Grice e Delfino: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale della musica delle sfere -- l’ottava sfera – scuola di Padova –
filosofia padovana – filosofia veneta -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Padova). Filosofo padovano. Filosofo veneto. Filosofo
italiano. Padova, Veneto. Grice:
“Delfino is what we at Oxford would call a ‘philosophical mathematician,’ and
in Italy, an astrologer – his specialty was the ‘motum’ of the ‘ocatva
sphaera’!” “But he also wrote on algorithms!”
Ensegna a Padova. Erudito dalle multiformi attività, fu attivo a Padova nel
filone dell'aristotelismo padovano rinascimentale: sicuramente studioso di
logica e matematica, ebbe chiara fama di matematico e di astronomo. Altre opere:
“De fluxu et refluxu aquae maris” (Venezia); “De holometri fabrica et usu in
instrumento geometrico, olim ab Abele Fullonio invento: Acc.); “Disputatio de
aestu maris et motu octava sphaera, Stupanus, Foullon, Padova, In Accademia
Veneta Paulus Manutius. Dizionario
biografico degli italiani. Musica delle sfere Lingua Segui Modifica La musica o
armonia delle sfere, detta anche musica universale, è un antico concetto
filosoficoche considerava l'universo come un enorme sistema di proporzioni
numeriche. I movimenti dei corpi celesti(Sole, Luna e pianeti), ritenuti
collocati su sfere ruotanti, avrebbero prodotto una sorta di musica, udibile
solo dall'orecchio dei veggenti, e consistente in formule
armonico-matematiche. Incisione di Franchino Gaffurio (Practica
musice, 1496) che raffigura Apollo, le Muse, le sfere planetarie e i rapporti
musicali. La teoria della musica delle sfere ebbe origine nell'antichità e continuò
a essere seguita almeno fino al XVII secolo, suscitando l'interesse di
filosofi, musicologi e musicisti. StoriaModifica La musica delle sfere
incorpora il principio metafisicosecondo il quale le relazioni matematiche
esprimono non solo rapporti quantitativi, ma anche qualità che si manifestano
in numeri, forme e suoni, tutto connesso in un enorme modello di
proporzioni. AntichitàModifica Pitagora, per primo, capì che l'altezza di
una nota è proporzionale alla lunghezza della corda che la produce, e che gli
intervalli fra le frequenze sonore sono semplici rapporti numerici. Secondo
Pitagora, il Sole, la Luna e i pianeti del sistema solare, per effetto dei loro
movimenti di rotazione e rivoluzione, produrrebbero un suono continuo,
impercettibile dall'orecchio umano, formando tutti insieme un'armonia. Di
conseguenza, la qualità della vita sulla Terra sarebbe influenzata da questi
suoni celesti. Nel mondo greco il cosmo era paragonato a una scala musicale,
nella quale i suoni più acuti erano assegnati a Saturno e alle stelle fisse. Il
Sole era indispensabile per la realizzazione dell'armonia in quanto, secondo i
greci, corrispondeva alla nota centrale che congiunge due tetracordi. Per FILOLAO,
matematico e astronomo pitagorico, il mondo è armonia e numero, e tutto è
ordinato secondo proporzioni che corrispondono ai tre intervalli fondamentali
della musica: 2:1 (ottava), 3:2 (quinta) e 4:3 (quarta). In seguito, Platone
descrisse l'astronomia e la musicacome studi gemellati per le percezioni
sensoriali: astronomia per gli occhi, musica per le orecchie, ma entrambe
riguardanti proporzioni numeriche. Egli, inoltre, appoggiò l'idea di una musica
delle sfere nel dialogo La Repubblica, nel quale descriveva un sistema di otto
cerchi, ovvero orbite, per i corpi celesti: stelle fisse, Saturno, Giove,
Marte, Mercurio, Venere, Sole e Luna, che si distinguono in base alle loro
distanze, al colore, e alle velocità di rivoluzione. La visione di un universo
strutturato in cerchi concentrici, aventi come centro la Terra, era del resto
comune a tutta l'antichità: si trattava di sfere intese come ambiti di
pertinenza, ognuna delle quali contenente un pianeta che esse trascinavano con sé,
muovendosi in maniera circolare. Era questo loro movimento a generare il suono,
come affermava anche CICERONE (si veda) Movimenti così grandiosi non potrebbero
svolgersi in silenzio, e la natura richiede che le due estremità risuonino, di
toni gravi l'una, acuti l'altra. Ecco perché l'orbita stellare suprema, la cui
rotazione è la più rapida, si muove con suono più acuto e concitato, mentre
questa sfera lunare, la più bassa, emette un suono estremamente grave; la Terra
infatti, nona, poiché resta immobile, rimane sempre fissa in un'unica sede,
racchiudendo in sé il centro dell'universo. Le otto orbite, poi, all'interno delle
quali due hanno la stessa velocità, producono sette suoni distinti da
intervalli, il cui numero è, possiamo dire, il nodo di tutte le cose;
imitandolo, gli uomini esperti di strumenti a corde e di canto si sono aperti
la via per ritornare qui, come gli altri che grazie all'eccellenza dei loro
ingegni, durante la loro esistenza terrena, hanno coltivato gli studi divini.
Le orecchie degli uomini, riempite di questo suono, diventarono sorde, né
infatti vi è in voi un altro senso più debole. CICERONE (si veda), Somnium
Scipionis, De re publica. Più tardi i filosofi, fra i quali Tolomeo, mantennero
la stretta correlazione fra astronomia, ottica, musica e astrologia. L’'astronomo
arabo al-Kindisviluppò le idee di Tolomeo nel suo De Aspectibus, che associa
anch'esso astronomia e musica. MedioevoModifica Angelo musicante,
affresco di Melozzo da Forlì, Musei Vaticani. L'antica concezione cosmologica
della musica delle sfere passò nel Cristianesimo, dal quale venne ulteriormente
meditata e approfondita, costituendo la base di numerose raffigurazioni di
angeli musicanti, suddivisi in cori angelici gerarchicamente ordinati,
identificati con le orbite celesti di astri e pianeti: nella musica delle sfere
si udiva cantare cioè il corodegli angeli, che accompagnava gli eventi
principali che avvenivano in Cielo, quali la Trinità, l'Ascensione,
l'Incoronazione di Maria. Già Agostino d'Ippona, nel De Musica e nelle
Confessioni, vedeva nei suoni il riflesso di un'armonia primordiale
dell'anima.Furono poi soprattutto Macrobio e Boezio a fare da tramite fra il
pensiero pitagorico, basato sul simbolismo dei numeri, e la nuova teologia
cristiana. La Via Lattea, intersecando lo Zodiaco, forniva per MACROBIO il
«latte», ossia il nutrimento alle anime dimoranti nei cieli, in attesa di
incarnarsi. Tutto l'universo è per lui fondato su rapporti numerici, nei quali
si riflette il progetto creativo di Dio, esprimibili secondo accordi musicali
basati sulla tetraktys pitagorica. BOEZIO (si veda), ponendo le basi del
quadrivium scolastico, ossia il complesso delle materie scientifiche che
verranno insegnate nelle scholae medievali (aritmetica, musica, geometria e
astrologia), spiegava l'ordine del cosmo secondo la rinuncia da parte dei
quattro elementi agli aspetti discordanti. Egli introdusse inoltre nel De
Institutione musicae una distinzione fondamentale, destinata ad avere grande
fortuna nel Medioevo, tra musica mundana, propria delle sfere celesti, musica
humana, quale si riflette nell'interiorità umana, e musica instrumentalis,
fatta dagli uomini a imitazione di quelle. ALIGHIERI (si veda) allude in più
occasioni all'armonia delle sfere, in particolare nel primo canto del Paradiso
della Divina Commedia, quando si rivolge all'Amore che governa le Sfere dei
Cieli, il cui movimento rotatorio, reso eterno dal desiderio che esso accende
in loro, desta la sua attenzione («mi fece atteso»): «Quando la rota, che
Tu sempiterni desiderato, a sé mi fece atteso, con l'armonia che temperi e
discerni, parvemi tanto, allor, del cielo acceso de la fiamma del sol, che
pioggia o fiume lago non fece mai tanto disteso.» (ALIGHIERI (si veda),
Paradiso) Dal Rinascimento all'età modernaModifica L'armonica nascita del
mondo rappresentata da un organocosmico, in Musurgia Universalis di Kircher.
Nel Rinascimento, a fianco della teoria pitagorica si sviluppò la visione
magico-ermetica dell'armonia, espressa dalla concezione del monocordo di Fludd,
nel quale le sfere dei quattro elementi, dei pianeti e degli angeli sono
disposte verticalmente sul monocordo, accordato dalla mano divina. Dio, dunque,
è architetto e musicista supremo del creato. Un modello analogo era stato
delineato da Franchino Gaffurio, il quale aveva collocato i pianeti attorno a
un'ideale corda musicale, secondo una scala eseguita dalle nove Muse,
accompagnata dalle tre Grazie e diretta da Apollo. Keplero, influenzato dagli
argomenti di Tolomeo, scrisse il libro Harmonices Mundi, nel quale vengono
descritte le consonanze fra percezioni ottiche, forme geometriche, musica e
armonie planetarie. Secondo Keplero, il punto d'incontro fra geometria,
cosmologia, astrologia e musica è rappresentato dalla musica delle
sfere.[14]Keplero, però, superò il modello statico delle sfere di concezione
copernicana in favore di un modello dinamico, trasformando le orbite da
circolari a ellittiche, che i pianeti percorrono a velocità variabili (seconda
legge di Keplero). Inoltre, Keplero attribuì a ogni pianeta non un singolo
suono, ma un intervallo di suoni, in cui la nota più grave corrispondeva alla
velocità minima che il pianeta teneva durante la rivoluzione (in corrispondenza
dell'afelio), e quella più acuta alla velocità massima, raggiunta nel perielio.
Spinoza, nella sua Etica dimostrata secondo il metodo geometrico, criticò con
fermezza tale concetto filosofico, indicandolo come idea priva di fondamento
scientifico, frutto dell'immaginazione umana: «la follia degli umani è arrivata
al punto di credere che dell'armonia si diletti anche Dio; e nemmeno mancano
filosofi profondamente convinti che i movimenti dei corpi celesti producano
un'armonia, Il Sole e i corpi celesti. L'immagine ritorna in Goethe, che nel
Faust apre il Prologo in Cielo con le parole dell'arcangelo Raffaele, intento a
contemplare la «melodica» armonia vigente tra il Sole e i corpi celesti. Die
Sonne tönt nach alter Weise in Brudersphären Wettgesang, und ihre
vorgeschriebne Reise vollendet sie mit Donnergang. Intonando l'antica melodia,
a gara con gli astri fratelli, percorre il corso prescritto il Sole con passo
di tuono. Goethe, Faust, primi quattro versi del Prologo in Cielo. Nel primo
Novecento, nell'ambito delle concezioni esoteriche elaborate dalla scuola
antroposofica, l'esoterista Rudolf Steiner sosteneva l'esigenza di recuperare
la capacità sovrasensibile, propria dei pitagorici e di epoche ancora più
remote dell'umanità, di percepire la musica delle sfere. Solo inconsciamente,
durante il sonno, l'uomo riuscirebbe ad attingere dal mondo astrale e
spirituale quell'armonia che gli consente di fornire un sostegno alla sua anima
razionale, e ricomporne gli aspetti dissonanti. Tale armonia celeste secondo
Steiner, diffusa attraverso gli spazi cosmici per mezzo del cosiddetto
«etere-chimico», ha effetto principalmente sul ritmo della respirazione. Il
musicista compositore trasforma incoscientemente in suoni fisici, il ritmo, le
armonie e le melodie che, durante la notte, egli ha percepito nel devachan, le
quali sono rimaste impresse nel suo corpo eterico. Questo è il misterioso
rapporto tra la musica che risuona nel fisico e l'ascolto della musica
spirituale durante la notte. La musica fisica non è che la copia della realtà
spirituale. Come l'ombra sbiadita sta in confronto all'uomo vivo, così la
musica-ombra fisica sta alla vera musica-luce spirituale. Steiner, L'essenza
della musica, conferenza di Colonia) Steiner si propose di ricreare nel
microcosmo umano l'armonia stellare attraverso l'arte da lui stesso fondata,
denominata euritmia, dell'equilibrio tra parole, gesti e movimenti. Hazrat
Inayat Khan, Il misticismo del suono( PDF ), traduzione di Hasan Signora, Weiss,
Plinio il Vecchio. Houlding, a cura di Fabbri, L'armonia delle sfere, su
brunelleschi.imss.fi.it, Museo Galileo. Kahn, Davis, Smith, Affresco
appartenente a un gruppo di altri angeli musicanti dipinti a Roma da Melozzo nell'abside
della chiesa dei Santi Apostoli, successivamente trasferiti in forma di
frammenti nella Pinacoteca Vaticanam Atti. Classe di scienze morali, lettere ed
arti, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Pasi, Storia della musica, Jaca,
Gaugier, Pitagora e il suo influsso sul pensiero e sull'arte, pag. 140,
Arkeios, ALIGHIERI (si veda) e la musica delle sfere. Kepler & the Music of
the Spheres, su skyscript.co.uk. URL consultato il 29 Spinoza, Ethica ordine
geometrico demonstrata, Trad. it. a cura di Patrizio Sanasi. Tiziano Bellucci,
L'armonia delle sfere planetarie, lo zodiaco musicale e i colori, su
coscienzeinrete.net. ^ Stefano Centonze, Manuale di Arti Terapie, pag. 234, ed.
C. Virtuoso. Articolo
su Rudolf Steiner e l'euritmia, su italiadonna.it. Weiss e Richard Taruskin,
Music in the Western World: a history in documents, Cengage Learning, Plinio il
Vecchio, Storia Naturale (tradotto da Rackham, Harvard, Houlding, The
Traditional Astrologer, Ascella, Davis, The Republic, The Statesman of Plato,
Nabu Press, Smith, Ptolemy's theory of visual perception: an English
translation of the Optics, American Philosophical Society. Kahn, Pythagoras and the Pythagoreans, Hackett
Publishing Company, 2Armonia Harmonices Mundi De Institutione musica Gerarchia
degli angeli Sfere celesti Temperamento (musica) Filmato audio L'Armonia delle Sfere -
i Portale Astrologia Portale Filosofia Portale
Matematica Portale Musica Harmonices Mundi Sfere celesti Hans
Kayser musicologo tedesco Federicus Dolphinus. Federicus Delphinus.
Federico Dolfin. Federico Delfino. Delfino. Keywords: l’ottava sfera, first
sphere, second sphere, third sphere, fourth sphere, fifth sphere, sixth sphere,
seventh sphere, eighth sphere – prima sphaera, seconda sphaera, tertia sphaera,
quarta sphaera, quinta sphaera, sexta sphaera, septima sphaera, octava sphaera,
holometria, fabrica holometri, aristotelismo padovano vs. platonismo fiorentino
– aristotele – platone – padova naturalism – Firenze idealism – filosofia della
percezione – prospettiva -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Delfino” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Delia: la ragione conversazionale – Luigi Speranza (Roma).
Filosofo italiano.
Grice e Deliminio:
la ragione conversazionale – Luigi Speranza (Roma).
FIlosofo italiano.
Grice e Delogu: la
ragione conversazionale all’isola -- l’implicatura conversazionale -- semiotica
romana – implicatura sarda – scuola di Nuoro –filosofia nuorese -- filosofia
sarda -- filosofia italiana --- Luigi Speranza (Nuoro). Filosofo nuorese. Filosofo sardo. Filosofo italiano. Nuoro,
Sardegna. Grice: “We can call Delogu a Griceian; at least he has written a
little tract that he entitled ‘questioni di senso’ – which is all that my
philosophy is about!” Si laurea a Sassari e, come vincitore di una borsa di studio
regionale di perfezionamento in Dottrina dello Stato, ha collaborato
all’attività didattica e di ricerca con Pigliaru. È stato redattore del
periodico del seminario di Dottrina dello Stato Il Trasimaco, fondato e diretto
da Pigliaru. Come vincitore di concorso ha insegnato Filosofia e Storia
nei licei. Ha preso servizio a Sassari in qualità di ricercatore. Come
vincitore di concorso ordinario, è prof. associato e prof. ordinario di Filosofia morale presso la
Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Sassari. Cofonda
i Quaderni sardi di filosofia e scienze umane. Fonda e diretto i Quaderni sardi
di filosofia letteratura e scienze umane. Fa parte del comitato
scientifico della rivista “Segni e comprensione” -- dell’Lecce. È stato
direttore del Centro studi fenomenologici a Sassari, fonda e diretto la sezione
sassarese della Società Filosofica Italiana. È stato direttore della
Scuola di specializzazione per la formazione degli insegnanti a Sassari. Gli è
stato conferito il Premio Sardegna-Cultura e il Premio Giuseppe Capograssi,
dalla giuria presieduta da Giovanni Conso, presidente dell’Accademia dei
Lincei. Organizza numerosi convegni, tenutisi in Sardegna, generalmente a
Sassari. Tra questi: Realtà impegno progetto in Pigliaru, Libertà e
liberazione; Etica e politica in Capograssi; Tuveri filosofo, Dettori filosofo,
Esperienza religiosa e cultura contemporanea, Le nuove frontiere della medicina
tra etica e scienza, Vasa filosofo, Nella scrittura di Satta,; Filosofia e
letteratura in Karol Wojtyla; Attualità di Noce; Scrittura e memoria della
Grande Guerra. Ha partecipato in qualità di relatore ai convegni su
Merleau-Ponty (Lecce), Mounier (centro E. Mounier Reggio Emilia), Sartre (Bari,
Università Roma TRE, La Sorbona di Parigi), Gramsci (Cagliari), Intellettuali e
società in Sardegna nell’Ottocento (Cagliari), Capograssi (Roma), Noce (Roma); Tuveri (Cagliari), Satta,
(Trieste); su Corpo e psiche: l’invecchiamento (Chiavari), su I vissuti: tempo
e spazio (Chiavari); è stato relatore al Corso di formazione su Fenomenologia e
psico-patologia promosso dal Dipartimento di salute mentale di Massa
Carrara. Ha tenuto lezioni seminariali sul pensiero fenomenologico di Wojtyla
a Lublino; Capograssi, sul Diritto penale internazionale a Ginevra, sul
pensiero filosofico politico nella Sardegna dell’Ottocento a Zurigo. È
stato responsabile del gruppo di ricerca dell’Ateneo sassarese su L’etica nella
filosofia italiana e francese contemporanea, PRIN. Collabora alle riviste
Annuario filosofico, Rivista internazionale di Filosofia del diritto, Nouvelle
Revue théologique; al Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, alla
Enciclopedia Filosofica edita da Bompiani. Ha diretto il Master Mundis per la
Dirigenza Scolastica promosso da Sassari in collaborazione con la conferenza
nazionale dei Rettori. Premio "Sardegna-Cultura" Premio
Capograssi Altre saggi: “Insegnamento e implicamento empiegamento della
filosofia nella scuola secondaria, Tipografia editoriale moderna, Sassari); “La
critica di Merleau-Ponty alla concezione tomista dell’uomo e della libertà in
S. Tommaso nella storia del pensiero, Teoria
e prassi in A. Pigliaru, Quaderni sardi di filosofia e scienze umane, La
Filosofia Cattolica in Italia, Quaderni Sardi di filosofia e scienze Umane); “Pluralismo
culturale ed educazione in Colloquio interideologico,“ Orientamenti
Pedagogici", La Filosofia dell’educazione in A. Pigliaru; in Quaderni
Sardi di filosofia e scienze umane, Se la corrente calda… Un itinerario
filosofico: Péguy, Sorel, Mounier, Sartre, Quaderni Sardi di filosofia e
scienze umane, M. Ponty, Esistenzialismo, Marxismo, Cristianesimo,, Editrice La
Scuola, Brescia); Né rivolta né rassegnazione: saggio Su Merleau-Ponty, Ets,
Pisa); “Le corpori nell’esperienza morale” Quaderni Sardi di filosofia e
scienze umane, Non vi è terza (né altra via) nell’ “Esprit” di Mounier, Quaderno
Filosofico, “Temporalità e prassi” in S. Weil, Progetto, Temporalità e prassi
in Sartre in Sartre, teoria scrittura
impegno, V. Carofiglio e G. Semerari, Ed. Dedalo, Bari, Una filosofia disarmata
Merleau- Ponty in Esistenza impegno progetto in Merleau-Ponty, G. Invitto,
Guida, Napoli); “Storia e prassi” in La ragione della democrazia, Ed.
Dell'oleandro, Roma, Giuseppe Capograssi e la cultura filosofico-giuridica in
Sardegna, Quaderni sardi di filosofia e scienze umane, Note per una
fenomenologia della esperienza religiosa; in Chi è Dio. Università Lateranense,
Herder, Roma, Storia della cultura filosofico-giuridica, Enciclopedia della
Sardegna, La Filosofia etico-politica di Dettori e la cultura sardo-piemontese
tra Settecento e Ottocento, Quaderni Sardi di Filosofia e Scienze Umane, Il nucleo
di vita e di luce del Rousseau capograssiano in Due convegni su Capograssi, F.
Mercadante, Giuffè, Milano, Filosofia e società in Sardegna tra Settecento e
Ottocento in “La Sardegna e la rivoluzione francese” M. Pinna, Editore, La
Filosofia giuridica e etico-politica negli intellettuali sardi della prima metà
dell’Ottocento: Azuni, D. FoisTola, G. Manno in Intellettuali e società in
Sardegna tra Restaurazione e Unità d’Italia, Editore, Le Radici
fenomenologico-capograssiane di S. Satta giurista-scrittore; in Salvatore Satta
giurista-scrittore, U. Collu, Edizioni, Nuoro); “Soggetto debole, etica forte:
da S. Weil a E. Levinas; in Le Rivoluzioni di S. Weil, G. Invitto, Capone
Editore, Lecce, Pigliaru e Gramsci in Socialismo e democrazia, Archivio sardo
del movimento operaio contadino e autonomistico, Tracce del postmoderno in Weil,
in Moderno e postmoderno nella filosofia italiana oggi, U. Collu, Consorzio per
la pubblica lettura S. Satta, Nuoro, Società e filosofia in Sardegna Tuveri,
FrancoAngeli, Milano, Cultura barbaricina e banditismo in Pigliaru e M.Pira in
L’Europa delle diversità, FrancoAngeli, Milano, Prospettive fenomenologiche
nella cultura contemporanea; in Quaderni sardi di filosofia letteratura e
scienze umane, Asproni e i filosofi sardi contemporanei in Giorgio Asproni e il
suo ‘Diario Politico’, Cuec, Cagliari, Domenico
Azuni, Elogio della pace, a cura di, Assessorato Regionale alla Pubblica
Istruzione, Cagliari, Multi-dimensionalità della esistenza, in Quaderni sardi
di filosofia, letteratura e scienze umane, D.A. Azuni filosofo della pace, in
Francia e Italia negli anni della rivoluzione, Laterza, Bari); “La Preghiera in
J.Sartre in Esperienza religiosa e cultura contemporanea, a cura di, Diabasis,
Reggio Emilia); Note su “Etica comunitaria” e etica planetaria, in Quaderni
sardi di filosofia, letteratura e scienze umane, Temporalità esistenza sofferenza,
in Esistenza e i vissuti Tempo» e Spazio, A. Dentone, Bastogi, Foggia); Le
Relazioni Intermediterranee e il pensiero di D.A. Azuni, in Il regionalismo
internazionale mediterraneo nell’Anniversario delle Nazioni Unite, Consiglio
Regionale della Sardegna, Cagliari, La Festa e la via: una lettura
fenomenologica, in Quaderni sardi di filosofia, letteratura e scienze umane, Corpo
e psiche: l’invecchiamento in Minkoswski, in Corpo e psiche, A. Dentone,
L’invecchiamento, Bastogi, Foggia, Cosmopolitismo e federalismo nel pensiero
politico sardo dell’Ottocento, in Il federalismo tra filosofia e politica.
Edizioni, Questioni Morali); La prospettiva fenomenologica, Istituto Italiano
Di Bio-etica, Macroedizioni, Cesena, L’etica della mediazione, in Il problema
della pena minorile, FrancoAngeli, Milano, La filosofia in Sardegna, Etica
Diritto Politica, Condaghes, Cagliari, Antonio Pigliaru, La lezione di
Capograssi, a cura di, Edizioni Spes, Roma); Note su Del Noce e il nichilismo;
in Quaderni sardi di filosofia, letteratura e scienze umane, Repubblica e
civiche virtù, in Lezioni per la repubblica. La festa è tornata in città,
Diabasis, Reggio Emilia, K. Wojtyla, L’uomo nel campo della responsabilità, a cura
di, Bompiani, Milano, Federalismo e progettualità politico-sociale in Cattaneo
e Tuveri, in Quaderni sardi di filosofia, letteratura e scienze umane); Cattaneo
e Tuveri in Cattaneo temi e interpretazioni, Corona, Centro Editoriale Toscano,
Firenze, Al confine ed oltre. La sofferenza tra normalità e patologia, Edizioni
Universitarie, Roma); J. Sartre, Barionà
o il figlio del tuono, a cura di, Marinotti, Milano, Due Filosofi militanti:
Carlo Cattaneo e Giovanni Battista Tuveri in Cattaneo e Garibaldi. Federalismo
e Mezzogiorno, A. Trova, G. Zichi, Carocci, Roma, Esperienza e pena in Satta in
Nella scrittura di Salvatore Satta, Magnum, Sassari, Note Introduttive alla
filosofia di Wojtyla, Orientamenti Sociali Sardi); Note sul cristianesimo di Pigliaru,
Orientamenti Sociali Sardi, Nov-Dic., Etica e santità in Simone Weil; in Etica
contemporanea e santità, Edizioni Rosminiane, Stresa); Legge morale e legge
civile in Natura umana, evoluzione ed etica. Annuario di Filosofia, Guerini e
Associati, Milano, V. Jankélévitch, Corso di filosofia morale, a cura di, Raffaello
Cortina, Milano); Filosofia e letteratura in Karol Wojtyla, Urbaniana
University Press, Roma, La phénoménologie de l’agir moral selon Wojtyla, in Nouvelle
Revue Theologique, Prefazione
all’analisi dell’esperienza comune in Capograssi, in La vita etica, F. Mercadante,
Bompiani Milano, La noia in Jankélévich, in In Dialogo con Vladimir
Jankélévich., Petrini, Mimesis, Milano); La filosofia di Capograssi in
Esperienza e verità- Capograssi filosofo
oltre il nostro tempo, Il Mulino, Bologna, L’eredità di Capograssi nel pensiero
di Pigliaru, in Antonio Pigliaru. Saggi Capograssiani, a cura di, Edizioni
Spes, Roma, Ragione e mistero, in
Orientamenti Sociali Sardi, XV,. Il pensiero di Noce sul Magistero della
Chiesa, in Attualità del pensiero di Augusto Del Noce,, Cantagalli, Siena, Contro
lo scientismo. Una esperienza di vita, in Gesù Di Nazareth
all’UniversitàAzzaro, Libreria Editrice Vaticana, Roma,. Libertà di coscienza e
religione, in Martha C. Nussbaum, in Nel mondo della coscienza: verità,
libertà, santità, Centro Internazionale di Studi Rosminiani, Stresa, Individuo
Stato e comunità in Pigliaru, in Le radici del pensiero sociologico-giuridico,
A. Febbrajo, Giuffré, Milano,. La pace e la guerra nel pensiero di Cimbali e Vecchio
docenti nell’Sassari in Scrittura e memoria della Grande Guerra, A. Delogu e
A.M. Morace, Pisa, ETS, Questioni di
senso- Breviario filosofico, Donzelli, Roma,. La vita e il diritto nell’opera
di Satta, Nuoro, Lezione di commiato di Antonio Delogu, La Nuova Sardegna, 02
marzo, su lanuovasardegna.gelocal. Remo BodeiAntonio Delogu, su youtube.com.
Festival di filosofia. Wikipedia Ricerca Sardegna e Corsica provincia
romana Lingua Segui Modifica Sardegna e Corsica Sardegna e Corsica Un
pavimento a mosaico proveniente da Nora (in alto a destra), le rovine romane di
Aleria (in basso a destra), le terme romane di Fordongianus (in basso a
sinistra), e le rovine dell'anfiteatro romano di Cagliari (in alto a sinistra).
Informazioni generali Nome ufficialeSardinia et Corsica CapoluogoCaralis
Dipendente daRepubblica romana, Impero romano Amministrazione Forma
amministrativa Provincia romana GovernatoriGovernatori romani di Sardegna e
Corsica Evoluzione storica Inizio237 a.C. CausaPrima guerra punica Fine456
CausaInvasione dei Vandali Preceduto daSucceduto da Domini cartaginesiRegno dei
Vandali Cartografia Corsica et Sardinia SPQR.png La provincia nell'anno 120 La
Sardegna e Corsica (in latino: Sardinia et Corsica) fu una provincia romana di
età repubblicana e imperiale. La Sardegna entrò nella sfera d'influenza romana
dal 238 a.C. La Corsica due anni più tardi ed entrambe vi rimasero fino
all'invasione dei Vandali del 456. Roma occupò la Sardegna nell'intervallo fra
la prima e la seconda guerra punica. Già nei primi anni del grande conflitto,
precisamente nel 259 a.C., il suo esercito aveva tentato la conquista
dell'isola, giungendovi dalla Corsica, ma il console Lucio Cornelio Scipione,
dopo essersi impadronito di Olbia, aveva dovuto ritirarsi. Statuto
Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Province romane
e Lista dei pretori di Sardegna e Corsica. La Sardegna (in greco Σαρδώ, Sardò)
e la Corsica (Κύρνος, Kýrnos),[1] furono annesse, sottraendole alla dominazione
punica. I buoni rapporti che intercorrevano tra le popolazioni locali e i
Cartaginesi, contrapposti ad un regime di conquista introdotto dai Romani, determinarono
una serie di rivolte (in Sardegna. in Corsica) e un'incompleta pacificazione in
particolare delle tribù dell'interno, con continue azioni, considerate
brigantaggio dai Romani. L'intera provincia era governata da un
pretore(attestato a partire dal 227 a.C.), con capoluogo a Carales (Cagliari),
in Sardegna. Probabilmente l'intero territorio della Sardegna fu
considerato ager publicus populi Romani e sottoposto all'esazione di una
decima, a cui potevano aggiungersi altre requisizioni e si ritiene che ad un
regime simile sia stata sottoposta anche la Corsica. Di una certa importanza
era la produzione di grano della Sardegna mentre altre esportazioni erano
costituite dal sugheroe da prodotti della pastorizia e dalle saline. La
proprietà terriera mantenne in Sardegna il carattere di latifondo, già
impostato sotto la dominazione punica. La situazione della provincia
rimase marginale con una scarsa romanizzazione, soprattutto dovuta alla
presenza dei reparti militari, e con una forte permanenza della cultura locale.
Una prima consistente immigrazione si ebbe nel I secolo a.C. in seguito alle
proscrizioni delle guerre civili. Durante il periodo della guerra civile tra
Mario e Silla vi vennero dedotte in Corsica le colonie di Mariana (presso
Biguglia) e di Aleria. Dopo la morte di Silla, vi riparò Marco Emilio Lepido,
che in seguito, sconfitto dal governatore Gaio Valerio Triario, si spostò in
Spagna con alcuni seguaci. Durante la guerra civile tra Cesare e Pompeo la
provincia fu abbandonata dai pompeiani, ma le diverse città accolsero
diversamente le truppe cesariane e furono di conseguenza punite o ricompensate.
Cesare fondò la colonia di Turris Libisonis (Porto Torres, sulla costa
settentrionale) e attribuì a Carales lo stato di municipio. Parallelamente, in
funzione del loro appoggio, a diversi influenti personaggi locali era stata
concessa la cittadinanza romana. La romanizzazione non si estese tuttavia mai
del tutto nell'interno delle due isole. Con la riforma augustea nel 27
a.C. la provincia divenne senatoria, ma nel 6 d.C., la necessità di mantenervi
un presidio armato contro il persistere del brigantaggio indusse lo stesso
Augusto a passarla a provincia imperiale. Fu amministrata sempre da un
praefectus Sardiniae a partire da Tiberio, e da Claudio al titolo principale di
praefectus Sardiniae fu aggiunto l'attributo procurator Augusti. Passò a varie
riprese da senatoria, governata da un propretore, a imperiale, a seconda delle
necessità contingenti. La provincia fu occupata da alcuni latifondi di proprietà
imperiale e interessata dallo sfruttamento delle minieree fu spesso utilizzata
come luogo di confino (per esempio per Seneca). Storia delle due isole
romaneModifica Il Mediterraneo occidentale nel 348 a.C. al tempo del
secondo trattato tra Roma e Cartagine. Frattanto gli Etruschi subiscono
l'attacco dei Galli e di Roma Lo stesso argomento in dettaglio: Storia della
Sardegna, Storia della Corsica e Trattati Roma-Cartagine. Sembra che il primo
serio interessamento di Roma alla Corsica si ricavi da un testo di argomento
insospettabile: è infatti in Teofrasto, il botanico greco, che si legge di una
spedizione romana in Corsica finalizzata alla fondazione di una città. Le 25
navi della spedizione incorsero però in un inatteso inconveniente, rovinandosi
le vele con la selvaggia e gigantesca vegetazione, i cui rami crescevano e si
sporgevano dai golfi e dalle insenature dell'isola sino a lacerarle
irrimediabilmente; e, per completare il disastro, la zattera che caricava 50
vele di ricambio affondò con tutto il carico. La spedizione sarebbe avvenuta
intorno al IV secolo a.C., a questo periodo infatti diversi studiosi, fra i
quali Pais, riferiscono il brano del botanico. Fallita la prima
spedizione, non era cessata l'attenzione dell'Urbe per il mare e le due isole.
Per questo interesse giunse anche, a stipulare due trattati con Cartagine,
entrambi riguardanti Sardegna e Corsica; ma se rispetto alla prima isola i
passaggi dei trattati sono ben chiari[8], i patti sulla seconda sono tutt'altro
che nitidi, al punto che Servio osserva che in foederibus cautum est ut Corsica
esset medio inter Romanos et Carthaginienses. Anche Polibio, narrando dei
trattati, non menziona la Corsica e da questo silenzio, insieme al fatto che
l'isola non figurava nemmeno nelle descrizioni dei territori a controllo
cartaginese, il Pais ed altri dedussero che la facoltà di controllarla che
tempo prima Cartagine aveva pattuito con gli Etruschi, si fosse da questi
trasmessa a Roma. Tuttavia lo stesso Pais ricorda, per converso, che Cartagine
non aveva mai rinunziato a mire sull'intero Mediterraneo, e che riponeva nella
Corsica un interesse specifico, giacché ne assoldava periodicamente fidati
mercenari; questa circostanza, unita ad una facile riflessione sull'importanza
strategica di un'isola a vista, anzi dirimpettaia delle rive liguri, toscane e
laziali, punto quindi di osservazione e di attacco, parrebbe smentire l'ipotesi
di un disinteressamento di Cartagine come causa del silenzio dei trattati.
L'occupazione Lo stesso argomento in dettaglio: Prima guerra punica. Dopo lo
scoppio della prima guerra punica, il console romano Lucio Cornelio Scipione sbarcò
in Corsica presso lo stagno di Diana, a circa 3 km da Aleria, e assediò la
città; sebbene l'invasore contasse sull'effetto sorpresa, Aleriaresistette a
lungo e dopo la capitolazione Scipione la fece saccheggiare con ferocia, ciò
che secondo Floroavrebbe diffuso lo sgomento fra le popolazioni corse. Prima di
aver consolidato l'occupazione della Corsica, Scipione passò in Sardegna dove
secondo Giovanni Zonara i locali erano in rivolta contro Roma in quanto
sobillati dal generale cartaginese Annone. Sulla rivolta non vi sono dubbi, ma
sono state espresse perplessità a proposito dell'asserita fomentazione
cartaginese, ad esempio il Dyson definì l'asserzione di Zonara a cryptic
passage. A ogni buon conto, Scipione uccise Annone e ne organizzò il funerale. Al
suo rientro a Roma, il console celebrò il trionfo per la vittoria su
Cartaginesi, Sardi e Corsi. Le Bocche di Bonifacio che separano le
due isole Gaio Sulpicio Patercolo sbarcò nella zona di Sulci in Sardegna, ma
nei venti anni che seguirono non sono riportate attività dell'esercito Romano
in Sardegna. La pace lasciò così l'isola sotto l'egemonia di Cartagine, anche
perché la suddivisione del Mediterraneo in sfere d'influenza aveva portato i
Cartaginesi, una volta persa la Sicilia, a spostare la propria attenzione verso
altre zone al di fuori della sfera d'influenza Romana. Ma in quello stesso
anno, seguendo l'esempio dei commilitoni d'Africa, i mercenari stanziati da
Cartagine in Sardegna si ribellarono e s'impadronirono del potere nell'isola,
compiendovi ogni sorta di efferatezze finché i Sardi, esasperati, insorsero e
li cacciarono dalla loro terra. L'orda dei sanguinari invasori si rifugiò allora
in Italia dove invitò i Romani a prendere possesso della Sardegna,
momentaneamente indifesa. L'invito fu accolto: Roma, cogliendo l'occasione dei
preparativi punici per la rioccupazione dell'isola, accusò Cartagine di
preparare l'invasione del Lazio e inviò le sue legioni in Sardegna. Cartagine,
che non era allora in condizioni di intraprendere una nuova guerra contro Roma,
subì il sopruso. Il senato romano dichiarò guerra ai Corsi ed inviò una
spedizione di conquista guidata da Licinio Varo, non coerente con l'avvenuta
occupazione dell'isola attestata in alcuni storici romani. Il comandante Varo,
comunque, conscio dell'esiguità della flotta assegnatagli, fece precedere
l'attacco principale da un'operazione decentrata meno impegnativa, onde
fiaccare le difese corse, facendo sbarcare sull'isola un corpo separato di
spedizione al comando dell'ex console Marco Claudio Clinea. Prima di questa
operazione, Clinea aveva già compromesso la sua reputazione presso i Romani,
avendo osato andare in battaglia contro l'avviso degli àuguri e avendo pure
commesso un sacrilegio consistente nell'avere (o aver fatto) strangolare dei
galli sacri; ansioso di riguadagnare prestigio, egli mosse da solo contro il
nemico e ne fu sconfitto.I Focei lo obbligarono a siglare un umiliante trattato
presto sconfessato da Varo, che lo ignorò o lo infranse, a seconda dei punti di
osservazione, e attaccò quando gli avversari, i quali dopo la firma del
trattato non si attendevano un attacco e avevano quindi smobilitato. Varo li
vinse facilmente e conquistò territori nella parte meridionale dell'isola; poi
tornò a Roma dove chiese la celebrazione del trionfo, che gli fu però negato.
Quanto allo strangolatore di galli, Clinea, Roma decise di lasciarlo in mano ai
Corsi presumendo che lo avrebbero ucciso per esser in qualche modo venuto meno
(con l'attacco guidato da Varo) al trattato sottoscritto, ma questi lo
liberarono ed anzi lo rinviarono a Roma indenne; il Senato tuttavia non cambiò
idea e, dopo averlo riportato in città, lo condannò a morte, inducendo Valerio
Massimo a chiosare che hic quidem Senatus animadversionem meruerat.
Le tribù Nuragiche. Le prime rivolte Così come i Corsi, anche le
popolazioni sarde che se in precedenza avevano finito con l'accettare la
presenza dei Cartaginesi collaborando parzialmente con loro, ora non erano
affatto disposte a subire il dominio di questa nuova gente, anch'essa venuta d'oltremare
con le armi in pugno, ed intrapresero subito un'accanita resistenza
all'invasore nei modi di una ostinata e persistente guerriglia. Essi infatti
erano armati alla leggera: utilizzavano le pelli di muflonecome corazze
naturali, oltre ad un piccolo scudo ed una piccola spada. Già nel 236 infatti,
due anni dopo la conquista da parte romana del centro sardo-punico della
Sardegna, i Romani condussero varie operazioni militari contro i Sardi che
rifiutavano di sottomettersi. Sobillati dai Cartaginesi che "agivano
segretamente", i Sardi si ribellarono, ma la rivolta fu soffocata nel
sangue da Manlio Torquato, che avrebbe celebrato il trionfo sui Sardi. Altre
rivolte furono sanguinosamente represse dal Console Carvilio Massimo, il cui
trionfo sarebbe stato celebrato il 1º aprile dello stesso anno. Fu il console
Manio Pomponio a sconfiggere i Sardi ed a ricevere gli onori del trionfo. La
resistenza, però, era ben lungi dall'essere stata sedata ed anzi il clima si
fece rovente. I consoli Marco Emilio Lepido e Publicio Malleolo, di ritorno da
una spedizione in Sardegna in cui avevano razziato dei villaggi, furono
costretti da una tempesta a prendere terra in Corsica; gli abitanti li
assalirono, massacrarono i soldati e li depredarono del bottino sardo. Il
Senato di Roma inviò allora nell'isola il console Caio Papirio Maso, il quale
dopo una serie di buoni successi nelle zone costiere, si diede ad inseguire i
corsi (per Roma "i ribelli") sulle montagne. Qui i padroni di casa
ebbero facilmente la meglio, dovendo il romano fare i conti anche con la
scarsità di rifornimenti e perdendo uomini, oltre che per le azioni militari,
anche per la denutrizione delle sue truppe. Papirio fu costretto ad una resa e
sottoscrisse un altro trattato i cui dettagli non sono noti, ma che assicurò un
buon periodo di pace. In seguito Roma completò l'occupazione della Corsica
durante la prima guerra punica, dando l'avvio ad una fase di dominazione che
durò ininterrotta per circa sette secoli. Data la grave situazione di
pericolo, furono inviati addirittura due eserciti consolari: uno contro i
Corsi, comandato da Papirio Masone, e uno, guidato da Marco Pomponio Matone,
contro i Sardi. I consoli non ottennero il trionfo, dati i risultati fallimentari
conseguiti. E a poco valse a Papirio Masone celebrare di sua iniziativa il
trionfo, negatogli dal senato, sul monte Albano anziché sul Campidoglio e con
una corona di mirto anziché di alloro. La provincia di Sardegna e Corsica
Lo stesso argomento in dettaglio: Lista dei pretori di Sardegna e Corsica. Si
verificò una recrudescenza dei moti, ma ormai Roma era fortemente intenzionata
ad assicurarsi il dominio del Mar Mediterraneo, e dunque il possesso della
Sardegna e della Corsica, che continuavano ad essere di decisiva importanza;
così, le due isole (perlomeno le parti controllate da Roma) ottennero la forma
giuridica ed il rango di Provincia - la seconda dopo la Sicilia - e vi fu
inviato il pretore Marco Valerio Levino per governarla. Per domare gli ultimi
focolai, stavolta fu inviato l'esperto Console Gaio Atilio Regolo, con 2
legioni. La rivolta sarda di Ampsicora e gli anni della guerra Annibalica Lo
stesso argomento in dettaglio: Seconda guerra punica. Mappa della rivolta
di Ampsicora in Sardegna Giunse a Roma una lettera del propretore Aulo Cornelio
Mammula, il quale si lamentava del fatto che non erano stati corrisposti gli
stipendia ai suoi soldati di stanza nell'isola, e che vi erano gravi carenze di
approvvigionamenti di grano. Allo stesso fu risposto di dover provvedere con i
propri mezzi, poiché al momento non vi era alcuna possibilità di soddisfare
tali richieste. In assoluto, la più
importante rivolta dei Sardi fu quella scoppiata all'indomani delle grandi
vittorie di Annibale in Italia. Livio sostiene che: «l'animo dei Sardi
era stanco della lunga durata del dominio romano, spietato ed avido; erano
stati oppressi da pesanti tributi e con ingiuste imposizioni di rifornimenti di
frumento.» (Livio) Il nuovo pretore inviato nell'isola, Quinto Mucio
Scevola, si ammalò probabilmente di malaria dalla descrizione che ne fece Livio.
E quando si venne a sapere della sua malattia a Roma, gli vennero inviati dei
rinforzi (pari a 5.000 fanti e 400 cavalieri), posti sotto il comando di Tito
Manlio Torquato. Un autorevole esponente dell'aristocrazia terriera
sardo-punica, quell'Amsicora (o Ampsicora) che Tito Livio definì: «qui tum
auctoritate atque opibus longe primis erat» (colui il quale in quel tempo era
largamente primo per autorità e per ricchezze), era infatti riuscito non solo a
mettere in campo un esercito sardo abbastanza consistente, ma anche ad ottenere
rinforzi militari da Cartagine, inviandovi ambasciatori in segreto. Secondo
alcune fonti insieme ad Amsicora a condurre la rivolta si trovava pure Annone,
un ricco cittadino punico di Tharros. Cartagine sostenne la rivolta inviando
una flotta forte di 15.000 armati, sotto il comando di Asdrubale il Calvo. Il
piano di Amsicora era quello di dare battaglia solo quando tutte le forze
disponibili si fossero riunite. Per continuare il reclutamento tra i sardi
dell'interno, lasciò il comando al figlio Iosto a Cornus con una parte
dell'esercito. I rinforzi di Cartagine però non arrivarono in tempo per colpa
di una tempesta che dirottò le navi sulle isole Baleari dove rimase per molto
tempo per essere riparata;e i Sardi dell'interno indugiarono troppo prima di
unirsi al suo gruppo. Iosto accettò imprudentemente la battaglia offerta dal
comandante Manlio Torquato. L'esercito sardo fu sconfitto subendo la perdita di
3.000 soldati, 800 furono fatti prigionieri[28]. Asdrubale il Calvo
intanto raggiunse la Sardegna, sbarcò a Tharros e respinse i Romani verso
Caralis. A loro si unì Amsicora con il resto dell'esercito sardo. Lo scontro
con i Romani avvenne nella piana del Campidano meridionale, tra Decimomannu e
Sestu. Dopo una cruenta battaglia la coalizione sardo-punica fu duramente
sconfitta, morirono 12.000 tra Sardi e Cartaginesi e 3.700 furono fatti
prigionieri fra i quali Asdrubale il Calvo ed Annone. Iosto morì in battaglia.
Amsicora affranto dal dolore per la morte del figlio, non volendo finire nelle
mani dei Romani si uccise. Una flotta cartaginesedi 40 navi, comandata da
Amilcare apparve davanti alla città di Olbia, situata nella costa nordest della
Sardegna e la devastò; poi quando apparve il pretore Manlio Vulsone con
l'esercito, il comandante cartaginese si affrettò ad allontanarsi fino a
raggiungere Caralis (Cagliari), che saccheggiò e da lì fece ritorno in Africa
con un ingente bottino. Le rivolte del II secolo Romania e Barbaria Il II
secolo a.C. fu, specialmente nella sua prima parte, un periodo di importanti
fermenti insurrezionali. Nel 181 a.C. ci fu una rivolta dei Corsi, sedata nel
sangue dal pretore Marco Pinario Posca, che ne uccise circa 2.000 e fece un
certo numero di schiavi. Una nuova rivolta fece intervenire Attilio Servato,
pretore in Sardegna, che fu battuto e costretto a ripararsi sull'altra isola;
Attilio chiese rinforzi a Roma, questa inviò Caio Cicerio che, dopo aver fatto
voto a Giunone Moneta di erigerle un tempio in caso di successo, ottenne un
nuovo sanguinoso successo, con 7.000 corsi uccisi e 1.700 fatti schiavi. A
domare una nuova rivolta fu invece Marcus Juventhius Thalna, delle cui gesta
non è stato tramandato. Oltre al silenzio letterario sulla spedizione,
colpiscono due aspetti anche più singolari del poco che ne è stato tramandato:
il primo è che dopo aver avuto notizia del successo il senato romano indisse
delle preghiere pubbliche, il secondo è che saputo a sua volta di quanto
importante fosse stato considerato il suo successo, Thalna ne trasse tanta
emozione da addirittura morirne. Morto Thalna, la ribellione dovette riprendere
immediatamente, sostiene Colonna, poiché Valerio Massimo, pur senza parlare di
altre rivolte, segnala che dalla Sardegna dovette allungarsi sull'isola corsa
anche Scipione Nasica a completare la pacificazione; circa la complessiva
azione romana di repressione delle insurrezioni, lo stesso Colonna suggerisce
inoltre che in nessun caso debba essersi trattato di successi pieni poiché,
oltre che al primo, a nessun altro condottiero fu poi più concesso il trionfo.
La resistenza dei Sardi si protrasse ancora nel II secolo a.C. Per sedare la
ribellione dei Balari e degli Iliesi, il Senato inviò il console Tiberio
Sempronio Gracco al comando di due legioni di 5.200 fanti ciascuna, più 300
cavalieri, cui si associarono altri 1.200 fanti e 600 cavalieri fra alleati e
Latini. In questa rivolta persero la vita 27.000 sardi; in seguito alla
sconfitta, a queste comunità fu raddoppiato il gravame delle tasse, mentre
Gracco ottenne il trionfo. Tito Livio documenta l'iscrizione nel tempio della
dea Mater Matuta, a Roma, dove i vincitori esposero una lapide celebrativa che
diceva:« Sotto il comando e gli auspici del console Tiberio Sempronio Gracco,
la legione e l'esercito del popolo romano sottomisero la Sardegna. In questa
provincia furono uccisi o catturati più di 80.000 nemici. Condotte le cose nel
modo più felice per lo Stato romano, liberati gli amici, restaurate le rendite,
egli riportò indietro l'esercito sano e salvo e ricco di bottino; per la
seconda volta entrò a Roma trionfando. In ricordo di questi avvenimenti ha
dedicato questa tavola a Giove.» La Sardegna in epoca romana aveva appena 1/5
dei suoi abitanti attuali (300.000 contro 1.600.000 attuali) e la Barbagia (più
o meno la provincia di Nuoro) poteva avere allora appena 55 000 abitanti (1/5
dei suoi attuali 280.000). Se l'epigrafe raccontava il vero, i Romani avevano
ucciso la metà degli abitanti, per di più tutti maschi e adulti. Le
rivolte dei Sardi non si erano concluse, ma bisognò attendere gli anni 163 e
162 a.C. per vederne di nuove dopo lo sterminio compiuto da Sempronio Gracco.
Non si sa molto su queste rivolte poiché andarono perduti i testi di Livio. Si
sa però da altre fonti che le sollevazioni causate dall'eccessiva pressione
fiscale dei pretori romani continuarono e gli eserciti e i generali romani che
si susseguirono nel compito di domare questa terra utilizzarono sempre la
stessa strategia: eliminare il maggior numero di Sardi possibile. Tra le
ultime rivolte di una qualche importanza vanno citate quelle del 126 e del 122:
quest'ultima permise a Lucio Aurelio di celebrare l'8 dicembre il penultimo
trionfo romano sui Sardi. L'onore però dell'ultimo fu dato dal Senato al
console Marco Cecilio Metello che sconfisse l'ultima resistenza dei Sardi uniti
(quelli delle coste e dell'interno). Da questo momento, i Sardi delle zone
costiere e delle pianure dell'Isola smisero di ribellarsi e col passare del
tempo si romanizzarono. Continuarono invece le ribellioni delle seguenti tribù
dell'interno che costrinsero le guarnigioni romane a estenuanti campagne
militari. Ilienses (siti tra il Marghine ed il Goceano) Balari (abitanti
il Monteacuto e parte della Gallurameridionale) Corsi (ubicati nella estremità
settentrionale della Sardegna) Olea - "Sardi Pelliti" o Aichilensens
(così definiti dall'erudito geografo Tolomeo, dal greco aix, aigòsovvero
vestiti di pelli di capra), abitanti la regione del Montiferru: arroccati nelle
fortezze di sa Pattada Cunzada (959 m) - Scano di Montiferro -, Badde Urbara
(900 m) - Santu Lussurgiu -, nei nuraghi di Leari (850 m), su Crastu de sa
Chessa (745 m), Funtana de Giannas (690 m) - Scano di Montiferro - , Silbanis e
Monte Urtigu (1050 m) - Santu Lussurgiu Celsitani, Nurritani, Cunusitani,
Galillensi (odierna Barbagia), Parati, Sossinati e Acconiti (nel Monte Albo e
nei Monti Remule) costituenti la cosiddette Civitates Barbariae, dimoranti
nell'area chiamata Barbària e probabilmente facenti parte dell'etnia degli
Ilienses. In queste epoche, un gran numero di Sardi che erano stati fatti
prigionieri furono venduti come schiavi nei mercati di Roma, al punto che
divenne proverbiale la frase di Livio: "sardi venales" (sardi a basso
costo). Mario fondò in Corsica la città di Mariana (Colonia Mariana a
Caio Mario deducta), sita presso l'attuale comune di Lucciana verso la foce del
Golo. Da questo momento iniziò la colonizzazione vera e propria e sull'isola
fiorirono ville rustiche e suburbane, villaggi e insediamenti di ogni tipo,
incluse le terme di Orezza e Guagno. Le Guerre SocialiModifica Durante le
guerre civili romane la Sardegna fu dapprima spinta verso la fazione mariana
dal suo governatore Quinto Antonio e poco dopo indotta a schierarsi nel campo
opposto dal sopraggiungere del rappresentante di Silla. Sono i legionari di
Silla a trovare in Corsica il luogo di pensionamento, stavolta presso
Aleria. Morto Silla, il pretore Caio Valerio Triario mantenne la Sardegna
fedele al partito senatorio capeggiato da Pompeo (l'isola pagò a quest'ultimo
un enorme tributo in acciaio per le armi del suo esercito), finché Carales
(Cagliari) non si schierò con Cesare, imitata poco dopo da tutto il resto
dell'isola. Fu scacciato il luogotenente di Pompeo, Marco Cotta, e fu accolto
favorevolmente quello di Cesare, Quinto Valerio Orca. I pompeiani non si
diedero per vinti e iniziarono una serie di azioni guerresche intese alla
riconquista delle città costiere. Sulci si arrese mentre Carales resistette:
per questo motivo, Cesare punì la prima e premiò la seconda. La situazione si
capovolse di nuovo quando la Sardegna, assegnata ad Ottaviano, e invece
occupata da SESTO POMPEO MAGNO che la tenne come preziosa base per la sua lotta
contro i cesariani, quando, tradito dal suo luogotenente, fu definitivamente
soppiantato da Ottaviano nel possesso dell'isola. Con quella data
finalmente ebbe termine per la Sardegna il periodo delle lotte violente e dei
bruschi sovvertimenti politici, con le loro funeste conseguenze economiche,
durato esattamente duecento anni. Diodoro Siculo visitò la Corsica e notò
che i còrsi osservavano tra loro regole di giustizia e di umanità che valutò
più evolute di quelle di altri popoli barbari; ne stimò il numero in circa
30.000 e riferì che essi erano dediti alla pastorizia e che marchiavano le
greggi lasciate libere al pascolo. La tradizione della proprietà comune delle
terre comunali non fu eradicata del tutto. I primi due secoli
dell'ImperoModifica Busto di Augusto, museo archeologico nazionale di
Cagliari Le province dell'Impero romano furono ripartite tra le province
affidate all'Imperatore Augusto, governate da legati di rango senatorio, e
province affidate al senato, tra cui la Sardegna e Corsica, governate da
proconsoli (proconsules) di rango senatorio . Anche nelle province senatorie
l'Imperatore aveva suoi rappresentanti di rango equestre detti procuratori
(procuratores) Presso Aleria e Mariana si approntarono basi secondarie
della flotta imperiale di Miseno. I marinai còrsi arruolati presso i porti
dell'isola furono tra i primi a ottenere la cittadinanza romana (sotto
Vespasiano). Analogamente a quanto avveniva in altre province, i Romani si
guadagnarono il rispetto e la collaborazione dei capi locali (a cominciare dai
Venacini, tribù del Capo Corso), riconoscendo loro funzioni di governo locale
ed apportando ricchezza con la messa a profitto delle terre sfruttabili in
collina e lungo le coste. I sardi si ribellarono, non solo all'interno ma
anche nelle pianure, e manifestarono il loro malcontento unendosi ai pirati del
Tirreno. La violenza di questa rivolta costrinse Augusto a rimuovere i senatori
dal comando della Sardegna ed a prenderne lui stesso il controllo diretto. Fu
inviato un distaccamento di legionari, comandati da un prolegato (al posto del
legato) di rango equestre o da un prefetto, a rinforzare la presenza militare
sull'isola che prima era affidata solo ad alcune coorti ausiliarie. La rivolta
fu così violenta che alcuni storici hanno ipotizzato che la Sardegna e la
Corsica fossero state divise e affidate a 2 governatori di pari grado
indipendenti l'uno dall'altro; è infatti attestata l'esistenza di un praefectus
corsicae. Più accreditata è però l'ipotesi che vuole che questo prefetto di
Corsica fosse un subordinato del governatore della Sardegna. Svetonio ci
dice che Augusto visitò tutte le province tranne la Sardegna e l'Africa poiché
le condizioni del mare non glielo permisero, mentre quando il mare non glielo
impediva non c'era bisogno che partisse: questo fa capire che la rivolta pur
essendo violenta non durò molto. Infatti nel 19 Tiberio sostituì il
distaccamento di legionari con 4000 liberti (o figli di liberti) ebrei. La
situazione ritornò tranquilla e Claudio ridette il comando al senato.
Nerone mandò in esilio in Sardegna Aniceto, ex precettore dell'imperatore ed ex
prefetto della flotta di Miseno. Aniceto, su istigazione di Nerone ne aveva
ucciso la madre, Agrippina e qualche anno dopo, per spianare la strada a Poppea
"confessò" una relazione con Claudia Ottavia moglie legittima di
Nerone e fanciulla di specchiata virtù. La Tavola di Esterzili
risalente al regno di Otone, e riportante un decreto del Proconsole della
Sardegna Lucio Elvio Agrippa atto a dirimere una controversia tra i Gallilensi
e i coloni Patulcenses Campani Probabilmente per evitare fughe di notizie o
ricatti Aniceto fu spedito in Sardegna dove visse fra gli agi al sicuro anche
da eventuali sicari dell'imperatore. Seneca, il tutore di Nerone, passò dieci
anni in esilio in Corsica. Vespasiano, tolse al senato il controllo della
Sardegna - forse di nuovo in fermento - e la affidò a un procuratore.
L'imperatore Traiano ristrutturò e potenziò il centro di Aquae Hypsitanaeche
assunse in suo onore il nome di Forum Traiani. Il II secolo fu un momento
di sviluppo e di prosperità anche per la Sardegna: tutti gli abitanti, anche i
barbaricini, si mostravano contenti della politica romana (almeno secondo la
storiografia ufficiale) e ben presto tutta l'isola avrebbe parlato latino (la
lingua dei Cartaginesi è attestata fino al principato di Marco Aurelio). In
questo periodo non ci furono rivolte ed i Romani ebbero la possibilità di
ricostruire e migliorare la rete stradale punica spingendola anche all'interno,
costruirono terme, anfiteatri, ponti, acquedotti, colonie e monumenti. La
ricchezza della Sardegna era dovuta ad uno sfruttamento agricolo e minerario
senza precedenti: l'isola infatti esportava piombo, ferro, acciaio e argento
grazie alle sue miniere, e grano per 250.000 persone. Ma nonostante tutto la
Sardegna venne sempre considerata, e non solo sotto i Romani, come una terra
lontana e utile solo per isolare prigionieri e nemici dell'impero. Tra le varie
persone che giunsero in Sardegna dal mare vi erano numerosi criminali,
rivoluzionari ma anche tantissimi cristiani tra cui anche i papi Callisto e
papa Ponziano e il famoso prete Ippolito. I governatori, in questa fase,
sembravano di fatto dei coordinatori manageriali, con esperienza nel
rifornimento e nel trasporto del grano, più che uomini d'arme. Sappiamo ora con
certezza che, nel 170, la Sardegna era sotto il controllo senatoriale. Se
Ippolito è preciso nella sua terminologia, il governatore della provincia era
chiamato procurator. Questi governatori (procuratori) gestirono il territorio
in modo pacifico ma dopo, come del resto in tutto l'impero, riprese il
malcontento della popolazione, che costrinse i governatori a reprimere le
rivolte con l'uso della forza, nei casi più gravi. Gli ultimi tre secoli
dell'ImperoModifica La situazione era cambiata rispetto a quella del secolo
precedente; i governatori erano quasi tutti militari ed alcuni, come Tizio
Licinio Hierocle e Publio Sallustio Sempronio, erano anche uomini con
esperienze di guerra. Il malcontento andò aumentando poiché le tasse erano
alte, il latifondo si diffondeva e gli agricoltori erano sempre più legati alla
terra. Il fatto che grazie a Caracalla i Sardi e i Corsi, come tutti gli
abitanti dell'Impero, avessero ottenuto la cittadinanza romana, passò in
secondo piano poiché questo onore era in concreto legato a tasse
aggiuntive. durante il regno di Filippo l'Arabo, fu intrapresa la
ristrutturazione e risistemazione dell'impianto viario della provincia che
cominciò con Publio Elio Valente e continuò anche durante il breve regno di
Emiliano. Ricordiamo, inoltre, di numerosi martiri del periodo. San
Simplicio, San Gavino, San Saturnino, San Lussorio e Sant'Efisio in Sardegna
mentre Santa Devota (martire attorno, persecuzione di Settimio Severo, o persecuzione
di Diocleziano) è, assieme a santa Giulia, una delle prime sante còrse di cui
si sia avuta notizia. Secondo la leggenda, la nave che ne trasportava il
feretro verso l'Africa fu gettata da una tempesta sul litorale monegasco. Per
questo sarebbe divenuta la patrona del Principato di Monaco e della famiglia
Grimaldi. Santa Giulia (martire durante la persecuzione di Decio, o quella di
Diocleziano), è la patrona di Corsica e di Brescia, città dove riposano le sue
reliquie dopo che vi fu fatta trasportare da Ansa, moglie del re longobardo
Desiderio. Santa Giulia è patrona anche di Livorno, dove le spoglie della santa
avrebbero fatto tappa provenendo dalla Corsica. A queste martiri se ne aggiunge
un'intera schiera, tra i quali san Parteo, che fu forse il primo vescovo di
Corsica. Il primo vescovo còrso di cui si abbia notizia certa è Catonus
Corsicanus, che partecipò, così come il vescovo di Caralis Quintinasio, al
Concilio di Arlesindetto da Costantino I. I domini dei Vandali
attorno al 456, dopo la conquista di Sardegna e Corsica. Diocleziano unì la
provincia alla Dioecesis Italiciana Dopo la divisione della diocesi attuata da
Costantino, venne compresa nell'Italia Suburbicaria. Sardegna e Corsica
rimasero sotto Roma per tutto il convulso IV secolo e i primi decenni del V
(nell'impero romano d'Occidente), fino a quando nel 456 i Vandali, di ritorno
dalla penisola, dove avevano saccheggiato Roma, en passant le conquistarono e
le annessero al loro regno. Ma vinsero solo sulle coste, poiché i Sardi
dell'interno, ormai pratici, immediatamente si ribellarono ai Vandali impedendo
loro di entrare nella loro zona. Aleria, in Corsica, fu saccheggiata e,
abbandonata, finì in rovina, lo stesso destino toccò ad Olbia. La parte
romanizzata della Sardegna, grazie ad un certo Goda, che era un governatore
vandalo dell'isola di origine gotica, dopo essersi ribellato al potere centrale
resistette per un certo periodo ai Vandali assumendo il titolo di
"Rex". Difesa ed esercito I Sardi entrarono anche a far parte
dell'esercito romano dando il loro modesto contributo ovunque vi fossero
truppe; infatti, per quanto riguarda i legionari, non essendo un'isola molto
popolata, e dato che i cittadini non avevano avuto la cittadinanza (ottenuta
dopo la riforma di Caracalla), il numero fu sempre bassissimo ed entra nelle
statistiche solo nell'epoca successiva ad Adriano. Per quanto riguarda
gli ausiliari, i Sardi fornirono (come isola Sardegna) 3 coorti, mentre come
provincia (Sardegna e Corsica) 6 coorti, 3 per ciascuna isola con un numero
maggiore dei Sardi sui Corsi. La "Cohors I Sardorum" era
probabilmente stanziata a Cagliari nei primi tre secoli d.C., mentre la
"Cohors II Sardorum" fondata al tempo di Adriano, era stanziata a Sur
Djuab, a circa 100 km a sud di Algeri. Il riscatto della Sardegna avvenne
con la flotta; infatti i Sardi erano la prima fonte di reclutamento occidentale
della flotta di Miseno. Considerando invece tutto l'impero, l'isola diventa la
quarta fonte di reclutamento della stessa flotta, battuta soltanto dalle
province d'Egitto, d'Asia e della Tracia che avevano una popolazione molto più
grande. Geografia politica ed economicaModifica Corsica Strabone, che
scrisse durante il principato di Augustoe Tiberio, descriveva la Corsica come
un'isola scarsamente abitata, con un territorio sassoso e per lo più
impraticabile. I suoi abitanti risultavano ancora dei selvaggi che vivevano di
rapine.[1] «Quando i generali romani vi fanno incursioni e prendono una
gran parte della popolazione, rendendola schiava, che poi la si trova a Roma,
fa meraviglia per quanto in loro vi sia di bestiale e selvaggio. E questi o non
riescono a sopravvivere, o se rimangono in vita, logorano talmente i loro
proprietari per la loro apatia, che questi si pentono [di averli acquistati],
anche se li hanno pagati poco.» (Strabone, Geografia) Sardegna Strabone
descrive la Sardegna come un territorio roccioso e non ancora del tutto
pacificato. Essa possiede un territorio interno molto fertile di ogni prodotto,
in particolare di grano.[1] Purtuttavia, così come nei confronti delle
popolazioni corse, anche di quelle sarde le fonti romane (a differenza dei miti
greci) non riportano generalmente una buona opinione. A Poenis admixto
Afrorum genere Sardi non deducti in Sardiniam atque ibi constituti, sed
amandati et repudiati coloni. Dai Punici, mescolati con la stirpe africana,
sorsero i Sardi che non furono dei coloni liberamente recatisi e stabilitisi in
Sardegna, ma solo il rifiuto di cui ci si sbarazza. CICERONE (si veda), Pro M.
Scauro) Il passaggio dei Romani lasciò numerose tracce nella geografia della
Sardegna per l'importante opera di mappatura del territorio, del quale si
ebbero le prime serie catalogazioni, ed ovviamente nella toponomastica, di cui
parte non è stata ancora soppiantata nonostante il tempo trascorso. Le Bocche
di Bonifacio, che separano la Sardegna dalla Corsica, erano un tratto di mare
molto temuto dai romani per via delle correnti che potevano far affondare le
loro navi ed erano dette Fretum Gallicum. L'isola dell'Asinara, famosa per il
carcere chiuso solo pochi anni fa, era detta Herculis mentre le isole di San
Pietroe di Sant'Antioco erano dette rispettivamente Accipitrum la prima e
Plumbaria la seconda; Capo Teulada, la punta meridionale dell'isola era
chiamata Chersonesum Promontorium mentre Punta Falcone, l'opposto
settentrionale di Capo Teulada, era detta Gorditanum Promontorium; l'attuale
fiume Tirso era chiamato Thyrsus. Le antiche tribù còrse e le
principali città e strade in epoca Romana. Maggiori centri provinciali e tribù
autoctoneModifica Corsica Prima Strabone[1] e poi, intorno al 150, il
geografoClaudio Tolomeo, nella sua opera cartografica, offrì una descrizione
piuttosto accurata della Corsica preromana, elencando: 8 fiumi
principali, tra i quali il Govola-Golo e il Rhotamus-Tavignano; 32 centri
abitati e porti, tra i quali Blesino,[1]Centurinon (Centuri), Charax,[1]
Canelate (Punta di Cannelle), Clunion (Meria), Enicomiae,[1]
Marianon(Bonifacio), Portus Syracusanus (Porto Vecchio), Alista (Santa Lucia di
Porto Vecchio), Philonios(Favone), Mariana, Vapanes e Aleria; 12 tribù
autoctone (in greco, latino e loro localizzazione): Kerouinoi (Cervini,
Balagna); Tarabenoi (Tarabeni, Cinarca); Titianoi (Titiani, Valinco); Belatonoi
(Belatoni, Sartenese); Ouanakinoi (Venacini, Capo Corso); Kilebensioi
(Cilebensi, Nebbio); Likninoi (Licinini, Niolo); Opinoi (Opini, Castagniccia,
Bozio); Simbroi (Sumbri, Venaco); Koumanesoi (Cumanesi, Fiumorbo); Soubasanoi
(Subasani, Carbini e Levie); Makrinoi (Macrini, Casinca). Sardegna Plinio ci
informa che "In essa (la Sardegna), i più celebri (sono): tra i popoli,
gli Iliei, i Balari e i Corsi"; vengono inoltre menzionati più volte altri
popoli minori come i Parati, i Sossinati e gli Aconiti, che secondo gli storici
romani abitavano nelle caverne e depredavano i prodotti degli altri Sardi che
lavoravano la terra e che con le loro navi si spingevano fino alle coste
dell'Etruria per depredarla. Tuttavia bisogna tener presente che i luoghi
abitati da questi popoli minori videro molti secoli prima dell'arrivo dei
Romani il fiorire della civiltà Nuragica, come in tutto il resto della
Sardegna, l'apparente arretratezza di tali popoli fu probabilmente dovuta alle
grosse perdite subite contro Cartaginesi e soprattutto contro i Romani, che
portarono alla relegazione di alcune popolazioni ribelli nei monti interni,
creando una divisione tra i Sardi abitatori di città e di villaggi nelle
pianure e nelle coste e i Sardi montanari che in gran parte si
"imbarbarirono" e si diedero al banditismo. Sempre i Romani,
nei secoli in cui dominarono la Sardegna, fondarono alcune nuove città come
Turris Libisonis (oggi Porto Torres) e fecero sviluppare molti centri abitati
soprattutto nelle coste, come Carales, Olbia, Fanum Carisii (oggi Orosei), Nora
e Tharros, ma anche nell'interno, come Forum Traiani (oggi Fordongianus), Forum
Augusti (oggi Austis), Valentia (oggi Nuragus),Colonia Julia Uselis (oggi
Usellus), ed infine elevarono diverse città al rango di municipio.
BithiaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio:
Bithia (sito archeologico). BonorvaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo
stesso argomento in dettaglio: Bonorva. Il generale sabaudo Alberto La Marmora,
in esplorazione presso San Simeone di Bonorva, aveva identificato un forte
romano che era stato dimenticato per tutto questo tempo. Il Tetti indica in
realtà che si trattava di una fortificazione punica, che era stata occupata dai
romani. Nulla però dimostra una presenza militare in questo luogo per i primi
secoli dell'Impero romano. BosaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo
stesso argomento in dettaglio: Bosa. L'anfiteatro romano di
Cagliari. Colonna nella Villa di Tigellio. CagliariModifica Magnifying
glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Storia di Cagliari.
Cagliari (Carales o Karalis) era la città più importante della Sardegna. Il
fatto che da qui partissero ben quattro strade che attraversavano l'intera
isola dal sud al nord, la circostanza che il suo porto fosse un centro
strategico importante per le rotte commerciali del Mediterraneo occidentale
(che oltretutto ospitava un distaccamento della flotta di Miseno ed era il
porto dal quale partiva il grano per l'approvvigionamento di Roma) e che la sua
popolazione fosse all'incirca di 20.000 abitanti, rendeva Carales una tra le
più importanti città marittime della zona occidentale dell'Impero romano.
La zona abitata si sviluppava sulla costa per circa 300 ettari, il centro di
questa città era il foro, dove sorgevano numerosi edifici come la curia
municipale, l'archivio provinciale, la sede del governatore, la basilica, il
tempio di Giove Capitolino. La città fu interessata da una serie di interventi
edilizi di pubblica utilità come la realizzazione di una complessa rete
fognaria e la pavimentazione di strade e piazze, la costruzione di un
acquedotto che molto probabilmente prendeva l'acqua dalla sorgente di
Villamassargia e, attraverso Siliqua, Decimo, Assemini, Elmas, arrivava in
città passando per il quartiere di Stampace. Nel I secolo d.C. la città
fu dotata di eleganti passeggiate coperte da portici mentre nel II secolod.C.
fu costruito l'anfiteatro, ancora utilizzato per gli spettacoli al giorno
d'oggi, semi-scavato nella roccia, che poteva ospitare fino a 10.000 persone.
Il titolo di municipium fu ottenuto solo sul finire del I secolo a.C.; era un
titolo importante perché le consentiva di essere una città autonoma con
cittadinanza romana. Per quanto riguarda le differenze tra i vari
quartieri, quelli signorili sorgevano nel territorio a nord di Sant'Avendrace e
nell'area di San Lucifero; al loro interno sorgevano le terme, i templi, alcuni
teatri e numerose ricche abitazioni; i quartieri mercantili si trovavano nella
zona della Marina e i quartieri popolari vicino al porto, fra l'odierna via
Roma e il Corso Vittorio Emanuele. Claudio Claudiano, nel IV secolo,
descrisse così la città di Caralis. Caralis, si distende in lunghezza ed
insinua fra le onde un piccolo colle che frange i venti opposti. Nel mezzo del
mare si forma un porto ed in un ampio riparo , protetto da tutti i venti , si
placano le acque lagunari» (Claudio Claudiano) Calangianus Lo stesso
argomento in dettaglio: Calangiani. Nell'attuale Calangianus è identificato
l'oppidum di Calangiani o Calonianus, citato nella Geographia del Fara. Oltre
alle diverse tracce di strada romana per Olbia e Tibula, sono state ritrovate
rovine dell'oppidum nei pressi di Monti Biancu e della località Santa
Margherita, un busto di Demetra a Monti di Deu ed un'anfora all'interno del
nuraghe Agnu. Inoltre, il toponimo deriverebbe dalla divinità Giano, il cui
culto era molto diffuso in Sardegna. CornusModifica Magnifying glass icon
mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Cornus (Sardegna).
FordongianusModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in
dettaglio: Fordongianus. Fordongianus, Forum Traiani, si trova oggi in
provincia di Oristano ed è particolarmente importante per la sua posizione
geografica che lo vede incuneato tra i monti della Valle del Tirso, naturale
via di penetrazione dalla pianura all'entroterra e punto di contatto tra i due
diversi mondi. Fin dalla sua fondazione fu un centro rinomato per le sue terme,
che sfruttavano una fonte naturale di acqua calda e curativa. Qui si
trova un'iscrizione che testimonia come l'attività delle genti della Barbaria
fosse ancora viva nel I secolod.C. poiché furono queste a dedicare un'iscrizione
ad un imperatore, probabilmente Tiberio, rinvenuta nel Forum Traiani.
Terme del Forum Traiani Come già accennato in precedenza, tra le
motivazioni originarie dell'insediamento, si pone la presenza di una fonte
d'acqua naturalmente calda e curativa. Sfruttando la fonte sorse, proprio
presso il fiume, un vasto edificio termale (che costituisce oggi il nucleo
dell'attuale area archeologica) caratterizzato da una grande piscina, in
origine coperta, in cui giungono le acque calde temperate con un'aggiunta di
acqua fredda. L'aspetto curativo delle terme è sottolineato dal rinvenimento di
due statue del dio Bes, divinità legata ai culti salutiferi, e la loro
importanza è messa in evidenza dalla recente scoperta di un piccolo spazio
sacro dedicato alle ninfe, divinità delle acque. In un'area vicina
all'attuale centro abitato è stato rinvenuto l'anfiteatro, vicino alla
necropoli tardo-antica sulla quale fu edificata la chiesa di San
Lussorio. Mamoiada Lo stesso argomento in dettaglio: Mamoiada. Mamoiada
(o Mamujada) era probabilmente uno stanziamento militare romano nell'isola,
infatti diversi studiosi moderni sono propensi a far derivare il suo nome da
mansio manubiata (stazione vigilata, sorvegliata). Altra prova a favore di questa
ipotesi è il nome del quartiere più antico della città "su Qastru"
(dal lat. castrum, campo fortificato, accampamento militare). Mamoiada in
effetti si trova in una zona centrale e quindi strategica della Barbagia, e
precisamente al centro della cerchia dei seguenti villaggi: Orgosolo, Fonni,
Gavoi, Lodine, Ollolai, Olzai, Sarule ed Orani, e dunque questa sua posizione
strategica non poteva non essere sfruttata dalle truppe romane nelle loro
azioni di sorveglianza e di repressione. MacomerModifica Magnifying glass
icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Macomer. Fondata dai Punici
Macopsissa costituiva un importante centro per il controllo del territorio. La
sua importanza aumentò durante il periodo romano, divenendo un importante snodo
fra Calares e Turris Libisonis. Macomer era un importante nodo della rete
viaria creata dai Romani sull'Isola. Meana Sardo Anche Meana Sardo,
villaggio della Barbagia, era probabilmente un presidio romano poiché il suo
nome potrebbe derivare da mansio mediana (stazione mediana o intermedia) di una
tra le più importanti arterie stradali romani nell'isola quella che da Carales
porta a Olbia. Meana si trova esattamente a metà strada di quel lungo
tracciato ed anche a metà strada tra la costa orientale e quella occidentale
della Sardegna. Metalla Lo stesso argomento in dettaglio: Metalla.
Neapolis: Neapolis (Sardegna). NoraModifica Rovine di Nora Magnifying
glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Nora (Italia). Il
preesistente abitato punico non ha condizionato in maniera particolare
l'assetto urbano di epoca romana. I Romani hanno effettuato infatti pesanti
interventi per la costruzione di strade, edifici e aree pubbliche come il
teatro e il foro, demolendo i precedenti edifici, in un piano di forte
rinnovamento urbanistico. I Romani modificarono a tal punto la città probabilmente
perché Nora fu la prima sede del governatore della provincia. Numerose
erano le ville e le case dei nobili e della plebe; degli edifici non rimane
molto poiché erano costruiti con zoccolo in pietra e l'elevato in mattoni
crudi. A differenza delle case e delle ville le strutture pubbliche erano
costruite col cemento e rivestite di laterizi o grossi blocchi di pietra. Le
più importanti opere della città erano: il teatro, costruito in età augustea, e
le terme a mare, edificate tra la fine del II e gli inizi del III secolo
d.C. NuoroModifica Sono scarne le notizie sulla città di Nuoro in epoca
romana. Secondo alcuni proprio all'inizio della dominazione romana la città fu
fondata con l'unione di vari gruppi nuragici, inizialmente legati contro il
nemico comunque, successivamente spinti all'unione dalla possibilità di
arricchirsi col commercio dei prodotti locali. Furono due i primi nuclei
cittadini, infatti i primi due gruppi si insediarono in parti diverse: un
gruppo si stanziò nel monte Ortobene, l'altro nel quartiere di Seuna, l'altro
nel quartiere di San Pietro. In seguito i due gruppi si riunirono dando origine
alla vera e propria città. Importante è anche il fatto che a Nuoro nella zona
più ricca dal punto di vista agricolo, oltre Badu e'Carros, ci fosse un
presidio militare. Questa zona infatti si chiama "Corte", e ricorda
molto la Coorte, che nel periodo romano era un gruppo di soldati. La
città ha avuto una grande importanza strategica poiché è situata proprio al
centro della Barbagia, i cui abitanti per secoli si ribellarono ai Romani prima
di essere romanizzati parzialmente. Nuoro sorge infatti lungo l'antico percorso
principale (asse nord-sud) della a Olbia-Karales per Mediterranea, nello snodo
con la via Transversae (la trasversale mediana) che attraversava la Sardegna
lungo un asse est-ovest (con quattro stazioni nodali negli incroci con le 4
principales: Cornus - Macopsissa - Nuoro - Dorgali/Orosei). La Trasversale
mediana era utilizzata anche per il trasporto del grano della valle del Tirso
verso la costa di Dorgali e Orosei, per l'imbarco del prodotto destinato al
porto di Ostia. Sempre a Nuoro terminava anche una strada vicinale per
l'odierna Benetutti. NureModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso
argomento in dettaglio: Nure (città). OlbiaModifica Busto di Nerone del
54/55-59 d.C. da Olbia, (museo archeologico nazionale di Cagliari). Olbia
occupò in età romana gli stessi spazi della città punica fino alle soglie
dell'età imperiale. Infatti non pare che durante la repubblica si siano verificati
sostanziali mutamenti nell'assetto urbanistico che continuò a mantenere,
intatto, il primitivo impianto ortogonale dei fondatori cartaginesi.
Successivamente la città si arricchì di opere pubbliche: vennero lastricate le
strade, si edificarono due impianti termali e un acquedotto, i cui resti sono
tuttora visibili a nord della città, e si rinnovarono alcune strutture
templari. Una concubina di Nerone di nome Atte fece erigere ad Olbia un
tempio a Cerere, e grazie all'imperatore ebbe latifondi nell'agro e fu anche
proprietaria di un'officina che fabbricava laterizi. Busto di
Traiano da Olbia, (museo archeologico nazionale di Cagliari) Il porto, in
contatto con i principali scali del Mediterraneo, fu di primaria importanza
nell'ambito della Sardegna settentrionale poiché da qui partivano per Roma
buona parte dei prodotti, soprattutto cerealicoli, del nord dell'isola che
confluivano nella città grazie a tre grandi strade. Per questo motivo nel 56
a.C., soggiornò nella città Quinto, fratello di Marco Tullio Cicerone, che
controllava i commerci per ordine di Pompeo. La necropoli, che si estese
uniformemente oltre la cinta urbana a occidente della città, restituì ricchi
corredi funerari. In particolare, nell'area della collina oggi occupata dalla
chiesa di San Simplicio (santo qui martirizzato, secondo la tradizione locale,
durante le persecuzioni di Diocleziano), l'utilizzo per le sepolture avvenne
fino a età medioevale e vi si rinvennero preziose oreficerie, sarcofagi
istoriati e iscrizioni. Intorno alla metà del V secolo Olbia fu
saccheggiata dai Vandali come dimostrano gli straordinari ritrovamenti avvenuti
nell'area del porto vecchio. Furono infatti ritrovati 24 relitti di navi romane
e medievali e da questo scavo è stato possibile accertare l'attacco dei Vandali
e il crollo della città anche se l'abitato non fu abbandonato e rifiorì in età
medievale. OschiriModifica Una mattonella o un mattone trovata a Oschiri
porta l'iscrizione COHR P S per "coh(o)r(tis) p(rimae)" o
"p(raetoriae) S(ardorum)", ma non è impossibile che provenga da
Nostra Signora di Castro poiché non è conosciuto bene il modo in cui è stato scoperto
questo mattone. Per il resto il luogo non ha nulla che faccia pensare ad una
presenza militare romana. OthocaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo
stesso argomento in dettaglio: Santa Giusta (Italia). Porto TorresModifica
Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Colonia Iulia
Turris Libisonis. Mosaico dell'Orfeo Presumibilmente il sostantivo con
cui veniva identificata la città, in epoca romana, era Turris Libysonis. Questo
lo si deduce grazie a Plinio il Vecchio, il quale, nella sua Naturalis
Historia(nel I secolo d.C.) cita "Colonia autem una que vocatur ad turrem
libisonis", letteralmente; "mentre v'è (in Sardegna) una sola colonia
romana, presso la torre di libiso". Tale scrittura fa pensare ad un
riferimento artificiale, probabilmente una torre nuragica (Nuraghe). È invece
grazie all'anonimo Ravennate che si evince lo status dell'insediamento, il
quale sostiene; "Turris Librisonis colonia Iulia", da che si nota
l'aggettivo Iulia, dovuto verosimilmente a Giulio Cesare, probabile fondatore
della colonia, durante il viaggio di ritorno dall'Africa o ad Ottaviano
delegatore di un tale, Marco Lurio, che potrebbe aver fondato la colonia Statua
romana da Porto Torres Oltre a ciò l'importanza del centro, nell'isola, era
notevole, paragonabile solo a quella di Carales. L'importanza politica è
deducibile dalla "Passio Sanctorum Martyrum Gavini Proti et
Jianuarii", nel quale si esterna la presenza di una residenza del
governatore della provincia romana, tale Barbaro. L'importanza economica
invece è palese dalle rovine restanti, terme imponenti è una impressionante
maglia urbana, il centro per altro era in comunicazione diretta con Roma,
tant'è vero che nella Ostia antica, si trova un mosaico che riporta
"Naviculari Turritani", riconducibile ai commercianti di Turris.
Infatti le esportazioni di cereali erano notevoli, grazie alla grande pianura
della Nurra, in diretta comunicazione con la colonia mediante il "ponte
romano" (costruzione più imponente del suo genere nell'intera provincia),
sovrastante il fiume Riu Mannu, che tra le altre cose era utilizzato come via
alternativa per i traffici con l'interno dell'isola, si ipotizza la presenza di
un porto fluviale, oltre a quello marittimo. Ma oltre alle esportazioni
cerealicole, erano massicce anche quelle minerali, e salini, provenienti dai
vicini siti. cosa particolare era la presenza del culto di Iside. Altre
prove storiche sono dovute a Cicerone in una sua lettera la chiama
"Collina" ma, visti i ritrovamenti archeologici trovati, possiamo
affermare con sicurezza che Turris Libisonis non fu per Roma solo una collina.
Non è un caso che la città continuò ad esistere nei secoli successivi tenendo
inalterata la sua importanza strategica al centro del mediterraneo. Di
importante interesse non architettonico non fu solo il ponte romano e le terme
fortemente mosaicate ma anche le strade: in alcuni tratti l'attuale Strada
statale 131 Carlo Felice risulta affiancata dalla vecchia strada romana, che
seguiva il medesimo percorso fra i due poli dell'isola. Quartu
Sant'ElenaModifica Il termine Quarto, ai tempi dei romani, stava a indicare la
distanza in miglia che separava l'antico insediamento quartese da Cagliari.
Infatti distava 4 miglia romane da Carales. È stata da sempre una meta ambita,
viste le possibilità che offriva, grazie ad un'economia agricola stabile e
fruttuosa integrata alla pesca e alla caccia. Sarcapos Lo stesso
argomento in dettaglio: Sarcapos. SassariModifica Nonostante la città di
Sassari sia stata fondata in periodo Medioevale, il suo territorio conserva
ricche testimonianze d'epoca romana, a partire da opere infrastrutturali di
rilievo come i resti della strada che collegava Cagliari a Porto Torres e le
rovine dell'acquedotto romano che serviva la colonia romana di Turris.
L'area ricca di vegetazione e sorgenti, era un luogo amato dalle famiglie
patrizie della vicina colonia di Porto Torres, per cui oggi sono presenti nel
territorio le rovine di alcune residenze d'epoca romana, la più famosa delle
quali situata nei sotterranei della cattedrale di San Nicola, molti edifici
medioevali sono stati costruiti riutilizzando materiali provenienti da abitazioni
romane, le colonne presenti nel piazzale del santuario di San Pietro di Silki,
provengono da un tempio romano smantellato che sorgeva nella zona. Sulci
(Sant'Antioco)Modifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in
dettaglio: Sulki. Statua di Druso minore da Sulci del I secolo d.C.
Tharros In epoca romana Sulci continuò a fiorire sino a diventare, a detta del
geografo greco Strabone, la città più florida della Sardegna romana insieme a
Caralis. Lo sfruttamento dei bacini minerari dell'Iglesiente, dove pare
sorgesse l'insediamento di Metalla[53], non era infatti cessato, e con esso
l'intenso traffico nel porto sulcitano: di qui l'appellativo dell'antica Sulci
"Insula plumbea". La città dovette disporre di ingenti risorse
finanziarie se all'epoca della guerra civile tra Cesare e Pompeo poté pagare
una multa di circa 10 milioni di sesterzi inflittale da parte di Cesare, giunto
nel frattempo nell'antipompeiana Caralis. Sulci si riprese ben presto
dallo smacco subito, forte anche della floridezza del suo porto e dunque della
sua economia, sino quando, intorno al I sec. d.C., sotto Claudio, fu
riabilitata sul piano politico e elevata al rango di Municipium. Secondo Bellieni,
la città tra tarda Repubblica e prima fase imperiale doveva essere popolata da
circa 10.000 persone, cifra effettivamente plausibile se si tiene conto della
popolazione media nei centri italiani di età augustea calcolata dal Beloch.
L'antico centro romano sorgeva, come si può desumere facilmente ancora oggi
prestando attenzione alla disposizione degli assi viari maggiori e minori,
nell'area comprendente le attuali vie Garibaldi, XX Settembre, Mazzini,
Eleonora d'Arborea, Cavour, in località detta "Su Narboni". Qui, e
precisamente all'incrocio tra le attuali via XX Settembre e Eleonora d'Arborea
(presumibilmente nell'area dove sorgeva il foro, non ancora localizzato), si
trova un mausoleo noto come Sa Presonedda o Sa Tribuna databile al I sec. a.C.,
grosso modo coevo al ponte romano, situato in corrispondenza dell'istmo, e al
tempio d'Iside e Serapide le cui rovine non sono oggi più apprezzabili.
Tharros Lo stesso argomento in dettaglio: Tharros. Tibula Lo stesso argomento
in dettaglio: Tibula. UsellusModifica Usellus godette di grande splendore
soprattutto nel periodo romano. Fu nel II secolo a.C. che venne fondata
l'antica "Colonia Julia Uselis" il cui centro si trovava molto
probabilmente sopra al colle di Donigala (Santa Reparata) non lontano da quello
attuale. Venne fondata soprattutto come baluardo militare per contrastare
le continue incursioni dei mai domi barbaricini dell'interno dell'isola. Poté
usufruire dello splendore di Roma che la innalzò dapprima a municipium e poi la
elesse Colonia Julia Augusta sotto l'Imperatore Cesare Augusto, in onore della
propria figlia Giulia ed eleggendo nel contempo i propri abitanti a
"cives". Quinto Cicerone, fratello di Marco Tullio, vi fu Pretore.
Quest'ultimo stato giuridico è accertato nella Geografia di Tolomeo ed in una
preziosissima tavola di bronzo dell'anno 158 d.C., come si desume dal nome dei
consoli, contenente un decreto d'ospitalità e clientela, riguardante l'antica
Usellus. La città doveva estendersi per circa sette ettari ed i suoi
fertili terreni vennero assegnati ai veterani delle guerre. In questo periodo
Uselis sfruttando la sua favorevole posizione geografica subì un'importante
evoluzione economica e militare divenendo centro nevralgico di un'intensa
attività economica e crocevia dell'importante rete viaria che la metteva in
comunicazione a sud con Aquae Neapolitanae (terme di Sardara), a nord con Forum
Traiani e una terza via la univa a Neapolis, vicino alla costa
occidentale. Nel suo territorio sono ancora presenti due ponti romani, ci
cui uno in ottimo stato di conservazione, lunghi tratti dell'importante via di
comunicazione e resti delle imponenti mura che la cingevano. Risorse
economiche provincialiModifica Mosaici concernenti i
"Navicularii et negotiantes Karalitani" e i "Navicularii
Turritani" dal piazzale delle corporazioni di Ostia antica. Il
commercioModifica La Sardegna si integrò nel sistema economico e commerciale
dell'Impero soprattutto per quanto riguarda il commercio del grano, del sale,
del legname e dei metalli grazie ad ottimi porti quali Olbia, Tibula, Turris
Libisonis (Porto Torres), Cornus, Tharros, Sulci (Sant'Antioco) e
Carales. L'importanza di questi porti è testimoniata da due mosaici
trovati ad Ostia con la menzione dei "navicularii Turritani e
Calaritani", mercanti marittimi di Porto Torres e Cagliari. Soprattutto in
età imperiale la Sardegna divenne una tappa obbligatoria per i viaggi dalla
penisola all'Africa e alle Mauretanie. L'agricolturaModifica L'agricoltura
era diffusa nell'isola soprattutto nelle aree pianeggianti e in particolar modo
nella pianura del Campidano nella parte meridionale della Sardegna. Il grano
era prodotto in quantità tali che solo quello che si esportava bastava a
sfamare 250.000 persone. Per questo motivo la Sardegna, durante la repubblica,
assunse il titolo di "granaio di Roma". Si dice che la quantità
di grano preso dai Romani dalla Sardegna non solo bastò per riempire tutti i
granai dell'Urbe, ma per contenerlo tutto se ne dovettero costruire di nuovi.
La coltivazione di cereali era sviluppata in particolar modo nella parte
settentrionale, mentre quella dell'ulivo e della vite era diffusa in tutta
l'isola. L'allevamentoModifica L'allevamento per esportazioni era
un'attività economica diffusa in tutta la Sardegna. Tra suini, bovini e ovini
(in particolare i mufloni) solo i primi erano venduti in buone quantità al
resto dell'impero. Gli ovini erano importanti per la lana e i latticini che i
sardi pelliti dell'interno vendevano a Roma; infatti la pastorizia era una
pratica molto diffusa nella parte centrale della Sardegna. Sappiamo con
certezza che i popoli dell'interno, grazie a questa pratica, furono in grado di
arricchirsi trasformando la pastorizia da attività di sussistenza ad attività
d'esportazione. L'estrazione minerariaModifica (LA) «India ebore,
argento Sardinia, Attica melle» (IT) «L'India è famosa per
l'avorio, la Sardegna per l'argento, l'Attica per il miele.» (Archita)
Importante era anche l'estrazione mineraria, diffusa in tutta la Sardegna.
Argento e piombo erano estratti nelle miniere dell'Iglesiente in quantità tali
da far scendere il costo di questi metalli in tutto l'impero; veniva cavato
anche il ferro e il rame, quest'ultimo dai giacimenti nei pressi di Gadoni[53].
Per l'estrazione non erano usati solo schiavi di guerra ma anche personaggi
scomodi nel campo della politica o per la religione da essi professata.
La pietra e il granito erano invece estratti nell'interno e lungo le coste. La
pietra che gli isolani avevano sempre utilizzato per la costruzione dei nuraghi
e dei loro templi megalitici era ora destinata ad arricchire gli edifici dei
ricchi Romani. Ancora oggi, sulle isole della Marmorata e lungo le spiagge di
Santa Teresa di Gallura, nella parte nord-orientale dell'isola, non è difficile
imbattersi in blocchi "tagliati" con regolarità oppure in frammenti
di colonne, sfuggiti ai numerosi carichi fatti dai Romani durante tutto il
periodo della loro dominazione, durato quasi settecento anni. Non era facile
infatti imbarcare sulle navi da carico i blocchi di pietra nei tratti di mare
antistanti i promontori rocciosi. Le correnti e le condizioni atmosferiche
provocavano spesso dei naufragi o costringevano i marinai a liberarsi dei
pesanti carichi per evitare che le imbarcazioni affondassero. Principali
vie di comunicazioneModifica Le principali città e strade della Sardegna
in epoca Romana. Quando i Romani iniziarono la conquista della Sardegna vi
trovarono già una rete stradale punica; questa però collegava tra loro solo
alcuni centri costieri, tralasciando completamente la parte interna; d'inverno
era impraticabile a causa delle piogge e i Romani furono quindi costretti a
costruirne una nuova che si sovrapponeva a quella precedente solo
parzialmente. Antica strada romana Nora-Bithiae I Romani
costruirono 4 grandi arterie stradali: 2 lungo le coste e 2 interne. Le viae
principales erano le cosiddette strade antoniniane, tutte con direzione
nord-sud. Ricordandole in ordine da est a ovest: la litoranea occidentale (a
Tibulas-Karales), da Carales (Cagliari) a Turris Libisonis (Porto Torres); la
interna occidentale (a Turre-Karales); la interna orientale (a Olbia-Karales
per Mediterranea); la litoranea orientale (a Tibulas-Karales), da Carales a
Olbia. A questa ossatura longitudinale si congiungevano sia le "Viae
Transversae" come la Cornus-Macopsissa-Nuoro-Orosei e molte altre strade
più modeste (vicinali) che collegavano i piccoli centri dell'interno tra loro e
con le più grandi città costiere. Questo sistema di comunicazione era molto
efficiente e creò le condizioni favorevoli alla penetrazione culturale romana
presso le popolazioni locali. La rete stradale, inizialmente costruita
per motivi militari, fu poi mantenuta e continuamente restaurata per motivi
economici; grazie a questa, infatti, i Sardi dell'interno vendevano i loro
prodotti ai commercianti romani che provvedevano poi a spedirli nei più grandi
porti del mediterraneo occidentale. La rete stradale romana è stata talmente
efficace e costruita in zone strategiche che alcune strade sono utilizzate
ancora oggi; ne è un esempio la statale Carlo Felice. In epoca Antonina
si perfezionarono le vie di comunicazione interne della Corsica (strada
Aleria-Aiacium e, sulla costa Est, Aleria-Mantinum - poi Bastia - a Nord e
Aleria-Marianum - poi Bonifacio - a Sud): l'isola era pressoché completamente
latinizzata, salvo qualche enclave montana. Arte e architettura
provincialeModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in
dettaglio: Arte provinciale romana. La religioneModifica Il tempio di
Antas, nei pressi di Fluminimaggiore I Romani, come è noto, permettevano una
certa libertà di culto; questo consentì alle popolazioni interne di continuare
a praticare le loro religioni preistoriche di ispirazione naturalistica, ed a
quelle delle coste la religione punica con tutti i suoi dei (Tanit, Demetra e
Sid, ribattezzato Sardus Pater dai Romani, venerato nel Tempio di Antas); ma
col passare del tempo trovarono spazio anche i culti di Giove e Giunone poi
soppiantati dal Cristianesimo. Sappiamo che alcune divinità, come un
demone brutto ma benefico rappresentato come il Dio Bes (divinità egiziana assimilata
nel pantheon cartaginese), vennero associate ad alcuni Dei Romani (in questo
caso ad Esculapio, divinità salutare romana). In età romana era diffuso a
Carales, Sulci e Turris Libisonis il Culto di Iside, costantemente associato ad
una cospicua presenza mercantile. Lingua e romanizzazioneModifica
Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Lingua
paleosarda, Lingua sarda, Lingua paleocorsa, Lingua corsa e Romanizzazione
(storia). La Sardegna, fortemente punicizzata, fu interessata da un processo di
latinizzazione, ma le zone interne restarono a lungo ostili ai nuovi
dominatori, come d'altronde lo furono in passato nei confronti dei cartaginesi.
L'opera di romanizzazione, affidata al latino, fu completata con l'introduzione
delle divinità, dei sacerdozi, e dei culti tipicamente romani. Le aree più
intensamente romanizzate furono quelle costiere dedite alla coltura dei cereali
(Romània), mentre nell'interno montuoso rimase fortemente radicata la cultura
indigena (Barbària). La lingua delle genti sarde, così, subì profonde
trasformazioni con l'introduzione del latino che, soprattutto nelle zone
interne, penetrò lentamente ma, alla fine, si radicò a tal punto che il sardo è
quella cui più aderisce; in particolare, si ritiene che nella zona
centro-settentrionale la variante parlatasia quella maggiormente affine per la
pronuncia. Nonostante questo, c'è da dire che il latino non si diffuse subito:
è ancora presente un'iscrizione risalente al regno di Marco Aurelio (fine II
secolo) in punico e, se questa era la situazione quando si scriveva, è
possibile che nell'ambito familiare la lingua dei Cartaginesi fosse ancora
abbastanza diffusa. Interessante è il fatto che, a volte, si trovino delle
ceramiche riportanti il nome del proprietario in latino scritto con caratteri
punici. Sembra accertato che la Corsica fu anch'essa romanizzata e
colonizzata dai Romani soprattutto per mezzo delle distribuzioni di terre a
veterani provenienti dall'Italia meridionale - o dai soldati provenienti dagli
stessi strati sociali ed etnici cui furono similmente assegnate terre
soprattutto in Sicilia - il che aiuterebbe a spiegare alcune affinità
linguistiche riscontrabili ancor oggi tra còrso meridionale e dialetti
siculo-calabri. Secondo altre ipotesi, più recenti, gli influssi linguistici
potrebbero essere dovuti a migrazioni più tarde, risalenti all'arrivo di
profughi dall'Africa tra il VII e l'VIII secolo. La stessa ondata migratoria
sarebbe approdata anche in Sicilia e in Calabria. Strabone, Geografia, AE;
AE dell'epoca di Massimino Trace. AE di epoca Traianea o Adrianea; AE forse di
epoca Antonina; AE sotto gli Imperatori Caracalla e Geta; AE, al tempo di
Filippo l'Arabo. AE Teofrasto, Hist. plant., Pais, Storia della Sardegna e
della Corsica durante il dominio romano, Nardecchia editore, 1923 ^ Datazione
approssimata secondo le cronologie di Tito Livio e Diodoro Siculo ^ Ad esempio
sull'espresso divieto imposto ai Romani di fondare città in Sardegna ed in
Africa, Servio, Ad Aen., Polibio, questo era l'antico porto della cittadina,
citato da Tolomeo, Florus, Epist. Liv., Zonara, Epitome, Dyson, Comparative Studies in
the Archaeology of Colonialism; anche, dello stesso autore, The Creation of the
Roman Frontier, Oros. IV 1: hostibus se
immiscuit ibique interfectus est. ^ Valerio Massimo, Sil. Ital., Scipione
eresse inoltre un tempio di ringraziamento alla dea Tempestas, che Ovidio
(Fasti) celebra così: Te quoque, Tempestas merita delubra fatemur cum paene est
Corsis obruta classis aquis ^ Fra le numerose fonti, Valerio Massimo, Tito
Livio, Ammiano Marcellino e poi Zonara. ^ Nei Fasti trionfali si registra il
trionfo di Scipione come L. CORNELIVS L.F. CN.N. SCIPIO COS. DE POENEIS ET SARDIN[IA],
CORSICA V ID. MART. AN. CDXCIV Il
risultato della battaglia non è noto Rocca, Histoire de la Corse, Boyle, Valerio
Massimo, Anche in Plinio, Nat.Hist., Pais, Livio, Livio, Livio, Casùla, Livio, Livio,
Casùla, Livio, Livio, Livio, Livio, Livio, Vaerio Massimo, Plinio, Nat.Hist., Pais,
Zucca, Le Civitates Barbariae e l'occupazione militare della Sardegna: aspetti
e confronti con l'Africa ^ Francesco Cesare Casùla, p.108. ^ a b c d e f Ettore
Pais, pp. 76-77. ^ cfr.Tacito, Annali, XIII, BUR, Milano, 1994. trad.: B. Ceva.
Casula, Pais, Mastino, Cronologia della Sardegna Romana Casula, Pais, Pais, Mastino,
Storia della Sardegna antica, Il Maestrale, Mastino, Storia della Sardegna
antica, Il Maestrale, Mastino, Natione Sardus: una mens, unus color, una vox,
una natio ( PDF ), su eprints.uniss.it, Rivista Internazionale di Scienze
Giuridiche e Tradizioni Romane, Plinio, Naturalis Historia, III, 7, 85. ^ a b
Francesco Cesare Casùla, p.111. ^ cfr. per es. F.Cenerini, Sulci romana, in:
Sant'Antioco, annali 2008. ^ M.Zaccagnini, L'isola di Sant'Antioco: ricerche di
geografia umana, Fossataro, Cagliari 1972 (integraz. M.T.) Iscrizione M
Sardegna; MELONI P., La Sardegna romana, Chiarella, Sassari, Casùla, Appiano di
Alessandria, Historia Romana (Ῥωμαϊκά). (traduzione inglese), Eutropio,
Breviarium ab Urbe condita (testo latino Wikisource-logo.svg e traduzione
inglese Wikisource-logo.svg). Livio, Ab Urbe condita libri. (testo latino). Polibio,
Storie Ἰστορίαι. (traduzione in inglese). Strabone, Geografia. (traduzione
inglese). Fonti storiografiche moderne Francesco Cesare Casula La storia di
SardegnaDelfino Editore, Sassari, Storia dei Sardi e della Sardegna, Milano, La
Sardegna romana e altomedievale. Storia e materiali. Sassari, Carlo Delfino, Il
tempo dei Romani. La Sardegna dal III secolo a.C. al V secolo d.C., Nuoro,
Ilisso, Lilliu, La civiltà dei Sardi, Torino, Edizioni ERI, Pais, Storia della
Sardegna e della Corsica durante il periodo romano Edizioni Ilisso, Nuoro.
Raimondo Carta Raspi, Storia della Sardegna,
Milano. Attilio Mastino, Storia della Sardegna antica, Il Maestrale,
Piero Meloni, La Sardegna romana, Ed Chiarella,Taramelli, La Sardegna romana,
Istituto di studi romani, Portale Antica Roma Portale Corsica
Portale Sardegna Battaglia di Sulci battaglia della prima guerra
punica Espansione cartaginese in Italia tentativi espansionistici di
Cartagine nelle isole mediterranee di Sicilia e Sardegna Battaglia di
Decimomannu Antonio Delogu. Delogu. Grice: “I wouldn’t consider Sardegna part of Italy, as Sicily
isn’t – they are part of the Italian republic – the ‘stato’ – but
geographically, they are not part of the peninsula – the Greeks are especially
precise about that: “Graecia magna” EXCLUDED Sicily!” The logo of his review,
“Segni e comprensione” is a rebus, in that a few letters are missing. The idea
is that the thing STILL SEGNA the proposition that this is about signs and
comprehension. Keywords: semiotica romana, “segno e
comprensione” s_gn_ e c_mp-rension-“ “segni e comprensioni” le corpori nella
perizia morale, etica comunitaria, etica universale, universalita,
universabilisabile -- -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Delogu” – The Swimming-Pool Library. Delogu
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