili concedè ai Marchefi di Ferrara, alla Cittì di Cefena, ai Signori di Ravenna, ai Malateda Signori di Rimini, ai Rè d’Ungheria, ai Ragufei, ai Rè di Napoli, ed all’ Imperadore deifoj ed al Pontefice ancora, che farebbe troppo lungo riferirle tutte. Io ne ho da’ Libri pubblici raccolte trenta nave, e fono certo, che ve ne fono dell' altre. ' Fra quelli fono notabili per la grandezza de’ Principi, Che le han. no richiede le concedioni fatte a petizione ;del Pontefice, e de’ fuoi Minidri, come nel ladp. all’Arcivefcavo di Spalatro Governatore della Marca, e Patriarca Antiocheno Governatore della Romagna di poter condur grano dalla Marca, e nel 1477. il Pontefice Sido Quarto per un luo Breve ricercò di poter trasferire grano dalla Marca in Cefena, e nel 1505. Giulio II. per un fuo Breve chiefe licenza di portar {rumenta dalla Marca a Roma. Si 33 che nel 1 3pp. efRtndo contratto matrimonio erb Guglielmo Arciduca d’Auflria, e la Sorella di Ladislao di Napoli, la quale volendo il Fratteilo, ed il Marito condur per Marc di l^glìa alla Riviera di Dalmazia con la. Vafeelli, tré Galee, e Navigli, dimandarono falvocondottp per li legni, c per le |>crfone^ ed il lalvocondotto fu concelfo a compiacenza di que’ Principi, a tutte le perlone, eccetto quelle, che fofTero bandU te da Venezia per delitto di Maeflh ofTelà, o per omicidio; col qual falvo condotto la Spola palsò con tutta la fua Compagnia; pniova noubiliinma della luperiorith del Mare; poiché i Banditi da Venezia tono banditi dall’Adriatico, come da Territorio fuo, e non è loro permeflb il femplice paffaggio, tranficando di Terre aliene in Terra aliena, ed in compagnia di gran Principi, Aggiungerò con qued’occafìone, non efler leggiera pniova di giuriidizioac in tutto il Mare il colhime antichidimo di bandir da’ Navigli armati, e dilarmati, che fi vede efegmto caiandy) ne* Navigli d’altri Principi, come neiroccafioni narrate* ^ f Dell’ aver ftatuite leggi, ed ordinazioni fopra fa navigatone, e deU’efazione de'Dazj, urh il luogo dì dilccNTcre à|l particolare nella terza Scrittura, ficcome anche il ledknonio de’Gìdreconlulti (i riferidi nella feconda, come in luogo proprio. Per compimento di queùo teda folo raccogliere con bwiÀme parola tutte infìemo le con« chiiìoni propode,^ o per dir meglio provate Ogni Dominio conda di titolo, e pofleflb « 11 titolo del Dominio dalla Sereniifima Repubblka fopra il Golfo contiene quattro condì» zbni edenzialt^ La prima, che non é in modo alcuno acquidato, ma nato ìnfìeme colla Repubblica, a colla liberti fua in acque libeiQ, non foggette allora a ;giuriidnions d' alcuno.* la feconda che fi é- aumentato, c dUaiak» per occafioni fopra le acque/ dappoiché furono abbandonate da chi le podedeva, e redavano fenza Padrone, che vi avelie giurildizione ; la terza, eh.' è conlervato colla forza deir armi, con fpargimenta di langue, profufione di cefori, o. tutto a cagione di rendere più ficura la navigazione; la quarta^ eh’ è- confermato pec una lunghidlma confuecudine, il principio della quale fupera ogni memoria Ma oltre quede quattro condizioni intrìnfeche, ed eifenziali, s‘ agghusgono altre tre, che febbene noa apponano ragione, lervono a maggior decoro, c manifedazione della veriii, e lono quedeLa prima, raflènlo di molti Pcincipi coli’ implorar gli ajuti marìtimi, o chieder licenza di) iralportare robe o con pace, o convenzione; la feconda il tedimonio degli Storici; la terza 1 ' attedazione, ed approvazione de'Giureconluici, la poflelTionc continuata attuale, e veduta in tutti i tempi, e fi vode ancora al prelenre da tutti per quattro .continuati, e non mai intcrxotti cfercizj di Dominio. Il primo per la continuata elezbne de’ Magidrati, ch’elercUana il Governo panicolaie pel Capitano di Golfo. Il fecondo per b cuRodia armata continuamente tenuta, con proi. birc ad ogn'uno if entrarvi armato, j 11 terzo per le leggi ogni tempo Ratuite fopra la navigazione, ed efeguite con pena centra i trafgrefsori. Il quarto per refazìoni impoRe, c rifeofle in c^ni tempo; le quali cofe eflèndo tutte notorie, non può queRo Dominio eÓcr dedotto in controvetlia, nè dilputato; ma reRa falò il continuar la polléflione cott’efercizio de'medefimi atti giurisdizionali, opponendo la forza a tentativi, che foflero fatti in contrario; perchè ficceme le ragioni, ed i titoli de’ privati fono cadaveri fenz’ anima, quando non fieno vivificati dalla forza della legge e del giudizio, che danno il vigore; cosi la ragione, ed il titolo del Principe fono cadaveri, quando non fieno animati dalla forza, ed ufo di quella, dalla quale ricevono la vita. 1 I Principi tengono vive coll' efercizio, e coll’efecuzione le proprie ragioni, per uno di queRi tré rifpetii, o perchè portino dignità, e utile; o; per efler necefiàrie alla converfazione del Governo. Si vede con quanta accuratezza i Regni di Francia, c di SpagAa. IbReptano le loro pretenfioni dì precedenza, dove non vi è pun. to d’utilit'a, fenz’aver rifguardo a' difguRi, che perciò fi danno 1' uno all’altro; ed agrìmpedìmenti, che portano alle negoziazioni; E queRo folaroentc per confcrvare l' onorcvolezza. Delle ragioni, che portano utile non occorre parlar più innanzi, elfendo certo che gli Stati non fi mantengono fenza fpefe, e la fpefa non fi fa comodamente fe non fi cava l’ utilità : dove la ncceflith interviene, ella ha ranta forza, che non permetre dubbio, nè lungo configlìo; ma fpigne immediaramente all’efeCDzione. . . Ma la giurìfdizione di queRa Repubblica fopra il Mare ha le due prime qualii'a, la dignità; eflendo un titolo molto fpeziofo, ed onorevaie l’elfcr chiamato Signore di tutto l'Adriatico. Che fe i Rè dì Portogallo ebbero per titolo d’onorevoiczza il chianurfi Padroni d’ un Commerzio dclflndie Orientali, che s'intitolavano nelle loro pubbliche lettere ; molto maggior dignità fi dee fare 1’ elfer detti Si'I gnori non del Commerzio raaritimo, ma del Mare fldfo., L’ utilità è manifeRa; poiché oltre il benefizio de’Dazj, riduce il Commerzb in Venezia, accrefee il negozio della Citti, e. quella fi fa più ricca, ed abbondante; dacché il Principe può cavare maggior frutto pubblico; ma all'utilità, e dignlth s’aggiugne la ncccRiih ancora; poiché la vita di quell' inclita Citth Rànci Mare, efuoCommerzio, con quel fole è ridotta a queRa grandezza ; fe quello è diminuito, bifogna ancora, che queRa indebolifca, onde per confcrvarla é neceflario mantenerlo, e s'è diminuito, teRituirlo come prima; e dove fono congiunte tutte qucRe tré ragioni infieme, non fi può aggiugnere eccitamento maggiore. £ qucR’é quello, che ho giudicato rapprcfentarc a V. S. per cfplicazìone del vero titolo, e poflcRione tua fopra il Golfo; il che apparirà maggiormente neceRàrio, quando nell'altra Scrittura tratterò gl’ inconvenienti, che feguirebbono, valendofi d'altro titolo. Avendo, efplicato. nella prima Scrittura,, eh» il titolo di V. S. fopra il Dominio, del Golfo non t in. alcan Modo, acquiftato, ma nato, colla liberti deiJa Repubblica, aumentato c confervata colla Tirtbi delibarmi, e fpefe di lefort, e confetvaio. per immemocabils confuetudin* conleguita neceffiinameme^ che preferizìone, o privilegia Boa vi abbiano, luogo - ne (irebbe bilogno conftderara gtlncovenienù di quelli ckoli, quando riifarli non blTe di pregiudizio. Non b Iblo opinione tuia, che fia cofa pregiudiziale allegar privi, legi in quella matetn, ma alcuni ancora de’ ane ediGcare un’ediGaio fopra fuolo alieno. AppreGb di ciò è cofa cena, che ninne può concedere Dominio ad adtri di cofa, che non Ga fua; ed infieme è ceno, che nè il Papa, nè rimperadore da Carlo Magno in qui, dal quale viene l’origine di queG’Imperio, nui hanno avuto Dominio, ne cuGodia di quefto Mare; nè. mai hanno tenuta Amata in cGb ; adunque non ^nno mai poiuth concederlo ad altri; laonde fe V. S. che tiene quello Dominio da fc GeGà, diceffe d' averlo avuto dal PontcGce^ o* dall’ Imperadore, G priverebbe di quello, ch’è fuo; e darebbe loro quello, che non hanno, nè mai hanno avuto. A quello G aggiugne, che chiunque afferifee di poGédere per privilegio alcuna cola, oltre l'obbligo di confeflare, che il Concedente fia legitimo Padrone, e fuo Superiore quanto a quella, è tenuto anche a moftraic la conceflione, fe fu fatta in tempo, del quale vi Ga memoria; il che non è neceGàrio, fe è da tempo immemorabile; noi qual cafo bada la fama, ed opinion com^ che il privilegio vi Ga, e hafta allegarlo; ma oltre di ciò è ohhligato chi l’allega a rifpmdere a quelli, che voleffero provare che non Ga vero; E gli EccleGaGici fi fono dichiarati di voler eombattcre la verith della .Srorii |d’ Aieffanòro terzo, quanto fpetta alla vittoria avuta dal Principe Ziani conera il Gglìoolo dcH’Impetadore; e potò hanno fatto lérivcre al Bironio un lungo difeortd nel Tomo fecondo in contrario, dove G sforza con molti arteGz^ e con grande aflètiaaione di molfrare, che allora il Papa era al di fopra, e che non ebbe infogna d’ajuto nè v’imervennero le forze della Repubblica ; e naolte cofe dice, abbaffando anche, e vilipendendo quanto può il Governo, e la potenza della GeGà Repubblica in quel tempo; il qaal difcorfo, fe ben è impreGb da lui con proicGa di vetith, e Gncerith,' non afconde però affatto G vero Gne Romano, ch’è di GabUire due pretenGont lorouna, che il Mare debba effere riconofeiut» da Roma; l'altra, ch’i per pura, e mera grazia, e non ricompenfa d'ajuti pieGati. Lo icopo di tolta l'Onta del Baronio non è altro, le non moGrare, che tutti i Principati hanno dipendenaa dal Papa, ed ora tocca queGo, ora quello. Nell’ XI. Tomo fcrive centra' U Monarchia di Sicilia, Gccome nel XII. concia la Storia d’Aleffandro; ed il SereniGimo Rè Cattolico, con tutto che parrebbe, che la fua potenza lo doveffe nodere illefo da tutte le macchinazioni, che poteffero effer fatte, con Sciitiute, t libri, nondimeno vi ha fatta riGeffione fopra,, Temo II. V u a e l’ha ( rii9 Annatx coTi dx non fprczzare, ed i venuti quella Macflì in riiblpzione,. non folo di proibir quella parte d'opera del detto Caidioale io tutti t fuoi Stati con pene graviilime a chi la ponalTe, a htenelle appreCTo di fé- ma ancora con fuo Editto pubblico per tutti i liiaii Stati pronanziò una fcvcriiriuia Centura cantra il Cardinale, il qual eferepio mollra, che' quett'altro- tentativo del Baronio circa la Storia d'Aleflàndro Terzo inerita, che dalla Sereniti Voiln vi fia avuta (opra la debita confìderazione, acciò in progtelTo di tempo non partorilca qualche Icandalo ; ma perchè quaG tutti i Ciureconlulti atteilano quello Dominio del Mare, e rattribuifcono a privilegio,, alcuni pochi dicono del Papa, altri in gran numero dicono dciriinpcradore,èneccirario fcoprire la cagione del loro errore, per aver che rilpondere a chi rallegaflè. Quelli, che l'attribuiJcono a privilegio Papale fono i Fautori delle prccenfioni Romane, che hanno tentato di fottopone con varie invenzioni tutti gUStati ai Ponieiici piòvecchi, innanzi che le forze maritime della Repubblica Ci Gendelfero a' luoghi lontani ; >' arredano però per noa aver vcrifimilitudine; ma Teircr fatta in Venezia con tanta iblennith la pace trli Papa Alellàndro, e l’Imperador Federigo preda loro probabiliih, come fe folTe dato per allegrezza del buon lucceflo, come volgarmente li dice per buona mano. La falli' tb fi convince, elfendo quafi cent'anni innanzi liiccellé tante fpedizioni in Terra Santa, che fecero fentire a tutto il Mondo le forze, che la Repubblica contibul, oltre le altre guerre latte in Dalmazia, ed in Puglia; e dall'altra parte non avendo mai quel Pontefice avito in Mare un Legno armato, e nella Riviera di Romagna, non avendo come nella Marca fe non qualche ben generale ricognizione ; onde fecondo quafi, che non aveva niente a che fare in Ma.re, lo concede a chi prima lo polfedeva. Credo bene, che alcuni abbiano equivocato, e preio lo Ipofare del Mare in luogo di dominarlo, e cuftodirlo. Che io fpofare veniffe da Aledandro Terzo,efe tie fa menzione in alcuni libri antichi, de' quali v'j copia nella Segretaria, perché le Icritture di que' tempi s'abbruciarono dopo. In quella Copia fi fa menzione, che al ritorno del Duce, dopo ottenuta la vittoria, il Pontefice le falutò Dominator del Mare ; per tanto gli concede fpofare il Mare, ficcome il Marito fpofa la Moglie nelle dita- Non v'é parola alcuna, che concedede Dominio d' autorità,' cofa che non farebbe data taciuta, come più importante dà chi fece menzione della Cerimonia ; la quale chi conudereiù, avvertendo quanto rEcclefialtico v'iniervenga, e quanto fia ringoiale e fenza efempio,fi tenderh facile a credete che poteva eflére inflituità dal Papa. Primieramente il nome di fpofare é quell' idedo, che fi ufa nel parlare del Sagramertto del Matrimonio ; v' interviene benedizione; tutte cofe, che niun Principe temporale avrebbe ardito d'indituire da fe medelimo, ma dime in que'tempi, quando i Principi, e Monarèlti dipendevano tutti da'femplici cenni del Papa, If quali ben confiderate fervono a levar l'equivocazione, e modratc, donde ha avuta origine queda falla fama. Più abbiamo da penlare a que’Giurecoafulti Legidi, i quali fodengono, che qualunque Fomentato podeda Mare de /aS» l'abbia per concdliane Cefaru ; ma aocorach! non po!Ta «Ocre itgicimzmenie da alcimo' tenuto fe non per privilegio deU'Impeiadore, e fono-molu e £unoll, che diTcendcndo. a. tal particolare ancora dicono, che ^ privil^io. Imperiale la ScceoilTiaria Repubblica tiene il Mare Ad^ tico, ed ogni altro li»' Dominio,, e la liberti fua medefima; edAt bcrico da Rofates antico Giurecónfulto attelU d’ aver veduto fteflb il privilegio Imperiale autentico boUato con bolli d'oro ed i Dottori feguentt, fccoiKlo ch'è loro coRumedi citarfi Tun l’altro {anno menzione del fuo tcRiraonio occulto, e lo feguono; anzi il Dottor Marta configlia la Repubblica, à guardarli dal dine di dominare il Mare per altro titolo, che per privilegio Imperiale, perché ogni altro farebbe ufurpativo, e tanto peggiore, quanto più antico. Ifoodamenti loto tono, che il Mare I del Principe, e del Popolo Romano, perchè da niuno può eiretepoireduto,nè occupato, nè ufurpato; onde fé alcuno lo poDede, conviene, che ciò abbia avuu origine da conccOione Imperiale, della quale le la memoria non refla, C deprefuporre, che per l’antichiii fia perduta, perchè altrimente il principio larebbe viziolà Ma queRi Eccellcntiflimi Dottori foliti a Rudiare nelle antiche leggi Romane, e quando con veriti -que'Principi fi chiamavano Padroni del Mare Mediterraneo, e de’Golfi di quello, e fpellb anche IV droni del Mondo, intendendo però del Mondo praticato da' Romani, hanno penfato, che ficcome gl’Inaperadori di quelli Secoli fuccedoBO a quelli in nome, cosi fuccedono in ragione, ed in podeRà, e che tutto fia di queRi quello, che fu di quelli; ed ancora in que. Ri temj» vi fono de'LegiRi che fcrivon», che 1' Impeiadore è Padrone di Francia, e di Spagna de jm fe bene me de feSe. Ma rimperadore è Rato Padrone del Mondo Romano, menireha avute fora* terreRri da dominarlo, e del Mare, mentre ha avute forzo maricime per difenderlo, e cuRodirlo; e quando non ha avute forze con che tenere, e guardate il Mare, quello è leflato fenzPadrone, e paflàto poi nel Dominio di chi. avendo forze ha prefo a cuRodirlo, e, proteggerlo.. E' veriflimo, che le cole pubbliche dej Principe non pslfono eOère appetiate da alcuno; ma. s'intende con due limitazioni; runa da niun privato; perchè da m‘un. altro.- Principe poObno eflér vinte con guerra, e l’altra limiuzione è, che s’inteiw de mentr’ elio le cuR^ce, e protegge; perchè fe le abbandona affatto reRano di chi prima colla fua protezione le occupa ; onde le leggi, le quali dicono, che il Mare è del Popolo Romano,' o dell’Iinperadore, s'intendono, mentre il[Popolo Romano lo cuRodiva; e prote«eva colla fua Armata, e non pel tem^. presente, quando non retta deila Repubblica Romana altro, che il nome. E quando dicono, che la confueiudine immemorabile preRippone privilegio, conviene intendere cosi quando fi tratta del fupremo Principe al fuo fitddito, il quale pt^eda alcuna giurisdizione che fpet. ' alfe gà pet l' addietro al Principe, fi dee prefuporre privilegio, perchè per nelTùn altro titolo la giurisdizione può paffar dal Principe al privato, liilvo che per concelCone; ma quando fi trata tA due Principi fupreini, ed uno tiene da tempo immemorabile Territorio, o ginritdizione,chel'altrQ aveffe prima, non fi bada pitfupporre privilegio; imperocché non cade tri i fupremi: ma kens^una dcU'altrc ragioni, coUe quali iDominj paflano da Principe a Principe, che fono ragioni di guerra, convenzioni, patti, ovvero mancamenti di forze; onde avendo la Sereniflima Repubblica da tempo immemorabile il Dominio del Mare, che gii fu del Popolo Romano, fc per le Storie non fi fapeflc, come fia {Htlfats in lei, fi dovrebbe prelupporre uno de'fuddeiti titoli; il che non occorre trattare alternatamente; effendo certo, che v’intervcnifle la debolezza di quello a poterlo pih tenere, e le forze della Repubblica a cuRodirIp; e fe palsb qualche Scrittura, che quella folfe una confelliozic di legitimo titolo gii acquifiato.Ed in fatti è cosi ; perché nella fegreta di V. S. vi fono lettere di lei Imperadori Enrico Quinto, Lotario Secondo. Federigo Primo, Enrico Sedo. OttoneQuarto, FedcrigoSecondo, che durarono pili di cent' anni, incominciando dal un. fino ai izio. nelle quali fimo defcritic le convenzioni, ed i patti loro colla Sereniflima Repubblica, ed é fpecificatamente convenuto, che fia amicizia trh i popoli fudditi dell'Imperio in Italia, cd i fuddiii delta ftelfa Repubblica, e fatta nominatamente menzione di quelli, e di quelli; fòggiugnendo,che i fudditi di Venezia poffano andare per le terre, e Fiumi deU'impetio, ed i fudditi dell’ Imperio, poOano andare pel Mare, e Fiumi di Venezia ; dalle quali convenzioni fi veggono tre cofs chiaie. L' una che rimperadore non aveva Dominio d' alcun Mare. L’altra che la Repubblica aveva Mare dominato da lei, e non concelTole da loto. La terza, che fi convenne del pari tra la Repubblica, e 1’ Imperadore, che i fudditi dcU’uno fieno ficuri per li luoghi dell' altro. Al prefente le convenzioni tea' Principi fi fanno per un Infirumento, che poi è ratificato da loro. In que’tempi la grandezza dclF Imperio non cofiumava di fare IiUlmmenro; ma le contrattazioni fi fpedivano folamentc per Bolla Imperiale; appunto come collu. mano di fare al prefente i Turchi nel trattare con Principi Criftiani. Ma di quelle. Bolle Imperiali o alcuna non farh fiata veduta da Alberico, o egli pel troppo aSetto, che i LegiRi in paeticolaro por. uvano ail’antoriih Impeciale, che perniò fii anche in poca grazia della Corte Romana, e fegui Lodovico Imperadorc comra PapaGiovanni XXII., c per onorar piò rimperadore 'avrò voluto chiamarla ptiviIegio.,ovvcTO avrò veduta la Bolla col figlilo in oro, c letto il nome dcU'Imperadore, e non pafihnd» più oltre, avrò per conghiet. pire imefo. il ioggetto, ed avtù dato quel nome, che larh Rato ca. sione dell'errore degli altri, che lenza efóminace piò oltre hanno lerotto il fuo tcRimonio. ° Seno altri Giureconfulti, che aRérifeon» il Dominio del Mare alla Repubblica per titolo di prelchzioae, il quale non fi può, réfi dee in iciodo alcuno ufare; principalmente perchè non è vera; poi ancora, perché mette in campò molte diHìcolth. : Si dice acquiRata per ptelcrizionc quella cola, la quale effendo veramente id'un altro, tifando per lungo tempo |con buona fède come propria, per virtò del lungo ufo muea Padrone, e palla dal pri. i ma di rao di chi ai ai fiKoodo," che l’ha ufaik ia modo che pce ciwiodj prefciizionc non li pofledonio fe non cofe d'altri. La natura della ptdctiztone d qucliav che linfa accompagnaiodalk bnona fede' lena la cagione, e ’l titola,. che un altro ha, e trasferì, fce il. Dominio, in chi ha poflèdiua ultitoamente.k cola. . Hifittifcona i Dottori, che dilborrona dà giuriadiuone, che il Marc fi>nè. delllmr pnadotc di Geonania, • che: la Repobhto ufandplo per lup^ilE. mo tempo, del principio del quale i»n v Memoria, fenaa.ch’ efc Impcradote' fi Isa appofl», ne ha acquillato il Domàiio. A quella dottrina divcrfe oppofizioni fi fanno, una che il Ma-, re Adriatico non fa mai dell’ImperadaK Germanico, lìcchà pglkeffere preferino cantio di luii, raltra, che k pKfcriziooe i ooia odiohy pigliando a Ho, e legitimo. Quelli fono Alberico di Roface, Bartolo, Baldo, Angelo Bonarb,. Bartolonmieo Saliceto, Selino Sardco, Paolo da Ca Uro, Angelo Are-, tino, Gialone, Bartolormmco Cepolk, Lorenzo Colca, Gtoranoi da Imola. Carlo..... E^o Balco, Giulio Folcilo, Giovanni Beitachrno. Benvenuto Inaccia, Martin Laudeirfe, Fiaocefco Balbo, Nicolò Triftavio, Angelo MuÀ)', Gio.- Jacopo Marta, e'I Collegio d’Ingolllad, de’ quali fi pone k fola conclufione, che la RcpubUàca di Venezia ha il Dominio deirAdriaeico, lenza (Blcendcre ad cfpUcare il titolo ; otto r alcrivoro a privilegio, quattro a prefcrizione. Ma i più celebri, che fono èrtolo. Baldo, Saliceto, Paolo da Cadrò, c Franccteo Balbo, tengono il fondamento, ch'è k fokpofi feffionc peramichitliditeinpe,'eiunghiffimaconfùetudine immemorabile; al quale io aggiunga, anzi mando innanzi quello d’ rifer nato inficine colla Repubblica, aumcniaKi, e mantenuta con virtù fempre con fangue, e f^k; e vi aggiunga pofeia il confenló degli al. tri 344 DOMINIO DEL tn Pilitcipi, il tefbmonio degli Storici, e 1 ' apptavaziaoe de' Giureconfulfi, quantunque non debbano elTcre ricevuti quelli, che G vagliono'di privilegio, o confuetudinc recita, ovvero efprefla, o prefunu; nè quelli, che G ibndano in preferiaione- Quanto a quella ragione, dove fanno il fondamento, dobbiaina -però valerci della loro autoriilt, in quanto tengono il Dominio della Repubblica fopra il Mare per giuGo, e legitimo, ed in quanto rendono chiaro teìlimonio,'cbe gìk 300. anni a tutta l'Italia em noto, che il Mare Gpoffedeva gii canto tempo, che allora non vi em memoria del principio. ' r E (è alcuna diceflìc, che -non è lecito di valcrG di. parte nel detto d'un Teftimonio, fe non ricevendolo ‘ tutto, rifponderemo ciè effer vero- nelle cofe dt fa(h, che il TeGimonio dice di propria icicnza ma non di quello’, ch’egli conghiettura fopra, ovv«o difeorre effer de falUy. - - •. i:, QueGo Hi de fede, che nè tempi de ij. GiureconGtlti fopraddetti era notorio il Dominio della Serenifllma Repubblica (apra il Mare, e che del principio d'cfTo allora non v’era memoria; maqual ioGe il titolo di qucGo Dominio, non apparteneva ad alcuno il dirlo per conghiettura; ma folo a chi iblTero Rate moGratc le ragioni pubbliche: onde con buone ragioni G riceve il loro lefiimoniodi quello^ che hanno per licenza in fedo, e C riprovano le loro conghietture in Jure, Dal che G avn come rifponderc a quelli, che hanno introdotti falQ titoli di privilegio, o prclcrizione, o fecondo il mio riverente patere, il quale rimetto al giudizio di VV. ££. G ufer^il vero, e’I p*Dprio tante volte replicato. Grazia. •' .1 SCRITTURA TERZA. i O Ltre hi conCderazionfe: del Dominio del Mare in generale rcAa il terzo capo propello, cioè particolarmencc parlare de* Porti, Ridotti, e Seni, lion per que’ luoghi, dove lo (leflb Principe è Padrone del Mare, e deitaiTerra, come in Idria, e Dalmazia, ma rìfpetto a quelli, dove il Mare è lòtto la giuriidtzione d’un altro, eia Terra lotto quella d' un’altro, come occorre in Puglia, Rom;^na,cd altre pani deirAdriatico: la qual diveifit^ di Dominj può far naicexe difputa, (è le acqtie vicine a ter/a debbano feguire le condizioni dellaltro Mare, cd effere fono la giurildizionc della Signoria d' eflb, ovvero quella del Continente, llando foggette al Signore della Terra; c vi e apparenza, che non G dovelTe aver riguardo al Mare; perchè Tacque de'feni tono cosi poco profoflde, che piuttoHo G polTono dimandar Terre; appreflb ciò G può allegare Tautoritb di molti Dottori, i quali dicono, che ogni CitiX è Padrona del Mare vicino a fe; e maggiormente de* Porti, i quali alcune Cittk hanno edificati di nuova, ferrandoli con Moli, o con altri EdiGzj, che farebbe grande inconveniente volerli fottoporre ad altri. Ma in contrario è l'opinione univ^rfaJe de’Gìurcconfulci, che deSeni, e de’Poni ( degli aperti parlando, che deTerrati G diri a Tuo Uiogo ) abbia il Dominio quello Geflb, ch’è Padrone del Mare, e nofninacamente delTAdriatico. Que’ Dottori, che attcGano il Domi nio Digilized by Google MAR ADRIATICO. 345 DÌO della SerenUStna Repubblica, cfplicando, ch'eflèndo a' Seni, e Ridoni, eh’ e&t chbmaao ftaaioni, ed a’ Foca, adducono per ragiooc, che quelle acque che fono continuale a quelle del Mare, fi che frh loro non fi pub metter termne, che le divida; iti fi pub trovare un confine, dove l'uoe fòmilca, e l’altio principj, non ^ tendo, eflére fctio il governo di due, ledano alla confiderazione del Mare^ del quale fono i Porci, non mettendo difTerenza tra acqua profonda, e non proionda,' poiché può anche elTere in qualche luogo vicino a terra maggior profondià, che in un altro molto lontano. Ma la, formai ragione, per la quale tutte le acque marine debbono cITerc fottopode a chi fignoreggia il Mare, i pcrchò il Dominb del Mare fi dice protezione, e cudodia per ficurezza de'Naviganti, ed i Seni, Ridotti, e Porti hanno maggior bifogno di queda prò. lezione e difefa, come luoghi, dove i 0>tfari, e Ladroni marittimi hanno maggior comodo di fax ruberie/ adunque lupra quedi il Signore del Mare ha da efercitare la Tua cudodia, e protezione, come nell'alto Mare ò più eflèndo. il bifogno maggiore: S’aggiunge, che vana farebbe la difeia dell'alto Mare, quando i Violatori di quello fof&ro bivi ne’Seni, e Porti, potendo edi dopo aver fatta la preda loro) aver dove ritirare, fenza timore d'alcun, il che riufeirebbe anche a danno delle CittV vicine, le quali non hanno forze marittime da reprimerli, fe non foOero raflrcnati da chi domina il Mare, fiuebbero le prede fenz’alcim impedimento: per la qual 'ragione la giurifdizione del Marre fi dende anche a’ Lidi, che hanno bifogno della defla cudodia, e protezione : e buona parte de'Giureconfulti ateedano. nominatamente, che b Setenidìma Repubblica abbb anche la giurifdizione ne' lidi ; e fi può provare con una legge, la quale dice, che ilPadrone delMareha infieme Dominio di tutte le cofe, che il Mare non lafcia altri tifi, come il fuo. fondo, che col dufo,e rifludb ordinarìaihente copre, e difcopre,fu eoa molta, o poca acqua, e quella poca arena appena, che copre nelle fue eferefeenze, fe ben d’ordinario non ò coiidianamente coperta. E’ ben necedario metter didcRoia tih i Seni, Ridotti, e Porti aperti a' Porri ferrati, perrifblvere queU’inconveniente, che feguircbbe,fit. le Citth non fodera Padrone de’ Porti edificaci irò bro. I ferrali, Irecome fono cudoditi da Terra, cosi appartengono ad ed'a, e non al Mare, e fono folto la giurìfdizbne dd Padrone della Terra/ perla che il Dominator dd Mare non ne ha ragione, dove non i Signore anche della Terra; ma gli ^rti, non elTendo cudoditi da Ter» ra, ma folo da Mare, e colle forze- marittime, fanno un'deda giuritdizione coll’alto Mare. Il detto d’alcuni Giureconfulti, che ogni Citth marittima podeda la pane del Mare vicina a fe non. conclude, che il folo Mar alto fia fono il Dominio dd Principe, ed il prodimo a Tetra, appartenga alb Cint, fc farù iniefo il beo veto fenfo il qual è, che il Dominb univcrbie del Prmeipe fopra tutto, il Territorio fb infieme con un altro fpcziair, che cufeun privato ha fopra una parte d’ eflb b qual poflede, e non s'oppugna l’un l’altro., anzi per b contrario uno fenza l'altro ceda impenetlo.. £ dove il Principe ha la giurifdizione, c più d’una Citth viòuo, Tomi X X terzo Dominio, intermedie, che cUrcheduna Citth ha fopra il fuo' Tenitor», il quale è fuperiore a quello' del privato, ed inferiore a quetlo- del Principe. Quefto lì llende lopra certe cofe comuni, le quali benché ad ufo' fieno di ciafcliedun privato'/ da ninno però polfono effete appropriate, ed ufupaie perfefolo,^ ma reflano in comune della Citth. Il Mare: non puh cadere in Dominio dei privato; perchè non potendo per la fua inflabilitìi efler divifo,non può parimente il privato occupare in parte,,e circondarla,, e cullodirla per fé foto; eccetto che dove folTe qualche recedo che potelTe edcr ferrato co’ pali, e cosV fatto proprio. Ma perchè il Mare profiimo alla Terra può ben edere ulaio continuamente dagli Uomini della Città ora da uno, ora da un altro per tranfitarc con barche, ovvero per padarvi; per tanto vi è oltre il Dominio del Principe fopra il Mare, anche quella che ciafeheduna Città ha fopra la parte contigua a fé. Cercano i Giureconfulti quanta parte del Mare appartenga a ciafcheduna Città r ed alcuni d'edì hanno detto cento miglia; ma parlando propriamente ella è tanto grande, quanto può ad operare a fuo ufo, lenza ingiuria de'vicini; perchè una grande, e popolata Città fui Mare, la quale abbondi di lìti terrcllri, dove cavi il fuovit10, avrà pochi, che vogliano fare il melliere di Pefeatore, e fi valeià di poco Mare, dove una picciola Città con un poco di comodità in Terra attenderà a cavare iivittodalMare, e li vaierà di gran Mrte d'edb; e non altrimente hanno voluta intendete i Giurcconfolti de'cento miglia/ ponendo un numero determinato per un incerto; cioè le Città fono Padrone di tanta parte di Mare, di quanta hanno bifogno di valerli fenza ingiuria d’altri, fe folfero ben cento miglia. Quelli forra di Dominio, che le Città hanno nelle parti vicine a loro, non ripugna a quello, che ha fopra fe flelTo un Padrone di tutto il Mare; imperocché non fi Rendono alle medefime ragioni. Quello del Principe llà nella cuRodia, difela, protezione, e giurifdizione ; e quello dePaCittà è nel valerfi dell’ acque a benefizio comune de’popoli. V’è dilferenza, fe quelli fieno Sudditi deiriReifo Principe, opure d’uà altro; ma ficcome del Dominio, che ha la Sereni&ma Repabblica in tutto il Mare, ne hanno la parte forale Città di IRria e di Dalmazia fuddiie, così anche he hanno leCittà diRomagna, e della Marca non fuddite; ma nè queRe, nè quelle per poter culladire la detta parte coll'armi, mafolamente per poter valertene a’ loro ufi. ElTendo rifoluio, che il Dominio del Mare fi Renda anche a tutte le pani di quello, rcRa a vedere con che fotta d'azione s’efcrcita quello nel Mare Adriatico, e nel Territorio di Venezia, dove ha quella RelTa podcRà, che ciafehedun Principe ha nel Ino Territorio; per lo che ha da efeteitare in Mare quelle azioni, che fono elèrcitale. da’Principi nelle terre di loro foggezione. 11 Signor del Territorio per rirtò della fua giurifdizione ha podeRà di dar legge a tutti gli Uomini, che fi ritrovano in quello, di punirei delitti fatti contrale leggi, ed’imporre contribuzioni, e gravezze per foRenete i pefi, e lefpele di chi ha della fua cuRodia, e protezione bifogno; adunque per la ragione della giurifidiaione, e ciModia del Mare, la Sereniilìma Repubblica può metter leggi a' Navigami, gaRigare i delitti commelli in Mate, ed efigere Daz), ed altri diritti. Che poITi far leggi a’ Naviganti, fecondo che giudica nece fili che II poflà Mettere in diffieolth, è coCa decifa per univetfal latrina di. tnate ie.«enii, cmfiennata anche per la Dottrina di S. Fa^ nella PiOola. f Kenuni; e quella i, .che Dio ha polii i Prin, cipi, e Potentati per proteaioira i’buoni, e gaftigo de’caitivi, e per, che fon» Miniftri di DI» in quello; per tanto ipiotetci fono inobhligo di pagare i irihutà, e le gabelle, lìcoame al .Principe., che ha cultodia, f guardia I della Xcira, per conlervazieoe della ppbblica iranqqilhtlit quelli, che ne godono, debbono contribuirà alle tpele, cbc; fi .fiiinnn,. e non folo- i luddhi, ma anche gli alieni, (he tran, filando per la Regione godono la ficurezza del cammino, fono ob, bjigati a pagar paflàggi, e pedagi; cosi tutti quelli, che,tranfiuno pel Marci a Mrtanto godono la ficurezza daCorfati, e Ladri cagio, nata dalk Ctwiditt arraata- dei Betnìnante, la 'quale non fi può tenere fenzz difpendio, fono obbligati e per ricognizione di quella pròMaioBe, e per oontrjbnire altafpelà, a pagar l'impoCaione, eziandio, a ohe noti toccafiero Terre del Padrone del Mate per cagione di quella enfiodia,, che li rende ficuri. 5 tanto d da dubitare, fe ;i Naviganti fieno obbligati a contribuire per la igufiodia dd Mate, quanta i da dubitare, fe nel tranfilo terreflre chi pafla per lo llrade d’un Dominio fenza toccar le Citth lia obbligato a pagar dizip. Di quello nefiitno debita ma cgnfelTa, che dee Wonolcere quello, ehe gli tiene la riva ficura’, cosi nell’alto Mare per la llelli ragione ha da riconofeere, chi glielo tiene fieuro : e quella v«rith i fiata praticata pir li tempi paffati nel Mare Adriatico ; onde refia memoria nelle Storie, che nel laag. il Duce Tiepolo meltelTe un Dazio a qualunque Navigante pel Mare ; la qual impofiaione però non fi dee credere, che foOè la prima, ma che fofiefempre in tfib pel tempo innanzi, dappoiebi fu prefa la protezione, e cu. Ilodia del Colfo. A quella impofizione hanno accotuemiio i Principi ppfielfori del Continente intorno al Golfo, i quali volendo tiafporur robe per Mare da un luogo all'altro, eziandio efiendo ambedue fatto illoto .Dominio, hanno xiohitfta lictnza, il,. Rè di Napoli, Pottmati, « Commiflarj della Marca d’Ancuna, e 4* Rodjagna, Duchi di Ferrara, «d altri Potentati, che r»IUmleglttraK ne' libri pubblici „,oqde, ho latta 'ntenaicae |neùa firiina Scotiura. .l'i I 1 i Dc’Oatj impolU dalla SereniSina Repubblica 'particoUrnieate fora le Mcrci^ de' Ma vif^Mui: per l'Adriatico tratcano. i Giuieceniiilci pa me veduti Baldo, Angelo da Perugia, ^tolomneo Saliceto, Ciò: 4’Anania, figndommoo CepoUa, Martino LaudchTe,. Giulio FofecCo, Gio: ficctachino, Egidio BalTo, c tutti approvano tal fotta d' ùnporiaipni nome legiiime, ed alcuni d'elB dicono che tanto la SerenilBma Repubblica ha auaorilb d'imporre Qaaj nel Mare, e conhfeare i ooncrabbandi, .quanto nella medeCnia Ciltb iii Veneaia. -1 le gravezze, quando, lóno. antiche, ed ulàte .pare che non Geno da'.po^li. malp^volmente Capponate quando di nuovo s'impongono; • dilulàte,làac: rinnovate, yengono riputate gravami: e Gccooie la Sereniilima Repubblica è- ftata coofueta per h tenapi pallàti a rnett lere irapoGzioni’ lepra. i Naviganti, q coRringeili a làr fcala in Ve. zia; così potrebbe in avvenire tornar la. Acfla ixceflitb, fe roGèrvanaa fari Hata neglena, e i'efazwnn dìGtfata; il Nmetcerla farli una dificnUb, e..maU fodditCwione; il iche. avendo però legge antica, ed eiegaita, fark con giulUzia > ed vtiliik prefente e futura il continuare colla GcGa equitk, e modetaziune .nfléryata coti neU'mdituzipoe) come neU'cfecuziofii p^zie. f n Quelli, che per lo paflato hanno, voluto metter >. dilScoltk al ginfto, e leghimo Dominio della Seteni/Snu: Repubblica (òpra il Ma, perchè il Mare di tua natura e libero, e comune; la feconda, perchè la SereniiGma Repubblica ha convenzioni con diverfi Principi, che la navigazione del Mare rdlaGè libera a' loro. Aiddiù; la terza è una Capwplaato, ne,, che dicono. eGèr contratta con Papa Giulio. U,. j-n Per la prima ragione diconq, che nelle Leggi fpeQb G ritrova, che il Mare non è d’ alcuno, ch'è comune di Iva natura, ch’è pubblico per ragione delle genti, che non pub edèr occupato, perchè non può cG :e la SereniSima Repubblica, e per col», leguènza anche olliiitb verfo i Sudditi, ed impèdimeuoal tranlitar, e negoziar ne’paefi dell’ uno, e dell’ altro cosi, per terra, come m mare; e nella pace levandofi l’ollilitb tib Prìncipi, per un capa ^eziale, conforme all’ufo degli altri PaeC, è datala Geurezza lÙ tran, filare, e negoziare per tctra^ è per mare. Sintenderà dunqub ti navigar ficuro, e liberamcRia nel Golfi» Adriatico, fervate le òrdìna; znni di quella .navigazione.: ' Potar fare imaioofa noa Uberdi, e Scurezza non vaol dire arbh trarìamente, e fecondo rappetllo irragionevole dì tialicheduno; ma vuol dire Gcuramente, e libcraOlcnte, fervate però le leggi.. Quando fi dice, che cìafcheduno può liberamente fiù' tetUniento, non a’ intende però', che k> polla fare inuifizi oro, ed impertinente; ma che dee fervar le leggi tcllametarie ; e chi può far viaggiò Uberamente, e ficuramenie non può navigare, le non fervale le leggi di chi domina il Mare, che fona di far fcala a’iuoghi determinati, no» portar cole proibite, pagare i Dazj, c diritti llatuiti. £ che cosi fi debba intendete lo dichiarano le medeCme parole, le quali dicono, che i Sudditi deH’altro Prìncipe pollano tranfitory c mercantare cosi per terra, come per mare rwC, et iétri-, ma le per terra non poiibna mctcahure, falvo, che fervale (eleggi, e pagati i Dazj; dunque nè pure per Mare Io pollano fare, le non cònlucic le iuddctie condizioni. Ciò fi Confatma, perchè non è di ragione, che i Sudditi del Principe amico Ceno maggiormente privilegiati, che i propri; dunque (e i proprj fono fimgetti alle proìbi-. ziooi, ed a’ Dazj; debbono eflcre cosi anche gli flranieri. Oltre di ciò dimofirano lo lleflb chiaramente le parole del medefimo Capìtolo, il quale dopo aver detto, che pollano negoziare per terra, e per mare, tati, neralmentc a fare ogni altra opportuna operazione circa le predette cole. Gli Ambafeiadori andati a Roma negoziarono; ma per (labilire il Negoziato il Pontefice non contento della Proccura, ne ricercò un’altra più ampia. Per lo che lotto il giorno degli 1 1. Decembre fulTeguente fu fatto un altro Mandato di ^Ueflo tenore .* che volendo il Papa trattare alcune cofe cogli Ambafeiadori, fe bene perciò fu fatto loro Mandato anaptillìmo fotto il giorno de’ 31. Luglio, nondimeno di nuovo conlUtuifcono gli (lem fei Nobili Proccuratori della Repubblica a trattar, e conchiuder col Papa, o co‘Depurati di lui qualunque cofa, quantunque fodè di quelle, che ricercano Mandato fpeziale, unto come fodero efpreflc iliigolarmente, promettendo dr T0tùy &c. La Negoziazione fegu'i lino al Febbralofudeguentejedovendoncoochiudere, il Papa non lì contentò de’due Mandati ; ma colla fevcverii^ dei tuo animo avendo (labilito il giorno de’ 14. di quel Mefe, ch’era la feconda Domenica di Quatefima per giorno di trionfare a dare pubblicamente ralfoluzione, fermò una modula, o minuta dell'Idrumento, che voleva, che fode fatto in quell'azione, contenente i Capitoli, che ricercava gli fodero accordati.* volle, chela Serenidìma Repubblica iacefse un'altra Proccura, inferendo di parola in parola quella Minuta. La proccura fu fatta fono il giorno de15. Febbrajo, e vi fu inferca la Modula dciridrumenio, che il Papa voleva dabilire, e data autorità agli Ambafeiadori di convenire con que’ Capìtoli. Qiied’Idrucnento è quello, che fi produce, ed a nome di Capitolazione, fatta eoo Papa Giulio li. Se abbiamo qued’lUrumento autenticato, o nò, io non lo sò; ma dato, che fofsc in forma approvante bada Iblo per modrarc, che per quello è data autoritli agli Ambafeiadori, ma non appare, ch’eifi Tabbiano efeguica. Oltre quello Mandato fi ricerca necessariamente che gl’ambafeiadori innanzi il Nocajo in Roma modrafsero queda loro Proccura prenarrau, e pregafsero il notajo a fare un Indrumenro, com'edi per autorità data loro dalla Repubblica promettevano le tali, e tali cole al Proccuratore del Papa, o ad alcuft fuo MiniRro, o ad eflb Notajo, che riceveva la Pniccura, di che era pregato da ambe le parti a fare ridnimento. Queda farebbe la dipulazione, la quale fe fofse fatta io non lo sò; ma veggo certamente, che i Romani non la poftono produrre; ed in luc^o di quella producono il Proccuracorìo coliamo i 3 nU fteUsat che non ferve; perché come s'ì detto, ft ben la furrauU vi é dentro inferta, altra cofa però é il Mandato Procuratorio, altro é la Convenzione ftipulata. 11 Proccuratorio da podelllt di convenire, ma non fa che Ua convenuto; né mai prova, che la cofa fia fatta. Innumerabili volle occorre, che làrh data autorità ad un Froccuratore di contrattare una cofa, che non viene poi contratutaper qiulche rifpetto ; anzi quello, che piò importa, fi trovano Mandati autentici, ed Inllmmcmi (leifi,ma non flipulati per qualche oc cafione nata pofcia full' elécuzione. Ebbero i Proccaratori autorità della Sereniflìma Repubblica di convenir col Pontefice in que' Capitoli folto il giorno de’ij. Febbrajo in nove giorni, che paflàrono fino pi giorno de'24. che fu quello dell' allbluzione, in tempo che tutta riulia era in armi. Infinite cofe poffono elTere occorfe, che abbiano fatto aggiuenere, fminiiire, od alterar i Capitoli. Bifogna però mollrare non quello, che folle commetTo di fare, ma quello che fia fiato fatto, e fiipulato; il che cfli non mofirano né autentico, né non autentico. A’Proccuratori fidò autoriib di contrattare, ed cK fui fatto veggono quello, che occorre; non poflbnotmpaflàre il Mandato, ma cercar d’cSieguirlo totalmente, ovvero ufarlolimitamente a favore del loco Principale. Chi vuol fapere, che dalla Serenifltma Repubblica non folle data linfiruzionc agli Ambafeiadori di confeniire a que’Capiioli, fe non con qualche condizione dal canto del Papa, la quale non cgnfentita da lui gli Ambafeiadori follerò refiati di concludere la Capitolazione nella formula data’ Infomtua Mandalo di capitolare non é d'aver per capitolato.- e fe la Repubblica veduta la Modula mandata da Rtyna folle fiau rifoluia, t che fi avelie per conclulb in quella forma, poteva fare rifinimento del filo Confenfo qui in Venezia, c non dare autorìtò, che folle fatto a Roma; tanto che non é buona confeguenza dal vedere l'autoritli di capitolare, dire dunque fi é capitolato. Quando penfavano i Romani di valerfi di quello Proccuratorio in luogo di Capitolazione fiipulato con Launlio Nocajo ilella Camera, fi aegiunié una nota fotio,allefendo, che la Capitolazione fu fatta, ed i Proccuratori promifero, e giurarono i Capitoli; e quella natta fu fatta dopo la morte di Giulio; il che apparifee; perché in ella é chiamalo piò volte falicii moritaiimh^ titolo, che fi dà a' Papi morti. Non ha il Noiajo pollo il tempo quando l'ba notata; ina fi congh lettura, che folle 15. ed anche 20. anni dopo. In quella fórma Papa Gregorio XIII. diede l'ailetta Capitolazione agli Ambafciadpri del 157?. adì 17. Settembre. Di quella nota non é da tener conto alcuno, poiché le Scritture di Notajo non fanno fede, le non fatte per decreto del Giudice, (e non Giudiziali ; e le fono contratti, fimi in prefeoza de' Tefiimon), e delle parli con rogito d'elle. £ qui un Notajo molti anni dopo 1 ’ allerte pani fcrille quello, che fuccellc, e con parole anche piene d'ambiguità; perché chiama quella fua Scrittura Trtnjimta, e dice d’averla collazionata coll'Otigmale lenza dire che Originale fia quello, e da chi fatto. Quelli difetti furono fuperati da'Confultori di V. $. il che venne a notizia della Corte Romana, onde nel lioé. per occalione dc’meti pailati ftamparono 1 ' afierta Capitolazione colla fede dello ildla 1-anti I^urilio; m« corretta non iniitolaniÌQ pib Giulio di felice memoria, e mettendovi il teqapo fieOo dellafToIuzione 14. Febbraja ij 2^. Ma non avendo ardire di dire, che foflè rogata dagli Ambafeiadori, fotiofcrillè non come Noujo, che facea Inftrumento trh le Parti contrae enti ; ma come quello, che icriveva un Decreto giudiziale, dicendo Jc Mmdut ftiferiffi ^ onde fuggendo un inconyeni^te (tanno dato ia un ina^^te, ( Ma vi i chw liacamciua, che queU'aano 105;, Laurilio nonem Notajo di Camera; perchè nell'alTeTta Capitolazione fono nominaci tutti i Notai di Camera per nome proprio, e quello non i in^el numero. Tra diverle pretenfioni Romane apparifeono molte alTordith ; ma nelTuna ha tante oppofiaioni, come quella, delia quale quando in avvenire venilfe parlato dagli Eccleliallici il mio riverente parere è che,fe ralleghetanno folamente,(ia loro rifpollo, che da pochi anni in quk s’è dato principio a nominarla; nè però mai è nato veduto nè l’autentico, nè l'efemplare di quella Capitolazione; perchè cosi veramente è. £ fe produrranno quella, che dal Papa Gregorio fu dau, ovvero la Rampata, fia riljiollo, che quella è un Mandato Proccuratorio per Capitolare. ReRa, che moftrino, che la ftipulazione fia fatta, e fe voranno venire con argomento, dicendo, che trovandoli il Procctiratorio,.C dee prefupporre la flipulazione. Ila replicato, che tutto è contrario per le molte,, ragioni efplicaie dì fopra. Dalle cofe moRrate in quella Scrittura apparifee chiara, che le difiicolth promoRé fopra il Dominio di V.S. nel Golfo hanno vera, e facile nfoluzìone, ch'è quanto col mìa riverentiflìmo Zelo ho làpuw ritrovare, rimettendolo perb come mio umilinimo parere alla prudenza di V. V. EE. GRAZIA. » O M I DOMINIO DEL MARE ADRIATICO E SUE RAGIONI PEL JUS BELLI DELLA serenissima repubblica DI VENEZIA Drfcrino da S., Suo Confultore d’ordine pubblico. v»:r • n 1 ^1 —w», SERENISSIMO PRINCIPE. Orna molto, a propoGto nelle Oufe forenG, com« uifegD^ i IXattori, ualafciar le diTpute fopi^ le ragioni GeirAvverTario quando fono tanto forti, e gagliarde, che non G poGbno didru^e-. k; però G Gioie parlar fuor di propoGto tirando fa Cauta fuor del fuo alveo, per tirare il Giudice fuor di buon (lato, che non attenda alle buone ragioni, e (accia fentenza in-, giufta. QueG’ artiGzio viene uiàto da alcuni Dottori melG sii non da alt», che da diaboGco fpirito a far novità per turbazione della pubblica quiete, con far venir Vafcelli foreGieri in queGo Golfo, in futura petnizie del comun commerzio, e della Gcurezza delle Città marittime, contra l’antiche, a legali ragioni, che ne ha quella SereniIGma Repubblica inveterate, appio, vate, ed acconfentite da tutto il Mondo, da’Grandi, e da’ piccioli, da’ Principi e da tutti gli Ordini Gno agli ultimi plcbbei, con prc. fcrizione di Secoli, che vi aveva poGo Glenzio,- Operazione percer10 diabolica per mettere alle mani i Principi, che non abbiano a goder la pace, la quale il Signor noGro in miniGero,e tutela ha loro laiciata- Segno di queGo è, che nel priucìpio cominciano a fcrivera contri rautorii'i del Papa, ch't il primo alTalto de’NovaCori, i quali il Diavolo mette in battaglia per rovinare il Mondo, e come aque. fta difgufla fi titano, fingono che i Signori Veneziani fondino le loro ragioni fopra privilegj di Papa Aleflando, e deU’Imperadore; e per diltruggerli fuori di propofito li mutano contri lauiorith loro, e li mefchiano come fodero le Carte dei Tarocchi, che al fine fono pazaie, bagattelle, e giuochi di mano, trattando materia di tanta importanza con forme non degne nè del nome di Dottore, nè di Crifliano ; cosi infamano le fteffi, ed in certo modo i Miniftri de' Principi, come a bella polla vadano ad incontrar briga, per effére adoperati, e mettere di le medeCmi neceffitb a'Principi loro in ali maneggi malHmamente nel Regno di Napoli, dov'è fama, che le contenzioni fono fiate maggiormente nutricate per confentimento de'Rè. ( Gicc. I. ). Cari. iji. ) Non è vero altrimenti, che i Veneziani, fondino le loro ragioni del Dominio del Golfo fopra privilegio di Papa, o d'Iroperadore; che fé ciò foffe, forfè per certe ragioni non tornerebbe conto aprir bocca, però quelli Dottori fondano la loro difputa sò cosi sfacciato e vano mendacio, fanno alle pugna, danno dei calci a lovefcio, e cambationo lenza incontro, come i Tori, che hanno perdita la Vacca, dicendo, che nè pur fono fognate dalla Repubblica di Venezia, ed anifìziofamente lafoiano quelle, che pubblicamente fi leggono fcritte da Marc’Antonio Pellegrini nel libro ottavo de Jote Fifii, da Angelo Macacio nel libro primo da Giambatiila Leoni nel libro delle Confidenzioni del Guicciardini, da Augullo Treo nel fuo Panegirico, da Jacopo Chizzuola nel fuo Confìglio, ed allegazione pubblicata nel fupplemento della Storia degli Dirocchi, e da Prorperu Urbani nella nife-. Ca fatta centra Emanuello. Tertoviglia Spagnuoto. Gli Amichi Ginreconfulti, non avendo trovato chi abbia fcritto, o detto in contrario del Dominio, che ha V. SereniiU lopra il Golfo, dìfsero, che aveva prefcrizione immemorabile, volendo dire non efservi bifogno di mollrare altro titolo, facendo quelVeffotto la prefcrizione tanto antica, che fi abbia a credere il maggiore, e'I piò laido, e forte, che poflà mantenere tal polfelTo; conira i quali non conviene llraparlare, dicendo, che fono ignoranti delle Storie, benché abbiano acquiftato come di prudenti, e da loro fi governi il Mondo. Quelli, che forivono per la Repubblica gli allegano, e fe ne fervono come diteflimonj, elTcndoflati in tempo della preterizione non mai imerrota a’ loro tempi. A quelli gli Avverlar} oppongono tellimonj di Storici, che riferilcono diverfi Rè in divelli tempi elfer venuti in Golfo con Legni armati; e però aver interotta fa preferizione ; nel qual calo fecondo i termini legali, bifognerebbe, che cercaflero d’ accordar tali tellimon j, come facilmente fi propone, quando fi dèce, che que'Rè fieno venuti con aver ottenuta licenza dalla Seteniflima Repubblica; perchè i fuoi Confultori Marc’Antonio Pellegrini, e Jacopo Chizzuola nella dilpua fatta, prefenti i Commelhirj Imperiali, adducono Principi, che vi fono venuti, ed hanno dimandata la licenza ; dove biiogna dire ^md folinmeji fieri, frefuminr feSum. Quel ch'è folito a farli, fi prelume fatto ;edè benefpiegato ed ellegete dìCora. Conl.z87.num.i i. voi.p.fapradi cheiContraddittori fi riducono adire che bifognerebbe mollraie, che almeno due volte ne avelTo lata refifienzaj Temo li, ^ Zz ma dille cefe fegocnti lo intenderemo^ oltre molte altre rifpoflc legali) che ù pofsono dare a tale inllanza; ma perchè centra G grati legge della prdcrizione fi ardil'ce di parlare) cos^ fi dee renderconto dì titolo di COSI amico pofTefib per ovviar per via di ragione,fe fi può) a quel malC) che potrebbe nafeere per mala ed ingannevole perfuafiooe di cofioro» Se ne parivi altrove) ma per oi^nitk. Ora quefii tra gli altri fìngono di parlare fopra il ]us belli ^ che ha la Signoria Screniffiiaa ) il qual titolo toccano, come parlano appunto. Non fanno, ma faper dovrebbono, quandola guerra ègiuila queir eflere il piò faldo titolo che pofla aver una Repubblica, e qualunque altro Pnneipe deVuoi Stati; perchè quello vince il Jusna^ furJcy e mette fervirtù, dove la Natura, non che il Jut genrium ha melTa liberti, e comunione; onde fi vede quanto ridicolo riefee il di(pmare,cbeneirun Potentato EcclcGallico, o Secolare polsa farleggì, dar termini, o conceder cola in pregiudizio della legge naturale, t con quello gli altri inicG, vogliono, che riefeano bagattelle. Vuole il belli y o Jus gemhtmy che vinto il Nemico, tutto quel)o« ch’egli pofiede s'intenda del Vincitore. Il primo premio, che zia, dove Baldo dice, effe re come dar della teda nel Muro/ inquedo. oKiza. bifogna mantenere il poflellb a chi lo tiene. Al Cecondo fi. ciCponde, che quando la Repubblica fbndaffè le fue ragioni. fbpra..puMlogj le baderebbe la faìna dèfTi;CosÌ conclude Mariaoo Cpccina nc Cuoi Conigli ; come fa la Sede Appodoiica trattando la ^a^ooc de'iuoi Stati, che non L’è necciTario naodrare alcun lodcuoiemo JeTcoiacquidi. Sarebbe error grave tnodrairli per farli leggere, diffidando della fàma. £ quando la Repubblica aveflìr a moArareglIdxiuscnù ripofU. nella Segreta,ic le prederebbe pienifCma fede ? A quedo proposto, dicono i Giureconfulti non elTcr lecUodire, ne menopenfàre, che laiRepubblicadicelTe una fallici, benché delfuocomodofitratci; cost aliega'ilCardinalTofco ne'Cuoi Volumi delle Capitolaziom praticabili. Àltcrzofìrirponde; cheCe il Papa aveCse conccCso tal privilegio, fenza la libci^ ve^ontV, quando ritornò in Roma lo avrebbe rivocato, come fece PalqualIL de'privilegj concedi ad Enrico IV. Imperadore, quando esa nelle lue mani/ il queir fcibko giunto a Roma in pubblico Concifloro li rivocò, come editti in dato, dove non era indio potere di negare; e fé durano i titoli privilegiane* Rè di Napoli con-celila Guifeardo da Leon IX.. quandolofecero prigione eo’Cardinali nella guerra di Benevento y perchè non li rivocò* quando tornò a Roma, mcglia avrebbe a durar quedo fàttO' da Papa,, che non fu mai prigione in Venezia,ie fe avelie voUmo U Repubblica edorquere tal privilegio, ed altri titoli,, gllavrebbc avuti mdto prima dallo llefroLeoo IX. quando venne a Venezia., del qual anche la Repubblica aveva prefa la dif'ela. Al quarto fi rllponde, che Papa Àledandro, quando dille HocMawl ipfum Mare ha* detto di qbedo Golfo, il quale comincia da queda parte, ed intero, (enea mutar nome, fi donde fino a Corfb; nè manco più oltre vogliamo, che ptflì « òsi fi ha intefo da tanto tempoinquà, che non v’è memoria in contrario, chefinal prefente ft chiamatGolfcr di Venezia. Ben> ir DottopìNapoliiani aivevano imparato nciUdifputa tra’ Francefi,. eSpagnuoU per caufa de’ Confini dei Capitaniato, le fodé deif Abruzzo,, o della Puglia*, dove fio tenuta concilifione pergliSpagnuoli, che nella difierenab de nomi, e de* Confini délIcProvincic, fi debba^attenden fempre alfulo prefenter. Fu confemiaca qucda> ragione colie armi contra> i Francefi; pCTÒ nemcnte quando fi À il mireflb d'nn podere, balla una gleba d'effo; cosi per hoc Mare lì e intefo tatto T Adriatico, dove fi ebbe la vittòria, ch'era avanti gli occhiti ut: n Ma quclladifpau i friulratoria, o perdimento di tentpoi, che la Repubblica non dice d’elTerPadrona del Mare, perehè il Papa le abbia còticeflb privilegia, nè il Pape in quella parte fa conceflìone; ma dichiara^ • aiODe, e coDcefrione, ebe làRepubblica fiaSignora del Marò Jkre talli, ebe qucHoTha de Jurt gaathm; e di tal dkniaràaione fe n’è compiaciuta la Repubblica, ad imitazione di Nollro Signore, le cui azioni fono inftruziòni noftre ; ilquale ficompiacque della confellìoiw, chePieuo fece qualtncme era Figliuolo di Dio; quando non fi voglia, che il Papa, d qual è nel pofiéflo prenatrato anche di maggior autorità, non abbini fiuta tal dichiarazione; queflo non leva alla Repubblica il Domintojm talli acquillaio, per aver vinti non foiamente i Rè di Sicilia, ma i Saraceni, ed altri Infedeli, e perfecutori di Santa Chiefa; nel quat cefo dicorm i Giurcconfulti, che lènza- altra dichiarazione, oConcefiCoite Pontificia fi acquifia piena ragione negli Stati conquillati di mano d’efii. Ne daimo efempio de’ Rè di Spagna Aeiracquifto di qtie’Hegni filori delle mani di uli nemici, c pètA ivi nen riconolce fuperiore flmpefadore, inquanto gli abbia a comdtidare ; Con- i eludendo lopra quelli quattro capi anche a modo degli avverfarp ; che il Papa non abbia dette quelle parole, e fe dette le ha, non abbia avuta aumriib di dirle / confidcrino bÓMy e vedranno con qual azione aveb potuto dirle il Papa. - A chi vince i Nemici in Mare, ebe occilpavaiio, fi dee J tare talli flmperio del Mare; LaRepubblicadi Venezia havifiti ìNemiciinMa-' re, che occupavano; adunque a' Veneziani fi dee ima talli l'Imperio del Mare. Si provala maggiore per li Giurcconfulti, i quali dicono^ che la Vittoria db in mano del Vincitore tutte le cofe, e di quello, che alcuno ha prefo in guerra ne ha il Dominio : ed aliti Dottori dicono, che finite le guerre i popoli vincitori, tutte le terre, dalle quali hannofcacciati i Vincitori pubblicamente, ed atiiverTalmentc dicono loro Territorio •,SicFtac.daCa»iit.Agt. frf. Bap. ^jnn.ila Allimianitut Cap.iy. m. 9, /iè. II. E ne’tcTffliai dcIMain, che fi faccia Territorio, e polIcflione di chi vittoriofamenfe vi ha combattuti, e vinti i Nemici diremo, come allega ancoraGioiFrancefco da Ponte dnadeDottoriav. vetfarj nel fuo lib. de PattHata Prafrii eap.ìj^ Uti Re» fama conertojiam a»mE*areia», iti efiTcrrhartum Ragia, et aala Ttrritariam diainr a potaftata tanamis, ÌT Jiaua dkitwr Cataefis prima; Spiritu Domini faratarna fiapat aquas, Jia famr fapar Mate paaaftaa éatanris JnrifdiSianam. Cioè dove ilRè va con efercito contea iNemici, ivi è il Territorio del Rè, perchè Territorio è detto dalla ^ellb del tenere, ficcarne fi dice nel primo del Gencfi ; Lo Mrito del Signore fi trasferiva fopra Tacque, cosi fi trasferifee la Ginrifdizione Ibpaa il Mare a chi n'è reliato Padhme. Perloabè t Romani lotto Scipiane, vinti i Cartagineli, dice Polibio nel lib. yuikviSK iaflitm Impari» Maria fojiai fiata ; ciò! vinti iCartagmefi, tolat.le loro Navi, emefli i rollrtnellelororeftò flmperio del Mare a'Rommilip iMtadaa.i, lib. 4. Satalt.diS.^lit.^. Gli Atenieft potimun tc dopo la- vktoria di Salamina contra i Fani confeguirono, dice Lcuda, rimperio del Mare. Qui anche fa a pròpoCto il cafQ allegato da^i Avverfar), che Ferrando figliuolo del Rà Ferrante con 53. Galee paisà tutto rAdriatico, e fugò la numeroia Ar« mata de'Veneziani fino a villa del lor Generale Marcello ; didrufle la Dalmazia con tanto terrore de"Veneziani,die dice il Sabeliico diél. 4. Iib« 2, Eififtinunttt flHum effe àe Imperio Marit\ perchè da quello ficavaparimente, che chi fuga e vince Tarmate nemiche nelMare,togliendoad altri riiien per fé Tlmperio del Mare divenuto Tuo Territorio dai tener fuorii Nemici, di modo che TAdciatico farebbealiora divenuto tutto Tehttorìo deRè di Napoli ) ma v| lalciano il piu bello da narrare. Del vincer, e del perdere nella guerra fifa contoin fine ; difopra abbiamo Bellis bakitis dove quello avviene, conte negli altri giuochi; chechinel principiovince, alfine dirperataraence perde/xomeavvenneaPompeonellagucrra centra Cerare; nel principiogloriaodoC di certa vittoria, come appunto ora fan no gli Avverlar); non fanno fcrivere di ceno poco dtfordine accidentale; onde perchè la narrazione di quel fatto abbia a galligare i Milantatori de*primi lucceiTi nelle guerre, e perchè torna a propofuo per provare la fuddetra nollra minor propofizione flendcremo il luogo del Sabeliico, che Io narra. Federigo ArrigodiFerdinandofigliuotopiagiovanecon43. Galee, eFufUencròneIportodi.M,,Diedequelloaflàia temere al Sonato; edera veriAmile, che il Nemico ivifermandofipotelTc contcnderea Venezia il Mare. Tutta U Citik aveva gli occhi rivolti al Marcello, cadauno a lui, ed alla fua Armata guardava ) credutoaver perduta SignoriadelMare, quando non fofle cacciato a forza il Nemico di quel luogo, il che era mantfcAo non poterfì fare fenza grave confiùto, Stava adunque laCitthin afpettazione, che Marcello, ilqualera a Geldra, o ardefle TArmaca, che aveva nel Porto Anconitano, fopravvenendovi alTimprovUb, ovvero la conducete olfattod'armi, elalcaccialfedi 1^; mafrateanto, ch’^lifupplifce a'bifipgni delle Navi condotte dal Pò, mentre fi apparecchia la vettovaglia, ed ogni altra cola bilogne vale, il Nemico non fi tenendo Acuto io quel luogo, fatta vela, fi part'i d’Ancona, prima, che vi venineTArmata Veneziana. Panar» tal cola grand* odio centra il Marcello fpezialraente del Volgo, ù quale mifura il tuuodalT avvenimento; e giudicò, che non fofTc (iato ardito d'andare contrai! Nemico venuto in alto Marc per mofirare dinon efiere venuto in vano, alTaltando alTimproviloLUlairela della Dalmazia., qiiafi tutta con ferro, e fuoco la difertò. Cosi parlailTefiimonioallegato dagli Avverfarj, dov’è prima da notare, cheTArmaia Aragonefenonfugò lanofira. Secondo, non vi enarrato il tanto tremore de* Veneziani. Terzo fi vede, che non i Veneziani, ma l’Armata di Napoli era alquanto tremante; imperocché dice, che il Nemico, non fi tenendo ftcuro in quel luogo, fece vela, ma vediamo piò oltre, chi ebbe il tanto tremore, perchè 1 Autore di quella Scrittura non ha inietto il Sabeliico. Si vede dall’ eiroie, che prende circa il nome di Fernando BgliuoIodiFcrranteconM.Galee, in vece di Federigo figliuo. lodi Ferdinando COD43. Galee, eFuAe, ^ice ilSabeltico; adunquequeAi dopo aver meffa LiÀà a ferro, ed a fuoco andò ad aflalire Corfò, Pietro GiuAinian, e Niccolò Bigan, dicono Curzola, dove da principio furono fi terribili gii alfalti, che ad un tempo vi pofero le Scale alle mura, ondo avevano fpaventaii i Terrazzani, Giorgio Viaro ivi Capitano, diffidane dodel poco numero de’ fuot, hfpettoaquc! de'Nemici, per intimorirli fece fparger voce per la Terra > che rArmata Veneziana lo veniva a foc correre, efecerUrealIc Campane per tutto, e levar dalle mura un lieto grido, che gàvenilTe l’Armata. I Nemici dalla paura del pcridsio agitati, perduti circa aoo. fi ritirarono inMare comeOmbre, e Ipiriti tenebrofi di procelle, anzicomeComacchie, che fuggono il (uono delle Campane de' Campanili, dove fi aggirano. Vibannoanchelaiciatodidire, cherArmataVenezianaandò a prendere a forza Gallipoli in Regno, dove li llende la Colonna in confine dell’ Adriatico, e Ionio; e che Trento Terra de’Tolemini, Rudis, ed altrevicineTerreim^ientidelcal'adiGallipali,fi arrenderono, oltre di ciò hanno lalciato, cneFerdinando vedendo fi grave rotta in cafa fua, pensòalla pace, ^guerra fu la sfortuna di tutti i Principi d'Italia congiurati cantra i Venezianiper caufadella guerradiFertara, dellaquale (crivc il Giovio nel principio delle Storie, ed il Guicciardini nclLibro ottavo nel principio, dovelìlegge, cornei Veneziantconfe^uirono la pace onorevolmente per fe, e vittuperofamente pel rello d’Italia, che con fenlimentotantogrande, e nel tempo che fioriva di ricchezze, d'armi, e virtù s'era unita tutta contra. Per concluderla vi fu lafciato tutto il Polefene di Rovigo, ed i Rè di Napoli per la fuga, fe pur avellerò avuta qualche ragione nel Marc Adriatico ravret^apo perduta. Vi farebbe anche per provar la minore la fuga dell’armata di Federigo II. ImperadoreRèdiSicilia, e Napoli recitata da PandolfoCoUeruvio nel libro 4. delle Storie di Napoli, oltre di ciò la rotta data da Ruggiero Rè diSicilia, ilquale infeftando l’ImperioGreco aveva prefoCorlò, dove fatto un Arfcnale, dominava tutto il Mare. La Repubblica, che aveva giulfamentela protezione di quell’ Imperio, fe gli mollè centra conArmata, loincontrò, c ruppe dice Tommafo.Gazzilio Siciliano ScrittoredellaStoriaSiciliana Ub.p.dec. z. Commijfo prttio ex fuisTriremiha, undevìpnli amijps, fxinUTfifqut yRugeriui vilha rwn Juueis dijjìpttiiSicilimi profughi et pojit» bello fe fuitraxh. Cioè lucceSà una fanguinofa battaglia Ruggiero perdette, e fommerfeip. delle fue Galee, con poche, e diifipate vinto fe ne fuggi in Sicilia, e poi Rette ritirato fuorde'travaglidellagufrra. Parliamo adunque, ficcome abbiamo deliberato centra Federigo Imperadore, come quello, che abbiamo detto elfer chiamalo DeminmA&odi, ed è quello, che i Dottori dicono, che il Mare fi pofla far proprio, quello concederfi, e fe egli vinto ha ceffo al Vincitore il luogo, fiamo nella regola Finro vineentem. La Repubblica ne aveva il Dominio exiiujhii ad omnes, quella dunque farò per finita pruova della minore.. Edin rifpoRadelquintoArgomento degli Avverfarj, col quale parlano, come dicemmo a propofito, ma vanamente in riguardo allaveritò dellaStoria, come a quello invigilano tutti i Regnicoli eccetto il Collanzo autore, e tellimonio degli.Awerfarj, l’Auior degliAnnali Ecclefiallici parte per emenda, c parte per rifacimento di guanto ha fetitto contea la Monarchia di Sicilia, li è melfo a quell’ unprcfa, ci ha prodotto per apparenza di tellimonio uno Straccia fcritto da penna d un altro Regnicolo, ed un'altro Apocrifo fenza nome, trovati folamenie a quello tempo tutti due a bufi leggere difuccelC di quattrocent’anni, vogliono anteporli a' Scrittori pubblici di quel tempo, a tante memorie antiche di Marmi, e pitture antiche non mai contraddette. Se Romoaldo Arcivefeovo di Salerno, del quale dicono elfer uno degli Stracci prodotti, non fa menzione di quella vittoria, ec. torit, non va la confcguenza, che pon fiafuccefla; poflbno enervi mille caofe d* una tal ommUTione, o per invidia, o per fcoprire U mancamento, e Timpotenu del Kè di Sicilia fuo Signore, o per non confeirare il Dominio di Volita Sereniti, o che non ha Icritto, • che gli è (lato levato, e fìmili. Si adducono anche altri, che non ne parlano punto; aniche, e Pitture palefano. 11 Padre }acopo Cordano Gefuita in una fua Cronologia fcrìtta in quei Ila materia feguita per fuo Autore il Compoficor degli Annali, ma non nega quella vittoria, ed i PadrìGefuiti, chehanno mandato fuori in Colonia un libro intitolato Dtfenfiones Ànnatium Ectlejiaftkorum. non la negano ; però per pruova della minore, e per rirpolla del 2.. c. 63. dove introduce il Cardinal di Monopoli a dire al medefìmo Pontifìce dell^ltalia, come la liia liberti, e grandezza rìfiede nelle Lagune del Mar Adriatico; e come fi deb. bono bilanciare t fervig; della Repubblica antica, e moderna fatti a Santa CKiefa, ed a tutta la CrìAÌMÙt^ parimente; (ìccomc ampiamente fi leggono in molte Scorie i validi ajuti dati per 1 * acquifio di Terra Santa, e le vittorie ottenute centra Infedeli, f ubbidienza verlo la Santa Sede, ed i Tuoi Sommi Pontefici ne* più urgenti bifogni; ficcome ad AlelfaRctro III. fugato, e fcacciato dall’ Imperadore Federigo Fnobarbo, per la cui li^rt^, ed onore prodigo fu il Principe Ziani, e quel Senato delle facolcli, e della vita tu acquiilare quella famofa vittoria in Ifiria al Capo di Salbore con cattiviti d’Ottone figliuolo dell’ Imperadore, e non effendo mcn liberale ne* tempi di Leon X., ed altri Pontefici ec. Onde gli Avverfarj non offendono la Repubblica, ma i loro Principi, mentre vogliono indurre i Miniflri non folo a far guerra, ma a commettere infame latrocinio, dicendo S. Agoflino nel lib*4.c.4. e ò. deCivitate Dei. Remora Juftitia quid fum Regna, nifi magna latrocinia ? e piu oltre muover guerra a’ vicini, e procedere ad altre confeguenze, e per cupidità di Regno affliggere, c foperchiare i popoli, che non danno impaccio, che altro fi dee chiamare, che gran latrocinio? Penfo d’aver adem^ piuto a ciò, che per tal materia brevemente fi abbia potuto dire, GRAZIA I N- I N P E 5^ LIBRORUM PROHIBITORUM, Pum R?§uii^ pqpftfli* p^r P^trcs a Tridentina Synodo dclcAos. AWCTORITATE PII IV, PRIM^M EDITUS. 1 -i. f»Jìe* vtra ^ S/nt» ofiiu jht Et KUNS p«MVMS.p. n, CLEMENTIS ^ P A P ^ Vni, Jitffu rtu^iùtia, ^ paUictun. INSTRUCTIONE adiecta, {V mjuniét fnhUmmh, itfiù Jbictri tmeniaitdi, CLEMEN5 PAPA VIIE Ad perpetuam rei memorfam. tacaosaNCTUN acho. Uem Mii éqNfinMii fise ^ PcopUccRi Mtctertìitfì iàUiKin confc^tu nemini Ikxt > ut Ciivua in Ecclefla Dei perpetuò eoo(tfvaresur » p^rifque iovioUrutn crade aercitanm, ut haoc fideà catbo^ìca; dpr firnwfM ioGigrkttem t (»Unm » incorna pcam^'ie òi Mcidila Dei reciaarent, ApoAokci animi magnitudine» prò muro domuv Ifraei, advcrAis einrdeni fidei hoAes»^ fciproa oppooentei, ne iAoram doHi, 8c infidiia imprudenter> &limplickaiit vctcres ex infcm excitanecr ficn riiu: Noi. ranl eandcm Pjì pndeceiToris Tri^ntitu Synodba» pefVileijceiB ooxicv- Conllitu^eoem» &]iiclicen>y acReguias« TUO libroTuo copivm, qoc plbs. nitpio ^uonim q^iam. tenorer haberi voiutous cxercventr coerceiet auferre èu> cxpiemh ^uam hxc ip^ p'iens prìnram quìdem dò^iflìmos alì- ta> prour ìnKrms dcfcrìpt# Aific oronui quoc vnosnfetl^iei qu^de d^T||hgila»i|in^oi^araAp^ft^fi^^ tenore ^norceti^,;fc,der^r 4 ^tt''.*’ pcrmota» ad ipfxm Apoftblicam l^deni» gurarìbui peribnis ubiqiie loconmr exiuucgram rem défertndara Aan]tc»-Itaqpe Itentibua» Aib ufdem p in did^aPìì fel. ree, Pius. Papa qitamìs przdeceflbr, ConnjtDCrone COTcentis» obiérvari prveinoAcr, qat hcofcTw xpbrrpacV J de; (fiadamut^rQ^ «ovai faci fa fedebat, Przbcis qui&atàam doé^rina» Itas negqtuim» cùm prombìrionìSf rum et prudentiaprxlUntibusy^adbibirxar.^DK^exputjacioais, de imprcfConia libromm dìeem librorum prohibitofun) » À Re^* pcragamr» eas omnci £acalcate mein. Fias firevi^, proinulgavic ì de c/ufmodi noxìo- Qiintus. MagiAro facriPalatii primum rum Itbronmrdetrimcncisdicpcitcnn^» op- dcipdeGrcgoriin dccimas rcrtius > 9c Stxfortunè- pfOTìdìt, CarteruTn, Ticct illa tur qumtusi CardinaTibosCongregarionir prò rempfìrtii raiionc prudenter ruqrinc predi^z concelRrtinc « quornm tcnores rune conAiruca j rameó'^ -Icum Sarimiz me vofaraus haberi proexprefliSi conArafhuia» in bujufniodi librorum edhione mamus* Se qiucenus opmeA innovamus. finva ili dfi^t mala ( nam.polV in- bis ornniros, qu;r addiùi in bne In ìUlhI tempi» afit erùm libri pcrnicioA dice» noti adverfantur, volumurqric propartim cqnfcripri, atqiie «dici. parcim> prcreai ac dccemimus > ut fi q;;x inpoqui fcriplfì e^aKc» de antèa JcTicùerthti' Atrum dubìtaironet aùttóntfoverfix circa in medium prodiere i ic mem. Sixtns Papa Quinta» przdccef- aliomio» qut prò tempore fiiper Iiunce òr noftcr,|mildt ilIaArari«« acque àd hu;iifa)odi deputati fherinv» rd'eraneur i l’cgoUi a^iMs neceflàrif» rebus » liianda* et ex fencemia eonindeih* Cardinalium y vie » nr nonuutli alii ejufdear generis (i- nobisi aur fuccefioribus noAris > fi rei bri V eidem* Indici ad^ereptiu;. Vei^m gravita» id poAulaverit» conrultis>declacuro: idem Sixeus I rè minimé abfoluca » ^ rencur» et decidantur, quorum audorìhumani* ezcefcrìtJ Noe la fw fqi»» fai^ fuem » cuir pennittcndtt » tum prohiti quantuiTP CQQT Doniìoò' poiAnnez con- bendii ex{àirgandis » 6c 'imprimeniis 4ìfiilcntes» quodjampridentiiuliccrarpcoior brit, airifqoe ad eam rem pcrcìncnribos 9c a mulcis- dia defideratunr cratr hoc expiicandìs» volaouis efie przeipuam, artempore oronino perficiendum » atqw in ^ èra mandaimts ab oomibiis venerabilocem edcnditm duxtaui-- Venerabiliigi- libus Aatribos noArisPatriarchis, Arcbietur fratrr noAro Marco Amooio Epìl^ pifcopii» EpKcopis» aliifque locorumOrpo PreneAino de Colamela dilt^is dinariist «uroque gradò»» ordini»» aoc diruti»» Oc Marie Angelorairr intbensi»^ Borro* cam EccìefiaAicis rccnlatibas» vcl regumeo, Fratinlco SanOcMaric Tran^n* laribu»» quiro laici», quocunanebonore, tiuc Tcd'eto r titulorum Presbyteris» nec*^ ve! digicitare prediti», ioviolabicerobAi» non Afeanio SaoOe Narie in CoAixdio vari. Non obAamibos ApoAoIùis» acin de Columoa diacooo» Cardinalibu»r fu- tmivcHaUbo», Provinctalibm» et Synodar per hnjufmodi Indice per no» depinari», fibus Concilii», editi» generalibu» » vd aliifque pit»« ficcruditis» viri» in colIfi•^ fpecialihusConAitationibut» drordiiurioliom adhibici», ca omoia, ac fingala» nibo»/ ac qnibufri» Aatml», 2c coornetitqoe a Suro quinto» oc fupra dixtistt»» dioìbus» etuni fitramento confirmatione ìnAicuta ennt, diligcmer exiroimnda» ApoAoKca» vcl quavi» firmitace alia ro«ommilinm»» que cum magno Audio vÌp> bomis privilegi» qooqoc indcllds» fieli ter» PROHIBITORUM. 371 teris Apoftolìclst rubquìbiircunque tenoribusj &- formis in cor^crarium pnrmifforura conccflif t confirnoarh, approbacis, et innovatisi Qjtibus otnnibus. Oc fìngiilì etiamfì prò ìTlonun fufficienci dtrogatfone fpeciaUs, rpecìflca» Oc ad verbum in(«rta mcntio kabenda cCkci tenores hujulmodi przfenribns prò expreilis habentes, hac vice dnnraxat, rpecialicer» &exprcriè derogamus *. czccriiqne conrrariis quibufcunqiK. ^cemenccs camndcm przfentium cxemplis, cciafn imprefljs, Notarli publicì manu fubfcriptis» Oc figìtlo Trslati a!icu/us Bccldtafticì obfìgnatis» car^m haberi fidem > qux hibcrerur ipHs prxfentibus, iì forenr exhibitSi vd oiicnfx. Dar. if’urculi, fnb Atmulo Pifratoris. Die decimafeptìnia OOobris, MiHenmo quingenrefìmo nonageiìrao^ninto, Pontilìcarus Noftri, Anno Q^no M, f^ìus Bibrianusy PIUS PAPA Ad perpetuam r?i meraor jam. OMINICI ^egis cuftodix Domino dil^nente» pr^pofìci ) vigilili n>ore paftorisnon dciìAimusx ipAgrcgi ab immineniibuspcricuh's,quanta maxima pofsomus cura, et diligencia rrcavcrc, ne propter negiigenclam noum peream ovcs, qnz prction/Cmo Domini Noftri Jcfn Chrifti fanguine, fune rcdcmpcx* Eifì autem, qua adAdeì vesitacem parefacicndain, et ad horum temporum hareics confutandas pcrtinebant, in orcuraenico, Oc generali^ concK Ho Tridentino, SanÀi Spiritus aflìfteiK ce gratta, nupcr adeò enucleata, ac definka fueriint, ut facile jam fit tmÌcui-que fanaro catholicamque dodrinam, a falia, adulterataque intemoTcere ; ta-. men cam libronim abharericis ediroram iefiio, non modo Cmpliciores hnminet corrumpere folent, verura fcpd etiamdoùoi, cruditorque in variot crrorcs, Oc a veritate Adci cathoticx alienas opinionet inductre, buie quoque rei effe diximus providenduno Cum auietn aptiiBmum et inalo remedium c0e feirerDus, A componeretnr, atque ederceur Index, Ave catalogus librorum, qui vel hzretici fìnt, vel deb?tciica gravitate fufpcfli, vel ctr» xè ptoribua, Oc pktaù ooccanc; idnego» Tvm ìk tfum ad facram Tridentinam SjrnodBna rejeceramus. Ea vero ex tanta Epifeop». rum, Oc aliorum dodiflimorum virortim copia delegit, ad eum conAcicndum in*» diccm, multos cum doéVrma, tum judiciò in/ìgnes Pralatos, ex omnibus fere nacionibus, qui quidem non Anc maai'mo hbore, phirimifqua vigilits euro ii>^ diccm tandem, Deojuvante, perfccenmt» adhibitis etiaro in conAlium Ic^iflimiquibufdain Teologis. Prraé^lo aatcroCondlio, cum ex iplìus Synodi decreto, is Index nobis oblacus fuifict, nt ne anrc ederetur, quam a nobis approbaius fuitfee, nos doAiffìmis quibuldam, probacìfAmifquePralatis eunaccurati0ìnrk Icgendum, examinandumque tradidimus, et ipit edam Cumigkur cmn ma gno Audio, acri judicio, diuturna cura confefhim. Oc praterca commodiflimèdigeAum e(W cognovertmus,* Nos falutianimarumconfnlcre, camqueob caufampro*. videre cupicntes, nc libri, et fcripcacu^ iufeunque generis, qua in cd-*improbai>tur, fìve ut harccìca. Ave ut de hzretifa pravicate fufpcffa, Ave ut pietati, acmorum hoocAatt inutilia» aut aliqua corre» fHone faltem Indigeniia, poAhac a Chri« Ai Adelibus tegamur : mfum ittdiccm, nnacuro Rcgulis et prarppfitis, anAorirate^ ApoQoItea tenore prafenrìum approbamus impriroique ac divulgar!, et ab omnibus UnivcrArafibus cathoNcis, ac quibufeun^ qne aliit, ubique. fufeìpi, eafque Regulas obfervari mandamus, atque dcccmimiis; Inhibcntes omnibus, Oc Anguh's, ram EccleAaAicis pcrronis,SarcnIaribDS, fir Re*, gularibus, cu/ufeunque gradui, ordinis,& dìgniiaiis 6nt, quim Laicis, quocimque honorc,ac digniiate praditistne qiits centra earum Regularum pr^rcriptum, au( ipAus prohibicionem Indicis, fibros uUos legere, babenve audaas. $i quù autena adverfus eas Regulas, prohibirionemque Acerit, isquidem, qui hxrericorum libros, vel cujnfvis auaorisfcripta propter hzrcAm, vel falA dogmatis lufpicioncm damnata, atque prohibitalegerir, habueritve, ipfo ;ure in. excommunìcationis pGcnam incìdac, eamque ob canfam in eum, tamquam de harefì rurpcdiiin inquiri, Oc procedi liceaa.' przter aliaspor. nas fuper hoc, ab ApoAolica Sede, f»crifque canonìbtis conAitmas- Quiautem Hbros a|Ì4 de cau/a prohibitos Icgerit, habucritve, prxter peccati morcalìs reaturo, Epifeoporum arbitrio feverd fé noverte punienduflD, non obAanrfbus conAinitionibus, Oc ordinarionibus ApoAoli(is contrariis quibufeunque, aut A quÌ-« Aaa i bus.INDEX LIBRORUM I)Ri comfTiunirer, vel dìvirim, ab eadcm tadm faumlMMipt^dìmunanT'Jcllbe-, /ic Sede indulcum, nc cxeoinirxinicari raiiowmt wncruRi, ut jiulUartnt nUùi ir: ‘;7pf>(Tìnt; per Iitera$ ‘Apo^olicas, non fa- us fitti poffe% tfttàm fi F^itutniu ÌUe cientes pcrnam»& expre(ram> ac de ver* forum ^.'^rruriati Index, aò tn^uifitorìouf ^ a^yerbum,de indulto .hiijurinodi menr tM pofiremò nnfediuf ^pa^lelftanllm dttr.pùs, (ipnem. Ut h«c aucem ad omnium nO; «ifae erùm addiiìst Teùneretur s ^nippe neve quìs excufaritv cum ma^r.a mAturitate 2 mulfis virif doÙU pe ignorationis uti pofGc» voItiiDUS> et cempofiiuj, piurlmot compre(:endat au8oft$, mandamuijUt hz licere per aliquos Cu- «if«e /a erdinem fatU commdum diiefifu tfri» noflr* Curforef in Balilica Vatica- fe ^idcatur. rii PiÌBcipis ApoAoiorunij et io Ecclelia Laterancnil cune, aitn in eis popului» ucrmirarnmfolcmnibus inccrni> congregari folce» palam» et cUra voce reci« lemuri et poflquam recitate fuerint ad valvas earutn Ecclefìarum » itcìnque Cancdl 4 ri» Apoftolic» » et in loco folito Campi Flore afligancur: ibique ut Icgi» et omnibus innotefeere poflìnr» aliquarv tifper rclinquamur* Cuin autem inde amovebuntur» earurn excmpla in iiidem tocis affixa remancant. Nos enim per rccicationcm hanc» publicationcm » &a£Bxionen)» omnes» et lingutos » qui bis liccris comprehen^tur» poft tres menfes» a die pubiicationis» A affixionis earum» numcrandos» volumus perinde aAri£Ios» 9c obiiqatos effe» ac ù ipAfmcc ille edite» Ic^equc fuiflent. Tranfumptis quoque carum, que manu alicujus publici Notarli fcripta» fabfcriptavc » A figlilo» ac rubfcripcione alicu/iis pcrfonz in dignitate Ecclefiaftica conftùute » munirà hKrint» fidem fine ulla dubitationc habcri inandamus» acque deràmimus. Dar. Rome apud S. Pctrum fub Annulo Tifearoris, die xxiiii. Marcii». Pontifica cm Noftri Anno Qjiinco. »^Rimus FioTeìfelUt LaxellìnutConfe£Iuin a deputatione Tridentine Synodi R. P. F. Francifei Forsrii » OriL Fratrum Pred. S. T. Profcflbris. A cjufdcm Depucationis Sccrcurii UM SanSd ttamunuA TfldeutU «4 Sytf»dMt ÙV roimììfus Addita #.t g4j fjfcc « fecnuU fefioaU De creio Jub BeajlUimo Tio Qjfario Toni. Max. txplicatj Ju», c«ifmffet » «r Tarrer Ali^uct » ex ctmibui feri nstlonihuf deU8i$ de Ubrorum etnfurif ^uld Mutuendum tfjet » di/ij;e>ttcr coptaiiatus, in j^oniaw vero ìiuelli^ebAnt t propiere* In alì^Uibui 'PrttLìiuus, oc loels haSenus eum fndìcem rteeptum non tffe^ i^«odÌ» eo ifuldam ìlbri prol/ibereatur t quorum leOione viri da~ Bi pTivari ^magnoincommodo afficerniur » Atque animo advtrttntts etMin» in eo effe nonmUa forum expticati pafitUf qua interpreiO' tlone indl^eretìt j re, multum diuque delibera' tionibur abitata, ac vÌtìs etiam ex ornai notiene, Tixoitt^ica facuìtatls fcìentifjimìs, in coafilium adinbUìf » fuhieQoi Ryguiat componcndas ;ndir4rmr» ut quoad tjus fieri pofjtt, dìBorum homlnum eommodht &" Jìudiii faii'4 vtrhaie, oc reli^icne, frojpUeretur. Jllud i^itur in prtmìe aà fervore oporiet, utumquamque peni aipiìobeti literam, tret hobtre ciajjet, Ja primA non tam libri, quòm Ubrorum fcripiorct, eoiuaientier, qui aut haraici, aut nota Ifartfit fnJpeBi fuerunt ; horum enim Ca~ toìof^um fieri i^riuìt., m omw ìmeUi^ant, eorum fcripta, non edita folum, fed tdenda etìoM, Orohibìta effe. Sed iitni etum aifimadverrendna^» quod lieet muliì pratcrtA fini, qui jufiiffmìs de cortfis in Imuic ilaffem refern pourani, Tairibus temoi non is fult animui, aut ad cerum pertÌKcbat ii|^ii«rj 0 ii » ut eot ad unum ferquirCm nnt, fed Ut pene contenti fuere, qui in mano Catalt^o dtftripti funi, de aliìf veri ejufdem green'/ auBoribus, idem ab trènorìU, et biquifitoribuf fiaiuendum effe exiflimarmt. Ih fecundam Clafjm ron auBortt, fed libri futa r fiati, qui propier doBrinam quòm tontlnent, non fanam, aut fufpeBatu, aut qua tffenfionem etltm in morìbut untum fideiimit aficrre potefi, re/ieiuttur, etiam fi auBorts, a quìbut prodiere ^ ab Eetìefia Tjaiquam defeherunt Tenia vero et ultima claffis, eot llbrot compleBìiur, qui fine fertpiopt nomine exìeruttt la vulpts, et tam doBrlnam emtlnent, quam H^ntana £eelefia tzmquam eathoUea fidel, aut morum IntexTÌtail contrariam, rtfi^ tanibm ae repci/endraii effe defrrrtif. >(on enlni om^es llbrot, qui Komen auBorjt nonpraferunt, damnandot putarunt : quandoquldem fapè virot doBot, ae SanBos noviniii » M Cbrlfiìana quldem Ppfp, ex eorum vigiliir lìiiU etpent » ^ ivr^ ìnstiem rUm fvìiarau, ùkru ofnimoi /ine nemne edi^ àlffe, ftd tos taravm » ftu ent lujiiìdo prtvtm 1 «•w diibUm fidel doSTtnamy /Ìi« BMnA*a fcruienfém ecniìnpu • vero /mf hujnfmodl, aiit tales omnino prohibeneur, AUorum. autem. bxreticorttni libri » qui de religione quidem ex profeflb trapani » omnino damnancur. Qui vero de religione non crafUnr » a Thedogii catholicis, iulTu Epircopomm|_ et Inquifitorum exairinati» U approbari » permitrunrur. Libri eriam cathoUcé confcripti» cani •b ini*» qui Qoftea in hxrcfìm lapH Ainr» quaiD ab illis» qui poti lapfum ad Eccleuz gremium rediere» approbari a faculca-. tc Theoiogica allcujus UniverfiratU cacholics» vel ab. Inquinrione generali» per«. mirti poterunc. V Erfìone* fcriptonim.^iam EcdeHa-. Ricorum. quz haf^nui edita fune a damiutis Au^Voribu*, modo nihil conrra fanare do^rina cootineant » permiccunmr. Librornm autem vetcris teRamenri verr fìonet» viri tantum doOis » Se pii* Sudicio Epifeopi concedi poterunc; modo hu» jui^mondi vcrilonibu* tamquam elucidatici nibtt* vulgatx cdicionis» ad intelligcndam facram Scripturam» non autem tamquam (acro texcUf utanmr. Verfiones vero novi ceRamcnci, ab auOoribu* prime cladis huju* Indici* faneraini coneeJantur » quia utilitàti* parum»periculi vero pluritnum leftoribn* ex earum lefUone manate folet. Si qui vero annorationcs cum huiufroodii^ qua permictunnir vernonibus» vet cum vulgata editione circumferunrur» ex pun^is loci* fafpcftì* a facultatc Theoiogica alicujus Univerfitacis catMicc» auc Inquiruione generali tpcrmicti eifdempoterunt » quih^ Se vcrnones. Qu^ibu* conditionibus tocum volumen Bi« bliorum, quod vulgo fiiblia Vatabli dicitur, auc parte eju*» concedi viri* piis»& do£li* poterunc. Ex Bibfii* vero Ifidori Clarii Brixiant prologus et prologomeru przcidanrur eju* vero cexrum» nemo tex. vulgata edi-« ^ionis ciTc exiRimet. C Um expcrimcnto maniféRnm fìr» (t Sacra Bibtia vulgari lingua, palÉm (ine diferimine pcrmittaniur» plut inde, ob hominum temerirarem» detrimenti qiiam ucilitatis otiri» hicin parte jndicio Epifeopi » aut Inquifuoris Recur » tic cum conltlio Parochi vel Confedarii » fiibliorutn, acatbolicis AuOonbus verforum» leAionem in vulgari lìngua ci* concedere poRìnt} quo* inccllexerinr» ex hu. jufmodi lefiione non damnum» fed (idei, acque pieracis argumentum capere pofTe; quain facnirarem in fcripti* habeant» Qui amem» abfque cali facultate ea legete » fen habere przrampferit» nifi priaBiblii* Ordinario redditi* » peccatorum abfolutionem pcrcìpere non pofEc. Bibliopola veròqui prxdidam faculcarem non habenc » Bìblia idiomgte volgari confcripra vendidèrint» vel alio quovi* modo concerserint» librorum pretium» in uTupiosabEpifcopoconvcrtcndum, amitrant; aliifqoe perni) prodeliAi qualicace eiurdem Epifeopi arbitrio fubìaccant. Rcgulare* vero » non nifi facuirate 1 Prelaris fui habica» ea iegere» aut eroe(e pcdCnc. RE L ibri il!i} qui hcrcciconun Auélonim opera, Imcrdum prodeuac, in quibus nulla j lut pauca de Tuo appoiiunc» icdaliorum di£iacolligunc>cu/uraK)diruiic Lcxica > Concordancix, Apophiegmara i Si-railifudincit Indice», Se hujuftnodi, fi quz ne admixea, quzexpui^atione geam illi», Epifeopi, et Inquifitoris,una curo Theologorum caibolicorum confilio ^bJacii» eaMndaci», perraùrantur, L ibri vulgati idiomare de conrrover» fiiss inier carholicos, Se bareticos noAri tempori», difiercmcf, non palGm i^rmìttancur, fed idem de iis ferveotur, quod de Bibliis vu^ari lingua Jcrjptis, flatutam eft, Qui vero de ratione bend vivondi, comemplandi, confitendt, ac fimìlibus argumemis volgare r«m»onc confcripti iiiiu, fi fanam do^rinam coiuiiieanc, non cA cur prohibcantur, ficuc nec lìcrmone» populares, volgari lingua babiti. Quod d ha£lemi», inaliquo regno, vel provincia, aliqnt libri funt prohibiri, 2 'iiod ivooQuUa coiuùterentiqua fine dcle;u ab omnibo» legi non expediat, fico, fum aufloret cacKolici fum poAquam cmm Chiromantix, Necromantir, five in quibus concia, nentur fonikgia, veneficia, at^ria » auTpicia, incantariooe» arti» magicz, prorfus rejiciantur. Epifeopi vero, diligcnccr provideant, nc AArologix /udkiaric libri, trapani», indice» Icgantur, vel habeantur, qui de futuri» concingencibus, fucceffibus, fortuicifve cafibus, aut iis afiionibus quz ab humaiu vohintate pendenc, cerco aliquid evcnn irum affirmare audene. Permiiruorur auccm judicia Se naturaks obrervationes, quz navigationes, agricolturz, five medicz artis juvandz gracia, confcripea fune. I N libronim, aliammve fcripnirarum, imprefilo nefervetur, quod in Coucìlio Lateranenfi fub Leone X. feffione decima Ratutum eft, Qgasè fi in alma urbe Roma, liber aliqui» fic imprimcndm » per Vicarium Sununi Pont, de {acri Paiatti Magifiruin, vel perfonas a SerenifiCmo Dominio NoAro deputaiula», prius cxamincntuF. In alii» vero locis ad Epifeopum, vel aliiim habentem fcicntiam libri, vel feriprurz impriinendz, ab eodem Epifeopo depucartdum, ac Inquifiiorem hzrcticz pravitati», e;us civitatis,veldÌGrccfis, ioqua iinpreflìo fiet,e)usapprobacio, Se examen pertineat, Se per eorum manum propria rubfcriptione gratis, et fine dilatione imponendam, fub perni», Se cenfuris in eodem decreto contenti», approbecur, hac lege, de conditiorte addita, ut exempluas libri iraprimersdi autheniicuai, de manu autori» mbfcripaim, apud Examìnatorem rcmaocat. Hot vcrò, qui libellos.manDfcrìptos volgane, nifi ante axaminati,probaiiquc fuerint, jirdemp^nitfubiicidebcrc )udicarunt Patres depurati, quibus iniprclTorcs, et qui co» habuerinc, de Icgcrint, nifi aurore» prodidcrint, prò aufloribus habeantur. Ipfa vero huiufinodi librorum ptobarlo in fcriptis detur lA in fronte libri vcl feripei, xel impreffi authcnticc appareat, probatioque de examen, ac czteragratis nanr, pQt Pmirct, in fiiagatis cfVitatibaB > le Ckteniin nomìtUt ctzm Hbronim « ^ur 4i«cefi&(tt4 doonuyvet toei>,«bi an im* t Pasnbus «lepucac» porgati funt, tura pretfotiL termnir » 8c bìMìothcat 1ibr» maiur defcripca» San£UiEmi Domiiu Noie hcreeiÈfc praricacis» oc nihM commi ftri. ìaiTa. tmdidit.. quK pfoiUbaxur» ant imprioiacuri auc. Ad c xa t ma re verò- oranibot fidbMmwdttnr» aòl hdieamr.. prccipinir» ne qaìv aodeac eoocra hanim Oranea ««t6. librarìi » fle qucunqne 1 n> Rcgnlamaó pm(crìptu{D« luchiijui Indie» bcoQim. ecadéco res ^hab^c io 6iis bibiiou pn&biuoocm a. libro» aliqoos legem » ibedi» ifidkxaadibaMnm mp^um» aufbabere.. habenc» cum Tnbiccipcìone di^bruen per- - H qni> - libro» kat«rieofumv v# Ibnarum, » aJip»viiproaL habeant » auc oipiìvìi Au^r» feripea > ob h«rentai''>cl vendanoli ib? qujCBAqole adbnecridaoci ob £alfi A»mii» rufpietonem damnaca» line lieencia corundem depucandoram » i^ue prohiDiéa, Inerir, live habucric»iU miniRri publici ejtlT'loci»i predifì» peifonis fignsfieenr » libro» 4 ^e addu£b».. - « ^. Nono veto aadear • iifarara » qo^ jpft, «aitati» io cÌTÙateiB mtrodoxie» alwai lefeodutt tradem » mi aliqna fa» tiona atnaare » «ar commolam » nifi o» Aenfo pnnt libro » bi bab^ Ueaocia a hane ìmpnfBonem » et edìtioneni de nòvo pec&fiis depucandi» » ant -oifr nocoeid. trlbui ^culcaiem Epireopis» veMnquifito«oofiei »> librasi jam c& otuùbux per- ribu»» toc Regutarium Sc^rìoribu^i con tini ia caconunicacionis Iracenciam iiw tiiKrac. ’ - Qui verò libro» > alio Domine intetdi£lo»Wgecic » aut haboerìt, pretcr peccati morrai» rea tura quo aftcituri /ndicio Epifcoponim fcvcrd puuiantr. Ckra qmtrtam - 1. A NImadVertendtim eft «Irta fapraraw pcamqdattain r^hiiD Indici» felic.^ recòrd/ Pii Pape XV. nulfam per mefiurn • ideici qooqne (ervetur » sd Ksrediba» ». le eicèquiicoribui oldmaniin vt^uwaioro» m libro* a defooftì» rolidh»» firo corub iodicea>»ìllia peiWi» dqpgcanditoéGmnc • et ab ii» lieeMiam obcìneaoc » prìorqnaa ei» ucasuur » aot in alias perfonat qu^ cuDqoe rariooe eos traufiecaor. cedendi nbenciam emendi » iegendi t àul retinendr fiibliavulgari lingua mira «cura ha£lenot mandato, le nfu Sanf^e Romane le univerfali» loqui/ìcionis fublaca ei» fiierìc fiicaicas oeocedendìluilDfmódilicentias l^endi» vcl rctinendi fiibìlia vtilgaria» auc aliai (acre Scriptnrc cara i^vi qndm veteri» tcRamcnti parte» qoaviaVdl Jn hi» a^fo oranibui» le fiagul»» pf- ^ri lingua edia»; ac infopcr ruraraaifa sa ftaraaror» vel amiffianù Ubr^iBiVei le compendia eciam hiAoriea coruodcra alia. arbirrìA corudera £pi£ooponira» vd Bibliorum^ feu librortuo (Kie fcripcnrci Inquifitoram» proqoalitatq «oocnniaels». quocuoque vulvari idiocoace conlcripu c vel dclidi-. * quod quidem inviolati (ervandam eA. Circa verd libros» qooi ^tma deputa» -ti. aut examraanmr. aui expo^runc » Crrni. «nmm auc eirptireando» cradideriioc « ant cerei» _ condittonwoi.ocntrfa» excudueneirtcofi- ^^Trci Rmdam ìx. aiddem Xndicti » ccfi*e^t» mìdcpiid ilio» Aatmiiflé confti- 1. abEpifropt», IclaquificoribusChricerit y cara bibliopolc » quim. esteri ob^ fiifi^le» fedulò adinonendi fune » £rrveiit. quòd in legente»* auc rerineote» concra Liberum taraen fic Epiicopii* aot tiv r^Iam banc» libros huiufooodi Aftroloquifitoribus generalìbu» » fecnidum &cui- gis |odiciarÌs divinarionum le fortìfegio. tatem quam hatency eosecUm libroiyqut rum» rercmiqtte aliaramin eadem Reguia hi» Regulis perroitti videiirur » prt^ibcre» «xprefiaruaiy procedi poteft, non raodò fi hoc in fui» tvffi» aut proviociit» vcl per ìpfos EptTcopoiy A Ordinariosi fed dioNcfibus expeiure iròicaverine. eciam per Inquificores loconim ex conAi tutioM feU ree* |jxti Pap» C^mn contea .exercentes A(bplogÌx judicùrùe artem et alia qocnwtpic «livuutioattm genera » UbroCque de cn kgences t ac ceoent«s» protnulgaeat Tub Damai Roniz aptid &an£^un Pcfmm I anno. locamationixDo^ ininicz M. D.JkXXXV^ Noni». Jannarii » Pc«(ilkatu« (lù aDi¥> primo t Px Ttéhi^ k et lìkth Uthémm, Q Uimvìs in tenia c1a0é lodkiia p*v» di^i Pii ffapz IV. Itfb licera Thabmid Hcbwocuia » epiTigue gioite k anoocatiojies i iacarpMUtioacs » £c cxpofiiiooes. onmes pmlubnitmr i ^ quòd Q abTque ooaiiiie Thilaisd g et ne iDjuriis, Oc calumniis in Religiooem ChriftiaDam abquaodo prodiiiTena * lOkxareiuur: quia tamen Saa£Uil$iniu Domi90S NolUr Domiqp*^ Clemens FapaVlIL Mr Tuam eoaRitutìoneio concra inapia uripea et libro» Hebrroram » fub Datum Rorpe * 0 ^ Sartfbiux Paniai anno Incarsacioais Doffiiniac prbtie Kal. Marcii Pontificar, fui, anno lecunlicioQÌb«s. pcnaicegp» auc co^randi i fed ^ialicer et exprefie Aacqic Oc vuki u; ^/uf^niodi impti ThaUnpdici, CabalilUci,, aliiqpe ne4im. Hcbrsonim libri omnino Canati Aeprobibiti manche et ^nfcaocnr f ^tqoe foper eis > de. ali/T librii hujufiooìU > pr»4iAa cooAicutia perpetua j Oc iqTÌpUbi:^ U(ce Qbfcrvcrar. lUfn A d bee (citnt Epifeopit OrdiBOni». et lj>qwiricore» locorom 1 libmna Magazor HebraeormB t qui eoocU net pariem oUcioram, fic ocrimoniamm. ipforum t 6c ^ynag^z * Luficaoica > Hiipanica t Gallica » Germanica > Italica ». auc quavù alia rulgari lingua i praterquam Hebraca » edimm * iamdiii ex fpe(iali decreto, racionabilirer, prohibìtum c(Te. Idcirco provideanc illuni nuMarenns pennitri auc tederari debesEL > oiR Hqbraica lingua pr«U{^a. De iihrìs Jeewy/ 3edùu. C Um in Appendice » fecundz clafEl iub lirera L dicami ( Joaqoit Bo(lini Andegavenfit DcmocKimania omnino prohibeenr» liber ueiò de Repoblica » Oc Methodus ad £icikm HiRoria ram cognttiooem tamdib prohibói fintqaotdque ab AufVore expurgata » com approMtione Magifiri (acri Palaiii prò^riot • X Id widem per eirocem forcaffe librani fauum credicnr r nam liber de RepuUica einfdena JoacnÌB Bodini • primùm die xv. Mentii Odcb*M.DJfCII« detnde liber Demonomanùt dio priioo Menfit Septembris. M> D. XCIV* eodem Sao£lUSmo Domino onftroPapa firn^iciter damnati funcf ac proiode ueerque daiimanu Oc probihitai aideodm cft INSTRUCTIO, Eomm» qui librii turo prohibeodùi com expurgandis> turo eciaro iropriroendisa diligcntiam» ac fidcleiQ ( ut par eft 2. operam fune daturi« A P fHà CéiMkit canfenmomm t nm fmtt « fai MMM ex jm ectJtit !/•% Ont dxmau USìtaU iu t n ( fited Jadite, per Patttr a fOicMii T^Uemàu Sponde dUeSot^ fréuìpai Jrnrìnm (fl tufi iiiui etiém raveuur • M vai iiém deene poiiidair IHrrì't vd fm^ olii emetxmt t et pn^mtir • mù iaeuutMt fideiium^mmtes «ante vateca u^cÙBtet • iiifiu, ét «erica dcMorùiee dejxi/iidwaiaxt _i (A ^rfm, fuìemtpie pefi hit fìu vetem, fot naeù Uhi edmur » MÒm m*xlmi furi « ^ MB À «r pta «( pdmi, ^oaai qoa ad 9 um ftrUmt hemumìaaii extfioMt i foad efiva ma i wnm Ubnrim imndì^ouem • ad 40/ fmùtu aèoieuio/t um ab Epifeapùi ^ jifiq^tMciio/ i fodoi a camli » «nenon ad ti tu MaeUfia pei fiudum miere % ^ enfiarito/ perdi ; preperr e« fna TVidexlMenoie ‘PornoM ^oùr jMpraMSù * decreta fmt ) ftiUUa miluM exigat, (ofuJbits i^/ra fcfh di t dUìgeutim jbwùor » tifdemw JtamtW t M «Miiae io «nf ak Ufidem /rtftV » et lu^tfitcìribtu, aliìf^ i o» pM)trNot f tu loaienww. ii&rorna» ÌN/exdifi>eoe » et éboÙtme • tm a CcnrefieriW c InJev weric publicants ) eocum juriCiifìionì (ubjef ad ipfoi defcripca Angillatim dc&renc noaiuia librorum omnium iTugulumm > spui (c in codcm Indice prokibitos» qniique rcperiet« Ad hujuimodi vero libros fic lignificandos » infri certujn cempus ab Epifco» pOi vcllnquifìtoreprxrcribcndunii omnes cuiiifcunque gradua» &condicionìs exciterinc > fub gravi porua » corun) arbtcrant inAIgenda» tcneancnr. Homx vero hac omnia certo a &• piopoficis edi4tii » prafcriberulo tempore » przilari curabic Sacri Palaci i MagiAer^ S I qui crune qui libnun unum aut plorer » ex prohibids!» qui ad prxfenpeum Regulanim pennini poAunc » certa aJiqua ex cau£a poteAatem Abì retincndii aur legendi &ri» anc& expurgationem defiJereoc t concedendz faojutis extra Urbem » cric pcndr Epifeopam » atic Inquifiiorena# Romei penés ^cri Paiaca. Qju quidem gratis eam » et foripco naaiw liu lubAgnaco uibuent » de triennio in triennìum renovaniatsi ea in primis adhibicaconrideratioae» ut noonifi viris dignìs» tc piccare » 8t do£Vrina confpicuis » cuna dele£iu ( ejufmodi licenriam largiantur » iii aiKom in primis, quorum Audia, militaci pubUcx» &(anéW Cackolicx EcclcA* ufuè cAe, compercura hahuerins. Q^i inrer l^ndum > quaecvnqne repererinc ani>rcdvcr(;one digna, nocads capiiibi:, Afbliis, AgniAcare Epifeopo, vel InquiAtori tencanrur. IL IH I LIud etiam Catholirx fidet confervanJz neceflìcas extra Italiani, maximè cùm ab Epifeopts, et Inquintoribus, cùm a publicisUniverAtaribus, Omni do£Vrinx laude AorentibuspoAulat» uceorutn librorum Indicem connei, et publicari curcnt; qui percorum regna, acque provincias » harctica labe, ac bonis motibui concrarii vaganiur » Ave ÌIU J iroprta nacionit» Ave aliena lingua concripti fuerinr. Utque ab corum leflione, feu rerentione » ceciis poenis » ab eifdeni EpifcOpi$, dt InqtùAioribus propoAds » eorundem regnoruia » gc provindaruoi homi» nca, arceanc. Tom ik Ad qttod exequendum, ApoAolicc Sedif Niinriì » et Legati extra Italtam » cordem Epifeopos » Inquìtìcores, he UnW verArates» feduJò excitare debebnnc. 1 IV» 1 Idem ApoAoIici extra ItaliamNuncii Ave Legali » ncc non in Italia Epifeopi, he InquiAcores, cani curatn furcipientaic Angulisannis, cacalogum diligencer colle£lum librorum in iuis partibus impreAbnim, qui aur prohibici Am!, aut expurgatione indigeant, ad fao^m Sedere ApoAolicam, vcl Congregatìonem iDdicii, ab illa depucatam» cnn^ictaoc s. V. E Pifeopi, he Inquiiicores, feu ab iifdem fubdelegaci » he depuucj, tam io Italia, quitti extra, pends fé habeaut AnguJarum nationure Indices,ut librorum, qui ap^ tUas damnati, ac pròhibiti fune • ct^nitioncra babcnces, raci« litts profpiccre poflìnt, an cciaoi, a Aiz >utildi£liuQÌ& terris « eofdere recognitos, arcere, vel retincre debeanc S. VI. 1 M UDiverfuiD aurerede tnalis, &pernicioAs librts id declararur, acque Atrairur, uc qui certa aliqita lingua initio edili, ac deinde prohibici, ac damnati a Sede ApoAohea fune i eofdem quoque, io. quarecunque poAea txrtamur linguam» ccnieri, ab cadere Sede, ubigeaeium, fub. eifcleoi poenis interdi-, he damoatos DE CORRECTIDNE LIBRORUM. S- L H Abeant Epiicopt, et InquiAcores con;unLlim facultatem quofeunque libros, ;uxta przfcrìpcum hujus Indicts, expurgandi, eciam in Jocis cxenipcis, de nullius, ubi vero. nuUi fune InquiAcores, Epifeopi foli*. Librorum verò expurgatio, nonniA viris eruditione, he piente inAeiiibus committacur, iìque Ant tres, niA forté conAderaro. genere libri, aut eruditione corum, qui ad‘ id dfligcncur, plurcs, vel pauciores ksdicentur cxpedtrc. Ubi emendacio conferà cric, notacis capicibns, paragraphis, he foli», manu illìus, vel illoruru, qui expuigaverinc, fubfcripca, reddatur, eifdem Epifet^is, et loquìAtoribus, ut przfertur t qui A etnendacionem af^robaverioc, cune iibet pertniccacur. fbb s-n.. s- u. Q ui ncgotiitm. fiifeeperit corrigendi ac. ^ moia », flcaicemé. norare deber» non Colum» que in curfu opcris» manifeftd k otferunr » Ted » Ci qtuc in IchoIiLs ». in rtrnnnitii4 », in (nar^inidut >Jn indicibiu librorufn » in prdacioQibus» aut.epHlolisdedicatoriis» unquim in inftdm».dcliterctinr.. ~ aurem correflione » aroue txpur^ gacìonc indigene. » ferd hxc fune, qux iequunrar^ PropoHrionef hxreticx». erronex-» hxre« firn, fapiences » fcandaloTx », pianim aurium odénfìvx».rerDerarix» et rchifmaci» tliciorx» biafpheinx^ Qtó centra Sacramcncoruni ritus, et cxrcmòniaf » coorrac^uc recepnim ufiim » flb cofiruecudinem Tan^be Komanz Ecdelix».novitatem aiiqnam indnettnt. Profattx eciam novitates vocum abhx-. rccicis exeogitatx j, ic ad falicndum in», uoduflz Verba dubia et ambigua » gux legcntiiim animo$».a rc£Io» eatholicoque feniu>» ad nciarias opinioncs adducerc poiTunt*. Verba Sacrx Scripturx, non fùfelirer proiara » vcl d pravisrizretieoruinvcrrionibus. deprompta » nifi forte aflcrcnmr » ad eofdem hxrccicos irnpiigiundot, de proprtis. celia, jugulandos» de convincendoti Expungi etiam oporrcc vcrba.Scnpturx Sacrx, quxeunque ad profannm ufum ienpiè accormnoiantur »’ rum qux ad fcnfnn) detor-. queneur abhorrenrem a CathoUcorum Pa» trutn» atquc Dofioruin nnaninii fenccn-. tia .. Ircmquc epithera Konorìfìca» Si omnìx in laudcm hxrcticorum » dcleatitur. Ad hxc re/iciuntar omnia» qux fupcrflU tioncf * fortiicgia ». aedìvinatiooes Capiunt. Item quxeunque faco^» auc fallacibus lìgntv»- auc echn l'ex fonuRx, haitiani acbicrii libertatem fub/iciunr» oblirercnnir.. Ea quoque aboleamur » qux paganifmum redoJcnc •' itemqux famx proxiiQonim, et przfertim eccleiiaAtconim» de Prìncipum detrahunt > booifqiic morjhps de ChriAianx difciplinz fune contraria » expui^cmur Expurgandx funt etiam prop^icioncf » qux lune ccmtra libercacem » immunitatem» de jurildiflionem Hcclcfìafticam. Irem qux ex gemiiium placitis » moribus » cxcmpli» t}Tain)icam policiam foveoc» de quam falco vocanr rationemftatui > ab Evangelica »- et Chriiliana Icge abhorrcntem inducunr» delcancur» Explodantur exempta » qux Bccleiia fìicos rìtus». religiofomm ordines » ftarum » digniutem » ac perfonai ixdunc Se violane.. Facccix etiam, auc difteria in pernictem»auc f^xiudicium famx, de exifti. macionis .aliorum ja£Uca» repudientur. DcniqtK lafciva» quxbnnot raorescorrumpere poHant > ddcaniur.. Et fi qux obfccna imarinc», pf.vii^is libri expurgandit iniprcfTx» auc extenc » eciam in liceris grandi • quas inirio lìbrorum, vclcapicum imprimi morii. efii hujus geoeris oiania pcni« tuf obliterentur^ S. in. r i libris autem catholtconim recentio. rum» quodpoftannum Cheifiianz Ca« lutii. M. D.. XV..ooiilcrip s- ly I N libris autem catholicomm, vetertmi mhii mutare fas fic» nifi» ubi auc - fraude bxreticorum » auc typographt in caria» laanifeftus errar irreplcrii. Si quid autem majoris momenti» Se animadverfiooc dignum occurrcrit» liceac in novis cditionibus ». vcl ad margincs» vei in fcholiis adnocare; ea m primis adhibica. dili^entia» an ex do^Irjru» lo» ciique collaris» ejufdein aufloris rcntcntìa difficilior illufirari» ac mens ejus planiut. expticari 'pofièt .. 5.V.. P pfiquam codex expurgatorius con» «fefrus erit, ac mandacoEpifcopi.de Inquificoris imprclTus ; qui libros cxpurgandoihabcbunc» potcrtinr de corundem Itcencia juxta formain in codice cradiraiD eos corrigere» ac purgare. DE IMPRESSIONE lìbrorum. 5- L N t.Mlus libcr in pofiemm excudarur» qu) noninfronten»nomcn»cr^nomen, Se pacriam prxferac Auéìoris. Qiiòd fi de aufìore non confiec» aut jufiam aliquam ob caufam » tacito e;us nomine» Epifeopo» Se Inquifirori Uber edi pofTe viJcacur» nomea iliius ononino defenbatur » qui libnim exaroinaveric » arque approbaveric. In hit verò generibus librorum» qui ex vacionim frriptorum di£Iis » aut e» zcmplis» auc vocibus » compilali folcnc» is ^ui laborem coHigendl» et compilaQdi rufceperic» pra auf^ore habcatur*. R EguIvc^t preter Epilcopj, ^ Irv qui/ìtoris licentiamCde quaregula (Kcinu dìàum cft ) meiniaerinc» ceneri k (acri Conciliì Tridencini decretoopcris in Incem eiendì faculcaccoi * aPra^lato cui fubiacent, obrinere. Utramque ^em concefiCooem > que appareac* ad principiqui operiti Etcianc • S III. C Urent^pifeopi* et Inqui(3tores* p3nis etiam propoHci^* ne impreiTo riam arrem excrceiu«s*obrccnas iro^gioet, tarperve * etiam in grandìufcuUs literii imprimiconfuetat * in librorutodcìnctpf impreiCone apponanr. Ad libros vero» qui de rebus eccledafticis I auc (pìriciulibus couferipei fune* ne charaderibus grandioribus utafimr « in quibcu exprei^ appareat aUaijut rei pròphans, nedara rurpis obfcena fpecies. Qui etiam invigilabunt furafflofarp.ut ^ (inguldenm impreffione librorum > no9 K 0 lmprc(Toris* locui icnprefConia* 6c annui* quo liber imptelTus e(^* in principio e)a$ * acque in iìne anno retar. s. IV, Q ui opcris alicu^ edicioftem inccfmm eins exemplar cxbibeac Epilmpo» vel Inquincori; id ubi feoo(novtrioc,probavcrintqoepcoes fe tesineaai i qnod Roma qaidem in Archivio Magiftri (Icti Palatii* extra Urbem vero in mo idoneo* quem Epiicc^uts mk In» quifìtor ciprie* referveatar. Poftqnim aiwem liber impr^ns eci»non liceat cuiqtiani veoakro in vulgua, proponete * auc quoquomodo publicareanrequàm is* ad qnem hcccura pertinec» illuni cum manurcripto apud fe rereneo » diligciucrcontuleric* Ucencìamqne ctveivt di» publicarique poffit* concelferir. Idque rum demum fiaciendum* cum expIorMMu habebicur* sppoeraphum (ideliMr fe in fuo manece geiSnè « ncque ab exemphrì manoTcripco » vel minimum difcciSée « Qpi contrafacere toTus (uerit, graviccr et feverd puniacur. 5. V. C UrentEpifeopi* atInqmncores«QUOrum munerit cric faculcatem libros imprifiiendi » concedere* ut eis. cxaminandts* fpe^Uaeptecatis* et do^iqc viros adhibeanc* de quorumfide« et inteXmw Ik grirarci (ibi polliccri ^anr; nihi! eos gracia daruros* oihii ouio* fed omni humano afTe^ poUhabito * Dei dumraxac gloriam fpeAatuto&i ic fideU popuIiaiiUurem. Talmm antem vironim approbacio » una cum iicentia Epifctqpi, et Jnquifitorìs» ance initium opcris* imprimatur, s. VI. T Ypogtaphi, 6c BibKojioln » coram Hpifcopo* auc Inqui (icore* 6c Iloma, coram Magi(tro Sacri Palarii jurc/urando fpondeanc* fc munus fnum cachohcè, (Incerè * ac fidclicer cxequururoS| hu)ufq(ie Indicis» decrecis* ac regulis* Epifeoporumque* ficlnquifìtorum edi£lis, quatenus corum artei attingunt, obtemperaruros, ncque ad fita anis minifterium quemquam l'ciemer adiniduros» qui barerica laM fìt inquinacus. Quodd inter illos* inTignes, ae^ eroditi nonnulli repertantur, 6dem etiam cachotlicam, ;xta fbrmam a Pio IV. fcl. ree. praferipeam* corundem Superioruoi arbitrio > pro(iccri tcneancur .. S- VIL L iber an£loHs damnati, qui ad praferU peum Regularnm expiiigari permiccicur* poftquam accurate rec^nirus» de puigams, legitiméque perroiflus literit» u denuo ftt imprimendus, praferat rinilo inreripturonoroenau^ris* ^um nota dampationis * ut qnamvis, quoad ahqoa liber rteipi * audlor tamen repudiar! intelligarur. Inejufdcm quoque libri principio, rum veteris prohibitionis * tum recencis emenditÌocHX*acperminionis mencio (ut *exempii gratia, Bibiiotheca a Courado Gefnero Tigurino, damnato au^re, dim edita* ac prolubita* nunc jnlfii Supcriorum expurgaca* et permida .INDEX AUCTORUM ET LIBRORUM PROHIBITORUM AUCTORES PRIMIS CLASSIS A A Bydentts Corallus* alias Huldricut Huttenm, AcJuUes Pyrminius Gadarus. Bbb i Adolphns Clarembach. Aibercut Bran CaroIoAadius.'’ Andreas Cratauder. ^ Andréas Dieihcrus.Andreas Fabritios» Chemniccnits.Andrcas Fricius, Modrevius. Andreas Hyperius. Andreas Knopen. Andreas Miifailits. Andreas Ofiander. Andreas Poach • Angelus Odonns.’ Anronias Alieust vcl Halieus. Antohùis Anglus • au^or libri tU orìgine Antonius Bruccfolus Antonius Corvini». ' Antonius Otho. Arccit» Felinus, et Marttnus Buceni^ Antoldus Montami. Arfatius Schoflcr. Amints Briranmis.. Auguftinus Mainardus Pedemonfanus. appendix. r:.v| r*.v fi t icj-. A Bdias Libcrinus * vel Liberinus.' ' Ahdias L • ^. Abdiav Pratoritrt.*’-'*^ " Abrahamus a Munsholt, Aniucrpienfis? Abrahatmts Mufculus. . ^ Achatius Brandeburgenfìs. Adansus Hoppitis’; ~ Adamus Fafìoris.'- • ‘ Adaiuus Schmìdt. vcl Schuberts. AdaTfuis Sjbcnjs:-”'""~' ' Aciiiiliujn .portw, FMncjffi filius.Albertus Htrdtfjt»bcyius.‘'‘ A Al^rtus I.yttichius. AJceus Antij^iusX) T D Ij ì. Alexander Novcllus. Alcian4« iFcOfa^. t -r T Apòftata iCTipm bnno '^'^41. Alexius Alcxa^tf l-ipfcofi?». Alphonfus Còffaditis; vei Conradi»; Ainbrofiys Uhvu^i&r., Ambrofìus féiidcljins. Ainbtofìus VvolfiuSj Vcl Vvolfius. Andreas Cclichigs,,, AAdrcas Corvimis. ’ /^ Andreas Crithis, Polomjt. Andteas Ell^cri». Andreas Freyhnb.Andreas Fulda. Andreas de Gorlitz» ProfelTor LiprenfìsAndreas Gomitius. • Andreas Hondorffius. Andreas Jacobi Gojjingenlt. Andreas Krcuch. Andreas Lang. Andreas Muncems. Andreas Oiho, Hcrtzbergenfìs • Andreas Pancracius. Andreas Petrhis. Andreas Poucheraias. Andreas ScofRus, vcl Scoppius Andreas Volanns. ^ Andreas SKcvvc. ^ Antonius Ccvalterins» Antonius Cooke. Ancmiius Corramis. Anttwius Fayus Antonius Gelbiu»* Linconicn/ìi.' Antonius Herfortus. ' Antonius Mocherus. Antonius Pafquius. Antonius Probus. Antonius Sadecl. Antoniin Schoms» Anglos. Antonius Palcarius. Augnftinus Marloratnr Cetcrorum AuftorunXr-'^ Libri prohibtiii ' * ) Auguftinl de Roma Naaarc.. ) ni Epifeopi, traiUtui de ) - facramenco Divinitau* Jc-i) fu Chrifti, 3c Ecclcfir; ) Donce’; item rraflatus' dc Chrifto ) cxpufge»^ 'capire» et c^usùulico priiH > tur cipatu : ) ''Itern tradlanis de charitatè Chifti» circa elcfìos,- ) ‘ A de e)us infinito amore. ) -, 1 I>fiartiBar)andi; libcr fcteéUsTJnJ dam Bpiftotas EraTmi Rotcrodat concinciu. Alberti Artfcntinenfii ) Cronichon,edkioBaJiieeiu ) (is. ) Alberti Krantii Hareborgen» ) Nifioorrì/i* ) gantur. HiAori», Au Cbroni» ) edicz Franconfurci. ) Alphonft ErtAt^d», xlcfenfio|>ro Erafmo 1 conrra Eduardum Lzum, &contra Uniref’fitatem Parifrenfcm. f Amati Liifìtani Centurixi donec e«{»u|gentuf. Ambrofii Carharinì Politi > quxArotìeduz, deverbis, quibusChriftusfanOKfimum Eochariftiz Sacnmenrumeonfécit. Afvlrcz Corri, libcr de Chyromantia. Andrcz Mafìì, Comcntaria, fupcr Jofuc, □fqtie emendentur. Annali gcnth Silcfiz, )oachimo Curco aurore « AnnotatiorK^ fupcr Inftir. Joannis SchcncKdfvuini,nift cmciuientur Antiochi Tiberttj libcr de Chyromantia. Anronii Bonhmi, Commentarla de pudin; A Cca Noribergz ., vìddicec» OHaiv. drifmu». Ada Synodi ìkmenAv. Adionc» dtix Sccrctarii Ponrificu. Admonitio MiniArorutn verbi ArgeminenCdiD • ' i Aenuitatis difeuf^o, fupcr (^onAlìo delcdorum Cardinalium. Alchimia Purgatorii. .--r Alchoranu» Francifeanorum. . Alchoranus Mahomcti, Bafiléz. imprcL Acnilcs cum ScholiiS} et impiit Annotacionibu», et Pncfatinntbui. Item in vulgati lingua, non nifi ex conecAìone Inquilìrorum haberi polBr. Alphaberum ChriAianum. Amica, &hnmilis, &: devota admonitio. Anatomia cxcuAa Marpurgi, per Eucharium Ccrvicofnum • Anatomia della McAa. Annotaiione» in Ada CoitciliiTridenrini. Annoratione» inChronica Abbati» Urfpcrgenfis. Anonymi cniufdam, Libcr de Repugnantia Dodrinz ChriAianz. Apologia ConleAioni» AugnAanz. Apologia de Dodrini Vvaldenfimn. Apologia contra Henricuin Ducem. Apologia Grzeorum, de Igne Purgatorii, &c. Argyrc^hylaci», fen Thefaurarii EpìAbli. Artiaili AnabatiAaruin Moravix. Arciculi AnabatiAarum Saxoniz. Articuli» a facuiratc Thcologica Parifienfi dcterininait, fupcr matcrii» Fide) noArz hodie controver fi», cnm Antidoto, Alidore ut ereditar, Calvino. Articuli novorum Vvonnatiz EvangcIiAarum. Articuli quadraginta feptem » plebi» Francfofdicnfi». AagufianzConfcAìonis Ecclèfiarum caufz, qiure ampicxz fine» et rctinendam ducane fuam Dodrinaró A Cadeniiarum Lipfenfis, A Vvirebergenfi», rcpctido Ofthodoxz Conf^cAioitt». j Ada, et Scripta Tbébfóem Vrirebt^ gcflfium A ParViaiWif'iCoftA'anrinr^h cani, D. Hieremiz, Aci quz de Angunina Confeflìoivùuerfemifcrunt i.Grzcd, A: Latine ab eifdem Thcologis edita» Adiones, A monumenta Martyrum corum, quia VViclcAb, et HuA. ad^ii Aram hanczcatcmrn Germania, G;d!lil, Britannia. et i^dcmumHilpania, vericacem Evitn^rfeam, fanguìnc foo conAanter obfignaveotht. Agenda, feu forrbula; Officia Hx. rcticorum; quacunquC tiogiia confcriptaAnalyfi» rcfolucio Dialcdica, quaiuor Li. bronim InAitutionum IibpcriaUum. Annatz TaxationeiEcclefiarum, et MonaAcriomm, per imiverfum Orbcm, ab Hzreticis depravatz., ;nris, quòd In approbandi» Pontificìbits Imperatori» habenc. Apologia Anglicana, feu Ecclefiz Anglicanz, five Apologia Anglorum Apologia Catholica » advcrfi^s IribelK^ » declaration'S) &cOQruUatiof>e minus Fratcì unicus Regìa » vixa fui^ fhta eft 1 per E. D. L. L C. Parifica > 4pud Jacobiim Peciichov. i5S 9 c PatrecK nia diverforuni Au^orum » intcr quoa cR unus Philippus Melanchthoo. B àlcbalar Hiebnaa)er« BalthaCir Pacìrpootami). Laptifta Lardcrmiut. Bartholonazua Bernardi. Ba^tholomxus Conformi i^aribolonifut Roiinua, ÈartholQmzui Vvcfthcroerus. Baltliat Groeningenlia aliai Vvcffelut, Balìlips Joannes Heroiet Acropoiica^ Bciiedi^us MorgenRcrn Bcnedi£Iu$ Schurmeginus » Bcrengariiu Diaconua Andegnavenns. Bemardinus Ochinus t vcl Onichipm, ScncnHiv Bcrn^rdos Rotmanua Rernardus Zieglerus. Bertholdus HaUerua^ Bilibaldua Pirkaymerua. EUkaQi» TheobaldiKv Blaurcfu» An^rofuu.. Bocerus Martiom Bullingerus Uenricua. Bu^genhagiua Porucranna y feti Joanock BH^n£|cuvius. Bemandus Loquam Baquimn Pernii. Brentiniu» vei Proncia». Bruno Qpinos Builingaiims Anglus«. Certorum Auftorum Libri prohibiti, B Aptiftx CreroenGs opeca omfiU t quatndip emcQdata« non prodierinc^ Banholomxi Janoeit de Advencu AntichriRi. Beati Rhenani Scolia in Tertnllianuin. Benonis Liber» de Vita Hildebrandi. Bctcrami Liberi qui inicribitur dq Corpore, A Santino Chrifti.. Boccacii Decade! five Novella c«niiDquamdiu expuigatx non prodierinc. fininonis Heidclii QMrBtrdràfìs $ Pocnaacum Libri fepceio,. appendi».. B Artbolomxi Canfxi opera omnia. Barcholomxi Caran», MirandetK dti Catheehifmui. Bartholoroxi Coclitis Anaftadt * Chyromamixi et Phyfiooomix. Bar(holomci FerraricodSi de Chrifto Je, fu abrcoodiio « Libri fcx quoofqoe ex-pureeocar. Beati Bhetunì Epiftola t de Primaca Pecri ubicunouereperiauir» five feorfum» five libro decimo Opcris ad Fridericum, Naufearo Bcmamin Cantabri* kinerartumBcrhardi Lotii Hadanurii * feu Cerardi Lorichii AJamarii • Col!c£Iio trium Li^ bronim RaceourìonumBrnnonis Scillif de Mi(Ta publica prorogtnda. Bcrrurdini Telelìi i. de Na. ) cura retum^ ) Itcm de fomno. ) Donecept. item quod animai Univer- ) purgennir. film ab iTpica animx fub- ) Aantia gubcrnarur. ) Bemardini Tomicani t Bxpofitio in Martlurum .. Bononia, five de Lìbris facris coover^p^ di* 1 in Vcmaculam Linguatn » Ubij. duo 1 Aii^^orc Friderico Furio Cariolane Valentino. Inqcrtorum Au^ìorum. Libri pnhibiti. Elial» five de Confolacione Peccalorum. Beneficmm CbriAi.' Ber Bemcn/t5. DiTpuratio*. Bcmenfii.Keformacio conrra Minam.. Brevji, Se compendiosa lollruAio de Religione ChriAiana. Brevis, TraOatus ad omnes in ChriAianam libercaeera. malevolo!.. \ Brevi! PaAonim. Jfagogz. B^.(ilien(iam MiniAroruro refponTio.t. scontra Millam. Biblia Hzrecicoram, opera ). impreifa, vel eomnÌJcro ) Annotationibus * Argu. ) mentis» SummariÌs,Scho- ) liis» et Indicibus referta» ) omnino prohibenrur. ) Bibliocheca ConAancinopoH-, ) tana. ) Biblioibeca Sanflorum Pa- ) trum. Farifiisedita» Se per ). Margarinum de la Bignè in ) Donec exunum coUcfla. ) purgentur. Biblioiheca Srudii Thoolo- ChriAophorus Hoflmano. ChriAophorus Mclhoverus. ChriApphorus Rheiter ChriAophonis Trafibulus. Claudiu! Scnarclamus. Claudius Taurinenfìs» ^ fettffa de ìum» ginìbur. Clemens Maror Conradus Claiiferm. Conradus Cordarus. Conradus Dafypodiin. CcMiradus Gemems. Conradus C (bel us > vel Crebellit» Tigurinus. Conradus Lagus. Conradus Lycofthenes. Conradus Pcllicanus# Conradus Perca • Conradus SchrecK. ^ Conradns Somius. Conradus Trewe de Fridesleren.. Comelius Agrippa Craco Miiius. Cyprianus Lcovicius. gici»expperibu5SS.Hiero- ) nymi » AuguAini, A re- > r liquorumconA£Iai vel Sub >., alio.Ticulo* ) Bibliocheca Studii Theologi- ) ci,ex p.lerirqjDo£ioruinPri- ) fei fzcuU monumemis col- ) leOaiapud JoaanemCrifpi- ) num» Au alibi impreifa. ) Bnicum Fulmen Papz XìAì Quinci, adverfus Henricum, Rcgem Navarrz, et Henricum Bortenium » Principem Condenfem » una cum proceAatiooe ronlciplicis nuUicatis C \ElÌus Horatius Curio. Cztius Secundus Curio. Calvinos. Capito Vuolphanghus Fabcicius*. CaroloAadtus*. Carolus Molinzus. Cafpar Cniciger. Calpar Pcucerus» BudilGnos.. Caiparus Taubcrus. Caflatsde.' Brugeniis. Carieus Cc^dìus*. .ChriAianus Bcycr. ChriAianus Locichins Hdfus. ChriRophorus Clarius. ChriAophorus Cornems ex Fagit*. ChriAophoru! Frofcovenis. ChriAophorus Hegendorphinas C Arlus ChriAo{^K>rus Be/erus. Carohis Joovileus. Carolus Vvrenhovius. Cafiiodorut Kein\ius. ChriAianus Granimdr. ChrìRianus Hcfiìandcr. ChriAophorus Fifcher* vel FifehemsChriAophorus Godmannus. Chriilophoms Imlerus. ChriAophorus Ireyns Paifavienlls. ChriAophorus LalTus. ChriAophorus MarAallcr. ChriAophorus MoIhufenAs. ChriAophorus Obenhemus. ChriAophorus Ohenhin, Ochingenlìs. ChriAophorus PezcUus. ChriAophorus Ricardus. ChriAophorus, Spamgenbergius • ChiiAophonis Scolberg. ChriAophorus Stymmelius Churrcrus Cpnradus Clemens Schuberui. Ciementius Gulhielmus» Conradus Badius. Conradus Churrcrus. Conradus Brcberus. Conradus Hcrsbachjus*. Cooradui Laurcnbacl^» vel Lutenbac. Conradus MerchKalinus. Conradus Neander BergenAs. Conradus Porca. Cooradus Ulmerus. Cooradus VVolA. Piacz. Conflancinus de la Fuontc» Hif|ianus^ Copics Balrha£ar. Coranos Antoniiis Cyriacus Spanigcnbergius Ccrtorum Auftorum, Libri prohibiù. C Aptìccì del Bonajo, Joannit Bapti-, 1^ Gclliii qiurodia emendatus noQ prodicrit» C^aucDani Hliafpachii, de Tabemh Montanis» Chronologia, ex Sacris Litcris. Cyri Theodori Padfomij. Epigrimnjacav Claudi! EImiiczI) Commen- ) taria, « cbHtinenria, 6c ) Nifi corriin Epiftolam ad Timm. ) gantur. Cicmenris Scuberrì» Liber ) de Scn*puli$Chronologorum») Commcncaria Rabbi Salomoni?, A Chi» rni) et Rabbini Hierololyniitani) A nmiiium, fupcr Vecuj TcfUnjencum, tara fcrrpta Hcbraicè » qodtn Latiné translata, per Conradum, et Paulun) Fagiuin Hcreticos. Confilium Abbaiis Panorraitani proConcilto Bafileenfr. Con De Subtiliute, ). De ConTolatione* ) Nifi corri-» Coromchtaria in Quadripar- ) gantur» citura Ptolonutijde Cenim*) ri»,& reliqua omnia, qua de Medicina non tramane. ) CafGani Cotiftancinopolirani, de Libero arbitrio CollacioilU, quz Agano^im^prelTa eft» per Joanoero Sicerum 15x8. Gbriftophori a Caoitc Fonciotoj LibrÀde oeceflaria correzione, Tbeologic ScholaQics.. ). Omnloa D$ Mìffs GhriRi ordine^ ) prohiben^ fi riru. ) tur*. Epitomar nov^ Illuftratio- nis Chrii^ianff Fidei Reliqua vero ipCus opera icem pvohLbemur doncc cxpurgcncur. Chronica T u re ica collega a ). Phi'i'rpo Lonicero, cni cft )Nificmcnadjcitnni opiu quoddam ) dentur». Joaniris AvemmiHerecici, Ó in quo dcclaramur caufs ) mifcriarqm» Ac. ) ContinoatioTemporum Ger- ) mani aipildam» ab Anno ) Salucisijij. ufqucadAn- ) num 1 y 49. Qu* folce addi ) Chroflico Enfcbii» ab eo >Ninefnciv. loco nbì incipit, Nova ) denrur». Temporiim concimuiio, &c. Chionologit Gerard! Merca- ) coFÌs, qu« a Sleidano, et ) daranatis AuOorlbus fum-pta cR • ) Claudi! Baduclis, Liber de ration( Vice ftudioTx, et Ùterata in Maerknonio collocandz. expurKntur. Coropxdia, fivc de Moribus, et Vita VireinumSacrarum, Gafpare SryWino AuZore •. Iixcertorum Auftorum Ijbri ptohibirì. C Apice Fidei Chriflianx centra Papam, fi Porcas Infcrorum. Capo Finto. Caronria, A Mercurii Dìalogi. Catalogus Pap*, et Moyfft. Cacalogttt ceRium veritaiis, ex Sandis Patribus. Catechefis Pueroturo in Fide, Litcris » et Moribus. Carechifmin Ecclefìat Ai^nroratenfiiCauchiùnus, prò Ecclcfta VVitebcrgcnfi. Cathcb Ocus, ani Titnluscft, Cathechifrrus Major, A Minor. Cathechirmus, cui Titulus. Qjial manie, ca. Ac. CaihechifnfK), ciod Formulario, per iClniire, ed ammaeflrare i Fanciulli nella Religione GhrtRiana, farro a modo di Dialogo. Cathcchifmus, five cxplicatio Symboli Apoflolict.. Cethcchirmas parvus, prò Pii»r« m Scholis, nopcr au£lus. Cathechiftuus fupcr Evangelium Marci. Cathechifmus, Óve Symboli cxpofitio.’ Cathcchifmus Tubicenfis. Cauf*, quarcSynedum indiftam aRoma. no Pont. Paulo III. rccufarint PrincipeStatus, ACivitates Lnperii» profitentes puram, ACarholicam doitrinam. Centum gravamitu, Ac. Cantoni, A C^atuordecim Sententi* Ptrum, de Officio vcroftim Reélorum Eccidio Chnflhna inft 1 turia. Chriftianz juveocurìs crcpunJìa*. Chriftùna R«fponfio MtniArorum Evan gelii Bafilc*: cur MifTani &c., ^^]AIvinianus Candor^ ChriAiar» Scholx, Epfgrammaram, Lì> C. Cantica felef^a vcrerìs, Ije novi re bri duo, variis Poecis, excepii. Civiraris Madcburgcnfìsipublicario Literarum ad omnes CbriAi Adc]es,annat;;p« Clavicula Salomonis» Collacio Oivinorura» et Papalium canoDum t. CoJleflanea demonArationum ex Propheiii, AooAotis, fleDoAoribus Eccle» fìz, quòd Spiricos Sanfhis a foto Patte procedit • Colloquium Coelei « Ac Lutheri • Coiloquium Marpurgenfe. Colloquium VVorinatiz inAiracm», av no 1540. Comedix fuper qaicAione » qnz cA major confoUtio moriendis Acc. Comedix, ^ Tragedie aliqtiot ex Veteri Teftamento,colIeAore Toanne Oporino. Conuneorarias de Angelo Melanchchonis Commencaria germanica» in Coroelium Tacirarn. Coromentarius In pcioirm Thìmotzi epiAÓlàa viro fumniz pietaris confcrrpeus Concilium Pifanura, quòd ver.iut Con^iliabulum dicendtipi cA. Cc^iliabolumTh^ogicorutn» adverfus bonarum literarum Autliolbs » Acc. Coociones dedecemlprzceptnDominicii. Concordancix Principum,*nationti vel Curtiranorum. Confeffio Ecclefìz Tigurinz. ConÀAio fidei AognAanz. ConfelCo Adei Baronum» Ac Nobilinm» Bohemi*. ConAAio Saxnnica^ Confrflio VVitebergenfi*. Coufuuuo dctenninacionis DofVorum Pafircnfium.confra Martinnm L’trherwm. ConAicurio u;uiv> V vj'’irci Propol^tio nu:n> de diii'prenru. Legis»Ac Evangelii. ^ Congregar io, Ave coUe£iio ioAgnium co^ cordintiarum B*btix. CoaAglio d.'ajcuni Vefeovi, congr^aù in Bologna. Contra Regulam VCnoritaruro, Ac ijntverfas peMitionis fedas. Conta San£h>s Zcylleyften. Conventos AuguftenAs. Copia 4 'unalectera fcrittaalli ^.diGei^' nare M. D. t. Coptis Chriftianui,. Cordigerx navU conflagratio DiaIogu$ « Cyntbalum Mundi*, rene JU Aamenti,cum hymni«,&colle^ts» feu orationibuspurioribiis, qux iti orthodoxa, atqiieeatholica EcdeAa cantari foienr, addica dirpoAtione, Ac tàmihari expe^tione Chriftophori Comeri. Carmina» Acepìftol* de coniugio adl>lvidem Chycrxum hzrericum. Carmina amicorum in honorem nuprìanim. R. et viriute, dofirinaque Aancis viriSrephani Ifaaci, verbi divini apud Hcyibcrgenies minìAri. Cache^cAs do^rinxChriiUatl*, innfum fcbolarum Pomeranix. CatheebeAs religionii ChriAi^n* » qux tra bri duo. ) Circnlut chariratif dtvmx, ) Ave (ubatio rìtulo, circu.)NiAexparhi$ divìnitati»., - ) geatur CoiieAio Agnrarumomnium ) facrx Scripturx. Colloquium Altembuigeofe.. Colloqjiium Badenlè. Colloquium Bcrnenfe. Colloquium Clerici» A: Mititisv 1 Colloquinm Htrphordienfe. ' Colloquium lefuiticum. Colloquium Lypfenlè. Cplloqumm Marpnrgenfe*. Colloquium Parificnfc. Colloqtiium PnlB.'Cum. Colloquium Schmaldicum. Colloquium -Witcrbergen/c. Comedia Tragica SiUarmx, quandoque cuir nominc,qtiandoq;etiam Anc nomine Au£)ons prodiir, urraque prohibetuf ^ Comedix, Se Tragedix» ex novo, le veteri Teftamento, imprcAx BaAlex 1 ^40. per Nicolaum BryUiogenim. C cc Comitia Spirac» et Vvormati*.. Comencacium Biblioram. Commencanus captar Urbis dué^ore Borbonioadexqui/iium niodum Con^jendiupì ) five Breviariam cextus « A: gloffaematon > in otenes vccerh Inftrumet^ libros.. Compcndiutn oradoanm. imprcfTum Veneti >$), per jun£Varo, et alios, docce czpargattun iuen’c.. Concordia pia r et unanimi confearu»repecita comeiCo fìdei» 9 e doAriuz eleQorum Prìncipum, &or«Ìimim Imperli, atque eerundem Thcologomm, Qui Augufianam confciSoocm compie«unrur. ConfclSo Anglicana Confeflìo Antiierpieoiìs ConfeCào Argentineniìs. ConfclBo do^Vrinx Saxonicartim Ecclcfiarum» Synodo Trid. oblata« amto Domini 1551 ConicniìoBdei, de EuebariAis Sacramento, per Miiiìftros Ecclelìx Saxotucx. Confc&o fvdei Minifirorum VVitebergeiifium. Confeflìo Miniftronim lefu CbriHiConft;ffiopizdOu>rinx,qi7Z nomincChriflophori Dncis VVirebergenfo, &Tcccniis Comitis &:c. fuit propoHia.per legato» eius, die 14. Menfls laauarii, anno ly/a. coogrc^auoni Conc* Trid. Cpnfcnio rcligionis» feu fidei ChriAianar facratiffimo Im()eratori Carolo Qpinco » Cxfari AuguAoiin Comttiis Auguflar anno Domini ijfo. per iegatoteiviracum Argeiuoratt » ConAancix, I^nmogx - et Lìodagùt >^ib ift».TonumCathechefis^ Ave pnma mflicutio, aut rudimenia religioni». ChriAianx, KciTraicè, grxcd, latind explicata, Li^duni Batavoium., ex nflìctna Plantinia^ na, apud Francifciim RachclengiumD Avid Geotgius ex Delphis*. David Fettcrus Liptìui, vclPfcffinger. David SchcAcr Dydimus Faventinus^ui eA Melanihchon Dicthclmus Cellarius. DionyHus Melander. Dommicus Caraminiut. Dominicus Melguitius D Aniel Bodembergius Daniel Hofmanus Daniel Toffaniis David Chytrzus David Parzus. David Stangius David Thoner. David VVetterus. David VVithedus. David VVoitus Doiuttts Gotuirus. Durandus de Baldach Ccrtorum Au£\onim litm prohibìti*. Ami» Monarchia-.. Davidi» Chytrxl,!iberdeiu«orj-. tate* ccrtitudinc ChriAian* Dtv firinx, ac rationc dilccndi Thcolt^iam. Dendetii ErafmiRorcrodamì, Colloquio rum liber. Moria» Lingua, ChriA^ni Matrimooii inAinuio.dc intcrditto «fu carnium » ejufdcm ParaphrsAs in Matthxum, *1**® a Bernardino Toniitano in Italicam lii^uaro convcA Cecera vero Opera ipAus, in quibu» de Religione naftat .tandiu prohibiw fine, quandi u a facultatc Thcologica Panficn. fis ve! LovanicnA» cxpurgaca non nierinr. Adagia vero ex cditionc, quam molitur Faulus Manuciu», permittenrur. Interim vcrò,qu®;ainedita funt,cxpuntìi» loci»(ufpeftis,iudicio alicuiu» facultatisTheologic* Univerfitati» catholic®, vel InquiAtionis alicuju» Generalipermiicantur ., Davìd de Porais Hibrci, de M^ dico Hxbrco enarrarlo Apolt^tica»quamdiucmédaca non prodierie. Defideriì Erafmì Rotcrodaim adagia iampridem edita a Paulo Manutio» pcrmittumur Dialogm Petri Mochii de cmciatu » exilioque cupidinis. Dialogus Fontani Charon • Pldaci Steli* Commentarla in Evang^ lium Lue*, m'A fuerint fx ìmprelm ab Anno ij8i Puareni, Liber de S* EcclcA» min^ms pcrmittitur, Atamcncotrcftus fucrii. Libellm vep6 ei^m adian^us» ab co for finus £atìu?, cui citulus cft, Pro libcrtatc Ecclclix Gallicanxadvcrfu» Ro« maium auUm, dclainoPadneons Curi^t Lodovico Xl.CaJlorurn Regi»quotvt daiDoblaUi oimuno prohibetur « Auflorum incerti nqminis, libri prohibiti, D BcIaiatoria Jtibihci. Dcececurn Noribci^ctgeUe » odieuro anno ifajt)cfÌEu\fìo prò Zvinglio. Peienfìo adverius axioma catholicum 1 ideft criminatiopem Roberti Episcopi Abriacon/컫 Piatc^ adverius loiortecn Edo'um. Dialogì de Mercurio, et Charonte. Dialogtts de I>o£lrioa CHriRiana. Dialogus Karftans, et Rcgeilians. Dialogm de mone julii II. Pape, fìve JoJìuh D ialogm Mumarus Leviathan. Dialo^s obreueonim virorum > ia ^uo rics colloquuntur Tbcologi. Diali^s Orar. Pooeificis Rornam^Rr illius, qui cRFontiiki a confaflÌDiubus. Diali^s paradozDs, quo Romani PoocU^ iicisOratort una coq) eo qui cft » flte. Difeorfi fbpra lì fioretti di S. Fraqceico. Digrado Badenfis. Di^caxio. ^emenfis. BilputacioCrociiccn. eum diiabuiepiftolii. Bifpucacio inter clericum » Se milicem, Aiper poceftate PoiUcis Eccleftc atqtie Principibus ternrum corpmjflà • alida fomnium viridatii Dirputacio Lypfica- inter MoKÙinO). » di Hitroaymum Em(etuiD^ Diìordine della Chieia. Diurnale Romanum > ìmpreffiim Eogduni > in edibus Filibcni RoUeti » de Bartholomau Frtat. Do£lrÌna verilStaDa fumpea » a cap. ^ epift- ad Komaoost ut coufolentur ah fti£)a conl'ricntix*. Doéìrina vctui, de nova-. Dragale locorum communiunh Due difpuuc. Herfiordiana: Langi » de Nauclerii • Due letrere d’im Cortigiano, nelle quali fi dimoftra, che la me, ec*.. D e au£^oritace » officio, de potefta. te Paftorum Écclefiafticocum • Declaratio i nifi corrigatui^làmo V, De dirciplinit poeronin » re^^ue for. mandts eorum ftudiis, Se morlbus, ac fimul ^ um parencura, quiro pnece^ prorum in eot'dCm, offiao doflomr^ virorum libelli vccò aurei. De Scripeura CinÀe przftancia, dignitate ». au£Voritacc, &c. De Chriftianiftimi Regts periculia, de aocaa qoadam, ad Sfiindrare, Pontifici» Romani licera» monicorùle», Frincofiirci, apudMarcinum LechJeruro DialeOica Legali», edam ctua nomino Au£lod». Dialogi lucri, fine nomine i^^orì», qui camen film Sebaftiani Caftalionishérecici ^ Diljpatatio de fcfto Corpori» CbriiU^ Di^catio de peccato origini», pilpucado de poeni». Difpueatio de i^iniOerio verbi Dolina /efiiiranim precipua capirà, a do£li» quibuTdam. Thcole^s retexta folidisrarionibus, ceftitDonùiqoe Ikcrarurn Scriptuearuiq, de doé^orum vereri» Ecclcfia confiitata. Tomi tre». AU cera editio priore emendatior, co diapio major, de fub. ci (dem vel parum diverfi» tirnlis, doghine ^fuicica, && Tomu» priiDus, Tomus ^undo», ter J^4 ia /( WfU ù. Eraùsu» Sarecrius. Erafmu» Snepfiu». Eurititts Corda». Eutycbiua Mion, qui de Mofculii». Ccc a A P E Admiindu» Hilen Hordevolgiusj vel Nordovolcgius. • • Edmundas Gdl Anglus. l;dmut>dut Criiidìitts Anglus. EJmundus BunnìQs. iUgidtus Huntiius. Eichanon Pragenfts. Elias Palmgenim. Enochus Sar^cenos Gencvcnfis. Efartmis A!bcnn • Erafttis Thomas. ErhardiK Schnepfnn. Kmefhis Vogciin. Efaias HcinJfihich. Eufcbcus C!eU;rin. Ccrtprum. Auifìorum, Libri prohibiti Lereenta magica Petri de Abano. Enchiridioo doCtrinrChri- ) • Ibnx ConciiiiColoitieniis.) Enchirrdion loilitis Chriilianxi) aiiflore Ioanne lufto Lanfper>) purgengioifcu Hne nomine auflorìs,) tur. iinpre/bm Comphiu. ) Epitome omniutn opcrnm D. Aurclii I AugulUni • per loannem Pifeatortm » jllx (|iie itnpreft« fune per loannem Crirpmunti. »i Euicbii Candidi, ptaefus Lu£kiflcx mortis. Examen ordinandorum lounnis Feri » . oili Ht ex impreffis ab. anno. Auftorum incerti nomlnis, libri prohibiti.. Lcmenra Chrìiliana, ad inAititcndos pucros. Enarraiiones Epiflo!arufn)& Evangcliormn • Enchiridion CriAianirmi. Enchiridion piarum prccaeìoitaro. * y Epigrammatum ChriArana (e^x » (ibii duo^x varìisChriAianis Poecis dccci^nrff EpìAola Apoloccrica ad ftneerioresChriAiaiu'rmi k^atores,pcr PhrjAam 0 riencaicm, &c. EpiAola ChriAiaru» de Cona Domini. EpiAoIa dircela ad Paupcrem, Se Mendicam Ecclenam Lucheranam. ' EpìAola de non A^«oAoloci» qiiorundam moribus, qui in ApoAoloruin fe, Sic, Spinola de XlagiAris Lovanienilbus. EpiAo?^ MinìAri cu)ufdam Verbi Dei»ds EcclcAx clavibuS} SacrametKÌs, vcraque MiniArorum Spirims clc£Iiooe. Epiftelz piz> et ChriAianz. EpiltoUi et Przfatio in Decalogura. EpìAola SanOo Ulrico adferipea in EpiAolam ad Thimothzuin Commentaria. Epitome Belli PapiAarum contraGermoniam, atquc Patriam ipfam» Czfare Carolo Qiiimo Duce. Epitome Dccem Przcepromm, pront qitcmqucChriAianumcognoicere decec. Epitome EcclcAz rcnovarz. Epitome RefponAonis ad Martinum Lorhcnim. Efdrz lamcntariones Petri. Eipofìzìone dell'Orazione del Signore in volgare » compoAa per un Pa^ s non nominato. Evangciicz Conciones. Evangelium ztcrnum Evangclium Pafalli. Exameron Dei opus^ Expofìtio Sympoli ApoAolorum t Orationis Dominicz, et Przeeptorum» E Legìz aliquocs de morte Conjugis, Si libcrorum» quz fune loahnisPiAorii Hzretici. Eqchiridion Man gale s Romz exciiAum » apud Thomam Membronium ( ut qui• dem apparet in Fixmtifpitio ) tic vero in calce legirnry Trccis» nbì cimi libnrm excuoerat Francifciis TrumcAii. Enchiridion parvi Catcchifmi, Ioannis Brentii in Colloquia rcda£Iuin. Enchiridion aliiid} piarum przeationum, cum Kalendario, et Paflìonali ( ut vocattir ) VVircrbcrgz, apud loannem LuA. anno trip. Eyichiridion Principis, A MagiAratus ChriAtanì, quod referrur ad Pctrum Egidium» Sl Comelium Scribonìum. Epigrammatum Flores, nifi corrigantur. EipiAoIa confolaroria ad Reverc'ndos Se graviffitnos Thcologos. EpiAola LiKÌfcri ad malos Principe», CbHAianns, > • BpiAokc cpnfolatoriz, collcfìz per Cyrlacum Spangcnbetgium. EpiAolz Obfcurorom Virornm. Epitome Chronicorum,. et HiAoriarum Mundi, Velftt Index primz, et fecimdz impreflìonis, in quo fimt impref• fz, atque figiìratz Imperatorun^ Ìm«gincs. Epitome Figvrarum Sacrz Scripmrz. Epiiomatz HiAoriz de Bello Religionis Epitome Hiilorànim Sacrarum, et lo* Frìderìcus a Than. corum communium. Fridolinus Broiubach* t Ethiex ChriAianx Libri cres > .in ^ui- Fridolinus Lindovems. biis &c. Evangelium Lzcum, Regni Nundum» Excerpta quzdam capita ex Scrrpturis) omnibus lidelibus neccffaria. Exempla Virmeum. Vicionim. Excmplarium Sanf^x Fidxi Cacholicx» quocunque idiomare> impTetTum. Excmplonim variortnn liber» dcApoAoiis, et Marryribus» Hve feorrum » fìve conjundtus catalogo. S. Hieroayim de EcclefiafticM ^riptoribta • Bxcrciratìo Vitx Spirhualis .) Explicacio Symboii pcrDia* Ic^os. ) Explicatio Primi.Tcrtii.Qoar- tii j^Q^iinti cap.A^. Aj-oft. ) Sine noExpofìtio SccunJx EpiilolXy) mine au*D. Ferri» 5c ludz. ), £^oram»&: Expo/ìiio nominUIefatiinta) quocummentem Hcbrzornm,Caba>) quc ìdioli(Urum»Grzcorumi ChaU) mare inadzorum, Perfarum, et La-) prcffatinorum ^ ). Expo/ìtio fuper Cantica Can- ) ticoruin ^lomonis. ), tm •Expofitio in Epifìolas» Paoli ad RomaDOS, et ad Galatas» cujus Przfatioirl Epiftolani adRomanoi incipit; Variai narrationei » 6(C. Et in expoikiooe prU mi Cap. ad Rocnanos» cuhM inicium cft. Qnum ficatus ApoRoles Romanis fcm>crc inAituiffet» Sic. 4aoT^>- ' i F .Abricius Opiro VVOIf^ngus: 'Fabritius Montanus. Felle lanus de Civitclla. Felix Mallcolus Tigurinus. Felix Manfius. Firmianus Clorus, qxi et Viretiis.» Francifeus Betttts. ' XJ Francircus Burgardi. Francifeus Cotta. LembiBgiBs*^ Francilcus Enzinas. • T Fraiicilcus Kolbius. f - i-qlw Fiancifcus Lambertus» Francifeus Lamperti • Francifeus Lifmaniniis. : -O - % Francìieps Niger Baitanenfis. FrancHl^ Portiis Grxclti» ' Francifcib Stancarus. Fridcricus^a^irtheim. Fridericus Fridericus Mycoiriw» F AuAtn Souinust Filli Pal}or io AuAria. Fiiis PaAor HtlberAadknAs» vet HalberAatcnfis. Forrunanis Creliius* 1 Francifei Zabarcllz. Liber de SchiTmate ) ai^» cjmtd^ P»£auQoei» ' Aigennrnrdfripvefie.'donecexpurgeaciir. Friderici FruoAì tra£Vatns de Orattooc, de juAincacione, de Fide, Se Openbtu* Se prefatioin EpiAolao) S&oiOi Paiiii adRomanos,qui umen falsò creditur adferiptu». 1 Friderici Furi! CcriuUni Valentia! &>nonia; ftve de libris facris» in verna*k Tcniam Unguam convcrccndis. a 1 ... 1 ..L-ysril. J rA« r . /Ótiv''- '••r' 1 xÌìjM F Abricii» Liber o^aoBs £piftolftiBmad Fridericom Naufeam» qui cA Roberti a MofliaWv t Farrago Poemacum, LeodegariiaQuercu. Fiorei IQRoriarum» per Ma^•0 monia mondi t et Problema- ) ta Sacrar Scrìptiuar « Fr^ncifei Gicciardini, Hiftorta ) larinè recita per Coeliìim ) dooec iècundum Curiooero* > expar Franciki Irenici* Endingiacen- ) gcntufCs Gcmnanjar. Exqgereos* vo*lamina duodecim. ) Francifei Polvngrani aftrtio. ) nes quonujurs Ecdrlìae dog- matum. X francifei Patritii Nova de Vniverfi» phi* ]o(bphia*nifì fueric ab Au^Iore correÙXt 9t Rema cum approbaciòne R« Sacri PaUcii Auftoium incerti nominis, Libri ptohibiti F ^mgo C^cordantiamm inngbiaiQ;. (o^iut. Biblia • Faìctcttlt» RerufD.expetcndaniiQ*^^ iugiendamm-. Forma delle Orazioni Ecclefoftiche .. ed il traodo di ammiiiiflrare i Sacrameocic di celebrare il Santo MatrimonioÀu£Ior credkuz efle Calvinm. Francilci No^nu. apparicio» Fandamóncuni malòruiBi de booomm o>. pcrum. F .KrcìaiUw Mirra, Ccnevx imprei^. fu». Pidei.l^l^ftianz c^icF* conerapa^ F^S» i^rvi fubiiw inKyefr ren^ponfo, una curo crroruin et eahtmniaruin .. Flore» epigramma-) turo* Flore» Romani ) Flores San£bocum..).ubieanq>*& ^aacwnÉkVe» VinunvD. ) qne lingua imprelG» Foni Vit*. > donec coKigantur. Formala MifTx Unitebergenfis. Formule Precaro *. feo agenda * aat Of. fteia Hanecieomm* Olona » ^uacanqitc ; lingua confcripea .G Alalitts Zwmglit * defenfor » vcl Nicolaos Galalìus * Olivini defenfor. Gafpar Brurchias Egranua Carpar Charreras. Gafpar Cruciger. Galjpar Grctteris Galrar Hedio Galpar Heldelinus. Gaf^r Kubertinus. Gafpar Megander TigurillDS^ Gafpar Rodulphìus. Gafpar Swcacfcldius « Geòrgia» £milius MansfeIdeoNotgreiui»v Gorcìniamit Gregoan» Brnck Gregorìu» Cafelius*. Gregofius Giraldo»* 2{an ìilc Ptrrsntff^ ^ dlcìUIT LÌfÌHS. Grinsn» Sinv^. Gualieriu» Tignino» Gulieloui» AurifcxGuliclmo» Guaphxu» Hagien-, Gulìelmu» Pofttllu»»Barenrorio$-. Giilic'mu» Sartori». Guliclmu» Tayloii», Angla»., Gu'Krou» Tin^lus. Aa G Afpir Adeler.. Ga^r Braummilkr-. Gal^r Elogia». Ga^r Eurioacbea *. vel Eurymschnra^. Garoar Faber. Olroir Gooderoan.^ Garoar Canea. Gi^r Gómbe^ias. Galpar M^cer* vel Micras.. GalMi MetUlnder. Gawt Morthvru» SemansildenB» ^ Oal^K Olevianu». Gafpar Peucerus Budifiìniu. Gafpar Scolihagios Gafpar Taoberu» Gcorgtus Autumnu». Gcorgius Blaruirara* vel Blao^acrajGeorgius Brin fìve Novipiagijs ^ Germanus Peyer. Gothardus, qui et Cpnradtv Gregorius Paoli. Cr^orms Pcrlidus LubcqepTis» Gregorius Voerier. Gulicimus Barloupe. 1 Guliclmus Bidembachius., Gulielmus Charcus.. Cutielmus Cpius Gulielmus Fuhureìus» vef Paquerius • Gulielmus Fulcus. Guliclmus Htcron. Guliclmus BÒdigiius yaiTw* -Guliclmus Sarccrius» Gulielmus Turacrus. t Gulielmus Tumerus*, ^ Gulielmus Vdalus Gulielmus VvitakeAs. ^ 4 Culiclnius Vvidephus Gulielmus Vvirte» Gidielmui YvictinganDua.. Gulicltous Kilandcr. . •. t..,. ..H, :.Certorum Auflorum, Libri prohibici. G Aufridi de Monte cicalo, Ti*Oa« rus fupea materia Coocilii Balilcenf)s« Georgi CafTandri» Hymni EccIefialUci. Gracia Dei de Monte Satino, Epiilolc pix, Se Chrillian*. Gripbit Pr^cationes Dominici. Gutielmi Occhamit^snonagintadierum. Icem Dial(^i • et Icripia omnia, coocra Joannem Vigcftmum iecundum. G Afparis Caballini Tra é\atuscommercioniro, ) &ufuraru I reddituum- ) que pecunia conftiimomm, j Se monetarum. E;ofdcm traftatus deeoqoad ) nifi ctnciiintereft. Etdedividuo» Se ) decur. individuo ; qua onenes font ) ' Caroli Molinai morato ) tantum aufìoris nomipe. ), { Gaijparii Scibitni Corqpadia. •• i, i Caudentii Mrrulc, MemorabiUm» lij^s nifi emeodetur# ^ Georgi! Nicrini Concioocs. j Georgii Viaorii Poemau. Gulieìmi Grattarolc opeaa 1 quasidiu mendaca non prodierint. . i l't Auftorum incerti nominis, Libri prohibiti. G Eographia UmVef/àlii. Gerreanicae Nationii Lamenti^tù^ fws, Giuditio (opra le Lettere di tredici Uo, mini ftampate il qual fi cooofee eficr del Vergerio G Hnefis cum Catholica expofitiooe . Ecclefiafiica. Geofnaneic libri omnes • Gefta Komanorum. GloiTa Ordinaria Genevenfis « Gioite ordìnariz rpccirneo.. Craiianus Anrijefoita, ìdefi cai^num ei feripeis Au£lorum Theologonun, a Gradano in ilfod volumcn ( quod Docrenim af^llatur) collcflorum, &doftrin* /cmitiec ex .vadis.. iftius nuper fefì* MaKologdmiQ fcriptii -fxo^ pw * collacie I 4 quodato vericatii ;tEofo inftituta, Se ounc priiman m l^eip edita Trancifci Gcoi^ii Vcacti,Har- monia oiundti et Probicma- ) ta Sacre Scriptarx. Francifei Gicciardint, Hiftorìa htinè réddita per Coelium ) dooec fecundum Cortonem. > expar } gcntuf(n Germantz, Ex^efeos* vo-) hiiDÌna duodecim» ) Franeifci PoJvngrani afRrrdo» ) oe$ macum. Francifei Patritii Nova de Vniverfi»phi' lorophia, nifi fueric ab Auflore corredi, Se Rems cum approbacione R« Magiari Sacri Palatii imprefla. Auftorum incerti nominis, Ubii pfghibin Arrago OM^dantiamm inng&iaiB; todus. Bibliz. Fakic^iK Reru{D eKpetcndanmi>a( fugiendanim.. Forma delle Orazioni RceUfoRiehe ..ed il modo di ammjniftrare i Sacramentie; di celebrare il Santo Matrimoi^'o *, Àu^Ior creditus eflè Calvioos. Franci/ci Noibima tpparitio. Fondamencure maloruis* et bonoEum o«. pcrum. ’ A.PPENDIX. Afcieuliia Mirre, Gene^ imprtft. fus. Fidei/^^Uanz capita-, coovaPa F^dSit fervi fubdito infidcli mnfpónÉó una CIMO erronun &calumDÌar«Dnjuaaundam examine, cjuz conrinentur. in feptera libris, de vifìbiti EccleTix Monarchia, a. Nicolio> Sandero conferìpta>«. Flore» Epigramma-) tnm. ) Flores Romani ) Flores San£kotucn. }-ubi donco corrìgantur. Fonnyla Miflie Unhebergcnfis. FormulK Precnm %. fen agenda, aat («» ^ dicitur tUiusCnnxu» Simot}. Guaherius Tigminus» Culielnuis Aurifex. Gultelmos Ouaphea» HagienGolielmus PoftelUis,Bareotoria»^ Galic^mus Sartori». Gulichno» Taylous, Anglus.. Goliemu» Tinoalus G .Afpar Adeler. Ga^r Braammiller*. Galpar Elogio». Gaipar EuriouclKa i. vcl Euryoachxra... Ga(^ Faber. Gal^r GondelBaa^. Ga^r Ganez. Ga^r GòmbtrgittsGalpar Màccr, vcl Macrus.. Gafpac Melilander. Gamac MottKzru» ScmaJkaldenfi» ^ Gal^c Olevianus. Gafpar Peucerus Budi/Bnus. Gafpar Siolshagius Gafpar Taoberos Gcorgfus Aurumnus. Gcorgiin Blandran, ve! BJaotUtrai. Gcorgìiu Brinderus. Gcorgius Bochanani^s Scotus Ctorgitis Ca(fander Bru§enn$f fìve Veranius UodeAus Pacitnomaout. Gcorgius Codonigs. Gcorgiuf CooftantÌDUs Aoglus. Gcorgius David. Gcorgius Dieterichus. Gcorgius EboufT Gcorgius Eckarc. Georgius Edclmai\n Gcorgius Fladorius. Qcofgius Grynaut Bo 4 icetius Gcorgius Hanfcldt. Gcorgius Hcnninges. Gcorgius Toye ^diòrdicons Gcorgius Kupelich. Gcorgius Lyàeoiua Gcorgius Mcckart, Gcorgius Mylius. Gcorgius Niger. Gcorgius Nigrtnus Gcorgius Princeps Aiultioos. Gcorgius Raudat • Gcorgius Schmàlczing « Gcorgius Scholrz. Gcorgius Shoo. Gcorgius Silbcrfchalg. Gcorgius Sohnius. Gcorgius Spintleru). Gcorgius Tilenus. Gcorgius Vvatihenu. Gcrardus Ncomagus « live NovimagHt s Gcrroanus Peyer. Gothardust qui et Cptiradoi. Gregorius Pauli. Cx^oritts PcrUrius LubeqciiBsGregorius Voerfer. Culicimns Barloupe. Gulicloius Bidcmbachius Guliclmus Charcus. Culielpius CqIus. Guliclmus Fuhurcius» vcl' FuqueriuiGuliclmus fukus.. j Guliclmus Hìcron. ^ ' Guliclmus Bódiigmts |lafini. Guliclmus Sarccrins. Guiielmus Turaems. T T Gulieitnm Tumerus GiiUclmus Vdalus. Gulicloius VvùakcAs. ^. -! Guiielmus Vvidephus Guliclmus Vvitre. Gidieimm Vvirringamus» Gulielmtis Kilandcr. ' t . I. '.’H. Certorum Auflorum, Libri prohibiti. G Aufridi de Monte cleflo t TnlOacus fupsi saarcria Concilii BafiIccnHc • Georgi CaiTandri, Hymni Eccleftaftici. Gratia Dei de Monte San£ko, EpiftolpiaCt ^ Chrillianx. Gripbii Prfcationes Dominica Gulielmi Occhimi 8c (cripta omnia, coiKra Joannem Vigeiimum Cccuodum G Afparis Caballini Tractatus commerciomm, &ufurarù, reddituum- ) que pecunia conftieuionun, et monctarum. ) BiuTdem traf^atus deeoqnod > niii ciixih incercA. Etdedividuo, et ) dotar • individuo i qua orsnes Àiot } Caroli Molinzi mutato ) tantum au£lorisnon)io«. J { Gafpatis Stiblini Coropaedia. 1. ! Caudeniii Mcfultr» McmorabilioiD lihó>s nifi emenderur.. ^ Ceorgii Nigrini Conciqnea, ..a Georgii Vi^orii Poeinata. Gulielmi Grattarolc opeaa quamdiu emendaca non prodierinc- ;; -t .0:,' ‘d Au£Vorum incerti nominis, Libri prohjbiti. ' Eographia Univetralis. Germanicx Nacionii Lamentaciqs ncs • ., Giuditio (opra le Lettere di tredici Uor mini Aampace l’anno M- D. L. V. il qual fi conofee cfTcr del Vergerio G Enefis cnm Catholica eapofitiooc . EcclcfiaAica. Geopiantia libri omnes GcAa Romanorum. GloiTa Ordinaria Geneyenfis. ^ Gioita ordinaria (pccimea. Cratianus AnriJeliiica, tdefi canonum ei Ccriptis Au^orum Thcologorum, a Graciano in illud volumcn (quodD^cretuffl appcllatur) co1lc£k)rum, et dottrina Jelmtica ex .vaxiis/ iAius nuper fe£ù Ma^logòmm rcripciifKc^ pta, coUatio, a quodam veritatft^. «boto inAituta et muw pnimiin Tb bice^ edita. H H Adrumu Junius. Harrminnas Beyer >. ^ HarcmAimas PaUcinus h C. Hebcrns. Hedio Cafpar. Heitas» vel Helin* Eobanas Heflns., Helìas Pandochcus» Henricin Lapulu». Henricus Pancatcon. Henricus Scoms. Henricns Srollit». Henricus Surphanus. Henricus Vvelf^ii» Lingcn«, Henricus Uringenis. Hermanus Bodiiit. Herroanus Bonnus. Hermamu Burchiut Pa^hilm*^ Hermanus Heflùs Hermanus Itali». Hermanus Kìdvuch. Hcrmama Luiciis. ^ Hetxenis. Hicrooymus Baflanns. Gicroi\^^s Cam PHaurio)*, Kieronyraus Galatharus ., Hieionymus'Kiuf(hcrv ' Hieronymus Mar*u»: Hleron^jus Maiurius* % Hicronymus de Praga, i\ J Hicronymos Sabir de $ai\flo Gallp,, Hieronymu} Savonen. Hieronjmius Schiurptf. ‘ Hitronjmius Vicellerms Friburgeii.. Hieronymus Viiolphigs» Hiob Gaft. ' A Hippinus. Hortenfis Tranquiftos, aliis Hicremias^. aliis Landus.,, Hugo Latimcrus. Hudricus Bnchau/lius. HulJrici» Htmenoi, five de Uttcn.. ' Hnldricns Mutins Hiiguraldus.. Huldricus Zvvingiltis Toggius H Mlerus Barcholdiis. Hamefus Godoffredos. Harrmannus Scopenis, Novofefenfis. ^pricus. Hclias Ho^en9 Helias Palingcnius Helìas Scadzus. Hetningius NicohttS4 Henricus Boethios Henricus Brinkelous » ^ eiUtt fiorar Ab nmiiu BfldtrUi Morfii» Henricus Ètfbrhen» vcl ESordenHenricus Enberg. Henrù;us Harcopcnt. Henricus Hufanus. Henricus Mylius.^ Henricus Modec Henricus Mollerov, Henricus Nicolata, five ìibri mrat n- fitfutlHenricus Petreus^ Henricus Rhodut, vel Rodnu Henricus Senenlìs. Henricus Stbenius Mimderpi Henricus Scephanos. Henricus Tbylo. Henricus Tbolofanus .. Menricus VVolphins. Hermanus Pigofus Hemunns Hamehnannus,. Hermanus Pacilkus. • Hieremias BaiUi^ius. Uierooymus Hambol^us, vel Hauboldus Ratisbonenfis. Ijieronyinus Hennit^s*^ Hieronymus Maocelius. Hieronymus Panchus. Hieronymus PcrUhrìss. Hieronymus Pumekius. Hieronymus Valler. Hicronymu» Vchus Hieronymus Vuatenis. Hieronymus VuihlcmbergiusAurimÓtanDs, Hieronymus Zanchius vel Pancus.. Himmanucl TremcMus. Hovardps. Hugo Hugaldus. Hugo Sureaov cognomine Rodere.. Ccrtorum Auftorum, Libn ptobibiti. H Enrìci Bebcblii JuRiagen/ts, Facc« liz, ioRicucìo pucrorum, (cium« phus Vcncris. Hlcronymi Gebiulcri, liberdefacrilcgio4 item exhortacio ad lacram Comma» nionem. * ' Hicrooymi Melfi Pifcn r fi i s, Proverbia^ et Prognoliica. ’ Hicronymi Savonarola Fcrraricnih Sermones, qui olim in Romano Indice prohibiti mere, noo leganmr* donec iuitu ;uxra cenTuraf Tacrum Dcpiicacorum cmencUri prcJcanr, et funr hi. In cxodum fermo primuj tncipicns Dornine (]uid mu1tip(icati, &c. Ircm S •u’s Chriftìani. Ha-iriau' l>am nacGandavcnl^s liber iftfcripms Imnerii ac Sacerdoeii ornacus. DiverCaram itemgentiuin peculiaris veftitus, cure Commcncarìolo Cocfanim, Pontifìcum, ac Sacerdotum. Henrici Decimarons Gifiìiomenns, fylva voeabuforum, A phralìum, cum folucx, rum ligai« oracionis, dee. t)i rum, permittìcur. Henrici Harphii Theologia millica, nifi repurcata fuerìc ad exemplar illius, quz mie impretfa Romx anno Domini Hieronymi Serrz Lutheranorum Se£lz in fcrvumarbirrium liber, nifi prius, corrigacur, 1 Hiftoriz Magdeburgicz '^ab lllyrico, et complicibus coaccrvatz. Hifiona de Schifmare Theodorici Nemienfis. Huldarìco Epifeopo Anguftano epifiola adfirripta, adverfu^ Nicolaum Papam. Hyporypofeon Martini Martinet Canupecrenfis liber, nifi fucrint ex impreffis Auflorum, incetti nominis, Libri prohibiti. Enfici Quarti Ofaris vitaHifioriade Germanoniro orìgine. Hilloriadc iis quzjnanni HuÌT.in in Conftanricnii Concilio everte ntnt. HiAoria demone Joannis Daaii Hifpani » quem fratcr ejus germanus incer;ccic H iEbrea,Chaldzai 8c Latina i-'terprecario Bibliornm, cum Indice Robenì Stephaui « Hetvecìz graculatioad Gal'iam, dcHenricohujui noiDÌnis Orario Galluruaa, et Navarrz Rege. Hcidelbergeiifis jTheologia, de Cotoa Domìni • Hilloriarum, 8c Chroniconim Epitome, velut ludex ufque ad annum {4. Hilloriarum > et Chronìcorum cocius, mundi, Epitome, imprelT. Bafilcz. HìAoria Belgica HiAoria Cermaniz, Fran- I cofurti edita. ) donec ex Hilloria Graciz, nuper odi- ) purgeoturta. ) HIAoria Scotorum, nuper ) edita. ) Hiftoria HulCtarum. ) HiAoria vera, de rebus Martini Buceri, PauH Fagli A Chatcrinz Vermilyz, Petti Mar(iri>Uxorì$, vcl rubaliotitulo Hidoria de vira, obicu, et icpulrura, &c. Martini Buceri, A Paul! Fagli, qua intra annos duodccim tn Angliz Regno accidie. Ddd Hortulus aniipi, ni/i corrigamr. Hortnhis Pa/Eonii in ara Aitarti fiori dus. loanncs Coman«fcr» Ioanncs Colmius. Hjrdroniinti* artis. Opera omnia J Acoou! Bcdrotuj, Pludcntinusla^bui a Burgundia, Hit Acropolica loanncs Hcrvagius. loanncs HefFus. loanncs Homburgius. loanncs Hopcrus, Anghis. loanncs Holpinianas, Sceinamis loanncs Hofl. loanncs Huichinus. loanncs HulT. loanncs Huflcrus. loanncs HuccìcHìuSé loanncs de Indagine» 7^"« ioannes ZuicKius. ' lobGeft. 3 : Joannes Avicioi lodocbot Coch, fivc Cocusj mi et /«k J vel Co» CUI. luftus MenioS} Kènacen» Acobus Acoocius. lacobus Anetius» vel Aenetios. lacobus Andre». lacobus Andreas ShihìdellinoS} vel lacobus Shmìddiinuse lacobus Arrifonlacobus* Brocardus. lacobus BninicenCs. lacobus Cornerns. lacobus Eifcmbcrglacobus Frindaogus. lacobus Grynsus. lacobus Heerbrandus. lacobus lufti. lacobus Kiincndociusolacobus Koich. lacobus Linfìor. lacobus LachKem. - lacobus Palieologiis. lacobus Pcregrinus. lacobus Ruogius. . lacobus Scoppenis. j lacobus Sobius. lercmias Piflorius. lercmias Horabergcrlui I loanncs Acrocianus. ” Ioannes Avenarius, vel Habermarm. i Ioannes Avicinius^ loduchus, yvUlichiut. lonai, qui. ^/Jpdochu^Coojs^ lonat Philologtti. Tm» li Ioannes Belizìus • Ioannes Bocenis, Li^ccnfìs. Ioannes BortAyus. loaooes Bradibrdui. Digitized by Google 39 Ulajcnis. loanncs Crifpinus. loanncs Cronerus, vd Crumerm^ loanncs Cimo. loanncs Darriiis. * loanncs DauTus, vd Douiar Ioannes Fcidc. Ioannes Fcrinarius^ loanncs Filpotus. loanncs Gallits «• loanncs Garczus.^ Joanucs Gamcrìus» loanncs Gcorgius CodelmaniA •• loanncs Griffin. loanncs Gtilicimus Soickiosf Tigutinus.loanncs Harrungus. loanncs Hctlcricus. loanncs Hedierus. loanncs Hcidcnreich. Ioannes Hcrzbcrg., loanncs Hugo. loanncs lac^us Gryn«|U. Ioannes lederusi Scaphufiinus# loanncs Irenxus. ioannes Index. Ioannes Ivellust Angltis^ Joannes Kenerus tamdiu prohibira iìnr » quamdiu ab alicuius Untvxrfìcatis catholtoE facaltatc Theolc^ìca» vel ju infetìptas Imperatonim • tc CTfantm vita, cum imaginibus ad vivam effigìem exprefn$y donec corrigatur. Ioannis Fabriciì Montani» Pocmacom ber» Ioannis Cerrophìi > Recriminacio adverfus Eduardum Lzum Ai)gium. ^ Ioannis Lubicenits » de Antichrifti adventu » et de Media lud^onrm. - ^ Ioannis Pici Carthadenfìs > Para|dirafes » et Annotatioocs in Pfalmos» Ioannis Reuchlini» rpeculum oculare » de verbo mirifico» ars Cabalidica» Ioannis Soccri liber » iive epigrammata » ex variis auAoribus collcaa v Ioannis Surei » de rerribili excidio Hierofolyrnirarum. Ioannis Vnnfchelbui^enl>s > de fìgnis et miracttlis falfìs » et de fupcrftionibus. lalianiCoIen» de cercirodine grati» Dei» et làlucis Dodr» craélaius» J Acobi a Burgnndia > Apologia ad Carolum Cxiarem. lacobi Scbecii liber» de una perfona^ Se duabus naenris in Chrifto • lannoccius de Mannectis Florencinos d^ digoicace, et cxcellencia hominis, doneC emendemr. Ioachimus fuper citulum iT. de ;are;urande. Ioannis Baptid» Folengii CommencarU fuper Epidolas Canonicas San£fi Pem> Se San^i lacobi, Se fuper primaiq Epiftolam Sanali Ioannis. Ioannis Bodini Andegavenfìs » Demonomauia omnit» prohibetur, Liber vero de Uvfntblica, A: Methodus ad fecileni liiftoriarum cc^nirionern, randiu prohibita finr, qnoufiijuc ab Anafore exporgata, cum appiobatione Magiflri Sacri Palatii piodicn'nt. Ioannis Cafì Splixra Civita- ) tis, hoc elt Rctpubltc» ) rciVc T ac pie fccundu-u ) Icgcs adminidntnd» ratio- ) Ioannis Corafìi 'liber, de ) donec emennniverfa brardotum ma- ) dentar, teria. ; i--. ) Ioannis Drudi opera. ) Ioannis Feri opera omnia. ) Excipittnmr tancn, cjufileii) Feri, Annotationes » Se Coromentaria in S. Macih»i, Se S* Ioannis Evaiuclia, ac in ejufdem S. Ioannis Epimlain primam, Rom» recognica, et iropreda. loanni Fifeherìo liber (liso adferiptus, de fiducia I Se mifericorJia Dei. Ioannis Forfleri, Difiiona-) rmm hxbraìcum. ) Ioannis Lalamancii Medici,) exrerarum fere omoiom, ) Se przeipuarnm gcntinm») nifi corrianni rario, de cum Ro* > gantur. mano collatio. Ioannis Mahufii Aldemadenn.) Epitome annocationam E- ) rafmi in novum teflamen- ) cum. ) Ioannis Mattkci Tofeani » Pfalmi Davidis. Ioannis Mevìxatit Afteofìs. I. C* Silva nuptialis, donec emendecur, Ioannis Pauli Donati libeOus de refervacione cafuum. Ioannis Peregrini Pcrroreilani, liber convivilium iennonum ., Ioannis de Roa, de Avila, Apologia de iuribas principalibus, defendeous, et raoderandis jnhè. Ioannis Rutbeni, r^l» lo-) coronsioomiinimum utriuf^i) leflanenti. } Ioannis ScapuI» » Lexicon ) nifi corriGrxcolatinum. ) gantor. Ioannis Scbenekdevuini fuper) Inftit* Commentaria, feu) annotationes. ) Ioannis Wierii Medici, libri qutnque de przfiigiìs damonuro, incancationibus, Se vencficiis. lulii Cafaris Scaligeri >Coin- ) mentarii in Theophrafhim,) donec e--' et Poemaca. > roendétur. lofeph Scaligeri liber de e-) mendatiooe cemporuro. ) luliani Tabaocii de quadrimlici Monarchia. Inlii Ccifiì (Xrj/iV) vera» Chrifiùmaque Philofophia comprobatoris » a^oe emuli, quinq; Antichrìfii do^rinamfe^uirar per contenrionena, compari, uocemqoe deferiptio. Incer Librorum Incertomm Auftorum, Ubri prohibiu I Mperatorumi 8c CxtaruiQ- vit». Jndru^io vi/ìutiofiis Sayonicz. Intcrpreurio oomiuam Cbaldxomm. lorrodu^io pucrorum, lulii» Dùlogus, aliis AqU. Jnc?rtorum Auflorum, ^^brl prohibiù. K Alcndaria omnia ab hxreticìs. con» fleéU, io quibus aomioa hxrctico^ rum poountur. I Magitiet CDortis > cum roedkìM ini« IT)X. Index biblicMom imprefi» Colonie, icv edibcu Qgenteliaais « Index re rum omnium» qnz in novp« ac veccri ccftarDcnco habetunr locupleti!fimus» no» cum hebrxorum» duldeo turni, ac loUDoruizi nominom incerprclatiottCì &c. Vencuis ad figoom fpei. Index utriufque ceftamenti * penè fimilis Indici Bibiiomm Roberti Scephani. InAinici.ones Graromatke > et aliarono Artium, niil repu^nens » Infticncio Principù. loAiturio religionis ChriRiancj impreilà Vvitebergz» an. InAruflio, qua vitam zcemaHi obeinebU mu|. Introducilo admirabilium antiqua > 9c moderna • feu Apologia iicla prò Herodotoi anno ludicium t et Cenfura Eedefianun pti»rum » de dogmatc » in quibuldam Provjneiis Septentrionalibus» coopta taodam. Trinitaictu.. Pomeranus*. Leo ludai Leooandus Culman Leonardus Fuchfius. Leonardus lacobuti Norchu!iaout Leonardo» Srrobin. Leopoldo» Dickius» Lolla rdus. Luca» Lofllu» Luca» Chrotek » feu Schrotcyfen * Rtibeaqueniì». Lucim HaCIeneusi vel Hedcctus Lucius Pifxus. Ludovico»» ab EbcrAain*; t Ludovico» HcAzer « Lutheru». Lyfmaninus. L Ambertu» Daoxus% Laooicu» AnxiAurmiu» oeck. a Sturine Laurentius Codmann Laurentius Ludovico» > LeobocgcAn$ Leonardus PelUcanus» RubeaqutnA$A Leonardus Schveiglinus.. Leonardus Stockclius. LcfOnardus VVannundus», Leonardus Werner Lucas BackmeiAents LuneburgeunsLuca» Mainus Luca» Ofiander Lucas Steenbcr^i;) Moraws*. Ludo I Ludovicm BcrqQtnQS. Ludovicus Evans. Ludovictis Helmboldus. Ludovicus LevachcniS} vd LavatcriusLudovicus Kabus. Ludovicus Villebois. Certcum Au£lorum, Libri prohibiti. Aorcntii Vili* in fcilCi Jolutione Conftantmì. Itcm de libero arbitrio. Ircm de voluptate Lclil Capilupì, Cento ex Virgilio non nifi cKpur 4 »aiit$ Icgutur Lue* flcctinì libcr infcripttis, Oracolo della rcnovationc della CUiefa. Luciani Mantuani > annotationes in Cor^ menrum. 1>. Joannis Chryfoftomi in Epillolam ad Romanos. Luciani Samolatcnfis, Dialogì, videlicct, mors Peregrini* et Philopatris. •Ludovici* feu Z.aonici Cbalcondylc Aihenien.de origine* et rebus geflis Turcarum, libri dccem » Conrado Cl^nerio interprece, cum annorarionibus. Lodovici Pultii, Focmaca, ncmpc,Od*, Sonetti, Canzoni. L Anrentii Vali*, annotatione» in novum Tefiamcnium * òc Ubcr de pcrfoiu centra fioechium, nfTì corrigantur Laus Matrimonii, et congcftìo bonarum mulienim ex diverfis biftoriis, M. Perri Lefvandcrt. Lclii Capilupi Ccntoncs ex Virgilio, Roinz anno Domini 1590. iropreif*, |)crmittuntur. Levinii Lemnii Medici Zi- ) rizei * occulta nacur* mi* ) donec exraciila. ) purgentur. Lexicon S monis Schardii. ) Ludovici fiorbonii, Priocipis Condxi liter Ludovici Carvajalì. Dulcora- } tio amarulcntiarnm Eraf- > nifi prius mie* refponfionw, ad A- ) repurgeapologiam ejafdem Ludo- ) tur. vici Carvajali. Ludovici Caftelvecrii » ope- ) ra omnia. ) Ludovici Impetacoris nomine liber fi£ìu$» contra facras imagines. Ludovici Vivo Valcmini, annmationct in $. Augufiinum, nifi expurgentur. ineertorum Auflorum, Libri prohibiti. Amentationes Petti, aufiorcs Efdra. Lamentatio* A quarimonìa MifT. Libcr inl'criptus, de au£ioritatc, Officio > et potcllate PartorutD Ecclefiafiicorum. Libcr inicriptus > Anguftini, A Hicronymi Theologia Libcr infcripius, alcuni importanti luoghi, tradotti fuori dcM' Epifiole latine di M. Francefeo Petrarca, Ac. con tre Sonetti funi, A xviii. ftanze dd Bernia avanti il xx. canto* Ac. LibcHus aurcus quod fdola. Ac. Libcr infcriptu» Baniccnfis Ecclcfi* cur MilTam » Ac. Liber infcripms. Bulla diaboli • A£. Libcr infcripnis, capo finro. Libcr infcriptus» de corna Dominica. Libcr infcriptus, confilium de emendai^ da Ecclcna. Libcr infcriptus* confilium PauSi III. datum Imperatori in ficlgis cum Eufebii Pamphili pia expUcarione • Lilier infcriptus delle commìflioni, A facoltd che Papa Giulio 111. ha dato a M. Fatilo Odcfchalco. Liber infen^us * de difciplìna puerqrum, rcetdque formandis eorum Audiis, A monbus. Liber infcriptus. Dottrina vcriffima tolta dal Capitolo quarto, a’ Romani, per confolare l’affiitte cónfcicuic Libcr infcriptus, Cur Ecclefia qbanior Evangelia acceptavir. Libcr infcriptus, de emendatione, A corrc£h‘onc Aartis ChriAiani. Libcr infcriptus, de genuino EuchariAiz negotii inccllc£Iu, A ufu » ex vetuAiflìmis orthodoxorum Patrum libris, Ac. ^ Liber infcripnis, de falfa religione. Liber infcriptm, de fatis Monarchi* Romanz, fomnium, vacicinium Efdr*, Ac. Liber infcriptus, la Forma delle prehiere EcclefiaAichc, con la maniera ’ammìniArar* i Sacramenti, A celebrare il matrimonio. Liber infcrìpeus, de Gratia A libero ejus, vclociquc curfu. Libri Hcrmetii Magi ad AriAntelem Libcr infcriptus, llluAriffimi A potcnliffimi Senarus populique Angli* fencencia, de co confilio. Libcr quod Paulus Epifeopus Romantis, Ac.Liber infcrìptut. Miliraiuis, Occ. Liber micripcu» » Nicodcmus de paflìone Chridi, Liber in(cripiu$ 1 opus IHuflriffimi $c ExcclJtnfiffimi, icii fpcftjbilis vy-i Caroli Magni > &c. coocra lynodum, in partibus Grzcix 1 prò adoranvis in'>agmibus Aoliddj five atroganter gefta cA. Xibcr inlcriptus j in, orationem Dominio cam, &c. 4 lbcr infcriptiu » in orarioncs Dominio cas faluberrimx » et lanf^inìrox medi» tariones « ex 1 U>. oacholieorum Fatrurn, &'c Liber infcriprus « Lettera di N. ad uno Ambafeiatore di Papa Giulio HI. Liber infcriptus, Fauli IV. Papx Ronaani ) EpiAoIa confolatoria 1 et horcato. ria ad fuos dilcflos filios. Liber inicriptus» Poiirificii oratoris legatio I in coflvencu Noribergeniì. Liber infcriptus, de providentia Dei. Liber ioferipm, de facerdociot Icgibtrt, et ^crificiis PapXf &c. Liber infcriptus t delle Aatuc 1 et itnagU ni I &c. Liber infcriptus » in Aaruì > et digniraci ^clcliafticoruto t m;igis conducati aiflaictere rynodum Nationalern * piam « flcliberam» quamdecemere bello, &c. Liber infcriptus» de vera dìAèrentia regie poteftatii, 9 c EcclelTaAicx • Liber iaferipnK » de vita juvencutis inAiruenda » reoribus, Se Audiis corrigendis, Liber inicrìpeu « de unitale Ecclefiaftica. Licanix Cermanorom. Loci coreiDunes, de boAli operibus, et de potcAare EccleAaAica. Loca inlìgnia. Loci infigniores. Loci omnium ferd capiruro Evangeliorum « Loci utriufque teftameari. LnÀi ChriAiana. Ludus PyramiduiQ» appendi X. Lexicorv Grxcum novnm » GenevimprciTum. Ljbellus A. P. C. trai^ans rudiincnr.t Kcligkmis. Liber qui infcribicur.afla Conctlii Tridentini anno i5'4^. celebrati .una cum annorarinnibuspiis» et lcC>u digniilimis. Liber Anonymt cuiufdam, de repugnantia do^lrinx ChriALmx. Liber Infcriptus, Annatx, caxatlones Eeclefiarum, et Monafteriormn per uni-, verfum orbem, ab hxrcticis adverfut Anniras confcriprus. Liber contincns articulos reprobatos a faailrarc Parilìenn, conrra do^rinam S.I Tbomx. Libri duo, de laira, Se vera unius Dei Patria, et Fitti, et Spirimi San^i cognitione, au£IorÌbus ininiAri Ecclenarum confcnticittium in Sanuacia»& Tranfìlvania. Libelius de Concordia Ecdelix. Liber de Convento Haganoen. Liber infcriptus, Crux ChriAiani, cuoi qtiibufdam annocationibus, in fandium Hilarium. Libri dece CD annuloram » quaruor fpe^lorum, ihiaginum Thobix, imagioum Ptolomxi vitgìnalis clavicola Salomonis. Liber infcriptus, Dìalogi fieri. Libri infcripti, comra diccam Imperialem Ratisbonen. Libclluf infcriptus, dedrgna prxparatione ad Sacramcnniin EuchariAix. Liber infcriptus, de divinis Se Apoftolicis tradttiontbus. Liber infcriptus, Genefìs, cum catholid expofirione EcclcfìaAica, idcA, ex U. niverfìs probatis Theologìs, quos Dominut futs Eccleriit dedic • excerpta l quodam verbi Dei ininiAro, diu, mulnimque inThcoIt^ia verfatos, live Bi« bliothecicxpoI'tioniiraGencfeos, ìdcA, expolìtio, ex probacis Thcologis, quocquot io Genefim aliquid fcriplcrunt. collcfla, et in unum corpus Angulan artifìcio confata, Ac. Libelius intitularus de Jefu ChrìAo Poolifìce Maximo, A Re» fìdelium fummo, regenre in Ecclcfìa fanflorum. Liber qui infcribirur, IlluAriffimi Prìncipis, ac DD. Joannis Friderici feamdi Ducis Saxonix, Ac. fuo > ac Frtrum D. Joan. VVilhclioi» A D. Joan. Friderici nani junioris» nomine, lolida confutatio, A condemnatio pnrapuarnm corruprelarum, fe£Iariim» A erro, rum, hoc tempore ad inAaurationem, Ae. Liber qui infcribinjr, Interim, anno edirus. Liber qui infcribiiur, Libelius ApoAolo. rum nationis Gallicanx cum conAicutione lacri Conctlii Baniecnfìs. Liber contincns doftrinam adminìAraeionem Sacramentouim, rirus Eccle/saAicos, formam ordinactonis conflAorii, viAtacionis fcholarum, in ditione Principutn, A Dominorum D. Joannis Alberti, ft n. Hulderici Fratnim 1 Ducum» &:c cimr in dieCorpori» Chriftì. Liber iorcriprwS» Ordo baptizandì iuxta rirum fin^z Renunz Eccicliz» Venetiis Apud Joaniwm Guirifcuiii » et A>cios» ; nHì corTÌ|atur. Liber infcriprcH » de officio pii » et pablicc cranqailliraiii verè amarnis viri, in hoc religionit diffidiot fine auAo. hs nomine» Se alias ab eo» quero fob Mdem infcripeione compoTuic loannes Hefielz DoQor Lovaruenfis. Liber iafcriptus> de petfecutione Barbarorum. Liber infcrìptus, prò libertattf Ecclefiz» Callicanz» adverfus Romanam auUm defenfio farifienfis curiz, Ludovico XL Gallorum Regi quondam chiara » qui circumicrrur cum rra^am Duarr ni de S. Ecclefizminiftcriis; ab eolatinus Liber infcriprus» de protrabenda vim ultra vigintiquinqiie annos. Liber Pfalmorun) Davidis, cum catholicaexpofirione EcclcfiaAica» iinprcfii^ per Hcnricum Srephanum» annoi^as. Liwr inlcriptus» que regìa potefias» quo debent aii-f^ore folemnes Ecclefiz Conventus indici» cogique, &c. Liber inlcriptus, de Regno,Civitare. Se domo !>j, ac Domini lefn Chrifti. Liber in quod fit homiiii moricnci Buxio)um foUiium.TbuK) lU M M Arcellus Palìngenins» Srellatus. Marcus Anconius Calvinus. Marcus AnroniasCorvinos. Marcus CordeJius» Torgeofis. Marcus Ephefinus. Marcus Tilemann. Heshufius. Marfilius de Padua. Martinus Ko» vel Martiniko. Martimis Borrhaus» Stugardian. Martinus Bucerus. Martinus Freflhus. Martinus Lurherus. Maninus Meglio. Martinus Oftermineherus. Ma. tinus VVolphius Mitthzof Albems» vel Albertus; Matchzus Judex. Matthzui Phylaigyras. Macthzus, qui Se Afiarcius Scofier. Maithzus Zelius*, Keifefpergenfis » vel Kiferpergen. Matthzus Zifer. Matthias Fhccus, lliyricas» vel Flavios. Maturìnus Corderìiis. Maximilianus Maurus. Melanchton. Melchior Ambachius Mekhior Clinch» vel Mlinch. Melchior Hoftnanaus. Memnon Symwi. Meoardu^ Molchcms. '' Michael Celarios. Michael de Cxfena. Michael Kothingius. Michael SchuJ(hejs « Michael ScIIarius. Michael Servccus. Michael Toxica. Milo Coverdale» Eboracenfis. Morlinus. Munccrjs, Murnerus. Munfteros. Mufeuttts. Myconius OTvaldiis; fF Agdalena Aymairus. I^Y I Manfon Anglus Marcus Andreas Falkehenbergerus. Marats Blcumlerus» Tigurinns. M. Marcus Mennigos. Martinus Agricola Martinns Crufius. Martinus Faber Eeé Mar Martious HcMingus. Mafluccìi Salernitani > Novell*. Martinus Hofmann. . Martinm Kemnìcius», vei Chemnìtius. Marcinua Lochandrus» Gorliceniìs» Sile >Iartiniia Mollems».,. Martinu» Morlin Martinus Salbach.. Martìnuv Schalincius ». Farens .. Matihaus Bcroaldos. ' Matthaus Chcmnicius Matthanis Colfebui^ias Mattharm * fca Matthias, fireflènis^ Matcharus Huttenus Macrhsus Ludtke. Matthzus Veghel. Matthzi» VVeflenWccìus., Matthias Bcrgius, Brunrvicenl!s «. Matthias Ebcrhart. Matthias ErbiuSi aor ErbeBUs» «cl Hfibeous Matthias Ludccus Matthias Ritter.u Matthias Schneider*. Matthiav Tinflorius Matthias Vebus. Melchior Bifcoft'. Melchior Ncofarius.. Melchior Socket. Melchior VVildiuaM. Mento.. Mcrterus. Mentrius adverfm BalearÌMm, Epìfccotm Mercdirn Hanmerus. Michael Aichlerus ». vet EychlerUs.. Michael Czliits.. Michael Dilerus. Michael DincUus. Mtcbael Hagenx». Michael Hampclus. M. Michael Hcnnig». DreUenfis». Michaet HcrmaoBus.. Michael HimmeU Michael Mclllinus. Michael Neaoder». Soravienns. Michael Rennems, Michael Rcnn^crus, Anelus. Michael Scrmiua» Danii^anus.. Michael ITraniui. Mintts Cclfus. Moyfes Pclacheras Ccrtorum Auflorum, Libri Prohibiti. M Arci Pagani Carminum 1 iber»cuius tituluv cR Tiionfo Angelico. Et airer qui dictrar. Sonetti diverfi di Marco Pagano. Merlini Angli liber» tobreurarum predifUonuxt] M Accaronicortira opus » Merlini Coccaci» Poet* Manruani» nifi reporgatum fuerir. Mahomcris Saraccnorum Principis» c/ufque fucccnòrum virar, icem Alchoran» cum. przfatione Martini Lutberi. Martini Eifengrenii Traflarus A;h>Ic^.. ticus, de certifudine grati*, prò canone xiii,. fcfT. 6, Concilii Tridentini. Martini Martinez Cantapcrrenfis » HypocjmoTcon* liber, ruTÌ fueric ex ìtiprefiis, ab anno i;Sa«. Melchior Klingius, in praxipuos iccundi libri Dccrctaliom Tir. 8c in ìnRU tmiones Juris Civilis. Michaelis Carranzz, annotano macinalis, ad D. lldcfonfum» Au(ftorum incerti nominis. Libri prohibiti. M ^nicra di tenere ad infegnare i figliuoli Crifiianii Margarita Thcologica. MacrimoniodelliPreti» &. (ielle Monache» Medieina anitn » Meditaciones in Orarionem Domìnicarn. Meditationes, Se prccationes pi*, aJmomodum uciics, Se ncceffari*, prò formandis» rum confcicniiis* cum moribuftcleOonim. Mccaphrafcs Epifiolarum SaOi Palili » ad communein Eccicnarum concordia. Mcchodi facr* fcripturz » Thoini duo. Mcthodns» in przcipuos fcripturz divinz locos. Microfynodus, Noribergenfis. MiniRrorum Verbi Argeotmennum admonitio, ad miruftroi Heivcticos. Modo di tenere ncll'infcgnarc, e nel predicare al principio della Religione ChrlRiafea. Modo, e via breve di confotire quelli, che Ranno in pericolo di morve. Modus folemnis, Se authenticus ad in^uirendum, &c. AP. appendi X; appendix M “ArpaTÌtji Paftonim. Mcdfciiu aniiDZt prò fantu fi ‘ mul et zgrotis indaote morrt^ Medicina anitoa adjunfia ima^inibm nK>njs ^ Medicina animai cam hi» ^uam ()tti adverfa corporis valetudine prillici fune» |n moru a^ne, et extremis bis periculonffimù cempocibusa roaxmè nece&ria quÌ-« bus Dominica paffioois myftcìiuni ex^. plicatur. Methodica Juris uinur^ firadi(io. Minbllis Libec^ MiiT.t Hvangeh’ca. MifTa Latina, qua olim ance Romanam circitcr annnm 700. crac, Modiu confitcTidi » et ipodiii oraodi, prout impreffie Polccus*. Modus orandi. 6 c conficendi. Monumenta (^iorum Patrum » ortho. doxograpba, hoc eft « croTan£te, aciincerìorìs Mei Dc 2 h>res, numero circiter ofloginta qiiinque Ecdelia lumina, au£^ores partim Oraci, patim Latini, BaTicIa 1 jtfp. nifi enKAdencur. Multi integn loci facra Do£hioa, vetq- ris, 6 t novi teftameoti, ex Hebraa, et Graca lingua, inLatimuo, &Germanurn lermone crauslati* N Atalis Torneerai. Nathan Chythraui, Natbanacl Nc&kius, ideft Theo- donis Beai. Nicolaus Bioccitis Ludima^ftei 1 denits. Nicolaus Bocerus, Brugenfis. Nicolaus Cancerinos. Nicolaus Qoeltanitis. Nicolaua Collado. Nicolaus Erbenius. Nicolaus Florus. Nicolans Griroaldus Nicolaus HemmiMim, v«l RewngiM.». Nicolaus Jagenteu^. Nicolaus Leflerus. Nicolaus Opton Nicolaus Rndingenis».. Nicolaus Sfkcpi^tts. y» A Cer forum Auflorum, Libri prohibiti. N 'colli Clemingi». opera illa oik rum modo permicti pocenmt,qua .uxtt cenfnras Patrum deputatorum, emendata excudentur. Nicolai, Franci (Jacmina. conua Pecnim Arecinum. Nicolai Rodingi cahonitio ad Ccrmat niam. Itera Pradicationes carmineconfcripta. Nicolai VVinmanni Colymbcfcs, fivp de alte naundi, Dialogus. N icolaus Amldorfius Nicolans Balingius. > MicotausBorbootus,Vandoferanus» Nicolaus Bryl'ng. NicoUus de Cilibria. Nicolaus Caltilim. Nicolaus Galeats^ Nicolaus GaVus., Nicolaus Gcrbellifii. Nicolaus Herforde» Anglus Nicolaus Krompach. Nicolaus Macchiavcllns. Nicolaus de Pclhrtimorv.. Nicolaus Qitodus. NicoUus Rhadivil, Palatimis VVilncfii Nicolaus Ridlaus. Nicolaus ^eubellius. Nicolans belnccccrusi vcl Sclneckerps •. Nicolaus Scorckios. Ni^laus Udall, Angkiv. N Vtalis Bedc, liber confeffionìs. Nibulus ThclTalonicenlìs, contri PP. Aliis Illirico lupponcos. Incertorum Aui^orum, Libri prohibiti. N Omendator infìgnium fcriptorum. Notoria anis» opera omnia ^ Nera vera Ecd»a. appendix. N \rtatio* eornm, qua conrigcrnoc io> Patria inferiori, anno Nccromanrìa opera, et fenpta omnia. Nova gioita ordinaria, doncc metiora Dominus, &c. fivc io Evangclium, fecundum Matrhaum » Marcum, et Ecc ^ Jàm Ik Lucam. Commeruariij obicun^ue ixu. prtfli ferine ^oy* prccationc) I. ex optimis, quibuTqu? Tcriptis» przcìpaorum noftri fzcu» 1 1 Thedogpruro. ., O O EcoIompailius joannnes.^ Onholphus Marolc, Frànnis, Olìandcr Andreas.^ Ofualdus Myconius Orbo BrunsfclHiis Oiho Cerbems Pabergen Otho H?nricus Otho Vfncriw Otho, Vvcrdmiiferus pthoncllu Vida O Siande Lucas Oiiuldus Betus Otho Gryphius.Gparinas Cattin Otho Wiflcnburgìusjfivc Luroburgenpa Otho Zander. Q/cnus CuntCTUs. Certorum Auftorum Libri prohibiti, O Gerii Dani Fabulz In OVIDIO (vedasi) Mctitnorphofiros Jibrosi commcncaria, fivc cnarrationcs al. Icgoricx» veJ tropologieO Limpì* Fulvi* Morate, Dialogi, Epiilolx, et Carmina k Prima ratio conponendxreligiocuii I quz fict ' Opas magni lapidispcrLocidariam^^ Orario I^minica,. cum aliis quibofdam Precatiunculis grxcc ctim latiua verHoae, è regione polita, quibus adiun^um cft Alphabetum Grzeum. Orario Ecelenarum Germanie, ac BeU. gix fub, &c. Orationet Furtebres, et Epiccdia, per Tomos diftinOum opus» Orationes Fimcbres. de hxrccicis habire^ ccrtis romis imprdre«i^ Ofdo Ecclcfiafticus, circa' do£lrinam, Sacramenta, et Ceremonias, in Duca ru IjluftriffimiDucisBavarie Frideridorus« Pcirus CUrke. Petrus Dathenus • Petrus Dilleras. Petrus Dc^inus. Petrus Qcdulcig, (ea Pati'em« Petrus GU(fet^ Petrus Hafiùius. Petrus LandsbergiuSf vel Liodemburgìus « Pccruv Palladiusii. Perros Pateshul. t » Petrus. Panlas, Nochtefterus. Pernii Ramus Petrus Kinavvs Petrus Scatorius« Petrus Trevver, Petrus Vvaremborg, ab Alcenkircfiea. Pcims Vvartei, vel Vattcs, Pctrm VVirth Philippus Deibrunerus. Philippui Dirixfon « qui fuot ^tukaptlfm fmut ferlìiit lìuTÌs « T« i>. Philippus FcKìqìus Philippus Gcrrarde. Philippus Neibronnerus^ Philippus Kcifer. Philippus Lontcerut4 Philippus Marbachius. Philippus ie Marnix> Domlnut de 5* Hd~ degMia, Philippus Merziliust Philippus Momrus, PlelTeui. Philippus NycoU Phili^TpQs Rufticns. Philippus VVagncnis, Pilkioionios Preudoepifeopus, Dunilmenfis. Prinius Tuberus Carmqlanus Procopius Lupacius. Certorum Auflorum, labri prohibiti P AuU Dolfcit pralrerium» Grzeo catmine ver{uiD» cum prxiacione Philippi Melanchthonis. Pccri Aretini, opera onmia Petri Lignzi, Parabola. Tetri Mofcllani, Protegend, Pedalogia in puerorum ufutn confcripea. Petri de Virea, PercgriaatioHicnifalemPhilipp] Catti, liber adverfus Heaticum Bninrviiceni'em Pogii Fiorentini, Facetiz Polydori Virgilii, de invcnioribus rerum liber, qui ab hzrcùcis au£lus, et de. pravatus eli. Rotopzii Barbz, liber deSccrectsNaturz, P AnopIia omnium il!iberalium, Me. chanicarum, auc Sedentariarum artium,cucn imaginibiis «sudore Harcaman Scoppcro» NovofofCD/ì,Norico, Fran((qjti adMxnum ijdS. donec ex. purgetue, Papyrii Madbnii, libri fex, de vitisEpi. feoporum Urbis Rotnx, nifi hicrit ex corrc^is, abaudore, cum approbationc Maeiftri Sacri Palacii. Taraphraus Cornclii Chaidaica, ìa facta Biblia. Tauli Diaconi hiAoria, impreca Badler nifi delcarur epifiola, qux habetur in ejus principio, quz clè, no^ probati Auaoris, Petri de Abano, opet^CeomaDtix, &e)or. dcmdcQinnì genere divirutionÌso}>era. Pccri Fcrmandca de Villegas, Archidiaconi Burgenlìs, Flofculus Sandorum. Petri Gunchcri, Rhetorica, nifi expurgecur. Petrus Pomponatius, de Incantacioitibus. Petri Romani, Circulus Diviniiacis. Ferri de Vineis, Querimonia Friderici Cecundi Imperatpris« Polydori Virgilii,, de invenroribus rerirni liber, RoinzjulfuGreg.XIII. lyy^.ex. puigarus, 6c excufl'us, permittiturPofiillz Draconitis, per annum^ Pradica Mufica, Hcrmanni Finehii. Przfaclo JacobiHarcelii, in quìncjtuginra Comicorurn rententiasGrzcolacinas. PCUmi aliquoc Davidici, per Hcnriaim Stephannm, et quofdam alios, Grzeo carmine rradudi « Pfalcerium Hebrai ant Apoftolic* Sedi quoniodoc'jnque dctrabatur. falquilliB prpfcriptua a cibo. Pafqitil'n Scmirocta. PalquiUoruin. Toroi djiOc Pàiquim> ti Matphofii Hyninui in PaiW IniD III. Paffio Martini UthetJ, fccundinn Mar-, celluin Phalarifmu» c ' rhralca {acri Scriprai». quandiu eapn»-. gara non hictint atqtie ab Inquilìto-. ribuJ Gencr.ilibui racojnlw. Pii, St Chriftiani Epiltoli ciiiuldam fervi Jefij ChriiU, de file, operibui, !c charitate. Pracationum aliquof, tc piaruin Meduaciomim t Enchiridion ^ Pfccationit Biblici. Precationer Chriftiani, ad miitationet» Pfalmorum. ^ Precationcs Dominici, Griphn. Precaiionn Pfalmomm, per )oanncni Hombutgiuin latinirate donati. PrteedenK all' Apologia della Cooteffione VVittcmbcrgenlc. Pioceirns ConfiAorialia, Martini Joann.s Huls. pliltcriam ttanrlationia veteris, cum no. vq Pnfatione Maitiai Luthcri P Aralipomeno* .ómniam i^in meinorabiliuin a Fridenco Secmido, ufquc ad CirolutnQuintnm, HiKotii Ahbatis UfpergcnIIa, per qncndara fiudiolutn. Annexum Patquilb «latici, feu nuper icoalorcverfi, JctebttS patrim fopena, partim inrer homin». in Chriftiana Rel.gione paffim hodie controvetlis, cnm Matphorio Colloquinm. pjqnilll iDinufcriptl, Santìwt aucSicrannciKJS» autCatholicEcclefiz 1 et fjui caltui » aut Apoftolicquoraoèxunqac de Todygncoo.. Ricardus VVick. Ról^rcus Anglas. Robenus Bonnes. Robertus Baus. Robcrtus a Moshaim • Robertus Stephanus. Rod NajaI Rodulphus GualceniSf Tigurinos. R Einerius Rcìneccius, Sceinchenms • RcinhoMus Marcaaus, VVcftpbav Ricardus Coxus » Ricardus Fcums. Ricardus VVyfe. Robcnfonus Bangareufis. Robertus Crovuicyus. Robertus Hornus. Robertus Recordus. Robertus VVakefelde. Robertus VVarfwius. Rodulphus Hofpiniatms. Rodulphus Lemanus. Rodulphus Ladolif. Rodulphus Sncllius. Certorum Auflorum, Libri prohibitì. Rayymundi de Sabaude, prologus in Thedogiam naturalem. R leardi Dìnothi, de re- ) doneccorbus, ic faftìs inemo- ) rigannir. rahibbus, loci com- ) munes Hiftorici. ) Et eiuiilcm Adverfaria Hiftorica. Roffcnll falfo adferiptus, liber de fiducia j et mircricoriia Dai. Inccrtorum Auflorutn, Libri prohibiti. R Aeio bcevìs, facrarum tramandanim Cancionum. Ratio, CUT • qui coafeflìoneiD At^iUnam proficenrar» &c. Ratio, Jc Methodus coniblandi perielilosd decumbences, &c. Receptacio omnium figurarum focrx Scrìprnrsr. Reformacio Ecclefia; Coionienfis, Regis, et Senarus Anglici fententia de Concilio, quod Paulits Epifeopus Ro. roanus Mantuz fiiturum fimulavit. Reftitucionum doftrtnar, &vit*Chriftian* libcr, per Monafterienfes Anabapriftls edicus. R Acìo } et forma pt^lice onndi Deum, acque adminiftrandi Sacramenta in Anglofum Ecclcfia, qus Ceneya coHigirar. Rccanrario de inferno Rerum ìnGalUa ob religionemgefUru^n^ libri cres. S S \pidus Poeta. Sclaperus. Schnepplus, vel SehekiasScbaldus Hanrencius Sebaldus Hcyden SebaUianus CalUlion Sebaftianus Francus. Sebafiianus Frofchelius. SebaBianus Lcpufculus. Scbaflianus Meyer. Scbailianus MunAcrus. Servetus Hifpanus Simon Grytmis Simon Heilus. Simon Mufzus. Simon Saltzenis. Stephanus Dolecus. Syven Kfeidius S \daeIIns Antonius Samuel Fifcher. Samuel Hebelus Samuel Ncvuheiircr. Samuel Radrrpinner. Siwìct VVigormicnlis, PfeaJotpifcopu». Scamblcnis Pctroburgtniis, Pfeudoepifeo. pus. SebaAiaoat Figuhis. Sebafhanus Henriepetri. Sebafttamis Lupulus Sebaftianqs Sperber. Seba t Sebafliinus Spradler^ Sjc^irìdtii Saccus. Sigirnundus Suevui^ Sinicn Cn»iliccvus^ 5iincn Mej'er SiiroQ Pauii» v(l Panhis STcrineofisi Shnon Sidenis Slmnu Simoniiu. Simon Snc^derus. S»ni!> Wi. òatniciiK.« Sicpoanu-» Gerbchtuv Srrphtf-iut de Malefcot,. Srr; hanui Rcich». Stephaons Szcgcdimis. |tc^’i-unus VVacker4 Ccrtorum Au^orum, Libri prohibiti. S Tgibcrtì libcr, centra Papam Gregorium t et centra Epiftolamr Pafchalii Papx. Scraphini Firmaiu Apologia» prò BaptiAa «ie Cremai (tephani VVindonieoAs Epifcopl > l lionec rcpuigaca fuerìc.Scephani Lindii EpiAoU ». de Magù Arata» et MifTa Svidar Hiftoria » nuper Bafitec imprcHa ». ^uaiodiu annotarionci oMiginalcs » et indicci» emendeatur Incertorum Auflorum, Libii prohibiti. S Cholìa in EpiAohim Paoli 111. Pon> tiftcì* Maximi. Script! quxdam Papx, &Monarcha« rum > de Concilio Trideotiao &c. Sentenrix piieriles. Sernaones Convivalea. Sermoaes ite proviJcntia Dei. Similitudinnin, et DiAìtnilicudinum libcr. Simplex» &' foccinOm oranJi modus. SimplicifISnu» et brcviiTima Cathechi(mi expofitio. Simulacri, Iftorie, e Fignrc della Mone. Somnium, et Vaticinium Efdrx, de £ati& Monarchix Romat:.x. Spcculum exeorum, ad cognicionem Evangclic* vcriiatis Swermenica Doflrina Somna totius Scriptur Sammarinm Scrìpturx» 8umro| in Smaragdum > Aipcr Erange. lia » &: EpiAolai totius ann>. ram Ceparatim» quiin nna » cuna ipfo Au£lo> re impreifa. Snpplicacio quonmdam, apud Helvcrios EvangelìAarum » ad Epifeopum Coo» Aanticnfcm. Supplica loerortazione, di nuovo mandata ali'tfìvittiffimo CeCarc, Carlo Qpinco Suppucatìo aonorain Mundi. Syncrama clariflrmoruin virorum, cuginale pcccarum dcpuigentes» Ac. Stateri PruJtmuiti • grracagcmaca Satbanx. Summa piuioris doflrinx »pcr M3 fes» adCallicarn EcclenatiuntiVa, ^c. Synodus Sait^ioruni Patrum c«>nvocara ad cognofccndam, et dljodicandam controverAam » multos jam annoi £ccleAam ChiiAì gravilGmc cxercemcm» de majcAate Corporis ChriAi T HeobaldmCerrachius» BillicanuiTheodorus Biblìander. Tbonui Blaurems Thomas Cramner Thomas ab Hofen. homas Munccrns. Thomas Nec^eorgius^ Thmnas Plaitcnis^ Thomas Vcnatorios, Thomas VVolphius. Titetmanus Heshu^us Timotbeus NeocorusT Halounnos Beaedi6his. Thcodoricns Scheneppius. Thendoms Bcza^ VcxcUnS\ Thcodorus Ncc^eofgus. Thcoioras Sneppius. Thcodorus Zuvingerus Theophilus Bfidanus Theophilus Frcurelìus TheopbraAus Paracclfus Thobias brmon Thomas Bcconus. Thomas Carcuvzightas ^ Thomas Copperos. Thomas CprbcM Thomas E^nta. Thomas Eraftui. Thomas Gotctsf»nhi»«, Thomas Gybfooas p Thoous Leverus. Thomas Pavjpell Thomas Scndbachiu» veL Seltbachliii é T homas Swinercon Thomas Thanhoinmi Thotms VViJfoflui, Thomas VViftadias. Thirootheus Kfrclmerus, TriAramus* RevcU^ Ccrtorum Aué^orum libii ^rohibitt T Argpm, hoc Paraphnfis C^-. oeTii Chaldaica* in facra Bibita ^ ùuc^cete». Paulo Eagio. Tbeacnim vitaebumanx» prlmunta Cou« ra^ LicoAhena: Ru^aqoepfi inchoa» deinda a. Theodoro Zvringero aUolucum» cuitifcnaqae fit iroprtìfioais» nifi corrigarur. Thcodorici Nemicnfisi vel' a Niemen Hiftoria de Cchiiinaie, The^nna lioeua Grece» ) Henricì Srej^ani. ) Thelaun» Lingue Hebraice > ) San£h Pagnini » aufVtts opera omnia « Incertorum Auftorum, Libri probibiti. T Halmud Hebreorym» eiulquc gl fumma sotius icripturevetcris,Se novi TcAamcod > altera vero de dccem Preoapiis^ Theologorum VVitebergenAum vera» 8 c folida rcfuaauo» duorum libellonim lefuiramm • Threnodia Ecclcfie Catholiee» ad Chrìftam ^ponfiimv fwim ^ Triumphi Aoonmmcw»^ Ir jfde GhrtAi» in cotlum afeendentta coilado. Turco grecic libri ofio,Bafilee impre{« fi 1584. donec corriganrur. • Turingtcoiiim exolun) rdponfio. Xotini Belgica > Urbium» Abbaciarum» CoUegk>rufu. divifio» ad opprimendum per novos Epiicopos Evan^iium» 8 k^ fine nomine Ao£mNs ccafiurc » impref> ipris». Se loci..V Adianus )oachimtts Valerìus Anfelmus Ry 4 Valerius Philarcas. Vareroimdit» Loitholdus. Velcurio Vergerius^ Fffi Vi Vi£loE di Bonkaaxi ve[ de Bordcns.. Vi^ormus. Strigqlius. Vincentiut Obibp«t»« Virctus. Petras. Y i r i I iog4>Sjfìye Brenti us>. yito$, T^codorus.. ., Virt» Vvif«pin$v i ^ Vlricus, Scuderius,, Yltictt* VeknuSf Minhomenft., ^ Virila* 4c Vvitera Vrbamn Rhegitti.. YVendelinusi ab Kdbach., VVcnriclaaJ Linck. YVefelus» live Balilias CroeningenCs., VVcfphalus Ipa^imus VVig^us óro^er* Wilhidmus Hefenos WlIhieliròs Ibadcnlis Wolphapgus FabrUius, Capito Wolphangos Mater Wolphangus Meufd Volphatigtts MuCcuIub Wolphangus Uuce#/ WolpIungus Rupercus Wolphangus WaUaenn^ yVoIphan^ VvtlTcn^burgiis Valcntinos Eryihwus. VaknKinuv Frottdorfiuiv Vaicntimis. Cìreflérns^. a Valentinus HeiLind^ r. Valcntijius Hefenenu Valeatinos MecckcK* Valcmious Schacbtiut^ Valentinus Shinidclenis Valentinus Tro^cdorSus VakQtiiHUk VaJenrintts VwinfchOTUsv Valarius Fildl^rus\i'>--' Vcnis C^at^amls Veitranos Pinfcrus^. i Vinc^n.tios, Cmnchor^ Vinitos^ J. T • Vjcui Bfcfchvucrtibach> Vùus MoUcfus-, Vhiaricu» RuppincoTtiK Vlricus. J.vuinglius.. Volradsis, Conjcs, Mansfcldcplii^ Vvahiclmits BiJcrtìbachius^ Vvilheilnjus, Clcbitius Vvilhichnus. Nolderus^ Vvilhielmus Sarcerius^ Y^ilichius Fikhcrus Wolphangus AmliJi| •. ^ f Wolphangus Ammonms Wolphaogus AmpelaAdatP\ Wolphangus Audingus Wolphangus Bisbachius. Vuolphangus Cam!inm« Vvolphangus Finckclnaus^ Vvolphangus Maler Vvolphangus Martius Tvolphangus Ochelìus. V voi phangus FeriRerus x Vvolphangus Frisbach^u»^ I \volphius. Certorum AuftoruniJ libri protlibiti^ i V iti Amcibichii., A"tipari de Officio pii viri traOatut» Vinccntii Ciconi* Vcfoni^nns, Enarra-. tiones in pralmos, nifi còrrigantur^. Vldarict ad Paptm Nicolaum EpiRola; VIdarict Zafii, opera omniai donec C0C\ rigantur«, i IncQttotum Au£lorumi (.ibri prohibiti^ V Valdenfium conleffio x, et Apologia fìdei, ad Uladislaum Kcgcm Un^ gari Varia dotìorum, piorumquc virorum* de corrupto Ecclefia; Aacu > Poemata* Yindarii* ^mbdìuio » de EotelUtePapcj^ de. Principum facitiartuniv Vificacio Saxpnica Yitai et gefta Hildebrandi^ Vi» Patrum,, cum przfatipae Maftirii Lutberi VitK Pont. Rom. VViteberg* iroprelt*Un breve modo,, ^ual deve tener ciafcun Padre Unia diffidentium. Tripartita*. Vniverfitaiis VViiebcrKnfis, feria aflio», apud Principem FrldcricuQi Wa Juyennitis cum anoocationibosx \f feti aildittonibus ?hilippi Me* ^ lanchthonis x Vvitcbergica afta SynoJaUa> a quodatn • COl-v collega et per Vvttcbei^icost Jlieokv go» probara» concra ]Hyricanos« Vvormatienfes Arciculì. Urfuis Mnnfterlcrgenfìt Docidie defenfia* no licenza, dall’ ondiuarioi poRo in. una calTa iìcura nella CanccU ovvero dali'In^uificore di pocerh tenere», laria Ducale per (ervirTene» qnarJo fa- Se li Stampatori foranno ri bifogno, nella oaa! calta fi tenghi, rifiamj'« 4 e li (addetti Libri (pipefi.» Ala- un Inventario de* Libri, che 1! riponeraniro infianza per U correzione» si cor- ranno: e ciò s’ incendi folamcnre de’iiregeranno efpeditaroence in Venezia» e bri novi, ed ancor de* Libri rofpcfi, che nell’ altre Citti del Sraro Teoia ODandaili. fi corrtgeranao» e riftamf^ranno. Nelle a Roma avendo fufiicieBcc facolti per Cicti j>oi del Stato gU originali predecii il novo Indice gli Vefeovi infietoe con li fi conlegncranno al Cancelliero del ClaInquifirafi» e rifiampandofi corretti» fi riOìmo Capitanio, acciò li tenghi net* vmdcranno liberamente a tutti. modo predetto» q. fi confegnino focecfiiUferanno diligenza gliScam* earocnre con .l' Inventario da Canceliiepatori per confervaie oqi migliar moda» ro 4 Gancelliero* nmezfc Pff a Nel ftampar Libri 9 ^ terefticrl». 0 con &Ifc % t finte licenza impriina a tergo del prinio tV^lio la Ih Qampati * e rariflìme volrc fi dari il «enza folita deli Magifirato» nella quale calo» nc fi fiiri fenza giullifliroa caufai fiaoa cfprcflj li nomi di quelli » che a*n e con parcictpazione dei Santo Officio, vranno rtvifio,cd approvato detti Libri», ed incervemo di CiactiSmi Signori Af(ome è dilpoita per le L^gi.. - fifiemi rantoin Vcneziicome aelloStato. Aveniranno li Stampatori», La regola dgl giuramento da che r>e‘ Libri novi, che fiamperanno«"ò, darfi a* Librari, e Stampatori npn.s’cf*. oc’ Vecchi che riftaropanero. non. tifino tguìfea in quello Sercnils. Dominiò s figure » che ripprefeniino acci difonefiiv. Tutti gli eredi doveranno dar ooit efjendo però prohibitcle figure pros nota al Padre Inquifitorc de' Libri profane. che non comenefsero dishoniftè- ibìti » e fi>rpefi » che ritrovarsero nell* SESTO*. Lt Librari dovecanno far T* erediti / e ouelU eredi » che non fufInvcntario di- tutti li Libri > cift, fi fero abili a aifcemérli > doveranno lo trovano per cfpurgari; in quello princi>. ro, o Tuoi Cantori chiamar perfone mpio le Librarie da‘‘ Libri cfprefiamenre teliigenri che vifiiino tutta la Libraria proibiti nel novo Indice » e prefenrar» per cavarne nota delli proibiti, c iòflo al Padre Inquifitorc, e quello s’in-, pefi) et prefencarla come dì fopra in tenda per una volta folamenre v termine dì mefi tré dopo ebe V avran-, Intorno la liberti » che ho, avuti irt fuo potere c fri tarn / vtcn conceda, all i Vefeovi, ed* Inquìfico- co non pofsano ufare. ni in qualitnque i ri di poter proibire altri Libri non cf- modo alienare i Libri proibiti, o rof ^ ^refi rMiriiWice~» fi didilira. che t'ìn-. pefi « c ciò fono |e pene • e aenfurq tendi de.‘ Libri contrarj aM^ Religione,, (latuiie^ Feo fede» e corroborazione di tutto» ciò. li fuddetti Illuftrifljmi Cardina*, le Patriarca». 3c Nunzio^ Infieme co' 1 Reverenda Padre Inquifitore di Venezia fottofcrivqranno le prclqnti. c le affermeranno eoa proprj loro Sigi(li coniinci|coda.|er Vautor/ih alatale *d» fua Beatitudine che inviolaWiécnte debbano «flervare le predette. dichiarazioni tanto in Venezia» quanto in tutte le altre Cittb » e Luoghi fudditi ai detta ScrcoilD'mò. lJominio; D aniello Barbo Capitano di Segna Faiitor degli ÙlcoccKi. 174 Daniello Francol Ifricilitip facce, de 4I KabattA nel Capit^niaeo. di ìk Decime (e l^no de fure divino. Decime prediali che eofa fieno. 18 Diaconi infitruùi dagli AppoftoK per governo delle cole tcinpor^i. a pifeorfo del Chiazola in propofito del Dominio 4 el Mare della Reptibbllci. pnpenfa é tm mso di giallitìa ^^ributiva > c pecca chi apn ht * perfone» alle quaK è dovuta» Doge Ticpolo mette un dazio a quaUmque Navigante p& TAdriatico. ^48 Pottori Napolitani ; loro opinion^ circa ilPrmcipaco di tutto il Mgodo» E MerìroGtierri vuole piutrofb abbandonare il filo ArciveKOvaro, ebev^ der la fua ChieCa mclTa 4 Cacce da ln;iocenzto IV. Pontefice» ^rìberto Conte Zio d'Ugo Caperò fii fuo Figtioolo in eti d'ansi 7. Arciv^feovo di Remi» c Papa Giovanni X. ne eoo. ferma reiezione. api Rtmolao Tiepolo ProveJitor in Dalma, zia con iibera podeiti • temuto dagli Ufeocchi^ t}x F Anioni de'Gnelfi» e Ghib^niquan». do oacqueto*. 40 Ferdinando Vefpio» fua opinione in. tomo al Mate.. 74> Filippo Pafqualigo Provedìtor Generale in 4^1m«iaconm gliUfcocchi. igf Francdco'Allegreiti Kc 4 >ilc Ragufeo Ca> pirano dHina Calca P-ootificia. 17^ frati Mc^can^ quando ìdOìomiì. 8| G Fftiin» loro infeirato. 107 Giovanni XI. fatto Papa d’anni xo* figliuolo naturale di Sergio III. » e di Marozia figliuola della meretrice Tcodor^ * 4 quale proftituiva le fuc figlinole a’ Papi x xp Giovanni ^ (oti intento a cavar danari d’ogni cofa> che lalciòalla fua inorte x^. milioni. 77 Giovanni Alberti dccapicaMda'Turchi in Gli A. 174. Giovanni Bembo Provediior in Dalmazia centra gli Ufeocehi. Gio: BattiAa ConraeÌDÌ Proveditov in Dal. mazia contri gli Ufcocchi. 19S Gio:Criftiano SmidHDoAmbafciador Ce> fareo agli Svizzeri per dar loro conto deh la guerra aperta co* Veneziani. Gio: Taeopo pelco Vice.CapicaMxdi Segna, ipd OicK Jacopo Zane Proveditor in Dalmazia contri gli Ufcocchi. xoo Ck>: Jacopo Cafglin Ipedito a Segna dall* Afcidsca per liberare dalle mani degli Ufcocchi il Proveditor di VecHa Marcello. X17 Ciroiaono MarcctIO’Provedùore di Veglia fatto prigione dagli Ufcocchi. x 1 a Governo di Santa Chiefa nel fua principio ebbe fivioa Democratica. Giuda aveva la boria dd’daaati prefencati a) Signore. a Giuramento de) Clero > e del popolo Ro. mtao ferro all’ loperadore incocuo air •fezione del Papa. X4 CiuriCdiaione EccleliaRica quando abbia avuto principio. x 179. fatto Comnffciferro daH’Arciduca contragli Ufcocchi. i 4 d. trucidato dagli Ufcocchi • i8a CiuAinfeno ricuperando I’ Italia da' Barbari lafciò il Dominio intatto delia Repubblica fai .Marc da Raveniu in qua. 7x9. fiu legge circa aUenaie ni EcclefiaAici. Gradi EcclefiaAici ne’ primi tempi noo erano nd dignird» nè onori. come fono da molli Secoli » ma cariche « e miniAerJ. 7$ Guido Bacon di KùK General in Cr» vaila fpedito dall’lmperator a Segna per informarfi de’ mii^i d^Dicoc-J Acopo Coreana Gefufta in unA foz Cronol(^ia confdlà victoria della Repubblica nell,’ Adriatico « 1^9 Imperio dell' Adriatico innanzi il nal’cU mento, di Venezia bx dell’ Imperio Romano^ 5x8 Indulgenze quando incrodocce« 81 Inico di Mendozza Ambafeiador di Spagna a Venezia levato dall' Ambafceria con ftx) poco onore. i|$» Innocenzio IV. muore da nna percoflà datagli in fogno col calcio del PaAoralc da Roberto Vefeovo di Lineo! Uomo celebre in dottrina» e bontà. ^4 L Orenzo Diacono ritenuto da Pedo per levargli i, Telori Ecdefiafti ci., 5 M M Anfionario» che cofa na e quando introdotta pz Pietra Croltcchio Signor di Cliflà. ijp fia II. vuole armare dne FuRe in An. coni, e gli vien proibito dalla Repubblica* SP Pontelice » che non era confermare ujlP Jmpcradorr "o» ^ «hltjtuvì Zfìjc^uf, ma dtfftu'. Z4, Pontefice dee pafeere non tofare le pecore pontefici pretendono che gli atti Concili non fieno validi, fé noa in virtù della confermazione Papale. 41. proibifeono l’aver benefizio maffime di Curata a chi non imetide la lingua del pc^lo. 5ji Povero obbligato fecondo i CanoniAi a pagar la decima di quello» che trova per iimofina », mendicando alle portc*, Preferizionc che cofa fia* ^41 Pragmatica pubblicata in Francia. 85 Principi chiedona licenza alla RepubbliI ca di pattare pel Golfo Proibizione fatta da' Veneziani a quelli di Riminì» Ancona» Fermo, cdAfcoU » che non navighino in Schiavonia. 547 R Egalia è un ;us del Ré di conferire tutti X ^ncfìzjlcmpUci vacanti dopo, la morte de'Vefcovi Rn. eh’ è acato il SuccdTore. KccreCro che cola fìa* 84 Reudenza tenuta da molti, che fi trovavano nel Concilio di Trento de Jare divino, 91 Rifervazioni, annate, afpetracive, c tutte le altre etazicmi della Corte Romana iDsna t proibite dal Concìlio Balilen* fc. S S Vnro» SantiiBmo, beato, beaciUìmo •lami t che convenirano una volqi a tutti i fedeli j che afpiravano. al* Sanciti j ora particolari fmo del Son>* mo Po«if:6cc. »7 Scrittura dclP Imperadore s c deirArci-i dura io favore dcU^ Repubblica, ^on* tra gli UlcoccKi. Segna Citti de’ Conti Frangipani . 1 49 Signor di Lenovicb Genqral di Crovaaia . 1J4 Spoglie» che cofa fitop. 10; Stefano eletto Papa dopo la mprrc di * Zuccheri^ > perché non fii conlàgrato, non fu'pofto nel Catalogo de* Papi che non Ù lafcit^ mai vedere in pubblico i fatto Pap^ la Teodora faraoTa Meretriae Roooa^ na • Stefano della Rovere Qapiuno (H Fiu* me ^Apita in Veneaia per trattar^ in propolìco degli VTCtxtbi a V U Scocchi di che paefe fieno. loro violerà?, e rapine I C E, no di tre forte > ftipendìati » CafalU ni e Venturieri 1x7. loro delcrizione» 11® Veneaia fi fa Padrona di tutto il Col- fio . 510* proibi fee a nxt| dì tener le* f ni armati nel Golfo» jt** non fon- a le file ragioni del Dominio del Ma* re fopra privilegi dì Papa* o d'Impe* radere . {^7. Signorn dell* Adriattep >irre feiìi. jdf Véfeovo anricamente era chetio dal Po polo» le. quando era morto fi por* Cava U fno anello » e ’l fuo Pafiorale all’Imperadore > affinché lo conferiite ad un altro. $7 Veicovi titolari i gran numero vt n’era innanzi il Concilio di Trento» al pre* lente é molto ri^retco. a a Vefeovi Italiani dello Stfto Ecdefiafii* co non folamente fiam>o in piedi al* la prefenaa de' Cardinali { nu ancora noa Aiisano difboore fervirli a tavola. 5® Vefeovi delle Chiefe ricche > e gr;:n- di fono pafTati dal dirpenQire al diffiparc • Fu provedgto a dd d..' 5^ coleri. Vector Barbaro Segretario fpedico dal General Pafq04li|o al Coinmetririo Rabatn per 1* iniereflè d^li .Ufeoe* chi, ' 57^ , A.A. F. Paolo Sarpi. Paolo Sarpi. Sarpi. Keywords: l’arte del bien pensar, Locke, impression, reflection, metaphysics, Bibioteca Marciana, pensieri, pensiero, logica, bien pensare, galilei, hobbes, metodo, sensismo, il fenice di Venezia, scritti filosofici inedita. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sarpi” – peri il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Sarpi.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Sasso: la ragione conversazionale da Crotone a Velia – la potenza e il atto in Gentile – Gentile megarico -- Lucrezio e Machiavelli – allegoria e simbolo in Vico – la scuola di Roma -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo romano. Filosofo lazio. Filosofo italiano. Studia  a Roma. Si laurea sotto ANTONI e CHABOD con Machiavelli. Studia con CARABELLESE, RUGGIERO, SCARAVELLI, NARDI, PETTAZZONI, SAPEGNO, GABETTI, PERROTTA, E SANCTIS. Insegna ad Urbino e Roma. Studia l’idealismo italiano (CROCE) e MACHIAVELLI. Si occupa di ontologia, ALIGHERI, Platone, Polibio, LUCREZIO, GUICCIARDINI, Shakespeare e Mann. Presidente della "Fondazione GENTILE", Lincei. Altri saggi: “Machiavelli e Borgia. Storia di un giudizio” (Roma, Ateneo); “Machiavelli” (Napoli, Morano); “La storia della filosofia” (Bari, Laterza); “La ricerca della dialettica” (Napoli, Morano); “Lucrezio: progresso e morte” (Bologna, Mulino); “L'illusione della dialettica” (Roma, Ateneo); “Guicciardini” (Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Roma); “Essere e negazione, Napoli, Morano); “Machiavelli e gl’antichi” (Milano, Ricciardi); “Tramonto di un mito: l'idea di progresso” (Bologna, Mulino); Per invigilare me stesso. I Taccuini di lavoro di Croce, Bologna, Mulino); “L'essere e le differenze nel "Sofista” (Bologna, Il Mulino); “Variazioni sulla storia di una rivista italiana: "La Cultura"; Mulino); “Machiavelli, Bologna, Il Mulino, Comprende: Il pensiero politico, Napoli, IISS, Bologna, Mulino, Premio Viareggio di Saggistica, La storiografia. La fedeltà e l'esperimento, Scarpelli, Trincia e Visentin interrogano S. (Bologna, Mulino); Filosofia e idealismo, Napoli, Bibliopolis, Comprende: Croce, Gentile, Ruggiero, Calogero, Scaravelli, Paralipomeni, Secondi paralipomeni, Ultimi paralipomeni, Tempo, evento, divenire” (Bologna, Il Mulino); “Gentile: La potenza e l'atto” (Firenze, La Nuova Italia); Le due Italie di Gentile, Bologna, Il Mulino); “La verità, l'opinione, Bologna, Il Mulino, Martino fra religione e filosofia, Napoli, Bibliopolis); Il guardiano della storiografia. Profilo di Chabod (Bologna, Il Mulino [Napoli, Guida, del Profilo di Chabod, Bari, Laterza); Dante. L'imperatore e Aristotele, Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo); Fondamento e giudizio. Un duplice tramonto?, Napoli, Bibliopolis); Il principio, le cose, Torino, Aragno,  Delio Cantimori. Filosofia e storiografia, Pisa, Edizioni della Scuola Normale Superiore); “Dante, Guido e Francesca, Roma, Viella); “Le autobiografie di Dante, Napoli, Bibliopolis, Discorsi di Palazzo Filomarino, raccolti da Herling, premessa di Irti, Napoli, IISS, Il logo, la morte, Napoli, Bibliopolis); “Ulisse e il desiderio. Il canto XXVI dell'Inferno, Roma, Viella); “La voce dei ricordi, Napoli, Bibliopolis); “Decadenza” (Roma, Viella); “Machiavelli: I corrotti e gli inetti” (Milano, Bompiani); “Allegoria e simbolo” (Torino, Aragno); “La lingua, la Bibbia, la storia. Su "De vulgari eloquentia" (Roma, Viella); Su Machiavelli. Ultimi scritti, Roma, Carocci, Croce. “Storia d'Italia” Napoli, Bibliopolis,  La 'Storia d'Italia' di Croce.  Napoli, Bibliopolis. "Forti cose a pensar mettere in versi". Studi su Dante, Torino, Aragno, Purgatorio e Anti-purgatorio. Un'indagine dantesca, Roma, Viella,. Croce e le letterature, Napoli, Bibliopolis, Biografia e storia. Saggi e variazioni, Roma, Viella,. Mulino Riviste La Cultura, su mulino. Premio letterario Viareggio-Rèpaci, Croce. Dibattito, Il Cannocchiale, Arnaldi, Calabrò, Jannazzo, S., Stella, F. Valentini, Visentin. Arnaldi, S.: uno specialista di più specialità, in Id., Conoscenza storica e mestiere di storico, il Mulino, IISS-Napoli, A. Bellocci, Verità e doxa: la questione dello sguardo e della relazione ne Il logo, la morte; Bellocci, Laicismo della verità, della doxa e tolleranza; Leussein, Bellocci, L'impossibilità della differenza e i paradossi dell'identità; Archivio di filosofia, Bellocci, Il problema della 'non' relazione ne Il principio, le cose, Giornale critico della filosofia italiana, Bellocci, La verità, l'opinione. Lo ''specchio'' della verità e l'eterna opinione metafisica, Filosofia italiana,  R. Berutti, Annotazioni critiche sull’essere ovvero sul non essere essere del discorso che lo concerne. Il problema dell'ontologia,, Pólemos,  Capati, Paragone. Letteratura, Cardenas, L'auto-noema. Il giudizio tra attualismo e neo-eleatismo, Filosofia italiana,  Cesa, “S. interprete di Gentile”, Archivio di storia della cultura, Vicentiis, Storiografia e pensiero politico nelle "Istorie fiorentine" di Machiavelli: Bullettino dell'Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, F. Fronterotta, L'essere e le differenze. In margine al Sofista, Novecento, Herling Reale, Storia, filosofia e letteratura. Studi in onore Bibliopolis, Napoli,  G. Inglese, Machiavelli: una storia del suo pensiero politico, Bullettino dell'Istituto Storico Italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano, Enciclopedia machiavelliana, Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, Roma, Enciclopedia filosofica (a cura del Centro Studi Filosofici di Gallarate), Milano, Maschietti, Dire l'incontrovertibile. Intorno all'analisi filosofica, Giornale di filosofia, Mignini, Essere e negazione. Giornale critico della filosofia italiana, Crisi e critica" dello storicismo. Filosofia e storiografia, Novecento, Filosofia e storia della filosofia, Filosofia italiana, Parise, Sulla relazione. Critica della metafisica, L. Passerino Editore, Gaeta. Parise, Figure della scissione. A proposito di Allegoria e simbolo, filosofia,  Parise, L’aporia del nulla, Filosofia italiana, Perazzoli, Il concetto di laicità. in G. Perazzoli, Miligi, Laicità e filosofia, Mimesis, Milano Udine, Pietroforte, Problema del nulla e principio di non contraddizione. Intorno a "Essere e negazione" Novecento,  Salina, Neoparmenidismo e teorie della verità, Filosofia italiana, F. Scarpelli, Nulla, anamnesi, riflessivita (Il Cannocchiale, Tessitore, interprete di Croce, in Id., La ricerca dello storicismo. Mulino, IISS-Napoli,  Vander, Critica della filosofia italiana contemporanea. Dialettica e ontologia: i termini di una contrapposizione, Marietti, Genova; Visentin, Tempo e giudizio. La Cultura, Visentin, Sull'identità e sull'essenza del laicismo italiano. A proposito del "Le due Italie di Gentile", Giornale critico della filosofia italiana, Visentin, Il parmenidismo (VELIA). Considerazioni intorno alla verità, l'opinione', in Id., Il neo-parmenidismo italiano. Dal neoidealismo al neoparmenidismo, Bibliopolis, Napoli,  Visentin, Aletheia e doxa oltre Parmenide, in Id., Onto-Logica: sull'essere e il senso della verità, Bibliopolis, Napoi, Zanetti, Critiche al divenire. Filosofia italiana, X S. Zurletti, Lo specchio di Perseo, Chaos Kosmos, Vico e il simbolo», «Atti dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Memorie della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche», costituzione mista, Croce, Dante, Discorsi sopra la prima deca di Livio, eternità del mondo, Sanctis, Lucrezio in Machiavelli, in Enciclopedia machiavelliana, S., Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani, Roma Dalla concordia discors alla polemica: filosofia e psicologia di una vicenda, Ripensando la Storia d'Europa, Ripensando la Storia d'Italia, in Croce e Gentile, la cultura italiana e europea, Ciliberto.   LE RAGIONI DI UN DISSENSO. La polemica Croce-Gentile  Intervista a Gennaro S. 1  di Gianluca Miligi  Nelle vicende della cultura italiana della prima metà del Novecento  assume una particolare rilevanza la polemica tra Benedetto Croce e Giovanni  Gentile. Tra i due grandi filosofi e intellettuali, i quali avevano collaborato  assiduamente nella rivista “La Critica”, matura nel 1913 un contrasto  teoretico, che si manifesta su “La Voce” diretta da Giuseppe Prezzolini. Più  tardi, alla fine del 1924, si assiste invece alla drammatica rottura dal punto di  vista politico-ideologico.   Professor S., come si presentavano le figure di Croce e Gentile, e  quali erano le loro rispettive posizioni?  Innanzi tutto credo che si debba forse risalire a un periodo precedente. La  polemica del 1913 fu provocata da Croce. Croce scrisse una lettera aperta a  Gentile e ai suoi allievi palermitani - Gentile era allora professore di Storia  della Filosofia dell’università di Palermo -, pubblicata non su “La Critica” ma  su “La Voce” di Prezzolini in modo che l’eventuale polemica potesse avere  luogo su un territorio neutro. Ricevette poi da Gentile, all’inizio del 1914, la  replica, sempre su “La Voce”, ma la polemica fra loro era già sostanzialmente  in atto da tempo, una polemica, in questo periodo, sempre amichevole. Direi  comunque che fin dall’inizio, fin da quando Gentile entra in  contatto con Croce (Gentile era ancora studente all’università, alla Scuola  Normale di Pisa), fra i due si verificò un contrasto di opinioni o perlomeno  emerse una differenza che di volta in volta fu superata, integrata, risolta ma  che era destinata a risorgere per una ragione che occorrerà definire in termini  generali una volta per tutte.  Gentile era un discepolo diretto della scuola di Spaventa;  naturalmente non aveva potuto conoscere quest’ultimo, che era morto quando  Gentile cominciò gli studi filosofici, ma era stato allievo di un allievo di  Bertrando Spaventa, Donato Jaja, professore di Filosofia teoretica  all’università di Pisa. Quindi aveva in un certo senso assorbito fin dall’inizio  quel particolare modo di intendere la filosofia moderna che trovava nei filosofi  dell’idealismo tedesco il suo punto di riferimento principale, e poi di riflesso  L’intervista, riveduta e corretta, è stata realizzata per RAI EDUCATIONAL, “Enciclopedia  Multimediale delle Scienze Filosofiche” (2001) e pubblicata sul sito Caffeeuropa altro punto di riferimento nella filosofia di Rosmini e Gioberti, due importanti  pensatori dell’Ottocento italiano che, secondo lo schema spaventiano della  “circolazione della filosofia europea”, ripetevano nelle forme culturali in cui  essi si erano definiti, l’uno, Rosmini, il pensiero di Kant e, l’altro, Gioberti, il  pensiero di Hegel.  La formazione di Gentile è perciò una formazione filosofica in senso  stretto, spaventiana in senso filosofico e storico. E da questo punto di vista  quando Gentile si presenta a Croce, gli appare con un volto molto ben definito,  laddove il volto di Croce era, allora, quello di uno studioso giovane anche lui,  sebbene di otto, nove anni più vecchio di Gentile, dagli interessi molteplici non  ancora perfettamente chiusi in un sistema o anche in una circolazione coerente  di idee: da una parte, infatti, c’era l’erudito, lo storico, e dall’altra, ancora, il  critico del marxismo. Gentile colse nella figura di Croce non soltanto, come è  ovvio, la grande intelligenza, la libertà di opinioni, la spregiudicatezza critica,  ma, in particolare, il modo in cui Croce, attraverso la critica che rivolgeva al  marxismo, veniva elaborando – sul campo si direbbe oggi, e non più in  laboratorio – una serie di criteri filosofici particolarmente interessanti anche  se discutibili dal punto di vista di Gentile: essi stimolavano fortemente questo  giovane studioso all’elaborazione del suo stesso pensiero.  Quali sono gli esordi della polemica tra Croce e Gentile e su cosa verteva  precisamente?  La prima polemica riguardo al marxismo fu una polemica non indifferente  perché riguardò questo punto: se il marxismo fosse, come riteneva Gentile, una  filosofia della storia e quindi da interpretarsi filosoficamente, anche se in modo  critico, oppure se fosse, come pensava Croce, non una filosofia della storia –  sotto quel punto di vista lì non aveva molto rilievo e molta importanza – ma  piuttosto un canone empirico per la comprensione della società del capitalismo  moderno, quindi uno strumento di lavoro particolarmente utile da usarsi  secondo lo spirito realistico che a suo giudizio era effettivamente l’anima del  marxismo. Su questo punto avvenne la prima polemica, la quale  sostanzialmente non si chiuse né a favore dell’uno né a favore dell’altro, perché  entrambi rimasero con la loro idea. Con questa differenza: la presenza di Marx  fu molto profonda in Croce fino a un certo periodo e forse sempre, sotto alcuni  aspetti; in Gentile molto meno, tanto che Marx ritornò a un certo punto, come  all’improvviso, nel suo pensiero: quando Gentile rimise insieme i suoi  vecchi studi sul materialismo storico e li unì ad altri che intanto aveva  composto sulla dottrina dello Stato etico, e poi a quell’altra sua piccola opera  che si chiama I fondamenti della filosofia del diritto. La seconda polemica si svolse sempre nel chiuso della loro corrispondenza  privata quindi senza che il pubblico ne sapesse niente e senza che “La Critica”,  che, dal 1903 fondata da Croce, aveva in Gentile il principale collaboratore,  registrasse questa polemica. Questa seconda polemica si svolse sul tema della  storia della filosofia, cioè se ci fosse un nesso, un circolo, come Gentile  riteneva, tra la filosofia e la storia della filosofia oppure se questo circolo, come  riteneva invece Croce, non si desse. Anche quella fu una polemica piuttosto  rilevante che toccò punti profondi e che mise in luce il diverso temperamento  intellettuale dei due studiosi: quello più sistematicamente filosofico di Gentile,  più legato anche ai modi dell’hegelismo napoletano – che a lui erano mediati  da Bertrando Spaventa come ispiratore, ma da Donato Jaja e da Sebastiano  Maturi, il suo grande amico professore di un liceo di Napoli, come elementi  “minori” di questa costellazione – e quello di Croce, che si muoveva in modo  molto più libero nel riferimento alle fonti e traeva la sua ispirazione più che da  Spaventa, che, tra l’altro, era suo zio, da Francesco De Sanctis, il filosofo o il  critico letterario al quale egli di preferenza si rivolgeva.  Professor S., vediamo più in dettaglio la cruciale polemica.  La polemica è una polemica che nasce proprio nel momento in  cui la filosofia dello spirito di Croce era giunta alla sua compiutezza, nel senso  che Croce aveva scritto anche il quarto volume inizialmente non previsto della  “Filosofia dello spirito” ossia la Teoria e storia della storiografia, pubblicata  prima in Germania e poi in Italia. Quindi il sistema crociano era  assolutamente definito quando egli aprì la polemica con Gentile. Che cosa era  accaduto? Era accaduto che Gentile aveva pubblicato nell’“Annuario della  Biblioteca Filosofica” di Palermo una serie di scritti, in modo particolare il  famoso L’atto del pensare come atto puro che è del 1911, e poi gli altri, Il  metodo dell’immanenza e La riforma della dialettica hegeliana che si  legavano al primo volume del Sommario di pedagogia: anche lui, quindi,  mentre Croce concludeva il sistema della filosofia dello spirito, aveva prodotto  una serie di scritti che davano fondamenti molto forti al sistema che  inevitabilmente di lì in poi sarebbe stato scritto.  Croce si accorse sùbito che il vecchio conflitto che lo divideva da Gentile  ormai aveva preso delle forme assai più nette, si era come solidificato in  articoli, scritti o volumi eccetera. Pensò quindi che fosse giunto il momento di  prendere le distanze dal suo principale collaboratore, non perché volesse  arrivare a una rottura ma perché era necessario chiarire che tra la sua filosofia,  che era fondamentalmente una filosofia della distinzione-unità, e la filosofia di  Gentile, che a parere suo era una filosofia dell’unità senza distinzione, non  c’era possibilità di accordo sul quel punto specifico. Questo anche perché le conseguenze che derivavano dai due modi di intendere la realtà erano  profondamente diverse, quella di Croce essendo una concezione della realtà  articolata e storicamente determinata dalle forme che la costituiscono, quella  di Gentile essendo una concezione della realtà interamente culminante  nell’atto del pensiero senza possibilità di distinzione e quindi senza possibilità  di riconoscere ‘autonomia’ alle forme dello spirito, autonomia alla quale Croce,  invece, attribuiva grande importanza. Quindi la polemica ha questo  fondamento; lo ha anche nella dichiarazione esplicita di Croce che per questa  ragione disse di “essere sceso in campo”.  La polemica fu comunque dirompente nella esperienza dei due,  soprattutto in quella di Gentile che accolse malissimo il fatto che Croce avesse  messo in pubblico il loro dissenso. La rottura rischiò di avvenire non per quello  che nell’articolo di Croce si diceva, ma perché l’articolo era stato reso noto  anche a lettori diversi da lui, Gentile: qui interveniva anche quella sua natura  siciliana un po’ sospettosa, un po’ gelosa della privatezza. Ma in ogni caso la  polemica fu dirompente perché i due personaggi, che ai più erano sembrati  sostanzialmente “una sola persona”– all’interno di “La Critica” avevano  lavorato insieme, si erano divisi il campo, gli oggetti polemici erano gli stessi,  la tonalità fondamentale della polemica era la medesima –, improvvisamente  invece si presentavano come due persone diverse, in un certo senso l’una  armata contro l’altra, cosicché il “fronte unico dell’idealismo”, come allora si  diceva, parve di colpo spezzato. Professor S., cosa si deve dire in generale riguardo alla “sostanza”  strettamente filosofica della polemica tra Croce e Gentile?  A tale riguardo ho un’idea che forse non è né ortodossa né in linea con  l’autoconsapevolezza che i due autori della polemica ebbero. Croce non aveva il  minimo dubbio che quella di Gentile fosse una filosofia dell’unità senza  distinzione, Gentile da parte sua non aveva il minimo dubbio che quella di  Croce fosse una filosofia della distinzione che non riusciva a conseguire l’unità,  e questo era il tema esplicito del loro dissenso. Croce controbatteva che non era  per niente vero che la sua filosofia fosse una filosofia della distinzione senza  unità; Gentile controbatteva che anche lui aveva un’idea della distinzione,  sebbene diversa da quella di Croce: ma sostanzialmente erano d’accordo nel  riconoscersi in queste due caratterizzazioni del loro pensiero. Perché dico che  sono d’accordo fino a un certo punto con l’uno e con l’altro in quanto si  rappresentassero, autorappresentassero così? Perché io non ritengo che la  filosofia di Croce – potrà sembrare un paradosso – sia in re, cioè “nella cosa  stessa”, non dico nelle intenzioni del suo autore, veramente una filosofia della  distinzione, e non credo che quella di Gentile sia soltanto una filosofia  dell’identità o dell’unità.   La distinzione si presenta nella filosofia di Croce come una distinzione  assoluta. La conseguenza è che non ci può essere differenza o distinzione fra  ciò che è stato distinto, perché ciò che è stato distinto è stato identicamente  distinto, e l’identità appartenendo a entrambi i distinti, questi non riescono più  a esser tali, in quanto sono, in realtà, identici. Ciò lo si vede se si considera che  tutti i distinti crociani sono “sintesi a priori”. Ora, come si fa a distinguere una  sintesi a priori da una sintesi a priori? La si potrà distinguere in base a  elementi empirici, cioè in base ad elementi che rispetto alla sintesi siano stati  scissi dalla sintesi stessa e considerati di per sé; ma se gli elementi sono,  viceversa, considerati nella fusione sintetica in cui sono effettivamente reali,  non c’è nessuna possibilità di distinguere distinto da distinto.  Per quanto riguarda Gentile, la questione si presenta per un aspetto  identica per un altro diversa da come si presenta in Croce, soprattutto se la  filosofia di Gentile venga considerata non come appariva nel 1913 quando la  polemica avvenne, ma come si presenta oggi a noi che possiamo considerarla  in tutto l’arco del suo svolgimento, quindi, direi, essenzialmente valutandola  nel primo e nel secondo volume del Sistema di logica, e poi anche  nella Filosofia dell’arte, che in un certo senso conclude il  sistema dell’attualismo.   Per un aspetto la filosofia di Gentile, l’atto puro gentiliano, su cui così  violentemente i due polemizzarono, se si guarda dentro la sua struttura, lo si  trova costruito in modo analogo, ma io mi spingerei fino a dire identico, a  come è costruito il distinto crociano: anche l’atto è una sintesi! Di che cosa?  Nel linguaggio gentiliano – mediato dalla filosofia di Fichte, probabilmente, e  anche dai modi seguiti da Spaventa nell’interpretare la filosofia di  Hegel – l’atto puro è Io sintetico di Io e di non-Io. Di che cosa è sintesi il  distinto crociano? È sintesi, per esempio, del bello che opponendosi al brutto,  viene sintetizzato dal bello. Se noi consideriamo questa struttura, che è  triadica, sia nell’ambito del distinto crociano sia nell’ambito dell’atto  gentiliano, vediamo che la struttura della filosofia dello spirito di Croce e della  filosofia dell’atto di Gentile è la stessa.  Professor S., quanto e come incide nella polemica tra Croce e Gentile  il fattore politico-ideologico che subentra in primo piano, in particolare, a  partire dal 1924?  Abbiamo visto che la questione del confronto tra Gentile e Croce, tra Croce  e Gentile, si presenta molto più complessa di quanto i due pensatori non  ritenessero che fosse, o diversa da come essi ritenessero che fosse, nel corso della loro polemica. Ad aggravarla poi – Lei ha ricordato il 1924 –  naturalmente era intervenuta la Prima guerra mondiale, era intervenuto il  fascismo. La distanza dei due personaggi sia sulla Prima guerra mondiale sia,  soprattutto, sul fascismo si fece sempre più netta.   L’iniziativa fu presa da Croce, che scrive a Gentile  una lettera che non era in realtà di rottura ma di constatazione di un  allontanamento definitivo delle loro posizioni sul terreno delle scelte etico politiche. Gentile rispose con una lettera “accorata” ma di fatto i due non si  incontrarono più: erano destinati a non parlarsi più. C’erano poi intorno a loro  i gentiliani da una parte, i crociani dall’altra. In particolare gli allievi gentiliani  di Gentile ebbero anche, direi, una responsabilità piuttosto pesante nel  determinare una serie di equivoci e di ulteriori tensioni tra i due. Il risultato fu  che dopo vari tentativi di riconciliazione, operati soprattutto da Adolfo  Omodeo, falliti miseramente, nel 1928, in Storia d’Italia dal 1871 al 1915¸  precisamente nel capitolo in cui Croce parla di “La Critica” e quindi anche  dell’opera di Gentile, su quest’ultimo pronunziò una parola durissima,  terribile: disse che l’attualismo era un “cattivo consigliere pratico”. E a questo  punto, naturalmente, la rottura fu irreparabilmente segnata, sebbene poi negli  ultimi anni ogni tanto ci fossero delle aperture, soprattutto da parte di Gentile:  che nascessero dalla malinconia dell’amicizia perduta o da altro, è molto  difficile determinarlo. Croce in ogni caso respinse sempre, fino all’ultimo  momento, ogni possibilità che con Gentile si potesse riavere, non dico un  accordo, ma comunque anche semplicemente un contatto.   Non so – è una curiosità che nessuno mi ha saputo togliere – se quando si  incontravano in Senato si rivolgessero un cenno di saluto o si evitassero  completamente, ma pare che Croce ignorasse sempre Gentile, cioè non gli  rivolgesse assolutamente più né lo sguardo né la parola ogni volta che gli  capitava di incontrarlo.Gennaro Sasso. Sasso. Keywords: Potenza ed atto in Gentile – Lucrezio in Macchiavelli, Lucrezio, simbolo ed allegoria in Vico, la scuola di Velia, veliati, veliani, parmenide, scuola di Crotone. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sasso” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza -- Grice e Saturnino: la ragione conversazionale del probabile – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza. (Roma). Filosofo Italiano. Seguace di Sesto Empirico, della scesi pirroniana e medico, non si ricordano sue dottrine particolari, ma si può supporre che accettasse quelle fondamentali del maestro che, negando la possibilità di una scienza razionale che pretendesse di cogliere le cause nascoste delle cose, ammette la legittimità d’arti -- prima fra esse la medicina -- che si limitano a constatare empiricamente coincidenze e successioni di fenomeni per fondare così previsioni probabili per il futuro. Diogene Laerzio dice che è soprannominato Kuthenas o Cythenas. La parola è incomprensibile, ma forse indica un’origine greca. Given that Sesto teaches at Rome, we may assume Cythenas, albeit his esoteric name, is a Roman! Luigi Speranza, “Grice e Saturnino,” per il gruppo di gioco di H. P. Grice, The Swmming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Luigi Speranza -- Grice e Saufeio: la ragione converesazionale dell’orto romano -- Roma – la scuola di Praeneste -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Praeneste). Filosofo italiano. Praeneste, Palestrina, Roma, Lazio. He comes from  a rich and privileged family. He is a close friend of Tito  POMPONIO (si veda) detto l’Attico, who intervenes to save his property from confiscation. S. us elsewhere at the time, idly studying the doctrines of the Garden. Lucio Saufeio. Luigi Speranza, “Grice e Saufeio,” per il grupo di gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Sava: FILOSOFIA SICILIANA, NON ITALIANA -- all’isola: la ragione conversazionale del dovere e dei doveri – la scuola di Belpasso -- filosofia siciliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Belpasso). Filosofo siciliano. Filosofo italiano. Belpasso, Catania, Sicilia. Enciclopedia Popolare Italiana. Saggi:“Sui pregi”, “Doveri dei medici”, A. Prezzavento. /t'iti SUI PREGI E DOVERI DEI. MONOGRAFIA I STRUTTI VA,: ED^NTER. ESSANTE l'tlt «CM i:i.,lssli : Ilf.-.^OLIi: MlllSOHE 'IIP, UttSCHLTTI L FliftKKtll /s: xss SUI PREGI E DOVERI DEI MEDICO. SOCIO DELLE ACCADEMIE DELLA SICILIA, ! E D'iTl LI A, DI «DELLE DI FILADELFIA E NUOVA-TOUR, hehbho DEPUTATO AL conc-resso degli scienziati italiani riKLLA SESTA LORO JIIUMOHE 13 MILANO PER l'aCADEMIA SUJIICO-UUIHL'KGICA DI NAPOLI E DEGLI ASPMA3T1 BATUHALISTI MILANO Pbesso gli EniToni-Linmj Maxtucelli e C. Conimi del Lioto, H. i3^i Non sempre la censura di Seneca, in ima sua epistola espressa con quella sentenza — ut omnium rerum } sic litterarum quoque, in temperanti a laboramus — scoraggiar deve ogni scrittore che al pubblico il bibulo di sue veglie presenta, avvegnaché non bisogna imitare lo svanissimo pensamento di Lemonnier, il botanico di Luigi XF^i il quale, allorquando veniva richiesto perchè non s' induceva mai a scrivere qualche sua opera, era solito rispondere, come attesta Cuvier, che il tempo impiegato ad instruire gli altri è perduto per la disciplina di sè stesso; appoggiandosi allo stolto paradossale so~ fisma che, tutto è stato jdtto, tutto è stato detto, e si viene troppo tardi per aggiugnerc una sola parola. Con simile sutterjugio, all'uomo timido, naturalmente infingardo e presuntuoso, che travaglia e si ammaestra poco, e crede saper tutto e saper meglio degli altri, la ignavia, tanto 'a lui connaturale, arresterebbe, al menomo ostacolo, le ricerche, le osservazioni, ì risultamenti, fornendogli sempremai delle risorse per trarsi d'impaccio. Io ho indugiato a rendere di pubblica ragione questo lavoro, ma alla fine mi vi sono determinato. In esso soltanto, meno avido della brama di creare, come in altre mie opere, che di quella d'esser nule, e simile all'ape che dal sugo di tutti i fiori il suo mele compone, ho raccolto ciò che mi è sembrato potersi esibire con utilità, e al mio oggetto meglio servire; perciocché nel troppo die s'ignora, il poco che si sa, si. sappia bene almeno. Che se.talvolia le mìe proprie idee presento,. egli è con la più scrupolosa accortezza, e per richiamare un utile principio, manifestare un grave errore, o dimostrare una sconosciuta lacuna. Ma, in generale, . io mi sono . appalesato il. meno che mi è statò possibile. No adottato la massima, di Bayle: Une bornie pensee, de quelque endroit quelle parte, vaudr'a toujours mieux qu'une soLLÌse de son crù n'en deplaise a ceux qui se va lite ut detrouver tout chez eux, et ne rieO lenir de persoli ne. Per nitro, un libro redatto con accorgimento, è quasi sempre l'epilogò de' lumi dell'epoca sua ; è una pietra migliare posta dalia mano del talento nella strada dell'esperienza e del sapere. Io mi sono limitato a scegliere, nelle opere le più conosciute e applaudite, le opinioni che più sagge mi sono sembrate, ed ho avuto impegno citare quegli uomini dotati di Jbrte ragione, di sagacità poco ordinaria, e d'infaticabile ardore per lo studio e per la meditazione ; lungi però dalla sciocchezza quasi universale, che volentieri crede la verità sotto la barba canuta de' vecchi secoli, e sotto un nome d'antica e pomposa rinomanza. In riguardo alle quali opinioni qui addotte, ne ho indicato costantemente le origini; e nel riprodurre le attinte citazioni, rimossa bensì la servile pedanteria, ne ho in gran parte verificata la esattezza, dichiarando tuttavìa con Montaigne: Tel allegne Platon et Homère, qui ne les void onques; et riìoy, ay prins des lieux assez, ailleurs qu'en leur sotirce. Questa sorge/ite di' erudizione e faconda dottrina, al chiarissimo Monfalcon, qui principalmente si debbe. Egli ne è il modello, la guida, l'originale ; come Luciano e Vi. Lo studente dee viver fra te IlevoI mente co*suoì condiscepoli ; ei deve scegliere fra loro un Mentore, richiederlo di consigli, pregarlo dirìgerlo, mancando talvolta questa guida tra 1 professo ri; avvegnaché l'alunno che studia senza consiglio e senza norma, lentamente e disordinatamente si avvia nella sua camera, profitta poco di sue letture e di sue osservazioni. Ma allorquando, più inoltrato, è idoneo a rendere ad altri principianti i huoni avvisi che ha ricevuto, non debba egli mostrarsene avaro o restìo, e tanto meno, poiché insegnando ad altri, accrescesi maggiormente la propria istruzione. Se egli vuole impiegar bene il suo tempo, sfuggir deve tutù quei fra' suoi condiscepoli che passano i più bei giorni di loro giovinezza nella infingardaggine, nel gioco, nello stravizzo, nel libertinaggio, net perditempo. L'ignoranza, la presunzione, la necessità di palliare Iti appresso coll'intrigo il difetto di sapere, la perdita della salute e dei costumi, sono i funesti risultamenti delle associazioni sotto auspicii diversi da quelli della positiva diligenza agli studi e dell'ardore per la scienza. Ricercate voi alunni quello tra' vostri compagni, che a preferenza si mostra animato di verace filantropia, disgraziatamente assai rara, che, felicitandosi de' suoi progressi, si anima all'idea de'servigi ch'ei potrà prestare un giorno in sollievo de' suoi simili. Penetratevi di questi nobili sentimenti, onde abbia a potersi dire di voi; Egli è uno del picciol numero fra coloro che onorano una professione, tutti i membri della quale onoratissimi esser dovrebbero. Ma se non sentite questo nobile amore dell'umanità, che eleva l'uomo sopra sè stesso, non lo simulate almeno; siate probo soltanto, e non ostentate una virtù a voi estranea. I professori hanno dritto al rispetto degli alunni, le loro lezioni ascoltar si devono in silenzio, gli applausi e i segni d'iinp roba z ione sono del pari biasimevoli. Il discepolo giudizioso applaude al professore dotto e benemerito coll'assiduità : alle lezioni di lui, da libera scelta esclusivamente spintovi ; e, pur troppo! Io biasima, dimenticandosene: privare gli allievi di questa libertà, equivale togliere a' professori la più dolce ricompensa del loro sapere, del loro talento e zelo. Giovani e stranieri ad ogni vergognoso interesse, gli alunni giammai si ingannino nella scelta del corso che seguir devono, proferendo essi ognora se non il professore più eloquente e più dotto, il più insinuante almeno e chiaro, nelle lezioni del quale maggior profitto ritraggano, Finalmente sostenuti gli esami, disviluppata la tesi, ed il candidalo pervenuto al grado di dottore, gli è necessario dedicarsi a riuscir medico. Egli va ad entrare nel mondo, bisogna quindi additargliene la condotta, di che abbisogna il giovane che è passato dal collegio all'anfiteatro, e da questo agli ospedali. Colui che ha più lavorato è quegli che maggiormente trovasi imbarazzato in tale incontro ; colui che si è indonnato della società correndo dietro «'piaceri, sente appena la transizione; avvegnaché, familiare alle sociali abitudini, avendo intrigato pe 'capricci, gli è facile intrigare per la fortuna: lo scopo solo è cambiato, ovvero modificato, il mezzo rimane sempre lo stesso. Questa norma è degna d'ogni attenzione. Il giovane dottore ritorna da suo padre, e riceve da lui una disposta clientela: inatruito o ignorante, egli eredita la paterna rinomanza, e questa eredità non è al certo la meno curiosa di quant'altre in società si acquistano; ovvero gode de* beni di famiglia, dimentica i suoi libri, non vìsita ammalati, sol vagheggiando una ricca ereditiera di cui lusingasi essere sposo; oppure ostenta un'opulenza iittiz.ìa; ed il maggior numero si agita per ottenere un posto, da valere qual patrimonio di talenti. Le circostanze però aiutano talvolta lo istruito e modesto, e la fortuna è allora giustificata de'favori che spesso largisce al ciarlatanismo ed all'ignoranza. Additare dunque all'inesperto medico il sentiero onde trionfare degli ostacoli che incontratisi ad ogni passo nella società; fargli conoscere la dignità del suo ministero, ed i doveri che adempir deve socialmente in generale, ed in particolare verso i suoi ammalati: giustificare i medici e dilènderli dalle calunniose persecuzioni; e, quali sono precisamente, dimostrarli: ecco il sommario di questa monografia. Veggasi all'uopo il Dictionnaire abrégé de médecine; ed anche De Renzi, Sullo stato della medicina nell'Italia meridionale e sui mezzi di migliorarlo. Un medico ha trascorso gran numero d'anni nelle scuole, ha frequentato con zelo gli ospedali, con assiduità le biblioteche; nessuna parte della teorica gli è ormai straniera: dopo avere consumato il tempo più bello di sua vita nello studio tanto lungo e laborioso dell' arte di guarire, egli viene a chiedere al pubblico quella fiducia di cui per il suo sapere si crede degno. Ma la nuova carriera the gli si apre dinanzi, non è meno laboriosa di quella che ha già percorsa. Aspri scogli l'attorniano da tutte le parti: la teoria cosi bella, attraente e facile ne'libri, è una guida insufficiente o infedele presso gl'infermi: tutto è generalizzato negli scrittori, tutto è particolareggiato nella clinica. Egli cerca indarno sovente que' segni che gli si è detto caratterizzare le affezioni morbose : quelle malattie organiche, che facili a conoscere ei supponeale, lo avviluppano con sìntomi ingannatori o larvati ; quelle febbri essenziali, descritte a lungo dagli autori, che frequentissime ideavasi osservarsi, giammai al suo esame si presentano. Ei vede con sorpresa l'esperienza smentire le magnifiche promesse della terapeutica. Facilissima giudicava la esecuzione dei processi operatori! sul cadavere, ma sul vivente ripetuti ostacoli lo imbarazzano. Incertezza e pericoli dappertutto egli trova. Niente di positivo apprendesi nelle scuole, è stato detto altra volta da alcuno ; e negh' ospedali, il grande numero degli ammalati, la brevità delle cliniche lezioni, l'ignoranza de'veri motivi che determinano il trattamento curativo, una lunga serie di enigmi da indovinare allo studioso allievo ordinariamente presentano. Comunque inslruito esser possa un giovine medico, osserva Vicq-d'Azyr (Eloges hisloriques), egli teme sempre l'istante di agire per la prima volta, allorquando, dopo avere ascoltato e letto, bisogna giudicare e scegliere. Scrupoloso osservatore delle regole dell'arte, e temendo ingannarsi nella loro applicazione, egli esamina con accurata diligenza, e pauroso delìbera. Gli si appresentano incessantemente allo sguardo gli ostacoli che nascono dalla complicazione degli accidenti, e le obbligazioni che il suo dovere g l'impone. Ei consiglia pochi rimedii per dubitanza, come il pratico sperimentato avvedutamente pochissimi ne prescrive. L'uno indaga la natura ed agisce di rado per 26 chè non si crede troppo illuminato su 'bisogni dì essa ; l'altro conosce i suoi sforzi, ed a secondarne i movimenti si limila, e perchè teme perturbarli, di rado anch'egli agisce. Entrambi hanno una grande riservatezza, perchè hanno i medesimi principii, e tendono al medesimo scopo. L'ignorante al contrario comincia con arditezza, e finisce con audacia. Ed in generale i giovani medici i più istruiti, sono i meno intrepidi ed animosi nella loro pratica; sempre diffidano di sé stessi, e dopo molle esitazioni acquistano finalmente quella sicurezza che al vero sapere tanto bene compete: eppure quando indefessi prolungati studj li abbinilo resi pratici cons unitissimi, diffidano rullavi» di non aver fallo troppo. Qual contrasto questi uomini laboriosi fanno col volgo de' medici! Un giovane, al primo sortir d'un liceo, e forse senza precedente educazione, vuol divenir medico: la sorte è gettala: eccolo recarsi in una facoltà di medicina. Ma i parenti suoi, poco fortunati, bastar non possono alle considerevoli spese necessarie per il trascelto stato, se non coll'imporsi le più crudeli ed oppressive privazioni : come fare allora? il tempo pressa; egli si affretta, ei s' industria per affrancarsi di esami nientemai rigorosi; saperne alquanto per sostenerli è tutto ciò ch'egli ambisce, e, appena scorsi già sono i termini prescritti, ghigne in fatto a liberarsene: adunque non più corso, nè clinica, nè libri. Qual cosa egli ignora ond'essere profondo medico? La cupidigia si sveglia: non meno eccessiva dell'ignoranza e della impudenza del novello Esculapio, essa pone tutto in uso per imporre al pubblico, e vi riesce sovente; mentre in opposto il modesto sapere, senza fautori, vegeta nell'obbho. La Bruyère ha molto bene osservato die gli uomini sono troppo occupati di loro, per aver agio di penetrare o caratterizzare gli altri. Da ciò deriva che con merito grande e con più grande modestia, si può languire lungo tempo nella dimenticanza. Non vi è nel mondo tanto penoso mestiere, che farsi un gran, nome. La vita finisce, quando quest'opera si è appena abbozzata. Un giovine medico che entra nel mondo, desidera con impazienza l'epoca quando potrà godere mia generale considerazione. Incerto del destino che l'attende, ei s'inquieta, ei s'agita, si lagna della sua situazione: allorquando frequentava le scuole, riguardava qual istante di sua felicità quello in. cui non avrebbe ormai bisogno delle lezioni de'suoi maestri; adesso che è libero di questo peso, e che il titolo di dottore gli permette esercitarne le funzioni, vorrebbe che gli anni maturato avessero la sua hsonomia, perchè la gioventù sembragli ostacolo insormontabile ai suoi successi. Egli anela il momento quando la fiducia de'suoi concittadini lo ricompenserà di tanti anni da lui consacrati allo studio dell'arte sua. Un pratico, che numerosa clientela priva di tutti i piaceri, compiange quel tempo, "allorché, più felice, abbandonar potevasi alle sue propensioni, e godere principalmente di sua libertà: con dolce soddisfazione rammenta l'epoca de'suoi studj; paragona con amarezza l'indipendenza e la felicità di sua gioventù alla dura servilità nella quale ridncelo il suo ministero, e se talvolta sorride allo spettacolo del benessere clic lunghi e penosi travagli bannogli acqui stato, la canizie de'suoi capelli avvelena bentosto la gioia sua. Laonde l'uomo mai non è contento della sua sorte ! Da' primi successi o da'primi rovesci del medico nella sua pratica, in gran parte dipende l'opinione degli uomini sul di lui merito. Quanto è delicata, quanto difficile la posizione del medico all'ingresso iu società! Quanto interessasi egli de'primi suoi malati che le di lui c ure reclamano! con quale attenzione analizza tutti i sintomi morbosi ! e, nell' impiego de'mezzi terapeutici, quanta riserba tczza egli usa!! Se l'ammalato guarisce, essendo stato semplice il caso e del numero di quelli che del solo regime abbisognano, mille voci celebreranno il profondo sapere del giovane dottore, la rinomanza si spargerli da tutte le parti, magnificando lo strepito de'suoi successi; la fiducia nascerà al grido ripetuto della riconoscenza, ed il tranquillo spettatore degli sforzi della natura, sarà agli occhi di tutti un genio che comanda alla morte. Ma che una fleminasia grave e rapida nel suo corso, gli spenga in pochi giorni un infermo nel fior degli auni, che sintomi consecutivi conducano alla tomba quello sventurato chirurgicamente operato, o quel calcoloso liberato dalla pietra, l'ingiustizia e la mala fede si uniranno contro di lui : si accusano le sue cure, si incolpa la sua giovinezza, gli si contendono le sue cognizioni, e dappertutto incontra la più cieca prevenzione e le più calunniose imputazioni; e talvolta egli è costretto recarsi altrove ad iucon. tra re casi meno disgraziati e maggiore equità. Tuttavia compiagnere, un giovane medico, che nel princìpio di sua carriera non imbattesi in malattie di 29 felice risultamonto, contro te quali la natura e l'arte uniscali loro possanza, non è un motivo ad impegnarlo prestar le sue cure per le sole affezioni morbose, di cui è probabile la guarigione. La religione e l'umanità gl'impongono una legge ili visitare col medesimo zelo o colia stessa assiduità 1 infelice che un'organica affezione conduce alla tomba, o quel malato ebe i soccorsi dell'arie richiameranno infallibilmente alla vita. Uomo pubblico, egli appartiene a tutti coloro che invocano il suo ministero, quindi non può negarlo ad alcuno. Nò l'incertezza del successo, nè il pericolo di rovesciare una riputazione tuttora mal ferma, non sono ragioni sufficienti perchè un medico sia pigro o sordo a' preghi degli sventurati, che hanno riposta in lui l'ultima loro speranza. Del pari un chirurgo non deve negarsi giammai ad una operazione d'esito incerto ma bene indicata. Condannevole pur troppo è la pretesa politica di alcuni individui dell'arte, i quali, temendo di compromettersi, hanno sommo impegno ad evitare le pericolose curagioni. L'ingiustizia frequentissima de'giuchzj del pubblico può mai scolparli di un fallo le di cui conseguenze sono tanto gravi? Quanti malati sono quindi vittima di questa falsa prudenza! Quanto la fiducia può esser corrotta da vani interessi dell'amor proprio! Le qualità essenziali al medico, per riuscire nel mondo, non sono un merito trascendente, un grande impegno per lo studio ed un profondo giudizio, ma sibbene esorbitante ammasso di ciarlataneria, instancabile cicalamento, ed un'audacia che niente può sconcertare giammai. Perche tacerlo or vi a? gli uomini hanno un pendio naturale per i ciarlatani: conoscerli bene, ecco il cardine per chi aspira a grandi successi nell'esercizio della medicina. Una vernice di sanere basta per illudere il rozzo volgo. Egli è vero che la grand'arte di ammassare danari non è meta per il medico che conosce la digitila di sua professione; non men vero è altresì che gli uomini illustri, che si sono creati dei diritti alla venerazione della posterità pe'loro rari talenti, non hanno credulo onde giug-icrvi bastare uno stodio sufficiente e porre in opera ogni astuzia ed ogni raggiro, il cui insieme compone il saper fare. Ma che importa ? quei che scorgono nella pratica medica un eccellente mezzo di fortuna, non fissano alcun significato al risonante = amor della gloria, amor dell'umanità = ed inutile giudicano la scienza, poiché non è indispensabile ad essi per l'acquisto di vistosa opulenza. Eppure i medici hanno ragione di lagnarsi spessodell'ingiustizia degli uomini, Qual forza d'animo non abbisogna loro per sormontare i disgusti ila cui sono sopraffatti? Voi non sapete, diceva Lorry alla gente, quanto ci costa per esservi utili! Un medico amante dello studio ha languito quindici anni nelle scuole e negli anfiteatri fisici ed. anatomici, ha trascorso poscia gli anni più belli della sua vita nell'aria infetta degli ospedali, il pallore del suo colorito e la emaciazione del suo viso attestano la moltipheilà delle sue veglie e delle fatiche sue. Con qual premio sono indennizzati tanti lavori? Qui, l'uomo del mondo declama contro la certezza della più nobile delle umane scienze, e confonde senza pudore la medicina ed il ciarlatanismo; là, qoeglino stessi a' quali le di lui cure hanno reso la vita, negano il ricevuto benefizio, onde dispensarsi della riconoscenza: altrove, qualunque sia l'estensione e la base di sue cognizioni e gì' incredibili suoi studi per aumentarle, il dotto filantropo medico stentatamente può formarsi una mediocre clientela, mentre al contrario nn ignorante non ha, dovuto die presentarsi in società per occupare tutlo il grido della rinomanza. Se gli uomini non ricevono dalla, medicina tutti i benelicii che sperar ne possono, ne debbono incolpare sè stesi. Essi, che all'intrigo ed alla ciarlataneria tanto facilmente accordano fidanza, solo dovuta al vero sapere; che favoriscono così spesso l ignoranza senza discernimento alcuno, e disconoscono il inerito verace ; che non aprendo mai gli occhi sopra i mezzi adoperati a sedurli, non sanno che nulla può supplire all'applicazione ed allo studio, che l' esperienza non istruirà giammai colui che non sia in istato di profittarne, e che il maneggio è quasi sempre la sorgente de'più funesti emiri. I giovani medici generalmente sono buoni, umani, compassionevoli, pronti a credere le promesse colle quali vengono lusingati; amano i loro infermi; nessuno ostacolo a' loro occhi mai non si fa incontro: la carriera che s'apre loro dinanzi sembra sparsa di fiori; e la loro immaginazione sedotta li persuade che per riuscire nel mondo è sufficiente servire gli uomini ed amarli. Illusioni amabili, voi sedurrete pòco! II paradosso del trionfo dell'ignoranza non tarderà a stancare bentosto ed opprimere il loro amor proprio ; la dimenticanza, l'ingiustizia, la parzialità, il raggiro squar ceranno a brani il troppo sensibile loro cuore ; e l'ingratitudine sarà il colmo del disinganno. Veggansi a questo proposito le seguenti opere: Plàtius, De medico audace; Heister, De medico nimìs timido; Sonnet, Satire contre les cliarlatans et les pseudo-médecins empiriques; Coquelet, Criiique de la charlahmerie; Dolàeus, De juvenis medici idea errante philosophico-medica; MimcHmr, La scuola del giovane' medico. Una' diffusa' celebrili) talvolta è meno l' elogio di un medicoj'cbe la satira del pubblico. V, : ' Si consultino le opere seguenti: Licetusv De optiiuo ^medico: Chiappa, Ippocrate, modello de' medici. La medicina non è una scienza incompatibile coli' uso de' sociali trattenimenti, nè esclude colui che l'esercita dalla politezza, dall'amenità, dalle grazie, clic formano il socievole diletto. Si può esser medico ed uomo di società medesimamente; e se alcuni malinconici dottori declamano contro lo sludio dell'arte di piacere, in ciò hanno essi meno riguardo alla dignità di loro professione, che all' impossibilità di correggere la pedanteria del loro carattere, ed il ridicolo delle loro maniere. Quella imperturbabile gravità che portano in società, come al letto de'malati, è un velo sotto il quale occultano sovente una crassa -ignoranza; e quegli inetti sarcasmi che lanciano contro que' loro colleghi che aggiungono al sapere uno spirito penetrante ed amabili forme, altro non sono che la confessione della secreta loro gelosìa. V arte di piacere e quella di guarire hanno fra loro strette connessioni. Se nn medico, troppo tardi apparso net mondo, 0 di carattere molto serio e grave, non può acquistar quella giocondità e quelle grazie naturali che costituiscono l'uomo amabile, egli deve mostrarsi tale, qual egli i; ma non sostenere un posto in cui sarebbe fuor di luogo. Chi dalla natura non riceve la piacevolezza, indarno vorrà simularla; colui che non è dotato d'un facile umore, affetta invano l'amenità: ì suoi tratti, le sue maniere, i suoi discorsi, tutto in lui è stentalo; ei diviene ridicolo per la ricercatezza di voler piacere. Pochi medici hanno goduto pieni successi di amena società come il famoso Procopio. Egli era amicissimo di molti uomini celebri del secolo dee imo Ita vo, ed il suo nome si trova spesso ripetuto ne' loro scrìtti. Piccolo di statura, brutto e gibboso, non fu perciò men ricercato nella società. Si hanno di lui alcuni brani di versi piacevolissimi, una commedia dimenticata, e cattive opere di medicina. Per riuscire nel mondo, bisogna formarsi necessariamente una maniera di essere fittizia, giungendo a possedere quella riserva abituale che reprime tutti 1 movimenti spontanei, quella pieghevole compiacenza che a tutto si adatta, ed una attenzione sempre vigile nel ccrcarè in ogni oggetto una occasione di piacere. Il medico più d' ogn' altro ha bisogno di un carattere flessibile e dì uno spirito insinuante: chi meglio di lui conosce quanto le passioni siano i motori degli uomini? Alcuni, giovani medici, troppo cruciati dello studio, vivono co' libri e nella lettura, e si. sottraggono alla società, per dedicarsi alle. (lolle loro ricerche, Questa occupazione postante ; dà. loro un;. aspetto imbarazzate», ed un timido coufteguo, di cui mai non possono correggersi, e che nuocono talvolta ai successi, a'quali la mqltiplicità e la profondità delle loro cognizioni li appellano. Ogni uomo pubblico. non deve dimenticare sulla di ciò che può assicurare la sua rinomanza. Ogni medico deve portare molta, cura ad . acquistarc i ciò che può mancargli sotto il rapporto delie .apparenti qualità, come eziandio a per fon io u are quelle del suo ingegno. I medici poi sono dispensati il' assoggettarsi interamente alle leggi dell' etichetta, .come una dì loro prerogative.,., >, I 1 >, >.• i.'-i-i i'. Raccomandare al medico 1' uso della società., non importa volerne fare un. zerbino, uu £iceto, uu bell'umore di sollazzevole compagnia ; dissuadergli il pcdautismo od una esagerata gravila, non tende, a prei scrivergli di abbandonarsi senza ritegno a divertimenti innocenti in sè s lessi e piacevolissimi, ma poco compatibili colla dignità del. suo carattere. Un dottore non deroga punto, coltivando, j^rti- amen q, q prestandosi talvolta a'giuoclu. di. Tersicore.,,; in .un convegno di scelti, anaci : uia il ridicolo è prossimo all'abuso, e la professione di quello è : molto grave f onde porre molta. riserbate,zza in tali l'utili passatempi. La vera urbanità sceglie e, conferma i'modi esteriori con le condizióni. È: tale la. severità del pubblico, che pensa male di un medico troppo abile nelle arti 4t ci nette - scienze, -'ohe -non,1 tanno rapporto dilètto colla sua professione essenziale e p ri mitri' aJ Gohii; chs vedesi sempre! ih iriiezzo alte feste ed a'tripudii) séni, braló^pqcd-bccup'àto oi tròppo aliedo idaH'arle sua. Rmunziare-idunque a' suoi gusti più diletti; eia» u^ahriegàzÌQne di sé stesso, ecco! il saccifiaioinlposU a medici. Essi appartengono alla /società, ;.!e: jquestì chiede da loro stretto conto di tutti i loro istanti, e sorveglia i loro piaceri; Un medico non; può gustare in riposo alcon sollazzo':. di giorno, non. può egli promettersi clie poche. ore di quiete; nella notte, il sonno 'suo dura sino a tanto che gli altri non r librino . bisogno di turbarlo con le ordinarkriiótturHe'niòieatie :( Ficq, ifìdfyrfr, ., .,„j,./.,{ ..)'.,(, B Kf'ì'il» ; Sotto Luigi XIV, i medici affettavano una pravi là eccessiva, . Molière; IsìibeSb di ! loro: i mpedantì dispaiv vero; ma i cicisbei sono venuti; e questo ridicolo È -forse più insopportabile dei pruno. Oh airip fori racconta l' aneddoto seguente sopra! uno di qile' dottori alla moda. D'Alembert trovatasi: presso madama J)u .Deuaiit,'ove erano il 'i presidente HenuùH :ed- il.'ia»gnor iPont-de-Vesle: sovraggiugne un medico nominato Fournidi^ il: quale, eulraiide; :dice- a màdaiha Ueffant: Madama, io . vi presento il mìa umilissimo iritìptUtOt al presidente Hénault: Signore, io li ò l'onore di salutarvi; al signor Pont-de-Velsè : iSignore, io sono il vostro iiuiilìssimo servitore; e rivoltosi a D'Alembert: Buon 'giorno, signor abate. Evvl più ridicola peUegoleria.'d*, questa vana e falsa pretensione ad osservare le sociali convenienze ì Questo stesso -.Fouinier è l'originale del Medico del Circolo, commedia di Poiusinet, dedotto da quella di Palissot col medesimo titolo. A qnal punto ormai può un medico liberamente coltivare le arti dilettevoli! La soluzione del quesito è di già presentita. Qualunque sìa il di lui gusto per esse, sacrificar lo deve al pregiudizio del pubblico, o secondarlo con estrema circospezione. Senza dubbio, il flauto a Boerhaave niente scemava a'di lai rari talenti; laonde coloro che godranno di uguale sorprendente celebrità, potranno allora, ad esempio di quello, mostrar senza pericolo il loro trasporto per la musica; ma fintantoché analoga reputazione acquistar si dovranno, prudenza esige, far bene astenersene. Ed avvegnaché, oltre l'opinione conosciuta del pubblico sulla incompatibilità della coltura della medicina e delle arti, bisogna ritenere ancora quante seducenti attrattive sono in queste, che dallo studio cosi arido e penoso delle mediche scienze possono facilmente distogliere. Colui che al sapere unisce la civiltà, un carattere piacevole affettuoso ed ameno, e la compagnevole leggiadria, è più opportuno d'ogn'altro a bene esercitare la medicina: egli onora la sua professione, ei la fa amare. Alcuni medici vivamente sensibili, o per dir meglio di poco spirito, si irritano contro la società declainatrice contro l'arte loro, e contro i filosofi che, come Montaigne, Molière, Rousseau, non credono alla certezza di essa. Qnal bizzarro capriccio) Veggansi le opere: Le Fhàhcois, Réflexions crìtìques sur la médecine. Odwyer., Querela medica. Pljitz, De oedantismo medico. Il ginevrino Odier, in nna Memoria letta all' In stituto Nozionale di Francia, ha provato con evidente dimostrazione i vantaggi, che trarrebbe la medica scienza nel suo paese, da una fondazione a perpetuità, destinata al sostegno di alcuni medici nelle università straniere. Una tale istituzione sembra dover essere la più utile. Questo progetto è stato gik concepito ed eseguito in Inghilterra dal dottor Radctiffe, che ha legato i suoi beni ad un al nobile uso. "Volle questo medico che due studenti, dell'università di Oxford, godessero per sei anni d'un* annua rendita di seicento lire sterline, a condizione di passare almeno cinque anni fuori della Gran Brettagna. La poca cura posta nella scelta de' soggetti, la coi nomina ad alcuni signori appartiene; ¥ assoluto difetto di regolamenti per esìgere da loro un discarico dell'impiego del loro tempo, hanno paralizzata una istituzione, clip sembrava 'promettere, dice Oilier, grandissimi vantaggiosi risii! lamenti. Ma, secondo Valentin, i candidati ora ottengono queste missioni a concorso, nella gran sala dell'Università, in presenza del suo cancelliere e degli nffiziali della Corona. Allorquando un uomo d'alto merito si annunzia in alcun luogOj la rinomanza proclama bentosto il suo nome da tutte le parti; il suo genio esercita sommo potere sulle nazioni straniere, e le contrade le piti remote gli inviano discepoli ed. ammiratori. Chi ignora l'inconcepibile affluenza degli allievi d' ogni paese alle lezioni di Boerhaave, di Morgagni, di Unnici-, di G. P. Franck, di Scarpa, di Sementini? La scienza deve molto a questi omaggi resi alla celebrila. Quanti abili chirurghi, anche fra gli stranieri, non ha for.fl*i^J'UlM*re;ne9aMtì.Moltìic^eriìWri-.disliiUi;jiiit:ii•mpltèi diivano il vanto essere stati allievi di ini; le,»iie. leziqjli ed i suoi esempi inibivano più de' miglio ri libri nello ammaestramento : e- quei che pec goderne oltrepassavano .immense distanze, 'iie trovavano la ricompensa .nell'entusiasmo di cui egli li accendeva per la phiiiurgia, e nel rapido incremento del loro sapere. . r .; Superfluo ; sarebbe provare ulteriormente l'utilità dti' viaggi iinedici : essi estendono la sfera delle cognizioni del medico, gì' 1 insegnano a comparare le opinioni, tid .apprezza re i sistemi') ma il maggior vantaggio che. gli' procurano è dì metterlo iti relazione .cogli: uomini più celebri d'ogni contrada, e fargli Ot;te.ne(e. dalla .loro; beilevoleftza' conoscenze,e .rapporti . del, .maggiore interesse. j., „ '-. ii l. !.. cniutou Qual, differenza. ..jj-a il leggere là descrizione, di un . processo operatorio in un'opera periodica, e vederlo praticare 'dliì suo inventore sul vivente ! -Quanto i«na' prezióse le Osservazioni cliniche filliteial letto- degli ammalati; o nella, intimità del congresso de" dotti -'ohe primeggiano nell'arte di guarire! Un mcdieo illumi-; nato che visita gli stranieri 1, studia con cura ti! lorte metodi' d' insegnamento e di terapeutica ; > osserva i grandi medici nella Iqrd predica pat'ticdlarej si ini pai-, dronisce sul luogo del carattere delle endemìe, osserva le gradazioni die esibiscono secondo lemslat^' lie epidemiche e sporàdiche, e secondo le rpgicmi; nota con esattezza tutto ciò che- e raltttivo alla pò*, lizia degli ospedali, visita le collezioni, di storia natoraic e di anatomia, patologica, e fissa principalmente' l'attenzione sulle innovazioni introdotte nel dominio; della materia medicai' 1 'i*f ' ' h >i'»"l '">i liti Mn un medico non può trarre vantaggio del suo soggiorno nelle straniere focóltà, s'ei non adempie le' seguenti condizioni: i.° È indispensabile possedere la lingua 'del paese : coma potrebbe egli, se l'ignora,' seguire le lezioni de' professori, leggere Je opere no-, vel!e, ed assistere alle mediche conferenze?' un^int^r-' prete, è fastidiosa ed insufficiente risorsa. à"-Se'iè>cognizioni tìi lui non siano di già molto éste'seì, gli sarà impossibile ben ponderare le teoriche ed i fottirecenti che gli; saranno' partecipati, e comparare ciò che preventivamente ei sa. Per questa ragione i vjag^i' mèglio ammaestrano gli uomini instruiti: costoro sa mio difendersi dalla seduzione a cui sospinge naturalmente tutto ciò che è nuovo; essi soli sanno ««servare, di*- . scutere e giudicare. 3° Di tutte le qualità morali; la più preziosa per il . medico viaggiatore è un sano giudizio, col quale indaga e distingue ciò che è buono essenzialmente, da ciò che è vizioso o indifferenti;; né ritiene come scoverte preziose le bizzarre innovazioni, ed apprezza di più i fatti pratici, e gli oggetti di utilità dimostrata, che non lo vane teorìe o le brillanti speculazioni. Alcuni medici o chirurghi di chiara rinomanza, animali d'ardente zelo per i progressi deli' arte di guarire, hanno intrapreso, in epoche diverse, parecchi viaggi presso le nazioni più illuminate e dotte d'Europa, onde conoscere da loro stessi i gradi di perfezionamento della scienza. In effetto allorquando sparsesi in Francia la fama che Cheselden onerava col massimo successo un nuovo processo operatorio per eslrarre i calcoli dalla vescica, Morand propone all'Accademia delle Scienze d'andarvi in persona ad esaminare ciò localmente: egli vi fu spedito, ed ottenne dal celebre operatore di Londra le istruzioni ohe desiderava con tanto ardore. Simili nobilissimi motivi condussero Chopart, Valentin e Roux in Inghilterra, e G. Franck a Parigi: merito più laudevole in questi sommi dotti che nulla aveano da invidiare agli stranieri ! ' t Il più illustre de'medici viaggiatori è stato il gran vecchio di Coo. Ippocrate, ad esempio de'filosofi del suo tempo, andò a cercar lumi in remote contrade: egli percorse la Grecia, l'Asia e l'Europa, le isole dell'Arcipelago e delle coste del Settentrione, e le contrade che avvicinatisi agli Sciti nomadi ; in Tracia poi ed in Tessaglia egli si fermò assai lungo tempo. Riconoscendo nei viaggi fatti tra le indicate condizioni, vantaggi certi ed evidenti, creder pero non debbo n si d'estrema o precisa necessità. Avvegnaché qual è il loro scopo! conoscere i progressi dell'arte di guarire presso gli esteri: ma tutte le utili scoverte, tutt' i fatti degni di rilievo, i nuovi interessanti processi cperatorii, sono pubblicati da'loro autori, o da quelli ebe li avvicinano, quindi conosciuti pur sono da tutta la gente dotta europea. Morand non era pervenuto ancora in Londra, nel 1736, che Garengeot e Perebet aveano scoperto ciò che egli cola andava rintracciando. Lo aver troppo vagato nel mondo è anche meno un titolo di raccomandazione. Quanti medici, per lungo tempo cosmopoliti, che vengono finalmente a stabilirsi fra noi, non hanno guadagnato nelle loro corse moltiplicate fuorché alcuni errori dippiùl Aggiungasi a queste considerazioni che un medico, arrivato in una capitale straniera, può difficilmente giudicare convenientemente gli uomini co'quali è in rapporto, e gli accade sovente considerare e spacciare, colla miglior fidanza possibile, per grandi medici o abili operatori, individui troppo mediocri, mentre si tace di dotti valentissimi, di cui ignora vasi l'intrinseco merito. Veggasi Bartholihks, De peregratione medica. pX»^um^J^;l ! r; ^ Delle Società di Medioimt. ['' ili : perfezionamento dell'arte di guarire; è Io .scopo delle • Società ili medicina: esse esaminano lo acquistàle> cognizioni, ripetono gli sperimenti ed i ..saggi), li ritrovati, le scoverte che interessano la salute degli nomini, coltivano tutte le scienze mediche e le scienze fisiche ne 1 lóro rapporti colla medicina, chiamano nel, loro seno tutti coloro che si addicono con ardore e : successo al loro studio, si valgono de' lumi di tutti i dotti dell' Europa, mantenendo con essi una attiva corrispondenza, raccolgono gli sparsi fatti, e pubblicano le nuove invenzioni e scoperte, propagando delle questioni di cui la soluzione c propria a favorire lo sviluppo delle mediche venia teoriche o pratiche; e finalmente nessuno de'mezzi trascurano che liberar possano l'arte di guarire da vani sistemi, e stabilire principii generali fondati sull'osservazione della natura. Molte di esse hanno instituito vari regolamenti onde soccorrere l'indigenza di gratuite consultazioni : queste cliniche sono vantaggiose, e per l'onore che la loro esistenza fa diffondere sulla medicina, e per gl'importanti servigi che gli sventurati ne riscuotono : e sottraggono inoltre non poche vittime al ciarlatali ismo. Nelle pubbliche tornate di queste dotte adunanze, uno de'membri rende conto de* lavori della società: altri membri l'anno omaggio a' loro concittadini dei risultameuti delle loro ricerche e delle loro meditazioni sopra i punti diversi delle mediche scienze che hanno occupato la loro attenzione. Non si farà qui la superflua e troppo lunga enumerazione de' benefizi, che la società deve allo stabilimento delle Academie di medicina; nè insisterassi sugli immensi progressi che hanno concorso a migliorare l'arte di guarire; nè qui vuoisi presentare lo storico ragguaglio de'fasti loro, che hanno cotanto illustrato la medicina e la chirurgia. Pubblicando le loro Memorie eia raccolta de'premj per quelle diggià coronate, le società mediche molto contribuiscono al perfezionamento della scienza di cui si occupano. Ed i giornali ch'esse rendono eziandio di pubblica ragione, riguardar si debbono qual deposito de' loro lavori, e generalmente come quello di tutte le mediche cognizioni. Compongousi questi di osservazioni, di memorie, di analisi di opere nuove, sotto i quali rapporti utile interesse presentano. È loro scopo far conoscere tutte le scoperte, diffonderle dappertutto, e valutarle: l'esteso dominio della medicina loro appartiene, il quadro statistico presentar ne deggiono, e seguire passo a passo ì progressi delle diverse scienze clic vi si riferiscono, paragonare la dottrina degli antichi a quella de'modemi, ed apprestare sufficiente idea della letteratura medica straniera. Un pratico occupatissimo non ha il tempo di leggere molti libri: un buon giornale gli offre il sommario delle mediche novità; e per i medici di provincia è specialmente utilissimo, che di rado le novità conoscono, ed in gran parte le ignorano. I giornali di medicina offrono utili materiali allo storico dell' arte, di guarire; agli oltramontani conoscer fanno lo stalo della scienza; e presentando in fine un momentaneo interesse, che formane il pregio, possono perfettamente conciliarsi col merito più solido dell' istruzione. Un giornalista di queste materie apportar deve, nello adempimento dell'impegno suo, uno spirito emancipato d'ogni sistema, d'ogni pregiudizio; mostrar l'errore con accorgimelo } ma perseguitare il ciarlatanismo con intrepido coraggio ed inalterabile costanza. Le analisi delle novità mediche non potranno esser utili, che allorquando avranno una estensione proporzionata all'importanza dell' opera, e la critica o la polemica siensi compenetrate evidentemente nelle idee dell'autore. E debbesi ornai desiderare che non avvengano più a' dì nostri quegli attacchi indecenti e vergognosi, che offuscano la reputazione d'uomini, meritevoli di slima reciproca e del civile rispetto di ognuno. Nò tale e il linguaggio che i dotti usar devono: i giornali di medicina sono fatti per arricchirsi de' loro lumi, non per servir loro a campo di guerra. È però vero clic all' aggressori; il torto :ippartieiie, ma uno spirito superiore nioslra maggior grandezza d' animo nello sdegnare una ingiuria die nel vendicarsene ; dirigendo egli a' suoi nemici, a'suoi vili detrattori (che, forse inabili in tutto, vanamente si sforzano atterrare l'altrui rinomanza, alla (.pitale pervenir non polendo sì vendicano col dime male) le severe derisioni del ferneyano filosofo, ilfjle, mais rampe; o imitando l'austero disprezzo di Fontanelle, un silenzio cioè imperturbabile e costante, dedotto dall'avviso dantesco: Boa rujjiouar,|i „, a guarda e passa; omettendo anche spesso di guardar mezzo facce, bifronti o protei mostri. Un giornalista imparziale, nel render conto di un'opera, manifesta gli errori e le inesattezze, ma rispelta sempre l'autore; nè mai permettesi lanciargli contro verun epigramma. Gli amari sarcasmi ristuccano, senza persuadere giammai. Egli deve accuratamente astenersi e dalla preoccupazione dell' odio, e ' dalla prevenzione dell'amicizia o delia stims; questa ' accieca talvolta i nostri aristarchi; laonde si desidera almeno che non profondano con eccesso i loro elogi a coloro non del tutto sforniti di merito, ma che in realtà non sono quali voglionsi magnificare. Le lodi {Dici, fjhilosophitj-) recano nocumento a chi le dà, senza giovare a chi le riceve. Taluno de' nostri medici è qualificato come eccellente scrittore, e frattanto nello sue opere sembra che ignori le regole primordiali dell'arte di scrivere. Queste perpetue ed esagerale adulazioni, che ricevono ne' giornali alcuni individui titolali, non daranno peso alla posterità: bisogna anche una misura negli encomi che si dedicano a' sommi talenti. Gliénier ha esposto perfettamente le qualità che un buon critico posseder debbe. L'ignorante, egli dice, non vede la beltà, il detrattore non vuole vederla, il critico la vede e la mette in evidenza. Parla egli de' grandi scrittori che furono, con rispetto se ne occupa, ma non già con idolatria. Il critico, giusto verso i trapassati, è giusto e benevolo verso i viventi: ei non si limita all'ammirazione de' capi d'opera, ma paga un tributo di stima agli utili lavori. La critica è la scienza del gusto, illuminata dalla giustizia. Scoprire e mostrare gli errori in una medica novità, rilevarne le inesattezze, dimostrare 1 vizi del piano, estrarre e volgere in ridicolo alcuni brani difettosi, non è impegno troppo difficile; un giornalista però opera meglio nel far conoscere il buono d'una produzione, che fermandosi sui difetti di quella. I sarcasmi costano meno d' una giudiziosa riflessione, imperciocché — Crìtiquer est aisé, juger est difficile. — D'ordinario gli errori di un'opera non attirano tante critiche all' autore, guanto le bel Istruire è lo scopo della critica : per adempirlo, un giornalista deve possedere profonde e svariate cognizioni, onde ben giudicare delle relazioni riferibili alle mediche scienze. Una vasta erudizione non lo dispensa dall'arte di scrivere, e principalmente dal gusto, senza il quale le sue critiche ributterebbero il leggitore. E nel render conto di un libro novello. eviterà egli ogni sorta di digressione, seguirà ii cammino dell'autore, e produrrà le di lui principali idee, sia per approvarle, o per confrontarle con altre analoghe, emesse da contemporanei o dagli antichi ; cercando ancora per sostener l'attenzione di variare il suo stile secondo il tema. La natura delle materie sottoposte alla sua critica, non lo esclude di scrivere colla bramata eleganza. Queste riflessioni generali sulle società dì medicina saranno scusabili certamente, avendosi avuto l' intendimento di seguire il medico in tutte le situazioni, ove la sua professione potrebbe ridurlo, cioè di accademico, giornalista, ed autore. Il medico più abile è colui che alla vecchiezza riunisce un vero sapere: gli anni nulla hanno tolto alle suo cognizioni: l'età anzi lia maturalo di più il suo giudizio. Non meno istruito del giovane medico, più franco nell'arte d'osservare, ed a costui superiore, egli possiede inoltre il prezioso vantaggio d'una lunga esperienza. È vecchio medico colui che è saggio ne' consigli, intrepido ne' pericoli, accorto a preveder l'avvenire, di molte risorse, e di grande dottrina. 11 sapere invecchia un giovane, l'ignoranza fa d'un vecchio un alunno; ciò che manca all'eLà, lo compensa il talento : Quid numeras annos ? vixi 'maturior annis, Ada semin facilini, haer, numeranda fili. Ma non per lo scoprire una calva testa o adorna di capelli bianchi, può un pratico manifestare d'aver del merito, chè dimostrasi bensì in una professionale conferenza, principalmente al lcllo dell'ammalato. Gli antichi statuari! non depilavano la testa venerabile di Esculapio; nè la calvizie fu mai una prora del genio. Un giovane può essere gran medico; e difficile cbe un vecchio sia gran chirurgo d'esercizio. Celso vuole che il chirurgo sia giovane, almeno poco inceppalo dagli anni: allora soltanto egli unisce il fuoco dell' immaginazione alla destrezza ed alla fermezza della mano. Un vecchio operatore non intraprender?! giammai quanto un giovane; l'età gli comunica Una invincibile timidezza, che spesso col nome di circospezione si onora. Il positivo ingegno, non il corso degli anni, fa 1' elà del medico. Un giovane dotato di criterio medico, può essere precocemente un buon medico; ed un pratico di sessantanni, tuttoché egli ave&c veduto centomila infera», non sarà medico giammai, se trovasi sfornito d'i questo prezioso dono della È un pregiudizio adunque il riguardare qnal miglior medico colui, che ha veduto il massimo numero possibile di ammalati. Tale è pur tuttavia Io errore del popolo; egli non domanda, dice Zimmermann, se i'l tal medico sia istruito, penetrante, di genio, ma se abbia canuti i capelli: per lui un uomo maturo è necessariamente più abile di un giovane, e conchìude che avend' egli più veduto, debba anche più rettamente pensare. Epperciò c comune Co^a negarsi dal volgo la (tua fiducia ad alcuni medici di segnalalo merito, a'quali non sa perdonare la loro gioventù; mentrecbè senza misura inconsideratamente l'accorda a vecchi medici, indegni di qualunque stima. Esperienza e vecchiaia, sono due espressioni ch'egli crede inseparabili: e la deduzione di ciò emerge naturalmente, imperciocché ei non distingue la vera esperienza dal semplice vedere ed esercizio superficiale. I vecchi, anche più istrutti, secondano estesamente l' opinione del volgo. Un giovane del più grande talento, è a'ioro occhi mi giovane soltanto; e giammai possono sospettare probabile alcuna parila fra loro provetti. Ed ìntimamente convinti del proprio grado superiore, mai lasciali essi sfuggire occasione veruna onde far ciò valere, sia ne' consulti o negli scrini loro: eglino li videro nascere, hanno diretto i loro primi passi nella medica imitici':], comi? agguagliar li potrebbero? Indarno sarebbesi quegli dedicato tutto intero allo studio- della medicina, e negli ospedali sotto i migliori maestri, in quella età felice quando l'immaginazione è vivissima, e la memoria tanto vasta e tenace: invano sarebbe egli debitore alla costanza de' suoi lavori, favorita da propizie naturali disposizioni, e da brillanti ripetuti successi } cionuonoslanle sarà egli sempre pei vecchi un giovane senza esperienza, che promette solo qualche cosa per l'avvenire. Sessant'anni di pratica è una prerogativa, alla quale riunisconsi tutte quelle qualità, il cui insieme forma un gran medico! Però meno si vanaglorierebbero dì loro esperienza, se ricordassero il saggio dettato di Galeno: Medicos qui solam experientìam scquiuitur non admitlimas 3 quonìam ipsi siati Ulìotae jacittnl, quae vident inspicieru.es, et rerum quidem eventata cohtuentes, causam autem ignorantes. Un poco d' invidia forse nemmeno manca ne'giudi zi resi da' piatici anziani pe'loro giovani colleghi : tulli mettono al confronto l'annosa esperienza, di cui tanto premurosamente si prevalgono, conlro la non curva gioventù, che sembra loro difetto grandissimo per un medico. 11 che non a' vecchi medici in generale si dirige, ina a' pratici di mestieri esclusiva mente. Allorquando un medico arriva ad avanzala età, dopo lunga e felice pratica; allorquando un sapere estesamente riconosciulo gli ha acquistato una meritala considerazione, onorato nel mondo, veneralo da' giovani di cui è il Mentore, termina egli infine gloriosamente una carriera percorsa con distinzione. Chi non ha provato un vivo sentimento di ammirazione e di rispetto, avvicinando questi illustri vegliardi, la cui testa oltraggiata dagli anni, conservando bensi il fuoco di giovinezza, richiama l'immagine degli antichi grand' uomini ? Chi non ha sentilo una religiosa emozione, ascoltando la loro voce tremante e fioca in quegli anfiteatri che per sì lungo tempo hanno eccheggiato delle loro dotte lezioni ì Non havvi spettacolo cosi imponente nè più rispettabile della vecchiaia di un medico, che ha passatola vita sua nell'esercizio de' doveri del suo slato, nè altra stima esiste più legittima di quella profondamente sentita, che egli inspira. Ma concedere una cieca insensata considerazione ad un pratico, unicamente perchè il tempo ha increspato la sua fronte ed incanutito la capelliera, e 58 negare Farle di osservare e l'esperienza . a' giovani perchè non sono ancora vecchi, non' è qucslo un ridicolo pregiudizio, contro il quale la ragione e l'interesse dell'umanità non reclama abbastanza? E mentre la vecchiaia indebolisce le intellettive facoltà degli uomini, un medico ignorante goderà forse egli solo l'esclusivo privilegio di ricever per essa f esperienza il giudizio e l' ingegno, di cui è Stalo privo per tutta sua vita? Firtiitem non prima negatit, non ultima domini Tempora. Quali prerogative in favor" loro invocano i vecchi medici? I giovani, essi dicono, hanno poca pazienza, nessuna assiduità, nessuna circospezione; la loro impetuosità li trasporta; noi soli interrogar sappiamo la natura, noi giudicare maturamente, perseverare con costanza nelle nostre risoluzioni, e finalmente osservar bene V andamento delle malattie; un lungo esercizio ci ha illuminati sulle loro complicazioni, e loro varietà: fami gli a ri zza ti con esse, al primo colpo d'occhio discernere noi sappiamo il loro vero genuino carattere, malgrado l'oscurità del diagnostico; instruiti dalla pratica, noi soli conosciamo bene l'azione de' medicamenti, e la scelta che di questi far convienili; alla conoscenza squisita del genio delle malattie aggiungiamo inoltre nuovo vantaggio, non meno prezioso, quello di un metodo sicuro, invariabile, e che venne da una lunga sperienza consacrato, 17 età, replicano i giovani, sminuisce i lievi tab ilmente 1? energia delle facoltà in Ielle ttuali. Orazio lia detto : Multa senati circumt'enìunt incommoda; e Virgilio : Tarda renectut Debilitai viret animi, mutatque vigorem. "Sii puossi più disputare sul vantaggio d' una felice memoria. Questa dà la scienza, e, secondo Galeno, la scienza è l'esperienza; ed a' vecchi, pur si conosce che la memoria manca: . Prima lunguescit semini Memoria lorigb lassa sublabens fimi. Gli oggetti esercitano Sopra di noi una impressione più viva; noi siamo più atti ad osservare e ad agire, più fecondi in risorse, più indipendenti d'ogni sistema, più intrepidi ne'pericoli. Eaglivi, morto a trenlanove anni, fu il restauratore della medicina. Prospero Alpino^ prima del trigesimo suo anno, disposti avea i materiali della sua grand'opera l'Egitto. Bi chat, morto di trentun anni, e Scliwilgné e Boisseau, rapiti nel fiore dell'età, sono nel rango di coloro che hanno grandemente illustrato l'arte di guarire. Chiunque, a treni' anni, non è buon medico, non lo sarà giammai: non per gli anni, pel sapere bensì, debbe un medico essere stimato. Utilissima a'giovani sarebbe la loro unione con i pratici, che per lungo esercizio di loro professione limino acquisiate) molta esperienza; desiderevole sarebbe ancora che solto di questi dimostrassero il primo eaggio di loro idoneità: laonde, guidati per avveduti consigli, eviterebbero quegli errori che le più estese teoriche cognizioni non bastano far loro prevedere. Questa sorta di patronato era prima più comune d'oggidì: di rado veggonsi altrove come nella capitale, de' giovani dottorelli seguir tuttavia la pratica degli spedali, o collegarsi a que'clie li hanno preceduti nella carriera. Pregevolissimi saranno sempre gli avvisi d' uno sperimentalo clinico, gl 1 insegnamenti, ed ì suoi discorsi. H seguire per parecchi anni la pratica di un buon medico, offre ancora ai giovani un altro vantaggio: essi si avviano nell' acquisto della fiducia degli ammalati, e cominciano a farsi conoscere. Spesso il rispettabile professore che li dirige, lor cede ed assegna interessanti casi ed osservazioni, compiacendosi egli ognora d'agevolare la loro gloria ed i loro trionfi. Partecipando al frutto della clientela di lui e della sua esperienza, quella propria più sollecitamente sì formano; al che riuscir non potrebbero, se di sè stessi fossero in balia. Nè solamente il loro Mentore conducali alla via dell'istruzione, ma eziandio li guida a quella della fortuna. Colui che avrà la sorte di trovare sin da principio un abile pratico, che voglia scortarlo in società, e formarlo nell'arte di osservare, dovrà retribuire beneficj tanto segnalati colla più viva riconoscenza; Glie egli ascolti con rispetto le lezioni dell'età matura: che si proibisca quella presunzione cosi familiare a'giovani, e tanto contraria Y progressi della scienza; e si accostumi ben presto anteporre i precetti dell'esperienza alie brillanti teorie delle scuole. Conservino sempre i giovani medici, si ripete, la. più fervida gratitudine per colui che li ha iniziati ne' misteri dell'arte di guarire, ed abbiano per lui un profondo rispetto ed invariabile attaccamento; quindi amarlo è uno de' loro primi doveri. Onorare i suoi maestri, importa onorare sè stesso. Se il discepolo venera il professore, si gloria costui de'progressi del suo allievo, i dì lui successi formano il di lui gaudio; egli identifica la sua riputazione alla propria rinomanza, ed un medesimo vincolo di stima e di amicizia li affratella ed unisce. Mancano le espressioni onde potersi degnamente lodare quell'uomo illustre, da cui tanti giovani medici hanno ricevuto cosiffatti benefizj, vedendolo interamente impegnato ad aiutare il merito nascente, ed a sostenere colla sua prolezione e co' suoi mezzi tutte le intraprese dirette al perfezionamento della scienza. Veggansi le opere di Stebler, Optima seu non annorum sed virtutum numero computata medici aetas deducla; Stahl, Disertano da practicorum veteranvrum praestantìa; Ioncker, Diss, inaugar. medica qua esemplo plethorae demostratur quod bonus theoreu'cus bonus quoque sit praticus. Giovan-Giacomo Treyling ha sostenuto nell'università d'Ingoiataci, nel 1736, una tesi, nella quale sono discusse queste due quistioni ; Un medico debb'egli menar moglie? Qual donna gli conviene mai? Eppure costui non ha tratto forse dal suo tenia Lutto il partito eh' ei presenta. Tréyling declama troppo contro lo slato del maritaggio, confessando medesimamente che il volgo accorda con minor facilità la sua fiducia a' medici celibi che a quelli avvinti da'nodi d'imeneo:' osservazione evidentissima questa, e di gran peso. Egli passa in rivista successivamente lutti i disgusti e gli affanni che fa provare al marito la moglie opulenta, o quella che per natali dislinguesi, ovvero se alla classe plebea appartiene; e piacegii citare tutti i passaggi e dettati de'filosofi diretti contro il maritaggio, insistendo finalmente su certo pericolo che si indica L'i j i Dy Co qui appresso con le testuali parole del dottore di Baviera : Jccidit et hoc viro praesertim medico, quod si juvenculam sibi junxerit, fiancque fbrmosani, Imbeat quod metuat ìllud Epicteti dicentis: Qui formosam duxerit, habebit communem. Cura enim medicus densa praxì obrutus, nec domus nec uxoris custos esse valeal, quid? si haec interim hospitalis alt, et Dianam aemulata cornifica metamorphosi marilum cervina superbum corona in Acieonem transformat, kaeredesque ipsi afferai, non nisi adamitico cum ipso sanr guine conjunctos? Ita ut non sernel saltem tacite secum murmurare querelas debeat: hauti ego mi uxorem duxi, tulit alter amorem: sic vos non vob'is. ( J. J. Treyung, An et qualern medicus debet uxorem ducere, Orai. ìnaugur.). Questo scrittore più serie obbiezioni avrebbe dovuto proporre contro i legami del maritaggio: le declamazioni sono sempre false, e fanno vedere un lato solo degli oggetti. A'ridicoli pericolameli ti che fa temere il tedesco dottore, ben si possono opporre j vuutaggi grandissimi, di cui l'imeneo fa godere il medico. Altri dimostreranno i gravi perigliosi inconvenienti del celibato, e faran conoscere il benessere di una scelta unione, benedetta dal cielo; io mi limiterò ad indicare molti efficaci motivi, che impegnar devono principalmente i medici ad associarsi di buon'ora una compagna degnissima. Il maritaggio dà al giovane medico maggior consistenza, più solida maturila, gli fa scusare folli sua; gli acquista la fidanza di vari mariti e di capi di famiglia, i quali, s'ei non fosse ammoglialo, rifiuterebbero forse le di lui cure. 04 Pensa HiifFmann clic un mediai affrettar non dobhest al mairi moiuo, mrnochè non Irosi mi vantaggiosissimo stabilimento; perchè, die' egli, una moglie e l' imbarazzo, il disordine, il viluppo della domestici ei-niwmia, assorbiscono la moti del tempo che n>ige lo studio. Questa riflessione è fonduta sino ad un eerto punto, ma non deroga quella precedentemente emessa. Un medico assai dedito a' lavori ilei gabinetto, rifugge le delizie dell'imeneo; per lo che fra' dotti, molti celibi si numerano; ma tuttavia una moglie e figli possono perfettamente conciliarsi coU l' a more dello studio. Bacine era maritato, ed occupavasi egualmente di sua famìglia e de'suoi studi, e le domestiche cure non gli menomarono hè i suoi lavori, ne la sua gloria. Montaigne eralo pure. Cicerone, Plutarco, quasi tutti i filosofi e gli antichi letterati di Grecia e di Boma, erano virtuosi mariti ed ottimi padri. Tale fu Ippocrate. Il grand'Haller trovò la felicità con una sposa diletta, e fu uno degli autori piò fecondi del tempo suo. Morgagni era maritato. Sabatier contrasse un secondo maritaggio in età anche sconveniente. Frank, Pi nel, Broussab, ed allrì chiarissimi luminari, non sono vissuti nel celibato. L'uomo non è fatto per viver solo, dicono le sacre carte, ed è ripetuto con entusiasmo dallo scrittore dell'Emilio. E Socrate richiesto, se fosse miglior partito prendere o no moglie, rispose: Qual dei due si faccia, dovrassene* sempre aver pentimento. Dell" Esteriore del Medico. Molière ha vendicato l'affettata gravità ed il pedantismo de'medici del secolo di Luigi XIV. I Diafoirus ed i Purgon sono rari adesso: trovansi tuttavia nel mondo taluni degli originali, di cui egli ha così bene dipinto i ridicoli portamenti, di que'dottori cioè nutriti d'antiche teorie, che in medicina nulla scorgono difficile o inesatto, che prestati fede a'ioro sistemi come a dimostrazioni di matematica, e che se mai si osasse sottoporli a discussione, qaal reato il terrebbero. Ad udirli, l'eleganza, la socievolezza, le urbane maniere, risultano incompatibili con la professione del medico; essi fuggon le grazie, e le grazie rifuggono costoro. Stranieri a' progressi dell'arte ed alle scoperte del genio, distribuiscono senza discernimento qualunque rimedio, uccidono ì loro ammalati nel modo più coscienzioso; ed in ciò agiscono, come il Piirgon, di Molière, qual farebbero ali' uopo pe'loro figli o amici loro. Malouin, a que'tempi medico della regina, era di si fatto carattere: egli prescrisse molti farmaci ad un celebre letterato, che li usò con diligente esattezza, e guarì. Rapito di tanta docilità, il dottore gli disse abbracciandolo: Yoi siete veramente degno d'essere ammalato. Un medico deve attentamente evitare nel suo linguaggio la precipitazione, ed il parlare con esagerata gravità: il barbugliamento del dottor Bahis, non è meno ridicolo della pedantesca lentezza del dottor Macrotoo. Le sue maniere, il suo linguaggio, tutto il suo esteriore dev'essere in armonia con la dignità del suo ministero. ' Un medico ciarlone è un accrescimento di mali per l'ammalato) Se l'esteriore del medico è naturalmente imponente, gli sarà più facile ottenere la fiducia e gli omaggi del volgo. Però un talento grande, è un mezzo più sicuro per ottenere la stima degli uomini. Lìeutaud, di una costituzione debole, di un carattere indifferente e freddo, privo d'ogni esteriore vantaggio e dalla natura ancbe malconcio, non pervenne meno al primo posto dello stato suo. Alcuni moralisti, e lo stesso Ippocrate ( Dè decente habitu a ut decoro), vogliono che all'esteriore di un medico pompeggiasse la salute; e sono d' avviso inoltre essere ridicolo visitare infermi con una gracile complessione ed un pallido viso: tali considera zìo iti però sono futili interamente. Certi indivìdui godono integra salute, malgrado tutti gli esterni segni di pervertimento delle vitali funzioni. Non per la pinguedine, l'altezza della statura, la barba, od il colorito del viso, bisogna giudicare giammai del sapere di un medico. Fare alcune osservazioni sugli abili del medico, non è un occuparsi di frivoli oggetti, poco degni al tema di questo lavoro. Ippocrate, non poche ma replicate volte, è disceso a dettagli di questo genere. Ma si potrebbero omettere dacché direttamente influiscono sul giudizio degli uomini? Chi ignora che l'esteriore è tutto o quasi tutto per essiì Clic sol dall'eslerìor giudica il Biondo. Un medico presuntuoso e ridicolo si adorna di una cravatta, annodata con l'ultima eleganza, e di un abito di colore e di forme alla moda: tutto nel suo vestire, anche sino al bastone, è di modesco gusto: egli escogita, come un galante zerbino, il modo di farsi abbigliare sin da un giorno prima pel di prefisso. Un medico filosofo lasciasi vestire dal suo sarto; e tanta debolezza vi è nel fuggir la moda r quanta a ricercarla. Allorquando la carenala della seta rendeva le stoffe seriche preziose come oro, i medici ed i chirurghi sì distinguevano per questo genere di lusso: gli abiti di seta erari loro rimasti in consuetudine. Montaigne rimprovera tal magnificenza. Al tempo di G. Patin, i chirurghi vestivano a nero, con rosse calze: i medici prendevano la toga nelle pubbliche solennità, e 68 la ornavano d'una cappa di scarlatto, oltre agli speroni d' oro: e godevano sin dalla più remota antichità particolari prerogative, attinenti al loro costume, di cui erano gelosissimi. A' giorni nostri siffatte disùnzioni nemmeno si rimembrano. Sarebbe curioso ed ameno soggetto di ricerche per un erudito, la storia della toga e del cappello de'medici. Egli potrebbe seguire, nel corso delle età, le variazioni delle mutate forme, con le considerazioni principalmente sulle qualità a questo imponente esteriore dal volgo assegnate. Ed in vero il tale dottore doveva al suo vestire la metà di sua rinomanza; per cui i medici scagliaronsi con furore contro alcuni temeravii chirurghi, che osarono ambire all'onore della veste lunga; nè ignorasi che in tale importante ostinata mischia, quantità cV inchiostro fu versata a ribocco da' due partiti; ed i medici più volte pervennero a scorciare gli abiti ed i cappelli de' loro avversari, quantunque alla fine costoro trionfarono, ed ottennero di partecipare a tutti i privilegi degli emuli invidiosi. Un medico che gode grande rinomanza, può impunemente cedere al suo gusto per la semplicità; la negligenza del suo esteriore serve pure ad accrescere la sua riputazione: ma un giovane pratico farà bene nel seguire un opposto metodo : il volgo attribuir potrebbe la modestia del suo esteriore al ristretto numero de' suoi clienti. Si compiacciono alcuni uomini bizzarri coprirsi d'abiti i più grossolani, sebbene non costrettivi dallo stato di loro fortuna, nè curano nemmeno il governo e la nettezza della persona. A creder loro, un dotto pone severamente in non cale il suo esteriore, e l'occuparsene sarebbe per lui fattissima cura, chiamando filosofia questo ridicolo dispregio. Ma le sociali convenienze prescrivono al medico d'evitare ne'suoi vestimenti ogni pretensione alla singolarità. Gonviene f anzi interessa al chirurgo, dice Percy, il vestire comodamente. Ippocrate {De arte), gliene fa un dovere; e l'interesse degli infermi, affidati alle sue cure, e quello della sua riputazione e della sua propria salute, imperiosamente glielo impongono. La negligenza ed il lusso degli abiti, come si disse, sono due estremi da evitare. Bisogna che l'esteriore di un medico annunziar debba esser egli di troppo superiore all'indigenza. Nettezza, decenza, comodità, eleganza senza pretensione, sono le qualità che al sor cìale costarne di lui debbono presiedere e sempre accompagnarsi. Il dottor G. N. Stock (De temperar! da madicorum), oltre all'avere dato saggi precetti sugli abiti de'medici, si occupa anche d'altri argomenti relativi al loro esteriore; egli vieta d' essere ornata la loro capigliatura, interdice il tabacco, il di cui uso, a dir di lui, li priva delle grazie dell'amabilità, e può altronde ferire la delicatezza di certe persone. Triller ha scritto una lunga dissertazione intitolata De odore medico, nella quale egli commenta, ripetendoli, i precetti del padre della medicina sopra l'uso degli odori. Ippocrate avverte il medico di non profumarsi giammai di odorose essenze, dispiacevoli o nocive al malato. Costante circostanza ella è che certi principii odoriferi attivissimi, eccitar potrebbero violenti spasimi sopra donne isteriche, od eminentemente nervose. (Stahl, De frequentiti mar horum in carpare kumano prue brutìs. — Tissot, Des maladies des gens da monde). Più severo del vecchio di Coo, che almeno permette al medico i grati odori, avvertendo che dilettano ancora gli ammalati, Dieterich annunzia pure la sua opinione sul loro uso : Vitare omnino medica* vestimento odorìfera; optine olet medicus quam nìhil olet. Septal e Roderigo da Castro invitano il medico a non usar degli odori, se non che con estrema parsimonia. Il medico circospetto e conseguente a sè stesso, che ambisce il pubblico rispetto, deve adunque esser semplice ne'suoi abiti, grave con gli uomini, rispettoso verso le donne, senza bassezza co'grandi e cogli opulenti, serio coi membri del sacerdozio, affabile cogli inferiori, coi poveri. Il colto lettore potrà vedere all'uopo le seguenti opere: Dìctionn. des sàences médicales;V^aih, Galateo de' medici; Di-Filippi, Nuovo Galateo pei medici. La coltura delle lettere non fa parte essenziale degli studj del medico : ma può egli essere abilissimo, ed almeno mediocremente versato nella letteratura j essendoché, occupando un posto nella società, e non comparendovi come dotto ed erudito, -quale idea darebbe di se, qualora fosse costretto a mantenere un vergognoso silenzio sopra tutti gli oggetti stranieri al rapporto diretto con la medicina, o, peggio assai, se la di lui ignoranza strappassegli ad ogni istante delle scipite inezie sopra materie comunissime a chiunque possiede le istruzioni elementari? Alcuni dottori declamano contro la sollecita accuratezza de' loro colleghi, Dell' ornare il loro spirito di svariate cognizioni. Senza gusto e senza giudizio, essi denigrano tutto ciò che non sanno acquistare. Il più degno passatempo per un medico è la coltura delle lettere ; e se in convenienti limili egli la rislrigne, gli sarà utile infinitamente. La storia, la critica, l'arte drammatica diletteranno gli istanti di suo riposo. Nelle opere de" filosofi si avvezzerà egli a pensare, a conoscere il cuore umano in quelle dei moralisli, ed a scriver bene in quelle de' più forbiti eloquenti scrittori. I suoi progressi lo sorprenderanno bentosto: la di lui memoria, arricchita de' più bei tratti di poeti e di oratori, renderà il suo conversare molto piacevole; il suo spirito, nutrito e adorno de' lavori degli antichi e de' moderni, acquisterà nuova forza e maggiore attività. La sciocchezza sola può sorprendersi di veder un medico a ragionare saggiamente di letteratura, e la gelosa ignoranza può soltanto proibirgli di occuparsene per alcuni momenti. Quanti medici chiarissimi e celebri pratici di prim'ordine, appassionati per le belle lettere, hanno acquistata una meritata rinomanza colla varietà delle loro letterarie cognizioni! Non è questo, è vero, il genere di gloria che un medico debba ambire; ma per l'unico scopo di istruirsi e di formare il suo gusto, le occupazioni letterarie gii convengono, avvegnaché niente d'incompatibile presentano coli' esercizio della medicina. Bensì non inutilizzi egli mai iti accessorii studi uri tempo prezioso, di cui la società gli chiede conto: faccia egli delle belle lettere un divertimento, non già la sua occupazione esclusiva, ed allora degno sarà di lode, cercando ornare l'ingegno con la coltura di quelle. Laonde chi consacra tutto il suo tempo agii studi medici, f u cosa degna; ma colui che dedicando visi col medesimo ardore, sa impiegare altresì alcuni istanti alla utile letteratura, fa assai meglio. Una educazione eccellente e scelte letture, maturano singolarmente il giudizio, infondono forza maggiore allo spirito, e, perfezionando il criterio, regolano l' immaginazione. Le belle lettere producono allo spirito ciò che produce al corpo un ottimo cibo; e chiunque è insensibile a' loro incantevoli o seducenti diletti, ha senza dubbio una organizzazione in felice. Tutti coloro che per loro professione sono ammessi in ogni classe della società, devono giovarsi del loro soccorso. Un medico che non conosce i capi d'opera de' sommi scrittori almeno del suo paese, disonora il titolo eh' ei porta : nessuna scusa per la sua vergognosa ignoranza s' incontra. Ma fortunatamente pochi meritano questo rimprovero; e non vi è professione in cui le cognizioni d' ogni genere siano più comuni, quanto in quella del medico. Alcuni medici sono comparsi con tutto splendore nella repubblica delle lettere, come Guido Patin, uno dei più dotti del suo tempo, che ha lasciato una raccolta di lettere, spesso ristampale, sopra vari soggetti di medicina, di biografia e di storia. Lo spìrito mordace e caustico di questo medico, e l'incanto della sua conversazione, aveangli acquistato una riputazione così grande, che i signori ed i principi a gara contendevansi per averlo a desinare od a cena. Ma chi fu più dotto, chi più celebre di Rabelais? Prima francescano, poscia benedettino, poi medico, indi curato di Meudon, ecc., quest'uomo sorprendente possedeva una prodigiosa erudizione, e parlava quasi tutte le antiche e moderne lingue. Tacesi qui il tema della sua bizzarra opera, ma trasandar non si dee come l'individuo stesso che narra le strane avventure di Gargantue e di Bantagruello, ci ha dato una edizione assai corretta degli Aforismi d' Ippocrate, di cui il nome dell'editore forma il merito principale. Presentemente il gusto delle scienze naturali è tanto generalmente sparso, che a' medici non è più permesso ignorarle. Ad essi socievolmente suppongono estese cognizioni in botanica ed in zoologia, e spesso lor si dirigono delle questioni sopra queste scienze. Un individuo qualunque avrebbe svantaggiosa idea d'un medico, che ignorasse del tutto la storia de' vegetabili e degli animali. Non è possibile, ò vero, che un medico sappia la botanica come un, Jussieu, Mirbel, o Richard ; la chimica come Va'uquèlin, Thénard, e Bouillon-Lagrange ; la fìsica come Biot e Gay-Lnssac; la mineralogia come Haùy, Brongniart, o Beudant; la storia naturale come Cuvier e Duméril: ma il conoscere gli elementi di queste scienze è assolutamente per esso indispensabile. E tuttoché immenso sia il dominio della sola medicina, egli può benissimo, se il vuole, trovare il tempo di far qualche sortita in estraneo campo di scienze, lettere ed arli. Si esigono pure in un medico esatte cognizioni di storia generale e particolare, di geografia fìsica e politica, e sul sistema del mondo. La storia ci mette sott' occhio le vicissitudini degli imperii, onde noi possiamo conoscere la via che conduce alla pubblica felicità. La nautica insegna ove sienvi secche, ove scogli, e mediante la bussola, ci guida al porto cui agogniamo pervenire: ora la storia è la nautica morale. La geografia, se abbiasi rispetto alla sola etimologia e descrizione della terra, un siffatto lavoro affatto nudo, sarebbe troppo sterile: ma i geografi sogliono dare maggiore eslensione alla loro disciplina; essi alla descrizione delle varie regioni della terra aggiungono la cognizione de' prodotti della natura e dell'industria, le vicissitudini degl' imperii, lo stato delle scienze e delle arti. Quindi la geografia non appartiene più ad una sola ragione di studii, ma a molti. Essere al medico politico necessario lo studio della storia e della geografia, ciascuno immediatamente sei vede. Le leggi e le costumanze de' popoli sono in istretta relazione con infiniti avvenimenti che no vengono dalla storia descritti. Basta l'ardimento d'un sol uomo per indurre (a necessità di temperare, od anche mutare le leggi. Altri oggetti, che riferisconsi alla legislazione de' popoli, spettano evidentemente alla geografia : tali sono l' influsso della varia latitudine e de' climi secondari. Esigonsi eziandio principalmente nel medico, una precisa logica, uno studio profondo dell'ideologia, una filosofia pratica, fondata sull'accordo della morale e della religione. Queste cognizioni si posseggono tuttavia da non pochi medici; per cui, son eglino senza dubbio la più erudita classe della società; ed alla dottrina che lì distingue, agginngonsi le urbane garbatezze e la virtù, associate alle grazie del loro ingegno. Veggansi le opere : Hennhanius, De eloquenUa medici} Vicq d'Aztr, Eloges historìques; Le Francois, Riflexians criliques sur la módecrrte; De Beza^ok, Les médccins à la censure; Martini, Manuale di palma medica. Alcuni medici hanno coltivato la poesia con successo. Il nume della medicina era nella favola anche quello de* versi. Apollo dice in Ovidio: Inventarti medicina meum est ; opiferque per orbem Dicor, et herbanim subjecla potentìa nobìi. Girolamo Fracastoro f stimatissimo qual medico e come poeta, si è reso immortale per il suo poema latino sulla SijiUde: i suoi versi sono degni dell' antica Roma e della Corte di Augusto. La riputazione di lui crebbe tanto, che Yerona sua patria, sei anni dopo la sua morte, gli eresse una statua. Se ingegno poetico sufficiente bastato fosse per ottenere questo supremo onore, Claudio Quillet pretender vi poteva : la sua Calìipedìa contiene grande numero di eccellenti versi. Questi due scrittori hanno posseduto in grado eminente, l'arte difficilissima a' moderni di parlar bene la favella di Lucrezio; nè uguagliati sono da Quinto Sereno Sammonico, quantunque non affatto privo di merito. Gli Inglesi si gloriano di Samuele Garth, poeta s medico ordinario del re Giorgio I. Sotto il nome di Dispensary } Gartli ha fondato uno stabilimento destinato a dare a' poveri gratuite consultazioni e medicinali a discreto prezzo, ed ha pubblicato col nome stesso un burlesco poema in sei canti, del quale è soggetto una gara ed una lotta fra' medici e gli speziali. Voltaire, che ne tradusse l'esordio in bellissimi versi, lo antepone di molto al Lutrìn. Questo strano parere d'uomo sommo in poesia, si spiega solo con rammentare l'epoca del promulgato avviso, e l'estrema iracondia del di lui carattere. Pretesi ammiratori di Eoilean servivansi del chiaro suo nome per vilipendere il grand' uomo di Ferney: l'abate Batteux avea pubblicato il suo paralello del Lutrìn e della Enrìade: Voltaire, profondamente ferito, estese il suo risentimento anche sopra Boileau. Ma tutta la rinomanza de' medici poeti si prostra ed abbassa innanzi quella dello illustre Haller. Questo genio, onore immortale della Svizzera, fu uno de' poeti più distinti del suo secolo. Erudito, fisiologìsta, ed in tutto alto maestro, Haller ha in sè riunito ogni genere di gloria. Le Muse furono compagne di lui, ed ora scendevano a trattare con esso il ferro anatomico, ora il traevano sulla cima delle Alpi a cantarne le maraviglie iti dolcissimi versi, che l'aspetto sublime di quelle inspiravagli, resi mirabili in molle lingue. Le Muse 79 versarono sul Redi il nettare di Montepulciano e di Chianti, e lungi dallo squallore degli ospedali l'introdussero nelle orgie delle Baccanti. (Monti, Necessità dell 'eloquenza). Troppo severo parrà forse il mio pensiero, ma 10 non posso approvare che un medico ambisca un genere di gloria, per lui poco dicevole. Che egli faccia de' versi destinati ad essere letti dagli amici, nulla di meglio in ciò; un tal passatempo niente ha in sè stesso di reprensibile : ma pubblicarli, ma, ascoltando un amor proprio pur troppo male inteso, affrontare 11 ridicolo che umilia i cattivi poeti, e compromettere in tal modo la dignità della medicina, ciò, a mio avviso, è la più evidente palpabile inconseguenza. Qual vano merito per un medico è quello d'una poetica rinomanza! Archidamo rimproverò Pena udrò, che lasciava la gloria di ottimo medico per acquistare quella di cattivo poeta: Basti al nocchiero ragionar de' venti, Al bifolco de' tori; e le sul* piaghe Conti 'I guerrier, coati '1 paetor gli armenti. Nutrita de ventis, de tauris narrai arator, Enumerai miles vulnera, pastor oves. Avvegnaché devesi pur ricordare la sentenza, Qua potè quisque in ea conterai diem. la quell'arte ciascun, cui atto il fece Natura, i giorni e l'opra ivi egli spenda. Più importanti cure esigono le veglie del medico: se egli ha la smania di poetare, non abbia almeno quella di promulgar colla stampa le sue bassezze e nullità. Qual è il suo scopo pubblicando cattivi versi? die pretende egli ? — un poco di fumo, alcuni effimeri elogi. Uscendo meschinamente dalla sua professione, si espone a tutto il rigore della critica e del dileggìo; e senza un talento preclaro, altro premio non può ricevere dalla inconsiderata sua intrapresa, die l'indelebile scherno della berlina. ( Bartholikus, De medicìs poetisi. La struttura de'n ostri organi è tale, che l'osservatore, colpito dal ridicolo degl’errori del materialismo, ricouosce ed ammira l'essere supremo – IL GENITORE DI H. P. GRICE -- clic ha creato tante maraviglie. Lo scalpello dell'anatomico fornisce adunque un mezzo di prova principale della esistenza d'un celeste Superno Moderatore. Tutte le virtù sono riunite nell'esercizio delta medicina, la quale estoltesi alle più alte combinazioni; dal che emerge essere ogni medico necessariamente cultore della filosofìa. Con questa non si Ìndica già quella marna, che fa porre nel rango de' pregiudizi tutto ciò che gli nomini d'unanime accordo riguardano e rispettano come base della morale; mania funesta, che umilia l'anima e corrompe il cuore, di cui però i medici sono meno suscettìbili degli altri uomini ; ma si addita quella filosofia che mostra all'uomo tutti i mali ebe l'ateismo ha cagionato al mondo, facendogli vedere la felicità nella virtù, la virtù nella religione ; che lo rende padrone delle sue passioni, gli illumina lo "spirito, e' ne matura il giudizio; ed ha in fine per oggetto primordiale, il fargli conoscere di amare e adempire i suoi doveri. Tale fu sempre la filosofia, d'Jppocrate: i di lui scritti mostrano ovunque la più saggia morale, e dipingono la bell'anima del loro autore. Molti filosoli, e Montesquieu fra' primi, hanno attinto grandi verità dal vecchio di Coo. Ciò ch'ei disse della possente influenza che esercitano i climi sul corpo dell'uomo, e delle modificazioni che questa influenza fa provare alle sociali istituzioni, è stata adottata e sviluppata dall'autore dello Spirito delle Leggi, ed egregiamente modificata dal chiarissimo scrittore della Scienza della Legislazione. Ippocratc trasportò, come egli stesso lo dice (De prisca medicina), LA FILOSOFIA NELLA MEDICINA, e la medicina nella filosofia. Scorgesi nelle opere degli antichi la osservazione d'una corrispondenza tra certi stati fisici, certi caratteri delle facoltà intellettuali e certe passioni; cioè che a tale abitudine del corpo, a tal proporzione delle membra, tal colore della pelle, -tale disposizione de' vasi sanguigni e delle parti molli, corrispondevano una data tendenza ed ùu determinato nesso di idee. Motti' fra que'savi, nella organizzazione dell'uomo comparata a'fenomeni della vita, trovarono la ragione de' fenomeni e la soluzione de' problemi morali i più importanti. La superstizione proibendo loro di licer - 83 care la verità nel .corpo, umano,- obbligava a rintracciarla ne' cadaveri, degli ammali. Diversi .medici hanno scritto opere pregiate sopra argomenti di filosofia. Antonio Van-Dale, medico dello spedale di Harlcm, erudito «omino, è l'autore d'una disseriazione siigli Oracoli, che parve troppo ardita iìlFepoca ili sua pubblicazione, di cui Fontanelle si e poscia servito a redigere, la sua Storia degli Oracoli. Si legge tuttora e. si cita con, considerazione il libro de'Caratteri delle Passioni di Marino Cureau de la Chambre, membro dell' Academia Francese, medico ordinario' del -Re. Ma pochi libri agguagliar possono l'alta filosofia dell'aureo Trattato de* rapporti del fisico e del morale dell'uomo. Cabanis ha istradato a grandi progressi la medicina filosofica. Eloquenza trascendente, pompa di stile, forza dì giudizio, elevazione di' idee, ardire saggio, tali sono le brillanti qualità che hanno generato il durevole successo dell'opera sua. Egli ha sviluppato con rara sagacita i rapporti dello studio dell'uomo fisico con quello de' progressi delT umana intelligenza, e quei dello sviluppo sistematico de'suoi organi con lo sviluppo o la sede delle sue sensazioni e -delle sue passioni. Egli ha illustrato - alcuni punti oscuri della fisiologia de'nervi ; Iva stabilito la importante distinzione tra i movimenti che dipendono dai nervi, organi della sensibilità, ed i movimenti iuvo:d b, HI Ohimè! per quale porta sortiremo noi? Perla porta d'onde si paga, rispose l'intrepido professore. All'istante, seguito dal suo collega, attraversa fieramente 1' anticamera, e va a reclamare il suo onorario. Vi sono de' medici che hanno un raro talento per raccogliere dalle loro cure ricchissimi guiderdoni. Alcune in eminente grado lo possedeva: ramato per un'ammenda di due milioni, alla quale condannato avealo l'imperatore Claudio, seppe egli in pochi anni ristabilir Lene la sua fortuna. Quest'arte studiasi accuratamente dagli uomini che preferiscono V oro alla gloria, e consiste nel far valere lievi cure, ad incitare una straordinaria riconoscenza, od a mascherarsi d'un affettato disinteresse per ottenere dallo imbarazzo di un convalescente, che teme di comparire ingrato, più vistose ricompense di quelle che richieste si sarebbero. La penna ormai rifugge e si nega a questi vili dettagli, pur troppo comuni in società. Si preferisce, come dice Gravina {Praefat. ad cupìd. ìeg. juvenC), uno gloria facile ad acquistarsi^ a quella che è il prezzo delle fatiche; ed un precoce qualsiasi guadagno ad un guadagno più onesto; Facilem enim gloriata laboriosae praefcrimits et premattina» lucrimi plemmque anteponìmus konestiorì. Ma non mirare nell'arte di guarire che un mezzo di fortuna, e sacrificare la dignità della più onorevole fra le professioni alla insaziabile sete delle ricchezze, è nfl vituperevole obbrobrio, di 'cui non si lorderà giammai quel medico che appieno conosce la nobiltà e la santità del .suo ministero. ( Mosehus, De honoribus et divitih medicìnae). I grandi talenti non sono la più sicura e pronta via per acquistare rinomanza. Un uomo di genio limitato, dice La Bruyère, agogna avanzarsi ; laonde tutto sorpassa, e dal mattino alia sera non pensa, non mira che ad un solo oggetto, lo avanzarsi. Egli ha cominciato di buon' ora a mettersi nel cammino della fortuna: ma se una barriera, che chiude di fronte il suo passo, egli trova, subito ei sbieca, rigira, temporeggia placidamente, e va a destra ed a sinistra, secondo che adito od apparenza di passaggio rincontravi ; e se nuovi ostacoli l' arrestano, bentosto rientra nel sentiero che avea lasciato. La natura delle ti i Incolta lo determina ora a sormontarle, ora ad evitarle, od a prendere altre misure; quindi il suo interesse soltanto, l'uso, le congiunture, Io dirìgono. l'i j io:d e. Difficilissimo è ad Un giovane medico farsi' conoscere in grande e spaziosa città. Ivi si accumulano una prodigiosa quantità di dottori d'ogni genere : ufficiali di salute, chirurghi d'armata, chirurghi condotti* ostetricanli, medici titolati, medici senza titoli e senza nome, levatrici, eccetera, Colà pullulano i ciarlatani di tutte le specie, dall' erborista, dati' omiopatico, dal chirurgo ortopedico, sino all' operatore erniario ed al guaritore delle' malattie -veneree: i farmacisti medesimi, colla sciringa o il pestello in- mano, mutilando le foratole, danno consulti. Quante pene adunque, quanti travagli, qual accorgimento bisognano per ritrarsi dalia folla! Come potrà il modesto nledico elevar solo l'edilizio di sua rinomanza? Quanto tempo, onde giugnervi, gli sarà necessario} Ecco ora la. indicazione di alcuni mezzi, proprj a far Ottenere al medico una sufficiente clientela; senza' pretermettere tuttavia essere assai più regolare, dignitoso ed onorevole non adoperarne alcuno. Il pubblico- sarebbe meno spesso ingannato, se non chiudesse gli occhi sugli artifìcj che impieganti pér sedurlo; se persuaso egli fosse che niente può supplire al difetto di stùdio e di esperienza, e se più avveduto ei si mostrasse nella scelta delle persone, alle quali accorda pienamente la sua fiducia. Epperò dispostò pep naturai indole ad accogliere coloro che l'abbagliano con brillanti promesse, indifferente per il merito che sdegna la briga e le vie tenebrose o l'artifizio, ei costringe talvolta il sapere a nascondersi sotto la superficie del ciarlatanismo. Uomini di nome distinto, o grandi personaggi, si degnano in qualche incontro introdurre in società 1 un medico nascente. Spesso, fra costoro, è scopo l'in- 7 l'i 4 te resse della scienza, ed i! produrre l' avvilito merito occulto; ma i più proteggono per vanita. Poco circospelli o poco idonei nella loro scelta, accolgono essi l'intrigo ed il raggiro, lasciano languire il sapere moderato e verecondo, e prodigano all' ignoranza ed al maneggio ciò che all' jslxozione ed al talento accordar dovrebbero, . Ma ordinaria, cosa è vedere il genio perseguii ato, mentre l'ignoranza trova formidabili protettori. Oh ] quanto è da compiangere un medico che sente la dignità di sua professione, e frattanto si avvede essergli indispensabile il favore di un opulento o di un magistrato! A qual prezzo compra questa umiliante protezione, di cui gli si fa sentire tanto duramente il peso ! I I protettori naturali di un giovane mèdico sono i di lui maestri, o que'pratici che, per lungo e felice esercizio dell' arte di guarire, hanno acquistato grande celebrità : la stima generale di cui godono, permette Edilmente istradare la riputazione di quello; e le lezioni ed i datigli esempi guidano i di lui primi passi nel pratico esercizio. • y, Ogni medico desideroso che il pubblico si occupi di lui, deve incessantemente agire, e procurare ognora di prodursi. Molta attività, una delicatezza che facilmente combina colle circostanze, ed un certo fondo di ragionevol ciarlatanismo, ècco il principio, delle grandi riputazióni e delle grandi fortune. Di rado il talento solo, nemico dell' artifìcio,, conduce alla celebrità. II saper-fare d'un medico può avere per oggetto la gloria o la fortuna. Pochi verso il primo scopo s’indirizzano, la folla si precipita verso il secondo. È troppo difficile, anche con molto intrigo, crearsi una fama letteraria; ma sicuri e pronti mezzi di ridursi opulento, largamente si offrono ad nomo abile ed audace, che ha preparato i suoi successi con sovvertire ogni sentimento di pudore e di urbana delicatezza. Richiamare e. fissar su di sè la pubblica attenzione, è unica bisogna. Molte strade n questa meta possono condurre, sebbene non siano tutte onorevolij ed in alcune di esse giammai incamminar non si dee un medico degno di sentito onore. Alcuni medici, giunti presso un infermo, a cui vogliono dare alta idea del loro sapere, l' ascoltano con molta gravita, affettano un profondo raccogli mento, pronunziano poche parole col tono più magistrale, e si affienano congedarsi. Ovvero alcun di loro opprime di interrogazioni il malato e quei che lo circondano, non per chiarirsi sopra oscuri punti del diagnostico* ma per dare un'alta idea di sua esattezza ed abilità nella difficile arte di osservare. Oppure un altro, ilistrutto preventivamente della ctiologia, sintomi e natura: della malattia, da un famigliare, da un amico o dal medico ordinario del paziente, traccia a costui, prima di interrogarlo, la; storia fedele; de'. suoi patimenti j e tutti gli astanti, ed il malato: stesso, sorpresi ed estatici della mirabile saga cita di lui, -interamente si soddisfano. Se il. medico perviene ad ottenere una clamorosa cu ragiono, o ad aprirsi l'entrata d'una gran casa, ed a fissare sopra di sè il pubblico sguardo, la fama non tarderà a bandire d'ogni parte il suo nome. Quasi tulli gli nomini rassomigli a no a'inonloui del Panurgo, od alle pecorelle dell' italiano poetai Dacché un ciarlatano si è procacciato un entusiasta, potrà star sicuro che in breve tempo mille altri gliene guadagnerà l'esempio. gamento dello scroto. Nel mattino seguente, io assicurai a one' curanti ed a tutta le gente, averlo io felicemente guarito: il che mi acquisto grandissimo onore e somma rinomanza. I felici successi nella pratica giovano massimamente a formare la riputazione di un medico. Il principale mezzo d'ottenerne è il circoscriversi in una ragionata aspettazione, e prescrivere, ne' casi in cui la medicina attiva non 0 evidentemente indicata, sostanze poco capaci dì suscitare notabili cambiamenti nell'animale economia. Nel trattamento, del maggior mimerò delle interne malattìe, il regime ed i mezzi igienici bastano costantemente a ritornare la salute al suo tipo normale. È dimostrato che, in questi casi, le medicazioni consigliate dagli autori, esasperano gli accidenti, e suscitano spesso delle complicazioni. Va medico giudizioso deve quindi ritenere qual regola fondamentale di pratica, il bisogno di lasciar spesse volte agire la natura. Scorgonsi sovente alcuni medici cominciare il loro pratico esercizio: prodigando agl'indigenti disinteressati soccorsi; visite, consulti, operazioni, assistenze, medicamenti a vii prezzo o gratuiti : tali sono i mezzi chf impiegano, onde eccitare l'attenzione del pubblico. 11 più urgente loro bisogno è d'esser conosciuti: tutto si pone ip opera, niente costa loro per gìugneryiì Dacché poi cominciano a cogliere i, frutti di loro simulata beneficenza, la maschera cade, ed appare manifestamente T uomo cupido ed interessato. Base del saper-fare è lo giudicar, bene del rapporto delle cose e de' mezzi idonei che vi concorrono. L' opinione pubblica, che è un mostro, un m proteo, offre altresì un fondo mobile, sui quale talora è facile edificare. Laonde mettere a profitto le circostanze locali, farle scaturire se tardano a presentarsi ; eludere le difficoltà, od a forza di perseveranza vincerle; e, principalmente, saper attendere, sono le condizioni da adempirsi dal medico che aspira a brillante rinomanza. Alcuni dottoroni hanno sempre, qu al principio .del Saper-fare, l'aspetto stranamente preoccupato: il loro contegno è quello di un uomo immerso in profónda meditazione; negletto è- il lóro esteriore, come quello d'un filosofo tutto dedito allo studio di importanti scienze; gravi ne' loro discorsi, solo si esprimono con laconici aforismi; nelle strade, nelle pubbliche piazze, ne' luoghi più frequentati, dappertutto in fine ove la moltitudine può vederli, affettano esai la distrazione ed il raccoglimento; uè mancano di quelli dal naso adunco, dagli occhi aggrottali, dal viso scarno, ulivigno, pallido e tetro per ispida barba, che baloccandosi per le. vie vanno leggendo alcuna fanfaluca per far credere essere occupatissimi, nè perdere nemmeno quel tempo ad istruirsi. Ma il loro occulto argomento,, simulando non conoscere gli usi della società, ovvero non attendere alle convenienze, che le dicono bagattelle, è quello di far sembiante d'essere esclusivamente occupati di libri e di malattie, ed ambiscono essere additati come prova del trito volgare assioma, che sempre un poco di capriccio o di follia al merito trascendente è congiunto. Presso un malato, ascoltano attentamente la storia de' suoi malori, dicono poche parole con misurata gravità, ripigliano il bastone, e scompariscono. Il ciarlatanismo di questi medici Iraluce in mezzo all' affettata lor maestrevole gravità, come V orgoglio d'Antistene attraverso i forami del lacero mantello che lo copriva. Si possono vedere le seguenti opere: Hilscher, De slralagetnaL medicis; Cobchwiz, DUsert. de requisilis medico ad praxin felicem stanate necessari^; Brisbane, Dissert. de us quae a medico ad artem bene cxei'cendam abesse deberti; Gregory, Lcciures on duties and qualificalions of a phjràcìan; Uden, Mcdicinìsche politìk; Frank, Senno academicus de civis medici in rcpubUca candidane atque officiis ex lege praacipvg eta-is; Bath, Essay ont the medicai character; Ploucquet, Der arzl; Bohn, Dasert, de officio medici; Tuessink, Oralio de eo quod medicns in arie /adendo impriutis agat ; Hufelikd, Die VerhàlLiìsse des arzles; Schinko, SjsU officiar, medici conspecuts. ; "Wagber, De medicoiwn jurìbus atque officiis. Il medico sarebbe indarno debitore alla mi tura d'un grave esteriore, e dello studio di molte teoriche cognizioni, se egli non acquistasse giammai una estesa clientela, ignorando l'arte d'ottenere la fiducia de'snoi malati ; senza la quale il più vasto talento perde la maggior parte dei suo pregio ; mentre con essa tutto riesce possibile alla mediocrità. Conosca dunque il medico per tempo quanto importi lo inspirarla. Ora pronta a nascere, essa è cieca, irriflessiva; è un sentimento involontario, di cui gli ammalati non sanno rendersi conto, ma li soggioga potentemente. Ora debole nella sua origine, si accresce con lentezza, ed intera, forte ed assoluta dopo replicate prove diviene, essendone diretta da) successo. Giudice infedele de' talenti, spesso all' ignoranza profondasi, ed al sapere si nega. Ma le ingiustizie della moltitudine sono tanto fugaci, quanto sconsiderati sono Ì motivi che le determinano ; ed il sapere, prima ignoto o non calcolato, non tarderà ad ottenere quella fiducia, di cui è ben degno. Un giovane medico non deve mai confondere la confidenza, frutto d'una stima ragionatamente sentita, con le effusioni di colui che varia con indifferenza ogni giorno il suo gusto e le sue idee, ed il caprìccio, l'azzardo o la voglia di novità solo consulta nella scelta di quegli, al quale ampiamente rimette la cura di sua salute. Una signora vi fa richiedere, voi subito accorrete. Questa languida beltà, negligentemente sdraiata sopra un canapè, apre un occhio moribondo, e con fioca lamentevole voce, comincia il tremendo racconto d'una pervigilia, che per tutta la notte F ha tormentata : ovvero traccia: l'allarmante dipintura dell'agitazione de' suoi nervi, dotati d'estrema irritabilità, coni' ella dice. Eppure la freschezza di sua pingue carnagione non dimostra che la più integra salute. Dietro il vostro attento esame frattanto, e dopo le risposte eziandio della pretesa inférma, voi avete già conchiuso essere immaginari i mali di lek... Oli! malaccorto dot. torci! Come, non: vedete voi che si vuol essere qual egrotante? Guardatevi di cosi fatta incauta imprudenza, che vi rovinerebbe peC certo.. Ma ascoltate Col più vivo interesse la prolissa storia de crudeli dolori ch'ella dice soffrire, diffondete i: più affettuosi consigli ed i più gradevoli rimedi, compiangetela di quella eccessiva suscettibilità, che a continue angosce ed a ripetuti trambasciamenti assoggetta tante attrai 425 tivc, e declamate contro la natura, che, accordando alle donne tutte le seducenti beltà, tutte le grazie e l'arte di piacere, ha menomato il pregio di tante prerogative j dando loro troppo delicata organizzazione, punendole d'essere belle col formarle sensibilissime. Ove non giunge la fiducia d' un malato pel suo medico? Vedete quell'infelice, con occhio estinto, depresse le forze, assiderato e macilento il corpo: un medico insinuante ed abile s'impossessa della costui fiducia; all'istante la speranza rinasce nell'animo di quello, il Bangue circola con maggiore rapidità, risvegliasi il perduto coraggio, e la natura e l'arte riconducono la salute. Quanto è esteso adunque l' impero della fiducia! Quanto è possente la sua influenzai Quanto immensa è la stima che eccitai Indarno una fallace speciosa lettera accusa il medico Filippo d'un orribile progetto; Alessandro con una mano gliela presenta, con l'altra porla' alla sua bocca la sospetta coppa. L'arte di persuadere è il principale mezzo di ottenere la fiduciadegli ammalali: questo è un dono che manca talvolta al genio. Non urtate giammai di fronte le opinioni ed i pregiudizi di colui che invoca le vostre cure, ma lusingate le sue idee; nè dimenticate mai che per condurlo alle vostre, vi bisogna prestarvi alle sue. Siate quindi compiacente senza debolezza, e fermo senza rigida austerità: che le più consolanti parole siano profferite da voi, ed un tenero interesse animi sempre il vostro aspetto. Interrogate con destrezza, rispondete con riserva : spiegate talvolta al vostro malato la Causa de'mali ch'ei soffre, e dichiarategli sopra quali motivi la vostra tan speranza riposa; poiché queste confidenze inspirano sincera stima, e rianimano il coraggio. Guardatevi mai sempre di annunziare un prossimo ristabilimento, ma oscurate tuttavia l'avvenire con densi nugoli: i soccorsi dell'arte sono spesso tanto incerti e deboli, che troppo pericoloso sarebbe appoggiarsi all'efficace loro forza; ed il medico, sollecito di sua fama, deve annunziare più ordinariamente un esito funesto della malattia o grandi pericoli, anziché favorevole terminazione e pronta convalescenza. I talenti del medico, per quanto trascendenti e sublimi siano, allorché vanno scevri di successi, non conservano T ottenuta fiducia; ed un piccol numero di avvenimenti disgraziati, possono facilmente atterrare la più solida e stabilita riputazione. Il pubblico, in generale, è portato ad attribuire a' medici l' insufficienza della medicina. Per ottenere la fiducia del pubblico, dice Vicqd'Azyr, si tratta meno di piacergli che di fissare la sua attenzione; e colui che aspramente lo pratica o con rigore lo maneggia, non sempre è chi ne riceve più scarse carezze. Ogni tempra di spirito ha i suoi bisogni: alcuni vogliono trovare nella figura, nel contegno, nel carattere del loro mèdico la dolcezza e la consolazione; altri amano che sia un uomo rigido, severo, minaccevole; se ei fi garrisce per gli errori commessi nel regime, essi gli sanno grado di tali rimproveri e della durezza ancora j che sembrangli effetto dell'interesse preso alla loro conservazione: altri finalmente, riguardando la medicina come una specie di magistratura, desiderano che il loro giudice sia un uomo freddo, imparziale, austero. Allorquando un malato domanda al suo medico qual sia l'indole del male di cui è aggredito, sì guardi bene costui rispondere' ignorarlo, avvegnaché eoa questa spropositata dichiarazione ruinerebbesi infallibilmente da sè medesimo; però abbia pronta sempre una spiegazione qualunque, né importa qual sia. Se lo ammalato sarà dì goffo ingegno, materiale e rozzo, alcune grandiloquenti parolone, alcuni vaghi enfatici discorsi basteranno: ma non bisogna appagare così la curiosità di un uomo di lettere, d' uno perspicace e dotto; fa d'uopo con essi di molta destrezza e di non pochi raggiri; bisogna rispondere che la medicina è una scienza di osse rvazi ohe, che il loro stato morboso non è ben caratterizzato ancora, che il tempo farà conoscere il diagnostico smascherandolo ad evidenza, o altro di simil tenore. Lusingando il malato d'una sicura e prossima convalescenza, il medico s' impossessa della di lui immaginazione, e con vantaggio serresi della energica influenza che esercita sul fisico. La speranza di guarire è un valido mezzo di guarigione. Felice colui che sa farla nascere o la sa alimentare ! Quanti : rimedi agiscono soltanto per l'idea che nutrono gli animalati circa le loro proprietà! Quel farmaco prescritto col volgare suo nome, non sarà produttivo d'effetto veruno, ma decorato di fastosa nomenclatura, opera portentosi ri sultani enti. Darà quindi il medico soverchia importanza alla sollecitudine di infondere a'suoi malati la speme d'una pronta convalescenza, e li terrà a bada adducendo altri esempi di fortunate guarigioni, tacendo loro i pericoli dello stato in cui ritrovatisi, nutrendoli sino all' ultimo istante di loro mìsera esistenza, se l'arie npn può salvarli, di quelle illusioni da essi chieste ed accarezzate; del che sono tanto comuni i vantaggiosi effetti, quanto funesti pur sono quelli d'una verace, ma crudele franchezza. Si è adunque indicato per quali mezzi il medico fissar potrebbe su di lui l'attenzione pubblica, e crearsi numerosa clientela. Non ci si faccia tuttavia il rimprovero d'essersi preteso erigere come precetti lè vie clandestine dell'intrigo, o consacrar l' artificio, il manéggio, la mala fede. Se però individui di raro merito, e nella professione applauditi, avranno creduto dover affrettare la generale fiducia con un destro ciarlatanismo, io sono ben lungi di proporre qua! modello una condotta che solo certe locali circostanze hanno potuto esclusivamente permettere. Ma il medico penetrato della nobiltà di sua professione, aspetterò sempre dal tempo la giustizia dovuta al suo merito, e di rado V attenderà invano. Sdegnerò egli di affettare la singolarità : il vero dotto, come il vero saggio, non combatte gli usi della società; ei non disprezza nemmeno i capricci della moda. Cile se vi si conforma senza esserne Io schiavo, i di lui successi saranno le sue prodezze, nè si vfr drà mendicare l'umiliante protezione dell'opulenza o del potere. 11 medico dev'essere indipendente, ed altro vincolo conoscer non deve fuorché i doveri del suó stato. L'uomo di questo carattere aspetterà forse per lungo tempo i favori della fortuna, ma allorquando numerosi ammalati chiederanno l'assistenza e la cura di lui, potrà egli, senza arrossire, dare uno sguardo sul passato, e con nobile amor-proprio dire a sè stesso : Je ne dois qu'à ìnoi seni loule ma renorttmée. Veggansi le seguenti opere : Amatus Lusitanus, Da introito medici ad aegrotantem ; Hilscherius, De medicorum ingressa ad infirmos perquam necessarios; Rais, De officio medici in itinere principis; Fischer, De medici circa moralia et physica in curandis morbis prudetitia; Chiappa, Del£ eloquenza del medico. Boerhaave non vedeva giammai un malato, nel comincìamento della sua pratica, senza registrare tutte le circostanze e tutti i segni della malattia nell' ordine che si presentavano ; . e, questo metodo, egli afferma, essergli stato di grande utilità. Ogni medico, ad esempio di questo grand' uomo, deve tracciarsi un piano invariabile, per combinare con la pratica gli studi del gabinetto. Se egli non rendesi un esatto ragguaglio di ciò che vede, i suoi falli ed i suoi .successi saranno perduti per lui; e ciò, non dalla esperienza ma dall'uso, verrà ad acquistar cogli anni. Sin dalla prima visita fatta all'ammalato, il medico scriverà ciò che avrà conosciuto, quel che ha raccolto dai racconti altrui, tutte le circostanze in une da lui osservate. Gli oggetti separatamente considerar sì debbono e con riflessione: i sintomi studiar si dovranno isolatamente. Dietro tali elementi, cercherà egli caratterizzar la malattia, avendo cura bensì di non cadere in precipitato giudizio. Bisogna lungo tempo ponderare ogni circostanza, isolarla, riunirla, 'compararla, prima di pronunziare. Tracciala la parte isterica della malattia, noterà egli nel suo giornale le indicazioni curative da lui stabilite, ed i prescritti medicamenti. La prima visita è d'una estruma importanza; essa ordinariamente decide del trattamento cmativo. Se il malato sarà esaminato in modo superici ni e, il medico giudicherà male del di lui slato; ci si inganna, e dì rado dal suo errore si emenda : ina se nulla ha egli negletto per fissare la diagnosi, il risultato confermerà, nel maggior numero de' casi', le prime di lui idee. Alia seconda -visita, ricercherà egli quali cambiamenti avranno prodotto gli impiegali medicinali, quali, modificazioni provato i sintomi della malattia, lo stalo di tutte le funzioni, degli organi digestivi, degli organi secrelorj, di quelli della locomozione, del polso, della respirazione, della circolazione, did calore della pelle, delle facoltà intellettuali ; le diverse giaciture del corpo, ed i tratti del viso, utili deduzioni talvolta esibiscono. Van-Swieten consigliava di visitare gli ammalati, in certi tempi, dieci e quindici volte per giorno, e ad ogni ora tanto di fiorilo che di notte. Ma questo precetto di,flicihiieuie potrebbesi mettere in uso nella pratica particolare. Per ben conoscere una malattia acuta, bisogna Spesso decomporla: sovente ancora, onde possedere la intera storia d'una morbosa affezione, il medico deve tener conto dell'influenza che possono esercitare sopra dj, essa la natura del clima, la -varietà delle stagioni, il regime, le passioni ed altre cose. Importa assai notar con esaltezza l'ora delle esacerbazionì o parosismi, e la natura degli epifenomeni che esister potrebbero. Senza di questo metodo, è impossibile seguire la malattia ne* suoi diversi gradi di sviluppo, di ben conoscere i suoi periodi ed il suo cammino, e finalmente di giudicare del suo stalo di genuina primitiva semplicità, o di complicazione. Tutli i sintomi caratteristici debbonsi tracciare ogni giorno, come pure i cambiamenti diversi ebe provar possono nella durata della malattia in disamina. Le impressioni fatte sopra i sensi richiedono sole un'attenzione speciale, perchè dietro un insieme di segni esterni non equivoci, e loro analogia con i risultamenti dell'esperienza, il medico deve condurre il suo giudizio. Ed ei continuerà regolarmente questo lavoro sino alla guarigione, o alla morte dell' infermo} senza dimenticare la circostanza del modo e l'epoca di terminazione della malattia. Le apposite riflessioni sulle cause del successo ottenuto, o del disastro sofferto, contribuiranno moltissimo a formare la di lui esperienza, e gli additeranno se egli abbia bene o male agito. Ma non affidi alla memoria gli osservati caratteri, li deponga bensì sulla carta, e dopo la morte del malato, o del ritorno a salute, redìga egli la storia della malattia, sopprimendo tutte le circostanze meno essenziali. Coloro che ignorano l'arte di osservare, sdegnano gli scritti di Ippocrale. I soli uomini di genio possono apprezzarne il merito, e far calcolo di molte particolarità che. sfuggono agli sguardi poco esercitati. Nicomaco diceva ad uno spettatore che niente di bello vedeva in un quadro d'Apelle: Prendi adunque i miei occhi e guarda. Il medico avrà già considerato attentamente tutti i fenomeni che possono guidarlo a caratterizzare la malattia, senza della quale precisa determinazione nessuna certezza induce alle terapeutiche indicazioni ; eppure non ha tutto adempito per meglio basare il suo diagnostico : interroghi egli gli autori originali e loro chieda lumi, confronti ciò che ha osservato con fatti analoghi consegnati negli scritti di attenti pratici, e faccia accurata comparazione della sua idoneità con la dottrina di quelli. Deve inoltre affezionarsi co'lihri de'grandi maestri dell'arte, che hanno seguilo la natura sulla via dell'osservazione. Il primo ed il terzo libro delle Epidemie di Ippocrate, i suoi Aforismi ed -i Pronostici, il suo Trattato dell' aria delle acque e de'luoghi; Galeno, de' luoghi affetti; Sydeftham, e gli - altri classici ; molte ottime semeiotiche, e nosografie ; ecco le opere principali su cui incessantemente deve meditare, e che, bene studiate, lo dispenseranno della prodigiosa, moltitudine di volumi che disutilmente ingombrano le biblioteche polverose: e poco scelte. Un medico principiante, instatilo quanto si voglia, qualunque sia la sua prudenza, non può giammai promettersi di non commettere errori nella sua pratica; e la più scelta erudizione, il giudizio il più profondo, non saprebbero dispensarlo di siffatto tributo che paga l 1 inesperienza. Prima di possedere quel tatto che caratterizza 1' abile pratico, sarà egli costretto per lungo tempo tasteggiare ed oscillare) indi, poco a poco, il suo occhio si perfezionerà a vedere clinicamente, e viemeglio famiglia rizzarsi colle varie fisionomie delle malattie. Un anno di pràtica forma assai più un medico che dieci anni di lettura o di lezioni. Quantunque i principi! della medicina sieiio costanti, spesso è difficile farne l'applicazione a casi particolari. La verità non ai presenta mai subito. Per cogliere l'indole d'una malattia, bisogna cercare scovrirla col ragionamento, eseguire ora una cosa, ora tentarne un'altra, nulla trasandare, niente precipitare, regolarsi a norma delle circostanze, ed almeno mai nuocere all'ammalato, se non puossi aju tarlo. Talvolta è utile deviare dalle strade conosciute, e deferire qualche cosa all'accidente. I metodi rigorosi presentano pochi vantaggi, e molti inconveiiienLi arrecano. Giammai un cieco operato non condurrà a rìsuUamehtì tanto soddisfacenti, quanto un empirismo diretto dalla ragione e riunito al talento dell'osservatore. Qualunque sia il carattere d'una malattia, le funzioni del medico sempre riduconsi a dirigere o eccitare gli sforzi della natura, ed a lasciarli operare. Veder molti malati non è il mezzo migliore onde apprendere a bene osservare. Una pratica poco estesa istruisce meglio il medico studioso. Colui che esercita la medicina negli spedali, vede,molto, e non vede troppo : la rapidità, con cui trascorre i moltiplicati oggetti, non gli permette fissarli. Come esaminare profondamente, ini due ore, tutte le circostanze relative alla storia delle malattie di cento a dugéutó individui? Come variare i metodi curativi secondo le indicazioni? Come, in tempo cosi breve, puossi riflettere m sopra ciò die si è veduto, rimontare da' fenomeni alla loro etiologia, e approfondir tutto? Vi abbisogna vasto talento, bisogna anzi genio per sottrarsi dal basso mestiere, praticando in grande spedale. È stato delto che un medico, il quale dì c notte corre da un malato all'altro, è simile al prete die va attorno ognora co' Sacramenti ; tulli due veggono a modo stesso molti ammalali, ed entrambi hanno della medicina la medesima esperienza. Laonde tra' medici di pari ingegno o di pari goffaggine, sono incontrastabilmente più malsicuri quelli che ad un colpo deggiono visitare un mondo dì malati. La meiite non è così veloce come le gambe di questi medici. Un medico sommamente occupato, quanti più vede ammalali, tanto manco vi pensa. La rapidità con cui gli scorrono gli obbietti, come dissesi, non gli permette osservarli, perchè gli sfuggono con la slessa prestezza, e nella sua testa non gliene rimane che an confuso barlume. Quindi non può egli penetrare le circostanze precise d'un malato e d'una maialila, nè a norma della loro differenza variare i suoi metodi e i suoi rimedi, ma prende tutto all'ingrosso. Io conosco, dice lo Zimmcrmann nel Trattato sull'esperienza in. medicina, tra la folla di medici, il più stupido di loro, secondo la moda dì oggidì, passare pel migliore. Questo Esculapio ba ogni mattina nella sua anticamera da cinquanta a sessanta maiali: egli ascolta le magagne di tulli, indi ordinariamente li schiera in quattro file; alla prima ordina un salasso, un purgante alla seconda, un crislero alla terza, ed alla quarta un cambiamento d'aria. . Un medico non può azzardare un farmaco,, senza essere impegnato ad amministrarlo colle leggi della più esatta analogìa. Per bene osservare, bisogna interrogare la natura con pazienza, e considerar, tutto il corso d'una malattia con profonda attenzione. La riunione di. queste condizioni dà sola la vera esperienza, che si è definita « l'abilità a garantire il corpo umano dalle malattie alle quali sta esposto, ed a guarire queste malattie allorquando . si sono sviluppate: Un medico, che non è dotato della felice organizzazione suscettiva e dello spirito attento e scrutatore che richiede l'arte di osservare, può veder molti ammalati e mancare interamente d'esperienza. Questi generali riflessi sulla pratica dell' arte dì guarire negli ospedali, si applicano a' medici delle grandi città estremamente occupati. Continue assenze, numero eccessivo di malati, intoppi incessantemente rinascenti, permettono loro assai poco di raccogliere esatte osservazioni; ed eglino non ne hanno il tempo nè la premura. Le grandi pittà sono il punto di unione de'medici e de' medicastri d' ogni genere, né * rifluiscono nelle campagne che allorquando, imperiose circostanze ve li astringono. Per riuscire in qualche città capitale, bisogna tempo, gran pazienza, e molto sapere. E diffìcile impegno il fissare la pubblica attenzione, e vi si giunge trovando da percorrere piuttosto ignote strade nella folla che si urta e si sforza onde pervenire [alla meta stessa. Nelle piccole città, al con-i trano, se- il medico non può sperare tanta opulenza, che sarebbeglì possibile acquistare altrove, ha il vantaggio almeno di possedere più sollecitamente la fiducia e la stima pubblica; ed ivi ricavar può egli tanta esperienza come nelle popolose città. Ippocrate ha esercitato in ristretti paesi o in borghi, nessuno de' quali era sufficiente a mantenervi un sol medico. 11 maggior numero delle sue osservazioni fu raccolto in Tessaglia e nella Tracia, di cui rammenta Lnrissa, Cranone, Acno, Oeniade, Jera, Eliso, Perinlo, Taso, Abdera ed Olinto, tutti allora piccoli villaggi. Galeno dice che in un solo quartiere di Roma eravi più gente che nella più estesa contrada dove Ippocrate si esercitava. La grandezza di un medico adunque non vuol esser dedotta dalle farraggine degli ammalati, bensì dal talento di saper trarre d'ogni caso particolare tutti i possibili vantaggi. Un antico regolamento in Francia prescriveva ai medici che destinavansi alla pratica nelle grandi citta, di esercitarsi prima molti anni nelle campagne vicine. ( Knipliof, Novo medico praxln non esse concedendam). Sembra ch'essi avessero il tacilo permesso di scozzonarsi a rischio della parte più sana e più utile dello Stato, osserva giudiziosamente Vieq-d'Azyr, e che la medicina abbia bisogno di simili espedienti ond'essere praticata, i quali sono tanto vituperosi per essa, quanto insultanti per l'avvilita umanità. Ingannetebbesi pur troppo un medico se credesse arrivare facilmente all'auge di fortuna, apprestando le sue cure a titolali infermi, e consacrando esclusivamente il suo tempo alle classi superiori della società; avvegnaché la classe agiata del popolo gli presenta una via più sicura alla sua pratica. Presso di ucsta, meno avviluppato nel!' esercizio della professione, divincolato e libero Dell'impiegare i mezzi terapeutici che giudica convenienti, di rado responsa bilo dell'avvenire, egli vi trova ancora una riconoscenza più liberale: e men negligente della vantata munificenza de' grandi. e,.,' w. .Nella estese citta eziandio, ed ovunque altrove, la chirurgia offre mezzi di sussistenza meno moltiplicali di quei della medicina. Hanno alcuni i esclusiva reputazione per la pratica delle operazioni. Costoro sono sempre quelli che 1' accidente i ha posto ;il governo degli spedali. Quindi i chirurghi lèi gli ufiiuiali di salute, dappertutto più numerosi, assai de'iuedici, non possono mantenere le loro famiglie che esercitando indistintamente, ed' alla meglio, le due: partii dell'urte di guarire. Senza vero sapere medico, ma con sufficiente giudizio per lasciare agire la natura, un inedie^ può usurpare facilmente una estèsa celebrità. Per un chirurgo è tutt'altio: i di lui errori si scorgono .in pieno giorno,, se la Sua mano è inabile,, e lutto il . superfare possibile non può 'salvarlo d'essere -designato bentosto qu al cattivo operatore. . questo, nessuna certezza in medicina. Egli . è difficile veder molti malati, e difendersi dalla tendenza del ceco medicare che inspira all'uomo la naturale infingardaggine del suo spirito; per lo che negli spedali massimamente i medici ru lini eri si rinvengono, .. Costoro, con un sol colpo d'occhio, riconoscono uua malattia; la quale,ipìù oscuro diagnòstico presenta, più facilmente da loro vien già caratterizzata: nel che, niente imbarazzali. Dietro brevi interrogazioni fatto all'infermo per sola forma, prescrivono macchinalmente un Ordinativo, che lo allievo, incaricato del lòglio di visito, scrive per esteso dopo avere udita la indicativa parola. Tale è tutta l'arte loro; tale è la loro condotta, costantemente la stessa. Ma questi pratici, il cui numero fortunatamente è poco considerevole, le sole facce de' loro ammalati conoscono appena., Alcuni medici divengono macchine coli* in vece h iare ; leti non permette ad .essi di seguire i progressi della scienza, o assoggettarsi a nuovi sludi : ostinatamente fissati alle antiche loro dottrine, non vogliono variarvi alcuna cosa: tutto. ciò che è nuovo li disgusta e li sdegna, quindi più non leggono. Dopo cinquantanni di medico esercizio, è impossibile per loro adottare altri principii, diversi degli acquistati, che per sì lungo tempo sono abituati seguire. Hokbtjus, Manudìictìo ad medfqinani. 2. f. - , Btìiti Presunzione. 1, Non chiedete a quel dottore ciò eh' ei su, si bene ciò che ighpraL Egli ha letto tutto, ha veduto tuUo: i più difficili casi non lo sorprendono; le operazioni chirurgiche più delicate sono per lui un passatempo: niente lo con l'onde; il suo genio tutto, prevede, .tutto intraprende. Di.' sè egli parla in termini magnifici: e- terrebbe a disdoro il sembrar d'ignorare cosa veruna. Quali malattie non ha egli guarito mai? H c anero e l'.'ìdrofobià confermata, nelle sue mani,' hanno cessato d' essere incuràbili ; egli 'crede possedere, senza accorgersi della tròppa arroganza, tutto il sapere che puossi avere, che giammai potrà egli acquistare: ii primo! aforismo d'Ippocrate non. ha significato alcuno per lui; e finalmente crede aver egli in .sè -infusa 'il genio ed il potete d'Esculapio: stesso. Pochi medici hanno spinto cos'i lungi il ridicolo della vanità, quanto Menecrale, nè s' ignora quali lezioni da Filippo-, egli abbia ricevuto; ovvero Come Paracelso. Ethullerus, De medico mendace. Talun medico ha grandi talenti e profondo vastissimo sapere, frattanto ei non fa numero, e giammai verun posto occuperà egli nella gerarchia di sua professione ; e eoa le' più estese cognizioni, egli ha l'aspetto dell' ignoranza. Interrogatelo: le sue risposte sono le più confuse ed inette. I casi i più semplici lo sgomentano; detesta sempre di agire, e con paura ne determina la esecuzione. Invano la natura annuncia un esito salutare; tremante ognora, non osa secondarla. Giammai non ha sentito egli quelle subitanee improvvise inspirazioni che rivelano ad na uomo di genio il carattere di una malattia complicata nel suo andamento e nel diagnostico, e fuor delle vie comuni gli fanno trovar i mezzi di trionfare della violenza e della sua pertinace resistenza. Conseguentemente nel deliberare ei perde la favorevole occasione ed il momento di rischiare con vantaggio. Un tal medico non uccìde i suoi malati, ma egli li lascia morire. Heister, De medico nimis timido; Steìnmxtzkjs, De juxta media timiditate. Alcuni medici si inorgogliscono pompeggiando non credere alla loro scienza. Svincolati d'ogni pregiudizio, trattano di vane ciance i precetti dèli' oracolo di Coo. Irremovibili nelle loro opinioni, riguardano come Favole i fatti più autentici; e l' arte di conoscere e di trattare le malattie è a' loro sguardi un ciarlatanismo, fondato sull' ignoranza e sulla credulità del volgo. Ma come non lasciarsi imporre da individui, iniziati in tutti i secreti delja medicina? Come sospettarli di malafede, allorquando in verità fanno il sacrifizio di tanti anni di studi e di lavori còsipenosi ? In siffatta guisa argomentano alcune persone volgari. Tuttavia l'uomo imparziale scopre bentosto' in questi pirronisti, que* medicastri, che, disgustati d'una pratica disgraziata, accusano senza pudore la medicina degli errori esclusivamente imputabili alla loro ignoranza. Alcuni pretesi dottori, senza istruzione, .senza talento, e sforniti non meno di scienza che di principii elementari, coloro in 6ne il di cui giudìzio è essenzialmente falso, che, per comparire spiriti forti nella professione, denigrano ciò che ignorano, condannano tutto quel che sono incapaci di comprendere, e rendonsi segno del pubblico dispregio, osando esercitare un ministero che giudicano inutile alla società. Altri medici niente scorgono di oscuro nella scienza dell'uomo. La natura non ha segreto -veruno, che non discoprano; nessun velo occulta a' loro sguardi penetranti i misteri della nostra organizzazione. Non vi sono malattie che non possano perfettamente spiegare e guarire. Questi pratici si uniformano ciecamente a tutte le osservazioni che i libri contengono; e tutti gli assiomi d'Ippocrate sembran loro immutabili verità. Inutilmente l'esperienza accuserebbe la loro dottrina; il maestro l'ha detto, èssi in discolpa rispondono, egli non ha potuto ingannarsi giammai. Laonde, per loro di nessun valore risultano le scoperte novelle della scienza, che nemmeno vere le supporrebbero. Tutti i fenomeni, tutti i cambiamenti che presenta una malattia, durante il suo corso, dipendono, agli occhi loro, non dagli sforzi della natura, ma bensì da' farmaci diggià somministrati, quantunque inattivi altronde ed inutili siano stati. E nell'alta idea che hanno della forza della medicina, si immaginano che nessuno de'mali, che affliggono la specie umana, non possa loro resistere; e spreca tori, senza discernimento, di tonici, di salassi, di emetico, e de'più attivi medicamenti, pensano sempre che agir si debbe, ed agire con tutta energia, i .Vi sono de'fanatici in medicina: con questo nome indicatisi i partigiani esaltati di tale o tal altra dottrina. Guardisi bene ognuno di osar censurare il loro idolo venerato: se avrassi tanta temerità, le ingiurie vomitate dalla loro bocca sarebbero in tanto cumulo, come eran le parole che Omero, in pubblica conclone, fa dire al vecchio Nestore, oh' ei paragona alle onde di neve, impetuosamente in copia cadenti. Costoro di esclusiva ammirazione si preoccupano, disprezzando tutto ciò che ad altrui partito giudizioso concorre. Gagnok, De la recerefte de la vénti dans la médecine. Le querele e le doglianze del malato e la storia ch'ei narra de'mali suoi, sono le basi sullo quali il medico appoggia la sua diagnosi, e gli forniscono la determinazione alle principali indicazioni terapeutiche- Senza questo soccorso non può egli formare evidenti distinzioni, ma appena sole congetture. Le interrogazioni senza metodo, gli schiarimenti mal diretti, stancano l'infermo senza illuminare il medico. Girolamo Ca podi va ce a ha sentito bene quant'era necessario stabilirle metodicamente, ed ha lasciato su questi elementi essenziali di pratica, i più utili avveduti precetti. (Capivacius, De modo interrogarteli aegros; opera omnia). Alcuni ammalati esprimer non possono le loro idee. Indarno si sforzano manifestare le proprie angosce, tutto è confuso ne'loro discorsi. Inutilmente si domanda loro un esatto ragguaglio delle cause e de 1 fé nome ni della malattia ebe li tormenta; nella risposta, si spaziano in prolisse digressioni, si fissano sopra indifferenti circostanze, ed i più disparati oggetti sciopera Latuco te con fondono. Con tali cervelli dovrà il medico tuttavia istituire i suoi quesiti. 11 metodo ù la fiaccola, che Io guiderà in mezzo alle dense tenebre clie lo circondano; per esso distinguerli il medico le peculiari circostanza clie li, inno preceduto la malattia, da tntl'altri fenomeni clic lo colpiscono 3 ed i riflessi indifferenti ed estranei alla patologica sua relazione, da quelli che soli caratterizzar la possono. Finito il racconto che un malato lia fatto di ciò eli' ei soffre, non deve il medico interrogarlo seirzu ordine sopra tutti gli clementi de' inali di lui, o sopra i segni die vi scorge, ma deve informarsi piuttosto del princìpio d'ogni passato avvenimento, avanti esaminare lo stato utluale delle organiche funzioni. Spesso alcune circostanze in apparen/.a futili, sulle quali è ricondotto il paziente, spargono una viva luce per la diagnosi della malattia in esame. Conosciute le cause d'una malattia, e stabilito consegue n temente il trattamento curativo. Accora la mente istrutto del corso de' primi sintomi e dell'ordine col quale sono apparsi, il medico medita sui fenomeni che già osserva; ed ingegnasi quindi unificare ciò che realmente scorge coi ricevuti schiarimenti. Vi sono alquante espressioni, famigliari agii ammalati, il di cui significato non deve esser per il medico quello da essi apposto\L Alcuni individui sono portati naturata e nte"ad esagerare i loro dolori; ma il medico su questo eccesso di doglianze dovrà diffidare con discernimento. Le espressioni del dolore non sono sempre sincere. Ascoltando un malato, nella narrazione de' suoi patimenti, cercherà il medico carpire il soggetto dello allarme di lui, vero o esagerato; e porrà ogni attenta cura ad esplorare quel cuore, e penetrare in quel pensiero, onde squarciare il velo ad ogni occulta imagiuata chimera. Altri ammalati fanno al loro medico insidiose dimande, non già per conoscere il di lui avviso sullo stato in cui trovansì, ma per giustificare l'opinione da loro concepita; e cercano ne' discorsi di un uomo della professione un alimento a' timori, di cui la loro immaginazione è cupamente ingombra ed oppressa. Tale è lo scopo de' malinconici, de' tisici, e di alcuni tabidi, nelle interrogazioni numerose che dirigono a chi prende cura di loro salute. Un medico che sagacemente ha cólto la causa delle loro sollecitudini, deve subito dare una diversione al loro spirito angosciato, simulando un pericolo differente di quello che li allarma. Non è diffidi cosa scorgere una donna tentar d'ingannare il suo medicò, narrandogli malori che affatto non soffre; è simular malattie nervose con la più esatta naturalezza. I segni morbosi' che appartengono a funzioni dipendenti dal dominio encefalico, non possono giammai essere simulati, e sono i soli a cui il medico accorderà assoluta fiducia. Quasi tutte le storie di malattie- nervose straordinarie, hanno abili donne per eroine; ed e accaduto sovente che la estrema loro destrezza nel sostenere la propria furberia, ha deluso la prudenza di qualche medico illuminato ed accorto. Interrogando un malato, è utile talvolta distrarlo dal tema principale delle richieste che gli si fanno: allora quegli si tiene meno in guardia, e più facilmente avviene d'ottenere la verità nelle sue confessioni. Il medico -avrà cura di addolcire le inflessioni della sua voce, scegliere le espressioni che infondono la più anì'ttiuis;» benevolenza, onde padroneggiare sul cuore dell' infermo, facendogli mauiffito in suo bene un vivissimo interesse. Le austere laconiche interrogazioni, ritengono le effusioni del dolore sui labbri dell'infelice, che ne soffre Io strazio: ma le dimande fatte con dolcezza e con pietosa commiserazione, provocano ogni larghezza di fidanza, e quella espansiva loquacità che le angosce desiati mitiga diggià, e solleva. Ed al contegno grave ma aperto del medico, un dolce sorriso sul labbro di lui, fa nascere o ravviva la speranza, e dissipa molti: timori spesse volte ai misero inférmo funesti. Ma se ad elevato rango il malato appartenga, non dimenticherà il medico che un servile abbietto portamento degrada, né inspira fiducia alcuna; come un'aria di superiorità verso un infelice plebeo, è vile e crudele. Si deve alla dottrina di Doublé un eccellente capitolo sul modo d' interrogare e di esaminar gli ammalati. Dividesij die' egli, in due parti naturalmente distintissime: la prima abbraccia la conoscenza di ciò che ha preceduto la malattia ; la seconda comprende la conoscenza delle circostanze alla stessa malattia appartenenti; e deve il medico informarsi J52 inoltre di tutto ciò che si riferisce all'influenza degli esterni modi fica tori, c conoscere la temperatura e la topografia medica del luogo ov'egli pratica. 1 Laonde esaminerà egli primamente 1' età, il sesso, ];i professione; le passioni, le abitudini, il genere di vita dell'ammalato; l'esercizio generale delle sue funzioni nello stato di salute; richiederà del corso di questa salute anteriore alla invasione della malattia attuale, d'altra forse antecedentemente sofferta, degli effetti generali de'me dica menti sulla sua costituzione, delle malattie di famiglia o de' genitori. È utile sapersi con precisione l' ora fìssa dell' ingresso del morbo, e la determinazione del suo periodo, e se per ripetuti accessi, per prima invasione O altamente. Se tali notizie potesse il medico ottenerle dai circostanti, risparmierebbesi al paziente cosiffatta noiosa fatica. Ottenuti i preliminari ragguagli, si procede ad una serie di interrogazioni direttamente relative alla regione, sede del patimento del dolore e dello scompiglio delle funzioni, di cui lagnasi specialmente l'individuo. Indi si chiederà esatto conto di tutte le altre parti del corpo, procedendo metodicamente dietro l'ordine naturale e la successione delle funzioni. Cosi, pe' fanciulli, bisogna richiedere della dentizione, del sonno e dell'appetito. Chè se le malattie de'bambini sono spesso difficili a trattarsi, ciò in gran, parte, deriva perchè esprimer non possono que'poverini i mali che risentono, ed il medico non può trarre alcun lume sull'indole, de' loro patimenti; essi rispondono male alle di luì inchieste, soffrono e si tacciono. F. pei* ima donna, della mestruazione, e delta supposizione di gravidanza: se trattasi di alcuna nubile, si è in dovere parecchie Tolte informarsi, iu modo dubitativo, de' suoi rapporti col sesso più forte. Fer un vecchio, ond'esser qui breve, cliè biugo sarebbe per sìngolo enumerare ogni quesito da proporsi, bisogna investigare lo stalo delle f.icolià imelleitualì, delle forze muscolari, dello stomaco, della imitazione, defecazione, sonno, cec. Utilissimo riuscir potrebbe esplorare assolutamente ogni regione ed ogni parte della persona degli unimalati, ma il pudore vero o simulalo delle donne e la convenienza abituale, impediscono frequentemente di fare queste indagini colta esaltezza desiderabile. Nò bisogna tacere che fino a questi ultimi tempi, Utnita vanii 1 mediei all'esame del l'aspetto, della lingua, del polso, delle orine, degli escrementi, delle materie vomitale, o del detratto sangue. E meno attenti degli umidii, die almeno esploravano sempre gU ipocondri, i medici dell'ultimo secolo non palpavano le regioni del corpo de'loro ammalati, se non erano di ciò richiesi!. Ma Corvisart, rimodernando i lavori di Avcnbnigger, richiamò l'attenzione agli esploramene del torace - e lìiunssais ha dimostrato quanto sia vantaggióso il palpamento dell'addome sopra tutti i punti della sua superficie. L'esplorazione clinica ha fatto sufficienti progressi in questi ultimi tempi: ciò che segue a tale soggetto, emerge dal piano traccialo per Morejon, sommariamente esposto ne'dizionarj di medicina. La vista ci fa riconoscere una colorazione insolita, il cangiamento di forma, di volume e di rapporto, o le soluzioni di continuità delle parti situate alla siipeplicie, o . accidentalmente poste a nudo.. Per essa ci rendiamo esatto conto dell'aspetto della cute capelluta, della faccia, della Locca, della pelle, e di tutte le materie evacuate naturalmente o artificialmente. L'odorato ci appresta la conoscenza dello olezzo generico che emana dal corpo del inalato, di quello elle esala dalla bocca di lui, dalle fosse nasali, da tutt'altra parte esteriore, o finalmente da materie evacuate o estratte. Il gusto è di poco uso, avvegnaché lungi di esplorare queste sostanze, volentieri si ammette ciò che l'ammalato stesso ne accusa. L'udito ci fa riconoscere lo strepito che risulta, dalla locomozione naturale o provocata delle parti contenenti o contenute, naturalmente o casualmente poste in movimento. La succussione raccomandata da Ippocrate, la percussione da Avenbrugger, la stetoscopia da Laènnec, la plessimetria da Piorry, la pressione in diversi sensi, dan luogo a rumoreggia menti, che l'orecchia, nuda o armata di strumenti, raccoglie, su' quali riposa talora la diagnosi di malattie oscurissime senza questo mezzo di esplorazione. Il tatto è di grande importanza, poiché ci istruisce dello slato della cute, del suo tessuto cellulare, dei muscoli, del cuore, de' visceri addominali, delle parti genitali della donna, ecc. Laonde per l'applicazione de'cinque 1 sensi ad ogni organo, raccolgo nsi per quanto è possibile gli elementi razionali ed esatti sullo stato delle parli dell'organismo, sopra le quali possono agire maggiormente. Non basta però esercitarsi a far questa esplorazione con ogni metodo e complessivamente; è necessario altresì che il raziocinio concorra ad unificare tutti i dati esibiti per l'uso de'sensi, li disponga nell'ordine di loro naturale concatenazione, e distingua quelli che hanno maggiore importanza nella ricerca dell'indole e della sede del male. Bisogna che la sagace avvedutezza del medico ponga a confronto lo ammalato attuale con malati analoghi, già da lui osservati, e con quelli di cui ha letto la storia patologica negli scritti di buoni osservatori, o di nosografi di prima classe; nel qual paralello, rafforzerà lo scontro ed il concorso delle cognizioni anatomiche e fisiologiche che rapportar si possono al caso presente. La vita è assai variata, gli organi sono troppo numerosi, le azioni organiche molto diverse e ripetute, e le malattie oscurissime in varf casi, onde esser possibile decidere sempre, sin dal. primo giorno, della loro natura e della sede loro. Come condursi sino a che tale incertezza in tutto od in parte sia dissipala? Lo illustre Stoll ci fornisce la. migliore regola: lndicatione incerta, maneas in generalibus .- la quale però è poco utile per esser troppo generica. Ovvero presumere con Pinel ed i naturismi che bisogna restare in aspettazione, è quasi un dire nulla.' La sola regola in simil caso, e frequentissimo è un tal riucontro, sia quella di dirigere e moderare l'azione de* modifica tori dì ciascun organo, e rimovere ancora tutti quelli che suscettibili pur sono di sopreccitare l'azione organica in ognuno di essi. Questa è la sola aspettazione razionale, che spesso allontana efficacemente lutto ciò che impedjr potrebbe il ritorno al tipo normale di vita, e la guarigione ha effetto senza dover ricorrere a mezzi ulteriori. L' indole e la sede della malattia trovatisi forse manifeste, intenso il morbo, importante l'organo affetto? bisogna di conseguenza ricorrere sollecitamente al trattamento più diretto ed energico, nella indicazione terapeutica che seguir si debbe. Nelle malattie croniche, è necessario ora indugiare, quando incerta siane l'indicazione; or adoperare tutto il medico potere, tostochè la diagnosi in modo non equivoco SÌ presenta. Il medico che si occupa del suo malato solamente allorquando gli siede accanto, tradisce la di lui fiducia, ne la merita per quell'istante. Terminando di visitarlo, dev'egli riflettere eziandio a quanto ha diggià osservato, a quel che ha prescritto, e riassumere 1' idea generale che ritenere egli deve sulla clinica osservazione da lui fatta; nè in ciò bisogna che la sua attenzione sia assorbita e distolta dal calcolo degli onorari che gli competono. La frequenza delle visite dev'essere in ragione della gravezza del male, o dell'espresso desiderio dell'infermo o della sua famiglia. Gli ammalati visitar si debbono per lo più ogni giorno ad ore diverse, ma nei parossismi a preferenza. Spesso è indispensabile per due volte al giorno eseguirsi la visita clinica, talvolta anche di notte; ed in pressanti incontri il medico non potrà abbandonare ìl malato. Util cosa è frattanto non accondiscendere sempre alla -richiesta di un infermo, che per pusillanimità esige ognora presso di sè l'assistenza del curante, avvegnaché si giudica male sovente di colai che spesso non involasi nè facciasi cleside. are. Ma 1' esperi SUu a è l'arbitra delta moderazione. Eppure quanto precede non è tulto sul modo di interrogar gli ammalati. Ed in generale, gl' individui i di cui malori sono l'effetto dui libertinaggio, • quali il dolore, giunto, ad insoffribile grado, strappa involontariamente delle imprecazioni 1 contro colui che è costretto assoggettarli a crudeli manòvre. L'eccesso de'Wo tormenti rende perdonabili i loro oltraggi.. Dippiù; tal ammalate non vuol prendere che farmaci gustosi ; laonde rifiuta tutti quelli, di cui l'odore, la forma o il sapore gli dispiacciono; persiste ostinato nelle sue risoluzioni, c per questa condotta irnigionevole riduce il suo medico nell'impossibilità di agire. Tal altro non ba questa mania, ma curioso all'eccesso, ei vuol saper tutto: bisogna rendergli ragione dell'azione de' medicinali, istruirlo dei fenomeni delle funzioni vitali, e spiegargli le menome particolarità de' mali eli' ci prova. Spesse volte vi sono ammalati, che fanno disperare il medico per la loro .indocilità. Dietro aver ad essi profuso tutte le possibili cure, dopo avere sofferto vivissimo inquietudini sulla sorte loro, sarà pervenuto egli alla fine a condurli ad insperata convaIescenza ; lieto del successo degli sforzi suoi, promette loro una guarigione sicura, se per altro breve corso di tempo sottoporsi vorranno ad una indispensabile dieta: inutili precauzioni, superfluo avviso! in dispregio degli indicati saggi consigli, ogni disordine _ nel regime essi commettono, e ricadono nell'abisso de' mali, d'onde erano stati tanto penosamente sottratti. Molte e varie circostanze richiamare io potrei, per le quali le passioni e disposizioni di spirito de’malati esercitano la pazienza del medico: perlochè facile mi sarebbe additare l'inconseguenza, la' leggerezza, la meschinità di cosiffatti ammalati, i quali, dopo avere manifestata intera fiducia al loro medico, ad un tratto, sènza ragione veruna, si intiepidiscono à di lui riguardo, e gli manifestano una ingiuriosa diffidenza: o potrei indicare coloro che esigon troppo, sempre malcontenti, i quali vogliono che lutto ciò die li attornia sia vittima de' loro capricci; e se fossero assecondati, erigerebbero ancora una diuturna indefessa assistenza del loro medico, che dovrebbe dimenticar per essi tutti gli altri suoi ammalati. E dir potrei di quegli esseri spietatamente ingrati, che dovendo l' esistenza, di cui sono indegni, alle sollecite cure di un abile professore, stancano la di lui delicatezza con vani pretesti, con affettati indugi, e talora non trovano altro mezzo onde sdebitarsi dell'obbligo doveroso della ri conoscenza,, che dirigendo contro di lui i dardi più acuti della calunnia, o lo strazio più accanito della malevolenza ! ! Ma' io non pretendo esaurir la materia : ed à questa succinta sposizione limito la enumerazione delle principali cagioni che possono cimentare la pazienza del medico. Ed il principiante, al suo ingresso in società, deve opporre un fondo inesauribile di pazienza all' .indifferenza, talvolta contumeliosa, del pubblico. Se egli pratica in una vasta città, lungo tempo negletto, sarà sposso testimonio de' trionfi di medicastri spregevolissimi: ma l'oro prezioso ed il fango putente non saranno sempre confusi, e verrà il tempo in cui ne saranno separati. In tutti gli incontri, in ogni passo di loro carriera, i medici hanno un bisogno estremo di pazienza ; e per essi principalmente dir si può: ^a pazienza è il genio! Necessario in ógni istante è al medico, nell'esercizi» di sue funzioni, il soccorso della prudenza. Nè di quella conveniente alla scelta de' farmaci, o alla determinazione delle terapeutiche indicazioni, qui si ragiona; benvero di quella che dee guidare la morale condotta del seguace d' Ippocrate. Conservare V integrità della propria riputazione, è un impegno che esige da lui attenzione perenne. La tendenza degli uomini, propensa ad accusarlo dell'impotenza della natura, è tale, che, in tutte le malattie gravi, la' prudenza inculca al curante richiedere avviso d'altri medici, onde mettersi in salvo dagli attacchi della malvagità e dell' invidia, e per ajutare l' infermo, se mai potrassi, con più efficaci sussidi. In alcuni casi adunque, ia difficoltà della diagnosi d'una malattia, l'imminenza del' pericolo in cui trovasi l' ammalato, la necessità di ricorrere u mezzi estremi, impegnano il medico prudente a sollecitare il convegno d’uno o iti parecchi suoi colleglli, più o meno rinomali, per conferire sullo slato di chi trovasi affidato alle di lui cure, a chiedere cioè una coiisidtnzione. Ovvero, l' aspettazione del medico ordinario delusa per la durata, per i temibili progredimenti del male, o per altri motivi più o meno fondati; o il solo desiderio dì procurare all'infermo, come si disse, tutti gli aiuti della scienza disponibili, inducono i parenti del malato a riunire attorno al suo letto parecchi uomini dell' arte, nella speranza di vedere scaturire nel loro concorso lumi novelli in di lui vantaggio. Stabilito il progetto del desiderato consulto, il numero e la scelta de 1 medici clic devono formarlo, sarà premura degli interessati, che sì invitino i più idonei; o si determinerà ciò dal medico curante stesso, che na. c stalo fatto l'arbitro. Nell'ora del giorno fra loro convenuta, o fissata ordinariamente dal più anziano, eglino riunirannosi presso l'infermo. Prima di entrare nella camera di costui, il medico curante farà l'esposizione della malattìa, de' mezzi adoperali e degli effetti di ri sul lamento. Indi gli aggiunti e consultori si recano dall' infermo, lo esaminano, esauriscono tutte lé ricerche e le domande necessarie a stabilire opportunamente la diaguosi ed il pronostico dell'affezione; ed in tal modo, si accertano essi sulla veracità della narrazione già preceduta, o modificano le loro idee dietro ciò che inesatto o incompleto avranno dedotto. Di ritorno nella sala di riunione, ciascuno di loro, prendendo la parola in ordine inverso alla maggioranza di età, esporrà la sua opinione sulla analizzati malattia, e sul trattamento curativo die adottar si «rede. Finite la discussione, i consultori si riconducono presso l'infermo. Allora il più anziano accenna, secondo le circostanze, in tutto od in parte soltanto, il ri sult amento della discussa deliberazione, e le speranze da loro fondale sulla di lui guarigione. Uno de'mediei redige la consultazione o la prescrizione,, da tutti poscia firmata. Ma Ordinariamente qnes té mediche radunanze non si adempiono con tanta solenne pompa: un solo aggiunto basla da consultore, ad invitò del medico curante od a richiesta dell'ammalato ; e, non osservando di tutte le descritte convenienze cbe le necessarie, imposte dalle peculiari circostanze, si accordano di subito intorno al trattamento più cordacente al caso. Eppure ai 1 è supposta finora una unanimità di opinioni, cbe non si osserva quasi giammai. Qual sarà la condotta del medico ordinario, tostochè il suo di vis amento sarà opposto a quello de' col leghi intervenuti? Nel caso in cui l'uguaglianza dell'avviso deb maggior numero, supponendolo poco saggio, non possa cagionare notabile pregiudizio all'infermo, prudenza richiede poter visi uniformare, con la restrizione di arrestare lo adempimento dell'adottata terapeutica, se l'esperienza farà riconoscerne inconvenienti; ovverò se, dopo sufficiente tempo, non avrà prodotto il bramato risultamento, impedendo in tal guisa l'adoperare di più utili rimedj. Ma quando trattasi di quei mezzi estremi, che erroneamente appli 470 cali comprometterebbero la vita del paziente, o Io esporrebbero all'inutile sacrifizio di un membro di sè stesso, come in alcune chirurgiche operazioni, il medico curante ponderar dee allora l'autorevole credito di coloro dalla cui opinione egli dissente. Ed accederà a questo divisamente, se nella costoro riconosciuta abilità e consumata esperienza potrà dedurre inconcusse ragioni da quietare la sua titubanza. Laonde, senza mancare ai giusti riguardi dovuti a' professoricolleglli, dichiarerà egli la sua opposizione in divergenza di avvisi, e chiederà un nuovo congresso, composto per intero od in parte d'altri aggiunti consultori. Le considerazioni medesime di onore e di probità dirigeranno la condotta del medico consultore. Se, per delicatezza, dovrà questi ognora astenersi dal disapprovare apertamente ciò che è stato eseguito, il dovere gli impone eziandio di opporsi energicamente ad ogni metodo di trattaménto curativo che sembrassegli pernicioso. L'utilità di queste consultazioni non puossi contraddire giammai, specialmente se risultano dal convegno di medici, che per attestato anche de' colleghi hanno diritto alla pubblica fiducia. Tuttavia la difficoltà dì adunarne un cerio numero con la garanzia di tali requisiti, particolarmente nelle città poco popolate, ove sovente regna fra' medici una scandalosa detestabile rivalità, ha fatto considerare le consultazioni medico-cliniche più funeste che vantaggiose agli infermi. Talvolta li an dato luogo a dissensioni puerili e ridicole, che hanno fornito a'detrattori della medicina l'occasione di lanciare satirici strali contro l'utilitè di questa scienza. Ma siffatti sarcasmi avranno colpito soltanto qne'medioi, che la vana loro presunzione o le passioni loro vilissime rendono in ogni tempo spregevoli ed odiosi. La prudenza inculca al medico curante" di avvertire chi è interessato per l'infermo sul pericolo del male, su bit oc li è dichiarasi, od anche appena comincia a sospettarne il pencolo. Chiamato a trattar malattie, di cui l'avverata esistenza recar potrebbe il disordine in alcuna famiglia, il medico prenderà le più accorte precauzioni, onde non compromettere la sua riputazione ed i segreti che gli si affidano. Si troppa importanza per lui è il non errare, uè accusare una donna, un marito senza colpa, o una fanciulla d'intatti costumi, di qualunque malattia che l'opinione pubblica come vergognosa dichiara. Ledi lui funzioni spesso lo iniziano- in reconditi misteri, sia per loro importanza sia per singolarità. Depositario de'secreti delle famiglie e degli individui, egli conosce le loro pene, le loro passioni, le speranze loro più intime; confidente dello sposo e della sposa, de'consanguinei e degli affini, de' genitori e dei figliuoli, de'fràtelli e delle sorelle, del superiore e dell'inferiore, egli deve dimenticare con l'uno ciò che sa dell'altro, e non avvilirsi giammai a tradire la fiducia de'suoi clienti: i segreti che gli si affidano più abbietti, turpi o criminosi, maggiormente occultar li deve col silenzio più scrupoloso. A tal riguardo, il ministero di lui è più delicato di quello dell'avvocato e del confessore. Ma quale scrupolosa decenza, quale attenta ritenutézza non deve egli serbare nelle cure ch'ei presta alle cenobite, alle ragazze, alle donne! (Doublé, Séméiolog. -generale). Esigerà egli la presenza della madre, o di una prossima parente, nelle delicate frequentissime circostanze, allorquando costretti!, sottoporre ad indispensabile perscrutatone ogni più occulta parte, una timida verginella, ritrosa, confusa, vergognando, depone nelle di lui mani l'ultimo velo del pudore. Se una donna dehbasi sottoporre all'esame accennalo, richiederà la presenza del marito. Se la inspezione per una claustrale si richiede, si farà assistere da una delle vecchie suòre. Per una legge de' Visigoti, era espressamente proibito al medico e al chirurgo di salassare una donna, senza che fosse presente il padre o la madre, un fratello, un figlio o lo zio di lei. (Iìodemcus A Castro, Med. polit). Nel trattamento delle donne luciate, vi sono poi regole di decenza, dalle quali in ver un caso non può l'ostetrico dipartirsi giammai. Alcune affezioni patologiche, mascherate con estrema . astuzia da chi le soffre, nè mai rivelate, esigono che il medico le tratti convenientemente, occultando altresì la natura degli adoperati medicinali Non vi sono elogi che alla prudenza non siano dovuti: ha detto Rochefoucauld. Per quanto estesa, cauta ch'ella sia, non può star sicura del menomo avvenimento, perchè si esercita sull'uomo, il più mutabile soggetto dell'universo. Laonde, malgrado tutta la immaginabile attenzione ed i lumi esercitati più accorti ed omnigeni, un medico manca talvolta alle leggi della prudenza. Le migliori intenzioni hanno sovente le più funeste conseguenze, quando regolate non sono, dalla prudenza: « Saepe honestas rerum causas, in jiujiciuin adhibeas, perniciosi exìttts conseqiiunlur « . (Tàcit., Uh. 1, Hist), Il medico portar deve inoltre la più riservata prudenza ne'suoi pronostici: si persuada giugnervi diffidando del suo giudizio, ed osservando lungo tempo i fatti, prima di volerli spiegare: e con saggia lentezza, le sue decisioni esser debbono dirette. Se alcuni medici sono debitori di loro rinomanza per i pronostici confermati dal successo, quanti P hanno perduta per la precipitazione inconsiderata nel giudicare ! Alcuni casi particolari impongono al medico molta prudenza ne'suoi discorsile non sa dissimulare rio che vede, gravi pericoli Io minacciano insieme al suo ammalato. Morgagni curava un uomo robusto d'una febbre, la cui terminazione era tanto prossima da ridursi a convalescenza, permettendo lasciare il letto dopo la refezione, composta di tenue panata. Costui, ad un tratto, fu assalito da vomito violentissimo e continuo, - dietro un pasto di simil natura; perlochè si andò di fretta a chiamare Morgagni: il quale, giudicando il caso poco grave, senza recarsi a lui, si limitò prescrivere alcuni medicamenti. Frattanto l'oppio stesso inoperoso ed inutile riuscendo, si determinò di egli visitare l'infermo; or cammin facendo, e meditando sullo strano avvenimento, interrogava il domestico del malato che lo seguiva, se questi commesso avesse alcun disordine nel regime. Nessuno ; Tisposegli; il mio padrone h stato servito d' una panata, leggiera, sulla quale K. M. ha sparso la polvere da voi prescritta. Morgagni sicuro non avere ordinato per tal uso veruna polvere, conoscendo al iti tronde l'uinore di quel tuie che impolverato avea la pappu, comprese subito e ciò che doveà fare e quel che bisognava evitare. Giunto adunque presso il richiedente, al quale cessato era il vomito, ma era sottentrato il singhiozzo e lo sfinimento di forze, con difficile respirazione e polso piccolo frequentissimo: Coraggio, gli disse il grand' uomo, voi avete molti umori cattivi, ed in breve sarete totalmente ristabilito. Morgagni apprestò bentosto gli opportuni rìmedj ed antidoti, e felicemente in tal guisa prevenne e dissipò la lugubre catastrofe che gli effetti del veneficio seguir dovea. Fodere -{MéUec. legai.), da cui è tratto questo aneddoto, fu testimonio di una scena orribile del pari ; ma la vittima spirò sotto gli attoniti suoi sguardi, per tardo o inefficace soccorso. L'incontro più difficoltoso, esigente la maggiore indispensabile prudenza del medico, è il caso molto frequente, allorché da lui dipendono la vita e l'onore di un individuo imputato d'alcun reato. Richiesto sopra fatti di procedimento penale, nell'interesse della giustizia punitrice, con una inconsiderata parola può egli sterminare l'innocente o salvare il colpevole. L'ignoranza, la precipitazione di giudizio, la prevenzione, hanno spesso cagionalo funesti iri-e-' paratili errori. Laonde, chiamato innanzi a' tribunali come esperto per esporre il suo medico avviso intorno alcun fatto relativo alla sua professione, o per deporre sopra fatti di cui è stato testimonio in occasione del proprio suo esercizio, o per guidare il potere legislativo od esecutivo sopra qualunque qmst'ione non determinabile senza concorso del di lui pavere, il medico dovrà saggiamente ricordarsi di quanta importanza risulta la sua deposizione verbale o scritta; non rispondere alle dimande che colla massima circospezionej trincerarsi spesse volle fra' baluardi del dubbio; non oltrepassare le sue attribuzioni di medico, nè perorare con entusiasmo o con forza itllbrmativa clic ne' casi propizi da poter salvare felicemente un innocente oppresso, contro il quale incritinniscono false apparenze, ebe, per attento esame fisiologico, o sperimento fisico o chimico, non constalo e svaniscono. Veggansi in proposito le seguenti opere: Usler, De eventu in morbis praecognosccndo; Hdcheu, De prognosi malica; Horstius, De siguìs prognosticis; IIehedia, De prognosi fallacia; StockiiaxiseNj Dissert. da praesageiulis morbis; Juucker, Dissert. circa progtiosim rito instìtuendam; Idem, De canta prognosi a cauto medico instituenda; Pleutsch, Dissert. fàntes praedictionum in morbis; Kaltschmied, Dissert. de prognosi status morb. rite formattila; Tomaiàsijji, Sul pronostico nelle malattìe, discorso; Falcoburgo-\eoMAticBicus, De prudentia medicomm; HoFFMA&r, Medictts poliliais .... opera omnia, traduz. pei- BauiiiEn, De la politit/ue de mh/ecins; Fischer, De medici circa morali et phjsìca in enrandis morbis pnulcntia ; Pero a m, Nuovo saggio di procedura medica; Sava, Manuale per il pratico esercizio della medicina legale. t • ossalo. Immensum nobis aperii medicina campnm ad. exercendma in proacimos amorem » ha detto Pichler. Questo volgatissimo assioma è di grande irrefragabile, verità. Un cuore generoso e sensibile fa brillare l'ingegnoso intelletto d'un nuovo splendoce, e nessuna virtù non onora cosi (fattameli te il medico, quanto la beneficenza. Molti attributi lo vincolano agli sventurati., i quali in lui solo sperano e da lui attendono il sollievo ai propri patimenti: primo bisogno in essi è «li versare il lor cuore nel suo, e di espanderne j sentimenti: il di lai primo dovere è di porgere attento orecchio alle doglianze loro, e rianimarne il coni gg in illanguidito dall'indigenza e dal dolore. Ma il consolarli non ò tatto : bisogna ancora soccorrerli. L'umanità, l'interesse di sue funzioni, tutto gli prescrìve ascoltare la voce supplichevole del misero. Esiste inai più ineffabile compiacenza dì quel]» che si sublima nel tergere le lagrime degli sfortunati ì Vi è felicità più estesa ed intera del raccogliere attorno a sè i tributi di venerazione e di amore, superiori ad ogni più viva gratitudine? La beneficenza porta seco il suo guiderdone. Un medico, dotato di questa virtù, diffonde da tutte le parti le consolazioni, la speme e iu t'elice tranquillità dell' animo. I dì lui talenti, il suo tempo, la sua fortuna ei lutto prodiga per calmare le grida dilaniali ti della miseria. Colui, eli' egli ha già richiamato alla vita, è per lui oggetto di attenta c benefica amicizia; sembragli poco avergli impartito tutti i soccorsi dell' arte, chè tuttora ei veglia al rimanente de' pressanti bisogni. Vicq-d'Azyr, con l'energia dell'ordinaria sua eloquenza, raccomanda la beneficenza a' medici: « Se lodevoli e belle sono le funzioni del medico, egli dice, 10 sono meno però ne' palagi e tra le grandezze, ove i molivi apparenti 0 reali dell'iute resse, non lasciano adito alcuno a quei dell'umanità che nell'angusto, squallido e malsano abituro del povero. Ivi, nessun protettore si incontra, nessuna cupidigia ; la rinomanza non si accosta a questi asili: lutto vi tace, fuorché 11 dolore, che li fa spesso echeggiare de* suoi singhiozzi. Le vittime della miseria, quelle delle malattie e della morte, ammassate e confuse, vi offrono un quadro straziante e terribile. Ivi puù ìl bene largirsi, colà puù l'uomo soccorrere l'uomo senza soccorsi ed anche senza chi il veda; e ben vi si allogano la generosità, la verace beneficenza, la tenera pietà; uè ivi si dubita trovar lagrime da prosciugare e averiturati da compiangere ed aiutare. Dicasi talmente in lode de' medici, qual altro ordine di cittadini adempie mai tali doveri con altrettanto zelo e coraggio? Queste fatiche, queste compiacenze competono quasi a tutti i ministri sacratissiini dell'arte salutare: e»lino soli possono trovare le primo lezioni dell'esperienza nella class» più indigente del popolo, scambiandole con quelle di benefica virtù ... Le cure disinteressale accordate agli infelici, di rado rimangono prive di ricompensa; ed il medico trova quasi sempre nella sua beneficenza il principio della propria fama. Allorquando salii egli giunto a chiara e grande celebrità, non dimentichi coloro a cui dove la sua istruzione e la sorgente di sua fortuna. Questa ingratitudine, ordinaria in quelli che hanno simulalo beneficenza per attirarsi la pubblica considerazione, non troverà luogo giammai nel cuore dell' uomo onesto e virtuoso senza ostentazione. L'essere ricco, sarà per lui causa d'esercitare più liberamente la sua favorita proclività alla filantropia, quindi non allontana l'indigente che implora le buone grazie di lui, anzi lo previene soccorrendolo. E losiochè riceve doni dalla fortuna, ne consacra una parte a sminuire i bisogni degli infelici; c por questa generosa condotta rendesi degno del titolo onorevolissimo di medico,' che nobilmente lo fa lieto e prospero. Si possono vedere in proposito le seguenti opere; Sonni, De medico «ehementer laudari (Ugnai Do,Auettiue, Caractère des médecins. La probità più rigorosa e la più severa temperanza, sono virtù indispensabili al medico: esse fanno parte de' doveri di lui, come d'ogni uomo onesto. Depositario, come si disse, de secreti delle famiglie, padrone talora della riputazione di coloro che liannogli accordata intera fiducia, a quale ignominia noti si esporrebbe egli, se per debolezza o per volubilità, svelasse recondite cose, che nascoste esser debbono a qualsiasi sguardo? Ora una disgraziata giovane, vittima della seduzione, implora da lui aiuto e silenzio: ora un padre, un marito gli appalesa le funeste conseguenze d'una gioventù in balia all'impeto irrepiimibile delle passioni. Ma qualunque si fosse la confidenza o la rivelazione, che l'esercizio della sua nobil arte gli permette ricevere, l'onore gli im Ì80 pone ìt sacro dovere di tacersi serapremaì, anche con pericolo di sua libertà o della sua vita. u Quae vero inter curandum aut edam medicinam mìnime faciens, in communi hominum vita, vel videro^ vel audiero, quae minime in vulgus effèri oporteatj ea arcana esse ratus } silebo ». (Hipp. Jusiua. Foés). Veggansi all'uopo i seguenti autori: Albertus, De confessione aegri erga medicum; Reis, De officio medici in itinere principe Stock, De temperaniia mediconan. Nessuna professione esige costumatezza d'irreprensìbile condotta morale quanto quella del medico. Questa purità di costumi, questa castità particolare, virtù che la filosofia ha trasandato annoverare fra quelle che onorano l'umanità, è necessariamente indispensabile al medico, richiesto di prestar l'opera sua presso una donna inferma. Confidente intimo di un sesso, dì cui egli è l'appoggio ; onnipossente sullo spirito de' suoi malati, quanta sarebbe colpa in lui, se della sua posizione osasse abusare? No, un medico non adoprerk giammai il suo ascendente per sedurre l'innocenza, che ripone il suo destino nelle di lui mani; ovvero scoraggiare la volontà di un moribondo, a cui ha aspirato una tanta fiducia. La sua voce non farà udire mai alle donne, che l'avranno scelto per consolatore e per amico, corruttori discorsi. Colui che Ja'suoi vizii avvolger si lascia e trascinare nel baratro della dissolutezza, non tarda molto, ad essere perduto nel connetto degli uomini, .ed i più grandi talenti non -potranno guarentirlo dal dispregio e generalo abbandono. Quindi il medico sovente è diviso fra'suoi doveri ed il vizio. Lo stalo suo l'espone ogni giorno a sacrificare l'onore all'interesse; eppure quanto più frequenti sono le occasioni di secondare senza pericolo le sue passioni, tanto più gloriosa virtù è il vincerle. Pel bene della società egli deve impiegare l'efficace influenza di cui l'investe il suo ministero. Gli uomini che gli affidano ciecamente ciò che hanno di più caro, l'onore delle loro mogli e delle figliuole, hanno diritto esiger da lui un cuore puro ed illibati costumi. E dicasi pure in lode de'medicì : essi hanno dato e donano incessantemente l'esempio delle più elevate virtù. Generosi sacrifizj, grandezza d'animo, magnanimità, beneficenza, sono attributi che brillano in una moltitudine di sublimi azióni, che la storia conserva ne'suoi fasti, e di cui i inedici furono gli eroi. Gli Stati di Àrtaserse re di Persia erano distrutti dalla peste. Il inonàrca, occupato nel volersi vendicare de'Greci, scorgèudo con dolore la spaventósa malattia portar dappertutto la morte nel suo Impero, credè che il solo Ippocrate poteva opporre qualche argine a tanta strage. Inviò adunque al figlio d'Eraclide una deputazione, incaricata esibirgli i doni più ricchi^cogli onori più lusinghieri, s'egli determinar voleusi a combattere in Persia quel torri bil flagello che la desolava. Dite al vostro signore, rispose Ippocrate agli Inviati del gran re, che io sono troppo ricco, e che l'onore mi proibisce accettare i doni di lui, di passare in Asia, e soccorrere i Persiani, nemici de'Greci. Quante volte i medici si sono immolati per la salute de'loro concittadini! Quante volte hanno essi sprezzato quelle epidemiche malattie che spargono iti ogni luogo un soffio avvelenalo I Con qual coraggio si sono eglino sepolti vivi nel baratro della morte I Molti di questi uomini virtuosi non potè ano contare sugli elogi della posterità, i loro oscuri nomi non potevano lor sopravvivere, ma l'amore dell'umanità era per essi un sfinimento non meno violento di quello della gloria. Più ammirabili del guerriero, che nel combattimento sì e te mi zza con la morte, essi corcar non potevano, sacrificando la vita, che tergere amare lagrime, e soccorrere alcuni infelici. Qnal eroismo nel sacrifizio di Bertrand e Deidier durante la famosa peste di Marsiglia ! Quanto stupenda fu la loro condottai Questi uomini generosi, in pochi mesi, affrontarono più spesso la morte che non il più intrepido combattente nel corso di molte battaglie. Potrebbesi omettere d'associare alla loro gloria l'illustre professore barone Dcsgcnettes? Ei non oppose pusillanimi precauzioni alla peste che minacciava Y armata francese in Oriente, nè mostrò inquieti timori; la sfidò bensì col più eroico coraggio. Spaventato dal nome solo del funesto disastro che ingigantiva, il soldato erano interamente vinto. Desgencttes osò egli solo avvicinare, in pubblico, e toccare gli appestali, ed inocularsi quel virus. Giammai altro medico non fu più colmo d'onore quanto quest'uno immortale, nè altro nomo ebbe un earattare più franco di lui, più leale, più intrepido, più nobile. Così potrà liberamente lodarsi ogni iaitro, ebe non essendo insensibile alla critica, e- pareggiar lo possa, non lo sarà agli elogi; avvegnaché il dettato 'virpfobus dicentti peritus, esclusivamente applicar gli si deve. Tostocbè una epidemica malattia si dichiara, lungi di fuggire Ì luoghi ch'essa devasta, un saggio medico dovrà sacrificare i propri giorni alla salvezza de'suoL desolali concittadini. Il teatro della morte, ecco il suo posto. Sin dalla invasione del contagio, ne avviserà il magistrato competente incaricalo della pubblica salute, dimostrando i mezzi più idonei a limitarlo. Non pochi medici sono stali vittime di spcrienze sopra sé stessi tentate. Animati d' un forte amore per l'umanità, e d'uno zelo vivissimo per i progressi dell'arte di guarire, cercando la gloria, hanno invece trovato la morte. Gli archiatri ed i primi chirurgi de'monarchi hanno mostrato sovente alla Corte virtù e coraggio, poco comuni presso i grandi, ed hanno usato il favore di cui il regnante onoravali, col fargli udire la voce della verità. Alcuni storici narrano interessanti ragguagli sulla stima, anzi sull'amicizia, che alcuni medici hanno inspirato a'sovrani, che affidata aveano la loro salute al sapere di essi. Ambrogio Pareo, per l'amenità del suo spirito e per lo splendore di sua celebrità, aveva addolcito il carattere feroce dì Carlo DÌ.. A dimostrare il favore di questo gran chirurgo presso il suo re, Sally scrisse nelle sue Memorie, che il re Carlo, avendo narralo una sera i massacri, eseguiti in quel giorno stesso, de' vecchi, donne e fanciulli, affermò averne orrore, e ne discorse come se tali crudeltà, a Tessergli fatto raccapriccio e generato male al cuore, o grave turbamento nell'animo; talmente che avendo tratto in disparte il suo primo chirurgo, infinitamente stimato e famigliarissimo, gli disse: Ambrogio, non so ciò che avvenuto mi sia da due o tre giorni in poi, ma ;io mi trovo lo spirito e la persona eccessivamente commossi, nel modo stesso come se avessi la febbre, sembrandomi ad ogni istante, sì vegliando cbe dormendo, quei cadaveri a me appressarsi colle facce brutte cosparse di sangue,; io vorrei non vi fossero almeno compresi i vecchi e i fanciulli. E dietro ciò che Pareo ebbe l'intrepidezza di manifestargli, proibì il re con tutta severità di non massacrare più la tradita gente. Innanzi. Luigi XIV, il più assoluto fra'monarchì, Muréclial solo, di cuore e di animo retto, non ebbe timore combattere tutta la Corte, disarmare l'ira del re, e sviare la ingiusta condanna del duca d'Orleans. Come ancora, Fagon e Féìix, 1' uno primo medicoj, l'altro primo chirurgo dello stesso re, soli ardirono porgergli suppliche in favore dell'illustre arcivescovo di Cambiai, disgraziato. La molliplicilà delle cognizioni necessarie al medico, i suoi doveri, l'esercizio di sua professione, i rapporti colla società, la gelosa conservazione della riputazione, tutto gli vieta di prender partito fra gli scioperali turbini sovvertitori degl'imperi. Deve egli astenersi, per riguardo a sè stesso, di pubblicare o diffondere veruna politica opinione, allorquando ei vive in epoca sconvolta da civili discordie. Non è impresa d'uomo eaggio entrare senza esservi chiamato nelle querele de'sovrani: Un medico, amico della pace, e benefattore, per sua professione a tutti appartiene. Unifichi egli quindi le sue veglie allo studio lungo, penoso e difficile dell'arte sua, e diffonda a larga mano le sue cure senza distinzione a tutti coloro che ne abbisognano; perchè altri, in vece di lui, veglieranno a'destini del mondo. Essere straniero a tutte la dissensioni che seno il flagello della società, esser lontano da tutto ciò- che potrebbe distrarlo dai doveri del suo nobile esercizio, ecco il carattere di un- vero medico filosofo. Uomini poco considerati ed oscuri che hanno preso parte nelle rivoluzioni, di rado non ne sono rimasti vittime. Leatocq, chirurgo* abilissimo, irta dotato eminentemente del genio funesto de' co spira tori, molto contribuì a porre Elisabetta sul trono di Russia; ma l'imperatrice, che tutto dovcagli, nulla fece in bene di lui. Nelle violenti convulsioni che hanno lacerato la Francia e l'Italia, parecchi medici hanno sofferto pene crudeli, e ritardato 0 perduto il frutto di loro fortuna con la temerità de'loro incauti discorsi e della loro sconsigliata condotta. Altri hanno pagato, con la perdita della salute o della vita, la deplorabile mania di volere occupare un posto nelle cospirazioni e nelle sommosso, che hanno tante volte sfigurato l'aspetto di classici regni. Abbandonare il servizio de'malatì per aver parte ne'furori de'sediziosi, ciò deriva dal conoscere male l'intima unione dell'arte di guarire con la morale. Si può conciliar facilmente l' amore di patria col dovuto rispetto per ogiii governo stabilito; ma per una inconseguenza, di cui il ridicolo agguaglia il pericolo, non andrò mai un medico ad immolare con cuor giulivo la sua fortuna, la sua tranquillità e la cura della sua rinomanza per interessi a lui non competenti. Non potrà senza dubbio sfuggire d'i sentir vivamente le disgrazie del suo paese, ed indignarsi contro tutto ciò che ne compromette l'onore; ma non vada egli più lungi: soffrire e tacere d'ordinario basta. La società attende da lui non una opinione politica dichiarata, ma la scienza associata a zelo grandissimo per l'adempimento dei doveri del suo stato. Ubbidire, e religiosamente sommettersi alle leggi del proprio paese, è una massima che ogni medico, più d'ogni altro cittadino, debbe ritenere impressa indelebilmente nel suo docile cuore. Veggansi in proposito le seguenti opere: Albertus» De voto caslitatis medica ; Bienvbmu, Des qualités murales da médecin; Castellus, De visita/ione aegroutntiian; Stàhzbnbbb.g, De voto obedientiae medico ; Desgenettes, Histoire medicale de l'armèe d'orient; Luther, De solititdinis militate medica ; Idem, De sale medico; Hoffmàhn, Medicus politìcus; Rodericus a Castro, Medicus politìcus; Strobelbekger, Gallica?, politica medica descriplio ; Miiuchini, Doveri e qualità del medico. Celso (De re medica) vuole che il chirurgo sia giovane, o almeno poco inoltrato negli anni; esige dippiù che abbia la mano ferma, snella, nè mai tremante; che sia ambidestro con uguale abilità; di vista chiara, distinta, permanente, acuta; d'animo intrepido ed inesorabile se Vuol guarire chi affidasi alle sue cure, nè affretti o risparmi! la recisione delle parti che il caso richiede, ma compisca la sua Operazione come se le grida del paziente nessuna impressione facessero sopra di lui. I giovani medici e chirurghi, dice Vicq-d'Azyr, trovano a preferenza utili insegnamenti negli ospizi, ove ima saggia amministrazione diffonde ogni soccorso alla umanità povera ed inferma. Ivi fra' moribondi ammalati, o fra i convalescenti, si istruiscono essi a conoscere le diverse gradazioni della vita, e gli orrori anche della morte: colà senza ostacolo alcuno si ricercano ne'varj organi lo cagioni delle malattie, e la mano incerta dell'allievo può ben esercitarsi sopra corpi inanimati : là il chirurgo si abitua a menomare una. parte di quella sensibilità, che, se intera esistesse, Iremante e timido renderebbelo, o se distrutta fosse, in uomo duro e crudele lo trasformerebbe: ivi finalmente acquistasi l'esercizio di scorgere negli occhi, ne'lineamentì del viso, ne' gesti, nel contegno tutto degli ammalati, que'scgni che l'osservatore percepisce e distingue senza poterli ben descrivere, che indarno si cercano ne'libri, c su' quali è troppo importante non ingannarsi. Un sangue freddo imperturbabile, fra le richieste qualità, importa maggiormente al chirurgo di possedere. Un lungo esercizio può- dirigere una mano da principio mal adatta, ma nessun surrogato dà la fermezza d'animo a colui che non l'ha ricevuta dalla natura. Haller ne era privo: giammai questo grand'uomo, tanto profondo nelle teorie, osò praticare nessuna operazione sul vivente. L'esercizio dà solo al chirurgo quella intrepida fidanza, che gb fa sostenere le più difficili operazioni d' alta chirurgia ; e quella sicura calma gl'infonde, che s'eleva sopra tutti gli ostacoli ed i pericoli. Forse più favorevolmente bisognerà giudicarsi colui, che, operando per la prima volta, sarà profondamente commosso dalla scena di quel tetro spettacolo, stomacato dal peculiare odore del sangue, ed oppresso dalle grida del dolore, in confronto a quell'altro, che, straniero alle impressioni della i pietà, conduce con lentezza nelle carni palpitanti il tagliente strumento, con la calma medesima come se incitasse i frodili inanimati organi di un cadavere. I più abili chirurghi hanno durato fatica a sottrarsi da turbamento siffatto, e da quell'interno tremito, acci gnendosi ad una complicata ed ardua operazione. Dono della natura, la destrezza della mano è frutto talvolta dell'abitudine; senza di ciò, l'operatore trovasi in difetto: I i - Quanto è penoso per gli assistenti; e quanto è disonorevole per il chirurgo, una mano inabile, che spinge a caso il tagliente scalpello ne' luoghi affetti, stranamente eseguisce i più semplici processi', erra ad ogni istante attorno grosse arterie, e tormenta l'infermo con moltiplicate dolorose manovre! Quante volte il coltello de' litotomisti, poco esercitati o imperili, si è smarrito ue'còn torni della vescica! Quei, che le circostanze hanno situato alla testa della chirurgia operatoria negli ospedali, devono familiarizzare di buon'ora la loro mano all'esercizio delle grandi operazioni. •; Alcuni operatori, che hanno mostrato aver per precetto', sat bene, sìt sat cito, sì distinguono per l'estrema abilita di operare; tali furono Sharp, Gheselden e Shankius. Taluni cisto toni isti si vantano dì operare un calcoloso in meno di un minuto. Lécat operava con mirabile celerità, malgrado la complicazione dei processi da lui usali. Questa gloriola però ha costato la vita di parecchi pietranti: quantunque quelli- che si operano bene, lo sono assai presto. Freudesberg, De abusis et impostura medicantium tibetius. Se il medico sarà attivo, ma non spinto da simulato interesse per la salute de'suoì ammalati, il di lui contegno nobile e franco, la sua favella dolce ed affabile, l' animo suo compassionevole, rinascer faranno il coraggio nel cuore dell'infelice, benché prossimo ad esalare l'estremo soffio di vita. Pochi medici conoscono il modo di governare negli infelicissimi infermi le ore fatali di agonìa. Non devon essi abbandonare i pazienti } che allorquando avranno raccolto tutti i segni dimostrativi della vicina morte; uè dovranno volger le spalle a' moribondi, finche rima ngon costoro nella possibilità di avvertire l'abbandono di colui, nel. quale hanno riposta l'ultima loro speranza. Il rispetto ad essi dovuto e le leggi di umanità impongono al medico il dovere di rianimare la estinta loro speme, occultare ed inorpellare il colpo tremendo che va a percuoterli, nutrendoli di lusinghiere illusioni sino all' ultimo termine di loro esistenza; avvegnaché in questo emergente, come in altri incontri, l'uomo esìge tacitamente essere ingannato, ond' esser meno infelice. D'altronde gravi inconvenienti emergerebbero dal sollecito inconsiderato dubitar del medico sulle risorse della natura: il precipitato di lui pronostico accrescerebbe la riputazione di chi succèder gli possa, scemando di gran lunga la sua. Con volto sempre placido e tranquillo, avvicinatevi o dipartitevi d'un infermo in pericolo. Non è più ormai in potere dell'arte renderlo a vita? Sarebbe proprio di un cuor feroce ed inumano, parlar di lui in sua presenza come di uno già spedilo o aggiudicato a capital condanna. 11 primo dovere del medico presso colui che è destinato vittima di morte, è lo allontanare, por quanto sia possibile, gli orrori compagni necessariamente di questo momento gravissimo. E non sonosi forse veduti più infermi, in disperato stalo, essere richiamati a vita? Chi assicura dunque che una incauta parola chiuder non possa la pietra sepolcrale sopra colui che sfuggiva alla tomba? Tostoche l'ora tremenda per l'ammalato è pronta a suonare, prevenuti quietamente i di lui congiunti, la religione impone al medico una severa legge dì prepararlo ad adempire i grandi doveri ch'essa comanda. Momento penoso e delicato! Quanta prudenza, quanta destrezza, quanta circospezione abbisognano per eludere uno sfortunato che riguarda qtial' sentenza di morie la presenza dell' Ecclesiastico ! Le consolazioni sublimi del cristianesimo, e la calma resa ad un'agitata coscienza, hanno scemato senza dubbio più d'una volta il peso esorbitante de' mali, di cui il corpo era oppresso; ma una rivoluzione funesta nel fisico e nel morale dell'infermo, sono slati altresì qualche volta i terribili effetti dell' imprudenza, con cui egli è stalo invitato ad occuparsi di ascetiche meditazioni, e delle importune sollecitazioni colle quali una poco illuminata pietà l'ha tormentato. Si possono vedere all' uopo le seguenti opere: Bichter, De medico morientìs adspeclum magis tjuam mortuì Jugienle; Frank, Polizia medica, traduz. Udì.; IIufelànd, L'art da prolungar la vie de l'homme, (rad. de l'allem., ou la Macrobiotiqite. LA MEDICINA DELLO SPIRITO O LA CONOSCENZA DEL MORALE DELL’UOMO importa assaissimo al medico. Non sono sempre i farmaci che guariscono un malato j i saggi consigli, i discorsi che illuminano la ragione, le dimostrazioni d'amicizia, che il cuore commovonò, sono pure mezzi efficacissimi per ricondurre un infermo alla speranza ed alla vita. Chi ben conosce i caratteri delle passioni, ne modera l'impulso, ed i movimenti a sua voglia dirige; e, sminuendo la molesta loro influenza, strappa alla morte quelle vittime acerbamente dispostevi. Ma chi appoggia la sua sapienza alla gretta abitudine di poche forinole, vede perire sotto gli occhi proprii, d'un male di cui ignora la natura, tanti sventurati, i quali soccombono occultando incautamente la piaga che li consuma, alimentata con improvvida costanza. Si sa quanto importi nelle malattie dello spìrito, dice Zimmerraann (Fon der Erfahrung ui der Jineikunst), avere un medico che non badi di sacrificare il suo riposo ed i suoi piaceri, onde prestarsi ognora in sollievo de'miseri ammalati; che si faccia un essenziale dovere di entrare a parte de'loro affanni; che penetri nell'umor del malato, e sia tratta* hile per mostrarsi con lui secondo le circostanze esigono, e per soffrirne la sua miseria e la sua pusillanimità; che sappia tacere quando è vano il parlare, cattivarsi il suo animo con la piacevolezza quando è inutile ogni altro tentativo, e toccargli il cuore con delicati e nobili sentimenti, tu ti a volta che il di lui seno si apre ad essi, come la terra . isquallidila dal lungo orrore dell'inverno, rhigiovinisce e risorge al rinnovellarsi della fiorita primavera. L'arte di leggere e perscrutare nel cuore degli uomini è adunque indispensabile al medico; e spesso questa è l'unica che gli rimane ad usare. Faccia quindi uno studio profondo delle loro passioni, si eserciti a sorprendere i più occulti loro pensieri, sappia discernere, malgrado costanti abnegazioni od accorta dissimulazione, la verità nelle risposte di un infermo, il quale maschera e sa nascondere spesso la natura dell'insidioso vcleuo che a larghi sorsi ha bevuto. Senza una grande abilità ili quest'arte, necessariamente importantissima, non potrà mai il medico governare un misantropo, trargli dal cuore gli annidati secreti, vinicere l'estrema sua diffidenza, e renderò la calma all'agitata sua immaginazione. Senza una estesa cagni 496 zione de' disordini dello spirito umano, vani soccorsi opporrà egli a numeroso stuolo di malattie nervose che infestano la società. Le passioni hanno troppa influenza sull'uomo fisico: laonde come rimediare ai frequenti disordini che nella sua organizzazione cagionano, se i caratteri se ne ignorano nè rintracciare si sappiano? La debolezza dello spirito umano non permette soventi volte potervisi cancellare quelle idee di cui è impressionato, fuorché d'altre solamente preoccupandolo. Celso consiglia a'medici ciò che da altri è stato più volte ripetuto, correggere cioè una passione con un' altra. Per signoreggiare sulla fiducia di un malato, non bisogna urtare le sue tendenze, ma lusingarle, blandirle; egli rivoltasi contro la ragione, se a lui si appresenta con severa fronte, ed ei chiude il suo cuore a chi non sa compatire i suoi trascorsi e le sue debolezze. Non si può allontanare il nostalgico da'suoi cupi lugubri pensieri fuorché ragionando del suo paese, uè i sospiri di un amante disavventurato scemar si possono se non seco parlando dell' oggetto de' suoi voti. Erasislrato, per le circostanze di quel celebre scoprimento di affetti che Stratonica inspirava, apri l'adito ad Ippocrale onde riconoscere l' amore di Perdicca per Filla, ed a Galeno quello di una romana per il danzatore Pìlade; senza dir oltre di consimili particolari che di frequente accadono, ma ignorati dalla storia pubblica de'fasti medici. L'importanza de'morali . soccorsi nella terapeutica è tanto estesa ed energica, che gli antichi riguardavano la morale, la filosofia e l'eloquenza come utilissimi medicinali. Ed in effetto la impressione che eseroi tano sull'anima, salutari mutamenti fisici spesso cagionar deve. Quanto è superiore al medico limitato all'arte di forraolarej colui fra'suoi colleglli che ad un vasto sapere unisce una elegante locuzione, un fondo inesausto di principii dettati dalla ragione, uno spirito in gegnoso perfezionato dalla coltura delle lettere, ed una eloquenza cui nulla non può- resisterei Per Fintini a unione con la morale, la medicina si estolle al rango eminente che occupa fra le umane scienze; e chi la facesse consistere esclusivamente nella cognizione delle proprietà de' medica menti, non sarebbe degno di coltivarla. Si possono vedere in proposito le seguenti opere: Hipfocratis Opera, De prisca medicina; Ljcetus, De optimo medico; Albertus, De medici officio circa animam in causa sanilatis ; Idem, De convenienza medicinae cum theologia pratica; CueitschiuSj De me~ dico nalurae magiaro; Bohemerus, De medicorum animae et corporis in sanandis aegris conjunctione ; Fischer, De medici circa moralia et phjsica in curandis morbis prudentia ; Hennmanius, De eloquentia medici; Petit M. A., Médecìne du coeur; Cabakis, Bapport du phfsique et du maral de l'homme; Alibert, Phjsio~ logie des passions. Il medico di eslesa pratica deve possedere quella sensibilità, quella dolcezza, quella facilità d' umore senza di cui lo spirito, 1' ingegno, il talento è quasi sempre pericoloso per colui che se ne serve, ed inopportuno per quelli che ne abbisognano. La di lui amena ilarità dipinta e trasfusa nelle sue maniere e ne'-suoi discorsi, sia il primo di tutti i mezzi da -esso impiegati, onde il misero languente informo trovar possa in lui non un uomo duro, ma un amico ingegnoso a fargli credere la possibilità della speranza e del benessere, ed abile a guarirlo de' mali che lo tormentano. Felice quel medico dalla natura formato umano, amabile, compassionevole! Felice colui, che per comparire sensibile, non ha bisogno simulare il gesto, moderare gli scoppii immoderati, rudi o imperiosi della sua voce, reprimere un carattere violento ed altiero, ovvero occultare, sotto affettuose apparenze, un cuore freddo, indifferente e morto alle dolci impressioni della pietà! Si proibisca attentamente il medico a Rè stesso la freddezza e la taciturnità, ordinarie a coloro che non hanno mai saputo o voluto domare il cagnesco loro umore, e che indarno scusar vorrebbero con la seria profonda attenzione voluta dalla investigazione delle malattie. Nessuna cosa può dispensarlo della piacevole urbanità, per la quale la scienza si adorna ed abbella: nulla esclude, nella sua professione, l'arte importantissima di soggiogare il pubblico con quella forza che si modifica secondo il bisogno e la tempra ta n to.di versa dello spirito umano. Qual decreto di Esculapio proibisce forse al medico di onorare le Grazie? Un medico, che giungendo presso un malato, si limitasse ad esaminarlo, dettare una forinola, e prender commiato, non potrà ottenere molta celebrità. Il medico, dice Hoffmanno, non dee recarsi dall'ammalato per farsi unicamente vedere, bisogna pure ch'ei parli. Che giova un muto sapere? Un medico taciturno presenta alla società un essere inferiore al mediocre. Varj dottori hanno dovuto una clientela numerosissima, unicamente al diletto de'loro ragionari. Da noi medici si attende troppo nella società: ci suppongono, a ragione, una educazione eccellente e svariate cognizioni; ma se noi resteremo mutoli, il nostro tacere, il nostro silenzio si riterrà qual dichiarazione espressa di nostra ignoranza. Tale è la società, né i medici hanno il potere di riformarla; anzi a'pregiudizii moderatamente conformar si degano giono, avvegnaché il capo d'opera dell'uomo è saper vivere a proposito (Montaigne): vive ut in publico! Ma un mezzo termine esiste tra il cicalamento ed ii silenzio: ogni medico di sguardo penetrante, conosce questo limite, e sa intrattenére piacevolmente i suoi inalati senza stancarli con ridicola ciarlatanesca loquacità. È impossibile, dice il riputalo Vicq-d'Azyr, che ignorato possa restare per lungo tempo il carattere degli uomini pubblici. Osservati incessantemente da persone interessale a ben perscrutarli, indarno vorrebbero essi occultarsi o mentire. Un medico occupatissimo particolarmente non può sottrarsi alla vigile penetrazione de'suoi malati, i quali si avvedono bentosto se generoso egli sia, dolce, compassionevole, ovvero duro, ostinato, severo. Da questa cognizione il pubblico deduce se gli fosse mestieri impallidire o rassicurarsi, parlare o tacersi in presenza di colui che si è fatto l'arbitro de'giorni dell'afflitto valetudinario; starglisi giulivamente s'egli è amabile, od a prevenire il suo umore, se sventuratamente sarà di que' malaugurati individui, che, aggiungendo la paura, il più grande di tutti i mali, alle infermila di cui la specie umana è assalita, sembrano ignorare che lo spaventare un moribondo, è fra le inumane azioni la più vile, crudele ed ingiusta. Ma il medico puù meglio che altri far mostra del suo carattere d'uomo probo per eccellenza, imparziale, integro, inaccessibile alle passioni od al clamore del pubblico; anima energica senza esaltazione, cuore buono e sensibile senza debolezza, costumi puri e dolci, franchezza inalterabile, discernimento diritto, giudizio squisita, sapienza l erudizione, manifeste esser deggiono sue doti Or ecco il medico al colpetto dell'infermo: l'agitazioni? che la presenza sua cagiona, accelera in molti ammalati il movimento del polso; laonde di quinto fenomeno bisogna tener conto nidi' esplorare la circola/ioni; ; « Cum ftrìmum medivus vcia't, ha detto Celso, solitc'Uudo acgii d/diìtaittis ijuomodo dli se /tubero vidcatiir arterìas inovct, oh quam caiisam periti medici est non pmtinus ut venit, apprehendere ma/ut brachium; sed primuin residere hìlari vultu .... tft" 1 deìnde ejus carpo immuni adiiioverc. Le donne, a cui la natura ha dato de' nervi dotati di singolare mobilità, ed una organizz azione molle, debole, tutta di sensazioni; le donne, naturalmente soggette a moltiplicate dolorose malattie, in preda alle angosce le più crudeli, spesso esposte a grandi pericoli durante il travaglio de' loro parti, sono interessale a preferenza di trovare nel medico, che hanno scelto, un carattere garbato, dolce, cortese, uno spirito llessibile, avvincente, un cuore affettuoso e sensibile. Nè egli perverrà mai a piacer loro, se indifferente o stoico pur sia; nè otterrà la loro benevolenza ed amicizia, se imperioso, duro, inaccessibile si mostri. Pulitezza, amabilità, condiscendenza, pazienza a tutLa prova, attenzioni adorne di seducente delicatezza, sono il maggior novero delle qualità che esse esigono in colai che hanno investito della cura della loro salute. E tostochè rassicurate si credono per le provale maniere, colme di riguardi, sedotte dal linguaggio che provoca ed induce ogni intimità, esse ripongono ben tosto nel medico la confidenza de'mali d'una languida e debole struttura, lo fanno depositario di mille minuziosi secreti che hanno bisogno manifestargli, ma per nasconderli in seno, alla fedele amicizia; esse gli affidano ciò clie ritengono di più caro, la vita cioè dei loro figli, clie eziandio dalla mano di lui per sè medesime fa ricevono. Allorquando finalmente hanno giudicato l'animo suo ed ì suoi talenti in rapporto confacente al loro carattere, egli allora è il loro consolatore, un angelo tutelare, un sostegno necessario alla loro felicità. Se alcuni doveri in vantaggio degli ammalati il medico non può mai infrangere, altri doveri i malati adempir debbono verso il medico. Essi saranno sempremai costanti nella scelta che di lui hanno fatta, onde non diffondere inconsideratamente a questo ed a quello le confidenze loro. Adempiranno fedelmente tutto ciò ch'ei prescrive in sollievo della loro salute, perchè a tanto impegno egli è stato prescelto ; nò trasgredir dovranno in qualunque circostanza le additate prescrizioni e gli ordini imposti. E finalmente devono guiderdonare le cure di lui colla dovuta gratitudine e riconoscenza. La scelta delle persone per assistere gli ammalati non è indifferente. Una fi so nomi a piacevole, una pazienza conosciuti ss ima, una inalterabile- dolcezza, un. cuore compassionevole, sono le qualità principali delle donne da prescegliersi al nobile ma penoso incarco di servire gl'infermi. Ed in ciò gli uomini non possono pareggiarle giammai. Esse sole sanno dare' agli infelici, consumati da patimenti crudeli, ogni minuto soccorso che il deplorabile loro stato richiede, sollevar con leggerezza i loro membri addolorati, e con attedia e carezzevole mano destramente supplire a quella languente inazione. I più circospetti premurosi servigi, i più teneri riguardi, tutto profondono agli infermi affidati alla loro vigilanza: né i portamenti in apparenza capricciosi di uno sventurato, sovente reso ingiusto ed esigente per lo eccesso de' mali suoi, nè le fatiche, nè i disgusti, nè i pericoli, menomar possono o indebolire il loro zelo, esaltato talvolta sino all'eroismo, che niente mutasi al letto del dolore. Ricavando Ì particolari sullo stato del vostro infermo, abbiate cura di nulla dire che possa spargere il turbamento o la paura nel di lui animo: nè fate alcun moto, alcun gesto, che possa interpretarsi in modo sinistro da una mente ingegnosa a rivolgere tutto in proprio svantaggio. E già vedetelo cercar la sua sorte nella espressione della vostra voce, nel vostro contegno, nel vostro silenzio. Gli avidi suoi sguardi chiedono agli assistenti la fatale sentenza, ch'egli teme qual ultima: nessuna cosa è per lui indifferente ; ei tutto indaga, egli è tutto occhi, tutto orecchie. E quando bisogna rassicurare la esaltala imaginazione di un infermo, i migliori ragionamenti non valgono quanto una idea falsa, che, non preveduta e bruscamente espressa, si tro. vassé in opposizione totale coll'oggetto de'suoi timori 11 chiarissimo Petit ha fatto sentire vivamente l'interesse del precetto, che non bisogna giammai .parlare de'funesti avvenimenti d'una malattia innanzi di colui che potrebbe temerne le conseguenze. Non parlate-mai di morte coi vecchi e coi tnori bendi. Se dovrete eseguire una grave operazione, evitate dichiararla; ma imprimete un'idea di speranza e di buon esito per tal temuto istante, servendovi pressappoco d'alcuna ingegnosa perifrasi, come: il momento allorquando io vi libererò; ovvero: quando cesseranno i vostri mali ec. Su di ciò nessuno ha pensato meglio del citato Petit; nò con maggior finezza o più eloquenti maniere si è giammai espresso. Astenetevi presso un infermo pericolante da un turbato contegno, o da tumultuosi movimenti. Accorrete forse contro una pericolosa emorragia? non dimenticate che il vostro primo impegno debb'esserc di signoreggiare immantinente sul morale dell'individuo. Se incerto, agitato vi vedesse, ei perderebbe ogni fiducia e si crederebbe perduto. Sottraetegli destramente lo spettacolo degli stranienti di cui vi servite, e più di tutto lo spargimento del proprio sangue. Qual funesta impressione non farebbe su giovane donna, nervosa, esaurita per uterina emorragia, l'aspetto d'uno ostetrico, il quale, con le maniche ripiegale sino al gomito, le mani, le braccia, il viso, gli abiti bruttati di sangue, la tormentasse con le più aspre manovre, e, dopo averle fatto soffrire un lungo e doloroso supplìzio, facesse mostra di esitare, e le lasciasse travedere la scoraggiante impotenza dell' arte! Allontanale da un malato che state per sottoporre a qualche importante operazione, tutto ciò che sbigottir potrebbe il suo cuore e portare lo spavento nel suo spirito, diggia pel timor del dolore agitalissimo. L'uomo più coraggioso ed intrepido non vede giungere senza fremere rabbonito momento. In quali angosce suppor si debbe colui che, debole e pusillanime, si è pur deciso sottoporsi a' crudeli soccorsi dell'arte, dopo lunghe esitazioni e penosi contrasti! Guardatevi di oltraggiarlo o ferirlo colle più insignificanti facezie, le quali tanto più crudeli sarebbero quanto maggiormente inopportune. Imponete a' vostri aiutanti ed agli astanti un silenzio assoluto. In siffatti terribili istanti, tutto ciò che vi attornia deve respirare la calma più tranquilla e perfetta. Alcuni infermi prossimi alla tomba, sospettando il loro stato, supplicano il medico a dichiarar loro in qual .situazione siano ridotti. Istanze pressanti, commoventi preghiere, nulla tralasciano per vincere la ripugnanza di lui: lo illudono interessandolo sulla necessità di metter ordine ad importanti affari} gli vantano il loro coraggio, simulano una perfetta rassegnazione alla sorte loro: diffidi il medico di tali fìnti motivi. Parecchi infermi, che si vantano mirar la morte senza timore, conservano tuttavia una forte secreta speranza d'essere ricondotti alla perduta salute, nè udir possono quella tremenda verità senza darsi in preda ad orribile disperazione. Alcuni di questi sventurati hanno punito l'incauto medico di sua imprudente condiscendenza con darsi spontanea morte. Bisogna morire, egli è incontrastabile, quando batte 1' ora di morie; ma è fatale il volersi intuonare la requie, quando il coraggio e la intrepidezza potrebbero trionfare ancora sovra la lunga notte del sepolcro. Si possono consultare in proposito le seguenti opere: LutheEj De praecipuis cautelis praxin adeimti juxta clinicos probe aUendenlis; W. Wedelius, De officio aegrotanlium; Bienve.w, Des qualitis morales du m£decin, et de la condotte qu'il dtsit tenir auprès des malades; Detebgie, Àrlic. Consultatìons, dans le Dici, de Mèd. et Chir. praliq.; Vavasseur, Manuel de patJiolog. génèr.; Angeli, // medico giovane al leUo dell ammalato. Lieto il medico d'essere stato utile al suo ammalato, il premio delle sollecite penose sue cure dovrà giustamente attendere. Eppure bisogna assuefarai alla sconoscenza de' clienti, ed abituarsi a sollecitare un compenso, più spesso ritardato dal ricco, meno esalto d'ogni altro. Desideraci cosa sarebbe il gratuito esercizio della medicina: ma in qual classe della società trovare individui animati d' ardentissima filantropia, per consacrarsi a' disgusti e pericoli di questa professione, senza altro guiderdone fuorché la virtù? Di qual pane vivrà il medico e la di lui famiglia? Cessi ornai la società di calunniare i medici, poicbè dal suo seno sono prodotti; uè essendo una specie d'uomini eccezionali, son eglino, come tutti gli altri, ciò che la natura e le civili istituzioni ebbero a formarli. Ogni fortuna suppone in sua origine un salario, un lucro otl una rapina. Questa sorgente è accresciuta per successioni. Ma se il negoziante che si arricchisce calcolando i bisogni delle derrate, se V artigiano che appigiona ii suo braccio o vende il frutto del suo lavoro, se il nobile che pone al soldo la sua spada, niente operano che si possa loro biasimare senza fare la satira dello stato sociale, chi oserebbe vituperare e riprendere il medico che accetta o richiede qualche onorario per cura ed assistenza ad un malato prestata? Per esser capace di opera cosiffatta, ha consumato egli una parte della sua vita, ha erogato porzione delle sostanze sue O della sua famiglia, ha sequestrato la sua gioventù in severe discipline lungi d' ogni diletto, finalmente egli ha travagliato per la società, e questa mostar gli si deve riconoscente. Se gli individui che esercitano l' arte di guarire avessero parte a' primi onori dello Stato, vedrebbesi precipitare nella loro coorte tutti quelli che la fortuna ha colmato de' doni suoi. Allora la medicina esser potrebbe gratuita, pagando la società in onorificenze ciò che in costosi servigi riceve. Ma l'esercizio della medicina attualmente procura appena qualche considerazione; un medico gode alcun credito, occupa talora un posto, tos toch è abbandona la sua professione, ovvero allorquando, giunto a sufficiente fortuna, riposa tranquillo gli stanchi suoi giorni. La vista d’un medico ha qualche cosa di apprensivo, perchè ridesta ciò che ogni uomo maggiormente teme e detesta dopo la indigenza o la morte, la malattia. £ qual mezzo si adopera oryle risolversi ad onorare colui che tanto giova all'umanità? Iticupe rata la sanità da chicchessia, cominciasi a dimenticare il male già terminato, ed insieme in ente dileguasi la ricordanza del medico, e la riconoscenza ccu tunicatamente a lui riprotestata. Questa condotta degli ammalati disgusta ed indegna il medico principiante, quantunque animato d'ogni nobile sentimento, che i progressi poi dell'età estinguono in ogni cuore. Perchè egli desiderava amicizia gli si nega la stima, anzi si opprime di sarcasmi, fors'anco di villanie, finché una nuova malattia riproduce l' umile preghiera c la vile e bassa adulazione, suggerite dal timor della morte. Ingannato nelle sue fantastiche speranze, dà egli uno sguardo beranza gl'infelici loro clienti, occultando l'avida loro cupidigia sotto la capziosa maschera dello zelo. Crcderebbesi egli mai che agli ammalati ed ; agli assistenti l'impostore l'assembra uomo filantropo ed abile, mentrechè il circospetto vien supposto ignorante e disattento! E ciò avviene perchè i movimenti delle gambe, dèlie braccia, e della lingua principalmente, sono valutabili soltanto dall'ammalato, ossia da giudici incompetenti. Ma ognuno dee far sacrificii nell'interesse della società: ciascuu le deve un tributo, ed il medico più che ogn' altro; egli, i cui doveri sono consacrati all'umanità, ne darà il buon esempio, ricavando costantemente per l'esercizio del suo ministero la soddisfazione' di avere agito secondo coscienza e possibilità. Laonde se le mediche funzioni espongono tutto giorno chi le adempie allo sdegno dell'ignoranza), all'obblio dell'ingrato, agli oltraggi del calunniatore: se troppo disgraziato sentesi. il medico, :-, perchè la sua 1 riputazione, acquistata penosamente opn. veglie, privazioni e stenti, da' capricci della moltitudine totalmente; dipende : ise, : per'.' bene adompirc i penosi doveri! che gli si impongono, rinunciar gli bisogna tutti i godimenti della vita c la domestica sua libertà, -egli trova, però nell'esercizio stesso della professione qualche compenso, che da così numerosi ed ines ideabili contrasti in parte lo risarcisce. La stima del poco numero di uomini assennati Io consola, c gli f;i dimenticare la gelosa invidia degli emuli, e la fredda indifferenza ingratissima di coloro che maggiormente obbligali gli sono egli deggiono riconoscenza. L'intimo convincimento e la verace persuasione che i suoi malati hanno ricevuto tutte le cure che lo stato loro esigeva e da lui apprestar si potevano, lo sottraggono agl'insulti dell'affannoso rimorso, ed invulnerabile Io rendono all' avvelenato strale delia smaniali Le invida malignità, allorquando un avvenimento funesto non si è potuto prevenire da' soccorsi dell'arte nò per gli sforzi della natura. Una coscienza calma e tranquilla, assicurando a La buona compagnia che l'onta francheggia n Sotto l'usbergo del sentirsi pura, è già la ricompensa del medico, che esercita con probità ed onore i suoi doveri, Il guiderdone cT una buona azione, è di averla fatta : Recte farti, fecìsse merces est; diceva Seneca (epist.); Le frali iTun b'tenfait, d'est le bienjuil lui-méme, Egli è contento e pago del bene da luì fatto, e molto può farne. Lo infelice a preferenza l'implora, ed ei seco conduce la speranza e la consolazione nell'asilo della miseria : e le benedizioni degli sventurati, sono il compenso di cosiffatte beneficenze, premiate da calde lagrime di immutabile riconoscenza. Tostochè un medico giugne a ridonare un ma 2(3 lato dati' orlo della tomba alla vita : allorquando ei conduce ad assicurata convalescenza un disgraziato, già sottoposto a chirurgica pericolosa operazione; questi fausti risultameli d'ogni sua cura largamente lo indennizzano. Colui che è stato salvato, diviene suo amico e fratello. Il vederlo, gli procura la più singolare e deliziosa compiacenza j ed il mutamento più vantaggioso di sua fortuna non gli apporterebbe una pari così grata gioia. Al contento di togliere una de- signata vittima alla morte, niente è che agguaglia. Un infermo ch'egli ha liberato da gravissimi peri- coli, lo consola d'essere stato meno felice in altri in- contri. ' ! . i . ; i i i i ' Il medico adunque, tolte alcune eccezioni, ndn acqui- sta generalmente vistosa e grande fortuna : ma il frutto de'tooi lavori non è esposto mai a repentini sconvolgimenti, che spesso rovesciano il commer- ciante dall'estrema dovizia nell'estrema miseria. Egli gode d'una sorte piacevole e tranquilla; egU.c posto in quella buona e sicura mediocrità, ohe,, fra .tutte ic condizioni della vita, è la più compatibile con la felicità. Accollo, gradito, festeggiato nella società; stimato dalla gente di lettere, desiderato dal ricco e dal pitocco, il medico, sino alla più tarda età, vive amato, onorato, richiesto da ognuno. Montuus, De stìpendìis medicorum. In questa Monografia sono stati i medici Spesse Tolte da me lodati con ingenua franchezza, an- tGoradhó sia- del lóro numero anch'io. Mi sono iit- igegnato ìàre il loro elogio senza prevenzióne, né -ho dissimulato i loro difetti. Ho esposto i,loro doveri, ed ho curato mostrarli quali realmente pur 'son^ij^r^ii&repj^ritato/iliii^mproyece di parzialità,? ÌS,ox io crédo averlo. heoe evitalo.! n tiniw$ rthtv '.( M. Vr^.tVstV <-v,-v .w.s^l*U ifliifc. Roberto Sava. Sava. Keywords. Refs.: dovere, i doveri – pregi. Luigi Speranza, “Grice e Sava” – The Swimming-Pool Library.

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