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Saturday, June 21, 2025

GRICE ITALO A-Z S

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Sforza: la ragione conversazionale dell’iustum/iussum – tra idealismo e positivismo – filosofia emiliana -- filosofia italiana –  Luigi Speranza (Forli). Filosofo italiano. Forli-Cesena, Emilia-Romagna. Direttore del Resto del Carlino. Insegna a Roma. Autore di importanti saggi di filosofia del diritto quali Il concetto, il diritto e la giurisprudenza naturale, Filosofia del diritto e filosofia della storia, Idee e problemi di filosofia giuridica, ecc. Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Al libro, in cui sono raccolti ed esposti in ordinato modo i risultati delle sue indagini sui problemi del diritto, il Cesarini Sforza ha dato un titolo di lapidaria semplicità: Filosofia del diritto. Audace semplicità, si pensa: per un libro solo, e non di grande mole, il nome stesso della disciplina cui appartiene, disciplina sí ricca di storia e di complessi e vari svolgimenti. Ma, leggendo, si vede che quel titolo non è senza buona ragione. I temi della filosofia del diritto (e della teoria generale del diritto) ci sono, di fronte o di scorcio, tutti. Pure, il volume è di sole 181 pagine, oltre gli indici. La concisione, la sobrietà stilistica che ciò rendono possibile costituiscono uno dei principali pregi dell'opera. La Filosofia del diritto del Cesarini Sforza ha il mordente e la stringatezza possibili soltanto in opere profondamente mature: vi si ravvisa il prodotto maturo, non solo d'una vita di lavoro, ma d'una scuola, d'un movimento filosofico. Di tante discussioni, di tante polemiche delle correnti filosofiche italiane cui, per connessione o contrasto, questo libro si collega, non giunge il rumore: rimangono soluzioni approfondite di problemi lungamente elaborati, in un discorso severo, talvolta scabro, sempre serrato e incisivo. Un prodotto maturo, ottimamente rappresentativo, direi uno dei punti di arrivo della filosofia giuridica italiana che ha avuto come maestri o come principali termini di riferimento il Croce e il Gentile: qui se ne trovano, presentati in uno dei modi migliori, i contributi piú importanti alla consapevolezza dell'uomo. Punto di arrivo e punto di partenza su nuove strade: senso di compiutezza che il libro dà fa sí che l'idea di nuovi passi, di nuove ricerche, nell'inesauribile impegno per la consapevolezza, non possa dissociarsi dall'idea di una revisione delle impostazioni di fondo e dei metodi della scuola filosofica da cui esso pro-viene. Per tale sua patura la Filosofia del diritto del Cesarini Sforza merita attenta medi-tazione. Dividerò questa nota in cinque parti. La prima parte sarà dedicata all'esposizione. dei temi fondamentali dell'opera. Data la ricchezza e la complessità dei suoi svolgimenti, penso che l'individuazione dei temi fondamentali non sia inutile agli studiosi e possa aver di per sé un valore critico. Seguiranno considerazioni critiche, con particolare riguardo al metodo della filosofia; al concetto, centrale nel pensiero del Cesarini Sforza, di dialettica del volere, e al modo in cui si possa pervenire a una determinazione analitica dei processi di espressione della volontà; al problema della giustizia; al carattere della teoria. generale costruita dal nostro autore. La Filosofia del diritto si apre, e si chiuderà, sul motivo idealistico, motivo dominante di tutto il lavoro, dell'attività spirituale come perpetuo movimento, sforzo, tensione, mai sufficiente fatica, trascendimento dell'oggetto dalla stessa attività spirituale costituito. Cosí è per il diritto. Il diritto nasce dall'esigenza, presente in tutte le società, di razionalizzare le azioni degli uomini dando a esse un ordine stabile mediante regole o norme; ma i suc-cesgi non possono essere che provvisori; le manifestazioni della volontà umana finiscono sempre per sfuggire, con la loro inesauribile, irriducibile concretezza, a qualsiasi astratto sistema di probabilità e prevedibilità; la etoria, opera della volontà umana, lascia continuamente indietro le mete raggiunte nell'illusione che siano definitive. L'esperienza giuridica procede attraverso questo tentativo di razionalizzare la vita per mezzo della regola, e attraverso le ribellioni della vita alla regola. Mentre la scienza giuridica ha per oggetto sistemi giuridici dati, la filosofia si leva allo studio della dialettica di soggetto e oggetto nell'atto di vita, studia l'esperienza giuridica come atto di vita. Diverso il compito, diverso il metodo: la conoscenza scientifica si appoggia a una realtà oggettiva, mentre la definizione filosofica deve essere trovata dal pensiero in sé medesimo, poiché si riferisce alla sua attività in un determinato aspetto. Anche la scienza del diritto può giungere, mediante uno schema ordinatore, a una definizione del diritto di carattere generale, applicando ai prodotti dell'attività creatrice del mondo giuridico la stessa attività sistematizzatrice e ordinatrice in cui essa consiste; ma le definizioni del diritto date dalla scienza considerano il diritto come un prodotto, non lo definiscono nel suo prodursi. La filosofia dà invece la consapevolezza di tal prodursi, consapevolezza indispensabile anche al giurista, per conoscere l'origine spirituale del diritto e cosí rettamente intenderlo, e soprattutto indispensabile al giudice, che deve essere il tramite tra legge e vita, tra gli schemi del diritto e la concretezza dell'azione umana. All'esigenza spirituale fondamentale, ondo trae origine il diritto, S. dà il nome di principio costitutivo del diritto, in contrapposto ai principi regolativi: questi sono le regole superiori e generali, da cui derivano le regole particolari di un dato ordinamento, dalle quali si può risalire alle prime per via di induzione; e hanno carattere storico e contingente, scaturendo dalle concezioni etico-politiche di un popolo in una data epoca della sua civiltà. Il principio costitutivo è la legge prima ed essenziale dell'attività dello spirito, per cui il diritto viene creato; e consiste in un determinato processo della volontà. La dialettica del volere (come quella del pensare) si svolge nel rapporto fra l'attività dello spirito umano, infinita potenza pratica e virtualità creativa, e la sua espressione: espressione è tutto ciò che dall'atto dello spirito si distingue come fatto e forma la realtà oggettiva. Il passaggio dall'attività spirituale soggettiva alla realtà oggettiva che se ne distacca è l'astrazione o procedimento astrattivo, il quale, quando si applica al comportamento concreto, lo divido in due, ossia rende possibile distinguere tra volizione e azione. Volizione e azione, che nel concreto agire di ogni soggetto umano sono tutt'uno, costituiscono nell'astrazione due momenti separati e statici, diventando tipi pratici, cioè un dato tipo di volizione e un dato tipo di azione; e l'azione appare come il risultato cui il soggetto volente mira, ossia scopo della volizione. L'attività volitiva di tanti soggetti diversi, che si manifesta con atti della concreta volontà di ciascun soggetto, può estrinsecarsi nella realtà oggettiva incorporandosi in un'azione tipica o astratta, uniforme per tutti: non ogni azione è conforme a un tipo, anzi gli uomini, appena giungono ad affermare la loro indi-vidualità, agiscono anche manifestando la loro originalità, e nel mondo pratico vi sono i santi e gli eroi che superano le formule e rompono le convenzioni in nome di un ideale superiote; ma la massima parte della vita comune a tutti gli uomini si svolge secondo tipi e modelli, si presenta come una serie indefinita di comportamenti uniformi esprimibili mediante le regole pratiche. Regola pratica è l'enunciazione di un comportamento conforme a un altro comportamento onde ottenere il medesimo scopo, vale a dire l'indicazione di un'azione tipica e astratta. Casi della regola pratica sono la regola tecnica, con la quale si indica quale azione tipica è mezzo per un fine, e il vincolo immediato tra azione e volizione passa in seconda linea di fronte alla affermazione dello scopo mediato o motivo, esistendo il vincolo solo in quanto si affermi il motivo; e la regola imperativa, o norma, che enuncia un comportamento tipico riferito all'atto di volontà necessario a realizzarlo, senza riguardo al motivo. La norma è sempre riferibile a una volontà estranea a quella dell'individuo cui è posta: le cosí dette norme individuali non sono che regole tecniche, poiché valgono solo nei limiti e in relazione al motivo che il soggetto riconosce. Il diritto è dunque il prodotto del procedimento spirituale astrattivo che, configurando volizione e azione come tipi, pone ordine nelle azioni degli uomini mediante regole imperative. Va rilevato che, in queste prospettive, la giuridicità non è osclusiva dei vari sistemi di diritto positivo, oggetto delle discipline giuridiche, ma è propria di qualsiasi applicazione del suddetto processo volitivo, per cui ogni azione può essere giuridicizzata e diventar parte. dell'esperienza giuridica. Dopo averci cosí introdotto al concetto filosofico del diritto, S. procede a una descrizione fenomenologica del prodursi del diritto nella società umana. I concetti intorno a cui questa trattazione è imperniata sono quelli di istituzione sociale e di orga-nizzazione. La prima forma di socialità, l'istituzione, si ha quando coloro che costituiscono il gruppo attuano un complesso o serie di comportamenti uniformi per il raggiungimento di fini comuni; la coscienza del fine, peraltro, può inancare, come sovente accade nelle società primitive, e le pratiche sociali risultano misteriose, benché non possano non avere avuto, all'origine, una loro ragione. La pura e semplice uniformità dei comportamenti forma il substrato del costume sociale. Dall'istituzione si passa all'organizzazione quando compariscono le regole imperative, o norme, ossia il diritto, e mediante il diritto lo azioni di ciascun soggetto sono coordinate con le volizioni di altri soggetti, e viceversa. Il sorgere del diritto non fa però scomparire il costume; che rimane come continua e ineliminabile rivelazione di tipi pratici tra i quali si differenziano quelli coordinati mediante le regole imperative. Le regole imperative si formano sempre sul presupposto di una regola tecnica, formatasi nella fase istituzionale: se non si costituiesero tipi di comportamento che valgano come mezzi per la realizzazione di determinati fini, neanche sorgerebbero le volizioni imperative che a quei comportamenti si dirigono. Il modo in cui le regole imperative operano nell'organizzazione della società umana, la fenomenologia delle relazioni tra istituzione e organizzazione, i processi mediante i quali il diritto nasce, è conosciuto, è applicato, è giustificato, le relazioni funzionali e logiche tra i vari aspetti dell'esperienza giuridica sono illustrati e chiariti dal nostro autore attraverso l'elaborazione e la discussione di un complesso di concetti, che si coordinano in una teoria molto interessante non soltanto dal punto di vista filosofico, ma anche da quello strettamente giuridico: i concetti di norma giuridica e di consuetudine, di rapporto giu-ridico, di autorità e proprietà, di diritto pubblico e privato, di diritto soggettivo e di obbligo, di legge e di negozio giuridico, di torto e sanzione, di giudizio, e via dicendo. Si riscontrano qui diverse interessanti varianti e progressi rispetto alle note Lezioni di leoria generale del diritto, che pure per non pochi anni hanno avuto un posto importante nella cultura giuridica del nostro paese, per quanto atteneva alla teoria generale del diritto. Particolarmente importante e centrale nella trattazione è, insieme con quello di norma, il concetto di rapporto giuridico. Il rapporto giuridico, nel suo schema fondamentale, è per S. la relazione che si instaura tra due soggetti, quando il comportamento tipico dell'uno agsume il valore di mezzo o condizione afinché si realizzi il fine dell'altro; il dirigersi della volizione a un comportamento altrui in ordine a un proprio fine. La piú semplice definizione del rapporto giuridico è quella di rapporto tra un imperativo o un obbligo. Se ci riferiamo a un atto normativo primo, non giustificato sulla base di precedenti atti normativi, il rapporto è di per sé giuridico; se invece si riferiscono tutte le volizioni normative a un'unica volontà, i rapporti concreti, cioè gli effettivi atti di volizione, sono giuridici solo in quanto rientrino nel sistema dei rapporti astratti stabiliti dalle formule normative riferite a quell'unica volontà. Ciò giustifica la distinzione tra pretcsa, il concreto dirigersi di una volontà all'azione altrui, e diritto soggettivo, l'astratta e virtuale possibilità di volere un comportamento tipico altrui; distinzione cui corrisponde, dall'altro lato del rapporto, quella tra obbligo concreto e obbligo astratto. Il riferimento di tutte le volizioni normative a un'unica volontà, cioè la volontà dello Stato, è attentamente esaminato dal Cesarini Sforza, mostrando il processo logico attraverso il quale avviene l'identificazione del diritto con l'ordinamento giuridico statale. Tale processo consiste nel ricavare dalle norme, nelle quali si esprimono volizioni astratte, l'idea astratta di una volizione unica e comprensiva, che sostiene tutto l'ordinamento, attribuendola a un unico soggetto. Da questo punto di vista lo Stato non è dunque che un puro concetto, una personificazione compiuta dal pensiero astraente. Come nella storia si sia venuti a questa astrazione, all'associazione dei concetti di diritto e Stato, è indicato dal Cesarini Sforza sottolineando il parallelismo di questo processo con la progressiva monopolizzazione statale dei mezzi di attuazione coattiva del diritto. Se poi, lasciando alla scienza giuridica il suo concetto astratto dello Stato, vogliamo sapere cosa lo Stato è in realtà, l'analisi filosofica mostra che questa cosiddetta volontà dello Stato si risolve nella concreta attività di determinati uomini, nella cui effettiva volontà l'autorità statale ai trasforma, da parola, in fatto. Chi comanda e chi è comandato: questa relazione costituisce il rapporto politico fondamentale, ossia il rapporto giuridico, considerato non piú nel suo schema logico, ma nella concreta realtà degli atti di volontà. Volontà piú forti si impongono sopra altre meno forti, che rimangono per un certo tempo in istato di sog-gezione, dal quale però tendono a liberarsi, per diventare a loro volta dominatrici. Un equilibrio di interessi è raggiunto, quindi è rotto, e gli si sostituisce un nuovo ordine nor-mativo, e per queste lotte e superamenti la storia umana inesauribilmente procede. Da quale parte è il valore, nel contrasto tra gli interessi affermati e gli interessi che cercano di affermarsi, tra l'ordine costituito e le sue forze e le forze innovatrici e rivolu-zionarie? Questa volta lo storicismo non è conservatore. L'autorità è essenzialmente un fatto, dice S.: essa si giustifica soltanto da sé stessa, nel suo effettivo manifestarsi come volontà normativa. Ogni tentativo di dare all'autorità una giustificazione superiore è destinato a fallire, come fallisce quello di fondare l'autorità dello Stato in un diritto naturale o superstatale. La validità della legge consiste nell'effettivo manifo-starsi di una forza vincolatrice dei valori umani, e se una nuova legge prende il suo luogo come forza vincolatrice, la nuova legge è valida; se il fatto di una nuova autorità si sostituisce al fatto di un'altra autorità, la nuova autorità ha in sé stessa la sua giustificazione. In queste prospettive sembra che il filosofo assista alle vicende della storia senza prendere partito, senza affermare il valore delle forze che resistono o delle forze che tendono a trasformare. Ma, dando un nome ai termini di questa sempre riaperta dialettica, egli usa per l'ordine giuridico, nel quale il movimento della storia sembra arrestarsi, l'espressione « principio di legalità»; « per indicare, invece, il processo di oggettivazione nel suo movi-mento, cioè non nei suoi risultati ma nella molteplicità e particolarità inesauribile dei suoi impulsi, soccorre la tradizionale denominazione di principio di giustizia». « Il contrasto fra i due principi — che appunto nel loro contrasto sono clementi vivi dell'esperienza giuridica - richiama facilmente quello tra la valutazione dell'agire nell'esteriorità conformistica delle sue manifestazioni e la valutazione morale considerata nella profondità e originalità della esigenza spirituale che la determina ». Non occorre sottolineare da quale parte è, per S., il valore. E quale sia il valore intrinseco al movimento di progresso, cui egli dà il nome di principio di giustizia, è quindi spiegato: «Il concetto di logalità esprime la condizione delle azioni umane in quanto ordinate mediante un sistema di imperativi, e quindi sottoposte alle volontà che negli imperativi si manifestano. Invece è intrinseca al concetto di giustizia l'idea - affermatasi, come già si disse, attraverso la dottrina cristiana e il giusnaturalismo razionalistico - dell'eguaglianza fra i soggetti di diritto in quanto sono tutti persone umane. Quest'idea fa sí - come dimostra l'esperienza storica - che i principi tendenti a realizzarsi come regolativi di un nuovo ordine giuridico esprimano nelle forme piú varie un'unica esigenza: quella delle volontà giuridicamente subordinate di conquistare, rivendicando eguaglianza e libertà nei confronti dell'ordine costituito, posizioni di predominio, di divenire alla loro volta, cioè, volontà imperative. IL METODO DELLA FILOSOFIA Esponendo, nella parte che precede, i temi cardinali della Filosofia del diritto del Cesarini Sforza, ho detto delle indicazioni metodologiche dell'autore a proposito della filosofia e della scienza. La scienza conosce l'oggetto dato come dato, la filosofia pone in evidenza l'attività spirituale che crca, senza mai esaurirsi, la realtà oggettiva. Il metodo della scienza consiste nell'applicare alla realtà oggettiva schemi ordinatori, giungendo per questa via al generale; la filosofia studia l'esperienza nella sua universalità, e « la definizione flosofica il pensiero deve trarla da se medesimo, in quanto si riferisce alla sua attività in un determinato suo aspetto». Sono ben noti gli antecedenti di questa posizione meto-dologica: è noto come nell'idealismo italiano il pensiero filosofico sia distinto dal pensiero scientifico, legato all'oggetto o oggettivante e procedente per generalizzazioni, come pensiero puro che trae da se medesimo le sue determinazioni, dotate del carattere della universalità. Ma la definizione filosofica del diritto, data in quest'opera, è veramente trovata dal pensiero in se medesimo con metodo puro di riferimenti all'oggetto? L'indagine filosofica, dice l'autore, rivela come l'atto spirituale che crea il diritto sia un processo della volontà. La dialettica del volere consiste nel rapporto fra attività e espressione, fra atto e fatto. Nel passaggio da atto a fatto consiste l'astrazione che, applicata al comportamento con-creto, rende possibile il distinguere tra volizione e azione, le configura come tipi, rende possibile la razionalizzazione dei comportamenti umani mediante schemi ordinatori, regole pratiche. Norma giuridica è quel tipo di regola pratica, la imperativa, che un soggetto pone ad altro soggetto; la norma che l'individuo pone a se stesso non è giuridica, Lo Stato è la relazione tra chi comanda e chi è comandato. Il tentativo piú severo e rigoroso di un pensiero puro, che tragga sé da se medesimo,, è stato fatto dal Gentile con la filosofia dell'atto puro. Un gentiliano esigente potrebbe muovere al Cesarini Sforza il rimprovero di empirismo o materialismo. Ecco ciò che il gentiliano potrebbe dire. Materialistica è la concezione individualistica, che contrappone individuo a individuo, chi comanda a chi è comandato, chi pone la regola imperativa a chi ne è destinatario. E la dialettica dell'attività spirituale, la distinzione tra atto e fatto, tra l'attività e i suoi prodotti, sono pensate dal Cesarini Sforza in modo astratto e natu-ralistico. La volontà è concepita come fatto psichico, che si svolge nel tempo formandosi, perdurando quale tensione volitiva, venendo meno o per il compiersi dell'azione o per il cadere della tensione (v., per es., a p. 132). I superamenti dello spirito rispetto ai enoi prodotti sono superamenti che avvengono nel tempo, e non il superamento che lo spirito fa di se stesso nell'atemporalità dell'atto. S. non parla del diritto come d'un termine della dialettica spirituale superato dalla sintesi ideale, ma parla di ordini normativi costituiti nella storia e superati dalle rivoluzioni politiche. Guardate, potrebbe concludere l'attualista, scandalo!, come la filosofia del Cesarini Sforza entra in colloquio con la sociologia e ne utilizza gli apporti a conferma e chiarimento delle sue tesi; con la sociologia, con la quale la pura filosofia dell'atto puro non ha mai avuto a che fare poiché quella rimane immersa nel logo astratto, mentre questa à logo concreto. Credo che il gentiliano esigente per un certo verso avrebbe ragione. La dialettica della volontà e del suo esprimersi nel diritto, com'è presentata dal Cesarini Sforza, non si svolge nel mondo senz'aria del pensiero puro, bensí nel mondo umano della storia, empiricamente concepita, dove non lo spirito unico celebra in solitudine le sue espressioni e i suoi superamenti, ma gli uomini sono portatori di ideologie e di interessi diversi, e il diritto si costituisce quando la volontà di alcuni si impone alla volontà degli altri e la rivoluzione si ha quando i governanti non sono piú in grado di costringere i governati all'obbedienza. A mio giudizio, però, proprio qui sta la forza dell'opera: nell'empirismo che porta l'autore fuori degli sterili tormenti della filosofa ancora in cerca del pensiero puro e, ponendo la filosofia del diritto in pieno e vivace rapporto con la sociologia e con le scienze giuridiche, le dà nutrimento e robustezza. Oso dire che le dichiarazioni metodologiche sopra riferite, delle quali peraltro ben si comprendono, su un piano psicologico e culturale, le ragioni di persistenza, sono smentite dallo svolgersi della trattazione: la definizione del diritto, quella dello Stato e le altre definizioni elaborate nel libro non sono trovate dal pensiero in se stesso né sono formalmente universali, ma sono costruite sull'esperienza e sullo studio che dei dati empirici fanno le scienze sociali. La Filosofia del diritto del Cesarini Sforza dà una nuova dimostrazione della fecondità dell'atteggiamento del filosofo che non tema l'accusa di empirismo e cerchi il colloquio con le scienze, quando a ciò si accompagnino l'attitudine critica e la capacità di sintesi, e il contatto con l'esperienza non vada a danno dell'interesse per i presupposti e le condizioni e i rapporti delle scienze e di ogni altra attività umana. Che cosa rimane, in questo libro del Cesarini Sforza, se non il metodo del pensiero. puro, della tradizione filosofica idealistica? Rimane una vocazione filosofica alla comprensione del mondo umano, che, non appagandosi di analisi particolari, di punti di vista limitati, di prospeitive bloccate, vuol vedere le cose da tutte le parti possibili, collegarle in visioni di insieme, soprattutto non limitarsi a considerare i risultati delle attività umane, ma comprendere le attività nel loro svolgersi. Ecco, però, un filosofo formato in questa scuola che non ispregia la sociologia e sa servirsene. Ed egualmente S. sa tenere buone relazioni con le scienze giuridiche, dedicando a concetti giuridici un lavoro. del quale i giuristi potranno fare buon conto. Benché S. parli assai spesso di attività spirituale e di spirito, il soggetto della storia e dell'esperienza giuridica è per lui l'uomo reale. « La dottrina umanistica — che non ignora la potenza dell'attività spirituale (« spiritus intus alit»), ma sa che tale potenza non appartiene a un soggetto trascendente (com'è l'Idea di Hegel) bensi s'incarna nel pensiero e nella volontà degli uomini reali (...) ». E le vicende degli uomini reali sono considerate in modo assai disincantato, che porta l'autore ad assumere talvolta accenti quasi marxisti, come a proposito della proprietà: « (...) non è del tutto senza base la concezione secondo la quale il diritto è strumento di dominio economico, e lo Stato liberale democratico è il 'comitato d'affari della borghesia capitalistica'». Lo Stato, lo si è visto, non è idealisticamente divinizzato, ma é concepito quale rapporto politico tra volontà umane che si impongono e volontà umane che soccombono. Siamo qui nella linea realistica della filosofia politica crociana. Le pagine in cui questa ferma consapevolezza piú appare, e diventa piú cruda, sono a mio avviso quelle sulla pena. Hanno séguito, osserva S., la teoria della difesa sociale e quella dell'emenda; difesa ed emenda sono però scopi secondari rispetto alla vera finalità della pena. In fondo all'idea della sanzione punitiva, dice l'autore, si può sempre ritrovare il fatto della vendetta. Tra la vendetta e la pena corre la differenza che la prima è esercitata fra soggetti eguali, che si contraccambiano un male, mentre la seconda è applicata da un potere sociale, superiore all'offensore e all'offeso; ciò rappresenta senza dubbio una garanzia di imparzialità, una tutela della pace sociale, ma in ultima analisi anche lo Stato non fa che contraccambiare o retribuire, col male della pena che infligge, il male del reato commesso. Non si possono meditare simili tesi senza turbamento, specialmente se si è esercitato il magistero penale. Forse la teoria della difesa e dell'emenda sono soltanto schermi costruiti per nascondere a noi stessi che il giudice è strumento di vendetta? L'opinione del Cesarini Sforza, e il modo in cui è presentata e giustificata, meritano apposita, approfondita discussione; qui l'opinione è stata addotta come significativo esempio del suo realismo. E si dovrebbe sempre cercare di tenersi nella stessa direzione, d'una filosofia che non tragga dal pensiero. puro esaltazioni e giustificazioni retoriche o mitiche degli istituti politici, e guardi invece francamente all'esperienza degli uomini reali per rendersi conto dell'effettiva, anche se talora spiacevole natura dei loro rapporti, delle vere ragioni del loro comportamento. VOLONTÀ E ESPRESSIONE Si vede confermato, nel libro del Cessrini Sforza, come la filosofia giuridica italiana. laica e immanentistica abbia raggiunto, a proposito dei problemi classici della filosofia del diritto, impostazioni e soluzioni di decisiva importanza. Diritto e morale: vano è cercare criteri assoluti e universali di distinzione tra norme morali, giuridiche e d'altre categorie; la distinzione dovrà essere fatta tra moralità da una parte, intesa come attività concreta, e legalità dall'altra, intesa come conformità dell'azione alla legge. Unità o pluralità degli ordinamenti giuridici, statualità o socialità del diritto: tanti sono gli ordinamenti giuridici quante le organizzazioni sociali, ma i giuristi scelgono un particolaro ordinamento e con esso identificano il diritto. Le tesi filosofiche ora accennate potranno essere rifinite o riformulate in vari modi, giudico però molto arduo l'allontanarsene o il rovesciarle. Di special vigore mi sembra il modo in cui S. ripresenta la critica al giusna-turalismo: l'errore filosofico del giusnaturalismo consiste nella pretesa di far passare come- principio costitutivo del diritto un particolare principio regolativo. Dicevo in principio del senso di compiutezza che, quanto ai temi e ai problemi approfonditi e nelle sue prospettive, dà questa Filosofia del diritto. Intorno al concetto centrale della dialettica del volere come rapporto tra l'attività dello spirito e la sua espressione si organizza un coerente discorso, ove filosofi e giuristi trovano molte soddisfacenti risposte a loro domande. Il tema, rispetto al quale principalmente mi par vi possa essere progresso di studio, è proprio quello del concetto di volontà e di espressione della volontà. Che cosd intendiamo per volere, quali processi designamo con questo nome? Che cosa intendiamo per espressione del volere? Come avviene il passaggio dalla volontà all'espres sione? Ogni filosofo, ogni scuola filosofica, compiendo l'arduo e paziente lavoro di precisazioni e distinzioni concettuali, si ferma a un certo punto su concetti non ulteriormente analizzati, che vengono sovente definiti come forme pure, categorie, principi costitutivi. L'arrestarai non è senza ragione e necessità: questi concetti non analizzati forniscono i punti di riferimento, le impalcature di sostegno, di cui si ha bisogno per non smarrirsi nel terreno dove si scava e si lavora. Poi, quando i risultati di quel lavoro sono assimilati, è possibile rivolgersi a quei punti di riferimento, a quei concetti centrali e organizzatori, per iniziare anche lí il precisare e il distinguere. Ci si vale, in ogni nuova fase dell'im- presa filosofica, di nuovi punti di riferimento, di nuove impalcature; ma vi può essere un progresso, se si estende il campo della consapevolezza e soprattutto se si è imparato a non venerare troppo le impalcature di cui ci si serve. La scuola filosofico-giuridica italiana, di cui è rappresentante S., ha avuto ed ha come concetti organizzatori quelli di attività spirituale, di volontà, di espressione, di dialettica. Sono state dette cose rilevanti a proposito di tali concelti; ma, laddove essi hanno resa possibile un'avanzata analisi filosofica in altri luoghi, qui l'analisi non è andata molto avanti. Ha contribuito non poco ad arrestarla il concetto del metodo filosofico di cui prima si è parlato. Pure, anche su questo terreno c'è lavoro da fare. Grandi contributi portano al chiarimento dei processi della volontà e del suo esprimersi la sociologia, la psicologia, la linguistica e altro discipline, e il filosofo deve coordinare i risultati rendendo chiari i fondamenti e i metodi con cui ciascuna di esse si accosta a questi problemi. Come avviene, in particolare, l'esprimersi dell'atto del volere attraverso il procedimento astrattivo che distingue volizione e azione? Tale espressione avviene mediante il linguaggio. Il linguaggio non è qualcosa di dato all'uomo e pronto e finito una volta per tutte, né è creato caso per caso in ogni concreto atto d'espressione; esso è un prodotto della storia e della cultura umana, nttra- verso una lunga e complessa elaborazione. Si può studiare, come fa la linguistica, la formazione dei linguaggi nella storia umana; si può studiare i processi di impiego del linguaggio per organizzare la convivenza e la collaborazione mediante le prescrizioni; e studiare la psicologia degli usi e delle ricezioni individuali di questo prodotto della società. Invece di partire dai concetti molto generali di volontà e di espressione, partire da situazioni e attività umane concrete; alla coordinazione di quei concetti nella teoria della dialettica sostituire l'esame particolareggiato dei procedimenti e degli strumenti degli uomini reali che razionalizzano la vita mediante le regole. L'analisi dei concetti dovrebbe servire, procurando gli schemi ordinatori, come mezzo per comprendere queste attività. In tali prospettive è possibile indagare in che consista il significato delle espressioni lin-guistiche, in che senso e in che limiti si possa parlare di significati comuni e costanti tra piú persone, cioè di una oggettività dei significati rispetto ai soggettivi atti di espressione e di intendimento, in ispecie di una oggettività delle norme giuridiche rispetto ai soggettivi atti di volizione; cercare in che consista l'astrattezza delle espressioni linguistiche normative, che designano tipi di situazioni e tipi di comportamenti, e come si formino i concetti astratti e come pragmaticamente funzionino nel razionalizzare i concreti processi vitali; studiare infine la disciplina cui gli uomini sottomettono gli usi linguistici o farsi custodi di tal disciplina o attendere a migliorare le regole d'uso del linguaggio in ordine ai loro scopi, con gli studi di semantica e di logica. Impegnarsi insomma, anche a proposito della volontà e della sua espressione, nel pieno dell'esperienza e della sua moltepli-cità, elaborare con precisa analisi i mezzi concettuali della conoscenza Quanto ho detto avrà fatto pensare il lettore al lavoro e ai programmi di lavoro del complesso movimento filosofico che si indica col nome di filosofia analitica. Ma a cagione del loro modo di lavorare e dei loro programmi gli analisti rischiano di avere vista corta. di chiudersi entro i loro orticelli e perdere quell'ampiezza di visuali, quel bisogno di visioni di insieme, che sono il carattere della filosofia; e per effetto di tale limitazione finir con l'accettare in modo acritico una quantità di presupposti e di condizioni di lavoro. C'è, negli scritti degli analisti, una sorta di compiacimento del particolare, dell'opera paziente nel piccolo campo. Questa disposizione è estremamente positiva come manifestazione di reazione, come strumento polemico contro certo facile e retorico filosofare; può assumere una funzione negativa se toglie lo sforzo di comprendere la complessità dell'esperienza umana e di correlarne gli aspetti in una considerazione sintetica. E importante, per esempio. studiare con pazienza e rigore la struttura logico del linguaggio giuridico; ma è altrettanto importante sapere che quella è la strutturi li un linguaggio che serve a dati scopi nella società umana e si forma attraverso certi processi d'esperienza e opera in certi processi di esporienza. Senza questa consapevolezza si corre il pericolo, nel quale non di rado sono incappati cultori di logica giuridica, di estendere surrettiziamente conclusioni dei loro studi oltre i limiti di quegli studi, o fondar le analisi logiche in presupposti dogmatici che non reggerebbero alla critica. Ecco dove la tradizione filosofica idealistica, giungendo attraverso opere come la Filosofa del diritto del Cesarini Sforza, mantiene, anche per chi senta l'esigenza di nuove indagini nel senso or ora indicato, una piena e attuale validità. L'insognamento principale di questa Filosofia del diritto si può riassumere in poche parole: sappiate vedere il diritto nell'esperienza giuridica. Il concetto di esperienza giuridica, o meglio, piú che un concetto, l'impegno a considerare il diritto nell'esperienza; l'analisi delle relazioni tra il diritto come regola e la vita morale, politica, economica, soprattutto l'elaborazione delle distinzioni concettuali necessarie alla consapevolezza di tali relazioni, sono uno dei contributi migliori della recente filosofia giuridica italiana agli studi filoso-fici; e costituiscono il principale titolo di merito del libro di cui ci occupiamo. Il modo in cui S. concepisce l'esperienza giuridica, comparato a quello di altri nostri autori, sarebbe un interessante tema di ricerca. Qui conviene limitarsi, in relazione a quel movimento filosofico di cui sopra si diceva, che ormai, e fortunatamente, è pene- trato anche nel nostro paese e vi progredisce, a sottolineare l'insegnamento da tenere vivo. LA GIUSTIZIA L'esperienza giuridica procede attraverso il tentativo di razionalizzare la vita mediante la regola e attraverso la ribellione della vita alla regola. Le sopraffazioni delle norme sulla vita, le ribellioni della vita «sono aspetti necessari e insopprimibili del processo spirituale sopra rievocato. Ciò la filosofia insegna, mostrando che è un errore parteggiare aprioristicamente per le norme contro la vita, ma è un errore anche parteggiare aprioristicamente per la vita contro le norme ». Sembra dunque che il filosofo sia neutrale tra la vita e le norme; e, seduto sull'orlo del fiume, veda scorrere il fiume col suo ribol. lire di lotta tra la regola giuridica e l'originalità della valutazione morale, applicando il precetto spinoziano di non appassionarsi alle une o alle altre sorti, sed intelligere. Abbiamo però rilevato come alla fine il Cesarini Sforza prenda partito, e mostri la sua simpatia per la parte della vita. Al momento dell'ordine giuridico egli dà il nome di principio di legalità, al momento di ribellione e superamento il nome di principio di giustizia. E nel principio di giustizia ravvisa l'affermarsi dell'esigenza della eguaglianza tra i soggetti di diritto in quanto sono tutti persone umane. Il filosofo non rimane dunque freddo e intellettualisticamente indifferente innanzi alle vicende umene, ma ne è partecipe, si impegna a sua volta. Cosí un recensore, il Ciarletta, ha potuto dire che la filosofia del diritto è, per S., la filosofia della rivolu-zione; o per lo meno, se la parola rivoluzione facesso necessariamente pensare al sovvertimento violento di un ordine giuridico preesistente, la filosofia dell'originale e profonda moralità che supera l'irrigidito schema della norma astratta. La simpatia per l'autore certamente si arricchisce molto di questo rilievo: il filosofo indifferente suscita sgomento, dal filosofo ci si aspetta non soltanto una lucida spiegazione di come vanno le cose, ma d'averne un orientamento e una guida per la parte che nella società umana noi stessi dobbiamo pure svolgere. In questo punto ravviso, però, la maggior difficoltà filosofica del saggio. Cho base ha l'affermazione della presenza dell'esigenza egualitaria nel principio di giustizia, ossia nel movimento che produce e supera il diritto? Sembra che il Cesarini Sforza le dia una base empirica: al passo in cui si dichiara che l'idea di eguaglianza tra i soggetti di diritto è intrinseca al concetto di giustizia segue un richiamo all'esperienza storica (v. la citazione alla fine del secondo paragrafo di questa nota). Ma l'esperienza storica, purtroppo, è al riguardo tutt'altro che univoca. Ci sono movimenti rivoluzionari piú o meno sinceramento ispirati all'eguaglianza tra le persone umane e ci sono movimenti che predicano e praticano la disuguaglianza degli uomini, dei popoli, delle razze. L'esperienza storica mostra che vi sono volontà in lotta per imporre la propria forza alla forza di altre volontà, e il vario contenuto delle volontà contrastanti. Se principio di giustizia è il nome che diamo al movimento che produce e supera il diritto, realizzano il facipio di giustizia tanto i nazisti che vogliono abbattere la democrazia quanto i desiocratici che si ribellano al diritto nazista. L'identificazione del principio di giustizia con il manifestarsi dell'esigenza di eguaglianza delle persone umane è il giudizio etico che una retta coscienza dà sulla storia; l'esperienza storica ne è giudicata, e non può giustificarlo, non basta a fondarlo. È possibile una fondazione teorica del principio di giustizia? Oppure in quel principio si manifesta la nostra personalità, come si è formata nel nostro ambiente culturale, e non v'è modo di dimostrarlo ad altri, ma soltanto lo si riceve e lo si comunica per via di educazione? Questo è il problema della giustizia, come problema del valore del diritto. La filosofia del diritto di S., con il suo immanentismo, con il quadro che dà dell'esperienza giuridica come dialettica di regola e di concreta e originale moralità, con la critica dei principi regolativi, esclude la prima soluzione. Ogni tentativo di identificazione teorica della giustizia, come valore del diritto, con l'eguaglianza delle persone umane, sarebbe un nuovo contrabbando di un principio regolativo, il principio dell'egua-glianza, quale principio costitutivo del diritto. Dal punto di vista di questa filosofia si può dire soltanto che principio costitutivo dell'esperienza giuridica è il sovrapporsi della regola alla vita e il ribellarsi della vita alla regola; dal principio costitutivo del diritto, chiarito dalla filosofia, all'affermazione del valore di un certo principio regolativo, non c'è pas- saggio. La ragione filosofica vede il principio costitutivo, la dialettica di morale e diritto; se poi, in quella dialettica, noi ci impegniamo per un particolare principio regolativo, ciò dipende da ragioni della nostra morale, che la ragione filosofica non conosce. Il problema del valore, o dei valori, costituisce uno dei temi centrali e piú critici dell'idealismo italiano, che in vari suoi rappresentanti ha tentato di ricavare la fondazione del valore dalla teoria della realtà spirituale. Mi pare che la chiara e stringente formulazione data alla filosofia della pratica da S. ci metta innanzi a una conclu-sione: per una filosofia, che nôn creda di poterli fondare nel trascendente, i valori non sono giustificabili teoricamente. Questo non significa finire in pieno irrazionalismo e negar che la filosofia debba occuparsi delle questioni di valore: gli atteggiamenti valutativi sono connessi con credenze, e il discorsa razionale, modificando le credenze, contribuisce a mutar le valutazioni; quanto alla filosofia, ossa ha per compito di chiarire la natura, la portata e le conseguenze dell'atteggiamento valutativo, di analizzare e distinguere le com• ponenti del discorso sui valori ecc. Ma al fondo dell'affermazione di un valore c'è sempre un impegno personale, un atto di coscienza morale. Tale tesi non ci riconduce allo sgomento del filosofo freddo o intellettualisticamente indifferente; desideriamo il filosofo che cerchi di realizzare con la filosofia il valore della conoscenza spassionata, ma sappia nel mondo, conosciuto senza passione, affermare con ferma e feconda passione tutti i suoi valori umani. Simile discorso non può qui ulteriormente svilupparsi: quanto ho detto può forse bastare per indicare la seconda, importante direzione di progresso di consapevolezza che, a mia giudizio, si apre a chi medita le posizioni dell'idealismo italiano, e queste, in particolare, del Cesarini Sforza. LA TEORIA GENERALE DEL DIRITTO Al principio del saggio dedicato alla Teoria generale del diritto del Levi, recentemente ripubblicato nel volume Studi sulla teoria generale del diritto, il Bobbio rileva che tre sono i punti di vista da cui una teoria generale del diritto può guardare il fenomeno giuridico: diritto come rapporto giuridico, diritto come istituzione, diritto come norma. Ho detto in precedenza che nella tcoria generale delineata dal Cesarini Sforza è particolarmente importante e centrale, insieme al concetto di norma, quello di rapporto giuri-dico; ed ho indicato il modo in cui l'autore lo definisce. Ora è interessante rilevare come il concetto di rapporto sia da lui costruito sulla base del concetto di norma, che è il vero pernio dell'organizzazione dei concetti di questa teoria generale, talché essa va ascritta al terzo tipo indicato dal Bobbio. Nel caso dell'atto normativo primo, non qualificato sulla base di precedenti atti nor-mativi, rapporto giuridico è la relazione che ai istituisce tra il soggetto attivo dell'imperativo e il soggetto passivo; il rapporto giuridico è definito come rapporto tra l'imperativo e l'obbligo che esso pone. La distinzione e contrapposizione tra norma e rapporto giuridico, com'è presentata di solito (la norma quale fonte del rapporto, in quanto regolatrice di una relazione sociale, economica ecc.), è sostituita, a proposito degli atti normativi qualificati sulla base di atti normativi precedenti, dalla distinzione e contrapposizione tra rapporto giuridico concreto, ossia l'imperativo effettivamente rivolto da un sobbeece ad un altro, e rapporto giuridico astratto, ossia lo schema di rapporto stabilito dalla formula normativa riferibile alla volontà superiore. I concetti di rapporto concreto e di rapporto astratto servono in effetti, come si vedo, a configurare la correlazione tra una norma di grado inferiore e una norma di grado superiore. È naturale, qui, il richiamo al Kelsen. La corri-spondenza tra posizioni del Cesarini Sforza e posizioni del Kelsen appare evidente a proposito della soluzione data al problema della legittimazione del diritto, del fondamento. della sua obbligatorietà. I rapporti concreti, dice il Cesarini Sforza, sono giuridici solo in quanto rientrino in uno schema di rapporto astratto stabilito dalla volontà superiore. In termini kelseniani, la validità di una norma deve essere dedotta da una norma di grado superiore. Riguardo all'atto normativo primo, dico il Cesarini Sforza, la distinzione tra rapporto astratto e rapporto concreto non ha nessun significato; l'atto normativo primo. eta all'inizio di una serie di qualificazioni di giuridicità, ma non può essere qualificato. nello stesso modo; esso è giuridico di per sé, purché in esso si manifesti una forza vin--colatrice delle azioni. Cosí la norma fondamentale del Kelsen sta all'inizio di una serio di qualificazioni di giuridicità, ma non può essere qualificata nello stesso modo; e tutta: la catena delle qualificazioni vi può essere appesa, in quanto la norma fondamentale sia posta come condizione di validità dell'intero ordinamento. I due autori hanno in comune-l'importante consapevolezza che il diritto non può essere giustificato con il diritto: si giustificano, all'interno di un ordinamento giuridico, singole norme sulla base di altre-norme; ma per sapere come l'intero ordinamento, entro il quale il giurista adopera la sua. logica qualificatrice, stia in piedi, o perché debba stare in piedi, per stabilire le condizioni prime di ogni ragionamento giuridico, occorre andar fuori del diritto e impiegare-un altro tipo di ragionamento. La differenza tra il Kelsen e il Cesarini Sforza sta nel fatto. che il primo considera le norme nella loro struttura formale, si occupa soltanto dei loro- rapporti logico-formali, e quindi il presupposto di ogni qualificazione di giuridicità si presenta nella sua dottrina come una mera condizione logica, un'ipotesi del pensiero giu-. ridico; il Cesarini Sforza invece guarda agli atti normativi nella loro effettività storica e• psicologica, concepisce la norma come imperativo, e quindi il presupposto di ogni qualificazione di giuridicità si configura per lui come un atto normativo primo dotato di forza politica. Mi sembra che da questa concezione della norma come imperativo derivino alcune difficoltà, del tipo di quelle che si sono sempre incontrate quando si sono definiti concetti di teoria generale del diritto in riferimento a effettivi atti o stati di volontà, anziché in: riferimento alla e soltanto alla loro espressione. Il nostro autore perviene coerentemente a dire che il rapporto giuridico nasce nel tempo, perdura come componente dell'ordine giuridico quanto perdurà la tensione volitiva, e viene meno col cadere della tensione o col' compimento dell'azione voluta. Da questo punto di vista non si spiega come mai i giuristi continuino a considerar giuridica una volontà manifestata entro un certo ordine giuridico,, e i giudici ad applicarla, finché non siano avvenuti certi fatti con efficacia abrogante, senza preoccuparsi del perdurare della tensione volitiva in corrispondenza alla volontà espressa. Meglio, a mio avviso, chiarito che e come il diritto si forma e si trasforma nella società umana attraverso l'esprigersi della volontà, dire decisamente che dal punto di vista giuridico ciò che viene conosciuto e applicato è la volontà in quanto espressa, la norma come: espressione; e costruire la teoria generale del diritto dal punto di vista della norma come espressione linguistica prescrittiva, anziché dal punto di vista della norma come imperativo. Checché si pensi, comunque, di queste osservazioni, la teoria generale del diritto del Cesa-rini Sforza, accolta come è presentata o trascritta in chiave formalistica, porta nel con.. testo della sua Filosofia del diritto una nuova e considerevole prova dei meriti del norma--tivismo. La concezione del diritto come norma consente di costruire. una organica teoria generale del diritto e insieme di vedere filosoficamente il diritto nel concreto dell'esperienza giuridica. In sede di teoria generale si determinano i rapporti formali tra le norme, come si prospettano per la scienza del diritto che assume una norma prima quale criterio d'individuazione di un sistema di norme; in sede filosofica non ci si ferma alle norme come dato di un'attività scientifica, ma si considera come le norme sono prodotte e superate nell'umana vicenda del rinnovarsi del tentativo di razionalizzare la vita mediante la regola e del rinnovarsi della ribellione della vita alla regola.Widar Cesarini Sforza. Sforza. Keywords: iussum, iustum. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sforza” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Sgalambro: FILOSOFIA SICILIANA, NON ITALIANA -- all’isola – la ragione conversazionale della misantropia – la scuola di Leonzio -- filosofia dell’isola di Sicilia – filosofia siciliana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Lentini). Filosofo siciliano. Filosofo italiano. Lentini, Sicilia. Grice: Italians say “Lentini,” but Sicilians say “Leonzio,” since there was only ONE LION (leontino) that Ercole killed!” Important Italian philosopher. La sua filosofia è nichilista, definizione spesso respinta da lui stesso, ma talvolta anche accettata, e si può piuttosto definire un'originale sintesi tra la filosofia della vita di Schopenhauer e il materialismo e pessimismo di RENSI, con le influenze dell'esistenzialismo sui generis di Cioran, di alcuni temi della scolastica e della teologia empia e naturalistica di VANINI e Mauthner. Noto anche per la collaborazione con Battiato. Da una famiglia benestante (il padre era un farmacista), osserva un riserbo quasi conventuale nella sua vita privata, fornendo tuttavia alcuni elementi biografici nelle sue interviste o presentazioni. Dopo l'infanzia trascorsa a Lentini, si trasferisce a Catania. S’iscrive a Catania. Dicedo di non iscrivermi in filosofia perché la coltivavo già autonomamente. Mi piace il diritto penale e per questo scelsi la facoltà di giurisprudenza. Inoltre non si trova d'accordo con la cultura filosofica dominante allora nelle accademie, troppo legata all'idealismo di CROCE e GENTILE. Sono loro che occupano tutto lo spazio filosofico. Ma io non mi ritrovo affatto in quei sistemi complessi e completi, dove ogni cosa era già stata incasellata. Per me, filosofare e una destructio piuttosto che una costructio. Sono uno che noto le rovine, piuttosto che la bellezza. Questo e un po' scomodo, e non certamente accademico. Il reddito che proveniva da un agrumeto (lasciatogli in eredità dal padre) non basta più, così sceglie di integrarlo compilando tesi di laurea e facendo supplenze nelle scuole. Il matrimonio è un momento, come dice Hegel, in cui la realtà determinata entra in un individuo. Dunque il matrimonio non coincide semplicemente con l'amore per una persona, ma con la durata. Ecco dove sta l'essenza, quasi teologica, del matrimonio. E dichiaratamente ateo anche se crede nella reincarnazione, come ricordato anche da Battiato, e ha avuto un funerale religioso. Vive da solo nella sua casa catanese. Che non ci sia niente di peggiore del mondo, non si deve dimostrare. Ripete spesso che non possedeva titoli né lauree per i biglietti da visita e quindi come sia riuscito a diventare un filosofo e  «un mistero» che egli stesso stenta a spiegarsi. Il suo primo contatto con un saggio filosofica avviene quando legge “La formazione naturale nel fatto del sistema solare” di ARDIGÒ. Collabora a “Prisma” con un saggio, “Paralipomeni all'irrazionalismo” dove, influenzato da RENSI, sviluppa un attacco all'idealismo crociano allora in piena egemonia. S’ispira anche all'ironia di Kraus di cui ama lo stile aforistico. Se Kraus avesse scritto Il Capitale lo avrebbe fatto in tre righe. Scrive per “Incidenze”“Crepuscolo e notte” (Messina, Mesogea), un saggio di "esistenzialismo negativo". Scrive anche per la rivista Tempo presente. Decide di organizzare la sua filosofia in un saggio sistematica. Manda “La morte del sole” con un biglietto di due righe ad Adelphi. “E lì è rimasto.” “Ma siccome io sono fatto in questo modo, non ho chiesto niente. Poi è arrivata una telefonata. Mi chiedevano di andare a Milano, per prendere contatto con l'editore.  Calasso mi dice che “La morte del sole” (Milano, Adelphi) non e maturo, e marcio: ed e esattamente così. Pubblica “Trattato dell'empietà: (Adelphi, Milano); Anatol (Adelphi, Milano), Del pensare breve (Adelphi, Milano) Dialogo teologico (Adelphi, Milano), Dell'indifferenza in materia di società (Adelphi, Milano), La consolazione (Adelphi, Milano), Trattato dell'età – una lezione di metafisica (Adelphi, Milano), “De mundo pessimo” (Adelphi, Milano); “La conoscenza del peggio” (Adelphi, Milano); “Del delitto” (Adelphi, Milano) e “Della misantropia” (Adelphi, Milano). Viene avvicinato al nichilismo. Talvolta ha respinto la definizione, mentre altre volte l'ha accettata, nel senso di un nichilismo attivo e demolitore, non passivo e chiuso. Indubbiamente questa visione è nell'intimo di me stesso. Per un nichilista le cose -- il Papa, MUSSOLINI, un vaso di terracotta -- si equivalgono. Questo non significa che non si ha il senso di ciò che vale. Significa piuttosto che si prova a romperlo come si può, per esempio con il martello del pensare. Intanto con alcuni amici avvia una piccola attività editoriale a Catania. Nasce così la De Martinis. All'interno di questa casa editrice, si occupa di saggistica, pubblicando un paio di propri testi – “Dialogo sul comunismo” (Martiniis, Catania) e “Contro la musica – sull’ethos del ascolto” (Martiniis, Catania) -- e ristampando VANINI e di Benda. Suscita polemiche una sua intervista a Battistini sulla mafia, dove critica anche Sciascia e il mito dell'anti-mafia militante (che tra l'altro fu criticata da Sciascia stesso. L'immagine della Sicilia. C'è, come no? Ma cercarla in faccende di Cuffaro e di Gabanelli è come cercare un tesoro fra le spine dei fichi d'India. Cercare che cosa, poi? La griglia mafiosa è una gabbia. È chiaro che ha ragione la Gabanelli e che Cuffaro vuole cancellare a suo modo la mafia, con un tratto di parole. Ma contesto che la mafiosità sia una chiave di conoscenza. Non cambio idea. La mafia è un concetto astratto. E gl’astratti si distruggono con la logica, non con la polizia. La polizia può arrestare la mafia. Eliminarla, mai. Quello che importa è la Mafia maiuscola, concetto generale e perciò indistruttibile. La mafia in sé non mi fa venire in mente nulla. Come la patria, i morti di Solferino. Cose vetuste. Sciascia e lo scrittore sociale, un maestro di scuola che vuole insegnarci le buone maniere sociali. Ma rivisitarlo oggi è come ri-leggere Pellico. La sua funzione si è esaurita. La mafia è l'unica economia reale di quest'isola. Ci sono fenomeni della storia, ricchezze che non si possono fare con le mani pulite. Qui la ricchezza è sempre stata fondiaria, senza investimenti. La ricchezza è per sua natura sporca. Basta col gioco della spartizione -- è mafioso o no? Domande da periodo di lotte religiose -- è luterano o cattolico? In Sicilia sono arrivati anche i laici, per fortuna. Definisce poi Fava "quel piagnone", affermando che "i famosi Cavalieri", soprannome dato dal padre di Fava a quattro imprenditori catanesi considerati collusi con Cosa nostra, erano l'unica economia possibile» per la città. -- è tornato in maniera sarcastica sull'argomento. Considero la Sicilia come un fenomeno estetico e non ne cambierei nulla. In questo senso potrei dire che mi considero un mafioso. E attaccato da  Ferrarotti che lo define un neo-reazionario e di "intolleranza aristocratica e silenzio sulla mafia. Alla sua isola ha dedicato “Teoria della Sicilia”. Là dove domina l'elemento insulare è impossibile salvarsi. Ogni isola attende impaziente di inabissarsi. Una teoria dell'isola è segnata da questa certezza. Un'isola può sempre sparire. Entità talattica, essa si sorregge sui flutti, sull'instabile. Per ogni isola vale la metafora della nave. Vi incombe il naufragio. Oltre ai saggi per Adelphi, pubblica per Bompiani Teoria della canzone, Variazioni e capricci morali, e due raccolte di poesie, frammenti di una biografia per versi e voce e Marcisce anche il pensiero (frammenti di un poema), nonché L'impiegato di Filosofia, nel quale ironicamente afferma di aver rinunciato alla filosofia ritrovandosi più filosofo che mai, curioso libretto stampato in un museo della stampa con caratteri mobili, edito da La Pietra Infinita. Pubblica “Del metodo ipocondriaco” (Il Girasole, Valverde), Quaternario (racconto parigino), la raccolta di poesie Nell'anno della pecora di ferro, e Dal ciclo della vita. La matematica è il tribunale del mondo. Il numero è ordine e disciplina. Ciò con cui si indica lo scopo della scienza, tradisce col termine la cosa. L'ordine, già il termine ha qualcosa di bieco, che sa di polizia, adombra negli adepti le forze dell'ordine cosmico, i riti cosmici. L'autentico sentimento scientifico è impotente davanti all'universo. L'inflazione che caccia nelle mani dell'individuo, in un gesto solo, miliardi di marchi, lasciandolo più miserabile di prima, dimostra punto per punto che il denaro è un'allucinazione collettiva. Avviene l'incontro con Battiato, del tutto casualmente, perché presentavano insieme un volume di poesie dell'amico comune Scandurra. Battiato gli chiede un appuntamento per proporgli di scrivere il libretto di “Il cavaliere dell'intelletto”. Un anno fa non ci conoscevamo neppure. Da allora non abbiamo fatto altro che lavorare insieme. Lui e anche un filosofo, ma per me è un talento che mi stimola e arricchisce. Mi sembra impossibile tornare a scrivere i testi delle mie cose. In mezzo a tutto questo, mi capitò tra i piedi Battiato. Per un certo verso direi che è stato uno di quegli incontri che ti portano fuori strada, ma questa è una percezione che ho avuto molto tardi. A volte trovo che è come se tutto quel tempo io lo abbia perduto. La questione sta nel vedere se sia possibile recuperarlo. Accetta e risponde ironicamente all'invito di Battiato chiedendogli di scrivere insieme un disco di musica pop. Tra lui e Battiato si sviluppa un sodalizio artistico e umano, anche se non sempre facile. Anche perché io non sono un grande seguace dell'amicizia. Con Battiato abbiamo avuto lunghe liti, che duravano parecchio. Poi uno dei due, in genere lui, telefonava e il rapporto riprendeva. Tutti i litigi erano per un rigo da cambiare in una canzone. Io non accetto le esigenze della musica e per lui questo e costoso. Il suo impegno in politica? Non ho mai capito come si sia potuto lasciare tentare, tutti i giorni ho cercato di convincerlo a levarsi, solo ora per fortuna sta tornando in se stesso. Collabora a quasi tutti i progetti di Battiato, per cui scrive:  i libretti delle opere Il cavaliere dell'intelletto su Federico II di Svevia, Socrate impazzito, Schopenhauer e TELESIO, Campi magnetici; L'ombrello e la macchina da cucire, L'imboscata, Gommalacca, Ferro battuto, Dieci stratagemmi, Il vuoto, Apriti sesame, Perduto amor, Niente è come sembra, Auguri don Gesualdo Bufalino). Benché affermasse che la canzone era per lui "una distrazione", scrive testi di canzoni anche per Pravo (Emma), Alice (Come un sigillo, Eri con me), Il movimento del dare, Marie ti amiamo, Non conosco nessun Patrizio (Facciamo finta che sia vero ed Aurora).  Dopo essere intervenuto anche ai concerti di Battiato, si cimenta lui stesso con la musica e pubblica il singolo. In una rappresentazione de L'histoire du soldat di Stravinskij interpreta la voce narrante, con Battiato nella parte del soldato e Giovanni Lindo Ferretti in quella del Diavolo.  Pubblica Fun club, prodotto da Battiato e Cosentino. Un alleggerimento che considero doveroso. Dobbiamo sgravare la gente dal peso del vivere, invece che dare pane e brioches. Questa volta, mi sono sgravato anch'io. E poi, la musica leggera ha questo di bello, che in tre minuti si può dire quanto in un libro di 400 pagine o in un'opera completa a teatro.Dà la voce all'aereo DC-9 Itavia nell'opera Ultimo volo di Pollina sulla strage di Ustica.  La canzone della galassia, cantata assieme al gruppo sardo-inglese Mab.  Torna ad esibirsi in un pub di Catania, assieme al Fazio e Cantarella. Finita l'esibizione alla presenza di Russo e Battiato, seguì il concerto delle Lilies on Mars, band formata da due ex componenti del gruppo MAB (Masia e Cristofalo), band che si era esibita con Battiato in Il vuoto.  Di passaggio (L'imboscata) recita: La stessa cosa sono il vivente e il morto, lo sveglio e il dormiente, il giovane e il vecchio: questi infatti mutando son quelli e quelli mutando son questi. Interviene in Shakleton, da Gommalacca. In Invito al viaggio (da Fleurs) recita: «Ti invito al viaggio in quel paese che ti somiglia tanto. I soli languidi dei suoi cieli annebbiati hanno per il mio spirito l'incanto dei tuoi occhi quando brillano offuscati. Laggiù, tutto è ordine e bellezza, calma e voluttà; il mondo s'addormenta in una calda luce di giacinto e d'oro; dormono pigramente i vascelli vagabondi, arrivati da ogni confine per soddisfare i tuoi desideri. I fiori del male. Corpi in movimento, Campi magnetici, recita. Se io, come miei punti, penso quali si vogliano sistemi di cose, per esempio, il sistema: amore, legge, spazzacamino e poi non faccio altro che assumere tutti i miei assiomi come relazioni tra tali cose, allora le mie proposizioni, per esempio, il teorema di Pitagora, valgono anche per queste cose.  Hilbert, Lettera a Frege. Partecipa a quasi tutti i tour di Battiato:  Recita versi in latino sul brano di Battiato  Canzone chimica: «Bacterium flourescens liquefaciens, Bacterium histolyticum, Bacterium mesentericum, Bacterium sporagenes, Bacterium putrificus.  Esegue una nuova versione con il testo riadattato in chiave filosofica. Accetta il consiglio. Canta due brevi strofe dei suoi versi nella canzone La porta dello spavento supremo, Dieci stratagemmi di Battiato. Quello che c'è ciò che verrà ciò che siamo stati e comunque andrà tutto si dissolverà Sulle scogliere fissavo il mare che biancheggiava nell'oscurità tutto si dissolverà. La porta dello spavento supremo. Il sogno; “Teoria della canzone, Milano, Bompiani, Frammenti di una biografia per versi e voce, Bompiani, Milano, Poesie, Contiero, Reggio Emilia, La Pietra Infinita, Segrete (Contiero, Reggio Emilia, La Pietra Infinita, Opus postumissimum; Firenze, Giubbe Rosse, Dolore e poesia (Contiero, Reggio Emilia, La Pietra Infinita,  Contro la musica. (Sull'ethos dell'ascolto) e Dialogo sul comunismo), Quaternario. Racconto parigino” (Valverde, Girasole); “Frammenti di una biografia” (Milano, Bompiani); “La consolazione, L'impiegato di filosofia” (Reggio Emilia, La Pietra Infinita); “Nell'anno della pecora di ferro” (Valverde, Girasole); Marcisce anche il pensiero. Frammenti di un poema, Opus postumissimum” (Milano, Bompiani); “Teoria della canzone” (Milano, Bompiani); Variazioni e capricci morali” Milano, Bompiani,  Dal ciclo della vita” (Valverde, Girasole); Devozione allo spazio in Raciti, Dello spazio, Catania, CUECM, Sciascia e le aporie del fare in Sciascia. Scrittura e verità, Palermo, Flaccovio, Carpe veritatem, La filosofia delle università” (Milano, Adelphi); “EMPEDOCLE o della fine del ciclo cosmico” in Grado, Grandi siciliani. Tre millenni di civiltà” (Catania, Maimone); “GENTILE o del pensare” in Grado, “Grandi siciliani. Tre millenni di civiltà (Catania, Maimone); Post scriptum in Barcellona, Lo spazio della politica. Tecnica e democrazia” (Roma, Riuniti); “Un discorso coerente sui rapporti tra il divino  e il mondo” (Catania, De Martinis); “La filosofia dell'autorità” (Catania, De Martinis); quarta di copertina prefazione in Scandurra, Trigonometria di ragni, Milano, All'Insegna del Pesce d'Oro, La malattia dello spazio in Insulæ. L'arte dell'esilio, Genova, Costa e Nolan, “VANINI e l'empietà” VANINI, “Confutazione delle religioni” (Catania, De Martinis); “Breve introduzione in Tornatore, Una pura formalità, Catania, De Martinis, Piccola glossa al “Trattato della concupiscenza” in Bossuet, Trattato della concupiscenza, Catania, De Martinis, Klaus Ulrich Leistikov, Mantrana. Un gioco, Catania, De Martinis); “GENTILE e il tedio del pensare in Gentile, L'atto del pensare come atto puro” (Catania, De Martinis); S., Il bene non può fondarsi su un Dio omicida in Martini, Eco, In cosa crede chi non crede? Roma, Liberal, Sciascia e le aporie del fare in Sciascia. La memoria, il futuro, Collura, Milano, Bompiani, Ottonieri, Elegia sanremese, Milano, Bompiani, La morale di un cavallo in Cappellani, La morale del cavallo, Scordia, Nadir, Cosentino, I sistemi morali, Catania, Boemi, postfazione in Trischitta. Il miraggio in celluloide, Catania, Boemi, Piccole note in margine a Basso in Basso, Dui, Catania, Prova d'Autore, Il fabbricante di chiavi Ingaliso, Nell'antro del filosofo. Dialogo, Catania, Prova d'Autore, postfazione in Pumo, Il destino del corpo. L'uomo e le nuove frontiere della scienza medica, Palermo, Nuova Ipsa, Sodalizio in Battiato. L'alba dentro l'imbrunire (allegato a Battiato. Parole e canzoni),  Mollica, Torino, Einaudi, Del vecchio in Mondo Turinese, Hillman. Venticinque scambi epistolari Torino, Boringhieri, I malnati, Porretta Terme, I Quaderni del Battello Ebbro, seconda di copertina, Lettera a un giovane poeta in Farruggio, Bugie estatiche, Roma, Il Filo, prefazione in Contiero, Reggio Emilia, Aliberti, Teoria della Sicilia in Guidi Guerrera, Battiato. Baiso, Verdechiaro, Falzone, Battiato. La Sicilia che profuma d'oriente, Palermo, Flaccovio, Una nota in Battiato, In fondo sono contento di aver fatto la mia conoscenza (allegato a Niente è come sembra), Milano, Bompiani, L’ethos della musica in  Monsaingeon, Incontro con Boulanger, Palermo, rue Ballu, prefazione in Vos, Il giardino persiano, Fanna (PN), Samuele, S. prefazione in Scandurra, Quadreria dei poeti passanti, Milano, Bompiani, seconda di copertina Sull'idea di nazione in Catania. Non vi sarà facile, si può fare, lo facciamo. La città, le regole, la cultura, Catania, ANCE, Dicerie in Battiato, Auguri don Gesualdo, Milano, Bompiani, postfazione in Guarrera, Occhi aperti spalancati, Messina, Mesogea, Di un fantasma e di mari, Catania, Prova d'Autore, Nota in Bataille, W. C., A. Contiero, Massa, Transeuropa, Massa, prefazione in Bellucci, Un grappolo di rose appese al sole, Villafranca Lunigiana, Cicorivolta, prefazione in Pourparler, Catania, Prova d'Autore, Apologia del teologo in Presutti, “Deleuze e S.: dell'espressione avversa” (Catania, Prova d'Autore); Riflessione in Scuriatti, Mico è tornato coi baffi, Milano, Bietti, Presentazione in Rotoletti, Circoli di conversazione a Biancavilla, Modugno, Arti Grafiche Favia, Il senso della bellezza in Battiato, Jonia me genuit. Discografia leggera, discografia classica, filmografia, pittura, Firenze, Della Bezuga, Moralità plutarchee in Trischitta, Catania, Il Garufi, La città dei morti in Spina, Monumentale. Un viaggio fotografico all'interno del gran camposanto di Messina, Milano, Electa, prefazione in Bellavia, Fermo immagine, Catania, Il Garufi, Sulla mia morte in Battiato, Attraversando il bardo. Sguardi sull'aldilà, Milano, Bompiani); Fun club, Milano, Sony,Sony, feat. Mab, La canzone della galassia, Milano, Sony, L'ombrello e la macchina da cucire, Breve invito a rinviare il suicidio, Piccolo pub, Fornicazione, Venosa, Moto browniano, Tao, Un vecchio cameriere, L'esistenza di Dio, in Battiato, L'ombrello e la macchina da cucire, Milano, EMI, Di passaggio, Strani giorni, La cura, Amata solitudine, Splendide previsioni, Ecco com'è che va il mondo, Memorie di Giulia, e Di passaggio in Battiato, L'imboscata, Milano, Polygram,  voce (Canzone chimica) in Battiato, L'imboscata live tour (registrazione video di un concerto), Milano, Polygram, Emma Bovary in Pravo, Notti, guai e libertà, Milano, Sony, Casta diva, Il ballo del potere, La preda, Il mantello e la spiga, È stato molto bello, Quello che fu, Vite parallele, Shackleton in Battiato, Gommalacca, Milano, Polygram, Medievale, Invito al viaggio in Battiato, Fleurs. Esempi affini di scritture e simili, Milano, Universal, La quiete dopo un addio, Personalità empirica, Il cammino interminabile, Lontananze d'azzurro, Sarcofagia, Scherzo in minore, Il potere del canto, Personalità empirica in Battiato, Ferro battuto, Milano, Sony, Invasione di campo in  Invasioni, Come un sigillo in Battiato, Fleurs, Milano, Sony, Non dimenticar le mie parole in Battiato, Perduto amor, Milano, Sony, voce (Shackleton, Accetta il consiglio) in Battiato, Milano, Sony, Tra sesso e castità, Le aquile non volano a stormi, Ermeneutica, Fortezza Bastiani, Odore di polvere da sparo, Conforto alla vita, 23 coppie di cromosomi, Apparenza e realtà, La porta dello spavento supremo)  in Battiato, Dieci stratagemmi. Attraversare il mare per ingannare il cielo, Milano, Sony, in Un soffio al cuore di natura elettrica (registrazione audio e video di un concerto), Milano, Sony, Il vuoto, I giorni della monotonia, Aspettando l'estate, Niente è come sembra, Tiepido aprile, Io chi sono?, Stati di gioia e dell'adattamento in italiano di Era l'inizio della primavera (da Tolstoj) in Battiato, Il vuoto, Milano, Universal,  Il movimento del dare, Milano, Sony, testi (Tutto l'universo obbedisce all'amore, Del suo veloce volo (da Antony Hegarthy, Frankenstein) in Battiato, Fleurs 2, Universal, testo (Marie ti amiamo) in Consoli, Elettra, Milano, Universal, 'U cuntu in Battiato, Il tutto è più della somma delle sue parti, Milano, Universal, testo (Non conosco nessun Patrizio!) in Milva, Non conosco nessun Patrizio, Milano, Universal,  Facciamo finta che sia vero, in Celentano, Facciamo finta che sia vero, Milano, Universal,  Eri con me, in Alice, Samsara, Arecibo, Un irresistibile richiamo, Testamento, Quand'ero giovane, Eri con me, Passacaglia, La polvere del branco, Caliti junku, Aurora, Il serpente, Apriti sesamo, in Battiato, Apriti sesamo, Milano, Universal,  Strani giorni, in Battiato, Milano, Polygram, Patty Pravo, Emma Bovary, Milano, Sony, F, Battiato, Milano, Polygram, Il ballo del potere, Emma, L'incantesimo in Battiato, Milano, Polygram, Sarcofagia, In trance) in Battiato, Milano, Sony, testo in Battiato, Il vuoto, Milano, Universal, Battiato feat. Consoli, Tutto l'universo obbedisce all'amore, Milano, Universal, Battiato, Inneres Auge, Milano, Universal, Battiato, Passacaglia, Milano, Universal; Il cavaliere dell'intelletto, i Palermo, testi e attore in Kleist, Socrate impazzito Catania) testi e attore in Battiato, Fano, attore in Stravinskij, L'histoire du soldat, inedito, Roma,  libretto e voce, Corpi in movimento, La mer, in Battiato, Campi magnetici. I numeri non si possono amare, Milano, Sony, Firenze, voce, Volare è un'arte, Negli abissi, Pratica di mare, A tu per tu con il Mig, Verso Bologna, Simulacro, in Pollina, Ultimo volo. Orazione civile per Ustica, Bologna, Storie di Note, Bologna) attore Carlo Guarrera, Frammenti per versi e voce, Catania, Battiato, TELESIO, Opera in due atti e un epilogo, Milano, Sony,  Cosenza, Alliata in Battiato, Perduto amor, Giarre, L'Ottava, nobile senese, in Battiato, Musikanten, Giarre, L'Ottava, Battiato, “Niente è come sembra” (Milano, Bompiani); Intervento in Consoli, La verità sul caso del signor Ciprì e Maresco, Zelig, intervento in Battiato, Auguri don Gesualdo, Milano, Bompiani,  intervento in Perrotta, Sicilia di sabbia, Movie Factory,  intervento in Battiato, Attraversando il bardo. Sguardi sull'aldilà, Milano, Bompiani,  Videoclip attore in Battiato, L'ombrello e la macchina da cucire, attore in Battiato, Di passaggio, attore in Battiato, Strani giorni, attore in Battiato, Shock in my town, attore in Battiato, Running against the grain, attore in Battiato, Bist du bei mir, attore in Battiato, Ermeneutica, attore in Battiato, La porta dello spavento supremo, attore in F. Battiato, Il vuoto, attore in Battiato, Inneres Auge, Battiato, Niso, Comunità dello sguardo (Torino, Giappichelli); L. Ingaliso, “Nell'antro del filosofo” (Catania, Prova d'Autore);  Cantello, Uno scherzo mimetico che possa introdurre ad una filosofia, Mas Club, L'ultimo chierico, Messina, Mesogea,  Caro misantropo. Saggi e testimonianze Carulli Iannello, Napoli, La Scuola di Pitagora, Fazio, Regressione suicida. Dell'abbandono disperato di Cioran, Barrafranca, Bonfirraro,  Breve invito all'opera, Miccione, Caltagirone,  Lettere da Qalat,  A. Carulli, Introduzione a S., Genova, Il Melangolo, Carulli, Necchi, La piccola verità. Quattro saggi (Milano, Mimesis); Zavoli, Le ombre della sera in Di questo passo. Cinquecento domande per capire dove andiamo, Torino, Nuova ERI, C. Rizzo, De consolatione theologie in Iiritano, Quinzio. Profezie di un'esistenza, Soveria Mannelli, Rubettino, Matteo, il dovere dell'empietà in Della fede dei laici. Il cristianesimo di fronte alla mentalità postmoderna, Soveria Mannelli, Rubettino, Lanuzza, Il filosofo insulare in Erranze in Sicilia (Napoli, Guida);  Aprile, Giù al sud. Perché i terroni salveranno l'Italia, Segrate, Piemme, Risadelli, Nizza, Polisofia, Roma, Nuova Cultura, Per la critica della notte. Saggio sul Tramonto dell’Occidente (Milano, Mimesis); Arosio, Ora, il mondo in L'Espresso, Lanuzza, Il pensiero ipocondriaco in Il Ponte, Bergfleth, Finis mundi, Corda, filosofo irregolare in Arenaria, Raciti, Maestro cattivo per elezione in Ideazione, Raffaele, Intorno alla creatività filosofica. A colloquio con in Parolalibera, Nisio, l'unico che canta. Mille sguardi, II in Democrazia e diritto. Guerra e individuo, Faletra, Dialogo, Cyberzone, Presutti,  Il cavaliere dell'intelletto in Freetime. Sicilia, Faletra, La pistola,  in//peppino impastato.com/ visualizza.asp Faletra, L'azzardo del pensiero o il filosofo della crudeltà: Cyberzone Faletra, In ricordo, Artribune, Tesi di laurea Fazio, Cioran e S.: un confront, Catania, Battiato S.. Tra musica e filosofia, Palermo, L'impossibilità di essere consolati. L'itinerario tragico, Genova, Filmografia G. Cionini, Il consolatore, Cionini, Faletra, Bellone, Battiato su Storia della musica  Repubblica, adesso il filosofo diventa crooner  Intervista a Battiato e S. YouTube  Intervista a S.: Il filosofo rock che dà del “lei” a Battiato livesicilia |  l'ultima intervista  "Teoria della canzone", Bompiani, e la prefazione a "La filosofia delle università", Adelphi, il ricordo commosso di Cacciari. Con lui incontro straordinario, Il Fatto Quotidiano. A un tratto ci si accorge di quella cosa che chiamiamo pensare”: Addio a S.. La sua ultima intervista.  cfr. "De mundo pessimo", "Frammenti di storia dell'empietismo", "Trattato dell'empietà" Adelphi  GAP Speciali. Un viaggio oltre il luogo commune Rai Scuola  Mariacatena De Leo e ;  Ingaliso, Nell'antro del filosofo: dialogo con Manlio Sgalambro (Prova d'autore È morto Manlio Sgalambro, il filosofo di Battiato, radiomusik, Battiato choc a Napoli. Sento la fine vicina, meglio cogliere il giorno. Il filosofo che canta il nichilismo, Tesio, "In ginocchio davanti", Tutto Libri,  "La conoscenza del peggio", Adelphi  La scrittura aforistica,  La Recherche, Calcagno, Il filosofo è uno spione da La Stampa, Battistini,  Sciascia addio, non servi più, Corriere della Sera, Formenti, Ferrarotti accusa: neoreazionario in “Corriere della Sera”,   Battiato: note per un filosofo (da La Stampa).  Così S. canta la sua filosofia (da La Stampa Sito ufficiale, su S. altervista.org. Meta Brainz Foundation. Il filosofo cantante maestro dell'ironia. Sono un uomo felice di stare su quest'Isola, Repubblica, Incontro in Le conversazioni di Perelandra. Manlio Sgalambro. Sgalambro. Keywords: Telesio, Vanini, Gentile, Ardigò, Croce, Empedocle, Gorgia, Lentini, Rensi, la sofistica, Girgenti, filosofia dell’autorita. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Sgalamabro," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Sgalambro

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Siciliani: la ragione conversazionale e la critica della filosofia zoologica e la psico-genia di Vico – la scuola di Galatina -- filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Galatina). Filosofo pugliese. Filosofo italiano. Galatina Lecce, Puglia. Studia a Otranto, Lecce e Napoli, dalla quale fugge dopo essere stato segnalato alla polizia a causa delle sue simpatie liberali. Si laurea a Pisa sotto STUDIATI, stringendo inoltre un proficuo rapporto di collaborazione con PUCCINOTTI, che influsce molto sua filosofia. Sringe rapporti di profonda amicizia con personalità importanti e influenti della cultura, quali: CENTOFANTI, PACINI, CAPPONI, e BUFFALINI. Seguendo la sua vocazione, orienta i propri studi verso le discipline filosofiche e ottenne la cattedra di filosofia nel regio liceo di Firenze. Iniziato in massoneria nella loggia fiorentina "La Concordia.” Nominato professore di filosofia a Bologna. Divenne docente ordinario della stessa disciplina sempre nell'Ateneo felsineo. A Bologna tenne anche un corso di sociologia. Qui, inoltre, strinse amicizia con CARDUCCIi, anch'egli accademico a Bologna ed entra in contatto con FIORENTINO e SPAVENTA. Dirige la Rivista bolognese di scienze, lettere, arti e scuole. Ne abbandona la direzione per divergenze maturate in seno alla direzine generate, probabilmente, dall'impostazione eclettica che S. intende dare alla rivista e che contrastava con l'indirizzo idealistico voluto da FIORENTINO. A Bologna istitue un centro di studi pedagogici, contribuendo all'elevazione della pedagogia al rango di scienza. Convinto assertore della valorizzazione della persona e perciò la sua azione educativa, per giungere alla conquista della libertà e del carattere morale da parte del soggetto da educare, prevedeva l'intervento della famiglia e della società. Altro sua filosofia fondamentale e il principio dell'autodidattica che, pur non escludendo l'azione dell'educatore, mette in primo piano il protagonismo del soggetto da educare. Ricevette onoranze e attestati di stima da parte di molti studiosi europei e americani, mentre in Italia la sua fama fu oscurata da giudizi negativi, espressi anzitutto da Gentile che vede in lui un'espressione benché autonoma del positivism. Di recente è stata rivalutata l'influenza vichiana sul suo pensiero. A lui è dedicata la biblioteca civica di Galatina, nella quale è conservato il "Fondo S." la raccolta, cioè, dei libri appartenuti al filosofo. A lui è dedicato anche il Liceo di Lecce. Di formazione giobertiana, si accosta a VICO, tentando di inaugurare una filosofia mediana -- detta della terza via -- che individua una sintesi tra opposte e differenti discipline. Dal suo punto di vista, infatti, ogni filosofia contiene del buono e delle esagerazioni. Metodo della filosofia mediana e dunque, quello di salvare ciò che c'è di buono della filosofia per rigettarne le astrattezze e le esagerazioni. Con il saggio “Zoologia filosofica” (Napoli) approde nel più ampio dibattito, ricevendo apprezzamenti e pareri favorevoli dai più illustri scienziati internazionali. Nel frattempo approfonde e da il suo contributo speculativo alle nuove discipline che muovano alla ricerca di un'identità epistemologica: la sociologia (“Socialismo, darwinismo e sociologia” (Bologna); “Teorie sociali e socialismo” (Firenze) e la psicologia – “Prolegomeni alla psicogenia” (Bologna). SANCTIS confere a S. la presidenza di congressi a Firenze, Venezia, Genova, Milano, e Roma. Queste esperienze lo portano a un approfondimento sempre maggiore della filosofia alla quale contribue a conferire un indirizzo scientifico, positivista e ampiamente laico (v. le sue opere Rivoluzione e pedagogia moderna, La scienza nell'educazione). “Filosofia della scienza” (Firenze); “Il metodo numerico e la statistica” (Firenze); “Della legge storica” (Firenze); “Della libertà ed unità organica della filosofia” (Firenze); “Della fisiologia sperimentale” (Pisa);” “Medicina filosofica” (Firenze); “I principi metafisici di VICO” (Firenze); “Il triumvirato: ALIGHIERI, GALILEI, E VICO” (Firenze); Ai popoli salentini e al gonfalone di Galatina un saluto e un augurio (Firenze); “Il criterio filosofico” (Bologna); Critica del positivismo (Bologna); Le fonti storiche della filosofia positiva in Italia in GALILEI (Bologna) Gli hegeliani in Italia (Bologna); La condanna del positivismo (Bologna); Della pedagogia all’educazione in Italia (Bologna); L’educazione (Bologna); Sul rinnovamento della filosofia in Italia (Firenze); “La scienza dell'educazione nelle scuole italiane come antitesi alla pedagogia (Bologna); Dei massimi problemi della pedagogia (Roma); Il sacro secondo i dettami della filosofia (Firenze); L’nsegnamento della pedagogia (Torino); Della pedagogia scientifica (Milano); Rivoluzione e pedagogia moderna (Torino); Storia critica delle teorie sociali (Bologna); Fra vescovi e cardinali (Roma); Rivoluzione e pedagogia (Torino); “L’educazione secondo i principi della sociologia” (Bologna); Rinnovamento e filosofia internazionale (Bologna); La nuova biologia (Milano) Le questioni contemporanee e la libertà morale nell'ordine giuridico (Bologna). CALOGERO, Enciclopedia Italiana, Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori, Mimesis-Erasmo, Milano-Roma, Gentile, Le origini della filosofia contemporanea in Italia. Calogero. Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Invitto e Paparella, “Ri-leggere S.” (Lecce); Capone Galatinesi illustri, Guida Biografica, Galatina, Tor Graf Galatina, Carteggio familiar, Luceri, Centro Studi Salentini, Lecce, P. S. e Pozzolini. Filosofia e Letteratura, Convegno Galatina Treccani L'Enciclopedia italiana, Psicologia filosofica. SUL RINNOVAMENTO DELLA FILOSOFIA POSITIVA IN ITALIA PROFESSORE DI FILOSOFIA NELLA R. UNIVEBSITÀ DI BOLOGNA, QlX PB0FES80BE NEL B. LICEO DI FIBENZE, FIRENZE, G. BARBÈRA, PRINTBD IN ITALY-;atana.Quest'opera è stata depositata al ministero d'agricoltura, industria e commercio per godere i diritti accordati dalla logge sulla proprietà letteraria. G. BarbI'.ra. !', (rcnuitifi TERENZIO MAMIANI DELLA ROVERE (vedasi). Mio SiQsoR Conte. Ella è primo tra i moderni italiani a tentare un rinnovamento della filosofia e a Lei pure spetta il vanto d' aver continuMa e compiuta la nobile tradizione de' Galuppi, de Rosmini e de' Giobertij della quale per fermo rimarranno durevoli tracce nella storia dd pensiero nazionale. A chi dunque meglio che dUa, S. V. Potrei intitolare questo mio saggio j il quale mira al fine medesimo cui Ella indirizza il suo primo lavoro? Che se talora per quella libertà di giudizio alla quale Ella stessa educa le nostre menti colle sue dotte scritture troverà contbaittUi in queste pagine akuni jprincijpii da Lei propugnati non vorfà perciò reputare scemato qud senso di schietta riverenza chcy come ai pochi sommi onde si onora U paese nostro, le professano tutt^ i cid tori degli studi severi. Anzi novella prova di questa larga tolleranza io m’èbbi testé, quando, colla squisita gentilezza che in Lei è natura, Le piacque accettare V offerta di questa mia fatica. La qualeio spero vorrà giudicare benignamente: al che mi conforta pure il ricordo di certe argute parole ch^ Ella dicevami ima volta chiudendo un lungo conversare circa le gravi divergenze delle diverse scuole filosofiche: «porro unum necessarium ! coscienza e fervore nel lavoro: il resto verrà da sé. » Suo deditissimo P. S. BiTiglìano presso Monte Senario In questo salutare innovamento politico d'Italia cui assistiamo trepidanti, un saggio di rinnovamento filosofico dovrebbe giugnere opportuno e gradito. Perocché se tutti oggi andiamo ripetendo l'arguta frase d’AZEGLIO fatta ormai l’Italia, Insogna far gl’taliani parmi sia d'uopo cercare di rifarci innanzi tutto nell'intimo di nostra coscienza, nella radice, nella sorgente stessa d'ogni umano e civil progresso, eh' è dire il pensiero filosofico. Andare a Roma, grazie agl’eventi fortunati e al nostro buon diritto nazionale, non è stato guari difficile, né sarà difficile, speriamo, potervi restare. Ma vi staremo senza dubbio materialmente, se Roma, la vecchia Roma, il pensiero cattolico non si verrà anch'esso riformando e svecchiando. La qual cosa certo conseguiremo per gradi e colle arti che dovrebbe saperci dare la sapienza politica, civile e amministrativa ; ma gioverà non dimenticar mai come l' espediente più d'ogn'altro efficace e sicuro ad opera siffatta, sia per appunto una rinnovata filosofia n bisogno di restaurar la filosofia surse di buon'ora neir animo degl’italiani; il che parrebb'essere un d^' caratteri speciali della storia della nostra speculazione, sino da quando gli scrittori del Rinascimento, scosso il giogo della scolastica, mandavan fuori i lor libri col titolo De PhilosophÙB renovatione. Né quindi è a meravigliare se cotal necessità sia venuta crescendo sempre più nelP animo e nella mente nostra col succedersi degli anni, tanto che a siffatta impresa nobilissima abbiam visto provarsi gV ingegni più illuminati e fecondi: primo fra tutti, in questo secolo, il Mamiani col Binnovamento della Filosofia antica italiana e, poco appresso, SERBATI col Binnovamento della Filosofia in Italia; indi il Gioberti con la Introduzione aUo studio dèlia Filosofia, con la quale mirava anch' egli ad una restaurazione filosofica nel nostro paese; e, per ultimo, il professore Spaventa ha procacciato volgere anch' egli al medesimo intento le sue dotte scritture, in ispecie quella su la Filosofia dd Gioberti. Se non che rinnovare, pel filosofo di Pesaro, altro non voleva dire se non restaurare certi principi! e richiamare in vigore alcune industrie metodiche de' filosofi appartenenti, la massima parte, all'età gloriosa del nostro Risorgimento. Talché, quando Rosmini gli fece toccar con mano i pericoli ne' quali s' era messo mostrandogli come il Binnovamento proposto da lui conducesse diritto ad una maniera di sensismo, e' venne modificando siffattamente le dottrine propugnate nel suo primo libro, che dopo trenta e più anni s' é studiato nelle Confessioni d'un Metafisico d'inaugurare un novello Platonismo, siccome forma di filosofare acconcia air indole della mente italiana. H Roveretano poi non solo mirò a restaurar cose vecchie, ma volle produrre altresì qualcosa di nuovo. E pur nullameno, chi guardi ben addentro ne' copiosi e disameni volumi che seppe darci quella mente potentissima, tranne il • problema psicologico eh' ei giunse ad illustrare in guisa davvero originale, ogn' altra cosa in lui parrebbe invecchiata e quasi stantia. Della stessa menda riesce offesa la Introduzione di Gioberti. Che V ardente e generoso autore del Primo^ intendeva svecchiare (come diceva, gloriandosene, egli stesso) le idee cardinali di quattro o cinque filosofi cristiani, il cui sussidio e autorità invocava quasi ad ogni voltar di pagina. Non parlo qui del rinnovamento eh' e' veniva meditando nella protologia: nella quale senza dubbio avremmo avuto germi fecondissimi di vera e solida ristorazione filosofica, se a queir ingegno privilegiato e supremamente italiano fosse stato pur conceduto imprimere valore diffinitivo, forma netta e coerente, alle diverse dottrine che con ansia febbrile andava saggiando e trasmutandosele in sangue. Per contrario SPAVENTA, del quale abbiamo in grandissimo pregio l'ingegno e l'amicizia, intese dare anch' egli nuovo indirizzo al pensiero italiano, ma battendo ben altra via; la via dell'Idealismo assoluto. E studiossi d'inserirci nell'animo e nella mente i principii dell' Hegelianismo, per due ragioni: sì perchè egli pensa esser questo il vero e compiuto sistema di speculazione, almeno secondo che viene interpretato da lui; e sì perchè gli è parso d'averne rintracciato i germi in certi nostri filosofi a cominciare dal Telesio, per esempio, fino a Gioberti. Fer noi rinnovare non vuol dir solamente richiamare, instaurare, svegliar dalP antico, né solamente importare dal di fiiora; che sì nelF un caso come nelr altro il rinnovamento, anziché naturale, spontaneo, autonomo, storico, riescirebbe artifiziale, imposto, incosciente e, dirò quasi, meccanico. Vuol dire bensì far da noi: far da noi con elementi che ci appartengano, ma tali che serbino (ciò che più monta) ^virtù d' originalità e di verace modernità. Vuol dire » insomma esplicare; né si può esplicare senza correggere, compiere, inverare. Avremo sbagliato strada anche noi? Potrebb' essere! Non saremmo i primi, e, certo, neanche gli ultimi. In qualunque modo . ci sembra che, pure sbagliando, noi non resteremo troppo indietro fra le mummie, né avremo corso tropp' oltre col pericolo di fiac \ card '1 collo. So ben io che i Positivisti fan presto; ad innovar la filosofia radiandola addirittura da' libri ^ e dandole il ben servito dalle nostre scuole grandi e mezzane, quasi fosse un trattato di teologia dommatica. Ma costoro avrebber fatto i conti senza Toste. £ r oste in tal caso é lo stesso pensiero, anzi la mente stessa, dalla quale per nostra fortuna mai non riesciranno a sradicare il profondo e sempre più acuto bisogno del filosofare: senza dir già che, s' ei riescissero ne' loro intenti, scambio di sciogliere V intricato nodo, altro non avrebber fatto che tagliarlo di netto; e che potessero giugnere a tagliarlo con sicurezza ninno il crederà, pensando come la spada eh' e' ci brandiscon sul viso non par che somigli quella del gran discepolo d'Aristotele! Accennato il carattere generale ed il proposito del mio saggio, toccherò della sua forma e del suo disegno. Mi si potrà chiedere: È egli cotesto vostro saggio un lavoro di genere critico, storico, monografico, ovvero dommatico? A parlar proprio non è nulla di tutto questo. Un lavoro d' indole dommatica, per solito, dee racchiuder l'esigenza d'un sistema nuovo, d'una dottrina originale, se pur non voglia esser vana ripetizione ed increscevole imitazione del passato. Ora un novello) sistema filosofico oggi sarebbe impresa da muovere a riso, od a pietà. Sono ormai ventidue secoli, e noi, tardi nepoti, ci andiamo pur sempre aggirando, ivi sostanza, fra il Platonismo, e l'Aristotelismo. La qual cosa non recherà maraviglia a chi consideri bene la storia del pensiero filosofico, nella quale, volta e gira, non si può esser che con l' uno o con l' altro sistema, ovvero fra l' uno e l' altro, e però con tutt' e due, se pur non vogliamo smarrirci inevitabilmente e miseramente in una forma di scetticismo, o di nullismo. Ai di nostri, dunque, un nuovo sistema filosofico p^rmi utopia, sogno e, stavo per dire, ciarlatanismo. L’ingegno filosofico oggi deve assumer valore di funzione critica rintegrativa, nella quale si faccia luogo alla concorde attività di due forze, la storia e'1 pensiero, che vuol dire il fatto e'1 da fare. La monografia poi, o è d'indole semplicemente storica e obbiettiva, ovvero d' indole critica. Se storica obbiettiva, ella avrebbe a essere, dirò così, un fedel ritratto, una perfetta immagine della mente d'un filosofo, 0 di tutta una scuola di filosofi. Or cotesto immagini e ritratti, se da una parte tornano inutili e infruttuosi stantechè non facciano che ripeter sott' altra forma cose che potremmo leggere nella stessa lor fonte, dalP altra mi paion quasi impossibili, perchè è impossibile penetrar davvero nelle intime viscere del pensiero altrui, e farai dentro alle occulte pieghe della mente d'un filosofo. H notissimo detto di Kant si può e devesi applicare anche qui: quidqtUd recipUur, ad modum recipietUis recipitur. Che se poi la monografia è di genere critico, ella riesce assai pericolosa; perchè trattandosi d'interpretare, è pur facilissimo affibbiare agli altri quel che invece frulla nel capo nostro; nel qual vizio intoppano, com' è noto, gli Hegeliani, sì per la natura stessa del loro metodo, e sì per le secreto esigenze del loro sistema. Da ultimo, un lavoro di genere puramente istorico oggi non dovrebb' essere impresa molto ardua fra tanti libri storici che ci piovon da tutte le parti. Basta sposare un sistema, una dottrina da farla servire qual criterio giudicativo; basterà un po' d' acume critico, un po' di tedesco per le citazioni obbligate a pie di pagina, e poi molta e molta dose di pazienza e di sgobbo per raccogliere e adunar notizie e teoriche da farle servire al criterio giudicativo che ci torna comodo. Per me l'ideale d'un buon libro, l'ideale d'un libro serio, coscenzioso e positivo di genere filosofico, oggi dovrebb' essere, diciamo così, una sintesi di tutt' e quattro cotesti aspetti o condizioni le quali, guardate disgiuntamente e solitariamente, si palesan manchevoli tutte e difettose. Ha da essere perciò, nel medesimo tempo, monografico, isterico, critico, e anche dommatico sino a certo segno. Cotesto ideale (negozio non molto agevole, come sanno coloro che se ne intendono e che possiedono quel che dicesi gusto de^ lavori filosofici), non può essere un ricamo sovra una stoffa altrui, e neanche un parto assoluto del nostro cervello; sibbene ha da essere il risultamento di due forze combinate, come dicevo poco fa; ciò è dire della mente di chi scrive, e di chi per avventura possa più spiccatamente rappresentare il corso tradizionale della scienza. A questo sol patto sarà dato pervenire al connubio fra la teorica e '1 fatto, tra la scienza e la storia della scienza, portandole entrambe ad un fiato^ come direbbe il filosofo nel quale io amo attingere ispirazioni. Laonde chi volesse oggi filosofare con coscienza, dovrebbe saper costruire, come dicon gli Hegeliani (e qui dicon benissimo); ma dovrebbe co ^ struire senza tradire, che è per V appunto il gran guaio della critica hegeliana. Questa grave difficoltà parmi d' averla superata, s' io molto non m' illudo, E mi pare d' averla superata, perchè il mio libro è come la sintesi e vorre' dir la fusione razionale e organica de' quattro aspetti quassù rammentati; e tal sarebbe la novità Cquant' al disegno e alla forma del lavoro) alla quale vorrei pretendere, se avessi coscienza d' aver raggiunto lo scopo. Cotesto scopo, lo veggo da me, io non ho potuto raggiugnerlo, perchè ho dovuto costringere e rannicchiare il mio pensiero entro un dato numero di pagine, affogando in nota molte e molte cose alle quali avre' voluto pur dare ben altro svolgimento e fisonomia. Però chiedo un po' di compatimento quant'al modo col quale ho incarnato il disegno, ma domando severità di giudizio quant' alle idee. Le quali, meditate da me per tempo non breve, sento di poter difendere contro chi vorrà farmi l’onore d' una critica non leggiera, non velenosa, non da scuola, né da sacristia (alla quale non saprei rispondere, né risponderò), ma d'una critica seria, onesta, profittevole. Il Gioberti scrisse che il critico onesto e coI scienzioso deve durar la metà della fatica spesa dall' autore nel meditare e scrivere un' opera di scienza. |Leibnitz andava molto più in là, e richiedeva da'lettori quasi '1 medesimo lavoro sostenuto dallo scrittore. Io non pretendo, né davvero posso pretender l' una cosa, né r altra: ma certo potrò desiderare che, chi voglia giudicarmi con qualche serietà, debba leggere e (se oggi non fosse troppo) meditare un po' le cose ch'io dico. 11 che ho voluto qui avvertire, perché, se può dubitarsi che in politica esistano le cosi dette consorterie, certo é che tra' filosofi cominciano a far capolino certe fratellanze le quali giudicano d' un lavoro a priori, guardando solo al titolo e al nome dell'autore. Dio ci liberi dalle fratellanze filosofiche! Esse per me, a dirla schietta, sono altrettante Compagnie di Gesù negli ordini del pensiero e della libera speculazione metafisica. Questo mio saggio, e l' altro che terrà dietro su' principi della Sociologia^ non é l' espressione di nessun partito, di nessuna setta, di nessuna scuola. Non é frutto di speculazioni e ricerche passionate, perche io non mi sento schiavo di nessuna scuola, servo di nessun nome, né milito sotto nessuna bandiera più 0 meno germanica, italica o francese che sia. \Baiùmem, quo ea me cumgue ducete sequar: ecco tutto. Neanche sarebbe una di quelle novità sbalorditole alle quali siamo avvezzi da dieci anni a questa parte. Esso anzi è la più modesta cosa del mondo: che per quanto il titolo paia ardito, non sarà tale per chi ripensi, come la sostanza delle dottrine eh' io propugno non mi appartenga in modo assoluto. S'altri mi darà dell' ecclettico, risponderò d'esser tale precisamente, ma nel profondo significato che costumava dare il Leibnitz a questa usata e abusata parola. E se qualcuno poi trovasse, che questa o cotesta dottrina alla quale verrò accennando non sia propriamente dell' autore eh' io dico d' ormeggiare nel metodo e Dell'indirizzo filosofico, tanto meglio per me. Rispondo come in un caso simile rispose egli medesimo a certi suoi avversari: Che se finalmente non volete » ricevere questa sentenza come di Zcìione^ mi dispiace » di darlavi come mia; ma pur la vi darò sola, e B non assistita da nomi grandi. » € Le cose fuori del loro stato naturale non dnrano né s' adagiano. » Vico. Non intendo scrivere la storia, e tanto meno far la crìtica minuta del Positivismo; indirizzo che, come ognun sa, non senza buon§ e diverse ragioni invade oggi e pervadeTa mente di molti filosofi, di scienziati, di storici e scrittori d'ogni maniera. Altra volta m'avvenne d'accennare alla parte debole di cotesto, diciamolo pure, sistema filosofico. E allora parvemi, fra 1' altro, di provar questo: che il Positivismo, secondo il concetto che se ne sono formati segnatamente i Francesi, non pur mancava di storia, ma non può averne avuta di nessuna sorta.* Oggi poi dovrò intrattenermi a ragionare su le dir. verse forme che il Positivismo ha preso e può prendere in avvenire, giacché ormai comincia ad avere anch'egli una storia, per brevissima che sia, da raccontare; e [quindi rilevare certa parentela ch'egli ha con l'Hege'lianismo. Nel quale riscontro probabilmente meriterò anch' io, dall' alto giudicatorio su cui siedon gli Hegeliani, la solita commiserevole sentenza che, com'è pur [Vedi Critica del Positivismo, Bologna, Monti]. 5ICILUM. 1 troppo noto, suona così: Pover'uomo, non ne capisce niente di niente; non Im dramma di potenza speculativa, ne briciolo di nerbo dialettico! Mostrerò, da ultimo, se . una vera forma di Positivismo, ch'io chiamerò Filosofia Positiva italiana, sia per avventura i)ossibile; e] in qual maniera si possa, mercè sua, pervenire a corregger r uno e compiere l’altro de' due sistemi suddetti, accogliendo quelle parti veramente pregevoli che in essi certamente non mancano. Comecché il Positivismo non sia ne voglia essere un sistema, pure quant' all' origine psicologica, per così dirla, non mi sembra eh' e' s'abbia a distinguere gran fatto dagli altri sistemi filosofici. La ragione immediata del suo apparire parmi risegga nell' esigenza di contrapporsi ad una forma contraria di filosofare creduta affatto erronea; e questo filosofare in tal caso è il dommatismo metafisico. (IJom' è chiaro, cotesta in sostanza è l'origine stessa dello scetticismo, secondo che c'insegna tutta una storia di ventidue secoli, ne' quali affermazioni risolute souosi contrapposte a risolute e persistenti negazioni. Il Positivista, infatti, reputa inconcludente ogni speculazione! trascendentale. Positivismo quindi vuol dire esigenza! della prova, esigenza, bisogno della dimostrazione; maC della prova di fatto, della dimostrazione sperimentale. Se non che, a guardarci bene, lo stesso Positivismo manifesta già senz'addarsene un bisogno filosofico, una tendenza speculativa, un'attività trascendente là dove, per dirne una, procaccia di raggiungere la così detta complessità crescente nel coordinamento de' fatti, e nel volere imprimere forma gerarchica all'insieme delle particolari discipline. Col che non intendo dire che il Positivismo sìa già una metafisica; ma è per lo meno una metafisica incosciente, come un illustre scrittore francese, non senza cert' aria di meritato rimprovero, ha detto al Littré. Per la qual cosa paimi, che il Positivista contraddica*^ apertamente a sé stesso quando vien su gonfio e pettoruto a dichiarar guerra sino all' ultimo sangue contro a ogni maniera d'indagini metafisiche; tanto che la tendenza de' Positivisti a filosofare, tendenza del resto naturalissima e necessaria, diventerebbe atto, facoltà, vo'dire diventerebbe metafisica vera, quando potesse avverarsi una condizione. Mi spiego subito. Io non credo offendere anima viva osservando che fra' Positivisti irancesi sia un bel po' difficile trovare un solo che abbia studiato con amore, per esempio, la Ragion Pura di Kant, segnatamente la Critica dd giudizio: difficilissimo poi ritrovare uno solo, fra'Positivisti italiani militanti ^ sotto le bandiere del Comte o meglio del Littré, che con pari amore e spassionatezza d' animo abbia letto, per esempio, il Nuovo Saggio di SERBATI. Prescindendo dalle mende svariate di che non va esente il Criticismo e nemmanco il metodo psicologico rosminiano, io non so persuadermi come, dopo aver letto e inteso a dovere lei due scritture mentovate, si possa essere o dirsi Positivi vista, secondo il concetto volgare che di questa parola ci ha dato e ci dà oggi chi piti ne parla. Se non che nessuno immagini eh' io qui intenda far \ un fascio del Positivismo Francese, del Positivismo In \ glese e, se vogliamo, anche del Positivismo Germanico; 1 benché quest'ultimo, assumendo sempre più forma di schietto e nuovo e ardito materialismo, mostri esser già un sistema beli' e buono, checché se ne sia detto o voglia dirsene in contrario. Ma di questo, fra poco. Quant' all' altre due forme di Positivismo, ninno sarà che ' ignori le polemiche tanto gravi, pacate, esemplarmente ' serene fra Mill e Littré avvenute or fa un anno. \ E molti conosceranno le obbiezioni che quel robusto ingegno di Herbert Spencer ha saputo muover contro certe dottrine del Comte. Chi abbia vaghezza poi di sapere qual sia il carattere e il resultato di queste due maniere di Positivismo, potrà innanzi tutto guardare alla forma, al fine, persino al titolo delle opere nelle quali tale dottrina è insegnata e propugnata. Così, mentre Stuart Min ha fatto una logica, o, a dir meglio, un ft Sistema di Logica, che potrebbe riguardarsi addirittura \ come un contr' altare al sistema della logica hegeliana;; il Comte, almeno nei primi volumi delle sue opere, ci ha lasciato (chiedo perdono a tutti gV iddii della Senna) una specie di rassegna, ma di rassegna ragionata, giudiziosa e, dicasi pure, ingegnosa, delle particolari discipliiie, massime di quelle che a lui tormivan più familiari. Ho detto nei primi volumi, perchè nelle opere posteriori, com' è noto, desiderando compier V edifizio, egli ammannì un sistema di politica, un sistema di religione e d' educazione, un sistema di morale positiva, e financo d'igiene: morale senza principio, se pur non vogliamo appellare così certa regola di condotta eh' egli espresse con quella brutta parola d' Altruismo: religione senza Dio, se pur non vogliamo piegare il ginocchio e dar incenso a quella divinità chiamata il Grand*Essere; intomo alla quale, com'è noto, il fondatore del Positivismo francese finì per fantasticare alla maniera de' neoplatonici Alessandrini e del FICINO. Checche ne sia, può dirsi ch'egli predicasse bene quant'a metodo, ma razzolasse male quant'a sistema, perchè affermava, anzi esagerava nella pratica ciò che sdegnava e risolutamente negava nella teoria e nell'ordine speculativo; intendo il concetto dell' unità o Sistematismo nd sapere, secondo il suo linguaggio. Da questo primo riscontro, che diremo esteriore perchè riflette la forma generale delle opere e un po' anche il valore del metodo ne' due filosofi, si può ai^omentare che Mill guardi la scienza sotto l'aspetto subbiettivo, cioè come una serie di concetti, mostrando così d'aver piena fiducia in una logipit che sia atta a risolvere un problema distinto sì cJaT problemi e sì dal soggetto in che versano le speciali discipline/ Esiste infatti, egli dice, una conoscerla scientifica déWuomo in quanfè un essere intéUettude, morale e sodale, e quindi una dottrina delie cognidom détta coscienza umana.* Agli occhi del Comte, per contrario, non esiste logica tranne che intrinsecata con la natura stessa di ciascuna scienza. Se volete conoscere, per esempio, la logica della chimica (egli dice), studiate la chimica. Ecco la scienza sotto r aspetto puramente ed empiricamente obbiettivo; in quanto che considera le cose in sé, e solamente come oggetti. Tal difiFerenza, com' è evidente, non è lieve, massime quando tengasi conto de' risultati. Il risultato cui giugno il Positivismo inglese è questo: la} metafisica esser possibile, ma solo come ricerca logica,! come investigazione e analisi di concetti. Il che, s' è| pregio nella logica del Mill per la fede eh' e' ripone nelle forze del pensiero, è auche il suo difetto massimo, stante che siffattamente ei chiudesi tutto nel formalismo logico, secondo che altrove mostrai.' So che il Mill se ne vuol difendere, facendo vedere qual divario corra fra la logica formale e quella eh' e' dice logica della verità. Ma la pecca di nominalista in lui è chiara. Ed è chiara per chi abbia convenevolmente considerato quelle quattro teoriche, nelle quali il filosofo inglese vuol darsi addirittura per innovatore: intendo ' le dottrine della dimostrazione, della definizione, degli assiomi e della induzione. In tutto questo egli è per* Vedi Stuart Mill, A. Comte et U Pontivitme, Paris. Vedi la Ont, del Po9ÌHv. innanzi citata, VI, pag. 19. fetto Baconiano, checché ne dica egli stesso. Perocché, se la inente ne'suoi concetti, secondo questo filosofo, è superiore ai fatti; non però cessa d'essere un artifizio, logico, un artifizio psicologico, un intreccio a cui nulla; d' obbiettivo potrà mai rispondere. E di qua proviene i poi un' altra conseguenza, eh' è questa. Se nella logica la posizione di Mill riesce evidentemente unilaterale e subbiettiva, è pur d' uopo eh' ella si manifesti impotente anche nella scienza storica, eh' è dire nell'organamento ^ razionale de'fatti storici. Ora se il metodo positivo giunge a legittimar 1' analisi de' concetti e la critica delle idee, non bisognerà dire che, come esigenza critica, ei contraddica a sé medesimo quando dichiara di non potere in alcun modo studiare idee e concetti nell'obbiettivo lor significato? E donde questa impotenza? Dalla natura stessa della mente, si può rispondere. Ma, s'egli è così, la possibilità della scienza si traduce in impossibilità vera. Che poi questo non sia e non possa essere, ne porge guarentigia sicura il processo istorioo delle scienze tutte, e l' incessante progresso ond' elle ci dan prove luminose. La ricerca in senso obbiettivo, adun-? que, è possibile; dove che per Mill è addirittura impossibile. Questa è la parte debole del Positivismo inglese.; L' errore opposto è il Jifetto del Positivismo francese. Se per Mill psicologia e logica sono scienze che s' alimentano di sé medesime; per il positivista francese, al contrario, elle non sono che appendici della biologia, al modo stesso che la sociologia é come un allargamento della storia, ciò é dire una generalizzazione del fatto istorico, ma del fatto verificato mercè la deduzione delle leggi della natura umana. Qui, ripetiamo, la differenza è profonda. La scienza della civil società, secondo il' Positivismo inglese, pone radice nella così detta Etologia, li' Etologia è la vera scienza dell'uomo, egli dice. . Essa è una generalizzazione non già verificata, ma sì primiti/vamente suggerita dalla deduzione détte leggi della natura umana.^ Ora la funzione deduttiva, nel Positivismo inglese, non è operazione immediata, non è operazione secondaria alla induzione, com' è nel Positivismo francese, ma è funzione a priori, è funzione i cui risultati vonn' esser giustificati con T osservazione, e con la scrupolosa ricerca delle leggi empiriche. Brevemente, dunque: pregio singolare del Positivismo inglase è il metodo deduttivo-concreto (per usar la frase di Mill) applicato alle scienze morali in generale. Questo metodo è costituito di due processi che si svolgono, per così dire, di fronte; non già di due parti d' un medesimo processo, l’ una delle quali sia conseguente all' altra, com' è per i Francesi positivisti. Per tal prerogativa massimamente parmi che il Positivismo di Mill mostri accostarsi all' indole della filosofia nostrana, e molto allontanarsi dal baconianismo alla maniera che questo metodo s'intende da'più.* Carattere e pregio poi del Positivismo francese, parmi stia nel credere alla j)ossibilità d'una filosofia come risultato di tutto quanto il sapere umano, e quindi nel porre come inevitabile o sua condizione la necessità della storia. L'indagine storica, il metodo di filiazione: ecco il distintivo del Comtismo, eh' è anco il massimo suo pregio.' Contro Comtismo è facile muovere la medesima difficoltà, quantunque in senso contrario, mossa testé contro Mill. Se infatti è possibile una ricerca e una critica storica; perchè non sarà possibile una ricerca logica, una critica dei concetti, come tali? Perchè dunque negare una logica e una psicologia supef * Vedi Mill, Sy^time de Logique. Vedi CoMTB, Pha. Pontive. Voi. V, Lez. 48". . riore alla storia? Se non che delle due maniere di Positivismo, quella de' Francesi va piii facilmente soggetta a contradizione; la qual cosa tiene alla doppia origine storica per cui si distingue cotesto sistema. Parecchi scrittori francesi infatti hanno avvertito, che ove il Comte parla di natura e di scienze fisiche, è decisamente sensista, materialista e nominalista; mentre che ove parla di filosofia politica e storica si mostra panteista, ma senza dar prova di quella speculazione ingegnosa, di quella mirabile unità razionale, cui sanno poggiare, bene o male che sia, i Panteisti moderni.' Donde tal contraddizione? Dall'essere il Comte, } per una parte, figlio del Sensismo francese; dall' altra ì poi figlio del Sansimonismo, che, com' è noto, è forma j grossolana di panteismo. Per questa doppia tendenza | i Positivisti di Francia non possono salvarsi dal cadere j nelle conseguenze d' uno de' due sistemi: materialismo, 0 panteismo. So eh' e' fan presto a difendersi dall'una taccia come dall' altra. Ma la logica vale qualcosa più delle parole e delle calde proteste. E veramente checché se ne possa dire, uno degli scrittori poco fa citati ha fatto toccar con mano al Littré, che inevitabile resultato del Positivismo è il materialismo.* E d'altra parte sappiamo, come tutti i Positivisti oggi, e propria ' mente i Comtisti, faccian causa comune con que' della \ sinistra hegeliana, co' quali hanno intimo legame, se-l condo che mostreremo. Ho detto come per ragion d'origine al Positivismo francese tomi più facile inciampar nelle contraddizioni. Ne poi^o qualche esempio. Non si vuol sapere nulla di cause finali! Ma non è forse il medesimo Lit[Vedi Rbkocttibb, Annuairephìl Q nell^altro . VaohbBOT, Metaphi9iq\w potive. ; Trattenim. Jakbt, Onte phiL * Vedi Janbt] tré quegli che, mentre grida contro il principio della finalità, lo afferma là ove dice, per esempio, l'essenza stessa della materia oi^anizzata esser la causa prima della finalità? Eccoci in pieno materialismo, e in pieno sistema; tutto che i Positivisti non vogliano esser detti né materialisti, né sistematici. Ancora, io domando: se per domma del metodo positivo nulla è da accettare che non sia guarentito immediatamente o mediatamente da' fatti; perchè, al di là de^ fenomeni e dell' esperienza e delle leggi che se ne traggono, voler credere in un obbietto il quale, per inconoscibile che sia, é sempre un' affermazione della ragione? Domando: è egli atto di metodo positivo, di critica, di ricerca, il parlare di certo grande oceano qui vieni battre notre rive, et pour lequd nous n'avons ni barque, ni voiles, mais doni la dcdre vision est aussi sahUaire que formUàble? È egli atto di Posh tivismo e di ricerca che sdegni qualunque spiraglio di soprassensibile e di soprannaturale, parlarci così d'un Infinito, comecché non se ne riconoscano tutti quelli air tributi che il fanno tale? E se ponete la possibilità di conoscere cotesto vostro inconoscibile per il quale dite di non aver barca né vele che bastino, ma la cui cMaroi visione é pur tanto sàkiiare al pensiero; in che maniera non accorgervi come tutta la storia della filosofia non altro sia stata per tutt'i secoli scorsi fuorché una serie di risposte, per così dire, a cotesta medesima domanda che neanche voi dite illegittima, né strana? Sarann'elle erronee tali risposte: ne potrò convenire. Ma saran tutte errori da farne proprio tavola rasa? Da siffatte considerazioni ci é dato trarre una conseguenza. Nel Positivismo oggi avverasi una legge; quella legge che accompagna sempre ogni novello indirizzo nella filosofia, eh' é dire l' opposizione nel seno % stesso del sistema. Ecco una ragione di più per dichiarare, che dunque il Positivismo è un sistema come tutti, gli altri ! La cagione profonda, dice il Littré, che divide / Comte da Mill, è il punto di vista psicologico e logico nel quale s'è messo il filosofo inglese, e la definizione reale, obbiettiva, non già formale né psicologica, con che si presenta la scienza nel filosofo francese.^ Ora se il Positivismo inglese è principalmente un formalismo logico, e il Positivismo francese è essenzialmente un empirismo ! storico; ne viene di conseguenza che, in virtiì della stessa critica positiva, noi dobbiamo riconoscer legit-^ tima una terza forma di Positivismo, la quale sappia sebi Vedi Op. di Vico, ediz. Predar!, pag. 762. Vedi Risposta a FINETTI] cosmologici sparsi nel LS}ro Metafisico, e in questi attingere forza a meglio interpretare e propugnare le applicazioni fatte dal Vico nella Sdenisa Nuova. La contraddizione, dunque, passata dal maestro al discepolo * e il non aver saputo cogliere il principio cosmologico del Vico, fece sì che tale polemica, nel modo ch'era sostenuta da DUNI, apparisse inefficace e manchevole. Debole e manchevole infatti ci sembra questa maniera di ragionare: « Voi vorreste che i primi fondatori delle nazioni fossero stati dotati d' innocenza di costumi. Ma, caro signor censore, come potete voi spiegare le origini dell’idolatria, la barbarie, l’immanità negli usi delle orride loro religioni piene di duro materialismo? Come l'immanità delie loro leggi e costumi, le cui religioni si sono per lungo tempo conservate finanche nei tempi della maggior loro cultura, per qui tacere le origini delle lingue, delle poesie, della frode e cose simili? Come finalmente i progressi di tali nazioni di cui ne abbiamo le memorie troppo sicure, e non soggette alla minime dubbiezze? Ma, giacché i monumenti e la storia degli antichissimi e de' presenti barbari popoli sono per voi sogni, favole e delirii, perchè non ci dite con quali altri principii, origini e progressi di cose umane debbasi ragionare di questo mondo, degli uomini, deUe nazioni, delle tante umane istituzioni, delle origini e progressi delle umane industrie nelle colture delle cognizioni,alle tante maravigliose invenzioni, nei governi e polizia de' popoli ed in tante altre maraviglie che osserviamo nel gran teatro di questo mondo degli uomini? Come non sapete che i costumi e le leggi umane debbano necessariamente trarre loro origine e progressi daUe idee degli stessi uomini? Come potete negare il vario corso di tali costumi, che di grado in grado spogliandosi del materialismo, li troviamo di fatto più puri nell' età avanzata che nella fanciullezza di tutte le nazioni.* Io non dico che tutto ciò non sia vero: dico * Vedi Risp. a FINETTI che DUNI, a difendere invittamente la sentenza del suo maestro, avrebbe dovuto movere dai principii cosmologici e psicologici, i cui germi non mancano certamente nelle opere di Vico. Gasuista acutissimo, quanto insolente, il Finetti sorrideva a sentir elogiare e difendere questa dottrina della Scienza Nuova; e tutto pieno d'entusiasmo religioso rispondeva con XXIII obbiezioni cavate dai libri santi.' Quindi esclamava: Dottrine veramente altissime ! religiosissimi e ammirevoli pensamenti ! Tra le varie cose onde pretende il Vico di far grandemente spiccare la divina Provvidenza, una è quel capriccioso di lui corso delle nazioni sulle regole, diciam così, del trel II Duni andrà in estasi a tal pensamento; e pure a me è soggetto da ridere, spezialmente quando si pretende con à costante ternario di far spiccare la divina Provvidenza ; essendo chiaro eh' ella rìsplende nella grandezza ed importanza de' fini e nella idoneità e giusta proporzione dei mezzi, e non già nel far correre le nazioni pe' numeri di tre o quattro. Un tale giuoco non sembra certamente degno dell' infinita sapienza di Dio. » E altrove, allargando la sua critica, aggiunge: « La maniera di filosofare inventata dal Vico è tale, che può porgere delle armi per oppugnare la Religione. e non poco corredo a chi voglia farne uso per impugnare e mettere in dubbio la Sacra Scrittura e la divina rivelazione....; » tanto che paragonandolo al Boulanger, uno. degl'increduli de suoi tempi (com' egli stesso nota), non dubita porre a riscontro le dottrine dell'uno con quelle dell'altro per otto diflferenti capi. Com' è chiaro, FINETTI non ebbe tutt' i torti se gli venne in grave sospetto la Scienza Nuova. Avea torto bensì nel confondere, come ROMANO, tale dottrina del Vico difesa da DUNI, con quella de' filosofi francesi Vedi Sommario delle oppoeizioni del Sietema Ferino di Vico alla Sacra SeriUura, de' suoi tempi. Ed è a confessare che questo medesimo torto hann' avuto di poi parecchi altri critici, anche viventi, laddove parlano della dottrina su lo stato ferino propugnata nella Sdeiiza Nuova» Avvertiamo una volta per sempre che lo stato di natura di Vico noa ci ha che vedere con quello de' giusnaturalisti. E tornando a FINETTI, a meglio capire la maniera della sua critica, nonché il carattere delle sue opposizioni, giova qui rammentare certe parole, da lui stesso riferite con aria di trionfo, d'un personaggio"^ napoletano. Il quale, stato già scolare per più anni di Vico, raccontava come il suo maestro in Napoli fosse ritenuto per uomo veramente dotto, ma che poi fosse stimato pwsfjso a cagione delle sue stravaganti opinionL Finetti si degna dirci d' aver chiesto a quel gentiluomo partenopeo se quando Vico scrisse la Scienjsa Nuova fosse dotto, 0 non più veramente pazzo. ediz. Siena] ligente fu, al pari di DUNI, PAGANO, di cui il solo nome è ricordo pietoso ad ogni anima gentile e aperta ai sensi di libertà. Come in DUNI, così pure in PAGANO le idee vichiane leggiamo esposte con chiarezza e facilità, ma anche con troppa imitazione; che anzi è da confessare come in lui faccian difetto alcuni pregi di DUNI, per esempio là dove pone questi principii: che lo stato della primitiva barbarie non fosse generale ; che la gelosia, piuttosto che un certo vago senso religioso, spingesse l’uomo al matrimonio; e che tra la barbarie originaria e la barbarie medievale Vico non iscorgesse divario di sorta: il che a noi non sembra punto vero. Ma grave errore di PAGANO è quello di volere interpretare la storia in un senso troppo fisiologico; e questo tiene alla efficacia che nella sua, mente esercitò la filosofia francese di quell'età. E alla stessa cagione forse è da riferire s' ei non seppe vedere come il processo storico non sia . né possa essere unilaterale, ma complesso, organico, dovendo abbracciar tutte le manifestazioni e tutti gli elementi d' una data storia e civiltà. Per le quali cose non possiamo accettare la sentenza ond' altri ha pronunziato, che i Saggi del PAGANO siano la interpretp,zione più fedele della Sciema Nuova: tanto piii che il Pagano, intendendo in maniera grossolana al pari dello Stellini la dottrina del corso e ricorso, non dubita sostenere che le nazioni tutte a per lo stesso movimento onde son rimenate alla luce della cultura, ricadono nelle tenebre della natia barbarie. » Nel che non s'accorge quel nobile e sventurato ingegno come il ricorso di Vico sia anche progresso, e come il suo svolgimento abbia luogo in età diflFerente da quella in che accade t il corso della civiltà; mentre al contrario in un medesimo popolo, per esempio nel greco, egli vede insieme un | eorso e un ricorso storico.* Il Pagano dunque non iscorge * Vedi PAGANO, Op. edlz. Capolagro, il modo con che il suo maestro intese coordinare i diversi momenti de' grandi periodi della storia eh' ei disse corsi e ricorsi storici. Non riesce a salvam dall'errore, nel quale intoppò lo Stellini, d'ammettere una prima età storica non ferina, ma innocente. Non sa vedere l' errore di VICO, oggi assai grave, delle catastrofi e dei cataclismi fisici onde gli uomini furon da prima scossi e menati a civiltà. Finalmente, come origine assoluta delle famighe ponendo il ratto delle donne per opera degli uomini forti, non s' avvede che nelle dottrine del maestro, più che cagione, cotesta era semplice occasione, non altrimenti che le suddette catastrofi e cataclismi di natura. Ma è da notare che fra tanti errori egli talora sorpassa il maestro, non che i mitologi suoi contemporanei, quando sostiene, per esempio, che i Greci, \ quant' a mitologia, non facevano che vestir poeticamente racconti d' origine primitivamente orientale. Né a quel tempo erasi ancor difi'usa quella febbre, che tutti oggi invade, dell' orientalismo indiano. E CUOCO, benché seguisse Vico nelle esagerate, interpretazioni del suo Platone in Italia, romanzo fatto sul gusto délVAnacarsi del Barthélemy; ne divina talora qualche idea originale come quando pone, a dirne solo quest'esempio, un'origine spontanea anzi che comunicata e artificiale alle manifestazioni storiche, religiose, mitologiche, poetiche e poUtiche. Così mercé PAGANO e CUOCO, entrambi ingegnosi discepoli di Vico, temperavasi quella dottrina del maestro che, come vedremo in altro luogo, potrebb'essere interpretata con opposti e contrari significati. E vuoisi che CUOCO meditasse e anche scrivesse un lavoro sulla Sdenta Nuova, ma che da sé medesimo avesse poi distrutto, forse per que' motivi politici che sì crudelmente gli funestaron l'animo, il quale, non meno di PAGANO, egli ebbe pieno di carità patria. Di CUOCO in sostanza non abbiamo ne interpretazioni, né esplicazioni del pensiero che informava la Scienza Nuova, degne d'esser rammentiite. È bene anzi avvertire com' egli ne accogliesse alcune idee al tutto erronee: quella, per esempio, d' un' antichissima sapienza italica, anteriore alla romana e alla greca per cui riteneva che gli Etruschi, sparsi un tempo per tutte le terre italiane, avessero costituito un popolo solo. Non pertanto CUOCO dà s^ni evidenti d'avere studiato la Scienza Nuova ed essersene giovato, chi consideri quanto egli imitasse e ripetesse le idee del Vico, ma sempre in modo ingegnoso, acuto, geniale, sul corso della civiltà, su la co-l stituzione di Roma e su la legislazione in universale. Chi dovea più d' ogn' altro valersi di Vico in fatto I di principii legislativi fa il Filangieri. Il quale, se stu• diasse le opere del nostro filosofo, e se in grande venerazione avesse alcuni principii di lui, ce lo attesta, da una parte, una lettera del Goethe scritta da Napoli, e dall'altra le citazioni ch'egli stesso £a e le dottrine eh' e' non di rado toglie dalla Sdenta Nuova. Dalle opere del Vico infatti esce luminosa la prova dell' esistenza d' un elemento universale e assoluto nelle leggi guardate lungo il processo istorico, e per cui la legislazione nella storia non è altro che la incarnazione dell'idea del Diritto; della quafe egli aveva additato, come vedremo, il principio -nelr opera sul Diritto Universale. Perciò nella Scienza Nuova avverte che la filosofia del Diritto considera Vuomo guai ddb' essere mentre la legislazione censi ' dera V uomo quale è per farne buoni usi neW umana società} Ora appunto la seconda parte di questa sentenza tolse a studiare il Filangieri, e però diciamo che la . scienza della legislazione altro non sia, chi ben guardi, ' che un' applicazione di questo concetto vichiano. E veramente, se ad applicare ottime leggi al civile consorzio * Vedi nel Cintohi, Studi oritiei, ec. Vedi Degnità VU. è necessaria l'esperienza; e se l'arte dello sperimento non è possibile in siflFatt' ordin di cose tranne che mediante la storia; perocché se la storia elevata a filosofia è atta a mostrare che i fatti legislativi, guardati nella loro idea e nelle attinenze con altri fatti pos8on essere considerati come altrettanti esperimenti che la civiltà va seco medesima operando: se tutto ciò è vero, .è da concludere che l' antecedente logico della Scienea deUa LegislcusAone sia per l' appunto la Scienea Nuova. Laonde non parmi che il Lerminier s' apponga, dicendo FILANGIERI seguace del Montesquieu,* per la semplice ragione che il medesimo Filangieri ebbe coscienza di non dover battere le vie già con tanta gloria calcate dal filosofo francese, com'egli stesso ci assicura. FILANGIERI non intese a ricercar leggi, né a descriver | costumi: volle anzi levarsi alla teorica dei costumi e • delle leggi. Ora cotesta teorica, come vedremo, è inutile cercarla nel Montesquieu; ed è inutile cercarvela anche per confessione degli stessi Francesi. Ripeto quindi che la Scienza della Legislazione, chi la guardi nella originalità del suo disegno, è di fattura tutta italiana, e possiamo designarla perciò come una pagina (splendida pagina in vero!) della Scienza Nuova. Ciò non pertanto è da confessare come FILANGIERI talvolta s'accosti, forse anche troppo, al fare di ROMAGNOSI, il cui pensiero mostra d' avere tanta affinità con la filosofia francese. In gran parte meccanica e artificiale riesce infatti la sua dottrina storica, alla quale si riferisce la legge ch'egli espone su le Religieni e eh' è pure una debole imitazione attinta in Vico; 1 ma è tal legge, ch'io starei per dirla disorganata. Filangieri è da lodare per piil conti, massime per aver I saputo cogliere il vero di quel principio vichiano sulla incomunicabiUtà originaria dei miti presso popoli differenti: * col che mostra d' aver attinenze sempre piiì ' ItUroduction generai eo. Vedi Scienxa ddla Legialanone, apffini con gli altri seguaci e imitatori d' un comune maestro e d' un ispiratore comune, quali abbiam visto essere stati per differenti guise DUNI, CUOCO, PAGANO. Se non che, come la tendenza alla pura imitazione eccita spesso la critica, parimenti la critica efficace! e produttiva viene più spesso eccitata dalla critica infeconda e negativa. Così DELFICO CIVITELLA quantunque più volte citi Vico e ne accetti perfino al ) cune dottrine su la Giurisprudenza romana, si presenta come negazione dì lui quando si pensi che Vico e primo interprete critico del Diritto Romano, e dicasi pure della Storia romana. Il dubbio critico e fecondo dell'uno su le origini di Roma e delle XII Tavole, diventò dubbio scettico nell' altro. Egli infatti giunse a dire che la comune opinione sulla grandezza romana devesi ridurre al solo ingrandimento de' confini, ottenuto spesso con mezzi rei ed infami.* E se GRAVINA appoggiandosi all' autorità di CICERONE appella Diritto per eccellenza il Diritto Romano; il Delfico, in su lo scorcio 1 dello stesso secolo, non teme affermare che Roma, tuttora barbara e ignorante, avea già veduto a' suoi fianchi gli Etruschi, i Sabini, gli Umbri, celebri già per leggi e per giustizia, gli Equi e gli Equicoli, così appellati perchè giusti. Che cosa ne fecero i Romani se non distruggerli, piuttosto che imitarli?' Le grandi lodi poi fatte in ogni tempo ai frammenti delle XII Tavole, egli chiamava letterario fanatismo. Il tanto encomiato Diritto Civile riguardava come risaltato delle interpretazioni dei Giurisprudenti e delle dispute forensi. Incertezza, arbitrio, volontà di conservare r aristocratico dispotismo diceva essere il carattere proprio del Diritto Romano. Che se Roma cadde, Vedi Riocrehe nU vero earattere della Oiurttprudenxa Romana e dei \ 9uoi cultori. Firenze, Introd. non cadde perchè oppressa dal pondo dell' estrema sua grandezza, ma per mancanza di base e difetto di solida architettura nell'edifizio. E conchiudendo poi la prima parte del suo libro, afferma che: (c la giustizia di Roma fu in principio quale può essere neUa barbarie; d'indi| quale dev' essere nell' anarchia, nella confusione delle leggi, e nella generale corruzione. Talché in ogni età al pensiero del Delfico CIVITELLA Roma si presenta in antitesi con la ragione e con la umanità: la giurisprudenza per lui è il fatale retaggio eh' ella ci lasciò, e i secoli ne hanno moltiplicato le specie.* Vedremo altrove, che se Vico fu primo a studiare con riservatezza guardinga e saviamente scettica la storia del popolo e del Diritto Romano assai cose distruggendo accolte già e sanzionate dall' autorità di molti secoli; non però cadde in quell' aperto e desolante scetticismo che, uccidendo i fatti nella storia, spegne ad un tempo la fede nell' animo di chi ne interpreta il significato, com'è appunto il caso del Delfico CIVITELLA. Vico anzi pervenne a dimostrare, come vedremo, una legge d' intimo progresso nelle successive manifestazioni storiche ' del diritto romano. E questo evidentemente contraddice al dubbio scettico del Delfico. Così può dirsi chiuso il primo periodo degli scrittori che han discorso di questa o quella dottrina del nostro filosofo. Nel qual periodo, ciò che ha molto valore | per noi, è la polemica fra Duni e FINETTI: il resto è lavoro d'imitazione piii o meno fedele che solamente nel Filangieri comincia ad assumere forma d' esplicazione ' originale. E questa tendenza imitativa, che finisce con lo scetticismo giuridico e storico del Delfico, ci mostra poi quanto sia vera quell'osservazione fatta da parecchi storici nostrani, che la snervata filosofia firancese principalmente scemasse originalità agli scrittori italiani d' allora, togliendo loro il poter discemere qual novità di principi! avesse introdotto il Vico nel regno della scienza e della storia umana. Possiamo dire che corra un abisso. Nell'ordine puramente speculativo ci è di mezzo il Criticismo; e nell'ordine delle idee stori 1 che e giuridiche, come in quello de' fatti politici, abbiamo i filosofi giusnaturalisti francesi, e la grande Rivoluzione. Con la Scienza Nuova noi avevamo già prevenuto l'esigenza critica, dal puro mondo dell'attività psicologica trasferendola e compiendola nel regno dell' attività storica; e nell'ordine delle idee avevamo sorpassato al-tresì la Rivoluzione, perchè, ammesso il processo istorico al quale, secondo la Scienza Nuova, deon soggiacere tutti i fatti e tutte le idee, non v'è pagina in questo libro dove non si senta la necessità, e non si tocchi con mano, per così dire, lo scoppio d'un radicale innovamento negli ordini del consorzio civile, politico e sociale.* Brevemente: nei tempi moderni veggiamo accadere nel nostro pensiero quello stesso che venne verificandosi nell' età del Risorgimento. Co' nostri vecchi filosofi noi avevamo arditamente sorpassato la Riforma, nel modo stesso che con le nostre scuole politiche (sempre nell' ordine dell'idee) * Nella Sociologia mostreremo che co*principii del suo Diritto C7ni-1 vende il nostro filosofo Compie la dottrina della Socialità di Orozio, corregge i prìncipii e quindi le consegoonze der Naturalimno speculativo e wteta/meo di Spinoza, inrera il Natwali«mo empirico di Hobbes, contraddice al TeoeraiÌ9wu> della scuola di Bossuet, alio Scetticismo giuridico di Bayle, di Pascal e di Montaigne, e previene le idee principali di Montesquieaj e di Rousseau legittimandole nel suo concetto istorico. avevamo già sorpassato le tendenze nonché i bisogni politici di quell'età.* Col primo schiudersi del nuovo secolo, adunque, non può non ischiudersi un periodo novello di studi assai più severi circa le dottrine del Vico; talché V abisso fra' due secoli poco fa accennato per noi non esiste, e in ogni modo la Scienza Nuova avrebbe trionfato nelr animo nostro come nelle nostre menti: avrebbe trionfato nella nostra storia civile come nel nostro pensiero filosofico, quand' anche il gran fatto della Eivoluzione non ci avesse scosso. Ci saremmo arrivati da per noi J forse più lenti, ma certo più securi. D segnale dunque de' nuovi studi s'inaugura cqu coscienza più chiara sul valore delle dottrine vicinane, e tal segnale ci è dato innanzi tutto da im poeta assai splendido nella forma quale e MONTI, e da un poeta assai potente e insieme potentissimo prosatore quale si e FOSCOLO. In una delle nostre più illustri Università, MONTI pronunzia quella beUissima sentenza che poi tutti hsìn ripetuto e ripetono parlando di Vico: La Scienza Nuova è come la montagna di Golfonday irta di scogli e gravida di diamanti. E quindi soggiungeva: Chi amasse di chiamare a rivista le idee generatrici e profonde delle quali si è fatto saccheggio nel Fico, tesserebbe lungo catalogo, e nuderebbe a moUe riputa^zioni.* Ma MONTI sente la verità e grandezza delle idee vichiane com' un poeta. FOSCOLO dà un nuovo passo e va molto più innanzi allora che nel celebrato discorso d'apertura all'insegnamento letterario nella stessa Università Pavese, piglia a trattare con l' usata maschiezza d'ingegno il vasto soggetto dell' origine e dell' ufficio della letteratura; nel quale prova insieme quant' avesse studiato le opere del nostro filosofo, e come sotto novelle forme si possa applicarne le dot* Ferbari, Cforto augii aeriUori Politiei italiani^ V. Monti, Proluaùme agli atudi delV Univeraità di Pavia, MUano, trine anche nei temi letterari. FOSCOLO ha colto il valore d'alcune sentenze psicologiche sparse nei lihri del filosofo napoletano; e da queste appunto ei seppe trarre il concetto posto come principio fondamentale del suo ragionamento. Egli, infatti, ricorre ai bisogni dell'uomo nel rintracciar l’origine delle lettere; e quindi reputa necessario investigarne la natura psicologica studiando le facoltà stesse dell' uomo.' Che poi avesse meditato e inteso le altre dottrine del filosofo, lo mostra il modo, per dire un esempio, con che egli discorre \ ea l'origine e su la natura della parola; la quale, traducendo quasi lo stesso linguaggio dinVico, dice essere ingenita in noi e contemporanea dia formazione dei sensi estemi e delle potente mentali. Seguace del nostro filosofo anche si palesa quand' accenna fuggevolmente a certe idee (per esempio a quelle del diritto e del dovere) le quali, manifestandosi dapprima idoleggiate con simboli ed immagini, si snodano poscia e parlan quasi da sé stesse nella nuda verità di ragione. Seguace altresì quando tocca delle origini del consorzio sociale e dell'imperio civile: del che poi egli stesso ci assicura dove, accennando a' poeti filosofi, dice che delie verità sui principii di tutte le nazioni vedute dal VicOy egli s' è studiato dimostrare e applicare le conseguenze alla storia dei nostri tempi} Dottrine del Vico, finalmente, applica nel discorso su le De^cazioni nella Chioma ' di Berenice, secondo che confessa da sé medesimo. Ma alla Scienza Nuova volge tosto gli occhi con ben altro acume di critica il napoletano Cataldo lannelli; la qual critica, come vedremo, esagerandosi nel Romagnosi, finisce per esser perdutamente scettica nel Ferrari. Di tutte le opere o studi fatti su la Scienza Nuova quella che più d'ogn' altra merita d'esser letta e me ! ditata è appunto l' opera del modesto impiegato della • Vedi Ditearto dell’origine e deW ufficio detta LettercUura^ nel volume deUe Lesioni Queste osservazioni hann' anch' elle un aspetto di verità; ma se ROMAGNOSI avesse meditato la Sdevusa Nuova con più amore e men disprezzo e meno boria a lui, del resto, tanto naturale, avrebbe visto che Vico altro non intese dire, come vedremo, se non quello precisamente eh' egli stesso ha detto qui assai male e senz' alcun metodo filosofico. E perchè poi reputa impossibile la similarità de' circoli storici? Perchè intese anch' egli, in modo volgare, come parecchi altri, il valore di cosi fatta legge. Ei non poteva persuadersi come nella storia ci sia ritorni e ripetizione di forma (meccanismo); ma non s'avvide che se pel Vico nella storia ci è ripetizioni, cotesto ripetizioni non sono possibili senza veraci innovazioni (dinamismo). Io non so capacitarmi come l' ingegno potentissimo di ROMAGNOSI non penetrasse nell' intimo della Scienza Nuova. Non so capacitarmi com'ei facesse una critica Certo U Romafirnosi non TÌde che se Vico prevenne Roasseau e tutti qnei giasnataralisti dell’epoca, i quali sì volentieri ciarlavano sa lo ttato di natura, li prevenne correggendoli, cioè legittimando razionalmente cotesto stato natarale, col porre in opera ben altri prineipii di psicologia e di storia cho non eran quelli de' saddetti filosofi. debole e scucita cosi che gira sempre attorno senza mai coglier la sostanza delle dottrine di Vico. U che senza dubbio terrà alla forma della sua filosofia, della quale il Rosmini pose in evidenza i molti e sostanziali i difetti, e, nonostante le calde e lunghe difese del Nova, i giudizi del Roveretano restano pur oggi intatti e verL Romagnosi, in ima parola, non poteva pregiar la Scienza Nuovii, perchè le sue dottrine putiscon di meccanismo. Artificiale e meccanica è in lui la dottrina sul governo dello stato, ch'ei paragona al cervello dell'animale. Artificiale e meccanica la dottrina dei Tesmofori in politica e in religione; le quali per lui sono bensì strumenti benefici al popolo, ma nelle mani dello stato. E dottrina presso che meccanica quella de' suoi Fattori dell' incivilimento. Perfino la terminologia eh' egli adopera ne palesa l' indole della mente e delle idee: storia naturale dei popoli, fisiologia degli stati, funzioni meccaniche e dinamiche della società, dinamica e meccanica morale, e simiU. Come passaggio della critica empirica e negativa del Romagnosi alla critica scettica di FERRARI, si presenta la traduzione e l' anaUsi che della Sdenjsa Nuova die alla Francia 6 alla eulta Europa l' illustre Michelet. Agli occhi degl'Italiani questo scrittore ha due grandi meriti: d' aver fatto conoscere il nostro filosofo isin dal 1827 fuori d'Italia, e, che più monta, d'averlo fatto capire nella sua verità mercè quell' arte facile, disinvolta e con quel fare schietto e rapido con cui, traducendola, seppe imprimere alla Scienga Nuova forma netta e fedele. Se non che, per quanto Michelet non sia crìtico interprete (né egli vi pretende) ma critico espositore, non pertanto i suoi giudizi son tutti co* Si yegga la definizione che ne dà nello Leggi dtlV ineivUimento, FERRARI ha rilevato con molta esattezza la differenza tra Vico e ROMAGNOSI nel lihro La menu di Romagnoti. E noE a torto poi il chiarissimo FERRI pone Romagnosi come primo ponHvi^ta In Italia. Ved. RÌ9t. de la PhU. lud., scienziosi e pressoché tutti pieni di verità. Eccone un saggio. Ci ha due Scienze Nuove, egli dice; ma se le Scienze Nuove son due, la prima d' esse è insieme I r ultima parola dell' autore; ultima quant' alla sostanza delle idee. Un'altra osservazione è questa: carattere e intento supremo di codesta Scienza Nuova è quello d'essere una filosofia, e nel medesimo tempo una storia dell'umanità. E un'altra riflessione che merita sia ricordata, è la seguente: il concetto d'una perfezione stazionaria accennata dal Vico nella Scienza Nuova e riprodottasi poscia in tanti libri, non riappare altrimenti nella seconda Scienza Nuova. Mi giova notare con ispedalità quest' ultimo pensiero del Michelet, per corregger la sentenza di tutti quegl' interpreti i quali per d lungo tempo ci han detto e ridetto che dei corsi e ricorsi entro cui Vico chiuse V umanità (per dir la parola consacrata), ei non abbia parlato fuorché nella seconda Scienza Nuova. Non ne ha parlato mai, in nessun libro, in veruna pagina de' suoi libri I La stazionarietà (sia detto unU buona volta per tutte) non è concetto vichiano. Io noi trovo esplicito, né implicito in lui; e non iscaturisce in verun modo dall' insieme delle sue dottrine. Il concetto del corso e ricorso storico, adunque, alla maniera volgare ch'é inteso da' più, è concetto che assolutamente ripugna al pensiero e alle scritture del nostro filosofo. Ma non tutti i giudizi del Michelet ci paiono ugualmente giusti. Ei non giugno a spiegar convenevolmente, per esempio, il concetto storico del nostro filo1 sofo su la forma del governo monarchico; tanto meno que'due principii accennati piii d'una volta nella iScien^^a Nuova e nel DvrìUo Universale su la necessità in che può ritrovarsi un popolo di consentire a lasciarsi governare ov' ei non sappia governarsi, e su l' affidar l' impero del mondo alla solerte prudenza dei migUorì. Il Michelet seppe delle opere del Duni, ma forse non potè leggerle: così parrebbe almeno dal modo con che lo SrnuAiii. ff cita fiiggevolmente solo una volta. Se quindi avesse conol scinto DUNI, avrebbe dato al Jus Gentium del Vico il suo proprio valore. E s'inganna poi quand' aflFerma, che il Libro Metafisico sia la sola scrittura, le cui dottrine non fossero state trasportate nella Scienza Nuova, del che lo riprende giustamente il Predari. Ma il Michelet ci compensa di cotesti erronei giudizi laddove con acume non ordinario confessa di riconoscere nel Vico U metafisico sottile,e profondo. E poi ci dà prova sicura d'animo spassionato e libero da ogni boria nazionale, quando, egli francese, francamente dichiara essere Vico r antagonista per eccdlenaa del CartesianismOy l'avversario più illuminato e più eloquente dello spirito del secolo XVIII.' Anche quest'osservazione è d'ogni parte vera e luminosa; perocché se carattere di quel secolo, come giustamente si crede, fu la negazione assoluta, la negazione in tutto e di tutti, distintivo, al contrario, delle dottrine del Vico si fu quello di tutto restaurare, e tutto affermare mercè l'opera del metodo isterico.* E poiché siamo a parlare de' Francesi, occorre far menzione degli altri che in quel paese, nell'epoca di che trattiamo, non reputarono tempo perso volger la mente al nostro filosofo. E primo fira tutti il Lerminier, * Vedi Prtncipet de la PhU. de VHiat, traduite de la Scietua Nuova de J. B. Vieoy BruxeUes La ridazione fatta dal Michelet détte occasioce iu Italia ad una critica del Kicci pubblicata nell’Antologia del Vieusseax RICCI mostra come lo storico francese altro non desse alla Francia che ì frantumi della Scienza Nuova, e per cinque diversi capi ne rileva la incompiutezza. Oltre a questo pregio, negli articoli del Btcci re n' è un altro; l’aver posto in chiaro, meglio forse che non facess^i il Dani, il significato della parola Autorità^ che ne* libri del nostro filosofo non è di lieve momento, e mostra che talora egli assume questa parola nel senso del Gius Komano come sorgiva de* diritti pubblici e privati; talora com*effotto del consenso d’una nazione in un dato principio; tal* altra come potestà, come potere ch*ò negazione di ragione e di coscienza speculativa. Notiamo altresì come il Ricci è quegli, fra* critici, che più insiste su l* ufficio del Seneualiemo nelle idee storiche delj Vico. Ved. Art. I, pag. 85. come quegli che nelle due principali sue scritture ne discorre sempre con entusiasmo, con amore e grande venerazione. Ben s' appone a designar la Sciema Nuova come il monumento sublime e hieearro^ in cui è viva la impronta delle fofrme e dei colori dd medio evo, e che fa del Vico centro dette antiche tradizioni, e insieme precursore déUa Scienza Nuova: talché non a torto fino dal 1829 lo considerò come il vero predecessore de' Wolf, de' Niebuhr, e degli Hegeliani. Se non che non sempre questo dotto e simpatico scrittore dà nel vero, come quando lo dichiara padre dell' JEfcfewswto moderno,^ o come laddove osserva che nella storia del mondo egli trasportasse quella di Roma. Lerminier non vide che di questa seconda istoria ei gioV06SÌ a meglio intender la natura della prima, alle storie tutte e perfino alla storia universale trasferendo gli elementi essenziali, originari, universali costituenti la natura umana. Assai meglio avrebbe detto d'aver egli trasferito la psicologia nella storia, anzi che la storia di questo 0 quel popolo alla storia di altri, ovvero a quella di tutt'i popoli in universale. Né, d'altra parte, il Vico intese applicare una legge alla storia in generale; errore, come vedremo, dei Teologisti e degli Hegeliani: intese bensì applicarla ai popoli considerati nelle individuali lor tradizioni e civiltà. Tanto meno poi é lecito creder eh' egli ponesse identità fra' tempi eroici primitivi e' '1 medio evo: bensì è vero eh' e' vi discemesse un moto perenne di ripetizione essenzialmente progressiva. Altrove il Lerminier, parlando del Machiavelli, osserva come r autore* della Scienza Nuova correggesse lo spirito storico del Segretario fiorentino, mercé una pciitica ideale e platonica. ' Questa sentenza in parte è vera; e dico in parte, poiché si può chiedere se co' suoi principii applicabili alla politica, il Vico abbia • Vedi Introd. gin. à VHitioire du Droit, cap. Xm. *0p. cit. pag. 167. • Vedi JKrt. de la Phtl, du Droit, Tom. U, pag. 102. corretto, o non piuttosto compiuto ciò che nel Machiavelli è solamente arte politica. Tutt' insieme dunque può dirsi, che se la critica del Lerminier non è molto acuta né molto sicura in alcuni giudizi, ella riesce nondimeno a cogliere con lucidezza tutta francese la natura e '1 fine della mente e deUe opere del nostro filosofo.' Su' giudizi del Lerminier riguardanti le idee giurìdiche e politiche di Vico torneremo in altra occasione. Qui giova notare come in Francia, quasi nel medesimo tempo in che gli scrittori di cui abbiamo accennato facevan conoscere il nostro filosofo, altri presero a parlame come il Gousin, Teodoro Jouffroy, il Ballanche. Tutti ripeton le usate lodi, e qualche giudizio del Gousin, al solito, a volerlo sottilmente esaminare, non riesce molto esatto. Quando vuol fard credere, per esempio, che Vico, benché combattesse Gartesio ne seguiva nuUameno la filosofia generale^* ognuno capisce com'ei si studi attaccare al gran carro del cartesianismo perfino il Vico; quasi che, anco a detta del francese Michelet, non ne fosse stato anzi V avversario piii terribile. E va lungi dal vero quand' osserva, che tutto ciò che è nel Bossuet e in Vico trovasi in Herder; quasi che si possa ignorare che Fautore della Metacritìca contro il Kant non fosse altro che un buon sensista, il quale ' perciò non dubitava credere che dall' organismo pullulasse ogni nostro pensiero e facoltà:^ nella quale sentenza ci conferma il suo traduttore francese il Quinet. U Gousin poi dice il vero laddove pone l'Herder ' come compimento del Vico quant' al concetto della natura e della efficacia che la natura dispiega sulla storia. Ma avrebbe dovuto avvertire che s'egli è compimento * Eccone, per esempio, una prora nella seguente arguta osserraxione: w/tico più che scettico, con la sua critica egli comincia a riprender V andamento pacato e sereno dello . lannelli. Il Cattaneo è come Y anello fra FERRARI e TOMMASEO. Noi non possiamo, egli dice, studiare con profitto lo spirito umano in sé, nella sua essenza, bensì nelle sue elaborazioni storiche, e nelle situazioni più numerose e diverse che si possa. Però bisogna studiare il poliedro ideologico nel fluissimo numero di sue faccey e da questo terreno tutto storico e sperimetitàle dovrà sorgere la vera cognizione dell'uomo; la quale indarno si cerca nei nascondigli della coscienza. Lo studio dell' individuo nella società, l’ideologia sodale: ecco una sentenza piena di verità per cui CATTANEO si chiarisce assennato seguace di Vico. E che egli abbia inteso il pensiero del filosofo napoletano lo pruova l'altra osservazione su le successive trasformazioni storiche del diritto, per cui nella Scienza Nuova a troviamo fusa la dottrina d^l' interessi come campeggia nel Machiavello con la dottrina della ragione i esposta da Grozio, togliendo eoa la contraddizione che divideva la storia dalla filosofia.' » Che se anche il Cattaneo s' addolora al pensiero dei Circoli fatali che Vico ebbe in comune, secondo lui, col Machiamipremi principii d'umanità, PuDOR e Libbrtas, che sono il cardine della ' Scienza Nuova, e per cui anch* il servo, anch’il bimane un bel giorno diventa uomo, personalità ? é'* Cade col Machiavelli nd »iHema delU dué fati, V ima harharay V altra eivtU, No, introduce nn nuovo sistems nelle due differenti fasi, Tuna tpantanea e raltrart^faMo; e questo non è circolo fatale, identico, ma progressivo. Dice poi che il Vico eroit que la vdonU peut eorrompre Vceuvre de la roMon. Qui evidentemente FERRARI non ha saputo, né poteva col suo scetticismo, intender* e comporre in organismo i principii psicologici del suo maestro. * Firbàri, Vieo et VltaUe. Paris CiTTRinBO, nel Politeonieo. Vedi Periodico oit velli e col Campanella, una consonanza mirabile però sa trovare fra i più recenti sistemi umanitari e quello del Vico, agli occhi del quale la Provvidenza, con V occasione degV interessi delle inique passioni, trae la giustizia effettuandola gradatamente nel mondo delle nazioni. Laonde osserva come prima di Fichte, segnatamente prima di Schelling, a lui fosse dato riguardar la ragione ' qual facoltà che occasionalmente si sveglia nell'uman genere.' •CONTINUA IL PERIODO DE' CRITICI E DEGLI ERUDITI. Co' suoi Studi Critici V illustre TOMMASEO segna il passaggio al terzo periodo, e quindi ad una terza classe di scrittori che si sono occupati di Vico. Critico e filosofo, infatti, egli stabilisce V anello fra i puri critici e gì' interpreti filosofi negli studi riguardanti il nostro autore: Imitazione e riproduzione, come negli scrittori del primo periodo, non era possibile nell'ingegno versatile, duttile, acuto ed elegante del Tommaseo; e tanto meno possibile in lui una critica scettica alla maniera del Ferrari. Piena la mente e l'anima di fede e di profondo sentire, questo scrittore è anche filosofo, e vi pretende. Egli ha scritto libri di filosofia; ha interpretato, e non di rado con sottigliezza scolastica ha difeso il princìpio speculativo del Rosmini, e propugnatolo con ardore giovanile. Nessuno dunque può negare a quest'ingegno artistico e severo buona dose di virtù speculativa. Sarà filosofo scologizzante, sarà filosofo più che rosminiano, ma è filosofo, oltre che critico de' più sottili: è filosofo e critico, e, senza conNel PoUteenico trasto, quant' a proprietà di linguaggio occupa oggi 1 primo seggio fra i viventi scrittori del nostro paese. Nessuno meglio di lui poteva farsi a rilevar le bellezze nella parte letteraria ed estetica delle idee del nostro filosofo. E, facile a spigolare ne' campi altrui, anche in questo egli è andato scegliendo fior da fiore, e ne presenta cotal mazzo che lascia scorgere l'arte di chi n' ha fatto la scelta. Chi, prima di lui, avea saputo ritrar r indole, per esempio, di certe composizioni poetiche del Vico, additar la possente originalità nello stile, la selvaggia lobustezza della parola, la forma singolare dell' ingegno, e segnatamente l' animo e tutto il carattere morale dell'uomo? Una delle più notevoli pagine della prosa italiana, egli osserva, è la nobile immagine di donna egregia lodata dal Vico: ed è verissimo; e vere ed argute non meno ci paion quelle considerazioni su la storia del Caraffa, nella quale spesso questi è dipinto non qncd era ma guai doveva essere, per meritare le lodi di VICO. La dignità del lodatore si vendica per tal modo della indegnità del lodato j e la lode diventa condaivna.^ Ma il Tommaseo, ho detto, è anche ingegno speculativo, e spesso è felice nell'intravedere il vero di certe idee filosofiche del Vico. Ecco un'acuta riflessione: Fólibio e gli antichi deducono osscì-va^ioni generali da* fottio U MACHIAVELLI trae consiglif Vico determina leggi. Ma le SUE LEGGI NON PANNO FORZA ALLA PRATICA, anzi egli dice cìie l'uomo dee nelle teorie r attenersi come cavallo aìiimosoy per poi nelle pratiche cose correr di maggior lena} Altra bella osservazione è quando nota come da Platone egli traesse non l'idea, sì la ispirazione della sua storia ideale. Il che mi piace avvertire col Tommaseo contro chi pretende rimontare sino al filosofo ateniese a ripescarvi un antecedente alla Scienza Nuova! Verissimo altresì che le due Scienze Nuove paiono entrambe due grandi edifici secondo la medesima idea architettati: Tommaseo, Studi Critici. Venezia, questo avverta chi ha creduto vedere nella seconda di esse non so che stravaganze, follie o puerilità. Con salde ragioni poi contro parecchi critici del Vico egli dimostra come nelle opere di lui si manifesti potente, vera, chiara l'idea del progresso; perchè se aUe cose umane vide un corso e ricorso in orbita fissa, non disse che V orbita non si potesse più e più sempre cól volger de' tempi allargare^ E non meno della critica che riguarda per diretto il Vico, preziose paionmi anche quelle undici appendici indirizzate ad illuminare il testo dove il filosofo napoletano sorge principal figura: dico le appendici sopra STELLINI, Grozio, ROMAGNOSI, FOSCOLO, sul gius sacro e sul gius romano, su le origini sociali, su gli Sciti, Illirici, Slavi, sul Niebuhr ed altri. Il Tommaseo vuol esser rammentato ed encomiato eziandio per un altro lavoro speciale sul Diritto Univer1 sale,^ È un esame critico, al solito, assai condensato e sparso di riflessioni ingegnose, d'opportuni e fedeli riscontri e di felici divinazioni nel penetrare le idee del filosofo. Ma è pur d'uopo confessare che se come critico nessuno può entrargli innanzi per sobrietà e giustezza di giudizi, come filosofo non tutti sapranno accettarne ogni sentenza. Molte interpretazioni e parecchie confutazioni eh' ei move al Vico noi non potremmo accogUere: quella per esempio dove, accennando alla luce metafisica del nostro filosofo, si studia vederci non pili che Tessere ideale di SERBATI,' e T altra onde presume che dal concetto della Trinità egli traesse l' ordinamento delle facoltà umane, e nel medesimo concetto scorgesse radicarsi la metafisica, la morale e fin la giurispruden• fe anche di TOMMASEO quesV altra bellissima osseryazionc: Dalle proprie averUure Vico dedusse H mondo invecchiato: ma ^gìi medesimo ci vieta di crederlOf egli che pronunziò: mundus enim jaTenescit adhuc; interpretazione luminosa deUa sua /rantesa dottrina delh* legje de ricorsi, e risposta sufficiente a dà lo accusa di negare al genere umano ogni forza (T avatuamenfo. Dizionario Estetico» ^kudi Filosofici, Venezia mdoooxl, . l« Stwli OrUici, ] za. Sbaglio grave, dice, Taver negato la trasmigrazione I delle civiltà da popolo in popolo innalzandovi mura di bronzo. Errore gravissimo poi da restame scandalizzati, più che uno, mille Tommasèi, gli par la sentenza, che dopo il diluvio gli uomini si disumanassero 1 * E qui r illustre critico si fa forte delle censure di LAMI, di ROMANO e di FINETTI e di tutti gli oppositori del primo periodo, co' quali dopo un secolo e mezzo par ch'ei si trovi in pieno accordo. TOMMASEO non poteva penetrare nelle dottrine speculative di VICO, e da quéste trarre, più che dai due o tre passi d'autori lettini o dagli urli dell'uomo bestiale assordante l'aria e le selve, nuove dottrine e vere su le origini dell' umanità, non discordanti oggi co' risultati delle scienze naturali. Come si vede, con una critica sempre acuta nelle sue osservazioni tuttoché non sempre vera ne' suoi giudizi, il Tommaseo è stato il primo fra noi ad esprimerci '1 bisogno d' interpretare in maniera filosofica le dottrine del nostro filosofo; ma non vi giugne, né il poteva, perchè non gliel permettevan né le esigenze della fede tanto salda e vigorosa nell' animo suo, né la filosofia schiettamente Kosminiana nella quale è uso attingere i principii filosofici e i criteri metodici. Usciamo ora un'altra volta dal nostro paese, e vediamo se nel giro degli anni di che parUamo gli studi, i giudizi e la stima circa il nostro filosofo sian venuti sempreppiù progredendo anche presso altra letteratura come presso di noi. L'illustre Renouvier avrebbe stimato manchevole la sua storia della filosofia moderna ove anch' egli non avesse accennato all'autore della Scienza Nuova. Vico, egli dice ripetendo un'aflFermazionedel Michelet, ToMMAsio, Studi Filotojiciy Studi Gritici, Due o tre pa$9Ì d* autori latini e H troppo reU^oto rispetto di tutu torta tradizioni in tali togni tmarrirono tale ingegno. del CDUsin, del Lerminier, dello JoufiFroy e d'altri francesi, ha fatto alla scienza una rivelazione nuova creando la filosofia della storia; talché dopo la morte de' due martki suoi compatrioti Bruno e Campanella, ei ci si presenta davvero qual rivelatore d'un mondo nuovo.* Un' altra osservazione, di cui è bene prender nota, è quella dov' egli afferma che, quant' a Cartesio, il Vico ebbe pieno diritto a biasimarne l'incompiutezza del metodo, egli che, considerando come scienze la poesia, la storia e la filologia, potè gettar -le basi d'un metodo novello supremamente sperimentale, storico e comprensivo. Ma quali sono propriamente i principii filosofici del Vico? Ha egli una serie di principii metafisici? Renouvier non risponde a questa domanda, e si tiene contento nell' affermare solamente eh' egli ama/va la metafisica di Descartes. Sarebbe questo il luogo di rammentare il Bouchez; * ma, fra tutt' i francesi, questi è l' unico scrittore che del Nostro abbia parlato in guisa assai meschina, tanto che a veder come lo cita e come n' espone le idee, farebbe sospettare di non averlo letto, o che ne abbia solamente discorso per sentita dire.«£ noi non avremmo tirato fuori il nome di questo debolissimo filosofo della storia e tenutone conto, se nel suo libro non si vedesse confermata certa notizia della quale giova prender nota. Citando un vecchio periodico di Francia, Bouchez dice come le opere di Vico fossero quivi note già sino dai primi lustri del secolo passato. I francesi dunque molto probabilmente non ignoravano il primo libro del Diritto \ Universale e, che più monta, neanche il secondo nel ' quale è racchiusa, com' è noto, la sostanza della Scienza Ifuova. La qual cosa abbiam voluto qui avvertire col fine di rinfiancare vie piii la sentenza d'alcuni critici su l'origine delle molte affinità fra alcune idee del Vico, * RBiroinriBB,Jfaraii««Z de PhUot. moderne; Paris et Uipsig BouoHBZ, Inltrod. è la Scietkce de VHiet, ec. Paris, e quelle di certi filosofi e storici francesi anteriori alla rivoluzione, massime del Tm^ot e di Condorcet. Nel tempo di cui parliamo novella traduzione comparve in Francia per opera dell' autrice anonima del Saggio sulla formaeUme dd damma eaftólico. E anche qui e' è progresso; perchè se la traduzione det Michelet, come si disse, è una riduzione non molto fedele e mancante di critica, la traduzione di che discorriamo, oltre d'esser propriamente traduzione, è poi fornita d'un lungo lavoro su le opere e su le dottrine del Vico, pregevole soprattutto per V analisi cui è sottoposto il pensiero del nostro filosofo.* L' autore di questa prefazione s' accorge subito ov'è il nodo delle dottrine e del metodo vichiano. Cotesto nodo, evidentemente, è nella distinzione e insieme nella relazione tra il vero e il certo, tra la ragioìie e Vautoritcu^ E innanzi tutto osserva come la parola autorità pel Vico voglia dir volontà, coscienza, 1 voce interiore, sorgente di quel conoscere ond' all'uomo non riesce additar le ragioni scientifiche e universali. Brevemente; la coscienza è autorità anzi la piìi grave delle autorità. La ragione poi è facoltà che giugno a dimostrar la cosa scientificamente, e quindi produce il vero. E poiché tutto ciò che 1' uomo dimostra è fatto da lui e però ha natura finita, ne segue che il vero debb' essere inferiore al certo. V è pertanto differenza tra il vero metafisico e '1 vero matematico: questo è nostra fattura, e quindi è vero; quello, in vece, non ci appartiene come nostro effetto, e in conseguenza riguardo a noi è solamente un certo. Ora siccome conoscere vuol dire scomporre ed astrarre per cavarne gli elementi; così di Dio non potremo aver nozione vera, ma certa, stantechè non ne sia dato scomporre ciò eh' è essenzialmente uno, né ritrovar cause di ciò che è causa per sé. È necessario adunque un modo nuovo di conoscere Dio; La lunga ed elaborata prefazione a coi alludiamo si vaole scrìtta da un celebre storico firancese, A. M., amico della traduttrice. La Seience NouveUe, trad. etc., Paris, e però necessaria una nuova facoltà. Questa facoltà è appunto il volere, che si rivela col mezzo della coscienza. La nozione di Dio quindi è un fatto di coscienza e di autorità, perchè autorità e coscienza tornano il medesimo. Ho voluto accennar brevemente queste osservazioni non solo a mostrare che la prefazione di cui parliamo non è da annoverarsi fra le solite ampolle messe in fronte alle traduzioni delle opere di grandi autori, ma a far Tederò altresì come in essa racchiudansi interpretazioni davvero ingegnose. Il traduttore poi avverte la confusione fatta da VICO tra Zenone lo stoico al quale è attribuita la dottrina del punto metafisico, e quel Zenone a VELIA che riguarda i corpi siccome aggregati d'infinito numero d^ atomi o di punti. Nota essere esclurivo di VICO quel concetto per cui si considera il corpo siccome |?wn^o metaifisico esteso. Osserva (e qui prego gli altri critici H tener conto di tale osservazione) che il Vico non volle né poteva respinger l' idea del progresso, attesoché avrebbe contraddetto alla propria metafisica: le$ cercle4 doni il entoure l’hutnanité doit nécessairement marcher en avant.^ La qual sentenza, che cioè nel padre della scienza storica rifulga chiarissima, chi sappia discemerla, l'idea del progresso, è sostenuta in modo splendido da un altro francese vivente, dal De Ferron come appresso vedremo. Fra le idee originali di Vico il traduttore pone anche questa: V uniformità originaria di civiltà appo differenti popoli più come eftetto della comune natura e dell' unità di fine che ne presiede allo svolgimento, anzi che come resultato di comunicazioni dirette avvenute fira popoli diversi.' Riferisce al Vico la scoperta de' tipi fantastici di differenti classi d'uomini contro chi non vi sapeva scorgere altro fiiorchè personificazione di forze naturali. À lui medesimo riferisce l' aver dimostrato storicamente il processo delle tre forme politiche generali, [ La Science Nouvdle OVli. aristocrazia, democrazia, monarchia; V aver avuto coscienza come né l’eloquio né la civiltà latina fossero provenute di Grecia; e, anziché divinato (come vorrebbero alcuni tedeschi), aver egli dimostrato in gran parte i suoi principii storici, né solamente dato impulso alla presente filosofia della storia, ma avere concorso propriamente a svolgerla, a costituirla: al qual proposito notiamo come il traduttore giustamente rivendichi a Vico il merito attribuito a Champollion, d' aver interI pretato e svolto le conseguenze del celebre passo di San Clemente Alessandrino. Fa vedere poi come in pili cose ei mirasse più giusto e più sicuro dei suoi successori quant' alla storia del Diritto; per esempio, su la tanto vitale distinzione fra popolo e plebe, non veduta da ! Livio, e comprovata dopo il Vico dal Beaufort e da Niebuhr. Mostra quindi essere assolutamente nuovo il modo con che V autore della Scienza Nuova considera e risolve la questione circa l'origine delle XII Tavole; nel che lodiamo la forza e la maniera ingegnosa ond' anch' egli sa difenderne la verità. Verissimo, finalmente, quel giudizio su la dottrina risguardante Omero e i poemi omerici, accorgendosi come il Vico non intendesse con tal dottrina negare un Omero personale che 'impresse forma esteriore ai suddetti poemi, ma negare bensì, nel che egli ebbe ed ha ragione, un Omero che fosse creatore de' medesimi, come vedremo a suo luogo. Tali sono i pregi di quest'assennato lavoro critico che va innanzi alla seconda traduzione della Scienza Nuova. Ma non vi mancano difetti; e ne cito qualche esempio. Come non iscorger l' attinenza fra il vero e il certo di VICO? Come non veder che 1' autorità altro non è che la stessa ragione considerata quale obbietto che propone sé a sé medesima, essendo due termini cotesti che, come altrove diremo, van soggetti anch'essi alla legge di conversione? Se questo avesse inteso il traduttore, non avrebbe affermato che dell' assoluto non si possa aver nozione, ma sentimento. Nella Ragione e jìeW Autorità del Vico egli forse ha voluto scorgere qualcosa della Ragion pura e della Ragion pratica del Kant, ' G certo non s' è intieramente ingannato. Ma non s' incanna egli quando si piace di scendere a conclusioni cosi immediate col Criticismo? Che poi tanto in metafisica quanto in geometria il punto sìsl principio d^ estensione; che però la matematica, sia come dire, copia materiale atta a farci conoscere il tipo immateriale eh' è appunto la r»i avverato dopo la pubUicaiione di tale storia, aTcndo questo scrittore poeto il gran princìpio per cui la storia è aommesea {dVimpero di leggi univeraali. Ma non è questa per l’ appunto la grande scoperta della Scienza Nuova almeno quant*al suo principio? E tutte le leggi su la costanza de* fatti sociali trovate da Buckle e più dal Quetulut, non sono forse altrettante applicazioni sociali di quel princìpio? Ma prima di procedere innanzi giova rispondere ad mia difficoltà non diffìcile, a nascer nella mente di qualche pedante. Si domanderà: perchè insieme co' puri critici ed eruditi in questo secondo periodo avete messo filosofi di gran nome? La risposta è facile e chiara: primo, perchè tale è l'ordine cronologico di cotesti filosofi; secondo, perchè costoro han parlato o accennato alle dottrine del Vico, adoperando una critica più presto erudita e storica che filosofica. Qui non potevamo disporre e coordinare gli autori in ragione delle opere scritte e per gli studi eh' essi han coltivato e per la forma del loro ingegno, bensì pel valore della critica ch'essi hanno esercitato su le dottrine del nostro filosofo. Nessuno ha dato segno d'elevarsi ai veri prindpii di queste dottrine, non perchè non sapessero, ma sia perchè alcuni di essi non ebbero tal fine parlando dinVico, sia perchè non han creduto ad una filosofia ' di quest'autore. Nondimeno a contar dai primi fino agli ultimi scrittori appartenenti a questo secondo periodo, dallo Jannelli, per esempio, al secondo traduttore francese della Sdenta Nuova, è evidente un progresso mercè cui la critica sul nostro filosofo, da erudita e sto \ rica e filologica, viene assumendo gradatamente valore sempre più filosofico; di modo che T ordine logico, in questo nostro saggio di storia sulla Scienza Nuova, risponde perfettamente all' ordine cronologico. La critica nel senso d' interpretazione filosofica sarà quind' innanzi il carattere per cui si distingueranno gli autori a' quali verremo accennando nel seguente capitolo. periodo degl' interpreti filosofi. Il terzo periodo degli studi sul filosofo napoletano, se è vero che ha da risolversi logicamente, come s'è detto, in una critica filosofica, doveva esser dischiuso propriamente da' filosofi come quelli i quali, più che fermarsi alle applicazioni, costumano anzi risalire ai principii e alle ragioni di esse. Or le ragioni e i principi! ( della Scienza Nuova giacciono sparsi, quasi germi fecondi, nelle opere latine del nostro filosofo; e a queste vediamo accennare più spesso, e ad esse volgersi più che ad altro la mente degli scrittori che noi verremo adunando ed esaminando in questo terzo periodo. Primo di tutti, infatti, al Libro Metafisico ricorre r illustre ROVERE; e, trovatovi il criterio del vero e del fatto che è come il nodo vitale di tutte le teoriche vichiane, nel Binnovamento dell' antica filosofia I italiana viene applicandolo a quella dottrina ch'ei disse della hvtuijsione. Sennonché, un criterio qual è questo di valore essenzialmente universale, come vedremo, un criterio che nelle più elevate questioni di metafisica assume qualità e forma di principio; nelle mani del filosofo pesarese invece piglia natura e proporzioni, per cosi dire, di norma psicologica, o ideologica che sia: né quindi ebbe torto il Rosmini se in cosiffatto innesto operato dal Mamiani vide annidarsi difetti non pochi, né lievi magagne, confessate oggi tacitamente e nobilmente dall' autore delle Confessioni d’un metafisico. Vedremo a suo luogo se quando Vico propose quel criterio, non intendesse né punto né poco uscir da' termini della Intuizione, come allora pensavasi '1 Mamiani.* Il quale, ove oggi tornasse a parlarne, certo ne discorrerebbe in ben altri sensi e co' riguardi di buon platonico, più che di filosofo naturale seguace della filosofia del comun senso, al modo che con sì acceso entusiasmo prese a fare trentacinque anni addietro.* Del • Vedi Del Rinnovamento della FU. antica Itah, Parijri. 1 Difatto nelle Con/esnoni ROVERE designa il filosofo napoletano come il vero e ardito rinnovatore della teorica delle idee, ma non dice come, non dice perchè, e non giustifica in alcun luogo ed in vernn modo tale affermazione. Nò Teramente il poterà, stantechè rimanente il merito a cui egli può e dee pretendere panni questo. Primo d' ogni altro ei richiamò alla mente degl'italiani non pur la dottrina su l'anzidetto criterio, ma eziandio alcune teorie cosmologiche sparse nel libro De Antiquissima Itàlorum sapientia. Tale si è quella de' punti metafisici come generatori di solidi, in quanto ci significano una forza unica che in ciascun corpo meditiamo sotto la concezione d' un punto: tale queir altra su la continuità che questa forza infonde a tutte cose: * tale anco la idea del conato motore identico per tutto: tale il concetto della incomunicabilità del moto onde ogni particola materiale si può dir che possieda in proprio il principio motivo già ricevuto da tutto il subbietto, talché il moto sia da ritenere per al tutto spontaneo:' tale, finalmente, l'idea della impossibilità del vuoto assoluto, e 1' altra che il divisibile accusi r indivisibile, l' indefinito e l' immutabile in seno alle fenomeniche e divise realtà.' Ognun vede quanto ROVERE del Rinnovamento cogliesse giusto in queste idee cosmologiche di VICO. Dopo trenta e piii anni però egli è ritornato a parlarne, ma troppe cose nella nuova cosmologia scordandosi della vecchia. Ristringendoci infatti, per ora, al concetto istorico, se dell' antico maestro invocato sei lustri innanzi ei pur si rammenta, se ne rammenta sol per addolorarsi anch' egli che il Vico fosse stato l' autore della dottrina Corsi e ricorsi storici (malaugurata dottrina!) né sa darsi pace pensando come mai nella mente di quel sommo tal gravissimo errore fosse potuto capire. Al contrario oggi egli stima d'aver gettato le basi alla filosofia storica, mercè l' idea dell' finità organica del mondo isterico. Ma, diciamolo con buona pace dell'illustre U sua teorica neopIatoDìca delle idee sia diametralmente opposta a quella che, come redremo, scaturisce dall* insieme delle dottrine richiane. Dd Rinnovamento^ ec pai|^. 297. nomo, cotesto a noi sembra ed è un concetto assolutamente vìchiano. Per tre fattori, infatti, dice il Mamiani, il mondo de' popoli forma unità organica; e sono questi: 1* natura comune e perpetua negli uomini; 2 È una relazione * Vedi negli Atti dell’Accademia di Torino, celesta, tra Kant e Vico, della quale giova tejier conto; e abbiam voluto farlo citando le parole del valoroso BERTINI. CONTI, pensatore profondamente cattolico e altrettanto onesto e sincero nelle sue convinzioni, ha voluto consacrare intera una lezione alle dottrine del I nostro filosofo nel suo Specchio della storia generale della filosofia. Chi conosce i principi! filosofici dell' illustre ed elegante scrittore toscano saprà indovinar subito quale esposizione egli faccia di VICO, e sospettare in che senso ne interpreti le dottrine. Può dirsi eh' e' sia il rovescio degli hegeliani; perchè si studia di tirar tutto dalla sua parte l' A. della Scienza Nuova, segnalandolo naturalmente com' uno de' tanti anelli della sua filosofia perenne. Io non istarò qui a negare ne che il Vico sia cattolico, né che la critica del prof, pisano sia fatta male. Sarà anzi critica savia e coerente: ma è tutto Vico della prima maniera quello eh' ei ci dà, perocché niente vi sappia discemere che non si ritrovi più o men palesemente in Agostino, in AQUINO, in AOSTA, e simili. Però in VICO nulla ci é di nuovo, nel senso del filosofo samminiatese, salvo che il concetto d'una filosofia civile. Né potrebb' esser diversamente, ammessa la maniera con che suol procedere in tale esposizione critica appoggiandosi per lo pili in certe aflFermazioni generali e duttilissime del nostro filosofo, qual è, per esempio, questa: Dio, com'è U principio ddV essere, così è anche del conoscere. Quante mai conseguenze non si potrebbero far rampollare da cosifiatto principio ! Un giobertiano, per esempio, vi mostrerebbe com' ei si sgomitoli tutto nelle note formolo e cicli creativi e concreativi assoluti e relativi di cui al solito egli ha piena la bocca; dovechè un hegeliano non mancherebbe darvi pruova di tal destrezza, da sciorinarvi sotto gli occhi a fil di logica tutta la rete delle sue leggi dialettiche. In VICO c'è parecchie di cpsi fatte sentenze; né a CONTI poteva riuscir difficile tirarle alla sua filosofia comprensiva. Ma egli dice benissimo dove osserva che i prìncipii del Vico, anzi che condurre al panteismo, lo combattono; e in ciò noi conyeniamo pienamente. Or non sarebbe stato mestieri dimostrar come non vi condncano e conte lo possan combattere? Consentiamo altresì col dotto scrittore in tutte quelle saggio riflessioni eh' e' sa fare su l'indole comprensiva e storica del metodo vichiano. Ma non sapremmo concedergli che la dottrina dei corsi e ricorsi apparisca solo nella seconda Scienza Nuova. È quistione di fatto eh' ei potrà risolvere col ridar un' occhiata al sommario della 1* Scienza Nuova. Farà male anche a lui cotesta dibattuta e combattuta dottrina; ed è forse per questo ch'egli procaccia di trovar modo a scusarne l'autore: ma, più che scusarlo, avrebbe dovuto e potuto difenderlo. Crede anch' egli poi, erroneamente, come FERRARI, che VICO s'ispirasse alla teorica delle monadi di Leibnitz; ma contro il Ferrari mostra, e fa benissimo, quanto il Vico fosse lungi dal confonder la causalità con l' identità ideale. Finalmente osserviamo che i principii ond' il Vico resiste al Cartesianismo e che il Conti riduce a tre, sono da lui debitamente interpretati, meno T ultimo poco fa menzionato; che Dio, cioè, essendo principio dell' essere, è anche principio del conoscere. Accettando questa sentenza accetta anco l' altra tanto familiare al Vico, per cui la metafisica, la matematica e l'etica siano da Dio. Anche cotesta è afi'ermazione generale, onde nnlla può concluderai finché non si giùnga a mostrare come precisamente accada che quelle scienze rampollino da Dio. Per ciò medesimo accoglie e ripete quelr altro pensiero che il sommo della certezza risegga nella metafisica; contraddicendo cosi a ciò eh' egli stesso ana pagina innanzi aveva accettato da Vico: la certezza somma potersi l'aggiugnere unicamente con le matematiche. Bisogna pur confessare che con la sua critica il Conti ha lasciato il Vico dove appunto l' avean A. CoNTf, Storia della Filotofich Firenze condotto, per esempio, il Duni, Tlannelli, il Tommaseo, r Amari, il Rosmini e tutti gl'interpreti filosofi cattolici. E noi non sapremmo fargliene carico: con la sua maniera di filosofare non poteva far diversamente. Anche l'illustre Franchi, scettico ingegnoso, onestissimo, sincero, e critico furibondo, pare talora siasi data la pena di leggere qualche libro del Vico; e ne parla I in due luoghi neUe sue Letture sulla storia della filosofia moderna. È noto come il Vico più volte accenni a Bacone, nella Scienza Nuova, nel Libro Metafisico, nel^ r Orojsiotie sugli studi, e fin nelle sue Vindicue contro gli Atti degli eruditi di Lipsia. Lo rammenta sempre con parole amorose e riverenti, annoverandolo, com'è noto, fra' suoi maestri. Il valoroso Ausonio reputa esagerati cotesti elogi, massime, die' egli, quando si pensi a GALILEI. Non possiamo qui intrattenerci sul valore speculativo di Bacone: il divario e le somiglianze fra lui e il nostro GALILEI accennammo altrove.* Ma gli elogi del Vico al filosofo che primo ebbe coscienza della teoria sperimentale (dico della teoria) non dovrebbero parere esagerati a nessuno: Franchi anzi avrebbe dovuto chiamarsene contento, se avesse badato all'indirizzo storico e però sperimentale cui è tutta volta la Scienza Nuova. Né qui giova gran fatto invocar l'autorità di Cartesio, dicendo ch'ei fece appena menzione di Bacone; del Newton che noi nominò mai; del Locke che lo citò solo una volta, non come filosofo, bensì come storico. Questa anzi è una ragione di più per apprezzare gli elogi che ne fa VICO. Qual è il motivo principale onde r autore della Scienza Nuova encomia tanto spesso r autore del Nuovo Organo? Questo, parmi; l'esigenza in Bacone a dimostrar con esperimenti la verità già concepita, e quasi preveduta col pensiero.* La ragione dunque ond' al Vico piaceva Bacone, ci mostra com' egli sapesse intendere e pregiare la mente del filo[Vedi la nostra memorìa su GALILEI. Bologna. Vico, Vindìeke^ nve NoUb in Ada erudiUìrvm lAptitnna] sofo inglese. E dico intendere e pregiare, perciocché -egli non iscorgeva nel Nìmvo Organo quel rachitico sperimentalismo che ci san vedere i positivisti, e per cui solamente e con tanto calore costoro invocano a maestro il conte di Sant'Alban. Di che proviene poi un'altra riflessione ; ed è che dalla citazione di VICO testé riferita è manifesto, come gli sperimenti non sieno la sorgiva, bensì la riproduzione, la conferma di ciò che in qualche ' maniera si è innanzi concepito; e per cui i diritti dello spiritò restano salvi di fronte a qualsiasi forma d'empirismo. D'altra parte, poiché senza sperimenti ciò che s'è speculato riesce al tutto sterile e vuoto, ne segue che non senza buone ragioni nella Scienza Nuova il metodo di iilosofare del Nuovo Organo è detto essere il metodo più accertato. Avea dunque torto il Vico nel profondere •encomii al Gran Cancelliere? Esagerazione é il dire, nell' Autobiografia, essere stata grande fortuna per lui aver avuto notizia del libro del Signor di Verolamio? Ma e' é di pili. Il Franchi reputa Bacone padre di quella storia che l' autore del nuovo Organo disse letteraria, e senza cui la storia del mondo pare vagli come la statua* di PoUfemo priva dell' occhio. Or come va che l' acutissimo critico non s' è accorto esser la Scienza Nuova precisamente cotest' occhio dato dal Vico al Polifemo di Bacone? E non é ella cotesta un'altra relazione fra' due filosofi? E non è in questa relazione appunto il motivo degli encomii esagerati? FRANCHI parla di VICO anche a proposito del Cogito di Cartesio. È noto come l' autore della Scieìiea Nuova, ragionando di questo criterio, facesse menzione altresì del detto di Sosia: quum cogito, equidem certe idem sum qui semper fui. Ne parla €ome fatto inconcusso inverso a cui le lance dello Scetticismo, per acutissime che paiano, rimangono spuntate appunto perchè il dubbio, essendo anche pensiero e quindi importando identità personale, racchiude certezza. Il Franchi domanda (e nel domandare, dà segno di stupire in che maniei'a la penna d'un Vico abbia potuto scrivere tali enormezzel): che cosa mai ci ha che vedere il motto volgare di Plauto col principio filosofico di Cartesio? Ma, buonissimo e valoroso Ausonio, trattasi per T appunto di questo I La posizione Cartesiana è ella davvero un principio, o no? È egli un vero, o non piuttosto un certo? Tra i filosofi vi è anche MAZZARELLA, che in quest' nltim' anni ha parlato di Vico nella sua Storia della Critica, e ne ha considerato l'ingegno critico in relazione alla critica anteriore e posteriore all'autore della Scienza Nuova. Con la solita chiarezza e semplicità e dirittura di pensiero egli ha saputo mostrar che cosa rappresenti il filosofo di Napoli nella Storia della Critica: !• il disprezzo della critica meramente erudita: 2 zioni poco fa rammentato, niun altro fra noi ha parlato del Diritto Univermle tranne roi:rregio prof. Luchini nella sua Critica della penalità^ condotta secondo i principii del filosofo napoletano. Egli ha messo a riscontro ia dottrina del Nostro con le teoriche di Kant, del Bentham, di ROMAGNOSI, di ROSSI e della Scuola toscana, e se ne dichiara seguace. Vedremo nella «Socto^ofTtd s'egli siasi apposto nello mterpretar la teorica della penalità dell* autore del Diritto Univtrtale, anteriori. Di fatto, porre a fondamento della società un doppio bisogno materiale e morale, eh' è dire l'istinto al bene essenzialmente morale e all'utile tolto nel significato di equo-buono; dimostrar Funo anteriore logicamente all’altro e questo mostrar co' fatti anteriore a quello per sola ragion cronologica; trame quindi il principio giuridico ed etico d' una doppia società (soci^as veri e sodetas (squi-boni); far consistere la natura d'entrambe in uno scambio di beni materiali e morali fra gì' individui; porre il concetto di giustizia come proporzione onde questi beni vonn' esser distribuiti, ri che quand' anco non esistesse un bene di genere morale ma solo beni materiali ci avrebbe a essere ciò nullamanco una misura secondo la quale siffatti beni devano andar ripartiti, e quindi la necessità del medesimo concetto di giustizia anche nelle attinenze puramente materiali fra gli uomini: presentare siffattamente la scienza del diritto, dice il Franck, vuol dire creare addirittiu*a la filo ' sofia delie relimoni civili e sociali, la benintesa Sociologia. Due sono perciò le regole fondamentali dell'umana condotta che scaturiscono da'principii di VICO: operare di buona fede rispettando la verità in tutto, ed esser utile ai propri simili. ("onvien confessare, diciamolo di passata, che ove il Franck avesse tenuto conto principalmente di questi criterii, non avrebbe speso molte parole a biasimare il Vico a proposito dell'esagerato concetto che questi ebbe intorno alla carità, la quale talora, com'è noto, egli confonde con la giustizia. Altro pregio insigne di questo scrittore è l'aver saputo cogliere i veri principii del Diritto punitivo del ' nostro filosofo, mostrando com' egli, col tener d' occhio nella sua dottrina non pure il colpevole ma anche i diritti e gì' interessi della società, compia nel medesimo tempo le due opposte teoriche penali; quella, cioè, dei sistematici platoneggianti che nel comminar la pena mirano soltanto all' ammenda del colpevole, e l' altra degli ntilitarii e positivisti che della parte morale non ^ sanno tener conto, ne punto, ne poco. Ma sopra tale argomento ci rifaremo altrove di proposito. Seguitando intanto, parmi che il pregio massimo della crìtica di questo scrittore stia nel modo col quale considera i principiì delia politica; prìncipii che, quantunque nello stato di germe, possiamo rintracciare nel Diritto Umversale. La politica del Vico, egli osserva giustamente, è tutta fondata sul Diritto, ma in armonia con la storia. Sentenza verissima e feconda, che Franck avrebbe dovuto rifletter meglio dove censura il Nostro per alcune applicazioni eh' ei venne facendo alla storia. Laddove il Vico, egli dice, s' accinge ad applicare il metodo allo studio del Diritto, urta evidentemente ad un doppio scoglio; da una parte, quand' egli chiede soccorso alla sola ragione, risica di confondere e spesso confonde il dominio della giurisprudenza con quello della metafisica; dall'altra poi, quando chiede aiuto alla storia, altro non fa che aggirarsi in mezzo alle istituzioni e ai destini del popolo romano, quasiché la storia di questo popolo fosse la storia universale. In altre parole il Franck dice così: VICO da una parte, svapora nell'a priorismo e dà nelle astrazioni; mentre poi dall' altra intoppa nell' empirismo. Il Franck dice benissimo. Nel filosofo napoletano questa doppia tendenza è manifesta. Ma anziché difetto cotesto, perché non dirlo pregio? Non é egli stesso, infatti, che non rifinisce d'incelare il metodo vichiano appunto perché consiste nel connubio della filosofia con la filologia, della metafisica con la giurisprudenza, della ragione con l'autorità? Or l'esigenza d'un doppio organo, d' un doppio strumento nel metodo, non é la condizione legittima, e propriamente la parte vitale d' una dottrina, doveché gli errori d' appUcazione hanno valore Affatto secondario? Il non aver poi riflettuto a questo ha fatto sì che il Franck giugnesse ad una conseguenza non vera, dicendo che il Montesquieu, quant'al metodo, vinca e superi il filosofo italiano. Paragoni, somiglianze, analogie, riscontri fra questi due scrittori non sono possibili. Montesquieu non ebbe neanche sentore àeV n metodo vichiano; ed ecco perchè l'opera su lo Spirito ddle leggi non è una filosofia della storia, non è la Scienza Nuova, né quindi credo che lo scrittore francese siasi ispirato né punto né poco neir italiano, come inchinerebbero a supporre Lerminier, Carraignani, Amari ed altri. Il senso delle storicità, come primo fra tutti osserva FERRARI, manca affatto nel Montesquieu; e manca in lui, come tutti oggimai ritengono, il compimento razionale filosofico; vi mancano insomma i principii, 0, per dir la parola che usano gli stessi Francesi a tal proposito, vi manca il carattere détta raziofialità. ^j L' ultimo libro nel quale si parli cou serietà scientifica del nostro filosofo, è quello di Ferron, ingegnoso e abilissimo filosofo. Nessun francese meglio dì 1 lui ha saputo cogliere il significato razionale della Scienza I Nuova, comprenderne il metodo isterico, e pome l'autora in quel seggio che gli spetta fra i pensatori dell' evo moderno. Tracciata la storia dell'idea del progresso,^' egli entra a discorrer su la scienza de' fatti storici qual' era concepita prima di VICO, sul DIRITTO ROMANO rispetto alle dottrine di lui, su la Scienza Nuova di fronte alla critica moderna, e con erudizione eletta, acconcia, sobria e non affollata, prende a trattare la ' Il Canuignani dice benissimo dove affernia che il metodo del Mon ) tesqaien rassomiglia al microscopio, in mentre che quello del Vico rende imagine del telescopio. (Storia della FU, del Diritto) Che poi il difetto di razionalità costituisca la parte debole deiropora del filosofa francese, è cosa ormai detta e ridetta e provata fino dal secolo passato, e confermata sempreppifi dai moderni. Non potendo trattenerci in questi particolari, rimandiamo i lettori al giudizio che in proposito danno i seguenti scrittori, e che torna conforme al nostro espresso poco fa: Duxi, Saggio mila Giuritpr. univ., FlLAKOlRRI, Se. della Legialaz.^ lotrod. MaCKINTOSH, Vige, nur Vétude du Droit de la nature, ec. RoTTBSKAg, Emil, Fra i moderni poi cons. Lebminirr, Biat,^ ginér, Barkt, Hiwf. dea idéen morale» et politiquea en France Jakrt, Hiat. ec. yol. II, pag. 516. DaFAO,^; De la méth. d*olaervation aux aciencea mor. et poi.,. Qneit* ultimo anzi dice mancare affatto nel Montesquìon una teorica. quistione su Tetà dell'oro, e l'altra su T orìgine e sul valore de' poemi omerici. Il buon senso di Ferron nel saper rilevare in siffatte quistioni il merito del nostro filosofo a me sembra davvero mirabile. Con dirittura di giudicio intende la relazione fra il diritto civile e '1 diritto filosofico; e con tal chiave nelle mani riesce ad interpretar debitamente la storia ideale che l' autore della Scienza Nuova seppe cogliere nello svolgimento del gius romano. Uno per lui è il sistema del Vico; onde le due Scienze Nuove non sono da riguardarsi altrimenti che come detix rédadions éCun ménte sujet: al che dovrebbe por mente il nostro Cantoni. Ritiene egli pure che lo Champollion non discoprisse, bensì confermasse pienamente la dottrina del Vico su la storia della scrittura, tale essendo infatti la triplice scrittura egiziana geroglifica, jeratica e demotica. Dimostra ch'egli prima d'ogn' altri ritrovò e compose in armonia parecchie dottrine accettate oggi e rassodate difinitivamente dalla scienza, quali sono, per citarne qualcuna, la formazione del dramma satirico riguardato come sorgente d'ogni poesia drammatica, l'anteriorità del linguaggio poetico al linguaggio prosaico, e simili. Da ultimo fa rilevare come, non contento d' avere scoperto la legge secondo cui si vanno svolgendo nel corso isterico le grandi civiltà nonché le forme semplici del reggimento politico, profondasse la mente nel ricercare e determinare il carattere d' un' epoca anteriore alla città ed alle aristocrazie feudali, epoca che costituisce appunto l'età divina. La quale osservazione, fatta da un francese, dovrebbero oggimai spassionatamente meditare i positivisti francesi che non rifiniscon di celebrare la scopei'ta della legge sociologica del loro maestro! Ma nel De Ferron incontriamo riflessioni che non ci è venuto fatto ritrovare in verun critico. Base della città, die' egli, fondamento del formarsi delle nazioni per r A. della Scienza Nuova non è Y istinto della sociabilità, come credevano i giusnatnralisti suoi contemporanei. Se tale istinto può aver creato la iaiiiiglia e le tribiì, non però basta a fondar la città, non riesce a condurre un popolo ad una data costituzione politica. È necessaria dunque una l'orza estrinseca, senza cui r uomo rimarrebbesi nello stato pastorale. Ora cotal forza estrinseca e tutta naturale consiste nel fatto del successivo migrare delle tribù da alcuni centri; nel loro successivo aggrupparsi in dati luoghi; nel fissare lor sedi, ond' è resa possibile l'agricùltura; e finalmente) nel fatto delle conquiste, le quali hanno virtù di creare e rendere sempre più stabili e quasi organiche le nazioni sedentarie. Tutto questo, dice benissimo il De Ferron, scaturisce a fil di logica dalle dottrine del Vico. Diciamolo ora con parole nostre: l’organismo sociale, la società, è da natura; è nella natura: l'organisiifo dello Stato, in vece, è sottoposto a processo; questo processo tiene ad arte; ma quest' arte è fondata aqch'ella in natura. La relazione storica, dunque, ecco il concetto del Vico che il De Ferron ha interpretato a meraviglia., Altra osservazione assai notevole parmi questa. Non v'è stato né v' è, die' egli, chi i;on abbia celebrato il filosofo di Napoli qual padre della filosofia della storia; mais on se garde d'exposer sa méthode historique, aristoteliemie, i cui principii son oggi venuti applicando, in diverse ricerche storiche Macaulay, Michelet, Guizot.' Con queste parole il De Ferron mostra d' aver pienamente compreso il metodo della Scienza Nuova; metodo essenzialmente aristotelico, checché ne abbian' detto e si piaccian dire certi hegeliani. Ed ecco perché egli s' allontana da parecchi altri critici nell* apprezzare il concetto vichiano sul progresso; rispetto al quale consente con Y anonimo traduttore francese, col Tommaseo, con lo Spaventa e con altri, per citare qui ' È uno de' principii su' quali è fondata la Sociologia del Comte e ch'eglif spesso appella contenBo, cospirazione {Coum de PhiU posity voi. V). Sarà anche questa una scoperta del Positivista francese? Db Ferron, tre nomi che, quantunque discordanti nel resto, convengono ciò nondimanco nel credere che in Vico esista r idea del progresso. E a chi neghi o dubiti che cotesto concetto ritrovasi nella Scienza Nuova, il De Ferron è pronto a rispondere: cela parati impassible a PRIORI, car le progrès décovUe de son sy stèrne; mais en otUre U le prodame formellemeYU} Si dirà che il Vico non vide 1' elemento, la molla principalissima delprogresso, cioè la trasformazione dei rapporti econo spirito. Uno de' suoi pregi, come s' è detto, è la posizione del pensiero qual inizio di scienza indipendente da ogni qualunque autorità: ma di ciò, com' è noto, Cartesio non può vantarsi d' essere stato primo divulgatore e sostenitore nel regno della scienza.' Vero pregio, pregio massimo dell'autore delle Meditazioni sta neir aver considerato come originaria virtù dell'anima l'attività stessa del pensiero; aver posto r anima come il pensiero stesso, e però come soggetto e obbietto.' Senonchè il pensiero per lui non era altro che rappresentazione, e, come tale, unione a dir cosi meccanica, incosciente, immediata di due oppositi elementi, dell'universale e del particolare, dell'infinito e del finito. Come dunque potev' egli riuscire al vei'o organamento del sapere filosofico, posto un fatto empirico, Dt$c et le Cartinanimne, Introd. Franchi, St. detta FiL mod., Tol. 1, letlnrs Jaitbt, (Euw, phiL de LeibnitZj ToL I., Introd. TrnmtiiAinf, Su ddla FU. La riforma cartesiana, cosa arvertita presso che da tutti gli storiografi, non giunse nuova fra noi, tanto clie la si riguardi come rinnoramento filosofico, quanto che come reazione scolastica. ATevamo avnto già PETRARCA, poi VINCI, la scuola Telesiana – TELESIO (si veda), poi la scuola Galileiana – GALILEI (si veda). (Vedi Libri, HUt. de» •eienc, math., ~ PncoiiroTTi, Sl della Med,^ voi. ult.) Potremmo dire altresì che TAconzio, come osserva giustamente il Franck [Diet, de» »eiene. phiL) fosse stato in ITALIA il devander \ del metodo cartesiano. Avevamo avuto anche BRUNO; e segnatamente CAMPANELLA, le cui opere non dovettero esser del tutto ignote a Cartesio, come nota il Bitter {Hi»t. de la phU. mod.). Ma anche qui, al solito, s* inciampica neir esagerazione quando si vuol risalire fino a sant'Agostino a ripescar 1* antecedente del pronunziato Cartesiano ! Nò io mi ci vo' opporre, sapendo che in quel Santo Padre e' è pur troppo r esigenza cartesiana (Vedi per es.: De Lib. Arò., e specialmente De Civii. Dei). Ma il valore della posizione è tanto diversa ne* due filosofi, quanto diversi i tempi in ch*ei vissero, trattandosi ben più che di certezza d'esistenza. Il Cousin poi, com'è noto, va fino al No»ee te ipeum di Socrate ! Contentiamoci di questo, che non è poeo: un eclettico ne potrebbe far di peggio. • DiBOARTBS, Médit., Lettre», U II, U». Obi. répotue», I, 4. posta una dualità empìrica? E in che maniera spiegare nel pensiero l'unione del finito con l'infinito? Ma che davvero l' idea di Dio sia innata e a priori nella nostra mente com' egli stesso afferma, * al modo eh' è innata, non nata, cmmcUa l' idea di noi medesimi (ciò eh' è proprio la novità di Cartesio) è ancor cosa da dimostrare. È ella possibile nel nostro pensiero l'idea dell'infinito veramente detto? L'essere adegua il conoscere, dicono certi interpreti hegeliani; e poiché nel conoscere v'è r infinito, il pensiero è dunque infinito: ecco la novità vera di Cartesio, su la quale s' imbasa propriamente la filosofia moderna. Ma il pensiero è egli propriamente l'essere, come si vorrebbe darci ad intendere? Non potrebbe stare che cotesta fosse un'affermazione arbitraria di Cartesio, fatta legittima, più che altro, dal desiderio, nonché dall' artifiziosa interpretazione che gli hegeliani porgono all'entimema cartesiano? Diranno non ci essere artifizio di sorta in questa loro interpretazione. Ma non è forse egli stesso, Cartesio, il quale a chiare note ci dice in che senso parli d'innatismo, afiermando, la natura stessa averci fornito d'una facoltà mercé cui produceìido queUPidea possiamo conoscere Dio?* Checché ne sia, era d'uopo rivedere, chiarire e correggere in gran parte la posizione cartesiana del pensiero. Questo quant' al Descartes, come iniziatore del novello indirizzo. Quanto poi agli esplicatori del Cartesianismo, in generale, era d' uopo restituire alla scienza'' il concetto delle cause finali invocando segnatamente lo studio della storia; porre l'assoluto come obbietto • Descartes, Médit. 8«. Vedi nella Troinhn. oljection9f Z" Rép,: e nella Rép. à M. Begiut. Non ignoro che nella Meditaz. 3^ e 5" egli dice apei-tamente, Tidea di Dio essere innata in quanto ci ^ imprenta da lui medesimo. E qoi è chiara la contraddizione tra ciò eh* egli afferma in queste Meditazioni, e le illustrazioni ch’egli stesso ne dà nelle Risp. alle obbiezioni poco fa indicate. Bisogna dunque levarla di mezzo tale contraddizione; è fuori dubbio. Ma perchè pretendere di leTarla con T identificare Dio e pensiero, facendo contro cosi a tutte lo esigenze della metafisica cartesiana ? anziché come principio di ricerca; accomunare in un subbietto dinamico universale tanto la costituzione del mondo fisico, quanto quella del mondo morale; e quindi statuir le norme d'un metodo non geometrico, non puramente psicologico, né assolutamente a priori nella, costruttura della Scienza Prima. Questo per V appunto presero a fare il Leibnitz in Germania e, poco appresso, VICO IN ITALIA. Non vorrei che i lettori stimassero inconcludente il ravvicinamento di questi due nomi, e inutile e vuoto un riscontro delle loro dottrine. Non è cotesto, intendiamoci, uno de' soliti riscontri onde rigurgitano certi libri odierni appo cui non di rado si dà per concreta, storica, reale un'attinenza meramente logica, o ideale che sia. Il riscontro tra il filosofo di Napoli e il filosofo di Lipsia è tutto ideale; ma la ragione di esso pone radice, meglio che in qualche riposta e fatai legge dialettica, in queste due ragioni principalmente: !• nella forma e natura stessa di lor mente: 2* nelle condizioni della filosofia del secolo XVII. E innanzi tratto ricordo anche qui, non esser possibile dimostrare che il filosofo italiano siasi ispirato nel filosofo ) di Lipsia ormeggiandone metodi e dottrine, com' altri hann' affermato.' Nullamanco l'affinità fra alcune dot[Vico ha coscienza della propria posizione specalativa, e scientemente opponevasi alP esagerazioni ed errori cui ruppero le diverse direzioni e scuole nate dair indirizzo cartesiano. £gli conobbe lo opere di Spino}^, di Locke, di Malebranche, e Tisi oppose. Quant'a Spinoza, cfr. Op. voi. QnanV a Locke, Quant'al Malebranche, INon è dunque niente vero ciò che è stato affermato da un hegeliano che il Vico, posto eh* abbia speculato, speculasse incosciamente e senz" alcuna relazione alla storia della scienza. * In tutte le suo scritture ne rammenta il nome appena appena due volte a proposito, non già di qualche dottrina filosofica, ma delle controversie fra Newton e Ldbuìtz. Una di queste citazioni è nella seconda Sa meth,, ec, Leibnitz, Meth, nova ditte, dpcend. juritpr,, P. II, § 29. Amendne si presentano al pubblico con questioni di metodo; ricerca degl* ingegni veramente grandi, anziché da filosofi pedanti e scolastici, come si crede. ' Nella Ragion degli Hudi v' ha i criteri per lo studio della ginrisprndenza. * Vedi quant' al Leibnitz Mimoire» de VAeadfmie de Berlin^ voi. I,art. 1. ' Leibnitz, Xouv. Et», . il sustrato della Scienza Nuova, si che vede svolgersi cotale idea anche attraverso gli antichi poemi. Quant' alla fisica poi, alla res extensa di Cartesio, agli atomi fisici del Gassendi, contrappongon gli (domi di sostanza, gli atomi metafisici,^ i punti, i momenti metafisici e lo sforzo impedito nell'essenza stessa dell'universo.' Per questa medesima ragione entrambi parlano linguaggio somigliante circa la natura delle matemati-i che. Di fatti contro Cartesiani e Hobbesiani Leibnitz mostra la inefficacia di siffatte scienze nelle indagini propriamente filosofiche, e al di là del calcolo aritmetico e geometrico crede esserci luogo ad un altro e più rilevante calcolo che tiene all' analisi delle idee; stantechè nella sostanza, die' egli, ci abbia sempre qualcosa d' infinito.' La medesima insufficienza del metodo geometrico scorge anche il Vico in più luoghi delle sue scritture; e lo reputa difficile, anzi impossibile alla mente del metafisico.^ Col che essi anticipano alcune idee di Kant in proposito. * Lbibnits!, %ff. noìit;. etc, Vico, Risp. 1« al GiomaU de' Letterati, L* affinità de*dne filosofi, come si vede, è mirabile anche nel linguaggio: punti metaJUici, conato («VTf^i'X^'av) tramezzante la potenza e Tatto (Lbibkitz, Op.), 0, come direbbe il Vico, la Quiete e il Moto; per cai la matteria, anziché passiva, ò per entrambi una forza viva. Anche i punti matematici per entrambi non sono che simboli de* metajitici; e i punti jieiei per tutt'e due riescono indivisibili, ma solo in apparenza. La ragione poi ond*essì adoperano la parola punto è la idedesima; ed è, che il punto racchiude infinito numero di relazioni. Finalmente si potrebbe dir propria anche del Vico la nota sentenza del Leibnitz: eonatue e*t ad motum, ut punctum ad epatium; e pel Vico vedi nelle Risposte al Oior. de* Lett.). In omnibu» èubetantiis aliquid eet infiniti; unde fit ut a nobie per/ecte intelligi potint sciite notionee incompUtfr, qualee eunt numeromm, figurarumj aliorumque hujuemodi modorum a rebus animo abstractorum. Lkibxitz, Op., Vedi neW Autobiografia, AìtroY e dice che la matematica è la più certa di tutte le scienze, perchè prova per cause [De Antiq, Ital.), ma il metodo di essa riesce esiziale, sterile e pericoloso quando si voglia adoperare nelle altre discipline (Risp, a Gaeta), disastroso poi nella fisica, neir educazione degT ingegni (/&»', passim), utile solamente neir ordinare anziché nello scoprire (De Antiq., Ital. Entrambi poi riconoscono in Dio le stesse primalità: potenza, volontà, intelligenza;* e se nell'uno troviamo il principio che Dio creando non possa produrre altro che il migliore e il più perfetto de' mondi, in Vico tale dottrina si lascia argomentare, come vedremo, dall' insieme delle sue dottrine. Quant' alla storia, V un d' essi riconosce un progredire continuo nel tutto, e la possibilità del regresso nelle parti;' dovechè l'altro, meglio determinando e dimostrando cotal concetto, pone la dottrina dé*c(/rsi e ricorsi storici, in cui sono racchiuse le idee di progresso e regresso, governati da una medesima legge. Che se è stato detto esser d'uopo risalire, meglio che al celebre Discorso del Bossuet, alla metafisica del Leibnitz per ritrovare un concetto spe! culativo che fosse come il vero antecedente della filosofia della storia, s'è detto giusto; atteso che veramente il filosofo di Lipsia, col sommettere al principio della ragion sufficiente l' ordine delle cose fisiche e morali, dischiuse la via alla dottrina del Determinismo universale, perocché tutto per lui si annodi nel mondo, tutto si corrisponda, tutto armonizzi. In Vico veggiamo questa medesima esigenza; ma nello stesso tempo ne troviamo la correzione. Perciocché se anche per lui il passato è gravido del presente, al modo stesso che il presente partorisce il futuro; non tutto però nel mondo delle nazioni é avvinto a leggi fatali e cieche, perché nel regno dello spirito vi è agli occhi suoi la ragione, v' è pur la libertà, sicché tutto il processo isterico per l'Autore della Scienza Nuova non é altro, in sostanza, j che la soluzione del problema della libertà, sia che tu la consideri negl' individui, sia che negli Stati. Dinanzi alla mente d'entrambi, dunque, risplende chiara la legge della continuità nel giro de' fatti umani e storici. Né si creda che l' affinità fra ^ i due filosofi non si Lribnitz, MonaU., Op., ediz. Erd., Vico» De Univ. Jur, Idem, Theod., 8. * Idoin, eod., 8. lasci scorgere altresì nelle contraddizioni e non di rado anche nelle strettoie fra cui gi resta impigliata la coscienza religiosa. Ei cominciano a scrivere innanzi d'aver fissato, determinato e organato le proprie idee; di modo che, se l' uno fin quasi ai quarant' anni, fino alla comparsa delle Meditazioni,* va fluttuando non libero da incongruenze, l’altro va tentennando fino alla terza edizione della Scienza Nuova. Onde non è a meravigliare se tutt' e due si contraddicano quant' al concetto di creazione; perchè, se V uno ponendo la moltiplicità delle monadi come primitiva ed esistente per necessità metafisica, dice nullamanco esser Dio quegli che sceglie r ottimo fra i mondi, e immagina delle monadi create par des fidgurcUiotis continudles dalla divinità; l'altro poi, stabihto il criterio della conversione in senso metafisico, non dubita parlarci del miracolo della creazione, e dell'annullamento del mondo! Quanto aiprincipii, in generale, si palesano entrambi eclettici; ma è d' uopo intenderci nell' applicar loro cotesto nome. Sono eclettici appunto nel significato e nel valore che lo stesso Leibnitz dav' a tal voce; nel qual valore ci confermerebbero molte sentenze del Vico. Sono eclettici, io dico, non perchè raccolgano in un tutto ciò che si presenta come vero squadernato ne' differenti sistemi, eh' è precisamente il fiacco e volgare eclettismo sfornito d' ogni originalità; ma sì perchè, aggiugnendo anch'essi qualche altra cosa di proprio, riescono a comunicare novello impulso a tutti gli ordini delle scienze. Rispetto alle fonti del conoscere, o fondamenti del sapere, alla doppia sorgente vichiana del vero e del certo risponde ' Meditationea de cognitionet veritate et ideiti f 1684. Lribnitz, Monad,f Vedi questa sentenza del Leibnitz nelle Lettre* à Rémond de Montmort, edlz. Erd., e ne* Nouv, £»»., Hb. I. Nel Vico poi troviamo molte affermazioni del tenore seguente: Chi ai trae fuori da questi prineipii, guardi clC ei non traggati fuori deìV umanità, E eh* egli poi sia eolettico in questo senso, anziché nel significato voluto dal Cousin, dal ristica e popolare col suo concetto della monade. (La FU. di Oiohertif ) Più chiaro e più accoucio di tutti sembraci il modo col quale il Chalibosus pone relazione fra' successori di Leibnitz. Kant, egli osserva, col concetto della cosa in s?, col noumeno, nega Leibnitz; la scuola di Jacobi con r ide& d* un contenuto razionale accessibile solo al sentimento, s' oppone all'idealismo critico di Kant, e nel medesimo tempo all'idealismo subiettivo di Fichte; mentre la scuola di Herbart col realismo delle monadi e col realismo psicologico, si oppone all'idealismo obbiettivo e assoluto di Schelling e di HegeL (Willm) Questi due gruppi rappresentano un doppio svolgimento del pari esclusivo del concetto moMen fortunato del Leibnitz il Vico non ispiegò grand' efficacia in Italia, nettampoco in Europa, per le ragioni ormai dette e ridette da' suoi critici ed espositori. Ma anche in questo gioverebbe guardarci dal cadere in esagerazioni. Posta la storia della Scienza Nuova da noi tracciata, nessuno, crediamo, vorrà più oltre dubitare che l'azione del filosofo italiano fosse stata nulla, così ne' suoi contemporanei, come ne' suoi seguaci. Legami intimi, vincoli speculativi necessari, storici, nou vi sono; e quindi è inutile cercarvi continuità e processo veramente detto. GENOVESI e GALLUPPI, per dire un esempio, tuttoché non ignorassero, in ispecie il primo, le opere di lui, scrissero non pertanto come s' egli non fosse esistito al mondo mai. Verso il sesto lustro del presente secolo, in quella che co' seguaci di Hegel comincia a declinare il moto filosofico originale di Germania, e in Francia come in Inghilterra odonsi i primi rumori del Positivismo, vedemmo come anche fra noi si cominciasse a sentir più acuto il bisogno al filosofare. E cosi il Mamiani (il Mamiani del Rinnovamento), e quasi nel medesimo anno il Rosmini, si provano a rannodar gli anelli della nostra tradizione filosofica, ma con efficacia assai lieve. E dico lieve, perchè, quantunque ella ingagliardisse vie più col crescer degU anni e col succedersi de' nostri filosofi, non pertanto pretendere di stabilire in essa tradizione un vero processo ed una continuità logicamente progressiva, a me sembra vana impresa e, fino a certo punto, anche infruttuosa. Giova ripeterlo: a voler rintracciare alcun filo di cotesta tradizione in maniera positiva, ciò è dire storica, né soltanto ideale, io per me non iscorgo altra via tranne quella che noi abbiamo, anziché percorsa, additata; intendo la via che dal Vico ci mena ai nostri ultimi filosofi, ma per mezzo de' giusnatuoadologico; ma vi ò certamente un progresso fra 1 rappresentanti del primo e qaelli del secondo. Vedi per le notizie particolari di questo periodo fllotollco tedesco il Barohoc dr Ponhoem, Hìh, de la Phil. depuU UibnitK juMqu'à Hegel. BuuLE, Hi9t. de la PhU,, voi. Vili. ralisti, de'sociologisti, de'critici e degli storici attraverso i tre differenti periodi già discorsi. Altre vie ci saranno, io lo so; ma tutte artifiziali, tutte pericolose, tutte vuote 0 rigonfie de' soliti riscontri ideali che agli occhi dello storico e del critico positivo valgono fin' a certo segno. Con la qual cosa non è a credere che noi pretendiamo dare alla filosofia italiana caratteri e prerogative eh' ella non ha, né può avere di fronte a quella di Grermania. Il professore Spaventa osserva, che la filosofia italiana non costituisce processo, né assomiglia, per così dire, ad un filo che si sgomitoli necessariamente e razionalmente, com' é quello che in organismo vivente e palpitante annoda l' Idealismo critico con l' Idealismo assoluto, mercé l'Idealismo subbiettivo di Fickte e l'Idealismo obbiettivo di Schelling: non é, in somma, unevolturìone strettamente logica, un dispiegamento serrato, compatto, e come chi dicesse inquadrato e chiuso tutto in sé medesimo com' una severa dimostrazione geometrica. Il professore di Napoli dice benissimo. Questo oggi dicon tutti; e questo medesimo ripetiamo anche noi. Solamente chiederemmo: non potrebbe stare che cotesto filar compatto e processuale; che coteste filiamoni seriali, com' ha detto lo Spencer ai Positivisti francesi; che, in somma, coteste annodature organiche, considerate (già s'intende) nell'ordine istorico, fossero per avventura altrettante immaginazioni del nostro cervello, meglio che relazioni di fatto a cui ci spinga la ragione, meglio che attinen/ie concrete in cui ci confermi la storia? Annodamenti, giunture, articolazioni intime formano di certo il pregio massimo della Scienza; costituiscono r essenzial condizione del sistema; sono la vita della ragione, avvisata come funzione filosofica e metafisica. Ma si vorrà dire che tutto ciò sia anche pregio e condizione vitale ove dall'ordine astratto e teoretico e individuale si discenda in quello delle applicazioni e della storia, per esempio ad un periodo storico nel quale ci sia dato assistere all'opera svariata di molti ingegni, al lavoro molteplice di più menti fra loro diverse per infinito numero di condizioni, condizioni differenti per luogo, tempo, educazione, carattere individuale, e civiltà? È egli pregio, di grazia, o non più veramente difetto il prendere un dirizzone e andare sino in fondo diritto come fil di spada? E dov'è, dunque, la necessaria moltiplicità di direzioni, e quella ricchezza d'aspetti differenti, e quella varietà di vedute e di metodi e dottrine in cui risiede, a dir proprio, il moto e l' essere e la vita feconda della storia? I quattro filosofi di Germania costituiscono, come dire, una mente sola, un sol pensiero; formano quasi un sol uomo che svolga e determini la propria attività: e, in effetti, come un sol uomo essi hanno saputo filar sillogismi e tesser la scienza cosi da comporre, sto per dire, una catena salda e compatta di soli quattro anelli.* Per contrario la filosofia italiana non ci pone sott' occhio nulla di simile. Ella non è un processo, o al più è un processo distratto, rotto, saltellante, fatt'a pezzi e a bocconi, Qual relazione mai tra VICO e GALLUPPI? tra GALLUPPI, SERBATI e GIOBERTI? tra GIOBERTI e lo scettico Fer? fra Ausonio critico radicalissimo, e il cattohcissimo Conti? fra il neoplatonico ROVERE e il severo storico BERTINI ? fra' nostri Hegeliani e i nostri redivivi Tomisti? Riconosciamo francamente i pregi del periodo filosofico germanico; e non meno francamente riconosciamo i difetti della nostra moderna filosofia considerata sotto r aspetto storico. Ma ci si permetta una confessione, ed è che noi saremmo tentati a scegliere più presto questi difetti, anziché que'pregi; per la semplice ragione accennata poco fa, che gli uni, nella mancanza d'unità e d'un'euritimia stecchita e geometrica, ci presentano il fecondo moto * Ecco come il Remnsat riduce quasi a forma geometrica V andamento progressivo del pensiero germanico, o meglio, de* quattro filosofi in discorso: L* idea^ dice Kant, non prova che «d «fe««a: l’idea^ ripigìiè Firkte^ produce Veuere: Videa, soggiunte Schelling^ riproduce V e«itcrc: V idf^, eondwe Hegel,, > Vetsere. (De la Phil. ÀUem,) del fatto istorico, dovecchè gli altri, nell' evoluzione serrata e compassata di loro speculazioni, ci traggono e e' incatenano allo spirito dommatico, esclusivo, unilaterale del filosofare, e perciò medesimo racchiudon la morte del pensiero appunto perchè presumon di chiudere il circolo dello stesso pensiero. Non dimentichino gli amatori de' periodi storici filati e serrati, come la storia della scienza e delle grandi età, presso cui rifulse più splendido il pensiero filosofico, stia tutta contro di loro. Si rammentino che nell' età gloriosa del Rinascimento in Italia cotesto filar sottile di speculazione, cotesto fitto annodarsi di più scuole e stringersi e allacciarsi di più filosofi impersonandosi quasi in un sol filosofo, non ebbe luogo. Non ebbe luogo, checché se ne dica, nel più celebrato periodo che ci presenti la storia del pensiero umano, il periodo della filosofia greca, né prima né dopo Socrate; ma in esso il critico vede una moltiplicità sempre più crescente e feconda da' primi Ionici agli ultimi Stoici, agli ultimi Scettici, agU ultimi Neoplatonici, tuttoché quelle scuole così differenti si fossero succeduta sotto l' impero d'una legge universale, storica e psicologica insieme. Questa legge conforme alla quale si venne svolgendo il pensiero speculativo nelle scuole greche, possiamo trovarla accennata dal Laerzio (come hanno osservato il Brandis e il Ritter) là dov^egli afferma che presso quei popolo la filosofia sMniziò con la nozione d*una pluralità^ indi venne progredendo con quella d* un' assoluta um'rà, e appresso cercò di stabilire una relazione fra' due concetti. E questi caratteri, in generale, ci additano veramente la scuola ionica e pitagorea, la scuola eleatica e poi quelle d'Anassagora e d'Empedocle; ma sempre in maniera esclusiva, grossolana, oggettiva e naturale. La comparsa di Socrate segna un ricorto della medesima legge, ma con ben altro significato e indirizzo razionale. Accanto a lui vediamo sorgere la Sofistica: il che vuol dire che, oome in ogni ritorno istorico, nel 2fi periodo della filosofia greca ha luogo un doppio lavoro di demolizione e di ricostruzione; l'uno rappresentato da' Sofisti» l'altro da' Socratici. Ond'è che la sofistica né vuol esser avuta in dispregio, come' fanno alcuni fra'quali il Ritter, e nemmanco esagerarne il valore e l'importanza isterica secondochò fanno altri, per esempio l'Hermann, col porre i Sofisti a capo d'un periodo novello di filosofare. Nella storia del pensiero greco (passaggio al 2o periodo), tanto vale un Sofista, quanto un Socratico; appunto perchè se la negazione del primo non è annullamento di speculazione, l'affermazione del secondo non Un vincolo storico, reale, positivo, cosciente, lo troviamo fra Platone e Aristotele. Al di qua e molto più al di là de' due luminari non ci ha che relazioni ideali, gran numero delle quali è, piò che altro, l'effetto della critica armeggiona di certi storiografi; essendo già note le spostature a comodo che son venute mulinando certe fantasie hegeliane dietro l'esempio del maestro, ponendo, per dime una, dopo la scuola Zenoniana d' Elea quella d' Eraclito, con aperta smentita della storia, de' fatti, della cronologia e de' dati storici più sicuri, e considerando Socrate, per dirne un'altra, come logicamente posteriore ai Sofisti, mentre è noto .come il gran figliuolo dell'umile Fenareta fosse loro contemporaneo! Rammentiamoci che cotesti lambicchi e distillatoi, cui si pretende sottoporre la storia, non ti può dir neanche posizione sistematica, ovvero esplicazione organica d'nn dato ordln d' idee. Ma la ricostmzione rappresentata da Socrate è essenzialmente psicologica ed etica, non più naturale, empirica ed estrinseca; stantechè in loi, come incontra in ogni ricorto ttoricOf ripetesi il carattere della pluralità oggettiva (però come eoncetH, i quali importano la coscienza), e quindi in Platone ed Aristotele si ripetono, ma trasflgorati, gli altri due caratteri. Platone infatti pone V unità assoluta in 8Ò, mentre che Aristotele si studia ritracciare una relazione fra quella mmo e il moluplieet sforzandosi di levare il dissidio fra 1* immanenza deU*a8ffoInto nel mondo, e la permanenza del mondo neir assoluto avvisato in sé stesso. Dopo il *i0 la Log, d^Ari»U^ T. U, 19^. ' n Barchou de Penho^ln dice anche lui non di rado, come il Boullier, qualche enormità tutta francese. Per esempio questa, che Cartesio, Spinoza e Malebranche formino una mrd4>nlmn icuofa^ e una ntf^itm dot' trino/ Vedi Op. cit., p. 101. discredere ad ogni processo istorico nel pensiero filosofico? Tutt' altro! L'esigenza del processo, in tutto, non è meno salda e men vivace nella nostra, che nella vostra mente. In noi non sistematici assoluti eli' è piii vera, più legittima, più pratica, positiva: ecco la nostra pretensione. Sarà puerile o troppo ardita cotesta pTetensione: ma, fra tante pretensioni che c'è al mondo, e delle quali si mostrano cotanto ricchi gli annali della filosofia, non ci potrà capir anche questa? Un processo nel pensiero filosofico, tanto nella storia universale come ne' suoi differenti periodi e sin nelle diverse scuole d'un sol periodo, ci ha da essere; e ci ha da essere appunto perchè la storia, anche agli occhi nostri, è sempre l'opera d'un disegno. Ma poiché l'incarnazione di cotesto disegno non è soltanto effetto di pensiero incosciente, ma è la risultante di condizioni molte, svariate, complesse per numero e complicate per natura, fra cui signoreggiano le intuizioni, prevalgono i sentimenti, primeggiano le tendenze istintive; ne seguita che il processo non può manifestare, come si pretenderebbe, una forma squisitamente organica e seriale, Ei debb' essere incompiuto, com' avviene d' ogn' altro fatto storico. Or s'egli è incompiuto, non bisognerà pur compierlo? E chi potrà compierlo, chi potrà integrarlo fuorché il pensiero che lo studia e sommette alla propria speculazione? Un processo dunque ci ha da essere; ma ha da essere insieme obbiettivo e subbiettivo, storico e speculativo, essendo l' opera combinata non già dalla nostra fantasia, com' è vezzo di certi storiografi che annodano, per esempio, Cartesio e Kant co' fili ch'ei sanno maestrevolmente rimaneggiare a tutto lor profitto, bensì r opera combinata fra il pensiero che fa, e il pensiero che, facendo, vede, scopre e progredisce e sale sempre più in su. Spieghiamoci meglio. Non si tratta di combinare fra loro le diverse menti de' filosofi d'un dato periodo: si tratta di combinar tutto il periodo, o, per lo meno, i risultati di tutta la speculazione d' un dato periodo filosofico, con noi medesimi, cioè con la nostra mente, co' bisogni della presente speculazione. Nel primo caso, plasmando a nostra immagine e simiglianza una data serie di dottrine e di filosofi, la storia sarebbe fatta da noi: nel secondo, invece, ella sarebbe fatta mercè una doppia forza, in virtù d'una doppia leva; cioè da sé stessa, e anche da noi. Non è quindi la storia, la storia come storia, quella che possa e deva render compatto organando appuntino il processo; il quale perciò non può esser costituito nella sua forma organica da più scuole e da più menti considerate queste alla maniera d'una scuola od' una mente; bensì dev'esser fatto tale da chi, venendo dopo, è deputato a raccoglierne l'eredità. Se non fosse così che cosa ne seguirebbe? Ne seguirebbe che per nessun miracolo al mondo sapremmo salvarci da questa conseguenza: che, cioè, la storia della scienza s' identificherebbe, si compenetrerebbe con la scienza stessa;* e quindi per inevitabil necessità dovremmo giungere ad uno di questi due corollari: credere, cioè, o che il sapore filosofico 1' avremmo oggi beli' e conseguito, o che noi conseguiremmo giammai, essendo indefiniti i limiti della storia. Dimodoché dovremmo, com'è evidente, imbrancarci o con gli Hegeliani, ovvero co' Positivisti. E, se co' primi, non avremmo torto dijicantar su tutt'i tuoni d'aver già piantato le colonne d'Ercole; né, se co' secondi, c'inganneremmo menomamente nel predicare illusorie le speranze d' un sapere propriamente scientifico e metafisico. La condizione dunque del processo istorico del pensiero filosofico non istà nell'esserci fUicusione e continuità ne' suoi rappresentanti: basterà che ci sia svolgimento e progresso, e quindi vincoli ideali ove sieno impossibili gli storici; i quali non di rado è impresa ben vana il cercare, non potendo esistere, o, pur esistendo, non * È questo, coni* è noto, ano de* dommi supremi deU* Hegeliauismo, (Tedi Hrocl, Logique) e del Positivismo, tuttoché il significato ne sia diverso.Vedi CoirrB e Littbì nelle Op. innanzi citate. sarebbero che eccezioni. Anche noi quindi crediamo che nella storia della filosofia c'è attinenze; ma aggiungiamo che c'è anche salti: e se c'è attinenze e salti, la conseguenza (conseguenza buona solamente per noi, anziché per gli aggomitolatori e sgomitolatori de' periodi storici) è questa, che una critica è necessaria; necessaria una critica filosofica atta a scoprire le une, e colmare gli altri. Tornando ora al proposito, nella storia della filosofia italian«r ci è salti, per esempio, fra BRUNO e VICO, fra VICO e GALLUPPI, fra GALLUPPI e SERBATI e GIOBERTI: ma non ce ne maraviglieremo per ciò, sapendo che se questo non è pregio, non può dirsi nemmanco difetto. Poiché il punto, ad ogni modo, sta nel vedere se tomi possibile scoprirvi una progressione ideale; e questa per appunto debb' esser l'opera concorde de' viventi filosofi, e il frutto d' una storia saviamente critica. Nulla infatti è inutile nella storia della scienza, e tantp meno in quella della filosofia. Agli occhi dello storico spiegano egual valore tanto il moto speculativo attuatosi dal Leibnitz ad Hegel, quanto quello che, pur con varietà d'indirizzi, è venuto effettuandosi fra noi da VICO a GIOBERTI Nello svolgersi di*questi due periodi filosofici potremo verificare una gran legge; la legge medesima che presiede alla storia generale del pensiero filosofico. Mi spiego subito e in brevi termini, anticipando un' idea che altrove giustificherò. Platonismo e Aristotelismo sono due parole di significato altamente comprensivo per la storia della filosofia occidentale. Non solamente elle racchiudono una legge che ritrae la natura del processo isterico della filosofia, ma cotesta lor legge è anche principio, un principio d'indole teoretica. Non v' è infatti, né v' è stato filosofo, il quale non si possa dir seguace dell' uno o dell' altro indirizzo, ovvero d'entrambi, ma accordati e accostati insieme in uno de' tanti modi tentati e ritentati già fino da antico, a contare da CICERONE a BOEZIO, da BOEZIO a BESSARIONE, e dagli altri molti che nel Rinascimento si provarono in simili accordi, fino al Rosmini. D'altra parte chi pigli per poco a filosofare con serietà scientifica anziché da burla, come par che vogliano fare oggi critici e positivisti, non può a meno di non riconoscer nelle cose un fondamento assoluto. Ora tal fondamento assoluto non può esser posto tranne che in uno di questi tre modi: o nel senso dell' idea platonica, o nel significato della categoria aristotelica, ovvero in una terza maniera nella quale tomi possibile un accordo fra l'esigenza dell'uno, e quella dell' altro indirizzo. Qual debba esser la natura di tale accordo e come porlo in opera, diremo altrove. Qui giova avvertire che siffatta legge non solo racchiude il nodo, per così dire, della storia della filosofia, tanto guai-data neir insieme del suo svolgimento universale quanto nei suoi particolari periodi, ma costituisce ad un tempo la vera scienza della storia del pensiero speculativo, appunto perchè forma il triplice aspetto sotto cui può esser considerata in sé medesima la mente del filosofo nella soluzione del problema metafisico. Si dirà per avventura che cotesta maniera di considerare la storia del pensiero filosofico sia merce hegeliana? Può darsi che in apparenza la si dimostri tale. Ma fin d'ora avvertiamo che cosiffatto principio è superiore all' hegelianismo stesso, in quanto costituisce il criterio col quale potrà esser giudicato il valore speculativo di quel sistema. Tornando al proposito, posto il Cartesianismo, Leibnitz e Vico non potevan essei-e, e nel fatto non sono, né puri platonici, né puri aristotelici. Essi bensì ci esprimono il conato verso un accostamento scambievoli dei due indirizzi; tale essendo il valore della loro universalità, e di quella sintesi confusa ond' inaugurano, come avvertimmo, i due periodi moderni della filosofia tedesca e italiana: i quali perciò, rappresentando l'analisi, costituiscono il lavoro a cui necessariamente conduce quella sintesi. Invero dopo Leibnitz in Germania e dopo il Vico in Italia, la filosofia assume, tanto nell'uno quanto nell'altro paese, il vecchio contenuto, ma sotto novelle forme: da una parte, la filosofia fondata nel sentimento, e l'idealismo assoluto; dall'altra, lo psicologismo scolastico, e l'ontologismo: indirizzi più o meno esagerati del platonismo e dell' aristotelismo. E lasciando qui de' due aspetti vieti della filosofia germanica e dell'italiana, le due forme che in esse addimostrano più spiccata originalità rassomigliano quasi a due correnti che riescono a due punti fra loro opposti e contrari, e sono la filosofia ctisiologica, e quella dell'assoluta identità. Se nella prima vi è, come s'è detto, processo e continuità di sviluppo; nella seconda non manca già un carattere comune tra i suoi propugnatori, n Teismo fra noi è venuto assumendo evidentemente forma sempre più netta, meno impacciata, men grossolana; perchè se il concetto religioso, per dime un esempio, agli -occhi di GALLUPPI e di SERBATI e di GIOBERTI costituisce un elemento essenziale nell'organamento del loro sistema, la rdigion civile di cui ci parla ROVERE, è una parola com' un' altra; una parola che non dice nulla, o pochissimo; e pure ha fatto e fa tanto comodo all' autore ! Questo processo e questo risultato della filosofia itaUana è come una risultante di più forze: fra cui è da notare innanzi tutto r educazione storica tradizionale e cattolica, la forma e natura speciale dell'ingegno italiano non così facile, come dissi, a dar negli estremi, e segnatamente gl'influssi della stessa filosofia germanica. Queste ed altre cagioni partoriscono il movimento filosofico in Italia nel nostro secolo. Il pensiero filosofico nostrano (e qui han ragione gli Hegeliani) è venuto promosso, eccitato dal pensiero germanico; a quel modo, potremmo dire, che le diverse forme di filosofia del nostro Risorgimento vennero eccitate dal sùbito risvegliarsi della filosofia greca e platonica; da' comAatori arabi e aristotelici delle scuole di Padova, di Bologna, di Firenze. Il Criticismo esercita grande Zone sili GALLUPPI; e le tre forme dell'Idealismo gern/anico, subbiettivo obbiettivo ed assoluto, spiegano alla lor volta influssi potenti, immediati sul Gioberti e sul Rosmini, come ci dimostrano la Protologia del primo e Ja Teosofia del secondo, e anche in gran parte sul Msaniani. Ma se è vero, com' è verissimo, che i nostri filosofi han procacciato d'ormeggiare i Tedeschi, e questi sono valsi ad eccitare in quelli piìi gagliarda la virtù speculativa; è altrettanto vero che gì' Italiani mai non cessaron di combattere le pretensioni sistematiche assolute del Germanismo; e questo è un altro carattere comune che li distingue. Si può dire, in somma, che il pensiero italiano sia venuto affilando le armi nella fucina dello stesso avversario: ecco tutto. Di chi sarà il trionfo? Chi canterà gl'inni della vittoria ? Parliamoci tondo e netto. Il trionfo dell' Ontologismo e del Neoplatonismo, come ci è dato da' nostri filosofi, è un' illusione; ma non sarà meno illusione il trionfo dell' Idealismo assoluto. Noi dunque non faremo festa ne all' uno ne all' altro, né batteremo le mani alla vittoria del Grermanismo né dell'Italianismo, per la semplice ragione che in siffatt' ordin di cose le credute vittorie ci paiono sogni di menti ammalate. Queste due scuole, queste due filosofie (ci sia permesso stringerle entrambe sotto due concetti o indirizzi distinti) ci rappresentano la speculazione ardita del nostro secolo; ma per opposte ragioni si dilungano entrambe dalla castigatezza della sintesi ontologica, discostandosi in pari tempo dalla severità del metodo istorico e psicologico. Sennoncthè, oggi segnatamente, chi ben le guardi, elle cercano allearsi e compiersi a vicenda, giusto perchè rappresentano e riproducono anch'esse l'antica lotta fra r Aristotelismo e il Platonismo, tanto in sé stessa e nel loro insieme, quanto nelle loro particolari divisioni, esprìmendoci perciò il bisogno perenne e crescente di quell'accordo sperato sempre, ma non attinto mai. Questo panni, dunque, tutto il significato del loro svolgimento; e questo mi sembra il problema alla cui soluzione elle s' affaticano da un secolo e mezzo a questa parte. Non è egli giusto quindi affermare che chi spera nel trionfo assoluto dell'una su l'altra spera invano, e chi s' affida in certi accordi e temperamenti in sostanza esclusivi e unilaterali non ispera peggio? Citiamone un esempio. Il Gioberti dello Spaventa, lavoro (checché se ne dica dagli hegelianissimi) d'una potenza critica veraramente singolare fra noi dopo i libri del Rosmini, nelle intenzioni dell' autore dovrebb' essere un accordo tra la filosofia italiana, e la così detta filosofia moderna Europea. Lasciando stare quel moderna e molto piii Y europea (frase, la quale a me rammenta quella che han su la punta della lingua i Pontefici di Roma quando costoro menan vanto de' creduti e desiderati dugento milioni di cattolici), io chiederei, se il fare assorbire à quel modo eh' egli ha fatto il filosofo italiano dal filosofo tedesco, sia da dirsi accordo, o non più veramente un solenne trionfo del secondo sul primo, e quindi '1 trionfo assoluto del divenire sul creare? ¥* allora dov'è mai l'accordo fra le due filosofie? Un accordo, come suona la parola, è necessario, ed è razionale; che posta l'analisi, posto il lavoro analitico di quel doppio indirizzo, una sintesi ne dovrà sgorgare di necessità. E il fatto stesso ce ne porge prova e guarentigia. Il Mamiani, l'autore delle Confessioni^ ha pronunziato, fira le altre, questa gran verità: d'aver egli concluso e chiuso, fra noi, un periodo filosofico nel quale egli stesso, con GALLUPPI e con SERBATI e con GIOBERTI, è venuto cogliendo allori molti, e ben meritati. L'À. delle Confessioni ha detto benissimo: ha chiuso davvero un periodo; ma solo ha dimenticato avvertirci che in esso egU ha chiuso anche sé medesimo. Chi consideri infatti il suo neoplatonismo, per quel tanto che contiene di correzione verso gli altri nostri filosofi, l'illustre Pesarese ha merito grande; ma avvisato in sé stesso cotesto neoplatonismo, specie quant' alla parte psicologica, è già morto in sul nascere. E doveva esser così, almeno per chi voglia ammettere che la storia della filosofia non possa esser ripetizione inutile e infruttuosa di teoriche trascendentali. D'altra parte l'Hegelianismo, checché se ne voglia dire, ha oggimai esaurito la propria vitalità con lo scindersi nello tre note scuole di destra, sinistra e centro. Oggi dunque non è impossibile raccorre i frutti di così lungo, di così ostinato lavoro, e di lotte e contrasti e discussioni infinite attuatesi nei due paesi, appo cui l' ingegno europeo serba piii acconcia e vigorosa virtù speculativa. A tale impresa hann' influito efficacemente i nostri hegeliani, r opera dei quali riguardata stòiicamente, io non dubiterei chiamarla provvidenziale. Nelle mani di questo infaticabile artefice che appelliamo storia, i nostri hegeliani sono, mi si lasci dir così, un istrumento, un mezzo, acciocché nel possibile accordo delle due filosofie abbia a trionfare il vero. Più che apostoli e messia e predicatori della buona novella, com' essi medesimi si piaccion segnalarsi, sia col tradurre le opere di Hegel, come fa VERA (si veda), sia col modificarne e interpretarne le dottrine, come fa SPAVENTA (si veda), e' mi paion la condizione imprescindibile, efficace, perché il pensiero filosofico possa innovare sé stesso nella pienezza d' una coscienza speculativa chiara, intima, vivace, sceverando dal vero quel carattere arbitrario di costruzioni dommatiche il quale accompagna i pronunziati dell' Idealismo assoluto. L' Hegelianismo é cosa nostra: lo ha detto SPAVENTA (si veda); ed é verissimo. Ma é cosa nostra in quanto è anche un assoluto realismo; realismo obbiettivo nel vero senso della parola, non già campato a mezz'aria, com'è quello di Hegel, il quale perciò usurpa, non legittima il significato della obbiettività. Ripetiamolo: se la filosofia ha bisogno d'innovarsi esi i stro \ ica. i diventando positiva e razionalmente positiva, tale esi genza del pensiero italiano e tedesco, pia che dal nostro cervello, ha da scaturire dalla stessa ragione istorica Osservando lo svolgersi di queste due forme del pensiero filosofico moderno, è facile accorgersi com'elle assomiglino (ci si permetta un paragone) al cammino di due linee le quali, partendo lontane fra loro, nondimeno si vadano accostando sempreppiù. L'una s'è mossa prima dell' altra; e assai più spedita e più rapida ne' suoi passi e difilatamente ha percorso assai più lungo tratto che non abbia guadagnato la seconda. Questa poi s' è mossa dopo, e spesso è venuta sviando e svagando per più e diverse ragioni; ma, non altrimenti che ne' fenomeni elettrici d'induzione, passo passo ne ha sentito gì' influssi, e le si è venuta più e più avvicinando. Un punto di coincidenza, dunque, fra queste due linee convergenti è necessario; ma la grave difficoltà sta nel trovare cotesto punto. Usciamo di figura. Se i due periodi filosofici nel dischiudersi per opera di Leibnitz e del Vico mostrano, come vedemmo, cert' affinità spontanea e incosciente, è pur mestieri che cotest' affinità s'abbia da palesare altresì nel loro chiudersi; ma s' ha da palesare cosciente, riflessa, e quindi promossa, eccitata, ricercata e partorita dalla stessa ragione come funzione filosofica. E pensiero moderno debbe aver coscienza di tale affinità: né può averla se non la cerca; né può cercarla efficacemente se non la pone. Ninno si meraTigli se fra* vari indirìzzi moderni della filosofia noi qui non abbiamo tenuto conto altro cbe della speculazione tedesca, e dell* italiana. L' ingregno inglese procede sempre a un modo, ne da due secoli A questa parto ò mai uscito dalle orme segnategli dal suo Bacone, e poi dal Locke, da Hume e dalla Scuola scozzese. Spencer e Mill ce *1 dicono chiaramente; ne* quali filosofi è pur chiaro un progresso rispetto ai loro antecessori, ma è un progresso monotono, omogeneo. L’ingegno francese poi, dopo le grandi tracce lasciategli dal Cartesianismo, si è svolto sempre fra il Sensismo eil un acquoso Spiritualismo; né la scuola eclettica, i cut ultimi rappresentanti oggi fan tanto onore alla Francia, ha nulla di veramente originale. )£ una bella eccezione in quel paese la scuola e gli studi iniziati dal Main^de Biran. Se dunque originalità di Italia e Glermania, madri d'ogni grande filosofia e dìvinatrici delle più ardite concezioni metafisiche, per necessità isterica hann'a risalire alle loro primitive sorgenti moderne, Leibnitz e VICO; ma risalirvi (intendiamoci) con tutta quell'opulenta ricchezza che a noi porge il lavoro di specukzione compiutasi nello spazio di due secoli. Il trionfo ha da esser comune, perchè comune, quantunque diviso, è stato il lungo lavoro. Se non fosse cosi, la conseguenza, per le menti che con ansia febbrile e con ignorati e crudeli tormenti ma con altrettanta fede si travagliano invittamente nella ricerca d'ogni parte spinosa della verità, sarebbe dura davvero, sarebbe sconfortevole. E la conseguenza è, che la storia sarebbe un' ingiustizia: ingiustizia altrettanto manifesta e insopportabile, quanto inesplicabile. Ancora: se questi due periodi, queste due filosofie di cui si parla, non avessero quelle attinenze e quel valore e quel fine che noi diciamo, elle assomiglierebbero a due forze distratte, inconsapevoU, naturali, sciolte da ogni legge, libere da ogni ragione; sì veramente che le analogie e le differenze e l'intero loro svolgimento sarebbero tutte cose accidentali, estrinseche, meccaniche, fortuite, e perciò stesso empiriche, perciò stesso inesplicabili, perciò stesso insignificanti, non altrimenti che que' riscontri ingegnosi ma vani, ma inconcludenti, che alcuni storici sanno scorgere fi-a la storia d'un popolo, e quella d'un altro, fra la China, per esempio, e l'Europa, tra Confucio e Pitagora, fra il Celeste Impero e il Teocratismo papale, come fa il nostro FERRARI Or noi domandiamo alla coscienza di tutti gl'indefessi indagatori del vero; domandiamo alla coscienza degli amici sinceri e de’sinceri nemici della filosofia : È egli mai possibile speculazione oggi è possibile, è d' uopo ricercarla, quantunque sotto forme diverse e con risultato e valore differente, nell* ingegno tedesco e italiano. So che gli Hegel ianissimi sorrideranno di gran cuore a queste parole. Ma io qui vo’restringermi a chiedere, se da quarantanni a questa parte fuori d’Italia ci sìa stato filosofo che possa reggere al paragone dell'ingegno del Rosmini, miracoloso per acutezxa speculativa. che la storia, massime la storia del pensiero filosofico, abbia da essere, o un' opera cotanto ingiusta, ovvero un artifizio cotanto sterile, infruttuoso e meccanico? Concludo per ciò che riguarda il nostro filosofo nonché la seconda parte del nostro lavoro. Si è detto e si dice che il Vico non ispiegò efficacia di sorta nel soQ. secolo. E poi s' aggiunge che, quand' ei venne scoperto (e fu vera scoperta) noi già l' avevamo sorpassato. Sarà vera V una cosa e l' altra. Ma gli uomini grandi e ì grandi ingegni, se vogliamo stare all' osservazione di Mill, i quali per difetto di favorevoli occasioni non poteron lasciare traccia alcuna di sé nella loro età, spesso sono stati di gran valore per i posteri.* Tale per noi è Vico; e tale si é pure la sua Scienza Nuova. S'ei nulla valse pe' nostri padri (il che non è vero), vale moltissimo per noi. Solamente in lui potremo rannodar gli anelli della nostra tradizione scientifica: in lui ricongiugnere il nostro Rinascimento col nostro moderno Risorgimento. Per andare avanti debitamente, come suona il motto volgare, è d' uopo dare un passo indietro: Chi vuol salire, pigli V aire. Se questo é vero, se questo é necessario in tutto; non sarà altrettanto vero, altrettanto necessario in filosofia? Con sifi'atti intendimenti noi prendiamo ad interpretare il principio filosofico della Scienza Nuova. L' acuto Littré lia detto benissimo: Tout annonce gu'on ne verrà plus aucune grande éruption métaphysigue, comparàble à celles qui otit signaU Vére moderne depuis Descartes, et qui ont abouti à HegeV Ma la conseguenza vera non è quella che ne trae il positivista francese, bensì quella che ne ricaviamo noi: e tal conseguenza é la necessità di critica, la necessità di ritomo critico su la feconda speculazione degli ultimi grandi filosofi, e quindi la necessità d'un accordo fra essi. ' St. Mill. SytL de Log., LiTTRi, Princ de Phtl. Poeit., Pré/,, pag. 59, Paris, 1868, Il concetto della Scienza e '1 concetto del Criterio si richiamano a vicenda, poiché non si può determinar l'uno senza additare nel medesimo tempo il significato dell' altro. La prova più facile e megUo convincente di tale affermazione ci è data dalla storia della filosofia; non v'essendo sistema, non dottrina filosofica, nella quale que' due concetti non rispondan fra loro per caratteri comuni, e per note affini ed omogenee. E poiché applicare il criterio vai come imprimere forma al conoscere, onde poi risulta il metodo; è naturale che, tanto l' idea della scienza, quanto quella del criterio, abbiano a racchiudere altresì la nozione del metodo. Se non che, scienza metodo e criterio sono tre concetti dipendenti dalla soluzione d' un medesimo problema, del problema della conoscenza: nel quale perciò si radica propriamente, direbbe il Trendelemburg, l' ultima differenza de' sistemi. Sono dunque tre aspetti diversi, sono tre diverse determinazioni d'un medesimo subbietto; le quali noi non possiamo definire, ma espUcare, stanteché la definizione, secondo il detto di CAMPANELLA, sia come la conclusione e quasi l' epilogo della scienza stessa. Nel circolo della riflessione infatti la mente, ripiegandosi in sé medesima si compie, si pone, si determina, cioè si definisce; e si definisce perchè si è venuta esplicando; e con r esplicarsi mostra col fatto che cos'è mai l’intendere, quali vie abbia percorso, e con che guarentigie si possa pervenire ai risultamenti più sicuri del sapere. Nondimeno ci è cose che noi potremo sapere fino da ora; voglio dire le condizioni del sapere. In che mai dobbiamo fondare la scienza? In che porre i limiti del sapere metafisico? I più de' filosofi, com' è noto, si fanno tosto a rispondere: « su la natura e sul valore dell'uomo stesso. » Ma il punto è precisamente questo: qual' è mai la natura, qual è il valore dell' uomo ? La risposta più seria e positiva a tale domanda, se non vogliamo perderci nelle solite ciance trascendentali, panni questa: che l'uomo, l'uomo quale ci è dato da' fatti e dalla storia, non l' uomo concepito sotto forma di spirito del mondo {der WéUgeisf), non sia tutto, e nemmanco nulla: di che ci porgono guarentigia nel medesimo tempo la coscienza, l'esperienza e la ragione. Ora se questo è vero, due conseguenze n'emergono innegabili; la prima, che la scienza, tolta nel significato di sapere metafisico, non può esser né propriamente negativa, né propriamente assoluta; la seconda, che non si può esser sistematici e dommatici, non essendo noi tanto fortunati da possedere una formola assoluta entro cui mostrar chiusa la ragione ultima e propriamente essenziale delle cose. Ma diremo perciò che il filosofare altro non possa essere fuorché una pura e semplice ricerca sfornita di qual si voglia risultamento metafisico che sia positivo, sicuro, determinato?' Che se anche per noi filosofia suona ri' Homo quia neque nthU e«(, neqite omnia^ nee nihil percipit, nec in,' Jinitum, De sntiqaiss. Italoram sapientia, Filosofo dommatieo e filosofo nttematioo a$8oluto per noi suona il medesimo, anche ammesso che un sistema possa esser costruito per sola Tìrtù di ragione, e innalzato (se fosse possibile) ad evidenza matematica, secondo che pretendon gli Hegeliani. Il dommatismo volgare, teologico, fondandosi in un principio estrinseco alla ragione, è da ripudiarsi per difetto; ne conveniamo. Ma il dommatismo sistematico de* metafisici assolati col pretender troppo, anzi tutto, non è da ripudiarsi per eccesso ? Différiscon ne' mezzi infinitamente, io lo so; ma il risultato è il medecerca e amor di sapere, nondimeno è ricerca effettiva, è ricerca non solo atta a raccogliere il fatto, ma tale che sia un fare altresì ella medesima, cioè una funzione critica, ma efficace, positiva, attuale, come può e debb'essere dopo il Kant; funzione quindi capace non già a rimandarci al futuro, cioè ai risultati della storia, sibbene a saperci dire qualcosa anc' oggi su' grandi e terribili problemi di nostra esistenza, del mondo, della vita, della società. Se la scienza è possibile, come alcuni, positivisti cominciano a credere,* non vuol essere in qualche maniera attuale? Poiché, giova bene ripeterlo anche qui, un possibile che mai non esca dalla nuda possibilità, in realtà non è alti*o che un impossibile! È da dire perciò che tanto V idealista assoluto o l'ontologista Giobertiano, i quali in una formola, tuttoché diversissima, ti assommano la ragione d'ogni umano e divino sapere, quanto il positivista e il puro critico che ogni sapere metafisico dichiarano impossibile, escano tutti dal positivo, perchè chiudon l'indagine, e spengono siffattamente ogni bisogno critico nel pensiero. E così neir uno come nell' altro caso, la mente si rimane impigliata in un' affermazione supremamente dommatica: dommatica positiva (sistematica) nel primo, dommatica negativa (esclusione della metafisica) nel secondo. Or la filosofia intanto può assumere forma e valore di speculaziope positiva, in quanto riesce a schivare non pure il donmiatismo (il sistema assòluto propriamente detto), ma eziandio l'assoluto positivismo (scetticismo, nullismo metafisico). Fra questi contrari il filosofo che Simo, perchè Tano con la credenza e l'altro con la dimostrazione presamono darci tutto il vero. Entrambi quindi negano 1* attività speculatÌTa; il primo la nega dichiarando la ragione impotente, il secondo la nega reputandola esauribile anzi esaurita e soddisfatta. Che nel]* insieme delle dottrine del Vico non vi sia pretensione di gUtema propriamente detto, Tabbiam visto riportando alcune parole della Conchu. del Libro MetaJUieot e meglio si può vedere laddov*egli accenna ai dommatici del suo tempo ch'erano i Cartesiani. De Antiqui^, etc., Vedi la Conclus. dell'ultimo libro del Taine suìV Intelliyenza, voglia esser davvero positivo, sa di non esser dommatico; ma poi sa qualche altra cosa. Egli sa di non poter esser mai dommatico, non mai sistematico assoluto. Sa di non saper tutto, e, che più monta, può giugnere a conoscere la ragione per cui deve ignorare qualche cosa. È il caso del sapere del non sapere, appunto perchè se ne ha coscienza. E non è ignoranza cotesta? mi si dirà. Sì, certo, è ignoranza: ma è ignoranza dotta, direbbe il Cusano. Tre ci sembrano adunque le condizioni, tre i caratteri precipui del filosofare che voglia riescire seriamente e razionalmente positivo; e sono questi: La speculazione filosofica non può esser fondata sopra elementi che non siano sperimentali, ma di esperienza intema ed esterna. Tutto è processo, genesi, attività nel pensiero; stantechè tutto in lui sia generato, tutto edotto mercè i dati sperimentali. Né questo vuol dire sensismo, psicologismo grossolano, nettampoco materialismo ed empirismo, come potrebbe parere a tutta prima; perocché non per nulla ne' ricchi annali della moderna filosofia esistono, chi voglia meditarli sul serio, i Nuovi Saggi del Leibnitz, la Critica della Ragion pura e quella sul Giudizio di Kant, il Nuovo Saggio del Rosmini, e qualche altro libro di questo genere, ma non certo d' egual valore. Fatti dunque (ripetiamo anche noi co' Positivisti) e leggi de' fatti; ma, aggiungiamo, la ragione anche degli uni e dell'altre. La filosofia non meriterà titolo di positiva, dove pretenda procedere scompagnata dall' altre scienze, e far da sé. Come nella soluzione de' grandi problemi queste non bastano a sé stesse, parimenti non v' è ragione a credere che anche quella da sola non abbia a soggiacere alla medesima condizione. Che se mossa da antico orgoglio presuma d'essere scienza di tutto, per ciò appunto eli' abbisogna di tutto; abbisogna di tutt'i fatti, di tutta r esperienza, del concorso di tutte quante le sfere e discipline dell' lunana enciclopedia. Il perchè non si può dire in modo assoluto esser la metafisica quella che generi le scienze; vecchia pretensione del teologismo che ci ricaccerebbe nel più fitto medio evo: ma neanche si può aflFermare esser le scienze quelle che, come altrove notammo, possano di per sé sole partorire la filosofia. A due patti la funzione filosofica riesce positiva: quando sia generata dalle scienze, e quando, generata che sia in qual si voglia modo, possa e sappia come ogni produzione organica viver da sé, e far vivere. Non è dunque vero che all'altre discipline ella porga principii e dispensi metodi e partecipi criteri. Riceve anzi dal di fuori tutte queste cose; ma per legittimarle, organarle, ricrearle: il che non può esser riconosciuto dal positivista conseguente a sé stesso, senza ch'egli inciampichi in contraddizioni per quanto evidenti altrettanto inevitabili. Il terzo carattere, conseguenza da' due primi, è questo; che concepita così la filosofia di fronte alle altre scienze, ella riesce positiva, ma non però cessa di possedere un valore metafisico. Diventa metafisica, non metafisica teologica, né metafisica a priori e tutta d'un pezzo; orditura dialettica ideale somigliante a rete d' acciaio che stringa, affoghi e strozzi tutto ciò che tocca o ricopre. Diventa bensì metafisica atta a costruire sé stessa, ma in quanto costruisce anche le scienze; in quanto, in somma, é attività filosofica d'un' attività anteriore, dell'attività scientifica, sperimentale, molteplice, essenzialmente analitica e particolare. Non é quindi lecito confondere, né identificare queste due sorgenti d'attività, sia riducendo la prima alla seconda, sia facendo che questa venga tutta assorbita in quella. Evidentemente contraddiremmo ad un fatto; contraddiremmo al bisogno potente in ogni tempo, in ogni luogo per la speculazione. Perocché non è possibile (per dirla con le memorabili parole di Kant) che V uomo rinunei alla metafisica, come non rinunzia cMa respiratone anche con la paura di respirare uri aria malefica. Queste condizioni che noi poniamo alla ricerca filosofica sono, quanto semplici, altrettanto positive. Non è a dirsi eh' elle precludano e arrestino in modo alcuno la funzione critica, secondo che incontra tanto ai nemici d'ogni sistema, quant’ai sistematici assoluti. Nel determinare infatti la natura e '1 fine della scienza, i primi ci dicono: « non bisogna tentar l’impossibile prefiggendoci '1 fine di conoscere VinconoscìbUe, l’assoluto. Ecco posta al sapere una condizione essenzialmente negativa, perchè contraddice alla natura stessa del pensiero e dell’attività critica.* I secondi poi, cioè i sistematici, sostengono che la scienza non solo può e deve attingere r assoluto, ma ha da ridurlo trasparente così da adequarlo, da conoscerlo sicuti esty altrimenti vai come nulla conoscere.* Ma se cotesto conoscere (metafisicamente) il tutto, fosse un bel sogno; non ne verrebbe che nulla * I poBitWisti credono anch* essi no fatto il bisogrno specalativo; e come fatto noi negano. Ma dopo aver distinto quel che in esso ?* ha di permanente, cioè la presenza perpetua dell'infinito nollo spirito, da ciò che è transeunte, eh' è dire 1* inutile sforzo a risolverò problemi per se medesimi insolubili, sogrgiungono : e Se l'Assoluto è qualche cosa, non può essere che una realtà. Ora og^ni realtà si conosce mercè l'esperienza, la quale, del resto, non potendosi applicare all’assoluto, ci fa piombare In un circolo senza uscita. Dunque la metafisica e una fase tratmtorta dello spirito umano (Littré, Prineip. de Phtl. Posiu Prófac.) Innanzi tutto domandiamo, se condizione permanente del fatto, che nel caso nostro è il bisogno della speculazione, ò la presenza nel pensiero d'un infinito, non sarà appunto per ciò possibile una ricerca metafisica? Quant'all'inutile sforzo poi non approda fondarsi nella storia, non potendo in siffatt' ordin di cose indurre legittimamente dal passato al futuro. Finalmente, quant'al circolo senz'uscita, osserviamo che l'assoluto è reale, realissimo, ma non di realtà sensata e tangibile; e non è vero che ogni realtà non si possa altrimenti conoscere se non per l'esperienza; errore capitale del Positivismo. Queste ed altre risposte han dato al Littré i medesimi francesi, specialmente Janet, Caro, Vacherot, Rénouvier, Pillon, Reville, Laugel. A noi piace rammentargli un'altra bella sentenza d'un filosofo poco fa citato non certamente benevolo ai matefisici: Una metajinca è tempre enttita e tempre eneterà nell* umanità^ perche etto ì inerente alle invettigagioni della ragione umana che epecìda. Kant, Critica ddUi Ragion Pura^ noli' Introd. alla 2.* odiz. Niente ni conosce te tutto non ti conotce. SPAVENTA, Lex. di FU. Vrba, specialmente nell' /n6 resultato d'azioni e reazioni fra il mondo fisico e quello dello spirito, e quindi d' una doppia serie di leggi, naturali e psicologiche, modificate dalle diverse, attribuendogli caratteri e valore non propri: avrete falsato la natura delle scienze; le avrete confuse; ne avrete guasta V ìndole, turbando cosi tutta r economia razionale del sapere. Questa dottrina, essenzialmente psicologica e quindi razionalmente positiva, contraddice, com' è evidente, alla distribuzione enciclopedica de* sistematici, per esempio a quella del Gioberti e di Beerei; e nel mentre racchiude i pregi della classificazione de* Positivisti inglesi e francesi, ne corregge insieme i difetti. Ma i pregi e la verità d* un criterio ordinativo non può vedersi altro che nelle sue diverse applicazioni, nelle •quali non possiamo intrattenerci. Solo notiamo che tal dottrina ò un* interpretazione de* principi! psicologici del nostro filosofo, come vedremo. * T. BuCKLS, History of OivUiMation in England . fa benissimo. Ma nella sua dottrina cotal distinzione à un'inconseguenza. La costituzione d'una scienza muove dalla ragione: la evoltmone di essa, per contrario, è frutto della storia. Or se F una cosa non è V altra, è da concludere che la scienza è superiore alla storia. Perchè dunque compenetrarvela? D'altra parte, non è punto vero che, vuoi nella genesi ideale o psicologica delle scienze, vuoi nella lor genesi storica, procedasi dalla parte al tutto, dal semplice al composto, dal rudimentale e irreducibile al complesso, come vogliono i Francesi. È vero bensì che dal tutto si va al tutto, cioè dal tutto iniziale al tutto attuale, o, come direbbe lo Spencer in suo linguaggio, dall' omogeneo slVeferogeneo,^ La genesi storica del sapere, infatti, rassomiglia quella della società stessa: nella quale dapprima i poteri dello Stato, per esempio, anziché distinguersi fra loro, formano un potei'e unico; e, anziché individui liberi, vi esiste un solo individuo. Parimenti le scienze forman dapprima una scienza; uno le possiede, uno o pochi le insegnano, come uno è quegli che comanda. Però diciamo che la genesi storica di esse procede per tre momenti (vecchio concetto aristotelico) cioè: Sintesi iniziale e confusa, poi Analisi, e poi Sintesi finale. Nel primo di cotesti momenti non s' ha una data serie di scienze, come dice il positivista francese. S' ha bensì tutte le scienze, ma fomite d' un carattere comune ; il qual carattere sta nel comporre il sapere traendone le ragioni da tutt' altra fonte che non è Y intimità stessa dello spirito. In questo primo momento, in somma, [La legge secondo cui Spencer chiarisce la sua teorica del progresso con tanta sapienza ed erudizione da lasciar maravigliata la mente d*ogni lettore, si potrebbe applicare benissimo alla genesi delle scienze intesa storicamente. Egli, come 8*ò detto, non ha fatto quest'applicazione. Ma ci è da sospettare che, facendola, rieacirebbe incompleta, com’è incompleto il principio su cui è basata. Il procedere daW omogeneo alV eterogeneo è davvero un processo: ma è processo che non risolve, mancandoci un terzo momento necessario a compiere il primo e 1 secondo. Oltre questo difetto, il principio di Spencer ha l’altro di non esser nuovo, anzi vecchissimo, perchè risale ad Aristotele: *Aft 70?^ sv tw iffS^C \jncf.p^st To vfpÓTtpov, De An. II, m. lo spirito è, come dire, fuori di sé, nella natura, nelr autorità, e quindi la scienza è quasi indotta; ma tale induzione dapprima è affatto empirica, naturale, grossolana, divina, direbbe il Vico. Nel secondo momento ci ha distinzione, analisi, astrazione: e qui la mente, accostandosi a sé medesima, deduce. Nel terzo, finalmente, il pensiero possiede sé stesso, perchè possiede l'altro: egli é filosofia perchè è scienza; ed è scienza vera perchè è filosofia. Ci è dunque rispondenza, ci è armonia fra la genesi ideale e la genesi stòrica della scienza, non già compenetrazione, come vorrebbe Comte. Anche noi quindi crediamo in una legge di successione nell'attività del pensiero; né respingiamo una disposizione gerarchica e genealogica del sapere. Ma né r uua è assoluta filiazione, né 1' altra è composizione organica e compatta sì che le scienze che seguono altro non possan essere fuorché semplici appendici di quelle che precedono. È vero: il pensiero nella storia assume innanzi tutto forma teologica. £ quando accada eh' egli abbia carattere metafisico, il suo contenuto sarà sempre di natura mitologica, religiosa, tradizionale, rivelata, essendo sempre un prodotto d' autorità. Appresso riveste forma naturale; stanteché sorgano le scienze le quali, svolgendosi com' elementi particolari del papere, si vanno liberamente determinando con metodo appropriato a ciascuna di esse. In un terzo periodo, finalmente, piglia forma complessa e insieme universale come nel primo; toa non più sotto forma teologica, né metafisica ed a priori, bensì filosofica; appunto perché è deputato a raccoglier la ricca eredità accumulatasi negli antecedenti periodi. Or se è vero, come dicemmo, che il pensiero è superiore alla storia tuttoché emerga dalla storia, non è men vero che la speculazione riflessa trascende anch'olla le scienze, comecché dalle scienze sia venuta germogliando. CJondanniamo dunque, anche noi, la metafisica che si presenta com' elaborazione teologica riflessa. Condanniamo, per dirla col Littré, quel punto di vista metafisico eh' è trasformaeiane del punto di vista teologico. Ma potremmo condannare quella metafisica eh' è insieme critica e inveramento del punto di vista positivo? In altre parole, condanniamo rìsolutamente la metafisica fatta a priori; ma non meno risolutamente neghiamo che la terza fase^ il terzo stato della scienza, abbia da esser positivo nel senso che i Francesi tolgon questa parola. Lo staio positivo de' Gomtiani, afferma un giudice non sospetto, non è che un'ignoranza confessata della causa: an avowed ignoring of cause àltogether^ Ed è veramente così. L'attività riflessa della ragione intanto giugno ad esser funzione critica feconda e profittevole, in quanto riesce a superare il positivo mediante il positivo. Or è tejnpo d' interrogare il nostro filosofo. Che cosa ci lascia indurre Vico tanto riguardo al concettx) della scienza in generale, quanto rispetto alla costituzione e coordinamento delle umane discipline? Rifacciamoci da questo secondo punto. Ei non parla di formolo dommatiche, né d'alberi genealogici. Anzi ci avverte come in certo senso la metafisica abbia da esser subordinata aUa fisica; la quale dà per vero ciò che sperimentalmente possiamo imitare} Sennonché qui è da far piìi osservazioni. Una scienza è indipendente nel metodo e autonoma nel processo. Questo è il nostro pensiero. Ma potrebb' esser ' Sprncrb, The daasif. of The Scienc,, De Anttq. hai, Sap,^ nella Condunone, Si dirà che per lai la scienza tovrana sìa la teologia: ed è t ero; ma è sovrana solo in quanto è la piil oerta. Ora il eerto nelle sue dottrine non è il vero, ciò ò dire un prodotto di ragione, bensì un effetto di persuasione, un prodotto di natura empirica inseritoci nell* animo dall* autorità. Quanto egli poi si mostri avverso alle scompartÌEioni sistematiche delle scienze, vuoi nel senso pontivteta, vuoi nel senso metajUieo dommatico^ può vedersi là dove con sottile ironia parla de' Cartesiani (dommatici del suo tempo) i quali unum Metaphyeicam «Me docent qua notte indubium det verum^ et ab eOf TAKQUiM a fontr teeunda in aUa» teientiae derivari.»,, quare metaphyeieam eeterie »eientu9 fundo»^ euique 9uum aatedere exietimant. anche tale nelle sue ultime conclusioni? No, certo: stantechè queste, essendo di natura universale, hann' a dipendere dal lavoro, anziché d^una, di tutte quante le umane discipline. Più ancora: potrebb'ella dirsi indipendente rispetto alle condizioni logiche e formali? Nettampoco: se così fosse, tornerebbe impossibile l'unità della enciclopedia. Finalmente si potrebbe osservare, con Spencer, che a sapere se i corpi esistano la fisica non abbisogni nuli' affatto della metafisica. Ed è vero. Ma evidentemente cotesta notizia, più che razionale, è notizia empirica. Or bene, quando il fisico volesse darsi dimostrazion razionale del soggetto o della materia eh' egli ha fra mano, e cod legittimare il postulato onde move il suo pensiero, non diverrebbe per ciò solo un filosofo? Diverrebbe, io credo. Nel processo della scienza, dunque, v'ha un momento nel quale il fisico, od altri che sia, non può far a meno della speculazione metafisica. Se a tal esigenza egli sappia e possa per avventura soddisfare da sé, tanto meglio: vuol dire che, oltre d' esser fisico e fisiologo e geologo e simili, egli è anche filosofo. Ma ov' egli non senta questo bisogno, con che diritti e ragioni disco)ioscere ogni valore alla ricerca filosofica? Il vincolo che tutte aduna e stringe le scienze son le norme logiche ; la necessità logica che scaturisce dall' intima costituzione dello stesso pensiero. Intesa quindi come logica, la filosofia precede e accompagna le sfere diverse del sapere; ma, in quant'è metafisica, ella tien dietro ad esse, e ne é il risultato finale. E anche in ciò siamo Aristotelici. Mei., Tal si è pure la sentenza del Vico. In questo senso egli afferma che ninna geienta bene incomineia »e dalia mektfieiea (logica) non prenda i prineipii; perchè ella ì la eeienna che ripartieee alle altre i lor propri eoggetti; e poichi non pud (in quanto metafisica) dare U 9W>, dà loro immagini del euo. Onde la Geometria ne prende U punto e V dieegna; VArUmetiea V uno, e *l moltiplica; la Meccanica il conato, e V attacca ai corpi. (Risp. al Oiomale de^Lett.) In queste parole parmi chiaro T ufficio della filosofia, in generale, rispetto alle altre scienze. Filosofia è logica. Veniamo al concetto della scienza; ma gioverà fare innanzi tratto un' osservazione storica. Dicemmo com' Vico sia tra Cartesio e KAnt, vuoi storicamente, vuoi teoreticamente. Posizione puramente psicologica è quella del primo; puramente logica e psicologica quella del secondo, la cui dottrina perciò molto acconciamente è stata detta Idealismo crìtico, o Criticismo ideale. Nella posizione cartesiana, avvertimmo anche questo, il pensiero non è altro che un fatto: la coscienza trascendentale di Kant poi tiene doppio rispetto; è una e molteplice, è diflferenza e medesimezza, in quanto importa il doppio elemento formale e materiale nella cognizione. Ora, per quanto diverse, queste due posizioni han comune un carattere; quello d'esser solitarie, astratte, puramente suhbiettive, e quindi insufficienti; nel che ci confermerebbe, s'altro mancasse, il resultato puramente speculativo cui pervennero le scuole diverse inaugurate da que' due filosofi. L' analisi della Ragion pura alla fin fine a che mai riesce? A metterci in guardia dell'assoluto di ragione, rilevandone i paralogismi e le antinomie, e facendoci assistere scontenti e umiliati a quell'inutile ideale che ci rende immagine, a dir cosi, dell' acqua di Tantalo: per cui s'è detto che l'autore del Criticismo, sempre per quell' esigenza d' un ideale rimastogli in tronco, scambio di chiudere, apri anzi le porte ad una varietà di scetticismo, come osserva il B. Saint-Hilaire: nel che tutti convengono, perfino Hegel, il quale appunto con l'idealismo obbiettivo e assoluto cercò soddisfare aU' insoddisfatto bisogno della Ragion pura.^ Cartesio poi dove psicologia, metafisica e simili. Come logica eli* è scienza madre, in quanto è universale condizione d* ogni disciplina. Che poi in senso di metafisica debba riguardarsi come risultato finale, ci è avvertito dnl medesimo filosofo dove accenna alla relazione ch’ella ha, per esempio, cou la geometria: Geometria e Metaphy$iea mum verum tMccipity et aecepttun (e però elaborato) in iptam Metaphynctim refundit. De Antiq.y Giusta quindi, per tal motivo, l’accusa fatta al criticismo dallo stesso B. Saint-Hilaire: Kant a voulu /aire une revolution} il na guère en/anté qu'iine anarokie plue fatale. Log. d' Axist., Pref. si riduce egli? Alla necessità d' invocare il solito Deus ex machina, tornatogli insufficiente il criterio delPevidenza e deir idea chiara e distinta; senza dir già eh' egli medesimo annunziava il Cogito qual semplice ritrovato atto a soddisfare il bisogno di sua mente, non già pel fine d' insegnare agli altri un metodo a ben governare il pensiero: seulement (son sue precise parole) de faire voir en quelle sorte fai tàché de conduire la mienne. Nella posizione di Vico, per contrario, è schivato nel medesimo tempo tanto il fatto empirico di Cartesio, e quindi V indirizzo dell' ecclettismo e di quel timido spiritualismo che da lui hann'oggi redato i Francesi, quanto lo scetticismo al quale pur tiene aperto il fianco il criticismo, nonché quella serie di posizioni che, nate da Kant, riescono all' Idealismo assoluto. Con qual mezzo? Con un mezzo semplicissimo. Col criterio del vero e del fatto; ma elevato a dignità e valore di principio. L'osservazione che Vico fa a Cartesio è, quanto agevole, altrettanto efficace. Neanche gli scettici dubitano di pensare, egli dice: essi aifermano solo che del pensiero non si possa avere scienza, bensì cosdensa} Ora il pensiero cartesiano è un eerto, non già un vero; quindi ha natura di segno, d'indizio certo (rsxfxyj/jtov), della cui certezza ninno al mondo non ha mai saputo né voluto dubitare. Di qui si vede come la sua posizione speculativa non istia già nell'aflFermare una verità di fatto, sì nell' indagarne l'origine, la genesi, la guisa: cioè nel far la critica del vero che appare alla coscienza, perché sdre est tenere genus seu formam qua res fiat. E si vede come il criterio vichiano del fare il vero acchiuda una dottrina schiettamente aristotelica, eh' è dire la ragion vitale di quel* Yed. le bello riflessioni del Rsnottvzkb in proposito. EnsaU de Oritiqne generale^ toni. Il, part. 3. ' I difetti che nella posizione Cartesiana scorge il nostro filosofo gli abbiamo già riferiti. GIOBERTI non s'ingannava nel dire che Oarteno non ebbe il menomo sentore de* teeori che n acchiudono nel SUO Cogito. (Protol. VOLTI) l'artifizio logico secreto, naturale, onde la mente nel discorso rinviene il medio termine. La mente sa perchè fa: AtTtov Sort vójfjffef >? i^épytia} Or di cotesta attività occulta, superiore ed essenzialmente eduttiva, sensisti, scettici, empirici, positivisti non hanno coscienza. Essi ignorano cogikdionis causs€e, seu quo poeto cogitalo fiai^ * ilTTff ff9.ittpòit OTt ra ?ov«p£i ovra tiQ ivspysiav àva'^òiJLstfx gUjOtcxerai. Airtov 5'ò?i vónii^ >j èvipynx. ÌItt' $5 ève py e loti >i Sxivafii^' xa« Antiqui^. ItaLf Anch' egli quindi è scettico la sua parte: e debb' essere, in forza del suo medesimo criterio. Ritiene infatti che, quantunque la mente conosca sé stossa, ignora nondimeno la propria genesi: Dutn «e mens cognoscttp non facit; et quia non /acit^ neacit genvs quo «e cognoscit. Con la qual sentenza potrebbe sembrare cb'ei cada in contraddizione con sé stesso; ma riflettendo che la mente che «» conotce qui ya intesa non come facoltà, bensì come potenza (della qual distinzione ragioneremo appresso), la contraddizione si dilegua. Così pure è da intendersi quell'altra sentenza ove dice che l'occhio Tede le cose, e pur non vede sé stesso; che a veder so medesimo egli abbisogna d'uno specchio; e però chiama insufficiente l'idea chiara e distinta di Cartesio. Dal tutt' insieme quindi possiamo argomentare tre conseguenze: 1° Che la posizione del Vico non è né dommatica nò scettica, ma essenzialmente critica; e Critica del vero per eccellenza egli definisca, ricordiamolo anche qui, la metafìsica: 2» Che a pervenire al sapere scientifico non basti il eerto, il fatto, l'indizio, nò il criterio che il vero sia il fatto; ma è d'uopo che cotesto criterio sia levato anche a principio: 3" Che a Ini non manca il nuovo pensiero, il nuovo Cogito reoo bum, come vorrebbe Spaventa; anzi possiede chiara l'esigenza, per lo meno, della critica psicologica, bastevole a prevenire il Kant. Dico esigenza, perché il problema critico a lui si presenta sotto 1' aspetto isterico, ciò che forma la sua novità; e avvertimmo come V aspetto storico importi già r esigenza psicologica. Se poi si vuol dire che a lui manchi il Cogit*» nel significato di mediazione assoluta e però di perfetta trasparenza deWesaercf Spaventa ha ragione. Ma questo per noi, anziché difetto, é pregio grandissimo. E qui il filosofo di Napoli é tanto dappresso a quel di Kcenisberg, quant' altri non s' immagina. Dommatici e sistematici, hegeliani e ontologisti cattolici, unisconsi ad una voce nel battezzare scettico l'autore del Criticismo. Perciò gli Hegeliani credono compierlo dicendo, che la ragion pratica ò siffattamente collegata con la Ragion Pura, che la prima in sostanza non sia altro che l' incarnazione, il complemento della seconda, ma che questa di per sé stessa inevitabilmente meni allo scetticismo. Io non vo' negar tutto questo. Osservo solo che due sono i grandi concetti di Kant: che non si possa giungere al vero sistema, alla dottrina propriamente dommatica^ che, ciò non Non si può ridire il mal governo che s' è fatto e seguita a farsi del criterio vichiano. In molti libri leggiamo: criterio del vero è il fatto; e da tutti è stato inteso • 0 in modo materiale ed empirico, ovvero in significato trascendentale e assoluto. Se così fosse, quel filosofo avrebbe consacrato, da una parte, ogni sorta d'empirismo e di materialismo; e dall' altra avrebbe fatto ragione ad ogni maniera di panteismo. La formula vera, la vera posizione della scienza e del pensiero, per lui, non è questa: Criterio dd vero essere il fatto; bensì quest' altra: La conversione del vero col fatto. Fra la prima e la seconda ci è un abisso addirittura. E per veder cotesto abisso e ritrarsene, è mestieri penetrar Bell'insieme delle sue dottrine con la luce del medesimo principio. La chiave di volta d' ogni positiva speculazione, e quindi il vero Deus intus adest della mente di questo filosofo, e però il bandolo a strigar tanti nodi che avviluppano il suo pensiero, è appunto cotesto criterio, secondo che noi lo interpretiamo. Il criterio ha da esser egli un segno, un indizio del vero, 0 piuttosto un primo vero? Ha da esprimerci un dato, un fatto, o pur V essenza del vero, la condizione originaria e trascendente del conoscere? Intendendolo al primo modo, la scienza tornerà impossibile, e trionfa lo scetticismo; perocché non ci salveremo dal noto circolo eh' è questo: per conoscer la ostante, non si cada nollo scetticismo, appunto perchè egli non crede che il non esser sistematici Teglia dire essere scettici addirittura. (V. Critica dtUa Ragion Pura) Per me la riyoluzione operata dal filosofo prussiano nel regno della speculazione, cioè quanta alla natura del sapere, sta tutta qui. Il Vico in ciò lo prevenne: almeno era su la medesima strada. Quindi può dirsi che entrambi condannino le due posizioni esclusiye del Si^temaH^mo e dello Soetticinno. verità è necessario il criterio; e per ayer il criterio è necessaria la verità. Pigliandolo poi nel secondo modo, difficilmente schiveremo un sistema esclusivo e dommatico. Il vero criterio, dunque, ha da esser Tuna cosa e l'altra; indizio e principio. Come indizio, come postulato atto a conquider lo scetticismo e inaugurare la scienza, e' consiste nel porre, come si è detto, il fatto qual criterio del vero; né e'' è altra via. Come principio, sta nel porre, dall'una parte, la conversione del vero cól fatto, e dall'altra, come appresso mostreremo, la conversione del fatto nd vero, applicandolo all' essere e a tutte le categorie dell'essere. Or in questa seconda forma assume egli davvero natura di principio? Di certo, l'assume; giusto perchè importa l'essenzial condizione dell'essere stesso. Ma non anticipiamo. Abbiam detto che di questa dottrina del Vico s' è fatto mal governo. Mostrammo già come primo fra tutti ne discorresse il Mamiani, e, poco appresso, SERBATI. Giova qui riassumer le ragioni della controversia fra' due filosofi. Il Mamiani accogliendo questo criterio, come si disse, osserva che con esso il Vico non intende propor nulla che esca da' termini della intuinone (secondochè allora diceva l'A. del Rimiovamento), ma considerare in essa, oltr' a' caratteri universali, alcune doti più particolari, col fine di proferire a un tempo medesimo il criterio della certezza, e '1 criterio della scienza. In altre parole egli dice: col suo criterio il Vico intende guardare non pure al formale della cognizione, ma eziandio al materiale obbiettivo.* Tutto questo è vero; ed è verissimo che, tranne la natura fisica e quella degli atti del mondo estemo, tutt' altro pel filosofo napoletano sia produzione del pensiero, com'avviene dell'algebra e della geometria. È fuori dubbio altresì che il criterio per lui non pure ha da esser segno del vero, ma anche principio. « Nee ulla »ane alia patct via qua eeepticit re ipaa convelli poétit, niti ut veri criterium 9Ìt id ip»um fecitte* t De Antiquisi, Ttaì, • ìiAìttAVif Rinnovdm, ec, Sennonché FA. del Rinnovamento non vide allora ciò che avria potuto e dovuto veder oggi V A. delle Confessioni. Non vide che l'aspetto originale di tal dottrina non istà nel riguardare il criterio vichiano qual semplice segno ed inizio di scienza, ma qual principio, qual legge dell'essere stesso in universale. Laonde non avendone còlto altro che il significato psicologico, accadde che alla possente lima di Rosmini non poteva tornar guari difficile ridurre in polvere cotesto criterio al modo che maneggiavalo il Mamiani.' Se non che è da confessare come neanche il Rosmini dal canto suo valesse a cogUere né la dottrina in discorso né quella parte di vero che, con altrettanta verità quanto calore, propugna il Pesarese. È noto che il criterio pel Rosmini ha da essere un principio, e dev' esprimere la verità prima, l'essenza della verità. Or qual è l'essenza del vero? Eccotelo ricorrere al solito rifugio àeW Ente idmle! Ma se cotesta potrà dirsi condizione di conoscenza, non però é principio di scienza, criterio del sapere per via di scienza. Che cosa potrà insegnarci mai con la sua vuotaggine l'essere possibile? l^ou è dunque cotesto il criterio di cui parlava il Mamiani, e tanto meno quello del Vico. Non potendo indugiare in minute osservazioni sul modo con che il Rosmini interpreta la dottrina di che parliamo, osserveremo solamente che sapere il vero, pel filosofo di Napoli, non é solo un conoscere il vero, come vuole il Rosmini, ma è porre, è fare, é creare il vero; altrimenti per nessun miracolo al mondo giugneremmo ad averne notizia. Conoscere per Vico non RosMiKT, Rinnovami, ddla FU. in Ttalia, Milano. Gioverebbe Ieg(?ere in questo copioso volarne del Roveretano qnel lungo capitolo e que* prolissi cementi nonché quelle sette conseguenze che la invitta dialettica Rosminiana seppe cavare dal criterio secondochè intendevalo il Mamiani. A lui bastò congegrnare, al solito, una di quelle sue tavole sinottiche nelle quali ei dimostra di quanta e qual vena analitica fosse ricca la sua mente, per metter Tavversario col suo criterio accanto ad Elvesio, ad Epicuro e ad altrettali! Ved. Tav. Sinottica (WSitt. FU.j intomo al criterio della cert&ma^ voi. è vedere, non è patire, non è semplicemente apprendere. È vedere, patire, apprendere, appunto perchè il pensiero è essenzialmente un conoscere. In una parola, se il vero non si conosce facendolo, non si conosce nuU'aifatto; non s'intende.* Quand' è infatti che diciamo di pensare? Giusto quand'abbiamo idee. Avere idee importa cólligere dementa rei; ex quibus perfecHssime exprimatur idea. Il vero è l' idea, ma l' idea innanzi che sia tale: è l'idea germe, l'idea potenza, la stesso spirito in potenza, il pensiero non per anche attuatosi come tale: in una parola è il senso che si leva a dignità d' intelletto. Raccolta l' idea, fatta l'idea, cioè dispiegatasi la meìite, eccoti il vero-fatto. Mi si domanderà in che maniera il Vico chiami esterni gli elementi onde risulta l'idea? Perchè, rispondo, l'eduzione dell'idea suppone la formazione del concetto; e il concetto suppone una serie di atti induttivi che appresso determineremo. Tutto ciò è come estemo all'idea; è condizione, non causa del suo processo. Senonchè col raccorre gli elementi esterni la mente pone qualcosa di proprio: pone se stessa come pensiero; diventa ella stessa le cose; diventa tutte le cose. Ond' è agevole vedere come il criterio del Vico sia il principio del metodo geometrico, che per lui, ricordiamoci,, suona genetico. Mi spiegherò con un esempio. Come si hanno gli assiomi, le verità prime e necessarie, secondo i positivisti? Mercè 1' esperienza, risponderebbe il Mill. L' assioma che due rette non cTiiudono spazio [Leggere è raccogliere gli elementi della tcriUura onde le parole tono composte; con V intendere è COLLIORBB elbmbnta RBI, KX QUIBUS PRRrBCTis-31VA RXPRIMATOR IDRA. Donde è lecito conghietturare che gl’antichi itttliani conveniseero in queeto pensiero : Vbrum rssr ipsuv factum.» Qual è cotesto fatto? È il pensiero, il vero-fatto: perchò ricevuto, indotto, raccolto, e anche edotto dalla mente. In tale questione il nostro filosofo, contro il solito, non manca di chiarezza. Egli infatti dice: e AUora il vero 9Ì converte col /atto, quando trae il 9uo essere dalla mente d^ lo eonoece; HI QDOD YERUM 00GNO8CIT0R SUUM K8SR A MBNTB HABBAT QUOQaR A QOA cooKosci'TOR.» De Antiqui^,, De Origine et ventate Scientiaruni.. Sgorga immediate dall'esperienza. Che se apparentemente si origina dal pensiero, cotesto pensiero in tal caso non è altro salvochè una ripetizione dell'esperienza : è r immaginazione che allarga i limiti del fatto. Ma questa, evidentemente, se è una maniera di sapere, non è il vero conoscere; perchè cotesto conoscere non sarebbe una mia fattura, sibbene imitazione, copia dell'esperienza. Che cosa, invece, vi direbbe il Vico a tal proposito? Direbbe: non istate a immaginarvi due rette portevi già dall' esperienza e poi prolungate all'infinito: fatevele da per voi medesimi coteste rette. Ma come farle ? Generandole entro voi, per voi stessi, con elementi sperimentali; e così, più che l' immagine del fatto, avrete la vera definizione, e però la genesi del fatto. Concepite il punto come prolungato verso un altro punto: eccovi la linea. Or se due rette hanno in comune due punti, potrann'elle chiudere spazio? Non potranno. Questo precisamente è il vero-fatto, il vero da me stesso fatto, da me stesso prodotto, da me stesso generato.* Per non chiamare il vero fattura di nostra mente, il Roveretano si puntella nel solito argomento de' caratteri della verità: immutabilità, assolutezza, eternità, necessità, università e simili. Ma ci sarà lecito chiedere Men« humana eontinet dementa verorum quce digerere et eomponere poMt'ti et ex quibu$ dUpontU et compoeitie, exittit verum quod demoiutraiU {teientice) ut demontiratio eadem ae operatio «i/, et verum idem ao faetum. > Ve Antiq.f cap. Ili, 4. Né Yale che SERBATI, chiamando in soccorso lo stesso Vico, dica, questi elementi esser le idee e coteste idee crearti ed eccitarti da Dio negli animi degli uomini. Per questa frase VA., della Scienza iVuova è stato battezzato Malebranchiano ! Ma come non vedere che in quel luogo il filosofo intende parlare del senso dato a questa dottrina da coloro che eteogitarono tali locuzioni, le quali ei non accetta perchè non sempre accetta il significato delle parole latine, come osserva lo stesso Rosmini a proposito del verum e del factum f Bastino queste parole: e Par, igitur eet ut qui ha» loeutione* excogitarint, ideas in hominum animi* a Deo oreari exeitarique eunt opinati, Fa meraviglia che il Rosmini non siasi accorto come quattro righe più giù l’autore contraddica apertamente a Malebranche {Malebranckii doctrina arguitur): e come, se fosse vera V interpretazione eh* ei ne dà, il Vico avrebbe sciupato addirittura il senso verace e originalissimo del suo criterio. una proposizione d' Euclide serba ella questi ed altrettali caratteri perchè ve li abbia inseriti la mente di Euclide come tale, o non piuttosto il pensiero medesimo, il pensiero in quanto è identico appo tutt' i pensanti, identico nelle sue leggi essenziali, identico nelle condizioni logiche originarie? Nella proposizione 4 -j 4 = 8 havvi necessità. Perchè? Perchè lo stesso pensiero ne ha messo gli elementi. Ma perchè vien fiiora 8 e non 10? Precisamente perchè ci abbiam posto il 4 -h 4: cangiate questo, e avrete cangiato anche quello. E perchè serberà egli un valore universale tanto da non parer fatto né d' ieri né d'oggi, né intuito solamente in Francia o in Australia, nell' età della pietra ripolita 0 nel bel mezzo del secolo XIX? Appunto perchè il pensiero è anch' egli necessario, universale nelle sue native condizioni in ciascun individuo che in qual si voglia tempo o luogo sia capace di pronunziar 4 -f 4. Le critiche dunque che altri potrebbe trarre dal RoHmini là dov' ei si studia d' interpretare a suo modo la mente del Vico rispetto al problema del conoscere, tornano tutte vane, tutte manchevoli. Ma veniamo al più sodo. Il criterio del nostro filosofo si porge altresì come il fondamento più saldo della dottrina della prova. Nel conoscere per cause, egli dice . seguendo lo schietto Aristotelismo, sta la vera scienza: il che si riduce al medesimo criterio della conversione del vero col fatto.* Che cos' è in sostanza il provare per cause? Al solito è un raccoglier gli elementi della cosa.* Provar dunque per cause, e convertire il vero col fatto, suona il medesimo. Un esempio. Il principe Alberto, dice St. Mill, morirà. Perchè? Non perchè tutti gli uomini (egli risponde) sian mortali ; si perchè tutti quelli a me noti e che son vissuti, * « Probare per cauMaat e/Jhere eat, Effecttu eH verum quod eum facto eonvertitur. (De Antiq. }TCx>j, ri x fitriy^o^Tx ti ^caviac, ntpi aiTcaec xxt ^px^i sVtiv, if o^xpi^ivripa^, -il dn'koìjvripaiy {Mttaph.\,\), Or questo precisamente ò U metodo che il Vico, certo in modo assai confuso, esitante, arruffatissimo, adopera nelle sue ricerche; nò quindi il De Ferron s' ò apposto male nel dichiararlo, come vedemmo, metodo essenzialmente aristotelico. * Dice anzi così: H mio criterio i in me aeeieurato daUa eeienga Hi Dio, eiCl fonU e regalia dT ogni vero. (Risp. II al Oior. de^Lett.) eh' ella non possiede, ma che pur va con infinito processo e per gradi accostando sempre più. Talché quando sentiamo il metafisico teologista e Tontologista affermare la scienza divina essere norma e regola dell' umano sapere, mostrando credere con ciò d'averne contezza vuoi per virtù d'un rapido volo d'intuito, vuoi per notizia chi sa come e da chi graziosamente rivelataci, e' non dicon nulla di serio, nulla di positivo addirittura. Per affermar tutto questo con tanta sicurezza, non dovremmo possederla cotesta scienza? Non dovremmo anzi dominarla e rimaneggiarla a nostra posta così come l'agrimensore fa del suo compasso? Norma vera, norma che noi dominiamo davvero, norma già nota al mondo prima d'ogni altra, semplice, evidente, inconcussa, è per l'appunto la matematica. Della quale l'A. della Scienza Nuova, non altrimenti che Leibnitz, GALILEI, BOEZIO, CICERONE, Aristotele, Platone, Pitagora, è grandemente innamorato, e sempre ne parla, e sempre con passione viva ne esalta i pregi* La contraddizione ch'altri vede nel porre ch'ei fa qual modello del sapere or la scienza divina or la matematica, è affatto apparente. Che nell'un caso parla, o intende parlare, deìVidea massima della scienza, della scienza divina, la quale altro non potrà essere salvo che la perfetta conversione del Vero col Fatto, la compenetrazione assoluta dell'oggetto col soggetto. Nell'altro, invece, discorre non già dell'idea massima, bensì d'un tipo, d'una forma che, più d'ogni altra accostandosi alla prima, più fedelmente la esprima e la rappresenti. Tal si è per appunto la matematica. Tipo infatti del sapere squisitamente razionale per lui è la scienza dell'astratta quantità; tant'è vero che Dio stesso, die' egli in suo linguaggio, non altrimenti opera nel mondo delle forme reali, di quel che faccia il matematico nel mondo delle figure.* Questo parmi '1 significato più acconcio da dare Ved. Risp. n al CHorn. de' LetU, § IV. a tal sentenza del Vico se non vogliamo farlo cadere in aperta contradizione con seco medesimo; non già che Dio e la sua scienza abbian da esser davvero norma immediata, origine e sorgente del sapere umano 1 È un paragone, è una figura e nulla più. E poiché intende a questa maniera la scienza divina, perciò riesce a salvarsi dagli estremi cui per vie diverse rompon l' idealista assoluto e il teologista ontologo. Pel primo scienza umana e scienza divina son tutt'uno: pel secondo ce n' è tal divario quanto fra il finito e V infinito. Se non che Rosmini e Gioberti nelle opere postume, ormeggiando gli aprioristi, pongono anch'essi medesimezza fra V una e Y altra scienza, distinguendo solamente, specie il Rosmini, la materia dalla forma, e questa reputando identica, e quella diversa nelle due scienze.* Ma, s'egli è così, divario essenziale non ci è, né ci può essere; stanteché l'essenziale nel conoscere, più che nella materia, stia nella forma. Invece secondo la dottrina del Vico può dirsi, che se tra l'una e l' altra scienza non corra assoluta identità, non vi possa esser nemmanco assoluta difi'erenza. Il pensiero divino conosce, perché raccoglie gli elementi; e nel raccorli reci' meivte li pone. Il pensiero umano va raccogliendoli anche lui, e nel raunarli idealmente li pone. E tale veramente appare la sua sentenza là dove osserva che il conoscere umano si discerne dal divino quanto il solido dal piano, quanto 1' effige in rilievo dal monogramma. SERBATI, Teosofia^ GIOBERTI, ProtoUy Altra difficoltà, secondo alcuni critici, sarebbe questa. Se vero sapere è il sapere per cagioni, se conoscere Tal produrre, se pensare è fare; com* è possibile arere scienza dell* assoluto senza farlo, senza produrlo? Conoscere Dìo a questa maniera non è un assurdo? anzi una bestemmia, a detta del medesimo Vico? Per tutta risposta io to* riferire alcune sue parole le quali racchiudono, panni, il significato sincero di sua mente, checché ne possa dire in contrario egli stesso: (Hist. ) E altroTO, parlando del perìodo della filosofia greca, dice il suo processo esser e eon/orme au déveloj^ment iiUelìeetuel de Vhofinne, don» Vindividu eomme dan» Veipèoe, ear la civili»ation tend toujour» de la circonférence au oenlre, periodi storici perchè la materia si presta a tal fine, come farebb'egli, il Ritter, a rilevare e ponderare acconciamente i caratteri delle differenti scuole e sistemi senza il sussidio d'una norma anteriore e superiore alla storia? Eccoci ricascati nella solita necessità d'un criterio che valga ad imprimere forma razionale alla storia: senza di che lo storico potrà esser pregevole per erudizione, prezioso per esattezza storica, saggio e conscienzioso per fedeltà critica, ma non per questo avrà valicato i confini dell' empirismo. Tale è il Ritter fra gli storici contemporanei della filosofia. Egli è critico savissimo, checché ne dica la scuola di Hegel. È interprete coscienzioso, indipendente, scrupoloso, accuratissimo; ma non è filosofo. A lui fa paura il dommatismo; fa paura il sistema nella interpretazione istorica: e non ha torto. Ma non si può essere storico filosofo senz* esser dommatico e sistematico? Il gran pregio di Ritter sta nel carattere d' indipendenza eh' ei dà alle differenti scuole. Ma un principio sopra cui s'incardini la sua critica, e gli porga ragione di tale indipendenza, a lui manca assolutamente. 11 criterio mercè cui lo storico potrà render utile lo studio della storia ed elevarla insieme a dignità scientifica, sta neir interpretar la successione e la genesi e le attinenze de' sistemi filosofici ponendo in opera il criterio delle tre posizioni che noi abbiamo accennato. Queste tre posizioni (e altre non sono possibili) invocate a chiarirci nel magistero della critica e della interpretazione della storia, non costituiscon già un criterio empirico, né un criterio d' indole eclettica; tanto meno un criterio dommatico, sistematico, ricostruttivo. Non è criterio empirico, perchè non sono i fatti storici (e nel caso nostro i fatti storici sono i sistemi filosofici) che lo partoriscano, 0 lo spieghino; ma egli stesso è che spiega la comparsa delle^differenti scuole e dottrine filosofiche nel regno della storia. Non è poi criterio eclettico perchè non iscaturisce dalla storia, né da' sistemi; anzi ci fa capaci d' interpretar V una e giudicar gli altri senza esser sistematici: sentenza che per taluno avrebbe faccia di paradosso, ma non è.* Finalmente il nostro criterio non è sistematico, perchè non isgorga dalle viscere stesse di alta metafisica, né quindi importa ombra di necessità dialettiche, a priori, metafisiche. Ma qui dobbiamo intenderci con gli storici hegeliani. Qual è il criterio storico di Hegel? È il principio stesso cella sua filosofia; V identità assoluta. Una infatti per lui è la filosofia, uno il sistema; e le dottrine particolari non altro che forme diverse d' un medesimo contenuto. 11 dommatismo sistematico nella storia de' si* La H;nola del Cousin scimmiottando Hegel, com'è noto, Terrebbe far germinare la filosofia dalla storia, o considera perciò come elementi organici necessari, aempiici e irriducihili solo quattro sistemi; Sensismo, Idealismo, Scetticismo, Misticismo. Da questi fa risultare la storia d'ogni tempo e ln)go; o da essi medesimi vuol far germogliare la filosofia: La teoria deve emergere dalla storia. [Court ec. Ber.) Or 80 la storia in ogni grand’età e in ogni periodo filosofico presenta qne soliti qiattro demetiti organieif ne segue che la teoria, dovendo pullulare appuiÉo da essi, altro non potrà esser che un accozzo eterogeneo e, meglio che un eclettismo, un sincretismo. Se gli elementi infatti sono contraddittorìi ed eterogenei, non dovrà esser tale altrosì l’insieme che ne verrà fuom V Che se per tale accozzo è mestieri d* un criterio, eccoci tosto fuori della storia; e allora non sarà altrimenti vero il gran domma che la teoria abbia da emerger dalla stessa storia. Altro difetto di Cousin è, che iella sua divisione non trovan luogo parecchi sistemi, come per es. il Critclsmo, e Y Idealismo assoluto: 1’uno perchè non è sistema, e nemmanco icetticismo; l'altro perchè, sotto il riguardo psicologico, sarebbe l’ unione di due sistemi, secondochè avverte egli stesso. Inoltre non giunge a determinar nettamente la fiinzione dello Scetticismo nella storia, e distinruerla dalla funziono che esercita il Misticismo, il quale definisce, le eotf> ds désespoire de la raièon humaine: quasi che il secondo fosse un atto legativo cosciente, com'è il primo, e non già positivo in qnanto che imprta fede, contemplazione, sentimento e simili. Finalmente chi non vorrà legare p^li Eclettici che il Misticismo, il Sensismo e lo Scetticismo siaio da riguardarsi come altrettanti sistemi V Ecco a che mena un criteri) erroneo su la divisione e genesi de' sistemi filosofici. Non s' intende h storia, e poi si precipita senza rimedio in una teoria affatto sincretici e però assurda. La storci della filosofia mani/estaf ne* vari sistemi che sono apparsi, una sola i medesima filosofia che ha percorso diversi gradi, e prova che i prineipii particolari di ciascun sittema non sono che parti d’un solo e medesimo utto. > (Hbgel, Log. Introd. trad. Vercu Wilmx, stemi non potrebbe risaltare più evidente, più rigoroso, più universale, più assoluto. Noi innanzi tutto neghiamo risolutamente che le vario dottrine non possan essere altro fuorché momenti diversi d* una filosofia. Dov'è identità di contenuto, a dirne un esempio, fra Idealismo e Materialismo? Tra Teismo e Panteismo naturale o ideale che sia? Ci vuol davvero la pupilla lincea degli hegeliani a vedere, o meglio, a travedere siffatte ideatità di contenuto ! D' altra parte, se posta la evoluzione della idea 0 contenuto dello spirito ne seguita (come dicono) che la filosofia ha da esser identica alla storia: non è egli codesto un principio degno d' un eclettico francese? Non è la negazione più aperta, più schietta del progresso in filosofia, meno, s'intende, epoca memoranda in che con la sua bacchetta d'acciaio il gran negi-omante del Nord ebbe diffinitivamente segnato e chiuso in perpetuo il circolo della filosofia? S'egli è così, la dottrina ^é* circoli e de' ricorsi storbi che il Vera dice esser l' errore madornale della Sdenzii NuovOj per me sarebbe anzi una conseguenza logica, immediata, inevitabile dell' Hegelianisrao, almeno quant' al pensiero speculativo.* Hi9t., voi. IH). La successione istorica de' sistemi perciò riesce identica a quella delle determÌDazioui logiche della Idea: il perchè in fondo a tuttM sistemi non si occulta altro che un medesioo oontenuto. Chi consideri bene le dottrine e applichi con acciiiatezza le esigenze del metodo vichiano alla storia de' sistemi, si accorgerà tosto corno nella filosofia, guardata storicamente, ci abbia da esser moIiipUcità di momenti, e, che più monta, diversità di contenuto; del che /a storia dt'Ila filosofia greca, come accennammo porge splendido esempio. Ma, si badi, ciò non toglie punto che ci abbia da esser», come di fatto ci è, differenze di forma. Se i ritomi e i rieorgi «tarici nm importassero anche in filosofia un contenuto nuovo pur occultato sotto vecchia forma, che cos' altro sarebbe la storia del pensiero filosofico salvo che an' og;,Mo8a e sterile ripetizione d'un medosiuio uggiosissimo spettacolo'? Nella storia de' sistemi, più che in altre, il moto e lo svolgim4Qto storico non somiglia ad una linea retta, come dicono alcuni, e mmmanco ad un circolo, come pretendono altri. La storia della filosofia 3 linea retta e circolo insiememente. È linea retta, chi guardi al contenuto; ed è poi circolo, chi consideri la forma, cioè la parto meccanica do' fatti; giacche la storia, lo dicono e lo credon tutti, ò fornita alch'ella del suo Un' altra osservazione contro gli Hegeliani poiché ci calza. Se V ingegno filosofico (quello, ben inteso, degl' imperturbabili e severi negromanti in filosofia) racchiude in sé tanta virtù e tal vena architettonica da costruire con lavorio tutto a priori il sistema della scienza dell'essere e del conoscere; la conseguenza parmi chiara, irrepugnabile: ed é che la storia della filosofia non potrà non riescire affatto inutile e insignificante. A che sciupar tempo, a che sprecar la nostra attività critica a studiar ne' bozzetti piii o manco smorti e melensi e sconci e abortivi che ci presenta la storia, se abbiamo già dinanzi agli occhi in marmo vivo e quasi palpitante il Davide e '1 Mosè? Dicono: « Noi invochiamo la storia de' sistemi, é vero, ma per semplice guarentigia del sistema: la invochiamo com' una riprova di fatto, com' una conferma sperimentale.... » Conferma di che? Della costruzione a priori,^ Dunque codesta vostra costruzione è una congegnatura inefficace! D' altra parte, se il sistema giace ascoso e beli' e apparecchiato nella storia e non fa che germinare da essa, in questo caso non sarà inutile la vostra costruttura ideale, a priori? Brevemente, una delle due: La costruzione a priori del sistema é ella assoluta? Dimque è faccenda inutile la storia de' sistemi. Il sistema giace egli beli' e apparecchiato nella storia? Dunque inutile ogni alma meccanismo. Ora dunque per noi il pensiero fllosofico ò daTvero progressivo; è progressivo sul serio; progressivo noi verace senso della parola progresso, appunto perchè si svolge anche, e sopratutto, nel suo contenuto. £ qui, com* è chiaro, noi rispetto agli Hegeliani siamo addirittura a:rU antipodi; e non è altrimenti il nostro povero don Giambattista quegli che non ebbe la fortuna (sic) di scoprire la gran Ugge dd progredire della utnanità, ma è proprio il loro Hegel cui toccò la sventura (abbiano pazienza!) di non conoscerla, anzi di negarla cotesta legge; o almeno, riconosciutala da Talete, Tha poi negata a tutt*i secoli avvenire, condannandoli senza scam(H> a ruminare eternamente la medesima formola metafisica! Il concetto del vero prògre99o è concetto propriamente impossibile nella mente degli Hegeliani, come vedremo nella Sociologia. MiOHKLiT, Exam, Crit, de la Mèi. d'Arisi., Paris] nacchìo architettonico dialettico a priori. Nel primo caso voi sarete altrettanti Dii; e noi non v'intendiamo, perchè confessiamo di non esser capaci d' intendere un linguaggio e un pensiero sovrumano. Nel secondo poi sarete eclettici, o positivisti; e noi vi superiamo. Non v'è scampo. Se la storia de' sistemi ha da servire di per sé sola a darci la filosofia; se, d'altra parte, la congegnatura a priori ha da essere assoluta e tutta d'un pezzo: come legittimarle entrambe? perchè invocar la necessità d'entrambe? Intendo l'eclettico che, non sapendo rinvenir filo d' energia speculativa ne' bisogni intimi del suo pensiero, viene a chieder soccorso alla storia. Intendo non meno il positivista che con le mani sotto le ascelle tutto aspetta dalla storia appunto perchè non ha briciol di fede nelle native forze della ragion filosofica, e sorride agli sforzi ne' quali nobilmente altri si prova. Ma come potrò intender gli hegeliani che invocan la storia nel momento istesso che vantano la singoiar pretensione di costruir l' edifizio scientifico a priori rifacendosi dal tetto ? Che cosa dunque è da concludere? Precisamente r opposto di ciò eh' essi pretendono: che ne la storia contiene il sistema, né la mente può costruirlo e dedurlo a priori. Né induzione, al solito, né deduzione neanch' in quest' ordin di cose. La possibilità d' una dottrina metafisica può germinare dall' azione combinata delle due forze; dalla storia de' sistemi interpretati a dovere, e dalla energia intima del pensiero speculativo. Or tutto ciò potrebb' egli esser possibile, se questo pensiero non fosse ad un tempo e dentro e fuori della storia?* Schmidt divìde la storia de’ sistemi filosofici morendo dal concetto della filosofia elio per lui è teienza del fondamento ultimo del nottro pentierOf e delV a$§oluto, E poiché cotest' obbietto si può concepire in tre gaise, cioè obbiettivamente, sabbio ttiv amente e neirun modo e nell* altro riconoscendoli entrambi come identici, però ne deduce 1’opposizione de* sistemi, e la divisione della storia. La prima e più generale divisione è questa; 1» filosofia grreca; 2o filosofia nuova avanti Kant; S*" filosofia Il nostro criterio non è niente di tutto questo. Non è empirico, non è eclettico, non è sistematico, non è dommatico. E positivo, e razionalmente positivo. Ed è tale perchè piglia di mira non già i sistemi propriamente detti, anzi le posizioni ultime, più semplici, irreducibili del filosofare, squadrandole sotto doppio rispetto; sotto il rispetto della scienza, e del suo oggetto. Le posizioni possibili dell' ingegno filosofico, di fronte al sapere metafisico, dicemmo esser tre: !• impossibilità della metafisica (Scetticismo); 2» sua attualità (Sistema beir e compiuto); 3» sua possibilità (Critica). Anche tre, dicemmo, le posizioni del suo oggetto, cioè le possibili soluzioni del problema metafisico. Dunque tre han da essere i sommi generi sotto cui la storia può venir adunando, disponendo, ordinando le dottrine, gì' indirizzi, i metodi, le esigenze speculative formanti le specie e sottospecie, le recente dopo Kunt {St, della FU.). Innan^ù tutto questa è una diTisione essenzialmente sistematica, e riesce alla filosofia dell* identità: il che solo basterebbe a condannarla. Il concetto inoltre nel quale è fondata • è superlativamente esclusivo; tanto cbe rimaui^on fuori del corso isterico interi periodi di speculazione occidentale, per non parlare della filosofia orientale. Così precisamente egli tratta, per esempio, la scolastica: la quale, tuttoché non si possa dire speculazione metafisica, non però cessa d'essere 8peéulazione,quantunque in servigio della teologia e del domma. K poi, come mai dalla filosofia greca, con un salto più che mortale, si piomba a Cartesio? Dov* è qui, non dico la verità, ma la realtà del processo storico della filosofia? Un'altra domanda. Schmidt pone Videntìtà come contrassegno del 8^ periodo della filosofia. Ma, con qual diritto, con che verità qualificar tutt* i filosofi di cui egli parla nel suo S"* periodo col carattere dell* identità? Come si vede, lo Schmidt cade nel1’ a pr»art«mo hegeliano, ma senza far pompa de* grandi pregi di Hegel. Tranne V opposizione fra' sistemi, nonché la triplice maniera onde in essi è concepito l'assoluto, ei confessa dì non saper altro per via a priori di concreto, di particolare circa la storia delle scuole e delle dottrine filosofiche: doveccbò Hegel non pnr move dalla logica, come s'ò detto, e dalle alture logiche procaccia dedurre i sistemi ed i momenti della storia, ma più ancora li costruisce; li costruisce indipendentemente dalla storia. Il metodo dello Schmitd, quindi, avrebbe una parte accettabile, un aspetto vero; che, cioè, r indagine storica, per lui, non riescirebbe un di più affatto inutile, come in sostanza dovrebb' essere per Hegel. Se non che cotesto bel pregio svanisce, tostraf«, appresso il vero metafinoo. Or questa genesi a cui egli accenna, si applica evidentemente tanto al processo delle scienze, quanto a quello della filosofia; e, di più, risponde appnntìno alla storia e al processo ideale de' metodi. I metodi per lui sono ìtq;V Induzione^ il Sittogiemo, il Sorite. {De Antiquiee.) È bene avvertire com'ecfli, discorrendo del Sorite^ sbagli nell'attnbuire a Socrate quella forma. d'induzione cui allude nel Libro metafìtico; e non meno sbaglia, come osservammo, quando chiama sillogistico il metodo aristotelico. Ma questi, com' ò chiaro, sono sbagli di storia, inesattezze di fatto, non già di dottrina. Ciò che importa è che sin nel Libro metaJUico egli sa scorgere un vincolo, un processo, e quindi un progresso fra le tre posizioni metodiche del pensiero: Induzione, Dedazione, Eduzione, rispondenti alla storia delle scienze, come a quella della filosofia. Giova perciò intenderci bene. L' Induzione, per lui, è un artifizio sintetico, ma d'indole empirica; ondo la mente non facendo che raccogliere, adunare, procede dall'effetto alla causa, e quindi è analisi, diremmo, sintetica. (Inductio, pioura ànalytica; Stllooismus, stntrtioa. Ved. De Conet, PhUologim) Il Sillogismo invece è un artifizio deduttivo, è ainteei analitica per cui la mente procede dalla cagione all'effetto; ma è incerto nel euo procedimento e però inetto a scoprire {De AntiquÌ9$., cap. II, VII, 4). Questo è quel metodo eh* ei condanna ne' Cartesiani, ed è quel 9ÌUogi»mo debole oÌ79iv'/ì^ i7uXXo7(7]txo; che Aristotele biasimava in Platone (>lna/. Poet.,!,) Finalmente il Sorite, per lui, è tutt' altro di ciò che ne dice la logica ordinaria. II Sorite non è, a dir proprio, nò sintesi, né analisi. Non è analisi sintetica che dall'effetto ealga alla cagione, e nemmeno è sintesi analitica che dalia causa eeenda all'effetto. Invece è funzione che oofuxitena caute con caute: Qui utitcb borite gauss ab oaussis, ouiqur proxiMAif ATTBXIT. {De AntiquÌ89„ De certa /acultate eciendi, ) Perciò il Sorite essendo la funzione sillogistica nella forma pid compiuta, presuppone e racchiude in sé l'analisi e la sintesi, la deduzione e l'induzione, e di fronte a queste debb* esser superiore e posteriore. Dunque la funzione discorsiva che egli appella Sorite e che pone nel terzo momento della storia Se tutto questo che noi siamo venuti sin qua discorrendo è vero, quale ne sarà la conseguenza? Sarà che tanto nella storia deUa filosofia, quanto nel succedersi de' sistemi, il progresso non è, come ci predicano i positivisti, un' illusione de' filosofi di mente ammalata e nebulosa, ma un fatto storico e psicologico ad un tempo; una storica e psicologica necessità. I diff'erenti sistemi, ci dicono i filosofi deW avvenire^ possono conferire al progresso non come cagioni determinanti, ma come semideale de* metodi, non è altro che il processo ednttiro di cai altrove abl)iaino discorso. Neir annodar cau»e con carne sta V invenzione del termine medio, e perciò la conversione dd vero col fatto. Se non che talora anche in ciò egli si contraddice ! ifferma, per es., che V analisi (la qaale abbiam visto essere per lui posteriore alla sintesi, e però, come artifizio deduttivo, posteriore ali* induttivo), sia il metodo puramente critico de* Cartesiani; e non senza ragione lo condanna, perchè esclusivo e solitario. Ma più volte poi dice esser tale anche il Sorite; cioè un artifizio puramente critico e analitico. {De AnUqxUss,^ Ds Nos. Temp. Stud. Jiat,, Argum. RUp, i* al Glor. de' Lett., § IV. - /?« Oonst. PhiloL, Sec. Se. Nuo.) Ma non abbiam vist ) com'egli medesimo ponga il Sorite dopo Vlnduzimie che è analisi-sintetica, e dopo il Sillogismò che è sintesi-analitica? Come, dunque, se è posteriore e superiore, potrà esser non altro che pura critica e pura analisi, e perciò anteriore e inferiore? Non è contraddizione palpabile cotestaV A levar di mezzo siffatti controsensi, bisognerà stare alla definizione eh' ei medesimo ne porge del Sorite: funzione che concatena cause con ca«we, non già effetti con causcy o eause con effetti. Ella compenetra, come dicemmo, in un medesimo circolo l'analisi e la sintesi, l'artifizio induttivo e '1 deduttivo]. fe insomma il nwtodo ch'egli sposso appella geometrico (Risp. al Oior. de' LcU.). È, ripetiamo, il metodo ednttivo, genetico, il quale non è geometrico in quanto debba essere tolto cosi com' è dalla matematica, ma nel senso che dalla geometria s'ha da pigliar la dimostrationCf cioè la guisa per far la scienza. Lo dice egli stosso; non m^hodus geometrica^ sed demonsb'otio. E dopo ciò auguriamoci che alcuni suoi crìtici non vorranno maravigliarsi più oltre ch'egli abbia voluto appellar geometrico il metodo proprio della sua Scienza Nuova! {i^ Se. JVuo.). Uno de' continovi lavori di questa scienza d dimostrare FIL PILO.... lo spiegarsi delle idee umane . Concludendo: Col porre la genesi psicologica de* metodi e '1 processo isterico delle tre funzioni metodiche, il nostro filosofo ci ha dato insieme la dottrina su la genesi positiva delle scienze, secondo l'interpretazione che noi altrove abbiamo accennato (p. 230), e sopra questa legge si modella eziandio la storia ideale della filosofia^ com'egli dice, o la storia naturale de' sistemi JUoéoJtci. Sono germi cotesti, io lo veggo; ma germi fecondissimi. plici condizioni del progredire; cioè com' errori che si combattano, e che nel combattersi a vicenda si correggano. La contraddizione qui è palpabile; e non è la prima né l'ultima nella quale intoppino i positivisti. I sistemi filosofici non sono che errori, e pur si correggono ! Ma, so correggonsi, in clie maniera saran tutti un errore? È possibile correzione senz'una parte di vero? Or se racchiudon parte di verità, certo non avrebbe a parere impresa disperata poterli assommare; per la semplice ragione che se la mente umana è quella che ha potuto partorirli e poi di mano in mano correggerli, ella medesima potrà venirli adunando in organismo, nel che, come si disse, è necessario un criterio superiore/ Abbiamo detto esser triplice il processo delle cose governato da un medesimo criterio, il quale perciò assume valore di principio: la Conversione del vero col fatto. Ora il primo processo a cui è d' uopo fare cotesta applicazione è appunto la storia, perocché lo spirito nasce nella storia, e la fa. E poiché nel medesimo processo isterico é racchiuso il processo psicologico il quale n' è il fondamento più immediato in quanto é la I sistemi si combattono, è vero: essi rappresentano il transito a verità; e anche questo è verissimo. Ma ciò fanno non tanto perchè sono errori, non tanto perchè lottano, qaanto perchè racchiudono in sé medesimi un elemento di speculazione e perciò di verità metafisica. In una parola, essi lottano, ma non per distruggersi a vicenda, sì per legittimarsi, e compiersi. Giova ripeterlo anche qui: Positivismo e Idealismo assoluto mancano del vero concetto del progresso nella storia de' sistemi. L* uno considerandoli come produzioni fantastiche della mente, crede che poco alla volta essi finiscano per divorarsi a vicenda senza verun incomodo degli spettatori; dovecchò l'altro, avvisandoli come organi e vegetazioni d' una medesima pianta, nega loro ogni ulteriore progresso giunto che sia a vedere sbocciato quel fiore nel quale sono contenuti in atto rami, fronde, foglie, tronco e radici della pianta. Questo fiore, si sa, non può essere altro che la filosofia dell'identità. Ora a me pare che, se hegeliani e positivisti vorranno per poco tenersi conseguenti a sé stessi, la storia della filosofia agli occhi loro non potrà essere altro che un caput mortuum; sempre per la solita ragione, che gli uni hanno intera fiducia nella costruzione ideale della metafisica, mentre gli altri non ne hanno punto, anzi la negano. Caput mortuuml nò più, né meno. La logica è inesoraWle. stessa nostra coscienza, perciò la prima applicazione di quel principio riguarda la genesi psicologica. Ma, innanzi tutto, che cosa ci dice la storia della psicologia rispetto al problema psicologico? Capitolo Quarto. platonismo e aristotelismo nel problema psicologico. Il nodo al quale per ragioni più o manco immediate si rappicca la soluzione de' piii vitali problemi delle scienze morali, e stavo per dire anche quelli della metafisica, è il problema psicologico, che un moderno filosofo ha giustamente appellato problema generatore.^ La psicologia segue anch' ella una legge cui vediamo soggiacere ogn' altra parte della filosofia. Pigliando a considerare il problema psicologico sotto l' aspetto teoretico, ci accorgeremo tosto della possibilità d' una doppia soluzione, che si riferisce a due sistemi fra loro opposti e contrari: i quali sistemi, per quanto si voglian fregiare di titoli vistosi e facciano pompa di nomi pili 0 meno appariscenti, ci rivelano sempre alla fin fine l'esigenza del materialismo, ovvero quella dello spiritualismo. Se pigliassimo poi a guardare il medesimo problema sotto r aspetto isterico, sarebbe agevole il vedere come quelle due soluzioni mettan capo a' due maggiori filosofi dell'antichità, Platone e Aristotele, ne' quali s'imbatte sempre la mente dello storico quando meno se '1 crede. Che se oltr' ai due massimi filosofi di Grecia togliessimo ad esame anche la teorica psicologica degl' insigni rappresentanti della sapienza cristiana. Agostino ed AQUINO, i quali non fanno che ormeggiare i due Fichte, Doetrine de ki Seienetf trad. Grimbl^t,] greci quanto le necessità del domma comportavano, avremmo beli' e fissato l' obbietto e determinato i confini della critica intorno alle principali soluzioni date sul problema in discorso, e fors'anco avremmo tirato le somme linee d' un intero disegno isterico della scienza psicologica fino all' età del Rinascimento^ I quattro filosofi menzionati comprendono in germe tutte le posizioni psicologiche possibili, meno una; meno quella, cioè, che, nulla serbando di filosofico e di psicologico, si riduce tutta a negozio di biologia, come vorrebbero certi moderni fisiologisti. Nella storia della filosofia, infatti, avviene quel medesimo che in ogn' altr' ordin di cose morali: le prime tracce dello sviluppo, i germi del processo, come germi, s'annidan tutti nelle origini. Nelle origini la virtù spontanea e divinatrice dell' ingegno emerge vigorosa e potente così che basta ad alimentare i' attività analitica di più secoli, ed eccitar 1' ansia e '1 bisogno speculativo di più e più generazioni. Le origini . riflesse della speculazione occidentale pongono lor prima radice nel pensiero greco; massime in quel perìodo in cui Platone e Aristotele rappresentando, per così dire, 1' analisi in cui sdoppiossi e ingagliardì la sintesi socratica, giungono a toccar l'apice della riflessione metafisica sotto duo forme distinte; distinte nell'idea, diverse nella forma e anco nello stile, ma atte ad integrarsi e compiersi a vicenda. Il vivente storico inglese della Grecia ha detto che la speculazione europea, nonché gran parte dell'orientale, altro non sia stata in sostanza fuorché un commentario intricato e perpetuo de' due massimi filosofi. A compiere il concetto avrebbe potuto •e dovuto aggiugnere che in cotesto commentario, in cotest' analisi, tanto più evidente appare il progresso, quanto più intenso é lo svolgersi delle dottrine, e più fitto e più variato il succedersi delle scuole. Chi dunque pigliasse a far la storia critica del Platonismo e dell'Aristotelismo, e' sarebbe già in grado di far la storia della filosofia: in cui lo scetticismo avrebbe quella funzione e queir ufficio che gli spetta; ufficio senza fallo assai rilevante, ma, come dicemmo, di semplice strumento più che d' artefice; funzione di mezzo, d' espediente, d'incentivo piii che d'elemento vitale della scienza. Se infatti v' ha cosa nella quale consentano appieno i due massimi filosofi, è questa: che il concetto del sapere, del sapere per via di scienza, debbasi appuntare neir universale, stante che dall' universale possa emergere unicamente la possibilità della metafisica. Ecco perchè tale possibilità è già beli' e dimostrata, s' altra prova mancasse, dal fatto storico, dalla storia della filosofia. Ecco perchè lo scetticismo, siane qualunque la forma, è distrutto, o meglio, è ridotto al suo legittimo valore, dall'esistenza atessa e dallo svolgimento cui son venuti soggiacendo il Platonismo e l'Aristotelismo. Ed ecco perchè, ripetiamolo, questi due grandi sistemi racchiudono un significato supremamente comprensiva per due rispetti diversi, l'uno storico e l'altro teoretico, e per due diverse ragioni altrove accennate. Sul carattere precipuo del Platonismo ci sarebbe a sperare che né critici, né storici qund' innanzi avessero a discutere più oltre. Volumi in foglio scrissero antichi e riscrissero moderni, sia per determinare il concetto platonico del Bene, sia per isgroppare que' tanti viluppi su la natura delle idee, sia per ispecificar l' attinenza peculiare fra esse e Dio, o per lumeggiare il processo della dialettica e chiarir la forma verace del metodo filosofico platonico, o, finalmente, per additare il rapporto fra '1 pensiero e l' obbietto sovrassensibile di esso. Pare che i più oggi consentano a ritenere, il distintivo platonico star nella teorica dell' esemplarismo, e quindi nella dottrina (vera o no che sia) delle idee avvisate oom' eteme conoscibilità, e com^ eterne e assolute specie delle cose, 11 che tanto più avrebbe a parer vero, in ^Ytìov wjTTioòc To (zé^iov (iTxpct^ityt/y.) iS\tntv. Tm. Cfr. quanto che il punto attorno a cui s'aggira la critica dello Stagirita sta tutta qui: Videa non pure esser Buperiore alle cose, ma tutta al di là e tutta al di fuori delle cose. Né le tre scuole d' interpreti che hanno a capo Herbart Hegel e Bitter, e che in Germania oggi dividonsi '1 campo della critica sul significato essenziale e speculativo de' dialoghi platonici, dissentono guari intorno a cotesto particolare, quantunque tutt' e tre riescano a dissidii profondi nell' applicar la critica non tanto erudita, quanto d'interpretazione filosofica. Difficoltà pili gravi porge l’Aristotelismo; col qual nome intendo abbracciare tanto Aristotele, quanto la interminabile tratta de' suoi commentatori. Queste difficoltà senza fallo tengono all' indole stessa della dottrina aristotelica, all'esser eUa, per così dire, bifronte, racchiudendo i germi di due contrarie ed opposte direzioni speculative: cosa che, ove non fosse universalmente riconosciuta, basterebbe a comprovarcela, s' altro mancasse, la critica che neanc' oggi ha smesso e certo mai non ismetterà la speranza di porre in accordo lo Stagirita con sé medesimo. Eertanto, riconosciuta l' ambiguità e r indeterminatezza del sistema aristotelico nonché il difetto d' impasto omogeneo in parecchie sue teoriche; considerato come Aristotele uscito del tirocinio platonico dovea serbare, come serbò evidenti, alcune tendenze già inseritegli nell' animo dalla viva e potente e drammatica parola di chi seppe concepire e scrivere il Protagora e '1 Filébo; tenuto conto sopratutto dell'opposizione gagliarda e severa ch'ei mosse contr'al maestro; e, finalmente, considerato lo svolgersi così vario, così intricato, così opposto ne' suoi resultamenti cui r Aristotelismo andò «oggetto attraverso civiltà diverse, tempi diversi, luoghi divedi : non avrebbe a parer Stallbacm, ne* ProUgom, al Parmenide di VELIA, SERBATI, Aritt. eep. ed esam.f Introd. Zkllbr, DeU^ espogiz. aritt, della fil, di PUxtone, c. rV. Tbbndelsnburo, Plut. de id., Mabtik, Éhui. mr le Tim., Àrgom, CousiN, Du vrai, du beau et du bien, loz. IV. troppo ardito T argomentare, come dal tatt' insieme delle sue teoriche, in ispecie dalle tendenze molteplici degli esegeti d'ogni età, cotest' indirizzi devan essere tre, meglio che due. De' quali indirizzi noi chiameremo il primo ip&rpsicólogko; il secondo. Triturale oàempirico; e il terzo medio, ovvero aristotelico-platonico propriamente detto. Dal significato stesso di queste parole, ognuno s'accorgerà come il nostro criterio diflferenziale, e la divisione riguardante gì' indirizzi della dottrina aristotelica nonché le diverse esegesi a cui elle conducono, sia per noi principalmente di natura psicologica; e non può non esser tale. Aristotele, infatti, non cessando d' essere Aristotele, è anche mezzo platonico. Un criterio diflFerenziale, dunque, circa le dottrine de' due filosofi, non potrebb' essere attinto in altra sorgente salvo che in quella della psicologia, dove appunto riluce piii netto il dissidio, checché ne dica il Ravaisson,* tra i due filosofi della Grecia. D' altra parte cotesta nostra divisione non solo si porge come criterio a discemere e giudicar le diverse scuole aristoteUche, ma ci somministra modo altresì per valutare l' esplicazione storica del Platonismo al lume di quel terzo indirizzo che noi pensatamente abbiamo appellato medio. 11 quale, se con gli altri due l' abbiam detto aristotelico, non è meno platonico perciò. Cotesto indirizzo medio, infatti, non è originario, ma secondario. Non è nato fatto, ma capace di farsi, di generarsi, d'assumere fattezze proprie e fisonomia sempre più individuale e spiccata nel corso della storia. Però più d'uno storico della filosofia ha paragonato 1' Aristotelismo e '1 Platonismo a due fiumi che risalgono verso due sorgenti diverse; e meglio avrebber detto due correnti distinte d' un medesimo fiume, le quali, scorrendo, sempre più si rimescolano e conifondono per entro a un medesimo alveo. Nelr Aristotelismo quindi ci è il Platonismo, o meglio ci * E9$ai de Ifitaph, d' ÀrUt, Tom. I, Introd. p. Y. è germi di due maniere di Platonismo, legittimo e spurio. Il Platonismo spurio in sostanza è Arabismo; e la cagion prossima, X origine immediata di esso non risale già alla dottrina platonica, come altri ha creduto cogliendo a frullo qualche sentenza qua e là sparsa ne' dialoghi del filosofo ateniese; ma risale al medesimo Aristotele; e ciò per due diverse ragioni. La prima delle quali, come ha osservato un illustre storiografo,* si radica nell'opposizione che lo Stagirita ingaggiò contro il maestro; e questa, più che cagione, noi diremmo sia stata occasione, incentivo alla dottrina averroistica. La seconda poi vuoisi riferire, come toccammo, all'indeterminatezza e ambiguità della stessa dottrina aristotelica su l'intelletto; tant' è vero che Alessandro d' Afrodisea, intendendolo in parte sotto l'aspetto empirico, potrebbe aver fatto più sdrucciola, per parte sua, la strada all'Averroismo.' Se dunque tale è l'Aristotelismo di fronte al Platonismo, si può dire che, ove altri pigliasse a far una storia compiuta del primo conforme al criterio che noi diciamo, farebbe anche la storia del secondo, cioè del Platonismo vero, del Platonismo legittimo, appunto perchè nell'uno e' è, anche 1' altro, ma corretto, o a dir meglio, compiuto per più d'un rispetto.' Ora che i tre indirizzi non siano per avventura tre fantasie del nostro cervello, potrebb' apparir manifesto dalle sentenze diverse che noi potremmo agevolmente venir adunando nel medesimo Aristotele, se potessimo, anche a far bella mostra di peregrina ma non difficile erudizione, ingolfarci in esami di esegesi minuta e particoleggiata, e se il Rosmini non avesse già, meglio che * Renan, Averrhoé» et VAverr.^ pag. 42. * Ravaisson, Bonghi parlando della metafisica d'Aristotele osserva, c^ tutti qtianti % »Ì9temi fino a Carteno ei »% »ono tpecehiati dentro^ e ci hanno jwù o meno riconoeciuto il proprio vieo, (Lett. al Rosm., Trad. della Metaf.i). Nourisson dice fino a Leibnitz. {Tabi, de» progrU, ec., 2* ediz, 1S59 nella Condu$,) Perchè non dire fino ad Hegel addirittura? ogn' altri, posto in sodo con maniera davvero magistrale r esistenza nello Stagirita de' due primi indirizzi. Ma una prova più chiara potrebbe averla chi guardasse al modo con che sonosi venute svolgendo e diramando e poi intricando e vie più ravviluppando fra loro le varie scuole aristoteUche non solo per tutte quelle dieci età che il nostro Patrizi distingue nella storia degli esegeti aristotelici, ma eziandio per tutto il periodo che corre dall' epoca del Rinascimento fino agli ultimi critici tedeschi hegeUani e non hegeliani, Michelet, Pranti, Zeller, Trendelenburg. Da Teofrasto, per eserapio, a Stratone di Lampsaco incomincia a prevalere di già r indirizzo naturale, pigliando forma sempre più empirica di guisa che si potrebbe dire non v'essere stacco assoluto fra questo indirizzo aristotehco, e quelle scuole che vi tenner dietro, segnatamente l'Epicurea e la Stoica.* 11 Nominalismo del medioevo che SERBATI più acconciamente appellerebbe Bealisfno aristotelico, nonché il naturalismo d'alcuni peripatetici, ci palesano anch' essi l' indirizzo empirico. ' I Positivisti, finalmente, credono anch' essi oggidì potersi agganciare allo Stagirita, ne in verità avrebbero gran torto se troppo facilmente non dimenticassero come accanto all'Aristotele positivista ci sia un Aristotele filosofo anzi metafisico propriamente detto. D'altra parte, il Neoplatonismo e più l'interminabile serie dei commentatori arabi o arabeggianti che smarrivansi in quella grossolana forma di panteismo ])sicologico annidatasi nella dottrina dell'intelletto agente così balordamente interpretata in Aristotele, non ci palesano schiettissimo l'indirizzo iperpsicologico? Fra questi estremi quanto evidente nella storia al[Ravaisson. SERBATI, ArUu eiip. ed etam.y Introd. Roussblot, Étud^ tvr la Phil. dan» le moì/en àgef l» Saint-RinÌ Taillak> DntB» Seot Erigene et la Phil, Seolwtt., CousiN, Fragni, de PkiU du fnoyen Age, [trettanto necessaria in teoria è la posizione mediana. Ella si studia porre nn accordo fra l'esigenza fondamentale del Platonismo, e quella dell' Aristotelismo; fra l'uniTersale in sé, e Y universale anche nel mondo. Se non che è facile vedere come questa posizione abbia a rendere immagine, diremmo quasi, del ferro magnetico il quale senza posa oscilla fra mezzo al polo positivo e al polo negativo. Tale davvero è l' indirizzo medio, un ferro magnetico: per cui non è impresa agevole stabilire, per esempio, se certi realisti e certi nominalisti dell' evo medio, de' quali il Rosmini con l' usata pazientissima industria andò scovando più e diverse famiglie, sLin da dichiararsi aristotelici meglio che platonici. L' indirizzo medio nelle dottrine filosofiche, massime parlando di Platonismo e d' Aristotelismo avvisati nel loro svolgimento istorico, spicca per questo contrassegno: d' esser la molla maestra, per così dire, del progresso nello sviluppo del pensiero speculativo. Or s'egli è tale, non debb' esser rappresentato da que' filosofi che Pretendono alcuni storici ctie il nominalismo non dlfForìsca punto dal Concettualismo (per es. il Cocsin, (Euvres cT Abelardo Introd., in ciò confutato meritamente da SERBATI, Atìm, ec.) Meno a?7entato degli altri il Roverotano si contenta designare il secondo com* una gpecie del primo. E sia pure. Ma se fra Tun sistema e T altro non fosse alcun diyario, dovremmo porre in un fascio, non diciamo con quanta verità, i nomi di Roscellino, di Guglielmo di Champeaux e d'Abelardo? Per noi la differenza delle tre direzioni filosofiche medievali è precisamente quella che esiste fra le tre posizioni dell' universale rispetto alle cose: ante rem, in re, poH rem. Non dico già che tra Nominalismo e Concettualismo corra quel medesimo divario che pur troppo intercede fra essi presi insieme, e quella specie di Realismo per cui si distingue, 'per es., Anselmo d* Aosta. Ma la differenza è pur evidente, essendoci differenza, parmi, tra V ammettere e 'I negare Vunivenalenel concetto. Checche se ne dica, la scuola di Roscellino è nominale pura. Quella di Guglielmo di Champeaux è schiettamente realista. Ma un barlume di vero progresso nella scolastica traluce nel concettualismo. Esso ci rappresenta, almeno compera possibile in quell'età e in quelle condizioni della scienza, l'indirizzo aristotelico medio. Il Concettualismo è tanto superiore al Nominalismo, quanto Io spirito all'esperienza, -le idee ai fatti, il senso al pensiero. Il Rimuaat e il Nouritaon han saputo rilevare a meraviglia i meriti di questo indirizzo nel periodo scolastico. (Abìlakd, Tahleaux de» progrì») la critica non radamente finisce per battezzare con titoli diversi e disparati e talvolta anche opposti, non altrimenti che gli zoologisti adoperano riguardo a certe specie zoologiche le quali, in via di formazione specifica, non possiedon per anche caratteri netti, spiccati e ben determinati? Tal si è agli occhi nostri, per dire un esempio, Afrodisio; il quale, tuttoché meritasse titolo di secondo Aristotele, ninno però vorrà dichiarare schietto aristotelico. S'egli infatti, combatte la dottrina atomistica degli Epicurei nonché quella delle forme seminali degli Stoici, é questa una buona ragione perché non sia detto seguace dell' indirizzo aristotelico empirico. E, inoltre, se contro Avveroé piglia a corregger la dottrina dell' intelletto possibile, ciò dimostra com' ei non sia nuli' afiatto un iperpsicologista, e per la stessa ragione non é a confondersi co' puri platonici. Che se, finalmente, opponendosi allo stesso Aristotele procaccia dimostrare come la specie anziché nell'individuo sia nel pensiero, con ciò si manifesta chiaramente seguace dell'indirizzo mediano. L' Afrodisio dunque, se potessi designarlo così, sarebbe il concettualista per eccellenza fra gli esegeti ellenici, e quindi potrebbe rappresentarci l'antecedente ideale del Concettualismo mediqevale. Egli per primo nella storia dell' Aristotelismo ci esprime il bisogno d' accordare le due opposte direzioni aristoteliche, restando egli stesso aristotelico, e però non arabo, né sensista. Si potrebbe facilmente dimostrare, se qui fosse luogo, che il medesimo indirizzo ci esprime e la medesima funzione esercita san Tommaso nel medioevo; talché nell'età medioevale AQUINO rappresenta ciò che l' Afrodisio fra' primi commentatori greci.* * Parlando d’AQUINO BONGHI dice: Quello che m'ha fatto molto maravigliare, e di cui non mi $on reso cofUo pienamentef come •' accordi in tanti luoghi coW A/roditeo^ tema perft citarlo mai, ìé accordo ^ tale che non pud ewer casuale. (LeU. al Rosm.) È vero, AQUINO non conoscerà che di nome rAfrodisio. Lo conosceva per mezzo d’Averroé; eppure tanto spesso trovasi d'accordo con lui neir inAltri esempi più spiccati potremmo averli nel Rinascimento; esempi di filosofì che a tutta prima non paiono stare né di qua ne di là. Tali per noi sono, a dime questi, PORZIO, ZABARELLA, LAGALLA, CASTELLANI; e non esiteremmo annoverarvi anche il Sessano, come quegli che finì per combatter l'Averroismo e dar molto da pensare a' seguaci dell' indirizzo empirico fra' quali in cima a tutti siede il Pomponazzi * Che se il Patrizzi e più FICINO, fra gli altri, si palesano schietti neoplatonici, cotesto lor platonismo non va certamente confuso con l'Arabismo. Anche noi crediamo che certi Platonici e certi Peripatetici arabeggino la lor parte, e tanto s'assomiglino fra loro quanto due gocciole d'acqua. Ma perchè pretendere porli in un mazzo? La lor mente muove da sorgive diverse; così che, interpretando a lor modo Aristotele e Platone, gli uni spesso vaporano, come s' è detto, in una forma confusa di panteismo psicologico, in mentre che gli altri svolazzano sì da restare immersi e balordicci in mezzo agli splendori d' un misticismo il quale se non è panteismo poco ci corre. Arabismo quindi non è Platonismo; 0, se si vuole, è i) fiacco, è il grossolano Platonismo venuto fuori, come to^tommo, attraverso la critica male interpretata d' Aristotele contro il suo maestro. Se dunque la storia dell'Aristotelismo è lì pronta a mostrarci incarnate nelle sue scuole tre diverse tendenze, ciò vorrà dire più cose. Vuol dire che queste tre tendenze debbono esistere, ma esistere come in germe nelle dottrine e nella mente stessa del Caposcuola. Vuol dire terpretare il JUo$ofo, che davvero tale consenso non può esser ccituale. Quale n' è, dunque, la ragione? BONGHI non ne avrebbe fatto le meraviglie se avesse pensato eh* eran tutt' e due nel medesimo indirizzo, nelr indirizzo aristotelico mediOf per quante possano esser le differenze. Molti filosofi italiani, che d'ordinario sono mossi iu fascio con POMPONAZZI 0 con gli schietti averroisti ovvero co' puri platonici (come appunto NIFO) a noi paion seguaci più o mono spiccati dell'indirizzo medio, quando siano interpretati con benignità di giudizio, e senza le traveggole d'una critica sistematica. ch'elle hann'a distinguersi e sdoppiarsi e correre il palio del processo istorico. E vuol dire, perciò, che a questo ior successivo distinguersi ha da presiedere una legge di progresso che per passi lenti, ma sicuri, valga a ricondurre r analisi alla verità della sua sintesi primitiva. Aristotelismo e Platonismo, ripetiamolo, non sono a dir proprio due filosofie; né sono due serie di filosofi gli Aristotelici veri ed i veri Platonici. Sono ben due filosofie que’due commenti così opposti fra loro e contrari, che, fondandosi in un concetto b empiricamente naturale o esageratamente iperpsicologico del pensièro, vennero fabbricandosi col succedersi de' secoli, con l'incalzarsi de' filosofi, e con 1' avvicendarsi delle scuole. Non seguiremo perciò, a questo proposito, la sentenza del Buhle, del Bitter, del Renan tb d' altri storici che altro divario non sanno scorgere, fra' peripatetici del Rinascimento, se non quello eh' è possibile riconoscere fra' commentatori d' un medesimo caposcuola. Come confonder ACHILLINI con PORZIO? e PORZIO con NIFO? e NIFO con ZABARELLA e con GONTARINI? e tutti questi con ZIMARA e con altri di simil tenore? Il criterio innanzi stabilito ci può far comprendere perchè mai tutti quelli che han sempre sospirato un accordo fra l' uno e l' altro sistema, risentano piii dell' indirizzo platonico anziché dell' aristotelico; e perchè accanto a BESSARIONE, a PICO Mirandolano, al citato Gontarini, al MAZZONI, e a tutti gli altri che credono toccar col dito il vagheggiato accordo, non manchino i Donato, i Folieta. i Buratella che reputino pazzia cosiflFatto accordo. I primi ci dimostrandoci fatto che nell'Ari[Una prora estrinseca che fra il Platonismo e l’Aristotelismo primitivi non V* è, masdme in certi ponti di metafisica, divario sostanziale, potrebb* esser tolta dalla maniera ond' Aristotele conduce la crìtica inverso alla fllosofia del sno maestro. Lo Scbleiermacher Tha chiamata critica da maestro di scuola: e, per alcuni rispetti, non a torto. Zeller infatti ha mostrato ad evidenza come il discepolo stiracchi non di rado il maestro per meglio abbatterlo. Ved. Op. cìt. trad. da BONGHI specialmente nel Cap. iV. stotelismo c'è il Platonismo, e però l'indirizzo medio; i secondi poi che nello Stagirita ci ha i germi delle altre opposte e contrarie direzioni. Un accordo è possibile; ma non fatto a maniera ^meccanica e per sovrapposizione, come si pensano certi viventi neoplatonici col trasferire all'un filosofo ciò che si crede faccia difetto all' altro, e dando per esempio ad Aristotele l' idea platonica, e a Platone il concetto della Juva^c? o della ytvevii aristotelica. Il discepolo ha pur egli la sua idea, cgme al maestro non manca la virtù del fatto e il valore dell'esperienza. L'accordo quindi è opera della storia; ed è r opera travagliosa della critica rintegratrice. La quale, rotondando le sporgenze e ammorbidendo le angolosità che pur troppo si lasciano scorger ne' due filosofi, li modifica, li rimpasta, li trasfonde 1' uno nelr altro e li trasfigura siffattamente che ci scompaian dagli occhi Aristotele e Platone, senza che perciò abbia a scomparire ed estinguersi quell'eterna e vivace esigenza cui levossi il pensiero indoeuropeo fin da' primi momenti della sua riflessione speculativa e metafisica. Ripetiamolo anche qui. Il risultamento finale dell'Aristotelismo e del Platonismo non è già il trionfo dell'uno su l'altro, od al contrario. È il trionfo d'entrambi, per una ragione altrove rammentata a proposito delle due moderne filosofie. E que' critici che tanto sudano e s' arrovellano a mettere in trono vuoi un Aristotele passato attraverso i lambicchi d'una critica infedele ed eunuca, vuoi un Platone rimpannucciato co' cenci d'un troppo vieto tradizionalismo, negano, senz' addarsene, la storia. Negano la storia, perchè disconoscono gran parte del lavoro storico già compiutosi per opera degli esegeti ellenici, arabi, alessandrini, latini, italiani del Risorgimento. Reca marayiglia davvero il pensare come in questa maniera di critica incappino perfino, parlando d'Aristotele^ gli hegeliani più assennati quando affermano, per esempio, che aìVidea topra le cose di PlaUme AnstoteU SOSTITUÌ Videa delle coae^ o la forma. Basterebbe già la parola 909Htu\ a far cangiare ftsonomia, non pure airAristotelismo e al Platonismo, ma a tutta Premesse queste considerazioni generali, veniamo alla quistione psicologica. U problema psicologico al quale si connette ogn' altro, è quello che risguarda la relazione fra V anima e '1 corpo. Se cotesta relazione interviene fra mosso e movente, per usare l' antico linguaggio, s'ha l'indirizzo platonico; il quale j>wò trovar riscontro con la posizione iperpsicologica della esegesi de' commentatori averroisti. Se è relazione di potenza e Aleuto, pigliando l' atto come determinazione o semplice la storia della scienza. B tal si è infatti il linguaggio tenuto nella ìot critica da Hegel, dal Michelet, dal Franti, dallo Zeller, ne' quali attingono ispirazione i nostri hegeliani. Ma dicendo che Aristotele sostituì oc, non sembra che lo Stagìrita abbia inteso di negare addirittura V idea platonica? Giacché a poter sostituire bisogna innanzi negare; e per mettere qualcosa, è d^uopo averne levato qualche altra. Ora il vero si è che Aristotele, oltre la specie come predicabile, il che costituisce proprio la novità sua di rimpetto a Platone, riconosce altresì la specie separata^ la specie in sé, là forma in sé, spoglia di materia. La qual forma in sé (s Zi poi aurvj x^-^' aur^fv vj uo^^tj) è altrettanto chiara in Aristotele,'quanto la forma mista alla materia (ùtgjùti^jvvj (uterà rrì; vItiq). lì divario fra* due ftlosoft perciò non risguarda la prima, vo* dir la specie per eccellenza, ma si la seconda, cioè la cosa contenente la specie. Di che si vede come per lo Stagirita, oltre l'insieme de' due elementi (to au voXov) ci sia ben altro ancora. Al di là del to' slSoz sv fn uXv), infatti, vi ha l'essere, vi ha la ragion delle cose, tÒ tìSo;, (Ved. Metaph.). Intanto, che cosa ti fanno i critici hegeliani ? Essi pigliano quel che loro toma comodo. Pigliano il to' oùvoXov, e il resto considerano come un caput mortnumj o sentenziano: Ècco qua il vero Aristotele! Che sia l'Aristotele del loro cervello, è chiaro, né vi cape ombra di dubbio. Che sia l'Aristotele che ci porge la storia, lo neghiamo risolutamente; né ci mancherebbe modo a darne dimostrazione, se questo fosse il luogo. Si dirà che quel caput mortuum sia come il Deus ex machina dì Cartesio? una contraddizione? Innanzi tutto potrebbe stare ch'ella non fosse tale: e tale infatti non la reputarono i nostri vecchi critici del Rinascimento, né tale è creduta oggi da' massimi e più severi interpreti moderni, qual è Trendelenburg in Germania, SERBATI in ITALIA, Ravaisson e B. SaintHilaire in Francia. Checché ne sia, la critica seria e feconda starebbe appunto nel levar di mezzo la contraddizione, ma senza negare nò radiare in Aristotele l'esigenza platonica; se no, risicheremo d'incespicare nel solito scoglio, quello cioè di far la storia zoppicando, e far camminare la macchina con una sola ruota. Nessuno de' quattro critici poco fa rammentati, fra' moderni, e neanche fra gli antichi il nostro Simone Porzio per esempio, avrebbero detto, né dicono, sostituì. Avrebbero dette aggiunse, a/mpìè, eon-ewT, iiirern, t' simili. modificazione della potenza, avrai la posizione empirica dell'Aristotelismo, il cui rappresentante più logico, più originale nell' età del risorgimento dicemmo essere il Pomponaccio. Se cotest' attinenza, per ultimo, è quella di forma e di matefia, ma intesa in maniera che la prima tuttoché rampolli dalla seconda non però sia come assorbita da questa e ne dipenda in modo assoluto, ma anzi la superi, la informi di sé e basti ad alimentarsi di sé medesima; in tal caso avremo una terza posizione, la cui esigenza é pur manifesta in Aristotele, e nella quale pone radice la soluzione più acconcia del problema psicologico. L' indirizzo iperpsicólogico, nome che d' ordinario scambiasi con l'altro di platonico, ha natura deduttiva, e costituisce il metodo degli spiritualisti di tutt' i tempi: nelle cui mani la psicologia assorbe siifattamente la fisiologia, da ridurla alle umili condizioni di sem.plice appendice della prima. L'indirizzo aristotelico empirico ha natura puramente induttiva; ed é il metodo de'mateiialisti d'ogni età, nonché di certi moderni biologisti e positivisti, agli occhi de' quali la scienza dell' anima é com' un' ultima pagina, una modesta appendice della fisiologia, ovvero una specie d'enumerazione, come direbbe Hegel, di ciò che é l'anima, di ciò che in lei avviene, di ciò eh' ella opera. * L' indirizzo medio, finalmente, facendo giusta parte e ragione tanto alla psicologia quant' alla fisiologia, interpreta il rapporto fra la potenza e l' atto col sussidio del metodo genetico; e così giugno a salvare ad un' ora medesima i diritti dello spirito e quelli della materia. A siffatto risultamento ci mena la critica e la storia delle differenti soluzioni date a quest' arduo problema. Rifacciamoci brevemente dal Platonismo. Il concetto psicologico del gran figliuolo d' Aristone, se é parso profondo a molti in quanto che mira, come direbbe Cousin, a congiugner la natura intelligibile * Phil, de VEnprit, trad. VERA, con la materiale maritando due mondi opposti nell'anima razionale e sensitiva [cf. Grice, The power structure of the soul], pur nullameno e' riesce manchevolissimo chi pensi come anima e corpo al filosofo d’Atene s’affacciassero dislegati, scissi, e solamente appaiati così fra loro com' il nocchiero col suo naviglio.* Nessun vincolo secreto, adunque, nessun nodo, né ombra di processo nelle funzioni psicologiche pel padre del Platonismo.' Di qua proviene che per lui la mente, vivendo d' una vita superiore, non abbisogna, a dir proprio, di pareli^; il pensiero essendo già per sé stesso un discorso con sé medesimo: Sto^UyaSat^ Perciò stesso una divisione razionale e organica degli atti psicologici teoretici nella dottrina platonica è impossibile: laonde quant' all' essenza propria e specificante l' anima, piuttosto che generarsi, si compone; o, come osserva acconciamente un acuto scrittore, si raccozza, non si esplica.® Il concetto psicologico dunque del primitivo Platonismo é tanto incompiuto, quanto incompiuto si palesa quello della sua cosmologia, nonché l' altro delle relazioni fra il mondo e gli etemi paradigmi. Il processo psicologico é assai meglio determinato neir Aristotelismo. Ed é tale in grazia della dottrina dell'entelechia, e della relazione fra la materia e la L' anima uriiana è formata alla stessa maniera dell* anima del mondo. {Tim., trad. Coubin) È qualcosa d' intermedio fra il mondo sensibile e V idea. (Zeller, Eapo»tx. arìatotelica della jUoBofia platonica) * Di qui la celebre definizione dell* uomo alla quale han fatto e fauno buon viso tutti gli spiritualisti: Avro^f tu toO» (Tw^aro; OLpy^ov (àjÀo'koyTntTafisv «vO^owttov govai etc. Ved. nel Primo Alcib.f 51. • Chaigkbt, De la Paycologie de Platon^ Paris, Ved. nel Soph,, trad. del Cousin, La classazione accennata nella Repub. si riferisce agli atti morali; e lo stesso può dirsi dell'altra simboleggiata nel mito poetico del Fedro. Solo nel Teeteto havvi un principio di divisione teoretica delle funzioni psicologiche, ma anche questa manchevole. • BONQHI, Storia del concetto deWAnipia neUe varie scuole antiche e del medio-evot, nei Saggi di FU, Civile^ Genova' Arist., 2)« i4»., : W\j'/ri sanv «vtc>«x*** **^/'**'''*' arà^y.roc yuTtprou Sovy.jjLH Zwvj'v j^^ovto?. forma. Tale anche dove si rifletta al valore che Aristotele porge al senso come rappresentazione com' elemento essenziale del pensiero,* nonché all'ufficio eh' egli attribuisce all'immaginazione (>3stxaT«a) come facoltà mediana fra senso e ragione;* anticipando così la dottrina su la relazione che il Kant stabilì fra questa facoltà e le altre due estreme funzioni dello spirito. Con queste idee fondamentali, checche ne dicano coloro che col B. Saint-Hilaire non rifiniscono d'incelare la psicologia platonica," Aristotele creò la psicologia come scienza indipendente dalla biologìa, gettando insieme le basi della zoopsicologia che, nelle mani segnatamente del Darwin e dell' Agassiz, oggi comincia ad assumere dignità e significato razionale. Ecco dunque uno degli esplicamenti, una delle correzioni dell'Aristotelismo verso il Platonismo neU' àmbito delle ricerche psicologiche. Nel Timeo Platone riguarda l'animo qual moto originario e spontaneo fàuToxtv»Toc); Aristotele, meglio avvisandosi, estende siffattamente cotal virtii da riferirla altresì all' animale.^ E questo, senza dubbio, fu un passo gigantesco. Ma se nel filosofo di Stagira vi ha passi cCoro ad ogni pie sospinto, non per questo vi manca la scòria. La sua psicologia, come quella del suo maestro, è manchevole ; ed è manchevole, perchè riesce tale altresì la costituzione della sua cosmologia. Il sistema dell'universo per lui è quasi una catena di cui gli anelli principali ' rappresentati dalla forma e dalla materia, dalla potenza e dall'atto (5uvx/:xtc ed ivtpyéia), si ripetono, s' ingradano e moltiplicano viepiù col distendersi di essa. * Akist., Ve An.f lib. I, cai). L ^ * Idem. Ta y.iv ovv e*trìvì rò vokjtcxov «v toìc (por.vróÌ9fia9t voti. De An., B. SAnrr-HiLAiRK, Tmité de VAme^ Introd. * Abist., Melaph. X. * Intendiamo accennare a* due princìpii intemi che per Aristotele costituiscon r essere e sono anzi Tessere; a differenza degli altri 4no ntemi che ne costituiscono i Jimiti. (Meutph. ) È una scala in cui per moto continuo, dallo stato di sonno e di stupore, la potenza s'aderge al più alto grado dell'attività pura. In cotesta relazione trovasi precisamente la materia corporea di fronte agli esseri vegetabili e sensitivi; il vegetabile e '1 sensitivo rimpetto all'essere intellettivo; e T intellettivo inverso agi' intelligibili.' Ma in che risied'egli cotal passaggio? Tutto ciò che agisce non può non essere un ente in atto, cioè la specie che operando sopra un ente potenziale vien così traendolo dal nulla.' La forma dunque che germoglia dalla materia è davvero il passo d^oro nella cosmologia aristotelica; come il passaggio empirico e al tutto materiale e puramente generativo dall' uno all' altro, n' è la parte inaccettabile ed erronea. La potenza non movesi da sé per intima energia, ma solo in virtii del movente, della forma. Il potenziale, in una parola, non giugne all'attualità, salvo che per mozione d'un attuale.* Or com'è possibile che la potènza riesca anteriore all'atto, se in realtà è sempre un atto quello che ha da movere il termine correlativo ? Che se l'atto è antecedente alla potenza e la precede altresì di tempo; ^ non è egli chiaro che cotesta potenza abbia a riescire affatto vuota e sterile e infeconda, posto eh' ella abbisogni sempre d' un atto che la tragga ad atto? • Ma c'è di più. Se l'originalità d'Aristotele risiede neir aver visto l' elemento formale intrhisecarsi col materiale ; e la forma in quanto reale costituire perciò la sostanza (ouVJa); e questa esser non altro che processo. V? fuo-c;, wTTff rin trvvtyjia XavOoévscv to' TtsBóptov aur&ìv xat tÒ ^ttjoy wOTi/Owv ««TTt'v. Hi»U Anim.f Vili. Arist., Metaph., De Oenerat. Aninu. O ffTTÌv VI xcv)}(7(; «V Tw xtv>jTw, Stj'koy' i'»Ts\éyr^siwc, 7ivj(T5a£ rt): la parte fiacca di sua dottrina, invece sta nell'aver posto, com'ho toccato, medesimezza di natura, fra le due supreme determinazioni degli enti nell'ordine delle sensate realtà, onde poi accade che rimanga difettosa tutta la cosmologia. La potenza avvisata in sé medesima è Sivafii^, In quanto fluisce verso l'atto è tvspysia. In quant'è atto, stato, riposo, stasi, è 5VT«>ex«ta. In quanto poi transigi ad atto novello ripiglia valore d' Bvspyùv., e così di seguito. Il moto (KlvYiTit:), il conato^ come direbbe il Leiljnitz, il conato 0 lo sforzo, come direbbe il Vico, costituisce l'essenza di tutti questi tennini diversi; in lui s'incentrano potenza ed atto;* il perchè formando fra loro continuità, compongono un sol ente capace di passare attraverso stati o momenti in sé stessi diversi per intrinseca eccellenza. La produzione si fa sempre nella medesima specie, ed all' univoco. * Or se cotest' appunto è la natura del passaggio, non è egli chiaro che le cose devan liescire identiche nella sostanza? Non é chiaro che, ov' elle progrediscano, cotesto lor progresso altro non sarà che trasformazione, ninno potendo affermare che trasformarsi vai progredire ? E s' é così, a qual fine e con che ragioni mover critica al maestro, nella cui dottrina il mondo non è che parvenza, fenomeno, ombra vaniente e passeggera? Nella dottrina cosmologica aristotelica, dunque, il pròcessus è al tutto apparente. Apparente e fallace la spontaneità e r intrinseca attuosità delle forze. Né AQUINO ebbe torto d' affermare, contro gli arabeggianti dell'età sua i quali così appunto interpretavano Aristotele, che una forma sostanziale novella mai non appare, * "iÌTxs \sins70n TO 'key^Biv slvxc xat ivépystav xat fivj 9* ecyae, Metaph,, Mrtaph. ove la vecchia non isparisca; e che la generazione, concepita qual moto continuo e come incessabile trasformazione d' un subbietto identico, renda le forme novelle affatto accessorie e accidentali.' Se quindi il genie possente d'Aristotele seppe scorgere e dimostrare una delle grandi leggi della realtà, vo' dir la continuità tra forma e materia (tò (ruv-^sf), la relazione intima fra la ^uvaj^xì; e r £VTf>èX5*«» P^rò il profoudo concetto della £V5/>7sia; non però giunse a vedere quell'altra condizione, non meno imprescindibile della prima, la quale seguendo una vecchia frase pitagorica potremmo appellar legge ddV intervallo {StitTTviiia), I medesimi pregi e le stesse manchevolezze nella sua psicologia. L' uomo è tu vo>ov: dunque è materia e forma ad un'ora medesima. L'anima intellettiva, quindi, è atto. E la potenza di quest'atto? È il senso.... Lasciando le induzioni favorevoli che si potrebbero fare circa tal dottrina d'Aristotele interpretando il concetto del senso ch'ei chiama generale, si potrebbe domandare: in che sta la relazione, e qual' è mai la natura del passaggio fra' due -termini? Se ci è continuità, in che maniera il senso può diventar ragione, l'esteso inesteso, la materia pensiero? Se poi non v'.è continuità (né ci può essere una volta eh' ei medesimo invoca la mente dal di fuora^), com' è che alla fin fine si ritrovan, por cosi dire, sovrapposte le tre anime che sono anch' elle forma e materia, atto e potenza? Trendelenburg e Rosmini, fra gli altri, han messo a nudo, com' è noto • Summa e fe bene arvertire come gli storiografi hegeliani, imbattendosi in questa dottrina Aristotelica, credano scoprir le Indie e vi s'aggancino tenacemente, senz'addarsene ch'ei s'agganciano, anziché al vero e genuino Aristotele, ad nn tronco arabo ! E' non s'accorgono come già da sette secoli siano stati mlnerati da quel modesto fraticello che, primo e meglio d' ogn' altri, mise a nudo le magagne dell' Averroismo ove dimostra Averroè peripatetiofn philotopJUm depravatore Ved. Opusc. Contra AverroytUy; e nella Somma q. LXXIX. * Aribt., Or Gerterot, Anim., questo sconcio aristotelico. L' un d' essi non capisce in che maniera lo Stagirita interrompesse la serie preclara, e però si studia correggerlo facendo che la mente in potenza (tw Travra 7£vsf cor*»;), ma anche potenza del corpo (d^jv^im tow jw/xaro;).' E nello stesso metodo fu poscia ormeggiato da parecchi filosoh del Rinascimento: da quelli segnatamente che tra V anima e '1 corpo introdussero un' attinenza di causalità reciproca, stante clie la natura partorisca la forma in quanto é potenza anch' ella, ma potenza attuosa; e la forma (juinci rigeneri e ravvivi la materia in quanto la compie. Se non che il Tomismo, scordando spesso l'ottimo indirizzo d'Aristotele, tìgge gli occhi nella materia, e in questa presume riporre talora la ragione e '1 principio dell' individualità. Errore del quale secondo alcuni storici tornerà sempre vano il voler difendere il dottore Angelico, quando si consideri che la materia, perchè si ' Idem, eoci., XG: educitur e potentia imtterice. Ved. ueirOp. cit. del RAyAiSHUN, porga qual principio d'individuazione, ha pur bisogno d'esser determinata, suggellata, segnata: or da che cosa mai può esser ella improntata sadvo che dalla forma? ciò che formava appunto il nòcciolo della opposizione degli Scotisti.* Del buon indirizzo aristotelico inoltre si dimentica san Tommaso dove, rasentando l'aristotelismo emJ)irico, si mostra così titubante su la verace natura del senso, che la potenza per lui non è così piena e così feconda come pur domanderebbe la produzione dell'atto; e quindi sente necessità di chieder sussidio a un lume piovutoci addosso non sai dir come * Io qui non intendo propugnare la teorica sa T indìvidnazione di san Tommaso. Son anch' io del parere che gli Scotistl non aressero poi tatt* i torti neir opporrisi, perchè davvero non mancano sentenze nel Tomismo che debbano andar soggette ad una critica severa. Ma fa meraviglia il pensare come non tutti che ne han parlato siansi dati cura d' interpretare con benignità siffatta dottrina; e più meraviglia il vedere come r abbian trattata male anco i più versati nella filosofia scolastica e nello studio deir Àquinate, qual* ò, per esempio, lo Jourdain che tanto nel 1® quanto nel 2* voi. Dell’opera poco fa citata, si mette a sfatar l’Angelico AQUINO (si veda) in modo poco serio per le contraddizioni nelle quali secondo lui, cade 1* autore della Somma, e per V inanUà con che tratta siffatta questione. Si dice e si scrive che il principio d* itulividwuione per TAquinate stia nella materia; e se davvero fosse così, non s* avrebbe torto a dargliene biasimo. Ha, a voler interpretare con dirittura di giudizio la dottrina tomistica, non è proprio e sempre la materia quella in cui è da riporsi tal principio, slbbene ciò che in un ente ha ragione di primo subbietto. Ecco le parole deirAquinate: Ulud qntodtenet rationem primi tubieeti, est oausa individuationie et divieionin tpeciei in euppoeitis. E qual' è questo primo «ubbietto t Est id quod in alio recipi non potesL Or le forme separate, per ciò che non ponno esser ricevute in altro, hanno ragion di primo subbietto; però s'individuano; e però In et« tot »unt epeeies, quot eunt individua, (Ved. De nat. materia, e 8.) Or la materia è ella principio di distinzione? Si, certo: ma in quanto e sin dove ha funzione di primo subbietto. Nella dottrina tomistica, dunque, il principio d' individuazione non sarebbe nò la forma né la materia, ma or l'una or l'altra secondo che quella o questa esercita funzione di primo subbietto. So che i dubbi non per questo si diradano, né gli oppositori cessano. Ma io, ripeto, non difendo in tutto tal dottrina, sibbene chiarisco la interpretazione da darsene, e la critica da fame. Vedi in proposito le lettere dell' egregrio Aless. Bbrntazzoli assai dotto nella filosofia d’AQUINO: Di un ulteriore e definitivo esplicamenio ddla FlIoHofin /tcnlasttra ec, Bologna, ISCl. né perchè,* invocando così un atto immediato di creazione. Se l'anima è forma, atto puro, potrebbe esser generata dal corpo? Non potrebbe, risponde AQUINO: ciò eh' è immateriale è impossibile che rampolli per via di generazione; la quale non è altro, a dir proprio, che trasformazione. Ma potrebb' esser fatta della sostanza divina? Tanto meno; perchè questa non è che un atto purissimo.' Eccotelo dunque anche lui all' intervento del solito DetAS ex machina; alla necessità d' un atto peculiare di creazione ex niMlo, Or non vi sarebb'egli altra via al nascimento dell'anima fuori di queste due, generazione o creazione estranea e divina? CJom'è evidente l'A. della Somma (non altrimenti che l'A. della OUtà di Dio risguardo a Platone) eredita, co' grandi pregi, anch' i difetti della dottrina aristotelica. Il concetto della individuahtà è concetto capitale nella storia della psicologia. È propriamente la radice prima onde pullula, chi ben guardi, tutto il pensiero moderno filosofico, politico, religioso. La teorica della individuazione, perciò, è l' addentellato più acconcio per cui, nella storia delle soluzioni riguardanti il problema psicologico, il medioevo, segnatamente il Tomismo, si congiugne con l' età e co' filosofi del Rinascimento. Non ostante i pregi e i meriti grandi che l'Aquinate può vantare verso l'Aristotelismo e più verso il Platonismo, la sua dottrina doveva esser corretta mostrando che il principio d' individuazione non istà, a dir proprio, nella forma, né tampoco nella materia, ovvero nell'una o nell'altra secondo la ragione del primo suòbietto. Meglio ponendo il problema psicologico si dovea mostrare che 1' anima è individuale non perchè informi una materia, ma sì perchè, materia ella medesima, diventa forma; perchè l' anima si fa coscienza; perchè la coscienza empirica attinge valore d'autocoscienza e di libero pen[Summa, !• 2», CXI, art. 2: impre9no divini luminii in noòw, refidgentia divincB cIoritoiM in anima, • Summa] siero, nel cui regno non v' ha materia e organismo che lo spirito non vinca e sorpassi, né fantasma o immagine eh' ei non superi e sottoponga a sé stesso. Ora produrre, o almeno compiere cotal dimostrazione in maniera positiva ponendola sotto novelli punti di luce, non era possibile senz' il concetto della storicità, essendoché appunto in seno alla specie, in seno al comune e alla moltiplicità appaia e si determini e spicchi vie più la nota della differenza, tuttoché cotal differenza germogli nelP individuo, e sempre per natia virtù dell' individuo. A tal' opera spiegarono grand' efficacia innanzi tutto i nostri filosofi del Risorgimento. Altrove mostreremo come in tal' epoca si riproduca il medesimo triplice indirizzo della scolastica, ma con esigenza ben diversa, perché la storia è tale artefice che mai non ricopia sé stessa. Qui notiamo solamente che nel medioevo le tre tendenze aristoteliche, le quali abbiamo appellato iperpsicólogica, empirica e media, riproducono nel Risorgimento l'esigenza del Realismo, del Nominalismo e del Concettualismo, ma trasformandola. Se per queste tre scuole la ricerca filosofica versava su la natura dell' universale dapprima, e poi, massime con r Aquinate AQUINO, su la natura del medesimo universale ma in relazione col particolare (principio d' individuazione); per i filosofi del Rinascimento, in vece, ella risguardava in modo precfpuo la natura intellettiva dell'anima, nonché il rapporto fra il pensiero e l'organismo. Essi modificano profondamente tanto il Platonismo quanto l' Aristotelismo; così che alcuni, specie quelli che rappresentano r indirizzo medio, non intendono ristringere l'intelletto nel puro senso, ma lo allargano si che, 'ricollegando il problema psicologico al problema cosmologico, si sforzano di rannodar l'anima in quanto intelligente con la natura in quanto intelligibile.* * Noi avremmo buono in mano a dimostrare, se qai fosse luogo, che r indirizzo medio aristotelico nel Rinascimento fa rappresentato, sebbene in maniera incerta e assai confusa come portava il carattere di quelIl Rinascimento apparecchiava la moderna psicologia, ma non la costituiva. E non la costituiva perchè il problema psicologico non può ricevere acconcia soluzione quando sia troppo confinato nelle pure indagini psicologiche. V'era, per esempio, chi studiavasi di pro* vare V immortalità dello spirito e chiarire le ragioni e i modi ond' il pensiero nel suo operare s' addimostra indipendente dal corpo. E v' era poi chi facevasi ad invocare il sussidio de' soliti influssi divini come fanno anc'oggi, a tre e quattro secoli di distanza, i nostri neoplatonici. Or io non dirò che il problema su' destini dello spirito possa esser risoluto così facilmente quant' altri s' immagina. Dirò che alla psicologia potrà dirivare qualche sprazzo di luce non già mostrando (inutile tentativo!) che l'anima sia indipendente dal corpo, ovvero che Dio faccia piovere il suo influsso su r intelletto arzigogolando in che guisa lo irraggi, lo il^ lumini e lo riscaldi; ma procedendo per altra via; procedendo per una via men soggetta alle angustie dell'empirismo, 0 meno aperta alle facili speculazioni dell' a priorismo. Se Dio influisce, comunque si voglia, su l'anima, altro ei non potrà fare che modificarne l'operazione: cangiarne la natura non può davvero. Che se, d' altra parte, si giugno a dimostrare l' indi-pendenza dal corpo, non per questo s' avrà dimostrato ch'ella sia proprio immortale, se pure non vogliamo r età, da parecchi filosofi; fra' quali notiamo il Contarini, PORZIO, ZABARELLA, VIO, SPINA (si veda), SCAINO (si veda) fra gì' interpreti, 0 anche SESSANO. Il quale, nella forma ultima da lui data alla dottrina 8U r anima, si può dire che si rannodi con AQUINO e perciò anche con TAfrodisio; onde BONGHI ha detto benissimo affermando che, nell' interpretare Aristotile, il Sessano segue appunto il commontatore greco {Meta/, rf'Arwt., Leti, ed Roam.). Questi ed altri vecchi nostri filosofi andrebbero studiati, interpretati, e naturalmente anche corretti secondo il criterio che abbiamo appellajto medio. Specialmente andrebbe studiato il povero Nìfo cosi malconcio e sfatato dal nostro collega Fiorentino: al quale il Franck, del resto, ha saputo dire che il Sessano non pure fu il piò, Maggio metafisico del suo tempo, ma, più ancora, che il Pomponazzi trovò appunto nel Nifo un contraddittore imbarazzante, e d'una grande autorità. (Joum, dee Sav. Magg. 1869.) acconciarci alla celebre quanto inutile distinzione del Pomponazzi dell'Io fisico e dell'Io intellettivo, e dell' anima propriamente mortale e impropriamente immortale! Al pili potremmo giugnere a dir questo; che r anima non finisca così come finisce il corpo, cioè disgregandosi e trasformandosL. Ma cotesta soluzione non è affatto negativa? Tutt' insieme dunque la speculazione del Rinascimento, per quanto riguarda il problema psicologico, era piuttosto negazione anziché affermazione: negazione del medioevo, e apparecchio a novelle affermazioni. Neanche il Pomponaccio, il più schietto seguace dell' indirizzo aristoteUco naturale^ potrebb' esser detto materialista nello stretto senso della parola. Il significato vero del suo libro su la immortalità, diciamolo di passata, è quello di porre sott' occhio, da una parte, le magagne delle viete dimostrazioni su la natura, e sul fine e su r origine dell' anima; e manifestare, dall' altra, il bisogno di prove più salde, e però la necessità in cui trovavasi il pensiero filosofico di tentare ben altre soluzioni, e schiudersi altre vie. Qual' era una di queste vie? La durata dello spirito, come personalità, doveva esser indagata nella medesima essenza e costituzione intima del pensiero. £ a tal fine che cos' era necessario? Era necessario lo studio del processo isterico; appunto perchè l'intima costituzione del pensiero si rivela da sé medesima nello svolgimento della vita dello spirito; e la vita dello spirito è appunto la storia. In altre parole: era necessario vedere per via di fatto, cioè col processo storico, come l' essenza dello spirito tutta nelP esser egli un conato, un'attività profonda che sempre più si estrica da'viluppi di natura e di sé stesso; che sempre più si determina in sé, e si compenetra con la natura e con sé medesimo; e come per siffatta qualità egli sia capace di trascender la natura, di sorpassare l'organismo, di superare anche sé medesimo, pur rimanendo sempre una personalità. Ed eccoci pervenuti alia conclusione dove in questo capitolo desideravamo giugnere, e per la quale abbiam dovuto fare sì lungo giro da risalire fino alla doppia sorgente storica del concetto psicologico. Se per più e diverse ragioni ne il Platonismo né l'Aristotelismo primitivi non pervennero, in generale, a determinare il vero concetto dello spirito quantunque ne apparecchiassero gli elementi da secoli molti, il che non è poco; se i due massimi rappresentanti della filosofia cristiana, tuttoché introducessero due nuovi concetti in siffatta questione, non però giunsero a salvarsi da incongruenze manifeste; se, da ultimo, cop lo sdoppiarsi dell'Aristotelismo nel Risorgimento fu messa a nudo la fallacia delle vecchie posizioni, l'insufficienza d'im argomentare fiacco e barcollante esprimendoci così l'esigenza di prove novelle in siffatte indagini: è chiaro come all'uscire del medio evo importasse rannodare i quattro concetti attorno a' quali vennero travagliandosi per sì lunghi secoli co' lor proseliti i quattro filosofi cui siamo venuti accennando, correggerli, esplicarli, compierli, e statuire una dottrina positiva circa la genesi psicologica. In altre parole: importava accettar l'esigenza psicologica platonica risguardante il connubio del doppio mondo sensato e razionale: ma occorreva anche correggerlo mercé il concetto della triplicità intima, originaria cui poggiò, primo fra tut^i. Agostino. Importava altresì accettar r esigenza aristotelica del processo psicologico, e nel medesimo tempo modificare profondamente e trarre a maggior compimento il concetto della generazione psichica dello Stagirita mercè il concetto di creazione; il che tentò fare, e lo fece da par suo, AQUINO (si veda): ma più ancora importava correggere il concetto creativo de' Tomisti e de' filosofi cristiani, in generale, cancellando in esso queir immediatezza divina eh' è un dato di fede anziché di ragione, avvisandolo invece com' essenzial condizione dello spirito. Questo, possiamo dire, si studiaron di fare tutt' insieme parecchi filosofi italiani de| Rinascimento, o per lo meno ne sentivano la necessità. ^ Nessuno vi riesci compiutamente, per la ragione qua ^ dietro accennata, d' aver voluto ristringer tale ricerca ^^ negli angusti confini della psicologia. Ad essi mancava un altro grande concetto. Mancava un'altra posizione, per cui si distingue infinitamente il Rinascimento dal tempo moderno. Mancava l'esigenza di riguardare il pensiero innanzi tutto come genesi psicologica, e questa genesi psicologica poi considerare qual fondamento immediato della genesi storica. Però non è da meravigliare se alla scuola de' nostri politici facesse difetto la vera nozione del diritto sopra cui si puntella unicamente la scienza politica, nonché il concetto vero della individualità, senza cui non può sorgere né perpetuarsi lo Stato libero. Né fa meraviglia se i teologi assorbissero il gius nella morale, e se una riforma religiosa allora non potesse fra noi essere effettuata nelr ordine civile, comecché fosse già in gran parte penetrata nella mente de' nostri filosofi. Mostrammo come il Vico si colleghi col Cartesianismo; e dicemmo che co' nostri filosofi del Risorgimento ei si congiugne logicamente, più che per le quistioni metafisiche, per la ricerca psicologica. In lui si compie la posizione cartesiana, e si riproducono e ringiovaniscono i vecchi principii improntati del sentimento della viva realtà. Vi é dunque un' attinenza ideale, vi é un legame logico tra la posizione di VICO, della Scienza Nuova, e quella de' filosofi del Risorgimento. Alla ricerca psicologica nuda, astratta, empirica e subbiettiva, deve tener dietro necessariamente la ricerca informata alla esigenza della storicità. Ecco perchè a ricostruire la storia del pensiero italiano non avremmo guari bisogno né di Cartesio né del Cartesianismo, se non fosse per alcune questioni cosmologiche e ontologiche. Egli si ricongiugne co' filosofi del Rinascimento in tre modi, come nel prossimo capitolo mostreremo; ma di più li trascende infinitamente, perchè se è vero che nel medio evo il pensiero filosofico riponeva l'essenza dello spirito, a così dire, furori di §è, mentre nel Rinascimento, attraverso forme diverse, inchinava a riporlo sotto di se; è naturale che, col sentire la necessità del processo istorico, novello sentiero egli avesse a dischiudersi, rintracciando quell'essenza nel seno stesso dello spirito siccome centro e insieme processo della storia. Gli storici della filosofia italiana, ripetiamolo anche qui, non potranno far a meno, quando voglian discoprire un vincolo ideale fra le due epoche, di questa relazione alla quale siamo venuti accennando, e su la quale ci rifaremo più riposatamente in luogo più acconcio. ORGANISMO E PROCESSO PSICOLOGICO. {Fxmdamenio razionale del processo istorico.) I punti sostanziali ne' quali possiamo stringer la dottrina psicologica, seguendo le orme del nostro filosofo, son questi: !• Concepire in maniera compiuta e vera la natura della facoltà psichica in generale. 2« Distinguere nelle funzioni psicologiche due processi, conoscitivo e operativo, ma formanti unico organismo, unico circolo. Riguardar gli atti psicologici come una moltiplicità di funzioni distinte e per sé stesse irreducibili; ma nondimeno determinate e recate in atto dalla virtù d' unico principio originario. Finalmente, porre siccome base razionale e immediata del processo istorico lo stesso processo psicologico. Col primo di questi concetti il nostro filosofo si collega dirittamente con Aristotele, e con gli Aristotelici del Rinascimento seguaci dell' indirizzo medio; e nel medesimo tempo corregge, in ordine alla psicologia, quel vecchio domma del falso Aristotelismo e del malinteso Platonismo che suona così: niente moversi da sé, che non sia mosso. Col secondo e col terzo imprime forma razionale e organica alla scienza dello spirito tanto contro Averroisti e Neoplatonici che troppo distaccano i due elementi onde risulta V ente umano, quanto contro quegli Aristotelici empirici che, troppo affogando r uno neir altro, finiscono per confonder la sfera della psicologia con quella della biologia: ma, sì nel primo come nel secondo caso, egli serba Y esigenza psicologica platonica che dicemmo consistere nella distinzione dei due elementi, nonché V esigenza aristotelica la quale riguarda il processo nelle funzioni psicologiche. CJon gli stessi concetti onde corregge nella quistione psicologica il Platonismo e l'Aristotelismo, previene l' esigenza del Criticismo intomo al doppio ordine della Ragion teoretica e della Ragion pratica, e insieme la invera e la compie. Col quarto concetto, finalmente, imprime significato razionale e positivo al fatto storico, e crea la Scienza Nuova. Innanzi tratto intendiamoci sul metodo acconcio a simili indagini. Tommaso Buckle osserva che i filosofi, parlando su la natura dell'anima, non sanno pigliar le mosse altro che o dalle sensazioni, o dalle idee; riuscendo così, nell'un modo e nell’altro, ad un metodo solitario, astratto, inefficace, inconcludente.* Sennonché egli stesso, il Buckle, non giugno a salvarsi dal primo difetto. 11 suo metodo isterico, differente dal deduttivo inverso raccomandato dal Mill, é addirittura un metodo empirico; onde inciampa in quel sensismo ch'egli condannando vorrebbe causare. Checché ne sia, l'osservazione é degna d'un * HUtory of Civilization in England]. positivista inglese; e noi, pur correggendola, non dubitiamo farla nostra. A schivare infatti tanto le conseguenze d'un gretto empirismo, quanto le arditezze d'un magro e sfumante idealismo, è forza movere non dal fatto della sensazione, eh' è cosa estrinseca e quasi sopravvenuta allo spirito, e nemmanco dalle ideej le quali in sostanza non sono, per noi, fiiorchè produzioni di lui; ma da lui stesso; dallo stesso spirito in quanto pensiero. Bisogna movere, in somma, dal centro, anziché dalla circonferenza; dalle facoltà, ma dalle facoltà concepite quali sono in realtà, cioè come funzioni. A tal uopo è necessario adoperare un metodo che non escluda, ma che sappia includer le esigenze di tutt' i metodi; empirico, naturale, sperimentale, psicologico astratto, fisiologico, e simili. In una parola, è necessario il metodo genetico; il quale, rispetto alla psicologia, è ciò che il metodo eduttivo è rispetto all'ordine del conoscere.' * Il metodo col qnale i Positiristi presamono di far la scienza psicolosrica è al tutto empirico e artificiale; ma qui non intendo porre in nn fascio psicologi positÌYisti inglesi e francesi, com*ha fatto il Vacherot. {Betf. de» Deux MondeSf die.) Spencer, Mill e Bain stimano che la psicologia è superiore, indipendente dalla biologia, precisamente come la deduzione è indipendent-e e superiore air induzione pel Mill, e come la Sociologia è indipendente dalla storia tanto pel Mill quanto per lo Spencer. I Francesi, al contrario, facendo della Psicologia una semplice appendice della Biologia, non sanno concepir r nna senza 1’altra. lì ri'y a point de p9yeolog%e en déhors de la biologie. (LiTTRÉ, A. Oomte et St. Mill) Tale anche è per la deduzione rispetto air induzione, la psicologia rispetto alla storia, la Dinamica rispetto alla Statica Sociale. Sennonché, qualunque ne sia la differenza, le due scuole intoppano in due errori diversi; nel formalismo empirico Tuna, e nel materialismo Tal tra: e così entrambe rendono impossibile la scienza della psiche. Rifacciamoci brevemente dagP Inglesi. Qual debb* essere, secondo St. Mill, il fine della psicologia? Non altro che la ricerca diretta delle ntceeeeioni mentali, (Sjfét, de Log,) E quaV è la legge più semplice, più generale cui si riducono i fenomeni psichici? Quella àéiV anaoeiazione delle idee; la grran legge osserrata da Hume. [La PhU. de Hamilton) Innanzi tratto si può osservare: La legge dell’associazione è legge empirica, e quindi ò un fatto: ma qual n'è la ragione? Senza questa ragione potreste uscire dall'empirismo? st. Mill non ispiega cotesto fatto, ma 1’accetta dair esperienza. Altro difetto gravissimo, conseguenza del primo, è questo; che Il metodo genetico applicato alla ricerca psicologica attinge valor positivo e insieme razionale, quando la legge d* associazione nou racchiude necessità psicologica di sorta. È una legge men che empirica, e può mancare. Dunque una notizia scientifica circa la natura psicologica, per lui, è impossibile. Più ancora: il prodotto ddV anaociaziowi è un fatto «t* generi»: egli stesso ne conviene. {DUaertation and DiicuMiona) Or bene, come spiegare cotesto 9ui generi» con la pura legge d’associazione? Ci ò qui rispondenza, ci ò proporzione tra l’effetto e la causa? Finalmente, come spiegare con la semplice associazione il gran fatto della coscienza f Bisognerà dunque concludere che la legge, la quale St. Mill dice esser la più semplice e generale fra tutte quelle d' ordine psichico, importi qualche altro fatto anteriore, 0 irreducibile. La psicologia contemporanea inglese quindi cade nel formalismo empirico. E se riesce a distinguer la psicologia dalla biologia e dalla storia (eh* è il suo pregio), non riesce a trovare fra V una e le altro vincolo di sorta. Tocchiamo ora della scuola psicologica de’ Positivisti francesi. Il Littré riguarda la psicologia qual semplice appendice ed applicazione della biologia; e vuol quindi trattarla con metodo analogo. Ma fa una distinzione acuta e ingegnosa di cui giova tener conto, perchè forma la sua stessa condanna. Egli pone un divario profondo tra la facoltà e il suo prodotto. Logica, ideologia, psicologia (egli dice) non si distinguon menomamente dalla biologia quando siano avvisato come funzioni; ma, guardate nei lor prodotti, se ne differenziano in infinito. Parimente il linguaggio, come facoltà, è faccenda biologica; ed ha la sua ragione in una delle circonvoluzioni anteriori del tessuto cerebrale, secondochè ci assicuran oggi gli sperimenti fisiologici: ma, come grammatica, se ne discosta per grand* intervallo, o nou ci ha che veder niente con la biologia. Che cosa rispondere? Rispondiamo, troppo antica e troppo vera esser oggimai la sentenza aristotelica, che tra la natura della causa e quella dell' effetto non possa esserci divario essenxiaie. Or negli esempi quassù arrecati il divario essenziale e* è: gli st>essi positivisti non ardiscono dubitarne. Come dunque spiegarlo cotesto divario? È egli possibile spiegarlo senza riconoscer la differenza fra le due scienze non solo quant' a’ prodotti psicologici, ma anche quant*alle facoltà? Como funziono il linguaggio non appartiene egli anche al quadrumane? Ora in forza di che cosa riesce tanto profondamente diverso il risultato nel bimane che ha pur comune col quadrumane la funzione? Si dirà in forza dell' unione, del numero, dell* attrito nella specie, nella società? Ma non vivono in società anche alcune famiglie di quadrumani? Eppure quella funzione non ha dato, e mai non darà il risultato che pur dovrebbe! Àncora: se il prodotto fosse tant^ diverso dalla facoltà solo per ragion dell' associazione e del contatto, che cosa ne verrebbe? Che 1* uomo sarebbe fornito di qualità e doti essenziali non per so stesso, cioè non perchè individuo, ma per altri e da altri, cioè perchè membro della società. Or tutti sanno che la £eicoltà della parola, cosi intimamente annodata col pensiero, non e dote accidentale ìn& eÈsenziffova;i^«i!l; \iytxaiy to xvpiov in fvTf>f;i^sta jctc. (Id. Eod.) È Vachu in aetu degli Aristotelici del Risorgimento segnaci deir indirizzo medio, per esempio ^del Gontarini, come aTrertimmo. RàTAiBSOX, Métaplu d'Aritt.,. psicologica. Lo spirito è essenzialmente processo, è generazione, ma non trasformazione. Non va dalla parte al tutto, come avviene delle combinazioni meccaniche; ma dal tutto al tutto, dal tutto potenziale al tutto attuale, dal di dentro al di fuori, da una sintesi originaria e confusa, ad una sintesi analizzata. Voglio dire che il processo psicologico s'inaugura non già con questa o cotesta facoltà, anzi con tutte le facoltà. Le quali perciò non sono funzioni determinate e specificate sin dalla loro origine, ma convengon tutte nell'essere altrettante potenze, e, come tali, formano unica potenza originaria, eh' è conato essenziale, sforzo incessante.* Che cosa sia questo conato, si vedrà nell' altro capitolo. Qui dobbiamo considerar le facoltà psicologiche come ce le presenta il fatto, cioè come una moltiplicità di funzioni. Che cos'è la facoltà psicologica? È un passaggio dalla potenza all' atto. Ella ci esprime la pronta necessità di fare, di determinarsi, d' attuarsi; e quindi vuol dire facilità, prontezza, solerzia, agevolezza di fare.' Or la facoltà intanto significa pronta e spontcmea solerzia di fare, in quanto fa il proprio obbietto; in quanto si fa come funzione; in quanto si pone come [Anche in ciò la psicologia somiglia alla fisiologia, ma non tì si confonde. L’organogenia s' inaugura, meglio che con uno, con tutti gli organi ad un tempo. Per esempio i centri primitiTi multipli del sistema nervoso, che la microscopia ci pone sott* occhio, chiarisce e conferma quest' assunto. Cfr. Vulpian, Physìologie gfn. et comp. du syaL nere. LhittS, SyH. New. cerebro-spinale. Glkibbrrg, Intinto e Libero cwbitrio trad, del Langillotti, Nap. Oonatum uni menti attrihuimu»f quce libero arbitrio prcedita pottH BUB8TARB.... eoque pacto potett motitm subsistrre et stare in conato [De Univ.). Ne* corpi e* è moto, secondo il concetto cosmologico del Vico, ma nell* animo e è moto e eoncUo: o meglio, il moto qui assumendo natura di conato è moto del moto, e quindi è aetw in actu. Expedita seu expromtn f'iciendi solertia (De Antiquisn, TtaU Sap.^ . Facoltà suona anche proprietà, ma proprietà cosciente: distinzione confermataci dal comun linguaggio che attribuisce la proprietà alle cose, ma predica dell* nomo \h facoltà. Vedi le belle riflessioni dello JouFPRoy in proposito {^filang. Phil., ed. Bruxelles attività: FacuUaùes sunt eorum, quce fadmus. Ecco il concetto psicologico piìi originale di VICO (si veda). Il germe di questo concetto è schiettamente aristotelico; ed è la chiave ond' egli, anticipando la moderna psicologia, preveniva il Fichte, e insieme ne correggeva V esagerazione. Dunque la facoltà posta come funzione psicologica che fa sé stessa in quanto fa il proprio obbietto, è il ' passo d'oro del Libro Metafisico. Ad esso rispondono altri due che troviamo nel Diritto Universale e nella Scienza Nuova; e tutt'e tre riescono a comporre l'organismo del processo psicologico. Tale organismo, infatti, parmi racchiuso in queste due sentenze: !• che r uomo è innanzi tutto SensOy appresso Immaginazione e quindi Ragione: 2*» che l'uomo è un Potere, un Volere e un Conoscere potenzialmente infinito. ÀRlST. De an. DoTe stanno, a mo* d'esempio, i colori, i sapori, gli odori, il tatto? Se il senso è facoltà, ne segue che tu in sostanza hai a far i colori nel vedere, tu i sapori nel guastare, tu i suoni nelP udire, tn gli odori nelr annusare, tu stesso il freddo e '1 caldo \iel toccare. Nam si «enatu facultates sunt, videndo colore», sapores gustando, sono» nudiendo, tangendo frigida et calida rerum facimua. {De Antiquisa) Parimenti con le immagini e con le rappresentazioni la yirtù fantastica partorisce il proprio obbietto, e si fa; di modo che scegliendo il meglio di natura ed elevandolo a valore di tipo, a questo vien conformando V opera d* arte. De medio lectam {formam) ttupra fidem extoUunt, et ad eam auos heroaa con/ormant. (Ibi, 2.) E la memoria, potenza che rifa e penetra so medesima, non potrebbe rifarsi e penetrarsi ove innanzi non si fosse fatta; ne quindi può esser quella magra e sterile ritentiva di che ci parlano i sensisti. L' intelletto è facoltà anche lui, perchè col determinarsi viene a geminarsi nel giudizio, e perciò vede; e vede, perchè occhio dell' intelletto è il giudizio: Judicium eat oculus intellectu; né potrebbe intellettivamente vedere, se non intendesse; nò intendere, ove anch'agli, al solito, non facesse il proprio obbietto. Intellectus verna faeultaa est, quo quum quid intelligimua, id verum facimua, . In tutto questo il Vico ormeggia Aristotele. Per es. la visione, secondo lo Stagirita, è Vatto dd colore; l'udito è V aUo del auono. (Ravaisson Metaph, d^ Ariat., Aeist. De An.) Il primo di questi due principii è evidentemente aristotelico, perchè dall* ou^SvitTiq al voù^, com' è noto, ricorrono parecchi gradi e sfumature componenti tutte un unico processo: ^ója, ^àvTacr|ua, se V Intelligenee^ Lauoel, Probi, de V Atne, Litthé, Revue de Phil. Potit. Consulta anche le op. «it. di VuLPiAN e di Lhuts. dell' immaginazione, cioè all' intendimento, nonché il passaggio dall'intendimento alla ragione? Fra il termine sensato dell' intuizione e '1 fantasma e' è un abisso. Un abisso tra il fantasma^ tra il fantasma anche salito ad universale poetico^ ed il concetto. Un abisso ancora fra il concetto, e la nozione, l' idea, V universale propriamente detto. Bisogna credere, perciò, che dall' un gruppo all'altro di funzioni psichiche non esista continuità, ma transito; non passaggio immediato, ma intervallo. Or bene, come, altro che per miracolo, l' una facoltà potrebbe trasformarsi nell'altra? Non è dunque la facoltà che si trasforma e diventa; ma è lo spirito che si forma, che si determina nel multiplo e mediante il multiplo delle facoltà. Laonde attraverso e al disotto a questa multiplicità di funzioni, è mestieri supporre una facoltà madre che, come facoltà deUe facoltà compia i diversi passaggi e intervalli, e sia come il principio dinamico dell'organismo psicologico. Ma di questo faremo parola nel prossimo capitolo dove ricercheremo la genesi del processo psicologico. Seguitiamo. Quel che s'è dettò del processo conoscitivo, dicasi pure del processo operativo e pratico dell' organisriio psicologico. Una medesima legge governa tanto la genesi del conoscere, quanto quella dell'operare. I diversi gradi e momenti del processo operativo rispondono a' diversi gradi e momenti del processo conoscitivo. L'operare infatti è determinato dal conoscere per necessità tutta psicologica. Come dunque potrebbe non riprodurre la medesima legge? Il processo pratico suppone il teoretico, stantechò la funzione yolitiva, alla quale si riferisce ogn' altra facoltà d'ordine operativo, sia funzione essenzialmente secondaria. Accenneremo qui i diversi passag^ di questo processo secondo i tre gruppi (no««ey oeU«,^oMe) additatici dal Vico; ma ci ristringeremo a notarne i difTerenti gradi seguendo l'ordine ascensi vo, tuituraU e, per cosi dire, cronologico. L a) Istinto fisiolooigo. Risponde alla Sensazione; anzi è la sensazione stessa, ma sotto l'aspetto riflesso, attivo, comecché incosciente. In esso quindi si ripeton le medesime condizioni, non altro essendo fuorché unità incosciente e confusa fra Vagente e'I motivo dell'azione. Additato così con fuggevoli tocchi il doppio aspetto onde risulta il processo psicologico, potremo intendere ormai quella dottrina del nostro filosofo a cui più di una volta venimmo alludendo nelP abbozzar la storia della Scienza Nuova: dico la dottrina del Vero e del Certo, che ha riscontro con V altra della Bagione e ddVAidorità, 11 vero è produzione di Ragione; il certo è produzione d^ Autorità,^ Ma come nelP ordine conosci[Istinto uitano (il poste del Vico nel sao primo grado empirico). Si ripeton le condizioni della Percezione sensata. I due termini qui cominciano a distingaersi; ma VigUnto non è por anche desiderio. L'istinto anche qui è immohile, è cieco, e pnr nonostante è umano. Ed è umano principalmente perchò non può rimanere istinto^ ma dehb* esser superato dal desiderio, dee diventar desiderio. e) Dbsidebio. ~ Risponde alla Rappresentazione, e n' è l’attività. Il motivo dell* azione è determinato, particolare. Quindi fra questo motivo e r agente havvi necessità empirica, immediatezza. d) Passignk. Risponde ai primi gradi deirimmaginazione, e, come questa, è mobile e varia; e perciò è meno indeterminata che non sia il desiderio. Il Desiderio è uno,' la Passione ha più forme. L'obbietto che la determina non è il particolare, e neanche il generale. Appartiene al-r individuo considerato non come individuo, ma com' elemento di società. Segna dunque un passaggio; il passaggio dal desiderio al libero arbitrio. II. e) LiBRRo ARBITRIO. L* obbietto è generale, astratto; perciò è più mobile della Passione, e quindi costituisce il passaggio dalla necessità empirica alla necessità razionale (libertà volgarmente intesa). Risponde alla Immaginazione imitatrice e riproduttiice eh* è tuttora schiava della natura; al modo istesso che il libero arbitrio è dominato da un motivo tuttora eteronomo.) Dbtkrminazionk (passaggio del libero arbitrio alla Libertà).Risponde, più che all'Immaginazione (combinatrice), alle varie forme dell' Intendimento. Varietà d* obbietti. g) SuK DIVBRSR POBMB {contrarietàf contraddizione j dezione). Anche qui ha luogo un processo come neU* Intendimento. L* elezion razionale non ò più libero arbitrio, ma Libertà. ) Libertà. È determinata dalla Ragione: perciò importa la necessità razionale. Libertà quindi è dovere appunto perchè è ragione. Ma può tornare ad una delle tre forme d'arbitrio, stantechè la necessità, ond'è signoreggiata, sia necessità morale. ») Personalità. È l’Autorità che si converte con la Ragione. È il risultato del processo psicologico, e rappresenta il circolo delle facoltà perchò le suppone tutte, e le contiene in atto. 1& dunque la circonferenza, cioè rio pienOf attuale. Qual n*è il centro? (Vedi nel Gap. seg.) * n concetto à^ÀtUorità è una delle idee cardinali dell'opera sul Piritto UniversaJle. Noi' qui ne parliamo per incidenza; perchè questa tivo è mestieri che il vero si converta col fatto, così nelr ordine pratico il certo fa d'uopo che si converta col vero. In altre parole, se il processo teoretico guardato psicologicamente è una conversione del vero col fatto; il processo operativo, al contrario, guardato storicamente, è una conversione del certo col vero. La relazione che Vico pone tra il vero e '1 Certo, somiglia quella che nell'Aristotelismo tiene la forma verso la materia, ma considerata nel processo isterico. Risponde altresì alla relazione eh' egli medesimo scorge tra la filologia e la filosofia. La filologia porge i placiti dell' umano arbitrio (placita humani arbitri); la filosofia indaga i principii necessari di natura (necessaria naturcey Perciò][aiferma. La Filosofia contempla la Ragione onde viene la Scienza del Vero: la Filologia osserva l’Autorità deW umano Arbitrio onde vien la Coscienza del Certo.^n Or la Ragione, producendo il dottrina dovendo esser considerata principalmente sotto T aspetto istorico (nel che sta tutto il suo pregio e la sua norità), dovrà quindi formare oggetto d' interpretazione e dì studio nella Sociologia. Qui dobbiamo avvertire solamente che, quantunque i siguiiìcati della parola Autorità pel Vico sian diversi (Autorità polìtica, religiosa, monastica, incononiica, civile e simili) nullameno tutte le specie d'autorità, chi interpreti bene la sua mente, hanno d' aver per fondamento originario queir An^ontò alla quale, propter rerum novitateìn^ ei volle dare un titolo nuovo, e V appellò AUCTOttlTAS NATURALIS, ACCTOEITAS ì>tATURMj[De Univ. Jur., XCI). PerciÒ la definisce: Humana: natura: proprietae. Perciò non dubita chiamarla divina. Perciò la designa come T unità vivente delle tre funzioni costituenti l' ordine pratico psicologico: noBsCf velie, posse. Perciò, finalmente, la dice Suitas; e la Suitas nell'uomo vale, per lui, ciò che in Dio VAseitas. Vedremo altrove esser questa una dottrina originale onde l'autore della Scienza Nuova prevenne la moderna filosofia del Diritto. Del che niuno de' critici di cui parlammo ha avuto sentore, tranne il Carmignani e l'Amari; ma l'uno, come dicemmo, ne parla superficialmente, e l'altro in senso tutto cattolico e tradizionale. De Constantia Jurispr., Proem., Sc. Nuova, Si noti qui, a maggiore schiarimento del metodo vichiano, che la Filosofia è quella che contempla, e la Filologia quella che ossava. Secondo il nostro linguaggio, quella deduce, e questa induce. Or la Scienza Nuova non fa propriamente l'una cosa, né l' altra. Essa pone in opera entrambe cotoste funzioni, e le couipenctra in una terza che dicemmo essere il ma),àstoro eduttivo. vero^ costituisce il processo della coscienza; in mentre che r Autorità, producendo il certo e legittimandosi nella ragione, forma il processo dell'autocoscienza, e partorisce il concetto della personalità (Proprietas sui; Suikis). Sotto l'aspetto isterico, perciò, l'Autorità è il libero arbitrio che diventa libertà, e quindi Ragione: sotto l'aspetto psicologico è lo stesso libero arbitrio già divenuto ragione. Ond' è che come il certo non è il vero ma una parte del vero così V Autorità non è Ragione, ma è partecipe di ragione. Che cosa è da concludere da tutto ciò? Che il processo pratico, riguardato psicologicamente, comincia là ove finisce il teoretico. Questo, infatti, s' inaugura col senso, e, sempre più ascendendo, si risolve nella ragione. Quello, invece, move dalla ragione avvisata come semplice colioscere, e, transitando pel volere, finisce nel potere; ma nel potere divenuto già attività concreta, piena, reale, vivente, stantechè il libero volere importi la ragione. Che se tra conoscere ed operare, fra coscienza e autocoscienza, 0 (per usare il linguaggio del nostro filosofo) tra Ragione e Autorità, fra il Vero e il Certo e tra filosofia e filologia havvi un processo; è necessaria, è inevitabile una conversione fra' due termini. Dunque 1' Autorità devesi poter elevare a dignità di Ragione; al modo istesso che la ragione operativa debbe aver coscienza di sé medesima anche come ragion conoscitiva. Or che è ella mai cotest' Autorità convertitasi in ragione se non l'autocoscienza? E non è appunto quest'Autorità autocoscente quella che, assolvendo l' uno e l' altro pro' Ut autem VBRUM constai RATiONE, ita criltuu nititur auotoritate, vd noHra $en»uum quat dicitur aUTO^i'a, vel aìtorum dicti», qua in tpeei^e dicitur AUOTORlTAS, cx quorum alterutra naicitur PRRSCASIO. Sed ipta auctoRITA8 e«t ^ar» ^rwofrfam RATiONis. {De Univ. Jur.y Proloq.) Vedi le diverse applicazioni del Vero e del Certo. Il primo scolare del Vico. Emanuele Dani, come arrertimmo, fin dal secolo passato colse giusto in questa dottrina del suo maestro, massime quant* al valore e alla relazione de' suddetti concetti. (Tedi Saggio di Oiuriprndenza Unirrr^aU, ed. cit., p. CVIII). cesso, costituisce l'essere veramente umano (universale)? E che cos' è l' ente umano, che cos' è VHumaniiaSj per cui l'individuo è davvero individuo, subbietto veracemente universale, fuorché la personalità? E che cos'è la persona se non queir unità vivente e operante del triphce diritto originario (tutèla^ dominio e libertà) nella quale s' incarna e s' impersona la triplice funzione del Potere, del Volere e del Conoscere?* Col concetto su la relazione fra il processo conoscitivo e '1 processo operativo dell'organismo psicologico Vico non solo previene l' esigenza Kantiana del doppio ordine di ragione, ma, che più monta, la supera. La previene distinguendo la Ragion pura (Batio) dalla Ragion pratica (Autoritas). E dovea distinguerla, perchè i due processi conoscitivo e pratico, tuttoché formanti unico organismo, hanno, come s' è visto, origine, natura, e andamento diverso. La supera poi, in quanto che scorge la conversione (ripetiamolo) non pur fra l'una e l'altra ragione, ma eziandio nell'una e nell'altra guardate ciascuna in sé stessa. Come processo conoscitivo la Ragione dee convertirsi con sé stessa; e non potrebbe, ove non divenisse anche Autorità. Come processo pratico l'autorità non potrebbe neanch' ella convertirsi con sé medesima, s' ella stessa non divenisse Ragione. Li altre parole: il conoscere non potrebb' esser vero conoscere, ove non fosse un processo, una conversione de' tre gruppi di funzioni teoretiche innanzi discorse. L'operare non sarebbe vero operare, se anch'egli non fosse una conversione de' tre gruppi delle funzioni operative. Finalmente il processo conoscitivo De Univ. Jur. Di qui nasce il concetto del gitu e della libertà secondo le dottrino Yichiane, come altrove mostreremo. Ma già i lettori prevedono qnal uso noi saremo per fare di cotesta dottrina nelle questioni polìtiche, giuridiche, religiose e pedagogiche. Posto il concetto àdV Auctoritcu naturalU^ e dell’Autorità in generale come particeptf RaHonUy cioè come facoltà che devesi convertire con la Ragione, ognuno saprà argomentare qual valore giuridico abbian per noi r autorità politica e 1’autorità religiosa nelle teoriche sociologiche. e'1 processo operativo non sarebbero tali, ove non fossero essi stessi una conversione tra se medesimi. Così il circolo è compiuto; e così rimane sbandita ogni maniera di dualismo e di formalismo nel regno della psicologia. Or la mancanza di processo è precisamente il tarlo che rode le dottrine del Kant. Posto il noumeno come un'incognita, posta la conoscenza com'una specie di combaciamento meccanico anziché come processo dinamico del fatto con l'idea e della materia con la forma; non poteva non chiudersi ogni via per intendere il fenomeno, e salvarsi dal cadere in quella specie di scetticismo metafisico del quale altrove toccammo (p. 238). Senza esempio nella storia della filosofia egli dimostra la necessità di certe condizioni superiori all' esperienza nel fatto del conoscere. Ecco la massima sua gloria. Ma non perviene a spiegar cotesto fatto, perchè non giunge a risolvere il dualismo tra la sensibilità e l' intelletto col discoprirne il germe comune eh' egli stesso )ion dubita chiamare sconosciuto. D'altra parte, dal disegno della Critica della Ragion Pura egli trae quello della Critica della Ragiofi Pratica, Nell'una move dal senso, e, attraverso l' intendimento, giugne alla ragione. Nelr altra tiene un cammino opposto, perchè dal concetto di libertà scende nelle facoltà inferiori. Or 1' errore non istà, certo, in questo cammino, in questo circolo; ma piuttosto nell' aver interrotto cotesto circolo. Donde avrebbe dovuto partire nell' organar 1' edifizio della Ragion Pratica ? Precisamente da quel punto ove' pon termine la Ragion Pura, Egli invece fa un salto; salto mortale; perchè voltando le spalle alla ragion pura (né poteva altrimenti), si basa nel concetto di libera causalità.* Ov' è dunque il processo fra l' un ordine e l' altro? Ov' è r unità, r organismo del circolo psicologico? Nella distinzione Kantiana e' è del vero. Ed è che la Ragion Pura è facoltà passiva in quanto ha per Kant, Crit, de la Raiaon Aire, Tissot. > Idem, Crit. de la Maieon Pratique, termine il fenomeno, tuttoché s' addimostri attiva nel concepire e disporre e costruir questo fenomeno mediante quella mirabile tela delle categorie. La Ragion pratica, al contrario, è profondamente attiva, stanteche con r atto del puro volere ella ponga il noumeno^ Se non che il grand' uomo non vide che né la Ragion pratica è assolutamente attiva, né la Ragion pura è assolutamente passiva. Il conoscere, certo, serba carattere di passività; non altrimenti che V operare ha carattere d' attività. Ma sono tali in modo relativo. Sono tali, cioè, in quanto T ordine pratico sopravviene a compiere il teoretico, non già nel senso che nel secondo abbiasi a conseguire ciò eh' è riescito impossibile nel primo, vo'dir la* posizione del noumeno. Che cos'è infatti cotesto noumeno nell'ordine pratico? Perchè la Ragion pratica s' ha da porre qual puro volere, cioè com'un fatto a priori? Insomma, che cos'è questo rolere che vuole sé stesso? A tal grave quesito il Criticismo non risponde, checché ne abbia detto poco fa uno della scuola della Morale Indipendente che in ciò crede poter ormeggiare il filosofo prussiano. Che anzi, se la legge morale procede dalla libertà come volontà indipendente e superiore a qualsivoglia motivo, cioè come autonomia che trascenda ogni eteronomia; è da confessare che un principio siffatto è condizione ni tutto subbiettiva, e quindi sorgente mutabile appunto perchè assolutamente libera. Un atto assofuto di volere, il volere come volere, io non l'intendo. Non intendo il voglio perchè voglio^ giusto perchè non capisco un atto che sia razionale e insieme scisso e quasi staccato dalla ragion pura. Brevemente: non intendo una Ragion pratica che non sappia né possa convertirsi con la Ragion teoretica.'' Se la radice del [Kant, Orìt, de la liaison Pure, Orit, de la Raiaon Pratique, Secondo Kant la Ragion pura, oltr'esser fornita dell’uao tpeculiiivoy ha eziandio un tntereaae pratico; il quale consiste semplicemente dovere sta nel sapere; la volontà di sua natura sarà sempre una funzione secondaria, non mai primaria: si che, ove nel processo istorico si svolga da sé, in tal caso ella si determina non già come libertà, ma come potere, come desiderio, come passione, come libero arbitrio. Laonde se il filosofo prussiano sente la necessità d' un reale nel suo formalismo critico, cotesta necessità per lui non può racchiudere il vero concetto del dovere, perchè importa una tendenza cieca. Non è dunque un atto etico veramente detto, ma un bisogno assolutamente empirico. Dal che si vede agevolmente non essere al tutto vero ciò che aflFermano due serie di critici rispetto alla natura de' due ordini di ragioni poste dal Criticismo. Alcuni credono esserci contradizione perchè, mentre Ja Ragion pura è indirizzata solamente (tuttoché con artifizio formale) a regolare V esperiènza, la Ragion pratica, invece, è destinata a ricostruire, a costituire; e costruisce mercè la posizione del noumeno, del libero volere, reintegrando siffattamente i postulati distrutti nell'ordine teoretico. Altri pensano, fra quali Spaventa, che la contraddizione non istia già fra le due Ragioni, ma in ciascuna d'esse. Per noi è vera l'una e l'altra sentenza, ma in questo senso; che la contraddizione del Criticismo non istà, come abbiam detto, nel porre due sfere diverse di ragioni; due ordini di processi psicologici, ma si nel non aver risoluto nessun de' due. La contraddizione esiste non pure in ciascuna delle due sfere, ma anche tra l'una e l'altra ad un tempo; con la differenza, che nell' un caso eli' è essenziale, dovechè nell'altro è secondaria. Togliete quella, e avrete insieme levato questa. Togliete il dualismo e '1 formalismo nella Ragion pura, avrete parimente riparato al formalismo e al dualismo della Ragion pratica. Perciò sommettete a processo nel determinaref non già ne) eogtituire la Ragion pratica. La Ragion pura pratica »i eoHituiace da «2. Ecco il grave difetto del kantismo nell’ordine morale. FU, di Kant e «uà relaxione coUa FU, /tal., Torino, Puna e 1' altra, e avrete schivata la contraddizione; e invece delle Idee sulla Storia Universale idee che paion come disorganate, avrete l'organismo della Scienza Nuova.Or la contraddizione, che per tre divers^e maniere offende il criticismo, potrà essere tolta unicamente quando dalla dualità, onde non si potè liberare il Kant, sappiasi risalire all' unità sua. Qual sia questa radicale unità da cui move, ed alla quale ritoma il processo psicologico, diremo fra poco. Torniamo a Vico. La Ragion pratica, l'Autorità, VAuctoritas naturalis^ che per lui costituisce la base del processo pratico in tutt'e tre i momenti in che questo si svolge, non è già un primo staccato da un altro primo al tutto formale, ma è un secondo che si converte con un primo^ e per tale conversione formano entrambi, anziché dualità irresoluta, unidualUà, Per l'Autore della Scienza Nuova la ragione, in quanto ragione, è una non due,^ Non due perciò le sorgive onde rampollano i ragionamenti; bensì Il significato della storia per Kant si riduce a questo. Come gli uomini si son costituiti in società per ischivar la guerra, cosi tutt* i popoli tendono a stabilirsi in federazione universale {Idée de eeque pourrait ètre Vhiètoire universelle dana le» vuee d^n eitoyen du monde). La P sentenza è un errore degno degli Hobbesiaui: la 2" è un'utopia la quale partorisce 1’altra della Pctce universnlcf e V altra ancora d* una Chiena filoeofica il cui fine dovrebb' esser quello di sorvegliare alla morale del genere umano (Vedi nella Relig, dana lee lim. de la raiwn). Sennonché è impossibile spiegar la stona col porne V origino in una condizione accidentale, in una necessità euipirica qual' è appunto la guerra. II fatto isterico può essere spiegato col risalire alle leggi psicologiche, e scoprirne il processo. Or poteva egli, il Kant, prefiggersi tal fine s* ei non seppe levare il dissidio fra le due Ragioni e mostrarne la conversione V Da ciò anche dipende quel proporre, air attuazione del progresso, mezzi affatto artiflziali com'è la federazione universale, la chiesa filosofica, e simili. « Con lo apiegarai delle umane idee^ i fatti, i diritti e le cose umane si andaron sempre più dirozzando, prima dalla acrupoloaità delle auperatìzioni, poi dalla aolennità degli atti legittimi e dalle angustie delle parole, finalmente da ogni eorpìdenxa; per ridursi al loro puro e vero principio che è loro propria aoatanza. Or qual è questa aoatanza propria, qual è questo principio vero e puro àe^ fatti e de' diritti umani^ eh' è dire dell' ordine pratico? È la aoatanza umana, la noatra volontà determinata dalla noatra mente con la Forza del Vrbo che ai chiama Coscienza. {Prima Se. Nuova) due le maniere del ragionare. Di fatto, se lo spirito in quant' è conoscere (Batio) produce il vero e dà la scienza; e in quant' è operare (Auctoritds) produce il certo e cosi esplica e conferma la prima, ovvero la prenunzia e Y anticipa ; ne viene che tra Y ordine teoretico e Y ordine pratico una conversione è necessaria. In che risiede r intima natura della volontà? Intelletto e volontà, nelr ordine psicologico spontaneo, hanno radice comune: per cui se r atto del volere non è propriamente atto d' intendere, e nondimeno lo sforzo d' intendere: è lo stesso conoscere, ma in quanto si realizza come Ragione universale, come operare umano, autonomo, razionale. La ragione dunque è facoltà di conversione per eccellenza ; e quindi lo spirito dee conformarsi al naturale ordin delle cose. E che è mai il naturale ordin delle cose? È la Datura, l'essenza, il valore, l' essere stesso delle cose.* Ora, conformarsi all'essere delle cose, non vuol dire convertirsi con lui, diventar lui? Col concetto d' ordine adunque il Vico determina la natura non del solo conoscere ne del solo operare, ma la natura d' entrambi; cioè della Ragione vivente e concreta; della Ragione comune, universale, imiana. La quale, supponendo già il concetto d'ordine, cioè dire supponendo il processo Qpnoscitivo, importa anche il processo operativo come risultato necessario dell' essenza umana. Con/ormatìo eum ipso ordine rerum e$t et dicitur batio. {De Univ, Jur.^ Proem.j ) Questa con/ormatio mentis suppone già il processo conoscitÌTO, e quindi il criterio della Convernone del vero col fatto. Ella dunque è risultamento delle funzioni teoretiche, e insieme principio delle funzioni pratiche. È la sostanza umana determinata con la Forza del Vero. Rosmini nella FU. del Diritto fa la critica del concetto d* ordine com' è inteso dal Vico. Il Finetti area fatto lo stesso fin dal secolo scorso nelle sue polemiche col Dnni e col Concinna. {De Prineip. Jur. ) Ma né V uno nò 1* altro s*è accorto come la facoltà, che per Vico dee conformarsi air ordine naturale, non sia il puro conoscere e neanche il solo operare; cioè non la Ratio e nemmanco VAuetoritas, ma la Ragione per eccellenza, la Ragione in quant' è risultato finale e quindi princìpio del doppio processo psicologico. £ la ragione, insomma, in quanto è conversione essenziale con la natura, con la storia, con lo Stato, col supremo suo fine, e della quale il Duni dice che dove Concludiamo quant' al processo pratico. La ragion pratica non contraddice alla teoretica. Intanto eli' è pratica, in quanto è comando; ma è comando della ragione fondata nel concetto del fine razionale, che vuol dire d' un fine il quale iraponesi come legge, e perciò come imperativo. Cotesto fine imperante, manifestato o imposto dalla ragione (e tutto ciò per noi è ragion pratica), inevitabilmente importa la necessità etica, il cui soggetto è la volontà: ond' è che tra la volontà e il suo fine, eh' è appunto il bene morale, òorre una sintesi necessaria. Che se l' imperativo per Kant è la stessa volontà in quanto è libera da ogni movente particolare e d'ogni particolare interesse; anche per noi cotesto imperativo è il volere libero da ogni qualunque motivo, meno da quello che scende dalla ragione, o per mezzo della ragione; ma di quella ragione pura o conoscitiva la quale, essendo il vero convertentesi col fatto, intende e legittima il fenomeno. Fra lei e’1 noumeno non esiste un abisso, com' è pur troppo pel Criticismo. E in questo senso non ha torto Hegel d'affermare che libertà è ragione, e ragione è libertà. Il motivo dell' azione, infatti, è intrinsecato con la ragione; scaturisce non già dall' estemo, come incontra nelle azioni di natura meccanica, ma dall' intemo. L'agente dunque è razionalmente libero; e però è liberamente necessario. Il perchè se una sintesi necessaria annoda il volere col suo fine, è pur mestieri che la volontà si converta con la ragione, e produca la virtù. Così nella sfera pratica, non diversamente che nella teoretica, il criterio è sempre il medesimo: la conversione del vero col fatto, eh' è dire della legge con la volontà. E poiché la legge neir ordine etico partorisce il dovere, e la volontà nelr ordine giuridico produce il diritto; perciò accade che la Morale, nella dottrina del nostro filosofo, deve stare al Diritto cosi come il vero sta al fatto, come la Ra-non c'^ uniformaziont,, non e'? ragione, (Vedi noi Saggio di Giuritprw denzn Umvermle^ .> gione air Autorità. Sono due sfere di fatti diversi; due ordini di scienze differenti per origine, e per applicazione. Il Diritto non iscaturisce dalla Morale, ne tampoco la morale puo emerger dal Diritto. Se cosi fosse, l'una di queste scienze annullerebbe l'altra, assorbendola. Esse dunque non s'identificano, ma si convertono.* Tal si è, come rapidamente l'abbiamo descritto, l'organismo psicologico ne' suoi elementi e nella sua natura. Ma quest' organismo può e debb' esser considerato riguardo a due soggetti, che sono l'individuo e la specie, cioè dire psicologicamente e storicamente. Nell'individuo ci è dato studiarlo, come chi dicesse, nella condizione statica, cioè nel suo equilibrio, nella sua compiutezza, a cagione delle mutue relazioni onde i due processi richiamansi a vicenda. Psicologicamente, infatti, il pensiero inaugura, determina e compie il processo pratico. Lo inaugura come senso in quanto eccita il potere: lo determina come rappresentazione, immaginazione, intendimento che sveglia e sprona il volere: lo compie, finalmente, come ragione, la quale costituisce l'essenza stessa della libertà. La Ragione dunque è l'atto, la forma dell'Autorità; come l'Autorità è la potenza e la materia della Ragione. Io voglio ed opero perchè conosco: né per altro potrò conoscere se non perchè debbo operare. La ragion del volere pone sua radice nel conoscere ; come la ragione e '1 fine del conoscere altro potrebb' esser che Y operare. Chi vuol conoscere per conoscere è un mezz' uomo. E la scienza per la scienza è frase ch'io non intendo, come non la intendeva nemmeno Aristotele.^ I due processi, adunque, ne' quali si sdoppia e determina l' organismo psicologico nell' individuo, s' importano a vicenda, e tutt' insieme compon• Sotto il rapporto psicolosrico può dirsi, come più d*una volta arverte il nostro filosofo, che ex Rottone Auctontas ipm orta ett. (De Univ. Jur.) * Rayaisson, Em, 9ur la Mitaph. ec. gono un sol circolo. In questo circolo per 1' appunto sta l'autogenesi dello spirito. Al contrario nella storia, che vuol dire nella specie avvisata come un individuo attraverso il tempo, l'organismo psicologico ci è dato considerarlo quasi in via di formazione, cioè sotto il rapporto dinamico, e perciò nelle condizioni del movimento. Avviene infatti' in quest'ordin di cose quel che la scuola di Lamarck pensa del REGNO ZOOLOGICO. Nell'organismo compiuto, nel mammifero, ci è tutta la scala zoologica, ma in atto; al modo istesso che nelle differenti specie d'organismi inferiori abbiamo l'organismo perfetto, ma come squadernato nella successione seriale de' diversi momenti del suo sviluppo. Se questa dottrina, secondochè altrove diremo, non è al tutto vera in ordine alla storia naturale, è verissima nella storia umana. La condizione statica non può verificarsi nell' ordine de' fatti, massime de' fatti storici. Nel regno della realtà, anziché quiete ed equilibrio, tutto è moto incessante, sviluppo, attrito, disequilibrio perpetuo: onde la Statica sociale de' Sociologisti non è che un' astrazione del pensiero. Il processo psicologico adunque, avvisato staticamente, è tipo, è realtà compiuta, alla quale c'innalziamo scrutando la natura dell'individuo, investigando le leggi della psicologia. Un processo psicologico in via di formazione non è altrimenti Statica, ma Dinamica. Ora il processo psicologico è r atto, il tipo del processo isterico; e quindi vana impresa è il pretendere d' imprimer ÌForma di scienza alla storia, senza porvi a fondamento immediato la psicologia. La storia non fa che ripeter la psicologia; ma al modo che la circonferenza ripete il centro. Che è mai la circonferenza fuorché lo stesso centro considerato, direbbe il Gioberti, fuori di sé? Tal è la specie rispetto all’individuo; tal si é pure la storia di fronte alla psicologia.* Ciò che nell' una si compie * Vedi le belle riflessioni del Noubisson in proposito. (La nature humainef Ess. de Fsycol. appliquée, Paris) attaraverso lunghi secoli, nell' altra, cioè nell' individuo, s' assolve attraverso una serie d' anni e di differenti età. E ciò che sono i secoli per la storia e gli anni e le diverse età per l' individuo, sono per la coscienza attuale que' diversi momenti necessari aftinché ella possa recare in atto la doppia fimzione del conoscere e dell' operare. Ma per quante sian le differenze, la legge è sempre una; non essendo possibile che le note essenziali alla specie manchino ai membri, manchino agli elementi di essa, ciò è dire agP individui.* Perciò nella storia tanto il processo teoretico quanto il processo pratico s'inaugura cod come nell' individuo. U senso, lo vedremo in altro luogo, sale a ragione attraverso le funzioni intermedie dell'immaginazione e dell'intendimento. Il potere, l'istinto (il che verificheremo nella sociologia) assume valore di Ubertà mercè la successione delle moltiplici forme cui soggiaccion le passioni e le determinazioni del libero arbitrio, e siffattamente crea il Diritto e lo Stato. Così la storia è una correzione lenta ma incessante, ma progressiva di due forze che mai non posano, Autorità e Rag^ne. La molla occulta del[Ce qui 9e paage dan» Vévolvtion 4e Vindividu est la tacine de ce qui se passe dans VévoìuHon de Vétte eoUectii*. (Littbé, PatoUs de Phil. Posit.) Ognan vede che questo principio non è, come ci dicono i Positivisti di Francia, una loro invenzione peregrina. È uno de* concetti fondamentali della Scienza Nuova; ed è insieme la correzione del Comtismo, per la ragione più volte rammentata che la psicologia pel Vico non iscatnrìsce dalla storia, ma è anzi la storia, cioè la scienza istorica quella che dee tórre a modello, a criterio la psicologia. * Tutte le opere del Vico sono una dimostrazione continua di quésto concetto. Lasciando delle facoltà d* ordine conoscitivo, basta meditare le diverse forme attraverso cui procede VAutotità, per vedere come davvero ella sia potenzialmente ragione. Vi è progresso, per dime un esempio, fra le tre forme d* autorità monasHcOf economica e eivUe (De Univ. Jut.); e vi ò progresso nella storia dell* autorità considerata nelle diverso maniere del reggimento politico {Ptima Se, Nuova Sec. Se. Nuova) Scoprire la conversione dell' Autotità con la Ragione, è una delle sue principali esigenze, e quindi uno de' precipui aspetti della Scienza Nuova. r umano progredire, infatti, sta nella faticosa conversione d' entrambe. Perchè sé la storia è la vita del genere umano,* il processo di questa vita, lo svolgimento di quest'organismo altro non potrà essere fuorché il ridursi di quella dualità a valore d' unità. Il processo istorico adunque non fa che ripetere, ma sotto forme sempre diverse, il processo psicologico: talché se la psicologia, come ha detto il Michelet, é quasi la storia in miniatura, cioè la storia come raccolta, adunata e quasi concentrata in un sol punto; la storia alla sua volta, secondo l'osservazione altrove accennata del Cattaneo, altro non sarà che la psicologia stessa in più vaste proporzioni, e sotto aspetti molteplici e svariatissimi. Ma quel punto, quel centro (ripetiamo la figura), vai tutta la circonferenza; vai più che la circonferenza. Se la psicologia infatti nasce dalla storia, chi vorrà dire che la prima non possa essere altro fuorché una semplice appendice della seconda? La psicologia è superiore alla storia, come il presente è superiore al passato. E le leggi psichiche sono anteriori a quelle del fatto istorico, al modo istesso che il criterio e la norma, in generale, sono anteriori alla materia interpretata e giudicata.' Perciò dice che il suo libro è anche nn». JUotoJia deW autorità {Sec. Se. Nuova) atta a ridurre a leggi certe V umano arbitrio di ma natura incertÌ9»imo. * Vita generila humani Hiètoria est, [De Univ. Jur.) * Il Taine dice benissimo dove osserva che la pttyeologìt «« à ehaque départentent de l’hintoire humaine ce que l^i physiologie generai^ e»t h la phyaiologie partictdiire. de ehaque esplce ou doAèe animale. {De Vlntelligence, Pref.) Che oggi la psicolog^ia debba esser condizione essenziale alla scienza del fatto storico, ninno è che ne dubiti. Ma la questióne ò ben altra, e di ben altro valore che non crede il Taine. Come s' ha da considerar la psicologia rispetto alla storia, e perciò r individuo rispetto alla specie'? Ecco il punto! Predicarci la necessità della psicologia nella indagine del fatto storico è un bel nulla, se innanzi tratto non si stabilisca qual relazione corra fra le due scienze. Mi spiego subito. Se Io svolgersi delle concezioni religiose, delle creazioni artistiche e letterarie e delle scoperte scientifiche in un dato periodo istorico e presso un dato popolo non sono in realtà altro che un’applicazione, un caso particolare di quelle medesime leggi che in ogn'istante regolano lo svolgimento psicologico di ciascun nomo; brevemente, se il fatto storico H nostro filosofo non pure colse, ma dimostrò la relazione tra r uno e l’altro ordin di fatti, e fece quel che non giunsero a fare i nostri platonici e aristotelici del Rinascimento; ciò che non fece tutto il Cartesianismo; ciò che dopo di lui non seppe fare il Criticismo in ordine alla storia; ciò che non han fatto, né sanno fare i Positivisti e gli Idealisti assoluti; i quali trascendono il positivo perchè disconoscono la difficile arte de' confini nella scienza del mondo e della storia. Alla sua mente lampeggiò il vero concetto dell' ente umano: il concetìo àeW individuo universale vivente, concreto, reale; e sotto doppia forma venne applicando il suo massimo criterio della conversione del vero col foHo nel conoscere, e del certo col vero nell' operare. Recò in atto quindi non una, ma due grandi leve, la psicologia da una parte, e la critica de' fatti storici dall'altra; la filosofia e la filologia; e perciò un a priori di natura puramente psicologica, e un a posteriori indagato pazientemente con oculata osservazione: e così gettando le basi del vero metodo storico razionalmente positivo, riesci a comporre la scienza dello spirito. Però Storia e Psicologia non sono due cose, ma una. Esse formano la vera scienza dello spirito, quando sian portate ad un fiato, com' egli dice con significantissima frase. Ecco il grande valore della Sdensfa Nuova, per quanti possano essere i suoi difetti nella forma, nel disegno, nelle conclusioni, nelle applicazioni. Lo dichiara egli stesso: il mio saggio è wrxR filosofia deW umanità. Perchè filosofia? non è che un'applicazione delle lejrgi psicologiche: ne viene che nella psicologìa solamente possiamo ritrovare il criterio, il principio, la teorica da applicare nella intorpretaziono del fatto isterico. Dnnqne? Danque (mi par chiaro) la psicologia è anteriore, e superiore alla storia. Or io non so davvero come siffatta conseguenza possa accordarsi co'princìpii di Taine, specie con quello ond'ei ci dichiara, che il fatto della coscienza non è altro che vm fantamna metajinco! Il problema storico è problema psicologico: lo sappiamo anche noi da un secolo e mezzo a questa parte. Quel che non sappiamo è il modo col quale il valoroso estetico francese potrà giugnere a risolvere cotesto problema col suo Positivismo. perchè ne inve^iga le coffionV Or le cagioni immediate e positive del processo istorico, non s'hann' a radicar tutte nel processo psicologico, eh' è, dire nella natura umana? Volere investigar le ragioni della storia nonché i principii della sociologia invocando la dicdeUica immanente détta Idea come fan gli Hegeliani, ovvero r opera della Provvidenza immediata come fanno Ontologisti e Teologisti; è uscir dalla Storia, dalla natura umana, dalla psicologia; ed è rendere il processo storico un processo affatto meccanico e arbitrario. Un principio estrinseco e superiore che non emerga dalle viscere stesse della storia, ma che alla storia si sovrapponga e s'imponga, che cosa dee produrre? Da una parte, meccanismo, e arbitrio dall'altra. Ed è anche un uscir dalla storia, dalla psicologia e dalla natura umana, queir invocare i soU fatti siccome leggi empiriche riferendole a cagioni tutte estrinseche, tutte mutabiU tutte acddentaU, come sono il clima, la razza, l'educazione e cento e mille condizioni esteriori e secondarie di cui ci parlano i positivisti e i filosofi dell’avvenire. Il fondamento razionale positivo del processo istorico dunque è l'organismo psicologico, ma ravvisato come processo. Questa precisamente è l' esigenza più legittima, la condizione più salda del metodo istorico che scaturisca dalle opere, dalle dottrine, dalla mente del Vico. Metodo isterico è anch'esso metodo genetico, metodo eduttivo. E metodo genetico vuol dir metodo essenzialmente psicologico. Ne segue perciò che la legge isterica delle tre età -divina, eroica, umana), pone sua ra[Ved. Prim, Se Nuav.y Le tre/any o stati del Positvismo francese non sono che un fatto, una legge empirica, non la ragione, non il principio delia storia. Lo confessa lo stesso Littré; il quale perciò avendo visto la necessità di correggere e compiere anche in questo il maestro, alle tre fasi del Comte sostitoisce le cinque forme di civiltà calcate sopra altrettante facoltà psicologiche. (Vedi A. Comte et la Phil, Pont.) Cosi il Littré ritoma a VICO, cioè al concetto psicologico, quantunque sbagli nella scelta della strada. dice non già in un fatto parHccHare quale sarebbe il nascere, il crescere ed il perire dell'individuo, come vedemmo pretendere VERA, ma sì neljo stesso organismo, nello stesso circolo delle funzioni psicologiche. Ciò che dunque è processo teoretico e pratico deUe facoltà e quindi conversione del vero col fatto e del certo col vero nell' individuo; nella specie, nella comunanza civile, assume forma e valore d' organismo e di processo isterico. Ecco perchè nello svolgimento della storia e delle diverse civiltà, lo stato, la fase, o (secondo il linguaggio del Vico) V età divina ritrova sua ragione intima, immediata, nel predominio ed esplicazione deUe due funzioni elementari, empiriche e naturali, che sono il Senso ed il Potere. La fase eroica per contrario, è l’incarnazione del volere e dell' Immaginazione. E, finalmente la fase umana è V attuazione e quindi il trionfo e la signoria della Ragione spiegata, la quale neU' ordine della vita civile, politica e sociale si traduce nel trionfo della libertà. La storia dunque è un organismo come la psicologia; e quindi le leggi psicologiche sono il criterio interpretativo principale del fatto isterico. Questo è il vero concetto della VoUcer Psycólogie per VA. della Scienza Nuova. Dove sta il difficile? Appunto nel far cotesti interpretazione; appunto nelr applicare le leggi psicologiche alla storia. In tale applicazione occorre schivare (come vedremo in Sociologia) que' due gravissimi errori ne' quali rompono Hegeliani e Positivisti: cioè l'universalismo nel comporre la filosofia della civiltà, e il particolarismo e '1 determinismo nel fissarne le leggi. Due perciò sono le condizioni razionali per la scienza della storia: V applicare al fatto isterico le leggi psicologiche; ma applicarle, non già all' umanità, come fanno i seguaci di Hegel, bensì a' popoli, alle schiatte, alle tradizioni: 2 tener conto delle mille cagioni estrinseche ed irraziouaU che in modi infinitamente diversi e molteplici turbano lo svolgimento della storia; ond' emerge la necessità, ripe* tiamolo, della psicologia e della crìtica storica nello stabilire i principii deUa filosofia dello spirito. Or cotesto metodo, oltreché nelle dottrine metafisiche, anche nelle teorie storiche e sociologiche risulta logicamente, come vedremo, dallMndirizzo medio dell'Aristotelismo rappresentatoci, ne' tempi moderni, dalla Sdenta Nuova. Nella Scienza Nuova, e perciò nel metodo isterico e psicologico del Vico, abbiamo la condanna più severa e la confutazione di fatto degli estremi indirizzi aristotelici rinnovatisi in questo secolo per opera dell' Hegelianismo e del Positivismo nel regno degli studi storici e sociologici. Ma qual è la genesi e quindi la teleologia del processo psicologico? That is the question! Re la genesi e teleologia psicologica. Lo spirito ha le sue leggi come la natura; ed è anch' egli un organismo come la natura. Perciò dapprima è Sintesi iniziale, come si disse, poi Analisi, poi Sintesi finale. Spencer direbbe che l' organismo psicologico procede dall' omogeneo indeterminato, all' eterogeneo; e dall'eterogeneo (avrebbe dovuto aggiungere;, fa ritomo all' omogeneo, ma all' omogeneo determinato e universale. Fin qui abbiamo studiato la psicologia nel fatto. Movendo da una dualità empirica, cioè dal senso che iniziando il processo teoretico s' eleva a dignità d'intelletto, e A^X potere che preludendo al processo pratico assume valore di libera volontà, abbiamo sorpreso l'organismo psicologico nel momento stesso dello sviluppo, dell'analisi, dell'eterogeneità, della diflFerenza e moltiplicità delle sue funzioni. Or è d' uopo rimontare all'origine psicologica. È d' uopo ricercar la cellula madre di quest'organismo. È d'uopo investigare il centro di questo cìroolo, la sintesi origìiiaxia di quest'analisi che a noi porge la coscienza. La genesi dello spirito vuol esser guardata in tre modi, sotto tre forme, per tre fini diversi: psicologicamente, logicamente, ideologicamente. La Psicologia studia lo spirito, ma in quanto è un multiplo di funzioni, d’operazioni, di facoltà. La Logica studia lo spirito, ne ricerca le funzioni psicologiche, ma in quanto producono, generano, partoriscono. L' Ideologia, finalmente, studia anch' essa lo spirito, ne indaga le funzioni psicologiche, ma guardandole ne' lor prodotti generali La Logica dunque siede in mezzo all' una e all' altra scienza. Ella studia non altro che relazioni: studia le relazioni fra la causa e l'effetto, le attinenze tra la forza e le sue produzioni, e quindi raccoglie leggi universali, attinenze necessarie, poiché se lo spirito si differenzia appo gl'individui per attività ed energia di potenza e per moltiplicità di risultati, non differisce menomamente per le leggi alle quali dee soggiacere ciascun individuo. La Logica è universale, obbiettiva; e quindi indipendente dal soggetto, non altrimenti che la matematica. Or queste tre scienze che r analisi immoderata delle scuole ha ridotto a frantumi, non sono che tre aspetti d'un medesimo subbietto: d'un subbietto, cioè, avvisato P come forza e potenza: come atto e risultato; finalmente come potenza in quanto diventa atto, e però come relazione dell' un termine verso l'altro. Psicologia, dunque. Logica e Ideologia dovranno condurci ad una medesima conseguenza nel problema su la gencHi psicologica. Nel processo psicologico dicemmo esserci un primo ed un ultimo atto. Questo primo e quest'ultimo atto, anziché facoltà, come pretendon gU Spiritualisti, anziché semplici condizioni psicologiche riducibili alla fin fine alle funzioni biologiche, come ci predicano i Positivisti,* sono invece facoltà delle facoltà. E son tali per[Per esempio Mill [cf. Grice, “More Grice to The Mill”] {La PhU, de Hamilton, trad. CazeUes). H. Taink (2>« VintelUgence). che runa d' esse è originaria, e V altra è complementare; perchè la prima è potenza, e la seconda è atto: perchè, in somma, quella è T Io in quant' è coscienza primitiva, e questa è V Io in quant' è pienezza di personalità, auto-coscienza. Or è mestieri ammettere che la coscienza, in quant' è facoltà détte facoltà, esista dapprima come potenza originaria; preesista com’energia irreducibile; preceda come atto che sia tutto, e nulla; e vaglia quindi a costituir la natura stessa di quell'ente che nella scala zoologica diciamo ente umano, E innanzi tratto, s'egli è vero che le fimzioni psicologiche convengon tutte nell'essere un conato di natura essenzialmente teleologica, è d'uopo che, attraverso a tutte e in fondo a ciascuna, si occulti un atto rudimentale, radicale, comune, essenzialmente generatore, contenente universale e indeterminato del doppio processo psicologico teoretico e pratico. D' altra parte, se il fatto ci addita una dualità empirica, concreta ed elementare, cioè il senso e il potere; ne viene che queste due facoltà, sia che le si guardino nel loro obbietto e natura, sia che nel fine cui sono indirizzate, ci rappresentino due opposti, ci esprimon due contrari; e, come tali, abbisognano d'un soggetto comune in cui (secondo l'esigenza dell'Aristotelismo) elle sussistano originariamente. La duaUtà empirica e, per così dirla, sensata, ci rimena infatti $ui una dualità superiore e trascendente, la quale a sua volta non può non essere altresì unità, unità confusa, unidualità anteriore, e della quale possiamo dire ciò che Aristotele afferma delle parti avvisate in riguardo al tutto. Se la parte potenzialmente e cronologicamente precede il tutto; attualmente e logicamente il tutto dee preceder la parte.* ^Xou xai >f uX>i TT^c ouVtac" Jtar' «vT«Xj;^tiav 5' u^7«/oov 5«aXxtBivroi y(/.p x«t* £vTi>JX«*av «(T']at. (Met.) Ecco la ragiono (sia detto di passata) onde la Psicologia differisce in immenso dalla Zoopsicologia, checché ne dicano il Darwin, V Agassiz, il Vogt ed altrettali. Neir ordino zoopsicologico la dualità empirica del »etuo e dell' i»Hnto esiste; ed è unità confusa, è unidualità: ma riman sempre tale, sempre Questo tutto originario, quest' unità la quale anche come primigenia è numero, cioè unìdualità e però facoltà déHe facóUà, è ciò che con antica ma significativa parola il Vico suole appellar mente, mens.^ Alla medesima conseguenza ci conduce la logica e r ideologia. Rammentiamoci della dottrina su la conoscenza. Se neir ordine del conoscere il fatto è il dato, il fenomeno, ciò eh' è posto, la cieca percezione; insomma, ciò che non può esser conosciuto di per sé stesso: il vero, per conta'ario, è l’elemento ideale, astratto, vuoto, formale, a priori; ma a priori in quant' origina immediate dal seno stesso del pensiero. In che sta, dunque, il nello stato potenziale: mentre neir ordine psicologico, cioè umano, ella diventa atto, numero, e quindi il Senso e il Potere vi assumono anche valore di sentimento e di coscienza. Se dunque è così, chi vorrà credere che quella dualità sia puramente animale come nella Zoopsìcologia ? Se fosse tale, non dovrehhe restar sempre la medesima, come incontra nel soargetto zoopsicologico? Dunque (la conseguenza parmi chiara) quella dualità nell’ente umano deve importare qual cos'altro che non sia puro Senso, né puro Istinto. * Quel che latinamente egli chiama men« cmimi è essenzialmente pensiero; e pensare per lui è manifestare sé a sé medesimo: Mens cogitando se extbet {De AsUiqHÌ9.). Or la mente è principio unico di tutte le facoltà: principium unum Men»; e I’occhio di lei é appunto la ragione: eujw oculua Ratio {De Univ. Proem.). Dunque ciò eh' è di là e dentro e dietro a quest' occhio eh' é la Ragione, é appunto la MenU; la quale perciò è anteriore a tutti i gradi, a tutti i momenti del processo conoscitivo. Se non che lo spirito, in quant'ò menUf vede anch'essa; altrimenti come si farebbe a dirla mente? Ma allora soltanto ella disceme, allora soltanto é oechiof e perciò era visione, quando diventa ragione epiegata, e quindi processo teoretico. Per intender meglio il significato della mente, ricordiamoci del »ene%u intemtu, del eennu eui, della eoecienta, cwn-eeientia, di cui egli parla in più luoghi delle sue scritture. In ispecie è da riflettere quando afferma, la coscienza essere insieme univereale e particolare; e il senso intimo, individuaUt e insieme comune, fi da riflettere dove accenna ad una facoltà naturale e epontanea ond' é fornita la eomuiune natura degli uomini. È da riflettere, finalmente, e specialmente, ove parla di certi giudizi istintivi eh' egli chiama giudizi fatti sknza bifles8I0NK. (Vedi Prim. e See. Se Nuow% passim.) Or di sotto a questo linguaggio esce chiara una conseguenza; la necessità, cioè, di riconoscere come, attraverso a tutte le diiferenti forme psicologiche, esista un punto centrale onde s' irradiano e dove si riconducon tutte le funzioni dello spirito. Quest'esigenza psicologica nel Vico parmi evidente per ciò che s* è detto, e per ciò che ancora diremo. conoscere? Nella conversione de' due elementi. Intendere è legere; e legere è cdligere dementa rei, cioè coUigere il vario sensato, il fatto. Questo fatto dunque vien raccolto e innalzato a dignità di vero e quindi ad unità, appunto quando la mente, generando sé stessa, conosca insieme la guisa onéPtma cosa è fatta. Or in cotesta genesi hawi un intimo vincolo per cui V eiFetto è anche causa, e la causa eflFetto; ed è questa quella tal funzione eduttiva onde la ragione, annodando cause con cause, e però convertendo il vero col fatto e viceversa, rintraccia il medio termine, e fa la scienza. Se intanto il conoscere è un atto di sintesi ond'il vero è forma, predicato, categoria, ma non per anche attributo e però cognizione, mentre il fatto è materia e parvenza fenomenale; ne segue, esser davvero una grande scoperta della moderna psicologia quella fatta dal Kant e legittimata in gran parte dal Rosmini, ma presentita dal nostro filosofo; che, cioè, pensare sia essenzialmente giudicare.* Che cos' è infatti il giudizio fuorché il predicato assumente forma evalore d'attributo? Dunque, anziché nel cogliere il puro vero, o nell'apprendere il puro fatto il giudizio risiede nel concetto. Ma che è egli mai il concetto salvochè la conversione del vero col fatto, considerati questi com' elementi essenziali nella sfera dell'intendimento? Ora, tornando al proposito, comecché il vero e '1 fatto, convertendosi, generino il concetto e quindi il giudizio, e col giudizio facKant, Orit. de la Raùon Pure. Log, Tra»cend., BosMiin, Nuo, Sagg, L' atto del conoscere ò m'rtò di vedere il tutto di eitueheduna omo, e dì vederlo tutto ineieme^ ehi tanto propriamente tuona intblliobri, e allora veramente ueiam Tintblletto. (Vedi Lett. al Sotta.) È agevole scorgere, por tutto ciò che abbiamo detto qui e altrove, quanto in Vico sia chiara Tesigeriza kantiana deirunirà eintetica detTappereezione, non che quella della percezione intellettiva Rosminiana, e meglio ancora (per qaèl che diremo), V altra del Sentimento fondamentale. Ma in grazia del suo criterio, al solito, si può riuscire a schivare il tubbiettiviemo e il formaliemo dell'uno e delPaltro filosofo adoperando il metodo deduttivo. cian possibile ad un tempo la coscienza e l'esperienza; nuUamanco, a somiglianza delle funzioni ond' essi rampollano, restan sempre una dualità, ma dualità originaria; stantechè non potendo T uno emerger dalP altro, né r altro dalF uno, debbano coesistere entrambi nella coscienza. Se non che, una dualità originaria non è forse un assurdo? Senza dubbio, un assurdo. Dunque è necessaria certa unità iniziale, intima, primigenia, appo cui 1 vero e il fatto sussistano germinalmente come in grembo ad una sintesi confusa. Alla medesima conclusione potrebbe giugnere chi pigliasse a guardar Y intero processo logico, cioè le funzioni teoretiche tanto nel lor movimento, quanto ne' lor risultati. Percezione, Giudizio e Sillogismo son tre gradi, tre momenti, tre forme distinte d'una medesima funzione eh' è la Mente.^ Nella percezione la Mente si manifesta come unità immediata appo cui oggetto e soggetto sian tuttora confasi. Nel giudizio, invece, predomina l'analisi, la differenza; perchè i termini standovi fra loro di fronte l'un r altro e quasi irresoluti, avviene che la mente debbasi palesare come dualità. Ma poiché il giudizio importa necessariamente un ritorno sopra sé stesso, e questo ritomo appunto costituisce il sillogismo; accade che in questo ritomo, nel sillogismo, la mente si palesi come unità e dualità in atto, come triplicità attuale, come mente spiegai'a. Or se l’organismo logico e l'ideo-logico son anch'essi un processo non altrimenti che l'organismo psicologico; se il risultato finale di cotesto processo, la funzione terminativa di cotest' organismo è • € Tre» mentit operationes: Pkroiptio, JUDIOIDM, Batiooinatio. Tribua artilM diriguntvr: Topica, Critioa, Mbthooo. {De AntiquUe.? aavT6)v, Met.). E s'aggira poi attorno alla seconda, cioè al senso e all' esperienza, perchè dee verificar la prima, cioè dove inverare il principio, o, eh' è il medesimo, dee convertire il vero col fatto^ il voù; potenziale con l'esperienza. Perciò il voù; attuale è la conversione per antonomasia, massime quando assuma valore di Ragione, Perciò stesso la scienza, diciamolo anche una volta, non può essere un magistero deduttivo, nettampoco un artifizio meramente induttivo. * e Metaphtfatei enim claritat eadem eat numero ae illa lueÌ9 quam non nin per opaca cogno»eimu». Si enim in clathratam fenestram qua lucem in aedee tuimittitf intente ac diu intueari»; deinde in eorpue omnino opacum aciem oculorum eonpertae; non lucem «ed lucida ckuhra tibi videre videaria. Ad hoc imitar metaphtfeieum verum illustre c«(, nullo fink ooNOL0Drr(TR, NTTLLA FORMA disorrnitur; quia est infìnitìim omnium formorum principium: phy9Ìea mtnt opaca, nempe formata et finita in quibu» metaphyeid veri lumen videmue (De Antiquie) Come si vede, anche in ciò il Vico non fa che inverare l' Aristotelismo. Che in Aristotele infatti ci sia il concetto del Noùc potenziale come noi l' intendiamo, e però anziché passivo, come parrebbe, sia fornito anch' egli d' attività stantechò possieda un oggetto somigliante alla luce che fa essere in atto i colori, si può vedere dalla seguente sentenza: xa la mente in potenua d'Aristotele, 2** V ettere ideale di SERBATI; ma levando 1 difetti che certo non mancano nelle loro dottrine. Difetto d'Aristotele, come avvertimmo, ò la mente che vien difuora. Difetto del Bosmini, poi, è V immobilità originarla e la presenza non legittimata del suo Ente poetibile dinanzi alla mente. Anche per noi la mente vien di fuori; ma questo di fuori è la natura in generale. È un di fuori nel senso eh' ella serba intimi vincoli con la natura e col sensibile, e sorge per virtù propria, ma col mezzo del sensibile. Tal si è l'interpretazione che potremmo dare a questa celebre frase aristotelica, nò ci mancherebbero testi in proposito per confermarla; tanto la natura non può essere intelligibile in quant' ò semplice realtà, ma in quant' è potenza attuosa, conato, processo, divenire. Or in che maniera potrebb' esser tutte queste cose ove non includesse una legge, un ritmo, una misura, una forma di moto, un moto ordinato? Che s'ella è per sé stessa intelligibile in quanto che esplicandosi mostra sé medesima e si fa intendere; evidentemente non potrebbe fai-si intendere ove non importasse tre condizioni, ciò è dire un principio, un mezzo, ed un fine. Se dunque la natura è potenza attuosa e quindi per sé stessa intelligibile, ha da essere altresì))otenzialmente intelligente. E sarà intelligente attuale ove quelle tre condizioni siano insieme compenetrate in unità: quando, cioè, il principio sia soggetto, il fine oggetto, il mezzo relazione. Che cos'è dunque lo spirito nell'atto suo radicale, nel suo momento originario? È soggetto, oggetto e relazione: pensante, pensato e pensiero. Però l' intima sua struttura è insieme dualità e unità, difi'erenza e medesimezza, e quindi, come si disse, triplicità; ma triplicità sotto forma di sintesi iniziale e confusa. Ne segue perciò che l' intuito, la mente, il NoJ; potenziale altro non possa essere, per noi, fuorché il momento istesso in che la natura diventa pensiero; il momento per cui l'anima attinge forma e sostanza d'intelletto. Ora il primo pensiero non potrebb' esser triplicità, non potrebb' esser sintesi primitiva, quando non fosse l’intelligibile divenuto altresì intelligente. Dunque la Mente è la natura incarnatasi come individuo; l'intuito è l'individuo che, trascendendo sé medesimo, assume valore di coscienza. più che interpretazione somigliante ne dettero alcuni aristotelici del Rinascimento, fra cai meritano d* esser menzionati PORZIO e ZABARELLA come quelli che considoramno la luce intelligibile quasi di8»eminata tuHle /arme materiali^ e Dio come influente sa V irUdletto potnbihf non in quanto intéUigente, ma solo in quanto intelligibile. (Vedi SERBATI, Peieol,, Ddle Sentenze de' FU Rinnooam.) Possiamo dire perciò che cotesto Noù? potenziale ci renda immagine della testa di Giano. Con una delle sue facce ccrtesto Giano guarda al processo della sostanza; guarda alla natura in quanto piglia valore d'individuo: dovechè con l'altra inaugura, geminandosi, il processo psicologico, del quale son due forme essenziali il processo sociologico, e il processo storico. Se non che, lasciando per ora del processo della storia e della sociologia, importa notare come dalla costituzione primitiva del pensiero, secondochè noi l'abbiamo designata, emergano, fra le altre, alcune conseguenze risguardanti l'essere individuale, l'origine e'I fine dell'anima. lUfacciamoci dalla prima. La triplicità originaria, o, eh' è il medesimo, il secreto vincolo fra oggetto e soggetto, costituisce la radice prima della individualità, e però il fondamento cardinale della libera determinazione. Se infatti il N^uc potenziale è due cose e non una, cioè mente e luce, ne segue che in quant'è niente è soggetto; e come soggetto non può non esser reale, moltiplioe, diverso, individuale: in quant'è luce, poi, è oggetto; e come oggetto deve serbar carattere indeterminato, comune, universale. Ora il concetto di persona risale appunto al connubio di questi due elementi primitivi. E invero, come mai l' individuo potrebb' esser individuo se non fosse oggetto, fornito perciò della nota d'universalità? E come, d'altra parte, potrebb' esser davvero universale ove non fosse nello stesso tempo un soggetto concreto, vivente, particolare? Il particolare è il fatto; e al pari del fatto e' sarà vero, quando assuma valore universale, non ismettendo d'esser particolare. Similmente l'universale è il vero; e al pari del vero sarà un fatto, quando rivesta, anche come universale, natura di particolare. La conversione del particolare e del generale non può farsi che nell'origine stessa del pensiero. Or se tutto ciò è indubitato, come potranno salvarsi dall'errore più esiziale all'umano consorzio, eh' è l'annuilamento del vero concetto di persona, tutte quelle diverse famiglie di filosofi che altrove riducemmo ai due indirizzi estremi dell’Aristotelismo? Gli aristotelici empirici e naturalisti e positivisti, infatti, distruggon la personalità perchè negano il Nou; potenziale come diverso dal senso; perchè lo riducono al senso. Ma la distruggono altred gP iperpsicologisti antichi e moderni, cioè gli Averroisti e gli Hegeliani: i primi perchè separando i due elementi credono il soggetto abbia a partecipare deir oggetto posto fuori e sopra dell'individuo; i secondi perchè fanno assorbir l'individuo entro a quell'oceano immobile e sconfinato, ch'essi addimandano Spirito Universale. La quale affinità di risultati non avrebbe a recar meraviglia, chiunque sappia come la dottrina dell'in^eZZ^^ agente, e l'altra non meno speciosa dello Spirito Vniversàlej rappresentino, sotto forme diverse di speculazione, l’iper-psicologismo aristotelico. Da questa prima conseguenza poi nasce una seconda di massimo rilievo. Posto il Noù; potenziale non già come passivo, anzi come fornito originariamente d'attività spontanea in quanto che nella sua nativa indeterminatezza è pur determinato da un oggetto; si riesce a schivare così quell'errore supremo a cui rompono, per vie diverse, i suddetti filosofi seguaci de' due opposti indirizzi aristotelici, e che riflette i destini dell'anima e dell'umana personalità. Se infatti nella mente, nel NoJc potenziale risiede la ragione della individualità e quindi la radice prima della personalità, ne segue che lo spirito, essendo coscienza originaria e quindi soggetto superiore all'organismo, non può, tuttoché sgorgato dall'organismo, finire così come finisce la funzione organica. Se l'organismo, come dicemmo, è numero che diventa unità, o meglio, unione d'indole dinamica, è chiaro com'ei non possa altrimenti finire, salvo che disgregandosi e trasformandosi. Il suo fine è semplice ritomo; è ritomo propriamente detto: il suo progresso è regresso nel significato di monotono rifacimento. Per contrario lo spìrito è unità e numero sin dal momento ìstesso eh' egli è pensiero. Dunque non può altrimenti finire fuorché attuandosi vie piii e compiendosi come individuo, come coscienza, anziché annullandosi come tale per vivere in grembo all' universale d' una vita che non é vita. Il suo finire non significa ritornare, ma persistere. 11 suo progredire non è regredire, ma incessante determinarsi. Non è insomma un monotono rifarsi, un ripetersi come la specie: é uà perpetuo farsi: un perpetuo rinnovellarsi dell' individuo in sé, e per sé medesimo. Che sia così, ce ne fa capaci l’essenza stessa del finito, delle forze, della natura. Perché, davvero, se la natura é conato essenziale, non verrebbe evidentemente a contraddire a sé medesima ov' ella non superasse il senso e, trascendendo il fantasma, non se ne distaccasse rendendosene indipendente?^ * A questa maniera di prora intende accennare Platone dove afferma che r immortalità non è nò un eato di cui saremmo felici ore ci toccasse, nò una aperanM della quale è pur bollo lusio^^are noi medesimi: x3c).oV 7a/9 o' xtv'Tuvoc, X3tì jr^vj rà roiavra tò^mp ffTroé^scv eaurù. {Fed.^ ed. Stallbanm) Che se altri ci chiedesse notizia su la pecnliàr forma della nostra esistenza sovramondana e sul modo con che il NoJ; attuale sarà unito coll’assoluto, noi risponderemmo francamente di non ne saper nulla. WpoaithOfW razionalmente poA/etVo, in siffatta quistione in che consiste? Consiste in ciò; che il Noù; attuale, in quanto pienezza di coscienza e di personalità, finisco di necessità neir Assoluto, cioò finisce col non finire; e quindi il soggetto j>of«»ùifmeiUe tn/ìntro, qual si è appunto lo spirito, non può finire come finiscon gli altri soggetti finiti, i quali finiscono appunto perchò non sono propriamente aoggeui. Orda cotesto pentivo si dipartono tanto coloro che nella soluzione di siffatto problema ci vogliono dar troppo, quanto quegli altri che finiscono col non darci nulla addirittura. Escon dal positivo razionale o fecondo, per cadere nel dommatico tradizionale, i Teologistt col loro inferno, paradiso, purgatorio, eternità delle pene, e che so io. Escon parimenti da questo positivo, per cadere neira priorinno dommatico e sistematico e nel Nullismo, gli Hegeliani con la teoria dell* individuo accidentef fenomenico e pataeggiero, £d escono finalmente dal positivo gli stessi Positivisti per cadere nel negativo, sia che dicano col Littré esser davvero impossibile indovinar nulla intomo a siffatto problema, sia che affehnìno col Feuerback di saperne ogni cosa quando sia risoluto co* principii dello schietto materialismo. 31a sopra questo tema ci rifaremo altrove. Qui ci basti d'aver accennato ad una maniera non troppo usata di provare la immanenza necessaria della personalità come coscienza individuale. Questo quant'al destino dell'anima umana. Che cosa potrà dir la filosofia positiva nuant' all' origine sua? Tutto nell'ordine psicologico move dal senso; ma nulla non può nascere per ragion del senso. Se lo spirito è essenzialmente pensare e giudicare, e quindi, come s' è detto, luce metafisica, intuito, mente e però triplicità; ne conseguita ch'ei nasce a sé stesso, ch'ei genera sé stesso come pensiero. Ecco il vero significato dell'innatismo, dell'idee innate, dell' innate facoltà. Questa conclusione, circa l' origine psicologica, contraddice, al solito, tanto al Materialismo che non sa elevarsi più oltre delle pure leggi meccaniche, quanto a quell'astratto e nebuloso Spiritualismo che, incapace di scendere nel regno de' fatti, non sa penetrare nell' esperienza, ed alimentarsene. Però la filosofia positiva, nel problema su l' origine del soggetto psicologico, non vuole, non può accettare il principio della trasformazione della materia come pretendon gli aristotelici empirici rappresentati oggidì dagli Hegeliani di parte sinistra; e non può del pari accettare il principio (pur ridotto a forma squisitamente razionale e metafisica) d'una creazione estrinseca, immediata, superiore, secondoché stimano, il tomista, il teologist^, l' averroista, il neoplatonico, r ontologista. Dottrine ipotetiche entrambe, elle non sanno reggere al martello della critica. La prima riesce insufficiente a spiegare il fatto del penciero: la seconda torna inutile a legittimarne la natura. Tra il senso e l’intelligenza ci ha intimo nesso ; ma ci ha da essere pure indipendenza e diversità. Anche qui si verifica ciò che ha luogo attraverso a tutti i differenti gradi della scala de' sommi generi cui si riducon le forze di natura: si verifica, vo'dire, quella doppia legge che altrove appellammo della continuità ideale^ o degl' intervalli reali, Havvi continuità perchè, posto il senso, posta la natura, è possibile, anzi è necessario l'intelletto: si che può dirsi che dall'uno scaturisca l'altro. Ma ci è pure intervalli, perocché se l'intelletto germina dal senso, o meglio nel senso, non per questo potrà esser lecito confonderlo col senso. Ci spiegheremo brevemente. Dicemmo come l'esigenza massima, il principio che qualifica l’Aristotelismo sia quello che si riferisce alla relazione tra la potenza e Tatto. Gli Aristotelici empirici (per esempio gli Hegeliani di parte sinistra), ci dicon che la potenza diventa atto; e, applicando siffatto pnncipio alla psicologia col fine di determinare l' attinenza fra l'anima e '1 corpo, affermano che l'anima debba rampollare dal corpo in forza della leggQ del diventare. Che cos' è per essi il diventare? È il to 7$ vo? tolto in significato al tutto empìrico e sperimentale; il quale perciò vuol dire trasformazione, generazione, ripetizione e quindi passaggio incessante (attraverso infinito numero di forme) d'un soggetto identico, d'un fondamento universale ma concreto e sensato, qual è appunto la Materia.^ Gli Aristotelici iperpsicologisti poi (fra' quali sono d'annoverarsi gli Hegeliani di destra), ci dicono an' È questa la teorica propugnata, come altrove toccammo, da* moderni Materialisti tedeschi. Essa, com' è noto, è rappresentata dal Feuerbach, è divulgata e sostenuta con incredìbile superficialità dal Di' BUchner (Foror ei Matth-e, trad. Gamper, Leipzig Science et Nature etc trad. Delandre, Paris), ed è applicata dal Moleschott alle scienze fisiologiche. Ho appellato Arùtoteliei empirici questi moderni materialisti usciti dal fianco sinistro doirHegelianismo, perchè davvero considerati st>orlcamente e* non fanno che svolgere l’indirizzo naturale deirAristotelismo. Bel qual fatto hanno coscienza essi medesimi, segnatamente il Moleschott, il più ingegnoso fra tutti, quando afferma che Vunion de laphilosophie et de la acience ne e^eH rialieée qu'une foie don» ArÌ9tote, {La Oirculation de la Vie, Paris) Ora s'intende agevolmente comò pel Moleschott questo connubio della Filosofia con la Scienza nella mente dello Staglrita si compiesse tutto a scapito della metafisica. Aristotele, egli dice, è conoscitore delle .opere d* arte, degli uomini e degli animali [Ibi). Evidentemente il dotto fisiologo riconosce in Aristotele l'autore d'una Rettorica, d' una Storia degli animali, e degli otto libri su la Politica. Ma perchè dimenticar r autore della Ptieologia, della iSi'HoywKca, dell' £Wea e segnatamente della Metafisica t Non è vero dunque che l’Aristotelismo de' Positivisti, do' Materialisti e degli Hegeliani di sinistra è addirittura falso, erroneo, mutilato storicamente o teoreticamente V ch'essi che ìsl potenza diventa atto; ma il loro diventai^e, anziché grossolana ed empirica trasformazione, è, per cosi dire, un' addizione ideale, cioè posizione e contrapposizione, determinazione, individuazione progressiva, ma d' un soggetto unico, universale, intimo, trascendente, assoluto, eh' è appunto l' Idea.^ Ora il soggetto del diventare, tanto per l'empirismo quanto per l'iperpsicologismo aristotelico, cioè tanto per la sinistra quanto per la destra hegeliana, è sempre uno, sempre identico a sé stesso, chiamisi Idea, chiamisi Materia. Ecco dunque la ragione per cui ne' risultati, massime nella soluzione del problema psicologico, le due scuole s' accordano a meraviglia. Di fatto, l'anima per gli uni na^e dalla materia, è materia, e finisce nella materia: per gli altri nasce in virtù dell' idea, è l' idea, e finisce nell'Idea. Qual è dunque il fine supremo dell'anima? Non altro che un ritomo, un estinguersi nell' Idea, o nella Materia: ecco tutto. L'intima parentela tra il Positivismo e l’Hegelianismo non potrebb' esser più evidente I Seguaci dell' indirizzo medio dell' Aristotelismo, a noi pare che l' interpretazione legittima della sentenza aristotelica in discorso non sia questa, che cioè la potenza diventi atto; ma quest' altra, che la potenza passi ad essere atto. Se non fosse così, tutto affogherebbe sotto il pesante domma dell'identità assoluta, né vi sarebbe differenza di contenuto fra le cose in generale, e nemmanco fra il senso e l'intelletto in particolare. Or se questo fosse, anziché progresso avremmo processo; e ' La materia e la forma, la pot&Ma e V atto, la forma e il contenuto, non ooetitHÌacono altro che due momenti deWIdea, (Hbgsl, Log., Vedi anche neir Introd. di VERA) L’Idea perciò s’occulta eeaenxialmenu in entrambo i momenti; con questo semplice divario, che nell* atto essa è piìi determinata, più individuata, più enudeata (direbbe con parola significantissima Vittorio. Imbriaui) di quel che non sia nella materia e nella potenza. Dunque, io concludo, la difTerenia non istà nel quali, ma nel qoaktvm; e perciò diventare non altro Tale, a dir proprio, che traeformanL Ecco il punto di coincidenza de* due estremi indirizzi aristotelici; ed è pur quello nel quale per logica necessità debbono consentire (checché se ne dica) la destra e la sinistra Hegeliana. quindi monotonia, eterno e indefinito cangiamento di forme. Tutto quindi si ridurrebbe ad un meccanismo materiale, ovvero ad un meccanismo ideale; e leggo universale del mondo sarebbe o la necessità empirica e fisiologica, ovvero la necessità dialettica: fatalismo cieco nell' un caso come nelF altro. Invece l' essenza del processo cosmico per noi, come vedremo, sta nel canato secondo eh' è inteso dal Vico. Ma come il conato potrebb' esser conato ove non includesse l' intervallo, la diversità vera, cioè la diversità di contenuto? Conato è passaggio nello stretto senso della parola (irjìpytx otTf)>?;); è transito, non trasformazione; eduzione (edu* dio entis ad a4ium) ma eduzione intrinseca, e quindi conversione del fatto ìid vero, cioè dire conversione della potenza nell’atto, creazione intima, creazione spontanea. La potenza dunque recasi ad atto non in quant' è potenza, ma in quanto cessa d' esser potenza, e passa ad esser atto; cioè in quanVè potenza feconda. E come potrebb' esser feconda (tò ^warov), ove non fosse privajsfione («rrf/jvjTc;)?» Or tutto ciò, come sarebb' egli possibile senza la doppia condizione della continuità ideale e dell'intervallo reale? Torniamo all' assunto. L' intelletto nasce dal senso: è vero. Ma forse che nascere vài risultare? Se così fosse, r intelletto non essendo altro che un risultato, starebbe rispetto al senso così oomQ precisamente nella storta del chimico sta un sale rispetto agli elementi onde risulta, cioè all' acido e alla base. Or questo (chi noi ' Questo è il senso che noi diamo al principio aristotelico della pn«astone. {Metaph.) Anziché principio negativo^ la pr«ea«ira posto oggimai nella sua massima evidenza sopratutto da Rosmini. A niuuo è lecito dubitare della necessità d’una forma oggettiva originaria nella sfera de* fatti psicologici. Con salde ragioni il Kant ha dimostrato, contr*ogni maniera d'empirismo psicologico, che lo spirito intanto pensa in quanto giudica; e più ancora Rosmini ha posto in chiaro che lo spirito giudica appunto perchè è toggeito e oggetto insiememente. Vedi Nuo. Saggio passim. Rinnowm, Psicologia, Introd, alla FU.) I difetti della teorica Rosminiana li accenneremo in quest'altro capitolo. Qui osserviamo che in tale dottrina il filosofo italiano si ricollega con AQUINO (si veda), e, chi volesse andare più in su, anche con Alessandro Afrodiséo, e quindi con Aristotele. Nello Stagirita infatti ò chiaro questo principio: NotjtvÌ ^i in iTÌpcK. do. Ma nemmanco è presupposta al corpo, come dice lo stesso Platone, 0 piovutagli addosso dal di fuori e dall'alto in certo mese e in certo momento della vita intrauterina, come affermano tomisti e teologi, senza dirci ne come né perchè: e tanto meno potrebb* esser venuta fuora e venir fuora qual risultamento di leggi meccaniche e fisiologiche. L'anima è creata; o, per dir meglio, l'anima crea sé medesima per una legge profondamente dinamica che si confonde e compenetra con l' essenza stessa della natura e del finito. Perciò alla domanda, se fra l'anima e '1 corpo come fra il sentire e l'intendere oi è salti ed abissi, rispondiamo subito che sì; ma tosto aggiungiamo, che, a colmare cotesti abissi e varcare cotesti salti, né la psicologia positiva ha punto bisogno d' invocar l’atto immediato d' un deus ex machina, né r ideobgia ha mestieri d' un a priori che, dardeggiando all' anima il raggio dell' intelligibile sovramondano, svegli ed ecciti in essa la virtù dell' intelletto. Questo, e solamente questo, noi potevamo dire 'quant' alla genesi e quant' alla teleologia dell' anima umana, puntellandoci unicamente su la natura dell' atto essenziale, dell' atto radicale onde vuol esser costituito il pensiero. La psicologia non sarebbe famMndoèi bel bello diventa miracolosamente intelletto, ignorando cosi o facendo le Tlste d'ignorare gli studi profondi e le parti accettabili deUa psicologia Rosminiana; sì serva pure: noi non istaremo a perderci ranno e sapone. Ma non sarà certamente villania il dover dire di lui con Aristotele: uoeo; yixp f^fw o toiowtoc y, toéoùtoc 'A^ril davvero positiva, non sarebbe razionalmente positiva, quand' ella presumesse di risolvere diffinitivamente, donimaticamente, sistematicamente questi due problemi, che non senza ragione Leibnitz appellò terribili. Ella deve saper contraddire a due estremi opposti e contrari. Da una parte dee contraddire allo Spiritualismo e al materialismo; dall'altra al positivismo. Dee contraddire al volgare spiritualista e al materialista, perchè entrambi pretendono, tuttoché per vie e risultati assai diversi, d'aver risoluto in maniera invincibile cotesto doppio problema, mentre nel fatto l'un d'essi disconosce il valore intimo, l'autonomìa dell'anima, e l'altro finisce per impugnanie perfino l'esistenza. Deve poi contraddire al Positivismo, perchè questo, al solito, non volendo sapere di siffatti problemi, ne dichiara impossibile tal soluzione, e quindi inutile il parlarne. Il filosofo seriamente positivo può fare qualcosa di più che non sappia il Positivista. Ma confessa di non saper giugnere fin dove, con volo icario e fatale, sanno spingersi materialisti e spiritualisti, empirici e tradizionalisti, hegeliani di destra ed hegeliani di sinistra, mistici e ontologisti. I principìi della psicologia positiva che abbiamo interpretato nell' autore della Sdenza Nuova ci possono far capaci di determinare siffattamente la genesi e la teleologia dello spìrito, da chiuder l'adito allo scetticismo e al nullismo. Il che non dovrebb' esser poco, anzi dovrebb' essere moltissimo, agli occhi almeno di coloro che modestamente sanno e voglion riconoscere i confini del pensiero umano. Abbiam visto come la genesi del processo psicologico sia essenzialmente genesi teleologica. Ella dunque ci vieta d'essere scettici per sistema, ci vieta d'esser nuUisti circa il sapere metafisico. Se il mondo della natura e quello dello spirito, come altrove toccammo, sono processo e conversione, stantechè il primo sia numero che volge ad unità e il secondo unità che, in sé medesima attuandosi, divien numero; anche l’assoluto, serbando medesimezza di legge, ha da esser non altro che conversione, processo, mediazione. È dunque possibile che la mente penetri in qualche maniera nel regno delle realtà metafisiche. Ma se la legge è comune, sarà pur tale il contenuto? Agli occhi del modesto indagatore del vero la metafisica è la scienza de' confini. Or questi confini appunto ignorano tanto i Neoplatonici quanto i Neoaristotelici per opposite ragioni. Di fatto anche qui, e sopratutto qui, navighiamo fra Scilla e Gariddi: siamo fra que'due soliti estremi, come si disse, in che travagliasi '1 pensiero filosofico fino da' tempi in cui sovraneggiarono i due grsmà'' istitutorì déW uman genere, come il vivente filosofo berlinese non dubita chiamare Platone ed Aristotele.' Qual è, in generale, l'esigenza e quindi '1 distintivo de' Platonici e del Neoplatonismo di tutte l'età nell'afifermar l'assoluto? È il propugnare la conoscenza immediata e primitiva dell' obbietto metafisico, qualunque ne sia 1' ampiezza, il grado, il valore dell'intùito. Qual è, invece, l'esigenza degli Aristotelici e del Neoaristotelismo? È il * 1|I0HIL«T, Metaph, d'ArUL. mantenere la mediatezza del conoscere metafisico, ovvero menomarla cosi da renderla inefficace, e talora persino affatto negativa.' I metodi de' Neoplatonici nelP attinger l'assoluto ' In armonia con le idee accennate già nel Gap. Ili di questo secondo libro sa la storia generalo del pensiero filosofico, noi togliamo in sig^nificato largo le parole Neo-platonismo e Neo-aristotelismo. In esse comprendiamo più e differenti scuole di filosoft. E quindi non sono soltanto filosofi Neoplatonici gli Alestandrini o quelli àeXht scuola Toscana « od altri simili tra' filosofi cristiani. Filosofo neoplatonico è chi, pur modificando il Platonismo, ne sorbi, come notammo, due esigenze, di cui 1’una ò p9Ìeologtea e 1’altra è tnetaJUica. La prima consiste nel porre un* attinenza primitiTa, e quindi una connessione originaria Tra la mente e l'obbietto metafisico. Secondo tal criterio, fra* neoplatonici andrebbero annoverati parecchi filosofi arabeggianti, avvegnaché per ragione isterica ei risalgano, come toccammo, allo Stagirita. La seconda esigenza poi risiede nel riguardar le idee siccome entità aottanxialmente eaemplatrici; il che costituisce davvero il distintivo del Platonismo in generale. Or le diverse famiglie o varietà di platonici e di neoplatonici possono esser coordinate, nella storia della filosofia, secondochè queste due posizioni si presentano più o meno modificate. Per iVeoameoCetùn poi intendiamo qne'filosofi che contraddicono, in generale, ali* anzidetta esigenza psicologica e metafisica. E poiché il Platonismo, come dicemmo e come avverte il Barthélemy Saint-Hilaire {Phif9. d*ÀrÌ9t., Pref.), si riproduco e si trasforma in Aristotele non pure quanto alla filosofia ma eziandio quanto ad ogni altra sfera di scibile, cosi noli' Aristotelismo è d’uopo saper rintracciare i germi del triplice indirizzo speculativo da noi altrove accennato, massime deirindirìzzo mediof nel quale unicamente è possibile rinvenir la correzione del Platonismo e dell’Aristotelismo. Ripetiamolo anche qui: tutta la storia del pensiero filosofico occidentale consiste nelJo svolgimento fecondo e svariatissimo di questi tre indirizzi; ciò ò dire nella lotta perenne delle due estreme posizioni, e nel trionfo lento e faticoso, ma immancabile, della posizione mediana. Se questo è vero, ne segue (almeno per chi serbi alcuna fiducia nel progresso della ragion filosofica) che se nessun filosofo oggi può dirsi od essere un puro platonico od un puro aristotelico, tutti invece dobbiamo essere e dirci neoplatonici, o neoarìstotelici, ovvero seguaci del terzo indirizzo; il quale, sia storicamente, sia teoricamente, vien fuora tostochè sian dati i due primi. Noi non possiamo intrattenerci sopra questa materia e corredar di prove isteriche tale assunto, essondo ben altro il compito del nostro lavoro. Ma riteniamo per sicuro che una storia particolare 0 generale della nostra scienza, la quale non sia condotta con silEatti criteri, altro alla fin fine non potrà esser che un lavoro d* intarsio, come tanti se ne vedono, ovvero un arbitrio sistematico, dommatico e fftntastico dairnn capo ali* altro. (Vedi tutto ciò che abbiamo discorso a tal proposito ( potranno differir nella forma più o manoo arbitraria con che ci è data la dottrina delP immediatezza. Ma tutti ci palesan lo stesso difetto: l'esser dommatici, Tesser sistematici; poiché tutti trascendon T esigenza d'un positivo e fecondo psicologismo. L' esagerazione di cotesto indirizzo è rappresentato da chi presume conseguir la notizia dell' assoluto con la ragione, ma con la ragione che si lasci guidar dalla fede, e sorreggere dal sentimento. Con siffatta maniera di speculazione noi non ci abbiamo che vedere. Essa ci rappresenta quella posizione metafisica che altrove appellammo DommcUismo empirico. Dobbiamo dunque rifiutarla. E dobbiamo rifiutarla, sia perchè in sostanza ella riesce a negar la speculazione trascendente, ùa perchè s'oppone alle condizioni più elementari della scienza Le altre forme di Neoplatonismo afferman l'immediatezza dell' oggetto metafisico ponendo l' intùito, ma l' intùito che legittima sé stesso in quanto che, assumendo virtù riflessa, diventa ragione. Secondo tale indirizzo appunto è venuta svolgendosi la speculazione italiana nel moderno periodo della nostra filosofia. Talché noi dovendo, come richiede l'indole stessa del nostro lavoro, tener conto non pur della ragion teoretica, ma eziandio della ragione isterica, verremo accennando alla dottrina di Rosmini, Gioberti e Mamiani, che ne sono i più legittimi rappresentanti. Rifacciamoci dal primo come quegli che per ragion cronologica e per valore di speculazione va innanzi a tutti. A SERBATI s' é voluto dar titolo d' idealista piatonico. * Con egual ragione altri potrebbe dargli titolo di realista aristotelico. Il Roveretano corregge davvero il neoplatonismo nella ricerca psicologica; ma v' è un punto vitale nel quale, come si vedrà, ei si palesa più che ne* È un titolo in gran parte sbagliato. Quelle eh' ei dice propriamente idee per lui sono eeemplari delV eetenxa inteUigibiUf non' già eeemplatrici per «è medeeime, {ArieU E«p. ed eeam,, Pref.) Come dunque ò idealista platonico ? platonico. Con ingegno potentemente analitico, temprata alla severa speculazione d' Aristotele e dell’Aquinate egli ha dimostrato ciò che in modo assai vago eran venuti affermando gli aristotelici su la necessità d^ una forma oggettiva nella mente. Ma egli non si contenta dell'essere in quanto essere: lo dichiara altresì immobile, immutabile, obbiettivo, inalterabile, se^nplice, uno, immescibile, infinito^ necessario, insussistente, ideale} Ecco il puntello ond' egli s' augura di spiccare il volo inverso ali Assoluto. Ma innanzi tutto guardiamo tale dottrina sotto il rispetto psicologico eh' è appuntò il tema precipuo del presente capitolo. Col porre l'Essere come oggetto primitivo della mente, e col dichiararlo fornito del carattere d' universalità, il Rosmini taglia i nervi, come dicemmo, ad ogni maniera di sensismo, e nel medesimo tempo corregge il Criticismo: lo corregge non già mondandolo (com' ei si vanta) della magagna della subbiettività di cui non sa neppur liberare sé medesimo, bensì dimostrando quant* inutile fardello sia quella moltitudine di categorie originarie ond' il Kantismo si distingue fra' moderni sistemi di filosofia. Ecco ciò che forma l'onore della psicologia rosminiana. * Ma qual è il suo difetto? È il non aver indagato fino alla più fonda radice quel eh' egli stesso appella il minimum della cognizione; e quindi l'aver fatto pesare su l'obbietto originario un ingombro di note e d'attributi cotanto copioso, da fargli smarrire affatto il carattere dell' originarietà. E, davvero, cotest' oggetto è egli ideale? Dunque è già beli' e determinato. Ór come un obbietto determinato potrà esercitare fun-[PAGANINI mostra 1’affinità fra SERBATI od AQUINO quant'alla teorica del lume intellettivo. {Sagg. 9opra «an Tomm, éC Aquino e t7 Roeminif Pisa) Vedi Rinnovam. Ptieologia, Nuo. Sagg. SPAVENTA ha pasto in sodo questo gran merito del filosofo italiano di fronte al Criticismo nel prezioso opuscolo altrove citato so la ' FUo9ofia di Kant e la tua relazione con la FUotoJia Italiana, Torino. 2Ìoni di Primo psicologico? Non verremmo cosi a turbare e confonder l'ordine primitivo della conoscenza col riflesso? Dunque Y essere ideale nell'organismo della psiche, anziché Primo psicologico, sarà il Primo logico. Quanto poi air attributo della infinità, egli ha ragione dove aflerma con san Tommaso, la natura del soggetto dover partecipare a quella dell'oggetto: e quindi se a questo appartiene il carattere della infinità, non si vede perchè non debba appartenere anche a quello. Or s' egli è cosi, è dunque infinito il pensiero? Lasciamo agli hegehani cotesta innocua pretensione finché non ce n' abbiau dato valide e serie dimostrazioni." Se, inoltre, cotal forma innata è immobile, immutabile, immescibUe e inalteràbile, perciò non le sarà dato moversi di per sé stessa. Ella si move bensì, ella diventa, ma in virtù d' una determinazione, in forza d' un' oppliccunone. Chi recherà ad atto cotest' applicazione? La [SPAVENTA ha ragione: « V errore di SERBATI non ì il fare ddV eteere come eeeere il primo eeientijico o logico, ma di fame jil primo peiedogieo: non U primo pensabile, ma il primo eonoeeibUe, » (Le prime categorie della Log, di Hegel, negli Aui dtUa B, Accad, di Nap.) SERBATI stesso prevede questa grave difficoltà, e tenta rispondere in più modi riparando al solito arsenale delle distinzioni; ma questa volta con assai poca fortuna. {Peieologia) In altre opere, e anche nel Nuo, Sag., avea chiamato infinito il pensiero, non però eotto tuui gli aepeUi. Ma un inAnito di cotesta foggia chi vorrà accettarlo? La creduta infinità dell* oggetto primitivo non ò infinità, ma indeterminatezza, E di fatto la nota epeeijicante della Ittee metaJUiea^ secondo la sentenza di VICO (si veda) altrove riferita è appunto la indeterminatezza, la potenzialità, ma la potenzialità non vuota e subbiettiva de’ AQUINISTI AQUINO e de* Peripatetici, bensì piena, feconda, oggettiva, essendo nella sua essenza un eonato. Or se questo ò il carattere dell* oggetto, e se la natura del soggetto ha da rispondere a quella della sua forma, ne seguita che alreggette indeterminato dee far riscontro una facoltà d*indol6 somigliante. Ma che cos*ò un pensiero indeterminato nel suo oggetto salvo che un essere potenzialmente infinito, un subbietto che tendit ad infinitum, come lo deRnisce lo stesso VICO? Dunque 1* indeterminatezza è il carattere precipuo della luce metafieiea, tuttoché in so stessa ella sia determinata In quanto che non cessa, ripetiamo, d’essere un oggetto; mentre che la potenzialità feconda è il carattere del pensiero inteso come soggetto. S. 2Ì ragione. Or bene, la ragione non vi potrebb' essere mossa tranne che da sé stessa, ovvero dal senso. Dal senso, no; che saremmo sempre impigliati in una forma più 0 meno schietta di sensismo, dal quale indirizzo il filosofo di Rovereto rifugge ad ogni patto. Dunque da sé stessa. Ma, si può chiedere: muovesi ella da sé in quant' è soggetto, ovvero in quant' é oggetto? In quant' è soggetto, no. Un soggetto spoglio di forma è una pò* tenza vuota; è la pura potentia, la purafaeultas degli scolastici: e come tale riesce incapace d'esercitar funzione di Primo psicologico. Movesi dunque siccome oggetto; movesi in quant' è luce fnetafisica. Or come si potrà movere s' ella é immobile, immutabile, immescibUe, iikiZterabile? Da ultimo, il difetto che in tale indagine egli ha comune con parecchi altri aristotelici, e pel quale vuol esser segnalato come neoplatonico, risguarda l' origine di cotesta forma ideale. Donde mai cotal luce? Piove dall' alto, 0 piuttosto rampolla dal basso? Non dall'alto, non dall' assoluto in maniera diretta, egli risponde; nettampoco dal basso, cioè dall'esperienza. Rosmini qui ha ragione: nessuno, crediamo, vorrà fargliene carico. Donde e come, dunque, ella viene? ' • Vedi Antropologia. Sistema FUotofieo, p. 82. ' Bisogna confessare che nel punto più vitale delle sae dottrine, eh* è Torigine dell* obbietto primitiro della monte, questo filosofo fu sempre titubante anche ne* suoi lavori postumi. In alcune opere evidentemente 8* accosta a san Tommaso, dove dice, per esempio, che Tessere ideale è un cotal raggio ddla divinità, il quale noi tftdremmo in modo ineffabile identijì earai con etaa quando ci si potesse disvelare la divina e$»enMa. (Atto. Sagg., vol. II.) Altrove ritiene che la forma intellettiva non ci abbia che vedere con Dio; e • dove pur ci fosse un* attinenza, difficilmente (egli sogin»?"®) ci salveremmo dal panteismo. {FU. dd Diritto, voi. II, p. 195.) E con tutfaO questo el non dubita alTermare, additando la nota scappatoia della distinzione tra forma reale e forma idecUe, che Dio si comunica al pensiero idealmeìUe, non già realmente ! Ma che cosa ò mai, e come avviene cotesta eomunieagione ideale f Che 8*ella è possibile, come, in tal caso, potrete salvarvi dal panteismo ideale? Il Rosmini parla chiaro (Teoeojia, su la Partecipazione del divino nella inteUigmza) ove dice che 1* essere iniziale della mente e 1* estere divino sono addirittura identici. Dunque non v* è scampo: o egli non riesce a salvarsi dal panteismo, ovvero deve attribuire all' obbietto della mente la 11 Rosmini crede potere attinger la notizia dell' assoluto ponendo in opera alcuni espedienti, per esempio il processo d' dimincunone, d' intcgrcmone e slmili. Ma sopra qual fondamento si basano cotesti processi? Appunto sul concetto dell'Essere ideale. Da cotesto concetto egli stima possibile trar gli elementi a comporre quello dell' obbietto metafisico. Perciò dagli attributi dell' ente ideale vuol concludere a quelli dell' essere in sé: perciò dal simile vuol procedere al simile. Or cotesto è un processo senza processo: è un processo apparente, illusorio, perchè dal simile non si procede al simile, ma si è nel simile. D' altra parte, per isquisiti che si voglian supporre i metodi eh' egli adopera a tal proposito, mai non avverrà che gli attributi dell' ente ideale possano porgere quelli del reale. In che maniera convertir le note d'assolutezza, d'universalità e d'infinità, che son proprie dell'uno, con quelle dell'altro? E dove e come poi andare a ripescar l'attributo della realtà? Checché se ne dica, a tale domanda ei non risponde, o ricasca nel ginepraio delle viete argomentazioni scolastiche. E mentre crede compiere o correggere il celebrato argomento di sant'Anselmo, non s' accorge il grand' uomo come restino tuttora incrollabili le gravi difficoltà affacciate dal Criticismo. Pur non ostante egli reputa negativa l' idea di Dio. Or come negativa se ci avete saputo disasconder tante peregrinità a questo riguardo? E s'ella é davvero negativa, non siamo già nel Positivismo? E se non é assolutamente negativa, perchè non è tale? perché non può esser tale? nota della realtà alla maniera del Gioberti. In altra opera postuma {Ari9t, Etp, ed etam,) le titubanze non iscemano; perchò quantunque modifichi in alcune parti la sua dottrina l’essere nondimeno ^W si prosenta sempre come ideale^ e crede confermar la propria sentenza con r autorità d'Aristotele. Dalla prima ali* ultima opera del Rosmini, dunque, il problema su la conoscenza s’aggira sempre nelP equivoco tra il Primo pticologieo 6 il Primo logico; ne qnindi crediamo che l’Idealismo Rosminiano siasi di mano in mano accostato air Ontologismo del Gioberti, come pensa il eh. FERRI (Est. tur VHist. de la Phil. en Italie) La guisa ond^ il Boveretano crede poter penetrare nel mondo metafisico non sarebbe, a parlar proprio, un processo, una mediazione. Nessuna conversione sarà mai possibile fra due termini simili appunto perchè fra questi, ripetiamo, non è possibile un intervallo. £ dato ci sia cotesto intervallo, è poi necessaria una continuità ideale; la quale, unzichè per comunicazione dell' oggetto, com’egli pensa, avviene per eduzione per parte del soggetto. Né è maraviglia eh' ei non abbia visto tali necessità, chiunque pensi come la filosofia di SERBATI partecipa a quel difetto che, come altrove notammo, è il verme pia micidiale che roda il kantismo. Tutto in lui sembra immobile, freddo, sterile come il suo ente ideale. Psicologia, ideologia, cosmologia, storia, diritto, politica e religione, nel loro insieme, paion quasi altrettanti organi, anziché un organismo, perocché uiun soffio vitale imprima forza e movimento a tutte queste membra. A lui, in somma, fa difetto l’esigenza del processo. Eppure air A. del Nuovo Saggio non sarebbe mancato il fondamento positivo sopra cui avrebbe potuto innalzar r edifizio della psicologia, e apparecchiare cori la soluzione d'alcuni problemi cosmologici. Avrebbe avuto una gran chiave nella sua teorica sai Sentimento fondametìicde, intomo a cui nessuno, dopo Aristotele, ha saputo discorrere con eguale acume e accuratezza, come saggiamente osserva il Ferri.^ Ma neanche in questo ei potè pervenire a disascondere quel secreto vincolo che in seno all'unità primigenia del Noù; potenziale annoda [Però Gioberti non a torto rassomigliò ad uno ttaUauUe il sistema Rosminiano. La forma stessa del suo iugesrno mostra cotal difetto. Kcco perchè non gli fa dato cogliere, come accennammo il valore del metodo Tichiano. Ecco perchè altra lllosoila della storia agli occhi suoi non dovrebb* esser possìbile, fuorché quella d* Agostino, del Bossuet, dello Schlegel, del De Maistre. Non altro concetto sociologico, salro che quello della società divina naitirale. Non altra cosmologia che quella del Tomismo. Non altra fisiologia e patologia, tranne che quella de* Tocchi vitalisti. . la visione ideale, la percezione empirica, nonché il sentimento fondamentale.' I difetti del Rosmini prese a correggere GIOBERTI; ma die neir esagerazione. In maniera invitta egli mostrò la fallacia della posizione dell' ente ideale, ma cadde nell’arbitrario anche lui quando ingolfossi nel mare magno del suo intùito. Se infatti havvi dottrina psicologica la quale più spiccatamente contraddica al criterio della conversione, e quindi all' esigenza metodica aristotelica della Sdema Nuova, è appunto quella del Neoplatonismo che con entusiasmo senza pari, con ingegno mirabile e con vena fecondissma di speculazione egli prese ad innovare fra noi con anima ITALICAMENTE generosa. A nessun italo oggi potrebb’esser lecito disconoscere i grandi meriti del filosofo subalpino: a nessuno i benefizi grandissimi che in età assai triste sepp' egli operar nella mente e nell'animo di tutti con le sue scritture. ' fi noto come per SERBATI sia U tentimeruo intimo e perfettamente uno che uniece la eeneitività e V intelletto. {Nuov. Sagg. ; Ariet.). Ma in che maniera poi accordare questa sentenza con quell’altra ove dice, la ragione eeeer quella che unieee il eentibile e V intelligibile f {Pncologia). L* anità de* due elementi qui sarebbe posteriore, mentre sarebbe ante^ riore la dualità, e quindi, come dualità primitiva, inconcepibile. Il che ci è confermato da lui stesso dove afferma, la vitione ideale non aver relazione di torta con la percezione empirica, {Antropologiaf C. VILI). Ora a me pare che il Sentimento fondamentale avrebbe potuto porgrersi a lui come base d* una dottrina psicologica razionalmente positiva, quando avesse pigliato a considerarla come unità Iniziale, come sintesi originaria del doppio elemento della conoscenza: il che non apparisce in alcun luogo delle sue scritture. Che cos*è, infatti, il Sentimento fondamentale f te V atto onde V anima vivifica il corpo, {Antropohf.), Or bene, checché se ne possa dire, cotesta evidentemente è psicologia neoplatonica, e però tutt' altro che positiva. Invece per noi il Senso fondamentale ha natura di conato, e quindi rappresenta, anzi incarna il momento in che la vita, la ^uvauc; biologica, superando so medesima, passa ad assumere anche valore di pensiero. In altre parole: l'anima pel Rosmini è energia primordiale, ò una originariamente (Ibi, e. IX); ma è una come anima, non già come anima e corpo, come vita e pensiero. E con questo difetto, eh egli ha comune co' platonici e con sant'Agostino come v^emmo, contraddice evidentemente all'indirizzo medio arittoulico secondochè noi lo intendiamo. Ma chi è oggimai che vorrà propugnare sul serio la sua teorica psicologica tuttoché sia da accogliere e svolgere non pochi principii della sua Protologia? ^ Fra le molte e gravi obbiezioni mosse contro V ontologismo giobertiano, noi ci restringeremo a ripetere quella semplicissima affacciata poco fa contro il Rosmini, e che con assai più ragione s' attaglia a GIOBERTI. Come oggetto primitivo del pensiero, la formula dell' Etite creante è un oggetto determinato, sia che si tolga a considerar la natura de' suoi membri, sia che la specie di relazione che li rannoda in organismo. In che maniera dunque può essere inizio, principio della genesi psicologica? Anziché il minimum del pensabile, qui s' avrebbe il maximum del conoscibile. Or s' egli é così, la scienza, io chiedo, sarà ella generazione, conversione, eduzione, o non più veramente copia, imitazione, ritratto d' un vero che non ci appartiene? La posizione dell'Intuito giobertiano è dunque arbitraria, ipotetica, oscurissima, come primo d'ogn' altri ebbe a mostrare lo stesso SERBATI. Perciò la formula non può essere riguardata, secondochè pretendon gli ontologisti, come sorgente d' ogni scienza, criterio d' ogni scibile, fondamento d' ogni dimostrazione, come Primo ed Ultimo del pensiero. Il Nov; degl’ontologisti italiani è la vecchia dottrina dell' Intelleito agente^ ma passata attraversò la scolastica, e ricorretta dal pensiero filosofico cristiano. È r IntelligibiHtà, la VerUà di sant'Agostino, ma determinata, concreta, reale. È la Reminiscenza platonica, ma fatta viva, presente, parlante al pensiero. Egli dun* Ved. il nostro opusc. Introduzione allo ttttdio delle acìenxe naturali e ttoriche, Firenze, Celiini, Ved. GIOBERTI e il Panteismo, Lucca. Dopo il GIOBERTI di SPAVENTA è impossibile difendere l’intuito del filosofo di Torino: se ne persuadano gli ontologisti. Noi accettiamo la sua critica: ma chi ?orrà accettar le conseguenze eh «i ne trae, o la relazioni eh' egli pone fra Io Ctisiologismo, in generale, o l’Idealismo assoluto? Anche qnant*al concetto creativo della /Vo(o/o^ fra Tuno e r altro sbtema, come avvertimmo, corre un abisso. ' « que è r esagerazione del Platonismo. È un iperpsicologismo avente il suo primo puntello nel catechismo, né può quindi essere accettata dalla ragion filosofica positiva.* Sennonché gli ontologisti si fan forti, come accennammo, della celebre sentenza vichiana su la rispondenza fra r ordine logico e Y ordine ontologico." Il nostro filosofo non parla d' ordine logico e ontologico, ma sì d' un Primo logico, e d' un Primo Vero Me[Qui abbiamo inteso accenDare alla dottrina deir Intuito come ci è data nelle prime opere di GIOBERTI. Ognuno sa che nelle scritture pòstnme egli Tiene talora a modificarla sì che s* accosta a SERBATI, o meglio, ad AQUINO. Per esempio, dice: {De Univ, Jur. Da questo lemma è agevole argomentare che Dio è Primo, sia che tu lo consideri come essente, sia che come conoscente. Qui non v* ha luogo ad interpretazioni. Ma vi è il lemma VII che dice: Itaque Primum Verum Methaphysieum et Primum Verum Lo ' gicum, unum idemque esse. Qui la critica interpretativa è necessaria, perchè qui la contraddizione con l' insieme delle altre sue dottrine è pur troppo evidente. Se la rispondenza cai allude il nostro fosse da interpretarsi come pretendono ontologisti e nooplatonici, olla contraddirebbe alla dottrina del conoscere e del metodo; la quale in siffatte ambiguità dee prevalere nel pensiero del critico, come quella che costituisce propriamente l’originalità di VICO. Se dunque in forza del suo criterio la scienza debb’esser frutto d’uno s?olgimonto riflesso e di ricerca e di critica essenzialmente eduttiva, parmi evidente come il rapporto fra r ordine delle cose e quello delle idee, anziché di corrispondenza originaria e di parallelismo primitivo, abbia da essere invece di rispondenza derivata, e di parallelismo riflesso. In una parola: cotesto parallelismo,cotesta equazione, non è un principio, è un risultato. Nel che 11 fliosofo di Napoli, com* era da sospettare, interpreta ed invera il beninteso Aristotelismo, perchè è lo stesso Aristotele quegli che osserva come la radice di tutti gli errori de' Platonici sia per l'appunto la confusione dell'ordine logico con l'ordine dell'essere, e però delle causo reali dell'essere, con lo cause formali della scienza: KW ou TtdvroL o€a tu \6yù» zjporepoiy xaì tVì oÙTc'a vipÓTspx^ {Metaph.). tafisico, considerandoli entrambi come unum idemque. Siamo dunque nel panteismo? ovvero in una dottrina neoplatonica? Intendiamoci. Qual debba essere per lui il Primo psicologico, s' è visto. Or quali han da essere, in armonia con le sue dottrine psicologiche, il primo logico e '1 Primo ontologico? Il Primo logico sarà, né vi cape dubbio, un principio mediato, risultante, secondario, cioè posteriore al Primo psicologico. Se infatti il processo della psiche s' attua ingradandosi in pili gruppi di facoltà componenti fra loro un organismo; e se il processo conoscitivo importa una serio di leggi atte a governare le diveree funzioni, che vuol dire le facoltà stesse avvisate in relazione co' loro prodotti (rappresentazioni, fantasmi, concetti, nozioni, idee, giudizi ec.); avviene che come, data una funzione, è già beli' e dato logicamente il suo prodotto e quinci una serie di leggi che ne regga lo^'svolgimento; così, posto il Primo psicologico, non potrebbe a verun patto mancare il Primo logico. Ora se il Primo psicologico è V essere indeterminato, eh' è dire il Nov; potenziale, in quant' è luce metafisica; quale sarà il Primo logico? Non altro che l’essere nella sua prima determinazione riflessa: l'essere in quanto ideale; il quale perciò suppone, sotto il riguardo cronologico, il sensato reale, il fatto; stantechè il senso, come toccammo, resti incluso nel circolo psicologico. L'ente ideale adunque è un primo: qui ha ragione SERBATI. Ma è anche un ultimo; uUimo psicologico, e primo logico. Al qual proposito giova notare che ove il Roveretano avesse riguardato a questa maniera 1' Ente possibile, non sarebbe caduto nell'aperta contraddizione di considerar l'essere come ideale^ e come immobile ad un tempo; stantechè se in quanto è luce metafisica, cioè in quanto originario ei non può non essere indeterminato, come ideale invece è mobilissimo, essendo già beli' e determinato, e come tale ci esprime lo stesso moto della facoltà, la facoltà in quanto è funzione. Quale sarà intanto il Primum Verum Metaphysicum? Posto il primo logico e quindi '1 processo della logica e r orditura de' concetti, il lavoro speculativo della mente non può ad altro pervenire fuorché ad uno di questi due risultati: o air essere indeterminato riflesso qual è, per esempio, l’indeterminato secondo eh' è posto dall’Hegelianismo quasi chiave di volta dell'edifìzio dialettico; ovvero all' essere determinato mercè Tartifizio del metodo compositivo sintetico, d' integrcurìone; voglio dire, all'essere pieno, all'essere fornito delle note più eminenti o delle primalità cui sappia poggiare il pensiero speculativo soccorso dall'esperienza. Ora il Primo vero metafisico al quale accenna Vico non può esser l' ente indeterminato inteso come luce metafisica, perchè questa, essendo essenzialmente indeterminata, cioè indeterminata per necessità di natura in quant'è oggetto primitivo della mente, è quindi un Primo psicologico anrichè metafisico. Non può esser neanco l' Indeterminato così detto dialettico al quale, come voglion gli Hegeliani, per un' assclida e subitaifiea astrandone si levi la mente e vi si estingua, e in grazia di siffatta estinzione scoppi la prima scintilla dialettica. E non può essere, sia perchè cotesto Indeterminato contraddirebbe al con* cetto che il Vico ci porge dell'assoluto, sia perchè, frutto d'un lavoro onninamente astrattivo, manca necessariamente d'ogni condizione d'obbiettiva e metafisica sussistenza. Se dunque non è l' indeterminato né come luce metafisica né come posto dall'astrazione, che eoe' altro sarà fuorché l' ente concepito come determinato nelle sue primalità essenziali, l’ente trascendente, il Nosse-Velle-Posse infinUum? Sennonché, per metafisico che sia cotesto essere, ninno vorrà dirlo reale. Donde trarre siffatta determinazione? Forse da un intuito primigenio? Ipotesi! Dal regno de' fatti e della ' Il Primo Hegeliano, dice Spaventa, ò queUo che non ha altra denominanione che di non averne alcuna, {Ddle prime Categ. della Log. di Hegti, Hbqil, Log., trad. VERA) esperienza? Impresa vana! Dalle viscere dello stesso pensiero per astrazione assolila e subitanea? Illusione! D' altra parte, tuttoché entità ideale, non per questo sarà lecito credere che il Primo metatìsico abbia da essere assolutamente astratto, poiché come determinato, cioè come concepito e costruito dalla mente, è pur mestieri eh' e' risponda ad una realtà. Egli dunque è metafisico ma non per questo può cessare d'essere identico al primo logico. Perchè? Perchè da questo appunto lo trae la virtù speculativa. Vico dunque ha ragione: il primum verum metaphysicum è unum idemque col primum logicum, giusto perchè il pensiero vien costruendo l'uno mediante l'altro. Brevemente: egli è metafisico, perchè ha valore obbiettivo; ed è poi unum idemque con l' essere logico e però col Primo psicologico, perchè non è, a dir proprio, una realtà, quantunque per necessità metafisica abbia un riferimento alla realtà. Ma qui si può chiedere: dunque il Primo metafisico non sarà egli né assolutamente reale, né assolutamente ideale, né obbiettivo, né subbiettivo? Precisamente così. Non è l'una cosa né l'altra, ma è r una e l' altra insieme, stantechè sia potenzialmente infinito. E poiché come infinito potenziale non è perfetta conversione di sé con sé medesimo, però fugge, quasi diremmo, sé stesso. EgU è, in somma, un essenzial conato; e come tale non può non riferirsi necessariamente ad una realtà, e in questo senso possiede natura metafisica. Dico necessaria tale oggettività, perchè il Primo metafisico, quando sia determinato dal pensiero speculativo, non è altro che la stessa triplicità psicologica, ma riguardata nella sua universalità. Che cos'è mai cotesta triplicità universale? È mentalità in sé, è dialettica in sé, è oggettività in sé. Ella dunque non può esser considerata nell' individuo, ma fuori dell' individuo, in un soggetto appo cui le primalità dell' essere si convertano e compenetrino: il che è davvero impossibile nell' individuo, come quello che non è il pensiero (voùc) ma la facoltà del pensiero (vouc ^wa^ust) secondo la sentenza aristotelica. Se il Primo metafisico, inoltre, fosse indeterminato, non avrebbe alcun opposto, quantunque serbasse distinzione come oggetto di pensiero. Al contrario éoncepito come determinato, e' tosto diventa obbiettivo ; e così da Primo vero metafisico assume virtù di Principio metafisico. Or che cos' è questo principio metafisico? Che cos'è la realtà alla quale ei si riferisce? È l'Assoluto: ma l'Assoluto che è davvero assoluto, come appresso mostreremo. ÀR1ST., De An.t li, iv. Cfr. anche la Metaph. Secondo l'interpretazione che noi qui abbiam dato alla sentenza del Vico 8i può dire che il Primo Metafisico, essendo il vero in attinenza col realtf sia il fatto, cioè il fatto del pensiero speculativo, il fatto della scienza che convertesi col Vero assoluto, il quale, come vedremo, è il primo fatto per eccellenza. Accade perciò che il Primum Verum Metaphysicum debba riguardarsi come anello di congiunzione fra la Logica e la Metafisica; ond'ò che fra queste due scienze, anziché esserci quella mediazione Hegeliana la quale in sostanza ò una compenetrazione assoluta, ci è invece conversione; e la conversione esprime non già identità nella difTerenza, ma identità e insieme differenza. Vi è, in altro parole, medesimezza di legge, di forma, e qnìndi continuità ideale; ma ci è pure differenza, differenza essenziale, differenza di contenuto, e però intervallo retde. Ecco perchè il Vico, svecchiando un principio aristotelico, afferma: « Qìullo eh* è metafisico in quanto contempla le co»e per tutti i generi delV eteere, la steesa è la logica in qwanto considera le cose jìer tutti i generi di eignificarle. Questa relazione fra la Logica e la Metafisica fu dal nostro filosofo incarnata sotto forma simbolica nella IHpiniura ; e nell' Introduzione alla Scienza Nuova la venne determinando nel concetto del M(»ndo DILLE Menti r di Dio. Menti pensiero spirito, e perciò Psicologìa Logica e Ideologia, come vedemmo, formano tutt*un processo. Un processo ha da essere anche l’Assoluto. Ma le Menti e Dio formano anch' essi un processo, un organismo, un Mondo: in quanto che fra que'duo termini ci ha da essere conversione. Questo tutto organico lo dicemmo proceeto ideale per parte del primo termine, cioè delle Menti, nel senso che ha da essere mediazione razionale, conoscitiva. Perciò Primo vero metafineo e Principio metafinco. Logica e Metafisica, Menti e Dio, compongono un Mondo; un Mondo superiore a quello della Natura nonché a quello dello Spirito, inteso questo come sviluppo isterico, come storia che è Vita Humani Qeneri, Dal tutt' insieme quindi si vede come il suo Primo Vero metafisico non sia nient' affatto una vuotaggine, un’entità formale e puramente astratta. È la sua luce metafieica^ non già indeterminata, anzi determinata mediante sé stessa; determinata mediante il processo eduttlTO. È il risultato estremo del Noùc attuale e Veniamo al vivente rappresentante del Neoplatonismo in ITALIA. L'illustre ROVERE ha visto la necessità d'imprimere novella forma e rigor logico alla dottrina platonica della conoscenza, modificando la teorica di GIOBERTI, e correggendo quella del Rosmim'. A spiegare perciò l'elemento universale del pensiero ei si raccomanda alla solita àncora di salvezza, l'Intuito del l'Assoluto, ma con l’interposmone delle idee; le quali per lui somiglierebbero quasi ad altrettanti spiragli ond'alla mente lampeggia la Divinità. Tutto ciò, del resto, non toglie eh' egli abbia da ammettere doppio ordin di conoscenze, percezioni e intellezioni, assai diverse fra loro e pur fra loro collegate per via di rappresentansia. Ma non potendo intrattenerci a riassumer le ragioni sopra cui si regge cotal dottrina, ci ristringiamo a far poche osservazioni guardandola segnatamente sotto l'aspetto psicologico. Due ne sembrano i difetti principali: l’nvocare l'intuito dell'Assoluto nello spiegar l'elemento universale della conoscenza; 2** non dimostrare per che mai ragioni l' ordine delle percezioni abbia a rispondere a quello delle intellezioni. Se ne l'intellezione, come vuole il Mamiani, può rampollare in modo alcuno dalla percezione, uè questa ci ha che vedere con quella tuttoché entrambe devano esser congiunte in armonia; la dottrina psicologica del rifleASo; epilogo della scienza psicolo^^ica, e però Defìnwione e Principio della Metafisica. Or la luce in quant’è oggetto del Noù; potenziale no! la dicemmo metafitioa perchè, quantunque superiore al sensOf è nondimeno po9ta da natura, ò originaria, e quindi essenzialmente obbiettiva. La conclusione dunque parmi chiara: Primo pticologico, Primo logico' e Primo vero metaJUioo non sono tre entità ruote e formali, giuochetti d'astrazione, indovinelli da algthritiij come direbbe lo stesso Vico, ma sono tre anelli d’una medesima catena, tre momenti dinamici d* una medesima energia essenzialmente obbiettiva. Questa (per concludere contro i Neoplatonici ontologisti) parmi V interpretazione più acconcia del rapportoche il filosofo di Napoli pone fra il /Vìnto logico e’1 Primo vero metafisico, e quindi fra l’ordine logico e l’ordine ontologico. Ogn' altra non riescirebbe a salvarlo dalle contraddizioni col proprio metodo, e tanto meno poi dalle incongruenze con la ragion filosofica positiva. Pesarese parrebbe, come ad altri è parsa, una specie d'alcliimia. Per quanto diverse, le percezioni e le intellezioni hann'a convergere si da appuntarsi quasi due raggi in un centro comune, cKè V unità sostaiìzUàe dello spirito. Or non è questo precisamente ciò che da ventidue secoli va chiedendo il pensiero filosofico: come mai, cioè, se diverse, elle compongono fra loro unità? Abbiamo un intùito di qua, e un intùito di là: la percezione che avvertendo un termine estriìiseco lo apprende siccome forza, e la visione, l'intùito ideale^ che con T interposizione delle idee coglie l'Assoluto. Non siamo già in una forma di dualismo psicologico che fu ed è sempre la pietra d^nciampo d'ogni fatta platonici? Non abbiamo qui sott' occhio Y etemo e gravissimo difetto del Neoplatonismo, la mancanza di processo? Oltre l’alchimia (col dovuto rispetto al grand' uomo) qui veggiamo una macchina a doppio retaggio: senso e concetti, esperienza e luce divina, fatti e Assoluto splendente cui lo spirito inerisce con marginale adesione, e per via di contatto spiìituale. Chi fa tutto ciò? Come avviene tutto ciò? L'illustre di Pesaro ci dice e ripete a sazietà, che fra l'ordine delle intellezioni e quello delle percezioni ci ha corrdaeione ordinata e continua, rispondenza puntualissima^ squisitissima armonia. E sta bene: chi non è scettico sistematico non penerà gran fatto a riconoscere e sentire cotesta e ben altre armonie. Ma quel che ignoriamo, e pur vorremmo sapere, è appunto il motivo di cotesta squisita rispondenza. Or questo motivo, non ci è, o almeno è impresa non molto agevole rinvenirla nelle Confessioni d*un metafisico Perocché s'io ho da coglier l'Assoluto mercè l'idee, o, meglio, se è l’Assoluto quegli che ha da comunicarmele Mamiaki, Con/ftioni d'un mttaJUieOf Idem, eo: € come avvenga che ad una data pereenone rieponda una daUx idea? non già graziosamente, anzi inevitabilmente, quale ne sarà la conseguenza? Sarà che la ragione onde questa 0 cotesta percezione ha da rispondere a quella o quell'altra intellezione, in altro non si potrà occultare fuorché in un vieto occasionalismo, od in una vieta e grossolana armonia prestabilita. Non v'è scampo. No' parecchi cangiamenti cai è andata sogrgetta la mente del Mamiani, sol una dottrina è rimasta immutata nelle sue scrìttnre, e della quale ei si loda più d* una volta. È la dottrina su la percezione, che il nostro egregio amico prof. Ferri dichiara bellissima. Bellissima sarà: ma è altrettanto salda? Forse che Ano SERBATI con r acuta lama della sua crìtica non la ridusse a polvere nel suo Rinnovamento f Intendiamoci bene. La percezione del Mamiani non è senso, e nemmanco, a dir proprio, giudizio. Che cos*ò dunque? È e im intuire V atto involto nella 8en9axione die congiugne in uno due termini^ oggetto eentiio e avvertito come fortOy e soggetto tentenìe. » {Oonfeasionif ; Meditazioni Carte»). Or bene, che è egli mai cotesto intuire? Quar è la natura intima di quest'atto? È difficile averne risposta ben determinata. L'animn, dice il Mamiani più d*una volta, è dotata d^una veduta it^eriore di ti medeaimaj e questa interior veduta è quasi occhio mentalcf pupilla spirituale, anteriore al fatto della percezione. Che cos* è, di grazia, cotest oeeAio, cotesta pupilla, cotesta veduta interiore f È forse un giudizio? No, risponde: che alla funziono giudicativa devq andare innanzi la percezione. {Confeenoni). Che cos*ò dunque? Per quanto altri voglia andar ricercando no' copiosi volumi di questo Neoplatonico, mai non gli verrà fatto ripescarne risposta. Ora a noi pare che tal veduta interiore di si altro non possa essere tranne che un ritorcersi, un geminarsi primitivo, e perciò un insieme d'oggetto e di soggetto, una triplicità iniziale, uu giudizio. Sarà giudizio sui generis; sarà giudino fcUto stnxa riflessione come direbbe il Vico; ma, in sostanza, ò giudizio. Se dunque è tale, non importa un oggetto? Or quale sarà l'oggetto dell' infmor veduta, cioò la luce di queir occhio, dì quella pupilla t V Ente possibile no, certo: e il Mamiani con dialettica stringente e per quattro differenti capi s' accinge a far minare dalle fondamenta la teorica rosminiana, e in parte vi riesce. Che cosa dunque sarà? A quel che ne pare, neanche qui egli risponde. E, checché possa dirne, certa cosa è che so l'anima è davvero dotata d'una interna veduta (la quale perciò è logicamente anteriore alla percezione), a spiegar questa non si può prescindere da quella. Se la cosa infatti non procedesse così, in che maniera la percezione verrebbe capace di trascendere i limiti del puro sensato ? Brevemente: l' Io non percepisce, V Io non avverte un termine esteriore siccome /orsa, senza eh' e' /)ereept«ca e avverta so medesimo. Or che cos' ò il percepire sé stesso, tranne che un atto giudicativo ? Dunque anteriormente al fatto della percezione (com' ei la intende), ci ha da Se non che, la più fresca novità delle Confessioni è r intuizione dell'Assoluto; quindi la invitta prova che ne scende, secondo ROVERE (si veda) Mamiani, su l'esistenza di Dio; quindi la salda costituzione a priori della Metafisica. Innanzi tutto: se cotesta intuizione non è altro fuorché una semplice contiguità, un' adesion marginale del pensiero con l'Assoluto, non è chi in essa non sappia ravvisare quel toccamento spirituale de* Yecchi Neoplatonici, dottrina rinverdita, quindici anni avanti '1 Pesarese, dall'illustre neoplatonico Pomari. Vero è che la sentenza la quale a tal proposito risulterebbe dall'insieme delle sue dottrine potrebb' esser questa: che il suo intùito non sia già un atto originario, potenziale, essenziale, bensì tutt' un ordine d' intuizioni per quante potrann' esser le idee attraverso alle quali avvien che traspaia l' Assoluto. Or s' egli è così (né sappiamo dir davvero s' e' sia così), perché aflFermare più d'una volta, esser necessaria, inevitabile uxìl intuizione perenne e immediata délV Etite sortitaci da natura e dalla essenza dd nostro spirito? * Se l' intuizione dell'Assoluto é un atto essenziale, come potrebbe non esser primitivo? E s' egli é primitivo, non è a reputarsi anteriore logicamente alla percezione? In sostanza, se l’Assoluto é quegli che ^presenta al pensiero, e' s'ha a mostrare fino dal primo atto della mente; la quale perciò sarà mente, sarà penessere qualcos'altro che ne sìa la vital condizione. Evidentemente r acuta pupilla speculativa del Pesarese non s’è profondata nolla natura di siffatta condizione. E puro con quest* alchimia e' non dubita credere d* avere una buona volta composto in armonia 1* antica lotta fra Platonismo ed Aristotelismo ! ' ROVERE dice: « balena con evidenza V intuito cT una poeitiva, immota ed universale realtà^,, indeterminata e inqualiJiiMta e perciò oeeura e non deecrivibile, > {Meditaz, Carte».) Non è egli cotesto V ohbiette intelligibile colto dall* intùito, nulla interpoeita creatura, di che parlano, per esempio, i seguaci di sant* Agostino, e, fra questi, il Fornarì? (Ved. VelV Armonia Univ.). Meditai, Cartee, Questa sentenza, come ò chiaro, è in aperta contraddizione con quell'altra onde il Mamiani afferma e ripete, nulla non v'esser nolla sua dottrina d'innato, nulla di primitivo. Vedi Riep, al eig, dott, Akt», Brentazzoli, Bologna] siero, solo in grazia di chi le sta dinanzi. Ora se il yero, metafisico o no che sia, non è fatto dalla mente, ma da essa ricevuto, evidentemente il Neoplatonismo di ROVERE viene a contraddire alla dottrina psicologica del Vico, rompe contro alle severe obbiezioni mosse al Gioberti, e massimamente soggiace a quella grave difficoltà che Aristotele oppose al suo gran maestro circa la inu* tilità deir esperienza e de' fatti e delle percezioni, posto che il vero e l'universale, in che risiede propriamente la scienza, debba ne' suoi principii derivarci dall'alto e dal di fuori, meglio che dal didentro/ Se non che, ingegno elegantissimo e ricco di vena poetica, questo filosofo spesso indovina. Talora infatti sembra non esser l'Assoluto quegli che determina e significa se medesimo nelle idee; bensì la mente stessa la quale, generando cotesto idee, determina idealmente, esprime e significa l' Assoluto : tanto che non sarebbe altrimenti lo splendor divino che penetrando quasi attraverso gli esilissimi spiragli delle idee ne promoverebbe l'intùito, ma la stessa virtù riflessa ne verrebbe argomentando r esistenza e la natura per necessità eduttiva. Ora solo * AbisTm M«iaph.y Mamianì potrebbe dire: il mio intiiito sta in ciò, che ogn* idea, avendo a significare per propria natura un obbietto, debba importare un' enistenza etema, ed una $peciaU determinazione ddVente aMolìtto e infinito. Accettiamo anche questa posizione. Che cosa ne Terrà? Poiché gli obbietti tignijiecuiei dallo idee non potranno esser altro salvo cho determinazioni ad intra o determinazioni ad extra delr assoluto, sorge la necessità di spiegare se 1* intuito s* appunterà verso le une, meglio che verso le altre. Stando alla dottrina della maboinalb ADS8I0NR e del toecawtento epirituale, V intuito, non essendo un atto penetrativo, coglierebbe le seconde anzi che le prime: e quindi, innanzi ogni altra determinazione dell* assoluto, dovrebbe afferrar quella dell* atto creativo. Or se questo è vero, parmi evidente come la dottrina del Mamiani su la conoscenza non si discosti neppur d*un apice, quanValla sostanza, dalla dottrina di Gioberti, il quale non ha mai preteso che il suo intùito abbia da essere un atto penetrativo. Ma il termine esterno, il sensato (egli dirà) si ha per via di percenone, Ad un acuto Qiobortiano qui non tornerebbe guari difAcile cogliere l’autore delle Oonfe99ioni in aperta contradizione con so medesimo. Nelle Con/e99Ìoni è sempre T Assoluto quegli che s'affaccia ed eccita e promovo lo spirito al pensiero, e solo in qualche luogo (per per cotesta via egli avrebbe potuto correggere il Gioberti, e riconoscere insieme la parte di vero che è pur nelle dottrine Rosminiane. Solo per cotesta via avrebb'egli inverato il Platonismo, e dischiuso fra noi un periodo novello di speculazione feconda, razionale, positiva e, che più rileva, conseguente alla storia della scienza. E solo per cotesta via non sarebbe incappato nella incoerenza di porre l'assoluto come uiroOt^tc, e in un'ora medesima dichiararlo oggetto d'intùito. Perocché se con l'analisi delle idee ci è dato risalire per logica necessità fino a cotesta uttotsjc;, a me pare che una dottrina psicologica 0 ideologica, la quale invochi '1 sussidio d'un intuito, sia un fuor d'opera addirittura. Con ciò stesso avrebbe corretto il valor rappresentativo delle idee, eh' è r altra originalità cui pretende il Neoplatonismo di ROVERE. Quale attinenza è mai fra l'idea e l'ideato? Non quella di somiglianza come han creduto balordamente i Malebranchiani, egli risponde; ma si quella d'una vera e propria significazione. Eccolo dunque anche qui, senza addarsene, alla famigerata wa/jo^ix platonica tanto invocata da Gioberti nella sua prima maniera di filosofare. Nel che il Pesarese, anziché progredire, è rimasto molto indietro all' autore della Protólogia nella quale, com' é noto, il concetto della piOiSi; rivelasi improntato d'una forma novella, e, fino a certo segno, originale. Ma lasciando stare del regresso e dello scadimento notevolissimo che nella specuhizione italiana ci segnano le Confessioni d' un metafisico ove si ponga a riscontro lo dottrine del ROVERE (si veda) Mamiani coll’ultima forma cui s' era levato r ingegno potentissimo del Gioberti, è bene qui accennare un'ultima osservazione su l' attinenza che il pesarese pone fra le intellezioni e il loro obbietto) fa trasparire la nuora tendenza cni allodiamo. Ma noU* opuscolo dì risposta ni BONATELLI (si veda) (Bologna) questa tendenza è pid chiara, tuttoché manifestata foggevolmente e forse Inconsapevolmente. Dico inconsapevolmente perchè nelle Meditazioni rinnovate e* ricasca nella solita presenaialità, nella tolita marginale ndenone^ come ci attestano le sentenze qna dietro riferite. Le idee importano il divino, egli dice; poiché non sono fuorché altrettanti simboli, altrettante significazioni dell' Assoluto. Se questo è vero ne segue che, in quanto simboli e segni, elle non avran valore infino a che cotesti simboli non siano intesi e interpretati. Macome la mente potrà giugnere ad intendere e interpretare siffatti segni? Mercé l'ordine delle percezioni. Or bene, se l' idea non basta a significar sé medesima né a farsi intendere da sé, evidentemente per noi ell'é come un chiaror confuso, vago, indeterminato, insignificante, e quindi al tutto inutile alla scienza. D' altra parte, se l' ordin delle percezioni é di sua natura cosiffattamente limitato da essere incapace a darci r universale, non potrà non riescire anch' egli d'ingombro inutile alla mente. Si dirà di poter superare il fenomeno e attinger la scienza mercé il connubio dell'ordine percettivo con l'intellettivo? Questo é per l'appuntò ciò che pretende il Mamiani. Ma, se eoa fosse, non vedremmo ad assomigliare il regno della scienza e delle idee a quello di natura e delle fisiche efficienze, ove se a due cavalli non vien fatto di tirarsi dietro un carro vi potranno benissimo riescir quattro? Mamiani afferma non dimostra la platonica 7ra/)0Tc«: afferma, non dimostra la platonica xotvwvèa. E per tutta dimostrazione ci annuns^ia che l'idea é significativa, perché? perché havvi un obbietto nel quale debb' ella necessariamente terminare.Or in che modo legittima egli cotesto obbietto? Lo legittima, come s' é visto, dichiarandolo presente^ ponendolo presente! Questo é proprio il nocciolo magagnato del Neoplatonismo. La preserunalUà dell'Assoluto è un'ipotesi, un'affermazione arbitraria: ecco tutto.Corte dottrine di ROVERE ci ricacciano addirittura fra i Plotino, i Proclo e gli Ammonio, appo cai facilmente troverebbe riscontro il sno concetto del Bene. E chi pigliasse poi a rovistare attentamente nelle antiche scuole, per esempio nel vecchio e anonimo autore della Teologia (Rayaibson), potrebbe ritrovar più che un germe della dottrina sn \*influxu$ divintu che neir Arabismo e anche nella Sco[Concludiamo. Noi abbiam dovuto fare una critica rapidissima del Neoplatonismo italiano considerandolo segnatamente sotto l'aspetto psicologico, perchè i tre filosofi di cui abbiamo toccato ci rappresentano le posizioni più serie, le forme principali ond'il Platonismo crede attinger l'obbietto metafisico. Rosmini è il meno dommatico, il meno arbitrario, il piii positivo e quindi il meno platonico fra tutt' i platonici. Egli pecca nel porre l' essere della mente come ideale; e lo sbaglio di siffatta posizione vale a spiegarci le contraddizioni in cui spesso ha inciampato nella psicologia, nonché le gravi manchevolezze nel suo disegno ontologico su le tre forme dell' Essere. Assai piii di SERBATI pecca GIOBERTI nella dottrina psicologica affermando l'essere come reale e, che più monta, come recde determinato. Non meno di GIOBERTI e di SERBATI pecca ROVERE ponendo cotesto reale come infinito in se, e come presente al pensiero mercè l' interposizione delle idee. Si direbbe dunque che il Neoplatonismo italiano, in questi tre filosofi, abbia progredito su la via dell' a priorismo e dell' iperpsicologismo. Essi han dato tre passi, ma indietreggiando sempre più; perchè con l'esagerare l'esigenza platonica han trascurato l' esigenza aristotelica, tuttoché ciascun d' essi abbia creduto d' aver impresso oggimai un accordo definitivo fra' sistemi de' due vecchi filosofi. L'ultimo segnatamente, il Mamiani, mostra d'aver progredito assai più di SERBATI e di GIOBERTI in questa via. Sotto certi rispetti, infatti, il Neoplatonismo del Pesarese par che confini col Teologismo: talora anzi vi si confonde, chiunque ripensi a quelle cinque differenti maniere (oltre la sesta della comunione ideale ond' abbiamo parlato) mercè cui egli stima debbansi attuare gV influssi divini. E Dio che crea l' anima, e la fa esistere. Ma è anche Dio che le fa intendere presentandosi a lei attraverso le idee. È Dio che le fa ammirare il bello, e incarnarlo. È Dio che lastica tien luogo del processut.Vedi lo stesso Rayaisson. Vachebot, Hi8t, critique de VÉcole d'^Alexandrie, T. II, iv.) le fa operare il bene e la virtù. Che più altro? È Dio perfino che, disponendola ineffabilmente, la eccita, la trae all'adorazione. È proprio il regno di Dio su questa nostra terra 1 E Y illustre Mamiani potrebbe oggi ripetere le pietose e calde parole del Malebranche: 0 Dieu! exaucez ma prière, après que vous Vaurez formée en mai! Capitolo Ottavo, continua lo stesso argomento. {Critica del NeoarigtoteUsmo), Notammo come il principio del conoscere metafisico immediato ponga radice, per dirla con le parole di Hegel, nel rapporto d' un nesso primitivo ed essenziale fra il pensiero e T Assoluto, fra il soggetto e T oggetto/ Àbbiam visto come il Neoplatonismo italiano moderno propugni questa connessione sotto tre forme più o manco razionali; e come abbia quindi a tornare assai difficile al Rosmini, e molto più al Gioberti e al Mamiani, li potersi difender dair accusa di panteismo ideale. Gli estremi si toccano anche qui. Con la teorica dell' intuizione e deir immediatezza i nostri Neoplatonici riescono, checché se ne dica, a' risultati cui perviene la dottrina della mediazimie propugnata dagli altri nostri viventi filosofi, seguaci caldissimi dell'Idealismo germanico. Dicemmo qual sia la doppia esigenza onde il Neo-platonismo si divaria dal Neo-aristotelismo quant'al conoscere metafisico. Per la natura istessa di questa doppia esigenza avviene che, come nel primo, cosi pure nel secondo indirizzo sono possibili più forme, più maniere, più metodi, sia che si tolga di mira il modo con che si crede poter attinger l'assoluto, sia che il risultato ultimo a cui si potrà giugnere. Non « Hegel, Log. volendo tener conto di quella vieta e volgar maniera di mediatezza che, quantunque sotto aspetti differenti, fa sempre un salto mortale quando presuma levarsi dall'effetto alla causa e dal dato alla condizione del dato; possiamo ridurre a due le forme più generali e comprensive di tal mediazione. Esse, al solito, risalgono a que' due estremi in che dicemmo sdoppiarsi r Aristotelismo: perchè anche nella quistione metafisica il primo di cotest' indirizzi ci è oggi rappresentato dal Positivismo e dal Materialismo; l'uno affermando, nulla mai non potersi conoscer di metafisico, e l'altro innalzando a dignità d' assoluto la stessa materia, senza legittimarne menomamente il concetto. Il secondo poi vuol essei^e anch' egli avvisato sotto doppio rispetto, potendo assumere due forme che, per due differenti ragioni, rivestano entrambe carattere iperpsicologico. Si può infatti mantener la posizione d' un. immediato irradiamento per virtù d'un principio superiore, generale e comune e s' ha uq indirizzo averroistico; il quale, benché storicamente sìa come un virgulto sbocciato nel giardino dell'Aristotelismo, può siffattamente svolgersi e grandeggiare, come nel fatto è avvenuto, da toccarsi e talora confondersi col Neoplatonismo. Ma, d'altra parte, può assumere forma squisita di scienza, e s' ha, come ne' tempi moderni, una delle tre maniere dell'Idealismo germanico appellate subbiettiva, obbiettiva, assoluta. Sennonché è da notare come fra tutt'i sistemi quello dell'assoluta identità serbi '1 distintivo d'esser naturalismo e ipei-psicologismo insieme, e racchiudere, co' molti pregi, i moltissimi difetti dell'uno e dell'altro indirizzo. In metafisica l'Hegeliano è iperpsicologista. Perocché quantunque non attinga l' assoluto per opera d' un intuito e d'un'immediata visione più o meno spiccatamente neoplatonica, dice e crede mostrare di poterlo cogliere quasi d'assalto, come toccammo, cioè per stibitanea ed assoluta astraeione dd pensiero puro. Dice e crede mostrare di poter dedurre a tìl di logica la dialettica che per lui costituisce la chiave di volta d' ogni scibile e d' ogni ordine di realtà.. Anch' egli dunque trascende; e però anch' egli vizia l'esigenza d'un positivo e severo psicologismo. Ma, oltreché iperpsicologista, l'Hegeliano è anche naturalista. Checche se ne dica, la sua logica obbiettiva, la dialettica intrinsecata e compenetrata con la stessa metafisica, non è altro alla fin delle fini che imitazione e ripetizione della stessa natura, delle stesse leggi di natura, tuttoché ridotte al grado più universale e squisito di trasparenza ideale, pura, assoluta, per cui la forma costituisce lo stesso contenuto, e viceversa. Il perché se l'Idealismo assoluto, come altrove notammo, è stato detto con felice espressione esser l’àlgebra dd naturalisino, con altrettanta verità può dirsi essere un' algebra della psicologia, del pensiero e delle idee; tanto che ci sarà lecito designar come indovinello d'algebristi (direbbe Vico) quell'assoluto che gli Hegeliani con miracolo non mai visto fanno venir fuora dalle nebbiose alture della dialettica. Possiamo dunque affermare che Positivisti e Idealisti assoluti oggi rappresentino gli estremi indirizzi dell' Aristotelismo. E queste due forme neoaristoteliche, tuttoché fra Joro si differenzino toto cedo nel metodo e nel concetto della scienza, nuUameno si toccano ne' risultati, massime in quello risguardante il valore e '1 destino dell' umana personalità. Chi tien conto della necessità d* ìndole tutta fisiologica ed empirica secondochò è intesa da' positivisti e da* niaterìalisti, e della necessità tntta dialettica ideale assoluta com'è concepita dagli Hegeliani, tosto 8* accorgerà d' un* altr’ attinenza fra queste due tendenze della moderna speculazione. Il dinamismo noli* essere, nelle cose, nella scienza e nella storia, sparisce cosi per 1* una come pet 1* altra dottrina. Meccanismo ideale, come dicemmo, e meccanismo fisiologico e materiale: necessità logica e formale, e necessità empirica e meccanica; ecco tutto. Oggi dunque potremmo affermare dell'una e dell'altra scuola ciò che Aristotele diceva de' pittagorìci e de' platonici: 'A).Xa yiyovi roì fiscBrifixrcx. To?c vvv >j ^tXoao^ia {Metaph.) Cosi Hegeliani e Positivisti, come avvertimmo nella Introduxione, tuttoché movano da due punti Uh loro interamente diversi ed opposti, riescono pur nullamanco fid una medesima legge. E come al Platonismo primitivo tenne dietro la scuola di Rifacciamoci da' Positivisti, i quali, ove discoiTono intorno al problema del conoscere metafisico, non mostrano quella serietà scientifica della quale non pertanto vanno lodati quando parlano de' principi! metodici da applicarsi alle scienze. Quant' al problema d'una realtà metafisica e' non sofirono d'esser messi in un fascio con gli scettici sistematici e co' nullisti; e, davvero, non han torto. I Positivisti infatti ci parlano d' un Inconoscibile. Dunque essi confessano V esistenza d' un obbietto trascendente. Ma come legittimano cotest' obbietto? Come ne determinano l'idea tosto che ne parlano? I Positivisti francesi ne discorrono, ci piace ripetere anche qui la frase, come d' un oceano immenso doni la daire vision est amsi salutaire que formidable.* I Positivisti inglesi poi ci porgono un concetto più determinato di cotesto Deus àbsconditus, àicenàoìo potenza, forzc^ di cui V universo è simbolo e manifestazione} Il positivista francese qui, com' è evidente, s' addimostra pili positivo, 0 meglio, più negativo dell'inglese, e quindi più timido, più circospetto, più scettico di di Speusippu cbe radiò addirittara il numero ideale (yortroc, sc^yjtcxo;) sostitueodoTì il nunioro sensibile appunto perchè queir idea come astratta e generale parevale cosa inutile (Arist. Metaph,, Rataibbon, i!^>eu9ippe); parimente oggi Positivisti e Materialisti, in luogo dell* /iea, pongono' II Fatto e la Materia; e cosi mentre negano V Idealismo assoluto, mostrano d'arer con osso doppia ed intima relazione, una storica e l'altra teoretica. La storia del pensiero filosofico progredisce, non v'ha dubbio: ma anche nel progredire si ripete. Ecco qua -una prova, chi vuol vederla. E. LiTTBi, A, Comte et la Phil. Poeit. Per quanto negativo, nullameno questo concetto del Littré su V Assoluto è una correzione deir idea del Orand' Eetere intorno alla quale con tanta vuotaggine avea finito per arzigogolare Comte. Spencer, Firft Prìnci^ee^ Alcune idee di questo scrittore su V obbietto metafisico superano quelle di St. Hill. L’Autore del Sietema di Logica parla del soprannaturale, come notammo in altro luogo, da schietto formalista, senza poterlo quindi legittimare in altra guisa che per empirica credenza. (Ved. A, Comte et Le Potitivitme) La relatività del eonoecere per lui non è, a dir proprio, quella di Spencer, e neanche quella de* Positivisti francesi. Vedi il novero eh* egli stesso fa de’diversi modi con che può intendersi la relatività della conoscenza nella PhiL de Hamilton, ed. cit. e. I. fronte alla scienza: ma le contraddizioni in che restano entrambi avviluppati son le medesime. Anch' essi infatti, i Positivisti, obbediscono e rendono omaggio al bisogno speculativo che punge ed eccita continuo il pensiero filosofico, stantgchè non solo riconoscono la realtà d' un oggetto trascendente, ma lo determinano, lo pongono, lo specificano in qualche modo. Che cos'è, per esempio, l'Inconoscibile onde ci parla l'illustre Spencer? È il fondo occulto delle religioni, e insieme l'estremo termine a cui riescono le scienze. Le religioni pongono tale obbietto per virtù d'istinto: le scienze lo subiscon per legge del proprio svolgimento. Tra fede e ragione, perciò, non v'è antagonismo: l'Inconoscibile n'è l' obbietto comune. Conciliarle dunque è possibile, tosto che s'abbia diffinito le idee madri onde scienze e religioni sono inviluppate. E poiché le une in sostanza Aon fanno che riconoscere ciò che le altre contengono ed esplicano istintivamente, ne segue che lo spirito umano' per mezzo della scienza perviene là ond' egli stesso era partito con la fede, cioè all'Inconoscibile. Il pensiero del filosofo inglese è chiaro e spiccato, ma non altrettanto vero. Innanzi tutto: perchè le religioni e molto più le scienze non potranno pervenire a render conoscibile in alcun modo l' Inconoscibile di cui pur confessate la realtà? Forse che tale impossibilità, ripetiamolo, non contraddice apertamente all'attività critica del vostro pensiero speculativo, alla stessa esigenza del vostro metodo critico e positivo? Non dubitate affermarlo esistente cotesto Inconoscibile. Giungete anzi a determinarlo come forza di cui l’universo è manifestojsnone. Or bene perchè non dare un altro passo? Perchè non ispecificar l'attinenza eh' è tra l'Inconoscibile e '1 conoscibile? In altre parole, domandiamo: col porre i termini, non siete già nella necessità logica di mostrarci in qualche maniera la relazione di essi, dirci quale attinenza interceda per avventura tra la forjsfa e la sua manifestazione, quale sia il vincolo che annoda insieme la potenza e l'universo onde quella potenza è simboleggiata? Brevemente: siete qui in una forma di panteismo, o di teismo? Il Positivista non risponde; e pur dovrebbe: dovrebbe se davvero amasse mostrarsi ed esser positivo. Inoltre, l'Inconoscibile onde move la fede, e Finconoscibile cui giugno la scienza, dice lo Spencer, sono una cosa. Ma perchè? Perchè col prodotto confondere due facoltà fra loro diverse? L'Inconoscibile della fede incontra un limite invalicabile in questa o cotesta intuizione particolare in cui l'Assoluto è compreso dal sentimento religioso appo un dato popolo, e presso una data civiltà. L' Inconoscibile delle scienze, invece, è l' inconoscibile di ragione; e, come tale, non può restare perpetuamente indeterminato, pel solito motivo che, ove rimanesse cosi necessariamente, l' indagine positiva annullerebbe sé stossa; e annullerebbe sé stessa perchè r esigenza critica non sarebbe altrimenti un' esigenza invitta, naturale, un irresistibile e crescente bisogno speculativo. Ora se il contenuto della fede è condizionato ad una forma speciale; se per la natura stessa della funzione psicologica ond' ei rampolla riman chiuso e quasi cristallizzato nella particolarità d'un sentimento: perchè, domandiamo, voler condannare alla medesima sorte l’Inconoscibile delle scienze? Perchè così inesorabilmente pretendere di segnare i confini alla ragione ponendo limiti all' attività del pensiero speculativo, eh' è pur la forza più libera dell'universo? Non è anch' ella, cotesta, una forma di dommatismo? 11 PositiTÌsto dirà: tosto che voi pigliate a determinare Vlitcono9cihile, siete già beli e uscito dalla scienaa^ e cadrete nella metafisica. verissimo: questo accade, e questo appunto deve accadere. Altrove mostrammo come ciascuna scienza, come tutte le scienze, riescano inefftcaci nel tentare la soluzione di certi problemi, segnatamente nel determinare il concetto dell’Assoluto. Il Positivista che è tutto scienza e solamente scienza, da una parte ha paura della speculazione, mentre dall* altra sente il bisogno di determinare in qualche modo cotesto assoluto, e lo determina, per esempio, alla maniera di Spencer o del [Concludiamo quant' a’ Positivisti. Il Positivismo gallico rispetto al conoscere metafisico ci dà un Immenso indeterminato; un Incondizionato reale, il positivismo inglese poi, facendo un altro passo, determina vie più cotesta ignota realtà, e giugne ad affermare che le forze, la materia, il movimento, la vita e l'universo non siano fuorché simboli e rappresentazioni. Altre affermazioni d'altre maniere di Positivismo che pongano T assoluto senza penetrar nel regno della metafisica^ io non conosco;ne, a dir vero, sono possibili.* Littré con offesa apertissima della logica. Ora, chi non voglia offendere non pur la logica ma neanche il hnon senso, e insieme salvarsi dalla contraddizione, dove altro può penetrare, uscendo dal regno delle «ctetue, fuorché in quello della tiietajUiea^ ma della metafìsica intesa non già come scienza/>rtma, anzi ultimaf Determinare in qualche modo la Potenza di cui r universo è manifestazione; specificaro questo Immento formidàbile e pvr •alutare oltre cui non sa penetrar rocchio dello Scienze ma della cai realtà nessuno che abbia mente sana potrà dubitare; cotesta impresa, diciamo, non è né impossibile nò puerile, altro che per gli animi volgari, incuranti e stupidi. La relatività nel conoscere non ò muro di bronzo; non è oceano assolutamente sconftnato. Il conoscere metafìsico è possibile; ma ò possibile come aesolato e come relativo insiememente. È a«eolutOf nel senso che salva il pensiero dal nullismo metafìsico; ed è relativoj nel senso che non istringe la mente entro la rigida catena d* una formola sistematica. Se intanto ò vero, come dice Spencer, che tra V Inconoscibile delle religioni e V Inconoscibile delle scienze non esiste antagonismOy no viene che, fra gli altri fini, la speculazione metafisica debba pre» figgersi anche questo: trasformare la fede, interpretar la credenza, porre a nodo il germe delFidea che pure si s voi ve attraverso le produzioni mitiche, superare il sentimento riducendo l'immaginazione a ragione secondochò richiede il processo psicologico, e siffattamente porgere guarentigie sperimentali all'inveramento della scienza mercè le applicazioni storiche in generale. In questa rapida critica su la tendenza metafisica del Positivismo non abbiamo tenuto conto dell' Umanismo di FRANCHI, e del suo Dio ddV Umanità che nega il Dio detta Bibbia {Razionalismo del popolo, Ginevra), e neanche del Fatto della vita, àeW Istinto ài cui parla FERRARI {Filosofia della Hivol.), perchè non ci paion concetti scrii, né degni di critica seria. Quando s' è detto che il Dio Umanità^ che la Vita della storia con tutte le sue leggi non sono che due fatti i quali perciò abbisognan d'una spiegazione, s'è detto tutto. Ora a cotesta qualsiasi spiegazione non sanno e non vogliono accostarsi questi due arditissimi scrittori per paura della metafisica; e però non sono positivisti, L' uno è critico, non Criticista, com' egli pretenderebbe giacOr bene, la filosofia positiva, la speculazione razionalmente positiva, accetta, deve accettar l' una e V altra posizione de' Positivisti inglesi e francesi, perchè ci rappresentano entrambe uno sforzo di metafisica, perchè sono entrambe un preludio alla metafisica. Se non che esse sono una metafisica incosciente, una metafisica negativa, perchè sentono ma non soddisfano l'esigenza speculativa. Come dunque soddisfare all'esigenza davvero positiva nella speculazione trascendente? Evidentemente bisognerà appagarla superando il negativo, superando quel sazievole non so, quel non mi preme sapere quel non si può sapere che ad ogn' istante e con incredibile noia ci ripetono i Positivisti, ma nel medesimo tempo restare nel positivo. E qual è il positivo in metafisica? Lo dicemmo già, e lo ripetiamo: schivare gli estremi; perocché il nemico mortale della positività metafisica son le colonne d'Ercole del tutto sapere, e del nulla sapere metafisico. Se quindi la vera filosofia positiva ha da accettare quel che il Positivismo ci dà e nel medesimo tempo superarlo in forza dello stesso metodo positivo, deve accogliere l' esistenza che il crìticista, il vero Kantiano affinchè sia tale, dehb' esser tutto d*un pezzo, dero accettare anche i sommi pronunziati della Ragion Pratica, Ausonio dunque è un puro critico, un critico sottile, è il doctor mbtilissimwi de* dì nostri, abile scaltri mai a trovare il pel neir uovo neMibri altrui, ma non così nel dare una dottrina, una teorica propria, fosse pur la teorica del giudizio. FERRARI invece è scettico sistematico meravig^lioso nell’accatastare erudizione come nel distrugger sistemi, ma nullista in metafisica al pari d’Ausonio. Costoro perciò son fuori d’ogni forma di platonismo e d'ogni forma d'Aristotelismo; e se ne vantano; e se ne gloriano: e si sortano pure! Ma non sono fuori della storia, chi sappia che cosa voglia dire storia della scienza e della filosofia. FRANCHI e FERRARI hanno esercitato fra noi quella funzione, parte benefica e parte malefica, che viene esercitando lo scetticismo in certi dati periodi storici; funzione al tutto negativa, ma necessaria. Ma la storia dovrebbe insegnar loro due cose: che il l)Ì80gno speculativo è uu gran fatto, e che la possibiltà d' una metafisica positiva non è un sogno. A questi critici e scettici, di cui fra noi oggi non è penuria, opponiamo un dilemma invincibile do) BERTINI su la possibilità di rintracciare un principio metafisico. (Ved. La\ FU, Greca prima di Socrate, esposiz, storicocritica) d' un* ignota realtà in quanto è Potenza e virtù dell' universo, ma legittimarla. Così il metodo positivo, assumendo valor critico e razionale, non più sarà l'esagerazione d'uno de' due estremi indirizzi dell'Aristotelismo, ne contraddirà'altrimenti alla sua posizione media, anzi varrà a confermarla, ad inverarla, ad esplicarla sempre più.* L'opposto indirizzo del Neoaristotelismo dicemmo esser THegelianismo. L'Hegeliano si oppone al Neoplatonico, perchè non accetta veruna sorta d' immediatezza nel conoscere metafisico. Si oppone al Positivista e ad ogni maniera d' empirismo, perchè non può accoglier la nozione d' un assoluto portoci dalla coscienza volgare, empirica o dommatica ch'ella sia. Qui egli ha pienamente ragione. Ma qual è la sua via? Qual è il suo metodo? Dov'egli mira? L'abbiamo detto: l'Hegeliano riconosce l' assoluto, ma lo riconosce ponendolo, facendolo;e lo legittima per necessità tutta dialettica. Lo pone e lo fa non perchè ci è, anzi perchè ci ha da essere; e per ciò nessuno potrà dire eh' e' ci sia prima che il pensiero s'accinga a farlo. Di qui una conclusione singolarissima: Tutto ciò che esiste, è anteriore a quello per cui virtù solamente egU è possibile e reale! Ma non anticipiamo. Che cos' è dunque l'assoluto per i neoaristotelici iperpsicologisti? Là risposta non è sì facile per noi quant' avrebbe da essere per loro. L' Assoluto è il Tutto: è l' assoluta e immanente relazione: è la relazione della relazione: lo Spirito. E così pure ?a in forno T affermazione del Littbì: c qui e»t mitapKyne»«n, iCe»tpa9 po9ÌiivÌ9U; qui ett positiwtefn'ett pa$ métaphyiieien (Princip, de Phil. Ponit. par A. Comte, Préf. d^un ditdple) Noa senza ragione un nostro acutissimo hegeliano (Dr Mris, Dopo la r^aureOf voi. I.) chiama Hegel V ArÌ9ioule moderno. Ma qual ò proprio V Aristotole rappresentato dal filosofo di Stoccarda V Ecco il punto! U nostro valoroso e carissimo professore, questo Oariholdi deW Hegdianimno come altrove r abbiamo chiamato, non ammette che un solo Aristotele, il suo Aristotele! 'L'assoluto, dice un fodol ripetitore di Hegel, non è questo o quello, r identità o la differenza, ma il tutto nella differenza e neil' unità tua, E il conoscere assoluto poi sta nel porre i termini, nel mostrar Sennonché, in cotest' assoluta relazione, in cotesto centro eh' è anche circonferenza, è pur d'uopo cominciare. Da qual parte rifarci? Qual è il Primo? Eccoci nel cuore dell' Hegelianismo: nella più alta e nascosa fortezza dove già da un pezzo la breccia è stata ajiertaper opera degli stessi tedeschi, massime dal Trendelenburg. All'assoluto, essi dicono, si perviene solo per medicunone. Ma» cotesto lavoro di mediazione, come s'inaugura e perchè? A siffatto processo va innanzi un momento d' assóltUa e subitanea astrazione} Col subitaneo astrarre il puro pensiero pone. Che cosa? Pone Vinse, l'Essere, o meglio l'Indeterminato. L'indeterminato non è soggetto né oggetto; non è pensante né pensato: ma è qualcosa oltre cui non si può andare, e senza cui nulla non sarà mai possibile, e mercè cui tutto sarà attuabile: l' idea assoluta, l' etema nozione {der ewige Begriff.y Ecco Vàbsólute Prius, il Vero primo, e però il vero Fatto.* La prima osservazione che qui sorge spontanea è la seguente. Cotesto Indeterminato è cosiffatto, che non si può nemmanco pensare: perocché ove accanto a lui fosse come s* oppongano fra loro, e come e perchè, opposti, si concilino. (Vkba, Introd, alla Log. di ffegel). ~ 1/ assoluto, dico un altro Hegeliano, non è Tldea, non la Natura, non lo Spirito, ma è VldeaNatura-t^rito; la rdoMÌone dtlla relaztotie; VindifferenMa differenxiata indifferentemente (Spaventa, Le», di FU.) Il vero abeolute Priue è 1* attività, il pensiero, lo spirito: non TEnte che come puro essere è PremppoHo cominciamento; ma il Ponente, vero Principio, che ò lo Spirito. FiL. di GIOBERTI. SPAVENTA ne chiarisce il pensiero cosi: Io mi levo aU^eeeere per una riaoluMtone immediata f per un'auoluta a$trazione. {Le Categ. della Log, di ffegd). Hrgbl, Log, voi. I, Jntrod. L* Indeterminato per SPAVENTA è il È proprio uno scherzo, un indovinello da algebristi ! Dunque, mi si chiederà, nel ^an sistema è egli ripudiato V elemento della differenza? Tutt* altro. 611 Hegeliani anzi in ogni lor libro, in ciascuna lor pagina s* affannano a mostrare e giustificar co* fatti cotesta legge tanto necessaria air organamento della dialettica. Ma quanto i Gesuiti non s’arrapinano anch^essi a parlarci di libertà di pensiero e di coscienza? K pure chi non sa come la libertà vera per costoro sia la schiavitù al Sillabo e al Domma, per cui la ragione è libera solo in quanto è assorbita dalla fede? Tal si è il diverso per gli Hegeliani: un fuor d* opera. E* ne parlan sempre, ma alla fin delle fini poi si trovano ingoiati nelr identico. L'alterità che scorge Hegel nel suo pensierpuro è (ripeto la sua frase) ineffabile e assolviamente vuota. Or una differenza assolutamente vuota non è forse indifferenza, cioè non differenza, identità, vuotaggine addirittura? E dato ci sia cotesta differenza, sarà ella di natura metafisica, o non piuttosto logica? E una differenza non metafisica, domanderò, sarà ella vera differenza o non più veramente semplice distinzione? Ecco la ragione per cui l'Idealismo assoluto non può riescire a dimostrare l'oggettività della conoscenza, e salvarsi dal pretto formalismo ond' è tutto magagnato. Che se poi la gran pretensione sta nel volerci dare la scienza assoluta, e 'sarebbe d'uopo, ripeto, che la logica, proprio come logica, fosse la metafisica; talché col far l'una si farebbe anche l' altra, e così potrebb' esser risoluto l' arduo problema dell' oggettività. Invece il più valoroso de’nostri Hegeliani come rispond'egli a questo proposito? Se n'esce pel rotto della cuffia dicendo. Tale oggettività non d un problema logico: la logica ami la presuppone, (SPAVENTA) La presuppone? Mi par di sognare! Se dunque è così, la conseguenza chiara come il sole, almeno per noi imbarbogiti sempre più nella vecchia logica aristotelica, sarà questa: che la logica, grande o piccola che sia, subbiettiva od obbiettiva che si voglia, non sarà e mai non potrà esser quella che ci si vuol dare ad intendere, la chiave, cioè, del grand' edlfizio, il fondamento a priori dell'enciclopedia, la vera metafisica del conoscere. Nò qui vale invocar la Fenomenologia qual propedeutica atta a dimostrare 1’oggettività, come fa' lo stesso Spaventa. Cotesta invocazione anzi è una ragione di più per dichiarar la logica degli hegeliani una tela di ragno. Perchè se la Fenomonalogia ha da esser la propedeutica necessaria della Logica, il processo a priori e assoluto nel costruire la scienza diventerà una parola [LIB. H. della nuova loj^ica, s' è provato a schiacciarlo. Ci è riescito? Un vizio magagna tutta la logica hegeliana, dice anch' egli; ed è vizio d'origine, in quanto che pone radice nelle viscere stesse del momento astratto, e propriamente nel concetto dell'Indeterminato. L'Indeterminato è un equivalente comune dell' Essere e del Non-essere, dell'Idea e del pensiero, dell'astratto e dell'ASTRAENTE. Di fatto, che cosa mai sono cotesto Essere e cotesto Non-essere? Ei son cosa indeterminata; ma non sono lo stesso Indeterminato. Se fossero, la difiFerenza tornerebbe davvero impossibile (difetto radicale dell'Idealismo obbiettivo dello Schelling), perchè avrebbe a sgorgare dall'identità. Che se non fossero la stessa cosa, tornerebbe impossibile il contrario, cioè l'identità. Essere e Non-essere, dunque, sono un medesimo, è vero, ma solo in quanto indeterminati, non già in quanto indifferenti. Essere e Nulla sono lo stesso, ma non come essere e Nulla. Una prima osservazione potrebb' esser questa. Se tra r Essere e'1 Nulla havvi identità e diiferenza; idenYuota di senso, an a priori che non è a priori, e perciò un* ironia, come dlcovamo poco fa. Ancora: se la Logica in cotesto processo a priori ha da pretuppoire la Fenomenologia, ne segrue che l’una di queste due scienze non potrà essere altro che imitazione, ripetizione, copia, copia anche ridotta al grado supremo di trasparenza ideale, ma sempre copia deir altra; e quindi s'intoppa nella solita conseguenza, che cioè la conge?natura dialettica hegeliana, anziché una metafisica, sarà un pretto formalismo, un assoluto soggettivismo. Che se la Logica prewpponendo necessariamente la Fenomenologia non può non essere altro che una copia trasparentissima di questa, non sappiamo dir davvero che cosa gli Hegeliani avranno da opporre al metodo di certi Teologisti i quali pigliano a discorrere della natura di Dio appoggriandosi nelle leggi psicologiche, ricopiandole, ripetendole e trasportando così la psicologia nella teologia. Del resto, sul significato e sul fine e sul valore della Fenomenitlogiat i seguaci di Hegel, com*è noto, navigano pur troppo in opposte correnti neir interpretar la mente del maestro. È d' nopo dunque che innanzi tutto e s’accordino fra loro e ci sappian dire se la Logica sia davvero la scienza madre, la scienza davvero o priori, ovvero abbia da presupporre qualcos'altro dinanzi a sé. In entrambe i casi le difficoltà saranno insormontabili. * Spatbmta, Le prime Categ, ecc. loc. cit. tità perchè entrambi indeterminaéi, e differenza perchè entrambi indifferenti; io domando: cotesto indifferente non è già di per sé stesso un indeterminato, cioè non differente, cioè non determinato? Dìinqne Isl differenza di cotesto indifferente è una parola com' un' altra; un pio desiderio: perocché, ripetiamolo, se l'indifferente è irrélativo, sarà per sé stesso irrazionale, sarà il nulla, sarà il nulla addirittura: quel nulla che, come dice il Vico, non può cominciar nulla, e nulla terminare: vuotaggine, e voragginel Ora piuttosto che dirlo un absclide Prius cotesto Indeterminato, non vuol esser anzi ritenuto come un vero capui mortuum, incapace a costituir la scienza perchè incapace a far cominciare il pensiero?" Sennonché il Professore di Napoli, nel corregger V Hegelianismo, par che voglia uccidere il verme velenoso procacciando mostrare che il diverso ponga radice nel Nulla, ma nel Nulla inteso non già com' essere purissimo, astrattissimo, scioperato, bensì come astraente, come NuHa-pensiero il quale, perciò, non cessa né può cessare d' esser pensiero. Or bene, l' illustre uomo così non risolve, ma sposta la grave difficoltà del Trendelenburg. Egli riesce a mettere un po'di calcina alla breccia, è vero; ma senz'addarsene poi n' apre un' altra non meno fatale della prima, perché l' intrusione del diverso è sempre lì duro a chiedergli ragione di sé. Infatti, s'egli considera l'Essere come un in sé, e considera come un in se anch' il Non-essere; non v' è nessuna ragione al mondo perchè non abbia da riguardare anche come un in se il connubio de' due termini. Intanto che cosa fa il dotto filosofo ? Giusto nel momento che s' hann' a decider le sorti della logica obbiettiva, giusto nell' istante supremo RÌ9p, al Oiom, de* Leti., T, IL. Si dirà: è indeterminato anche il vostro intelli^bile, la {«ce metafisica del vostro filosofo. Verissimo, io rispondo: ma tra il nostro indeterminato e quello degli Hegeliani corre tanto divario, quanto fra un oggetto posto da natura, e quello colto d'oMatto; fra T oggetto originario intuito, e r oggetto afferrato por risoluzione astrattiva. Veggasi quel che s*ò discorso nella sezione in cui la logica dee poter rivestire natura e valore di metafisica, egli cangia bruscamente posizione, e invoca il pensiero, invoca 1' astraente, invoca l’astrazione, e cosi dileguatasi a un tratto V obbiettività, ci fa divagare nel mondo delle pure forme, ed eccoci di bel nuovo ricacciati e ravviluppati per entro alle fitte maglie della tela di ragno! Dunque (mi si chiederà) a voler penetrare sul serio nel regno metafisico, nel mondo delle Menti e di Dio con metodo razionalmente positivo, chg cosa è da fare? Il da fare è manifesto: bisognerà che il connubio de' due termini, cioè il divenire, sia quel medesimo che sono cotesti suoi termini, dal cui annodamento esso dee pullulare. In altre parole, bisogna eh' e' sia da sé, che sia per sé, che sia mediante se. Fa d' uopo, insomma, che r Essere (ripetiamo volentieri la bella frase del Trendelenburg) sia dialettico, ma dialettico davvero, non da burla; dialettico nel verace significato della parola, e quindi atto a moversi da sé medesimo, anche senza il vostro pensare, anche fuori del vostro pensare. Cosi gli Hegeliani potrebbero schivare qualvogliasi intrusione; e così (e solamente così) potrebbero conseguir quella che tanto essi desiderano, la scienza assoluta. Ma questo non ha fatto Hegel; e questo non ha fatto Spaventa benché con tanto acume siasi adoperato a rammendar lo strappo micidiale che con abilità di grande maestro ha saputo operare il dottissimo Trendelenburg nella logica hegeliana. E perciò il sistema delF identità assoluta è, e resterà in perpetuo, come é stato appellato nella stessa Germania, il monismo del pensiero (monismi^ des Gedenkes). Abbiam detto che l' impossibilità di mostrare il principio della difierenza nel regno della logica fa sì che il passaggio al mondo della natura si manifesti arbitrario, illusorio, fallace. L'idea logica, dice VERA, è la Idea cieca, l’Idea senza coscienza né pensiero, la nuda possibilità: in somma é l'Idea, ma non l'Idea dell' Idea. In cotesta imperfezione logica sta proprio la ragione del passaggio alla natura, e quindi la sua legge, e la sua necessità.* Dunque, in altre parole, perchè r inderminato è indeterminato, perciò diventa determinato ; perchè è possibile, perciò diventa reale; perchè è privazione, perciò h posizione. Eccoci alla tt-ostc? aristotelica. Ma dicemmo che la privazione non è negazione, non è vaga e astratta indeterminatezza, non è pretta potenzialità, ma energia, principio positivo, e potenza feconda (to' ^uvarov). Or l’idea dell’Idea di cui parla VERA, è qualcosa d'assolutamente potenziale e d'indeterminato; è una possibilità logica, il to' ev^e^opevov, non già il tò ^uvktov, e quindi, meglio che principio positivo, è negazione d'ogni principio. Come dunque principia e fa principiare? Come passa e fa passare? In-, somma, com'è che diventa?* * Hegel, Log., Introd. n divenirey osserra il medesimo traduttore, compie la a/era ddV E98ere e del Non-esaerey e forma ti passaggio alla sfera ptù concreta dell' Idea, dove per novelle addizioni V Essere e il Non-essere diventanoy o meglio son divenute qualità, quantità, essenza. (Log..) Ma come fatte, da chi Jhtte e perchè fatte coteste novelle addizioni? Data la sfera dell* Essere, del Non-essere e del Divenire, si passa tosto e necessariamente alla sfera concreta del medesimo e del diverso... Ma come si passa? Chi vi dà il diritto d'affermare cotal passaggio? Torniamo a domandarlo: siamo qui fra* contraddittori, ovvero fra* contrari? Siamo fra nn termine posto ed un altro opposto, o non più veramente fra il puro pensiero e il soggetto determinatissimo e vivente che dicesì naturai Per quanto si faccia, la sola relazione logica e la sola necessità logica torneran sempre inefficaci, e però Hegel (secondo la severa critica dello Stahl) non giunge mai ad un mondo reale. Egli passa dal puro pensiero alla Natura perchè? Perchè l'uno dee negare sé stesso ponendo l'altro, l' opposto. Ora il carattere dell'opposto, della Natura, non è la realtà, la sostanzialità, la causalità (attribuiti già allo stesso pensiero puro), ma è la negazione dell'essere sostanziale, reale, causale. Che cosa dunque rimane alla Natura? La semplice determinazione del tempo e dello spazio (Ved. Enciclop). Or per qual ragione si dovrà ammettere che questa natura estesa e temporanea debba esistere attualmente, che, cioè, sia reale e non semplicemente pensata come estesa e temporanea, socondochè ci accade ne' sogni? L'opposto del pensiero puro è la Natura solo come temporanea ed estesa: ma per aver 1' opposizione forse che non basta pensarla come tale? L^ Idealismo oggettivo di Hegel (conclude lo Stahl) non è meno di quello soggettivo di Fichte un puro mondo di sogni: Tunica differenza ì che vi manca ehi sogna, » {FU. del Diritto. A. quest' ultimo e severo giudizio dello Stahl ci piace qui aggiungere quello d' un altro Parlando dell'Idealismo assoluto non possiamo dispensarci dall' accennar poche cose, quant' occorre al nostro proposito, sul suo organamento generale, e su le sue relazioni storiche col Platonismo e con V Aristotelismo in generale. Gli Hegeliani riconoscono che il mondo si svolge per una legge interna anziché per un caso o per necessità ineluttabile e geometrica, come pensano gli Spinozisti ne' tempi moderni, e come pensavano gli Epicurei in antico. L' Hegelianismo racchiude una grande idea; l'idea del processo, che vuol dh-e d'un fine da conseguire con pienezza di coscienza, di libertà, di razionalità. L'Idealismo assoluto, quindi, anziché cieco meccanismo e fatalismo ineluttabile, parrebbe un essenziale e profondo e universale dinamismo. Ma eccoci al punto 1 Al di là della natura, ci si dice, è l' Idea che per ogni conto è indeterminata e potenziale: al di qua poi ci é lo Spirito, eh' é l' Idea dell' Idea. Ora abbiam visto come la Natura non si possa movere per l' Idea, perchè ninno potrà mai dare quel che non possiede. Tanto meno poi si potrà movere per lo Spirito, perchè lo Spirito vien posteriore alla natura, e le si sovrappone. Ck)me dunque movesi cotesta Natura? Per necessità logica. E quale è il fine, quale il motivo ond'é spinta, eccitata, illuminata? La razionalità. Or non è ella cotesta una forma di fatalismo cieco e geometrico che, quant' a' risultati, non si divaria né pur d'un apice dallo Spinozismo? Qual differenaotoreTole scrittore su* difetti sostanziali deiridealismo assoluto. « Non 9% pud leggere Hegel tenxa chieder9Ì ei ragioni ttd terio. Spesso cade ntl fatalismo y nella personificazione, e, leggendolo, par d’assistere alla /ormatone d’una mitologia, alla genesi di un mondo che somiglia qtuilo degli Gnostici, in cui avviene che le idee piglino corpo, marcino^ e subiscano le piti svariate vicende. (SoBRRERt M^langes rf* Histoire religieuse). A proposito della Logica hegeliana poi ci sembra notevole questa sent-enza d*ano che se ne intende, e che per il solito è temperatissimo ne’suoi giudizi: Higd n’a pas renouveU la seience, comme Venthow situme de ses disciples Va parfois prodanU; il Va dénatwée, malgri les avertissements de Kant, et en la faisant la premiare des seiences, ou pour mieux dire la seuU scienoe, U Va tuée, (I. Babthìlkmt Saikt-Hilaibie Logique d^Arisiote, GL, Pré&ce.) za, infatti, fra la necessità dialettica e la necessità matematica, fra lo Stoico l’ Epicureo lo Spinoziano e l’Idealista assoluto fuorché la coscienza, in quest' ultimo, della razionalità, eh' è dir la coscienza e la trasparente visione di cotesta superiore, arcana, invincibile, ineluttabile necessità?^ Quanto poi alle sue relazioni storiche, notammo già come r Hegelianismo distinguasi da ogni altro sistema per la«pretensione di volerli tutti accordare e tutti compiere e tutti inverare. E poiché guardando al modo generale onde si suol determinare il fondamento assoluto delle cose, tutte quante le soluzioni metafisiche possono esser rimenate ai due indirizzi del Platonismo e deir Aristotelismo, così gV Idealisti assoluti, con la dottrina delia Idea e quindi del metodo dialettico, reputano d'esser finalmente pervenuti ad accordare l'esi[Nò Tale che alcuni fra i più intelligenti Hegeliani^ stimando dMnterpretar meglio la mente del maestro, riguardino i tre momenti del processo assoluto, nonché i tre termini del gran sillogismo, come in un sol momeìUo^ cioè nella loro immanenza, nell'attuale ed assoluta relazione, vomire nella immanenza àeWIdea della Natura e dello Spirito dandoci così a credere che cotesta non è altrimenti la metafisica della Idea immobile e irrigidita, e neanche della Mente, e tanto meno poi dell* Ente, ma si la metafisica Tera perchè metafisica dello spirito. Con l’aggiugnere al concetto del processo e del reale divenire quello dell’immanenza, panni che le difficoltà, anziché scemare, crescano. Fra que*tre momenti e que*tre termini, infatti, una relazione caueale è ineyitabile, essendo verità troppo antica ed altrettanto irrepugnabile, che la catua ì per la tua e$9enta avanti V effetto (Twv yàp fiéd^v^ wv coriv l5« xt etrj^oirov xae' o/BOTfjOov, ocva^xacov givat tÒ zrpórspoy airtov t«5v /xct' auro. Arist., Metapk.). E questo principio rlbadiscon oggi per Tia sperimentale tutte le scienze naturali e fisiche, mostrando ad evidenza come la natura fisica, nello svolgimento cosmico, preceda alla comparsa del regno vegetale, il vegetale (secondo alcuni) all'animale, e air animale rumano. Come dunque persistere a farci erodere aW immanenza del ternario f Come scaldarsi tanto per darci ad intendere che V Idea i insieme Natura e Spirito e che la Natura è insieme Idea e Spirito f È metafisica positiva cotesta? o non più veramente un abuso di logica nonché un'ingiuria ai pronunziati più sicuri della moderna scienza di natura? L'opposizione più salda, più seria, più invitta all' Idealismo assoluto la fanno oggi le discipline sperimentali. R pure gli Hegeliani non se ne accorgono! Felicissimi loro! genza metafisica dell' uno, con quella dell'altro sistema. Or è in questo preteso accordo eh' ei si palesano iper-psicologisti per doppio rispetto. Osservammo come uno de' massimi concetti dell' Aristotelismo sia quello del moto; fondamento e sintesi di tutte le categorie, ou xoivóv. Metaph. TóSe yy.p rt tÒ f^soóiievov >? Si xcvyjaiC} ov. Phys,, * Twv a^à^ffwv Z"» e) xévvjo'cc); oX>) ^%p ri zapi fVT£(ai (TXSìpi? ÒLV^p7)T0Lt. Melaph.y ' Tal è, per esempio, il ciottissimo Felice Raraisson, il quale, segnatamente nel 2** yolame dell* opera che noi più Tolte abbiamo citato, si mostra critico assai poco benigno verso le teoriche platoniche nel porre a riscontro la Dùdettiea e la Metajitùsa, E di questo difetto è stato giustamente ripreso dagli stessi francesi fra* quali Janet. {ÉhuL tur la DialecHque dant Platon et dans Hegel, Paris) come nota lo Zeller, che le idee abbiano da esser lo stesso che i sensibili; onde poi la conseguenza su l'inutilità di ciò che Aristotele chiama sensibili etemi, la facilità di rilevare T assurdo delle essente separate,^ il rimprovero su la necessaria vacuità degli eterni parodigmi, e la irrisa e, certo, ridevole mitologia delle idee come reminiscenze d' un' altra vita.* Ora il Platonismo espostoci da Aristotele arieggia, per più rispetti, al sistema dell' assoluta identità: di guisa che ov' altri desiderasse elementi per una severa confutazione della dottrina hegeliana, dovrebbe intendere Platone così come lo intese il suo celebre discepolo e come lo stesso Platone si rivela talvolta nel Parmenide e nel Sofista, e saperne quindi ritrarre gli assurdi. Anche nel Platonismo passato per la trafila dello Stagirita si può dire esser la logica quella che crea il mondo, essendo la nozione, il generale, Punita indeterminata che pone il multiplo. Fra il finito e l'tw/ìnito, fra l' Ente ed il Non-ente, fra 1' Uno e V Altro (rauToi, 5dÌ7spoy) nou ci ha chc uu rapporto di natura logica; sia che si parli di fx^juviacc, sia che di fisOf^ic, ovvero d'una relazione intima ed essenziale emergente "Ere Sol^iisv av aSiivarov ywpc'c stvae tìj'v ouT^av xai OH VI o\J7iOL' wt7« ctw; «y ac cosai ovacat t»v apxyfAOiTta'» oZdOLi X^P**"^ suv. Metaph, Quanto al vaJore della critica Aristotelica cons. lo Zbllkb {Eapo•inone arittotelica ecc.). Vedi anche Tbendblbkbubq come intende i n^ùròc àpt^fAoi {PleUonU de idei» et numerie doetrina ex Ariet. iUtutrata, Lipzia, Stillbaum, Prolog, in Parmenide di VELIA, ove tocca dell* esposizione aristotelica. !. Simon, Étnd. tur la Théodieée de Platon et cT Artet, Cuosiir, note al Tim. dorè Platone è difeso dall* accusa riguardante la causa finale. Jacqitks, Thior. dee Idée* réfutiee par Ariet, Lkvbano, De la Critique et Ice Idéee Platonicienne» par Ariat. au premier liv. de la Métaph. Lrclf.bc, Penniee de Platon preceduti da una Hist. abrégie du plaumieme, Oggimai dunque le interpretazioni e la difesa in favore di Platone sono tante e così evidenti, che la crìtica aristotelica è ridotta ai suoi legittimi confini. Molte obbiezioni Aristotele andò cercando col lumicino; ma alcune reggono e reggeranno contro ogni forma di Platonismo come altrove toccammo, e come vedremo meglio nel prossimo capitolo. dalla natura stessa delle idee secondochè appare nel Parmenide di VELIA. Non è questo il luogo per dire qual possa essere il significato sincero di questo celebre dialogo e quale il metodo più acconcio onde vuol essere interpretata la mente di Platone. Ripetiamo che per lo Stagirita, come per alcuni critici francesi, sembra che il filosofo Ateniese rimonti all' assoluto mercè gli artifizi dell' astrazione, dispogliando le cose de' lor caratteri individuali, risalendo gradatamente a' rispettivi prototipi, e giugnendo così al minimo della realtà, cioè al generale che per sé stesso è cosa indeterminata e vuota.*Ora, dare al Platonismo cotesto valore tornava comodo al discepolo per meglio combattere il maestro; ed era altresì naturale, atteso che il metodo adoperato da Aristotele, anziché iperpsicologico ed astratto, come dicevamo, si palesa essenzialmente psicologico, sperimentale, induttivo nell'ampio significato di questa parola, per cui la sua metafisica riesciva al massimo delle realtà eh' è l'Atto puro. Così ciò che per questi interpreti è il minimum pel malinteso Platonismo, è il maximum pel beninteso Aristotelismo. Questo fa oggi l'idealismo assoluto, ma il fa con quella ricchezza d'espedienti, come giustamente osserva r illustre traduttore di Hegel, e con quella possente vena di speculazione, che sanno dar venti e più secoli di storia e di profonda attività filosofica. L' Hegeliano condanna il metodo aristotelico, lo dice empirico, e si studia invece di seguire e compiere il metodo dialettico dell'autore del Parm^enide; ma nel fatto non fa che perpetuare la vuota posizione del Sofista in quanto che col TÒ ov di questo dialogo, che è precisamente il suo Indeterminato, e' si riman sempre nelle secche della logica. Rayaisson. Vera, V Hegelianifime tt la PhUoBopkie. Ma è poi davvero Y Indeterminato la posizione del Sofista? È egli tale forse r«»«er« che ì realmente e aaeolvUamejUe : rw travre^wc ovt«? {Soph.) L'Idealista assoluto non riesce al minimum platonico, è vero: ma comincia dal minimum dell'essere, perchè salendo di slancio, come dicemmo, air Indeterminato, coglie immediatamente (es egreift) l'In -sé {dans ansich) che è Nulla ed Essere, e poi con metodo dialettico e generativo egli viene sgomitolando, a così dire, ogni cosa con ritmo costante, immutabile, invincibile, matematico, monotono, per indi riuscire al medesimo punto onde era mosso per l' innanzi. E con ciò pensa d'aver conseguito il vantato accordo fra l’Aristotelismo e il Platonismo, mentre in realtà ad altro non riesce che ad una forzata compenetrazione e meschianza del melenso e indiscerniljile tò cv con quel Noùc immobile, solitario e tutto chiuso entro sé stesso di cui Aristotele parla nel XII libro della Metafisica. L'Hegeliano quindi é iperpsicologista per doppio conto. Egli incarna, esplica logicamente e compie mirabilmente uno de' due indirizzi estremi dell' Aristotelismo, e insieme interpreta il Platonismo con una critica che somiglia non poco a quella d' Aristotile. Concludiamo. Abbiam visto come la forma di mediazione onde i Positivisti mostrano d'aver coscienza dell' Assoluto sia contraddittoria. Essi protestano di non saper nulla, di non poter nulla sapere di metafisico; ma nel fatto confessano un nescio quid, la realtà d' un obbietto trascendente. Lo confessano in maniera empirica, e si contraddicono anche qui, perché, dichiai'andolo Inconoscibile, negano così l' esigenza più vivace della ricerca, negano il metodo positivo, negano la critica severa e feconda. Positivisti, Critici, Scettici o com’altrimenti si chiamino cotesti filosofi déW avvenire, non hanno e non vogliono aver fede nell' indagine d' un sapere metafisico. Essi dunque condannano sé medesimi, il proprio metodo, la ragione e la storia della scienza, poiché non fanno che perpetuare un aristotelismo fiacco, empirico, unilaterale, impotente, negativo. Ad un opposto resultato riesce il neoaristotelico iperpsicolggista. L'idealista asBolnto dice di conoscer l'Assoluto, d'intenderlo nel senso più stretto di questa parola, perchè lo fa solo in pensandolo, e ripensandolo il rende a sé stesso trasparente. Chi conosce Bram è già Bram, dice il filosofo indiano. Chi giugne a pensar Dio, l'infinito, ci dicon gl'Hegeliani, egli è già Dio, è già l'infinito. Ma il modo con che pervengono a pensarlo, il processo di mediazione, non è processo, non procede, non cammina, ma sé in sé rigira, direbbe l'ALIGHIERI, poiché riman sempre nel mondo del più puro pensiero, del subbiettivismo, in quel letto di Procuste appellato formalismo logico, come dell' Hegelianismo dice un illustre scrittore vivente di Germania.' Cotesto processo quindi é una mediazione bugiarda, perchè non é vera e legittima conversione. Quell'ombra, dunque, di dottrina metafisica, quel vano conato di conoscenza trascendente che ci porgono i Positivisti col confessare la realtà d'unDews absconditus ci rappresenta una delle forme costituenti la prima |)0sùnone speculativa; la quale perciò, chi guardi alla legge istorica aristotelica secondo cui si svolve il pensiero filosofico, s'addimostra tutt' altro che positivo, in quanto che ci rappresenta l'esagerazione del Dommciismo empirico. La dottrina hegeliana poi neir attingere a modo suo l' Assoluto e nel determinarlo, ci rappresenta invece la seconda posizione speculativa, ed è l'esagerazione del processo deduttivo, in quanto é dommatismo sistematico assoluto; e neanche questo merita nome di positivo. I Neoaristetelici moderni, dunque, sia che per necessità di sentimento e d' opinione e d'istinto pongano l' Inconoscibile, sia che a furia di speculazione trascendentale pongano l'Indeterminato come un absdute Prius, partono dall'ignoto; partono dall' impensabile. Essi movono dal buio, o riescono al buio: talché rassomigliano a que' filosofi di cui parla Aristotele, i quali fanno nascer tutte cose dalla notte: ol * CoLEBBOOKE, PhiL dea HindotUf Ess. II. Gbbvihub, Hìh, du IHx*Neuviéme SihUe, Paris. fx vuxTo'c 7fvvo3vTic. Perciò i Neoaristotelici, s' appellinQ Hegeliani o Positivisti, meritano, comecché per ragioni diflFerenti, il titolo di filosofi della notte; mentre i Neoplatonici con le vantate visioni, intuizioni, splendori, irradiamenti e influssi divini, ben ci figurano i filosofi del giorno e della luce. Il positivo nel conoscere metafisico non istà nella immediatezza de' Neoplatonici, e neanche nella mediazione de' Neoaristotelici. In che dunque vuol farsi consistere? Re LA RICERCA DELL'ASSOLUTO SECONDO LA RAGION FILOSOFICA POSITIVA, altrove notammo come l’essere s' incarni e sostanzii ne'tre processi, ideale^ naturale, istoricO'Sociologko: e come il Vico, a significare l'indipendenza di ciascuno e insieme la comune legislazione, siasi ben apposto nel chiamarli a Mondo delie Menti e di Dio^ Mondo della Natura^ Mondo dello Spirito. Avvertimmo altresì che le scienze le quali studiano lo spirito in sé stesso indipendentemente dallo svolgimento isterico, si adunan tutte nelle tre discipline fra loro distinte eppur connesse in unico organismo, i cui tre momenti, per così esprimerci, sono il primo psicologico, il primo logico e’1 primo vero metafisico. Ora il processo ideale è la dialettica; la quale volendo essere avvisata sotto doppio rispetto, ideologico e metafisico, è davvero, come l'han sempre designata i Platonici ed i neo platonici, una scala; ma una scala a doppio congegno; una scala ascensiva e discensiva, come direbbero certi viventi critici francesi nell' interpretare il Parmenide di Platone,' In qnanto ascensiva, è ideologia; e V ideologia, se non avesse alcun valore dialettico, altro non sarebbe che una serie di norme logiche e un cumulo di leggi e d'attinenze onninamente formali. Essa dunque rappresenta il processo eduttivo. Questo processo muove dal Primo logico, e riesce al Primo vero metafisico; e vi riesce col mezzo delle idee (ntpi iSé(av) che sono il medio per eccellenza, lo strumento pili acconcio, più legittimo, e perciò la prova razionalmente positiva per potere attinger la notizia dell'Assoluto. In quanto poi la dialettica è discensiva, è metafisica; ed è metafisica perchè, giunti, come accennammo, al sommo della scala, il Primo vero metafisico assume valore di principio metafisico che è anch'egli .processo e conversione con sé e col fuori di sé. In Vico é abbastanza chiara l'esigenza di questo doppio rispetto della dialettica laddove, nella simbolica Dipintura della Scienza Nuova, pone il pensiero e l'essere come formanti un organismo, un sol mondo, il Mondo delle Menti e di Dio. Vedi per es. Jankt, Étude »ur la Dicdectìque ecc., ed. cit. p. Vaoherot, HÌ9t. critique de VÉcole (TAlex.^ NoCTRlsSOir, Expo8Ìtion de la Théorie pUUonieienne de$ idée», PftHs, Simon, HìH. de VÉcole d'Alex. Perchè le idee tornino fruttuose han d' avere un valore dialettico. Cons. a questo proposito Plat., De Rep., Sop}i.\ Abist., Metaph., Proclo, Comm, in Parm. Il metodo dialettico beninteso risale, secondochò notammo, a Socrate, come quegli che trasferi tale parola dagli usi della vita (^ta'kéyt'jBxL^ eonvereare), agli usi della scienza. Però dialettica, nel suo razionale significato, indica la convenione della mente, vuoi con sé medesima, vuoi con altro. Vico intende a meraviglia tale origino istorica, nonché Tapplicazione speculativa alla scienza, laddove afferma: V ordine delle umane cote i d* ouervare le cote SIMILI, prima per ISPIROASSI, dipoi per provabr; e ciò prima con V ESKMPLO che ti contenta d* una coea^ finalmente con V INDUZIONE che ne ha hi' eogno di piò: onde Socrate, padre di tutte le eitte de*filo9ofi, introdueee la Dialettica con l’Induzione che poi compiè Aristotele col eillogiemo eJte rum regge senza un universale, {Se, Nuo.) Veggasi quel che abbiamo discorso quant* al metodo. Ricordiamoci che per noi la metafisica non ò sdema aeedlmUi, bensì Il nodo gordiano della filosofia, e però la chiave della metafisica, son le idee. Se il lettore ha badato al processo e alla genesi psicologica che assai fuggevolmente venimmo tratteggiando, avrà potuto indurre qual sia e qual debba essere, secondo V esigenza del filosofare positivo, r origine e la natura delle idee. Coteste idee non sono entità puramente formali, né puri concetti dello spirito. Non sono essente sparate, almeno quelle intomo alle quali (come usava dire GALILEI) possiamo discorrer noi umanamente; e però non sono sostanze esteriori, come Aristotele interpreta i napaStiyyiotrx del filosofo Ateniese. Non sono concetti innalzati ad universalita determinata ne^ quali col chiudersi il circolo dell' essere si esauriscano ed assolvano le ragioni delle cose, com' è per gl'Idealisti assoluti. Non sono, a dir proprio, le cose stesse nelle assolute lor qualità. E, finalmente, non sono quasi altrettanti simboli, o spiragli attraverso cui si affaccia al pensiero l'Assoluto. Le idee costituìscono il prodotto del processo psicologico. Elle dunque sono una fattura di nostra mente: son la mente stessa, direbbe Vico, ma la mente in quanto è Magione spiegata. Ecco le idee umane, sul cui svolgimento s'imba&a tutto l'edifizio e tutto il valore della Scienza Nuova.* Mcienxa ddP à»9oIìUo in quanto è Critica del Vero. Però accettiamo anche qui la sentenza che costituisce, diremmo, la chiave dell* indiriuMo medio dell* Aristotelismo. Per Aristotele la Metafisica è «ciennadeU^AatolìUo; e questa scienza dell'Assoluto è anche logica, logica in «2, logica in quanto considera l'essere »n «è, realmente: to' sgw ov xai x^/^'^l^v. {Metaph.): il che consuona con la sentenza di Vico riferita altrove: Quello che è metafiaica in quanto contempla le cote per tutti i generi delV e»aere, lo tteseo è la logica in quanto considera le coee per ttUti i generi di Bignifienrle. Col pensiero d’Aristotele poi rinverga il concetto del suo maestro. Platone, come ò noto, appella filosofi quelli a’ quali ò dato asseguir la notizia di ciò che è costante e assoluto (^cXóaoooc jiasv oc toù àcc xxT« rauToè wc«i»tw; e;^ovTo; 5«và^«ovi SfxnrtfrOxt. Bep.y). A prima giunta parrebbe che nella dottrina delle idee il Vico fosse un filosofo arciplatonico, ma non è. La dialettica platonica, intesa in un certo senso, non può menomamente prescindere, come osserva il Simon, dalla dottrina della reminiscenza: La euppreseion de la remini»cenee en peycologie ut la négation de la dialectique et de la tkéorie de» idée. Ma se le idee sono il moto stesso e lo stesso esultato della energia psichica, e, come tali, chiudono il circolo della natura e dello spirito, non però chiudon sé stesse, anzi dischiudonsi, e col dischiudersi ci mostrano di lor natura un intimo riferimento all' Assoluto. Se r uomo, lo spirito, secondo la nozione del nostro filosofo, non è, a dir proprio, Y infinito attuale e nemmanco r attuale finito, ma una potenzialità infinita, una potenza che tendU ad infinitum, ne seguita che anche, le idee, sue determinazioni, voglion esser fomite del doppio carattere della finità e della infinità, sia che le si considerino nelle intime lor attinenze organiche, sia che nella lor solitaria immanenza. Dunque l'idea è genm, è forma metaphysica, e, come tale, somiglia alla forma del plasticatore, anziché a quella del seme. Ma anche come genere, anche come forma metafisica l' idea è finita e infinita: finita in ampiezza e universalità; infinita in perfezione.' Però tiene del finito, in quanto che un' idea non è l'altra; e tiene poi dell'infinito, perchè è). Or la dottrina psicologica del Vico, secondo che noi siamo Tennti interpretandola, contraddice ad ogni platonica reminiscenza, ad ogni maniera d’intùito iperpsicologico; anzi non mancano luoghi ne^qaali egli condanni questa dottrina. (De Univ.j'ur.) Quanto alla scienza e alla virtù, dice esser cose che hisogna edurle dalla mente e dairanimo come fa T ostetrico (De Coruu PhiL, e. I). Non è poi nniraffatto platonica nò quant’alla natura, né quant’all’origine delle idee, perchè le idre, per lui, non sono gli eterni veri (essenze separate ed esemplatriei)^ ma sono entità che significano l'assoluto in quanto si riferiscono a ]uì [De Univ.). Non sono quindi appreso direttamente, ma fatte. Vedi, per es., quel che dice sul generarsi de* generi e delle forme metafisicke, le quali a nostris pueris primulum bua spontk «xpZtcantur. E ciò non pertanto gli hegeliani V han battezzato o seguitano a battezzarlo per platonico sviscerato ! Neil' altro capitolo vedremo fino a qnal segno e per qual ragione egli possa meritarsi questo titolo. Forma» intelligo metaphysioas (pice a physieis ita diversce sunti « forma plaatm a forma seminis. Plastce mim forma dum ad eam quid fermatur, manet idem et semper formato perfeetlor; forma seminis, dum quotidie se esplicai, demutixtur ae perjicitur magie: ita ut formfn pkysicct sint ex formis metaphysieis formatw {De Antiq.). Vedremo fra poco qual valore abbia quest'ultima sentenza. Genera esse formas, non amplitudine, sed perfezione injìnitas. l'altra e, sotto certo rispetto, tutte le altre. La legge dialettica, dunque, è la stessa legge universale dell' essere; legge di conversione; legge d'alterità e di medesimezza. Sennonché cotesta conversione ideale non è semplice opposizione, e neanche compenetrazione, conciossiachè la ragione dell'un termine non istia solamente nell'altro. Il dialettismo si radica, non già nelle idee come opposte fra loro o come generate, ma, innanzi tutto, nel soggetto che le genera. Un'idea non è universale perchè perfetta, ne perfetta perchè universale. E non è finita perchè infinita, né infinita perchè finita. Questo è l'errore delle dialettiche a priori che, levando a principio l' opposizione per r opposizione, riescono ad un pretto meccanismo ideale. Un' idea è infinita, o finita, principalmente per sé, e anche per l' àUra. Se dunque la lor conversione non è equazione, né semplice opposizione, ne conseguitano due cose: V ch'elle non chiudono il circolo; 2*" eh' esse importano l' ideato nella pienezza di sua realtà. Si vorrà supporre che anche cotesto ideato sia un'idea? un'idea madre? E allora avrà luogo il medesimo discorso, e saremo sempre daccapo. Si vorrà giugnere all'idea dell'essere mercè i soliti lambicchi de' raffinamenti e assottigliamenti astrattivi? E avremo la nuvola, non Giunone! Certo, l' idea dell' essere non è come le altre, finita nell'ampiezza, bensì infinita, universale; ma è vuota, è vacua, né altro è capace di dare fuorché yffi'kÒLi evvoiaf. Ella comprende tutto, ma non racchiude nulla: è un Primo logico, non già un Primo vero metafisico. Dunque vuol esser determinata; stanteché debba cessar d' essere infinita per universalità, e assumer valore d'idea infinita per perfezione. L' ascensione dialettica perciò è incalzata dallo stesso principio della conversione; e la mente deve posare in quell'ideato che, a dir proprio, sia un ideato dialettico, ciò è dire conversione piena, assoluta, vivente, reale. 1 Generi f dice il Vico, aono non per univer»alità, ma per perfezione inJiniH: e questo eeeere U brieve e vero 9en§o del lungo e intricalo F€tnn&' Se r idea è infinita non per ampiegm ma per_perfmone, perciò non va confusa col concetto; al modo nide di Platone; e questo intendimento doverti dare alla famosa Scala ddle Idee onde i Platonici pervengono alle perfeUianime ed eteme (Bisp. I, al Oiom. De’ Lett.). Quanto al brieve e vero senso del Parmenide toccheremo più giù. Dove poi Vico dice: Genera esse formasy non amj^itudinef sed ptr/ectione injinitas^ tosto SOggiugne: et quia injinitas in uno Deo esse. Come va intesa questa sentenza? In quanto le idee possiedon carattere dMnfinità e d* assoluta perfezione, elle sono in Dio; e sono in lui perchè forman tutte assoluta unità, e assoluta totalità: unitotalità. Lo avea detto GALILEI che non era un metafisico: Le idee, perchè inJinitCf sono una sola ndV essenza loro e nella mente divina (Op., ed. Albóri, Dial. de* Mass. Sist,). Ha in quanto possiedon Tubo e r altro carattere, elle si producono e rìseggon nello spirito, nel pensiero; sono il pensiero; e sono finite e infinite perchè tale è, ripetiamo, la natura stessa dello spirito, cioè potenzialità infinita. Ne viene perciò che, ove le idee fossero infinite in atto, non potrebbero essere altresì finite. E dove fossero solamente finite e puramente universali, sarebbero forme vuote e astratte, e però, contraddicendo air intera dottrina psicologica del nostro filosofo, cadremmo nel pretto sensismo. Or le idee, le nostre idee, non sono infinite e perfette perchè siano lo stesso Dio o pertinenze di Dio, ovvero spiragli ond’ei s’afikccia al pensiero, come dice il Mamiani col suo linguaggio tinto di certo color poetico; ma son tali perchè tale per T appunto è il soggetto che le partorisce; il quale perciò, mediando sé stesso come potenziale infinito, deve per necessità eduttiva concludere alla notizia dell’Assoluto. Di qui nasce che le idee non possono essere infinite di fatto, e ce *1 dice egli stesso: enim vero ista genera nomine tenue infinita, homo enim ncque nikil est, ncque omnia. Quare nee de nihilo nisi per aliquid negatum, neo de infinito, nisi per negata finita cogitare potest. Ai enim omnis triangulus habet angulos cequales duobus rectis. Ita bene: sed non id miìU infinitum verum, sed quia habeo trianguli formam in mentGot imprcssam, cujus hanc nosco proprietatem, et cu mihi est archetypus ceteroruh. Fatta dunque l’idea, tosto in essa io riconosco, non già l’infinito, ma il carattere della infinità: hanc proprietotem nosco. Per questa proprietà essa diventa un archetipo, diventa una misura {archetypus ceterorum); e come archetipo e misura ella, per me, è un assoluto; e così è vero, che Vuom tende a farsi regola deW universo,che vuol dire tende a farsi assoluto. E qui toma acconcio il riconfermare quella relazione che tra le opere di Vico altrove procacciammo chiarire. Nella Scienza Nuova Tuomo è regola e misura in tre maniere, secondo i tre momenti dello svolgimento isterico; 1° nella fase 0 stato divino, per credenza e per sentimento; 2« nella fase eroica, per arbitrio, forza, potere, volere; 3 nella fase umana, per magistero logico e scienziale, cioè per la ragione spiegata,^eT le idee {idee umane). Ecco dunque una prova novella che ci mostra come la Scienza Nuova, anziché contraddire al Libro metafisico, lo esplichi e lo legittimi sempreppiù, al modo istesso che questo riassume le ragioni metafisiche di quella. istesso che l'intendimento, secondochè mostrammo, non è da confondersi con la ragione. Tanto Videa quanto il concetto sono una dualità, perchè T una e l'altro sono conversione, giudizio, e però medesimezza e distinzione. Ma la dualità dell' idea è l' universalità e \2l perfezione; dovechè quella del concetto è l' estensione e la comprensione. Nel concetto come vedemmo, ci è sempre un'orma del fantasma; e nell' idea v' è sempi-e un' orma del concetto^ cioè il comune, l'universale. Or chi dirà che il concetto abbia carattere d'infinità solo perchè sia comune e universale?* Il circolo, a mo' d'esempio, in quanto è universale, è concetto; ma in qijanto racchiude la nota essenziale ond' e' si discerne da ogn' altra nozione, è quello che è; è perfettissimo; è infinito; e così lo pensa Dio come l'uomo. Si vero id contendane etse injinitum gentu (cioè che i tre angoli d*aii triangolo rettilineo siano eguali a due retti, eh' è l'esempio riferitopoco fa dallo stesso Vico), quia ad eum trianguli archettfputn accommodari innumeri trianguli po«8unt, id tibi habeant per me licet; nam vocabulum iÌ9 lubens condono, dum ipti de re mecum eentiant. Sed enim perperam loquuntur, qui decempedam dixerint injinitam, quod omne extenaum ad eam normam metiri poannt, > {De Antiq.) ' Galileo nota stupendamente questo privilegio del pensiero là dove distingue V intendere extensive dair intendere intensivCf confermando così la dottrina di Vico. Vintenèive del filosofo pisano è il perfettamente^ com* egli stesso dichiara. Ora v* ha cognizioni, egli dice, le quali, guardate sotto il rispetto della inteneìtà e della perfezione, agguagliano le di-rine neUa certezza obbiettiva^ perchè con essa arriviamo a comprenderne la nec€99Ìtà sopra la quale non par che posta essere sicurezza maggiore, {Dial. de' Mass. Sist,j) Gli esempi co' quali GALILEI procaccia chiarire tale idea, son tolti dalla matematica; e la matematica, anche per lui, è una fattura della mente; e però la certezza e la necessità ond'ei parla scaturisce immediatamente dalle leggi stesse della psicologia. So che il Neoplatonico neanche qui si darà pace, ed opporrà la solita inTitta necessità di certi yeri che, vada o Tenga il pensiero, sono e saran sempre quello che sono. A questa difficoltà ahhiamo già risposto. Il due e due fan quattro (direbbe un neoplatonico alla Maminni) gli è un vero assoluto e necessario, né io posso pensare il contrario; dunque T*ha in lui qualcosa che non m' appartiene; e però,o è Dio, o è pertinenza di Dio. Nient' affatto! Io non posso pensare il contrario; ed è yerissimo: ma perchè non posso pensarlo? Perchè non posso contraddirmi; ecco la ragione immediata. Il regno della logica non è il regno Or se tale è l’organismo delle idee, è impossibile che il pensiero partorisca e generi un'idea laquale sia infinita così nelF ampiezza come nella perfezione. Se potesse, e' già sarebbe V infinito in atto. Se potesse, egli, col farsi, già sarebbe un fatto. Ma così non si contraddirebbe? Non annullerebbe sé stesso anche qui? La conseguenza, dunque, parmi chiara: il pensiero, questo nostro pensiero con tutto il suo ^contenuto, non possiede l' essere, non è l'essere, non si compenetra con r essere. Questa invincibile manchevolezza d' essere, questa insuperabile impotenza d' essere, come ci si rivela? quand' è che ci si rivela? Precisamente nella stessa impossibilità d'afferrare e fermare il pensiero nell'o/to. Ed è impossibile poter cogliere e fermare quest'atto, appunto perchè lo spirito, pensando, è già un atto, è già faUo (actum). Or se non è atto, non ci ha da esser r atto ? Io penso l'essere; io son l'essere: eppure non sono la realtà dell'essere! Dunque la stessa impossibilità a dedurlo come tale, mi dà il diritto a concluderne la realtà. Il che accade per una ragione detta e ridetta, che, cioè. Essere e Pensiero non sono l' uno in due (come direbbe lo Spaventa), non sono l' identico nel diverso, ma sono il due in wwo, sono piuttosto il diverso nell’identico. E qui ci è dato scorgere sempre più nettamente V errore degl’intuitisti e ie^ mediatisti. Cotestoro, come vedemmo, voglion rintracciare la ragion dell'assoluto e dell' infinito nel pensiero, e ricorrono ad espedienti opposti e contrari. Gli uni ci dicon che la mente colga immediate l’Assoluto; gli altri, che lo faccia. Ora chi dice di vederlo, per me, sogna ad occhi aperti; e senz' addarsene resta impaniato nel panteismo. Chi poi dice di farlo, sogna anche lui e, per di più, diverte la doli* arbitrio. E perchè poi non posso contraddirmi? Giusto perchò lo stesso pensiero è quello die nel due e due fan quattro pone gl’elementi e le condizioni del giudizio: le quali io non potrei negare, senza distruggere il mio stesso pensiero. Se potessi, ne verrebbe che io farei, e non farei: cioè /arci il nulla t gente con indovineUi da algebrista, e finisce per immergersi nel nulla: talché anniillando cotesto assoluto, la sua deduzione riesce davvero ad \m3i bestemmia. Il neoplatonico s' affida ad un intùito; e così esagera l’impotenza in cui è il pensiero d' esser l’essere. Il neo-aristotelico hegeliano, al contrario, s'affida a sé stesso; e così esagera la potenza del suo pensiero adequandolo all' essere. Entrambi dunque deducono; ma l'uno appoggiandosi neh' obbietto intuito, o nell’Ideato presente al pensiero; l’altro,movendo dsàll’indeterminato cólto o posto per astrazione immediata e subitanea. Illusione l' immediatezza dell' uno! illusione e arzigogolo logico la mediatezza dell' al trol Non intùiti, ne posizioni a priori: non immediatezza, né mediatezza, ma conversione, ma processo del pensiero con l'essere. Le idee non sono r Assoluto significativo, l' ente in quanto sigtii/ica, in quanto presenta sé stesso al pensiero:' ma é lo stesso pensiero quello che per sé medesimo é significativo dell'Assoluto, in quanto é Bagione spiegata. Brevemente: se r idea è mezzo, eli' è il pensiero, ma è il pensiero in quanto rappresenta l'Ideato, non già l'Ideato in quanto s' affaccia al pensiero. Or qui si compie nella sua vera forma la funzione eduttiva. Parlando della genesi e classificazione delle varie discipline dicemmo, le scienze eduttive ridursi ad una sola, ed esser la filosofia. La filosofia s' intrinseca con tutte le scienze; e però é anch'olla induttiva e deduttiva la sua parte. Ma anch'essa é autonoma, anch'essa è trascendente, e come tale è di natura eduttiva; poiché non cessando d'alimentarsi de' tesori adunati dalle altre discipline, nondimeno sa e può trovare alimento in sé stessa, e per sua propria virtù. Se le idee infatti hanno lor fondamento in natura, nessuna funzione basterebbe * Hine adeo impiat euriontatit notandi, qui Deum Optimum Maximum a priori probare ttudeiU: nam tantundem ettet, quantum Dei Deum «e /aoere, et Deum negare, quem quixrunt. (Vico, De Antiq.) ROVERE, Lett. al DoU. BrentoMMoUf 424 DILLA DOTTBiNA ulosoiioa. [lib. n. a scioglierle da' viluppi delle sensate apparenze, ove la stessa mente non sapesse pai*torirle. Tra il fantasma e l'idea, tra la forma metafisica e la fisica^ c\ è quel medesimo intervallo esistente fra il senso e la ragione. Or tuttoché le idee pongan radice nella natura e si muovano in questa, nondimeno con lieve soccorso del senso elle possono esser generate dalla mente, poiché a concepir r idea del circolo, o meglio, a fissare il concetto del circolo nella nota che costituisce la sua perfezione e trasformarla in idea o forma metafisica, non v' ha mestieri di prolungati lavori d'astrazioni e di generalizzazioni. La mente perciò nel concepirle fa altrettanti giudizi eduttivi. Il giudizio eduttivo è diverso, così nella forma come nel contenuto, dal giudizio induttivo, e dal deduttivo. Il suo carattere specificante dicemmo radicarsi innanzi tutto nella relazione de' suoi termini, e quindi nell' origine dell' attributo. L' attributo non è dato dal fatto; e però non è sintetico a posteriori. Non è ricavato dal soggetto e applicato al soggetto stesso come parte del suo contenuto; e quindi non è di natura analitica. Non è ripetizione del medesimo soggetto; e quindi non è identico. Il giudizio eduttivo serba in' Se pensare, come altrove mostrammo, è giudicare, e giudicare è un atto di conversione in quanto che convertire è scorger la medesimezza e la differenza ad un tempo; ne viene che il giudizio è la sintesi di due elementi, convertione del vero col fattOf sintesi della medesimezza generica (vero) e della diversità specifica (fatto). Ora guardando alla funzione speciale onde la mente forma concetti e giudizi, ricavammo esser tre i sommi generi a cui essi potranno rimonarsi, e li appellammo induttivi, deduttivi, eduttivi. Questa divisione è essenziale, perchò si fonda principalmente nella differenza del contenuto de’ giudizi, e perchò dà origine alle tre funzioni metodiche. Si fonda dunque su la dottrina della conoscenza e della scienza, e perciò è razionale e cpmpiuta. L'atto del giudicare, Infatti, ò sempre identico nella sua forma logica, poiché è sempre una conversione al pari del concetto ond' emerge; ma differisce nel contenuto, ed ecco r origine delle tre differenze di giudizi. Tutte quelle innumerevoli distinzioni e classi e divisioni e suddivisioni di atti giudicativi fatte da Aristotele sino al Kant e a SERBATI, sono spartizioni secondarie, le quali riguardano l' estensione, la quantità, la relazione, la forma e l'indole de' giudizi; ma riescon tutte incompiute. dole essenzialmente sintetica, e però sgorga dallo stesso pensiero per virtù e necessità eduttiva. Ma qual sorta di sintesi è cotesta? Non è sintesi a priori nel senso de' Neoplatonici, perocché l'obbietto non è dato da nessun intùito o visione trascendentale. Non è sintesi nel senso dell' Idealismo assoluto e del criticismo, perchè r obbietto non è posto per mera legge dialettica, e neanco per non so qual cieca necessità subbiettiva. Il giudizio eduttivo è un vero atto sintetico, un atto sintetico trascendentale per eccellenza perchè l'attributo non è nel soggetto, e nondimeno è posto dal soggetto. Qual è l'oggetto di questa sintesi trascendentale? È appunto ciò che le forme metafisiche possiedon di comune. È ciò che nel concetto e nelle determinazioni ideali scopriamo d' infinito, non già nell'ampiezza, ma sì nella perfezione. La funzione eduttiva dunque è funzione dialettica, dialettica ascensiva. Perciò eduzione delle idee non vuol dir la pura e semplice generalizzazione delle qualità dell'essere: vuol dire accrescimento dell' essere; vuol dire concentramento dell' essere nella [I griudizi iintetici a priori di Kant non sono propriamente apriori, ma si riducono a giudizi analitici. Il processo conoscitivo è, per dir così, nna catena, gli estremi della quale sono due sintesi, e però due forme di conversione; l’una di esse è originaHay e l'altra finale. Quella precede, come si disse, ogni riflessione, e costituisce il primo psicologico, l’unidualità primitiva; la quale, facendo possibile la formazione de' concetti mercè il processo psicologico, toglie queir apparente petizion di principio tra la necessità per cui ogni giudizio deve importare il concetto, e la necessità ondMl concetto debb' essere un atto giudicativo. La sintesi finale poi riesce al Primo vero metafieico^i] quale devesi convertire col Principio metafisico. Avviene perciò che la sintesi originaria sia costituita dal pensiero e dal suo obbietto che è l’essere in quanto indeterminato; e però è sintesi naturale essendo posta dalla stessa natura. La sintesi finale per contrario, ha per oggetto 1’essere determinato ideale, e determinabile in quanto reale; e )»er ciò è sintesi superiore alla natura essendo prodotta dallo stesso pensiero. Queste due sintesi dunque sono due giudizi d'indole sintetica, ma diversissimo n'è il contenuto; per la ragione che, se nel primo d'essi l'obbietto è posto da natura, nel secondo è posto dalla stessa mente. sua idealità. Or se tale è la natura di questa funzione accade che il principio ond' ella è governata non possa esser quello d' identità, di repugnanza, di causa e simili; stantechè qui non si tratti di logica formale la cui materia è costituita, in generale, da' giudizi deduttivi, ne di logica induttiva, i cui giudizi riposano sul principio di causalità e di sostanza empiricamente intesi. Se il fine della logica formale sta nel fissar le norme del ben pensare, e il fine della logica induttiva nel porgere i criteri a fruttuosamente sperimentare; è chiaro esser necessaria una logica la quale sappia ritrovare il vero facendolo, se pure s' ammette che la metafisica abbia da essere una critica del vero. Ed è chiaro altresì esser necessario un principio che sappia guidarci nel processo di siffatta critica, il qual principio è appunto, come altrove toccammo, quello della conversione. Or questa funzione eduttiva, di natura essenzialmente dialettica, non va dall'effetto alla causa, né dalla causa all' effetto: non va dalla sostanza alla determinazione, né dalla determinazione alla sostanza. Le idee non sono effetti, non sono risultati, né determinazioni dell'Assoluto. Se così fosse, come sarebbe possibile il transito dialettico? Il passaggio dialettico (nopsisi) è solamente possibile dov'è possibile medesimezza e differenza; dov'è possibile intervallo e continuità; dov'è possibile, insomma, conversione di termini. I termini in quest' ordine di cose, da una parte, sono le idea, la Eagiotie spiegata; dall' altra sono le stesse idee, le stesse forme metafisiche, ma in quanto concludono nel loro ideato, neir ideato come Principio e Mente reale, nell' ideato che basti a sé stesso (ro^izavov), nell'ideato che nulla suppone, ma che si pone (ro ocvuttoOstov). Intanto la ragione, tuttoché secondo le leggi altrove notate del processo psicologibo debba mover dalla natura e dal senso, nondimeno, come tale, è caussa sui (suitas); e l' effetto di tal cagione è la scienza, le idee, le quali, in quanto forme metafisiche, si riferiscono all'Assoluto. E cotesto Assoluto alla sua volta è Caussa sui (Aseitas), ma è anche cagione del mondo in quanto è mente; e l'effetto di tal cagione è lo spirito, non già come Ragione spiegata, come Nove, come attualità, ma come virtualità, potenza, materia, natura, conato. Ora questa evidentemente è conversione, e quindi è sintesi eduttiva. Ed è tale in quanto procede da causa a causa, in quanto concatenando caussas caussis le annoda e distingue ad un tempo, perchè in realtà le s'immedesimano e si distinguono anche fra loro. Il perchè, se da una parte qui abbiamo le idee, le forme metafisiche, la ragioìie spiegata, la coscienza, il vero; mentre dall'altra abbiamo r Assoluto, r Assoluto in quanto è mente, in quanto è la Mente, in quanto è il Fatto per eccellenza; in una parola, se da una parte abbiamo quel che VICO (si veda) dice le Menti, e dall'altra Dio: ne viene che in questo Motido delle Menti e di Dio, in quest’organismo del pensiero con r essere, il passaggio dall' un termine all' altro non è processo deduttivo, né tampoco induttivo, ma è processo essenzialmente eduttivo, perchè anche qui ha luogo la conversione del vero col fatto, cioè la conversione delle Menti con Dio, della logica con V ontologia, dell' ideologia con la metafisica. Sarà un' alchimia anche questa ? Potrebbe stare. Ma chi ben la consideri, anziché un'alchimia, scorgerà in essa il fondamento della prova legittima, vera, positiva intorno all'Assoluto. Le tre ordinarie maniere d’argomentare resistenza di Dio furon ben cento volte dimostrate deboli, incompiute, fallaci, per la solita ragione che, non racchiudendo processo, mancano perciò di valore propriamente dimottratico. Il cosi detto argomento ontoìogicOf per es., qaalanque ne sia la forma datagli da Anselmo d’AOSTA, Cartesio, Malebranche, Fénelon, Leibnitz, Gerdil, SERBATI, GIOBERTI, ROVERE e simili, non può concludere alla realtà assoluta, perchè, comunque e' si squadri, ha sempre nn valore deduttivo. Gli argomenti poi dettiyì«ico, moralcf ootmologieOf sono sfomiti d* ogni rigor di prova razionale, in quanto che si riducono alla forma induttiva, la quale, in tal caso, racchiude nna petizion di principio. Laonde se la deduzione move da un /ntùtto, siamo nella ipotesi; e la scienza non può accettar le ipotesi come principi], tnttochò se ne possa e debba giovare È dunque vero, è verissimo che l' uomo da sé e con la propria mente faccia Dio. E lo fa dapprima col senso, poi con r immaginazione, da ultimo con la ragione. Col senso lo vede immediatamente nella natura, lo sente nella natura. Con l'immaginazione lo vede attraverso alla natura, ma lo sente in sé medesimo. Con la ragione lungo il suo processo come d'altrettanti mezzi. Se poi muove da un Indeterminato f siamo nel formalismo psicologico, nell* arbitrio logico, e però si riesce agi* indovintUi da algebristi, l’una forma di deduzione perciò non dimostra, cbè anzi invoca appunto l'Assoluto per dimostrare: T altra invece dimostra troppo, e perciò non dimostra nulla. Dunque l’argomento eduttivo o della eonveraionef che noi contrapponiamo a qualunque forma di deduzione e d* induzi one, è prova legittima, stantechè racchiuda il vero termine medio, il vero m«szo tra il mondo e l’Assoluto. Il solo Trendelenburg ha parlato d' una forma di prova ch’ei chiama argomento logico, il quale potrebbe avere alcun riscontro col nostro. Ma non poche sarebbero le difficoltà nelle quali intoppa il dotto tedesco, chi guardi al concetto del moto ch’ei pone a capo delle categorie. Neil* ordine psicologico noi moviamo dal vero che per necessità eduttiva si converte col Fatto: e ne ricaviamo che cotesto FaUo non è già moto, anzi pensiero per eccellenza, mentalità assoluta. Or bene s* e* fosse moto, corno saria possibile una conversione f E mancando la possibilità della conversione, come farà, l’illustre autore delle Bioerche Logiche, a salvarsi dal pericolo d’un vuoto formalismo? Giova qui rispondere ad un'obbiezione. Si dirà: cotesto vostro peregrino argomento, in somma delle somme, si riduce ad una forma d* induzione. Dall' effetto, andate alla causa; dal particolare, al generale; dalla determinazione, alla sostanza; dal finito, all'infinito. Brevemente, dal mondo salite a Dio, sia che consideriate la natura, sia che lo spirito, ovvero le idee. Rispondo: induzione pura o semplice, 'no; ma processo induttivo: il quale, compiendosi nel processo eduttivo, assume quindi valore d'argomento razionalmente positivo. Dio, a parlar proprio, non è pura sostanza, causa, essere infinito solitario; nò il mondo è pura qualità e determinazione, puro effetto, puro finito posto dall'infinito. Se Dio fosse cagione semplicemente presa, il mondo (l'effetto) ne sarebbe l'atto. Se fosse sostanza, il mondo ne sarebbe la modificazione. Chi ci salverebbe dal panteismo? Se poi fosse infinito ut «ie, perchè, domanderò io, se basta a so stesso ha da porre il finito ? Dio è tutte queste cose, infinito, causa, sostanza e simili, ma è tale, perchò principalmente è idea, pensiero, mentalità. Or non è anch' egli mente e pensiero l’universo? L’argomento della conversione, dunque, non va dal mondo a Dio, non procede dall’effetto alla causa (ohe non procederebbe davvero), ma va, ma procede da causa a causa annodandole insieme. E le annoda, perchò serbano medesimezza e diversità; le annoda, perchè adopra il mezzo delle idee; le annoda, perchò educe le idee, e perchò queste idee converte con l’ideato. Un’ultima osservazione che avrei dovuto fare già in altro luogo: meIo vede nelle sue stesse idee, perchè lo fa come idea; e così r uomo (ripeto la bella frase di GIOBERTI) giunge a rendere a Dio la pariglia. L'idea dell'Assoluto ha anch' egli i suoi annali ne' diversi momenti della storia e del processo psicologico. Ma nel far cotest'idea, e proprio quando l'abbiam fatta, noi somigliamo a quell'artefice che s'affatica e suda e si travaglia nell' incarnare il tipo che gli splende dinanzi alla fantasia, mentre la stessa natura potrebbe offrirglielo vivo e palpitante nella infinita ricchezza delle sue creazioni. Novello e arditissimo Prometeo, il pensiero del filosofo non abbisogna d' alcuna scintilla: la scintilla della vita s' agita già vivissima nell'opera stessa delle sue mani. Perocché quando il pensiero abbia prodotto l'idea dell'Assoluto, e' tosto s'accorge d'aver prodotto quello che già e' era, quello che è il Fatto per eccellenza, e che non può esser fatto perchè di sua essenza è il Fare, E così pure ci accorgiamo di far Dio con la scienza e con l' attività riflessa, solo perchè è egli innanzi tutto che fa noi come potenza, perchè siamo potenza, perchè siamo termine del suo atto. * glio tardi che mai. GIOBERTI accenna una sola volta (quant’io sappia) al metodo eduttivo, e lo fa consistere nell* andare dal particolare al particolare, dal generale al generale (Protei). £ precisamente la funzione deduttiva come la intende, per esempio, Miìl. La eduzione di GIOBERTI f com* ò eTìdente, non ci ha t;he vedere con la nostra. ' Questa precisamente è la facoltà della quale, come dice Cartesio, ci ha saputo fornire la stessa natura, e con la quale noi, produeendo Videa di Dio, conosciamo Dio. (2Ve ossiano forme dell" infinito, e disponendole le conosce, e in questa sua cognizione le fa, e questa cognizione d' Iddio è tvMa la ragione della quale l’uomo /m una porzione per la sua parte, E poiché l'Ente è assoluta conversione del Vero col fatto interno (Generato) e col Fatto propriamente detto (Mondo), ne viene che debb’essere altresì conversione come pensiero e come forza, come Causa e Mente, appunto percJiì unica causa quella che per produrre l’effetXo non% ha di altra bisogno; come quella la quale contiene dentro di sì gli elementi delle cose che produce, e li dispone, e sì ne forma e comprende la guisa, e comprendendola manda fuori l’effetto, (Ved. liisp. al Giom. de' Leu.). Per quanto questo lingruaggio possa sembrar vieto e coperto di muffa scolastica, nullameno tornerà agevole all'accorto lettore potervi scorgere come in germe la soluzione positiva del problema metafisico. In queste tre usate e abusate parole. Vero, generato e fatto, abbiamo, per così dire, i tre punti ne' quali s* imperna e gira il processo idealo che, considerato in se proprio, costituisce la dialettica discensiva. Qui è la sostanza, com' è noto, e, sto per dire, il nocciolo della teorica cristiana, ma ^levata al supremo valor razionale e speculativo oud'è capace: ed è il fine (chi ben consideri la storia della filosofia cristiana e non cristiana, ortodossa ed eterodossa) a cui par che convergano insieme e riescano il Platonismo e l'Aristotelismo nello differenti loro forme isteriche. Sennonché si badi a non pigliar come ripetizioni vano certe analogie e somiglianze di H Vero dunque è l'essere; e cotesto essere-vero non sarebbe tale, ove, anziché identità sostanziale deiTessere e del conoscere, anziché assoluta unità e assoluto monismo, non fosse invece un' essenzial dualità e ^nità, essenzial conversione del soggetto con l’oggetto, e quindi medesimezza e differenza attuale. Qui dunque, innanzi tutto, il nostro filosofo corregge Aristotele come quegli il quale disconosce una condizione eh' è l'interna necessità della stessa natura dell'Assoluto. Lo Stagirita pronunzia: ecTTtv >j vó>?o"ec vovìtso; vó/jtc?. Ma fo^c che l' eccellenza del pensiero starà nel pensar solamente sé come sé, e non anche sé come altro? Una Visione veggente Sé stessa non ^ un atto sterile e solitario? Vedere non è anche operare? Pensare non è generare? Ov'è dunque il gran linguaggio, che qui il Vico potrebbe aver con altri filosofi. Mi spiego subito. Per sant'Agostino, per es., intelligibilità e realtà si compenetrano insieme, e danno luogo alla natura assoluta formando così il Vero-EnU fVed. SolU?(T«oc proprio in sé, e s' avvilirebbe: Tò 9st6xarov Y.ot.1 to' rifxtwTatov vote, xa/ ou fAsra^aXXci * «t;;^«t/90v 7à/9 ^ /x£Ta6o>KÌ. Metaph. pensiero aristotelico della facoltà che pone il proprio obbietto e se ne distingue ? E perchè, mai non applicarlo anche all' Atto, e soprattutto all'Atto?* U Essere-Vero dunque è mestieri che sia anche Verbo, anche Fatto intemo, anche Generato. Che cos'è il generato? Non è luce metafisica, non è oggetto indeterminato e primigenio posto da natura, come nella genesi psicologica; ma è luce e colori, è oggetto determinatissimo, perchè è insieme la natura e ciò che è sopra alla natura. È dunque il diverso, il diverso dell'identico; al modo istesso che il vero è l'identico del diverso. Perciò è l'intelligibile che, mentre adequasi con l' intelligente, se ne distingue. Perciò è il pensante che, convertendosi col pensato, è pensiero, e quindi è in sé medesimo il trinuno. Se dunque l'Assoluto è generazione e dinamismo interiore, per ciò stesso è Mente: prindpium unum, Mens. Or come potrebb' esser mente senza esser cagione, attività, energia,e quindi idea, possibilità, relatività, infinità, moltiplicità ideale? Ma se qui il nostro filosofo corregge l'Aristotelismo, invera nel medesimo tempo il Platonismo. Il Generato del Vico, in quanto è termine di generazione ad intra, è appunto la benintesa idea platonica. Cote$ta idea platonica non è assoluta Unità, né assoluta Moltiplicità. Ma, si badi: il difetto metafisico dell* Aristotelismo non è tale che 1* annnlli e distrugga addirittara, ed è appunto per questo che Aristotele non potrà esser mai in etemo, né un idealista assoluto, nò un positivista, anzi così egli si presenta come una confutazione parlante deir Hegellanismo, e del Positivismo. Voglio dire in sostanza che il principio metafisico dello Stagirita non è, propriamente parlando, erroneo, ma incompiuto; e però è tale che corregge benissimo sé stesso. In che modo? Se l’Atto ha da esser davvero quello che dice Aristotele, ne viene che, metafisicamente e logicamente, è impossibile un Actu» pwru» ab^olute. Gli Alessandrini se ne accorsero; e questo è precisamente e principalmente il lor merito di fronte air Aristotelismo. La verità della Scuola d'Alessandria e dell’antico neoplatonismo sta chiusa in questo poche parole: [0,in ptaiix JfiTai Twv ci^wv xarà to tv caurw voitjtov o' vou?. Vod. Proclo in Parm. Lo stesso dicasi, come vedremo, del Platonismo; e così può affermarsi che Tesigenza della correzione, nel concetto metafisico deU'ano o dell* altro sistema, sia reciproca. in sè. Non è l'identico, ne il diverso. Non è il moto, ne la quiete. È dunque l'una e l'altra cosa ad un tempo istesso. È dunque il tò E?a/yv>?; senza cui ella riescirebbe affatto inintelligibile, e assurda; e quindi ci significa il momento nel quale è insieme numero, senza cessare d'esser altresì unità essenziale: talché costituendosi centro e circonferenza ad un tempo, rende siffattamente possibile l'accordo de'contrari. E tale accordo sarà possibile a questo sol patto: che il momento sia non pur la Nó»Ttc vóvjTswc dello Stagirita, ma eziandio Mente, e perciò Mente e Verbo, Vero e Generato, e quindi fornito della virtù onde lo fa ricco il filosofo Ateniese. Così interpretando il to' E^otéipvvjc (senza confonderlo col fjura^y.l'kety che sarebbe confonder la condizione col condizionato, il Generato col Fatto), non verremo a contraddire al contenuto degl’altri dialoghi, massime al Sofista ove la natura dell'assoluto ci è determinata come pensiero, come mente, e perciò come pienezza di vita e d'assoluta realtà.' FICINO traduce 1* 'E^ai^vvj^ per momentum indimduum; mii in questa parola e* è qualcosa di più, esprimendoci propriamente l’istantaneo; ed ecco perchè Platone lo dice di natura mirabile e etrana: ^ tUTcc aroTróf tc^. Partn., , E; 157, B. * *AjO ouv ìttì to' (xxoTTtìv TOUTO, sv w tÓt' av ety?, ots fiSTa^dXktfj Tò TToìov 5vi; To' e^at^vyj?. rò ydip i^at^vrjc Toeòv^j ti Jfocxf a^juatvecv wce? «xatvou ^«TaSaXXov sìq ixoirspov, ov yxp i'A ye Tov io-Tavai sttùtoì in asTa^séXXst, ou5'«x tkj; kiwitsoì? xtvovfx«v>ic «TI fj.tr OL^iWti' àW Tn i5at^v«c auT>j fvtriz oironóz Ttf iyìndBrirat jExcTa^u tt^C xiv>jo'««c rt y.olI «rTOCTEwc, iv XP^'*^} orjSsvi ouTa, xat te; TavTvjv 5vì xai e'x TauT>JC to rs xtvov'jEXffvov fjitra^oiWsi ini tò éo-Tavai xa« tò écTOc «Vi tÒ xivelo'dae. Kcv^uvsùst. Kat to ?v 5v7, etnsp «a"Tv?x/ Te xat xivjÌTat, /xsTa6a^^oi av if éy.drtpOL' fjLÓvwi ydp av outo? àp^ÒTSjoa Trotot'y»* /xeTa6a).>ov 5' sfat^vvjf /xsTaéai^ft, xac ot£. /xsTa€a»e£, ev ou^evt XP'^'^V *^ ^^^'j ou5« xtvofT* av tòts, ou5' àv ^rxirt. (Parm. 156., d.) * Te 9:; TO 7t7vwTXJCvì5 to yiyvtàTìLsv^^ai fCt.TS noinuoc I Tra^o;:^ àfifòrspov; -^ to' asv 7ra3-/?aa to' ^s 5aT£^ov; ì^ ttzvTCCTra^tv ou5sTg/30v ouJiTfi^ov TOUTwv ^fTaXau/Savsev* (Soph.) ^ ' Té dai itpò% Atò;; wc a^>J'9'wc x«vT7Ttv xat ^w>jv xat >/'vxiQv xa* ^^óv>70'iv tJ paSi(ùi 7re£j3>jo"ò|txjOa t« TravTsXw; «?vti /x>: Ma se r Idea è il Generato, e quindi rispetto al vero è il diverso dell'identico tò jts^oov, ciò nondimeno ravvisata in sé medesima ella è un possibile; e, in quanto possibile, è anche il medesimo d' un altro diveiso. Poiché se di sua natura eli' è possibile, deve importare una moltiplicità opposta, estrinseca, reale, determinata; deve necessariamente importare il diverso, il quale sia tale, non solo di fronte all'ofóro, cioè rispetto al Generato, ma anche in sé stesso tò aXXo. E se non includesse cotesto diverso? Se non l'includesse, finirebbe d'esser possibile, e negherebbe sé stesso. Perciocché un possibile, il quale non si potesse mai recare ad atto, evidentemente sarebbe un impossibile addirittura, o al più un possibile infecondo e fantastico. Laonde, poiché il generato é infinita idealità, e quindi infinita possibilità, però devesi necessariamente convertire col fatto: é si converte in quanto lo fa; si converte in quanto lo pone. VICO (vedasi) dunque ha detto giustissimo: Il vero si converte ad intra col generato, e ad extra col fatto. Or che cos'è mai cotesto fatto? È anch'egli il diverso dell'identico, il diverso del generato; ma é il diverso in sé proprio tò a).Xo), il mondo. Poiché quantunque il fatto e il generato sono moltiplicità, nonpertanto l'uno é, moltiplicità reale, e 1’altro ideale; talché se la prima si 7r«/oetvac, innari K^v aiiro ^>j5s (ppovelv ùWoi (rtfj.'^òv zat oiytov voùv oux f §e twv 7r/)afg&)v xa^' coìpidrMv xac à.'k'kri'Koìv xotvwvta navrot^^v yavTa^ópsva no'kXd yatvff^at Ixa^Tov. Qui pare che r idea 8i divida, si rompa, si spezzi nella moltiplicità fenomenalef e costituisca il positivo del fenomoDO, ma nella forma inadoquatadeir estensione: e siamo quasi all'idea hegeliana che passa ad tsaer natura, che si contrappone nella natura, che jiiventa natura. Perciò la metessi de’platonici mostra sempre un carattere di passività anzichò di attività, appunto perchè viene di su, mentre dovrebbe partire di gii, ed estrinsecarsi per opera e virtù del Fatto in quanto è infinita potenzialità. Questo carattere passivo della metessi platonica si scorge anche, e non dovrebbe, nel Parmenide di VELIA: tÒ elvat ^Wo 7t eTTtv ri p.:'0s5'C ouTicz; ^era ^povoìj 70Ù Tra/oovTOff. La metessi dunque spiegherebbe troppo; perchè il nesso tra l'idea e la cosa verrebbe ad esser cotanto immediato, da non farci discernere fra 1'una e l'altra nessun divario essenziale; e così avremmo l’identità come essenziale, e la diversità come fenomenale. Or se l'Assolato, perchè davvero sia tale, ha da ossero innanzi tutto una conversione di sé con sé stesso, deve risultare indivisibile e imparabile nella sua stessa moltiplicità infinita: e se il mondo ha da essere anche lui una conversione di so con sé, ne segue ch'egli debb' essere essenziale moltij^icità, moltiplicità in sé, diversità in sé; tanto che l'unità progressiva, che in lui s’agita e vive e spicca sempre più ne'diversi gradi della realtà cosmica, sia ben altra cosa dell'unità che dimora in seno all'assoluto. Dunque il vero che si converte col fatto, cioè per parlare la lingua degl’ntologisti l'infinito che pone il finito è anche finito, ma non si confonde per vorun modo con lui. E non può, per queste duo semplicissime ragioni: perchè, se cosi fosse, ne'due termini avremmo una ripetizione sostanziale inutile, e quindi potremmo cancellar l'uno o l'altro addirittura, e così finirebbe per aver ragione il panteista; e perchè un infinito avrebbe a partorire-, produrre o porre un altro infinito, e cosi negherebbe sé medesimo. D'altra parte, se il fatto devesi convertire con sé medesimo facendosi vero, cioè facendosi infinito essendo potenMialità in/inUaf non per questo si potrà credere eh'ei si possa identificar con lui, pelle due ragioni detto poco fa. Dunque stiamo contenti al quia ! né identità oMolutaf nò aseotuta diversità, ma conversione. E però le idee platoniche non sono da intendersi né come 7ra/9a^u7/xaTa, né come vov}^KTa, secondo che vogliono due schiere d'interpreti. Se fosse così ne verrebbe, nel primo caso, che Vid^a dovrobb'esser presente alla cosa in maniera, che questa, tanto nella sostanza, quanto nel movimento, tanto nella materia, quanto nella forma, dipenderebbe onninamente dalla prima, ed altro non sarebbe fuorché una semplice sua copia; e allora non avremmo bisogno d'un Dio artefice, non del SnfAioxjp'yoi del Timeo, non del deus ex macchina dall'ontologista, né della magna Idea degli Hegeliani. Nel secondo caso poi r idea sarebbe un termine del soggetto, ma un termine, dirò così, meramente soggettivo: somiglierebbe quindi, anzi 8areb))e addirittura pretare in modo razionale e positivo l'intuizione religiosa del Ternario cristiano. La cognizione immediata e divinativa, in questo e in ogn' altr' ordine di conoscenze, previene, come V ombra la persona, i portati della speculazione metafisica. Così prima ancora che la Scuola d' Alessandria si profondasse nelle ardite e vaporose elucubrazioni su la triplice ipostasi Plotiniana, il mistero della Trinità alberga di già nella coscienza popolare siccome oggetto d' intuizione, e cominciava a rivestir forma e valore dommatico mercè la Riflessione teologica. L' assoluto è uno e trino; è trinuno: e noi ormai lo sappiamo.* Ma è egli un trino ipostatico? E qual n'è l'essenza? L'assoluto importa tre ipostasi: ecco il mistero, ed ecco la fede.^ Quanto a determinarne l' essenza, la speculazione occidentale, anche sotto forma di speculazione teologica, non poteva non interpretare le divinazioni altrettanto spontanee quanto ricche e feconde della coscienza orientale essenzialmente religiosa, con l'inV inteìligìbile del Dio aristotelico, con l’intelllgrente formerebbe identità essenziale; e allora le idee non sarebbero essenzialmente relative quali appunto sono richieste dall' economia del sistema platonico, e T esigenza vera e giusta della metafisica platonica sparirebbe. Dunque cotesto idee plaioniche come s'hanno da intendere? Le idee platoniche sono T'Egac^v;? stesso, ma concepito come essenzialmente relativo &\VaUro, ma iiValtro non già come tò trspoif puro, assoluto, bensì come 70 ìrspov in quanto abbia un riferimento necessario al rò àWo, A questa maniera non è altrimenti vero che, accettando le idee platoniche, debbasi accettare altresì la dottrina dell' avajtzvYiTcCt come han detto certi critici moderni: e neanche si è costretti ad accettarla> nelle forme nuove ond' è stata presentata da' moderni neoplatonici, dal Malebranche fino al Mamiani. « SiMOX, ffitt. de l’Ecole d'Alex. Il tre è il numero che assolve tutte le condizioni della perfeziono, ed è perciò che tutto è definito del tre: to' Tràv y.(xt to Travra rof; TùtTiTt (fìptfTTat (Arist. De Coelo). Vedi le belle riflessioni di GIOBERTI sulla Trinità considerata razionalmente {FU, della Rivelaz.., XVIII) e di ROSSI (Regno di Dio naturale, ecc. li Studi di Zocehif) ' Prendiamo la parola tpostcm nel significato:' istiano non già nel senso neoplatonico e alessandrino. dirizzo, al solito, dell' Aristotelismo e del Platonismo. Il peripatetico nominalista ripone la divina realtà ed essenza nelle triplicità di persone, e riguarda l' unità come un puro nome. Tre sostanze indipendenti e separate, ma congiunte in unità mentale. Perchè congiunte? Perchè fomite d' egual potere, d' egual volere, d' egual conoscere. Il realista platonico, per contrario, vuol far consistere l'essenza divina nella realtà in quanto è unità determinantesi nella triplicità di persone. Agli occhi del primo, dunque, l' Assoluto è il tre in uno: agli occhi del secondo è l’uno in tre: ecco la lotta interna della riflessione teologica del medioevo. Ora giusto perchè questa riflessione è di natura teologica e dommatica, avviene eh' ella non supera, non può superare il sentimento, né trascender l'intuizione, né solvere il mistero, né disimpacciarsi dall'aperta contraddizione. Laonde Nominalisti e Realisti vecchi nuovi, avvegnaché discordi nella maniera di determinare l' essenza del Ternario cristiano, non sanno rimuoversi d'una linea dall'insegnamento dommatico su l' unità assoluta nella separazione delle tre persone. Se il ternario cristiano, in quanto germina dall'intuizione rehgiosa, è come l'immagine anticipata della ragione, in esso deve acchiudersi un vero che la ragion filosofica dee saper disvelare, correggere e legittimare. Questo vero non risguarda già l'unità nella triplicità ipostatica: riguarda il trinuno assoluto, l'assoluta triplicità considerata, come abbiamo toccato, nella medesimezza di subbietto. Perocché l' unità di sostanza mai non tornerà conciliabile con la pluralità di persone; e se così non fosse, il panteista avrebbe già trionfato nel regno della scienza, né io davvero so dirmi che cosa mai potrà rispondere il sottile teologo all'arguto hegeliano, il quale pretende precisamente questo: che la diversità delle persone non dimostri nuli' affatto la pluralità delle sostanze. Il perché pigliando alla lettera il domma della Trinità, la teologia cattolica non si salva dal precipitare nel tenebroso vuoto dell' assoluta identità. Il contenuto del ternario cristiano adunque ci significa le tre primalità del conoscere, del volere e del potere, ma nella relazione del vero che, convertendosi con sé medesimo, diventa generato, e, come generato, come verbo, è infinita idealità e possibilità del Fatto. Interpretandolo così accade che l'intuizione religiosa, generatasi per leggi inerenti allo stesso processo psicologico, rinverghi col concetto metafisico a cui può elevarsi la ragion filosofica positiva; e quindi può dirsi che, come la religione è il preludio naturale e necessario alla filosofia, di pari modo la speculazione metafisica sia la interpretazione critica e Tinveramento delle intuizioni spontanee e comuni della coscienza religiosa. Il cristianesimo è la religion razionale per eccellenza, e con essa oggi chiudesi il corso e ricorso delle creazioni propriamente mitologiche e delle grandi rivelazioni e divinazioni religiose. Ed è razionale perchè è in sé medesima processo, e svolgimento. Che se anch' ella come tutte le manifestazioni della storia é un processo, é mestieri applicare ad essa la universal legge storica e sociologica della Scienza. Guardata infatti nella sua storia ideale, anche la religione é innanzi tutto divinay indi eroica, appresso umana. E giugne ad essere umana quando la forma siasi potuta elevare a cotal grado di trasparenza, che il simbolo palesi da sé medesimo l'idea, e il mito siasi venuto elaborando così che rac[Non poco 8* illudono perciò quo' filosofi ohe, come il Cusano fra gli antichi e il Rosmini fra i moderni, si sforzano d'applicare a Dio il concetto delle categorie col fine di spiegarsi in qualche maniera il mistero della Trinità. Io potrò intendere il Cardinal di Cusa dove mi dice che Unitcu, Iditas e Identità siano quasi i tre momenti dialettici interiori dell’assolato. R potrei forse intendere il Roto retano quand'ersi studia mostrarmi che Realtìk^ Jdeaìità e Moralità sieno le tre forme in che si determina l'essere. Ma come intenderli quando il primo d'essi afferma che Vvnità è il Padre, Vegtiaglian Ma il Figlio e la connessione lo Spirito, e quando il secondo applica alle tre persone quelle sue tre sparute /orm« ontologiche f chiuda un vero metafisi(X) o morale che sia. Or se è tale il valore del sentimento religioso nello svolgimento isterico della civil società, perchè dirlo morbo della mente, fiacchezza della coscienza volgare, abberrazione della fantasia? Se dunque la ragion filosofica vorrà attingere anche qui forma razionalmente positiva, ella vi potrà giugnere a questo sol patto; che il concetto metafisico ond' è capace, non abbia a contraddire in modo assoluto ai portati della coscienza religiosa. £ se la religione dal canto suo vorrà essere anch' ella positiva e razionale e perciò rispettabile e santa, potrà essere tale a questo sol patto; che sappia porgersi alla ragion filosofica siccome riprova e guarentigia, tuttoché di natura istintiva ed empirica, ai pronunziati della speculazione metafisica. Anche qui regna la gran legge del concorso di forze combinate, e del loro corrispondersi tanto necessario alla eccellenza del risultato. E in tal caso religione e filosofia, serbando entrambe valor positivo e medesimezza di contenuto, formeranno un criterio al cui lume potrà esser giudicata ogn' altra filosofia e religione. Una critica religiosa che si diparta da questo principio, sarà critica infeconda ed erudita, com' è quella de' Teologisti cattolici, ovvero critica esiziale e sistematica com' è quella de' mitologi hegeliani. Tal si è precisamente il nostro concetto metafisico rispetto al ternario cristiano, che è il mistero piii comprensivo cui abbia saputo elevarsi la coscienza religiosa. L'uno è correzione dell'altro, al modo istesso che questo è, per così dire, guarentigia sperimentale del primo.' * Qui abbiamo dovuto accennare solamente al simbolo della Trinità, ma nella Sociologia mostreremo di proposito come la dottrina del Vico su la natura ed origine del mito in generale, sia fondata anch'ella nelle leggri del processo psicologico, e quindi racchiuda il concetto e la necessità della interpretazione morale nell'ordine delle intuizioni religiose, e mitologiche; deHa qual necessità il Kant, dopo Vico, ebbe assai chiara coscienza {Rdig, daiu le» lini, de In raiton). Ora ciò che qui preme osservare questo: s^ col concetto metafisico del nostro filosofo si può acconciamente interpretare il simbolo del ternario cristiano, ne scendono due Concludiamo. Se è vero che la metafisica è scienza non assoluta ma dall' assoluto, stantechè sia possibile attinger notizia razionalmente positiva circa il fondaconseguenze: P che il Libro Metafisico f nel quale troviamo depositato il germe del concetto riguardante il procesto ideale, sia intimamente collegato con la Seiema Nuova, appo cui la teorica sul mito (superiore sotto più riguardi, come vedremo, a quella de* mitologi e filologi Tiventi), non è che un' applicazione della sua dottrina psicologica, della quale noi ahbiamo svolto i tratti principali: che interpretando col suo concetto metafisico il simbolo cristiano, in generale, e, in particolare, quello del ternario, si viene a contraddire in modo serio e positivo al panteismo. Anche per gli Hegeliani il mistero della Trinità, come ogn' altro mistero, shnboleggia una verità filosofica. (Heobl, Phil. de VEaprit, ItUrod. del Vera); nel che siamo perfettamente d'accordo. Ma l'interpretazione alla quale costoro sottopongon la simbolica religiosa, anziché legittimare in qualche maniera la credenza elevandola a significato filosofico, l'annullano addirittura, perchè la rendono assai più inintelligìbile e paradossastica ch'ella stessa non sia come credenza. Idea, Natura e Spirito: Padre, Figlio e Spirito Santo! Ma che cosa ci ha che veder la Natura? Non è egli questo precisamente ìl vecchio concetto degli Alessandrini, di Plotino, che pretende ritrovare nel Parmenide di VELIA le tre famigerate ipostasi dell' Unità, del Multiplo, e dell’Unità-multiplo, riponendo quest'ultimo appunto nell'anima e nella natura V (Enn., tBoulliet). L' interpretazione davvero potitiva e non già fantastica del contenuto religioso, non deve e non può contraddire al simbolo (almeno per quel tanto che esso contiene di filosofico), perchè contraddirebbe alla stessa ragione. Or quest' elemento di verità, contenuto germinalmente nel simbolo cristiano, riguarda per appunto il ternario considerato in sé; riguarda il ternario assoluto, il ternario com'è richiesto dall'esigenza metafisica positiva, e non già il ternario trasportato anche nel processo della natura, e nello svolgimento della storia. Questa enorme confusione fanno i Teologi, e la fanno anche gli Hegeliani con la lor teorica e critica della simbolica cristiana. Che cos' è il Dio che eeende nella natura? Che cos'è il Figlio che si parte dal Padre per umanar»if Che cosa mai sono il popolo eletto, i profeti, gl'ispirati, il mondo latino-cristiano? E che cos' è la Idea che dall' astratta mansione dialettica scende anch' ella e passa mediandosi nella natura e penetra nella storia? Che cosa sono \6 funzioni storiche speciali de' popoli privilegiati, àQ* privilegiati personaggiy del mondo cristiano-germanico? L' Hegolianismo è davvero una contraffazione del più grossolano Cattolicismo! ò una mitologia anche lui! E quanti punti di contatto anche in questo, e specialmente in questo, con la dottrina sociologica dei Comtiani! VERA ha detto bene: il positivismo i una contraffazione dell’Hegelianismo. E noi alla nostra volta crediamo dir benissimo (col permesso dell' illustre traduttore) che r Hegolianismo è una contraffazione evidente del cattolicismo. Ma di ciò basti: ce ne rifnrorao altrove più riposatamente. mento e la ragion delle cose; se è vero, d'altra parte, che il significato esteriore della storia della filosofia occidentale sta nella lotta fra il platonismo e l’aristotelismo, mentre il significato interno ed essenziale di essi risiede nella correzione vicendevole de' due estremi indirizzi aristotelici in quanto concorrono al trionfo dell'indirizzo medio: ne viene che nel concetto del processo ideale e nella relazione de' tre termini costituenti la dialettica discensiva che abbiamo sin qui rapidamente interpretata nel nostro filosofo, trovasi non pure il risultato e insieme l' inveramento delle tre posizioni unicamente possibili in metafisica delle quali altrove toccammo, ma l' inveramento altresì della doppia esigenza deU'ùZga platonica e della categoria aristotelica. Trovasi la correzione, come ci sarà dato meglio vedere fra poco, del Dio platonico previdente e provvidente, e dell' immobile Dio aristotelico che nulla vede, nulla prevede e niente provvede nel mondo. E per tutto ciò troviamo l'accordo fra il principio della medesimezza che prevale nel padre della Dialettica, e'I principio della diversità che predomina nel padre della Metafisica. Cìotesto accordo per noi è vero accordo, è vera conciliazione, appunto perchè, come dicemmo, è vera correzione: correzione dell'Idea, dell'essenza che, pur sparata, dovrebb' esser l' essenza della cosa: correzione dell' Ji^o il quale, non ostante l'assoluta immobilità sua, dee muovere il mondo come causa finale. Quest'accordo e questa correzione trovano lor saldo fondamento nel criterio della Conversione, elevato a dignità di Pilicipio metafisico. E questo medesimo principio metafisico può e deve assumer natura, come si disse, di principio speculativo, di norma, di criterio essenzialmente isterico, universale e comprensivo, a poter saggiare e acconciamente ponderare la verità delle soluzioni che intomo al problema metafisico han dato le diverse scuole, e le differenti filosofie. Se ci fosse dato fermarci in siffatti riscontri storici, non sarebbe guari difficile mostrare come in esso trovi correzione, per dir qualche esempio, 1’Alessandrinismo; il cui rappresentante, Plotino, interpretando erroneamente il metodo dialettico di Parmmide di VELIA e abusando dell' Unità parmenidea, non potè coglier la ragione del vincolo che insieme annoda i suoi differenti generi del sensibile, co' suoi generi dell'intelligibile, e siffattamente sfumò nell'iperpsicologismo platonico pur credendo d' inverare l' Aristotelismo. Questo vincolo e questo passaggio non potè scorgere l'ingegno profondo d'Erigena con l'ardito concetto della yuVic e con le quattro diverse maniere onde per lui s'attua la Natura; poiché giunto all'assoluta essenza, com'è noto, ei se ne ritrasse invocando in sussidio la teologia rivelata. Né il Cusano, per citare un esempio del rinascimento, tuttoché con mirabile acume giugnesse a cogliere il concetto àéìT alteritcLS e delle determinazioni dell'Assoluto, bastò a dedurre acconciamente e necessariamente l'attinenza verace onde il mondo è a Dio congiunto,' e anche lui finì con intender l'atto creativo al modo che è posto dalla coscienza religiosa. Tanto meno l'arditissimo BRUNO puo imbroccare nel segno, con la dottrina de' tre intelletti, quant' all'attinenza tra l'intelletto divino e l'intelletto che tutto fa; e quindi sfumò in quel suo naturalismo che potrebbe dirsi un aristotelismo cui manchi il concetto dell'Atto in sé. Né il Campanella giunse ad applicare in maniera dialettica le sue tre primajità psicologiche all' Assoluto,' come il Vanini non superò guari la dottrina della natura e della forma de' peripatetici. Nello Spinoza poi, meglio che dialettica, ci è meccanica e geometria; poiché il concetto della sostanza unica' è negazione della tripli* Simon, BUt. Haubiau, PhU. Sool. ' Nio. DB Cusa, DicU. cU Pot§e9t. * Bbono, Dial., De Prine.j oc. Camparblla, MetapKt SpurosA, £th.t I, n. U, cita e d' ogni processo intimo e dinamico nelP Assoluto; onde il pensiero, che è uno de' due modi universali della sostanza, riesce, con evidente assurdo, molto piii che non sia la medesima sostanza. In opposizione alla sostanza spinoziana sta la monade del Leibnitz. Ma se nel concetto monadologico del filosofo di Lipsia vi è una divinazione originale che la scienza moderna è venuta semprepiii confermando, voglio dire il concetto dinamico, niun vincolo razionale e dialettico esiste tra la gran Monade e T universo delle monadi, come altrove dicemmo.' E per toccare finalmente de' moderni, niuno, tranne gli adepti, vorrà creder sul serio che Hegel col suo ternario assoluto ci abbia dato un concetto metafisico positivo. Egli anzi ha cancellato aftatto il concetto della conversione ad intra^ riducendo siffattamente il dinamismo ideale ad un ideale meccanismo; talché il processo geometrico della Sostanza spinoziana avrebbe più d' un' attinenza col processo formale e dialettico dell'Idea hegeliana. Alla vera nozione del processo ideale non sono pervenuti poi né GIOBERTI, né SERBATI. Il principio ctisologico del primo è senza dubbio un processo, come vedremo fra poco: ma, appunto perchè processo, non dovrà supporre forse un altro processo anteriore, e superiore? La dialettica giobertiana é Una dialettica a metà; e il creatore del filosofo subalpino è troppo accosto al suo concreatore, alla sua iitBì^ic^ al suo Intelligihile relativo che, coni' egli dice, è l' Idea redw^ata, V Idea per soìiificata; talché potendovisi facilmente confondere, non poteva àgli hegeliani riescir guari difficile tirarlo all' Idealismo assoluto.' Il Rosmini finalmente, col concetto dell' ente iniziale e comunissimo determi[Vedi ciò che abbiamo discorso del Leibnitz e se^. Gioberti, FU, ddla Rivdaz. Al GIOBERTI manca e deve mancare, come vedremo fra poco, il vero concetto della dialettica; e Io confessa egli medesimo là dove si prova a distinguere una dialettica interiore, ed una dialettica esterna (Protologia) nantesi nelle tre forme dialettiche, non è giunto, e non poteva giugnere neanch' egli a sciogliere e poi rilegare il vero nodo dialettico. Com'è possibile un processo fra quelle sue tre forme? Com'è possibile la distinzione categorica reale del suo essere? Le cose discorse ci menano a due conclusioni quanto chiare, altrettanto irrepugnabili: P L'assoluto è il vero che si converte ad intra col generato, e ad extra col Fatto: dunque la posizione del Fatto è razionalmente, liberamente necessaria: 2 U Fatto è V aUrOj è il diverso: ed è tale per doppio rispetto; come termine ^05^0, cioè come fatto semplicemente detto, e come fatto che si fa; come sostanza e come causa: dunque il fatto è estemo al Generato, è indipendente da lui, non come termine posto, bensì come Fatto che s'invera, come Fatto che si converte con sé stesso e perciò nel vero; insomma come sorgente perenne d'attività. Diciamolo in altre parole. Dio crea il mondo in quanto lo pone; e il mondo, in quanto è posto come fatto, si crea. 11 mondo, adunque, appunto perchè ha natura di Fatto, appunto perchè ha natura di altro sotto gemino aspetto, è insieme posizione e creazione. È posizione, in quanto è termine di conversione con l’altro, ciò è dire con Dio: ed è creazione, in quanto è subbietto di conversione con sé e per sé medesimo. Perciò se il Fatto non è creato ma è postOy ne viene eh' egli ha da essere il vero pònente, il vero creante sé medesimo. SERBATI, Teotojia. La parola ponzione è brutta, io Io veggo; ma qui non saprei come dire dÌTersamento per non restare avviluppato negli equivoci ed esagerazioDi in che sono caduti gli ontologisti con l’uso ed abaso deUa parolA Il mondo nel processo cosmico ci si presenta sotto tre aspetti. Riguardato come Fatto, egli è in Dio. Riguardato qual fatto che s'invera e converte con sé stesso, è fuori di Dio. E, finalmente, considerato qual Fatto che si converte col vero nel regno della storia e della psicologia, non si può dir propriamente eh' e' sia fuori di Dio né in Dio, ma Dio è in lui: é in lui nel senso che il mondo è pensiero, scienza. Ecco la correzione e insieme l'accordo del dualismo e del panteismo. Non vi é unica ed assoluta sostanza: né vi sono due sostanze poste empiricamente. Vi è bensì una dualità formante unità: vi é due sostanze formanti organismo. ertaMÌ4me. Nel g^reco non ini pare ci sia una voce che possa rendere il concetto: anzi non ci può essere^ chi consideri come al pensiero ellenico manchi r idea alla quale accenniamo. Tra l’Atto puro e la dateria prima deir Aristotelismo non ci è vincolo nel signifioato di potìnofu; ma t* è solamente relazione di finalità, perchò VAtto non pone, ma attrae; e attrae la materia in quanto essa è jiotoiua, cioò in quanto è opi^i; e però in quanto nelle cose Tiene inserito il deeiderio con perpetua in/ueion% che è 1’interpretazione erronea de’vecchi aristotelici e antiaristotelici (Rjlvaisbok, Metaph, ec. Neanche nel Platonismo ci è V idea della posizione, e quindi nò pur la parola che vi risponda; essendo noto come pel filosofo d’Atene la materia sia anche eterna e al tutto indipendente dall'ùlea, cioè un'assoluta recettività, iimeno intendendo Platone come si fa d'ordinario: nò poi la fii9t^i^ e la yLl^junii come toccammo, bastano ad esprimerci il concetto della conversione. Il pensiero ellenico dunque non pervenne a determinar nettamente l'attinenza originaria, non finale tra l'indeterminato e l'Idea, tra l’infinito e il finito, tra la forma e l'Atto; e quindi non riusd, com'ò noto, a superare il dualismo. Ora trascendere il dualismo è uno degl’aspetti e però uno de'fini della lotta fra il platonismo e l’aristotelismo. L'alessandrinismo tenta superarlo, ma evapora nel concetto dell'identità assoluta: e però neanche presso gl’alessandrini sarebbe facile trovare nò il concetto, nò la parola che significhi '1 vincolo originario tra il mondo e Dio. Gli Hegeliani usano anch'essi, fra le altre non meno brutte, la parola poeizione, che anzi costituisce il lor pane quotidiano. Ma pell' Hegelianismo poeizione vale determinazione, medùizione, compenetrazione; e perciò, checché ne dicano, esprime un rapporto di natura, per cosi dire, meccanica e formale. La nostra posizione è diversa dalle loro quanto il nostro generato dalla loro Idea; quanto la nostra convereione dalla loro contrappoeizione^ negazione, medÌ€tzione e che so io. fe inutile avvertire che le parole bara, asa, vasàb della letteratura ebraica, esprimon tutt'altro concetto di quello che noi intendiamo significare colla parola poeizione. Quest'organismo è vita, non è morte fqueet' organismo è profondo dinamismo, non è meccanismo. Ed è vita e dinamismo, perchè non è monismo assoluto; non è monismo inintelligibile, assurdo, esiziale alla scienza come alla civil società. E qui ci corre il debito di rendere giustizia alla mente straordinaria di GIOBERTI, e correggere nel medesimo tempo la sua formola ctisologica. Anch'egli è tal pasta d'ingegno che si svolge e s'allarga e s'invera e si corregge; ma non per questo si contraddice. La novità della protologia non stà nel concetto del creare inteso come divenire, secondochè vorrebbe Spaventa. Se così fosse, egli, in verità, non avrebbe detto nulla di nuovo; come nulla di nuovo dice nella Introdu' jrìone col rinverdire l’idea della creazione. La novità vera, la nuova esigenza del filosofo subalpino sta nel concetto della concreojgione, com'ei suol dire; della cancrecunone intesa non già come fxsOf5«; dell'Idea verso il mondo e rispetto al mondo, ma si del mondo verso r Idea, e rispetto all'Idea. Perciò l'ontologismo giobertiano va corretto; va fatto più conseguente con sé stesso: e, scambio della celebre formola dell'Ente creante l' Esistentey è forza porre la formola metafisica di VICO (vedasi) nella quale è racchiuso quel vero e compiuto dialettismo che r ardente scrittore del primato anda sempre cercando con ansia febbrile, e non trovò mai: cioè il vero che, convertendosi ad intra ed generato si converte anche ad extra col fatto. La sua formola teleologica, poi, vuol essere anch' ella corretta; e invece d'aflFermare che l’esistente ritoma alV ente (prima maniera), o che l’esistente concrea Venie concreando se stesso j è d'uopo dire che il Fatto si converte nel vero e col vero, e perciò si crea, e perciò si fa divino. Il concetto ctisolo^'oo di GIOBERTI della prima maniera (e dico marnerà per dir forma nello stiluppo, non già diversità di contenuto nella sua dottrina, come Terrebbero gli Hegeliani), sta nel presentar V’atto creatiro siccome prodaconte T  esistenza in quanto la individua. Nella IntroMi si chiederà: la seconda forinola, la formola cosmologica esprimente il vero concetto della creazione, cioè il fatto che si converte nel vero, esiste ella in VICO (vedasi)? Esiste, io rispondo, per chi la sappia ritrovare, e dedurre; e dedurla e trovarla è negozio agevolissimo. Come la si deduce? Considerando con accuratezza la sua formola metafisica. Quando egli pone il fatto siccome termine di duzione il creare suona, a dir proprio, individuare. Che cosa in£atti ò r individuo? È l’dea pasMta dalla potenza alTaUo. Qui t;* ò dol neoplatonismo, e anche buona doso di panteismo. Della prima maniera altresì è queir afTermare con tanta sazietà che l’uno crea ti mi«ltiplof e che ii tntdtiplo ritoma aU^tmo: concetti yaghi,  indeterminati ed erronei che ci fanno pensare a Proclo e a Plotino. Se GIOBERTI  fosse rimasto qui, non sarebbe stato ingegno potente ed essenzialmente correttivo di sé medesimo. Non sarebbe stato ingegno progressivo, fecondo ed esplicativo. Ma se nella protologia fosse giunto al concetto del divenire, più che esplicarsi e si sarebbe data la zappa su' piedi; si sarebbe codtradetto:  sarebbe passato dal bianco al nero, dal no al sì, da Dio alla Idea, e siffattamente sarebbesi mostrato ingegno leggiero, pensatore sghengo e anche un pò vanesio. Era egli tale T ingegno di GIOBERTI? Lo dica chi può! Dunque l'A. della Protologia, se per nostro conforto fosse vissuto, non sarebbe divenuto Hegeliano; anzi avrebbe inaugurato novello periodo filosofico in Italia conforme  all'indole di nostra mente; ciò che non ha fatto, e non poteva faro MAMIANI. FERRI ha detto benissimo: la teconda JUoaofia di GIOBERTI {che racchiude non già un nuovo 9Ì9tema, eibbene uno epirito nuovo)^ inaugura un altro periodo, la cui aorte i rieeronta al futuro Hist. E davvero, se fosse vissuto, ci avrebbe dato un Btnnovn mento filosofico, al modo stesso che ci dìo il rinnovamento civile col quale inaugura la nuova ITALIA, e del quale Cavour, dovremmo esserne ormai convinti, non fece che attuare il programma. Ciò non pertanto anche nella protologia si scopre l'uomo vecchio, VintuitUta, e però il neoplatonico schietto. Non dubita affermare, per esempio, che Videa pone il finito, e 8i COMUNICA): che le idee formino in Dio una gela, la quale 9Ì «quaderna e  pa^aa dalV as9oluto  ed relativo merde l’atto della creazione: che l’infinito attuale e l’infinito potenziale, anziché due cote, formino una sol cosa, ma sotto doppio aspetto: e che l'infinito potenziale non è né il finito né 1’infinito, ma la sintesi di essi, non {scorgendo il grand'uomo come finitò, e infinità potenziale non siano già due cose, ma due aspetti d’un medesimo subbit'tto, ciò è dire il fatto in quanto è alterità verso il Generato, e verso se stesso. Or le contraddizioni da cui bisogna salvare Gioberti nella sua seconda maniera di filosofare sono queste, non quelle che ci veggon gli Hegeliani. E bisogna salvamelo appunto, per liberarlo dalle tracce d’iper-psicologismo, di neo-platonismo, d’alessandrinismo, d'arabismo e d'hegelianismo che pure  contiene. conversione col Generato, cioè il Fatto come Fatto, come posto; con ciò stesso ei ci dà questo Fatto come subbietto che essenzialmente si converte con sé medesimo; cioè come creante sé, come autogenito, come conato, E come poi ritrovarla cotesta formola? La ritrova chi abbia occhi in fronte; cioè leggendo la Scienza. La quale è per l'appunto un'applicazione di essa, ma è  un'applicazione al mondo de' fatti umani, eh' è dire d'ima parte, d'un genere, del sommo genere del fatto. Che cos'è il certo che diventa vero? Che cos'è l’autorità che a grado a grado assume forma e valore di ragione? Che cos'è la filologia che diventa filosofia? Che cos'è la storia, l'uomo, lo spirito che dalla fase divina passa alla fase eroica, e dall'eroica all'wwana. Che cos'è il pensiero,  la Mente che è Senso poi Immaginaeione e poi Ragione? Taluno potrebbe dire: di cotesta formola VICO (vedasi) non fece applicazione al mondo della natura. Neanche questo è vero. E non vero, perchè non solamente quest'applicazione ci è dato dedurla, al solito, dal suo principio metafisico, ma, che più rileva, ei n'ha lasciate tracce visibilissime, germi assai fecondi ne'suoi principii  cosmologici, come vedremo appresso. Torniamo al proposito. Dato alla creazione il significato e il valore che noi diciamo, ne vengon fuora parecchie conseguenze le quali verremo accennando man mano. La creazione non è, per parte di Dio, né una deduzione, per dir così, né un'induzione. Per dedurre il mondo, egli dovrebbe cavarlo da sé: assurdo grossolano. Per indurlo, poi, dovrebbe cavarlo da una materia preesistente, ovvero dal nulla. Una materia preesistente senz'alcuna idea, un ricettacolo indeterminato, come lo concepisce il platonismo, riesce inintelligibile, e ci lascerebbe in pieno dualismo. Dal nulla come tale, nel che sta il concetto balordo dal pietoso credente, tanto meno. Si dirà esserci la potenza Vedi a questo proposito quel ohe abbiamo discorso nel Cap.  V del Ub. U. infinita attuale? Benissimo: quest'Atto ha da esser Oenerato; e, in quanto è Generato, pone il fatto, educe il fatto per necessità razionale, e quindi per legge di conversione. Se dunque lo educe per necessità intima e razionale, veggiamo scaturire una seconda conseguenza, ed à che un mondo particolare, contingente e d'ogni parte finito e mutabile e scorrevole, senz'altra  necessità fuorché quella d'un beneplacito divino, contraddice apertamente alla ragion filosofica positiva, nonché ai risultati sicuri della moderna scienza fisica, geologica, cosmologica, astronomica. Se il mondo, anche in sé medesimo, é una conversione di sé con sé stesso, non può non esser necessario nella sua esplicazione e nelle sue leggi, appunto perché essendo termine di conversione  d'una causa eh' é mente, debb'essere anche lui causa, mente, razionalità. Il mondo, in somma, é posto razionalmente. Dunque l’atto col quale Dio pone cotesto mondo é liberamente necessario, e necessariamente libero. Dicemmo qual relazione corra fra libertà e ragioue. Se l’atto volitivo guardato nella sna radice, secondo la legge del processo psicologico, non è altro in generale che  uno «/orso (Tintenderef cotesto sforzo, che in noi ò impedito perchè essenzial conato, nell’assoluto non può aver luogo, e quindi è speditissimo. £cco il fondamento della necessità della creazione. Ma la sapienza infinita! si dirà: chi ne misura gli abissi? Lasciamo gli abissi: qui la faccenda è chiara, perchè ce ne porge guarentigia la psicologia: gl’abissi ci sono, pur troppo, ma non qui;  e qui ci sono, perchè ce Than messi l’ignoranza, il pregiudizio e l’immaginazione. Nò si creda che togliendo a Dio la libertà anche quella a n«oem(ate natura, ella rimanga distrutta altresì nell’uomo. Innanzi tutto non è vero che si tolga a Dio U libertà; anzi gli si dà la libertà vera, dal momento ohe si concepisce come vera  e compiuta ragione. L’uomo è ^rt»eep«rous. Non v'è dunque destino: il destino è la natura e la ragione; e appunto perchè il destino è natura, perciò è lungi d'esser cieca necessità. Tutto quindi è provvidenza nella mente di VICO (si veda), perchè tutto è creazione, attività intima, profonda, spontanea si nel mondo fisico, e rì nel morale; né senza ragione volle metterla in cima alle sue discor verter La provvidenza agl’occhi suoi apre e chiude il  circolo della scienza, non meno che il processo della storia. Ella perciò è innanzi tutto naturale e divina, appresso eroica, da ultimo umana. La provvidenza umana è la stessa ragione, la quale non può non essere libertà: essa dunque importa pienezza di responsabilità. La provvidenza è il primo de'tre grandi principii, 0  sensi comuni dell’umanità: ed è altresì l'ultimo corollario della mente  del filosofo. La provvidenza dunque è principio e fine della storia umana, al modo istesso eh' è dedica e conclusione della scienza. E anche quest’altra: ab ipta rerum humatuxrum natura. De  Oon$t, Philel Il  coDCotto di Vico è concetto aristotelico; e così infatti 1‘Afrodìsio interpreta la neceasìtà Jinea e naturale d'Aristotele. Ved.  NooBI8S0N,  De la UberU et du Haaard,  E$8a%  sur  Alexandre d'Aphrodina»  ec. Paris Ved. Tavola delle Diteoverte nella Seien»a Perciò chiama il soo libro una teologia civile e ragionata della Prowedema divina Se.; e più d' ana volta si dà Tanto d'aver prodotto una nuova dimostrazione, una dimostrazione di fatto ittorieo circa l’esistenza di Dio. Che cor'  ò questa dimoetratione di fatto ietoricot t!  la provvidenza in quanto è Fatto, in  quanto è creazione. et il Fatto che si converte con so stesso, e mostra quel che è, quel che contiene, quel che debb'essere; e così, mostrando sé stesso, mostra anche Dio. Perciò la provvidenza non ò Dio che si mostra, Dio che interviene; ma ò il mondo delle nazioni che attuandosi, che creandosi e edébrando così la propria ìvatwra, si mostra sensatamente, e si manifesta  come termine di  conversione. Indi è che la provvidenza per lui non può essere un argomento induttivo dimostrante l'esistenza di Dio, appunto perchè ella nel mondo, anziché effetto, ò una causa. Questa sua dimostrazione di /atto ietorico, dunque, è una forma dì eduzione, non già di semplice induzione: col che confermiamo anche una volta la natura del metodo vichiano. Ora se questo è il significato  significato davvero nuovo e originale del concetto della prowidenaa  n^U'  A. della scienza, n concetto ctisologìco inteso al modo che noi lo interpretiamo nel nostro filosofo, si presenta come il risaltato del mondo moderno. È la vita stessa della scienza moderna: è il gran secreto della filosofia positiva: ed è l'esigenza massima della Sdenea. Chi non Faccetta, deve negare il presente,  dee dare una smentita alla storia; e sarà condannato a indietreggiare sino al medio evo, per non dir già sino alla Grecia. La formola cosmologica del nostro filosofo corregge e trascende, anche in questo, il neoplatonismo italiano moderno, ponendo non è a merarigliare s’egli in ciò sia stato franteso e interpretato assai male, come vedemmo, da certi saoi critici. JOMMELLI (vedasi) e il  primo ad osserrare che nella scienza tale concetto può intendersi in dne sensi; e l’acato archeologo napoletano non s’ingannata. Talora infatti sembra che la provvidenza, per VICO (vedasi), abbia a consistere solamente nell’azione di Dio. È la provvidenza, per dirne un esempio, che eccita Atejo Capitone e Lahtone; il primo nella gdoèa e tenace cuttodia de^ vecchi diritti, e il secondo  nel propugnare interprc tOMioni tempre nuove affindii la romana ffiurieprudenMa potetèc evtdgerai. De  Univ,  Jur,. La provvidenza egli invoca per iepiegare la rapida e univereale comporta del Cristianesimo merco la civiltà romana; la quale perciò altro scopo non avrebbe avuto nel mondo, fuorché quello di schiuder la via all’idea cristiana. Or tutto ciò contraddice all’esigenza del  suo metodo, ed è in aperta opposizione colla sua dottrina metafisica. Lo stesso religiosissimo JOMMELLI (vedasi), il quale del resto non avea nò punto né poco subodorato il valore della filosofia del suo maestro, non dubita affermare, che se per prowidenxa nella scienza vuole intendere eolo l’axione di Dio eugli uomini, Mora non  pare che n faccia altro che una lemone di teologia  poco neeeeearia ai Cattolici, ami ai Crietiani e a tutti gli eneeri ragionevoli. Provvidenza dunque, per VICO (si veda), vuol dire natura. Provvedere è fare, è creare, ò attuare. Dunque è incessante e vivace conversione del fatto nel vero. Per lui quindi è prowidenxa l’itetnto, laddove, parlando dell’origine della  parola 2ex,  dice che gl’uccelli nidificano pretto le fonti. De Vniv. Jur.   provvidenza il pudore, onde procede la frugalità, la temperanza, la giuttÌMia, e simili De Contt. Juritpr.,  I[I). È provvidenza la storia della poesia, e le false religioni. E provvidenza la forma monosillabica delle lingue. È provvidenza  lo teoppiar de’primi  tumulti deUe plebi nella terza età del tempo oscuro. È per provvidenza rebut iptit dietantibut che le religioni cominciano a venire in  dispregio. È prorvìdenn rebut iptit dietantibut, l’origine dell’arte della guerra e della pace. fe provvidenza che le Centi Minori apprendano dalle Centi Maggiori; ed è provvidenza  la templieità e naturalcMM  Oud*ò condotto il corto ddC  umanità Se..a nudo le magagne del concetto creativo del Teologismo, nonché dell' Hegelianiamo e del Positivismo: che vuol dire, al  solito, corregge i due estremi del filosofare, iperpsicologismo ed empirismo. Di fatto che cos' è per l'Hegeliano la creazione? È l’identico in guanto si differendo. Dunque non è vera creazione, svolgimento, processo; ma ripetizione ritmica e, come dire, inquadrata sovra un medesimo fondo che è la Idea. Pel Positivista il moto,  la  vita  e  l' essere  delle  cose  non  è  che  trasformazione di  forze,  o  di  materia; trasformazione fisica, meccanica, biologica; determinismo affatto meccanico, affatto accidentale, affatto cieco. Dunque anche per lui la creazione è ripetizione monotona d'un identico subietto. Colla formola cosmologica del nostro filosofo, inoltre, si giugne a conciliare le esigenze legittime del teismo e del panteismo sulla natura del mondo. Nel Panteismo vi è un'affermazione  giusta e ragionevole; ma vi è pure una negazione iriragionevole, erronea ed esiziale. L'affermazione risguarda lo svolgimento d'un principio interno e divino nel mondo, e nella natura. La negazione poi riguarda un'efficienza sovramondana, che come intelletto amore e potenza ponga il mondo e la natura, e sia presente al mondo e alla natura. Il Teismo grossolano e volgare contraddice  al  Panteismo col porre l'efficienza sovramondana; ma non sa intendere per nulla il divino della natura; non capisce il divino anche nel mondo. L'affermazione del Panteismo è l'esigenza dell'Oriente, e, in parte, dell'Occidente; della scuole jonica, eleatica, pitagorea, stoica, alessandrina; poi delle grandi intelligenze d'.Erigena, di BRUNO, dello Spinoza; ed è anche l'esigenza  dell'hegelianismo. L'affermazione poi del Teismo beninteso, è principalmente un portato della speculazione occidentale, perchè è l’esigenza profonda della metafisica platonica, e della metafisica aristotelica. Panteismo e Teismo, dunque, oggi sono di fronte; perchè essendo pervenuti entrambi al più alto grado di speculazione, ci porgono due forinole nette, chiare, spiccate:V essere, il  non-essere e il divenire, da una parte. Il vero, il generato e il fatto, dall'altra. Or l’affermazione, r esigenza ragionevole del panteismo è inclusa nella formula cosmologica di VICO (vedasi), e, che più importa, vi è anche corretta. L'affermazione e l'esigenza ragionevole del teismo, poi, trova correzione e inveramento nella formola metafisica dello stesso filosofo. Quant'alla parte  negativa,  cotesti sistemi sono da ripudiarsi entrambi. Se il teismo ignora il vero concetto di natura e però disconosce il divino e perciò stesso disconosce la creazione autonoma del mondo; il Panteismo, alla sua volta, disconosce la vera natura di Dio, e perciò disconosce la vera natura dell'uomo, e cosi viene a distruggere la grandezza e l'eccellenza dell’umana personalità. Se intanto la creazione  è un processo, cioè dire il fatto che si converte nel vero, si può domandare: in che maniera s' attua cotesto processo? In altre parole: come avviene che la creazione diventa provvidenza? Il modo con che s'attua la creazione potrà dircelo solamente l’esperienza: ce lo potran dire le scienze di natura, e le discipline storiche in generale. Ma anche nella soluzione del problema cosmologica  sbagliano, tanto quelli che tutto vogliono indurre, quanto quegli altri che tutto pretendono dedurre. Oggi non è permessa una dottrina cosmologica empirica; e tanto meno è permessa una cosmologia che, fabbricata a priori, si rimane campata a mezz'aria. La filosofia cosmologica potrà attinger valore positivo e razionale ad un sol patto; che, cioè, il pronunziato generale ch'ella potrà  fornire alle scienze le quali si travagliano intorno alla ricerca delle leggi da Mill appellate empiriche, sia del pari, o possa essere, il risultato complessivo e finale delle scienze stesGiastissime qaiodi le parole d*aii valoroso sorltlore moderno. (Tttt  ùonire le panthéitme que tou» eeux qui retUM  ^i>rit  de la vrai grandéur de l’homme doivent »e  riunir et eombattre (Tooqukvillk, De la VemoeraHe, Paris) se. La metafisica positiva altro non sa darci, salvo che la legge della conversione come principio della essenzial costituzione del fatto. Quant’al modo poi, ella non sa, ella non può assegnar né regole ritmiche, né tricotomie a priori di nessuna sorta. Che se anche qui per avventura è possibile un accordo e una rispondenza tra la speculazione del filosofo e l’osservazione  induttiva e deduttiva dello scienziato, in verità non si cerca di meglio. In cosiiFatto accordo si avrà la guarentigia più sicura dell'ottimo indirizzo cosi dell'una come dell'altra sfera di scibile. Se il Fatto à il diverso, non solo considerato qual termine di conversione col generato, ma anche avvisato in sé stesso, avviene che, nel convertirsi con sé medesimo, e' debba manifestare varietà di  momenti e passaggi e transiti, e quindi intervalli e tjontinuità nell’esplicazione delle sue forze. Vuol essere insomma, ripetiamolo, un vero processo, che è dire svolgimento, conversione, creazione, anziché una serie di semplici trasformazioni e d'increscevoli rimutamenti di forma. Vuol esser quindi un passaggio incessante ed essenzialmente dinamico dalla potenza all'atto, dall'omogeneo all'eterogeneo, per usare anche qui la frase di Spencer, dall'indeterminato al determinato, e però dal genere alla specie, e dalla specie all'individuo, per finire nell'individuo capace d'essere o di rappresentare insieme nella sua virtù il genere e la specie. Tre sono i sommi generi del processo cosmico; e altrettante le fermate o, per così dire, i momenti dell'attività creatrice. Tre sono dunque  i processi speciali e differenti attraverso a cui il Fatto si fa, e che potremo appellare fisico, orgor nicOf  e storico-sociologico od umano; e tre sono quindi gli anelli della gran catena; Forza, Vita e Pensiero. Fra questi tre processi ci ha differenza e medesimezza, e però intervalli e continuità: ma né questa continuità è di natura materiale, né quell'intervallo é un semphce passaggio alla  maniera che lo intendevano e lo intendono, come notammo, gli aristotelici empirici, ed i moderni materialisti. Fra il processo fisico e il processo organico, per esempio, ci è continuità ideale, e quindi intervallo reale; stantechè non sia la Forza che diventi Vita, né la Vita che diventi Pensiero, ma è la forza che passa ad esser vita, e la vita pensiero. E nel pensiero compenetrandosi non  già sovrapponendosi od  assomandosi le prime, abbiamo nel medesimo tempo r attuazione della forza, e della vita. Il passaggio quindi, come accennammo, non è semplice trasformazione, ma è transito, è passaggio nello stretto senso della parola (iyipyetò:  aTi>>i;),  eduzione eductio entìs ad  actum y e perciò creazione. Se intanto nel passaggio vi ha intervallo, cotesto intervallo non è  egli davvero un salto che fa la natura? L'intervallo superato dalla stessa natura è precisamente la conversione del fatto nel vero; è r energia creativa; è il vero passaggio dal nulla all'essere, dalla potenza all'atto: ed ecco il significato della creazione ex nihilo. Dunque l'intervallo per noi non è come altrove toccammo quel che per gli antichi era i) diastema e il cenon; negazione, vuoto,  nulla. È anzi pienezza d'essere, attuosità vivace, conato (to  Juvarov), perocché ci rappresenta il momento in cui la continuità ideale tende a diventar reale. Ai due capi della catena poi vedemmo esserci due intervalli; psicologico l'uno, e metafisico l'altro. U primo dicemmo potersi superare mercé la dialettica ascensiva, poiché qui il fatto, già convertitosi con sé medesimo e perciò  divenuto forza vita e pensiero, si converte quinci col vero, eh' é dire col primum verum metaphysicum: mentre il secondo é superato dall'essere stesso colla dialettica discensiva, secondochè ci addimostrano la formola metafisica e la formola cosmologica di VICO (vedasi). Queste sono le due leggi universali, o meglio, le due condizioni dell'attività creatrice di natura. In virtù di esse é  possibile una scienza cosmologica razionalmente positiva, poiché in esse sta il nodo di que'dibattati e YÌtali problemi sulla generazione, sulla genesi spontanea, sull'origine delle specie. Né il Platonismo, né l’Aristotelismo, né alcuna dottrina che risalga a queste due sorgenti, ci potranno dar mai questa doppia legge. Nell'uno fa difetto il concetto del processo; nell'altro questo processo,  ripetiamolo, è passaggio empirico> meccanico, generativo, ovvero logico e formale. Ammessa quindi la legge dell'intervallo nell’attività creativa di natura, verremo capaci di correggere il vieto concetto cosmogonico del teologismo e dell'empirismo. Il vecchio naturalista contro il teologista pronunzia, che natura non fadt saltum. A salvare il deus machina il teologo risponde, che natura  fadt sattum; e questi salti per lui sono altrettanti atti immediati del Demiurgo. Ora la verità non istà dall'una, né dall'altra parte. Naturalisti, sperimentalisti, deterministi, positivisti hanno ragione a non credere ai salti; ma non ha torto il teologo se dice che la natura procede per creazioni ed atti creativi diversi. Il positivo qui dove sta? Neil'accettar l' una e l' altra affermazione, e correggerle  entrambe. La natura, certo, non fa salti; non v'essendo ragione perché ella non proceda continua nella ricchezza e fecondità delle sue produzioni Ma eccoci al punto Questa continuità continuità materiale,  fisica, sensata ha luogo entro la sfera. Ma anche in questa dottrina Aristotele potrebb essere difeso, chi lo interpretasse benignamente.  Se pel Platonismo il divenire e il generarsi, ha  luogo per l’essenza, pell'idea che attua la cosa e la scorge e la determina; per Aristotele, al contrarlo, l’indeterminato procede al tUterminato qucdUativo per sua propria energia. Fra i molti passi che potrei addurre mi contento di questo che si legge nella Metaph.:  Uòrtpov  ouv  iv^i  tic  (Ttfatpa  uxpot.  raqSi  Xf  oixiu  vK^pct TOtc  oXcvdouC}  i  01» J*  av  aoTf  iytyvexoy  ti  ovtwc  tJv,  róSt  ri; àXXa    Toióv^c  vrifjLaivtiy  róSt    xai  (upurixivov  oux  tf(r7(v, àWà  trotcì  xac'  7evvà  ex  totJ^s  rotov^s    xat  orav  7«vv>30i7,  Ìt^i ro$t  rotòvBt.  È nna  prova di  più, come  si  vede,  della  possibilità  di rintracciare  e  dimostrare  nell'Aristotelismo,  anche  in  siflbtta  ricerca, r  indirizzo  medio della  speculazione  filosofica  contro  gì*  interpreti  empirici e  contro  gì*  iperpsicologisti  che  il  generarsi  delle  cose  in  Aristotele  traggono  in  due  e  contrarie  sentenze opposite d'una specie, d'un genere, d'un ordine, anziché nel passaggio dall'uno all'altro. Se così non fosse, la natura non sarebbe guari natura, non sarebbe creazione, sibbene ripetizione sazievolmente monotona d'individui. E non meno ragione ha il teologo o il neoplatonico che sia, nel pretender che la natura procede a salti; ma non ha niente ragione a predicarci essere il demiurgo, proprio lui, quegli che la fa saltare. È ella stessa, è la stessa potente e feconda natura che si muove. E si muove per qualcosa che non sopraggiugne dal di fuora, anzi sgorga dal di dentro. Cosi, e solamente così, è possibile l'autogenesi del mondo. Chi non sia disposto ad accettarla, romperà senza rimedio contro Scilla, o Cariddi; che vuol dire contro uno de'due soliti estremi. Come intanto s'inaugura, come si svolge e come s’assolve egli il processo cosmico? Dell’attività creativa ne'diversi momenti del processo cosmico, se l’attività creatrice di natura è una  conversione del fatto nel vero, ella non può esplicarsi altrimenti che per gradi,  per momenti diversi, e quindi per intervalli e per continuità ideale. Il processo cosmico, dunque, è universale. Ed è  universale principalmente perchè, secondo la frase di BRUNO, racchiude in sé, quasi circolo più ampio altri piccoli circoH, il triplice processo fisico, organico e sociologico. Così la legge che governa il tutto come le parti è sempre la stessa: è la gran legge del trasformarsi e del rintegrarsi perpetuo, progressivo, incessante delle forze universali e comuni di natura. Perciò è il numero che  [lIB. H. sempre più volge ad unità; è l’indeterminato, l’omogeneo, l'indefinito  (tò  uopiiTòv) che procede al determinato, all'eterogeneo, al perfetto (tò  TsXitov). Se tale dunque è la natura di quest'universal movimento che dispiegasi nel tempo, in che maniera potrebb'esser un incessante cangiar di forme e di fenomeni? Se cosi fosse, quest'universo sarebb'egli un cosmos o non più veramente un increscevole ed eterna monotonia d'apparenze fenomenali, ovvero un caos? La legge del processo cosmico dunque è legge di creazione; è legge di coixyersione, anziché di semplice trasformazione. Col processo fisico si genera la forza; e la forza è subbietto omogeneo, sintesi confusa, numero e unità generale, unitotalità vaga e indeterminata. Cotesto processo fisico si  sdoppia nel processo organico nel quale si genera la vita; e la vita è numero, eterogeneità essenziale, essenzial dualità  -- vegetale e zoologica. Nel processo storico-sociologico, finalmente, SI GENERA LO SPIRITO, il pensiero; ed è un ritomo all'unità, ma come triplicità. La forza quindi si converte nella vita, come la vita si converte nel pensiero. Unità, dualità, dualunità: Forza, Vita  e Pensiero. Ecco il processo cosmico, ed è sempre il fatto che si converte nel vero, perocché è sempre il conato, il medesimo, che si fa diverso per intervallo. Come intanto. È il vecchio principio per cui si distingue l’indirizzo medio aristotelico nella  dottrina sulle forze fisiche, organiche ed organizzate: *H  $i  fxJffi^  ffivyet    aTrci^ov  *  to  fiiv  yoip  anstpov  otTtlsq,  Si «vece  «s(  K^Ttt  TsXoc  (I>e  (7en.  an.).  E più chiaramente ancora: 'Aft  yàp  €v  Tw  efslivii  vppxst  xo  upOTspov De An..La scienza moderna non ha fatto e non fa che confermare questo principio aristotelico; ed è quel medesimo pronunziato che Spencer considera siccome chiave del processo cosmico. Ma avvertimmo già l’aspetta manchevole delle dottrine dell’illustre scrittore  inglese;  che, cioè, se il processo cosmico è davvero una creazione, è forza che nella sua natura altro non possa essere che uua teleologia, un processo essenzialmente teleologico, a partire dall'etere, dalla materia nebulare indeterminata, e scendere giù giù fino all'atto estremo, alla forza che diciamo  pensiero. Questo dato vitalissimo manca a Spencer nonché ai Positivisti e, come vedremo, a'  naturalisti  Darwiniani. E pure, chi ben rifletta, è un concetto essenzialmente poeitioo^ perchè è un fatto.rivelasi la prima conversione del fatto? In altre parole: in qual modo s'inaugura l'attuosità creativa dell'universo? La natura comincia con l’esser conato. Ella dunque comincia come sintesi iniziale e confusa: ella s'inaugura come materia metafisica Vico, De  Antiqui^. La nuiteria metafisica alla qaale più voite accenna confasimente VICO (vedasi) e che SERBATI, come toccammo, non interpreta convenevolmente, ò neill/ordine cosmico e naturale ciò che nell'ordine psicologico ò la luce tnetaJUica. Nel passaggio, nell’intervallo in generale, ha luogo nn novello conato, eh' è il momento creativo, il parto a/orno  impedito della natura; e quindi racchiude qualcosa d’intimo,  d’universale, di metafisico, d'iperfisico, di soprassensibile. Ecco  perchè talora in VICO (vedasi) nonv'ha divario nelle parole conato, momentOf  t/orto  impedito, luce meta/i» nea^mcUeria  metaJÌ9Ìca,virtue^vi»,  dvvxfJLi^y  «vT«).ffXJeav, e simili. Però è facile incontrarvi qualche sentenza di questo tenore: Lux metaphyeica §eu eduetio virtutum in actue conatu gignitur.  Perciò se si vuole interpretare a dovere la sua mente, il valore della parola conato, nella quale pone radice la novità della cosmologia vichiana e leibniziana, è questo: che il conato per lui sia il principio concreto, reale, vivente della natura: che sia perciò relazione la qual comprenda e annodi in organismo vivente i tre processi, e per cui risulti come la  molla secreta deir intero Proceeeo  eoemólogico, È la relazione concreta, e reale del fatto col vero; cioè del fatto che, in quanto divereo in sé, diventa Vero. In una  parola, è la eoetanxa della natura, come fra poco vedremo, e perciò è Vdpx^  xivKj Tcwc d'Aristotele (AfetopA) ma corretto profondamente, e però trasfigurato e legittimato, stantechè non sia altrimenti un principio di movimento ipercosmìco, ma nn principio  essenzialmente eoemico, essenzialmente naturale; e perciò è lo stesso movimento che, in quant'è motOf  si rivela come autogenito. GIOBERTI che ha un senso storico divinativo tutto suo nel saper cogliere in certe sentenze l'aspetto originale d’una dottrina, non dubitò scrivere che la teorica de'punti e del i eoncUo di VICO (vedasi)  ì il perno del tuo eietema; aggiungendo che per questa parte egli è arietotelico e platonico ad un tempo Protol.. Che la dottrina del conato sia il perno della sua cosmologia, nessun dubbio; ma la cosmologia non è la sua metafisica. È dunque il perno, è la molla della sua formola eoemoloffica, non già della sua formola metafiica: il perno di questa seconda è ben altro. Che poi in questo egli sia aristotelico e platonico insieme, è vero; ma è tale  in quanto corregge, trasforma e compie i due filosofi, e perciò in quanto li accorda. Nel platonismo il concetto del conato, al modo che è inteso da VICO (vedasi), non ci è, e non ci può essere, come si può ricavare da tutti que'luoghi ne'quali siamo venuti accennando rapidamente a quel sistema. Può esserci, e vi è di fatto in Aristotele, ma confuso e indeterminato cosi che non si lascia  riconoscere facilmente. Al qual proposito mi sia qui lecita nn* osservazione storica. Ma se la natura comincia coll’esser conato, appunto perchè conato ella dev'esser riguardata sotto doppio QualcQDo potrebbe confondere questo conato del filosofo napoletano colla monade leibniziana, o, pegfifio, col1’  ?pe$(?  aristotelica. Lasciamo della prima perchò ne dicemmo qualcosa in altro  luog^o. Qnant'al secondo osserro che tra Voptl^ii  dello Stagirita e il conato àe\ nostro filosofo, ci è profondo divario. Accennammo già qualcosa riguardo alr aspetto esagerato della «aiMo y!iMi2«  d'Aristotele.  L'ó^e^cc certamente è designato da lui qual moto 9pontaneo; e basti per tutti questo passo: Kcvftrac  yoLp  to' xivouufvov  t?  òpiysrat^  xat  17  xévTio'c;  rtc opsl^ti   t»spytia.  {De  Xn,)! Ma ò poi veramente tale, voglio dire essenzialmente spontaneo cotest’opegi^ d'Aristotele? Non sarebbe più tosto un residuo del maestro passato nella mente dello scolare? Aristotele, avvertimmo, rompe la terie predara in due modi; col1'intdllgibUe venuto di /uorOf  BvpstOiv, e colla causa finale, cioè, col dender€tb%le  [70  òptxTÒv  xat  to'  voutÓv).  Luce  per ribtelligenza,  dunque, e calore pella volontà vengon d'altronde; e però chi determina tanto il peneiero, quanto la tendenna, è il pensiero divino. Eih, Eud.. Ora dunque 1*opeHc'c per Aristotele non può esser davvero spontaneo, se no si contraddice. E tant*è vero che la natura per lui non ò propriamente attiva per so, che non mancò, fk'a' vecchi aristotelici, chi pigliasse a dimostrare come in Aristotele,  in forza del suo medesimo sistema, debba aver luogo la causa efficiente. Se Dio infatti ò canea finale^ per ciò stesso ha da essere anche canea efficiente; tanto pare ad Ammonio, il primo a dare tale interpretazione, che Aristotele dove mettersi in accordo con Platone (Yed.  Rayaisson). Dunque l’ops^i^  noir Aristotelismo ò  ?^e^cc non per essenza propria, ma in grazia d’un determinante  estrinseco, d’un’infiuenza eeteriore; la quale influenza non essendo stata chiarita nettamente nella sua natura dal filosofo di Stagira, ha fatto e fa si che molti i quali si studiano d’interpretarlo benignamente, credano d'aver buono in mano per assumerne le difese, e fino a certo punto riescono ad aver ragione. Sennonché il vero concetto  dell'o^sHcc,  che  in  parte  risponda al conato di VICO (vedasi) e rappresenti perciò r indirixMo medio in siffatta questione, sarebbe da riporre piuttosto nella nozione di svipyna  aTf>>i:, la quale è appunto attiva per sé, ò attiva per virtù propria, essendo ciò che esiste in potenza, ma in quanto s'avvia all'atto; e s'avvia  per sé medesima, non per un altro; s'avvia e procede per propria essenza: 'O^óc  ttQ  ouTiav  {Metaph.)  In altre parole  è ciò che, imperfetto, non ha il fine in so stesso, e quindi lo cerca. E lo cerca non perchè ne sia attratto (platonismo 0 aristotelismo platonico), ma k1 perchè ne ha bisogno. E se lo cerca e ne abbisogna, vuol dire che questo fine non potrà essere un'illusione addirittura. Perciò Aristotele determina il concetto del moto cosi: Twv apy.^£Mv eiv «tt/ taipoc ov^sjMca  tjXoc,  àWà  t«v tapi  To  TsXo;. {Metapk.). Ci slam voluti intrattenere un momento su questo particolare non solo per chiarire il concetto di VICO (vedasi) sul conato ma anche por mostrare l’attinenza ch'esso ha col concetto del rispetto. Anche del primo cosmologico possiamo dire qael che dicemmo del primo psicologico: egli è una testa di Giano; ha due facce. Il conato adunque è due cose, non una: è punto e momento (cf«7ft*i^ v) materia e moto, estensione e forza: ma e punto e momento di natura metafisica che vuol dir di natura potenziale, virtuale, soprassensibile, semplice, indivisa, universale. In altre parole, il conato e attuosità concreta e reale; ma non è, a dir proprio, né moto, né estensione, bensì virtii di moversi, e d'estendersi: e come virtù, come potenziaUtà, esso in generale é un soggetto identico. Punctum et momentum unum sunt, e quindi é nel medesimo tempo numero e unità, dualità e unità, polarità originaria, e perciò é unitotalità originaria, concreta, universale. Ora il conato in quanto é punto, materia, cioè in quant' é soggetto potenziale, recettivo, indeterminato, omogeneo, indefinito e indefinibile, é il ro Ssrspov; è la wa/xcc come pura capacità; in somma  é il fatto semplicemente detto; il fatto in quanto è termine di conversione dialettica coi Grenerato. Al contrario, in quanto é momento, ciò é dire materia e moto, estensione e forza, to'  Strtpov e to' notilo e però to warov, é il fatto in quanto è termine di conversione cosmologica; è il fatto in quanto é conversione di sé con sé stesso; e quindi é sostanza semplice,  sostanza universale, sostanza indivisibile in sé, ma divisa nelle cose che sostiene. Brevemente: il conato, guardato come puro fatto, cioè  come termine posto, é potenza in potenza, come direbbe Aristotele (^uvfltfii;  ^uvot^n); guardato invece come termine che si pone, come soggetto che si fa, egli, per dirla con le significantissime parole di VICO (vedasi), é for/pa che si fa dentro moto  aristotelico, il quale, inteso a doTere, nono tale quale d’ordinario Tiene interpretato dagli hegeliani. £ ci siamo trattenuti anche perchè quest'ultimi non abbiano a pigliare il concetto del conato per Vopt^i^ giacché nel conato del nostro filosofo non ci è necessità dialettiche, nò relaiioui di finalità come neiriperpsicologismo aristotelico fecchio e nuOTo. Il conato di VICO (vedasi) non è  propriamente VEatcre, nettampoco il NoH-ctnrc; dunque non sarà nemmanco U Divenire: ecco tetto.di sè medesima: perchè? precisamente perchè SFORZARSI È UN CONVERTIRSI IN SÈ STESSO;  0 perciò è sostanza che si sforsa a mandar fuori le cose. Che il ùonato nel concetto vlchiano sìa la sostanza delle cose e costituisca perciò il nerbo della sna formola cosmologica, si pnò  rìcaYare agevolmente da queste sentenze. Che cos*è la sostanza? Sattanza, in genertf  d ciò eke  »ta  9otto e  90$tiene la eoaa; indivitibile indivisa nelle cote eh* ella fottiene, e $oUo le dìvite cote, quantunqtu disuguali, vi §ta egualmente, Risp. al Giom. de Lett,. Questa deflnizione non ha che vedere colla definizione spinoziana: id quod existit a te et per «e. Sono entrambe definizioni  nominali, e però vere o falso flnchò non se ne faccia applicazione. Dal modo con che applicolla Spinoza, venne fuora il suo panteismo acosmico geometrizzato, con quella lunga sequela d’assurdi che ognuna  conosce. VICO (vedasi) 1’applica al fatto in quanto si fa vero, non già al vero che si converte col generato; e perciò riesce a schivare ogni maniera di panteismo. Infatti egli dice:  Quello che i moto ne*corpi particolari, neiVunivereo moto non è; perchè V’universo non ha con ehi altro possa mutar vicinanze. Dunque è una forza OHB  fa DRNTBO DI sà MBDESiifo: questo in s^ stesso sforzarsi, ì uno in sa strsso convertirsi. Ciò non pud eseere del corpo, perchè ciascuna parte del corpo avrebbe a rivoltarsi contro di sè medesima. Onde questo sarebbe tanto,  quanto le parti dd corpo si replicassero. Dunque, dico io, IL CONATO non è dd OORPO, ma deU*  UNI  Visse del  corpo. Tutto ciò è chiarito e confermato da quest'altra sentenza; Virtus est extensi, e perciò prior extenso est, soUicet  inextensa. De Antiq.. E spiegando altrove il valore di quest’ultimo concetto, dice: Io mi servo eie* vocaboli di virth e di potetaa appunto come se ne  servono i meeeaniei, appo i quali sono voci oelebratissime: con questo perciò di vario; cA' essi  (parla de’Cartesiani seguaci detta dottrina meccanica) V’attaccano ai corpi particolari, ed io dico esser dote propria e sola dell’universo. Risp. al Oiom. De’ LeU., E tornando al suo concetto gradito del conato, dice plh aperto: Nel mondo vero e reale vi ha un che invisibile che produce tutte  le cose. Ancora: Uno è lo sforzo delC universo, prrob2  dell’univrrbo: ed è l’indivisibile centro cui non è lecito trovare nell’universo esteso, e cAe dentro le linee deUa sua direzione tutti i disuguali pesi sostenendo con egual forza, tutte le partieo' lari cose sostiene insiememente ed aggira. Questa è la sostanza che si SFORZA mandar fuori le cose. È impossibile commentare queste  sentenze. Ci vorrebbe un capitolo per parola; e alla fin fine poi non riesciremmo che ad una freddura, ad una ripetizione fiacca e sbiadita. Bisogna dunque farle soggetto di meditazione severa, tramutarsele in sangue, e col loro sussidio interrogare! fenomeni e le leggi del mondo sensibile. Posti intanto questi principi! cosmologici, ecco alcune norme metodiche pella filosofia della natura  e delle scienze naturali: In fisica si trattano le cose per termini di eorpo t di moto; in m^afisioa trcUtar si debbono per qudli di sostanza e di conato, E come  U moto non è altro realmente che eorpo, cosi il conato altro realmsnU non sia che sostanza, L’altro domma metodico riSe questo è il cardine della cosmologia del nostro filosofo, le conseguenze e le applicazioni che se  ne traggono riescono supremamente feconde, positive, originali in tutte quante le sfere delle scienze di natura, dalP’astronomia alla fisiologia, dalla meccanica celeste alla zoologia e alla zoopsicologia. Noi non possiamo intrattenerci in queste applicazioni, e ce ne duole. Ci ristringeremo ad accennarne qualcuna, e rilevarne l’aspetto originale; e innanzi tutto quella risguardante la dottrina del  Cronotopo. Se la sostanza cosmica è una, indivisibile e divisa nelle cose a cui sta sotto egualmente per diseguali che queste siano, i modi essenziali e primigenii in che ella si determina, sono lo spazio e il tempo puri: punto e momentOj virtus extendendi e virtus movendi. Sennonché la virtii d' estendersi, logicamente, va innanzi alla virtù del moversi, al contrario di ciò che pensa il  GIOBERTI (vedasi); poiché, al solito, se il fatto come diverso in sé vuol essere un processo autonomo, avviene che la prima forma di conversione, la prima individuazione cosmica, debb'essere il punto che divien momento; debb' esser la virtù d'estendersi che si gemina, e assume valore di virtù motrice. Perciò la sostanza in quant'è virtus extendendi, inquant'é pura capacità, è V’altro, è il diverso, è il fatto come posto, e però è lo spazio infinito, la cui prima determinazione è ciò che domandasi etere da’moderni. In quanto poi è virtus movendi, cioè atto, diverso gniardante lo stadio delle leggi fisiche ò questo: L’unica ipoteti cioè finzione speculativa per la qwd dalla MetaJUica ndla Fisica discenda giammai ti po99a, netto le matematiche; e che il punto geometrico eia una SOMIOLIANZA del metafieicOf dot della sostanza; e ch’ella aia coea che veramente t, ed i indivisibile; che ci dà e sostiene distesi uguali con egual /orza: perche per le dimostnxzioni di BONAIUTI Galilei ed altre piene di meraviglittf le disuguaglianze quanto si vogliono grandi, ritirandoci al lor principio indivisibile, cioì ai puntiy tutte si perdono e si confondono., ti appena bisogno d’avvertire che colla sua dottrina cosmologica ei non fa che interpretare ed elevare ad altezza metafisica positiva l’esigenza del metodo galileiano. Nelle lor relazioni ideali BONAIUTI Galileo e VICO (vedasi) si richiamano a vicenda. (Ved. il nostro Disc. DanU, Galileo e Vico, Firenze, Celliul). L'esistenza dell’etere od abaro (come con ragione vuol chiamarlo il nostro valoroso e valente Colonnello Pozzolinì) che per i fisici è una in $èj 0 Fatto ohe si fa, la sostanza è il cominciamento originario, autogenito della natura, e perciò indipendente da Dio. Ed è affatto indipendente da Dio nel suo svolgimento, e però nelle sue leg{2p, appunto perchè, come fu mostrato, Dio pone il mondo non già come attuale, anzi come potenziale. Perchè dunque il punto diventa momento? Per necessità della propria essenza: vo'dire perchè è diverso in se; perchè è sformarsi che è uno in sé stesso convertirsi. Se adunque come materia il conato è confusione, impenetrabilità, pura capacità; come virtù di moversi, invece, è cominciamento d'ordine, inizio di cosmos finteli'atomo, nelP’esteso metafisico il quale, essendo medesimezza e differenza in atto, rappresenta perciò la prima dualità in cui forza e materia formano un medesimo subbietto. ipoteti della quale non possono in yenin modo prescindere, nella fonnola cosmologica di Vico, invece, assume valore di teti. Essi non sanno dir che cosa sia quest'eeere. Noi sanno oggi e noi potranno saper mai: perchè? Per la semplice ragione ch*ei trascende la mente: e la trascende in quanto che riguarda un’attinenza della sostanza come potta, non già della sostanza come causa, come forza. Perciò riguardando il dato della creazione, ne Tiene che, por intendere questo dato in qualche maniera, bisognerà filosofare; e per filosofare in modo serio e positivo e razionale bisogna ricorrere alla formoUi cosmologica del nostro filosofo. Non V’è scampo: o questa formola, oppure il concetto inintelligibile, grossolano e balordo d’una materia concepita qual ricettacolo assoluto e generativo d’ogni cosa: eh' è propriamente (chiedo perdono a tutti i materialisti e meccanicisti vecchi e nuovi) un concetto da cretini! Dunque il cronotopo non è, come pretendono i Leibniziani, la successione e coesistenza di punti e di momenti; teorica al tutto empirica la quale non ispiega nulla di nulla, perchè non addita la ragione della coesistenza. Non si può dir nemmeno pertinenza deir Assoluto in quanto ì l’Idea ad extr(h Videa come potnbUità infinita (GIOBERTI, ProtoU, Sagg. Ili); ì° perchè non s'intende che cosa mai sia codest'Idea ad extra; 2 perchè s*ella è pottihilità infinita, come tale appartiene al Fatto, il quale in quanto conato è precisamente un' infinita po$9ÌbilitiL Non è poi relazione tra U finito e linfinito (FoRNABi, DeW Arm. Univ. DiaL I) perchè, se così fosse, dovendo i termini partecipare alla natura della relazione, ci avrebbe a essere spazio e tempo anche nell' infinito! Finalmente non è la prima e immediata esistenza detta Idea (SPAVENTA, Mem, mi Tempo e tulio Spazio, negli Atti dell'Accad. di Nap.), perchè l’Idea è incapace di rivestire spazialità e temporalità per le ragioni altrove accennate. Dunque che cos'è cotesto cronotopo? È precisamente il conato; Abbiamo detto che l’atomo è l'esteso metafisico. Esso dunque è la compenetrazione del punto, e del momento: è il punto divenuto momento; è la virtù d'estendersi che s'estende in quanto si move. Neil'atomo perciò, neir esteso metafisico, trova pienissima applicazione il pronunziato di VICO (vedasi): ptmctum et mofnentum unum sunt In altre parole: che cos'è l’atomo? È l’estrema realtà (non astrazione) cui possa poggiar la mente. Dunque è la prima realtà onde move la natura. Anche in seno all'atomo quindi si dee verificare ciò che i fisici oggi riconoscono in molti fenomeni; il principio della polarità. L'esteso metafisico è un'essenzial dualità; è forza e materia in atto; è la determmazione originaria, autonoma della doppia virtii estensiva e motrice. Dunque è la prima conversione del fatto, in quanto il fatto è un subbietto diverso in sé. Perciò è il primo momento della creazione propriamente detta: il momento solenne in cui la forza, nascendo nella materia (non dalla materia), si crea.'ma il conato in qnanto ò polarità essenziale, essenzial dualità. È la sostanza stessa del mondo in quanto ha una doppia faccia: estensione e forza; wirhu extendendif e virtù» movendi. Ora se il conato è un subietto essenzialmente duplo^ essenzialmente polare, ì moderni fisici non possono, non debbono menomamente ripudiarne il concetto, che anzi accettandolo, giungerebbero a spiegare più d'una loro ipotesi. Chi dunque dice fona, dice ereazione: ecco il rero dinamismo, il dinamismo positi?o. Perciò erra tanto il materialista grossolano quando afferma ch/D la forza naaea dalla materia, o ne sia una pura e semplice determinazione; qnanto il dinamista puro (Hibn, Cotuiquence» phil. et mHaph. de la Thirmodinamique, Paris) che pretende concepire la fona anteriore alla materia! La forza Don nasce dalla materia, o per la materia. La forza si pone, e perciò si crea nella materia. Il suo nascere è creare nel Tero senso della parola; è uscire ex nihilo, E qual è il nulla f Il nulla del filosofo cattolico, no: cotesto nuUa ò impossibile, perchè ò inconcepibile. Dunque è la materia, ma la materia considerata come puro Fatto, come pura capaciti, come possibilità. Platone la diceya ricettacolo, e diceva benissimo. Dov'errava? Errava gravemente nel determinare il modo con che nel contenente sorga il contenuto. È precisamente l’errore del materialista moderno. La forza, dice questi, suppone la materia. Certamente! ma non ò pnra e semplice trae/ormanane o modiJicoMione o qualità di materia. La materia in qnanto diventa forza è conato: e perciò (ripetiamolo) ò intervallo già superato; ò atto propriamente detto, e Se intanto l'atomo è an'essenzial dualità, in esso è l'esigenza dell'altro atomo, delle molecole, del corpo, dell'organismo atomico. Ma ecco tosto nn dilemma: o l'atomo è semplice, o è composto. È egli semplice? Dunque non può dare il composto. È egli composto? Dunque richiede il semplice. Dilemma seriissimo, davvero. L'atomo non è l'una cosa ne l'altra; o, più veramente,, è r una cosa e l'altra insieme. Se l'atomo, è conato, momento in cui la materia e la forza si compenetrano; come dirlo semplice? come dirlo composto? Pertanto se l'atomo è conato, perciò racchiude l'esigenza degli altri atomi. Dunque? dunque l'atomo non ha figura in quanto è un esteso metafisico, ma ha figura in quanto si marita e si converte con altro atomo: la figura è un risultato. Or se l'atomo è virtii d'estensione che si attudij avviene che, come tale, e' debba essere attrazione: e s'egli è virtii di moversi in atto, avviene altre che, come tale, e'debb'esser moto essenzialmente rotatorio} Se dunque 1'atomo in quanto conato è insieme identico e diverso, perciò è in sé, e fuori di se; è per sé, e anche per l’altro; abbisogna dell'altro. Per questa comune proprietà gl’atomi ci rendon quasi immagine delle idee platoniche, la cui vita sta nell'essere essenqaindi è atto naovo, atto creatÌTo. Eccoci al miracolo! sento grridarmi. Precisamente al miracolo: ma gli è nn miracolo essensialmente naturale, unlversaie, necessario; e per consegnenza non ò miracolo. Se dunoue VeaUto metafinco è la forza in quanto si genera nella mcUeriiif ne viene cne VaUnno ha da essere tutt*altro che inerte. Anzi è la materia, è l’etere, è l’abaro, è quel quid nebulare primitivo che, da unità indeterminata, passa ad essere anche forza, profonda energìa in cui e per cui sMnaugura il Prooeeeo fieieo. Se così non fosse, io domando, come farebbe il chimico ad intender le leggi deir affinità? E se così non fosse, la moderna dottrina delTatonicità non andrebbe in fumo? Questo è il moro etemo e continuo dell’Aristotelismo, cagione d'ogni moto, il quale perciò non può non ettere un moto circolare nello epaxio {Phye,, Vili, ix), e come tale è moto naturale d'un elemento eempliee du non ha contrari {De Cod., I, li). Al motore motto bisogna sostituire il conato. E il moto circolare non avente contrari bisogna darlo all’essenza stessa dellatomo, dell’eeteeo metafisico. Ecco una delle correzioni vitali della cosmologia aristotelica richieste logicamente daU'indirimco medio. zialmente relative. L'atomo qaiadì, in quanto è medesimezza, è attrazione; in quanto è medesimezza e diversità, è rotazione e circolarità. Dunque può dare origine al moto per induzione e rivoluzione, che à moto secondario e derivato. Or questa legge si verifica in una lunga serie di fenomeni; luce, elettrico, calorico, magnetico. Si verifica ne'grandi coi*pi dell'universo. Perchè non dovrà verificarsi altresì, e principalmente, in seno alla stessa vita intima degl’atomi? Attrazione e rotazione, dunque, riduconsi ad un sol fatto primitivo, universale, assoluto. Il conato è moto essenzialmente rotatorio; e quindi è la sorgente prima d'ogni e qualunque forma di moto. La legge di rotazione perciò è legge universale; ed è la sostanza stessa cosi delle grandi, come delle piccole masse: Questo in se stesso sforearsiy è uno in se stesso convertirsi.* Le conseguenze di questa dottrina cosmologica sono evidenti, originali, modernissime. n vuoto è un assurdo; perchè è un assurdo il nulla. Esiste dunque l’universo infinito; ed è tale non come mondi, ben^i come conato, come sostanza universale determìnantesi ne'due attributi essenziali della spazialità e temporaneità pure. È un assurdo il moto comunicato, perchè è un assurdo che la forza si rompa, si scinda, si divida: senza dir già che, se è vero che la forza debb'essere anche materia, la comuniccmone del moto importerebbe la compenetrazione e insieme la inerzia degli atomi, ciò che costituisce un doppio assurdo. È uYi ' Ved. a questo proposito la bella Mem. di POZZOLINI (si veda) {Indumone delU forte finche, Bologna), Baudrimoni, Atomologie e le tre Memorie eu la atrtUtura cUi* Corpi. Bordeaux * Ved. la Mem. su la Legge univeraale di rotazione del nostro amico prof. Bàrbera, della quale accettiamo in gran parte la dottrina perchè ci sembra un'applicazione rigorosa de*principii cosmologici di VICO (vedasi). Di BARBERA merita esser letto il discorso stupendo su Newton e la Filoeofia Naturale Napoli. La memoria poco fa citata di POZZOLINI, come questi due saggi del BARBERA, sono i primi segui d'una riforma seria delle scienze astronomiche e della filosofia naturale in Italia. Abibt., PAy«., Tiii. assurdo che il moto universale cominci e finisca, poiché è un assurdo che il mondo, che è pur egli necessario come termine di conversione dialettica abbia principio e fine. È un assurdo un impulso primitivo impresso da Dio alla materia, ciò che è l’esigenza illegittima del fiacco Peripatetismo, dell'Aristotelismo platoneggiante: perciò assurda e gratuitamente ipotetica la base nella quale s'appoggia la teorica newtoniana sull’origine del moto. È un assurdo che la materia diventata forza, ciò è dire l’atomo, tomi ad esser pura materia; perciò assurdo che la forza cessi d'esser quella che è nella sua essenza, e che si sperda, che decresca, o si menomi in qual si voglia modo. Sono dunque un assurdo, sono indovinelli da algebrisH quei conti e racconti di certi facili calcolatori matematici che, come il teologista e il millenario, segnano già ne'secoli futuri la fine e lo spegnimento della terra. Ne'loro problemi essi dimenticano che la forza è creazione: e dimenticano troppo facilmente, che creare vuol non dire annullamento. Il conato adunque, è il vero motore immobile e mobilissimo dell'universo; è l'universo stesso in quanto è infinita potenzialità; è l’àpxrì xcv)ic intrinsecato, essenziato con l'universo stesso. Come tale l'universo procede di numero in numero, secondo la frase di Bruno, svolgendosi come mondi nelle successioni, e perciò è infinito nel tempo; e come tale anche l'universo, come il pensiero nel formarsi il concetto dell'Assoluto, rende a Dio la pariglia. Cosi il principio cosmo' LìtìQUB, Le premier moteur et la nature dame le tyetòme tTArietote Paris. V. a questo proposito con che assennatezza crìtica Barthélemy Saint-HUaire dÌMOm sula cosmologia aristotelica (PAyttgiM trad, en /rangaie et aceompagnie dCune paraphraee et de note» perpetueUe», Paris, Introd. V. L) Cosi resta lesrittimato il concetto sull’Universo e sullo Spaaio del filosofo nolano. Egli pone Io spazio come infinito e però infinito anche l’universo che è nello spazio [DeW Infinito Univereo e Mondi, DinL I.) L’unverso certamente ò inAnito, ma, ripetiamo, ò tale in quanto è eonaio; e così pure lo spazio. Perciò Mondo, Universo, Spazio ec., sono infiniti nella successione, che tuoI dire nella lor potenzialità. logico, o meglio, il Primo cosmologico di VICO (si veda), in mentre che corregge la cosmologia de'Platonici e degli Aristotelici, condanna ad un tempo quella de’neo-aristotelici empirici e degl'iperpsicologisti, legittimando r esigenza de'meccanici e de'dinamisti, de'Cartesiani e de'Leibniziani, che vuol dire della materia e della forza. I moderni cosmologi avran fatto moltissimo quando avranno ridotto ogni fenomeno ad un ultimo fenomeno. Essi così dimostreranno, o meglio, verificheranno la divinazione aristotelica. Ma si dovrà arrestar qui la cosmologia razionalmente positiva? No, certo. U suo grande problema sta nel dimostrare (e dimostrare non vai mostrare) come quest'ultimo e irreducibile e universal fenomeno, sia precisamente la sostanza stessa delle cose, la vita stessa degli esseri, la vita dell'universo che Vico rassomiglia ad una fiumana onde sgorga acqua sempre nuova e perenne: H(BC est vita rerum, fluminis nempe istar quod idem videtur, et semper alia atque alia aqua profluit} Se il Processo fisico s' inaugura col conato in quanto è un esteso metafisico e risolvesi coll'estrinsecazione della forza nel seno stesso della materia; ne viene che tal debba essere altresì il corpo nella sua sostanza; È inutile mostrare come il concetto del nostro filosofo sul Conato sia una correzione del conato leibniziano. Mostrammo già raffiniti tra Leibnltz e VICO (vedasi). Colla dottrina del conato questi filosofi ci rappresentano entrambi r indirizzo medio dell’aristotelismo negli studi cosmologici. Ma il nostro supera quel di Lipsia, perchè il suo conato è essenzialmente un e«(e«o reale, metafisico, non già fenomenico, ed apparente. Questo concetto manca assolutamente nella monadologia, Gens, il LoYR {Essai sur l’identité de» agentt qui produigent ec., Paris Obovr {Correlation de» force» phi/9Ìque§, trad. Moigno. E. Saiqry {E8»ai»nrVunité de» phenomène» nature!», Patìs) A. Sroohi {Unità ddle forze fiticke ec. Roma), Dr BoocHRPORif [Du principe generale de la PhU. naturale, Paris. A. Obuyrb Principe de PhU, Phyeiqtte ec. De Antiqui»». Gom* è evidente, è il concotto fisico dell’indirizzo medio aristotelico: La vita universale della natura non conosce riposo, nò morte: Kac toOto flèOxvarov xac an'auTrov xinapytt roi^ ouTtv^ otov ^a)>j Ttc ouffa toì; fxivtt ^uvio-tùtc notvtv. Phy»., Vili, i. S. 8f forza attuata; monodinafnia; e però sorgente perenne di forze fisiche, meccaniche, chimiche, dinamiche. L'atomo è sfornito di centro, perchè è centro egli stesso. Il corpo lo possiede cotesto centro; ma è di natura ideale, e perciò rende immagine dell'universo stellare nel quale il centro non è in alcun luogo, e pure è dappertutto, il moto nel corpo è monotono; è un’etema produzione di forza; e questa forza non è, a dir proprio, LA VITA (cf. Grice, “Philosophy of Life”). Però è un conato onde l’analisi delle forze omogenee e de’comuni agenti di natura tende ad elevarsi alla sintesi; ed è lo sforzo del numero che volge ad unità. Or la necessità di questo conato non importa egli un altro intervallo? Il centro dunque si manifesta nel vegetabile LOGICALLY DEVELOPING SERIES GRICE, e s'inaugura il mondo degl’organismi. Posto il processo fisico, la forza, nata già nella materia, qui nasce in sé stessa, qui rinasce, qui si rinnova, e qui è vita. Ma neanche il vegetabile, a dir giusto, possiede un centro reale. Dunque il vegetabile non è vita, bensì passaggio, e quindi strumento di vita. Il processo fisico perciò trae seco il processo geologico; e la genesi della forza importa la genesi della terra. Il processo geogenico alla sua volta importa il processo organico -- vegetale e animale -- e quindi il processo paleontologico, entro cui si vengono accumulando e sovrapponendosi cento e mille faune e flore. Dalla roccia cristallina non istratificata e non fossilifera alle più recenti produzioni geologiche; dal jeriodo antizoico al post-pliocene e all'attuale, rivelasi tutto un processo di forza. È il fatto che si fa come forza, ma in quanto è altresì conato alla vita. Dall’epoca eotoica nella qaale s’annunzia la prima aara vitale, e molto più dair epoca paleozoica alla oenozoiea e da questa all’età potiUrxtarifi quaternaria, accade che col processo fisico e g^logico si marita il processo paleontologico, e così ci si manifesta la continuità della vita attraverso le forme organiche passate o presenti. Or se tutto ò processo e conversione e perciò successione costante di fatti regrolati da lejrgi necessarie ed immutabili, ne viene che i cataclismi, riferiti a cagioni ipercosmiche, contraddicono evidentemente alla ragion filosofica positiva, nò l’ha interpretazione benigna ed ingegnosa della critica teologica che sappia legittimare la cronologia mosaica ed il racconto biblico. Ma a Ma come avviene egli il passaggio del processo fisico air organico, e quindi il passaggio della forza alla vita? Avviene per legge di conversione; la quale perciò, supponendo r intervallo, importa la differenza. S'invocano, al solito, anelli intermedi nel r^no vegetabile. Ma forse che il vegetabile rappresenta il transito eflFettivo tra il minerale e l'animale? SMnvocf no analogie esteriori fra certi minerali e certe piante. Ma forse che accanto alle analogie non sorgono diflFerenze profonde? S'invoca la eterogenesi, e se ne traggono disparate illazioni secondo il sistema che si vuol propugnare, come se la generazione spontanea possa soggiacere a dimostrazione noi non ci ò permesso intrattenerci intomo a questa particolarità. Solamente ci preme d’aTfertire che il concetto del procetio^ nella Geologia e nella storia naturale, forma oggi l’onore di Lyell e Darwin. Ma se la Scienza Nuova ò la dimostrazione, o, per lo meno, l’esigenza del processo istorico, in essa è racchiusa la verità della moderna geologia e zoologia. Quando VICO (vedasi) dice che i fllosoA prima di lui avefaii ricercato Dio, la scienza, il divino nel mondo della natura e non per ancho in quello della storia, ei s'ingannava. La vera scienza di natura, in generale, sta nel conoscere principalmente due cose: i il doppio processo geogenico e organico paleo-zoologico, in modo affatto sperimentale; 2* nell’annodarli entrambi in guisa razionale col processo storico. Or la scienza di natura condotta a questa maniera è posteriore a lui, essendo nata e cresciuta principalmente sotto gl’occhi de' due dotti inglesi poco fa mentovati, mentr' ei non faceva che inaugurarla prevenendone i grandi risultati. E questi insigni risultati preveniva non già producendo scoperte geologiche, zoologiche e paleontologiche, ma incarnando i^el processo de’fatti umani l’esigenza del metodo storico, e gettando i germi d’una dottrina cosmologica nella quale è racchiusa la necessità del processo universale, e, iu questo, la necessità del triplice svolgimento fisico, organico e storico. I vecchi naturalisti pretendeno rintracciare argomenti in favore della continuità reale fra questi due processi, notando la struttura mirabUe e squisita, per es., deirArragonite cotanto affine a quella d’uno de’più elementari vegetabili; come se nel cristallo la composizione semplice, uniforme, immobile cosi nel tutto come nelle parti e senza centri ne’suoi nuclei ed elementi, avesse che vedere col composto organico più rudimentale! Il fatto della eterogenesi è tuttora un’ipoUsi, e probabilmente resterà sempre tale nel campo della osservazione, ma è ten nella mente del filosofo. Gl’eterogenisti s'affaticano a dimostrare coi fatto ciò che già di per so stesso ò fatto! La genesi spontanea, appunto perchè tale, non è un fenomeno di trasformazione d’indole meccanica della /orna alla vita: essa importa già un transito, e quindi un intervallo. Come Per la medesima legge avviene il passaggio dal vegetabile all’animale. È vecchio il pregiudizio per cui si è creduto che Tun ordine d'esseri si congiunga all'altro col digradarsi del processo superiore, e col perfezionarsi deU'inferiore. Il pesce si congiugne coll'anfibio; gl’anelli zoologici inferiori s’annodano co’vegetabili superiori, e simili immaginazioni. Oggimai è d'uopo raccomandarci alla paleontologia, e alla geologia. Queste scienze ci additano un processo quasi parallelo ne'due ordini in che viene sdoppiandosi la vita sin dalle sue origini primitive. Il processo organico dunque non può danque potrà esser possibile in tal caso una prova sperimentale seria e irrepugnabile? Ti sono parecchi sperimenti, io lo so. Ma come fatti? Quante e quali cautele sono state adoperate? La questione della genesi spontanea ò mal posta. E poiché il naturalista non ò in grado di porla diversamente di quel che fa, sarà quindi necessario abbandonarne la soluzione ad altro metodo, ad altra maniera d’investigazione. In somma è una questione essenzialmente filosofica: si diano pace i travagliati seguaci di Pasteur e di Poullet! Neir epoca j9aZ«oltKeaapparÌ8con le grittogame superiori: indi, nell'epoca nuéoUtica le piante conifere: appresso, nell’età oenoUtica le fanerogame; e, finalmente, nell’età antropolUica, o meglio pott-terxiarta, si manifesta la flora attuale. Ecco qui un processo nella flora primitiva. Il medesimo reggiamo nello svolgimento della fauna. Co* più modesti tipi vegetabili s’accompagnano i più bassi tipi zoologici negli strati inferiori che ci rappresentano l'età originaria; e, nella medesima epoca negli strati superiori veggiamo lu prime forme di pesci, accanto alle quali appariscon le grittogame. Colle conifere appaiono i rettili; e negli strati superiori additatici dal periodo eenolitico, appariscon gl’uccelli. Ai rettili ed agl’uccelli, dappresso alle fanerogame teugon dietro e si manifestano le forme inferiori de’mammiferi; e negli strati superiori del perìodo terziario si rivelano le primo tracce del regno umano. Alla flora attuale poi s’accompagrna l’attuale FAUNA. Il processo riesce evidente anche qui, e il riscontro ne'caratteri generali, nella flsonomia e nell’insieme delle relazioni geografiche e biologiche, toma evidentissimo. Vegetabile e Animale, dunque, sono due correnti, per cosi dirle, che movon da una medesima sorgente. Elle si rassomiglian nella semplicità ed omogeneità delle forme primitive; e tal riscontro è più spiccato in ragione che il panteologista ascende verso il centro comune. Sennonché il processo nella serie GRICE LOGICALLY DEVELOPING SERIES zoologica è assai più compatto e variato; lo svolgersi è più rapido, e l'attuarsi di questo svolgimento è più intricato quanto più ci accostiamo alle recenti formazioni. Tal è, per es., lo sviluppo che ci palesano gl’articolati e i vertebrati, a differenza del modo con che si vanno svolgendo le classi de’vermi, de’molluschi, de’celenterati, degl’echinodermt non esser di natura essenzialmente polare. Il vegetabile e l’animale ci rappresentano incarnata la legge universale della dualità; la quale movendo dalF unità sintetica iniziale – il vertice della V della vita -- e confusa e passando pell’analisi, riesce ad una sintesi concreta, determinata, analizzata. La vita è vita in quanto si diversifica: è vita in quanto s’etereogenizecu^ Ma dov'è la radice primitiva ond'emerge questa doppia scala in cui e per cui la forza, incarnandosi, diventa vita? Non si discerne cotesta radice: non si verifica; né si può verificare. Fin negli strati primigeni dell'età archeolitica vi è tracce di vita animale e vegetale. Dunque il fatto, r’osservazione, ci pone sott'occhio una dualità. Ma una dualità originaria, ripetiamolo anche qui, non è un assurdo? Dunque l'analisi, il fatto, suppone già una sintesi rudimentale, in cui sia germinalmente contenuta la doppia forma di vita vegetale ed animale. Or questo comune stipite, che con felice espressione un illustre vivente naturalista ha chiamato unità astratta, o non esiste come realtà sensata, ovvero, esistendo, non può essere, a dir proprio, ne vegetabile, né animale, ma l'una cosa e l'altra insieme. ALICE MUSTARD GRICE S' ella é una realtà, è destinata a scomparire dal regno della vita, appunto perché non é forza né vita. S'ella é una realtà, sarà un soggetto di natura indeterminata, fisica e organica ad un tempo. In essa la forza diventa vita; e quindi, più che anello di continuità reale, ci rappresenta una continuità ideale; e perciò coll'intervallo reale ci significa la virtù e l'efficacia del conato, Ved. H. SpBircRR, E$$ay$ $ei€ntifìe, polUicalf (md 9peeulativef ed. cit. Veramente ingegnosa è l’analisi che quest’autore fa circa il modo con che avviene il procetso zoologico il quale egli talora chiama |7roee««o di di//erenziafzione: e non meno ingegnosa è quella sul processo geologico, etnologico e paleontologico. Jl difetto sta neir applicare la sua legge al processo èoeiologieOf dov* egli evidentemente abusa delle analogie estrinseche col. mondo zoologico. Si vegga, per dirne una, come considera il fatto de’fili telegrafici che abcompagnauo sempre le vie ferrate, in relazione a certe leggi biologiche degl’organismi zoologici inferiori. VoQT, Le lib. del diritto universale, e segnatamente nella storia delle cinque età del tempo oscuro; dalla quale storia risulta la legge storica e sociologica che, portata a pii largo sviluppo, costituisce la scienza. Noi consacreremo apposito capitolo intorno a questa teorica del tempo oscuro perchè in essa troveremo il fondamento legittimo della sociologia davvero filosofica e positiva. L’altro strumento poi che VICO (vedasi) ha fra mano e sa maneggiare in guisa che non ci ò dato nò pur sospettare alla lontana, costituisce propriamente la parto geniale, originalissima del suo metodo storico; ed ò quella che noi dicemmo di natura psicologica, e che di fironte alla prima serba indole a priori; ma è un a priori positivo, positivissimo, perchè di natura psicologica. Ella in somma cojitltuisce, se cosi potessi esprimermi, un lavoro mentale da geologo, da paleontologo. Se infatti lo spirito dell'uomo in una data epoca storìca somiglia, vorre dire, ad una caverna ossifera, bisogna studiarlo analizzandolo, anatomizzandolo, decomponendolo. Perciò è necessario dimenticar noi stossi, e lavorare attorno ad esso in modo tutto ideale dÌ8cendendo da questa no$tra umana ingentilita naturaf a queUe affatto fiere ed immani, U quali oi affatto negato d’immaginare, e eolamente a gran pena ci i permeeeo cT intendere, Se. Breremento: bisogna aver presenti noi stossi, ma nel medesimo tempo dimenticarci: bisogna etordire ogni eeneo «T uwtanità -- sono sue parole -- e ridurei in uno etato di eomma ignoranjta di tutta l’umana e divina erudizione. Questo è precisamente ciò eh egli dice portare ad un fiato il vero e il certo, la filosofia e la filologia. Questo è il metodo istorico davvero positivo, che è propriamente metodo di natura eduttiva. E questo dovrebbero mediterò ed applicare i nostri sazievolissimi predicatori di certi metodi storici e critici che al postutto riduconsi ad un meschino empirismo I perciò medesimo è scienza del presente, scienza dell’oggi, e, fino a certo segno, anche del domani. Ma senza quella filosofia che non le è incorporata ma ch'ella presuppone necessariamente, cotesta scienza non sarebbe niente di tutto ciò. Posta infatti la doppia formola metafisica e cosmologica, i cui germi giaccion nel libro metafisico; posta segnatamente la gran legge del processo cosmico, ella è davvero un poema, è un gran poema, un poema sul serio, ma un poema sui generis. Perchè? Per questa ragione principalmente: perchè è una storia naturale della umanità nell'uomo: perchè in lei si scruta l'originaria formazione dell'ultimo sommo genere; perchè eli'è la celebrazione solenne dello spirito che si crea nel regno stesso della vita; perchè è la creazione parlante, vivente, reale del pensiero ch'esce dal caos delle forze brute fisiche, meccaniche, biologiche; perchè, insomma, rivela il fatto che, convertitosi con sé stesso come forza e come vita, ora convertesi col vero come pensiero. Ecco l'originalità della filosofia di VICO (vedasi). È una filosofia d'una grandezza e d'una potenza, sto per dire, titanica ! un pensiero nuovo, nuovissimo, anche dopo due secoli I La Scienza, dunque, rappresentandoci la genesi del processo storico e sociologico, fra le altre cose pronunzia, legittima, compie e insieme corregge il darwinismo. Una delle degnila sulle quali è innalzato il suo grandioso edifizio è lo stato ferino dell'umanità; cagione certamente non puerile delle dispute e delle sètte de'ferini e degli antiferini surte fra noi, come toccammo, sotto gli occhi del Papa e de’cardinali nel bel mezzo del secolo passato. Il suo problema dunque è il gran problema ond'è agitata e mossa la scienza odierna. È lo stesso problema che, con significato assai pili comprensivo, assai più razionale, assai più sintetico e profondamente sintetico, agita e muove sotto gli occhi nostri la filologia, la zoologia, la geologia, la paleontologia, l'antropologia, la sociologia, la filosofia e la storia del diritto, la filosofia e la storia delle arti, la filosofia eia storia delle religioni, come saggiamente ha detto Fèrron. Il suo problema quindi si collega con quello stesso di Lamarck, Couvier, Saint-Hilaire, Herbert, Mathew, Omalius, Halloy, Rafinesque, Schaaffausen, Hooker, de'viventi naturalisti, de’viventi filologi, de'viventi mitologi, e degli storici d'ogni maniera. Nella scienza infatti il processo storico-sociologico nasce, sorge o si produce nel processo zoologico; ma nasce, sorge o si produce creandosi. Dunque il bestione, l’uomo ferino, per quanto ferino e bestione vogliasi immaginare, importa già un intervallo. Come ci si rivela egli cotesto intervallo? In altre parole: com'è che s'inaugura il processo istorico? Com'è che s'inizia il regno dell'umanità? Al solito s'inaugura con la gi an legge delle polarità, ma nel medesimo individuo: s'inizia colla legge della dualità, ma nella coscienza stessa dell'individuo. Ciò che nell'ordine psicologico è senso e intelligenza, potere e volere. Autorità e ragione; qui, nell'ordine sociologico e storico, è libertà e pudore: ecco i due principii éC’umanità; principii essenzialmente sociologici. Lo stato ferino per VICO e GRICE è an fatto accidentale, ed è accidentale perchè non è universale; ma questa dicemmo essere un’aperta contraddizione in che cadde tanto VICO, se non GRICE, quanto il suo discepolo DUNI (si veda). Ed ò contraddizione, perchè fa contro non solo ai suo principip cosmologico, ma anche all’esigenza stessa del suo metodo, fe-una delle contraddizioni duoque dalla quale ei pì libera da so medesimo. Nessuno prima di VICO impreme valore ed importanza storica a questi due iftm o principìi d’umanità. Grozio, per citare un esempio, parla anch’egli del pudore; ma non sospetta nò la necessità sociologica e storìca di questo fatto, nò il significato psicologico di questa tendenza, e però non ne fa uso di sorta'. Dt Jwr. M. et paeitf Disse la libertà madrt di qualsivoglia diritto civile; ma perchè madre? Citiamone un altro esempio. Anche l’accademia parla de’due beni. Pudore e OiuetÌMÌ€L, che Giove imparte agl’uomini Protag., ed. Cousin: ma pella filosofia dell’accademia tale tendenza ò partecipata, è comunicata, mentre per VICO è affiatto naturale. Pell’accademia riiman»tà si manifesta nella CVttèt, nella iSepubò^tca; dovecbè Qual valore, infatti, qual significato hanno queste due parole nella mente del nostro filosofo? Considerate sotto il rispetto storico e sociologico, pudore libertas non sono idee, concetti, nozioni, astrazioni; sono bensì condizioni efficienti originarie, intime, spontanee, istintive di nostra natura. Sono i due principii che principian l’umanità nell'uomo; principii ch'ei pone quasi geni tutelari alle porte della storia e delle cose umane. Sono facoltà, ma facoltà involute, potenziali; stantechè l’obbietto d’esse non sia per anche fatto, noh sia per anche elaborato. Perciò sono giudizi, ma, al solito, giudm sentUij come direbbe egli stesso; giudm fatti senza riflessione. Sono dunque tendenze primigenie, sono esigenze autogenite; e però ci rappresentano anch'elle ima sintesi confusa, entro cui si racchiude infinita virtù esplicativa. Qual è infatti il principio d'ogni socialità? Qual è la radicedella socialità? £ il concetto stesso d' umanità. £ come si determina, come s’esplica dapprima questa tendenza innata e originaria ad umanarci? Appunto col gemino sentimento del pudore e della libertà Questa originaria dualità costituisce la natura stessa dell'uomo, giacché l’ente umano intanto è animale umano, in quanto non è una cosa, ma due: (ùov fiU7Ttxoy, e (wov ttoXctcxov. £d egli è tale fin dalla sua prima origine, questa essendo pell'appunto la invitta necessità del processo iper-zoolo per VICO ò originaria, tanto che si manifesta anche nello stato di natura: il quale perciò, come altrove accennammo, non ò quello do' giusnaturalìsti. Fra la ReptMdiea del filosofo ateniese, quindi, e la SeienMa, anche per questo rispetto t*è un abisso, checche ne abbiano detto o possano dime certi hegeliani. Per questa medesima ragione non ò da confonder menomamente l’uomo ferino della scienza, con gl’uomini selvaggi di cui parlano tanto spesso gl’antichi, segnatamente r A. della RepubUica, Aristotele, CICERONE e simili. una posizione affatto diversa, a cui bisogna por mente. HumaniUu ett hominU hominum juvandi affedio, De Conti, JurUprudenHt, Sed ex latiori genere humanitatie heie a nobU aoupta a duobue prineijnù ootMtal, pudori et libebtatk. gico, e della legge di conversione: rèbus ipsis didantìbus. Or qual è la relazione che stringe insieme i due Principii d'umanità? È quella medesima che, posto il processo isterico e sociale, congiugne in armonia la società di ragione, Societas Veri, e la società dell'utile, Societas qui boni. È appunto la relazione che corre fra il certo e il vero, tra la forma e la materia. Ma se questa dualità di principii inauguratori dell'umanità nell'uomo è originaria, accade che, appunto perchè originaria, debba rivestir forma d'unitotalità e d'incosciente unità. Or come potrebb' essere unità ove, al solito, non serbasse natura di conato? Pudore e Libertà quindi sono un conato; sono dualità e unità insieme; sono perciò triplicità. Se non che, questa triplicità non è inaugurazione del processo psicologico teoretico, bensì pratico; non del processo conoscitivo, bensì operativo. E dunque una triplicità originaria di natura pratica, empirica, istintiva, e dee quindi serbare, nel medesimo tempo, valore psicologico e sociologico. L'ente umano adunque è di sua natura un soggetto essenzialmente relativo. Egli è in un'ora medesima in sé stesso, e anche nell'oZ^ro: è sé stesso, e insieme debb'essere anche l'altro. Egli insomma, ripetiamolo, non è una, ma due cose in sé stesso: uomo e cittadino. E dovendo esser tale fin Qai risiede, come Tedremo, la condanna della dottrina sociologica del positivismo, e della confusione eh ella fa tra la storia e la sociologia, tra la sociologia e la psicologia, tra la psicologia e la biologia, nonché l’erroneo concetto della statica toeiale de’positivisti. De Univ. Jwriè PrineiptOj Ex vi ip$iu9 humanct natura de duobu$ hit HumanitcUit prineipii» di«8eramìt$f ^orutn unum, ceu forma, erit Pudor, alterum, vduti matebia. erit LiherUtf, {De CoMt, Jur.) Trasportando questo concetto dall'ordine sociologico a quello delle idee e della scienza, possiamo affermare che in tal modo VICO pone nella stessa coscienza, nello stesso individuo, la distinzione, oggi vitalissima, tra la morale e’1 diritto – H. P. GRICE moral justice, politico-legal justice --, salvando così l’autonomia d'entrambe queste discipline. Perciò nò la morale può dedursi dal diritto, come farine i giusnaturalisti hegeliani e positivisti, nò il diritto dalla morale, come usan fare i teologisti e, in generale, i filosoft dell’accademia. Di queste cose discorreremo nella Sociofogicu dall'origine sua, fin da che apparve naturale, sdvaggio, ferino bestione; perciò in lui il pudore è conato, stantechè col conato incofninciò in esso a spuntare la virtù dell’animo, Per la stessa ragione è tale anche la Libertà, la quale è conato proprio degl’agenti liberi, onde que’giganti si ristettero dal veezo cT andar vagando pella gran sélva della terra, e s’aweisearono ad un costume ttdto contrario, Ma se la relazione che annoda i termini di questa originaria dualità è quella che corre tra la forma e la materia in generale, avviene che il pudore sia logicamente anteriore alla libertà, e la libertà, alla sua volta, sia cronologicamente, empiricamente anteriore al pudore. See, Scienza Idtmf eod, Perciò dice che il pudore l U primo antiehitnmo principio d’umanità. Sec. Se, E gaardADdo agl’effetti di questo sentimento, osserva che il pudore arreeta la vaga venere origina la eocictà matrimonÌ€i!e, donde emerge la soeietà Prim. Se.; e come inizia la società, così pure inventa la religione: Pudor inventar religionie. De Conti. Jur. Additando poi la priorità logica del pudore di fronte alla libertà, dice: Pudor euetoe jurie naturalie De Univ. Jur,; «Tura a pudore oria, ad pudorem redeunt, et a contemplatione nata, in contemplatione poetremo deeinunt Ihi, OC Vili: Pudor omnie divini kumanique Jurie parene Ihi, GIV: Pudor Jurie naturalie /one e. Ili: Pudor exoitator virtutie. Il senso di libertà, poi, assume dapprima nna forma affatto empirica e naturale; assume forma di potere poeee di volere sfornito di ragione, d'arbitrio, di passione; e, come tale, riesce cronologicamente anteriore al pudore nò potrebb’esser diversamente ammessa la relazione intima fra il processo zoologico e il processo storico. L'anello vero perciò fra questi due processi, l’anello reale fra i due mondi, òr «OMO stesso; ma l’uomo considerato come un poro poeee potenza, potestà naturale. Sennonchò cotesto ò un momento indiscernibile; è un intervallo che tosto ò superato, e il potere già diventa voUre e il volere diventa oonoeeere sempre per la solita legge del rehue ipeie diotantUnu, àéìVipea rerum natura. Libertà e pudore quindi son come le due facce del conato umano: l’una ò intima, secreta, individuale; l’altra ò sensata, estrinseca, e perciò di natura essenzialmente sociologica. Or come tale la libertà ò il primo punto di tutu le eoee umane Se.; e perciò ex libertate eommereiay ex eommereiie humanitae excuUa, De Conet, Jur,) E poichò ò una condizione primitiva, perciò la dice dote proprissima dell’uomo: NihU hcmini magie proprium quam oo2imto; ed essendo proprissima proj>rM(o^va del filosofare, quanto le forme negative. Ogni maniera di speculazione soccorre al progresso e alla ricostruzione della metafisica, a contare dalla piiì grossolana affermazione dommatica, alla negazione del più volgare ed em])irico pirronista; dalla più ardita formola sistematica, al più sottile sofisma dello scetticismo sistematico. Ma neanche qui ci poteva esser concesso dimostrare, senza trascendere i confini del nostro disegno, il modo con che in mezzo allo svolgersi de'due estremi indirizzi siasi venuto incarnando e pigliando quasi persona l'indirizzo medio. Mostrare insomma come le forme positive della metafisica siansi venute svolgendo, sarebbe stato lavoro di storia, e di crìtica: al modo istesso che sarebbe stato lavoro di esposizione far vedere la monotonia con che si sono succedute le forme negative del filosofare. Solamente ci fu mestieri accennare come nell'età moderna, dopo le divisioni del Cartesianismo nel quale ripetesi, con elementi di novella speculazione, la vecchia sintesi aristotelica, l'indirizzo medio ci sia rappresentato dal Leibnitz in Germania, e, più spiccatamente, da VICO in Italia; e come ne' tempi a noi piii vicini siansi ripetuti gli estremi, e si ripetan tuttora sotto novelle forme, così nell'uno come nell'altro paese. È iper-psicologismo il neoplatonismo italiano moderno: ma forse che sarà meno iperpsicologismo il sistema jdeir assoluta identità? È empirismo e nullismo metafisico il positivismo di Francia ed il materialismo di Germania: ma sarà meno empirismo lo scetticismo sistematico di FERRARI e certa ibrida forma di criticismo di FRANCHI e il nullismo metafisico de'nostri filosofi dell’avvenire? Vedi qael che altrove abbiamo discorso circa le forme negative e le forme po»Uìve del filosofare e circa la storia della filosofia in generale. Lo scetticismo non è da pigliarsi a gabbo, come par che facciano tutto giorno dommatici e sistematici. La sua funzione storica ha grande importanza, essendo quasi la molla efficace, tuttoché negativa, del progresso in filosofia, né y*,ha periodo storico in cui lo scetticismo non accompagni sempre lo STolgrersi del dommatismo. Il dommatismo è syariatissimo nelle sue forme, e quindi possiede una storia. Lo scetticismo invece è immobile, è immutabile; e questo è insieme il suo pregio, e la sua condanna. Perciò lo scetticismo non ha né può avere una storia, appunto perchè non importa un processo; e non è processo appunto perchè è negazione. L’arma dello scettico infatti è sempre identica a sé stessa. Nel nostro Ausonio rivive Enesidemo, e nel nostro FERRARI vi è tutto Sesto Empirico. Chi si voglia quindi provare o siasi provato, come il Bissolati (Ved. Tntrod. alle fgtituxioni Pirroniane^ Imola), a fare una storia dello scetticismo, altro non fa, altro non potrà mai fare, salvochè una rassegna, un racconto monotono e sazievole d'argomenti identici. L'esigenza scettica, il metodo teettieOf potrà benissimo cangiare i punti di m«(a, come fann'oggi gli schietti positivisti, ma la sostanza rimane e rimarrà sempre la stessa. Invece l’esigenza dommatica è un fatto al pari dell'esigenza scettica: ma ò un fatto che si muove; è un fatto che sì fa. Hegel ripete Platone, e ripete Erigena; ma non è nò Platone, né Erigena. ROSMINI ripete Aristotele o AQUINO, ma non è né Aristotele, né AQUINO. GIOBERTI ripete Malebranche, ma non è nient'affatto Malebranche. FERRARI anch'egli ripete. Ripete Sesto Empirico. Ma come lo ripete? Facendone la fotografia! Ora se il dommatismo conta una storia essendo un processo storico, e lo scetticismo n'é al tutto sfornito, com'è possibile che il trionfo stia pel secondo anziché pel primo? La funzione storica dello scetticismo dunque è necessaria, essendo »na ruota della macchina; ma badisi a non confonder la macchina con la ruota, ciò che costituisce appunto l'errore di chi spera (vana speranza!) nel trionfo definitivo del pirronismo. Se non che, lasciando di Leibnitz e del moto filosofico d'Alemagna, peculiar proposito del nostro saggio e quello d'additare la correzione e l’inveramento delle due estreme tendenze (scettica e dommatica) che nascono e rinascon parennemente nella storia, e che oggi, assunta forma pia conseguente e razionale, s’addimandano Positivismo e Idealismo assoluto. Il fondamento di tal correzione e '1 criterio di siffatto inveramento, per ciò che spetta al nostro paese, pone radice nelle dottrine del filosofo napoletano, interpretate e ricercate con metodo critico rintegrativo. Ma, a far questo, che cosa era d' uopo mostrare innanzi tutto? Era d'uopo mostrare la possibilità di rinvenire in lui cotal fondamento. In altre parole, era d'uopo mostrare se in lui per avventura fosse alcuna originalità di speculazione razionalmente positiva: il che ci parve opportuno innanzi tutto far vedere in maniera indiretta e per via storica, abbozzando una storia de' critici e degli espositori delle dottrine vichiane. Che poi davvero esistano in lui germi d'originalità metafisica, r abbiam chiarito nel secondo libro di quest'opera, interpretando le sue teoriche con una forma di critica che scaturisce logicamente dalla stessa triplice paiiizione de'periodi ne'quali abbiam diviso quel nostro saggio istorico. Se pertanto un rinnovamento del pensiero filosofico italiano è necessario e inevitabile perchè richiesto dalla ragion filosofica positiva, perchè domandato dall'esigenza del sapere moderno, e perchè imposto dalle rinnovate condizioni politiche, civili, religiose del nostro paese; si domanda: come innovarci? introducendo forse il Positivismo, o perdurando nello Scetticismo? Evidentemente contraddiremmo all'indomabile istinto verso la scienza: contraddiremmo al bisogno sempre più acuto e profondo di nostra ragione: negheremmo la ragione. Vorremo innovarci seguitando a dirci ed essere iperpsicologisti? In tal caso dovremo accettare due condizioni: costruire la scienza con la ipotesi, con Va priorismo; e disconoscere i limiti del pensiero e della scienza stessa, dando così alla ragione un valore dommatico, sistematico, assoluto, anziché critico e positivo. Chi vorrà oggimai accettare siffatte condizioni? Dunque Positivismo e Idealismo assoluto, negazione assoluta di sistema e assoluto sistematismOy son le colonne d’Ercole che la moderna Francia e la moderna Germania ci vogliono imporre: esse non ci appartengono, e a noi sarà lecito abbatterle, non per vana horia nazionale, ma si per necessità di ragione. Forse che un rinnovamento in senso hegeliano non ha ormai fatto fra noi le sue prove per quindici anni, per vent'anni? Non è stato favorito con ogni guarentigia di libertà? Non è stato e non è rappresentato così nel privato come nel pubblico insegnamento? E pure l’Idealismo assoluto, almeno quant^alla peculiare esigenza che lo distingue, cioè come Sistema delP identità assolata non ci è passato in sangue, ne poteva; e nonostante gli sforzi nobilissimi di egregi scrittori, egli è rimasto ne'libri, e rimarrà ne' libri. Altrettanto impossibile riesce un rinnovamento dsL positivisti. Piii deir Hegelianismo il Positivismo è stato accarezzato, favorito per ogni verso, predicato privatamente, talora persino officialmente. Ma gF ingegni severi vi han reagito, vi reagiscono; e l’infinita moltitudine di que' filosofanti che han su le labbra cotesto nome pomposo e bugiardo, è lungi dall' averne ponderato il valore, le conseguenze, le applicazioni. Rinnovamenti di cotal genere, dunque, sono impossibili fra noi: e' non sarebbero legittimi, coscieuti, naturali, autonomi, efficaci, intimi, storici.Vogliamo finalmente ritentare un rinnovamento d'iperpsicologismo da ontologisti neoplatonici? Resteremmo quel che pur troppo siamo stati, e siamo: non andremmo avanti; torneremmo indietro. Se dunque la necessità del nostro innovamento filosofico deve poter germinare dalla passata speculazione, noi dobbiamo rintracciarne gli elementi nelle opere e nella mente di chi è capace di rappresentare non pure il passato, ma, più ancora, il presente e l’avvenire. È d'uopo attingere ispirazione nelle opere e nella mente di chi può soddisfare l’esigenza positiva e l’esigenza ideale del sapere, ma correggendole entrambe. È d'uopo invocare gl’auspici di chi, incarnando il medio indirizzo della speculazione, valga a rannodarci colla nostra tradizione scientifica, e collo svolgimento dell'intera storia della filosofia. Chi potrebb'esser questi, fra noi, salvo che l’autore della Scienza? Ecco l'addentellato piii sicuro e tutto nostro, dal quale è mestieri s'inauguri il presente rinnovamento filosofico italiano. Ma, nell'invocame gli auspicii, noi dobbiamo interpretarlo colla coscienza del sapere moderno: noi dobbiamo correggere anche lui; e correggendo, lui correggeremo poi stessi, e gli altri: correggeremo il neoplatonismo, l' hegelianismo, il positivismo. Brevemente: se rinnovarci è suprema necessità, di tal necessità è d'uopo aver pienezza di sentimento e di coscienza storica. Abbiamo dunque bisogno d'una base per muoverci, d'un punto a cui mirare, d'un segno per orientarci, d'una guida tutta nostra in cui la nostra mente riconosca sé medesima. Chi potrebbe risponder meglio a cosiffatta esigenza tranne colui che seppe concepire il sublime per quanto rozzo e incompiuto disegno d'una scienza? Il nostro quesito adunque era semplice e chiaro; ed è questo: Come penserebbe il nostro filosofo ov'ei tornasse a vivere in mezzo a noi, nelle nuove condizioni politiche, sociali, religiose, co'nostri nuovi bisogni, con le nostre nuove tendenze? In altre parole: come farebb'egli a risolvere oggi, col suo stesso metodo, i grandi problemi della scienza? La risposta riguardante i problemi speculativi, è nella seconda parte del presente libro. La risposta poi che concerne i problemi d'ordine storico, politico, religioso e pedagogico, la daremo nella Sociologia. È che sia questa per l'appunto l'esigenza del suo pensiero; che sia questa la necessità del nostro Rinnovamento, ce ne porge guarentigia e conferma la storia, e il modo con che s'è venuto attuando e svolgendo il nostro pensiero filosofico. Noi non possiamo intrattenerci a lumeggiare in qualche maniera cotesto svolgimento. Non possiamo rilevarne i caratteri, ritrarne la necessità ne'passaggi, e dichiararne il progresso ne' differenti periodi, dando così forma determinata e compiuta al nostro assunto. Questo faremo quando che sia con apposito lavoro, di cui abbiamo già in pronto la materia. Ma accennare di volo al risultamento del nostro pensiero senza por tempo in mezzo, è cosa che possiamo fare anche ora; tanto piii, che tal risultamento, chi ben guardi, traesi facilmente dalle cose discorse in piii luoghi del nostro libro. La storia della filosofia italiana, dunque, a noi sembra doversi dividere in tre difiFerenti periodi, de'quali stringiamo in pochissimo i caratteri e le tendenze peculiari: Primo Periodo (Scolast%c(hteologico), S'inaugura con Boezio Severino (Marciano Capella, Cassiodoro ec), e finisce con Tommaso (Tomisti e Scotisti inclusive).Vi è chi col Gioberti divide la storia della filosofia italiana in cinque epoche Ved. Prìmnto, ed.; e v'è chi la divide in quattro età, cominciando dal VI sec avanti Cristo Babtolom I M RS, Dici, den teienc philot. Divisioni di cotal fatta evidentemente peccano d'eccesso, in quanto che abbracciano più e diverse civiltà, e però non riescono ad imprimere valor razionale e forma omo^renea allo svolgimento del nostro pensiero fllosoftco. La storia della filosofia italiana s’inaugura quando il popolo di Roma, cessando, secondo il detto di Hegel, d’essere essenzialmente umanitario e univertale, comincia ad essere italiano. Il suo cominciamento amare il concetto del metodo, cioè la industria induttiva, ma ne' fatti d'ordine fisico sensato, e in parte filologico ed erudito. L'indirizzo medio perciò s'inaugura con ricercare e determinare il metodo, non già coll'edificare un sistema. Questo è il lor merito comune; e questo è anche il loro difetto, stantechè manchi ad essi la nozione compiuta del mesi pretende imprimere ralore a tutta la storia, quando s’interpreta, cosi com’es8Ì fanno, la scuola platonica toscana, e le si vuol dare quel valore ch’ei le danno. Un altro esempio sono gli studi di Spaventa su Bruno e su Campanella: studi bellissimi e pieni di vedute profonde dall’un capo all’altro, e come monografie noi H accettiamo, e ne caviamo il nostra prò: ma com’elemento di storia generale, la Agnra e la Asonomia di Bruno, per esempio, ò delineata siffattamente, che quando siamo al significato della storia generale della filosofla, si toccan con mano lo Gonsognense sistematiche e parziali della critica monografica. In una parola io; voglio dir questo: la monografia ò boli e buona, ò supremamente utile, ma è sommamente pericolosa; perchò se come studio monografico ella può esservera, come parte, com’elemento di storia pu^ riescire falsissima. Altrove noi proveremo largamente e con esempi mostrani tale assunto. todo com'è applicato oggidì da metafisici. Se non che l'indirizzo medio nel rinascimento ci può esser più convenevolmente rappresentato da que'filosofi che, travagliandosi attorno alla questione dell’anima intesa come problema puramente di psicologia filosofica, fanno ad un tempo ogni sforzo per interpretare con benigna critica la dottrina dell’inteletto possibile e dell’inteletto agente e fra questi, come altrove notammo, van rammentati NISO (si veda), PORZIO (si veda) (il quale non è nient'affatto un seguace di POMPONAZZI (si veda), come pretende il nostro collega FIORENTINO (si veda), ZABARELLA (si veda), CASTELLANI (si veda), ed altri di simil valore. Costoro sorpassano i confini del senso; trascendono in parte la modesta indagine della psicologia filosofica introducendo la ricerca cosmologica, e rannodano così il problema dell'anima intelligente coll’altro della natura intelligibile. Nessuno ha I pensato a rilevar nettamente questo aspetto, e segnalare questa tendenza tanto evidente in parecchi filosofi di quell'età. E pur ci sarebbe tanta mèsse damietere, i quando non fossimo signoreggiati dalle prevenzioni sistematiche dell’accademia, o dell’idealismo di Hegel. Ma l’eterogeneità, il contrasto, l’opposizione cresce sempre più. Da una parte ella s’esagera, per esempio, con ZIMARA (si veda), CESALPINI (si veda), VANINI (si veda) e simili; i quali rappresentando, diremmo quasi, una mischianza di naturalismo e d' iper-psicologismo, palesano la fiacchezza del LIZIO: dall'altra poi s’esagera con que'filosofi che presumon d'interpretare convenevolmente il LIZIO e l’ACCADEMIA, mentre arabeggiano la lor parie; e tali per esempio, sono LAGALLA (si veda), LICETO (si veda) ed l’altri di simil fatta. È l’accdemia toscana, è il naturalismo di POMPONAZZI (si veda), è l'arabismo di PADOVA che si prolungano pur sempre svigoriti e indeterminati. Bruno e Campanella rappresentano anch'essi debolmente l’accademia e il lizio, ma per una ragione assai diversa. L'esigenza della psicologia filosofica, razionale, propria del rinascimento, nei due arditissimi frati assume ben altro valore, e si allarga a sistema; e così vediamo i due estremi modificarsi di guisa, che Bruno e Campanella ci paion quasi filosofi moderni, e modernissimo Galilei BONAITUI rappresentante dell'indirizzo medio nella scienza fisica, in quanto ci esprime assai vivacemente l'esigenza induttiva nelle discipline sperimentali. BRUNO (si veda), CAMPANELLA (si veda), e BONAIUTI (si veda) Galileo Galilei, infatti, non ripetono Aristotele del Lizio e Platone dell’ACCADEMIA, e neanche intendono ad accordarli. Essi piuttosto tendono a correggerli, e credono correggerli, come altrove mostreremo, in tre diverse maniere. Perciò non a torto il filosofo nolano è riguardato oggi siccome antecedente isterico di Spinoza; il filosofo di Stilo è ritenuto come antecedente di Cartesio; e di Galilei BONAITUI viene invocato da'positivisti come uno ùe'padri del positivismo, secondo che ci han fatto grazia dirci Comte ed Littré. Or tutto questo sarà vero; sarà vera cotesta novità ne'tre filosofi: ma sarà vera nel senso che a tutti e tre manchi qualcosa. Essi ci rappresentano, vorre’dire, tre esigenze solitarie, esclusive e quasi inorganiche. In CAMPANELLA, per esempio, vi è il concetto della COSCIENZA e della storia; ma non vi è quello dello spirito come storia. In BRUNO vi è il gran concetto della natura; ma è un concetto sifl'attamente annebbiato e indeterminato che riesce affatto irrelativo, e nulla non ha né dietro, né avanti a sé. Talché con l'avere affermato che la prima causa dove essere insieme efficiente, formale e finale, e'si chiarisce seguace, non già d'Aristotele del LIZIO, come vuole Michelet, ma dell'indirizzo naturale dell'Aristotelismo del LIZIO. Il metodo di BONAIUTI Galileo Galilei, finalmente, é quello che dove’essere; un processo induttivo e critico, ma solamente applicato allo studio delle leggi fisiche. D'altro canto il filosofo di PISA ha grandissimo valore quando si pensi com'egli, riducendo le leggi di natura fisica o meccanica a fenomeni piÌL 0 manco generali, giugnesse a scacciare dal regno degl’agenti naturali ogni fantasia astrologica del falso Aristotehsmo LIZIO (“Only he wrote his own horoscopes!” – Grice): ma chi dice eh' e'pervenne a darei Métaph, us ipsis dictantibus. Però non più individui predestinati; non più famiglie, né razze privilegiate. Non più popoli eletti – i galilei: ma privilegio dell'intelligenza, ma trionfo della libertà in ogni senso e sotto qualunque forma, nella famiglia, nello stato, nella chiesa, nella scuola, nella società. Dunque, formola suprema della vita e della storia, della natura e della speculazione, de'fatti e delle scienze e di Dio stesso: la conversione del vero cól fatto, e del fatto col vero. Il terzo periodo della nostra filosofia ci rappresenta l’età umana: rappresenta l'età delle idee, l'età della ragione spiegata. Quale sarà dunque la conclusione? La conclusione è chiarissima. Questo terzo periodo importa l'esigenza, la necessità d'un rinnovamento: racchiude l'esigenza e la necessità d'una filosofia razionalmente positiva. La sintesi confusa del primo periodo si ripete anche nel terzo; ed ecco le contraddizioni evidenti, manifeste, grossolane, talvolta puerili di VICO (vedasi). La medesima sintesi veggiamo ripetersi ne'nostri ultimi filosofi dell’accademia; ed ecco le contraddizioni di SERBATI (vedasi), ecco i contro-sensi di GIBERTI (vedasi), ecco l’incongruenze dell’accademia di ROVERE (vedasi). Ma cotesta sintesi tien dietro ad un'analisi, tien dietro all'analisi del rinascimento. Dunque, tuttoché erronea, ella già segna un progresso. Perciò le contraddizioni dei nostri filosofi si risolvono di per sé medesime; si risolvono e correggono per necessità storica: le risolve e corregge la storia ella stessa; rebt4S ipsis dictantibus. In altre parole, il terzo periodo è un ri-corso, dice l’Autore della Scienza Nuova; è un ri-corso d'uà corso, cioè un ri-corso del primo periodo. Ma cotesto ri-correre non è già un semplice ri-petersi, bensì é un ri-petersi che si rinnova necessariamente, ciò è dir razionalmente: ecco la ragione del suo verace progredire. Quale é dunque il problema che la storia del nostro pensiero filosofico tende a risolvere? È sempre l'antico, l'antichissimo problema, or divenuto novissimo: la correzione e l'accordo della doppia e vecchia esigenza naturale e iper-psicologica, empirica ed a priori, positiva e ideale. Quale n' è poi il risultamento? È il trionfo dell'indirizzo medio; è Finveramento successivo, progressivo e razionalmente necessario di tale indirizzo; ed è quella perennis philosophia di Leibnitz la quale non è fatta, ma si fa, e sempre più si farà. H. P. Grice: If philosophy generated no new problems, it is dead. Abbiam detto che in questa terza età la ragione sommette l'autorità, trionfa dell' Autorità, e la riduce ne'suoi giusti confini. Or nell'ordine de'fatti che cosa veggiamo? Ci è dato osservare (noi fortunati la medesima legge. Il grande spirito nazionale trionfa di Roma; riduce a ragione l'Autorità; la fa ragionevole. E questo gran fatto accade anch'egli per necessità e provvidenza storica: rebus ipsis didantìbus. Accade senz'av vedercene; accade senza grandi rumori; accade senza grandi strepiti guerreschi; accade senza i temuti fiumi di sangue. Evidentemente il pensiero filosofico italiano è provvidenziale I Egli è già penetrato nella gloriosa ma altrettanto ardua, altrettanto spinosa e travagliosissima età umana! La legge de'tre periodi, che noi abbiamo a fuggevolissimi tocchi tratteggiato ne'suoi caratteri essenziali e differenziali, non è, al solito, una legge dia-lettica, non è legge a priori, non è legge sistematicaj non è legge organica nel significato che vorrebbero darle gli Hegeliani. È una legge, ripetiamolo, essenzialmente storica e psicologica: e la necessità a cui ella è informata, anziché dialettica, è anch'essa di natura storica e psicologica. Non è dunque una tricotomia ideale, dialettica, logica e trascendentale applicata alla genesi del nostro pensiero filosofico; ma è una divisione risultante dal fatto stesso della storia, e qì è confermata dalla genesi delle funzioni psicologiche. Interpretando così la storia della filosofia italiana, il nostro rinnovamento speculativo non pur si presenta come un'esigenza della ragion teoretica, ma come un profondo bisogno altresì della ragione storica, I fini perciò a' quali potrà e dovrà pervenire lo storico della nostra filosofia saranno questi: 1"Egli così avrà dato forma razionale al movimento filosofico del pensiero italiano, a contare dalle sue proprie origini fino ai dì nostri: Avrà legittimato la scolastica e la riflessione teologica facendole servire entrambe allo svolgimento isterico del nostro pensiero filosofico. Avrà schivato le pretensioni esclusive, l’interpretazioni erronee, infedeli e parziali degli storiografi hegeliani che altro non veggono, sì nella nostra come nell’universale storia della filosofia, fuorché il trionfo d'un aristotelismo o d'un platonismo interpretati, rimaneggiatie rimpastati a tutto lor comodo e favore: Potrà giustificare la rinnovata filosofia positiva italiana correggendo l'arabismo vecchio e nuovo, correggendo il vecchio e’1 nuovo positivismo, legittimando la vera esigenza platonica e la vera esigenza aristotelica, e dimostrando col fatto il progresso nel corso del nostro pensiero filosofico mercè il trionfo dell'indirizzo medio. Finalmente potrà porger modo alla storia politica, alla storia civile e alla storia letteraria del nostro paese d' attingere significato razionale e razionalmente positivo, elevandole a dignità filosofica legittima. Fuori di questi principii è impresa vana pretendere d'imprimervalore scientifico alla storia del popolo italiano. FILOSOFI CHE DI PROPOSITO O PER INCIDENTE TRATTANO DELLE DOTTRINE DI VICO Giornale de’Letterati oT Italia, Osserrazioni al De antiqtuissima italomm sapìentia, Venezia, Clbbioo, JBihl anL e mod. Concinna, Originia futidamenta et capiUi prima JurÌ9 Naturalie. Padova, Romano, Difeta storica delle Leggi Oreche venute a Roma contro l’opinione di Vico, Napoli, Lettere evi terno principio della Scienza Nuota ec. Napoli, Ganassoni, Memoria in difesa dd principio dd Vico tu l’origine delle XII Tavole. Opasc. del Galogerà. RoOADEl, Saggio del diritto pubblico o politico del regno di Napoli, DdV antico stato de’popoli d’Italia Cistiberina. Vedi anche ColanOELO, Biblioteca analitica ec. Diamo qui tale indice tanto in servigio e compimento della storia e della critica fatta nel primo libro sn gli scrittori che parlano di Vico, quanto per ehi amasse di ripetere i medesimi studi, e far le medesimo ricerche da noi fatte. D’alcuni di questi autori, come aTrertìmmo, non ahhiam creduto prezzo deir opera far cenno; d'altri poi non abbiam potuto, segnatamente d’alcuni venuti alla luce quando la prima parte del nostro lavoro era già in corso di stampa, come per esempio del Qalatio, del D§ luca, del Sarchi, traduz. del saggio ì Mstafisieo, del Laurent e di qualcun altro. Tutti gli’abbiam letti o consultati o studiati secondo che richiede non solo il proposito di questa nostra opera, ma piti ancora quello della seconda che pubblicheremo intorno ai prineipii della sociologia. Non abbiam potuto.leggere gl’articoli di Wotf e dell' Or««t, la Prefatiom del Wsbsr alla trad. della Sdenta Nuovuy ì Fogli $parsi del QOichet e gli scritti di MUller e del Cauer; ma ne abbiam dato giudizio traendone notizia da fonti sicure. Disporremo qnest'indice, quant'ò possibile, secondo l’ordine cronologico, affinchè sia fatto più chiaro il pensiero a cui è informato il presente lavoro. Laui, Novelle Letterarie, Firenze. Vedi pure nelle note al Meursio. FlKETTi, De PrineipiU Jurx$ Naturce et Oentiam adver$tu Bòbbeatum, Pu/endorjium, Woljium et alio. Venetiis, Bettinellus, Sommario dell’opposizioni del Sistema ferino di Vico alla Sacra Scrittura. La faUità dello stato ferino: appendice al diritto di natura e delle OentU E. DuNi, Op., edi?. completa per cura di Gennarellì. Roma Scienza del Coetume. Saggio sulla giurisprudenza Universale. Origine e progressi del Cittadino di Roma. BuoNAFEDR, Istoria critica del diritto di Natura e delle Genti: la ediz. E fatta a Perugia in sa lo scorcio). Stbllini, Opera omnia. Padova, specialmente nell'Opera, Do Ortu et Progressu morum. M. Delfico CIVITELLA, Ricerche sul vero carattere della giurisprudenza romana de’suoi euUori. Napoli Pagano, Op. Capolago. I Saggi PoliHei sono pubblicati in Napoli. Cuoco, Platone in Italia. Milano, FiLANGiBBl, Scienza della legislazione. Firenze, Monti, Prolusione agli studii ddV Università di Pavia. Milano, Foscolo, Discorso dell’origine e dell’ufficio della letteratura. Vedi nelle lezioni d'eloquenza, ediz. di Napoli, WoLP, nel Museum der Alterthumwissenschafi. Berlino, Orblli, Vico e Niehuhr. Museo Svizzero, Anonimo, Dell’antichissima sapienza degl’italiani, versione dal latino. Milano, Silvestri, Iannblli, Sulla natura e necessità della Scienza delle cose e delle Storie umane. Napoli, Anonimo, nell’Indicatore di Gottinga COLANOELO, Saggio d’alcune considerazioni sulla Scienza nuova di Vico. Napoli, RoifAGKOSi, Osservazioni sulla scienza nuova. Weber, traduzione della Scienza Nuova. Lipsia, G. Db Cbsarb, Sommario delle dottrine di Vico, compilato sull’ediz. della scienza nuova fatta dallo stesso Vico e pubblicata nell’ediz. dello stesso saggio in Napoli. Gallotti, Principii «T una Scienza Nuova di Vico, prima edizione pubblicata dall'autore riprodotta e annotata. Napoli, CHE TBATTANO DEL VICO Michelet, Prineìpca de la PkiloBophic de VHUtoìre, traduits de la Scienza Nuova, Paris; ripubblicata colle altre opere a Bmzelles Ricci, nell’Antoloffia del Vleussenx, Firenze, studio critico sulla tradazione fatta da Michelet). lìivitta Enciclopedica f Fascicolo (art. sa la tradazione di Michelet). LBBXiinEB, Initoduction generale à VBittoire du droit. Paris Bietoire de la Philotophie du droit. Bruxelles. Ballanchb, Opere. Paris, JouFFBOY, Mélangea Philo$opMqu€$. Bruxelles CousiK, Oaurs ec, 2« serio, Paris Introductxon b. VHieioire de la Phil.f Lea, II, T. Maviani, Rinnovamento della Filonofia antica italiana, Paris, L. T. (LniQi Tonti), Saggio sopra la Scienza Nuova di Vico, Lugano, PREDABI, Op. di Vico con traduzioni e commonti. Milano, Bravette, Febbabi, Op. di Vico ordinate ed illustrate coW analisi détta MenU di Vico ec. Milano, Società Tipografica, Édit. compllte dee oeuvre de Vico, Paris, Vico et r Italie. Paris, Eeeai sur le principe et le$ limites de la Philoeophie de VBittoirt Paris, Joubert Vico et VItcdie (nella Recue dee Deux ^fond€9, Cattaneo, Vico e l’Italia, nel Politeniico. St. MrLL, Sifithne de Logique, RosviNT, Il Rinnovamento della Filosofia in Italia propoeto dal Conte Terenzio Mamiani della Rovere, Milano Vedi pure nella Filo•ofìa del Diritto, e nella Filosofia politica.) G98CHEL, Zerstreute Bldtter, nella Rivista Giuridico-filosofica. SchlousSingen, A. Cosmc, Lettera a Mill (vedi Littrì, Comte et la Philosoplie Positive, Paris, loLA, Studio su Vico e sulla filosofia della Storia, letto nell’Accade-mia filosofica di Sassari, Torino Maviani, LrUere intomo alla filosofia del diritto. Napoli, Mancini, Intorno alla Filosofia del Diritto, Lett. al conte Terenzio Mamiani. Napoli, Re.kouvieb, Manuel de PhU, moderne. Paris Gioberti, IiUrocU allo studio della Filosofia. Losanna, ToMMAsio, Stridii critici, Venezia, Studii filosofici, Venezia, BonCHEZ, Jntrod, à la Science de VHist, Paris, Anonimo, La Science nouvélle par Vico, trad. par Tautear de Tessa! sur la formation da Dogme Catholiqae. Paris, Della Valle, Saggi exdìa Scienza della storia, ossia Santo della Seiema Nuova di Vico.Napoli, Eocoo, Elogio storico di Vico. Napoli Farina, Storia (L’Italia, narrata al popolo italiano. Firenze, Poligrafia italiana, Prefazione. S. Centofakti, Una Fortixola logica della filosofici della storia, Pisa, TomiASào, Notizie sulla vita e sull’opere di Vico. Vedi nell’edizione della Scienza Nuova fatta a Milano dal Silvestri F. CARyiGNANl, jStona deUe origini e de’progressi della Filosofia del Diritto, Lucca Mancini, Intorno alla nazionalità come fondamento del Diritto delle Genti. Torino Ondes Begqio, Introduzione ai principii deUe umane società, Genova, Vannucci, Storia antica d’Italia, Firenze, Marini, Vico al cospetto, Napoli MUller, Vico Oleine ^c^/ten Neuhrandehurg. BouLLiKR, Hlst. de la Phil, CartUienne, Paris Poli, Manuale della Storia della Filosofia del Tenncmann, Milano. A. De Carlo, Istituzione filosofica secondo % principii di Vico, Napoli, Giani, DeW unico principio e deW unico fine dell’universo Diritto. Oper.a di Vico tradotta e commentata coir aggiunte d’appendici relative alla materia dell’opera stessa. Milano, Della eguàU autorità e naturale amicizia di tutte le scienze. Milano Caubr, nel Museo tedesco Amari, Critica d’una Scienza dille Legislazioni comparate, Genova, Tipografia de’Sordo-Muti, FORNARi, Dell’armonia universale, Napoli; Firenze, Faonani, Ddla neeessità e ddT uso della Divinanione tettifieata dalla Scienza Nuova di Vico. Alessandria, Ristampata a Torino. CHE TRATTANO DI VICO GIOBERTI, Protoloffia, Ediz. del Massari (Saggio ITI), B. ll&zzARELLA, La Critica dtUa Scienza. Genova, tipi Lavagnino, Spavrnta, Carattere e sviluppo della JUoBoJia itàliajut d IL Periodo de' critici e degl’eruditi Continua il periodo de' critici e degl’eruditi. Periodo degl’interpreti filosofi Continua il periodo degl’interpreti filosofi. Conseguenze. Forma della mente, e carattere delle opere di Vico. Valore della nostra critica.) Vico, Leibnitz e il Cartesianismo delle due moderne filosofie, Germanica e Italiana i INTERPRETAZIONE DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. Preambolo Dottrina della scienza e del criterio IL Del criterio e del metodo nella scienza Òtà Posizione e critica del Principio speculativo n Platonismo e l’Aristotelismo nel problema psicologico Organismo e processo psicologico. Fondamento razionale del processo storico. Genesi e teleologia psicologica. Del conoscere metafisico. Critica de’ moderni Neoplatonici. Vin. Continua lo stesso argomento. Critica del Neoaristotelismo: Positivismo ed Hegélianismo, Su la ricerca dell’Assoluto secondo la Ragion filosofica positiva Del Principio metafisico Sul moderno concetto della Creazione e della Provvidenza Xn. Deir attività creativa ne’diversi momenti del Processo cosmico XnL Darwinismo, Scienza Nuova e Sociologia. Idea sulla Storia della Filosofia Italiana Indice degl’Autori che di proposito o per incidente trattano delle dottrine di Vico operazione immediata, per operazione mediata, e^non potrebbe non rieecire, per e non potrebbe rietcire, quel certo Jiloeofoy per certo, quelfloeofo. tuo*dirc, per vo^ dire. Crieto quel centro maeeimo, por Cristo, qvidl centro massimo, jUosofia fisiologica, per Jìlosofia etisologica, assommano la ragione, per assommano le ragioni, T&g. Firtz, per iVr««.v. 13. degVim-, ponderabili suW esistenza, per degV imponderabili e dell’esistenza. Sft^rji vrr(xpx,tt to, per fyi?:?? V7ra^;^«e to'. Sovsifiit, per juva/xee. tovto, per toùto. Jiaviafjperxat Jtavoiat;.7rauTt, per Travri. affermazione promessa, per affermazione promossa, ù^iirpòi, per wc irpò^. x**^' auTvJv, per xar' auTvjy. Avto7s tv, per Auto yt to. Sovo^iisi Zwki'v s^'V' ^®^ SvvdfjLii ^w>7v ?yovTOf.. rsOo^tov, per fAi9óptoy. tfivafjicf, per Svvafiig, TdJ ^9vzx 7tvgG'5a, per to' nuvroc yiviaOxAi.. altro potrebb* essere, per altro non potrtbV essere.. e perciò era visione, per e perciò visione. aXXov «^eu/xaTOtiv, per aXXwv a?to/iaTwv. tololtyi?, per Tuvxng. gL Tra/DOff ta, p«r Tra^ou^ca. che le fa iìUendere, per che la fa intendere. di coglierne concetto, per di coglierne il concetto. es egreift, per es ergreift, dans an sich, per das an sich. Jtvoljixffovt, per ^vva/X8VG(. e s^ avvilirebbe, ^r e* s* avvilirebbe. ytuVe?, per f^J7t(. /*v?5>j, per iit$è. ^a£va-5ae, por yaevjo'^'at. rxpoi^vy' |xaTa, per 7ra^a?£t7fAaTa. del Dio aristotelico, con; per del Dio aristotelico che con,, y. 40, in due e cantra- rie sentenze apposite, per in due apposite e contrarie sentenze yjppxsi ro,v^r vnapxst to. to (^trepov, per TO 5«UTe/)0v. to' rra^Xo, per tÒ oiWo, dell’atonicità/dell’atomicità,, creare vuol non dire/creare non vuol dire; ci son addate/ci son additate; e correggendo, lui/e correggendo lui; chi, davvero, ragion teologica/che, davvero, la ragion teologica. Pietro Siciliani. Siciliani. Keywords: la psico-genia di Vico, ateneo felsineo, l’unita organica della filosofia, zoologia filosofica, psicogenia, “I principii metafisici di Vico”. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Siciliani” – The Swimming-Pool Library. Siciliani.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Sidonio: la ragione conversazionale dell’implicaturis – inplicatura Lewis/Short -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Sidonio Appolinare – follows a political career. He writes a number of letters in which he makes reference to philosophers and philosophical issues. He claims, for example, that Cleante di Assus bites his nails. Grice: “Implicature is a natural thing in Roman. You have -plicare, you add in-plicare, and then you conjugate!” – Keywords: inplicatura, implicatura, implicature, disimplicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sidonio” – Sidonio.

 

Luigi Speranza -- Grice e Signa: la ragione conversazionale della ruota di Venere – la scuola di Signa – filosofia fiorentina – la scuola di Firenze -- filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Signa). Filosofo fiorentino. Filosofo toscano. Filosofo italiano. Signa, Firenze, Toscana. Insegna retorica (“ars dictaminis”) a Bologna e Padova. Vive ad Ancona, Venezia, Bologna, Padova, e Firenze. Tra i saggi più significativi si ricordano il saggio storico “L’assedio d’Ancona” (Viella, Roma), il “Bon Compagno”; “Rethorica novissima”; “Scacchi e il “Libellus de malo senectutis et senis”, nel quale, con spirito arguto, prende in giro le affermazioni di Cicerone che idealizzano la vecchiaia”; la “Rota Veneris” (Salerno), un saggio di epistolo-grafia amorosa; “Liber de amicitia”; “Ysagoge Boncompagnus; “Tractatus virtutum”; “Palma Oliva Cedrum Mirra Quinque tabulae salutationum”;  “Bonus Socius e Civis Bononiae. Garbini, Roma, Salerno, Gabrielli, Le epistole di Cola di Rienzo e l'epistolografia, Archivio della Società romana di storia patria, Gaudenzi, Sulla cronologia delle opere dei dettatori bolognesi da S. a Bene da Lucca, Bullettino dell'Istituto storico italiano, G. Manacorda, Storia della scuola in Italia, Palermo, Tateo,  Enciclopedia dantesca,  Treccani Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. S., su ALCUIN, Ratisbona.  Wight: S.'s charter doctrine (Bologna), in: Medieval Diplomatic and the 'ars dictandi', Scrineum. Keywords: Cicerone, “ars dictaminis” – o rettorica --. Bon Compagno da Signa. Signa. Keywords: rota veneris – erotica – ermafrodita – erma: mercurio, afrodita, venere, afrodisiaco. Luigi Speranza, “Grice e Signa” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza -- Grice e Silio: la ragione conversazionale a Roma – la maledizione di Dione – Scipione come Ercole – il sacrificio dell’eroe – filosofia veneta – la scuola di Padova -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Padova). Filosofo padovano. Filosofo veneto. Vilosofo italiano. Padova, Veneto. Avvocato, console, pro-console de principato romano. Muore in Campania. Figli: Lucio Silio Deciano. Console, Proconsole in Asia. Noto semplicemente come S. Italico è anche un poeta, avvocato e politico romano, autore dei Punicorum libri XVII, il più lungo poema epico latino pervenutoci. Abbiamo notizie di lui da una lettera di PLINIO il Giovane a Caninio RUFO, nella quale parla della sua morte. Il nome ‘Asconio’ porta a ritenere che e legato alla gens patavine. Altre brevi informazioni ci vengono da TACITO e da Marziale. Di Marziale, S. è il patrono e sappiamo che opera nel foro come avvocato difensore, probabilmente già al principato di CLAUDIO. Secondo Plinio, nel principato di Nerone, dove esercitare anche l'avvocatura d'accusa, ovvero la delazione vera e falsa per il favore del principe. Il beneficio che ne tratta e il consolato ordinario. Con la caduta e morte di Nerone, in quanto amico di Vitellio, S. partecipa alle trattative di questi con il fratello di Vespasiano, Tito Flavio Sabino, che è a Roma con il figlio di Vespasiano, Domiziano.  S. è pro-console in Asia Minore agl’ordini di VESPASIANO. Testimonianza è un'epigrafe ad Afrodisia, che riporta il suo nome completo. Allo scadere del mandato pro-consolare S. si ritira dalla vita politica attiva dedicandosi agli studi e alla stesura del suo “Punicorum libri”.  Nel Libro III vi è un riferimento al titolo di "Germanico" assunto da Domiziano e Marziale saluta l'opera nel IV libro degl’epigrammi. Anche a causa dello stato di salute aggiorna a Campania, dove compra la villa di CICERONE, il suo modello di oratoria, e la terra che custodia la tomba di VIRGILIO, di cui è un estimatore e ai cui stilemi si rifà abbondantemente nel corso dei Punica. Durante il principato di Domiziano, ha la paterna soddisfazione di vedere nominato console il figlio Lucio Silio Deciano, anche se Marziale e Plinio ci informano che, peraltro, dove subire la perdita del figlio minore. In Campania, provato da un male incurabile, si lascia morire di fame alla maniera del Portico. S. scrive i Punica, poema storico, anche se secondo una parte della critica il testo è incompiuto, in quanto si ipotizza un progetto originario in XVIII libri, parallelo alle dimensioni degl’annales d’ENNIO. La tomba di Virgilio al chiaro di luna, con S., dipinto di Wright. I Punica sono la più lunga epica romana che ci sia pervenuto. Racconta la guerra punica dalla spedizione d’Annibale in Spagna al trionfo di SCIPIONE dopo Zama. La disposizione annalistica testimonia la sua volontà di ricollegarsi alla III decade di LIVIO, ne recupera la cornice architettonica del modello. Colloca dopo il proemio il ritratto di Annibale e chiude, come LIVIO, con l'immagine del trionfo di Scipione. I Punica è concepita quale continuazione ed esplicazione dell’Eneide virgiliana. La guerra d’Annibale è, di fatto, vista come la continuazione di Virgilio, originata dalla maledizione di Didone contro ENEA, mentre dal poema virgiliano S. restaura la funzione strutturale dell'apparato mitologico, anche se lo stravolgimento anti-frastico della provvidenza virgiliana è sostituito da un'EPOPEA dal finale rassicurante.  PLINIO ha delle riserve sulle capacità di S., lo ritiene più antiquario che artista per il suo gusto per le ricostruzioni minuziose. Lo stile sembra influenzato dal gusto del tempo: "barocco", scene macabre unite al modello epico mitologico, con BANALI RIFLESSIONI ETICHE. L'opera, comunque, risulta frammentaria, poiché dà più importanza ai particolari piuttosto che non all'unità dell'opera stessa. Quindi, lo scritto di S. è importante soprattutto per la quantità di informazioni storiche e mitologiche piuttosto che per la sua poesia.  S. in Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. S., in Treccani.it – Enciclopedie, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. S., su Sapere.it, De Agostini. Pollidori - Postilla a S., su gionni altervista.org. Giarratano, S. in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Epist. III, 7. Patavino: cittadino di Padova (dal latino Patăvium, nome della città di Padova. Marziale. Vinchesi, Introduzione, in Le guerre puniche, BUR, Milano, Occioni, S. e il suo poema, Firenze, Monnier, Vinchesi, Introduzione, in Le guerre puniche, BUR, Milano. S. su Treccani – Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giarratano, S. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, S. su sapere.it, Agostini. S., Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica. Silio Italico, su ALCUIN, Ratisbona. S., su Musisque Deoque; S. su PHI Latin Texts, Packard Humanities Institute. S., open MLOL, Horizons Unlimited, S., Open Library, Internet Archive. S. su Progetto Gutenberg. V · D · M Poeti epici antichi Portale Antica Roma   Portale Biografie   Portale Letteratura Categorie: Poeti romani Avvocati romani Politici romani, Poeti, Consoli imperiali romani. S. has a career in politics before retiring to his villa near Napoli where he pursues his interests in philosophy. He is a follower of the Porch, and admired by Pliny Minore. S. is a  philosopher of the Porch.. S. adopts Virgil's basic concept of seeing in the Punic War a fateful step on the road to Rome's greatness, pre-ordained and hence supported by the divine. In his epic, however, S. goes further than Virgilio had done in trying to illustrate how the actions of the great Romans of the period, such as Marcellus or Scipione - reveal that harmony between pre-destination and CHOICE which is demanded by the philosophy of IL PORTICO. Romans like Marcello or Scipione remain loyal to the ancient values of Rome, which are unknown (and naturally totally foreign) to the antagonist Hannibal. S. shows both Scipione and Hannibal as trying to emulate ERCOLE, that hero whom philosophers from both IL PORTICO and IL CINARGO present as the archetype of a man whose unceasing endeavour and striving make him able to attain perfection through his own efforts. The Roman ERCOLE is, moreover, an important figure in popular religion and in Flavian principate ideology. In S.’s epic only one of the two claimants is Hercules’s legitimate successor: Scipione, whose individual striving for perfection is sub-ordinate to the summum bonum (OPTIMVM) of serving Rome, and thus in harmony with the universal order in which Rome has its divinely given place. By applying the doctrine of fate of IL PORTICO to explain the tradition of Rome's heroic past with its many Republican memories S. establishes a meaningtul connection between that tradition and the state of the principate in which he himself lives. S.’s aim is to prove that a classicising frame of mind with its orientation towards the legendary past of Rome leads to an affirmation, instead of a rejection, of contemporary reality. Tiberio Cazio Asconio Silio Italico. Keywords: SCIPIONE, l’eroe nudo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Silio, and the labours of Ercole” – per il gruppo di gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library. Silio.

 

Luigi Speranza -- Grice e Silla: la regione conversazionale della ta meta ta physika -- Roma – lascuola di Roma – filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo romano. Filosofo lazio. Filosofo italiano. Apellicon, a member of the Lizio, acquires an extensive collection of the works of Aristotle and Teofrasto that had once belonged to Neleo, della Scessi. S. takes the collection away from him and transports it to Roma, where TIRANNIO (si veda) is put in charge of sorting it out and looking after it. Grice: “Tirannio saw a bunch of books which where obviously on physics. ‘And what are these?’ A bunch of books piled after those about physics. ‘I don’t know. I call them ‘the books that come after the books on physics’ – ta meta ta physika.”   Lucio Cornelio Silla Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.  Disambiguazione – "Lucio Silla" rimanda qui. Se stai cercando altri significati, vedi Lucio Silla (disambigua).  Disambiguazione – "Silla" rimanda qui. Se stai cercando altri significati, vedi Silla (disambigua).  Disambiguazione – Se stai cercando l'opera di Händel, vedi Lucio Cornelio Silla (Händel). Lucio Cornelio Silla Console e dittatore della Repubblica romana Ritratto di Silla su un denario battuto da suo nipote Quinto Pompeo Rufo Nome originale Lucius Cornelius Sulla Nascita Roma Morte Cuma Coniuge Giulia Elia Clelia Cecilia Metella Dalmatica Valeria Messalla Figlida Giulia Cornelia Silla Lucio Cornelio Silla da Metella Fausto Cornelio Silla Fausta Cornelia Silla Lucio Cornelio Silla da Valeria Cornelia Postuma GensCornelia PadreLucio Cornelio Silla Questura Pretura Propretura in Cilicia Consolato Proconsolato in Asia Dittatura Lucio Cornelio Silla Nascita Roma Morte Cuma Cause della morte cancro Etnia Latino Religione Religione romana Dati militari Paese servito repubblica romana Forza armata Esercito romano Grado Dux Guerre Guerra giugurtina Guerre cimbriche Guerra civile romana Prima guerra mitridatica Battaglie Battaglia dei Campi Raudii Assedio di Atene Battaglia di Porta Collina Battaglia di Cheronea Battaglia di Orcomeno Comandante di Esercito romano Altre cariche Dictator voci di militari presenti su Manuale Lucio Cornelio Silla (in latino Lucius Cornelius Sulla Felix, pronuncia classica o restituta: ˈluːkɪʊs kɔrˈneːlɪʊs ˈsʉlla ˈfeːlɪks, nelle epigrafi L·CORNELIVS·L·F·P·N·SVLLA·FELIX; Roma – Cuma) è stato un militare e dittatore romano.  Lucio Cornelio Silla naque a Roma da un ramo della gens patrizia dei Cornelii caduto in disgrazia. La motivazione è rintracciabile: un quadrisavolo di Silla, Publio Cornelio Rufino, nonostante fosse stato console, dittatore in data imprecisata e avesse celebrato il trionfo sui Sanniti, fu espulso dal Senato perché possedeva più di dieci libbre di argenteria in casa. Il figlio di Rufino, Publio Cornelio, fu nominato flamen Dialis, posizione di massima importanza in ambito religioso, ma i cui obblighi lo escludevano di fatto dalla vita politica.[4] Questi fu il primo a portare il cognomen Sulla. Nelle sue Memorie, Silla stesso scrive che il primo Sulla fu il flamine, facendo derivare la parola dal nome della Sibilla: infatti Publio Cornelio, figlio del sacerdote e bisavolo di Silla, aveva consultato i Libri sibillini per decidere se celebrare i primi ludi Apollinares; questo tentativo di nobilitare il cognomen non rispetterebbe però un'antica usanza romana. Tradizionalmente, infatti, il cognomen descriveva un tratto della famiglia che lo portava: in questo caso, mentre Rufinus richiamava la capigliatura rossa della famiglia, Sulla derivava da suilla, «carne di porco», e alludeva alla pelle chiara e cosparsa di lentiggini. Nonostante il cambiamento del cognomen, la reputazione della famiglia non migliorò e i successori del flamine non ricoprirono cariche superiori a quella pretoria. Il bisavolo di Silla, Publio Cornelio, fu unitamente praetor urbanus e peregrinus e, come già detto, indisse i primi Giochi di Apollo. Avvicinandosi all'età di Silla le informazioni scarseggiano: del primogenito e nonno di Silla, omonimo di suo padre, si sa che fu pretore in Sicilia, mentre il secondogenito, Servio, ricoprì la carica in Sardegna. Del padre, Lucio Cornelio Silla, si sa ancora meno: è probabile che non fosse il primogenito di Publio e che fu amico di Mitridate il Grande, per cui potrebbe essere stato promagistrato in Asia o membro di una delle numerose delegazioni che venivano frequentemente inviate in Oriente. Ebbe due mogli: la seconda, matrigna di Silla, era decisamente doviziosa. Gioventù  Busto virile detto Silla, copia del 40 a.C. ca. di un originale dell'età augustea, marmo, alt. 47 cm. Copenaghen, Ny Carlsberg Glyptotek (in Roma, Palazzo Barberini, collezione privata). La scultura e identificata con Silla ma, considerata la datazione (incerta), si può dire che probabilmente non lo ritrae. Poco si sa della fanciullezza di Silla. Ci rimane solo una leggenda, secondo cui, poco dopo la sua nascita, una donna lo vide in grembo alla nutrice e le disse «Puer tibi et reipublicae tuae felix» (Il fanciullo [sarà] fonte di gioia per te e per lo Stato).Certo è che il crollo del prestigio condizionò la situazione economica della famiglia, descritta così da Plutarco: «οἱ δὲ μετ’ ἐκεῖνον ἤδη ταπεινὰ πράττοντες διετέλεσαν, αὐτός τε Σύλλας ἐν οὐκ ἀφθόνοις ἐτράφη τοῖς πατρῴοις. γενόμενος δὲ μειράκιον ᾤκει παρ’ ἑτέροις ἐνοίκιον οὐ πολὺ τελῶν, ὡς ὕστερον ὠνειδίζετο παρ’ ἀξίαν εὐτυχεῖν δοκῶν. σεμνυνομένῳ μὲν γὰρ αὐτῷ καὶ μεγαληγοροῦντι μετὰ τὴν ἐν Λιβύῃ στρατείαν λέγεταί τις εἰπεῖν τῶν καλῶν τε κἀγαθῶν ἀνδρῶν· «Καὶ πῶς ἂν εἴης σὺ χρηστός, ὃς τοῦ πατρός σοι μηδὲν καταλιπόντος τοσαῦτα κέκτησαι;» I suoi di Rufino discendenti, fin dal primo, condussero una vita mediocre e Silla stesso fu allevato in una situazione patrimoniale niente affatto invidiabile. Da adolescente abitava in casa d'altri e pagava un affitto basso; questo gli fu rinfacciato in seguito, perché sembrava aver raggiunto una fortuna superiore al merito. Si dice che, dopo la campagna in Libia, quando si faceva bello e si vantava, uno dei boni gli si rivolse con queste parole: «E come potresti essere meritevole di lodi tu, che ti sei ritrovato tante ricchezze senza che tuo padre ti abbia lasciato niente?»»  (Plutarco, Sull., 1, 2; trad. di Lucia Ghilli)  Il biografo greco probabilmente esagera, perché Silla non crebbe nella povertà più assoluta: era ricco agli occhi del plebeo, ma povero agli occhi del nobile, una posizione assimilabile a quella di cavaliere. Nonostante l'ambiente modesto in cui visse, a Silla fu impartita un'ottima educazione, degna delle sue origini patrizie: gli furono insegnati la letteratura latina e greca, il diritto, la retorica, la filosofia e l'arte e fu impregnato dei valori tradizionali del mos maiorum. Con questi strumenti, Silla poteva certamente rivaleggiare con i più eruditi della sua epoca, ma per ottenere una carica gli serviva il denaro.  La speranza di ricoprire una magistratura sembrò svanire quando, verso l'età in cui indossò la toga virilis, il padre Lucio morì senza lasciargli nulla in eredità. Silla, che godeva di un reddito annuo di 9000 sesterzi, nove volte maggiore rispetto a quello di un operaio, ma decisamente umile per un aristocratico, prese a frequentare i sobborghi dell'Urbe, che poco si addicevano a un patrizio, e personaggi ambigui come mimi e istrioni, per cui scrisse anche alcune atellane. Secondo Plutarco, in occasione delle bevute con i suoi amici plebei Silla, la cui immagine è passata alla storia come severo dittatore, mostrava il suo lato migliore: «ἀλλ’ ἐνεργὸς ὢν καὶ σκυθρωπότερος παρὰ τὸν ἄλλον χρόνον, ἀθρόαν ἐλάμβανε μεταβολὴν ὁπότε πρῶτον ἑαυτὸν εἰς συνουσίαν καταβάλοι καὶ πότον, ὥστε μιμῳδοῖς καὶ ὀρχησταῖς τιθασὸς εἶναι καὶ πρὸς πᾶσαν ἔντευξιν ὑποχείριος καὶ κατάντης.»   «sebbene fosse attivo e più accigliato per il resto del tempo, non appena si buttava nella mischia e si metteva a bere cambiava del tutto, tanto da diventare gentile con mimi cantanti e ballerini, dimesso e propenso ad accogliere ogni richiesta.»  (Plutarco, Sull.; trad. di Lucia Ghilli)  Ormai pronto al matrimonio, Silla sposò una certa Ilia, che potrebbe corrispondere a una Giulia, sorella di Lucio Giulio Cesare e Cesare Strabone Vopisco, o una Giulia minore, sorella di Gaio Giulio Cesare, Sesto Giulio Cesare e Giulia maggiore, moglie di Gaio Mario, o più probabilmente si tratta di un errore di Plutarco, per cui la figura di Ilia coinciderebbe con Elia, la seconda moglie di Silla, di famiglia plebea e di cui non si sa altro che il nome. In ogni caso, da Ilia Silla ebbe la sua prima figlia, Cornelia, e il primo figlio, Lucio, che morì infante.Ad ogni modo, il legame matrimoniale non gli impedì di intrattenere relazioni extraconiugali: coltivò una relazione omosessuale con l'attore Metrobio, un amore giovanile che portò con sé fino alla morte, così come continuò a frequentare i circoli di buffoni. Amò anche la facoltosa Nicopoli, liberta più vecchia di lui e sua amante, che, quando spirò, lasciò al giovane Silla una grande eredità. Nello stesso periodò morì anche la matrigna, da cui Silla ereditò un'altra ingente somma di denaro.Fu probabilmente così che Lucio Cornelio Silla, nato da una famiglia decaduta, poté intraprendere la sua carriera politica: l'inizio della sua Felicitas.  Esordi della carriera e opposizione a Mario  Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra giugurtina e Guerre cimbriche. Silla e nominato questore di Gaio Mario, del quale era cognato avendo sposato la sorella minore della moglie di Mario, Giulia, nel periodo in cui questi stava assumendo il comando della spedizione militare contro Giugurta, re della Numidia. Questa guerra si protraeva ormai., con risultati addirittura umilianti per l'esercito romano, tenuto in scacco dalle forze di questo piccolo regno africano.  Alla fine Mario, riuscì a prevalere, soprattutto grazie all'abile e coraggiosa iniziativa di Silla, che riuscì a catturare Giugurta convincendo il suocero Bocco e gli altri familiari a tradirlo e consegnarlo ai Romani. La fama che gliene derivò gli servì da trampolino di lancio per la carriera politica, ma provocò il risentimento e la gelosia di Mario nei suoi confronti. Difatti Silla continuò a servire nello Stato Maggiore di Mario fino all'elezione al consolato di Quinto Lutazio Catulo, di antica famiglia aristocratica come lui, e infine passando nello Stato Maggiore di quest'ultimo nella difficile campagna condotta in Gallia contro le tribù germaniche dei Cimbri e dei Teutoni. Silla si distinse anche in questa occasione, aiutando il console Quinto Lutazio Catulo e Mario a sconfiggere i Cimbri nella Battaglia dei Campi Raudii, presso Vercelli. Al suo ritorno a Roma, Silla riuscì a farsi eleggere pretore urbano, e i suoi avversari non mancarono di accusarlo di aver corrotto all'uopo molti degli elettori. In seguito fu assegnato al governo della Cilicia, regione situata nell'odierna Turchia. Si assistette a un avvenimento storico per quell'epoca. La Repubblica romana e il grande Impero dei Parti vennero a contatto in modo del tutto pacifico. Una delegazione inviata dal sovrano parto, Mitridate II, si incontrò sulle rive dell'Eufrate con il pretore Lucio Cornelio Silla, governatore della nuova provincia di Cilicia. Dopo l'anno di pretura, Silla fu inviato in Cappadocia. Motivo ufficiale della sua missione era il porre di nuovo sul trono Ariobarzane I. In verità egli aveva il compito di contenere e controllare l'espansione di Mitridate, che stava acquisendo nuovi domini e potenza non inferiori a quanti ne aveva ereditati.»  (Plutarco, Vita di Silla)   La missione di Silla, procuratore della Cilicia, nel 96 a.C., quando incontrò un satrapo dei Parti presso Melitene (futura fortezza legionaria).  Rovine di Aeclanum, la città del Sannio irpino conquistata da Lucio Cornelio Silla. Questo primo incontro fissò sull'Eufrate il confine tra i due imperi. Una curiosità di quell'incontro fu che Silla cercò, anche in quella circostanza, di affermare la preminenza di Roma sulla Partia, sedendosi fra il rappresentante del Gran Re e il re di Cappadocia, come se desse udienza a dei vassalli. Una volta venuto a conoscenza dell'accaduto, il re dei Parti fece giustiziare colui che lo aveva così maldestramente sostituito all'incontro con il comandante militare romano. Ecco come racconta l'episodio Plutarco. Silla soggiornava lungo l'Eufrate, quando venne a trovarlo un certo Orobazo, un parto, quale ambasciatore del re degli Arsacidi. In passato non c'erano mai stati rapporti di sorta tra i due popoli. Tra le grandi fortune toccate a Silla, va ricordata anche questa. Egli fu infatti il primo romano che i Parti incontrarono, chiedendo alleanza e amicizia. In questa occasione si racconta che Silla fece disporre tre sgabelli, uno per Ariobarzane I, uno per Orobazo e uno per sé, e li ricevette mettendosi al centro tra i due. Di questa situazione alcuni lodano Silla, perché ebbe un contegno fiero di fronte a due barbari, altri lo accusano di impudenza e vanità oltre misura. Il re dei Parti, da parte sua, mise poi a morte Orobazo.»  (Plutarco, Vita di Silla. Silla lasciò il Medio Oriente e rientrò a Roma, dove si unì al partito degli oppositori di Gaio Mario. In quegli anni la Guerra Sociale era al suo culmine. L'aristocrazia romana si sentiva minacciata dalle ambizioni di Mario che, vicino alle posizioni del partito popolare, aveva già retto il consolato per 5 anni di seguito. Nella repressione di quest'ultimo moto di ribellione delle popolazioni italiche alleate di Roma, Silla si mise particolarmente in luce come brillante e geniale stratega, eclissando sia Mario sia l'altro console Gneo Pompeo Strabone (padre di Gneo Pompeo Magno). Una delle sue imprese più famose fu la cattura di Aeclanum, città degli Irpini, ottenuta incendiando il muro di legno che difendeva la città assediata. Come conseguenza, ottenne per la prima volta il consolato, insieme a Quinto Pompeo Rufo.  Occupazione militare di Roma  Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra civile romana. Silla, assunta la carica di console, ricevette poco dopo dal Senato l'incarico di governare la provincia d'Asia. Durante il governatorato organizzò una nuova spedizione in Oriente e combatté la prima guerra mitridatica. Si lasciò tuttavia alle spalle, a Roma, una situazione assai turbolenta. Mario era ormai vecchio, ma nonostante ciò aveva ancora l'ambizione di essere lui, e non Silla, a guidare l'esercito romano contro il re del Ponto Mitridate VI. Per ottenere l'incarico, Mario convinse il tribuno della plebe Publio Sulpicio Rufo a fare approvare una legge che sottraesse a Silla la guida, già legittimamente conferitagli, della guerra contro Mitridate e gliela attribuisse.  Appresa la notizia Silla, accampato in quel momento nell'Italia meridionale in attesa di imbarcarsi per la Grecia, scelse le 6 legioni a lui più fedeli e, alla loro testa, marciò su Roma. Nessun comandante, in precedenza, aveva mai osato violare con l'esercito il perimetro della città (il cosiddetto pomerio). La cosa era talmente contraria alle tradizioni che Silla esentò gli ufficiali dal parteciparvi. Spaventati da tanta risolutezza, Mario e i suoi seguaci fuggirono dalla città. Dopo avere preso una serie di provvedimenti per ristabilire la centralità del Senato come guida della politica romana, Silla lasciò di nuovo Roma, e riprese la strada della guerra contro Mitridate.  Guerra contro Mitridate in Oriente  Lo stesso argomento in dettaglio: Prima guerra mitridatica.  Mitridate (oggi al museo del Louvre). Approfittando dell'assenza di Silla, Mario riuscì a riprendere il controllo della situazione. Con il sostegno del console Lucio Cornelio Cinna (suocero di Gaio Giulio Cesare), ottenne che tutte le riforme e le leggi emanate da Silla fossero dichiarate prive di validità e che lo stesso Silla fosse ufficialmente dichiarato «nemico pubblico» e costretto perciò all'esilio. Insieme, Mario e Cinna eliminarono fisicamente un gran numero di sostenitori di Silla, e furono eletti consoli Mario morì pochi giorni dopo l'elezione e Lucio Valerio Flacco fu nominato consul suffectus al suo posto, mentre Cinna rimase a dominare incontrastato la politica romana, essendo rieletto console negli anni successivi.  Nel frattempo Silla si era recato in Grecia, dove portò alla caduta Atene. Il comandante romano vendicò quindi l'eccidio asiatico di Mitridate, compiuto su Italici e cittadini romani, compiendo un'autentica strage nella capitale attica. Silla proibì, invece, l'incendio della città, ma permise ai suoi legionari di saccheggiarla. Il giorno seguente il comandante romano vendette il resto della popolazione come schiavi. Catturato Aristione, chiese alla città come risarcimento del danno di guerra, circa venti chili di oro e 600 libbre d'argento, prelevandole dal tesoro dell'Acropoli. Poco dopo fu la volta del porto di Atene del Pireo. Da qui Archelao decise di fuggire in Tessaglia, attraverso la Beozia, dove portò ciò che era rimasto della sua iniziale armata, radunandosi presso le Termopili con quella del condottiero di origine tracia, Dromichete (o Tassile secondo Plutarco). Con l'arrivo di Silla in Grecia le sorti della guerra contro Mitridate erano quindi cambiate a favore dei Romani. Espugnata quindi Atene e il Pireo, il comandante romano ottenne due successi determinanti ai fini della guerra, prima a Cheronea, dove secondo Tito Livio caddero ben 700.000 armati del regno del Ponto, e infine a Orcomeno.Mappa dei movimenti delle armate romane, prima e durante la battaglia combattuta presso Cheronea  Mappa dei movimenti delle armate romane, durante la battaglia combattuta presso Orchomenos Contemporaneamente, il prefetto della cavalleria, Flavio Fimbria, dopo aver ucciso il proprio proconsole, Lucio Valerio Flacco, a Nicomedia prese il comando di un secondo esercito romano. Quest'ultimo si diresse anch'egli contro le armate di Mitridate, in Asia, uscendone più volte vincitore, riuscendo a conquistare la nuova capitale di Mitridate, Pergamo, e poco mancò che non riuscisse a far prigioniero lo stesso re. Intanto Silla avanzava dalla Macedonia, massacrando i Traci che sulla sua strada gli si erano opposti. Quando Mitridate seppe della sconfitta a Orcomeno, rifletté sull'immenso numero di armati che aveva mandato in Grecia fin dal principio, e il continuo e rapido disastro che li aveva colpiti. In conseguenza di ciò, decise di mandare a dire ad Archelao di trattare la pace alle migliori condizioni possibili. Quest'ultimo ebbe allora un colloquio con Silla in cui disse: Tuo padre era amico di re Mitridate, o Silla. Fu coinvolto in questa guerra a causa della rapacità degli altri comandanti romani. Egli chiede di avvalersi del tuo carattere virtuoso per ottenere la pace, se gli accorderai condizioni eque. Appiano, Guerre mitridatiche)  Dopo una serie di trattative iniziali, Mitridate e Silla si incontrarono a Dardano, dove si accordarono per un trattato di pace, che costringeva Mitridate a ritirarsi nei confini antecedenti la guerra, ma ottenendo in cambio di essere ancora una volta considerato «amico del popolo romano». Un espediente per Silla, per poter tornare nella capitale a risolvere i suoi problemi personali, interni alla Repubblica romana. Si racconta che Silla, prima di tornare in Italia, ebbe un secondo incontro con ambasciatori del re dei Parti, i quali gli predissero che «divina sarebbe stata la sua vita e la sua fama». Allora Silla decise di tornare in Italia, sbarcando a Brindisi con 300.000 armati.Il ritorno a Roma, la dittatura e le liste di proscrizione  Lo stesso argomento in dettaglio: Proscrizione sillana.  Possibile ritratto di Silla (copia di un originale, oggi conservata presso la Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen). L'identificazione è stata avanzata dall'archeologo tedesco Klaus Fittschen. Quando fu raggiunto dalla notizia della morte di Cinna, nell'84 a.C., lasciò l'Oriente e si mise in marcia verso Roma, ottenendo l'appoggio, tra gli altri, del giovane Gneo Pompeo Magno. Dopo un periodo iniziale di stasi delle operazioni militari, nel novembre dell'82 a.C. Silla ottenne la vittoria decisiva sconfiggendo nella Battaglia di Porta Collina un grande esercito costituito dalle legioni della fazione dei populares e dalle agguerrite truppe sannite al comando di Ponzio Telesino. L'esito di questa battaglia fu determinato in modo risolutivo dall'azione del futuro triumviro Marco Licinio Crasso che al comando dell'ala destra sbaragliò le forze nemiche, mentre Silla era in grave difficoltà sull'ala sinistra.  Subito dopo la battaglia, essendo morti entrambi i consoli, Silla fu eletto dittatore[56] a tempo indeterminato dai comizi centuriati con la Lex Valeria de Sulla dictatore: i suoi poteri comprendevano il diritto di vita e di morte, la possibilità di presentare leggi, di effettuare confische, di fondare città e colonie, di scegliere i magistrati.  Fu sulla base di questi poteri che Silla realizzò un'articolata serie di riforme, che, nelle sue intenzioni, dovevano risolvere la crisi in cui si dibatteva da decenni lo Stato romano. Divenuto padrone assoluto della città, Silla instaurò un vero e proprio regno del terrore, mettendo al bando e dichiarando fuori legge (prima proscrizione) tutti gli oppositori politici, offrendo ricompense a chi li avesse uccisi. I più colpiti furono i cavalieri, che erano sempre stati ostili a Silla e che presero potere grazie alla riforma del proletariato: ne furono uccisi 2.600 e i loro beni, messi all'asta a prezzi irrisori, finirono nelle tasche dei Sillani.  Il giovane Gaio Giulio Cesare, come genero di Cinna, fu costretto ad abbandonare precipitosamente la città, ma ebbe salva la vita grazie all'intercessione di alcuni amici influenti, soprattutto della cugina Cornelia, figlia di Silla, e del marito di lei Mamerco Emilio Lepido, princeps senatus. Silla annotò poi nelle proprie memorie di essersi pentito di averlo risparmiato ("e sia, lo risparmierò, ma vi avverto, in lui vedo mille volte Mario", frase citata in Svetonio, Vita di Cesare, edizioni Laterza), viste le ben note ambizioni politiche del giovane. Una vittima delle sue proscrizioni, con una morte particolarmente violenta e crudele fu Marco Mario Gratidiano, del quale si racconta che fosse decapitato da suo cognato Catilina anche se, in un frammento delle Storie, Sallustio non menziona Catilina nel descrivere la morte: a Gratidiano, dice, «la vita era sfuggita da lui pezzo per pezzo: le gambe e le braccia gli sono state spezzate e gli occhi cavati».  La circostanza che l'uccisione avvenisse presso la tomba di Catulo ha fatto pensare gli storici che si trattasse non di una semplice crudele vendetta ma di un vero e proprio sacrificio umano rituale per pacificare un antenato morto, riprendendo l'uso di sacrifici umani a Roma, documentati in tempi storici da Andrew Lintott, seppure da 15 anni fossero stati vietati.  Il nuovo ordine Ormai rimasto senza vere opposizioni, Silla attuò una serie di riforme tese a mettere il controllo dello Stato saldamente nelle mani del Senato, allargato per l'occasione da 300 a 600 senatori. La nomina a senatore fu resa, inoltre, automatica al raggiungimento della carica di questore, mentre prima era demandata alla scelta dei censori. Per evitare l'accumulo di poteri si stabilì un limite minimo di età per le varie magistrature: trent'anni per i questori, quaranta per i pretori, ecc. Il potere dei tribuni della plebe fu inoltre fortemente ridimensionato: le loro proposte dovevano essere approvate preventivamente dal Senato e il loro diritto di veto limitato. Il potere giudiziario fu restituito al Senato, sia per i reati più gravi sia per le cause di corruzione che la riforma graccana aveva demandato ai cavalieri. In definitiva tutte le sue azioni erano animate dall'intento di restituire al partito aristocratico il controllo della città. Introdusse inoltre la legge per cui i vincitori di corone militari di grado pari o superiore alla civica sarebbero stati ammessi di diritto in senato indipendentemente dall'età, questo fu il motivo per cui Gaio Giulio Cesare all'età di vent'anni ebbe accesso al Senato. Il ritiro dalla vita politica Cronologia Vita di Lucio Cornelio Silla Nasce a Roma  a.C.nominato questore di Gaio Mario fine della Guerra Giugurtina legatus di Mario nella Gallia Ulteriore legatus di Quinto Lutazio Catulo nella Gallia Ulteriore sconfigge i Cimbri nella Battaglia dei Campi Raudii (Vercelli) eletto pretore urbano governatore della Cilicia comandante nelle Guerre Sociali consolato insieme a Quinto Pompeo Rufo e successiva occupazione di Roma e messa fuori legge di Mario spedizione in Medio Oriente contro Mitridate VI del Ponto .messo fuori legge da Mario ritorna a Roma e la occupa con la forza per la seconda volta eletto dittatore consolato insieme a Quinto Cecilio Metello Pio 79 a.C.si dimette dal consolato e si ritira a vita privata muore per cause naturali in Campania nella sua villa di Cuma Nella sua veste di dittatore a vita Silla venne eletto console per la seconda volta Cresceva intanto l'insofferenza verso gli eccessi compiuti dai suoi uomini. Un suo liberto fu denunciato in un processo, e sconfitto grazie alle arringhe del giovane Cicerone. Silla, sorprendendo tutti, l'anno successivo decise di abbandonare la politica per rifugiarsi nella propria villa di campagna, con l'intento di accingersi a scrivere le proprie memorie e riflessioni.  Quando si ritirò a vita privata, pare che attraversando la folla sbigottita uno dei passanti si mise a ingiuriarlo. Silla si limitò a rispondergli, beffardo: «Avresti avuto lo stesso coraggio a dirmi queste cose quando ero al potere?. E alla fine, personaggio dall'indole spietata e ironica allo stesso tempo, confidò ad uno dei suoi amici:  «Imbecille! Dopo questo gesto, non ci sarà più alcun dittatore al mondo disposto ad abbandonare il potere]»  Plutarco nelle Vite parallele lo rappresenta come il vizio, narrando che fosse circondato da una variopinta corte di attori, ballerini e prostitute, fra cui un certo Metrobio, e che gli dei per punizione lo fecero ammalare di lebbra. Dopo aver terminato le sue riforme, si ritirò a vita privata. In compagnia di questa allegra brigata, Sulla Felix fino all'ultimo respiro, morì probabilmente di cancro. Lasciò vedova e incinta la sua ultima moglie, Valeria Messalla, che qualche mese dopo partorì una figlia, Cornelia Postuma.  Com'era allora d'uso presso i potenti di Roma, lui stesso dettò l'epitaffio che aveva voluto s'incidesse sul suo monumento funebre: Nessun amico mi ha reso servigio, nessun nemico mi ha recato offesa, che io non abbia ripagati in pieno.»  Conseguenze dell'operato politico di Silla I problemi politici e sociali che avevano portato alla guerra civile non erano però affatto risolti. Silla aveva ristabilito l'ordine oligarchico in virtù della forza derivatagli dagli eserciti, al cui appoggio avrebbero ricorso sia i sostenitori sia gli avversari del nuovo corso da lui instaurato. Da Silla in poi la vita politica e civile dello Stato fu perciò condizionata pesantemente dall'elemento militare: disporre di un esercito da usare contro gli avversari e, se si rivelasse necessario, contro le stesse istituzioni romane, divenne l'obiettivo principale dei più ambiziosi capi politici che aspiravano al potere. Il sistema costituzionale romano uscì distrutto dalla guerra civile. E l'esempio di Silla trovò presto un imitatore d'eccezione proprio in un uomo che aveva idee opposte alle sue: Giulio Cesare.  Matrimoni e discendenza Silla si sposò cinque volte: Giulia, chiamata anche Ilia. Probabilmente una parente di Giulio Cesare, si sposarono e lei morì., probabilmente di parto. Ebbero una figlia e un figlio: Cornelia, che fu madre di Pompea Silla, terza moglie di Giulio Cesare. Lucio Cornelio Silla, che morì giovane. Elia, da cui non ebbe figli. Clelia, da cui divorziò con l'accusa di sterilità. Cecilia Metella Dalmatica. Si sposarono. Ebbero due figli e una figlia: Fausto Cornelio Silla. Gemello di Fausta, questore Fausta Cornelia. Gemella di Fausto, madre di Gaio Memmio, console suffetto Lucio Cornelio Silla. Morì giovane poco prima della madre.Valeria Messalla. Si sposarono e fu l'ultima moglie di Silla, che morì nello stesso anno. Ebbero una figlia: Cornelia Postuma. Nata alcuni mesi dopo la morte del padre, si presume sia morta prima dell'età da matrimonio. Note Esplicative ^ Chiamata anche Ilia  Le figure di Giulia/Ilia ed Elia potrebbero coincidere (vd. infra). Plutarco, Sull.; Brizzi; Hinard; contra Keaveney, secondo il quale deriverebbe da sura, «polpaccio»; cfr. Quintiliano, Inst.). Noto anche semplicemente come Silla, nome che probabilmente deriva dalla corruzione della grafia originaria del suo cognome (SVILLA). Il cognome aggiuntivo (in latino agnomen) Felix fu aggiunto quando già era al termine della carriera, a motivo della sua quasi leggendaria fortuna come condottiero. Plutarco, Sull., 1, 1; Sallustio, Iug., Plutarco, Sull.; Brizzi; Hinard; Telford, Brizzi; Hinard Brizzi Livio, Brizzi; Hinard Hinard; Telford, Livio Brizzi; Hinard; Keaveney Brizzi; Hinard; Appiano, Mith. Plutarco, Sull.; Brizzi; Hinard; Keaveney Per maggior informazioni sul busto e la sua storia si rimanda ai seguenti link: The General Publius Cornelius Scipio Africanus?, su ancientrome.ru. The General Publius Cornelius Scipio Africanus?, su ancientrome.ru. Keaveney Hinard Sallustio, Iug., Hinar; Keaveney Brizzi; Keaveney Brizzi; Hinard, suppone anche la partecipazione a un'associazione bacchica; Keaveney Brizzi; Hinard; Keaveney Plutarco, Sull., Brizzi; Hinard; Keaveney Telford, Brizzi; Hinard Plutarco, Sull.; Brizzi; Hinard Hinard Plutarco, Sull.; Hinard 2003, p. 21; Keaveney Sheldon Livio, Periochae ab Urbe condita Piganiol Brizzi, Storia di Roma. 1. Dalle origini ad Azio, Bologna Livio, Periochae ab Urbe condita libri Appiano, Guerre mitridatiche Plutarco, Vita di Silla, Appiano, Guerre mitridatiche Appiano, Guerre mitridatiche, Appiano, Guerre mitridatiche, Plutarco, Vita di Silla, Floro, Compendio di Tito Livio, Livio, Periochae ab Urbe condita libri Appiano, Guerre mitridatiche, Plutarco, Vita di Silla, Livio, Periochae ab Urbe condita libri Plutarco, Vita di Silla Appiano, Guerre mitridatiche, Appiano, Guerre mitridatiche, Livio, Periochae ab Urbe condita libri, Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, Velleio Patercolo, Historiae Romanae ad M. Vinicium libri duo, Livio, Periochae ab Urbe condita libri, Livio, Periochae ab Urbe condita libri Appiano, Guerre mitridatiche Velleio Patercolo, Historiae Romanae ad M. Vinicium libri duo, Per ulteriori informazioni: ancientrome.ru/art/artworken/img. La carica di dittatore non era stata ricoperta da alcun politico romano l'ultimo dittatore era stato Gaio Servilio Gemino. Appiano, Guerre civili Lucio Cornelio Silla, romanoimpero. In principio ci fu Silla. È noto che egli fu modello a Cesare per tanti aspetti del suo agire, dall’uso spregiudicato di un esercito ormai politicizzato alla marcia su Roma, dalla dittatura (sia pure a tempo indeterminato, e non perpetua) al mantenimento dell’immissione dei neocittadini italici in tutte le tribù; così, anche in campo storiografico è difficile concepire la genesi dei commentarii di Cesare senza il precedente sillano": Zecchini Giuseppe, Cesare: commentarii, historiae, vitae, Aevum: rassegna di scienze storiche, linguistiche e filologiche: Milano: Vita e Pensiero, Plutarco, Vita di Silla Dufallo, Basil John Ciceronian oratory and the ghosts of the past. University of Michigan: UCLA. Bibliografia Fonti antiche Appiano, Guerre civili, in Storia romana (versione inglese) Appiano, Guerre mitridatiche, in Storia romana.(QUI la versione inglese Internet Archive. Dione Cassio, Storia romana. versione inglese. Floro, Flori Epitomae Liber primus (testo latino) . Tito Livio, Ab Urbe condita libri, Periochae (testo latino) . Tito Livio, Periochae (testo latino), in Ab Urbe condita libri Plutarco, Vita di Silla, in Vite parallele. QUI la versione inglese Plutarco, Le Vite parallele di Plutarco, volgarizzate da Marcello Adriani il Giovane, a cura di Francesco Cerroti e Giuseppe Cugnoni, traduzione di Marcello Adriani il Giovane, III, Firenze, Le Monnier, Plutarco, Lisandro; Silla, introduzione di Luciano Canfora, traduzione e note di Federicomaria Muccioli (per Lisandro), introduzione di Arthur Keaveney, traduzione e note di Lucia Ghilli (per Silla), con contributi di Barbara Scardigli e Mario Manfredini, Milano, BUR. Quintiliano, Institutio oratoria. Sallustio, Bellum Iugurthinum. Strabone, Geografia, XII. QUI la versione inglese Valerio Massimo, Factorum et dictorum memorabilium libri QUI la versione latina. Velleio Patercolo, Historiae Romanae Ad M. Vinicium Libri Duo (testo latino) .QUI la versione inglese. Fonti storiografiche moderne Giuseppe Antonelli, Mitridate, il nemico mortale di Roma. La vicenda umana e politica del principe orientale che ha avuto il coraggio di opporsi all'imperialismo di Roma, Roma, Newton Compton, Ernst Badian, Lucius Sulla: The Deadly Reformer, Sydney, University Press, Giovanni Brizzi, Storia di Roma, I: Dalle origini ad Azio, Bologna, Patron, Giovanni Brizzi, Silla, prefazione di François Hinard, Roma, Rai-ERI, Jérôme Carcopino, Silla o la monarchia mancata, traduzione di Anna Rossi Cattabiani, introduzione di Mario Attilio Levi, consulenza storica di Federico Ceruti, Milano, Rusconi, Hinard, Silla, traduzione di Anna Rosa Gumina, Il Giornale, Roma, Salerno, Keaveney, Silla, traduzione di Katia Gordini, Milano, Bompiani, André Piganiol, Le conquiste dei Romani, traduzione di Filippo Coarelli, Milano, Il Saggiatore, Rose Mary Sheldon, Le guerre di Roma contro i Parti, Traduzione dall'inglese di Pasquale Faccia, Gorizia, LEG, Lynda Telford, Sulla: A Dictator Reconsidered, Pen et Sword, Voci correlate Catilina Gens Cornelia Console romano Dittatore romano Pretore (storia romana) Altri progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Lucio Cornelio Silla Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Mario Attilio Levi, SILLA, Lucio Cornelio, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Silla, Lucio Cornelio, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Ernesto Valgiglio, Sulla, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Ernesto Valgiglio, Sulla, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Opere di Lucio Cornelio Silla, su PHI Latin Texts, Packard Humanities Institute. Lucio Cornelio Silla / Lucio Cornelio Silla (altra versione), su Goodreads. luciuscorneliussylla.fr, su luciuscorneliussylla  Estratti dal libro di Carcopino su Silla, su ilpalo L. Cornelius Sulla, Sylla, su noctes-gallicanae.org. Mario e Silla, su janusquirinus.org. Predecessore Console romano Successore Gneo Pompeo Strabone, Lucio Porcio Catone con Quinto Pompeo Rufo Lucio Cornelio Cinna I, Gneo OttavioI Gneo Cornelio Dolabella, Marco Tullio Decula80 a.C. con Quinto Cecilio Metello Pio Appio Claudio Pulcro, Publio Servilio Vatia IsauricoII V D M Plutarco Antica Roma   Portale Biografie   Portale Ellenismo   Portale Storia Categorie: Militari romaniMilitari del II secolo a.C.Militari Romani del II secolo a.C.Romani Morti Nati a Roma Morti a Cuma Lucio Cornelio Silla Consoli repubblicani romani Dittatori romaniSenatori romani Cornelii Auguri Tresviri monetales Governatori romani dell'AsiaPersone delle guerre mitridatiche [altre]  Gamerra Mozart, Attori ATTORI Lucio SILLA, dittatore TENORE GIUNIA, figlia di Cajo Mario, e promessa sposa di SOPRANO CECILIO, senatore proscritto SOPRANO Lucio CINNA, patrizio romano amico di Cecilio, e nemico occulto di Lucio Silla SOPRANO CELIA, sorella di Lucio Silla SOPRANO AUFIDIO, tribuno amico di Lucio Silla TENORE Guardie. Senatori, Nobili, Soldati, Popolo, Donzelle. La scena è in Roma nel palazzo di L. Silla, e ne' luoghi contigui al medesimo. Altezze reali Lucio Silla Altezze reali Non ommetteremmo la possibile diligenza  per sperare, che il presente spettacolo rimeritar possa il generoso gradimento delle aa. vv. rr. Degnatevi perciò di riguardarlo con quella benignità, di cui ne abbiamo tante prove, ed animati da tal lusinga con profondissimo ossequio ci protestiamo di aa. vv. rr. divotiss. obbligatiss. servitori Gli associati nel Regio­ducal teatro. Gamerra /Moza Argomento Son note nell'istoria le inimicizie di Lucio Silla, e di Mario. È palese altresì il modo con cui il primo trionfò del suo emulo. Non può a Silla negarsi il vanto di gran guerriero felice in tutte le sue marziali intraprese. Ma co' la crudeltà, coll'avarizia, co' la volubilità, e co' le dissolutezze adombrò la gloria del proprio valore. I molti suoi amori lo caratterizzarono per uomo celebre nella galanteria, quanto glorioso nell'armi, e questa inclinazione, come ci assicura Plutarco, gli fu compagna fino nell'età sua più avanzata. Lucio Cinna, da esso innalzato a sommi onori co' la promessa di secondarlo, e d'assisterlo, celò poi contro di lui sotto le sembianze dell'amicizia un odio il più implacabile. Aufidio tribuno, menzognero adulatore, fu quello, che precipitar facea Silla negl'eccessi i più vergognosi. Fra l'incostanza, l'avarizia, e la crudeltà, che lo dominavano, era soggetto talora a quei rimorsi, che non si allontanano da un core, in cui per anche non si sono affatto estinti i lumi della ragione, e gl'impulsi della virtù. Odioso a tutta Roma lo resero le stragi, l'usurpatasi dittatura, la proscrizione, e la morte di tanti cittadini, ma degna fu d'ogni encomio la volontaria sua abdicazione, per cui cedette le insegne di dittatore,  richiamando   in   Roma   tutti   i   proscritti,   e anteponendo  all'impero,  e alle  grandezze  la tranquillità  d'una oscura vita  privata. Dall'istoria non meno rilevasi, che la famiglia dei Cecili fu sempre affezionatissima al partito di Caio Mario. (Plutarco in Syll.) Da tali istorici fondamenti è tratta l'azione di questo dramma, la quale è per verità fra le più grandi, come ha sensatamente osservato il sempre celeste, e inimitabile sig. abate Pietro Metastasio, che co' la sua rara affabilità s'è degnato d'onorare il presente drammatico componimento d'una pienissima approvazione. Allorché questa proviene dalla meditazion profonda, e dalla lunga, e gloriosa esperienza dell'unico maestro dell'arte, esser deve ad un giovane autore il maggior d'ogni elogio. Atto primo Lucio Silla ATTO PRIMO [Ouverture] Molto allegro (re maggiore) / Andante (la maggiore) Archi, 2 oboe, 2 corni, 2 trombe, timpani. Scena prima Solitario recinto sparso di molti alberi con rovine d'edifizi diroccati. Riva del Tebro. In distanza veduta del monte Quirinale con piccolo tempio in cima. Cecilio, indi Cinna. Recitativo CECILIO Ah ciel, l'amico Cinna qui attendo invan. L'impazienza mia cresce nel suo ritardo. Oh come mai è penoso ogn'istante al core uman se pende fra la speme, e il timor! I dubbi miei... ma non m'inganno. Ei vien. Lode agli dèi. CINNA Cecilio, oh con qual gioia pur ti riveggio! Ah lascia, che un pegno io t'offra or che son lieto appieno, d'amistate, e d'affetto in questo seno. CECILIO Quanto la tua venuta accelerò coi voti l'inquieta alma mia. Quai non produsse la tua tardanza in lei smanie, e spaventi, e quali immagini funeste s'affollano al pensier. L'alma agitata s'affanna, si confonde... CINNA Il mio ritardo altro motivo asconde. Tutto da me saprai. CECILIO Deh non t'offenda l'impazienza mia... Giunia, la cara, la fida sposa è sempre tutt'amor, tutta fé? Que' dolci affetti, ch'un tempo mi giurò, rammenta adesso? È 'l suo tenero core anche l'istesso? CINNA Ella estinto ti piange... 6 / 52 www.librettidopera.it G. De Gamerra / W. A. Mozart, 1772 Atto primo CECILIO Ah come?... Ah dimmi! Dimmi: e chi tal menzogna osò d'immaginar? CINNA L'arte di Silla per trionfar del di lei fido amore. CECILIO A consolar si voli il suo dolore. (in atto di partire) CINNA Deh, t'arresta. E non sai, che 'l tuo ritorno è così gran delitto, che guida a morte un cittadin proscritto? CECILIO Per serbarmi una vita, ch'odio senza di lei, dunque lasciar potrei la sposa in preda a un ingiusto, a un crudel? CINNA M'ascolta. E dove, di riveder tu speri la tua Giunia fedel? nel proprio tetto Silla la trasse... CECILIO E Cinna ozioso spettator soffrì?... CINNA Che mai solo tentar potea? Pur troppo è vano il contrastar con chi ha la forza in mano. CECILIO Dunque, nemici dèi di riveder la sposa più sperar non poss'io? CINNA M'odi. Non lungi da questa ignota parte il tacito recinto ergesi al ciel, che nelle mute soglie de' trapassati eroi le tombe accoglie. CECILIO Che far degg'io? CINNA Passarvi per quel sentiero ascoso, che fra l'ampie rovine a lui ne guida. CECILIO E colà che sperar? CINNA Sai che confina col palazzo di Silla. In lui sovente da' fidi suoi seguita fra 'l dì Giunia vi scende. Ivi sovente alla mest'urna accanto del genitor, la suol bagnar di pianto. Continua nella pagina seguente. Atto primo Lucio Silla CINNA Sorprenderla potrai. Potrai nel seno farle destar la speme, che già s'estinse, e consolarvi insieme. CECILIO Oh me beato! CINNA Altrove co' molti amici in tua difesa uniti frattanto io veglierò. Gli dèi oggi render sapran dopo una lunga vil servitù penosa la libertà a Roma, a te la sposa. [N. 1 ­ Aria] Allegro (si bemolle maggiore) Archi, 2 oboe, 2 corni, 2 trombe. CINNA Vieni ov'amor t'invita vieni, che già mi sento del tuo vicin contento gli alti presagi in sen. Non è sempre il mar cruccioso, non è sempre il ciel turbato, ride alfin, lieto e placato fra la calma, ed il seren. (parte) Scena seconda Cecilio solo. Recitativo accompagnato Andante (sol maggiore) / Allegro / Andantino / Allegro / Adagio Archi. CECILIO Dunque sperar poss'io di pascer gli occhi miei nel dolce idolo mio? Già mi figuro la sua sorpresa, il suo piacer. Già sento suonarmi intorno i nomi di mio sposo, mia vita. Il cor nel seno col palpitar mi parla de' teneri trasporti, e mi predice... Oh ciel sol fra me stesso qui di gioia deliro, e non m'affretto la sposa ad abbracciar? Ah forse adesso sul morir mio delusa priva d'ogni speranza, e di consiglio lagrime di dolor versa dal ciglio! 8 / 52 www.librettidopera.it Gamerra / Mozart, 1772 Atto primo [N. 2 ­ Aria] Allegro aperto (fa maggiore) Archi, 2 oboe, 2 corni. CECILIO Il tenero momento premio di tanto amore già mi dipinge il core fra i dolci suoi pensier. E qual sarà il contento, ch'al fianco suo m'aspetta, se tanto ora m'alletta l'idea del mio piacer? Scena terza Appartamenti destinati a Giunia, con statue delle più celebri donne romane. Silla, Celia, Aufidio, e Guardie. Recitativo SILLA A te dell'amor mio, del mio riposo Celia, lascio il pensier. Rendi più saggia l'ostinata di Mario altera figlia. E a non sprezzarmi alfin tu la consiglia. CELIA German sai, che finora tutto feci per te. Vuò lusingarmi di vederla cangiar. AUFIDIO Quella superba co' le preghiere, e coi consigli invano sia che si tenti. Un dittator sprezzato, che da Roma, e dal mondo inter s'ammira, s'altro non vale, usi la forza, e l'ira. SILLA E la forza userò. La mia clemenza non mi fruttò che sprezzi, e ingiuriose repulse d'una femmina ingrata. In questo giorno mi segua all'ara, e paghi renda gli affetti miei. O 'l nuovo sol non sorgerà per lei. CELIA Ah Silla, ah mio germano per tua cagione io tremo, se trasportar ti lasci a questo estremo. Pur troppo, ah sì pur troppo la violenza è spesso madre fatal d'ogni più nero eccesso. Atto primo Lucio Silla SILLA Da tentar che mi resta, se ostinata colei mi fugge, e sprezza? CELIA Adoprar tu sol devi arte, e dolcezza. S'è ver, che sul tuo core vantai finor qualche possanza, ah lascia, che da Giunia me n' corra. Ella fra poco da te verrà. L'ascolta forse sia che una volta cangi pensier. SILLA Di mia clemenza ancora prova farò. Giunia s'attenda, e seco, parli lo sposo in me. Ma non s'abusi dell'amor mio, di mia bontade, e tremi, se Silla alfine inesorabil reso favellerà da dittatore offeso. CELIA German di me ti fida. Oggi più saggia Giunia sarà. Finora una segreta speme forse il cor le nutrì. Se cadde estinto lo sposo suo, più non le resta omai amorosa lusinga. I preghi tuoi cauto rinnova. Un amator vicino se d'un lontan trionfa, il trionfare d'un amator, che già di vita è privo, è più agevole impresa a quel, ch'è vivo. [N. 3 ­ Aria] Grazioso (do maggiore) / Allegretto / Grazioso Archi. CELIA Se lusinghiera speme pascer non sa gli amanti anche fra i più costanti languisce fedeltà. Quel cor sì fido e tenero, ah sì quel core istesso così ostinato adesso quel cor si piegherà. (parte) 10 / 52 www.librettidopera.it G. De Gamerra / W. A. Mozart, 1772 Atto primo Scena quarta Silla, Aufidio, e Guardie. Recitativo AUFIDIO Signor, duolmi vederti ai rifiuti, agl'insulti esposto ancor. Alle preghiere umili s'abbassi un cor plebeo. Ma Silla, il fiero terror dell'Asia, il vincitor di Ponto l'arbitro del senato, e che si vide un Mitridate al suo gran piè sommesso, s'avvilirà d'una donzella appresso? SILLA Non avvilisce amore un magnanimo core, o se 'l fa vile, infra gli eroi, che le provincie estreme han debellate, e scosse, un sol non vi saria, che vil non fosse. In questo giorno, amico, sarà Giunia mia sposa. AUFIDIO Ella sen viene. Mira in quel volto espresso un ostinato amore, un odio interno, un disperato duolo. SILLA Ascoltarla vogl'io. Lasciami solo. (Aufidio parte) Scena quinta Silla, Giunia, e Guardie. SILLA Sempre dovrò vederti lagrimosa e dolente? Il tuo bel ciglio una sol volta almeno non fia che si rivolga a me sereno? Cielo! tu non rispondi? Sospiri? ti confondi? ah sì, mi svela perché così penosa t'agiti, impallidisci, e scansi ad arte d'incontrar gli occhi tuoi negli occhi miei. GIUNIA Empio, perché sol l'odio mio tu sei. SILLA Ah no, creder non posso, che a danno mio s'asconda sì fiera crudeltà nel tuo bel core. Hanno i limiti suoi l'odio, e l'amore. Atto primo Lucio Silla GIUNIA Il mio non già. Quant'amerò lo sposo, tanto Silla odierò. Se fra gli estinti l'odio giunge, e l'amor, dentro quest'alma che ad onta tua non cangerà giammai, egli il mio amor, tu l'odio mio sarai. SILLA Ma dimmi: in che t'offesi per odiarmi così? che non fec'io, Giunia, per te? La morte il genitor t'invola, ed io ti porgo nelle mie mura istesse un generoso asilo. Ogni dovere dell'ospitalità qui teco adempio, e pur segui ad odiarmi, e Silla è un empio? GIUNIA Stender dunque dovrei le braccia amanti a un nemico del padre? E ti scordasti quanto contro di lui barbaro oprasti? In doloroso esiglio fra i cittadin più degni languisce, e more alfin lo sposo mio, e chi n'è la cagione amar degg'io? Per tua pena maggior, di novo il giuro, amo Cecilio ancor. Rispetto in lui benché morto, la scelta del genitor. Se l'inuman destino dal fianco mio lo tolse per secondare il tuo perverso amore ah sì, viverà sempre in questo core. SILLA Amalo pur superba, e in me detesta un nemico tiranno. Or senti. In faccia di tanti insulti io voglio tempo lasciarti al pentimento. O scorda un forsennato orgoglio, un inutile affetto, un odio insano, o a seguir ti prepara nell'Erebo fumante, e tenebroso l'ombra del genitor, e dello sposo. GIUNIA Coll'aspetto di morte del gran Mario una figlia presumi d'avvilir? Non avria luogo nell'alma tua la speme ché oltraggia l'amor mio se provassi, inumano, di che capace è un vero cor romano. Atto primo SILLA Meglio al tuo rischio, o Giunia, pensa, e risolvi. Ancora un resto di pietade sol perché t'amo ascolto. Ah sì meglio risolvi... GIUNIA Ho già risolto. Del genitore estinto ognora io voglio rispettare il comando; sempre Silla aborrire, sempre adorar lo sposo, e poi morire. [Aria] Andante ma adagio (mi bemolle maggiore) / Allegro / Adagio / Allegro Archi, 2 oboe, 2 corni, 2 trombe. GIUNIA Dalla sponda tenebrosa vieni o padre, o sposo amato d'una figlia, e d'una sposa a raccor l'estremo fiato. Ah tu di sdegno, o barbaro smani fra te, deliri, ma non è questa, o perfido la pena tua maggior. Io sarò paga allora di non averti accanto, tu resterai frattanto coi tuoi rimorsi al cor. (parte) Scena sesta Silla, e Guardie. Recitativo SILLA E tollerare io posso sì temerari oltraggi? A tante offese non si scuote quest'alma? E che la rese insensata a tal segno? Un dittatore così s'insulta, e sprezza da folle donna audace?... E pure, oh mio rossor! e pur mi piace! www.librettidopera.it 13 / 52 Atto primo Lucio Silla Recitativo accompagnato Allegretto (do maggiore) / Allegro assai Archi. SILLA Mi piace? E il cor di Silla della sua debolezza non arrossisce ancora? Taccia l'affetto, e la superba mora. Chi non mi cura amante disdegnoso mi tema. A suo talento crudel mi chiami. Aborra la mia destra, il mio cor, gli affetti miei, a divenir tiranno in questo dì comincerò da lei. [N. 5 ­ Aria] Allegro (re maggiore) Archi, 2 oboe, 2 corni, 2 trombe, timpani. SILLA Il desìo di vendetta, e di morte sì m'infiamma, e sì m'agita il petto, che in quest'alma ogni debole affetto disprezzato si cangia in furor. Forse nel punto estremo della fatal partita mi chiederai la vita, ma sarà il pianto inutile, inutile il dolor. Andante (fa maggiore / la minore) Archi, 2 oboe. Scena settima Luogo sepolcrale molto oscuro co' monumenti degli eroi di Roma. Cecilio solo. Recitativo accompagnato Andante (la minore) / Allegro assai / Andante / Presto / Adagio Archi, 2 oboe, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe. CECILIO Morte, morte fatal della tua mano ecco le prove in queste gelide tombe. Eroi, duci, regnanti che devastar la terra, angusto marmo or qui ricopre, e serra. Già in cento bocche, e cento dei lor fatti echeggiò stupito il mondo. E or qui gl'avvolge un muto orror profondo. Continua nella pagina seguente. Atto primo CECILIO Oh dèi!... chi mai s'appressa? Giunia... la cara sposa?... Ah non è sola; m'asconderò, ma dove? Oh stelle! in petto qual palpito!... qual gioia!... e che far deggio? Restar?... partire?... oh ciel! Dietro a quest'urna a respirar mi celo. (parte) Scena ottava S'avanza Giunia col séguito di Donzelle, e di Nobili al lugubre canto del seguente: [N. 6 ­ Coro e arioso] Andante mosso (mi bemolle maggiore) Archi, 2 oboe, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe. CORO Fuor di queste urne dolenti deh n'uscite alme onorate, e sdegnose vendicate la romana libertà. Molto Adagio (do minore) Archi, 2 oboe, 2 fagotti. GIUNIA O del padre ombra diletta se d'intorno a me t'aggiri, i miei pianti, i miei sospiri deh ti movano a pietà. Allegro (mi bemolle maggiore) Archi, 2 oboe, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe. CORO Il superbo, che di Roma stringe i lacci in Campidoglio, rovesciato oggi dal soglio sia d'esempio ad ogni età. Atto primo Lucio Silla Recitativo accompagnato ... (mi bemolle maggiore) Archi. GIUNIA Se l'empio Silla, o padre fu sempre l'odio tuo finché vivesti, perché Giunia è tua figlia, perché il sangue romano ha nelle vene supplice innanzi all'urna tua sen viene. Tu pure ombra adorata del mio perduto ben vola, e soccorri la tua sposa fedel. Da te lontana di questa vita amara odia l'aura funesta... (esce il séguito) Scena nona Cecilio, e detta. Recitativo CECILIO Eccomi, o cara. GIUNIA Stelle!... io tremo!... che veggio? Tu sei?... forse vaneggio? Forse una larva, o pur tu stesso? Oh numi! M'ingannate, o miei lumi?... Ah non so ancor se a questa illusion soave io m'abbandono!... Dunque... tu sei... CECILIO Il tuo fedele io sono. [N. 7 ­ Duetto] Andante (la maggiore) / Molto allegro Archi, 2 oboe, 2 corni. GIUNIA D'Eliso in sen m'attendi ombra dell'idol mio, ch'a te ben presto, oh dio fia, che m'unisca il ciel. CECILIO Sposa adorata, e fida sol nel tuo caro viso ritrova il dolce Eliso quest'anima fedel. GIUNIA Sposo... oh dèi! tu ancor respiri? CECILIO Tutto fede, e tutto amor. GIUNIA E CECILIO Fortunati i miei sospiri, fortunato il mio dolor. GIUNIA Cara speme! Atto primo CECILIO Amato bene. (si prendon per mano) Insieme GIUNIA Or ch'al mio seno caro tu sei m'insegna il pianto degl'occhi miei ch'ha le sue lagrime anche il piacer. CECILIO Or ch'al mio seno cara tu sei m'insegna il pianto degl'occhi miei ch'ha le sue lagrime anche il piacer. Atto secondo Lucio Silla ATTO  SECONDO Scena prima Portico fregiato di militari trofei. Silla, Aufidio, e Guardie. Recitativo AUFIDIO Te l' predissi, o signor, che la superba più ostinata saria quanto più mostri di clemenza, e d'amor? SILLA Poco le resta da insultarmi così. Risolvi omai. Morir dovrà. L'ho tollerata assai. AUFIDIO L'amico tuo fedele può libero parlar? SILLA Parla. AUFIDIO Tu sai, ch'eroe non avvi al mondo senza gli emuli suoi. Gli Emili, e i Scipi n'ebbero anch'essi, e di sue gesta ad onta il glorioso Silla assai ne conta. SILLA Pur troppo io so. AUFIDIO Tu porgi nella morte di Giunia a rei nemici l'armi contro di te. D'un Mario è figlia, e questo Mario ancor ne' propri amici vive a tuo danno. SILLA E che far deggio? AUFIDIO In faccia al popolo, e al senato sia l'altera tua sposa. Un finto zelo di sopir gli odi antichi la violenza asconda. Al tuo volere chi s'opporrà? Di numerose schiere folto stuolo ti cinga. Ognun paventa in te l'eroe, ch'ogni civil discordia ha soggiogata, e doma e a un sguardo tuo trema il senato, e Roma. Continua nella pagina seguente. 18 / 52 www.librettidopera.it G. De Gamerra / W. A. Mozart, 1772 Atto secondo AUFIDIO Signor del comun voto t'accerta il tuo voler. La ragion sempre segue il più forte, e chi fra mille squadre a supplicar si piega? Vuole, e comanda allorché parla, e prega. SILLA E se l'ingrata ancora mi sprezza, e mi discaccia al popolo, al senato, a Roma in faccia? Che far dovrò? AUFIDIO L'altera non s'opporrà. Quell'ostinato core ceder vedrai nel pubblico consenso del popolo roman. SILLA Seguasi, amico il tuo consiglio. Oh ciel!... sappi... io ti scopro la debolezza mia. Quando le stragi, le violenze ad eseguir m'affretto è il cor di Silla in petto da più atroci rimorsi lacerato, ed oppresso. In quei momenti fieri contrasti io provo. Inorridisco, voglio, tremo, amo, ed ardisco. AUFIDIO Quest'incostanza tua, lascia, che 'l dica, i tuoi gran merti oscura. Ogni rimorso della viltade è figlio. Ardito, e lieto il mio consiglio abbraccia, e suo malgrado la femmina fastosa costretta venga a divenir tua sposa. [Aria] Allegro (do maggiore) Archi, 2 oboe, 2 corni, 2 trombe. AUFIDIO Guerrier, che d'un acciaro impallidisce al lampo, a dar non vada in campo prove di sua viltà. Se or cede a un vil timore, se or cede alla speranza, e qual sarà incostanza se questa non sarà? (parte) Atto secondo Lucio Silla Scena seconda Silla, indi Celia, e Guardie. SILLA Ah non mai non credea, ch'all'uom tra 'l fasto, e le grandezze immerso tanto costasse il divenir perverso. CELIA Tutto tentai finor. Preghi, promesse, e minacce, e spaventi al cor di Giunia, sono inutili assalti. Ah mio germano immaginar non puoi come per te... SILLA So quel, che dir mi vuoi. Silla non è men grato a chi per lui anche inutil s'adopra. In man del caso se pende ogni successo, il proprio merto, all'opere non scema contrario evento. In questo dì mia sposa Giunia sarà. CELIA Giunia tua sposa? SILLA Il come non ricercar. Ti basti, che pago io sia. CELIA Perché l'arcan mi celi, e perché non rischiari un favellar sì oscuro? SILLA (Perché in donna un arcano è mal sicuro.) Il mio silenzio or non ti spiaccia, e m'odi. Te pur sposa di Cinna in questo giorno io bramo. CELIA (Oh me felice!) Lascia, ah lascia, ch' a Cinna, il tuo fido amico io rechi così lieta novella. Il labbro mio gli sveli alfin, ch'ei solo è il mio tesoro, e che ognor l'adorai come l'adoro. (parte) SILLA Ad affrettar si vada in Campidoglio la meditata impresa, e la più ascosa arte s'adopri, onde la mia nemica al talamo mi segua. Ah sì conosco, ch'ad ogni prezzo io deggio il possesso acquistar della sua mano. Rimorsi miei vi ridestate invano. (parte con le guardie) Atto secondo Scena terza Cecilio senz'elmo, senza mento, e con spada nuda, che vuole inseguir Silla, e Cinna, che lo trattiene. CINNA Qual furor ti trasporta? CECILIO Il braccio mio non ritener. Su' passi del tiranno si voli. Il nudo acciaro gli squarci il sen... (in atto di partire) CINNA T'arresta. Ma donde nasce questa improvvisa ira tua? CECILIO Saper ti basti, che prolungar non deggio un sol momento il colpo... CINNA E il tuo periglio? CECILIO Non lo temo, e disprezzo ogni consiglio. CINNA Ah per pietà m'ascolta... svelami... dimmi... oh ciel! Que' tronchi accenti... que' furiosi sguardi... le disperate smanie tue... gli sforzi d'involarti da me... l'esporti ardito a un cimento fatal... Mille sospetti mi fan nascere in sen. Parla. Rispondi... CECILIO Tutto saprai... CINNA No, non sarà giammai, ch' io ti lasci partir. CECILIO Perché ritardi la vendetta comun? CINNA Sol perché bramo che dubbiosa non sia. CECILIO Dubbiosa non sarà. CINNA Dunque tu vuoi per un ardire intempestivo, e vano troncare il fil di tutti i meditati disegni miei? Giunia rivedi, e quando amar per lei di più devi la vita incauto corri ad un'impresa ardita? Più non tacer. Mi svela chi furioso a segno tal ti rende? Atto secondo Lucio Silla CECILIO L'orrida rimembranza in cor m'accende novi stimoli all'ira. Odi, e stupisci. Poiché quest'alma oppressa della mia sposa al fianco trovò dolce conforto alla sua pena, dal luogo tenebroso allontanati appena aveva Giunia i suoi passi, un legger sonno m'avvolse i lumi. Oh cielo! D'orrore ancor ne gelo! Ecco mi sembra spalancata mirar la fredda tomba, in cui l'estinte membra giaccion di Mario. In me le cavernose luci raccoglie, e 'l teschio per tre volte crollando disdegnoso, e feroce sento, che sì mi grida in fioca voce: «Cecilio a che t'arresti presso la tomba mia? Vanne, ed affretta della comun vendetta il bramato momento. Ozioso al fianco più l'acciar non ti penda. Ah se ritardi l'opra a compir, che l'ombra invendicata di Mario oggi t'impone, e ti consiglia, tu perderai la sposa, ed io la figlia.» Recitativo accompagnato Allegro assai (re minore) / Presto Archi. CECILIO Al fiero suon de' minacciosi accenti l'alma si scosse. Il sonno da sbigottiti lumi s'allontanò. M'accese improvviso furor. Strinsi l'acciaro, né il rimorso piede io più ritenni, ma 'l reo tiranno a trucidar qua venni. Ah più non m'arrestar... CINNA Ferma. Per poco dell'ira tua raffrena i feroci trasporti. Ah sei perduto, se in te Silla s'avvien... 22 / 52 www.librettidopera.it G. De Gamerra / W. A. Mozart, 1772 Atto secondo CECILIO Paventar deggio d'un tiranno gli sguardi? Un'altra mano trucidarlo dovrà? Non mai. Mi veggio intorno ognor la bieca ombra di Mario a ricercar vendetta; e degl'accenti suoi ad ogn'istante or ch'al tuo fianco io sono mi rimbomba all'orecchie il fiero suono. Lasciami... CINNA Ah se disprezzi tanto i perigli tuoi, deh pensa almeno, che dalla vita tua pende la vita d'una sposa fedele. Oh stelle! E come per così cari giorni... CECILIO Oh Giunia!... oh nome!... Il sol pensiero, amico che perderla potrei, del mio furore ogn'impeto disarma. Ah corri, vola per me svena il tiranno... Oh numi, e intanto al mio nemico accanto resta la sposa?... ahimè!... chi la difende... ma s'ei qui giunge?... Oh dio! Qual fier contrasto, qual pena, eterni dèi! Timore, affanno, ira, speme, e furor sento in seno, né so di lor chi vincerà! che penso? E non risolvo ancora? Giunia si salvi, o al fianco suo si mora. [N. 9 ­ Aria] Allegro assai (re maggiore) Archi, 2 oboe, 2 corni, 2 trombe, timpani. CECILIO Quest'improvviso tremito che in sen di più s'avanza, non so se sia speranza, non so se sia furor. Ma fra suoi moti interni fra le mie smanie estreme, o sia furore, o speme, paventi il traditor. (parte) www.librettidopera.it 23 / 52 Atto secondo Lucio Silla Scena quarta Cinna, indi Celia. Recitativo CINNA Ah sì, s'affretti il colpo. Il ciel d'un empio se il castigo prolunga, attenderassi, che de' tarquini in lui gli scellerati eccessi sian rinnovati a nostri tempi istessi? CELIA Qual ti siede sul ciglio cura affannosa? CINNA Altrove Celia, passar degg'io. Non m'arrestare... CELIA E ognor mi fuggi? CINNA Addio. CELIA Per un istante solo m'ascolta, e partirai. CINNA Che brami? CELIA (Oh dèi! Parlar non posso, e favellar vorrei.) Sappi, che il mio german... CINNA Parla. CELIA Desìa... (Ah mi confondo, e temo, che non mi ami il crudel.) Sì, sappi... (Oh stelle! In faccia a lui che adoro perché mi perdo? Oggi sarà mio sposo, e svelargli non oso?...) CINNA Io non intendo i tronchi accenti tuoi. CELIA (Finge l'ingrato!) Or che dubbiosa io taccio non ti favella in seno il cor per me? Che dir poss'io? Pur troppo ne' languidi miei rai questo silenzio mio ti parla assai. Atto secondo [Aria] Tempo grazioso (sol maggiore) Archi, 2 flauti. CELIA Se il labbro timido scoprir non osa la fiamma ascosa per lui ti parlino queste pupille per lui ti svelino tutto il mio cor. (parte) Scena quinta Cinna, indi Giunia. Recitativo CINNA Di piegarsi capace a un'amorosa debolezza l'alma non fu di Cinna ancor. Ma se da folle s'avvilisse così, no, non avria la germana d'un empio usurpatore il tributo primier di questo core. Giunia s'appressa. Ah ch'ella può soltanto la grand'opra compir, che volgo in mente. Agitata, e dolente immersa sembra fra torbidi pensier. GIUNIA Silla m'impone che al popolo, e al senato io mi presenti; l'empio che può voler? Sai ciò, che tenti? CINNA Forse più, che non credi è la morte di Silla oggi vicina per vendicar la libertà latina. GIUNIA Tutto dal ciel pietoso dunque speriam. Ma intanto alla tua cura io lascio l'amato sposo mio. Deh se ti deggio il piacer di mirarlo, poiché lo piansi estinto, ah sì per lui veglia, t'adopra, e resti al tiranno nascoso. www.librettidopera.it 25 / 52 Atto secondo Lucio Silla CINNA A me t'affida, non paventar su' giorni suoi. M'ascolta, ai padri in faccia e al popolo romano Silla sai ciò, che vuol? Vuol la tua mano. Con il consenso lor la violenza giustificar pretende. Il suo disegno tutto, o Giunia, io prevedo. GIUNIA Io son la sola arbitra di me stessa. A un vil timore ceda il senato pur, non questo core. CINNA Da te, se vuoi, dipende Giunia un gran colpo. GIUNIA E che far posso? CINNA Al letto segui l'empio tiranno ove t'invita, ma in quello per tua man lasci la vita. GIUNIA Stelle! che dici mai? Giunia potria con tradimento vil?... CINNA Folle timore. Deh sovvienti, che ognora fu l'eccidio de' rei un spettacolo grato a' sommi dèi. GIUNIA S'è d'un plebeo pur sacra fra noi la vita, e come vuoi, che in sen non mi scenda un freddo orrore nel trafiggere io stessa un dittatore? Benché tiranno, e ingiusto, sempre al senato, e a Roma Silla presiede, e di sua morte invano farmi rea tu presumi. Vittima ei sia, ma della man dei numi. CINNA Se d'offender gli dèi avesse un dì temuto la libertà non dovria Roma a Bruto. GIUNIA Ma Bruto in campo armato, non con una viltade della latina libertade infranse la catena servil. No, non fia mai ch'a' dì futuri passi il nome mio macchiato d'un tradimento vil. Serbami, amico, serbami il caro ben. Deh sol tu pensa alla salvezza sua. Della vendetta al ciel lascia il pensier. Atto secondo Recitativo accompagnato Allegro (si bemolle maggiore) / Andante Archi. GIUNIA Vanne. T'affretta. Forse lungi da te potria lo sposo per un soverchio ardir... l'impetuosa alma sua ben conosci. Ah, per pietade, fa', che rimanga ad ogni sguardo ascoso. Digli, che se m'adora; digli che se m'è fido serbi i miei ne' suoi giorni. A te l'affido. [Aria] Allegro (si bemolle maggiore) Archi, 2 oboe, 2 corni, 2 trombe. GIUNIA Ah se il crudel periglio del caro ben rammento tutto mi fa spavento tutto gelar mi fa. Se per sì cara vita non veglia l'amistà da chi sperare aita da chi sperar pietà? (parte) Scena sesta Cinna solo. Recitativo accompagnato Vivace (re maggiore) Archi. CINNA Ah sì, scuotasi omai l'indegno giogo. Assai si morse il fren di servitù tiranna. Se di svenar ricusa Giunia quell'empio, un braccio non mancherà, che timoroso meno il ferro micidial l'immerga in seno. Atto secondo Lucio Silla [N. 12 ­ Aria] Molto allegro (fa maggiore) Archi. CINNA Nel fortunato istante, ch'ei già co' voti affretta per la comun vendetta vuò, che mi spiri al piè. Già va una destra altera del colpo suo felice e questa destra ultrice lungi da lui non è. (parte) Scena settima Orti pensili. Silla, Aufidio, e Guardie. Recitativo AUFIDIO Signor, ai cenni tuoi il senato fia pronto. Egli fra poco t'ascolterà. D'elette squadre intorno numerosa corona ad arte io disporrò. SILLA L'amico Cinna non ignori l'arcano. Il suo soccorso è necessario all'opra. Ah che me stesso più non ritrovo in me! Dov'io mi volga della crudel l'immagine gradita mi dipinge il pensier. Mi suona ognora il caro nome suo fra i labbri miei, e tutto parla a questo cor di lei. AUFIDIO Io già ti vedo al colmo di tua felicità. Della possanza usa, che 'l ciel ti diè. Roma, il senato, e ogn'anima orgogliosa or che lo puoi fa', che pieghin la fronte a' piedi tuoi. (parte) Atto secondo SILLA Ah sì, di civil sangue inonderò le vie, se Roma altera alle brame di Silla, oggi s'oppone; ho nel braccio, ho nel cor la mia ragione. Giunia?... Qual vista! In sì bel volto io scuso la debolezza mia... ma tanti oltraggi? Ah che in vederla, oh dèi! il dittatore offeso io più non sono; de' suoi sprezzi mi scordo, e le perdono. Scena ottava Giunia, Silla, e Guardie. GIUNIA (Silla? L'odiato aspetto destami orror. Si fugga!) SILLA Arresta il passo. Sentimi per pietade. Il più infelice d'ogni mortal mi rendi, se nemica mi fuggi... GIUNIA E che pretendi? Scostati, traditor! (Tremo, m'affanno per l'idol mio!) SILLA Ah no, non son tiranno come tu credi. È l'anima di Silla capace di virtù. Quel tuo bel ciglio soffrir più non poss'io così severo... GIUNIA Tu di virtù capace? Ah, menzognero! (in atto di partire) SILLA Sentimi... GIUNIA Non t'ascolto. SILLA E vuoi... GIUNIA Sì voglio detestarti, e morir. SILLA Morir? GIUNIA La morte romano cor non teme. SILLA E puoi?... GIUNIA Sì posso pria d'amarti, morir. Vanne, t'invola... SILLA Superba, morirai, ma non già sola. Atto secondo Lucio Silla [N. 13 ­ Aria] Allegro assai (do maggiore) Archi, 2 oboe, 2 corni, 2 trombe, timpani. SILLA D'ogni pietà mi spoglio perfida donna audace; se di morir ti piace quell'ostinato orgoglio presto tremar vedrò. (Ma il cor mi palpita... perder chi adoro?... svenare barbaro, il mio tesoro?...) Che dissi? Ho l'anima vile a tal segno? Smanio di sdegno; morir tu brami, crudel mi chiami, tremane, o perfida, crudel sarò. (parte con le guardie) Scena nona Giunia, indi Cecilio. Recitativo GIUNIA Che intesi, eterni dèi? Qual mai funesto e spaventoso arcan ne' detti suoi? Sola non morirò? Che dir mi vuoi barbaro... ahimè! Che vedo?... lo sposo mio?... che fu?... che avvenne?... Ah dove sconsigliato t'inoltri? In queste mura sai, che non è sicura la tua vita, e non temi di respirar quest'aure comuni a' tuoi nemici? In quest'istante il tiranno partì. Tremo... deh, fuggi... Ah se dell'empio il ciglio... CECILIO Giunia, il tuo rischio è 'l mio maggior periglio. GIUNIA Deh per pietà, se mi ami, torna, mio bene, ah torna nel tenebroso asilo. Il rimirarti qual martirio è per me! CECILIO Non amareggi il tuo spavento, o cara, il mio dolce piacer. 30 Atto secondo GIUNIA Piacer funesto, se a un gelido spavento abbandona il mio cor. Se de' tuoi giorni decider può. T'ascondi. Ah da che vivo no, che angustia simile... CECILIO Sola vuoi, ch'io ti lasci in preda a un vile? So, ch' al senato in faccia il reo tiranno con violenza ingiusta al talamo vuol trarti, ed io, che t'amo restar potrò senza morir d'affanno lungi dal fianco tuo? Se invano un braccio, un acciaro si cerca per svenare un crudel, ch'odio, e detesto, quell'acciaro, quel braccio eccolo è questo. GIUNIA Ahimè! Che pensi? esporti?... Correr tu solo a un periglio estremo?... CECILIO Tu paventi di tutto, io nulla temo. Frena il timor, mia speme, e ti rammenta, ch'una soverchia tema in cor romano esser puote viltà. GIUNIA Ma il troppo ardire temerità s'appella. Ah sì ti cela, né accrescere, idol mio, nel tuo periglio nuove cagion di pianto a questo ciglio. CECILIO Eterni dèi! Lasciarti, fuggire, abbandonarti all'empie insidie, all'ira d'un traditor, ch'alle tue nozze aspira? GIUNIA E che puoi temer, se meco resta la mia costanza, e l'amor mio? Deh corri, corri donde fuggisti. Al suo dolore, a' suoi spaventi invola il cor di chi t'adora; se ciò non basta, io tel comando ancora. CECILIO E in questo giorno correndo se al tiranno io mi celo, chi veglia, o sposa, in tua difesa? GIUNIA Il cielo! CECILIO Ah che talvolta i numi... GIUNIA A che ti guida cieco furor? Ad onta de' miei timori ancor mi resti a lato? Partir non vuoi? Corro a morire, ingrato. Atto secondo Lucio Silla CECILIO Fermati... senti... Oh dèi! Così mi lasci, e brami?... GIUNIA I passi miei guardati di seguir. CECILIO Saprò morire, ma non lasciarti. GIUNIA (Oh stelle! Io lo perdo. Che fo?) CECILIO Cara, tu piangi? Ah che il tuo pianto... GIUNIA Ah sì per questo pianto per questi lumi miei di speme privi. Parti, parti da me, celati, vivi! CECILIO A che mi sforzi! GIUNIA Alfine lusingarmi poss'io di questo segno del tuo tenero affetto? Che rispondi, idol mio? CECILIO Sì tel prometto. GIUNIA Fuggi dunque, mio bene. Invan paventi, se di me temi. Ah pensa, pensa, che 'l ciel difende i giusti, e ch'io d'altri mai non sarò. Di mie promesse dell'amor mio costante ch'aborre a morte un traditore indegno, sposo, nella mia mano eccoti un pegno. Recitativo accompagnato Allegro (mi bemolle maggiore) Archi. CECILIO Chi sa, che non sia questa l'estrema volta, oh dio? ch'al sen ti stringo destra dell'idol mio, destra adorata, prova di fé sincera... GIUNIA No, non temere. Amami. Fuggi e spera. Atto secondo [N. 14 ­ Aria] Adagio (mi bemolle maggiore) / Andante (do minore) / Adagio (mi bemolle maggiore) Archi, 2 oboe, 2 corni. CECILIO Ah se a morir mi chiama il fato mio crudele seguace ombra fedele sempre sarò con te. Vorrei mostrar costanza cara, nel dirti addio ma nel lasciarti, oh dio! Sento tremarmi il piè. (parte) Scena decima Giunia, indi Celia. Recitativo GIUNIA Perché mi balzi in seno affannoso cor mio? Perché sul volto or che lo sposo io non mi vedo accanto, cade da' rai più copioso il pianto? CELIA Oh ciel! sì lagrimosa sì dolente io t'incontro? Al suo destino quell'anima ostinata alfin deh ceda e sposa al dittator Roma ti veda. GIUNIA T'accheta per pietà. CELIA Se in duro esiglio cade estinto Cecilio, a lui che giova un'inutil costanza? GIUNIA (A questo nome s'agghiaccia il cor.) CELIA Tu non mi guardi, e il labbro fra i singhiozzi, e i sospir pallido tace. Segui i consigli miei. GIUNIA Lasciami in pace. CELIA Bramo lieta vederti. Il mio germano oggi me pur felice render saprà. La mano mi promise di Cinna. Ah tu ben sai, ch'io l'adoro fedel. Più non rammento i miei sofferti affanni se sì cangiano alfin gli astri tiranni. Atto secondo Lucio Silla [Aria] Allegro (la maggiore) Archi. CELIA Quando sugl'arsi campi scende la pioggia estiva, le foglie, i fior ravviva, e il bosco, il praticello tosto si fa più bello, ritorna a verdeggiar. Così quest'alma amante fra la sua dolce speme dopo le lunghe pene comincia a respirar. (parte) Scena undicesima Giunia sola. Recitativo accompagnato Andante (re minore) / Molto allegro Archi. GIUNIA In un istante oh come s'accrebbe il mio timor! Pur troppo è questo un presagio funesto delle sventure mie! L'incauto sposo più non è forse ascoso al reo tiranno. A morte ei già lo condannò. Fra i miei spaventi, nel mio dolore estremo che fo? Che penso mai? Misera io tremo. Ah no, più non si tardi. Il senato mi vegga. Al di lui piede grazia, e pietà s'implori per lo sposo fedel. S'ei me la nega si chieda al ciel. Se il ciel l'ultimo fine dell'adorato sposo oggi prescrisse, trafigga me chi l'idol mio trafisse. 34 / 52 www.librettidopera.it G. De Gamerra / W. A. Mozart, 1772 Atto secondo [N. 16 ­ Aria] Allegro assai (do maggiore) Archi. GIUNIA Parto, m'affretto, ma nel partire il cor si spezza. Mi manca l'anima, morir mi sento né so morire. E smanio, e gelo, e piango, e peno. Ah se potessi, potessi almeno fra tanti spasimi, morir così. Ma per maggior mio duolo verso un'amante oppressa divien la morte istessa pietosa in questo dì. (parte) Scena dodicesima Campidoglio. S'avanza Silla, ed Aufidio seguìto dai Senatori e dalle Squadre. [N. 17 ­ Coro] Allegro (fa maggiore) Archi, 2 oboe, 2 corni. CORO Se gloria il crin ti cinse di mille squadre a fronte or la temuta fronte qui ti coroni Amor. Stringa quel braccio invitto lei, che da te s'adora. Se con i mirti ancora cresce il guerriero allor. Atto secondo Lucio Silla (compar Giunia fra i senatori) Recitativo SILLA Padri coscritti, io che pugnai per Roma, io, che vinsi per lei, io che la face della civil discordia col mio valore estinsi. Io che la pace per opra mia regnar sul Tebro or vedo d'ogni trionfo mio premio vi chiedo. GIUNIA (Soccorso, eterni dèi!) SILLA Non ignorate l'antico odio funesto e di Mario e di Silla. Il giorno è questo in cui tutto mi scordo. Alla sua figlia sacro laccio m'unisca, e il dolce nodo plachi l'ombra del padre. Un dittatore, un cittadin fra i gloriosi allori altro premio non cerca a' suoi sudori. GIUNIA (Tace il senato, e col silenzio approva d'un insano il voler?) SILLA Padri già miro ne' volti vostri espresso il consenso comun. Quei, che s'udiro festosi gridi risuonar d'intorno son del pubblico voto un certo segno. Seguimi all'ara omai... GIUNIA Scostati indegno! A tal viltà discende Roma, e 'l senato? Un ingiurioso, un folle timor l'astringe a secondar d'un empio le violenze infami? Ah che fra voi no, che non v'è chi in petto racchiuda un cor romano... SILLA Taci, e più saggia a me porgi la mano. AUFIDIO Così per bocca mia tutto il popol t'impon. SILLA Dunque mi segui... GIUNIA Non appressarti, o in seno questo ferro m'immergo. (in atto di ferirsi) SILLA Alla superba l'acciar si tolga, e segua il voler mio. Atto secondo Scena tredicesima Cecilio, con spada nuda, e detti. CECILIO Sposa, ah no, non temer. SILLA (Chi vedo?) GIUNIA (Oh dio!) AUFIDIO (Cecilio?) SILLA In questa guisa son tradito da voi? Del mio divieto e delle leggi ad onta tornò Cecilio, e seco Giunia unita di toglier osa al dittator la vita? Quell'audace s'arresti! GIUNIA Incauto sposo! Signor... SILLA Taci, indegna, ch'omai solo ascolto il furore. (a Cecilio) Al novo sole per mia vendetta, o traditor, morrai. Scena quattordicesima Cinna, con spada nuda, e detti. SILLA Come? D'un ferro armato, confuso, irresoluto Cinna tu pur?... CINNA (Oh ciel, tutto è perduto; qualche scampo ah si cerchi nel cimento fatal!) Con mio stupore col nudo acciaro io vidi Cecilio infra le schiere aprirsi un varco. La sua rabbia, i fieri minacciosi occhi suoi d'un tradimento mi fecero temer. Onde salvarti da quella destra al parricidio intesa corsi, e 'l brando impugnai per tua difesa. SILLA Ah vanne, amico, e scopri se altri perfidi mai... Atto secondo Lucio Silla CINNA Sulla mia fede signor riposa, e paventar non déi. (Quasi nel fiero incontro io mi perdei!) (parte) SILLA Olà quel traditore, Aufidio si disarmi. GIUNIA Oh dio! Fermate! CECILIO Finché l'acciar mi resta saprò farlo tremar. SILLA E giunge a tanto la tua baldanza? GIUNIA (Oh dèi!) SILLA Cedi l'acciaro, o ch'io... CECILIO Lo speri invan. GIUNIA Cecilio, o caro. CECILIO Ad esser vil m'insegna la sposa mia? GIUNIA Deh, non opporti! CECILIO E vuoi?... GIUNIA Della tua tenerezza una prova vogl'io. CECILIO Dovrò? GIUNIA Dovrai nella mia fede, e nel favor del cielo affidarti, e sperar. Se ancor mio bene dubbioso ti mostri, i giusti numi, e la tua sposa offendi. CECILIO (Fremo.) T'appagherò. Barbaro, prendi! (getta la spada) SILLA Nella prigion più nera traggasi il reo. Per poco quest'aure a te vietate respirar ti vedrò. Fra le ritorte del tradimento audace tu pur ti pentirai, donna mendace. Atto secondo [N. 18 ­ Terzetto] Allegro (si bemolle maggiore) Archi, 2 oboe, 2 corni, 2 trombe. SILLA Quell'orgoglioso sdegno oggi umiliar saprò. CECILIO Non lo sperare, indegno, l'istesso ognor sarò. GIUNIA Eccoti, o sposo, un pegno, ch'al fianco tuo morrò. SILLA Empi la vostra mano merita sol catene. Insieme GIUNIA Se mi ama il caro bene lieta a morir me n' vo. CECILIO Se mi ama il caro bene lieto a morir me n' vo. Insieme SILLA Questa costanza intrepida questo sì fido amore tutto mi strazia il core tutto avvampar mi fa. GIUNIA E CECILIO La mia costanza intrepida il mio fedele amore dolce consola il core né paventar mi fa. www.librettidopera.it 39 / 52 Atto terzo Lucio Silla ATTO  TERZO Scena prima Atrio, che introduce alle carceri. Cecilio incatenato, Cinna, Guardie a vista, indi Celia. Recitativo CINNA Ah sì tu solo, amico ritenesti il gran colpo. Eran non lungi al Campidoglio ascosi gli amici tuoi, gli amici miei. Seguito volea da questi infra le schiere aprirmi sanguinoso sentier. Ma la prudenza il furor moderò. Di tanti a fronte che far potea cinto da pochi? Il cielo novo ardir m'ispirò. Gli amici io lascio, tacito il ferro io stringo, e in Campidoglio m'avanzo. Allorché voglio vibrare il colpo, in te m'affiso. Il ferro nella man mi tremò. Nel tuo periglio gelossi il cor. M'arresto, mi confondo non so che dir. Quasi il segreto arcano, il tiranno svelò. Ma il suo comando, che di partir m'impose, la confusione e il mio dolore ascose. CECILIO Giacché morir degg'io morasi alfin. Sol mi spaventa, oh dèi! la sposa mia... CINNA Non paventar di lei. Entrambi io salverò. CELIA D'ascoltar Giunia men sdegnoso, e men fiero mi promise il german. CECILIO Giunia al suo piede? E perché mai? CELIA Desìa di placarne lo sdegno. CECILIO Invan lo brama. CINNA Odimi, Celia. È questo forse il momento, ond'illustrar tu puoi con opra sublime i giorni tuoi. CELIA Che far degg'io? 40 / 52 www.librettidopera.it Gamerra / Mozart, 1772 Atto terzo CINNA M'è noto a prova già tutto il poter, che vanti sul cor di Silla. A lui t'affretta, e digli che aborrito dal cielo, in odio a Roma, se in sé stesso non torna, e se non scorda un cieco amore insano l'eccidio suo fatal non è lontano. CELIA Dunque il german... CINNA Incontrerà la morte se non s'arrende a un tal consiglio. CECILIO Ah tutto, tutto inutil sarà. CELIA Tentare io voglio la difficile impresa, e se aver ponno le mie preghiere il lor bramato effetto? CINNA La destra in guiderdone io ti prometto. CELIA Un così dolce premio più animosa mi fa. Me fortunata, se fra un orror sì periglioso, e tristo salvo il germano, e 'l caro amante acquisto. [N. 19 ­ Aria] Allegro (si bemolle maggiore) Archi, 2 oboe, 2 corni, 2 trombe. CELIA Strider sento la procella né risplende amica stella pure avvolta in tanto orrore la speranza coll'amore mi sta sempre in mezzo al cor. (parte) Scena seconda Cecilio, e Cinna. Recitativo CECILIO Forse tu credi, amico che Celia giunga a raddolcir un core uso alle stragi, e che talor di sdegno ingiustamente furibondo, ed ebro fe' rosseggiar di civil sangue il Tebro? www.librettidopera.it 41 / 52 Atto terzo Lucio Silla CINNA So quanto Celia puote su quell'alma incostante, e Giunia ancora forse placar potria co' le lagrime sue... CECILIO La sposa mia a qualche insulto amaro invan s'espone. Un empio, un inumano non si cangia sì presto. Onde abbandoni il sentier del delitto ch'ei suol calcar per lungo suo costume, ci volle ognor tutto il poter d'un nume. Ah no più non mi resta né speme, né pietà. L'afflitta sposa ti raccomando, amico. In pro di lei vegli la tua amistà. Del mio nemico vittima, ah no, non sia. Nel di lui sangue vendica la mia morte, e 'l mio spirito sdegnoso nel regno degl'estinti avrà riposo. CINNA Ogni pensier di morte si allontani da te. Se il cor di Silla contro al dovere, e alla ragion s'ostina, sulla propria rovina, ne' suoi perigli estremi quell'empio solo impallidisca, e tremi. [N. 20 ­ Aria] Allegro (re maggiore) Archi, 2 oboe, 2 corni, 2 trombe. CINNA De' più superbi il core se Giove irato fulmina, freddo spavento ingombra, ma d'un alloro all'ombra non palpita il pastor. Paventino i tiranni le stragi, e le ritorte, sol rida in faccia a morte chi ha senza colpe il cor. (parte) 42 / 52 www.librettidopera.it G. De Gamerra / W. A. Mozart, 1772 Atto terzo Scena terza Cecilio, indi Giunia. Recitativo CECILIO Ah no, che il fato estremo terror per me non ha. Sol piango, e gemo fra l'ingiuste catene non per la morte mia, per il mio bene. GIUNIA Ah dolce sposo... CECILIO Oh stelle! Come tu qui? GIUNIA M'aperse la via fra quest'orrore la mia fede, il mio pianto, il nostro amore. CECILIO Ma Silla... Ah parla. E Silla. GIUNIA L'empio mi lascia... Oh dio! Mi lascia, ch'io ti dia... l'ultimo addio. CECILIO Dunque non v'è per noi né pietà, né speranza? GIUNIA Al fianco tuo sol di morir m'avanza. Che non tentai finor? Querele, e pianti, sospiri, affanni, e prieghi sono inutili omai per quel core inumano che chiede o la tua morte, o la mia mano. CECILIO Della mia vita il prezzo esser può la tua man? Giunia frattanto che mai risolverà? GIUNIA Morirti accanto. CECILIO E tu per me vorrai troncar di sì be' giorni... GIUNIA E deggio, e voglio teco morir. A questo passo, o caro, m'obbliga, mi consiglia l'amor di sposa, ed il dover di figlia. Atto terzo Lucio Silla Scena quarta Aufidio con Guardie, e detti. AUFIDIO Tosto seguir tu déi Cecilio i passi miei. CECILIO Forse alla morte... parla... dimmi... AUFIDIO Non so. CECILIO Prendi, mia speme, prendi l'estremo abbraccio... GIUNIA (ad Aufidio) Rispondi... oh ciel! AUFIDIO Sempre obbedisco, e taccio. CECILIO Ah non perdiam, mia vita, un passeggero istante, che ne porge il destin. Parto, ti lascio, e in sì tenero amplesso ricevi, anima mia, tutto me stesso. GIUNIA Ah caro sposo... oh dèi! Se uccider può il martoro, perché vicina a te, perché non moro? CECILIO Quel pianto, oh dio! Ah sì quel pianto non sai come nel seno... Ahimè! ti basti, o cara sì ti basti il saper, che in questo istante più d'un morir tiranno quelle lagrime tue mi son d'affanno. [N. 21 ­ Aria] Tempo di minuetto (la maggiore) Archi. CECILIO Pupille amate non lagrimate morir mi fate pria di morir. Quest'alma fida a voi d'intorno farà ritorno sciolta in sospir. (parte con Aufidio, e guardie) Atto terzo Scena quinta Giunia sola. Recitativo accompagnato Allegro (do maggiore) / Andante / Allegro / Adagio / Presto Archi, 2 flauti, 2 trombe. GIUNIA Sposo... mia vita... Ah dove, dove vai? Non ti seguo? E chi ritiene i passi miei? Chi mi sa dir?... ma intorno altro, ahi lassa non vedo che silenzio, ed orror! L'istesso cielo più non m'ascolta, e m'abbandona. Ah forse, forse l'amato bene già dalle rotte vene versa l'anima, e 'l sangue... Ah pria ch'ei mora su quella spoglia esangue spirar vogl'io... che tardo? Disperata a che resto? Odo, o mi sembra udir di fioca voce languido suon, ch' a sé mi chiama? Ah sposo se i tronchi sensi estremi de' labbri tuoi son questi corro, volo a cader dove cadesti. [N. 22 ­ Aria] Andante (do minore) / Allegro Archi, 2 flauti, 2 oboe, 2 fagotti. GIUNIA Fra i pensier più funesti di morte veder parmi l'esangue consorte che con gelida mano m'addita la fumante sanguigna ferita e mi dice: che tardi a morir? Già vacillo, già manco, già moro e l'estinto mio sposo, ch'adoro ombra fida m'affretto a seguir. (parte) www.librettidopera.it 45 / 52 Atto terzo Lucio Silla Scena sesta Salone. Silla, Cinna, Celia e Senatori. Recitativo SILLA Celia, Cinna, non più. Roma, e 'l senato di mia giustizia, e del delitto altrui il giudice sarà. CINNA Più che non credi di Cecilio la vita necessaria esser puote. CELIA I giorni tuoi... la disperata Giunia... il suo consorte creduto estinto, e alle sue braccia or reso. SILLA So ch'ognor più l'odio comun m'han reso. Ma un dittator tradito vuol vendetta, e l'avrà. Stanco son io di temer sempre, e palpitar. La vita agitata, ed incerta fra un barbaro spavento è un viver per morire ogni momento. CELIA Ah speri invan, se speri fra un eccidio funesto, e sanguinoso trovar la sicurezza, ed il riposo. CINNA La furiosa Giunia correre tu vedrai ad assodar le vie di querele, e di lai. Destare in petto può de' nemici tuoi quel lagrimoso ciglio... SILLA Vedo più che non pensi il mio periglio. Amor, gloria, vendetta, sdegno, timore, io sento affollarmisi al cor. Ognun pretende d'acquistare l'impero. Amor lusinga. Mi rampogna la gloria. Ira m'accende. Freddo timor m'agghiaccia. M'anima la vendetta, e mi minaccia. De' fieri assalti in preda, alla difesa accinto, di Silla il cor fia vincitore, o vinto? Continua nella pagina seguente. Atto terzo SILLA Ma l'atto illustre alfine decider dée, s'io merto quel glorioso alloro, che mi adombra la chioma, e giudice ne voglio il mondo, e Roma. Scena settima Giunia con Guardie, e detti. GIUNIA Anima vil, da Giunia che pretendi? Che vuoi? Roma, e 'l senato nel tollerare un traditore ingegno è stupido, e insensato a questo segno? Padri coscritti innanzi a voi qui chiedo e vendetta, e pietà. Pietade implora una sposa infelice, e vuol vendetta d'un cittadino, e d'un consorte esangue l'ombra, che nuota ancora in mezzo al sangue. SILLA Calma gli sdegni tuoi, tergi il bel ciglio. Inutile è quel pianto. È vano il tuo furor. De' miei delitti della mia crudeltade a Roma in faccia spettatrice ti voglio, e in questo loco di Silla il cor conoscerai fra poco. Scena ottava Cecilio, Aufidio, Guardie, e detti. GIUNIA (Lo sposo mio?) CINNA (Che miro?) CELIA (E quale arcan?) CECILIO (Che fia?) SILLA Roma, il senato e 'l popolo m'ascolti. A voi presento un cittadin proscritto, che di sprezzar le leggi osò furtivo. Ei, che d'un ferro armato in Campidoglio alle mie squadre appresso tentò svenare il dittatore istesso. Continua nella pagina seguente. Atto terzo Lucio Silla SILLA Grazia ei non cerca. Anzi di me non teme e m'oltraggia, e detesta. Ecco il momento che decide di lui. Silla qui adopri l'autorità, che Roma al suo braccio affidò. Giunia mi senta e m'insulti, se può. Quell'empio Silla quel superbo tiranno a tutti odioso vuol che viva Cecilio, e sia tuo sposo. GIUNIA E sarà ver?... Mia vita... CECILIO Fida sposa, qual gioia... qual cangiamento è questo? AUFIDIO (Che fu?) CELIA (Lodi agli dèi.) CINNA (Stupito io resto.) SILLA Padri coscritti, or da voi cerco, e voglio quanto vergò la mano in questo foglio. De' cittadin proscritti ei tutti i nomi accoglie; ciascun ritorni alle paterne soglie. CECILIO Oh, come degno or sei del supremo splendor fra cui tu siedi! GIUNIA Costretta ad ammirarti alfin mi vedi. AUFIDIO (Ah che la mia rovina certa prevedo!) SILLA In mezzo al pubblico piacer, fra tante lodi, ch'ogni labbro sincer prodiga a Silla, e perché Cinna è il solo, che infra occulti pensier confuso giace, e diviso da me sospira, e tace? Fedele amico... (vuol abbracciarlo) CINNA Ah lascia di chiamarmi così. Per opra mia tornò Cecilio a Roma. In Campidoglio per trucidarti io corsi, e armai non lungi di cento anime audaci e la mano, e l'ardir. Io sol le faci a danni tuoi della discordia accesi... SILLA Tu abbastanza dicesti, io tutto intesi. CELIA (Dolci speranze addio!...) 48 / 52 www.librettidopera.it G. De Gamerra / W. A. Mozart, 1772 Atto terzo SILLA La pena or senti d'ogni trama ascosa. Celia germana mia sarà tua sposa. GIUNIA (Bella virtù!) CECILIO (Che generoso core!) CINNA E quale, oh giusto cielo, mi s'accende sul volto vergognoso rossor? Come poss'io... SILLA Quel rimorso mi basta, e tutto oblio. CELIA (Me lieta!) (a Cinna) Ah premia alfine il mio costante amor. Della clemenza mostrati degno, e di quel core umano la virtù, la pietade... CINNA Ecco la mano. SILLA Qual de' trionfi miei eguagliar potrà questo, eterni dèi? AUFIDIO Lascia, ch'a piedi tuoi grazia implori da te. De' miei consigli, delle mie lodi adulatrici or sono pentito... SILLA Aufidio, sorgi. Io ti perdono. Così lodevol opra coronisi da me. Romani, dal capo mio si tolga il rispettato alloro, e trionfale; più dittator non son, son vostro uguale. (depone l'alloro) Ecco alla patria resa la libertade. Ecco asciugato alfine il civil pianto. Ah no, che 'l maggior bene la grandezza non è. Madre soltanto è di timor, di affanni, di frodi, e tradimenti. Anzi per lei cieco mortal dalla calcata via di giustizia, e pietà spesso travìa. Ah sì conosco a prova che assai più grata all'alma d'un menzogner splendore è l'innocenza, e la virtù del core. Atto terzo Lucio Silla [N. 23 ­ Finale] Allegro (re maggiore) Archi, 2 oboe, 2 corni, 2 trombe. CORO Il gran Silla a Roma in seno che per lui respira, e gode d'ogni gloria, e d'ogni lode vincitore oggi si fa. GIUNIA E CECILIO Sol per lui l'acerba sorte è per me felicità! CINNA E SILLA E calpesta le ritorte la latina libertà. TUTTI Trionfò d'un basso amore la virtude, e la pietà. SILLA Il trofeo sul proprio core qual trionfo uguaglierà? CORO Se per Silla in Campidoglio lieta Roma esulta, gode d'ogni gloria, e d'ogni lode vincitore oggi si fa. librettidopera G. De Gamerra Mozart AttoriAltezze realiArgomento Atto [OuvertureScena AriaScena AriaScena AriaScena Scena Aria] Scena AriaScena Scena Coro e arioso Scena Duetto Atto Scena Aria Scena Scena AriaScena AriaScena AriaScena AriaScena Scena AriaScena AriaScena AriaScena AriaScena Coro Scena Scena TerzettoAtto Scena AriaScena AriaScena Scena Aria Scena AriaScena Scena Scena FinaleBrani significativi Lucio Silla BRANI   SIGNIFICATIVI D'Eliso in sen m'attendi (Giunia e Cecilio) Dalla sponda tenebrosa (Giunia) Fra i pensier più funesti di morte (Giunia) Fuor di queste urne dolenti (Coro e Giunia) Parto, m'affretto (Giunia) Pupille amate (Cecilio) Se lusinghiera speme (Celia). Grice: “At Oxford they put you down. “That IS an original interpretation of Silla’s behaviour – but of course you would need to challenge Mommsen’s objection,” my tutor said, righly assuming that I had no idea Mommsen had an objection!” -- Silla. Keywords: Mommsen. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Silla”. Silla.

 

Luigi Speranza -- Grice e Sillo: la ragione conversazionale e il voto al divino -- Roma – la scuola di Crotone -- filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. Crotone, Calabria. A Pythagorean, cited by Giamblico. The sect being very reluctant to take an oath – invoking ‘il divino’ in vain – Sillo refused to take one, and just hand over money.

 

Luigi Speranza -- Grice e Simbolo: la ragione conversazionale della filosofia di Giuliano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma) – Filosofo italiano. Along with two other philosophers by the names of Ieroteo and Maxximiniano, he persuades Giuliano to pave the floor of Hagia Sophia with silver. However, the story is doubted, as is the existence of these three philosophers.  Grice: “It amuses me that the name of this Italian philosopher is identical with an artificial language invented by J. L. Austin, Symbolo!”

 

Luigi Speranza -- Grice e Simichia: la ragione conversazionale dell’élite di Crotona e la sua diaspora -- Roma – la scuola di Taranto -- filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo pugliese. Filosofo italiano. Taranto, Puglia. A Pythagorean, cited by Giamblico. “This is the diaspora from Crotona – as if we would have an Oxonian diaspora, provided the mayor of Oxford deems us elitists!” – ‘or the gown elitist towards the town, but surely Boris Johnson never saw himself as gown!’ – Grice.

 

Luigi Speranza -- Grice e Simioni: la ragione conversazionale degl’amanti – filosofia veneziana – la scuola di Venezia – filosofia veneta -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Venezia). Fiosofo veneziano. Filosofo veneto. Filosofo italiano. Venezia, Veneto. Tra i principali studiosi di PIRANDELLO (si veda), inizia la sua attività politica militando nelle file del socialismo. Venne espulso dal partito per indegnità morale. Collabora con l’United States Information Service. Si trasfere a Monaco di iera per approfondire gli studi per poi ritornare a Milano. Leader di un collettivo operai-studenti, mentre lavora alla Mondadori, fonda il collettivo politico metro-politano milanese. Teorizza lo scontro aperto, e si considera il progenitore delle brigate rosse. Insieme a circa settanta persone, tra cui componenti del collettivo ed elementi del dissenso, partecipa al convegno di Chiavari nella sala Marchesani, adiacente la pensione Stella Maris, nel quale un gruppo di partecipanti dichiara la propria adesione ad una visione politica. La data di questo convegno viene da taluni considerata come la data di nascita delle brigate rosse. Altri affermano che la formazionesia nata con il convegno di Pecorile (Reggio Emilia). L'ultima attività, prima di passare alla completa clandestinità, a compe come redattore di "Sinistra proletaria", l'ultimo dei quali riporta in copertina uno sfondo rosso con disegnato al centro un cerchio nero attorniante le sagome di XIV mitra. Fonda la scuola di lingue Hyperion, la quale secondo alcuni ha la funzione di una vera centrale internazionale. Si afferma che e anche il capo del Super-clan, organizzazione nata da una costola delle brigate rosse. Si insere nella vita cittadina, ricominciando a frequentare gl’ambienti progressisti e divenendo vicepresidente della fondazione Pierre. E proprio quale accompagnatore di Pierre, e ricevuto da  Giovanni Paolo II in udienza privata. Si avvicina al buddhismo tibetano. Si apparta nella campagna di Truinas, nella Drôme, dove geste un B et B. Craxi, alludendo alla esistenza di un grande delle brigate rosse (l'eminenza grigia ipotizzata da alcuni che dall'estero avrebbe guidato, come un burattinaio, molte delle azioni sul suolo italiano), dichiara che costui poteva essere cercato tra quei personaggi che avevano cominciato a fare politica con noi e poi sono scomparsi, magari sono a Parigi a lavorare per il partito armato, frase che venne da molti ritenuto indicasse come grande proprio lui. L'organizzazione di sinistra extra-parlamentare Lotta Continua lo accusa di essere un confidente della polizia e in contatto con i servizi segreti.. Durante la fase iniziale di Mani pulite, e accusato da LARINI di essere il grande, accuse respinte da lui che le ritenne parte di un'azione contro Craxi, vista la comune militanza nel socialismo. Hyperion e realmente una scuola di lingue o la stanza di compensazione di diversi servizi segreti?  Ferrari, In teleselezione dalla Francia gli ordini ai italiani? Corriere della Sera. Entrambi gli edifici sono proprietà della curia  Il convegno di Pecorile in Anni di Piombo. Il nucleo storico delle brigate rosse. E morto il misterioso grande, La Tribuna di Treviso, Fratini, Hyperion: scuola di lingue chiacchierata, ANSA, repubblica cronaca  news/caso moro_il_bierre_franceschini moretti una_spia riduttivo si sentiva_lenin. Dalla lotta al buddhismo, in Critica Sociale, Anni di piombo Superclan Hyperion (Parigi) Venezia Anni di piombo. Corrado Simioni. Simioni. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Simioni” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza-- Grice e Simmaco: la ragione conversazionale del console filosofo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A philosopher of considerable wisdom, also a consul. Quinto Aurelio Simmaco.

 

Luigi Speranza -- Grice e Simoni – la scuola di Caprese -- filosofia italiana – Luigi Speranza Caprese). Filosofo toscano. Filosofo italiano. Caprese, Toscana. Antenato: Simone de Buonarrota. Nome: S. Grice: “Some call him Michelangelo, but that’s rude!” --  See the study of Buonarroti’s Moses by Freud, “filosofia”  Michelangelo Buonarroti. CDisambiguazione – Se stai cercando altri significati, vedi Michelangelo Buonarroti il Giovane, Michelangelo (disambigua) e Buonarroti (disambigua).  Pietro Freccia, statua di Michelangelo, piazzale degli Uffizi a Firenze. Michelangelo Buonarroti, noto semplicemente come Michelangelo (Caprese, 6 marzo 1475[1] – Roma), è stato un filosofo italiano -- pittore, scultore, architetto e poeta italiano.   Daniele da Volterra, Ritratto di Michelangelo  Autoritratto (?) come Nicodemo, Pietà Bandini  Michelangelo, disegno di Daniele da Volterra Soprannominato "Divin Artista" e definito "Artista universale", fu protagonista del Rinascimento italiano, e già in vita fu riconosciuto dai suoi contemporanei come uno dei più grandi artisti di tutti i tempi[3]. Personalità tanto geniale quanto irrequieta, il suo nome è legato ad alcune delle più maestose opere dell'arte occidentale, fra cui si annoverano il David, il Mosè, la Pietà del Vaticano, la Cupola di San Pietro e il ciclo di affreschi nella Cappella Sistina, tutti considerati traguardi eccezionali dell'ingegno creativo.  Lo studio delle sue opere segnò le generazioni artistiche successive dando un forte impulso alla corrente del manierismo.  Nome Nelle fonti coeve, Michelangelo è chiamato in latino Michael.Angelus (la firma dell'autore sulla Pietà vaticana è MICHAEL.A[N]GELVS BONAROTVS FLORENT[INVS]) e in italiano Michelagnolo, come risulta dalla biografia del 1553 Vita di Michelagnolo Buonarroti scritta da Condivi, suo discepolo e collaboratore. Lo stesso Vasari lo chiamava Michelagnolo e il nome rimase tale fino alla metà dell’Ottocento. Il cambio in Michelangiolo prima e la successiva italianizzazione in Michelangelo poi, avvengono tra l’800 e il ‘900.  Benché tra le nuove generazioni si sia affermata la versione moderna, a Firenze resiste la variante ottocentesca di Michelangiolo nel parlato degli anziani e nella denominazione di luoghi simbolo della città (viale Michelangiolo, piazzale Michelangiolo, Liceo Classico Michelangiolo, ecc.).  Biografia Gioventù Origini  Il ricordo del padre sulla nascita di Michelangelo Michelangelo Buonarroti nasc a Caprese, in Valtiberina, vicino ad Arezzo, da Ludovico di Leonardo Buonarroti S., podestà al castello di Chiusi e di Caprese, e Francesca di Neri del Miniato del Sera. La famiglia è fiorentina, ma il padre si trova nella cittadina per ricoprire la carica politica di podestà. S. è il secondogenito, su un totale di cinque figli della coppia.  I S. di Firenze fanno parte del patriziato fiorentino. Nessuno in famiglia ha fino ad allora intrapreso la carriera artistica, né l'arte meccanica (cioè un mestiere che richiedeva sforzo fisico) poco consona al loro status, ricoprendo piuttosto incarichi nei pubblici uffici. Due secoli prima un antenato, Simone di Buonarrota S., è nel consiglio dei cento savi e ha ricoperto le maggiori cariche pubbliche. Possedeno uno scudo d'arme e patronano una cappella nella basilica di Santa Croce.  All'epoca della nascita di S., la famiglia attraversa però un momento di penuria economica. Il padre è talmente impoverito che sta addirittura per perdere i suoi privilegi di cittadino fiorentino. La podesteria di Caprese, uno dei meno significativi possedimenti fiorentini, è un incarico politico di scarsa importanza, da lui accettato per cercare di assicurare una sopravvivenza decorosa alla propria famiglia, arrotondando le magre rendite di alcuni poderi nei dintorni di Firenze. Il declino influenza pesantemente le scelte familiari, nonché il destino di S. e la sua personalità: la preoccupazione per il benessere economico, suo e dei suoi familiari, è una costante in tutta la sua vita. Già alla fine di marzo, terminata la carica semestrale di Ludovico Buonarroti, tornò presso Firenze, a Settignano, probabilmente alla poi detta Villa Michelangelo, dove il neonato venne affidato a una balia locale[6]. Settignano era un paese di scalpellini, poiché vi si estraeva la pietra serena, da secoli utilizzata a Firenze nell'edilizia di pregio. Anche la balia di Michelangelo era figlia e moglie di scalpellini. Diventato un artista famoso, Michelangelo, spiegando perché preferiva la scultura alle altre arti, ricordava proprio questo affidamento, sostenendo di provenire da un paese di "scultori e scalpellini", dove dalla balia aveva bevuto «latte impastato con la polvere di marmo»[9].  Nel 1481 la madre di Michelangelo morì; egli aveva soltanto sei anni. L'educazione scolastica del fanciullo venne affidata all'umanista Francesco Galatea da Urbino, che gli impartì lezioni di grammatica. In quegli anni conobbe l'amico Francesco Granacci, che lo incoraggiò nel disegno[6]. Ai figli cadetti di famiglie patrizie era di solito riservata la carriera ecclesiastica o militare, ma Michelangelo, secondo la tradizione, aveva manifestato fin da giovanissimo una forte inclinazione artistica, che nella biografia di Ascanio Condivi, redatta con la collaborazione dell'artista stesso, viene ricordata come ostacolata a tutti i costi dal padre, che non la spuntò però sull'eroica resistenza del figlio[10].  Formazione presso il Ghirlandaio (1487-1488)  Michelangelo, San Pietro da Masaccio, 1488-1490 circa. Penna e sanguigna su carta. Staatliche Graphische Sammlung, Monaco. Nel 1487 Michelangelo finalmente approdò alla bottega di Domenico Ghirlandaio, artista fiorentino tra i più quotati dell'epoca[10].  Ascanio Condivi, nella Vita di Michelagnolo Buonarroti[11], omettendo la notizia e sottolineando la resistenza paterna, sembra voler enfatizzare un motivo più che altro letterario e celebrativo, cioè il carattere innato e autodidatta dell'artista: dopotutto, l'avvio consenziente di Michelangelo a una carriera considerata "artigianale", era per il costume dell'epoca una ratifica di una retrocessione sociale della famiglia. Ecco perché, una volta divenuto famoso, egli cercò di nascondere gli inizi della sua attività in bottega, parlandone non come di un normale apprendistato professionale, ma come se si fosse trattato di una chiamata inarrestabile dello spirito, una vocazione, contro la quale il padre avrebbe inutilmente tentato di resistere[12].  In realtà sembra ormai quasi certo che Michelangelo fu mandato a bottega proprio dal padre a causa dell'indigenza familiare[13]: la famiglia aveva bisogno dei soldi dell'apprendistato del ragazzo, al quale così non poté essere data un'istruzione classica. La notizia è data da Vasari, che già nella prima edizione delle Vite (1550)[14], descrisse, appunto, come fu Ludovico stesso a condurre il figlio dodicenne nella bottega del Ghirlandaio, suo conoscente, mostrandogli alcuni fogli disegnati dal fanciullo, affinché lo tenesse con sé, alleviando le spese per i numerosi figli, e convenendo assieme al maestro un "giusto et onesto salario, che in quel tempo così si costumava". Lo stesso storico aretino ricorda le sue basi documentarie, nei ricordi di Ludovico e nelle ricevute di bottega conservate all'epoca da Ridolfo del Ghirlandaio, figlio del celebre pittore[10]. In particolare, in un "ricordo" del padre, datato 1º aprile 1488, Vasari lesse i termini dell'accordo con i fratelli Ghirlandaio, prevedendo una permanenza del figlio a bottega per tre anni, per un compenso di venticinque fiorini d'oro[10]. Inoltre in elenco di creditori della bottega artistica, al giugno 1487, è registrato anche Michelangelo dodicenne[10].  In quel periodo la bottega del Ghirlandaio era attiva al ciclo affrescato della Cappella Tornabuoni in Santa Maria Novella, dove Michelangelo poté certamente apprendere una tecnica pittorica avanzata[15]. La giovane età del fanciullo (che al termine degli affreschi aveva quindici anni) lo relegherebbe a mestieri da garzone (preparazione dei colori, riempimento di partiture semplici e decorative), ma è altresì noto che egli era il migliore tra gli allievi e non è da escludere che gli fossero affidati alcuni compiti di maggior rilievo: Vasari riportò come Domenico avesse sorpreso il fanciullo a "ritrarre di naturale il ponte con alcuni deschi, con tutte le masserizie dell'arte, et alcuni di que' giovani che lavoravano", tanto che fece esclamare al maestro "Costui ne sa più di me". Alcuni storici hanno ipotizzato un suo intervento diretto in alcuni ignudi del Battesimo di Cristo e della Presentazione al Tempio oppure nello scultoreo San Giovannino nel deserto, ma in realtà la mancanza di termini di paragone e riscontri oggettivi ha sempre impossibilitato una definitiva conferma[16].  Sicuro è invece che il giovane manifestò un forte interesse per i maestri alla base della scuola fiorentina, soprattutto Giotto e Masaccio, copiando direttamente i loro affreschi nelle cappelle di Santa Croce e nella Brancacci in Santa Maria del Carmine[15]. Un esempio è il massiccio San Pietro da Masaccio, copia dal Pagamento del tributo. Condivi scrisse anche di una copia da una stampa tedesca di un Sant'Antonio tormentato da diavoli: l'opera è stata recentemente riconosciuta nel Tormento di sant'Antonio, copia da Martin Schongauer[6], acquistato dal Kimbell Art Museum di Fort Worth, in Texas[17].  Al giardino neoplatonico (1488-1490)  Copia da Cesare Zocchi, Michelangelo giovane scolpisce la testa di fauno, Studio Romanelli, Firenze Molto probabilmente Michelangelo non terminò il triennio formativo in bottega, a giudicare dalle vaghe indicazioni della biografia del Condivi. Forse si burlò del proprio maestro, sostituendo un ritratto della mano di Domenico, che doveva rifare per esercizio, con la sua copia, senza che il Ghirlandaio si accorgesse della differenza, "con un suo compagno […] ridendosene"[18].  In ogni caso, pare che su suggerimento di un altro apprendista, Francesco Granacci, Michelangelo cominciò a frequentare il giardino di San Marco, una sorta di accademia artistica sostenuta economicamente da Lorenzo il Magnifico in una sua proprietà nel quartiere mediceo di Firenze. Qui si trovava una parte delle vaste collezioni di sculture antiche dei Medici, che i giovani talenti, ansiosi di migliorare nell'arte dello scolpire, potevano copiare, sorvegliati e aiutati dal vecchio scultore Bertoldo di Giovanni, allievo diretto di Donatello. I biografi dell'epoca descrivono il giardino come un vero e proprio centro di alta formazione, forse enfatizzando un po' la quotidiana realtà, ma è senza dubbio che l'esperienza ebbe un impatto fondamentale sul giovane Michelangelo[15].  Tra i vari aneddoti legati all'attività del giardino è celebre nella letteratura michelangiolesca quello della Testa di fauno, una perduta copia in marmo di un'opera antica. Veduta dal Magnifico in visita al giardino, venne criticata bonariamente per la perfezione della dentatura che si intravedeva dalla bocca dischiusa, inverosimile in una figura anziana. Ma prima che il signore finisse il giro del giardino, il Buonarroti si armò di trapano e martello per scalfire un dente e bucarne un altro, suscitando la sorpresa ammirazione di Lorenzo. Pare che in seguito all'episodio Lorenzo in persona chiese il permesso a Ludovico Buonarroti di ospitare il ragazzo nel palazzo di via Larga, residenza della sua famiglia[19]. Ancora le fonti parlano di una resistenza paterna, ma le gravose necessità economiche della famiglia dovettero giocare un ruolo determinante, infatti alla fine Ludovico cedette in cambio di un posto di lavoro alla dogana, retribuito otto scudi al mese[19].  Verso il 1490 il giovane artista venne quindi accolto come figlio adottivo nella più importante famiglia in città. Ebbe così modo di conoscere direttamente le personalità del suo tempo, come Poliziano, Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, che lo resero partecipe, in qualche misura, della dottrina neoplatonica e dell'amore per la rievocazione dell'antico. Conobbe inoltre i giovani rampolli di casa Medici, più o meno a lui coetanei, che diventarono negli anni successivi alcuni dei suoi principali committenti: Piero, Giovanni, poi papa Leone X, e Giulio, futuro Clemente VII[19].  Un altro fatto legato a quegli anni è la lite con Pietro Torrigiano, futuro scultore di buon livello, noto soprattutto per il suo viaggio in Spagna, da dove esportò modi rinascimentali. Pietro era noto per la sua avvenenza e per un'ambizione pari almeno a quella di Michelangelo. Tra i due non correva buon sangue e, una volta entrati in contrasto, durante un sopralluogo alla cappella Brancacci, finirono per azzuffarsi; ebbe la peggio Michelangelo, che incassò un pugno del rivale in pieno volto, rompendosi il naso e avendo deturpato per sempre il profilo[20]. In seguito alla rissa, Lorenzo De Medici esiliò Pietro Torrigiano da Firenze.  Prime opere (1490-1492)  Michelangelo, Madonna della Scala, marmo, 1491 circa. Casa Buonarroti, Firenze. Al periodo del giardino e del soggiorno in casa Medici risalgono essenzialmente due opere, la Madonna della Scala (1491 circa) e la Battaglia dei Centauri, entrambe conservate nel museo di Casa Buonarroti a Firenze. Si tratta di due opere molto diverse per tema (uno sacro e uno profano) e per tecnica (una in un sottile bassorilievo, l'altro in un prorompente altorilievo), che testimoniano alcune influenze fondamentali nel giovane scultore, rispettivamente Donatello e la statuaria classica[19].  Nella Madonna della Scala l'artista riprese la tecnica dello stiacciato, creando un'immagine di tale monumentalità da far pensare alle steli classiche; la figura della Madonna, che occupa tutta l'altezza del rilievo, si staglia vigorosa, tra notazioni di vivace naturalezza, come il Bambino è assopito di spalle e i putti, sulla scala da cui prende il nome il rilievo, occupati nell'insolita attività di tendere un drappo[21].   Michelangelo, Battaglia dei centauri, marmo, 1492 circa. Casa Buonarroti, Firenze Di poco posteriore è la Battaglia dei centauri, databile tra il 1491 e il 1492: secondo Condivi e Vasari fu eseguita per Lorenzo il Magnifico, su un soggetto proposto da Agnolo Poliziano, anche se i due biografi non concordano sull'esatta titolazione[22].  Per questo rilievo Michelangelo si rifece sia ai sarcofagi romani, sia alle formelle dei pulpiti di Giovanni Pisano, e guardò anche al contemporaneo rilievo bronzeo di Bertoldo di Giovanni con una battaglia di cavalieri, a sua volta ripreso da un sarcofago del Camposanto di Pisa. Nel rilievo michelangiolesco però viene esaltato soprattutto il dinamico groviglio dei corpi nudi in lotta e annullato ogni riferimento spaziale[22].  Michelangelo e Piero de' Medici (1492-1494)  Il Crocifisso di Santo Spirito (1493 circa) Nel 1492 morì Lorenzo il Magnifico. Non è chiaro se i suoi eredi, in particolare il primogenito Piero, mantennero l'ospitalità al giovane Buonarroti: indizi sembrano indicare che Michelangelo si ritrovò improvvisamente senza dimora, con un difficile ritorno alla casa paterna[19]. Piero di Lorenzo de' Medici, succeduto al padre anche nel governo della città, è ritratto dai biografi michelangioleschi come un tiranno "insolente e soverchievole", con un difficile rapporto con l'artista, che era di appena tre anni più giovane di lui. Nonostante ciò, i fatti documentati non lasciano alcun indizio di una rottura plateale tra i due, almeno fino alla crisi dell'autunno del 1494[23].  Nel 1493 infatti Piero, dopo essere stato nominato Operaio in Santo Spirito, dovette intercedere coi frati agostiniani in favore del giovane artista, affinché lo ospitassero e gli consentissero di studiare l'anatomia negli ambienti del convento, sezionando i cadaveri provenienti dall'ospedale del complesso, attività che giovò enormemente alla sua arte[19].  In questi anni Michelangelo scolpì il Crocifisso ligneo, realizzato come ringraziamento per il priore. Attribuito a questo periodo è anche il piccolo Crocifisso di legno di tiglio recentemente acquistato dallo Stato italiano. Inoltre, probabilmente per ringraziare o per accattivarsi Piero, dovette scolpire, subito dopo la morte di Lorenzo, un perduto Ercole[19].  Il 20 gennaio 1494 su Firenze si abbatté una violenta nevicata e Piero fece chiamare Michelangelo per fare una statua di neve nel cortile di palazzo Medici. L'artista fece di nuovo un Ercole, che durò almeno otto giorni, sufficienti per fare apprezzare l'opera a tutta la città[24]. All'opera si ispirò forse Antonio del Pollaiolo per un bronzetto oggi alla Frick Collection di New York.  Mentre cresceva lo scontento per il progressivo declino politico ed economico della città, in mano a un ragazzo poco più che ventenne, la situazione esplose in occasione della calata in Italia dell'esercito francese (1494) capeggiato da Carlo VIII, nei confronti del quale Piero adottò un'impudente politica di assecondamento, giudicato eccessivo. Appena partito il monarca, la situazione precipitò rapidamente, aizzata dal predicatore ferrarese Girolamo Savonarola, con la cacciata dei Medici e il saccheggio del palazzo e del giardino di San Marco[6].  Resosi conto dell'imminente crollo politico del suo mecenate, Michelangelo, al pari di molti artisti dell'epoca, abbracciò i nuovi valori spirituali e sociali di Savonarola[25]. Il frate, con le sue accalorate prediche e il suo rigorismo formale, accese in lui sia la convinzione che la Chiesa dovesse essere riformata, sia i primi dubbi sul valore etico da dare all'arte, orientandola su soggetti sacri[19].  Poco prima del precipitare della situazione, nell'ottobre 1494, Michelangelo, nella paura di rimanere coinvolto nei disordini, quale possibile bersaglio poiché protetto dai Medici, fuggì dalla città di nascosto, abbandonando Piero al suo destino: il 9 novembre venne infatti scacciato da Firenze, dove si instaurò un governo popolare[19].  Il primo viaggio a Bologna (1494-1495)  San Procolo (1494-1495) Per Michelangelo si trattava del primo viaggio fuori Firenze, con una prima tappa a Venezia, dove rimase poco, ma abbastanza per vedere probabilmente il monumento equestre a Bartolomeo Colleoni del Verrocchio, dal quale trasse forse ispirazione per i volti eroici e "terribili"[26].  Si diresse poi a Bologna, in cui venne accolto, trovando ospitalità e protezione, dal nobile Giovan Francesco Aldrovandi, molto vicino ai Bentivoglio che allora dominavano la città. Durante il soggiorno bolognese, durato circa un anno, l'artista si occupò, grazie all'intercessione del suo protettore, del completamento della prestigiosa Arca di san Domenico, a cui avevano già lavorato Nicola Pisano e Niccolò dell'Arca, che era morto da pochi mesi, in quel 1494. Scolpì così un San Procolo, un Angelo reggicandelabro e terminò il San Petronio iniziato da Niccolò[27]. Si tratta di figure che si allontanano dalla tradizione di primo Quattrocento delle altre statue di Niccolò dell'Arca, con una solidità e una compattezza innovative, nonché primo esempio di quella "terribilità" michelangiolesca nell'espressione fiera e eroica del San Procolo[28], nel quale pare abbozzata un'intuizione embrionale che si svilupperà nel famoso David.  A Bologna lo stile dell'artista era infatti velocemente maturato grazie alla scoperta di nuovi esempi, diversi dalla tradizione fiorentina, che lo influenzarono profondamente. Ammirò i rilievi della Porta Magna di San Petronio di Jacopo della Quercia. Da essi attinse gli effetti di "forza trattenuta", data dai contrasti tra parti lisce e stondate e parti dai contorni rigidi e fratturati, nonché la scelta di soggetti umani rustici e massicci, che esaltano le scene con gesti ampi, pose eloquenti e composizioni dinamiche[29]. Anche le stesse composizioni di figure che tendono a non rispettare i bordi quadrati dei riquadri e a debordare con le loro masse compatte e la loro energia interna furono motivo di suggestione per le future opere del fiorentino, che nelle scene della Volta Sistina citerà diverse volte queste scene vedute in gioventù, sia negli insiemi, sia nei particolari. Anche le sculture di Niccolò dell'Arca devono essere state sottoposte ad analisi da parte del fiorentino, come il gruppo in cotto del Compianto sul Cristo morto, dove il volto e il braccio di Gesù saranno richiamati di lì a breve nella Pietà vaticana.  Inoltre Michelangelo rimase colpito dall'incontro con la pittura ferrarese, in particolare con le opere di Francesco del Cossa ed Ercole de' Roberti, come il monumentale Polittico Griffoni, gli espressivi affreschi della cappella Garganelli o la Pietà del de' Roberti[27].  L'imbroglio del Cupido (1495-1496) Rientrato a Firenze nel dicembre 1495, quando la situazione appariva ormai calmata, Michelangelo trovò un clima molto diverso. Nella città dominata dal governo repubblicano di ispirazione savonaroliana erano nel frattempo rientrati alcuni Medici. Si trattava di alcuni esponenti del ramo cadetto che, per l'occasione, presero il nome di "Popolani" per accattivarsi le simpatie del popolo, presentandosi come protettori e garanti delle libertà comunali. Tra questi spiccava Lorenzo di Pierfrancesco, bis-cugino del Magnifico, che era da tempo una figura chiave della cultura cittadina, committente di Botticelli e di altri artisti. Fu lui a prendere sotto protezione Michelangelo, commissionandogli due sculture, entrambe perdute, un San Giovannino e un Cupido dormiente[27].  Il Cupido in particolare fu al centro di una vicenda che portò di lì a poco Michelangelo a Roma, in quello che può dirsi l'ultimo dei suoi fondamentali viaggi formativi. Su suggerimento forse dello stesso Lorenzo e probabilmente all'insaputa di Michelangelo, si decise di sotterrare il Cupido, per patinarlo come un reperto archeologico e rivenderlo sul fiorente mercato delle opere d'arte antiche a Roma. L'inganno riuscì, infatti di lì a poco, con l'intermediazione del mercante Baldassarre Del Milanese, il cardinale di San Giorgio Raffaele Riario, nipote di Sisto IV e uno dei più ricchi collezionisti del tempo, lo acquistò per la cospicua somma di duecento ducati: Michelangelo ne aveva incassati per la stessa opera appena trenta[27].  Poco dopo, tuttavia, le voci del fruttuoso inganno si sparsero fino ad arrivare alle orecchie del cardinale, che per avere conferma e richiedere indietro i soldi, spedì a Firenze un suo intermediario, Jacopo Galli, che risalì a Michelangelo e riuscì ad avere conferma della truffa. Il cardinale andò su tutte le furie, ma volle anche conoscere l'artefice capace di emulare gli antichi facendoselo spedire a Roma, nel luglio di quell'anno, dal Galli. Con quest'ultimo, in seguito, Michelangelo strinse un solido e proficuo rapporto[27].  Primo soggiorno romano (1496-1501) Arrivo a Roma e il Bacco (1496-1497) Michelangelo accettò senza indugio l'invito a Roma del cardinale, nonostante questi fosse nemico giurato dei Medici: di nuovo per convenienza voltava le spalle ai suoi protettori[30].  Arrivò a Roma il 25 giugno 1496. Il giorno stesso il cardinale mostrò a Michelangelo la sua manutenzione di sculture antiche, chiedendogli se se la sentiva di fare qualcosa di simile. Neppure dieci giorni dopo, l'artista iniziò a scolpire una statua a tutto tondo di un Bacco (oggi al Museo del Bargello), raffigurato come un adolescente in preda all'ebbrezza, in cui è già leggibile l'impatto con la statuaria classica: l'opera infatti presenta una resa naturalistica del corpo, con effetti illusivi e tattili simili a quelli della scultura ellenistica; inedita per l'epoca è l'espressività e l'elasticità delle forme, unite al tempo stesso con un'essenziale semplicità dei particolari. Ai piedi di Bacco scolpì un fauno che sta rubando qualche acino d'uva dalla mano del dio: questo gesto destò molta ammirazione in tutti gli scultori del tempo poiché il giovane sembra davvero mangiare dell'uva con grande realismo. Il Bacco è una delle poche opere perfettamente finite di Michelangelo e dal punto di vista tecnico segna il suo ingresso nella maturità artistica[31].  L'opera, forse rifiutata dal cardinale Riario, rimase in casa di Jacopo Galli, dove Michelangelo viveva. Il cardinale Riario mise a disposizione di Michelangelo la sua cultura e la sua collezione, contribuendo con ciò in maniera determinante al miglioramento del suo stile, ma soprattutto lo introdusse nell'ambiente cardinalizio dal quale sarebbero arrivate presto importantissime commissioni. Eppure, ancora una volta Michelangelo mostrò ingratitudine verso il mecenate di turno: a proposito del Riario fece scrivere dal suo biografo Condivi che era un ignorante e non gli aveva commissionato nulla[32].  Pietà (1497-1499)  Michelangelo, Pietà, 1497-1499, marmo. Basilica di San Pietro, Città del Vaticano. Grazie sempre all'intermediazione di Jacopo Galli, Michelangelo ricevette altre importanti commissioni in ambito ecclesiastico, tra cui forse la Madonna di Manchester, la tavola dipinta della Deposizione per Sant'Agostino, forse il perduto dipinto con le Stigmate di san Francesco per San Pietro in Montorio, e, soprattutto, una Pietà in marmo per la chiesa di Santa Petronilla, oggi nella Basilica di San Pietro[33].  Quest'ultima opera, che suggellò la definitiva consacrazione di Michelangelo nell'arte scultorea - ad appena ventidue anni - era stata commissionata dal cardinale francese Jean de Bilhères de La Groslaye, ambasciatore di Carlo VIII presso papa Alessandro VI, che desiderava forse adoperarla per la propria sepoltura. Il contatto tra i due dovette avvenire nel novembre 1497, in seguito al quale l'artista partì alla volta di Carrara per scegliere un blocco di marmo adeguato; la firma del contratto vero e proprio si ebbe poi solo nell'agosto del 1498. Il gruppo, fortemente innovativo rispetto alla tradizione scultorea delle Pietà tipicamente nordica, venne sviluppato con una composizione piramidale, con la Vergine come asse verticale e il corpo morto del Cristo come asse orizzontale, mediate dal massiccio panneggio. La finitura dei particolari venne condotta alle estreme conseguenze, tanto da dare al marmo effetti di traslucido e di cerea morbidezza. Entrambi i protagonisti mostrano un'età giovane, tanto che sembra che lo scultore si sia ispirato al passo dantesco "Vergine Madre, Figlia di tuo Figlio"[34].  La Pietà fu importante nell'esperienza artistica di Michelangelo non solo perché fu il suo primo capolavoro ma anche perché fu la prima opera da lui fatta in marmo di Carrara, che da questo momento divenne la materia primaria per la sua creatività. A Carrara l'artista manifestò un altro aspetto della personalità: la consapevolezza del proprio talento. Lì infatti acquistò non solo il blocco di marmo per la Pietà, ma anche diversi altri blocchi, nella convinzione che - considerato il suo talento - le occasioni per utilizzarli non sarebbero mancate[35]. Cosa ancora più insolita per un artista di quei tempi, Michelangelo si convinse che per scolpire le proprie statue non aveva bisogno di committenti: avrebbe potuto scolpire di propria iniziativa opere da vendere una volta terminate. In pratica Michelangelo diventava un imprenditore di sé stesso e investiva sul proprio talento senza aspettare che altri lo facessero per lui[35].  Rientro a Firenze (1501-1504) Passaggio per Siena (1501) Nel 1501 Michelangelo decise di tornare a Firenze. Prima di partire Jacopo Galli gli ottenne una nuova commissione, questa volta per il cardinale Francesco Todeschini Piccolomini, futuro papa Pio III. Si trattava di realizzare quindici statue di Santi di grandezza leggermente inferiore al naturale, per l'altare Piccolomini nel Duomo di Siena, composto architettonicamente una ventina di anni prima da Andrea Bregno. Alla fine l'artista ne realizzò solo quattro (San Paolo, San Pietro, un San Pio e San Gregorio), spedendole da Firenze fino al 1504, per di più con un uso massiccio di aiuti. La commissione delle statue senesi, destinate a nicchie anguste, iniziava infatti a essere ormai troppo stretta per la sua fama, in luce soprattutto delle prestigiose opportunità che si stavano profilando a Firenze[36].  Rientro a Firenze: il David (1501)  Michelangelo, David, 1501-1504, marmo. Galleria dell'Accademia, Firenze. Nel 1501 Michelangelo era già rientrato a Firenze, spinto da necessità legate a "domestici negozi"[37]. Il suo ritorno coincise con l'avvio di una stagione di commissioni di grande prestigio, che testimoniano la grande reputazione che l'artista si era conquistato durante gli anni passati a Roma.  Il 16 agosto del 1501 l'Opera del Duomo di Firenze gli affidò ad esempio una colossale statua del David da collocare in uno dei contrafforti esterni posti nella zona absidale della cattedrale. Si trattava di un'impresa resa complicata dal fatto che il blocco di marmo assegnato era stato precedentemente sbozzato da Agostino di Duccio nel 1464 e da Antonio Rossellino nel 1476, col rischio che fossero state ormai asportate porzioni di marmo indispensabili alla buona conclusione del lavoro[38].  Nonostante la difficoltà, Michelangelo iniziò a lavorare su quello che veniva chiamato "il Gigante" nel settembre del 1501 e completò l'opera in tre anni. L'artista affrontò il tema dell'eroe in maniera insolita rispetto all'iconografia data dalla tradizione, rappresentandolo come un uomo giovane e nudo, dall'atteggiamento pacato ma pronto a una reazione, quasi a simboleggiare, secondo molti, il nascente ideale politico repubblicano, che vedeva nel cittadino-soldato - e non nel mercenario - l'unico in grado di difendere le libertà repubblicane. I fiorentini riconobbero immediatamente la statua come un capolavoro. Così, anche se il David era nato per l'Opera del Duomo e quindi per essere osservato da un punto di vista ribassato e non certo frontale, la Signoria decise di farne il simbolo della città e come tale venne collocata nel luogo col maggior valore simbolico: piazza della Signoria. A decidere di questa collocazione della statua fu una commissione appositamente nominata e composta dai migliori artisti della città, tra i quali Davide Ghirlandaio, Simone del Pollaiolo, Filippino Lippi, Sandro Botticelli, Antonio e Giuliano da Sangallo, Andrea Sansovino, Leonardo da Vinci, Pietro Perugino[39].  Leonardo da Vinci, in particolare, votò per una posizione defilata del David, sotto una nicchia nella Loggia della Signoria, confermando le voci di rivalità e cattivi rapporti tra i due geni[40].   Confronto tra il profilo del Louvre e il profilo scultoreo di Palazzo Vecchio conosciuto come l'Importuno di Michelangelo[41] Contemporaneamente alla collocazione del David, Michelangelo potrebbe essere stato coinvolto nella realizzazione del profilo scultoreo inciso sulla facciata di Palazzo Vecchio conosciuto come L'Importuno di Michelangelo. L'ipotesi[41] su un possibile coinvolgimento di Michelangelo nella creazione del profilo si fonda sulla forte somiglianza di quest'ultimo con un profilo disegnato dall'artista, databile agli inizi del XVI secolo, oggi conservato al Louvre.[42] Inoltre il profilo fu probabilmente scolpito con il permesso delle autorità cittadine, infatti la facciata di Palazzo Vecchio era costantemente presieduta da guardie. Quindi il suo autore godeva di una certa considerazione e libertà d'azione. Lo stile fortemente caratterizzato del profilo scolpito è vicino a quello dei profili di teste maschili disegnati da Michelangelo nei primi anni del XVI secolo. Quindi anche il ritratto scultoreo di Palazzo Vecchio dovrebbe essere datato all'inizio del XVI secolo,[43] la sua esecuzione coinciderebbe con la collocazione del David[44] e potrebbe forse rappresentare uno dei membri della suddetta commissione.[45]  Leonardo e Michelangelo Leonardo dimostrò interesse per il David, copiandolo in un suo disegno (sebbene non potesse condividere la spiccata muscolarità dell'opera), ma anche Michelangelo fu influenzato dall'arte di Leonardo. Nel 1501 il maestro da Vinci espose nella Santissima Annunziata un cartone con la Sant'Anna con la Vergine, il Bambino e l'agnellino (perduto), che "fece maravigliare tutti gl'artefici, ma finita ch'ella fu, nella stanza durarono due giorni d'andare a vederla gl'uomini e le donne, i giovani et i vecchi"[46]. Lo stesso Michelangelo vide il cartone, restando forse impressionato dalle nuove idee pittoriche di avvolgimento atmosferico e di indeterminatezza spaziale e psicologica, ed è quasi certo che l'abbia studiato, come dimostrano i disegni di quegli anni, dai tratti più dinamici, con una maggiore animazione dei contorni e con una maggiore attenzione al problema del legame tra le figure, risolto spesso in gruppi articolati in maniera dinamica. La questione dell'influenza leonardesca è un argomento controverso tra gli studiosi, ma una parte di essi ne legge le tracce nei due tondi scultorei da lui eseguiti negli anni immediatamente successivi[47]. Ampiamente riconosciute sono indubbiamente due delle innovazioni stilistiche di Leonardo assunte e fatte proprie nello stile di Michelangelo: la costruzione piramidale delle figure umane, ampie rispetto agli sfondi naturali, e il "contrapposto", portato al massimo grado dal Buonarroti, che rende dinamiche le persone i cui arti vediamo spingersi in opposte direzioni spaziali.  Nuove commissioni (1502-1504)  Tondo Taddei  Tondo Doni Il David tenne occupato Michelangelo fino al 1504, senza impedire però che si imbarcasse in altri progetti, spesso a carattere pubblico, come il perduto David bronzeo per un maresciallo del Re di Francia (1502), una Madonna col Bambino per il mercante di panni fiammingo Alexandre Mouscron per la sua cappella familiare a Bruges (1503) e una serie di tondi. Nel 1503-1505 circa scolpì il Tondo Pitti, realizzato in marmo su commissione di Bartolomeo Pitti e oggi al Museo del Bargello. In questa scultura spicca il diverso rilievo dato ai soggetti, dalla figura appena accennata di Giovanni Battista (precoce esempio di "non-finito"), alla finitezza della Vergine, la cui testa ad altorilievo arriva a uscire dal confine della cornice.  Tra il 1503 e il 1504 realizzò un tondo dipinto per Agnolo Doni, rappresentante la Sacra Famiglia con altre figure. In essa, i protagonisti sono grandiose proporzioni e dinamicamente articolati, sullo sfondo di un gruppo di ignudi. I colori sono audacemente vivaci, squillanti, e i corpi trattati in maniera scultorea ebbero un effetto folgorante sugli artisti contemporanei. Evidente è qui il distacco netto e totale dalla pittura leonardesca: per Michelangelo la migliore pittura è quella che maggiormente si avvicina alla scultura, cioè quella che possedeva il più elevato grado di plasticità possibile[48] e, dopo le prove a olio non terminate che possiamo vedere a Londra, realizzerà qui un esempio di pittura innovativa, pur con la tradizionale tecnica della tempera stesa con fitti tratteggi incrociati. Curiosa è la vicenda legata al pagamento dell'opera: dopo la consegna il Doni, mercante molto attento alle economie, stimò l'opera una cifra "scontata" rispetto al pattuito, facendo infuriare l'artista che si riprese la tavola, esigendo semmai il doppio del prezzo convenuto. Al mercante non restò che pagare senza esitazione pur di ottenere il dipinto. Al di là del valore aneddotico dell'episodio, lo si può annoverare fra i primissimi esempi (se non il primo in assoluto) di ribellione dell'artista nei confronti del committente, secondo il concetto allora assolutamente nuovo della superiorità dell'artista-creatore rispetto al pubblico (e quindi alla committenza)[49].  Del 1504-1506 circa è infine il marmoreo Tondo Taddei, commissionato da Taddeo Taddei e ora alla Royal Academy of Arts di Londra: si tratta di un'opera dall'attribuzione più incerta, dove comunque spicca l'effetto non-finito, presente nel trattamento irregolare del fondo dal quale le figure sembrano emergere, forse un omaggio all'indefinito spaziale e all'avvolgimento atmosferico di Leonardo[50].  Gli Apostoli per il Duomo (1503) Il 24 aprile 1503, Michelangelo ricevette anche un'impegnativa con i consoli dell'Arte della Lana fiorentina per la realizzazione di dodici statue marmoree a grandezza naturale degli Apostoli, destinate a decorare le nicchie nei pilastri che reggono la cupola della cattedrale fiorentina, da completarsi al ritmo di una all'anno[47].  Il contratto non poté essere onorato per varie vicissitudini e l'artista fece in tempo a sbozzare solo un San Matteo, uno dei primi, vistosi esempi di non-finito[47].  La Battaglia di Cascina (1504)  Copia del cartone della Battaglia di Cascina di Michelangelo, eseguita da Aristotele da Sangallo nel 1542 e conservata presso la Holkham Hall di Norfolk Tra l'agosto e il settembre 1504, gli venne commissionato un monumentale affresco per la Sala Grande del Consiglio in Palazzo Vecchio che doveva decorare una delle pareti, alta più di sette metri. L'opera doveva celebrare le vittorie fiorentine, in particolare l'episodio della Battaglia di Cascina, vinta contro i pisani nel 1364, che doveva andare a fare pendant con la Battaglia di Anghiari dipinta da Leonardo sulla parete vicina[47].  Michelangelo fece in tempo a realizzare il solo cartone, sospeso nel 1505, quando partì per Roma, e ripreso l'anno dopo, nel 1506, prima di andare perduto; divenuto subito uno strumento di studio obbligatorio per i contemporanei, e la sua memoria è tramandata sia da studi autografi sia da copie di altri artisti. Più che sulla battaglia in sé, il dipinto si focalizzava sullo studio anatomico delle numerose figure di "ignudi", colte in pose di notevole sforzo fisico[47].  Il ponte sul Corno d'Oro (1504 circa) Come riporta Ascanio Condivi, tra il 1504 e il 1506 il sultano di Costantinopoli avrebbe proposto all'artista, la cui fama iniziava già a travalicare i confini nazionali, di occuparsi della progettazione di un ponte sul Corno d'Oro, tra Istanbul e Pera. Pare che l'artista avesse addirittura preparato un modello per la colossale impresa e alcune lettere confermano l'ipotesi di un viaggio nella capitale ottomana[51].  Si tratterebbe del primo cenno alla volontà di imbarcarsi in un grande progetto di architettura, molti anni prima dell'esordio ufficiale in quest'arte con la facciata per San Lorenzo a Firenze[52].  Il progetto per il tamburo di Santa Maria del Fiore (1507) Nell'estate 1507 Michelangelo fu incaricato dagli Operai di Santa Maria del Fiore di presentare, entro la fine del mese di agosto, un disegno o un modello per il concorso relativo al completamento del tamburo della cupola del Brunelleschi[53]. Secondo Giuseppe Marchini, Michelangelo avrebbe inviato alcuni disegni a un legnaiolo per la costruzione del modello, che lo stesso studioso ha riconosciuto in quello identificato con il numero 143 nella serie conservata presso il Museo dell'Opera del Duomo[54]. Questo presenta un'impostazione sostanzialmente filologica, tesa a mantenere una certa continuità con la preesistenza, mediante l'inserimento di una serie di specchiature rettangolari in marmo verde di Prato allineate ai capitelli delle paraste angolari; era prevista un'alta trabeazione, chiusa da un cornicione dalle forme analoghe a quello di Palazzo Strozzi. Tuttavia questo modello non fu accolto dalla commissione giudicatrice, che successivamente approvò il disegno di Baccio d'Agnolo; il progetto prevedeva l'inserimento di un massiccio ballatoio alla sommità, ma i lavori furono interrotti nel 1515, sia per lo scarso favore ottenuto, sia a causa dell'opposizione di Michelangelo, che, secondo il Vasari, definì l'opera di Baccio d'Agnolo una gabbia per grilli[55].  Intorno al 1516 Michelangelo eseguì alcuni disegni (conservati presso Casa Buonarroti) e fece costruire, probabilmente, un nuovo modello ligneo, identificato, seppur con ampie riserve, col numero 144 nell'inventario del Museo dell'Opera di Santa Maria del Fiore[56]. Ancora una volta si registra l'abolizione del ballatoio, a favore di un maggiore risalto degli elementi portanti; in particolare un disegno mostra l'inserimento di alte colonne binate libere in corrispondenza degli angoli dell'ottagono, sormontate da una serie di cornici fortemente aggettanti (un'idea che sarà successivamente elaborata anche per la cupola della basilica di San Pietro in Vaticano). Le idee di Michelangelo non furono comunque concretizzate.  A Roma sotto Giulio II (1505-1513)  Ricostruzione ipotetica del primo progetto per la tomba di Giulio II (1505) La tomba di Giulio II, primo progetto (1505) Fu probabilmente Giuliano da Sangallo a raccontare a papa Giulio II Della Rovere, eletto nel 1503, gli strabilianti successi fiorentini di Michelangelo. Papa Giulio infatti si era dedicato a un ambizioso programma di governo che intrecciava saldamente politica e arte, circondandosi dei più grandi artisti viventi (tra cui Bramante e, in seguito, Raffaello) nell'obiettivo di restituire a Roma e alla sua autorità la grandezza del passato imperiale[47].  Chiamato a Roma nel marzo 1505, Michelangelo ottenne il compito di realizzare una sepoltura monumentale per il papa[57], da collocarsi nella tribuna (in via di completamento) della basilica di San Pietro. Artista e committente si accordarono in tempi relativamente brevi (appena due mesi) sul progetto e sul compenso, permettendo a Michelangelo, riscosso un consistente acconto, di dirigersi subito a Carrara per scegliere personalmente i blocchi di marmo da scolpire[58].  Il primo progetto, noto tramite le fonti, prevedeva una colossale struttura architettonica isolata nello spazio, con una quarantina di statue, dimensionate in scala superiore al naturale, su tutte e quattro le facciate dell'architettura[58].  Il lavoro di scelta ed estrazione dei blocchi richiese otto mesi, dal maggio al dicembre del 1505[58].   Particolare dell'ipotetico profilo della montagna da scolpire come un Colosso, Casa Buonarroti, 44 A[59]  Ricostruzione ipotetica del primo progetto per la tomba di Giulio II (1505)[57] Secondo il fedele biografo Ascanio Condivi, in quel periodo Michelangelo pensò a un grandioso progetto, di scolpire un colosso nella montagna stessa[59], che potesse guidare i naviganti: i sogni di tale irraggiungibile grandezza facevano parte dopotutto della personalità dell'artista e non sono ritenuti frutto della fantasia del biografo, anche per l'esistenza di un'edizione del manoscritto con note appuntate su dettature di Michelangelo stesso (in cui l'opera è definita "una pazzia", ma che l'artista avrebbe realizzato se avesse potuto vivere di più). Nella sua fantasia Michelangelo sognava di emulare gli antichi con progetti che avrebbero richiamato meraviglie come il colosso di Rodi o la statua gigantesca di Alessandro Magno che Dinocrates, citato in Vitruvio, avrebbe voluto modellare nel Monte Athos[51].  Rottura e riconciliazione con il papa (1505-1508) Durante la sua assenza si mise in moto a Roma una sorta di complotto ai danni di Michelangelo, mosso dalle invidie tra gli artisti della cerchia papale. La scia di popolarità che aveva anticipato l'arrivo a Roma dello scultore fiorentino doveva infatti averlo reso subito impopolare tra gli artisti al servizio di Giulio II, minacciando il favore del pontefice e la relativa disposizione dei fondi che, per quanto immensi, non erano infiniti. Pare che fu in particolare il Bramante, architetto di corte incaricato di avviare - pochi mesi dopo la stipula del contratto della tomba - il grandioso progetto di rinnovo della basilica costantiniana, a distogliere l'attenzione del papa dal progetto della sepoltura, giudicata di cattivo auspicio per una persona ancora in vita e nel pieno di ambiziosi progetti[60].   La targa che a Bologna ricorda il soggiorno di Michelangelo del 1506 e la fusione della perduta statua di Giulio II benedicente (1506-1508) Fu così che nella primavera del 1506 Michelangelo, mentre tornava a Roma carico di marmi e di aspettative dopo gli estenuanti mesi di lavoro nelle cave, fece l'amara scoperta che il suo progetto mastodontico non era più al centro degli interessi del papa, accantonato in favore dell'impresa della basilica e di nuovi piani bellici contro Perugia e Bologna[61].  Il Buonarroti chiese invano un'udienza chiarificatrice per avere la conferma della commissione ma, non riuscendo a farsi ricevere nonché sentendosi minacciato (scrisse «s'i' stava a Roma penso che fussi fatta prima la sepoltura mia, che quella del papa»[61]), fuggì da Roma sdegnato e in tutta fretta, il 18 aprile 1506. A niente servirono i cinque corrieri papali mandati per dissuaderlo e tornare indietro, che lo inseguirono raggiungendolo a Poggibonsi. Rintanato nell'amata e protettiva Firenze, riprese alcuni lavori interrotti, come il San Matteo e la Battaglia di Cascina. Ci vollero ben tre brevi del papa inviati alla Signoria di Firenze e le continue insistenze del gonfaloniere Pier Soderini («Noi non vogliamo per te far guerra col papa e metter lo Stato nostro a risico»), perché Michelangelo prendesse infine in considerazione l'ipotesi della riconciliazione[61]. L'occasione venne data dalla presenza del papa a Bologna, dove aveva sconfitto i Bentivoglio: qui l'artista raggiunse il pontefice il 21 novembre 1506 e, in un incontro all'interno del Palazzo D'Accursio, narrato con toni coloriti dal Condivi, ottenne l'incarico di fondere una scultura in bronzo che rappresentasse lo stesso pontefice a figura intera, seduto e in grande dimensione, da collocare al di sopra della Porta Magna di Jacopo della Quercia, nella facciata della basilica civica di San Petronio.[61]  L'artista si fermò quindi a Bologna per il tempo necessario all'impresa, circa due anni. A luglio 1507 avvenne la fusione e il 21 febbraio 1508 l'opera venne scoperta e installata, ma non ebbe vita lunga. Poco amata per l'espressione del papa-conquistatore, più minacciosa che benevolente, fu abbattuta in una notte del 1511, durante il rovesciamento dalla città e il rientro temporaneo dei Bentivoglio[61]. I rottami, quasi cinque tonnellate di metallo, vennero inviati al duca di Ferrara Alfonso d'Este, rivale del papa, che li fuse in una bombarda, battezzata per dileggio la Giulia, mentre la testa bronzea era conservata in un armadio[62]. Una parvenza di come doveva apparire questo bronzo michelangiolesco possiamo averla osservando la scultura di Gregorio XIII, ancora oggi conservata sul portale del vicino Palazzo Comunale, forgiata da Alessandro Menganti nel 1580.  La volta della Cappella Sistina (1508-1512)  Lo stesso argomento in dettaglio: Volta della Cappella Sistina.  La volta della Cappella Sistina (1508-1512) «Senza aver visto la Cappella Sistina non è possibile formare un'idea completa di ciò che un uomo è capace di raggiungere.»  (Johann Wolfgang von Goethe)  I rapporti con Giulio II rimasero comunque sempre tempestosi, per il forte temperamento che li accomunava, irascibile e orgoglioso, ma anche estremamente ambizioso. A marzo del 1508 l'artista si sentiva sciolto dagli obblighi col pontefice, prendendo in affitto una casa a Firenze e dedicandosi ai progetti sospesi, in particolare quello degli Apostoli per la cattedrale. Nell'aprile Pier Soderini gli manifestò la volontà di affidargli una scultura di Ercole e Caco. Il 10 maggio però un breve papale lo raggiunge aggiungendogli di presentarsi alla corte papale[63].  Subito Giulio II decise di occupare l'artista con una nuova, prestigiosa impresa, la ridecorazione della volta della Cappella Sistina[64]. A causa del processo di assestamento dei muri, si era infatti aperta, nel maggio del 1504, una crepa nel soffitto della cappella rendendola inutilizzabile per molti mesi; rinforzata con catene poste nel locale sovrastante da Bramante, la volta aveva bisogno però di essere ridipinta. L'impresa si dimostrava di proporzioni colossali ed estremamente complessa, ma avrebbe dato a Michelangelo l'occasione di dimostrare la sua capacità di superare i limiti in un'arte quale la pittura, che tutto sommato non sentiva come sua e non gli era congeniale. L'8 maggio di quell'anno l'incarico venne dunque accettato e formalizzato[64].  Come nel progetto della tomba, anche l'impresa della Sistina fu caratterizzata da intrighi e invidie ai danni di Michelangelo, che sono documentati da una lettera del carpentiere e capomastro fiorentino Piero Rosselli spedita a Michelangelo il 10 maggio 1506. In essa il Rosselli racconta di una cena servita nelle stanze vaticane qualche giorno prima, a cui aveva assistito. Il papa in quell'occasione aveva confidato a Bramante l'intenzione di affidare a Michelangelo la ridipintura della volta, ma l'architetto urbinate aveva risposto sollevando dubbi sulle reali capacità del fiorentino, scarsamente esperto nell'affresco.  Nel contratto del primo progetto erano previsti dodici apostoli nei peducci, mentre nel campo centrale partimenti con decorazioni geometriche. Di questo progetto rimangono due disegni di Michelangelo, uno al British Museum e uno a Detroit.   Ignudo Insoddisfatto, l'artista ottenne di poter ampliare il programma iconografico, raccontando la storia dell'umanità "ante legem", cioè prima che Dio inviasse le Tavole della Legge: al posto degli Apostoli mise sette Profeti e cinque Sibille, assisi su troni fiancheggiati da pilastrini che sorreggono la cornice; quest'ultima delimita lo spazio centrale, diviso in nove scompartimenti attraverso la continuazione delle membrature architettoniche ai lati di troni; in questi scomparti sono raffigurati episodi tratti della Genesi, disposti in ordine cronologico partendo dalla parete dell'altare: Separazione della luce dalle tenebre, Creazione degli astri e delle piante, Separazione della terra dalle acque, Creazione di Adamo, Creazione di Eva, Peccato originale e cacciata dal Paradiso terrestre, Sacrificio di Noè, Diluvio universale, Ebbrezza di Noè; nei cinque scomparti che sormontano i troni lo spazio si restringe lasciando posto a Ignudi che reggono ghirlande con foglie di quercia, allusione al casato del papa cioè Della Rovere, e medaglioni bronzei con scene tratte dall'Antico Testamento; nelle lunette e nelle vele vi sono le quaranta generazioni degli Antenati di Cristo, riprese dal Vangelo di Matteo; infine nei pennacchi angolari si trovano quattro scene bibliche, che si riferiscono ad altrettanti eventi miracolosi a favore del popolo eletto: Giuditta e Oloferne, Davide e Golia, Punizione di Aman e il Serpente di bronzo. L'insieme è organizzato in un partito decorativo complesso, che rivela le sue indubbie capacità anche in campo architettonico,[65][66] destinate a rivelarsi pienamente negli ultimi decenni della sua attività[67].  Il tema generale degli affreschi della volta è il mistero della Creazione di Dio, che raggiunge il culmine nella realizzazione dell'uomo a sua immagine e somiglianza. Con l'incarnazione di Cristo, oltre a riscattare l'umanità dal peccato originale, si raggiunge il perfetto e ultimo compimento della creazione divina, innalzando l'uomo ancora di più verso Dio. In questo senso appare più chiara la celebrazione che fa Michelangelo della bellezza del corpo umano nudo. Inoltre la volta celebra la concordanza fra Antico e Nuovo Testamento, dove il primo prefigura il secondo, e la previsione della venuta di Cristo in ambito ebraico (con i profeti) e pagano (con le sibille).   Creazione di Adamo[68] Montato il ponteggio Michelangelo iniziò a dipingere le tre storie di Noè gremite di personaggi. Il lavoro, di per sé massacrante, era aggravato dall'insoddisfazione di sé tipica dell'artista, dai ritardi nel pagamento dei compensi e dalle continue richieste di aiuto da parte dei familiari[6]. Nelle scene successive la rappresentazione divenne via via più essenziale e monumentale: il Peccato originale e cacciata dal Paradiso terrestre e la Creazione di Eva mostrano corpi più massicci e gesti semplici ma retorici; dopo un'interruzione dei lavori, e vista la volta dal basso nel suo complesso e senza i ponteggi, lo stile di Michelangelo cambiò, accentuando maggiormente la grandiosità e l'essenzialità delle immagini, fino a rendere la scena occupata da un'unica grandiosa figura annullando ogni riferimento al paesaggio circostante, come nella Separazione della luce dalle tenebre. Nel complesso della volta queste variazioni stilistiche non si notano, anzi vista dal basso gli affreschi hanno un aspetto perfettamente unitario, dato anche dall'uso di un'unica, violenta cromia, recentemente riportata alla luce dal restauro concluso nel 1994.  In definitiva, la difficile sfida su un'impresa di dimensioni colossali e con una tecnica a lui non congeniale, con il diretto confronto coi grandi maestri fiorentini presso i quali si era formato (a partire da Ghirlandaio), poté dirsi pienamente riuscita oltre ogni aspettativa[64]. Lo straordinario affresco venne inaugurato la vigilia di Ognissanti del 1512[67]. Qualche mese dopo Giulio II moriva.  Il secondo e terzo progetto per la tomba di Giulio II (1513-1516)  Lo stesso argomento in dettaglio: Tomba di Giulio II.  Mosè (1513-1515 circa) Nel febbraio 1513, con la morte del papa, gli eredi decisero di riprendere il progetto della tomba monumentale, con un nuovo disegno e un nuovo contratto nel maggio di quell'anno. Si può immaginare Michelangelo desideroso di riprendere lo scalpello, dopo quattro anni di estenuante lavoro in un'arte che non era la sua prediletta. La modifica più sostanziale del nuovo monumento era l'addossamento a una parete e l'eliminazione della camera mortuaria, caratteristiche che vennero mantenute fino al progetto finale. L'abbandono del monumento isolato, troppo grandioso e dispendioso per gli eredi, comportò un maggiore affollamento di statue sulle facce visibili. Ad esempio le quattro figure sedute, invece che disporsi sulle due facciate, erano adesso previste in prossimità dei due angoli sporgenti sulla fronte. La zona inferiore aveva una partitura analoga, ma senza il portale centrale, sostituito da una fascia liscia che evidenziava l'andamento ascensionale. Lo sviluppo laterale era ancora consistente, poiché era ancora previsto il catafalco in posizione perpendicolare alla parete, sul quale la statua del papa giacente era retta, da due figure alate. Nel registro inferiore invece, su ciascun lato, restava ancora spazio per due nicchie che riprendevano lo schema del prospetto anteriore. Più in alto, sotto una corta volta a tutto sesto retta da pilastri, si trovava una Madonna col Bambino entro una mandorla e altre cinque figure[61].  Tra le clausole contrattuali c'era anche quella che legava l'artista, almeno sulla carta, a lavorare esclusivamente alla sepoltura papale, con un termine massimo di sette anni per il completamento[69].  Lo scultore si mise al lavoro di buona lena e sebbene non rispettò la clausola esclusiva per non precludersi ulteriori guadagni extra (come scolpendo il primo Cristo della Minerva, nel 1514), realizzò i due Prigioni oggi al Louvre (Schiavo morente e Schiavo ribelle) e il Mosè, che poi venne riutilizzato nella versione definitiva della tomba[69]. I lavori vennero spesso interrotti per viaggi alle cave di Carrara.  Nel luglio 1516 si giunse a un nuovo contratto per un terzo progetto, che riduceva il numero delle statue. I lati vennero accorciati e il monumento andava assumendo così l'aspetto di una monumentale facciata, mossa da decorazioni scultoree. Al posto della partitura liscia al centro della facciata (dove si trovava la porta) viene forse previsto un rilievo bronzeo e, nel registro superiore, il catafalco viene sostituito da una figura del papa sorretto come in una Pietà da due figure sedute, coronate da una Madonna col Bambino sotto una nicchia[61]. I lavori alla sepoltura vengono bruscamente interrotti dalla commissione da parte di Leone X dei lavori alla basilica di San Lorenzo[52].  Michelangelo e Sebastiano del Piombo In quegli stessi anni, una competizione sempre più accesa con l'artista dominante della corte papale, Raffaello, lo portò a stringere un sodalizio con un altro talentuoso pittore, il veneziano Sebastiano del Piombo. Occupato da altri incarichi, Michelangelo spesso forniva disegni e cartoni al collega, che li trasformava in pittura. Tra questi ci fu ad esempio la Pietà di Viterbo[70].  Nel 1516 nacque una competizione tra Sebastiano e Raffaello, scatenata da una doppia commissione del cardinale Giulio de' Medici per due pale destinate alla sua sede di Narbona, in Francia. Michelangelo offrì un cospicuo aiuto a Sebastiano, disegnando la figura del Salvatore e del miracolato nella tela della Resurrezione di Lazzaro (oggi alla National Gallery di Londra). L'opera di Raffaello invece, la Trasfigurazione, venne completata solo dopo la scomparsa dell'artista nel 1520[71].  A Firenze per i papi medicei La facciata di San Lorenzo (1516-1519)  Il modello ligneo del progetto di Michelangelo per San Lorenzo Nel frattempo il figlio di Lorenzo il Magnifico, Giovanni, era salito al soglio pontificio col nome di Leone X e la città di Firenze era tornata ai Medici nel 1511, comportando la fine del governo repubblicano con alcune apprensioni in particolare per i parenti di Michelangelo, che avevano perso incarichi d'ordine politico e i relativi compensi[72]. Michelangelo lavorò per il nuovo papa fin dal 1514, quando rifece la facciata della sua cappella a Castel Sant'Angelo (dal novembre, opera perduta); nel 1515 la famiglia Buonarroti ottenne dal papa il titolo di conti palatini[73].  In occasione di un viaggio del papa a Firenze nel 1516, la facciata della chiesa "di famiglia" dei Medici, San Lorenzo, era stata ricoperta di apparati effimeri realizzati da Jacopo Sansovino e Andrea del Sarto. Il pontefice decise allora di indire un concorso per realizzare una vera facciata, a cui parteciparono Giuliano da Sangallo, Raffaello, Andrea e Jacopo Sansovino, nonché Michelangelo stesso, su invito del papa. La vittoria andò a quest'ultimo, all'epoca impegnato a Carrara e Pietrasanta per scegliere i marmi per il sepolcro di Giulio II[72]. Il contratto è datato 19 gennaio 1518[73].  Il progetto di Michelangelo, per il quale vennero eseguiti numerosi disegni e ben due modelli lignei (uno è oggi a Casa Buonarroti) prevedeva una struttura a nartece con un prospetto rettangolare, forse ispirato a modelli di architettura classica, scandito da potenti membrature animate da statue in marmo, bronzo e da rilievi. Si sarebbe trattato di un passo fondamentale in architettura verso una concezione nuova di facciata, non più basata sulla mera aggregazione di elementi singoli, ma articolata in modo unitario, dinamico e fortemente plastico[74].  Il lavoro procedette però a rilento, a causa della scelta del papa di servirsi dei più economici marmi di Seravezza, la cui cava era mal collegata col mare, rendendo difficile il loro trasporto per via fluviale fino a Firenze. Nel settembre 1518 Michelangelo sfiorò anche la morte per una colonna di marmo che, durante il trasporto su un carro, si staccò colpendo micidialmente un operaio accanto a lui, un evento che lo sconvolse profondamente, come raccontò in una lettera a Berto da Filicaia datata 14 settembre 1518[75]. In Versilia Michelangelo creò la strada per il trasporto dei marmi, ancora oggi esistente (anche se ampliata nel 1567 da Cosimo I). I blocchi venivano calati dalla cava di Trambiserra ad Azzano, davanti al Monte Altissimo, fino al Forte dei Marmi (insediamento sorto proprio in quell'occasione) e da lì imbarcate in mare e spedite a Firenze tramite l'Arno.  Nel marzo 1520 il contratto fu rescisso, per la difficoltà dell'impresa e i costi elevati. In quel periodo Michelangelo lavorò ai Prigioni per la tomba di Giulio II, in particolare ai quattro incompiuti oggi alla Galleria dell'Accademia. Scolpì probabilmente anche la statua del Genio della Vittoria di Palazzo Vecchio e alla nuova versione del Cristo risorto per Metello Vari (opera portata a Roma nel 1521), rifinita da suoi assistenti e posta nella basilica di Santa Maria sopra Minerva[72]. Tra le commissioni ricevute e non portate a termine c'è una consulenza per Pier Soderini, per una cappella nella chiesa romana di San Silvestro in Capite (1518)[76].  La Sagrestia Nuova (1520-1534)  Lo stesso argomento in dettaglio: Sagrestia Nuova.  Sagrestia Nuova Il mutamento dei desideri papali venne causato dai tragici eventi familiari legati alla morte degli ultimi eredi diretti della dinastia medicea: Giuliano Duca di Nemours nel 1516 e, soprattutto, Lorenzo Duca d'Urbino nel 1519. Per ospitare degnamente i resti dei due cugini, nonché quelli dei fratelli Magnifici Lorenzo e Giuliano, rispettivamente padre e zio di Leone X, il papa maturò l'idea di creare una monumentale cappella funebre, la Sagrestia Nuova, da ospitare nel complesso di San Lorenzo. L'opera venne affidata a Michelangelo prima ancora del definitivo annullamento della commissione della facciata; dopotutto l'artista poco tempo prima, il 20 ottobre 1519, si era offerto al pontefice per realizzare una sepoltura monumentale per Dante in Santa Croce, manifestando quindi la sua disponibilità a nuovi incarichi[72]. La morte di Leone sospese il progetto solo per breve tempo, poiché già nel 1523 venne eletto suo cugino Giulio, che prese il nome di Clemente VII e confermò a Michelangelo tutti gli incarichi[72].  Il primo progetto michelangiolesco era quello di un monumento isolato al centro della sala ma, in seguito a discussioni con i committenti, lo cambiò prevedendo di collocare le tombe dei Capitani addossate al centro delle pareti laterali, mentre quelle dei Magnifici, addossate entrambe alla parete di fondo davanti all'altare.  L'opera venne iniziata nel 1525 circa: la struttura in pianta si rifaceva alla Sagrestia Vecchia, sempre nella chiesa di San Lorenzo, del Brunelleschi: a pianta quadrata e con piccolo sacello anch'esso quadrato. Grazie alle membrature, in pietra serena e a ordine gigante, l'ambiente acquista un ritmo più serrato e unitario; inserendo tra le pareti e le lunette un mezzanino e aprendo tra queste ultime delle finestre architravate, dà alla sala un potente senso ascensionale concluso nella volta a cassettoni di ispirazione antica.  Le tombe che sembrano far parte della parete, riprendono nella parte alta le edicole, che sono inserite sopra le otto porte dell'ambiente, quattro vere e quattro finte. Le tombe dei due capitani si compongono di un sarcofago curvilineo sormontato da due statue distese con le Allegorie del Tempo: in quella di Lorenzo il Crepuscolo e l'Aurora, mentre in quella di Giuliano la Notte e il Giorno. Si tratta di figure massicce e dalle membra poderose che sembrano gravare sui sarcofagi quasi a spezzarli e a liberare le anime dei defunti, ritratti nelle statue inserite sopra di essi. Inserite in una nicchia della parete, le statue non sono riprese dal vero ma idealizzate mentre contemplano: Lorenzo in una posa pensierosa e Giuliano con uno scatto repentino della testa. La statua posta sull'altare con la Madonna Medici è simbolo di vita eterna ed è fiancheggiata dalle statue dei Santi Cosma e Damiano (protettori dei Medici) eseguite su disegno del Buonarroti, rispettivamente da Giovanni Angelo Montorsoli e Raffaello da Montelupo.  All'opera, anche se non continuativamente, Michelangelo lavorò fino al 1534, lasciandola incompiuta: senza i monumenti funebri dei Magnifici, le sculture dei Fiumi alla base delle tombe dei Capitani e, forse, di affreschi nelle lunette. Si tratta comunque di uno straordinario esempio di simbiosi perfetta tra scultura e architettura[77].  Nel frattempo Michelangelo continuava a ricevere altre commissioni che solo in piccola parte eseguiva: nell'agosto 1521 inviò a Roma il Cristo della Minerva, nel 1522 un certo Frizzi gli commissionò una tomba a Bologna e il cardinale Fieschi gli chiese una Madonna scolpita, entrambi progetti mai eseguiti[76]; nel 1523 ricevette nuove sollecitazioni da parte degli eredi di Giulio II, in particolare Francesco Maria Della Rovere, e lo stesso anno gli venne commissionata, senza successo, una statua di Andrea Doria da parte del Senato genovese, mentre il cardinal Grimani, patriarca di Aquileia, gli chiese un dipinto o una scultura mai eseguiti[76]. Nel 1524 papa Clemente gli commissionò la biblioteca Medicea Laurenziana, i cui lavori avviarono a rilento, e un ciborio (1525) per l'altare maggiore di San Lorenzo, sostituito poi dalla Tribuna delle reliquie; nel 1526 si arrivò a una drammatica rottura coi Della Rovere per un nuovo progetto, più semplice, per la tomba di Giulio II, che venne rifiutato[72]. Altre richieste inevase di progetti di tombe gli pervengono dal duca di Suessa e da Barbazzi canonico di San Petronio a Bologna[72].  L'insurrezione e l'assedio (1527-1530)  Copia dalla Leda e il cigno di Michelangelo, alla National Gallery di Londra Un motivo comune nella vicenda biografica di Michelangelo è l'ambiguo rapporto con i propri committenti, che più volte ha fatto parlare di ingratitudine dell'artista verso i suoi patrocinatori. Anche con i Medici il suo rapporto fu estremamente ambiguo: nonostante siano stati loro a spingerlo verso la carriera artistica e a procurargli commissioni di altissimo rilievo, la sua convinta fede repubblicana lo portò a covare sentimenti di odio contro di essi, vedendoli come la principale minaccia contro la libertas fiorentina[77].  Fu così che nel 1527, arrivata in città la notizia del Sacco di Roma e del durissimo smacco inferto a papa Clemente, la città di Firenze insorse contro il suo delegato, l'odiato Alessandro de' Medici, cacciandolo e instaurando un nuovo governo repubblicano. Michelangelo aderì pienamente al nuovo regime, con un appoggio ben oltre il piano simbolico. Il 22 agosto 1528 si mise al servizio del governo repubblicano, riprendendo la vecchia commissione dell'Ercole e Caco (ferma dal 1508), che propose di mutare in un Sansone con due filistei[72]. Il 10 gennaio 1529 venne nominato membro dei "Nove di milizia", occupandosi di nuovi piani difensivi, specie per il colle di San Miniato al Monte[72]. Il 6 aprile di quell'anno riceve l'incarico di "Governatore generale sopra le fortificazioni", in previsione dell'assedio che le forze imperiali si apprestavano a cingere[77]. Visitò appositamente Pisa e Livorno nell'esercizio del proprio ufficio, e si recò anche a Ferrara per studiarne le fortificazioni (qui Alfonso I d'Este gli commissionò una Leda e il cigno, poi andata perduta[76]), rientrando a Firenze il 9 settembre[72]. Preoccupato per l'aggravarsi della situazione, il 21 settembre fuggì a Venezia, in previsione di trasferirsi in Francia alla corte di Francesco I, che però non gli aveva ancora fatto offerte concrete. Qui venne però raggiunto prima dal bando del governo fiorentino che lo dichiarò ribelle, il 30 settembre. Tornò allora nella sua città il 15 novembre, riprendendo la direzione delle fortezze[72].  Di questo periodo rimangono disegni di fortificazione, realizzate attraverso una complicata dialettica di forme concave e convesse che sembrano macchine dinamiche atte all'offesa e alla difesa. Con l'arrivo degli Imperiali a minacciare la città, a lui è attribuita l'idea di usare la platea di San Miniato al Monte come avamposto con cui cannoneggiare sul nemico, proteggendo il campanile dai pallettoni nemici con un'armatura fatta di materassi imbottiti.  Le forze in campo per gli assedianti erano però soverchianti e con la sua disperata difesa la città non poté altro che negoziare un trattato, in parte poi disatteso, che evitasse la distruzione e il saccheggio che pochi anni prima avevano colpito Roma. All'indomani del ritorno dei Medici in città (12 agosto 1530) Michelangelo, che sapeva di essersi fortemente compromesso e temendo quindi una vendetta, si nasconde rocambolescamente e riuscì a fuggire dalla città (settembre 1530), riparando a Venezia[77]. Qui restò brevemente, assalito da dubbi sul da farsi. In questo breve periodo soggiornò all'isola della Giudecca per mantenersi lontano dalla vita sfarzosa dell'ambiente cittadino e leggenda vuole che avesse presentato un modello per il ponte di Rialto al doge Andrea Gritti.   La sala di lettura della Biblioteca Medicea Laurenziana  Lo scalone nel vestibolo della Biblioteca Medicea Laurenziana La Biblioteca Medicea Laurenziana (1530-1534) Il perdono di Clemente VII non si fece però attendere, a patto che l'artista riprendesse immediatamente i lavori a San Lorenzo dove, oltre alla Sagrestia, si era aggiunto cinque anni prima il progetto di una monumentale libreria. È chiaro come il papa fosse mosso, più che dalla pietà verso l'uomo, dalla consapevolezza di non poter rinunciare all'unico artista capace di dare forma ai sogni di gloria della sua dinastia, nonostante la sua indole contrastata[77]. All'inizio degli anni trenta scolpì anche un Apollino per Baccio Valori, il feroce governatore di Firenze imposto dal papa[72].  La biblioteca pubblica, annessa alla chiesa di San Lorenzo, venne interamente progettata dal Buonarroti: nella sala di lettura si rifece al modello della biblioteca di Michelozzo in San Marco, eliminando la divisione in navate e realizzando un ambiente con le mura scandite da finestre sormontate da mezzanini tra pilastrini, tutti con modanature in pietra serena. Disegnò anche i banchi in legno e forse lo schema di soffitto intagliato e pavimento con decorazioni in cotto, organizzati in medesime partiture. Il capolavoro del progetto è il vestibolo, con un forte slancio verticale dato dalle colonne binate che cingono il portale timpanato e dalle edicole sulle pareti.  Solo nel 1558 Michelangelo fornì il modello in argilla per lo scalone, da lui progettato in legno, ma realizzato per volere di Cosimo I de' Medici, in pietra serena: le ardite forme rettilinee e ellittiche, concave e convesse, vengono indicate come una precoce anticipazione dello stile barocco.  Il 1531 fu un anno intenso: eseguì il cartone del Noli me tangere, proseguì i lavori alla Sagrestia e alla Liberia di San Lorenzo e per la stessa chiesa progettò la Tribuna delle reliquie; Inoltre gli vennero chiesti, senza esito, un progetto dal duca di Mantova, il disegno di una casa da Baccio Valori, e una tomba per il cardinale Cybo; le fatiche lo condussero anche a una grave malattia[72].  Nell'aprile 1532 si ebbe il quarto contratto per la tomba di Giulio II, con solo sei statue. In quello stesso anno Michelangelo conobbe a Roma l'intelligente e bellissimo Tommaso de' Cavalieri, con il quale si legò appassionatamente, dedicandogli disegni e composizioni poetiche[72]. Per lui approntò, tra l'altro, i disegni col Ratto di Ganimede e la Caduta di Fetonte, che sembrano precorrere, nella potente composizione e nel tema del compiersi fatale del destino, il Giudizio universale[78]. Rapporti molto tesi ebbe, invece, con il guardarobiere pontificio e Maestro di Camera Pietro Giovanni Aliotti, futuro vescovo di Forlì, che Michelangelo, considerandolo troppo impiccione, chiamava il Tantecose.  Il 22 settembre 1533 incontrò a San Miniato al Tedesco Clemente VII e, secondo la tradizione, in quell'occasione si parlò per la prima volta della pittura di un Giudizio universale nella Sistina[72]. Lo stesso anno morì il padre Ludovico[72].  Nel 1534 gli incarichi fiorentini procedevano ormai sempre più stancamente, con un ricorso sempre maggiore di aiuti[79].  L'epoca di Paolo III (1534-1545) Il Giudizio universale (1534-1541)  Giudizio universale  Cristo, dettaglio del Giudizio universale L'artista non approvava il regime politico tiranneggiante del duca Alessandro, per cui con l'occasione di nuovi incarichi a Roma, tra cui il lavoro per gli eredi di Giulio II, lasciò Firenze dove non mise mai più piede, nonostante gli accattivanti inviti di Cosimo I negli anni della vecchiaia[79].  Clemente VII gli aveva commissionato la decorazione della parete di fondo della Cappella Sistina con il Giudizio universale, ma non fece in tempo a vedere nemmeno l'inizio dei lavori, perché morì pochi giorni dopo l'arrivo dell'artista a Roma. Mentre l'artista riprendeva la Sepoltura di papa Giulio, venne eletto al soglio pontificio Paolo III, che non solo confermò l'incarico del Giudizio, ma nominò anche Michelangelo pittore, scultore e architetto del Palazzo Vaticano[72].  I lavori alla Sistina poterono essere avviati alla fine del 1536, per proseguire fino all'autunno del 1541. Per liberare l'artista dagli incarichi verso gli eredi Della Rovere Paolo III arrivò a emettere un motu proprio il 17 novembre 1536[72]. Se fino ad allora i vari interventi alla cappella papale erano stati coordinati e complementari, con il Giudizio si assistette al primo intervento distruttivo, che sacrificò la pala dell'Assunta di Perugino, le prime due storie quattrocentesche di Gesù e di Mosè e due lunette dipinte dallo stesso Michelangelo più di vent'anni prima[79].  Al centro dell'affresco vi è il Cristo giudice con vicino la Madonna che rivolge lo sguardo verso gli eletti; questi ultimi formano un'ellissi che segue i movimenti del Cristo in un turbine di santi, patriarchi e profeti. A differenza delle rappresentazioni tradizionale, tutto è caos e movimento, e nemmeno i santi sono esentati dal clima di inquietudine, attesa, se non paura e sgomento che coinvolge espressivamente i partecipanti.  Le licenze iconografiche, come i santi senza aureola, gli angeli apteri e il Cristo giovane e senza barba, possono essere allusioni al fatto che davanti al giudizio ogni singolo uomo è uguale. Questo fatto, che poteva essere letto come un generico richiamo ai circoli della Riforma Cattolica, unitamente alla nudità e alla posa sconveniente di alcune figure (santa Caterina d'Alessandria prona con alle spalle san Biagio), scatenarono contro l'affresco i severi giudizi di buona parte della curia. Dopo la morte dell'artista, e col mutato clima culturale dovuto anche al Concilio di Trento, si arrivò al punto di provvedere al rivestimento dei nudi e alla modifica delle parti più sconvenienti.  Una statua equestre Nel 1537, verso febbraio, il duca d'Urbino Francesco Maria I Della Rovere gli chiese un abbozzo per un cavallo destinato forse a un monumento equestre, che risulta completato il 12 ottobre. L'artista però si rifiutò di inviare il progetto al duca, poiché insoddisfatto. Dalla corrispondenza si apprende anche che entro i primi di luglio Michelangelo gli aveva progettato anche una saliera: la precedenza del duca rispetto a tante commissioni inevase di Michelangelo è sicuramente legata alla pendenza dei lavori alla tomba di Giulio II, di cui Francesco Maria era erede[76].  Quello stesso anno a Roma riceve la cittadinanza onoraria in Campidoglio[76].  Piazza del Campidoglio  Piazza del Campidoglio in una stampa di Étienne Dupérac (1568) Paolo III, al pari dei suoi predecessori, fu un entusiasta committente di Michelangelo.  Con il trasferimento sul Campidoglio della statua equestre di Marco Aurelio, simbolo dell'autorità imperiale e per estensione della continuità tra la Roma imperiale e quella papale, il papa incaricò Michelangelo, nel 1538, di studiare la ristrutturazione della piazza, centro dell'amministrazione civile romana fin dal Medioevo e in stato di degrado[76].  Tenendo conto delle preesistenze vennero mantenuti e trasformati i due edifici esistenti, già ristrutturati nel XV secolo da Rossellino, realizzando di conseguenza la piazza a pianta trapezoidale con sullo sfondo il palazzo dei Senatori, dotato di scala a doppia rampa, e delimitata ai lati da due palazzi: il Palazzo dei Conservatori e il cosiddetto Palazzo Nuovo costruito ex novo, entrambi convergenti verso la scalinata di accesso al Campidoglio. Gli edifici vennero caratterizzati da un ordine gigante a pilastri corinzi in facciata, con massicce cornici e architravi. Al piano terra degli edifici laterali i pilastri dell'ordine gigante sono affiancati da colonne che formano un insolito portico architravato, in un disegno complessivo molto innovativo che rifugge programmaticamente dall'uso dell'arco. Il lato interno del portico presenta invece colonne alveolate che in seguito ebbero una grande diffusione[80]. I lavori furono compiuti molto dopo la morte del maestro, mentre la pavimentazione della piazza fu realizzata solo ai primi del Novecento, utilizzando una stampa di Étienne Dupérac che riporta quello che doveva essere il progetto complessivo previsto da Michelangelo, secondo un reticolo curvilineo inscritto in un'ellisse con al centro il basamento ad angoli smussati per la statua del Marc'Aurelio, anch'esso disegnato da Michelangelo.  Verso il 1539 iniziò forse il Bruto per il cardinale Niccolò Ridolfi, opera dai significati politici legata ai fuorusciti fiorentini[72].  La Crocifissione per Vittoria Colonna (1541)  La copia della Crocifissione per Vittoria Colonna di Marcello Venusti Dal 1537 circa Michelangelo aveva iniziato la vivida amicizia con la marchesa di Pescara Vittoria Colonna: essa lo introdusse al circolo viterbese del cardinale Reginald Pole, frequentato, tra gli altri, da Vittore Soranzo, Apollonio Merenda, Pietro Carnesecchi, Pietro Antonio Di Capua, Alvise Priuli e la contessa Giulia Gonzaga.  In quel circolo culturale si aspirava a una riforma della Chiesa cattolica, sia interna sia nei confronti del resto della Cristianità, alla quale avrebbe dovuto riconciliarsi. Queste teorie influenzarono Michelangelo e altri artisti. Risale a quel periodo la Crocifissione realizzata per Vittoria, databile al 1541 e forse dispersa, oppure mai dipinta. Di quest'opera ci restano solamente alcuni disegni preparatori di incerta attribuzione, il più famoso è senz'altro quello conservato al British Museum, mentre buone copie si trovano nella concattedrale di Santa Maria de La Redonda e alla Casa Buonarroti. Inoltre esiste una tavola dipinta, la Crocefissione di Viterbo, tradizionalmente attribuita a Michelangelo, sulla base di un testamento di un conte viterbese datato al 1725, esposta nel Museo del Colle del Duomo di Viterbo, più ragionevolmente attribuibile ad ambiente michelangiolesco[81].  Secondo i progetti raffigurava un giovane e sensuale Cristo, simboleggiante un'allusione alle teorie riformiste cattoliche che vedevano nel sacrificio del sangue di Cristo l'unica via di salvezza individuale, senza intermediazioni della Chiesa e dei suoi rappresentanti.  Uno schema analogo presentava anche la cosiddetta Pietà per Vittoria Colonna, dello stesso periodo, nota da un disegno a Boston e da alcune copie di allievi.  In quegli anni a Roma Michelangelo poteva quindi contare su una sua cerchia di amici ed estimatori, tra cui oltre alla Colonna, Tommaso de' Cavalieri e artisti quali Tiberio Calcagni e Daniele da Volterra[79].  Cappella Paolina (1542-1550)  La Conversione di Saulo, dettaglio Nel 1542 il papa gli commissionò quella che rappresenta la sua ultima opera pittorica, dove ormai anziano lavorò per quasi dieci anni, in contemporanea ad altri impegni[79]. Il papa Farnese, geloso e seccato del fatto che il luogo ove la celebrazione di Michelangelo pittore raggiungesse i suoi massimi livelli fosse dedicato ai papi Della Rovere, gli affidò la decorazione della sua cappella privata in Vaticano che prese il suo nome (Cappella Paolina). Michelangelo realizzò due affreschi, lavorando da solo con faticosa pazienza, procedendo con piccole "giornate", fitte di interruzioni e pentimenti.  Il primo a essere realizzato, la Conversione di Saulo (1542-1545), presenta una scena inserita in un paesaggio spoglio e irreale, con compatti grovigli di figure alternati a spazi vuoti e, al centro, la luce accecante che da Dio scende su Saulo a terra; il secondo, il Martirio di san Pietro (1545-1550), ha una croce disposta in diagonale in modo da costituire l'asse di un ipotetico spazio circolare con al centro il volto del martire.  L'opera nel suo complesso è caratterizzata da una drammatica tensione e improntata a un sentimento di mestizia, generalmente interpretata come espressione della religiosità tormentata di Michelangelo e del sentimento di profondo pessimismo che caratterizza l'ultimo periodo della sua vita.  La conclusione dei lavori alla tomba di Giulio II (1544-1545)  La Tomba di Giulio II Dopo gli ultimi accordi del 1542, la tomba di Giulio II venne posta in essere nella chiesa di San Pietro in Vincoli tra il 1544 e il 1545 con le statue del Mosè, di Lia (Vita attiva) e di Rachele (Vita contemplativa) nel primo ordine.  Nel secondo ordine, al fianco del pontefice disteso con sopra la Vergine col Bambino si trovano una Sibilla e un Profeta. Anche questo progetto risente dell'influsso del circolo di Viterbo; Mosè uomo illuminato e sconvolto dalla visione di Dio è affiancato da due modi di essere, ma anche da due modi di salvezza non necessariamente in conflitto tra di loro: la vita contemplativa viene rappresentata da Rachele che prega come se per salvarsi usasse unicamente la Fede, mentre la vita attiva, rappresentata da Lia, trova la sua salvezza nell'operare. L'interpretazione comune dell'opera d'arte è che si tratti di una specie di posizione di mediazione tra Riforma e Cattolicesimo dovuta sostanzialmente alla sua intensa frequentazione con Vittoria Colonna e il suo entourage.  Nel 1544 disegnò anche la tomba di Francesco Bracci, nipote di Luigi del Riccio nella cui casa aveva ricevuto assistenza durante una grave malattia che l'aveva colpito in giugno[72]. Per tale indisposizione, nel marzo aveva rifiutato a Cosimo I de' Medici l'esecuzione di un busto[76]. Lo stesso anno avviarono i lavori al Campidoglio, progettati nel 1538.  Vecchiaia (1546-1564) Gli ultimi decenni di vita di Michelangelo sono caratterizzati da un progressivo abbandono della pittura e anche della scultura, esercitata ormai solo in occasione di opere di carattere privato. Prendono consistenza invece numerosi progetti architettonici e urbanistici, che proseguono sulla strada della rottura del canone classico, anche se molti di essi vennero portati a termine in periodi seguenti da altri architetti, che non sempre rispettarono il suo disegno originale[79].  Palazzo Farnese (1546-1550)  La facciata di Palazzo Farnese A gennaio 1546 Michelangelo si ammalò, venendo curato in casa di Luigi del Riccio. Il 29 aprile, ripresosi, promise una statua in bronzo, una in marmo e un dipinto a Francesco I di Francia, che però non riuscì a fare[76].  Con la morte di Antonio da Sangallo il Giovane nell'ottobre 1546, a Michelangelo vennero affidate le fabbriche di Palazzo Farnese e della basilica di San Pietro, entrambe lasciate incompiute dal primo[72].  Tra il 1547 e il 1550 l'artista progettò dunque il completamento della facciata e del cortile di Palazzo Farnese: nella facciata variò, rispetto al progetto del Sangallo, alcuni elementi che danno all'insieme una forte connotazione plastica e monumentale ma al tempo stesso dinamica ed espressiva. Per ottenere questo risultato accrebbe in altezza il secondo piano, inserì un massiccio cornicione e sormontò il finestrone centrale con uno stemma colossale (i due ai lati sono successivi).  Basilica di San Pietro in Vaticano (1546-1564)  Progetto per la basilica vaticana nell'incisione di Étienne Dupérac Per quanto riguarda la basilica vaticana, la storia del progetto michelangiolesco è ricostruibile da una serie di documenti di cantiere, lettere, disegni, affreschi e testimonianze dei contemporanei, ma diverse informazioni sono in contrasto tra loro. Infatti, Michelangelo non redasse mai un progetto definitivo per la basilica, preferendo procedere per parti[82]. In ogni caso, subito dopo la morte dell'artista toscano furono pubblicate diverse stampe nel tentativo di restituire una visione complessiva del disegno originario; le incisioni di Étienne Dupérac si imposero subito come le più diffuse e accettate[83].  Michelangelo pare che aspirasse al ritorno alla pianta centrale del Bramante, con un quadrato inscritto nella croce greca, rifiutando sia la pianta a croce latina introdotta da Raffaello Sanzio, sia i disegni del Sangallo, che prevedevano la costruzione di un edificio a pianta centrale preceduto da un imponente avancorpo.  Demolì parti realizzate dai suoi predecessori e, rispetto alla perfetta simmetria del progetto bramantesco, introdusse un asse preferenziale nella costruzione, ipotizzando una facciata principale schermata da un portico composto da colonne d'ordine gigante (non realizzato). Per la massiccia struttura muraria, che doveva correre lungo tutto il perimetro della fabbrica, ideò un unico ordine gigante a paraste corinzie con attico, mentre al centro della costruzione costruì un tamburo, con colonne binate (sicuramente realizzato dall'artista), sul quale fu innalzata la cupola emisferica a costoloni conclusa da lanterna (la cupola fu completata, con alcune differenze rispetto al presunto modello originario, da Giacomo Della Porta).  Tuttavia, la concezione michelangiolesca fu in gran parte stravolta da Carlo Maderno, che all'inizio del XVII secolo completò la basilica con l'aggiunta di una navata longitudinale e di un'imponente facciata sulla base delle spinte della Controriforma.  Nel 1547 morì Vittoria Colonna, poco dopo la scomparsa dell'altro amico Luigi del Riccio: si tratta di perdite molto amare per l'artista[72]. L'anno successivo, il 9 gennaio 1548 muore suo fratello Giovansimone Buonarroti. Il 27 agosto il Consiglio municipale di Roma propose di affidare all'artista il restauro del ponte di Santa Maria. Nel 1549 Benedetto Varchi pubblicò a Firenze "Due lezzioni", tenute su un sonetto di Michelangelo[72]. Nel gennaio del 1551 alcuni documenti della cattedrale di Padova accennano a un modello di Michelangelo per il coro[76].  La serie delle Pietà (1550-1555 circa)  La Pietà Bandini  La Pietà Rondanini Dal 1550 circa iniziò a realizzare la cosiddetta Pietà dell'Opera del Duomo (dalla collocazione attuale nel Museo dell'Opera del Duomo di Firenze), opera destinata alla sua tomba e abbandonata dopo che l'artista frantumò, in un accesso d'ira due o tre anni più tardi, il braccio e la gamba sinistra del Cristo, spezzando anche la mano della Vergine. Fu in seguito Tiberio Calcagni a ricostruire il braccio e rifinire la Maddalena lasciata dal Buonarroti allo stato di non-finito: il gruppo costituito dal Cristo sorretto dalla Vergine, dalla Maddalena e da Nicodemo è disposto in modo piramidale con al vertice quest'ultimo; la scultura viene lasciata a diversi gradi di finitura con la figura del Cristo allo stadio più avanzato. Nicodemo sarebbe un autoritratto del Buonarroti, dal cui corpo sembra uscire la figura del Cristo: forse un riferimento alla sofferenza psicologica che lui, profondamente religioso, portava dentro di sé in quegli anni.  La Pietà Rondanini venne definita, nell'inventario di tutte le opere rinvenute nel suo studio dopo la morte, come: "Un'altra statua principiata per un Cristo et un'altra figura di sopra, attaccate insieme, sbozzate e non finite".  Michelangelo nel 1561 donò la scultura al suo servitore Antonio del Francese continuando però ad apportarvi modifiche sino alla morte; il gruppo è costituito da parti condotte a termine, come il braccio destro di Cristo, e da parti non finite, come il torso del Salvatore schiacciato contro il corpo della Vergine quasi a formare un tutt'uno. Successivamente alla scomparsa di Michelangelo, in un periodo imprecisato, questa scultura fu trasferita nel palazzo Rondanini di Roma e da questi ha mutuato il nome. Attualmente si trova nel Castello Sforzesco, acquistata nel 1952 dalla città di Milano da una proprietà privata[84].  Le biografie Nel 1550 uscì la prima edizione delle Vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori di Giorgio Vasari che conteneva una biografia di Michelangelo, la prima scritta di un artista vivente, in posizione conclusiva dell'opera che celebrava l'artista come vertice di quella catena di grandi artefici che partiva da Cimabue e Giotto, raggiungendo nella sua persona la sintesi di perfetta padronanza delle arti (pittura, scultura e architettura) in grado non solo di rivaleggiare ma anche di superare i mitici maestri dell'antichità[85].  Nonostante le premesse celebrative ed encomiastiche, Michelangelo non gradì l'operazione, per le numerose scorrettezze e soprattutto per una versione a lui non congeniale della tormentata vicenda della tomba di Giulio II. L'artista allora in quegli anni lavorò con un suo fedele collaboratore, Ascanio Condivi, facendo pubblicare una nuova biografia che riportava la sua versione dei fatti (1553). A questa attinse Vasari, oltre che in seguito a una sua diretta frequentazione dell'artista negli ultimi anni di vita, per la seconda edizione delle Vite, pubblicata nel 1568[85].  Queste opere alimentarono la leggenda dell'artista, quale genio tormentato e incompreso, spinto oltre i propri limiti dalle condizioni avverse e dalle mutevoli richieste dei committenti, ma capace di creare opere titaniche e insuperabili[79]. Mai avvenuto fino ad allora era poi che questa leggenda si formasse quando ancora l'interessato era in vita[79]. Nonostante questa invidiabile posizione raggiunta dal Buonarroti in vecchiaia, gli ultimi anni della sua esistenza sono tutt'altro che tranquilli, animati da una grande tribolazione interiore e da riflessioni tormentate sulla fede, la morte e la salvezza, che si trovano anche nelle sue opere (come le Pietà) e nei suoi scritti[79].  Altri avvenimenti degli anni cinquanta Nel 1550 Michelangelo aveva terminato gli affreschi alla Cappella Paolina e nel 1552 era stato completato il Campidoglio. In quell'anno l'artista fornì anche il disegno per la scala nel cortile del Belvedere in Vaticano. In scultura lavorò alla Pietà e in letteratura si occupa delle proprie biografie.  Nel 1554 Ignazio di Loyola dichiarò che Michelangelo aveva accettato di progettare la nuova chiesa del Gesù a Roma, ma il proposito non ebbe seguito[76]. Nel 1555 l'elezione al soglio pontificio di Marcello II compromise la presenza dell'artista a capo del cantiere di San Pietro, ma subito dopo venne eletto Paolo IV, che lo confermò nell'incarico, indirizzandolo soprattutto ai lavori alla cupola. Sempre nel 1555 morirono suo fratello Gismondo e Francesco Amadori detto l'Urbino che lo aveva servito per ventisei anni[72]; una lettera a Vasari di quell'anno gli dà istruzioni per il compimento del ricetto della Libreria Laurenziana[76].  Nel settembre 1556 l'avvicinarsi dell'esercito spagnolo indusse l'artista ad abbandonare Roma per riparare a Loreto. Mentre faceva sosta a Spoleto venne raggiunto da un appello pontificio che lo obbligò a tornare indietro[72]. Al 1557 risale il modello ligneo per la cupola di San Pietro e nel 1559 fece disegni per la basilica di San Giovanni Battista dei Fiorentini, nonché per la cappella Sforza in Santa Maria Maggiore e per la scalinata della Biblioteca Medicea Laurenziana. Forse quell'anno avviò anche la Pietà Rondanini[72].  Porta Pia a Roma (1560)  Porta Pia Nel 1560 fece un disegno a Caterina de' Medici per la tomba di Enrico II. Inoltre lo stesso anno progetto la tomba di Giangiacomo de' Medici per il Duomo di Milano, eseguita poi da Leone Leoni[72].  Verso il 1560 progettò anche la monumentale Porta Pia, vera e propria scenografia urbana con la fronte principale verso l'interno della città. Il portale con frontone curvilineo interrotto e inserito in un altro triangolare è fiancheggiato da paraste scanalate, mentre sul setto murario ai lati si aprono due finestre timpanate, con al di sopra altrettanti mezzanini ciechi. Dal punto di vista del linguaggio architettonico, Michelangelo manifestò uno spirito sperimentale e anticonvenzionale tanto che si è parlato di "anticlassicismo"[86].  Santa Maria degli Angeli (1561)  Santa Maria degli Angeli; praticamente del progetto di Michelangelo sono visibili solo le volte Ormai vecchio, Michelangelo progettò nel 1561 una ristrutturazione della chiesa di Santa Maria degli Angeli all'interno delle Terme di Diocleziano e dell'adiacente convento dei padri certosini, avviati a partire dal 1562. Lo spazio della chiesa fu ottenuto con un intervento che, dal punto di vista murario, oggi si potrebbe definire minimale[87], con pochi setti di muro nuovi entro il grande spazio voltato del tepidarium delle terme, aggiungendo solo un profondo presbiterio e dimostrando un atteggiamento moderno e non distruttivo nei confronti dei resti archeologici.  La chiesa ha un insolito sviluppo trasversale, sfruttando tre campate contigue coperte a crociera, a cui sono aggiunte due cappelle laterali quadrate.  Console dell'Accademia delle Arti del Disegno Il 31 gennaio 1563 Cosimo I de' Medici fondò, su consiglio dell'architetto aretino Giorgio Vasari, l'Accademia e Compagnia dell'Arte del Disegno di cui viene subito eletto console proprio il Buonarroti. Mentre la Compagnia era una sorta di corporazione cui dovevano aderire tutti gli artisti operanti in Toscana, l'Accademia, costituita solo dalle più eminenti personalità culturali della corte di Cosimo, aveva finalità di tutela e supervisione sull'intera produzione artistica del principato mediceo. Si trattava dell'ultimo, accattivante invito rivolto a Michelangelo da parte di Cosimo per farlo tornare a Firenze, ma ancora una volta l'artista declinò: la sua radicata fede repubblicana doveva probabilmente renderlo incompatibile col servizio al nuovo duca fiorentino[79].  La morte  La tomba di Michelangelo in Santa Croce A un solo anno dalla nomina, il 18 febbraio 1564, quasi ottantanovenne, Michelangelo morì a Roma, nella sua modesta residenza di piazza Macel de' Corvi (distrutta quando venne creato il monumento a Vittorio Emanuele II), assistito da Tommaso de' Cavalieri. Si dice che fino a tre giorni prima avesse lavorato alla Pietà Rondanini[79]. Pochi giorni prima, il 21 gennaio, la Congregazione del Concilio di Trento aveva deciso di far coprire le parti "oscene" del Giudizio universale.  Nell'inventario redatto qualche giorno dopo il decesso (19 febbraio) sono registrati pochi beni, tra cui la Pietà, due piccole sculture di cui si ignorano le sorti (un San Pietro e un piccolo Cristo portacroce), dieci cartoni, mentre i disegni e gli schizzi pare che fossero stati bruciati poco prima di morire dal maestro stesso. In una cassa viene poi ritrovato un cospicuo "tesoretto", degno di un principe, che nessuno si sarebbe immaginato in un'abitazione tanto povera[76].  Le solenni esequie a Firenze La morte del maestro venne particolarmente sentita a Firenze, poiché la città non era riuscita a onorare il suo più grande artista prima della morte, nonostante i tentativi di Cosimo. Il recupero dei suoi resti mortali e la celebrazione di esequie solenni divenne quindi un'assoluta priorità cittadina[88]. A pochi giorni dalla morte, suo nipote Lionardo Buonarroti arrivò a Roma col preciso compito di recuperare la salma e organizzarne il trasporto, un'impresa forse ingigantita dal resoconto del Vasari nella seconda edizione delle Vite: secondo lo storico aretino i romani si sarebbero opposti alle sue richieste, desiderando inumare l'artista nella basilica di San Pietro, al che Lionardo avrebbe trafugato il corpo di notte e in gran segreto prima di riprendere la strada per Firenze[89].  Appena arrivata nella città toscana (11 marzo 1564), la bara venne portata in Santa Croce e ispezionata secondo un complesso cerimoniale, stabilito dal luogotenente dell'Accademia delle Arti del Disegno, Vincenzo Borghini. Si trattò del primo atto funebre (12 marzo) che, per quanto solenne, venne presto superato da quello del 14 luglio 1564 in San Lorenzo, patrocinato dalla casata ducale e degno più di un principe che di un artista. L'intera basilica venne addobbata riccamente con drappi neri e di tavole dipinte con episodi della sua vita; al centro venne predisposto un catafalco monumentale, ornato di pitture e sculture effimere, dalla complessa iconografia. L'orazione funebre venne scritta e letta da Benedetto Varchi, che esaltò "le lodi, i meriti, la vita e l'opere del divino Michelangelo Buonarroti"[89].  L'inumazione avvenne infine in Santa Croce, in un sepolcro monumentale disegnato da Giorgio Vasari, composto da tre figure piangenti che rappresentano la pittura, la scultura e l'architettura[89].  I funerali di Stato suggellarono lo status raggiunto dall'artista e furono la consacrazione definitiva del suo mito, come artefice insuperabile, capace di raggiungere vertici creativi in qualunque campo artistico e, più di quelli di qualunque altro, capaci di emulare l'atto della creazione divina.  Arma Stemma Blasonatura Cimiero D'azzurro a due cotisse d'oro, e il capo d'Angiò cucito, abbassato sotto un altro capo d'oro, caricato di una palla d'azzurro marcata di un giglio d'oro in mezzo alle lettere L. X. per concessione di papa Leone X. Un cane uscente con un osso in bocca. Rime  Frontespizio delle Rime, edizione 1960  Un sonetto sulle fatiche alla volta della Sistina, copiato in bella e con uno schizzo autografo Da lui considerata come una "cosa sciocca", la sua attività poetica si viene caratterizzando, a differenza di quella usuale nel Cinquecento influenzata dal Petrarca, da toni energici, austeri e intensamente espressivi, ripresi dalle poesie di Dante.  I più antichi componimenti poetici datano agli anni 1504-1505, ma è probabile che ne abbia realizzati anche in precedenza, dato che sappiamo che molti suoi manoscritti giovanili andarono perduti.  La sua formazione poetica avvenne probabilmente sui testi di Petrarca e Dante, conosciuti nella cerchia umanistica della corte di Lorenzo de' Medici. I primi sonetti sono legati a vari temi collegati al suo lavoro artistico, a volte raggiungono il grottesco con immagini e metafore bizzarre. Successivi sono i sonetti realizzati per Vittoria Colonna e per Tommaso de' Cavalieri; in essi Michelangelo si concentra maggiormente sul tema neoplatonico dell'amore, sia divino sia umano, che viene tutto giocato intorno al contrasto tra amore e morte, risolvendolo con soluzioni ora drammatiche, ora ironicamente distaccate.  Negli ultimi anni le sue rime si focalizzano maggiormente sul tema del peccato e della salvezza individuale; qui il tono diventa amaro e a volte angoscioso, tanto da realizzare vere e proprie visioni mistiche del divino.  «Di giorno in giorno insin da' mie prim'anni, Signor, soccorso tu mi fusti e guida, onde l'anima mia ancor si fida di doppia aita ne' mie doppi affanni[90].»  Le rime di Michelangelo incontrarono una certa fortuna negli Stati Uniti, nell'Ottocento, dopo la loro traduzione da parte del grande filosofo Ralph Waldo Emerson.  La tecnica scultorea di Michelangelo  Schizzo esplicativo per cavatori con blocchi e misure, Casa Buonarroti Da un punto di vista tecnico, Michelangelo scultore, come d'altronde spesso accade negli artisti geniali, non seguiva un processo creativo legato a regole fisse; ma in linea di massima sono comunque tracciabili dei principi consueti o più frequenti[91].  Innanzitutto Michelangelo fu il primo scultore che, nella pietra, non tentò mai di colorire né di dorare alcune parti delle statue; al colore preferiva infatti l'esaltazione del "morbido fulgore"[92] della pietra, spesso con effetti di chiaroscuro evidenti nelle statue rimaste prive dell'ultima finitura, con i colpi di scalpello che esaltano la peculiarità della materia marmorea[91].  Gli unici bronzi da lui eseguiti sono distrutti o perduti (il David De Rohan e il Giulio II benedicente); l'esiguità del ricorso a tale materiale mostra con evidenza come egli non amasse gli effetti "atmosferici" derivati dal modellare l'argilla. Egli dopotutto si dichiarava artista "del levare", piuttosto che "del mettere", cioè per lui la figura finale nasceva da un processo di sottrazione della materia fino al nucleo del soggetto scultoreo, che era come già "imprigionato" nel blocco di marmo. In tale materiale finito egli trovava il brillio pacato delle superfici lisce e limpide, che erano le più idonee per valorizzare l'epidermide delle solide muscolature dei suoi personaggi[91].  Studi preparatori  Studio per un dio fluviale nel blocco di marmo, 1520-1525, British Museum Il procedimento tecnico con cui Michelangelo scolpiva ci è noto da alcune tracce in studi e disegni e da qualche testimonianza. Pare che inizialmente, secondo l'uso degli scultori cinquecenteschi, predisponesse studi generali e particolari in forma di schizzo e studio. Istruiva poi personalmente i cavatori con disegni (in parte ancora esistenti) che fornissero un'idea precisa del blocco da tagliare, con misure in cubiti fiorentini, talora arrivando a delineare la posizione della statua entro il blocco stesso. A volte oltre ai disegni preparatori eseguiva dei modellini in cera o argilla, cotti o no, oggetto di alcune testimonianze, seppure indirette, e alcuni dei quali si conservano ancora oggi, sebbene nessuno sia sicuramente documentato. Più raro è invece, pare, il ricorso a un modello nelle dimensioni definitive, di cui resta però l'isolata testimonianza del Dio fluviale[91].  Col passare degli anni però dovette assottigliare gli studi preparatori in favore di un attacco immediato alla pietra mosso da idee urgenti, suscettibili tuttavia di essere profondamente mutate nel corso del lavoro (come nella Pietà Rondanini)[91].  Preparazione del blocco  Il Giorno, dettaglio  Il Crepuscolo, dettaglio  Tondo Pitti, dettaglio Il primo intervento sul blocco uscito dalla cava avveniva con la "cagnaccia", che smussava le superfici lisce e geometriche a seconda dell'idea da realizzare. Pare che solo dopo questo primo appropriarsi del marmo Michelangelo tracciasse sulla superficie resa irregolare un rudimentale segno col carboncino che evidenziava la veduta principale (cioè frontale) dell'opera. La tecnica tradizionale prevedeva l'uso di quadrati o rettangoli proporzionali per riportare le misure dei modellini a quelle definitive, ma non è detto che Michelangelo facesse tale operazione a occhio. Un altro procedimento delle fasi iniziali dello scolpire era quello di trasformare la traccia a carboncino in una serie di forellini che guidassero l'affondo via via che il segno a matita scompariva[91].  Sbozzatura A questo punto aveva inizio la vera e propria scolpitura, che intaccava il marmo a partire dalla veduta principale, lasciando intatte le parti più sporgenti e addentrandosi man mano negli strati più profondi. Questa operazione avveniva con un mazzuolo e con un grosso scalpello a punta, la subbia. Esiste una preziosa testimonianza di B. de Vigenère[93], che vide il maestro, ormai ultrasessantenne, accostarsi a un blocco in tale fase: nonostante l'aspetto "non dei più robusti" di Michelangelo, egli è ricordato mentre butta giù «scaglie di un durissimo marmo in un quarto d'ora», meglio di quanto avrebbero potuto fare tre giovani scalpellini in un tempo tre o quattro volte maggiore, e si avventa «al marmo con tale impeto e furia, da farmi credere che tutta l'opera dovesse andare in pezzi. Con un solo colpo spiccava scaglie grosse tre o quattro dita, e con tanta esattezza al segno tracciato, che se avesse fatto saltar via un tantin più di marmo correva il rischio di rovinar tutto»[91].  Sul fatto che il marmo dovesse essere "attaccato" dalla veduta principale restano le testimonianze di Vasari e Cellini, due devoti a Michelangelo, che insistono con convinzione sul fatto che l'opera dovesse essere lavorata inizialmente come se fosse un rilievo, ironizzando sul procedimento di avviare tutti i lati del blocco, trovandosi poi a constatare come le vedute laterali e tergale non coincidano con quella frontale, richiedendo quindi "rattoppi" con pezzi di marmo, secondo un procedimento che «è arte da certi ciabattini, i quali la fanno assai malamente»[94]. Sicuramente Michelangelo non usò "rattoppamenti", ma non è da escludere che durante lo sviluppo della veduta frontale egli non trascurasse le vedute secondarie, che ne erano diretta conseguenza. Tale procedimento è evidente in alcune opere non finite, come i celebri Prigioni che sembrano liberarsi dalla pietra[91].  Scolpitura e livellatura Dopo che la subbia aveva eliminato molto materiale, si passava alla ricerca in profondità, che avveniva tramite scalpelli dentati: Vasari ne descrisse di due tipi, il calcagnuolo, tozzo e dotato di una tacca e due denti, e la gradina, più fine e dotata di due tacche e tre o più denti. A giudicare dalle tracce superstiti, Michelangelo doveva preferire la seconda, con la quale lo scolpire procede «per tutto con gentilezza, gradinando la figura con la proporzione de' muscoli e delle pieghe»[95]. Si tratta di quei tratteggi ben visibili in varie opere michelangiolesche (si pensi al viso del Bambino nel Tondo Pitti), che spesso convivono accanto a zone appena sbozzate con la subbia o alle più semplici personalizzazioni iniziali del blocco (come nel San Matteo)[91].  La fase successiva consisteva nella livellatura con uno scalpello piano, che eliminava le tracce della gradina (una fase a metà dell'opera si vede nel Giorno), a meno che tale operazione non venisse fatta con la gradina stessa[91].  Rifinitura Appare evidente che il maestro, nell'impazienza di vedere palpitare le forme ideate, passasse da un'operazione all'altra, attuando contemporaneamente le diverse fasi operative. Restando sempre evidente la logica superiore che coordinava le diverse parti, la qualità dell'opera appariva sempre altissima, pur nei diversi livelli di finitezza, spiegando così come il maestro potesse interrompere il lavoro quando l'opera era ancora "non-finita", prima ancora dell'ultima fase, spesso approntata dagli aiuti, in cui si levigava la statua con raschietti, lime, pietra pomice e, in ultimo, batuffoli di paglia. Questa levigatura finale, presente ad esempio nella Pietà vaticana garantiva comunque quella straordinaria lucentezza, che si distaccava dalla granulosità delle opere dei maestri toscani del Quattrocento[91].  Il non finito di Michelangelo  Non-finito nella Pietà Bandini Una delle questioni più difficili per la critica, nella pur complessa opera michelangiolesca, è il nodo del non finito. Il numero di statue lasciate incompiute dall'artista è infatti così elevato da rendere improbabile che le uniche cause siano fattori contingenti estranei al controllo dello scultore, rendendo alquanto probabile una sua volontà diretta e una certa compiacenza per l'incompletezza[96].  Le spiegazioni proposte dagli studiosi spaziano da fattori caratteriali (la continua perdita di interesse dell'artista per le commissioni avviate) a fattori artistici (l'incompiuto come ulteriore fattore espressivo): ecco che le opere incompiute paiono lottare contro il materiale inerte per venire alla luce, come nel celebre caso dei Prigioni, oppure hanno i contorni sfocati che differenziano i piani spaziali (come nel Tondo Pitti) o ancora diventano tipi universali, senza caratteristiche somatiche ben definite, come nel caso delle allegorie nelle tombe medicee[96].  Alcuni hanno collegato la maggior parte degli incompiuti a periodi di forte tormento interiore dell'artista, unito a una costante insoddisfazione, che avrebbe potuto causare l'interruzione prematura dei lavori. Altri si sono soffermati su motivi tecnici, legati alla particolare tecnica scultorea dell'artista basata sul "levare" e quasi sempre affidata all'ispirazione del momento, sempre soggetta a variazioni. Così una volta arrivati all'interno del blocco, a una forma ottenuta cancellando via la pietra di troppo, poteva capitare che un mutamento d'idea non fosse più possibile allo stadio raggiunto, facendo mancare i presupposti per poter portare avanti il lavoro (come nella Pietà Rondanini)[96].  La personalità  Lo stesso argomento in dettaglio: Aspetti psichici nell'opera di Michelangelo.  Una delle versioni del ritratto di Michelangelo di Daniele da Volterra La leggenda dell'artista geniale ha spesso messo in seconda luce l'uomo nella sua interezza, dotato anche di debolezze e lati oscuri. Queste caratteristiche sono state oggetto di studi in anni recenti, che, sfrondando l'aura divina della sua figura, hanno messo a nudo un ritratto più veritiero e accurato di quello che emerge dalle fonti antiche, meno accondiscendente ma sicuramente più umano[89].  Tra i difetti più evidenti della sua personalità c'erano l'irascibilità (alcuni sono arrivati a ipotizzare che avesse la sindrome di Asperger[97]), la permalosità, l'insoddisfazione continua. Numerose contraddizioni animano il suo comportamento, tra cui spiccano, per particolare forza, l'atteggiamento verso i soldi e i rapporti con la famiglia, che sono due aspetti comunque intimamente correlati[89].   Michelangelo si autoritrasse forse come pelle senza corpo nel Giudizio universale Sia il carteggio, sia i libri di Ricordi di Michelangelo fanno continue allusioni ai soldi e alla loro scarsità, tanto che sembrerebbe che l'artista vivesse e fosse morto in assoluta povertà. Gli studi di Rab Hatfield sui suoi depositi bancari e i suoi possedimenti hanno tuttavia delineato una situazione ben diversa, dimostrando come durante la sua esistenza egli riuscì ad accumulare una ricchezza immensa. Basta come esempio l'inventario redatto nella dimora di Macel de' Corvi all'indomani della sua morte: la parte iniziale del documento sembra confermare la sua povertà, registrando due letti, qualche capo di vestiario, alcuni oggetti di uso quotidiano, un cavallo; ma nella sua camera da letto viene poi rinvenuto un cofanetto chiuso a chiave che, una volta aperto, dimostra un tesoro in contanti degno di un principe. A titolo di esempio con quel contante l'artista avrebbe potuto benissimo comprarsi un palazzo, essendo una cifra superiore a quella sborsata in quegli anni (nel 1549) da Eleonora di Toledo per l'acquisto di Palazzo Pitti[89].  Ne emerge quindi una figura che, benché ricca, viveva nell'austerità spendendo con grande parsimonia e trascurandosi fino a limiti impensabili: Condivi ricorda ad esempio come fosse solito non togliersi gli stivali prima di andare a letto, come facevano gli indigenti[89].  Questa marcata avarizia e l'avidità, che continuamente gli fanno percepire in maniera distorta il proprio patrimonio, sono sicuramente dovute a ragioni caratteriali, ma anche a motivazioni più complesse, legate al difficile rapporto con la famiglia[96]. La penosa situazione economica dei Buonarroti doveva averlo intimamente segnato e forse aveva come desiderio quello di lasciar loro una cospicua eredità per risollevarne le sorti. Ma ciò è contraddetto apparentemente dai suoi rifiuti di aiutare il padre e i fratelli, giustificandosi con un'immaginaria mancanza di liquidi, mentre in altre occasioni arrivava a chiedere la restituzione di somme prestate in passato, accusandoli di vivere delle sue fatiche, se non di approfittarsi spudoratamente della sua generosità[96].  La presunta omosessualità  La tomba di Cecchino Bracci nella basilica di Santa Maria in Aracoeli a Roma, realizzata su disegno di Michelangelo Diversi storici[98] hanno affrontato il tema della presunta omosessualità di Michelangelo esaminando i versi dedicati ad alcuni uomini (Febo Dal Poggio, Gherardo Perini, Cecchino Bracci, Tommaso de' Cavalieri). Si veda, ad esempio, il sonetto dedicato a Tommaso de' Cavalieri - scritto nel 1534 - in cui Michelangelo denunciava l'abitudine del popolo di vociare sui suoi rapporti amorosi:  «E se 'l vulgo malvagio, isciocco e rio, di quel che sente, altrui segna e addita, non è l'intensa voglia men gradita, l'amor, la fede e l'onesto desìo.[99]»  Sul disegno della Caduta di Fetonte, al British Museum, Michelangelo scrisse una dedica a Tommaso de' Cavalieri.  Molti sonetti furono dedicati anche a Cecchino Bracci, di cui Michelangelo disegnò il sepolcro nella Basilica di Santa Maria in Aracoeli. In occasione della morte prematura di Cecchino, Buonarroti scrisse un epitaffio (pubblicato la prima volta solo nel 1960) dalla forte ambiguità carnale[101]:  «La carne terra, e qui l'ossa mie, prive de' lor begli occhi, e del leggiadro aspetto fan fede a quel ch'i' fu' grazia nel lecto, che abbracciava e 'n che l'anima vive.[102]»  In realtà, l'epitaffio non dice nulla su tale presunta relazione tra i due. Del resto, gli epitaffi di Michelangelo furono commissionati da Luigi Riccio e da questi retribuiti mediante doni di natura gastronomica, mentre la conoscenza tra il Buonarroti e il Bracci fu solo marginale[103].  I numerosi epitaffi scritti da Michelangelo per Cecchino furono pubblicati postumi dal nipote, che però, spaventato dalle implicazioni omoerotiche del testo, avrebbe modificato in più punti il sesso del destinatario, facendone una donna[104]. Le edizioni successive avrebbero ripreso il testo censurato, e solo l'edizione Laterza delle Rime, nel 1960, avrebbe ristabilito la dizione originaria.  Il tema del nudo maschile in movimento è comunque centrale in tutta l'opera michelangiolesca, tanto che è celebre la sua attitudine a rappresentare anche le donne coi tratti spiccatamente mascolini (un esempio su tutti, le Sibille della volta della Cappella Sistina)[100]. Non è una prova inconfutabile di attitudini omosessuali, ma è innegabile che Michelangelo non ritrasse mai una sua "Fornarina" o una "Violante", anzi i protagonisti della sua arte sono sempre vigorosi individui maschili.  Nel 1536 o 1538 è da collocarsi il primo incontro con Vittoria Colonna. Nel 1539 la donna rientrò a Roma e lì crebbe l'amicizia con Michelangelo, che la amò (almeno dal punto di vista platonico) enormemente e su cui ebbe una grande influenza, verosimilmente anche religiosa. A lei l'artista dedicò alcuni tra i più profondi e potenti componimenti poetici della sua vita[100].  Il biografo Ascanio Condivi ricordò anche come l'artista dopo la morte della donna si rammaricava di non aver mai baciato il viso della vedova nello stesso modo in cui aveva stretto la sua mano.  Michelangelo non prese mai moglie e non sono documentate sue relazioni amorose né con donne né con uomini. In tarda età si dedicò a un'intensa e austera religiosità[100].  Le fonti su Michelangelo  Ritratto di Michelangelo nella seconda edizione delle Vite di Vasari Michelangelo è l'artista che, forse più di qualunque altro, incarna il mito di personalità geniale e versatile, capace di portare a termine imprese titaniche, nonostante le complesse vicende personali, le sofferenze e il tormento dovuto al difficile momento storico, fatto di sconvolgimenti politici, religiosi e culturali. Una fama che non si è affievolita coi secoli, restando più che mai viva anche ai giorni nostri.  Se il suo ingegno e il suo talento non sono mai stati messi in discussione, nemmeno dai più agguerriti detrattori, ciò da solo non basta a spiegarne l'aura leggendaria, né sono sufficienti la sua irrequietezza, o la sofferenza e la passione con cui partecipò alle vicende della sua epoca: sono tratti che, almeno in parte, sono riscontrabili anche in altri artisti vissuti più o meno nella sua epoca. Sicuramente il suo mito si alimentò anche di sé stesso, nel senso che Michelangelo fu il primo e più efficace dei suoi promotori, come emerge dalle fonti fondamentali per ricostruire la sua biografia e la sua vicenda artistica e personale: il carteggio e le tre biografie che lo riguardarono al suo tempo[85].  Il carteggio Nella sua vita Michelangelo scrisse numerose lettere che in larga parte sono state conservate in archivi e raccolte private, tra cui spicca il nucleo collezionato dai suoi discendenti a casa Buonarroti. Il carteggio integrale di Michelangelo è stato pubblicato nel 1965 e dal 2014 è interamente consultabile online.  Nei suoi scritti l'artista descrive spesso i propri stati d'animo e si sfoga delle preoccupazioni e i tormenti che lo affliggono; inoltre nello scambio epistolare approfitta spesso per riportare la propria versione dei fatti, soprattutto quando si trova accusato o messo in cattiva luce, come nel caso dei numerosi progetti avviati e poi abbandonati prima del completamento. Spesso si lamenta dei committenti che gli volgono le spalle e lancia pesanti accuse contro chi lo ostacola o lo contraddice. Quando si trova in difficoltà, come nei momenti più oscuri della lotta con gli eredi della Rovere per il monumento sepolcrale a Giulio II, il tono delle lettere si fa più acceso, trovando sempre una giustificazione della propria condotta, ritagliandosi la parte di vittima innocente e incompresa. Si può arrivare a parlare di un disegno ben preciso, attraverso le numerose lettere, teso a scagionarlo da tutte le colpe e a procurarsi un'aura eroica e di grande resistenza ai travagli della vita[107].  La prima edizione delle Vite di Vasari (1550) Nel marzo del 1550, Michelangelo, quasi settantacinquenne, si vide pubblicata una sua biografia nel volume delle Vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori scritto dall'artista e storico aretino Giorgio Vasari e pubblicato dall'editore fiorentino Lorenzo Torrentino. I due si erano conosciuti brevemente a Roma nel 1543, ma non si era instaurato un rapporto sufficientemente consolidato da permettere all'aretino di interrogare Michelangelo. Si trattava della prima biografia di un artista composta quando era ancora in vita, che lo indicava come il punto di arrivo di una progressione dell'arte italiana che va da Cimabue, primo in grado di rompere con la tradizione "greca", fino a lui, insuperabile artefice in grado di rivaleggiare con i maestri antichi[85].  Nonostante le lodi l'artista non approvò alcuni errori, dovuti alla mancata conoscenza diretta tra i due, e soprattutto ad alcune ricostruzioni che, su temi caldi come quello della sepoltura del papa, contraddicevano la sua versione costruita nei carteggi[107]. Vasari dopotutto pare che non avesse cercato documenti scritti, affidandosi quasi esclusivamente ad amicizie più o meno vicine al Buonarroti, tra cui Francesco Granacci e Giuliano Bugiardini, già suoi collaboratori, che però esaurivano i loro contatti diretti con l'artista poco dopo dell'avvio dei lavori alla Cappella Sistina, fino quindi al 1508 circa[108]. Se la parte sulla giovinezza e sugli anni venti a Firenze appare quindi ben documentata, più vaghi sono gli anni romani, fermandosi comunque al 1547, anno in cui dovette essere completata la stesura[108].  Tra gli errori che più ferirono Michelangelo c'erano le disinformazioni sul soggiorno presso Giulio II, con la fuga da Roma che era stata attribuita all'epoca della volta della Cappella Sistina, dovuta a un litigio col papa per il rifiuto a svelargli in anticipo gli affreschi: Vasari conosceva i forti disappunti tra i due ma all'epoca ne ignorava completamente le cause, cioè la disputa sulla penosa vicenda della tomba[109].  La biografia di Ascanio Condivi  Non è un caso che appena tre anni dopo, nel 1553, venne data alle stampe una nuova biografia di Michelangelo, opera del pittore marchigiano Ascanio Condivi, suo discepolo e collaboratore. Il Condivi è una figura di modesto rilievo nel panorama artistico e anche in campo letterario, a giudicare da scritti certamente autografi come le sue lettere, doveva essere poco portato. L'elegante prosa della Vita di Michelagnolo Buonarroti è infatti assegnata dalla critica ad Annibale Caro, intellettuale di spicco molto vicino ai Farnese, che ebbe almeno un ruolo di guida e revisore[107].  Per quanto riguarda i contenuti, il diretto responsabile dovette essere quasi certamente Michelangelo stesso, con un disegno di autodifesa e celebrazione personale pressoché identico a quello del carteggio. Lo scopo dell'impresa letteraria era quello espresso nella prefazione: oltre a fare d'esempio ai giovani artisti, doveva "sopplire al difetto di quelli, et prevenire l'ingiuria di questi altri", un chiaro riferimento agli errori di Vasari[107].  La biografia del Condivi non è quindi scevra da interventi selettivi e ricostruzioni di parte. Se si dilunga molto sugli anni giovanili, essa tace ad esempio sull'apprendistato alla bottega del Ghirlandaio, per sottolineare il carattere impellente e autodidatta del genio, avversato dal padre e dalle circostanze. Più rapida è la rassegna degli anni della vecchiaia, mentre il cardine del racconto riguarda la "tragedia della sepoltura" (l'interminabile iter per la tomba di Giulio II), ricostruita molto dettagliatamente e con una vivacità che ne fa uno dei passi più interessanti del volume. Gli anni immediatamente precedenti all'uscita della biografia furono infatti quelli dei rapporti più difficili con gli eredi Della Rovere, minati da duri scontri e minacce di denuncia alle pubbliche autorità e di richiesta degli anticipi versati, per cui è facile immaginare quanto premesse all'artista fornire una sua versione della vicenda.  Altra pecca della biografia del Condivi è che, a parte rare eccezioni come il San Matteo e le sculture per la Sagrestia Nuova, essa tace sui numerosi progetti non finiti, come se con il passare degli anni il Buonarroti fosse ormai turbato dal ricordo delle opere lasciate incompiute[108].  La seconda edizione delle Vite di Vasari (1568) A quattro anni dalla scomparsa dell'artista e a diciotto dal primo lavoro, Giorgio Vasari pubblicò una nuova edizione delle Vite per l'editore Giunti, riveduta, ampliata e aggiornata. Quella di Michelangelo in particolare era la biografia più rivisitata e la più attesa dal pubblico, tanto da venire pubblicata anche in un libretto a parte dallo stesso editore. Con la morte la leggenda dell'artista si era infatti ulteriormente accresciuta e Vasari, protagonista delle esequie a Michelangelo svoltesi solennemente a Firenze, non esita a riferirsi a lui come al "divino" artista. Rispetto all'edizione precedente appare chiaro come in quegli anni Vasari si sia maggiormente documentato e come abbia avuto modo di accedere a informazioni di prima mano, grazie a un forte legame diretto che si era stabilito tra i due.  Il nuovo racconto è quindi molto più completo e verificato anche da numerosi documenti scritti. Le lacune vennero colmate con la sua frequentazione dell'artista negli anni del lavoro presso Giulio III (1550-1554) e con l'appropriazione di interi brani della biografia del Condivi, un vero e proprio "saccheggio" letterario: identici sono alcuni paragrafi e la conclusione, senza alcuna menzione della fonte, anzi l'unica citazione del marchigiano si ha per rinfacciargli l'omissione dell'apprendistato presso la bottega del Ghirlandaio, fatto invece noto da documenti riportati dallo stesso Vasari[109].  La completezza della seconda edizione è motivo di vanto per l'aretino: "tutto quel [...] che si scriverrà al presente è la verità, né so che nessuno l'abbi più praticato di me e che gli sia stato più amico e servitore fedele, come n'è testimonio fino chi nol sa; né credo che ci sia nessuno che possa mostrare maggior numero di lettere scritte da lui proprio, né con più affetto che egli ha fatto a me".  I Dialoghi romani di Francisco de Hollanda L'opera che da alcuni storici è stata considerata testimonianza delle idee artistiche di Michelangelo sono i Dialoghi romani scritti da Francisco de Hollanda come completamento del suo trattato sulla natura dell'arte De Pintura Antiga, scritto verso il 1548[110] e rimasto inedito fino al XIX secolo.  Durante il suo lungo soggiorno italiano, prima di tornare in Portogallo, l'autore, allora giovanissimo, aveva frequentato, intorno al 1538, Michelangelo allora impegnato nell'esecuzione del Giudizio universale, all'interno del circolo di Vittoria Colonna. Nei Dialoghi fa intervenire Michelangelo come personaggio a esprimere le proprie idee estetiche confrontandosi con lo stesso de Hollanda.  Tutto il trattato, espressione dell'estetica neoplatonica, è comunque dominato dalla gigantesca figura di Michelangelo, come figura esemplare dell'artista genio, solitario e malinconico, investito di un dono "divino", che "crea" secondo modelli metafisici, quasi a imitazione di Dio. Michelangelo diventò così, nell'opera di De Hollanda e in genere nella cultura occidentale, il primo degli artisti moderni.  Caratteristiche fisiche Nel 2021 il paleopatologo Francesco M. Galassi e l'antropologa forense Elena Varotto del FAPAB Research Center di Avola, in Sicilia, hanno esaminato le scarpe e una pantofola conservate a Casa Buonarroti, che la tradizione ritiene appartenute al genio rinascimentale, ipotizzando che l'artista fosse alto circa 1 metro e 60[113]: un dato concorde con quanto sostenuto dal Vasari, il quale nella sua biografia dell'artista sostiene che il maestro fosse "di statura mediocre, di spalle largo, ma ben proporzionato con tutto il resto del corpo.  Opere  Lo stesso argomento in dettaglio: Opere di Michelangelo. Opere letterarie Rime di Michelangelo Buonarroti raccolte da Michelangelo suo Nipote, in Firenze, appresso i Giunti, 1623. Rime di Michelangelo Buonarroti il Vecchio, con il commento di G. Biagioli, Parigi, presso l'editore in via Rameau nº 8, 1821. Rime e lettere, precedute dalla vita dell'autore scritta da Ascanio Condivi, Firenze, Barbèra, Le rime di Michelangelo Buonarroti, a cura di Cesare Guasti, Le Monnier, Firenze, 1863. Le lettere di Michelangelo Buonarroti, a cura di Gaetano Milanesi, Le Monnier, Firenze, 1875. Die Dichtungen des Michelagniolo Buonarroti, a cura di C. Frey, Berlino, 1897 Edizioni moderne:  Rime, Prefazione di A. Castaldo, Roma, Oreste Garroni Editore, 1910. Le rime e le lettere, precedute dalla vita di Michelangelo per Luigi Venturi, Collana Classici Italiani, Milano, Istituto Editoriale Italiano; Milano, Bietti, 1933. Poesie, Prefazione di Giovanni Amendola, Lanciano, Carabba, 1920. Le rime, Prefazione e note di Foratti, Milano, R. Caddeo, 1921. Lettere e rime, per cura di Guido Vitaletti, Torino, SEI, 1925. Le rime, Introduzione, note e cura di Valentino Piccoli, Collezione Classici Italiani, Torino, UTET. Rime, a cura di Gustavo Rodolfo Ceriello, Collana BUR, Rizzoli, Milano, 1954. Rime, a cura di Enzo Noè Girardi, Laterza, Bari, 1960. Il carteggio di Michelangelo, edizione postuma di Giovanni Poggi, a cura di Paola Barocchi e Renzo Ristori, 5 voll., Firenze, S.P.E.S., 1965-83. Rime, premessa, note e cura di Ettore Barelli, Introduzione di Giovanni Testori, Milano, Rizzoli, 1975; Fabbri Editore, 1995-2001. Rime e lettere, a cura di Paola Mastrocola, UTET, Torino, 1992-2015; De Agostini, 2015. Rime, a cura di Matteo Residori, Introduzione di Mario Baratto, con un saggio di Thomas Mann, Collana Oscar Classici, Milano, Mondadori, 1998. Rime, a cura di Stella Fanelli, Prefazione di Cristina Montagnani, Garzanti, Milano, 2006. Le rime di Michelangelo, a cura di Marzio Pieri e Luana Salvarani, La Finestra Editrice, Trento, 2006, ISBN 978-88-880-9771-8. [riproduce l'edizione delle Rime stampate a Firenze nel 1623] Rime, a cura di T. Gurrieri, Collana Classici, Firenze, Barbès. Rime, a cura di Paolo Zaja, Collana Classici, Milano, BUR-Rizzoli, Canzoniere, a cura di Maria Chiara Tarsi, Biblioteca di scrittori italiani, Milano, Guanda, Rime e lettere, A cura di Antonio Corsaro e Giorgio Masi, Collezione Classici della letteratura europea, Milano, Bompiani, 2016, ISBN 978-88-452-8291-1. Omaggi Michelangelo è stato raffigurato sulla banconota da 10.000 lire italiane dal 1962 al 1977.  Film e documentari cortometraggio - Rolla e Michelangelo di Romolo Bacchini (1909) documentario - Michelangelo di Kurt Oertel (1938) documentario - Il titano, storia di Michelangelo di Kurt Oertel (1950) film tv - Vita di Michelangelo di Silverio Blasi (1964) lungometraggio - Il tormento e l'estasi di Carol Reed (1965) documentario - Michelangelo: The Last Giant di Tom Priestley (1966) documentario - The Secret of Michelangelo di Milton Fruchtman (1968) film tv - La primavera di Michelangelo di Jerry London (1990) cortometraggio - Lo sguardo di Michelangelo di Michelangelo Antonioni (2004) documentario - The Divine Michelangelo di Tim Dunn e Stuart Elliott (2004) film tv - Michelangelo Superstar di Wolfgang Ebert e Martin Papirowski lungometraggio - Michelangelo - Infinito con Enrico Lo Verso (2018) film lungometraggio - "Il peccato - Il furore di Michelangelo" di A. Konchalovsky Opere teatrali e musicali Ferdinand Avenarius, Faust bei Michelangelo, in: Kunstwart Hugo Ball, Die Nase des Michelangelo, Leipzig, 1911 Anita Barbiani, Michelangelo, Sarzana, Domenico Bolognese, Michelangelo Buonarroti, Napoli, 1872 Georg Braun, Raphael Sanzio von Urbino, Mainz, Bussotti, Nottetempo, Milano, 1976 Salvatore Cammarano, Luigi Rolla, Trieste, 1872 Barry Cornwall, Michelangelo, in: Dramatic Scenes and other poems, London 1857 Pietro Cossa, I Borgia, in: Teatro in versi, Torino, Etienne Delrieu, Michel Ange, Paris, 1802 Wilhelm Dunker, Michelangelo, Stettin, Eberlein, Michelangelo, Roma 1942 Dietrich Eckart, Lorenzaccio, München, 1918 Konrad Falke, Michelangelo, in: Dramatische Werke, vol. V, Zurich, 1933 Arthur Fitger, Michelangelo, Bremen, 1874 Giorgio Giachetti, Rolla, Napoli, Paolo Giacometti, Michelangelo Buonarroti, in: Teatro, Milano, 1874 Joseph A. 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Note  Casa natale di Michelangelo, su casanatalemichelangelo Michelangelo, divino artista, testimone della storia, su vaticannews.va, 31 ottobre 2020. URL consultato il 6 settembre 2024. ^ Ne Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori lo storico Giorgio Vasari tracciò un ideale percorso di rinnovamento delle arti che partiva da Cimabue e arrivava a Michelangelo. ^ Gilberto Michelagnoli e Filippo Michelagnoli, Michelagnoli. Storia di una famiglia., Masso delle Fate, 2021, ISBN 978-88-6039-536-8. ^ La notizia è ricordata in una nota del padre. Nella nota è riportata la data 6 marzo 1474, la mattina «inanzi di 4 o 5 ore». Secondo il calendario fiorentino era l'anno 1474, mentre nella notazione comune è il 1475.  Camesasca, p. 83.  Alvarez Gonzáles, p. 10. ^ Forcellino, p. 6. ^ Forcellino, Gonzáles Ascanio Condivi, Vita di Michelangelo Buonarroti, Capurro, Forcellino, Forcellino, p. 17. ^ Giorgio Vasari, Le vite de' piu eccellenti pittori scultori, e architettori, apresso i Giunti, Gonzáles, p. 13. ^ Francesco Razeto, La Cappella Tornabuoni a Santa Maria Novella, in AA.VV., Cappelle del Rinascimento a Firenze, Editrice Giusti, Firenze Farkas, La prima opera di Michelangelo finisce a un museo del Texas, in Corriere della Sera, Condivi, cit., p. 10.  Alvarez Gonzáles, p. 14. ^ Forcellino, pp. 32-33. ^ Alvarez Gonzáles, p. 32.  Alvarez Gonzáles, p. 34. ^ Alvarez Gonzáles, p. 15. ^ Forcellino, p. 43. ^ Forcellino, p. 44. ^ Baldini, p. 89.  Alvarez Gonzáles, p. 16. ^ Alvarez Gonzáles, p. 38. ^ De Vecchi-Cerchiari, pp. 48-49. ^ Forcellino, p. 55. ^ Alvarez Gonzáles, p. 40. ^ Forcellino, Camesasca, p. 86. ^ Baldini, p. 92.  Forcellino, p. 63. ^ Alvarez Gonzáles, p. 19. ^ Condivi ^ Forcellino, p. 77. ^ Forcellino, p. 83. ^ Milena Magnano, Leonardo, collana I Geni dell'arte, Mondadori Arte, Milano Marinazzo, Una nuova possible attribuzione a Michelangelo. 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Nella pieve della Cappella ad Azzano Michelangelo scolpì il rosone e forse anche un colonnato, opere perdute durante i bombardamenti.  Baldini, p. cit.  Alvarez Gonzáles, p. 27. ^ Heusinger, cit., pag. 305  Alvarez Gonzáles, p. 29. ^ Francesco Benelli, “Variò tanto della comune usanza degli altri”: the function of the encased column and what Michelangelo made of it in the Palazzo dei Conservatori at the Campidoglio in Rome, in Annali di architettura, Crocifissione di Viterbo Brodini, San Pietro in Vaticano, in Michelangelo architetto a Roma, Cinisello Balsamo, Zanchettin, Il tamburo della cupola di San Pietro, in Michelangelo architetto a Roma, Cinisello Balsamo, Tartuferi e Fabrizio Mancinelli, Michelangelo. 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Si tratta della prima occorrenza del termine "creare" in rapporto all'attività di un artista: Elisabetta Di Stefano, La libertà del Genio, Francisco de Hollanda e la teoria della creazione artistica, in "Il concetto di libertà nel Rinascimento" atti del convegno, Galassi ed Elena Varotto, THE ALLEGED SHOES OF MICHELANGELO BUONARROTI: ANTHROPOMETRICAL CONSIDERATIONS, in Anthropologie, Percivaldi, Le scarpe di Michelangelo rivelano la "statura" dell'artista, in BBC History Italia, Michelangelo era alto 1 metro e 60, prova dalle sue scarpe - Toscana, su Agenzia ANSA, Foglia, Michelangelo nel Teatro, collana La Ricerca Umanistica, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Apollino del Bargello Giorgio Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori, Firenze, Torrentini, Ascanio Condivi, Vita di Michelangelo Buonarroti raccolta per Ascanio Condivi da La Ripa Transone, Roma, Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori, Firenze, Grandi Tascabili Economici Newton Roma, 2003. 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Modifica su Wikidata V · D · M Michelangelo Buonarroti Portale Architettura   Portale Biografie   Portale Letteratura   Portale Pittura   Portale Rinascimento Portale Scultura Categorie: Pittori italiani Pittori italiani Scultori italiani Scultori italiani  Architetti italiani Architetti italiani NNati a Caprese Michelangelo Morti a Roma Michelangelo Buonarroti Buonarroti Poeti italiani Sepolti nella basilica di Santa CrocePoeti italiani del XV secolo Architetti rinascimentaliArtisti di scuola fiorentinaPittori italiani del RinascimentoPoeti italiani trattanti tematiche LGBTPersonalità celebrate nel calendario liturgico luterano[altre]. ZD_A.'V"IID f MILANO DITTA GAETANO BRIGO LA DI G. OTTINO E C. 1883, * *. LA MENTE DI MICHELANGELO Digitized by th Internet Archive in 2015 https://archive.org/details/lamentedimichelaOOIevi ID-A-VIID LETTI Li MENTE MICHELANGELO MILANO DITTA GAETANO ERIGOLA DI G. OTTINO E C. 1883. PROPRIET LETTERARIA MILANO, 1383  TIP. GOLIO. PARTE PRIMA LA CAPPELLA SISTINA LA CAPPELLA SISIINA i. Quando Michelangelo, dopo un lavoro indefesso di venti mesi, senza aiuto pure di chi gli macinasse i colori (i), ab- battuti i ponti, scopri al pubblico i dipinti della vlta della Sistina, tutta Roma accorse ad ammirare lopera meravi- gliosa. Mancava il ritoccarla collazzurro oltremarino a seccore con oro in qualche luogo perch paresse pi ricca. Giulio II voleva che la fornisse. Bisognerebbe pur ritoccarla d'oro, (1) Vasari. Vita di Michelangelo.  Gaetano Milanesi nelle sue an- notazioni al Vasari (Sansoni, editore, Firenze 1881, pag. 177) scrive: Non sintende come un artista pratico qual era il Vasari abbia potuto scrivere che in venti mesi, ecc.  M. Paride de Grassi, cameriere se- greto di papa Giulio II, nel suo Diario, ci dice, che nel 1512 erano tut- tavia in piedi i ponti; anzi, che nemmeno alla morte di papa Giulio, avvenuta nel 1513, la cappella era aperta al pubblico. Non sarebbero dunque pi n venti n ventun mese, ma quattro anni, ne quali il Buonarroti condusse a fine quella stupenda opera della vlta della Sistina. 4 PARTE PRIMA gli disse,  la sar povera.   Quei che sono quivi di- pinti, rispose il Buonarroti, furon poveri aneli essi. Cosi, aggiunge il suo diligente biografo Ascanio Condivi, si butt in burla ed  cosi rimasta! Ma la burla, come ogni detto di quel sommo, involgeva un pensiero profondo. I profeti, le sibille, gli esseri umani ad un tempo e divini dipinti nella Sistina erano poveri s, ma Toro lavevano nella mente e nel cuore; gli  tutta una miniera ricca del piu prezioso dei metalli chessi avevano nel cuore, e che lartista profuse nel suoi dipinti, e i secoli non cesseranno di sfruttare senza esaurirla. E i secoli passarono sulla vlta meravigliosa, ogni et l'ammir, la medit, ne scrisse. Ogni classe di persone, ogni razza, ogni popolo vi rinvenne alcuna parte di s, un riflesso del suo pensiero, un riverbero dellanima sua; pochi o forse nessuno, ch'io sappia, seppero sinora abbracciarne il vasto e ardito concepimento nel suo complesso, estrarre il metallo prezioso, il tesoro nascosto nelle cavit e nei meandri de suoi filoni, e produrlo alla luce. II. I dipinti Michelangioleschi della Sistina, sono tutto un poema; vasta epopea che ha riscontro con quella Dantesca, e ne  il complemento. Poema sacro esso pure, cui hanno posto mano e cielo e terra, e sul quale si pu scolpire, come sul frontale di quello di Dante:  Giustizia mosse il mio alto fattore, a E giustizia sociale, un alto concepimento del diritto indi- LA CAPPELLA SISTINA. 5 viduale e umano, moveva il suo pennello, e ispirava sulla vlta quasi un epilogo della storia dei popoli, e ne stam- pava poscia, sopra il muro di fronte, la nuova Apocalisse dellUniversale, Giudizio. Sinora di questo lavoro, in Italia sopratutto, non si am- mir che la forma. Litaliano, artista innamorato delle apparenze e delle esteriorit, rado o mai suole penetrare di una grande opera oltre la corteccia. Indagare il signifi- cato, sviscerare il pensiero che alita sotto la forma, non suole o non osa; non suole perch troppo spesso si pasce o si piace della magia delle forme, e si arresta alle appa- renze; non osa, perch il pensiero fu schiavo della paura, dei pregiudizi e delle violenze dei poteri ecclesiastici e politici, che sinora lo tennero incatenato e schiavo. Av- venne quindi che ognuno si strinse ad ammirare il vasto lavoro ad un punto di veduta particolare. Cos larchi- tetto si arrest ad ammirare la struttura del claustro mar- moreo coronato della robusta cornice architravata, e larte mirabile con cui nella parete, interpolata da pilastri spor- genti, movesi come una corona d insenamenti a guisa di cattedra, e nellapertura spettrale, seguendo la simmetria dellaula, lartista la chiuse ad intervalli simulandovi get- tate cinque grandi arcature a botte, nascenti dagli acro- teri delle cattedre disegnate. Ne descrisse 1 ardita combi- nazione architettonica, per cui venne lo spazio aereo diviso in nove compartimenti alternatamente uguali, e ammir quel miracolo di fecondit, per cui in ogni lato nei vani delletere, nel vlto dei grandi archi, nei quadrilateri cur- vilinei, negli angoli della vlta, per tutto rifluisce e palpita la vita, e poi nellintero claustro, negli acroteri, piedestalli, timpani, mensole, gli  un succedersi, scaglionarsi di figure 6 PARTE PRIMA diverse per forma, per et, per misura, per carattere; tal che il sommo artista sembra aver qui convocati tutti i po- poli, le razze, per raffigurarvi i tipi principali che rappre- sentano il genere umano. % Il pittore poi soleva arrestarsi sbalordito a studiare la perfezione degli scrti, la stupenda rotondit dei contorni, che accoppiano alla forza tanta leggiadria, grazia e svel- tezza, gl ignudi in cui mostra gli estremi e la perfezione dell arte, le attitudini bellissime e svariate, la potenza dei lumi e delle ombre, il girare delle linee negli scrti e nella prospettiva, le difficolt dell'arte superate, lo spiccato ri- lievo dei gruppi, delle figure, che imprime alla pittura T energia scultoria. Tutti poi, gli architetti, i pittori, come il volgo, che visitavano la meravigliosa cappella, ammi- rando lespressione delle figure, le movenze, ben si avve- devano, sentivano, che quelle figure innumerevoli erano unite da uno spirito, dominate da un pensiero, da un con- cetto generale... Ma qual era quel concetto? Quale lo spirito che corre su di loro, e le guida ad unopera comune, e ne forma la unit? I teologi dell'epoca ed i critici che si succedettero, non vollero mirare nei soggetti dipinti che la riproduzione dei soggetti biblici e religiosi, gi da altri in tanti modi trat- tati e dipinti, cio le storie e le leggende bibliche della creazione, del diluvio, la creazione e la caduta delluomo, poscia i profeti e le sibille, banditori alle genti della ve- nuta del Messia, e la progenie di Davide in attesa del Re- dentore. LA. CAPPELLA SISTINA. 7 Per tal guisa questo dipinto non significherebbe che lannuncio e la genealogia del Salvatore. Ma tal spiega- zione non regge, se altri si fa ad esaminare minutamente ne suoi particolari, come nellinsieme, la volta. Infatti molti critici osservavano, come Michelangelo abbia sempre sde- gnato, al pari dei genii superiori, di calcare i sentieri gi battuti cos nella forma come nel pensiero. Egli soleva dire  chi si abitua a seguire altrui, non andr mai avanti  e cantava:  Io vo per vie non calpestate e sole.  Egli aprivasi vie nuove, inesplorate ancora. Come si era creato uno stile proprio, e in esso raggiunse la perfezione, cos interpretava in un modo proprio i grandi soggetti religiosi e storici. E i fatti, come i personaggi biblici, gli eroi dellantico e del nuovo Testamento erano per lui i mezzi, glistrumenti per manifestare il suo pensiero; egli ringiovaniva i soggetti antichi, non solo di forme, ma di pensiero; incarnava in loro le idee proprie, come accadde nel David, nel Mos, nella stessa Piet, forme nuove cor- rispondenti alla filosofa e alla nuova fede, alle quali si era sollevata la sua mente. Inoltre, in questo affollamento di figure, di forme, di sim- boli che saddensano sulla volta, non rinvieni pure un sim- bolo, una traccia del Cristianesimo ortodosso e della li- turgia cattolica. Mentre che i teologi ripetono che rappresenta la genea- logia del Cristo, la sua glorificazione, non trovi traccia delle storie evangeliche, non un simbolo dei miti della Chiesa Romana. Non S. Giovanni che precede Ges, non 8 PARTE PRIMA s. Giuseppe, non Maria, non Ges bambino, non vestigia del mistero o della leggenda della Passione. Una folla di putti incontri in ogni angolo, ma quale di essi ricorda pure T aspetto, le movenze di Ges bambino? Come manca il Bambino, cosi non ci ritrovi pure un cenno o episodio della vita o della morte di Ges. Del Cristianesimo ufficiale non un'ombra; vi sfolgoreggia tutto il mondo antico biblico, parte del mondo pagano e del moderno addombrato, epi- logato, scolpito; del Cristianesimo, dei suoi fasti, del suo martirologio, nessuna traccia. Ci era pur stato osservato dai coetanei. Sino dal secolo quindicesimo si disse che i dipinti della vlta e del Giu- dizio contengono alcuni sensi allegorici, che vengono intesi da pochi, e nei nostri tempi quel valente artista e scrittore che fu il Giovanni Dupr, soleva dire, che il giorno di spiegare il concetto riposto nelle opere del Buonarroti non era sorto ancora, e il Dolci nel suo Dialogo sulla Pittura , scrive :  Parrebbe che egli avesse imitato quei gran filo-  soli che nascondevano sotto il velo di poesia, misteri  grandissimi della filosofia umana e divina, affine che  ei non fossero intesi dal volgo.... per che Michelangelo  non vuol che le sue invenzioni vengano intese se non  da pochi e dotti, e non vuol gettare ai porci le mar-  gherite.  Non  per al volgo che i filosofi e pensatori italiani in- tendevano celare il loro pensiero, ma erano costretti dalla tristizia dei tempi a velarlo e dissimularlo, per sottrarsi ai sospetti e alle persecuzioni della Curia Romana, e ad ab- bandonarli all'avvenire. LA CAPPELLA SISTINA. 9 IV. E lavvenire non poteva spiegarlo che alla luce della li- bert. Di questa feconda epoca del Risorgimento, all'Italia non venne sinora concesso di studiare che il lato esteriore; letteratura ed arti plastiche; solo in questo ultimo periodo, alla luce delle libert rivendicate, si cominci ad indagarne il lato religioso, politico e filosofico, ed  questo tutto un tesoro di idee e di concepimenti che giacque sinora in gran parte obliato (1). I brevi confini che io mi sono imposto in questo saggio, non mi consentono pur di compendiare questo lavoro filo- sofico ad un tempo e religioso, che si and compiendo ora nelle accademie, ora nei sodalizi delle stte segrete, ora nella vita pubblica; mi limito ad accennare alcune parti che pi si riattaccano al mio soggetto. Serpeggiavano in Italia, sino dal principio del medio evo, numerose le stte religiose, come quelle dei Cattari, dei Patterini, dei Templari. A queste nel secolo decimoquarto e quinto, in sui primordi del Rinascimento, si erano aggiunte le filosofiche. Firenze era divenuta una vasta accademia, (l) Mi sia concesso fra questi indagatori e scrittori ricordarne due dei pi eruditi e coraggiosi ; il Villari colla sua stupenda Vita del Savonarola, e il suo recente e vasto lavoro sopra Macchiavelli; e il Fiorentino, che va risuscitando col Pomponaccio e col Bruno la li- bera filosofia italica ; a questi vorrei pure aggiungere il nome del mio amico Berti, che mi auguro fosse meno politicante per poter conti- nuare e compiere gli eruditi suoi lavori sui grandi del nostro Rina- scimento. io TARTE PRIMA dove si potevano liberamente professare e discutere tutte le dottrine e tutte le opinioni filosofiche e religiose: il Giu- daismo, la Cabala, lAvcroismo, il Gnosticismo, il Neopla- tonismo, lo Scetticismo, 1* Umanismo politeistico, T Epicu- reismo, e quanti sistemi possiamo immaginare, avevano in Firenze espositori e difensori (1). Il movimento da Firenze si era diffuso a Bologna, a Padova, a Venezia e a Milano. La stessa Roma aveva le sue accademie segrete religiose e politiche, sino dalla prima met del XV secolo. Durante il pontificato di Pio II, si era fondata unaccademia platonica di cui erano membri Bartolomeo Plutino, Pomponio Leto, Agostino Campanio ed altri; accademia, che venne in ap- prsso sciolta da Paolo II. Molti dei suoi membri, accusati come paganizzanti, miscredenti, cospiranti a rivendicare la libert di Roma, furono imprigionati, torturati od uccisi. Per a Firenze, sopratulto ai tempi di Lorenzo il Magni- fico, si godeva la maggior libert; ivi la vita intellettuale si svolgeva orgogliosa in tutte le sue splendide forme, era un rifiorimento filosofico ed artistico che accennava a dare presto o tardi i pi rigogliosi frutti, quando non fosse stato soffocato ne suoi primordi, insieme colle libert politiche. Quivi convenivano Angelo Poliziano, Marsilio Ficino, Cri- stoforo Landino, Roberto Salviati, Pico della Mirandola, Mattia Paimeri, Alamanno Rinuccini, il Filelfo ed altri. Gli studi filosofici si confondevano coi religiosi. Si voleva pro- vare le verit del Cristianesimo colle dottrine di Platone; (1) In Firenze, scrive il Villari, quei dotti e lItalia iniziavano allora una nuova civilt. Per tutto erano cattedre affollate, universit fiori- tissime, un'attivit&incredibile di studi, ecc.  ( Vita del Saconarola). LA CAPPELLA SISTINA. li coi versi di Virgilio e dOmero erano interpretati Isaia e  Salmi. Vi si era costituita una specie di scuola o di sttai la quale ispirandosi alle dottrine platoniche, alessandrine, non si limitava allo studio dell antichit, ma tendeva ad eser- citare unazione riformatrice negli ordini religiosi e sociali. Questa scuola, mentre copiava, traduceva e diffondeva con ardente zelo i codici dellantichit classica e sacra, mirava a fondare sulle tradizioni antiche, tutto un nuovo sistema filosofico, religioso. Non si arrestava, come la cri- tica moderna, alla fredda disamina dei libri antichi, alla parte archeologica e filologica, ma continuando il pensiero religioso e filosofico dell' antichit^ lo contrapponeva agli ordini esistenti, e ne faceva unarma per combattere la scolastica e la filosofia del medio evo. Era una critica che demoliva, ad un tempo, il medio evo e la sua ortodossia, e cercava nelle antiche civilt gli elementi per elevare un nuovo edificio religioso e morale. La cattedrale medioevale pareva troppo angusta e tenebrosa alle loro menti. Sentivano che il gran nemico dell umanit era il medio evo; conveniva svincolare i popoli dalle sue spire per ele- varli ad orizzonti pi larghi e sereni. Cosi Genesto Pletone si riprometteva il trionfo dei numi antichi; Marsilio Ficino intendeva scrivere la sua grande opera sulla Teologia Pla- tonica in senso pagano; il Landino vaticinava che prima della fine del secolo avverrebbe una grande mutazione nella religione cristiana. Principi, filosofi, letterati, poeti sattende- vano a prossimi rivolgimenti religiosi, chessi preparavano colle opere, colle accademie e gli studi, e tentavano di trasci- nare in questa tacita cospirazione, persino alcuni dei grandi pontefici del Rinascimento. Per questi innovatori prudenti 12 PARTE PRIMA e cauti, non combattevano di fronte la Chiesa, anzi ne pra- ticavano i riti e professavano, a parole, obbedienza e de- vozione, ma dicevano anzi che conveniva studiare nella antichit classica e nei sistemi filosofici di ogni popolo, quanto si accoglieva di bello, di retto e luminoso, per meglio comprendere i dogmi cristiani. Per non si limitavano a stu- diare le origini del Cristianesimo, nei soli dettati dei Concilii e nei rituali e storie ecclesiastiche, ma risalivano alle fonti primitive della Bibbia, della Cabala, della filosofa alessan- drina e dei primi padri della Chiesa, e sopra queste basi pensavano fondare la nuova religione dellumanit, un nuovo Cristianesimo, e diremo la Chiesa dellavvenire. Essi ave- vano iniziato quel lavoro di ricerche e di critiche, che negli ultimi tempi condussero con tanto successo in Germania, in Francia, in Olanda a scrutare le origini del Cristiane- simo, studiandole nella filosofia cabalistica alessandrina e nella teologia e nei misteri pagani; interpretavano i dogmi colle occulte dottrine cabalistiche; dichiaravano bens di volersi attenere fedelmente alle dottrine della Chiesa, ma nel fondo le manomettevano, le scalzavano e sostituivano ad esse un razionalismo critico, un ecletticismo religioso. Perocch, secondo la dottrina loro, le religioni antiche, come la mosaica e la cristiana, avevano un doppio significato, il volgare od allegorico, e il filosofico o recondito; nel signi- ficato volgare si discostavano le une dalle altre, nel filo- sofico si ravvicinavano e si confondevano insieme. Capo di quella scuola era stato Genesto di Costantinopoli, che per la sua profonda conoscenza di Platone era appel- lato Genesto Pletone; egli era venuto in Italia al tempo del Concilio di Firenze, convocato da Eugenio IV per la riu- nione delle chiese greca e latina. LA CAPPELLA SISTINA. 13 Egli asseriva che, tra pochi anni, il mondo intero abbrac- cerebbe unanime una sola e medesima religione, la quale non sarebbe n di Cristo n di Maometto, ma non diversa dal Paganesimo, e che le prime due religioni dovevano spe- gnersi; altra ne sorgerebbe, che diffonderebbe su tutto il mondo il vero assoluto. Aveva fondata una societ segreta in Oriente a propagare le sue dottrine, che i Greci venuti in Italia avevano trasportato in Firenze e in altre citt della penisola. Il centro di questa societ e focolare delle nuove dottrine filosofiche e religiose era Firenze, s perch qui pi nume- rosi si raccoglievano i cultori delle lettere greche e latine, come per la libert di cui si godeva, nonch pel genio ar- tistico del luogo, che dava forma, vita e calore daffetto alle nuove dottrine. Negli scritti di Marsilio Ficino si scorge un continuo sforzo per mettere daccordo Mos con Platone, Socrate con Ges; tenta di riunire in un sistema di sapiente piet , di culto divino , insieme con Mos, i Profeti, Cristo, Mercurio Trismegisto, Platone, Plotino, Zoroastro, e, come dice argu- tamente legregio Berti, in un notevole studio sopra Pico della Mirandola,  il buon Canonico tenta di far entrare nel  Duomo di Firenze, insieme col Dio Trino dei Cristiani, le  Divinit egizie, caldaiche e greche.  Il Pico port alla dottrina lappoggio della sua portentosa erudizione, del suo entusiasmo giovanile, della sua dialettica vigorosa e del suo nome. Il conte Gioanni Pico fu alla restaurazione della antichit biblica ci che i Giorgio, Genesto, Marsilio Ficino, Filelfo e altri, alla filosofia alessandrina e platonica. LAntico Testamento, era nel medio evo un libro appena noto; tutti 14 PARTE PRIMA ne -parlavano, obbedivano ad alcuni de suoi precetti, ma a pochissimi il libro era noto. Gli eruditi del secolo decimo- quinto cominciarono a decifrarne il testo, e la stampa do- veva poscia -metterlo nelle mani di tutti, e farne la pietra angolare della riforma religiosa. Alle traduzioni latine suc- cessero numerose le traduzioni italiane, alle traduzioni si alternavano i nuovi commentari, gli studi sulle antichit ebraiche, sulla Cabala, sulla filosofia rabinica. Tra questi eruditi e filosofi primeggi Gioanni Pico della Mirandola; leggeva con entusiasmo e fervore quanti codici ebraici gli capitavano nelle mani, insisteva nella necessit dello studio della lingua Ebraica e Caldaica; in essa, egli predicava, trovarsi il fondamento della fede e il significato dei dogmi Cristiani: sotto l'ispirazione dei libri e della filosofia caba- listica, dett prima YEptaplo (De Septi formi sex dierum ge~ neseos enaratione ), che dest immensa ammirazione ed elogi sconfinati. Qui la Genesi veniva interpretata allegori- camente e secondo le tradizioni cabalistiche associate al razionalismo mistico, che era in voga nel secolo XV. Ma la Corte di Roma condann il libro come eretico, minac- ciando il Pico d'esser anche arso e vituperato in eterno. Il Pico dett un'apologi del suo libro per difenderlo dalla Curia Romano, ma in essa mentre procura di scolparsi, rincalza di nuovi argomenti le tesi condannate da Roma. Perocch in essa sostiene e difende la concordanza di tutte le religioni, come dei principali sistemi di Filosofia; enumera e commenda oltre un centinaio dautori i pi disparati fra loro. Anima elevato, cuore generosissimo, egli mira sopra- tutto n conciliare e a riunire tutti i sistemi religiosi in una sintesi superiore; per cui Ficino, scrivendo a Roberto Sai- viali e a Gerolamo Renuccini, lo appella non solo il Conte LA CAPPELLA SISTINA. 15 della Concordia, ma Duce perch egli riconcilia  Giudei coi Cristiani , i peripatetici coi platonici , i Greci coi Latini. Il Pico dettava poscia il trattato De Ente et Uno , clic de- dic al Poliziano. In esso si fa a dimostrare, che tanto Pla- tone come Aristotile, consentivano nel modo dintendere; il concetto dell Uno e dellEssere, fondamento dell' universo; dichiara l Unit al dissopra dell'Essere, e che lUno metaf- sico  fondamento dellUno aritmetico, e, come gi aveva sostenuto il Ficino nelle sue opere, lEnte supremo essere lUnit, e Dio essere infinito e causa di ogni cosa. Innamo- rato delle ; Sacre Scritture le leggeva il giorno e ia notte, in esse diceva trovare  una forza celeste, viva, efficace,  che con meraviglioso potere converte gli animi allamore  divino.  Capitava in queir epoca a Firenze il celebre Reuchlino; questi strinse amicizia con Ficino, con Pico, e da questi ellenici ebraizzanti trasse argomento pei suoi libri deru- dizione ebraica, e all'opera che dest si alto rumore nel mondo religioso e scientifico, De Verbo Mirifico, la quale, ispirandosi alla Cabala e al Zoar, si epiloga in questo con- cetto, che soli gli Ebrei avevano sino allora avuta la co- noscenza del nome divino. In tal modo a Firenze, culla del Rinascimento, come gi neU'antica Alessandria, si agitano liberamente i grandi si- stemi filosofici dal Pitagorismo all' Aristotelismo, dal Giu- daismo, dal Gnosticismo al Politeismo e Cristianesimo,' e si tentava di fondere insieme un grande sistema filosofico e religioso. Firenze contrappose a Roma un nuovo Cattolicismo ra- zionale, a quello soprannaturale e mistico da lei professato; il Cattolicismo delia conciliazione e della pace contrapposto 1G PARTE PRIMA al Cattolicismo della divisione, della persecuzione e del- l'odio. Perocch la scienza, le lettere erano per questa congrega di sommi, pi che uno studio arido e freddo; essa era una religione, una fede; si prostravano innanzi ad Omero, ad Eschilo, a Platone, come a nuovi santi. Il busto di Platone collocato in luogo eminente nell'Accademia Fiorentina era soggetto dinni e apostrofi; alcuni proposero si chiedesse a Roma di canonizzare il gran filosofo. Festa religiosa era il 20 novembre, giorno in cui nacque e mori. Si adoravano i Mani di Pitagora, come gli ebraizzanti indagavano nei Profeti, nella Cabala, la parola di un Cristianesimo innovato. Innanzi a questa resurrezione del mondo ellenico e bi- blico, sembra eclissarsi il mondo evangelico. I tipi cosi scolpiti e vigorosi dei Profeti e del mondo antico, offuscano quelli sereni e mansueti, ma fiacchi e scoloriti della nuova fede. David, come dice Michelet, tentava pi che Ges, i profeti pi dei santi. V.  in mezzo a questa atmosfera filosofica ed artistica che crebbe Michelangelo. Accolto nella prima sua et, e ospi- tato in casa di Lorenzo il Magnifico, dest sino dai primi giorni il pi vivo interesse e meraviglia pel suo genio pre- coce; strinse amicizia con Poliziano, Pico della Mirandola Ficino, e con tutta quella plejade di filosofi e letterati che accorrevano allora a Firenze, e formavano il lustro di Casa Medici; divenne in breve membro dellAccademia Platonica. Filosofi e poeti ispiravano il soggetto delle sue opere darte. I sistemi pi contraddicenti, come abbiamo accennato, si LA CAPPELLA SISTINA. 17 agitavano nel seno delle loro scuole e si cercava conci- liarli, stringerli in una sintesi, imprimere loro una forma; ma ci non era loro dato, s pel timore della Curia Ro- mana, sempre minacciosa e sospettosa, che gi aveva ini- ziato il processo contro Pico della Mirandola, accusato di eresia, come perch la nuova fede non aveva tradizioni, radici nel cuore delle moltitudini, n simboli per parlare ai sensi delle masse. Era ancora il segreto di pochi neo- fiti. Spetta allarte nuova concretare lidea astratta, darle forma, vita, e creare, diremo, il nuovo simbolo. Sar que- sto il pensiero dominante, lintento che si proporr, du- rante la sua vita laboriosa, il Buonarroti. Concretare lidea astratta in simboli, poich mal poteano essere compresi dai coetanei, e legarli in forme splendide e durature al- lavvenire. Esaminiamo infatti' il sommo artista pensatore, nelle opere che venne compiendo; esse riveleranno la fede che, professata nei suoi primi anni, non cess di nutrire nel suo segreto, e forse ci verr dato di scoprire il mistero della filosofia umana e divina , alla quale esse si ispirano; ed ora, che i tempi sono maturi, svelare al popolo e al volgo quelle invenzioni , le quali, al dire dei coetanei, non voleva che venissero intese se non che da pochi e dotti. Indaghiamo al lume della filosofia segreta e palese del- lepoca, quel pensiero che da gran tempo serpeggiava nel- l intimo del cuore dItalia, quel pensiero che Alighieri av- volse, sotto il velame delti versi strani , e che Buonarroti scolp in simboli misteriosi, e presto o tardi dovr elevarsi a verbo vivente della nazione italiana. La mente di Michelangelo . 2 18 PARTE PRIMA VI. Il primo lavoro al quale in questa epoca mise mano,  il bassorilievo che rappresenta la battaglia drcole col Centauro.  Il Poliziano, che molto ramava e conosceva  Michelangelo di spirito elevato, gliene propose il soggetto,  Pico della Mirandola e i Pitagorici gliene dichiararono  parte a parte la favola (1).  Lartista si mise a farla di mezzo rilievo, la condusse con tale ardore che in breve l'ebbe terminata. Il soggetto di questo lavoro  per s tutto un programma. Come  noto, Ercole, secondo i Mitografi Alessandrini, si- gnifica non solo la forza e le audaci imprese, ma la luce, l'aria pura, la libert; significa pure la sapienza, Athene, del Dio protettrice e amica; mentre il Centauro, nato dal commercio incestuoso di Isione e duna nube, raffigura la barbarie, la brutalit, per cui luomo  ancora immerso nella bestia. Egli significa ad un tempo la falsa scienza ed il sofsmo. Perci noi, in quella opera, gi vediamo adom- brato quel concetto che sotto forme diverse, verr poscia riproducendo, cio la lotta delluomo, delleroe e della forza intelligente, contro la forza brutale; della verit, della realt, contro la finzione che si pasce di vento, la superstizione, il sofisma. Per questo lavoro  gi tutto un programma, simbolo e profezia. L'aveva appena condotto a termine che Lorenzo il Ma- gnifico moriva. In quellanno stesso Ludovico il Moro (l) Condivi. Vita di Michelangelo. LA CAPPELLA SISTINA. 19 apriva le porte dItalia allo straniero e iniziava quel pe- riodo, disastroso allItalia, d invasioni, doppressione teo- cratica e imperiale che, con diverse forme e vicende, doveva perdurare oltre tre secoli, e contro cui il popolo italiano, come Ercole contro i Centauri, dovette combattere una battaglia secolare fino allepoca nostra, per rivendicare la propria libert contro tutti i Centauri e le Idre congiu- rate a suoi danni. Morto Lorenzo, il Buonarroti, dindole austera e disde- gnosa, mal sopportando le insolenze e le baldorie a cui si abbandonava Pietro, e il suo mal governo, lasci la casa de Medici e Firenze. Vi fece ritorno un anno dopo, quando i Medici erano stati cacciati. Frate Savonarola commoveva allora la citt, ed esaltava le menti colle sue prediche info- cate. IUerribile frate iniziava in Italia una grande riforma, la quale, soffocata nel germe, non pot svolgersi e produrre effetti durevoli, ma che avrebbe potuto infondere nuova forza morale alle nostre popolazioni, rinvigorirne gli spiriti. Gli umanisti, come Pletone, Marsilio Ficino, Pico, Poli- ziano, Salviati, iniziavano la riforma filosofica e razionale; ma la filosofia pu formare, educare individui, non un po- polo. La religione invece, la quale  la filosofia delle masse, pu formare un popolo, ed il frate parlando al cuore delle moltitudini con impeto sublime ed entusiasmo di fede, fon- dandosi sulle tradizioni pi pure ed elevate dellantico e del nuovo Testamento, tentava risuscitare un energico sen- timento religioso nelle masse corrotte ed ignoranti, scetti- che o superstiziose; egli predicava in pari tempo la riforma nei costumi, negli studi, nelle arti, le quali, divenute quasi un slazzo, una seduzione, e spesso istrumento di corru- zione, intendeva richiamare ad alto ministero, a scopo ci- 20 PARTE PRIMA vile, mentre poi volle dare un nuovo e disciplinato assetto alla forma governativa, e fondare la Repubblica sulla virt dei cittadini. La parola del frate, che penetrava nelle co- scienze popolari e commoveva i pi eletti ingegni, accese di nobile entusiasmo il Buonarroti, che ne divenne ausiliario e seguace; egli tenne sempre in alta venerazione il rifor- matore durante la lunga sua vita, e ne portava seco gli scritti, che medit e fece argomento di studi e dispirazione. Nel Savonarola sentiva alitare lo spirito dei Profeti antichi; ne vedeva la viva immagine. Egli aperse alla sua giovine mente il concetto religioso morale che domina lantico Te- stamento e i Profeti, come lAccademia Platonica gli aveva  rivelato il pensiero classico e greco. Il filosofo si rinfiam- mava nel concetto religioso; Isaia gli spiegava Platone, la Sibilla Eritrea completava la Delfica. E quasi presentisse in Savonarola il S. Gioanni della Riforma, come lo divenne storicamente, egli prese in quei giorni a scolpire un S. Gio- vanni, e poscia, quasi a meglio colorire il concetto reli- gioso col politico, immaginava la statua del David. VII. Quando prevalse il partito del Savonarola e sinstaur il nuovo Governo repubblicano, il Consiglio a serbare pub- blica memoria della felice mutazione (1598), aveva delibe- rato di porre nella ringhiera del palazzo della Signoria, il gruppo di Giuditta, gi fuso in bronzo dal Donatello, in me- moria della cacciata del Duca d Atene, ma il Buonarroti scolpi il David, acciocch, soggiunge il Vasari:  siccome  David aveva difeso il suo popolo, e governatolo con giu-  stizia, cosi chi governava quella citt dovesse animosa- LA CAPPELLA SISTINA. 21  mente difenderla e giustamente governarla.  Quale am- mirazione, anzi entusiasmo, destasse allora quella statua veramente meravigliosa, si pu argomentarlo da queste parole del Vasari, che non possiamo trattenerci dal ripor- tare:  questa opera ha tolto il grido a tutte le statue mo-  derne ed antiche, greche o latine che elle si fossero... con  tanta natura e bellezza la fini Michelangelo, n mai pi  si  veduto un posamento s dolce, n grazia che tal cosa  pareggi... e certo chi vede questa non deve curarsi di  vedere 'altra opera di scoltura fatta ne nostri tempi o  negli altri, da qualsiasi artefice (1).  Vili. Dante, nel suo poema, suole alternare gli esempi di sog- getto biblico coi mitologici, mettendo a riscontro i fatti del- l'antichit classica con quelli che si raffrontano nella sacra. Non altrimenti procede nei suoi lavori il Buonarroti, i quali sembrano svolgersi, a chi li esamina nel loro complesso, come un continuato poema, e formano lunit di pensiero e di intento di questa vita virtuosissima. Alla zuffa di Ercole contro i Centauri, fa riscontro quella di David contro Golia, ambi simboleggiano, sotto forma diversa, un identico concetto. Durante il primo suo soggiorno a Roma, alterna le statue del Cupido dormente e del Bacco che tiene in mano un (1) Il collocamento del David fu in Firenze un avvenimento, e pel popolo acquist limportanza di una data storica. Si soleva direnelle scritture, anche in quelle che non riguardano cose darte, tanti anni dopo lerezione del David. Statua che venne considerata come il ge- nio tutelare di Firenze. oo PARTE PRIMA grappolo duva, col celebre gruppo della Piet, o col Tondo conservato ora nella Galleria degli Uffizi, che rappresenta dipinta la Vergine colla Sacra famiglia, dipinto che, come da vari scrittori venne notato, mal si saprebbe distinguere se rappresenti un soggetto sacro od uno dellantichit pagana. Verso quell epoca (1503) si era obbligato di scolpire dodici statue degli Apostoli per la chiesa di Santa Maria del Fiore, ne abbozz una sola, quella di S. Matteo, que- sta pure non finita, poi smise n volle saperne altro. Altre quindici statue di santi aveva a lui allogate il cardi- nale Picolomini, per la sua Cappella di Siena, ma vi ri- nunzi del pari. Sembra che il suo genio mal si piegasse a ritrarre soggetti di santi e di sante. Austero e indipendente, nulla poteva fare che non rispon- desse alla sua mente, alla sua intima coscienza, o all'idea ondera dominato. Anzi, verso quellepoca, al primo e in- tenso suo ardore per larte, vediamo succedere un periodo di noia, di sconforto e spossatezza, quale ad intervalli suole invadere i sommi genii. Essi sentono come la realt mai corrisponda allimpeto de loro desideri, e alle loro aspira- zioni torni inutile lottare contro le prepotenze prevalenti e le ingiustizie sociali, si sentono sfiduciati, e cadono d'animo sino a che lurto di nuovi eventi, l'attrito di forti passioni, non destino nel loro cuore la scintilla che scuote e rialza. Egli gett via mazzuolo e pennelli, si diede alla lettura dei poeti, dei filosofi, degli oratori nostri, e prese a scrivere versi; si chiuse in s, compreso da quella mestizia che invade gli animi austeri e forti allo spettacolo delle grandi sventure patrie, contro le quali l individuo sentesi impotente di lottare, e alla vista del vizio e dellingiustizia trionfanti. Tristezza questa che fiacca, snerva e vince le anime deboli LA CAPPELLA SISTINA. 23 e dubbiose, ma finisce per ritemprare di nuove forze gli spiriti gagliardi, i quali sogliono rilevarsi di questo com- battimento interno pi agguerriti e presti, a compiere opere pi eccelse. E giorni cupi e obbrobriosi volgevano allora per V Italia. Savonarola, di cui il Buonarroti era divenuto uno degli am- miratori e seguaci, appunto mentre egli terminava in Roma il gruppo della Piet, per decreto del Papa, era stato arso in piazza della Signoria in Firenze; le sciagure da lui pro- fetate' piombavano sulla nostra patria. Gli eserciti Fran- cesi, condotti prima da Carlo Vili, poscia da Luigi XII scorrevano vittoriosi l Italia, mettevano a ruba la Lom- bardia, minacciavano le Repubbliche Toscane, si appa- recchiavano alla conquista di Napoli. Alessandro VI co- priva di turpitudini Roma, suo figlio Cesare atterriva con guerre scellerate, con tradimenti, eccidii, le Romagne e si preparava a far peggio. Svizzeri, Tedeschi, Spa- gnuoli , Francesi, orde selvaggie si versavano gi da ogni parte delle Alpi, scorrevano la penisola, mettevano a ruba le citt e il contado, e quanto non potevano rubare, ar- devano. Pareva, che la civilt rinascente, dovesse spegnersi fra barbarie le pi tetre. Re e masnade straniere, ora amici ora divisi e schierati uno contro laltro, ma pronti ad unirsi e accordarsi per depredare, ardere, schiacciare il popolo, lacerare la nazione, dividerne i brani insanguinati; i signo- rotti, i vicari pontifici in guerra fra di loro, come i Co- lonna, gli Orsini intorno a Roma, i Baglioni, i Vitelli, i Malatesta, gli Ordelaffi nelle Romagne e nelle Marche ; assassini essi stessi alla loro volta, traditi, trucidati, avve- lenati ; tradimenti, assassinii perpetrati con freddo calcolo da papi, da figli e nipoti di papi, come da principi e si- 24 PARTE PRIMA. gnorotti; il senso morale pervertito, spento; lingannare virt quando giovava e riesciva, la vilt era colpa quando accoppiata allastuzia falliva allo scopo. I veleni strumenti di governo, come le frodi di religione e culto. Ed in mezzo a questa ridda sanguinosa e tetra, campeggiare i due grandi perversi, Alessandro Papa e Cesare Borgia. Tale lo spettacolo che offriva in questo intervallo di tempo lItalia allo sguardo del pensatore austero e dell'artista di- sdegnoso. Non  meraviglia se egli sconfortato e stanco, si ritraesse in s chiuso nel suo pensiero per non sentire, per non vedere. L individuo, compreso da un gagliardo senti- mento della giustizia, a fronte della fatalit del male che trionfa* delle sventure inesorabili che percotono la patria, delle calunnie velenose, delle ire che lo perseguitano, si sente spesso impotente a lottare, ma allora si raccoglie in s, condensa nel silenzio le forze, aspetta l'istante pro- pizio per prorompere, e colla mano e col pensiero rivendi- care gli oltraggi sofferti, e rialzare il sentimento morale che i prepotenti e i tristi avevano offeso e calpestato. IX. Moriva intanto il Borgia (1503) e gli succedeva Giulio II della Rovere, anima deroe, chiusa e soffocata sotto il peso della pacifica tiara. Uomo di forti e gagliardi propositi, di vasti concepimenti, nato ad opere grandi, fu uno dei pochi capaci di apprezzare degnamente Buonarroti; due persona- lit poderose destinate a incontrarsi nella vita e degne di comprendersi. Salito appena sul trono pontificio, volle Mi- chelangelo, che aveva allora ventinove anni, presso di s; sentiva come dal sommo artista poteva venire gloria e LA CAPPELLA SISTINA. 25 splendore al pontificato. Bench lavesse chiamato a Roma colla maggior sollecitudine, sulle prime era dubbioso qual incarico affidargli; poi, come se egli desiderasse di asso- ciare il suo nome a quello del grande artista, sino dai primi giorni del suo pontificato, gli commise di disegnare ed elevare in S. Pietro un monumento per la sua sepoltura. Intendeva egli di erigere il proprio sepolcro, o quello dItalia che precipitava di nuovo nel servaggio e nella morte? Certo lartista immagin tosto un monumento degno dellItalia e del genio del grande Pontefice. Questo monumento fu il pensiero che perseguit e do- min lintiera sua vita, fu lincubo del suo genio; si strug- geva di condurlo a termine; e la fatalit, le circostanze ne lo allontanavano sempre. Delle quaranta statue che dovevano ornare lavello non pot compierne che una, ma quelluna  tutto un monu- mento; essa non solo rappresenta il genio di Michelangelo, ma compendia tutto un popolo,  il pensiero di molti secoli.  lestremo dellidealismo, o diremo della filosofia della storia, petrifcato in una divina realt.  la forza, la virt inflessibile, locchio luminoso e profondo che misura i se- coli, domina i popoli e le et ;  la Giustizia e la Legge. Tale  la statua del Mos, in essa effigi lideale dun popolo grande, unico nella storia, lidea dun pontefice sommo; e in esso vers intera lanima sua di scultore, di pensatore, di politico e di filosofo. Il Buonarroti era gi corso a Carrara, e si occupava di far estrarre e trasportare masse di marmo per erigere il sepolcro di Giulio II, quando questi mut consiglio. Glinvidiosi del Buonarroti gli susurravano essere tristo presagio, il farsi edificare la sepoltura in vita, e lo persua- 20 PARTE PRIMA sero che commettesse invece allo scultore di dipingere la vlta della Sistina; i nemici speravano cosi di sfatare l'ar- tista, levandolo dalla scoltura dove si scopriva perfetto, e cos spingendolo a dipingere a fresco, per non aver speri- mento nei colori, facesse opera men lodata ed avesse a riuscire da meno de suoi emuli. * X. Infatti, quando fu dal Papa ricercato perch dipingesse la vlta, egli ricorse ad ogni mezzo per schermirsene, anzi metteva per ci innanzi Raffaello. Ma quanto pi egli ricu- sava, tanto pi impetuoso il Papa insisteva incalzando. Forse mai accadde che lo Spirito Santo ispirasse cosi fe- licemente un papa per affrettare un capo lavoro all'arte e al mondo. In questo pontefice che sente e comprende il genio, e nell'artista, che temendo di sobbarcarsi all'alta impresa, dubita di s e delle sue forze, si sente la lotta del genio col proprio destino, che lo trae e finisce per imporsi inop- pugnabile alla sua volont.  questo il momento psicologico del genio che ne deter- mina il fato. Tale fu per avventura la condizione danimo di Dante quando pose mano al poema sacro, e che egli stesso volle dipingerci colla mirabile precisione de suoi versi scultorii; da un lato si strugge daffrontare lalta im- presa, dall'altro sfiduciato perde la speranza dell' altezza, in questalternativa come  . . . . quei che disvuoi ci che volle  E per novi pensier cangia proposto,  Si die dal cominciar tutto si tolle.  LA CAPPELLA SISTINA. 27 Ma limperiosa volont del sommo pontefice fini per pre- valere, e a lui dobbiamo, nel pi meraviglioso monumento- delia pittura moderna, un nuovo Poema Sacro. Egli si mise tosto allopera con quellardore impetuoso con cui soleva affrontare le ardue imprese; si rinchiuse nella cappella, non volle n compagni n aiuti. Il Papa aveva ordinato al Bramante di costruirgli il palco, ma es- sendo incomodo e mal disposto egli lo fece buttare a terra e da queireccellente meccanico che era, altro ne costruisse a modo suo (1). Erano venuti da Firenze a Roma alcuni amici suoi, pit- tori, per porgergli aiuto  ma veduto le fatiche molto lon-  tane dal desiderio suo, e non soddisfacendogli, una mat-  tina si risolv a gettare a terra ogni cosa che avevano  fatta, e, richiusosi nella cappella, non vuoile pi nemmeno  aprir loro (2) . Non si mostr pi neppure in casa sua, immerso nel lavoro, e ne suoi pensamenti faceva tutto da s, pre- parava le mastiche, macinava i colori, acconciava i ponti; lavorava indefesso il giorno e la notte, e per continuare il lavoro anche nelle ore notturne, erasi fatta una celata di cartone con cui copriva il capo piantandovi in mezzo una candela accesa, la quale rendeva lume dove egli la- vorava senza impedimento delle mani. Errava, a guisa di Ciclope, fra le ombre in mezzo al palco; un pezzo di pane che teneva in tasca bastava a sfamarlo; per pi mesi si rifiut di vedere nessuno; per quanto fosse sollecitato da amici, da artisti, da prelati, dallo stesso Pontefice, non (1) Vasari. Vita di Michelangelo. (2) Idem. Ibidem. 28 PARTE PRIMA volle ammettere nessuno a visitare lopera. Cominciato il 10 maggio 1508, fu compiuto in meno di venti mesi, il 1 no- vembre 1509 (1). XI. Questo dipinto, come accennammo,  tutto un poema, e come la Divina Commedia , esso  il Poema Sacro del po- polo italiano. Virgilio, il grande italiano del mondo antico, fu maestro e duce aH'Alighieri, Dante del Buonarroti. Come la Divina Commedia fu pei molti lenimma forte, che solo nei nostri tempi trov lEdippo che ne schiar le note oscure e sol- lev il velo che copriva i versi strani, cosi accadde di que-? sto dipinto.  Solo al tempo  dato rimovere il velo che copre la divina nudit del vero. Al pari deUAlighieri, il Buonarroti suole mostrare la pi alta riverenza per le somme chiavi, mentre fulmina gli atti del papato  che il mondo attrista  Calcando i buoni e sollevando i pravi;  Inferno , xix. al pari di lui alterna il sacro e il profano, il biblico e il classico, e suole coprire con una cotale vernice dorto- dossia immagini e simboli, che ne sono la critica pi ar- guta e la protesta pi energica. E fu ventura che sapesse velare in tal guisa il suo pensiero, altrimenti ci sarebbe dato (l) Ci, ripeto, secondo il Vasari: secondo altri vi avrebbe impiegato quattranni circa. LA CAPPELLA SISTINA. 29 di ammirare ancora questo capolavoro dellarte? Quando la Corte di Roma cominci a penetrare il significato se- greto della terribile Allegora Dantesca , volle proibire la lettura del poema, e il suo nome fu iscritto nel Catalogo degli eretici (1), e i Cardinali di Bernardo e del Pogetto, le- gati apostolici in Lombardia, vollero far disseppellire il cadavere del fiero Ghibellino, e darlo alle fiamme. Ora che sarebbe accaduto dei dipinti della Sistina se la Chiesa avesse potuto penetrare il pensiero ben pi ardito che si celava sotto il velo, e si ravvolgeva sotto forme ortodosse? G. Domenico Romagnosi agli appunti che da taluno gli venivano fatti pel suo scrivere attorcigliato, confuso e spesso oscuro, soleva rispondere, accennando alla duplice censura politica ed ecclesiastica, la quale sino agli ultimi tempi tarp le ali allingegno italiano  noi in Italia dobbiamo  far i contrabbandieri delle idee.  E dal Trecento, fino a questa seconda met del secolo nostro, i pensatori italiani furono costretti a fare i contrab- bandieri d'idee, n poterono oltrepassare le vigilate fron- tiere del paese, che ravvolgendole in frasi tortuose, oscure, ricorrendo alle allegorie, al gergo, al parlare velato, come dicevano i trecentisti, e parlando per figure e per simboli. Alcuni lampi bastano a gettar luce tra le ombre addensate sotto la selva oscura dei simboli, delle allegorie dei loro poemi, ed a svelarne il pensiero segreto che da secoli ser- peggia nella coscienza del popolo italiano. (l) V. Rossetti. Amor Platonico. Commento analitico di Dante.  Lettera di Dante a Can Grande, in cui dichiara che lopera sua  po- lisensa, cio di pi sensi, luno per la lettera, laltro per le cose dalla lettera significate. PARTE PRIMA -30 Ornai lepoca del dire avvolto e del parlare oscuro, del gergo esoterico e dellessoterico,  tramontato in Italia e in Europa. Il sole della libert risplende dal Campidoglio e penetra entro le penombre e oscurit del Vaticano; n dogmi n stte segrete hanno pi misteri per la critica moderna. Invano i commentatori ortodossi vollero con sbiadite allegorie velare il concetto politico e religioso che informa il poema di Dante; ornai dopo i commenti del Foscolo e di Gabriele Rossetti e altri,  facile scoprire sotto il velo del poeta ortodosso, l'eresiarca, il vigoroso riformatore politico e religioso nellautore della Monarchia , del Convito e del Poema Sacro. In ogni tempo si sospett del secreto senso allegorico dei dipinti del Buonarroti, del mistero che nascondevano al- cune delle sue figure e simboli; quel mistero  tempo di penetrare e svellarne apertamente il significato; e se la spiegazione  sar molesta * Nel primo gusto, vital nutrimento  Lascer poi, quando sar digesta.  Dante, Par., xvii, 132. XII. Chi penetri la prima vlta nella cappella Sistina, e sar- resti a contemplare il soffitto, il primo effetto da cui  in- vaso,  un senso di sbalordimento, di profondit, di maest, che ci atterra e ci sgomenta. Noi ci sentiamo sopraffatti da tanta terribilit e grandezza. Ci pare di assistere ad uno LA CAPPELLA SISTINA. 31 dei grandi spettacoli della natura, quando luragano si avventa dal fondo dell' Oceano, sconvolge le onde tem- pestose, accumula fantasticamente gruppi di nuvole agitate, vaganti per lorizzonte; o, se vuoisi, esso richiama alla nostra mente alcune delle visioni grandiose di Ezechiele, una nuova Apocalisse di S. Giovanni; se non che le imma- gini michelangiolesche, anzi che larve impagabili della fan- tasia, sembrano rizzarsi innanzi ai nostri sguardi, vive, parlanti; noi vediamo, noi tocchiamo esseri umani ad un tempore sopraumani, fantastici e reali, e la loro voce sem- bra tuonare dallaltezza di quella volta, nel fondo dei nostri pensieri. Chetata questa prima impressione, vinto il tumulto e la meraviglia destata nellanima, noi cominciamo ad ammi- rare in mezzo a tanta variet di figure e di contrasti, un ordine, unarmonia e un ritmo come allaspetto di vasta e ordinata mole architettonica; e alla vista di quellaffolla- mento di figure dogni et, dogni sesso, d'ogni gente, al mirare quella serie di gruppi cos finiti e segregati, ma ad un tempo vincolati e dominati da uno spirito stesso, infor- mati da un pensiero che li agita e congiunge, noi ci do- mandiamo, che cosa  questo? Quale il pensiero che li com- move, quale lo spirito che passa sopra di loro? Sono storia o fantasia? Sono idea o realt? Ed invero mentre questi di- pinti si presentano alla mente come astrazione, idealit, gioco di fantasia, essi ci parlano, si spiegano innanzi ai sensi, quasi come realt palpabili;  in loro una potenza di attitudini, di posamenti, di muscoli, di scrti, che li fa vi- vere, movere, operare.  lastratto che si fece reale, lombra che divenne persona. Pure questo complesso di cose, que- sto spettacolo che si presenta ai nostri sensi  desso un 32 PARTE PRIMA passato lontano che lartista ha evocato dal sepolcro, op- pure la divinazione del futuro?  la storia ornai tramontata, od un mondo nuovo che dovr spuntare ancora, maturare nellet lontane, e che il vate artista profeticamente si leva ad annunciare alle genti? Sinora si ebbe una facile risposta a questi dubbi, la quale pot quietare la curiosit del volgo, che non va oltre dalle apparenze, ma essa non appag il pensatore e il critico. Nei nove scompartimenti, si diceva, sono dipinte le scene principali dellantico Testamento, il Padre Eterno, la Crea- zione delluomo e della donna, il Diluvio Universale, e cosi via via; quanto agli altri scompartimenti cio nelle gal- lerie, nei grandi archi, nelle mensole, negli specchi, nei pedcci, nelle sedie, ove stanno le figure dei profeti, delle sibille, si diceva,  dipinta la genealogia di Davide, la quale aspetta e prenunzia il Redentore; e quanto al resto, alle altre figure, rispondevano, non sono che accademie, ornati e fantasie! Come il Padre Eterno, riprende il critico, Iddio! ma del Dio cattolico, non vi ha ombra, del suo simbolismo, non traccia. Invece della Trinit noi vediamo un essere immenso, tutto pensiero e forza nella sua unit, che empie di s gli spazi immensurati.  Il Redentore! ma dove  desso? della sua vita, dei suoi miracoli della sua leggenda, degli apostoli, della sua passione, della sua morte, non vi si scorge il pi piccolo vestigio; nelle cento figure che si agilano nella vlta, non uno dei suoi seguaci, apostoli, ado- ratori, non una delle donne che ne accompagnarono la vita, e presenti alla passione, alla morte, ne aspettarono la ri- surrezione; della storia posteriore del Cristianesimo non vestigio. Come mai avrebbe voluto dipingere una Crista- logia senza il Cristo, il Cristianesimo senza uno dei riti, LA CAPPELLA SISTINA. 33 dei simboli del nuovo Testamento e dei fasti della nuova fede? Inoltre il Messia avrebbe dovuto recare la promessa salute  la lunga in terra lagrimata pace  ; pure nella dipinta vlta, ove volgiamo lo sguardo, tutto  perturba- zione, sgomento, sconforto, e spesso disperazione e terrore. Anzich la sicurt della fede nella venuta del Cristo, la se- rena pace che doveva tener dietro alla divina incarnazione, noi vediamo le cento figure dei profeti, delle sibille, dei po- poli diversi che compiono la vlta, dominati tutti da una pas1 sione febbrile, commossi come da uno sgomento arcano, quasi fossero in preda al dubbio, a terrori, e presentissero una catastrofe imminente, e nuovi flagelli dovessero piom- bare sul genere umano e trascinarlo in un abisso di sven- ture. Per tutto  un grido dangoscia, di morte; per tutto la tempesta dellira, la desolazione che non ha conforto. Per qui tutto ci presenta un simbolismo, il quale non solo si stacca da quello liturgico ed officiale, ma ne  quasi la negazione, la protesta. Negli stessi nove compartimenti di soggetto biblico, ci sta innanzi come una nuova crea- zione, una nuova Genesi, che dellantico Testamento non serba che qualche apparenza, del nuovo Testamento non trovi vestigia di sorta; come nel metodo, nella forma, nel meccanismo dell'arte, qui tutto  nuovo nel simbolismo, nelle idee, nel pensiero. A tacere dei profeti e delle sibille noi ci incontriamo ai primi passi, in tre figure titaniche, le quali dominano colla loro potenza tutta la scena. Sono il gruppo di Amano, quello di Giona e quello del Serpente di bronzo. Ora quelle immagini non potrebbero in verun modo attribuirsi alla leggenda di Ges, attaccarsi alla sua storia oa quelle del La mente eli Michelangelo. 3 34 PARTE PRIMA Cristianesimo. Pure in queste tre figure che rappresentano un antico simbolismo metafisico, o diremo, cabalistico,  avvolto il nodo dellenimma,  riposto il segreto che il pen- satore-artista legava ai secoli futuri. XIII. Appena scoperta la vlta venne osservato dagli artisti come dai critici, che il Buonarroti aveva adoprato il mas- simo studio, posta ogni cura nel dipingere e far spiccare queste tre figure; esaur in esse lestremo dellarte; ed esse, per le mosse, l perfezione delle tinte e degli scorci, per la espressione, per le difficolt superate, possono annove- rarsi fra i pi finiti e spiccati capolavori della pittura mo- derna. La figura d' Amano di scrto,  straordinariamente condotta. Il tronco che ne regge la persona, il braccio che viene innanzi il corpo abbandonato, la gamba ripiegata convulsivamente, non sono dipinti ma vivi, rilevati e slan- ciati dal fondo, e la figura, come scrive il Vasari nel suo entusiasmo pel divino artista, fra le difficili e belle ,  bel- lissima e difficilissima. Arrogi che pensatamente e con alto intento venne da lui collocata in un angolo della cappella, e sospesa met in una superficie e met in unaltra mentre poi a forza di prospettiva appare tutta nel medesimo piano, ed essendo disegnata quasi in profilo, un braccio della croce va indietro e laltro viene in fuori, si che pare stac- cato del muro. Quale fosse la ragione filosofica di tale di- sposizione si vedr in appresso, perocch quel sommo nulla facea per caso, tutto  in questa vlta calcolato, meditato e simbolico. LA CAPPELLA SISTINA. 35 Ora continuiamo lesame delle altre figure che spiccano nei triangoli dei cantoni e alle testate della vlta. Nellaltra vla angolare che fa riscontro alla Crocifis- sione di Amano, vediamo quellaltra meraviglia dellarte: il Serpente di bronzo.  Tu miri da un lato un affollarsi duomini, di donne, di bambini, che guardano affascinati il Serpente, stendono verso dui le mani supplichevoli, una madre che sorregge le braccia prostese della figliuola in- ferma e cadente supplicando da lui la vita, la salute, la redenzione; per contro dallaltro lato, il Serpente spiccasi dal tronco, si avventa sopra le turbe, spaventate e fug- genti; ravvolge fra le spire tortuose uomini, donne, fan- ciulli; quale di loro tenta fuggire, quale si schermisce col braccio, quale ravvolto, come Laocoonte, fra le squamme dun drago immane, combatte e si sforza di svincolarsi, quale smarrita ogni speranza, muore soffocato fra spasimi atroci. Atti diversi di orrore, di piet, di sgomento chiudono in lontananza il quadro spaventevole. Terza figura che levasi giganteggiando a capo della vlta,  quella di Giona liberato dall Orco, la quale, non  lul- tima, come suole dirsi dai critici, sibbene la prima, che al pari di Amano e del Serpente aprono tutto un ordine di secoli e di simboli.  questo pure un miracolo darte : cediamo la parola al valente Vasari, che s modesto, s accurato e grande diede allItalia una meravigliosa enciclopedia degli artisti.  Chi non ammirer e non rester smarrito, veggendo la terribilit di Jona, ultima figura della cappella, dove  con la forza dellarte la vlta, che per natura viene in-  nanzi, girata dalla muraglia, sospinta dallapparenza di  quella figura, che si piega inditro, apparisce diritta; e 56 PARTE PRIMA  vinta dall'arte del disegno, ombre e lumi, e pare che ve-  ramente si pieghi indietro?  Ben si scorge come il Profeta, dopo dura battaglia, svin- colatosi dalle fauci dellOrco ne balza fuori trionfante, lo sfida col guardo, mentre colla testa eretta e la figura sfol- gorante e titanica, sembra dominare tutto il dipinto della vlta e le pareti della cappella. XIV. Queste tre figure, che destarono in ogni tempo lammi- razione degli artisti, furono sempre mai un mistero, un problema pel critico e pel filosofo. Infatti, la Crocifissione di Amano,  un fatto isolato della storia biblica; e non si rannoda in verun modo n alla genea- logia di David, n al mistero e all'epopea della redenzione. La storia di Giona, straniera del pari alle origini del Cri- stianesimo, fu gi considerata da molti Rabini e Padri della Chiesa, pi come mero simbolo, anzich una storia reale; e simbolo del pari  il Serpente di bronzo. Come mai avrebbe lartista-pensatore disposto queste tre figure a testa del dipinto, se avesse voluto significare lori- gini e i fasti del Cristianesimo? Con quale intento le colloc nella pi chiara prospettiva? Basterebbero queste tre figure, che sono la chiave del dipinto, a provare quanto si appongano al vero le inter- pretazioni sinora adottate. Cerchiamo dunque in qualche modo nel concetto simbolico e filosofico dellepoca di pene- trare il pensiero che moveva la mano dell'artista. j Chi , chi raffigura Ama'n? Aman, secondo i teologi e LA CAPPELLA SISTINA. 37 cabalisti, rappresenta il genio del male;  lodio, il rancore, linvidia, la calunnia, che tenta dilaniare il giusto, e avvolge i popoli delusi e i principi nelle reti dellinganno. Esso corrisponde forse allArimano Persiano, ed in Persia fu scritta la storia di Ester, la cui verit storica  da alcuni messa in dubbio. Inoltre Aman , secondo i mistici ed i gnostici, il falso Cristo, il Cristo dellerrore, della violenza, della perversit, il quale con inganno si  insinuato nel Santuario della Chiesa, e prese il posto del Cristo  verit e giustizia  e la profan, la deturp. Sopra di lui, che  il falso Croci- fsso, fu fondata la falsa Chiesa, la quale simula il Drago della famosa allegoria dantesca,  Che per lo carro su la coda fisse.  Purg., xxxii.  Trasformato cosi Vedifico santo  sostituendo il falso Cristo, ir Cristo della calunnia e dellodio a quello della verit e dell amore, ecco l artista ci presenta nella vela angolare a sinistra, gli effetti prodotti da questa trasforma- zione della Chiesa gi santa, in perversa. Questa allegoria  identica nel pensiero e nelle immagini a quella di Dante nel 32 del Purgatorio , la quale non allude per nessun modo alleresia, come vogliono i commentatori ortodossi, n a Filippo il Bello; il concetto dantesco  pi vasto e pi vero; esso dipinge in ogni verso la trasformazione e la corruzione che mut la Chiesa santa nella profana; e qui il dipinto imita in tutto il poema dantesco con immagine anche pi scolpita. Vi si vede il Drago o la donazione di Costantino, il poter temporale venirne fuori 38 PARTE PRIMA A s traendo la coda maligna Trasse del fondo, e gissen vago vago. Purg., xxxii. Il concetto, che nel poeta  rappresentato dal Drago,  qui raffigurato dal Serpente di bronzo. A destra una folla di donne, uomini, fanciulli stendono verso lui le . braccia, credendolo il vero Cristo; ma ei si muta nel falso, che si avventa su di loro e ne fa strage. Il serpe della salute di- venta il serpe della morte. Il suo Vicario arde Savonarola, avvelena l'Italia, ed il pittore esclama col poeta: Fatto ha del cimiterio mio cloaca Del sangue e della puzza... In vesta di pastor lupi rapaci Si veggion di quass per tutti i paschi 0 difesa di Dio, perch pur giaci? Par., xxvir. Ci che significa Jona, la cui figura titanica intercede fra Amano e il Serpente di bronzo, lo vedremo in seguito. In- tanto continuiamo ad esaminare dietro queste due figure del Serpente e d'Aman, le conseguenze che scaturiranno dalla trasformazione del Cristo o dal falso Crocifisso. Negli archi, nelle lunette, nei peducci, nei medaglioni e nelle mensole che si svolgono dietro di loro vediamo tutto un popolo di figure, che si seguono con attitudine e abbi- gliamenti svariati. I critici, soffermandosi appena ad esa- minarle, le battezzavano colla facile parola di Accademie , Medaglioni ed Ornamenti ; ma, come nel poema dantesco non v'ha un verso che non racchiuda unidea, cosi non una figura dipinge e scolpisce il Buonarroti, che non incarni LA CAPPELLA SISTINA. 39 un significato, un concetto. Tutto  qui simbolo e pensiero;  un pensiero che si continua, si completa, e ci confonde colla sua immensurabile grandezza, e in queste figure, non che decorazioni e accademie , egli scolp simboleggiata in altrettante figure e movenze la storia dei secoli. Lumanit fu delusa, tradita; si  sostituito il Cristo della calunnia e dellodio a quello della verit e dellamore. Per col vedete dietro Aman crocifisso, re, regine, sacerdoti, che banchettano sul tradimento compiuto; qui il serpe della salute trasformato nel drago velenoso; dietro loro svol- gonsi gli effetti del tradimento ; V umanit, che sperava si aprisse l ra della giustizia, il millenario del regno dei cieli, vede rovesciarsi su lei flagelli e sciagure pi atroci; la caduta dell Impero Romano, V oscurarsi di ogni civilt, guerre su guerre, distruzioni, rovine. Quelle vicende di secoli tetri, di furori bestiali, sono raffigurate dalle forme strane, arruffate, sconvolte e atterrite, che si succedono, e aggrappansi negli archi, nelle lunette, negli zoccoli dietro le figure di Amano e del Serpente. Anzi con profondo calcolo egli collocava, cme vedemmo, quelle due figure, mezze in una prospettiva, mezze in un altra, mentre sembrano disposte in un medesimo piano, quasi a significare come la ingiustizia del mondo antico, le violenze, gli errori del Paganesimo, che si dissero interrotti, si sono continuati ancora nei secoli cristiani.  ancora il Paganesimo in cui domina la forza brutale, che si continua nell et nuova; non  il nuovo ordine che  succeduto allantico, ma il male perdura e il danno e il servaggio. Egli anzich ri- trarre unra di pace e di redenzione, ci presenta con ca- ratteri strazianti quale una scena dell inferno, i patimenti moderni, le sofferenze, le crudelt inflitte ai popoli. 40 PARTE PRIMA Qui vedi dipinta una donna che tiene in mano uno spec- chio, e vi mira raccapricciando le scene dorrore che si avvicendano, e sarretra spaventata; col un'altra gira nel- larcolaio lo stame della vita e della morte; altra, levato sul culmine dellarco lo sguardo immoto e fisso, mira il fiotto della sciagura avanzarsi mugghiando intorno, e in- vano attende un raggio di salute; questa tiene in mano il cranio del suo figliuolo e ride impazzata;... questi afferra il suo bordone di pellegrino e percorre la terra quasi cer- cando una patria che gli  negata; per tutto nei mezzo- tondi, negli spicchi semicircolari si seguono altre figure in atto di chi, affranto dalla fatica e dal cammino, si getta entro una fossa, altri pure cammina sempre sempre in- stancabile e appena trova una pietra ove riposi il capo; altri geme, si copre il volto per terrore e dispera; per tutto domina una voce che grida sconforto, delusione, pianto ed oppressura! Tuttavolta in ogni parte, in ogni gruppo miri un fanciullo staccarsi, spiccare e agitarsi; ecco qui nasce, l vagisce in fasce, altrove  sollevato sulle braccia della madre, si dibatte, cresce, corre; egli  lumanit che si rinnova, si rifeconda, si innalza e ci ricorda le parole del profeta:  Nulla  consumato ancora. Spera e attendi; il giorno della redenzione ha da venire, la giustizia matura; Dio e i profeti non hanno mentito! XV. E la salute, la redenzione comincia da Giona.  questa la seconda parte del poema simbolico, di cui il Giudizio Universale sar la terza, abbracciando cosi tutta la storia moderna e formando come la palingenesi del Cristianesimo. LA CAPPELLA SISTINA. 41 Giona, dall artista collocato alla testa della volta,  il prototipo di questa seconda parte, come il Cristo, un Cristo trasformato, un Cristo-popolo, sar leroe della terza o del Giudizio. Giona, nel simbolismo cristiano come nel rabinico, rap- presenta lUmanit che si svincola dalle spire dellidola- tria, dellerrore, o dal ventre del Drago ove stava sepolto; dal fondo degli abissi ove lo sommersero per elevarsi al Dio di verit e di giustizia. E il sommo artista dipinge Giona nel momento in cui con sforzo immane prorompe fuori impetuoso dal ventre dellOrco, il quale pi tenace, si affatica ancora di trattenerlo e addentrarlo nel fianco, e slanciasi dalle tenebre dellabisso alla luce distesa del cielo aperto. Egli tiene ancora congiunte ambe le braccia, con cui si sgrupp dal mostro; solleva il dito pollice come in atto di proclamare lunit divina; dietro di lui si leva e spicca la testa di una donna bellissima, composta, serena e forte ad un tempo, donna, che noi vedremo ripetuta in seguito sotto le stesse sembianze nella vlta, come nella parete del Giudizio, e raffigura la nuova Chiesa e il Cri- stianesimo futuro. Dietro Giona, nei vani dei nove compartimenti, si spie- gano dipinti i fatti biblici, o il primo periodo dellumanit liberata dall incubo dell' idolatria.  questa come una se- conda genesi, una nuova creazione, forse ispirata dalle idee mistiche e filosofiche svolte dal suo maestro Pico nell ' He- ptaptas (1). Nel primo vano della testata di sopra si vede ritta, li- (l) Pico, Heptaptas de septi formi sex dierunt genesos enaratione. 42 PARTE PRIMA brata in aria la figura colossale dun gigante in sembianza duomo, il quale, prostese le braccia in alto, separa la luce dalle tenebre; poi lAdamo ricreato, e il maligno volto in fuga; la donna, che con atto damore, al soffio creatore, levasi umilmente altera e in uno spontaneo impeto daspira- zione, quasi si prostende e inchina innanzi allEterno; e via via negli altri compartimenti alcune scene dell antico Testamento. Poscia, frapposte ai nove compartimenti so- pra le lunette tra pilastro e pilastro, quasi nel secondo cerchio di quella mole architettonica sopra quella turba di angosciati e di sconfortati, posano e stanno a sedere nelle cattedre del claustro i profeti e le sibille. I giganti della Bibbia e della poesia classica, dice Gastelar, non sono cosi alti come questi profeti; sono uomini si, ma uomini, che portano con s i dolori e le speranze di tutti i tempi, di tutti i popoli; questi esseri giganteschi, straordinari, che, come immaginarono le varie cosmogonie, sembrano pro- rompessero fuori dal seno del nostro pianeta appena creato, dominano colle loro pose agitate insieme e maestose tutta la scena, a quel modo che la loro parola si diffonde sopra le et e le governa e guida. Primo fra questi sta Geremia.' Dolore senza conforto siede sulla sua fronte. Invano, sembra dire, fummo redenti, lingiustizia regna pi sempre sulla terra;  inutile ornai lottare, vietata ne  pure la parola, le lagrime sono ri^ stagnate nelle pupille immote, si chiude colla destra la bocca per non tradire il segreto del suo dolore/ e la sini- stra mano casca abbandonata sulle ginocchia; ma bella e raggiante si leva a tergo la figura della Chiesa futura che vedemmo risplendere dietro Giona.  Spera, sembra dire, non tutto  finito.  Ezechielle si agita impetuoso sul suo LA CAPPELLA SISTINA. 43 seggio; lingiustizia dunque regner eterna sulla faccia della terra? La dirittura non sar mai che trionfi? I figli sono dunque risponsabili delle colpe paterne (1).. Se la giustizia esiste, perch il giusto  sempre perseguitato e soccombe? Questo il problema che va scrutando nellampio volume che tiene nelle mani convulse; e un fanciullo, che scuote colle mani una face, sta sulle mosse e sembra dire :  Allavve- nire la risposta.  E il fanciullo oltrepassando il profeta Joel arriva alla sibilla Eritrea. Gi la lampada della spe- ranza sta per ispegnersi innanzi alla divina profetessa stanca di leggere e daspettare; la notte cade e s addensa intorno ad essa, la fede vien manco, il fanciullo o lumanit che si rinnovella, passa, riaccende la lampada che conti- nua a splendere e rompe le ombre della notte; e nei due angoli pi vicini allEritrea, dove si confondono le due vele, che fanno riscontro a quelle, che alla testa dellen- trata rappresentano il falso Cristo e la delusione del Ser- pente di bronzo, ecco due composizioni, le quali aprono lepoca della redenzione vera. Da un lato miri David, che uccide il Gigante; dallaltro Giuditta, che rappresenta la Giudea , la quale tronca il capo ad Oloferne ed all idola- tria; luno simboleggiante la libert politica, la indipen- denza nazionale dal giogo straniero, laltra la vittoria del pensiero e della coscienza liberati dal mito, o dallidola- tria; da essi si inizi la nuova palingenesi religiosa e so- ciale. Zaccaria, il quale nellaltra estremit della vlta fa ri- scontro a Giona, medita, assorto nella lettura dun libro, il (l) Y. Ezgchielle. Cap. xviii, 44 PARTE FRIMA disegno, la mole e struttura del nuovo tempio che dovr elevarsi; due fanciulli da tergo, si chinano a leggere, a notare e pendono dalle sue parole. Nel mezzo arco di sotto a destra un vecchio, coperto il capo del berretto frigio:  Va, dice al fanciullo, lora tua  venuta,  lora doperare!  A sinistra un altro vecchio, solleva il fanciullo sulle braccia e sembra dire  al fine sei nato, a te spetta aprire i giorni della libert e della giustizia.  In mezzo alle due sibille, la Delfica e la Gumea, quella sempre giovane e bellissima, questa austera, pensierosa, solcato il volto da rughe profonde, sorge ispirato, Isaia. Per tal modo sem- pre si afferma il concetto della conciliazione dei popoli, lo spirito umanitario, universale del secolo decimosesto, il pensiero- del Rinascimento, che pone alla stessa altezza i profeti e le sibille messe a canto a loro, annunziatrici delle stesse verit; Isaia, la Delfica, la Cumea, ossiano la Grecia, l Italia, la Giudea, congiunte in un pensiero che, rappresentando lumanit, innalzano lo stesso cantico di speranze al cielo. E il profeta dIsrael, levando il brac- cio, vaticina ai secoli i giorni di libert, di fratellanza e pace. Ma quei giorni son lontani ancora. Qui vedi negli spicchi sopra le ogive dei mezzi archi, uno schiavo africano incatenato; disotto Aza, la quale, cinto il capo dal turbante siriaco, rappresentante la Giudea, ovvero l'umanit esule, oppressa, abbandonate le braccia, sta distesa sul sepolcro ira il vecchio padre e il fanciullo, e guarda, e geme, ed aspetta. A fianco siede Daniele, il cui nome significa Giu- stizia o Giustizia di Dio , che, alta la fronte, irti e agitati i capelli, come dal turbine della profezia che passa, scrive e scrive; ha gi pieno un volume, che il puttino regge sul capo; pure il Profeta continua a scrivere e notare... Che cosa LA CAPPELLA SISTINA. 45 scrive? Raccoglie le parole dei secoli? o ne segna sul libro il giudizio? Sotto di lui, negli spicchi semicircolari, unaltra figura nota anche essa e scrive; unaltra volge nellarco- laio rapido il filo dellet, e una figura cupa, avvolta nella tonaca orientale, affila nel silenzio il coltello nascosto, quasi attendesse il giorno della vendetta e del giudizio univer^ sale. Perocch il giudizio universale deve precedere lor- dine morale che ha da sorgere; conviene spazzare il ter- reno dalle tristi macerie dun passato ingannevole e funesto', per aprire poscia il nuovo tempio della verit, della fra- tellanza e della pace. > XVI. .. . . . ... E trentanni erano corsi dal di, in cui termin i dipinti della vlta a quello in cui pose mano al grande affresco del Giudizio Universale (dal 1507 al 1533-34). Egli aveva veduto in questo intervallo di tempo, tutto un edificio scosso dalle fondamenta crollare, e sorgere un nuovo ordine di cose e trasformarsi religioni, istituzioni e popoli. Quanto egli aveva amato, idoleggiato da giovane, si era corrotto, pervertito, ed egli doveva assistere alla sua rovina e pronunziarne il giu- dizio. Mentre in Europa tutto tendeva a rinnovellarsi di leggi, di costumi, di religione, lItalia ripiombava nelle te-* nebri del servaggio, e, uscita appena dalla notte del medio evo, quando cominciava a salutare il crepuscolo del Rina- scimento, re, imperatori, pontefici, popoli, tutti cospiranti a suoi danni, si gettavano su di lei, la facevano a brani, schiacciavano le libert de suoi Comuni, lindipendenza de suoi Stati, il rinnovamento, le riforme della Chiesa, e la ri- sospingevano in un servaggio pi cupo dellantico, pi tetro del medio evo. 46 PARTE PRIMA Egli vide lItalia percorsa, depredata, lacerata da orde straniere; gi opulente per industrie, per ricchezze, grande per intelligenze e per arti, ma al solito fiacca, debole, cor- rotta da una civilt precoce e imbelle; divisa e lacerata da piccole invidie e ire insane, essa cade facile preda delle compatte nazionalit, che sotto le forti monarchie sanda- vano ordinando in Europa; eserciti stranieri scendevano d oltre Alpi a dividere le sue spoglie; essa divenne il campo di battaglia aperto alle ire, alle gelosie, alle am- bizioni della Francia, della Spagna, della Germania e del- lAustria, aperta alla ingordigia di tutti i conquistatori stranieri, a tutti soggetta e preda. Michelangelo vide il pontefice da lui pi pregiato e amato, Giulio II, portare il colpo mortale a Venezia colla lega di Cambray; vide poscia, col pretesto o il vanto di voler libe- rare lItalia dagli stranieri, gettarla preda ai Tedeschi, ai Francesi, agli Spagnuoli, agli Svizzeri; vide altri pontefici parricidi aizzare principi e predoni stranieri contro la sua patria, Firenze espugnata, disertata e schiava, e cadere a mano a mano con lei le Repubbliche di Siena e delle Ro- magne; mir con orrore il sacco spaventevole di Brescia, di Vicenza, di Milano, di Prato e infine quello di Roma, e Clemente VII incoronando a Bologna Carlo V stringere e intrecciare la spada col triregno, e consacrare per secoli la servit dItalia. Vide per contro la riforma religiosa pre- sentita, annunziata dal suo maestro Savonarola, nascere, crescere e prorompere impetuosa nella Germania, scuotere la Scandinavia, la Svizzera e lInghilterra, e svellere met d'Europa dal grembo della Chiesa di Roma; le guerre politiche rese pi feroci dalle passioni religiose. Mentre che i popoli cristiani si lacerano tra loro l Islamismo si LA CAPPELLA SISTINA. 47 avanza, Solimano percorre saccheggiando lUngheria, e minaccia Vienna, e, colle sue scorrerie, getta lo spavento su Napoli, sulle isole e sulle coste italiane. Allo spirito riformatore, che commoveva lEuropa, rispon- devano le molte sette antipapali, che mai si erano potuto domare in Italia, e alle scuole filosofiche venivano ad ag- giungersi le sette di riforme religiose, i Paterini, i Soci- niani od Unitari, i Luterani. La Corte di Roma, appoggiata dalla Spagna, dai piccoli principi, dal braccio secolare, sguinzagliava, sulle terre e citt italiane branchi d'assas- sini, di delatori, di sgherri. Le carceri riboccavano di so- spetti deresia ; si vuotavano per alimentare le fiamme dei roghi, ove ardevano filosofi ed eretici. Il dominio, che non poteva sostenersi colla ragione e colla fede, veniva pun- tellandosi sulla punta della spada, imponendosi coi terrori, col ferro e coi roghi. Tutto ci sentiva, mirava e notava il Buonarroti. Edu- cato alle dottrine dei filosofi, discepolo del Savonarola, sentiva nel fondo del cuore la riforma religiosa e morale, suprema salute dItalia, la quale dalla superstizione, .dalla falsit, dallerrore, era caduta nella corruttela e da questa precipitava nel servaggio e nella rovina. Sdegnoso, chiuso in s, egli non poteva favellare, n aprire il suo pensiero. Quel cumulo di sciagure piombate sulla patria, quei vitu- peri, quelle codardie, quei delitti, avevano condensata nel fondo dellanima sua fiera e disdegnosa, una tempesta di dolori, di ire, di passioni gagliarde e feconde, e quel di- sdegno, quelle passioni a lungo rinchiuse e soffocate nel profondo del cuore, ei vers collimpeto del suo grande animo nel sublime dipinto del Giudizio Universale. 48 PARTE PRIMA XVII. La volta della cappella Sistina fa appellata un presenti- mento: qui dipinse un nuovo mondo messiaco, invano a lungo atteso, e quale, dopo i profeti, avevano idoleggiato e annunziato i Gioachim da Flora, i Giovanni di Parma, i Re* nuccini, i seguaci dell 'Evangelo Eterno , nunzi di un nuovo Cristianesimo. Nel Giudizio universale segna la sentenza e la condanna del falso Cristianesimo, e il preludio della catastrofe e della sua caduta. Conveniva loro sfolgorare la falsit, il sofisma, lipocrisia, spazzare la terra dalle loro immonde macerie, per aprire i tempi della nuova religione evangelica, o meglio per ri- fecondare e condurre a maturanza quei germi ricchi e feraci, che lantica racchiudeva ancora nel seno, e che non poterono andar del tutto dispersi e spegnersi. Giovinetto, aveva il Buonarroti scolpita la battaglia di Ercole contro i Centauri; vecchio, sapr suscitare un Ercole pi santo; evocare un Apollo pi sfolgorante che sorge a giudicare i vivi e i morti, e lo effigia terribile l nel Vaticano, per pronunciarne innanzi ai secoli l'alto giudizio. Il Giudizio Universale fu terminato e scoperto il 25 di- cembre 1541, il giorno di Natale, ed era un nuovo Cristo infatti che, non in un villaggio umile ed ignoto, ma in Roma, ma nella capitale del mondo cattolico, veniva alla luce del giorno. E questo Cristo gigantesco, che si vede l campeg- giare nel vasto affresco,  gi un Cristo trasformato, quale non era mai stato n concepito, n veduto, e quale non altri che quellanima invitta di Buonarroti avrebbe potuto immaginare, accogliere e imprimere. In quella folla di put- LA CAPPELLA SISTINA. 49 tini, che egli aveva sparsi e dipinti nella vlta, pi non ve- diamo traccia del buon bambino Ges. Essi non sono flosci* "f leziosi e slavati, ma vigorosi, audaci, riboccanti di vita; sono tutti membruti, ora frementi di inquietudine, ora in un vior lento riposo e avidi del pari dazione; tutti sono come usciti da uno stampo; ed ormai quei bambini e quegli adolescenti sono cresciuti, sono uomini, divennero giganti, e li miri ef- figiati e raccolti nel nuovo Cristo. Qui non pi traccia del Ges mansueto, umile, sereno della liturgia, non pi i tratti nazareni idoleggiati dalla Chiesa Greca o Latina, non pi le forme raggianti e placide che ritrassero i Giotto, i Gian Bellino, i Perugino; egli ti presenta lenergia dun Giove irato o drcole che abbatte il Centauro; ha la nobile fierezza fieli Apollo del Belvedere, che scende a saettare il Serpente; ha la terribilit di Mos che spezza le tavole della legge. Egli ha vedute le violenze dei forti, mir le turpitudini, 1q ingiustizie, le frodi degli ipocriti che tradiscono la fede, ha ascoltato e raccolto i gemiti, le querimonie de deboli, le proteste degli oppressi. I clamori de popoli e degli individui torturati nelle prigioni, conculcati, arsi su roghi, salirono sino a lui; egli si solleva nella sua forza, egli riparatore, egli scudo, egli giudice.  il nume antico proclamato dalla legge, vaticinato dai profeti, atteso dai derelitti e dai mi- seri; il suo nome  Giustizia (1). (l) Tra i molti errori e le menzogne che si sono diffuse intorno a Jeova o il Divino idoleggiato dagli Ebrei, suole ripetersi che esso sia il Dio dellodio, della vendetta, e per fu contrapposto a Satana, ed ora, con errore piu stolto, fu confuso con Satana. Jeova, nel suo si- gnificato filosofico e metafisico, vuol dire l'Essere assoluto, fonda- mento del tutto; in questa voce  contenuto tutto lo spazio, tutto il La mente di Michelangelo. 4 50 PARTE PRIMA Tutto, dice Tertulliano, matura nei secoli, anche la Giu- stizia; e quel gigante che miriamo sopra la vlta tra Joel ed Ezechielle, posato sopra un cesto di frutta ancora acerbe,  la Giustizia che si matura nei secoli, si nutre nelle ansie, si fortifica nei tormenti dei popoli, e poi s'innalza possente, come il Cristo, a chiamare a giudizio inesorabile pontefici, e imperatori, popoli e plebi. Egli si leva in forma colossale in mezzo al dipinto ; sem- bra col capo attingere ai cieli, e la terra gli  sgabello ai piedi; i capelli abbandonati ai venti, il fronte accigliato, maestosamente severo, l' una mano levata in atto di male- dire, l'altra in atto di chi respinge con orrore colui che gli si vede primo presentarsi innanzi, tutto in lui  severit, forza ed ira. Dietro a lui siede, e quasi si nasconde, la Ma- donna. Quanto mutata dalla Vergine delle liturgie, la Regina dei cieli; quanto diversa dalle Madonne ingenue, serene di Giotto, di frate Angelico e delle formosissime di Raffaello! Non pi di sol vestita , non pi cinta la fronte della divina aureola, non pi come la cant nel suo lirismo il poeta moderno, terribil come  oste schierata in campo ; ma smarrita, ma paurosa e dimessa e ravvolta nel suo manto, quasi nascosto il volto dietro il figlio, essa non appare pi che donna. 11 tempo della grazia mite, obbliosa, fiacca,  tramontato. Troppo a lungo questItalia molle e snervata tempo; nel significato morale significa l Equazione , la Giustizia . Ecco i termini mirabili di grandezza e di precisione coi quali il Dio Ebreo  definito nella Genesi stessa dal legislatore:  Dio  verit senza iniquit, Egli  giustizia e dirittura.  Dei perfecta sunt opera, et omncs viro eius judicia: Deus fldelis, et absque nulla iniquitate, justus et rectus. * Deut. xxxii, 4. / LA CAPPELLA SISTINA. 51 immol alla grazia la giustizia; sagrific la legge ad una piet morbosa, funesta e colpevole; la verit alle seduzioni di una bellezza fallace e alle finzioni; l'antica e maschia -virt agli incanti della grazia, affascinata sempre e sog- getta alle sirene umane e divine. Quel fascino  tempo di spezzarlo, l'ora  sorta della luce aperta, della verit pro- clamata sopra i tetti, della Giustizia, che > impassibile innanzi alle lusinghe della bellezza, come alle minaccie dei grandi e agli urli delle turbe tumultuanti, colpisce del pari grandi e plebei, pontefici, operai, popoli o principi. Dopo il Cristo, laltra figura che campeggia, e rilevata sembra staccarsi e presentarsi innanzi agli spettatori,  san Pietro;  in atto di avanzarsi e presentarsi al Cristo per essere giudicato. Queste due figure sono tutta una rivela- zione, terribile rivelazione che domina il gran poema e ne -spiega il pensiero. Ecco il Cristo accigliato, sdegnoso, in atto di fulminare; poi col il suo vicario, che turbato in volto, sospettoso e peritante si fa innanzi, e con unumilt infinta e sospettoso gli porge le sacre chiavi, che il Cristo respinge con orrore. Intorno a loro vedi affollarsi tutta una turba di. persone diverse, vera accozzaglia, come dice un critico, di esseri umani, che quel grande aveva dipinti in- teramente ignudi, come la verit vuol essere, e che i pre- lati fecero imbrattare o velare come l ipocrisia; tutti questi hanno forme erculee, figure volgari, atti paurosi, suppliche- voli, smarriti, ignobili; qual regge le tenaglie, quale il ma- glio, il coltello, la sega, quale altro strumento di tortura e supplizio; si volea ravvisare in questi gruppi i santi o i morti per la fede, i quali fanno sfoggio degli istrumenti con cui subirono il martirio; ma chi ben mira le figure strane, sconvolte, i volti volgari di questi santi,  costretto a 52 PARTE PRIMA chiedersi se cotesti sono santi o reprobi, martiri o carne- fici. Non sarebbero, per avventura, essi, i frati, gl inquisi- tori, gli aguzzini, che per tanti anni hanno condannato, torturato, arso gli eretici, i pensatori, che superano in nu- mero, in virt e spasimi patiti i santi del calendario? E questa figura lunga, nerboruta, che quasi in rilievo si fa innanzi a tutti, e che colle gambe larghe sembra a caval- cione di una nube, ai piedi del Cristo, sarebbe invero san Bar- tolomeo, o non piuttosto uno dei frati inquisitori scemi e fanatici, una specie di Torquemada, cui il pittore volle stim- matizzare? E quellinvolto che tiene in mano, anzi che la sua pelle sparuta e svelta, non sarebbe la larva con cui celava le opere ree, o la maschera dellimpostura? ^ .. A meglio chiarire il suo pensiero, egli tratteggi a destra di questo gruppo di gente, che altri battezz per santi, scene terribili, oscene, feroci. Aveva suscitato gran scan- dalo, appena scoperta, limmagine di santa Caterina, nuda, stretta voluttuosamente fra le braccia di non so qual santo. Altre scene si seguono confusamente, che denotano pi che la piet, il terrore, lira, lo smarrimento, ma lo spettatore si arresta sopratulto su quel terribile gruppo dipinto sotto questi martiri o carnefici. Sotto i piedi di san Pietro vedi alcuni demoni, che agguantano un reprobo col capo arro- vesciato in gi, sotto quel fascio di vesti e di carni umane, e gi lungo i fianchi gli cadono penzoloni le chiavi, che pi sopra san Pietro presentava a Cristo, il che par signi- ficare il giudizio pronunziato ed eseguito; e infatti si sco- prono qua e l altri religiosi e religiose, cui demoni dai ceffi spaventevoli, afferrano colle branche e con forconi; essi lottano invano, e tentano districarsi dalle ferree mani, agi- tandosi e springando le piante, mentre che due donne bel- LA CAPPELLA SISTINA. 53 lissime, colle braccia in alto, in atto di percuotere, li spin- gono, li urgono, li precipitano gi nellaverno; e queste donne, se ben miri, hanno forme eguali a quelle dipinte dietro Giona, e di altre medaglie della vlta, e che raffigurano la Chiesa futura. Sotto questi gruppi si seguono i rei dan- nati per peccati capitali, che rovinano nell inferno dove li accompagna colla barca Caron demonio , in atto di battere qualunque s adagia; nel mezzo poi si apre lantro d Averno, come dai Ghibellini era appellato il Vaticano. Anzi, a me- glio spiegare il concetto riposto, lartista entro quellantro cacci il noto messer Biagio, custode del Vaticano. Un demone si china verso di lui, gli susurra allorecchio una parola: non sarebbe per avventura il segreto del Buo- narroti? Lantro, il gruppo degli angeli librati nellaria, come tra i due mondi, il celestiale e linfernale, e che tengono aperto il volume dei destini dei popoli e deglindividui, servono di transazione al lato destro del Cristo, a sinistra dello spet- tatore ove succede la risurrezione dei beati. Qual variet di scena si offre allora allo sguardo ! Men- tre a sinistra nel complesso era una confusione, un affol- lamento di persone dal guardo obliquo, pauroso, dalle mosse tortuose come di reprobi e d ipocriti, qui tutto spira grazia, serenit, bellezza ineffabile e leggiadria. Sono figure tratteggiate con forza e grazia infinita, che sciogliendosi dal sonno della morte si innalzano a vita eterna. Sembianze di donne, di fanciulli, di pensatori, che nella vlta abbiamo veduti accasciati sotto al pondo dei loro dolori, seduti sul sasso, affranti, e nei quali molti secoli di patimenti e doltraggi non valsero a scuotere la fede nel giusto e nel vero, ora, rigenerati da questa fede, risorgono, 54- PARTE PRIMA e sono come da forze arcane tirati nel cielo. Qui una ma- dre bellissima solleva la figliuola, che si avvince intorno al suo cinto, e seco T innalza ai beati; col un bambino stende le braccia alla madre, lo sposo alla sposa; altrove una monaca getta ad altri la catena del Rosario, la fede semplice e popolana, e a lei si rannodano altre suore;  linfanzia del cuore che ricomincia la vita. Qui un gruppo di sposi librati nello spazio, soli e intrecciate le braccia 1 uno collaltro, si sollevano come attratti per virt damore. Pi sotto vedi gruppi diversi, ora ischeletriti, ora gi rive- stiti di carni, appoggiati sui gomiti, svincolarsi dalla tomba contratti, portentosi di ossa, di muscoli, di tendini, di cui consta la macchina umana, nei quali trionfa larte reale e ideale, tal che la materia s eleva e diviene spirito. Cosi alcuni, che agli atti, al volto diresti pensatori, scienziati, torturati o costretti al silenzio nella vita, rimovono il co- perchio della tomba, si levano in piedi, e attendono im- pavidi il giudizio, o si elevano al cielo e salutano laurora della nuova fede, il sole della verit, mentre una folla di uomini, di fanciulli, di donne, non daltro rivestiti che dalla loro innocenza, per virt spontanea, si librano insieme in alto, e reggendosi l un laltro per mano, intrecciano la ca- tena degli esseri, e rappresentano la concordia delle razze diverse, la serie dei secoli ora compenetrati della giustizia divina, e del pari rigenerati. Superiormente si spiegano due campi semicircolari, for- mate dalle masse della vlta, e rappresentano la parte ce- lestiale della vasta epopea. Vi si vedono staccarsi falangi di angioli, di santi, che portano gl istrumenti della passione. Qui pure il simbolismo  diverso dal liturgico, qui pure il nuovo Cristianesimo LA CAPPELLA SISTINA. 55 crea il nuovo simbolismo. Gli angeli pi non portano le' ali ufficiali, pi non presentano gli aspetti molli, sfiaccolati* svenevoli; li miri fieri, virili, sono persone, non fantasmi, sono uomini e realt, non finzioni. Portano la croce, che, vacilla loro in mano, sta per cadere, e tentano invano so- stenere e reggere in piedi. Nellaltro compartimento la co- lonna, gi quasi rovesciata, sta per precipitare loro sul capo, una donna ne  quasi schiacciata, mentre altra donna, in sembianza di quella gi dipinta presso Giona, tenta risol- levarla, simboleggiando la nuova Chiesa, che succedp alla Chiesa caduta. In ogni parte, chi sappia penetrare il significato simbolico di questa Apocalisse italica, pu scoprire il concetto ripo- sto dellantico domma che tramonta e cade, del nuovo che si leva e trionfa; la religione della grazia, della morbosa scuola delle restrizioni mentali, della falsa piet, che cede il passo a quella della legge, della giustizia, delle maschie virt; il culto dei rancori, degli antagonismi, degli odii sosti- tuito dal fecondo concetto, della conciliazione e dellamore; la legge sostituita al privilegio; la realt forte, virile, alle finzioni, allidealismo snervante, all ipocrisia ; la sicurezza allequivoco, al sofisma; la verit al mito; alla fede cieca, un sentimento religioso pi alto, la scienza. XVIII. La scienza fu l ultima parola del sommo artista. La vlta, le pareti della Sistina rappresentano in certo modo il Purgatorio e lInferno del suo poema sacro, la Basilica ne sar il Paradiso. Nella sua prima giovinezza, la forma in cui impresse il suo pensiero fu la scoltura; poscia lo 56 PARTE PRIMA svolse in modo pi preciso e largo colla pittura, nelle pa- gine degli affreschi; ora, attempato, finisce collo stamparlo in forme architettoniche nelle pareti, nella cupola, nell1 im- menso edificio di S. Pietro. Quest immensa Basilica rappresenta e compendia in s la storia del Rinascimento italiano, e in parte dellepoca mo- derna. Tutti i sommi artisti avevano messo mano al vasto edilzio; fu il lavoro non mai scontinuato del secolo deci- moquinto e sesto. Si successero nellopera Bramante, Raf- faello, Baldassare Peruzzi, frate Giocondo, Antonio di San- gallo. Avvenne che questi mor nel 1546; onde, mancato chi guidasse i lavori della fabbrica,  furono varii i pareri,  scrive il Vasari  a chi dovessero darli.  Finalmente credo che Sua Santit, ispirata da Dio,  si risolv di mandare per Michelangelo.  Questi sulle prime ricus, come quando gli si commise di dipingere la vlta, dubit di s, si ri- trasse dicendo che larchitettura non era larte sua; final- mente ai preghi e alla volont imperiosa del Pontefice gli fu forza cedere, ed entr in quellimpresa. Tutti i suoi biografi narrano le insidie tese al sommo artista dagli invidiosi e dai tristi, mentre attendeva a diri- gere il grande lavoro; i conflitti sostenuti contro la setta Sangallesca, le calunnie e intrighi, che amareggiarono la sua vecchiezza, e per contro, la forza danimo, la pertinacia e l'abnegazione da lui spiegata per tener fronte a suoi ne- mici, e il disinteresse col quale quest uomo non volle ac- cettare compenso di sorta, dicendo che egli lavorava per amor di Dio e dellarte. Noi ci limiteremo a studiare il pen- siero a cui sispirava l'opera sua, e che riusci a stampare nel tempio meraviglioso. L'idea, che si proponeva imprimere,  la stessa che mo- LA CAPPELLA SISTINA. 57 veva il suo pennello dipingendo la Sistina; qui la pittura diviene architettura, assume forma pi precisa e gagliarda, permanendo nel fondo identica. Egli si propone ancora di uscire dal medio evo, dal confuso, dal contorto, dallartif- cia-le e dal falso, per aspirare alla semplicit, alla realt, alla verit; lasciare le assurdit del mito, loscuro del fa- voloso, l indeterminato del soprannaturale, per fondare sulla natura e sulle sue leggi eterne; sprigionarsi, come il simbolico Giona da lui effigiato, dalle spire dellOrco, svel- lersi dal fondo del pelago tenebroso, per cercare la libert, la verit in s, ed elevarsi alla pienezza della luce. Questo concetto, come verremo dimostrando, non  parto della nostra fantasia, ma ci viene chiarito ed esposto dal- lartista stesso. Il disegno della fabbrica, quale fu ideato dal Sangallo, era una mescolanza di stile gotico e di ro- mano; egli aveva sprecato gi somme enormi, consumati quarantanni di lavoro, e ledifzio riusciva confuso, stentato, oscuro, con proporzioni meschine.  Il Sangallo aveva con-  dotta la fabbrica cieca di lumi, aveva di fuori troppi or-  dini di colonne, le une sopra le altre, e con tanti risalti  e aguglie e tritume di membra, che teneva pi dellopera tedesca, che del buon modo antico, e della vaga e bella  maniera moderna.  Michelangelo invece ide di condurla  con minor spesa ad un tempo e con pi maest, gran-  dezza, facilit e maggior disegno dordine, bellezza e co-  modit.  In queste parole del discepolo si compendia il pensiero del maestro. Il gotico, sotto quellapparenza di sveltezza e leggerezza che presentano le sue guglie, gli archi a sesto acuto, la vaghezza dei lavori cesellati e dei contorni,  stentato, impacciato, pesante; la Cattedrale  oscura, cupa, come let che ledifcava. La fabbrica si pre- 58 PARTE PRIMA senta come una ftta foresta di colonne, di angoli acuti, che sintrecciano colle vlte;  un insieme di tritume di membra aggiunte l une allaltre, ricinte da una moltitudine di minuti ornamenti, di fronzoli, di civetterie, che si ripro- ducono all infinito; fragile qual , e priva di saldezza, si regge come sulle stampelle per opera di contrafforti, spun- toni, ferri nascosti e dissimulati nel muro. Specchio del sistema teologico dal quale emergeva, che non aveva sicurezza, consistenza in s, n fondava sopra solida base. Anzi che su principi scientifici e sulle propor- zioni geometriche, si fondava sul numero mistico del tre e del sette, che si ripetono allinfinito. Perocch la Chiesa, al pari della Teologia, doveva edifi- carsi sopra i numeri tre e sette, e al pari del domma, anzi che sulle teorie della ragione e le leggi eterne della natura e della scienza, poggiare sopra un insieme di pratiche, di finzioni, di teorie fantastiche, di tradizioni erronee e impo- ste colla simulazione e colla violenza. Per, come il sistema ortodosso ha bisogno di tutto un apparato esteriore di forze, d un esercito di prelati, di frati, di inquisitori, di milizie ec- clesiastiche e del braccio secolare per imporsi alla ragione umana e conservare l impero, cos ledifizio gotico e medio- evale composto qual di minuterie e fronzoli, di rappez- zature, che si ripetono sempre, ha un continuo bisogno di custodi, di riparatori, di medici, i quali vigilino sopra l infermo debole e pericolante; si sostiene con contrafforti, con chiavi palesi o mascherate, e per poco si lasci in ab- bandono, ledificio vacilla, si sfascia, si sgretola pietra a pietra. L Italia si lev prima a combattere questa architettura mistica, tenebrosa, stantia del medio evo. I grandi edifizii LA CAPPELLA SISTINA. 59 dellantichit .romana, i quali sembrano emergere dal fonda del suolo, gettati in un sol pezzo, e saldi al pari delle no- stre alpi, sfidano i secoli, porsero il primo modello della nuova architettura. Mancava il genio pratico, ardito, capace di comprenderli, d imitarli e dimprimere loro il concetto religioso e cristiano. Questo genio sorse col sommo Brune-' leschi, il quale, dopo lunghe e faticose battaglie sostenute contro gli oscurantisti dellepoca, colla cupola del Duomo in Firenze gett la prima pietra angolare del Rinascimento.' Egli prese le msse dalla prospettiva, dalla meccanica per riescire alla costruzione, che imit la regolarit delle leggi celesti e leternit delle leggi meccaniche che reggono il mondo. Inizi per tal modo la feconda riforma, la quale non era in fondo che lo studio della natura e delle sue, leggi per riverberarle nellarte. Buonarroti la compi e he suggell il pensiero, l nel grande centro dellortodossia cattolica, culla e centro dellarte moderna, in Roma. XIX. Riformatore, pensatore, come artista sommo, egli aveva coscienza chiara e piena dellopera che stava per compiere. Infatti egli stesso ne chiarisce e spiega il pensiero con pa- role precise in una notevole lettera, che dirigeva ad un amico nei giorni in cui stava per mettere mano ai lavori, sulle traccie di Bramante,  valente nelV architettura quanto ogni altro , che sia stato dagli antichi in qua.  Egli inten- deva di elevare una fabbrica  non piena di confusione , ma chiara , luminosa, isolata a torno ,  non come ha fatto il Sangallo  che si  discostato dalla verit , e toglie tutti i lumi alla pianta di Bramante , ma per s non ha ancor 60 PARTE PRIMA lume nessuno , tanti nascondgli tra di sopra e dissotto scuri , che fanno comodit grande ad infinite ribalderie.  In altri termini, col dove il Sangallo e la sua maniera avevano portate le tenebri insidiose, egli intende recare la luce, la serenit; a queiraffastellamento di ordini diversi, di architettura mistica, intende sostituire unarchitettura semplice, grandiosa, che s ispirava alla romanit e al genio italico antico, disegnando le grandi linee, e si basava sul calcolo, sulla scienza, sulle leggi eterne della natura. Que- ste idee egli seppe imprimere, non solo nel marmo ma nel- ledifizio tutto, il quale, secondo il suo concetto, doveva riescire il pi omogeneo, uno, armonioso, che sia stato immaginato, ed elevarsi in Roma siccome tempio dei tem- pli, e cattedrale del genere umano. Tale lo ideava, lo idoleggiava nella gran mente il Buo- narroti, e tale lo disegnava; ma i suoi disegni furono in appresso manomessi e adulterati. La reazione cattolica, che tenne dietro ai grandi Papi del Rinascimento, incoraggi ed ottenne un'arte che ben corrispondeva a quel feroce e barocco sistema teologico, il quale mirava a prolungare le confuse e paurose tenebrie del medio evo, mentre gi in- vadevano la terra i fulgri dell'et moderna, e fu visto pro- dursi un mostro ibrido che teneva di tutti i sistemi, senza averne uno, e ne nacque il barocco. La Basilica Vaticana fu sopraccaricata di ornamenti, di fronzoli, di larghe cornici, di pilastri, di ricchi dipinti, di tutto quanto potesse parlare ai sensi, abbagliare la vista, smarrire e snervare il pensiero (1). (i) Noi avevamo gi scritte queste pagine quando ci cadde sotto gli occhi un notevole articolo sulla Basilica dellinsigne prof. Barzelotti, che corrisponde perfettamente alle nostre idee: vi  uno sforzo inge- LA CAPPELLA SISTINA. 61 Laccessorio divenne principale, mentre che secondo il con- cetto di Michelangelo, le scolture, le pitture, gli ornati, non dovevano figurare a capriccio, ma quali elementi architet- tonici, concorrere a costituire larmonia, a crescere decoro al suo tempio. Nulla doveva sorgere a distrarre locchio, fuorviare la mente daHahbracciare il complesso colossale. Ispirandosi alla Bibbia, e compreso da quel severo senti- mento religioso, che mosse gi la sua mano a ritrarre i profeti, a scolpire lispirata sembianza del Mos, egli in- tendeva di sollevare il tempio al Dio del Pensiero, impri- mendo e traducendo con ben altro genio e con arte pi in- gegnosa, in forma architettonica pi pura e regolare, quel Vacuo sublime che, secondo la forte e precisa espressione di Tacito, arrest meravigliato Pompeo sulla soglia del Santissimo in Gerusalemme. Quel vacuo sublime, che aderge la mente dal vario allunit, dallaugusto e caduco della terra alla infinitudine delleterno. Pure, malgrado le alterazioni recate al suo disegno, il con- cetto michelangiolesco domina ancora sovrano nella grande Basilica, e la riempie di s. Infatto la parte essenziale del tempio, la cupola ed il suo ordinamento cos esterno come interno, ritrae la vastit del suo pensiero, ci empie di una soave e sublime meraviglia, non gi per il soverchio degli ornati, ma per la sua semplicit, larditezza con cui si slancia nello spazio, in mezzo a quella leggiadra armonia delle forme, e alla purezza, ed al sapiente accordo delle  gnoso che accumula, moltiplica i ripieghi; mancando il sostanziale,  cio lo spirito, il sentimento, si cerca lefficacia nellarte particolar-  mente nella quantit, nel lusso, pi che nella qualit, ecc., ecc.  (Vedi Nuova Antologia , luglio 1882). C2 PARTE PRIMA  LA CAPPELLA SISTINA. linee; la vlta che spazia cosi vasta e leggiera accoppia lunit e la semplicit alla maest pi grandiosa. Tutto porge immagine di sterminata grandezza, la quale, anzi che soverchiare i sensi, parla al pensiero, lo soffolce, lo aiuta quasi per moto istintivo, spontaneo, a sollevarsi e poggiare sempre pi in alto;  il vero Excelsior, che scol- pito in una massa architettonica, favella allo spirito, e grida alle generazioni che si avanzano: sempre in alto. A questo effetto cospirano le cupole laterali, le quali co- ronano, come serti minori, la vasta superficie. Esse si le- vano a guisa di templi isolati, che accrescono maest alla grande cupola centrale. La quale, mentre  un vero miracolo di calcolo e darte, incarna un alto concetto filosofico e re- ligioso. Esso  il Panteon antico sovrapposto come a co- ronare il tempio moderno. Sono tutti i Numi, i concepimenti religiosi e parziali del mondo antico, che accolti con armo- nioso accordo nel nuovo tempio, sembrano convocati qui alla contemplazione del Dio infinito, che di s empie luniverso. A nessuno dei coetanei fu dato di mirare la gran cupola terminata, solo il Buonarroti la vedeva elevarsi grandeg- giente innanzi allo sguardo, quasi a chiudere lepoca dei cieli angusti, che si curvano come a serrare entro a breve confine il globo, ed aprire ai posteri spazi pi luminosi, orizzonti sempre pi vasti, in cui navigano, come in un mare di luce, miriadi di mondi viventi. L'artista aveva in quel tempio, nella sublime cupola, ef- figiato il simbolo; non tardarono dopo di lui, quasi nuovi profeti, i Kepler, i Copernico, i Giordano Bruno, Galileo, Newton i determinarne le leggi, e su di essa deve forse l'avvenire fondare la religione della scienza, il domma di tutti i popoli. PARTE SECONDA LUOMO IL FIGLIO E IL CITTADINO LUOMO IL FIGLIO E IL CITTADINO I. A comprendere la mente del Buonarroti, non conviene limitarsi a considerare soltanto lartista e le sue opere, ma vuoisi studiare luomo. Luomo nella vita domestica e cit- tadina spiega l'artista; questo irraggia di viva luce 1 uomo. Vittoria Colonna, con quella intuizione, che le donne dalto cuore sogliono avere nel comprendere e definire l uomo grande, diceva che la vita di Michelangelo era una, sempre uguale a s stessa in ogni atto, in ogni periodo della sua vita, e che in lui era da pregiarsi, anche pi delle opere, il carattere. E a dir vero, dote singolare che distingue e privilegia fi uomo sommo,  il giusto equilibrio dogni facolt, le quali, pur svolgendosi nella loro pienezza si contemperano ed ar- monizzano per modo, che sembrano sempre mosse da uno stesso spirito, rette, in ogni circostanza, da un pensiero dominante; virt questa che quasi mai si riscontra anche in taluni uomini grandissimi. La mente di Michelangelo. 5 66 TARTE SECONDA Infatto, in alcuni, come in quel genio sovrano che fu Torquato Tasso, soverchia V immaginazione, il sentimento, a scapito della ragione; in altri, come nell'Ariosto, sover- chia ed eccede la fantasia; in altri, una co tal sensualit volgare, o sentimentalismo morboso; in altri, il calcolo, lambizione, legoismo, e nei tempi moderni la tendenza al paradosso, allaffettato pessimismo, o la vanit che cela la vacuit del pensiero e la fiacchezza dellindole. Vha al- cunch di discorde, di balzano, che per eccesso o per di- fetto rompe la rettitudine, larmonia di una vita. Michelan- gelo invece, come Dante, Shakespeare, Galileo Galilei, Gote, Humboldt, ed altri pochissimi, sono tali personalit, in cui ogni attitudine, ogni facolt si bilancia per modo, che con- corre a costituirne un tipo, e fonderle in una possente e compatta individualit. Esse sono sempre uguali a s stesse; sinnalzano e spiccano come lApollo del Belvedere e la statua di Sofocle, del Pensieroso, salde, alte, in s secure, sopra il loro piedestallo; sia che tu li contempli di fronte, di profilo, sia nel torso, nel fianco, in ogni loro particolarit, tu sei costretto ad esclamare: bello! perfetto! Tale apparve il Buonarroti ai coetanei, e lo appellarono il Divino; per, a meglio comprenderne la mente, conviene pur penetrarne il cuore, seguirlo in alcune vicende della vita, studiare insieme coll'artista sommo e col pensatore, il figlio, il fratello nella vita domestica, il cittadino nelle battaglie politiche, fra le tempeste e vicende della patri, il suo cuore damante nel fuoco delle passioni, e per tal modo si verr forse a comprendere e afferrare nella sua interezza luomo. Il che tenteremo di fare a larghi tratti in questo studio, il quale sulle prime non doveva essere che una introdu- luomo. 67 zione ad un lavoro poetico, ma che in seguito prese pi larghe proporzioni a mano che ci sentivamo pi e pi at- tratti e affascinati da questa figura simpatica e colossale, la quale, anche pi della Dantesca, deve levarsi e grandeg- giare come modello di virt, di dignitosa indipendenza, di nobile disdegno, di volont tenace, di operosit instanca- bile e di grandezza, ad unItalia, la quale voglia sorgere a dignit di nazione maschia, rispettata e libera. II. Studiamo prima luomo nella vita domestica, poi nella cittadina. E qui, per quant possibile, cediamo la parola allo stesso Michelangelo, il quale spesso, anche parlando o scrivendo, scolpisce. Numerose lettere sue furono pub- blicate in questi ultimi tempi, sia dal Grimm nellerudita sua biografia tedesca, sia dal diligente Aurelio Gotti nel- loccasione dellanniversario, sia da Cesare Guasti nel vo- lume in cui con tanto amore ne raccolse e ne chios le rime. Noi ci limiteremo a spigolarne alcuni brani, che me- glio possano rilevare il carattere dellartista. In quellet corruttissima di costumi, in cui la coscienza individuale era eclissata e pervertita, la dissolutezza era virt, l inganno vanto, lamore tradimento, seduzione e li- bidine sfrenata, e ognuno, chiuso nel suo egoismo, viveva per s solo, i vincoli di famiglia, sopratutto fra gli artisti, erano rilassati e sciolti (I). Michelangelo, che pur viveva (1) Sui costumi degli artisti ci limitiamo a ricordare la sregolata vita del Lippi, che era pur monaco carmelitano ; alcune lettere di Sebastiano del Piombo, in cui narra quando si fece frate; la vita del Celimi, ecc. 68 PARTE SECONDA solo, per lo pi lungi da suoi, fu un eccezione. Egli anche lontano  affettuoso, austero e illibato, e porta sempre il padre, i fratelli in cima d'ogni suo pensiero; egli alla fa- miglia consacra le sue fatiche e la sua esistenza.  Io voglio <c,che voi stiate certo, egli scrive al padre (1), che tutte le  fatiche che io ho sempre durate non sono state manco  per voi che per me medesimo, e quello che ho compiuto,  perch sia vostro ; e mentre voi vivete... con quelle en-  trate e con quello che vi dar io, voi vivrete come un  signore.  E in altra lettera :  Attendete a vivere, o piut-  tosto lasciate andare la roba che patire disagi, che io vi  ho pi caro vivo e povero, che, morto voi, io arei tutto  loro del mondo...  E scrive al fratello Giovansimone, di cui aveva a lagnarsi per il suo procedere poco rispettoso verso il suo genitore:  Io ho provato gi pi anni sono  con buone parole e buoni fatti, di ridurti al vivere bene  e in pace col tuo padre e con noi altri; e tu peggiori  tuttavia.  E poi con quanta delicatezza e semplicit sog- giunge:  Io non ti dico che tu sei un tristo, ma tu sei in  modo che non piaci pi n a me, n agli altri... Ora io  sono certo che tu non sei mio fratello, come gli altri,  perch se lo fossi, tu non minaccieresti mio padre, anzi,  sei una bestia... Sappi che chi vede minacciare, o dare al  padre suo  tenuto a mettere la vita, e basta...  E poi nel poscritto:  Io non posso fare che non ti scriva ancora  due versi, e questo , che son ito da dodici anni in qua  tapinando per tutta Italia, sopportando ogni vergogna^  patito ogni stento, lacerato il mio corpo in ogni fatica,  messa la vita propria a mille pericoli solo per aiutar la (1) Lettere di Michelangelo, agosto 1508. l uomo. 69  casa mia, ed ora che io ho cominciato a rilevarla un poco, tu solo voglia esser quello che scompigli e rovesci  in un ora quel che ho fatto in tanti anni, e con tante fatiche. Al corpo di Cristo, che non sar vero! Che io  sono per scompigliare diecimila tuoi pari quand ei biso-  gner. Or sia savio , e non tentare chi ha altra pas-  sione! (1)  Un altro fratello, Gismondo, pare voglia venire a Roma appunto nei giorni in cui egli stava dipingendo la vlta ;, egli incarica Buonarroti padre di trattenerlo dal recarvisi:  Perch non lo posso aiutare in nessuna cosa.  Non  posso servire a me le cose necessarie. Io sto qua in  grande affanno e con grandissima fatica del corpo, e  non ho amici di nessuna sorta e non ne voglio, e non ..ho tempo che io possa mangiare al bisogno mio; per non mi sia pi data noia, che io non ne potrei soppor-  tare un oncia...  Austero a s stesso, non cerca agi n commodi, ma quanto guadagna manda alla famiglia. E a buon diritto pu scrivere :  Voi siete vissuti del mio gi quarantanni  n mai ho avuto da voi, non che altro, una buona pa-  rola... E i danari li ho guadagnali con quella fatica che  non pu sapere chi  nato calzato e vestito come tu.  E in altra lettera al nipote :  Abbia cura a non gettar via i ' danari che vi ho mandati... perch chi non li ha guada- ' gnati non li conosce, e questo si vede per esperienza, che  la maggior parte di quegli che nscono in ricchezza, li  gettan via e muoion rovinati. Sicch apri gli occhi, e   " ' ' ' ;  . '.v (1 (l) Lettere Archivio Buonarroti. 70 PARTE SECONDA  pensa e conosci in che miserie e fatiche vivo io bench  vecchio come sono (1).  Mentre dipingeva la vlta scrive ancora al padre accen- nando a qualche sventura domestica:  Intendo dallultima  vostra come la cosa va. Nho passione assai. Non vi  posso aiutare altrimenti; ma per questo non vi sbigottite  e non ve ne date un oncia di melanconia, perch se si  perde la roba, non si perde la vita. Io ne far tanta per  voi, che sar pi che quello che perderete... Attendete a  vivere, e pi presto lasciate andare la roba che patire  disagi... che, morto voi, io non arei tutto loro del mondo.  E quando il 15 di settembre 1512 gli fu dato avviso che i Medici erano rientrati in Firenze sospettosi e cupidi di vendetta, scriveva ancora a Buonarroti:  Statevi in pace,  non vi fate amici n familiari di nessuno, se non di Dio...  Attendete ai casi vostri... Io vi avviso che non ho un  grosso, e sono, si pu dire, scalzo e ignudo, e non posso  avere il mio resto, se non ho finita lopera, e patisco  grandissimi disagi e fatiche... Pure quando avessi qualche  grandissimo bisogno, vi prego che prima me lo scriviate,  se vi piace. Io sar qua presto (2).  Essendosi sparsa la voce, che egli aveva sparlato dei Medici, nebbe molestie e noie il padre; e Michelangelo gli scrive con infinita amorevolezza per confortarlo e offrirgli aiuto.  Bisogna aver pazienza e raccomandarsi a Dio e  ravvedersi degli errori. Queste avversit non vengono per  altro e massimamente per la nostra ingratitudine; ch (1) Lettera del 6 febbraio al nipote Leonardo, Firenze 1525.  Idem agosto 1548 (pubblicate per cura di G. Milansi). (2) Archivio Buonarroti di Roma, 18 febbruio 1512. l'uomo. 71  mai non praticai gente n pi ingrate n pi superbe dei  Fiorentini. Per se la giustizia viene  ben ragione... At-  tendete a vivere, e se voi non portate anco "gli onori della  terra come gli altri cittadini, bastivi aver il pane, e vivete  ben con Cristo e poveramente.  Indi con quanta semplicit, affetto e grandezza, riandan- done i diversi casi della sua vita, soggiunge:  Io vivo me-  schinamente, e non mi curo n della vita, n dello onore;  ci  del mondo, e vivo con grandissime fatiche e con  mille sospetti. E sono gi stato cos circa da quindici anni,  che mai ebbi unora di bene, e tutto ho fatto per aiu-  tarvi, n mai lavete conosciuto, n creduto. Io sono parato  a fare ancora il simile mentre io vivo, purch lo possa.  Ecco leroe nella vita domestica, il vero figlio sempre immemore di s; schiavo del dovere, che sprezzando ogni agio, vive per la famiglia e per il padre. Allorch questi, carico danni mancava, quella natura, chiusa in s stessa, non trovava conforto che sfogando il dolore con alcune terzine semplici, affettuose, sgorgate dal fondo del cuore. Eccone un saggio :  Gi piansi e sospirai, misero tanto,  Ch io ne credei per sempre ogni dolore  Coi sospiri esalar, versar col pianto...  Ma qual core  crude], che non piangesse  Non dovendo veder di qua pi mai  Chi gli di Tesser pria, nutrillo e resse?...  Nel tuo morir il mio morire imparo,  Padre felice  Goder coi} la mia la tua salute (I).  (1) Cap. in morte del padre e del fratello. 72 PARTE SECONDA Quanto si mostrava fiero e indipendente coi grandi, al- trettanto soleva essere semplice, benevolo co suoi famigli e cogli umili, riguardoso nei modi per non urtare chicches- sia, n recar danno. Cosi mentre dipingeva la vlta e si trovava solo, e abbandonato dall unico servo, che teneva il governo della casa, chiede al padre che gli mandi  un  fanciullo, figlio di buone persone, povero... perch di qua  (in Roma) non si trova se non tristi.  Il fanciullo inviatogli dal padre non gli serve, l infastidi- sce; egli chiede che il padre rimandi per esso. Per  tanta la bont e delicatezza dellanimo, che, temendo sia rimprove- rato dal padre, aggiunse a guisa di poscritto alla lettera queste parole:  Se poi parlassi al padre del fanciullo, di-  tegli la cosa con buoni modi, che gli  buono il fanciullo,  ma che gli  troppo gentile e non atto al servizio mio.  Tutto amorevolezza per la sua famiglia, si mostra coi fratelli e nipoti pi che fratello e zio, padre ed amico; desi- dera che il nipote Leonardo conduca in sposa una donna virtuosa, e sia di casa onorevole e conveniente; perci gli scrive:  Se tu vuoi torre donna che tu non stia a mia bada  perch non ti posso consigliare del meglio... ma ben ti  dico che tu non vada dietro a denari, ma solo alla bont  e alla buona fama. Io credo che in Firenze siano molte  famiglie nobili e povere, che sarebbe unelemosina impa-  Tentarsi con loro, quando bene non vi fosse dote, perch  non vi sarebbe anche superbia. Tu hai bisogno duna  che stia teco... che non voglia stare in su le pompe, e an-  dare ogni di a convitti e nozze (1).  (1) Vita di M. Buonarroti di A. Gottt, pag. 289. Vedi pure una sua lettera a Leonardo, da Roma, 28 giugno 1554. 1/ UOMO. 73 ' E nel maggio del 1553 Leonardo tolse per donna la Cas- sandra Ridolfi. E quando,, avutone un figliuolo, Leonardo gli scrive  che con onorato corteggio di donne nobilissime  lo avevano accompagnato al battesimo rinnovando il  nome del Buonarroti,  egli risponde:  Ho preso gran-  dissimo piacere della vostra, e visto che pur vi ricordate 5< del povero vecchio... e di aver visto rinascere un altro  Buonarroti... ma ben mi dispiace tal pompa, perch luomo  non dee ridere, quando tutto il mondo piange, mi pare  non sabbia a fare tanta festa d uno che nasce, con quella  allegrezza che s ha a serbare alla morte di chi  ben  vissuto.  Egli vide morire suo fratello Giovansimone il 9 gennaio  1548.  Ne ho avuta grandissima passione, scrive al ni-  pot Leonardo, perch speravo, bench fossi vecchio, ve- , derlo innanzi chei morisse, e innanzi che morissi io:  piaciuto cos a Dio, pazienza!  - E quando sette anni dopo, il 13 novembre 1555, ebbe la notizia della morte di Gilmondo, versava pure in grave pericolo di morte il suo servo ed amico Urbino. Egli, ben- ch vecchio e travagliato da molti mali, vegliava sollecito giorno e notte al letto del suo fedele servo, e quando manc, ecco con quali parole, che rivelano quel gran cuore, lo an- nunzia al nipote:  Avvisoti che jersera, add 3 di dicembre,  pass di questa vita Francesco, detto Urbino, con gran-  dissimo mio afianno.... tanto che mi sarebbe stato pi  dolce morir con esso seco, per ramose chio gli portavo..*  onde a me pare essere ora restato per la morte sua .<< senza vita; e non mi posso dar pace...  E al Vasari pochi giorni dopo scriveva:  .... Egli in vita  mi teneva vivo, morendo mi ha insegnato a morire; non 74 PARTE SECONDA  con dispiacere, ma con desiderio della morte... La mas-  sima parte di me se ne  ita, n mi rimane altro che  uninfinita miseria.  L'affetto, l interesse che aveva per Urbino, conserv per la vedova, e in quanta venerazione essa teneva Michelan- gelo basti a dimostrarlo una lettera bellissima che essa gli diresse, quando il padre ed un abate le facevano violenza, acciocch sposasse un cugino di questo, di poco buoni co- stumi, e che non possiamo trattenerci di riprodurla in ap- pendice, come vero modello epistolare italiano, e saggio dei costumi popolari dellepoca (1). III. Pure questuomo cosi affettuoso co' suoi, semplice di costume, cosi benevolo cogli umili, era altrettanto fiero coi grandi.  noto che presentatosi due volte nellantica- mera di Giulio II, ed essendogli negato lingresso, e ve- dendosi cos trascurato, disse al palafreniere:  E voi di- rete al Papa,  che se di me curarsi vorr, mi cercher altrove.  E tornato a casa, venduti i mobili, si parti per Firenze. Giulio mand invano dietro a lui cinque corrieri, ma egli si rifiut di tornare; invano mand tre brevi alla Signoria pieni di minaccie; finch dopo tre mesi, vedendo minacciata la sua citt per lira del Papa, a preghi del Gonfaloniere, si pieg a ritornare. E quell' uomo veramente terribile di Giulio II,  egli  terribile, soleva dire, non si pu praticare con lui.   Voi, (l) V. Appendice. l uomo. 75 gli scrive Sebastiano del Piombo, voi fate paura ad  ognuno, perfino al Papa.  Era temuto ad un tempo e amato. Nelle sue parole vera la benevolenza ed insieme larguzia; nel volto, negli atti, austerit insieme e cortesia.  Io lo so, scriveva ancora  Sebastiano del Piombo con lettera delli 9 novembre 1529,  in che conto vi tiene il Papa (Paolo III), e quando parla di voi, pare ragioni d un suo fratello, colle lagrime agli  occhi.  Papa Clemente non osava sedere quando favellava Buo- narroti, per timore che quegli facesse altrettanto senza chiedere il permesso. Rifiuta lospitalit dei principi e dogi a Ferrara, a Venezia; preferisce starsene solo nella sua modesta camera. Non conobbe mai agiatezza; quanto gua- dagnava mandava al padre, ai fratelli, e largheggiava di carit ad amici ed artisti poveri.  Per quanto ricco io mi fossi, diceva negli ultimi suoi anni al Condivi, ho vissuto sempre come un povero.  Buono per indole, paziente, generoso, non tollerava torti, n di essere soverchiato da nessuno, fosse grande o plebeo, equanime  giusto con tutti; larte era per lui cosa sacra; sprezzava chi ne faceva mestiere per accumulare denaro. Di ci faceva rimprovero al Perugino, il quale, dopo aver prodotto lavori di cos alto pregio, era diventato fabbrica- tore materiale di quadri.  Io non fui mai pittore n scul-  tore  egli scriveva  come chi ne fa bottega; sempre  me ne son riguardato per P onore di mio padre e de miei fratelli, ben io abbia servito tre papi: che  stato  forza (1).  (l) Lettera a Leonardo, da Roma, 2 marzo 1518. .76 PARTE SECONDA Non mercanteggiava sopra i suoi lavori, e quando un gen- tiluomo, mandato dal Duca di Ferrara, non si comport seco in modo degno, rifiut di consegnare il quadro della Leda, e ne fece regalo ad un suo discepolo, Antonio Meno, per agevolargli il mezzo di maritare le sue due sorelle. Dodici papi si succedettero nella sedia di S. Pietro durante la sua vita di artista, e sette di questi devono parte della loro gloria alla luce da lui riverberata; e al fortunato con- corso dei grandi pontefici del Rinascimento e del Buonar- roti deve la Roma moderna parte del suo splendore, T Ita- lia il primato delle arti. Tale luomo nella sua vita privata, ne suoi atti; ora ci giova studiare il cittadino nelle lotte per la patria, e nella vita pubblica. IV. Letterati ed artisti, per molti  secoli , non avrebbero po- tuto in Italia campare la vita senza mecenati e protettori. Mancava, come manca pur troppo ancora presso noi, quel gran mecenate, che  il pubblico; per abbiamo avuto unarte, una letteratura, anzich libera nelle sue mosse e ne suoi pensieri, in gran parte schiava e cortigiana. La cortigianeria, come ora la consorteria, fu sempre mezzo di successo, fu il segreto ai deboli, per arrampicarsi e rie- scire. Il secolo dAugusto, corrotto e servile, divenne il se- colo doro vagheggiato da* principi, da letterati e artisti. I principi dEste, d Urbino, i Medici, Leone X e i pontefici del Rinascimento, trassero in parte la forza, e il prestigio loro dai letterati e artisti di cui si circondavano. Erano piccoli Augustoli, ciascuno dei quali aspirava ad avere il luomo. 77 suo Virgilio, il suo Orazio od Ovidio. Esaltavano, salaria-^ vano un poeta, calpestavano i popoli. Larte inorpellava le catene di ferro; e il letterato scambiava miserie e servit cittadine per fasti e glorie. Anche la cortigianeria divenne unarte, come pi tardi cadendo sempre pi bassi, i vezzi e le grazie di cantanti e mimi si dissero virt, e quegli virtuosi. Per vediamo sommi artisti, filosofi insigni e poeti eccelsi, da Raffaello a Tasso; da Perugino e Giulio Romano all Ariosto, da Filelfo, Mar- silio Ficino al Caro, avvinti alle Corti, colorire colle arti e indorare le catene ribadite intorno al popolo, inneggiare con canzoni e con poemi a coloro che squarciavano il seno della patria, e con turpitudini, tradimenti sprofondavano in servit abbietta la nazione. ) Michelangiolo anche in ci fa eccezione ; si leva dal volgo degli artisti, libero nelle sue mosse, e fa parte da s stessa  de pochi sommi, che anche in mezzo a quella greggia, che si stipa intorno alle Curie, alle Corti, ai duchi, seppe sollevarsi incorrotto e austero, serbando intera la sua in* dipendenza e la sua dignit dartista, duomo, di libero cittadino. Pure nessuno de sommi artisti e poeti versava in posizione cos ardua e delicata al pari di lui, combattuto da tanti contrasti, alle prese con difficolt cosi uggiose e ardue. Cresciuto, educato nella famiglia de Medici, cui non poteva combattere senza taccia di sconoscenza, era costretto dal dovere di cittadino di avversarla e di opporsi alle sue usurpazioni. Seguace del Savonarola, e cresciuto ad un pensiero religioso, elevato e libero,  costretto a porsi al servizio dei pontefici e della Chiesa; egli non solo  artista, ma aspira ad elevare monumenti colossali, ad ornare lItalia e Roma di chiese, di palazzi, di statue. 73 TARTE SECONDA che solo  dato ai principi e papi far eseguire;  circon- dato, combattuto da invidiosi, da cortigiani, da rivali, i quali T osteggiano, e lindole sua ripugna del pari alle adulazioni come agli intrighi. In mezzo a tutti questi attriti, in cui la riconoscenza si urta co' suoi doveri di cittadino, le convinzioni religiose e i simboli del culto sono in conflitto coi convincimenti del pensatore, il sistema del riformatore, il genio dellartista colle necessit e convenienze sociali, egli sa pure sempre serbare la propria indipendenza, e conciliare le dure neces- sit della vita colla libert nellarte, adattare i riguardi sociali colla dignit delluomo. Sino dalla prima adolescenza venne accolto, educato nella Casa de' Medici; ma, morto Lorenzo il Magnifico, quando vide i figli e i nipoti tralignare e cospirare con pontefici e re stranieri a danno di Firenze, egli non  pi che citta- dino. Cacciati i Medici, egli segue la dottrina del Savona- rola, l'eloquente propugnatore dei diritti popolari, e simbo- leggia la vittoria del popolo sopra i suoi oppressori nelle statue di Davide, che atterra Golia, di Ercole che uccide Caco. Ma una prova ben altramente ardua era a lui serbata nella battaglia suprema per la libert non solo fiorentina, ina italiana, durante lassedio di Firenze. I fatti sono troppo noti, perch noi li ricordiamo in questo studio; essi furono stampati nella mente delle nostre ge- nerazioni, non solo da sommi storici, ma in quel romanzo degno d'un' Italia libera e virile, da quella gagliardamente di Guerrazzi. Egli seppe comprendere il sommo artista, tratteggiare il magnanimo cittadino e farlo rivivere innanzi ai nostri sguardi nelle sue pagine immortali. l uomo. 79 Tutte le tirannie de secoli posteriori, le brutture medio- evali, le corruttele del secolo cospiravano ai danni di Fi- renze. Clemente VII, Carlo V, principi francesi e italiani, pontefici, patrizii, popolo grasso o borghesi, lastuzia, la forza, il tradimento, tutti i vari partiti si trovarono asso- ciati in lega per ischiacciare la libert fiorentina. Essa cadde, ma la caduta fu un trionfo, che leg, cadendo, un retaggio di glorie e di nobili esempi all Italia futura. V. La repubblica fiorentina si era levata in grandezza per virt dellarte e delle industrie popolane, e un artista e un popolano, Michelangiolo e Ferruccio, furono lanima della sua resistenza nel giorno della prova suprema. Fu questo uno dei periodi pi tempestosi e angosciosi della vita del Buonarroti. Egli non isfugg ai sospetti, alle calunnie dei coetanei, alle critiche dei posteri. Parve che in quei mo- menti supremi per la patria fosse venuto meno a suoi do- veri, e si volle scoprire, secondo la frase moderna, un punto nero nella sua vita. Per il tempo rese tarda ma aperta giustizia a quel ma- gnanimo, e ornai anche questo punto storico  chiarito, e qui pure egli si mostra sempre retto e uguale a s stesso. Egli era stato nominato, sino dal principio dell'assedio, de nove della milizia, procuratore e. governatore generale sovra le fortificazioni e i ripari con queste parole:  Sic-  come quegli che oltre alle altre singolarissime virt e  arti liberali, in modo che per universale consenso dell!  uomini non trova oggi superiore ed appresso come per  amore ed affezione verso la patria  pari a qualunque 80 PARTE SECONDA  buono ed amorevole cittadino, ricordandosi della fatica per  lui durata e diligentia usata nella sopradetta opera sino  a questo d gratis e amorevolmente... spontaneamente  e per lor proprio moto... detto Michelangelo conduxono <v in generale governatore e procuratore costituito sopra  detta fabbrica e fortificazione delle mura, ecc. ecc. (1).  Egli si gett con febbrile attivit allopera; non si limita ai lavori delle fortificazioni di Firenze; visita, rialza quelle di Livorno, specula sulle fiumare del Pisano, e solleva ri- pari;  mandato per ragioni di Stato a Ferrara, a Venezia per cercare alleati, raccogliere aiuti alla citt; poi ritor- nato a Firenze, percorre giorno e notte la collina, le mura intorno;  dappertutto, provvede a tutto. Oltre, alle opere, fece dono alla repubblica di una gran parte del suo peculio, pi di mille e cinquecento ducati, e rimase senza mezzi. Tuttoci non lo sottrasse dalle ac- cuse e dalla calunnia , anzi accrebbe le ire de suoi detrat- tori e le frodi di tali, che avevano interesse di allontanarlo da Firenze. Avveduto qual era, e profondo conoscitore degli uomini e delle cose, egli comprendeva che Firenze non bastava da sola a combattere tante forze riunite e collegate a suoi danni al di fuori, mentre conservava pure in seno subdoli e numerosi i partigiani de Medici e del papa, che con sorde cospirazioni stremavano le forze interne, e davano ansa e forza ai nemici aperti. (l) Questo documento venne per la prima volta pubblicato nel Gior- nale Istorico degli Archici Toscani, Voi. II, 1858. E da questo si prova che Michelangelo aveva prestato, anche avanti, gratuitamente lopera sua nella fortificazione della citt. l uomo. S I ricchi, il popolo grasso per avarizia, per egoismo e per codardia, certi nobili, come Nicol Capponi e i suoi per ambizione, altri non pochi per spirito partigiano, per an- tichi vincoli co Medici, sopponevano ai forti propositi della resistenza, e inclinavano a scendere a patti col Pontefice. Non riuscendo nel loro intento ricorrevano a intrighi, a frodi, al tradimento. Nicol Capponi ed altri si oppongono a che si fortifichi S. Miniato; Malatesta Boglione, che fin dal principio dellassedio era stato nominato governatore generale, erasi venduto al Pontefice; e anzich disporre i pezzi di artiglieria sopra i bastioni del monte, li colloca non dentro, ma sotto i bastioni senza guardia alcuna. Mi- chelangelo sospett subito dessere circondato da ribaldi, e che la repubblica si covava nel seno i traditori in coloro stessi, che erano chiamati e pagati per difenderla; svel i sospetti al gonfaloniere Carducci... Non solo non si tenne conto delle sue rivelazioni, ma venne irriso come sospettoso e sognatore. Allora egli domanda, insistendo, per essere in- viato in Francia, certo per sollecitare i promessi aiuti da quel Re; ma gli venne negata la licenza (1). I suoi sospetti divennero certezza, quando un cotale Marco Orsini gli disse temer fortemente che Malatesta, accorda- tosi col Papa, dovesse tradire. I traditori, vuoi perch si vedevano scoperti e designati da un tantuomo, vuoi perch sapevano che egli era una potenza e lanima della difesa, (1)  E bench io come sapete volessi ad ogni modo andare in  Francia, e avessi chiesta licenza e non avuta, non era per che io  non fossi risoluto, senza paura nessuna, di vedere il fine della  guerra.  ( Lettera di Michelangelo allamico Paletta della Palla). Gotti, 190. La mente di Michelangelo, 6 82 PARTE SECONDA per allontanarlo ricorsero alla frode.  Martedi mattina,  egli scrive nella lettera citata pi sopra, ai venti settem-  bre venne uno fuori di porta S. Nicol dove io era a' ba-  stioni, e nelborecchio mi disse, ch'ei non era pi da star  qui a voler campare la vita; e venne meco a casa, e non  mi lasci mai, che non mi cav di Firenze, mostrandomi  che ci fosse il mio bene; o Dio, o il diavolo quello che  sia stato, non lo so.  Arte diabolica fu per fermo coiesta, con cui fu circuito, alettato, sedotto, spaventato, e costoro non lasciarono presa finch e fu partito. Uomo impetuoso, di subiti propositi, sdegnato perch vedeva respinti i suoi consigli, e i capi del governo accecati, illusi e inetti, se ne part. Ma dove volse i passi? Ove si diresse? E qui manifestasi la prudenza, il senno del gran cittadino, e come il Guerrazzi, degno inter- prete del grand'uomo, prima ancora che la celebre lettera fosse scoperta, avesse colla sua ipotesi colpito nel vero. Se lintento del Buonarroti fosse stato meno che generoso, si sarebbe diretto verso Roma, ove dal papa Clemente avrebbe ricevuto le pi festose accoglienze. Ma egli s'af- fretta a recarsi a Ferrara, poi a Venezia, ove, inviato dalla repubblica pochi mesi innanzi, aveva iniziate le pratiche per ottenere soccorsi (1). Ma sembra che a Venezia e a Ferrara non abbia avuto ancora che promesse; allora sin- (i)  Io non vi scrivo lo stato mio particolarmente perch non ac-  cade. Solo vi dico questo, che portai a Venezia tra oro e moneta tre-  mila ducati; diventarono, quando io tornai a Firenze, cinquanta, e  tolsemene el Comune mille cinquecento : per non posso pi pi, ma  troverassi modo.   ( Lettera a Sebastiano del Piombo  dalle leltere di Michelangelo pubblicate da G. Milanesi). luomo. 83 forma, prende consigli per recarsi in Francia, ma, sog- giunge:  emmi detto che andando di qua sha da passare  per terra tedesca  e ne dimette il pensiero. Intanto i suoi amici gli scrissero da Firenze essersi sparsa voce essere egli fuggito per pochezza danimo , che la Signoria gli diede il bando come rubello, come ad altri, i quali avevano abbandonata la citt e non avevano obbedito al richiamo. Intanto a Firenze gli animi si erano rifrancati, la citt si preparava a difesa disperata. Michelangelo si persuade non poter sperare soccorsi da stranieri; gli amici gli fanno istanza perch ritorni; gli ottengono un salva- condotto e passando per Ferrara e per la Garfagnana  di ritorno a Firenze, dondera partito in sul finire di settem- bre, addi venti novembre.  Al suo ritorno, dice il Varchi  fu gran letizia nelluniversale e non poca invidia in molti  particolari.  Riprende l'opera delle fortificazioni; rimedia il campanile di S. Miniato, chera stato battuto dai cannoni grossi del nemico; sale sul campanile per osservare dal- lalto tutte le circostanze di Firenze, le posizioni e i movi- menti dellinimico; con lui comincia veramente la guerra, saccende lentusiasmo e il furore nella resistenza e la vit- toria avrebbe coronato i magnanimi sforzi, se la citt non fosse stata minata dai tradimenti. Spie e partigiani dei Me- dici e degli Imperiali riportavano nel campo nemico le deliberazioni del Consiglio; altri ritardavano ed impedivano le mosse de soldati; infine le arti sataniche del Baglioni paralizzavano la resistenza, tenevano a bada i cittadini, mentre questi si accordava di nascosto coi nemici. Tutto ci vede, sente, nota Michelangelo. Qual cuore fu il suo in que terribili giorni! Qual tempesta in quellanimo generoso al vedere un popolo deliberato ad ogni sacrificio 84 PARTE SECONDA per la salute della patria, mentre il tradimento affilava nel silenzio le armi per colpirlo a morte, e rendere vana ogni resistenza. Il popolo passava dalla sfiducia alla speranza, dalla speranza al disinganno, e i traditori attendevano il momento propizio per venderlo e immolarlo. Questo stato di cose egli ritrae in un sonetto enimma- tico (1), in cui vede s stesso sospeso fra due morti:  Poco giova, che chi cadere vuole  Non basta 1 altrui man pronta e vittrice....  Io conosco i miei danni e l vero intendo....  In mezzo di due morti  il mio signore.  Questo non voglio, questo non comprendo,  Cos sospeso il corpo e lalma muore.  E Firenze e la libert sono colpite a morte. Invano Fer- ruccio opera prodigi di valore; egli cade a Gavinana. In- vano mentre Ferruccio combatte di fuori, il popolo di den- tro si agita, prende le armi, insiste per uscire contro il nemico, assalirlo alle spalle. Malatesta si oppone, consuma il suo tradimento, e occupa colle sue truppe parte della citt, ormai venduta agli Imperiali. Michelangelo st saldo al suo posto nel forte di S. Mi- niato, cui era preposto a guardare; egli che era stato la- nima della resistenza, vedeva che vano riesciva ornai com- battere, perch il tradimento rendeva inutile ogni conato; (l) Non si appone forse il Grimm supponendo, che tal sonetto sia stato scritto in que momenti angosciosi.  un sonetto politico, n pu alludere allamante; lamante  la patria. Sembra che un altro sonetto poco dissimile da questo parli damore, come qui di politica. Raffrontare il sonetto xm con questo. l uomo. 85 pure comp sino allultimo il suo dovere. Egli aveva bastio- nato il monte, aveva armato il campanile di S. Miniato, aveva perfino proposto di spiantare e spianare il palazzo dei Medici, farne unaia, che si chiamerebbe  laia dei muli.  E quando le masnade spagnuole, tedesche, papaline e na- poletane irruppero in Firenze, la tenace difesa non si poteva obliare, n perdonare dai suoi nemici, egli venne cercato a morte. Abbandon la sua casa e ripar nel campanile di S. Nicol. Per, passata dopo alcuni giorni la furia delle sol- datesche, e sbollita lira di Clemente VII, questi ricerc del sommo artista. Il Papa desiderava che fosse terminata la sa- crestia e deliberava affidargli altro lavoro, n ritrovava un altro Michelangelo; lo fece assicurare della vita, ed esso riprese i lavori della sacrestia, e da quel d non trov pi altro conforto che larte, e si diede tutto a lavorare. Larte divenne, fin da quellistante, il suo rifugio, la sua patria; larte la sua arma, e la sua vendetta. Da quel giorno gli riesce pure increscioso il soggiorno di Firenze, e vi rimase solo il tempo necessario per porre termine a lavori, e so- pratutto al sepolcro de Medici. E in quel monumento , chi sappia contemplarlo cogli occhi della mente e del cuore, egli sollev non solo il sepolcro a casa Medici, ma la tomba o il deposito della libert italiana, sepolta colla ca- duta della repubblica fiorentina, ma nella morte il cittadino gi presente il crepuscolo della risurrezione e della vita. VI. Chi penetra per la prima volta in questa meravigliosa sa- crestia, rimane compreso da un sentimento lugubre ad un tempo e solenne. Egli sente che non ha intorno a s una ne- 86 PARTE SECONDA cropoli, ma piuttosto un luogo sacro, un tempio leggiadro insieme ed augusto, sul quale un genio divino ha fermato la sua sede; un luogo in cui ferve nascosa, e fermenta sepolta e profonda, la vita. Nulla ha di sepolcro, nulla di tetro e pauroso. La luce piove dalle vaste finestre e dalla vlta serena e tranquilla. Le mura si spiegano alte, a linee leggiadre e armoniose ; tutto invita a pensare, e il pensiero non  tormentoso, sepolcrale, ma concentrato, forte e fe- condo. Le pareti, che si levano dietro i sarcofaghi, leggiere e ri- vestite di marmo liscio, sono divise in due campi dalla cornice uscente, che corre intorno in forma squisita e serve di base allarchitettura superiore; essa vi conduce grada- tamente su alla leggiadra volta, la quale non preme sul sacrario, quale coperchio dun sepolcro, ma pare traspor- tarci ancora in alto, a cercare nuovi spazi, orizzonti piu vasti. Intorno a noi, a destra e a manca, stanno qui le stupende statue coricate sopra i sarcofaghi, colle teste rilevate, e su di esse ritte nella loro nicchia, fiancheggiate da pilastri scanalati, le statue dei duchi. Ogni gruppo forma un tutto per s stesso; mentre poi collegate, unite in un concetto, concorrono a costituire un tutto che sintegra in un effetto complesso. Architettura, pittura, scoltura e ornato, non sono come nei monumenti moderni, parti distinte, ma sin- trecciano, si adempiono a vicenda; sono come altrettante scene del dramma greco, in cui le varie parti del coro, dei personaggi, delle decorazioni concorrono a ordire la tra- gedia, e presentano un complesso armonico e maestoso. Sembra che quel sommo con questo Deposito , anzich, alla morte, ispirandosi alla natura vivente che lo circon- l uomo. 8 dava, in questeuritmia di forme, di colori e di linee, siasi propos'to di ritrarre la vaghezza dei panorami che pre- sentano allo sguardo le colline e le convalli toscane, la purezza delle linee degli orizzonti, la quiete serena del cielo azzurro dItalia, di cui la leggiadra Toscana  il centro e il cuore. LItalia, l in quei marmi di morte, aspira alla vita; essa  simboleggiata ne suoi periodi di cadute, di morte, di rinascimenti, ne ricorsi storici della notte che pes su di lei, del crepuscolo che si leva, e del giorno lontano che lattende. Era stato commesso allartista di ritrarre leffigie del Duca di Urbino e quella del Duca di Nemours; ma i coe- tanei non riconobbero nelle statue veruna rassomiglianza colle sembianze conte dei due duchi. L'artista non fece che adombrare le sembianze di Lo- renzo e Giuliano; scolp piuttosto nel marmo il suo pen- siero; e il popolo nostro, che ha lintuito del simbolismo, appell luno il Pensieroso , laltro il Guerriero ; luno sta concentrato in s, chiuso in un profondo pensiero che lo tormenta, come potrebbe venir per avventura effigiato il Principe di Macchiavelli; volge dentro di s un disegno profondo, misterioso, che lo preoccupa; laltro, in faccia, chiuso nelle armi, coperta la fronte dellelmo, la mano sul- lelsa, si dispone ad attuarlo. Ai piedi del Pensieroso (il Duca d Urbino) si distendo la meravigliosa statua della Notte o del Sonno. Un sonno, che non  pur sonno; questo colosso  pro- steso, col  A guisa di leon quando si posa.  Non  sonno,  stanchezza, che in mezzo al furore del combat- timento lha vinto; ma tanta  lenergia della volont, la forza che palesa pur nel sonno, che tu presenti quindi non 88 PARTE SECONDA lontano il suo risvegliarsi, e quel risveglio sar terrore agli stessi vincitori. Miratela? Questa statuasi presenta di profilo distesa da destra a sinistra. Sta la coscia volumi- nosa ripiegata col ginocchio sollevato, quasi airaltezza del capo inclinato sul davanti, il piede posa sopra un fascio di papaveri; la spalla sollevata e sporgente comprime un lato del corpo, r avambraccio si ritira alquanto indietro, laltro ripiegato sostiene il gomito che sappoggia sopra la coscia colossale, mentre colla mano regge la testa incli- nata e trattiene il diadema che vacilla, e sta per cadere gi dalla fronte. Tutto in questa statua  colossale; il petto ampio, le mammelle divise l'una dallaltra, turgide, salde, il sangue corre bollente nelle vene rigonfie, il cuore palpita impetuoso, tutti i muscoli del collo rilevati, e sono caldi di sangue e di vita. Dorme, ma agitata da sogni misteriosi; vi ha un incubo, una forza arcana che lo tiene come in- chiodato nel sasso. Non  una donna, ma la moglie di un Titano, che in mezzo al furore della mischia casca come colpita da spossamento, o vinta dal sonno. Oh! aspettate! essa non pu tardare a scuotersi, a sollevarsi, e sfider a guerra i leoni! Essa  Firenze,  l'Italia, cui forze brutali e straniere ten- gono soffocata, compressa; ma, caduta, sfida ancora i suoi vincitori;  sicura in s, e vede non lontano il giorno della riscossa. Per appoggia il braccio sinistro sopra il macigno, il macigno delle Alpi e degli Apennini, sul quale  dipinta la maschera che ne simboleggia il concetto arcano; sotto le ascelle si scopre il gufo, la triste notte delloppressura nordica e del lamento; ed essa giace ravvolta in un ma- gnifico mantello a larghe pieghe, come entro il paluda- mento delle sue glorie antiche. luomo. 89 Molti dei coetanei compresero il significato politico del monumento, a quel modo che la nostra generazione affer- rava di volo le allusioni del Nabucco, del Procida nelle tragedie del pi libero e invitto poeta italiano moderno, G. B. Nicolini, o i simboli del Vela. Egli scrisse bens di suo pugno, dietro un disegno una cotal spiegazione del mo- numento; ma tale scritta,  un vero logogrifo, un enimma, che ne accresce loscurit (1).  facile a comprendere come (l) Gi G. B. Nicolini, poeta troppo oggi obbliato dalla floscia e ras- segnata scuola sorta sulle orme manzoniane, aveva divinato e spiegato nel suo discorso Del Sublime il concetto politico del Deposito. Poco dopo si ritrov la dichiarazione scritta da Michelangelo stesso dietro uno de suoi disegni. Ma dichiarazione siffatta  tutto un arzigogolo e gioco di parole, il quale, anzi che chiarire il suo pensiero, tende a velarlo maggiormente, e sviare la mente dal significato vero. Per a ragione quel valentuomo che fu il Dupr, nel suo studio sopra i se- polcri medicei (Ricordo al popolo Italiano), dopo aver riportate quelle confuse frasi, che riconosce dettate per artifizio o per ischerno, sog- giunge: La generazione, la quale possa fissare lo sguardo della mente  nelle profondit michelangiolesche, forse non  nata ancora; cia-  scuno spinge lo sguardo secondo le proprie forze. Il Buonarroti con  potenza meravigliosa fiss il suo sguardo nellEterna Luce, ne rap  una favilla, e la trasfuse nelle sue opere immortali I maligni non  possono sopportarlo; ch laquila figge severa e gioiosa lo sguardo  nel sole, mentre le nottole ne restano accecate. Parole doro degne del sommo artista e scrittore. Del resto sulle idee che il Buonarroti incarn nelle sue opere potremo dire ci che Gote rispose ad Esker- mann, il quale lo interrogava sulle idee che intese di personificare nel Faust:  Come se io lo sapessi!  soggiunse,  come se io fossi in  grado a dirlo a me medesimo!... Il Fausto  un soggetto incommen-  surabile, e tutti gli sforzi dello spirito per penetrarvi interamente  riesciranno vani.  E tali sono i sapienti e i grandi concepimenti di quel divino artista. 90 TARTE SECONDA intendeva di dare lo scambio agli interpreti e sviare latten- zione dei nemici. Per il significato vero che come meglio tenteremo dimostrare nel capitolo seguente, lo grid egli stesso in un momento di generoso disdegno colla terribile quartina (1):  Grato m il sonno, e pi Tesser di sasso, Infin eh il danno e la vergogna dura; Non veder, non udir m gran ventura, Per non mi destar, deh parla basso.  In que marmi, durante e dopo lassedio di Firenze vers il furore, il disdegno, lirrequietezza, che tormentava lanima sua esulcerata; ad essi fid le sue vendette per i secoli futuri, come Filippo Strozzi, quando prima di suicidarsi scriveva sulle mura nel carcere:  Deo liberatori.   Exoriare aliquis nostris ex ossibus ultor. * VII. Caduta la libert, egli deliber di abbandonare la citt nativa. Vi rimase qualche tempo ancora per condurre a (1) V. GuAsrr, pag. xxxix. E meglio ancora apriva il suo pensiero, quando scolpiva a Ridolfo Cardinale una testa di Bruto, aperta allu- sione di Lorenzino, e chiaramente alludeva alla spenta repubblica nella medaglia fatta per quel Bindo Altovito, che nella guerra di Siena spieg la verde bandiera col motto dantesco:  Libert vo cercando, ch s cara  Come sa chi per lei vita rifiuta. luomo. 91 termine i lavori intrapresi, e che Clemente VII voleva ve- dere ultimati. Morto il Pontefice (il 25 settembre 1534) egli abbandon i lavori della sacrestia, della biblioteca, della facciata di S. Lorenzo, che rimasero incompiuti. Non ristava dal gemere sulla sorte di Firenze che creata dangelica forma e per mille amanti, cade preda dun solo. Ma questi, che lha spoglia di libert ,  Col gran timor non gode il gran peccato (l). Fiss dimora in Roma, come la citt dellarte, ma non lamava; viveva solitario, mesto, con pochissimi amici. Ri- chiesto dal duca Alessandro di disegnare il luogo per eri- gere una fortezza contro Firenze, vi si rifiut. Cosimo gli promise onori e beni per lettere e per messi orali, perch ri- tornasse in Firenze, ma egli con diversi pretesti declin sem- pre linvito; risponde  che gli onori non erano fatti per lui ; la patria portava ognora nel cuore, e non gli reggeva la- nimo di vederla schiava. Inviava spesso sussidi di danaro per mezzo del suo nipote alle confraternite e a famiglie povere di Firenze. Bench cinto di sospetti continu pure ad aver rapporti cogli esuli toscani, che cospiravano per rivendicare la libert della patria. E per mezzo di Scipione Strozzi, e poi per certo Deo, corriere, mand a dire a Fran- cesco I re di Francia, che se fosse sceso in Italia  e se rimetteva Firenze in libert, gli voleva fare una statua di bronzo a cavallo sulla Piazza dei Signori, a sue spese.  (l)  Per molti, Donna, anzi per mille amanti Creata fosti, e dangelica forma.  Madr. I., Firenze e gli esuli fiorentini.  .  PARTE TERZA VITTORIA COLONNA VITTORIA COLONNA i. Dopo la famiglia e la patria, la donna. Lamore  nelle grandi personalit la pietra di paragone, che prova la tempra del cuore. Il quale, secondo la pas- sione che domina la vita, si svela grande o meschino, ma- gnanimo o dappoco. Per il femminile viene considerato nella nostra letteratura come il complemento del poeta e dellartista. Sulla passione, che ne irradia la vita, si suole ordire la sua storia o la leggenda, e portare un giudizio sul carattere. Il nostro popolo non sa scompagnare il suo poeta dalla donna dell animo suo. I grandi poeti stranieri , come Shakespeare, Corneille, Klopstoch, Gote, Schiller se ne stanno virilmente soli o vivono della vita domestica e reale; in Italia si vuol circondarne la vita colla storia e colla leggenda dellamore. E non sappiamo scompagnare Dante, Petrarca, Boccaccio, Tasso, Raffaello, da Bea- trice, da Laura, da Fiammetta, da Eleonora e dalla For- narina. Lolimpo religioso non sembra completo senza la 96 PARTE TERZA Madonna; 1 Olimpo del poeta e dellartista senza la sua donna , che il poeta attira e solleva seco lui nella sua im- mortalit. Anche a quellanimo austero e maschio di Michelangelo si doveva attribuire il suo femminile, e lebbe ; ma lamore suo  un amore a parte ,  un amore eccezionale. Anche qui esso batte strade disusate e sole. Egli come i geni sovrani, che appellerei profetici o sa- cerdotali, non ha conosciuta giovinezza. Sino dalla prima et egli si mostra innanzi a noi austero e adulto; lo ve- diamo dai primi suoi passi nella vita compreso dun alto sentimento, chiamato come ad una missione arcana, schiavo del dovere e del lavoro. Non  mai vissuto per s, come scrive in una sua lettera, ma per la famiglia, per la patria e per larte. Tutto in lui  austero e fortemente sentito. Lamore, che per gli altri artisti e letterati era riguardato come un tra- stullo, unavventura, un piacere fugace, era per lui quale una religione, era passione dellanima, ed elevazione. Scipione ammirato nelle sue storie scrive:  Che essendo  il Buonarroti vissuto per lo spazio di novanlanni, non si  trov mai in tanta lunghezza di tempo e licenza di pec-  care, gli si potesse meritamente apporre macchia o brut-  tezza alcuna di peccare.  E il Condivi, il quale era stato compagno della sua gio- vinezza, e ne raccoglieva con religiosa cura i ricordi, dice di lui: Non altrimenti averlo mai sentito a parlare e  ragionare d amore di quello che appresso Platone si  lesse.... Non sentii mai uscire di sua bocca che parole  onestissime.  Quali fossero i costumi dell'epoca  noto; ne fanno te- VITTORIA COLONNA. 97 stimonianza oltre gli scandali di cui riboccavano le storie, le commedie del Bibbiena, i capitoli di monsignore Della Gasa, del Berni, del Macchiavelli, i novellisti, le storie dei principi, di pontefici e di artisti. Il secolo decimoquinto e decimosesto  un baccanale di coltura, di poesia, darte e di turpitudini. Michelangelo spicca anche qui come es- sere eccezionale. Le numerose sue lettere non accen- nano mai a venture e intrighi amorosi; pure era uomo di passioni violenti e fortemente sentite. E lanimo suo, avido daffetti e di passioni, egli soleva versare in rime amorose, come a cercare sollievo e sfogo alle interne tem- peste. Di queste rime non si conoscono le date, n le circo- stanze in cui furono scritte; ma si sente che sono medi- tate a lungo nel silenzio de suoi affetti, e prorompono dal fondo del cuore. Non sono fuochi fatui, finzioni come quelle dei numerosi e sfibrati imitatori del Petrarca, ma sono ac- cesi lampi, che rischiarano la profondit dunanima agi- tata, gli oscuri e intimi involgimenti di un cuore chiuso in s, che cerca di comprendersi e di rivelarsi. Sono pi an- cora che voci damore, aspirazioni, lampi, fantasie o versi con affetto elevato e intimamente sentito, e pi spesso pen- sieri condensati in versi. Un concetto ideale e reale damore risplende ne suoi versi, e si svela a tratti brevi, luminosi e scultorii. Spesso la statua  abbozzata appena, come nel Giorno della sacrestia. Il concetto  oscuro, perch la pa- rola non  pronta ad atteggiare il pensiero, ed egli, al pari di Dante, sdegna di sagrifcare il pensiero alla frase o alla parola. Questa deve rispondere alla sua volont. Berni nota esser egli fra pochi poeti che dicono  cose e non La mente di Michelangelo. 7 98 PARTE TERZA parole (1).  schivo di vezzi e di adornamenti. Scolpisce pi che non scrive, ma se penetri oltre la scorza della sua statua, senti fremere un anima, palpitare un cuore acceso. II. Come dell'arte, egli si era formato un ideale eccelso della sua donna e dell'amore. Qual fosse cotesto ideale, ce Io dir egli stesso; la parola del biografo riescir sempre sco- lorita e fiacca a petto di quella deH'artista-poeta.  Amore quando l'anima sua si  dipartita da Dio, occhio sano me fece, e te splendore.  Sonetto vi:  Come dal fuoco il caldo, esser diviso  Non pu l bel dalleterno; e la mia stima  Esalta chi ne scende e chi l somiglia.  Veggendo ne tuo occhi il paradiso,  Per ritornar l dove io tamai prima,  Ricorro ordendo sotto le tue ciglia.  Sonetto vii:  Non so sell limmaginata luce  Del suo primo Fattor, che lalma sente,  0 se dalla memoria, o dalla mente  Alcuna altra belt nel cuor traluce.  (Guasti, 200). (l) Derni nel suo capitolo a Sebastiano del Piombo dice:  Ilo visto qualche sua composizione; Sono ignorante, o pur direi davelie Lette tutte nel mezzo di Platone. S chegli  nuovo Apollo e nuovo Apelle; Ei dice cose, e voi dite parole.  VITTORIA COLONNA. 99  Chi mi pu guidare a lei?  Vede la sua donna, l ideale che irraggia T anima sua pende tra il dolore, il dubbio e il desiderio:  Questo, Donna, mavvien poi chio vi vidi  Chun dolce amaro, un s e no mi muove.  (Guasti, 200). E nel madrigale vii:  Nascendo, dice, mi fu data la bellezza :  Che di due arti m  lucerna e specchio...  Questa sol locchio porta a quellaltezza  Per cui scolpire e pinger mapparecchio.  Sono giudizi temerari e sciocchi quelli che tirano al senso, la belt che< muore, e poi   porta al cielo ogni intelletto sano.  Ci che muore non pu porgere . quiete alluomo saggio, n soddisfarlo:  Voglia sfrenata  .1 senso, e non amore,  Che lalma uccide. Amor pu far perfetti  Gli animi qui, ma pi perfetti in cielo.  Non basta a lui il bel chagli occhi piace; ma nella belt individuale lanima sua cerca larchetipo della bel- lezza: - * Trascenda in ver la forma universale. 1*00 PARTE TERZA Per svolgendo anche in una forma pi precisa e chiara il concetto, nel sonetto in (211) scrive:  La forza dun bel volto al ciel mi sprona,  (Chaltro in terra non  che mi diletti),  E vivo ascendo tra gli spirti eletti; "Grazia eh ad uom mortai raro si dona...  Onde se mai da due begli occhi il guardo  Torcer non so, conosco in lor la luce  Che mi mostra la via eh a Dio mi guida.  E nel sonetto vili:  Amore sveglia e muove, e impenna lale  Per alto volo; ed  spesso il suo ardore  Il primo grado, onde al suo Creatore,  Non ben contenta qui, lanima sale.  Lamor che di te parla, in alto aspira,  Ned  vano e caduco; e mal conviensi  Arder per altro, a cuor saggio e gentile.  Egli aspira al bello eterno, e a dargli forma precisa, im- peritura quale la stamp nel pensiero, talch  Se poi l tempo ingiurioso, aspro e villano  Lo rompe o storce o del tutto dismembra,  La belt, che prim era, si rimembra  Dentro 1 pensier  Similemente la tua gran beltade,  Chesempio  di quel ben chil ciel fa adorno,  Mostroci in terra dallArtista eterno, ecc. * E altrove, rivolgendosi alla sua Donna:  Vidi umil nel tuo volto ogni mia altezza;  Rara ti scelsi, e me tolsi dal volgo;  E fla con lopre eterno anco il mio amore. * VITTORIA COLONNA. 101 E ancora:  Fallace speme ha sol lamor che muore  Con la belt, che scema a ciascun ora.,  Perch  suggetto al variar dun viso.  Certa  ben quella in un pudico cuore,  Che per cangiar di scorza non si sflora  N langue  La belt chegli mira  vera, reale, e l ha il poeta dentro il cuore :  Dimmi, di grazia, Amor, se gli occhi miei  veggono il ver della belt eh io miro,  O s i l ho dentro il cor, eh ovunque io giro,  Veggio pi bello il volto di costei...  La belt che tu vedi,  ben da quella  Ma cresce poi eh a miglior loco sale,  Se per gli occhi mortali allalma corre:  Quivi si fa divina  Che cosa  amore, onde scende a noi?  Dalle pi alte stelle  Discende uno splendore,  Che l desir tira a quelle;  E quel si chiama amore.  Ned altro ha gentil cuore  Che lo innamori, e arda, e chel consigli,  Ch un volto che negli occhi lor somigli.  Nella perfetta bellezza si svela Dio:  N Dio, sua grazia, mi si mostra altrove  Pi che in alcun leggiadro e mortai velo,  E quel sol amo, perch in quel si specchia.  102 PARTE TERZA III. Tale la sua teoria dell'amore, tale 1 ideale femmineo, che splendeva innanzi alla sua mente, o, come egli stesso dice, aveva dentro il cuor.  Innamorato dogni maniera di bello, egli cerc a lungo il bello che vagheggiava la sua mente. Affetti diversi e ardenti hanno senza dubbio agitato il suo cuore giovanile. Egli stesso scrive ne' suoi tardi anni:  Affetto alcun mortale non m  nuovo. * Ma il bello che sentiva in s, la donna che vagheggiava col pensiero, non si offri che tardi innanzi agli occhi suoi. Raffaello aveva trovato la sua donna nella Fornarina, e in altre bellezze non so se pi sedutrici o mistiche, che vediamo riverberate in forme meravigliose ne' suoi dipinti. Tutti gli artisti la riprodussero nelle diverse bellezze o modelli che ritraevano. Per essi si sono per lo pi arrestati alla bellezza esteriore. Perugino, Gian Bologna, il Masaccio, lo stesso sommo Raffaello, Tiziano, prendono a ritrarre larmonia delle forme, la purezza delle linee, la rotondit dei contorni, lo splendore del colorito, o vuoi, come frate Angelico, il candore, lingenuit dellanima che traluce dal sembiante, o vuoi, come i Veneziani, il foco della passione, lo sfolgorio delle carni, lardore della sensualit nel colorito caldo e smagliante. Altra cosa era la bellezza che vagheggiava il Buonarroti. La bellezza che egli cerca,   la desiata luce  Del suo primo fattor, che lalma sente,  VITTORIA COLONNA. 103  quella bellezza che non  fallace , e  Trascende in ver la forma universale.  (1) Prima ancora che vivente apparisse innanzi a suoi oc- chi, egli laveva scolpita, egli laveva realizzata nei dipinti e nelle statue. Queste donne, che noi ammiriamo nei suoi dipinti, a prima veduta non ci sembrano belle secondo il concetto della bellezza, che ci lasciarono i Greci, o molti dei nostri pittori, anche sommi; le sue donne hanno alcun che dirregolare nelle forme, di turbato, dirrequieto nelle mosse, talora anche un non so che di scomposto, di subi^ taneo e di colossale; sembrano tipi, pi che personalit vi- venti; pure vedute, si stampano nella mente per modo che non solo non le dimentichi pi, ma ti perseguitano, tin- vadono, ti stanno fsse innanzi agli occhi, ti favellano.  una bellezza di cui egli solo possiede il segreto. Quale  questo segreto? La donna dipinta da molti pittori  un es- sere per lo pi passivo, essa  il riflesso di una bellezz esteriore, non duna passione, d un idea che prorompe dall intimo dellessere, ma viene dal di fuori, ed  bellezza obbiettiva. Essa  la vergine che in s riflette lo spirit divino, che transita su di lei, in s lo accoglie, anzi che elevarsi a lui;  la Madonna, che in s rispecchia la in- genuit, lamore, lo spirito del suo bambino, o l Assunta che  trasportata dallestasi, e da nimbi dangeli che lele- vano ai cieli;  sempre una potenza esteriore, angelica, soprannaturale, od umana che opera, e di cui essa non  che listrumento, il ricettacolo, il Vas delezione. Invece (1) Rime di Michelangelo , sonetto lu, 214. 104 PARTE TERZA la donna di Michelangelo  una forza in s stessa. Essa  per s una volont, unenergia, unintelligenza. Egli non cerca di sedurci, di allettarci colla soavit delle forme, la regolarit delle linee, d innamorarci colla leggiadria delle pose, ma ci signoreggia e simpone a noi. Egli lha concetta, l'ha fecondata, riscaldata a lungo nellinterno della sua mente, e quando prorompe fuori, imprime in lei la vita che sente in s, lispirazione che lha creata, e la passione che lo tormenta. Quando dal mondo delle idee le sue donne sor- gono allesistenza nel mondo dei fatti, traboccano di vitalit, di forza, si muovono, operano.. Tu le miri non solo, ma le senti, e si stampano colle loro attitudini strane e indimen- ticabili nella mente, per modo che sorprendono e sbalordi- scono. Sono le dee madri, sono i grandi tipi femminei, che lumanit conserva, riscalda in s di secolo in secolo per rinnovellare i popoli, per trasformare, rialzare le razze. Tali ci appariscono le Sibille che scolpi, pi che non dipinse, nella volta Sistina; veri archetipi delle cose, ideali dellarte. Tali le cento donne che or si elevano, or sinchinano fles- suose, or si esaltano, ora sabbracciano per innalzarsi al cielo, ora precipitano tormentate negli abissi, nelle scene del Giudizio Universale. Tale la Madonna cosi passionatamente mesta, che tiene Ges morto su le sue ginocchia; tale la Madonna ancora, che atterrita si nasconde paurosa ed esta- tica dietro il Cristo-Giudice. Queste donne sono quali le vagheggiava nel suo pensiero, e sono il risultato conver- gente di tutte le facolt attive della sua mente, del suo cuore; ed egli a tratti le dipinge ne suoi versi, non molli, caduche, sfibrate, o tutta leggiadria, moine e dolcezza, come le donne di Petrarca, del Perugino, di Gian Bellino; ma sono donne energiche, operose, intelligenti. La loro forza risiede VITTORIA COLONNA, 105 in loro; non  passiva, non riverbero di potere estraneo; la bellezza risiede sopratutto nella espressione, riflesso dellanima, nella volont indomita; donne, che, superiori alle leggi del tempo, illumina una bellezza  che per can- giar di scorza non si sfiora , N langue, o scema a cia- scurora  (1), ma perdura come il pensiero da cui irraggia il sentimento, la passione del cuore che le accende e agita, lispirazione da cui sono invasate; non sono n la Marta che mesce e serve a tavola il Signore, n la Maddalena che versa ol odorosi ai piedi del Signore, e stemprasi in lagrime di pentimenti o di passioni; sono forme superiori, superbe, sicure in s; hanno dell eroico insieme e del soave; alla forza virile accoppiano la bellezza, la grazia; alla bont, allabnegazione gli impeti e gli entusiasmi fem- minei.  la donna biblica, come veniva concepita Rachele, la quale in s incarna le passioni e l'anima di un popolo; la profetessa Ulda, che si presenta temuta e minacciosa al Re di Giuda; la donna guerriera e liberatrice, come Debora, Giuditta;  ia donna di valore, la donna solerte e forte quale  cantata dal Savio dei proverbi; quella che cinge i suoi lombi di fortezza e la cui luce non scema , n si estingue la notte, che stende la mano al bisognoso e che pu sfidare V avvenire (2). Ma la donna di valore, dice il Savio, chi sapr trovarla? Mulierem fortem quis inveniet? (1) V. Sonetto ix di Michelangelo. (2) Proverbi, Cap. xxxi. 106 PARTE TERZA IV. E questa donna, si a lungo vagheggiata col pensiero, non si offr al suo sguardo che nellet gi matura; Michelan- gelo aveva compiti i cinquantanni quando in una delle gite che faceva fra Firenze e Roma nel 1532-1533, s incontr con Vittoria Colonna.  questa forse, meglio che let dei trentacinque anni, segnata dal Romanziere moderno , per luomo e per la donna, che l esistenza non corruppero e sfibrarono, let degli amori energici, passionati e du- revoli. Amore nella prima giovinezza si alimenta d immagina- zioni, di fantasie, di facili entusiasmi, e svampa insieme coi piaceri dei sensi; spesso non lascia dietro di s che delu- sioni, spossatezza e scoramento; del fuoco avvampante non rimane che carbone e cenere. Rado o mai la realt corri- sponde allardore delle nostre fantasie, all intensit del de- siderio, e nasce nell uomo e nella donna il disinganno, la delusione, una disgustosa saziet e il tedio. Il tedio, il vuoto del cuore, che nelle anime passionate sopratutto, corrode innanzi tempo il verde della giovinezza, sfronda dogni ramo l'albero della vita, e affretta il gelo dellet senile e della morte. Ma nelle anime forti e virili d'ambo i sessi l'amore si rinnova, si trasforma cogli anni; si raccende ed ascende come fiamma; esse hanno sete damore nelle di- verse fasi della vita. Tramontato il primo periodo, l'anima, anzi che satolla, anela ad un pascolo pi elevato, pi du- revole.  un nuovo aspetto damore, o, come dicevano gli antichi, un novello grado nell'ascesa, nella scala damore, che saccende nel focolare del cuore, come dellintelletto; VITTORIA COLONNA. 107 diviene il vincolo di due anime, le quali sanno compren- dersi, di due spiriti che sanno identificarsi e si completano a vicenda. Non  solo amore, ma  fiamma che va a con- fondersi, identificarsi nellanima a lei gemella; sono due pensieri, che saccentrano in uno solo; e siccome il pensiero non muore, quel vincolo non si frange colla morte, perdur pi forte sopravvivendo alle vicende del tempo e al gelo della tomba. Rari sono questi amori; pochi ne ricordano le storie degli amanti, n si riscontrano che in esseri eletti e supe- riori.  il pensiero, che, dopo un faticoso agitarsi nella vita, ritrov il suo pensiero corrispondente; lo spirito, che dopo intenso anelito e lungo cercare, ha alfine rinvenuto lo spi- rito, che nelle lotte della vita lo conforta, lo sostiene, lo sorregge, lo spinge a meta pi eccelsa, lo affina e leleva al suo cielo (1).  questa non solo unaffinit elettiva, ma diremmo, intellettiva. Nelluomo  intelligenza, energi, volont ferrea ad un tempo, ed affettuosa e riguardosa ; nella donna fuoco di pensieri e di affetti, abnegazione  tutta prova,  passione dellanima che si converte in una specie di culto, nel senso umano ad un tempo e divino. In (1) Questi concetti ecco come sono espressi da Michelangelo :  Che quel che non  te, non  mio bene.  Ogni stupore ed ogni meraviglia  Delluniverso par che a te mi chiami,  E nel pensier mi si dipinge e tiene...  Chi da voi si parte  Pace non trova, n salute poi  Ch l ciel non  dove non siete voi.  {Rime, Mad. xlii e var.) 108 PARTE TERZA ambo  svolgimento all ultima potenza delle facolt pi nobili della mente, pi affettuose e passionate del cuore. Questo amore si differenzia del pari dagli amori volgari, come dalle vacuit e finzioni dellamore detto platonico. Esso si pasce di letizie arcane, di piaceri pi profondi e durevoli del primo, e meglio del secondo si fonda e si radica sulla realt dellesistenza, e corrisponde ai bisogni, agli istinti, agli aneliti della coscienza umana. Dante, la cui anima ha tanta affinit con quella di Mi- chelangelo, comprese e descrisse quella specie damore, o meglio diremo, deline questeducazione ed elevazione del- lamore nelle varie fasi che percorre. N solo lo sent, ma ne descrisse e ne segn il passaggio dalluno allaltro pe- riodo. Beatrice, la quale incarna insieme lintelletto e lamore, la scienza e il sentimento, la filosofia e la religione, nel trentesimo canto del Purgatorio , ricorda al poeta laffetto, dal quale egli fu acceso al suo primo apparire. Ma il gio- vane imberbe non seppe in lei discernere se non la bel- lezza esteriore:  Mai non tappresent natura ed arte  Piacer, quanto le belle membra in chio  Rinchiusa fui, e che son terra sparte.  E allora lo sostenne col suo volto,  Mostrando glocchi giovanetti a lui.  (l) Poscia accenna al secondo periodo in cui lamore dei (1) Dante, Purgatorio , xxx. VITTORIA COLONNA. 109 sensi o delle belle membra si muta in affetto pi nobile, in sentimento :  S tosto come in su la soglia fui Di mia seconda etade e mutai vita.  E infine al periodo pi elevato:  Quando di carne a spirto era salita  E bellezza e virt cresciuta mera.  Sinch sollevato da lei all ultima visione di amore, nella quale mille desiri pi che fiamma caldi, stringono gli occhi suoi agli occhi rilucenti, l'animo gusta di quel cibo  Che, saziando di s, di s asseta.  (1) Allora discerne la seconda bellezza chessa cela, e di- viene isplendor di viva luce eterna. Per tal modo Dante percorre la gamma delfiamore, che forma la grande sinfonia della umana esistenza. Dal senso si eleva al sentimento, da questo si trasforma nell intelletto, intelletto damore. Il concetto estetico e psicologico si mut in realt nella vita del Dante, come in quella di Michelan- gelo. Con questa differenza, che il primo sincontr con Beatrice nella prima sua et, a nove anni. Sparita Beatrice, egli la segue col pensiero nella tomba, e si tramuta in un amore ideale. Il simbolo si confonde colla realt, anzi questa si eclissa nel simbolo. Mentre il secondo sincontr colla (1) Dante, Purgatorio , xxxi. HO PARTE TERZA Colonna, pervenuti entrambi allet matura. Lartista allora si trasforma in poeta, e segna quasi le fasi del suo amore nelle sue rime, in cui stampa, anzi, spesso scolpisce le impressioni dellanima accesa. V. Vittoria Colonna accoppiava in s tutte le qualit fem- minee che Michelangelo aveva vagheggiate come artista, come pensatore, come poeta. Esso pot in lei  disbramarsi la decenne testa  ed appagare le aspirazioni dellintera sua vita. Essa toccava i quarantanni; vedova da otto anni, splendeva della venusta maest di una bellezza matura e gentile. Alta e leggiadrissima persona, fronte larga, rilevata e luminosa, capelli lunghi, sottili e d un biondo doro; occhio tutto intelligenza e fuoco, collo alto, spiccato e marmoreo, dalla bocca, dallo sguardo spirava una tranquillit gran- diosa, l incesso, gli atti tanto pi ardenti quanto pi com- pressi e avvolti in un velo di mestizia profonda, che pi non labbandon dopo la morte dello sposo. Sotto la rigida severit della gentildonna le grazie della poesia, la forza del pensiero, labbandono di un cuore benevolo e acceso di fuoco inconsuntibile damore : cuore di colomba, tempra dacciaio. Poeti, prosatori, gentiluomini, levavano a cielo le virt, le bellezze, lingegno della Colonna; ed i coetanei unirono lei e lui , ambidue, in uno stesso appellativo, chiamando essa pure Divina. E sembra che siansi incontrati la prima volta a Viterbo, ne frequenti viaggi che il Buonarroti faceva da Firenze a VITTORIA COLONNA. Ili Roma, quando attendeva a lavori della sacrestia.  Ap-  pena la vide, dice il Vasari, egli am grandemente la Marchesana di Pescara, del cui divino spirito era in-  namorato, essendo all" incontro da lei amato sviscerata-  mente.  Questamore ebbe la durata di dieci anni, e segna unepoca nella vita di questi due geni potenti, che si levavano come aquile solitarie sul loro secolo. Ambi erano gi stati pro- vati da tutte le gioie, le amarezze, le grandezze e le mise- rie della vita. Michelangelo portava il cuore spezzato per la perdita della patria e di molti amici, essa per quella del marito e per sventure domestiche; il dolore gli univa come lamore. Pure questi furono per Michelangelo i giorni meno tristi della lunga sua vita. Lamore loro  per av- ventura una delle pagine pi notevoli e degne di studio nelle numerose storie degli amanti. Noi possiamo se- guirne le fasi, sia dietro brevi accenni sparsi nelle lettere, che si vennero tratto tratto scoprendo in questi ultimi tempi, sia colla scorta de biografi coetanei, sia dei versi, in cui il Buonarroti disvela lanimo suo, e ne esprime gli affetti. E in questo decennio percorsero intera lorbita della passione, preludiando dall idillio di Beethoven, poi passando a traverso le melodie affettuose e concitate del Bellini, per elevarsi alle mistiche note di Palestrina e Mozart. VI. Come prima, si sono scontrati a Viterbo nel 1532, si sono compresi e amati. In un sonetto che porta appunto la data del 5 agosto 1532, accenna Michelangelo a questo primo 112 PARTE TERZA incontro. Come Fenice egli si sent rinnovare per foco. Non si duole del suo amore:  perch io veggio  Negli occhi di quellangiol lieto e solo  Mia pace, mio riposo, mia salute,  Seco m impenna a seguir sua virtute (1).  Pare sia cominciato tra loro uno scambio di lettere e di versi, che si facevano pervenire per mezzo d un comune e fido amico, messer Tomaso dei Cavalieri, giovane romano colto e nobilissimo. In una di queste lettere, Michelangelo rispondendo ad altra precedente della Colonna, dice, che per piacere a lei, luce del secol nostro , unica al mondo , vuol dedicarle tutto il suo tempo , tutte le opere sue ; e sempre infervorandosi vieppi in questo pensiero aggiunge che, vorrebbe pur ria- vere il suo passato per metterlo a' suoi piedi; ed eccessivo nel suo sentire, dorrammi , ripete, molto forte non poter riavere il passato , per quella servire. E in altra che tiene subito dietro a questa in risposta alla Marchesa, dopo averla fatta certa del grandissimo, anzi, sviscerato amore che le porta, soggiunge, che la sua lettera in lui accese nuovo e massimo foco, se nuovo e maggiore pu essere.  Io posso prima dimenticare il cibo di che io vivo, che  nutrisce solo il corpo infelicemente, che il nome vostro,  che nutrisce il cuore e lanima, riempiendo luno e laltra  di tanta dolcezza che n noia, n timor di morte, mentre  la memoria mi si serba, posso sentire. Pensate se l'occhio  avesse ancora la sua parte in che stato mi troverei.  (1) Sonetto l, pag. 211. VITTORIA COLONNA. 113 Essa, come si esprime, era divenuta V anima sua; egli ardeva di riveder lei, ed essa, per mezzo di Bartolomeo Angiolini, il quale, come amico di Michelangelo, era a parte dogni cosa, gli fa scrivere:  Per quanto ritrassi dal suo  parlare, mostra non aver altro desiderio al mondo che  la tornata vostra, perch, dice, quand con voi le pare  desser felice; perch  tutto quel che desidera al mondo;  di modo che mi pare, che se voi vi consumate di tornare,  lei abbrucia dal desiderio che voi torniate: s che state  contento e attendete a spedirvi per tornare a dar quiete  a voi e ad altri... Ho vista V anima vostra. Attende voi.  In una lettera del Michelangelo, di cui rimangono pochi frammenti, diretta all Angiolini, delli 11 di ottobre 1533, parla di lei come dellanima sua.  Se io desidero giorno e notte  essere cost, non  altro che per tornare in vita: la qual  cosa mai pu essere senza Yanima, e perch il cuore   veramente la casa dellanima, ed essendo prima il mio  nelle mani di colei, a cui voi lanima mia avete dato, na-  turai forza era ritornarlo al luogo suo... (1). Come lanima arde darle il corpo, tutto s stesso.  S che non sarei qua  in tanti affanni; ma se non  stato possa essere, quanto  pi presto, meglio, ne possa in eterno vivere altrove.  Parole di foco che prorompono dal fondo dellanima. Colla lettera manda pure alla Marchesana versi damore (1) Lo stesso concetto esprime in varie poesie dettate in quei giorni :  Come avr dunque ardire  Senza voi mai, mio ben, tenermi in vita,  Se io non posso al partir chiedervi aita?...  Il cor lasso con voi che non  mio.  (Madr. xxiv, pag. 49.) La mente di Michelangelo. 114 PARTE TERZA ed a queste lettere risponde Angiolini il 18 dello stesso mese di ottobre:  Per sapere quanta affezione ei porti a tutte le cose vostre, ei m'ha permesso farvi risposta,  la quale sar inquieta, e per quanto ho visto, conta lore,  nonch li giorni che voi dite essere qua; pure ha cara  ogni vostra comodit, e molto vi si raccomanda.  Era un ricambio di lettere e di poesie tra la Marchesana e il sommo artista. Ed egli si recava da lei a Viterbo, e forse allora dettava questo sonetto, che porta pure la data del 1532:  Tu sai chio so, signor mio, che tu sai  Chio venni per goderti pi da presso...  Se vera  la speranza che mi dai,  Se vero 1 buon desio che m concesso,  Rompasi 1 mur fra luno e laltro messo  Che doppia forza hanno i celati guai.  Come fu smisurata l'angoscia che gli cagion tal affetto,  cos pur nel diletto  Non fu, n sia, di me nissun pi lieto... * E qui tronca il madrigale xcix, come Dante  Quel giorno pi non vi leggemmo avanti.  Egli in quei giorni alternava il soggiorno tra Roma e Firenze, ove attendeva ai lavori della Sacrestia di san Lo- renzo. Sinch morto papa Clemente VII sul cadere del 1534, prese ferma stanza in Roma. In questepoca, cio il 27 set- tembre 1534, vi fiss pure la dimora la Marchesana. Qui cessa la corrispondenza epistolare tra di loro, e intorno ai loro rapporti, non ci rimane altra scorta se non alcuni ri- VITTORIA COLONNA. 115 cordi dei coetanei, e le rime che egli dettava e inviava a lei. La Colonna pure nel 1534 si recava spesso a Roma, ove faceva lunghi soggiorni, e vi ferm dimora sino al 1539. Visitava spesso lo studio di Michelangelo, dovegli lavo- rava, e questi si recava da lei nel suo ritiro a S. Silvestro. Lamore non era unico soggetto de loro colloquii, dice uno dei biografi, ma essi parlavano darte, di religione, del mo- vimento riformatore che agitava Germania e Italia. Soleva spesso convenire nella sagrestia di S. Silvestro o nei giar- dini, che da palazzo Colonna si estendono a piedi della collina che conduce al Quirinale, uneletta di letterati e dartisti, presso la Marchesana; fra questi giova ricordare il Contarmi, il Polo, Perin del Voga, Latanzio Tolomei, Baccio Rondinelli, Sebastiano del Piombo, e pi altri che vi si recavano desiderosi di vedere e conoscere Michelan- gelo; uomini insigni, i cui nomi sono ricordati fra quegli che presero viva parte al movimento religioso, politico o artistico dei tempi. La maggior parte delle sue poesie furono scritte in que- sto periodo di tempo che corse dal 1532 al 1542. Egli le vergava a sollievo dellanimo mentre scolpiva o dipingeva; venivano raccolte dagli amici, e la maggior parte furono stampate nel sessantesimo anno dopo la sua morte, nel 1623, da suo nipote, figlio di Leonardo. Non abbiamo di tutte la data in cui furono scritte; ma, dettate ne giorni de suoi rapporti colla Marchesana, esse portano qualche luce sulle fasi e sull intensit delle sue passioni. Ci limiteremo a ci- tarne qualche brano (1). (l) Le poesie furono raccolte con religiosa cura in un splendido vo- lume da Cesare Guasti; esse abbondano di varianti, di prove e di ri- 116 PARTE TERZA Ecco come amore lo tiene soggetto e ne occupa la mente:  Amor cos mi tiene  N vuole chaltro brami,  Se a te non sassomiglia,  Che sol da le tue ciglia  Dipende ogni virtute,  Onor, vita e salute. * Challalma grave ognor chiaro rivela  Quanto natura e l ciel nasconde e cela. * E nel madrigale ix (228):  Ogni cosa chio veggio mi consiglia,  E prega, e sforza eh io vi segua ed ami,  Che quel che non  voi non  l mio bene.  Amor che sprezza ogn altra meraviglia  Per mia salute vuol eh io cerchi e brami  Voi Sole sola. E cos lalma tiene  Dogni altra speme, e dogni desir priva...  E chi da voi si parte,  Occhi mia vita, non ha luce poi.  Chl ciel non  dove non siete voi. * Essa  il suo cielo e gli occhi; essa la luce, ed essa pu trasformarlo come si trasforma pietra dura in viva figura , e dalle sue estreme parti quel pu levarne , che lega in me prove. Noi fra tante varianti tentammo scegliere quel testo che sem- bra esprimere il pensiero con maggior forza ed evidenza, poich in questo studio ci occupiamo pi che della forma, della mente e del- lanimo del Buonarroti. VITTORIA COLONNA. 117 ragion vrtuie e forza. Il suo amore gli accrebbe pregio e virt:  Poi chio tebbi in cuor, pi (fi me vaglio:  Come pietra chaggiuntovi lintaglio   di pi pregio chel suo primo scoglio.  (Sonetto, xix). Essa pu rendere pi perfetta lanima sua, come lartista il suo modello:  Da che concetto ha larte intera e diva,  Le membra e gli atti dalcun, poi di quello  Diemmi materia un semplice modello...  Tal di me stesso nacqui e venni prima  Umil model, per opra pi perfetta,  Rinascer poi di voi, Donna alta e degna.  E quanta potenza esercitasse nellanimo suo, espresse nel sonetto xn:  Nel voler vostro sta la voglia mia,  I miei pensier nel cuor vostro si fanno;  Nel vostro spirto son le mie parole.  Ella sola a lui par donna, un Dio parla per la sua ingua:  D uno in altro desio  Si minnalza il bel volto,  Ch io veggio morte in ogni altra beltate.  O Donna, che passate  Per acqua e fuoco Palme ai lieti giorni,  Deh! fate che a me stesso pi non torni.  118 PARTE TERZA Vorrebbe che le sue membra si convertissero tutte in un occhio solo:  Ne fla parte di me che non ti godo.  Morendo gli sembrerebbe di essere seco beato anche nell inferno:  Se dolce mi saria  Linferno teco, in ciel dunque che fora?  Beato a doppio allora  Sare a goder io sol nel divin coro  Quel Dio in ciel, e quel che in terra adoro.  La gioia luccide come il dolore:  La tua piet chamore e l ciel qui folce,  Se mi vuol vivo, affreni il gran contento;  Chai don soverchio debil virt muore. * Il nodo indissolubile d'amore che lo avvince, e quel- l immedesimarsi danima con anima, di cuore con cuore e la suprema, ineffabile, volutt di due spiriti che si inte- grano, e quel presentimento od illusione negli amanti che credono di essere da molti secoli innanzi, e prima di scen- der in questa terra, vincolali, uniti nellamore e come iden- tificati per tutta leternit, e quella la suprema volutt del- lamore mistico, per cui unanima  come il complemento dellaltra o, come fu detto nel linguaggio moderno, nel fra- sario damore, quel riconoscere o rinvenire il suo doubl , la sua anima affine, il nostro poeta non solo descrive, ma scolpisce in questo stupendo sonetto, in cui ricorda forse VITTORIA COLONNA. 119 gli istanti pi soavi deUamor corrisposto e che non posso frenarmi di trascrivere per intero:  Se un casto amor, se una piet superna,  Se una fortuna infra due amanti uguale,  Se unaspra sorte allun dellaltro cale,  Se uno spirto, un voler due cor governa;  Se unanima in due corpi  fatta eterna,  Ambo levando al cielo con pari ale; .  Se amor d'un colpo e con dorato strale  Le viscer di due petti, arda, discerna;  Lamar l un laltro, e nssun s medesmo,  Dun gusto e dun diletto, a tal mercede,  Cha un fin voglia luno e laltro porre;  Se mille e mille non sarian centesmo  A tal nodo damore, a tanta fede,  E sol lo sdegno il pu rompere e sciorre.  (l). VII. Alla Marchesana egli insieme colle sue poesie inviava lavori darte, fra quali un Cristo dipinto, quando  tolto dalla croce:  e lo viddi, essa gli scrive, cos mirabile, che  super in tutti i modi la mia aspettazione.... Sta da ogni (i) Credo, a meglio chiarire il concetto, riprodurre questa variante:  Samar l un laltro, e nessun mai s stesso,  Sol desiando amor damor mercede,  E se quel che vuol l un laltro precorre,  A scambievole imperio sottomesso,  Son segni pur d indissolubil fede,  Or potr sdegno tanto nodo sciorre?  GuAsrr, 190. 120 PARTE TERZA  parte in somma perfezione, che non se ne potria deside-  rare di pi, n giungere a desiderare tanto.  Venne asserito che ne avesse fatto di sua mano il ri- tratto, ma la cosa  incerta. Il Condivi e il Vasari non ne fanno cenno; e da suoi versi parrebbe si fosse posto a ritrarla o scolpirla, ma egli di fronte a lei sentendo la- nimo conturbato e mesto (1) ; ora larte non risponde, ora la mano freme, e non  pronta allintensit del desiderio, mentre vorrebbe pure eternarne limmagine:  Dunque posso a ambo noi dar lunga vita  In qual sia modo, o di color o sasso  Di noi sembrando luno e laltro volto;  S, che millanni dopo la partita  Quanto voi bella foste, e quantio lasso  Si veggia, e come amarvi non fui stolto.  La sua immagine gli  impressa cos profondamente nel cuore che per ritrarla conviene rompa e strazi s stesso. Mentre vuol dipingere lei, dipinge solo ed esprime il suo aspetto :  Se avvien talor che in pietra un rassomigli  Per fare unaltra imagine, s stesso  Squallido e smorto, spesso  Esprimo in me che tal son per costei,  E par che sempre io pigli  Limagin mia, chio pensi di far lei.  (1) Madrig. xxr. VITTORIA COLONNA. 121 Vili. Fu Vittoria Colonna una dalle personalit pi spiccate del secolo decimosesto cos fecondo di caratteri vigorosi e svariati. Essa fa degno riscontro a quello di Michelangelo e ne rappresenta in certo modo il lato femmineo. Levata sopra il suo piedestallo di marmo, gentildonna, musa e sibilla, non sai se in essa sia pi da ammirarsi la tenera venust delle forme, la passione dellanima, la gen- tilezza, o la forza della volont, o laltezza dellintelletto (1). Passioni impetuose, ardenti, fervono nel 'fondo di quel cuore meridionale; come una figlia del Norte essa vive di vita interna, e severa a s, ma benigna, umile cogli altri;  sempre donna di s stessa, si sforza di comprimere le sue passioni e padroneggiarsi, talch, come avviene nelle donne forti, lintelletto finisce per vincere i sensi, la pas- sione si converte in abnegazione, in oblio di s e di ogni cosa terrena, per non vivere pi che della vita del pen- siero, o gettarsi in quegli ardori mistici, in cui il cuore in- fermo e deluso trova talora conforto e pace, o un degno pascolo allansie dello spirito irrequieto. (l) Di lei scriveva ad un suo amico di .Brescia, il conte F. Marti- nengo, in una lettera del giugno 1546.  Certo ella  donna rara e sin-  golare per quel che ho potuto comprendere, molto accesa dellamor  di Cristo, che sempre ne ragiona non meno col cuore che colla bocca.  Che umilt poi  quella sua ! Che bont senza esempio! Che maniere da principessa come veramente !... Ella ha tal forza di ragionare  che par quasi che dalla sua bocca escan catene, colle quali tragga  i sensi degli ascoltanti...: io mandr almen consolando daver cono-  sciuto la pi segnalata e degna donna che oggi vegga il sole.  122 PARTE TERZA La nobilt dei natali, lalto parentado, prima del padre, il celebre Fabrizio Colonna, poi dello sposo, lei spinsero giovinetta sui primi gradi della gerarchia sociale; ma egli  sopratutto per l'ingegno, la grazia nativa e la grandezza dellanimo, che pot elevarsi al dissopra delle donne del Rinascimento (1). Essa, al pari di madama Rolland, della Recamier, e degli astri pi fulgidi dei saloni parigini, sapeva raccogliere intorno a s leletta dei letterati, degli artisti, degli uomini politici pi insigni dellepoca; per mentre le celebrit femminee dei saloni parigini brillavano sopra- tutto per riverbero della luce altrui e di celebri adoratori, essa spiccava e risplendeva pel suo genio. - Era una forte personalit per s stessa, era unintelli- genza che dava luce e scintille anzi che riceverne. Per la mente del pi grande degli artisti meglio si fa manifesta pel valore della donna amata. Noi troviamo in Vittoria il grande tipo della donna del Rinascimento. Vi si riscontra il valore, la bont, la cortesia della leggendaria castellana medioevale, un cotal spirito ghibellino e antipapale dei li- beri e fieri baroni romani; ma essa, anzi che schierarsi in campo a combattere il pontefice-re, anela a riformare la Chiesa; mentre poi lindole femminea, le circostanze, il carattere dei tempi la spingono a devozioni claustrali, alle pratiche rigorose della Chiesa cattolica, il genio classico (i) E questo primo posto, fra le coetanee,  a lei assegnato dal- IAriosto, il quale di lei cantava:  Scieglieronne una, e scieglierolla tale  Che superata avr linvidia in modo,  Che nessun altro avr da averla a male,  Se laltre taccio, e se lei sola lodo.  VITTORIA COLONNA. 123 e pagano del Rinascimento, le idee filosofiche, laudacia del pensiero, svellendola spesso dalle severe pratiche monacali e dalle sottigliezze teologiche, le aprono quegli orizzonti re- ligiosi pi vasti, in cui, come nella suprema contemplazione del divino, si confondono tutti i culti, e sono la essenza e il fondamento delle grandi e durevoli manifestazioni reli- giose dei giusti di tutti i tempi, e di tutte le credenze. IX. Il sangue di due nobili case, che empirono il medio evo del loro nome, si confondeva nelle sue vene. La madre, donna di. alto ingegno, era una Montefeltro; il padre, il va- loroso Fabrizio Colonna. Essa pass i primi suoi anni in Napoli, presso la zia Costanza dAvalos, o in mezzo a quella poesia di giardini, di ville, di spiaggie fiorite che presen- tano Margellina, i boscosi dintorni del lago d Albano, Pie- traia, e il paesaggio cos vario, sorridente ad un tempo e pauroso dellisola d Ischia, dove i boschi di rose, daranci, mirti e oliveti coprono e dissimulano le mille screpolature dei vulcani sempre aperti e minacciosi. A cinque anni venne fidanzata al marchese Ferrante, unico figlio dAvalos. Laffetto pel Pescara crebbe in lei collo svolgersi degli anni. Crebbero insieme fanciulletti; amore e ragione avvinsero quei nodi (1), e and sposa (l)  La ragion, chassai tempo prima volse  Allamata mia luce i miei pensieri   Ella fu che ne bei lacci mavvolse * Non mica i sensi semplici e leggieri.  V. Colonna. Sonetto xxix. 124 TARTE TERZA quando essa raggiunse i diciannove anni, il 27 dicem- bre 1509. Brevi per furono le gioie coniugali. Correvano i tempi delle guerre epiche fra i due grandi rivali Francesco I e Carlo V. Il padre di lei Fabrizio e il Pescara, avidi di guerre e di nobili imprese, combattevano alla testa delle schiere spa- gnuole, mentre ella solitaria poetava:  Non credeva un marchese ed un Fabrizio  Lun sposo e laltro padre, al mio dolore  Fusser s crudo e dispietato inizio,  Del padre la piet, di te lamore,  Come due angui rabidi, affamati,  Rodendo stavan sempre nel mio cuore.  (1). Essa ardeva di seguirli nel campo di battaglia, pugnare al lor fianco, ma non le era concesso (2) :  Tu vivi lieto, e non hai doglia alcuna,  Che pensando di fama al nuovo acquisto,  Non curi farmi del tuo amor digiuna.  Tuttavia, donna sempre di s, si confortava della loro gloria e della loro gioia,  E col vostro gioir tempro il mio duolo. * (1) Epistola di V. Colonna al consorte dopo la rotta di Ravenna. (2)  Seguir si d lo sposo c dentro e fora ;  E segli pat affanno, ella patisca,  Se lieta, lieto; e se vi muore, mora,  A quel che arrischia luno e laltro arrisco,  Eguali in vita, e eguali siano in morte.... * VITTORIA COLONNA. 125 Il Pescara ferito nella memorabile battaglia di Pavia, sfinito di salute, e forse punto da rimorsi pel gran tradi- mento, quando vendette a Carlo Y il segreto del Moronp cospirante per liberare lItalia, cadde infermo e mor a Milano il novembre del 1525 nel trentatreesimo anno del- let sua. Mor non senza sospetto di veleno amministrato da Carlo V, il quale, dopo aver profittato del tradimento, cominciava a dubitare della fede del traditore. Egli moriva aborrito dagli Italiani, in sospetto e mala fama presso la Spagna. X. Vittoria  Che sol dal vver suo conobbe vita  allanr nunzio della sua morte si ritir a Roma nel monastero di S. Silvestro, che apparteneva ai Colonnesi, e, vinta dal dolore, aveva deliberato di farsi monaca; il Pontefice con- sent alla superiora di accoglierla, ma viet, sotto pena delle censure ecclesiastiche, di lasciarle prendere il velo. La vita claustrale era allora meno severa e ristretta che non fu dopo il Concilio di Trento; nobili donne erano ac- colte nei monasteri senza appartenere a verun ordine, erano servite dalle loro donne, e vi ricevevano, come a fidato convegno, gli amici. I chiostri offrivano alle derelitte la serena quiete della solitudine senza sequestrarle dalla vita sociale. La Colonna mutava spesso il soggiorno del chio- stro con viaggi a Napoli, a Marino, a Viterbo, ad Ischia, soggiorno a lei prediletto, ma in ogni luogo portava seco il suo dolore, e disacerbava il duolo cantando il valore, le imprese, le cortesie dellestinto consorte. Le sue poesie, che dettava  per sfogar V interna doglia 126 PARTE TERZA  di che si pasce il core  fanno riscontro alle petrar- chesche in morte di Laura; e quando si libera dal manie- rismo dellepoca e vola colle proprie ali senza ormeggiare i petrarchisti, sa trovare note sempre profonde, affettuose, che prorompono dall intimo del cuore e che svelano un affetto impetuoso, un cuore gentilissimo e vera potenza di ispirazione. Anni terribili volgevano allora per lItalia; la guerra tra Spagna e Francia infuriava in Lombardia ; Roma, nel 1527, era stata saccheggiata; la peste faceva strage a Napoli e penetrava nellisola d Ischia, ove erasi Vittoria rifug- gita. Essa scriveva, ora allimperatore Carlo V, ora ai sommi uomini politici, come Bembo, Sodaleto, Gilberti ten- tando di pacificare gli animi, conciliare i principi cristiani perch si unissero e volgessero le armi contro i Turchi. Sforzavasi di obliare i suoi dolori privati per imprimere un alto intento alla vita:  Meglio assai fora che alle chiuse porte  Chieder mercede, aprirne una alloblio: rimane a provare se meco vive tanta ragione , essa ag- giunge,  Ch io volga quest insano  Desir fuor di speranza a miglior opra.  Nel 1533, come vedemmo, sincontr in Viterbo col Mi- chelangelo. Egli, dice il Condivi, si era innamorato del divino spirito di lei, essendo all'incontro da lei amato svisce- ratamente.... Ella pi volte si mosse da Viterbo e d'altri luoghi dove fosse andata per diporto e per passare l'estate , VITTORIA COLONNA. 127 ed a Roma se ne venne, non mossa da altra cagione se non di vedere Michelangelo , e forse a questo periodo della vita di lei appartiene il madrigale, che chiude la prima parte delle sue poesie, e apre come un nuovo periodo della sua esistenza. Il madrigale  oscuro, enimmatico come so- leva essere il linguaggio degli amanti a quei tempi; sottili astrazioni filosofiche e platoniche coprono un affetto reale, ed ella con squisita grazia e femminea accortezza svela il fondo del suo dire: dal soverchio desio, essa dice, nasce la tema, e fa che lalma in un gioisca e gema; sente lardore che le offende il cuore quando  ascoso ancora e non com- preso. Ma poich il lume irradia l'intelletto, il male, la noia spariscono, si dilegua lequivoco ed il falso, il vero, il reale rimane e trionfa (1). Gi accennammo alle fasi che percorse questo amore; vedremo in breve come si doveva poi mutare in  stabile amicizia legata da un cristiano nodo d'affezione. (1) Ecco il madrigale, che ha lo stile o la maniera di alcuni scritti da Michelangelo, e forse risponde ad uno dal sommo artista diretto a lei :  Dal soverchio desio nasce la tema  E fa che lalma in un gioisca e gema.  Sente lardor che T miser cuore offende,  Quando dal suo imperfetto  Il sublime valor non si comprende.  Ma poi che 1 lume irradia lintelletto,  Il mal fugge e la noia,  E sol mi apporta gioia,  E fa laltezza del mio bel pensiero  Il falso falso, e l ver pi che mai vero.  ( Rime della Colonna). 128 PARTE TERZA Ma le gioie della vita dovevano essere di breve durata per la Colonna, come per Michelangelo. Soffrire, lottare  la sorte del genio, ed ella, sublime infelice, dovette soffrire, lottare, finch sotto il peso dei suoi dolori e delle sue virt cadde accasciata e vinta. XI. La seconda met del secolo decimosesto fu appellata Tet dei teologi; tutti si preoccupavano delle questioni re- ligiose. Vittoria aveva frequentato in Roma quella scuola di religiosi e pensatori in Trastevere, che convenivano presso il fiorentino Giuliano Dati, e che, sotto il nome di Oratorio del Divino Amore , intendevano di rigenerare la Chiesa; a Napoli interveniva alle conferenze di Giovanni Valdes, che propagava i principii della riforma. Ad essa s erano associati Giulia Gonzaga, sua parente, Caterina Cybo, duchessa di Camerino, il Carnasecchi, Martire Ver- migli, Occhino, ed altri che divennero poscia gli apostoli della riforma religiosa in Italia. Forse collintento di meglio conoscere e propagare i prin- cipi della riforma, nelle diverse parti dItalia, essa si rec nellanno 1537 da Napoli e Roma, a Lucca e poscia a Fer- rara, che erano i due focolari della riforma religiosa. A Fer- rara contrasse stretta amicizia con Renata di Valois, prin- cipessa protestante e moglie del duca Ercole dEste. Un anno prima dellarrivo di Vittoria, Calvino aveva fatto un lungo soggiorno in Ferrara, e vi sparse i germi delle sue dottrine; durante il soggiorno di Vittoria veniva pubblicata l'opera capitale di Calvino  Istituzione della Religione VITTORIA COLONNA. 129 Cristiana  che lev si alto rumre. Cos le tendenze re- ligiose di Vittoria trovarono quivi nuovo stimolo, vuoi pep le memorie lasciate da Calvino, vuoi per le frequenti riu- nioni de suoi discepoli che professavano la dottrina della riforma, e infine per le relazioni pi intime strette colla celebre Renata. Lasciando Roma, essa aveva fatto credere che si sarebbe recata a Venezia per quivi imbarcarsi per la Terra Santa; invece protrasse di un anno la dimora in Ferrara; rinun- zi al suo viaggio in Terra Santa, ed essa, con Olimpia Morato e la Renata, divenne centro della riforma reli- giosa in Italia; e infatti, dopo il viaggio a Ferrara, si apre come un nuovo periodo di vita intima e religiosa per la Colonna, ed ella stessa in que giorni, corrispondendo con Giulia Gonzaga, le scrive di essersi liberata dalla super- stizione. La Riforma in Italia vest un carattere proprio, che la differenzia dalla Luterana. Da un lato non vorrebbe scin- dere lunit della Chiesa, e tende ad una rinnovazione di questa conservando in parte le tradizioni del passato; dal- l altro mira ad una rivoluzione pi radicale nel domma e nella disciplina; scalza dalle fondamenta alcuni dommi pro- fessati dalla Chiesa, combatte la divinit di Cristo, coi due Soccino, con Occhino, con Pietro Vermigli; Riandrete pre- dica lUnitarismo. Vittoria non divideva le idee di questi. Fervente ammi- ratrice di Occhino, essa vide con dolore che si discostava pi e pi dallortodossia cattolica, sin che la sua posizione in Italia divenne insostenibile; il Papa e lTnquisizione do- vettero procedere contro di lui, ed egli, per sottrarsi alle La mente di Michelangelo. 130 PARTE TERZA / persecuzioni, pass le Alpi, esul in Zurigo e poscia in Germania (1). Ma mentre Occhino, Pier Martire Vermigli, Celio Cu- rione e altri seguaci di Valdes o di Soccino tendevano a pre- dicare una riforma radicale, Vittoria, dopo il suo ritorno da Ferrara, ritirata ora a Roma, ora a Viterbo, si circon- dava degli uomini eminenti che miravano ad una riforma nella Chiesa, pi che a rivoluzioni religiose. Quivi conven- nero Reginaldo Polo, inglese di nascita e parente non lontano del re Enrico Vili, ma per lungo soggiorno in Italia fatto italiano, nominato poscia cardinale nel 1536 da Paolo III, Gaspare Contarini, Luigi Priuli, Lodovico Beccadelli, se- gretario del Contarini divenuto poscia vescovo di Ragusa, Vittore Soranso, al pari del Priuli, dillustre famiglia ve- neta, nominato poscia vescovo di Bergamo, ma sospetto cV opinione eterodossa; e a questi convien aggiungere il Flaminio, il Carnasecclii e altri. Cosi intorno al Polo e alla Colonna si era formato un cir- (1) Ascanio, fratello della Colonna, diede il cavallo ad Occhino e gli agevol i mezzi per sottrarsi dall Inquisizione e fuggire in Svizzera. Prima di fuggire dallItalia dirigeva alla marchesa di Pescara questa lettera, che porta la data del 22 agosto 1542. In questa, dopo averdetto che aveva in animo di recarsi a Roma, dove il Tribunale lo invitava a presentarsi, e che ne fu dissuaso dogli amici, soggiunge :  Perch a  Roma non potrei se non negare Cristo od essere crocifisso; il primo  non vorrei fare, il secondo s, con sua grazia, ma quando lui vorr.  Andare alla morte volontariamente non ho questo spirilo, per oro...  Dappoi che farei pi in Italia? Predicare sospetto, o predicar Cristo  mascherato in gergo? e molte volte bisogna bestemmiarlo per sod-  disfare alla superstiziona del mondo... Per questo e altri rispetti  preferisco partirmi, che vedo vorrebbero infine esaminarmi e farmi * rinnegar Cristo, o ammazzarmi, ecc.  VITTORIA COLONNA. 131 colo duomini, che riprendendo le idee agitate in Roma nel- YOratorio del Divino Amore , discutevano le questioni teolo- giche, politiche, miravano a riformare la Chiesa, conciliare le opinioni religiose che scindevano lOccidente, e ricosti- tuirne lunit. Essi speravano che le loro idee, propagandosi colla persuasione, colla virt della fede, finissero per alli- gnare in Roma e imporsi alla Chiesa. Alla morte di Paolo III, intendevano di portare alla Sede pontificia il Contarini od il cardinale Polo, assicurando in tal modo il trionfo delle loro idee; come ai nostri tempi i neo-cattolici si sono per qualche tempo illusi di ottenere un papato liberale e nazionale. Ma la speranza fu di breve durata nel XVI secolo, come nel nostro, e non lasci che delusioni pi dolorose. Il cardinale Polo fu allontanato da Roma; Gaspare Contarini, la cui gra- zia e virt la Colonna sperava potessero rendere alle torbide e irate onde del Tbro ogni sua gloria antica (1), moriva; il Caraffa e il suo partito presero il dissopra, e la Roma del Rinascimento divenne la Roma della grande reazione catto- lica, preda alle ire dellInquisizione e alla politica dei gesuiti. A queste delusioni, che colpivano la Colonna nelle spe- ranze pi caramente accarezzate, altri dolori si erano in- tanto aggiunti, che la ferivano nei suoi affetti domestici, nellalterezza del suo nobile casato, di cui erasi dai Far- nesi ormai statuita la rovina. XII. Il Papato, che vedeva venir meno il potere spirituale, mirava a rafforzarsi collo estendere il temporale. I papi (l) Sonetto della Colonna sul Contarmi. 132 PARTE TERZA di casa Medici non avevano osato muovere guerra ai Co- lonnesi, che erano troppo forti e popolari, e protetti da Carlo V. I Farnesi invece non dubitarono di cercare ogni pretesto per debellarli, e cosi disfarsi dei piccoli Stati, abbattere le castella che circondavano Roma, e sottoporre i baroni romani. Paolo III, dopo aver espugnato Camerino, assediata e sottomessa Perugia, volge le armi contro i Colonna. Manda contro loro il suo figlio Pier Luigi Far- nese di Castro, che aveva costretto Perugia ad arrendersi; poi muove ad essi una guerra spietata, piena di orrori, di saccheggi, di terrore. Espugna le citt, arde le castella, ne diserta le campagne. Ascanio Colonna, fratello di Vit- toria, oppone una resistenza vigorosa, arma i sudditi, rac- coglie soldatesche nel Napolitano per opporsi alle truppe pontificie. Vittoria, ora scrive al papa per ottenere mercede, per iscongiurarlo a posar Tarmi, ora scrive a Carlo V perch sinterponga fra il papa e i suoi. Quando vede ogni opera vana contro la ferrea volont del papa, pi non sente in s che fervere il fiero sangue dei Colonnesi, e scrive al fratello:  Casa Colonna  sempre la prima.... Tutto si   scritto a Sua Maest. Ma vostra Signoria attenda a guar-  darsi.... Vedevate bene ogni d che costoro hanno buone  parole e tristi fatti: per difendetevi, e Dio vi aiuti e spero  nella sua bont (1).  E la guerra fra i Pontifici e i Colonnesi continua pi feroce. I primi sono capitanati da Alessandro Vitelli e Sa- velli sotto il comando del Farnese, ed  commissario ge- nerale Giovanni Guidaccione, stretto in amicizia con Vit- toria. Ascanio Colonna, fratello di lei, ora combatte chiuso (1) Lettera della Colonna del febbraio 1541 a suo fratello Ascanio. VITTORIA COLONNA. 133 nelle castella, ora spinge le soldatesche sin sotto Roma, ma, sopraffatto da forze superiori, vede ad una ad una le sue citt e castella espugnate. Cadono Genazzano, Cave, Ceciliano e altre citt, preda ai Pontifici. La potenza dei Colonna  infranta per lungo tempo; Ascanio, colla sua famiglia, erra esule per le citt dItalia; Vittoria, la quale aveva abbandonata Roma in sul principio della guerra, si ritira prima ad Orvieto, poscia a Viterbo. Ricorre agli amici, a Carlo V, perch acquetino il furore del Pontefice e ten- tano riconciliarlo colla sua famiglia; ma questi  irremovi- bile; a lei non rimane pi che la preghiera, Dio, la solitu- dine del chiostro, ove scrive di voler condurre i suoi giorni, e di non pi parlare che a Dio e non al mondo (1). Fece per poco ritorno a Roma, ove ritirata nell antico suo chiostro a S. Silvestro, vedeva spesso Michelangelo e gli amici, ma il soggiorno di Roma le riesciva increscioso; lantico palazzo Colonna presso la chiesa degli Apostoli era vuoto, il fratello, i parenti esuli, o morti, molti degli amici assenti. La nave di S. Pietro  carica d'alga e di fango , scrive ad un amico; essa non pu pi attendere al servizio di Dio, e si ritir in Viterbo nel convento di S. Caterina. E quivi, nelle solitudini del chiostro, essa, come diceva, non voleva pi pensare al mondo, non vivere nella terra e per la terra, ma di vita spirituale per lanima e per Dio. (l) Lettera di Reginando Polo da Roma al cardinale Contarmi, in cui scrive, che Vittoria aveva fatto quanto per lei si poteva per sedare la ribellione e conciliare suo fratello col papa, ma invano. Ora non essere pi rimasto a lei che la preghiera; si era ritirata in un chiostro da cui gli scriveva, voler ivi condurre i suoi giorni :    per vero una felicit il pensare a Dio e non al mondo.  134 PARTE TERZA Un affetto per ancora la vincolava alla terra, e volle colla sua ferrea volont svellerlo dal cuore. Michelangelo continuava a scriverle da Roma, ed essa cos tenta con questa lettera troncarne la corrispondenza:  Non ho risposto prima della lettera vostra, per essere  stata, si pu dire risposta della mia, pensando che se  voi ed io continuiamo il scrivere secondo il mio obbligo  e la vostra cortesia, bisogner che io lasci qui la cap-  pella di Santa Caterina senza trovarmi alle ore ordinate  in compagnia di queste sorelle, e che voi lasciate la cap-  pella di San Paolo senza trovarvi dalla mattina innanzi  giorno a star tutto il d nel dolce colloquio delle vostre  dipinture, quali con li loro naturali accenti non manco  vi parlano, che facciano a me le proprie persone che ho  dintorno; s che io alle spose e voi al Vicario di Cristo  mancaremo. Per, sapendo la vostra stabile amicizia   ligata in cristiano nodo a sicurissima affezione, non mi  par procurar con le mie il testimonio delle vostre let-  lere, ma aspettar con preparato animo sustanziosa occa-  sione di scrivervi, pregando quel Signore, del quale con  tanto ardente ed umil core mi parlaste al mio partir da  Roma, che io vi trovi al mio ritorno con limagin sua s  rinnovata e per vera fede viva nell anima vostra, come  ben l'avete dipinta nella mia Samaritana. E sempre a  voi mi raccomando e cosi al vostro Urbino.  Una lettera piena di misticismo teologico dirige nel tempo stesso a Costanza dAvalos sua parente; in essa la prega di farla partecipe delle grazie ricevute (dal Signore) ch merc sua l'alta invisibile luce si fa visibile a' suoi eletti... ch Egli ha sublimato tanto questa nostra umanit , che l'ha fatta una medesima cosa con Dio:  ti prego ti VITTORIA COLONNA. 135  sforzi vedere come la singolarissima patrona e regina  nostra Maria il mirabil mistero dell'altissimo Vefbo in-  carnato in lei.... di veder la sua istessa carne fatta un  vivo eterno sole.... e che per la sua benignit possano nei  beati unirli e acquetarli nellalta luce di Dio.  Il cardinale Reginaldo Polo, il quale era divenuto durante il soggiorno di lei in Viterbo il suo direttore spirituale, esercitava un potente dominio sullanima sua; essa ammi- ratrice delle sue virt, a lui scriveva nel suo entusiasmo:  Sa il Signore nostro che per altro non desidero ecces-  sivamente di parlar con Vostra Signoria, se non perch  vedo in lui un ordine di spirito, che solo lo spirito lo  sente, e sempre mi tira su a quell amplitudine di luce  che non mi lascia troppo fermare nella miseria propria:  anzi con s alti e sostanziosi concetti mi mostra la gran-  dezza di lass e la bassezza e nichilit nostra, che ve-  dendo noi stessi e tutte le cose create servire a questa,  bisogna trovarci soli in Colui che  ogni cosa.... Ed ogni  volta che Vostra Signoria mi parla di quel stupendissimo  sagrificiOj dell'eterna destinazione dell esser preamati... fa  stare l'anima sulle ali sicura di volare al desiderato nido.  Il Polo moderava i suoi ardori mistici, trattenendola dal macerarsi con digiuni e cilici, come dall agitare le ardue questioni teologiche. Avida di conoscere e di sapere, essa leggeva tutte le opere che venivano pubblicandosi in ma- terie religiose e filosofiche. Si sprofondava sul problema della giustificazione per la fede, o per le opere, della Gra- zia, e del Sacrifizio di Cristo, e a sua volta sfiduciata, o credente scriveva che dei sacri detti pi si fa certo Colui che poco legge e molto crede. 436 PARTE TERZA A questo periodo della sua vita appartengono le sue poesie religiose. Sono queste per avventura uniche nel suo genere nella nostra letteratura. Mentre i nostri poeti per lo pi sispirano alle bellezze delle forme, allo spettacolo della natura, e alla vita esterna, queste sono lespressione della vita intima, voci del suo cuore, delle aspirazioni dellintelletto. Non sispirano, come gli inni sacri moderni, al solo culto e ai riti sacri, ma alle ansie profonde del- lanimo, e prorompono fuori, come faville, da una mente accesa dei pi nobili entusiasmi religiosi. Spesso, come nelle sue lettere e come nelle poesie di Michelangelo, non vi si trova traccia d un culto positivo; ma sa poggiare a quellaltezza di sentimenti, daffetti e di speranze, nella quale tutte le religioni si confondono come in unaspira- zione infinita; sono voci dellanima, son lampi accesi in quel Sole che alluma gli elementi e il cielo. Vha in esse forza contro limperversare delle sventure, e soave ab- bandono femmineo, e sana rassegnazione avvivata da ric- chezza di colore, severit, ardore e grazia.  la donna umile, benevole ed invitta, la quale combatte, sente ed ama;  la pensatrice, la poetessa sempre accesa di affetti nobili ed alti. Essa invoca con tutto lardor dellanimo la riforma  . . . . che purga e rinnova  Dal lezzo antico lalma vera Chiesa,  ma nellinterno dellanimo edifica in s stessa la vera Chiesa colla virt e la fede. Essa spinta dall' amore interno , sente per che invano vuole sollevarsi colle ali a Dio , Prima che il caldo vostro interno vento - M'apra l'aere intorno ; solo allora VITTORIA COLONNA. 137  Sgombra dal terren costume,  Tutta al divino amor lanima intesa  Si muove a volo altero in altre piume.  Dio solo pu fare,  Che lalma inferma e frale  Al tuo vivo splendor serga e respiri.  Lanima cerca il suo bene, ma poi singombra  S stesso amando, pi che l vero bene,  n pu la virt finita sentir lardore  Dell infinito Sol senza l suo lume.  Essa si preoccupa sopratutto degli ardui problemi che agitavano il suo secolo, cio della grazia, della predesti- nazione, dellefficacia delle opere e della giustificazione per la fede; ma in lei non vha, come nelle poesie di Miche- langelo, vestigie della lotta dello spirito, di dubbio, dirre- quietezza; essa riposa sicura nella sua fede, e, scampata dall' acerba atra tempesta del travagliato mondo entr nel- larca di No, larca della salvezza, e chiusa interna - mente dentro dell'arca , chiara , sicura, vive la fede mia dogni ombra scarca. Simile a Pietro , il mio cuore , essa canta :  allor chio sento  Cader la fede al sollevar dellonde,  Dalla divina man sentisse alzarsi.  138 PARTE TERZA Pur talora si lagna misera che per fede ancor non arde ; bene ha l'occhio al miglior fine del suo corso ,  ma non vola ancora  Per lo destro sentier salda e leggiera.  Questi versi, che sono un vivido diamante incastonato nella nostra letteratura, meglio che le lettere di Santa Te- resa e di Santa Caterina di Siena, potrebbero offrire ar- gomento duno studio psicologico e patologico intorno al sentimento religioso nella donna dalto intelletto. Esse sono scevre del barocco misticismo, che spesso sincontra negli scritti delle donne mistiche e dei predicatori di quel secolo, ma in ogni parte riverberano il candore, specchio duna fede sincera, e i sentimenti d un anima elevata, umile e benevola e di un cuore affettuoso. XIII. In lei la lama rodeva la guaina; linterno foco aveva consunta la debole cera. Questa continua tensione dello spirito, i digiuni, le ansie, le preghiere, i fervidi entusiasmi che levavano sempre la sua mente ad orizzonti infiniti, avevano affievolito il suo corpo gi provato da tante sven- ture terrene. Lanima non pu sempre star librata sullali tra il finito e limmenso. Nella primavera del 1543 essa cadde pericolosamente ammalata; gli amici, che la cir- condavano, ne furono turbati, e consultarono fra i molti medici anche il celebre Fracastoro a Verona, il quale, dopo alcuni particolari sulla malattia della Marchesa, ri- VITTORIA COLONNA. 139 spose:  Vorrei che si trovasse il suo medico all'animo,  che calcolasse tutte le sue operazioni, et, fatto giusto equi -  librio , desse al Signore quel che  suo, et al servo quel  che  suo... altrimenti io vedo che il pi bel lume di questo  mondo a non so che strano modo si estinguer  (1). Nel finire del 1544 fece ritorno da Viterbo a Roma, si ritir ancora nel suo convento de Benedettini di SantAnna dei Fornari. Era quivi pure servita dalle sue dame, ma la vita rinchiusa, laria pesante di Roma, la continua eccitazione e tensione degli spiriti, i dispiaceri, le delusioni , avevano logorate tutte le sue forze. Il suo palazzo avito era an- cora deserto, i beni dei Colonna, confiscati, il suo fratello colpito d'interdetto, il secondogenito di lui, ancor giovinetto, estinto ; estinti molti de suoi migliori amici , tutte le sue speranze di veder riformata la Chiesa e rapacificati i mo- narchi cristiani per muover concordi contro glinfedeli, svanite; anzi i Turchi, alleati del re Cristianissimo, s av- vanzavano trionfanti nel centro d Europa, e disertavano le coste del Mediterraneo. Essa, ritirata nel convento, colpita da ripetuti rovesci, ma pure piena ancora di poesia e di fede, era spesso visitata dagli amici come il Sadoleto, il Morone, il Bembo, e Michelangelo, il quale abitava a breve distanza da SantAnna. Nel 1547 vide morire anche il Bembo, ultimo rappresentante dellepoca aurea della Rinascenza. Crescevano le sue sofferenze fisiche, ma si mostrava ognor serena danimo, invitta di spirito. A curarla meglio e in luogo pi comodo, venne trasportata nel vicino palazzo dei Cesarmi; e sentendosi ornai a fine di vita, dett le sue ul- time disposizioni, che segn di sua mano; e circondata da (l) Lettere volgari di diversi nobilissimi uomini , ecc. Venezia 1567. 140 PARTE TERZA parenti pi a lei affezionati, dai pi stretti amici, la sua grande anima spirava il 27 febbraio allet di cinquanta- sette anni. Secondo le disposizioni da lei date, venne se- polta la sera stessa della sua morte nella tomba comune delle monache con cerimonie funebri semplici e senza fasto. XIV. Michelangelo che aveva assistito a suoi momenti supremi, quando la vide estinta, cadde al suolo privo di sensi. Rial- zato e rinvenuto in s stesso, si affiss silenzioso sul ca- davere e le baci la mano. Da quel giorno egli si senti tutto solo sopra la terra, e i suoi pensieri non gli parla- vano pi che di morte. Sopravvisse ancora dodici anni alla donna dellanima sua. La ferrea sua natura non ce- deva sotto i colpi dellangoscia. Per, come si esprime il Condivi:  Per la costei morte pi volte se ne stette sbi-  gottito e come insensato.  Dolori su dolori si aggrava- vano in quellanno sopra il vecchio suo capo. La sola donna che egli aveva amato del pi intenso amore, spenta ; morto pure nellanno medesimo il suo fratello Giovan Si- mone. Mori eziandio Francesco I, appunto quando sera accordato col papa e cogli esuli toscani per liberare Fi- renze. Inutile e tardo vedeva ormai ogni tentativo per re- stituire l'antica libert alla patria. Tutto precipitava a vilt e servaggio. Tutto era trasformato intorno a lui, e in peggio. Leroica schiera dei liberi cittadini, come Baccio Valori, gli Strozzi, gli Alemanni, esuli, o morti, e l Italia percorsa da bande di Tedeschi e di Spagnuoli, che ne fa- cevano strazio. E un pi crudo servaggio vedeva aggra- VITTORIA COLONNA. 141 varsi sopra Roma, e sulle menti italiane. I grandi papi del Rinascimento che per qualche anno lasciarono sperare ad un rinnovamento della Chiesa, spariti ; ad essi sottentrarono i pontefici irosi e feroci; i caratteri pi puri ed elevati dItalia perseguitati a morte, le intelligenze pi luminose soffocate; le arti belle sospettate anch esse deresia, cor- rotte e volte al barocchismo; soli padroni dItalia a Roma il sospetto, lintolleranza e la morte; Sant Ignazio e l' In- quisizione. XV. Michelangelo aveva da pochi anni terminato il gran di- pinto del Giudizio Universale, e attendeva ai lavori della cappella Sistina; gli era stato commesso di dipingere nella parete corrispondente a quella del Giudizio, la caduta degli Angioli; ma egli pure era venuto in sospetto di eresia; co- minciava a trapelare il significato recondito e terribile del suo Giudizio, e frati e predicatori scagliavano dal pulpito contro di lui ingiurie ed anatemi; e non gli fu pi possibile di dipingere nella Sistina. Allora egli si chiude in s nel silenzio, non conosce pi che Dio, larte, la poesia e larchitettura; questi furono i supremi conforti nella sua vecchiaia. Mentre collarchitet- tura mette tutta lanima sua nella gran Basilica di San Pie- tro, e nelle poesie versa le angoscie e i profondi lacera- menti del suo cuore; a lui tutto favella ornai di morte. Il Vasari dice che non nasceva in lui pensiero, che non vi fosse scolpita la morte, per il che si vedeva che san- dava ritirando verso Dio. Ei sembra che si diletti a cercare e penetrare il segreto della morte, come prima indagava 142 PARTE TERZA quello della vita; si sprofonda pi e pi in esso, e per usare le sue parole:  Non trovo altro soccorso  Che limagin sua ferma in mezzo al core.  Cerca la morte  che ogni mal sana, chi la vita toglie:  In ciel quel solo ha miglior sorte  Chebbe al suo parto pi presso la morte.  Egli vede intorno a s la nuova generazione pervertita, il male in pieno trionfo:  Il tristo esempio ancora  Vince e perverte ogni perfetta usanza...  Spenta  la luce, e seco ogni baldanza * Trionfa il falso, e il ver non sorge fuora.  Rammarica non esser morto mentre ella era in vita, che gli avrebbe fatta pi dolce la morte: ora non  per che un carbone acceso e ricoperto, e  Morendo senza, al ciel lalma non sale.  Ora prorompe in un terribile grido di desolazione, appo cui sono fiacche declamazioni e freddi piagnistei, i gemiti dei Werner, dei Byron, dei Leopardi, tanta  la verit e il vigore di cui sono improntati questi versi, che riportiamo secondo il testo di Michelangelo nipote:  Ohim! Ohim! che pur pensando  Agli anni corsi, lasso ! non ritrovo  Fra tanti un giorno che sia stato mio !  Le fallaci speranze e il van deso  Piangendo, amando, ardendo, e sospirando.  VITTORIA COLONNA. 143  (Che affetto alcun mortai non mi  pi nuovo)  Mhanno tenuto, ora il conosco e provo,  E dal vero e dal ben sempre lontano.  Io parto a mano a mano,  Crescemi ognor pi lombra, e il sol vien manco  E son presso al cader infermo e stanco.  Per in questo gemito supremo che prorompe dal fondo del cuore, quanta energa v  condensata ; quanta modestia in tanta grandezza! Nessuna vita fu della sua pi piena e operosa! Egli, si pu dire, ha rifatta Roma nel Vaticano, nella gran Basilica, nel Campidoglio, nella Porta Pia, nei palazzi; in ogni parte lasci vestigia del suo genio, vi stamp impronte delle sue grandezze; egli, la pi pura gloria dItalia; egli, una delle figure pi maschie e gene- rose dellumanit... Pure, non contento di s, sente di non aver fatto abbastanza! Qual divario dai moderni Leopardi in miniatura, che a trent'anni, senza nulla aver pur tentato, saccasciano sfiancolati e vinti, e non hanno che guaiti sul- V infinita vanit del tutto! XVI. Vecchio e stremato qual era, n il dolore, n la delu- sione, n la fallacia delle cose umane valgono a scorag- giarlo, a scemare la sua operosit. Fugge lozio; lavora giorno e notte. Combattuto da una turba di invidiosi e sub- doli, che tentano sostituirsi a lui per dirigere i lavori della Basilica, per cui egli rifiut sempre ogni assegno, non si perde danimo, non si dimette. Sinch gli regge la mano, va mattutino a presiedere i suoi lavori in Roma, adopera matita e scalpello. Ottuagenario si alzava appena giorno, 144 PARTE TERZA si metteva a lavorare intorno alle statue o sopra i cartoni, senza scarpe e senza calze, si che un giorno, dopo aver lavorato per oltre tre ore, gli vennero meno le forze e cadde estenuato a terra senza conoscimento; accorsero le persone che erano in casa; lo raccolsero, credendo fosse giunta Testrema sua ora; ed ecco egli si rialza, e, schiavo del suo dovere, monta a cavallo, e si reca ad attendere ai lavori di Porta Pia. Il pensiero della morte anzich impaurirlo suscita in lui energia novella.  Il pensiero della morte, soleva dire, distrug-  gendo per natura tutte le cose, conserva e mantiene coloro  che a lei pensano, e da tutte le umane passioni li difende.  In una sua poesia descrive una vecchia donna curvale innanzi a suoi passi si leva da terra la mano di uno sche- letro coirorologio a polvere. A met della scala di sua casa dipinge uno scheletro colla bara sulle spalle. Contempla da tutta Taltezza della sua mente le vicende terrene, e,  tutto, dice, nel mondo  ornai bruttezza e noia.   Condotto da molti anni allultimore  Tardi conosco, o mondo, i tuoi diletti :  La pace che non hai altrui prometti,  E quel riposo ciianzi tempo muore. * E altrove canta:  Non temo invidia o pregio, onore o lode  Del mondo cieco, che rompendo fede,  Pi giova a chi pi scarso esser ne suole,  E vo per vie men calpestate e solo. * Egli sprezza quanto  caduco e grida:  Mettimi in odio quanto al mondo vale,  E quanto sue bellezze onora e cale,  Chanzi tempo caparro vita eterna. * VITTORIA COLONNA. 145 Non vive pi che per il suo pensiero e Dio. Continua a gettare i suoi pensieri sulla carta, ma pi che poesie sono lampi e pensieri condensati. Ora  assalito da dubbi; sente che gli manca la fede, e dice a Dio:  Io tamo colla lingua, e poi mi doglio,  Che amor non giunge al cuore....  Squarcia 1 vel tu, Signor, rompi quel muro  Che con la sua durezza ne ritarda  Il sol della sua luce al mondo spenta.  ( Sonetto lxxv, 214).  Dio sol pu rinnovarlo fuori e dentro....  Perocch 1 proprio voler nulla mi vale....  Il cangiar sorte  sol voler di Dio.  ( Sonetto lxx, 10). Or si volge al Cristo Redentore, per rinascere in lui, ma si sente preda al peccato:  Vivo al peccato, a me morendo vivo  Vita gi mia non son, ma del peccato.  Serva mia libert.  Or tutti i suoi pensieri restringe in un solo, in Dio.  Le favole del mondo mihanno tolto  Il tempo dato a contemplar Iddio...  Ammezzami la strada che al ciel sale,  Signor, mio caro, e a quel mezzo solo  Salir m  di bisogno la tua aita.  La mente di Michelangelo. 10 14G PARTE TERZA Incerto a chi rivolgersi per assicurarsi leterna salute, scrive:  Sotto qual debba ricovrar insegna  Non so, Signor, se la tua non maffida,  Come al tumulto dellavverse strida  Perire, ove il tuo amor non mi sostegno...  Tu solo il puoi, la tua piet suprema  Soccorra al mio dolente, iniquo stato,  S presso a morte e s lontan da Dio.  Come prima egli si sentiva tutto assorto nellarte, ora - tutto assorto in Dio, si solleva a lui, lo cerca e con Dio lenta penetrare il mistero dell universo, mentre non rista dall' agitare nel suo segreto i problemi della vita e della fede.  Io vo, misero, ahim! ne so ben dove;  Aspro temo il viaggio e 1 tempo andato,  Cora mappressa perch glocchi chiuda,  Or che let, la scorza cangia a muda.  La morte e lalma insieme fan gran prove,  Con dura, incerta guerra del mio stato... * Leterna pena mia,  Nel mal inteso, e mal usato vero  Veggio, Signor, n so quel eh io mi spero.  Spettacolo sublime presenta questa grande anima, che misura col pensiero' tutto il suo passato, le vicende tra- scorse nella vita, le angosce sofferte, le battaglie affron- tate, e cerca di comprendere lavvenire prima di sprigio- narsi dal corpo e salire alleterno. Baster a salvarlo la fede? le opere che condusse gioveranno alla salute? Ma che VITTORIA COLONNA. 147 fu mai la vita, a che giova il lungo operare, i miei trava- gli, i miei dolori? Sotto qual insegna ricovrare? Ove si trover la salute? Che mai  la morte?... E mentre il suo spirito agita questi problemi poderosi, la mano mai non rista dal lavorare. Collo scalpello dirozza il marmo e trae dalla pietra forme viventi; col pensiero interroga la Sfinge del destino, e tenta penetrare i misteri della vita. La mano tenta estrinsecare le forme del bello, l intelletto scrutare nella sua realt il vero. Il mattino, appena giorno, balza sul cavallo e corre ad assistere ai lavori della Basilica, e, ritornato a casa, si chiude nello studio, ove tenta scolpire la testa di Bruto, o di condurre all ultima perfezione la statua del Mos, che fu opera di quarantaquattro anni, il lavoro di tutta la sua vita, e in essa ha epilogato il suo pensiero. Colla mano spiritualizza la materia, col pensiero tenta i faticosi problemi dello spirito. Le rime, che dettava a mano che egli si sentiva assalito e agitato dal pensiero, non sono che frammenti, schggie balzate dal marmo, che d scintille e lampi. Ma questi lampi rischiarano le procelle della- nimo suo.  questo il soliloquio del Genio alle prese col destino. Ci ricordano il soliloquio di Edipo a Colono quando sente rumoreggiare il tuono e appressarsi la catastrofe; ci ricordano i soliloqui del Manfredi di Byron alle prese col suo genio, e che, prima di morire, cerca di penetrare nel mondo invisibile. Per in questi abbiamo innanzi allo sguardo il mito, la finzione; con Michelangelo invece, si leva innanzi a noi V Edipo vivente, l Edipo che si comprende, che s'interroga, che getta Femmina del suo genio e de' suoi pen- sieri alle et future. Qui sentiamo, nelle rime, trasalire un cuore, agitarsi tumultuoso il pensiero, che lotta tra la fede e 148 PARTE TERZA il dubbio, tra la terribilit del destino e la provvidenza, tra il giudice inesorabile e lamor divino,  Che aperse, a prender noi, in croce, le braccia.  Chi dovr prevalere nellultimo combattimento della vita? La giustizia inflessibile dei profeti ebrei, o la piet della grazia cristiana? Sar il Cristo che redime il fato della tragedia greca che cieco domina, trascina? Sar una legge arcana che muove e sperde pel nulla il mondo e i popoli, uomini e cose? Stanco alfine di questa battaglia interna, sentendo la propria debolezza, rompe in questo grido:  Il proprio mio voler nulla mi vale,  Tul ferma in me, come lo spirto in cielo  Che nessun buon voler contro te dura  (l). (l) Byron invece nel Manfredi non si assoggetta allo spirito invi- sibile, padrone di s; vuol lottare cogli angeli, col cielo:  My life is in its last hour, that I Know Norwould redeem a moment of that hour; Idonot combat agaido death, but tliee And lliy surrounding angels... Thou didst not temptjne, and thou couldst not tempt me.... Back,ye baffled flends ! The liand of death is on me  but not yours!  In questi due soliloqui del genio che combatte colla morte si sente lanima di due secoli; nelluno il genio che dubita ma pur non sa discredere, anzi safferra alla fede, e nellaltro il genio che ha gi oltrepassalo il dubbio, nega, respinge la fede. L un Dio che non  morto, qui un Dio che si eclissa. Ma ove sar la realt, dove la fanta- sia e limmaginazione? VITTORIA COLONNA. 149 E di lotta in lotta, di pensiero in pensiero, si appressava allora suprema. Il 14 febbraio 1564, un suo amico, Calca- gni, avendo saputo che stava male, si rec presso lui per visitarlo, lo trov che passeggiava fuor di casa, mentre pioveva dirotto. Gliene fece rimprovero affettuoso.  Che vuoi, rispose, mi sento propriamente male, n so dove stare.  Visse ancora quattro giorni; il 18 di febbraio, verso Tavemmaria, quella grande anima era spirata. XVII. Ultima sua volont fu che il corpo venisse trasportato a Firenze e l sepolto. I Romani negavano avere egli ma- nifestato tal desiderio, e insistevano per dargli onorevole sepoltura in Roma; ma il nipote Leonardo ne trafug la salma, che venne trasportata a Firenze, e, dopo trentanni di esiglio, rientrava morto nella citt natale. Le esequie furono degne del gran cittadino e dell'artista sovrano. Tutta Firenze artistica e popolana accorse a quelle esequie. Ognuno sentiva che con Michelangelo non si seppelliva un uomo, ma che tutta un'epoca, e la pi gloriosa d'Italia, tramontava; succederebbe la notte; e il crepuscolo del nuovo d era lontano ancora! Benvenuto Celimi, impedito da una malattia di assistere alla tornata in cui V Accademia deliberava le prescrizioni da prendere per celebrare le esequie, in una lettera diretta al Priore dell Accademia, descrive il modo in cui vorrebbe si adornasse la Chiesa per la cerimonia solenne.  Io aveva  pensato, egli scriveva, che intorno al suo cataletto noi  scultori, cio messer Bartolomeo ed io... dovessimo fare  sei figure di quattro braccia l una, le quali fossero queste: 150 PARTE TERZA  VITTORIA COLONNA.  la scultura, la pittura, larchitettura, e la quarta fosse  figurata la gran madre Filosofia. A capo del cataletto la  Morte fatta bene di ossature, in atto pi presto, ardita e  e fiera che languida e afflitta; e per ornamento e impresa  fargli una vita riccamente acconcia... e questa vita de-  nota che questo grand uomo colla sua morale virt, ha  dato maggior vita alla sua morte, che egli non ebbe in  vita, perch essendo vissuto novantanni, cos viver no-  vanta volte novanta.  Per tal modo il Gellini riassumeva l' uomo. Artista, il Cellini, non ammirava in Michelangelo solo lartista, ma il filosofo che sapeva animare col suo pensiero il marmo, scolpirlo nelle tele; e per virt del pensiero, cui imprime forma perfetta, pot vincere la morte, ch la sua fama dura quanto il moto lontana. PARTE QUARTA LARTISTA LARTISTA La personalit di Michelangelo, pi ancora che nella vita privata e cittadina, emerge e grandeggia nellartista e nel pensatore. I suoi coetanei, mentre assegnavano a Leo- nardo da Vinci il secondo posto fra gli artisti e a Raffaello il terzo, lui dichiaravano primo fra quei sommi. Francesco De Hollando, pittore portoghese, in una notevole lettera, descrivendo uno di quei convegni in cui nel 1534 uomini insigni per lettere, per arti e scienze, si raccoglievano presso Vittoria Colonna e Michelangelo nel giardino del convento' di S. Silvestro, detto di Monte Cavallo, soggiunge:  Maestro Michelangelo m ispir tale ammirazione, che  incontrandolo nel palazzo papale e nella via, dovevano  sorgere le stelle, per indurmi ad andarmene;  e sog- giunge, che la Colonna lo qualificava liberale con prudenza, non prodigo per spensieratezza, e ci che essa pregiava in lui sopratutto era la dignit del carattere, per cui si teneva in disparte, sottraendosi dagli inutili discorsi, dal 154 PARTE QUARTA corteggiare i grandi oziosi, per vivere solo dellarte e per larte. Lartista in lui, come in tutti i sommi, non si scom- pagna dal pensatore; per, a meglio comprenderlo, con- viene conoscere lambiente intellettuale, flosofco-religioso in cui viveva e a cui sispirava; ed  quello che tenteremo di fare in questo studio. Cominciamo dallartista. Qui il suo genio non ha misura, e campeggia solitario. Dante dice Lacqua che io prendo giammai non si corse ed il Buonarroti scriveva:  Io vo per vie men calpestate e sole.  Nei campi dell'arte egli fa parte di s stesso, ma ap- partiene ad un tempo a quella famiglia di pensatori e geni sovrani, i quali, come i profeti, Eschilo, Dante, Shakespeare e altri pochissimi, dominano i secoli, abbracciano collo sguardo dell'aquila la serie del tempo, lo svolgersi lontano degli eventi; li presentano, li vaticinano, o li stampano, come nel bronzo, in simboli eterni. Essi non sono figli di un epoca, n appartengono ad un popolo, ma allumanit e a tutti i tempi. Levati sopra il culmine pi sublime del mondo umano, mal compresi, irrisi dal volgo o temuti, sono come un fenomeno, un enimma pei loro coetanei, sembrano esseri strani e diversi, non vivono col secolo, ma col pensiero gi vivono nellavvenire e lo ricreano. Per avviene talora di essi, ci che Dante dice di Beatrice, che non sapendo come si chiamare , lo dicevano il divino , nel duplice significato di sommo, e di vate. I loro scritti, o le immagini e figure dei loro dipinti, al pari delle visioni di Ezechiello, percotono di confusione e di smarrimento i coe- tanei, i quali ammirano istintivamente senza penetrarne lartista. 155 il fondo, e solo col progredire del tempo, collo affinarsi delle intelligenze, si viene svelando il pensiero, che vol- lero incarnare nelle loro opere. Cos in Eschilo, solo merc le successive trasformazioni religiose, potemmo spiegarci il pensiero che ispirava il Prometeo; cosi da pochi anni soltanto viene fatto di pene- trare il polisenso della Commedia dantesca; lunit politica, lidea filosofica, che mira a ricreare un nuovo Cristiane- simo ideale e razionale, cominciano a chiarire il concetto filosofico e politico, che informa l Inferno e il Paradiso dantesco; soltanto dopo i successivi rivolgimenti di popoli, il sorgere e cadere dimperi, lelevarsi del senso morale, e colla filosofia della storia, si cominciano ad illuminare di luce storica e razionale le visioni d Isaia, d Ezechiello e Geremia, e a comprendere le aspirazioni universali, a cui levavano le menti. Alcuni astri remotissimi non arrivano alla terra e non si fanno visibili allocchio mortale, se non dopo centinaia di secoli; non altrimenti i pensamenti di pochi geni sovrani, solo dopo lungo correre di et, possono penetrare nei consorzi sociali. Questi geni vissero bens in mezzo alle loro famiglie, parteciparono ai movimenti delle loro epoche, vennero a contatto coi re e sacerdoti, ma anche in mezzo alle Corti ed ai movimenti popolari sono i grandi solitarii, inebbriati (1) si partono dalle genti, vi- vono delle loro aspirazioni, hanno preso il loro posto nel- l avvenire lontano. 0) Come inebbriato mi partii dalle genti Dante, Vita Nuova. 156 PARTE QUARTA II. Il Buonarroti era costretto dallarte sua a vivere nelle Corti, in mezzo ai principi, ai papi, ai cardinali; essi soli potevano a quei tempi offrirgli il mezzo di lavorare, espli- care il suo genio, imprimerlo nei dipinti e nel marmo; pure, come gi osservammo, egli non solo si schermi in ogni occasione dal vivere nelle Corti, rifiutando l'ospitalit dei grandi, ma, altiero e sdegnoso, vive solitario, modesto, appartato dalle genti, assorto nei suoi pensieri, tutto in- tento all'arte. Ed egli fece a s l 'arte idolo e monarca. Ma larte stessa non era per lui che un mezzo per imprimere il proprio pensiero, dar vita al suo ideale. Non si contentava, come il vacuo realismo moderno dellesteriorit; anzi, come dice egli stesso, talora la vista del modello gli era dimpaccio, assegnando confini a quella fantasia, che non conosceva misura. Egli aveva levata la mente ad un grande ideale di bel- lezza, che gli era guida e lume. Questo egli sentiva dentro di s, lebbe come per istinto fin dalla prima et, e si sfor- zava di dargli forma. Dipingere, scolpire, non era per lui un atto materiale, ma nell eseguire traeva ispirazione e vigore dal pensiero. Al suo amico Marco Vigerio scrive:  Si dipinge col cervello, non colla mano, e chi non pu  aver cervello si vitupera.  Quel sommo avrebbe sorriso di piet e di sdegno a certe teorie moderne dellarte per l'arte. Facile teoria creata a comodino di poetastri privi di idee e di convinzioni, o di scrit- tori, che sono vesciche gonfie di vento e riboccanti di rime lartista. 157 rifritte, di artisti, la cui scienza consiste nello stemperare i colori, scimmiottare modiste e parrucchieri; ed essendo sif- fatta arte facile e alla mano, vedemmo giornalisti eunuchi, e critici senza studi n calore daffetti e di passioni, fog- giare la teoria per dissimulare l'aridit del cuore, ed il vuoto del loro cervello o la loro ignoranza. Pei grandi larte fu in ogni tempo potenza creatrice, edu- catrice. Pensiero, passione e forma sono e saranno sempre la santa trinit dellarte. Prima il pensiero, che raccoglie, come prisma, i fenomeni esteriori, ne penetra lo spirito; poi laffetto che li anima, li riscalda; infine la forma che li colora, li scolpisce. Questa la trinit dellarte vera, e che, una e trina pur essa, non si pu scindere. La loro scissura segna non solo la deca- denza dellarte, ma lo infiacchimento e la corruttela duna civilt, la miseria di unepoca. Chi pinge e scolpisce senza pensiero, imitando goffamente e pedantescamente la natura copiandola, dice Buonarroti, si vitupera.  Crede dessere artista e non  che fotografo, questa scimmia dellarte. Lartista vero contempla il mondo umano e la natura; il mondo dei fenomeni organici, come dello spirito, che si ma- nifesta e si svolge nella storia, negli affetti del cuore, nelle religioni, li riflette in s, li avviva delle sue idee, de suoi affetti, poi ne accentua i tratti con finitezza di linee, con simboli e figure, porge loro una espressione, un linguaggio, li anima di una vita intensa, e riassume la natura e la sto- ria, le riflette in s e le ricrea. Per egli  per virt del concetto che grandeggia lartista vero, ed  pregio particolare del Buonarroti fondere in un tutto pensiero e forma. Non sapeva, come certi moderni, distinguere, analizzare, sottilizzare; la forma prorompeva 158 PARTE QUARTA in lui, come in un sol parto, insieme col pensiero, e a nes- suno fu dato, come a lui, imprimere un concetto, anche dei pi astratti, in forma pi plastica e vivente. Sotto il tessuto di quelle membra e muscoli, si agita sempre unidea, pal- pita un cuore, ferve una corrente di vita e di passioni; in ogni lavoro egli determina l indeterminato, scolpisce una passione, rende sensibile linfinito, per cui nei suoi dipinti le stesse ombre si toccano come cosa salda. III. Quell'anima era come un mare in tempesta. Tutto nei suoi dipinti  movimento e forza. Il suo genio fu parago- nato al mare, ed era del pari vasto e profondo. Tranquillo, calmo alla superficie, austero nei modi, in fondo a quel- 1' anima si agitavano le passioni pi ardenti e tempestose, che spesso era costretto a comprimere e a dissimulare; ma poi si rivendica, si sfoga col versarle impetuoso nei dipinti. I suoi coetanei avevano osservato sulla sua fronte di ferro, come impresse, sette rughe; sono i sette colori delliride, che non annunziano il sereno dopo la procella, sibbene la tempesta, che senza posa tumultuava nel fondo al suo cuore; perocch, come vedemmo, pari al mare, il suo genio era sempre in moto. Tutto  movimento e vita, nelle sue figure; alcune delle sue statue non sono finite, altre appena abbozzate, pure anche queste vivono, parlano. La vita trabocca impetuosa, ardente in ogni parte, anche minima, delle sue creazioni dalla punta dei capelli sino alle piante dei piedi. Da ci limpressione profonda che si prova alla vista delle sue opere. Ogni sua figura si stampa nel- l'anima, ci penetra, ci perseguila. l'artista. 159 Potrete criticarla, scoprirvi molti di fletti, ma siete co- stretti a mirarla, a occuparvi di lei; la sua memoria vi sta sopra,  con voi.  la vita che parla alla vita, ma una vita sana, gagliarda, agitata da passioni impetuose, illuminata dal pensiero. In quasi tutti i dipinti del Rinascimento, anche dei sommi, i personaggi posano. L'artista, non escluso talora lo stesso meraviglioso Raffaello, mira a dare ai suoi personaggi un atteggiamento accomodato, una posa, talora teatrale, cos nella figura isolata, come nei gruppi, che lusinghi e seduca lo spettatore; si occupa, diremo, pi del modello che a lui sta davanti, che del soggetto. Michelangelo invece, cerca di sfuggire le pose artificiose, composte, di schivare quegli atteggiamenti solenni o classici. Egli si sforza di cogliere la natura allimprevvisto, di sorprenderla ne' suoi capricci, ne suoi balzi, nellimpeto d'un affetto, sotto il peso d'un do- lore, nel lampeggiare dun pensiero, e stampare quel mo- mento nei suoi dipinti e nelle sue statue. Non si preoccupa della posa, ma della passione che lo tormenta. Per le sue figure, pinte o scolpite, si movono sempre. Mirate i Pro- feti, le Sibille, le cento figure del Giudizio, la Maria nella Piet: nulla di manierato, nulla d artifiziale; esse si agi- tano, si sprofondano nel pensiero, o sorgono irrequiete, tormentate.  una psicologia fisiologica, o una psiche rea- lista. I moderni volendo fare del realismo cadono nel vul- gare, nel triviale;  il piccolo realismo. Egli cre, disegn il grande realismo. Non trovando nei suoi dipinti, negli scritti, traccia delle potenti e soavi scene della natura, altri disse eh egli non ne sentiva e non ne comprendeva le bellezze. Quanto la sentisse lo provano talune stanze, che ci porgono la de- 160 PARTE QUARTA scrizione della vita campestre, del pi schietto realismo (1); ma nella natura egli cercava la semplicit, la schiettezza e la quiete. Fra la tempesta del suo animo cercava, al par di Dante, in mezzo alla serenit della natura, la pace. Dopo aver visitati certi luoghi romiti nelle montagne di Spoleto, egli scriveva al Vasari:  Ho avuto gran disagio   spesa e gran piacere a, visitare quei romiti, or son  ritornato men che mezzo a Roma, perch non si trova  pace che nei boschi.   Egli amava il bello, ma il bello finito, individuale, amava universalmente ogni cosa bella, un bel cavallo, dice il Condivi  un bel paese, una  bella montagna, una bella selva, ammirando con mera-  viglioso affetto.  Uomo tutto intelletto, non  a stupirsi non si fermasse a ritrarre le scene della natura. La natura ha alcun che di oscuro, dinconsapevole, dindifferente, che mal risponde ad unindole violenta, passionata ad un tempo e compresa da un alto sentimento morale ed umano. Sentiva la natura, ma essa non bastava al suo genio; egli la oltrepassava. La vera, la grande arte per lui, come ripete spesso nelle sue lettere,  luomo. Luomo, la manifestazione pi elevata della natura, la quale in lui si esalta ed esulta, in lui acquista pieno conoscimento di s stessa. L uomo indivi- duo, 1' uomo umanit. Per il suo antropomorfismo non  armonico, come quello dei Greci ; anzi sdegna la bellezza nella sua immortale serenit ; ripugna al freno dellarte per (i)  Novo piacere e di maggiore stima  Veder lardite capre sopra un sasso  Montar pascendo, or questa or quella cima.  (Rime: Sulla cita campestre). L ARTISTA. 161 raggiungere il gigantesco, il sublime. Ei fu primo fra gli artisti a considerare le grandi questioni storiche, e a rap- presentarle come tipi nellarte. Consider lumanit nel suo complesso, quasi un uomo solo dotato d uno spirito, che percorre i vari stadi di sviluppo. Per studi luomo indi- viduo, lo seguit nella sua vita lungo i secoli, per sco- prirne e dipingerne le origini, comprenderne lo svolgimento, i destini futuri; lo studiava con tenacit di osservazione, per conoscerne la struttura, nella morte, per meglio sco- prire il segreto e il meccanismo della vita. La vita per lui si continuava nella morte, la quale non gli appariva che come una trasformazione della vita. Anzi ci narrano i coe- tanei come egli investigava la natura nella morte.  Vi-  veva le intere giornate sui cadaveri tanto da portarne  stemprato lo stomaco.  Ma nella morte studiava gli aspetti diversi, i misteri della vita, che infondeva poscia nelle sue opere ri traendone, non che il corpo, lo spirito immortale. IV. E lo spirito, o meglio il pensiero interno conviene inda- gare in ogni suo lavoro, anche pi che il meccanismo della forma. Nellartista scoprire il pensatore ed il filo- sofo. Cercare questo pensiero, e con esso penetrare pi innanzi, che non ci consenta la letteratura e la stessa filo- sofa, il concetto di riforma morale e sociale che agitava allora l Italia e usciva dalle viscere stesse del Rinasci- mento,  lo scopo che proponemmo a questo nostro stu- dio. Questo pensiero, come accennammo,  ravvolto come d'un velo, dun simbolismo arcano nelle sue opere. Solita- la mente di Michelangelo. il 162 PARTE QUARTA rio, sdegnato d una societ corrotta, o frivola, o codarda, raccolto in s, circuito da invidiosi o da nemici, che lo rendevano cautissimo, egli soleva chiudere i suoi pensa- menti nel profondo del cuore, costretto spesso a celare e dissimulare la sua fede, che si rivela a lampi, sia in al- cune delle sue parole, sia nelle grandi opere darte, le quali sorgono come un mistero innanzi agli occhi de suoi coe- tanei, e stanno innanzi a noi come una sfinge che attende il suo Edipo. E tal segreto non riveleranno solo le opere darte da lui condotte, ma le sue abitudini, gli studii e lambiente intel- lettuale e locale nel quale  cresciuto, e in cui si vennero formando e maturando i suoi convincimenti. Le letture, che altri predilige, ci svelano luomo: Simili similia, spesso si cerca s stesso, lo specchio, la parola dei propri affetti nel libro. Il libro  il riflesso dellanimo. Nel romanzo prediletto trovi spesso la tendenza della donna, e diremmo, il modello a cui vorrebbe accostarsi il giovane. Se coi nostri costumi, nellet moderna, il libro diviene spesso un trastullo per ingannare il tempo e la noia, o per istordirsi, tal che si legge molto, si scrive troppo, e non si pensa punto, nelle et antiche invece si leggeva poco, si scriveva meno, si pensava molto; e sui libri, po- chi e sani, luomo di genio foggiava il suo carattere. Tre libri predilesse il Buonarroti, ed aveva fatti compagni in- separabili ne suoi viaggi, nelle sue solitudini, nel suo la- boratorio: la Bibbia, il poema di Dante, gli scritti del Sa- vonarola. A questi possiamo aggiungere le opere della filosofia platonica alessandrina, da lui imparata e profes- sata sino dalla prima giovinezza, di cui vediamo le traccie lartista. 163 ne suoi scritti e nelle poesie che iva dettando pi per se stesso, per bisogno del suo animo, che per altri, e sopra- tutto per isfogo dei suoi pensieri, e per sollevare e rinfre- scare la sua mente nelle ore di ozio e riposo. Ora, nessuna di queste tre opere era ben accetta alla Curia romana. La Bibbia, lantico come il nuovo Testa- mento, erano libri quasi ignorati dal popolo italiano; non si conosceva di loro che quanto andava dicendone il clero di Roma; la lettura non era permessa (1) che sulla tradu- zione della Vulgata e coi commenti teologici, che spesso corrompono, velano il senso originale e lo tradiscono. V. Il Cristianesimo aveva bens trionfato del mondo antico, ma pi di nome e di apparenza, che nelle idee e nella so- stanza. Era divenuto nella forma una continuazione di Pagane- simo in parte peggiorato. E nella sostanza nessuno de vi- tali principii filosofici e sociali, banditi dallantico Testa- mento e dal nuovo, erano stati accolti, tradotti nella vita sociale ed applicati. La parola biblica ed evangelica sa- rebbe suonata come condanna inflessibile alle abitudini, ai maneggi della Chiesa e dellImpero; per venne vietata, soffocata, confiscata solo in quanto tornasse a vantaggio della Chiesa regnante e militante. Cos, a cagion desem- pio, la Bibbia, nelle istituzioni mosaiche, era avversa al (l) Gregorio IX e diversi Concilii, dopo di lui, decretarono, che nissun laico potesse leggere i libri santi in lingua vulgare sotto pena des- sere scomunicato e perseguitato dallInquisizione come eretico. 164 PARTE QUARTA dominio della teocrazia, il sacerdozio veniva dalla legge confinato ad una casta rilegata al tempio, limitato ad una sola famiglia, ed i Leviti erano tutta una trib dedicata ad istruire le plebi: insegnanti pubblici e maestri. La Chiesa invece, cercando alle sue istituzioni un appoggio nella so- ciet ebraica, fece credere che i Leviti fossero sacerdoti, e fond su questa erronea interpretazione il dominio teocra- tico della Chiesa. Samuel, che unse a re Saul, era profeta, uscito dal popolo; ed essa ne fece un sacerdote, una specie di papa che corona limperatore. Nella societ ebrea lugua- glianza sociale era fondamento alla citt, un Dio uno, un popolo uno, uguale, quindi nessuna casta o classe privile- giata: tutta la societ del medio evo invece era fondata sulla disuguaglianza, sul dualismo, Impero e Chiesa; sulla trinit, feudalismo, baroni e sudditi. La legge, la giustizia sociale era la vera religione, o vincolo che univa trib e famiglia e individui in Israele; alla legge scritta e alle isti- tuzioni dirette a provvedere ai bisogni civili e positivi del popolo, si sostitu una legge mistica, ideale, in opposizione sempre della realt, che predicava un mondo oltre umano, e condannava il mondo terreno; la vera societ era fuori e sopra le leggi sociali, era rappresentata dalla Chiesa; la vera vita era nella morte, o oltre tomba; la vita non era che una prova, la terra non era che un passaggio, la so- ciet civile, operosa, vivente veniva immolata alla Chiesa, che viveva appartata, in ozio e fuori di essa. Avvedendosi della contraddizione che correva tra i suoi ordinamenti ed i postulati biblici, essa predicava che la Bibbia doveva essere interpretata dalla Chiesa, n pote- vasi leggere dai secolari, e che essa rappresentava la legge materiale e temporale, mentre alla Chiesa spettava sosti- lartista. 165 tuirvi la spirituale e mistica. Ma questa ad un tempo con- fermava i privilegi di pochi eletti, e le violenze sulla terra, facendo lampeggiare la speranza di felicit mistiche, remote e rilegate oltre il sepolcro. Quei principii di giustizia politica e di leggi pratiche, che lantico Testamento aveva voluto tradurre in istituzioni so- ciali ed applicare nei consorzi umani, Cristo, san Paolo e alcuni dei primi cristiani avevano elevati ad alte massime morali e sociali, per applicarle nelle comunanze cristiane, generalizzandole per diffonderle nel mondo dei gentili, e farne la sostanza del Cristianesimo, ovvero la forza, la ragione dessere del Messianismo. Cos essi popolarizza- rono nel mondo greco-romano, quei principii nati, cre- sciuti, fecondati nel seno della societ ebrea, quali sono la redenzione, la libert reale, individuale, e non mistica, leguaglianza sociale, la giustizia, la carit e la fratellanza umana, presentando di essi siccome tipo umano ad un tempo e divino, il figlio di Maria. Ma trascorso quel primo e mirabile periodo dellesplo- sione del vero Messianismo redentore r tutto fu mutato e quasi tutto fu falsato. Forse i tempi non erano maturi per la loro esplicazione ed applicazione in mezzo ai popoli appena usciti dal Paganesimo; forse convenne transigere colle condizioni sociali esistenti, cedere a bisogni reali e ideali, che le miserie dei tempi avevano fatto sorgere, e a queste considerazioni venne sagrificata lidea, il principio immolato al successo. Allora alla dottrina di Cristo si so- stitu la leggenda di Cristo; al vero Cristianesimo o Mes- sianismo la Cristologia; alla Croce, segnacolo di pace e di martini pazientemente sofferti e di redenzione, si sostitu il Labaro collaquila e la spada della guerra e della con- 166 PARTE QUARTA quista; alla diffusione del Cristianesimo colla persuasione, coHinsegnamento, collesempio dabnegazione e di martirio, le violenze, le oppressioni, ed i martiri si mutarono in car- nefici. Gli Ebrei, che pi non potevano riconoscere, nella stta uscita dal loro seno, il vero Messianismo, si allontana- rono sempre pi da lei; la scissione tra la nuova dottrina e lantica si fece pi radicale e larga. I filosofi e i razio- nalisti alla lor volta si staccarono sempre pi da una dot- trina, che aggiungeva nuove superstizioni alle tante del- lantichit, e la Bibbia, la quale era come una protesta contro il nuovo sistema, e sorgeva a testimoniare contro di sso, venne vietata ai credenti; e allora pullularono ogni sorta di eresie, che con mille forme scissero la societ re- ligiosa e laica. La Chiesa e lImpero, divisi fra loro per cupidigia di regno, si trovavano sempre uniti per combat- tere la libera ragione, per reprimere e soffocare leresia. Queste lotte insanguinarono lOriente e lOccidente. Nella loro storia  contenuto e si esplica tutta la storia del pen- siero e della civilt moderna. Noi vediamo det in et elevarsi spiriti generosi a protestare contro il falso Cri- stianesimo, e pontefici, imperatori e re unirsi a soffocarne le voci.  questo un lungo martirologio che si apre sino dai tempi di Costantino, e si prolunga det in et sino a noi. Tutti i grandi eresiarchi, che si successero in Italia da Ar- naldo a Savonarola caddero, ma il loro spirito sopravvive ad essi. La Bibbia, l'Evangelo si falsarono invano, non si poterono sopprimere, e con essi vivono, si propagano i principii, che portano in seno. lartista. 167 VI. Il Rinascimento classico, come gi notammo, sorse ge- mello col Rinascimento biblico. Fu una doppia rivelazione e risurrezione (1). La Curia romana aveva proibita la Bibbia? Sorge la stampa a riprodurla a milioni di esem- plari; innumerevoli edizioni latine si fecero in pochi anni di questo libro, a cui, come dice Michelet (2), da secoli luma- nit obbediva senza conoscerlo; le traduzioni nelle lingue europee si succedevano; la Germania ne ebbe diciassette in pochi anni. Innanzi alla parola biblica dellantico come del nuovo Testamento, si ecclissano quelle dei glossatori, dei predicatori, e degli scolastici della Curia romana. Tutti cercano nelle fonti vive e primitive la parola redentrice. (1) Intorno allimportanza che acquistarono in Italia nel XVI secolo gli studi biblici e sui diversi modi d interpretarne i fatti storici, le parole, rimandiamo ancora il lettore all erudito e notevole capitolo del Villari, su questo argomento nella Vita del Savonarola, voi. n, pag. 114.  A forza di studio e di meditazione essa (la Bibbia) aveva  cessato di essere per lui un libro, era divenuto un mondo vivo e  parlante, un mondo infinito in cui trovava la rivelazione del pas-  sato e dellavvenire... Vi trovava come il microcosmo dellumanit,  lallegoria di tutto, di tutta la storia del genere umano... Oltre al-  linterpretazione letterale, egli ne faceva altre quattro sopra quasi  ciascun passo della Bibbia, ed erano: spirituale , morale, allego-  rica ed anagogica .  La Bibbia, come  noto, era il libro favorito di Michelangelo, il suo compagno fedele; discepolo del gran frate, egli ne suoi dipinti non si arrestava a ritrarre il fatto storico, ma lo spirito, il genio dellepoca e il senso allegorico e morale; da ci lim- portanza filosofica dogni opera del grande artista. (2) La Renaissance, xc. 1C8 PARTE QUARTA Singolare dote dellantico Testamento  quella di plasmare caratteri energici, elevati, interi, dempirli dun fuoco sacro, che si propaga, si comunica; dote del nuovo Testamento di temprare quest ardore con parole di carit, damore, dabnegazione; e questi libri meditati nelle loro forme pri- mitive, produssero quella Riforma in Germania, in Inghil- terra, in Olanda, che da secoli covava e maturava, ben pi radicale e razionale, in Italia. La storia della riforma religiosa in Italia  ancora da farsi, n si potranno riempire i molti vuoti, le incertezze che presenta, se non quando potremo penetrare gli archivi vaticani che ne serbano il segreto, e scrutare le denunzie ed i numerosi processi per eresia accumulati nelle biblio- teche principali dItalia. Roma aveva cento occhi aperti in ogni citt, in ogni villaggio, in ogni casa; vigilava, spiava, e appena nasceva un sospetto deresia colpiva, imprigio- nava, alzava roghi, ne soffocava la voce. Malgrado la vigilanza ecclesiastica, in tutta la storia d Italia noi pos- siamo seguire le vestigia di questo movimento religioso, ma in gran parte le fila principali si nascondono fra i misteri delle societ segrete. I sodalizi religiosi, in varie provincie, si confondono colle accademie filosofiche e colle societ ghibelline antispagnuole e politiche. Esse avevano i loro concili, i loro gerghi segreti, i loro ritiri misteriosi per sottrarsi alla vigilanza ecclesiastica e civile, e non si rivelano che a lampi, e per chi sa comprenderli. Noi sappiamo che le citt italiane erano nel secolo de- cimoterzo e quarto piene di Paterini, di Templari, di Ca- tari; che i Ghibellini stessi non erano solo un partito poli- tico, ma religioso e antipapale; le loro idee si ravvolgevano in un gergo, noto solo agli affigliati. Forse Gabriele Ros- L'ARTISTA. 169 setti, nelle varie sue opere, esager nella interpretazione dei nostri poeti e prosatori di quei secoli, volendo ritro- vare in tutte le poesie, le novelle, i poemi, da Dante e Boccaccio, al Bajardo e all Ariosto, il gergo antipapale; ma certo vi ha di molto vero nelle sue interpretazioni; perocch molti di questi scritti, ove non coprissero un significato segreto, o riescono inintelligibili o sembrano parto di menti inferme (1). Lo spirito antipapale di Dante non  pi un mistero; invano si vollero interpretare in senso ortodosso le sue allegorie, far credere, merc com- menti foggiati da Roma, o dentro i claustri dei conventi, che alludesse ai peccati capitali e alle virt teologali, nelle audaci sue allegorie politiche; si tent scambiare con fred- (1) Tali sono : la lettera da Dante diretta ai principi per la morte di Beatrice, VAmeto, la Fiammetta del Boccaccio, le Egloghe di Pe- trarca, e il suo libro intitolato Segretum meum, le opere di Cecco d Ascoli, di Frizzo e altri. Gli scritti del Rossetti, pieni di erudizione e di vedute profonde e pellegrine, furono stampati a Londra, e quasi pi non si trovano ; pare che una mano misteriosa o la setta gesuitica si adoperi per ritirarle dalla circolazione; i numerosi manoscritti da lui lasciati, ci venne asserito siano stati abbruciati dalle sue figlie, le quali divennero istromento del partito nero. Da gran tempo io mi adopero perch venisse ristampato in Italia \ Commento Analitico di Dante, e alcune delle sue opere principali, ma sinora non ho potuto rinvenire un editore italiano, che vi si sobbarchi.  da desiderarsi che in Italia si facciano meno monumenti di marmo ai nostri grandi estinti, e si ristampino e propaghino le loro opere dove essi vivono veramente. Ma in Italia, e sopratutto nei giorni che corrono, la vanit soverchia la realt, le finzioni tengono luogo delle idee. Si sperava di rifare una Italia giovane, ed  senile, forte ed  fracida e pettegola; credevamo trovare Roma in Roma, ed  Bisanzio con un Basso Im- pero bassissimo. 170 PARTE QUARTA dure scolastiche o rettoriche, i grandi concetti religiosi e morali coi quali fulmina i vizi della Corte romana, e pre- nunzia la riforma negli ordini religiosi e la caduta del potere temporale. Merc i lavori eruditi e profondi del Foscolo, del Rossetti, ed il nuovo spirito di libert che percorre lItalia, gi si comincia a veder chiaro nel parlare oscuro , o nei versi strani dello sdegnoso Ghibellino; nel poeta si svela il riformatore religioso. E Dante era, dopo la Bibbia, il libro prediletto di Buo- narroti, e molti de suoi simboli vennero ispirati dal divino poema, a cui egli aggiunse, completandoli, quei concetti, a cui il lungo studio e il movimento religioso e filosofico dellet, aveva elevato la sua mente. VII. Fra le diverse stte religiose e scuole filosofiche, che miravano a suscitare una riforma religiosa in Italia, aveva, gettate pi profonde radici nel nostro suolo, quella iniziata in Calabria da Joachim da Flora, che predicava YEvan- gelo Eterno. Era ad un tempo la pi radicale ed elevata, e la pi temuta, per cui i seguaci eran costretti a celarsi nel mistero. Questa eresia era nata nei conventi della Ca- labria sino dal duodecimo secolo; combattuta invano e perseguitata da Roma, perdura, si diffonde dalle Calabrie, gettando propaggini nelle altre parti dell Italia Centrale e Superiore. Raccoglie numerosi seguaci negli stessi con- venti, e molti Francescani e Domenicani se ne fanno apo- stoli ardenti, e di convento in convento, di terra in terra, ne diffondono la dottrina nella Romagna, nellUmbria, nella Toscana, e da essa partono le prime scintille, che poi ac- lartista. 171 ceser le menti dei numerosi riformatori usciti dai sodalizi di Francescani, Domenicani, Capuccini sparsi in Firenze, Lucca, Siena, Venezia. La dottrina predicata dai seguaci di Joachim era assai pi radicale, che non quella che diffondevano i riforma- tori tedeschi e svizzeri. Vi si sentiva il genio di una ci- vilt pi avanzata, il concetto chiaro e purificatore del vero Cristianesimo; ma appunto per esser troppo elevata e spesso mistica, non rispondeva ai bisogni sentiti dalle mol- titudini, e mentre era pascolo di poche intelligenze elette, non pot penetrare nelle masse, e si limit ad una generosa utopia, che i tempi non erano ancora preparati e maturi per tradurre in realt, e farne fondamento alla nuova Chiesa (1). Questa dottrina predicava, che l'antico e il nuovo Testa- mento avevano compiuto il loro tempo.  L Evangelo (di-  cevano i seguaci di Joachim da Flora) non  il vero  Evangelio; dibatti non seppe edificare la vera Chiesa, n  condurre il mondo alla perfezione... n produrre la sa-  Iute del genere umano... La Chiesa greca, dicevano,   Sodoma, la latina Gomorra... La dottrina di Ges non   definitiva, n per suo mezzo il regno dello Spirito Santo  pot essere fondato.... Il regno spetta allEvangelo Eterno  che sar predicato a tutti i popoli...  Al regno del pa-  dre e del figlio deve succedere quello dello Spirito Santo (1) Infatti, se solo nei nostri tempi, dopo cinquecento anni, il po- polo nostro comincia a comprendere ed apprezzare Arnaldo da Bre- scia, quanto tempo correr prima che sappia levarsi al concetto ra- dicale di Joachim che abbatteva lantico domma, e mirava a fondare la nuova Chiesa ? 172 PARTE QUARTA  che sar quello della scienza. Invece del falso pontificato  dovr elevarsi un pastore evangelico che far fiorire in  tutta la terra l Evangelo Eterno; sorger una nuova re-  ligione libera e spirituale.... in cui il romano pontefice  dominer spiritualmente sopra ogni gente dalluno al-  laltro mare.  Nei numerosi scritti dei seguaci di Joachim, si riscon- trano frequenti allusioni politiche, che sono governate da uno spirito solo, il quale ne forma la unit, cio lavversione alla Corte di Roma, che  paragonata come nel Canto xm del Purgatorio, alla prostituta de\Y Apocalisse, e il ponte- fice, identificato allanticristo, si propone di predicare un nuvo Evangelo, il quale in s accolga la morale universale per tutti i popoli e per tutti i tempi. Limperatore vi  rap- presentato come loppressore dItalia, e si palesa chiaro nei numerosi scritti della stta, che lo scopo cui mira,  di produrre una riforma radicale nella Chiesa e fondare un nuovo Cristianesimo.  questa la dottrina, che potremo appellare nata in Ita- lia, la riforma autoctona col Genio nazionale. Ne troviamo i germi diffusi in ogni provincia, propagati in gran parte dagli stessi frati di terra in terra, dalla Calabria al Pie- monte. Bastici fra gli altri ricordare frate Salimbeni, Gio- vanni da Parma, Leonardo, Giovanni, Labertini da Casale, fra Dolcino da Novara, e molti Francescani e Domenicani dogni provincia d Italia. Perseguitati in ogni dove, gli af- figliati assumono forme diverse; quale si limita a svolgere e predicare la parte politica della dottrina, come Arnaldo; quale la parte sociale, come fra Dolcino; quale la religiosa e filosofica; sinch la dottrina trasse nuovo vigore e in- cremento dal Rinascimento classico e biblico. Cominci a lartista. 173 vedersi un principio del loro trionfo nella Riforma luterana, che essi avevano preconizzata da due secoli, e le numerose stte religiose, che serpeggiavano presso di noi, cercarono imprimere certa consistenza e unit alle nuove dottrine. A fianco alle stte religiose, sorsero nel secolo decimo- quarto le filosofiche. Sino dalla met del secolo decimo- quinto nelle universit di Bologna, di Padova, di Mantova, si agitavano i pi arditi e delicati problemi filosofici e re- ligiosi; ma verso la fine del secolo, vero centro del movi- mento filosofico era divenuta, come gi si disse, Firenze, e le varie scuole filosofiche vi presero il maggior svi- luppo e incremento, appunto nel periodo delladolescenza e giovinezza di Michelangelo. Quivi si discuteva liberamente sulla rivelazione, sulla religione suHimmortalit dellanima, sulla Provvidenza divina; la citt traboccava di vita intel- lettuale. Tutto questo lavorio recondito ad un tempo e pa- lese riesciva ad un eclettismo filosofico religioso, per far concordare Platone con Aristotile, ad indagare nei misteri della teologia pagana la parentela e comunanza colla teo- logia mosaica e cristiana. Nella Cabala e nei libri della filosofia segreta ed orale degli Ebrei indagavano lorigine e lo svolgimento della dottrina e dei misteri fondamentali della fede cristiana; per cui la Cabala, o filosofia segreta degli Israeliti, contenuta nello Zoar (Libro della luce), di- veniva la chiave per aprire i misteri del Cristianesimo e pervenire alla vera fede. Ardente propugnatore di queste dottrine fu  - come ve- demmo  il Pico, il quale voleva dimostrare che Cristo e Mos non avevano usato che parabole, figure e allegorie per potere essere compresi dalle moltitudini; avvolgendo, come Pitagora e i Savi egiziani, di un velo i sommi veri 174 PARTE QUARTA che trasmettevano oralmente a pochi iniziati.  Le reli-  gioni antiche, come la mosaica e la cristiana, avevano  per Pico (dice col suo solito acume, riassumendone la  dottrina, il Berti) un doppio significato, il volgare ed al-  legorico, ed il filosofico e recondito. Nel significato vol-  gare si discostavano le une dalle altre, nel filosofico si  confondevano tutte insieme. Per tal modo la Teologia  cristiana si trasformava in un razionalismo mistico e  indefinito, qual quello dei Neoplatonici di Alessandria e  dei Neoplatonici di Firenze.  E questo era infatti lo intento, al quale miravano le grandi scuole religiose e filosofiche del Rinascimento ita- liano. Ben  vero, come nota con soverchia timidit il Berti, che tal dottrina avrebbe avuto per risultato, la ne- gazione del Cristianesimo ; ma avrebbe fondato, con buona venia del mio illustre amico, una dottrina ben pi feconda e comprensiva, la religione deirUmanesimo, che sarebbe lul- tima e grande parola dei due grandi sistemi, i quali sotto di- verse forme, riescono ad un risultato identico (1). Da un lato il Razionalismo filosofico, che si insinua negli ordini re- ligiosi, dallaltro il Razionalismo politeistico e umanistico, che ispira la letteratura e le arti; luno, che scaturisce dalle vere sorgenti della Bibbia, e fonda l'E vangelo Eterno; lal- (1) Con Pomponazzi e la Scuola bolognese, una dottrina libera e audace veniva propagandosi sulle religioni. Anche le religioni, egli in- segna, nascono, crescono e muoiono, per necessaria vicenda causata dai rivolgimenti degli astri, e dalle vicende storiche. Anche la cri- stiana  soggetta a questa inesorabile legge, e il filosofo bolognese ne prenunzia prossima la fine dallo intiepidirsi della fede, e dal dira- darsi dei miracoli. Quare , et nunc in fide nostra omnia frigescunt, miracola desinimi... nam propinquus ctdetur finis. L ARTISTA. 175 tro dall antichit classica, e ispira le arti, le lettere, le scienze, e convergono nella dottrina dellUmanismo. Queste idee, che si diffondevano negli ultimi anni del se- colo decimoquarto e nei primi del decimoquinto, non spa- ziavano nelle sfere dellastratta speculazione, n si arre- stavano a pure teorie, ma si tentava di tradurle in sistema e applicarle; si fondavano Accademie per meglio discutere le dottrine platoniche e pitagoriche e ordinarle a sistemi; e, dietro le Accademie, si costituivano le societ segrete per applicarle nella vita civile. Allapparenza, per fuggire noie, si continuava a professare il Cattolicismo, nel fondo si era scettici o pagani, o si tendeva ad una riforma radicale, a rinnovare la Chiesa. Per Roma non si lasci mistificare; condann le Tesi e i libri di Pico, fece chiudere molte delle Accademie pla- toniche in Roma e in altre citt d Italia, e soffoc nel suo germe la dottrina nascente. Vili. Intanto limpulso era dato; lo studio della filosofia, del- lantichit classica e della sacra, la passione per le discus- sioni speculative e per le arti, tutto spingeva ad un movi- mento rinnovatore. La parola del Savonarola, che da Fi- renze si diffondeva in ogni parte d'Italia, annunziava che i giorni di questa grande rinnovazione si avvicinavano. Nelle sue prediche, ne suoi libri, egli si professa cattolico e non parla di donimi, non segna i termini della riforma, non sottilizza sulle dottrine; ma la sua parola infiammata mirava piuttosto a suscitare il sentimento religioso sopito o soffocato o falsato in Italia; egli tende a ridestare la co- 176 PARTE QUARTA scienza morale pervertita, a richiamare in vita la sempli- cit, la morale evangelica (1); flagella i vizi, si leva contro le corruttele delle alte classi, e appoggiando la riforma reli- giosa alla politica, ispirandosi allantico Testamento, rico- stituisce il regime popolare e repubblicano in Firenze. Sa- vonarola fu arso il 23 maggio 1498, ma le sue ceneri erano calde ancora quando in Germania si levava Lutero e spie- gava la bandiera della Riforma, che il Papato credeva aver abbattuta e arsa sul rogo in piazza della Signoria (2). (1) Savonarola, scrive il Villari nella sua bellissima Storia del Sa- vonarola, fu primo assentire che si avvicinava un grande rinnova- mento pel genere umano, che i popoli dovevano ritemprarsi in un nuovo sentimento religioso; rammenta che labate Joachim predisse questa rinnovazione.  Il Signore, egli predicava al popolo fioren-  tino, vuole che rinnoviate ogni cosa, che distruggiate tutto il passato,  che non resti nulla del cattivo governo... E tu, popolo di Firenze, in-  comincierai in tal modo la riforma di tutta Italia, e spanderai su lali  per tutto il mondo per portarvi la riforma di tutti i popoli...  Parole terribili pronunzia contro Roma:  Apparecchiati, egli tuona, che la  tua bastonata sar grande, o Roma, tu sarai cinta di ferro, tu an-  drai a spade, a foco e fiamme... Italia, tu sei inferma di una grave  infermit... Roma tu sei inferma di una grave infermit. Tu hai  perduta la tiyi sanit, ed hai lasciato Iddio, sei inferma di peccati, e.  tabulazioni... Abbasser i tuoi principi, e far cessare la superbia  di Roma. Voi siete corrotti in tutto. Fuggite da Roma, fuge, Sion,  qui habitos apud silicem Babilonis. Fuggite da Roma, perch Ba-  bilonia vuol dire confusione; e Roma ha confuso tutta la Scrittura,  ha confusi insieme tutti i vizi, ha confuso ogni cosa. Fuggite dun-  que da Roma. Tornate a penitenza.  (Prediche del Savonarola so- pra Amos e Zaccaria). (2) Cosi il giorno 23 maggio 1498, si vide in piazza della Signoria costruito un gran rogo, all estremit dei quale sorgeva una croce, alle cui braccia furono impiccati i tre frati, il Savonarola nel mezzo, gli altri due dai lati.  (Villaiu, N  Macchiacene, voi. i, p. 299). lartista. 177 In Lutero l Italia vide avverate le profezie del frate. Aspettata, preparata da lunga mano, la Riforma fu salu- tata in Italia come un evento provvidenziale. Guicciardini stesso, che aveva veduto ardere il Savonarola, scrive nelle sue memorie che, ove non lavessero trattenuto riguardi personali verso due pontefici, alla cui grandezza ha do- vuto affaticarsi, amerebbe pi Martino Lutero che s me- desimo,  perch spererei che la sua stta potesse rovi- ne nare, o almeno tarpare le ali a questa scellerata tiran-  nido dei preti. * Le semenze della Riforma, deposte nel nostro suolo da lunga et, riscaldate ora dalla terribile parola del Rifor- matore tedesco, non tardarono a fruttare. In molte citt si formarono comunit cristiane per occuparsi di riforme re- ligiose, fissarne i principii e le dottrine. Varii focolari ci sono dagli storici segnalati, dai quali irradiavano le idee dei novatori. Uno a Venezia, dove era consentita maggior libert di pensiero, laltro in Savoia, ove regnava Marghe- rita, sorella di Francesco, e amica di Calvino; laltro, come vedemmo, a Ferrara, ove Renata di Valois manteneva con- tinue relazioni con Calvino e ne professava pubblicamente le, dottrine; e altro a Napoli, ove le dottrine filosofiche pi audaci si alternavano colle riforme religiose propagate dal Valdes. Lo spirito innovatore si fece strada in Roma stessa e assumeva il nome di  Oratorio dellamor divino.  Qui si cercava di trovare una conciliazione coi luterani, e rie- scire a quella rinnovazione della Chiesa, che da due secoli era predicata e annunziata in Italia. E gi uomini notevoli per dignit, per posizione sociale e per dottrina, speravano poter raggiungere lo scopo anelato, quando ai pontefici moderati, prudenti e dotati dalto e largo pensiero, succes- sa mente di Michelangelo. 12 178 PARTE QUARTA sero i pontefici rigidi e talora feroci, e col Caraffa pre- valse il partito della grande reazione cattolica e dell In- quisizione. A fronte del nuovo sistema di terrore, che inaugurava il Cattolicismo, vediamo succedersi in Italia, a breve inter- vallo di tempo, due fatti che chiudono, in certo modo, il movimento riformatore, e ne determinano presso noi il concetto: uno artistico, laltro religioso. Nel Natale 1541 si scopriva in Roma il Giudizio Universale di Michelangelo; nel 1545 si raccoglievano in Vicenza quaranta persone no- tevoli per nascita, per influenza sociale, insigni per dot- trina, collo scopo di conferire su materia religiosa e fissare le fondamenta della riforma corrispondente ai bisogni e al- lindqle del popolo italiano. Intervennero a questa riunione il celebre Ochino, Gentili, Giulio Trevisan, Socino e altri, e gettarono le fondamenta dell Unitarismo. Scoperti e accusati al Tribunale dellIn- quisizione, alcuni di essi vennero torturati, dannati alle pri- gioni o allestremo supplizio, altri poterono salvarsi colla fuga, e, come Ochino, Gentili, Soccino, Biandrate, valicarono le Alpi cercando rifugio in Germania, nella Transilvania, in Ungheria, in Svizzera e in Inghilterra; e, come nel no- stro secolo vedemmo i Santa Rosa, i Mazzini, i Ruffini e l'eletta dei nostri emigrati, propagare nell Europa i prin- cipii di libert e dindipendenza nazionale, cosi nel XVI se- colo gli esuli italiani propagarono in Ungheria, in Tran- silvania, Polonia, Olanda, Inghilterra i principii dellUnita- rismo, che ora negli Stati pi civili dei due mondi divenne l'espressione pi elevata della riforma religiosa nel Cri- stianesimo. lartista. 179 IX. Noi ci siamo soffermati pi che non convenga al nostro soggetto intorno a questo punto storico, non tanto per ri- chiamare F attenzione del Paese sopra questo movimento intellettuale e religioso iniziato dal Rinascimento, quanto per meglio far conoscere lambiente morale che si andava formando in Italia, e a cui s ispirava il pensiero di Mi- chelangelo. Antico seguace di Savonarola, cresciuto nella scuola di Marsilio Ficino, di Pico, di Poliziano, egli non po- teva a meno di tenere dietro a questo movimento riforma- tore, che gi era stato vaticinato dal frate in sul finire del secolo decimoquinto, e che prorompendo nella prima met del decimosesto, scuoteva Francia, Italia, e in breve aveva scissa met dEuropa dalla Chiesa romana, e mirava a fondare un nuovo Cristianesimo. In Italia, le nuove dot- trine combattute dalla violenza, dai sospetti, dal terrore, del potere ecclesiastico unito alla potest civile e politica, non pot gettare larghe radici. Coloro stessi, i quali le professavano in segreto, erano costretti a smentirsi negli atti e a praticare il culto cattolico. Anzi era vezzo in Roma stessa seguire scrupolosamente le forme, mentre si criti- cava -il domma, e si volgevano in ridicolo le istituzioni. La Chiesa se ne contentava, purch si rispettassero le apparenze.  In quel tempo, scrive il Caracciolo nella Vita di Paolo IV,  non pareva che fosse galantuomo e buon cortigiano colui  che dei dogmi cattolici non aveva qualche opinione er-  ronea ed eretica.  Pochi avevano il coraggio della propria opinione. Le 180 PARTE QUARTA persecuzioni, l'intolleranza religiosa, mentre scemano forza e sincerit al vero sentimento religioso, creano lipocrisia, la vilt da una parte, il libertinaggio, lo scetticismo dallal- tra. E quellepoca infatti segna un nuovo grado di deca- denza nel carattere italiano, che si riflette nelle lettere e nelle arti. La reazione e il terrore cattolico anzich rialzare la religione e insieme con essa la forza morale nella nostra societ, logor, fiacc i caratteri, e aggiunse alle antiche corruttele la simulazione e un vacuo pietismo. Pochi ave- vano il coraggio delle proprie opinioni; si passava dal pie- tismo al libertinaggio, dall'ortodossia allo scetticismo, al- lepicureismo come dal confessionale agli assassinii. Il genio pi poetico, passionato, elevato che vanti lItalia, Torquato Tasso, canta le armi pietose, e diviene pietista e ortodosso; Pulci  materialista e ateo; Ariosto scettico, umorista, e si crea un mondo ora fantastico, ora troppo reale, mentre il volgo de' poeti nella seconda met del secolo sedicesimo sar vieppi frivolo, vacuo o licenzioso. Le arti plastiche, che in quest'et salirono ad una perfe- zione non pi raggiunta, coi Ghirlandajo, coi Gian Bellini, coi Lippi e col Raffaello stesso, lusingano i sensi, parlano alla fantasia pi che al pensiero. I dipinti di Raffaello, che fu ed  il vero genio della pittura, se si eccettuano la stupenda Storia di Psiche e la Scuola d Atene, sono me- ravigliosi di forma e colorito; si mostra per lo pi pittore ortodosso e ufficiale, straniero ai movimenti filosofici del secolo, egli non vede che l'arte. Uno solo si leva sovrano fra queila pleiade di sommi artisti, e rappresenta il pen- siero filosofico e religioso dellepoca in tutta la sua gran- dezza e verit, ed  Michelangelo; ci che non os o non pot la letteratura, oser, per virt di quel grande, larte. l'artista. 181 X. Larte fu sempre la coscienza, la parola vivente dItalia. La nazione  da dieci secoli oppressa dalla triplice tirannia imperiale, ecclesiastica e locale, le quali si danno la mano; si reggono a vicenda per soffocarne il pensiero, e vietarne le libere manifestazioni nellordine politico, nel religioso e scientifico. La coscienza nazionale, che nessuna forza pu mai violare e sopprimere, cerc sempre altro mezzo per manifestarsi, per esprimere i suoi dolori, le sue speranze, le aspirazioni, le ire ; abbiamo veduto come i Catari, i Ma- nichei, i Troveri, i Ghibellini nei secoli decimoterzo e quarto ricorressero al parlare segreto , al gergo settario, al lin- guaggio velato. Talora ricorrevano ai simboli antichi e classici, come vediamo in alcuni scritti di Dante, nelle Eglo- ghe del Petrarca, nellAmeno e altri scritti di Bocaccio. Ta- lora adoperavano un linguaggio figurativo, tolto dai Profeti e dallApocalisse, linguaggio che si presta ad un doppio senso, interno ed esterno, isoterico ed essoterico. Natural- mente a questi mezzi si aggiunsero pure le arti plastiche pi perfezionate, nelle quali, anche durante il medio evo,  facile' scoprire un simbolismo antipapale. In tempi a noi pi vicini ricordiamo, che quando era impedita la parola, schiava la patria e la stampa, e sottoposta alla censura ecclesiastica e politica, e certi soggetti vietati alla stessa pittura, uno dei mezzi a cui ricorse il genio nazionale per manifestarsi fu la musica; e le note ispirate di Guglielmo Teli, della Norma , dei Puritani, del Nabucco e altri capo- lavori di Rossini, di Bellini, Donizetti e Verdi, furono come la voce della coscienza nazionale, manifestavano in profe- 182 PARTE QUARTA  LARTISTA tiche note i dolori, i fremiti, le passioni, che tumultuavano nel cuore del popolo. Tutti, senza parlarsi, senza essere iniziati, ne compren- devano il significato, perocch erano la nota dei tempi. Quando il Vela, artista sommo e grande cittadino, scopriva in faccia alla nazione la sua stupenda statua dello Spar- taco, ogni uomo grid: Ecco V Italia! Essa simboleggia il nostro dovere, le nostre battaglie future. Non altrimenti avvenne a Michelangelo, il quale cre- sciuto in mezzo a quel movimento riformatore, allorch la parola era vietata, tent esprimerne il pensiero e con- tinuarlo nelle sue opere darte. Questo intento era com- preso e indovinato dai coetanei. Non si ignorava che queste opere nascondevano sotto il velo dell'arte , misteri grandissimi in filosofia umana e divina , misteri, che tutti quelli che vivevano della vita dellepoca comprendevano, ma che era forza dissimulare. PARTE QUINTA LE SUE OPERE LE SUE OPERE i. Quali fossero questi misteri, noi accennammo appena nella prima parte di questi studi, soffermandoci sopra tutto a descrivere ed esaminare i dipinti della Sistina e a trat- teggiarne le figure e il lato esterno. Ora, dopo aver seguito di volo il movimento riformatore di questo secolo, che ap- pelleremo il Gran Secolo in Italia, ci giova meglio rile- varne la parte interna, il pensiero nascosto, con cui volle incarnare alcune di queste idee porgendo ai secoli futuri il nuovo simbolo, o il concetto religioso e sociale dellUma- nismo. Michelangelo al pari di Goethe (due genii i quali hanno tra loro tanti punti di riscontro) visse intera la vita del suo secolo. Ma il poeta tedesco, innamorato dellarte in tutte le sue diverse manifestazioni, nella sua olimpica se- renit, assisteva impassibile ai rivolgimenti, che sconvol- sero il suo secolo. Dallaltezza del suo piedestallo, egli mirava lo insorgere dei popoli, il crollare degli imperi, il 186 PARTE QUINTA succedersi degli avvenimenti, che trasformarono la societ moderna. Lartista italiano invece, dalle riforme predicate dal Sa- vonarola, allassedio di Firenze, ai grandi movimenti della Riforma, alle seguaci guerre politiche e religiose, si me- scol a tutte le battaglie, che si combattevano per la libert e per la patria, e quando fu costretto dalle circostanze o dalla fatalit inesorabile di forze soverchienti, a ritirarsi in disparte, tutto mir, not e medit; spettatore solitario e giudice, senti nel profondo del cuore le angoscie, gli or- rori del secolo e le lontane speranze, e di questa pas- sione dellanima scopriamo le traccie in ciascuna delle sue opere. Tutte prorompono ad un tempo dal fondo del- lintelligenza, nutrite colle lacrime del cuore. Esaminiamo alcune di queste opere cominciando dalle minori, sebbene anche queste si possono qualificare somme. Uno dei primi suoi lavori  il celebre Tondo che si con- serva nella Galleria di Firenze; esso rappresenta la Ver- gine inginocchiata, che tiene sulle braccia il bambino Ges in atto di porgerlo a S. Giuseppe. L estetica religiosa, i pietisti dell'arte cristiana, scomunicano questo dipinto. Il pio Selvatico, il quale non sa vedere nell'arte nulla al di l delle secche e compassate figure di Giotto, di Beato An- gelico, condanna solennemente questa Sacra Famiglia come opera pi che profana , e tale, non lo neghiamo, pu appa- rire al punto di veduta ortodossa. Esso infatti pi non rappresenta la famiglia mistica, fit- tizia, convenzionale, ma la famiglia reale; non pi la fa- miglia divina, ma la umana. Il medio evo, il dogma cat- tolico o meglio la sua teocrazia e disciplina, avevano distrutta, scalzata la famiglia reale; da un lato predicando LE SUE OPERE. 187 siccome stato di perfezione, il celibato, la verginit, dal- laltro sostituendo una famiglia ibrida e falsa; la chimera alla realt sociale. Alla madre, base della famiglia, ave- vano sostituito il misticismo della vergine; al fratello, il frate o il monaco; al padre naturale, un padre fittizio, il santo padre, il frate, il prete ancora; alla santit dei lari domestici, le soglie del convento, o il monastero, come alla patria la Chiesa. La famiglia era soppressa, l indi- viduo uomo o donna, svelto dalla societ operosa, dalla vita civile e laica per appartarlo, isolarlo, renderlo schiavo ed istrumento della Chiesa. Per una delle conseguenze pi feconde della Riforma che ne costitu la forza, la durata, e divenne fondamento alla civilt e grandezza de popoli protestanti, fu appunto la ricostituzione della famiglia. Perocch la societ umana suole sempre in s rispecchiare e riflettere lideale, che si forma del divino. Alla parola del prete, Lutero, sostitu quella del libro, la parola rivelata, la Bibbia, che mise nella mano di tutti.  Leggete, disse, studiate, pensate colla vostra mente.  Dopo lindividuo, rialz la famiglia. Egli consacr la religione della famiglia, la vita e santit del focolare domestico preposta al convento, la patria antepose alla Chiesa. Il genio di Michelangelo, il quale ha non solo il senti- mento della riforma religiosa e sociale, ma il presentimento della vita moderna, e che sempre combatt lequivoco, lipo- crisia, la menzogna, alla famiglia ibrida sostitu quella reale, alla vergine la madre, a quelle figure convenzionali, che pur meravigliose per contorno, per dolcezza e sem- plicit armonica di colorito e bellezza di linee, sembrano per sempre fredde, inanimate, prive di gagliardia e di vita, 188 PARTE QUINTA egli surrog figure reali, tutte vita, affetto, movimento e realt. Irreligioso pure e profano venne giudicato da critici pie- tisti il celebre gruppo della Piet. La Vergine, essi osser- vano, pi non ha qui F aureola del divino,  troppo bella e giovane per essere madre; nel Cristo, notano ancora questi zelanti dell arte cosi detta cristiana o medioevale, nel Cristo, che casca abbandonato sul seno materno, nes- suna traccia scorgi del divino; non  desso il Redentore, che deve risuscitare, in cui la morte non fu che un pas- saggio e una finzione, che anzi la morte vi  scolpita in tutte le sue membra; nulla in lui che accenni al forte che ne spezza le catene. Tutto ci  verissimo, rispetto alle teorie della scultura teologica e tradizionale, ma altrettanto falso rispetto all idea, che voleva trasfondere nei suoi la- vori lartista. Egli volle presentare innanzi al pubblico, non tanto una divinit, ma la passione di una madre affettuosa, sconsolata, che tiene sulle ginocchia il figliuolo morto, e posa e fissa su lui i suoi sguardi, e lo serra contro al seno, e cerca riscaldarlo, avvivarlo, e vuole sperare ancora! Tutto ci ha sentito il popolo romano, il quale appena terminato il celebre gruppo, accorreva affollato ad ammi- rarlo. N io posso mai soffermarmi innanzi a quella statua senza un senso daffetto pietoso, e sento ripetersi dentro di me le parole del poeta:  Non odi tu la piet del mio pianto?  Anche qui non  pi il dolore convenzionale, sfibrato, duna fede femminea e fiacca, ma un dolore elevato, ma la nobile, fiera e soave piet umanamente divina. LE SUE OPERE. 189 Con parole anche pi acerbe fu condannato il Deposito della Croce, che si ammira a Santa Maria del Fiore.  La  realt di quel Cristo  scrive Camillo Boito in un volu- metto gravido di pensieri, e ispirato a un sentimento sereno e forte dellarte (1)  con le membra stecchite, fa rabbri-  vidire. Casca davvero gi come un morto ; tutte le sue  parti tendono al basso, si sfasciano... Quello non  Ges,   un cadavere da ospedale.  E larguto critico ha ragione, quello non  il Ges teo- logico, non  pi il Cristo ufficiale del medio evo, ma  il Cristo, che volle veramente effigiare in quei giorni il sommo artista pensatore. Fu questo uno degli ultimi suoi lavori; il Cristo antico, convenzionale, falsato, si dissolve,  morto ; ma il nuovo gi si agita in fasce, cresce. Il Cristo del so- fismo, della violenza, del rancore si spegne: si desta il nuovo Cristo, il Cristo della realt, della giustizia; il Cri- sto-popolo, gi  nato, si leva in tutta la sua vigoria, l nelle pareti della Sistina. Quivi  la sua epopea, anzi lepo- pea italica del Rinascimento. IL E qui riprendendo il nostro soggetto onde abbiamo co- minciato questo studio, ci  forza rientrare nella Sistina, a meglio chiarire il nostro concetto intorno alla pi grande delle opere michelangiolesche. Fu questo l enimma forte, che il Rinascimento gett ai secoli successivi, e che tenta pur sempre i critici del secolo decimonono.  In qual ordine  si domanda Michelet nel suo spien- ti) Leonardo da Vinci e Michelangelo , presso H. I-Iepli, Milano. 190 PARTE QUINTA elido volume del Rinascimento, parlando della vlta  in  qual ordine conviene studiare questo libro sibillino?   questa una delle pi ardue quistioni che la critica si  proponga. Egli (il Buonarroti) ha durato quattro anni a  dipingerla, io durai trentanni a interrogarla; non pas-  sava un anno che io non venissi a meditare questa Bib-  bia, questo Testamento che non , n il Testamento vec-  cliio, n il nuovo, ma d'un'et sconosciuta ancora. Nata  dalla Bibbia ebraica, la oltrepassa e va molto al di l.  Ecco infatti cosa dice Castelar:  Essa sembra comin-  ciare una nuova umanit;  l'apoteosi del corpo umano << rigenerato; esseri giganteschi, straordinarii, quale fu im-  maginato nelle varie cosmogonie che uscissero fuori dalla  prima feracit del nostro pianeta appena creato e rigo-  glioso di vita... Il pensiero e lo sguardo volano dall una  all'altra di queste figure senza sapere su quale fermarsi...  Leggi tutti i Trattati del Sublime , e non riescirai a capir  bene questo concetto (1).  Lordine col quale conviene studiare quel dipinto, rico- struirne il poema, lo indica lo stesso vate col posto asse- gnato ai suoi eroi, ciascuno dei quali porta in s tutta un'epoca. I protagonisti si riducono a tre principali ed essi sono la chiave dell'enigma. A meglio significare il suo pensiero egli li collocava in sullingresso della cappella alla testata della vlta. Essi sono Aman, Giona e il Serpente di bronzo, e da essi si svolge come una triplice azione o meglio la vasta tragedia dei secoli. Gi accennammo a questi concetti nella prima parte di (1) Castelar, Ricordi d' Italici. LE SUE OPERE. 191 questo studio, ora ci si consenta di meglio chiarirli anche a costo di ripeterci. Il problema, che visitando e medi- tando questo dipinto, ci preoccupa a lungo, non  tanto lordine con cui conviene studiarlo, quanto il significato dei tre protagonisti, che dominano la scena. Intatto se egli intendeva alludere al presentimento della nascita di Ges, alla sua genealogia, come centrano queste tre figure? Quale strana idea fu cotesta di presentare da un lato la crocifissione di Aman, che non ha verun rapporto con quella di Ges, dall'altro il Serpente di bronzo, e nel mezzo, come leroe posto in cima del poema, la figura titanica di Giona che campeggia sovrano in mezzo a questa scena? Nulla faceva il sommo artista, se non dopo lungo studio e meditazione, e certo non poteva essere condotlo se non che da un profondo intendimento, perocch in lui tutto era studio, calcolo, e ad un tempo entusiasmo e genio. Cercai il significato simbolico delle tre figure e sopra- tutto di Aman nei libri cabalistici, nelle tradizioni ebraiche, come nei santi Padri, e non tardai a chiarire, che Aman personificava lodio, la calunnia, lipocrisia, la cupa perse- cuzione, egli era il ... Crocifisso dispettoso e rio  Nella sua vista (1) ...  contrapposto al vero Cristo, al crocifisso sereno, pietoso e divino (2). Il Serpente significa il vero e il falso Cristo, o (1) Dante, Purg. (2) Aman personific in s lante-semitismo, o meglio il funesto odio di razza. E per singolare coincidenza, Michelangelo, questo terribile 192 PARTE QUINTA la trasformazione del vero Cristo nel falso. Infine Giona, che si libera con sforzo titanico dalle spire del falso, per elevarsi alla libert, alla vera redenzione, alla luce. Fermata la mente su quelle tre grandi figure o simboli comprensivi, la scena si svolge ordinata nella vasta tela? allora si apre la tragedia dei secoli. La sostituzione del falso Crocifisso al vero reca i suoi frutti. L'umanit, riguar- dando al Serpente della distruzione, invece che a quello della salute, rimane oppressa, divorata, fatta a brani. Dietro loro si svolge quel seguito di figure, le quali rotte dagli scomparti delle cornici e dei costoloni, invade ogni riposto angolo delle lunette, degli spicchi, dei pennacchi. Si aggrappano in ogni parte figure varie e terribili agi- tate da passioni violenti, tutto un mondo di tormenti e tor- mentati; in essi tumultuano tempestose tutte le passioni, i deliri, i fremiti, le speranze che agitano i cuori umani ciascuno rappresenta una passione particolare, un dolore; un sentimento, e in mezzo a tanta diversit di forme e di atteggiamenti, senti uno spirito solo, un pensiero potente che le domina, agita e move.  il mare in tempesta della grande visione dEzechiello. giudice d ogni iniquit, vindice dogni ingiustizia, stampava l, nella Sistina. Aman crocefisso, nel 1508, nellepoca della grande persecu- zione degli Ebrei in Spagna, allorch centinaia di famiglie ebree, spo- gliate, torturate, affamate, fuggendo le persecuzioni della Spagna, ap- prodavano a cercar rifugio nel littorale italiano a Livorno, a Civita- vecchia, a Roma. Il grande artista mirava egli forse, dipingendo il Crocefisso dellodio, a stimmatizzare la rea persecuzione contro la razza, che diede al mondo la Bibbia e tenne viva la speranza di ogni libert nel suo concetto del Messia, che doveva elevarsi come giudice dogni violenza, quale liberatore dogni oppresso? LE SUE OPERE. 193 Tutte queste figure corrono, s attorcono, fuggono, ritor- nano  come folgore in vista, ciascuno di essi cammina  diritto davanti a s, il loro suono  simile al suono delle  grandi acque, alla voce dellonnipotente, cajnminano dove  lo spirito li move  (1); in questo mare in burrasca, i fiotti sono le onde dei popoli commossi, la tempesta, il vento impetuoso, che passa su di loro le sventure, che i secoli le oppressioni, le tirannie, i tradimenti, le ipocrisie hanno accumulato sulle nazioni. Al Crocefsso del Golgota, Dio damore, di carit hanno sostituito il Crocefsso dellodio, del rancore. D allora il Serpente alzato da Mos o dagli Apostoli simboleggiante redenzione e salute, si mut in serpe di tossico e di morte, e cominci la tragedia che insanguina e tormenta da quin- dici secoli luman genere, e trasform la redenzione in de- solazione;  il lenzuolo sanguinoso che luna et passa allaltra, e non sar lavato e purificato sinoch lumanit possa rialzarsi dal pelago d'errore e dipocrisia, in cui fu immersa, e uno spirito nuovo, quasi nuovo Evangelo, passi sulla fronte dei popoli. Non  questa lepopea duna stirpe sola e d un epoca, ma quella di tutte le nazioni e di tutti i secoli. Il pittore non sentiva solo, n pingeva gli anni terribili, che allora si aggravavano sopra l Italia, la lega di Cam- bray, le cospirazioni dei principi , imperatori e papi a danno della libert d'Italia, gli assedi, le guerre fratricide, i saccheggi spaventosi di Brescia, di Vicenza, di Prato, di Roma, ma compendiava tutta la serie di sciagure, che si versarono sullumanit dopo la caduta dellimpero romano; (1) Ezech. Cap. 1. La mente di Michelangelo . 13 104 PARTE QUINTA linvasione dei barbari, le pazzie e furori delle crociale, le tenebri monastiche e cattoliche, l Inquisizione, le guerre fratricide deirimpero e della Chiesa, che distaccarono ipo- poli del pari dalla Chiesa e dall Impero, e prepararono la riforma religiosa, nunzia delle rivoluzioni politiche moderne. A ritrarre il suo concetto, cerca i tipi appo tutti i popoli, e nei secoli: ove trovarli? La Grecia, Roma, danno dei tipi nazionali, particolari, che si incarnano nelle sibille, ma la Bibbia e i profeti porgono i tipi dellumanit. Perocch la Bibbia, per Savonarola ed i suoi seguaci, rappresentava il passato e lavvenire; era come il microcosmo dell uma- nit e delluniverso, 1 allegoria del genere umano. Adam, i patriarchi, Mos, i profeti, non rappresentano un popolo, un momento storico, un individuo, ma tutta la storia del passato, e il Messianismo futuro. Ad esso si ispir lartista, e cre i tipi generali o lepopea dei tempi nuovi. L'epopea si apre colla figura di Gionata. Egli  il nuovo Prometeo, il nuovo Apollo dei tempi futuri. E lo colloca l nel mezzo della vasta apertura alla testata della vlta. Non ha la sembianza d' un profeta, ma del Titano che emerge fuori vittorioso da una lotta di giganti. Egli pugn contro gli abissi dellonde tenebrose, e dopo lunga battaglia, risorse a respirare la luce; pugn contro le tempeste, contro lorco, che ancora tenta addentarlo nel fianco, ne esce trion- fante coi segni di vittoria sulla fronte, spezza i ceppi deller- rore, del servaggio, dellidolatria, anela alla libert, alla luce, e colla mano incrociata, col dito pollice in alto, proclama il Dio Uno. E dietro a lui ecco si leva, erto in piede, in forma colossale, il nuovo Dio, che, le braccia tese in alto, divide la luce dalle tenebre; lAdam, uomo e donna sono ricreati; su loro corre come un nuovo spirito, comincia una nuova LE SUE OPERE. 195 umanit. Adam levasi da terra, ove giace oblioso, e riconosce il vero Dio, la nuova va in un impeto damore; in s rac- colta, umilmente altera, si slancia verso il suo Dio, lama, l'adora. Il diluvio delle grandi acque, che passarono sopra la terra, va ad ora ad ora abbassandosi per cedere il luogo all'et novella. I profeti lannunziano alle sibille, la Giudea alla Persia, a Roma, alla Grecia, al mondo futuro. Tutti insieme preconizzano, maturano il nuovo Cristo. Ecco egli  nato. Ma invano quivi cercherete un segno del Cristianesimo ufficiale, del figlio di Maria, del Nazaret.  un Cristo novello, quello eh egli ha concepito, e che stampa nelle sue tele. Egli  il Cristo figlio dei profeti e delle sibille, fecondato dai dolori, dai pensieri, dalle aspi- razioni di tutti i popoli. Lo vedete l, bambino appena nato, sulle braccia materne, tra il profeta Geremia e la Persiea, che l ha concepito nel dolore, e il profeta Ezechiello, il profeta della giustizia; egli passa di profeta in profeta, di epoca in epoca sempre pi robusto, vivace, ardente, forte di intelligenza, di muscoli; qui si china a meditare la strut- tura del nuovo tempio, a tergo del vecchio Zaccaria; col ne porta la parola alle sibille Delfica e alla Cumana, alla Grecia e a Roma, indi si leva ispirato a fianco d Isaia, regge sulla testa il grande volume vergato da Daniello, che infaticato continua a scrivere. Che cosa scrive? Ci proclama il nome di Daniel, che significa Giudizio. Scrive le parole profetiche , destrues et cedifices , distruggi ed edifica, perch il falso dia luogo al vero, la molle grazia e la ipocrisia, alla sincerit e alla giustizia. 196 PARTE QUINTA  LE SUE OPERE. III. E tutto verit e giustizia  limmenso quadro che, nuova Apocalisse, dipinse dopo treni anni di dolori e di medita- zioni, l nella parete di fronte. Il fanciullo che abbiamo veduto sul soffitto  cresciuto gigante,  il nuovo Cristo denudato , quale predicavano Ochino e i grandi eresiarchi del secolo. Non  pi la con- ciliazione dellantichit classica colla biblica, di Platone ed Isaia,  la guerra, la condanna dei falsi Santi, del falso Cristianesimo, dellipocrisia, della menzogna, nel nome della sincerit, della verit, della giustizia umana e divina, la condanna di unepoca per preparare la via allaltra che si avanza. Da un lato a sinistra del Cristo, tutto  gagliardia impetuosa, smarrimento, ansia irrequieta, furore e con- danna,  come il soffio della rivoluzione che mormora e fermenta nel seno dei nepoti, e irrompe impetuosa; dal- laltro, tutto  movimento rinnovatore, una specie di risor- gimento umano, lalba di un giorno sereno che si avanza, la sicurezza, la fede incrollabile nellavvenire di giustizia e di carit, che non pu fallire. Tutta Europa, dall' Inghilterra alla Francia e Germa- nia, era in orgasmo, agitata da un movimento riforma- tore; questo movimento serpeggiava sotterraneo in Italia, ma vi era costretto al silenzio; quel silenzio ruppe, col suo pennello di ferro, Michelangelo, e l nel Vaticano an- nunzia e proclama e incide la rivoluzione, che maturano i secoli, la rivoluzione, che abbatte e che edifica. PARTE SESTA IL PENSATORE E LERESIARCA DELLARTE IL PENSATORE E LERESIARCA DELLARTE i. Fu questo il segreto della sua vita, che il grande soli- tario chiudeva nel profondo del cuore, per non tradirsi , e non essere tradito. La nuova signoria de Medici, che cupi e sospettosi dominavano in Toscana, circuiti da delatori, la reazione cattolica che prevaleva e soffocava ogni manife- stazione del pensiero, i furori dell Inquisizione che per quasi un secolo, dalla met del decimoquinto al 1540, al- lontanata o mitigata dallalto senno e nobilt danimo dei papi del Rinascimento, ora impera e infierisce sullItalia, e tenta rinnovarvi le selvagge stragi commesse in Spagna (1) (l) Fra il 1448 ed il 1515 in Spagna furono arsi trediciraille ' eretici , furono condannate a pene ecclesiastiche 170,000 persone, e nello spazio di quarantanni, nella sola Siviglia, 45,000 persone perirono nelle fiamme ; nel 1519 furono abbruciati in Salamanca 6000 volumi. Il popolo si af- follava a queste immani ecatombe di carne umana, come allo spetta- colo dei combattimenti dei tori.  Grimm, p. 220  Storia dell In- quisizione- PARTE SESTA 203 tutto lobbligava a proceder cauto, ed a dissimulare. Egli stesso era circuito da nemici, insidiato, spiato, e doveva ap- plicare a se i consigli che soleva dare al padre, ai fratelli, in sui primordi del regime dei Medici a Firenze.  Statevi in  pace,  scriveva loro  non vi fate n amici, n fami-  gliari con nessuno se non di Dio, e non parlate di nes-  suno n bene n male, perch non si sa il fine delle  cose  Ed in altra lettera al padre:  Attendete a vivere e vivete bene con Cristo e povera-  mente come fo io qua, che vivo meschinamente, e vivo  con grandissime fatiche e mille sospetti.  Questa condizione dellanimo suo costretto a comprimere il segreto pensiero della sua vita, egli simboleggi in una lunetta, dipinto meraviglioso di passione e di mistero, che si vede nella vlta della Sistina. Nello spazio che intercede tra Isaja e la Delfica, spicca quasi vivo e parlante, un vecchio seduto fra una donna bellissima ed un fanciullo , che, ritto in piedi, sembra ascoltare e raccoglie ogni pa- rola dal labbro paterno; questi cinge colle braccia la donna ed il bambino, e gli occhi spalancati, sospettoso negli atti, ch altri non l'ascolti, confida loro un segreto pauroso. La testa del vecchio ha qualche rassomiglianza collo stesso Buonarroti, ed il fanciullo non sarebbe lavvenire? e quella donna bellissima, che giace l distesa e abbandonata tra il padre ed il bambino, non sarebbe questa Italia, a cui affida il segreto del suo cuore, e che passer det in et allavvenire, a cui spetter di tradurre nei fatti?... Non sarebbe questo il segreto che avvolge le grandi opere Mi- chelangiolesche, e il vero santo mistero dellavvenire umano, di cui la volta  il presentimento? Buonarroti, che scolpiva IL PENSATORE E LERESIARCA DELLARTE. 201 per leternit, gettava Femmina; ai secoli spiegarlo , com- prendere a fondo il suo pensiero e dargli movimento, realt e vita (1). IL Soggetto di lunghe discussioni fu la religione da lui pro- fessata. In un epoca, in cui gli artisti facevano pompa del cinismo pi sfrontato e di ateismo, o erano schiavi delle su- perstizioni e pregiudizi pi volgari, tutti, ammirando la virt , la rettitudine di Michelangelo e F alto sentimento religioso, non scompagnato dalla pi assoluta indipendenza, che in ogni circostanza dimostrava, si domandavano, qual  la sua religione ? E a questa domanda, da suoi coetanei fino a noi, si rispose in modo molto contraddiente. Cosi per non riassumere che le opinioni di autori recenti, il Foscolo, il Nicolini, dietro alcuni cenni di scrittori antichi, ne fanno un seguace della scuola Platonica o della Pitagorica, il Guasti, il Gotti, il Conti vogliono scorgere in lui un cat- (l)  attribuito al Savonarola un opuscolo stampato nel 1497 contro la Chiesa di Roma, che ha per titolo : Loqui prohibeor et tacere non possuin , in cui dopo aver flagellate le violenze, le corruttele della Corte Romana, dimostrando che larbitrio  in luogo della legge e la malva- git sopprime la debole voce del giusto, onde gli  vietato di parlare, conclude : Ideo loqui cogor et esclamare compellor. Ora questa lu- netta non sarebbe il simbolo e la glossa del concetto svolto dal frate? Gli  vietato parlare, ma affida il segreto dellavvenire al bambino, perocch, come soggiunse il frate : Gi cade la notte e sorge l'aurora di un giorno migliore , la redenzione  vicina. Questi e simili libri erano dettati e diffusi in quellepoca, e ne vediamo le immagini di- pinte e simboleggiate in quella e in altre figure della vlta. 202 PARTE SESTA tolico, apostolico, romano; il pio Selvatico ne dubita e vede in lui un eresiarca artista; il Grimm, e con lui varii tede- schi, scoprono nelle lettere, negli scritti, nelle parole, nei dipinti, il luterano mal velato; altri, come Michelet, ci ve- dono il libero pensatore , che da gran tempo erasi , non solo scisso dalla Chiesa romana, ma staccato dal Cristia- nesimo. Fra tanta variet di opinioni e contraddizioni di dati e e sintomi,  arduo pronunciarsi in modo assoluto. Erano tempi tristi, sospettosi, e come vedemmo, conveniva dis- simulare e tacere, massime ad un uomo che vivea in mezzo a cardinali, a prelati e adorava, come suo Dio, l'arte, e solo, merc pontefici e cardinali e grandi, poteva dar vita e corpo alle sue idee, dipingere, scolpire, elevare mo- numenti. Per, anzich in altri, cerchiamo in lui, nei suoi detti, nelle opere sue, quali fossero le opinioni da lui pro- fessate, quale il concetto suo intorno a Roma e al poter temporale ? Mentre lavorava nella cappella, scriveva al padre gli mandasse da Firenze,  un figliuolo di buone persone e  povero , per fare tutte le cose di casa , perch in Roma  non si trova se non tristi.  Tra i diversi papi, che si succedettero sul trono di S. Pietro durante la sua vita, quello che egli tenne sempre in maggior pregio fu Giulio II, e pure in alcuni brani di un sonetto, che sembra sia stato scritto nel principio di questo pontificato, nel 1506, cos si esprime:  Signor, se vero  alcun proverbio antico * Questo  ben quel, che chi pu mai non vuole;  Tu hai creduto a favole e parole  E premiato, chi  del ver nemico. * IL PENSATORE E LERESIARCA DELLARTE. 203 Ma il cielo, dice nell ultima terzina, non vuole esaltata la virt dopo averla messa al mondo, e pretende, che ' vada a prender frutto da un arbor che  secco, alludendo al Papato. Per anche pi terribile di quanto sia stato forse scritto da Dante a noi contro la curia romana  questo sonetto che sembra dettato, non sotto Giulio II, come argomenta il Guasti, ma nella sua vecchia et, contro Paolo Farnese, forse quando moveva guerra ai Colonna (1).  Qua si fan elmi di calici e spade,  Sangue di Cristo si vende a giumelle,  E croci e spine son lance e rotelle;  E pur da Cristo pazienza cade !  Ma non carrivi pi in queste contrade,  Che nandr il sangue suo Ano alle stelle,  Poscia che in Roma gli vendon la pelle,  Ed ecci dogni hen chiuso le strade.  Sio ebbi mai voglia a posseder tesauro  Per ci che qua opra da me  partita,  Pu quel nel manto che Medusa in Mauro (2)  Ma se alto in cielo  povert gradita  Qual sia di nostro stato il gran ristauro  Se un altro segno amorza laltra vita.  (1) Questo sonetto sembra far riscontro a quello che Vittoria Co- lonna indirizz a Paolo III guerreggiante contro la sua famiglia , so- netto che prende appunto le mosse dallo stesso concetto con cui comincia quello di Buonarroti; ma in uno si scorge la donna ango- sciata, paurosa e supplice, nell altro si vede Michelangelo giudice e vindice ; il sonetto della Colonna comincia  Veggio rilucer pur darmate squadre  I miei s larghi campi...  Pag. 290. (2) Forse  incorso qualche errore nel testo che converrebbe con- frontare con altri manoscritti se pur esistono : V interpretazione ch 204 PARTE SESTA e quasi sdegnoso e di Roma e del Pontefice egli segna il sonetto, che credo diretto a Vittoria Colonna , con queste parole:  Vostro Michelangelo , in Turchia.  Guasti, p. 157. III. Costretto a vivere nella Corte per la necessit dellarte, ne flagella i vizi, nelle stanze  In lode della vita rusticale: ne d il Guasti, cio che il secondo verso accenni a mancanza di lavoro, parmi erronea e puerile. Infatti Michelangelo non manc mai di lavoro, e non  possibile che dopo una sfuriata simile, il poeta si occupi di siffatte miserie. In questa come nelle poesie del Buonar- roti conviene afferrare il complesso dellidea pi che arrestarsi alla parola che talora mal risponde alla potenza del pensiero ; inoltre bi- sogna ricorrere al simbolismo , e cercarne il significato nel suo gran modello, Dante. Nella Divina Commedia , Inf. ix, troviamo  Venga Medusa, sil farem di smalto.   noto che le Gorgone e Medusa nel gergo Ghibellino significavano il Papato.il quale impone il silenzio, toglie la parola e impietrisce; ora qui , dopo aver detto nella seconda quartina  Ma non c' arrivi pi in queste contrade  non capiti qui, che sarebbe straziato, dissan- guato di nuovo , e si vende la sua pelle , e vi  chiusa la strada ad ogni bene, aggiunge : se avessi avuto voglia darricchirmi, mi sarei partito da qui, ove il Mauro (o Papato) come Medusa in Mauritania, converte luomo in sasso; ma la povert pu esser gradita in cielo, se pure ci  vero, e si pu sperare salute (o ristauro) sotto un segno o vessillo che uccide la vita ? 0, come spiega il Guasti , che conduce alla morte e alla dannazione. E come se egli stesso volesse andarsene, per farsi turco, e abbandonare il vessillo , scrive sotto il sonetto ^ Vostro Michelangelo, in Turchia. IL PENSATORE E LERESIARCA DELLARTE. 205  Povero e nudo sol se ne va l vero...  Vestito doro e di vari ricami  Il Falso va che ai giusti sol fa guerra...  Ed ha per sua difesa e compagnia  La frode, la discordia e la bugia.  Mancano alcune ottave, e poi si fa a descrivere un gi- gante (1)  Che molte volte ha ricoperta e franta  Una citt colla pianta del piede;  Al sole aspira, e lalta torre pianta  Per aggiungere al cielo, e non lo oede,  Che l corpo suo cos robusto e magno  Un occhio ha solo, e quello in un calcagno (2).  (1)  Torreggiavan di mezza la persona  Gli orribili giganti...  La faccia sua mi parea lunga e grossa  Come la pina di S. Pietro a Roma.  Dante, In/, xxxi. Molti spiegano anche qui che il poeta volle alludere al Papato, o al govern temporale, e ne chiarisce meglio il concetto, il paragone con S. Pietro in Roma. (2)  Vidi di costa a lei dritto un gigante;  E baciavansi insieme alcuna volta  e poi nel canto seguente, Purg., xxxm  Messo da Dio, ancider la fuja  E quel gigante che con lei delinque.  In tutti questi brani e nel complesso del canto  chiara V allu- sione alla falsa Chiesa e al Papato che raffigura ad un gigante mo- struoso. 236 PARTE SESTA Il gigante  il Papato, la citt  Roma. Egli ha, seguita ancora, il capo fermo e prossimo alle stelle (Vicario di Dio). Tutti calpesta sulla terra. Sotto la pianta a lui son le mon- tagne (i sette colli). Seco una donna ha per sostegno eletta  in cui ricovra in ogni sua paura (la falsa Chiesa).  Quando il gran Giove fulmina e saetta  Nelle sue braccia sol si rassicura.  Egli prescrive al popolo inopia, cresce del male altrui.  N sempie, per cibarsi a tutte l'ore (1). * - Di pietra ha il cuore {super liane petram) e di ferro le braccia ; per lor sapre e si serra leterno abisso (le chiavi di S. Pietro); sette lor figliuoli (i sette peccati capitali? o gli ordini religiosi?) vanno pel mondo e ciascun di loro ha mille membra,  E solo al giusto fanno insidia e guerra.  Hanno le chiavi (di S. Pietro) e 1 eterno abisso per lor s apre e serra (2), colle lor membra ci avvolgono e avvin- ghiano  passo passo  Com edera fra 1 mur, tra sasso e sasso. * (1)  E dopo l pasto lia pi fame clic pria.  (2) Lallusione a Roma e alla Corte romana, in queste stanze,  chia- rissima; pur anche qui, come nella Lonzo, nella Pantera e nella Lupa della Dicina Commedia, si vuole dai timorati e pictisti interpreti, so- stituire le fredde allegorie dellorgoglio, de peccati originali, a figure politiche cos vive ed evidenti in ogni verso. IL PENSATORE E LERESIARCA DELLARTE. . 207 Tale la pittura che fa di Roma e della Corte romana in queste stanze di cui non ci restano che frammenti incom- pleti. I suoi biografi narrano che teneva in poco conto gli atti della Chiesa, n gli andavano a verso frati e preti. Quando Sebastiano del Piombo dipingeva in S. Pietro in Montorio una cotal storia con entrovi un frate, egli sog- giunse che quel frate guasterebbe tutta V opera. Richiesto della ragione, rispose,  che avendo i frati guasto il mondo  che  s grande, non sarebbe gran fatto se guastassero  la cappella che  s piccola.  Al suo nipote che si pro- poneva di recarsi in pellegrinaggio a Loreto, risponde:  Non conviene perdere tempo, ne portare denaro ai preti:  chi sa quel che ne fanno.   noto che quando Paolo IV voleva fargli acconciare le figure del Giudizio e coprirne le nudit, egli rispose  dite al Papa, che le pitture si ac-  conciano presto, pensi egli ad acconciare il mondo.  LAretino ammette che era un grande artista, ma ostile alla religione cristiana (1); altri lo diceva luterano, perch frequentava i convegni di Valdes, del Mercantonio Flaminio, (l) Ecco le parole dellAretino sul Giudizio Universale , e sulla irreli- gione di Michelangelo, citate dal Grimm:  . . . . Dunque quel Miche-  langelo, stupendo in la fama, quel M. notabile in la prudenza, ha  voluto mostrare alla gente non meno empiet dirreligione che per-  fezione di pittura ?  possibile che voi, che per essere divino non de-  gnateil consorzio degli uomini, abbiate ci fatto nel maggior tempio  di Dio? Sopra il primo altare di Ges? Nella pi gran cappella del  mondo? .... Per un bagno delizioso, e non in un coro supremo,  si conveniva il far vostro. Onde sara men vizio voi non credeste,  che in tal modo credendo, scemate la credenza in altri...  Cos osava scrivere quel timorato di Dio, luomo pi abietto dellet sua ! 208 PARTE SESTA Cernasechi, Ochino e Pietro Vermigli, che furono in ap- presso perseguitati ed arsi dall Inquisizione, e Michelet, dopo aver esaminato le sue grandi opere , si domanda :  Si era egli staccato dal Cristianesimo?  (1). IV. A questa domanda rispondono ad un tempo le rime che egli compose in gran parte quando carico d'anni , e giunto il corso della vita al comun porto (2), e le opere darte che portano lo stampo de suoi pensieri. Le rime, come il lettore avr potuto giudicare dai brani da noi riportati, sono frammenti spesso rilevati, duri come il marmo, nel quale gettava i suoi pensieri, condensandoli. Sono lampi che mandano qualche luce sugli avvolgimenti di queUanima solitaria e meditabonda. In queste poesie, che chiameremo religiose, non sacre nel significato moderno, indarno cercheresti quello spirito di umilt, di contrizione e di compunzione, in cui diluiscono il loro zelo i nostri poeti pietisti dal Lemene agli inni sacri di Manzoni e de suoi imitatori; indarno cercheresti le palinodie dei canti divoti del secolo decimosesto e set- timo, che si volgono ora alla Vergine, ora al Bambino, ora alle gerarchie serafiche o a Santi e Sante, invano il gemito della colomba, o i pianti sui misteri della passione, sui sa- (1) Michelet.  La Renaissance. (2)  Giunto gi l corso della vita mia  Con tempestoso mar per fragil barca  Al comun porto,..  ( Sonetto cxv, 230). IL PENSATORE E LERESIARCA DELLARTE. 209 cri chiodi, e sulle divine piaghe. Del formulario leggendario, serafico e monacale non vi  ombra nelle rime sue, come nei suoi dipinti; qui senti sempre, anche quando sembra accasciato sotto il peso degli anni e dei dolori, senti una- nima alta, libera e virile. Al par dei Profeta egli si leva, e sta faccia a faccia col suo Dio. Anche credendo e pregando pensa altamente, liberamente, ed agita i problemi pi for- midabili della vita umana. Si sente in questi versi, ora lo spirito filosofico dellepoca, ora il transito del genio di Lu- tero e di Calvino. Egli si affatica intorno al gran problema dellepoca, al problema della predestinazione, del servo ar- bitrio, della grazia, senza mai preoccuparsi del domma cattolico della salute per la efficacia delle opere, o della mediazione della Chiesa, del prete sostituito a Cristo re- dentore, a Cristo Uomo-Dio, per cui luomo si salva per virt della fede, o della grazia. Ora al pari di Pascal, sente la vanit de suoi sforzi per ottenere la fede :  Il proprio mio voler nulla mi vale  Che nessun buon voler senza te dura.  Ora egli pure  assalito dal dubbio, mira stendersi un velo di ghiaccio tra s e Dio , e ammorzare il foco del cuore. Lamore, la fede non giungono sino allanimo suo, e chiede a Dio che gli mandi la fede, per modo che  Il cuor senza alcun dubbio te sol senta.  Or afferma che vive al peccato, gli manca la volont:  Del mio sciolto voler, d che io son privo,  Serva mia libert.  Sonetto xc, 255. La mente di Michelangelo. 41 210 PARTE SESTA Op sentendosi giunto agli ultimi anni di vita , vorrebbe restringere gl1 infiniti pensieri in un solo, in Dio, che sia  Guida agli eterni suoi giorni sereni.  Sublime soliloquio di unanima solitaria, che sentendosi giunta al limitare della morte, agita in s gli ardui problemi della vita. Invasato da un alto sentimento religioso che riscalda lanimo suo si solleva al disopra delle cose ter- rene. Pure tranne pochi tratti, che sono per lo pi simboli immaginosi, atti a meglio significare e imprimere il suo pensiero e servire alle circostanze, non si rinviene in esso ombra della pura ortodossia cattolica, o che esprima la sua fede in un culto positivo. Cresciuto, come vedemmo, nella prima giovinezza, fra letterati, eruditi, filosofi, egli aveva levata la mente ad un concetto religioso, vasto, conciliante, libero. Discepolo e seguace del Savonarola sino dal 1492 (1), egli credeva alla necessit di una riforma nel dogma e e nella disciplina; questa riforma, vaticinata dal frate mar- tire, proruppe in Germania, si estese sullEuropa e scisse in due campi il mondo cristiano. Egli per non poteva arrestarsi n alla dottrina di Cal- vino, n a quella di Lutero. I convegni di novatori italiani, la piet della Colonna, l'influsso dell'epoca, avevano deter- minata in lui una cotal tendenza alle questioni teologiche^ (l) Savonarola, abbandonando le dispute teologali, nelle sue prediche ripeteva:  La perfezione nostra non sta nella fede o nella legge, ma  nella carit... Chi dice il contrario, fosse pur papa,  anatema,   ferro rotto. * IL PENSATORE E E ERESIARCA DELLARTE. 211 e quasi raccostavano alla Riforma luterana, ma questa non bastava ad appagare il cuore, a quietare i dubbi del pensiero. I riformatori e pensatori italiani avevano da gran tempo oltrepassati i limiti fssati dai Calvino e dai Lutero alla Riforma. Essi ripugnavano al particolarismo prote- stante; per essi la religione era una sintesi vasta, che riu- nire doveva intorno a s non un popolo , ma tutti i popoli. Per in Italia si predicava da due secoli quasi un nuovo Cristianesimo, ed un Evangelo Eterno, da sostituirsi al Cristianesimo storico e agli Evangeli esistenti (1) ; si voleva erigere una nuova Chiesa, sulla rovina della Chiesa orto- dossa romana, che appellavano Sodoma, o la grande adul- tera. Era questa la Chiesa, che Buonarroti aveva effigiata nel profondo simbolismo della Sistina. Per non diremo, come Michelet, che egli si era staccato del Cristianesimo, era scisso dalla Chiesa, ma ne era uscito per rientrarvi; aveva, come ne suoi dipinti, abbandonatoci Cristianesimo Jeratico, leggendario, per elevarsi al Cristianesimo ideal e morale, abbandonata la Cristolatria, per abbracciare il Cristianesimo nella sua verit ed essenza. Ed il Cristia- nesimo nella sua idealit corrisponde allessenza di tutte le grandi manifestazioni religiose, anzi  la essenza della .religione. Infatti questa n si pu limitare alle minute pra- tiche dei riti, ed al meccanismo del culto, n si risolve tampoco nelle astrazioni metafisiche di alcuni filosofi se- gregati dalla vita popolana, ma la religione si fonda nel- lindividuo, sopra i bisogni profondi dello spirito, e nei po- (l) Queste idee si diffondono ora con un metodo , direi, scientifico dai ministri protestanti in America, che insegnano di sceverare nel Cristianesimo lelemento transitorio dal permanente. 212 PARTE SESTA poli, sulle grandi tradizioni del genere umano. Essenza delle religioni  laspirazione continuata verso il giusto, verso un vero assoluto, eterno, non contingente o passeg- gero, verso un bello perfetto, che parla allo sguardo e al- l intelletto. V. Questaspirazione, la quale nellindividuo si manifesta, si concreta nel sentimento dell immortalit dun premio o dun bene oltre la tomba, diviene nel mondo dei popoli pre- sentimento di pi alti destini pel genere umano; ovvero credenza nel trionfo della verit, della giustizia e della fra- tellanza sopra la terra: credenza, che concepita e procla- mata nel seno della civilt ebrea colla dottrina del Mes- sianismo, fu propagata nel mondo dallApostolato cristiano, e divenne parte sostanziale delle sue dottrine e della sua religione. La quale nelle lente e necessarie trasformazioni imposte dai bisogni sociali, tende a integrarsi colle verit, che a mano a mano vanno discoprendo le scienze nel mondo della natura e della storia, collapplicare i principi di giustizia, di moralit negli, ordini economici e civili, il bello o il perfetto sensibile nel mondo dellarte o nel culto. Per oziose riescono per lo pi le discussioni intorno ai diversi culti e le sottigliezze teologiche intorno allessenza divina, al libero arbitrio, alla grazia, allefficacia delle opere e della fede, perocch la vera soluzione risiede nella ap- plicazione dei principi del giusto, del buono, per modo che ciascuno individuo o popolo, scopra o senta in s il di- vino , cio il sommo buono , il giusto e il vero, ne informi ogni suo atto, e risponda di s verso lumanit e verso IL PENSATORE E LERESIARCA DELLARTE. 213 Dio. Oziosa del pari la discussione intorno ai diversi culti, i quali nella loro essenza tendono sopratutto a riflettere e rappresentare in s il vero, il buono e il bello, e compene- trarne individui e popolo.  questa la religione professata dal Cakyamuni nelle Indie, dai profeti e dai giusti nel mondo ebraico, da Eschilo, da Platone nell ellenico, come dai sommi geni nel mondo moderno.  Tutti del pari professano il culto del vero, del buono e del bello; tutti del pari animati da ardenti aspi- razioni verso un avvenire di umanit e di giustizia. Molte e varie sono le manifestazioni di queste idee nel mondo della storia. La Giudea sar la gran sibilla, che presenta e profetizza lavvenire. Il popolo-profeta, segna il cammino prescritto al genere umano. Il verbo  a cui la parola  culto  suona umanit, fratellanza dei popoli, e giustizia. La Grecia mira meno all avvenire, pi al pre- sente, meno alla umanit, pi alla natura e alla patria, e cerca e idoleggia il bello nella sua forma pi eletta e pura, canta e dipinge le armonie del mondo e delle cose. Roma antica, in mezzo alle sue lotte, agli orgogli delle conquiste, si travaglia a cercare lidea del dritto , a fissare e definire i rapporti fra individuo e individuo, po- polo e popolo. Sorge il Cristianesimo che sinnesta sul tronco ebraico, ma cresce, si alimenta e si svolge nellam- biente greco romano; prende a diffondere i principi di ca- rit, di solidariet umana, la virt di sacrifizio, e prescrive, sanziona il culto della carit e del dovere. Infine, dopo un sordo e vasto movimento filosofico e razionale, scoppia la rivoluzione, che apre let nuova, fissa, proclama i diritti. Ciascuna di queste manifestazioni, tanto pi sappressa alla perfezione, quanto meglio in s rispecchia nella loro es- 214 PARTE SESTA senza il sommo vero, il sommo bene, e il bello perfetto, e sa compenetrarne le moltitudini. VI. Questi concetti che i grandi legislatori e i tesmofori ten- c tarono trasfondere nelle istituzioni sociali, che i sommi filosofi concepirono nella loro essenza ed attrazione, l'arte, la poesia, la musica, la pittura e la scoltura procacciarono di estrinsicare e vestire di forme perfette, doffrire allo sguardo, di rendere sensibile alla mente, al cuore. La filosofia ne scopre e ne detta i principi assoluti; i grandi geni deH'umanit, profeti, salmisti, poeti, li ritrag- gono nelle note ispirate, li esaltano coi ritmi armonici per- ch parlano ai cuori ; larte vera li fissa nella tela, li stampa nei marmi, e ne presenta i simboli, e i tipi eterni. A queste famiglie, che appellerei artisti-sacerdoti, che imprimono loro la forma perfetta, appartiene Michelangelo. Egli fu per avventura il primo e solo che seppe incarnare nellarte 1 ideale del sentimento religioso, creare, diremo, il simbolo della religione dellumanit. La religione, la quale per molti filosofi del Rinascimento non era considerata che come stimolo alla virt, pei poli- tici, che come mezzo di governo, per molti teologi e per la stessa Corte di Roma, che una specie di monopolio a suo benefizio, un artifizio, od un tirocinio scolastico, e che non era, pel volgo degli artisti, ohe lenocinio dei sensi e uno splendido lusso e ornamento e distrazione, egli richiam a pi alto ministero. E per lui divenne simbolo di una nuova religione, della religione universale, la quale si risolve in una aspirazione IL PENSATORE E LERESIARCA DELLARTE. 215 infinita. Ma non linfinito vago dei metafisici, sibbene lin- finito che poggia sopra il reale e si svolge in una scala ascendente nei secoli. Egli prende i suoi simboli, l dove li trova pi perfetti, pi interi, pi spiccati, dalla Bibbia, dal mondo greco-romano, figure archetipe dellumanit, come i Profeti, Mos, le Sibille, che in s concretano un grande momento storico; ma questo momento  il punto di par- tenza per un rifiorimento di nuovi simboli e di un evolu- zione pi vasta nel corso dei secoli; sono personalit, che intercedono fra il mondo e Dio, il presente e lavvenire, la materia, lo spirito, il finito e linfinito, che esprimono il pensiero religioso, il quale si continua lungo le et, e sono il legame dei tempi;  lideale infine della Storia ridotta a concretezza. VII. Mirate la volta della Sistina, da cui non possiamo dilun- garci essendo essa lo scopo e la ragione di questo scritto. La storia porge allartista il tipo, la forma, i colori, talch le figure sembrano come statue, ciascuna finita, compiuta in s, ritta sulle sue basi; pure uno spirito vasto aleggia- sopra di loro e le collega insieme e le agita e le muove. Questo spirito  limmanenza del divino che muove il mondo umano, a quel modo che le correnti dellaria, del calorico, dellelettrico spaziano sulla natura, e le compenetrano di s, la muovano e fecondano. Essa venne appellata lepopea del presentimento; ma al pari del sentimento religioso da cui sispira  presenti- mento e realt. Ed  infatti quellansia continuata e faticosa, quellarcana ) 216 PARTE SESTA aspirazione che si travaglia del pari nel fondo dell indi- viduo come nel fondo della storia, che Michelangelo sentiva nella vita e stamp nell'arte. Le sue figure sono i veri Raprescatwes mens , tratteg- giati da Emerson, che compendiano e rappresentano luma- nit. Quella figura colossale, titanica, che domina lepo- pea,  Jona, ma in questo Jona voi scoprite nel volto, negli atti, nella passione che ne commove ogni membra, il forte che si solleva, leroe il quale, dopo lunga lotta, perviene a spezzare i suoi ceppi, e beve a larghi polmoni le aure di libert, e sfida a battaglia eterna i tiranni. Egli  Ercole,  Teseo,  Spartaco,  Prometeo liberato, raffigura in s la lotta continuata nei secoli contro ogni oppressione,  il prototipo di un arte che non appartiene ad un momento storico, ad unepoca, ma riassume in s, come sintesi, tutta una storia, e inizia larte, che appellerei pe- renne. A tergo gli si leva unaltra figura colossale, ritta in piedi, le braccia sporgenti in alto, e continua lazione di Jona, drcole, di Prometeo. Esso non solo ha rapito il fuoco, ma lo padroneggia, e colle braccia poderose separa la luce dalle tenebre, mette in fuga lignoranza, la superstizione, l'errore. Ecco un altro archetipo dellarte perenne, del Dio liberatore, il Dio della luce e della forza, in ogni epoca della storia. Infatti nofl vedete pi in lui traccia del Dio dei teologi, dei metafisici, ma il Dio intelligenza, il Dio della storia, il Dio-umanit, e con lui comincia una creazione novella. Ecco il diluvio ha cancellato il mondo antico,, ricomincia il nuovo Adamo, la nuova va, che tolti alla vita inco- sciente, si destano alla conoscenza della natura, di s stessi e di Dio. IL PENSATORE E LERESIARCA DELLARTE. 217 Lo spirito della storia passa sopra a tutte quelle figure che si continuano; ogni figura, ogni gruppo, sono come categorie determinate in s e in simboli, mentre lidea, lim- manente, spazia su di loro e li lega ; lo spirito dell uma- nit li move in un circolo infinito ascendente. Dalla Giudea, passa alla Grecia, da questa sopra Roma, da Roma ri- torna ad Isaia, il profeta dei popoli, a Daniele, l'uomo che vive per la giustizia, e tutti rappresentano lintimit del pensiero nel mondo , limmanenza del divino sull umanit e sono appellati col vecchio Zacaria ad elevare il tempio dei templi, il culto del genere umano. Ma lumanit non si rinnova che per la giustizia, e la giustizia non si compie che colla rivoluzione; la rovina ac- cumulata di un mondo che si disfa e cade sar la base su cui si elever il mondo novello. Il Giudizio Universale scolpito , anzich dipinto, l nella grande parete della Sistina,  la giustizia,  la rivoluzione, la gran catastrofe che chiude unepoca, cancella una ge- nerazione, per suscitarne unaltra pi pura. Qui ancora larte perenne riproduce lideale della storia, lo concretizza, e quel gran giudice che  il tempo,  invo- cato a compiere lopera, a giudicare i vivi e i morti. Anche qui nessun vestigio dellantico Cristianesimo,  una nuova umanit, un altro culto e simbolismo che levasi in- nanzi a noi. La figura colossale che domina la scena, come notammo, non  gi il Cristo dell Evangelo ,  Ercole an- cora,  Prometeo,  Jona, che spezzati i suoi ceppi, chiama a giudizio gli oppressori dei popoli, e giudica tutti, dai pontefici ai santi, al plebeo, secondo le sue opere. Egli ci appare e grandeggia in forma di un personaggio ignoto, non visto;  una forza arcana che domina la scena, 218 PARTE SESTA come il Fato dei Greci che invisibile conduce la vasta tra- gedia greca;  limperativo morale, la giustizia, che con- tinua lopera sua a traverso lo spazio e i tempi. Questa persistenza del divino nella storia dei popoli, questaspirazione verso linfinito,  il concetto che, sotto di- verse forme, imprime Michelangelo nelle sue opere. Il sepolcro di Giulio II , che i coetanei chiamavano la tragedia del Buonarroti, e fu il pensiero della intera sua vita,  tutto un poema, che ne esprime lidea con forme colossali. Questo monumento, di cui abbiamo diversi disegni, doveva elevarsi a modo di una montagna di bronzo e di marmo in Roma, e constava di tre parti sovrastanti luna sullaltra. Fra quell incrociarsi di cordici capricciosamente scolpite, fra quella folla di statue che rappresentavano le scienze , le arti, la vita attiva, la passiva, poi S. Paolo, che apre il il mondo moderno, Mos, che spinge il guardo fisso e sfol- gorante nellavvenire dei popoli e domina la storia, i due giovinetti incatenati morenti, cio il pensiero e l'Italia in- catenati, che attendono il nuovo Mos liberatore, pi in alto doveva elevarsi sopra trofei, i tributi della natura, le memorie della storia, grandeggiante la statua di Cibele, simboleggiante la terra , ed essa mentre sostiene il lembo dun lenzuolo mortuario, appunta lo sguardo in alto sopra Urano o nellinfinit dei cieli. La terra non basta alla sete infinita che divora lanima: nella terra tutto  caduco e muore. Cibele,  vero, veste formo colossali, ma la mano sua regge il lenzuolo mortuario, il piede posa sulle tombe dei morti, per aspira al cielo, con- templa Urano. Ed Urano, sfavillante di un riso divino sulla yetta del mausoleo, collocava in mezzo a nimbi di luce, fra IL PENSATORE E LERESIARCA DELLARTE. 219 aureola di stelle, il sommo pontefice simboleggiante la Chiesa futura, la Chiesa della verit e della luce. Questa aspirazione all alto , o meglio la sublimazione della materia, fu la passione della vita del nostro artista. Dopo avere svolto questo concetto nella pittura, averlo ri- prodotto, scolpito nel marmo, lo plasm nellarchitettura che fu il supremo studio, la fatica della sua vecchiaia. E che altro  la grande Basilica di S. Pietro, quale era stata da lui concepita e disegnata, colla vastit della mole, la pu- rezza delle linee , la semplicit delle pareti s solenni ed eloquentemente nude, se non il tempio dei templi che do- veva in s riunire tutti i popoli, conciliare le razze, e poi colle tre cupole slanciate negli spazi aerei , elevarle del pari riconciliate e purificate, al cielo? Vili. Conciliazione era stata F ultima parola pronunziata dal pensiero filosofico-religioso della Rinascenza italiana; ma il nostro pensatore-artista non pot soffermarsi ad essa; altro termine vi aggiunse, che schiude e rischiara F avve- nire , e lo stamp , pi profondamente che nelle tavole di bronzo del Sinai , nelle sue opere immortali , ed  , Eleva- zione. Questa  veramente lultima parola dellarte nella Rina- scenza, questa vuol pur essere la parola dordine, il motto del Rinnovamento Italico, ma questa  pur troppo, per ora, appena nota,susurrata da pochi ed irrisa, come aereo sogno, dai molti. Il periodo nel quale versiamo, che fu grande veramente e splendido pel nostro rinnovamento politico, si manifesta, 900 PARTE SESTA per quanto altri voglia illudersi e millantarsi, sempre pi basso e meschino nelle arti e nelle lettere, vacuo, sterile nelle scienze morali e filosofiche. La filosofia, che  pure il pi glorioso e splendido portato del pensiero umano, si confonde ormai colle scienze positive, e suona positivismo l'ultima parola del secolo nostro. Tutte coteste teorie di evoluzioni, selezioni, e questa fraseologia darwiniana, la quale non ha di nuovo neppure la parola e il nome, tende ad applicarsi, come al mondo naturale, cosi allo storico, alla letteratura, allarte. E l'arte e le lettere, ali- mentandosi dell ambiente filosofico in cui vivono , cercano vieppi di farsi positive, pi e pi realiste. La filosofia, la scienza, non cura pi, non vuol esaminare altro che il fatto, la realt che parla ai sensi, il fenomeno, il momento che la colpisce; e l'arte, alla sua volta, non cerca che di ripro- durre pi che 1 atto e il fatto materiale. Essa s industria di ritrarre nelle sue pi minute particolarit l' individuo , un uomo, una donna, un albero, una marina, un evento, quale si offre ai sensi, la realt pura; la filosofia nuova e la scienza non vogliono pi mirare altro che la materia , non conoscono in essa che due attributi, il moto e la forza, e larte alla sua volta non sapp mirare nella vita che la materia, la corteccia, lesteriore. Per lultima parola, che, scienza e filosofa del secolo decimonono trasmettono al ventesimo  , evoluzione, sele- zione, forza e movimento; e lultima parola dell'arte , materia, sensualit e realismo. Ora nessuno, meglio del Buonarroti, senti, comprese la materia, e seppe ritrarla, plasmarla. Le sue statue gran- diose, i muscoli risentati, le membra titaniche, le prospet- tive, che mai non vengono a fine, gli atteggiamenti, le pose IL PENSATORE E LERESIARCA DELLARTE. 221 ardite, tutto nelle sue statue, nei dipinti  un apoteosi del corpo , parebbe un orgia della materia. Pure in esse non resti mai colpito dalla materia; in esse non  lesteriorit, la sensualit che ti commove e sbalordisce. A che attribuirlo ? Avviene da ci che lartista non , come i moderni, alettato, padroneggiato dalla forma materiale, ma egli sa padroneg- giare la materia, non  asservito ad essa, ma la domina, non  soverchiato, ma la oltrepassa. Egli studi bens la forma, lesteriorit, ma non si limit a ritrarla nella sua cruda realt. Non  lo scienziato , il quale, nel silenzio del suo gabi- netto di clinica, mira innanzi a s disteso il cadavere, e collo scalpello in mano ne tronca i muscoli, le arterie, poi 10 dissecca, per sottoporlo brano per brano a minuto esame; ma nella materia egli vuol indagare la vita , dalla selice fa scaturire la scintilla, in ogni sua fibra e cellula cerca la vita. Non si arresta, freddo osservatore, allesteriorit, ma penetra nella natura intima, ma cerca lo spirito, ma ne ravviva la passione, ma la riscalda ancora col foco del suo core, collentusiasmo del suo genio. Di pi lartista osserva 11 mondo umano e naturale nella storia, nelle religioni, come nella natura, ma non si arresta alla pura osserva- zione; questa non  diretta, sibbene riflessa, e ne ricrea in s i grandi tipi, i fantasmi che sono il risultato dellazione convergente di tutte le facolt attive della sua mente, ed estrinsecandoli, ravviva la materia del suo soffio animatore? la riscalda colla passione del suo genio, per cui i suoi dipinti rivivono e divengono la storia riflessa del mondo. Cos la realt, la carne esce dalle sue mani trasformata, o se vuoisi transubstanziata. Come mai ha egli potuto imprimere tal po- tenza nella materia? quale fu il segreto dellarte sua? Il segreto lo rivel egli stesso, quando disse che non dipinge^ 222 PARTE SESTA non scolpisce colla mano, ma col cervello. L impressione esteriore si fa dentro di lui pensiero, passione, vita, e nel- T esteriorit trasfonde il foco della sua vita, lardore delle sue passioni. Egli non si arrester a cercare le minuzie n le particolarit; nelle opere sue non trovila squisita finitezza dei dettagli, la correzione nelle minute parti, che scopri nei dipinti e nelle statue moderne, ma in tutto  movimento, ferve la passione, palpita la vita. Non trovi neppure in esso quel vago idealismo che aleggia sui dipinti di Raffaello, o la metafisica del bello assoluto, ma vi trovi sempre unindividua- lit energica, e in ogni individualit la potenza interna del carattere, la foga duna passione, la vigoria dun pensiero dominante. Egli, meglio d ogni moderno, comprendeva, sentiva la realt , ma per lui il moto , la forza , la evolu- zione, non bastavano, sentiva che queste qualit non co- stituiscono ancora tutta la materia. E a dir vero esse non ne sono neppure la legge da cui  dominata e determinata, ma sono piuttosto attributi di essa , sono indizio di una legge che esprime la successione dei fenomeni, lo svolgimento di un principio, vera legge dominante, e determinante essendo la vita, la potenza interna, l'intelligenza, la volont; la vita che parla alla vita, il pensiero che parla al pensiero, nel pen- siero, pel pensiero. Ora il pensiero, forza vivente, la vera realt dellessere ed essenza delle cose, non si arresta alla evoluzione , al movi- mento, anchesso passeggier, ma va oltre, ed  questo il punto per cui il genio michelangiolesco oltrepassa non solo il secolo decimosesto,ma il decimonono, e sar forse faro al ventesimo; perocch nelle sue grandi opere insegna, come l evoluzione la selezione nella materia come nellarte, si completa ed in- tegra con un terzo termine che gli  scorta e meta, ed  eleva- IL PENSATORE E LERESIARCA DELLARTE. 223 zione. La materia non si ravvolge in un circolo fatale, sempre uguale, ma si affina si elabora, si eleva, si transubstanzia; la vita aspira ad elevarsi alla verit pura, alla luce della luce, a svolgersi nella pi alta potenzialit. La elevazione della vita, la sua sublimazione nella materia e per mezzo della mate- ria  il segreto dellarte di Michelangelo.  questo il prin- cipio dellarte che pochi sommi artisti preanunziarono; e primo Michelangelo ha divinato ed offerto agli sguardi, e sar forse questa larte dellavvenire, quando, come scriveva il Dupr, la generazione, la quale possa fissare gli occhi della mente nelle profondit michelangiolesche, sar nata. Noi tentammo di studiare lartista: una filosofia e una cri- tica pi comprensiva che non la presente, sapr apprez- zare in tutta la sua grandezza il pensatore, ed ^offrire ai- fi Italia il grande modello dellarte futura, dellarte perenne. EPILOGO La mente di Michelangelo. 15 EPILOGO Giova ora ricapitolare brevemente questa vita , la quale abbracciando quasi un secolo, chiuse il Rinascimento e pu, meglio dogni altra, degnamente inauspicare il Rin- novamento italico. Questa vita cosi complessa ad un tempo, cosi armonica ed uguale in ogni sua parte, si pu dividere in tre periodi, i quali furono mai sempre dominati da uno stesso pen- siero, rivolti ad uno stesso altissimo intento. Ogni pe- riodo in s riflette e riassume un importante evento storico e T evento si riverbera e simpronta in un gruppo di capo- lavori darte. Il primo periodo, quello delladolescenza e della giovi- nezza, si  svolto in Firenze, culla e sede della Rinascenza, in mezzo ai poeti, agli eruditi ed ai filosofi dellAccademia Platonica; e, frutto di questo periodo, che diremo filosofico, sono la battaglia di Ercole contro i Centauri , l idea della vlta della Sistina, anche simboleggiante la lotta delluomo contro le forze brutali della natura, e il presentimento e le aspirazioni continuate del genere umano verso i suoi 228 EPILOGO. grandi destini, le sue sofferenze e battaglie pel trionfo della verit e della giustizia. Il secondo periodo, che diremo politico, segna la cac- ciata dei Medici, la lotta per le libert cittadine e lassedio di Firenze; e si riflette nelle statue di David, del Bruto, si epiloga nel Deposito di S. Lorenzo, e ci presenta nelle statue del Giorno, del Crepuscolo, dell Aurora, della Notte come effigiati i corsi e ricorsi storici, e i periodi di sonno, d'oblio, di vergogna, di decadenza, di riscossa e rinnova- mento del popolo italiano. Il terzo periodo, che corrisponde all'epoca pi fortunosa d'Italia, in cui ai pugnali, agli incesti, ai veleni, agli orrori dei saccheggi savvicendarono le invasioni straniere, le guerre fratricide accese da re, imperatori, pontefici, le agitazioni e le guerre religiose per la riforma, che scon- volgono lEuropa intiera, ispira alla sua mente lApoca- lisse del Giudizio Universale. A questi potremo aggiungere il periodo della tarda vec- chiaia. Egli aveva veduto tutto un mondo sparire, inabissarsi innanzi a s; tutta quella pleiade di artisti sommi, di pen- satori, di poeti, che fecero per quasi un secolo il lustro di Firenze e Roma, erano scesi nella tomba; la libert di Fi- renze, lindipendenza dItalia manomesse e spente; tutta lantica generazione dei suoi parenti, damici, dartisti, di donne, che aveva amati, discesi nel sepolcro, ed egli so- pravissuto a tutto un mondo , si trova come solo , invaso dalla immagine della morte, agitato dal problema dellav- venire. Solo, sdegnoso, chiuso in s, egli si travaglia nel fondo del suo pensiero a cercare il suo Dio, a trovare in lui conforto e pace. Agita nella mente tutti gli ardui secreti EPILOGO. 229 dell umanit, si sprofonda nel mistero della vita e della morte. Mentre il pensiero  combattuto tra i dubbi paurosi e la fed che si svelano a lampi nelle sue rime, la mano con- tinua a lavorare, a lottare col marmo, e conduce all ul- tima perfezione le due opere, che furono il travaglio della sua vita , nelle quali epiloga s stesso , la sua mente , il suo cuore. La statua del Mos in cui lavor quaranta- quattro anni, e la immensa Basilica di S. Pietro, con cui sembra non solo dominare lo spazio, ma signoreggiare i tempi, sollevare le menti all infinit dei cieli, e inau- spicare, insieme colla nuova Roma, i nuovi secoli ita- liani. Tale fu luomo. Quale fu lazione sua, la sua influenza nellet che gli tenne dietro? Quale potr essere lazione della sua mente, della sua vita nella nazione italiana, che caduta si basso dopo la sua morte, ora risorge a civilt per la terza volta, e aspira a rinnovarsi? Il suo destino  quello dei Profeti, quello di Dante, di Shakespeare, e di tutti i geni sovrani, poco compresi dai loro coetanei, ma la cui azione si svolge a poco a poco , e lenta si propaga , si diffonde per rischiarare i tortuosi sentieri che lumanit deve percorrere. Le sue opere sulle prime destano un arcano senso di me- raviglia e di terrore religioso, che confonde la mente e sba- lordisce; sono creazioni straordinarie, un mondo a parte; il pensiero  appena compreso o male interpretato; ma, pari a Dante  Se la voce sua sar molesta  Nel primo gusto, vital nutrimento  Lascier poi quando sar digesta..  230 EPILOGO. Tal fu di lui. Dopo la sua morte, la sua influenza nel- larte non fu efficace n sana, anzi si ripete tuttavia (1) che fu cattiva, e produsse il barocco; e l insigne critico che vide pur profondamente nell animo e nelle opere del Buonarroti, non ha torto al punto di veduta dellesteriorit dellarte; ma conviene aggiungere che i suoi imitatori nulla seppero comprendere del vero Michelangelo, n po- tevano apprezzare in lui quelle qualit che non erano atti ad afferrare e scoprire per T angustia delle loro menti , e per difetto dei tempi poco propizi. Col doppio servaggio politico e religioso , che oppresse ITtalia dalla met del secolo decimosesto alla met del nostro, cess la vera vita morale e artistica italiana. Venne meno quella vita facile, aperta ad un tempo seria e grave, che pre- valeva nei nostri Comuni e nelle citt ; pi non avveniva quello scambio didee, di consigli tra artisti, poeti, eruditi, scien- ziati, quell incoraggiamento ed entusiasmo pel bello, che scendea dalle alte classi sociali, dai pontefici, dai principi, dai patrizi, e trovava sempre eco vigorosa nel seno del popolo. Le classi furono divise da sospetti, rose da invidie, agitate da paure. Lartista visse appartato, cess dal pensare, non fu pi che un esecutore, un mestierante, ligio per lo pi al padrone, schiavo nel suo studio, e prigione entro 1 of- ficina, come il poeta, il pensatore rilegati nel gabinetto, non seppe elevarsi al di sopra de suoi marmi, al di l de suoi colori e disegni; si occup sopratutto dellesteriore, del meccanismo dellarte. Nefle opere di Michelangelo egli non seppe vedere nulla al di l del meccanismo, delle pose, dei panneggiamenti, del (1) Bono. Leonardo e Michelangelo. EPILOGO. 231 gioco dei muscoli, delle meraviglie degli scorci: quando si avevano superato felicemente queste difficolt dellarte, si avevano dipinti e scolpiti scorci pi arditi, e paneggiamenti pi ricchi e grandiosi, muscoli pi veri e risentiti, si credeva di aver superato il maestro. Del pensiero non si preoccupa- vano, o scambiavano per pensiero le gelide allegorie di virt, e di vizi che effigiavano sui mausolei e nelle tombe, o nelle chiese. Non sapevano che pensiero  verit,  pas- sione,  forza, che linterno d vita e venust all esterno, ed  per queste qualit, che vivono tutte le grandi opere darte, e giganteggia Michelangelo. Egli fu 1 ultimo artista veramente libero d Italia , libero nel pensiero , libero nella forma. Cre la libert nell arte come Lutero nel pensiero. Avverso al convenzionalismo, come alla teologia. Il gran nemico, che egli combatte du- rante tutta la sua vita, fu appunto lartificiale, il falso. Quel barocco, che si dice derivato da lui, egli laveva in orrore, e concorse con tutte le sue forze per combatterlo e schiac- ciarlo. Ma colla reazione cattolico-spagnola, il fasto, il teatrale, il barocco prevalse, ruppe gli argini, inond ogni ordine di cose , nella religione , nel culto , nelle abitudini , e riverber nelle arti. Qualche sintomo di questa tendenza si era gi palesata pur troppo, e tale tendenza conviene ri- cercarla nellindole di alcune provincie dItalia ; ma la parte buona e sopratutto la Toscana, la contenne, limped di al- largarsi, e di prevalere. Venuti gli Spagnoli, e trionfando la reazione cattolica, caddero le dighe, lindole nazionale nel suo lato sano, energico fu compressa, avversata, soppressa; prevalse il teatrale, il convenzionale nellarte, come la falsit, lipo- crisia nell ordine morale e sociale. Tutto divenne , e in 232 EPILOGO. parte dura ancora in Italia, convenzionale e falso, orpello pi che oro, lustro pi che vera luce. Nel domma le alte aspirazioni profetiche, i concepimenti di verit e giustizia, di cui abbonda lantico Testamento, quelli di moralit e damore, di semplicit, che formano il prestigio e la virt del Nuovo , diedero luogo a una mitologia erronea e vol- gare, che cade al disotto del Paganesimo , e ad un etica immorale, fallace e morbosa, che fiacca gli spiriti e cor- rompe e degrada i caratteri; il culto fu mutato in un apparato teatrale, collaccompagnamento di musiche, pro- cessioni, pantomime, in unadorazione delle parti materiali del corpo di Ges e della Madonna, pi che del suo spirito, dei privilegi da lui predicati; la poesia divenne arcadia, tutta concettini, finzioni, convenzionalismo, barocchismo; la prosa, rettorica, suono di frasi risuonanti e vuote. Sopra tutte le arti prevalse la musica, arte la quale, checch sene dica,  segno di decadenza, perniciosa sirena che ci seduce i sensi, ci getta 1 animo in vacui fantasticamenti e ci dispensa dal pensare, solletica l'orecchio, spesso molce e addormenta il cuore a detrimento dellintelligenza. Non  passione, ma si- mulazione di affetti, ipocrisia, di passioni. Sopprimere il pen- siero sotto la vernice sfarzosa della parola, cullarlo, addor- mentarlo con profluvio di note armoniose, molli, soffocare le passioni sotto un sentimentalismo piagnucoloso e sterile, ostentato, divenne scopo e venust dellarte. La natura fu immolata al soprannaturale, la religione ad un falso misti- cismo, la verit alla rettorica, il reale al convenzionale; la chimera aveva sostituito la realt, i Centauri avevano ucciso Ercole. Ora come vedemmo, l'intento che nella vita, nelle opere si era proposto Michelangelo, fu sempre mai quello di abbat- EPILOGO. 233 tere i Centauri, mettere in fuga le chimere, dissipare le tenebre fallaci. Egli abborr le forme convenzionali del bello, anche quando vestivano le apparenze pi lusinghiere, affascinanti, come in alcuni dei pittori sommi, per sosti- tuirvi il forte, Tintelligente, la bellezza virile, l'espressione. Abbattere le vecchie forme molli , slavate , per contrap- porvi il virile, il semplice, il vero: combattere il conven- zionale, il teatrale, lo spettacoloso, per sostituirvi la schiet- tezza, la verit, la realt; non un realismo volgare e ab- bietto, come si tenta fare da alcuni nei nostri tempi, ma la realt elevata, energica, accesa di nobili affetti, illuminata dal pensiero ; confondere l idolatria, che falsa e corrompe la vita, portare da per tutto, nella pittura, nella scoltura, nella poesia, la vita, il movimento, e colla vita la sincerit e la spontaneit, ecco quale fu lo scopo che egli si propose. E in quel mondo di sole apparenze, dipocrisie, didoli vani, che si avanzava, e ornai doveva prevalere, egli fu la sincerit, la realt, la virt, la forza che si afferma, e posa in s sicura. Di fronte a quei paludamenti imperiali, pontificali, i quali avvolgevano entro le pieghe di manti sfarzosi fantocci vacui o mostri turpi e inumani, egli cerc la realt in s, ed impresse il nuovo nudo vero ; Cristo de- nudato , ovvero vestito solo della sua moralit e giustizia, come gridavano e predicavano Savonarola, O chino, Soc- cino; e Cristo denudato egli dipinse e scolpi. Ai scenari di cartone egli sostitu il marmo , all orpello 1 oro puro dei- fi arte, e il diamante che splende al pari del pensiero, di luce schietta e durevole. Per venne appellato leresiarca dellarte, il Lutero dItalia. Tuttavia la riforma artistica morale egli pot iniziarla ap- pena; l'Italia  lontana ancora dal comprenderlo e dallap- 234 EPILOGO. prezzarlo degnamente. Al pari di Dante ebbe i suoi periodi di ecclissi e di oblio, e al par di lui risorge e risplende col risorgere della nazione. Egli deve inauspicare V era del Rinnovellamento; da lui e dai sommi riformatori di quel- T epoca, la nuova et deve prendere gli auspici; larte ispirarsi ai suoi grandiosi simboli, il filosofo ai suoi pen- sieri, il cittadino alle sue virt. La sua mano ha, pos- siamo dire, rinnovata e ricreata la Roma artistica mo- derna , la sua grande figura basterebbe a rialzare e ri- creare, appo un popolo energico e sano, la Roma e lItalia politica e morale. APPENDICE APPENDICE Lettera diretta da Cornelia Colonnelli, gi moglie d Ur- bino, a Michelangelo, in cui io avverte delle pratiche che si facevano da suo padre e da un abate per rimaritarla ad un cugino di costui, giovane di poco buoni costumi:  Molto magnifico come patre optimo  La cortese amorevolezza che V. S. ha sempre mostro a miei figliuoli e a me  stata tale, che io posso vera- mente dire che sia stata maggiore et habbi di gran pezza avanzato quella de mio patre, de mia matre, ed ogni altro mio attinente. Cognoscendio esser cosi in verit, lho sempre amata, obedita e riverita da patre e da mio patrone amo- revolissimo, sempre har Tanimo prontissimo ad obbedirla, servirla et osservarla; n mai penser far cosa veruna, se prima io non so la sua volunt e il suo consiglio. Se V. S. se racorda, questi giorni passati io gli scrissi una mia, nar- randogli il desiderio grande che mio patre e mia matre havevano de rimaritarmi; e che oltre glaltri partiti, molto gli piaceva un giovane da Santagnolo in Vado, fratello 238 APPENDICE. consobrino dellabate di questo luoco. Essend egli, sempre contro ogni mia fantasia, sopra tutti gli altri piaciuto e a mio patre e mia matre, et essendio amonita e consigliata da V. S. de adempiere il volere loro; volsi, come si con- veniva a obbedientissima figliuola, obedire e fare quanto da loro m era comandato; e cosi consentirei de pigliare per marito, ancor che fosse contro lanimo mio, quello che a loro piaceva tanto. E per mia mala sorte ho inciampato, come si suol dire, in un fil de paglia, et ho rotto il collo merc de mio patre; il quale ha fatto il maggior errore che forse mai facesse altr huomo , lasciandosi persuadere da persone pocho amorevole a lui, a mia sorella, a miei nepoti et a me istessa, di fare quello che mai dovea pen- sare, non che fare, a persuasione dellabbate e del patre di quello a cui io dovea esser sposa e moglie. Subbito doppo che furono cellebrati i contratti delle dote (li quali furono fatti pubblicamente, presenti tutti i mariti de mie sorelle, et altri parenti et amici amorevoli nostri) mio padre na- scostamente, senza mia saputa, contro ogni ragione, solo per gratificarsi labbate, me fece donatione de tutta la sua robba, privando senza causa alcuna tutte le altre sue fi- gliuole e nipote; per la qual cosa tanto poco honesta e mancho raggionevole, io me so tanto afflitta e conturbata, che io oggimai mi trovo fuori de ogni sentimento; consi- derando che a mio patre non se conveniva de privare le sue legitirne figliuole, cariche de sedice figliuole tra ma- schi e femine, e donare a me , che gi ero dottata da lui di p' assai maggior dote dellaltre mie sorelle, havendio havuto mille fiorini per le mie dote, e mie sorelle solo dua cento per ciascheduna de loro. Havendomi egli poi fatto questa donatione, V. S. puoi considerare quanto danno sia APPENDICE. 239 alle povere mie sorelle, le quali sono pur ancho figliuole de mio patre , legittime e naturale com io. Ma Iddio , al quale dispiace le fraude e V inganno , non ha voluto com- portare una tale iniquit. Prima ch'il sposo venisse a me, ha discoperto alle mie sorelle e a me questa donatione, la quale dispiacendomi oltre muodo, per mostrare amorevo- lezza alle mie chare sorelle et a miei diari nepoti , e per fare capace il mondo eh' io non so' stata consapevole de simil trappole e inganni, con quel miglior muodo e via chio ho saputo e potuto, ho cercato de tirare indietro questo mal fatto, con il consenso del patre dello sposo e dell abbate; volendo retrocedere e redonare a mie sorelle tutto quello che mio patre havea donato a me; contentan- domi della mia prima dote , e volendo , come  convene- vole, che le mie sorelle habbino altrettante dote quantho haut io. Ma loro , privi di quella charit che conviene al christiano, non hanno voluto consentire; anzi hanno fatto e fanno pi conto della robba che della carne mia, et io, con animo pi generoso, ho fatto e faccio fermo proposito di fare pi conto delle mie sorelle e de suoi mariti e fi- gliuoli, che di quanta robba mhabbi donato mio padre; essendo io certissima che, non facendo questo, ero perpe- tuamente in continua inimicitia con le mie sorelle , con suoi mariti e figliuoli. Ondio mi risolvette con prontanimo de mandare per il patre del sposo; al quale io con gran- dissimo mio affanno e fastidio dissi quanto a me parea raggionevole, supplicandolo che si volesse contentare della mia prima dote, e non volere esser caggione chio sia, in- sieme con suo figliuolo, in perpetue inimicitie con mie so- relle, Suoi mariti e figliuoli. Dal quale io non ebbi risolu- tone alcuna: per mandai mia matre allabbate, facendogli 240 APPENDICE. la medema proposta che io havea fatto al patre del sposo, pregandolo nei medesimi muodi: il quale similmente poco ragionevole, disse che non voleva consentire altrimenti alla retrocessione e redonatione; anzi accenn a mia matre, che s io era malcontenta e poco sodisfatta della donatione, e sio non mi contentava che sequisse in questo muodo , chio facesse i fatti miei, che loro farebbono i suoi. Onde, non volendo li predetti consentire a questo ragionevol mio proposito, et oltre havend io hauto molte sinistre e cative informatione di lui, che  pieno di mal francioso, giovane poco accorto e manco virtuoso, con molti altri mancha- menti della persona sua, con pochissima robba e quasi niente; ho publicato di non volere in alcun muodo esser pi moglie di suo figliuolo , et hogli fatto sapere che fac- cino i fatti suoi, chio far i miei. Onde per questo suc- cesso io mi trovo molto malcontenta e soddisfatta, e tanto pi quanto vedo ancor mio patre poco amorevole dellaltre sue figliuole, stare fermo in quel primo proposito di volere ch'io piglia anche costui per marito, non curando il grave lamento, li stridi e il tumulto delle sue figliuole, de generi e nepoti; ahi quali io non posso patire, n mai so per sopportare, che gli sia fatto s grave danno et espresso torto, essendo elle tutte poverissime. S che, magnifico come patre honorandissimo, io mi trovo in questi travagli e guai, come ha inteso, n so con qual via me ne uscire, merc del mio ostinato patre, il quale, anchor che sia stato pregato da molti e diversi huomini da bene , non dimeno non vuole confessare de havere mal fatto, e pentirse del- lespresso torto che ha fatto alle sue figliuole. E se V. S. con una sua amorevol lettera non me aiuti , io so affatto affatto disperata. Ch il parentado vada innanzi , io non vi APPENDICE. 241 cognosco ordine alcuno , si per la villania usata , come ancho per le cative qualit da lui; et ancho perch, es- sendo successo tra noi queste male sodisfattone e rumori, io so certissima chio non ce harei mai un hora di bene; onde mi so resoluta per il meglio di non volere altrimente che il parentado segua. E per seguire questo mio buono proposito, la prego quanto pi so e posso, che mi dia aiuto e consiglio da removere mio patre dalla sua dura ostina- tione, la quale tengo al fermissimo, che per persuasione di V. S. lui lascier da parte, per haverla molto in os- servanza e riverirla da maggior suo osservandissimo. Io star ad aspettare che V. S. mi dia qualche consiglio, e che persuada a mio patre che non vogli, con tanto grave danno dellaltre sue figliuole, darmi questa discontentezza, facendosi tenere huomo partiale, crudele e senza piet al- cuna. E se tra questo mezzo io posso qualche cosa per lei, mi comandi da figliuola, che io sempre sar prontissima a suoi servigi, e perdonimi, se io non gli scrivo pi spesso, chi travagli mi tengano s occupata la mente, che alle volte io non so in questo mondo. Michelagnolo (1) se raccomanda insieme con Francesco a V. S. , mio patre e mia matre. Io gli bacio la mano; V. S. se degni raccomandarmi a Luisa e a tutti.  Di Gastei durante, l 4 ott.e 1558. (l) Michelangelo e Giovan Francesco, figli di Cornelia- FINE. La mente di Michelangelo. 16 * INDICE-SOMMARIO PARTE PRIMA. La Cappella Sistina. I. Michelangelo scopre gli affreschi della vlta della Sistina  Giulio II  Risposta di Michelangelo Pag . 3 II. La Sistina  il poema sacro dellarte  Suo riscontro col poema dantesco  Impressione prodotta in Roma appena la vlta fu scoperta  Incertezza sul concetto che lispirava .... Pag. 4 III. LItalia non ammir sinora che lesteriore del dipinto  Non si os, non si pot scrutarne il pensiero segreto  Architetti, pit- tori, letterati, storici, teologi, ciascuno lesamin sotto un aspetto particolare, senza abbracciarne il concetto generale  Molti coe- tanei supposero che velasse un mistero  Nessuno os pale- sarlo  Parole del Dolci nel Dialogo delle pitture  Quale pu essere il concetto segreto Pag. 6 IV. Rinascimento classico in Italia  Firenze centro del rinasci- mento filosofico e artistico  Lorenzo De Medici il Magnifico  Accademia Platonica  Politeismo religioso e filosofico  Cri- tica e razionalismo  Tendenza segreta ad una riforma reli- giosa  Genesto Pletone, Ficino  Rinascimento biblico  Pico, la Cabala e l antichit Ebraica  Reuchlino  La Bibbia Pag. 9 V. Michelangelo  accolto in casa dei Medici  Seduca alle dot- trine di Platone  Poliziano , Ficino , Pico della Mirandola gli spiegano il senso dei miti antichi  Gli suggeriscono i primi sog- getti delle sue opere Pag  16 244 INDICE-SOMMARIO. VI. Battaglia di Ercole e i Centauri  Significato simbolico  Morte di Lorenzo il Magnifico  Savonarola  Sue prediche  Impressione che ne riceve Michelangelo  Scolpisce il S. Gio- vanni, nunzio della nuova Redenzione Pag. 18 VII. Rivoluzione di Firenze  I Medici scacciati  Statua di David  Simbolo politico  Parole del Vasari intorno a questa statua Pag. 20 Vili. Primo soggiorno a Roma di Michelangelo  Alterna, come Dante, i soggetti dargomento classico a quelli biblici  LItalia non pu rinunziare all antichit classica del Paganesimo , che segna 1 epoca della sua grandezza  Come raffronto al David immagina la statua di Ercole che abbatte Caco  Sconforto del- l artista  Smette ogni lavoro  Tristizia dei tempi  Condi- zione infelice d Italia . Pag. 21 IX. Giulio II e Michelangelo  Due anime grandi che si compren- dono  Il sepolcro di Giulio e il sepolcro dItalia  Statua del Mos  Mos liberatore e legislatore  Giulio gli impone di di- pingere la vlta della Sistina Pag. 24 X. Dubitanza e timore di accingersi allimpresa, come Dante ad intraprendere il poema sacro  S accinge al lavoro  Rifiuta ogni aiuto  Lo termina Pag. 23 XI. Il Poema della Sistina e il Poema dantesco  IL parlar co- perto nella poesia, e il simbolismo nellarte  Detto del Roma- gnoli sul contrabbando delle idee  LItalia costretta da secoli a velare e dissimulare le sue idee  Linguaggio esoterico ed essoterico  Lepoca della luce  La nuova critica apre e schiara i misteri antichi Pag. 28 XII. Meraviglia prodotta nei coetanei quando scopr i dipinti della vlta  Impressione di sbalordimento e di terrore che destano tuttavia  Quale  il pensiero che li domina?  Una risposta fa- cile ma non convincente  Michelangelo abbandona ogni mito .ieratico e cristiano  Crea un nuovo simbolismo .... Pag. 30 XIII. Analisi del dipinto  Tre figure, tre protagonisti dominano la scena e porgono la chiave delloscuro poema  Amano, il Ser- pente di bronzo c Giona  Il falso crocefisso e il vero mar- tirio Pag. 34 XIV. Cosa rappresenta ciascuna di queste figure  Aman e il Ser- INDICE-SOMMARIO. 245 pente di bronzo aprono la prima parte del poema  Loro si- gnificato storico e simbolico  Significato dei medaglioni e delle diverse figure Pag. 36 XV. Giona apre la seconda parte del Poema  L uomo liberato dallorco  La vera redenzione  La nuova creazione  Sim- bolismo biblico  La Chiesa adultera e la Chiesa legittima  Il falso Cristo e il vero  La Chiesa futura  I Profeti e le Si- bille  La Giudea, 1 Ellenia e Italia  La Palingnesi umana  Daniele  Il giudizio dei popoli e dei re Pag . 40 XVI. Trent anni dopo  Vicende politiche  L Italia preda agli stranieri  Giulio II  Lega di Cambray  Francia e Spagna  Lotta eroica di Firenze contro Spagna e Clemente VII  La Ri- forma luterana  Tristizia dei tempi  Michelangelo, come sde- gnosa protesta , dipinge il Giudizio Universale Pag. 45 XVII. Laffresco del Giudizio  Giovane, scolp la lotta drcole contro i Centauri ; vecchio, il Giudizio sul Papato  Cristo de- nudato contrapposto al Cristo orpellato  La realt contro il sofismo e lipocrisia  Analisi del dipinto  S. Pietro respinto  La Grazia e la Legge  Condanna del Papato  I falsi Santi  La pelle o la maschera?  Il Vaticano e lantro di Averno  Messer Biagio custode del Vaticano  Gli Eletti  La nuova Chiesa e lantica  Un nuovo domma che sorge, lantico che cade  La scienza Pag. 48 XVIII. La Basilica di S. Pietro   il Paradiso della grande tri- logia michelangiolesca  S. Pietro compendia la Storia del Ri- nascimento   il vero tempio italico  Primo disegno della Basilica  Sangallo  Lo stile gotico  Il domma cattolico, il Medioevo e la sua Architettura  Oscurit e mistero  Luce e scienza  Lo stile italico  Brunelleschi  Il Rinascimento Pag. 55 XIX. Concetto di Michelangelo sulla Basilica  Vuol farne il tempio de templi  Ecletticismo italico  Umanesimo  Il vacuo sublime  La Cupola  Copernico  Bruno  Galileo  Lin- finito nel tempio, l infinito ne cieli Pag. 59 16 246 INDICE- SOMMARIO. PARTE SECONDA. HjtLonao, il figlio e il cittadino. I. Luomo spiega lartista  Opinione della Colonna su Michelan- gelo  Dote che privilegia luomo grande: confronti  Lunit della sua vita  La sua individualit  Si leva come modello al popolo italiano Pag. 65 II. Il figlio  Michelangelo nella vita domestica  Sue lettere al padre, al fratello  Lavora per la sua famiglia  Amorevolezze al padre, ai fratelli  Consigli al nipote per condurre moglie  Fierezza e cortesia  Liberale cogli altri, duro a s stesso Pag. 67 III. Rapporti suoi coi Papi  Sua indipendenza e fierezza  Aned- doti Pag. 74 IV. Il cittadino  Servilit dei letterati e degli artisti  Cortigia- neria e consorteria  Mecenati e servi  Diffcili condizioni in cui si trov Michelangelo  Assedio di Firenze  Il romanzo di Guerrazzi solo degno d unItalia libera Pag. 76 V. Firenze difesa da un artista e da un operaio  Michelangelo e Ferruccio  Operosit e oculatezza di Michelangelo  Cospira- zioni e tradimenti  Sospetti di Michelangelo Va a Ferrara, a Venezia per soccorsi  Ritorno a Firenze  Difesa  Sonetto politico  Caduta della Repubblica  Il guerriero ritorna artista  Lartista scampa dalla morte il repubblicano  Come riven- dica la libert oppressa Pag. 79 VI. I sepolcri medicei  Il Pensiero  Il Guerriero  Il Sonno , il Crepuscolo  Significato del Deposito  Il busto di Bruto Pag. 85 VII. Michelangelo si ritira a Roma Pag. 90 PARTE TERZA. "Vittoria, Colonna. I. Dopo la famiglia e la patria, la donna  Il femminile nella let- teratura italiana  Ad ogni poeta la sua donna uniti nella vita INDICE-SOMMARIO. 247 e nellimmortalit  Lamore nelluomo di genio  L ideale fem- minile ne poeti e artisti italiani Pag. 95 II. Lideale di Michelangelo e la sua teoria dellamore . . Pag. 98 III. La donna e gli artisti  Confronti  La donna dell Evangelo e la biblica  La donna forte ove trovarla? Pag . 102 IV. Let dei forti amori  Le tre fasi damore descritte da Dante  Il simbolismo dantesco realizzato nella vita di Michelangelo  Suo primo incontro con Vittoria Colonna Pag . 106 V. Ritratto della Marchesana Pag. 110 VI. Fasi diverse del loro amore  Dallidillio al misticismo e al- lelegia Pag. ili VII. Michelangelo invia a Vittoria lavori darte  Le fece il ri- tratto? Pag. 119 Vili. Lanimo della Colonna   il tipo della donna del Rinasci- mento Pag. 121 IX. Sue nozze col Pescara  Sua vedovanza Pag. 123 X. Si ritira in un monastero  Soggiorno di lei a Ferrara, a Na- poli, a Viterbo e a Roma Pag. 125 XI. Sue idee religiose  Movimento della riforma religiosa in Italia Pag. 128 XII. Feroce guerra di Paolo III contro i Colonna  Resistenza e di- sfatta dei Colonna  Ultima lettera di Vittoria a Michelangelo Pag. 131 XIII. Sua malattia e sua morte . Pag. 138 XIV. Michelangelo dopo la morte di Vittoria  Egli pure  invaso dal pensiero della morte Pag. 140 XV. Si concentra nel lavoro della Rasilica * Pag. 141 XVI. Le sue ultime poesie  Combattimento interno  Fede e dub- bio  Fatalit  Libero arbitrio  Predestinazione e provvi- denza  Edipo a Colono  Il Manfredi di Byron e Michelangelo alle prese colla morte  Sua morte Pag. 143 XVII. Esequie  Benvenuto Cellini  Tramonto d un secolo Pag. 149 248 INDICE-SOMMARIO. PARTE QUARTA. Lartista. I. Artista e pensatore  Il suo genio campeggia sovrano nellarte  I geni dellumanit  Luomo del presente, luomo dellavvenire  I geni profetici pag. 153 II. L arte per l arte e l arte-pensiero  Michelangelo imprime forma all idea , determina l indeterminato : dipinge col cer- vello Pag. 156 III. I suoi dipinti sono il moto, la passione  Il manierismo  Il realismo volgare e il grande realismo  Lantropomorfismo greco e quello di Michelangelo  Il sentimento della natura in Michelangelo  Ama la natura e loltrepassa  La grande arte per lui  luomo  Luomo individuo, luomo nella storia Pag. 158 IV. Ne suoi dipinti conviene cercare il pensiero  I libri a cui sispirava Pag. 161 V. La Bibbia  Dante, Savonarola e Platone  La Bibbia proibita dal Papato  Antinomia tra il falso Cristianesimo e le dottrine politiche e morali dellantico Testamento Pag. 163 VI. Le eresie del medio evo  Gergo antipapale e Ghibellino  * Rossetti  Nuovo commento di Dante Pag. 167 VII. Riformatori italiani  Rinascimento classico e biblico  Eclet- ticismo filosofico  Conciliazione religiosa Pag. 170 Vili. Savonarola e la Riforma  I focolari della Riforma in Italia  L Oratorio del Dioino Amore  Il Congresso di Vicenza del 1515 Pag. 175 IX. Reazione cattolica, persecuzioni  Effetti della reazione sulle arti Pag. 179 X. Larte  la coscienza dItalia e la sua parola  Michelangelo raccoglie il pensiero del Rinascimento Pag. 81 INDIDE-SOMMARIO. 249 PARTE QUINTA. Le sue opere. I. Michelangelo e Goethe: Michelangelo domina, come Goethe, il suo secolo  Vive la vita del suo secolo  Concetto religioso e sociale che ispirarono le sue opere  Il Tondo  La famiglia mistica e la reale  Il gruppo della Piet  La passione di una madre  Il Deposito della Croce  Il vecchio e il nuovo Cristo Pag. 185 II. Ancora la vlta della Sistina e il Giudizio Universale  Opi- nioni del Michelet e del Castelar  Il nuovo simbolismo  Si espli- cano meglio le principali figure della vlta Pag. 189 III. Ancora del Giudizio Universale  La Rivoluzione che atterra ed edifica  Pcig  196 PARTE SESTA. Il pensatore e lEresiarca dell Arte. I. Segreto di Michelangelo  Lambiente  La lunetta della vlta  Loqui prohibeor et tacere non possum Pag. 199 II. Quale fu la religione da lui professata?  Opinioni diverse Pag. 201 III. Suoi sonetti e stanze contro Roma papale  Michelangelo sera scisso dal Cristianesimo? Pag. 204 IV. Lotta tra il dubbio e la fede  Il Cristianesimo storico e il Cristianesimo ideale  L Evangelo storico e l Evangelo eterno  La essenza delle religioni Pag. 208 V. Segue lo stesso argomento  Oziosit delle discussioni sulla bont o meno di un culto  Il culto del vero, del bello, del buono Pag. 212 VI. Artisti-sacerdoti  Eclettismo religioso di Michelangelo Pag. 214 VII. Ritorno nella Sistina  Limmanenza del divino nellumanit  Larte perenne e i suoi tipi  I Rapresentatives Mens  Sim- bologia dellUmanesimo e gli uomini che rappresentano lUrna- 250 INDICE- SOMMARIO. nit  Il Giudizio Universale e la Rivoluzione  Mausoleo di Giulio II  La sublimazione della materia Pag. 215 Vili. Conciliazione fu lultima parola della Rinascenza  Eleva- zione fu il motto dellarte michelangiolesca e dovrebbe esserlo del Rinnovamento italico  Il realismo moderno e il realismo di Michelangelo  Levoluzione dominata dal Pensiero  Michelan- gelo precursore dellarte futura Pag. 219 EPILOGO. Tre periodi della sua vita  Triplice serie di opere: quelle del- l et giovanile, dell adulta e della vecchiaia  Suo intento  Si epiloga nel Mos, nella Basilica di S. Pietro, tempio dellU- manit  Influenza da lui esercitata nellarte  Giudizio di Boito  Reazione cattolico-spagnuola  Servilismo  Ipocrisie  Finzioni spettacoli e apparenze  Il barocco  Larte che lu- singa, fiacca, sopprime il pensiero  La musica, arte della de- cadenza  Michelangelo combatte il convenzionalismo e le fin- zioni  Inizia larte libera  Leresiarca dellarte  Dante rias- sume il medio evo; Michelangelo corona la Rinascenza, inau- spica il Rinnovamento  Da lui si devon prendere gli auspici  Come ricre Roma artistica , la sua mente potrebbe rinnovare Roma morale e politica Pag. 227 Appendice Pag. 237 GETTY RESEARCH INSTITUTE 3 3125 01295 7128 OPERE DELLO STESSO AUTORE Patria f. Affetti  Liriche. Emma Liona o I Martiri di Napoli nel 1799  Dramma storico. Lunit Cattolica e lunit Moderna  Questione Ro- mana. Democrazia e Papismo  Questione Romana. Il Profeta o la Passione di un popolo  Poema-Dram- matico. Martirio e Redenzione  Canti patrii. Ausonia.  Vita dAzione. Vita di Pensiero  Ricordi e Liriche. Demeter. Cuor di Madre  Racconto in versi, e saggio sullIdeale Femminile in Italia. Lo Stato in Italia  Nuovo programma. Il Femminile Eterno. Canto dei Cantici  La donna nelle civilt dei popoli.Michelangelo Buonarroti Simoni. Keywords: the theory of everything. Refs.: “Grice e Simoni.” Simoni.

 

Luigi Speranza -- Grice e Simoni: la ragione conversazionale degl’ ‘eretici’ reazionari italiani – gl’acuti – i nobili – filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Lucca). Filosofo italiano. Lucca, Toscana. Studia con BENDINELLI e PALEARIO, due umanisti in dore d’eresia. Il secondo fine sul rogo a Roma. Legge sostenuto dal padre e dal patrizio veneziano MOCENIGO e peregrina nei maggiori studi d'Italia: Bologna, Pavia, Ferrara, e Napoli. Si laurea a Padova. Diversi ma tutti autorevoli i suoi professori: da MAGGI a CARDANO, da BOLDONI a BRASAVOLA. La sua formazione e di stampo del LIZIO, come s'insegna nello studio padovano, con una forte esigenza razionalistica che ha riflessi nel campo religioso, tale da mettere in dubbio l'immortalità dell'anima e a creare sospetti di eresia tra i professori e gl’studenti di quella università. Con questa preparazione, S. fa ritorno a Lucca, dove scrive saggi di argomento filosofico. Lucca ha vissuto un periodo concitato d’aperti conflitti sociali e poi di tentativi di riforme politiche, portate avanti dal gonfaloniere BURLAMACCHI e dal circolo di filosofi riuniti intorno a VERMIGLI. Quando ritorna a Lucca, quella fervida attività è già stata spenta dalla reazione cattolica guidata da GUIDICCIONI, ma certo quelle idee di riforma circolano ancora sotterraneamente, e forse lui stesso le ha già raccolte durante i suoi trascorsi nelle diverse università da lui frequentate. Sta di fatto che è chiamato dall’autorità lucchesi a dare spiegazioni sulle proprie opinioni. Per tutta risposta non fidandosi troppo delle sue forze, cerca la salvezza con la fuga. Munito solo di un cavallo e dei propri risparmi, dopo aver preso commiato dalla famiglia, fugge, accompagnato da un servitore, alla volta di Ginevra. Negl’atti ufficiali della repubblica di Lucca, la sua condanna per eresia si formalizza. A Ginevra, patria del calvinismo, si forma una numerosa colonia di emigrati italiani e tra questi non pochi sono i lucchesi. La comunità italiana è inserita in una propria chiesa e S. vi ha l'incarico di catechista. Preso a benvolere dall'influente teologo BEZA, ottenne di insegnare filosofia: un incarico dapprima senza compenso, poi retribuito insieme con la nomina a professore. Anche il padre Giovanni si stabilì a Ginevra. In quello stesso periodo gli venne aumentato lo stipendio, ottenne un alloggio gratuito e, nell'accademia è istituita appositamente per lui la cattedra. Pubblica saggi. Presso Crespin apparve il suo “In librum Aristotelis de sensuum instrumentis et de his quae sub sensum cadunt commentarius unus” è il commento al “De sensu et sensibilibus” di Aristotele. In esso define la verità filosofica -- una premessa tipica del lizio padovano ma poi cerca di dimostrare che la ragione, indagando la natura, può giungere al divino, rivelando le verità di fede. In tal modo, sostiene che anche ogni questione ha natura razionale e, qualora sorgano contrasti, la ragione è in grado di comporli, indicando la via da seguire per una corretta interpretazione. Una conseguenza, seppure non esplicita nel commento, della prevalenza della ragione sulla fede, è che il dogma espressione della tradizionale sub-ordinazione della ragione alla fede non ha motivo di esistere. Il suo LIZIO che poco concede alla teologia si conferma con i successivi commenti all'Etica Nicomachea e al De anima, mentre S. condusse una lunga e dura polemica contro il filosofo Schegk. Questi, proprio all'opposto del S. usa argomenti tratti dalla scolastica per dimostrare la realtà della teoria, allora caldeggiata in ambienti luterani, della ubiquità del corpo di Cristo. S. risponde con argomenti di carattere fisico dimostrando l'irrealtà di tale assunto. Un olo corpo fisico non può che occupare, nello stesso tempo, un unico spazio determinato. Anche Cristo, in vita, e soggetto alla legge naturale. Dopo la morte, Cristo mantenne soltanto una natura divina. Non è sostenibile l'idea che il divinopossa mutare una legge naturale in legge trans-naturale o sovra-naturale. Ente perfetto e primo motore immobile come lo delinea Aristotele il divino agisce sulla natura unicamente attraverso la sua perfezione che indirizza al bene gl’esseri naturali. Il suo carattere collerico e l'alta considerazione che ha di sé lo porta a una lite clamorosa con BALBANI, un altro lucchese. Durante il matrimonio della figlia di questi, S. lo copre d'insulti, con grave scandalo delle autorità di Ginevra, che fanno imprigionare S. e lo espulsero dall'accademia. A nulla valsero le suoi scuse presentate -- è del resto probabile che la severità del consiglio e del Concistoro ginevrino e motivata anche dalla freddezza e dallo suo spirito d'indipendenza dimostrato che pure si dichiara calvinista in materia di religione. Tuttavia BEZA gli mantenne ancora la sua amicizia e lo forne di una lettera di raccomandazione con la quale si dirige alla volta di Parigi.  A Parigi ottenne una buona accoglienza. I calvinisti qui chiamati ugonotti sono ancora tollerati e le lusinghiere referenze gli fanno ottenere una cattedra di filosofia al collège royal, dove le sue lezioni ottenneno subito un grande concorso di pubblico. Come scrisve a BEZA, alle sue lezioni assistevano sei o settecento uomini barbati, dottori, professori, et altri di robba lunga, preti, frati, giesuiti et altra simil razza d'uomini. Si ha congratulazioni di RAMO, che volle incontrarlo e lo chiama “felicissimum et praestantissimum ingenium italicum”, non però quelle del collega CHARPENTIER, che teme che fosse stato mandato da Ginevra per turbare questa scuola. Sa che la sua permanenza a Parigi è precaria. Il nome di Ginevra mi nuoce più che il nome di ugonotto -- né puo valere molto la protezione del cardinale COLIGNY, passato al calvinismo. Rifere di aver rifiutato offerte sostanziose da parte cattolica per insegnare in loro collegi, a prezzo di una sua conversione, e di attendersi un prossimo editto che affronta il problema della convivenza tra cattolici e ugonotti.  Un editto effettivamente ci e, emanato da Carlo IX, con il quale si proibe ai protestanti l'insegnamento pubblico. Così, perduti anche i suoi saggi che gli furono sequestrati, e costretto ad abbandonare la Francia. Si apre un nuovo periodo di difficoltà. Non potendo insegnare a Ginevra, cerca di ottenere un incarico a Zurigo e a Basilea, sollecitando in tal senso altr’emigrati italiani come l'editore PERNA e il filosofo umanista CURIONE, ma invano. I sospetti di anti-trinitarismo che gravano sul suo conto, da quando fa visita nel carcere di Berna all'eretico GENTILE  poco prima che questi venisse giustiziato, e il recente scandalo provocato a Ginevra non agevolavano il suo inserimento nelle élite filosofica delle città svizzere.  Ottenne bensì una raccomandazione da BULLINGER per un posto di insegnante a Heidelberg, ma anche qui rimane poco tempo. La sua amicizia con l'anti-trinitario ERASTO, il suo a LIZIO senza compromessi dal nulla, nulla si crea, sostenne in una pubblica lezione, cosicché anche Cristo era stato creato dal divino Padre e il suo carattere spigoloso gl’alienarono ogni simpatia e dove riprendere la via di Basilea. Ottenne una cattedra straordinaria di filosofia a Lipsia. Se puo fregiarsi della stima d’Augusto I, non eguale considerazione ottenne dai suoi colleghi, che fanno gruppo a sé e lo isolarono. Non si perde d'animo. Molto popolare tra gli studenti per la vivacità delle sue lezioni e lo spirito critico che infonde negl’allievi, fonda, all'interno dell'Università, un'accademia sul modello umanistico italiano, battezzandola degl’acuti. Degl’acuti, entra a far parte un gruppo di suoi studenti. Le discussioni dovevano vertere sulla interpretazione di passi del LIZIO i filosofi così raggruppati intorno a lui dettero ben presto dello spirito critico e dell'idea di esser superiori agl’altri, che il vivace professore finisce per insinuare nei loro animi. Pasquinate anonime contro un professore, e un litigio clamoroso tra questo e S., iniziano una serie di incidenti che ha termine con la soppressione degl’acuti. La soppressione degl’acuti, decisa dal senato universitario, testimonia i difficili rapporti intercorrenti tra l'università e lui, che per altro in città era reputato ospite illustre, professionista affermato e ricercato, uomo di mondo e di cultura dalla posizione prestigiosa, che gode della stima e del rispetto dei suoi concittadini, e la cui fama oltrepassa la frontiera del paese che gli dava ospitalità. Infatti, oltre a insegnare filosofia e ad avere allievi anche illustri, come il prìncipe RADZIWIŁL, esercita la professione medica, vantando clienti di riguardo. Pubblica il suo saggio filosofico più originale, la “De vera nobilitate”, dedicato ad Augusto I. La vera nobiltà è la virtù (ANDREIA) dell'anima umana, la quale è intesa alla maniera del LIZIO, come forma del corpo. La virtù dell'anima è perciò strettamente legata alla particolare costituzione del corpo, trasmessa nell'individuo di generazione in generazione dal seme del padre, che costituisce la causa efficiente del singolo essere. Non per nulla da ‘genere’ deriva ‘generoso’. Se pure non ogni nobile è generoso, chi è generoso è considerato nobile. Le differenze sociali tra gl’uomini e le conformazioni dei loro corpi sono egualmente corrispondenti per necessità naturale. La natura vuole infatti fare diversamente il corpo dei liberi da quelli dei servi. Questi robusti e con deformità necessarie al loro particolare utilizzo. Quelli diritti e belli, perché non desti tali fatiche, ma alla vita civile. L’educazione svolge una funzione per la formazione dell'uomo, ma resta inferiore a quella naturale. Di due uomini, di diversa estrazione sociale ma educati allo stesso modo, il nobile risulta meglio formato, in quanto la natura lo ha costituito di una materia superiore. L'educazione ha lo stesso effetto della medicina. Fa recuperare la propria condizione di salute, ma non può migliorarla oltre il limite fissato dalla natura. Viene da sé che le famiglie nobili d’Italia diano lustro alla nazione italiana, formando l'élite della società civile sotto l'aspetto culturale e politico. Questo avviene nella nazione italiana, di antica civiltà in sostanza. Presso i barbari non può esistere nobiltà. Il barbaro e giustamente detto servo per natura e in quanto servo non porta in lui nessuna virtù, essendo nato per servire sotto una tirannia e non in un regio e civile governo. La virtù dei nobili non possono consistere nell'accumulare ricchezze, ma essa e ugualmente attiva e pratica. E la virtù civili del politico, che si occupa del benessere dei cittadini, quelle del medico, che si occupa della salute degl’individui, del fisiologo, che studia la natura e infine del metafisico, che studia le cose divine. Queste ultime, insieme alla virtù della contemplazione, è però meglio riservarle nella vita che ci attende dopo la morte, quando quei problemi saranno facilmente risolti. Queste cose sono irrise dai politici, tra i quali, non tra gl’angeli, si discute di nobiltà. Nel frattempo, è opportuno dedicarsi alle cose di questo mondo ed essere utili alla società degl’uomini. Si loda Socrate il quale, trascurate le altre parti della filosofia, coltiva quella sola che era più adatta ai costumi degl’uomini e alle istituzioni civili. Che la vera nobiltà si debba esprimere nell'attività pratica e civile è ribadito più volte. La nobiltà spunta fuori dalla società civile, non dalla solitudine e la virtù spirituale, come quelle mostrate dai mistici e dai contemplativi, non e virtù nobile propria dell'essere umano. Questa virtù discende direttamente dal divino e perciò non derivano da generazione spermatica naturale del padre, non sono frutto della carne e del sangue il fondamento della vera nobiltà e non essendo ereditarie non puo essere considerata virtù nobile. Naturalmente, ai innobili non possono essere affidati incarichi di responsabilità nel governo della società, ma al più solo l'esercizio di magistrature minori. Derivando dal sangue la nobiltà, non si può diventare autenticamente nobili attraverso conferimenti onorifici, anche se concessi d’un sovrano mentre, al contrario, un autentico nobile non può essere privato della fama e dell'onore, perché in lui opera sempre quella forza e quell'efficacia naturale ricevuta dai suoi antenati. Dopo questa applicazione dei principi del LIZIO al vivere civile e al governo dello stato, che deve essere affidato a chi per natura fa parte degl’ottimati, si dedica a trattare temi propriamente medici. Appare a Lipsia il suo “De partibus animalium” ove descrive la conformazione del feto, la “De vera ac indubitata ratione continuationis, intermittentiae, periodorum febrium humoralium”; l'”Artificiosa curandae pestis methodus” ; la “Synopsis brevissima novae theoriae de humoralium febrium natura” -- temi di drammatica attualità, a Lipsia, investita da un'epidemia di peste. Ottene il permesso di esercitare la professione medica all'interno dell'università, pur senza ottenere, oltre quella straordinaria di filosofia, anche una cattedra di medicina. Presenta ad Augusto I una proposta di riforma universitaria. S'indica la necessità di una maggiore cura nell'assunzione dei professori, che dovevano dimostrare non solo di possedere la necessaria scienza, ma anche capacità didattiche. Dovevano anche essere obbligati a tenere un maggior numero di lezioni s'imponevano multe ai professori inadempienti mentre la durata dell'anno accademico venne prolungata.  Particolare cura dedica all'insegnamento. Dovevano tenere lezioni V professori, tra i quali un chirurgo che avrebbe tenuto esercitazioni di anatomia e fatto dimostrazioni pratiche di cura delle diverse affezioni. La qualità dell'insegnamento teorico anda migliorata. Ritene che corressero troppe affermazioni dogmatiche, che sarebbero dovute essere verificate dalla pratica e dal rigore della dimostrazione dialettica. A questo proposito opina che avrebbe giovato un'accurata conoscenza delle opere del LIZIO. Non mancano poi critiche severe sull'attuale andamento a Lipsia. I rettori sono scelti grazie alle loro aderenze, si promuovevano studenti immeritevoli, vi è scarsa pulizia, la farmacia universitaria è mal tenuta. Tali proposte e simili critiche non potevano che alimentare ancor più l'ostilità dei colleghi. Egli non sembra preoccuparsene. La stima dell'Elettore Augusto si mantene immutata, se lo fa nominare Professore di filosofia e lo promuove a suo primo medico personale. Avvenne tuttavia che, su sollecitazione della chiesa luterana, la quale prepara una confessione di fede che in particolare tutti funzionari e gl’impiegati, a vario titolo, dello stato avrebbero dovuto firmare, l'elettore pretese tale sottoscrizione anche dal professor S., ottenendone un netto rifiuto. Racconta lo stesso S. che, avendo rifiutato costantemente di sotto-scrivere quella che i teologi sassoni denominarono Formula di Concordia, il Principe Elettore rivolge il suo sdegno contro di me. Al che S. decide di andarsene e, nonostante l'Elettore cerca d'impedirlo, da l'ultimo saluto a quelle popolazioni. Si trasfere a Praga, dove venne assunto quale medico personale di Rodolfo II. Tale incarico e il carattere cattolico dell'Impero di cui era ora suddito rendeva necessario un chiarimento sulle sue posizioni religiose, poiché è nota la rottura avvenuta a Ginevra con i calvinisti e a Lipsia con i luterani. S. si adegua facilmente alla nuova situazione e abiura pubblicamente le passate convinzioni, ritratta quanto nei suoi scritti poteva esservi di eretico e abbraccia formalmente il cattolicesimo. Si tratta di una scelta di convenienza, seppure comprensibile nel clima torbido delle persecuzioni e dell'intolleranza. Lo scrive lui stesso all'amico Selnecker, un teologo luterano. Confesso di aver abiurato, anche se non avrei voluto farlo neppure a costo del mio sangue. Di tale mio atto altri comunque sono i responsabili. In nessun altro modo avrei potuto infatti salvare la mia vita, quella di mia moglie e dei miei figli che speravo di poter condurre con me. La moglie muore poco dopo e i tre figli rimasero affidati a Lipsia al nonno materno. Io, un italiano perseguitato a causa della religione luterana, dichiarato nemico della patria, esposto per decreto del senato all'agguato di sicari. E ricorda la sorte di chi non si è piegato a compromessi. I che vidi con questi occhi il Paleologo, esule per causa di religione, condotto su richiesta del legato pontificio dalla Moravia a Vienna, e di qui trascinato in catene a Roma (si sente dire che ormai è stato crudelmente arso sul rogo), io che sono circondato da ogni parte da infinite difficoltà e pericoli di ogni genere, che cosa avrei dovuto fare? Questa lettera non venne agl’occhi dei gesuiti, che vantarono il successo ottenuto con la presunta conversione del filosofo famoso, il quale avrebbe promessoa dir lorodi collaborare nella lotta agl’eretici. La loro soddisfazione non dovette però durare a lungo, o forse essi stessi credettero poco alla conversione del S., se lo storico gesuita SACCHINI puo qualificarlo di miserabile uomo che in disprezzo di ogni religione sprofonda nell'empietà, mentre tra i protestanti BEZA, alla notizia della sua conversione, commenta di essere sempre stato convinto che l'unico divino è in realtà Aristotele, del Lizio. Monau, dopo aver ricordato i suoi continui trascorsi da cattolico si è fatto calvinista, da calvinista anti-trinitario, da anti-trinitario luterano, e ora di nuovo papista. Lo stratteggia da uomo profano ed empio, come indicano sia i suoi costumi, sia i suoi discorsi, sia tutta la sua vita. Forse egli stesso sente di essere circondato da un clima di diffidenza se non di disprezzo, perché prende la risoluzione di lasciare le terre dell'impero per trasferirsi in Polonia.  Sembra che sia stato un altro italiano, BUCCELLA, medico personale del re Stefano Báthory, a raccomandarlo come medico della corte di Cracovia. BUCCELLA, di fede anabattista, gode di notevole considerazione, né la sua fama d’eretico gl’aveva pregiudicato l'esercizio della professione in quella Polonia che era ancora un paese tollerante. Il prestigioso incarico e la fama stessa di cui da tempo gode gl’apre le porte della migliore società. Riprese a pubblicare alcuni saggi: la “Disputatio de putredine” è una confutazione, sulla scorta di Aristotele del Lizio, delle teorie d’Erasto, mentre la “Historia aegritudinis ac mortis magnifici et generosi domini a Niemsta” è una relazione sulla morte di un borgomastro. Sulla malattia di quest'ultimo torna nel “Simonius supplex” insieme con una delle solite polemiche che lo videro ora opporsi al medico di SQUARCIALUPI. Una nuova svolta nella sua  si verifica con la malattia e la morte del re Stefano. Báthory si sente male nel suo castello di Grodno, e nel consulto tenuto da BUCCELLA e da S. emersero serie divergenze. BUCCELLA giudica molto grave le condizioni di Stefano. S. ritenne che non ci è nessun pericolo. Due giorni dopo le condizioni del re si aggravarono e i due medici si trovarono d'accordo nell'imporre un salasso al re ma in contrasto sulla dieta. S. e favorevole a fargli bere del vino, che BUCCELLA intende invece proibire. Nemmeno nella diagnosi si trovarono d'accordo. Per BUCCELLA, il re soffre di asma. Per S., d’epilessia. Sopravvenne una nuova grave crisi e il re perde conoscenza. Pur giudicando molto gravi le sue condizioni di salute, S. rassicura i circostanti, perché, a suo dire, non c'è ancora pericolo di morte. Appena pronunzia queste parole che il re spira. Lascia il castello e non volle assistere all'autopsia, sostenendo che è inutile, poiché l'epilessia “ab infernis partibus ducit originem” e non lascia tracce nel cadavere. Coordinata da BUCCELLA, l'autopsia è effettuata da Zigulitz, che accerta una grave alterazione dei due reni. La ri-cognizione dello scheletro di Báthory conferma che la morte avvenne per de-generazione renale, uremia e calcolosi. Cracovia: chiesa di San Francesco pubblica a sua difesa lo “Stephani primi sanitas, vita medica, aegritudo, mors” che e violentemente contestato dal “De morbo et obitu serenissimi magni Stephani” scritto da Chiakor su ispirazione di BUCCELLA. La polemica prosegue a lungo, coinvolgendo altr’amici di BUCCELLA, e degenerando in insulti e attacchi sulle convinzioni filosofiche dei due protagonisti. Contro S., tra gl’altri, e indirizzato l'opuscolo “Simonis Simoni lucensis, primum romani, tum calviniani, deinde lutherani, denuo romani, semper autem athei summa religio”. Alla fine, Sigismondo III ri-conferma BUCCELLA nella carica di medico curante, escludendo S. da ogni incarico di corte. Da allora, le notizie su lui si fanno scarse. Pur senza avere incarichi ufficiali, mantenne una ricca clientela e gode della considerazione di  Rodolfo, dei principi Radziwiłł, di Pavlowski e dei gesuiti, dai quali si fa ri-ilasciare un salva-condotto per rientrare in Italia e recarsi a Roma. Precauzione necessaria, con i suoi trascorsi: una precauzione maggiore e però quella di rinunciare al viaggio. La sua vita agitata ha così fine a Cracovia, come lo ricorda la lapide posta sulla sua tomba nella chiesa di S. Francesco. La data di nascita si deduce dalla lapide sepolcrale, poi andata distrutta in un incendio, posta nella chiesa di S. Francesco, a Cracovia, nella quale era scritto che il Simoni «ultimum diem clausit III.” Il testo della lapide è in S. Ciampi, Viaggio in Polonia, Queste notizie biografiche si apprendono da saggio di S., “Scopae, quibus verritur confutation”. Per secoli gli storici discuteno del luogo della sua nascita. Verdigi, “S. filosofo e medico”, Madonia, “S. da Lucca”; Lucchesini, Come scrive egli stesso: S., “Synopsis brevissima” Madonia, S. da Lucca,  Tommasi, “Sommario della storia di Lucca”;  Pascal, “Da Lucca a Ginevra. Studi sull'emigrazione religiosa lucchese”; Fabris, “La filosofia di S.” n Verdigi, S.,  S. S. a Teodoro di Beza, in Pascal, Da Lucca a Ginevra, e in Verdigi, S. S. a Beza, in Verdigi, S., Madonia, S. Pierro, La vita errabonda di uno spirito einquieto. S. S. S., “Simonius supplex”  in Madonia, S. da Lucca, Firpo, Alcuni documenti sulla conversione al cattolicesimo dell'eretico lucchese. Il paleo-logo e decapitato in carcere  e il cadavere arso pubblicamente a Roma, nel campo de' fiori. Firpo, Alcuni documenti sulla conversione al cattolicesimo di un eretico lucchese; Sacchini, Historia Societatis Jesu, in Verdigi, S., Beza, lettera a Gwalther, in Pascal, Da Lucca a Ginevra, Monau, lettera a Crato, in Caccamo, “Eretici italiani” Pierro, La vita errabonda di uno spirito inquieto. S., Madonia, S. da Lucca. Altre saggi: “In librum Aristotelis de sensuum instrumentis et de his quae sub sensum cadunt commentarius unus” (Geneva, Crispinum); “Commentariorum in Ethica Aristotelis ad Nicomachum, liber primus” (Geneva, apud Ioannem Crispinum); “Interpretatio eorum quae continentur in praefatione Simonis Simonij Lucensis, Doct. Med. et Philosophiae cuidam libello affixa, cuius inscriptio est: Declaratio eorum quae in libello D. D. Iacobi Schegkii, et c.” (Geneva, Crispinum); “Phisiologorum omnium principiis Aristotelis De anima libri III” (Lipsiae, Võgelin); Anti-schegkianorum liber I, in quo ad obiecta Schegkii respondetur, vetera etiam non nulla, dialectica et phisiologica praesertim, errata eiusdem, male defensa et excusata inculcantur, novaque quam plurima peiora prioribus deteguntur” (Basilea, Perna); “Responsum ad elegantissimam illam modestissimamque praephationem Schegkii, cui titulum fecit Prodromus antisimonii”; “Ad amicum quendam epistola, in qua vere ostenditur, quid causae fuerit, quod responsum illud, quo maledicus, et multis erroribus refertus Schegkij doctoris et professoris Tubingensis liber plene refellitur, nondum in lucem prodierit” (Pariggi, in vico Jacobaeo); “De vera nobilitate” (Lipsiae, Rhamba); “De partibus animalium, proprie vocatis Solidis, atque obiter de prima foetus conformatione” (Lipsiae, Rhamba); “De vera ac indubitata ratione continuationis, intermittentiae, periodorum febrium humoralium” (Lipsiae, Bervaldi); “Artificiosa curandae pestis methodus, libellis duobus comprehensa” (Lipsiae, Steinmann); “Synopsis brevissima novae theoriae de humoralium frebrium natura, periodis, SIGNIS, et curatione, cuius paulo post copiosissima et accuratissima consequentur hypomnemata; annexa eiusdem autoris brevi de humorum differentiis dissertatione. Accessit eiusdem Simonis examen sententiae a Brunone Seidelio latae de iis, quae Jubertus ad axplicandam in paradoxis suis disputavit” (Basilea, Perna); “Historia aegritudinis ac mortis magnifici et generosi domini a Niemsta” (Cracovia, Lazari); “Disputatio de putredine” (Cracovia, Lazari); “Commentariola medica et physica ad aliquot scripta cuiusdam Camillomarcelli SQUARCIALUPI nunc medicum agentis in Transilvania” (Vilna, Velicef); “Simonius supplex ad incomparabilem virum, praeclarisque suis facinoribus de universa republica literaria egregie meritum Marcellocamillum quendam Squarcilupum Thuscum Plumbinensem triumphantem”; “Pars  in qua de peripneumoniae nothae dignitione curationeque in domino a Niemista, de subiecto febris, de rabie canis, de starnutamento, de infecundis nuptiis agitur” (Cracovia, Rodecius); “D. Stephani primi Polonorum regis magnique Lithuaniae ducis vita medica, aegritudo, mors” (Nyssae, Reinheckelii); “Responsum ad epistolam cuiusdam G. Chiakor Ungari, de morte Stephani primi”; “Responsum ad Refutationem scripti de sanitate, victu medico, aegritudine, obitu, D. Stephani Polonorum regis, Olomutii, Scopae, quibus verritur confutatio, quam advocati Nicolai Buccellae Itali chirurgi anabaptistae innumeris mendaciorum, calumniarum, errorumque purgamentis infartam postremo emiserunt (Olomutii, Milichtaler); Appendix scoparum in N. BUCCELLAM, Sacchini, Historiae Societatis Iesu” (Antverpiae, Nutii); Ciampi, “Viaggio in Polonia” (Firenze, Gallett); Lucchesini” (Lucca, Giusti); Tommasi, Sttoria di Lucca” (Firenze, Vieusseaux); Pascal, “Da Lucca a Ginevra. Studi sull'emigrazione religiosa lucchese” -- Rivista storica italiana, Cantimori, “Un italiano a Lipsia” Studi Germanici -- Pierro, La vita errabonda di uno spirito inquieto, Minerva, Torino; Caccamo, “Eretici italiani” (Firenze, Sansoni); Firpo, “Alcuni documenti sulla conversione al cattolicesimo dell'eretico lucchese S.”, “Annali della Scuola normale superiore di Pisa,  Madonia, Rinascimento, Firenze, Sansoni, Madonia, Il soggiorno in Polonia, in «Studi e ricerche I», Verdigi, Lucca, Tiraboschi su S., in Biblioteca Modenese, Modena,  Ciampi, Viaggio in Polonia, Lucchesini, Della storia letteraria del Ducato lucchese,  Tommasi, Sommario della storia di Lucca,  su S. Antischegkianorum liber I. S., De vera nobilitate; S/ Artificiosa curandae pestis methodus. I 4*F* SIMON IS SI- MONI I LVCENSir D O C T. ME D. E T P H I L, COM M EN TAXI OR V rfti IN ETHICAARIST. AD KICOMA- CHVM,LIBBRPRIMVS: Inquo,omniafereargumenta adPoliticam homfnis Foe- lieitatem proponcitdam pertinencia, tnt&antur, ^ D I LLVSTRI S S. P R I NCI PEM D, CHRIST OPHORVM.PALATINV.M,ILLVSTRJ$S. atquc Excellentjfi.Princijj'vs D.fkide&ici Comim ' &Eie3oruFilittm i Bavaril)Hcem i &'c. 'Com Indite rerun, omniaaipewa&atarumlocupkttfsimo. *  G ' H" E V AEi *ipvn VO^iNNEM CRISPINVM.  *& T^ 2 - zed by G00gle \ * EI? S I M 1 N A" T O N S I Af ft NION T A NdJJTJKof olffJta&axbf Jitvaposw As at KctMgi E/* 0* A* A etflfetAtf A rum modb quod Tceliatatis vj, naturaq, bene coprehenfa,incredibik virtutumamore wcendi pofiimus^ad eafy nobis comparandas ,fummo quodam Sludio incitarijed quoniam ctiamfola ipJiusccgmtio,adituntnobti odea qwt de totohocge- nere Vhilofophi* abAriflotele traditafmt percipiendaipateface- repoffe videattir.Quamettam obrem^erendum tnihi initio futt-> ne nofier hie fetus, wfuam tenuitatem exiguitatcmque , in tanta  diofumcomentmorinh turba, non admodnm cohfyicuus appare- nt, imb plane pro mdlohaberetmSedanwaduerti^ colter yt\ii. Digitized by GoOgle * epistola; tis diligftet omnibus, cum tabonum ^fgrandea nobis cmitti, vt fuum ipfe quoque locu inter Adultiores comode tuerijatifque emi nerevalcatScripfcrut white librii innumerabiles:prope virhquo- ru tame maximaex parte fcriptaifi libereloqui debeo)dormientiU [omnia potius, qmm vigilantiu opera ejje videntur.Vudetfcreme dc qmbufda Italis noftris loqui,vt Figltuccio,Acciaiolo, {cjuaqua fcripta qucejub nomine Acciaioli de ca re circuferuntur ', non Ac- ciaioli comentariajed Argyropyh pr^ekSiiones Flore ti^e habits, &abAccimlodefcript apl\t audio in Ariftot. leSlione vix acne V/x quide \erfati eranty aut effe ctiampoterantiThomas wbifcu ceque ac cu J puens agit,quare verba Anfl". dihgctercoftruitynilpnttereaan- mtatione magnoperc dignii attingit.Albcrtu vtMagnuin quibuf- da pus hogicis &hyjiologicis plurimi ducojhic vt Minim u pla- ne nib'difadendum efte exiftimo. Bark us qui iflorum Inter prete agit,quanquain 0B0 libris de phyfica aufcultatione explicadis no male fcgefiit-iinhis tame comentariisjde eft qui in hogicis, lauel- lum aliofqi nonulloscxcufo vtMonachos,qui Ethica doirma,qude ijs qua difficdiou erant mhd. Quod vero ad cos qui in verbisArifl u grerlu vku (llhtftJ?rinceps)bowfrote,itgcnue^ pdrum imo mbil^comctariis lis qua extat in Etbkd Arifi ".in me\s bifieperfiaedis ddiutiifuife* Ex Ekftr.qie d mefumptd er illu firdtd/untyoes facile dgnofcet. RelujuaArift. Vlat 1 . Proclo Marf.fi- dno y dlafqueVlSim pi. A- chllinoy Zimarteiland.Thomce inquafifuisTl^k Scoto,dcce- fta refero^Ex bom ego diutwma decurdtaque lcho);e , alias ( vt foleo) excerpji bine inde rmlta , qua pofied dd prafentcm librum dlufirdnduwdximevdlerc dmmadi.em.Extdttfcfrdgmetdquit y ad nomm vfum apte accommoden- tur. lime eTgofahmfhiSiiifinon alum ex comentariis omnibus nojbris LeElores femper percipient y vtquicquid ve/ ab Ariftote- It) \el a nobis ex aliorumfententiaproponitur^quo loco y (f a quo Autore pertrafteturjntelligant.'Neminemenim \fquam vel tan- tillumdefraudo , quid a quo y ^f in quo loco dicaturjndko. In quo etiam mmtre y quid t$ quantum meimftt y quantopere etiam rmhi tribui debeat, a ddEiis & aquis leSioribus agnofci atque decerm cupio. Sed ad Lee nojbra propius accedo.Explicaui quidchoc an- fio librumhuncprimumitbicumad Nicomacbumpublice:placuit tamen nzed by Google Digitiz e pis tola; tamen in maiorem nofbvrum Auditorm yfitm, qui nan omniatx meispubUdspraleEhambus aMigere potuerunt^\tin illafcrtben- difejiinatione acaderc folet, er quae coUegerantsnutdrtdydcfor- tafjc etiam rum bene iis quce dixeram congruentia crant, in lucem eundemproferre. Nemtnemautemhabui(lllufirifi. Vrincep$)in asms nomine apparere mallem quant in Tuo , vf quemadmodum tre tuoprimum omnium exapi youat^tta mc alter bengrntate d- Uus exaperetufy qm tati Vatris imaginem exprejfam vndequaque refemt Accedit eb>qu6d ex eafamihafis natus^qua quafi \iuum fioddam Fotlicitatis exemplar 1xtbc&r:quareeoe nan nomine, gratierem hmckbeUumAuditmbusmeisfa > no- mine Tmpr face- re turn pemrfuin tarn nobtlibuiHslibclli edendiaTgumeraomoni- tus/wrummmodumTiUgrdt Gratidamjnqu^Tdx^-- luftrifiime Viinceps)quiin luuentuteiflatua y maicmm tuorum ex- cmp&f vnataxus , verifim* Gloria folidifiimaque Laudis iter y tarn ardenti animojtata vigilantia afiiduitatcque adhbita^ ingref- fusfisyCmfi diutius injiftas y non dubito quin danfintum Herotae Vtrtutis lumCypofteris tmsfispralatu^ y quinTe tua Vita memorise bomimm atern* comendaturafjt^qmn tandem veram Beatitudi- Digitized by VjOOQIC . 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Res enim aut funt ne- ceffaria: 8c perpetux, auunutabiles,& qija* hcvel iflo^nodo poffum euenk a* Digitized by VjOOQ IC i ETH1CORVM re/Animi ite noftri du* font partes, Vn*l|tr* ratiojift eft expert: altera qua? rationis capax vel ipfapotius ratio eft, (illas in hunc modumdiftinxit Anft. primo magnorummoralium,cap,ji.& fextpJjUhi. qi.i.& ex Ariftoteie Sim- pliciusin pra?fati$ne fua in primum de Phyfirfa aufcultatione). Ratio quoq; duas habet quad partis: prior au(e ea eft,qiip? tota Swpro^l dicitur,& iaqua ineft fciendi vis:pofterior vero, qua? C*kZtiym & koyw* appellatur,qua?que cofultat, deliberat,cogitat,ratiocinatur,& tota in parte alia irrational i per- ficienda verfatur. Res ergo neceffarias Mens ipfa coritemplatur,in qua fci- endi vim ineffe didum eft. Res autem mutabites pars confultans & ratioci- nans tradat. Rurfus vero , Res neceffaria? aut caufam habent , aut non ha- bent ex f . metaphy.cap. j. verbi gratia,Hominem effe docilem neceffarium eft, habet autem caufam, rationem videlicet & mentem a qua proficifcitur. Veriim cur Homo rationis capax fit,nulla afferri ratio poteft , quandoqui- dem Definitio ineft immediate. Habitus ergo ille, quo Mens res necef- farias &caufacarentes, fuaptequevi Scnatura notas comprehedit , Intel- ligentia ab Ariftoteie nominatur , ita vt nihil aliud Intelligentia fit 5 quara caufarum &Principiorumcognitio.Habitus autem ille,quo mens res necef- farias & caufam habentes percipit, Scientia proprio nomine dicitur. Vnde liquet in omni difciplina in qua caufe & effeda confiderantur ,- turn Intelli- gentia? turn Scientia? locum elfe : nam caufa? ad intelligetftiam, effeda vero adScientiampertinet. Sunt autem multopluraeflfeda, quara principes cau- fa? , ( vt rede Dodi quidam annotarunt ) idcircoque Difciplina? omnes denbminatiohem ex maiori parte fumentes vt a?quumeft, Scientia? po- tius quam Intelligentia? appellantur. Reliquus habitus qui Sapientia? dici- tur, eft quidem aliquid quafi ex Scientia Sc Intelligentia conftitutum , vt A- riftot. primo magnorura moralium ca.$$.docuit,perfedius tamen aliis duo- bus habitibus.Nam fi aliquis fit,qui prima omnium rerum initia cognofcaf , prima que omnium rerum eflfeda,ts noraen Sapientis v ere fibi vendicabit:i- ta yt Sapientia fit quafi perfedifsima quidam Intelligentia , ac fimul Scien- tia perfedif$ima.Csterum Zn^tmiuiv iftara partem^non hoc tempore trada- mus. Quare pluribus,habitus ipfius partes& natur&m perfequi, fuperuaca- neum eiTet.Res itaque mutabiles, partemque Animi confultanteui in manus fumamus.Ha? autem vel fub Adionein vel fub Eflfedionem cadere dicunjtur: ad illas Prudentia,adhas pertinet A rs. E>iftindio fane Ariftotelica eft , vt ex fextp Ethico cap. 4. liquet , & peruulgata, non tamen ab omnibus vndequa- que rede expofita. Alexander in fexto metaphy.com.i.iis contentus qua? A- riftoteles primo magnorum moralium libro cap. 3j.de hacrepronuntiaue- rat: {ujj Effedionem cadere ea ftatuit, qua? opus poft fe relinquunt , vt poft ardiheatioriem, Domus^iib Adionem vero ilia, qua? poft fe nullu fuperftes opus habent , cuiufinodi Cantio &: Saltatio eft. Alexandru fequutus eft Eu- ftratius fexto Ethi.fub finely cap. quart*: Veruntarnen,quanuis vterque redp quod ad voces ipfas ex parte diftinguendas loquutus fit , nemo tamen ipfo- rum ad naturam Artts & Prudentia? exprimendam appofite dixit. Nam fi ad prude^ti^,Adipn^omnemiIl4mrererant , qua? poft fe nullum opus re- " 1 luiquit Digitized by VjOOQIC LIBER I. ' 3 linquit, faltationem & cantionem ad Prudentiam reuocari oportebit : Qua pohto,explicent fe ab hifce nodis. Nam prudentia cum deliberatione& m&ufiov appetitu interueniente Temper eft > at quid horum in iftis aftioni- bus proprie fpeftatur ? Item Prudentia in iis verfatur qua? non huic & ill! bomioi>ied fimplicher homini bona & mala fuat>bonaque fencer deligcns: Ars vero canedi & faltandi, de iis tan mm qua? tali homini bona funt & ma- la, cogitat ratiocinaturque : puta faltanti bonum eft, $a1tatio,multis pedum ia&ationibus , ex artificio & cocinne fafta, canemi vero cantio cum fuauif- finu fenfui auditus fymphonia:Malu vtrique eft , fi a&io eorum expers artis & dulccdinis exift imatur. Poftrcmo in prudentia , nulla manus auralterius partis corporis opera exigitur,cantioautem&faltatio> in nulla aliarever- fan videmur. Contra fi cantionem & faltationem ad artem fimpliciter per- tinere dicamus, refpondere oportebit Ariftoteli qui in fex to ethi. cap. 4, ita loquutusefh QmaautemEfFedio& Aftiodiuerfum quid funt,non aft ionis , fed effe&ionis artem eflenecefle eft. Non dubium eft autem quin Ar iftote- , les nomine Effe&ionis eo in loco id tantura intelligi voluerit,quod exemplo paulo ante a fe allato coueniret : eft autem exemplum ab aedificandi arte de- iumptura. Thomas in prima parte x. q. $7.art.j.& in quaeft. vnica de virtu- tibusinvniuerfumart.il. in concl. diligenti us cene has voces diftinguere voluit'.Quum in vno loco ita ioqiiatqr > Nil refert quompdo fe habeat Arti- * fex fecundum appetiium -, vtrumjSt lanus an iratus, qua item voluntate opus 4 efn*ciat>dumopus quod efficit bonum fit, ilia fiquidem virtutis. propria funt.  fed vna in vfum tantum vt equi- tatioequum, faltatiopedes^ cantio a^rqrn^ citharizatio citharajn; altera ve- rb , vt illam immutet , formaque aliqua cpnftanti informer atque ; effingat> quod iam opus vocamus. Vnde etiam non dubito amplius de errore illorum, qui Artem pulfandicithara&omnem muficamad Prudentiam retulerunt. Sed fatiffacere necefle eft Ariftotelis exiftimationi,qui nullibt ne verbo qui- dem vno,vocum iftarumhuiufcempdi diftinftione ugnificafle videtur quam nos attulimus:S- d prius refppndedium eft verbis eiuijde fexti Ethi. ca. 5. vbi nomine Prudetia? omnei illas agones copleftitur,quaru finis no eft quid ab  ',.,  ' . "',"' V : a,iL Digiti zed by G00gle 4 ETHICOUVJt -illis diucrfum-.Vndc proculdubio fcqui videtur omnes illas a&iones y de qui- bus no* proximo memione fecimus^ion fubArtevt diximus/edfub Prude - fc tia cotsnerhVerba Ulius hare Tent* Reliquii eft igitur vt Pr udetia, habitus fit " vertfl cu rationeagei,ea verfans qua* bona & mala !iominWunt:na eflfe&io- " iris finis diuerfum quid ab fea*ft,a&ini s verb no iimper,i pfa nanq; bona a- u &iofirtiseft.PfoAHitaergo:dice^ qua? Prudential peculiaris eftvnatura abeo vbi oportuic fuifle fignificata. Ec in 5. quide Ethi.ad finem 1. cap; in i.cap.j. in fexto verb eiufdemtra&atio- nis  & a&ionis moralis natura tra- dat, verba qu*da imb multa habet, qua? ti quis diligenter expeda*,officium Arift.in hac re,iu>n amplius ( v4 puto) defiderabit. Ad locum aute fexti Ethi. cap.5:& qui jfupefiusaddxicebatur ex eodem lib.ca^reipontfendum. Arift/ fpectes illas habituum in fexto ethi;*numerarc ? qua? perte&f funt,id eft quae, quamaxime inter fe diftSt:at inter fpecies perfe&as Temper fere aliquf font quafi media? interfit?,qua? partim ad vnam,partim ad alia,quanuis no (qua-' liter, referri poflfunt. In natura hoc manifcftb cernere licet. Nam inter ani- malia &Platas &i jCa?load finemfumma? feptima?,& Ari{Lmultis ift lock recefet : Ita hicinttfP A Prudentia ahqiiado coitiuniter Artis ftominedefenari/iqyide Prudetia ad aftione ipfam teMat.Non eriim prudes de iis qua? fub-a&ionem cadunt o*\ ptime deliberdt,& r de eo quod optimu eft (foiifilifrca^it^ifi Vt a&ione ipfi, qtia; fihgulaKs eft>aggredi optime dt facillirtie queat ^qvo etia riomirie,aTho ma i.{ec.q. , 4r.arf.2f}& ^.ethiitec.^e^ Afift.fententiatedem iri loco ^Ptmde^ tia,Praftica qua?dam fcietia nuncupata^eftiqueadmbduttixotra Arift.i.Top.  ca*>,nomine eleftionis, omne afiiori'e qu$ gratia operis alicuius fiue i Hud fit ' aftio fiue efteftio,fignificare vifus eft.Ex quo loco elici illud cupio, Habitus quide iftos inter fe tiatiira difti&Os efle,vnfl l tam^ illoru m altero reperiri & 3 aliquid vaius off altero confuiidi rio eflfe aWurdam, In fci&ii^enim nohulla* eriTeaionem reddlereykaivt m artibus nowftulkcottt^irtplurion^m redbktit,' aanotauitProdusiaEuclidem, Nosautem-in fcientiis Intelligentiam,in Digitized by Google  -' .Llftfr&aL..: 5 S apk n ria lntelllgftfam Srtdemi^ fpcAari/upcrhis ex Ariftotek dmmutf jn artibus v$ri prudenriam cernt, li^^^xiiique^^pjtot}aGr^cis,a no- bis autemcoaieaurales vocantur,vrars*nititari$ ,rhetori medicinal Hse nanque in deliberando perfappe funt occupat a^Poftremo in Prudetia Artem & aliquo etiam modo Sapientiam cofiderari , partim ex iis quae diximus co- gnofci poteft , parrim vero ex illis quae Thomas in fee; fee q.47. artic t. in refp.ad primum oftendit. Eget^utem ha?c prudentia q*ia? habitus metis eft, yiitutibus moraliku6,qua? habitus fattjteatis appetentis diomtur, imo nil a- liudfere funt,quam mentis & prate tiaeVeftigia in Appetmifrapf eifa: Quid? nonne ymutetn,re#airt effefationem d&iJBHG t Nude atitem fe&a ipfa rati6 prudent ia eft. Hinc ilia did folet*qu* Platd'etia in Memn^ne oftendit ,Pru- demiara videltcet,virtutibus moralibus, & Virtutes morates prudentia iadi- jere.Eura qui habet vnam vhtutem perfe&am atque abfifrlutam , omnes ha* ere, quandoquidem perfe&wirtUs fine pftklentia efie nofl pofsit : Contra, 3ui prudentiam pofsidet, omnes quoque virtutes obtihere 3 hequeenim prii- es eritjtufi reftifsimum rationis iudi& appctittim rat ienj obe- dientem, vbi autem ha?c dub adfiint , ottines adeffe virtutes ftecefle eft. Qua? omnia ex Ariftoteiis fedindo ethics cap.  denominationem fufcipe- redebeat,Morale hanC Pftil6fophiam,quap de ^virtiitilbiis^gitAnttnBrafti-. cam fine Agentem jneritoBe no' dfreet qtiomodo prudentia a natoff proficifca- tur ,id nana; feijtiam redolerefc fed quomodo ipte,prudemer um ciuSbtis & cumdoroefticis,nobifq-, ipfis agamus. Infumma,nonfVeritatem fifci pro fine proponrt,fcientiaque>non quo pado tantum res fe habeartt docere Vult, non per fe caufas conteplatur, fed omnia ad aft ionem r efemQuocirca in libello de aotmaliu motione dicitur, in artibus opus ipfum effeeonchifionem. Ha?e vero qu* mox d^ximus,verifsiftiadfeteftanir Arift.ttim rtVi.ethi.&i.i.italo qui tunQuoma autem pra?fens tra&atio no taufa fpeculationis eftyqiiemad-  niodum ali^no enim cofideramusytcognofcamus quid fit vmus,fedvf bo-  niefficiamur,alioquin nulla eiusefletvtilitas)necefre eftttdeiHftionibus  quomodo agenda* lint coftderemus.Sic Arift.redeinfexto metaphy.prilno,  omnem fcietiam in op6ri;efc? qu^*eri^m wo^k&ebune Atqui (inquit) Veritas til rebusiiimura?xjuarf#dipitemai (um,tamumreperitu*vnon in rebus agen- disinquibusiuta fempkerna Veritas eft* fed 7jto&^^: mutant urenini res agendaejfecudum * tateni agentium, fortunas habitudinefque eorum uv* quibus aguatur. Sed iam eo oratione pcoucfti fumus 9 vt Subieau & Scopum huius artif eiufde'mque Diuinx>neni 5 Ordinem partium Jnfcriptionem,&v- futotamgenerfttui^quanxfpeciatim.proponere atque explicate debeamus. Alias annptauunus ex Alexadfpo&aup meta|> hy .qhmo.& aliis Gratis in- terprfctibu* jn arttfnis^fubjg&imnoft Pf P r le fihero dici poffe , quanuis ad fubie&um omnia refer ri vidtttttur; fed a forma & fine diftingui.Vult nanq* Ars non formani ret contemplari, fed materiam aliquam , vt natura, formis exomare: V nde fequitur ,Subie&um ab artifice non gigni, quod Arift.primo Pol. cap. 7. docuit. SiC,illi qui aut Prudentiam, tut Virtutem, aut Honeftam actionem fubieftum in Plulofopjua Morali ftajtuer^nt,erraffe deprehendun- tur, quumiftaa Aiorali fiant. Suit fggpftfl? fines &fcrm^ Mater ie* vero& Subieaura H.pie,fiue auiflu hominis,Voco>iaquk Arift J^ca.* -materiero & fubie^tunj 3f tjs J4ex quo opus confiptur, vt textpris i*nam,?s ftatuarjj.  Atqui AHftotdes,pryno Etlu.ca. ij. ita loquutus eft: Propofitum politici eft  (quo flominetotatn Moralem Philofophiam fignificat vt often demus)ciue*  bono* &legibus obtemperant,e$jefcere, Et paulo inferius addit : Virtutem  yero Jiumanam dicimus non corporis, fed animg.Fqelicitatem quoque ani-  rax pperationejn appeHgmus.Et in primp ormic9 ? cap.primo :ftes fam*  liarit^ $: refpublica inter fe differuntV non fojqm quantum domus & ciuita*,  quar, fan* earum fuHe&a>yerumetiam ilk>, &c. Quamobrem vt fabro lignfe rio fads e& tegueo* ligni, id eft fubie&i fui cognitioncm habere,(perfe#ani enim akeri rellquix )it^ Morali fat eft, fi aoinue natura leuiter tatum, & qua^ turn foo^propohto fat eft informetur,quod in ij. cap.prjmi Ethici, Ariftofe- cc les pf fcftiturusj ita primum Jpqui voluit : Sc;4 fi hax ita habeot, perfpicuuni cc 4?ft,Polki(Cum qu*,ad atjkaam fpe&ant,qupdammodo cognofpere oportere, ugnarevidetur, qui docet vnaiulfcienti^m vnius tatiim generis.^if &i efle: Non debet, inquam c(fe^okftu$',quandoqu4iiem,idnominuni^ faciiiorlfque^b^rinapgrati^ yttjun^nquahtuniper nos fierjpo* teft^nintb^ fatijfiiat^icaws Pniq>iaii^ jlubi^um Verojkpiftipiem. Priintfm horuntcoqfiriWtp au^ritflteArifiote T lisf^xtoEthi.^p. 2. quoinioCoPoiiticam&PrideAtiOTvaum^ lubitum efle di^it , quo pouto deinceps Prudentiam , in earn quat fui ipfius, ' ^ "" ' ' """"' "" -- - &qu Digiti zed by G00gle ? LlBETt t j> ft vt fuperius diximus* Secundu ero probare fuperuacaneum , & nimis fortafle puerile eflet. Quis enim eft mi noa fateatur tarain Ethicis quam in ceconomicis , & Politkis hontinem fwiici^uaiuis UUc Moralist OecgnomS hie Ciuu nomiaetuHUlud qu- ftionedignhiseft,Cur>fi Artifex Swbkdumifunniflon efficit^ceconomus ta- men Domum, Polkicus ciuitatem, quam volunt informare faciunt. Id cert e ex libris qui de iftis rtbtfstradaht liquet. Nam primo Pol. cap.prima&pr, Oecon.cap.*.Parte$ domu* eif umerantur affignanturque,& in a.3.4.7. pra?- fattm cap. to. & 1 u pol. panes ciukatiseodem fere or dine conilrtuuntun. quum tamen ifta a nukoalioartifice tradi ficriue conftet. Accedit eo,nonul^ k verba effefec.phyV*4,quf pugnarecutniis yidencurquf nos diximus, ni^ minim/ubieduiuabanifaenotofi^^  fcs materiairi faciun^ cc foluitur hie nodus fi dicatur , Secundum fubiedum ab artifice fieri non efle abfurdum, de quo fecundo fubiedo tantum libro illo fec^>hy Ariftetefcilo quebatur. AEdificatoria nanque art lateves facit, & medicma medicamenta, %k figuiinalutum > & colores raiftos pidura^qu? omnia fecundaeflfe fubiefia re^oftuiftaruittartium^n^moeft quinonagnofcat. Quapropter primum fubiedum quod Homo eft,vt n6s pwtrimus, nonefficit ppliticus : facece au~. tern fecundum, nempe Domum aur Chtttatem quedammodo pocerih Hoc fine atque hoc fubie&o Moralis jphilofophi* coitituto , ad Diuifionem veni- -enduraeft: Peruulg^taautemillaeft>iaMoralem > oeconoraicam ,.& politic cam:qnas partes Euftrattus materia fubtedainter fe dift Idas efle docet. Ni in Ethica vnus Homo fubiicftur,in QeconoanicaI>omus,In PotitieaCiuitass Hcdtuifiox Ariftotelis ore m^toEthiLca,8;& primo oecon. cap. 1; de- fumpta videeur,Sedcerte Moralts pKUofopiiif fummameiufdonq; partium iericm & orpine non magnopere cxplicat atque proponit, quod tamen Di- uifioniimunus eflelnterpretes admonuerut. Secundo- ArHloteles tarn Ethi- cam quam Politicam nomine vno communi fignificat^nempe Politice$,vt ex lexcentislocis Ariftoteiis demonftrari poteft. Pr^ciDuavero locaillafunt* Infinei.capitishuiusprimihbri)Vbiiaquit: Atque nscquidemmethodus  quesroAmxi77ri^hocexpetit. In primo etiamRhet.ca. 4.Rhetoricamex4~ nalyticafcientia& politicaquardemoribns eft* conftitutam efle dixit. Ter- aa Ariftoteles^Politica &Oeconomtcamquf in ferendis Jegibus inftkutu>~ nibufque>&m^iftratibns conftituendis vcrfantur, Ethiccs gratia inuentas dfe tracbt io.Etb.fub finem quum inquit .Leges &oeconomica inftituta pro- ffer bominum prauitatem excogitata efle, vt videlicet 9 tarn amici quam ci- nes & filii nxofncio bonl viri retinercntur* qua tamen quomodo fint intcl- ligenda4nfra cap jwquicquid Mirandulanus Epifcopus dixem, pluribus cx- fxmemttt. Quapropter concludereoportet, cum quide.bonivjrivirtutibus rgit^debodi quoque ciuis virtutibus quodaxnmodo egifle, qutun virtutes v+ *mnshom]nisjnatiirar r nonni(i ciuilis ^dftatis^atta>^dquamiiantsdlc6 uemre'iiidtatur.Ynde ctiaoiUudArift pact i vni tarttum refpe&u altenus non conuenit, vt in illis compo- ftcis omnibus euenit qug vnum ordine folo efle diaitur. Qujoprca etiam re*- drfsime ab Arifrotele, Px>littcafcietia,fiueM oralis Philofophia, in Ethicam OeconomicaraA Politica diftribUtaeit. Djjamus ergonos planius, natura rci fpe&antes, Scientiam Pol jticaH^nxiuas partes prf cipuas cffe diftribu^- dara,In vna quarpohticea eleraertta&fumma tradit atque defcribiibq uf que decern lufcc libr is Ethicfc abfrlukur: In alteram,qua? quafi ex hac colfatuta*, peculiares quafdam inftitutiones proponit Et ha? v*l ad familtam vel ad cl- ues in officio Politic retinendos & rc&eadminiftrandos pertinent. Ex illts QeconomicaPhilofopbia^exhis vjeroPohticaemergi* : a fubie&o videlicet earurii fecundoi refpe&u illiufpeculiarjs quod afferum>denominatioae fuV tnentesjEK priore tlla qiurJEthica dmtux>Dux iftttunduAtujC>vt liquet ex iis quacxliximus^Quareredifsime Thomas left.juprftfl)ietkfcidpcuit , In lit- bris ethicorura principia & elementa Politia? tradt *in aliis vero quafdam Polkie) partes,ex illis elementis quafi eflfe&as proponi,quod tamen ipfum et Artftotele primo magnorummor. ca* i. fumptumeft : quern locum expend! maxime cupio. Vnde etia cognofci potcft* quam improprie & falfo a Mira- dulano (implicit et alicubi fuerit pronanciatum > Etnicam videlicet tantum*- veram poiiticen efle. Neque enimfi id vtriim effet, Ariftoteles in 10. ethi.ca. vlt. Bthtcam adPolkicunordtnaretJ>icet quis,Politica qua? proponit foe- licitatem,vocatur Ap^f7FK.7^y/jw)pri.ethic. cap^.Refpondeo , per Politicam partem Politicam aut totam hacmoralemPhilofopliiam inteliigi. Excipiet, non effe hoc verum , quandoquidem ills Politiar quae Archite&onica ibi vo- catur,oeconomia fubiiciatur,vt ex eodem loco liquet, quod certe falfumef- fet ft nomine Politiae tota fcientia moralis defignaretur , cum nihil fibiipfi -ftibie&um fit.Refbondeo*nihil ibi falfum dki,quod fuo loco declarahtmu&. Ordo haru inter fe partium>aperte ex his qua? diximus elici poteft, eftenim compofittuus.Quare Ethicaprfcedunt r duplid nomine > turn quia ibi veri Politici mores expliicantur , tumquiaex illis tanquam ex elementis quibuf- dam Oecondmica & Politica pr$cepta de ferendis legibus extimduntur:Se> quitur ftatim oeconomices, quod eius pra?ceptaad pauciores pertineant* i~ pfaque pars quf dam Politico de ferendis legibus ut, quemadmbdum etiam Doniusciuitatis pars efle dicitur.Hinc ab Ariftotele primus Poliricus liber* in tradatioiieoeconomif totus confumptus eft in quo pmnia fere ea propo oir^qua? iiUpr?cipuafum. Quod fi libros alios duos aat etiara pluresdeihac eadem refeorftm eiere Wuerit^ulli miru vtderi debet;,cuin particulariora qua^in&^perfequat^r>quoniniainprim^ " " : ' k '->'" -"' - '*" ".' --^ ' " . ". '"" ' " :"; ft Digiti zed by G00gle LI HER I; " f fct. In hunc eundem finem,pler$que ex iliis tradationibus qua? fob nomine paruorura naturalium continentur, traditf font: nircrirum vt qugdafl* perfi- cerentur,qua? in libris de anima ad vpguem abfolm & explicari non potue- runt. Nulla ergo araplius obie&io ilia eft, qpa nonnulli vrgent Ariftot.Eum videlicet ab ordinis lege difcefsuTe., vt qui primuai de Politica quam de oe- conomjcaagerevolueritjlnfcriptiocom inftituta, legefque tradantms quibus afie&iones hominum coerceantur , vc focietas & coafuetudo mutua coferuari quea&hinc ab Ariftotele in i. Rhet. ap. t.Pbfitica,tra&atio de affe&ionibus nuncupata eft.ak enim^ wfjcuti m prrteeielu/ 5J *$&pvif y f JktteKVxXfjjt), $ i ef fkit que. vttuto it inere ad roelititatem peruenire pofsimiuL Qua Tola ratione Ariftoteli in decimrilibro Moralium de ea felicitate dtfputare licuit qua? in contemplatione confiftit ,qufque vere faominis naturam explet perficitque: vt indicaret videlicet, ciuile banc foelicitatem a reft e prudeterque fa&is pendentem, quam nobis hf cdo&ri- na moralis tradit , non ob ali am caufam amplexandam efle , nifi vt cohibitis ac moderatis affedionibus, alten quf verc lumma foelicitas,fummumq; ac preftantifsimumhominisbonum^^^ ba Enftratii quum Moralem fiue Pohticam hanc difdplinam Medirinarco- parat, fntelligenda font. Neque ehim abfolut e virtus qu{ in agendo pofita eft, & quf animi fanitas cenfetur, fini* vltimus aoimi liumani eft , vt neque etiamfahitasfeuincoldmitas corporis:vt ergo fenfusiiue corporis non ii*- columitas fed yoluptas extreraura bonum exiftit,ad quam perfruendam nu- quam non rapitur , ita mens hiimana non a&ionem honeftam, fed contepl#- tionem veritatis qu 5 raultu a&ionrpr f ftat pro fummoiine & extremo pro- pofitam habet. Carter urn hoc in loCo.D.Pethis Martyr nofter pia? membri?, (quern honoris caufa nomirio ) quaarir anve*um fit Contemplationem in beau vita efficienda multo pra^labiliorem Adione efle. .Qurftio fane torn ob eius exc^Uentiara , turn ob fe&atores furomos &c prxclaros quds v- trinquehabuit,dienifsiraa quae diligenter pert ra&etuh Perttnettamen ad Decimum librum huius traaationis , in cuius capite 7. & 8. Ariftot. de ea re non'nihilagit. Nos t amen pauds, ratiortesrvtrimque partis pra?cipuas intgr fe conferarous. Proiisquivitscontemplantife dederunt,prxcipuailla jratio eat Ariftotele furoitur^Maximam videlicet>atque inter ce terns excellew tcmdft f oehcitatem illam,^ua? proumitis ad fummam maieltatem vitaque DcifoeEcifiipiamaccedat. AtquiinI>can^aitem in nobis diuturnior eflfe poteft , quant 1 Adio:fiquidem virtutes occafionem ex- pedant, vbi fe oftencfere pofsint: contemplantes autem e nobis ipfis dunta* xat pendemus , a nobis ver& ipfis nunquam abfumus. Item Deus vt fit foelix nil externum requirit,fic vita contemplation! dedita paucifsimis eget ad vi- tamfuftentandam: contra vitaciuilis raulta requirit v topes 3c clientelas,& dignitates, 3c munera, vt prarclarc agere queat.Prarterea quietis & traquil- lkat is arnica contemplatio eft , vita vero ciuilis multts afsidue negotiis eft implicitaiquoetiam nomine coqtecnplando vitat Deifirailiores efficiraur. Ar gumto illud eft, ait Artftoteles,quod foelicitatis & beatitudinis nomeifc bmtis animantibus non tribuimus t quoniam contemplandi facilitate deftk ruuntur, in homintbus vero vfurpamus eatenus, quatenus contptandi vim habenty qua Deo fimiles funt, cuius tota vita beata eft. Qui vero contrariam opinionem tuentur. Priraum hoc ( reference Ariftotele eodem libro cap.7,) obiiciunt: Si homo 3c mortalis e$,mortalia 3c humana cures,neque te iis im- mifceas quo? tuar nature repugnent. Mox & aliam pro fe rationem liabent que ex primo magnorum moralium cap..a j.elickur. Eft aute ifta ; Prudeo- fia? propriamunus eft,de iis qua? homini fimpliciter bona vel mala futyleli- beraxft bonaque eligerc, inter quaeSapientia enumerator ,ergo ipfa etia fub prudentia; dele&um cadet. Itaque quemadmodum Architeao reliqui Arti- fices qutbus ipfe ad aliquod opus moliendu vtiturjeg^fque prarfcribit,fub- ie&i efle dicuntur,ita 3c Sapientia in qua contemplatio (ita eft,Prudentia in A&ione verfanti fubiicietur,cunrabhac ad fabrica banc foelicitatis compa^ randar,vduti opera quardamadhiberivideatur. Terti6aiunt?curcontem~ plamur naturam>imo Deum ipfom,nifi vt eundem cognitum amemus atque colamuscatque in fumma contemplatio omnis a&ionis , gratia videtur efle. Poftremo illud habent in ore: Nihil melius* nihil praftabilius aut diuinius reperiri poffe quam prodeffe quamplurimis , id eft focietatem humana cut n#i (umus, patriam, parentes>amicos iuuare. Qua omnia a&ionibus pra?- claris non contemplationibus exequi pofllimus.Quid$ (dicunt) nonne eum nefarii fceleris condemnandum efle omnes fateremur , qui quupatri* ftiar res in fummodifcrimine pofitas effeaudir et*de eiofdequefawte a&ah ir* fua contemplatione pofthabtta laboranri patriariKm fucciracret? &dqua>- niamBliUofophonim&t^ tori, Digiti zed by G00gle tIBER. I. \ if. tari^ofltbuTqitedemonftrattibus fulcitur, Ciuilkim verqpofteriorvt probabilis tantum habetur :Philofophorum &fapientum veftigiis fenten- tiifqueadha?rerepr*ftabit. Quareratio^iibusaduerfariorumallatis occur-. tamu$.& iam iam prima?, ex Ariftotele refpondeamus,nos nullo pado natu- tx regugnare, fi in hoc etiam corpore habit antes, vitam beatarum mentium imitari velimus:neque enira animo & corpore tantum homo eft , fed etiara mente:quare fi mente viuat, id eft fi fola fcieutia & veritate ali velit,natura? fuar fines non excedit.Hinc duplex ille homo, quern Arifi ot.nono & dectma libroderaoribu5,nonferaelftatuerevifuseft. Tantum ergo abeft,yt con- templaado nature fua?repugnet,quinpotius vimiUam&facultatem exe T rat , qu* ipfi a natura traditur: quo etia nomine , iure Simonides ab Ariftot. in primp raetaphy.repjreheofus eft.Ad fecunduraargumentum refpondet i- dem Ariftoteles, Prudentiam,Sapietia? ancillary non autem Sapientiam pru dentin , Sapieatia enim vere Architeda & Domina eft , cudaprafcribenj^ Prudentiaergo illi famulatur atqv Atrienfis cuiufdamprodromique munere fungitur.Nara & affediones cehibendo moderandoque ocium Domina? fua? pzrztM eft ef ficit vt fapientia libera & vacua,officio fuo operam d?re pof- EtyScde rebus qua? homini bona? funt deliberans, nunctat nobis alteram efle poft (e,pra?ftantiore, vitam,quara arapledixiebeajmis. Non ergo Sapientia ytituradfabricam vtfamula,fed illampotius nobis prudent iaoftendit yt Architedam. Tertiu argumentum quod ad priorem partem attaiet D.Mar- tyr rede quidem refellit > fed non plane (qukquid de Tbeologica fcientia dicat, ea enim de re, Sententiam fummi viri Heruei folam, yerara efle exi- ftimo)expltat. Dicatur ergo, Deum turn vt amatum turn vt intelledu , na- f uram ooftram explere, & tarn ipfum amando quam intel ligendo , nos efle oelices 9 priustamen&magisintelligendoquamamando, quod alias pro- bandum eft.Hodpofito dicendum eft,Mentem quidem primumDeum intel- ligcre, mox in ilium propehdere,quod iam amoris eft. Interea tamen dum in ilium ita propendet,a iucundiftima ilia contepIatione,dulcifsimoque ijlo afpedunon auellitur, imo propenfio ilia exacuit mentem ,effkitque vt in 7 tenfiusetiani Deum coutempletur, & intueatur. Quod vero ad fccunda ar- gumemipartcm, negandum eft omnino cpntemplationera omnem adionis gratia efleiEt eo etiam pofito Agentemcontemplanti prarftare . audiajur de iac re Ariftoteles primp metaphv%cont.4.Quapropter & Archjtedos circa cc fingula pra?ftantiores efle, magilque fcire, quam eos qui fuis mam'bus opus cc aijisconficiunt, &Sapientioresefleputamus. Ei Alexander in com. primo cc eiufde libri ita loquutus eft: Quod fi cognitio fimpliciter nobilior eft adjo- in Architedi enim artificibuspra?feruntur.(Cognofccntes videlicet, a- cc gentibus, fie e^ficientibus) confequens eft vt ipfum infelligere, quam agere cc bmplufitor melius apbiliufque habcatur,Non ergo quicquid alterius gratia cc quoquomodo^ft, ep ignobiliys sflfe-cenferi debefcquanuis Ariftoteles fepti- jmq politico abfplutepronun(wevifusfitJ>eteriusftmpermelioris gratia ^flV,Corporanaqueca?leftiahisinferioribus mult 6 pra?itantiora efle in Phi lofophu nidli^ aibitat> Yt etiam ex prigap depart.aninucap^.cognofci o- Digitized by Google t i- ETHICORVM tcft:& tame henira inferiorum gratia effe, primo meteorologicb Sr alibi afl firmatur. Sed de hac re poftea, neque enim omnia vno in loco funt incuicS- do- Ad poftremam rationem , dico, non deeffe fapienti id quo genus huma- num iuuare magnopare pofsit. Nam fcientia f oecundifsimus eft : quare ad- miniftrationis Diuina? exeplar fuae Reipublica? proponcre poterit,SuQS con filio & monitis iuuare* Scriptis item non modo viuentibus,verum etiam po- fteritati j (quod Agemi homini non datur)mirabiliter multumque prodefle: Quod fi etiam fateamur,aliquando a&ioni contemplatione pofthabita dan- dam operamefle,vt in fommopatria? difcrimine , id necefsitati conceden- dum eft, non a&ionis praeftantiar, Quemadmodum (vt refte quidam Do& parte tertii continetur , fumpta a fine propofito ratione, de virtutibus in vniuerftim aeitur. In term , qua? a poftrema parte tertnlibri, vfque ad decimum protenditur,virtutum fingularum natura,eo- rumquevitiaoppofitaexplanantur. In quarta,qua? totum Decimum librum obtinuit,foelicitas in contemplationepofita,tanquam fcopus omnium adio- pumhumanarumaperitur, extolliturque: Cuius etiam gratia initio illius li- bri , pleraque de voluptate repetutur. Ordo analyticus eft,proponitur enim finis, qui in artiumtra&atione, quod ad partes attinet,pra?cipua caufaeft, vnde inftruitfenta & aftiones artificis dtriguntur. Methodus eft Demonftra- tio 077 , id eft per pofteriora & nobis notiora , fubiefta? videlicet materia? accomodata . de qua re pofteatrum Ariftotele ageiiius. Irifcriptio eft A P I- 2TOTEAOT2 nSrnSr N/x*fu*;eW, Quis & quantus Ariftotdes fit , no- mint qui non exulcerato animo funt, id eft prater Petrum Ramum , omnes. Nicomachus vero Ariftotelis filius fuit , in cuius gratiam amore tompulfus  Pater,hf c fcribere voluit, vt Cicero libros de of ficiis Marco filio fcripfit . Sut qui velint, vt idem Cicero,hos libros non ad Ariftotelem , fed ad ipfummet Nicomaehum authorem f eferehdos eflt. V-ettim fatiffacere oportet Arifto- feli,qui infine decimilibri declarait,eiufdemauthoris hbs fibres Ethicoset feiaiius politici funt: Atqui PoKticos libros, nullus adhuc quod fciam Ari^ quae Sapientia? no- men fibi vedicauit,a communifsima propofitione initium fumpht, ilia vide- licet. Omnes homines natura fcire appetunt. Et fane totus ilie Ariftotelicus decurfus huic non eil abfimilis : Quandoquidem,vt ibi a communi omnium hominum appetitu fciendi, ad excellentiam fcientiarum fpeculatiuaru, ma- xime vero ipfius fapientia? teftificandam paulatim afcendit : ita hoc in loco, ad fummum quoddam human? vita? bonum, extremumque finem, ex homi- num mirifico boni defiderio colligendum, ftatuendumque afcendendo pro- greditur. Difputat ibi primum nonnulla,de cognitionibus fiue difciplinis in genere : monet deinceps , quxnam ilia difciplina fit ad-quam Sapientia per- rineat , poftremo viam 8c rationem eius comparand* oitendit : Ita hie in i. capite de Finibus nonnulla agit in vniuerfum, mox in fecundo , pofito fum- rao quodam atq; extremo hominis fine, eius proponendi munus Politici efle docet , in tertio tandem viam ratronemque doftrinar politic* dedarat. Cap- terumexplicemusiam tandem, quid ha?cnoftra tam Celebris &peruulgata propofitio valeat. Summa contextus eft:Omnem artem oranemque tandem methodum, omnem a&ionem 8c eleftionem, ad bonum aliquod tanquam fi- nem 8c extremum referri: qued cofirmatur teftimonio veterum tam Acade- micorum quam Peripateticerum videlicet ,qui cum animaduerterent,omnia qua?cuque in hac vniuerfitate cotinentur,mirifico boni defiderio efle effe&a, acquirendi, aut certe conferuandi, Bonum id efle definierunt : Quod omnia appetunt. Hie primum omnium annotari cupio:Definitionem boni ex vete- ribus fumptam,non vt Propofitione Ariftotelica, ipfa confirmaretur, fed ad Ariftotelicam ipfam propofitionem potius(qua? quidem vera 8c feipfa per- fpicua ell )magis con&rmandam adduct Quadoquidem,eo quod omnis ars, omnis methodus at que omnis atio 8c eleftio bonum aliquod appetit,no id- circo potuiflcnt Antiqui colligere, Bonum id efle quod omnia appetunt ( fi- quidem multa alia fuperfint , in quibus neque methodus, neque actio nee e- leHo locum vllumhabent.) vt re&ifsime contra potuit Ariftoteles , defi- nitione ilia Boni ex fingulis rebus colleda , fuam Propofitione Particulario- rem ftabilire.Qnare Euftratius quidem, qui defcriptionem Boni hie allatain a pofteriori efle docet 3 re&e loquutus eft,(yt ex iis liquebit qua? poftea dice- mustMirandulamunamen, non bene earn ex loco probahili dedu&am efle affirmauit.Crterumquaeannotauimusverifsima efle manifefto apparebit fi quis morem Ariftotelicum vt in priori de phy.aufc&Poft.analyt.necnon in libris Metaphyficorum obferuare voluerit. Neque moueat nos particula M , qua? non magis complexionis quam cauff vim lecum afferre videtur.Ex his patet, Contextum in duas particulas fecandum efle. Prima autem Propo fitionem continet,Secunda vero iliius cofirmationem.Particularior eft pro- pofitio, vniuerfalior confirmatio. Quarc particula ilia i;*3w7, non ita late in ropofitione, vt in cofiramtione patet:quod quide marticulus to huic appo- itus indicare vult. Eft autem Ars fi proprie furaatur. Habitus cf ficiens cum refl* Digiti zed by G00gle LIBER i; if re&a ratione in iis confiftens quar aliter fe habere pbffunt*, ob humana? vit* vfum:vnde Euftratius ab hac propofitione omnes illas artes explodit quar vel mal ^ vel nuliius vfus funt,quas etiam a?quiuoce artes dici debere monet. Minim eft autem artem aliquam explodi ab eo , qui duplicem tllara boni di- ftin&iontm propofuerit, eius videlicet quod per fe 8c natura fua bonum eft, atque lllius quod per accidens, id eft non verura, fed appares bonum efle di- citur,de qua dift inftione Arid oteles multis in locis,prarfertim autem tertio ethic cap.*, loquutus eft. Sed fciendum artem fumi hoc in loco, vt plxrun- que fit coramuniter, id eft pro omni via 8c ratione docendi aut difcendi quj certa fit, qua fignificatione fcientiam, quum proprie etiam accipitur, conti- net. Queraadraodum nanque Scientia proprie^eft Ars communiter , ( vnde fit vtGeometria & Arithmetica qua? proprie fcientise funt, artibus liberali- bus adnumerentur)ita Ars proprie,eft Scientia comuniter. Quod certe Ga- lenus nobis declarabit, qui Medici nam definiens, fcientiam nominauit. Ve- ram autem eife hanc Artis fignificationcm ex cap. 2. primi Rhet. atque aliis ex Jocis cognofci poteftata vt exiftimem non latius hoc in loco Methodi no- men patere, (quod quam libet difciplinam via 8c ratione progredietem,aut in contemplatione aut in a&ione , vel effe&ione pofitam fignificat ) , quam Artis vocabulu pateat. Ac fi diceret Ariftoteles,Omnis ars,& in fumraa, D'u fcipIinaomnisqua?tunque ilia fit, modo ratione ordineque nitatur ad bo- num aliquod tendit. In hac eadem fignificatione in primo phyficorum cont.i.vox piStJbf pofita eft, quicquid ibi dicat Auerroes.Na vt omnes eiuf- modi difciplinam, bonum aliquod tanquam finem refpiciunt,ita principia a- liquot 3 & caufas habet,e quorum cognitione reliqua cognofcantur.De mul- tiplici vero vocabuli (i&SiJbv fignificatione fi quis plura nofle cupit,ea ex co- mvntartis Alexandri,Simplicii,Philoponi,in primo phy.com. i^petere pote- nt. Cur autem Methodi vox ad artes etiam ipfas 8c fcietias defignandas ac- comodata fit, declarat egregie Magnus Albertus p. Top.cap.t. Non alio au- tem fenfu ad ha?c duo vocabula proferenda Ariftoteiem progreffum fuuTe* manifefto cognofci poteft ex iis qua? primo magnorum moralium capite i. tandem propofitionem repetens, inquit. awm fdp oivUiTv/ifoTT *W &bdmq6d omnis are omm'fque* Digitized by VjOOQIC LIBER I. 17 ottnlfquefcieatfe, a&to item& eledio , naturam explere vtilt, id eft id co- oenfarequod natural deeft, fi eflimnihil nobis deeffet, fruftra agere, fruftra icire, appeteremus , vnde & Deum aliquid extra fe intelligere Phyficus ne- gat, fensiesit videlicet, fe id affirmare non poffe, quin Deumalicuius perfe- ftionis expertemconftituat. Porro hie primo dubitatur, Cur Ariftoteles de fine extreme hominis loquuturus, Boni non Finis nomine in hac propofitio- ne vtatur. Deinde illud in quapftionem cadit: Si per Methodum omnes difci- plinas intelligamus , quomodo illas qua? in Tola contemplatione fita? funt,no potius ad verum quam ad bonum tendere dicamus , quandoquidem , bonum & verum non idem omninofunt,nequeeadem facultate percipiuntur. In verum enim dirigitur Mes, quo etiam folo pafcitunin bonum vero Appete- di facultas. Quare intelligibile ipfum, non nifi Tub ratione veri Mentem vn- quam moucre potericquod etiam ex Platone in Sy mpofio colligi poteft. Pri mamautem qua?ftionem diflbluit Thomas in p. p.q.f .art 4. & in quarto co~ tra gem.ca.1.} .& \6. in hunc modum, Finis cuius gratia omnia agunt , non* nifi bonum effe poteft :_nam id ad quod agens vt ad finem tendit , aliquid de* terminarum fit oportet, atque adeo nature agentis accomodatum , vt illius appetitum expleat perficiatque,quod vox etiam ipia nAo* indicat. Quare di ximus etia,rem ob id ipfum quod bona fit,hoc fibi peculiare vendicare quod finis dicatur. Proipdeque Ariftoteles in fec.de Phy.aufc.cont.ji.dicebat, A- Cl lia vt finis bonumque carterorum: id eniiri cuius gratia, optimum finifque a- c liorum effe debet. Ad fecundam dico, Mentis bonum effe ipfum verum, ma- lum vero falfum:idcircoque habitus illos,Virtutes Mentis tanfuromodo nfi- cupari pofle, qui femper veri funt nunqua falfi: Vnde Opinionem & Sufpi- cionem virtutes Mentis minime dici debere quodam in loco Thomas often- dit. Hoc autem clariusexplico:Anima noftra quodammodo omnia eft", vt terriodeanim.cont.37-conftat,idcirc6queconuenientiam cumomni ente habere poteft ranima? vero duplex vis eft,vna qua? cognofcens dicitur( voce- tur autem Mcns)altera qua? appetens nuncupatur, fiue optfyf , quanuis com- mnnius hoc vocabulum quam vox Appetitus effe videatur. Appetens animar vis^voluntas proprie hie nominanda eft, qua? reipfa a Mente non differt, fed folaradone.ConuenietiaergoEntis cum voluntate, nomine Boni exprimi- rur, ex cuius poffefsione voluptas oritur: Conuenientia vero Entis cum In- rei/fgentia, verum dedarat, ex cuius perceptione certitudo & fcietia repor- tatur.Harc fere ex ore Arift. 3. de ani. fumpta funt. Vnde cum dicimus Me- tem rendere ad verum, vt ad finem & bonum , id volumus , non quidem ve- rum fub ratione boni proprie mentem mouere, fed Mentem antequam o- peretur,id eft fpeculetur, finem fibi ilium proponere cuius gratia vult fpe-^ eulari.Non prhis ergo ad operadum excitatur Mens , quam Voluntas affen- * ferifcaflentire autem voIutasnequiret,nifipriusab Intelligibili moueretur, atqui no nifi fub ratione bopi,Intelligibile voluntatem mouere vnquam po- Ccrit:Vel dicas,Mentem vt eft natura quardam qua* perfici poteft,bonum pro obiedo habere : vt autem Mens eft , in verum tanquam proprium obie&um fcrcL Venianuncadalteramcontextus partem, qua dicitur , Antiquos de* Digiti zed by G00gle ig E T H I C O R V M finiiffe ipfum bonum, Id quod omnia appetunt. Similishulc ilia eft qua? i Diony fio quarto cap.de diu. nom.ponitur. Sed ante omnia declarandum eft quid hie per (tv i,}*Siv) intelligendum fit ,mox quid per vocera (Omnia) Quantum ad primum attinet,dico Deum per ii &ya.5iv oranino debere intel- ligi , qui fons 8c ratio omnis bonitatis eft, aut fi mauis , Bonu vniuerfe,quod bonum vniuerfefumptum,eftipfanaturabonitatisquar non differt a Deo. In hunc ergo omnia tendunt, nam 8c elementa ciim ad proprium locum fe- runtur Deum qua?runt,quanuis id non animaduertat:& Homines etiam,ho- nores,voluptates & diuitias appetere poffunt,& etiam repudiare,bonum ta- men vniuerfe non appetere minime poflunt , cum nemo malum expetat qua malum eft. Ha?c Alexander quoque, primo metaphy. cont. ij.tcltatus eft. Refpcxerunt ergo veteres illi,ad Deum cum Bonum definirent:quod eo etii Connrmatur, quia Ariftoteles qui eorura definitioiiem hie probat, in duode- cimo metaphy, cap.io. Deum effe ipfum bonum 8c ipfum appetibile often- dit. ( w-7*),Id eft quarcunque in hac vniuerfitate continentunBonum enim neceffario volunt ortlnia, aut faltem quod fpeciem boni pr*fert,vt idem ait primo Pol.capite primo, 8c boni ratione volunt quicquid volunt. Nam fi adsequatum appetitus obie&um , fit ipfum bonum,certe bonitas erit ratio i- pfa, qua appetitus aliquid appetat , ita vt non aliter appetitus in omni re qua appetit bonum expetat ,quamvifus in omni colore quern videC 9 lumen vi- deat. Atqui vt in fingulis quibufcunq; rebus efficiendis,licet midta? cauf? co currant , fummus tamen opifex fuam &ipfe efficientiam adhibeat neceffe eft,alioquin enim nihil in fucem prodire,acnepaulum quidem moueri pof- fet, fie in i ifdem rebus alliciendis rapiendi'fque, multa quidem bona,& mul- ti fines exiftunt, fed omnes deriuantur,& vires accipiunt a fupremo illo bo- no &iine qui reipfa cum Deo idem eft. Quapropter Princeps ille Deus cum caufis omnibus erficientibus fimul efficit, 8c cum reliquis finibus fimul alii- cit & mouet: afcendentibus enim elementis ad afcenfum conducit , defcen- dentibus ad defcenfum , progredientibus confert ad progrediendum, ca?lo volubiles ad ambitum circuitus iuuat,animos hominum mobiles libere pul- fat, allicit, perfuadet , proindeque tam apud Philofophos quafn Theologos illud vulgatifsimum eft,Nihil eue in rerum natura quod non Deum expetat. Hapc fere Thomas in tertio contra gent. cap. 17. & 19 > qua? Peripatetice e- ttam difta funt.Sed &alioquodam in loco egregie,vt mihi videtur,expofuit Siuomodo omnia Deum appetere dicantur. Omnia enim(inquit) naturaliter ui conferuationem appetunt,& ideo ftudent vt fint quamdiutifsime:vnde fi qua fint interitui obnoxia, refiftunt quantum poflunt contrariis , in eoq; fta- tu 8c loco effe v*lunt , in quo fahis eorum incolumis feruari quest. Terres & aauea,id eft grauia omnia , ad inferiorem locum feruntur, ignea 8c aerea id eft leuia ad fuperiorem, quia horum in fuperiori vniuerfi parte , illorum in inferiore forma & perfe&io optime conferuetur. Nunc omnia hac ipfa ratione nempe quod Sint, cum Deo conuenientiainhaberedicuntur. Deus nanque ipfum Eue verum 8c fubfiftens eft , cuius participatione alia omnia Effe dicuntur 9 Et Euftratius inquit^ihil effe bonum nifi participatio ~ Digiti zed by G00gle LIBER I. I* bc,fununi boni,nimirum Dei , qui vere eft bonum non participatum  nihili facienda erit. Nam quod Sepul- ueda inquit ex primo Eudem. capite tertiq: omnia, id eft, remquaroque, fuum proprium bonum appetere: verifsime didum eft: nihil tamen ad- uerfus noftram explicationemmomenti habet. Quis enim eft qui non fa- teatur omnium rerum finem & commune extremum Deum efle? quo e- tiam refpicientes veteres Bonum hoc modo definire potuerint ? Quis etiam nefcit, quemadmodum cuiufque fpeciei propria &fua natura eft, a cete- ris diftinda, ita proprium quendam exiftere finem, &vni tantum natu- ra? accomodatum? Superius.de dementis dixiraus, percurramus nunc a- lia. Plants radices in terram defigunt ,'vt-ea alantur & fuftententur, truncos & ramos foli exponunt, vt frudus ferre valeant > & fobolem pro- pagare. Animaliamultam curam adhibent , vt comparent qua? fibi ad vi- tam funt neceflaria ,& qua? nocituravideantur declinent , tuentur quoque fenfusfuosdiligentifsime, nihil praetermittunt , vt progrediendi faculta- temincolumemconferuent. Homini item , qui nobilifsimahuius vniuer- Catis pars eft , bonum aliquod peculiare^ pro fine & extremo propofitu eft* Turis item & cxleftibus illis Mentibus fuum efle conftat. Condudatur ita* quevnamquanque quidemfpeciem fuum peculiarem quendam finem ha- bere propofitum, non tamen e6 veteres refpicerepotuiflequum dixerunt, Bonum id efle quod omnia appetunt. Quo? vcro Mirandufanus ex primd Rhet. cap. 7. affert , tantundem valent. Verba autem Philofophi ifla iuntt Quoniam id bonum efle dicimus , quod res omnes expetum > vel qua?  /ar,t/>#eW Hie vero obiter non poflum , illud non dicere, mirari me Mirapdulanum do&ifsimum &fummum noftra? atatis Philofophura , in decern lineis bis in repugnantiam incidifle. Quaerit primum quid illud fummum bonum fit, quod omnia expetunt, Refpon- det eflfe Deum : Mox quarrens quodnam bonum illud lit quod htc defi - nitur , Refpondet , efle bonum quoddam vniuerfale non tamen fimpliciter, fed iis tantum commune qua? Mente pradita funt. Hoc eius refponfum eonfirmar.eo quod definitio eiufmodi, ex propofitione deducatur, qua? nonnifi mente prarditafpe&at. Poftremo quawens , cur Ariftoteles iftam boni defenptionem hue afferre voluerit , Refpondet : vt propofitionem fuam quam demonftrare nonpoterat,communi omnium (ententia com* probaret. Iftanunc quarfita &refponfa alii perpendant , mihi qui errata indicaui , ea propofuifle fat eft, Redius animaduerfum ab Euftratio eft, banc Boni explicationem,non definitionem fed defcriptionem efle, con- ftantem ex iis qua? pofteriora funt. Etenim, Bonum Primis adnumeratur, & cum Enteconuertitur. I fta vero prima tranfeendentiaque , per aliapru ora exprimi nequeunt , fed per pofteriora exprimuntur, vt caufat per pro* pria effe&a. Quum igitur Bonum hoc fibi proprium habeat , vt fimulatque eius fpecies appetitu percepta fit > ilium raoueat , re&ifsime per motum appetitus , vt omne mouens pec motum defcribi folet . Qua etiam fola ra- tioned quod dicimus,Rem videlicet in Efle appetibili rationem Boni con* ftiti&re , intelligi oportere bene Capreol. 1. fent. dift. J4* fl- * annotauit. Sedqua?rerediligentiusoportet , Quomodoinanima appetere bonum aut finemdicantur,qiuimpra?fertim finis nonnifi fubratione amati&defide* rati moueat 5 qua? certe ratio cognitionem in amante , & defiderante exigit. Illud fecundoquaeftionedignum eft: Si vaicuique fpeciei fuus proprius fi- nis, fuumque proprium bonum fit propofitum , cur eft quod Homines in fi* &e deligendo facile decipi pofsint, & in proprio veroque aflequendo ,.mul~ tumlaboris&diligentiapadhiberecogantur? C altera vero fuum finemde* Centem & ftatutum, femper confequantur \ Poftremo dubitatur: NumDeus commune &extremum bonum gqualiter omnium rerum efle dicatur? Ad primam quapftionem dicimus: inanima bonum fuum appetere, non quod ipfa cognofcunt , fed quod , Numen illud prarftantifsima? & faj>ientiftima? Mentis , cuius vis per cun&as naturas huius Mundi fefe perfundit atqut infinuat , bonum efle cognouerit: Deus , inquit Atiftot. in lib.de mundo,per omnes Digiti zed by G00gle LIBER I. xi omncs naturas pftntas & animaliafufus eft : Vniucrfa namqueexiUo fc per iUuraconftkiita,&coagmentatafunt. AI^ vita &ftatus omnium Knotty (& harara quidem obfcuripr,iilarum verb clarior ) pendct. HiftC tUud Vc- tcrnra, l^onimomnta plena. ErPot ilia aurcacarmiBa, - Deum nanque ireper onuses Terrafquetraftttfquemarif,ca?lumqueproftimefnorat z de quodiui* nttus ctiara a Dionyfio in lib. de diui. nominib. fcriptum eft. Et Thomas in 3. contraGc ot. cap. x$. & p. p. fumraar. q. 7o.art.}.item i.fent.dift.^art.j. totamhancreminhuncmodumilluftrauit. Corpora cadeftia abaliqua in- telligente Subftantia vt; organum quoddam ab agente mouentur : motus au- tern corporis ca?leftis ortum & coferuationem inferiorum refpicit, vt Arift. p.meteor.fcribit. Vnde primum {equitur, qrtus & affe&iones horum infe- riorum noa aliunde quamexconfilio fubftantia? illius intelligentis &mo- uentis pendere, neque enimaliura finem refpicit inftrumentum ab eo, ad 2uem Agens ipfe princeps tenditideinde quem^dmodum corpus carlefte ad Bern fui mptus a Subftantia intelugenteiijouetur 3 ita corpora ha?c iriferiora omnia,quqrum mofus a. carleftj pendet 3 ad proprios fines ab eadem Subftan- tia intelligenteferri,& duct non alia rati^ne auara Sagittam a Sagittarib(de iis quar cognition is expertia funt nunc potifsimum ioquor)ad fignum ab eo infpe&um pelli dirigique videmus. Hoc illud eft,quod Auerroes alicubi di- xi;  Opus naturae effe opus Intelligentiarnon errantis : EtThemiftius fecd^^nimcap,i4,Naturara volentera & ppftulantein, yocauitSecuda aur temquxftioitadiffeluendaefl:. HominiquincJbiliifsima huius vhiuerfitatls pars eft y verumitem quoddan^propriumq; & nofcilifsin^urn bonum pro fi- ne & extremo propofitum efle: quern ft affequi .veljt, plurimum laborisVplu- rimumque diltgetiar eum adhibere nccefle fit , quod inius appetitus ita a na- tura formatus fit, vt fefe ad bonum & malum couertendi facultateni habe at, (hocomnino phyficum eft, aliter enim germane vera,& Euagejica Theolo- gia loquitur, quanquamPapalis theplogia a Genjiliui^libertate non abhor- reat } qupniajn tantq tanque excellenti munere v jd eft Intelligentia jpfa do- oafusfeft. Quafi volueritPeus, tantiboni collatiHominem memoremeffe, proindequemcrcedem aJiquambeneficii,laborem nempc & ftudium{ vt Prodicus Chins inquiOabeo continenter^xigere. At cumaliisaniniantibus inaniratfque rebus , quibus cognitio vel ratio & mens concefla non fijit, alir rer prorfus egit. Nam iis certum ac decentem finem conftituit , quern fere femp? r wnkquereiKur. Poftrema? quarftioni ex Euftratio cap.*, in hue mo- him fatifficri ppterit : Qeu*n efle quidem coinmune oninium rernm bonum, rri*3p viufcuH*fque jei pjr^riunj,quatenns projjr io qqodam & pcculi- afi flp^d^i^nguliscoprehenditur vel participator: no enini onines equa&- ter,4ioinam natut^au^ e^^e^aut comprelwndcre ^icuntur, fed qua** 'biii. Digiti zed by G00gle %% T.HlCO:RVM qusque fts ab illopropius abcft, eo petdpitfwricipattjtie perfe&his. Hinc Thettrfftiufffcc.de amxapa^imjun , Qmnes dtuins naturarparticipes fie* ri V thtiMlmt expccere , quantum tamen cuiquefatis eft ; Euftratius e-* riam m hoc priraomiaquifcEns qUod prirao bononon eft knraediatuni, ha* bere ali quod propnum&peculiarebonum, per quod ad iliud primum & commune bonum refertut * Item T^omasasi 4. contra Gent.ca. t{>ait pr4 xi- mius aliquid Deo coninngi, quum aliquidde Dei fubftantia comprehendit, quam quum aliquam tantum tlltus fimtlitudtnem, vt Mentes videlicet orle- ftes,quar*,id eft opera V eflfeda quxdam. "Voco autem isipyi&y, motionem aut operationem fpfam, aut etiam , fi mauts , facultatem ipfam iam agentem & operatem,fiue,vt Galenus initio primi de fac.nat.ait, f&siidtjj xivwtf. Hoc modo cantio, Saltatio, equitatio, qua? motiones qua^ dam funt, fines efle dicuntur facultatis cariedi, laltandi, equitandi , propter- eaque nihil poft cantionem , faltationem eqiiitationemque tanquam produ- ^iim atque effedum fuperftes manet .S ed yocd ii t^v quod iam fa&um ai^ que coiripletum per adkmem,fuperftes efiVvt in naturali adione, c*ro,f*A- guis,' lieruus, in artificiofa ver6,domus. Quanuis Galenus loco fuperius ci- 'ut6h4fyiaM quoque ipfim ii \?y>i "dici poile velit. tamen c6tra,non licear, 9pus,adi6nemomninov6care:fiquidemcaro natura? &dorausartis opus eft, non tamen caro aut domus eft adio.Horum ergo finium talis eft Ari ito- telis fentetia,vt fines ejiii funt opera, operatidnibus feu motionibus per quas cojrnDlentur,pra?ftare r dicit,Sedhic primum animaduertatur Ariitotelera ^runqie vocibui illis -mi&iui nempe dc Ui?yti*t abut ( , Pro^rie rer^ anfi yiidv vt dixutiUsoperatiotiemfignificare ,fiue,vt diiigentifsimuVLambiriu* ck M.Yullio dicit, fiindionem muneris, qua? idem eft quod vrnhiyu*. feci- da, qua : aduiti fiue adionem fignificat: Hec idcirco finis fatione habet,quia jacuftati* accefsio quaedam 8c perfedio eft, fiquidem tuc maxime res perfe- da dicitur , quum in propria adione verfatur: Adio etiam facultati pra*ftar, quum facultates adionum , non adiones facultatum gratia fint comparata?. Neqlie enim homiriesroncionibus aut pr$ledionibtis adfunt, eifque audiut v| faciilfafem audrefrdiadipifcantur^fed contra potius^noti aliam pbcaufarti laclultateriftii pra?diti fuehiritiquam Vtaudiret.Hirtt illud pronerbiumrDum dorriiitdodUsabindodoniliildiffm; Hta fflodocotffgplado ttK>tioqu^ Digitized by VjOOQ IC LIBER I. %i . dam & qwdemperfc&a,noftr* Mentis eft,Anima? vero fentientis 5 vt vide- /i>Audire,olJFacere. : Adhanc fortafle refpiciens Arift oteles primolocp voce inp*44t x i$ hoc contextu vti voluit, (ecpado vero mffr  quum certefaU tatiouero, aut ardificajkmn>q\*Qd non ita perteda? energy lint ( nam & Or pera corporis egem * & ad opu&extermira tendunt ) , a$ fignifica^ tio, quum neps ad imper fedam quandam jqptionem exprimendam iumitur refpedu reiqu? ad id quod potentate eft pergit. Inde Arift. 5. de ani, cap.4. vocat c*^ y% acute intuenti patet. N^ade energ^a agentis, contempla^tis^elt- gcntis , & efficientis inteliigi poteft. Quapropter non poflum non mirari iupfdam^lioquin magn* exiftijnatioais viros, fuam quandara fintum diui- onem ex hoc Arift otel ico vocabulo comminifci voluifle > ita vt dixerint v- gam genus finiu efle ipfius Oper js e^edum mqtioqesi per ficiitem: alarum vero,perfeda eaergaani fubieduperficisate>npn jqpuooejVt yidere, audi- re^telligerelPrim^equn impcoprieOpus dic^tqr perfedio adionis,quii ptrfedip, vtSimjdicius. & jpterpjretes pmc^s Qre^i jp feeble Phy.auc.co^ 7. annotarunt : ,|ion tollat id cuius perfedio eft, i^o perckit , opus vero fa*  cukatera deft mat. Deinde etiam in genere finium qui motiones diqumu* . tamperficietes fubie&u in quo fum,vt videre,audire,qua perficientesexter- nufuhicdu,& ad opus aliquod tedetes>vt equitatio ardificat ioq; , continetur, Ni ^*^^T &rede > na opera fiiat id  irexfr quod vere rat^ione finis ter sniqiq* obtinet: pp^ rat tones yprafiit *$*$>$ tt^K.Notat ide4iuiufccnK>4i finiO $flfoi6uidepab Arift,iuidej>pofita,vt fypulu e medio toliere^quii^qve- tis diftidiaai^ ^^&fentetiefficacia t f e{w4ere ( $qtpnttf]$c autc omnia gaulcx Digitized by VjOOQIC ETHlCiORVM 4r^ rit ^ c ^s^teteie ipCo Cfcgttofafttur.Kunc exp^amusfqutfhtfinlo- teriusex ratoteicipiw*6 a :..,;in.-m4- verba iftaexj>liCas *>nere)ait. Duplex autem eft id qu^ fab nomme Cuius gtttn rl vtoluMas, turn id quo itur , turn id cui itttr.vt*KmH moralibus bifa- 2z |s iuidkur,vt primus foelicitas habeatur, quo omnes contendintus, mt% nn _ ^^ - fi ? & fibi quifque cui foelicitas optatur,& qua?rttur.Idem du* :er ^jr is ira iwledicuiaConfpicitur.EfteBimibifanitas,tanquamidqu6per- srX "i&r cu jus caufa accerfitus medicus eft : eft pratterea aegrotus, cui paran- cll JC'-. e {fc:i*uendaque fan itats. Item in rerumnatura,Diina,iHafempiterna-  el *^  rtuamappetiabomni re dtximus,eftid lummum quo res omnes *M -^v^cxc  8c cuius gratia inft ituunt omnia: Animans vero quod gignitur/it *. >i - &c 3d cuius vfum' iftk&c arternieas Comparari videatur. Sed enim hare k rtxift** irefba diferte doftrinar iftorum repugnant. Quid? nonneThei *Vf ^TT s foelicitatem voCat finem Cuius, quam tame ifti finem Cui efle affir- lltt * z y^ r iftoteles quoque *.Phy. cont. j%: inquit. Noftri gratia funt omnia, iatX -^ e rr%. finis quoquomodo nos etiam fumus: Id enim Cuius gratia bifarii 1"*-*^ vt in HbrodePhilofophiatraditumeft. SimpliciusexplicansinqUiti lC * c  c ^ e ft finis, alter idCuius gratia eft appetitus ,'quemScopum iuniores u P^ t ^ C eti partitas, quam medicus vule aflequi : alter in quo hoc eft , vt cui 9*^*^^ C eu Sejifus,natti hie eflb finis Cui. Auerroes itent ibid, in hue modum ittax- - Fit"* dwbbus modi* diCitur,aut ficut dicimus quod forma eft finis * f *l s ~itx , & illud ad quod peruenit res eft finis rei : aut ficut dicimus Homi-i l *rr*cfCc finem return creatarum propter ipfum. Quomodo autemhsec Sim- f -*l\ s sc Auerrois verba,cum do&rina iftorum conueniat,iudicent nunc alii: J* ,1 xacixxatf fortaffe lftifunt cum Simplicio,in eo , quod putauerunt , per H- Ls **^ A* l>Rilofophia"ifcrtptos,m quibus fe dehac finium dtftiadioaeegifle r ^^x-xi* AriftoteleS.Ethicos hoTcelibros defignari. Naminhis-ethicisimrii c ^^am iftiuff o* 1 } finium dtftinctio legtturT & fi legeretur , non aliaeflet y*, ^ 4uaffl Anftoteles,Sr ip f ms mterpretes , tot alfts in locis quos recenfuU * ^^^P of T Unt - ^ UaqUe CT S D oai ifti,hoc in loco in Philofophia ^^a^***"; N k S f efequetur,Oues,"quas pa- fcere & cuftodire vult Paftor , antefercndas effe paftori : Angelorum i- tem'naturam hominibus quorum miniftrifunt non antecellere : Carlos tandem qui horum inferiorum gratia motu fpherko feperenni moiien- tur > inferioribus hifcc fore ignobiliores. Statim autem litem dirime- re vult , quum ait. Finem Cui ,pofle efle ignobiHorem eo, quod ad i- pfum refertur,Finem vero Cuius Temper nobiliorem haberi. Nam (inquit) quando aliquid ad finem Cui dirigitur vt ipfum perficiat,no vt ab ipfo per- hciatur, tunc finis Cui indtgnior eft: vt Cadi finis Cuius, eft afsimilari Deo & alia perficere: Angelorum finis Cuius,eft obedire Deo & nos feruare: O- ptttonis finis Cuius,eftfuaipfiuscopia &vbertas, finis Cui ipfa? ouesquas perficere vult. In fumma concludit Cados, Angelos,Paftorem,efle excellcn- tiores fine Cui,non fine Cuius.Laudo D.Marty reTheologu,quod reftius de fine Cuius & fine Cut quam Philofophi illi (de qmbus fupra)lfenferit,& di- ftiadmi perfpicuat, tenebras nouis prarceptionib* offunderenoluerip. Ta- tiim in eo lapfus eft,quod in afsignandis finibus Cuius & Cui, propriam no feruet analog i am. Globorum cadeftium finis Cuius, eft perennis ilia libera arque indef elTa motio,qua Creatori fuo pro viribus fe ftmiles reddere volut . Purarum item & Simpliciura Mentium , quae Planetarum orbibus prcfunt, Autoreim&Effedorem fuum contemplari atqueamire , finis Cuius eft. Fi- nes vero Cui non homines,aut inferiora, fed ipfemet Mentes & ipfimet ca?- leftes orbes ftatuendi funt : ita enim Themiftius fupra loquebatur. Primus  a-  ftoris ergo finis Cuius erit, la&is, lana?, & carnium copia, quam ex blacidis antmafttibus, m ocio & fine labore cohfequi cupit , vt ait Arift.p.Pol.cap.f . finis vero Cui non erunt Cues, qiribus nihil hiiiufmodi acqiiiritur, fed ipfc- met Paftor. Atqui Ariftoteles eodem in loco doCuit. Stirpes omnes, anima- tium, animantes vero omnes homrnis caiifa, him ad cibum turn ad alios vfus fiiiffe procreatos,& in fecundo Phy.cont.ij.Noflri gratia omnia e(Te,& nos cflequoquomodo fines. Oportet igitur neceffario ftatuere , finem Cuius id effc & dici femper quod generatur.Cui vero,id cui res generatur , & acqui- ritur fine internum illud fit, fiue externum. Exemplumin iifdem rebus fu- Af poterit -h oc modo * Orbes c*leftes propter noftram admtnift ratione efle dicuntur(fiue primo vtTheologi dicunt,fiue feCundario,vt Phyficimihil in- tereft) ergo conferuatio noftri,Orbium celeftium finis Cuius erit , Nos Ve- ro , Cui. Quis hoc neget? Vnde fequituf non femper finem Cui , fifti Cuius preftare, Deo enim,qui vt a feipfo intelledus,eft fua ipfius foe!icitas,vt au- tem ab aliis Mentibus intelle&us,foelicitas,beatitudo & finis Cuius illarum: nil perfe&ius reperitur. Item non femper finem Cui ignobiliorem efle , fi- quidetn, laftts, lana?, & carnium copia,quanuis vita? paftoris commodafint, non t amen Paftori prarft*ht. Sed quorfum ifta? Nam dum Angeli , aut cor- pora Catleftia,conferuationtsnoftra? gratia agunt,neque fines Cuius neque Cui dici poffum. Quomodo autem omnesCraraturar propter Hominero,& Digiti zed by G00gle u ETHICORVM Homo propter Deum J)eus Uemhorao propter homines fa&us efle dicatur, alibi quarrenduiyi eft. Quarefimpliciter concludatur opera , fuis a&ionibus praeftare,quia Huiufmodi a&ionum natura & perfeftio,n6nifi in opere dtf- cerni aut apparere poteft. Neque ob hoc fequitur Angelos,corporaque cap- left ia,. nobis efle imperfediora : aut Paftorem ouibus ignobilioremifiqui-. dem>noti in Efficientibus fed in aftionibus &operibus efncientium,propo- fitionisAriftotelica? Veritas fpe&anda eft. Ergo quod ex hoc loco colligere aliqui voluerunt, Prspcim ncrape in Artibus Theorise anteferenda efle,pra?- terquam quod,vt fuperius oftendimus,Ariftoteli in primo metaphyficorum repugnat, omnino etiam a fcopo huius loci alienum eft. Aliud nanque a&jp ipU eft qua? in opus tendit, aliud cpnteraplatio cognitioquc. Sed hc al4s, nuncadcootextumredeo. ,. .. \ Qupnia vero a&iones & artes,Scienti#que mulcas funr, mulciquotjuc fines exiftunt: Mcdicina?iiquidem,Sanitas: Artis excruendarum nauium , Nauis: Militaris tacultatis, Vi&oria;Oeconomiaz,Piuitiae. Deducitur ha?c pars ex pr jmis verbis huius capitis, Nam fi vnicuique ^r- ti difcipliaopquefuuseft propofitus finis , multis certe extantibus artibus &difciplinis,corapluresquoque fines extabunt. Quod exeraplis probattir, feipfis perfpicuxs. Verifsime autem Medicina? finis Sanitas dicitur*pam: vt alibi 4ixiraus , quod in Artibus efficitur , proprie Finis eft : quod vero for- matur,Subie&um,vrinMedicina Corpus humanum. Quoin locpanimad- Hertcndum eft, npnita lehabere materiem,aliarum artium,vt materiara fiue fubiedu Medictna?. Alia? nanque nullam intimamj>ropenfionem gerentes, ad fformam artificiofam, totas fe vni artifici elaborandas ac formandas prae- l>ent , neque repugnant informanti : quo fit vt Artifices in iis fuum finem, facile & temper confequantun At Medicus non Temper fuum confequitur finem. In caufa eft, materia illi fubie&a , qua? tarn ad fanitatem quam aegri- tudinem,propenfionem innatara gerens a multifque & contrariis caufis eo- dem tempore agitata. Medico renftit Alias autem omnes artes eiufdem na- turquas inordinatiores Arifto- tcles in meteor, vocabat , proindeque eas nee finem fuu femper aflequi,& in cofultando deliberandoque perfope pecupatas eife. Exhis cognofci poteft locum Ariftotelis primi Topici cap. 2. nil prohibere,quin Sanitas Medicinal finis ftatui pofsit,quanuis Alexanderea in re nimis fuperftitioiits fuerit.Ne- queenimmedica;mentaexartea5ihibe^e,finis Medici eft > fed medium quel faaita- Digiti zed by G00gle LIMBIC f. r %i foniratem vuh inducer e aut eonferuafre, qua? fanitai fiiris dicitur, quoparta vero difpouta- que rede vti.Proprerea etiam primo PoLcap.7. ftriftius comprefsiufque de his loquitur , fiqutdem dixit.Sic opes parare, quodammodo Patris familias rxter eas aJiud quippiam , vtinScientiisquas commemorauimus. Ex fuperiore iHa propofitione vrjiuerfali , Affumpt ionem hanc volut t A- riftoteles elicere, nempe in humamsadionibusahquS finem efle. Ita ex hac noua fimum diftindionc, Aliam vult c6cludere,nirairum, In adiortibus hn- man/s finem reperin optimum prarilaotifsimumque^iuccerte fpedat,quar in priori htiiut cdiexrus parte afteruacur jde finiti inter fe coHatione, qua vi- delicet vnum akmrtn compledi,vel conttnere dicitur. Docet itaque, finem ilium qui ermnentiqr eft V qwque alios compledijur ,& fub fe ita coint inet, Ft illrs pr aut eius qua? framos , calcaria , aut e- ^pptaeffidt:,idcircointeniogeuereProbleniaturq ab Ariflotele primo topteo enumerator urn coHocari oportere^qwaadaliumquendam & vltimil fineitojhijcdirifeaobir.Namfiid concedatur.fateri quoqueopbrtebit>nuJ]am. Digiti zed by G00gle at ETttlCOlVM tia habere. Omnes enim artes, quarum opus eft in agendo, ad Politicam re- feruntur, vt fcquenti ca. audtemus. In altera contextus parte, tollitur e me- dio fcrupulus,cuius gratia ex Euft ratio fuperius diximus , ab Ariftotele prir orem illam finium diftin&ionem f uifle propofitam. Eft autem talisiNon yi- deri finem illum^qui eminentior eft,& reliquos comple#itur 5 optabiliorem> quia fieri aliquando poteft , vt fuperior finis ctqyi* tantum fit , inferior ve- ro to tppsisquod cum aliquid fuperftes & manes fit,magis appetedum videa- tur. Spluitur, nil interene, vtrum fines fint opera, vel operationes:Quocun- que eoim modo fe habeant,ccrtum eft ef ficaciam eorum & pra? ftStiam, non aliunde quamex maioreaut minore complexu , ex humiliqri aut fublimiori gradu,tand^mqueexdominiiiure ampuori velanguftiori petqpdam efle. Nemo ccrte eft, qui Equitationem frarno,proindeque Equeftrem artem>arti conficiendoruvifrarnorum prxftarenon uteatur. Itaconcedum pmnes', fa- nitatem qua? opus quodda eft, exercitationi corporis qu* eft operatio > pro- ptereaque Medicinam G ymnaftica? anteferendam efle. In verbis funt non- nulla expendenda. (ccpmrr ). Nos vertimus facultatem-.idcm enim hoc in lo- co valet, quod Alr&fjur. Vocantur autem facilitates artes qua?dam,vt Rheto- rica 8c Dialedica,& Conie&urales omnes. Caufa triplex eft,inquit Alexan- der in primum Topicum cap. i. turn quia res contraiias a?que tradant , quod verbum 70 JtirA&$ indicat , turn quia homines iis imbuti > poteftate 8c excel- lentia quadam fint prediti: pofeemo quontam qui iis funt ornati , ancipites funt/ben^que&male,modifqueoppo(itisillisvti valent. Quae fi vera fint, & non potius facultatis nomine,Habilitas ipfa ad (juoquomodo agedum ac- quifita intelligatur: vocabuli ^W^imr , quam alibi etiam vt in fecEthi. ad- hibet,erit hoc in loco agnofceda. (Et omnis belHca atio),vt Sagittandi, Ia- culandi ars, 8c qua? abEuftratio ^/Apoeix* nominator , aliarqueeiufmodi. Quae hie a nonnullis'de Architefti Vniucrf? Reipublica? moderators officip proponutur,quod Scopum Philofophi nulla ex parte attingat,omnino veluti fuperuacanea habedaerut. Qua? ratur ergo illud potius quod fupra ex D.Mar tyre propofuimus. Num videlicet opus finis rationem obtinere pofsit : Si e- nim effedum quid fit,quomodo caufc? munus geret?Refponde,o>duobus mo- dis de rebus nos.pofle loquirvel co quo extra animam exiftuat > vel quo in a- mma habent Effe. Hes non poteft caufa finalis efle , vt in anijaa eft , alioquin enimMedicusnunquan fuofinefhiftraretur,afsidue naoque illi in niente pnefto eft Sanitas. Quid? ergo finis caufa erit, prout exjtra nuentem Artificis eft* Refpondeo,finem vt amatum quid defideratumque per fui fpeckm ageV roouere: quacerte fpecie nifiafFeausfitagens 9 nunquammouebitur. Quid enim aliud eft, Propenfio amantis in amatam rem , quam fpecie s amata? rei In amante ? Ha?c tamen fpecies non poteft agentem allicere 8c rapere , nifi ratione illius Efle quod extra mentem reipfa obtioet.Idtirco naque Athkta? ftrenue certat , vt propofitamcoronam acquirere pofskit; oeque in certaj$e defcenderent, nrfi ea fe donari poffe exiftimarent Jtafeotit Auerroes **jne~ taphy^-Sed obikiet quefpiam , Aut Finis eft caufa quando eft V aut quando non eft&ion quando eft, quia Arift.i. deortu & inMf^dixit, habitibipra? fentibus Digitized by Google 1 1 B E K 1 h > ftatibui in materia,omoein morum define re. &eo confirmattir, qnodfopc- fiusdiximus, Finem videlicet raouerefub rationeamati&appetiti r cjuotf fane indigentiara & abfentiam rei , non pra?fentiam & pofleisionem indi- at ; Non qjuum non eft: quia non ens* rationem boni habere, caufa efle,rrio- uere>terminare, nequit*iita vero omnia finalis caufe miinera funt. Secundo fi finis fit caufa,vnura& idem eriteflFedus&caufa. Caufa nempe qua mo- net agens, effe&us vero qua ab agente mouente materiam iriducitur. Ter- tio , repugnant ifta duo inter fe, efle amatum&defideratum: nam fi finis defideratur , non adeft aftu , quomodo ergo amatur ? Si amatur , iara adit adeft,quomodo ergo defideratur? erit fane idem adu fimul &* poteftate,pr#- fens&abfens. Dico ad primum, Finem mouere partim quatenus non eft, id eft prout poteftate tantiim, fiue prout extra producendus eft: partim qua- tenus eft, in flaente neftipe artificis impreflus. Agit ergo finis , non omnino vtpoteftateeft, neque ortuiino vt a&u, fed vt partim hoc,partim illo modo> efle dicirur.Locus Ariftotelis addu&us nobis non repugnat,qui affirmamus, finem qua finis eft, efle caufam folummododum resfit,tefte Auerroe i. pod. com.39.tunc enim efficienti proponitur , eumque ad agendum mouet. Quaetiam ratione Arifhin 7. metaphy. *9. dixit Caufam efficientem ,effe potius caufam rei dum fit, quam iam confiftentis. Quod fi ibidem idem do* *eat,csufas rei iam confiftentis, forraam efle & finem,nil mirum,cum finem* fumat quatenus idem eft cum forma, vt 8, metaphy. w, & multis *liis in lo cis habetur, non autem vt proprie finis eft, fiquidem tunc agens iam in a&u prodiit. Ex his liquet, qucmodo finis*pra?fens & abfens ^ amatus & defide- rams, fimul diet queat. Ad fecundum dico , Finem, quum a&ionera agentis termmat , non efle caufam fed effe&ura, qui cum form* in ortu prarfertira oaturali re ipfa idem eft. Ceflante ergo agentis aftione, definit item adio fi- nis , quandoqaidem Caufaiitas finis , a&itaem prccedit agentis : terminat kaque finisfedidadu,ideft quandonon'eftampliuscauftjnon terminal tntem, fed mouet, Ciira poteftate fuerit. Ad tertium dico , finem appeti pec a&uta, quern nondunt habet , fed haBiturus eft : amari autem, quia in mente artificis refidet : proindieque rede dici folet,Id cuius ratioire Finis mouet ad agendum , nil aliud effe,quam realem confiftentia qua? extra product queat, , id vero fine quo non mouet jefle coraprehenfionem & refidentiam fpeciei il* litis in anima Efficient is. Quo in loco , vt tota res hare planius intelligi pof- fit, illud pro furama quarftionts apponam, In caufa Materiali r & Finali,nori fancam entitatem defiderari,quanta in Efficients & Formali exigitur. In his enim Efle adJu requiritur, quia vnumqucdq; Efficit, quatenus eft, be Forma son dat efle, nifi ipfa fit. Materia vero caufa eft,prout formam recipit, quod iam poteftatem dici t. Fin is item mouet agens ad fui produ&ionera : quare in. Efle cotoprehenfo, & productbili fat habet Vt caufa efle pofsit. CA P V T I I. Cl igicur aliqufs fie rcrtim agendarum finis, quem qui-  dexn podptcrie expecamus>alia vero propter ipium, & Digitized by VjOOQ IC p ETHICORVM noil omnia propter aliud optemus,(Sic enim res in infinu * turn progrederetur jproindeque inanis &vanus nofter ap- petituseflet)perfpicuumeft,hunc ipfumfore bonum ac- - que optimum : Cuius cogmtio nonne magnum ad vitam degendam momentum habet ? Atque tanquam fagittarii /ignum habentes,faciliusidquodexpetere oportet con- fequemur ? Quod fi ita eft , danda erit opera , vt quid tan- dem fit j & ad quam fcientiam, facultatemue pertineat - ^adumbrcmus. lam concludere oportet ex hypothefi fuperiore , rebus humanis agendis aliquera finem efle propofitum , qui veluti fummus quidam Archite&us ha* beatur, id eft qui no alterius, fed fui ipfius gratia folummodo expetatur 5 ho- minifquevotumitaexpleat^vtineoappetitioomnisacquiefcat: Alioqui fi propter aliud expeteretur, appetitio human* in infinitum abiret , proinde- quefruftradefiderium noftrum ad optimum naturaliter propenfum eflet. Nullus ergo infiriabitur, Hominem agentem, habere fummum quoddam & extremum bonum pro fine propofitum, ad quod eius appetitio feratur, & ad cuius normam omnia fua ftudia, omnes fuas cogitationes , a&ionefque exi- ?[ere debeat, fi nunquam a bona & laudabili a&ione difcedere velit. Vnde equitur , non minus talis finis cognitionem, ad vitam prudenter & prccla- re inftituendam prodefle, quam nauta? ad tenendum portum quern concupi- uit Cynofura?,aut Sagittario ad attingendum Scopum Signi inipe&io codu- cat. Ha? c prima contextus pars habet. Secunda indicat quaerendum efle, quid namiftud fummum bonum fit , & ad quam facultatem illius tra&atio pertk neat. Quod ipfumnosSecundam huius Prooemii partem prcecipuam efle, fupra ftatuimus. (Si igitur aliquis eft rerum agendarum finis). lam reftrin- giturpropofitioadTtt denreraumHominiageM cxoptando propofitura efle , aut fruftra appetitionem noftram j nature vi & du&u propenfam in bonura efle, quandoquidem nullum vnquain bbnum af- fequiHomo agendo poterit, quo expleatur,perficiatur que: fed Temper aU terum ab eo quod habebit, appetere cogetur. Quod eerie Naturae, imo ipfi Deo, quo autore in bonum & finem appetitio noitra fertur, macula & netiu* eflet, qui inconfulte temereque, hanc propefionem homini irididiffet : Atqui hoc de Deo aflerere nefas eft, Cuius fumma prudentia,prouidet iaque in mi- nimis quibufuis huiufce vniuerfitatis partibus,a? que ac in ca?lo &beatis ipfis Mentibus/ibi coftftat. (r iyt3or,^7ootee$py). Namfivtfinis,bonumeft:fie Ttextremus finis optimum erit. Vtrunqueautemfuprioftenfunifuif.Iffre* bus nempe agendis non modo finem aliquem, fed etiam finem qiiendam ex* tremum fpeaar i oportere. Hunc ergo finem proprie , Homo agerido v tilt affequl Quare a&tones fuas omnes ad illius naturam conformaredebebit. Alias docuitPhilofophus, Finem afferre necefsitatem Materia?. Eft enim, inquir,Serra ferrea vt fit hoc & huius gratia. At quomodo confirmari vnqua ad ilium poterut a&iones, ntfi primum cognofcatur? Propterea Arift.i.phy. $9. docebatildem fini in naturalibus proprium efle,quod principiis in difct- plinis conuenit. Vnde cognofci poteit,quam inepte hoc in loco nonnulli vo- cem(?r*0i*Oad do&rinam fiue praecepta de moribus referantrnolint autem ad finem ilium tantum refetri,ex quo praecepta de mor ibus,id eft vita? infti- tutio haurienda eft:quum prcfertim Ariftoteles addat,dandam efle operam, vtquafilineis quibufdam du&is, aualisfitifte finis exprimatur. (wtfp>% 4c*aGtv). Argyrop.figuracomprehenderc. Antiqua, figura accipere.Alii* crafla 8c pingui minerua. Nonnulli crafsiore do&rina. Lambmus, Formam adumbrare,elegatius certe omnibus aliis,non tamen fignificantius. Eft enim adumbratio rei nil aliud quam crafla & quafi leui penicillodu&a rei figura defcriptioque. Explicationem vero vocis huius tw^ ex Ariftotele non vno in loco commode petipoteft.cap.vdicitille, ijA^wWro^^feJ mirm* iLl* itrrrwr *jkpfl** i my)htif 19 rwy r khndif hf cfc/jcftid^In fecudo vero librohu^ iustra&cap.i. voceta rimv opponit, voci ixexCS* . primo autem Topicoca. i. vocabulum tv**? per vocem hmfit exjponit,vt liquet ex fine capitis,&*Ale- zaoder ibidem Ao^Kcf rC*?, vocat mimes*. Haecdixivt fciremus quomo- do Ariftoteles de foelicitate cy iww fe a&urura efle hoc in loco moneat.Ne- que enim valet quod obiicitur. Nufquam alias Ariftotelem k%eis%&t , aut magis propric de foelicitate agere. Nam cr iww agit, quu in vniuerfum & xurcK agit,vt in primo hoc Ubro: x&er autem quum fpeciatim, vt in reli- quis vfque ad decimum : fi quidem in illis non owrxSr , fed aufivi&t de ener- ga virtutis tra&ans, de foelicitate item Talparumoculos obiiciut,Mularum fterilitatem,& Appetitio- Hem hominis: Qup dubitatiocerte hoc loco no eft traftada, quum vix quic- 3uamliuninisadpra?fentemdifputationem afferrequeat. Quareinfecun- urn phyficum* fub finem, vbi de Natura? a&ione fermo eft omnino reiicia- tur.Illud tantiim in pr a?fentia monemus,quod tenendum eft, nempe propo-. jitionem iftam , Naturam nil fruftra agere,eode modo efle intelligenda quo illam aliam Ariftot. videlicet. Natura nil quicqua prius efficit aut pofteriu* quam vfus exigat. Hoc elicio ex Ariftotele qui in x.de gen.ani.cap.4. vnan* cum altera coniungit. Atqui natura manus & pedes hominis facit antequanr raunera ipforum exequi pofsint,vtidemfatetur in 30. fecprobl.4. Ergo> quemadmodum aliquid prius &pofterius quam y fus exigat natura coa#a a- liquando facit (neque enim pedes & manus foetus extra vterum matris effi- cere poflct) ita fi cogatur,aliquado monftra facit, Cogitur autem vt Alber- tiis inquit,a quatuor potifsimum caufis , Materia? defea us,vna eft, Altera>e- iufdmcopia,TertiaAgentisautpatientisqualitas. Quarta, locus fiuein- ternus Cue externus prauitate infe&us. Sed illud addatur -In Monftris etiam, natura? confultationem animaduerti , non modo quia Natura Monftru quo- que fibi aliquo modo proponere dicitur, vt declarant interpretes, verum e- tiamquia ad ordinem&perfe&ionemhuiusvniuerfi cuius ipfaDomina& Conferuatrix eft, Monftra ipfa dirigit:vnde dici folet, omnia qua? fiunt a na- tura vel fines efle, vel propter finem. Ex quo patet,multa effici a natura quar quanuis non funt fines, non tamen cafu efle dicutur , vt Mularum generation Sunt autem Mula? non finis natura?,fed propter finem: quanuis enim necefsi- fate materia? ftcriles fada? fint, funt taraen natura? propofita? non quide per fe, fed propter alterum,nimirumvt oneribus grauifsimis vitro citroque 4 remotis regionibus importandis exportandifque, ad copiam rerum natura- lem , &r commoda vita?, eflent idonea?.Talpas vero alias diximus^oculos ha- bere, & y ider e. De appetitu autem hominis rede dicitur, ilium non vt pra- ua opinione infedu,deprauatumque(hic nanque infatiabilis eft ){ed naturae lem accipi oportere, de quo Arift.i.Rhet.ca.8.1oquutus eft. Animaduertatur autem difcrimen, quod inter Appetitum &yoluntatem ftatui debet. Eft vo- lutas Mentis propria,cui verum bonura propofitum efle dicebat Themiftius X. Metaphy. Appetitus vero eft Cupiditas fenfiis , quern opinatum bonun* afficit: Digiti zed by G00gle LIBER I. 3 aflicit. Voluntas re non differt a Mente, atque eft ipfa Mentis induftio ad re obie&am iam perceptam fub ratione boni aut mali fequendam vel dedina- dam. Appetitus quoque reipfa a fenfu no differ atque eft propenfio fenfus, ad rem obiedam perceptam fub ratione iucundi,aut molefti, fequendam vel fugiendam. Dtfcitur ergo Appetitus a fenfu, voluntas ab intelligentia. Ha?c tx Ariftotele tertio de anim.elici poflunt,qui vocem ope?/*, 4 ua? appetitui & voUintaticonmiunis eft, nihil aliudindicaretradit,quam motionem &e- nergciam Mentis & Scnfus . Quare quum Arift . in primo magnorum mora- liumcap.ii. ope^/y in Cupiditatem , Iram&Voluntatem partitur, non alio modo intelligendus eft acfi diuideret in vohmtatem 8c Appetitum , qui Ap- petitus a Platone in duas partes diftribuitur , Iram nempe & Cupiditatem, qua? mcckpes potius, aut affeftiones appetitus nominanda? funt , quam Ap- pctitu$:idem autemeft Platoni motio appetitus quam cupiditate nominauit, quod Ariftoteli Appetitus voluptat em fequens. Itaetiamidem Platoni eft* notio appetitus quam vocatlram, quod Ariftoteli Appetitus dolorcmfiu Hens : qui Dolor & qua? Voluptas inttia affe&ionum , aut etiara affe&iones wot. Ha?c omitti non potuerunt > turn quod ofi%UK vocabulum , Arift oteles in hocprimo libro, olerunque in ore habeat, turn 8c qtfod ea dextre, intelli- gere noscommonefaciunt > qua? hoc in loco D.Martyr annotauit. Sed vide- tnr hie centextus pugnare cum iis qua? fee. Ethico habentur. Ibi nanque do* cet Philofophus, nufiam ex virtutibus moralibus quarum energe/a foelicitas eft, infitam nobis a natura efle. Nam qua? natura conftant , nunquam aliter ataue funt affuefcunt : at hominis natura ita ad has virtutes fe habet > vt illas fiiiciperepariter & no fufcipere queat.Nullam ite do&rina acquiri certum cft,quia fequeretur,vt cum primum virtutes nobis cognka? eflent , tunc no s cas pofsidere diceremur, quod falfum efle, res ipfa oftendit, & Ariftot. t. e- thi. cap-4.d0cet.vbi poft quam deartibuslo^uutus eft addit. Quae vero fe-  cuodum virtutes fiunt, non fi aliquomodo ipla fefe habeat ,continuo tuft e &  tempcranter aguntur , Sed fi qui agit quoque,aliportet,& refiquis fi qua? lunt honefti formulis feruatis:nihil tame donare, tmovndique fi poflunt 8c quidem cupidifsime accipere. Quis ergo dicet in huiufmodi homine liberalitatem adefle? cette fi adeflet,Homini pu- taprobo,&paupertateimpedit6 ne Phyfiologia? Thtologiar que atque aliis bonis difciplinis operam dare pofsit,benigni2sime faceret. Hucilla OukUi penmlgata carmina fpedant: Sed trahit inuitatmnouavis, alifidque cupido Mens aliud fuadct, video meliora proboque, Deterioralequor. Qua? fi uera flint, quomodo Ariftoteles hie dicere potuit>ognitaonenriftfu* finis ad vitam rede agendam inftituendimqu* conducere i 8c alibi quoque vt ckcimoethi.ca. vlfc& /.pol.i^viros fieri pw^dodrina, into in bocco^ /Google Digitized by ^ )4 ETHICORVM dem prime infer iui Faelicitatem poflc inefle omnibui,per doftrinam & cu- rara. Refpondeo virtutes, non ingenerari do&rina, fed doArinam inftruc- re nos quid aeere & quomodo,3c quando agere oporteat,ex quibus aftioni- bus,imperfeais quidem,fpius repetitisHabitura vircuti? perfe&uro adipi- fcamur. Confert ergo tain natura quam dodrina^ad Virtues, & ilia quidero aptitudinem & habilitatera tribuit, vt fee, ethi.cap, i. dicitur:h?c vero ma* gnum adfert adiumentum, quia nos inftruit , allicit, inftigatque. Sola vero afluctudo & mos funt modus, quo proprie & per fe,nobis fie a natura fa&is* & a doftrina inftitutis ingenerantur & confirmantur: Virtutura ergo & vi- tiorum omnino tales habitus fequuntur, quales a&tones prcceflerunt. Vir* lutes nan que confequimur,virtutis prius fundi muneribus. Quibus'pofitis, pugnam fupra propofitam, nuHam amplius efle,fatis coaftat. a Quare ad con* textum redeamus. Videbicur aucem ad illam qu^ prxcipua cft,& maximc Architcdonica pcrtinerc, talis aucem Ciuilis fd^ntia efle videtur.Quales4ianque in Ciuitate fcietias efle oporteat, & quas quifquc difcere debcat,& quoufque,ipfa ftatuit.I- tem facultates honoratifsimas fub hac fitas efle , cernim*, vt Militarem,Occonomicen,Rhetoricen:Qudd fi h$cre- liquis (cictiis pra&icis vtatur,prefcribatq> quid agere,quo abftinere oporteat, eius finis reliquarum fines complete- tunguare is ccrte, hominis bonum erit. Explicatur alteram ex iis qua? ad quarrendum propofita funt : Et ftatuitur* finis huius humani, extremi,& fumrai rationem inftitutionemque a Politico expe&andam efle , quod tarn excellens ac fupremus finis, huic foli Difcipli- na? quat Archite&a quidam & quafi domina praeeminens inter difciplinas humanas eft*bcne conueniat. Et dominii quidem ius eo declarator , quod no modo ipfa fit quae ftatuat , quas in Ciuitate difciplinas doceri, quas item di~ fci , & quoufq; oporteat ,verum & aliis honoratifsimis facultatibusartibiif- que etiam praaiis leges,modos, finefque prcferibat. Architefti vero,quod praftieis omnibus artibus tanqua miniftris vtatur. (w/ew7W),id eft pr;ci ' pua,princeps,Domina (ma; 'mSh^fT). Vel abutatur hie vel non abutatur friend? nomine, non multum de re ipfa laboro , dum modo id femper reti- neatur, quod Thomas monet,Politicu videlicet eatenus ; tatiim fcientiis con- teplatiuis imperare, quatenus eas doceri & difci in ciuitate iubet: Quod iam f amulatum potius prat fe fert earum refpedu,quam Dominium , vtiuperius de prudeotia refpe&u fapientix dicebamus. Quare nullam rogo D. D. Iurisinterpretesfuperbiendioccafionemexhoc loco fumant:Nam velint nolint fafces Philofopho contemplanti fubmittere debent. Quid ? quod ne- quc hate de luris iatcrprcte dicuntur,fed de legum latore, id eft vere Politic co,qui Digiti zedjDy G00gle LI Bin 1, r ^ cb qui PhHofophus eft. Alios alio quodara loco Arift. Pcritos nomination Scietes. Quare fi iis Praxronu munus in fuo famulatu afsignemus, fa t certe redeq; afsignabimus. ( wDA/77)u).Intelligit vel vniuerfa morale tr a&atio- nem,vel Poltica qua? vna pars eft>& de qua i.PoLcap.i. loqnesait. Maxime  enim in feren- dis tantum legibus , & magiftratibus conftituendis verfatur , fed in reda e- tiam & prudenti, omnium adionum Publicarum adminiflratione,quod iam Prudentia, feu Ciuilis f oelicitas eft. Quare fatemur quidem , vt Arift ot. ait ia ethi. cap. vlt.leges idcirco fancitas fuiffe, vt homines in officio retinerf- flir, /edaddimus quoque, non in eo folo Ciuile munus confiderari. Quot e- nimcommodatamanimi quam corporis , Ciuili,in totius politiae vfum par randa fund quot deliberandi? de quam multis confilium capiendum?in hel- lo, in pace, in xrarii copia, in egeftate: & in fumma, in deliberationibus, in hidiciis,in ferehdis legibus,infinita afsidue Politico proponuntur,in quibus prudenter agere debeat:de qua perfe&a prudentia in ciuibus &r principibus defideranda,ab Arift.tertio pol.diuinitus eft pertra&atum.Hoc voluit Tho- mas cum inquit, In toto hoc,quod nomine Politices vocamus aliquid confi- derari,quod in parte nempe Ethico non confideratur: & Ariftot. in contcx- tu fequeti,cum dicet : bonum ciuitatis efle quidem idem bonum quod ynius eft, fed pulchrius diuiniufquehabet ergo aliquid neceflario , quo bonu par- ticulare caret. Quapropter tota haec res hifce Theorematibus iam tandem inhuncmodum concludatur. Primo,duplex eft f oelicitas qua? in agendo co- fiftit, vna quam viriprobi vocamus: Altera quam Ciuili Homini tribuimus? Secundo,vna& eademfcelicitas eft Hominisprobi& Ciuilis ,ha?c tamen quid amplius habet , ratione communi tatis, & circunftantiarum , quam ilia. Tcrtio, In Ethicis libris vtraque quidem f oelicitas proponitur, defiiutur,da cetur, cum vna eademque fit ibla ratione differetis, non tamen Arift jxtdi 3 li- bri foli Ethici proprie & vere Politici funt. Quarto proprie & yer^ Eplij:i n ci funt,qui Rerumpublicarum adminiftrationem tradunt,quales o&o illi ef- fe dicuntur quos Ariftoteles poft Ethicos ftatim fequi voluit. Quinto , pro- pterea libri Ethici nort refie Archite&onici vocantur. Sexto vere & proprie Architedonici funt, Politici hbri. Septimo, vnde fequitur , refte* ab Arillo- kdidumfuifle, Politici aut in vniuerfumaut ex parte fumpti,inupus efle^ feKcitatemhumanaraproponere 5 definire 3 docere. (jim). Inutilesartes& lafckiasmalafquecxpellkPoliticus aJciuitate,non virproi>us,atqpe5 t dob eamcaufam,ne ciues aut kjutilibus occupati feria preterm i ptant , aut malis aoibus operamdaDte$,Yeleffoenunati redd wur 3 vclprauis ration ibusim- c.iL Digitized by VjOOQIC -y ETHlCORVM butt damnum alterius pottus, quam bonnm procurare difcat. (Ee quit quif- quedifcere debcat &quoufque) . V tiles vero artes quasretinet Politicus moderatur:de Mechanicis loquor, quibus folis Politicus terminos & modos quofdam pra? fcribere poteft, quos excedere operando non liceat. Hue fpe- ttant proclamatioues & ftatuta,de moderato Conuiuiorum apparatu,de vc- ftimentorum ornatu, aliifqueeiufmodi ad nimium luxum compefcendum fpedaitttbus , qua? bene initituenda? reipublica? non poftrema? caufa? funt. Prmonecettamerudiendos,&puerospra?fenim > prodiuerfo eorum in- genio, quibus ftudiis operara dare debeant. Qua? omnia vt vera fint, ex Po- hticis Ariftotelis libris , Piatonis autem de Legibus , itemque de Republ. a quouis difci fact 1 lime poteft. Ha?c autem verba aperte declarant , Arifto- telem hie non refpicere icientias c6templantes,quibus ccrte Politicus , nul- lum finem 3 nullumque modum prefcribere vllo pafto valet, cum ilia? huma- aa? voluntati non fubiiciantur,fed a certa,determinata, conitanti'que rerum rattonependeant. (ItemfacultatesHonoratifsimas) Archite&i ius often- dit, quo Politica, Artis militaris opera, Rhetoric* ,& oeconomia? in Reipu- blica? tutelam & conferuationem vtitur. Nam Imperatori quidem prcferi- btt,quo ducere exercitum, quo pafto eo vti,quando confl igerey quos milites elifcere debeat. Oratorum vero vfus, quantus in Republican^ nemo eft qui rielciat: Atqui his quoque, quid, quatenus, quo loco 8c tempore agendum fie a Politico mandatur. Oeconomico ettam prj cipitur , vt modum aliquem in poflefsiohe agrorum , famulorum, in permutando id eft vendendo atque e- , mendo feruet. (Rhetoricen). Non eftfeipfa honoratifsimarhetorica,vt Arift.i. Rhet. cap.*, aduerfus iftos Arrogantifsimos Rhetores declarat. Ar- rogantifsimosinquamrhetores quofdam noftritemporis*quife volut ora- aibus fciefttiis immifcere, fuifque perfuadibilibus ea damnare in Ariftotele & aliis fummis Philofbphis,qua? legere quidem poffunt fed non intelligere; Vride imponut tenerion iuuentuti, & illius animos ab Ariftotelica le&ione, ex qua vrta vera? & folid? difriplinaJ hauriri poflunt,fuis quibufdam flofcu- fis argumentorum, eleganti & vbere oratione veftitis volunt auocare. ToU lendacertee medio iftamonftraefTent, non autem inGyipnafiis publico vi- Sbi alenda: Eft ergo Rhetorica eatenus tantum honorat ifsima,quatenus ad- iundaeft materia? Politica? in qua vna proprie verlatur.(Oeconomice).N6 imperat Politic 9 Oeconomico, quod ad mores familiar pertinet*fed quod ad pecuniariam facultatem, qua? in parandis opibus verfatur. Ha?c Platoni i- deiri eft quod oeconomia. Aliis oeconomiar potifsima pars: Ariftot. vero,e- ius mtntftra t liquet id ex p. pol. cap.? .*. Colligatur ex hac contextus parte: Non quamuis fcientiam qua? fub altera quouis raodo fit, effe illi ( vt vocant ) fubalternatam:quanuis id Ariftoteles quibufdam fuis verbis in i.poft.analy. djcerevidtfarur. Scientia ergo vnafub alia, etiamdicipoterit,foIo!ordinis $ yfus refpe&u. Colligatur fecundo Polkicam Scientiam non raodp Archil teeuodem prorfus fjnem efle Politici & Ethici: auanuis ifle peculiare aliquid amplius habeat,quoci & lattus pateat,& perfe- cts diuiniufque habeauir, proindeque fummi boni inftitutio ad eum prae- cipuepertineredicidebeat. Alter anguftior eft contr&fiiSrque , quare non itaeminens. Sed verba paulum perpendamus. (Nam fi). particular caufam ^flFert eorum qua? did a funt. Nulla vero aut caufa aut ratio hie petenda fait, prarterquam eius quod proxime ddcuerat,nrmi t rum,cijr Politico muneti tribuerit, quod Ethicus ipfe folus praftare vjdehnv ( Vniushojninis). Dixi antea,virtutes norninis vnius natura?,nonhifi ciuilis focietdtis gratist , ad jquam natus eft, conuenire videri. Viri tamenprobii&ib , qiied non adco in multos redundet vt Ciuilis of ficium, vnius efle dicitur. (Ciuitatis tamen bo- Bum). Quanuis idem bonum fit viri probi, $c Ciuilis, non tamen neceflario cSocedendum efle Ariftotefi videtur, Summi boni inueniendi intelligendiq; rationem rede Politico, non Ethico afsignatam fuifle. At fi conftet Ciuileia foeticitate foelicitate fingulorii excelletiorem efle,iam Arift.libere affentie- dum erit. Eft aute excellentior & dignior Ciuilis foelicitas,quia amplior fit- Quod probatur, quia diuinior eft :Nam qua? bona latius patent,ea ad bonita- te Dei qua? latifsime & copiofifsime fefe fundit, propius accedere, explora- tifsimumeft. HacrationeCiuitatem naturapotiorem&priorem qualrbet alia focietatis fpecie nunciipauit i.pol.cap.i.perfeftum nanqueprius eft na- ture imperfedo,vt ex primo de carlo liquet,& Autor rerum prius totum ta- quam finem confiderat,fibique proponit,quam partes. (Genti). Inter Ciui- tate)n& getem illud intereft,quod Ciuitatem locus vnus & Vrbs vria 3 Gen- ton vero regio vna tQUContinet 3 elicitur ex i. cap. fecundi pol. & ex 4. ft- Digitized by Google jl ETHICOHVM ptiral (Quafda Politica). Non dicicur ergo fola verifs jme Political vf Mi- randulanusvbiqueinculcat, fed pars quzdam Politica?. (H*c methodus). Ethica nempe, qua? idcirco finem humanum proponet,quia quapdam Politi- ca eft: Vttra&atiodePrincipiisrerumnaturali^ efle dicitur, id eft pars qua?dam continens elemeta omnium effedorum Phyficorum,qu elementa in aliis libris non proponutur, quod eadem femper, fed magis ap- propriata, vt Auerroes ait, efle fupponantur. CAPVT III. Satis aute hac dc re di&ii erit , fi pro rci CubicStx natura explicabitur.No cnim inotnnibus difputationibus,2qua- liter docendi fubtilitas requirenda eft, quemadmodu nee in iis operibus qua? arte fiunt. Acqui in iis rebus quae hone- fbe& iuftae funt,quas Ciuilis fcienciaconfiderat, tan tain- eft difsimilitudo tantufque verfatur error, vt lege tantum- modo, non etiam natura conftare viaeatur. Eiufmodique ctia error in bonis ineft,propcerea quodxnulci ex his deed menca capiant. lam enim aliis diuitia?,aliis fortitudo exi~ tiumattulit. Ha?c eft tertia prooemii pars , qua? ad rattonem dodrinar huius politic* tota/pertinet,&quaficuiufdam excufationismodumobtinens. Eaveroeft in fumiraNon vbique neceflarias argumenti conclufiones efle requirendas, fatis agi , fi fubie&a? materia? fit accomodata oratio : prarfertim vero in mo- rali Philafophia, vbi multa funt incerta & vana propter varias hominum o- piniones, atque adeo vt tota ab hominum exiftimatione & opinione pende- jre videatur.Qur inconftantia & varietas,tara in bonis,quam in iuftis &rlio- neftis animaduertitur:(iquide ea qua? valde etiam bona reputatur,vt Diuitia? & Fortitudo, multis exitio plerunque fuerint. (Satis autem hac de re di&uiti erit). Safpius Ariftoteles in his libris de moribus hac excufatione vtitur:%*o fubiefta videlicet materia difputationes fufciptedas efle:Qua> item in a&io- mbus verfantur nullam habere ftabilitatem,fed alias conferre alias minimi, vt bellum gerere modo vtile eft modo inutile:& inlioneftis eodem mddo.rti aliquado depofitum reddere,vt inquit Cicero , honeftum erit,interdum non Z r ^: Itt V unma>imniutar i iftaproa?tatum,agetium,locoru, opportunitatum, habitudmum necefsitatumque diuerfitate. Non Temper eadem Reip. tepo- ra funt, non femper iidem flatus manent. Quare quemadmodum neque Sa- lubria exquifite definiri poffunt, vt liceat videlicet dicere,tantam efle opor- tere exercitationem, tantum cibum falubrem , proptereique plerunque tarn exercitatioquamcibusnoceat:itah qua? occafionibus maxime expofta f unt,adamufsim determinant fcientia comprehend! nequeunt.Ergo fi di- Tp utationis genusjeis accomodatum afferatur , cert* fat erfc,fimefurvtEU- ftratius Digiti zed by G00gle LIBER I. & fbatius inquire! quod met imur quadraredebeat. Alias nosdiximus, Res 'aut mutabiles effe aut neceffarias, *.ethi.ca.i.primo magnorura mor. ca. 3*. lies aut em flec^flariar aut caufam habent aut non habent 5. mct.cap. 5. & o- &ano phy.tex. 15. Res vero quae hoc & illo fe habere modo poflunt, aut fub a&ionem aut fub effedionem cadunr. Et liarcomniacognofcuntur vel certo & vfquequaque,vel incerte ac tenuiter. Si leuiter apprehendantur > opinio & exiftimatio eft. Sin vfquequaque comprehendantur, habitus illi quinque cxtunduntur,dequibus nos fuperius fatis(ni falIor)diximus.Eft ergo opinio tefte Philopono in 3. de anim. nil aliud,quara rationis conclufio cognitioquc deterior, qu&m per ratiocinationem. Ad (cientiaJm vero gighendam firmif* fimo illo argument^ nempedemonftratione opus eft. Hincfit,vt Prudentia & Ars medio quodam loco fit* fiat ( quod ad certitudinem attinet ) inter o~ pinionem ex vna parte, atque Scientiam & Intelligentiam ex altera. I nfinuat lgitur fe opinio & exift imatio in res omnes tarn mutabiles quam immutable les,quemadmodum etiara de Solerti%& Ratione dicit Ariif oteles fub finein rirai pofianaly t. Tarn enim Ratio in neceffanis difcurrit, quam in proba* ilibus: Solertia item , qua? eft facilis & expedita medii inuentio , tarn in re neceflaria , quam mutabili locum habet , vt exempla ibidem ab Arifto- tde allataoftendunt. Ergo falfum eft quod nonnulli ad hunc locum decla- randuin fimpUciter dicunt. Qua? fprtt extra mentis comprehenfionem & fub fenfum cadunt,opinabilia effe.Dkamus itaque in Rebus quidem[moralibus, quodneque vniuerfales fint neque fua ipforuronatura exiftat,vt Alexander ait 2. met.com. 5. verkatem illaraverifsimara &certifsimamnonreperiri, qua? in rebus i fenfu abiudis &ftmpiternts reperitun Ta tame in his quam in illis quod ad certitudinem attinet,de qua hoc in loco agitur , Opinionem fuum locum obrinuiffe. lam vero dertionftrans argumemum in moralibus nullum habere locum pofle, fat ex iis liquet, quxdeeiusnatura in analyticis tradita funt. Illudmagis a nobis qui* poterit efflagitare,Cur fi Intelligentia qua?fupra ratiocinationem pbnttur>non nifi leuioribus quibufdam afgume- tis comparetiir, nempe iiidu&ione argument o ab effe&is,confequemibus & babilibusrationibus,cur inquam 9 quodad certitudinem attinet, opinio pliciter did non pofsit: nil certe id prohibere videtur. Refpodeo, in In- igetia aliquid amplius fpeftari,quam in opinione : nam ibi principiahac vim & naturam habent, vt folo frfnplid obtutu, fine alterius rei mteruentif, menti vel paulum illuftrata? tota fe infpkienda prxbeant, idcircoque natu- ta nota vocantur. Hac condition* Opinio caret. Colligitur ex hoc loco , in omni traftatione principia confentanea propofitis rebus aflumeda efle-.nam, vt Ariftoteles inquit ex eodem generc efle debect qua? demonftrantur , & ea per qua? demonftratto confidtur. Vnde & muhos gradus demonftrationum certiorum & incertiorum^dres videlicet neceifarias,&c6tingents varias, & conftantes , fecundum exigentiam accommodandos, Greci ex Arift otele propofuerunt. Quaretum fatis rede materiam propofitam tra&auerimus, cumprindpiaexquibus demonftrare>&fubieaa quibus pafsiones inefle voluamsa 8c gafsiofles quas problems , ex iifdem rebus quarum ars a nobis Digiti zed by G00gle 4 * * XTHICORVM n^itur,eoifthiit4enmt. (Materia), \focp wtei:iam ? inquUEuftratiu$iV- iiamquauque rem mcthodo fubieftaro&riA qua ipethodus verCmmquam i- tern vocat Ariftoteles. (Genus). RedditrationenMdemEuftr. quia mate- ria &fubie materia? variety, inftrumentorum varietatem infert , ( neque eniraeadem prwfns faber lignarius, & Sculptor inftrumenta expcdiendo& excudend^tra&ant ) 1 tain his > generis fubie- &i natura conft an tioraup minus cpnftans,Methodoruy arias differ etiasex^^ git : aut fcilicet verifsimas qtweque nuilo pafto refelU queant^ujt probabiles & poputares,qualefque res bx human? incertum exitum habentes expofcut. Vtitur frequentius Rhetor exemplo & emhymemate,i.rhet.c.zi.& tj. Dia- le&icus frequentius fyllogifmum &Indu&ionem ad difputationem adhibe- bit. (Non etiam natura). Aqaturaiufta^hneftadu magis quam pro patre & patria pugnadum ef- fet. Sed exeplis agamus, qua? adeaqua? in.obfcurp latent,vt inquit Ariftote- les, in lucem proferenda djjclarandaque* yelutiteftes valent. Vidit Sapiens elemental reliquas huius yniuerfitatif pactes r fibi inuicem cedere, iuum quanqueamare ordine^apquabilitatemque ^jwegeometricam feruare.Hihc ergo tuftitifc hincliberalitatis^iiagnificentijContinentiap, temperantiaeque modo Natura; fed ipfius Dei vuljt ftatuta fequi. Atqui homo opus natur^e^^m cuius fahrica ifta omnia nature decreta clarifsime veluti m roto ipfo vniuerfo fped^ri poffimt. Itaque vt non natura illi inefle morurft virtutes flicimus^ita neque prarter natura inefle affirmamus,quodin co ienunamorumnonmoresfitaanaturafint. Statuaturergo verifsimedi- ci,Jufta /Google Digitized by ^ LIBER t 41 ti , Iufta fchoneffid natura , id efi Diuina lege dk , & horura in nobis fcrni-* na natura inefle. Qtipd fi prifti fit prsectptor id eft Sapiens , multaeque & rcpcritx aSiones fimiles adhibeanfuf , Habitus ipfi acquiruntur ; qui- bus adept is, conftanterpoftea expeditque8ducunde,honeftaiuftaque a- giraus. (In bonis). D bonis loquitur, .qua? facilitates dicuntur, id eft bona omnia externa & corporis atque etiam animi,qiia? tamen a natura nobis co- tingunt:vt vis ingenh,vt diuitia?,robur,pulchritudo,eloquetia,fcientia, Vo- catur autem faautates,quia dant nobis & bene & male agendipotcftate: pro ilUusnanqueingenioinquemincijderint 5 quanuisfuapte natura bona fint, foleat & kicommoda & vtilitates afTerre. Neque hac ratione folum ifta bo- na aliquado homini mala &r exitiofa funt, fed etiam quia pofsidentibus ipfis exitiumafferunt.Quod fi refpiciamus,in numerohorum bonorum>& virtus &Religio qua? bona laudabilia & honore digna vocaret Ariftoteles,colloca- ri decent, RelicionanquequidexceHenseft,advirtutes autem lausperti- et,de qua re alias. (Fortitudo).Robur corporis fignificat ,quod ad amicos* propinquos,parentes, patriam denique & nos ipfos tuendos multu prodeft. V/urpatur ergo ctf/|ptf$ vocabulum hoc in loco , ob affinitatem fortitudini $ quarincorpore,&eiusqua?inanimocon{ideratur 9 vtuftratiusinquit. I- dem fupra de vocabulo Virtutis fa&u eft,& infra quoque audiemus.Dicitur autem et*fyH*preprie , quafi virimaxime peculiaris virtus maximeque pe- culiare oriiamentum.Hinc contra vulgus,fummam turpitudinem, timidita- tem & ignauiam in homine,ficuti in mulieribus impudicitiam putat. Et eft tfftfy&A virtus ilia cuius munus prccipuum eft quiduis pati , & Mofti it opus fit , non propter poenas a legibus fortafle inftitutas > non propter pcmia& bonores, non propter iram aut fpem,feu periculi ignorationem,fed propter vnam horieftatefti fe exponere. De qua re pluribus in tertio Ethico. Robur vero,inintegritate&vigore fenfus & mows, omnium partium corporis noftrifpedatur.  Ergo fatis crit , fi ii qui de hifce atque ex fiifce retius cfi- cunt,rudiore quodam modo,&wtf, quid verum fit de- monftrent,&de lis atque ex lis qua? plurimum eueniunt, diccnccs^talia quoque concludant. Ibctts hie qui veluti in cbnclufionis modum profertur, perfpicuus iis qua? fupra aHatafunt^amredditusefTevidetur. Sed tarn pro his quampfoillis ab Ariftot.&r a fjobis aIlatis,confuTatur pulcherrimuslocu$,& fane dignifsi- mus qui aTsidue in mente & in ore docentis & fcribentis liabeatur: Id eft in primo Eudemico cap.;. (Plurimum eueniunt). Ratio iufti & honefti,item- que boni,ex eo rerum eehere eft, quod plurimum eodem modo fe habet,ipfa vero iufti & hbnefti aftio, in numero eorum contingentium collocatur quar apqualiter vno & altero modo fe habere poflunt. Pnmum enim fi natura no- hunts confideretur, antequam habitu virtutis obtineat, vktutes pariter fuf- cipere & non fufcipere poteft; Appetttus enim rationi obedire & repugnare Digiti zed by G00gle 4* ETHIC OR VM  *que valet. Poftquam etiam habitus erit adepta, munia ipfa viftutts cxequi pariter&nonexequipoteft. Noneflct ergo minus facienda fcientiaharc quamPhyfiologia 5 quodadcertitudinempertinet 3 nificontingentia phyfi- ca,a coftantion radice oriretur. (De iis atque ex iis). Tamfrincipia argu- mentatiouis quam conclufionem hgnificat, qua? eiufdem generis efle debet* tefte Philofopho in Analy ticis pofterioribus. Eodemque modo quicquid dicicur accipi debet. Eft e~ nimhominis eruditi tantam in vnoquoque genere fubti- litatcm requirere, quanta rei natura recipit. Perinde nan- que efle videtur , Mathematicum rationibus probabili- busvtentemferre,&aboratore demonftrationes poftu- lare. Atqui de iis quaeiibi tiota funt bene quifque iudicat, & eorum bonus eft iudex:De fingulis ergo rebus, refte itf- dicabit is qui peritus eft : de omnibus vero 7 qui in omni re eruditus eft. Hare quoque ad rationem dodrinar Politico pertinent ^quauis Auditorem nonDodoremrefpiciant. Lex autem fane aequifsima hicfcrtur, vt epdem fcilicetmodoresaccipereaprzceptore velimus , quo tradi & demonftrari ilia? poflunt. Hinc de duplici illo Erudito mentio fit,de quo in primo de par- tibus animalium cap. primo 3 vno videlicet qui de vna re tantum : altero qui de cundis rebus iudicium ferre poteft. Vtrunuis horum pro auditore exigit Ariftoteles. Eft autem Eruditio nihil aliud quam facultas nidicadi quidnam rede aut non rede ab eo quidocet exponitur, non tarn methodo quam expe riment comparata-Differt a Scietia,quod ilia intimius res cognolcat : Eru- ditio vero tenuius &Ieuius,&quafiimperfe&afcientia. Adnibet Scientia, principia propria ad demonftrandum: fed Eruditio quicquid propofitap tra- dationiinferuire poteft, quanuiseius fines tranfgredivideatur. Anguftior eft Sciemia? campus, amphfsimus Eruditionis. Propterea rede Euftratius inquit, Eruditus eft qui rationes vnicuique fubiedo accomodatas exigit, & qui multarum rerum peritia eft imbutus. Erit itaque Sciens Eruditus,led no omnis Eruditus Sciens. Eruditi in omnibus rebus habitumfanpiusinduit A- riftoteles, vt quum Dialedicvm agens Categorias tradat , Ethicem docens, habitus Mentis exponitJPhyficen tradens,diuifionem Entis,aliique permul- taeiufmodi mmc a Phyfico,nunca Mathematico & Metaphyfico fumit pro- pofitar fibi materiei inferuientia. Multi etiam homines eiufmodi extiterunt & adhuc extant , qui nempe,verbi gratia,, in Mufica de fonis aliquam habent experientiam, in pidura colores, lineas, vmbras vtcunque nofcunt > in car* minibus codendis numerum & metrum fola experientia ex diuturna Iedio- ne acquifita tenent: Aut etiam qui in cundis fcientiis fimul aut pluribus eo- dem modo eruditi fint. Horum magna aliquando arrogantia efle folet. Cum nan- Digitiz tized by G00gle LIBER I-  i^^e^feaUqmdperegrinum&exalienafcieiitiaad res tradadas adhibere pofleScicnte$ ipios^id eft vere b$jfpow fpernunt,iifque etia pr 5. ftarc vohmt,quum cotra patios multiplice ill am fua le&ionem, incertitudi- nc & cofufionc qua detinetur, raetiri eos oporteret.Parat ergo Eruditio iter ad Scientiam, quemadmodum diximus Adiones virtutu imperfedas > ad vir tuttun habitus iter parare:Quapropter Greci muftutv ipfam vocarunt ,quod Videlicet in puerili prafertim artate adhibita plurimum proficiat , magna- que adfcientias&virtutes progreffuum caula eflepofsit. Ob banc ratio- Bern, nonnulla 6i Mathematico &Oratore Ariftoteles mtermifcet,vt videli- cet, inter Eruditum &Ineniditum,difcrimen appareat. Quia ineruditus iy- dicto carens, non diftinguit propriam a peregrina tradatione, fed vt Philo- fophuseffe videatur,quamlibetvel inanemetiam tradationem adquiduis doccudumaduocatamprobat. QuarctamlaudatacprobatMatheraaticum, quiprobabilibus rationibus acdialedicis vtatur quamoratorem,demon- ftrationes^d eft neceflarias argumentationes adhibentem. Mathematicarum TerodifdplinarumixeiCgAo^^ hoc in loco expendere fuperuacaneum ef* le&Dicamtts tadtum ob ea quae in Theorematibus noftris propofuimus,DcT monftrationes Mathematical quicquidSummus vir Tomitanus &clarifsi~ Jftis meus preceptor dicat. cont.ioi.p. poft. vt non funt ii 1m , quoniam ab effe&is nonprogrediuntur,ita non efle propter quid, quoniam non funt per vtramcertunquereicaufam. Refcruntur aut em ad demonft rat ionem pro- pter quid,quatenus font ex prioribus & notioribus,qua? in mathematicis( v- bi veriores caiife non adfunt) cenfentur , ac fi effent vers caufa? rei. Idcirco* prinripiamathematicavocata funt abAriftotele fimilitudine principia , 1. moraliumEudentcap. 7, vt a quodam dodifsimo PhilofoDho alias animad- uerfum futt.Iam quod Mathematjca non fit vere Philofopliia liquet ex Sira- plici03.de antm.36. Alexatyito in prcfatione in primum Analyticum>ProcIo m primum Euclidis, Ammonio in categ. qualitatis,Philopono in pft.analy. Com. i. Nam neque fubftantiam imieftigat, proindeque proprias & defini- cas certaTq; caufas non habet, imo vnius effeaus multiplicem obtinet. Ne- que repugnant haec Ariftotcli 1. poft* cap. 13,6c 1. meta.11. Nam certifsimas vocat demoftrationes Mathematical , quia eoru propofitiones ita nota? funt acperfpicua? 3 vtvelfenfibus ipfispateant,iU{fque fcrmifsime aflentiamur. Hare Simpl.p.de anim.n . Alia certior certitudo demonftrationum eft,quan- do videlicet effeda qua* adu lint, per caufam fuam veram, propriam* & certam co^nofcuntur. Qua notione tarn tradatio de Antma , & tota etiam Phyfiologia^quamMetapIiyfica, certior Mathematica diet poteft. Iadent  nunc Mathematici > fuaTque predicent Demonftrationes. Orator vero, qpi quanuis omnia fere omnium Scietiarum tradare veHe videatur, proprie ta- men maioriq; ex pane in rebus ciuilibus verfatur, exemplis,& enthymeraa- tibus, a verifstmuibuf feu perfuafibilibus dudis,plerunque vtitur , fpedans fingularia > fortunam, locum, tempus,& perfonaro : pro qua re tota confu- latur pulcherrimum Alexandri prooemium in Topicen, vbi quomodo Rhe- toricaDialcdic* fit ahirewn explicare vult. (Atquideiis qusfibi notj| Digiti zed by GoOgle 44 ETHICORVM funt). Iudiciumfiucxe/W eft notiriacondufionisquam Mens efficit: Hoc; le&io fequitur quae Mentem iudicat ; quo fa&um eft, v t oh maximara con- iiin&ionem, ide eflfe dicantur. Quaeratur,verbi gratia, num Refputyica qua? ex ciuibus,agris etiam colendis operam dantibus conftat optima fit:Concht dat autem Mens ratiocinans , optimam effe . ognitio huiufce conclufioni$ Iudiciumnuncupabitur,cognofcetur autem quura Iudicans Cogkabit>Rem- {ublicam ex hoc hominum genere coftantem iuftifsimam Sc tutifsimam ef- e:nam viuunt huiufmodi homines diuitiis partis fecudum naturam , abfitnt ab ambitione, non funt ociofi , idcircoque in nouis rebus occogitandis , auc exufckandis non funt occupati , fed finunt leges vndequaque dominari Jam fequitur Bledio,qua? hoc ordine hominum coftituendam rempublicam efle omnino deliberatum habet, imperatque aliis ariimar facultatibus,vt ad idem (enttendum agendumque moueantur. A Iudicio Iqdex deriuatur> qui differt ab Arbitro , quod caufa cognita ex lege iudtcet,hic v?rq cognitam litem, ex a?quo&bonodiriraat,teftePhilofophoprimoRhetorico. Qupcircaciuilis Scientist non eft Iuuenis idoneus audi- tor,^ nah^ueaftioniim humane expers rdcquibus tamen & ex quibus haecnoftra trattatio conftit : praterca vero cum libidini animi feruiat , friiftra atque inutiliter audiet, quandbquidem finis hnius difciplinar non in co- gnitione,fed in a&ione confiftae. Nihil autem rcfert, an moribus adolefcentulus fit, v el state. Non eft enim culpa in tempore, fed in eo quod conuenienter fuisaffe&ioiu- bus viuat , & fingula perfequatur. Huiufmodi nanque ho- minibus^vt & incontineritibus, iniitilis hxc difciplina eft. At yero qui ex recfca ratiohe appetunt, lis fru&um vbcrri- mum ferre poteft. Ac de Auditore quidem , quoque mo- do accipiendum quicque fit, & quid nobis fit propofitum hxc prooemii loco di&afint. Colligit au&arium ex lis quat de Erudito auditore Ioquutus erat Hoc ye* ro eft > Adolefcentes ( quo nomine adultos &fenes etiam intelligi yujt, fi morbus adolefcentum viuant,id eft affedionibus obtemperent) ad hanc.ci- uilem Scientiara no efle accomodates auditores>quod nullum ex ea fri$un* perciperepofsint. Sedperpendamus fingula. (Quocirca Ciuilis fcientke Iuuenis, non eft idoneus auditor. ) At qui no femel tarn a Platone qui de vir- tutibus&vitiis,omninoque de bonis hifce rebus &malis copiofe& enu- cleate fcripfit, quam ab Ariftotele di&ura eft, In pueromm inftitutione plu- timum efle elaborandum, & hoc forum qui leges ferunt pracipuum munus ge,vtciuesin bonis & yirtuttconfeatands a&ionibus eosexerceajitt Id certef Digiti zed by G00gk LI1E>R i: . m *mceTio.etUcapMt.&o&ai*>^^ Verum tftacum hoc loco non pugnant 5 in qw Ariftotelesvt fides fui$ demo- Ibmioiiibus popular ihuspr$ttetur, Audxtore peritiim exigit, qualem certe r IuuenemefTe nemo dicet, qui expers eft omnium a&ionum qua? in hacvita verfantur. Non arcet ergo hoc in loco luuenes a Politica clifciplina , fed eos vt impcritos iudices certitudinis huiufce difciplinae damnat. Quare alibi iubet pueros bonis adiontbusafluefieri, vt fidera iis qua? in Politica rradun- tur praeftcnt. Hoc eodem modo loquebatur fexto etbico cap. 9. cum diceret, Iudicium vero eius quod diximus eft>quia pueri Geometric* fiunt & Mathe- cc matici, prudentes autem non videntur fieri: caufa autem eft, quia prudent ia cc eft fingularium, quae fiuntaota experiential Iunenis autem non eft expertus: cc longitude nanque temporis facit experientiam. Aut dicamus Idoneos Poli- " f tear Auditores>hoc in loco Adolefcentes no cenferi,quia Auditor es veri Po- litices tili funt, qui non modo norunt quid agi oporteat, verum etiam, nihil jfine vtrtute agunr.quod praeftare nequeunt Adolefcentes,qui nonduni affue- tudineaut vte rerum initru&i habitus morura adtpifci potuerunt. Hie fen- fus elfdrur dim ex verbis Philofophi qua? proxime adduximus,tum ex mid- tisaiiislocis qua? adducere fuperuacaneumeffet, omnium vero maxime ex pnrfcnti contextu. Fruftra nanque & inutiliter audiet, quandoquidem finis nuhis difciplina? non in cognitione fed in aclioneconfiftit. (Nihil autem re- fertanmoribusadolefcentulus fit vel state). Quofdamefleexmultitudine docec Arift.io. ethi. cap. vlt qui ad honeftatem & probitatem nulla ratione excitari queant. Nam cum penitus affe&ionibus locum dare diuturna aflue- tedine foiiti fiot,t oti'que in voluptates fenfus propeof^ea quibus ha? pariuri- tur,confedari>reliqua vero omnia odio proiequi,nuUamprocfus nonefti, nullam iufti notionemanimo depi&am habentes, ita quafitiatura fa&i funt, vt nullaoratione emedari,atque a vitiis & flagitiis ad virtute t raduci queat. Nequeenim fieri poteft, autcerte vix>vt quae iampridem moribus concepu funt, oratione deleantur. Hos ergo homines Ariftoteles quos etiam incon- tinetibus coparat veluti iniquos huius difciplina? moralis iudices& inutiles auditores reiicit. Quare nullus ampkus fupereft locus qua?ftioni illi,qu hie tot verbis ab interpretibus felet exagkar i,qua nempe qua?ritur,Cuina hare difciplina Politica vfui fit.Refpondetur enim*primum Adolefcentibus,quia in ea prascepta a&ionum difcunt* quibus poftea ad praxim fxpius reuocatis habitus virtutum perfedos acquiront* Refpondeturfecundo, omnibus iis qui natura fua*& non fcientes cum ratione rede agere videntur. Refpode- tur tertio, omnibus iis oui non adeo affectionibus & appetitui locum ac do- minium tribuere foiiti funt, vt non aliquid etiam Rationt iuris reliquerint, quae deinceps do&rina excitata,& confuctudine adiuta,imperium integrum adrpifci valeat, ideft, appethum & affe&iones ita fibi fubiicere,ita profter* nere, v t quanuii iafurgere aliquando velint, ipfa tamen afsidue dominetur, Conducitad haec^urfus vitap a primis Jttatis temporibus inftitutus: irabibu- tur enim omntno tenuioribus annis , mores & exempla , quae ob oculos no- ftros ponuntnr , quibufqueinltituimur. Quod fiadinftitutionem diuturna Digiti zed by G00gle 4* ETHIGORVM cofuetudo accedat, nil aut reft ius fi bona>aat maris exltiofumfi mala fit. Vi* cnim ac ne vix etia fieri poteft ,vt vel monit is vel praceptis vel poena etiam, a perpetua confuetudine male agendi>ad vita? rationem officii & humanita- tis plenam, huiufcemodi homines vnquam reducas. Sed omnium maxima & potifsinucaufaeft Natura, id eft habilitas advirtutescapeflendas a natura nobis tributa. Namvt7. pol.cap.13. docemur, Homines tribus rebus boni probicp fiunt, natura,do&rina,moribus. Nam primum nafci oportet ,- id eft hominem effe, npn ex alio geriere animantium, turn vt certo quodara modo, corpore & animo fis affe&us,id eft ad virtutes procliuis. Et in f . pol. cap: n. dicitur, Naruram aliquando prauos homines gignere, quoru prauitas difci- plina&virtute nequeatfuperari. Eftautem narura iftaa'quo habilitatem hanc accipimus,cor pus caelefte , & ex confequenti Deus veluti caufa prima- ria coefficien s,caufa?que inferiores 8c fpecialiores,qua? Omnia temperatio- nem corporis & habilitatem animi,pra?fertim vero appetetis diuerfam pof- funt efficere : Omnia (inquam)quandoquidem Caelum nihil producit in his inferioribusnifi caufarum particularium beneficio, quas ipfuiti mutare ne- quit:Appetenti vero anima? potifsimum dominatur, quod ilia e materia? la- tebris edu&a fit, corpon'fque temperationem fequatur. Mens natura fua di- uina & capleftis eft, quare a caducis iftis & corporeis no mouetur : quin imo ipfa dominatur Aftris, 8c fupra Fatum eft. Sed quae ri hoc in loco iure poflet, cur Natura voluerit, no modo intelligentiam homini tribuere,verum etiam fenfum & appetitum, qui intelligentia? refifteret, illamque fappifsime pro- fterneret ? Certe Naruram, fuum in homine finem aflequi non potuifle , fu- fpicandi aliqua hinc nobis occafio prcbetur. Nam cum hominem ad verita- tem&hondtatemgenuerit,fittamen incommodo &.importuno comitatu appetitus,vt is omnibus caecetur erroribus,omnibus vitiis inquinetur,dete- riorquebrutis euadat:vt enim homo,inquit Arift.i. pol.cap.*,& 7. ethi.ca.tf. perfetionemna&us:aiiimantium eft optimus : fie cum a lege 8c iuftitia dif- cedit, omnium pefsimus habetur , dum ratio miniftrans & fubferuiens fen- fui,infceleribusatqueflagitiis noiusexcogitandis&rinquiredis continen- ter eft occupata , Prudentia 8c virtute qnibus eft a naruraarmatus ad omnes fuas cupiditates expledas abutkur , vnde homo nefarius & immanifsimus e- tiam aliquando euadit, in vencremque & gufem turpifsimus. Hinc monftra ilia, vt Caligula?, Nerones,alia?que noftn teporis fortafle no minus agreftes fera?, non minus turpes,non minus immanes* Refponderi folet 8c rede,Me- ti 8c in agendo 8c in cognofcendo ( quorum ipfa munerumrvtrumque obti- net) Sentientem anirpam annexam 8c copulatam fuifTe-.In cognofcendo qui* dem, quia cum per fe,& a fenfus focietate libera, firaplici intuitu , reru for* mas comprehenfuraforet, nunc phantafia? tanquam materiei fubftrata? vt forma coniunda , componit,diuidfr,ratiocinatur, a communibus ad indiui- ^uadefcendit,contraqueabindtuiduisadcommuniarevtoranes Temper voluptates qua? corpore & potifsimum guflu ttduquecapiuntur fibi amplexadas putet,ita vt cocitet ipfe potius affedia- nes, auirn ab ipfis concitetur. Contra Temperans ilk dicitur, in quo appe- titus abetter paret red? rationi: Continens in quo non libenter fedrepu- gnans vincitur, viduique vi obedit. Ex quibus liquet , quemadmodum In- conanetiaeft gradus quidam ad intemperantiam qua? integrum vitium eft, ita cootinentiam eflq progreffum ad Temper atiam quar vere virtus eft. Pro quibus confulendus eft Arift.-.ethi.cap.io. & feptimus eiufdem trad.cap.i. vfauc ad u.funt nanque-omnia ex illius ore fumpta. Vnde conftare illud vo* lojtoc interefle inter hominem viuentem k? 93pf , vt vocat Jioc in loco A- riftot.& flbt^i,Quod ille capit confdiu,& na^ntem habefts a cupiditate om- uino capcatam malifa ue moribus proffus deprauatam, de eo quod agendum eft deliberate conhlium capit, ita vt deprauata? menti aliquid proponenti, putaonme iucundumefleampledendum y Appetitus qui infano iinpetu fer- tur ftatimconfentiat. Incontinens vero conhlium non capit , fi ad confilium capiendum,rationem & appetitym coniungi oporteat. Nam non vt cogno- fcens & contemplans fed vt dormiens & ebrius agit.Qu^re quauis re afiqua iucunda propofita in qua potienda flagitium admitatur , integraque & reda ratione alb ilia abftinendum fuadente,altera tamen & peiotf ratio* nempe cu T piditas,omne iucundum profequendum effe clamet,ha?c tamen verba no in* tefligit,nequefibi accommodate fed ita affuefadusappetitus,prioremra- tionem fugat atque expellit.Ex quo Ariftoteles,Incontinentem Ciuitati bo- nas leges habenti quibus tamen ipfa non vtatur,comparat.Annotadum prar- terea eft, duplicem efle Incontinentiam, vnam qua; natura,alteram qu$ con* fuetudineingenerata eft(itaquoque duplicem intemperantiam conftituere licebit), Illam autem quae a natura eft , aut incontinentia aut intemperaritia, &dequaetiam^rtaifeAriftoteles loquitur cum homines memorat ** mL 9wr viuentes, vix ac ne vix quidem corrigi poteft. (At vero qui ex reda ra- tione appetunt) . Id eft ii in quibus aliquem ratio melior locum habet , ne- 3ue appetitus ita infanus & effr*natus,neque cupiditatum vis tanta eft, (Ac e auditore quidem). Epilogus eft prooemii, omnia hadenus expofita, ab vltimis ad prima progrediendo per capita repetens. ( Auditore) aequo & pcrito : (accipiendum quicque fit ) vt tradi ac doccri poteft ; ( quid nobis) Digiti zed by G00gle V* ET&ICOHVM Politicis. (Sitpropofitum) ageredefummo bono hominisagemis,idcp& }roponere &tradere, populari oratione argumentttkmibuique inaterii ubie&ar accommodatis vtentes, c a p V T i i i t. ' 4 Nunc igitur,repetentes ea quae fupradiximus,omnem videlicet cognitionem , omnemque ele&ionehi bonum quoddamexpetere:Dicamus > quidnaim illud fit > quod a Politica fcientia appetitur, te quod fit omnium agendaru rerum fummum bonum. Etcerte inter plurimos fere de nomine conuenit. Beatitudinem enim & valgus &Poli^ tiores vocant.Bene autem viuere,& bene agere,ide quocl beatumefle exiftimant. Qua? autem fit beatitudo, inter fc dtfTcntiunt, Neque vulgus &fapientesfimiliter cam declarant : Alii enim aliquid eorum quae font in prompt u & quae perfpicua funt, & voluptates^aut diuitias > aut Ho* norem , aliique aliud. Sxpenumero autem vnum & idem aliud. Quum nanqucafcgrotat, bonam valetudine,Quum pauper eft,diuitias,Quu vero fibi ignorantias confeiifunt^ eosadmiranturqui magnum quiddam,&eorum vires fu peransjloqutmtur. Quidam autem prxter haec complura bona,aliudquoddamper fe bonum efle putabant , quoct & his omnibus cur bona fint, caufa eft. Atque omnes qui- demopiuionesexquirere^fortaflefuperuacaneumfuerit, Satis autem erit fi eas podfsimum , quae funt celeb rio res, quaequealiquaratione niti videbantur,expendamus. Secimdahuiuslibri&prapcipuahapc pars eft,in. qua tradatioipfius fum* mi boni humani abfoluta cominetur.Enumerantur in primis male dehac re (entientium opiniones 8c refutantur.deinde Verifsima fententia preponitur cxpIicaturque.Prior pars vfque ad Scptimum caput 3 feciida vfque ad Decimu tertium progreditur. Caeterum quoniam Ariftot.hoe in loco primis {ipfif verbis proponit fe velle qua?rerequid fummum bonum fit,id eft ipfa Foelici- tas, adquam qua?ftione definitio refpondeturmon erit ab re fi de Definitionir natura 8c yarietate nonnulta pra?loquamur  Hoc enimmodo , De quana f delicitatis definitione afferenda laboret Ariftoletes , & in qua ei cum vete~ fibus conuenireautnonjconuenire cxiftimandumfit, facilius nofle poteri- mus. Definitionis itaquedu* funt fjpeoresvvnaexp.licans quid noraen ft:.. gfufioet Digitized by VjOOQIC Xljf^*- ..-v - ,>  LIBER L, 4> gnificet, dnfta ab accident iby^uibufdara , quam ante omnem quaeflionera nobis notam efleoportere docebat Arift.7.metaphy.59.Fru{traenini^ua!re- mus an Foelieitas fit,vtrum fit bonfc per fedum, nifi F oeiicitat is & Perie&io- nis noracn intelltgeremus. Altera qua? vim & naturam rei aft ert: prior Del- criptio nominator; feCutada Definitio quid rei. Huius dua? funt fpecies, vna qua? genus & differentias propria* definiti expi i mi t* Altera qua? caufam ad* ducit,a qua res ita pendet vt per earn eflfe & coferuari dicatur . Prior Defini- tio in omniCategoria locum habet.Ariftot.primoTopico cap. 7. idvoluit: pofterior Accident ibus propriis tantum peculiaris eft. Accidetiaitaque ma- lori in definiendo varictate ]prardita funt: nam earn primumhabet definition nem 5 qua? ex genere ac differ entiis rei conftat,a?que ac fubftantia,deinde ha- bentaliamqUam eaulalerttSjchola?nommant. Exemplum prima?. Febris eft intemperies catkla& fitca , qua? primi generis eft,afteres nimirum genus &* differemiam, (formalis quiditatiua nuncupatur inScholis) Exemplum fe- cunda?,Febrfe eft caloriftfitus conuerfus in igneum. Hie non genus & diffe- rentias Febris affefo* fed caufam per quam Febris eft 3 & conferuatur. Hoc fi animaduerrete Vohiiffent(obiter liceat ha?c dicere ) boni illi veteres Medici, nonadeolabbhUleiifeVfFebthncoi^seflej fruftra oftertderent: Vtraq; de- BnkioGzl^C^e^K^^^Jt^or.iS.di: t/f.liquet. Sed vna Formalis qui^~ ditatiua, altera CitoSfalis: Iri'pricfri idexigitur vt non modo genus, verum e^- nam generfs gehus Wipfe ad generalifiiriium, per regulam illam ante Cat*- goriaspofitam,iti quiddeDehflftopr^ intempe- ricmadDifpofitioherri feuoces,& Difpofitibnem ad Qualitatem, Febris tarn Qtalitas,tarti Maid tfifpbfitio; qtiam Intemperies dici poterit. Hoc non ac- ciditCaufali definitiorii, nJiitlC-ater irinatus, eft quidem corpus,eft fubftan- tia,nont)toehFelJrts r atttfi!bteftti^ Ciir igiturad hapcHlirefpicerertorirenirft^u^ eflemorbum in nuraei^SedredeoW'ifeftra.InE^ genus &diffe- retiam hoc modo. EcHpfiseftprn^atioliiminisquodlunaafole accipiebat. Ponerem item caiifara h diceremiBdipfis eft interie&io terra? inter folem & lunam. Ha?c definitifccaufalis, fi cum Formali ilia quiditatiua comparetur, vere definitioQuid rei dici pofle videtur.Nunquam ehim quiefcimus in na- ture propriarum aflFeftionuh^haurif daj, niff aim ad caufam a qua pendet af-r fe&io,peruenimus. VrtdeabAriftoteleBefiriitio qua? caufam aperit , prin- cipium demonftrationrs Sra GrWcii formalis appellatur : ilia vero qua? ge- nus & differentiam afFert, Cbncltif?o dernonftratioriis 3 & a Grapcis Materia- lis vocatur. Nunc ad idcfiius> funt. Ariftoteles itique prime loco,initio nernpe huius capitis,illara Define ttonern nobis ob oculos ponit , qua; defcriptio aut quid nominis dici folet* d*. Digiti zed by G00gle 40 ETHlCORi^M' fecundo altcram(quaft per gradus defcen4ens)infirrtierm a genete & dif- fieretiis fumptam vult afferre, in primanempe leptiroi capitis parte.Poftre** ftio tcrtiam Yerifsimam atque certjfsijnam > qua? caufanjfqpljcitati* confix cientera exprimit , in altera videlicet feptimi capitis parte , quam deinceps v fque ad vltimum caput diligetifsime perfequkur* Qya? yero inter feptirai} c hoc noftru caput quarturn, interie&a fuat, ad refutandtas aliorum fenten - tias de caufa Foelicitatis pertinent , quod Ariftot. in omni fua difputatipne ante omnia praeftare folet : caufa multiplex alias fuit a nobis expofita. ( Et certe inter plurimos fere de nomine conuenit). Omnesfummuni illud bo- ttling oelicitatis nomine aut alioeius fimili in fignificatipneexprinuit 3 id eft, ftueAupiovicits & ^Jbupjovw defcribunt,vt fit bepe viuere,& bene agere : (idem, eoim eft vita hoc in loco quod atio , fiue cmA*;c&* fequnda) Idem, in pri-, m o MagnorumMoraliumcap. 4. repetit his verbis: (Qarterum bene viuere, g bene agere,nihil aliud dicimus quam f oelicem efle,ergp & foelicitas viue Jo eft* Euftratius autem cap. 1. vocis huius vim explicans,inquit, Nihil aliud ^Jsfattw'uw fonare quam boni genid,quod videlicet fyomo qui jn perfe&ipne conftitutus fit, da?monem feu genium bene affeeii, qui neque etiam i- ftam foelicitatis notionem infitam in animp habent. Animaduertatur hoc in loco deceptos illos fuiffe qui fcribunf Ariftotelem dicere, omnes fere fateri, Fcelicitatem id eife quo referuntur omnia. Hoc nanque falfifsimu eft , cum ifta notio ad definitionem quid rei no ad definitionem quid nominis, de qua s hicfermo eft, pertineat,vt liquet ex cap& 77 5Jr. Non quia (vt Euftratius impro- prie loquens cenfet) quantum 77V fa fubie&um foelicitatis afferat , ( neque ^nim aliud fubie&um foelicitas habet quam Hominem cui adharret) fed ' quiaqua?fitum 77V ^ caufamconfidentem foelicitatis proponit,qua? iam i- pfamet foeUcitas eft.Nifi pro Lambino dicas, hoc quaeifitum 77V  confue L &genera~ . tim nobis ob oculos ponere. Hoover^ praeterquam quod in more Ariftote- Us pofitum eft, quia aninum legends ad rem poftea diftinft ius pertra&atara intelligendam,paratiorem habuioremque reddat , pertinet etiam ad tra&a- tionisdifficultatemaperiendam, cuius etiam gratia Arifloteles exeufatione quadam vtetur, vt poftea audiemus . (Vulgus ;. hoc nomine non modo Pie- bem,fed ciues,Principes,IUges,& Imperatores etiam comprehedi oportet, fi plebeio atq; abie&o animo (int. (Sapientes). Eos omnes intelligit qui bru- toruraanimantiumimagineranoninduerunt, neque mores lllorum expri- rount, id eft qui non ea qua? fenfibus tantum offeruntur quxque perfpicua funteligunt,fedquipauioaitiusmenteafcer^dunt.Seddenis infra. (Saepe- numero autem). In iummi boni iudicio , non modo vnum hominem ab alte- ro difcrepare, verum etiam eundemet a feipfo diffentire ( fi praefertim vul- garis conditionis fit)animaduertere licet. Aliquado enim fiet vt aliquis gra- uirer agrorans, nil expetibilius effe aut melius hbmini accidere poffe fecum animo cogitet atq; etiam clamet, bona valetudine. Idem poftea,fi quado bo- nam valetudinem adipifcatur, egeftate verb fe laborare & premi icntiat, a- nirao ftatuat, & affirmet,nil etiam alia bonaj effe fi cum Diuitiis comparetur. Qui item fi Diues forte-fortuna euadat/entiat verb interim fe infcitia? mor bo laborare, id eft partem fui pra?cipuam nulla cognitionis doteexorna- tam habere, fummopere iUosvtfoelices laudetatqueextollat>qui rerum frientiam fibi coparauerint. Hmcjitvtquicquiddkiaudiant,quodafen- fu paulo remotius fit v & quareuhque fibircommwiiter obuia, more vulgi mi- rentur.Qwa? admiratioquanuis(quiequtdCythagorei fenferint)veftibiilum quoddam & adytus ad PhilofopW!|;effeai& generofialiquid in fe habere vt deatur : femper taraen multuifc imper fedionis & jgnorationft fecum aifert: Proinde'que admiratio eorurn>in quibus, in amorem, appetitionem* tandem- queincognitionem defirrit laadaddaeft teorumvero in quibus in ftupidi- tatem quadam terminatur,(quod diuitibus iftis otio & luxui deditis accide- re folet)eft fummopere vituperanda. (Quidam verb pr*ter hare coplura), Platonem intelligit,qui Ldcambonorum itatuit,quamque Arifloteles po/iea coarguet>non ad folam vocem Platonicara 3 fed ad fignificationera vocis re T fpiciens. Qui fieri naque'paffet-vt Ariftoteles cum adhucplatoneirj audiret, ab illo diffehfiffet * & cum'eo multum faepeque vnius vocul^e caufa difputaf- fetfid tamen Philoponus raemorat. Non ergo Deum, fiiae qup abfolute nul- lum bonumdici aut liaberi poteft, intelligere voluit Plato, cpm abAriftote- U citatur,(id enim nemo inficiaretur)ied boni IdeajCuius paruqipatione tan turn alia bona effe volebat. rat autem Platoni aliud quid Idea boni > a Deo: Sed hapc poftea copiofius. (Atque omnes quidem opiniooes). In primo Mo- raliumEudemicorum cap.i. ita loquitur. Verum omnes omnium de fummo  bono fententias perfequi fuperuacaneum efjt'.quum^ a^grotis, & deliranti- " busySa pueris^uardam videantur, qu nemo fan* menjif in qiweftionem af- & d.ii. ~" Digitized by Google n ETJCORVM  fen. Hatione entm non egent. Sed pueri quident zmc maiori , qua eorum  iudidumcorrigatur:Adinfipientcsaiitem&apgr6tantes eraendandos, poe- cc nam Politician! aut Medicam adhibere opertet, qua Poena Medica haud mi- ce norem inferendi dolores vim habet,quamYe*fcera JE,odem modo & vulgr de  omnibus rebus fere temper proirancuntftsigrattemitteda fententiaeft.Ab~  furdum eft enim velle cum iis ratio^econtenderffs qui non ratione fed mid- da & poena egeant.Et in primo Top.cap.9.ii nobis fcripta generatim re- liquere voluit.a eAw $ way m&CxMt4A>* j nuna Sim &h alias enim nobis itoraz i^lix per fe& abfolurse nota^ dicuntur . Fortaffe igi- tiir nobis initium ab iis fumfcndu ^ft>quz Tunc nobis nbta*. Nonfruftraqua? fupra generatim de ratione huiusdo&rina? Politici tradidit,nunl re aggreffuras paulum a rcpropofita digredies fpeciatim ma- gis explkat. Quar e propofita in prima parte huius contex tus rationum de* monftrationumque diftindione 5 ftatqitinaltera iquaanam ilk fit, fecundum qtiam Polkicum progredi oporteat.&uptexauterii ddmoftratioms genus exj* ponitur, vftumqued principiis feipfis notioribusi id eilcaufis^alterum quod prindptis notis nobis idefteflfe&is vtitunhocfecundum tanquam Pohticd accommodatum ehgitur.Pf b qua re totfc fciendum eft , Triplex Demanftra^ tionisgenus effe,vt ex Auerrois & Gracorum , imo ipfius Ariftot.fententia* neminem latere puto. Vnum quod res fiti oftendens: vt quum ex effe&u cauv famelicio. Alteram caufam afteres effe&us* antea nobis cogniti quidem,ve~ rum non per caufam. Tertium eft quod vtrumque fimul praebet* rem nimi~ ru effe^&caufam ob qua res eft.Primum dem6ftrationis genusy Quia, Signi* 8t Efle dicitur Secundum Propter quid & Cauf*:Tertium Simpliciter,id eft caufap&Effe. Prima item ilia a notis duntaxat nobis progredi didtur: Se- Cunda a notis natura : Tertia a notis nobis & natura. Dux priores in Natu- rafibus potifsimum difdpHnis habentur., Tertia in Mathematics locu pra?- cipuum habet: ep tame modo quo fuperius oftendimus.In iis enim vt SinrpL inquit in i. de anim.ii. cum caufa* lint accidentia^ eft quanthates & quali- ties qua? fub fenfum cadunt, vt priheipia, funt nature notiora, vt vero fen (ilia, nobis: At in rebus naturalibus fecus accidie, in quibus caufae , funt fub- fbmia?,ad Cum his quae hoc in locoexPfctonc tradunttirl{quim habent (imilitudineau Nanv percept ionis hunuawe diftinAio rcmm naturae fimilis codcm in loco ponitur: ea videlicet qua a fuppofitis fiue imaginibut ad prima ^c vera,aut contra a vcris & prtmis ad fuppofita imaginefque pro* grcdi cognofcendo dicimur. Alia qua? ex Phedro &Philebo ab aliis addu- cuntur ;funt hifce noft r is abfimiliora. _ Sed neutra huk loco Diane quadratic Omitto,qu6d neque in lib.de Republ.neque in Philebo & Phaedro exempli Stadii reperitur (id enim abAriltotele explications gratia fuiffe additum, fufpicari quit poffet ): Illud tantura dicam > me nullibi Platonera de duplici hoc procreffu dubitantem & quaprentem (talem nanque ipfum inducit Ari- ftotclcs) audiuiffe. Quare libenter iis nunc aflentior , qui docent , hunc lo- cum in aliquo alio libro Platonis qui ad noftras manus adhuc non peruene- nerit>fcriptum effe , aut , quod ego non minus crediderim , non ex libro a- liquo Platonis , fed ex ipfomet Platone docente aut difputante , ab Arifto- tele eius difcipulo fuiffe annotatum:Particula? ille wrfp,xj \fyru huic noftr$ Coniedura? fidem facere poflunt. Sed non eft de hac re magnopere laboran- randum. Qua? deexemploftadiipofteaabArift.proponuntur>feipfismani~ fefta funt. Qua? item de duplici notojis quap fuperius attulimus , commod {cuique bona efficiantur, fie ex cuique notioribus , ea quae funt nota naturS, cuique efficienda funt nota. Sunt autem notiora nobis in difciptina raorali effeda,id eft operationes qua? in a&ionibus humanis con- lideranturjquaequeivirtuteproficifcunturjquam virtus ipfa &foelicita qua? bonarum operationum caufa? funt , quarumque natura nobis latentior eft, aut(fi mauis)quam caufae quamobrem virtus & foelicitas itafit.Ideoque probationes fere omnes omnium moralium rationum adhibit is clarisexe- plis tanquam teftibus ftabiliuntur.Haec monita fi voluiflent Latini vbique a- nimaduertere,no in tarn multis ofFendiffent. Dum enim res iftas quap ad mo- raiem Philofophiam pertinent inopia iudicii fubtilius quam par effet tra- ^arevoluetuntjin multa incurrerunt errata ', quod , tilorum & praefertim Thomae fcripta tra&ationefque de virtutibus confideranti facile pbterit ap- parere 3 & nbs fuo loco oftendemus. Illis fane accidit quod Ariftoteles quo* dam in loco dixit, nempevtab iis qui non rtiukum intelligunt, fuerint fupe- rati. Qnat hoc in loco Euftrathis affert, oftendens videlicet , quomodo Foe- *! c ^ t ? s >P r incipium& finis aftionum dici pofsit,funt quidem omninoveraj led fuperuacanea, Neque enim hoc in loco Ariftoteles deprincipio &fine ipeculantis & agentis traftat, fed de principiis & effe&is feuconclufionibus ex quibus & de quibus in hifce ftioralibus rebus ratiocinamur. Quae vero a* 1" ex fexto de Rep. Platonis &-4Vahm$mh principiorum hie annotarut, Piae^mn,^^^^^ ,^ ifcipliiMpefcgatiar^ tized by G00gle prapterquam quod accuratius & fecudummaiorem diftiplinap elegatiam di- da LIBER I. tf dafuot quam re* fubie&a ferat ne dum poftulet, lubrica etiam aereaq; funr, ghrx6$rm nanque ilia qua? Plato in fexto de Rep.fignificat,&ad quae per hy- pothefe$nosaicenderevult,nonfuntontnmo ilia quorum refpe&uea qua? in fcientiis ponimus hypothefes nucupantunlllud potius ab ipfis defideraf- fern, vt tarn hie quam in aliis locts in qmbus hanc rem attigerunt > declaraf- fent*quoknodo ex hypothefi ad *ntfiodw,aut contra quomodoab aixrriSt- ituadhypothefimprogredr demonftrando licear. Siquidem omnia aiviri- dm, (dico omnia,ne quis me putet ilia tantum duo maxime communia m- tclligere, qua? vix vnquamdemonftrationem niftad incqmmodum ducetem ingredi videntur)nequeper fe fint primomodo^neque: fecundo>neque prin- apiarei* neque neceflariae propofit iones,proindeque nullam cum hy pothe- hbusaffini totem habeant. Quid?quod Arii^oteles,Alexander,&Themiftius, yU*vfflfef7*,pofteriora& ignotioranatura vocant.Ha?c Arabes,ha?c Gra? aiixc Latini, in libris de Demonftratione explicandis aonotarunt : Quare miranduramagis eft, cur ii qui artem Demonftrandi integram abfolutamq; nullo adiumento ex Gratis , Arabibus aut Latinis fumpto , fe tradere velle profe/sifunt,iftaatquealiapropeinfinita ardua& fr.mmopere neceflaria ad Analytica Ariftot* intelligenda aut nihil aut leuiter attingere voluerint. Carter lim Qua? D. Martyr de primo cognito hoc in loco difputat ,tam fiimr a re& locoaliena , vt vel hoc iolo nomine dignifsima fint qua? pranereatur: verim qifenia no vndequaque etiam confentanee Peripateticorii doctnnf abeo dici>& corifufe proferri videntur, ne alicui imperitiori errandi occa- fionem vllam prabere vfquarapofsint , adhanc furamam quam nos hicvt verifsimam proponimus , ea exigi oportere dicimus. Cum qiia?ritur quid fit Menti noftra?(de Senfn enim nulla quafftio eft ) primo notum , V trum vi- delicet lingular* & conceptus fpeciei infima?,an conceptus generis & cormi nior,proponedaiftiufjmodi diftin&ioeft. Duo funt ad qua? nos refpicerepof fumusrPrimu eft abftra&ionis mod 9 , al ttcu vero cognitionis ordo.Refpe^u pf hni, quia abfttfahendi initium arfingularibus fufH*mus,ex quibus etia con* ceptum fpeciei infirtia* primo loco^extundimus , certe fingularia & fpeciei inhau? nobis notioreserunt. Refpe&uverofecundijideft cum conceptus iam abftra&os &feiunflos inter lecomparamus, quoniam conceptus com- munior eft fuapte natura cognitu facilior , idcirco nobis notior effe dicitur. Primura Tfeeoreraa ftibilire feperuacaneum eflet,cum prefertim alibi,vt irt libris de AEfthetertis Senftidm & Senfilibus pluribus dem^fti5auerimus 3 Mea. rem noftramneceffario Singular ia primo loeocogrfcere:Hoc fortafle mo- do Sc6to fat is eritfa Qua?na fatio Platoni occalionem dubitandi pr f buertt^Vtrum a principiis an ad principia, cognof cendo proficifcendu eflfer.Deinde tollere oportet ambiguitate qua? ex decla~ ratis a nobis, oriri videtur.Nam fi Cognitionis ordinem fequentes,commu niora Menti noftr$ primo nota effe af tirmemus,quid Aciftot.imo quid nobis ipfis refpondebimus qui fuperius diximus , ea efle nobis notiora qua? ad fen- fum propius accedunt? Certe Cenfus non videtur efle.vniuerfalium.AHas o~ ftendi (vt ab hac poftrema dubiutione exordiar ) quomodo fenfus etiam V- niuerfalium effe dicatur . Nunc tantiim dico ha?c noftra nuilo pa#o inter fe pugnare-.Cum enim de primo cognito Menti noftra? loquebamur,Conceptu conuuunem cum conceptu infima? fpeciei comparabamus , fingularia nanq; quin prirtio nota fint Menti no amplius dubitabit aliquis, fi noitrum cogno- icendi modum, fi effe&um Mentis>fi verba Ariftotelis in ii.raetaphy.cofide~ rabit. V nde colligo, rede idem & notius & ignotius diuerfo tamen refpe- #u diet poffexommuniora naque quatenus natugam fenfilium rerum magis redolent, id eft compofiti, totius , effe&us , nobis notiora effe dicuntur ipe- ciebus ipfis:hoc enim raodo crebro fenfibus noftris occurrere dicuntur: qua- tenus vero caufa? natuxam fapiunt , id eft fimpliciori$,prioris, partisjconfti- tuentis fpeciemquaetotumquoddam&conftitutum feucorapofitumdicit, minus nota vocari. Sed iam egent ifta diligentiori tra&atione,& ad exquifi- tioremdifciplinam pertinent. Adaliam generatimprimiimdico, in caufa dubttationis Platonica? fuiffe, Scientia? ex vna parte , ex altera vero Nature noftra? conditionem. Scire eft rem per caufam cognofcere propter quanpj-es eft, ergo in fcientia a caufa rer omnino progredi oportere videtur .At nobis, id eft Menti noftra* qua? Phantafia? & fenfibus immixta eft, pon caufa? rerum (ed effe&a & compoiita Senfibus crebro occurrentia,nota funt. Ab effe&is i- taque ad caufas primo afcenderc iubet Ariftoteles , vt regredientes deinceps a caufa ad effe&um veram ac certam Scietiam adipifcamur : de. quo Regref- fi* alio loco difputandunt eft. Qnanquam fpeciatim magis dice re poffumus platonis locum pauio aliter explicantes , hoc modo* Duplex Priacipiorum genus effe, vnum quod Effatorum ( vulgo dignitatum dicif ur , quod nempe > dignifsimum fit cui fides adhibeatur,vt Theophraft* affiriipare videtur): Al- teram quod Hypothefe*n eft. Primum illud genus in communia mwime & minus communia fecatur: voco maxime communia duo illa,OequoUbet eft veraaffirmatio vel negatio.Et>Non contingit idem fimul effe,& no effe, Mi- nus vero communia funt:vt,Qu* funt aequalia vni tertio , 6V inter fe funt a?- Sualia: Si ab a?qualibus a?qualia demas, qua? remanent fqnt a?qualia. Hypo- jefes voco qua? vni tantum fcientia? conueqiuitt, ( non late &V  expert - cni^&confenfucommurav Hscfuit ratio , qua Plato dubitare potuit an via & ratio progrediendria faentiis,fit a principiis , an potius ad principia: dicitur enird a princ*piis,quatemis ab illis per fe notis proficifcitur,ad prin- cipia vero quatenus ad ifta fuppofita* id eft aliorum ope ftabilita tendit, Ac fi duo principiorum fcientiar genera fuadubitatione innuere vellet. Quocirca eum qui de rebus honeftis & iuftis,& vt femel dicam,de Ciuilibus idoneus auditor futurus fit , oportec bonis moribusefleinfti tutu m. Principium enim eft rem itaefTe.Qupd fi fit fatis perfpicuum,quamobrem fit,afFer- re, nihil opus erit. Homoautemeiufmodi aut iam tenet Drincipia,aut ea facile pcrcipcre poffit:Cui verb neutrum florum ineft,audiat Hefiodi carmina. Exverjionc Umbini. Optimus ille quideqa eft, qui per fe mente animoque Omnia perluftrat, qua? fint raeliorafutura Poftea ad extreraa? vfque nouifsima tempora vitar. Eftaue adeo ille bonus monitis qui obtemperat acquis ReOcfuadentis:verumdetcrriniusilleeft Qui neque confiliuipper fc explicat ingenii expers, Nee mopita alteriu* (equitur peque fpente recondtt. ? verfime Turnebl>tju* minus a Gratis ipfis verbis difcedk. Optimus eft,fefe qui nouit cundamaciftro, Spedans qua? poft, qux femper prodefle valebunt, Ille etiara bonus eft, audit qui re&a monentem: At cui confilium defit, rton vultque monendo Aufcultare alii,demura, vir inutilis eft is. , Quemadmodumnonfruftrademethodohuius difciplineea qua? pro- line fpeciatim explicauimus, repetitt funt, ita non eft h*c repetitio condt- tionumin AuditorePoliticesdeuderatarumfuperuacanea,quumhoc abil- lo deducatur. Oportet (mquk) Auditorem Politicu vt agrum in quo iacicn- da funt feraina,bonis raoribus effe natura aut inftitutione paratum,ac difpo- fituntalioquin enim,quod pro principiorin hat arte furoendum effe fuperius diximus, id eft ipfum 7? 2i* , non concedet , quo fiet v vt nullam qubque con* chtfiombus Potiticis itdem fit prarftaturus, Huius rei occafione > quem nam auditorem ilium effe intelligat, cui aut natura aut inftitutione ipfumWcj? Digiti zed by G00gle ft ETHlCOfcVM morumfit perfuafiim planiusdeclarat, Tria ilia genera hominum ex Car* minibus Hefiodiproponens. Primumeft,eorum quinaturafua ad^virtu- tes & bonos mores habilitatem habent. Alt crura. eorum qui quanuis earn ha^ bilitatem feipfis no habeat,quia naturam paulo obtufiorem obtinuerimma+ giftro t^men rede moneti obtemperare , prafto fum. Tcrtium deternmura omnium, illorum effe dicitur, qui neque feipfis natura valet, nee raoniti Sa- pietiorurafequivolut.Prioris&fecudt generis homines ipfum to 077 tenet, . &: primi quide loco eflfati(vt ita loquar)aln verb loco hypothecs , quoctrca - vtiles & idonei funt Politices auditores Pofteriores plane funt inutiles. , (Oportet bonis moribus). Explicetur hie locus non aliis verbis quam illis- primi carminis Hefiodi, nempe qr o*Tor mt^m ymov. Natura videlicet at que educatione : Neque enim ( yt fupra diximus) parui refert fub qutbus 8f cum quibus vitam agas. Siquidem poifumus diuturna cum improbis familiarita^ te, non modo improbi reddi , Fed Mens etiam qu*turpia oc honefta iudica- mus, ita caecari poteft, vt quad natura fua deprauataprincipia iufti & hone- fti videre nequeat. (Principium enim eft rem ita efle). At que ita principal, ., vteohabito,non multumqua?ri velit quamobrem res ita fit, imo inferius. cap. 7. dicet ccaa' ix&w U -nIuftiti^ St Honeftatis ratio eft. (Homoverofciufrtiodi)*  demonftrationis diutdere voluit tarti in id quddifc ipfa tale .'eft Vt efFatum & fuppofitioyjuim in id quod facultatt folui9dQ ^aie dicjtur vt^kfinitio , ita hoc in loco declarat, fe eum Hominem to x '!m morum obtinentem nuncupafr fe,qui aut reuera & natura id fecum affert, aut qui a pra?ceptore facile acci- pere & acceptum continere valet. (At cui conhlium defit).Fortaffe hocito- minum genus neque principia etiam ipfa CQmm&iifsima ftupiditate fua con cederet.Id infe&atur Plato in 6.de Rep.Prb icbnditionibus horum generum bominum,qui ad per fe nota &occulta diiudicanda apti aut inepti (unit, cor- poris conftitutio imprimis fpeftandaeft i vnde & duriores carne inepti me* tedicuntur ab Ariftot. contra molies Oogkarois aninue vis 3 probe vel maw le affeda, Auerr.^de ani.xo- Experiemiamdior & minor, quam Platoni ftp-J pius exprobrat Ariftoteles. Exercitatio breuior aut dkiturnior in Diale&ifca, Auer.p.phy.com. 7i.Bonorumpr2Pceptoruexprincfpiorumcopiaaut ino- pia. Lincon.i*poft. c6t.i.Mathematicarumt^fciplinanimcognitio(nondi- co abufus in hoc enim tantum Pkuo-ib Ariftotele coarguitur )aut ignorarky Confuetudo & familiaritas; aurieMqt H*cad rtdftrummof alertwuditorcm^ accommodato.  ani- maduertifle videtur: Quivt magnum fuit ingenium, & multa fub inuolucris quibufdam & integumentis precepta ad benp beateque viuendum tradidit, ita has tres vitap conditiones jfimilitudine mercatus illius qui in maxima O- ly mpfcorum ludorum celebritate habebatur>adubrare voluit.|Nam vt illhlc alii in certamen defcenderept>vt honorem & gloriam confequerentur , alii qurftus gratia in vendendo & emendo eflent occupati,alii vero quid agere- tur & quomodo tantiim infpicerent:Ita nos ex alia vita tanquam ex vrbe all- qua>innanc vitam quafi in mercatumvenientes, alios honori adipifcendo addi&os efle , alios pecuniae inferuire , qui item vita qua? tota perfruendis voluptatibusconfumitur^amplederentur, (ferenanqueob voluptatemfo* lam,diuitias expetiimis) Alios vero neque qua?ftum,neque honore aut plau- Gimqiiarrentes,jrerum naturaro & illarumopificemconteplarentur. Ex quo Anaxagoras,eodem Artftotele primo Eu4em*ci* referente, ambigentc quo* Digiti zed by G00gle *> ETICHORVM dam atque interrogate, quareviuere|>otius quamnonviuereexpetedum cflet> iuffit vt caelum munch' que totius conftitutionem animaduerteret ; Sen- tiens videlicet,vitam ob earn tantum caufam nobis opcabilera efle debere,vt rerum naturam contemplan pofsiraus. His autera tr ibus vita? condit lonibus expofitis , primam primo loco ref utat Ariftoteles , nempe illam quae multi- tudinis imperita? eil> quanquam etiam poftremo loco rationem qua niti ipfe* poterat,adducerevoluerit. (Bonum enim non fine ratione). Cur LamW nus ha? c verba cum iis qua? proxime de viilgo dicuntur connedere voluerit a nefcio:ita enim legit : Nam vulgus quidem & odiofifsimi infolentifsimi que 99 homines, efle fummum bonum & beatitudineiii, vbluptatem, ex multis vita? > gener ibus non fine ratione exiftimare videntur. Verba vero Gra?ca in hunc modum jfcripta leguntur.To $ ky*$ir kou rtw *Ad*.iym* hk khbyn* ioi/^mht *?ff@icw \&z>\m&$ut feujtoKTtu./Sotfxiquct'typ /3tfr &&u? yildpot. Cur itaque Dofti quidam hoc in loco docnerint,Ariftotelem fenteil tia? vulgi nihil c6tradicere voldiflfe , icjudd voluptatis vocllbulo latilsime pi* tenter nil de ea temere pronunciandutii fuit, valde miron Cum enim Philo-> fophus Multitudinem mancipiis & brutis comparet, iam voluptatis nomine non illud verum genus quod ad animum pertinet & de quo io. Ethi. agitur, fed illud falfum 8c quo fenfus tantum commouentur , titillanturque,vt Cic. in *.deFin.ait,fignificari manifefto liquet. Vnde & in i.Eudem. ca. %. non a> lia ratione hanceandemopinionemrefutare Videtur. (Sed ratione etiam hacnititur). Vulgus imperitum,Principes &eos qui in fumma poteftate conftituti intperioque pollentes funt, vitam luxus & voluptatum omnis ge- neris vndequaque refertam agere animaduertens , eos imitari in fine de- ligendo vult,exiftimans videlicet Tales homines qui ad aliorura gubernacu- la fedent, atque in tanto dignitatis gradu a Deocollocati fint , decipi nullo pa&o pofle: item eos nuliam ob aliam fere caufam beatifsimos iudicat quant quodplurimasmaximafquequandolibet poffunt capere voluptates. De Sardanapalo, aut SmyndyrideSybaritadequo i.Eudem.ca.t. paffimlegitur in hiftoriis.Fuit ille Aifyria? rex,obfcoenf atque monftruofa? xnollitudini li- bidinique Digiti zed by G00gle *V" LIBER I. *x bidiniqueioduleens: quern tandem voluntas perdtdiutque delcuit. Quern cxitumvulgush reputare vellet,fortaffedeiinerettantopere Sardanapali- cam vitam ilia adnurari.ed quid de Sardanapali^exitu loquor \ Infinita alia extant exempla Vetera Imperatorum 9 Regum, Populorum , quibus volup tas &otiuminfinita tormentamalaqueproruisexitiofaattulit. Regnum Perfa- rum opidentifsimum ac potemifsimum funditiis euertit yoluptas. Populi Roraani imperium,eadem voluptas,ideft Ca?farum vita>in omnilibidinura fcluxusgenereeffufa perdidit. QuareverifsimeaPoetailludaliquando di- ftumfuit. Ocium & Reges prius,& beatas Perdidit vtbes. DifcanthincquiadReipublica?gubernacula fedent, quorumque mores &: vitam alii intuentur , exemplar omnium yoluptaoim continentia? prarbere, non vetri fcruire, noa vsnereas perfequi voluptates,animi quanuis bene jn- fbtuti-coraquinatrices,no mollkudiniociove indulgeifoTiberii Ca?farjs rno re, aut Xerxi$ Perfajru regis: quoru alter magiltratum inliituit,qui cura con- tinenter gereret ,nouarum conquirendaru voluptatum, alter edido,pr# mia {huuit 9 ei qui incognitum voluptatis; genus afferret : Sed contemptisomni- bus voluptatibus,ita Reipubijcae dare operant , vt nullam cogitationum Ala- rum panem alio deriuet.Ita fiet,yt ad ipfumoculi fubditoru conucrfi exem- plar vitx non opof? fed vigilantis furaere pofsint. Qmrtino quemadmodu inaeleftibusbeaufque Mentibus qua? nos regum atque gubernant , excel- lentiores quafdam & nobiiiores conditions die aninia^.uertimus^uemad- raodura etiam Homines dotibus animi reliquis animantibus quibus pra^funt excellere videntur, ita qui prinefpatum Imperiumque obtinent^feft eo di- gnitatis gradu4*gnos,prbere debent , id eft earn viuendi rationem fequi, 5 ma? Vt ribbilior & melior,oronibu$ iubdfcis admif ationi fit. Exempla ha?c umma? induftri2,diligeti,& vigilantia? , in Friderieo patre tuo (Illuftrif- fima? Princeps)complura vifa funt. Hind vero nunc & vident . Marty r longifsimamquide dehac re tra&ationemhk^ftituerit,itatameacQnfufam 3 vtvix habeas quid ex e$ firmi & folidi colligere queas. Exordieraur autem ab illius definitions Ari- ftotelis prarcepta fequuti & aliorum qui de hac re egregie noftra tempeftate fcripferunt.Voluptatemjinquit Cic.*.deEinibus,Latine omnes vocat,Gra?- ce vero iJbvb* , Iuctmdum motum quo fenfus hilaratur : Nos vero dicaraus ex Arifb0telc7.de mohbus Voluptaseftfundiomunerisnon impe- Digiti zed by G00gle ** ETHICORVM dita, habitus tllius qui cum natura confeiitiat. Sedplanius naturam volu- ptatis explicare conemur.Ex tribus anima? generibus,ad vegetabilem neque voluptas neque dolor pertiner. Ariftoteles ita cenfet > quaquam Anaxagoras & Democritus, Plantas fenfu praditas voluptateque & dolore affici , vege- tantemanimamcumfenfuOQfundentes,inepteaffirment. In fenfu ergo & Mente voluptas & dolor inerit. Dicamus deSenfu* (quanquam ea qua? ge- neratim de natura voluptatis dicemus Mentis quoque voluptati conueniat) In omni fenfione (Senfionera voco energaam ipfam facultatis fentientis,aut facultatem ipfam fentientem inipfo (uomunere) duo principia potifsi- miim defiderantur. Facultas fentiendi,& res extrinfecus obieda, vt in vifio- ne (quod de hoc fenfu dicetur,in csteros quoq; trafferri commode poterit ) Facultas videndi, & color extrinfecus obiedus,in cuius fpeciem formata facultas in adumerumperedicinir. Tuncitaquevifioimperfedafiet, aim aut facultas videndi non optime aut male affeda fuerit , aut non muka aut etiam nulla conuenientia & pToportio erit rei obieda? cum facultate. Sen- fum nanque in proportione quadam confiftere docutt Arift.i.de anim.qua? a rebus obiedis perturbari poteft. Ergo perfeda vifio tunc erit appellanda, cum & facultas videndi bene fe habebit, & illi in natura diftantiaque & fitu obieda res plane congruet. Hanc proportionem & conuenientiam percii- piens Senfus bene affedus, at que in earn totus propendes,voluptare quadam fuauitatequeperfunditurrQuofitjVt quemadmodum fenfus paulo melius vel deterius affedus effe poteft,& fimiliter rei obieda? conuenientia gradus quofdam habet , ita maior voluptas aut minor emergat. Sit ergo voluptatis perfeda definitio ha?c. Voluptas eft perceptio &comprehenfiorei obieda? Oroportionem, conuenientiam , & natura? coniundionem habeat cum ate percipiente, bene affeda & non impedita* Voluptas ergo non eft motio*,vtputabantnonnulli,fedtota fimul &ftatimefficitur,firiguk'fque momentis tota perdurat,vt vifio.Ha?c ex Ariftotelis ore io.de moribus Aim- pta funt. Ex quo etiam loco facile afferri ratio poteft, cur Hoiflinibus in o- pere laborando defatigatis, voiuptates minuantunvna enim ilia eft,quian&- pe aut aliquid de obiedi praeftantia proportidneque det radum fit, aut facul tas agens debilitata : cum tamen quo perfedior muneris fundio fuerit eo e- riam diuturnfor futura (it: vt qui acri oculoru acie pra?ditus eft, minus afpi- cierido defatigatur quam qui hebeti.Hinc omnia nouamagis placere fenti- miis,quodin primo illo occurfu facultas acrior atque in rem obuiam fa- da nouitate excitata propenfior fit, fuoque munere perfedius fungatur: qua) poftea cognita,remittitur, Ariftot. io.ethi.cap.4. Sed ad voluptatis naturam expifcandamredeamus,aliatantumqua?dampauca proponentes, cumha?c alibi copiofius nobis pertradanda lint. Voluptas eft ipfamet- fundio a- dioque itfuneris, vt dicebat Ariftoteles, id eft ipfamct perceptio & cognitio rei obieda?, aut expletio qua?dam facultatis , qua? illi ex perceptione libera rei fibi comienientis veluti forma qua?dam perficiens accedit, Arift.io. ethi; cap. v Vnde in fentiendo aut intelligendo confiftere dicitur non in appeten- do > prlUs enim a fenfu iucunditas 8c voluptas percipiatur oportet, quam e- mergat Digiti zed by G00gle IrlBEH- L 4% WTg& appetltio? i4 eft qun> fc&fus ad rem qiam fibi iucfidam iudicat pro- fequendam moueatur:non e*go ad appetitum fed ad fenfum voluptas refer- (ur > vt Arift.io. ethi.cap.j. in illi$ verbis tradit. Propinquiores autem funt  operarionibus voluptate*qua? inipfis exiftunt,ponit,vere Platonica funt: Ariftoteli verb idem Gaudium &La?titk eft 5 qua? tamen in genere affedionum ab eodem colloca- tur. Omnino autem ita tota ha?c res ex Ariftotelis opinione fe habet. Senfus fpeciem rci pbieda? primum percipit :qua percipit tantiim , Senfus dicitur. Quod fi res obiedaiucunda fit & conuenientiam fecumhabeat, fuauitate vo luptateque afficitur, affedus verb ea fuauitate commouetur & excitatur ad ip/am profequend nih quod Appetitio dicit habilitatem illam facultatisadfequendumvelfugiendumaliquidA Appetitus Senium ipfum adfequendumvelfugiendumhabilem : At Affedio pra?fentem iamexcita- rione & commotione dicit. Quod fi a voluptate affedio p^feda fit,primum omniu oritur Amor, mox Cupiditas, inde Spes : quod fi re aliquando potia- tur Gaudium,quod nil aliud eft (quicquidPlatonici dicat)quam quies qua?- darafacultatisappetentis. Ea qua? lia&enus diximus de nature voluptatis,ad Doloris item naturam , affedione'fque ex eo deriuatas tranfferri,contrar io tamen raodo,volumus. NuncdeDiuifiohe. Duplex eft in nobis perceptio, vna Sefus,altera Mentis^ergo &duplex voluptas.Illa Mentis cofultb in pra?- fentia pra?termittemus,copioe deeain io.ethi.aduri. Qua? Sefus eft,aut eft Naturalis aut contra natura. Naturalis ab omnibus aut faltem pluribus exo- ptatur,qubd naturam recreet reficiatque. t ha?c multiplex eft, qua?dani co- munis cundis aniraantibus alia vni duntaxat fpeciei propria. Ariftot.io.eth. cap.*. Communis eft ilia qua? ex cibo>potu,& venere bauritut*. Propria non ita perfpicua eft , aliquid tamen eft ita vni natura? vmque fpeciei cognatwn & peculiare, vt alteri commune non (it. Deledat enim queque quod naturae fuse (it aptum, vnde Heraclitus dicebat Afinos paleas magis quam aurum fe* leduros. Voluptas qua? contra naturam dicitur , 7*ethi.eu ilia a qua vniuer*- Digiti zed by G00gle *4 ETHIC OR V'M fum pene genus hominum abhor ret ,7.ethi.H multiplex efttvel enim a fla- gitiofa quadam natura & corrupta proficifcitur > qualis erat mulieris illius quam Ariftoteles fcribit, pr jegnantium vifcera folere refcindercpueroftjue* vorare. Qualis item Troglodytarum eit,qui ferpentibus vefcutur,item An- tropophagorum. Vel a confuetudinepefsima oritur, vt nonnullorum volu- ? ptas eft,euellere fibi pi1os,vngues edere: Vel ratione morbi aut animi aut cor poris nafcitur : hoc modo prjgnates fepe in quibus melancholia fucci mul- tiim retinetur,& alios melancholicos,ta carbones &gypfiim &xalce vorare auidecernimus , velutipanem. Sedpluribusiftaperfeqilihoc tempore non licet. Vniufcuiufque vero Senfus proprias voluptates Galenus proponit iii z* de fympt. caufis . Multas alias voluptatum diuifiories colligere e* Ariftbtefe liceret , quas tamen pra?termitto , quod in praf fentia ha?c dixifle fat effe pu- tauerim Jam vero facile erit cognofcere cur vulgus vitamvoluptariam adeo amplexetur.Neque enim natura? fu r excellent i am & pra?ftantiam cognitam habet vulgus : qui a primis fuse a?tatis temporibus fenfn vti folitus , nunqua fe ad vita qua? verehomiiiis eft,errgere potuit. Defaerut enimilli proba in- ftitutio , educatio, Phiiofophia? preceptor , quibus excitari pbtuiffet : Qua- propter Sefus non cohibitus,in eopaulatim vires 'maioresitipftt ; ittjue adeo vt tandem in ipfa etiam a?tate adulta principatum obtincre velit. Hitic fit Vt vulgus belluarum habitu prorfus indutus, vt inquit Trifittegiftus, non alias voluptates quadrat, quam qua? Senfibus affines funt. Imo dicebat Ariftot. in i.-Eudem. cap.*. Videt tarn multa incommoda vulgus,quibus mortalium vita * expofita eft,vt morbi,dolores,aliiq; eiuimodi>vt fi illi pptib ab ifiitio detur: -. non nafci potius quam ilia experiri velit. & Cicero in 3. Tufdqua?ftionum, inquit ,Naturam paruulos nobis igniculos dediffe , quos celeriter malis mo^ ribus,opinioriibufque deprauatis fie reftiriguimus vt nufquam poftea lumen illud natura? apparear . & Plato in Phaedone^, voliiptas (inquit) quafi clauum tenens,animumcorporiaffigitatqueconiungit,efficitque vtinfeftus cor- porea fyecie,ea putet effe vera qua? fuadet corpus. Vt verifsime illud Lucre- tii in 2.de Nat.in eos conueniat. O miferas hommuni mentes, o peftora ca?ca. Politici vero homines,&: qui a4 agendum nati funt^Hcv norem, Fere enim hie finis viw ciuili p^opoficus eft* Scd ; videtur co que quserimuslfeuior.Eft enim Honor in eo po*  this fitus qui colit, qnamin eoquicolitur. Atfiimmubd- Hum propriumquiddamefTeaugur^ipuy^quod'vix eri- , pip.ofsit Jam vero honoremeo pcrfequi Videntur , vt ere- dancfeipf6sbonose(Te. Icdqtt'e'honbre affici aprud^nd- bus qusef unt , & 3b iis quibus hbti tunt^ $: virtutis npm& ne. Perfpicuurrieftitaq;Ue& Wum quidemiudicio, vir- tutemeflemdiorem. " Sunt- Digiti zed by G00gle LIBER I. "f: Sunt qui res acutius difpiciant quam vulgus,ideoque aliquid quod non fie adeo perqulgatum & humile proline Hominis afferunt,vt Honorem,quauis & hicquoque non multumab oculis hominuta remotus fit.Sed falluntur Po- litic! dum gloriam pro extremo fine quaeriint. Nam fdelicitas cum fummum bonura fit, firmitatem ftabilitatemque habeat necefleeft, vixque,aut ne v quidexaeripi pofsit. Contra,H6nor ab iis pendet qui colunt, Idcircoque multos qui anteafummis honoribus vfi erant,in odium pbftea & infamia in- currifle , atqiie in fordibus iacuifle, audiuimus:& nunc idem multis aliis ac- cidere quotidie cernimus. Accedit eo,quod F oelicrtas per fe ipfa tantum ex- petitur>at Honorem eo perf equi fere vjdentur,vt multos quafi teftes habeat, quorum defe id dt fuis virtufcibiis iudicio credant. Quarenona pueris noa abignotis coli fe atque honore affici volunt , ftd a prudentibus & ab iis qui- bus probe cogniti funt. Vnde liquet, bos tacito quodam natura? iudicio,non Honorem , fed Virtutem quam gloria veluti vmbra corpusconfequitur, ex- petece videri. Hac Ariftoteles. Nuncfingula illuftranda funt. (Politi vero homines). Vocularum iftiufmodi Hbenter Lambini explicationem progo- no y quod ilk mihi pra?ter caeteros, earum germanam fignificationem afle- quutus videtur. In gra?coeft 6/ $-%wt4rui. Lamb.ex Cicerone id eft huma- ftitate Politi,aut ft vis etiamGenerofc Etr&re, nam fifuperiores ^77x07*- td/ habit i> funt , id eft odiofiiquod fuis commddis ton inferuientes , nihil in communis focietatisvfumconfulerepoffintrhi certe Politi (fchumanitate prapditimagisdicetur qui adioiiibtls ciiiilibus fe dedut,id eft qui in luce hac ciuilihorain&nq, focietate verfarivolurA,Ufaftribus fa&is laudabilibufq; a&ontbus, quarum teftimonium menxumque honor eft,operam dates. (Fe- reenim). Ratiohuiuslimrtantispartkula? abEiift ratio petenda eft. Nam E'smciuitatibus, nil habeatur honore maius^aut amplitudine dignius iufqne, norfpauci tameri reperti funt, & afsidue reperiuntur , qui a- honeftas amplexantur , nullahonoris cup'iditate flagrates: Vt Socra- tes, otitis pnfecepta ad hahc rem pertinentia in Apologia Platonis legantur. Sunt etiammuiti qui propter qu^fturri&emoMmentom duilibus negociis fe irnmifceant,gloria? veto & honoris nullum gufttim & fenfum habeantJn ciuitatrbus liberjs hochominum multiplex genus ad deliberandum concur- rere folet. (Sed videtur eo quern qua?rimus leuior). Id eft nonfolidum ne- Jiue ftabile vt ea qua? funt altius in terram defixa, fed flu&uans , vt ea qua? in ummo aqua? natant,&vajdedebile. (Eft enimhonor). Ratio cur Honor fit leuis jeft ,quia hori ita in nobis conftanter ha?refc,Vt eo carere no pofsimus, quinimo aliunde totiis pendet. At qua? extra nos funt nihil ad nos,ait ille.Eft vero in eorum qui colunt pot eftate, honorem dtferarit necne,vt poftea liqn'ebit. Hoc modo locus hie intelligendus eft :Nam alioquin , honor plus attert ei qurhonore afficitur,quam ei qui affkit>nam qui colitur certior fua- rum virtutum &pra?ftantia? redditur , cumqui cblit nonnifi mediocris cu~ iufdam virtutis indicium pribeat, ii Ithet. cap: $: Itein qur colitur augetur beneuolenttahoxnfniliTn,' quod maximal b^um eft, qtiiVericolit eximii i- (hus boning ita ^articepsefficitur. IniKiVtaiidcttiiucuiidifsimaadio in- Digitized by Google  ET'HICORVM generatur,ideft virtutumfuarum contemplatio, in his non iten^quanuis ad cos honeftas ipfa a&ianis accedat, qua augentur. Eft etia, vt ad rem redearn* Honor valde tnitabilis,qui a yulgi fauore (quo nihil inftabilius) pedere po- tifsimum vacatur. Item quia accidunt perfaepe cafus qui homines debitis honoribus fpoliare poffunt, Ira principum , jnimicitia potentiorum, aut in- fimorum,vel verboforum, amifsio opum,Cckas, furditas, calami t as aliqua infignis, aut er ratio vel propria vel confanguineorum. Multaextat exempla cum Vetera turn nouajiominum qui infqualore& fordibus vixerunt, cum tamen antea apud Ciues fuos & alios in fummo honore manfilTcnt. Quoties Mithridates regno pulfusj Annibal quoties dignitatem fuam& vulgi fauo- rcm amifit? Alcibiades item modo domi glonof us,raod6 exul in fordibus vi- xit? Sed iftameminiife forte fuperuacaneura eft. (At furamumbonum pro- prium quoddam effe auguramur), & quod vix eripi pofsit)* In Greco ver- bumillud(auguramur)eft/LtttyT6i/ofd*,quQytitur Ariftoteles, quiaindefi- nitione Effentiaji Foelicitatis vt poftca dicemus conueniunt omnes : Qua? eft vt fit Bonumperfe&u quod fatis eft homini ; Jn alia vero qua? caufam affert, vnd^que cognofci pofsit, Foelicitatem quid ftabile & conftans effe, maxime funt inter fe difcrepantes hominumopiniones:Idcir,c6que coiedura potiu* fciuntalu, Foelicitatem effe bonuni quoddam perfe&um & ftabile, quanx fcientia: tunc vero manifefto pognofcetur cum caufa foelicitatis, efficient erit expofita. (Per,fpiuqn> eftitaque);. Dubitat D.jMartyr, qui fieri pot? fit vt Ariftoteles4ixerit Ppliticum,hoijorein pro fine quaerere, cuj&hic con- tra concludar. Honorem virtutis nomine ah eo exoptarL Refpondet 9 Ar ifto 7 telem hancipfam caufam quapfiuifle&occafionem fumpfi^fle eorum sonfu- tandorum, quanempe eos a fejpfis difcrepare oftenderet, quod in eo qui fa. - jpiens yult haberi turpifsimum eft,. Sed addamus^iioti omne^ f Politico?virm- jis faciem & formam pulcherrjraam atque exf ellente^u oculis ajainni cerne^ re potuiffe>.quanius,oxnnps tafito quodam iudicio & aaturae monito, in vir- *utem ferrentur. Atqui dices^ jnuki Politici fuerunt atque extant qui excel- lenti ingenio pra>diti Virtutis pul(:hritudinem pptuerut infpice^e: Refponw deo , eos virtutem pro fini ftaxuere noluiffe, quod in ea aliquid ad fqelicita- tisabfolutioaeradefiderariirognofcerent. Hop in loco D. Martyr multa de Honore agit. Nobis ergo liceat quoque,paucis de eadem re in hunc mpdum dicere ex Ariftot. in i. Rhef.cap.f.Honor eft figaum. gloria? , ex plurimis in alios mentis cpmparat^ Quo iu lopo imprimis aniinaduert-atur Ariftotelerac' omninodifa-imeapofuiffeinte^^ /aim antea Exiftitnatipneni iejinierat, quod effet Judiciuin bpminum de vir- tute alicuius. Eft ergo prppirie honor P id quod iboha exidirnatipne profit ,cifatur, velutiabEffedp$igaum:quanqu^yincentiusMadius Summus; noftraa?tatePhilofophus v in oratioue de cognitionis praeftantia docuerit, jrerum, fincerum & foKdum honorem id effe, quod nos bona? exiftimationis nomine appellanius, id eft poffeftionem animorum hominum,beneficio vir- tutis partam: iftaver^qu^ Z / "" ^ * ' ' """ : " ^ "... detuc Digiti zed by G00gle LI BE It I. if detur ftabiGri pofleAriftbtelis teftimonio qui in 4. ethiica 3. Honoremrem maximam vocar. atqui ccrteaperire caput , genua fledere, ipfa perle mini- mum quid funt : vere magnu eft, amnios hominum pofsidere,& amari,quod lis accidere folet de quorum virtutibus & beneficetia bona in animis homi- num opinio concepta eft. HincPlutarchusinPoliudsaliosJionores, vulgi bonores vocat, ilium verb folidum & verum,Gratiam nempe, qua? beneuo~* kntia hominum continetur. Quod fi vnum alteri copules, id eft bonam exi- ftimationem (ignis externis, tertiani Honoris fignificationem habebis. Sit i- ntur Honos , vt diximus, Sig&um opinionis de illius qui colitur bonitate & beneficetia in animo colentis tiocepta:Inqua definitione tarn caufa qiiam ef- fedus comprehendkur. Ef ficiens feft ex parte colentis bona opinio , ex parte eius qui colitur Bonitas & Beneficeti&Forma eft ipiius adionis externa? for- mula;Finis declaratio opinionis noft rap de virtute aut de adionibus virtutem conftituentibus,eius ad quern honor defertur , Materia in qua ineft ipfemet colens habetur, illius enim adio eft.Ex quo dicebat Ariftot.Honorem in ho- noranteporius quam in honorato efle , vt contra dici folet, Gloriam , magi* in eo qui colitur habere : vocam aUtem Gloriam lucem illam qua? in aliquo ex fcona illius famahonoribufque ineum collatis,exoritur:vocant (inquam) quoniamfivoce Ariftotelis fpedemus qua? eft &&/* aliud quid fignificare vidctur, vt liquet ex iis verbis c&f.priim Rhet.Xe/fcgict SJ)W \&i ymrw rau- Jhum v0BA*^*Ked>i to/St* it t%Ht ou Wmf fym*nu& 0/ TtohKot > $ oi ky&$o)$ oi t&rtfAOi. Hoc nos fupra bonam exift tmationem voGauumis*a qua honos pro* ficilcitur. Et Cicer.ettam vocat Gloriam , Illuftrem & peruufgatam faraam rede fadorum & magnorura velin fuos ciues vel in Remp. vel in omne ge- nus hominum. Quod item fi veru fit*Gloria hon ft mper virtutem fequere- tur, vt illi dicunt , aim id omne confequi pofsi t , quod vel a multis vel a bo- nis,vel a fapietibus exoptetur.Sed procuUubio locus Hie i.ca.Rhet. ad Alex, priori etia definitioni fauere videtur* \s vero eft. Honefta funt,e* quibus 'Caputaperire. Inter hos honores ille exceffit,qui ad honores quos Deo adhibemus propius accedunn Hiacftmoiioiiuiilisomittsdebeamw^ * ciu Digitized by VjOOQIC * ETHICOHVM gtfteatushondf $ft. RederrfponderifolctjMajiftratiinihonoremeflfe fed non omnino : quanuis enimcum Magiftratum alicm coramitttmus, declara- mus noftram de eo bonamopinionem, tamen aliquidab eo nos velle , raagis fignificamus,nimirum vt leges feruet,ius dicat ,puf>licas & priuatas vrgetf  tefque curas : aecnon paternum pro nobis deque rebus aoftrispatrociniuia fufcipiat, difficultates quafcunque vel etiam acrumnofes ac periculoruna plenas(fi opus fit)pro falute noftra fubeat>& in furama vt pro nobis vigilet. Pro quibus poftea rebus, honorem & reuerentiam debitam illi retribuiinus. Ex quibus cognofici poteft, Honoremaon minus vinutis premium dici pro prieabAriftotelepotuifle,quamLaudera, quodtamen Mirandulanus ne- gauit. Eft autem Laus tefte Ariftotele, i. Rhetxap ?.oratio qua? virtutis ma- gnitudinem explicat : quod ipfum honoris partibus ex Ariffotelis Fententia iupraadnumeratumeft. Carter um quid Laus fit ,quidEncomiu> quid item y qua continet a> morem , amari autem cum per fe optabile eft , turn etiam quia qui eft homi* ' numbeneuolentia munitus, multapra?terea,vt tumultus coprimere,feditio- r ' Res fedare aliaqjhuiufmodifingulariaHominu&Reip.comoda poteft af- ferre8.Ethi. cap.8. Secunda, qua Dominium fclmperiumfecum affert,t. Rhet.cap.it. Regriare autem fuauifsima res eft, atqui pra?ditum effe fapie- * tia,Regium eft, Ariftot. ibidem. Tertia,quamemoriam hominispoft mor* iemornat,id 1 eftilliimmortalitatemComparat,i.Rhet.cap.9.Alia?ad h as fa- cile referri poffunt. Atquc hanc fortafle quifpiam vitas Ciuilis fincm efle (tar tuerit , fed ea quoque miiius perfe&a videatur. Fieri nan- que poteft vt qui virtute fit praditus, dormiat* autm tota vita nihil agat,& pneterea maximis in malis & calamkati- ' bus verfetur.Eum autem qui ita viuat,nemo in beatis nu- nterauerit>ni(;quiThefimtucrivelit. Aede hisquidem fatis.Nam de eis copiofe diximus in Encycliis '.[ , Cum viitutemnemoPohna valetudo & roW , & pulchritu- do,& fenfuii integritas , Item nobilitas,diuitia? Jionor^propinquorii & ami- corum copia, qua? funt veluti inftrumeta ad a&iones virtuti cogruentes exer cendas. Fundamentum buius exigentia? inde fumitur , quia vt infra patebit, nihil aliudFoelicitas eft quam a&io animi a ratione prfe&a,Ratio aute turn in mente veluti in propria arce reperitur , turn appetitui comunicatur : Er- go Foelicitas tarn Mentis quam appetitus a&io erit, modo vtraq; animi pars virrute perficiatur : Virtus Mentis qua reliquis anima? facultatibus confulk, Pru& dormiat,id eft nihil agat, & prarterea maximis in malis & ca- lamitatibus in tota vita verfetur , non pofle in beatis numerarn Qua? omnia inferius planius cognofcentur. (Qui virtute fit pra?ditus), id eft habitu vir- tutis. (dormiat). nihil agat: Quare fruftra hie de Saxnno quid fit & qualis difputaturiEoelicemnanque Aritioteles no negaret Somno Aium pofle tem- pus dare , quemadmodum & cibo 8c potui , vt foelix efle poflet. (Thefim). Non intelligit altera fpeciem principii immediate de qua i.poft.analv. fed Problematis genus illud quo in hunc modum i.Top.cap.9.defintuit.$s*K eft Sententia alicuius viri in Philofophia clari,a communi hominum iudicio a- liena, vt ifta , qua? fuit Antifthenis , Non licet contradicere : & altera Hera- diti 4.metaphy.Omnia in cotineti motu verfari. Alias ifta 7* q^p'Jfcgctiui- cupantur, Cicerone etiam tefte > qui in fuisTaradoxis initio dicit 3 idem efle fibi *$fJbZoy , quod Scholis StTiKov. Has Thefes ferraonis j>otius 8c diftm- tationis gratia in medium proferri, videtur vefle Ariftot.quam quia ha fen- tiant j qui illas tuentur. i.phy.cont.io. Ex quo loco collige prtm6,cur The- fes problematis diale&icis adnumerari voluerit : collige fecundo quomodo Effata quanuts per fe nota dicantur , ab Antiquis tamen negata fuerint , ore nempe non corde, 4,metaphy. 9. p.pofter. if. Hoc itaque modo Thefes tue- ri illi proprie dicentur , qui aut fua > aut amicorum Dogmata 7 cum fibi male e.iiL Digiti zed by G00gle ^ ETHIC OR VM confciifint, fcrmoms am dif^utatidnis vel etiaitt exiftimatfonis ttiendat gratia defendant. ( Ac de his quidem fatis:nam de eis copiofe in Encyclii* diximas). Ne exiftimes particulam illam stfe* //& Toirav^d ea qua? de vittotc dixerat abfolute referri. De virtute nanque item de foelicitate itfque etiam qua? in foelicitate exiguntur:6Vnumfortunatus an infortunatusFoelix efle debeat , i>&vw hifce in libris agere debuit, atque egit , non alibi.Refpiciunt itaque ad Thefes iftiufmodi cum ad hanc praefentem tra&ationem , turn ad alias pertinerites, difputatas. Encyclia vero ea fuiffe qua? Euftratius &Tho- mas affirmant) nullus ampliuseruditusexiftimabit, certum nempe Car- minum genus, in feipfum recurrehs.Deceptus fortaffe Euftratius fuit verbis quibufdamAriftbt. i.po'l.analy.cap.*. Minus quoqueaffentiendumiis efle arbitror, qui hoc nomine , alterum fcriptorum Ariilotel . genus , nimirum IZamejuoDf intelligi oportere, putant : Pnmum enim,diuerfa nomina funt,.& nomen Encyclii peculiare aliquid defignat:deinde locum quern ex Simplicio in i. caeli com.97. adducunt, nihil illis fauere certifsimum eft, ( grauate h Exoterica tame fcripta ab Encydiis diuerfa tuiflfe omnino iudico. Sim iifca, fi placet,ea difputationum genera qua? in Topicis ca.t. Ariftoteles yjpvtt&j&f vocat.No- minis vocem fequor, qua? Circulum & Coronam adfignificat:pra?terea veri.  quibus earn infirmarent, & confirmarent. Extant etiam tales Ariftote- *  lis libri & Theophrafti, in quibus in vtramque partem difputatur.Sint ergo Encyclia libn in quibus difputationes devariis rebus in corona multorum Sapientum habita?,exercitationis gratia defcripta? erant. Lubricum iudicium eft de re,nobis & fenfu & ratione ignota, pra?tereaque fere fuperuacaneum: cum nthil ad noftra lia?c > certa huius rei notitia conducat. ' 1 Tertium vita: genus eft quod inrerum contemplacio- necernicu^quod deinceps confiderabimus. Hoc in loco Euftratius errauit, quod per Genus vita? contemplantis,eam tantum intelligi vitam putauerit , cui contemplatio pro fini proponitur , de qua in decimo libro , fermo futurus eft. Errauit inquam, quia itadicens non habet amplius in quo vita? genere , a&iones honeftas collocare pofsit. Dici poflfet pro EuftratiojAgeritem vitam ad contemplantem referri , ad hanc e- nim ilia tendit, prudentefque efficjmur, vt fedatis & compjefsis affe&ioni- bustotiinSaptentiam incumbere valeamus , Dici inquam iftud poffet,nifi Euftratius , diferte declaraffet , fe illud vita? genus hoc in loco intelligere quod affe&ionuro expers eft, Etenim dura cotemplamur,mente a fenfu exol- uentes Digitized by VjOOQ IC * LI BJEtBt L] * ft entes,& auafi e corpora euplantes, ab appetitu certe,& affe&ionum tumul- tu ferme Jiberi, raentibus cadeliibus, quarum vita intelligentia eft> fimillimi euadimus. Quodipfum Plato vpcat Modern commentari. At Homo ad age- dura conuerfus, in affe&ipnibu$ moderandis,cuftodiendbque appetitu totuj occupatuseft. (^anuis.enim^ffe&iones minui pofsint, non tamen donee fenfus in homine ent,id eft. donee homo in terris aget,ill# funditus extirpa- n poterunt: fednecdttKnt,cumCiuili virtutem^Philofo-* phico prudentiam,nomine Prudentif videlicet Sapientiam cople&ens,queV admodumalibi quoque Yt in $.fec. probl.9. quarens cur Artifices quida im~ probts raoribus maiorem partem efle foleant , Sapientia? vocabulo Pruden- uam^omplexuseiK.Sed oritur hoc in loco non con tenuxenda qua?ftio, Cur; nempe, fi Ariftoteles fupra dixit,Ciuili honorem pro fini efle propofitum,in Eudemicis poftea dicat Ciuilem pro fine virtutem quaereretFacile eft refpo- dere , fi dicamus Ariftotelem in Eudemicis , non de omnibus Ciuilibus:, fed dequibufdamtanturaacutioribus menteqi &ingenioexcelletibus,qui pay- ciadmodumfunt,fuifleloquutum: Supra verodeCiuilibus omnibus inge- nere~, qui quanuis honorem virtuti gratia exoptarent 5 id tamen non animad- uertebant , quia videlicet vinutis pulchritudine' \i\ poflent agnofcere.Hoc eUdo ex verbis Ariftotelis in i.illp cap. cum ita loquitur. Sed denominatio " ifta non omnibus Ciuilibus conuen.it : nam nee reueraciuilesfunt, qui ho- " neftasper (eadionesexpetunt^curnplerique aliihabendi Audio, &diui- " tiarum gratia vitam eiufmpdi capeffinf . Sed expritur ftatijn alia ex hoc re- " fponfp, & m^gis etiam ardua dubitatio*I)ifftum eft enim fupra, Ciuiles qui- dera aliquot cognouifie formam & excellentiam virtutis a illamque pro fine pofuuTe , interna tamen in w quoque ?j&]uifi defujerari, A&ionem nempe i- pfara,(huc enim ilia verba Arittotelis fpe&ant > y wSu/Jitt tX*7*Tb/)iftTLuJ). Atquinonhabitum,(edafcelicem dirit oportsre * Cinico/itra f>hj fa&Uces beaftique yifjerentu^  qui iuftis honeftiique aftionibus * lnjcurnbeJftQti, di.Uina^evaliqua content * platione part iciparent. His verbis vitam Ciuilem , & cpntemplantem ab A- riftotcledefcribf,intuentiani^cedentia& cpnfequcntia illius capitis mani- fcfto paterepoterit. Accedit eo, Ariftotelem ibidem Ciuili in genere^pro fi-r ninon honorem, fed dmitias propofitas eflVdi^re.Dica quod fen tio 3 qnan- quan^fateor )in hac pone r^^ptorem al^quem defi^ar^n: fupra Arffto^ Digitized by VjOOQ IC ji ETI CHORUM teles non in eo folo coarguit ponentes virtutem efle fummdm bonum , quod in adione no facilitate & habitu f oelicitas fita fit , veriim in eo quoque,qi*6d quanuis a&io ex virtute prtmam folicitatis pars fit , exigit ta&en fecun- darias illas partes & inftrumend, de quibus fupra mentionem fecimus,pro- indeque dicebat , Homine egeftate &rcalamitatibus grauatum, foelicem di- ci non pofle:qua in re a Zenone & Stoicis Peripateticos difcrepare antea di- ximus , & inferius quoque pluribus dechrabimus. Ad aliud quid refpodeam prorfus nefcio, nih velimus diuinare , Ciuiles Eudemicos,diuittas honori* caufacupere:Nam diuitia? rerumque plurimarum copia & opes , & pote- tia , eo fere pertinent, vt horiorentur qui ipfis pol'cnt illiTque cumulandis inhiant. Annotetur hoc in loco, Ariftotclem Ciuilis nomine plerunque fuif- fe abufum.(Deincej>s confiderabimus)* a ca.7.vfque zdi J.huius libri, & dc^ cimiacap. tf.vfquead*. i Vita vero quaeftuofa, violent* eft:& conftat diuitias noa efle iliud bonum quod quaerimus. Suntetiim ex boriorum vtilium numero , & aliorum gratia.Quapropter ea potius qu fupra expofuimus, fines quis effe exiftimauerit , pro- pter fe enim adamantur. Veramtamen ne ilia quide fune, quanuis multx rationcs ad hoc oftendendum allatxfint- Sedhaecmifla faciamiisi Celebre admodum hoc vit* genus tempore Ariftotelis erat , & noftro hoc feculo celeberrimunfclnuafit auri fames non modo Plebem, fed CtuiJes: -atque vtinam non arcem etiam ipfam,id eft Philofophiam inuafiflet. Quare & de ea aliquid Ariftoteli dicendum ftiit. Quod fi quis de me petat, ad quod nam trium yit* generum hare quaeftuaria referri propfie bporteat:Re(pon- debo,Diuitiax&opes non aliarii obcaufam expert, quamVtfaciliusvitap commoda voluptetefque confequartwr.-. Honoriscefte (quod ftfpra nos di- uinauimus)noninulta in iis comparandis ratio habetur. Teftis fit nobis Py- thagoras,qui vulgi fiaeni diuitias & opes efle dixit,cui tatnen Ariftoteles vo- luptatem pro fine afsfgnauit , quafi non multum yoluptas & diuitia? inter Cs differre&t. HincillaHoratii: v ' w ' Nefcisquidvdeatnummiis,quemprarbeatvfum: ^ Panisematurjolusjvinifexeariusiiadde ,> Queis humana fibi doleat Natura negatis. Diuitiae itaque commodorum yita? gram exoptantur , id eft cibi , potus y ve- " ftium, Hgnarum,fuppelie&ills 3 domus,-famulorum, anciilarum, equorum a- micorum, raedicorura, medicameiitorum, ornamentorum,y iridariorum,a- lidrumque eiufmodi ad decorum y oluptat^rague peftinentiunvVnde etiam liquet, in Diuitiis non efle illud bonum quod quae rimus pofitum r cum non ver e bonaTmt,fed bona vtfl duntaxat,id eft propter aliud eXpetenda. ( Vi- ta yero ^uftfa^^ii(^^ Semper ab ^tempore, quo Ariftpcelica . .._ _, . . ..... . ^^ Digiti zed by G00gle tI%EH f; # brc pr&cepta turn EtWeatum Potitica conqmrere # expendere ccepi, tudi- dkaui locum hunc alto raodo efleexpKcandum quamEu^ratiuscefeat: Ipfe cairn voluit Artem hanopecuniarum parandarum idcifco violentara diet, quia no fine vi aut vibtentia quadam in imbecillior^s illata paretur 5 ac fi om- tiis peCuniaria art yiotentta iftiufmodi exerceretunquod fane falfum eft.Sed rem plaaiiw exponaraus. Qua? nos fiiperius enuraerauimus ad commoda vi- ta? pertineotia, Ariftoteles vnico nomine Poifefsionem fiue Kivtnv nuncupa- ret. Duoautemiftud nomenfignificat:nam&resomnesquas pofsidemus, puta fundos,pecus,naues, & reliqua huiufmodi , qua? iam babemus 3c noftri domiaii funtjSecudo vero res quas nondum quidem pofsidemus, fed acqui- rimuaquafignificationeidjemfignificat^ di vero duplex genus eft , vnum quod fecundum naturam fife alteram quod non fecundum naturam, fed artem potius peritiamque. Arift. i.pol.cap.7. Ilia dicitur Secundum naturam quae abipfa natura omnibus data videtur ob vinr indigentiam,qua?que iufta eft , mitis & pia, non qua?rens ab hominibus TolentibuS) non extorquens a nolentibus , & id qua?rens quo tantumodo vti vulti.oecon.capi.Ha?c multiplex eft,Nam & Paftoralis, & pra?datoria qua? 4 nacura eft vt venatoria 3c pil'catoria: & harum omnium ex cellentior Agri- cultural i.oecon. cap A.i.pol.cap.*. & fexto pdl.cfap.4. Quae vef 6 arte 8c pe- ritta fit, non ex proprio vfu tei procedit, fed ex permutatione qua? propr ius rei vfus nop Cenfetur. Ha?c item duplex eft,qua?dam natura? non repugnans, qua?dam vero omnino violeiita. Qua? natura? non repugiiat , in commutada re pro re confiftit:alia nanqtie pro aliis dare,& recipere , vt triticum pro vi- no,vinum pro Carnibus, carnes 3c alia pro hna , pro veftibus, opus fuit,cum $lii plura quam opus fit, alii habeant pauciora, i.pol. tf. Atqui , oportuit ali- quado a remotioribus regionibus auxilia qua? rere, importando ea quibus U- laru MK0I9 indigebant, & exportado ilia quibus abundabantmon facile aute & fine incommodo multoque difpeadto, fingul? merces pro mercibus dad# aut accipiendt deferri potefant,quare ex hac fpecie acquifitionisindu&a eft pecuniaria commutatio: inuento nanque,percuffo & oblignato nnmmo , qui ponder e 3c quant itate definitus, atque ex materia aliqua multi pretii confla- tus cflet, commodeque ad remotiores regiones ferri,ab iifdemque exporta- ri poffet,pecuniam pro re dari #que accipi coeptum eft. At Hominum ma- lkia ab vlii nacuraii nummorum 1 poftea omnino deflexit : Voluerunt enim, nummo nummum non rem parere,jd eft, Humfois ad focnus feu nummorum foeturara vi;Qua? arscum vfum nfcrami peruertat , &noc ex iis qua? natura paret, fedex hoobnibus^ ipfisiacqukatstranflatitja, adulterina, improbanda, iUaudabiiis,.praterpatt]ram,odto^ fidendarumcupiditas infinita fit, ab Ariftotele cenfetur , 1. pol.cap.7. & hoc in loco violenta. Nequemiretur aliquis>cur Ariftoteles de diuitiis loquens* foliim de Nummularia fermonem facere videatur,quara et iain vt violentaul damnatrNam vt ait idem i.pol.cap,*. Diuitias pleruoque rionunt efle , mujL titudinera nummorum **ft 7**fb* mvr 1$) rbai ^u&wmdt^ 3^ rtfi n&im*J*&t* (Sunt eaimerbcinorum^t^ txmi diuideadira* Digiti zed by G00gle 74 ETHICO&VM cio a Platone in u 4e JLep.& in Kutyden^sab^iiW^it^^ni^^ca.}. x* u4em.cap.4.& hoc eodemlibro cap.*.& ii. propofna. Nobis ergo ItfC vo- ce huius contcxtus admoniti, id muaus incumbercvidcturMy t Zhbmww in&rius fuis quibufdamlocis perfequi opprtebit : quare ne ide repeti a nobis fruftra de-: treat, ab hoc munere in prxientia fuperfederefatiuserit> Tantum inpra?- fentia afTeram diuifionem quandam ex priori Eudemico cap. 4. defumptam, . quod ilia quanuis ad moralem tra&ationem non multum pertineat i non ta- men adeo peruulg^ta eft, vc omnibus nota atque perfpicua fitjquare hoc fal- tem nomine occaiionepraefente non omktpnda. Bona aut fun t ' T '*&%*&> id eft fub actio- nem xadentia, aut quap motu acquirunt ir,vt ait idem Arift.. Et harci fijnt velpertinentia. adHominem vt Foelicitas quae vela&ione, vel contemphtione comparatur . eft autem adio & contepfatio Mo tus impropric - acccptus. ad prarftantio- ra nomine. vt finis corporum carieftium : qua? ad fuum.fioeaau. non perueniunt nifimotu^&illo etiamproprie dido. amplexantur,retinentur, foucntur : Q^i vero fe iiudiis r^onarum artium tradunt,fi auro careant, nihiliprorfus habentur.Eit Profeflbrjeil Do&or, a- periaturergoillovifo jCapuijialutetur^qiadranteetiam fi quando maxime opus fit iuuetunHaec illi fat eitox t tera iis a quibus ahud quid pra ter verba, & bene viuendi praeceptahauriri poteft , reddenda funt. In hunc modern 3- d ilter ma qu?dam Mercatorum id etl diuitum hominum fpecies, no. ro hoc feculo loquitur, qua? hoc vno beata cenfenda eft, quod non lent it fe effe roil exam: Q^idenimillomiferius qui Temper anxius &follicitus maneat, nodes diefq-, torqueatur? qui multa tmo omnia praua admittit, vt cupidita- tem infatiabile expleat: qui accumtilandis pecuniis totus deditus,veroru bo- norumprorfus oMitus fidre&e Horatius; -Horum Semper ego optarim pauper rimus effe konorum. Carter um dubitabit aliquis. Si neque voluptates corporis deque diuitia?, nc- que opes , neque honores , fines hominis iunr.vt Arifloteles oftendit,qua rationed Veritas illius propofitionis initio libn pofita? conft are poterit 1 Bo- num(videlicet)ideflequodomnes imo pmnia appetunt , Bonumque id eft Deum ( kaenim nos interpnetati fumus ) omnia appetere \ Refpondeo. Quemadmodum elementa , cum ad propria & fua loca feruntur , ad benum /bum feruntur,id e*'t Deum ipfum, qui omnis bonitatis fon s eft 3 & fi ipfa aut booum aut Deum, a fe expeti non animaduertant: Ita,homines illi qui in di- tiitiis, opibus, honoribus hominis bonum fitum effe putant, idcircoque om- ui ftudio ilia fibi comparant , Deum quaerunt, Deum fibi comparare ftuderit, quanuis id non animaduertant , nihil enim bonum eft , nifi quia in illo boni- tatis diuina^ radius interlucet. Falluntur tamen homines i ft iui modi, quod vrnbram ac fane tenuem boni fequantur , non verum ac folidum bonum ri~ uulofque fe&antur , non ipfum fontem adeunt , ciim commode poffint:pro- indeque ab Ariftotele & ab aliis merito reprehendi poffunt ac debent. ' c a p v T VI, Vniuerfurn autcm bonum confiderarc,& quo modo di- catur, quaerere fortafle praftactametfi nobis hxequx- ftiograuis (it futura,proptcrea quod nobis amici iut iiqui Ideas incroduxerunt. Atqui oportere fortafle & pat efle videatur,, veritatis conferuandac caufa, vcl etiam noftra i- plbrum decreca euertere>& prafemm Philofopbos*Nam Digitized by Google H ETHICORVM cum vcriquc chad fint> turn pium eft,amici$ anriquiore/n habere veritat em. Longam orationem ? & librum feparatum ipfa per fe expeter# tra&atio de Ideis Socraticis Platbnicifve, ab Ariftotele hoc in loco inftituta:non quia (vtmultidicunt)difficilefitintueninquo Platonem Ariftoteles coarguat, Sed quia Plato ita fibi parum conftans fuifle in re hac vifus fit, ( hoc fiat illi peculiare vitiura in phyficis omnibus pema&andis : nan\de moraiibus, 14 eft virtutibus & vitiis omninoque de bonis rebus & nulis copiofe & accu- rate, de Diuinis praeterea, plane diuinitus fcripfit ) vt Interpretes primarii quales fuerunt Proclus>Simplicius, Euftratius,D. Auguftinus,Scotus 3 & alii compluresconatifuerint oftendere, Aut Platonem re&e de hac refenfifle* Aut etiam eandem fentcntiaiu de Ideis Ariftotelem habere cogi ^quam Plato habuerit. Hinc poftea ilia in quibufdam Scholis impudenter di turn, de nominibus & appellationibus Idearum >de veritate earundum , de ocea- Digiti zed by G00gle ccafione ilbrHmconOirucnclarum 5 de loeis iff quibus Plafo eai maaifeft o introduxerit ,& de its Philofofophis qui ipfuitif pof lea fequuti funt agere de- creuir Deinceps explkare * quid ill hac re fenfetit Ariftotel. &r quibus in lo- cis Platonis Ideas tra&are coafutareque potuerit. Ha?c fibreuifsime(verif- fime tamen ) explicuero, fat interprets Ethici munerc fundus effe videbor, id eft aditum patefecifle ad ea magis percipienda qua? Ariftot. in hoc capite Autoribusldearum obikere voluit. Qua in re,prudentiamPorphyrii in fua logica inftitutione agnofcere licet, qui de vniuerfalibus agens , qua?ftionem hanc de Ida?is.fe velle de induftr iz pf a?terire teftatus eft , quod magna & ar- duaqua?ftio ilfaefTet,&maiore confideratione egeret. Aliter quidem D. Martyri noftro faciuaduro vifum eft, Cuius tamen veftigia in pra?fentia fe- 3ui non decere exiftimo.Sed pra?ftemus iam tandem quod polliciti fumus.I- ea? vox &d T9v   iam non potuit Plato , fpecies illas per fe fubfiftentes , a rebufque feiunftas , caufas, 3c exemplariahaec noftratia informantianuncu-r pare,nam fequeretur Deum h^c omnia informare,quod eft abfurdifsimunr. Autfiaequiorfententia Platonis de hac re fuiflet , Ideas Ariftoteles adeoa- criter oppugnare tot in locis noluiffet >neq; e^s Ti^-najMmtM eft moftra aut inonftruofa praludia nominare aufus effet,qui in n. metaphy. libentifsime fatetur ordine qui in hac vniuerfitate fpe&atur no per fe efle, fed ab eo pen- derequiinprimoopificeeft,quemadmodumordoexercitus non per feefTe dicitur,fedabeopendere, qui eft in Imperatore. Et Auerroes quoque qui multis in locis has Ideas reprobauit, fateretur libentifsime , Formam pfimi Mouentis effequodammodoformasomnes,ii.roet.i8.&i4. Qupdii form*. iHae non idemfint quod fubftantia 3c NaturaDei,iamDeus coagmentatus e- rit: At fint in Mente ilia prima, feu Filio,feu fimulachro DeiiDeus ergo extra fe Sc fubftatiam fuam aliquid habebit quod intueatur, 3c quod illi vicem ge- rat exempli rerum procreandarum : quod quam fit abfurdum patet * nifi ve- limus Deum noftrum alicuius perfe&ionis expertem fingere. Iam etia 9 fub- ftantiaDei varia & quad diftin&is 3c infinitis imaginibus, res diuerfas refe- rent ibus pi6U effet ; Item mutabilis, quandoquidem fpecies , quae referebat antea,puta Vere,rofam exiftere,hyberno tempore illam deletam effe referet.i Quare con cludamus necefle eft, firationesAriilotelis tot in locis , tantique .. momenti 3c roboris aduerfus iftas chymeras Platonis propofitjas fpe&emus, , nil aliudPlatone idea? nomine defignaflfe credere nos cogi.quam quodPlri 7i loponus inquit, formam nempe incprpoream, nare$, manus,& pedes inCor- . poreos (fi hominis Idea effe fumatur)habenjemi& per fefe fubfiftentem, a4 , quamrefpiciens opifex veluti ad exemplar , hos homines qui funt hie apud . nos procrearet. Ha?c quod nimis craffa fint,Platoni tribuere nefas effe alicui  videbiturtdicamtamencum Ariftot.j.metaphy.iS.Iftaquidem Platonem non dicere,fed ifta Platonem dicere voluifle, H^rum autem Icfctagum finge^ j darum anfam duae caufa? pracipua? Platoni praebuerunt. Videlicet,Rerii im*? , gularu generatio,earumq; Scietia:Et Generatio quidem.Quoniam yt Artifex v xxemplum format applicanda? materiei animo prius concipiat neceffeefl* .; quam agat , ita primum opificem quern S*m%w>v appellate, Ideas illas natu- rafque leparatas rerum fenfilium intueri oportet , fi confulte prudent erquc opus fuum efficere debeat: omttto alias ad generationem pertinentes caufas qua? pro Platone poflunt adduci, illas enim aliunde pet tin prafentia cupio, vt ex Auer.7.met.com.ji.& n. eiufdem traeireobnoxfa>Bflentias Hlas pofuit ,no qua? in Indiufduis ipfis muta biiibus,(qui eoim fieri poflet vt ipfa? quoq*, hoc modo no murabiles eflend ) fed extra res iRdiuiduaque,feorfimfubfifterent.Locaver6 in quibusdehifcc Ideis Plato meroinit,ifta funt :Timeus, Parmenides. Phedrus , Epinomides, Htppias de pulchro. Qui vero aut Platoae prorfus tueri in hac re volueruitt, . aui Ariftotelem cum illo conciiiare conati fiint, rationefq; multas pro vtra- que parte attulerunt, funt,Si rianus, Iarflblicus,Plotinus , Puoclus, p rarfertim in comment.Timaei, Alcinous,Olympiodorus, Ammonius,Alexader, Themi ftus>SimpliciusJD.Auguftinus & Scotus. Nunc ad Anflotelis fententiam ve- rioreni, venio:Qui neque generationis neque fcientia? gratia Ideas ifias co- mkufcinosdebercputans,pximometaphy.ai5.c6t. vfqueadjf. tertioeiuf- dem tr4d.cot.18.ite feptimo a conMo. vfque ad 47: item 13. itictaphy iribus capitibuSjPlatonis dogma op pugnat. Phyfiologicorum vet % librorum fere aullus eft> in quo alitjmd aduerfus idem non proponatur . Analy tici item li- bri aliquideiufmodi in Platonem habent. Poftremo Mojales, tarn qui Nico- machi,quimquiEudemi&Magnorum nomine infcripti funt , fuas etiara reprrfienfiones Platonicas obttnuerunt : vt fere nulla t radatio ab Ar ift otele initituta fit > in qua non aliquid ad hafce Ideas euertendas accommodum re- pe riatur. Devniuerfalibus autem ipfis qua? Mente percipiuntur,ha>c Ariflo- tclis feotentia/uit.Mentemnoftram ( videlket)qu ad omnia intelligenda paratifsimaeft>iatelHgf r^ rerumforjnas & fpecies accipiendo : Formas ve- rqiftas.in mente fieri &4>riri , cum pries non eflenr : Fieri inquam a Mente Efficients luroifii* ipfius vtefficaciaqueex rcbjusfingulis quarextra mentcra funt * abftrahendo fegregandoque : Ita vt quod antea fingulare erat , & ma* teriasuBmerfura , id jnentequafi materia? expers ,-& vniuerfalecuadat. Ma- teriam in qua voiuerfalta ifta a Mente agete elaborata recjpiunrur, Mentem poteftate, dk 9 quam ab Agents rexion diiferre alias oftendimus. Locum au- tem > io quo fubfiftuit Vnon^alium quam fingularia ipfa ftatuit , AEterna ve- ro per feeflevpk>quateniisnempe fimul tota, id eft fecuftdugnooroes fuas fubipdas partes , oriri aut interirenequeunt : fed per accidens tantum inte- rkui obnoxia dici, qua videlicet , per continentem partium fubiedarum fuc eefsionem fiunt, interaintque, i. de ortu & int. 53. Nomen non aliud fortita funt^uimitt ^3Aov id eft vniuerfaiia demulti? fiue poftmultarproqua denominatione Ainmoniusjn prxfatione in Porpliyrium confulatur.Potuit autem Arift.comra Platonemldeas introducentem difputare,in Metaphyfi- cts libris>quateaus Idea? vt forraserquafdam abftrad? & Der fc fubfiftetes de- fcribebantur , outti ad Metapbyficurai turn' per fe abltrada , turn per indiffeu rentiam(vt vocant)pertineant.Potuit itemillase medio tollere,prout obie- dum deraonftrantis argument ivideri pofTent , primo poft, analyticoru,cum pra?fertim,vt Philoponus inquit , illis inlibris,Demonftrationem aterno- rura & vriiuer falium effetradtt um fit. Potuit tandem eafde Ideas impugna- re in Moralibus, ne quis Ideam quam in fexto de Rep.libr. luni i^3V> Pla- to nomioat j cuiufque fci^ntiampotifsiraam efle fcientiam dicit, qua fine nil rite cognofci am pofftikiiconunga^t, finem huroanarum adionum efle exi- Digiti zed by G00gle lo ETJUCQfcVM ftimare quifpiam poflet: Quod quomodo fiat,verba AUofdplii percutrete*, iam declaremus.( Vniuerfum autem bonum),id eft &f & prout fit a nobis cognofci. (Nobis amici funt ii }. Cum Socra-i te t res annos Ariftoteles coniundifsime vixit , quo extia&o , ad zmickpari Platonis fe contulit , quicum annos viginti magno familiaritatis vfu con- iuridusfuit. Vtetquevero horum Ideas inuexit > cum nullus antea nenutu quidem Hlas fignificaffet. Cur ergo D. Auguftinis^.quafffione ^aliter dicere voluerit prorfus nefcio , cum prcfertim Ariftoteles qui muko ant^ Auguftinum vixerat, omnidque omnium veterum fcripta diligetifsiine per- quifierat euolueratque,verbo Hju.ya.yuv hoc loco vtatur. (Atqui opprtet for- taffe). Diuinum precep'tiim eft, quo docemur, veritatem ipfam pofthabitis amicis , noftraque etiam , fi opus fit , exiftimatione contempta, propugnare hominum,maxime veroPhilofophiintereffe. Honeftum effe omnium ami- corum, & fui ipfius quoque rationem habere, Sed Pium & fandura ad veri-' tatis prxfiditim , & conferuationera omnia contemners Eft nanque Diuihu quid Veritas, imo Deus Veritas ipfa eft:Deus autem , Iuftitiam illam a nobis exigtt cuius pars pietas &: Sanditaseft. Voco Pietatem , agnitionem ipfam Dei:Sanditatem>eius quo4'Deieft,Deoagnitoretributio : Atqui &Mente toeam , &" corpus Deo acceptum referunt omnes , In Deum ergo,id eft cuni ixaSic intiiendum,colendum,amandumque, omnem Mentis & rationis vini, ttegledo & abiedo omni alio refpedu continenter fixa habere, cuih qua de- ipceps lingua*, oculi*aures,manus,pedes,omnefque corporis noftri partes confentiant, id demum veiifsuaa Pietas, & Sanditas eft, Carter umha^c Sar>- ditas*. Digitized by Google aH^S^ie^buij^&ftii? cordi elfc debct ? quod iirm^cime om^u^uid %o dc>?at \wQ,fX(&}wfy$wfat?w S^pip te*J$* ri, 4r;i^inihvi.ve- , liot^qu* fcjiej^ia m rebus^erijid eft proii{ funt f pgnpjfe^dis/u^ eft :,' (&- ^ nuos anti/^pre l^^e^mtef^ : Ifi^ oeq^ abqmm officio ajni$ j^orfijj^ difedkAr^.dum^^ $"03? 4 uan {K cfl^i^i^lL/py^.^jara^^qgLa; in croomwoicatioja^ ferppnum goitifc v fimum ceraitur; Qua nehipe eorum quibus cum verfamur 3 illaqua? probada ? 8^yt p^;ob5^ Afnt^'O^pus, cpmraria aute non prol>amu$,qui>d ita decere , atquehoneftum.eife iudic emus. Placet hoc coptexju duoannotare^vjuan j qupdfereab pn^i^u^j^ad^r^fji^ft ; Anftotelem nempe hac pifatio-. , neexculWo(u$ t p^aJii/ce iaw;um |n iibris no alibi aduerfus Pjatorie , di(j>u t taturun^vUYoiui^>n ipfe immocJeI\ii & maleiioleniia? cuiufdara inGwiuiari poflfet , qup etiamcrinnHe non caver^t,fi (vt,ifti nim\t?1nV PlatonP addiih aiunt) ei nulla alia caufa amjci & prieeptoris repreher^dehdi , prar- * terquam vocis^fuiflet. 'Alterum^quod Lambinus vidit , particulam videlicet '; ecieipH "^i& fi^eie^e>,&^fempi^^^ s & > ea^e&&,ex ?qu6 ptindpiiupi omnibus iis qu^ adius Timi- Digitized by Google at* ETHiSJ duplo print fittSuperfora vero,id eftqux ita ftnt fecund^prius & jicfterius, vt quodamteniopattidpcnt^d^mcaminuaemhabere ambigendumnon effediofterius fiicuur :nara longe prius homo quam leq animal eft , proptereaquod lpjjge quoque per- fe&ioreanimalis graduparticipat. Ex quo colligere tandem aduerfusAri- ftotelem volunt, nullum hoc fuum argumentum aduerfus Pjatonem mo- mentum habere: cum Bonum idcirco potius Ideam efle aft rueadum fit > pro- pterea quodmione iamexppfiumultisineft. Sediw>nlatoraui 4 pr$fqn videlicet Plato in ipfis Ideas, pofuejrit , vel^ noq^pqfiie- rit , volumus enijn rtftjj tantumin prqefenxia percurrere > vt dM^njifs ,, Tan- turn peto dejiftis,num Subft ant iain & Acqdens ( PlatonicidicerentEns& Entis proprietas-^ in priori fpetie.eorum go- fterku,coUocari oportfat, an in pofteriori. In pofteriori dicent $ JNam Sub- ftantia fuapte natura efledicitur, Accidentia vero, quia ente participant; vt Plato in Sophifta,& Ariftoteles feptimo metaphyficorum context*! jfr- cnndo, oftendit:Qganquana li Auerrois interpret f tionem quarto metaphy. comment.!, Iegaraus , aliter fdrtafle ex feptentia Ariftqtells dicendum yi- deretur: nequeenim accidens eft accidens quia fubftantia eft fubftantia, vt quia ignis calidus eft , ferrum calidum eft* Pro qua re moneo,vt diligenter expendantur qua? annotauit Zimara Theor. 4. pertinent enim omnia ad arduam iUamquarftionem,de Entis vniiiocatione: Sedadmittantur in pra?- fentia ifta omnia: Si Substantia? & Accidentis una communis Idea non fit, quodinfecundogenere eorumqua? fecundum prius &pofterius funt, col- locentur ,.cur bonum qupd perinde vt Ens dici , ac naturis ipfis categoria- rum ha?rerq concedunt, rfori in eodem gradu eflV , eand&naue fubire legem & coditionem quam Eritia dkut? (At id quod per fe eft,& iubft antia). Duas preeminemias m Categoriis.aniraaduertedas innuit: Vnara qua? fpe#atur, inter ea qua? per fe funt , id eft ad alterum npn relata , & inter Rekta ipfa , quorum efle , id ipfum eft vt ad aliud nempe referantui*. Alteram vero.qua? inter Subftantiam& Accidens omne, inter cedit. Eftnanque Subftantiave- rius Ens quam Accidens, quia fubftantia folafeiungipoteft,&ipfaperfe exiftere & conftare , vt coljigitur ex Ariftoteles it. metaphy. contex.3. Ac- cidentia vero non funt fimphciter Entia , quia per fe&um efle non obtinue- runt: nequeenim a fubftantia feiungt,aut per fefe exiftere & conftare va- lent: Sententia & lijnitatio Auerrois eft, n. metaphy.. com. j. Bonum itaque per fe, accidentia dici nequeunt , cum propter fubftantiam fint I Bonum ve- ' ro fimpliciter , fubftantia erit , qua? caufa alterius non eft , fed contra, ipfius caufa , reliqua dicuntur. (In fubftantia c* r? t nW) S^pifsime ita fubftan- tiam nominat Ariftoteles ,vt in TopicisiCaufa eft (ni tailor) quia vox ifta quid*feu,hocaliquid,fubfiftensquiddam fignificet, Subftantia autem eft qua? verifsime fubfiftit,reliqua? vero Categoria? inha?rent: Vnde & alias an* ootaui^ Accidentia inexiftenuam propriys quam exiftentxam habere dici, Digiti zed by GoOgk ir6Ko)pt ', K&TOY l - :,}l ' l > - 1 ^ : Pr^ter6a,cum barium totidem iriodis dicatiir,quot Etfe, (nam&inSybft^ litate, vtvirtmcsz&c inQuanto, vt medioer iul&zSc in us qtaead Aliquid refcrfcttturvt vciiitfts.-; VTki Tempore yt occafio: & in L.Qcqyt dpnifcilium fei^ ii lifrforaUm,^, $l|a hviiufmodi) perfpicuum ? cft,comoiwni? clique*! WsflAWi fconum, vmuferfumeiTc^on poffe, Non enim in onmibqs ' catfegoriis,fedmvniafolumdiceretur. Ha?c ratio eiufmodi roboris fere eft, cuius fuperior : vt nanque illa,ra- tione Siibftantiae & Accidentis,Bonum fecundumprius& pofterius dici o- ftendit, proptereaque fimpliciter & fecundim vnam communem Ideam di- ci non pofle : Ita haec , quia bona (quod in Categoriis omnibus fiht)fummis ferieribus differunt, riullam communem bonitatem habere monftrap :>!laia : Gcnerum ipforum furamorum, id eft Cat egoriarum,. nihil commune fta- tuere pofluraus. ^Eadem argumehtandi formula in primo Eudem. cap. 5. habeturj&magis adliuc explicata. (Bbnum totidem modis dicatur qiiot Ens). Sunt Genera quxdam,Tranfcedentia a Metaphyficis nucupata,Nem- pe , Vnura/ Aliquid ,lles ? Verum, Boniim . quia?,Ens reale diuidunt , a quo jtamen rejiondifferunt ; auod pate| ^quia tarn concrete , quaim abftrafte(Vt aiunt ) Ens de omnibus iftis dicitiir : Bontim nanque eft Ens , fe eft Entitis, codommodo alia. Item non - aSeruitt le&ib'aliqui^ii^^ V''4^^ itim Eiis non Digiti zed by G00gle LIBER t t* non afferat: E>rjferre igitur ifta volunt abEnte fola rationetquod videtur col ligi ex Ariftot.4. metaphy. com.}. Vt.vero fciamus vndenam tranfcenden- tia ifta ortum habuerint , animaduertet-e opqrtet ; vocem banc Ens^ conce- ptumEntitatis iimpiiciter fignificare,nullum veioeflendiMpdum adfignifi- care. Modus, aute Jinti,&Reali pra?fenim , additus 5 duplicis generis efle po- left : vel enim talis qui non omniEnti fed fpeciei a4icui Entis convieniat , vt hie modus qui dicitur^Per fe,Enti tnbuitur , ratione folius fubftant i$. Hie ergo modus & alii eius firailes fpeciales Entis modi nuncupantur. de quibus non vnoloco Ariftot. meminit. Alii vera modi fuut, qui mne prorfus Ens confequutur, & Generates nuncupantur: Atquehimodi Qyiflque ilia fwpe- riusenumerata Tranfcendentia, cobftituunt: de quorum nature alibi eopip- fius agere oportet tNunc^dc Bono tantiimpaucaiftadica^ius : J4empe,Boni rationem a duobus eonftitui, v.no quod vt materia, alter q quod yt forma eft. Vt materia, & primum Bonitatis tundamentum, eft ipfum Efle rei:nam Bo- num quaBonum,ratipoem"perfe&i & perficientis habct, vnumquodque au- tern earenus perfedum dicitur quatenus aftu eft-.A&u autem vnaquaeque res, efle diCitur,prout habet Effe,Effe nanque eft id primum,quod rem a potefta- re ducit ada&um. Hoc Efle fiueba^c ratio Eflendiji Forma fu^nitur. For- m$ icaque vnumquodquei fuam bpnitatem aeceptam refcrt,Auer.i.caeli ioo- & 1. phyfi.St. iMateriavero proprio iure >. boni rationem non incjudit , A- tier. 12- metapby)conUjient.^. GoJlige, Entiarationis, non efle propria ra-r done Bona^Chymer as item, f^astcrea Mathematical Quo fortafle refpe&u, (quanquam Thomas. Ipa^i Agandauenfis, & Zimara alios afferant) Ariftot. 5. Meuphy.cont. $.tlicebat*Booi rationem non efle in immobilibus : Mate* riametiam primam idtirco turpem vocari, i,phy. 80, Quod vero rationem Formarin BonoQbtineta&ptr^ ad appe- tittim: vt enim Verum per licit Meqt$ra> ka Bonum, Appetitum. H,pc modo a*- lias djximus , Intellieentiam dum fanitatis & pulchritudinis nudamnatu- ram fpecularurjnuliy^ifigidefideri^i tum'riram autem Bonitatis no- tiooemeo addat, contirrab defideiaumemergiti*go perficer^ appetitum, fatio propria Boni eft (eo modo quo in priori capitediiimus)quaque ab a* liis Tranicendentibus feiungitur. Ex quibus item colligendum eft,Boni no- men ? refpeftum adfignificare. Nam Bonum in re, eft Efle rei^perfeft ione ad- ditaiquamtamen perfe&ion vt bonum^nireo concipere non poflumus v nifi conuenientia eius cum appetitu ao^ur-.q^dipadmodum quoq; diciraus y e- mminrc ? eflenaturam rei ? quap^m?rinonflififnedioreipe^u conuenien- tia illius,cum Men tevt vera^oteft apprehendi. Tertio annotetur 5 quomo- 4o ftamendu (it de quaeftione illaabHericpGad.quol.i.q.ici. propoma 3 &4 JThoma in j.p.Sum.q.i^.de Volutate & intelligetia damnatoru,art a. pertra- AataJdeft ,:Numpofsit quilpiamcaiu aliquo magis no efle appetere 5 quam in miferiaefle.Na Non ^fle nulla prorius ratione qua appetj pofsit propria obtinejt , & quanuis mufti fint qui in miicjriis eooftituti clament 3 $e non efle n^Ile 5 iis tamen refpodendurn eft 5 qUod Henricus Gad. ait,cos videlicet me- tiWflpW wlfifcAut diatur,YtThpinas,rofle Digiti zed by G00gle U ETHIC OR VM Kori efle atiquandoexpeti , rationemque boni obtinere , quatmus non efle eft priuatio mali, quod iam bonwm eft, tefte PhiJofopho Etfiuf, Sed ifta alias pluribus. Colligatur tandem, cur Ariftotelesdi cat Bonum a? que atque Ens reafe videlicet, patcre. Ha?c vero qua? de Tranfcendentibushoc loco dkere voluimus,fuperuacaneaautinutiliaiudicari non pofle ,*cenfebunt omnes* qui toties nomen hoc Boni fimpliciter fumptum , in hoc primo libro , atque hocpvfl^fettitncapite,rcpctitum,confiderarevoluei^t. (InSubftantiadici- tur,vt Deus & Mens). Ne a moralis tra&ationis limiteexcedam,dicampau~ cis: Deus 6c Mens Substantia? funt,quid ni? Simplicifsima fubftantia ille,ha?e vero cftmpofttionem aliquant indudens, vt alibi oftendimus.Sed merainerii noneffchocmlocoSubftantia? vocem adftormamiliius qua? in Categorii* explicatur exigeridanblbt naque Subftantia ta vntuerfe-non accipitur,quanl hie accipi volumua. H tc turn seternam turn mutabilem >continet , analogic^ tamen, ibi vero mutabilem folam-.Ratio eft, quia cum Categoria* eo in loco> ideo explicentur, vt fternatur materia Logico,exquapoftea fuosipfeifines fuafque formas extundat , fubftantia? vero a?terna?tormis logicis patiendis non nnt idonea?,(in iis enim neque genus neque fpecies eft , fed nature fuat fingtilares & folitiria?) idcirco de fubftantia non in vrihierfum vt de Quan^ titate qua? & ipfa aaalogice quadam ttiagnitudincm &numerum conwiet, fed deea tantumqufc interitut obnotia eft traftawtr i qua? formislogicis-co-* mode poteratinfigniri. Scotusaliterloqiieretur: qui dixitjCaregbrias^tiartl quafdamtranftendentes' efle, quarde- Deo pira?4cantur : fed ifta alibi. ($* toW Si*AT*)i id eft mora & couerfatiocommoda 8c Hihibris.Retiqraexequ pla perfpicua funt:Ex quibus conftat, fententiara Ariftoteiis efle ,4uairt vni- cuique categoria? bonitatem afsignandam cffciSc vflamquamque fuo genera definiendam,nullam autem comrrtun^m & fej>aratam quam bonitate* iftiufi modifmguh?participeht,c6nftitui!oportere; * ' - ' -'-' Pratcrea vefd,quoniam eorum omniumqux^a Idea cont incntu^vna dufi taxac feiencia cft,ncccflc quoqjrcflfcc bonorum omniu vnalcicntiacflc, Niaric vcrofcienti^ plii; res funt,etia eoru qu? v.ni categorise fubie&a fapt* vt beca! onis,in bello ars imperatoriarin morbo med*c*tia;& rae n dibefitatis, in vi&u m^diGina:in labtoib^arsgytmraftices; : Tertiumargumetttum, quod huiufmoditft; Quorum Wea-vtia, & Set- eiitia vna: Atqtn Bonorutri non' eft eadem ScrentiarergOj&c^Proppfitio patetr quia Ideata boni conftitiiunt Platonici , Bonum qubddam priimim > Separa- tum,bonitatis aliorum quibus adfuerit caufa , ita vt participattone tatum fi^ militudineque illius, reuera & maxime bona; ca?tei aexiftetent r ? noiri&qtia? Boni obttperent : i . Eudem. cap.?, . Si itaque res quatehus extra ahimam'fuht, fbrmam generis aurf beciei aflequi nLequeuntJ hifi Ideam partitipandpjrefl^ fequituri'Meatem hoftrani non poffi rfes iddgnofceje, hifi quktenus earum 4? deis & formis quafi effirtgitur atqiie iniormatur, Et hoc eft quod Matdnid 5 dice. Digiti zed by G00gle LI BE I I. %i ilicebant, Ideas Sckntiae gratia da riopotte re :vndeetiam minifeflo liquet eofum quorum vnaldea e(t,vnaraiteraScietiara efle. Atqui( quod ad afium> * ptionem pertinet)Bonoru non modoindiuerfiSjfe^din eademetiam Catego ^ riapofitis-,nonvnam&eandem^edmtthipnceme(refcientiaCQnft^iNam Occafioois,inbelloquidemMiliaris per it ia, in morbis auteramedeudieFa- cufeasfpeculatmeft. ItaMediocritatis in viduquidemMrseaderiinrede- di : in laboribus autem > ars ilia qua? adexerckarionem corporis pertinet. (Occafioms ) . Exemplum eft a bono quod in Tempore eft. Rede aufiem did folet,nihii aliud efle Occafionem quam tempeftiuitatem quadam circu- {bmem&fidcientemcaufam. Perficitnr iftaoccafioamultis corninodirati* burvt perfona r opibtis,tate4oco^empore,aliifqueeiufmodi. In Medicina Cauia,ideft4inis & 7pc/>i7?,quomedicus adadhibendumpharmacum rno- uewreft Sanitas inducenda^uit conferaandaehanc nifi comoditates fulciaaf, frttftraerit.Commoditates autem,a tempore,loco,perfonap,morbi, & partit male affedar natura^Medicus petet: Hz fi adfint, iam occafio feu tempus op? porrooitatemhabens/eu opportunitas adefledickur.De qua Hippocrates ScGilenus non femel loquuti funt ,quod praeceps admodu (it & lubrica,mnl taromcircunftantiarumrefpedurlnExercitu quoqueCaufa eft,Hoftiunt cip/ugnatio: occafio vero eoram expugnandoruin erit, a perfona Imperato- ris, a loco,a tempore, a militumnumero qualitate'que. Eft autem occafio bonum, nam fi non fit bona occafio, ne occafio quidem eft. Alteram exemplu contextus a bono categoric Quantitatis petitunv perfpicuumeft. Et nos de Med^mateinfecudolibropluribusagemiis.HicpluraEuftratiusproPla- tone:nonnulla etiam Diacetius nofter li. i.dePulchro cap.8. Sed in Marf. Fi* cino fere omnia eiufmodi babetur. Verum fi cufta ab illis & aliisfPtatonicis allata, in his commentariis perfequi , excutereqne vellemus, nullus vnquam fini&dicedi efl(et:Multaex Platone ifcpetere,explicare> difquirere oporterefc quaraut attingendanon funt, autfi attingantur longifsimam expetunt difpu tationem. Nos vero h*c commentaria non Idearum gratia , fed Foelicit atis human* explkanda? ftudioaggrefsi fumus. Dabitur alias locus , i&qno ifta -. omnia commodius ad vriguem excuti atque expendi pofsint. , Sed qu^ret aliquis,quid libi velit apud lllos ipfum quicq ; (hni WOquod appellant,cum & in ipfum homihem,& in hominem, vna eademq; quadret haminis dcBnitio. Nam qu^homo>nihilintercft. QunuIlamPlatenifuifle caufam qtIdeamreicuiufque^iu7o j(cwwappellaret -.Quandoquidemeadem fit ra-j tto&fub&antta qua? fiiritione perctpfr&r hominis v& p*r fe hominis ,'quod af pdttamAtffckx &homirii$ipfampwiapawi^ drf- * f.iiti. ' Digitized by G00gle *S ETHICORVM nitione difcrime eft qua vterque homo). Hoc certc fequitur, ciim voluerirft Platonici non nomen. tan turn, fed Ideam ipfam participari. Quod fi verum eft^'cur non imi h^pa-mx tarn homo participans,quam Idea participata di- cetuHQupdde homine dicitur, idem ad Bonum trafferatut.Neque vero eft, Jjuod Plato obiiciat Ide* apternitatem : hoc eniraaccidens eft, quod rationed ubftantiarno addit*aut imminuiti&nil affert rationiboni,quo quatenus bo* num eft,ad ipfum, per febonum nominandum nos cogi debeamus : Bonura naoque no perinde magis tale eft,fi a?ternum,ficut nee magis album,annuun]i album qtdm vnius diei : Ex quibus etiam liquet , ad cognitionem & intellir eentiam boni>Diuturnitatem, quar in ojjtv ct^xder eft, nullum momentum afr ferre. (Ipfum quicque,au/7o?^59f). Continet enim Idea omnium fuorun* fingularium in fe rationem,& propterea quafi vnumquodq; toru eft. Locut hie per fpicue oftencht do&ifsimum Melanchtonem , ( quern ego hie vt cla-r rifsimum quondam pietatis, & do&rina? lumen , honoris tantum caufa no4 mino)no omnino re&e fenfifTe , aim alicubi velle vifus eft ,Plat on i Ideas ni- fiil aliud e(fe,quam Illuftres quafdam notiones. Atqui notiones \t fuperius di*imus, accidentia funt , Ideas vero Plato conftituit noftratibus etiam fub- ftantiisnobiliores: quid enim aliud eft airri hfytTnt  quam quid per feexi*, ftens>&effiriensalia 5 effeidipfumafeacceptum* Item Idea? ponusuqr pre caufis extra intelte&um noftrura, At notiones funt rerum figna,in Meote per fpecies cognofcente.Imo eruditifsittus Scaliger nofter addit, tantum abeflfe vt Idea? P&tont accidentia fint, vt neque fubftantia? neque accidentia etiam aliquandoefie pofsint. Argumentatio eius digna eft qua? defcribatur , quod in Platonem ipfum etiam conueniatSi ojjtd kytSir non eft in fubie&o , non eft accidens.Si congeneris cognati fui *3w/ quod hie eft accides,autor eft, non eft ftibftatia: nifi veliraus ex non fubftantia fubftantiam efficulde de af- fedi onibus propriis fubie&orum qua?ri foletmam fi extrema demonftratio- nisyid eft Subieaum & affe&io ac medius terminus, in eodem genere conti- neri debeant, vt 7-cap.i.poft arialy.dicitur , afie&io propria,erit fubftantia. Si vero Dtmonftratio accidentium tanturaodo fit,& dehnitio fubftantia?, vt tot ies clamat idem A riftoteles,afFetio propria nil aliud quam accidens erit. Veriim habet A rift ot. quid ad harc^dicerepofsit: non habebitaute Plato Yn- quam,quid ad ilia & alia refpondeat. Ex4ioc contextu quid Ariftot. velit ad^ uerfus Platonem habere, minus etiarp dubiu erit, fi quis ad ea refpiciat quae " i.Eudem.Ca.f.fcriptaleguntutiquafunt. Pmereaconfiderandum eft quid  nam vocent flu^^dtr^u^qutdemadditum^idcircovidetursvtcomunem  rationemintelligas -.Hoc vero quid aliud lit quam seternu &feparabile : Ve-  rum albiMp multorum dierum nihilo magis album eft, albo vnius diei : qua- cc propter Communebonum idem cum Idea cenferi non debet,omnibus enim cc incfi. Ex quo loco liquet Platone ab Ariftot. in eo coargui , quod ipfum twii comuni rationiboni q Ua? fcparabilis & sterna efletitribuere vellet,cum t*. men nullum *fcrinjeafit,quodabboni ratibnemattinet iateri>*3or & wti\ M49&3r:Itemque quocUdramune ilIudnucuparet,quod feparatum eft; nam fi, fepara*um,noaeftia^a^^ - .-... -.- .... ^ Digitized by^ /Google LIBTElt 1." *> Comune k Ideam no idem efle.Neque nos moueat ivk tocio locodec*l(?- ftibus Metibus,&inferioribu$ iftis rebus proponi foleqt:Qua? niq; ab Arid. 4icuntur,in iis tantumodo vera effe tcnedum eft 9 qu; in eadc fpecie fita font. Ac mihi probabiiius dc eb loqui Pychagorei videtur, qui t vnum in bonorum ordjnelocat, quos & Speufippus vide- tur cilc fecur'.fcd de his quidc no eft hiCjppri 9 diccdi loc 9 . Pythagorici de bonis loquetes magis Arift.probantur quam Platonici-.ra- tio eft,quia non ad Idcam feparatam , fed ad vnum omnia bona referebant: quod vnum no nifi in rebus ipfiscemitur,nempeFinito,Impari,itf#o,qua*- drato, lumine dextro,raafculo,quiete.Quarcur bona efle dicatiir, quia vniu s naturam 8c conditione,omnia Tecum aiferant,facile eft videretfiquidem, ea- tenus omnia perfe&a dicuntur , quatenus vnione quadam detinentur : con- tra^ multitudine interitus-.Liquent ifta percurrenti fingula. Py thagoreoru verofementiamSpeufippumquoqi Platoniscofanguineum ampiexu fuifle fiarrar> vt fe non (olum fuifle declaret,qui a Pla tone in hac re defecerit.Po- flebarautem Pythagorici duo effe rerumprincipia,Bonii videlicet & Malu, noo tamen earundem : quia Bonum eorum tantum qua? fua cv&ijgidi conti- nerentur,principium erat:Ita Maluriveorum qua? fua.Tam.vero Boni quam Mali cir&r%i yolu- Digiti zed by G00gle 9o ETHICORTM ptatesyqua^ahiter^^terius tantum gratia , aut quia videlicet confemenf* aut efficiant * td quod per fe booum eft, aut fattem prohibean tie a contrario illudinterimatur. Hoc modo dicimus corporis exercitationem effe bbnara* ob valetudinem fuftentandam: opes ^diuitiasyVtyitaecommodaaflcqua- mur. Ex his duobus ordihibus tertium paulo poftextundet Ariftoteles, id eft eorurn qua? propter feipfa,&propter aliud quiddatn exbptantur,vt Pulchri- jtudo, vires,fenfuum integritas.Cafteriim in hoc tertio bonorum ordin^om- niafortafle bona collocare, vna excepta foelicitate/ortaffe poterimus:in pri mo vero folara foelicitatem , qua? omnera perfeftionem in feinclufam ge- rit, idcircoque nullam extrinfecus abfolutionem expe&at,& propter fc t an- turaexpetitun , ( Sed quxnam per fc bona habenda funt? an quaxunque vel Tola & a ceteris feiun&a quaeruntur* vt fapere>vt vide- re,& nonnulhe vo!uptates& honores?(haec enim &t fi pro- pter aliud quippiamfequimur,tamen in bonis per fenu* merari fortafle poflunt)an nihil aliud erit per fe bonum* prater Ideam?Erit igitur mams Idea-Quod fihxc quoquc iis qua: per fe bona (tint adnumerari debent , boni defini- tionem candetiun iisojnnibuselucere ncceife erit * vein niue& ceruflacandoris, Athonoris > prudeci*e,& volupta- tisjdifsimiles funt ac differunt definitioncs qua bonafunt: Non eft igitur fummum bon&m commune quiddai quod vna Idea declaretur; Pollicitus erat Ariftoteles, orpi.fsis bonis propter aliud, quaerere velle, hum in bonis propter fe , de quibus tantiini Plato fortafle loquebatur , Ideal boni locum inuenire valeat: Nunc igitur ita videtur in Platonem argumen- tari-Si bona per fe funt,vt fapere,videre,voluptates & honores,quorum vna Idea fit,oportebit fane illis eandem prorfus definitionem conuenire qua bo- na f unt:quemadmodum etiam.eaderti prorfus eft definitio albi quod ceruflae & niui accidit : Hoc patet,Si verfi fit quod Platonic* inquiiit ipfam videlicet Ideani a multis participant eft rationera fubftantia? ipftus in iis qua? parti- cipant, non nom.ntantumineffe. Atquinon efthocverum,imo'bonoruni per fe commemoratoru definitions difcrepantes funr.fi naquetibi-iredden- da ratio fit *ur Honores,virtutes , voluptates bona dicantur$non vnam cert h omnium poteris aflferre, fed multiplex proponenda erit. Carterum-in Plia- tonis gratiam aliquis reprehendere Ariuotelem potuiffet , qui id in Aia'aiw gumentatione fufyponeret, quod Plato non concefeiflet, dari neftipefecmaa- liqua per fe 'pra'tef Ideam , hot nianque ex Platdne i co\l*$i$brik$*cfc~ fe videtur. Ariftoteles itaque 3 antequa argumentatibneiwftMMtt^duiCa^Dia* iedice Digiti zed by G00gle LIBER I; n le&ich quarrendo imeieg^oque,vt ia iftiufmttti difputationibus folet,o* ftendit : Nifi alia per fe bond prete* vnam illam Ideam adtnittantur, fore t Plato fe Ideam illam fruftra pofiiifTe iam&qtiat:cur qpim Idea pofita eft 5 nt- fi generations gratia? cur caufaS cur exemplar part icipatumy & participant tibus inhxrens nuncupata eiH -(Sed quaeaam per fe bona). Definitio per fe boniproponitur,qiiadcclareturfapere,videre,&c. effeperfe bona, quod . Plato negare potuiffet. Ea vero eft : Quod vel folum & a ceteris deftitutum quammus. (Sapere). Omnes homines natura\id eft iniita quada vi & pro- penfioneappetuntScire, cuius fignum eft ipfe fenfuimiamor \ fcire inquarft appetunt propter fe , vnde Alexander dicebat >Gognirionem rerum natura confiftentium , vt plerafquealias,ob feipfamexpetetidaeffe.Caufafuperius in prcfatione a nobis fuit expofita,cum dicer emus qua ratjone,homo ad fci- entiasacceflerit:expleri nan que natura hominis videtur,qui ex animo 3c corpore conftat, cum homo notionibus rerum,quarum fimilitudinem in fe- gerit inclufara,exornatur. Eft etiam fapere, bonum propter aliud quiddam, nimirura propter f oelicitatem. Sed animaduertere oportet, vocem hanc modo anguftiori fignificatione,accipi folere.Sapere nanqi dicitur, qui Moralibus qui Mathematkis , qui item Phyfiolojgicis difciplinis aburid& iriftru&us eft,Sapete autem proprie & vere ille dicendus eft, qui in pclagusipfumDiuinitaitis feimmfittkiac Dei natural quantum fibifaseft comprehendit , inqiiacomprelienfione iucundifsima nobilifsimaque con-* quiefcit.de hoc Sapiente, prima metaphy ficorum agitur. Hoc etiam modo Sapientia idem re eft quod ipfa foelicuas,vt ex to. de moribus liquet : & ex Iaduno fummo Peripatetico, qui poft logam difptitationem i. phy.q.x. pr$- farionis/ummum hominis bonum in Sapientia locandum cefet : Sic ergo fa- pere e*it bonttmprfafcpter fe tantumiqtiahquam (jTliomap verba 9 primo me*a- pfcy.com. i. ex^ndaiituishac etiam fignifiidcirc6qiie ftatus corporis,qui fit nfaxime e natura 5 per fe ipfe a nobis qui animb 8r corpore c6ftamus,quar- reodus eft. Nori minus ergo lux quara oculorum vfus expetitur, vt Gn. Au- fidius oculis captus,Ckerone rererertte,dicere foliius erat.Et AriftoM. me- taphy. defenfibusita toquutiiseft. Nonenimfolum vt agamus , fed ft nihil " etiam a&uri fumus videre ipfum pre ceteris omnibus'eligimus. Locus fane " fubobfcuxkis>vt]ali^annotaui.CumAriftot.idcircoprobarevideaturvifum propter fe quam maxirae exoptari , quia ad cognofcendum. raaxime faciat: ita nanque addit : Idque ex ep fit , quia fenfus hie ad cognofcendum maxi-  mefacitjCoraplurefque return differentias declarat: Sednon fumhaec in  pKrientiapluribu^ perqUirertda. (Nofuiullar voluptates) . qua? videlicet a-f gendo honeft?>aut qpntem^Jaodo percipiutur.aliae nanque falf* voluptates, quar nempe corpori tantum fenfibufque placent , noxja? homuij & perni- ciofar effe foIerit,nedum propter fcexpetibileshabenda?. PnoresilUho- Digiti zed by G00gle n ETHICORVM neftaefunttaudabiks Stfummo ctiam ftudio ample&enda?. Dicamus am* plius, voluptatem Mentis a foelicitatis oocione yix dift ipgui: Voluptas enim vnius facultatis percipient is expletio a nobis intelligttur, Foelicitatis autem vocabulum hoc prater eafignifi cat, quod in ea facultatis percipientis perfe- #ione, naturae etiam ipfius humana? perfe&io confiftat. Turn demum autem agendo &coatemplandoprogre(Tus magnosfacimus,cum voluptas quae- dama&ionis & conteraplationis quad comes accefferit. Efficit itemvolu- ptas,leues labores omnes,quantumuis magnets, quas obcaufas , bonum pro- pter aliqdquarrenduindici debet. (Honores). Quas obcaufas honores ex- petifoleantanteadiximus: nunc dicamus,Honores etiam propter feipfos quodammodo quaeri , quod magnum quiddam at que Diuinum lint : ac pro* inde no.s in ftatu quodam Diuinitatis (Deo enim honos tribuitur) collocent*. pr^fertimfinonieues & communes honores uerintYt falutari , deduci, reduci,fedmagniponderis,&cumamore pietateque horainuru couiun&k (Vtinniue&ceruflacandoris). Nonpoterisauthunc aut ilium candorem aliopaftodefinire^quarafidicas, E(fecolorem,difgregantem vifum. At prudenrixTatio qua bonum quoddam eft , non eadem cenfqtur cum ratione honoris aut voluptatis, qua bona funt. fcft prudentia bonum, quia virtus eft,qua poflliraus rede de rebus fubadionem cadentibus deliberare: Eft ho* Qos bonum,quiaeft fignu quo nosDiuinitatis paiticipes efferent imus.Eftvo luptas bonum, quia expletnosintrinfecus id eft naturae defedum. Nequc verb eft quod obiiciataliquis:Conuenire omnia ift a in definitione ilia boni propterfe, ab Ariftotele propofita : Eft nanque ilia, nomen potius,quam na- turamquandamexplicans Definitio , cenfenda. Quo nomine folo Idearaa Platone conft itutam fuifle,dicere,ridiculum effef. quomodo naaque prude- tia,vtrtus, honor , voluptas participatione illius,bonaper fe dici potuiffent? Hane cotextus huius expjicandi ratione & illam^tiaperuulg^tamfequi ma- luimus, ne eorum fimiles hie euaderemus , qui quibufdam Auerrois verbis moti,quandama verodiffentieiitem interpretatioaemlucattufenmt . ver- ba nanque ilia (Erit igitur inanis Idea,Gra?ce eft &fe) , dicunt hot intelligi modo oporfece :quoniam f\ Boni Idea ita fir communis vt geftus eft commu* ne, & in definitione boaorum pro genere ponatur , bonum per fe erit tan- . tun* ipfum genu,fpecies vero i>on erit, quum fpecies addita differentia ge- neri conftituatur.$ed quarfo quis negabit Hominem per fe Animal efTe,quir Mis Homo nonmfi differentia animal* addita conftituaxqri . t Quonam igitur modo dititur ? non enim fi mile Hide- ; turiis, quorum nbrticn fbrcuico commune eft; Ah quia ab vnofincfan quia ad vnum omnia referuncur? an pbrius proporcione > videlicet >vt in corpore Vfdendi; facql w$ , i- ; ta Mens in animo, & alkrd in alio? Sedhsecifortafleimpr^. fenti funt omittenda: Nam ad dri^utinidum "de ifs fiib- J tilius Digiti zed by G00gle LIBER I. 9j rilius,alia Philofophia accomrhodacior effc videtur^ite'm- que dc Idea. r // . : v ..'.' '..' >.. Dixerat in poftremis verbis contextus, vnam & Communem non poffe cflebonorumperiedefinitioneiti fecundum vnam Ideam , quod difsimilia inter feeflenh Nunc explicat , qua ratione commune bonum ftatui,&dici queat, non modo ad ea bona qua? proxime enumerauerat,verum ctiam ad a- lia omnia refpiciens:vt iure, hie contextus, pro altera & pra?cipua huius ca- pitis parte poni debeat. Commune itaque bonum , non fynonymum tlici .vult, omnium Hlofrum bonorum , neque tamen ettam homonymum,fed cum vfticuique-categoria? fua bonitas afcribatur, & in quaqte catego- ria fingulaquseque bona V Cuum habeant ordinem& gradum, commune tantum anal6gia bonum omnium bonorum diet poterit. Analogiainquam, vel qua omnia abvno,Vel advnum,vel fecundum proportionem quan- dam mutuant fe habere dicuntur. ( Quonam igitur modo dicitur). Con- oedantur verba ifta cum illis sx-Qwo^ Ti&y&diy unit nwrvipidjfyMdw. (Nbrremm fimile ) . AEquiuoca fortuita , vere a?quiuoca nuncupantur . Exeraplar-horum fit , ctim puta variis in locis , duo eiufdem nominis repe- riuntur , vt Alexander Paris , & Alexander Macedo. His opponuntur a?- quiuoca a confilio, quorum multa? commemorantur fpecies ab Ammo- nio,Stmplfcio,Boetio:pra?cipua?ilIorum funt,qua? ab vno &qua? adv- num referuntur: vocantur a?quiuoca ab vno , qua? non a fortuna fed a con- iilio & irtftitutione alicuius, quod ab vno prinripio aut exem plari : vt ho- mo in tabella piftus: aut efficiente, vt Medicum inftrumentum , & medicus libenVtmuficaLyra,mufic 9 liber a-medkina videlicet muficaque. Ad vnum rcro aquiuoca furit , qua? Cofttra ndmen idem ex inftituto hominisobtinue-  runt 9 quod ad vnum futuru finem dirigantuf , vfrPharmacum falubre, dia?ta falubris, Exercitatifrfalubrts*: Ad hasipecies a?quiuocorum a c6nfilio ilia arc- cedtt, t]ua? in propbitiefne quadam confideratur : ha?cin its locum etiam ha- bet,qua? quam maxtme inter fe diftant,id eft,difpaf ia genere funt,vt hacra- tione iure AriflotelesprinlO Topico , cum detertio organo Dialedico age- ret, id eiWeeo quod eft, tS hyaU wtyr, non nifi hainc Identitacem analogiac prbpbfuerit rait eniitt ibidem 'petoK^w) rZv *oik: puta,vt fe habet fcientia ad id quod fcitur , ita fenfus ad id quod fub fenfum fta tranquillitas in mare. Coll ige qua? proprie Analogadicantur-.qua- quam hare vox i Gf3?cis,etiam in a>quiuocis ab vno & ad vnum fa?pifsim , i> Ltftiftirvetio femper vfiirpetfin t\ec iniumcumid'eti^ravellevkleaturAri^ floteies cum rabl tin in loti,tum vcroquSarto metaphy.conti t. qua m loco* Ens quod tamen ad vnum eft > AEqtuoct|padicf nqfiuit : Alibi con tDMfta ad Digiti zed by G00gle 5t ETHICORVM vnum a?quiuoca vocat hoc annotauit Alexander ibid. Collige fecundo, Aoa- loga communher accepta,inter vere vniuoca & vere a?quiuoca intercedere* Auer. in difp. aduerfus Algaz. difp.7. fol. vlt. dub.itera 4: metaphy.*. Cdt- ligetertioquodmagis ad pra?fentera difputationem attinet: Qua rarione Ens eft ex eorum genere qua? ad vnum dicuntur , tta & Bonum quod ab En- te re non diflfert , vt fupra oftendimus : quanquam in Bono,ratio quoque eo- rum qua? ab vno 3c Analogic fpe#ari pofsit. QuckI cum verum fit , iam ha- bet Ariftoteles aduerfus Platonem pro certo,vnam communem Ideam Boni conftituinonpofie,fiquidem Analogumnon afFert vnam communem natu- ram iis qua? Tub fe continet: Them. ex Ariftot. 1. de aninucora.30, & j. phy. com. 70. item Auer.4.phy.com.i. quod magis etiam in Ente &Vero explicat lo.metaph. com.8.& 11.metaphy.com. 20. Dicitur enim Ens de iis qua? funt, vt Sanum de Sanis,ita Verum de Veris : & Bonum de Bonis. Obiter monco, AEquiuoca ifta ab vno, & ad vnum , itemque a Proportiooe , hn na&nyit %j Lsi^r dici , quod eorum qua? fub ipfis continentur , vnum Temper fit alte- riusquodammodocau(a,vt in Bonis, bonum quod eft in fubftantia,caufa eft boni quod in accidente eft, Auer. paraphr. metaphy.tra.4. col, i*. Ex his cognofci poteft , cur dicat Ariftot. (An quia ab vno fint , &c). Quaritur, quia ex Arift. in io.met.cont.7. Auerroes ibidem & aliis in locis ait , In om- ni genere dari vnum, quod eft veluti mcnfura aliorum qua? in genere illo coUocantur : Ex quo videtur fequi 3 in omnibus generis cuiufcunque ipetie- bus ordinem effe, aut eflentialem aut accidentalem. A t fi fit ordo eflentialis, vna/pecies alterius caufa erit , quare genus earum fynonymum cenfeqdum non erit: Si veroaccidentalis,vnafpeciesab altera nonnifi fecundum acci- deiis difcrepans erit. Refpondetur, ordinem eflentialem inter fpe^icsvni- uoci generis intercedere dici , verum effentialem perfedionis,iibli cau- fx p Ha?c ex Auerroe non vnico loco colligere licet. (Vt in corpore videndi jacultas). Vt Mens eftoculus aqima?, ita oculus eft Mens corporis : ideme- nim munus videtur obire pupiila in oculo , quod Mens in anima : Hjnc An- ftoteles 1. metaphy. inquit , Nos pro? ceteris fenfibus videndi facultatem o- }> tare, quippe qua exquifitius cognofcimus. Hinc etiam, vox j^V, tarn Gra?- cis quam Latinis,idem quod IntelKgere plerunque figni&cat, & facul$as vi- dendi, ad inteUigemiamabrtifdem traduci folet. (Sed ha?c fprtafle). In me- taphyficis, urn ifta dean alogia Vnius & Emis fuarum fpecierum^Vefpedu, cquam ilia de Ideis accurate t ra&antur. Et de Idejs quidemjleganmr loca fu- perius a nobis addu&a:de illis vero aliis in quarto metflpby.p*>tiHUiflumfcri bitur; Cur ergo hare nonnulh ad CQnt. 19, dp^decimimetapby.rei'erunt,in quo qua?ritur, vtjfum e&dera fmt omnium rerura principia& ftatuitpr dein- ceps,eademquidem efle omnium >fed analogic Legftur potiu^fcontexttw  fextusquarti metaphy. vbiha?cfcripta leguntur: Et quanuis vnum multis c. modis dicatur , ad primurrvtamen cetera djcentur&r conjraria fiouli mpdo. .Etfi id quod Eft  aut etiam ip&m Vnum non vpiuerfaleeft^^ idem in Qpi- *. nibus vel feparabile , quemadmodum foditaanoneft,aIiatarBenadVnum Hicfcruntur,aliadeincepsconfequenter. . Namfi Digitized by Google LIBER t *J Nam fi quod eft vnum bonum, quod communiter dc multisdicacur,auc fiquod eft ab all is feiunhim*&:ip (urn per fe, conftac,id ncc Tub a&ionem humanam cadere,nec ab homine comparari pofTe. Nunc aucem tale aliquid quseritur. Boni Ideam admitti non poffe iaru oftenfum eft,quaquam illius ad viuum refecatio ad metaphyficum pertineat: Atque didumeft, Neque vnum e- tiam bonum,commune & vniuocum omnium bonorum efle, fed analogunu Nunc ifta tenia capitis huius parte pjrobatur , de eo non efle in prafentia la-: borandum, quoniam videlicet neutrum ex iftis,vfum Politico pofsit afferre. Quod fictaonftratur, Illudbonuni non eft in prs(entiavfui Politico quod non eft sin cun&iserit. Pro hoc contextu vide qua? eodemcapite fcribit A- riftoteles,cura docet : Neque etiam Commune iftud bonum hoc loco teluti finem Ciuilis pertra&ari debere. Verba quidem iUius/ub obfeura funt,cum diuidat bonum commune  in id quod dtfoitione, & alter urn quod indufti- one proponitur inquiriturque^deanos alibi ,. accommodate (ni fallor) ad cfl^^Ariftotelisexplictufllus. EodempeninentnomiullajquapprimoEu- dem. cap. $. de eadem re compreftius tameo fcripta leguntur. Sed forfitan fatius efle duxerit quifpiam,id cognitum habere, ad ea bona qua^ pofsideri, quaequc agi poflunc co- paranda. Nam cum ipfum tanquam exemplar, nobis pro- pofitumhabcbimu$,faciliuscaquoque qua? nobis bona furit,cognofcemus,&:cognitaconfequemur. Atqui pro- babiliter quidem hxc dicuntur , fed a (cienciis difcrcpare videatur. Nam cumomncsaliquod bonum expctant,& quod dceft requirat , eius camen cognitfonem pretermit- tunc. Verum non eft confentaneum verifimileque , artifi ces tantum adiumentum fuifte ignoraturos , neque fuifle requifituros.Illudquoquc dubium eft , quidnam vtilitacis Digiti zed by G00gle $f ETttiCOiYM ad artem fuam textor j^ut&ber^e;* cognitionc ipfius per f$t>qni confccu euros fit>autquo tadem raodo, aptior mc- dicusautimpcrator > iicuwrusis > quiIdcamipfa,mqo4i- tpmplatu$fuevjc,videtur enimro^dicus nonhocmodo, infpicere valetudinem, fed hominis imo/ortalFc huius ho minis potius-.fingulisenimmcdicinamadhibet.Acdc his quidem ha&enusdi&umfit. Excioere fort&ffe quifpiam pro Platone ex 6. de Republ. potuiflet , I- dea?bbm cbgnitionem, faitem ad id nobis vtilem lefle , vt veiiigia ex for-' r ma & exemplari illobononirti 5 nimfrura Idea'imprefla , & cum condition!- * bus ilfcus per fe boni c6llata,commodfois signbfeere & cftiudicare^ueanius*- ' dif udicata verb inquirere > & coflfequi. Sed hac exceptionem qua? alibquin probabilitatem af iquam fecum affert,biferiam confutat Anltotf les. Et pri- mi quidem, quia fi illud daretur, oporteret aflerere, NullamefTevere fci- entiam aut artem; fiquidem nuilaipfarum(cum tamen omnes boniialiquod appetant, femperque idqubddeeft requirant )taletantiimque adkimefo- turti cognofat, requir&ue:Sfccundo, quia- vix acne vix quidem e-xplicari  poteifc, quidnam vtilitatis textor aut faber alias ad fuam artem, 1 an? ifio tan- dem modoMedicus^dmedeiidumVImperaror ad exercitum dbctndum, ex t iftiufmodiBoni pffcbgnitidne capturus fit: Guirtcomratootius-.'Medic&stio I valetudinem in vmuerium, fed hominis,& huius atque Situs hominis vale- k tudinem oboculos fibi poaerQ,infpicere / quevtdeatur.(Atqiii probabiliter). In artibus tradendis , prceepta-qugdam iudicandi pra?ire arquius eft , quant & inuewiffe putamus,fatis congruant, expedenu tes, id quod quarrebamtts inuentum efle,recognoftanBis. Ha?c prxcepta A^ riftotele* curti arttfl4nvagit , nobisfemper & vbiqa* proponit : quato quant Cicero in fuisTopicis artem kiueniendi ,priu$ l *quim iudicandi doceri.&* portere,inepte ob earn caufam affirmant,' eo quod inn entio natura iudicium praeeat. Sed pra?cepta ifta non aliunde quama re quaefita , ducuntur : neque . enim qui horainem aliquem ignbtum vult inquirere', cbnditiones Idea? ho- minis, aut hominis in vniuerftim , fed Htias ipfitfs quern quarit , puta quatr* facie, quo capillo, qua figura corporis fit , ^ fciat imprimis ope^arn da^jf n quod item moralis efficit, in fine nominis inueftigandq:Eo nanque pertin^t conditiones ilia? foelicitatis,qu6d fit Bonum perfe&um,' quod fatis ftflfoini- \ ni\ quod propter ft tantura exnetatu^jquod ab j aiftioneex ; ratibne profe&ay i eaque re&a pendeat. (Nam cum omnes ^ aliqupd Vwiunvexpeltaot); Nulla/ enimfcientiaaiitarse^,quapmaHc^ufaiit: pmnium finis t>onuseft,i.magn. ^ mor.ca.i.(Et quod deeft requirant ).6mnis ars omnifq*, fcientia,natura de-' ' fe&um explere vult,7.pol.ca.i7.x hoc veriratem fiimere propHfitioneillani * peruulgatam,Omnes homines niturafcireiexoptat,fupra dvximusicur^jQim , fare appeterem 9 ,fi niliil aaturj noftr* d^fleti(y idet}ir f ent ^4^)2-^^? } Digiti zed by G00gle LI BE* I. ft eft hoc in Iocodubitatio. Artes enim omnes fiver* aitctfint fuapmeptt niuerfalia habent 3 quamuis ilia omnia ad adionem referant : pertinent au~ tern vniuerfalia illapraeceptaad vniuerfalem formam quamfibi primum contemplanda & deinceps applicandam proponit Artifex . vnde Scotus in (.met. q. p. in fol.arg. non audet vniuerfale artis nuncupare fimpliciter v- niuerfale,fed magis vniuerfale>quam videlicet fingulare ipfum fit , ad quod ars agendo refpicit. At qui illud magis vniuerfale, puta fanitas in Medicina, non eft quid feparatum,quale bonum Platonis erat, fed quid ita homini an- nexum,vt eo abfque neque definiatur,neque imaginatione a Medico conci- piatur.Idcirco Ariftoles limitate loqui voluit cum inquit, ouou7m hneiunrw rbji vyiw.Qux deinceps addit ad a&ionem non ad cotemplationem artifi- cis pertinent: A&i namque(de tranfeunte aftione loquor ) in fingularibus primo verfatunquamquam per accidens Mcdicus adhibens Socrati medici- nam Jioraini earn adhibere dicatur.per accidens , inquam, ideft per aliud & non primo, vt Ioanni Agand.p.met. q.itf . aliter &male fentienti fatisfieri pofsh. Verba Arift.eo in loco Jioc modo fcripta leguntur. Adiones vero ge-  nerarionesque omnes circa fingularia fane verfantur: Nam qui medetur no >, homioem fanat,nifi per acciden?,fed Calliam,vel Socratem, cui accidit ho- , roinem efle. Animaduertatur,hoc loco Anftotelem 3 qui conf utauerat Ideam iMam boni,propterea quod neque fub actionem humanam cadere pofTet,ne- que ad cognitionem conduceret, fanitatem prout a medico cognofcitur,& prout appficatur fiue agitur,ideft fingularem & minus fingularem^pro exera plo fumpfiffe.Confulas pro hoc cont.cap.i.p.mag.mor.& i.Eudem cap.f. CAP, VIL Rurfusveroad idbonu quod quasritur reuertamur,&: quid illud fit videamus . Aliud enim in alia atione &: arte vidctur efle , fiquidem aliud fit in Medicina , aliud in arte Imperatoria , & in reliquis artibus eod'em modo ... Quod namigiturcuique fumraum bonum eft? nonne id cuius gratia cetera aguntur? Hoc in Medicina bonavaletudo eft,in arte Imperatoria vidoria,in arte sedificandi domus, aliudque in alia* in omnidenique a&ione & ele&ione fi- nis: eius enim caufa omnes agunt reliqua  Quocirca fi all- quis eft finis omnium rerum qua? in a&ione verfantur,hoc crit bonum quod fub a&ionem cadit: fin plures , haec. Sed digrediendo codem oratio reuoluta eft . Vcrum danda nobis opera eft,vt hocplanius explicemus. TripIicemFoelicitatishumana? definitionem dari poffe fupradiximus: Prior qu$ explicit quid nomen fignificefa & defcriptio vocamr, jam prgr ~~ " ~~ ~ ------ -- - g.^ Digitized by VjOOQ IC 97 ETHIC OR VM. pofitaeftcap.4.Multadeinceps cap. 5. &*. partim ad ignobiliiim &: inetu-' ditiorumhominum,partimad eruditiorum & nobilioriim ipfiusque Plato- nis fententiam de natura fa?licitatis refellendam,interpofitafunt. Nunc vt perfpicua,quantum fieri poteft , fcelicitatis huraana? natura reddatur, quafi poitlongam digrefsioaem ad fuum propofitum exequtndumredicns , vuk Ariftoteles alias duas fcelicitatis dehnitiones, eius vim & naturam expri- jiientes,in medium afferre . Prirao loco proponet illam quae genus & diffe- rentiam continet:fecundo,alteram qua? ex caufa conftat a qua foelicitas pen det,&per quam eft confer uaturque.Ratio ordinis eft,quia ha?c pofterior de finitio,adeo vera & certa omnium propriarum affedionum, (in quo genere foelicitas refpedu hominis collocatur) definitio cenfetur, vt fi proprium il- larum genus, & proprias differentiasafferas,nomen duntaxat declarafle videaris:Neque enim( vt antea quoque monuimus)mens noftra in iftiufmo- di rerum natura haurienda,quiefcere vnquam poteft,quandiu ad illam defi- nitionemqua?caufamexprimit, non peruenent . Sic nos Ariftotelis * ntinullos propter alios expetimus,vt dmitias,tibia$,ck vno nomine inftnimenta omnia, perfpicuum eftnon omnes cflc perfe&os . Quod aurem optimum eft * id perfe&um quiddam videtur. Si quis ergo vnus folus perfe&us fit, hie eric finis quern quasrimus : fin plures,eoru abfolutifsimus, A tqui quod propter fe expecendum eft , eo quod propter aliud expetitur,pcrfetius dicitur:& quod nunquam .pro- pter aliud optabile eft , iis qua: propter fe & propter aliud eliguntur: Atque,vt vno verbo dicam , perfetum eft id, quod propter fe Temper, nunquam propter aliud eligen- dum eft :qualis videtur efle-in primis Foelicitas: hance- ziim propter fe femper , nunquam vero propter aliud opcamus. Hxc eft fecu da huius capitis pars,In qua Philpfophus talem^vt vno ver- bo dicam,foelicitatis definitionem colligere vult . Foelicitas eft bonu perfe- &ira,quod fatis eft homini,& propter te tantum expetitur . Ha?c enira fere fwit qua* non modohoc in loco Ariftoteles, verum etiam Plato in Philcbo foelicitati tribuit . Tres vero iftse conditiones ita fefe mutuo refpiciunt , vt vna alteram confequatur, proindlque rairum nemini videri debeat , ft Ari- ftoteles vna aliamutuo aftruat, ftabiliatque, & ex vna in alia gradatim tran feat'.verum enim eft illud > Homini qui nobilifsima huius vniuerfitatis pars eftjbonmu aliquod maxime perfeftum propofitum efle oportere>quod ipfius naturam expleat : qua? expletio foelicitas & beatitudo appellari folet : Ho c ipfo vero quod bonum iftud perfe&um eft, idcirco fatis eft homini, & pro- pter banc caufam quod homini fatis eft, ab eo votis omnibus , & propter fe tantum quaeritur.Nunc ad contextum. ( Quoniam igitur pluires efTe fines.) Si aliquis fit finis omnium rerum quae in a&ione verfantur,is certe non mo- do bonus fed optimus erir.Et bonus quidem qua finis, optimus autem quia eft id cuius gratia omnes alii funt .Hocautem ipfo quod optimus dicitur, perfeftus efle cenfetur,cur enim optimus vocatur,nifi quia nullam extrinfe- cus abfolutionem perfe&ionemque expeftat , fed vniuerfam ipfe in fefe in* clufamqua?rit,ideft 3 bonum omne & amabile in feipfo continet? Vnde fequirar,talemfinempra?ftantiorem efle cum iis qua? alterius tantum gra~ tia,tum iis qua? & propter fe & propter aliud quiddam expetuntur : pro- pterea quod videlicet , omnem vel aliquam abfolutionem extrinfecus ifti expeftent : foelicitas , vero , qua* fola eiufmodi perfe&us finis cenfenda eft, propter fe tantum quxritur. Quapropter fi quis de me quaereret, cur diues, honoratusjprudes efle vellera:refponderemjVt eflem foelix-.Qupd fi iterum jne rogaret,cur foelix efle exoptarem,cui refpoderem eflet plane indignus. His argumentis etiam Euft jatius probated quod optimum in aliquo gener g.ii. tized by Google Digitiz f 9f ETHICOVVM eft,non nifi vnicum effe . Cjteriim de bonorum ordinibus y memininos fu^ pra nonnulla egiflfe,atque annotafle ex Alex . in q. moral . cap.xx. Vtilia bo- na ilia omnia ab Ariftotele vocari qua? adaliud quid perfeftius excellcn- tiusque conducuntivnde vocabulum vtile , rationem propne & per fc boni tollere idem ibidem concludit,Dubitatio qua? hoc in loco ab Euft ratio raoue tur,infrai nobis commodiore loco expendetur , vnaque eiufdem Euftratii . di&ailluftrabuntur. , At verd hoftorem, voluptatem, & intelligcndi vim, omne'mquevirtutcm,propterfequidemoptamus,(nam ctiamfi nullum ex iis fru&um pcrcepturi fimus, tamen eorum vnumquicquc optarcmus ) fed beacitudinis etiam - caufa,eadem expetimus^exiftimantes-nos histediumen- tis beatosfuturos.At Bcatitudinem nemonequehaium, neque alius omnino rei caufa expecir. Perfpicua funt ifta , cum iis qua? nuper contextu fuperiori fcripta a no- bis funt,tum nonnullis aliis qua? antea cap. 6. diximus:cum nempe expofui- mus,quomodo voluptas,honor,ingenii vis & pra?ftantia , bona per fe,qu6d nos intrinfecus expleant, perficiantque>& propter aliud etiam cenferi de- beant. (yevy). Vertivimintelligedi:quam^liashoclibroappellauiingenii acumen,quod in docilitate & celeritatead cogitandum, diiudicandumque confiftere alias declaraui. Eft autem Homioi qui vult rationem virtute per r fe&a informare,ingenio eximio 6Vpraeftanti opus.Tardis enim mentibus & male a natura conftitutis animis,perfe&a virtus vtx ac ne vix quidejn com- mitti poteft. Quare non laudo Euftratiii,qui per Mentem intelligit pruden- tiam.id nanque valde improprie diftum eft>quamuis prudentia in Mente re fideat,multo etiam minus proboipt7ki) Menti opponi:quomodo enimpo- tuit,cumvirtus appetitui tantumconueniariSimpliciter ergo omnia proba- ta funt,vt nos explicuimus,&Thomas quoquevoluit.(Omnemquevirtute.) Ex fequentibus libris cognofci vnaquxque debet : non eft igitur , quod hoc loco enumerentur.Regina omnium prudentia eft , qua? omnes virtutes con- tinet,eo modo quo poftea declarabimus. Idem porro ex eo quod fufficiens eft homini,fequi vi- detur : Qux>d cnim bonum perfe&um eft , fatis efle vidc- tunSufficiense/Te autem ipfum per fedirimus, non qtria ipfi foli vitam folitariam agenti,fed quia parentibtts, libe- ris^coniug^&^r femel dicam ,amicis& ciuibus fatiseft. Quandocjuidem^omonatura ciuile animal eft.Sed in his certiis qurdam terminus conftituendus eft- Nam fi porri- gamus ad parcntes , pofteros , amicorumque amicos,abi- bit res in infinitum. Verum hoc quidem iterum confide- ^ randum Digiti Google LIBER J, loo randum poftea crit, Quemadmodum hoc ipfo quod Foelicitas bonum perfeftum eft, idciroj Horaini fatis effe dicitur,!ta,propterea quod fatis eftliomini,perfehim bo num cenferi debet.Sati* autem effe per fe f oelicitatennlico^non ipfi foli ho- mini,verumpar^ntibus,Hberis,coniugi,atque 3 vt : feiiid dicatur 3 amicis & ci uibus,quibu$ etia, vt Plato dicebat,Homb natus eft.Tot naque tantaque foe Iici adeffe oportere cap.8.moriftrabimus,vt familiam liberaliter educare,ci - * uibufquelaborantibusfubfidiumferrevaieat .Neque tamen exiftimet ali- quis,cum in foelici copiamquanda bonoru ponirtius , qua' ex virtute agere, & familia fuara inftituere, Reiq; publica? prodeffe valeat,immerifum quid- dam atque infinitum anirao concipere,ita vt pofteris etiam omnibus, atqu* amiconimamici$fuppeteredebeat,(hocnanquemodores in infinitum abi- ret)fedcertum quendam in bonis externis,quae ad foelicitafem pertinent^-  nem conftituimus,vt tanta videlicet copia eoru fit,quata fufficiat ad eaxjua? ad bonum partem familias,bonumq> ciuem pertinet,exequeda.Quare Arift. i.pol.cap.f.damnansSolonem qui diuitiaru nullu fine homini poni diceret, vu/t>fufhcientia taliu bonoruranon eSeinfinitam.Qucmadmodu enim(in- quit)nullum inftrumentu cuiu%, artis,eftvel magnitudine vel multitudine, infinitum, itadiukiae infinite nonerunt in politica arte, cum fint inftru-* menta Reifamiltas &Reipubl. Ide etiajin fifdem Politicis no femel claniat, mediocritatembonorum extemorumeorundem exuperantia optabiliorem effe, vt Solon quoque teftatur : Bona enimifta,fi mediocritatemnonexc?- dant,rationi facile obtemj>erant:at ft excedant,difficillime. (Satis autem ef- fe) Omnes homines,quafi membra qua?da fun tvniushumanitatisr corporis, naturalifque inter ipfos focietas , propenfio,& amor intercedit : Maior ta- men inter dues, & inter amicos , maxima adhuc inter propinquos , paren- tes & filios,natura? coniun&io eft : Quo fit,vt alter alterius bonis laetetur, & malisoffendaturtanquamfui$ > & vniiisfoelicitas,alteriusjfoelicitatls pars /k,vniiisque calamitas,alterius quoque quodamodo calamitas habeatur.Qui fieri igitur poteft,vt ille foelix cenferi queat,qui familia? fua? iifque quos a- mat laborantibus,opem ferre qequeat?Hin$ Chremes apudTerentium,Cli- tiphoni miferiam Clinia? obiicientis refpondit, Miferum! quem minus credere eft. Quid reliqui eft quin habeat, qua? quidem in homine dicuntur bona? Parentes,patriam incolumem, amicos,genus,cognatos,diuitia$. (Veru hoc quide iteru confiderandu poftea erit.)Quarto politico ca.ii.hsc fere fcripta de hacre leguntur . Vita beata efficitur virtute non impedita: Ciim autem virtus mediocritas fit,neceffe eft,vt ilia fit optima vita,qus me- dia eft ea mediocritate,qua? pofsit fingulis contingere . Ex quo>cum]id opti- mum effe conftet quod mediocritatem mediumque tenet,fatis intelligipo- teft mediocrem poffefsionem omnium,eiTe optimam, quippe qua? facillime rationi paret. Nam qui pulchritudine ,aut viribus ,aut generis nobilitate aut clientelis,vel diuitiis,ca?terifque id genus magnopere pra?ftant,hi vt ra- tionem fequaW 5 4$icile eft, Palam^nim $ontumelias magis inferunt,& in Digiti zed by G00gle xoi ETHICOR VM maghis rebus peccant,aliena videlicet inuadentes, homines interficientes,& fimilia iodigna facinora comittentes. Ite, otiu & ambitio eos facit imperadi cupidifsimos^quapropte^neq*, volut neq; fciunt, imperii pati, imo propter delitias atq*, indulgentia,ne in ludo quide literario parere cofueuerunt.Hoc virtutibus no accidit,cuius aim fit in medio cofiftere, quo magis virtus e?it ? eo magis mediocntate coferuabit*vt Arift.ait , & nos magis humanos & be- nignos ^eddet.Quare virtutis incrementu vitare non ita oportebit,vt vitare oportet magna bonorum exuperantia,qua qui prxditi funt, totius Ciuitatis ftatu coturbat,n6 aliter atq* nicbra in humano corpore nimiu excrefcentia, totius corporis decore peruertant.Vnde &PhocyllidesMilefiusPhilofQphus & no ineptus Poeta,Mediocribus iftis hominibus optima multa precari fole , bat:t Arift.in ca.feq. Virtuti,fufficientes quide fortunas,ne impediatur. bo- . sno a virtutis operatione,no tame immefani quandacopia adiunget.(.Quan doquide homo natura ciuile animal eft), Partes ad totu^vt materia ad forma referutur:Et quauis propria aliqua forma fint praedita?,illa tame forma a to- tius forma pendet,cuius etia caufa fuit procreata:vt manus , oculi, pedes,id- circo fua forma peculiare habuerunt,vt vniuerfum animal bene fe haberet. Ergo,homo qui Ciuile animal eft>fi foelix efledeb^at,cura fuotru, eorumque quosamatj&rciuiumfufci per epofle&rvelle debet, . Sufficiensauce ideileponimus,qiiodipfumperfefolu & aliis bonis defticutu,vita effici^tbptabile , riiilliufqj rci indigente.Tale vero quiddabeatitudfne efle ftlituimuSjac queadeomaximeomniuoptanda^etiajficu alio bono non coiungatur .Quod fi coniungatur, perfpicuu eft ilia cu all-* qtiovel minimo bono optabiliore fore. Id enim quod acce dit,boni exuperatio eft. At qup q.uicqJ bonu maius eft , eo ', magis Qptandu.eft.Hisigitur perfpicuu eft,Foelicitate per fe&u quidda eflfe,& quod fufficiens eft,cumreru Omnium qux in a&ione poCitx funr,fic extremum. Locus hi c fatk obfeurus eft.Nos ergo imprimis fententia Arift.qua puta mus efle veram proponemus 3 mox quid nonnu^li alii dixerint perpendemus. Quonia Arift.Foelicitate Bonura per fe fufficiente appellauerat,quam fuffi-^ cientia non nifi negationeimmenfitati? & infinitudinis cuiufdam declaraue rat,nunc planius ilia explicans^iqquit:SM|ficiens per feipfum & ^bunde bo- nis & amabiiitate cumulatumM Bonu voco,quod quanuis ab alii$ boijiis; de-, feratur,vita efficiat optabilem,nulliusque rei indigente.Talevero quiddam Foelicitas eft,proindeq; quanuis cum alio bono ipfa no coiungatur,eft tame omniu bonoru maxime optada ; & fatis ipfa per fe abfoluta eft, nulliiifqj rei indigens^ac fuis omnino viribus pollens. Foejicitatis enimnomine a hoc in lo- co no prudentia fola aut perfe&a virtute int^lligit ) fed perfe&a virtute cu ea bonoru alioru copia qua? hpmini fat fif , vtentea fienihcau#,&: i.magpo- ru mor.ca.3. (eft aute ille locus no fatis perfpicuus & plaiTUs jdiferte expref- fit.Ergo Digitized by Google LIBER I, 101/ fit.Ergcfi augeatur fcaropltficetur copiaexternorfi bonorfi,fodidtat ipfa quoque nonihil quide araplificatum in libere fateri oportet: verum ifta ac- cefsio no tati erit,quin antea etia Foelicitas,perfe&um bonum, feq$ ipfo co Centura dici potuiflet.Quare,cum quis itaarguraentatur , Perfe&u bonu eft id cui nihil addi poteft,ergo Foelicitas cui aliquid addi poteft ,bonu perfe&ii cenferi no debet.Refpondedum eft,id exiguu atq$ exile admodum refpedu foelicitatis effe quod accedit .,& f oelicitate quide amplificare,no tame effice re, vt ipfa per fe foelicitas antea abfoluta & perfe&a dici non poflet . Vndc colligit iureArift.integra Foelicitatis definitione eiufmodi:Fcelicitas,eft bd num perfe&u feipfo cotentura.E&quibus duabus eoditionibus alia clicitur, qua nos fupra appofuimus,& A rift, in hoc noftro cotextu innuit,vtvidelicet furame ab homine,&propter fe tatum expetatur.No enim poteft no fumme ab homine illud exoptari,quod eius abfolutio atque expletio eftHa?c eil hu~ ius cotextus germanaxplicatio,& ab omnibus fere,qu am's no adeo perfpi- cue,aliata.N6nullttame verbis quibufdaAtterrois decepti,ita dixerunt,F oe- licitate omninocrefcere no poffe,cu fit 1 aaut cui nullu aliud bonu nequeat adnurae rarima cui accedere poteft bonum aliquod>illud ccrte crefcere poteft,& me lius effe quam antea ruerit.QuareFoelicitas^ft id optiimi & in eo genere bo norum,quo nihil melius:quod ilia verba volut %n ve/lm dfytlalklljj^  roor.capitexitatoyqui dicit %&) fitquefingu]isfeparatimacceptis,maius & pra?clarius: qua fecunda notione Foelicitatem iecVmsideft praeftantifsimum & abfolutifsimum bonum nomi-  nari vult:continet enim complexu fuo bona animi > corporis 3 fortuna?,atque vt femel cum Speufippo dicam, eft bonum, ex omnibus bonis camulatiim* Hoc refpsftu, Ariftocelcs ibidem dicit y Foel^itatem nonppffe inter bona connuraerari, alioquin enim fequijidemXeipfo melius fore: Namfupe-* rat Sc excellit omnia turn anira^ turn wrporis* & fortune bona fteajitu~ do jvelutietiamtotum, partes excelleredicitur, Adeosqui fe^onfe-., mat ad Ulam propofiuwero > Perfe&ujn vndique fanum eft cui nihil , g-uiii Digiti zed by G00gle **v  riireprehendioportere^WDO^g^^Si j^i t,otea.* eoe "* ?& vndequaque perf^ llsim T P cu i ve rifsimen>l itneStuudfimpUcuer^ addi poteft-Talenanque^ ^ m ^ At^^ tcni[u e |let.Quarto,tP atc " w illius verb.. q^ htceog fit tatw _fta,J ^ rumiftorulntcrprrtu- fbu oni pof *"' m ^fverboru difcrte fonenp nik'habet Anftote cu ver^ h omnia & penodi ^ ac que alio traducatur quam eft .)ine:quod tame ^^"o ^ '^^^^ n&  m losDoaos homines, rfiM L:L?.n i n !*%*-*> no noflum no mtrari nonumf Aff_ LIBER I. 104 - quoddixerat^bonaravaletudine^non modo propter fe,verum "etia propter a-> liud ex pet i ,(Naturam enim corporis explet >& efficit vt animus expedite ea pofsit aeere quae laude digna funt,qua?que F oel icitatis pritnaria? conditio- nes censentur) Dubitat 3 cur eft,quod homines tamen quidam,& ii qui virtu- tern maxime profefsi funt, corpora fua vigiliis ac diuturnis inediis afflida- uermt,f ibique etiam ipfis plagas infiixerint:Et paulo inferius addition nK>- do hofce cruciatibus doloribufque feipfos afficere,verum etiam extrinf ecis omnibus bonis fponte priuare, folere . Democritu ferunt, fponte fibipculos effodifle,vt mete reftius immortalia & diuina intueri poffet . Sed horu exe- pla,at.q, alioru etia qui diuitias & alia vita? comoda aut abiecerut>aut parum omntno curauerunt,tot extant , vt meminitfe fuperuacaneum fit : Refpoh- detEuftratiusjDupiice extarehominumvitam, Ciuilem & Purgatoriaii- ue cotemplante. Cjuilis animo & corpore fimul agit,Gonteplatiua feu Pur- gatoria,fola mente.Illa ad a?tate vigentes pertinet , & in cartu hominum vi- uentes,& affe&ionum corporisque curam gerit,res humanas gi)bernat,pro- indequeexternis bonis cum corporis,tum fortuna? eget, vt noamodo opera &confilio,fed re etiam 5 Rempublica Ciues,&quos amat iuuare pofsit^ Alte- ra yero qua? fenum peculiars efle videtur , tota conteplationi Dei & rerum fnaximaru,diuinaruq*, dedita eft,&fpernens omniaaliabona>in corpore fe- fe quafi obliuifcitur : & pro ni- hilo habet)Ciim vimitu muneribus exequendis opera no det, proindeq-, nul- lis egeat opibus,hullis diuitiis,nulla apud homines authoritate, nutlis hono- ribus: imo folitar iam prorfus vita eligit, in qua pneftantiores quafda virtu- tes,Mete Deo copulaty!^ c&iun&us, adipfcitur. Hanc vita purgatoria yo- cantPlatoniciVquod omni tumultu atfeCtionu hominesp'urget,eofq; fer- ine in kimtieldL ilia Stoicoru cpftituat.Sed oportet ifta Euftratiipaulu illuftra- rexPrimii m ergo 3 Non eft exiftiraaodym eos qui fe totos contemplationi tra dunt,oronino corpus contenere,fed id quoq, aliquado curare*fecus enim no fapientes led Deo auerfi videretur,qurvellet animii a corporis focietate om nino liberare ,anteaquam id ftatuerk Deus,quem contemp]antur > & in cuius vnius amore fe conquiefcere prdfitetur. Atque(in furcma)quod Deus con- iunxit,id ipii fepararet/preto diuina? legis decrcto.Quapropter Plato dice- bat.Queadmodum qui ob fcelus aliquod admiffum in vincula conie&us eft, fi vincula rumpat,atq-, iniulfu Iudicis aiifugiat, omnes leges fubuertit,reicin di'tque, Ita homine,a Deojanquam milite,in hac corporis cuftodia, qijafi fta tione pofitum,eara abfque illius iniuflu defefere, abfque nefarii fceleris cri- mine>non ppfle.Ergo conteplationi dedita vita,corpusquide bonaq; corpo ris & fortuna? floccifacit,no tartien oipnino^fi fapiensefle velit:ide|l no earn affluentra bcfno.ru corporis 8r fortuna? exigit 3 quaitl exigunt qui in agedover fantuf,verum paucisHoraines iftt qui vtfceliciores&bet- liores euaderent,in fitu & fqualore. iacere voktfU, vulncra iibi infligere,octt I9S cruercinfaiii potius quara fapientes,quoamque id nomine faciant*tudi xandi funt: primum enim,prauer quam quod bona ifta externa tarn natura? flua fortunae ,natura humana explent,no video,cur no tarn qui ifta agit, qua qui feipfum interficit>decretaDei contenat>cuius lex itaftatuit, antra a? par te cum organo,putaoculi > copulata manere,veluti itatuit>tota anima cum to to corpqre,tanto tepore focietatem coferuare oportere:Neque enim maior iudicn Dei in totp habeda ratio eft>qua in parte.: Qui ergo eruit fibi oculum, flui corpori vuljiera infligit, qui nimia inedia aut vigilia corpus affli&at , i$ wuuria Deo fuo Creatori 6c Iraperator* infert, contcmnens bona ipfius,uf- que perjeulis ie exponens(quaii Deu tentas ) a quibus Deus ipfum immune eflivoluit. No negarim in SandisDei,ea qua? ad ieiuniii fpe&at,aliaque hu- nulitatis,poenitentia?,& fidei exercitia pertinent,laudanda efle:vt macerata, ac fubada caro ne lafciuiat,& vt ad preccs fanftasqj meditatioes melius fine coraparati;tanderaque,vt teftimonia fint noftra? coram Deo humiliationis. Modus tame feruandus eft>ideft vbique necefsitati natur 9,(11* partes danda? funt-.Quqd quia Papilla? no feruat, idcirco carnifices fui,& legu Dei come- pjtores cenfendi funt . Sed redeamus ad noftros fapie,tes.Dicunt,fe id agere, vt ab affedtionifeus omninoliberetur:Refpondeo,vellefe abAffedionibus li berare,eft velle no amplius efleHominera:Excipient,fe eo quidem tempore no effe hominesidico ipfos fomn iare,quantuuis enim alte volent, quantum- uis mortem comententur,& fenfu carere velint,in corpore tame Temper ha- bitabunt.Pra?terea,qui fieri potel],vt corpus vel i tantillumcurent>& affe&io nu aliquo infultu no aliquado corripiatuHNu oculi foli Democrito affe&iQ nes fuggf rideft> opinionu noftrarumoderatione,quod cer-j te aliunde quam ex priuatione vifus hauriendu eft. Re&ifsime etia fenferut Ariftoteles,Plato,$ocrates,Solo,aliique infuiiti fapietes,qui genus iftudvita? oder unti cum tamen conteplationi rerumaltifsimarumquammaxime de- diti effejnjAm; Deus eft (in quit Ariftoteles)aut beftia 3 qui vitam iftam folita- riam ag;Atqui Deus effe nequit :Sit ergo Beftia, Sedforcatfe Beaticudinem lunimum bpnum efie,eon* ftat: vtvero plaiviusquid ca fit oftcndacur,res poftulat. Hoc autem facile pr#ftaripoterir, fi munusjiominisprp- prium,acccptumfueric:vtenimTibicini,^ ftacuarumfi T tori,omnique arcifici, & oninmo iis qui opus aliquod e#i ciunt ? a&ioncmque exercet , in opere ipfo bonum 8c artii perfeftio confiftcre vuletur; iic'liomini ,fi quod eft ciys o- pus&rounus, ErgoFabri,&: Sutoriseruntaliqua opera &C a&ioncs;hommi$ vera nullum eric, atque ad defidiam na* tus eft! Digiti zed by G00gle LIBERT. id* cus cftfAn non potius vt oculi,manus, pedis , fingularum- qucpamumfuumcuiufque opus eft, (ic hominis quoque prater haec,opusaliquodeireftatueirias? Tertia pars-cap it js in qua qua?rit,non de ep cui infit Foelicitas,vt quidam male loquunturjed quid vere fit foelicitas , ideft quarnam ilia caufa fit per quam Foelicitas eft,& conferuatur . Quod declaraturus,gradatim more liio progreditunPrimumque fumit, Foelicitatem humanam,cum bonum quod- dam hominis praHRantifsimum fit,non nifi in eo confiftere poffe,quod inho- mine excellens babetur: Iftud vero eft intelligendi facultas . Atqui A&io fa- cultati pra?ftat> vt non femel ha&etous diximus : ergo foelicitaswie dubio in a&ione coiujftetjS; nonin quacunque aftiorie, fed ilia qua? propria eft homi ms(huius enjm Foelicitatem qiijerimus) ideft a ratjone & intelhgentia pro- deunte.Ha'cfummaeft^amhuiusquarh fequentis contextus: nunc fingula infpiciamus.(Sed fortaffe Beatitudine Ifummum bonum elTe coftat).Ih tradi ta definitions omnes fere cofentire antea diximus , quod nemo ferme fit qui animo Iianc notionem Foelicitatis infita non habeat:Eara videlicet effe fum- muiB quoddam bonum 3 proindeque feipfo contentum,& votis omnibus ex- optandum. (Vt Vero plan ins), Ideft vt eius conficiens caufa afferatur,per qua eft & confer uatunEa enim habitay ere natur am foelicitatis tenebirnus.(HoC autein facile jpra?ftari poterit,fi muniis hominis proprium). Nam in ipfo pro prio hominis munere Foelicitas confiftit. Quid ergo inquit Mirandulanus, Quia opus hominis quidda fenfile,eft?(y t enimTibicini).Probat afimili,bo num fummum hominis,& bene eius viuere, in opere ipfo pofitum effe , quia Piftoris,Tibicinis,&deniquecundorumartificum,vel potius* omnium quo- rum aliqua aftio exiflit, perfe&io omnis,onineque bonum in ipfamet aaio- ne,non in facultate aut habitu,fitumefrevidetur(ErgoFabri & Sutorls).Po^ terat quifpiamnegare,hominis raurius & opus aliquod pectiliare effe: quern nunc reprehendit AriftoteleSjVt imprudentem,acftupiduni:qui fcificetHo- mini vt artifex eft ignobile videlicet gradum agens,nranus propriurn tribui velit:hominis vero quatenus homo eft , in nobnifsimo hempe ftaru colloca- tus,nullum proprium opus effe dicat,ac fi ad defidianrinertiamque natus ef- fet.Huc acceditjHominem effe qiii artes pariat , quare abfurdum effet aliam ipfi & multo etiam priorem a&ionem non tribuere, qua artes parere & infti tuerepoffet. ( Annpripotius*) : 'Ooncludit quod verurri cft,cqllatis partibus cum toto ipfo hontine: Ac fi dicat.ofnnino oportet afferere J homine" qua ho*' moeft ? peculiareqiiodda'mrriunus obtinuifie , veluti Vriaquaeque Hliuspars perfpicua 3 munus proprium, '& cui deftinata effet, habuit; Imo magis totum ipfum i!d affequutum eft,cum'partift operatiorjes , norinifi ob corrferuatione- bperationis totius exiftant. Quidnam igitur illud tandem erit? Nam viuerc quide? cumftirpibuscicomuBeeft, At proprium hominis opus quarritur . Itaque vitia alens,augensquetrcmouenda eft. Hancproximc fequitur vita Tended?. At hie communis Digiti zed by G00gle %%9 ETHIC ORVM eft& equo,& boui,&:animantibus omnibus , Relinqui- cur ergo vica qusedam aftuoia ad earn partem animi perti nens,quas rationifreft particeps. Argumentatur a fufficieti partiiira enumeratione,&oflencfit qualifna ifta propria hominis operatib,fit,eas in enumeration operations fumens, quj ho mini no vt artifex eft,no ratione partis,fed hominivt homo eft,& ratione to tius couenire maxime videri poterantifunt verohar,viuere, fentire, cum ra- tione & intelligentia agere. Tunc ita argumetatur, proprium hominis opus non eft viuere,quia Hoc ei cu ftirpibus & planus comune eft:N6 eft ite fenti re,.Sumit aute vim fua iftiufmodi enumeratio,ex hac argumetatione-.Quod couenit aliis abhomine,no eft propria hominis,vi uere,& fentire couenit aliis ab homine.ergo,&c,(Qujdna igitur illud tande erit?)OpusTibicinis,& opus ffatuarii iteq; piftoris , & cuiufuis artificis eft hominis opus,fed no propriu hominis opus.,vt Euftratius monuit, ideft 9 non fimpliciter hominis opus^upingerejfimpliciter homini nocoueniat/ed ho- mini quia pidor: plurimu aut differt,homine fimpliciter 3 & pi&ore* homine dicere. Aliud eft(inquit ipfe)dicere homine,& aliud dice, re Tibicine homj- nenvllud enim fubftantia & natura hominis in eo quod homo eft,exprimit, hoc vero,fubftantia & accidens quodda,vnafignificat: vnde fit,vt opus homi nis quatenus eft homo,ab opere hominis quatenus pidof 3 aut Tibicen eft,di- ueruimcenfertdebeat.Vbi nos etiam admonet,vt agnofcamus argumetandi genus a pofteriori,quod luperius huic tra&ationi conuenientifsimu efleArU itoteles nobis (ignificauit 3 ab artis enim fine nobis notiori,ad>fine rationis ho minis,qua? artium caufa & inuentrix eft 3 proindeque natura prior ? & notior, progreflfus efficitur.Re&ifsime ha?c ab Euftratio di#a fu'rit . oportet tamen, paucis ifta omnia illuftrare, vt quid opus hominis proprium, hoc in loco vo- cetur,plane cognofcere valeamus.Hominis natura no eft fimplex quidda,& vniufmodi fiue folitariu,fed ex duabus naturis aut partibus pra?cipuis,men- te videlicet &corpore coagmentatu. Atqui omnis eiufmodi natura 3 ad fpecie aliqua refertur,prQpriumq; alicuius fpeciei nome fumit,ex ilia parte aut na- tura fui,qua? dignior,ex celletior & princeps eft: (Hac aute parte principem in prani coiun&ione pltiriun\ ? difsimiliumq; naruraru adeiftvieceffe eft>Jqua quafi imperas,& cohi^e$>alias diflblui au.t fabi no fuW,)t^a?.pars in Homil ne Mens & injtelligejtia nuncupatur 3 hac enim in homine dominant princi patu tenere^atqvUlud fummu efTe,qu6 ex vita & fenfu, tanqua p?r gradus in homine Nat,ur4peruenit,nemo non cocedit: Ha?c igitur hominis forma eft * ipfumq^poftremo aduenies,in quada certa fpecie a reliquis omnibus diftin aac6ftituit:caterananqueanimatia,n6 ratione aut metered folo fenfus im petu,ferutur:operatio igitur propria, & pecuIiarernuuns,quod homini fim- pliciter couenit, illud erifrquod no ab anima augedi nutriediq^ vi praedita, aut abeaiin qua fentiendj fecultas rpofaaeft >frda mente ituelligentiaque proficifcatur.(Vita ( alens augensque).MaluimusTurnebi verfionero Iioc lo- co fequi Digitized by VjOOQIC LIBER I. xog cO fequi,quam Lambini qui ita vertit , (yitaalendi augendi'que vi ac facul- tate pra?dita).pmerqyam enim quod copiofa nimis verfio eit 3 non quadrat etiara huic loco,in quo non de Facujtate , fed de ipfa muneris fundione fer- Hio fit.Canerum quot modis ^iTdicatur,alias ex Simpl.in i,de an.117.anno- tauimus,qubd item augeri & ali,munera a vegetabili anima prodeuntiafint, Tertib,audionem a nuiricatione non differre , nifi rationc quaalimentum vcl vt fubftantia qua?dam, velvt quantum accipitunillo nanq-, modp alimen- tum nutritjhoc verb auget : Quartb,vitam,cum pro forma ipfa dame vitam fumi po(fe>qua ratione Anima ipfa vita dicitur,tum pro energaa fiue adio- ne anima?. Scaliger hoc improbaret,fed immeritb & nimis fubriliter.Namfi vita eft adio,diceret ipfe,non ergo dicere licebit corpus viuens:Refpondeo imb corpus hoc ipfo viuens dici, quia vita adio eft. Adio inquam ab anima quidero pendtns 3 fed qua? non fine coxnpre effici queat. Corpus ergo viuere dicttur,quiaaugetur & alitur, a nutralento agente vi anima? , & Aninra vi- uere dicetur 5 quia alit &r auget nutrimento difpofito &conuenkme,corpus: 8c in fumma,iita Adio qua 5 vita dicitur , eft in anima vt ab anima: eft in cor- pore non vt a corpore fed vt in patiente & fubiedo : fed quoniam nutrica- tio & audio in corpus ipfum definit,propterea 3 viuens corpus,non animavi- uens dici folet,quamquam tarn anima* quam corpon vita? nomen tribuatur. Excipiet iterum Si vita eft adio , adionis adio erit , nam vita? adiones efTe quatuor Ariftpteles r.de an.docer. Refpondeo Ariftotelem eo in Ioco,cont. oempe ij.id quidem dicere 5 Viuere quatuor modis dici , non autem vitam quatuor adiones habere:Ego verb obiicio illi alterum locum eiufdem i*de an.cont.;.vbi ait. Vitam vocamus nutritione qua? per feipfam efficiturau-  dionem & diminutionem.Sed ifta in pra?fentia omitto. Quinto vita? nomen j> proprie adioni Anima? vegetabilis tribui:propriifsime verb non cuicunq; cius adioni fed ipfi nutritioni.Primum fatis ex verbisAriftotelis liquet 3 atq> ex eo quod de vita neque per motu fimpliciter , neque per motu voluntariu efficidemonftratio queat, item neque per fenfumaut intelligentiam : Ele- menta nanque mouentur nee tamen viuunt 3 animalia item faxis adha?rentia non mutant locum:Homo pra?terea dormiens neque fentit neque intelligk, - cum tamen viuat . Alterum ita doceri poteft, Quandoquidem incrementum non femper viuenti corapetit,alioquin 1am adulta animalia,ideft qua? ad a?- talis illius termkuim peruenerunt:cuif antum, a naturacrementuni. tributu cft>mortua dicerentur. Voco nunc crementum animalis 5 appofitioncm quan titatis omnibus dimefionibus,nafimplicifer fupplementu quodlibet repofi  turn in locu partis deeda?4ioc nanque fenibus etiam ipfis vfu venit:de dimi nurione eadem contrario tamsn modb dico.Reliquum eft igitur , vt per fo- lamNutritionem de vita libere ratiocinari pofsimus: omitto nunc ca?leftia qua? viuere dicuntur,non tamen augefcunt,aut aluntur . ( Relinquitur ergo vita aduofa^d earn, partem animi pertinens qua? rationis eft particeps. ) Mi ror cur Lambinus hanc Perionii verfioncm reprehendat: verba Gra?ca funk h*rjn}mr. Hie ita vertit: Relinquitur er-* jo vita qiu dam , qua? ad: adionem apu lit > eius* propria quod ration Digiti zed by G00gle 2 io* RTHJCQRVM pra?ditum eft.In Scholiis vero illu4 ( 7w fiue eius) ad homincm refer?! yule, Sed hare verfiopeccat:primum quia improprie hoc loco dicirurvita ada- dionem apta,cum non de facilitate fed de adione tantiimqua?ratur :fe* cundo,quia non quapritur an in adione hominis confiftat foelicitas,hoc nan- ue pofitum eft,(ed in qua hominis adione:ergo illud loZ non ad hominem, ed ad partem aliqua hominis qua? aliis duabus commemoratis opponatur, reuocandum eft.Quid?nonne hoc quod Ariftoteles roixpr Koyov vocat > illud ipfum eft quod diuiditur in fequenti contextu,cum inquit? Huiusautem pars vna eft quae rationi obtemperat: al- tera qux ratione prasdita eft,& intelligens.Cum vero ha:c quoqucbifariamdicacur, earn quae reipfa rationis parti- ceps eft,poneredebemus. iikcenimmagis proprie did videtur. Quod fiica eft, opus &C munus hominis erit, A- nimi afcio racioni confentanca , auc certe racione non carens. Explicat planius quod in fuperiori conclufum eft,vt libere colligere pof- itt?actionem hominis propriam efle , illam quae a ratione pendet : Expfica- tionis vero efficaciam haurit ex diftindione eius quod to tppr *&yw ante* Tocauerat: Quod igitur particeps rationis in homineeft, duplex exiftit, Vnum,quodparet obtemperatque rationi, cum tamen ipfum rationitfex- perfsit ideft appetitus : Alterura rationis compos vel ipfa potius ratio , ideft Mens intelligentiaque,qua? moderatur>mouet,dirigi tque appetitiones,vehi luti equo* Auriga . Hare Ratio Hue Mens , aut Intelligentia , quod adu & re ipfa in fe rationem contineat>illa erit in cuius adione fcelicitas confifter.eft enimmagis propria homini 3 quam ilia fit ,quar non re ipfa rationem habet, fed rationi ootemperat.Qupd fi itahabeat,opus hominis proprium nil aliud erit quam Adio animi cum ratione,aut non fine ratione. (Huius autem pars vna eft.) Duo tenere oportet ad banc diuifionem rede percipiendam , quo- rum ignoratione 9 Dodifsimiquidamviri hoc loco in multa errata incide- runt.Primum eft 6V facilius cognitu, quid fit illud quod diuiditur : Alterum eft , ad quern vfum aut finem diutfio iftiufraodi refpiciat.Diuiditur ro *% Ao- i^ideft Facultas animi noftri qua? rationis eft particeps : vfus & finis diui- ionis eft*non vt facultatu anim* natura patefiat,(hoc nanq-> munus Phyfio- logicu eft non Politicu,vt idem Arift, fatetur ca.i$.huiufcelibri)fed vt fun- damenta $C fedes virtutu omniu>de quibus hifce librit agitur,diftindifsime cognofcerenturs Artificiofa ergo Ariitotelica iftadiftindioeft 3 non natura l*d*quare maximopere animaduertgda.Sed agamus planius. Quod diuiditur eft Id quod in horoine ratione habet:diuiditur autem in pane qua? proprie 8c in ieipfa rationem inclufam continet,& in partem qua? fe habetvtFilius qui di&o Patrii audiens eftiPrior ilU>Ratto & Mens nuncupatur ( quanqui magis propria Ratio  qu*m Meat  cum Men* dicatur quatenus ipfa per fe Digiti zed by G00gle LIBER I. it & fpedatur & a corporis focietate libera in cognofcendo verfatur : Ratio ve- ro quatenus cum reliquis animg vinbus copulata,totique horaini confulens ad agendum conuerf a eft) Altera Appetitus.Qup inlocoanimaduertendum cft^quantum ad id quod diuiditur 9 Ariitotelem hoc loco ea coniungere 3 qua? alibi naturas rerum fpe&ansnon coniunxiffet . Quis enim diceret Appeti- tunij&Mentemcoiungi oportere 3 cum Appetitus Rationi perfrpeaduerfe- tur,&quocunquevultipfamtrahat?cumex diuerfoprorfus genere &re difcrepantes fint *. cum vnum natura iua diuinum & caelefte fit: alterum ca- ducum & corporeum? Coniunguntur tamen hoc loco, quia virtutes morales quastra&ano ifta cxponit ,Appetitui quidem conueniunt > nihil tamen a- hud eil virtus appetitus >quam veftigium quoddam rationis in appetitii im- preflunuTunc enim virtus Appetitus dicitur,cum ita conformant eft 3 vtli- bentifsime fequatur 5 quocunque ipfum ratio ducat: de qua re pluribus in fe- cundo libro huius tractationis agendum ell. Partem ergo appetentem quam alibi Ariiloteles cum fenfu coniungere non dubitaffet 3 hic cum Ratione co- pula!^ a fenfu difiun&am effe vult>vt ex fuperiori contextu liquet . Idcir- coque etiam in 13. capiie huius libri Appetentem &fentientem vnico no- mine vocauit fltAo^oypiW^quametiamvegetabilianimfopponit. Senfum veto & appetitum reipfa inter fe non differre , fed fola cogitatione alibi o- ftendimus.Quandiu enim fenfus tantiim & fimpliciter cognofcit vinum,pu ta flauum efTe,fenfus eft,&non fequitur neque fugit 3 fed cum primum notio iucundi ideft dulcis adiungitur,ftatim eraergit appetitio . Habet tamen Ap- petitus conditiones nonnullas, praefertim prout a Morali confideratur,a co- ditionibus Senfus difcrepantes:de quibus AfFe&ionibns nos non femel fupra & Plato diuina qua?dam ad hoc propofitii fpe&atia habet 1. de leg . vbi Hlas mufculis in corpore comparat. Et Gal. etiam libro de propriarum animse aff.dign.& cur. Senfus, vt ad rem redea,nulla>affe&ionem excitat 5 Appeti- tus eft quafi ipfa affedio,tefte Euftratio s.ethi. in quibus affedionibus mode randis virtutum vis elucet:Senfus ad fuum officium pra?ftandumhabitu non eget,curaitaareobie&apendeat,vtinillius fpeciem formatus nonpofsit non fentire. At appetitus rationi aduerfari poteft,atque etiam folet, variaf- que & diuerfas liabet propenfiones : ne ergo repugnet, fed rationem liben- ter audiat,habitus quidam confuetudine acquifitus adfit oportet , quo vide- licet ftabiliter, prompte, & cum voluptate rationem imperantemTequatuf. Senfus item non percipit res fibi fubie&as ex prarfcripto rationis ( pe*- cipitautemprofacultatis fua? viribus,) Appetitus vero menti obtemperat. Senfus obie&um, fpecies ipfa reiftmplex & folitaria eft: Appetitus autem, fpecies rei cum notione iucundi vel molefti . Quod vero ad vfum diuificnis attinet, cupio Ariftotelis tantum verba fub finem cap. ij. fcripta de ea re au- diri: Cum enim eandem partium anima? diftin&ionem propofuuTet y quam hoc loco attulit,addit. Atque ex hac Anim* diuifione differentiaque, virtu-  turn quoque diftin&io partitioque nafcitur,alias enim virtutes Rationis ef-  fedicimusjalias Morales.Haec omnia fi vera fint,miror primum cur Miran-  dulanus.lib.xxv.Euerf fecp.panemhanc quam hoc loco Arift,obedientenL Digiti zed by G00gle ia ETHICOB.VM rationi vocat,Phantafiam potius nuncupare,quim Appctitum volucritArii itoteles nanque fub finem capitis proxime citati & 7-pol.cap.ff .tpfam ir/Ou (jumxl/j) up tyiKltnJbjjy prop no nomine dici diferte oftendit ( quanquam noa me latct , ph antafiam quoque rationi obtemperantem dici, & appetitum fi- ne phantaiia effe non poffe,vt ex j.de an. com. * *. liquet, )Miror fecundo cur Idem lib.$8.Sec.io.ex hoc loco colligere voluerit, Animam appetentem Cmc fentient em reipfa & tota fubftantia ab intelligente differre , quia nimirum, Mens rationem in fe habeat, Appetens vero rartonem in fe non habeat y fed rationi obtemperetiquum eodem modo > Mentem eflficientem a Mente cap* ce reipfa 8c tota iubitantia differre concludere oporteret: quod nunquam concederet Ariftoteles:vt ex multis locis,fedpr?(ertim ex 15.& 2.0 c0nc3.de afycognofci poteil.Quod declaro:nam Mens efHciens vi quada & luce pro- pria predita eft, proindeque illuftrat,& efficit,Mens vero capax expers eft luminis,fed illuftratur & patitur ab intelligente . Ilia adu , ha?c poteltate effe dicitur.Sed tame eadem reipfa Mens eft,vtThomas etiam fatetur.Quidf quod ft hanc difcrepantiam tantum fpedes, Ariftoteles fub finem 13. cap. to- 99 ties a nobis addudi ita fcribit: Vna eft animi pars rationis expers: Altera par ? ticeps,qua? virum diftindae fint quemadmodu corporis partes , & quicquid  in partes fecari poteft,an ratione dux (int,fuapte natura alioqui indiuifa?,vt 3> in rotunda figura ea pars qua? conuexa 8c qua? concaua dicitur,ad id quod a- 99 gimus nihil refert.QMarefiTlieologorumdehac re fententum(quamta- men adamare debemus ) confutare velimus , ad alia & firmiora arguments nos conuertamus oportet.(Cum vero ha?c quoque bifariam dicatur. ) Locu huncnon bene explicarunt qui Euftratium& Auerroem fequt voluerunt. Quod vt pateat manifeftius, verba nonmillaGra?ca Ariftotelis* cum ad fupe- 0Lu7iit%nU! Ktytfy. Dicunt nunc fere omnes, Ariftotelem verbis illis no- ftrispaulo ante commemoratis,diuidere tpljj to&x7tK*v } quod nos quoque fatemuncum particula -mv7*r ad illam tantumodo referatur.Diuifionem hac ita a nobis tntelligi debere aiunt,vt vita ilia pradica vno modo dicatur ,cum vfu 8c energa ipfa declarat quid pofsit ac valeat,ideft cum agit: alter o cum agendi poteftate fua non vtitur,neque vim fuam experitur, fed otiofa 8c fe- riata eft.Exepli gratia;Hominis liberalisvita pradica eft,vno modo cuvi 8c poteftatejiabitu tamen habeas liberalitatis, liberalis eft>& nihil beneficii in alterum confert : altero,cum re liberalis eft , ideft cum i am viros bonos,do- dos,& egentes fubleuat * Sed quanro de ift is, num Ariftoteles hadenus non 4ocuerit,Foelicitatem horainis non in habitu fed adione 8c ipfo opere con- fifterrfnon negabitfit ( vt puto ) quia Ariftoteles fuperius dixit,vt Tibicinis icuiufuis arrificis perfedio non in habitu fed in .ipfaraet adione confi- ftit,itabonumfuinmum in opere ipfo pofitumeffe.Pmerea, qiuerendum propofuit , cuiufnam facultatis aniraa? hoc opus exiftat , 8c ftatuit eius effe flus rationis particeps effcab hgc nanque fpla opus hominis propriura pro- ^~ " " - ficifci- Digiti zed by G00gle LIBER I. ft? licffritur.Quorfum igitur debuit iterum Ariftoteles hoc in loco quafi in du- biumreuocans,num Foelicitas in a&ione vet habitu confiftat , diftin&ione Agentis vita?vti,in earn qua? eft habitu poteftateque,& earn qua? i am agit &* munere fungitur fuo?Quare dicaraus, Ariftotelemverbis illis Mat 5 *tu 7*v 7ofaW,proxime explicata , anima? facultatum diuifione defignare : il- lis vero qua? itatim fequuntuivrfa/ '^'mptftfr 878ot/,ponere difcrimen inter facultatemanimi,qua? dicitur rationis particeps,quia rationi obteperet , & facultatem animi qua? dicitur rationis particeps,quia reipfa& in fe ratione . inclufamgerat'.hanc nanqueproprie rationis partidpem dici vult,cum ad- 6it>Kvej&Ti&v yipkvji Kcu iv Iav/^to $ S^rtp 7 nr&7f>o? clkov&koy 7i. Thomas etiam hoc vidit,quanuis Graca? lingua? non adeb peritus eflet , vt ifti qui Philofophis Italis nihil aliud obiicere fciunt, quam illos Gra?ca? & politiorisLatina? lin- gua? ignaros efie,ideft non efle Grammaticos.(Quod fi ita eft). Vult iam ta- dem illud habere,opus proprium hominis pendere a Ratione,aut non efle fi- ne Rationejdeft opus hominis a ratione proficifci , quia verb ratio turn in mentetamquam in propria fede reperitur, turn appetituiimpertitur,inde confequi , opus hominis aut a ratione p endere dici , ideft a mente qua? ipfa ratio eft,& proprie rationem in fe continet , aut ab eo quod non eft fine ra- tione>ideft appetitu,quiexpersquidem ipfe rationis eft,quiatamen rationi {>aret 9 compos rationis nuncupatur . Cur hoc in loco nonnulli annotare vo- uerint^Foelicitatem Ciuilem effe in eadem Categoria ponendam 5 in quapo nitur Homo cuius foelicitas eft > rationem affequi nonpoflum.quanquam id verifsime dictum fit : Propria nanque affe&io , a Logico ad idem genus inquofuumfuhie&um atjque caufaaquapendet,conrinetur,referrifolet, qua videlicet per caufam illam & fubiedum definitunDefinitura aute ac de finitione in eode genere collbcari a?quu eft:quaetia Foelicitas ratione in Ca tegoria A&ionis poni debet.Simpliciter autem loqui fi velimus 3 proprie om nes affediones ad fecundam Qualkatis fpeciem reuocantur, cum tamen ip- fa? nullam pra?terea peculiarem affe&ionem fecum coniundam gerant.Ca?- terum an verum fit quod iidem affirmant^ oelicitatis nimirum genus efle in categoria Actionis,paulo pbft cognofcetur. Idem autcrh genere, opus efTe dicimus>huius hominis, & huius virtute praditi hominis, quemadmodum Citha- redi & boni Citharedi. Quod omninoita eft in omnibus, fiaccedat ad opus excellentia virtutis, Citharedi enim eft cithara canere,boni bene canere.Quod fi ita fit,Homi nis opus vita quanda ponemus , qux nihil aliud eft quam animi operatio,fiueationes cum ratione: Boniautem vi- ri hxc eadem bene U praeclare edita . Atqui , fua quicque h.i. Digiti zed by G00gle ii 4 ETHICORVM virtute bene pcrficitur : Qu# fi ita habent, Hominis Bo- num,erit Adioanimi ex virtu te:aut fi plurcs yirtutes finr, ex virtute optima pcrfe&ifsimaque. Mirandulano Verba ha?c imioluta videntur &obfcura, mihi certe expIT cita planiffimaque. Hadenus oftendit Ariftoteles,FoeIicitatem in a&ione qua? a ratione penderet,aut faltem non fine ratione elfet,confiftere: nunc do- cet,Foelitatem, non fimpliciter in adione a ratione pendente,fed in a&ione, rationis virtute dircda & perfeda, collocatam efle. Quod vt commodius te- iieri queatjexemplum artincum in medium affert. Q^emadmodum enim pi- ftorem aut citharedum non propterea laudamus, aut perfedionem fuam ha- bere dicimus^quia pingat,aut cithara canat>fed quia rede & artificiofe pin- gat & canat (quod de vna arte didum,valet in reliquas omnes) ita adiones Hominis quanuis a ratione proficifcantur , nifi proba? fint , perfedionem & abfotutionem hominis non continebunt : quinimo reprehendi potius debe- bunt.Rationem vero errare, & perfa?pe falli agendo , ideft, in vita & mori- bus pofle,omnino patet.Proba? ergo adiones ex ratione fint,oportet. At,quo- modo proba? reddentur,fi fua natura tales non fint ? Refpondet Ariiloteles, Quidque fua virtute, ideft ,habitu quodam excellenti abfolui, perficique. Sequitur itaque Foelicitatem nil aliud efle , quam Adioiiem animi a ratione profedam,qua? quidem ratio fit informata virtute : & fi pi u res fint virtutes, optima perrediffimaque. Ex quo liquet, quam inept e Mirandulanus libro quadragefiraoEuerf. Sec. prima, contextum hunc argument quodanifuo Protei fimili expofuerit . Sed perpendamus fingula. ( Idem autem genera); Ac fi diceret,Si fimpliciter afleramus Foelicitatem in adione a ratione pro- feda,fitam efle , necefle ertt fateri , quencunque hominem quolibet modo a- gentem ex ratione, ideft, ratione vel virtute confirraata veldeprauata,aut cafu vel vtilitatis propria? gratia foelicem effe :genere nan que idem eft o- pusjfiue adio eademiagit nanque tarn qui male quam qui bene agit. (Si acce- dat ad opus excellentia virtutis) , Et paulopoft . ( Atqui fua quicque virtute beneperficitur )Virtutis nomen,fi vniuerfe accipiatur,fignificat id quod be- ne aftedum reddit id cuius eft virtus,& aptum idoneumque ad benefuum munuspra?ftandum teftandeid Ariftotele fecundo Ethicorum capite fex- to ,:. Quemadmodum virtus oculi,dicitur vis ilia qua oculus bene habet , be- ncque & libcre fuo cernendi munere fbngitur. Et virtutem Equi illam did- . mus , quaEquusbene afficitur,& ad curfum,equiternque vehendum, necnon ad impetum aduentantis & occurrentis hoftis fuftinendum , habilts idoneuf- que redditur.Ergo cum ad omnem adionemhumanam,tam Appetitus cofen tie;ndo,quam Ratio mandando con cur rat, Mens qu verifsime rationis parti ceps effe dicitur,imo ipfamet ratio eft , fua quada virtute hoc adipifcetur,vt bene fuadere & imperare pofsit & nunquam labatur aut erret fuadendo,tm~ perandoue: Appetitus item fua quadam viruue id fibi comparator, vtopti- . m* , Digiti zed by G00gle LIBER I. tif me fuum munus expleat,ideft,imperata rationis prompte faciat. Virtus fpc- ciatim accepta , & qua? Rationi hue Menti ad agendum conuerfa? conuenit, quagnam eft ? Refpondeo, Prudentiam efle. Hagcenim ilia virtus eft qua? in Mente veluti in arce fedens, clamat,imperatque :de qua in fexto libro pluri- bus fumus a&uri. Appetitui vero,ea virtus conuenit,qua? moralis dicitur, vt , iuftiti^liberalita$,atia?quefimiles. Sunt autem virtutes har.appetitus,nil a- liud,quamveftigia Mentis aut prudential in Appctitu impreffa,idcirc6que partes prudentia? nuncupari folent , non quod reuera fint illius partes:(pru- dentia nanque in mente refidet, virtus moralis in Appetitu: )fed quoniam fi- ne prudentia nulla virtus exiftit,vt Plato in Memnone docet . Nam fi temere^ aliquidiufte a&um fit ,nonxontinu6 iufti fumus, fed illud requiritur, vt confilium captum fit , 8c formula? honefti Teruentur , qua? niunera,prudentia folaexequitur.Qua ratione autem contra dici foleat, prudentiam egere vir- tutibus moralibus,alibi copiofius exEuftfatio declarabimus : qunc illud tan- turn dicaraus, Quia virtutes pra?fentesprohibent,ne affe&iones vehemen- tes excitentur,quibus , Mens perturbata 8c ca?cata,prudens in fine deligendo effenequeat. Vident auari Homines , pauperes multos & pios,caritate anno- na? impediri,ne in EcclefiaDei manere,ne muneraChriftianaexequi,ne filios 8c vxorem alere pofsint 3 nulla tamen in ipfis oritur mifer kordia , ob auari- ri am: Quod fi fibefalitas adelfet, finem optimum rationi proponeret , nempe benefaciendt , de quo deinceps Mens prudenter confultaret. Colligatur ex hoc loco caufa, qua, Qm vnam virtutem perfe&am pofsidet , omnes pofsi- deat:Namnon eft abfoluta virtus fine prudentia:Non eft prudentia vbi non optima adfit deliberation appetitus rationi obedicns. qua? duo quihabet, omnes virtutes habeat necefle eft. Hare fient planiora, cum vim & naturam prudentia? in fexto libro expendemus : nunc vero ^ttingi omnino debue- runt,vt vis illius vocisAriftolica^nertipe ctpg7v>plane (lognbfeeretur . Porro quomodo Virtus fiue habitus ifti, quibus bene afficitu* Mens & Appetitus, acquirantur,partim quide alibi fignificauimus^pofterius tamen &in fecundo huiustra&ationisvoiumifte,il!emque fexto copiofius declarabimus. ( Qua? fi itahabent Hominis Bonum , dec.) Addefi placet htiic definitioni ,fupe- riorera,vt ex duabus vna integram quafi abfolutifsimam habeas:Hoc modo. FOELICtTAS EST BONVM PERFECTVM, qvOD SATIS EST HOMI- NI , ET AB EO vbTIS OMNIBVS EXOPfANDVM, PENDENS A RECTE PR VD ENTER CLVE FACT I S. ( Aut fi ptureS viltUteS.) Omnes virtutes requiruntur in ffoclicitate , tarn pra?ftaritifsima? , quam alia? minus pra?ftantes : fed fgnobiliores ad tarn qua? mdior & pra?itan- tior eft,referuntur. Proindeque Ariftoteles , qui tolet definiendo, res quira jnaxime poteftln anguftum concludere , cum definit Foelicitatem , pra?- ftantifsima? tantum nobilifsima?que virtutis meminiffe voluit: Vt in eiufdem etiam foelicitatisdefinitione , decimoEthicorura, capite o&auo expofita. Concludatur tandem a nobis , plaiiioris do&rina? gratia , Eos qui pruden- tiam fuerint afftquuti & Appetitum propriis illius virtutibus ornauerint; h,ii. Digitized by VjOOQIC H* ETJMCORVM ornant,hanc foelicitatis ciuilis compotem efli. Prudentiam nanque, &r vir- tutes Moral es,in hominum communione ac focietate, non in folitudine,con fpici,fa?pe inculcauimus:proindequejdlorumetiara propria? maxime efle vi demur qui Cmilia negocia & R^rop.adniiniftrant. Et praeterea in vica perfe&a: vna enim hirundo ver non cfficit ", nee dies vnus . Sic neque dies vnus neque tempus exiguum,efficic hominem foelicem ac beatum, Vt locum hunc explicarent interpretes^mirabi liter fe ad hunc vfque die torferunt.Epifcopus Mirandulaiius hb.4o.fuarum Euerf.Sec.i. omniumfe- re fcribentium opiniones recenfet, eafque demum vt non confentaneas con futatjfuam vero ipfe quandam proponit , qua? non minus vana 8c incptaeft, quam aliapleraque abeo in ilia tradatione & alia quadam defcripta > ef- le foleant . Ca?teriim quoniam inferius cap. 10. Ariftoteles dehac re iterum &copiofius loquetunNos amputata in pra?fentia mnltitudine fententiaruro, fimpliciter quid de Mente Phiiofophi fit hoc loco fentiendum dicamus.Exi- git Ariftoteles,temporis diuturnitatem aliquam qua homo fi foelix yere dici debeat,munera & adiones virtutum multas &frequentes exequi pofsit. Ne- que enim vnus dies,aut perbreue tempus,perfeda? vndique & omnibus nu- meris abfoluta? foelicitati,cuius (imulachrum ha?c difputatio vult exprirae- re,fatis eft : Quemadmodura etiam,vt eft in prouerbio, neque vna hirundo, neque dies y nus,ver facit. Vt enim vita humana,fi perfeda f utura fitter cer tumfpacium temporis perdurare debet $ic horainisadio perfeda , certo fpacio temporis & longitudine quadam , comprehendetur : (In vita per- feda). Vita? nomine , inquit Mirand . intelligjfc Tempus longum, perfe- da autem vita eft,qua? omni copia bonorum aftluat . Ego vero dico vtrum- que horum vocabulorum improprie 8c otAo>or a Mirandulano explicari:Vo-  cabulum nanque teA^ad vocem Q'nh non ad aliud refpicit , vt liquet ex ver-  bis cap.io.qua?itafcriptaluntur: Neque enimde foelicitate facile quis  detrudetur,nec a leuibus intortuniis 3 fed a grauibus 8c magnis. Ex eiufmodi  etiam non fiet iterum beatus paruo tempore,ied fi modo id licet, id in multo ,, quodam atque perfedo tempore fiet.Pra?terea fi Ariftoteles per t*ao copia bonorum fufficientem fignihcaret,in TouloKvyiarvixium turpiter definiendo  incidiffet,cum eodem cap.dicat,Quid igitur prohibet, Foelicera ilium homi  nem efle ftatuere,qui bonis externis fatis inftnidus,virtutis perfeda? adio~  nes 8c munera edat,non quouis tempore,fed ti\hov Cm \ Quare qua?cunque adhibet(adhibet autem multa)Mirandulanusadillam fuam explicationem confirmandam, ita vana funt , vt mirer ab eo bona confeientia (fi qua in E- pifcopis &rvndis DominiPapa? eft)potuifle proferri:Expendant rogo qui e~ ius dodrina? funt addidi.Caeteriim Ariftoteles in i.magn.mor. cap.f. Seip- fum interpretatur , quare ex eius verbis Veritas commodifsime haurietur. i, Sunt autem verba,ha?c:Cum igitur fcelicitas fit bonum perfedum ac finis,la  tere nos non oportet^id in a?tate perfeda eflemon enim in puero , quia puer  dici foelix nequit, fed Yiro,is nanque perfedus:& id non in tempore imper- " fedo Digiti zed by G00gle LIBER t ' , 117 fedo fcd perfe&o:jp*rfe6Sum auitem tempus fiierit,quanditi homo viuerc po- c tuerit : rede nanque a mains dicttur , faelicem in longifsimo vita? tempore plura qua?rattMihifat efle illud volo,Nempe>yitam perfe 6tzm dici artatem inregram,non puerilem, & anatem integram,qua? ad termi num certum ac iuiti fpacii temporis,quod curriculum humane vita? ( quern- admodu reiiquaru etia animantiu)a natura habuit,ex i.de ortu & int.57. per- uenit.De, puerili anateeadem i.Eudem.cap. primo repetuntur : hoc loco for- taflenonappofuit , quia 4am antea pluribus verbis dedarauerat,pueros A- dolefcetulolque propter teneritudinem necno rerum ac vita? ignorationem, nequecognofcenda? vehtati difciplina? politica?,neque ration ispra?cept is 8c monitis fequendis,quod in illis nimis polleat appetitus,aptos efle. Et f ortafle longius etiam refpicit Ariftoteles* cum ha?c protulitu Epicuri nanque abliir- dam fententiam quodammodo confutare videtur, qui cum voluptatem pro fummo bono perperam arriperet,pueros etiam copotes efle foelicitatis ita- mere cogebatunnara fimulatque natus eft homo , voluptatem appetit ( quod etiam reliquis animantibus commune eft) eaque gaudetrdolorem vero afper natur,eumque a fe repellit quantum poteft.(Sic neque diesvnus). Qui breui tempore foelix fuit,optime aliquando egifle potuit , aeque ac ille cui omnia fauftaatque ex votovirtutis permultum tempus &vfque ad extremyme- tiam vitar diem euenerunt: fit tamen vt produdione temporis 3 vita beata au- geatur.Diuturnitas ab arternitate minus abeft, quare perfedionem includit: orane enim a?ternu perfedu eft.Ite(vt aiut)breuis foelicitas vix percipi ac iu dicari poteft: Ad hoc enim vt cognofcamus verane & folidam, no adumbrata f aelicitate obtineamus,breue tempus non fat eft,non minimum aute ad foeli- ckate pertinetjfoelice fe efle fentire. Accedit eo,qui fpaciu habet 5 plures,pul- chriores, &pra?ftatiores adiones aggredi atq;exequi valere. Sed quaeret ali- quis,nu iftaoperatio qua? foelicitas eft,quemadmodu diuturna^ira & cotinua ra at'siduaque effedebeat? Refpondet Pontanus non ignobilis &fatisele- gans noftra? atatis politicus 3 libro primo de prud.capite vigefimo odauo , il- lam continuatam efle oportere 3 ideft>eum qui foelix dicivult,fcientem,volen- tem,aclibentem,irihoneitts adionibus,virtutis gratia &bene faciendi Au- dio continenter pofle verfari, ad eafque , vbique feque cogitationefque & curas accompdareocorporis ac fortunf bonis vti , atque vt femel dicam,pu blicis & priuatorumcommodis femper omnibus modis intendere : Troloco tamen facultatequeac tempore,de qua rep ofterius nonnihilArifioteles:qua- revtgefimofextdcapite, idem rede voluit , omnem quoque ceflationem ab agendo voluntariam, turpem efle, nifi relaxationis & reparandarum virium gratia fiat , ( quae tamen per breue tempus perduret ) vt quafi exiguum tem- pus dormientes,& a laboribus ceflantes, cum recentiori vigore & robore,ad agendum regredi valeamus . Huius ergo negotiations humana? politicaeque nullus fini$,milluiiu>cium efle debet,nifi cum Ciuitate hac amifla,in aliam id- eft coeieftem Hie'rufalem adfcifci debemus : tunc enim coeli , ideft domus & fundi noftli(vt Anaxagoras xnquit ) habitatores fadi 3 mortalia ha?c nequc cu- h.iii. Digiti zed by G00gle ul ETHICQRVM rare aut eernere > v^l vlla ratione percipere , multoqtie minus iis prodefie amplius poflumus.Sed opponet adhuc aliquts, Adio, & virtus quae in Adio . ne confiltit,vt in pra?fatione libri condufum eft,non verfatur in externama teria,fed in ipfius agentis bono, & perfedione * Quomodo itaque virtutis 8c foelicitatis human* vis in eo vertetur > vt amicis,ciuibus , iis quos araaimis, Reipublicaeque fubueniat!Certe hoc modo nullum inter ipfam 8c Effedio- nem difcrimen intercedere videtur , fiquidem externum quippiam,hominu videlicet falutem 8c conferuationem ha?c,vt illa,lignum videlicet > marmor aut a?s fibi propofitum habet.Refpondere oportet,Hominem ea ratione qua homo eft,fociabilem efle &ciuem raundanum,ideft partem human* comrau nitatis . Ex quo fi hominum generi confulat/i ciuili focietati opem feratjfi- biipficonfulit,fequeipfumiuuat,ideftfuum ipfius bonum perfedioneraq> . fibi comparat.Effedionis vero opus,homini non qua homo eit,conuenit,fed qua talis homo:verbi gratia,faber,pidor,a?dificator.Ergo in Adione meri- to bonum ipfius hominis agentis non externum quid,qua?ri dicitur, quanuis - ex ea,aliorum quoque vtilitas exoriatur . Quo in loco placet annotare , non omnino pro graui &congruenti fententia illam Seneca? habendam efle, quit inquit, Velutt in tempeftate qui enatare volunt,nudi enatant, ita ex hac vita tepeftuofa no enatabit quifpia nijfi n. gotiis vacuus. Qualis enim vita eft fine negociis?Cur non potius inquit, veluti in $ peftate qui enajtare volunt, nudi 8c vacui ab omni onere efle volent.vt bene natunt , ita ex hac vita negociis plena non bene aut fgeliciter enatabit quifpiam, nifi a cupiditatibus proprii commodi,ca?terisqueafFedionibusexplicitus.Caeterura iara vndequaque abfolutam definitional! foelicitatis nobis colli gere licet , vt ea videlicet fit: Bonum perfedum, quod fatis eft homini propter fe tantiim exoptandum* _ (>endens a rede prudenterque fadis in vitaperfeda.Scaliger adiuas fubti- . itates hoc etiam loco fe conuertit, fed nos conuertamus fermonem ad foli- dipra quardam 3 qua?que non ita facile frangi queant , Foelieius non eft acHo ex virtute vt Ariftoteles dicerevidetur 3 & nos hadenus affirmare vifi fumus: fed ab adione ex virtute pendetlmo in foelicitate,&tranquillitas & ocium quoddam Mentis eft . Sit ergoexpletio potius & fuauitas quaedam Mentis percipientis rede fe atque ex virtute agere,in qua perceptione perfedio hu mana? natura? exiftit. Alias diximus,Foelicitatis notionem,notioni Volupta- tis( voluptatis inquam vera? ) coniundifsimam effe : Quapropter vix ac ne vixquidem vita Dei immor talis vfquequaquefoelix atque beata ftatui po- teft,vt certe debet-.quin illam fimul maximis atque infinitis voluptatibus co fertifsima efle : mente concipiamus.Quid plus fecura fqelicitas atterat*quam voluptas antea diximus . Hanc abfolutionem expletionemque,qua? ex rede fadis menti accidit, Ariftoteles 9 vt poftea liquebit,nomine Summi boni,fuflfi cientis,per fe tantiim expetendi,fignificauit. Ex hisprimo colligo, omnibus modis eos erraffe qui dixerunt Foelicitatis genus efle in Categoria Adionis. fecundo,noftrates quofdam redius annetaffe, Definitionem illam qua? cau- fam affert,qua?que principium Demon ft rationis a Grarcis dicitur,nunquam fere quura definitionis modo profertur,per fe line altera fumi fpiere. Vjjt e?- nijn Digiti zed by G00gle LIBER I, n$ aim dices vnqua,Eclipfis eft interiedio terra? 3 fed priuatio luminis cb inter- iedam terrain: Cuiannotationi praterquamquod fauentlocacap. &. 9.10. fec.poft.& multa alia , aftipulan quoque videtur Ariftoteles , quum in fee. pofter.aulyt.cap ao.dennitionem illam qua? caufam affert,qua?queprinci- 1>ium demonftrationis aGracis vocatar,abcadiftinguerenoluent,quae fo- o cafu a demonftratione differt . Tertio verifsimura illud effe , nil diuiniu* autfuauiushominipoffeaccidere ,quam habere abundanter vtquam plu- rimis pofsit benefacere , vitamque oranem in benefaciendo exercere: Hoc ipfo nil fere raaius habet Deus,atque ex hoc ipfo foelicitas. Vnde Plato in quarto deleg.monet,Hominemillum,qui iis bonis abundans qua? in alios quoque transfundi pofTunt,horoinilibenter benigne facit , tanquam fummu virum honorandum effe. Quarto,in Sene maiorera quam in Adolefcente aut famine confiftentis a?tatis,oelicitatem effe,Senex enim iam quafi fecura foe licitate ex fuis rede fadis &filiorum,eorumque quo&amat profperitate frui tur.Iunforveroheatitudinem fuamtelis for tuna? magis expolkam habets Neque enim aliquod momentum aduerfus nos habet quod Cardanus oppo- nit lib.i,de general, vita? inftit.Seneduti nempe proximam effe mortem,fen fus hebetes Janguidas vires,cum Ariftoteles dicat,Foelicitatem effe non in in nita,fed in per feda vita . An verb aliquis hoc modo f oelix effe pofsit , po- fteadicemus. Atquehoc quide iflodo, fummu bonudefcriptu fic.Pri mu enimfortafleadumbrandu fuit,pofteaveiddepingen re&e beneq; percipiat-.Huius incrementi atq; accefsio nis,qua? amplifications & propagations omnium Artium caufa tuit , auto- rem atq; adiutorem Tempus effe dicit,quod qui addit auge tq*, logius habuif fe dicitur,quam qui inuenit.Nam qui addidit iis qua? ab aliis inuenta funt,fi bique optime nota,non modo fuum vita? curriculum egiffe dicitur,verum e- tiam illius qui inuenit , quatenus inuenta ilia prius optime ipfum tenere oportuerit , quam augere potuerit : Citius autcip rede dilcimus alie- na, quam rede uiuenimus noftra. (Primumenimfortaffeadumbrandum filtt ) . Quid Qt wnrnrrZaoA antea diximus > cui opponitur ha,y^St % h.iiiu f^ t Digitized by V^rOOQLC x u> ETlHICOHVM r &^*)a>V,&//tfp^pSOTt/ , ideft depingere,dilatare 3 4iAingucpe ,- Depingi- turautem,dilatatur, atque in fuaquaii membra i> footque articiilos diftin- guitur propofita foelicitatis detineatio defcoitioque inlibrU fequcoti- bus, in quibus fpeciatira magis. & clarius Foelicitatis partes principiaque cxplicamur : idcirco initio capitis decimi tertii huiuslibri, in nunc modum cc loquutus eft : Quoniam autem Beatitudo eft a&io quxdam animi fecundum  virtutem perfettam , de virtute ipfa dicendum eft : Hoc enira modo fortafle, c de Beatitudine melius drfpiciemus.Quamquam & ea quoque omnia qua? in- ter decimum tertium caput & hoc nonrum interie&a funt , quibus declara- turcopiofius 3 curFoelicitasdicaturaftio 3 cur& quomodo fecundum virtu- tem,qua rati one acquiratur , vt fit inviuperfepflt9ireffe?Eft vtraqueallataFoelicitatisdefinitlo ita perfeda, vt nulla certe in hoc genere perfe&ior dari pofsit.(Cuiufuis atir- tem hominis).Nulla apparet ratio huius interpofitionis de inuentione & in- cremeto Artium,nifi eandem fumas,qua fub finem Elenchorum idem propo- nit,vt agnofcamus videlicet ,quantailli gratia (it habenda, qui Artium princi piainuenit.Quamuis enim,ipfum primo inuentum & inchoatum, opus rude 5cimperfedumfit,magnitudineque minimum: przftat tamen quibufuisac- cefsipnibus ad ilium induftria & laboribus hominum poftea fa&is , quum & difficillimu fit , & ooteftate omnia in feipfo contineat 3 tandeque nifi inuentii omnino fuiflet,nullum quoq, incrementum,nulla extitiflet accefsio. Confu- latur ille locus: inquode Artium omnium inuentione & progreffu ac de hifce etiam politicis copiofior fermo habetijr. ( Atquehuiufmodi rerum in- uentor ).Tempus nullam habet efficientiam,fed induftria hominum,fucceden , tium morum,ingeniorumque permutatio,in temporum loAgitudine, artatum .. que & feculorum vicifsitudine , veterum inuenta in artibus minus elabo- rata perfecit , & quad inchoatis operibus adueniens,faftigiuta imponere voluit. Porro ea meminifle nos oportet , quae fuperius di&a funt,fubtilitatem videlicet illam enucleatam, non pcr- aequc in omnibus efle requirendam > fed in vnaquaque re, pro materia fubietee rationed vfqtie eo,quoad Do&rinas natura patiatur; Nam Faber 8c Geometra, non eodem modore&um anguluin exquirunt, Sedillequatenusope- rivfuieft:Hic autem^quidnam {it,&qualisinquirit,nam veritatis eft contemplator  Eodemque modo in ceteris , omnibus faciendum pft ,'ne opening appendices exi- - - ftanfc Digiti zed by G00gle LI BE R X I tsti ftant opcribus ipfis longiores. Excufatio hec tertio repet ita,explicationerh amplius non defiderat:oc~ cafio repetition is a magnitudine opens Tumi tur, quod poflea Ariftoteles ag- grefl'unjseftjFoclicitatis videlicet planiore exa&ioreque explication fub- fcquutura.Qn2P de Geometra & Fabro adduntur , obfciiriora funt , ideoque imerpretationealiqua egent.Platonem hifce fopius repetitisexcufatiombus ab Ariftoteleperftringi nondubiumeft^quide repiiolica fcribens non coq- fentaneas propofito hypothefes conftituit , politicumque horhinem pnnci- piorum alieniorum a fuo munere contemplatorem efle vult. Debet enini Ar tifex, vt AUerroes ait 3 earn fidem fuae art is exquirere 3 qua? fuo propofito fit . aclomodata.Quare politicus quoq; no indagandis priricipiis quibufdam al- * tibribus , ad accuratam veri contemplationem pertinentibus verfabitur, fed ea tantiinf exquiret, qua? ad bona & honefta,prout in hoc & illo homirie funtj&fuba&ionem cadentia pertinent . Hac ratione Ariftoteles fuperius, Ideam Platoniseo etiam nomine confutauit,quod cognitionem hominis magis quam actionem perficeret , & ad Theoricum potius quam ad politic cum pertineret.Quare egregicAuerroes hoc in loco in hanc fententiam^qua turn ex deprauata translation fuorum verborum affequi poflum r loquutus eft :Et hac eadcm ratione oportet,vt in reliquis omnibus rebus, non adhibea tut fpeculatio ilia inquifitioque veritatis , qua? ad ea fpe&at, qua; fub actio- nem aut fub efledionem non cadunt:ea nanque ad opus noftrum operandunv nihil conduceret .Non magis ergo politicus fpeculationes iftas de verita- teBoni&Vhoneftidefideraredebet 3 qtiamFabercognofcere cupiat triangu- lum fimplictter,& quoad eft in fe. Atqui is cum artificem & effe&orem acat, non contemplatorem, triangulum non per fequahYfit,& quid fit 5 qualefue habeat anguio$,inquirit,fed ipfum quatenus in hac & in ilia materia,puta li- gnea vel lapidea ineft,quatenufq; fui operi inftituto efficiedo,vfui eft,vel ad, dirigendam, erigendamue fuam fabricam acc6modatum,contemplatur.C6 rra,Mathemdticus qui veritatis tantum gratia>non vfus & operis efficiendi, triangulum confiderat>eius naturam & qualitarem fimpliciter & per fe cb- gnofcere vult. Vnde re&ifsime & appofite ex Platone & Ariftotele hoc lp#> Dodus quidamannotauit . Totam rationem Ciuilis dodrina?,circunftantiis perdi,quascompleftiexquifita&:perfefta fcientianonpoflurnus:Peritiam folertiamque Ciuilem, confilium capere ex rebus ipfis inquas incidiuqua? inftabiles non neceflaria? & fingulis momentis mutabiles funt, non legibus : qua? femper valeant, non fcientia aut certis quibufdam praceptis & regu- lis haberi pofle:in fumrna,quidfacere omnibus in rebus debeas,nunquarn ad difci licere.Ex hoc item loco colligi poteft,Eandem rem fubie&arn a duobus artificibus traj&ari quidem poffe , non tamen eodemmodo: liquet id etiam - ex i.phy.in exemplo Phyfiologici Mathematical que.Idcircoque poOeriores non Forrhale : vocant autem Formale 5 Subiec"him cum fua forma , ideft mbdoconfiderandi : peculiari:Nos alibi oftendimus fubiectum fcientiarurn - improprie niittcmlcmtocaji:ca?teraadinittimus. Sec undo anno tan dum ex .-. Digiti zed by G00gle ++i - ***** m ETHIC OR VM Ariftotelis fentcntia 3 operis refpedum,id arris proprium efficere , quod an- tea fcientia? crat . Annotandum tertio, raulta effe poffe pnncipia ex icientiis fumpta maiorera partem necefTaria , qua? taracn operi applicata, refpe qua? tamen ad imagines ipias nihil faciunt 3 vt mu(cas , ventos aftra,C3plum > flores,arbores & finiilia:ifta , inquamomnia^^p^funt , %pyof vero imago qua? depingitur. Abhis alienis traaationibus abitinere debet phi lofophus,&propofitastantum res, propria fibi atque peculiari tra&atione perfequi.Difcant hinc mterpretes quoque munus fuum , ne a re&a interpre- tandi ratione vfquam aberrent . Capterum particula ilia li pAoAt? , non bene hie vertitur a Lambino (pace tarn eruditi homints hoc di&um fit ) Docend i via ac rario.De hac ipfa nanq*, docendi via ac ratione hoc in loco,etiam quae ritur,atque ftatuitur illam pro natura methodi, ideft rei pro pofita?,adhibea- dam effe. Ncque vero in omnibus caufa flagitanda eft , fed in qui- bufdam iatis effe debet , fi bene demonftratum fit,rem ita efle,quemadmodum in principiis, Primum autem & prin cipiumeft,remitaeffe.Principiorum porroaliaindudio- nepercipiuntu^nonnullafenfu, qusedam conibctudine aliqua,aliaaliter.Sunt autem ea (ingulaita tratanda,que- admodum cuiufque natura patitur, dandaque opera eft, vt bene definiantunMagnum enim momentum afferunt ad ea quae fequutur.Qupcirca Principium plufquam dimi dium totius videtur,multaque in quxftionc poiita , eo co- gnitoperfpicua fiunt. Non modo a fpeculationibus fuperuacaneis abftinere debet Artifex,ve- rum etiam , id genus probations fuarum propofitionum adhibere,quod res probanda patitur . Vt ( quod ad propofitum noftrura attmet)probationes qua?percaufamreiefFiciuntur,nonconueniunt priacipiis: noncnimipfa caufamfe priorem habentqua probari pofsint/i principiafmt. fat ergo e- rit ,fi ea probemus quod fint, ideft non per caufam , fed per pofteriora, ideft per argumentum ab effeiHs,& confeqiientibus /& omnino vel per indu&io- ne,veFper rationes probabiles diale&icafque.Quaf e Artifici, non adeo labo randumeftdeprincipiorum & definition um exa&a probationer velutide rite confentaneeque lllis conftituendis &r ponendis.Permagni nanque inte- reft>qua? in quaque arte principia ponatur,quod ipfis re&e.legitimeq coftL- tutis,facilis be expeditus fit ad reliqua artis pracepta progreflus , cu princi- Digitized by VjOOQ IC LIB EH I. n$ pio bene cogoito , quod plufquam dimidium totius eft \ multa in quaHHone pofita enodari,& dubia tolli facile pofsint.(Neque verb in omhibus),Prin-  cipia qualia Arift. i.-poft. analy. cont. 5. & i$.proponit, ideft fcientiarum propria, vt pofitioMSjfuppofitiones^poftulaUjdefinitioneSjpoflunt a doceft iealiquomodoftabiliri,vtanteadiximus,non tamen^iufraodi qui cauGna afferat.Modus verb ifte ab Ariiiotele in cotextu, occultkquidem multiplex, exprefle tamen triplex proponitur,Indudio,fenfus,confuetudo . Ca?terum hoc in loco diligcnter illud primo quf r edum eft , de quibufnam principiis ftrmo habeatur.Secundb quid lfta probationum genera, principiorum ref- pedu pofsint : De primo>quanuis fuperius nonnulla dixerim , adhuc tamen in prcfentia dico,non axiomata feu effata principiorum nomine fignificari, ifta fiquidcm per fe notafunt,&(vt ait Themiftius i.poft.cap.f .) veluti co- munes quidam fenfus fuapte natura in nobis orti,abfque docentis difcipli*- na,(ine quibus vel qua?rere vel intelligere quicquam non poflumus : proin- dequeTheophraftuseavocabat axiomata, quail perfuafiones qua? dam ef- fent.Nonnulla Auerrois verba in i.poft.com.ijL.extant,qua? cumThemiftio repugnare videntur 3 fed intelligeti omnia ad explicandu facilia funt. EfFato rum genera duo habentur ex Ariftotele,vnum communifsimum in quo for- rafle ilia duo folaponenda fuht: Non contineit idem fimulefle &nonefle* De quolibet eft vera afHrmatio vel negatio. Alterum commune,vt Qija? funt , a?qualia vni tert io,& inter ft funt a? qualia. Si ab arqualibus xqualia demas, . qua? remanent funt a? qualia. Quo in loco annotare placet , quod animaduer- tit etiam clarifsimus & chanfsimus preceptor meus BernardinusThomi- tanus,Diale&icorum omnium noftri temporis abfquevlla controuerfia prin ceps.dccipi videlicet eos vt 3 Zim. The0r.j3.qui tertium genus Effatoru in- troducunt,quod vocant fuppofitionunrpetitionumque  Quamuis enim Ef- fata propria dici pofsint,communia fcientiis accomodata,v tverbi gratia il ? luddequomentiofiti.poft. i4.Siaba?qualibus numeric aequales numerosv demas,numcri qui remanent aequales funt: aut etiam propofitiones ipfaeim- - roediata? aitu conftituentesdemonftrationem, tamen fuppofitio & petitio nuquam propria Dignitas aut proprium Axioma dici debet, cum diferte ab Anr,dignitates a&ippofitionibus femper,vbi mentio de illis fit , feiungan- tur.Sed redeoad rem:Nomine principioriim hoc in loco fuppofitiones , de- nitiones,& poftulatafcientiaru defignantr.Haec Gquidemcum minus no- tafint^proban aliqualeui,&vtGra?ci dicunt,confoIante probatione pqf- funt>ad confirmandum potius ftabiliendumque quam ad olicndendum:item hahito potius ad negantem , quam ad rem ipfam refpe:quap quamuis principia no ^ funt,}iabentur tamen pro principiis, cum fint immediate fenfui;dequibus , Them.primapoft.capk.^.&;5dicere videtur . Exemplumerit.Nix eflqi!rat!oneegete,n6nfe^ ra i ftitifmodi a Difputatione Dialedicaexplodat^aon tameaJTeqijirur,princi- pia aliquot in fcientiis,iiopus fit,probari fertfu nequaquam poife;Confuetu- dims vero vocabalo defignac Experieatiam , dicit Auerroes , qua? magnam vim habet in cognitione principioruro , ex fecundo poft.cont. vlt. & primo deortu & int.cont.feptimo,vbi repra?henditurPlato,qui in phyficis ob expe rientia? inopiam > etiara in iis quae feipfis perfpicua erat, deceptus eft. Item 6. Ethico.cap.9,docemur,puerospofle quidem Mathematicos effici,nonpru- dentes,quod vfu & experientia careat. Cnerum an Auerroes hoc in loco re #eloquutusfit,paul6 infer ius dicam. Addit Zimara loco citato jGohfuetudi- ois nomine , idetiam defignari pofftt 5 de quo Arift . loquutus eft z. metaphy. decimo quarto,quod cur Tomitano placere non debuerit,caufarrt non perci- pio. Elto nanqueibi Ariftotelem devia quadam probation is falfa refpe&u puerilium fabularum loqui , non tamen eadem confuetudo primo libro decoelo 5 nonfemel in medium allata ,probatio falfa dici debebit . Sed tri- plex hie oritur qua?ftio,quarum certe nulla non diflbluenda eft,paucis tame, flrproutdo&rina nobis in praefentiarum propofita,poftulat . Prior eft, cur principia qua? vocauimus petitiones, fuppoiitiones & definitiones>non adeo nobis fin t not a vt axiomata? Altera, quomodo axiomata in nobis a natu ra eflfe dicantur, notifsimaq^quu Ariftoteles principia omnia ex fenfu oriri, aim in quamplurimis locis,praefertim vero primo de part. an. capite quin- to teftetur,& nos nifi ilia ab aliis prius accipiamus , anirao nulla effata tene- re videamur? Tertia,quia tarn Indudio,quam Experientia aut Confuetudo ex iis qua? fenfu percepta funt,progredi videntur , cur ergo Aril loteles hoc in loco voluit,tria i taorgana feiungereSAd primam 3 dico quicquiddici fe- re hoc loco debet,& poteft : Vniuerfalia nepe notiora effe minus vniuerfali buSjAtaer.inproaemioprimiphyficorumex Ariftotele primo phyficorum: Nam totum fuis partibus notius eft: Atqui principia ifta propria fcietia nm, fuht veluti partes:Effata verototum,& vniuerfalia. Ad fecundam refpodeo, Axiomata eatenus in nobis a natura ineflfe dici , quatenus mtnimo negocio tllis auditis fidempr.Tftarefolemus,acfiill nobifcumaflFerremus(altius lo- Sfueretur Themiftius tertio dean, capite trigefimo fecundo.)Vere autem af- erri a nobis dicuntur,ciim prim6,fenfu a nobis effent aequtfita,quamquam non recordemur tempus quo illas coparauerimus,valde enim pueri illas adi pifcimur, Auer. primo pofteriorum.commentariorjt. Tertiam itaexplico, omnia quidem principia cuiufuis fcientixex ferifu hauftaefle, & fenfu item probaripoffe, non tamen omnia eodem modo , fed alia celerius, alia tardius.quodfentiens Ariftoteles,inquit,prinfipiorumqua?dam fenfu pro- bari quardamindu&ione, ideft quardam vno tantum aut altero ad fum num, fingulari propofito ftabiliuntur , qua?dam vero induftione egent > ideft plu- rtbus fingularibus addu&is, ex quibus indu&io coriftat, Confuetudine vem probare , non eft omnino fenfu probare , fed aliquid angiiftius: Nittem enim albameffe fenfu iudico, non confuetudine :Confuetudovero quam Digiti zed by G00gle LIBE>R I. it* quam maxime in moralibus praceptis locum habet, qu quauis animo vera effecomprehendamus,nontamenitatijneaexequi poflumusjnifi confuetu- doexercitatioqueaccedat: Neque eft idem omninoAfluetudo quod Expo- nent ia : Experimur enim in pluribus fipgularibus aliquid, vt cognofcamus id verum elle in omnibus, & difcamus quod nobis dubium erat , vt Gal. te- ftatur.i.part.aphor.com,p.poftquam enim vidimus rhabarbaru Socrati exhi bi turn purgafle bilem,tamen quia fieri poffet,vt iftiufmodi effe&u ab aliqua alia caufapenderet,nondumcogni turn atque perfpe&um habemus,omnem rhabarbarum purgare bilemiexhibemus ergo rhabarba^um multis aliis indi uiduis^vt rem ita efle difcamus,& earn nobis notitiam coparemus,qua antea deft ituebamur. AfTuetudo vero in moralibus potifsimum obtinet , in quihus non vt ea addifcamus tanqua dubia,afluefcere volumus,fed vt in nobis inge nerentur habitus virtutura,quos pofsidentes,deinceps libere atque expedi- te agere ex virtute valeamus,vt,puta,oblatas omnes voluptates fine vlla cun ftatione atque audenter repudiando temperantes efficiamur. Item,Efto ali- quis qui afluefcat Elleborum comedere , primum tantum huius , deinde il- liu$ tantundem aut etiam plus comedet,non vt difcat Elleborum cum fua na tura pugnare, hoc nanque illi fat notum eft , fed vt confuetudine ilia come- dejidi>habitum quendam contrahat, quern habens,poftea cum libuerit,& o- pus f uerit,quantumuis Elkbori abfquevllo fua? vita? diftrimine comedere pofsit: Vnde etiam patet,Experientiam magis ad fcientiam atque ipfum vni uerfale colligendum^quod pr incipium fcientia? eft , tenderer Arift. i . meta- phy.cap.p.& i.poft.cap. vlt. Afluetudinem vero opus refpiceretde qua ver- ba Arift.cum multis in locis turn etiam.r8.Sec. probl. p. & hoc etiam in loco, quicquidAuerroes dixerit , proprie intelligendafunt. (Primum autem& principium eft,rem ita efle. )Idem fuperius cap.4. Trincipia autem fcientia? alicuius ponere tamquam vera,eft principium in fcientia ilia: vnde Arift.p. phy .cont. 11. antequam Parmenidis & Meliffi fententiam de rerum natura? 5rincipiis cof utaret, aut ipfe fua exponeret,ita loquutus eft,j^uK $ arua fiat facilitate tamen &vi optima &maxima Cunt: Multa qua? hoc modo ehabent,cognofcimu$,inquit Alexander,!, elen. Tub finem:Fici granum et- fi minima mole conftet , facilitate tamen & viribus maximum eft , fi quidem ex ipfo Ficus arbor tantx magnitudinis , truncus * rami, folia, furculio- riuntur. CAP, VIIL De beacitudine autcm videndum eft nonlolum ex conclufione , & ex quibus ratio conftat , fed ex lis e- tiam qua: dc ea feruntur . Nam cum vero congruunc omnia , qux in re vcrc infunt, a falfo autem cito ve- rum difcrepat . Cum icaque bona in tria genera diuifa fint,aliaque bona externa, alia animi , alia corporis dican- tur, animi bona imprimis 8c maxime proprie bona dici* mus. Adiones autem &c encrg"'as ab animo prodeuntes, in animo collocamus.Quare ex hac fententia vetere, & v- no ore a Philofophis comprobata , rede hoc a nobis dici- tur.Et rete etiam dicicur, a&iones & enei g*as nonnullas, ipiius finis rationem & vicem obtinerc . SiC enim efficitur vt bcatitudo in animi bonis , non in externis numerctur. Cum hac ratione congruit etiam illud,Beacum hominem bene viuere,&: bene agcre.NamBeatitudo fere nihil aliud eft,quamvitaquxdam bona,bonaquererum a&io. Foelicitatis Definitionem adumbratam , illuftrioribus coloribus &pi- gmentis,ixflt>^r oportet,vt eius imago magis exprimatur. Verum id non itatim & vnico lineamentorum coloratorum dudu,fed paulatim & per gra- dus,ad viuam Foelicitatis fpeciem depingendam (vt in perfetfa etiam pi&u- ra efficilblet) procedendum eft . Secundam igitur manum huic piftura? ad- mouet Ariftoteles cap.hoc odauo & 9. 10. 11. 12.. Extremam,librls fequenti- bus impofiturus. Sumit autem primo loco inmanus,quafi caput huiusima- ginis,ideft,Definitionis Foelicitatis quod eftA&io animi,atque id non modo rat ion i bus & earum condufionibus,fed etiam communibus vulgi populari- bufque fententiis confentientibus,expolire confirmareque vult. Veteres,in- quictriplicembonorum ordinemcooiluuerunt : Alia externa, alia animi, alia Digiti zed by G00gle LIBJER 1. ijj a lia corporis : Atquicumhorainis naturaex duabus prarcipue partibus con~ ftct>anima & corpore>nullus dubitauit vnquam,Aniraa ilia effe qua? pM?ftet> cum corpus pro materia anima?,vt forma? fubfternatur,&ipfa anima fit quae Era?eft imperatque Ex quo, veluti dicebat Ariftoteles eitremo ad Eudemum bro,itafe corpus ad animum,yt feruum ad herum, atque inftrumentum ad antfkem habercitemque in politicis, animantis magis effe partem animanij quam corpus:ita nobis colligere licet , corpus hominis,partem viliorem at- aue ignobiliorem eife:vnde fequitur,borfa etiam animi,bonis corporis pta?- ftare,quemadmodum etiam fuprade bono quod in fubftantia elt,refpeltu eius quod eft in Accidentibus dicebatur. Atqui A&iones ab anixno prodeun- tes,animi bona effe dicimus:quarum qua?dam cum fines fint ,vt recte etiama nobis ex eorundemVeterum fententia didu eft,merito & confentanee dictis veterum,foelicitas qua? a&io animieft,& ex carum genere qua? fines funt,bo nis animi non corporis,a nobis adnumerata fuit . Quod ftabilit ur etiam per- uulgato illo loquendi genere, cum nempe vulgo dicitur , nil aliud Foeliciti- tem effe quam i^aiaM quandam & et^pa^/cusideit bonnarum a&ionum con- iundiontra quandam congregationeque.Non me latet, hanc noftram expli- cationem , ab aliorum interpretationibus effe diuerfam , quorum nonnulli duas,aliitres Ariftotelis nefcio quas rationes,hydram multorum capitum re ferentes,ex verbis huius cotextus tamevi illis ill at a excerpere atq; introduce re voluiffe:verum fi acute propofitumPhilofophi expendere,& verba intueri voluerimus,hanc vnam quam nos attulimus interpretationem certe retine- bimus.Sed planior ilia reddetur ,fi fingula perpendamus. (No folum ex con- dufione),ide(t ration ibus quibus aliquid concluditur quocunque modo,vel per caufam videlicet , vej per effe&a fimilia confequenriaque . Harum qua- tuor genera furK,Syllogifmus,Entymema ,iIndu&io, Exemplumipro qua re confule Alex. p.Top.cap.p.Porro de Foelicitate multa Ariftotelem probaffe ex conclufionibus,ex cap.7,cognofci poteft , Et ex iis qua? infra, imo in reli- ;|uis omnibus! huius tra&ationis libris adducet. ( Sed ex iis etiam qua? de ea cruntur),ideft,ex confenfu eorum,qua? vulgo de Foelicitate dici folent. Ani roaduertatur autem hoc loco , rationes probandi a confenfu hominum fum- ptas probabiles & Diale&icas nuncupari,vt primo Topico dicitur: Dialecti- cs? vero huiufmodi rationes,modo ante,mod6pofl demonftrantes abArifto- teieadduci folent, aliquando etiam folitaria?proponuntur*:Caufa huiufce diuerfi progreffus,elicttur ex diuerfaoccafione illarum rat ion urn adducenda rum.vna eft,ad excitandam vim ingenil & facilius inueniendam veritatem, 1 Arift.p.Top.cap.x. Auerr. p. coeli. com. 8. Altera confirmandi 6V ftabiliendi alicuiusconcluii gratia, Auer.8.phy.ii. Tertia,ob inopiam verarum demon- ftrationum,Auer.p.de an.^.&p.coeli.com.j. Cum igitur rationes Dialedi- caeexcitare volunt. ingenia,pra?mittuntur:cumvero ftabilireijpoftponun- tur: Cum tandem demonftratione vti non poffumus,vt in probandis.prin- cipiis , ilja? folitaria? adhibentur: Qnod fi& excitare ingenium ad faci- lius inueftigandam veritatem rei alicuius dubia?volumus,& vna inuen- tam veritatem > demonflratamque flabilire 7 non modo ante fed poll Digiti zed by G00gle tiS ETHICORVM etiam rationes propriasJDiale&ica? poni folent . Hos omnls progredie nyrfe^i percipiat eoquofe habetmodo^ita Veritas orationis in hoc)cernitur,Yt rem referat no alio quaty fe habeat mo- do. Huius fimilitudinis caufa Efficiens eft Mens intelligens , ipfa nanque* eft qua? componit & efncitrvnde dici etiara folet , Entia diuina refpe&u ih- telle&us noltri a quo percipi nequeunt,prout funt , fuam propriam verita- tem non obtinere,nequeenim Mens noftravllam in iisiimilitudinem gi- gnere aut efficere poteft. Venim Res quoque ipfa pro caufa Efflciente po- teft haberi , qua^nus kes ipfa eft, quae; fui notionem inMente effingit& format : Quapropter Ariftbteles in Categories dicebat Rem effe wax aunov, quafi non fit abfoUite &fimplicitercauia. Eft etiam Res norma quadiiu- dicamus anoratiovera fit mam fi rem referat vt eft , vera cenfenda erit: fi non vt eft , falia.Exeraplo quodam fatis claro& appofito , res ha?c in hunc modum folet expliqiri : Pepingit pi&or imaginem quam firaillimam Pom- peio: Caufa huius fimilitudinis efficiens,Pi&or eft pra?ftans in arte fua:Ve- rumPompeius quoque ipfe 5 dici huius fimilitudinis caufa efficiens poteftj qui fui fpeciem in animo piftoris formauerit. ( Cum itaque bona in tria genera). Ha?c diuifio in Eutydemo A Platone ponitur. Ca?terum corpo- ris bona funt > bona Valetudo,Robur, pulchritudo , atque pra?ftantia in fin- gulis partibus elucens,vt wis in manibus , celeritas in pedibus , diftin&a vo- cumformatio in Lingua: Ad qua? etiam bonarefertur,Senfuum integri- tas , vigor, & expedita a&io. Externa funt,Libertas,Nobilitas,Diuitia?,0- pes>Honor 5 Nominis celebritas, Copia propinquorum & amicorum eorun- demque dignitas & virtus. Animi prout ad agendum conuerfi, funt Vir- tutes : prout vero. coritemplationi operam dat , Celeritas ad inueniendum, fiue cogitanduni> & Dpcihtas id eft celeritias ad percipiendum : Ha?c omnia bona,animi videlicet , fortuna? fiue externa , & corporis fiue nature, conti- net complexu fuo foelicitas ? vt inferius dicemus , quanuis bonis animi tan- quam propria fedenitatur. Ariimaduertereautemprimooportet, bona il- ia qua? externa vocantur Fortuna* accepta praecipue referri folere , quod illorum fine dubio Fortuna domina effe videatur. Animaduertatur fe- cundo, corporis bona, fortune teliseffe non parum expofita , idcircoque ad fortunam ipfa etiam refcrri oportere , afiquem fortaffe exiftimatu- rum : cum pra?iertirn Anftoteles fecundo Rhet. cap.17. cum exponeret mo- res fortunatorum dixerit. Fortuna? profperitas eos mores habet $ui figil-  latim explicati funt. Nam qua? magna? profperitateseffevidentur ,adha?c * qua? modo enumerauimus tendunt, & praeterea bonam magnamque libero-  rum copiam,& qua? corporis bona funt,Fortuna? profperitas adfert. Con-  tra tamen fub finem capitis decimi quarti , poftquam mores iuuenum vi- rorum & fenum propofuiffet , in hunc modum loquutus eft : At vero de for-  tuna? bonis qua? mores hominumvariosredderefolent ,deincepsdicamus,  Declarauerat autem antea fub finem capitis decimi diferte , qua?nam bona ilia eflent qua? fortunam fequuntur,cuminquit ; Fortunasverovo- " i. Digitized by VjOOQIC tj* ETHIC OR VM c6NobiTitatem,piuitias,CiuiIcmpotentiam, &eaqua? futfthis coritraria. "' Legitur idem prirtto magn. mbr. cap.3. Quare dicVridum eft , Bona corpo* : ris, Natur^magi^acceptar^ferriquMPoAunajjiiiohiam maiorem par- tem, cerriores ac ftabilio'tes eortirh caufa? poffuht aflfeiri : Externorum vera bonorum dominium prorfus Fortune tribuemus, ciim ilia non ita certas ac ' ftabiles caufas peifepe habeant , 8c cafus, inconftahtiam mutabilitatemque  fortune magis experiantur , vt idem Philofophus, i. magn. cap. nono affir- mare videtur. Poftquam enim dixiffet, Externorum bonorum fortunam ef-  fe dominam , addit , Fortuna in eiufmodi effe dititur , vbi neque Mens vlla  ncque reda Ratio eft. Nam vbi Mens ac ratio fuerit, ibi aliquid ordinatum  eft, atque eodem modo Temper fe habens : noh ita id vbi Fortuna : Quapro-  pter vbi Mens plurima ac ratio fuerit, ibi Fortuna minima. Vbi fortuna plu- rima , ibi Mens perexigua. Ca?terum quid fortuna? nomenArifloteh pro- prie fignificet, initio capitis fequentis , ex fecundo magnorum mor. cap. x. & 7. Eudemio cap. 17. '& i8.(obfcuris profedo locis,paucis dicemus, nunc)' illud tantum teneatur , Ariftotelem in fecundo Rhetoricorum cap .17. com- munius nomen Fortuna? vfurpaffe, quapropter corporis etiam bona , fortu- na? bonis adnuitieraffe. Annoteturtertioeffe qua?dam bona qua? partim ex-' terna,partim interna nominari queunt , vt Hominum Charitas veraque a- jnicitia. Nam fi mente confideremus', communem tahquam humanitarem; corporis vnius ex omnibus hominibus conftitui: id eft omnes homines qua- fi membra qua?dam effe vnius corporis , naturalemque inter ipfos focieta- tem & propenfionem effe, hanc hominum inter fe bcneuolentiam & chari- tatem, internum quoddam bonum atque intimam quandam animi noftri ex- pletionem effe, non dubitabimus. Hinc illud vetere prouerbio didum, A- micus,alter ego: At fi oculorum iudicium fequamur,hominem ab homine di ftindum cernentes,aliorum erga nos beneuolentiam externu quippiam effe cenfebimus. ( Adiones autem & ehergaas ab animo prodeuntes). Adio- nes & energas ab animo pendentes, animi adiones &bona did, fatcon- ftat. (Quare ex hac fententia). Ac fi dicat , ex fententia veterum iam ha- bemus, Adiones animi effe bona animi , Atqui ( Rede etiam dicitur adio- nes & energias nonnullas), Id eft, ex adionibus animi qua? dam funt vt alia- rum fines, & ifta? perfedifsima? habentur aliarum refpedu , imo foelicita- tem ipfam continent : vnde ( Efficitur vt Beatitudo in. animi bonis) , Id eft, ex prioriconclufo & pofteriori fequitur foelicitatem qua? adio animi eft,& ex earum genere qua? funt fines, Bonis animi adnumerar i , non in Ex ternis, id eft aut fortuna?, aut corporis bonis. Ex his liquet, vnicam effe Ariftotelis hoc in loco rationem , atque vnura tantum, vulgo hominum confentiens , ab eodem,g radatim tamen, concludi. Vnde Bias,pat ria Pr iene euerfa & capta ab hoftibus , fe fua bona omnia fecum portare dixit. (Cum hac ratione),v- nica nempe iamexplicata: congruit etiam illud quodGra?ci dicere vulgo folent , Beatitudinem e&edZoSioM , id eft commoditatem profperitatemque , vita? & ?  hoc in loco ab  honor, nobilitas, & qux his contraria funt , & finitima, Argumenjantiir autem hoc modo,vt v hancfuam opinionem defendant : Boni propriuro eft iuuare non noce re, .vtcalidi eftproprium calefacere non refrigerare. Diuitia? igitur,fanitas, & alia eiufmodi cum non magis iuuent quam noceant , bona dici non poterunt. Item,C^uo bene & male vti pofTumus , id non eft bonum , Diui- tiis & fanitate bene & male vti pofTumus, igitur Diuitia? & fanitas non funt Bonum. Sed ha? rationes nullum aduerfus Peripateticos momentum ha- bene Nam Peripatetici bona ifta corporis & externa, non fimpliciter & a- dubona vocant , fed bona poteftaite , vt antea capite , nerope quinto dixi- mus. Quare vt veftes quibus induimur 9 cun*a#w calida? non fint , nos non calefacerent,nifi anoftri corporis calore ipfe prius calefa&ae effent,fic bona ifta, bona nobis efletiequeuut, nifi nos ilia quafi bona prius redde- remus:reddiraus autemcum ex prafcripto virtutis ipfis vtimur. Proin- d^queAriftoteles primo magnorum, capite tettio , de hifce bonis loquens dicebat: Exploratur enimhouumvnumquodque bohiviri vfu, non mail. Quare cum dicunt Stoici , Boni proprium ejflfe iuuare non nocere : Refpon- dendum eft id effe verum>fi Bonum fimpliciter quo ad eft bonum ipedetur aut Bonum quod femper adu bonum eft, vt virtus* qua abuti nunquam pof- fumus:Gumver6addunt,Diuitias & fanitatem non magi* iuuare quam nocere, Dico hoc efle falfura , fi fumantur qua bona funt , id eft iuxta nor- mam & prafcriptum virtutis, ad agendum adhibita : quod non repugnat Ariftoteli qui- ilias , bona quidem, fed cum adiundo hoc , Facultate , aut Facilitates hmpliciter voc^uit , quoniam videlicet ,dant nobis bene & male agendi facultatem, primo magnorum mouahum, capite tertio. Nihil e- nam pofterior Stoicorim) ratio valet.: nam res^x abufu non vfu iudicandas fupponit , quod Ariftoteles negaret , vt antea diximus : vfos autem iftorum in* tized by G00gle Digitiz . QFfW..'Mi ijz, ETHIC OR VM .bonorumeft penes virumbonumi, id eft virtute pr#ditum,qui nihil nori agttfecum,autciunalterocontrahitexpra?fcripto virtutis. Et certefi ra- tio Stoicorum valeret , cibos maxime falubres , quique optirai funt fucci, infalubresvocareoportefet, quod intempettiue , magna' que copia ingefti plerunque morbum gignant. Tbrtiui^kemquoddaraargumentiim in me- dium afferrefolebant,quod Ariftoteies non femel ipfos quafi tacite irri- dens(morefuo)adducit,6Yfoluit. Idtaleerat: Bonumbonosefficit,Diui- ti* 8c fanitas boaum non efficiimt , ergo.Soluitur 3 ex Alexandra, quia Illud bonumbonos efftcit , quodper fe & formaliter bonum eft , fiue, vr dicebat Ariftoteies , to  effe dicere , ac proinde ilia feliei. ha?c reiici velle, item ilia  8c iw^dy e^orm , appellare. Differre igitur Stoici a Peripateticis voluiffe videntur, quod ad voces , quas nouas, traaftatas oVacommurii vfu defle&entes, fecerunt : quod verb ad ootionem&rres attinet, cum illis confentire. Si caufa petatur, refponde- ripoterit,idautirapefitiaquadam6Vftupiditate,qua difcernere non pof- fent,fe a Peripateticis verbis tantum non rediffentire, faftum effe, aut oontentionis Iiudio,vel curiofitate quadam,vel alioquouis animi yitio, ne a femel recepta in feda fua nominum nouatione,difcedere velle vide* rentur , quo poftea nomine aliis fe&is fe fubmittere , fiiam vero defere- re iudicarentur. Ex quo etiam patet Stoicosinhac fua Thefi,non modo ea rattone peccare potuiffe, quam Ariftoteies fecundo Topico , capite pri- mo , tranfgrefsionem twV K&idp>* At$efc* , verum etiam altero genere,quod idem 7^>J^/c/^a-i,nuncuparivoluitr Idem Stoicis accidit(vthoc quoque obiter dicam ) in kmt^uec , ilia conftituenda , ob quam aliam fe&am a ve- tere Academica 8c Peripatetica difcrepantem condere voluerunt . Earn manque ktii^ttajf magnifica quidem oratione celebrant : cum tamen ad rem venitur,minime omnium affequi poffunt , quinimo fe ipfos data o- era fallunt,&fuofegladio iugulant. Quum enim dicunt , nullam affe- aionem virtuticonuenire,fedomnemprorfu$ effe tolkndam,ita tamen ""'"'""  "-.  ""."r\.-r - ... Defi- Digiti zed by G00gle LIBER I. kfl Dcfiniunt AffiwfHoaem ( Afpafio refercfKe)vt fit vehemens incitatio Vel ap- pet itio raiionis expers. Atqui y ehementem incitationero neque etiam Aca- demici 9c Peripatetici cum virtue* congruere arbitraatur , fed raediocrem, & rittfmodi,qu? exacuat virtutes,no retundat, quaeque non refiftat > fed fe- 2uatur quocumque ratio ducar.Contrah^c^Stoicis nil adducitur> quare vt upidi vel rigidi nimium ac feueri homines non modo ob has ,fed ob alias etiam caufas relinquantur. Nos vero ad Ariftotelem redeamus. Atque etiam videntur in eo quod a nobis didum eft>ea omnia inefTe,quannbeatitudinerequiruntur. Alii nan q^ virtutem, alii prudential atitudinem e/fe exiftimant.Nonnullih^cipiaauthprum aliquid cum volu p tat e coin ngunt,aut a voluptate feiun- gi nplunt : alii etiam rerum externarum copiam faculta- temquecompleduntur. Atque horum,alia multiac vete- ' res, alia pauci fed clahviri loquuntur, quorum neutron probabileeft omni ex parte * fedaliquatenus auc in plurt mis rede (entire. ' V V ', Expolirc nunc vult totam fimul imagmem Foelicitatjs defer iptam, o* ftendensomnes illos Veteres, quorum de F.odicitate fentetjas initio, exami- nauit, fiminus ventatem ipfam,Crte veritatis vrobrara viduTe,proindeque fi non omnj ex parte, certe ex aUquabuic definitioft* foelicitatia ?fonfent* nea duifie: Vero nanqu^ornnia oratoi ex parte, eonrW eflfe kknu Quo kn co, Ver* definitions non modo proprjum , fed aiaxime etiamj propnurd ** mnuduertendum eft*id efonon modo vt exea pjofligentur qjjarftiones onv- Des,quodfuperiuscap. 7. Ariftotels* dixerat , verum etiam vt per fpiaatui analtorumopiniones venimaliqua ex parte attigerint, vel aberrarint ; Re* do emm cognito,facillime oWiquum percipkur. Ar iftet. & de antra, fub fi- nem. De ca?tero,propofitumPhilofophifeipfo per fpicuum eft , neque egc^ aiienaamplificante orark>ne:Cum pra?fertira fingula qua? hocJocodicrt,iint in /equenribus figillatirarepetendadeclaranda'que. Aggrediamur jgitur co tupajticulas.(Ea omnia inefTe^qire in be#^^ nempe* defummo Bono difputanttbus. (Alii nan que virtutem>alii prudent tiam). Hare enumeratio fementiaruro de furamo BoiKfcnon multum euro eft conuenire vkletur quam fupra prapofuk, eadero tamen eft, fi rem infpicia- mus. Nam qui prudentiam pro fummo Bono definiunt ,vt Socrates apud Pla tonem in Pha?done,idem dicere videntur atque aJii>fibus Virtus fumrmim Bonum effe videtur, vt Hefiodo, cuius indicium eft ^quod idem Socrates in Gorgia* vJrtuCempro fummo bono ponitquanqtiam&ieot qwi pn*te*iam ponunSt^cum iis.quibu* Sapieritia videcur>Goniunge>rti pofll mus, vt fuperius &vpniifc{JkluSaj^ uiiL jj4 ETKICORVM damplefedtohomineVquifiiam beatiforailseflfet 5 Te(jpo^i id eft qui non Us qua? pofita funt in oculis omnium , 8c pehrolgata > fed altifsimis Sc abitrufifsimis rebus , id eft fapientia* ftudio deditus eflet- Et alibi, idem vitam hon&ini ob earn tantum aufam optabilem efle debere affir matyvt naturam reru 8c illarum Codrtorem contenriplari pofsitiNihil enim aliud eft proprie flimpta Sapient ia, quam rerum maxknai um,fublimium 8c plane diuinarum conteplatio agnitioque. At in liac ipfa conteplationc agni- tioneque, aliquid fummura eft quod y t finis fe haber,id eft quod plane men- tern conterapla.ntem expleat > perficiitque. Nulla aut cm alia res mentis no- ftra? abfoUitio 8c expletio effe poteft, prater Deum, cum ilia quidem verita- te alatur,yeritas aucera, ynde.reliqua omnia funt vera,fit)ipfemet Deus:Co- gnitio igitur Dei, quanta a mente noftra haberi poteft , verifsima Sapientia eft, in qua]veriffimaitem Foelititas hominis^onfiftit. Quomodo autem , 8c per quos cognitiopis gradus 8c quafi proceffus , Mens noftra k fingularibus . qua? primo percijpit,a4 primam illam ac prxftaptifsimam Meptem contem- plandam pof sit accedere , quomodo item, non mpdo quid nomen Dei figni- ncet, fed etiam quadamex parte naturam Dei coraprehendere valeamus,v Herjieus inter Thomas feftatoresexiftimat, alibi declarandum eft. (Non- nulli hare ipfa aut hprum aliquid turn voluptate). Alii erant qui veluti per* fpicaciores , non vnum aliquod ex his , fed vel duo vel plura coniungentes, addict voluptate Beatttudmem effe ftatuerent.( Aut a voluptate feiungi no- iunt).Eadem opiio eft qua* proxime exptkata,In qua Eudoxus, Ariftippus, & Epicurus fuerer&fieorum alius plus 9 aKus minus vulgaris &plebeius* plus quoque &* minus -tr&itern: corporis voluptatibus,qua ratione Artftore- k fuperius nomine ndgi &Mukitudmi$ hanc epinioneraiaduxit,atque vt trtllwnara rqwehetidtt. His idiici poteft DcmocritiH?,cui fumttiu botium nil aifaderat) quijn trail quilUtas animi oniai moleftia vacant^ (Alii etiam re+ f um^xtjernarum). Id eft cum aliis aut pluribus aut paucionbus (quod indi~* cat particula ^m^x^irur) compie&imtur bonorum externorum copia: ( Atque horum alia multi,alia veteres).7t N iy fimilemtiabes i.poft.cap.to; & inlibde m dfuifl,.perfomnium: In cuius exordio ha;ofcribuntur f Diuinatio^em que ; " -^-- - "- " per Digiti zed by G00gle LIBER I. itf per fomnulrfit , qozque ab ipfis fomniis contingit, Deque facile eft fperne- cvt habitus > quiinfit>nihil boni efficiat vt in eo qui formic >aut qui alio aliquo modo otiofus eft. At vcro de a&ione id dici nequir. Aget enim necefTario & rede aget.Quemadmodum autcm in Olympicis ludis,no pulcherrimi ai^t robuftiflimi quiquc corona donatur , (ed quiincertamcndefccndunt(horum enim nonnuHi vin-, cunt)iic ca qu# funt in vita, bona atque fconqfta^aiTcquu- tur&obtincntiiquiretefaciunt. } Confentaneas effe Veterum de felicitate fententias enumeratas , its quae a fe di&a, & aliquaetjam ratione conclufa funt , nunc Ariftotcles ofte- dit. Exorditur autem ab ea fententia qui in virtute beatam vitam ponebat, ad quam reuocat illam cui Prudentia F oelici tas erat. Nos quoquefmquit)  virtute foelkitatem pendere diximus, quanquamnofl fittplititer a virtute, fcdavirtutisadionc&vfuyqui vfus>aut  a$jct quomodo habitui fiue joffefsioni prarftet > (upra non femel expofctum eft>& ab Ariftotele exem- plo (atis apto perfpicuoque in praefentia declarator :In fumina,fdelicitas no mhabku,non in ocio,hon feriata,vt etiam io.thi. id eft ex conditione bona. Mulaa? & animad- uerfiones , feu poenarum irrogationes in Rep. qua? per k mala effe viden- tur, funt tamen pofitione bona: Nam propter earn caufam adhibentur,vt vi- tia ex animis hominum&ciuitatetollantur. Iiyio,ficrirainairaproborun* atque fceleratorum hominum impunita manerent , nullo otio & tranquilli- tate nulla frui lkeret.Necefsitas ergo ha?c,opera reddit honefta,proindeque avirtmeeaproficifciexiftimaiidum'efttVfus verovirtutis fimpliciter ho^ ncftus eft,qui nullo pofito feipfo hoaeftus babetur ? 7.poLcap.i j. (Omne aut kiiiL Digitized by VjOOQ IC ij* ETfclCORVM aliquam virtutem). Comple&itur his verbis vt liquet vtramif, illarum opt* " nionum primo loco enumeratarum,vt diximus. (A get enim neceffario 8i * refte aget) id eft qui iri vfu Virtutis verfttur , non poteft non agere > & non rede agere: Qui vero tantum in fe habet Sc jpofsidet virtutem, non necefla- ri6ag!t,quinimaferiatusacotiofus,mulafque cafibus impeditus efl}? po- teft. Cartera fine interprete poffunt intelligi , & fatis a nobis alibi funt il- luftrata. Quorum ctiam vita per fc iucunda eft : Iucunditatc ati- tem affici,animi eft, lam vero cuiquc id iucundum eft,cu- ius amians dicittinvt cqiius equos amanti : fpedacuhim^ei quifpedaculis dedituscft. Eodcmmodo res iuftse iucun- da: funt ci qui res iuftas amat,& vt femeldicatii,resom- ncs qua: cum virtute confentiunt , ei qui virtutem amore compleditur. Ac multitudiniquidem qua: iucunda funt, ei pugriant inter fe, proptereaque non furit natura fua ta- lia.Qua: vero iucunda funt iis qui funt ftudiofi honeftatis, funt natura propria iucunda: quo in genere funt, ex qua: virtuti congruuntadiones : Itaque &c his furit iucunda: &: per fe iucunda:.  Qupcirca corum vita nihil eget volupta- te, tanquara appendice quadam, fed habet in fe inclufam volupxatem. Nam praster ea,qua: dida funt , non eft vir bonus qui honeftisadionibus non del edatur. Neqjquif- quamautiufhitttiUuttidixerit^quinoriexiufte fadis ca- piat voluptateoi,aut; liberalem qui iiberalibus adionibus - non deledetunitemque de ceteris virtutibus eft fentien- dum.Qua: fi ita (int,erunt per fe iucund? virtutis adiones, N .atque etiam bona: & pulchra:,atque adeo maxime horum fingula::fiquidem vere de iis vir bonus iudicat, &: rede iu- dicat, quemadmodum diximus* Tfenfit adeos qui voluptatem pr# ceteris amare videbantur , iis poftha- bitisquiinSapientiaBeatamvitam ponebant , de quibus inio. libro huius Cradationis 3 cap,7. agendum eft,oftendendumque,Hoc ipfo quod Beatitudo dicitur Aftio virtuti confentanea,probabileefleBeatitudinemillam figni- ficari qua? in Virtute pra?ftant ifsiraa confiftit ^ quae quidem preftantifsima virtus,ab ea hominis parte pendefcquae Optima eftJDominaJDiuina, i*erum- . que bmniura honeftar um ac diuinar um in fe notionem continens. Clamant igitur voluptarii ifj&voluptatem efie id cxtremum & vltimum quod per fei- f>fum  rt *>- LIBER I. 137 pfom expetkur: Breunis caufa cetera agimus : Effe item mentibus noftris id infitum , vt omnia fikiamus atque patiamnr, quo poftea in gaudio & lamtia comenti&qiiietiviuerepofsimus: Eaaiajpneftiumma &mera voluptas. Irai idcirco ipfas virtutes cenfent ab hominibus exerceri dcbere , quia effe- drices fint plurimarum voluptatum : cum contra , delidorum fcelerumque confcientia, non fecus vexemur, atque Athamantes illi & Oreftes furiarum caddis ardentibus agitarentur,inanifque cupiditatibus quibus ftultorum vita referta eft, ita Mens hominis torqueatur & angatur , vt nunquam in quiete manere valeat.'Ad hoc refpicit illud eorum argumentum : Omne animal fi- mul atque natum eft,natura? inftindu voluptatem appetere , eaque gaudere vt fummo bonoxontra vero dolorem afpernari vt fummum malum. ~ Quod non irridendum aut adeo contemnendum eft, vt nonnulii Voluerut, atque i- pfcmet Ariftoteles putare vifus eft , 10. Ethi. Nam & ipfe , hocprobationis genere,a nature videlicet inftindu duda,no femel,vt 7.eth.c.i4.vtitur.De- iinitio itaque foeliqitatis Ariftotelica, non magnopere a Voluptariorum fen tentia difcrepat: Nam ab hoc fummo bono, ilia quae voluptas aut animi tra- quilitasvocatur(depura& veraloquor,non de impura& falfa) nunquam difcedit,Sequitur enim foelicitatem,& animi energ voluptate ac dulcedine affici vere poterit. Atqui, vnufquifque eo dele- Digiti zed by G00gle ijt ETHICOHVM Aatur quod airflat, id eft tunc gaudet aliqurs & vere quietumhabet appetku, cum fruiturquodexoptauitatq,amauit:vtigiturquiesequitis inequo eft, quern cupiit & amauit, ita Hoirois iufti Gaudium & tranquillitas confiftit inadionibu$virtutediredis,quasamat.Imoha?chominis iufti tranquilly ' tas,& pax potifsiiua necno quauis alia longe pra?ftantior,eft per fe 8c fuapte , natura fiiauis virtutis adio : qua? ^fco iucunda Multitudini videntur , id eft qua? ad corpus pertinent fenfufque permulcent , non funt fuapte natura talia,efl*ent enim omnibus & Temper eodcm modo iucunda,quod falfum eft: quinimo pugnant ifta perfarpe inter fe : nam idem , nunc vno , nunc alio illi oppofito deledatur , & quod vni dulce , aiteri vidctur amarum. Qua? ergo plebeiis & vulgaribus hominibus videntur iucunda , 4a&* t*> aut mii , tan- turn non fimpliciter 8c fuapte natura fuauia cenfenda funt. Quo fit ,vt quern- admodum Epicurei perperam fummumbonumftatuebant,idquod per fe bonum non erat:ita no rede alii voluptatem a virtute 8c prudentia quafi fe- paratam pofuerint : Non enim iuftus, aut fortis vel temperans dicetur ille, qui temperahter , iufteque 8c fortiter agat, fi vna adiortibus his no delede- tur. Indicio nanque eft, tpfum affedu potius quodam naturali aut necefsita- te , quam virtute gubernari. Sunt ergo per fe iucunda? virtutis adiones, & bona? etiam,&pulchra?,imo optima? pulcherrima?que , vt homines probi qui Optimo iudicio pra?diti funt, de iis conftituunt. (lam vero cuique id iu- cundum eft cuius amans dicitur). Alias aim de AfFedionibus loqueremur, diximus,Voluptatem 8c Dolorem initia affedionum omnium efle : Primara vero qua? in facultate appetente ob voluptatem allatam excitetur , Amorem efle: Vnde dubitari poflet , non bene dici nobis ilia efle iucuda qua? amamus, imo contra potius dicendum efle, ilia a nobis amari , qua; nobis afferant vo- luptatem: Sed meminiflfe oportet , hoc loco non de ilia voluptate fermonem efle,ex qua tanquam e fonte omnes affediones fluunt,fed de ilia qua; affe&io & ipfa eft, & Gaudium proprio nomine nuncupatur: Eteft quies qua?dam facultatrs, in re antea exoptata 8c amata, nuc vero poffefla, ita plane vt quid amplius rcquirat,quod ad illam rem attinet no Iiabeat.Gaudemus ergo pro- pria cum f rutmur, id quod antea idcirco amauimus , exoptauiraus,fperaui- miifque , quia noft ra? natura? fimile acco mmodat um,& con fen taneum eflet. Collide quomodo verum fit id quod dicitur,Amorem efle affedum vnionis, fpecies enim ilia 8c forma fme repra?lentatio , animo accidens, iucundequc ipfum afficiens, difpofitionem vnionis in eo creat : amans enim inaraatum Conuertivellet. Cofiige item, Amorem non efle appetitum,vt multidicunt: fed appttitum feu defideriii amori accidere, poftquam enim cognouerimus, rem illam cuius fpepies animo noftro accidit , nobis conuenire, & voluptati efle, emerget ftatim confequendi Defiderium , cum ilia perfrui quantu pof. fumus exoptemus. Sed qpponet quifpiara , peruulgatum illud , Amorem ea tantum refptcere qua? pofsidemus, imo fruitionem quadam efle, frudus au- tern ex re praefenti furaitur : qui fieri ergo poteft vt Defiderium confequen- di, confequatur amorem? Refpodere cogimur, Affedum iftum vnionis qui dicitur Amor, non modo futur^verum etiam pra?feati rei competere , De T fidcriuni Digit zed by G00gle L I B E K I. ij> fiderium autem,amori tunc tantiim impingi*cum caremus amac a re, impm- gitur autem a fpecie illa,quae ad animum venit. Eft ergo Amor in appeteti*, eft item non in appetentia 5 hk maior & f er uidk>r , proprioque nomine vo- catur Amor : alter verb, qui ex triftitia quadam& gaudio quafi compolitus eft, Deiideriinomine exprimi folet. Hinc ficvt in puris illis beatifque Men- fibus, ex his 511a? ad animam appetentem pertinent ,foli A*nori relidum efle locum afferamus :-cum enim ad finera qui aon eft^Defiderium pertineat , ad cum autem qui eft, Amor, Deus przfenseft Temper finis,foiutis Mentibus,il- laeque Temper fuo fini horrent , & copulatae funt. Aut dkama* duplicem efle Amoreraivnum qui ex Voluptate, alterum^ui ex Gaudio profacifekur , ille cum^ppetitu eft > vult nan que frui bono quo caret , hie abfque, appetentiar cum enim non pofsit efle Gaudium abfque boni prfentia eiufdemque frui- ttone,non poteft in Amore Gaudiumc6fequente,motus vllus ad prqfcquen- dura^ffe. Optime kaque Fracaft.lib.*.deantip.& fymp.cap.17, quod ad hoc attinet fcriptum reliquitJDuo ad Gaudium concurrere,receptioneinboni > & caufam fiue rem quae bonum illud producit:Si confideretur anima prout bo- num exoptatum pofsidet,eoque f ruitur, fimplkker Gaudere dickur , Si ye~ ro prout refpkit caufam , qua? gaudium illud in ipfa effick, A mare dkitur, hoc eft bene efle illi reioptare. Nonvnomododehifce affedtonibus loqui Peripateticos interpretes fcio , eo$ tamen hoc loco fequi voluimus , qui di~ ftftnoius&clarhisropofi- tm fllaftrandum addamus , in Decimo Ethicp cap.4. ab Ai " cap.4. &b Ariftotele fententii hancamplificari: vt enim hicdick vnkudque id efle iucundum quod amat, kaibiinquk,vnumquenqueidagerelibenter,quo maxime deledatur, vt Muucum,cantilenam exercere : Difcendi cupidum , cotemplationem: Nam (inquk)voluptasoperationemperficit. (Eodemmodoresiufta?). Vinutts natnraeft, rede affedum reddere ipfum cuius virtus eft* non poteft ergo qui virtute proedkus eft, non eas adiones amare qua? a vktute pendent,cum prarter has,nihil eius natur? fimiliits fit^ut^onuenientius:Accedit eojhomi-* nem virtute praedkum , ad opera ex virxute obeunda , inft rudum , paratumi atqueexpedi turn efle. (Ac mukkudkiiquidem quae iucunda funt). Vulgus earn voluptatem atque id gaudium qu#rk>quod ad corpus pertinet , & per. mulcet fenfustvarium autem & multabile eft corpu$,non modo diuerforura^ fed eiufdera etiam refpedu: quo fit,vt quod yni aut femel placeat,id no om- nibus , & femper placeat, fed plerunque fortafle contrarium. Prafterea vo* luptates ifttu&nodi , naturae noftrae aduerfantunfiquidem nos ex hominibus, belliias inhumana fpecie atque figurareddit : Homo enim qui pwr aGrae- cis eftappellatus, dam eft,tenebras odio profequatur,& quafiinquandamlucem editus fit* fioblituso&aaJiabere^^ jfolo fenfu yolupta-* Digiti zed by G00gle 140 ETHICORVM tern comprehedunt,earunde'mque fpeciera indutus,germanam propria'mq$ omjttat voluptatem qua? Mente percipitur , natura? ordinem qui in ipfo eit 5 turbat>& lumen eiufdem quafi igneminterclufumextinguit: Non igitur per fe iucunda? dici poffunt voluptates vulgi, cum hommi qui Mente viuat, qua? veluti radius quidam Diuina? lucis eft , Dei que maieftatem & fplendo- rem in terris refejrt > fuauis efle nequeat : effet autem orani homini, fi per fe fuauis effet, ex 10. Ethi. cap. 3. Quod fi etiam iufta? & honefta? adiones quas per fe fuauifsimas vocamus,quod naturae hominis, id eft Mem i, qua? a Boni- tatis Iuftitia?que illius fumma?>nempe Dei,quafi fplendor quidam eft,omni- no coouenientes fun , non ab omnibus amari atque amplexari videantur , id non virtutis nature, qua? feipfaamorem in omnibus excitare apta eft r fed hominis 9 educatione,autinftitutione aliquadeprauati,tribui oportet. Sed iamcolligenda , & quad in vnum reftringendaeft , tacita Epicureorum re- pradwnfio. Voluptat is nomen, ad voluptates corporis tantumqua? natura fua iucunda non funt ,accomodari ab homiriihus iolere An :ot. alias docuit, jjroptereaque plerunque iis fefe homines dedut , & earum funt omnes par- ticipes , ea'fque folas plerique volunt. hoc item loco moneraur virtutes efle natura fuaiucundas, & iucunditatem , adionibus virtutum accidere*. Qaare duplki nomine Epicurum coarguere potuit, turn quia non expofuerit de qua voluptate loquetetur , num videlicet de per fe iucunda , aut altera : tuni quia id*pro fummo bono ftatueret,quod veri fummi bbni,proprium accides eft. ^Qupcirca eorum vita nihil eget; voluptate). Plato in Philebo volupta- tem a pr udent ia & fapjentia (epajrare videtur , cum de fummo bono Mentis firanima? agens,gradus bonorym enumeraret. (Nampra?ter eaqua? did* dint). Non modo fponte adiones ex virtute efficiun tur, verum etiam cum ejedione, quare fi is qui fe voluptatibus abftinet,gaudio non afficeretur/ed doleret potius , fe necefsjtate magis quam confiho , impelli oftenderet. Ex So Ariftot.i.ethi,cap.3.dicebat virtutem circa dolorem voluptate mq> ver- i:Idemde iis dici fere poteft, qui bonitate quadam naturali agunt : vide* mus enim inter homines, quofdam ad iuftitiam, quofdam vero ad tempera^ liam, aut fortitiidinem & his finitjmas virtutes eife natura propenfos atque habiles , qui tamen nulla confuetudine , nulloque certo rationis p ra?fcriptq confirmati funt. (Qua? fi ita fmt,er unt per fe iucunda? virtutis aaiones , at- que etiam bona? & pulchra?). Gra?ci vna voce dicunt Bonum,& Honeftum, & Pukhrum. r^Aov, hoc in loco tamen proprie pulchrum Cgnificat : dici tur autempuichritudoj^cAoit,e/>(St7v^A^V,vtautoreft Proclusin commentariis. fuis, in priorem Platonis Alcibiadem, vel etiam Jik ii xmkZv: obledat enim, &ad fe allidt , nofque ad ipfam propter vnionis appetitum mouemur : Eft autem pulchritudo qualitas qua?dam ex fymmetria > in re exoriens., Vnde Ariftot. 1$. metaphyseal tJj^S //*?* Jtovocat, tIj* tx%sy wyuurreia*) rip 70 vvaydtw* Eft autem vi rtus pulcherrima res, quoniam,vt Thomasjatt ,cro- ' cunftantiarum , vt quando,quatenus,&quora6do,qua? quafi partes quardant vitftutis habentur, erdinem& fymmetriam quandam feruat: Vt rede Plata dfcxerit , fi fociem honefti oculis eernere pofieraus, forest in nobis mirabtli* amor Digitized by Google LIBER I. 141 imor cxritaretur/Ariftoteles kaque virtutura a&iones non mod iucundas; verum etiam pulchras &bonaseflemerit6concludit. Qua? hie a quibufdi viris Dodis de diftindione, th kytSwy id eft boni & koa* , id eft b onefti af- feruntur,pra?terquam quod non vndequaque rede dicuntur , funt etiam fu- peruacanea >ideft ad locum huncilluftrandum non faciunt. Ariftotelcs in 1 3. metaphy. inter bonutu & pulchrum tale difcrimen ponit , vt dicat : Bo- num Temper in operatione , Pulchrum vero etiam in immobilibus effe. Ra- cioncm huiufce diftindionis attulit in 3. metapby. cont. 3. Nam in immobi- libus boni natura effe nequit: fiquidem omne quod per fe eft atque fuapte na tura bonum,finis eft, atque adob caufa, vt illius gratia cartera Cut atque fiat. Finis autem & id cuius gratia cetera fiunt,adionis cuiufpiam finis eft,adio- nes vero omnes cum motu efficiuntur : quarein immobilibus vllum per fe fconum efle nequit. At pulchrum effe poteft , etiam in immobilibus : Vnde colligebat ibidem Philofophus, Mathematicum per caufam finalem nihil o- ftendere poffe. Cterum,an Ariftotelescaptioft eo in loco argumentetur* t Alexander cenfet, an vere,vt ex Auerroe a.phy. comment. 74, & eodem j. metaphy. com.3. elicitur, An item harciisrepugnent , qua? 13. met. cap. 3. do raarhematicis, & primo de ani. de fcientiis fpeculatiuis, in vniuerfum dixe- rar,An tandem in immobilibus vere to i&*iw, retineri pofsit*&quomodo,in prafcntianolodifputare. Tantiim ha?c dicere volui,vt oftenderem locum ilium non poffe ad hunc noftrum accommodari, nifi per ^fco>, pulchrum m- telligamus: & eo in loco non /sfei tS k&kov , quod fienificat honeftum, fed de eoquodfignifkat pulchrum agi , vt liquet ex fpeciebus pulchritudinis ibi- dem enumeratis, & ex Definitione honefti tradita in 1. Rhet. cap. 9. Vbi ho- neftum id nuncupatur, quod cum propter fe fit expetendum , fit etiam lau- dabile, aut quod cum bonum fit , eft etiam iucundum quatenus bonum. Dif- fert ergo (vt hoc biter ad vocumdiftindionem pertinens addamus) Bo- num ab Honefto, fi proprie accipiantur : Honefti m nanque proprie ad ani- ma? virtutes refpicit, 1. Rhet. cap.*. Bonum vero latius patet, vt omne Ho- neftum fie bonura,non bonum omne ,honeftum. Hinc A riftot . duo diftinda capita ponit, Tvvkyadw, ScnZtyhw: liquet id etiam ex fuis oppofitis : Nam Bonoopponitur y&Koy , i. Malum, Honefto vero flcifc*V,i.Turpe. Annotetur item,Bonum ab Ariftotele aliquando,vt z. ethi.cap.3an tres partes diftribui, quarum vna in honeftate, altera in vtilitate confiftit, tenia vero a voluptate ducitur. Honeftas in Mente locum habet, eft enim id omne quod cum ratio- nc congruit,vt fuperius diximus : voluptas ad fenfum pertinet, eft enim ( vt vulgo accipitur)fuauis fenfus commotio, aut, vt inquit M.Tullius iucundus motus in fenfu, vtilitas autem a parte xnimx vegetabili ducitur. V tile enim propriifsime vocamus illud,quod ad falutem & incolumitatem vel dandam vd tuendam , vel reftituendam etiam facit , incolumitas autem ad animam vegetabilem pertinet: Quanquam fuperius Vtilis nomen , Alexandh autori- tate addudi latius vfurpauerimus:x quibus etia liquet ,quomodo pro veris, & quomodo pro falfis ea poni pofsint , qua? hoc loco D. Martyr tradit , cum nerape per ri ajftdw , vtile intelligi debere, nos admonuit. Sed afferamus Digiti zed by G00gle I4& ETHICORVM nos quoque aliquid Subtile, Ad quam partem animi pertinet Honeftum ? ad Mentem, prout ad agendum conuerfa eft: nam prout contemplatur, propp T fitum habet Verum. Quid eft ergo Honeftum* Verum Mentis; quod f equitur & admittit Appetitus.Dicitur autem ii i&hw, quia cum reda & vera Ratio Appetitum regit & moderatur,mirabiiis quaedam venuftas ex affedionibus noltris ritecorapofitis, exiftit,quam vocamus Honeftatem* Eft igiturquiddam optimum, pulcherrimum,iucun- difsimumquc Beatitudo. Neque vcro feparataha^c func, vt DcliacumEpigrammavult. s VafwTurnebu Eft Pulcherrima >res iuftiffima:amata tenerc, Iucunditfima res : optima fi valeas, In Tunc cnim hare omnia , in optimis a&ionibus , quas qui- demautvnam earu optimam,beatitudine eilbdicimus. Elogia perfedionis qua? hicFoelicitati Ariftoteles tribuk, perfpicua funt : quomodo autem foelicitati conueniant, pulchritudo & rucunditas,fu- (>ra fuit expofitum.De bonitate dubitari poflet nifi antea oftendiflemus 3 Foe- ichatem effe quendam finem,ad quern adione vel contemplatione (in qua- rum vtraque quafi motio quaedam deprehenditur ) peruenimus . Quo- modo item De Kacum Epigramma rede damnetur , quod abHonefto in Iuftitia,iucundum5rbonumdirimeret,fatconrlat:cumin optimis adioni- bus, quibus Iuftitia adnumeratur, omnia ifta infint. Tantum dicam,Deliaca carmina ab Ariftotele limpliciter reprehendi non potuifle,(vt multi ad pau- careipicientes affirmant) quoniam ilia fortafle inter notionem Boni,Ho- nefti hue Pulchri,& iucundi difcrimen ponere voluerut, proindeque ea pro exemplis arripuerint, in quibus eorum rationes diftinde poflent apparere: Valctudo nanque,bona quidem dici poteft, non tamen honefta,item quacu- que re amata frui , iucundum eft quidem,non tamen femper bontim aut ho- neftum, quanuis Iuftitia honefta cum fit, 8c iucunda & bona fimul habeatur. damn aliter Cicero,fed nos vim nominum prout accipi proprie folet^con- (ideramus t Ariftotelemetiam prxceptorem fequimur, qui in 7. pol.cap.14* Honefta ab vtilibus manifefto diuellit,cum vtilia ea efTe dicit qua? Honefta- rum f erum,id eft virtutum & officiorum gratia fufcipiuntur. Alibi rem hac pluribus perfequemur. (Aut vnam earum optimam),ideft Prudent iam,de qua fuperius.Sed no eft amplius difsimulandaqua?ftioilla,de quaEuftratius ti. ethi. cap.13.agit. Num videlicet Prudentia virtutibus moral ibus nobilior fit, an contra potius virtutes prudentia nobiliores cenfenda?. Principem & nobiliorem locum a prudentia obtineri,ha?c argumenta demonftrant. Pru - dentia in Mente confiftit,virtus in appetitu,quemadmodum ergo Mens Apu petitui pra?ftat,ita virtuti Prudentia.Secundo,virtutes funt quafi veftigia St radii prudentia? , in Appetitu imprefsi : Prudentia verft quafi lu* 8t Forma: Nobilior eft autem luxvnde radii emanant,& Forma vnde Exemjplaj W- ftigiumque:Prudentia eft per fe rationis particeps: virtus autem eatenus ra- Digitized by G00gle LIBER t t 4J tforiafif^idwr,quatcto^ morienti obtempercrhus, P'f udentia imperat quafi Bomina,modu 3 6rdinem- que pra?fcribit,pefficit, nam moderatur appetitiones, eafque coercet &r di- tto rationis audientes reddit : Virtus autem in obedientia potius quadam(vt dt&um eft)& in eo quod per ficitur,confideratur. Contra virtus, vt Euftra- tiusex Ariftotcle ibid.cap.n.inquit,finem bonumprudenti2eofFert,efficitq; fcopum propofitum agenti^redum; Ratio autem prudetiaueea inuenit,qua? ad fcopum refer untur,quibufque ilium confequi pofsimus. Vnde quemad-; modum finis nobilior & pra?ftantior eft, quam ea qua? coriducunt ad finem, ita virtds moralisqua? finem proponit, nobilior prudentia cenferida erit, qua? ad finem conducentia quamt: Cum pra?fertira dicat Euftratius, pru- dehteni non bene alicfuem efle poffe> nifi fines bonos atque honeftos propo- fitos habeat. Res ha?c, exemplo huiufmodi, planiorjreddi poterit. Videt A- dulter pulchram foeminam proximi fui,continuo exoritur in eo affe&io ve- hementior , nempe Amor, id fit , quia eius Appetitus non eft virtute, id eft Temperantia conformatus : quare Appetitus non coercitus , finem mahtfto ftatim Menti proponit , nempe vxoris rruitionem : Mens autem qua? Appe- titui refiftere nequit , feruiens ei , & quocunque ipfe ducit , fequens , viam excogitabit atque inueniet :quo hunc finem ab Appetitu a ratione nondum caftigato oblatum, id eft fruitionem illius foemina? confequatur. Quod fi adfmffet Temperantia , non adeo vehemens excitatus fuiflet amor , pro- indeque bonus finis, menti propofitus fuiflet ad confequendum : verbi gra- tia,gloria? Dei in pulchritudine illius f Gemma?, admiratio & laus. Refpon- deo,omnmo Prudentiam virtute morali nobiliorem efle , vt priora demon- ftrant argumentaiQuod vero attinet ad virtutis moralis naturam,quf$ finem reSum prudentia? & ageti efficitrdico,Virtutem non efficere finem re&um, nifi ipfa primum re&itudinis huius norma a Prudentia acceperit: Prudentia nanque irrationales facilitates caftigans , appetitumque coercens , confor- mans, atque rationifubiiciens,efficit vtvirtutes exiftant atque oriantur, qua? poftea finem re&um ex ratione nimirum accepta a prudentia,proponut efficiuntque. Id quomodo fiat,illuftrari poterit fentetia quadam Euftratii a- libi prolata. Cenfet enim ipfe duplicem in rebus agendis appetitum,dupli- ce'mque etiafnrationeminueniri; Prima appetitio eft, qua nulla adhibita confultatione ex re obie&a emergitrSequitur ratio,qua? demonftrat huic ap- petitioni velobfiftendum efle vel obfequendum : Rationis iudicio Appeti- tus afTentitur,quod confilium capi dicitur,Poftremo ratio viam inuenit,quf nos ad finem ilium facilius commodiufque deducat.Hoc modo fciri poterit, cur idem aliquado dicat prudentiam tempore antecedere virtutes Morales, alibi vero non nifi vna cum illis pofle reperiri. Item aliud efle, ex Prudentia contemplari , aliud ex Prudentia agere : Quar omnia nos fuo loco plunbus perfequemur.Nuc ad rera.Ide Euftratius tf .Ethi.ca. i3-diferte affirmat,Pm^ dentiamin aliquocoliocari lion poflfe,ni(ipoft quam virtutes morales ineo fueriot ingeneratar. Idcirco fomfle alii dixerunt, virtutem moralem non proprie efficere redum fcopum, fed prohibere tantum ne a cupiditate^ut Digitized by Google 44 ETrilCORVM aliqua alia perturbatione, aliquod inboneftum defi Jerium Menti offfi^tur, quod illi vim afferat: At prudentia ipfa eft , quae honeilum effe finem cogno- fcit,fibi'que ilium proponit,necnon ad eundem confequendum fe comiertit* Mihi prior refponfiofat probatur, quanquam alteram non improbem 3 quod eodem fere quo prior recidat , fed certe ilia firmior, tutiorq* & minus im- J)Jicita eft. Ad id quod opponitur , Refponderem Euftratium non negafle impliciter Rationem , quae appetitum coercet > at que conformat , pruden- tiam dici pqffe,cum eadem re prudentia & ratio fit qua? praefcribit leges ap- petitioni , quseque inuenit modum quo confequipofsimus id quod Appeti-r tus a prudentia coformatus taquam reftum ef ticit atque proponit.Id elicia ex verbis ipfiufmet Euftratii , qui quanuis Rationem lllam priorem nomi- ' ne prudentia? nuncupari anteadixifTet, poftea tamen ita fcripiit : Qupmodo u igitur multo pra?ftantior moralibus virtutibus prudentia non eft exiftiman- " da? cum & tanquam ratio re&a > difpofitionem &r modum a&ionibusprae- * c fcribat, atque imponat? & vt ipfa? turn bonos fines habeant , turn eos auequi '* pofsint,in caufa fit.Quare Euftratiusinnuere tantiim voluit difcrimen,quod inter Rationem primam fine contempIatricem,&: Rationem fecundam fl- ue pra&icam intercedit, vt verba illius acute intuenti patere poterit.Sed ex- oritur ex di&is alia qua?ftio : Qjoniam videlicet, an tea diximus voluptatem &foelicitatem,ferequidem inter fe non differ re : Voluptatem tamen efTe perfe&ionem &r expletionemfacultatis ex perceptione rei ortam: Foelicita- rem hoc pra?tereafignificare,vt in illafacultatis percipientts expletione, na tura? ctiam noftra? perfe&io vera fit a fit > ita vt voluntas ad facultatem,puta Mentem qua contemplatur pertinere videatur > Foelicitas autem ad Metera prout in rerum natura exiftit:Ha?c inquam fi vera fint,qua?ritur num in Deo talis diftin&io locum habeat>qui fimpficifsinn purifsimaq*, natura qua?dam eft, nihil duplex,nihil coagmentatu habens,& in quo idem eft omnino mens efTentiaque. Refpondetur,in Deo atque in beatis Mentibus fecretionem i- ftam voluptatis & foelicitatis locum habere^quanuis non re,fed cegitatione fola : In nobis autem & re & cogitatione diftingui patet: quandoquidem A- riftot. io.Ethi.fub finem cap. j.dicit , virtutes expeti per fe potuifTe , quan- uis nulla ex iis voluptas orireturrexplent nanque perficiuntque huirana na- turam : & eodem libro cap. 4. vi tarn nos appetere affirmat , & cum ea volu- ptatem , quippe qua? vitam alioquin per fe expetendam perficiat, Sed tamen bonis quoque externis indigere videtur* vt diximus, Non enim potcft,aut vix poteft, res pnsclaras is gererecui nulls fuppetunt facilitates. Permulta nanque geruntur veluti inftrumentis quibufdanijamicorum ope-  ra^diuitiiSjacpotentiaciuili. Etfuntqusedam etiam res, quibus fi careant homines, foelicitatis fplendorem inqui- nent, vtnobilitas generis, prbfpcra liberorans foboles, pulchri- Digitized by VjOOQIC LBER I. itf pukhritudo.Neq; enim plane beatus eftinfigniter defor- mis,autignobilis, aut vitafolitaria degens & fine liberis. A c mult 6 etia minus fortafle ,. fi cui fint liberi improbifsi- mi,vel amici,aut boni cumefleric,e vita excellent. Ergo, vt diximus > calem profperitatem,vita beata defiderare vi- detur.Exquofic,vcn6nullieodelocoFoelicitatehabeanr y acquegrandem prolperitate fprtunse: nonnulli virtu tern. Gftendit Ariftoteles in hac parte, fuam fenteHtiam de foelititate , neque ctiam ab iis qui rerum externarum affluentia Summum bonum definiebanc*. omnino diflentire. Externa nanque bona et'fi in foelicitatis vi atque natura non comprehendantur,vult tamen requiri & neceffaria effe,vt inftrumenta. Quaprooter reprehedebat 7.pol.ca. i3.eos,qui in externis bonis caufam foe- licitatis iita effe arbitrabatur, perinde ac ft quis caufam fcite canedi fid i bus, lyra u potius quam artem diceret. Hoc, fmgulabona externa percurrenda iHooftrat:& nos ipfius veftigia fequentes figillatim explicare volumusrSum- ma nanque totiusxonfcextus & or do connexioq; partium eiufdem,fat feipfis norafunt : Seddicanrus imprimis : Exhoclocanon- minus colligipofle con- feafum quendam Arift otelicap de foelicitate fententia?,cum iis qui quarftua- riam vuam amant,quam cumiis qui voluptatem amplexabantutiNam fi bo- na externa & corporis adfint in foelicitate , qui* fieri poteft, vt non maxima? femper voluptates percipiantur? (Bonis externis). Super iusdiximusqua?- nam Bona externa effent , ea-item alio nomine Bona fortune appellari. qua- quam vt dicamus hac voce bona etiam corporis Ariftotelem hoc loco com- pledi, nil prohibeat, vt patet ex verbis qua? fequuntur. (Non enim poteft aut vix poteft res praclaras is gerere,cui nulla? luppetunt faailtates\ Tanv bona* externa omnia,quam corporis , atque etiam. animi qua? tamen a natura nobis coatingurit,vt visingenii,ingenerefacultatu comprehenduntur: vo- catur autem facilitates, quonia dant nobis & bene &.male agendi poteft ate. Inter externa bonarprout proprie accipiuntur, Amici pra?cipue funt , quan r quamimernu etiam bonum amicitiameffe, fuperkis dixerimus. Sunt autenV Amici expetendi,pfopterinnumerabiliacomoda,qua? hvvktutum muneri- bus funeendis,ab illis proficifcuntur : Nam qui a multis amatur, magna ha- bet apudiuos autotitatem,acillimeque a illis perfuadebit qua? fibi facien - da videbuntur : Hominis enim beneuolentia multorum muniti , eonfiliis & monitis maxima femperiiabetur fides,ficmultas acprf claras occafiones fu$ i rturis declarada?,vt comprimendoru tumultuu,fcdandaru moleftifiimaru ieditionu,infinita'q-, prope ac fingularia Reip. comoda afferedi habet$moda> virtute duce fequatur. Plut.in Poli;refcrt,fide Archyta? habita,& beneuel- tiam ciuiu inBa^H,magnopere iis profuiffe,qui pofteaeoru confilio &operai vfi funt.^otra ver6,Caflandram vaticinatem,patria? faltiti effe no potuifle*- quod nulla ei fides a fuis ciuibus haberetur. Vnde &illa Poete carmkiar Ac veluti populo in iuagno cum fa?pe cooru eft It tized by G00gle Digitiz  furor arma miniftran Turn pietate grauem, ac meritis ft forte virum quern Confpexere, hlent, arre&i'fque auribus adftant, Ille regit di&is animos, ac pe&ora mulcet. Aditu ergo ad magna capeffenda, Amicoru copia prgftat :eadeq;(prudetum pre fertim bonorumq; virorumara populus vt bdlua multoru capitu eft , ita paruis rebus mobilise fibi ipfe non conftans'.proindeq*, fa?pe accidit vt que antea aroauerit paulo poll odio profequatur)armat iaft ruitq-, tota bonorum vita aduerfus obtre&atoces toimprobos : plebeiorumitem &patriciorum, nobilium 8c ignobiliu,diuitum inopumgj , magiftratuu 8c priuatorum vires ?quat.~ Carterum amicitia eft etiam per fe ipfa fummopere optabilis , vt A- riitoteles alibi dicebanpofsidere nanq, animos hominum, quod dura amans aflequeris, eft animi noftri intima quardam exoletio abfolutibq,. Quod hinc paterepoteft: Inter eaqusefimiliafunt^iaturalisqua?dani cognatio reperi- tur , vt i.rhet.dicebat Ariftot. quid autem hominis animo fimilius quam al- terius hominis animus, fi prapfertim iifdem ftudiis teneatur , eademque vir- tute fit prarditus * Omitto in prafentiacomoda qua? ab aimico proficiftutur, tarn in aduerfis quam fecudis f ebus,que Plutarchus in libello fe etia alia externa bo- na. Accipiuntur autemtanquam inftrumeu virtutis & f oelicitatis , id eft ad ilium vlum,vt virtutis munera,pra?fertim verb liberalitatis ac beneficentia? exercere p ofstmus,Vt nos, famitiimq*, noil ram virtutibus ac difciplinis ex- ornare, vt ciuibus iifq-, quos amamus adiumeto & ornamentoefle, tandem- que,fiexuperatiaqua?dam bonorum externorumadfit cum yirtute perfe&a planeq; Heroica, bene de humano genere raereri valeamus. multas quoque 8c prarcla- ras occafiones praebet illi fefe patefaciedar* Ignobiles vero 8c noui homines minus habent quo id queant efficcre : priore enim obfcuritate,praefens glo- ria, apudMultitudinemcomaculatur.Nobilitat is autem tres conditiones e- numerat Arift.4.pol.ca.4. Diuiti?,Generis honeftas, Virtus, Do&rina: Vox tamen ilia Generis ad fingulas conditiones accomodandaeft,vt liquet ex eo- dent), pol. 8.& 4.pol.8.ciim inquit.Nobilitatera generis nil aliud efTe,quara veteresopesatquevirtutem.Hancduplicemftatuit idem i. pol. ca* 4-Vnam quam vocat {implkiter 8c abfolute Nobilitatem,id eft vbique 8c apud quof~ cunqae : alteram vero non fimpliciter fed domi tantum honoratam. De ilia loquebatur Helenaapud Theode&em cum diceret, Vtrun- Digiti zed by G00gle LIBER I. 147 Vtrinque Diuum ftitpe , me quis Kcu fatam Seroam vocare pofsit, aut dignum putetl Barbar os autem apud feipfos , id eft domt tantumnobiles, vocabant G rxeu . Nobilibus proxime adiun&i funt Liberi,quibus opponutur Serui, item Ho- neftis paretttibus fiue honcfto matrimonio nati,quibus opponutur Spurii & Nothi,vtmerit6 in aliquibusCiuitatibuS) hi pro nobilibus non habeantur, ilkfquepublicamuneranegociaque non mandentur , quanuis ex nobilibus parentibus fuerint procreati.Qui fieri nanque poteft vt iftiufxnodi homines, automate apud fuos dues valeant, cum in omnium animis infitum (it , Vt ex homine homo 8c ex belluis bellua generatur, ita ex bonis bonu atque ex roar lis malum.procreari* Arift.i.pol.c.4. Proideq;Helenam.fediuinaftirpeg?- nitam iadabat, quia videlicet maioribus fuis fe fimilem eflfe videri volebat. . lam verd Seruis facultas virtutis atque prudentia? eorum oftendenda? deeft, cum ex alteriu&prudentia & confiliis pendeant.Item expletijm nuquam ha- bere animum poffunt, cum fuperiorem habeant, cui pacere continent^ de- beant.Hinc fit,vt tarn ardenter in Rerumpublicaru adminiftranone libertai exoptctur.Quod fi natura Seruus iit,de quo Arift.i.pol.is plane inliabilis ad N vita? beatam poflefsionem eft.Profpera vero liberorum foboles 8c ipfa pro- pter illam caufam expetenda eft,vt maknafimus autoritate,& iis munhi mi- nus obtredatoribus improbifque 8c vim inferre volentibus fimus expofiti: quanquam etiaui in hoc>aliqua natura? expletiointima confideretur.Hinc a- doptiuorum filiorum creatio , qua? or&tatis veluti folatium quoddam inuen turn eft: ClasnSte videlicet natura,Homini non licere vt abfq; fucceflforibu* ex hac vita decedat , crudelifsima item 8c prorfus ferina monflruofaq; exe% pla ilia Cleopatra? &Catiling,noftriq; temporis'Solymanoru Iftiperatorum> Turcaru^habedaefle:Iilaenimqua?^Antiochi AflTyria? Regis v*xorcrat,cum duos haberet filios S?leucum & Gryphum,vt Tola regnaret>Seleucum primer interfici curauit, deihde Gryphum veneno fuftollere conatareft : Ifte autem pubefcetem vnicurafilium fuftulit, vt nuptiis Qreftilla? pradtuitisfoemuia? potiretur:Hi tandemcum nihil dulce putare videantur -, pra?te quam tuto regnare,&rfilios 8c nepotes non femel interfici iuflerunt. Bis erat apud Ro- mano*, trium, qutnque,& feptcm filiorum,& noftra hac teropeftate ius du- odecim Mafcuforu feruaxi etia folet,vt videlicet qui duodecim fitters mafcu los genuerit,is quafi de Rep, optime meritus > aBomni tributo fit immunise (Pulchritudo).Hexno pertinet ad exterminated ad bona natur? fiue cot. poris,vt fuperius diximus,Quare liquet ,hoc loco nomine Lxternoru bonora- omnia qua? no fit animi fignificari oportere, rfS *fe* 4^ *YL^\ynfc* i> w ^ixT^Pukhritiufine aute & afpe ftus digni- tote, muku ad co'mendatione hominu pofle , mirificlq; hominesad amandu- allicerc&in fumma,virtute exornarcperfpicuu eft. Vnde illud fumi poeta?* Gratior 8c pulchro venien s in corpore virtus, Refert ite Arift. antiquitus ad illos Regia dignitate deferri folitum efle,qiuV corporisjHikhritudine quada infigniori pr^diti confpictrtur,qu6d viDifcrime inter bonaxorporis (iue natura?,&Externa fiuc Fortuna:illa naq; &per fe,& ob alias Caufas funt expetedaiperficiut eni atq; explet natura human a , nepe quia ad virtum munera obeuda plunmum profun t,hjc vero jppter aliud ta turn no per feipfa exptantur.Ex quo duo colligo,primum:Bona externa, in partibus foelititati s nuJlo modo nuraerari,fcd tanqua illius inftrumeta tan- tu accipi:Bona vero corporis,partes quauis no primarias^foelicitatis ceferi, fiquidem corpus pars hominis eft,cuius Beatitudinemqugriinus, ftatus aute optimus corporis a natura expetitur. Altef u elicio , aimiru dubitatione qua infoluta reliquit Arirt.10.Ethi.c4. Expetaturne vita( videlicet )ob volupta- te,an voluptas ob vita,nuc pofle enodari: Viucre naq; fi fit aftu nutrtri,nutri tio aute,fine dubio natura human! expleat,qux ftatu fuu optimu ac diutur- ru adaraat,fequetur,nos vita efle appetituros,etia fi nulla afferretvoluptate, proideq; plus quoq; vita? quam voluptati tribuendu efle:vnde dicebat Euft. voluptate ob yita efle,non cotra,& natura nobis voluptate dedifle,vt ad ali- mentu qu^redu induceremur,&nutriremur, quaqua ita voluptate atq; vita inter fe comifta efle Arift.dicat,vt vix feparari queat-Secundu verb & prx- cipmi annotandu eft,Stoicos rigidos homines &feueros>vt ex 4.1i.de fin. bo. &md.M.Tul.liquet > multis argumetis refellerehacPeripateticoru & Aca- deraicoru fententia>qua nepe affirmatur, Ad virtute>fiHomo vere beat 9 effe debeat,multa alia adhigenda efle.Soniant eni ipfi,fe homines efle obliti,foeli citate quanda non humana,quauis hominis effe ilia dicat, Proideq; nihil ef- fe bonu,pra?ter Honeftu,in eoq; vno cofiftere viti beata putat>Honeftu vo- ate$, A&ione ex virtute bene & laudabiliter fa&a.Quare virtute ita fatis ef fe ad beata vita efficienda exiftimat,vt neq; alioru accefsione bono ru, fit bea tior, neq; difcefsione minus beata, qu;ite neq carcere,neq tormetis,neq do lorib 9 vilts aut egeftate feruituteue, aut exilio pofsit impediri: Virumq forte acveue faptente totu ex feipfo pedere, neq humanos cafus neq fortuna? mt- nas expauefccre^nec jllis fi accidat vnqua fragi; irao iftiufmodi cafus illi no effe mala,vt eni nihil eft bonu pra?ter honeftu, ita nil malu prater id Stoicos a Peripateticis in re hac difcefsifle,quonia videf e non potuerint,quomodo Foelicitas bonu perfe&u ftatui pofsit,fi in eo ftatu homine qui feme! lpfa habueritno collo- cet,vt fortun? cafibus amplius no fit expon^tus,nullaq formidine comutatio- Bis,obtemeritate fortuna? detineatur,necno totusfit aptus e fefe,^ mhilo ea duceni5,q vulgi opinidne amplifsiraa funt, i.Corporis &Foituna? bona: Yerii vt fuperius quoq diximus, non plus Stoicis qua Peripateticis (quod ad bona corporis &ibrt!ufl attioet)de nomkie duTer^tia eft:Illi bona nolut vocare> Digitized by Google LIBER I. 149 fedfuas nouas apppellationesadamat,hi bon^ vocat cu vfitatu vocabulu re- tinere Yelint.De toitunae autem tormentis doloribufqodiuerfitas aliqua eft. Aflerut illi,Homine fapietem in fummis etiam calamitatibuspofitum,beatu e(Te:Hi vero,Foehcitatem noftrinon vfquequaq; ftabilem celent. Hominis enim natura cum (implex non fit,fed Mente & corpore conftans, fi quis vere beatus nuncupari debeat , hunc tarn Corpus quani Mentem^qua? optime fe habcant, obtinere neceffe eft: Atqui natura mentis ftabilis eft & imr^ortalis, corporis veromortalis&fragilis: Fgelicitas ergo hominis partim ftabilis, Ertim caduca erit; prarftat aute Mens corpori infinitis prope partibus:Foe- itas itaqueex virtute tanquatn ex prciiantiore , & maiore fui parte , qua? ftabilequoddam & firrnura eft,bonum ftabile & firmum nominabuur.Qva^ propter fi quis erit Mente optimal virtutis perfe&a: ac firma? prcfidio mu nitus,vix ac ne vix quidem de ftatu fuo deiici aut deturbari vnquam poterit. Quod fi cafus aliquos fortuna inuehat , quid Homini in pofiefsione foeli- citatispofito fiat, cap. io.dicemus. Nunc verba nonnulla contextus expen- damus. (Sed tamen bonis quoque externis),vt partibus fecudariis & inft ru- mentis,non primariis. (Non enim poteft, aut vix poteft).Mirum eft,fi Stoi- ci de foelicitate Politici hominis loquerentur , eos ita opinofos fuiffe vt pa- radoxum hoc propugnare voluerint-.Prudenttm videlicet, in ipfis etiam ve- hei&etioribuscalamitatibus foelicifsimumeJQTe: Nam aliquibus quidem vir- tutis muneribus, vt fortitudinis, temper antia? que, fungi poteft eo tempore fapiens, fed non iis quae maximeab homine Politico defiderantur. Ad hare fortafle refpiciens Ariftoteles,illis verbis vti voluit^i^Ww,*! oi *& ETHICOJLVM tatentagemis ,vitia debet atqueoptime onmium poteft agnefcere,vtpote Eropria,aut vxorisifere nanque filii a parentibus mores omnes fuos contra* unt.Illis quamprimum cognitis, ftatim pater falutaria remedia ad euelleri- das vitiorum radices nondum alte infixas adhibere debet. Vnde ilia: Principiis obfta, fcro medicina paratur, Cum mala>per longas conualuere moras. In puerili ergo ilia state education is, difciplina?que optima? curfum a filiis inftitui,curetvigilans pater, fivelitabiis,magnos ad virtutem progrefliis poftea fieri: Vnde &Gra?ci educationem 8c inftitutionem mu^a** vocarunt, quod in puerili pra?fertim state adhibita plurimum proficiat. Ne vero in amicos improbos , aut ingratos {fi fieri poteft ) incidamus,pra?cipuum illud nobis cordi efle fummopere debet : vt eorum beneuolentiam qua?ramus, qui ftudiisiifdemteneantur,eademq;virtuteprxditi finr.vixenim poflumus noftrieffigienvd eft amicum qui noftram raciem referat,fallere, 3c no con- ftantifsimo fummoqueamoreprofequi. Vulgarium & plebeiorum hommu beneuolentiam,vulgari quidem amicit ia colas(omnium fiquidem hominum amor exoptandus eft ) non magni tamen a?ftimes : popularis etenim gratia mobiliseft,atque inconftans, quod ab animis,qui aut ienedute defipiunt,vt Plato de Athenienfibus ait, aut falfa opinione imbui facile a quouis poflunt proficifcatur: Contra # Prudentum 3c bonorum virorum beneuolentiagrauis 3c conftans habetur.Si hoc vnum prf ceptum non profit >nil certe nobis prf - tervotafuperfunt. (Talemprofperitatemtp/fitaMU'). Ifta nanque omnia bona,a fortuna immitti antea expofuimus. ( Ex quo fit, vt nonnulli eodem loco habeant foelicitatem, a?que grandem profperitatem fortuna?) . Quo* modo locus hie ex fuperioribus deducatur , liquet ex quarftione quam pro- xirae in medium attulimus:& verbis iis qua? initio 9. cap.i. magn.raor. ha- " bentur.Eafunt:Poftquamdefoelicitatediximus,de profpera fortuna di- " cendum nunc eft. Arbitranturenimmulti Fo?licemvitam,fonunatamefle u vel non efle abfque fortuna;& id fortafle non iniuria , cum abfque externis C bonis quorum domina fortuna eft, foelixquis eflenequeat. Quanuis ergo horum fententia ad illam referri pofsit, cm bonorum exrernorum abundan~ tia, fummum bonum erat, 3c de qua fuperius difputatum eft, non tamen ea- dem prorfus cenferi debet , cum ha?c de caufa efheiente Foelicttatis- extrin- fecus pofitaloqueretur , ilia vero de efficiente interna , qua? loco forma? a Dialeaicis cenfetur,quod per earn res confiftat 3c cofcruetur. Eft autem fe- Cunda Fortuna duplex,quantura quide ex Ariftotele colligi poteft, i.de phy. aufc.& x. magn.mor.ca.9. item 7.ad Eudem. cap. 17 , 3c 19. necnon in lib.de bon.fort. quapdam qua? bona fortuna, a bono euentufortuito, in quern fine alicjuo impetu vel animi propenfione tendit operans, vt fi quis paftitiandaru yitium gratia, terramfodiens,Thefauruminueniat,huius efie&icaufara eflfc Fortunam diceret. Ha?c non multum ad foelicitatem conducit,quoniam rard > & abfque vllo impetu, vel particular! propenfione obuenit. Qua?dam vero cum impulfu aliquo fit ad bonum ipfum , a bonitate nafura? profe&o, Afquc ratione tamen , imo fortafle etiam reclamante ratione : vt fiquis quae- Digitized by VjOOQIC LIBE1L I. iji quarfat cur ita feramur, hoc ynum refpondere pofsimus , Nefcimus, fed ita jubet : Et bxc foelicitati copulata eft : Quare definiatur Bona fortuna dupli- ctter Jioc modo: Bona fortuna eft concurfus quarundam rerum , nullum in- ter (e ordinem ac nexum habendum , nobifque propter confflium atque in- ftitutum noftrum contingentiumrex quo effedtts quidam bonus atque opta- dns nobis eueniat: Contra fieffe&us malus ac deteftandus innostemereex iUoconcurfu proficifcatur, Aduerfa fortuna nucupatunquam Ariflot.i.phy. 5*. vocat ri%tT kyadiv , rv%*t ^xiy. Alia dcfinitio , Bona fortuna eft vis fine Natura hominis,afuperioriprincipio illi impartita , qua* prompt us eft ad fequendum quociinque impulfus vocet : banc autem vim & naturam proxi- rnead certas quafdam caufasvtadparentum conditiones,ad fydenjma- fpedus referre oportet,poftrem6tame ad Deum,vt ex Ariftot.inferrius co- gnofcetur. Neque eft quod aliquis dicat , Ea quar natura fiunt , non rarer & inordinate, fed plerunque & ordinate euenire , quandoquidem natura? vo- cabulum iuxtaea tantum fignificatione hoc loco accipimus, quam Ariftot.i^ pol. & alibi fexcentis in locis vfus eft : cum verbi gratia Hominem , naturS Polit tcum aaimal effe diceret r quo enim modo,H6mo ex fui natura Virtutis capax effe potcft, quia Mente preditus eft: ita Homini conuenit a Principio aliquo akiorr in Homme extftente, fine aliqua pra?cognitione,ad profeque- drnn aliquod bonum > cum appet itionc moueri. Quam naturam plerunque agerenonneceffeeft:quemadmodumetiam,quanuis natura? hominis con- tieniat virtutis & foelicitatis effe compotem, plures tamen reperire eft. vir- tutum & foelicitatis expertes,De hac bona fortuna loquebatur Ariftoteles t+ phy.58,cuminquit)0i//bcS$077 Jb*wwn*viitVI) Tn'Zjki^ifj'drfvjfani- jfw. Quo in loco obiter annotabo 9 Ariftotelem in z. de phy. aufc. 'Julvvdz nomen, non ad bonam & profperamfimpk'ritcr fortunam accomodare, ied ad illam qua? in excellenti aliquo magnoque bono fita eft, qua qui vtitur V&- 7v%* proprie vocatur:contricA;^^fV qui in maximum aliquod incident ma* lum,maxima'que incommoda & aduerfa patiatur,quale& Priamus atque He- cuba dici'potuerunt.Eft autem Foelicitas magnum bonum , idcireoque it7*~ ^t quardam ab Ariftotele cenfetur, non tantum kyt^i 7&gp.Sed redeo ad co- tcxtuminam de fortuna, in fequentibus copiofius adhuc agemus. (Nonnulli virtutem). Qui videlicet alia qua? in fuperiori contextu diximus > animad- uerterum, nempe, In aftionibus ex virtute , omne bonum pulclirum , atque iucundum exiftcre. c a p v T IX. Ex quo exoritur quzftio, vtrum Do&rina, vel Confuc- tudinc vel aliqua alia Exercitatione Beatitude corrjpara- ri poflitfan potius Diuinitus,an etiam Fortuito ebuemat. E t ccr cc Ci quod aliud munus aDiis eft Iionnnibus datum* prc&ftoiC^Brencaaeameft^eatitudincmquoquca Diis btiuK Digiti ized by G00gle ifx ETHICORVM immortaKbus donari,eoque rnax!me>qu6drerum huma* rum optima eft. Sed hoc foicaiTe ahcrius diljputationis proprium eric. Exoriturex his qua? proximo di Vim quondam effe,caufam per acridentcume(Fe&uonne&entcmiilliufque efFe&us fortuita caufa fuit , ex ele&i- ooe& confiHoegerit. Ari&qt. t. pliy. cont.59. Eft auttm in iis qua? alicuius ijratta fiunt , id eft in iis quae- ex eorum numero funt qua? non dico fieri pof- unt, vtplertque) fed frutttaljaiius gratia : quanuis cum in fortuna referu- rur, turn aticutus gratia minimefiaiu. Earumautem rerum caufa Fortuna dicitur ^qua? non nectffario feniper,non plerunque , non ex a?quo, quicquid Simpl, 8c Auicenna , ^pro hi&Neoterici dixerint,fed raro eueniunt : Vt in fodienda terraThefauri inutntior Quod fie intelligo,vt ea qua? fortuna? tri- buimus in iis quidem intexdum accidant > qua? plerunque efficiuntur , raro " tamenipfaeueniantc Vnde Ariftot.t. phy. cont.51. non dicebat , fi quis pie- jrunqu^in forum proficifcebSi fed iiquis plerunque pecuniam acciptat>id foauit^-non effici.Noto primum quia volun- tas, aut a&io a vojuntate inftituta vt fofiio, profeftio, quajn Fonunam nun- , cupamus>eum finem qui coofequitur propofitu nonhabebatfed alium que-, piam qui per fe effc&us eft. Vnde hie eadem caufa ad diuerfa relaca >per Jfe & ex accidenti' caufa eft.De aliis vero caufis per accident id diei nequk 9 qua? . quanuis in caufis per fefint,abillis tamen dilUngwntur. Colligo ftcundo, Fonunam ac Mentem in iifdem verfari : eledio nanque non fine Mente fit, proindeqiie Fortunam necefiario in rebus agendis effe fitara ; proptereaqwe jd> Ariftotele Fortune grandem profperitatem>aut idem cumFoeliciuteef- ie qua? dtj^$i* eft ,autillicogiiatam alio loco cenferi. Inrcbusiinquaro>a- gendisnon tamen inoralibus,& qua? bona animi dicuntur, nam tfta tnpofce- ltate noft ra funt, & Mente dirigutunagimos enim quando, quatenus & quo modo oportet. Erie igitur in bonis externis. Colligo tertio quod dicebat A- riftot. Quanuis fonuna locum habear in iifdem in qnibuaMens verfatur V- bi tamen plurimum Mentis eft, ibi minimum Fortunam dominari.Htnc ru- des, & indociles > infiptentefqtte profpera fortuna plerunque vti folent : I- ftiufmodi nanque homines fine prudentia&conftlio,folo naturar impulfu du&i, nullamque fui motus rationem reddere fcientes , agerefoient, proin- dequeeodemmodo plerunque ad boniun ferri dicuntur. Quaratione Ari- ftoteles dicebat , Antiquum &peruulgatum effe prouerbium,Benc fortunatis confulere non expedire. t Thomas in 4.fent.dift.4.q.i. art.i. ad $.Fortima & Foclicitatem crrca idem quidem fubie&um , non tamen circa idem obte- Sum verfari dicebat. Hare de Fortuna in prsefentia fat efto. Cafus eft Cau~ fa efficiens per accidens,in his quf alicuius gratia fiut,fimplictter & folum, id eft abfque deledu,Ariftotel.&. phy. 61. Hocmodo in rebus inanimis , bel- luis & pueri&ctiam cafus inuenietur : Vt Tripos ficadat, & cadens fubfelliu fiat : Equus ab hoftibus captus,in aliquem locum adueniens vt biberet, a Do- mino fuo feruetur, Infans ludendo > margaritam inueniat. Caufam in nobis : voco*qua?avoluntatenoftra immediate proficifcitur. Dodrtna? nomena Do&ore fumptum eft,vt Dif ciplina? a Difcipulo:Quare nihil aliud eft quam AdioDocentis,difcipulum perficiens.Conuenit hocnomen Stientiis,Arti- bus,Prudentia?, Methodis,Ordinibus, Vcaufas fupra enumeratasapud Ariftotetemtollit, vt male- Cicer.exiftimauit in lib.de fato. fiquidemprarterPtiouideotiam&Neceffr- tatera quat a Prouidentia pendet, Ariftoceles vt audiuirausantea^ Cafum m natu- Digiti zed by G00gle LIBBH L y iff 4MturaHbu*confltuie, Sc materiam contingents* caufam efle dkit, *.meta. ;.*.&V* Item 9neque legis difpofitione facit. t vt hoc monftretur , Non omnium efficiendorum potcftatem fecundis quibufdam caufis communicauit , fed quorundam fibi tamum referuaui t :Item,qu?dam permittit,alia infinuat per fe, alia per mi- mftros immateriales & extraordinarios* qua*da per materiales>alia per prin cipia atturalia nobi'fque cognate la fumroa,oronia Poteftati eius contingl- tia funt, Scietiti* neceflaria,vadc & fupra omnem Contiagentiam & Ne- cefsitatem ipfe confiftit. Sit igitur Fatum vis jpfa Diuiaz prouidentia? , fc- ctmdartis caufis inter feordinarisinferta, per quam inferiera in fuos fines ftraordinatos mouetur.Tho.i.par.fum.q.tf.art.i.Hoc modo dicimus,Fata~ e eft, ver efle cum Sol eft in Ariete, Socratem hoc die nafci , tanto tempore vixifle , Philofophia? moralis efle peritum : hoc nanque quod praordinaue- ratDeus,5idera , in tak fitu atque afpedu pofita exequuntur. Colltgo , Fa- tum afkirtuna diftingui, quia in Fortuna^iulla eft prarordinatio nulUimque operant! s propofitum : in Fato vero,eft prarordinatio fummi ac prapotentit Prinripis, quaratamen fecundariar caul* exequuntur. Natura eft vis & po- teftas eadem Dei, vnicuique ret infita, ad motus ordirtarios. Huic opponi- tur Fortuna.Quare qui Necefsitatem tanquam alteram caufam ab his enu~ meratis diftin3am,introducunt, Necefsitati vim inferre videntur,qua? exi- git,vt fi pro peculiari quadam caufa ipfaconftituatur,Contingentiam etiam pro altera caufaillioppofita,definiamus:Necefsitas ergo Contingentiaque Caufas quidera enumeratas circuut, non tamen ipfar pro caufis ef (icientibut propriecenfentur. Ex quibus omnibus liquet (paulatim enim propius ad noftrum propofitum accedere volumus) Fortunam non efle Cafum^ion ef- fe item Mentem,prout ea vel docemus vel difcimus, vel afluefimus , vel nos exercemus , aut quolibet modo agimus. Mens in nobis eft , Fortuna autem fiue bona , fiue mala,in noftra poteftate fiu non eft : quare quod iufti , quod dodifunms,fortunaracceptumnonrefertur,fednobis. Item vbi Mens, ibi ordo &certa aliqua ratio adefta.mag.mor.ca.y . quf vero fortuito accidut, Am t omnia inordinata & prorfus inopinata, imitabiliique. Vnde & aliqui dMEerum Fortunam nihil aliud efle > quam priuationem quandam Scientist Digiti zed by G00gle i*tf ETHICORVM atque conGUi>ac omnino prudentia? & rationis inopiara. Et pterique Vetc^ rum turn Poetatum tumPbilofophorAim, ipfam cream faciunt;, infanam & furdam : necnon AriftotjLmctaphy. *.7ttieidji[lv%if produxiffe fatetur.,Con- ftat item,Fortunam ,taon cflc Dei prouidemiam , quanuisconriogat ex pre- uidentiaDei : veluti 8c Fatum, & qua? libet aliaEfhciens caufa a nobis antea commemorau. Nihil enim ne paulum quidem vel neceflari6,vei continge- ter moueri poteft, non dirigente voluntate Dei.Quare miror cur Ariftofeles fortune euenta ad Prouidentia Dei referre dubitauerit,quod accideret per- fepe Improbos fceleratofque homines? fortunatifsimos effe , Probosautem 8c fapientes adueriii fort una confli&ari. Verebatur enim, ne fi id admitteret, Deus iniuftitix.condcmnari poflet, i.magn.mor.cap. ?. cumprtffertim, v> ros probos 8c fapientes |rnet,illifque benigne Temper $cere velit, * f,cOOvx. 77 xp7/oM , Id eft, omnia mouentur ab exiiteme in nobis numine. Rationis autem principium non Ratio, fed pra?ftaiuius quippiara ipfa ratione. Ac fi diceret : Honnoi ad res gerendas, fortunam diuinuusefle adiun&am. Imo lbi laudat veteres dicentes, Fortunatos a Deo mouc?*. Hac eademfuperftitioneaddu#us, alibi Diuinationem per Sojaniun* ad.Deum refer ri non vult.Sed nos qui Chriftiani fumus, exiilimare debemus, cur im~ probi aliquando omnibus fortunae bonis circunfluant,probi autera 8c fapie? tes calamitatibus opprimantur , tandemque omnium tametfi nobis occulta- rum rerum , aliquam fubefle & verifsimam caufam, quam nos ob infirmita- tem Mentis noftr* perfpicere no valemus. Communis ilia eft & certiftima* Gloria nempe Dei, quae: fefe vbique 8c omnibus fiiodis vult patefecere.For- tafle autem Ariftotelis animus de hac re non dubius fuit, fed id prof erre vo- luit,ne improbis ac fceleratis hominibus , qui ex prafentibus tantum de be- neuolenua Dei erga fe ratiocinantur,anfam fuperbietidi pra?beret.Hoc col- ligo ex verbis eiufdem in %.Rhet. cap. 13. vbi peruulgatam lllam fententiam laudare videtur qua? dicebat,Deum opes quam maximas multis largiri, non vt fuam ergo illos beneuolentiam teftetur, fed vt illuftriores poftea calarai- tates patiantur. Veruraifta omnia alias intimius &copiofius, nunc quod Moralemagamus, ilia quanuis non vndequaque Peripatetice, verifsime ta- men attigiffe,fat efto. Nunc ad contextum. (Siquodaliud munus): Deum Hominibus multa imo omnia Bona dediffe dono , 8c continenter dare , fate- tur Ariftoteles hoc loco 8c fexcentis aliis : fed afcendamus ahius , Deus qui verifsime vera Foelicitas eft, nobis feipfum largitur , etfi eius vis atque na- tura infinite no ft ram excedat. Ea nanque eius benignitas eft, ea fapientia,ea poteftas, vt in fe manens infinitus , nobis tamen finito quodara fe impertire modo , & velit , 8c i'ciat , 8c pofsit. Hanc autem Dei couimimicatione^i ii Ph ilofophi aflequuntur ., xjui ex hac vita decedunt, fenfuque ipfb mortis ca r rent ,id eft quorum animi amore contemplationis Dei flagrante?, ante cor- poris diffoluticHxem ad caelum ^fcenduntjainicitiamque cumf)eo cootrali^ revo- Digiti zed by G00gk re tolunt. Qm iiori nanque alter poflct, ctjm^mkitiaa^ualicatem qnand requirat?Quapropter qui Deum amant in Deum conuertuntar 3 ac pr*tcrea cum amor amorera pariat, a Deo anaamur; Ita non raodo ilii in Deum > fed Deus in ipfosconuertitur: Amoris enim proprium eftiamantem in amatuni plane conuertere. Non*nodoinamando,fedinintelligendo idem eucnit, Nam Cum infinitam perfedionem Dei Mens noftia , 4ut etiameseieftes ilia? nientescomprehehderenequeant/ed quantum poflbnt: effrcic ^ertefe no- bis fatis apqualem ,teles hoc loco dubitare pofsit,Num Fodicitas (it Donum Dei,neque enim de Foe- licitate altera loquitur qua? Deus eft. Tunc enim nemo dubitaret , an Deus iehomini donet. Hoclocononpraetermittam Ariftoteleminy. adEudem, -cap. 18. dtfene concedere>Effe afiqiitmF alicem non confilk>& opera pro- pria, fed numine Dei adiutum , ita vt eo inftigatus atque excitatus eaperfi- ciat,quar fupra liominum expedationem iunt , admirandaque &infolita profperitate in adionibus maxkne gloriofis atque itkiftribus,4]ua*que hu- tnanam condkionem fupecare videntur , edendis vtatur.  Non negat tf tiara ex quodamanimi Fursorcexiftere in nobis alrqua fpeciemfoelicitatis , prio- ri tame minus contkiuatam atque frequent em, vt ex eodeVlococognofci po- teft : Priori Foelicitati quamDiuinam vocat,Virtus ilia Heroica tortaffe re- fpondet,quam Priamus in perfona Hedoris celebrabat, & Ariftotel.y.Ethiu cap. i. raram efle , ex Laconum fenteiitia affiraiabat. Eiufiiem virtutis effe dicebatur in Polittcis , Regiiu filiis improbis no relmquere ob earn caufam,  & (vt dicum) Imperia- li , cum Marito fuo Optimo 8c nobilifsimo viro* compatreque meo , necnoa cumcharisfiliolisEuangeliigratia,viuentem>obEuangelii caufam harrc- ditate plufquam quadraginta millia aureorum,fpoliauit : Sed repetet om- nia Dominus, cui res innocentum eordi funt, loco & tempore. (Sed hoc for- cafle alterius difputationis). Non poteft ha?c quxftio legitime diflblui , nHt de Dei Prouidentia iimul difputetur : non poffuraus item quicquam de Pro- uidentia exploratum habere, quin de cognitione eiufdemagatur : Quae om- nia in 4uodccimometaphyficorum determinant^ ,aut alio etiara Ubrode-; Digiti zed by G00gle tjt fTHICOlVM terminate fune quiad noftras manus ha&cnus noo peruenit.Obitrit.D.Mar- tyr, potuiffe Ariftotelem nuitno tantum do&rina? a Metaphyfico acctpere* quantum fateflfetadfuamfententiam aperiendam, veluti de Anima'indc- cimo tertio capite huius libri fecit, vbi ex Phyficis tantum defumpfit, quaa- turn adVirtutumfedem&materiam ponendam faciebat. YerumerratD. Petrus Martyr :primum, quia non potuit Ariftoteles hoc loco (ignifican- tiusloqui cum ita argumentatur : Siquodaliud eft muous a Deo ho mini- bus datum , confemaneura eftquoqueBeatitudinem a Deodoaari: Fate- tur primum Ahftoteles,quanuis hypothetice loquatur. Nam 10. ethi.cap.8.  ita loquutus eft. Nam fi aliquam Deus humanarum rerum curam habet,fictit ( apparet , confentaneum eft ipfum , ilia re qua? optima eft , atque ei maxime c cognata deledari,qua? eft Mens : Eofque qui earn excolunt,amant,atque ho- c norant,rauneribu$aDeoaffici.Alia6V(vtitaloquar)fexcentaloca extant inquibus hoc idem teftatur. Non negat igitur Ariftoteles aflfumptionera, quareconclufumquoque probat, Indicio eft, quodquanuis dicat poftea, F oel icitatem dodrina & afluetudine comparari , illam tamen Diuinifsimam vocat : Ac fi diceret,largitur nobis Deus F oelicitatem hanc Politicam,adfci- fcit tamen fibi veluti corattem Dodrinam & Exercitationem noftram. Ne- queentm nobis nihil efficientibus , illam largitur Deus, fed ftudium atque laborem noftrum exigit. Vnde Poets* viam ad virtutem ducentem afperam, faxifque & rcpribus impeditam finxerunt. Hinc illud, Virtutem pofuere Dii,fudore parandam. Adhibet ergo Homo diligentiam ae ftudium fuura, qua? vicem gerunt *u*i. vrnrn vt Euftr.inquit, Deus poftea profperos fucceflus,& quafi laboru pra?- miu tribuit.Harc moraliter did*e(fc volo, quibus quanuis Papatus,qui Vo- luntatem Hominis Chriftianifuperbo illo^titulo libertatis infignirevuJt, Jirorfus adhaeferit , non tamen vera EuangeUi dodrina , qya? Hominem ob uamingratitudinemabeximia gloria inextremam ignominiam &ferui- rutemdeturbatum efle tradit , affentiretur. Nee valet quod ex 13. cap. D. .Martyr opponit: potuit enim id eo loco efficere Artftoteles^cum Subiedum totiusaritis Politico ftertiere deberet , fcicvero non multiim adPoliticum hominem formandunv de Dei prouidentia, (iue de principe foelicitatis cau- fa, tradatio quantumuis exigua,conducere potutflet Carter urn de bona for- tuna habes land, quarft . & Egidiion Jibro de bona fortuna,item Auguftini SuefT.primoRhetoricomm. Hlud certe perfpicuum cft,ctiam fi non fie a Diis im- mortalibus donomifla r fed virtute acDo&rina aliqua> auc Exercicatione pariatur , in rebus tamen Diuinifsimis die numerandam. Virtutis cnim premium & finis, o- ptimum (juiddam eflevidetur Diuinum ,~&Beatum r 8z quod cum mulmcommunicetur^Poteric enim con tin-' gore,- LIBER I. H9 ^gere dffciplma cum prefertim vt Thomas inquit,Bea- titudo ipfa fir qua? nos Deo fimillimos reddife (Et quod cum multis comu- nicetur).Qirolat!us boaurn ali quod pat et, eo etiam Diuinius eft,vt fuperius cap.i. dicebatur : Et Auerroes tertio de anima,comment.p. ait,Bonura com- mune omnibus, efle bonum purum. Quare hare quoque foelicitatis con- ditio nobis argumentoeflepoteft,ipfam non modo bonum quoddam,Te- rum etiam Diuintfsimum bonum efle. (Poterit enim). 7-pol. cap.x ha?c lc- guntur. Maneatigitur conftkutumque nobis fit ,cuique virtutis  & prudentis, & quae ab iis proficifcuntur a&ionurn adeft,tantum foelicita-t  videlicet res optima>iucundifsi- ma ftabilis r continuata* perennis,Fortunae quae temeraria, irr ationalis,mu- tabilis atque inconftans eft, prater omnem rattonem permitteretur.. Needle eft enim vt res optim&modu optimum e(Iendi,per medium; fibi in dignitate refpondens,confequatur, fcwiatura & Arte quae inferior.es caufeiunt 3 hoc licet animaduertere:Heque enim Natura homineniiper putrefedionem efi- cit, fed per hominem& per nohiliorem rood um rationemque quam reliqua animantia; Confule Galenum iniib.de anat *adm.& de vfu part. Rune fco- pum Ars,& qimiis alia caufa propofitum femper habet, vt res ntmirum me- iiori quo poteft modoapriorique medio efficia* Multoigitur magis Eodi~ citatem quae aboptima caufa, nempe>Dco imraititur^no Fortune temerita- te , fed ftudio&hbore,honeHiqueadionibuscompai-ari fatendum erit I- ta explico hunc locum , quanuis aliialtten Infpicieati vero acute con textua verba , nos fcopum (vt aiunt)attigiu*e,planunfcerit;Quare vt omnibus fatif- fiatjfingala verba interpretemur. (Quod fi fie beatum effe praeftat) per Do*. drinam &: Exerciationem, (quam fortuito* Jik 7^^)> quam.per fortuna. (Res naturales ita foleant fe habere, vt optime habere poflunt ) ? id eft per mo* y. dum &r medium effictat ur apt ifsimiun. (Idem deiis qua? ab*Arte,& omnia- :- iia,caufa)agent;e videlicet; (^>c^^7W*e/V^.)^idieftab optima caufa . Efficiente , quj? Deus eft , & qui Foeiicitatem largitur :, 10. Ethicorum cap. ultimo. Ytide abfurdifsimum diiftuefle,&nefarium,flagitiofumquecon*r duditur^Rentomaiumguicherrimam optim4mqtie i & cuius Deus/it Amor* nobis* Digiti zed by G00gle XI BE R L iSi nobis fortun^volubilitatesdifpenfari. Annotetur hic>Arift.exeoquodj3iV It* vocat, arguttientari quide folere pl&runq;,& probabiliter,id tamen con cludere quod ipfe omnino fentit. Hoc ex multis locis,vt ex p.de an,cont.4*. con(tat:quo in locoPlatonem arguifequi animam ex dementis produ#am,& cum corpore mixtam,ftatuebat, Atquc ctiam ex definitione id quod quxrimusper- fpicuumj efTe poteft:Diximus nanque,eam efle cuiuf- dara modi a&ionem animi ex vircuce . Cxtera au- tern bona , alia prxfto fine nccefle eft , alia adiuua- re & conducere apta funt,inftrumentorum inftar: At- que hx$ emm iis qua: initio diximus confentiurit . Ci- uilis enim fcientix finem optimum efleftatuebamus,quae magnam diligentiam adhibet, vt ciues ccrto quodam mo doaffe&os,bonofque & ad res honeftas agendas idoneos reddat : lure igitur nee bouem, nee equum , nee vllum a- Jiud animal beatum dicimus: nullum enim eorum , parti- cepshuius a&ionis efle poteft.Ob eandemquc caufam, nee puer beatus eft : quippe cum nondum per astatem ad hxc agenda fatis lit aptus-.fi qui autem dicantur r propter cxpc&ationcm beati pra:dicantur:Opus eft enim (vt dixi- mus)cumabfoluta virtute,tum vita perfe&arMultas enim in vita reram coromutationes , variique cafus interue- niunt , fieriquc poteft,vt qui maxima fortune profperita- tc vtatur,magnis in fene&ute calamitatibus amciatur : vt inHeroici$,de Priamofabute referunt. Qui autem eiuf- modifortunam fueritexpertusy&mifere de hacvicade- ccflcrir,eum profeko nemo beatum dixerit. Vera? definitionis munera alias ex 4.phy.enumerauimus:pra?ter ca?tera vefvtexea,qua?ftiones omnesinrecontingentes pofsintpro- fligari:QMare Ariftoteles quodha&enus Dialedice oftendit,nuncveriusar gurtiento a tradita definitione foelicitatis fumpto,vult demonftrare , Foeli- citatemvidelicetfortuito nobis non obuenire.EftyinquitjFoelicitas quiddam abadfone animi pendens, proiridequeconfentanee cum veteribus iuperius cAnchiuitieftjillafn in bonis animi ptecipuis numerari : Atqui fortuna non in bonis anntii/ect in externis^aut etiam corporis(fi fortune nomen coramu nitefaccipere velis) vires fuas e  j>artim verovt inftrumeu " Li Digitized by VjOOQIC ufc ETHIC O&VM neceflaria requiri dicamus,&confequenter fortunaraqua? in iftiufmodi bo- na potelt,quaii Adiutricem iiatuere videamur ^non tamcg Jla in vi & natura Foelicitatis comprehenduntur,cum luc folaatiione animi, quara virtus ab~>  foluitjdcfiniatui :Quam ob caufam non modo bruta,fed neque etiam pueros, qui alias Fortune boms abundare poflent , Foelicitatis compotes effe doce- mus.Quod fi aliquos eorum,beatos aliquando nuncupari audiamus , id pro- pter fpem,quam de iis habent homines,fieri exidimemus.Huc accedit,Pue- ros non etiam poffe dici foelices Bonorum fortuna? ratione,quia non modo virtutemperfettamquam reqnirimus in foelicitate , veluti & alia animan- tiabruta non habent ,verum etiam perfe&a? vita? ilia- profperitate carent* quamfuperius commemorauimusiPu^ri nanque fi hodie,verbi gratia, fes\ valde fccunda? fint,alias,vel etiam in fene&utc , tales rerum commutation's &tamvariicafus poffunt interuenire,vtmaximiscalamitatibus confli&e- tur.proindeque non antea&a? vita? conuenienter mortem fit obiturus . Con* flat iam,vnkum effe argumcmum quo Ariftotelesin totohoc contextunow bircumagitj&vnumconclufum non plura,vt alii fere omnescontextu non re&e diuidentes exiit imarunt : Quanquam id 3 fuas qu*:fdam propagines-ha- beat,qua? quorfum pertineant facile turn diiudicabimus^cum fingulas con- t extus part lculas expenderimu s. (Cuiufdam modi) verba ilia innuit^capit is feptimi,  Si rtalisque,necnon mortalis,&caduca?:Diuina? illius ration^ virtutis & prudetia? qua? a&ionis Domina eftjCapaxfi^Mortalis verd occajione,Fortuna? fubucitur:vndenon- nulli ftatuuntjln Fcelicitate eadcra rationemhabereVirtutem ad Fortunam, quam ad Corpus habet Anima.Anima in homine principatum obtinet cu- ius Intelli^endi yis homini Effe largitur, Ita aftiones animi ex virtujje , pri^ maria? partes funt fcelicitatis,eiufque vim & naturam folar conSituu^t. AiiC, ma imperat,vtitur,prdinat ? j8c. quafi defiriit/.Corpus vfumfui prsebet^gjuber- hatur,definitur:Ita viraites qua? origine & pptentiapriores fiint^e&e vtun- tUr fortuna,eamque pr defiRitur.C6ur rk ergo ad fpelicitatem tain virtus quam Fortuna , fed ita vt Fortuna > quafi qua?dam materia fit,circa quam fe virtus explicet,aut( vt Ariftoteles ait),or- ganica?caufa? rationemfubeat:qua?fi abfit,omnispropebene agendi aditus nobis prafcludatur.Quemadmodum autemin Virtute quofdara gradus poni audita & in Fortuna? bonis: Placeru autem hi gradus Peripateticis , quibus augerL&minui Foelicitatem poffe cenfent.Ifta qua? diximus omnia,locus A- riitotelis in feptimopoliticorum capite decimo tertio confirmat , in quo itafcriptumlegitur. Omnesigiturredeviuere,vita'mqueheatamexpetere  perfpicuum eft>fed.quidam id aiTequi poifunt , aliis facuitas , propter fortu- >  nam quandam vel naturaraabeft: Quoniam ad rede beateqife viuendum ad*  iuraenta qua?dam defiderantur,fed pauciora redius affedis,peius autem plu-  ra^Ommnoigiturfejcunda Fortuna a Foelicitatediuerfaeft, qutabonatan-^  rum qua? extra animam funt,Fortuna? beneficio contingunt , quanuis in ho- minis foelicit ate vt inftrumentum neceffarium requiratur : claudicaret e- *iim Foehcitas & langueret , iftiufmodi fortuna? prcfidiis deftituta . Li- quet hoc ex,Deojpfo>qui cumbeatifsimus& foelicifsimus feroper fuerit atque f uturus fit,nullo tamen externo bono*fed per fe , & quia talis eft natu- ra (neque enim virtutem ab aliquo edodus eft, aut fortunam adiutricem ha- buit)beatus habetur,feptimo politicorum capite primo.Homo autem neque natura bonus neque beatus eft,fed Difciplina atque exercitatione eget, qua? etiam Fortunam,aut(fi mauis fandius loqui) prouidentiam Dei adiutricem imo Ducem habeat.(Ciuilis enim fcientia? fine). EftAppendix,& quafi ratio eius quod proxime dixerat,nempe,Foelicitatem political cum pro primaria fuipanehabereadionesexvirtute,turoprofecundaria Organica bona ex- terna : Nam Ciuilis ha?c fcientia quam tradamus , & cuius munus peculiare eft,Horainisfinemponere, nil aliudvult, quam reddere Ciues(ceno quo* dammodoaffedos bonofque)quodadpra?cipuamFoelicitatis partem atti- net,(& ad res agendas idoneos)quod ad omnia qua? in foelickate requirun- tunr referri poteft,maxime tamen ad inftrumenta debet ,nifi velimus Arifto- telcra nugari:Dixerat enim antea,hanc fcientiam velle bonos & quodam mo do affedos ciues efficere,ideft habituvirtutis munire.quod fi fit,iam erunt e- tiamad agendum idoneUquantum ad virtutem attinet:non erunt autem om- nino>nifi iili$>alia inftrumenta bene agendi fuppeditentur: quod Ariftoteles: verbis iftis nunc figni Scare voluit, kcu  Lii. Digiti zed by G00gle *4 - ETHICORVM quod Bona Fortuna,idcirco,non modo non aliaaniraanttabruta>Yerum etii neque pueros foelicitatts compotes exiilimanuis-.quanui^alioq^iniideni bo nis f ortunap multiim abundare pofsintifiquidem ilia ononis yirtutis abfoiute funt expert ia,hi vero,cum abfoluta,ideft ake infixavirt ute,tunt vittj> er fe&i carent,quam in foelicitate omnino requiriraus* Arift. r- pol. cap, ij. dicekat* Homines probos rcddi tribus rebus , Natura,Moribus , Ration* : &NatuiA quidem,inquit,quia primum nafci oportet, idcft hominem efle , non ex alio genere animantiumiCaufahic affertur , quia fecus virtutum coafequcnda- rum facultate no haberemus:in exemplis igitur bonis & equi allatis,ne qnar- io plus artis aut fpeculationis queramus^quam Arift in iOithLc.8.poftieritu Quod verb ad pueros atti net ,qui fua& propria. rationcdeilitii(untur,aut(vC rectius loquar) earn imbecillem & iraperfeetam 5 affedibuTque yariis &mul- titormibus turbata obtinent,cum vix fui mis fint y incertumque & flu&uans ludicium habeant,non modo non virtutis, fed neque etiam vitii partkipe&ef ledicnutur,quanuisfalfaproverisplerunque fumerefoleant>inaniafuper- uacaneaq;,necefl'aria ducere,necnon noxia,provtilibusconfe&ari.Qro in k* .. cq ammaduertatur,Eos qui modo nati funt , &r tencriori adhuc a?tate,rc&5 quidem rationis participes dici,quanquam eius vfum non adu, fed potenti& tantum habeannquomodo in Politicis Ariftoteles eft intelligendus . I*c eo kf I** ^ UiS ad C ^ Ut ^ 4 fec.de gen. an. item adr-pol. cap*, if.refpiciens* abiolute vellet affirmare,non prius Animam in hominem infundi , quara v- ius illius exigar.Hoc nanque falfum eft,vt alibi oftendimus:(qnanquam Mi- randulanus,duplicishominisnatura & conditioneex i. Ethic.allafcbidfta- b i 1Fe * uent ) Clim prefer tim problema quartum fec.30. aliiquemult* A- rHtotehs & Auerroisloca 5 cumiftiufmodifententiadifertepugnent. Eodem igitur momento quo fumus,anima intelligens nobis communkatur, qua? ta- meninftrumenti vitio impedita, ideft innata & redundante humiditate, op- . preffa atque occultata,vires fuas non exerit:organis autem paulatim,ad tem peramenti mediocritatem reda&is,tumdemum fefe patefacit. (Mult^enim in vita rerum comutationes).Occafione eius quod de perfeda vita dixerat, , ba?c pauca de inconftanti vita? noftra? ftatu interpofuit libentius,vt ad difpu \ tationem perobfcuram,dignifsimam tamen qua? examinaretur diflbluendam liberius ingredi 3 poftea poffet. De perfe&a vita vberius fupraex Ariftote. le diximus.De Priami ftatu & conditione ex Poetarum Herokorum Fabulist vnufquifque cognofcere poteft:tantum aunotetin^his inverbis concIudi>Foe licitatemefle quid conftans,perenne>#quod non modonon eripiaut amitti*. fed neque etiaai intermifsionevlla frangi pofsit. C A P. X. Nemo ne igitur alius mortalium^quandiu maner in vi- ta ^bcatus eft iudicandus?Sed Solonisfententidjfpedan- dum eft tcmpus arcatis extremuin?Et fi hoc ita efTe fate Digiti zed by G00gle muf > eciam ne beaeus eft,tum cum exce/Terint e vita ? An hocquidemprorfus abfardiimcft, nobis prafcrtim, qui bcatitudinem cnerg^m quandam efle dicimus i Quod finecnos beatumeum dicimus > qui mortuus eft,nequc hoc vulc Solon,fed cum denique aliquem verc,ac tuto bea turn praedicari , cumiam a maHs,mifcriifquefitlibcratus, dehocquoqpe quifpiam poflet ambigcre: videturenim & mortuo, aliquidboni&: mali fupereffe, ycluti& viuen- ti,quaraiis non fentienti,vt hbnorfcs,& ignominise libero- rum,& omnino pofterorum res fecund#,&aduerfae.DifK- cultatem hxc quoque afFerunt:Fieri nanque poteft,vt qui beace vixcrit vfquead fene&utem,& qui fupremum diem conuenienterafoeiam #tati obierit,eum multann poftc- ris mutationes, ac varietatescxcipiant, vt eorum alii bo? mfint 5 eamqudvitamdegant, quammerentur, alii con- tra. Acquehoc fane perfpicuum eft* interuallis temporum cosvariis&difeimilibusmodis, fi cum parentibus confe- rantur, poflc fe habere. Ab&rdum icaque fuerit y fi vna cum cis,mortuus quoque commutetur , fiatque nunc mi- fer,nunc contra beatus.Abfutduni vero etiam illud effet, res pofterorum nihil,ne ad vllum quicjepi .tempus ad pa- rentes pcrtincre . Scd redcundum eft ad id quod primo lo- co dubitatumeft: Exilloenim,fortafleidquodqua:rimus intelligetur. Si hominis aftio perfe&a,beatitudoque , fpacium temporis", & longitu- i'mem quandam defideret , Exoritur inde quaeitio, multa capitatempu$ aetatis extremum expe&andum eft,ad foelicitatem diiudican- dam? Vnde ilia Ouidii: -vltima Temper Expedai^a dies Hominijdicique Beatus Ante obitura nemo>fupremaque funera debet. Atquanuis fententiaha?cSolonisadmittatur,adhuctamen&ipfadubita- Liii. Digiti zed by G00gle U6 ETBICOHVM rionenon caret: QuxntureniravnunLitaintelligaida fit, vt turn dtniquefit aliquis beatus,cum vita? curriculum * natura datum confecer it 5 an hoc pro abfurdo habendum eft , a ncjbj$ pra?fertim qui de humana f oelicitate loqui- mur,cuius in hac vita participes fumus, non'de ea qu2 poll mortem f rui de- bemus: verfatur atitenv ilia, in virtutis vfu>actioflibusque koneftis:iis ergofu- blatis, beams quinam dici potent* Qiyndfi aliter fententia Solonjs uitelli- genda fit,quafi nempe dicere voluerit,tum denique vere beatum aliquem iifc- dicari pofle , cum ex hac vita excefferit , qua? omnibus fortune telisjna- gnis, grauibus & variis cafibus expofitaerat , tanquam videlicet extra-om- nium malorum atque infortuniorum difcrimen pofitum , neque hoc exiara dubitatione vacat , An cum quis e vit^excefl'erit , iitius liberi 9 po^eri atque amici in maximas calamitates incidcnnt, telisque &fulminibus fortuna?,aut vitiis propriis , morum & fortuna? conditioner illi difsimiles euaferint, (quod aliquo , aut longo temporis interiiallo euenire poteft ) fpolietiir ipfe f oelicitate? Vt enim res aduerfas, & graues diuturnofque cafus pofteroru ni- hil &nufquam ad mortuos pertinere,fententiis omnium repugnat , ita tanti momenti effe,v t eos,fi antea f oelices eran t,ex poffefsione optima? vita? detur- bent,non videtur concedendum. (Nobis pra?fertim,quibeatitudinem,ener- e*am quandam effe dicimus). Loquitur philofophus de^FoelkitatCsCuius in hac vita poli ticeagentes-cofnpptes fumus: nam deea qua? poft mortem no- bis .obuenit 3 alterius Artificis,n6Efhici qua?ftio eft.Et philofophjPeripatetici . pra?fertim , de eaexquifite difputarenoluerut,qu6djnifallor,intelligeret,ea dem cunvilla effe, quam ex parte in hac vita cotemplando confequi valemus? quanquam puriorem &,folidiorem,vt Plato in libr. vltimo de rep.xlocet, id-. eft fpeculatione natura? Dei,eiufque toprehenfione quanru nobis fas e&jnec non m eundem maxime optatu bonu .mentis noftra? fumma propenfione, 8c ardentifsimum amore:In cuiuslucuhdifshna cdtemplat ione comprehenfio- tt^que>quaii nedare & ambrofia faturati ,conquiefcere debeamus . Ha?cex decimo de mor.intelligi poffunt , vbi copiofe & fubtiKter , de ea F oelicitate difputatur qua? in conteplatione confiftit. Aut pro Ariftoteledicas^Foelicita- tem quam poft mortem expe&atnus , eo in loco declaraffe , vbi ( duodecimo nempe metaphyficorum ) proponit heatitudinen\ Coeleftium Mentium,a quarum natura & conditioned Mens humana , poftquam 3 corporehocli- berata fuerit,non magnqpere differt.Ca?terum hoc loco grauifsime DMen- tem humanam poft mortem nihil agere , cum alioquin in tertio de anima H- bro capite fecrmd6,ip(am TZoiticf. w^ynex effe affirmant > fed Animam ho-, minis a&iones virtutum eo tempore exercere non poffe , qua?adiones Foeli- ritatem illam conftituunt , quam hoc loco qua?rimus . Non conuerterent fe innecefsitatibusadSan&os fuosPapifta?,fitantum natura? lumen obtinere* potuiflent ,vtdidiciflent , nullum ab eorum adionibus commodum in^u- inanum genus proficifci poffe.Excipit D . Martyr debuifle faltem > Ariftote- ' '  """ fern. Digiti zed by G00gle L IBB % h *# lem,libcre hoc in toco & palam ve/itatem teilari : Quid audio? Primum fi v- hiqueexigamus id quod Ariftoteles ad Mentis Chnftianse voluntateme^- plendam ageredebuit,nullibiipfum non defeciffc reperjemus:pra?terea,non potuit Ariftoteles ad fuam fententia de animoru immortalitate aperienda fi- gnifisanuus loqui,quam Ciim dubitauit,num res aduerfe a^nicorum & pofie roru ad raortuos pertineret.( Videtur enira &mortuo aliquid boni & mali). Explicatur ifta alioquin fubobfcura 3 ta ab Euftratio quaraab Auerroe & Tho ma,hoc modo:Quauis raortui fenfu careant bonoru &maloni,qua? amicis&r pofleris fuis obueniunt,ad eoru tame foeiicitate profpentas fortune, aut in fortuniu pofteroru no minus pertinere videtur , quam calumnia & dedecus atfinium,&amic6ruqi pectineal ad eorum beatitudinem,quiviuunt quidem, tarae>aut quia longe a fuis amicis & cpnfanguineis abiint, aut aliqua alia oc- cupationediftradi,dedecusillud,calumniamque eorum quosamant cerne- *C,&femire nequeant: Atqui proculdubiode fajftigio foelicitatis viuorum ifta nonnihil detrahunt , ergo & mortuorum . De contratiis ntmpe, honotje, &profpero pofterorum*uentu,contrario modofentiendumeft . Hocloco primum animaduerti cupio,Ariftotelem non modo verifsime exiilimaffe A- nimas humanas immortales , effe , verum etiam, quod magis eft,tot effe nu- mero,quot homines funt:cum alioquin phyfice loquens,id nullo pa&o concp derc vo!uiffet,aut etiam potuiffet,quod nos alibi copiofiiis oftendimus. Qua- propter Simon Fortius, qui vt animam humanam interitui obhoxiam effe e- uinceret,locumhuncimpie torfit,illumqueadopinionemquae de foeiicita- te eorum qui ex hac vita excefferunt apud homines manfit , accomodate vo- Iuit,omni nomine iuftifsime reprehendenduseft : In tota nanque hac qua?- Atone Ariftoteles ne vnum quidem verbum de opinione ifta f oelicitatis mon- [ tuonimagit/edvbique,vt etiam capkefequenti,fermonein fuui^admc*- tuos ipfos dbnuertit. Quare vt omnem fcrupulum e medio tpllamus,ob non- hullos ref raftarios & nimium fuperftitioios 3 dicamus,particuiam illam^ tumcfAty^non omnem prorfus fenfum bonornm & rhalorum qua? pofteris obueniunt Mortuis enpere, fed aliquem adhuc illis relinquere , verba ilia e- iufdcm capitis a^W^/aok famjcu, & alia multa qua? ibidem' habentur,quod dicimus verifsimum effe demonftrant.Dico autem,fenfum aliquem relinque re,non* ilium qui corporearum rerum eft,Corporibus nanque exuti funt ani mi,fed qui animorqm prpprie dicitur , quern cum alibi , turn etiam fortaffe primo Tolpicbrum cap. decimo tertio nobiifi&riiificauit, cum poft mortem nu!losliberos,nuUbsamicosvctvtfciftel .-. . v .^, _ ^ Liiiit "'' "'- Digitized by VjOOQIC i*S ETHICOHVM dicam,pofterospecuIiarcs haberemus , quorum miferia /noftraFoelidta* commaculari poffet. (Fieri nanque poteft).Explicatur ratio dubitationis dc conditione Mortuorum , probofita rerumjhumanarum vicifsitude . ( Atquc . hoc fane perfpicuum eft). Eodem pertinent iftai quo proxime prcceden- tia verba , fed rationem dubitationis apertius explicant , atque non a-, liofanemodo quam Larabinus exprelTerit: Finge nanque parentes locu- pletes., honeftos , magnifieos jlenes,iuftosfuifle,euenirepoteft longoin- terualIo,vt eorum liberi ac pofteri,alii egentes,alii turpes,& infames,alii for didi,raultifque aliis vitiis affe&i, & fortune cafibus confli&ati , multum fint & illis & inter fe difsimiles : patticula ergo ^d/Io^ATaffi^ , nota niodo ad fortunse commutationeitt,verum etiam morum difsimilitudinem , vt omnia fibi vndequaqiie refpondeant,referenda efhantea enim cf vrv^/fiusquafi oppo * fitum qm^^fc iva&^/ar pofuerat:fr^ k&kvv. (Nead vl- lum quids tempus). Vt datur ftatus &terminus quidara,in amicis,ciuibus 3 c6 fanguineis,&* pofteris quod ad foelicitatem viuorum attinet, Ita quidam da- ri terminus debet pofteroriim,qui vinculum necefsitudinis abrumpit , quod . ad foelicitatem mortuorum pertiriet : fecus enim res in infinitum extendere- turrpaulatimitaq-, defcendetiumafflnitas,coniundis .agcrct . Sutnma Arifto- telica? fententi* h*c eft; Propofitis duafyus quaeftionibus, quarum vna ex al- tera fluxit,ad priorem illam & praecipuam ; exarainan4am fe conuertit,vtpo- te ex.cui us diflblutione, altera quoque aonnihil lucis accipere queat. Quae- rit ergo,num non lit plane abfur4um 3 tumcum aliquif erat beatus : foelicita-  temipfms prsedtcari non potuifle 5 fyvit? fupremus dies fit expe&andus ex .fententiatSolouisjivt quis vere fqflix iudkari debeat : non quod beatus turn- f fit aim orijur fc fed qupclantjeafuerit . Vt , verbi gratiaji hodie ha?c enun- ciatio veraftiHeri Coerfus diues fuit, profe^o yidetur,nos heri tuto pro- nunciar^ Digitized by VjOOQ IC LIBER I. X67 nunciarepotuHTe,Croefus diues eft. Quid enim prohibet? Numfortaffe vo- lubilitatera fortune extimefcimus j quae fefe ideiitidem conuertens , atque inorbemrotaecuiufdam inftar voluens, eofdem homines fiusfulminibus feridAt foeticitatemftabile quiddam > &firniujm, & prope imnmtabile df- fe eziftimamus. Ccrtum eft enimji fortune cafus fequamur  eundeta nos nunc beatum,mmc miferum faepc di&uros efle, Cha- mxleontem quendam virum beatum , nequc fatisftabili fede collocatum fingentes : An potius iniquum eft For- tune varietarem fequi? Non cnim in ea bene vel male viuendi ratio poika eft,{ed illam eo tantum modo quo di- xiraus hum ana vita defiderat . Beatitudinis autem Domi- ni funt a&iones virtuti confentaneae , Contrarji vero ftatus , contrarias; .Hanc autem rationem id quoque con- iirmat , de quo nunc ambigitur. Nulla enim in re mor- taliurti tanta ineft conftantia , quanta ina&ionibus, ex virtute. Quanquam perobfeura fit propofita quaeftio, certifsimum eft tamen quid ex Ariftotcle refponderi oporteatSi enim Fonvma,dominaFoelicitati$ eflet, & non potius a&iones quae cum virtute confentiunt, proculdubio nullus dum viuitjbeatus rede iudicari poflct : nifi Foelicem eum effe vellemus , qui lingulis momentis fortune impetude ilatu fub deiiciatur,& nunqua ineodc ftatu mangs,cuiufdam Chameleontis more commutetur.Nunc in Foelicitate & Miferiaconfcruanda ad adiones animi 3 primas deferimus, in quibus folis bene vel male viuendi ratio qua? Eoelicitatem & Miferiam conftituit fpe&an daeft.Vt enim A&ionesvirtuti confentaneas,beatitudinis dominasefle did- mus,ita Miferiaru Turpesadiones ac inhoneftas. Cui noftrae opinioni tefti- monioideflepoteft,dequo proxime dubitatrimus : Nam idcirco quaereba- museum vltimum vitae tempus effet expe&andum (quae eft Solonis fenten- tia)vt de beatitudine hominis cuiufpiam,vere pronunciah poffetj quia^oe*- - licitas ftabjle aliquid & cpnftans diuturnumque eft , at que homo qui fe- mel in.poflefsioneeiusfuerit,perfedum quoddam tempus defiderat, quo in ftatu fuo maneat:Nunc virtus ftabilitatem,firmitatemque fummam habet, (Chamaeleontis) J3e hoc genere animalis ouipari,quod nempe tenuifsimum animal fit Jacertis fimile,inopiafanguinis admodum rigens,&prae nimiome tu,fanguine videlicet refrigerato multiforme totocorporeplerunque effU ciatur>vide quae fcribatAriftoteles fecundo de hift.an;m.capitevndecimO'& quarto depart, an. capife vndecimo . (Sed illam eo tantum modo quo dixi- aws).I ; ortunae bona vt adiumenta quaedam humanavitadefiderat^non yt pat - Digitized by VjOOQ IC m ETHICORVM tes primarias Joelicitatis:Claudicat enim & languet Beatitudo, pra?fidiisfor tuns profperae dellituta^Beaticudinis autem domina?). Superius ifta fat ex- pofuirous > cum oftendereraus Hominis duas partes elie > cuius vnaperennis & conftans imper iumque obcinens:altera caduca atque inftabilts & dido au- diens eft;Bonavniufcuiufque,eandem conditionem atque naturam Tecum af- ferunt. (Contrarii vera ftatus), ideft,Miferia?>quae ab imprudencibus & im- probis adioaibus. praficifciuir i Contrariorum enim contraria funt confe- quentia.Sed vt ea qua? poftea ab Ariftoteledicenda funr,facilius aflequamur, agamus de Miferiapaucis. Quid eft Miferia?$ummum malum, fummeque fugiendum,quodprimumabimpriientia& improbitatependet>d^inceps a corporis imbeciliitate,morbo , deformitate , poftremo a malis externis,vt odio nomiaum,ignominia > egeftate,exilio>Teruitute> non modo fi ifta nobis* verum etiam fi lieris,parentibus,confanguineis, pofteris,amicis 3 ciuibus t- ueniaat >aut iam antea euener int : Quod fi diuturnitatem iftorum malorum & infortuniorum , vita? hominis a?qualem addere velis , iam fummam & vnde- quaqueabfolutamMiferiamdefcriptam habebis. Quo in loco animaduer- tendumeft primum,Miferiam ab improbis Srfceleratis flagitiofifque a&io- nibusproficifci,nonmodofi illo improbo 8c fcelerato homini nota? fint, quod llkun mala atque exagitata met ucupiditatcque conCcientia excruciet, vlcifcatur 3 & nunquam quiefcere finat : verum etiam fi ei fint ignotae, atque lion minus in fuis facinoribus ipfe,ita infe&us & veterno quodam confopi- tus,vel potius caucus fibi placeat,illifq*> diuturna cofuetudine male* faciedi de le&etur,qua Bonus vir aftionibusvirtutc confentientibus.Hocenim humana naturam cxutam prorfus efle indicat,feritatem vero atque immanitatem bel lua? efle indutam. Vnde noh erit omnino verurtt,quod vnlgo dici folet , Bea- turn nempe effe quodammodo ilium, qui miferum fe efle no fentit:Cum con- trS potius,in Miferrimo omnhim ftatu fit collocandus: Veluti etiam peius il- ium fe habere dicimus,qui omnem cernendi facultatem amifit 3 quam qui he- betioculorum acieprafditusaut epOaAufst correptus eft . Secundo annotan- dum,quanquam fola improbitas fatis fit- ad Miferiam ", bona tamen fortune earn & augere,& imminuere, omni nomine poflfe , omni , inquam > nomine, quia fi improbus illredeftituatur,e6 Miferior erit:fin illis abundet , Miferri- mus:Exteroa enim ifta qua? bona probis viri s funt , iihprobo hommi mala fiut,qui iltis ad maiora fiagitia,indignioraque faciftora patranda vtiturXol- ltge,inter ha?cduo,Foelicitatem nempe Mtferiamque>medium quendam fta- tum exiftere;quandovidelicet , aliqua pars illorum bonorum deftituitur,qua? p ra?ter virtutemin Foelicitate requiruntur,&quo plura iftorum bonorum maioraqueaderuntvelaberuntj eolongius aut propius felicitate abefle, quam vt confummatum & perfe&um quiddam bonum ex omnibus bonis cu mulatum/upra definiuimus:Vt quemadmodum inter contraries colores pe- ne innumerabilia media interfita funt,ita ftatus hie inter Foelicitatem & Mi- feriam raedius , multiplex fit , prout plura,aut pauciorajmaiofa item vel mi- nora bona externa accedent,vel difcedent : Cum prafertim mala bonis , in- commodacommodis compenfari foleantExul eft aliquis^magnus dolor, fed Digiti zed by G00gle LIB ER I. 171 Ittagnum ctiam folatium 5 inlibertateEuangelii apudtxtcros vhiere^remi- mur egeftate 3 magnum certe incommodum,fed non minor leuatio eft, nos in aliquapr^claradafciplina tantwuexcellere, vt aditus nobis ad eafdemdi- gnitates 3 &neceflariavit#commodaconftquenda a?queatque opulentifsi- mis quibufq;,aditus patefiat.Laceramur plebeioru &fufurromun contume- iiis^ab indo&is fpernimwrriniqua conditioned a^quifsima confolatio cft,fi ab Jiominibus virtute fcfapientia prarditis amemur. Habet autem vnufquifque gradus interie&i hutus medii ftatus,fuam animi tfanquilitatem , quanquara nonfiimmiillanMJuat oelicitati conuenirc diximus,fed remifsiore: (Nulla enim in re mortaliutanta ineft coftantia). Virtus eft habitus,& conforraatio quxdam appetitus,qua feroper/ine vlia cun&atione, expedite & libenter Fe-  quatur,quounqne ipfurn ratio duck : Ingeneratur autem & confirmatur in nobis liabitusifte 9 diuturna&frequentialiuctudine. Suum enim vnicuique finevllacun&atione fa?pe tribuendo,nulli vnquara iniuriam inferendo,Iufti> periculis fe quoties opus eft exponendo,Fortes,libidinem coercedo, mode- fteque ac fobrie viuendTemperantcs,efficimur:Quarehac viavirtus parta^ radices altifsime agit>atque adeovt amitti non po&it.&t quo Foet$ illam la- pidequadiatoinfiitcntemfinxerunt. . . Multo enimikmiores &l:Conftantiores fcientiis ipfaeef- fevfdentur.Et earumetiam,vt quseque praftantifsimaeft, ita ftabilis maximcypropterea quod in eis a*tatem afsidue agunt beaci, qua: vjdetur eflc caufa , curese nulla vnquam obliuionedeleantur r Incntcrgoin bea&oid quodquxri- mus,tali{qucpcrtota vitamfutuiuseft. Namvel temper vel omniii maxime , ca& aget.& animo cogitabit* quas cu vircuti congruunt, fortunseque cafus pulchcrrime^ omni- -que ex parte,& plane concinne f eret , qui vere vir bonus, - quadratus,& fine culpa. . Extollit firmi tatem earum a&ionum quas nuper a virtute proficifci & iro-^ mutabiles effe dixerat>propofita illius caufa,nempeoccafione qua? continen- - ter Politico offertur a exercendi munera virtutum. Vnde vult habere , nullam amplius caufam fupereffe,qua vereamur^Hominem turn cum vere beams e- ratjideft in vita,beatum praedicare.Neq; enim fortuna? varietas erk extiroef cenda, cum virtus qua? F oelicitati s maiorem & praeftantiorem principemq; . partem obtinet>quiddam ftabile,firm unity & vix mutabilefit,proindeq; qui earn pofsideat in eodem Temper ftatu manfurus fit.Semper enim,is qui perfe da& abfoluta.virtutepraditusjfcvndequaqj perfe&useft 3 aut fake maxime* omnium^optime aget & de optime agendo cogitabit, & quantumius telis ful minibufq-, tortuns laceretur &obruatur,nunqua tame de fuo ftatu deturba- bitur.(Multoenimfirmiores).Comparat virtutes politicas/cienti^qu^ad^ footemplttioneppeitinenfjtUa^^^^ - Digiti zed by G00gle 17* ' ETHICORVM dit : vt manifefti ex verbis ipfius intclligi poteft. { Prppterea quod in eis aetatem afsidue agiint beati)eft ratio qua virtus moralis pra?fertur,ftabilita- te & con0&tatia,{cientia:Nam non tot occajfiones contemplandi,& adeo fre- quenter,obuiam contemplated fiunt,quot & quam continenter Politico be- ne agendi,offeruntur:Ifte nanque vel fecum agat, vel cum alterp contrahat, vel domi,vel foris,vel publice,vel priuatim,vel fomno* vel^cibis fua; tepora det,aut ager fit,aut valetudine fruatur_optima,&v t feme! dica,femper &rvbi que campum habet s quo vircuti confentanea iara agere valeat,aut de bene a- gendis in pofterum,(Prudentia nanque valet) cogitare. GontemplatorFnon tanta? nee ta frequentes &no interrupts contemplandi occafiones,fed diutur  niores energise intermifsiones ofFeruntur.Idcircoquevirtutum habitus Jia- hitufcientiarfuntomnino conftantiores-.Cuiresteftimonioillud efleetiara J>oteft,quod minus invirtutibus quam in fcietiis obliuio contingit. Adeo per picua eft i 8c vndequaque quadrans Aerbis contextus ifta expontio,quam Eu ftr^tius/Thomas, & Auerroes fequuti fint, vt valde mirer , hoc loco nonnul* los aiioquin doftos,illam nefcio quo prejudicio,aut qua ratione , fortaffee- dam non bene cognita Ariftotelis & interpretum mete,damnafle. Aiunt ipfi, Ariftotelem hoc loco docere, in iis energiis quibus vita humana perficitur* ftabilioreseffeeas, in quibus inert veri contemplatio . Hoc eft falfifsimum, quia Ariftotelis verba in hunc modum fcripta leguntur.^/^t^pow yotf &v7*t X3&7m iTTWucivyfoKiiiff/v ema:proxime autem de virtutum a&ionibus loquu- tus erat: Addunt, Ariftotelem poftea comparare inter fe fcientias contempla- trices veri,quarura primam & praeftantifsimi maximeq*, durabilem, Theo- logiam ftatuit.Hoc eft prorfus Chymericum .* particular nanque ill? TiyjS]*; 7ouyKa4fjL9Viu]Aja4 9 sid virtutes refer untur non ad fcientias , vt conftat , cum ftatimpoftparticulameti7*/appofita?fint 5 &ea pra?cedan,t qua? immediate adduntur ,nempe Jia, % ukht^L kou ^vv^(^olJcl yj&]clQjjj\v Aujout 7out ^.cLKaptov^ qua? que nullo pado ad energias contemplatoris poflunt accommodari.Tuen tur fepofteahac ratione, Ariftoteles in decimo Ethicorum capite feptimo c italoquitunContemplari fiquidem afsidue magis, quam operari quippiam  poflumus.Quod eo ftabilire volunt , quia energia virtutis pluraexterna re- ?[uirit adiumenta>& adminicula,Refpondeo,hoc illis caufam efle non debuif e,qua a vetere huius leci expofitione difcederent,& nouam a fcopo aberran* tern ipfi inducerent.Fatendum eft en im,vt ex Arirtotele nos quoque in prcfa ttbnc huius Iibri diximus,vitam ciuilem vt pra?clare queat agere, multa exter na,vt opes,copias,clientelas,dignitates requirere: Cotemplatiorii autem vi- tam deditam,minus externis adiumentis egere,proindeque fimilioremDiui- na? .vita? elfe.Nam qui contemplatur,fecum tantum & cum Deo quern con- templatur viuens,paucifsimis eget: Atqui hoc loco non de Foelicitate abfolu tc fermoeft,vt in decimo de moribus qua? tot tantaq; inftrumenta defiderat, fed d^primaria parte Foelicitatis,Virtute nempe, quam folitariam in nomi- ne confiderat Ariftoteies , eamque plures fua? energa? edenda? occafio- . nes habere affirmat , quam Contemplationem. Xo nanque tempore * quo Digitized by Google LIBER I, i 7J 2uo contemplatur Homes Pcditicus benewl cum aUis vet fecumiara ag/cre, ue etiam de bene poftea agendo cogitare poteft: At non omni tempore quo Politicus munera vtttutis ex^qiii valet 3 ClotltempMtori$ encrg^a libera erit: quidenini domi, cumdormit,Cum tftom'fimit,quidin Ciuitate,cumami- ciscumciuibus, quid in Republica aget ? tloc fiiftividere non pofuerunt, quod tamen adeo cralfum eft,quid agerem * cef te autpra?terire locum hunc ipfi debuerunt,quemadmodum alios quoque difficilioresl jbenter b?a?terire folent:aut quia ilium obfeurare voluerint,reprehendendi fuerunt. (^ t qua?- qneprajftantifsiraa eft). Apt p^a^antifcimas vjijtutes hpcloco ea* vocafcquae intra animum noftrum quod^omodo ^fol}4up^ui>& arTe^ones lllas m randas potifsimum fibiprop^punt, qua? plurimum manimis ^pftris v^gent: aut illas,qua? quanuis incerta quadam aifedione moderanda VerfantUr ,po- tifsimum tamen eluceant in externis quibufdam,adionibus a quibus abftine- re non fine net* ario feeler e licet , Sunt au tern Voluntas & Dolor* , prima* affe- diones qua? infunt in nobis(quanquam fi propria loqui vellerausyiftaaion af fediones led affedionum principia dici debercnt) Voluptas eft natura? no- ftra? maxime cangruens amicifsiraaqueivnde iIludGaleni:Solo dulci alimur: Et aiterum Htppoeratis? thutHk>r cibus,dum mddo fiteiiior -fit ,gf dtfs prar- bendus eftwQ^are mirandum noneft/rad earm jftaxkne propendamus,& ve- hemens qua?damerga illam aiFedioao^isinnaficatur. Dolor autemquleft ab adione aduerfaria? fpeciei delate, atque irnprefTa? in fenfum , inimicifsi- mus eft natura? noftra?,vnde & ab illo quaih maxime abhorremus. Hinc ilia? duar virtutes maxima? pw?cipua?quf ,Temerantt a^&Fortitudo.lUa volupta- tijk&c Dolori moderarivult 3 atque appetitionisvehemeptiam cum natura pu gnantem,vtrobique comprimere conftringereq^Extr a animum vero noftru abfoluuntur virtutes illa?,quas in adionibus externis quodammodo fpedari diximus. Maxin&& pr^ftantifsima inter illas habetur , Iuftitia 5 quod ea fi- ne flagitio & Icelere catfere itequeamus. Oitfftes enim miufti>fceMifunt*A-. uarum vero aut arrogantem,fceleftum non nominabis,vt Arift. ait.z. Ethi.f. Sed illos turpitudinis pot i us cuiufdam condemnabis. Maxima? ergo & pra?- ftantifsima? virtutes funt,vt Arift.etia p.Rhet.fcribit & 7.pol.i. Iuftitia,Te- perantia , Fortitude Has qui virtute prafditus eft, fere vbique & in quouis ftatucommodifsimc&proutdeceteXereerepoteft.(Jnerit ergo in beatoid quod qua?rimus),ftabihtas nimirum coftantiaq;. ( Vel omniu maxime )D an- daenim funt neceflario fua temporacibo , fomnoque . ( Fortun&que cafus). Hoc, in contexra fequenri pluribus & fpeciatirrt niagis explicanduni erit. (QuadratusSt fine culpa. )Arift^.Hhet. ca. n. ait^viitaifebonum quadratuift appellant per tranflationem.Significat autem Ti7pftwor 5 hpc in loco homing conftaintem aptumque ex fefe Juifque viribus pollentc>& vndetjuaque adeo - bene virtutis pra?udio fulum,& quafi quadrata bafi pofitu, vt difticulter lo- cocedat,ideftea^atqua?reprehenfione.velodiodigriafunt . Horatius I.a. fcrntfst.zo; aliafignificatibne vocauittalem hominem^tetetem atque rotun durrt^e eft a?qualem atque in feconftamem&r qui niiHo fortune flatu aut aduerfo aut profpero ab officio viri probi difcedat.Eius carminaqupdpr*- Digiti zed by G00gle t74 ETHICORVM fentem contextumrepr$fentent:hic apponere placuit : Qjiifnam|gitur libertSapfeifi^Cbfi quiimperiofus, (^uem ne^ue pauperies>neque r^ovs nequevinciilaterrent, Refponfare cupiditiitus,vt Vkdignafit qu^tecenfeaturjoriiiiiiio nihili faciffius. Sedcummulcafortuito eueniant,eaque magnitudine &paruitatedifferant, perfpicuum eft, res fecundas atquc aduerfas qua* exisuae Tunc > nihil momenti ad vicam habe- re:eas vero quae magna? Sctnultx eueniunt , vicam beario- rem efle effe&uras. Nam & ornamento fuapte natura efle folent,& vfuseorumpulcher& bonus eft: con traria vero vitam beatam excruciant, & labefa&anc: dolores nan- que inferuntanimis, & multasa&ionesimpediunt. Ve- rumenimvero etkm in his elucetipfumhoneftum,cum quis mulras & magnas calam itates asquo animo fere , noi\^ quod doloris fenfu careat,fed quod generofi magnique fie animi.Icaquefi vitae principatum obtinent a&iones,v t di- ximu* , Nemo beacus vllo pato mifcr efle poteftmuquam enim^getquicquam improbum,autodio dignum . Nam qui vere bonus& fapiens eft,eum putamus,omnesca- fas fortune decenterferre, femperqueex iisquae fuppe- tunt,res pulcherrimas agere. Quo modo bonus Impera- tor , eo.exercitu qui prafto eft, femper vticur bellicofifsi- c. Etfutor^xiis pellibus qua? ad eumdelatxfunt,cal- ceum puloherrimum conficit,eodemque modo casteri ar- tifices omnes. Cafuscerte qui in vitam noftram impetum facei* folent,fpernit vir bonusj&ni&lipwtfiw^ , ciyn virtu T - - _ . ^ .... ._. .. -- . - . ^ . , ^ Digiti zed by G00gle L I BuER I. Y m ti$ habitum bene confirmation haheat. V*rtimtam*n aliqua- diftin&jo diuer- fitafque itatus 8c conditions yiri probi, aBimaduertenda eft, prout grauio- ribus,aut diuturnioribus malts con fti&atur. Namfiaduerfa fortuna exigua fit &leuis ^ parumaut nihil de lUins foelkkate detrahetur ; quemadroodum etiarafiproi"perafit,&nonjagDi:ppBderis,ttuHuiTi habere momentum vi- detur ad Beatitudincm augendam:res enim exigua?( vt magnus Auerroes di- cebat)nihilLinftar obttnent.Si vero magna fint infortiauajabefadabitur qui dcm nonndiil , ac debilitabituc Beata vita , quod ab iis , omnis bene agendi f acuJtas Beato er ipiatunquanaimuis tamen calamitofus fit & aiHitus,(t per- fetia atque abfoluta virtute praeditus exift at , nunquam prorfus f rangejtiuv autaoimumdefpondebit ifedYirtutij eiusfobur vbiqueelucefcet, fortitu- dineanimife erigens , leuiterque;& placidecalaraitates fuasfuftinens.Ex quo colligituriBeatum homiriem, ideit qui menie bona & firma , virtutisque perfeda?pra?fidiotantum munitus eft > non effe quidem abfolute oinnino- que foelicem, ciim parum de perfe&a? foelicitatis ftatu recedat,non ta- menMiieruvnquaniefficipoffe.Nanvquantunmis raagnis aut multis corpo-. ris & fortuna? bonis ornamentisque^vel ipfe fpoliatus fit, vel ill is quos amat plurimum,quta tamen maiorem &, pc ftantiorem Foelicitatis paem 5 ideft prudentiam reliquasque virtutes pofsidet, femper aduerfam fortunam puj- chtTfime f eret: non quiaftupidus, & doloris fenfu carensjvt Stoici? dicunt, (hoc nanque efle non poteft ,fi homo ,homo fit , aut faltem non infanus, ) fed quiarobore^aequitatequeanimiquadajnftabili prarditus fit : atquevtfemel dicam,ita comparatus^vtproi^agnitudinefortun^r&inflrumentorum co- piafibi fuppetente,decenter 3 & ftre nue femper inwtaj SrMoribus bene fege- rat. ( Res fecundas atque aduejfas qua? exiguae funt**) V tTota qua?ftio pro- pofitain anguftum coacludi a nobis poftea pofsit 3 colligantur pa&im Theo- remata adiUam pertinentja :x hoc itaque loco pfimum colligitur,quod ita> habet: Sileusaliquqs '8c non fpulti ponderis infrequentesquecafus For- tuna inuehat, retinebit adhuc Beatus Foelicitatis , tametfi non omnino inte- grafit,poffefsionem. (Eas vero quae magna?). Quomodo ifta fint intelligent da/uper ius $c non femel diximus , cum de bonis Natura? & Fortuna? agere- mus* Tantthn ooto 3 npn fat is, prudeates  eos h6o rloco f uifle > qui fimplicrter dixerunt , Bona externa , non ex hjrpcfchefi fcAfer fe optabilia effe y id nan- que vetede omnibus did non poffoaqtea oftendimus;: Et falfo Cyrus a- pud Xenophontem dixiffet > diuiijfs illos appellandos non efle > qui plu- rimam argent i atque auri copiaftt, in arculi$ obfignatam habent, eaque, fibinunquam vtendum cesfent : Qiipd tamen non eft falfo idi&um: Secus- enim ( vt idem in quit ) tJ nHli^es 3 qui in aliqua vrbe excubias agynt om- niumditifsh^os paeritaiijd.iciare ^porteret > ab its enim plerumque innu- merabiles thefauri cuftod^untur : Qu^aproptercapite etiam quinto diceba- mus y Diuitias a yoluptatibus 3 ex Ariftotelis & Pythagora? fententia>nonr multura inte)c fe differre>(Contrariavero). Alterum Theoremaeft 3 Sivir bo- pus Anxagnas gj^uifsHn^sqi calamitates mcidat^o erit ille quid^ abfolute* Digiti zed by G00gle 17* ETHICORVM emnihoque foeiix fedpToxrme tardea accedet ad Foelicitate : Nam ma- iorero 8c pra?ftanuorem foelkitatis partem,ideft virtutem pofsidet. (Dolo- f emaanq; inferut animis). Caufaeft cur ifta infortunia magna,enoruare& labefa&are foehcitatem foleant. ( Non quod dolqris fenfu careat , fed.quonempe ft&y&i&^X*** Magaanimi autem natura in eo potifsimum elucet, ( neque eaim ehw vim diligentius perfcribere huius loci eft ) vt cum excellent! quadiam fingularique virtute fit prafditus , fi pro bene fadis Am, igaominiam accipiat,$ obimproborum inuidiam in fordibus iaceat], nullo- que in honore apud fuos habeatur,ipfe tamen fe non frangat , 8c confcientia bene ad vita? eximiaeque virtutis t ua?,fat fit aduerf us omnem famientis for tuna? impetummunitus,floccifadatnonmodo honores in quibus expeten- dis magnanimus cernitur/e^etiam principatus>& diuitias,qua? maxime pro peer honore optabilia fimt:in fumma,tam aduerfam quam fecund&m fortu- 'rtam bellifsime ferat.De Magnaniroitate & Magnanimo Pontanus adeo egre fie fcripfityVt quantum ego iudico , parem ea in re fcriptorem hadenus non abuerit.(Itaque fi vita? principatum).Tertium Theoremahoc fit, Si Foelici tas> prudentiS reliquifque virtutibus tartquam primariis & prafftantidribus fui partibus coftat 5 ifra verb ftabilia funt>& nullo pado poflut amitti.nunqua quifemelfcdixfueritadmiferiam recidet: cum Mifer proprie fitquipru^ dentia,iuftitia 3 temperantia fortitudineque fit deft itutus . Sed opponet liuie Theeremati quifpiam,locum z.pol.cap.4. vbi de Magnitudine Patrimonii lo quens Arift.diCebat,Fieri pofle vt tempest quidem Mifere tamen vkuitur; Refpondetur quidem rede,putajidum efle ibi Arift.improprie vocabulum U lud vfurpa{re,&intellexifrenonbeates quanquam 8c aliter poflet refpofcde-* ri 3 Ariftotele 3 nempe eo in loco>hon vti parttetfla ot8AW,qliod fignificatMife re,fedparticulaTfltA(w^pr:difficulter,cum penuria 8c la- bore: Concederet autem Arift.Fbelieehi poffe *&hauJp/do ^^Ik>nUsMp^raW^.fra diffi cilia verfahir Ars & Vttms^il^x^^u^ v^r^iefr^dfficilW^Verfitiw vt Iuftiti!a TeperaAcia,Fomtudo^frud^i^dhtSt of acftintiorW Virttitcs ft*! .ai^&^.N^qui w fortitudinis,Temperantia?,Iuftitia?,atque Prudential expers,mufcas circum- uolaa- Digiti zed by G00gle LIBER I. 177 uolantesraetuat , & quicquid libuerit etiam exfremoram,edendo vel biben*. do,a nullo fe continens perfequatur 3 non parcat amicif simor vita? vt au&ior fiat vno quadrante,Hunc nemo Foelicem efle dixerit. Qui ergo has virtutes pofsidet in rebus etiam difficillimisfe virum efle probum,iro:egrum 3 no fra dumautlanguentemoftendet,nondefperabit,non defpondebit animum, fed pro loco 3 tempore,& fortunis 3 bene fe in vita & moribus eeret,inftar 6- ptimi Imperatoris 3 euius quanuis penetotus exercitus abholhumimpetu fu gatus fit 5 ipfe tamen non fuccumbit Hofti,im6 copiis iis paucis qua? fibi in- tegral manfenint , impetum in ilium ft reriuifsime & bellicofifsime agit.Ex- emplum futorisaffine eft priori Imperatdfis , &feipfoperfpicuum : Quart eo prartermiflo,ad Ariftotelem fedire fatius ef it . Quod fi ita eft , ptofe&o qui Beatus eft, Mifer efle nun- quam poteft-Non tamen Beatus did poterit,{i inPriami calamitates incident. Neque igitur vari 9 &: mutabilis eft: Nam neque facile de beata vita potent dimoueri , neque a quibuflibet rebus aduerlis,fed a iliagnis& multis.Con- tra,neque etia talibus fortune cafibus perfun6~tus , rurfus breni tempore fieri potent beatus: fed fiet >fi logo & per- fe&otemporis interuallo , magnarum atque honcftarum rerum compos lit efte&us. Quantum eft initio capitis,primo 3 num expe&andus effet extremus vi- ta? dies , vt quis vere fbelix iudicari poffet : Caufa dubitationis ea fuit , quia^ Fortuna? volubilitatem extimefcere oportet, Oftenfum eft poftea,Fortunanv non efle extimefcendam, quia qui femelFcelixfuerit jideft habitum pru- dential & virtutum perfede adeptus fuerit, adeo firmo & ftabili ftatu quafi quadrata bafi pofitus fit>vt de eo deiici nullo fortune impetu queat. Hoc ter tio Theoremate antea collegimus:Exquofequitur 3 Hominemtalem non expeftato vita? eius extremo die, fed dum viuit 3 non iniuria Beatii iudicari, & praedicari poffe:quanquamidem 3 fi reliquis bonis externis fortuito priue- tur,parumper de perfedo & Integra? foehcitatts ftaru 3 fit reiceflurus. Huius Theorematis , & Quaeiftionis occafione oftenfum eft deinceps , quantum & quatenus, Foelix de fua poflefsione, euentibus Fortuna? malis ; cedcre pofsit. Primo enim Theoremate declaratii eft,Si leues lint cafus & nullius momcn- ti,nihili inftar obtinere;Secundo vero>Si in calamitates graues & infortunia diuturnamagnaque,(quales Priami calamitates in hoc noftro cotextu fuifle refeft)vir probus incident, ilium non quidemabfoluteomninoque foelice fore, fed proxime tamen accedere adfoelicitatem.Ha?con nia iterum pau- cis & mirabreuitate arteq; in praefentia repetit,vt vniuerfale pnrceptum ex qua?ftionis propofita? diflolutione,nobis relinquat. Vir Beatus (inauit)mi- fer efle nunquam poteft , quanquam non,beatus effici queat. Quid ergo,di- Digitized by VjOOQ IC i?8 ETHICORVM cet aliquis,fi a Beatitudine difcedere poteft, in quo ftatu jColIocabttur ? neq;- enim ad miferiam tranfit , vt pofitum eft: Reipondeo, ilium declinare ad .Medium ilium (latum inter Beatitudinem & Miferiam jntejrie&um , de quo nos fuperius loquuti fumus. Hoc modo explica locum Ariilotelis feptimo xc Ethicorum capite decimotertio,cum ita fcribit. Nam qui eum,qui rota tor- cc quetur, & calamitatibus magnis opprimitur , Foelicem effe dicunt,fi bonus nihil dicunt , fiue fua fponte, flue inuiti dicant. Stoicos nanque eo in loco proculdubio perftringit , qui Summum bonum fola virtute definiebat:ii er- go vt fibi conftarent,& ne pugnantia loquerentur,Hominem grauiftimis e- tiam calamitatibus circunuentum,Foelicem dicere cogebantur:quod falfum eft :quanquam idem Mifer prsedicari nequeat. Pulcherrima Sc Aurea do&ri- xia ex hoc loco colligenda nobis eft:Nimirum vt fi Foelices effe velimus , aut eerte a Foelicitate non longe abeffe , ftudeamus in primis,vt Prudentia, Iu- ftitiam,Temperantiam,Fortitudinemque 3 nobiscomparemus. Has qut- dem confequi difficillimii eft ', qua? difficultas ob naturam virtutis con- tin git , cum in medio confiftat,a quo multis modis poffumus aberrare, vc- rum ( vt Plato ait)hoc incommodum , alio bono natura compenfar.Nempe, vt qui vnam harum virtutum adipifcatur , omnes pofsideat : quod in vitiis non euenit,v tin fecundo huius aperietur. Pro qua re animaduertendum eft , ita fe rem habere in Ammo noftro vt in Adamante , qui natura fua du- rifsimus quidem eft, ac difficillime franci poteft , fi tamen fanguine hirci- no illiniatur,molIefcit ftatim, & facillime frangitur : Ita animus nofter qui Diuinus eft atque carieftis , neque fuccefsibus vllis Fortuna? expofitus , fi in- ertia? acfocordia?fededat, &mollitie diffluat , fa?pifsime flante Fortuna aduerfaaffligetur, & quantumuis exiguis infultibus fortuna? fuccumbet.A- liter Theologia Chriftide Beatitudine loquitur. Quanquam enimdicat* Beatus vir qui timet Dominum, & qui in lege Domini meditatur die ac no- de : tamen iftos habitus ad Obe k dientiam Deo pra?ftandam refpicientes, confuetudine & vfgilantia in nobis ingenerari , iuftifsime negaret. Exordia tur Ppliticus ,.ab iis qua? in nobis funt , ii'fque adha?ret,ciim lumineSpiri- tus fan&i deftitutus, non quid verifsime homo fit, fed adumbratam &fu- catam eius effigiem tantiim cognofcat. At ii quorum oculis, lumen amiffum vifplendorisfpiritusChriftireftitutumeftjUitimiusacutiufque pia? men- tis acie hominis naturam intuentes , nihili prorfus ipfum effe deprehen- dunt , & hoc quicquid apparet,fucatum,impurum , atque adultcrinum effe. Quare qui fuperiora carmina,Beatum defcribentia,cecinit , idem alias cla- nuuit, Bcati quorum remiffa? funt iniquitates , & quorum te&a funt pecca- ta. Beatus vircui non iraputauit Dominus peccatum. Et fane fi caufam FcelicitatisChriftiana?Efficientemprimara,&internam,qualemfere A- riftoteles fua? Foelicitatis inueftigauit,reddere Philofophice , id eft cum ra- tione velimus, nullam aliameffereperiemus ,pra?ter Remifsionempecca- torum 3 qua? Adioni Bonorumex virtute opponitur. Sedde hacre agere, neque inunerismei,nequetemporis huius eft: Quare redeo ad contextual. (Nam rteijue facile). Repetitur primum Theorema. (Sed a magnis & mul- tis). Digiti zed by G00gle LIBER I. 17* tis). Hepetiturfeomdum. (Contra neque etiam talibus). Hoceftvehiti au&arium,quod deducittir quidem proxime ex fecundo Theoremate , vim tamen fuara & efficaciam a Tertio fumit. Vt, inquit> raagnis calamitatibus Fcelix deftatufuo deiicipoteft, quia tamen obpraecipuam&potifsimam illius partem quamfemper ret inet , Foelicitati proximusmanet: ita Foeli- citatem amiflam recuperare valet 3 fi videlicet 3 pofteaquam. omnes Fortu- ne impetus f regerit 3 non vnum aut alterum annum , fed longifsi mum & iu- ftifsimum tempus ex virtutis praceptis inf uturum agat. Quemadmodum fcnim non vnus dies , neque exiguum tempus, effieit hominemf oelicem at- que beatum ,ita non vnus dies neque exiguum tempus , Hominem probum de ftatu fuo femel deie&um>in priitiqam poflefsionem FoeKcitatis reftituit. Quid prohibet igitur,quominus eum dicamus Bea- tum , qui fuas a&iones perf e&a virtute dirigit , bonifque externis mediocriter inftru&ns eft , no ad quodlibet tem- pus, fed per totam vitam > An etiam addendum , qui fit i- ta victurus, &c mortem rationi coniienienter obiturus? quandoquidem futura nobis incerta funt. Beatitudinem autem finem e/le,& quiddam prorfus &omni ex parte perfe&um ponimus . Qvx fi ita fine , Beatos ex viuis di- cemus eos , in quibus ea infunt&inerunt, qua? a nobis fupra di&a funt: beatos (inquam) homines. Atque hax quidem hactenus. Quicquid Euftratius dicat , Ariftotelesin hac vltima capitis decimi parte ,vtomnem fcrupulum e medio prorfus tollat, vult paulo illuftriori colore ,fuamillamFoelicitatisadumbratam imaginemexprimere 3 acdefi- nire : vt ex particulis illis initio contextus pofitis, 77 olv jowaSh Kiyuv, fat po- teftintelligi-.Definitio autem exprefsioque eiufmodi eft > Vere Srabfolute fdelix ille appellaturrQui virtutis perfebe 3 perfe&o fungatur munere,reli- quis etiam bonis 5 fortuna? nempe & corporis fatis affluens , non in quanto- uis terapore,fed in vita perfedta , quique refte , laudabiliter, atque anteaite vita? conuenientcr,fit mortem obiturus. Circunftantiae huius & coloris po- ftremo loco additi ratio affertur : quia quales fortunse cafus & fucceflus fe- quuturifint,ideft boni vel mali, profperi an aduerfi , inexploratum nobis atque obfeurum eft 3 cum tamen Beatitudinem finem effe , & bonum quo'dda furnmum,omnique ex parte perfeftu,atque diuturnu animo concipiamus,& quod hominem vfq; ad extremum vita? diem cpmitari debeak Definitur er- go Fdelicitas hoc Ioco,non foliim praefentibus, fed etiam futuris bonis. Vbi iam referre ea dportet,qua? fuperius ih recetifendaStoicorum opinione,po- flea dicenda effe fignificauimusj Ariftotelem videlicet,Bearitudinem ftatue- re quide Completed quenda bonorum,tam IJortunae & Corporis,quam Ani- ma* ', non tame ill'am totam 3 fed particula illius minima in poteftate fortune -/ mii. Digitized by VjOOQIC * * i8* E T H I CD R V M quae multum poteft in rebus humanisrelinquere. Co(Ixge, vt non valet,Qtf* hodie Foelix eft, eras erit mifer : ita etiam non valere. Hie hodie Fcelix dx> ergo abfolutc Foelix cenfetur : nequcenim abfolute Foelicem heri aliquem fuifle dicere poffumus , nifi eodem ftatu e vita excefferit : Quare neque Ho- die abfolute Foclice illu pra?dieabimus,in quo infit talis bonorumexternoru copia,qu# paulo poll euanefcat: Contra fi per omne vita? tempus ftabilis vi- deaturpcrnranfura. (Beatos inquam homines). Euftratius legit (vt homi- nes)^ explicat > id eit quatenus hommum nature conuenit, quorum Vita in afsiduofluxu&variamutationeverfatur. Eodem modo legit & interpre- tatur Thomas. Alii,vt Auerroes,legunt(Secundum quod Homines) : quod i- ta interpretantur , Beatitudinem defcriptamHomini fecundum quod Ho- mo eft conuenire , acfi llli excellentior qua?dam alia,pra?ftanti6rque conue- niatj non prout Homo eft, fed quatenus Diuinum quid exiftit , de qua Arift. in io.lib.&nosfuprinonnulla obiter diximus. Sunt qui velint hoc locoex- plodi Hominem a Foelicitate Dei: Quorum vllum vt non improbo ita noif omnino probo, cum non in omnibus Graecis exemplaribus particula ilia (if cu^)'ide{t(vt)aut (Secundum quod) reperiatur. Simpliciter ergo dico, Ariftotelem , addere ilia verba,vt intelligeremus quofnam beatos antea vo- caflet, ne quis exiftirtiaret Bruta etiam,qii2e a foelicitate prorfus explodun- tUr,hancdenominitionemfortiripoffe,idcirc6que verba-illa p*)&e/vr $ difyww , coniupgi debent cum illis,]**;^^ l&vfjfa. Tota ha?c periodus ita fcripta legitur : eiSi o*]a, usu&e/vf i&v{jb %f(&flw oft \j&f>%t , j \krctp| ibJ Ar^3tX7tt, v ay^eir5 v ai^pimv^. (Ato^uehaecquidemha&enus). Acfi dice- ret * hoc pafto prima quarftio propohta, ad exitum perdufta fit. Nuncad al- tcramquae ex ifta exjtunditur accedendum: Confule pro his qua? hoc ca .tra- datafunt cap. i. i. iecundi voluminis ad Eudemum. c a p v T XI. Cafus auttm pofterorum atque amicorum omnium, nihil omnino ad beatam vicam conferre , id ab ami- cicia valdc alienum , fentenciifque omnium repugnans videtur. Caeterum cum mulca quotidie cuenta exiftanr, corumque magna fie varietas > cumque alia magis alia minus ad nos percineant , ea quidem figillatim in par- tes diftribuerc 5 atquc explicare,longum 5 & infinitum vi- detur. Vniuerfe autem oftcndcrej&velutiadumbrare, fortafie facis fuerit. Si igicur quemadmodum & res ad- uerfa? , qaae cuique accidunt , alia? pondus aliquod & mo- men turn habenc ad vitam,alix leues videtur: ita ea: etiam quae tized by GoOgle Digjtiz quae amicis omnibus accidut.Et intcrcft sin viuis vel mor- tuiscafus vnufquifque accidat,& longequidem magis quaminiquae&nefandaercs intragediis ante extiterint, quanigerantur,profedohacquoque radon c differentia colligendaerit: Vel potius forte de hoc quaerendum ac dubitandum eft, An mortui boni alicuius , aut mali parti- cip6s line :perfpicuum enim eft ex his,etiam liquid ad eos perueniat , quodcunque illud iir^iue bonum due malum,, perquam id exiguum , atque obfeurum , vel abfolute , vel illis elTe: Sin aliter, certe cantum ac tale, vt neque eos qui non erant , beatos efficiat> neque beatitudinem iis> qui e- am adepti funt,eripiat. Videntur ergo res amicorum turn fecunda?,tum aduerfa^nonnihilad mortuos pertinere,fed tales & cancx eflc , vt neque beatos aut mifcros efficiant* neque quicquamaliud tale. Quoniam de f celicitate & ftatu alterius vita? hominum difputare, non huius temporis, neque Politici rauneris eft:Idcirco eo pofito quod fuperio- ri capite diximus , nerape Ariftotelem in hac quarftione adducenda diflbl- uendaque,non mod6 ad id refpicerequod ipfe feniit,cuiufque ratio certa & perfpicuajnulla extat , fed obfcura,quam ad id quod vulgo hominum ac po- pulorum exifhmabatur , minus accurate rem hanc,prcceptoris veftigia fe- quuti, in pra?fenti tra&abimus; Verba tantum ipfius Ariftotelis paucis inter- pretantes,&r quad percurrentes&eliqua qua? ad hunc locum pertinere pofle videbantur , in publicis pr deleft torn bus noftris in duodecimum metaphyfi- corum, hoc anno Deo volente propofiturtae examinaturi,quomodo & qua- tenus Peripatetico ea proponere,expedere, ac ftatuere licet.Quaeftionis hu- ius fumma erat , num cum quis e vitaexceflerit , (i eius amid & pofteri , in maximas calamkates incidant,amit?at ipfe foelicitatem. Affertur duplex ra- tio, qua oftenditur,Mortuos non efle omnino cxpertes calamitatum& mife- riarum pofterorum , quos amant,ibi, (Idab amicitia). Prima Ratio eft ,quia ab Amicitia? vi efficaciaque & munere alienu effct>nihil ad mortuos pertine- re qua? poft obitum eorum, fuis eueniunt. Altera, quia id fententia? omnium hominum &populoriun clamant, quibus certe non repugnandum eft. Pro- qua re animaduertendum , Nat u ram prouidam & fagacem qua? rerum con-, feruattoni ftudet quantum potfeft , animantibus fere omnibus quae iifdeirt fpeciei funt , mutuam quandam propehfionem & beneuolentiam indidifle, vtalterumex alterius commodis lxtitiam,incommodis.vero maerorem acci peret: quofieret , vt cum ar&o iftiufmodi inter fe vinculo coniun&a mane- rent, iniuriisjintentuique minus effent expofita obnoxiaquclmprimis autfir i m.HL Digiti zed by G00gle Ife ETHICOIVM fibi ?nufquifqui omnibus aliis charior eft, & vtTerentianus Birria inqui^ Verum illud verbum eft, vulgo quod did folctj Omnesfibi melius effemalle,quamalteri. Sequitur amor in filios,paretes,8q>ropinquos,quibufcum maiorem naturae* coniun&ionem haberaus: erga amicos etiam magna eft charitas , Amicus e- nim alter ego: (inquit ille) E rga ciues minor, quod inter ipfos minor quoq, naturae cognatio mtercedat:Vnde,effe#ailla, inftituendorumliberorum diligentia, in diuitiis comparandis ftudium , propagationis nominis auidi- tas, teftamentorum diligentia , aliaquc huiufmodi,quibus quafi exprefle de- claramus , cios idcirco de pofteritate velle bene mereri , quiaillorum euen- tuumadnosquoquefenfus fitperueturus. Char i igitur mor tuis etiam po- fterieffeputantur,obhanc ar&ifsimam naturae cognationem intercede* - tern > vnde Virgilius 3 de Anchife inquit. -omnemque fuorum Forte recenfebat numerum , charofque nepotes. Quapropter tarn bona quam mala viuorum,ad Mortuos pertinentia cenfea- tur. De fententiis autem ex antiquitate petitis,fatis fuperius diximus.Hifce fie pofitis,Ariftot. excufat fe quodaramodo , fi quarftionem propofitam non adeo exquifite determinet vt fortafle res poftulare videretur,ibi,(Ca?terum cum multa). Varii nanque funt afiinitatis gradus , varii item amicitia?:pra?~ terea euenta qua? illis obueniunt , cum plura , turn grauiora aut pauciora dc leuiora > effe poffunt, in quibus omnibus magna latitudo eft:quare vix ac ne vix quidem fieri poffet,vt omnia ifta fingillatim,determinarentur:fat igitur rit,fi fummatim & in vniuerfura quaeftio haec definiatur. Quod vt fiat , rc- petitur id quod de F oelicitate viuorum cap.luperiori di&um eft , nam pra?- fenti quoque qua? ft ion i conuenit: ibi, (Si igitur quemadmodum). Non om- nes fucceffus Fortuna?, puta leues & exigui, fed quales Priamo acciderut,vel in amicorum & affinium , vel in vitam noftram incurrentes, Foelicitate no- ftram labefa&are valent dum viuimus : quare idem de amicorum mortuoru conditione ftatuendumivt videlicet exiftimemus,non omnia 3 omnium viuo- rum euenta,aeque illosattingere. Sed illud pmerea eft addendum, (Et inte- reft an viuis), Id eft, quanquam pra?ceptum iftud, tam in praefenti, quam in fuper iori que-ftione locum habeat , aliquid tamen difcriminis effe inter ma- la,prout a,d viuos,&.prout ad mortuos pertinet.Longe nanque aliter fuper- ftes & viuens afficiebatur Priamus, dumtot fuas, fuorumque calamitates ac funera videret , quam mortuus, fuiffet affe&us: vix ergo videntur affici at- que commoueri Mortui.calamitatibus viuorum. Pro qua re adhibetur fimi- fitudo eorum qua? in Traga?diis repraefentari folent. ibi,(Et lo nge quidem magis).Nam atroces & acerbifsimi cafus in A&ionibus Tragicis repraefen- tari foliti,Heroes quibus illi acciderut, iam defun&os nihil attingiit^uc ve- re attingebant, cum viuis illis obuenerunt. Quo fit,vt magis videatur qua! rendum, Vtrum ad Mortuos bona vel mala viuorum vllo modo pertinean quam vtru bona & mala viuorum ad vitam beatam Mortuorum conferuan dam velinquinandamvaleant. Concluditur tandem ibi,(Perfpicuum eni{ eft ex his), Res aduecfas aut profperas amicorum & pofterorum,fi qui Digiti zed by G00gle : li &fi& i; \%i Momiofiattingam,aut quianatura fuaexigu* funtiautquiaquintuuis mar gna? in viuis, leues in mortuis reputantur , (vt exemplo Tragicarum narra- tionum proxime explicatum eft)nen eflfe tanti momenti,vt eos, fi antea foe- lices erant, beata vita fpoliare,vel fi non antea erat,f oeliccs efficere queat: Quo forfitan mo4o locus ille $.ethi.ca.$*ne cum hoc pugnet , intelligendus > aut erit ad normam lllius particulf appofita?,nempe c&u /plane exigendus. C A P V T X I I. His ita pofitiSjVideamus vcrum Fcrlicitas habenda fit in numerorerum laudabilium , an in earum qux Honorabi- les dicuntur. Perfpicuum nanque eft,eam in facultatibus nonadnumerari. Videturigituridomnequod laudabile eft,ob earn caufam laudari > quod fie cuiufdam modi,& ad aliquid quodammodoreferatur. Namiuftum ) fortem,& omnino virum bonum,& virtute,propter fa&a a&ionefq;. Jaudamus.Robuftum autem,& eum qui ad curfum aptus ft , &C vnumquenque aliorum , propterea laudamus> quodnatura,cuiufdam modi finc&adaliquodbonum, praftantiamquealiquaih apti.Qu.od etiam oftedunt De- x>rum laudes : Ridiculi enimvidentui^cum ad nos refe- xuntur. Af & eft fummus honos qui fermorie haberi pofsit? x.rhet.ca. 9. Quapropter Deo & Diuinis tantum re&ifsime tribuitunnam eft,vt ait Ari- ftotel. finium , alia vero duo eorura qua? aliquo modo ad finem funt affe&a, Sed exoritur ftatim dubitatio. Nam in hoc cap.& 1. rhet. fcribitur,Laudem, pertinere ad virtuteni,Encomium vero ad fc&a praedara.Item in cap. tf.pri*. mi magn.mor.negatur,Laudem ad prudentiam pertinere,cum tamen virtu- tes moris,fineprudentia,qua? illaru reginaeft,eflenequeant.Refpodetur,A^ riftotelem &r Gra?cos fa?pifsime, eodem nomine>& genus & fpeciem appel- lare. Porphyrius hoc monuit , qui nomen Differentia? communiter > & pro- prie^ maxime proprie fumi poflenotauit : Ariftoteles quoque diferte do- cuit, ciim in i.Top. cap.i. Sophifticum locum vocat, to ayav HtlotZiw po9u& Zh%if>n(A.a.TW, cum tamen poftea dicat, tunc tantum elfe fophi- fticum , cum fjwrn dmyj^ToYj nytim $djtvo{/fa>v,it, & ad illam laus pertineat , cur ad prudenrii aus non pertinebit? Virtutes item laudantur ,quia honefta? funt 6c fub ai&io- nemcadunt,Launidentiaer^ eft &fub adio- Digiti zed by G00gle LIBER L tt, afticmemcadit. Mdximereroproprie accepta vox iTfotoryittutihus mora* iibus tantum tonuenit. Quod verb L*us alicubi Fadorum effe dicatur v ali- bi verb virtutura, nil mouere nos debeat:proprie nanque Elogiis flue Enco- miis fa&a fubiiciuntur,Laudi verb nonnifi quaterius virtutem vniuerfe co- fequuntur , &inillis virtus 9 cumlaterer,fefeoftendit,i.rhet. cap^t Hsecex Ariftotele. Quare quanquam quod ad vocis %7iwv yaivov'Tzu , a&t $** ditupiet- pSfjos. Lambinus Thomam fequutus, putat particulam >*Ao/o/,referri ad pro- ximum fuperius, nempe Imiyov , & idem hie fignificari quod decimo huiuf- ce tradationis feriptum legitur : Ineptam videlicet Deoru laudem futuram efle , fi quis eos ita laudet , quod malis cupiditat ibus careant. Ha?c & alia ab aliis propofita,nullo pado , quod ad rem attinet poffum improbare , neque Thoma:, neque aliorum fenfunr.petere tamen explicationem confentaneam verborum Ariftotelicorum poffum^debeoq* , cum omnes particulam illam dJciupcu&Hfyoij aliter accipiant, quam accipi oportere videatur,& vim aliqua verbis inferant. Quare vetus interpres & Argy ropylus,qui particulam y+- a.o7oj, ad 5*m retuierunt , redius meo iudicio fenferunt, Antithefis naque eft inter hac fententiam,& alteram qua? fequetur, quamque nos paulo ante ad- duximusivt enim hie Deus  ftudio &dili- gentia noftra adhibita, confequi valeamus . Encomia his finitima funt , pertinent enim ad opera & fa&a pradara , a virtutibus & habitibus. Digiti zed by G00gle M ^ ETiHICORVM tarn anima? quam corporis profe&a: qua? & ipfa alio referumur, nempe ad Foelicitatem. Vnde colligitur , Beatitudinem , eo quod Finis fit omnium o- ptimus, ac defiderabilifsimus, cuius gratia omnia facimus,Principium,om- ne amabile, omne iucundum in fefecontinens,tanquam Diuinum quippiam in numero earumrerumcollocandaraefle, quibus Honos & is etia magnus debeatur. (Sedha?cquidemaccuratius). Excufatio perfpicua , cuius affe- renda? occafio fumitur ex iis quae proxime de Laude & Encomio dixerat , & qua dicit^De Laudis & Encomii natura diligentius difceptare,non effe pra?- fentts inftituti , fed eorum munus, qui Laudes & Encomia fcribunt : ( Quia principium eft). Quicquid eft Excellens, aut vt Antiquum , aut vt Melius, aut vt Prinjcipium,dicitur Honore dignum , i. magn. mor.cap. y Annotetur hoc loco, Laudem ad id pertinere quod ad aliud bonum quod eft veluti finis relatum eft, vt patet: vnde fequitur neceflario 3 vt tunc tantiim Laude afticia- mus aliquem , cum ftudio & induftna fua , inj>rofecutione illius boni infla- mato animo & impigre ftrenueque elaboratrcontra vero vituperemus,fi ne- gligentcr turpiterque in ea re fe gerat. Annotetur fecundo , Hue quidiem id pone referri, quod ex fententia Alexandri de Laude a nonnullis di&um fu- periusreprehendim js , Laudes nempe ad cohortandum referri poffe , aim Latas in illisfit, in quibus ftudium&dtligentia noftra defideratur , non ta- men,yt diximus,hoc ad proprie fumptum Laudis vocabulum pertinere. An- notetur tertio. Quicquid obaliquampra?ftantiameminet atque excellit,id venerationem,Cultum, & honorem mereri.4. Ethi.cap.j. Vnde, & egregios artifices quos fcimus in arte fua excellere , plerunque colimus. Item ea fci- eatiam , qua? de fimplicibus & diuinis mentibus pertra&at, nempe Theolo T giam, Ariftoteles Honorabilifsima appellat.Quanquam fi aliquis ex ilia pra? ifcantia fru&us iivnos proficifcatur,maior Temper honos illis adhibeatur , vt Foelicitati,vt Theologia?,Yt Mentibus ca?leftibus,Yt Deo: verba Philofophi vnde iftaextunduntur, fcripta funt 4.ethi.cap.de Magnaimo. Q^od fi quis petat , qua ratione addufti eos admiremur, atque honoremus, qui quanqua aiiquam in fe habeant praeftantiam, non taraen nobis fru&uofi funt: Refpo- detur, id a nobis fieri, quia fi minus vtilitatem nobis afferant, faltem volu- ptati & iucunditati funt,qu# voluptas in genere bonorura eft : omne autem quod bono aliquoexcellithonorabile eft. S^diamad finem tra&ationis de Foelicitatehumanaperuenimus,Q^arecommodioris Do ftrina? gratia co- cludamus in anguftum loci fpacium ea, qua? hadenus de illius natura ab A- riftotele fcripta fu^t. Id fiet , fi pofita imprimis illius Defcriptione,caufa? e- kifdem omnes enumeretur,poftremo definitio perfeclifsima affignetur. Eft ergo Humana Foelicitas,que hoc loco qucritur,nil aliud quam Bene viuere, aut Bene agere, cap. 4 Efficiens illius caufa, eft duplex, vna extrinfecus po- fita, altera interna , qua? vicem forma? gerit,vt ex Auerroe non femel dixi- mus. Caufa extrinfecus pofita,prima maximeque communis Deus eft: Mi- nus verageneralisFortuna, cuius profperitate egemus,vt integram Foeli- citatis poffefsionem obtinere ac retinere valeaihu$,cap. 9. Propria? vero ma-* gis,exter.n# caufa? efficieotes funt * Pareittum in nobis fufcipiendis & alen- dis,Pra?- Digiti zed by G00gle UBER I. t$p di$, Prsceptorum in nobis bene educandis inftit ucndi'fqiie diligentia fedu- iitafque. Efticiens aute caufa in terna,eft*Aftiones probx virtuti prudetieqj confentanea?. Finis Foelicitatis 3 ad quod videlicet tanqua nd caufam ipfa rt- feratur, eft Foelicitas ; qua? iirconteraplatione verfatur , cuius deinceps nul- lus finis eit,cum ipfa lie fin is & extremu quo fertur humana natura Finis co- munis die eft ac generalis 3 Vniuerfitatis npe perfeftio integritafque,& glo- riaDei in eius benignitate ita fufa^elucens. Forma,eft vis & natura ^oelici- tatisiqua? ab Ariitotele tribus illis conditionibus exprefla eft. Bonum perfe- d:um, Seipfo contentum , Propter fe tantiim exoptatfdum. Materia illius, cum fit accidens hominis,ipiumqueexornans&perficiens, Primariaerit> Mens prout agit,& Appetitus ratione conformatus 3 Secudaria corpus, quod etiani cum Homiriis pars fit, optimum ftatum habere vult.Haec paucis addi- -tis, aut mutatis, Foelicitati qua? in Contemplatione confiftit , qua?que prar- ftantifsimaeft,conueniunt. Sit igitur Foelicitas,Bonum perfedum, quod fatis eft homini, propter fe expetendum,pendens ab aftionibus ahimi ratio- niscompotisjcumvirtute congruentibus , &Fortuna? profperitate in vita perfeda , a Deo Hominum generi datum , vt vniuerfitatem nanc perficeret, jfuamque benignitatem raagis patefaceret. CAPVT XIII. Sed quoniam Beatitudo eft adiqejuardam animi, vir-v tutiperfe&aecongruens, virtus ipfa coniiderandaeft: Sic enimforfan Beatitudinem melius concemplabimur. Nunc vult Ariftoteles extremam roanum adhibere , exprimenda? ima- gini Foelicitatis : de qua ha&enus quid & qualis fit difceptatum eft. Princi- ()iananque illius intimius , virtutiique naturam multiplicem , fequentibus. ibris fpeciatim magis, atque ad viuum, vt aiunt, examinata proponet. Hoc vol lint verba ilia. ta^x. $ **Im di'&Woy ^  6c vulgo & Adokfcfcntibus.iniucuadum eft,quaprdpter & ecjucatio- nen\ Digitized.by^VrOOQlC ? e . LIBER I. 191 nem & ftudia , 8c exercitationes legibus defcriptas eflWnecefle eft. Ha?c A- riftoteles diuinitus 16. ad Nicomachuma cap. vltimo. Quae vtinam ob ocu- los continanter haberent omnes qui adjju)bernacula Rerum publicarum fe- dent. Eacerte Geneuenfes meihabent , qui non modo certas quafdam leges certofq; ordines ad mores, raaxime vero Adolefcentulorii probe efforraaa- dos,bonifque &iuftis a&ionibus inftituendos afTuefaciendofque ftatuerunt veriim etiam in nullam aliam rem magis incumbere toti videntur , quam vt a primis illis temporibus setatis , optimus curfus , pietatis nempe , vigilan- tia? , afsiduitatifque inftituatur: Animaduerrunt nanque Pii viri vel ipfa e- tiam nature ratione admoniti ,adpra?claram aliquam formam excipien- dam , Materiem idoneam redditamprius efle oportere , id eft praecultam pra?paratamque: Permagni enim hoc intereft. Nam prout Materies hoc .vel illo modo erit affe&a , ita etiam Yel praeftans velvilis forma inlucem prbdire folet. Ita prout Animus Hominis educatione a puero adhibita pra?- paratus erit,maiores vel minores ad virtutem,ad honeftatera &decus pro- greflus faciet. Sed ad rem : Vult Legiflator 8c Politicus ciuibus ad virtutem affuefaciendis, eos bonos efficefe, lecundo ethicorum capite primo. Vnde turn probi dues dicuntur, cum legibus parent : parent autem legibus cunt probi funt : probique fiunt confuetudine parendi bonis legibus, vt omnino illudverumfit,Ciuem bonum , & bonura virura inTe&einftituta Repub, idem efle. Idcirco Ariftoteles non modo inquit. CiKtttu y> iws mhrn^ kyt- SovtmiSv , fed etiam ^Kp^Hus-MxaV. (Cretenfium & Lacedemoniorum). de Horum Lecumlatoribus legibufque optimis *d mores ciuium informan- . dos pertinentibus , habes in hiltoriis:fiquidem veluti infigniores & nobilio- res celebrabantur tefte etiam Arift. i.pol cap. % & in hoc praefertim lauda- tor- , ab Ariftot. io.ethic. cap. vltimo Refpub. Lacedemoniorum cum paucis aliis,quod in ea lator legum educationis & ftudiorum curam habuerit , qua- quam multa earundem inftituta ab eodem reprehenduntur , lib. z. pol.cap. t.bcj* (Qua?ftioha?cconfentitcuminftituto). Euftratium,qui ha?c ad me- thodum tra&anda? difciplina? politic* refer t, non probo , quod a verbis ni- miumdifcedat,pra?terea vero Ariftotelis argumentationemconfcindat 3 quf . tamen integra eft. Dixerat , Politici hominis efle , de virtutibus difputare, quia^virtutum in primis efformator &: Architedhis efle debetrNunc colligit. Hanc difputationem ad praefentem traftationem pertinere : fiquidem ifta, vt initio libri di&um fuit,Po!itica quaedam fcientia eft,bonum vniufcuiufq; 3c Ciuitatis (idem enim eft )'qua?rens. In hunc etiam modum Auerroes , & Thomas interpretantur. De vircutc autem videndum eft , humana videlicet: Nam fummum hominis bonum,humanamq>FaJicitate quasrebamus. Virtutem vero faumanam appellamus,non corporis fed animivirtute. Atbeatitudineanimi a&ione dicimus. Quseilitafehabet,perfpicuu eft oportere Poli- ' 1 Digitized by VjOOQ lC t 92f ETHIC OK VM ticum cognita quodammodo habere eaquae ad animum pertinent >qttemadmodum etiam qui oculos,&: cotum corpus curaturus eft, oculorum totiufcyie corporis natu- ral*! perfpc&am habere debet, atqueeo quidem magis*  juo fcientiaCiuiliseftmaiorehonoredignaquamMedi- cina- Atqui politiores Medici multum operas in cognino- ne corporis ponunt:ergb& Politicusinanimicognitione*. operam conferre debet, conferre 3 inquamrhaium rerum gratia, &L quatenus fan's fit ad ea qu# quazrimus. Nam ac- curatior eius cxplicatio,maioris forcaUe negotii fit,quaea ipfa quae nobis propofita fut. De quo in libris Exotericis,. {atis copiofe a nobis ditafunt nonulla , qutb 9 vtendu eft, ReftrinjjitAriftoteles ftatim,quod abfolute antea propofuerat,non* %&m rei neceisitate impulfus 3 quain commoditate opportunitatis,qjua fibi a- ditum ad qua?dam 3 pnus adhuc quam virtutum naturam explicet neceffaria pertraftandapatefaciat. De virtutibus qjuidem ait, hoc nobis loco difcepta- tio inftituendaeft , fed non de omnibus > verum de iis quae hominis propria? funt : E5 de iis etiam non. omnibus , fed qua? ad animum illius pertinent :qui- bufque animus hominis quafi fubie&a materies informatur effingiturque. Ex quo tandem colli git >confentaneumeffe rationi, Politician natura & vim aninu quern virtute ornare vult, aliqua ex parte contemplari debere:quera- adroodum etiam.bonus Medicus* qui-oculos totumque corpus curaturus eft, plurimum operg ftudiique in oculorumtotiufque' corporis cognitione con- tumit. Quanquamnon magnopere anima? virium inquifitionem explica- tionemque ad Ciuilem pert inere dicit : fed eatenus tantum quatenus fat is fit ad animum quo ad eius quafdam partes curandum, id eft ? vel virtute or- natum conferuandum, vel vitiorum morbo affedum in fuam fanitatem re- ftituendum. (De virtute autem), propofitio. (Nam fummum hominis bo- num), probatio propofitionis. Qua? omnia perfpicua funt iis qua? fuperius attulimus. (Virtutemverohuraanam). Gradatim defcendit,& magis fpe- ciatim propofitumfuum aperit. Quod fane notifsimum erat , ex cap. 7, fed hie explicatur , vt necefsitas tra&ationis de anima, qua? ftatim fubfequutura cft,aperiatur:Opponitur autem virtus anima? virtuti corporis , quo nomine id omne intelligi volo, cuius adiomanus aut alicuius partis corporis opera eget, vt faltatio,equitatiojalia'q> his finitima. (Qua? (i ita fe habet).Dixi ini- tio huius libri,Moralem banc Facultatem, Artem quandam eife,qua? proFine & Scopo habet virtute,pro Subie&o veroHomine 7 fiue hominis animu:hunc cnim vult bonis morib 9 effigere informareq*,. Quare debuit Arift.natura a- nimiji.Suhiedi fui,paucis conteplarirSubiefti inqua fui,quia Arift.i.pol.c.^. de artib 9 loques dicebat,Yoeo aute materia,fubie&u, ex quo opus coficitur, vttex- Digiti zed by G00gle -ZV V .!"  LIBER I, [m vt textorilanaf,quafi materia r ubiiciuntur, a?sautem ftatuario.Hoc fubie- ftum nonvult conficere Ars>fed F inem,vt ex primo polit icor urn capite fexto illis verbis difci poteihNam vt medicina infinite fertur in fanitatem , & ar- tes fuumqua?quefinem line modo pet unt, quippe quern maxim e volunt effi cere,&c. Item ex iis quae initio feptimi capitis habentur . Vt enim Politica noneflficithomines,fedanaturalibitraditisvtitur,&c.Cuiquever6 artifi- ci fat eft,fi vel tenue coghitionem fui fubie&i habeat,vt fabro lignario ligni, (perfe&am nanque contemplatori Philofopho relinquit,) ita Politico fat eft fi quarundam animi partiu quas curat > quarumque fanitate boni homines 8c fcelices,morbo autem improbi & miferi exiftimantur,natur a leuiter iibi in- formetur , plena traftatio difquifitioque Phyfico referuetur . IdcircoA- riitot eles inquit 9 pjf70K q Ivuiwyfaw kcu \& in fanitate conftituta funt,Exercitatrix,congrua & moderata exercitatione adhibita , in fuo ftatu firmat at que conferuat :ea vero qua? a bona temperatione , natu- rseque exoptato ftatu ceciderunt , Medicina natura? fubueniens,morbum de- bellans,in priftraam fanitatem reftituit . Praeterea quoad fubiedtaetiamin quibus veriantur,magna eft Politici & Medici fimilituda . Corporis mem- bra qua*dam & partes diuer fam naturam obtinentes, funt , ita Animus mul- tas habet quafi partes,vires & facultates. E t fi vero munera vtriufque (imilia fint,praeftat tamen tantum Politicus Medico , quantum Animus Corpori an- tecellit.Politicus inquam,ideft Legiflator qui Philofophus eft(vt Ariftoteles non femel & tacite & exprefle monuit)non iuris quiuis Peritus : ille nanque Autor legum eft,& Philofophiae partem fibi vendicat, hie quafi cuftosr & mi- nifter legum habetur: Annotetur infuper in contextu,Oculi & Anima? colla- tio, quorum duoru quatafimilitudo in ofFicio>dignitateq a , extet,alibi diximus. (Politiores medici)quos capite primo libri de AEftheteriis fenfuum & fen- frlibus, item initio libelli de fanitate & apgritudine: Medicos Tifa? 7bj) lixrbjj (jLtlioflu appellat:boc in loco^etpiv7^ , ideft eruditiores dicit , & funt ii qui artem non Empyria quadam tantum tenent 9 fed accurate illius pra>ceptaexquirunt.(Maioris negotii eft) Phyfiologioci nimirum, atq; illius partis phyfiologia?,qua? honbrabilifsima dicitur,primo de anima capite pri- ~ n.i. Digiti zed by G00gle Z 9t E T HJ C O R V M mo. Quid fi dicas Metaphy Gees? nil certe obftat>vt alias oflcndimus.(De qua in libris Exotericis) . Multade hac voce a multis di&afunt : Prater caeteros vero,ii mihi furamopere probantur,qui dicunt Ariitoteli* duo librorum ge- nera f uiffe, vnum populariter fcriptum,quod i%a7ff>tiwv appellauit:alterum li matiusquodincommentariisreliquit,& ixf (m^jlavjcov dixit.Non quia>vt Plu tarchus cenfuit,in illis ciuilia 3 moralia,& oratoria Jdeft leuiores rationes tra &entur,in hisrverofubtiliora,vtNatura,Deus pertraftentur,fed quoniam,vt Alexander & Euftrarius fcriptis fuis mandarunt , tradationis difsimilitudo, non rei varietas,in illis animaduertenda fuit:de iifde enim rebus ab Ariftote- Ie bis difputatum elfejifti tradunt,fed in Accroamaticis quidem fubtilius,at- que ad limandam veritatem aptius,in Exotericis verb probabilius > atque ad efficiendamopinione accommodatius. Cui quidem fententiae quamego ve- rifsimam nunc iudico,id non leue teftimonium efle crediderim, quad vix v- namaut alteram tra&ationem Ariftotelicam reperire licet, in qua nonde Exotericis eiufdem argumenti difputationibus mentio fiat. Atque banc ccn- fuetudinem non in fcribendo foliim, fed etiam in docendo Ariitotelem reti- nuiffe Euftratius & Plutarchus declarant:nam auditoribus iis , quorum ipfe optimum ingenium fpe&atum haberet , acroamaticam difciplinam & qui- dem matutinis horis in Lyceo tradebat,aliis vero exotericam,vefperttnis ho ris,necnon extra ly ceiuiL Mirum tamen eft,vt obiter illud etiam dicam,Exo- tericorum iftorum librorum nullum aut certe paucos ad manus noftras per- uenifTe.Eudemum Dialogum in quo de anima exoterice^teftePhilopoao,agi- tur , nos, quod fciam , nondum vidimus . Extant Iibri illi quatuordecim, Theologiae fiue Philofophiae Myftica? Roma? anno 1519 . imprefsi , in quibus multa de Diuinis differ untur:Caetera perierunt,nifi problem ata (qua? tamen noninvnacertamateriaverfantur.libellude mundoaliaqueeiulmodi,liuic . librorum generi adnumerari velimus. Vtcunque vero fit,non dubito amplius de illorum errore,qui Exetericos commentarios apudAriftotelem,interpre- tantur eos qui extra rem fcripti funk Vcluti,vnam eius partem rationis expertem efle , alte- ram vero participem.Vtrumautemhaediftin&as fintque- admod um partes corporis,&quicquid in partes fecari po- teft , an ratione dux fint,fuapte alioqui natura mdiuifa?,vt in rotunda figuraea pars quseconuexa,&: ea quae concaua dicitur,ad id quod agimus nihil refert. Eius autem par- tis quae rationis expers eft,vna eft pars qua: omnium com- munis eft,&: qua? piantis etiam e6uenit,eam dico qua? cau faeftcuralamur augeamurque. Talem enim animi vim, cuminiis omnibus qua? aluntur, atq; adeo in fcetibus im- perfeftis ponere liqct,tum etiam in perie&is animatibus: P rQ - Digiti zed by G00gle LIBER t itff probabilius eft enimhanc eandem efle , quam aliam . Hu~ iusitaquc virtus omnium communis, non hominis pro* priaefTevidetur,quippe cumin omqisha?cparticula,at~ que hxcvis fuo munere fungatur: Atqui bonus ab impro* bo infomnominimu difcernitur.Hincillud,quodaiunt, Inter beatos ac miferos dimidiamvitae partem nihil inter- efle:eiufque rei ratio probabilis cur ita accidat , afFerri po- teft . Somnus enim animi requies eft , qui vel probus , vel malusdicitur,nififimotusquidamfenfiminterueniantac permaneant,atqueitabonorum,quam quorumlibet alio- rum phantafmata fine meliora. Sedde his quidemfatis. Alendi itaquevis pratermittenda eft,quandoquidem vir- tutis humana? fuanaturaexpers eft. Egimus capite feptimo nonnulla de hac Anima? diuifione,qua? ab Ari- Itotelenonmodo hocinloco>fedetiamfa?pifsime in aliis libris Ethicis Poli cicifque repetitur: Quoniam igitur , ad politicum accurata exquifitioha- rum animae partium , non magnopere pertinet,paucis quibufdam addi- tis , fatis muneri noftro interpretandi teciffe videbimur . Quod verb in praefentia addendum effe exiftimo , illud eft , vt partium aut facultatum animar diuifionem quandam,non illam quidem integram,fed huic loco acco- modatam,ex A ridoteleque defumptam,fpetadam ob oculos ponam, necnon carundembreuifsimam quidem,verifsimam tamen expKcationem fubneda. Neque erit hoc, vt puto,a re alienum,pmerqua enim quod adMoralem hanc tra&atione aliquo id modo pertinet, Animi noftri naturam, quod multo ma- gtseft,velpotiusnos ipfos nobis notos reddet-.Ex qua demum cognition ne 3 multa? magnxq; vtifitates in nos prouenire poffunt,vt Croefo Lydorum Regi,fortunatifsimo,quonampa&oreliquas vita? partes,foeliciter perage- re poffet oraculura confulenti,ugnificatum eft. fORMVLAM ET FIG VRAM DIVISIONIS H A B E- B I t I E O^J E NT I PAG, DESCRIPTA M. n.ii. Digiti zed by G00gle 194 ETHICORyjt AMIMAE TRES SVNT quam vt Confer wet ant amiflam recupe- ret, conuentemibusquibufdam ad earn rem irtftrumehtis , a natura munita dhratione caret , quam etiam non audit , & in fomrio pra?ripue fua munera exequitur, b.cd. Nutritio ab anima efficitur non a natura, vt Medici exifti- mant,auxilio tamenCaloris infiti,qui veluti pra?currens, alterat,& cocoquit id quod parti nutrienda? afsimilandum eft . Eft ergo nutritio nil alit^ quim appofitio qua?dam fubftantia? deficientis 3 partibus, aut Conuerfio nutriment ti in corpus animatum.In quaNutritione tria fefe nobis fpe&anda offerimt, Quod nutritur,Quod nutrit,Qup efficitur nutritio.Nutritur Corpus anima- turn cuius humidam fubftantiam Calor infitus ob fui conferuatioricm afsi- due depafcitur : Nutrit Anima: Nutrimurveroalimento, quod poreftate eft fubftantia partis nutrienda?,a&u vero talis a Galore infito alterante con- coquente &mutante,tam in ventriculo,quam hepatevenis 3 &: ipfis particulis, efficitur. Viget autem Nutritio in animato , quandiu viuit . Nutritionem fe~ quitur Audio, quae fit ebdem alimemo , non prout fifnpliciter qua?dam fub- ftantia eft>fcd prout eft quoddam Qitantuni : Vt Audio nihil 4liud fit , quam folidarum animalis partium amplificatio in longum, latum , Srprbfundum. Et ha?c in viuente aliquando quiefci t.Generatio non vna & fimplex aftio eft, ied ex alteratione formationeque cotnpohitur , & eft Aftio anima? , qua ani - mantia ad producendum quod fibi ad fimilitudinem forma? refpondeat , apta funt, partefquefingula? in anirnantibus & ipfe foetus perficitur. e. Senfus apud Peripateticcs,eft qua?d5 Forma fiue facultas ex mate- ria? finueruta, conitans ex temperarione elemetitorum, atqtie inftfumento corporeo ad res extrinfecus obie&as percipiendas vtens. Tradiicitiir iute ad a&urnFacultas ifta,fufceptione fpecierum a rebus extra pofitis ad organa fen fuum delatarum. Tunc enim fenfilia percipere & diiudicare poteft, cum ipfe in fenfilium fpeciem quafi formatus erit. f.g.h.i.l.m.n.o.p.q. VniCus reipfa fenftis in homihe eft ,inCorde manens veluti in Regia , qua ratibne Interior appellator .- vtitur autem quafi manibus propriis quibufdam organised res externas capiendas : ad colores Afpeftu , ad odores Olfa Fhantafia vbcatur : At fi nbn fimpliciter de ipfis cogitet,fed temporis qudqu* pta?teriti,& loci rn quo ad ipfum dela- te ruetint,circunftantiarti& cohtfderatioriem adhibeat, Memoria? nomeii adipifUturtcui affirm eft RemiiirTcentia. Ca?terivm huic fiobiliori anima? fa- cultati.bonum M quod perfruettdum femper iuducitur & rapitur, non eft in .iii. .Digiti zed by G00gle 8 ETHICORVM columitas fed voluptas . Quare quandiu fenfus communis aut Phan tafia Cm- plice cognofcit rem 3 aut (impliciter de ea cpgitaj, npn moiietur> ideft non fu- git,non fequitur,& fenfus au{ Phantafia diutur ; Gumprimura vero fpecies aliqua iucundi aut molefti rei adiungqtiu; , continuo excitabitur AppetHio. Eft ergo Appetitus idem re,cum fenfurimo eft idemmet fenfus cum habilita- te ad iequenda vel declinanda re fub fpecie iuciidi aut molefti pcepta: vthoc modo apte definiatur; Appetitus eft Indu&io fiue ^ppefio fenfus ad re obie&a fequeda vel dedinanda,Sefus(inqua)aut SefusComunis,aut Phatafia?>cu i v- troq, Appetitio>excitetur.Hic fefus ratioe caret(neq-, enim ipfe fibi expr efcri pto rationis res fubie&as pcipit) copos tameRatiois euadit quatenus Appe- titus qui illius comes eftMetiji honiine 3 qua? Ratio ipfaeit obteperare pptefh r.s.t.u.x. Pra?ftantifsima ha*c nobilifsimaque anima? facultas eit Diui- oa &r extrinfecus acccdens 3 qux Mens capax(neque enim de Mente efficiente nunc verba facere volumus)fiue Intelligentia Ratioque dicitur . Huius mu- nus duplex eft,prout,vel contemplatur,quod praecipuii illius opus eft> vel a- git.Speculatur illo modo rescorporeas vniuerfejquas primum vt fingulare percepitcex, return yero corpprearum cognitipne , palatini ad fui cognitio- nem peruenit,fpe.ftans videlicet guemadmodum fpecies accipiat > & eafdem {>rius ilLuftret,a iiagularribul^ue^nditronibusfegr^getjtandern adpuras iU as Mentes & ab omni concrejipfle materiei feiunda$ 3 qiubiis genere c^gna-. ta eit^accedittpofU'erap cum^ogitet^yira ac facultatem illam qua fpecies fen- files illuitrat 3 atque intelligibiles ifeddit > ideft feipfam, effe quafi radium fu- premi illius folis qui puriisjmus.Adus,& furama qua?da lux eft > cuius fplen- dore omnia alia fucent,ad ipfummetDeum pmniu#i rerum coftditorem & ef- f edorera intuendura peruenit. Quod fi ad, Agendum fe Mens conuertat, vult res has humanas^or^inaresmouere^admirijiftrane. Menticontemplanti verum pro fine proponitur: Agenti vero decus ^.honeftas.Caeterum Mensquoque, ad aftum traducitur fpja fpecierum fufcqptione: Antequara enimTemperan- tiam cognofcatjTemperantiae fpeciemfecipit, absque impreifam & infcui- pta in fe gerit. Quadiu ergo Intelligentia Teperantia? &Sanitatis nuda & fo litaria ria,tura cpteplatur>n6 mouetur^o cofedatur aliquid aut fugit>& Mes fiue Intelligetia dicitur. At fi ^pnitatis alicuius aut malitia? notio ei addatur, (tatim aliquo tagitur ^eli4efio>&yoluntas emergit,y t nihil aliud Vplutas fit quam indudio Mentis>fiue;ipfamet Mens cu indudione & jppefione a4 cofe  danduin,vel declinandum ^liquid;q.uod fibi bonum vel malu Mes cpgnouit. Nunc qua?da qua? in cotextu iubpbfcura videtur illuftremus, ( Vtrum aute hx diftinda? fint)eandempropofuit dubitatipne p.de an. cont.y. fi Philop.Sc Aue rjfequamur, na aliter Alex.locu Ulu interpretatur . Quaeftio autem Plat,, gratia introduciturjqui alicubiAnimas in hpmine no ratipne tantum,fed fuh ieifto etia difcrepant.es 1 efle dicit:Rationa\e in cer^ebrp collpcai>at, Sefttiente, & irafcibile in corde, Appetente fiue cocuaijfcibile > fiue vc;getabile inEpat^ quanta GaLfub fine ^deplac.ftip.&P^^iimaihhomkievna tribusfa- Cl t lta 5'l bus P r ^tamex WatpnisautJhprifateponerevide^ur J ^ide i n|PlatQ no mh duas animas iij Timeo ; diferte,ft^>at.. Appetentis^duo fun^munera: vnuincibo&potu,alteru in rebus venereiscernitut, VtidevtGalenusdic. Digiti zed by G00gle ; f / LI BER T. ~ 1*5 bat,Tityonis ortafabulaeft > qui captus amore Laton* Appjlinis matris, ei de ftupro interpellauit.C^amobrerajratusApollo fagitti5ipfumconfodit 3 & apud inferos reiigauit,eiufque iecur yultur jbus lancinandum appqfuit . Ac fi Epar pati voluerit 3 m, quo cocupifcet.ia? ^ityom$ fomes extitiflet.HaC vini in piatis reperiri ide Gal.5j.de Plac.Hip. tacit e fign ificat a quod no omnino abfur du efife,vt quida ad paucarefpicietes clamat 3 alias oftendimus. Irafcentis fiue fentietis anima? tres operatioes efle dicut.Prima eft 3 c6tradio &ditatatio ar- teriaru ob vfum refocillationis caloris infiti, qua ratione Vitalis anima nun- cupatur.Secunda,fpeftatur in affeftionibus anima? fentietisjVt ira 3 timore 5 o- dio 3 moerore,inter quasaffedionesquonia primariaeii ira, vtpote qua maio ri circa cor totuq; corpus comotione f ada,excitetur,idcirco Anima ab ea fua fumpfitdenominatibncjatqjlrafcibilisnucupata eft: Tenia operatio,eftvtRa tionali anima? aduerfus impetu cocupifcentia? infurgetis 3 auxilio fit. Leontii exeplo id Gal.declarat,qui cu accepiflet in via multa cadauera a carnifice in- terfeda iacere 5 animarationali monete 3 ne ta horrenda fpedacula cernerevel let,oculos claufit 5 cocupifcetia tame & Appetitio afpiciendoru Cadauerii in- furgens,proftrauit Ratione 3 atq> Leontiu impulitadoculosaperiedos. Tunc ira aduerfus concupifcentia quafi pro Ratione infurges aitVAfpicite 6'miferi oculi>fpedaculuadeo wrpe,&c.Rationalis anima? tres funt facilitates: Sefus, cuiusvires totide effe talefq; dicut quot &qualesnos antea comemorauimus, Motus volutarius,que volutas feuAppetitus cognitione feques iperat:vis au teillamebris &mufculis infitaexequitur,Intelligetia.Verutame,vt ide Gal. ait,Qua?ftio lia?c logevtiliorMedico quaPolitico eft.Illi neq-, partes iftiufmo di nota? effe de bet,vt in Curatione,exploratum habeat cuinam partimedica- metaapplicare debeat.Politicus vero anima hominisvirtutib.iformarevulr, qua? coiuetudine acquirutunquare nihil refert 3 fi vet 1 hac vel i ilia parte refi deat. Merit6itaq-,difquifidonehacomittendacffe,&n6magnopereptinere ait ad id cpfibi ^ppofitu habet Arift.(Vt i rotuda figura).Ideft,an h f no plures animf fedvnius anime_ plures facultates no fubietto fed fola ratioe differetes fintjVtCauii a Curuo I circulo no quatitate &fubiedo 5 fed dutaxat ratioe dif fert.(Eius aute partis qua? rationis expers).Intelligitvegetabile &fentiente, vtraq, enim jppria ratioe caret ,vt diximus,(Vna eft pars)Vegetabilis.( Atq; adeo in foetibus).In foetibus no modo vegetabilis,veru etia fenties,atq-, In- telliges anima eft,vt antea diximusrvegetabilis tamen in eis magis viget 3 aliar funt quafi fomnb ; c6iopita?.In j>fedis etia,ideft adultis eade eft, quanqua no ita,vt in embryonib.& pueris,cofpicua fit. Audio enim qua? 1 iftis viget 3 fub fenfum magis cadit,quamNutritio,qu5 fola i adultis manet. Porro Audione iviuete,aliquado ceuare(6Vvt aiut poft annu 30.) Arift.i.de ortu &int.li.cot. 4i.madauit:Ahrix vero vis nuqua otio ^fruitur.Quo etia argumeto Philop. x.de an. 47. Alente Augenteq; faiiultate, no vna prorfus & eadem effe aflfir- mabat.Huc verba ilia noftri cot^fpedant , IvKoyeoJ^ov yap  akkI/ju 7/vpropriuHominisquatenushomo eft opus cenferi de- bet >fuperius diximus:Nucvero ab Arift.eo etia argumeto ftabilitur^Horao dum dorrait non agit prout Homo eft , imo eo tempore nil differt a Planta: aaiii. Digitized by Google fcoo ETHICORVM Atqui in fomno vegctabilis anims opus quammaxime fertict: colle&u! naii- queinteriuseo tempore calor,quo vt inftrumento Anima vtitur , melius concoquit 3 vnde &:melior alimenti appofitio,affi#io 3 afsimilatio 3 tande'mque largior nutricatio fequitur.Quocirca vrfi & glires per fomnum maxime pin guefcunt : Sed quorfum alias Beftias in medium addiicere ? Monachi fatis id nos docet.Haec medici diligentius.Ex his illud tritii fermone prouerbiujn- terBeatos&Miferos dimidiavita? parte nihil intereffe.Vnde&illud fluxit,Du dormiuntjDo&us ab indofto nihil differ t.Foelicitas enim perfedtioq; omnis, 3c omneboniiviri probi,&quo ab improbo differtjinjipfamet a&ione 5 qua? in vigiliaperficitur 3 n6 in ocio 3c fomno^cofiftit. Dormientes igitur nihilo plus haberevidetur,qua Miferi. Quod vt vulgo di&um, htcaffertur ad probandii vegetabilis anima? funftione,hominis qua homo eft no effepropria.Id tame no vndequaq; probabile eft.(S6nus enim animi rcquies).Cur ex parte veru, 3c ex parte falfum fit>quod di&u eft,deDormiente 3c Mifero,caufa hie affer- tur.Eft(inquit)SomnusAnima? cefTatio 3 vacatioq, 3 ab opere illovidelicet 3 quo homo bonus vol malus dicitur : neque enim,fiquis cibummale concoquit^id- eo malus eft:aut fi bene 3 propterea bonus 3c foelix cenfetur. Non ergo omnia anima? principia in fomno quiefcunt, tv 077^ enim,& to juvhtikov in cordc neque ceflant neque fomno impediuntur 3 aut intercipiuntur. Viuimus & a- limur certe in fomno: Animales item fpiritus continenter mouentur , vnde & fomnia prodeunt.Quamuis autem in fomno quod ad fomnum attinet, Bo- nus a Malo 3 & Foelix a Mifero non diftinguatur, tamen eft aliquid, quo eo e- tiam tempore 3 quid inter eos interfit 3 difcernere ac iudicare pofsimus:fomnia nempe 3 cma? bonorum meliora funt, quam quorumlibet aliorum . Pro qua re fciendum eft,nihil aliud efTe Somniura quam Phantafma quod in fomno cer- nitur :Phantafma inquam,quoniam inAefth^teriis fenfuura noftris 3 dum vigi lamus a rebus externis~infculpuntuir 3 3c quafi in tabella quadam depiguntur imagines rerum externarum:Quarum imaginum 3 qua?dam illefa? atque Inte- gra? prout imprefT? fuerant 3 manent perfeuerantque: quaedam ver 6 contur- bantur 3c confunduntunplerf que etiam paulattm obliterantur 3 & tandem pc nitus euanefcunt.Qua? igitur reftant > vel plane integrae imagines ,-vel pau- Ijim oflfufcata? 5 Somni tempore 3 dum nepe ipiritus animales & vitales mouen tur 3 vaporefq; a ccrebro ad cor deuoluuntur applicata? 7c*  a rebus magis honeftis 3c iuftis 3 quibusvigilantes dele&antur 3 defumptafunt,vnde &magis quoque honefta fomnia iifdem offeruntur . : (vyts7Sv */j>^finr) 5 Phantafmata qua?da.('?> W* ouKpoy): nequeenim diu{Iurant.(conclu(ifed efiam rationem non audit,tranfit ad fentientem qua? Sdpfa vacat quidenx ratione, cius tamen compos euadere poteft,cum Appetitum comitem nabeat, yt antea diximus.Hanc partem qua? veluti media inter Ve getabilem & Rationem in- tercedit,conat ur quafi digito ab aliis diftinftam monfftrare,cum Continerttis & Incontinentis dtuerfara conditionem proponit . De his memini me fupe- riuscapite tertio ex Ariftotele feptimo Ethicorum dixifle, quare non eft mod pluribus in pra?fentia eorum naturamperfequar . Illud nunc monuiuY at efto>tam in Cotinente quam in Incontinente, Appetitum &Rationem in- ter fe digladiantes animaduerti: quanquam in illo Appetitus adhuc non U- bens,& repugnans vincatur virtutiqueobediat>in hoc vero ratio fana quide fedimbecillior 3 vehementi Appetitionis infultude gradu deiijeiatur . Vide igitur iam,in vtroque incolume ac re&um efle Rationis judicium ,-fed in v- no,Appetitum quantumuis contumacem Rationi tandem obfequi , in ajte- roautem Rationem, infirmiorem profternere ac vi&orem efle: vnde hac pugna,facultatum iftarum anima? diuerfa natura confoicuafit . Ca?terum pugnaha?c quae in continente &incontinehte fpe&atur,fimilitudinepartium refolutarum in corpore animati,a Philofopho illuftratur : qua? aided nota *ft vt nonegeat interpretatione-.Dicaitius tamen tionnulUdeea,Vt Tbfeim%fpe- cistim.(Planeenim vt in corpore). Partes Corporis Pifalyii, velTremore affc#as,deprauatum atque incertum motum habere perfpicuum eft :Facultas i Digiti zed by G00gle xoz ITHICORVM enim quap membrum mouereautattollere vult>ii^beciIHorftjqiiarcGraul- . tas membrieirefiilk.QuofitjVt membrum hue arque lllucinfitapotiusgra- uitate delabatur, aut deorfura,quafitemerekliftrahatur,quam, vel in fublime attolIatur,vel re&a feratur. Valde itaque miror,cur Lambinus Streba?um non probet>qui illudrtrapAptpitityov ita vertit,Qupd prater volutatemfertur.Mo- tus nanque ifti deprauati membra quibus accidunt, praeter vbluntatem con- cutiunt.(Quod quomodo ab ea diuerfum fit).Quodam alio loco horum com mentariorumdixifle me recordor>Appetitum & Rationem,ex diuerfo pror- fus gendre effe perip&teticis videri : Siquidem illehuic fa?penumero refiftit: Quod alioquih mirum videretur,cum qua? pro materia,alicui forma? fubfter nuntur, (vt Appetitus Mentifubfternitur) nunquam itU repugnare foleant, vt corpus anima?>ahima vegetabilis fenfui,ignis Ieuitati,terra grauitati, non refiftit.(Vtrofortiactemperante).Dehifcequoquemenonnihil&quantum ad praefentem locum illuftrandumfateflepofsit , alibi in hoclibromedi- xiffefcio. Apparct ergo vim rationis expertem,duplicem efle: V- nam ad ftirpes proprie percinentem , nulla ex parte ratio- nis parcicipcm: Alteram concupifcentem & omnino ap- petentem,aliqua ex parte ratione preditam, quatenus vi- delicet ei paret, atqueobtemperat.(Atque ita fane ali- quem dicimus'habere rationem patris & Amicorum) no** autem vtrerum Mathematicarum . Rationi enimquo- dammodo parere , animi parte rationis experte , cum ad- monitio, tumomnis reprehenfio, atq; exhortatio indicat. Qu6dfiFatendumft, hancvim ratione quoque eflepras- ditam,duplex erit animi vis rationis particeps : altera pro- prie>& vt habens earn in fe ipfa,altera veluti filius , qui pa- tri obedit. . Qua? deduplici parte anima? rationis experte,quarumtamenvna parti- ceps rationis euadere queat, initio cotextus repetuntur, pro conclufione eo- . rum qua? proxime expofita fuere,habenda funt. Qua? etiam fimilitudine alte raadniodumperfpicuadeclaratur,pofteaver6 fignoquodammagis ftabili- tur^SimiUtudo^ftaPatre&FilioitemabAmicitia & difciplinis defumpta: Quemadmodum enim Filius dicitur rationem patris habere, & amicus ami- ci,no quia ratio patris infit in filio,aut amici in amico,aut quia filius ratione cur pater fie agat,vel amicus cur aliquid agat amicus,redderevaleat(quorao do rerum mathematicarum caufas & rationes animus aofter in fefe contine- re Digiti zed by G00gle LIBER I. roj re dicitur) Sed quia fequuntur, quocunque voluntas Patris & Amici clamat: idefteorumrationiobtemperant. HaecEuftratius:&re&e,quanquam ob- fcurius ibi.Illic ratio>curam & obedientiam , in mathematicfs vero cogni- c t tionem & caufam fignificat 5 qu6d aliquid alicui infit.Signum eft, a reprehen- cc fionibus,monitis,pra?ceptionibus, obiungationibufq*, defumptum,ea nanque fpe ifta adhibeturvt homines a deteriorib.ad meliora reuocetur,ideft,vt pars ilia hominis qua? a xatione deuia eft , Rationi obediens reddatur . Caeterum quid Adrnonitio fit, qua? inter aequales locum habet , quid item Reprehenfio qua? in inferiores nobis conuenit,quid tandem Exhortatio,qux tarn ad fupe- riores & ineriores,quam ad a>quales*refpicere apte poteft , declarat Euftra- tius in fuis Commentariis : tu vero confule libellum Plutarchi De dignotio- ne Adulatoris & Amici,ex quo multa pra?cepta,mukasque circunftantias^re- prehendendi,.obiurgandi admonendique , vtiles ac fcitu dignaS haurire po-' teris.In poftremacontextus parte,Ex fuperiori conclufione , altera extundi- tur : Nam quemadmodum duplex anima eft rationis expers , quarum tamen vna rationis aliquomodo particeps euadere poteft : fie duplex anima rationis particeps ftatuenda erit,quarum altera in fefe rationem gerit inclufam 3 imo  & antea me nonnihil egiffe memini; Devirtutibus itemmorum fatis pro hoc loco diximus , & dicemus etiam copiofius initio fequentis libri . Virtutes au- tem Mentis , non effe virtutes Moris hoc loco , difcrimine appellatio- ; nis deckraur rquanquam vtra?que virtutis nomine appellentur. ( In Men- te &Ratfone. ) Enumerantur virtutes Mentis tametfi non omnes , fed pra?- cipua? , Sapientia , Intelligentia , Prudentia . Miror eurnonnullis vox iUa^W/y'Sagadtatem fignificet  &>ftenpotiu5 intelhgentiam :  perfe* &e cognofcimus, Animaduerte, Virtutes moris in appetence quidcra anima, fedemnabere,Prudentiam autem in Mcnte,vt non femel diximus: Virtutes ta men moris nihil aliud effe quam Mentis & Ration is quafi formam& vefti- giuroquoddamalte in Appctente anima impreffum . Prudens autem Mens dicitur % cum vt agat  ad Conformandum 8c dirigendiun Appetitum fe conuertif *Qnare virtus Moris erit Prudentia qu$dam in Appetitu, aut Pru- dentia qmedam quam fequitur libenter atque admittit Appetitus . Decla- ro:In omni virtute medium eft deligendum,non nimium,non parum.Quenv* admodum enim moderate exercitationes,moderatus cibus,& potus , bonam valetudinem efftciunt,augent>tuentur, contra vero,immoderatae exercitatio nes,poculenta&efculentacopiofms aut parcius exhibita, valetudinem mi- nuunt atque offendunt : fie mediocritas qua?dam in a&ionibus, virtutes pa* rit atque conferuat. Fugere omnia 8c extimefcere, & minima quaque re vifa & percepta tremere,fimiliter aute ad omnia periculapnecipitem ruere,For- titudini obeft,quam fynceram & integram confequemur , ii quando,& qua- tenus,& quomodo oportet fidamus,atque fi quando 8c quateuus,& quomodo oportet>metuamus. Ariftoteles x.Ethicorum capite fecudo.Carterum hoc Mc dium in quo virtus con(iftit>non nifi ratione bene cogitata prudentisviri prae fcriptum effe debet : quam re&am Rationem , prudentiam appellamus. H#c eft ilia virtus qua? adco propria humana? mentis eft> vt quicunque ea careant* fpecie tantum 8c forma homines dici mereantur,cum natura animoque , aut voluptatibus,aut propriis vita? commodis tantum dediti,pro Beftiis 8c Plan* tis cenfendi fint.Quod fignificarunt,veteres Philofophi,vt Pythagorei,cum Metamorphofes illas Hominum nobis propofuerunt . Agnofcendum eft iani tandem,ar&ifsimum vinculum quod inter virtutes morales , 8c prudentiam intercedit>de quo nos antea>& Ariftoteles tf.Ethic.capite 13.& cuius gratia de prudentia longior difceptatio quamdereliquis Mentis virtutibus a Morali mftituta fit, ( Nam cum de moribus alicuius) . Aliud afferet difcrimen quod naturam rei magis attingit fequenti libro: hoc quod in praefentia proponitur cam habet vim:Nam cum volumus aliquem ob mores fuos laudare,non ilium Sapientem,aut Intelligentem appellamus,fedClementem,vel Temperatem: Quare no funt virtutes mentis idem quod virtutes quae a more 8c confuetudi nequaacquirunturfumunt fuam denominationem , quanuis tamillaequim ifta? virtutes dici pofsint,ac debeant:Quod probatur,quiaSapientem propter eius habitum,non minus quam Fortem , aut Temperantem propter habitum adeptumlaudamus: Atquilauscommuniter acceptavirtutum eft,vt fupe- rius pofiiimus-.Quare virtutis nomen,latius nempe fumptum,Mentis quoque habkibus conueniet.Sed pluradeharum virtutum difcrimine,denominatio- neque in fe,cundo 8c fexto huius philofophia? libris,difputanda funt:quare vt omnia fuo loco pertra&entur,Finem prim* huic parti noftrorumcomm^ta- riorum imponemus ,Deo. Opt. Max. Domino & Patri noftro gratias agentes, eundc'mq; qui Mentis & Rationis aoftrae Dux eft obfecrates,vc noftr* nobili mis & pr*ftatia?,qua toti ab illo accepimus^nemores cotineter nos reddat, vt Digiti zed by G00gle LIBER i: ioj Vt vigilantes & nos ipfosfpedates,tam clarum nature noflra lumen fomno & ocio extingui non patiamur: Efficiat quo que, vt irraticnalibus affeftioni- bus iam tandem perpurgati > Foelicitatem lllamvere politicam 3 confequi valeamus>quam nobis vnigeriitus eius Filius & praceptor nofler IefusCbri* ftus>in bac vitapropofuit. Vt videlicet pie.cafte rejigiofe'que viuamus 5 fra- tribufque noftris benigne femper faciamus , quibufewh tandem Joelkitate fempiterna , ac beatitudineccelcfti*per eundemChriftumift altera vita- perfruamur. FINIS COMMENTARJORVM IN PRIMVM LlBRVMi ETHICORVM, Digiti zed by G00gle INDEX IN COMMENTARIOS PKIMI LlBXlI ETHICORVM Anllotelis. Numems paginam Indicat. Accidentia non funt fimpliciter ** cntia 0j Accidentia omnia,exceptaQuantita- te,in fui definitions lubiettum ac- cipiunt ioj Sub A&ione qua?na caderedicatur z A&io praeftat facultati xj,& 69 A&io quomodo dicaturverfari in fin gularibus. 96 A&iohonefta dicitur,vel fimplici- ter,vel ex pofitione 13* A&iones ex virtute debet efficifpo- te 140 A&iones exvirtute quomodo fint diu turniores & frequetiores fcientiis 17* vbi reprehenditur opinio no- nullorum Adamantis natura 178 Admiratiodicitimperfe&ionem n in quibus laudabilis fit ibid. AequiuQCorum diftin&io $3 Aetatem perfe&am quam exigat Ari ftoles in Foelicitate 116.117 Affe&io quid fit Stoicis 133 Affe&ionum numerus 63 Alexander reprehenditur %6 Amicitia? duplex fpecies 81 Amicitia cur Politico expetenda , & 5[uasobcaufasi45.i46 CurinFoe- icitate requiratur ibid. Amicitia dici poteft Bonum internu, & externum 130 Amicitia plebeiorum hominum non eft fpernetuUjfed non multifacie- da 150 Amicos improbos ne habeamus,quid agendum t; Amor duplex 1 j^ Amor non eft Appetitus , vt quidam dicunt \& Amor non eft femperpr&fentium 138.13? Amor cuiufcuiufq; , primum eft pto priarumrerum 181 Analoga quae dicantur ^3.^4. Eorura natura explicatur ibid. Anaxagora?Clazomenifententia de foelicitate p Angeli nullam aliam habent affeftio nem praeter Amorem 139 Angeli an fint Foelices.dubitatur , 8c ibluitur i^ 9 Anima vegetabilis voluptate & dolo re caret & Anima rationis particeps duplex in homine 109.110 Anima? diftindionon eodem pror- fus modoa Morali quo a Phyfico confideratur no Anima praeftat corpori in homine,vt dominus feruo 117 Anima hominis eft immortalis ex fententiaArift.i^ &multiplica ta numero hominum ibid. Animi noilri diuifio % etKu^ro^g7Syprincipiorii opinio quo- run dam damnata $4.7$ Avriti&m, Sroicorum falfa 131 Appetibile nihil eft nifi ob fimilitudi nem diuinae bonitatis 19 Appetitio differt ab affe#ione $3 Amicitia? efficacia quomodo perti- Appetit? vox quid fignificetvulgozo neat ad mortuos 18* Appetitus & fenfus quo modo diffe- rant Digiti zed by G00gle I N D rantapudmoralem no Appetitus duplex in homine } cui ref- pondet ratio duplex *4$ %ft?or 79 quid Arift otel i fit ioi Arift. locus in prima Magnorum Mo raliuracap.ii.delaratus 33 Arift. in moralibus de Ideis Diale&i- cedifputat 84 Arift. m os in definiendo 11? Arift.argumentatur plerunque ex eo quod to &\mv i&, & concludit quod ipfefentit 161 Arift. pie fentit de Animorum nume ro 167 Ars quid., z Ars quid fit 14 Ars quoraodo proprie diftinguatur a prudentia 3 Ars non efficit fuum fubie&um r 6 Ars communiter fumpta, quid figni- ficet 15 Artes aliqu confultatione egent z& Artesfuam habent praxim &.iuam theoriam , omnia tamenadadio-* nem referunt 26 Artifexquomodopofstt efficerefuu fubie&um 7 Artium condufio eft opus 5 Allium inuentor & (adiutor Tempus 119.no B T^Enefacere poffe eft fuauifsimum & & optabilifsimum 119 Brantis fententia de Foelicitate 130 Bona corporis funt bona Fortune, quamuis proprie dicantur bona Naturae 119.130 Bona externa cur dicantur Facilita- tes 14? Bonaexterna,&Bona corporis,quo- modo differant refpeau Foelici- tati$ 148 Boni natura declaratur 8? Boni ratio eft efle appetihile, & quo,  X. modo id fit verum 10 Bonis externis minium abundare ma lumeft 100. 101 Bonorumdiftin&io $9 examipatur 909\ Bonorum diuifio Stoicis 131 Bonorumdmifio qiuedam ex priori Eudem. 74 Bonum quid fit 17 Bonum mentis, eft Verum 17 Bonum quoddampeculiare vnicuiq^ fpeciei propofitum eft 19 Bonu quo latius paret eo diuinius 37 Bonum non dicitur melius ob diutur nitatem 88 (hvtevliKn pars animi noftri qua?nam dicatur 1 Bruta non funt foeliciav 164 n C K^ Ardanus reprehenditur n* Cafus 151 Caufa per accides efficies qnid fit 15& Cauflaru efficietiu prim&diuifio 152. Chameleon quod & quale animal fit 169 Chriftiani quid /entire debeant de prouidentiaDei i$tf Cicero rep rehenditur iff Ciuitas a Gente quomodo differat 37 Ciuitas pra?ftat cuiuis focietati 37 Commentari Mortem, quid fit 71 Communis confenfus, probat proba biliter 134 Confiliu capere & confultare quo- modo differant. 16 Contt mplatio non eft Temper a&io- nis gratia 11 Continens & incontinens qui fint 47 Corpus fuum affligere ftultitia eft 104 .10? D -ptEfinitio quid fit 48 eiusfpecies Defi-, Digiti zed by G00gle INDEX, Definitio CaufaKs vocata nunquam fere fola profertur 1x8.119 Derinitionis vera? raunera ijj Democritus, cftm fibi oculos eruic ftultifsimus fuit 10$ Demon ft ratio quia quot modis con- ficiatur 53 Demon itrationum tres fpecies. ft Deus an fit Foelix dubitatur &ftatui- tur 159 Deus eft caufa eflficiens &finalis om- nium rerum 18 Deus quomodo appetatur ab omni- bus 18 Deus in omnibus rebus eft 10.11 Deus quomodo fit proprium cuiufq, rei bonum > & commune omnium  .  " Deus & Naturanil fruftra agunt jx Deus quomodo nobifcum amicitiam contrahat 15^.1^7 Deus quomodo fe nobis largiatur if* Deum quomodo affefti intelligere . pofsimus 157 Deus immittit nobis foelicitatem,fed per difciplinam &exercitationem noftram 158.159^ Diale&ica? rationes quomodo dican turconfirmare 118 Diale&icis rationibus quot modis,& quandovtatur Arift. 117.118 Diuifio librorum Ethicorum 11 Diuifio philofophia? moralis 7.8 Diuites plurimi, Doftores minimi fiunt a mercatorib.adulteririis 7$ Diuites quos non cenfet Cyrus 175 Diuitia? cur expetantur 71 Diuitiarum acquifitio quotuplex 73 Diuturnitasnilconfert ad rationem boni 88 Diuturnitasperfe&ionemdicit. 117 Doftrina quid fit 154 Do-& curlaborentineo af- fequendo io Homines apti & inepti ad virtutes &fcientias quibus figais cogno- fcantur $8 Hominis opus propriiim inueftiga- tur&proponitur 107 Homines efficiuntur probitribus re bos a^4 Hominum,prout advirtuteS &fcie- tias fe habent,tria genera 57.5$ Hominum mutationes in varias bru- torum formas ab Antiquis Philo- fophis jppofitae quid fignificet 1.04 Honeftum quid fit 140. 141. in quo differ at a pulchro,&abvt 111140.141 Honeftti quid proprie fit 14c. 141 Honefta &Iufta funt anatura , & quomodo 40.41 Honor quid fit if .47.eius fpeties ib. Honor non haeret in nobis 6? Honor honorato plus affert quam iionoranti 4% Honor res inftdbilis 64 Honor eft virtutis premium ontanus laudatur n 7 jofitionumnatura,&diftinaio m pfzx\% quid fit , ^f&lta* voce abutitur Ariftotelis a. 13. ^fitaam cognitum quod fit i^ri fici P e$ q u ales efle debeant ^^^incipia quibusdemoftrando vti * ,nur duphcis generis funt n r ,- r cipia quamam probari pofsint * **3 . ^^cipjaquotmodis probentur nt (, r rcipjapofut dici definitiones n$ iytrttdetita eft virtus mentis ik * tinman pra>ft e tvirtuti morali p r uaeot.aan pr^ftet Sapientie to.ti prua^ptis&vtrtutum morallfi ar- ^irsunum vinculum i04 Pi - U aetia egetvirtutibus moralibus Pru^""^ *ci Putct* err } mt ad re 44 S> am dignitatem a /l l h ?um quid'nt , ebant 'f PU S^rata 1 Bono *^- q uomodo Pul^^ d  ^^dPcelicitate^ jj r itudregequa?rre,fol.5^. lin.5. natunt,lege,oatent. ii&Hnw. mt* 7vwStfw,lege\i5mT77WffBtf,pag.ii5.1in.vlt, pcapftantior, eft, lege, pra?ftan- mor eft. 1 j8. lin.5. virtutis atfio, lege, habetur, 158. lin.*. w/w,lege  pag. 1sr.lin.a41-. Digiti zed by G00gle f^* **.- ' -f -**-t *** * Digiti zed by G00gle [Mi y* Digiti zed by G00gle ws ^ am Digiti zed by G00gle. SIMONIS SIMONII ... IN LIBRUM ARISTOTELIS PERI TON AISTHLTLRION... Simone Simoni, Aristoteles Digitized by Google 4'f q.jc SIMONIS SIMC NI I L VCENSIS P Hl- LOSOPHIAE PRO- FESSORls, JK^ L1B%JU*M *A%J STOTSLIS nEPl' Til^N AI'20 H T H Pl'fl N KAI* T iCn ArxeHTn" Hoc efl/k fenfuian mftnmcntis &dekv qutfuh fcnfum cadnnt, COMMENTARIVS VNVS. EIVSVSM JN LIVT^VM *ARIST, riE P l v M N H'M H 2 KAI' TH'2 A' N A M N H'S E Q. 2, Hocefl,de Memoria T Remmifcentia, COMMENTARIVS ALTER." AD ILLVSTRISSIMVM ET OPTI. murru frmciferru D Fftbkmi&BkUtmunu Hfiem, 5* facri !{onu. Jmf. Eleclorenu, tus eftlndcx rcrum& Qiiarftionum in coco hoc opcrc percra&acarum Jocuplen/fimus. E X C V D 1 T m. d. l x y i: )MK : 2IMOMI2 -IH q ?. UM3DY J I I W -O^l 5M H 1 O 2 O J ,i I J| o z*z 1 f 'l A X Hn'MHTH 6J'f /. VI ~U T 1 'I 1 I! /"(l T II O J *)A T* .2 V H V l 7 I /l A I* VI il M M O D 3C a 3 2**H K M AW A T/J A Ji 2: II Wll I * !1 3 n 1 T quod viderinu multorum & fuperioribus temportbus, & nofira etiam tempe- ftate,pht(ofoplwnttu//u ,tmpias Cf nefarias extittffe opintones. JamentmJejWaXoneJ& oJriftotele^ didiceranu, resprope omnes quanuis fuapte natura bonas ,'pro ulius mmen ingenioin quenu inciderunt >aut maxima incommodt, autingentes vttltm- tes afferre^. Qua in re nofbri ettam temporis deploranda eft cala- mitasimultos enim ,tm mancunu per- plexumcfcfitsvt neque^vnquanu fcciusfBono nts, primum,mox Ttcim,pofiremoTamuu,prAclaros atquetnfi- gnes tn phtlofophtcis ommbus partibus, noftrt teporis hominesaudi- ui,cxquorum pnuatis & quotidtants fcrmonibus,cum ab i/ioru latere quoadiiceret nuncj difccderefhaud paulo maiore qux tum ab aiijsaccepemmjum per me ipfe didtcemm,nefiufim natus efie c , prtmum,quod m iuffus eJfem,mox*i**t VpoaVw^. p r io r\s quatuor libros dtaleclicofquenonuUos  priuattnuconfulerem, elabomJfefPlacuit aute hoc tepore nonnullis noftra oAcademU ho mtntbus,vt in nofirs, SchoU vfum meas illas explicationes publi- caspr&Io mandare>& in publicum emittere.quorum iudicium & authorttnte' detrehtre,cu mihi Itberu no ejfet,non altenu fore duxi, ft hafcequoquelucubmtiones priuatas tn librum n e p f a f 2 0 h- t h p i'fi n k a f t n ' n a f 2 0ht rf n eiufdem oArtftotelisJjoc eodenu anno euigilatas^quafi^vna eademque operaexire paterer. Qua etia mtionefieripoffe putaui ^tnomodb nofiros auditores, fed omnes etutm PhtlofophU Hudtofbs^tltquafaltem ex parte iu- uaremfB^es mmenlubricafateor, in tnnta prsferttmclartfitmo- rumPhiIofo^horumcorona,quoru cenfuram fugere , Juuenis ego omniu infimus nec velimjtec pofitm.aAt magna conantem honefiu efl pTAclamm faltem njoluntatem fuam aperuifie^ldihi quidenu ad h&c aggredtett,nulla fj?esg!orU jppofimfuifetenim ingenij mei imbecilltmtem mrdimtemque nout,quo fit vt magnificentiusde^j me femiri minime cupiamjiullumque nomen ex hoc illuflriw ex- optem,quam quodmea condtttofufiinere queat.Pfoc onus ea mn- tum mtione fufcepi/vt honefld aliorum volunmti parerem^aque fj?e *vt quibufdam [i non ommhus prodeffem . Etenim ftnon multu, non  i  EPISTOLA. xton mmen omninonihtlornammtiadcommcnmtiontshorwnuk- broru mea opem accefitffe puto. *ffle certe arrogantu accufari ntm quam iure pojfe fat fctojfuafi tot pr&claripmorum Phtlcfophoru commenmrios velutiimperfeftos& mancos abfou4ere_j,tmdimq f ab ilits aut reprobare,aut dtligentius perqutfit tufque tmclare vel/e videar.J\(am quemadmodum tn bello non modo Jmpemtorefed etiam Tribunos & Qenturiones eiufdem acteijnutuum fibi auxi lium inutcepr&fiareftopus fit y mt/ttefque fuis omnibus modisiu- uare oportet.tm tn his philofophicis fiudtts & cermminibus cunu fummi viritfflarcus ^Antonius Janua, Vincentius sMadtus, Fmncifcus Vicomercatus,Antonius Fmnctfius Fabitts, Fmn- cifcus QarolusTiccolomineuSyAd aynettuseMaynetiusJBernar- dtnus Tomimnus,F/amtnius J^obi/tus(quosfere omnes prace- ptores vei t vocc_> e vel{crtptis habui)nofim tempefiate impemtoriu munus prxc/areftrenueque obiuerint,obedntquego quoqut-jcui ordtnem a/iquem ducendum Dominus dedtt,meum qua/ecunque pr&ftare officium pofitm,defidemrifinerenon debeogregiam qui- dem magts opemm altquando prtftare animus eftft ttte tdenu T>o- minus dedertt.Qupdvtnon confiquar culpa certeneg/igentU mea non eueniet , nam & accummdiuturndque Cjrtcorum, Ambum & Lattnorum phi/ofophantium letttonc,exquifitaqueexcufiionc ttn delettorsjt nullis vtgi/tjs nu/lifque^, laboribtss adhuc parcam, quo defiderto meo plane fatisfacere queam.hCoc imquc^j meunu iuuandi & paredt defideriumft quo cupio euadet, Deo ipfiaquo omnis faptentta emanat acceptum refemmftn minus,hunc faltem ex eo percipiam frufiumj]uodinte//igam,reftdne inUiterim *via, an alta poft hac mihi infifiendunu ftet.Ffabes iam, JtlafirifiSPrm ceps,inflituti mei mtionenu.cognofce^, nunc reliqua. tfflihi Cjeneua in meo munere verfanti, tl/ud prxter cdtem iu- cundifitmum,atque iamdiu opmtifiimunu contigitjVt cu Theo- doro 'Befa Theologorum noftri temporis fere prwcipe,atquc_jin omnibusftienttiserudtto,verfari popm.Qui,- nortbus, pr&misfciue , per tz_jexcttentur,ac tn celcberrtma acade- mia tua Hydeibergenft afstdue floreant->. Facis  mter c/tteros Germanu ^Principes natunu effe exislt- ment omnes/juifis vere religtonis Chrifiian^maxtmarucjucvtr- tutupiemtisfaptenti,iufiitts,&quimtis,atjuehumanimtis/um infigne Trmctptbus aitjs ad imtmtione exempium,tu il/uflrifitmu Cjcrmanis. toti adfiumma gloria ornamentu Hac imque extmia- ru virtututuarumfima captus, r fllus~l. c Pr i nceps,tampridenu o- mnia mca,me(juc ipfum ttbt /ibettfsime addixi , mnm piemte am- plttudine tua cofenSjVt necjue etta iiiis a cjutbus maxtme obferua- ris cedere veti. Quius mei in te jludtj & obfiruatu cum nulluma- itudedere montmentum propter tmbeailtmtcm meam pojfem, iuini herois,apud (hrifiianos omnes refers, pro fingulariilla tua facilimte^,ne,oro, munut ipfum quantum- uis tenue ajfiernatorfed fiminusingenio(quodexiguum efiefen- tio)induftru filtcnu ac diligenti&,quanu in his reclifiimis Phi- lofophi&ftudits non medtocrenu pofui, honeftoque^, deftderio meo faueto.Qupdfi/vt Jf>ero,fiet,non modo amplifiimos meorunuU- borunufruttus,fedetianu votorunuquafijummanu mdrivL- debor confequutus. Va/e^j. (Jenem, tffl. ZX LXVI. Candido & axjuo Le&on , S. O N mc latet grauusimos Philofophos tum anti- quos , rum recentiores, hos libros antc mc diligcnter interprcutos efle ; & ltaquidcm^vtfumm.am do&ri- nx laudcm ex co finc confcquuti . Illud tamcn facis intelligunt omnes,non vni dacum cfTc vt omnia pof- fit animaducrtcrc. Prxcerea fi quis attentius lllos lc- ^at,multa fortafie minin accurate cxplanata , quxdam etiam confufc ac prrurbate falfoque ctijm ( ncc Grxcos ncc Auerroem etiam ipfum vcl Latinos p U to excipicndos ) di&a cfle dcprehcndct . Ego igitur non vc qui onnia poflem, eoquc confilio, vt palmam aliis prxriperem, acccfsi: icdvtpio vinbus qux obfcuriora minicflc vidcbancur ((uncillaqui- demcertenonpauca)cumiisquxabaliis do&ifsimis Prxcepconbus accepi,cum us qux per me ipfc inueni,illuftraren,mulcaque ab aliis co- niuencibus oculis prxtermifla fupplerem . Iamdiu cnim cft quod fcn- tentiam illam fummi Peripatetici Themiftii, ad hanc rcm pertincntcm cogitamus . Hxc vt commodius prxftare pofsim , quemnam in mter- prctando ordinem fcquuturus fim,paucis apcriam. Primum omnium, verba Ariftotelis ex Grxco exemplari crannaca j5roponam ,ad vcrbum quampotero fidelifsimc rcddens: ita tamen , vt neque fenfus orationi fuus deficneque fit paraphraftica %rfwnc . In hoc cnim Ar^yropylus, in illo vetus interprcs cft fxpifsimc lapfus . Breuis ria vniufcuiufquc parti , Thcorcmara annotabo : qux tandem quum ocus poftulabit dubitando diligcnter cxaminabo , propofitaque vcri- tate detcrminabo. vbique autem,fiquafuntquxintcr fcpugnarevi- deantuTjConciliabo.In q uibus omnibus eo gencrc orationis vtar quod I Hs vfitataftirit,vtAnimafticurn,Ens, aliaquc huiufmodi,liccr prorfus barbara, Ammonii praxeptum fequu- ti,& qu6d nonfacilcfineoranonis obfairitate, fenlufque difpcnmo,in alia Latiniorafubfticui poiTenr,rcrinerc volunnus. Nuperftitiofiforcaile in co aliquibus vidcri pocerimcis , quod iigHIarim vbi opus eft loca A- riftotehs aiit InteT^cmmtrrethus : prxcerca, quod in Aaiftotclis fenfu proponcndo idcm plurjbus repetere videanau^, Sedii jQraxorum incer- pretanrium morem , commoditaccm legenciuni,ajquc Intcrprccis mu- nusfpcdarc quis volccnos in ca rc nulla dignos vicupcracione iudica- bic.Infumma,ftudiiimus,quantum fieripcrnospotuit,per- fpicuicatL Vale,optime Leux>r,3f volumatem noftram ftudiytnquc piroba. .0-J XI l ni f JiWj v i .'^wW^fW^ff.^^^ *??*** tioa4j6ui &eb N ao* j J ^t*cw r tfri ^ic Siun fat\c afyvn, . -  ISfli r r  : A/^wrM^Ab/^p* (pwric ^j&pWtfjinftluj  i-] f rr> ! [OK| avShw^ariiffivrtoisau.ZcTtfct&ylpas. Atfptf ouar, AfA^3wS difpttro-irooto 07 fcinp Tlf.l V UO uJ' rT Ader^  Ipiiqueingenioparvcl Ariftotcli. SIMONIS SIMONII LVCENSIS C 0 *M*M E WJT RIVS IN LIBRVM ARISTOTELIS, n E P T A I'2 0 H T H PI'X1 N KAf T xfN A I Z 0 H T Xf N. IJ cft Jc rganisicn/iium & ienfihbus. 'V E P I A l 0 HTH Pl'flN K A I T Xi*N A' I 2 0 H T tT N qux nob* Ariftoteles fcriptarcliquic, ita fubtiliter & do- &cabeotintexpofita,vtnili quismulcum diligentixac ftudii achibcat,non facilc re&a germanamque coru intcl ligcntiafit alTequuturus. Quauis enim omnia rcrmc An- ftocclisfcripca finccmfmodi,vcnon ftupidu ignauumque lc&ori > fcd exccllcci ingcnio conftariquc animo prxdirii defiderct, hic tamcn vius , ob qu^ftionu piilchcinmaru &: liibtiliflimaru co- pia quam continet, honine no modo noninerte, fed multaru ctia &: difricili- maru rcru cognitionc inbucu cxigit.Nobis igitur adillius cxplicationem ag- grcdicntibus,nonnullt primum Gr^coru morc, placct pnefari , qu? &: nobis ad intcrpretandu &: aliis ad noftra intcrprctationc percipicnda cocincdam- r que,non mcdiocriccrcoferrepoifinc. Hxc a Grxcis e> ^iu*m , a Lacinisprx- iaciones di&x,varicagicarifolcnc: nos tamcn quinque cancum capita exami- nanda fumcmus: Ordinc libri, que fcilicct hic noftcr tam prc.ccdenriu quam fequenciu rationc obcinear.Scopu ciufdc, Infcriptione, Diftributionc in par- tes,poftrcmo Vtilitatem. Aliaomnia cjux Simplicius&: Aucrrocs aliquando proponur,canqua minus vtilia confulto prxrermiccemus.Hxc vcroqu^ prin- cipc locu cenec,&: line quibus intcrpres,vix ac nc vix quidc Authorc aggredi poccft,libeccr rccincmus.Ordinc cnim libri, rcbus diionc Cynofurx. Infcriptio quoque, iicct ad no- titia fcopi mulcumc6fcrac,quia came artis ncfcioquid arriplius habct, quam fimplicitcr intuenti apparcat,fir, vt ipfius quoquc non modica ratio ab inter- pretibus fit habeda. Diuiiio, rcru diccndaru fcricm numcriiquc coplecticur: qu6 fit vt ingrcdicntiii animis intcgram quodamodo tra&andaru rerum pof- fcflioncftatimprxbcrc vidcatur.Vtilitasqu^labocisprqmiu pollicetur,exci- tat animos fcicntie. deiiderio &: icupiditate. Sed vt ad rcm ipfam tandc vcni.t- mus , Illud omnibus fatis eonftat,hunc libcllum in illa phyliologie, partc col- locandu ciTc,quc_ Parua Naturalia complc&itur. At nc quid a nobis lgnotum ponarur , agc nonnulla prius dc huius dcnominationis rationc dicamus. parvorvm natvralivm dcnominatio a Latinis inuecaeft, Grccis pror- fus ignota.Hi enim,vnuqucmque cx libcllis fub huiufmodi infcriptione con- tcntis,proprio nominc vocarunt,comunc iftud omifcrut . Hoc vcronominc, dcfignancLacini,omncsillastra&ationcs inquibus Ariftotclcsdc paifioni- a. i D E ORGANIS SF.NSVVM, bus communibus animx &: corpori dodrinam rcliquic.Quxnam vcro iinc il- be,mfcrius luo locodcdanibimus. Ratioautcm mlcriptionis , facilc .1 nobis pcrcipi potcric ii,quid pcr NATVRALE, mox,quid pcr P A R V V M li- gnihcctur,cxportamus.Naturale hic nihil aliud iignificat quam quod in- tra Natur.r hm tcs continctur: atqui huiufmodi funt omnia de quibus in hifce libcilrs agitur:iurc igitur nacuralii di&a iunt. Aifumptioncm facilc cftprobarc,fivcrba Arillot.in 6.mctap.cont.z,&: in primodcanimacont.16, &:ih iccundo Phylicx autcultationis noa fcmcl rcpctita vidcamus: Natu- ralis, inquic , proprium cft formam in ma:cria coniidcrarc , ac pcr matcnam fcnfiJcmdcfinirc,cumnihil habcat quo. non iitvt Simum,&: cuius ratio a mocu &: maccria fcparari poflic . Talcm ^icurformam qui conlidcracvcl ialccmaccidenciacalisformx,iurc naturaliidici potcrit:tcltisclt Anltotcl.in it primo Cxli,cuiuslixc funt vcrbasScicntia di Natura fcrmc plunma vcrfatur t* incorporibus&:magnitudinibus,&:horuart^ionibus,&: motionibus,prctc cc rca vero m principiis qux talis fubftantix fwuQuod autcm hqc dc quibus in hislibris agitur, talcsafYcctioncs fint , patct , ;tquc cx his qux mrra diccmus adhuc planius fict . P A R V I nomcn,non ratbnc cxiguitatis libroru additu cft(lcuis cnim dcnominandi ratio ifta cifct ) ncuic ob id qu6d rcs agatur non multi momenti (commcntatio cnim dcamma,iuius iftx fuitt appcndiccs ad- 8 mirabilis atquc aluflima cft )fcdquiaharumrcnmtrattatio, multa in bbris dc anima cxplicata omittit , qux vt hic aifcrri dtbcrcnt , ita non affcruntur, fcdtanquam ibi cxquifitius atquc altius tra&acafupponuncur. Hoc do-  cet Ariftot.in cxordio huius libri , dum ita loquitui: Qu.c igitur dc anima di-  c>afunc,ponancur,&: dc rcliquisdicamus, primumqicde primis.Et paulo in-  fcrius,Scd dc fenfu &: fcnticndi atru,quid fic,&: quarcaccidat animalibus hcc  afTettio, di&um cft prius in his qux dc anima . Quoc, ii Parua ctiam iftadi- ci,aflcrcrc vcllemus, ob id quod leuiora fint: quam qux in prccedcnti dc Anima commcntationc dc iiidcm fere rcbus dicuntur , non cflct a men- te AriftocclisciuldcmqucconfuctudincaJicnu,quicumtrcsdcmoribustra- cacioncs cdideric,vnamillarum,nomine Magnorummoralium infcripfic, non,quod plura, illis qux ad Nicomachum vcl Eudemum fcripcx iunt com- plcttacur.fcd quod dc grauioribus atquc altioribus agat.Nimis fortaifc multa dc infcriptionc hac,qUx ncquc Ariitotclis cfi,neque cx aliocruam cx vi nomi nis pcndet,dixiilc nos alicui vidcri poterit:at fiis,non temcrc aliorum inueta rciicicndaelfe didicerit,cx Auerroc m prxfatione poftcrioru Analy.&: Arifto c cclcm ipfum ratiombus cx vi nominum fumpcis , in primo Mctcor. aduerfus Anaxagora,&: in mulcis aliis locis vti animaducrccric, hxc anobis iurc omit- ti rn faac psacfationc non potuiifc,quinimo prope ncccifaria fuiife cognofcct: Quarcadrcliqua pctgamus oportct . Qucm locii PARVA NATVRA- L 1 A m phyfiologia obtincant,dcclarat Ariftotel. ftatim in initio huius libri " cum ita loquitur, Poftquam dc anima per feipfam , deque iingulis eius potcn u tiis dcccrminatum l.im antca cft , proximum cftvtdc animalibusagamus, ac " de omiubus qu.c vit.im habent , qux iint proprix &: qux communcs ipforum " aCtioncs.Pcrtincntigicui iftaadpartequxeitde Animalibus.Scdhic dunlcx fit quxftio,vna,qua quxritur,qucmna locum libri ipii dc Animalib 9 in phyii- ologiaobtincat:altcra qux eft explicatu dirricilior, qucna lcilicct intcr feor- dinc Animaftici libri(multi cnl lut)haberc dcbcat . Nos vt priori quxiito ia- tisfaciam*, fcntcntia ab Ariftoc.in primi'libri Mctcorologici initio, dc rc hac " poiica,audicda eifc dicimus,qux ita habct,Dc primis caufis nature,, &: dc om 44 ni mocu nacurali di&u cft.Prima cft hxc pars phyfiologix quc. 8.hbris fermo- num ET SENSIL/BVS. j ^ num naturaliumpriorum continccur.in illiscnfmdcprimis&rcommunifTi- mis principiisrcrum naturaIium,corundemqueaccidcnribus agitur. Dico primis,vtmatcriaprima&:moucntcprimo,&: hocn5abfqucratione:Curn cxmatcria prima, formx,quibusrcs phylicxactulunt,a lolo agtntc cduci polTincquas dcindc propru fincs cofequancur. Formam etcnim pi imam Sc primu fincm non conliderac phylicus, fcd mcraphyficus,vc docct Aucn ocs M inccruolibromecaphy.comccrcio. Raciocft,quiaprimaforma& primus M finis quaraIcsfunc,abomnimocu,ommqucabftrahunr mutacionc. Matc havcroprima,moucnfqueprimum,mocumucacionemque aquibus nun- qua difcedic fpcculatio phylica,hahct fibi fcmpcr anncxa.Quare agcrc qui- " dc de formaquz pcr motu habetur,& de finc qui hanc confcquitur,ad phy- ficu fpcttac:primx vcr6 formx,& vltimi finis c6fidcrario,lupcriori artifici,i. B mctaphyficorelinqucndaeit.Hoc AlbcrtusMagnusin fccudophylicx au- lcultationis tra&.fccudo,cap.i.pluribusdeclarauir:qux tamcn omnia func ex vcrbis ipfius Arift.fumpta,quiin finc prioris phy.ita loquutus cft:Dc pnn cipioautem fecundum formam vtrum vnum an plura,&: quoc , aut qost linr kt coniidcrarc diligcnccr,primx Philofophix munus cft:dc phylios aurc &: m- tt tcntuifofmisobnoxiis.mpoftremisdemoftrandisdicemus.EtibiAucriccs  optimenotacfpcculationcmformarum non ad vnam fcicntiam pcrtincrc. Exquoobiterilludcolligcrcplacccnonomnino clfc iis alfcnticndum qui doccnc,Ariftoc.in primo phyficorum ob id canrum dc matcria prima cgilfc, vt Anciquocumerracadcccgcreccorumquc dc principus fcntcntias falfas c mcdiocollccccalioquin, cxordium fuxcracracionis a fecundo libro ftiiilc fumpcurum. Hxc,inquam,non facis probanda funt,cum ncquc ita dicctcs, C rationcmfcre vllamcurdc primomotorcinoclauo cius tractationis volu- mincagatucafferrc poflirrtmeq; quonam in loco dc matcna prima,qua pri- roa agcndum forcc,dcclararc valeanc. Sed dc his alias pluhbus : Nuc fatit i i c iignificairc,Ariftor.pcrprimascaufasmatcri3primam&: pnmum Efficicns incelJjgerc-.ac proidc verbis illis libi osDc nacurali aufcultationevocacos dc- fignarc :quod iccm part icula , piobat, cum dc illo in tcrtio cius tracta- cionis,ob naturam, in rcliquis vcro quatuor poftrcmis ob primum Moucns, vcleciamobfcipfum(primacnim paliio corporisnacuraliscit Jagatur. Sc- quitur Arift.in codcm cxordio : Prxtcrca vcr6dcaftrisrcttcdiipolins,m\r lationtm liipcnorcm,8cdeclcmcntiscorporcisquoc&: qualia. Abibluitur u hxc parsin hbrisquatuorde Mundo{ itarcctc vocant Alcxandcr cv OJym- piodorus)inquibusdclimplicibus illis corponbusquxprimocx principiis Y) anceacxpoiiciscoalucrunci.de c.iIo& quacuorvocacisc)ctncntisagitiii:in duobuscnim prionbus,deipfocorporc c.rlcfti,prxccripvcr6 dc Aftris,in poftcrioribusauccm dcclemcncts quaccnus fi rr pliciacorpora lunt, p.u tci quc vniuerli.agirur.Quocciam rit, vtnulKi rationeillorum lenccntiam pro bc m,qui libros dc Mundo,hbros dc Principiisinfcribendos pucanrac fi cx Jcftiacorporaranquamagentcs&: moucntcscaufr, grauia& lcoia caquam maccriarerumnaturaJiumfinchabtnda.Pnmunicnim,aduerfantur vcxbis iJUs primi Mcrcorologicorum , in quibus non limplicitcr clcmcnti nomcn legituc,fcdclemenci corporei: iracnim habcnc, k) 4tl SfS&ixfnflf miuv- w  Prxccrca primis vcrbis prioris dc Cxlo qux func : Scicntiadc natu- " ra fcre pJurimavcrfacur incorporibus &: magnicudinibus , in liorum mo- * tionibus atque paflionibus , adhucautcm in principiis , qu.c talis iub- * ftantix func. Simpliciustalcmcxhacpropoiitioncconfcquutioncm tol- ligit , ( ncmpc) Poftquam dc pnncipiis naturalibus actum cft , oportet a. ii. 4 DE ORGANIS SENSVVM, dc corporibusfc habcncibuscorpora dicere. Et Auerrocs ibidcm initio fuat commcntationis ita loquutus eft : Libcrdccxloeft primusinordine libro- rum particularium , in quibus particulariterde fingulis totius mundi parri- bus loquiccepic. Siergo Ariftocclcsinillis librisjdccorponbus&habcnci- bus corpora, parcibufque Vniuerli compoficis vcrbafacic, quificri potcrit, vt infcriptio dc Principiis fic cis propric accommodata ? Addit Philoiophus ineodem procemio mcteorologico , Etdceaqux inuiccm fit pcrmutatio- nc,&dcortu &:intcriru communi. Tcrtium defcribft librum phyfiologi- cum,qui Dcortu&:interftu infcriptuseft: ibinamqucdcclcmcntis iifdcm dequibusinpoftremisduobus fibris dc cxJo cgcrat , non tamen cadem ra- tionc,fcd qua principia mixtoru funt,noua,fubtmsaclongarraditurdoctri- na.Noui pcrmultos eofq; clanflimos PhilofopHos e/Tc , qui alitcr vcrba ifta Ariftot.interpretcntunnosvcro Olympiodorum ,&Ph;iloponumhacinre libcntcr fequimur. Argumcntum autcm, quo adductialitcr illi fcntiat, talc cft: Nacummlibnsdcortu&:inccritu primumdcortu comunitcr agarur, mox dc artcrationc mutua clcmcntorum : qui fieri poterir , vt verba hxc in quibus altcratio mutua,gcncrationi comuni prxponitur , ad illos rcfpiccre dic.im.us ; Quarc addut, Libros duos Dc cxlo poftcriorcs, iilis vcrbis potius de(ignari,quam cos qui De ortu 6c interitu vulgo infcripti funt. Nos autcm dicimus primum,rationcm iftam, illi etia intcrprctationi aducrfari, cum in tcrtio Ub.de cselo, primum nonulladegcnerationc vniuerlim ab Arilt. prx- mittantur, mox qux ad mutuam elcmcntorum mutationem pcrtincnt, cx- planetur: Pr.utercaargumcntuilludnullumomcntuhabcrcitaoftcdimus. Cdftat Arift. hlc cx propofir o partcs fux phyfiologix cnumerare. Suc igitur eius vcrba proprie limpliciterque accipicnda,ita vt partcs illas ab co propo- ni exiltimcmus in quibus pcr fcfic propric dc phyfiologicis tractar. Patct au- tcm in Ubris tplis dc ortu fi intcntu infcr/ptis , cx propofiro,&: pcr fc, dege- ncrationc, mutuaquc clcmcntoru mutationc alccrationequc : in libris vcr6 dc czlo cx accidcti potius dc iifdcm doctrinam fuifTc inftitutam.Quarc vcr- bis illis,non libros dc cxlo,fcd dc ortu &: intcritu notari putandum eft.Qux vcro diximus probari pofllint Ariftor. ipfius tcftimonio, qui in primo libro dc ortu &: intcritu lta loquu tus cft: Dc ortu autem ficinteriru corum qux na- tura fiunt &: intcreunt, zquc dc omnibus , &: caufx diuidedx &: rationcs dc- tcrminandx. Prztcrcaveru dc Alccrationc&^Auctioncquid vtruquefit. In cxordio vcrotertii Ubri cractationisdccxloalitcr.aitcnim,Dc primoigitur clcmcniorumdiclumcft,&:qualcquidcftfecundum naturam.&quodcft ortus &: intcritus expcrs. Rchquum cft autcm dc duobus dicere, fimul vcro accidct dc his dicencibus,de ortu &: intcritu confidcrarc.Obitcr igitur ibi i- fta pcrtractantur, atquc hoc ob cam fortafic prxcipuam caufam , quod cum ibi declemcnusquaparccs Vniuerfifunt,fcrmofiat:Vniucrfumautcipfum xtcrnum perpetuumquc fit, vidcri alicui potuiiTcr, clemehta ctiam xterna poni dcbcrc : Kx non xtcrnis cnim, qua vnquam rationc xtcraum coftitue- tur>A tqui vidcmus tamcn clemcta affidue oriri atquc intcrirc. Arift.igitur vtdcclararct quarattonc, clcmcta xccrna,&:intcntuiobnoxiadicidcDcat, de Generatione vniucrfim primum n6nulla,mox de murua elementoru ge ? iicrationcdifputarcvoluit.Scquitur,Rcliquaaure parshui 9 mcthodicftco- % fidcranda,quam omncs vctcres Mctcorologiam vocabant. Quarra partcm phyiici ncgotii innuit : in qua dc iis qux in fublimi ( id cft in fpatio quod in- tcr tcrra&: igncm eft)ex duplici halitu oriucur,tractatio,trib* hbris abfolui- tur. Quartum autcm, qui tot difficulutes pcpcric,c6cque liccs cxcicauic , vc mccco- .T SENSILIBVS. 5 metcorologicoargumcncocum Ariftc>ccIeconiungimusMcaexaccidcncipo- cius,qu.im ciltncialiccrad Meceoralogiam fpe&acc ftilcrittiusi Nequchoc mirum alicui vidcri debcbic, ii morcm Arilcncclis dihgcnccr hac in rcob- fcruet,& quxdoctiilimusciusincciprcs Lirtconicnlisnon lcuacinobisanno- tatarcliquit. Addicincodem procemio.Pcrgenccsautcm fpcrulabimur.iiqaidpofljmus nixta rationcm inductam de atumahbus &c planns vniucriim 6c ligillaum diccre. Lxprimicquincaphyliologiae parccm (iucpoftrcm.im (ad h.iUc cium prxcipuascnumcratas, hbclhahj dcphylicis confcripci, rcferuncur ) in qua dc animalibus prinuim ordincm dottrma,- fcruans loquitur, prarcerca ycrd deplancis. Librosaucem iftos Dc plancisnon habcmus ( duobus txccptis) qucma.lmodum ncquc hbros de Foflihbus, qui quatuor Mctcorologicos commcmoratos fcquebantur. Pnori quxftionc adcxitum perducta, reliqum eft vcad lccundam pcrga- mus,adquamcnodandam,eodcm prorfus mododicimus:Non aliundcordi- ncm librorum Animafticorumcilc pctcduuuquam cxiplomttAuchorc,qui folus cocam hanc liccm dirimcre poccnc. Vcrbaciusin prioricapicc lccundihbridcpartibusanimalium ua habct, Exquibulham&rquot numcro mcmbris (ingula animaliaconltarcnt , hbns Hiftoriarum, qui dc his a nobis icripci lunr,planius cxphcauinuis: Nunc quas ob caufas, quzquc luxca hunc modum fc habcntconlidercmus. Hic intclli- gerc quiuis poceft hbrum dc liiftoriaanimaliumprxcederchbrumdcpar- tibus,qui polt ftacim fcquicur. i Infincdeindcquarci ciufdcm hbri ica loquucus cft:Scd deparcibus nm- * malium quam ob caufam,qua:que(inc,di#umiamcft in omni animaJium 1 gcnerc,quibuscxplicacis , rcftacvtdeParcibus animahum inceflui lcruicn- 1 tibus dufcramus. Qux vcrba liccc m quibufdam excmplanbus ahccr habca ' cur rccte cam jnadoctwGrrmyiris, icaeirclegen.lavc nos lcgimus animad- ucrfum cft , ciim ii altcram lc&ioncra fcqucremur , non facilc apparcrct qua ratione verbaillaquintilibriDegt-ncr.uioncanimaIium>capiccfcpcimocx- pbcari poflcnt. Taliaautcm liinc: De voccigicurquajnonancediircruimus , cumdcicnfuaucde animaagcrcmusjhunchabcantmodiim. M.mitcltum , igicur cft hbcllum dc inceflu animahum , hbrum dc partibus eoi umdem lc- qui-.quod verbactiaminillius cxordiopoflcacomprol at.Cumennninlibro dcPartibus,animaIuim partcs comnuiniorimodo limpliuteiqucpropojj- t* cflcnt,adparticulanorcs&:concraciiorcs (ordincm natuwr lcqucnsdcf- cendcndum libieflc oftcndic,quando ita loquitur,Dc commodisauccm ani- malium partibus ad motioncm qua- pt-i locum rir.pcrfcrurandi m cft . Ncc minons momco tucque in finc hbelli lcguntur : Dc pai cibus lgicur cum alns, tumiisqusEadmocumanimaliufaciuncdiocmodoichabec.Hisauccm/icdc- tccminacis,proximumcftdcanimaconccmpIaiL Quarequi ad diftin&ionc duplicisordinisconJugiunt,vthancdiflicultaitm vucnt,ahumqucordincm intcr hoslibros ponanr,non funt, vt mihi quidc m v uletur,3udicdi. Ex his au- tcm poftrcmoallacis vcrbis,duohabcrtcur,quoiium vnuclt, l.bellumdcani- mahuinccflu,librumdc parubusanimahu fcqui:alccrum vcrcshbrosde Ani- maportillumftaumcflcponendos . ScquicurdcindchbclJus dcinltrumcn- tisfcnfuum&:lcniihbus,icacnimdocct Anftoctiesineiuscxordiohis vcrbis, Quoniam dc anima per fc,nccnon dcpoccftacibusiingulis,qu.ir pcr paicrs i illi mfunc,cradacum cft prius : proxnnum cft dc animahbus diccrc,&: ns i qiia.'Vicamhabcnc,quxnampropnc,&:qu.u communcsillorum linc aciioncs: * a. iij. 6 D E ORGANIS SENSVVM, &:infrt. Dcfaculcaceigicurqua vnufquifquc fcnlus prxdicuscft , ilichim cft ' prius.vcrum inquibufnam lnftrumentiscorporisapti linrficri quxrirur.Pro- A, ximus huiceft hbcllusDc memoria&: rcminifccntKuquod ttftantur bxcvcr  ba qux lunc in finc hbri de feniilibus, Dc inftrumctis quidcm fcnfuum & fcn > rtlibus,quonam modo fc habeant,di&um cft. In rcliquis autem de Memoria i &: Rcminifccncia,pia.tci ca dc Somno&: Euigilacione coniidcrandum cft.Ex his duoannocarc liccc,nimirum , hbrum dc Somno poni poft librum dc Mc- moria, m quohbrodcSomno Anftotclcs librum de Somniis vnum,&alrc- rumdc Diuinationc exfomnns Vult contincri: quod nobis fignificauicin c- pilogo libclli dc Diuinacione cumair, Quid igicureftfomnus&quidfom- niurtv,qtumur bbcauiam vrrumqucillorum fit:prxtcrcadcDiuinationecx iomniis,dichimcft:nuncdc Communianimaliumotioncdicendum.Exqui- busctiam vcrbispatcc,librumqui Dcanimalium motionc dicitur, lllos fta- B tim fcqui dcbcrc. Cui dcinceps acccdit libcr Dc gcncrationc animalium: id cnim colligitur cxpreiTe cx vcibis poftrcmis libri prXccdcntis,quxficha- ,, bcnt, Dc partibus quidcm lingulomm animalium^&dcanima^dcfcnfuc- *, tiam, &:mcmoria,&fomno,&:communiraotionediximus,rcftatvtdege- ,, nciationcagamus. Scquiturliber Dclongitudinc &: brcuitatc vit.c,vrap- parct cx poftrcmis vcrbis quintilibri dc Gcnerationcanimalium,&:priori- bus lllius.Succcdit libcr Dc iuucncute&: fcnectuce , mox alccr qui cft Dc vica &:mortc,vt cxvcrbis in finc libclli Dclongitudmc &: breuitatc vitc, ofteditur. " Que funt alicuius momcnti &: diligcntcr confidcranda:Surium cnim.inquir, w plantx&c iplius caput cft radix,annux autcm infcrnc,cum augmcntum,tum " fru&uscapiunc . Cxterum de iis fcorfim incommcntariisdc Stirpibustra- * kabitur:tn prqfcntia autem aliorum animalium cum longitudinis tum breui  *' tatisvitx tradicacaufacft.Reliquum igitureftcontcmplaridc iuucntute&: ^ " fcnc&uce, dc vica& mortc . hisnamqucdcterminatis,cra&atiodc amma- " hbus finem habcbir. His in vcrbis tria funt animaducrtcnda , acquc illud im- primis,hbros dc Animalibus{hoc fupra diccbamus) eos qui luc de platis pr$- ccdcrc. Altcrum vcr6,cum Ariftorcles ait , fe vellc dcinccps dc Iuucntutc &: fcnc&utc,dc Vita &: mortc agcrc,c6ncxa hifcc tra&ationibus vna vellc intel- ligi.Ifta vcr6 funt Iibcr Dc Expiratiohe&: infpirationc:&: libcr Dc fanitatc& t> xgritudinc: quod dcfignant vcrba ad finc illius polita. Dc vita aute&: mortc,  dciifqucilliscognatafcrcomhibusdiftumeft.Tcrtiumanimaduerfionedi- gnumcft,fincm fpcculationis dcanimalibusinlibrum dc fanitatc &:xgri- tudine,delincrc,qui dcfidcratur: ad phyficum tamcn aliquo modo illum pcr- tincrc doccc Ariftotclcs, incxordio libri dc longitudinc &: brcuitatc vicx hls vcrbis: Dc Somrto quide &: vigilia di&u cft prius,De vica autcm &: mortc ^  poftcrius diccndum cft,atque cadcm rationcde morbo&: fanitatc quatcnus  ad phyficamcontemplationempcrtinent. Quod veropoftrcmus omnium librorum Animafticorum fit libcr De fanitatc &:morbo,facilceftprobarc: Ecenim C u m A nftocclcs in finc libri dc infpirarionc &: cxpiracione narrat : fe iam cgiflc dc(omno&:vigiIia,dc vita &: mortc atquc dc annexis his,non limpliciter loquutuseftjfcdcum verbo'***', qnod Sancindicat,aliud quid adhuciibiagcndum fupcreire. Exhisqux anobisallatafucrunc,faciscon- ftarc puto,quallfnam fit intcr libros de animalibus ordo retinendus. Res exi- gcrot vcad lllum confirmandum rariones adhibcrcmus. Vcrum illas in com- rnodiorcm locumdirrerre,farius ciVc ccnfcmus &,quod ad inftitutumno- ftrum magis pcrtinet,in prelentia pcrfcqui. Qua- ETSENSILIBVS. 7 Quaredefcopo(quod quidcm fccundo loco a nobis propoficum cftjnunc agerc aggrcdiamur . Scopum iddicimus quod &: Grxci^rcudiligentcr cxpcndcnti vcrba Ariftorelis in finc de longitudinc &brcuitacevicx, vbicumnonnulladc plancisdixnfcc, h.ec iuluucrc voluit: Scd dc hisin conimcncariisdc Stirpibus agetunin prx- fentiaauccmaliorumanimalium cumlongitudinis tum brcuitatis vitx cau- fadictacit. Rchquum c!k igicur dc iuucntute &c fcneccucc conccmplan, nccnon dc vica &: morccihis namquc dccerminacis, ca qux de animalibus cft fpeculatio flncm habcbit. Ncqucidnobis ncgociumexhibeat vllum,qu6d nimium inhifccvcrfari vidcacur. Mos cnim cft Ariftotclis vcaliquandocommoda occafionedu- ftiis de rcbus qux libi ofFcruncur inalicnis locis pluribus agac quam opus ciTcvidcacur, dummodo ad cundcm omnia finempctincanc. Multafunt apud Ai.lu tckm cxcmpla huiufmodi :ac nullus fcrc cft qtij id non ani- maducrtcrir. Scdaliquisforcaflcirrftareacrius poftct, Qua/i himirum dc hifcc paffio- nibus c ommunibus animalium &: vitam habentium, hlc agcrc locus non hr, cum ad librum potiusdcanima,iftacractatiofpccccc:quod probatur, quiac- iuidem uu ntixcft,dccaufis&: dciis quxacauiiscftectaoriuncurvnacra&a- re: ac m hbris dc anima agitur dc principio&:caufa lilorumomniumacci- dcncium, ncmpc aninu: igicur ibidcm dcciufmodipaflionibus agidebuit. Affumptio probacui u quia caufa&idquodacaufaoricur,inuiccmrcferun- c-.r. : i clacorum autcm natura cft , vt vnum ablque alio dirfinicc cognofci non pofTn&: vt limulinnt, ita quoqucftmul cognofcantur.HocdocerAriftotclcs in Catcgoriis:Capitc dc Relaciuis,&: chciuncur exquincolibro Mccaphyfico- rum , capitc dccimo quinco. Minor pacec , &: confcquucio, nota cft . Confir- matur'wquia ifta lunc animaJium accidentia: vbr igicur dc animalibus crattatum cft,ibidchisoporcuit agi:Probarurconfcquutid,quiaeiufdem fci- cncix murtus eft dc fuo luluc&o &: aflectionibus cuifdcm vna difpcrtarc.Col- ligitur cx Anftotele inprimp poftcriorum analyticorum tcxtu quadrnge- iimoccrcio.Rcfpondcrcoporccc :dc hilce affcCtionibus tam in libris dcani- maquam lucagi, fed lccundum djuerlararacioiu ui : quod qmdctn optime couucnit :Dchisfane'agiturin libnsdeanimacxaccidcnti, nimirum vtex cbicdu ET SENSILIBV 9 obiectis &:ationibusfaciliusnofci poflcnt animx poteftates.quxibipro- pnc& pcrfediic vcro ccontra,iIla ncmpc pcr ic, potcftatcsanimxexacci- dcnti,conlklerantur.Prxtcrca,vt monct Aucrrocsin pnmo mctcorologi- corumcapitc primo,iftain librisdc amma vniuerlalitcr &: fubquadam ra- tionc communi,velquaanimxtantumconucniunt,hk qua animx &cor- pori communia funt ( vcl xquc dicas vcl non xque nihil rcfcrt ) coniidcran- tut.Quain reanimaduertcndum cft,quod infupcrioribusetiam monui, A- riftotcleminlibrisdeanima,multaexhiicc hbns fumpta,cxaccidcnti pro- poncre , ad declarandas fcilicct magis racu 1 tates animx. hic vcro c contra, multa cx accideti fumcrc qux in libris dc anima pc r ic ikclarata lunt,vt ha- rum affcccionum dodrina planior rcddi poflit . Argumento ita latisracicn- dum eft:Illud quidcm locum habcre m fcienciis totis, non item in partibus fcientix.Nam in libns dc phyfica aufculcationc dc cauiis agitur, non tamcn dccfFcctisnaturalibus:itainlibrisdecxlo, doccmurcxlum fuo motu& lu- mineomnia ifta inferiora producere &confcruarc: non tamcndcipiiscr- fcctisfublunaribusacxlo produ&is&cconfcruatisvlla moucturquxftio.be cumadditur,iftacflcrclata:dicendum eftcverum ld ciTc in gcnerc,nonm fpccie.Sidicatur,fcnfum Sc fcniile eiTe relacain fpccic : rcfpondcndum \ bi dcdcrimushxceirerclata,fatiseircibidem iimul nota Acriquantum adid qu6 rclata funt,non autcm quantum ad naturam, &r ad vtriulque : cum prxfcrtim hxc ex co tantum gcncrc rclatorum linc qux fccundum dici Lacinivocant. Adidquod additur ita rcfpondcmus: Siper libros de animalibus fn- celligamusomncsillastractacionesqux fupraa nobis func cnumcratx,& qux cxordium alib.dchift.animaliumfumur,ad librum ver6dcianicate&: xgritudincdclinunt, vera eflequxobiiciuntur , nihij tamcnaducrius nos facerc:atiiappellationclibrorum dc animalibus intclliganturrantum ( vc vulgo (blec)libri dc hiftoria,&: de partibus animaJium: diccndum cft hoc cf- fcfalfum,quiainlibnsillis nonniudcmaccria animalium fcrmo fit . Quod vc vcrum (it dcclarandum cft. Vniuerfa dcanimalibus difciplina,tribus co- gnitis abfoluitunhorum primum crt animalium e/Tentia , cum fibi propriis operationibus. Alterum cft corundem gcncratio,quafcilicct gignuntur, &c lucccflionc quadam confcruantur.Tertiumeft vita&c mors.Triahxc Ari- flotclcs admirabili nobisartificioproponit,&: primum confufc omnia(vc fo lcr)mox diftincte&: pcrcaufas. Inlibris igitur de Hiftoriaanimahuma pri- mo vfquc ad quincum,quid eflcntiaanimalium &: qux lint eius operarioncs doccmur . Illud fatis patct. Hoc patcbit ctia acutc ltitucei capuc odtauu, no- nu,decimu,&: 1 1 .quarti libri,vbi dc fenlibus.de iom no.de vigilia &: de fora.- niisagitur.Inquinco vcrociuldcm traciationis,de gcncrationc animaliu. In8.dc vita&: mortcdiilcruit.Ath^cqu^ibicofufc&^quoadwCT traditaiiit: diftintc&:qiioad7: , r,m ahis hbris iubfcquctibus proponutur.Quantu c- nimadcflentiam animaliumfpcctat,illa cxmatcria &: forma conftat: Pri- ma autcm cx hifcc cfletiahbus cauiis matcria cft : quod clicitur cx Ariftocc- lc,quialiquandoait,ad cognofcendam nacuram artificialium non folum roaccriam fcd formam cciam nobis cognitam ciTc oporcerc . &: hoc ipfc fcr- uauic in libris phyficx aufcultationis.& cft fcntentia Aucrrois in priroo me- ccor.in cxordio,&: in primo phyiicorum ccx. fcpcuagciimo , &: ccrcio eiufde tra&ationis tcxcu fcxagcilmoquinco: quod aSimplicioquoq; aliis verbisdi ci folec,formaa matcnafubftcntari,matcriamquc ad rcccptioncm formx fupponi . Prxtcrca natura ipfa in rcru generationc hoc cocic ordinc vtitur: io DE ORGANIS SENSVVM. priuscnimmarcriampnrparar, cxquamarcriapreparata formaextudirur, moxcompoiicumipfumnaturalcontur.AriftottU sia,nirpoftlibros dc-hi- ftoria animalium, pokuc Jibros dcpartibus animalium, vrram in gcncrc ouaoi tn lpccicdcmatcriaagcrec:mox additlibrosdcamma m ojiubus dc forma,tdelt,animaipla diflcrircx matcnaautcmilla&hacforma.rotaani- maliumcll"cnriacorundemqucproprictatcsliabcntur,quandoquidcm cau Ix ellcncules tam compolirorum , quam proprictatum compoiita (cqucn tium.caufa- dicuncur eilc.Has auccm propnctatcs multx funt:pra?cipuc vc- ro Scnfus&r motus.his cntmnrimum animatum ab inanimatodiftert,vt cc- Itacur An(t.inprionlib.dcanima.rc\.i9,&:infccundotcx.iK. De hifccigi- turproprictatibus Artft.in patuisnaturalibusagit,quancum atrinctadco- rum quaruor libros priorcs,vcinfra diccmus.Hilcc ita conftitutis fequirur hbcr dc Gcncratione animalium tanquam qumto hbro dc hiftoria rcfpon- dcns.Scquunrur poftrcmoloco iiqui rcfpodentottauo,in quibuslcilicetdc vita&mortcatqucaliisannexisdjfccptatur.Ex hisapparctquomodoargu mcncumiitinanc:Nam licctadcandcmfcientiam pcrtincacfubiccltrm fuu poncrc,ciufdcmqueaccidcntiadcmonftrarc,non tamcn vcmm cft,vbicii- que dc maicria fubiccti agatur,vcl dc cius forma,ibidcm de accidcm ibus to tHiscompolitidillcrioportcrc.Nam,vrcxcmploagam,inlibrisdcpartiluis animahum,fubic&um c*ft pars animahs qua ifr^f>rcft,tanquam tocum quoddam : ibidem igitur agit dc lubftanria partium, id cft, tam de ma- teria quam dc formaipfarum: prartcrca vcro dc accidcnribus qua iplic talcs funt, vtomnibUs patct:atii ifta- partcs adanimal rcferanrur,nonrotum quidfunt.fcdparsanimalistantum.quxcuforma^id cft,anima, coniun&a, iompoficumcrfair,animalnempc vclanimatum. Huius animati copolici vcl a n i malis accidentia qui flcri potcft , vt doceantur anteaquam dc forma ipfa.id cft,animadifputatumiit?Ethoccftquod nonnullicxGrarcorum fcn tcntiarctcdixcnmt,librosparticularcsnon haberc fubicchim propriclo- qucndo:fubicaumcnimtotiusfcicntixcft:cum dcbcatcflcgcnus fcibilc vniucrlalc,&:dcomnibusinfcientiahabitis,dici.Dcfccndonuncad parri- culare fubicttum huius libn,quod cx vcrbis eiufdcm Ariftotclisclariflimc a quoutschci potcft qui in poftremis vcrbis huiufcc libri inquir, Diximus or- ganaicntiendi& ipfa fcndliaquomodofc habcantcumcommunitcr tum ligillatimircftat vcdc memona&: co quodcft meminiflc primiim omnium agamus.Quar vctbacum iis conucniuncquat in particula quarra,iuxta Alc- xddri lccctoncm pollta lunrdiabenccnim hoc modo , Scd quam facultatem fenlus vindquifquchabeatiam dichim cfbinquibusaurcm corporisinftru- mcntis fianr.nonnullipercorporumclcmentaquarrunr.QupIocoAriftote- les &: in aliis ctiam jvtitur nominc "Ztk". Nos vcro ha&enus Inftrumcrum fcnfusdiximus.nccumaliisfcnforiumdiccrecogcrcmur moquiavox bar- baralic(hxccnim monltranofugic Philofoph 9 fcdGrammaticus, vtdocct Ariftot . infccundo de Phyiicaaufcultationc)ied quia obfcura nimis (ir, nc- cjuc vim vcrbi Grxci fatis cxplicet: Alii Seniitcrium voc3t,fcd codcm mor- boiaborant.Nosigitnr pofthacnccircunfcriptione vticogamur, vcrbum Grxcum Larineprofcremus,&:aliorum Philofophorum prxcepca (equctcs AKlUictcnumvocabimus,id quodinftrumcnrum fcntiendi hactcnusnurt cupauimus.Hoc vcropropoiitu cflc Ariftotch in hoclib. tcftatur &: Alexa- dcr in iua prcfationc clariflimisvcrbis^Aucr. in primomctcor.ca.i.Quod vtpcrlpiciatur,illudtcncnc1umcft(quodfupractiam dbcimus) Propoiitum Ariltoccl .s in libris dc amma clfodc anima agerc,qux liccc comparata ani- malibus ETSENSILIBVS. rj a maliluis lit pars &: forma,comparata tamc fuis partibus totumquoddam cft, parteique&: pailiones habet qu.x dc ipfa dcmonib antur.Hoc verum cflc do-  cct Ariftotclcs in primo dc Anima tcx.$. his vcrbis: Qucnmus autera co- cc gnofccrc naturam animc iubftantiamquc,&; qux llli accidunt.Scd quoniam tractacio dc fubftantia animi dirHcillima cft, vt docct lbidem in tcx. 4. acci- dentiaautcmadcognitioncm ipiius quod quid cft contcrunt,cx tcx. iz.ciul- dcm libri:hinc fit,vt achirus Ariftotclcsdc fcnlitiua animx partc, ciufquc vi- nbus,anceadcahonibus,atqucomnium primum,de obic&isipiis tanquam notioribus,vnaquc dc inftrumcntisad fcnfum requiiitis,agat: quod clanili- mis vcrbis iignificauit m fecundo dc anima,tcx._; ;. Nulli lgitur mirum vidc- ridebet,ftibidehisquoqueagat,cumhic lftanon ex accuienti&.quaad altc- riusnotitiamconferunt,fcdperlc&: proprie, quoadeorum lciliccteilc ,ge- nerationcm &: naturam coiidercntur.Hac pat eiculanus dcclaro, Adurus A- riftotelcs dc attu lcntiendi,quinonficabfque corpore,necclfc hm vt ibtdcm dc inftrumentis fenticndi agerct vbi &: dc actu.Prxccrea vis fcnticndi ad aclu no ducitur nili obie&o prcfcntc (omnc enim quod mouetur vcl patitur, ab a- liquoalio mouctur,pafltoncmquerccipit,fincqtioa&io vclpaflio nunquaro fiet)atquifenfus inmoucri&:paticoniiftrt,tcftcArift.in fccudodcanima tc\. 5i(patiturautemabobicto)abfqucobicfto iguur fenfus nunquam ficripo terit:ratione igicur facultatis ic nticndi vcl lplius acT:us,dc obicchs iiuc fcniili- bus ipfis a&um cft. Hoc efTc vcrum docet Ariftoylcs in codcm libro tcx . 66. vbi fpc&abile illud cifc dicit,cui vifus accidit ,*acli dc fpcttabili fiuedeobic&o vifus catcnus tantum agat,quatcnus ad vifum rcfcrtur , ciufquc notitiam fa- cit.Ex fubic&oita poiito&: conftituto, patct primum cur infcriptioncin ll- lam libri rctinucnmus qux cft,dc INSTRVMENTIS SEN- S V V M &:S E N S I L I B V S,non autem qux dcS E N S I B V S& SENSILIBV Svulgorcceptacft.Nouimusquidcmqux adhanc rcm Alexadcr dicat:fcd confulionem quantum ficri potcftfugimus,refque ipfas, vtifunt,dcccftas&rclaras,nonobfcuritate inuolbtas cerherc .ui.imamus: cu- iusfortaifcratione Ariftot . acrius aliquando in antiquos inucdus cft, quam rcs ipfadciidcraflcc. Excodcmctiam fubicCto patet,curlibcrhic omnesalios Paruorum naturaliu libros prxccdat. Nam cum dictu iit,in hifcc libris agi dc accidcttbus &: proprictatibusanimalium,quorumpriorcs funt (enfus& mo- tus,&: intcrhasfcnfuscxccllat,hiclibcrin quodeiis agitur qux ad fenfum C ipfum pcrtinet,omnibus prc,poni iurc dcbcbit. At fcnfu s duplcx eft,cxtcrior fcilicet&: intcrior.fcnfuscxrcriorcs prirh6animalibusconucniunt,tumintc- riorcs:quod patctcxcorum opcrationibus.Iiinc fitvtpofthunc librum po- natur,isquidc Mcmoria&:Rcminii'cctiadicitur,quinimo pys etiamhuius a Grxcis iudicat 9 cftihofcc autc fcnfus fua fcquitur paflto,qua rattonc tertio lo- co ponitur liber in quo dc fono&: vigilia earumquc anncxis agitur . Scquitur pars que, cft dc altcrajpprictate, nimiru dc motu. Scd de his &C rcliquis hbris, cur fcilicct co ordinc poncdi lint,quo nos fupra pofuim*,iuo loco agcmus:ni- miru ciim ad intcrpretationc illorft accedem 9 ,quod aliquado&fortaile jfpe- dic anobis fictdntcrca hxcdixiflefatisfttrationcmq_j actulifTc,cur hicnofter precurrcre debcat.Iam(ni fallor)tria cx propofitis dcclarata funt. Rcliquu cft vtdeDiuiiione&: Vtilitatcpaucadicamus.Diuiditurcrgolib. induas prxci- puas partcs,Exordium &: ipfamTra&ationc.Hxc in trcs partes fubdiuiditur. In quarum prima dc AEfthcteriis ipfisagirur,quxrcndo cx quanam matcria, conftcnt,&: in qua corporis partchnt conftituta.In fccunda dc fcnliliumci- fcntia, gcncratione&c corundcm fpccicbus. ln tertia dubitacioncs quxdam ii DE ORGANIS S E N S V V M ad hac omncm trattationcm pcrtincnces apcriuntur. Hanc vn.im fimplicif- lim.im duulioncm fcqui placct, quodad ipfam commodiflimc omniahu- luslihricapit.ircduceicpoflimus. Quantx autc hec difquificio vtilitatis iit, i \ co tantumdifccrc pofliimus , quod tractationcm dc aqima pcrficit: qux lanc( vt Thcmiftiuscx fcntcntia Ariftot. protulit)adomniaqux cxtrafunt conofccnda,virtuccfquc omncs comparandas , magnum atquc inccedibilc aftct c adiumcntum. Quare qucmadmodum Mcdicum dcccr, vt corpus fanu confcruct: Pictorcs vcro&:Sratuarios,vt lllud coloribus &: fcalpcllo rcccc imi- tcntur,plurimumopcrcltudiiqueincorporis cognitionc confumcrc: ita ra- tioni quam maximc confcntancum eft,Nos,vt animum vircute orncmus,vcl potius ignorancix morbo grauicer affectum liberemus,animi nacura ciulque propriccaces omni cx parcc afliduc conccmplari.Hxc dc *0*>*yt*ntt. Uei^ oTtpov  &r Xryoffip , i&j rma aniraaliu a&u cft)pluribusdcclaracalucrc:gcn*enim dansforma(cefteAuerrocin ccrciocar- li cora.zS) dat omnia accidcntia gcncrato,mcdia illa forma. Pnmum autc dc primis agam*. ( Ponacur).Nocac Alcxadcr cx Arift.primo Analy.poft.duphcc clfe fuppolitioncm. Vnam qua Grxci aliquando vocat: Ariftot.VCto lllo in loco po(icione\Lacinicffacum,Alcxaderhic limphcircr fuppoiicioncm. 1 clt propolirio ilia,quam ncccilc eft qucmlibct doccndum domoafrcrre, non autem a prarccptorc cxpcftarc : vt,dc quolibct cft vera afnrmatio vcl ncga- tio,non contmgit idcm limul cifc&nonclfc. Quibus lolisaut ccrtc pau- cisaliis ,dcfcriptio llla Anftotelica conucnit. Alia vcrocftqvue ab Arifto- tclc fuppolitio ulcft imStmt voca t u r , .i Philopono po(itio,idcft 3t*r,ab AK xandro luppoiitio expartc, ldcft *'3ik xtA^i'p0-, quia non omnino indc- monftrabilis & fuppolita cft , (cd in aliqua lciencia folum dcterminata 16 DE ORGANIS SENSVVM &probara,inaliavcrofuppolicaaccanqua conccfla&: indemonftrabilis ac- ccpta: &chanc cum quidem quifit doccndus habcrenoneft ncccllc: hac m- fcicncus fubalccrnis cognofcicurdcmper cnim quq fupcrior eft , principiain- fcrioris probarc debcc:infcriorvcrdafupcriori probata rccipcrc.Philoponus avitc in primo poftcr.com.xihnita cflatum a poiitione idcft fvd tutfpoutionem ab Ariftotclc, aut liippolicione cx parte ab Alcxandrovocatam. Hat aUtem nil aliud limcquam veldchnicioncs cra- dit.cvcl propofitiones inhbnsdc Anima dcclaracat. (Primuqucdc primis). Latiniqui Alexandrum fcqui volucrunc, malc inccrprccati funt h.cc vcrba. Pcr primas cnim,communioresoperacioncs incclligunt, ac dc iis pnmum a- gendum cllcvolut.quiacommuniora ordincdodrina:pia:currat,dcfcntcn- cia Anftotchs pnmophvf. tcx.57. &: tcrtiociuldcm tradatiomstcx.i. Paccc tamcn Anltocclcmpriusdcproprusquam dccommunibus doclrinam infti- cuiifc. Scnlus cnimAE motusdc quilms primo agit iiinc animalium propria, mox cafcquuntur qu.c viucncium omnium communia funt.Qui Alcxandro aham tnbuucfcnccnci am,ntmium llliusfuncftudioli. Ncquccnim vidco,vn- dcnam illameliciac. Diccndum cftigicurhicvcrbum =*tw pro co quod pro- pnum cft fiue proximum, ab Ariftocclc vfurpari. Hocautcm farpc ab ipib ric- ri , in fccudo de phyfica aufculcacionc &: in poftcnoribus Analycicis vidcrc li- cet.Dc primis igicur,id cft proprns&: qua- primo cciam loco propoiic? func o- pcrationes agit Ariftocclcs:hoccftdc iisqua? animahbuscantiim conucmut, iniifqucfolisrcpcnuntun vt fcnfus,cuiusobicctum&:inftrumctum hicqua:- rirur,mcmoria,rcmmik i ntia,&: mocus: mox easdcclararurus,qujc viucnci- bus omnibus,hcct nonxque,tribui polfunt. Iam vcroargumcto Latinorum lta rclpondcmus:Ordincquidcmnatur.E, qui a prioribus&: vniucrfalioribus ducitur,comuniora precurrcrc : (&: hoc quidc ordinc vtitur Ariftotclcs mtcr partcs prax ipuas &: k icntiaru totarum,vt ita dica, complctiuas.) Ordinc ta- mcn docrrinx, qui noab vniucrfalioribusfumitur,fcdab iisa quibus facilius difciplina tradi &: acquiri poflic,pr$ccrea vcro a nobihorib 9 ,ahquado poftpo- ni. Huncordineminduxit Ariftotel. inquintometaph.cap.priori,&: Aucr- rocs ibidem in com.quinto , clarifsimis vcrbis cofirmauic. At non folum iplc tradidic,lcd farpefcruauic in lcicciisprarfercim parcicularibus liucinparcibus (cicntiarum.De Animalibus cnim primo agcrc voluic quam de plancis,vc fu- pra oftcndimus , hac fola racionc. Na licec anima vcgccaciuacomunior iic &C prior nacura, quam fcnfitiua:tamc quia fcietiade Animalib* faciliiis cradicur ac percipicur, quinimd plancaru nocicia cx illa fola manifefta fic , vc doccc A- ucrrocs ET SENSILIBVS. i 7 ucrrocs m fecundo dc Anima com.fi. idcircoAnimaliu do&rinam prxcedcre A voluit. Scd & in iccudo hbro dc Anima idc prxftinc. Nam licct fcnfus cachis pnornaturaiit&communiorviiujqui m pcifettiscanrum animalibus repc- ritur : a vifij tamen tanquam a nobiho. i iaculcacc inmiun fumplit. Ex his ca- mcnncquiscolhgacordmcm do&rinx, a naturx ordinc pcnicus fciunccum ^flc.Quinimo ita illi cohxrct,vt idcm doCtrinx ordo dicacur qui nacurx. Do- ctrma cnim quxdam quali ars eft, ab inccllechi quali ab artifice luo coftituta: Omnis auccmars nacuram imitatur : Do&rinx igicurordo ,nacuram fcqui dcbcc, niii cx accidcncc aliquo vc di&um cil, prohibcacur. Qalvtraf q rd fi!tyie op*Z't * x) &pcc rw- TOiC, "ooCjX; avatnovi , oxcsrvo* , xa) fytvi Xj ddvar&- '  dccommunibus&propriisariimahum &: vicam habcncium opcracionibus. Nunc igicur qux quaiefquc illx,prxlercim vero maximc. &: prxcipux hnc, cx- planac.Primum auccm primas,id cft animalium proprias(vt dixcrac)mox co- muncs,idcft,viucncibusomnib* c6ucnicnces,cnumerat.HictamcArilt.c%m inccr primas quaminccrlecundasorcbncm ftacuic : alias cnim akiscommu- nioresvocat. Dicicigicur,Tamcommunesquam proprix &: prxcipux opc- racioncs animalium ouc cum corpoh cum animx conucniuncluncv ticniUs, mcmona,ira, cupiditas ,ac candcm appccitus : pra:cerca vcro dolor&: volu- pcas.Iftas opcrarioncsicirc communes&c proprias animalium indc hqut c.Sut enim fcre in omnibus.Tam autcm communcs quam propriij prarcipueqt vi- ucntiu opcrationcs anim^ &: corpori coucnicccs func quacuor ad iummu nu- mcro coiugaciones: Somnus& Vigiha: Iuuccus&: Scnccius:Expiracio&; Rc- fpiracio, Vica&Mors. Dc auibusorruiibus,quidlinc',&:obquamcaufamfi- anc,coniiderandum eft.Poilcmus parccm lianc in trcs particulas ihicribuerc mprima^propriaj&communcsanimaliumppcraciones proponuncui: In ic- c,unda,communiilimx: Intercia, quarnam iincdc his quarronda docccur.Pn- mampaitcm aggrcdiamur Cuius h^c cit iuirima: Maximas cumcomrauncs tum prxcipuas opcracioncs,camanima: quam corpori animahiun conucmc- tcs eile:vc fenius,mcmoria,appccicus,volupcas, &c dolor . Quul in hac propo- iicionc fubie&i vicem gcrat, &C quid prxdicaci, nO lacis apud inceJrprcccs aiios 18 DE ORGANIS SENSVVM, conftar. Thomas vuk hic doccn commiincs &: proprias opcraciones anima- ^ hum , tnm corpori quam animx conuenirc , vt cx co ncccisicas huius crada- cionis a libris dc anima lciuncix intclligatur. Idcirco iplc,propoiitioncm hac nou lolum a rchqiusduabus parubus hui* tcxtus : fcd ipfammct alcipladif- mndam nucrprcracur.Quaccnus Thomas aiTcrit Anftotelemin hacpropo- titionc viani Gbi ad ca qux dicturus cft quodammodo ftcrncre:eatenus ipiius fcncenciam probo. At quantum adfcnfum prxcipuum Authoris allacum, omnino improbo.Nam quod Ariftotclcs hic dicenda clartus & parcicularius explicet, patct primum cx cius conrucrudinc : mox ex hs qux in tcrtia parte a nobis enumerata ponuntur. Dcindc quomodo ifta vcrba a fcquccibus dif- iungi pollint non vidco. Vcrbumcnim, VT,cantamconncxioncm fccum afferc,qu:kam vcl vlloaliomodopoilic. Leonicusquoqucpartcm iftam,non cadcm tamcn ratione icindit.Qud f3t,vt tam in ncxu quam in fcopo affcrcn- do : prxtcrca vcro m vcrbis cxpcndcndis,quid iibi vclit , non fatisconftct. 5 Alcxandcr vcram quuicm totiushuius pai us cxplicationcm aifcqui alicubi vidctui , fcd in mtcrprccandis verbis cantam incoftantiam prx lir fcrt,vt quc, litcius mcns llatui nullo modopoiTit.Ex rcccntionbus lunt qui vcrba non- nullamuccnc,&:quiillis ctiam vim affcranc. Quodlicccin Anftotclc inccr- prctandoaliquandoficri neccilclit nontamcnfcmper libcrtatc hacvti fas cft. Atnos, nctvllabaquidcm mutaca,omnia,vtfpcro, planillima rcpcnc- mus.Hoc autc inhac ption partc primum-.mox in aliis oftcndcmus.In his ta- mcnomnibus, Anftotchs artiticium primum animaducrtcndum cilcdico. Propofucratfupra agcndum cilcde propriis& communibus opcrationibus aninulium ,&:vitam habencfum, nuncnon modo quidpcrcommuncs ic proprias opcrarioncs intclligat,fcd quid pcr animalium opcrationcs: pr^tc- rca etia quid de lllis troctandum iit, explicat. Dc primo cnim ait , Commu- q ncs iflas&: proprias opcrationes cifc, vt lcnfus, memoria , ira,dciidcrium,ap- pctitus,voluptas& dolor:prxtcrhxc,ctiaquatuor illx coniugationcs.Dc ic- cundo ,liifc opcrationes corpori &: animq conucnieces. De cercio,Quid vna- quvjquc iit &: ob qua caufam fiat,quxri oportcrc.Prima lgitur pars contcxtus, conrincrcxcmplaoperationummaximarum&: prxcipuarum tam commu- nium quam propriarum animalium.Iftx funr qux velad fcnfum, vcl ad mo- tum pci tincnt.Priorcs crunt,fcnfus ipfc exterior(qucm nomine Scnfusdcii- gnat ) &: mcmoria ad quam rcminifcchtia rcducitur. Pofteriorcs erunt appe- titus , qui cft prima caufa motus in animali , tcfte Ariftotcle in ccrtto libro de amma tcx.jo.&: ex confcqucnri paflioncs quc_ in facultatc appetctc funr.Mo- tus cnim cx codem libro tcrtio tcx.4tf.eft aut fugicnris, aur profcquentis:fu. gcre autem &prot'cqui,vt declarat idcm m fccundo dcanima,abfquc illis paf fiohibusvel principhs paflionum ftcri ncquit.Dc his autcm affectionibus agit D Anftoteks in hbro dc motu ,qua illius principia funt , vt ipfe tcftaturcap.j. cnis tractationis.Dc nfdcm ahbi pluribus, vt in libris dc anima,&: in libris dC moribus,fcdaliarationc,vcrba fccit.Scd quid flngula horum fignificent,pau cis primum declarcmus: mox corpon &: animx communia cffc oftcndamus: poftrcmo vcrba quxdamin cotcxtu poiitacxpcndamus.Animalia vtanima lia iint, primocx lcntictcfacultatchabcnt:fcntiendi ver6facultas,ad actum fola lufccptionc fpccicrum fcniilium traducitur.Tunc enim vifus albedinem pcrcipcrcpotcnt,ciim m ipcciemalbedinis formatus crit:idcmdc aliisfcn- fibus cxtcrnis dico. Addc,cum fcnfus fimplcx fuum obicctum cognofcit, non fcquiriir,ncqucfugit:at cum Ipecies aliqua iucundi vcl molefti acccdit,runc appcritio cxcicatur.Vifus enim,vcrbi gratia,quandiu cognofcit flauum,non moue- ETSENSILIBVS. i 9 mouccurcum primum autcm dulccdinis fpecies adiungitur.vc m melle,con- cinuocxcicacurappecicio.Eft igicurappcticusnihilaliudquam faculcacis fen- ticntis indu&io ad remobicctam fcquendam veldeciinanda.Etreipfaappe titus .1 fenfu no dufert } fed rationc tancum quada & cogitatione feiunguntur. qucmadmodumcciamcumdicimus,cerrca inhnorcmlocumappcterc : ap- pcticum lllum a forma tcrrae diftinctum non intclljgimus.Hoc vcruni eile te- ftatur Arift. qui in tertio libro dc anima^inquirv^ffnihil aliud efTc quam motionemmcntis&fcnfus: priorvolunuspropric dicitur: lccunda appcti- tus.Vbiillud animaducrccndu cft, Licccappccicus m lcnlu cxcicctur, non ta- me in hoc vel illo cxcicari:lcd in fenfu iplb cdmuni qui vnicus rc ipia rn omni bus animalibus eft , qua vcro propriis quibufda organis ad rcs externaspt rci- picdas vcicur,variisnominibusnucupaiiir,icnliisicihcct vifus,audicus,cact 9 , ^ guftus,olfaftus:Ncquccnimpccptioncsfcn(uu quiin organisiftis cxcerion- bus iniunt, tcrminatur aut quicicut ruii ciun ad comune fcjifu pcrucncric, Ln quoomnisfencicdi fonseft.Inhoc igitur icnlu qui aliquadophacalia,aliquan do mcmoria ob diucria fui muncra vocacur,& qui difFcrcncias lpccicrum fibi oblatarum cognofcit, appctitio fic.Hxc dcappericu in prarfcncia . Ad rcliqua accedc.Infcnticntchacaninia.criainefleicpe dicit Anftotelcs,Facultatcm, afFcc"tioncm,habicum. Facultas, inquit Euftracius, cft ipfemet appetitus ido- ncus,qui a voluptatc rei luctunU pcrcept?, vcl dolorc rci molclLc cxcitctur. Nilul cnim aliud(vt ex his qua: diximus colligi potcft)appctitus cft,quam ha bilitas illa & facuitas,qua cxcitamur ad aliquid , vel fequendum , vcl fugien- dum . AfFcctio vero, cft ipfa iam prarfens cxcitatio commotioquc. Idco recte Andronicus afFcctioncm dcfinu c vifus cfbEfFe anime^ motioncm racionis cx- pcrtcm,ex opinione vcl boni vclmali cuiufdam cxcitatam . Dc Habicu nihil C hoc quidcm loco . Rcdco igicur ad afFectioncs fiuc a Grarcis vocata . At- quc dc ipiius primum fontious,ex quibus ilta: aiFcctioncsfluunc,nonnulJa di- co . Fontesiftifunt, Volupcas&: Dolor. ncquccnimin numcro afFcctionu ifta duo reponutur: alioqui icqucrcrur , quo nihil cft abfurdius, nimirum ipfa ex fcfc oriri. Volupcas auccm nihil aliud c -ft,quam pcrccptio rei objcxta:, con- ucnicnciam &: cognacioncm habcncis cum raculcacc pcrcipictc: percinecque voluptas tam ad ienfum quam ad lnccllcctum, qucmadmodum &: dolor. Ve- rumnonnulladicamusdc Voluptatc iUa,quxfequitur fenfum,vtciusnatura paccfiac.In fcnfuomni(fumoautcm fenfum pro actu ipfo&^energiafencicdi) vt vcrbi gratia, m vilione duas cauias requiri fatis conftat : faculcaccm vidcn- di,&: rcm cxcrmfecusobicctam,in cuius fpecicm faculcas ipfa formacur,&: ica formacain actum cxic. Cumigicur faculcas vidcndi opcimc cnc affecta, muicaquc proporuo &: conucnicncia , nacurxquc confcnlio rci obic- D ct.c cum faculcacc , nifi aliquod in mcdio inccrccdac impcdimencum cunc perfecta viiio fiec . Pcrceptio autcm fenfus, ilhus conuenientiz voluptas dicctur : &C quo maior vcl minor crit conucnicntia , vcl racio- nc rei obic6hc,vclfaculcacis, vcl medii , eoquoqucmaior vel minor voluptas vocabicur.Quid fic dolor cx his paccc . contrarium cnim ex concrano judica- cur.EricCnim perc^pcio reiobkrctx qua; difcrcper,&: raculcaci fencicnci pcrci picnci aduerfecur,iplaraquc male arficiac . Ex hac volupcacc, Sc cx hocdolore omncs aiFectiones oriuntur. Nam fi res obiecta fcnfui>illique confcmanca,vo luptacem at! cr.it ,cxcic.icur amor in faculcacc appcccncc . Scquicur deiidcnu. anima cnim illa volupcaccaffecta,re ouc fibi fimillima eft,&: quam amac,pcr- frujcxoptat.Hinc fpcs. Quod fi ea aliquando f ruatur,ontur gaudiutmquod a Tolupcate diftmguimus r quia volupus,eftuUacxquaaffcctioncsiica?oriun^ b, iiii. / r - " 10 DE ORGANIS SENSVVM, cur. Gaudium vcro eft quxdam facultatis appctccis quics: quod fi rcm quam cupit alicutus opcra acquiiiucrit ,innafcitur Gratitudo, qua fcilicet illi a quo bcncficium acccpimus granam rcfcrrc cogitamus. Cum vcro appcccns racul cas dolore commouetur,primo odium cxontur.mox fuga,pr^terca timor,his acccdit mccftitia,poftrciiK> lra.Nomelatet iftas affcctioncs inter fc confundi ahquando& copulari,vt Placomoncrfcd nosomncsiftas cx fuisfonribus fct uatoproprio vniufcuiufqueordinc,hauriic maluimus.Iam patct,quid Arifto- teles pcr iram,quid pcr cupiditacem fiuc dcfidcrium,appecicum,volupcaccm 6c dolorem intclligat . Pcrgamus ad altcrum propolitum caput . Hxc omnia tam corpori quam animx conucnire Ariftot.infra declarabit: fcd in primo li- brodc animat.iz.& int.i4&: m ccrtiociufdcmcra&acionisc.^.idcmdoccc. Vcrum probcmus hxc omnia vnica racionccx dcrinitione animc. fumpca, corporeaclfe . Anima cft .ichis corporis phyliciorganici,ade6vteiuspcrtCr ^ b'o&quiddicas fi/ . Nunc vcro lta argumcncor. Anima, eft acbis&: perrccbo corpons, trgo opCrationes ab animali prodcuntcs, lunt animxfit corpori co- muncs.Cofcquutioncm probo vcrbis Aucrrois in i.dc anima com.ai.Si cnira cft perfecbo coi pons, nullo modo fcparacur a corpOrc.Probatio hui'cft,quia fims a re hmtanonfciugitunluncenimcorrclata: atqui pcrfccbocft rinis:are igitur pcrfccca &c rinica non lciQgCtur.No fciugitur crgo anima a corporc,cui perfccbonc&: Efle lareicur. Ex quo confcquitur, operationcs vtrifquc conue- nire.Nam dato oppofico aftumpcioni iam probacx,concrarium colligcrccur: Animam k rilicec clfeacorpore fcparabilcm . Animam ratelligcntem hicex- cipio^nccjuc enim dc hac quxftio eft , fed dc animalium anima, quam acbim corporis vcrc elfe protulit Ariftocelcs. Aliccr vcr6 dc incclligctc loquucuscft. (Maxima).Sunt qui lca inccrprcccncur: Dicucur iftx maximx rcfpecbi habito adabasquas addcc,nimiru adquacuorcobinationcs,i.^n^ Acqui lllasetia C m.ixun is vocac Anft. Alcxadcr aute non iatis vidccur fcipium explicarc,licct nonnulli fallam quanda hutus dicbonis inrcrpretatjoncm llli fali'6 cribuanc. Thomas recbus loquucuscft,fcd non planc vidic quod rcs crt . Nos vcro cxi- ftunamus dicboncm (Maxima) idcm valcre vel lignificarc ac Prxcipuum Sc apparens-.habito lcilicet rclpecbiad ahas huiufmodi opcracioncs inhoc gc- nere minus apparcnces . Sunc hxc cx partc fenfus, vt imaginatio,xftimatio: cx parcc arredionum,vt fpcs,gaudium,amor,odium, fuga,timor,alixquc ad has rclatx,vt alacri tas,clatio animi,infolcncia, oftencacio, remifsio animi, &C in hoc generc innumcrabilcs alix. Vc cnim priora illa duo a fcnfu rc non di- ftinguuncur,itahx affccbonibus iam dicis lmplicarx func , ad illafquc prx- cipuas cnumcracas rcducunrur.Iram auccm& cupidicaccm hic cancum pro- poncrc voluic,quiacumdc animalium affecbonibus loquacur,qua mocus ^ pnncipia lunt,omnib us animalibus a natura inlicum clfe vidccur,vc fc vicam corpufquc cucantur,atquc ca qux fibi ad viucndum nccclfaria, aut volupta- tiserncicncia cxiftimanr,omnibus vinbuscomparent,viccncquccaqux no- cicura,aut dolorem lllacura vidcancur:idcirc6que cis cupidicasad vcilia & iu cunda profcquenda cribuca cft. Prxcerca cciam fax quxdam iracundix,qua canquamftimuloii ric.ic.i facilius fc dcfcndant , noxiaque &C molcfta cxpcl- lant.qua -fortalfe rarionc appctitum in cupiditatcm &C iram Plato diftribuin &C Ariftotcles lpfum fequcns tcrtio librodc anima t.41. partcm irrationalcm inconcupifcibilcm&iirafcibilcm partitus eft. pcr iram&rcbncupifccntiam vtcrquc rignificans , partcm illam facultatisappetentis, quam nos moueria volupcatcdiximus :atque itcm altcram qux mouctur adolorc. ( "Hxccnim fctc omnibus infunc animalibus).probataiFccboncs&:operationcs iftas com muncs ETSENSILIBVS. 11 muneseiTe&rproprias animalium. Commurits funt yquia fenfus^cupidltas, 6c appctitus in omnibus ineft : quod itcm docet Ariftoteles m fccundo de a mmat.2.7.Noniicira.Eftcnimiralibidovlcii'ccndi,&: irafcitur quivim iibi prxter xquum aut lxfioncm aliquam rc vel vcrbis infcrn pcrcipic. ac anima- liaimpcrfcctiora,quxomni prorfus xquitacis,honoris&:gloTix fenfucarcnr, quomodo irafci propric vnquam dici potcrunt ? Non omnis quoque motus cft in omnibus,ncquc mcmoria,ncque rcminifccntia.qux igitur in omnibus animalibusrcperiunrurcommuniavocantur,quxin aliqiubus, propria.Ari- ftotelcsautcm ita loquendo( hxc cnim ferc mfunt in omnibus ammalibus) id omnino quod nos diximiis,fcd obfcurius cxplicat. Idcm cnim vult acii ita loqucrecur(hxccnimnonomnia,omnibus animalibusconucniunc)cccnim dittioilla (fcre)rem gcncralius prolatam rcftringit.Scquiturfccunda pars:in g quacommunes&propri.c tam animxquam corpori conucnientcsopcra- tioncs,imperfcctiorcs tamcn,id cft ad vegctantem animam magis acccdcn- tcs,cnumcrantur:atquc inter has prxcipux &: maximac . Quarc,ni rallor,ad huncmodumloqutcur Philolbphus: Prxccr has cxcellcntiores operationcs quxanimalibus,qua animal cft, conucniunt , funt aliae qux fibi ciun aliis vi- ucntibusc6muncsi'unc:inccr quasquxda iunt comunifsimx,ita vc in viucn- tibus omnibus,vt plantis & ^^irvt inlint: cmuimodi funt iuuentus,fenctt*, fomnus,vigilia,vita,mors.Quxdam vero ad vcgctatiuam quidcm accedunt, &: plantis aliquomodo conueniunt.fed funt animalium quorundam , non o- mnium proprix:vt cxpiratio&: rcfpiratio , qux duo nonnifi animalibus pul- moncm habcntibus tribuuntur . Ex hoc loco illud colligi voloquod monui in cxordiohuiuslibri,nonagifcilicct in hifcc libnsdc opcrationibus com- munibus &: propriis plantarum,nifi cxaccidcnci , nimiru quatcnus animalia C cum vcgctatiuisconucnientiam habcnt. Ariftotclcs enim in dmifioneifta- rumopcrationum infcriorum &: plancisconuenientium,provno membro omnia viucntiaaccipit:proaltcroanimaliaquxi!am. Prxtcrca nulla propc cftcxhifccopcrationibus,quxnonmctaphoricc tantum in plantis cffedi- catur.Eftocniminprxfcntia(nam dcrchac fuolocoagcmus)iuucntutcm&: fcnchitcm,vitametiam&:mortcm illisconucnirc: quul de refpirarionc&C cxpirationc,quid dcfomno&: vigiliadici potcrit?Caui"a cnim fomni cit rcfn- gcratio,vcl(cxGalcni (cntcntia)humcctatio primi 'sTeiVquod,pcripateti- ccloqucndo,corcft:idc6quci"omnuslcnfuumcxccriorum ligamen cllc dici- tur.vigilia vcro qux cx aducrfis oritur caufis,illorum folutio vocatur. Rcfpi- rarioctiam nil aliud cft, ex Ariftotelis&: Galeni fcntcntia,quam motus rcci- procus fubftantix acrec, cxcitatus a facultatc animali &; vitali,mcdus muicu- lis thoracis&: fcpto tranfucrfo,vt fcruor caloris naturalis in cordc ob vicx cu ftodiam vcntilatus confcructur. At quid horum in planris repcries,qux fcn- D fu,cordc,ccrebro,pulmonc,&: mufculis funt dcftitutx? Scd cx libro de Rc- fpirationc,&:dciuucntutc,fcncctutcquc qua rationeifta plantis conucnire dicanturfatisab Anftotclcdifcimus . Non cft igitur quod nosinhisdiutius hxrcamus,fuo loco omnia pcrtractaturi . (Maxima).Eadcm ratione ponitur, quain fuperioripartitionc.Multxenimacpropc innumerabilcs alix opcra- tioncs funt,quibus,cum animalibus,plantx,vcl cum plantis animalia conuc niunt.h^not^ ficnt pcrcurrenti pcr facultatcs illas naturalcsac prxcipuas qu vytetxr^ovrt ri~ (rov otofft yinoi^ (Sc WtpnfjSfJoir %* r$ rt qnoad prin- cipiaillarum proxima,fcd quoad rcmota tantum. &: illud cftquod ait Aucr- rocs in fccundo Collig.cap.dccompl.mcmbr,c*um:Mcdicx lcilicct artis ah-  quid fpcculatiuum clfc,idcft ad fcicntiamnaturalem pcrcmcns,&: aliqmd  pra.Hanc candcm propolicioncm iifdem fcrc verbis &: darioribus eciam Ariftocclcs proponic in rcliquo illofragmeco cractacionisdc fanicacc &C mor bo,vbiinhuncmodumloquitur: Dcfanitaceauccm&: morbo,non lolum medicijfcd eciam phylici cftaliquomodoquoadcorumcauiasdicerc.quacc- M nus cciam hi dificranc &: diucrfa conccmplcncur , laccrcnon oponct . N.im lt D quod ex partealiqua atfines lint iftx craccacioncs, ld, quod lcruacum eflc vi- 1'. iilisfidcs&: auchoncas adhibcndaerit. (Qiiarc multi fcrc phylicorum&:medicorum,ctiam n qui philofophice magisarrcmcxcrcent) . Dixihanc rationcm cx prioriprofi- cifci,quia cum eiufdcm munus fit corporis viui caufas pcma&arc , &: fanit cisprincipiaprima:phyiicusinvtroquc vcrfan dcbcbit,& mcdicusqui arce rationc cxcrccrc volucrit,a phylicis cxordictur.Extat Galcni libcllus,m quo hoc ipfum oftcndit: Optimum ncmpc mcdicum cundcm cifc pliilofophuin . i 4 DE ORGANIS SENSVVM Prxtcrca libri eiufdcm de elemcntis,de tcmpcramcntis, dc faculcatibus na- turahbus:Hippocratisquoquclibcrdc natura humana: Auiccnnxitcm pri- nufen . piioiisctnonis,verum ldcifcprobant, quodhic Ariftorclcs dcqui- buki.nu anriquioribus&erudirioribus alfcnt. (Philofophice magis). Sa- picntis &: philofophi cft caufas nollc,cx Ariftot.in procemioprimi mctaphy. fi natui a philofopluxeft rescxadtilsimc pcrlcrutari,tcftc Aucrroe in fecun- do ciufdcm tra&aticmis comm. 1 5. & in iccundo cxli comm. 34. ldcircoquc mcdicus qui dogmatice,caufas fcilicet xgritudmum ab ipfarum natura,par- tiumquc malcarfecrarum cflentia,tam vniuerfaliores quam particulariores petcndo,aget,philofophice agerc,non autcm cmpiricc dicctur . Hanc di- cxioncm fatis apcrtc cxplicat Ariftotelcs m libcllo de fanjtatc &: xgritudinc, in hiS VCrblS l^ nyf )*r&r mu-\) l 4kttfyt , ytyta 7* tki % Cn*t iat iftw o*.u$ir rjtccderc,non tamenqui fub phyfifcfieonfiderationc c.ulunt, multu e- nim aphyfioo ncgocio rcce^dere tldcntur : idcircoque Ariftotcfts huc refpi- cicnsjconiugacionc hane abaliis canqua poftremoloco rractanda rcparauir. Ad (ecudu Aehillinus iri qua?fico dc fub. phyfionA; Conciliator in diff! j.& 8.' fequuti AlglzcHcm dncerut mcdieina abfolurc fubaltcrnari phyfiologfcr : fcd quottiideqUeabipfKjrieqtfcabeoriimftudiQfisjadhucquidc rationibus* Zi- marxiriTheo.-^.allatis fatisfactu eft, ldebndsaliamdiccndi rarionchacten* fempcrfequucifumus.Hicverb animaduerrendum eftrBcet Subalternari,nil g alwd dicercvidcacur,quamvnu fub alio poni(vt parct cx Anftoc.in primo po fterioruanaly.ca.ii.)vlifcrimen tamen aliquod clottifllmu inrerprcre LirtCo- riicnf em,ineer hxc duoarnibrauifTe.ScnSalrcrnari,! AAr propric dictu (cx primo pofterioru analy .cap.j .& cx Auerroe i bidc IL aJiis quapluribus lo- cis)duas prarcipuas cxigit coditiones,quarum ncutra carcrc dcbcr. Prior cft, vt vnius fcicncic* fubicctu(at2 hoccnim qmncs fuam fibi cfTenria dcccrroinac) ftafubaJio ponacur,vrfuperi'orisfubicttum dcipfo,raquadeinfenori ac fpe- cie dici pofht,atqucinferiusle habcat vt materia : fupcrius, vt fbrma . Et hoc quidc cft quodaJiisverbisdicwur,vt non differat vnumab aJio,nifiquoda ac- cidcnccSecunda c6ditiocft,vtfuperior fciecia dicat pto^prcrquid, i. 7i J,U,c- ius,cui 9 mferior quial h  dicit: non tamcn omniu talium, fcd coru rantura quxadfubicctu afuperion ductumiJJ .Kccpcu,pr.ecipucperrinec: vtannotac ? Linconicnlis in primo pottcnoru analyt . Qupd ab aJiquibus didu cft,SubaI- C ccrnari proprienilaliud eile, quamlumcrequi mperior fucncia conliderat O fimpIicitcr,caqucadopusdirigcrc,caivcroabclt,vtnulJar.uione ficaudicn- dum.Primumcnimmi ! vnqiram cale prbculic Aciftoceles,vtiiu>locooftendc-' mus.prarrerca, fi lttud cflct, Fdbrum Gcomctra? fubaltexnari propnc diccte: poffcmus.Quod quidcm adco cft abfurdum,vt non poflit admicti , qum fcic- tiarum dnuiioab Ariftor.infcxtometaJ>hyf. inftituta,pcnitus labefatVctur. Subaltcin.moigitur(vt adrcm rcdci)ancM defcripia,projjria& abfolutavo catur,fccundu qua Pcrfpectiua Gcomccru:, &: Harmonica Muiicx fubalcerr narifatcmur. Poni fub alio , ett vcl cx partc,vcl fecundum aliqua propoiitio- ncm,vc 1 quoad vi"um,fupcnori icicncix fubiici . Hac rationc ph\ iicus quoad parccm illa mcteorologicam in qua de Indc agitur>iub pcrfpediuo pomcur. medicina cciam quoad i]lapropoiicione,qua:cil, vulncraomnia orbiculana j) a^riusad fanicacc mpcrucnirc,Gcomctric; iiibiiciccuri&Gcomccriaphyiic?, cum llla propoficioncm canquamnota rccipiat, probatam tamen a phyfico iiilcxcolib.phyf.apunctoad punctu rccram linca duccrc. Policicxeciam(ra- tionc vfus)ars militaris,ccconoroica^ rhcconca fuppomcur, vc ccftatur Ari- ftot.in pnmo Etli.ca.i.Hislicpolicis,pacccmcJicinaphyfiolo^ipropricn6 cfle fubaJccru.icam.Ncquccnim vniusl'ubiectri,vtgenus^Jtcrius,vc(pccies, habctur.Sulncctumeniminphyfiologiacfttcsnacursc: medicinatvcro arcis. Ac Rcs arcis,&: Rcsnaturx cflcntiahccr diftir>guuncur:vc ccftacur Ardt. fecu- do phy.A: fcxcomcup^y^larid . probauit in quarft. ptoptio, &. hocidipiiim eft quod Aucrrocs in diip. pjiyf. aducrfus Alga/cllcm dixit : Ncquc cft,quod adpartcmmcdicinx confugiamus , qu.v Theorica vocacur. Incpta cmm cft ifta diftincuo,vc alibi oftcndimusicum camen fua Thcorica medicinacarcrc nuJlomodo dcbcac.Acqul(vc opcimc animaaucrcic Scocus ra fcxco mecaph. 16 DE ORG ANIS SENS.V V M, q. prinu,&: in proccmio primifcat.)caus part dUcjrur quxopus qmdcK- fpicit fcd non ica propinquc,vfcpars quc pra&ica voft^r.Coutgo^igituf nw- dicmain pomquidc lub pnyliologia,ri.on camu irugiisjUifubaJccciui i,quaru mcchanicam quamuis alumdiciplipain;Eadcn) profiusclUoiKluJio bun- plicu m proucmio primi phylicpwm , &: Ammonu in prxtax;iQnc! in Porpliy- ruinititucioncm. RcJaus igicur,qui vt facultas in ipla quafi fingatur atqwc formctur. Quod ii ipfam quoquc facultatcm dcfinirc vellcmus,ita dici polfct: Senfus eft que- dam forma cx matcri.r latcbris cruta, quac inftrumcto corporco vutur, &: cx clcmcntorum tcmpcrauoncconftat.Exhacdefinitione patct,in rarione for mali fenius,corporcam pcrccptioncm contincri: idcoque fenfum vci achim fcnticndi tam animx quam corpori clfc communcm . Minorem propoiitio- nc probat Ariftotclcs quada inductionc:quam nonnulli ad quinquc tantum coniugationcs ,proxime cnumcratas,accommodant. Alcxandcr & Thomas adomncs:quodlancmagis arridcr,ob illadifcrta contcxtuS vcrba rT*A- 8 ^3'T*.Dicit lgitur PhiJoibphus,omniacnumcrata ica fe habcre,vt (aut cum fcnfu fiant) qualiscftvigilia,inc]iut Akxandcr.Cibocnimconcocto& vapo ribus digcftis ,foluuntur fcnfus,& vigiha oritur . Qupd vcro addit dc dolorc ic voluptatcnon co modo accipio. Dcclaraui cnim antea voluptatcm nil a- liud cflc,quam pcrccptioncm ipfam rci,conucnicnciam habcntis cum facul tatc fcncicndi non impcdita.Fiunt igitur ifta duo pcr fcnfum, (iuc mcdio fcn fupotius,quamctiml'cnlu,vtdc vigili.i dictti cft.ldcoque Anftot.io.lib.Eth. dc voluptatcvcrbafacks,aic;Non tamcnvidctur voluptas,autratio,auc tcn fus ciTc,ahfurdu enim critrfcd ^pptcrca quod non fcparatur , idc cffc nonnul- li cxiftimant.Et ahbi eodc libro:Pcrfk ic auccm muncns funciione voluptas, fcdnon lta perficitvt rcs fubiccta,&: fcnfus ipfe cum bcnc fc habet:qucadmo du bona valctudoalitcr in caufa cft cur ahquis valcat,aliter medicus.Pcr fen fumquoquc mcmoria&ciannexarcmiiiifccntiafict. Quoddocct Anftot. C jn illo hbcllo,&: in proccmio mctaphy. ( Aut pafliones fenfuu funt) vt ira,cu- piditas,& alia huiufmodi.In fccundocnim dc moribus,ait, AfFcctiones voco ciipiditatcm^ira^cxcandcfccntiam^odiumjtimorcjfpcjinuidiamjgaudiujbc- neuolentia,xmulationc,mifcricordiam,ca dcniqucomniaqux voluptas vcl dolor confcquitur.Qui igitur nomen hic alio modo accipiu nt , mamfc- ftecrrant, cnumcrata cnim &: illisanncxa rcfpicit Ariftotcles. ( Aut funtha- bitusfcnfus),vt iuuentus&: fcnechis,quaru tota vis&: naturacft,vtfenfuum tcpcratiooptimc vcl dcbilitcr fc habcat. ( Aut fcnfum cuftodiut) , vt rcfpira- tio,fanitas,vitaqucipfa.(Aut tollunt),vtfomnus,morbus,&:mors.Scdin his non ita lupcrftitioli cflb dcbcmus,quin fatcamurvna&: eandc cx hisopcra- tionibus,in pluribus iftis fcdibus,alia atquc alia ratione collocari poile . Pcr- gamus ad reliqua que, maioris momcti cifcvidcntur.In hac partc lllud primu attcndi&: cognofcicupio:Agi lcilicctinhis hbrisdc opcracionibuscomum- D bus&: propriis animaliu tantum : ii cnim plantas inter hxc coniidcratas cflc vclimus,qua rationc Ariftoteles omncs lftas opcrationcs ad fcnfum reducc- rc poifct.cum plantx fcnfu iincdefticutx?Prxccrea,quonia ulcirco coLhgitur opcrationes illas cnumcratas animx&: corpon vnaconuenirc,quia cii fenfu vcl pcr fcnfum fia t,aut aliquo alio modoad iplum rcfpiciant,hac cadc i atio- nc probabointcllcctum,vcl ipfum intclligcrc,ideft7 wur,cam corpon qu am animx communc cilc . Namatusintclligcndifitpcrfcnlum,cx fccundo &: tcrtio libro dc anima: Oportct cnim intclligetem ad phantafmat a fc con- ucrtcre, phantaiia autc non iine fenfu fitcrgo achis intclligendi ta a corpo requaabanimapendct.Ncc eft quod aliquishocitaeludat, Nimiru vcJ phl tafmata non fcmpcr pcr fcnlu rccipi, quia imaginamur chymxra,qux tamcn c. ii. x8 DE ORGANIS SENSVVM, nufquam fubfenfumcadic: vcl lnceUcchimabftraherealiquandoaphanraf- . macibus,quiaDcum&: Incclligencias pcrcipimus, quorum camcn nulJum phanraimaproduci poccllnam,ncqucimaginamurchym.cram,niiipcrpar- ccsfuas illa leniu ancea pcrccpca iic, ( vtclicicurcx Anftotele in librodc lb- mnoSi vigilia)ncqucDeum vd Intelligentias incelligimusabfqucconcinuo &: motu.a quibuslcnlus nunquam iciungipoteft.lcddcrchacplunbusinli- bcllo dc mcmona . Porro omne noftram cognicionc m a fcnfu pcndcre, Ari- ftoccles kcundo poftcriorum analy.ad finc,&: in prooemio mecaphy. &: alibi frpiflime ccftacuscft. Iam vcroalia ltem dubicaciocx his quxdiximusoriri vidctur,nimitum,vcrumnc iit notitiamfcnfus,icavcramcercaque fcmpcr cflc,vt nunquam dccipiacunquod li cciam cft,cur ldcm dc inccllcctuaffirma ri non poffit.Vc prioriobic&ionifacisraciamus,ccncndu cft defcntcncia Ari ftocclr. &: GrCoruminrerprctum,intellectumduobus modis accipipoflc: vclquainfcmanct,idcft iutwr^H^vc Simplicij morc loquar, vclquaafc- B ipfo rccedic,id cft * wfw9Mcliue(vc Thcmiftii vcrba fcquar)qua vna Incel ligenciarum cft,vcl qua nobis luctus . Priori modo conlidcracu,dicoabfoluce (quadc rcalias in noftrisqu.rltionibus)cum Thcophrafto,Simplicio,&; Thc miftio,intcllccKi noftrum propriam fibiq\ic'''l eft ^ mulcaspropolicioncs;tianlit,antcquaml'uumfincm colligat . Tcrtia caulai- pfcmcticnliis cft,qui incellcccuivcl cogicaciux im.dus, fuam illi cribuit im- pcrfctioncm:lcdhxcquxSimplicius&: PhUo('ophusdoccnc,an vcra linc,&: quomodo intelligi dcbcac,c6modi 9 a nobis alio loco aliquado dcclarabuur. 6 A' A Aa % (Af) aj&rVKiK C ui&drtfyft jffli ovftfittfrft Sf f tS?T0 5* Sed dc fenfu quidcm,& fcnriendi racionc,& quarc in animaJibus hxc pa(sio infic,dicl:um cft in libris cle Anima. Hxc cft lccunda proccmij pars,in qua Anftocclcs commodilsima occalio- nc fumpca ab ns qux m priori dixcrac , ad parcicularc huius libelli propolitu cxplicandumdcfccndic.HocAicxanderquoqucinprimis vcrbisquarti co- c. iii. jo DE ORGANIS SENSVVM, mcntariidifertcfatetur,(vr acucc illa lnrucnti patct )alii tamcn concedere vcl vi.icrc non potucrunt.Nos igitur vcnorcm hanc fcntcntiam fcquuci,di- cimus: Ariftotclcm,poftquam dcclarauit opcrationcs tam propriasquam communcs a n i m a 1 1 u m >. corpori anim.rquc conucnientcs,libi in hislibris pcrtfattandas eife,Scn lu inquc inror illas pnmum cnumcrauic, probauitquc omncsaliasvclcumipfovclpcripiumficri: nunc,vta pcrtcttioribusScma- gis proprus ( quxlupra T ieJ7*vocaucrac ) cxordtarur , dc palfioneipfaqux lcnlus dicicur,acturum tc cllc antc omniapolhcctur . Atqui dc lcnlu, dea&u fcntiendi,&: curanimahbus lcnlus ipfi tnbuci linc ,quod hi fcilicet ob nccefli caccm,ali| ob vic.c cuftodiam , vcl pcrtcctionem: ditum clt libro fccundo dc anima: rcliquum igitur elt , vtablolutamtcgraquc notitia lenluum habca- tur,de lnftrumcncis fcncicndi,ipfifquc lcniihbus obicctis verba facere . Hzc loquicur,hxc polhcccur Anitoccles in rocahac parcc,qux vfquc ad fecun- p. dum caput, id clt ad TraCtacionis lnitium ccndic.Quarc non pollum non im- probarc alios qui hic cxordium tcnninanc >& tra&ationis micium cflc dicunccum t.imcn ab Anftoccle nihil hactcnus propofitum iit,quod ipli pro fisopo huiushbclli lumcrc pollint: mvcrbis autcm quxicquuntur( vt patc- bit;apci tc id omnc proponacur . Hancigicur fccundam procrmu partcm, nos ltadiftnbuimus: vt primum quxdefcnlibus dicta func, in gcncre cxpli- cct:mox nonnulla ex llhs a fcopohuiuslibclh minusalicna ,in fpccicdecla- rct poltrcmo, quxdiccnda lint,apertc cxponat.Primum crgoita fcreloqui- cur Anftotcks: Dixivcllcmcagcrcdcoperationibus commumbus cVpro- priisanimaliuni,cv intcr haslenlumprimum locum habcrc: dc lcnluigitur quantuin ad quid lit,cv ob quam caulam fiat(vcpollicicusfum)mihicractan- dum ettiatqui um lnhbnsdc animaquidlit fcnfus,& lpla ratio lcnticndi, prxcerca vcro cur in animalibus inlit, abundc dcclarauiufta igitur non crunt C mihivllomodorcpctcnda. (Dcfcnfu). Facultatem iplam incelligicquC; ( itacx fecundo dc anima hbro rcxc.5 i,cv iii.defcribi poccrt.Scnfus cft vis vcl facultas quxdam pacics,ipccicrii vclformarumablquc matcria immcdiace fufccptibilis.additur vcrbum Immcdiatc , vt lenfum cxtcriorcm(dc quohic fcrmo futurus cft)ab intrinfeco fciungamus . ( Scnticndi ratione, vel, fcn- rirc},in(kxcocft^^,Attioncmiplam(quxnihiIaliud cftquamfacultas fcmct prodicns/iiucactumfcnticndiinttlligit. EftigiturTo*a*.3wattiocx- cit.ita ab obiccto tcniih in iacultatcm , quando faculcas fcntiendi inipfum quali fingtDU &: informatur. (Etquareinanimalibus hxc paflioiniit). Infi- neccrtn libmlcannna,oltcndit Ariftocelcs fenfus animalibus obncccflita- cem &c lalutcm cnbutosfuiflc. Scddcrchacmfracum codcm particularius agemus. (PalIio).Omncquodrccipitparicur,idcirc6quc intcllcctus noftcr jy qua nobiicum mngicur &: rccipicpacicnsappcllatur: quiaigituradiofcnfus fuiccptionc fpccicrum icniilium fit,vc in fccundo hbro de animadcclaratun pailio,caquc pcrficicns( cumpcriplamfacultas adactumducatur)iurcdici potcru.Scd oritur ft.icim dubicario quomodo fic vcrum, icnfum cllc faculca- tcm pacicntcm: nam hoc pofico fcquerccur Nucricnccm f aculcatcm illo pcr- fcctiorcm elfc: n u t n 1 10 enim vis actiua cft , &: in fuu obieclum ncmpc nutri- mcntumagit,vt Aucrrocs diferte fatetur m fecundo dcanima t.^z. prxtctca agenscil nobiliuspaticntc:vnumquodquc igitur fcnfibilc in fcnfum agens fcnfu cxccllcntius clfct . Abfurda qux ex hifce fequuntur , erunt hxc: prip mum, vis cognofcens impcrfedtior erit non cognofccnte : fccundum,co- lorvifu digniorcfle dicctur. Huc acccdit quod Ariftotelcs in primo de onima texc. 6$ . contrarium aflcrcre videtur : ait enim fcnfum non pati, V >P?T! SENSILI -BfV . 3 a ji ide6quefenem nhabcacocu^umiuucnisvicsiforerpcdaturum viiuuenis:in fecundocciamciufdemcra&acioniscex.35.$6.& jy.animamcf fccauiam cor- poris fuaramquc opcrarionum crhcictcm docct.Subobfcur.i eft hcc qucftio, ob nonulla alia Thcorcmata,qux lecum airerc ica cxplicacu d. lfficilia , vc gra- uiflimis cciam philofophis haclcnus ncgocium exhibuiifc vn lcatur. Scd lanc ifta percincnc ad libros dc anima, intcrprccifque munus eft,n- i 1 adco vcllc m iingulis vcrbis hxrcrc, vcxmuiia vbiquefeuereexpcndac. Nm irum vbi prx- cipuum gcrmaniimq; auchoris fcopu cxcuifcric,& ea qux ad i . !ius llluftracio- ncm fpcccancacculcnr acquc cxaminaucric, fuo muncrc abi. nde pcrfunctus: rcliqua func fuis locis conlidcranda,nc vcl lcienciarum vel T 1 leoremacu con- fuiiooboriacur. Nosigitur(vtquidcmcxiftimamus ) fatisoihcionoftrofcce- rimus,ii,vc Ariftotclcmab iniuria&mconftancialibcrcmQs.irgumccaaliaca diluamus,locolq;addudoshuicnoftro minimc repugnarcoircdamus. Dici- mus ergo raculcaccm nucricndi, actiuam cile : medio cnim alore H Ta tj) u* Jor fiopify/dp. 7 Animahbus autem qua vnumquodque animal eft , necefle eft inelTe fciifum: hoc enim, animal & non animal efTe determinamus. Hocvnum cxilliscft, quxinlibris quidem de anima,fucruncexplicaca: hic vero canquam raca poni oporccc Vnumquodque fcilicec animaJ , qua a- nimalcft,(cccicfte excipimus)fenfumhabere: acquc hocfolo anon animali- bus primo dii*ccrni.Que ad huiuirci prohacioncm, ab Ariftocele rerciolibro deanimacex.fo.dicuncurjhxc icre iunc. Animal elicpropcer finem, hoccft vcilludgcncrcc quodlibi adlimilicudinemforma*rcfpondeac,idcirc6q; fcn- j fu prxdicum cflc oporrcrc. Aflumpcionem canquam nocam ponir , colcquu- cioncmprobac. Qu.ia lccusccmcrc natura toctantafqucanimalium formas edidhlct , niii adiumcnca quoque lllis fuppedicaflec , quibus ad fuum fincm perucnirc poflcnc. Talia adiumenca func fcnfus , nam li gencrarc fibi fimilc dcbcanc,neceirc cft quoquc vt cibum lumac,quoalancur,augcancur,cadem- quc femcn cmiccci c poflinc. Acqui cibum iri loco vbi gcnica func non habec, neque elcmcncisaluncur , vc plance: nccelTe igicur fuic vc a longmquispar- tibus pabulum pcccrc &: pararc polTcnt,ca uccu,guftu, vifu,aliifquc lcnfibus prxdica fuifle, quibuscanquamdc fpecula prarmoncrcncur quid appctere, quidadirc, vcl declinarc oportcrec. ( Quavnumquodque aniraaleft). at*J>- 9***h prima7lpcciei,idcirc6quccaufaminhxrencia:accribuci m fubicctono- cat,eamquc formalem, hoc enim animal in dcccrminaca fpccie ponitur,quia C fcilicec fenius obcinuic, vcvcrba fcqucrrcia declaranc (Hoc cnim animal &C non animal cflcdcccrminamus).Vcha:cvcrbacommodiusincclligantur,fci- cndumcft,Tnaeireinhacinferiori mundi parcc animancium gcnera. Ali- quaenim duncaxac viuunc,idcft aluncur, augcfcunc, &: cxccnuancur ,&:ad fibi limile gigncndum apta funt:atq;ifta7i{2r7*id eft viueria,&: 7k?vhti%tT* vo- cacur ( ccftc Philoiopho fccundodcanimaccx. 16.) Nonnulla vero fcntien- ce vi,&: tcnui quodam cognolccndi iudicioprxdita,vidcnc,audiunc,olfaciuc guftanc,cangunc,rcrummocus &:quieccm percipiunc: figuras itcm&: ma- gnicudincspr.ccerca vcro inccriorc quadam faculcatc, coru qux fub icnfum cadunt,diicrimcn allcquuncur,eorumqueimagines in memona rc cc ndunc. Hxc1kZhumidi,licciq; D poiicus cft,idcircoq; ( vt idcm quarto libro mctcorologicorum docuit ) non- nilicxtrcmaiudicarcpotcft. Hxcverbacxprcflc nccelTitatcm abfolutam in Tatu ponunr.quod a mulcis eciam ahis fuic animaducrfum : Qux camcn cx tex. 6 j . ccrcii dc anima fupcrius func allaca his difcrcejpugnarc vidcncuc : Nc- que cnim ad E(Tc,fed ad confcruacioncm , Taccum necclfarium dici dcmon- ftranc. Equidcm huius qu^lici vcriracc cx duarum rcrum nocicia hauriri pof- fc arbicror. Quarum vna eft. Iplius ncccllarii mulciplcx (ignificacio &vis v- niufcuiufque lignificacionis propria : alccra,Ipiius fcnfus nacura. Vcrumq; ex Ariftocclc oftedi potcft.Primum cx quinco libro mctaphy. cap. 6. vbi accura- tcNcccfTariiquatuor fignificata & rcccnfcncur , &dcclarancur: Eaauccm omniaThomas(qui,quantum ego iudicarc po(Tum,cgrcgie libros illos mcta- phylicos E T SE N S I L I B V S. }S A phylicoscftinterpretaws)addaopr^cipuacapitarcducic: vno,Ncccflarium fimplicicer fi ablolute, ideft 1a*mt*i*ynp*r didtum. Altcro , Ncccllarium fc- ainddOjtudjidcftjiyr^continctur.Ncccflarium fimplicitcriilud cft,quod ali- xcrfehabercnonpoteft. Rcmautemaliter fchabtrc ncn poffc,aliquo rei infico imimoquc efficitur:Tale cft vcl forma rei, vcl matcria , vcl ipfamctef- fcntia.Iuxtahanctriplicem Ncceflitatis abfolucx caufam,diccrcfolcmus,A- nimalneccflarioabfoluteinterituiobnoxiumcfle, rationc fcilicct materia*, quaterms cx contrariis conftat: Itcm, animai cflc neceflano fcnfiie, quia hoc habct a propria forma.-& eflefubftanriamanima ficfcnfu prxditam,quiahoc cft eius eflentia. Ncceflarium autcm fecundum quid, dicittn u1,cijius ncccf- fitas non cx aliqua rci infita , fed extnnfcca porius caufa proficifcitur. Caufa extrinfcca duplex cft , Finisfic Efficicns. Finis autem cft , vcl ipfum Efle rti, abfolutum : neceffitafquc ab eo fumpca, pnmum modum Ncceflani con- B ftituit, ab Anftotele #ui7w vocacum. Excuius modi rationc, cibum rc- fpiracionemquc animali neceflariam, vt animal viuerc cfleque poflit: vcl eft l aliquod bonum,adbenccflcpcrtinens :n"cpharmacum ad fanitatcm rccu- perandam:(ic dixtam ad eandem conferuandam neceflariam cflb fatcmur. Caufavcrdefficienstcrriummodum nccoflarii cfficit, quod violcntum ap- pcliaturquando nimiru rcs,abcxrrinfeco moucntc ad id impcllitur,ad quod expropnanaturanoneftaptamoueri. Altcrum vcroquod anobis cognoici dcbet,ad naturam fcnfus fiueanim? fcntictis pcrrinct.Quare* dicamus vnicu rcipfaincunttisanimalibusfenlumcfle , qui vc propriis quibufdam fijpccu- liaribus inftrumctis,ad rcscxternaspcrcipicndas vtitur,tachis,vifus,gufttis, olfatus,auditus nuncupatunplura aute^ni fi diuerfa iftaorgana , a natura in- fticuta (uncquia Senfilia,non vnica ratione, paffioncm m corporibus anima- lium efficiunc: Alitcr namq; fapor , alitcr color, fcnfum afficit. Ipfc itaq; fcn- fusvnicuscft,incordctanquaminrcgiamancns, ccntriquc inftar obtmcs, atqucadipliimresomncscxtrinfecusobicdxdefcrunttir. Hicdulccdinem afono,8odorcmacoloredifrcrrc pcrcipit: juanuis enim guftusa lingua, auditusab auribus , olfacrus a nanbus , vifusaboculo,exordiantur;non ta- mcndelinunt nili m fcnfumcommunem, imoabcofolotcrminantur. Qua etiamracionc(iircsipfe obicftxadliint )fenfus communis nominatur. His addcndum , quod Ai iftotclcs in fecundo dc Anima ttxt.5. 6. 6$ 9-docct : ani- mam nepc&: quamlibct eius partem Attu fimplicitcr cflc: Acrum jpric dico primum,cumcfle rci opcrationemnatura prxcedar. Poftrcmpattcndcdum eft,Nan*ramqunil vnquam fruftra facit,& pcrfcdtioribus rcbusdiligJtius femperconfulit,in vnoquoquc ex cribus generibus viucncium fupra cnume- cacis,qua/i pcrgradusincedcre. Licetcnimomnia animalia(alia modo omic- p co)cxfuinacura fcnfum habcant, non tamcnomnibus omncs func fenfus dati.Carent*r dici debet.Ex his ctiam patet,quidfc" cudo argumcnto relpondcri pollit.Nam fcnfus Tacius cft quidcm fcnfus ah" mcnti,quatc nus ex iflo alimur , cx quo conftamus : conftamus autcm cx prf mis qualicacibus,quorum fenfus,cft ipfcTa&us.Guftus vcroajiararioncfcn" ius alimcnti dicitur,nimirum quia fuauc & infuauc in alimcnco folus iudicat> atqucdifccrnit: quofitvt faporaJimcnto condimcntum aft*ctrcdicatur,pra:- tcra nihil. Dicimus ergo Facultatcs pcr fua quidcm obicta pnma diihngui: fcd no fempcr ncceile cft,vtobicc"ta illa rcaliccr lciucta fint: fat cnim cft ii ror- maliter diftinguantur. Idem nanquc rc nutrirncntum cx Ariltotelc fccundo de anima cont.42. obicctum facultatis alcntis &: gc neratis eflc dicitur : huius tamcn,quatcnus id cx quo fubftantia fit:illius vcrd,quatcnus id,quo fubftan- tia confcruatur. Tcrtioautcm tacilc cft rclpondcrc. Eccnim cum animal im- motum loco , &: radicibus amxum non ha:rcac , cibum iibi inucnire, fumerc, B pararc,proriulquc concoqucrc dcbuit:quo ctiam fir, vt ad hos vfus mulca in- ftrumentaobtinucrir, quibus omnibus plantai dcfticuutur. Vcrum cibis qui- demalituranimal, nontamcn omnibus, fcd nstantum qui ca qualitatum tcmperationc conftat,qua: iic iu*e natura: conucnicns: atqui faporcs funt pri- rr arum qualitatum, quaii nUvr*) $C indices : iurc igicur guftum obcinuit,quo dc cibis omnibus, libcrum iudicium in fuam falutc m fcrrc poflct. Plantx vc- ro,non modoquiamcdiocritatcillaqualitatum carcnt,quam faculcas fcn- cicndi dciiderat(vt docct Ariftot.fccundo de anima cont.114.) V 1 ifta vtilc ab inutilidifccrncndi,cognofccndiqjdcftituuntur: vcrum ctiam ,quiaabfque huiufmodiguftandifacultatccommodc ali poiTunt :fumunt nanq; alimcn- tum a terra , iam propc digcftum ad alcndumquc accommodatum. Quod ii ^ plantarfuccum cx tcrra cum fuanatura congruentem cxugcrc vidcantur : id C naturafolum, noncognofccntealiquafacultate,autiudiciomcdioficri cxi- ftimandumcft. (Alimcntum.) Hoc&contrarium J & iimile corpori alendo dici potcft:cotrarium quidcm,antcaquam concoquatur(ctenim in naturam corporismutaridebct, omnis autcm mutatiocx contrario in contrarium fit)limilc vei 6, cum iam concodum fucrit, &: in fubftantiam corporis alendi conuerfum. Alimcnti igiturproprium eft,conferuarc,&augerc animal: di- coaugcrc intrinfccus,id cft rationcform$(ha:cenim veraauttioeft,vcex pri mo libro de ortu Sc intcritu difci potcft)non cxtrinfccus, &c rationc matcna?, quod inanimisctiam accidit. Pnrtcrca,nc putcmus hic aJimcnti nomine, id dciignari , quoda&u iam alitmam ncqucguftus ncquc taihis , ad huiufmodi alimcntum ncccflarij ciTcnt, ciim animalia tunc maximc aJatur cum fcnfum nuJlum habcnt, id eft cum dormiunt , quemadmodum aJibi docct Ariftotc- les. Alimentum ergo in hoc contextu id omne vocatur quod ad alendum a- nimalaptum cfle potcft. (Et omnino fapor eft alcntis partis paiTio.)Quid lic fapor,&E  fajixxf ^it In nonnullis vt nos lcgimus. Ratu) autem eft-.Quia, inquit,ahfurdum cft allcrcrc alcntcm animam a fa- poribus pati:pcnndc cnim cft acli dicatur , alentcm animam faporcs fcntire: atquitacultasalens,noncftfenticns. Poflumusiftam Alexandri lcctionem rctincrc: tum enim planior quidem crit fcnfus , fcd aho modo ratio Philofo- phidcduccdacrit:&praxcrea vcroaliquadubitatioorictur. Porro argumen- B tatiohuncinmoduni difponctur: Guftuscft lcnfus,iudcx faporum: igitur Guftus cft fcnfus iudcx alimcnti:confcquutio infcrius dcclarabitur , quia ni- mirum Sapor lit alimenti paflio: & caula cur animal cibo vtatur cx Aucrroc in fecundo dc anima,cont.i8.maior probatur,quia Sapor cft pallio liuc obic- chim propnum Gulhis. HaeC autcm cft dubitatio : Quia fcilicct non vidctur rcctc dicj polfc, Saporem cflc pailioncm Guftus.Sicnim fcntirclitquoddam pati,& omnis pallioab aliquocfTicicntc, &c quod actu iit pi oriciicarur, (ex fe- cundodcanimacont.54.)faporquiguftum etficit, quomodo non achuuspo- tiusquam pafliodicidcbcbit? Quinimo verba Ariftotclis,lccundodc anima " cor.105.hoc ipfum difcrtc cxplicat,quc_ iunt ciufmodi:Quarcguftatiuum cft,  quod cft talc potcftate,guftaDiIc vero quod cft cfTcdiuum achi cius. Refpon- dcri potcft ad Alcxandri partes tucndas, cx Ariftotclc quinto metaphy. cot. 35. Paflionis nominc appcllari,non modo motus ipfos,&: altcrationcs,vcrum ctiam qualitatcs, quibus corpora mutari atq; altcrari poflunt : vt album , ni- grum,aulcc,amarum,qu$omnia in Categorus cap.dc Qualitate m$*7i$ Stdxxiiet rtiTrPoaj&avOfjdpa r %o- tpluu, Kj ra fauXct tt) ra  fiVaj j-tAwri Jfe$opa\ } c% elv \\rt t$ ro*-ffi tyylvtraf ppmnc , c- cies ?a>*?inw veluti planta radicibus afHxa Iqco non mouetur , tenucmquc co- ETSENSILIBVS. 41 cognofccndi vim affcquuta , tafom,guftumquc iolum habct, quo prxfcntia . tantum obiccta iibi oblata pcrcipcrc qucat.Scquitur animaliu gcnus locum mutans,atqucincedens:quod non prxfentia tantum ,fcd abfcntia ctia ,co- N gnofceredebuit:idcoq, pratcrca&um,&gultum fenfum olfachis,vifus,audi- tufq; obtinuit. In fuprcmo tandcm gradu animalia collocatur,qux no modd fcnfibus omnibus, fcd mcntc etiam rationcquc vigcnt. Ariftotel. crgo vfum trium fcnfuum poftcrioru in animalibus declaratmon modo qua loco tatum moucntur,vcriim ctiam quaviuuntintclligencia.Senftisfinquit)olrac>us,au- ditus,vifus,quimcdio cxtrinfcco, cfficiuntur,iaIutioniniumanim.ilium qui- bus infunt ( infunt autcm omnibus ingredicntibus)hunc vfum afferut : quod illismcdiis,animalia veluti prxfcntiencia , cibuQ) iibi quxrcrc Scinuenirc, preccrca vero omnia noxia,fuxq; vit corponq; aducrfatia,dcclinare pofllnc. Q^ddfiprxterinccfliim,rarionem quoque fint aflequuta ,iamhabcnt quo" B horum fcnfuum mcdio,multam rcrum lntelligedarum cognitionem,agcda- rumq;prudcntiamiibicompararcvalcant. Hisinverbis multa funt anobis cxpcndcnda : quod vt commodius prxftari poflir,a primis crit e> ! um . Docct Ariftotclcs olfaftum, vifum , auditum ,omnibusanimalibus ihgredi- entibus,vt illorum faluti confulcrctur,tributosclfc, Idcmvcrd qu.mcum ad primam partc attinet,docuit iecundo dc anima cont.i j i .nc mpcanimali- bus pcrfctis omncs fcnius tributoi fuifle. Vocat autc aflim.dia perfeira,qux locomouctur: quiafacultas moucdi( vtibi Plnloponus ait) citracultatc (cri- ticntc pcrfedt ior.Quarc vbimcliora,ibi quoq; aderuntdcccriora. Quantum vcrdad fecundam partcm, Ariftotclcs rcrcio dc anima cont.^8. cxprcflc do- cuit , Scnfus iftos,non ad efle : fed adhoc vt benc linr,ammali tributos fuiifc. Sedhteprimumquxritur,An vcrumfir,animalia omniaquejoco moucncur, C Scnfus omncs habcrc:prxterea quomodo vifus , auditus , & olfacf us faluti a- nimalium conferant. Prioris quxiiti occaiio , a Talpx natura przcipuC liim- pta cft,qux loco mouctur,vt conftat, vifu tamcn carer,vt vidctur Ariftotelcs docerequartolibro dehiftoriaanimalium cap.8.prxterea ab Apibus,quas audire in proccmio mctaphy ncgat. Talpam autcm oculos habeie c Oltat, cx fcaindohbrodcanima cont. i ji.&quarto dchiftoria animalium cap. 8.i- ccmq; pnmo eiufdcm tractationis cap. 9. qud ctiam fit,vc quxliri occaiio ma- iorcm vim haberc vidcatunnam(quemadmodum ait Simplicius cx Ariftutc - lefecundocxlicont. jo.)cum naturanil fruftrafaciat,atquc oculos Talpis dcdcriceifdcmquoq^vilumtnbuidcnccefle cft. Fruftrananque cftcalcca- mcntum cuiusnon cft calceatio,ex Ariftocele in primocxliconc.ji.lmohoc fcre codcm argumcnto, probat in fccundolibrociufdcm rractacionis , aftra nonhabcrc facultatcm,quade locoadlocummoucripoflint, quia nimirum inftrumentisadmotioncmaptis defticuancur. Aucrroeshuic qua-ftioni fa- tiflacere cupiens,ait:Talpam habcrc quidem ocu!os,carcrc camen vifu:quia D Naturaqux fcmper mcliora rcfpicit , cognofcens nutritionem Talpx vtilio- rcm fore,quam vifum : (fubtcrram cmm aflidue dcgit, lllamquc fodjc, vcei- bum fibicomparct)Talpxoculos pcllc illaobtegit,nccibum \ cnando lxdc- rctur. Additprxtcreamatcriameiusadplura rccipienda aptam non fuifle, quaii fcilicet matcria illa tcrrca multum , non fit perfpicua , vt inftrumcta vi- dendi requirunt. Thomas Aucrrocm iequutus eft : &: vt fatilfaciat Anfto- teli fecundo dc anima contcxtu 131. dicerc vidctur : Animal ucrfc&um, omnia quidcm *t&*7if* habere debere , non tamen omnes lcnfus : ac- quc itaTalpam, animal pcrfedhim eflc, cum omnia organa fcnfuum ha- beat , vifu tamen dcftituatur . Qudd ii dicas , Naturam nil fruftra agerc, DE ORGANIS S E N S V V M, rcip6dec : AiArrfpw iUa^dcircoTalpxcntnitAfuiirc.vcingcncrc perfe&orum A unnnalium collocatacile vidcrctur. Zimara m Indice, htcraT. candem lcn- tcnciamaducr(usSunplicium&: Albcrtum tuctur. Argumcnns autem ali- ' tcrquamThomas fatilfacu. Nam nequc fruftra oculos Talpxdatos ruiHc ofccndit, qma rcplcnt vacuumillud &conc.uium,quodintcrduos (inus o- culorum continetur:& Nacuram nil agcrc niii proptcr rtncm , aliquando ca- mcn cafu impcdiri/atccur. Scd qux ab iftis arTcruncur vcl nimium cralTa vcl nullius momcnricile vidcntur.Aucrrocm in prxfcnciaomiccamus, quiargu- mcncis no refpondenTliomc. 6c Zimai x vcrba,abfurda craifa cite dcmon- ftrerous. Namquaro impiumlic,nc dicam faJfum , diccrc , Naturam idcirco tancum,oculos inTaJpapofunTc, vcro gcncrc animalium pcrrcctorum col- locatacllc vwcrctur, oronibus iis conftacqui Naruraro, non qu6d apparcat, g Jcd quod vcre iic, quxrcrcnorunc. Alchymiftarum illud proprium chV, non N.uurx.Idcmdc illis dicoquioculosTalpx ob dccorcm cancum trihucoscf- fc dcfendurit. Prxccrca, Ci Talpa habct omniaa7,r/*, vcl illa iimt prxdica (uisopcrationibuj,vclnon; Sinon, crgooculus Talpx xquiuocc octihis &. vclun lapideus dicctur,(quod Aiiilot. aduetJatur). Si fic, igirur Taipa vidcc. Tcrci6,Jn6nncNatura conunpdius concauitates illas , vtvacuum fuecrct, c arnc rrcpugnantAriftotch,qui fccundo libro pnydocct, Eaquxacaluiunt,rar6 crfici:.uqui Talpanunquam non itanai*cicur.Addoit n.uui.i ingcncratione Taipe. impcdiretur,fa&um iri Monftrumaliquod:non a.utc Talpa cum his oculis code (cmper modo fc habccibus. Solus ltaq; Sim- plicius huiusquxliti vcutatcm aflequutus eihquiTalpamvidcrcarfirmauit. C Cuius lciucntiAargumccisfupcriusallatisprobari poccft:prc;ccrca vcrofuui- Ittudine acquc cxpci icnt :.\. Jiccnim Ariftoccles quarco dc hift.ammal. cap.8. dcclaracPifccs quoidaro(vcGyprinum)quia palacum carnofum lubccquod lingux adJixrcntis&iramobihs vicemgcric, Guftumobciruiiilc. Curigicur Talpxnos viium,aufcremus, cum inftrumcnra advidendum aptalit conJc- quuta? Atquiccrncrc liccc, Talpam aliquandoa fuocumculo  ibi vcnandi acia egrellam,longiufq; progrcllam: liftrcpirum fcatiat, incrcdibili cclcn- tace ad (uuro cuniculum rccta rcucrri? Miru id eilcc , ii oroni prorfus viiu dc- ftituerctur: quacnmi rationc folo olfa&u hoc cificcrcqueat,vix potcft mtcl- ligi. Diccndu cft lgirur, Naturam, quxlempcrcum rationc comuntfca cft(vc doccc Arilc.fccundodcorcu&intcricu conc.41.) Talpis quidcoculosdcdiife, lllolo; pclllcula^laccnuiobcegi(^e,nonvcnonVJdcccuc,fcdnc vidcdolxdc- q ivncur. Cum cnim Talpa cibum toca facie ccrram fodicndo quxrac , facilc a quolibct corporc cangcnccorfcndi pocuiilcc,ni(i cah veluci fulcro,illi naxura fubucmjU. c : idcircoquc pcllis tlla cenuiilima eft , & abfque pihs, vccranlpa- rcndo Talpa ccrnerc poftct. Vbicunquc aute Anftot. Talpam non ccrnerc, vidctur alicrcrc, nonalia crit a nobis rationc audicdus, quam ca qua fcipfuro libris dc luftoria Animaliu inccrprccacur. Priroo cnim illi 9 cractacionis cap.9. ica loquitur : Habcnt profccto oculos animalia qux ^nimal gcncranc oronia, p 1 xccr Talpam quam modo quodam haberc dixcriin, cu camen omnino ha- bcre ncgc,quippc cu omnino quidem ncc vidcac, ncc pcrfpicuos habeac ocu los. Exquolocopaccc, AnilotcJcm ncqs oculos ncq; vifuraTalpis omuino aufcrrc, fcdj oculos pcrfedos,vifumquc pcripicuum.Qupd quidcm &: nosfa- tcmur : 11110 niiiiioc mode Nacura c uni Talpis cgiftcttfcprchcndcnda forcc. Qupr- ET SENSILIB.VS. rj , 4 aiia pctc rc poflit.Rclpondcndumcil,pra-tcrcaqu.c- tupcriusacculimus: Tactum cflc ncccifanum ad lalurcmanimalis, fcd 111 hocabaliis fcnlibusdirfcrrc,quod mcdio tactu,ca vitarc licct quc, totu anunal taderc atquc corrumpcrc qucac Hac funt cxccfliis pnmarum qualitatum:nam(vc idcm conc^y.icnbicjcvcci ius tactiliujntotumuciuuitaiumahTactuscnim^^wwcocum corpus ani- malishabctucanimalautcm ii tali lcnlu carcrct,tam pcrigncni quam pcra- quam inccdercc Abi vcrb lunt quidcm ad ialuccm,fed non totius primbnc- quccxupcrantia ibni,odoris,coloris, aut fapons , tocum v .nnmalmi- ii cx accidcnccjlcdluum tantum a '^' ' ">' propnum,coi nimpct . ( Scnfusqui pcrcvccma fiunc). Anftoccles certio de anima conctfadoccc, animalia ii lal- ua tucuralinc,non modboporccrc vc cangcndo fcncianc, verum criam clon- ginquondcircbqucfcnfusquic longinquo fendunt , pcr mcdium cxu mfecu cmciuntur.Omncsautcm fcnfusmcdiocgcncScniilc cnimfupralcnium po D fltum/cniioncmnon producit . Scd liuius pocillima racio clhquia vt fcniiis, lenfilepcrcipiat,nccciicclr piimiim vt in lllud quaii tingatur atquc rormc- tur : atqui idticri non porcrit,niii primum fcnlilc , limilc quodammodo fcn- fui rcddacur.Scnlilc auccm cxcnnlccum,corporeum cft,&: maceriam prorfus obcincns:fcnfus vcrbfpiricuahs&C immatcrialis,cnmfaculias animxlit . O- portcbitigitur feniilc priys fpmtualcrcddiquamalcnfupercipiatur: vcrum non tranlibn vnquam ab illotuocorporcoprorfuiquc matenaliEllc,quod in fcfc obcinecadillud f.jfc multum fpnitualc , quod m icnfu acquiric , nili pcr gradus.Inhmusaurcm ommum cft in iptb mcdio, rn quo Uium,icnlileacqui- ncltavt, qucmadmodum Aucrrocs ahquando m hishbrisaic torraam rci (cntilis in phantafia cflc magis fpiricuaiem,auam cum cft m fcnfu communi: ic adhuc magis in fcntu comrtuuii > quam cum cft in tcnlu cxteriori: Ita dici- mus formarh illam in lcnlu cxccrion fpiritualiorcm adhuc eifc , quam cum oyu^VS d f iiUi 44 DE ORGANIS SENSVVM, cll in mcdio:in quo canquam m infimo gradu(vc ica dicam) flendi fpiricualc ^ rcpericur. Proprerordinc igirurgradusipinrualicacis,quiinfenfionerequiri- cur,ncceile eft mcdiumdari, quodminimum gradum lllius rccipcrcquear. Omnis igicur icnlus mcdio cgcr , ( Alcxandri nanquc iencencia,nimirum can cum fcnlus , id cft vifum,audicum , olfatrum, mcdium defiderarc,re&cab A- ucrrocfccundo dc anima comm.i 16. explofa cft): egccaucem, propccr ipfam S nlionem,vc declarauimus.Quo fir,vc mcdium non cancum fcnfui conucni- re,l"cd pcr fe&: ncccflarid conucnire diccndum (ic:fcnfus cnim per fc &: ct fui nacura,ad ipiam feniionem ranquam iaculcas ad propnum actum rcfpicic: fcd in fcnfu tathis & guftus,hoc magis laccc. Racio cft, quia non excrinfccum in lllis mcdiuni cifc vidccur,fcdcum organis ipfis coniunttum.Eft enim caro, vcdcclarat Auerrocsexfcnccncia Aciftocelis fccundodc animacomm. 116. Tadilc igitur & guftacile non videcur a mcdio ad nos dcferri, fed vna pocius cum mcdio pcrcipixum c concra fpctabilia,olfadilia,&: audibilia , idco pcr- jj cipiancur,quia medium cxtrinfccum(quodcft acrvelaqua) ahquancummo- ucc nos:cnm lpium primo licab obietcomocum.Haxdocer Anftoccles fccu- dodc animac0nc.7t.Ex his pacccin his cribusfcniibus, fifeniilcorganumra- gac, fcnlioncm non fcquuturam . Corpus nanque album in iuperficic oculi poficum, ccrninon poccric.fccus fc habcc m guftu &: cattu , in quibus fcnfilc fcnlumcangatoporccc. Toca luiiusdifcnminisrariocft:quia himaccrialcs magis&: corporci funt,illi fpiricualiorcs. In fccunda conccxcus pamcula Ari- ftotcles docctrTrcs cnuincracosienfus in animalibus qua: pnidcntiam obci- nucrunr,bonigraciaincifc. Qua:ritur itaquc primum,quarnam fincanimalia qux prudcntiam obcincncia vocac : prarccrca , qua rationc m lliis boni gracia fcnfus hi inciledicancur.Prion quarftioni fatistacit Thomas,quipcrprudcn- tc hicram biuta,quam homincs incclligivult. Alcxandcrdchominc tan- cum loouitur:fcdThomam magis probo,vcanimaliumomniumgradusAri- Q ftocclem nobispropofuuTeconftcc.Infimum vocauimus (v^C-m^ quar cadum habenc &: guftuin : reliquis fcniibus Sc mcmoria carenc. Sequuncuc illa quac omnts quidem (cnius habc nr,icdaudiruperfedo carenc.vcapcs,formicar,a- ranc*:quxquiaauditu carcnt,dilciplina:funccxperccs : mcmoria tamcnat- quc ldcn co prudcntia vigcnt.Tcrcium locum obcincnc animaliaquar cu fen- fibus aliis &: mcmona , fcnfum audicus habenc : vccanes, cqui, &: huiuimodi. Quxquia mcmoriam liabcnc,prudcncixfuncparcicipancia: quia veroacuci* audiunt,diiciplina\In iuprcmograducollocacur Homo,qui iftaomniacxccl lcntion modo cftaiicquutus.Harc fcre Ariftotcles in proa*mio mctaphy  Ex his nonnulli triphccm ilIamprudcntia?diftincionemeliciunc:Racionalisfci- liccc,Animalis,&: N.iturahs.Dcquaii paucis diflcrucrimus, non crit(vc opi- norja rc ahcnum:I(ta cnimad huiusconcexcusincclligcnciampcrtincnt. Ab hominisautcm prudcnciaexordicndumeft,quafcilicetaliarum rcgulaeflc potcr ic.Duz func animi noftri parces:vna racionc carcns, aiccra quar ipfamec ratio vocatur.Hax rurfus duas quaii parces habec:prima,rcs neccflanas&c im mucabilcsfpedac.fccuda,illas quje non vnomodopoifunc cucnire. poftcrior hzc,rurfus auc vcriacur in rcbus qux fub adionem caderc dicuncur , id cft in quibusappccicus iiucparsilla animi racionis cxpcrs , affedioncfque cmer- gunc,vc racioncm pcrcurbenc:auc in iis qust fub etfechonem caderc dicimus, id cit quar opcram pocius corpon s,&: przcipue manuum deiidcrcr,quam con cicacionem vllam appccicus pariancur . Priora illa flmpliciccr adhominc fpc- danr-.pofteriora vcro ad calcm homincm . Vc igicur mcns in his rcbus muca- bilibus,quod bonum&:confcntaneumeft,fempcr aflequi poflic,habicu cgcc. Nequc ETSENSILIBVS. 45 Ncquc enim rcs ica dc mcntc,vti dc fenfuhabec. nam fcnfus ad fuum mimus prxftandum habitu non cget:ita cnim pcndct arcfcntiliobic&a, vt in ipecic illius formacus,non poflit non fcntirc . At mcnri appetitus farpcnumero rcii- ftit,licet impenum illius in appctitum hcrile efle dicatur, afTc&ionefquc im- maderata*,&: vchcmcntcs libidincs,rarioncm pcrturbant,ac propc aJiquan- doprofternunt.Acccditc6,qu6dinccrtaomniaiftaiunc , tam quxfubactio- ncm,quam qu.v fub crrcccionem cadunc.Qup cciam fic,vc in vcriiquc conful- cacio cxigacur.Habicus igicur qui ad rcs fub accioncm cadentespertinct,pru- dcntia vocacur.Idcircoquc ita dcftnin folct: Quod iit habicus mcncis noltr.c, quodebonis&malishominisquahomoclt,iiuc dcrcbusfub actioncm ca- dentibus,optiinc confultamus,&: quod opcimum confcncancumque cft,cli- gimus.Dc prudcntiapropric itaditta hicloquimur . Nam quod Anftocelcs primo policicorum cap.2.&: fecundo rhctor. ciu. i . pradcnciam voca&noti ia- B gacitaccm auc folcrtiam potius quanda propric dicimus: cum prudctia a vir- cuce morali nunquam abcifc poi1it,vc fcxco cchico.&: akbifarpiflimcdocctur. Ex hac prudcntia: notionc patct,cur brutis prudecia cnbuacur^prxlerrim au- ccm Animalis. Nam quiaprudctiaconfultationc cgct, h.rc vero mrcbus in- ccrtis,collationeprxtcncorum cum tuturisvcrlatur: idcirco cumvidcntur animaJia commodum aJiquod vcl incommodum prxuidere(quod iinc colla tionc &: mcmoria ficri non poccft)prudcncer agere dicuncur. Acquc ob hanc rationcm Ai lftocclcs in pcoamio mccaphy.coliigic animaha mcmoriam ha- hcncia,prudcnnam quoquc poilidcrc. Mulca Anftocclcs m libns dchiftoria animalium,&: Plmius in octauo libro hiftorixnaturalis, dcquibuldam ani- malibus,vt dc clcphantc,lupo,vulpc,canc,cquo,iimia, ad hanc prudenciam animalem percinencia,&: profccto admiracionc digna, commcmor.it. Enci- gicur prudcncia animalis,nil aJiud quam vis quxdam dirigcns animal mcmo q riam habcns,v t cx rcrum prxcentarum rccordatione,futurum aliquod com- " modum vcl incommodumprxuidcac. Nacuralisprudenciaproprioporius nomine Inftinctus nacurx appellarunidcircoquc ncquc confuIracioncm,nc- quc collacioncm prxcericorum cum fucuris cxigic . Quo rit,vt animalia qux hac tantum prudencia inftructa iunc,codcm fcmpcr modo agcrc vidcancur. Formicacnim nupcrnaca,&:nunquam hyememexperta,cibum prxparac:6c hirundonidumcadcm fcmpcr rationcparac.Dchocvcroinftinctu Anftocc- lcs hicnonloquicur, cum dicacad Jiancprudcntiam viium, audicum, atquc olfactum conf erre,&: nos alibi fuo loco agcmus. Pcr prudcntcs igicur tam ho mines,qui rationali prudcncia,quam brura,quxanimaii prstdita i'unt,intclli- gcredehcmus. Altcram quxftioncm cnodarevidctur AriftoccIcs,cum aic- Idcirco fcnfus iftos bonigraciaappcllari,quiamultarcrum dilcrimina nsper- cipimus,quibusprudcntiarcrumagedarum intclligcndarumquepcrficirur. Alcxander ifta quidcm m fpecie magis cxplicacdcd non modo ad prudcncia, vcrumeciam ad fcientiam accommodac.Quod non cft improbandum : quo- niam Ariftoc.in conccxcu fcqucnci,incclligcciam a prudcncia non fcparabic. Haec autc fcrc Alexander : Vifu luccm &: tcncbras, ld cft dicm &: no&e vide^ mus,lumimLquclunx variccaccm:qu6ftc,vcad horum crreccorum cauiamco gnofccndam excitcmur. Vidcmusprxrereaaftrorum luccm acqucdiftan- tiam : quarc dc magnitudinc illorum iudicamus, bonorum etiam 6c ma- lorumrationcmcxpulchro&cturpivifonobis comparamus. iceex cxlimo- tu vniformi &: conftan cifllmo , ad primam omnium cauiam cognofccndam alccndimus.Ex iis quoquc qux pcrcipic audicus, vt fonus,magnitudo,mocus, anima ad cauiam inquircndam quali inftigacur.Scd paucis rcm abfoluamus: 4 * DEORGANIS SENSVVM, Non mod6 fcnfibus ad intclligcndum excitamur(vt ait Alexander)fcd nulla ^ prorfusfcienriaeft,quarnonafcnfu proficifcatur: vt ex primo poftcriorum jn.ilv.t ap. 1 4-&: ex fecundoeiufdem tra&ationis fub fincmrprartcrea vero cx- prcflc cx tcrtio dc anima cont. j9.probari poteft . Porro ad prudcntiam qux ma&ombushumanisvcrfatur,trcs iftos fcnfus conferrc docet Alcxandcn Quoniam(inquit)actioncs particuiarium funt:prxtcrca confultatio qux pru dcntiacparscft,experimcntum detidcrat : hoc autcm cx particularibus ipfis qux fcnfu pcrcipiuntur,crrici conftat . Ifta Alcxandri intcrpretatio licet vcra ac doda fir,atque ab omnibus rcccpta:vidctur tamcn ab lftius contcxtus fcn tcntia abhorrerc.Nam dc prudcntia hic quidcm loquitur Ariftotclcs, illam- quc intclligcndis atquc agcndis rcbus tribuit: nullum tamcn vcrbum de fci- entia,qua: cft habitus a prudcntia fciun&us . Licct autem Leonicus dicat pcr prudcntiam hoc in loco , iudicium ipfum , atquc indagationcm vcri in- g cclligcndam cil"c(quod cx Ariftotclis ctiam orc fumitur , qui in contextu fe- qucnti^cum confunderevidetur )fcmper tamcn aliquam vimvcr- bis contcxtus affcrri conftat.Huius rci occaiionc , nonulli lta Ariftotclis vcr- ba transfcrunt,vt plura de fuo addant. Vcrba G rxc.i lic habent: ir fV - tytyytitTruvdi-mt^iW *&kW. Aliqui ita vcrtunt:(Ex quibus intclbgcntiaprin- cipiorum oboritur, quibus partim ad dcmonftrandas rcs, partim gubernan- disa&ionibusnoftrisvtimur). Alii ctiam audacius plura,nonibluminhis vcrbis, fcd in aliis etiam vertcndis affcrunt . Quod quam parum lntcrpre- ti docto conueniat,&: quantx ignoran tix argumcntum prx fc fcrat, pcncs Pc ripatic; difciplina: ftudiofos iudicium cfto.Nos igitur dicamus,rc&c prudcn- tiam intcliigendarum&agendarumrerum hicdici poflc.Quandoquidcagi- bilia lingularia iint : quorum ccrtc fingularium prudcntiam clfc oftcndit Ari- ftotclcs lcxtocthtc.cap.13.ad fincm.Intclligibiha autcm propric iunt vniucr C falia,quorum ctiam vniucrfalium prudcntia cft : vt cx libcllo dc communi a- nimalium motionc,&:cxfeptimo cth.cap.j.fatisconftat . Nam abfquebcnc- ficio Syllogilmi pradici fieri non potcft vt aliquid agamus : is autcm cx maio- rc propoiitionc vniucriah conftat,&: minori particulari,quc, a&ionis domina cfbcx ca cnim colhgitur concluflo particulans,id cft iplamct actio . Prudcns lgiturpropncin vniucrialibus verfatur: quoniam tamcnvtaliquidagat,fub vniucrtali particularcm propofitioncmaccipit&: colligit, qux cft a&io:idcir co actionum potius dircctiuus,quamvniuerfalium contcmplator appellatur. Avt^u j lovroBGplc uSfj & drayii(fi* y xpeiojaer n #4 u*->.3\t> y xUtfftr, fdoir, d p& fx6r.fi dxoii Qc. %u \ -\6$n ifyjpipdc uorot.obJyoic  xj 1&c ptmc . Kp cn>Li$t@nx:c pr. Q Ex his autem ipfis ad neccffaria, melior Sc per fe quidem eft vifus: ad inrelligenriam autem,ex accidenti Audicus . Ecenim facultas videndi," multas attjuc yarias diflerentias denunciaccum corpora omniacolorem obri- ET SENSUIBVS. 47 obtincancquare & communm Jiac nijiximc lcntiiintur : ( communia au- tcm voco^^iram^nw^nitumncm^momm^fUttiro^numenim ) Auditus autem,difcrimina tantum foni: paucis tamcn & cacjuae vocis . Ex acci- denti jutem,multumauditusadprudentiam conferpfermo n.mqueqiiL lub auditum cadicdifciplina: caula eft : non cjuidem ex fefe, fed ex acci- dcnti,cx nominibus nanque conftat : nommum aurcm vnumquodque nota cft.Proptereacx illis qui ab ortu,alrero horu fenfuum priuati lunt: caci,mutis furdifque prudentiores exiftunr. Comparauerat,quancum ad ncccfllcatem ;icnnct, tactutn 3j guftum, cum cribus fcnlibus poftcrioribusmunc cx his tribus duos pr.rt lpuos vifum ncm- pc&audicuminanimaIibusracioncm,vcl racionis velbgium aliquod obci- ncncibus,intuccmcomparac.Nam olfa&us vix fcrcad prudtntiam,minimu quoqucadincelligcncia conferrtvidt rur.Occaliotoparacioniscx co fumpta cft,qu6d fupcriori conccxcu fuit allacum , nimirum vcrunquc cx lus fcnii- bus,magnas cum adlaluccm,cum ad animalis bonum oportunicaces habcrc. Scnlum icaquc vifus , ad ntccflaria quidcm vkx pcr fc vciliorcm audicu eflcdcclaratdiunctamcn vifu,ad intcLugcntiamprudenriamquc tx accidcn ti oportuniorcm . Priorcm Thclim , tanquam nociorcm fola racionc probat: Poftcriorcm,rarionc&:cxpcricncia.Ha?cvniucri:m Ariftotclcs:in fpccic ve- r6italoquicur:Vifuscftpcr fc,ad vicx neccflaria& animahs ci-nicniacione vcilior auditu:hic autcm vifu, ad incclligcntiam cx actidcnci aptior . Vcrun- qucprobarur:&; pnm6primum,hac racionc. Scnfus qui plura lequcndaveJ dcclinanda,pro lalucc vicxanimalium pcrcipit,cft ad ncccflaria vic.canima- lium vcilior audjcu:acqui vifus plura huiufmodi & pcr fe cegnolcic, quam au dicus:Vifus igicur ad neccllaria vic.e animalis peffe cftauditu commodior. Maior propolicio nota cft, cum pnrfercim ccrtio de animadichmi lic, ad hoc vt animal confct uccur,ncccflc cflc illud non modo cangcndo,vert\m cciam c longinquofcncicdojfcnnrc . Minor proharurillo polico: Animal fciliccccor- pus habcrc,arquc idcirco a corponbus cangi, nccnon ab iifdcm cangcnnbus l^dicorrumpiquepofle. Tunc vcroica licecargumcutari Stnfusqui plurcs diffcrcnciascorporum nobisdcnunciac,illcpluraprofalutcaniraaJis lcqucn da,vel dcclinanda percepca habec^vifus plurcshuiufmodi, variafque corpo- ru dirTcrencias pcr fc pcrcipic:igicur. Maior^ppolicio cx policis pcndcc. minor probatur:nimirum,quoniam colort s,qui lunc pcculiarc vilus obiccrunvn o- mni corporc rcpcriuncunSoni vcro qui ad audicum pcrtinc nr,cxiguam rcril varietatcm cxplicar prxtcrca vcro,iudicium voc um qua: foni pracipui func, apciquc ad mulcas rcrum varicrarcs lignificandasmo in omnibus, led in pcr- fcctioribus rantum animalibus rcpcritur . Ex quo canquam se|U* fllud fc- quicur:Nullum cflccx fcnlibusquifenlilia quxCommunia vocancui,atnus ipfo pcrcepca habcrc r>oflic.Figura nanquc,magnicudo, mocus, quics,nume- rufque,primo propriequc in corporc rcpcnuncur . Sccundum vcro propofi- tum hac primum racione probac : Scnfus qui fcrmoncm , liccc cx accidcnci, comprchcndir,cft ad pnidenciamanimaIisapciorvifu,qui lllum non ptrci- pic: Audicus,fermoncm,liccccx accidcnci,comprchcndic:Audicus lgitur cft ad animalis prudcnciam vifu aprior,qui fcrmonis nullam prorfus pcrct pcio- ncm obcinuic.Maior propolicio probacur:quia fcilicct lermo iiuc oracio qux licnfum prxccpcoris incrinfccum mcdiis nomimbus cxplicac,difciplinam cf- ficit. Minor probacur , quoniam oratio fonus quidam cft , vcl non linc fono, 48 DE ORGANIS SENSVVM, cx fccundode animain cap.de voce:(pnum auccm obictcum pcculiarc audi- ^ cus crtc fupcriusconituuimus . Hocidcmligno iiuccxpcricntia confirmat: nam lidencur duo homincs, alccrohorum lenfuum ab ortu priuati:fcmpcris qui audiai pnrdicus cnt , liccc vifu carcat , crit altcro prudcntior, qui audicu dcftitutus,vifum obtmucnt. Contcxtus igicur huius, particulas trcs, nimiru iuxcaracionum,quxaJTeruiuurnumcram,confticuamus:quarum priormul- ta vcrbadignaquxcxpc rndantur habct. ( Ad ncccrtaria). Loquitur Ariftoce- Lcs comparacetfccus cnim libi ipfi aduerfarcrur,qui iupcrius docuu cx ccrtio dcanim.icont.64.SolumcatuniclTcanimah ncccrtarium , idrircoque in o- mni rcpcnn.Nonergo hic doccmur, vifum crtc neccflariu animali : fed cum iic ad bcnc eflc neceflarins^anim a I i magis quam audicum confcrrc. Ncccila- ria iane animalibus lunc Taclusfic Guitus : ad tucndum igicur cactum 8tgu- ftum,plunmum vifus,minimum auduusv.ilcc.hoc ua dcclaro:quia nimirum vbi cibum gracum libique conucmcnccm animal pcrfpcxcrir,iJlum appccic: g noxiumvc libiquc inrdtum,fugu. Quod de cibis dicicur,id ad ahaomnia ad huuccundcm lcopum , nutricndi nimirum ,foucndi,gcnciandi,confcruan- diquc corporis pcrcinencia,poccft accommodan. Ncquc obllat,qu6d multa exhis,auduuctiam cognofci poifcvidcantur. Namncqucfuaspartcs audi- tui Ariftotclcs aufct t,cum com parace loquacur:&: nos non arque perfccre ifta ab audicu cognofci dcclaramus.Primum cnim (vc Thomas au ) vifus cercius iilaagnolccrcpoteft.cumipfcabiplifmccrcbus, Auduusvcro non niftafo- nis rcrum mocumconfcqucnubusarnciarur:ideft vifus percipit accidcntia, qiue in rebus mancnt,nimirum colores: Auditusvero accidencia, quz a rc rtu- unc atquc difceduc,vcluci fonos. Addimus: Vilum longius profpiccrc, quam auduum rcmociusaudue. Momentoitcm cincuvifus,quodauuitustcmpo- rc : prius cmm corufcatio ccrnuur quam tonitrus audiatur . (Pcr fc).Rcc"cc vcrtu Akxandcr;Su.iptc natura ) .nam huiufmodi omnia vcl profcqucnda C vcl fugicnda, ccrnuntur fub ca tantum rationc,qua colorata func,& proptcr colorcm tatumxuius icnfus proprius& pcculiaris,quinimo vnicus, vitus eft. Nontic auditus ad prudenciam contcrt, quinon pcr fcatquccx fuinatura a. fcrmonc prudcnti.c cfTedori afficicur: fcdcx accidcnci, qua fcilicct fermocu vocc fonoqucprolcrcur. Qui alucrcompararioncmiitam inccrprccancur, ncfciunc lc explicare , Sc gcrmanum Philolbphi fcopum fane non accingunc. (Incclligcnciam).Conlundic cum ^rJ, vc conftac. Caufafupcrius allata cft.Tanrum nocabimus poft Gnecos intcrprctcs , Ariftotclem la?pc nomini- busabuci.Huius rci rcftimonium,huicnoftrolimUlinium huiufmodiaffcrrc modo poilumus.Docturuscft Ariftocclesfcxco cchic.cap.2. Elcchoncm non crtc abiquc mencciiuciiucllccru,&:appccicu morali: idcoquc rcbus cancum fub accionem cadcncibus conuenire. In prion camen Topico cap. 8. Elcctio- nis nomcn ad omncopus,vclagcndum, vcl etficicndum accommodarc vi- dccur:fccuscnim,vcdoclcibidcm a clariffimis viris animaducrfum eft,man- caatque tmpcrtccra circtproblematuraenumcratio,quam proponu Arifto- cclcs.Eccnim non omniaillaqua: adopus afpiranc^complcccerecur: curn prc,- fcrtim codcm prorfus modo,id cft racionc finis,cffeiciuaab adminiculancib* & contemplatiuis fciungatur,quoabiifdemadiua. Iam vcronomincScicn- ttx pro quacunquc difciphna,uemque arcis profcientia, aliifquc huiufmodi propc infinitis, abucilipifsimc Philofophumnoftcumfacis conftac. Acqui non moddlimilis,fcdidcmomninolocus(in quonimirumfapicncia pro pru dcncia fumitur)in tcrtia parcic.problem.p.leguur.Itatamcn cautc hac vticur libcrcatc, vc nullibi perturbacioncm , auc obfcuricaccm Ycrbis lmpropriis hommi ETSENSILIBVS. 4? ^ homini intclligcnti pariat.Nam cum proprieMoquineccfTeeft(quandoncpe aut dcrc vcrboiignificaraprarcipueatque ex propofito agitur,aut vcrbi fi- gnificatiotra&ationispropofitarexplicationi, vfui aut incommodo eflepo- tcft)tuncnon communia,fcdgermanapropriaquc vcrbarctinerefolcr.(Mul tas atquc varias diftcrcntias dcnunciat) . Addo cx primo metaphy . in procc- mio: Vifum vnum maximc intcr omncsalios fcnfus nosdoccrc . Cuius ratio cft,quia intcr alios fcnfus eft in cognofccndo pcrfcctior : cum fit fpiritualior. Qupd patct,ii,qua ratione alij a fuis obicciis afficiantur, confiderare vclimus. Scnrittatus,quiacalcfit:guftus,quia faporcaliquo organum cius inficitun auditus,quia a corporco aliquo motu patitunolrarus,quia cuaporantcm ex- halationem admittit: folus vifus , fpiritualiter immutatur. Ncquc cnim proprie pupilla colorc coloratur,fcd coloris fpcciem fpiritualiter rcciperc di cicur.Idcirco Platonici(vtcx Phardro& Phardonc elicitur)cum fexilla inftru B menta cognofccndi inanima ponerent^rationemnempcjVifumjauditum, olfac\um,guitum,ac tadum: priora triaadfpiritum magis pcrtinerc, pofte- riora ad corpus afTcruntrquod illa fcilicct , res eas capianr, quae a matcria re- motifTimar,animsc conucnicntcs,ipfam vehcmcntiflime, parumautcm cor- pusmoucant. Nam incorporca quar Ratjonis obiet*a funt, Colores item &: voccs,corpus vix moucnt,&: aciem animi ad indagandum acuunt.Quo fit,vt no modiceab illotanqua iibi fimiliadcfidcretur.Odorcsaute,iaporcs,&: pri- mar quahtates,quar proprix funt alioru fcnfuu,moucnt quidc cor pus, illique plurimii ,pfunt,aut obfunt:vix tamc anima afficiut, aut ad illius admiratione vel iudiciu confcrunt.Quare,ncquc animae defideriu ad fefe multum allicere poifunt. Viiurn prattcrca igni tribuuc quianimiru in iublimi corporis partc, vcluti m fuprcma mudi elcmctaris rcgionc locat" , lumcnquc quod ignis eft ^ propnu pcrcipiens,ccrtiorc&: clariore fcnfum,cxac1iorcmqucordinc ahis o- C mnibus prarferat. Auditui dcinde aerc dant,&: hunc vifui quammaxime pro- xirnu cilcdialt.Quaproptcr Plotinus li.j.jtnead. pnmar,cap.p.Muficu poft fcniilcs fonos,lcniile(quc figuras,matcria fciugerc, atquc ad intelligibilc har monia&: pulchritudinc,tanqua a proximioribus mcnti fcnlibus(vifu ncpc&: auditu)ai'cedcrciubet.Exhisctiaconftat,curvifus cfficiat vt plurimas rcru diffcrcntias cognofcamus.Na audit* ld quide percipir,quo harc infcriora a fu pcnoribuscorponbusdiftinguutunat vilus cacapit,qmbusinfcriora haeccu artcrnoillo&:fupcrocorporcconucniunt,luccnimiru,qua rcsa&u fpc&abi- lis rcdditunidcirc6queca?leftiacorporafolo fcnfu vifus lcniiha efle dicucur. Hsrc Ariftot.fccundo dc anima cont. , i^TT* vocate di- D cuntur.Sit igitur Vox,fonus prolatus ab animali,mcdio pulmonc,qui voci vc luti matcnam fuppcditat,id cit fpiricum:&: mcdia artcria vocata , qux quali voccm cltingit.Quo fiet,vt non omnia animalia voccm habeant.Exan- guia enim &: qux pulmonc carcnt, vt pilccs,vocarc non polfunt . Atqui vox nonvniusgcncriscft:quxdam cnim articulataa Grxcis"*f> af dicta,lingua, labns,palato,dcntibufquc formarunhominiquc foli conucnit qui vt vi mtcl ligcndi valct,&: ciuilc animal cft,ita multa fcnfu cognita , mentcque inucfti- gatapropriapcculiariquc voccdcbuit cxplicarc . Bruta talem voccm non funt aiTcquuta:iat cnim fuit ii pailioncs fcnfus , quibus nunquam non impcl- luntur,rudi atquc indiitincto quouis fonoiignificare poifcnt : idcircoquc A m monius ait non magis voces brutorum quam fonitum maris , literis fcribi ac- qucfyllabiscxprimipoflc.Homoigicurfoluseftqui multas rcrum difFcrcn- tias no modd fono,fcd &: vocc,atquc cloquutione, medio audicu aiTcqui pof- iit. ET SENSILIBVS. yi iic. Scquicur fccunda conccxtus particula: ( Audicus aute cx accidcnti ad pnT dcntiam).DccJaratquomodoauditusad prudcnnam confcrat : quia, inquic icrmoqui audjtur^citdilciplinxcaula.Plana lut ifta omnia,&: planiora adhuc a nobis infcrius rcddcntur,cura peculiari quxfito hac dc re agcmus . Tatum monco primum ex AIcxandro,Auditum idobdici cx accidcnri confcrre ad prudcntiam,quta proprie &:pcr fc ad auditum,fcrmo,qui eft cauia diiciplin^, non fpcctat,lcd vox& lonusdcrmoquc audicur,quia curh vocc &: lbno comn- ccus cil.Prxccrea,ex Anllotcle, fermoncm difciplinam non crHccre pcr lc,fed quacenus antmi fenla fccum adferc , qux icnia non capic audicus,cum iermo cxinlticutionccancumhumanaligniticcc.hociibivolunc illavcrba: (Sermo cx nominibus conllat,nominum aucem vnumquodquc noca cic. ) Addicur in concextu,(Scrmo caufa cit dtfciplinx) . Ncquc fcrmo extrinlecits doccntis, _ (att Linconieiis primo poft.analy.cap.priori) ncque fcripca:funt.Magiftri fci- enrix:fcd cxcicant tantum dtfcipuh montcm . Vervts Magiftercft qui mcnte intnniccc&c mtcllcccu tlluminat,veritatequeoftcndit,id cftintcllcccus agcs vocatus. Atquc hac prorfus ratione vcrba ifta Philolbphi funt lncerprcrada. ( Propccrca cx iis qui ab orcu). Poftrema hxc pars,iigno coprobac,audicu pru- dencia? mulcu confcrre:argumcncacio vcrbcftab ciTcdu petica: ldcirco illud A/wvim caufz indicac,quiafciiiccclricaudicu,illevifum habet^Mucifurdi- que ),id cil iaculcacc audtedi ab orcu priuaci:cales cnim muci ncccflarib func, cumloqucnces homincs nunquaaudiermc:idcirc6queloquendi,(iuc crfinge doru &: formandoru vcrborum norma nunqua difccrc valuennc.tx hoccon tcxtu pulchcrrimac quarftioncs oriuncur.Prima eft, An audicus cantum ad dif ciplinamconfcrat.Secunda,anmagis vifu.Poftrcma,an omnis mutus iitfur- dus.Prions occaiiofumitur cx verbis Ariftocelis^qua- hic videtu r foli auditui C difciplino: munus trihucrc. Alibi tame(vc primo ?oft.analy.c.i4.)docccur,l'cn fu vnodciicicnrc,fenfus illiusfcicnciaamicci:cun$raciocft:quia nimirum o- mnis noftra cognicio a feniibus oricur. Huic veroquaeftioni ita paucis fatisfa- cimus: Anftotcle hic coparate iolum,non ablolurc loqui.Idvcl co probari po tcrii,quod cum fuperius dixilfct, omncs trcs fcfus,qui cxtrinfcco mcdio hut, falutisgiatiaaniinalitributosfuillc: hictamcn v.fumad ncccifariavitxptar- ftantiorc appcilacNon icaque abfoluce colIigit>i'cd coparacc audicum plun- mum addilciplinaconfcrre.Arqui vcrba illa x r"waj-^,a>Lrr,Mfi& ,iatis hoc quaiitu ediiTerunt.Sccudum,arduu magis cft,&: (vt Anftotciismorcloquar) ^Tii r/r*. *yr . Etcnimiiomniaillaipcttcmus,quxancbis iiipcnus dcvilu cx Ariftotclcin procrmiometaphy. &: hocloco,prxtcrc_ vcrb cx Alcxan- dro,& Platonicis tandem ipiis rciata funt: vifum plurimum quidcm, audi tum vcrbparumaddifciplinasconduccre conftabit. Scd acccdant rario- p ncsalixcxcodcm Anftotcic ductx: Senfus, quinobiltorcmdilciplinam pa- ric,cftad difcipltnam apttor : at vifus nobiliorcm diiciplinam auiitu parit:cr- go cft ad difciplinas aprior auditu.Maior vcra cft , quia a nobilion caula cfFc- ciusnobiliorproficilcitur. Minorcmfacilccftprobarcfivnumpctatur,cx i. lib.dc anima cap . i .vbi oftedicur,Sctcnci? nobilitatc vel a gcncrc demoftradi, quoipiavtitur,vcla rc fubicctajphcifci. Qup poiito ualicct argumetari: Que_ vifu difcira*, ccrciora funt &: nobiliora qua quz audicu pcrcipimus:difciphna igitur vilus,crit cxccllctior illa quz auditu c5paratur:qubd verb obiecta vifus iint nobiliora&:ccrriora,iupcriusabundedeclararu cibfic-nuc ice exphcacur. Na ijux vifu difcim 9 , ca,nacura aliqua rcipia cxiftecc obcincc, vc lux&: color: ice qux lucc habcnc &: colore:ac fonus qui ad audicu percincc, fola duonl cor- poru pcrcuilio cft,qua? in rluxu&; lucceflione pottus quam in permanccia cft, c.ii. 5 i DE ORGANIS SENSVVM, Huc acccdit quod Ariftot. hoc loco dc Auditu vcrba faciens, aic, illu cx acci dcnci ad prudcnciam facerc:dc vilu vcr6,docct, iihim pcr fc mulcas rcru difFc rccias nobis dcclarare,magiiquc omniu lcniilia communia capccc . nunc au- tem,quodcft pcr fctalceft magistdc,quamcxaccidcnci calc. RcguIaTopi- ca cft omnibus noca.Rcfpondcri folcc a nonnullis cx fccundo Elcnch.Omne nociciam auc inucniondo auc difccndo fien:viiumque ad inucncioncm pluri- mu,audicum ad difcipbnam yalcre. Scd ifta lcnccncia ica abiolucc rcccpca vc profcrcur,rciicicdacft:vcqux Ariftot.rcpugnct,quii.mccaphy.c6c.i. monet agcdas cflc gracias illis qui nobis fuas opinioncs rcliqucrunc : quadoquidc cx 1 1 1 1 s audicis vcricatc dii'ciplinaru4im 9 adcpci^ addic,Nili cxticuTecTimochc', nunquam cucnifle,vc mulcu melodixhabcrcmus t & niii Hyeroiinus prxcef- luTec,Timocheum non fuiilc fubfcquucurum.Ec Aucrrocs in com.ibidcmta- cccur,Nullum polfe cx fcfc arccm achuam, vcl lpeculaciuam inucnirc,nifl au- xiliopriorum fcribencium.Iccm Anftocelcs lecundo Elcnch .cap ,8.cancum  audicui cribuic,vcco vnofcicciasomncs comparaeas fuiflc aflcrcrc vidcacur. Pnttcreainuencioncm cifcncix loci , idcirco ardua vocac ccrtio phy. cont . z. quia nil prorfus ab antiquioribus dc ipfo tradicum accipi poflec. Ad hxc quid dc inuerionc arcium illaru diccmus, quarum fubiccta a fola racionc pendenc? Tam igicur audicus quam vifus,inuencioni prodcft.Nos itaquchic cu Arifto tclc arfirmamus,audatuc*i , 'ef' w" , ',cfle vifu,cx accidcnti camcn,prxfta- riorem.Qupd ica probatnus:fiquidcm omnis inucncio, omnilquc doctrina & difcipkna vcl a&iuaiic,vdfpcculaciua,acognicioncpnncipioru pcndcc:prin cipiavcrd ipfa non ccndunt in infinicu,fcd in lndcmoftrabilia quxda dciinuc, qux fola ccrminorum cogricione noca fiunc.Tcftis cft Ariftot. primo poftcr. analy.cap.$.&:Themiftiusi;>idem,qui ait:Effata illa mcntcm pcrficcrc tcrmi nis>id cft fubiccto accribucoquc, cx quibus conftat(vt Philopopous cxplicat) rc&c pcrccpcis.Terminoruaucc nocicia folo audicu habcri, qui voccs capiat, ^ rcs ipfas mcdiis conceprioribus flgnificances,ica conftac vc probacione no c- gcac.Dcindcquiacrcm velaquam vcl tcrram fpectat, haudquaqua ficri pof- fcc,vtacccm vclaquam vclrcrramagnofcerct: niii hancaquam,hunc acrcm, Ulamcerramdicipnusau Innilct.Pr.cccrca^vifuTiiT/jblumobiectoru acqui- rimus:auditu vcro7* T ' limul* 7M7i: quaccnus fciliccc vcrba prxcepcoru icri pcavel prolacaaudicnccs,vcruquc vnadifcimus . Poftrcm6,audicu caomnia qux vifu pcrccpca funt,'iifcimus : vifus vcro non icem omnia ab audicu com- prchcnfa capjinus. Adde,viram hominis brcuiflima cfle, arccs auccm rcrum- quc fcicncias cxirum vix habcrc.Quarc cum vifus non omnia,auditus autem omma,id &X non qux vnus,fcd qux infiniti homines vidcrunt, audicrunr,at- quccxcogitarunc,aiTcquipofllt,iurcab Ariftocelc fcnfus dilciplinx vocacus cftCum crgoobiicicur vifum nobiliorcm&: certiorcm fcicntiam cfficcrc: Id nos faccmur,rationequidemobicctinobilioris,quoctiam fenfusvifus fpiri- cualiccr afficicunfcd non hoc quxrimusTcd illud, An audic'magis addifcipli- nas comparandas vifufltaccommodacior. Tuncaucemncgamusargumcn- tu,quia audicus plurcs diiFcrcncias rcrum cx accidenci pcrcipir: cum(vc dixi- mus)&: vifa &c audica ab aliis comprehendcrc qucac. Prxccrca ccrcius ifta do- cct,cum Sc 7 In Qc tJ tifit flmul (quod vifui non accidit ) audicndo aflequacur. Sccudo quoquc rcfpondcmus; Vifum no eflc pcr fc calc,ad difciplinasfciliccc coparadas apcu.Pcr fc cnim talis cft folusintellccV.Nalicct principia omnia afenfu oriri dicantur,intellccrustamcn iscft quiex hocvifo,cx illo audico,v- niucrialc ipfum abftrahic,quod principium fcicncix confticuicur. Hic vcr6 vifus non pcr fc dicicur multorum corporum difcriminaoftendcre , (cum id potius I I SENSILIBVS. j$ A pocius ex accidenci prxftcr)fed pcr fe ad vitx neccflaria apms . Eft itaquc au- dicus magis talc,id cft magis addifciplinas idoncus,quam vifus,vt iupcrius a- bundc dcclaracum cft.Porro cercix quxftioni lta paucis rcfpondctur : Omne furdum ab ortu mutum cfl"c:tum quia vari$ ac prope intinitx voces fignifica- tiux,ex impoficionc hominu func , idcircoque a furdo pcrcipi ac difci ncqui- rcnc:cum cciam quia lnftrumcnta audicus ii ab orcu lxfa fint , poflunt vna or- gana voccm formanciaimpcdirc.Qupd Conciliatorannotauitex Auiccnna p.fen.i.doc.5.fumma3.c.i.Si aliiiniigncs Anatomicicradiderunr.Namfcxtu parncruoru quod mocu lingue^ tribuir,cu quinco pari cotinuu panniculifque &ligamcnris conncxumoririacercbro, quincum vcro par audicui fcruirc oftcndunc.Hocicem Ariftocclcs vndecima parriculaprobl.primo,& alibi ftj- g fpiflime fignificauic : placcc auccm illud animaducrccrc , plura cflc vocis in- ftrumeca: prxcipua auccm duo(cx Gal.in libro dc voccj&y*** &L*~7F'w7f*- ^fwrvocacam. Vnicuique auccmiftorummultaaliaorganafeniiunt: Arte- nxquidcmmufculi thoracis &: pulmo , qui matcriam vocifuppcditanrEpi- glofsivcromultxmcmbranxquibus vcfticur,&: multi mufculi quibuscius mcacus claudicur &: refcracur. Ifta ab Auiccnna primum vocis inftrumecum appcllatur. Linguaaute voccmfanc iuuat,fcd fcrmonisfiueloquurionispro Erie cfFcdtrix efblingux focii func,dentcs&: labia, vt formatis litcris, & fylla- is, cxicusquafipcrincifioncmfadus facillimus adfic. Hxcco actuli,vciam liceacincelligerc, cur Ariftocclcs quarco dc hiftoria animalium hbro , cap. 9. dicac/urdos ab orcu nacure; voccm cmiccerc pbflc,nuquam vcrb ( cuius con- trarium nonnulli aflerunt)loquutioncm. 1 1 Tltp) fjSfi oZr$ wudu.ta>c ) ttv iyti rffl m&iuTtw ind^n^Kfortpor eipvtrai. Sed quam facultatcm vnufquifquc fcnfu.s habeat,ancea  in libris dc anima fuiflepertra&atum, viam philolbpho ftcrnic, qua& fco- pum huius libri proponcre,vnaquc ciufdcm trattationc aggrcdi poflit.Nulli igitur mirum , fi hinc initium fccundi capitis a Grxcis fumacur. I x Th* h cdfjutr' cV oTc rtipuxt ytyrt A/0i) In quibus autcm corporis vEitheteriis ficri aptiiint,nonnulIi quidem in corpons clcmcntis inueftigant : fcd cum copiam no habean t,ad qua- tuor elcmenta quinque nimirum fenfus reuocarc, dequinto fitagunt. j) Libri fcopum proponic, vnaque rcm ipfam aufpicatur. Scopus ex his quar hattcnus fuerunt in cxordio cxpofita,ducitur.Dixcrat agcndum cflcdc com. munibus& propriisanimalium operationib 9 tam animxquam corporicon- ucnicncibus,illas dcinceps enumerando,fcnfum priori loco pofuerac , quod ad ipfum alixomncs aliqua racionc referantunmox fcnfus ncceflitatcm pau- cis quibufdam cx libris dc anima rcpetitis , tam vniucrfe quam in fpecic dc- claraoit: Nuncita fcreloquicur, Dcfenfu,cuiusdignicasneccflicafq; inccra- lias opcracioncs dcmonftraca cft,agercdebcmus:nontamen quoad cius om- nia,(nam dc principio ipfo,facultatc,achi, mcdi6q; fcnticndi in libris dc ani- ma abundv itrttixaXvfAfiivw ytmafy% ^ rort ztcxvm. Omnes autem vifum Igni tribuunt, propterea cuiocl palfionis cuiuU 5 dam cauiam ignorant. Confncato cnim & agitato oculo ignis emicas confpiciturjioc vero in tencbris accidcrc folet , aut adopertis palpebris etenim & tunc rn tencbns fit. Ha&cnus aliorum fcntcntias W d3*1qm vniucrfc protulit : nuc fua? mc" thodi no immcmor, ad particulariadcfccndit.Prirnum autc dcvifu loquitur, natuceordinc prxtcrmiilb:vcabeo fcnfuqui pcrfcctior& nobilior cft, ( vt fc fupcrius oftcndimus)cxorcuacun qucmeciamordincmvfqucad fincmcapi- tis fcruac.Nam poft Vifum,dc Aiuiicu, mox dc 01factu,poitrcm6 dc Ta&u &: Guftu duTcrit. Adde, dc Vifus organo maiorcm cxticiilc concroucriiam : id- circoq; totumfcrccaput, in quo huiufmodi vEfthctcriorum tractatio abfol- uicur, inillacxaminandaconiumi: pauca vcro quxdam de organis aliorum ^ fcnfuum (in quibus illi cum anciquis propc conuenit)ab Ariftotelc affcrn vi- dcmus. In horum vcrborum cxplicationc vidcomultos dccipi,qui dicant Ariftotclcm hic aiTcrcrc,omncs Antiquiorcs qui dc icnlibus egcrunt , viium igni tribuiilc : proptcrcaquod pallionis iJlius caufam ignorabant, cuius in co- tcxtu mcntio tic.Qupd ccrtc minimc vcru cft:no cnim omncs Antiqui in hoc conucnc runc,cum Dcmocricus vifum aqua: afiignaucric,vc mfcrius doccc A- nftocclcs. Re&ius igitur Thomasaic , Hic Anlcocclcm mcncioncm illorum faceie qui vilum igni cribucbanc , iimulq; lllius rci cauiam arlcrrc. Quaii ica loquatur : Antiquiorcs philofophi vnumqucmquc fcnfum fuo clcmcnto af- iignabanc-.ledomnesquiviiumad igncm rcuocabant hac ratione tantum addu&i funt,quia nimirum aliam cuiufdam paiTionis caulam,afFcrrc non po- tcrant, quam quod viius organum,igncam naturam obtincrct. Paflio autcm ifta, cft, quod comprclfo aliquando ,&:celerrimc agitatooculo , quadam 1- gnisfcinull^erlulgcrcvidcantun&chocin tenebris accidit, vclquia nox i- piaadiit , vrlquia inccrdiu palpcbrxoculis fupcrinducancur: cunc cnim in tcncbris func oculi,pcrindc acfi nocc obccgcrccur. Tcncdum vcrocft lftam poiicioncm nonmodoPlaconisfcdEmpcdochscciam, cuius carmina mfc- rius cicancur,cxriciifc. Pucabanc illi oculum propccr eius lucidicacem &: cla- ricaccm igneum cflc, lumcnq; ab ignca pupilla vcluci ab acccnfa luccrna cxi- re. Qua dc re inrra pluribus. Quancum vero adpalTioncm accincc,non modo alli/is & agicacis oculis ignis fcincillx apparcnc , vcrumccum li cui capuc , auc gcn5,vclaliquailliuspars,vchcmcncius pcrcuciacurauc vcllicccur,no&uquc abfquc vllacommocionc cfomno cxufcicaco,ocu!ofque rcpcnce apcrienci, lgnca illa corpufcula vidcbuncur obuerfari-.prarccrca cciam fuppolifo ad ocu- lum digico,c6q; moco &: clcuaco,idcm fulgor cmicabic.( InTcacbris).Iftapaf 56 DEORGANIS SENSVVM, fioluminisnatiuirationc fit , quod in humorcoculi KfmAA*/^ vocatorepc-  ntur: lumen autcm huiufmodi modicumcft , quarc maioris luminis prx- ftntiaitaoftufcatur, vc intcrdiu nullum fpc&abilcm fplcndorcm cmitterc pollic. Nonmelacccquofdam cx Aucrroe ccrtiolibro collig.cap.38. ccnfcre, humorem xfvAAjw nullo luminc natiuo preditum effe, fcd quicquid habcc, cxcnnfccus acccdere. Verum,quoniam hxcopinio, ncquc caufas colorum in oculo exiftcncium rcddcrc poccft, &: fcnfui rcpugnac , ( quandoquidcm in oculisleonum,luporum&mufcipularumnociu nulloexccrno lumineprr- fencc,fplendorem illtimeernamus)prxterca verocum Ariftorclc non con- gruic,ide6omninoeftrciicicda(*A*7uu7i#,&; magis pcr- fpicufi. Ncquc cnim conftrido& mococancum oculo,ignis illc cmicac,fcd il vclconniucncibuspalpebris,vcl iifdemincencbris opcrcis oculus confrica- do vchcmcncius agicctu r. g x 4 L^xh J[ dtroptav tvto trifav . tt >8 /un Ifti XttiSu-eii ai&avo/bSjjcv x) bpStra opcS/mtro'r ri^dieiyxn apa aurot tavrv bpatrot of^aXfiov' rl ttvnptuvvri ruro h auu3uvci *> Scd & hoc ipfum altcram fecum afTerc dubicacionem. Nam fi cjuod fpehbi!e eftX-ntientem &videnccm laccre non poceft,ncce(Te vriqucc- rit oculuin femecipfum vidcre:Cur igicur hoc cunefcenri non accidic ? Conanci fenccnciam aliquam euerccre hoc opus mcumbic , vcnon mod6 illam hmpliciter rcfutct, fcd cas eciam, quibusconfirmatur , racioncs diluac acquc rcfellac. Vcrumquc morc fuo hic prxftac Ariftocclcs. Atqui tunc fatis lcntcntiam refcllimus,cum incommodis &dubitationibus perplexis i**7#r- C quc dubitationibus, cam lcatere oftcndimus : quod cx difputatiombus dc a- nima,ab Ariftotclc in priori illius tratcationis libro aduedus Antiquos habi- cis,abundcpcrfpicicur.Inhisicaquc verbis proponicur dubicacio, Placonis &: Empcdoclis opinioncm confequens, qux vt cnodari no poteft, ita falfum elfcdogma,aquoorcumhabct,cxiftimandum eft. Visautcm dubitationis ducitur cx us qux in fccundo dc anima iam declarata fucrunt , Scnfum fcili- licct omnCffl , organo aut mcdio non impedico ,obicdoq; proprio prxfence fcnure.Igncm prxrerca quatenus lumcn obcincc,omniaq; corpora lucida(vt funt aftra , animaliu mulcoru oculi, aliaquc huiuimodi lucc cmittcntia)ocu- L obiccta mdicand cllc. His verd politis, hunc in modum dubitatio propo- nitur: Oculus cft igncus , crgo femec afTiduc in tcncbris vidct. Alfumpnb ab aducrfano fumitur: Confcquutio ex policis valec.nam prxfens obieftum nu- quam oculum &: vifum laccrc dcbcc,obiccum aucc vifus cft ipfc oailus,cum ^ igncus fic , 6c co magis quod in ccncbris nil nili iplc ubi ofFcrrur. Acqui con- fcquutio falla cft,nam quicfcencc oculo&r non agicaco,nihil buiufmodi ccr- nitur. Vnica lgitur cft ifta dubitatio, nonduplex, vt Alexandcr ccnfec, cum pi xfcrrim Ariftocclcs in vcrbis qux modo fequcncur , hsnc non canqua mul cipliccm , lcd canquam hmplicem ioluat. Qux crgo huius rci gratia ab Ale- xandxo affcrunrur,a rcaliena funt, hoc vno cxccpto:Dubicacioncm hanc ni- mirum nonmodo Anciquosifta fcnticntes, fed Peripateticos etiam ipfos vrgcrc polfc . nam vccunquc fulgens illc fplcndor appareac , cur agicaco o- culo non autem quicfccnte fiat,fcmperiure qucri potcft.Prxccrca hec dubi- tacio iplnm ctiam dogma fundicus conucllic, vc paccc : qui igicur cxiftimanc in his vcrbis non dogma , fed dogmacis racioncm impugnari , toto (vt aiunt) cxlo ETSENSILIBVS. 57 A caMocrranc.Dirnculcas aliqua in co cflc vidccun qnomodonimiru Ariftorc- lcs,cx opinionc Anciquorucolligac: neccflario fcqui,oculumfciplum in ce- ncbris affiduc viderc,cum ilh nilhuiurmodi affirmare vidcancuc Scd ccrtc omnia planafunt:fiquidccum Anciqui idcirco oculo agitato fcintillas iilas cmicantcs vidcri aflererec,quonia oculus narura ignca obrincrcc,a quo tan- qiiam a quoda foculo illac cmittcrcntur, vidcdo fuigorem iliu fibi limillimu, lciplu quafi in (peculo vidcrciudicacur&hoc Ariftoc.inferiusinpropriafen tcntia, his vcrbis cxplicabit J i'w'5'7  Rcctc illuda nonnullis animaducrfum eft,dubicacionc iftam ad organu tan- tum vifus,nonad facultace vidcndi(quod Lconicusinnuit)acc6modandam cflc.Nam ncq; inipfa fplcndor apparcr,ncq}fcipfam ccrncrcpoccft,cumfor ma fir in indiuifibili cofiftcns:fcd preccrca hic dc ./tfthccerioru nacura, non dc principio vcl facuicacc ipfa vidcdi,qua:ftio fiat.RccuftimcomniuThomas B annocauic,vimhuiusdubicacionis,nuJlius jprfus momcnciforc, ii Ariftocelis principia fpcttentur.Ccnfcc cnim ipfc fcnlum cfle in pMcftacc ad ipfum fcn iilc,atq;ide6adfenfionc cfticicndamcdioopusefle,qu6d fpecie rci fcnfilis ad lcnfum dcferrc aptu fic:cx quo colligit(vt nos iupra plunbus oftendimus) obicftu, vt fcnlione cfficiat,a lcnfu diftcc oportcre: quandoquidc li fupra (cn fum ponatur(atq; ocuium prajfcrtim)nulla fcnfione producere potcrit.Faci- lc igitur rcfpondcrc potcrant Arttiqui:Oculusno fc videt,quiafcnfilc fupra  fcnium pofitu,fcnfionc non cfTicit. At dubicacio cx fundamecis quc, ieceranc Antiqui nafcitur.Putabant illi idco anima intclljgere omnia,quonia actu o- mnia eflct(vt fuperius declarauimus )&: ita organu fenfuu,quod omnia cor- poralia cognofccrct,atu omniu corporu principia cotincre,quo fane pofito redditur dubitatio incxplicabilis.Neq; hoc cuipia miru videatur>niiniru A- riftotclem aliquandofalfa difputando fupponcrc.hoc cnim illimoris eft, C cum nondum cxpolita rci vcritatc, fcntcntiam ahquam cxaminat, multa fu- mcre x qui a fuis quidc aduerfariis probcntur,ipfa tamcn omnino faifa fint e- xiftimanda.In tcrtiodephyfica aufcultationc,aducrfuscos agcnsquiinrini- tu conftitucbant,fumit,Omne corpus vcl grauecflc vcl lcuc, aiiaq; nonnul- la,qua?tamcn(vtmonct Aucrrocscom.48.ciufdcmlibn)fimplicitcr vcra cilc non poflunt.ln primo ctiam dc anima aducrfus Platonicos difputans vidc- tur conccdcrCjQucmhbct animx motum mcdiis organis ficti Prartcrca vc- ro,Omncm animam eifc incorruptibilcm . Ha:c Grarci mtcrprctcs pnmum; poft hos, Arabcs & Latini animaduertcrunt. I j T e/\' atrnt Tgufgv ttj ^Vsrp/ac ,  'lr. Qsrf Jl'  ^^t/T?c tsrciu 1* xnmaunfyuert fcru&v 'irtcov p tivaf fg opSv rij 1o oodfjSfjov.^th  63(fl tyxuv a/ua. tT vo xjtv tfff^ 7 opoiV XjTo opei/j&fjov.txt/vo>( av&q avrlv ofa 6 6f3-aAfj.of t aavtp 2? or7>T a.vaxXaLan. Scd huius caufis dubicationis,nepc & curvifus ignis elle videarur>hinc funt accipiendxLxuia nanque in tenebris apta nata funt fulgcre^no u- me luccmemittere:Oculi veroparsquae nigra & media vocatur,la:uis apparct.Quodconftat fioculus agitetunnamcjiiod vnum elc , vcluti m duo abire vidctur.Hoc autcm celcntas motus efficit,vt appareat vidcn- ,8 DE ORGANIS SENSVVM, rcm ire vua diuerfum eflfcquare hoc non accidic nifi celcrirer, atque in ^ tenebris fiat .Etcnim lacue in tencbris fulgcrc aptum eft , vt quorundam pifcium capita , 8c fepix atramentum. Tarde autcmmotooculo, non accidit vt videns & res v lt.Umuil vnum & duo efTe apparcant. lllo ve- r6 modo,oculus fcipfum ccrnit,vcluti & m refratione. OftendensAriftotcles,inoculo igncmfllum cmicantcm,nonobcam cao fam ccrni,quod oculus igncus fit, (nequc enim rc iufam potuit non affirma- rc) , fundamenta rationcfquc propou"te > opinionis,tatiscucrtercvidctur,c6- quc magis qudd dubicacione allaca , qux alioquin enodatu difTicillima erat, Sc Pcripatcticos ctiam ipfos vrgcrc pocerar, hac fua cxplicationc nullonc- gociofoluit.Duoigiturhisin vcrbis(rli fallor)docct Ariftot .Primiim,curin oculoluxillaliucfplcndor nottu apparcac . Sccundum ,curiftaocu!o moto non autcm quicfccnteaccidant. lUud ad dogmatis fundamcntum cucrtcn- |$ dum: hocad dubitationcm propofitamediflcrcndafacit.Hanccontextusdi ftributionem fcqui placcc , quia ab ipfo Ariftot. initio fuoru vcrboru propo- nitur.Caufam fiquidcm^c dubitationis& paflionis allacx vellc fc hic docc- rc ligniiicat.De pnmo ita ratiocinado dctcrminat : Omnia corpora lxuia&c bcnc terfa in tencbris fulgere apta funt: pupilla qux mcdium oculi vocacur, cft corpus lxuc & bcnc ccrfum: pupillaigitur in tcnebris cft apta fulgcrc.Ma iorcm propoiitionc experientia probat:capita nanquc pifcium,multaq; alia huiufmodi,noftu luccre confpiciuncur : minorc canquam noca ponic. Iure i- taquc colligic,illiuspaflionis caufam non nacura oculi ignca , fcd illius Ixuo- rcm cxiftimanda cflc. Dc fccundo aic : Idcircoiftam paflionc agicaco oculo, non co quicfccnce fieri,quia cum oculus agicacur,concingic id quod vnu cft, duo quodamodo euadcrc: Acfi dicat,cum oculus agitatur,&a fcipfo,jppri6- quc ficu,quali diuelhcur 5c fcparacur,fic,vc duo diucrfa cllc iudicecur, rcs nc- pe vifa,5c organum videns.videc cnim cunc fcipfum oculus, licct non pcr jp- C pria formam,fcdpcrquendafplcndore, luique limilicudine,& quaii per re- rraftionc.Qupd fi aut cardc moueatur,aut omnino quicfcat, non diliugitur, nequc a proorio ficu rcmoucrur.qu6 fic,vc canqua vnum quidpiam,nimirum organu cancum mancns,(plendore lllum vel fcipfum pcrciperc ntqueac. Vc rum hxc diligcncius conudcranda. (Lxuia nanquc in cencbris apca func ful- gerc,non camcn lucc emicccrc).Lxuc &c afpcru ex fccundo dc orcu 6c inccn- tu lib.conc.S.inccr qualicaces r.utilcs connumcrantur . Lxuc aute illud dici- tur quod fupcrficic obtinuit , cuius partcs xqualiccr & in rcftitudine iaccnt. Afpcrum,cuius vna pars cminct, alia autc inferior cft. Lux hoc in loco & ful- gor liuc fplcndor,non diiferuncnifi quod hic minorc, illa maiore lume figni- ficac.Solcnc camcn hic nomina hunc fcrc in modu mcer fc diftingui: Lux cft D qualicas ipfa a&iua mucas liuc afHcicns vifum, qux quidc cft in corporc luci- do,non jpdu&aabalio aucconferuaca.Qua racionc in Sole lucc ponim 9 ,pcr fc fcilicet,&: a nullo alio illuftrancc produ&a. Lumcn vocamus, candc quali- cace vifum afhciencc,acorporeft***rM,idcft acorporcnon Iucidopcrfc,fcd ab alio illuftraco, participaca . hincaercm dicimus lumcn habcre:&: Anftot. in z.dc anima:Lumcn ^*9*watum cfie tcftatur. Hoc lumcn participacu, fi ca racionc fpcft ecur,qua a corporc pcr fc lucido pcr linea rc&am produci- tur,Radius appcllacur:fin aucem qua rcflcxc,id cft ob repcrcuflioncm , puca fpcculi iIIuftraci,oricur,Splcndorproriricdicicur.2wTvf ,id cft Tcnebrarum nomcn Luminiopponicunqu6fic,vcquemadmodulumen atusficAalbedmccacam dici,quanta cft fupcrflcics cui inhxrct. quarc Ixuor cft qualitas dlius fuperfi- cici,qua fplcndor cx tcpcranria &: natura illius corporis Ixuis fcquicur.Quod aucem addicunColoracalumen rcquircrc,vt cerni poilint: Rcfpondco,colo- rcm cfle quidem obicctum vifus prxcipuu,non camcn adxquaru.Plura cnim videmus,qux propric colorcm non obcincnc : (cuiufmodi func fol,luna,ftcl- Jx,ignis,oculi quorunda pifcium,aliorumq; animalium, mulcaquc ligna pu- trida,randemque omnia corpora valdc ccrfa &C cxpolica,qux rn ccncbris can- ^ tum lucida,mtcrdiu vcro non lucida,fcd proprio colorc coloraca fpcctantur. Vifus icaquc obiectu adxquatum eft ipfum vifile , quod &: colorcm &: lumcii /iuc fplcndorcm complecticur.Colorcs crgo non finc luminc vidcncur , quia cx fcipiis fcnium afTiccrc ncqucunc , niii ancca accu pcr fpe&abilia a luminc rcddancur.Splcndor aucem &: lux func fcmpcc a&u viiilia , niii impcdiancur. (Oculi vcrd pars qu nigra&: media vocarur,lxuisapparcc).OcuIi lubftancia cx quacuor prxcipuis cunicis,cribufquchumoribus conftac.Tunica prior at- quc cxtcrna&mfwTshoccft adnata&adhxrens appcllatunhuiusintcructu oculus quaii ccnccur &: adhxrcfcit.huic ^pximc adhxrct altcra, qux quia cor^- nu iimilis eft, w'^ r vocatur, vniuerlumoculum cingcns,&: pcllucida,vc pcr cam ccrni poiTet. Hac concluditur humor ab aqua au t ab oui candido no mcn habcnSj^WWr a Grxcis, Albugineus ctiam ab Anacomicis appcllacus. hic rn cxceriorc oculi parcc circa pupillam a nacura ficus cft , nc lumcn cxtcr- D num^fs^^^humori fubicooccurrcs(quiquidcm prxcipuum cft vifus 111 ftrumcntum)acicm vifusperftringcrct:prxtcrcavt aficcic.uc libe- raret,in quam aliquando incidcre pocuiiTcc.Hunc cundcm humorc moxTa nica vuxp*^*^'nuncupata,vniuerfumc6prchendit:foramcn quodin partc priorc &: mcdia habct veluti granu vux , &: c quo acics cft, qua ccrnimus pu- pilla vocatur.P*; 1 '^ circucirca proximc fuccingjc cunica araneoru tclx pcr- fimilis *?*;t r *^',colorc nigra.Scquitur humor''***^ vicro fufo iimilis,vicrc- ufquc ldco vocacus . Copiofus is cft&: crailior, inquo ^s^^^f tanquam m ccntro oculi ftabihs&: conftans infiftichic dunilimus cft , &: glacie concrcta auc cryftallu rcferc : figuram globofam quidem habcc , fcd qua pupillam fpe- ctat prcffior cft.ponitur autem non in medio vitrei, fcd parte cius priorc pu- pill.v prorfusobicctus , vt&: commodius aqucum humorc llluftrarcvalerct, &: tucior ab iniuriis excernis rcdderecur.Ex his patet quid Ariftotcles pcr par-: tcmnigram&:mcdiamincelljgac:partcmfcilicct illam cantumqua Aranca $o DE ORGANIS SENSVVM, mcmbrana per pupillam vila continctur,&: qux nigr.i in omnibus rcpcrirur:  non autcm quicquid pr$CtK album in oculo clfc ccrnitunlicer iplius vcrba in pnmo librodchiltoriaanimaliumcap.io.id vidcanturligniricarc. dnduiu (inquit)oculimagnacxpartc limilcinomntluiscft: atquodnigrum dicitur, variar.alus cnim atrum , ahis ccfium, aliis riiluum , aliis caprinum . A rqui in quarto ciufdcm cractationiscap.S.intcrpupillam ,Sc nigram oculipartcm difcrimen pomt: quandoquidcm dcoculis talparu ita loquutus clt:Habent nigrum illud orbiculum,quod in pupilla continctur , atquc albx ctiam por- cionis circunfcrcntiam. Non abs rc auccm iltam parccm cancum Ixucm ap- pcllauit,cumalioquinalixpartci ocuhlxucs cifc vidcancur,&: cunica ipla i.a;/ B fuanacura lxuiflimum,cum ca cunicx fax"**^" parte,qux pcr pupillam ccr- nicur,coniunctum inccIligcre?Vndc non poilim non mirari, lllos qui aifcruc: idco ab Ariftocclc parccm tancum iftam mcdiam Ixuem fuiife vocaca , quia cum nigraiit,ad lumcn reflectcndum,8 fplcndorcm lllum produccndum a- liis oculi parcibus apcioreflc vidcacurquod fane raliu clfc,cx co liquec, quod Ariftoccles docccmcdiam iftam oculi parccm,non quia nigra lit,lcd quia Iq- uiMplcndorcmcmicccrc.Hicmulrxoboriunturdirriculcaces. Primumcnim non vidccur cflc vcrum , mcdiam illam oculiparccm in ccncbrisfplcndcre pofle,cum oculi omncm fuum fplcndprem cxcrinfccus rccipianc , quo ccrcc in ccnebris dcfticuuncur.Prxccrca,ii ob lxuorcm oculus fplcndcc,cur ab ocu locxccrno fplcndorillc auc noctuaur inccrdiu nonpcrcipicurrPoitrcmo, cur quicfccns oculus acquc in cadcm fcmpcr lxuoris racionc mancns, fplendorc C no cernicJ Priori dubicacioni cx iis qux fupra allaca func,facilc cft facisfaccrc. Nam oculus cx fui nacuralumcn habcc,cum Ixuorcm obcinucric: ab cxcrin- lcco auccm lumcn ldco tantum ftcipere dicitur,vt ad acrum coloresreducac quibus aifc&us cft.Sccundxdubitationi rcfpondct Alcxander. Splendorcm nimn um illum ab oculi tumcis rctmcri,vt cxirc ncqucat.Scd minim eft hxc ab illoprotcrri ,cum oculi nuil'cipularum,c6quemagisleonum,nonmod6 totidcnUcd crafliorcs cciam tunicas obtincant: prxtcrca, runicxillxinpri- mis flnc pcliucidx ac crafparenccs:qua dc caufa lucis craniiru impcdirc non pofsint.Diccndumcll igitur:Ade6 cxiguum clfc lumeninoculishominum, vc inccrdiu a maiori ofruicecur.noctu vcro fui ipcciem pcr mcdium multipli- carc,oculumque cxtcrnum ferirc nequcac. In oculis aliorum animaliu mul- cumcft,acproindcnotculaltcmcxtcrnumoculum moucrcpotcft. Scd hic nafcitur noua dubiratio . Nam qui fir vt in oculis mufcipularum no&u , nuU l6queprorfuscxtrinftcolumincprxfcntc,non fcmper fplcndor lllcconfpi- ciacur Hoc fanc ncgari non potcft,cum cxperientia fit mamfcftum. Dicc- D rem igitur,cunc cancum iftorum animalium oculos m ccnebris fulgcnccs co- fpicucum intcntius afpiccre voluerinrcunccnim ric vttunic.roculiqualidi ftcntx(quod aliis ctiam rcbus accidir) Ixuiorcs & lucidiorcs rcddantur.vndo cciam lcnccncix Alcxandri abiurdicas magis perfpici poccft. Tcrcio dubio Anftotcles rcfpondcns, ait, Oculo agitato,id quod vnum eft, in duo quali a- hirc-idcoquc hlcmquodamodofeipfum vidcrc,quod quicfccnrcoculofieri ncquit. Alcxadcr,vt hxcverbareddar clariora,nonnullapnmum &obfcurc quidc ,pfcrt:huc ramcn(ni tallor)iplius fcntctix fumma rcddit : Cum ocu lus commouctur,fic duo,id cft organumvidcndi Sc obicctum vifus.nam agitatus ET SENSILIBVS. &: cx proprio loco motus fplcndorcm cmittit : poftquam vcro ad fuum locu naturaJcm rcdicibi lllum offcndit adhucconftanu m&: inregrum:qucm cer ncs quaii ab alio cftVdum,feipfum lpectarc dicitur . fed cclcritati hxc omnia ct tbucnda funt.Hxc ianc rcfponfio pnctcr alias dimcultatcs quas fecu arfcrt, his(vtquidcm puto)obicctiorubusnon fatisfacit . Docctcnim Ariftoteles lplcndorcm illum non ab agitatione hcri,(cd lxuorem oculi conlequi*agita- ttoncniquc id tantum cfhccrc,vt fplcndor fpccran pollit. Prxtcrca , oculum non alitcr Jplcndorcm lllum vidcrc,quam lciplum vidcns: idcircoquc ait,V- numqunfiduocuadcrc.Hxcanimaduertcns Alexandcr, mulcaquc alia ab- furda,luam intcrprctationcmconfequcntia,alitcr Ariftotclis vcrba cxpbca- rcaggrclfus cit,inhancfcnccnciam: Inagitationcoculi viuim ficriduo, non quodoculusfccundumcandem parccm,fi.u\ ukns&:rcsvifa,fcdfccundum diucrlas.Nam cum corporcam magnitudincm habeat , ac proindc (it diutfi- bilis,dum agitatur,potcft no totus in loco naturali , nequc totus in loco pr.r- tcr naturani iimulcxiftcrc:fcdpcrcontinuam illamconfricationcm,partcm fui in loco naturali habcrc,partem nomfibiqucinuicem partcs fucccdcrc : i- ta vt qux modo abcrat,adlit:& qux adcrat,ablit . Pars igicur illa quxin loco naturali cft,vcl difccdcns vcl rcdicns, percipit fulgorcm parcis qux extra re- pcrttut .Qua rationc oculus qui vnus cft,duo facrus clTe videtur. Vna cnim U- lius pars,ab aliaquaii lcparacur,idcmquc vifumiiueobictum,& vidcns iiue organum vidcndi cfficitur. Hxc Alcxandri explicatio vcrbis conccxtus bencquadrat,&:cxpcricntixconuenic:nam fulgorille non vtquiddam ma- ncns,fcd vt traniicns ccrnicur,omniaquc dcdararc vidctur : hoc vno cxcc p- to:non cnim (atisapparet,qua ratioheoculushocmodo feipfumin rcfratio- nc(vt ait Philofophus in conccxcu)confpiccrc dtci poflit.Prxtcrca, obiiciam, AriitocclijConfricato aliquando oculo , &: celeritcr commoto,ec(i quiefcas, pcraliquod tamcn tcmporis intcruaIlum,fplendorcm illum tibioboculos obuerlari.Poftrcm6,quid dc lis dici potcrit quibus facics pcrcutitut?quiddc iis it^mquiafomnocxulcit.in clcrcpctc oculos.ipcncntcs huutfmodi fulgo- rcmccrnunt>hicnullaprofcct6conimotio,null.ioculidiuilioHt- Nonnulli, vt pnorcm dubitationcm foluant , nou.mi \ crborum Ariftotclis intcrprcta- tioncmitaproponunt: Oculum fcihccc vc fplcndorcmcmiccac, lumcncx- cnnlccum a (pirittbus rccipcrc oporccrc , cum prxlertini lit a prxdominio a- qucus.In commotionc igitur illa nigrum oculi a fpintibus illuminatum,ficri viliuc. facultatis obicccum , ibiquc lcipfum canquam infpcculopcr rcflexio- ncm ccrncrc. Vcrum hxcopinio primum cum AriUocclc pugnat , qui lumi- niscaulum lxuoritnbuit,nonfpintibus: pr.vccrca oculum lciplum vnlcrc, non autcm oculum a facultate viliua ccrnidocet.Tcrti6,nulla commotionc facta,lplcndor iftc inoculo apparct.n.im (i vcl lcuitcr $ turdc oculo digitum fupponas ,illumquc clcucs ,&: moucas loco , ftacim flamma quxdamtotam pupdlam rcprcfcntans tibiobucrfabitur.Q u.n t6,in aliofuni ammalium cx u lis nulla taii fpirituum agitationc mcdia,fulgor appa rct , non igicur a fpiriti- busilluminantur.hos tamcPhilofophus pro cxcmplofumic.Poftrcm6,quod aiunt vix tolcran potcft, Oculu fcUiccchominis aqucumeife,iftonim vcro animalium igncum: cum non modo iidem humores, , fcd copioiiorcs cciam, inoculisbrucommrcpcriancur.Lconiciisrcccius.diciccnim,Qucmadmoclii in fpcculopcr rcperculitoncm&: rcfractioncm imaginis, ipic icipfum ccrncs oculus,duoqua(icuadit, ( imagonimirum quxccrnic,&: ida quo imagmis rcprc/cntatio fit, idcft oculus ipfc ): ica in hacconfi lcitionc, oculus quafi m duo abit,&: lpfc icipfum cernerc vidccur. AddicThomas:Ec qucmadmodum t. ui. 61 DE ORGANIS SENSVV M, infpeculoabcxtcnori rcditfpecrcs oculi adoculumpcrrcflcxionismodum: ^ ua In hac,fulgor oculi , quali ad oculum ipfum rcdirc dicitur . Parscnim illa qui extra propnom fttum cft,licct nonvideat,alliduc tamen fulgorem cmit- iit.Ad aliudporrodubiumdicilortairc pollit, Non ftatim poft confncatio- nem,oculum , fecundum fc totum , ad fuurn naturalcm locum redirc , atquc ob hanc caufam tandiu fplendorcm lllu conipici ,quandiu fucccffio illa par- tium commotarum atquc agitatarum pcrdurct. Ad alia cquidcm rcipondc- rcm,Hanc pailioncm a fupcriori diucrfam ciTc , ncque cmm in hac Iplcndor orbiculatus&: continuus , vt in illa , fcd numcrus infinitus corpuiculorum c- micantium ccrnitur.Idautcma multoconcurlu lpintuum fubitoerumpcn- tium fa&um ellc crcdidcrim,noob aliquam oculi agitationcm.Multa autcm illa fpirituum fubitaque Sc confcrta crupuo , vel quia ftatim a pcrcuflionc producitur,vcl quiapaulatim in fomno palpcbris adopertis gcncratur, crrici poteft.Spintus autcmipfos vifui fcruicntcs punirunos cilc ac lucis naturam * retinere,exeuntcfqucab ocuh fplcndorc illuminan poifc fatis conftat . Hxc Alcxandcr m pridri partic.probl . 60, & in quartn^probl.y^.Prartcrca vcro A- uiccnna rn tcrtio libro dcanimacarf.? .dicercforfan voluit. Scd hictollcn- daeft rcpugnantia quse cx trigelima partic.probl.19.orin vidctur.Ibi cnim di fcrte Ariftotelcs fatctur,quod hic cx propofito aducrf vctcrcs philotophos ncgat.Nam quxrcns cur marius dextra a tiniftra,&: pcs dextcr a iiniftro diffc- rat(quatcnus fcilicct vnum horum mcmbrorum,cft altcro tortius &: mobi- lius)oculusaboculo non item: rcfpondctid accidcrc , quia elementa qua: pura funt , fcoriim iiimpta a fcipiis diffcrrc non vidcntur, cum difcrimcn cx varia tantum illorum pcrmixtione atquc habitudinc fumi vidcatur . Atqui ^ manus &: pcdcs cx clcmcntis compofitz partcs funt , vifus Sc auditus cx pu- nsatqucimpcrmixtis elcmcntisconftant,illc nimirum ex ignc,hiccxaere. Adhoc quicquidaln dicant,ftatuendum clTcputo , Authoritatcs cx problc- matibus fumptas,aut omncs probabilcs cilc,aut plarrafque non multum vc- ras &: neccflarias. In illis cnim fcrmonibus Ariftotcles fe communi homtnu loqucndi rationi modoquc accommodat, velmagninominis cuiufdam ho- minis opmioni.Hoc vcl cx co deprchcndi poteft, quod pauca in lllis cxtant, cmx cum alns ab Ariftotclc alibi cx propria fcntcntia dcclaratis pugnarcno vidcanrur. Contincntur ifta tiib llla philofophia,a qua Anftotclcs cxtranca- rum rationum;id cft cx\ ulgiopinionevclaliorum fiindamcntis fumptarum) appellationem duxtt.Id contextusquadragefimusicptimusquarti hbriphy. &:ccntefimus Aucrroiscommcntanus prioris libridecarlo nosabundcdo- cct. Quarc niJiil ifta luuc loco in quo dc rebus fcrioagirur, rcpugnarc cenfcndum cft. ( Vcluti&: in rcfractionc). Rc&c hicanimaducrfum cft,rc- D rlcxioncm liuc xanquamac6trariis cxtinguctur. Eftauccm flam- ma(vtidcm in quarto meceorologico conc.47.de corporibus vihbilibus 1 gcnsjnil aliud , quam ipfc ignis , iiuc fpiritus &: rumus ardcns. Quarrunt hic nonnulli:an caliditas fcmpcra contrario corrumpatur, cum alioquin in pu- B trcdincab codcm calorc cxtinguiyidcatuniedccrte nimis practcrrcm , cum Ariftotclem de calido ignco 6c flammeo loqui conftct: pra:tcrea,cuftincho :1- la cocics a Galcno in priori partic. aph. repctica omnibus nota lit : Calorcm fcilicec duo fignificare, qualitatem ipiam clcmcnti(crimur, in vifuxolligicur ergo lumen il- ludegrcdicns flammeumigneumque dici non porTe : vndeimpropne mce- ncbris cxtingui dicitunidcoque mancc vcrum quod obiicitur Platoni, nimi- rumii viiio emuTionc iftorum radiorum fiat, in ccncbris quoque nos fpc- dtaturos. ,y h % fxtn $ozX%(  toau tofxlfym > ort uSft ciC ^* t^a> J^aSfSoTur taor raratJrtpor  r, Sa.fx diflcrunt aniouentqjj Lumen autem extra emanans quo prorra&ius eft, I  mms emicac ad folum indomitis radiis: Sic etiam cmicat qua? aercm &: obie&fi il- luftrando,vifionem in animali producitHis in vcrbis vnaEmpcdochs opimo pcrfpicinir,'nimiru vifioncm ficri radioru croiflione. Altcra nimiru defluxus illos ab obicclis ad vifum proficifci, non cxplicacur:&: quide idc6 forfan,quia, non omnia Empcdoclis icripca ad illiusmanus pcrucncrint, fed llluda Pkl- tonc tantum rclatum acccpuTec. Hiccnim ( vt Alexandcr ctiam monct ) in DialogoquiMcnondicirur,&:ijiThcatcto,definicns colorein o: Empcdo- clis fcntcntia, nilaliudcfle declararquam defluxum qucndam qui a rcbu corporcis obic&is aipe&i adoculos perucniat.(*Tfvt'w )id eftApW, indomitis. Qupd verbum dici poteft de cquis &:aliisanimalibusfcroci- q bus qui nulla vi retineri poflimt.EmpcdocIcs igitur qui Philofophia pocticc, (vt& multialii)c6fcripfit,hacmctaphoravimignisinlatcrnaincluli dcfcri- oit:qui licct cornu circundctur,foras tamcn lume ac radios emittcndo, quali excraprolilircobcorum cxilitatem&Jibcre quali cxcurrcrc vidctur. Tho- mastraruTcrt(Domitis)ideftattcnuat!s pcr latcrnxvclum . ncquc enim ita pcrfpicue&clarcaerilluftraturalumincillo ita domito&: refra&o,vr abi- gne non fepto ncquc vclaminc obtefto. Etaddit,hocvocabulo Empcdo- clcm fignificare cur in tcncbris vilio non fiat, quia nimirum rraniicns pcr la- ccrnc; cornu dcbilitatur.Hcx vcro interpretatiolicct rn fefe no ltc talla,aGra:- co tamcn vocabulo prorfus cxcurrit. Quodaucemadiugitomnino cft**- /mnr. Vitu cnim in tenebris fieri no idconcgabat Empcdoclcs,quia lumc c x- cundo infirmarctur:(cadem enim ratio intcrdiu(quoquc valerct)fcd quialu- me in tencbris cxtinguerctur , vel(vt ferio loquamur.) quia in tcncbris lumi- nis cxtcrniauxiliodcftituerctur( *y&yntwf) Antiquum ignc,id cft( vt Plato in D Timeo intcrprctatur qui primigcnia oculi formatione coftitut 9 fuit,^ j^t^>S).Sunt qui lcgatSf,quonia fcilicct lumcn,non ignis cxilit: icd illi ia- nc inter mctaphoras&: tropos fcrmonis proprictate qua:runt. Conftat cnim Empcdoclem defcribcrc igncm laterna tanquam propugnaculis circum- fcflim cocrcitu , cuius dcinde radios indomitos vocat , qui a nulla vi retinc ri poflint quin excra proiihancVt igitur mctaphorx vis mancat, antiqua lc&io rctinendacft,qua:ctiam Alcxandro aliifquc interpretibus probari videtur. Ex hisEmpcdoclis verbis illud colligendum cft:Oculum quidcm igneum el- fc vctcrcs illos arHrmafle,quo ad illius ccntrurmcircunfcrcntia tamen pupil- lx,aquam contincrc.Thomas diccre vidctur,idco vetcrcs affirmaflc in pcu 1 i circuferentia,aquam fuuTc pofltam vt quali ignis nutritioni,&:tcpcracioni in tf3 DE ORGAKIS S E N S V V M, fcruirc poflct.( Aliquando igitur fic vilionem fieri ait).Iubct Ariuot. in tcrtio  Rhctor.ne nimis longum intcruallura , intcr coniunttiones fibi rc- ponden- tes in oratione ponaraus, vt mcmoriacaudicntium vel lcgcntium tofulamus. Eft autcm hoc in loco prior coniunctio illa , Empcdoclcs aute vk ttur cxifti- marc aliquando quidem. Poftcrior iibi rclpondcns cll : Aliquitndo etiam per dcfluxus. Nimis igitur multa mtcr illas inferta vidcbantur. f^iurc Phi- lofophus,huicincommodo mcdctur,cumpartcm contcxtus fupra pofitam rcpetit,in qua prior coiun&io continebatur, & mox aliam ftatim &bU cfpon- dcntcm rcddit. Htt/nox.ctTQ' ^orijuttr vtyci XtfAac ' ortita (ni fallor)ratiocinatun Vifio fit in facultatc videndi,arExa tamc organo,qua- lis cft oculus:ifta pailio, non fit in facultatc vidcdi:crgo non cft viiio. Aflum- ptionota cft ex iis qujc tradita funt in fecudo dc anima, nimirum vifum eflc, opera- ETSENSILIBVS. 6 9 A operationcm facultacisvidendi,perfpccici lnorganofufceorionem.mino- rcm in contcxtu probat,quia lfta paflio qua? vocacur,r.fractio rancum quzdamcftjquaripfioculolxuorcmhabcntj accidit. Polltr quidcm po- ftcrior harc argumcntatio ad priorcm rcuocari: fcd v t cmnia cHucidiora red dcrcnrur,nos Alcxandrum fcquuti ita diftin&e conccxtum cxrJicarc malui- mus. Iri ncnnullis autem ab aliorum intcrprctationibus recedjnus : quod cur faciamus,fuolocorcddendaratiocrit. ( Dcmocrirus aucer ) . Non modo Dcmocncus, vtannotat Akxandcr, fcd ante ipfum Lcuctppus,ac poft ipfum Achenicnfis Epicurus ,huiusfenccncix fucrunc: quodfcnfuura principia ,clTcnc illa^**&: fimulacia,quacafenfilibus rcbus cfiucncia, formamquc&T colorcs obicccorum confcruancia , incurrcrcnc minftru- mcnca fenfuum, quar idcm animac indicancia , fenfioncm cfficcrenr.Ucque fcnlioncm folum,fcd cogicaciones cciam &c lntclle&ioncs , ex huiufccmodi B idolorum occurfu abcxcernis rcbuscmanancium ficri volucrunc. (Hjcc- nim accidic quia oculus eft laruis). Ex his porro vcrbis &C iis qua: in ftnc con- ccxcus apponuncur,prior argumcncacio fumpta eft. (Et cft non in illo,ftd in vidcntc ) . Hax vcrba cx quibusnos fccundam argumentationem duxi. mus,non eodcm modo ab omnibus cxplicantur. Alcxandcr hunc in mo dum intcrprctatur : Scnfus ccrncndi non confiftit in illo , id cft in imagme, ncc proptcrimagincm fit:fcdinvidcncc,idcft mcoqui facultacemcerncn diobtinuit. Vcrafunt iftaomnia: fcdoporcuic,fericm vcrborum&argu- mcncationum Ariftotclicorumformam refpiccrc : qux fanc omiiia,iftain- ccrpretatio confundit,vt paccc acucx incucnci vcrba Ula ( ) . Dicamu* crgo illud i ad proxima refcrri debcrc, id eft ad "8* hh* . Nequc enim i n oculo qua laru is cft,vifio fic : fcd in oculo, qua pracdicus cft faculcacc videndi : >>*'" autem llla eft paflio quardam corporca , fiue rcfractio, oculo C concingens,quacenuslauoremobcincc,non ccrncndi faculcacem: idcofta- tim additur *'****'" w , rim$Q>. RectcannocauitThomas , Democncum non habuifTc pro abfurdo vifionem cflc paflionem omnino corporcammam animam ipfamquid corporcumefFcccnftbat: quo ctiam fa&um cft(tcftc AIcxandro&:Simplicio)vtomncmnoftram cognitionem, lpfamqucadco dcorum notioncm, diuinandi artcm , fomniorumquc inccrprecacionem ad huiufccmodi cxccrnorum idolorum lmaginumquc incurfioncm pulfacio- ncmquc rcuocarec. Oftendic prarterca Thomas quomodo Dcmocritio- pinio,cum Peripatcticis congrucrc , & ab iif dcm diflcncirc videacur . Vifio, mqui t,cft a&us animac fencicncis pcr organum corporcum: habcr igitur ali- quam fui caufam in corporca ifta paflionc quse >** vocatur . Caufa vcro c ft prima illa idoli fiuc formnc rci vifibilis in oculum pcrcufllo . A t corporca n ipfa paifio non cft vilio,ncquc rcflcxio confequcns illam percuflioncm quic quam vifioni conferc,cum oculus rcm videac pcr fpecicm illius, non camcn imagincm fcnciac,quam in fc rci vifibilis concincc. Ex his facilc noilc poflfu-. mus,quancamafrinicaccm fcnccncia Dcmocriti,cum poftrema Empcdo- clis& Pcripacccicahabcar.ac proindc quam abfurdc fcnfcric Placo,qui vi iionemcniiffionefieriaducrfus Vccercs omnes,ipfamquc adcovcricatem exiftimauerit.qua dc rc infra pluribus. (Sed omninodeimaginibus&J rc fraciione). Rcprehenditur non excufatur Dcmocritus . Nam(teftc c- tiam Platone in Alcibiadc priori) Furiofum cft ea doccre,quz nefcias : & in Hippia minorcjDoccntcs qui non fponcc crranc, pciorcs func illis qui fpon- tc mcntiuncur. Quantum vct 6 zdiwrv*ifnc naturam actincc: 7o DEORGANIS SENSVVM, lciendum ctt.,*!"**"*'** ** di^erretcftc Philopono qulatt pcr *'l f ,aquocum tranlmitci non po(lic,rccr6 fcrtur,ac quaii m pilar morcm ad parictcra proicctae rciilic : quo modo imago ad par- tcmoppoiicam rcdirc videcur. Exquibus perfpicuum cft,corporaomnu, qux* luuufmodi fpcctabilcs imagincs rctinere dcbcanr,Uuia &: ccrfa eife oporrcrc . Preterea , nc immutatio illa progrcdiatur & euagctur , intcr- cedere quod circumfcribcndi ac cerminandi habeac faculcaccm . Et hctc cft caula cur fpccuhs cryftallinis cx alcera parce opacum quid, & dcnlum ,vt plumbum,obducacur. Hoc codc m prorfus modo ima- go illa , de qua diximus , in oculo producitur ; in co cnira cft lauior: prarcc- ETSENSILIBVS. -i A prxterca vcro opacum in profundo,a quo circumfcnbatur. Vcrum enimvc-: vo cum Ariitotclesdicat,oculum,quatcnus j.cius clt ,huiu(modi pallioncm rcopcrc, quarrerc pollct aliquis,Num corporu la?uigatorum propnum hoc iir,an& aliis nonlaruigatis communc. Videtur cnimfic illis pollc congrucre: 'louidcm c tcrra quantumuis afpera,radij folisreflc&uncur,icemquccxaliis corporibus nonLcuibus neq; c6planacis.Refpondeo,rcflcxionem lllam qu.e ad vidcndum facis iic,& dc qua hic fcrmo clc, nonnifi l.vuibus corporibus co ucnirc:quia nimirum ab afpcris,vel radii omncs (vt ait Aucrrocsl non limul reflcctuncur,fedaltcrnatim tantum,vcl(vc Grarci)licetlimul tepore omncs rcflcccancur,non cameninidemcoirc poflunriquofic vt dcbiliorcs rcddan- tur,quam vcad rcm fpcctabilcm perduci, camquc vidcdam prarberc qucat. Idcoin tcrra ,quanuis radios rcflecrat, nnagofolis minimc ccinicur, dilgrc- gatos cnim rcflcccit &: non vc aqua,acr,aliaquc corpora lxuia,vt fcrrum,cha B lybs,cryftallum,in vnum cocuntes. TopSft oxw rlw 0^0 ff ra/ vfafcqp XnB^ fj&fj'. tt /ufy/ 7 trvftfiairtt ofar tj vup t aXX % % ifo ^ {? itra&ffl  Tovfa Th" trdfjutrot: dppyujg&v o oySoXftoc. %ir . oeJo^ftc ydp **$ @i\rnt 3P or dpxv fvtfy S/ b*MA*f&', av/btipvtefy r( oftenditur,quia fi idcmmoucri poffct localicer, codem tcmporc,pcr nuiorem&minorem diftantiam , acl excrcmum finc mcdio pcruenirecur,nequcmocus localis fucccffiuc ficrct,vt Ariftotclcs in libns dc phviica aufcultationenon fcmcl dcclarauit . Ad haec acccdic : f i duo c regionc pofiti fc inuiccm fpccicnt , aut ncucrum alccrum vifurum , li coni fc inuiccm frangant atque diiiungant , auc vnum cahcum alccrum confpccturum , li nimirum vnius cancum conus loco ftcceric aliumquc ccdcrc ET SENSILIBVS. 77 A ccdcrc cocgcric. Poftrcmo, ii quod cxir tcnuiiTimum corpus fit , certc auc acr aut lgniscrit, cum lfta inccr corporca clcmcnca , lint ccnuiora vt cx fccundo deortu&inrcnru libro,vbide tranimurationc muctia clcmeco- rum,&T ex primo mcceorologico conftar , vbi dc corundem proporrioJMi . gitur. ScdncucrumcilepotdV: quoditaoftcnditur : quia, cum natura nihil fruftra fnci.u.ii calc corpusciTctacr,rruftra cflet , acr cnim vbujuc antcocu- loscopiofcobuerfacurzQuprfumcrgonouumcx oculo prodeuntcm pone- rc oportcrct, lurc quidcra rack) cx Ariftotel. defumpta cft, in primo phyfics auiculationis cont. 56. qua probac cnum principiorum luripuw. Ec ccrtc , (i nacuranUiilfupcrfluumagit,(vtibidcm annorauit Aucrrocs) id vidcndum auccm corpusacrcumrcquiracur,quicircumrtat ablq; cxeuntefurficcrcpo- tcnc. Igncm ctiam ciTc poncrc haudquaquam hccr.cu m cium ignis , corpus lcuilfuiuim fic,fuaptcq;naturafcm'pcrfurfum petcns,fupenoraqtudemccr g ncrcpoilcmus,xqualiaatqucinfima,nunquam. Irnisprxtc i ]uaex- tinguitur,fub aquamigiturpoutacorporahaudvideripotcrunt. Scl quor fum hxc plunbus,cum a pupiUa,quzaquca eft, ignem cxirc nullus vnquam oftcndcc:Tandcmquc arquc noctciine lumine exccrno ac inrerdiu cernere- tur,fi prajfcrtim plurcs in codcm loco cifefic . nam a multo 1II0 ignc,ex tot o- cuhs cxcuntc,acrcircunftansilluftrarccur. Quidenim acraflitic forlan actis impccuctur,cum ab aquaqux cniflior &den(lor cft,nullomodo impedm pofliti Scd addamus ctiam ahquid, quo Pcrfpecbuorum ita fcnticntium , a> liud quoquc crratum dcprchcndatur. Corpora fcre omnia cx fui narura hoc habcnt , vt cum ab alns proficifcantur, non m Jatum & amplum definanr ac tcrmincntur,fed in anguftum rediganrur. Aquaenim quo magis fluit, edan- guftiorredditur. Flammaetiamquanco magwatcolicur,in ranto acutiorem figuram terminacur: atqui ifti radios lllos fuos alircr fe habcrearTirmanr, bafim nanquc ipforum rcm vifam attingcre , conum vcro in oculo eiTe C docent. Hxc Alcxander : qux hcct Lconicus Platonis paulo ftudioiior , Perfpc- ctiuorum fcnccnciam nulla inrclabefactareoftendat , multaquc alia in Pla- tonisctiam grariam arTcrac: noscamen infra difputatione aduerius I-laco- ncm pccuhari.harc omniaaliaquc ab Ariftotclc& Philopono in fccundo de annnapropofitamultum valcrc dcmonftrabimus. (Etenim fatius cflit.Rc- fpuit Platonisopinioncm, nonmodoex coquodlumen internum cxtcrno coniungi in viiionc diccret: fed quod etiam coniunctionem iliam extra ocu- Jum in dctcrminato quodam fpatio flcri aflercrec Inde auccm cxorditur , o- ftcndcns rcdius Platoncm diccre pocuilTc , coalitioncmillam in organo i- pfo vidcndi ficri:quod tamen non probat. Alexander vero tnbus ld rarioni- bus aftruit,quas paucis hisvcrbis complectimur.Si coalitio interius fiacnul- laaderitncccflitasahquidcmittcndi,nullum fpacium mcdiumadvidcdum ^ dciidcrabitur,tantumdcmquc&:mult6ctiapluslumcncxtcrnum interno confcrcr,cum & firmius &C conftantius^prc; terca etiam tutius vcftigia rcrum ccrncndarum illi quafiper manuscradcrc poterit. Sedaccedat hxc noftra c>Ai, Coniunttioncmiftamluminum ,extra oculum fieri , vcl dcftctu lu- minisintrinfccivclcxtnnfcci, Nonluminisintrinfcci,quia ille quo magis progreditur,c6magisdcbilitatnr:Infui igitur principioarftius&Tcomodius cumcxtcrno,quaminfinc&: quaii in morte coniungcretur , non ratione luminis extcrni, quia ld vfque ad oculum peruenire aptum eft. Quandoqu i- dcmii habCTiaculcatcma vim habcre quod ab Ariftotcle dc membrana intcriecta coa- licioncroqucimpedicnccproponicur. Dicchdumeritigitur reprchedi qui- dcm coalicioncm iftam luminum , fcd ob eam caufam , quia fi Placonis fcn- tcnciam fpccicmus,vcram mixcioncm in iftaluminum coniundlionc dcfidc- C ran perfpicicmus.Sccus cnim,quoroodoluminis cxccrni visica inalcerum tranficvcillircrum obicctarumvcftigia,adfacultatero vfque videndi quar intraoculumeft, dcferendarum coromunicarc poflit? vtlumen intcrnum cxicns,externo mcdio ad rcm vfquc vifam perducatur? nili,inquam,ita inui- ccm illa lumina altcrcntur,atque pcrmifceantur, vt ex cis vna mcdia forma oriaturiHxcautcmvcramixtiocft, Aucrroc tcfteprioridc orcu&inccriru librocom.8racioneproprii coloris vcl albi , vel fufci, vcl fubei(vt quidam male fcntiunc)fed(qucmadmodum aicAriftoteles)cum nullum colorcmobtincricpcculiarem,nonquatcnusccloraca,fcdqviatcnu$ tantumfplcndcns,conlpKitur:parsvcro,vt ignis&raftra,etiam interdiu,non tamcn quatcnus coloraca(nifi impropric cum l.atinis loqui rclimus ) fed fci- pfa(vc aiunc)fub afpcdtum cadit.Golor ergocft prsecipuum vifus obiecrum, quiaad illum pratcipucafficicndumapms eft, non tamcn finelumine'. Qvc- circa , Cblor Jn tcnebris , non a&u fcd poteftate fpectabilis appcllatunquan- _ dofinemcdioilluftratoadoculum multipHcarincqucat: multiplioattlr au- tcm afficicndo mcdium actu^!^k:qu6fitvtiuredixcrit Ariftotclcs +*tlt catcnus cflc fpc&abilc, quatcnus extranco colorc imbuitur. Acquid aliudeftactUc|^t9nf,quamc^nf reddicui : Acr vcro,quialumcnfinc ahquocorporcJfc?uccuus cft a&us , nunquam rcperictunatqui actus , ab eo cuius cft actus feparari n c- quic. Ex quo rccte aic Alcxander , tam lumen quam actcm ad viiioncm cf- q ftcicndamdcuderari:illudquidcm,vtmedium difponcns: hunc autcm , vc coloresdefcrcntcm.MericoautcmPhilolbphus acrismentionemfacicquo- niam vt plurimum per ipfum, rard pcr aquam aut alia &**r? corpora ccrne- rc contingit. Docct igicur Ariftotcles, quoduis horum mcdium dicas,fat cf fc,Motum qui ab illo fit, vifioncm ipfam crficcrc.a b illo,inquam , pnmum a rc lpcctabili arlecto, mox fpeciem fiue vcftigium illius ad nos dcfcrecc.Hinc plana iam pcrfpicuaquc Ariftocelis fcntcncia dc modo vidcndi clidcur , vi- iionem ncmpe ficn,nonquiaaliquid emitcarur,fedquiadelaca fpeciesob- iccti a medio in oculu fufcipiacur. (*$ 7 * ). Quidam ,ab illo, quida pcr illum: vcracmc inccrprecacio quadrac. In vifione cnim duplcx mocio fpcccacur: vna, qux amcdioinoculumfinaltera^quxabobiccto inmedium. Priorcm dcfi- gnac Ariftocclcsfccundodeanimaconc.74.cumaduerfus Dcmocritum di- fputans,vifioncm (inc medio fieri non poncoftendic. Ait enim,vifioncm fie- ri, videndi vtftheccrio patiente,ipfum verono a coloribus qui fpcctacur,fed D amcdiopati.Pofteriorcmdcfcribicin codemlibro,cumcolorcm Jfy**ncx fc mouerc aiferic,J&f*wquc coloris f7*AW?/*i id cft fufccptiuum vocat. Illc nanque agichoc paricur,7V.iMK camen,id eft, vc ica dicam, pcrfcctiuc: auin Sc calor  Jfy**** perfectio appcllatur. Ne quis autc putct, fpcciei in mcdiu ob- icctx mocum localicer ficri : (quo modo Democric 9 6c Empcdoclcs defluxus illos ab obicctis ad oculu proficifci cxiftimabanc ) fcd ccrce eaccnus moucri obicdtu m admedium ccfcndum eft, quatcnus color, qui efle fuum naturale in coloratohabccfui veftigium in medium(Eue incentionalefic diminucum aln vocant)producit,quo mcdio oculus faculcacc vidcndi prc.dicus,colorem in coloraco intuccur. Idcoquc Aucrrocs aic,Oculum primo incus rcmvi- fione ET SENSILIBVS. 81 ^ fionefpiricuali,moxilIamcxcrinfccusccrncrc.ad oculos ccndcnccs,cauos &: pcrforacos produxcric. I- mo doccc Galcnus(quod fupra cciam monuimus) Placonem h.u fola racione vifum igncumappellaflc,quiafpiritusifti , Ctttn plunmi&: tcnuirlimi iint,na- turam lucis obtincanc , ac promdc ad dclationcm coloru qui pai ricipationc lumims/iuntjaptiiint.Huncigimrfpintumcftundipcr acrcm ab oculodo- cct,fccumq; vim vidcndi affcrcntcm , aeri lummofo comixtum vjiionem jp- duccrc.AIibi umcn alitcr fcntcntiam Platonis cxplicarc vifiis c(t ? quadc rc (ne coc incerfercndo oracioni filus abrurnpacur)infra agcmus. Nuc ad Arifto- cclcm cranfco. Qui cum fcnfus omncs in quodam paci coniiftcrc iudicauc- ric,&c vifionem paflioncm quandam,non ationcm efle,vc Plato cenfuic:Plo- cinus &: Iamblichus, pluribus racionibus confirmarunc , vilioncm in videncc non autcm cxcra ipium cflc dcccrminanc . Mulciplicacam (iquidcin fpiricua- liccr ab obicctofpc&abili formamfpcciemquc,acrc mcdio illuftraco &: quaii illa fpccic picto,ad eam vfque partcm oculi dcfcrri,qua viiio maxiinc ac prin cipaliter pcrficitur.Hxc vcr6 pars humor ipfc cryftauanus cffcnam in hoc co- gruic AriftoCel,cs,(vccxfccundqdcparcibus animalium cap. priori manife ftum cft ) cum Galcno in libro dc oculis &: ahbi,&: Auicena ccrria Fen. can.3 . In omni tcihccc organica partc, vna fcmpcr prxcipuam &: principaic adcfle, qux quaiiillius principij &: faculcacis fcdcs iic : rcbqux vcro partcs canquam illius latcllitcs &: adminiftrx, Exhis colligitur , vifioncm cx fcntcntia A - riftotelis,non pcr cmiflbcium aliquod , fcd pcr vcftigiorum rei obicctx lpiri- cualcm rcccpcioncm in oculo cffici. Aduerfus Ariftocclcm qux Placonici at- tulcrunt hxc fcrc funt: Si vilio pcr reccpcioncm ficrcc, ipccitrum fpeccabjliu inoculotcernercccrcc pollcmus ncuciquam conueriis ad rcm viiam oculis: ac cum nonnili oculos ad rcm ipfam intcndendo cernamus, cxtranonmcus viuonem cffici conftac , Prior confcquucio noca cft.Receptio cnim fufficc- recabiqucoculorumconucriionc. Sccunda,nullaprobationccgcrcvidx> , tur.Praetcrca,nil opus eflet vt continua rcccptio ad ccrncndum ficrct : quoi - fum cnim,ii forma rci iareccpta fucric ? Na a maccria(cu prxfcnim v:iio paf- fio iic)conieruari dcbec r Tcrti6 diftantia difccrnic , ergo rem longe a fc poiit a hii. 84 D E ORGANIS SENSVVM, confpicir, non icaqucincus fpcciesrccipit :valccconfcquucio, quiafiintus ^ rccipitur,non diftat ab oculo,non crgo potcric is dc diftancia iudicium fcrrc. Quarc6,qua rationc rcs m fuo E fle cogHofccrct oculus, cum quantitatcm in ccgram monns,aut iplius czli recipcrc nequcat ? Ncquccnim eit quod obn- ciatiu ,nos non rccipcrc rcs ipfas , fcd rcrum imagincsmam alia crunt quar in rc l'unt,alia quac nobis apparcnc. Quinc6,qu6 magis fpcttabilc proximius cf- fccco acutius &: rcchiis cerncrctur.quodcxpcricntiar repugnar,&Ariftocclis fententie^qui ait icnlilc politum fupra(cnfum,icnfioncm non cfrtccrc.Scxto, contrarix fpccics limul Sc fcmel in codcm fufcipcrcntur. Quandoquidc ocu- lus limul duo obiccta contraria confpicic,aibum puca &nigrum.confcquucio vcro quam iir abfurda,in hac quidc Pcripacecicorum racionc , doccc Ariftoc. infintcis in locis,vt in 4.mctaphy.cont.5>.& dccimo ciufdem cra&at. cont .13. Sanc contradiccntia vcra fimul cflcnt , vndc alicubi Aucrrocs & Anftoc . di- xcnmt(vtin4.mctaphy cont.9.&: m lcpcimociufdcmdo&rina:cont.i7.)Nul ' lum intcllcctum poifc intclligcrc contreria fimul in codcm cflc . Scptim6,o- culus ccrncndo valdc dcbilitacur,aliquid crgo ab ipfo vidcndo dticcdit.Octa uo,quomodofigura,iicus&: locus rci cernipoccricvelucifchabcr, cum pyra- rois ipia lcmpcr verius oculum,qui paruus cft,in anguftiorcs cerminos rediga curf Acccdunc ad racioncs Cxpcrienciac mulcar.Prima cfc,Muliercm mcnftruis laborante fpcculum inficcrc,vt docct Ariftoc.in libcllo dc Somniis.Batilifcu cn.im vifu hcimincm inccrflccrc narrant.Quid,qu6d aliqui cum obie&u lon- gius diitans acutius incucri cupiunt,oculos reftringut,&: quafi cxprimunt, vt ncpcex illis aliquid in maiori quam folcteopia,adrcm obiectam pcrcipieda proficifeatu r?Itcm,rcs a longinqua psirtc vifq minores vidcncur,8c quemulcu feiunctx funt,tanquam conncxa? apparent.Error hicccrtenon fcqucrctur, fi fpccics rctutn intus lukiperctur. ltein,dilatatapupillamagisvidcrctur,cum C m.iior rccc pnoficripoflcr.quod tamcn falfumeft,quiapeiorvifiorcddicur,vc mcdici&: ipfa cxpcnentia docenc.Po ltrem6,nullaaffcrri ratiocomode pocc- nt,cur qui lam homincs prope tantunn ,quidam longc* noh prope,quida tam longcquatn propc ccrn.int:acquc nani}ueomnesrcrufpecies confpiccrc dc- bcrcnr,li intus ab omnibus arquc fufcipercnrur. Addic Lynconienfls in libcl- lodc optic.i, Fclcm noctu mures capct c , lupum viderc fera, cancs itcm, pif- ccfqucnon nullos:quod fierinonpoilcc,eotempore omninimtru luccdefti- tutomifiab huiufmodi animaliumocufjs aliquid(quodRadium vifualcOpti- corum morcvocac)egredcrecur.Ex altcra partcPcripacccici,multas aduerfus Plaronicos raciones affcrunt,mulcaque incommoda illoru opinioncm fequi caufancur.Eccnim omiflis iis rationibus quas ha&enus ex Alcxandro, & Ari- ftot.in conccxcus explicatione attulunus,alix non minus firmar & knJ^nxrnuu (cx Philoponoi.de animacomm.cT9.atquecx codcm Alexandrovariisinlo- D cis , prarfcrtim vero ad finem com.y.in hunc lihcllum,&: in mediootaui,pro- pofita?,&: cx Aucrroecnp.7.huius cractationis)afrerri poflunt.Nos vcr6 brcui- tatisgratiaabillarum enumcrarione fupcrfedere arquu nunc efle duximus, cum prarfcrrim ab ipiis illis interprecibus comodius peci poflint.Tancu non- nullacxiis proponamquar Galcnicciam fencencia abfurdam efle dcclarare poccruncrfcd primum omnium dicam,hanc Philofophi opinioncm,eacxpc- ricntia probari poflc,quod fi quis folem auc aliud obicchrmdiuciusactcnciuf- qucincucacur,oculumqucdcindcclaudac,obicctum illud pcr aliquodtepo- ris interuallum contincnrer afpiciecacqui hoc ficri ncquiret,nifi fpecies ipfa rei fpc&abilis tntus rcccpta fuiflec,velhoc phancafiae, vc Philoponus in le- cundo de anima conc. 1 38 . vcl organo,vc Ariftocclcs,cribuas.Quid,qu6d fcn- lilibus ETSENSILIBVS. 85 ^ (ilibus abcuntibus a noftris fcnfibus poft longum cciam tempus rcmjncnc illorum idola&: mcmorix: quorics cnim libucrit , formarcpotcro imagina- cioncldolum D.Bezx in fubfcmoScholxfrcquencifliniaaumcorum circum- ftantccorona Sacra9 paginas explicancis : quod certe non fierer,nifi Idolum huiuimodi,intusacccptumrcfcruatumquefuiirct. Prxcercaquihumidiorcs habcnt oculos , fempcr obie&a maiora quam finc confpiciunc-quod non alia rationc fit,quamquodillorum fpc&ra, in oculis imprclla crafltoraquc abhu- miditatc reddica,in caufa funt,Yt obic&a maiora cflc apparcanc. Sed lllud ma gni momcrtti ad hanc fcntcntiam tucndam cflcvidctur,qu6d cxcellcns vili- leoculumdeftruit.Confirmatur magis,quiainfpeculoimagincm rci oppofi- cxfpetcamus: quodvciqucnonfiercc,niiivcftigiumrci ab obicccis ad mc- dium &: ad fpcculum vfque multiplicarctur. Prxtcrea,lxfa aliqua tunica o- ai 1 1 , iu>n collcrerur vifio,quinimo talibus tunicis aut humoribus nil opus eC- ^ fec,nili aliquid recipicndum,fcd potius excra mittendum forct.Scd dilcmma Auerrois Alcxandrco iimilc, poftrcmo loco expendatur , quo vno fi nonnul- lacx Philopono addantur , Opticorum &: Platonicorum omniumdogmac mcdio tolli potcrit.Quicquid exic ab oculo auc corporcum eft,aut incorpo- reum.Sicorporcum,duo incommodaabfurdifllmafcqucncur.Nimirum auc viiioncm in temporc fucuram,cum prxierrim obiechim fpccrabilc rcmotum crit,quod quam iit falfum patct : aut motum localem vclociorcm motu cxli t'ore,quod Ariftotcli &:verjcaci rcpugnac,cum nullus mocus mocu diurno vc- locior auc xqualis,ncc vis vlla qu.r vim Diuinum llludcorpus moucncc afle- quatur,repcrin qucat.Confcc.utio tamen probatur,quiamomentofolaq; pal pcbraruapcrtionc,corpusilludc.\icns ad aftravfquefirmamcnti cendic : qua diftantiam Aftrologi ipacium diiorum zodiaci iignorum,id cftfexta toa'cq- li parcemxquarcdcmoftranc. Exquocum cxlu luovelociflimo rapidoq;mo cu, cocu fpaciu viginciquacuor horis fupcrcc, colligicur,nonnjfi quatuor horis C idallequi illu poffc,quodoculusviucoaccitiflimoictuaifcquitur.Patetratio- nisvis,quia icptimophyficoru hb.doccmur,ilIud moueri vclocius,quod mi- nori tcmporc,fpacium maius vel xqualc ctiam tranfit.Scd detur cflc lux non corpus,tuciteru qu^remus ancxcravcl incravtfoefBcitur.nonmtta,quiatru ftra cflet illud cm 1 flu m : no cx tra , quonia fcqucrctur anima m illa luce pofica cife^quod eftfalfum,cum fubic&u animx fcntictisaccidcnsefleno pollit,fcd calor natiuus folus,qui ab oculo fciuntus,intcgcr confcruari ncquit. Poftre- mo(vt idc A ucr.i .dc anima com.67.docct)color non cflet fpe&alnlis pcr fc,i. pcr racionc intimam,fcd pcr radium vifiuu cxtrinfecus acccdcntc, quod Pla- toni etiamipii abfurdu clt.Hoc argumentu,quoadvlcimafui parte,fcntentia Galeni prxcipue c mcdio tollerc vidctur. Quida tamcn vc &: Placonis &: Ga- lcni dogma cucrcntur, nonnulla in mcdium atculerunc , quibus has aliafq; o- mnes Pcripacccicorii racionesnuUius ponderis cfledemonftrarec.Ec ^pPlato- nequulc dicunt: Ab oculo cxirc quidc radios quofda vifiuos, liucluminofos &; corporeos fpirirus,no tamceius rationiscuiufmodicorporacopoiita,qux inuicc agcre &: pati nata funt , fed atc 9 eflc quofda &: fpecics fpincus animalis excunces quide ab illo,non tamcn pcr quanda aucdiiceflioneare ra- ca,cum cocincncer coniunctx principio fuo a quo proficifcuntur maneant. Hoc modo(vcrbi gratia)lumc acorporis luminofiprxfcntia,derlucrc dicicur, non odor a rloribus, auc ab ignccalorrhi nanquc rccipicntis quafi propnj fiunt,&: non fcmper largicnci concinui func,illud vero principium fuum non dcfcrcs,cmanat atq;dirrunditur.Conccdut crgo,fpintus illos cflccorporcos, cu anaturatorporea ,pdcant,Ioc6quc rctincancur&: circuteribacunled altc- h.111. ( *6 , DEORGANIS S E N S V V M, rrnn.fl ^hyficavclmathcmaticacorporcamquandamnotioncm^dcftjVtlo-. i]u cur,corporcicaccm comminiicuncur. Imo vt illius nacuram magis cxpli ccnt , rriuliccmproponunc corporum liuc actuum(vt vocanc) dufcrcnriam. Eccmm aliosa maccria pcnicus lciun&os c(1eaiuc,quos,inquoduit,& in qua- cunquc diftantia lllicoqucagerc aftirmant:aliosarebus maccric. immer(is,lo cofic tpaciis circumfci ipcosoriri,ncc iubico aut in quoduis,(cd aJcernacim&: m dcccrminaco loci ipacio agcrc . Inccr hos quofdam mcdia quadam prxdi- cos nacura collocancqui cum a rc compotica &: matcrialj non prodcanc , lcd a corporc i'pirituali,quaccnus acorporca rc proticilcuncur, alicubi concmcn- cur,lococircumlcribuncur,&: nonniiiad quoddam ipaciu agerc valcnt : qua- ccnus verofunr actus fpiricalis corpons,non perparrcs,&: fucccifiuam,fedfu- bicam actioncm habcnc . His policis , brcuiccr facisfac iunc ratiombus omni- bus aducrfus Placonicos allacis.Siquidcm oftcndunc cas cancum alicuius p6- dcris forc , 1 1 fpiricus ifti &: accus vcrc matcrialcs eiTcnc > lcd quoniam nacura B illam mcdiam habcnc , quaidam quidcm corporeas condicioncs obcinuifle aJhrmant, vcluti cxirc,lococircumfcribi,& aliquo modo moucri,non tamcn omncs,quia cum (inta&us fpiricales , non propric moucncur,non confu- muntur,non patiunturac6trariis,noncxcuntadopcrcispalpcbris:& infum- ma,hac fuadcclaracionc omnibus alus obic&is aducrfus Placoncm fe (atisfa- ccrc pojfc pucanc.Qupd ad Galcnum accincc,aliam illius (cncencix Placoni- cxcxplicacioncm aifcrunc nimimm Platonis fenfumcflc, non quidcmin acrc viiioncm ticn,fcd ipiricus illos cmiiTos, congrcgacofquc cum acrc luminoio, inftrumcncum viiionis vnicumcjTe, quatcnus (imulachrarerum. viiibihum ad oculos dcfcrrcnc:tandcmquc atfirmat vilioncm in incimaccrc- bn parcc,id cft( vt puco)in fcn(u communi ficri,qui in incima ccrcbri parrc ab ipfo collocacur : fcd ftatim Galeno hoc modo diccnci quis obiiccrciure po. fcc : Si fpincus illc animalis ab oculo cxic, vcl pcnccrando cxic, vcl per poros, C non pcnctrando.quia non dacur corporum pcnccratio , noo per poros&c ca- uitatcs: oportcrct cnim primum Ariftotcli illas ncganci in pciori dc occu &: lntcncu hbro,&: prxlcmm m cont.76.fatisfacerc.Frangunt forcafle pupillam cxcundo r ac nil huiufmodi illam corporaliccr paci pcrcipimus:nam dolcrcc: feddcmusfpiricus illospcr poroscgrcdi ,ccrtcnon niii diuuKi cgrcdicncur. Pori naqucquibufdamfoliditacibus contincntur , quarc parccs oppolicx fo- liditatibus illis non xque cxirc poccrunt : at li diuulfus fpiricus excac, obicdu quoquc huiufmodi apparcrc n^cciTc crit : quod tamen cxpcricnciafalfumcf- fc docet. Ncquc cft quod rcl'pondcat,fpiritus quidcm iftosdiuulfos exirc,tcd acri pcrmixcos,concinuicaccm acquii . rc : pucrilc nanque hoc eft , &c inexcr- cicaco Placonico(vcaic Philofophus in prioridc ortu &: inccricuconc.8.)con- ucnicns.Hifceicaqucracionibus mocinonnulli,aliumGalcni fcnfumadPIa p conis fcnccnciam accommodacum cxfcpcimode Placicis proponunc Dicuc crgo ibi Galenum doccrc, Viiioncm quidcm cmiflione ficri, quodfpiricus a- nimalis ad oculos delacus , imprimac in acre excerno qualicacem quanda viV' ikndi,quidcmumacrillaimbucus,organum&:mcdium obicccoadoculum dcfcrcndo apcum rcdditur.Quodvtplanius percipiatur, fcicndum cft,Galc- num in fcptimo dc Placicis,in lib. dc locis afTcctis priori,&c alibi, Vim anima- lcm,non quidcm inncam membris , fed prxeipue in cercbro fcdem fuam ha- bcrcdocct: aquodcindc ranquamafolc lumenpcr totum corporis noftri hxmifphcnum,id cftperomnia membra animalibus opcrationibus infcr- uicncia,mcdiisncruisinde orru trahenribus cranfmiccacur: hanc vim,princi- pium onuiium fcnfionum vocac , quam aic cum fpiricu animali copiofo , pcr J. ner- ETSENSILIBVS. 87 ncruosopticosad oculos ferri,&: cum pcruenitadcxcimam vfque fuperfi- ciem oculi,prorumpcre& in aerem circumfufum produci, arqueobpropin- quicatcm fpiricus aniinalis, aeri cxcerno huiulmodi luccm fiue videndivim (Vcroquccnim nomincvocatur)communicare: qno modo vifiopcr cmiflio- ncm quidcm,vt Plato ait,non tamen fpincuum ,vt argumenca cuincunr,fic- ri probat . Ex quo colligit , vifionem conra&u duorum luminum fieri rcclc a Platone prolatum efle-.&c addic,contactum iftum, longius ab oculo & remo- tiusvcI pr6ximius,iuxtafpirituummaiorem vd nunorem copiam fieri. Exc- ploctiam cotam rcm hancilluftrat, a ncruo fumpco:Qui fanepropriumeft mftrumentum tahis,fi tamen carnem ipiam pungas aut aliquo modo fcnas, pundBonem&dolorempercipietjob facultatcmnempc fenuendicangcn- dique fibia neruocommunicacam. Haccxpoiirione Galeni pofic.i,faaIe cft argumcncis aliatisfatisfacere,cum omnia eo-fere tendanc,vtfpiricus ab ocu- B lo nullo modo cgredi pofTe dcmonftrcnt . Sed nil adhuc habct GaJenus hac fua cxplicationc,cumnonomnibus argumencisaducrfus Placoncmab Ari- ftotcle-profatis,^ ab Alexandroa Philoponofic Auertoc fatisfaciat. Nos vc- rcl clarius aduerfus ipfum hoc modcoSi vis vidcndi ab oculo cmittitur,& aeri imprimitur,crg6viiio in acrefict : probaturconfequntio, quia vifiomcdia vi viclendi cfficitur. At ii vilio eft in acrccrgo & anima vi6cns, ( vbi cnim achis, ibi&ariimacft,quxachisdicirur)acritaquc anima icnticntc prxditus erit. quid? quodracultasanimxrcipfaabillius cflentianonfciungitur. Nequc cft quodGalcnus ad communicationcm iHam confugiat, tum quia quicquid afTcrat,fcmper vifioncm inaereficri diccrc dcbcbit: tuni vcro quiaexcmplu dc ncruo &T carnc ab Ariftotclc neglit;erctur. Caro cnim apud Pcripatecicqs rationcfui , quoniam (cilicct ipfa animam obnnct fcnticnccm , non rarione q nerui fcncic,vccx fccundo de hift.animal.cap.de carnc,&:cxfecundoCoIlig. cap.8.patct.Falfum cft etiam quod Galcnus affcrit, Animx poceftatcs mcm- bris nonefle infitas ,fcdacerebromitti : nam prxtcrquamquodanullocor- porc proucnircpoflinr,multoquc minus a ccrcbiv ranquam ab excrcmcnto fcnfudeftituto,velutifchabettota anima ad rocumcorpus,ica&:iIliuspar- tcsad partcs corporisyfcd tocaanimatoticA inlitacorpori,ncque tranfmir- titur, crgo&: partcs partibus mlitx lunc. Maior,ppolitio fumicurab Ariftotc- lc in fccundodcanimaconc.9.&:hacracioneftabilitui : Sicuccnimanima cft achis corporis,ira hxc *f *" faculcas,accus fux parciculans parcis cric : acqui a- his cfledcber,vbicftidcuiuscftachis: ergo &:ibicft anima.Sccus cnim ali- quidfinefuaanimaachim habercc. At adquantamnam diftanciam , illud quod exit,porrigicur?profcft6 ad modicam(vt ipfc ctiam ait)&: ad circumfu- h aerismcnfuram.Quomodo igitur tam magnum obicclorum fimulachrum D (quod ille nobis obiicit)rccipcre potcrit ? Magnitudo quidcm iliius extcnfio- nis maior eft pupilla,nulla tamcn cft,fi rci fpcdabilismagnitudincm rcfpicia- mus.Hxc dc Galeni ( vt videre eft) fcntcntia inconftanti. Nunc ad priorcs il- los redco,qui Platoni fuppctias fcrrc volucrunt. Primum ab illis qucro,Iftmc aftus aut finc matcria omnino Sc incorporci fint, aut cum matcna : &: fi linc matcria,illudne vcl cx fui natura obtinuerint, vcl &: rcmotione quada. Si cx natura propria incorporci erunt, vtique res incelligibiles ad mctaphyfi- cum pcrtinentcs crunt,fcnfumquc nulla rationc mouercpoterunt . Sin vcr6 fccundo modo fint incorporei,erunrresMathematicx,qux pcrabftraclio- nem finc matcria concipiuntur , qua etiam ratione ncquc ad naturalcm fpc- ctant,ncqucfcnfum moucrcpoflurir.Si ver6 materiam habent, proculdubio corporafunt.Etcnim cum matcria fitcorporis principium,efficiturvt quxcu- h.iiii. 88 DE ORGANIS SENSVVM, quc maccriam habcnr,corpora linc . Hoc vcrb ipfum argumcnca a Pcnpacc- cicis addutta impugnanc . Diccrc vcrb cifc corpus&: alccrius racionis,vanum fil . Nam qubdnam cric Ulius principium : Sincgcs cnim cfle maccnam, fc quccur iitud corpus cifc fola imaginacione hctuin.at h* maccnam clfe dcs,cric crgo cv ipfa aiccrius racionis . Nam (ex primo dc orcu & inccntu ) ab codcm quaccnus talceft,diucrlumnon crficicucfcd idem. Dabicurergoduplcx ma- ccria: quodccrce rcpugnac Ariltoccli,quiin primo phyi.couc.56. &: fccundo dc orcu &: inccricu conc. 6 . aic vnam cflc maccriam &: prmcipium vnum.pri mum corporumfcniilium:iecundum,primas qualicaccs: ccrcium,primacor- poraquz elcincncavocanrur,cxquorum mixcioncquodquarcoloco oricur, vcrc ufjKor corpus cft . Pra*ccrea,huiufmodi corpus mcdium vocanc: Qusero quodnam mcdium fic,an pcr compararioncm vocatum,iicuci aercm &: aqua mcdiaclemcnta vocamus: anablblutum: iiprimomodo,crgo cx cxtrcmis non componitur,Ucct naturas cxtrcmorum parcicipcc , vti Ariftotclcs priori B Jibro dc carlo cont. i y.dc grauitatc & lcuitatc clcmcncorum , & in priqri mc- ccorologico refcrt dc primis qualicacibus.Si fccundo modo,rc ipda &c forma- liccr cx cxcrcmis compoiicum eft,qua racione eciam ab cxcrcmis diffcrc. Du - pliciccr camcn huiufmodi mcdium fc habcc. quoddam cnim cancum dirfci c, lecundum magis cv minus,vc ccpidum:quoddam verb fccundum formam c\i fpecicm,vc colorcs:mcdij puca rubcum & croccum ab albo& nigro. Harc A- ucrrocs quarco hbro craccacionis dc,cxlo corrun. 2 . cv fc xto phy.comm. 31. &: ccrcio meceorologico cap.de Iridc . Scd ad rem rcdcundum: Si ifti accus lunrcorporamcdia,&: non componancur cxcxcrcmis, nacurasfolccmilloru parcicipabunc. Acqui hoc diccrc non poilunc abfqueconcradiccionc. Nam af firmarc aliquid ciTe corpus,& cilc a maccria libcrum : przccrca,nacuram cor - pons nacuralis & cncis mccaphylici obcincre,quidaliud eft quam pugnancia loqui:Rcipondcrinc forcaifc,vocari mcdium, quoadcondicioncs&cftcdus: C cx vna cccnim parcc mouccur &: concinecur , ex alccra a concrariis non paci tur ,&: ilhcbad quamlibctdiftanciam agic . Verum cocum hoc mhil cft. Effc- ctus nanquc concrarij a caufls repugnancibus oriuncun cum igicur cffe&us i-. fti concrarij iunt,certc proficiiccntur arcpugnacibusnacuris quae incodcm fimul corporc vcrfcncur. Vcrum hxc omnia ita confirmancun Si a&us ifti ab oculo cxcunc,vel ficc vilio in obiccco vcl in oculo:ii in oculo, crgo pcr regrcf- fum,&: rcccp cioncm, & iic fruftra cxitus : li extra, vcl ifti fpiritus habcnc ani- mam icnticndi vcl nonhabcnt:ii habcnc,ccrcei"uncanimalia: vndccolcquc- cur ab ammaii anunal exirc,quod momcnco eciam moucacur : acqui faculca- cc cciam vegetandi prardici crunt,vbi nanque fenciem eft , ibi & vegetans(ex fccundo de anima)nutricntur icaquc,& augcbuntur, fibiquc ad umilicudinc formx aliquid rcfpondcns gigncrc,apci crunc.Que, omnia prarccrquam qubd abfurda iunc,corum quoque dogmacibus repugnanc. Haudquaquam dicenc cos carere anima: quia fcquerccur vifum abfq; faculcace fcncicndi cffici pof- fc.Scd forfan haec ica cludcnc, Ipfofmecaccus, vim ipfam fcncicdicfle. Acqui cercc in cofdcm fcmpcr fcopulos alliducur.Namvcl vis ifta cu maccria&c cor- porc fuo cxic,vel line illo-.fi primu conccdacur,eric aliquodvidcsnon animah li fccundum,vis fcncicndi cric a corporc fcparabilis,poceric abfquc organo c* pcrari,formxquc cranlicus a fubicccoadfubicccum pofthacconccdccur: qua: omnia quam iinc abfurda quis non videc? Ac omniu abfurdiilimum iilud cft, nimirum acrcm viucncc animacumq-,cffici,quod ccrce fcquicur,ii fpiricus ifti &: atVin ac rc( vc aiunc)recipiancur.Quid cnim recipi quidc ilios act u s in aerc, fcd non ob id aercm ab illis informari,tbrcauc rcfpondcbunc ? ac in prompcu ETSENSILIBVS. 89 cft quid obiic;atunformam fcilicct fine fubiccto,&: vicam in non viucntefo- rc,cx huiufmodi rcfponfofcqui. In fumma id lta loquentibus accidcrc vidco quodnonnullisaliis,quivtcarnisChnlli \biquitatcm mordicus tucantur, craffas quafdamdiftindioncsnupcr finxcrunt,quarum mcmbra nonmagis cohxrcant quam cuminfinitototum&: vniucrfum.Et fanc Meliflus(cuius i- ftafcntcntiaerat)nonmagisquam ifti attributorum vimconrundcbat. Eft (ait quidam)caro Chnfti omnipnefens non pcr fc , non efTcntiftlitcr &: natu- raliter,noncxtcnfionccorporali,aut locorum r,quod huiufmo- di diftantiacflctiicitur,J5&ic &: corpons condicioncs rc- dolcrc,vcquacicaccm,numcrum, hguramoi mocu, non camcn maccnam auc corpus obtincrc : cx quo ctiam fequitur,qu6dhcccinfinica? iftiuimodi fpc- cics in oculo ciTcnt, nullum tamcn quancum cfficcrct, fiquidcm cx no quan- co,vc fcxco phy. docemur, quancum ficri nequcac. Addo, numcrum litarum fpccierum in oculo non augcri,ncquc enim m co vt in loco contincntur , vc- rumidcirco rccipidicuntur,quia oculumadactum vidcndi pcrduccntcs , il- g lumafliciunt, non quidcm altcrando, fcd pcrticicndo: qua fola rationc ocu- lus ilhr fpccics rormaliter effici dicitur:Prartcrca,fpccies ifta ab obic&oad o~ culum pcr mcdium multiplicata,obic&um in fua magnicudinc rcpri/fencac, nequc ad coar&acioncm pyramidis anguftior ipfarcddicur,feciin indiuili- bili contiitcns,nunqua au&a,nunquam imminuta,eadc fcmpcr manec.Ncqi cft quod dicamus rc non percipi vt in fc cit. Adnuttimus cnim, nos monccm non rccipcrc, idcft vc cxtra dlc habecfcd cius iimulac hrum &: fpcciem : quc. ab lllo non difcrt>vc Alcxandcrinq.nat. cap.de vifu docct,niii m hoc quod obit&u in rc matcnalitcr habct Ellc : in oculo vcro f ormalircr ,&inrc ratio- ncm abfolutc&: limplicitcr Entishabct,in vifionc CHttS l pc ctabilis&iobiccti: ltcmquc in rc cum quanticacc rcpcricur , quia cum maccria& corporc cft, m oculo lltis omnibus conditionibus carct : quo fir, vt iure dici non poflit aliud ciTc quod nobisapparcr,aliud quod cxtra rcpcritur.Quintum argumcntum, C data poiitione in qua tam Plato quam Ariftotclcs conucnit, ncmpc ad vilio- ncm mcdium illuftratumdcfidcrari, nulh 9 pondcris cft : nam rcctc lcquitur, rcm quo proximior cft,c6 magis recip?,id clt cum conditionibus&: qualicati- busmagisobic&oiimilibus: licamen congrua proportio mcdij diltantiaquc vifus&:obicdifcruetur,quanimirumi{>ecics multiplicata ad acutumdcduci angulum poilit: quodfioculumattingcict , lam vcraquccondiciodccit. Ad lcxtum , aifcrcndum cft fpccics illas non cifc contrarias: quoniam iic , nc- du m oculo fcd in qualibct medij partc lnfinita limul cdtraria eifcnt : a quali- bct cnim ambicntis acris partc , vndiquc fpccics rcrum afliduc multiplican- rur. Cur vcro non iintcontrariaharcratio cft,quiancc m mcdio nccin oculo fecundum cfl*c(vt dicunt) vcrum&: matcriale rcperiuntur.ncquc lubic&um, quodcftacrautoculus, vcrclubicftum ranquam matcna abillis fpecicbus fcnfibiUbusinformacadicitunncqucipia- ctiam ipccics mum ; (vt loquuntur) ^ rundamcntalcEflcinillisobtinencfcdiblum idvt lintknlibilcs.Quorit, vt ciim quid s*n *k mmime arrirmcnt, fcd tancum qiucdam fccunAria imt efFe- &aabobie&is proucnicncia, concraria cx dccimohbro mccaphv-&C ahbi di- cinonpoflint. Harc Alcxandcrcap.de Scnfu communi. Im6addic,cumvi- iio per lincas rc&as fiar,fpecieiqucobic&orum cxtra poiitorum lnuiccmquc diftantium in oculo pcr augulum acutum in cxtrcmo pu&o rccipiatur , nun- qua vt coniungancur,fimulqucfinc,ficri poflc: in codcm fiquide pun&o,plu- ra contincri non pollunt, vc Euclidcs & Marhcmacici doccnc. Argumcnco i- gicur illi>concrariorum fpccics effc concrarias,refpondcndum cft, ld quidcm vcrum cflcquod ad origincm&: fundamentum accincc, nonquoadTJ?J)To uJbwh id eft ,c/Tc fuum fpccificum , quia licct album &: nigrum primiquc 9 t. DH ORGANTS SENSVVM, corum cffcdus fint cotraria: vt dilgrcgarc vilum cundcnu'iuc congrcgare,fe- ^ cundam ramcn efledus,qualcsntnt fpccics iftat Ipiritualcs^contranetate ca- rcnc. Vndcfit,vtrcttc dicatut communitcr,contrana limul lncilc in mbtis, vt ita dicam, calibus : in potcntia, vc in matcrtaprima: tn actu lmpcrfe&o fcuimminuco,vt m mcdio:&: ineilefpirituali, vt in anima. EtrciccnamZi- mara docuit de fcntcnna Auerroisinfcxtomctaphy. comm.8. Eaquxcon- traria funt in mfcrioribus &: matcrialibus,non eifc contraria , in fupcrioribus & in matcrixcxpcrribusrquararionc ctiam Aucrrocs duodccimo mctaphy. com.i8.aflirmat omncs fbrmas porcftacc eflc in matcna prima , adtu vero in pnmo mouenrc:& in fcptimo ciufdem tractacionis comro.ij.formas contra- nas in animarcceptas cflcvclutivnamfiicandcmformam. Adfcptima di- ccndum cft, proptcrdcbilirarionem no cflc aflcrcndG vifioncm cxcramirrc- do ficriquinimo,fi fpiritus illc&: acius nil corpus imminucns(vcaiunt)extra- mittcrcntux,nullamhuiulmodiafl*cciioncpatcretur oculus. Vis crgovidedi ^ dcbilttaricatcnusdicitur,quarcn 9 organumcorporcumquofine, adtu fuum non potcft cxercrcdcbUitatur: iplavcronon patitur,nonfcnclcit,quando- quidcm ii fcncx oculum iuucnis habcrct,c6fpiccrct vt iuucnis: &c in fumma, anima fcnties qua corpori arfixa cil, lllius rationc 4* , id cft lmmcdiatc dc- bilitatur , immcdiatc,inquam,vt ditcrimcn apparcat inter illam &: animam, intdligcntcm. Illacnim acorporc immcdiatc pcndcr, acproindeabeoim- mediate pati dicitunat tV^kwf ,id cft mediatc patitur ctiam mcns non quo ad cflcntiam, fcd quoad opcrationcs. Quandoquidcmdebilicaca imaginatiua qux cll cius miniftra, & ad quam intclle&umfccouerti oportct fi intclligc- ic dcbcar.ctiammcns ipladclMlit.uidicctur.Quantumveroad cxpcricntias artinct Mulicris infictcncu fpcculum ,&: quod magis cft ophthalmici oculos inrucnris,vtnulq; cffcduscadcm caufa cft, nimtrum quiaab oculo cxcut va- porcs putrcfacti &: conragioii crafliq; : prxfcrtim vcro dum morb 'adcft &ic cahda matcria profechis.IUc cnim cft motus quida(vt Galcnus docct in prio- n dc locisaflcciiS,&: Anftocclcsin fcprimapartic.Probl.4.)hxc vcromorum adtuuat &: cuaporationcm.Ficrt ltaquc potcft vt ab illa vaporcs cmiccantttr, qui tcnacitcr inhxrcntes corpori tcrfoapt6qsadrccipicnduxn,illudinficiat. Sedqunl hocad viiioncm ! ncquccnim fpincusilli vaporoiiadccrncdum cx- tramitruntur.Dc baiiliico tdcmdi vcra c ll iabula)dixeris,quod Albcrtuscla- riusaitlibroaywdeanimaLcap.de Bafilifco:addirur ratum,vaporem cmiifum ab cius oculis vcnenofum elfc, idcircoquc acrcm mhccrc,qucm cum poitca re fpi r c t homo,cor quod fos vitx cft caloremq, innatum fua vcncnoiitatc Lc- dic, quam lxiioncm icquitur morsmon tamc Baiilifcus co vaporc mcdio co- fpiccrc dicitur. Idc prorlus conchuiut cxpcnmcca qux a Lynconicfc poftrc- molocoarfcruntur.Emittuntctcnimlumc ifta ammalia nociu ob rationcm fupraallatanUquo quidcm luminctanmm-w^wacium tnbuunt, vt fpe- ccabiha illnd moucrccoq; mcdio mulriplican&c adoculos illoru animalium dcfcrn poflinr. Dcindc ailcnmus nullam ficrii cxprcflionc ocuh : fcd palpc- brarum &: parcium oculum circunftantium vnionem iiuc coniun&ioncm quawiam,&: quaii manuscuiufdam&: tutclar impofitionc ( vt Ariftotclcslo- q uttur m 3 1. part. Probl. 1 6.)nc fcihcct oculus vcl a multo luminc cxterno of- tendarur &: pcrturbctur, vclab alio cxtrinfccus poiito obiecio afficiatur , vc quod cupiut vcl emin 9 vcl cominus pofitum confpiccrc, commodius queac Prxtcrca otniifis, qux Oprici dicunt,conum fcilicct pyramidahs figurx,ran- togradatimcrHci acutiorc,quanr6 remotiuscftobicchirn(rccicfiquidcm im pugnantur a Piorino8.Enncad.librocap.z) Dicimus cx codcm PJotino lbi- dc priori capitc>Totum tuc cxa&c cognofci,cum illius omncs partcs exquili- tepcr- ET SENSILIBVS. 9i ^ tcpcrcipiutur,acpartcsill9primumpcrqualitatc,idcftcoIorc ipfum,qui cft obicdu propnum vifus,mox pcrmagnitudmc fiuc qu.lritatcmcognofcucur: imo non vidccur ipfa quacicas percipi pollb nifi mcdio colorc : na li collcs va- i larum rcru formis plcnos infpcxcrisjcas ibi rormas pl.mc confpiciens , mo,- piicudincmrcgionisiplius recciusmetieris, quam /ilormas ciulmodind irt- uicaris: cum crgo obicctunimisabcft, color dchiliiisadoculum multiplica- tur. Quoniam(vt optime Ficihus addic ) forma rci fpcctabilis in rc cjuidem ipfaj macenalcm habcc naturam  fed in medio & oculo materia fubito cxuic, &fpiritali quadam racionc venitieoufq; autcm venit,quoufq; proporcioncm quanda ad propriam maccriam fcruarc poflit : cum primum ergo proporcio- B ncmillaamittit,dcbiliorrcdditur;Atq> hincfit,vc rcsquoq; minoi apparcat, ac dcniq; li omnis ad matcnam propriam proportio c6fumptalit,oculis non vltcrius cofpiciaturi& icares minores magis coharreces oftedic.Dc dilacacio- nevcropupillx, fcicndum eftquacuorclfc mftrumcta magispraecipna, qux vifioni lrtleruiunt, cum cx Galenicucx Ariftor.lcnccncia:Tunicasoculi, hu- morcs,pupilla,& fpincu.Inccr cunicas praecipua cft ipfa cornca, qua ccnue &i ccrla cllc oporcec: tcnuc^quificrafinoreiTctmobisobiecta quafi pcr vclu fiuc tela( vcixpe fic)rcprfcncari vidcrecunccrfa quia fi rugis afficcrccur,vc infeni- bus,rcs vcluci pcr vmbra cofpiccrcmus: fcquicur humor albugjneus vocatus, qui contiguus ccnuifque cffcdcbccma fi craifus cxiftcrct rcs fub maiori qua- ticacc quam cflcnc offcrrcc:vci patct cxcplonumilmatis quod in aqua policu m.uus apparct:quodfi impurus clfcc &: non c5tinuus,tunc obiecbi ipfa veluti pcrforata ccrncrentur.Hactenus CalcnusSi Ariftot.cocordcs rcddi polfenr. _ Tranfcoadpupilla,cx quali iit angufta,(dc Galcmfcntcntia) lpiritus&: radij vifiui magisvniticxcunt,Iiincacutioi viiio fcquitur,fi vcroamplior,quiadif- grcgatiorcs cxeunt radii,Obtufior quoq; vifio rcdditur. At fccus Ariftoc. ( vc & nocac Auiccnna j.fcn.cap.pceulian dc Dilatationc pupillx]limulachrum mmirum ingrcdicns pupillain laciorc dilatari magis atq; difpcrgi: quo fit vc Imex vilionc crTicicntcs ad angulum acucum vinri non polfinc , peiorq; vilio fiac.Ncq; cft quod Philopon 9 obiiciac: fimulachrum illudcllcqualicace fpiri- cttale 5cformalc,ac proidc fpargiacdifTimdi non poffc , quia vcut rcs fic, lcm- pcr in vilionc apricudo mcdii, orgamq;dilpoficio rcquiritur:pretcrea , eatcn* dicutur ill.c fpecics diftundi , quatcmts in organo difHifo, diucrlilq; partibus fuicfpiutur.Quartum inftrumencu, iiint ipli fpiritus ^icquib 9 mox:vbi quoq; problcmata poftrcmo loco allata aducrfus Anftot.opinioncm comodius fol- ucmus)cgcntfiquidcmillaproximx partis cxplicationc. Nuc Arift.lociqui intcr fc vidcntur pugnarc cociliandi nobisciTcnt: fcd ccrte eos omncs quicx -q problcmatibus dcfumuntur cofulto prarccrmitcimus. Illis vcro cx lib.meceo- rolog. allatis lupra ex Alcxadri fcntcnciaabundc faciftactum clic puto.Nam licct in priori lllius cractacionis libro,cum dc comctis ficc 1 rculo laclco agic,n6 fcmelin iftaru imprcllionum viiionc, vifum noftru cxirc, &: ad illa Iragi arhr mcc: In ccrtio prxccrca cum dc Iridis Halonis virgx , &: parciiaru orcu loqui- tur, afpcctu noftru,ab acre, aqua,ommbufq; lummam parce leuem obcincn- cibus reflccti doccac,non came verx fux fcntccix immemor eft Arift.vcl ahas fua vcriorcs cffc ccnfec:fed vc facilius,quod vulc,demoftrcc (cu prjcfertim nil ad rc dc qua agicur inccrlic)plaufibiliores& pcruulgacas fcncccias , fequi plx- runq; folcc.Hoc nobis indicac ipfcmcc in quinco dcgcn.anim.lib.cap.priori, vbi dc caulis acuce vidcdi agcs^rum nonulla Placomcx fcnccci; accomodaca ^pculiifccin huc modu loquuc 9 cft:Nihil cnim inccrcft anvifus cxitu fieri dica curvr quida aiut.Qu^ftionc ad cxicu pcrduda,illud addcrc placcc,Errarc cos qui Placonc cum Arift.hociurc cociliari poifc putant: na quod aiut, Placonu lt 94 DEORGANIS SENSVVM, pcr luminis cmiflloncm ab oculis,intclligcrc, vilioncm a lumine oculi inccr- ^ no, (iuc ab oculi lucidicacc iuuari,nimis cft fccure di&u:cum nullibi a Placo- nicorum quoqua,quicquam fcriptu inucniamus,quod ad hu.ulmodi fcn i u m rcfcrri poilic. Ec ccrcc quid allcgorici ifti incerpretcs ad hxc ? Placonici quac- rutjcur ncq; ca quxraraadmodu lunt,ncq; ncbulasvaldc proximas ccrna- mus: Aiunt,huiulmodi obicda radios ocuiorum & adhuc potcncesA: validos tcrminarc non pollc. Iccm in vilione plus luminis propc obicctum adcflc o- porccrcmamtcUumcll,quampropcocuIum:cuiusctiamipii hac racioncm afTcrun t, quoniam radius vbi primum ab oculis cmiccicur validus cft , ac pe- nes obiectum,iam dcbilis,luminc multofoueri dcbcc, quo per obicttum dif- funui polfic. Alia huiulmodi propc innumerabilia a Placonc , Plocino ,& Fi- cino prolaca omicco, quz non ailcgoricam, fcd vcram luminis auc radii cmif- g fioncm luceclarius cxpnraunt.Nuncadcontextum Philofophiredco: K.au hoy%' 1? orroc Zn van->rr;r; /ISAor.nJV ydpfioi vtoTttan or neoXtpuy*J' corpus vcrenonefle. Ex his facilc vnufquifq; nofle poteft, qu6tna oaruculas hiccotcxcus habcat. Nos iingulapcrpcdamiis.(Ccrniturenim incraqucmadmodu &excran6fine luminc). Qucadmodu fpectabilc no defcrtur pcr mediu fine lumine,ita ncqi fine eo in oculo rccipicur.Ratio cft,quia ncq; color nc q -, in fumma vllu vifibi- lc,a- ET SENSILIBV9. 9S le,aliquamad vifum rclationcrohabct, niii actu vililcflr , atquiachi , lumiric folofit: taigicurincoa quodcfcrturquamin coaquorccipicurluminccgct: aMoquin mipfoorgano viflbilcefledciinerct. (Oportuitcrgo&: Jfy**rit&c a- quara cfle). Lumen eft actus t*J r&9rwf v bi itaqi lumc,ibi &: corpus Jfy***iii crit, (iactus abfque cocuius achiscft, nonfciungicur: acqui iamftatutum cft in oculo eilc lumcn , in oculo crgo cnc corpus Jfywit , quod non cft i- gnis,vc Placo afleruic,fed aqua: (Siquidcm non cft acr). Mulca corpora rk *- ^xifi Artitocelcsfecundodeanima conc.68.cflc profcrc,idcircoquc aquam,fe- cundum quod aqua cft , Jfyq* non cilc dkvfcac . Diaphancs vcrd nil a- Iiudibivocarcvidccurquamcorpuslpcctabi.V non pcrfcfcdpcr colotcm a- licnum,id cft per lumcn cxtrinfecus recepturn, quodaliquo modo, licct im- propric,colordicipotcit. Hxc veromultacilcprxtcracrcm fcaquam docec B ibi Ariltotclcs , illacamcn non cnumcrac. Dicimusigicur, dc iimphcibus  : loqucndo,quacuor cifc prx cipua corpora pcrfpicua , Aquam,igncm, acrcm, &cxlurru w y ait on illis lumen cxtcrnum folis,lumin cryftallino ftatim occur rcrc,acicmquc vidcndi co modo hcbctarc & petringcrc:(qua: ccrte non di- ccrct Ariftotelcs,nifi in glaucis aqueum humrem paucum cfie putarct, crv ftallraum autcm multum ) c cotra>*wf** , '* M intcrdiu rcOius vidcnt,cum a luminccxtcrnoobmultitudincmhumois aquci nunuslaxlantur. Etprofc- -D a6 Auerrocs,in rcb'mcdicis nimisGseno aduerfari voIuit:&: hac quidcm in rc Galcnum rcprchcndcndo,nilfamcn profcrendo,quod eius fentcntia: non iit confcntaneum. Perfpccta colorum extrcmorum cau la,non magno ncgo- cio mediorum , quorum xnulti gradus in homincfunt,caufam quiuis attule rit.Scd tollcnda cft ambiguitas.Etcnim (i multitudo humoris aquei,nigrcdi- nis:paucitasvcr6 ciufdem,albcdinis caufaeft,cur Ariftotelesin 14. Scc.pro- blcm.i4.Homines meridionalcs, vt Jf. thiopcs , nigros habcrc oculos docct: Scptcntrionalcs vcro,albos?ln ilUs fiquidem minorem aquci humoriscopia adclfc par cft,ob acris ambicntis cxficcantcm calorcm:inhis,copio(iorcm. I- tcm infantibus recens natis oculi glauciorcs funt,quam iplis adultioribus:co tamcn tcraporc multapollcnthumiditatc. Quid,quodoculorum fcnes,ad glauccdincm dcclinare vidcntur l Poftremo , iis qui c morbo conualcfccntc i. iiii. ioo DE ORGANIS S E N S V V M, oculi fubglauci apparenr. His vcro omnibus,breuitcr iacisfaccre promptum * cft cx Anftot.problemacc fupra commemorato,hunc in modum:Caufx prq- cipuxcolonim inoculis iuncquidem cryftallinus humor&: aqucus,caqux antca dicta cft rationc.Scd auxibantcs funt,calot naturalis &: fpiritus lucidus vilioni inlcruics.Mitco varios mcmbranxf*^" colores, cum ii ad maiorcm &C rainorcm caloris conco&ioncm rcferri poifinc/Echiopibus ergo atquc |n- dis omnibus,modica Ipirituum lucidorum copia adcft, ob continuam ab am bicntc calido factam rciolucioncm,qua lucc fpirituum abfcntc(vt ait Arifto- tck s)oculus nigcr & obumbratus apparct. At Aquilonarcs, intrinfcco calo rc , mulctfquc fpiricibus pollcnt: quo fic,vcfcrcglaucisoculisoriancur. Pueros item dicct Philoibphus,ob dcbilitatcm , oculos glaucoshabcre,id cftobiplum humorcm natiuumadhuccaloris dcfectu crudiorcm,neccum iicco terreo bcnc mixtu,qucm alb ucife Mcdici confcquutionis vicolligunt. B Dc fcniibus ldem polfcmus affirmarc, non tamen humoris natiui rationc(iI lc cnim in iis totus fcrc abfumptus eft)fcd cxcrcmcncofx humiditatis & cru- dx,in locum natiux fucccdcntis.Exemplum accommodatum foliaarborum cflc potcrunt, qux in priori fui ortu albcfcunt, moxad fubnigrcdinc m,id cft viriditatcm pcrucniunt : poftrcmo iterum ad albedincm flaccefcentes tran fcu n c . Dirfcr u n t aucc hi duo colores albi,quia prior ille a natiui humoris cru- ditatc prof ctus,glaucus fiue albus iimplicitcr cft : pofterior vcro ab cxcrc- mcnto ortus,ad flauitiem quandam declinat. De iis qui c morbo aliquo re- crcancur,nilaliudMcdici cfoccnt,quam in illis fpiritum humorcmquc aqueu puriorcm,&: ab omni excremcnto libcrum rcdditum,cum natura ipfa vi&ri cc,tum dicta &: pharmacis.Nunc ad problemata pcrgcndum. Quxricur,cur non omncs homincs xquc aut longc auc propc vidcanc . Iccm, cum duo unt C oculi,obicctum camcn vnum ccrnacur. Poftrcmo,curaliquibus,vtcbriis,v num duo cflc apparcac . Prioris quxiiti vcricas hxc ( vc quidcm cxiftimo) cflc pocerir, Viiionis variecas minoris auc maioris acuminis racionc,aquinque po ciflimum cauiis proficifci poceft : a pupilla,humoreaquco,mcmbrana, fpiri cu, poftremo, a roco oculo . Spcctacur in toto ipfo oculo(vt ab hoc exordia- mur)iitus : vcl cnirn m proiundo eft,vel prominet:hoc a calorc mulco, &: hu- morcnc:(fiquidcmcalorin formacionc fcetus humidum quodfacilc p.uct, foras procrudic)illud a'.iccitate.Qui crgo prominenccshabcncoculos,obie- ctum propinquum,acutc.rcmotum,obtufccernunt.Acute quidcm,quiaalu minc cxtcrno commodius ieuantur:propinquum,quia cius mcdiocricatc no Ixdancur.E contra,rtmota vix-pcrcipiunt, quoniam a mulco lumine ob coru promincnciam tacilius otfufcancu, vc Ariftoccles innuic in 3 1. parcic.prcbl. tf.Quivcro concrafc habcnr,acutiusrcmocaconfpiciunc. Oculi cnim parti- bus,id cft mufculisoflibuique quaii vndquaque icpti,non ica a mulco cxter- no lummc offcnduntur. a pauco vcr6 vix illUtrantur.Excmplo nobis id cfto, quod Plulofophus in eadcm parric.problcm.xvi.proponic, Eosnimirum qui obcufc vidcntjfi longius conipiccrc vclint,aut palpcbras contraherc,aut ma- rtus oculis quoquomodo obtendere. Qui etiam aftra interdiu acute fpectarc cupiunt, in protiindum putci hac vna ratione defccndunt. Spiritus fi paucus fic,&: purusliuc clarus, in caufacrit vtobiectum propinquum pcrfpicuc ccr natur:illudquuicm,quiapaucus:hoc,quiapurus:quarationcfcncs in quibus non mulcus fpiritus viiiuus incft,fpecillisiuuantur,non iccm iuuencs,aflucco quidcm nacurx ordine. Racio hxc vna(ni fallor)prxcer alias eft,quod lumcn inccrnum lcnum cum fit dcbilc,a lumine cryftalli quafi reflexo& forci iuua cur;in iuucmbus aucem incernus fpiricus lucidus mulcufquc, a fpccillis pcr ftringi- ET SENSILIBVS. 101 * frxingiturpotiusatqucoffufcatur. Sifpiritusfitpaucusfic^bicurus, propin- quum ctiam obie&um obtufc conipic ictur: 1 Jcncocjue qui ita fc h.ibct , pufb obicchim acutius difccmcrcvolunt,rcmoucnt lllud aliquantulum ab oculis> ac rcmotius ponunt: vt fcilicct a multoacris luminc > lntcrnus (piritus muc tur,&: puriorclariorqucrcddatur . Nonmclatethic alios ahtcr icntirc , icd Platoncm illi fcquuntur:nos,quantum poiTumus,Ariftotclcm,id eft vcra phi lofophandi rationem . Si vcro fpiritus multus iit& purus, tam propinquum quam rcmotum obictlum cxquiiitcccrnitur:iimultus &: impurus,vtrunquc quidem obiehim xque cernitur,fed obtuiius.Cauia vtriufque efFe&i lam cft allata . Mcmbrana ctiam ( vt aic Ariftotcles)& prxfcrtim cornea nuncupa- ca:adhofccvarioseftcthismultum facit,quandoquidcm pct ipfam,tanquam pcrlatcmxcornu,fpecicsrerumtranfmittantur .Tcnurscrgo&ccxpolita fit oportct.Nam ii cralla fuerit, omnia tanquam pcr velum ccrncntur : fiaipera g &corrugau,oculumfuis rugis obumbrabit. Vndecueniet,vt quad pcr vm- bram(quodfcnibusaccidit)vi/iotantum cfliciqucat. Humor aqucus fi ci.il- fus iit,rcsin maiori quantitatc offerct,quam vere iint . Quod pcrfpicuum eft cx numiimatc iub aqua poiito.Si non bene cohxrens ncquc continuus,obic- ftaquaii perforatarcprxfcntabicii pauc',vifiointerdiu xgre cffici potcrit. A contrariisipiiusdifpofitionibus,contrarij oriunturcfFefhis. Hxc vero tcfta- tur Philoiophus cum probat caefios fiueglaucos , ob fui humons exiguitatcm intcrdiu vix ccrncre: ( moucntur liquidem nimis ab cxtcrna lucc, fpccicbuf- qucfpcctabilibus)nodumultum. Nigrosautemobhumoriscopiam minus intcrdiu pati,quarc magisintcrdiu obickacaperc,nohiver6 minus . Pupil- laautcm,vcl angufta,velampla cft:illa quia in indiuiiibili magis recipit acu- tc:hxc quia difpcriim,obtufc confpicit.Colligcdum eft itaquc cum qui pro pofiti problcmatis vcritatcm rcctc tcncre vclit, caufas enumcratas non mo C do fcorfim poiitas, (quod a nonnullis eo tancum animo, vt Auerrocm impu- gnarent fadum cft)fcd vario modo intcr le comuntas pro natura fubic&i di- ligcntcr confidcrare. Altera porro quxftio qux non modo in vifu,fcd in audi- tu ctiam,& in olfa&u locum habet, (duplex ctenim in vnoquoque horu fen- fuuminftrumcntumcft)itacnodatur.Abobicfto quodvnicum eft,duas qui- dcm quodammodd fpccies in duobus ocuhs producuntur, quia tamen eodc prorfus tcmporc ambx ab vtroquc oculocapiuntur ,&: fcnfui communi vna offeruntur,quinonniii prxfentia fcniilia difccrnit, vnum tantuinobiclhim cffciudicantur. Quod indc confirmarur,quonia ab codcm fpe&abili , multx atque innumcrabilcs fpecics ad diucrforum oculos producunrur, qui tamcn illud non vt plura,fcd veluti vnum tantum percipiunt.Tertium non vnicam obtinuit caulam. Aliquando cnim fit(vt Ariftotcles in j i .partic.probl.xi.do- cct)ob muutionem fitus alterius oculi,tunc cnim quianon xquc radius vni* remattingityvt radius alccrius:fenfus,quod bis pcrcipit,tanquam duo fc pcr- E> cipcreccnfet. Idacciditctiam intactu . Namfidigitusvnusaltcrijtaimpli- catusfupcrponatur,vtlapillum cum eotangat, quod vnicum cft, tachis duo ciTc putabit.Contorquctur etiam aliquando (fcd eodcm ferc rccidit ) ncruus i.rix .; vnuis oculi , ita vt non eodem tcmporcquo aliusobic&umadfcnfum communem,ofrcrrc valcat. ob camque etiam caufam,in numcro fpccici um percipicndo dccipiatur.Dc cbriis idem dicendum cft,quod Aucrroes de ira- tis aifirmacob fpirituum fiquidcm agitationcm a multo calorc fadam,idcm oculo acciderc quod aqux fluenti,in quam imago folis cadens duplex appa- ret.Sed de his ha&enus. ioi DE ORGANIS SENSVVM, cpjirtxop , 1/ jomoi t. Quare fi Iixc ita habenr, v t dicimm, marufeftum eft , oponcre mxra iiuncmoclum, lingulaxlthetena vnielemcnto tnbucrc atque aecom- modare.Ec oculum ciuidcm,c]uo.ul partem vifioni feruientcm,ac]ua:ef- fc accipiatur: Organum vero fonorum,acris: Et olfaiftum, ignis. Excoqubd viiumaquxcnbuic Philofophus,quaiiilluc rcdicrts vndedif- ccflcrac,cplligicvnicuiquccx alusxfthcccrus liiumquoquc clcmcntum afcri bj xquum cflc: vt cadcm ncmpc ratiom natura illorum rradcndaferuccur. Quarc Alcxandriicnccnciam,Ariftocclcm nimirum cxanimiluiicntuhacin partc honloqui, ncc omnino rccinco,ncc prorlus rciicio : Hoc facitconccxc* B i3o.ic-cundidcanima,vbidocccur igncm Ite cerram ad nullumxfthccertum accommodari pofle-.Illud, qubd vidcam, vnum hunc &: prxcipuum ciTc Ari- ftocch propolitum locum,inquo dc e^fthcccrioru naturaagcrc dccrcucrit,ml tamcn aliud quam quod hac in parcc liabccur,dciis fic pofthac propoliturus: Prxcereai Ariftotclcm cum m phyiicis tum in aliis difciplims, mulca quuicm aliquandoa vulgata hominum opinionc acciperc: fcdcuncmaximecxpro- pria opjnionc loqui,cum corum que profcrt rationcs addir.atquchutuimodi vcnulquamillasdcinccpsrcprobcc,quod ccrtc hic in organo olfaccusafli- gnando illum prxfticiilcconftabit : poftrcmo,olfactu igninon ablolucc afcri- bcre,vc PlacoTcddoccrcquaccnus illi pollicaflignari,quodiccmdeTacruin- tclligcndum cft. Scd hxcinfraplunbus.Nuncdicamus, qux ratio fuit,vt dc vifu ante alios fcnfus cgcrit, candcm nunc cifc cur Auditu aliis prxponat : dc qup tamcn pauca loquicur , qubd fortaflc in co omnes A ntiqui , tam PhylTci O quam Mcdici conucnircc.Nonnulla igicur nos,nc quid ad noftram Commc- t.uione dclidcrccur,ad hanc rcm pcrcinencia ccmpcftiuc proponamus. Do- ccc Anllocclcs Audicum acns,hoc cft,organum audicndi acrcum cire.Omic co qux hic Platonici,dc quibus iiipra : iumo cancum quod procuht idem Phi- Joibphus (ccundodcanimacont.Si.83,&:84.In aunbusacrcm qucndam nati- uum mcus poiicum,mocu quodam proprio mobilcm,acquc mcmbrana fcpcu adcilc.Hunc itaquclimul cum mcmbrana illa^quxH^ocnuncupacurjaudit" organum cffc ibcuic.Hic vcrb fcicndum cft, Auriu nominc Anacomicos non naodb fubftanciam illam carcilagmofam , cxcra ccmpora promincntcm,mo- cuvoluntario immobilc, flcxuolbquc roraminc vi"qucadt^iMfS7ir, flucan- nulumoflcum paccnccm: lcd aliacciam quxdaaudicus prxcipua mftrumcn- ta complccli.Poft illum iiquidcm flcxum &: Wgf>i*i/pr,qui mcningc ipfao- j-j bliquc ccnfa incusobftruicur,cauicas illa lcquicurquxTympanum. vocatur, obcam quamh.ibcccummilicari cympano iimilicudinem. SupraTvmpanu cria lunc illa oflicula,c]ux .\ rcccncionbus cxercicaciflimiique Anacomicis in_ ucnca ac diuulgacafucre.Malleolus ncmpc,Incus,&: Scapcs. Hxccgo cuma- has Gabnclcm Fallopium Mucincnfcm Anacomicum cclcbcrrimum Paca- uij prohccpccm,& lnim.uiacorpora fccanccm obferuarcm, non modbpubli- ce,icdpriuatim ecia(qubd cuncScholxPacauinx Proreccor cflem,&FaIlopio intimus)in mulcis iumma adlnbica diligcncia, ne vllomodofallercr , mciso- culis vidcrc volui.Vcinamquc corum quoquc mocum cerncrc pocuiilem: na v c cx forma &: ficu corum artificioiiiiimo coniici poccft , huius cancum nocio- nc,ibni inccrm iiuc audicus,racio clarc cxplicari poccft.Mirum ccemm cflcvi- dccur ET SENSILIBVS. 105 dctur,Incudcmcafui partcquxlatiorcft,itac.ipiti mallcoli iniidcre , altcro- qucfuicrurc ( gcminacnim habct)ittcumftapcdisapiccconiungi,ftapedis vcro balim lupcriorem tympani fcneftram ita claudcrc,vt concuila mcningc mallcolus,cuius cauda mcmbrana: intcrna in facic infcntur, iccmqucincus, &: ftapcs moucarur,candcmquc vno cx illis agitato,rcliqua duo iimulconien ciant . DirHciliima fane cft hxc harmonia capcu , mirabilis camcn, &: fum- mo arciftcc Dco digna . Audicus igicur c xcitat ur,cum fonus cxcrinfccus iiuc acrcxtcrnusidusingyrum( vtdclapillo inaquamproic&oaiunc)mulcipli- catus,pcr flexuofum aurium mcatum inuc&us , inccrnoquc aeri in cympano nimirum conccnto coniundus & aifimilacus , mcdia ipia meningc , in quam ncrui quinti paris a ccrcbro dcfccndcntcs fuii cxplicantur,in commune fen- g ticndi principium dcfercurcxquocolligicur nunquam audicum cxcicacum iri,niii ionus extcrnusad acrcm \ iquc innatum multiplicctur . lurc autcm aercm pr.ccipuum auditus mftrumentum vocat Anftotclcs, cum fonus non- niiicx vehcmenti pcrcuifionc , celcnquc motu fiat, recipieccque cito proii- lirc,&: nacurar mutabilcm &: fragibilc ciTc oportcat.Huiufmodi ccrtc eft acr, quocircaaqucaomnia&: magisadhuccerrea , fonitui cdendo incptaciTcfc- cudo de anima dcclaratur.Porro, qui plura de aurium in hominc cxtcrifque animanribus diicjimmc,vfu,figura,iituquc nofle cupit, Anftotclem in priori dehift.animahumlibro,&: in Problcmatibuslcgat.Quarautemnonnulli ad- uerfus Ariftotclicam dc organo audirus opinionem hic afFcrunt, lcuia planc funt&: pucnlia.Siquidcm obic&aaudicus mnato aenhuic aiTinulancur.cum non corpora ipfa dura,fohdaquc,&: fonum cfficicntia, fcd ionus m acrc rccc- ptus,vcl lpfcmct aer ictus ad ingcnitum vfquc aercm per tortuolos lllos au- Q rium anfradus,mocu pcrplacido peruadat,cum quo continuacur &: adhzre- llic.Etob ccrcbri vicinitatcm quodfrigidum cft,acris lftiusnatura non tolli- cur,cumncqucccrcbrum abfolutc frigidiifimum ab Anftotclcappcllctur, ocquc in codem prorlus loco in quo aer collocctur. Quid?quod aqua quoad fui fupcrficicm,acrihuiccxternocontigua cft,ncmotamcn ipfam fngidam non cile indc(vt puto)colligct. O* 3!$ urtpftia,   ortpor^nc/l ' 6e-/*n,iuvtfvoi- fthcteriorum doctr.na crad.cur. Fincsiiquidcm inftrumentorum ommum opcra funr,ad qua- tamcn cancum, fuorum obieftorum prarfcntia, valcnt cx.rc.Sunr autem xftheteriorum obicda propna, quarfcnulia vul^o nuncupantur, color n.m " rum,fonus,o,lor,faponpoftrcm6taa%MVtrcdc ? AlcxandcTcxplicat)idq taOu pcrc, P itur.Qupniam vcro dr ufdcm fcnfilibus, multa in l.bns dc amma d.lputaucrat,ne quis hac craaaxionem veluti fupcruacancam, fruftraquc rc- pct.cam,damnarcc.Propoivc primum quidibi fi artpfuaffi jj J[\w*(jm.7o $p o\m ivipytia ,yjpiS uut & 6 \d etv& ti irtpot , T&it; xat ittpyciar *itSvcrto~a s oht opdo-ei ^ axovo-H } dpfaf it rdt^ji -^X^.ti $ it txa,7? c ir CtuiroicjSn tfl XpauxtgC JfyjpavoCc x ffV[x0tf3nZ xJf.o&v $ ifn n trvpuS 1 cr tr Jfypan7 } r fjSfj trapovvta puc , *j Wpwic Wi 0"xot- . o j ^.ryofjSfj Sfy.QttA(,otx truUi* atf&jk i- fiuiran, a AAct t/c xo tr* pvci^  uaAAor^p/f $ " T '^ ,  19 (^iemadmodumigitAiribidiumcft,lumeneft colorperfpicuiex accidenci.Eccnim cum aliquid lgneum Dcrfpicuo ineft,prxfentiaillius lumen eft , abfencia tenebrx. Quod vero perfpicuum vocamus,non eft C quidaeris,aut acmx, auc alterius ex corporibus ira nuncupatis, propriu: fed communis quxdam natur.i & vis,qux certe fcparata non cft, fcd in illis alufcme corponbus meft,& in his quide m.igis , in his vero minus. Dc coloribus cra&acio infticuicur.Que, coca vc planior reddacur,agc in tres prxcipuas partcs diftribuacur. Prior , in qua nunc verfamur,principia coloru concinec.Secunda,dcfinicioncm ipfam coloris vcnacur acquc proponic. Ter- cia,fpecies &: diflfcrcnrias eorundcm dcclarac. Abfoluuncur hx omncs in ccr- tio hoc capicc,quas nos fuis locis indicabimus . A duobus igicur principiis, ncmpc lumine &: %**"Stoca colorum racio prxcipue pendec. Idcirco Arift. in hoc concexc . nonnulla primum dc lumine,mox dc^rw^alibi iam dccla- raca paucis rcpccit,atque iupponic . Quam racionem diccndi fequcnces,con- D cexcum in duas parccs diftribucmus : Prior dc lumine cft, quod formz vicem gcrac . Poilcnor dediaphano, quod macerix inftar&fubie&i hac in rc obci- ncac.Lumcn ergo,colorcm pcripicui cx accidcnci cflc , in libris dc anim. iam oftenfum fuilfe proponic:fcd vbinam?Profcclo nonnifi in conc.69.vbi aic,Lu- mcn cflc vcluci colorcm diaphani . Primiim crgo accipiacur , quod Aucr- rocs ibi moncc,pcr fcilicec idincclligi quod non dcfinicum fiuc ccrmi- nacumcft,cuiulmodiaer:quadercinfra. Dicicur icaque lumeneflcvcluti color huiufmodic^f^squaccnusqucmadmodum pcrcolorcm,corpus colo racum,qua coloracum fub afpcftum cadit, ita pcrlumcn cancu,corpus 3c pwr/c f r olof-fcto Jfe$ttei tr t^Ic troiftavi Jfapctvoos tjyetrov on fj&p  n vetrr) iXov. j 1 Eft luminis quidem natura in intcrmiriato pcrfpicuo, cius vcro pcr- fpicui quod m corpof ibus ineft, cxtrcmu quidda cfle omnibus conftat. Subobfcura cft, horum vcrborum cum fupcrioribus conncxio. Putant ali- qui:Quia fuprd dictum fucrat lumcn cflc colorcm pcr accidc n s,n c quis cxifti- marcr, lumcn vcrum cflc colorcm, hic ftatim doceri, quid intcr lumcn& vc- rum colorcm intcriit. Scd pcrcipi fanc fatis fuperque ,difcrimcn potuit, cum vcibum *>nC*C*** indcfinicndolumineadditumcft. Prxtcrca nullum adhuc Anftotclcs vcrbumdc colorc vcrofccit: Alcxandcrifta contcmpfit: Thomasexponendomagis,quam connccicndo attigit. Nos igitur,ob par- ) ticu lasillas, /uViwr, itcmquccasquxfcqmintur,3cxdcfinitioncluminis af- fignata aliquid aliud colligi, idq; iimul cu m priori iam conclufo coniungi pu- tamus, vt cx ambobus idquoddccolorc proponctur pofthac planiusrcddi poflit. Idc6qucqucmadmodum rcftc Lconicus partcmhanca fupcrioridi- fiunXit, ita cadcm afequcnti etiam ( iiplana dillinftaquc omnia eflcveli- mus) diliungcnda fuit. Vt vcro tota res percipi poflit , illud poncndom cft, quod ctiam Lconicus admonuit , cx Alcxand. in comm. 16. pcr Voccm cr corpora denfa &C folidiora intelligcnda cfle,qux fenfu magis pcr fcconfta- repcrcipiuntur:Indici6cft,qu6dhiscorporibus pcrfpicuum intcrminatum opponitur,puta acr,vcl aqua, qux tamcn corpora efTe omnibus conftar. A- liudinfuper animaducrti oportct,nullum quulcmeflc pcrfpicuum quodi- tcm non fit tcrminatum ,idcft, tcrminum fux magnitudmis non habcar, eomodoquoanteafuit oftcnfum, &: Ariftotclcsdcacrc ,&aquaprimomc- ccorologico dcclarat , aliquod tamcn pcrfpicuum intcrminatum dari , l.h. i4 D E ORGANIS SENSVVM, quatcnus ncpc , qualitatcm iJJam pcrfpicuitatis cjua anScitur,non in vna ran- tum fui partc iibi determinat , fed pcr totum dirfufam obtinct : alitcr quidcm loquitur Thomas& Albcrtus , nimirum pcrfpicuum intcrminatum , id eflc, quod cx (cipfoiiuc in fc nil habct, quo ccrni poflit, fed codcm omniarecidur. Huic verc opponitur pcrfpicuum tcrminatum , tcrminatum inquam rationc pcrfpicuitatis,non corporis cui inhc.rct, atquc id cft in cuius folum fupcrficie qualitas hxc reperitur,liue id quod habet aliquid in fc dctcrminarc, qud fub .ifpcctum cadcrcqueat, id cft ipfum colorcm. Nam.vt moncbat Simpl. i. dc an1.cont.tf9. coloratum per fc viiilc cft , in propria liquidc natura habcc colo- rem,qui m lumincconfpicitunpcrfpicuum vcro pcr fc viiilc non cft.Nam Iu- mcn liabctaducntitium,quotantummodo qua perfpicuum ccrnirur. Scd cft infupcr (cicndum, tcrmmum hunc in corporibus pcrfpicuis alia ctiam ra- cioneconfidcrari poilcr.qiu nempc aliquafunt proprio tcrmino finita,vc tcr- ia,&iiccaomni.i:.iliquavcroalicnotancum , vtaqua &aer,& ipfc humida: haec inteinunata.illatcrminata vocantur, vtpatctex Arift. infccundodcor- txx&c int.&^.mctcorol. Docctigitur Arift. luminisnaturam cffc in corporc non tcrmmato pcrfpicuo,puta aqua vcl acrc , qux pcrfpicua funt , &: proprio quidcm rerminodilhcultcrtcrminatur,facilcaurcm alieno:itemquc,nil ha- bcnt in fc dctcrmmatc,quo confpici poiIint,idc6quc vtroquc nominc intcr- minaradicuntur. Atpcrfpicui illiusquod incorponbus denfioribus 6c foli- dionbus incft,tcrminum alique cflc conftat: &: hoc duplici rationc, tum quia corpora ipfa proprio tcrmino dcfinita funt , tum ctiam quia qualitatcm illam in fupcrficic iolum rccipiunr, habentq; aliquid in fcdcterminace , quo fub a- fpcctum cadcrc poffinc, ncmpc colorcm.Quockca addic Ariftocclcs: CVr* 3 ^ %S** ervfxfieuv^rrar ftatpot.loyb Xf**f JLa (1 ir rcS trtpali Z$iv, w-criPaf . Sto Kj ol riuSuy 4f*tot rlw ffopdrutt* "Xjoiar oK^Aw.iV/ fAp jbirrdrv ao/jUaT- ftttfafiy a AA* ov riTo rov aetfMf^ trtpaf. Quod efiam hoc ipfum fit color, ex accidentibus patet. Etenim color aut mextremo,autipfumcxtremueft. Quaproptcr Pychagorei,fuper- fic icm colorem vocabat. fi quidem in extremo corpons,non lpfum cor- poris extremum cft. Probacauccm llludcxtremum corporisperfpicuitcrminati colorcmef- le, dupUci mcdio. Primu cx accidcntibus fumitur , id eft iis qux fcnlu pacenc nam confpicimus duntaxat colorcs incxtrcmitatibus corporumac iiiperfi- cicbus,quocircadiccndam critcolorcvcl in fupcrficic confiftcre vcl ipfam- mcr clfcfupcrficicm. Atquilicet, vt cgrcgic doccc Alcx. in q. nac.cap.z.&c fccuruiodcanim.cap. j9.ccrminus corporis nacuralis perfpicui qua corpo- ns nacuralis, fuperficics iir,qua pcrfpicui color, fimulque color fic cum fuper- ficic: non camen color eft ipia fuperficies,ncquccnim pcr fc quanm m eft,fcd forcalfcpcraccidcns:fupcrficiesautcm pcrfequanta cft, teftc Ariftot. primo cxli. cont.i.&: j.mccaphy.cont. i8.prxtcrcaomnecorpus cum fupcrhcie &C m fupcrricie cft,non camcn omnis fupcrficies cum colorc. ncque cnim omne corpuscftperfpicuum tcrmmatum. Altcrum igirurmedium abauthoritate Pythagorcoru fumptum ita cnt nobis intclJigcndu , vt non quafi probacum, (indicio funtvcrba poftrcmacontcxtus)fcdad(impliccm confirmationem diicmmatis propoiiti fumptu arfcratur. (In cxtrcmo corpons ,no ipfum cor- pons cxtrcmum cft). Extremum eorporis, vr corpus cft, hic inrelligendum vemc : alioquinmamfcfta rcpngnantia cffec. Ex his pacccquomodd colorex- crcmum ET SENSILIBVS. 1*5 trcmum corporis dici, & non dici qucat. Scd obiiccre fanc poflet aliquis,co- lorcs non in planitic fola harrcrc , vcl extra folum cflc , fed mcus quoq; & cor- pus ctiam ipfum cotum imbucrc. Nosveroiisomifiisqua? ex Alcxandromi- nus tuc6 po/rcnc arfcrri,abfoIucc dicimus cum Aucrroc in quinco coll.cap.19. colorcsnon nili in fupcrficie coloraci cflc, idcircoque ficri,vc maiori cx parce ccm peracio parcis in quacft colorjalia (ic a ccmperacionc coci 9 coloraci. Non func crgo colorcs in profundo,niii (vc aiunc) in poCcncia,in poccncia inquam, non vc colorcs in ccncbris , (flquidem Ariftocclcs hic colorcm non in rclacio- nc fcdinfua nacurafpec-cac)fedinpoccnciavalderemoca,&, vtaiunt,nou vc- rc. Ncqucobftac,qu6dincifolignoftacim colorin citis profunditatc appa- rcat , quia incifio illa cx accidcnti huiuimodi colorcm producit: quatcnus ncmpc ciim primum inciditur lignum , tunc ibi color vcrc incipit eilc : fit c- nim ibi iuperficics rationcm Jfyt*rit terminati obtincns, ad cuius clfc cum co- lorcm aflcquitur res fcifa quem fcla tcmpcratio cxigitmam color cx mixtionc primarum qualit.itumontur,& iuxtaearum variamtcmpcrationemmutan- tur. Arquifarisnotumcftdcnfationcm atquc foliditatem tum lumcn,tum colorcs ctiam rcpellcre. Si quis fmaragdum,rubinum,adamantcm,vitru auc aliudquid huiufmodi obiiccrct,in quorum profunditatc,ii cxtrinfccus ccr- nantur,colorapparct:rcfpondcndumeft illosnon vcrosfcd apparcntcs ra- tioncextrinfcca: fupcrficicicolorcscirc:idcmqucprorfushisaccidcre,quod. aeri, in quo colorcs multi ob lumcn pcnetrans , & corpus valde tranfparcns, pcrfxpc confpiciuntur . Excipcrc ianc quis poflcc aducrfus hacc , Colorcm cf- fr,caque tcrminata : quorum tamcn cxtre- mitasnon cft color, fed Jux. Vcrumdiluatur quxftiohocmodo: Primum, Gcmmasillas,corpora^^ ! cfle,itemquetcrroinata:mixtanamquefuntcx lucido& opaco terrco. Indicio cft quod afpc&u ccrminac , quod inccrroinaca non crficiunr. Qu6dficlaretranfpareatnilobftat,diaphan/xa.rttretf , ravrhv j ftT&' . Qalnfttj eTi xjy dttp iyu' vdlap ^pa/uutri^o/LSfia. ' ^ 58 ti avyn fgiovror . M* ok Jfy? irdopig-ca^ ov 7lu> avrlta iyyvdir ^'Sfocavai , !&} ttoppaQv t%H "Xfotetr y 0$$ 0 anp, ovSr ti Bdterra . ir 3 Tais o-dfjutcrtr idt ui) 7o troui rh ut fafidhtoir , otprrof n Qar&ria  Xpoae . d[nto>r apa ori V axflo xauuixarddfi t/[txrix.or rxc Jcpoac Zb.feapa SfejarXt] , xa$6tror \rvfoit colorcs rccipit, in corporibus itcm iblidis&C tcrminatiscolonun capax cft: A/*#i. cft natura huiufmodi , in i*VW , i. intcrminatis , crgo &: in tcrminatis. Maiorquzpomtur ah Ariftot. ita probarur:quiaidcmerrccusab cadcm cau fa proficifcitur, quarc fi pcrfpicuitas cft ratio f ormalis rccipicndo- rum colorum,optimc fcquctur, vbicunqueadfucrintcolorcs,ibidem pcrfpi- cuitatcm quoquc adfuturam. Minor cx lc nota cft : quandoquidcm,cum cor- pora inicimm.ua tranfparcant ,fatis conftat ipfaacolonbus non tcrminari. Colorcs crgo lbi in diaphanum quendam &: pcr- fcftioncm accipiunt:quod color illorum pcr accidcns nucupatur.Scd nil ob- l.iiii. I2 .8 DE ORGANIS SENSVVM, ftat fi dicamus Anftotclcm hisinvcrbis ahos innucrc colorcs,quibusper- fpicuaintcrminaca imbui videncur,&: quos fupraapparcntcs& mconftatcs vocauit. Animaducrtcndum eftprimiim, Anftotclemin totohoccont .vti voce in^nf^Tw , non autc m twftmUt, Quia illx corpus rcfpiciunt,hxc Dia phancs,quocirca rcclcctiam colligitThomas,colorcm non cflcin gcncrc quantitatis fcd qualitatis ficut pcrfpicuitas: cxtrcmum nanquc &c ldcuius c-tt c x trcmum in codcm gencrc collocantur.Ncquc moucat nos ctiam, quod Aucrr in lib.dc iub.orbis doccat.accidcntium fubic&um trina dimcofioncm circ:namlicctcolorcsiniupctricictantum vcrc rcperiri dixcrimus:quiata- m c corpus ldem Diaphanum & naturalc fimul cxiftic, idcirco bcnc fcquitur, colorcm m cxtrcmjtatccorporisnaturaliscxiftcntem incorporc cflc.Ecrc- ciius Alcx.qui hinc clictcquomodocoloraliquando in cxtrcmo,aliquando cxtrcmumiplumeiieab Anftdicatur.InfupcrfcicndumcftjAriftotclcm hic id prxftarc quod pollicitus cft,nimuum colorem fccundfi fuinaturam (impli citcr abfolutcq, colidcratam dcfinirc . Nam ii cum Anft.in fccundo dc an.di- cercvclimusjcolorcm cfle Diaphan^^^nnaclu, lamnon colorisfolum- modo natui am iplam fpcciamus,lcd refpc&um qucm ad viium habctrmotus liquidcillius in Diaphan f>Z tt *f) iifflf SfajQ licrcftc Ariftocclc fccundo dcan. conrcxtuyj. id cft,vtfpccicscolorispcr mediummultiplicari& inoculo recipiqucanr,ac proinde idcm Ariftor.in codem libro conrextu 66.Colorem moriuum diaphan nc coloris fumitur, lumcn coloris vcluti formam eflc,in rcncbris ramcn non ccrni,quia lumcn illud maccrix affixum &: dcbilc , mcdium mouerc nonpoccftnili lumcn altcrumcxccrnumadlicquod adu Diaphanif rcddac: quod ET SENSILIBVS. i } i quod lumcncolorcs non gcncrat^iftu liquidcm (unt)fed iJios fpcttabilcs red dit.Arduaquxttiocft,&: amultiscxagitaca,anullo tamrn ad cxitum plar.c pcrduda.Quarcnc commccarii noftri m maiorcm quam opuslir mok m cx- crclcant, in pixfcnciaomiccacur,vnum canrumdicam ,nosfupra hac iolara- f.onc , colorcs in profundo vcrcnon cffcdixilTc , quandcquidim intcrnx illxpartcs lucidx igncxquc dcn/icate c ffu(cantur,acnon niiiin lupcrficic colorcsintcgros atquc abiblucos quos cimpcrancia mixcicxigic,gigni vn- quam pollct.Dc Diaphan, iam fupra rcfponfum c(r,cum cx Alcxandnfcn- tcntiadiximus.^^'corpulqiicnaturalcidcm numcrocflcrquare eatcnus Diaphan}' maccria vcl iubic&um luminis dici poifcc, quacenus idem corpus nacuralc,icemquepcrfpicuum eft.Dc catifarum numcrodimmurojielp odco falfum ciicquodobiicicur . Nam omuTo finc,qucm canquam nocum rcliquic Ariltocelcs, trcs alias caufas colorum numcrauic . Eft auccm finis ( vt ab iilo cxordiamur)pcrfectiofaculcacis vidcncis: pcrficituriiquidcm faculcasipfoa- ctu.imbquidaliud actuscft,quam facultas kmcccduccns ac prodcns? Adus auccm cft rcccptioipfa fpcCtabilium,cuiulmodi certe funt loli colorcs. Qi a- tumadaliascaufas:Dico Ariitotclcm dumallcric colorcs cxluminc&: Dia- phanWa cum opacicaccoriri,cam formalcm , quam cfficicncc m , &: macenale caulam cxplicarc.Ilia cnim cria vicem harum omnium preftant,quc madmo- dum clcmentaquoquc tam cffcctiuc quam maccrialiccr &: tormaliccr,( vc lo- quucur) quauis non eadcm vbique rationc,ad mixti confticucioncmconcur- rcre dicimus.Quaccnus cnim clcmcntaluni& fubftantix,matcriam qua- fi cxhibent: quod vcr6 ad qualitatcs arcincc,formam &: cfficicnciam . /iquid hxduxcaufxaliquando codcm cocunt : vccx fccundodePhy. aulc. conc.70 patct.Ita principia hxccolorum,quod ad matcria inqua fundamcntu habct, fpectat(raricaccm cnim corpons,vcl aliasciuscondicioncs,Diaphan vutrtpv fAf) do&t&r tf) aftntportrrtt.lff J*xrr xj^ ^iAor. Dc aliis autcm colonbus,iam diuidcdo,quot modis gigni poflfint no bisdicendum eft.Contingit emm,iuxca ic poiicis albo & nigro, neucru illorum ob paruiracem confpici.quod vcro ex eis conficicur , eo modo fpe&abile fieri:fed hoc certc nequc album , neque nigi u fieri porcft. Cu ver6 ncceflefit, aliuucm h.berecclorem,atquc lllorumncuuum eiTe queacnuxtum c]tiidd,iuerfamquc colcirislpcaem eiTe oportebit.Exquo intelhgirur,prseteralbum& nigrumplures cfiecolorcs. Dcclaraca cxcrcmorum colorum gcncratione , ad mcdios cranfic,mcdios (inquam)nonomncs,fcdcosrancum quicxvcris coloribus mifccncur.In li- bclloquidcm dccolonbusomncscomplcxuscft,idcft ram cosqui cx vcris, quam qui cx apparcncibus conflancur.quod ibi parcicubrcs mixcionum hu- iufmodicaulas,hicvniucrfalcsrataum rcccnfcic, ipiiusiitconiilium.Porro Arift.fuum moremfcquitur. Prinuim nanqlicdupliccm dc cocahacrc Anci- quoriiicnccnciac6mcmorac,acqucrcfcllir,moxquid ipfc fc nciacproponir. Vna igicur Anciquorum fcntcncia dc rc hac huiufmodi ruiffe cradic:minimas quafdam cam albiquam nigri parrescfle,quarum iingulac feoriim poiicxco- Ipicinonpoflincobcarumcxiguicaccm. iicamcnin aliquo iuxra ponancur, _^ ob auclnn molcmfubafpcciu cadcrc,ita tamc,vtncquefubrationcalbi,nc- quc fub rationc nigri(fi quidcm fub ca rationc fintin c6fpicabilia)fcd cuiufda tct tii cx illis conflatijdiucrfamquc ipccicm ob tl nencis, conipiciacur. Ex quo rcct^colligiturquam plurimoscflccolorcspra-ccrduos cxcrcmos iam com- mcmoracos.Hicduofuncanimaducrccnda,p r jrnumArifto.(vcinfrapluribus dicc m 5 ) Anriquos lllos rcfpiccrc qui corpora,n # eexa& \a$oyLu cTi Tira A Aft4" drv fxfj.tr por.K) SV ai^r Xofi?o ic. xpoiual^xxSuKtp ixii&f cvfi$an'aftdrarr 'flfjto-ttvc, , ot&c. Mulros aute proportione,Tna enim ad Duo,&. Tria ad Quatuor > & fecundu alios numeros iuxra poni pcflunt.Qpsedam vero cu nullapror ^ fus murua proponione funt,led cu qucda cxccflu defe&ucnic intomen- furabtl .Qux faneeodem fe modo habere exiftimandum eft,quo cofo- nantias.CcToresenimqui in numeriscgregiam proportiontm llruanti- bus repcnunmr,vt lbi confonantix,gracifsimi omniu colcrum cffe vide tur,cuiufmodi (ut purpureus, puniceus,&pauci alh eiufde seneris.Qua quidem ob caufam,confonantiae qucque non mulrae funt . Qui autcni n6fucinnumeris,aliifuntcoIores,aut cerreomnescolores in numeris funr,fed alii crdinc difpofiti,al:i inordinarc,& hi ipfi c um puri nor. fint, ^ quia in numeris non exiftanr,huiufmodi gignuntur. Vnus igitur genc- rationis cclorum modushiccfto. Ex mixcionc illa inconfpicabilium partium albi & fiigri multos orrri colo- rcsdeclaraucrat.Nuncrationcm iftius multitudihis ih rationc &c iufta qua- dammutuaextrcmorum proportionccon(iilcrcafTirmar,Etcnim prodiucr- firaccillius,diucrlxitcmcoloru fpccicsprodcunt. Vt vcroplaniora fintqux dc Proporcionc loquicur.cxcmplum a difcreto quanto,ncmpc a Numcro fu- mit-Nam qucmadmodum,vario modo numcri inuiccm difponi qucunt,pu- taTriacum Duobus vc cxccdens,&: cumQuatuorvt cxcc(Tum,& cumaliis alitcr,itaminimaillacxtrcmorumcolorum. Nequis vcro putarct omncm cxceu*um,omncmquedcfcrum proportionicolorum gcncrandoruminfer- uirc,addit,rationalcm quandam mcnfura vbiquc exigi,(i lufta cxccdcntis & dcficicntis proportiodicidcbeat.Hanc vcromcnfura rationalc confonatiis p vocum coparar,quatcnus fcilicet,proportiones con(onantiaruqurc tt x l G r, intraquufdam ccrtos hmitcsconrinctur,ita vt illos cxccdcrc plurcsquc clTc ncqucanc quo fic vc non multacctiamfint,lta in coloribus fe habcrc ait.Nam (i nullusin mixcioncminimoru,proporcionisgradus ftrucrur infinitam qui- dcm colorummuIticudincm,fcd irrationabilcm iniucundamque proponerc liccbit. Ex his colligit cos folos iucudos afpcchiiq; gratos c(fe colorcs, qui nu mcrofam, vcl sequam ordinaramquc proportioncm fcruant.Scd lingula func perquifitius cxaminanda.Primum aute.quod ad propofitum facit, nonnulla vcrba Thoma? illuftranda.Colli^it cx Ariftotelc dccimo metaphv. conc.i, 6C j.t^Tb  rationc mcnfurs propric & pcr fcconuenire,quod indiuifibiic (it: ra- tioque meniurx ccrtum tk conftans c(Tc cxigat , cuiquc nil addi auc fubftrahj potlic.Hoc iccmVnumquod mcnfura cft,inquancicacc pnmcim rcpcriri ra.i. S5NSI LIBVS. I}9 fonum-.fivcroceleriorfpifliorquc, aciuum. Qua cmm magis Tcftudinis fi- dcs intcditur,coacunorcin ionum rcddic:quo magis rcmicruur,grauiorcm. Huius rei ratio nullaalia cifc potcft  nili quia Ncruus mccnfus vclociorcm pollumnercti flioncm vc faciar, colcriufquc rcucrrcns,frequctius fpifliufquc acrcm fcriat : laxus vcro folutos &: tardos pulfus habcns, diutiuiquc h a> rcns,raroimbccilJitcrqucacrcmpcrcutiat.Ncquecnim quocicschordapcl- iitur, vnus cantum cditur fonusaut vna fic percufllo: Imo totics aerem fe- riri, quoties choxda trcrocbunda quaii abiens rcdienlquc pcrculfcrir , cxilti- mandum cft.Scd latctaurcs inccrcapcdo huiu(modi,obiun&am ionorum vclocitaxcm . Exhoc itaquc Graui& Acuto fono Symphoniam conllare doccnc Mufici.Symphonias auccm omncs Mufiea&ad Quinquc pocirtim u m proportiones przcipuas rcdigonc ,quse, quinquc iccm alns Anthmcticis rc- fpondcnt.Sunt vcro illx limpJiccs quidcm trcs 7wp*r,d$ tm^ ^wjcom pofltidux,^"^ ^^^''^*- 8 * 1 '. Priori refpondetin Numcns.propor- tiofcxquitcttia,vt4,&: j.Sccundar fcxquialteravcj.adi.TcrtixDupla^vt^, &i.QuartxTripla,vt'*facit,itain coloribus.ccrtaiufta- quc proportio albi cum nigro ( quam ipfc vcrbis illis lignirkat uifAtmtA. Aej?wri)j parcicularcmcolorisfpecicm vel magisvel minus iucundam pro- ducic. ( Cuiufmodi funr purpureus, puniceufquc ) . Excmpla func colo- rum inarquailla proportioncfcu Symphoniaalbi&: nigricxiftcntium. Difcr- te aurcm in priori Mercor . vbi dc **ir*uirnf loqucbatur,co!orcs hos duos Awf>fcilicct fcutff"^(idemenim cx commixtioncignei &albi&:nigriapparcrcatKrmauit.Eft vero purpurcuscolor qualis aliquan- doinauiumpcnnisadlucemfeu folcm cxtcnfis cxplicacifquc,acquc inma- rictiam fublatis fluctibus, ccrni contingit- Natutalis autcm &c rcuera hu- iufmodi color in languinc Purpurx marinx,dc qua Plinius hbro nonoca- pitc trigciimofcxto,confpicirur. Puniccus autcm in flammapcr Iigno- rum viridium fumum infpccta,in Aftrilquc ipfis aliquando, per vapo- rcm in fublimc clatum denliorcmquc redditum , apparct: reuera autcm &naturalircr cft in Cinabari &: draconrco,quod cx fanguinc animalis eft, vt Alexandcr in certio mctcorologico docet . Scd dc his pluribus agcre, vanum elfct. Tantiim igitur pro rchac moneo: Intcrpurpurcum,&: Puni- ccum colorcm hoc difcrimcn colligi , quod Purpurcus , tenuiori Iuminc alh6que,&: nigro mcdiocri interfc commixtisfiat,validiori autem &mul- to luminc alboquc, & nigro pauciflimo, Puhiccus . Gratos igitur nuncu- pat hos colorcs Ariftotclcs , quia in vifionc voluptatcm producunc,vi- iioncm, mquam, iiue acfioncm ipfam & \nyy*tkt vidcndi non vim facul - tatcmque anima: : difiuncfa liquidcm iftaduo func, nili Mcgarcnflum fi- miles haberi vclimus,qiii dum nihil agimus, faculcacc eciam agcndi,nos plane defticutos cxiftimabant . Vifioncm autem tunc volupcatc afHci, ciim Scfacultas ipfa vidcndi bcneeft affecta , & mulca in coloribus cx- trinfccus obic&is ( ab his cnim duabus caulis potiflimis viiio pcndct ) m. li. 136 D E ORGANIS SENSVVM, cu facuItatcconucnicntia,natnra?q; confcnfioadcft,fatis cmnibus ccnftar. Qualisvcro in colonbus confcnlus,proporrioquciftacu facultatc vidcndi cilc dt bcat,adMcdicum potius quam adphylicu dcclararcpertinct.Galcnus nonnulla dc rc hac,in 4-de fympt.caufis,cirm dc vira loquitur. (Et patfci alii.) FJureslunt diilonantixquam confonaniie,,itcmquc colorcs infuaucsjfucun- dis. Bonum liquidcm ( adquod conlbnantia rcrerrur)cxcaufa integraquse vna cft, conftarc Atiltorclcs, tc Dionyf.doccnt. Malum vcrotx quocun- qucdtfcciu-.idcircolicct in bonis ,&conlbnantiis gradus quidam rc&ifcr- uari poiTinr,fcmpcr tamcn plurcs crunt quiab intcgra caula rcccdunc, quam qui ad iplam acccdunt.Dc colonbus itcm diccndum c ft. (Scdalii ordinc di lpoliti,aJii inordinatc. jCmncscolorcs in quadam nroportionc funt.(quodvo cat Aiift.nifalJorwrW"')rcdn6omncsordinate& purc.idiftjAlcx^Ti.cx- plicancc,non limilitcr liuc cadcm rationc pcr totum commrxti. Lccnicus cx TJiomarumcns,cxcmplumarr*cit,hocmodo, vtii iuxtaduo albavnu nigru iit poiitum,&: luxta alia duo rurliis vnum nigrum,& iic deinccps,pura &; ordi nata mixtio nuncupabitur:corraria vcrdilli,impura &: inordinata . Ab ca (vc poftu mo collrgit Anft.)colorcs fuaues,ab his tnftes proficifcuntur. E*c ^ 5' peuvu&af  oTar o JtA^- xa& avVrf&fj >Jjxt c ^airtfof^ $ a\*.C& x) xac'af fgravrcr ^c^t^r^ ^cniputip^fArtf ^tycc /af ar tmDc rfyji&moMcvfU & w /3a'3.& v $ ^4^,id c ll dcli- neationcm,vmbram,&colore:nam tmiiin planocorpora effingcrc cogatur, non raodo coIoru,fcd aliarum ctiam duarupartium auxilioin.digct:quib 9 ccia fic vc omniuaJiarumartiuqu^inrcprtjfcntandoverfcnturjdirhtilioriic^no bilidima.Iftai u fiquidcm parciu opc,non folu cffigicm rcru animacat u auc in p animaruvcfupc:vcrucciaro mcncisaff fculpcdi ars,neq; ca qux -*p *- vocatur vnqua cfficicrgrum,&: quiadheru nacuram magisacccdunc.Acquc obcacaufam,illiafpcdu cclcricermcucnr,vclctia\Iiiiiciunt:hi cardiusagur, & afpcdum congregar. Indicio cft.q, pidores ciim aliquid cauum auc profun q du remocius,vc puceum,vclantrum jpingerc volunr,colorc nigro,cxrulc6vc aut alio ciulinodi vtuntur,albo fcu fpltndido circa illos adhibito . Cum vcrc* (pmincns quid,vt vbcra,aucroanu,auc pcdc,auc aliud afpedui propiqoius,al- boaliifqucci affinibuscolorihuscacffingunc, id prxccrcacotuquod ambir, nigro cciulcove arficittt s.Scd hanc regula tunc maximc fcruant pidores, cu volut ita aliquid vidcri ac ii in acrc,vcl aqua cflct.Pifce cnim incus in aqua po fitu,dcniicriatqicfficaciori colorc pingur,illifupilltnitntcsdcbiliorc,quia- quxfupficic refcrar.Porro,cur cfficacior.color ad colorc mediu gigncdu fup- ponidcbcac caufacft,vcThomasanocauir,quiafidebilioritippcnciccur,nulJa  lVi/pccicafpcccuicxhibcrcpoifcr,abcflicacioricnipenic* offufcaretur,acq! hac racionc nulla fui partc in colorc mcdio haberccquinimo mcdius null 9 co lor cfficcrccur. (Ecqucadmodu fol). Exc mplu cft a naturalil us pt titu. Sol cni qui ex fcipfo clarus ft u fpltndid'cftin mcndic,& idcirco albus apparct (nul)u cnl propric colorc Sol habctfcd caccnus albus vocacur quaccn' claricas Iuci- dicasq; ad albcdine rcfertur,vtcx $.me.c.dclridcc6ftar)mccrpofironigro,pu D ra haIituahquodelb,vt pctfxpeinortu&occafu ciusaccic!ir,puniccusc6ipi citur.Scddc rchacArift.in i.mct.plunb*. (Porrohacetiam rationc). Tcrcia hxc pars:omniaplanahabcc:oftcndiccnim rationcm varictatis& iucundita- ciscoloru mcdiorum,nonaliundc quamavaria proporcionc cacjueconue- nicnci, tam coloruquilbpponuncuriiuein profundofunr, quamcorumqui fupcr illiniuntur, fiueinfupcificie mancnc,elfc pccendam. i r Zr iw; -tlw Ttnli ~,\uj elfrfiy tuTV(,l>- 'JLSur xfti-fltT qZrafT* xjt~3$ ts fH7w;o rki&*tn,i *t*j -r-Tri^rfiittir. 9 Dicerc igitur, vt antiqui,colorcs nepe dcfluxiones e(Te,cV: c b hanc cau lam cerni,abfurdum cft.cmniu enim fenfu,pcrca&u el'fici,de dloru fen- tentia affirmarc necelTceft. Quare fatius ccrtc erit dicerc , fenfum fieri m. iit , 5 8 D E ORGANIS SENSVVM, medio fenms a rc fenfih moto,ciuam ta&u > deflu&ionibulque. Prior illa opinio , vel ob cam maximc caufam colorcs mcdios cx atomis illis iuxta pofitis cffici forcaiTc doccbat , quod acomorum illarum dcfluuiis in oc ulos fefc infinuantibus,idolumqueaur colorem rcbus ccrncndis limilcm a dfcrentibus,vifioncmerfici poncrct: vcl co nomincpotius vifioncm ciuf- mo di dcfluku ficn ftacucrcr, quod atomos illas darcr,cx quamm *W/ acu. ftfviui non modo colores,vcrum & alia propc omnia mundi Enria efficcrenrur. Vtcunque vcro fic,fac conftat Anftotclcm allatis duabus opinionibus,in pnrfcnti contcx.priorcm illam cucrtcrc. Et fanc vtramuis rationc diccndi fc- quaris,nonabsrcAriftoteIcs,nonnullaprimum aducrfus hos dcfluxus affcrr, anteaquam fcnreciam ipfam impugnarc aggrcdiatur, Quod ij noffe poccruc, qmindifpucacionibus Ariftocclicislunt cxercicatiorcs.Notnale igiturTlio- mas , cum ait:fundamcntum prioris opinionis inhoc conccx.tolIi:nec minus ctiam rctc,qui obitcr& quafi pcr trafcnna ,anncxum folumodo quoddam ll- hus cucrtidoccnt.Somniant autcm qui tcrtiam dc ortu mcdiomm colorum lcntcntiam,hic affcrri putant.Quandoquidcm huiufmodi dcfluxio non ma- gis colonb 9 mcdiis,dcquibtis tantum agercin prxiccia Arift. inftituit, quam extrcmis gcncrandis accommodaca lit:hic fiquidcm communis omnium rc- i um cerncndarum modus ab illis habccur . Prxtcrca qui ficri poffic , vc dcflu. uia harc colorcs mcdios varicnc,nili primum corpora ipfa a quibus fluunc va- ria finr, nc vcl coniicerc quidem poifumus. Poftremo nullibi hxc opjnio ab Anftor.prarcerq; quod ad vidcndi modu rcprehendicur.Ncquc obftac quod AnftorclcscolorcsiwfHV nomincnuncupct,cum non alitcr fintcius vcrba liicaccipicnda,quam fupracum Empcdocleincoftanrixargucnsdixir,*^ tft colorara ca vocarca quibus defluuiaproficifcurur.Exhacirccxplicatio- nc , unotu cifc potcft,cuinam priorillaopiniodc coloribus mediis tribucn- da fir,Empcdocli nc anDcmocrito. Atquc illi quidcm,quia licct iftasatomos in gencrationc colorum non omnino admifcric , ncquc pcrfpicuc lllis ta- mcn darc manum vifus cft,cum inconftantcr vifioncm pcr dcfluxum corpuf culorumarclpc&abili, cfficialiquando affirmauerit: Dcmocricovcro,quia quauis Atomis iftis no lcpcr faucrit:& vifionc pcrW"ficri doccrc vifusfit, ; wien tamc illa,per ifta dcfluuia ad oculos dcfcrri,& in cos imprimi , vt notat Alcxandcr,txiftimauir. Scdquamamobiiciat Ariftotclcsiam tandcmcxpli ccmus.Si;inquit)vifiopcr dcfluuiaifta atomorumficret,fcqucrctur vifionc c mncm tatu cffici , quod fane perabfurdum eflc conftat. Na fi cx fcc. dc an. tcx.6j,& 144 vnufquifqucfenfusfua&propriaquidcm obic&ahabcrinqui- busvcrfcrunirafuumquoqueatquc peculiarcm fcncicndi modum mln*nd. ty.* niminim & i^typ id eft fpiricualiorcm vcl matcrialiorcm obtincrc dcbuit:imo harc fola racio eft cur Animal non vnico fcnfu,fcd pluribus przdi tumfuiflc oporcueric.Confequucionis aucem vis nocacft,quandoquidcm, vc illotum ferc opinio,minucifIima illa corpufcula coloraca influcncia,fc ocu- lis applicanc , illofquc cangcndo afficiunr. Ex quo dcinccps infcrt , Sacius multo elfc id affirmarc quod fupra cciam oftcnfum cft , vifioncm , ncmpc idcirco crfici,quia id quod inter vifum & obicttum intcrccditCfiuc lumen vo- ccs,fiuc acrcm , ab obic&o fpe&abili pcr fpccicm moucatur , quod motu at- qucicaaffctum,oculumipfumdcinccpsafficiac, fed non tangcndo,cum- taftus propric corporum clfc dicatur. Eft ET SENSILIBVS. i )9 Eft igituractio ifta ipccici icniihs in oculum, aifimilaciopotiusquxdam cum A facultate fcnticndi nuncupanda, vt pcrfxpc diximus, quam ccntacrus. (Qua- re abfquedubiofatiusccrtecrit. ) Vim fuamhocconncxum fumit,cx pro- poficionc totics ab Ariftoc.repccica,prxfcrcim in o&.Phy.conc. 56. fccundode part.an.cap.i4.&fccun.cxli.cont.j4.Naturam (cilicctcxduabusrcbusquas vtrouis modo agcrc poteft,fcm pcr id agcre quod optimum cft. Quxquidcm licet non candem xque rationcm obtincat in fcmpitcrnis,acin hsqux ortui & interitui funt obnoxia,vt egrcgic annotauit Aucrroes in fecundo cx- li,com.}3,&: 34.itcmquc tcrtiophy.commct.jzhoctamcnprxcipuumcom- munequc fundamcntum(ni fallorjhabct.Natura proptcr fincm agcrc,qui i a- tioncm boni fcmpcr obtinct,imo nunquam non cft bonus in rebus naturali- bus . Atquivbi dcBoni gradibus agitur,illud quod mclius cft,rationcm boni fimplicitcr afiequitur,quod vcro non ita bonum, mclioris refpcdu , pri- B uationis&mali.Quoccrreficvcnacura propter bonum agcns,fcmperadcx- tremumillud 7tA(m*p k, f*iy&&- ha/ufidHHrdopdtpr, oiJ5 2 "xfim drafe^nfcr } )'ra XdBaonr af xrniati(d$iX90Uf*iraf, C fxx Qatn&af. In iis itatiuc cjux iuxtafepofica funt,nccefTe eft, vt magnirudirem * inuifilem, ita tempus mfenlilc accipere : vt motiones accedentes latcant, & quia fimul appareafit, vnum eftfe vidcantur. Iam opinioncm ipfam eo qu6d iibi in prxfcncia fat cft, falfam cftcdcmon- ftrat, quod abfurdam, ncmpc quandam &: manifcftam incommoditaccm ad- fcrac. Rcliquacxiisquxinpropriaaifcrcndafcnccntia dicct,nobis aducrfus hanc opinioncm colligcnda rclinquct. Subobfcurus cft contcxcus : vc igitur planior rcddatur, induasillum partesdiftribuamus.Vnacarum abfurdita- tcm, qux opinioncm confcquitur,(implicicer proponit: Alccraabfurdicactm magis cxplicat & quafi diducit. Pi ior crgo ita habcrSi magnicudincs illx in- ) uiiilcs iuxca pofitx pro gcneracionc mcdiorum colorum dantur, crgo Sc tcm- pus infenfilc. Conicqucnscft abfurdum, confcquutionisautcm vis eo patct, qniamagnicudini inuifili, cam motum quam tempus proportione reipondes tribuere fanc oporrct. Sccundahuiufmodi cftrficolorcs mcdii gcncrantur iuxtapofitionc & vnionc partium minimarum albi&nigri:qucmadmodum particulxillx acccdcntcs cx fc inuiiilcs crat, ita tcmpus quo talis vnio feu ap- proximatio parrium hincatqucindcficbat,infcnfilecirc oportuit. Dcpiiori parteplurib' infra fuoloco,quatcnus nimiru tam magnirudo,quam tcpusin- leniileadmittincqucat. Alteram non vnoquidcm modo diducunt intcrprc- tes, omncs tamen in co confcntientcs,vt de motione iftorum minimoiu qua* acic pcllunc vcrba ficri putcnt. Scd ccrtc licct omncs vcrc &: iis qux ab Anft. pro rc hac ad fincm libri proponuncur fcre couenicnccr,non tamcn( vc puto) m.iui. i 4 o D E ORGANIS SENSVVM, huic loco accomodacc. Primum cnim mirum cft, cum omniu confcnfu Arift. lioc in loco priorc dc orcu mcdioi u colorum icnccciam impugncr,in qua nul- lum vcrbum de illis ad oculos dcrIuuiis,omncs tamcn ad dcfluuia illa contcx- cum accomodarc. Quod ii nobifcum ccnccdant tcrtiam ad pnorcm pcrti- ncrc,cur crgo non itcm ratcbuntur vcluti (upcrion rationc defjuuia illa abla- cafunt, itanac modum lpfum gcncrationiscolorum auferri? quodfanccffi- cerc Ariftotcliprzcipue propolicum cft. Ccrtc hi fupcruacancum diminu- tumquc fimul rcddunc Philofophum. Przterca, vifio percontinuata fucccl- fioncmatomorumcxfcntcntiavctcrum cfficitur: quificri itaque potcritvc T*f-Mt9'riAudixcrit Ariftorclcs>Poftrcm6, dogmancn poncbacraagnicudinc inconfpicabilc quz dcflucrcc , imo in defluxu lam ccnlpicabilcm , fed inuili- lcm antc coloris mcdiigcneracicncm , quz dcinceps cum aliis vnita , viiilem magnitudincm confticucbat. Quarc vt omnia cofonafc pcrfpicuacflcnc, ita putarcm vcrba illa fccudz partis cxplicanda ciTc. ( Vt motioncsacccdctcs),i. localcs illzapptoximationcsinuifiliupartium albi& nigri,adgcncrationcm coloris mcdii,(latcat) ob tcmporis ncmpc T ***8'* r & ftW, l.vt ira loquar, impctccptibihtatc. (Etquiaiimulapparcnt),i.Etquoniam partcs illzfimul apparcnt ^^^rtVtfupradixcratV^nx^rt^w. ( Vnumeflcvidcantur). Latct fiquidcm mocus ill:, quibus iftud v num cx multis cocurrcntibus aggregacur. Scd quid , (i hzc pollrcma vcrbaad magnitudincs inuiiilcs rcferrcmus,vcluti priora ad cc mpus inlcn(ilc?vtrunquc ccrte pro abfurdo Ariftoc.infra habcbit. Vcrunquc crgo fortalfcra his verbis apcrit atquc dcducit. eVSu/S^i 3 ov$ t/jtla, dvdyxti, etAAa !s> itritn^ ypZfXA^dxirfior cv,Xj xtrovfdfjor u- th i/Wxftfii , ot/ ofxolctv fBrottiffet t xlvroiv . d KjtTtpor ito/, jyu oCrt Xtiixlr ovrt fxih.tr. i Scd hic nulla nccclTicas vrger.Vcrum color qui cft 111 fupcrficicper fc quidcm immobilis,feda fuppofito motus ,non fimilemmotioncmcf- ficiecQjiiocirca nequcalbus ncqr.e nigcr apparcbit,fcd diuerfus. Sccunda opinio,quzncquc vilioncm perdefluuiacffici, neq; colorcs mc- dios pcrapproximationcm parcium inuiiilium produci, aifcrcbar,ab haium abfuiditatum cnumeratarum nccciritatcimmuniscrat,idcircoquc probabi- lior. Qupd vt magis patcat Arift.paucis,& clarius adhuc quam antca , ratio- nc m gencratJonis colorum ab hac opinionc induttam,rcpctit. Color,inquir, in fu pcrficie poiitus(eft pcr fc immobilis) , id cft, cx fc nullum mcdium colo- rcm crficir, ncc vt mcdium quid mouc t. (Scd motus a fuppofito ) hoc cft cau- fam a fuppoiito colorc , eracacioriq; rccipicns, vt hoc vcl illo modo apparcat &: afpcdumarficiar. (Noniimilcm mocioncmcfficicc),i.n6fecundum ratio- ncm vifum moucbit,fccundumquam cx fcipfomouerct , vclfecundu quam ctiam ipfc a fuppoiito mouctur. Idcircoq; addit. (Ncq. albus ncq; nigcr ap- parcbir,fcd quid diucrfum). Ex quibus ccrtc vcrbis patct, fatius eiTe hoc mo- do totum hunccontcxtum cxplicarc, quam modo Thomz,Qui putauit,pcr vcrbum (lmmobilis)motum localcm innui , pcr illud auccm ( mocus a fuppo- fito ) mocum alterationis,ac (i Ariftotcles diccret: Opinionem hanc lupc- riori przftarc,quod localcm mutationcm defluuioru non ponat,fcd colorc in luperficic pofitu ab infcriori altcrari,atq;eomodonon limilc motu fcu rcprc,- icntationc fui in fcnfum faccre,quam pcr fe ip(c cxhibcrcc.Quc. fanc cxplica- cio prcccrqua quod,quantu ad lmmobilicacc liiam vana atque incpta cft,vuJc Ari- ET SENSILIBVS. 141 Ariftotclem cciam mquampauciflimisvcrbis,amoculocaIi, admocumalce- A rationistumadfenfusmutfltioncm tran(irej.ter^-vu/affludit. HVt* effxti tvS t^rr a/ fxndvr tf) fxtyt&&' aopafa, AAa  ftiyturaf ficnro~a. wcTf^iTix/ 6rtpor. Si VC- t ET SENSILIBVS. i 4i Si vero corporum mixtio cft , non folum co modo quo qnidam arbi- rr.inrur,poficis nempc uuicem minimis , qua: iul> fcnittm noftrum non cadic, fed cum coca prcrfus pcr coca confundarur,vcluti in voluminc de mixtione vniuerfim de omnib" diximus : Ulo certc modo,ea folum mif- cecurqua:cunq,- vfqucadminima diuidi poiTunr,vc adhomines,cquos aut femina. Hominum cnim, mmim 9 eft homo,equorum aurcm equus. Quare horum luxca leinuicempofitionc,vcrcruquemulcimdomixca eft.Sed vnum Jiominemcum vno equo nondicimus mifeeri.Qua:cu- quc autem non diuiduncur adminima ,ad hunc modum non compo- juintur/ed vndequaqucmifcencur, qua: mifceri maximeapcalunt. Vc- rum quomodo hoc maximc ficri quear , in libns de mixtione antca di- ftum cft. Pofjtis aliorum dc ortu mcdioru colorum fenrcntiis,cifdcmq; quanrum lac eracconrutads,propriam nuncciusrcifcntenciapreferre inltituic: quam vc c6modiuscxliccc,diltin&ioncm quandam mixtionis proponicacq;cxpla- nacqua: cft huiufmodi. Mixcio no folum vno quoda modo ab A nciquis cxco- gicaco,faifo camc acquc incpco fic, (Quando fciliccc minimx parccs corporce. ob cxilicaccm, fenfum nottrum fugicnccs,iuxtapoiitx,&: cotu quid vcluti co- pofitum auc pocius accunralatum,fcnlilcq; confticucnccs, mifccri dicuncur) Scd cciam alio veriori, & naturx proprio:cum mmirum rcs non modo fc con- tangunt, fed cocxpcr cocas mifccntur fcu cofunduncur,vt in voluminc priori dc octu& inccritu oftcnfum eft. Dcclarac dcinccps Arift. in quihufnam tam primus qu.ira fccundus mixcionis modus locu m habcat, vt vtriufq; vis & na- cura magis noca fic. Dicic icaq; priori modo ea folum milccri , qua* diuidi pof- func,ad minima fccundum ipecicm, i. ad ea , quar vlcerius in illa quar fu.c funt fpccieidiftribuincqucunc: qua ratione Hominum minimadicuncur, hicho- mo,& ille:cquorum iccm hic& illc:granorum,pura milti,hoc& illud. Scd po- ftcriori modo mifccri feu mixca illa nuncupancur, qux in minima iftiufmodi diftribui ncqucunr, imo ipforum omncs partcs cotx pcr cocas ica confundun- curjvcnullamillarumicoriim manfi/rcdicipoffic. Quod qua racioneefficia- tur , abundc in voluminc dc orcu & inccricu priori , nimirum cap.duobus po- ftrcmis, facis fc explicaflc monec. Pi ior conccxcus pars,coca pcrfpicua cft.Ac- ccdo igitur ad alia. (Illo ccrtc modo ca folum mifccncur quxcunq; vfq; td mi nima diuidi pofluhr.) Id cit mixta vocatur illa quoru particulx mininvi iunr, vc milii auc tririci accruus : vocac auccm minima ca qux vlccrius in caquofuae funcfpccici fccaririequcuCjfcu qux noamplius fic comunis mulciSj/Inuidua, & vnumnumcroaliasnuncupancur). Hoc codcm refpcchi Ariftrc fccundo dcanim.conc.*i,hominem minimum vocauic,cftcnim,vcadmnuic Albcr- cus,paucorum Indiuiduorum. Hiccrgo no nunimailla quancias rcru phvfi- carum, cuius in fecundo d c an un. cont.41 . mcntio ric. Scd ipfc ipccicru m - juWwindiuidua videncur lncclligeda : quod facis doccc PhiJjfophus cum ad- dic. (Hominum cnimminimumefthomo), hoccft , MuLicudo hominum, oux^tt dlcicur ,pro fuis minimis parcibus habec hunc&dlum homincm,vl- tra qucm dcfccndcrc non Iiccr.Pro qua rc animaducrccndu cft , Ai iltotclcm inpriori volumincdcortu& inc.conc.8f. dupliccm mixcionisopinioncm, v- tranquc tamcnfalfam proponerc. Vnamquc mixciorcm cfficiaffirmabaccx parcibus, ad cam mtnima fccundum quancicaccm diuiiis mixcis,adinuiceq.ud' \ 144 D E O-KGANIS SENSVVM, appolitis, vt proptcr partium paruitatcm,nullus iuxta poiitionis fcnfus ciTcr, fcd vidcrctur potius mixtio & tcmpcratura eiTc : Vcluti in fimila tcnui cx tri- A tico, farinz hordei pcrmixta , apparcrc docct Philoponus : Altcram , quz ad atomos vfque , clcmcta rcfoluebat,&: mixtioncm cx illis adinuicem ita iuxta poiitis cffici cxiftimabat,vt vnaquc^que atomus puta ignis,atomis aquz iuxta poneretur. Diicrimcnhoc intcr priorcm &c poilenorcm dcprchcndcrc qui- uis potcft:Quod prior opinio formas quidcm corum quz miiccntur fcruar,li- cct illa inicnlilia riant,exilitate iuxtapoiitionis: Altera vcro, non amplius fcr- uata mixtoru forma fcd ipfis rcfolutis in ca vltima cx quibus conftanr,dcindc illis iuxtapofitiscomodoquodixirnus mixtionc inducit : Vclutifilapides cX quibusdomusconftat,folutadomo,finguliiingulisiuxtaponantur. Hicvc- ro Arift.non niii altcrius lentcntiz mcminit : ob cam caufam(ni fallor ) qu6d harc notioriit, vel quod illafub hac quodammodocQntincatur, vtmonct B Philoponus:quoctiam racrum cft, vtab Arift.in cont.8mwo'j\ao-iv,un2t Itw ^js^AAnA air .oC$)4Voj>p'Jfyr fjSfj jyyvSvr c/[ ov tpa/rtraf uJaypoxffl uryrvfjt,(rar,dj\j\d trdr- tpStr. o-flAAa/' /AAirA* ridijutrojy ^uuurut , ti twxroAffc cr quincn cminus cantum , vcrumcnam ccminus iidcm confpiciunrur,oriri queanc,aliis autcm ,apparcntcs folum gcncrcnttir. Ratiomultitudinis &: incundicaciscolorum nonaliundciuxca hicopinioncm fumitur ,quam iux- caalias. Difcrithcnrantum cft,quodhxc addiucrfam prcportioncm illam- quc numcrofam vcl cxcedcnccm , excrcmorum colorum vere mixtorum c6- rugit:fupcriorcsver6proportioncm&: numerumvelcxccflum, iuxra vcl fu- pra poiitorum cxtrcmorum,ptoponunt. Trcs ergo partcs prxcipuas ccntcx- C tushabet. In duabrtspoftrcmis intcrprctandis conucniunc fcre omnes. In priori magna diucrlitas eft. Pcrfpicttum c ft, ait At iftot. eodc rr modo mifceri coloresquocorpora. Colorcsliquidcm jncotporibusfunc,mixtiencm crgo corporum mixriocolorumeodem prorfusmodofchabcs,fcquitur. Scd qux- ritur qualilnam illa lit , Rcfpondcnt aliqui , cx albo&: nigto ita inuiccm con- fuhsvtcorpora quibusipfainfunt con(unduntur,colorcsrricdios vcluti tcr- tiumquid, ncqticalbum ncqucnigtum oriri. Hancaliicxplicattoncm idcir- cocorifutanc ,qu6dqua:dam cx clcmcncorum mixcioncftacim gcnitacolo- ratalint,t iimramcn nullumcX clcmchtis,album autnigrum vcrc cxiftat. Prxcerca, hac fcntc ntia po(ira,concraria (imul elfcnr, quod cft abfurdu.Con- ditioncsitcm quxmifcibilius defidcranrur ,extrcmis colonbusnon conuc- j) niunt,illaquc prxfcrrimvc inuiccmaganc&: patiantur.hxccertc Ariftot.do- cuit in fecundo dc part. anim. cap.primo: &: in priori dcortu &: int. ccnt. 89. quod itcm in fccundo voluminc ciufdcm tractationiscont.49.rcpcti1t.Qcpd veronequcalbum ncqucnigrum huiufmodieifequeanr, (acconftaccumid primarum lblummodo quahtatum munus ac potcftas (it . Confirmari hxc co pofliinc, quod Ariltot.iplcin priori voluminedeortu&r intcritucont.85. ncc album ncc difciphnam n.iliui afrirmauir. Addunc poftrcmoaliqui,vnius rei duplicem fore formam . Idcirco aliafolct cx Alcxandro, Albcrro , &: Thomafumptainterprctacioadduct ,ncmpccolorcsmcdioscx corponbtis non quatcnus albis&: nigris, fcd quatcnus lucidis, pcr(picuis,opacifquc, mixtisoriri: lucidumcnim proalbo lumitur, vclucidiaphanum atquc opa- cum pro nigro. Scd aduerfus hos ita cgo argumcntor: Si medii colorcs hac rationc onuntur , ergo nullus dabitur color mixtus, nulh cxtrcmi . quod n.i. , 4 S DE ORGANIS SENSVVM* confcquicur abfurdum cfle,fac conftac. Confequucio facilcdcducicur, quia omnis color cx lucido , djaphanicemquea- nimalium , atquc corum prafertim quar ciuldcm funt fpccici, non mediocri- ter confcrre: fcdnilprohiberc,cblorem eundein rccalidaS: frigida , ircmq? in humida&ficca,rcpcriri : vtalbedoin lalc&:camphora>aut(vtlibcriusIo- quamur)in marmorc ,calce , latte , & laccaro , nigrcdo in hebcno , pipere , a- cramento. Nunc ad lupeiiorcm quarftionem rcdeo, atquc obicctionibus aduerfus Aucrrocm propofitisfarilfacio. Priorcm autcm ita tollo: Album M nigrum fimplidlIimosdicicolores,idcircciquc naturam,non anrcamcdios ctficcrequamlimpliciorcsiftos, quiipfo foloconcurlu luminofi cum perfpi- euodeniogignuntur, abhis deinecps ad compoficiorcs iuxca maiorcm auc minorcrolucidorum,inmixco cxiftentium corporum copiam &vim,rran- q iire. Qjuodclicicurcx AucorelibelJidccoloribus,quiaic Simplices colorcs limplicia iequi corpora , id cft , ea qu* magisad nacuram fimplicium accc- dunc. Imdha?cfola ratio eft, curdicamus colorcs mcdiosex cxcrcrnis effici, nonextrenioscx mediis:licctquantum ad principia rcmoca,cam cxcrcmo- rumquam mcdiorum cauix eaVdcm prorfusfint,(ad qucm fcnfum ihcclligcn- dafunc fortalfc Alcxdndri cV A)hertiverba,ccrte autemilla Auerrois infe- cundodennima,conrcxr. 67, &: in hiscommcntariiscumaffirmat , NecelTc eflccolorcs omncs conftarc ex duabus naturis jfe?ay*n ncmpe & luminoii, harumque naturarum vanctatem,varictatisquoquc colorumcaulam cfTc) Ratioinquam iola iftaeft ,(quxcerce Alcxandro& Alberrodeeft)quiacum de caufa& clTectu loquimur, id fcmpcr quod fimplicius cft,caufam voca- mus : quod compofitius,efT*ettum : ac proindc caufz quibus concurrenti- D bus effctta onuncur,dicuntur quidcm principia cfTedtorum ,non auccm e concra, nequccnim quiscfFectacaufarum principia vocabic,fedineasfor- taile cffctra rclolui dicct . Ad lecundam obicctioncm rcfpondco ,non vt Pomponatius,quia/Ierit in mixto clcmcnta inactu non manerc fcd porc- ftatc tantum , fcd vc Aucrrocs in priori dc phyfica aufculcacione, com-- mentatfio 56 ,vbi ponicdifcrimcn inccr mcdiC ,& fubicctum,& Galcnus,In mixCofciliVct&rinqualibct cuis partc clemc nta eorumq; qualitatcsactu cffe, rcfractatamcn&qualicaftigata, itavt nonamplius pugnet: Accommodan- tes igitiir hcc noftro profjohro dicimus , cx albo&: nigro mcdifi colorcm effi- cidici poflc,n6tamc fccjui in codcm hmulpugnahtia incflc cotraria, cu lam inmcdjoillomixro,rcfracta&: quaficmedata fint. Quod vcro alhu&: nigrum qua huiufinodi funt,inuice agerc&rpaci no pollint,nos libcccr fatemdr-fcd in- tcrcadicim y ,ca ranonc albu& nigrum inuirf agcrc,qua ctia milccri dicucur: n.ii. i 4 8 D E ORGANIS SENSYVM, mifcencurauccmfuorum principiorum,fcu primarum qualicatuni rationc, x vt anteadcclarauimus. Confirmatio auccm cx A riftotclc fumpca , nulhus clt roborisaducrlusnos,qui faccmurdjualicacumnon propric mixcioncm eflc, fcdcorporum: quodibi vulc Ariftot. probarc>imo hoc cciafupra innuimus. Manifcftunimirum cifc mixtiscorponbus mifccri quoq;colorcs,ncpequa- tcnus colores,mixcionc corporu fcquuncur in quib 9 infunc. Scd hoc nunqua tollct,colorcsmediospropricatqi immcdiatc cxcxtrcmis produci. Qupd addunt poftrcmd,ita Aucrrocs in dccimo mct.com.i3.diluit,tncdia cx cxtrc- misrcfradis &; tcmpcratis ccrtc ficri, vnumtamcn cxtremorum rationcm formar > altcrum matcriae tantum rctincrc : Cumcnim fcmpcr vnum con- trarium iit altcrius priuacio > ficri certc ncquit vt ambo mefuraj rauonem ob- tinc.inc,cumcahabicuifolumodoc6ueniat. Imo hoc tolo fortallc rcfpcchx in commcnt. 7.C lufdcmlibri dixcrat,colores medios non componi cx albo &c rugro vcluti cx principiis,i.tanquam ex duobus principns mcticntibus pcrtc- dioncm&icllc mcdiorum colorum.Eodcm ctiam in locoaduerlus Galcnum. hac lpfa rationc probac arqualc ad pondus non dari: Licct crgo duar formar ad colorcmmcdiumcrficiendumconcurrant, vna tamcn prxcipua cltquardo- rninatur,&formxvniusinftarobtinct,pcrquamcompoiitum vnum uiadu rcdditur,alccra vcro fubiicicur, matcnarqi vicc habct, quam ctiam rationc m mixtionc .lemcntorum fcruari boni aflerunc Pcripatctici , Carccrum pro his quxdixim*animaduerccrcoporccc,fatcrinosnoncandcm prorfuscfleratio- ik m gigncndarum fpccicrum colorum mediorum ( quod itcm dc iaporibus incclligi volo)quar racio eft fpecicrum inccr calidum &: frigidum,puta tcpidi- tatis efHcicndac: calidum nanquc&: fngidumob mutuamacr.toncm&' pallio- ncm, pcr tblam mixcioncm graduum caliditacis &: frigidicacis , fua mcdiaco- fticuunc:quoctiamficvc non niti advnam fpccicm omniailla rcuoccncur, album vcrofic nigrum nonaguncmutud,lcdfuamcdiacxpluribus aliisagc- cibuslpecic diuolis,nccnon cx variis achonum modisqualicacum ncmpc primarum,onuntur. Atquchincctiam fic, vt fiquidacalidiflimoadtugidif- ii mum t ranlire vcl lt, mcdios omncs gradus atcingac , ncccflc iic : i\ vcro a ni- gcrrimoad albillimum crantfcracur, non iccm pcr omncs mcdios colorcs tranlirccogatur. Fatcmur inquam , ifta , fcd barc nullumaduerfus Aucrrois fcntcntiam momcntum habcnt, vt intclligcnti conftat. Kttf jfAp 'ty fuyvv/biiTW, ^ C o AAo/c ' rira a\r(a /e/>;fcP- fjL%ror Vtfv dp/O-fXttct, 'LiJ*iAl Hictantumquarnturcur inaliumlocum tra&ationcm illam.difTcrat,in qua dctcrminat, finitas colorum fpccics clfcnon mfinius : &: qua itcm occa- lionc dc rc hac difputct. Vtrunquc notum eft cx vcrbis Philofophi.acquc hoc poftrcmucx co quodmultos proportione colorcs efficicuantKjuisatfirma- ucrat, itcq; dc cxceflu mcntionc tcccrat , non tamcn quota prcportio ifta ct- fe polfe expofucrat . A lterum vcro , cx co, quod quarftio noa mqu ,  coloti- busfcdctiam faporibus&fonis communis habcatur:tub fincm igicurhbri nimirumcap.6.poftquadchis omnibus egcnc,commodiushaxfUtucrc i- " r pf c ET SENSlLIBVSr p(cpoccrit:&:nosiifdcmpluribusdifputare. Vcrum nc hafc cOlorum rra" c~tutio,impcrfcca hic reJiquacur,& quafi laccrctur: Nonnulla dc rc hacitcm* qucdcortu mcdiorum colorum tam Vcris quam apparchcibuscccat. Primum nanq;quamuis intcfiorem alium alio gradum albcdinis aflignare valeamus , no tamcn in in- flnitum abirc licct.Scd cfto infiniti gradus,non tamen omrics fpecic differcr: quod faflus eft cciam Aucrrocs indecimo mccaphy.com.ij.&: iis comprobari poccft quae Arift.in quinco de phy.aufc.conc. iz. & autor libclli de coloribus, cradidic, quinimo colorcs faporibus rcfponderc in cap.de faporibus doccbic Ariftotclcs. Hostamen infinitos eflc, tanquam abfurdum aducrfum Dc- mocritum difputans incapitccodcmfumct. Quddverdcx Ariftotclcquin- tophy .contex.KJifumit, nullius roboris eft i Motus hquidem non modd intcr propria,fcd interlate ctiam (umpta contraria fir. Eft igiturmocusin- tcr iftos gradus,qui rationcm contrani haberc dicuntur*quatenus fitpro- ccflus a priuationc cius quod acquiritur, ad acquificum : quarecum Ioan- ncs colligic,concraria eflc diucrfarum fpccicrum, id non nifi in concranis po- /iciuis propriequc fumpcis vcrum cft: ( qua: ccrte ciufdcm fpccici cflc nc- qucunt,quia ab cadcm forma cflcntiali conftitui ncqueant)in aliis profc- ftdfalfum. Carterum quid dc Auerrocdiccndum ht,patct:nequc enimprt - pric infihitas eflc colorum fpccics cxiftimauit, vt ipfcmct in fextodcphy. aufc.comm.ji-tcftatuseft fcdirtconumcro qui honfacilcab incclle&u hu- mano pcrcrahri poflct. Qua ctiam rationc Porphyrius, Indiuidua fub fpecia- liflirhiscollocaca, infinita cflc tradidit. Quantum vcroad mediorum colo- rumfpccics atcinct jfcpccm ab Ariftotelc infra, atquc hoc ordinc cnume- n.ih. IJ0 DE ORGANIS SENSVVM, rantur. Albus,flauus, puniccus.purpurcuSjvindiSjCarrulcus^nigcr. Hifunt prarcipui , ad quos omncs alu quos Aucrrocs mfinitos nuncupauir, tanquam adfumma capica iunc rcduccdi: puca Ladcus,Niueus,Argcntcus ad Album: Rcgius,palearis,cxrcusad Flauum: Rucilus, lgncus,Flamcus, Rubcrad pu- niccum. Hcluus,(Columela aucorc lib. 3). Dibaphus,ad purpurcum: H crba- ccus , praflinus , xruginofus ad viridcm : glaucus, cxiius ad Cxrulcum : Accr, Fufcus,piccusad Nigrum. Scd dc his Pluribus Simon Portiu* in fuo Jibcllo: Cardanus itcm in lib.dc\SubtiI. lib.4. 13,^17. Scaligcrquoqucnon minus fubtiliccr in fuis Excrc. cap.jij. Nos nc infticuti noftri tcrminos cxcedamust iic his iacis;tancum monco,pro mutuoru horum fcptcm colorum ordinc fta- tucndocxcrcuia quidcro ipia m latcribus tanquam in finibusc; diucrfo oppo- ficis collocanda cilc. In mcdio vcro quis ftacucndus iit, non ica facilc iudicari polfc. Aiiftocclcsco protlus quonosantca,ordine colorcs mcdios cnumc- rat. Supraqucdccolonbusmcdiisloqucs,Purpurcumpuniccumquc,modu, proportioncmquccgrcgicfcruarcdixit: quo fit vtiihxcrcfpiciamus.purpu- rcus in mcdio poncndus iic , fcd m tcrtio mctcorol. cap. dc Iridc aliter fenfif- fc vidctur cum ait: Validiorcm aipcttum in puniccum colorcm tranfirc , pro- ximum in virjdcm, imbccilliorcm in purpurcum , cx qmbus verbis patc t vi- ruicm colorem ad Nigrum magis quam puniccum,& Purpurcu magisquaro viridcm acccdcrc. Acccditeciamracio,quiaqucmadmodum puniccumco- lorcm cx Cupholiiho lapidc qui albus c i t , ita viridc cx lutco fcu palido, pur- purcumquc cx puniceo, ars crficic 1 vc igicur, Iuccum auc pallidum , quod ob- fcurum candidumcft, ad Albummagisacccdicquam puniccum , iramcritd colorviridis Albopropiorquampurpurcuscrir. Scdnon (atis cutum cftah- quid in luc colorum doctnna arBimarc : Intcrca tamcn illud non prxccrmit- cam,nonrccic aliquos mhaccclorum fcrie tradcnda puniccum cumflauo coniundcrc,rubcum vcroapuniccodiftingucrc. Ariftocclcsm cap.dc Iridc, iudcx cfto. Scd quxrct aliquis; quia non fcmcl dictum cft,colorcm cflc paf- iionem mixti,an mixtaimpcitccraverc coloratadiciqucac,pura, nix, nubcs, fumus,aliaquc lnnulmodi non pauca: hxccnim ncquccx rcfkxione , nccroe cx aliquo iibi addico colorcm habcre videcur, fcd cx fui nacura: Cumprimum cnim riunc,colorcm aflcquunturfuamnaturam ccmpcracionemquc confc- qucnccm:cx alccra parcc, qualiiham ccmpcracio in mixco impcrrctto,ac non diu pcrmancncc poncndacft? Rcfpondendum paucis, talcm his rribui co- lotcmoporrcrc,qualistcmpcratio fcumixciocft. Impcrfcda fanc ifta funt: Impcrfc^tus cigo color licec verus,illis tribuecur: fcdanimaducrccndum cft, in nubc prxlcrtim maximam colorum variccaccm quod ad cius parcesfpccta- ri, quo argumenco quis poflec cxcipcrc nullam in nubibus colorcm ineiTc , a- nimaducrccndum inquam cft , Nubcm , colorc fibi proprium,qua nubcs cft, vcrumquc,fcd impcrfcctum,in quocunquc fitu afpiciatur/empcrrct increra- liquando tamcn rationc coloris apparctis variam vidcri , ob diucrfum (itum vndc afpicitur. Hic igitur color, cum nullam fcquatur tcmperationcm , non propric colormixtimipcrfcti,fcdpaflioquxdammcccorologicavocatur. 47 Dc vno vticjue 8c* vocc cgimus antea in his qui dc Anima. Abfoluta tra&atione colorum, fcquebacur ftatim docirma dc fonis , quod hi fimpliciorcs linr,& puriorcm fimpliciorcmquc rationcm afficiendi fcnfus habcant.Cum vero dc fonis nil agar,gcneratim cxplicac Ahft.Nos fupra fpc- cuura ET SENSILIBVS. i Jr ciacimdocuimus.Nequcobftac,quodin cxordio Tcrtix partis principsili- A bcUi/onusinccraliadoccndacxaminadaquclitpropoiituszpotuitfiquidcm idabfquccalumniaagi,cum ibidcdilcrimincinccr rarioncm tradandorum horuminhbrisdcanimaacprxfcnti volumincagatur. riip) tic >oh f tvuu Xtxriot.^tdltt ydp tV' tc dvrc *rd$Q' ^hk it tc?c au rofc J\ttrtr itdrtpot durSt. irtpyt^tftot j ii^jut Wi rl rar %y/uiutytto{, ii tc* tc cVfcwc. %tt'rtt dC ctiTWyoTt yttpt '?lw tyofjSp lur AA& da Huu ai&vartt lauTtuu , Xj lartr ifjJr eu>ro?( ai or&Kfftar. rluu ef^ ' d$tw x jdn.pt f&tfdrlw Tor.ii}tZo~iqd${i t/c Wit. 48 De odore autem & fapore nunc agendum eft . Siquidem eadem fere paflioeft,ac nonin cifdem vtraquciplarum habctur . S. pcrum autcm genus perfpicuum ncbis magis eft,c]uam odorum.Cuius ratio eft, cjuia ^ prxtercscteraanimalia,atc|ueintcrfenfusnoftros debiliflimum huco- ctoratus lenfum habemus:c contra Ta&um intcr alia ammaha exquiiicif fimum,Guftatus autcm quidam Tactus eft. A&urus Arift. de odoribus Sc (aporib% vt ordo tradtationis exigit, fcopura fuum imprimis proponmmox morem fuuml'cques,qux alii dc iis dixc nnr,po ftrcmoquidipfcfcntiat, cxponit. Duplcxautcm hic dubiumoriii potcrat: nimirum cur dc his fimul tractarctur,non fcorilm vt de aliis : ltcm cur ccmra propoficum ordincmapcrfcc'tioribusncmpe&: fpiritualioribus prius dc fa- poribus quamdeodoribusdo&rinainfticucrccur . Vtruq; apcric Ar ft.in hu- ius conccxtus verbis.Et primum quidcm, cum ait,x*   5ci  /t *i9*.Qux verba Alexandcr & Thomas ita cxplicanc. Tam odor quam lapor mix- C tionumprimarumqualitatumhumidi nempc U iicci cum aliqua tcrmina- tioncacolorcprorccta,fcquuncur:vtinfrapIaniusrcddctur.Vocanturautcm lixc ****** c\ quiapropriccxqualiratibustercixfpecicifinc, vclquiacomu- piter qualicaccsaiFedioncfquccoiporucuiuflibctfpcciciiint pallioiics voca- tur,in quibus Anft.in priori voluminc dc cxlo cont. 1 Phyficx fpcculationis partc vcriari tradidit.Cxccrum nc quis putarct, odorcm Sc laporem, ica can- dcm dici paflionem.vcvnum prorfuscircnc,addic:(Acnonineifdcm vcraque ipiarum ). Intcrprctanturaliqui cx Alcxandro,odorcs &: faporcs iniifdcm nonclTc,quia vc plurimufapor ricinaqua,odorcm inacre.Vcraquidcm funt hxc,fcd perpcram & impropricdi&a^ncqucenim quisvnquam dicccauca- quam fimplicemfaporc imbucamciTe,auc acrcm odoracum . Alii clarius&: rctvciiis hoc modo.Tam odorquam faporpaflioncs humidi&c ficci func,fedo- doc magis ficci cft,fapor magis humidhcliciunturhxc ex Arift. in ii. c . dc an % cont.104.Sc: cx iisquxfuprade olfattudocuic.Eft qui itacxplicc t, has noncf- feca(dcmpallioncs,quianon iniifdcm organis reperiuntur,ncqurc iiikii m fcnfusfunt.Cuiusreigratia fcicndum eft, Ariftotclcm in quintomctaphyfcrcimihMctcorologicis pcrtrarandis,& incodc ctiam capicc,ab vno aa alium ordincm cranlit.Sed qua? modb nos docct,agc cxpcdamusSaporcs(ait)faciliusanobiscognofci, quiart&ius percipiuntur. Vishuius probationis cx co fumitur,qubd quc; per iulccptioncm iudicanrur, quo mclius rccipiuntur,cb ctiam cxquilicius cognofcurur. Acqui faporcs ccr tc rcftius quam odorcs,capiunt homincs,cum ij organum lenfumque ipfum guftus cum cajtcrorum animancium,cum aliorum fuorum fenfuum rclpc&u^ pcrft&illimum obtinuerint:olfatus vcrbfenfum inftrumcntumqucdcbilif- limum:quodccrtcconfcquitur,quoniam idemorgauum prout mcliusdetc- rlusvc fc habct,pcrfcctius atquc im pcrfc&ius fuum fcnlilc capir. Alias huc rc fpicics Arift.ad hunc modum loquucus eft ,Si oculum iuuenis fcncx habercr, ccrnerct vtiuucnis,a:quechim acqueipfc recipcret . Cartcrum (imillimam huic fenrcnciam proculic Philofophus in fccundo dc anima contcx. 91 . cum inquit,Dc odorc & odorabili cxplicarc minus facile cfTe,quam dc iis quar an- tea di&a funtmoh cnim conftat qualc quid lit odor,quomodo fonus , aut lu- mcn,aut color.Caufacft,quianon habcmus cxquilltum hunc fcnfum,fcd de- . Ccriorc compluribus animalibus: homo chim exiliter o!facit,& nullum odo- rabilcpcrcipitabfq.dolorc&volupcacc.Exquolocofacilcctia colligcrc cft, D cur fcnfus olfactus mihus pcrfpicuus cfledicacur,ob ca fiquide caufam , quia nonnilidirfcrcntiascommuncs,ideft exceflusipfos odoru in quibus aucdo- lorcft,auc voluptas capicur. Acquidixcricaliquis: Tactusquoquccxfcc.de an.conc. 1 1 8 nonnili cxcuflus percipit, mcdiocricatcs nunquam:qucm tamc hic cxquiiiciflimum vocac.Rcl'pondeo,aliam cflc racionemin olfa&u &Ta- ftu:in hoccnimidpropcereaflcquia lcnliliafunc ciufdem tcmpcrationiscfi ipfo .xll hcccrio vcl mcdio.in illo aucem non i ca fc res habet, fcd ob fui debili- tatcm omniaodorumdifcrimina,pra?fcrrimquzad mcdiocritatcm vcrgunt fufcipcrenequit:tantum fufcipit cxccdcntia aquibus fortius affici poteft. Hxc dcinccps fi ad bonum deciinat,voluptatcm in co panunt : li ad malum, trifticiam . Vcrum iftaomniaad olfa&us vilicaccm dcprimcndam multum faciunc,ad cxccllcnciam verb guftus cxcollcndam,nihil. Idcirro Arift.addit, ( Tactum c concra exquifltiflimum,Guftus autem quidam Tactu s cft):acfi ita argu- . T SENSILIBVS. iy } argumcncarecur,HomoinccromniaanimaliaTa.:tum habcccxquifitiorcm, Guftuseft quidamTacus,G.uftum igitur habct cxquificiorcm .Maiornota cft,quandoquidem Ta&us pra*Itanciaabexcellctia tempcracionis animalis pcndct,quamhomoomniumanimaliuoptiinamncpc,tcpcratam,ab omni- biilque contrarjisdcclmantcm ,aflcquutuseft. hanc optimam tcmperacio- nem,iuiusii)genium tcftatur,qucmadmodum enini fcnfus in animalibus cft non autc^inplatistquodhcjmediocritatcilladeftitut^tintjita intcllcchis,qui vtnobiliflimaomniumfacultascft,ita nobiliorcm cxigit corporis tcmpcra- tioncm qux in hominibus tantum rcpcritur. Idcircoquc A r ftot. in iccundo dcan.con.jJ4quauafignoccrtiflimo,Mollcscarncaptioresingcniocilcpro- tulit.Minorpropofitioitcmp.ucr cx ccrtiodcan,cont.6j.&: lccundoeiuldcm cont . z8.& 94-in quo lococadcm verba lunt qua? hic rc pctuntur . Nos etiam fupcriusquomodoid vcrum clfct,quantum fat fuit cxpofuimus. Conncxum crgo verum fequitur.Sed ctia cotnmari potcft, iis qua: Arift. in priori dchift. an.cap.y.dc vtrifque hifcc fcnfibus docct.Scd qua? de Guftus &: Ta&us cci ti- tudincdoccc Arift. planafuncomnibus, non itaqucdc olfactus imbccillita- tc tradit.Pfo his itaquequa:ri folcr, cur olfa&um dcbilcm homo habeat , iam cnim cxplicauimuscuripfum dcbilcm nuncupcmus .Ratioenodandi qua?- fitipra'cipua,illacft,qu?proponiturin fccundodcparr.an.cap.7 &:iisilluftra ri potcft,qua: fupcrius docuimus.jEfthcteriu ctenim olfa&us in homincpro- ptcrccfcbrumfibi proximu, frigidu atquchumidumcft:odor vcrocjuia pcr cuaporationcm cantuma calido;uriaiiciuccxiccantcquccfTfcitur,naturam attrahcncisrctincs,calidus&: liccuseft.Qujcumin fcnluolfa&usfuaf nature contrariuagerc dcbeac,oportct vt iplu quafi rcucra afnciat , mutct , m fuam- quenaturam conuertat .Maxima crgoadcft in hac a&ionc rtpugnantia&: contrarictas,quo fit vt non nili ab cxcedcntc odorc,coquc cominus agcnte, afrtci qucat. Alia cft in animalibus , putacanibus aut vulturibus ratio , in qui- bus nequccercbrum ncquc olfa&us oiganu ita humidum cft, fcd ficcius ca- lidiufcWc. Natura hoc difcrimcn in hominibus&cxrcris animantibuspo- fuit,omnium fincm pcrfcctioncnnjuc rcfpicicns . Hcmincs fiquidcm quiad contcmpIandumnaticrant,ationc'fqucanima]cs multas cdituri,ncmulto laborc tabcfccrcr,fpirituumq; gigncndorii maccriadcftitucrcrnr,Inimidiori ccrebrocgucrunt.Brutorum vita cibum potumqucfpcclat,idcirco fcnfum, quin^iadnecen^ariacomparandalongiufotic pctenda,ad ca itcmfugicnda . quae nocitura vidcrcntur vfui clfc potcrat , cxquilitiorcm obtinucrunt , imo, vtmonctAucrrocsinfccundo collig.ca.de inftrum.odoratus,Natura,in hoc quantumpotuic,nonnulla animantiaiuuit,nonnullis tnim,vtcanihus,narcs obeammaXimccaufamlatiorcs cribuic. Carccrum non mirari non pomim aliquos , quiex j.dcgcncrarioncan.cap. fccundocolligcrevolunt,Hominc, olfactum cxadtiorem exquifitiorcfmquc caitcris animalibus habcrc , quod minutiflimasodorum difTcrentiasfpcciefquc, eafque acutius pcrcipiat, li- cct in hoc abillis fupcrctur,qu6d no'ri ira procul oltaccrcillud quidcm fatcor queat . Namillud quidem faceor,Homihcm qu^cunquc olfacit recrius olfa- ccre,acqucexquificiusiudicarc,hontamcn minutas iilas diffcrcntias odoru aflcqui pofTc,quasmulca animaliapr itcr Iiomincm a|]equurur. Ratioillius cft,quod in Kominc odoramcntoru oblcdamcntapotiflimum infint , rationc animxpcrfcdiorisaltiorifqucf.Kultntisquapra:ditiiscft, vtdcTachi Alcxa dcr in paraphrali dc an.cap.de olfacru afleruit.In brut is vc 1 6. (Quamim pan- thcrx odorc,beftiasoblcciari,fcripfcric Arift.infcc.ij.publ.^Oohlcctacioifta faltcmineogradunonrcpcritur:Quprfura enim?cum fibinonnifiadperni- M4 D E ORGANIS SENSVVM, cicmprodeiTcpoflct;illisfiquidcmaJletain laqucos infidiantium incidcrc potuillct.In Guilu folummodo&: Tac"tu bclluasdclcr.arioportuit.ne vclgc- ncrationcm Ipcrnerent, velfamc pcrirtnt ,autlxdcntia vitarc nequircnr. Altcrius vero fundamcncumclicitur cxfecundodcparr:an.cap.7.quodiam lupcrius adduximus:veruin expcrictia confirmatur , quedoquidcm hominis, multarumqucaliarum rcrumodorcmnos nullum pcrcipimus,quorfi tamc odorc cattcllus(omitto alia animalia)cminus ctiam afficitur,atqucmouccur. Huic vcritati quam f aucar cont.9i.fccundi de an.&: Auerr.in quinto collig.c. zS.vnicuiq; patct.Adtcrcia dico,primum hicdeanimalibusperfcdisfcrmo- nc ficri,vt patct.Mox propriu huc cflc locum vbi hoc dcrerminctur: idcirco in fe.de an.iat illi,fuit,dixiifc olfactum m hominc peiore cife, quam in multis animalibus, hic rcm clarius vcl dctcrminarc dcbuic ac poruit . H* fj$p tt t rov vSafQ' c.lS).>itdyxii \t avforl viup fr rd yirtt rcZt "xy\u*t dtaf&ifl* Jtfp cr/jUxpo7itra f xeL$a , 'B'tp E" ,wvi fjL09 *} rct %/\iot $af'n r^Jovrat. Aqua: iginir natura cxigit quide Vt infipida fit.Scd neceflceft vcl ipfam m feomniafaporum genera,quaeob exiguitatefcnfuu lateant,habcrevt allcrebac Lmpcdocles,aut eiufmodi matena continere, quae vcluti/apo- rum omnium fcminarium fit,& omnia ex aqua, alia autcm cx parteilli' aha crfici:aut certe cum nullum ipfadifcrimen in fe fiabcat , conficienie caufam cfTe,ac fiquis calidum & fclcm huiulmodi dicat. Sccudam aggrcditur partcm craclacionis , m qua opinioncs trcs Vctcrum dc ortu &: natura faporum rcccnfct. Imprimis autem conccfllim quodda ab omnibus ponit, vt quid dcinccps ab aliis quz cx eoru fcncccia in mcdiumaflc rct dciiderari qucar,diftindiuscognofcatur. Conccuum eft,Aquam cxfui natura miipidam circ.Cum cnim corpus iimplcx lit ,omnibus fccundis quali- cacibus,qux mixti cacum paflioncs funt,carcrc,idcirc6qi nullo faporc imbu- cacfledcbuic.Imohocprc,cipuum aque, optime,$ riam quandam habcat,cxqua vcluti cxfcminibusomncsfaporcsoriantur. Varic. ETSENSILIBVS. i 55 varictatcm vcr6faporum,adiuerfiraceparrium aqua?,fcu illorum fcminu cx quibus diucrfi clicicbacur,(umi oportcre arrirmabac.Hic nil opus cft cn m A- lcxandrodubitarccuiu(namiitaopiniofucnt,cum 7 w*i7/ir mcntio fiac: Nocafatiscft Dcmocriti vox,quiinfinitu facicbat **.-T*twtT*'*%tiJ.i*tni>r>n?ul-nm id cft cx acomis infinicis figura diftcretihus quar omnin m rerum fcm inarium cranc, quandoquidcm cx cis vcluci cx fcminibus oriri omnia cxiftmarct. Similishuius,vox Empedoclis Afofrcrat,quamaflam quandam indige contincntcm, fignificabac. Ariftotclcs hac tradit tcrtio dc Phy.aufc.cont.27>& fccundo ciufdem tradtar. cont.S^.Poftrema accidit o- pinio,quxcumfccunda fortai!cinomnibusconucnicbat,prxtctquam quod varietate faporum no a diucrfis aqua: parribus,fedabcrric icus diucriitarc( vcl Solcm hunc dicas, vcl caliditatcm qux illius inftrumcntum oft)proficifci alTc rcbat.Huius fcntcntix vindicc,neque Arift. nequc illius inrcrprctcs propo* nunt: fcd vidcamus an rcrc ccnnccrc cx capoffimus, Anaxagoramfui/fc. Hic cnira a Democrito in co dimVrcbar,qu6d in (ingulis parubus admillionc illam fuam infinitam,dc qua paulo antc loquuci fumus,ftaru c , & quoduis in quouiscflearbirraruscft, cxquo illudinitio lux Philoiophxconfcriprum, Zfifuu *Vtb ^(*u*7B.Dc-mocritus vcrocorpufculailla (ua ciufmtdi cflc voluit,vt nullum illorum ex aliis gigni poflcr.Scd hxc ad rcm nihil,vtAltxandcr dc a- tomis Dcmocriti hicait. lac \W rs StpfJtiT rv( ffuf c,ce (patpnfilvuit reSt xiTe,camcnindiucrtis aqua? partibus diucrforu l.iporum princpia ftatucrct.Quandoquidcmcxcadcmaqua, tanquamex codcm alimcnco yarios confici faporesccmimus.Aquacnim,putaa flcu,pro nucrimcntoqu)d ccrtccnmchumidumcft,haufta, vnacadcmquc cxiftcns, non vnius gcnrris laporum caufa eft. Alius iiquidc m ficus frutiuum,alius fo- liorum, alius corticis^igni itcm alius fapor apparec. . het'i%portifa , rc ^ viotp 4*3t/pc Wi.fic xj XaM&air%poti$vbd%af iv7y X**?' T ^ wttf^ iAo/oHtpf/  ^tpfiaftOfJttvov oiStv olcum omnino crafllus cfle ac|ua,quod probat ex- pericntia.nam fadlius olcuinin manu quis fcruabit quam aquanvquxquia facilcdiffoluipotcft,hincatquc ihdc diucllitur& cmanac. Ex his dcmum Arift.canqua profuxopinionis rundamcntb(vt Alcx. monuit) colligic,calori quidcm,quantum ad faporum fpccics atcinct, no omniaaccepca rcfcrri opor tcrc,vcVcccrcsccnfcbanc,fcdcamenillum canquahl ***^e** ad illius cxplicacioncm adhibccur.( Scd quoniamaqua ipfa. fola calcracta no crailcfcic).Idc iifdcm vcrbis in quarco mcccor.cap.4. & alibi craJidic.tx quo Olympidorus colligcbac,aquam nucrirc no poflc, imo Arift. infccundodc orcu &incc. narracpcricos Agricolasaquaplancas irriganccs, ccrram cum iplamifcerc,vc indc ali,augcriquc pofiinc. Scd obiiciec quis,non fcmcl Anft.in quarc mcceonaquam cociam dicerc,iccmquc condcnfari,cum prxfcrum mucacurin tcrram.Rcfpondeo ad primum,Coftioncm& crudita- tcm folius mixti paffioncs cfle,idcirco Ariftotclcm,cum iftasmbuit clcmcn- ^ tis limplicibus,mctaphoricc tantiim loqui,vt plcrunquelblct. Ad fccundum dicoi aquamcondcnlariquidtm autcongclari,nunquamtamcn craflcfccrc. diftcrt hocab lllis, quiaquarcrafiiorarcdduntUrnon tamcn ficca rcmanenr, incraflatapropricdicuntur ,huiufmodicft olcum: quac vcrodurarcmancnc conitaciaquc,qualisaqua,congclaca&condcniacanuncupancur.Infumma, craiiicics mixci paffio cft: iimplicium clemcncorum condcnfack). fa/rorTa/^F oixvpo)o4rfoi{, iTtoi JWpfcotTK k) tr ryyn. p, C ri ft*/W^>wc. Wftf* ydp nt^uiu rhiryp^p^mip^rlxXa^ r* ipopl^.ipapHop j T i frpcV"*) vsrf tk vcl duplicem in hoc contexru dicunt affcrri, qua terra principium laporum cfTc probctur,nccfcopum , ncc mcthodu Phi- lofophi alfcquuti func. Quod cx iis qua: fcqucntur, fatis conftarc poccrir. Idcirco cgo cxiftimo Ariftocclcm, cx dcclaracis iam confticutis faporum principiis quiddam colligcrc,cuius dcinccps occaiionc,modum quo tria ifta pnncipia ad gigncndos faporcs c6currant,paucisquo ad ficri potcft(vc par c- rat)apcrirc conacur.Quocirca Lconicu m non vicu pcro,qui priore contcxtus huius particulam cum fupcriori contcxtu iungic.illos accufo,qui alia racionc illam fciunxcrunr.Elicit crgoPhilofophus ex fupcrionbus,iurcfaporum om- niumgcnerainplantispotiffimum pcrcipi.Laboranc nonnulli vcrcm hanc cxpliccnc,& ncfcio quxcommentain mcdium affcrunt.Mihi fimplcx illcfc- fus placct, qut m Thomas quoquc fcquucus eft. Si in ccrra iaporcs omnes in- fuc,vc probacu cft,fic in aquis ob ccrra quam Ibunc,iurc in platis pottflimum omnibufqucherbarurogcncribus,qu6d in ccrra nal'cancur,indcquc fuum nucrimcntum abfquc mcdio attrahant,omnia lapoi um dilcrimina dcprchc- ducur.Imo hocipfum illud efl' quod antc aflupferar,cum in fupcriori cotcxcu aic.( Vidcncur aucc quicunquc in fru&ibus faporcs inl'unt,iidem eciainTcrra incfTc).Scd rcliquapcrfcquamur.Ex co quod dc placis protulerac, racionisgc nerandoru faporii cx principhs iam dcclaracis explicada: occafione fumic, ica camcnvcquoddcplaciscancum vidccuraffirmare,de omnibus faporibusgc ncratim vclitintclligi.Sumitaucem vcluci cociushuius rcicapuc,quoda vc- ccribus cciam conccfmm cft, Aquam ncmpc fcu humidum matcriar,fiue ma- cris , **rm%tf*kt vicem infaporuro orcugcrcrc,cx quavc faporcscducacur, paf- fio ccrtc aliqua inccrccdacncccflccfttVcrurn aquona pati hum/du,apcu cft? (ncqi enim quidhbec in quodlibcc agicauc aquouis pacicur) fane a folo con- crariora flmilibus cnim no fic acbo,quod Arift.in priori dc Phy. aufc. cont.471 quito eiu fdc tra.iS.in priori dc ortufc inc.$o. &: kxcccis zliis in locis ceflacur. Acquiconrratiumhumidi,ficcumcft,cxfce.dc orr&inc.conc.il.ficcumque igniconucnic&magisadhuctcrra;,(iuxcafacramappcllacioncm,Ecvocauit Deusarida,Terram)crgohumidu aquc,,rumab igmsficcirarc, cutn ver6ma- gis a ficcicacc ccrrq,cum ciufdcm calidicacc(quc > proprie gni cribuicur) coniu- fta,in orcu faporum,pacictur.Scd animaducrccndum cft,diucrfum cflc hunc paffionismodum: patitur fiqufdcm humiduma ficco,vcIuti a concrari6: cx quaaftionc& pafnoncmutua.mixti crafisoritur.acalidoverovtabcrHcic- &: pcrmifcccc, cx cuiusaciionc,aJccracioipfacandcmqucgencraciofcquicur. Propccreaquehumidura &ficcumin gencrationc faporum materixvicem fcrunt,calidum vcr6 vcconficicnseaufa eft. In poftrcma contcxcus partc, quia di&um fucrac,humidum ab igne paci,ne quis dccipcrccur , qdomodo id intelligi oportcat, explanatur: nequc enim(Philofbphus air ) ignis qua ignis auc tcrra qua tcrra,in aquam agit,quia clcmcca fubftanciz func, propccrcaqj concrariccacccarcnr,fcdquaconcrariccacibus,idcftrcpugnancibusqualita- tibus prxdita funt.Ex hoc concexcu pcrfpicue clici poccft, in vnoquoquc clc- mcnco vnam tantum qualitatcm in fummo( vcaiunc)incfle:alteram vero (quicquid Galcnus Auiccnna , Albcrxus& ThomasdixerinOrcmillam.Di- fcrtc ET SENSILIBVS. 1*1 fc rce fiqui Jcm affirmac AriftoceIcs,ficcicacem Terrx propria cfle, Ignis vcro calidicacemin fccundo voluminc dcortu & inccrirujconczj.idcm his Vcrbis cxprcflu.Sedtamcn abfolutc quatuor cxiftunt, vnius tamcn vnfiquodquc  cft.Terra ficci magisquam frigidi.Aquafrigidimagisquam humidi.Acr hu- i midi magis qua m calidi.Ignis calidus magis quam liccus. Quam fcntcntiam  Alcxandcr hic, Aucrrociquc infinitis propc in locis fcquuri funt.Et ccrre qua ratione inuicc agcrc &c pati poflcn t clemttata,fi in fingulis qualitates gcminz in Iummocflet,(vtAucrrocs doclifiimcopponitinquartometeor.com. io.in decimo mctaphy.coma j.primo ceji "}Al liec.dc ortu & nr.48.) mtcl hgc rc dif ficilc cft.Illud aliis ncgotium non minimum faccflcrc videtur , quomodo rc- mifla qualitas in clemcnto pcni queat,cotrarii mixtionc,non pofita,&: /incc- htatcclemcncorum non violaca. Scd Aucrrocsin fcc.cc, licom.i ^.idem argu mcntum dcPoli mcridionalis perfedione rcfpe&u poli fepcencrionalis , ftcl- larumq, nobmcacercfpc&ucaeli,adduciu foluic,abfolutcncgans,remiflionc omnem concrarii permixcionc ficri.Ncquc obftat qu6d aliquando( vc in fe- cundo Topico)Ariftotclcsdixcrir,album cflc quod nigro no pcrmifcecur, id cft quod minusnigredinishabennamquc Ariftotclisfcntcncia vbicunquci- ca loquacur,dc contrariis ^  " fcu dcqualitatibus contranum pofitiuum ha- bcntibus,accipicdaciLDicimuscnim,amarifiimum dulccdinispermixcionc minus amarum rcddi.In qualitatibus vcro contrariumff"?'**' habentibus A- uerroes rcde id vcrum eflc ncgat.Lux enim rcmittitur, nulla tamen contra- rii pcrmixtionc fada.Imoaddebanc ExcclJcntiflimi Prcccpcores mci,nonin omnibus cciam qualicacibus concrarium poficiuumobcinccibus , rcmiflione, concrariimixtionc ficri,fed in illis cancum in quibus rc millio muita vehcmes & uolcnca eft:qu6d fi a natura remiftiohuiufmodi rei conucniat,nequc intc- fa iit,id falfum cife conftantcr cum Alexandro in quarto mcccor.affirmabac. Aucr.ianc a fcroccipfo in rc hac non icrocl diflcncienccm nobis obiicere pof- fcc aliquis:fcd quauisaliquado iftiushoroinis opinione , aflcqui nihil aliud iic quarodiuinarc:inhoccamcnnulloroodo ancipircroipiuro iudicandumcfle putamus.Hecalias pluribus,nunc prociusexiftimacionc illud dixiflc fac cfto. Qualitates ncmpcgeminas in fingulis clcrocncis lumroas inciTc dicpofl*c,id eft quales fux naturx conucniunt:qua rationc,tam Acrem quam Ignem fum maccrtccaliditatchabcrc,nontamen Acrcmzque calidumaclgnecfledi- ccmus,cum acrcancum calidicacis obcineac,quancu cum fua propria ac prgci puaqualicace,nimiruhumidicace,manere queat.Quantum veroad Galenu atcinc capcrte iplu cum aliis crrafic fatcndu cft: quod enim aliqui pro cius c x culationc afferut,Ipiu ncpe Medicu agcrc,idcirc6q; ita loqucte a fcnfu nodi fcedcre, Gaicnumagisarguit,quamexcufat:quiemaroixtionedifcedit,qua ( vc ex Auer. diximus)Galen' fuahac fcncecia fcruare nequic,mcdicoru quo- que fincs uon miniroo inccruallo pcrcranfiflcdicicur.Hxc incclligenti patct. Ad aliaigicur iam tande pcrgamus.Arift.in con.monct , nequcigne quaten 9 ignis cft,ncquc tcrra quatcnus terra,agcrc pativc, fcd vnu quodque elcmetu quaccnus rcpugnaciis przdicu cft.Locus fancdignus animadueriione,potifli- mu ob Mcdicoru omniu harrefim, qui qualitates primas Forroas elemcntoru fubftatialcs ciTc, vno orc aflcrut.Imo Alcx.ipfc,huic feccciz, in priori fuo libel Io dcan.c.i.faucrc vifus cft,cu calore ficcicatcmq;,Ignisforma,lcuitanfq> eiuf dc principiu vocat.quo fic vc noomnino immerico ab Aucr. & Tho.aliquado in rc hac rcprchcndacur.Ncq; eft quod aliquis vc Ioan.Iand.in $ .\> U y.q .4 A' a- lii rcccnciorcsalia Alex.fcncenciacribuerevclic:magiscniThcmift.in^.phy. con.9. Aucr. qua plurimis in locis iudiciu dc Alex.opinione fercci, crcdedu cf fc atbicror, qua iis qui vix vcrba Alcx. olfcceruc,auc olfaccrc cciam pocucruc. o. iii. ' i6t DE ORGANIS SENSVVM, Iam veroPhiloponum non femclaliofquc grauiflimos Pcriparccicos,meai- corum parcesfcqui voluiflc,patet.Hosomncs(nifallor)inhanc hxrcfim fola A illa ratio induxir Qupd cum clemcnta pcr tcmperatura fubiici ficnquc mix- torum corporum matcriam oporrcrcr, ncccflc quoquc eflct illa rctundi , 6 ad mcdiu quoddam tcmpcrari, fi exquifica mixtio eflc dcbcrct . Arqui illud fierinon poflcconftac,nifi clcmcntorum formx inqualitatum gcnusordi- ncmque rcfcrantur,quibus folis proprium cft intcndi atque rcmitti.Imdtan ti pondcris ifla fola ratio fuit,vt Aucrrocm ctiam ipfum in fummasanguftias rcdcgiflc vidcacur,qui formas elemcntorum quafi imedias inrcrfubftancias &: qualitatcs,ancipitifquc nacurx ftatuit . Scd longa cft quxftio , &: a Pcri- patcticiscxagitata,alibiquCcorpioicpcrtrac>anda:dc qua tamcn nihil ccr- cum auc probatum dcfiniri poflc cumDo&ionbus cenfco,quandiu Mcns hu - mana crallo hoc corporc incluia , ncquc marcriam, neque foimamfcnfi- g buscognofcctcvalcc. Affcramus igiturin prxfcnriapro rc hac, carantvm qux minus a conccxcu noftro func alicna,atque ex his,qux firmiora funt, vix- qucacne vix quidcm rcfclli qucant.Sipats concrcti lubftancialisfubftan- tia cft,ob camquc caufam matcria ad fubftancix rationcm accedere,in prio- ridcphy.aufc.cotcx.79.dicatur,in (cc.vcr6dcan.& feptimometaph.pcrfape fubftantia ncminctur.ccrtc forma ipfa,qux concrcto Eifc largitur,primaque &prxcipuailliusparscftmarcria,pra7ftantior,magifquc fubftatia cnc cxifti- manda.Imo Alcxandcripfcin capirc prioris dc anima (upcrius adduto,in huncmodumabfolutcloquucuseft: Forma non poteft ipfa pcrfcfcorlimi matcria fciun&a fubfiftcre,vtramquc tamcn fubftantia clfc non amb igimus. Etcnim licutmateria ita&rnacuralisformaffubftnnriaeft^parresnanquefub- ( * ftancix/ubftancixfunrquinimoquia vcrumquc ipforum , fubftantiacft ,id ~ quod cx ambobus conftat,& fubftantia,&: vna quxpiam natura cft, non vt il- la qu xartificio eflici videmus.Horum cnim fubiectum &: materia/ubftantia clfccognofcitur,forma verdqualitas. Non ergoalia clcmcntorum,aut fub- ftantix iiinplicis,qu.\m concrctx auc fccundorum corporum racio eric . cam cnim hxc quam illa,clTc fuu formis propriis acccptu rcrcrut. Qudd li qualica- ccsiitas yi clcmcntis fubftantias quis cflc dicat,illud affirmarc oportcbir, quod ncgac AriftocclcsinprioridephY.aufc.conc vigcfimo fcptimo,&: cri- gcfimo,ncmpcfubftanciam fcu quod verc cft, accidcrc alicui , quod vniuocc ctiam rationcm illius participct .Dcducicur confcquucio,quia cadcmcali- ditasquxcft formafubftantialisignis,eftqualitas in mixcis:in vcroqucramc eandc prorfus rationcm obtincc , fcnfus cnim ca&us qui harum qualicacu vc- iuscftiudcx,cadcmrationcatqucabfque vllodifcrimine ab ignismixtiquc calidiratc afHcitur. Poftrcmddifercehic fatctur Ariftotcles, Igncm quatc- nus ignis eft, non agcrc, atqui ignis,rationcm ignis fcu  * '(quodccrtc fo- D lum indicar, tcftc Simplicio in catcg.capite de rcl.)fufcipit a folafor ma:ncquecnimid imateriacaperepocuir,quxrerum omnium vna &: com- muniseft.Non mdaccc,quidGalcnus&:aliiexcipianc.Scdhxc aliaquchu- iusgcneris inlibrisdeortu&: inceriru copiofius exa&iufque funC pcrquircn- da.Nunccancumdicimus,id vcmmcflequod alias cx Aucrrois fcnccncia in publicisnoftris difputationibus Patauij habitisThcor. centefimo nono &c no.dcfendimus. Nempe,nequegrauitatem ncque lcuitatcm,ncquepri- masqualitates elcmcntorum formas fubftatialcscflc.Sedquidab hisdiftin- ctum ,quod principiumetiam ifta rumomnium qualicacum fic iuchc-.imium. Addimuscamcn , qualicatesiftasica infcparabilcs>fn elemencis poni,vc ad inrenfioncm&: rcmiflionem harum, clcmenra quoquc ipl.i cum Anerioc inccrcio E T SENSILIBVSi m intcrtiocxli.com.67.intcndiacquc rcmitti fateamur. Poftrcmo tollcndus A cft fcrnpulus,quicxnoftracxplicaciortefcntcntiaq; potiflimum oritur.Quo- modo dicere potuit Ariftotclcs,ignem qua ignis cft non agcrc, i. rationc for- mx , : i forrox folius a&io fic ? tcftis cft ipfemct, fccundo dc phy. aufc. cont. 1 5 . vbicolligitformam effcnaturam, i.principium motusa&iuunvquodcxem- plum allatum indicac cum addic- Homincm cx bominc ficri.Imo in con t.17. tcrtii eiufdcm crac. ait : Id quod moucr,aliquam fc m pcr formam affcrre , aut hanc>auc talem, auc cancam , qux principium &: caufa mocus cft . quod lccm dcanimain cont. j6.&: j7.fccundivoluminisilliusdoicrinar,a/lcruit:Et Aucr- roes,cum aliis in locis tum vcro maximc in difp.aducrfus Algaz.tf.in Sol.dub* 6.\. Denomiftationes formaru ab a&ionibus ita fumi , vcluti fubic&orii a paf- fionibus,corporaqueomniaexduabusnaturis conftitucaeffc, agcntcnimi- B rum &: pacicncc, i. maccria&: forma ipfumq; agcns, formam , quidicaccm , fi fubftanciamnuncuparirpacicns vcr6,fubiettAim,elcmentu&:materiam. Rc- fpondco paucis,acrioncs propric compoficorum c/Te,ab ipfa tamcn forma ra- cioncm agcndi fumi,vc Aucrrocs in quintodc phy.aufc.com. j.& f.dc tormis ortui incccicuiquc obnoxiis loquens, tcftatus cft. Igncm igicur vi quidcm fux formx agcrc,mediis tamcn qualitatibusiftis contrariis aifcrimus:qux.vc non cfTentin ignc^nili forulaignis aquaveluti acaufapcndcnt pnus,adcil*ct,ita ncquc abfque illius formx viagcrc poflent. Agunt autcm quafi altcrando,ac difponcndo, vt forma tandcm ignis induciqucac.C^pwViwifTwV^te^.v^.In- celligic Alcxandcrlibros dcorcu& inccritu, & reCce.li pncfcrtim iccundmn il- liusfpcclcnuis, m quo contranetas&: primarum qualicacum abunde Jc- claracur. Noneftcrgo,qu6d crcsalioslibrosdc Elcmcntis , cjuorum Lacrcius C mcminic,&: quos nominc Anftocelis circum lacos lcgi/fe fc quid amElorcncix afhrmanchabcrc cxopccmus. sVcmtp otr oi crtttroirXtworrK cV rqf vypof^L %paf*a& y j? ^Vfiov^ %iav&$ ttoiovan t%Hr V vquar cx gcncrc conftat & difFcrcntiaxaufalis alccra,qux ac- cidcncibus tantum coucnic , caufam cxprimcns a qua pcndet & confcruacur afFedio. PoftcriorcomuTa, dcpriorinonnulladicamus. Locum habcc harc dcfinicionis fpccics in omnibus Caccgoriis , qucmadmodum primo Topico ftacuic Ariftocclcs. Acqui harc quoquc duplcx eft: vcl cnim abfquc addico tra- dicur,& vocacur dcfinitio formalis quidicaciua : vcl cum addito,&: cunc Defi- nicio formalis cum addico dicicur,(voco Addicum id omnc quod cxcra cilcn- tiam dcfiniti eft)In fubftantia,prior illa locu prarcipue habcc: vc l i dixero , Ho- mo cft aniraal, racionis compos:huius fiquidcm dcfinitionis duas func parccs, Gcnusjformam gcncralcm,& quali maccriara prim6fignificans,vc Aucrr. in fcpcimo mcc. com. 3 3 . ccftacur : & diffcrentia,formam fpccialcm, Iiccc ambo maccriamquoqucadlignificcnt. Poftcriorinaccidentibus pociflimum fpc- dacur, in qua gcnus quod cft accidcns,cft veluci forma , difrercncia \ c ro qua: fubicctum&:iubftaciacft:cx Aucrr.8.mccaphy.6.(pra:fcrciminmaximcpro- priis accidcncibus quas proprias afFc&ioncs vocamus ) veluci maceria:ac pro- indcidcmquincomccaphy. J4.&: icpcimo eiufdem cra&acionis 17. 18. &r 19. Accidcnciu dcfinicioncs vr* w nuncupauit,li quidcm ex diueriis nacuris con- ftcnc. Nccefrario cnim indcfinicionc accidcncium,fubicc\um aucexprcilc aut falccm occulcc przccrquam in Categoria quantiracis,concincridebet.Ex quibus facis pcrfpicuum eflc dcbct , Definicioncm ciTcntialem accidcntium cunccancum mcnti quietcm largiri,cum pcr omniaquatuor generacaufa- rum cradicur.Efficicnccm nanquc &: finem in definicionc fu bftanciarum non ica eft opus adhibcri,quod nocauic Galcnus in quinco dc diff. pulfuum cap.z. &t cap.9-quod &: ipic prarfticic,cum pulfum definircr.EiTc aftionc pcculiarcm prarcipue cordis,mox arccriarum ,contra&ione &: dilacacionc mocarum .1 fa- culcacc vicali, vc caloris naciui mcdiocricas confcruccur, fpiricufque animalis in ccrcbro gcncrccur. Hoccodem prorfus modo Ariftoreles nobishic fapo- rem definic, ciim aic. EiTe afFedioncm in humido a iicco cfTcccam , guftacum qui faculratc cft duccsad achim.Paflio cnim feu affc6tio,cft vcluti forma, hu- midu vcromatcria,inquafaporcsquaiiimprimuntur. Siccum quod duplcx cft nmpc tcrrz &: ignis,vt antea diftum cft, racioncm cfHciecis habct, quam* uis iiccum cerrcum rcfpeftu iicci ignci calidique, pcrmifcencis & conco qucncis maccrix pocius viccm gcrat. Cauia igitur propriaiaporis confi- cicns calor cft : Siccicas camcn humidi refpc&u abcuius agencis vicem gcrir. Ex ET SENSILIBVS. Ex qiio Alcxandcr mcrico annocarc, racione vcriufquc potuir, Pnrnum in lo- cis valdcfrigidis, t i u&us non ica faporofos cdi:Mox aquas pro diucrfa ccmpo- rum confticucionc,i. vcntorum flancium, pluuiarum feu innundationum , x- ftufq; variacionc , fapores a dulccdinc ad falfcdinem & amaritudinem abire, pro maiori ncmpc aut minori ficcicaris participationc. Poftrcmo caufa fi- nalis apparct cum ait* Guftacum qui facultacc cit, duccns ad a&um, & pcrfc- ftionem.Qucm fincm quafi dcclarans Ariftoccles inquit,Scnfus adum abfo- lucamq; pcrfc&ionem , non eilc vcluci difccrc, fcu habicum ccncrc,puca Rc- ligionis Chriftiana: prarcchcaopcime noflc, fcd vcluti conccplari, i. apud om- ncs, & vbiquc in orficio Chriftiani piique viri concincnccr manere, ab coque nunquamdifccdcre. Itaachis & pcrfe&ioguftacus vltimacft,non poilcgu- ftarc, fed rpfa iam deguftacto. Mancac icaquc apud nos conccxtus intcgcr, cum definitionem ipiam faporis>nullamque praetcrca prxcipuam partc con- tincar, cuius parciculas iam tahdcm a expcndamus. ). Quoniam de fa- porc hic abiolucc agicur , & Anftotcles fic loquicur , -wibnyyri&A* i, tJ Jx? ^^J",puro pcr paflionem illam eflc incclligendam quae inccr duo concraria m- ccrccdence *aawv erficicur,ideft, qualicacemquandam infubie&o cxiftcn- cem,& apalTionccum fotmxconcrariarabic&ioneorram ,& quar pallioncm cciam in fcnfum infcrrc qucat^dc qua A riftot . in priori dc ortu & int.cont. j K Im6hocipfcfupcriuscxprehisin verbis,lF7'5r3 nvjfiii fcVAi -nJ ^fit k^y T7j^ci> y^ \ai t*vcl in mixtionc , agcntes & pa- tietcsdici poflunc.Ec illud quidem patet,quandoquidcm tcrra aquam vcrtes in fui nacuram no trigiditatc in qua fibi cum illa conucnic , fed ficcicacengec, iccmq; dc carccris fcnciendum. Aliud vero,facilc cft dcclarare. Etcnim fi mix- cio cfnci debcac cx quatuor clcmcnris,oporcecvcOmnia ad^Wquandam, quiccrmihusmixcioniscft,rcducacur. Vcrum minquamcrafis iftanafcccur, nifi primumomnes quacuorqualicace* inuiccm agant&paciancur . qui ficri cnim poceric, vc humidum ad crafim ficcum rcducac , aucab ipfo rcducacur, nifi pcr mucuam a&ionem ariquc paflioncm ;Cartcrum illud rccinendum cft, humidum & ficcum,non principalitcragerc. Scd(vtaiuht)fecundari6: ncq; cnim humidum in ficcum, aut ficcum-in humidum, antca agct, quam vnum cum alcero pcrmifccacur, in minimafquc parccs diftribuatur : quod calidi ,& l6 6 DE ORGANIS SENSVVM, frigiditantum opus cft : agunt crgo hurnidum & ficcum , fcd a&ionisfuaeini- cium a calido &: frigido aifcquuntur. Mcriro igicur Arift. hzc,agencia, rcrmi- ^ nacia&cvniecia vocac:illavcr6 pacicncia,vnica,ccrminacaq;.Scd nihilprorfus adnos ifta,qui iam dcclarauimus,quomodo ficcu ccrreum cfficicns,quomo- do iccm maccria dici qucac. Eft enim materia quaccnus pacicur a ficco ignco: cft chScics quaccnus humidu ccrminac i quaii inficit. Ncq, coitio ifta caufa- ru rcpugnac Arift.cum addiuerbsccrminos,oppofic6fq; rcferatur. Alterum clicicndum,Nepc,non in omni humido faporcs fundamcnrum habcrc,nd c- mm in humido fimplicis corporis fcd copofici folum. Hoc cx vcrbis cocexcus patet , fi quidcm talc humidum a ficco tcrminari dcbct , calorc pcrmifccncc ac digerecc. Prxccrea racione probacur,de qua in concexcu feq.pluribus. Scd hicduplcx oricurquxftio,priorcft,an frigiditasad produccndos faporcs ali- quo modo concurrac: Secuda,an humor ad faporum orcum fcmpcr exigacur. B quandoquidcm,mulca corpora ficctf(ima,vc pipcr:& lapidcs quidam,vc fal:i- ctmque radiccsCccilTim? ,puta rhabarbaru:cincrcs ctiam ipiiquiperexicca- tioncmfcu potiuscxuftioncm Hunc,camcnamarifeu falfifunr,Saporcprz- dira c/fc apparcnc. Priori quariico paucis rcfpondccur, rrigidicaccm pcr acci- dcns cancum faporum orcui podc confcrre,quaccnus fciliccc vim caloris hu- midum aqucum acccnuancis ac rcfolucncis, cum coque ficcum ccrreum agi- tancis & permifccntis,aducnicns frigiditas rctundcrc ita potcft, vt non is dc- inccps iapor oriatur, qui fortaffc non impcdito calorc oriri potuuTct, fcd lon- ge diuerius. Alrcrum quziitum ita cnodadum : Nunquam corpora illa ficca, licct non omni prorfus humiditatc intrinfcca deftituta fint , faporcm edcrc, niu' aliqua priori humiditatc cxterna perfundantur : im6 hic vfus (aliuae pro- priuscft, vtdocet Aucrrocsin fccundodc animacom. iox. Vndcibidcmo- ^ pcimcex Ariftoc.colligit ,omncdcgu(tabilc,aduvcl falccm poccftace pro- pinqua,humidum cffc oporccrc . Quod non ica eft incelligcndum, vc in qui- buida dcguftabilibus humidu fic in poccftace propinqua : Eccnim hoc modo, ciim humidicas ficvna cxcaufis faporcmconfticuencibus, vcl diccrc opor- tercc faporcm quoquc potcftate tatum in illis incffc,cx fccundodc phy.aufc. cont. 38, vclfaDoresnullamcxiftcntiam nullamqucnaturamre ip(a fcorfim habcrc ,nili cumdcguftancur : quorum fanevcrunqucabfurdumcft. Hoci- gicur vulc Aucrrocs, in omnibus quidcm deguftabilibus atu faporem incfle, &c adu humidum : fed vt in aliquibus dulcis , m aliquibus amarus fapor prz- ualct,ica in aliquibus humidum in aliquibus liccum prodiucrfa mixtione dominatur. Scmper itaquc aliqua humiditasadcft , tum in cincrc , tum in fa- lc, & rcliquis,qu2tamenobmuItamficcitatis copiam fit infenfnis:Quod co confirmatur , quod mixta funt , in quibus licct cx priori dc ortu & int. 89. fa- cultates clcmcntorum xquari dcbeant iuxta variam mixti cxigcntiam,ita vt vna alteram non dcftruat:non camea prardominium vnius auc alccrius col- p litur. Humidum igitur in re ficca modicum cxiftens , ab cxcrinfcca humi- ditate adiutum,& quafi excitatum cuocacumquc fapore linguam afficit. Quapropccr non malc concludunc illi,qui faliuam non abfoluce ad dcgu- ftandum,vc mulci malc pucanc,fed ad rcdius rcs ficcas deguftandas in lingua fcu palaco a nacurafuiffc ftacucam,ccfcnt. Alium &fortaile prxcipuum illius vfum, Ariftoceles infccundodcanima, capic.de fono proponic ,loquutio- nis ncmpe, quam,humctaca lingua qux fcrnonis organum cft, idcirc6- uc mobilior reddica , commodius cdcrc poccft . ( Ducic cnim fcnticn i vimad id quod antca potcftate crat. Quandoquidcm fentirc non cft vcluti difccrc, fcd vcluti ipfum fpcculari). Poteftatc bifariam aliquid di- ci, &: ET SENSILIBVS. ' i6 7 ci , SC item actu bifariam, omnibus cx Ariftotclc conftat. Dicitur nam - quc vnomodopotcftaccaliquidciTc,quod ad aliquid naturaJcm quandam habcc habilicaccm,qua illud confcqui poflir, puca puervt Grammacicus cffi- ciatur: hxcpoceftashabicuiopponicur,i.cum quisiamhabicum Grammati- carum prxceptionumillarumquefcicriamcoparatamquidcm animoccner> non camcn auc quia cdar>auc ft ica fors culcric quia dormic, pcr ipfas opcratur, in carumq; pcrfpicicncia vcriatur: Hic habitus,actusprior, rcfpe&u iftius po- ccncix nuncupacur, & quancum ad fcnfus accinct , a gcncratc proficifcitur,vt Ariftor.infccundodcanim.conc.y9.tcftatuscft. Vcrumalrerfucccdica&us, pcr quem Gramaticus ipfc fua iam promicTheorcmaca,auc altcri ca tradcns, aut fccum ipfc exerccns.Hic vcre actus dicitur, cuius racionc prior ille fecun- dum habicum nuncupatus, potcftacrs racioncm obcinec. In fcniibus adus ifte nonagencranccjfedcxcrinfecusabobie&oncmpeexcra cxiftcnceproricifci- tur. Ex his patct,quomodo prior ilie a&us fic veluci difccre, poftcrior vcr6 vc- luci iam adu fpcculari. Ad huc igicur pofteriorem achim fapor guftum dedu- cic, canquam ad fuam perfe&ionem,eft cnim pcrfcftio, abibluti6q; prioris , i . facultacis guftandi,quam in ipfo orcu animal a gencracc rccepic, de qua rc co- fulacur Arift. conc.5. 53. 55.56,81 58. fccundi de anim. Deducic auccm fapor a- gcndo in ipfum, (qua ccrrc racioncfaporcm , paffionem dici poifc non ncga- mus) non camen propria& vera fcu vniuoca a&ione : hoc cnim modo ientic- difacultas&obic&um ineodem gencre collocandaciienc,vtex priorivol. dc ortu, &: 1nt.cont.50. colligitur, quod vcritati rcpugnaret:fi quidcm fenfilu vcl propria vcl communia,aut qualitates aut quacicaccs funt: fcnfus verd tam cx parcc animx quam corporis,fubftancia, vc cx fccundo dc anim.c0nt.z-3 .&c 4. fatis conftarc potcft. Alterius itaque gcncris actio ( vt loquitur Ariftot. )fi quail pcrfcdiua dicacur. 0"n Jl h }t& ty60^potJ.tror&v&yb  p.i. S lyo DE ORGANIS SENSVVM, humidum & iiccum aliracnti condiciones func,vc cx Anft.loco izpius cicaco conftac,iedquoniamGuftusfuaucabinfuauidifccnnc infaporibus,quipri- A marum qualicacum indiccs iunc,idcirco hoc obcinuic,vc racionc fui cibosale- rcdicamus. Cicerum , quod ica iinc Ariftocclis verbaaccipienda>hinc ma- xime pacerc poceft, cibum nucrire aflcric quacenus deguftabilc cft : quaero an de cibo iam nucricnce > vcl dc cibo cancumodo animali oblaco incclligat: li hoc , fanc non nucrit: ii illud , ccrcc huiulmodi non cft amplius dcgultabilc. (Quandoquidcm omniadulcialantur. ) Tocum boc planius rcddccur fidc nucncionc & au&ionc nonnulla ( paucis camen quoad fieri poccrit ) cx li- brisdcorcu&inccr. alciusrepccamus. Quomodo idcm cibusnucriac,&au- gcacfuperius cxplicauimus . Nunc dicamus quicquid augct.Quacum po- ccftacc cfle dcbec , id cft , huiufmodi vc cx co quancum ficri poili t : ica quic- quid nucricpoccftate( vcrbi gratia)caro: (dcvera femper au&ionc loqui- murquxanimalipropncconucnic). Acaqu6namcxcali poteftace alimcn- n cum adattum deducecur? anima ccrcc ipfa,mcdio organo fibi peculiari>ncm- pc calprc infico>qui vcluci przcurrens alccrac, & concoquic , id quod parti nucricndaciimilereddendumeft acqucaccomodandum. Scquiturpoftremo Akio>id cft nucricio & au&io ipfa. Hxc Ariftoc. in fccundo de anim.41 .49.50, &C Aucr. in quinco collig. cap.3.ex quo eciam coftac minus proprie,liccc verc*: Mcdicps quam pcripacccicos de rc hac loquucos fuuTc. Caloris fiquide opera ( vc Auerroes aic ) indeccrminaca func : de anima non ice diccnc vnquam Mc- dici. Rcdeo ad rem , non diftcrc alimencum alcns ab alimcnco augcncc , nifi quatcnus v c fubftancia cft , nucricacioncm cfficic : vc quancum quoddam, au- tionem; fempcr auccm nucricio , augmcncum prarccdic: ica vc& fubftancia quancicacem. Nucricioncmvcr6auciofequicur,quanuisnon femper.-Hzc fiquidcm in viucnce aliquando quiefcic : illa nunquam , cx Arift. priori dc or- tu&: 1nc.tont.4i. QupargumcncoPhiloponusin fccundodcanim.47.alcn- q ccm augcncemquc faculcacem, non vnam prorfus& candcm eflc aifirmabar. His ica cxpoficis,illudmoncrcoporcec, Ariftocelcm inccr cibum alcncem, &: augcnccm , non aliud hic difcrimcn ponerc , ab illo,quod nos proximc dc- clarauimus.Quanuis cnim dicac,cibum quaccnus calidum augcre, quacenus dulcc nucrirc,id vcl caracione,incclligendumeft,quaccnus ncmpe nucri- mcncum quod rci nucricz aflimilari dcbcc, humidum cflc oportcc ( alimur c- nimcxfanguinc)inquo fapor pociflimum cxiftic, vcl ca quamancca cxpo- fuimus , quanuis codcm omnia rccidanc.Semper cnim proprie loquendo, ci- busnucricquaccnusfubftancia,eaquccalida,frigida,humidaficcaqueeft:fcd Oiporcs iunc vcluci difpoficioncs ad nucricione,quaccnus in caufa func vc con- ucnicnccsanimalicibifumancunncquecnimproefculencoquamis resmix- p tanumcrari poccft. Verbapoftremaconccxcusfacis harcomnia nos doccrc, poflunc,in quibus Calor ram au&ionisquam nucricionis arcifcx,nuncupacur. Merico aucem calidi , frigidiquc cancum mcncio c : fiquidem func hz pra% cipua? nurrimenri qualicaces: iurc cciam his cum audcionis cum diminucionis caufa cribuicur, quandoquidem veluci calor in alimcnco cxiftens a calorc in- crinfeco adiucus,facilius mucare,concoqucrc,fcgrcgare, adiungerc, aflimila- re, undcmquc nucricarc & augerc poccft,ica przdominanccfrigido compri- mcn tc &c condcnfance in alim cncis,auc in alcndis corporibus>vc in fcnibus & iisquimorbo fcne&alaboranr,modicanucriciofeu eciam dccrctio partium fequitur. Sed quomodonam dulci aluncur omnia? Rcipondeo,parccs aii- mcnciccnuiorcs,quod hzad aflimilacionem apcioresfinr,nucricioni maxi- me E T SENSILIBVS. i?j m c omnium infcruiunc : huiufmodi vero dulciorcs quoque funr. Ecenim fic- A C o ccrrco magis carcnc , quod falfcdinis , amaricudinifque caufa cft , vc infra dicemus: humido vcroaquco abundaric, quoddulcedinem paric. Exquo Auerrocs monuic, dulcem faporem calidohumidoquc , amarum vcro calido ficc6quc cribui. Calor icaque inficus, parcesiftasalimcnci ccnuiorcsacquc lcuioresaccrahic :quarfiomnin6aconcrariofcgregacac finc, dulccs mulcum mancnc : fi vcro non omnino , minus. Sac illud cfto, cx fimpliciccr amaro rcs nequaquam nucriri, cum calor ccrrcas parccs ob grauicacem accrahcrc, ac fupcrarc ncqucac. Ariftocclcs in fccundo meceorologico, de falfcdinc maris loqucns, nonnulla noftro infticuco vcilia cradic. Cum cnim faporis falfi principium&caufam,cxhalacionem ficcam cfie cxponere infticui/Tcc, pn- mum doccc, falfcdincm cx quadam commixtione oriri : admixcum vcro hu- iufmodi faporcm gigncns, aliquid minimc conco&um c/Ic : cxcmplum afFc- j, rcbac ab Animahbus fumpcum , in quorum corporibus , quod crudum ma- xime eft,&: non codum, falfum &: amarum cft , falfcdincmque efficic in his quibus admifcccur. Eam ob caufam vrinam , & fudorem falla cfic , quoniam & alimcnci c quo cxccrnuncur,comparacionc (vc concodioncm Mcdicorum viccmus ) conco&a non func , & corpus aliquod non conco&um in fc habenc admixcum,ncmpcficcumccrrcum: quod ccrce & in vrinariis vafis fubfide- reccrnicur,&:in cuce animalis,nifipoftquam fudaric cgregie linceo cerga- cur. Imononaliccrin iisquaraduruncur vfuvenircdoccc: inquibus quodab ignenonvincifirnccconcoquicur,amarumrcmancc,&:fall"um, vtCinis. lic vc ad nos rcdeamus , harc fola caufa cft , cur quancumuis dulcis ab animali ci- bus fumacur , amari camcn aliquid fcmper in vcncriculo rcfidcac. Iam vcro, inhocconccxcu mulca quzri po/lcnc. Noscamenomniaqua?pra:cipuafunr, non quaeftionum icd Theoremacum modo paucis,vc omnis rcpugnanciz fufpicio in Ariftocclc collacur, cxplanemus . Cibum nucrire aic Ariftocclcs quacenus faporofus feu guftabilis cft. Id qua racionc fic aceipicndum iam di- ximus : non crgo ica incclligcre oporcec , ac fi faporfic adarquaca &: im mcdia- ca caufa nucrimcnci , fcd pocius vcluci comcs : cum fic qualicas quzdam or- cum duccns cx cemperacionc humidi cum ficcoincali fubftancia,quzvere & proprie nucric. Humidam auccm( cum dcbica camen ficci quancicacc) cfieoporcuicfubftanciamhuiufcemodi vcaccommodari poficc.Ecquemad- modum Aucrroes inquincoColligcc, capiccccrcio, monec: parccsquarpri- monucciuncurfuncparces fimilares,&:cibusquialcre debcc conuercicur in humidicacem, (imilem humidicaci fixx in parcibus fimilaribus, &:cum cis permifcccur codcm prorfusmodo quo inuiccm res liquidzmifccri folenc: cum vero hoc modo pcrmixcus cric , cunc acquirec coagulacionem &: coftan- ciam,fimilcm coagulacioni&conftanci2nucriczparcis:ncqueenim aliomo- l^ donacura rem dillblucam,infingulis parciculis membri,reftaurarc pofiec. Exhispacccquomodo ofiahumidoeciam nucriridicancur, iccmque quara- cione, nullafuperfic repugnancia,incer hunc concexcum,&: quadragefimum fepcimu fccundi dc anima,&: quadragcfimum, primum primi dc orcu &: ince- ricu. Alcerum doccc Philofophus, dulci nimirum faporc Animancia ali. Cuius rci gracia animaduerccndum cft, prxcer ca qux fupcrius diximus,Dul- cc hic accipi, pro co quod vere dulce eft.Scd inccrea proporcionera inccr n u- cricum &: nucribile, no modo quod ad dulccdinc fed quod ad alia icmper fpe- cari debcrc. Sunc mulca dulcia,quz cancu abeft vc hominc nucriar,quod cos poci*adinfania&:morce ducac,vcdc radicisMadragore. fuccofcruc.Sed quiJ, p.ii lyt DE ORGANIS SENSVVM, dicec aliquis:Mel dulciilimu cft valdc tamcn parum nucric.Iccm bilis,m c!q. ^ cholia, flcgma,dulcia nullus ccrce diccc: ab iis came omnib 9 aniroal nucricur, fccusenim,vnocxccpcofanguinc,alii incorporc aniroalis fupcruacanci cl- fenc : quod vcricaci rcpugnac. Quid iccm dc oifibus - quz cum ccrrca finc, a fi* rotli ali dcbcbunc : crgo a ccrreo aliquo, puca humorc melancholico, quod & faltum&amarumeft. Poftrcmo, vndcnam pifccsmarishabebunc,vcdulcc- dinem iftam perrrahere qucanr,cx qua nutriantur? candcmque quid dc variis animacum gcncribus diccmus , quz rebus alioquin amanflimis & vcncnofis ali, tam Ariftoc.quam Galenus& Pliniuscradidcrunc? Hxcadmedicos acci- ncrc vidcncur, pluribufquc perrra&anda cflcnt: in przfentia camc ica ftacuif- fc fac cfto. Vcram abfolutc fentcciam Ariftocclis cfle:fcroper cnim dulcc ma- gis quam aliusquiuis fapor nucric: ad dulcc camcn refcras pinguc, cuiufmodi cft panis, ouorum, carnis. Idquidcm brcuicaci ftudens omiflc in prxfcncia A- B riftocclcs,infracamcnadmoncbic. Quamobrem Galenusquidcmin rc hac minus forcaflc laudandus cft,quam Ariftocclcs,qu6d nempc obicurius nobif- cum cgcric,non camcn oronino ( vc multi cxiftimant) vitupcrandus. Pro aliis vcro obictionibus addarous, Corpus noftruro cx quatuor primis humoribus feu cx quatuor primis elcmcntis conftarc, quorum vno carcre no poflit abfq; fui intcntu:nutriri cx fanguinc tatum vcl aliquo proporcionc fanguini rcfpo- dcnce, coq; puriori ac (inccriori qui camen nullibi feu nufquam purus& non aliis permixcus rcpcriacur: hicdulcis cft , rcliqua vero cxcremcnca ad bilcm, aut mclancholiam,aut phlcgma magis acccdccia , ahcuius quidcm vfus funt in corporc humano,vc Mcdici dcclaranc, non camcn ipfl alcndo , propcer ca- rum qualicaccs nacurxaducr(arias,confcrunc. Qiio fic, vc ciim parcesanima- lisaliquandoomnialimcncodcftituta; illispafcicogatur,non nifimaxiroum - dctrimentu confcquantur,quod Aucrroes optimc monuit, vtut Conctl. difF.  jo.aliter. Dc phlcgmatc quidcm non cadcm prorius ratio cft , qux pcr vltc- riorcm concoitioncm fanguis cffici poteft, idcft nutritioni aliquatcnus a- ptum. Dc oflibus dico,non vt quidam,omnia ncmpc nuttii i fibi iimili,quan- tumadillam vlcimamaflimilationcm : nam hocmodo fruftra Mcdici , puta infra&uraoflium,victum callogigncndoapcum, idcft ccnacis& craffi fucci, cxhibcrcnc.Diccndum eft crgo,cx ianguinis punori partc ali omnia , quiacx eoconftant,fcddiucrfarpartiumnutnendarum naturarfcmpcr habcnda ra- tio cft, ica vc hanc fanguinis calidioris,illam frigidioris cupidam cflc conftcc Sunc(aiuncMcdici)iftafcmper inrclacione fcu comparacionc accipicnda. Pifccs vcro maris(quicquid Galcnus doccat)fumptaaqua fallaquxmixta c-It, &: attu nullo modo dulcis ,vi caloris illam digcrunt, ac diftt ibuunt, partefquc in ca dulciorcs poccftacc prius cxiftcnccs, fuarq; nacura? conucnicnciores,nuc D vcro .k t u fcparacas ad nucricndum rccinenc , carccra amariora in cxcrcmenca vertun t. Dc aliis animantibus idem arHrmo, nutriri fcilicct omnia ab iis quz fumut ca rationc qua dulcia funr, co^ionc enim Cocurnix, puca, cicucam ca- lcmrcddic, vt partcs dulccs cx ca in alimcntumpcrcrahcrequeac. Curvero cicuta delc&etur coturnix, aliaquc animantia aliis huiufmodi quz homini vcncnacflent,ratioillapotcftafrcrri,qu6daliquam cum guftu illorum hu- iufmodi cfca conucnicnciam habeac . Poftrcmo, videcur Ariftocelcs affir- marccxvnicoclemcncoanimalianonnucriri. Quid ergo devcrmibus illis Cypriis diccmus,quos Ariftocelcs inquincodehiftoria,anim.cap. i^.viuc- rc in ignc & volare pcr aliquoc dics narrac ? quod itcro Plinius in fcxto fuz hiftor.nat.cap. 36, & ;8.confirmat? Hocnimirurr: Animaliaiftanon nucri- ri aliquo cxccinfcCo,quia in ignc non cft aliquod humidu quo nucriri qucanc: fcd T SENSILIBVS. j 7 j fcdaliquoincrinfcco humidoccnaci&:craiTo,quodaca]idicacc ignis inquo A mane- noniii in mulco ccmporis fpacio, abfumi poflic.Exemplo linc anirr.a lu qux m caucrnis diucius , abfquc cibo cxcrinfecus fumpto laccnc , vc glirc s, vr/i,rana:,rcrpcnccs,aliaqucpropcinnumcrabiliahuiufmodi.Acquiin ignci- pfo nafci,rcccnfcc Philofophus,im6 ignc dcficicnce,ipia quoq; mori:vndc cr- gohumidicas, lftaintcrna? Certenonomninoprofabulafunchabenda qu* Ariftocelcs hac dc rc narrar, cum 6c A ucores alii in hoc conucnianc , &c qui in Cypro fucrunc noftra tcmpcftatc,idfcvidillc tcftcncur.-idcircodiccndum cft, vcaquam puramnon cflc aiTcrimus,incaqucpifccs na(ci,nicnon ipfa dcficicte mori,quod fua? naturx fic maximc affinis,ita igncm hun c apud nos, &:pr2lcrrim Cyprium illum impurum atque permixcum cx lignilquc alli- duc mucus &crallioribus excicacum, calcicis incocli humiditacc &cralii- g cic adiucum , animalia hacc poflc per pucrcfactioncm cdere , mori vcro ftacim igne dcflciencc,quia ab cxcremo ad cxcrcmum cranicanc,cui fua imbccillita- tcrcfiftcrc nequcanr,cum prarfertimnaturxcorumrcpugnet. Animaliaal- fuetafub niuc viuere idcm paciuncur,qui cum alocoobfcurifiimo in quo diu- cius fucrinc , ad clariilimum ftatim ducuntur, vifu priuantur. Natura m fum- ma,has fubicas& immodcracas mucacioncs , ablquc difpcndio animaiis non pacicur. O* J* cV t%& etificifft itnieT Z> *%t* Sippct , %tf^ or rn 7J ua ^ pj- 7$f , 10 rpt^traf ra y>vxii . av/uifjuynwretf J( o/ aMa/^tyto) c rpoylw 7r aZTor rfdwor, rot dXfMipqt ^jt/ o , elrr) fiS vafJULr&fovfc. j 1o dmanra* rqj A/xfTpo- q QifMt tf) 7o yXvjuv^ xj ttwitnXe^a^K j8 Quod igitur calor exrcrnus in exccrnis corponbus praeitar , idem 111 n.trur.i animahum planrarumque mtcrnus efncit , quare dulci alunrur. Sed alii Cipores ahmento commifcentur, eodemcertc modo quo falfurn &acidum, nempe condimenti graiia , atque idcb eamcaulam, vrre- morenrur, quod in dulci minus nutric atque excedit. Qupd proxime dixerat dc calorc inlito lcuiores ac proinde dulciorcs par- tcs ad animalis nutrimcntum actrahente , grauiorcs vcro &: amariorcs rclin- qucntc,id in prxfcncia fimilitudinc ab extrinfeco fumpta,notius rcddcrecu- pic. Cztcrum,limilitudoilcacommodeexipfomet Anftoc. in priori mcccor. fumi poccric,vbi cauiam efficicntem maccriamque ignicarum imprcilionum communcm inucftigans, deduplici habitu loqucns,aic : Soliscalorc cer- ram incalcfccrc , accenuarique, acquc illius vi aliquid furfum attolli : qu6d fi fpiritusnaturam habcat,idcftlcuiorfit,cminet : li vero lithumidior, prae ^ pondcrc fublidct. Ex quodcinccps colligic, mcrico concludi polfc anima- lia dulci hucriri : Scd quorfum faporcs alios aut arce componimus , auc a nacura produccos in cfculcncis,amamus: vcl quorfum pociusalios natura ipla produxic, li vnicus nucricionl iuoncus habcacur? Rcfpondec PhiJofophijs, illos condimenci locoaddi,ncfcilicct fapordulcis, guftum niroisamciens, fui faciecacem ftatim produccrer,naufcamquc moucret, ita vccorpusccm- jnodc cx co nutriri ncquirct. Obtundunc ergo cartcri laporcs( vt acidum, &:(alfum quibus nosfamiliariccrvti iolcmus)&: quaii rcmorancur dulccdi- nis efficaccm poccftacem, quat dcinccps tempcracior & micror rcddita , anr- malis Guftui iucundior j accnon fux numcationi idonca magis , cuadic . p.iii. ,- 4 DE ORGANIS S E N S V V M, Addc, multum dulcc nimis lcuc cflc : quo fic vc mulcum quoquc nucrirc pof- fiC- Saporcs icaque alii cum iplo mixci,ciulquc lcuicaccm rctundcnccs,id prx- A ftanc j nc ica facilc pcrcrahacur, ncuc immodico fucco rcplcca corpora , mor- bisexplechoraproucnicncibuscxponancur. Vcrba conccxcus vcroquc hoc modo parccm iftam cxplicandam eflc,doccnt. Poftrcmaflquidcm vcrba,cx- plananc priora illa, in quibus W '*iiiu* mcmincrac. Particula txZtk $ hoc fa- tisfupcrqucdcmonftrac. Vcrumquxfcquuncur^ncmpciJAMrrefW^i&^ Wnff*A$?Mr,non mod6nomincWAVp*7K, ccmpcracionem dulcisin ipfade- guftationcqucm fuaucm faporem vulgo vocamus, accipiendum cflc do- ccnt>fcdctiamdiftributioncmillius dcbitam atquciZ^^cumiamiamnu- crirc,& pertrahi a calorciniico dcbcat. Hanc Thomas interprctationc,illam Alcxandcr cft fccucus.Sunc qui hic quxranc: Si dulci alimcnco pafci dcbcanc corpora, qui ficri poflir,vc parccs corum infcriorcs alancur , li quidcm leuc ii t quod nucrir, idcircoquc aiccndcrc debeac. Quod li dicamus, abfolutc quam-  hbcc ahmentiquodfluxilccft,partcm,graucmcflc,&: Ariftotclcm rcfpe&u partis amarioris cantum, parccm dulccm lcucm nuncupaflc , itcrum dc mo- doquo partcsfupcriorcs alantur,dubitant. Scd certc quanuis Aucrrocsin fcptimodc phyficaaufcultacionc, commcncario lo.nonnulla hacdc rc acti- gcrit, Mcdicorum prorfus quxftio cft , quorum munus dc facultatibus nacu- raltbusanimxnucricnci inlcruicncibusaltifquc inftrumcnris faculcacibus il- lis adiuuandis a nacura dcftinacis,adamuflim agere , proprium eft. Illud a no- bis quxrcndum magis iudtco. Quia Anftotclcs vbiquc & prxfcrcim in prio- ri mcceorologico doccre vilus cft,halicum c ccrra cductum,quod caJidior,fic- cior,tcnuior & lcuiorftt,in locum fupcriorem confccndcrc: cx aquavcro cuocatum, qudd frigidior, craiiior, 6c ponderofior cxiftat, in infcriorcm. Hic vcrd ccntratium aflcrcrcvidctur: parccs flquidcm crailiorcs&terrcas magisin alimcnco fubfiderc , humidiorcs vcro pcrcrahi aflirmac. Rcfpon- q dcndumeft. Pnmumintcrhalitum&halicum non candcmcfle tcnuitatis, & crafiitici , lcuitatis &: grauicatis rattonem , qux inccr tcrram & aquam. Namtcrraquidemgrauior eft&craiflor quam aqua: halitus tamen eccrra emifllis tcnuior co qui ex aqua. Cuiusdtfflmilitudinis ratio eflfc potcft , qudd tcrra minus frigida quam aqua,faciliufq; ratione fux (iccitatis(qux ignis ami- caeft JfolidiortfqucnaturxcalorccxcipcrciStcontincrcdiutiusapca, vicalo- ris magis accenuari,leuiorq; fieri quam aqua poteft. Mox addendu, Calorcm infltum animalis qui mediocriscft, in flngulis partibus , halitum quidcm lcuiorem ex nutrimcnto ad fe trahcrc , qui& humidior & flccior , fcu tcrrc us magisuclaqucuscft,prodiucrfa alimenciracionc calidicadfquc crTc&ionc: fcmper auccm lcuior, parcibus illis pondcrofls , craffis , acquc cxcrcmencofls, n quxanacura vcluci tnucilcsfcccrnuncur& relinquuncur. Non ficigicurhic comparacio intcr halitum & halitum , in rebus externis: vbi alia ratio pcr- trahcntis caloris, humidiquc & flcci paticntis, candcmque loci, vndc, &: quo pcrcratiofir,rcpcricur. Similicudoauccm ab Ariftocclc caccnus camum af- fercur, vcdifcamuscam halicum ccrrcum ,quamvaporemaqucum,fcmper ex parcibus cenuioribus & lcui oribus ,euocari. 0?cmp 5 xjx&fjuL&, d* %Z >JjxoZ $2 fjtixttvec %}i trituc, ovrut; olyyfjto) cm y\vxt& dyor 'M"apo- ru cum colonb* iam cxplicatisadhibcrc. Sflporcsaucccum colorib*in pluri- busqua(inocisconucniunc.Quarumvnaeft,ad modum gcncracioms nimi- rum pcrtincns,Saporcs mcdioscx cxcrcmis,dulcincmpc&amarofieri,vtco lorcs ex albo &: ni^ro. Altcra,n6nullos faporcsguftui maucs , nonnullos verd infuaucs, iuxta k>fciliccc auc A^^mrxtionjs prcporcicnc cflc, ira vc colo- rcs parcim vifui graci,parcim mol cfti,eadem racionc cranc.Tcrcia,cotidt m fc rc faporum,qui numcrum fcruant,fpccics habcri,quot cciam colorum.Nan- quciipingucfaporcaddulcercfcras,vtrcfcrrc oportcc, ftpccilloiu fpccics V pnccipuasrcperics.Exrrcmi,crucdulcis&amarus,qualcsin mellc vuis&ab iynthio repcriucur.Mcdii interccdGt,ponticus fcu acer,vc in pipere &finapi: auftcrus,vt in aliquib* vini gencrib*:ftipricus fcu accrbus,vc in pomis nondu macuris:acidusfcuacucus,vc in accco:l'alfus,vcinfalc,liccchicadamarumrc fcracur, quemadmodum cciam pinguis,fcu vnhiofusvocacus,ad duIccm.Ex quo nocac Alex.faporum fpecics^: 6,&c 7,& 8 dici poifc. Hoc iccm in colori- bus fpedtari potcft. AlbumSc nigru cxcrcma func , mcdii func puniccus, pur- purcus, viridis,czruleus,decft auus feu fuluus qui ad album rcfcrcur, quod illiusfpccics quxdam habcatur, qucmadmodum ctiamfufcus, vcltcrrcus nuncupatus,nigrum quoddam cflevidctur.Poftrcmum in quo faporcs&: colorcs conucniunceft,Eundemprorfuscircrcfpc&um incerexcrcmosfapo- rcs,qui inccr colorcs cxci cmos.Quc -madmodum cnim nigrum albi priuacio* p. iin. iy6 D E ORGANIS S E N S V V M, nrmvocamusinpcllucido,icaamarumcftpnuatiodulcisinhumidontitn>ii ^ tc: ai gumcnco cft cinis qui amanflimus ommum aduftorum idcirco cft,quod incotocumhumidum dulcc lic cxhauftum . Contexcum inquatuor partcs iam notas diftribucrc polfumus:prima cft. ( Cxterum quemadmodum colo- resj.Pro qua idcm prorfus diccnducfic putamus quod ac coloribus antca fuic cxpofitum. im6m faporibus id ipfumarstcftaripotcft:quod Aucrrocsdo- cct.lncoloribus non itafacilc.Acccdicc6,omniaqua: mcdium icu mixtum faporcm ahqucm obtinucrut,compoiici6racftc plurcfqucac diucrlasmagis facultatcs obtincrc(vt Mcdici aiunc)qua illa qux aliquo faporc cxtrcmo funt imbura. (E I proporcionc :quid,&: Galcnusinquartodc nmpl.mcd.fac.propofuit:Auicennatamen,Plinius,&Thcophraftusabcu(?i q noucm aflignarunr,ad hosliquidcinfipidum,&:vinofumfaporcm vocatuad- dur.fcd rccrc? lllis rcfpohdetur,infipidu non cflc faporc,fed illius potius priua cione,vndc ao.ua iure inflpida vocamus:vihofum vcroad dulcc reuocari,cum ab ipfofccundum magisoVminuscancumdiftcrat.Quaprorfus rationc Catif- facicndum crit illis qui obiiciunt,cx dulci puca&: auftcro, diucrfam fpccicm ab cnumcratis cffici poffc, veluti Ariftotclcs cx mixtionc dulcis &: amari no- namorifllaporcmcradit.nobiscnim quiomncmedium fapore in cxcrcmos rcfolui pucamus,nonnouuproficifcccurfaporisgcnusabiftis fcpcc formadi- ftincttim, fcd quid ab illis cancmiixb- wcv;Vt 'quidam obiiciuc,(i de phy.mixtionc loqui yelimus.Ice dc* diuerfisdul- "cedihu fpcciebus,putamcllis,racifeis,vini,&: alioru huiufmodi cuTheophraflo &: Galcno affirmandum crit.Doccnt autcm pro horu faporu cxquifltiori gc- ~ ncracionis docirina Mcdici omncs,difcrimina faporum ab his duobiis pociffi mum principiisfumijnempcamatcri^fubieclac crafflcicauttcnuitacc diucr- fa,&: a caloris agcncis vario cxccflu vcl dcfccTu.Frigidum cnim nullu per fc fa porcrn crficcrc facconftac,acproindcomniainflpidafrigida,&: vcplurimum criam crafla eflepcrcipimus:Qucomnia quam vcra flnc,&: ad mcnccm Philo fophi acconiodaca infcriMcdarabim 9 . (Ec qucadmodu nigru albi priuacio.) Poftrcmapars.quam Alcx.vcfupracciamonuimusnon rcctc interprerarus cft. Vc vcro omnis ambiguicascoflatur,norandu cft Atiftocelcrh non abfolutc affirmare Nigrum cflepriuationemalbi,fcd priuacioncm *&\ itz vc ni grum ficaliquid verc(vtloquucur)pofltiuu,pcrpriuacione veroignobilius ens * ' incclli- ETSENSILIBVS, 177 , incelligic:caufa:fiquidcm albcdiniscumin fuoeflcincenfiori fint , rarioncm cncis magis obcincnc,quam nigredinis,cum ibi finc in cflercmiflb:in qua co- paracionc nigrcdo albi priuacio nuncupacur. Ica amarum non dicicur abfolu- tc dulcis priuatio,fcd  , . T **'wVi kftSi enim amarum cum dulci quod ad nu- . cricioncm confcras,priuaciuum vocaueris,cum nil prorfus co nucriacur :fi ve ro abfolucc loquamur,amaru dulci concrarium pouciuum.in nucrimenco vc- roilliusn.wtTutir vocabimus:qu6magisauccmmediilaporcsad amarumacce- dcnc,c6 quoquc magis ciufdcm condicicnis participcs crunc. Animaducrca- cur vcrbum(* M v*0 id cft poculcncum, vc cft dulcc:quo pcrfarpc vfus cft Arift. in fccundo meccorologicorum,cum dc aqua dulci & falfa loquicur.Carccrum inhuiusconccxcuscxplicacionc quzri ab inccrprccibus folcc, Andulcisfa- por amaro vcluci excremus opponacur. Parcem affirmanccm Ariftocclcs am-  plccirur,cui Galcnus repugnac. Aducrfus Ariftocclcm harc argumcnca arTcr- ri poflunc , Excrcma func concraria,dulcc & amarum non func concraria , cr- gonequccxCrcma. Maior noca cftcx decimo mccaphyfic. vbi concraria ea cflcftacuicur,qua:in eodcm gcncrcmaximediftanc.Minorprobacur,quiac6 craria lunc qu.r caufas concrarias habcnc,acqui dulce & amarum non lunc hu iufmodi,non igicur concraria.Illud nocum eft ex fec.de orcu & inccricu cont. j oZbjXj ro dftjSXJV^ro tt roTc oyxoic xoitd rat af&riffteir i- rtret 3 /"* fcLffStyiXX b-^tdc yt Xj dtpHc.S 10 ^ i -\6& obrufum quod in molhbus ineft,communia fenfiliafunt.Qu6d fi .ion omnibus,certe vifus 5c tadus.Quaproptcr fcnfus circa hxc qui- 0id cft,ad vcrbum,Tumori- bus.Hoc autcm idcirco additum cft(monentc etiam AlcxSdro ) quonia qua- IrtatesTfta; fen afTc&ioncs,acutum nempe,& obtufum,equiuoce fc habcntin fono,vocc,taporc& molc fcu magnirudine,quarum illa qux ih fono cft,adau dicum pcrtinet,( vnufquifquc cnim fcnfus,& propria obiccta &: corum J ifcrt- minaomnia,pcrcipcredcbct)quafvcr6infaporead Guftum,quarinmagni- tudinefcumoleadomnesjfcu faltcm adplures, putavifum& ca&um. Vc- rum hic duplcx oritur dubitatio.Prima,quia fibi Ariftotcles rcpugnarc vidc- cur:naminfccundodeanimaconc.d4.fcnfiliacommuniaquinquc cancumc- numcrac,hicfex,acqucabillisexpartc diucrfa. Icem,nonab omnibus fcnfi- bus pcrcipi hic vt ibi,fcd a pluribus vno fatccunquz fcnccntia,cont.&, &: 64. lccundi dc an.aducrfatur.Secunda dubitatio cft, An abfolucc fit vcrum, Scn- D fum in propriis fenfilibus nunquam dccipi.Priori dubitationi,quod ad prima partcm,ita facifTaciuc nonnulli, Ariftotclcm hic non cx propria fentcntia,fed iuxca Dcmocriciopinioncm loqui.Sedccrtchocrcfpofum,frigidu cflc, quis non vidcc?Nam &: Ariftoc. in pra?fentia,vcrc acquc cx animo Dcmocritu rc- prehendir,qu6d propria feniilia cum communibus(qu$deinccps cnumerac) incpcc confundcrct:&: in Cacegoriis itcm, cap. dc Qual. a fpcru m &: lamc,ra- rum&:dcnfum,non qualicatcm,fcd ficum quendam partium indicarcoften- dic:qucm ficum parcium fcnfilc quiddam communc clTc, Utis conftat . Dici- mus crgo, vci fuperius quoquc in procemii explicarione: Ibi gencraliora U velucifumraacapicaenumerarc,hic &:alibi abquando,dum fpcciacimma- gis agic,particulariora,&:qua:ad illospr^cipuosjvducifoncesrefcrucunquid cnim ETSENSILIBVS. 181 cnimaliud func,varii ifti iicu$,nififupcrficic$hoc atqueitlo modo ideftva- rii$formi$acqucfiguri$ difpofica;?acqu*ifigura vnum cft ex quinque fcnlili- bus communibus : nulla igitur Vel in riumcro, vel in fpccicbus , hac quidcm inrc rcpugnantia cft. Sccuttdac vcroprioris dubitdtionis parti, rcfponderc poflcmus.OnN 1 s appcllationc,inteIIigialiquadomultos,fiic6traMv 1 * 1 vocabulo delignancuromnc$:vci& hotat Ariftotcles inPdcticahis vcrbis: Mulcividcncur ranquarrt omncs,omncs vcropromultis fccundu mccapho- rarridicucur.Ec ccrtc norifemclid quodcft'w"A*"WidcftplCrunquc, nori femcl ncccflarium nuricupauit:comparata fiquidcm illacum iis qua: raro acciduntaut 3R ^9 io,aut quidhuiufmoiiacomnum^busircmmul^aheprofiafcacur^circaquasMa- thcmat.c vcrfctu^Exc^I.gratiaumom^regularius.&abaliisquanncatib' pan,oncsal.a:.Ccrtefatcdum crit in Phyficis,caufas quafdam rcpcrir. ccrtio- rcs lenluiq; not.ores,quam inmathcmaticis:ac proindcin ill.s dilciplinis ma- g,squammhistutiorcs& potiorcs po/Tc demonftrationcs habcr. .Quaiei- rur raoonc vcrum crit,quod apud omncs tanquam verillimum habetur,Ma- thcm at.cas difc.plinas idcirco in primo gradu ccrt.tudinis eiTe , quia a notio- nbusnobis&natur*proccdunt?im6quod Srmplicus ipfc inpriori voJum. de an.com.ii.a.t,Mathematicas fc.licet idco ccrc.f/imas nuncupar. , quia ,n quant,tat,bus vcrfcntur,aut qualiut.bus,qua5 vel fcnfus,vcl imaginatio pcr- c.pcrc poceft. Vc, um , nc n.mium 4 propofito noftro difcedamus , al.m rcm B i]f nc (q^lioqi^difr.ciIl I nncft)cop.o/iustra^ illud dixnTc fat efto,matcriam a quaPhyiic' (cam quoad caufas, quam quoad propnccaccs).mmuniseflcncquir,totius.mpedimenti,confufion.s,&inccr- citudra.s cauiam cflc. Al.ccr ic habcnt mathcmaticorum proprictates & cau f:qua7Cumamatcrialciungantur,lucid.orcsatquemagispcrfpicusfunc i- ta vt apcrcc apparcat cas luarum proprictacG caufas eflc.Idcrco Ar.ft in t e 'r tiophy.conc.71 5c 75 doccrevifuscft,nih,Iproh,bcrc al.quid fccundumJ>i- r^verum eflc:fecundum autem rem,falfum : acqui Mocus(vc de ipib in pr*- lcncialoquamur)n6nncininflnicumvfqucveloxreddipoccft>idccrccfccun- dum imaginac.oncm vcrum cft , reipfa tamcn falium : c um inccll.gcn tia dc- tcrm.nato tcmporc carlum fuum moucat,ac tanto, fcu tah, vt ncquc tard.ori ncquc cclcriori ipfum moucre qucat. Scd rcdco ad rcm noftram , pro qua ad hucqua:nfolct,quxnamfacuItasillafitqua7infi:,gulisfcnhon,bustrcs^^^ c conditionesadeflciudicet.Ncquc enim vidctur Mentcmidpr^ftarc poflc cum n,I ,pfacognofcat,nifi fcnfu ipfoprarcutcncquc Scnfum,quandoquid ludic.um de debita diftantia,nonnifi coliacione quadam acquc rariocnac.o- nc fern queat,acqu i cxteriorcs fcnfus , non difcurrunt. Prxtcica , vcl fcnfus i- dcm  b r * v > AAfiir xam&t /jtd/\j^a a/&drttd-af } ^ rur a?U ivarTtont! rt dtsre-ifctir cvlur rcZr apudrctr ^dvayxaf or,x) T*V %L>uii\*^dhabeccontrariu. Ego rcfpondco, figuram tfuo figntficarc,vd fupcrficicm ipfam iincis rcrminacam,id cft iphim figuracumfecundumlongicudincm auc aliam dimchiloncm, vclipfammec ccrminacionem,id cft afrc&ionem quandam fnpcrficici.rrimo modo quanci- cas eft,fcc. qualicas.Ex quo Simpliciusin Careg.icaloquutus cft,N6 fignificac hicFigura,mulcitudinemlinearum&:fuperiicicrum,fcd aliquam fupcrficici figuratione,quace'nUs fcilicet in angulos, vcl quid huiufmodi rcdigicur. Harc illc.Scd addamus,ngura quocjuevc cjualicascft concrarietacc carcrc , vc ibidc cxponitur.Scd haic alibi copiofius.Hic igiturnon modo figuram,fcdipfa quo quc figuracafptaamus,ex quibusfapores,iuxca Dcmocnci fcnccntiam,cOi hcicbanrur.Poftremaacccdic ratiohuiufccmodi,Sifaporcsfiunt cx figuri: crgoiaporcsfuntin/inici.ConfequensfaIfum eft ,vcfuperius aduerfus loan ncm Iand.oftcndimus:dcterminatasenim faporum fpccics habcmus . Quod quidcm .i nonnulhs ita mathcmatice probatur: quia ncmpe figurz rarionela tcrum acquc angulorum crcfcere poifinc in infinitum. Sed Ariftotcles hic mathcmaticenonJoquicur ,cum Phyfice pociusdcorcu faporumcx Phyfi- cisprincipiisaauquccxiftcncibus rariocirtetur,qux ccrccadu infinicadart nequeunt; Anftotclcs tamen c rc nata(vt aiunt)loquicur,&: conccdic atomos illas figuratas,vt Dcmocrf cus fcncicbac,infinicas citc,vcl falccm infinitis mo- dis poilc coniungi:cX quo fcqui vult,infinitos fapores confticui,ciim ab infini toinfinicum confticui rcac poflk. Ha?c cx Alcxandro. Vctum obiiccrefta- cim pociuc Dcmocricus,infinicosc/Tcfaporcs,fcdnon omnesfub fcnfum ca- dcrc.Occurric crgo Philofophus,oftcndcns huius diutrficacis caufam illos afferreoporcuiflc,quod ciim non praeftiterint,argumetocflc potcft illoscau- fam quoquccurfaporcs adfiguras rcfcrrcnc,prorfus ignorafic . Vnum prar- ccr hxc,paucis animaducrtcrcplacec,ncquisincaucusdccipiacur.In priort argumcncatione, Ariftotdcm affirmare vidcri: Nullius (cnfus munus efle communiafcnfilia pcrcipcrc, auc faltcm folius vifus:hoctamcnrallumeft, vtnosdcduximus.Affirmacigituribi,maximam &: potiffimam illorumno- titiam vcl ad nullum cx fcnfibus vcl adfolum vifum pcrcincre : quod non rc- pugnaciisqux Anftoccles in fccundodcanimadocuic,fedfentencia: Dcmo criti,quicum faporcs quorum fenfus pcculiaris&: pnecipuus iudcx Guftus- eft,ad figuras rcuocarcc,Guftum figurarum iudiccm pociil3mum,confcqucn- ccrconlticucbac. Nuncad alia. tuiti* rn ,86 D E ORGANIS SENSVVM Ka/ z&i fj8p tjT fct/tnT qyu^idfmfai^ayttpabJjt W$nTr yyujutolxtiart- yet rLo ax*\n h rri pjJcKryltf ,tS trtp) rSr ^vtSr. ' Ca:terumde fapore &Guftabili ha&cnus.nam reliquarfaporum af- fe&iones, peculiarem obnnucrunt tia&ationem,in ea parte phy ficx co- mentationis ciua: de plantis agit. Nonnulla tancum vcrba func annotanda.( yw). non intclligas faporc qua- tcnus guftum arrtcic,hoccnitn fibircpugnarcc, icd faporcm iam in achi con- ftitucum quo ad ciTc,in poccftacc camcn adfcniioncm cmjricndam: hocliqui dcm vcre guftabile cft . Ariftocclcs auccm & dc onu iaporum cx fuis pnnci- piis,& dc ipfo faporc iam conft icuto nonnih J cgic,vc cx fuperius cxpoiitis pa tec .(*AA vc fu- prainnuic,&cxfruluum varios acpropc innumcrabilcs (aporcs obcincn- uumquocidianadcguftationcpacec.(*'' , 'V'' 1 * ).Duos huius tra&ationis li- bcllos habcmus,in quorum fccundi finc id iplum agcrc vidccur quod hic pol- ] icitus cft. Alcxandri camcn ccmporc vcl ht laccbanc,vcl pro Ariftocelicis nd agnofccbancur. Tct ahrcr  rc6 vyfxSrc f. - v r/rw% crojfT tr a AAa> yii a rc 15 ^v^wr vyplrft atpix) 1 quod hicvocacur-w^^^.AliccrintCTprctarividccur Alcxan.qui vultlim.licudincmiftam & ad mcchodum rratationis,& ad caufarum affi- nicacemreferri.Nam & a caulis fcu principiisodorum cxordiccur Ariftoc . fi cadcm erunc quae faporum trincipiaipforum,ncn pc licci;m& humidum, ii priustamcn (aporofa (inc : ncque cnim odor, cjuidaliudeft quam quali- tasqucdaacorporcfaporofoclara.-Vcraquecxplicaciovcracft,& tcftrmonio Ariftocclis conflrmari poceft , qui fuperius docuic faporem ,& odorcm can- dem fcrc paflioncm c(Te . Scd ccrcc quar Thomas aic , nimis communia funt, proximiora qua? Alcxandcr, & arti Ariftocclicxconucnicntiora. Qt 1 !* ft fc- quamur T non modo fcopus,fcddiftrtbucio conccxtus planacft. Primume- nimiibi de fapore agcndum ctTeproponitcdcmordine,& iuldcm principiis. mox ET SENSILIBVS. 187 ^ mox cractationem ipfam aggrcditur,ibi: (Quod cnim inhumido).Vbidocrr, Quicquid ficcum in humAiu agir inorcufaporum,idcipfummethumidum, ficcum,fcu fapcrofum^cudumaliudgcnuscfficcrein aerc&: aqua : quarduo vnico nominc &: co-fimuni idcirco in pr.ck ncia appellac, ii Jfep**it, propccrca quddcilmabacia &: aerefaporescatenusrantum cliciatur quaccnus humi- da func abftfgcntia faporofi licci,(humidus enim eft acr, humida icem aqua) humidmagcnscumalccroinfermoncconrundcre potuifTet,atquc indco- raciom parere obfcuritatcm. Proptereaque Ariftoteles ncquis cale princi- pium ad ortu odorum pcculiaricer requilicu, riui Diaphan** cflc exiftimarcr, addir,paflioncm iftam quxcommuniseftacri&:aquac,abcis tamcn infcpa- rabilis, nil ad odorcs faccre.Quandoquidcm aer & aqua odores recipiut, non _ quaccnus pelluciJalunc, lcd quaccnus luahumidicacc faporofam liccicaccm lauancacq-.abftcrgunc. (Inahogcnere). Alexandergcminum horum vcrbo- rum fcnfum proponic. V nus cft, Acrem &; aqua non qua humida & pcllucida funt fcu laporum fufccptiua , fcd qua aliam quandam naturam gcncrando o- dori (cu rccipicndoidoncam habcnr ,od6rum caufas effe. Altcr cft , ficcum faporolum lnaquavclaerccfficcre vr odores prodcantinaliogcncre,ncmpe odorabili,& quod nacum iic vt ab olfaccu percipi queac : nu cnim idcm gcnus cft odorabilium &: deguftabiliurn. Leonicus vcrunq;ienfum probauic.Non- nulli ex rcccncioribus primum cxplodunt, fccudum rctinent.Scd certeneq; cur illum rciicianr,neq> cur huc probcnr,ratio vlla adeft.Nam quod obiiciuc, priorcm fcnfum repugnarc Ariftor. qui docct acrcm &: aquam fapores pare- rc quaccnu* abluiinr,&: fua humidicaccabftcrgunr,nulljus ponderiscft:quia q in conccxtu non habecur, aquam&:aercm fuahumiditate abfolute odorcs gignerc (quod ipfurri ncgat Alexandcr) fcd fua abIutione&: abftcrfione fapo- ro(i ficci,odorum caufas efle,quod non rcpugnat Alcxadro. Nullus fiquidem fimpliciter diccrct Aquam &:acrem vt humida odores produccre,cum vt hu- mida,multa aliaqucant efHcere,putaaqua faporcs, qucmadmodu fuprafuic expolicu:acquisraceri verebicuraerem &aquamqua humidi abfterfiua la- porofificci,faporesgcnerare?nullusfane. Obiicicndum icaque Alexandio fuiffcc pocius , Ariftotclcm in hoc contcxcu non modd loqui dc principio o- dorum rccipicncc , ica 41 doccat odorcm in acre &: aqua tanquam in reci - pictc produci, fcd de principiis odorum conftitucntibustquod patet ex com- paratione odorum cum faporum ortu propofica : & vcrba hoc indicant,fiqui- dcm ica habenc: Quicquid in orcu faporum liccum in humidopraricac , idcm humidil faporofum in alio generccfficere: &: hocquod in aliogcrtcrecfficic, in acre 6c aqua agcrc. Cum crgo proponac nobis Ariftoccles cam caufas odo- rumquam corpora inquibusillxrccipiuncur,&:racioncm fccundum quam, P reccpcio fiac, lacius forcafle erit omiflb Alexandro diccrc , pcrix>^, fic- cum iplum intclligi: quod cnim profaporibus (iccum in humidooperatur,id pro odoribus humidum faporofum in (icco praeftat : quod *aaVIW vocat, id cft aliamnaturam , ab humidodifferchtcm ( nomincfiquidcrn gcnerisrton fc- mcl aburicur Ariftocclcs). Harc cxplicario confirmacur iis verbis , quae in po- ftrcmaconccxcus parccapponuncur, in quibus doccr, naturam illam aefis &: aquxcommuncm ,eatcnusfufccptiuam odorum cfle, quaccnus abftcrgic &C quali lauac faporofam ficcicaccm, quam nomincJj^ot/tj^T-Tw appcllat:ac ii diccret Ariftocclcs, hocgenus fccundum quod, humidum fapidum odores in aqua& acregignic , cft ipfum ficcum: vcrunq; enim ipforum, affici potcft a (iccitate rei odorab il is :u* -.->-, id cft,proptcr candc naturam *vwxh , pi^fl/w. Scd quidplurarSumicurhcccxplicaciocxipfomctATiftotelemfcriuSjvbidoccbit ^iiHi. 1 t g8 DE ORGANIS SENSVVM, odorcm pcr euaporationcra crfici , qua* omnis, cxiccationc gignitur : ad hoc tamcnhumoraliquisdcfidcratur: ctcnira exfinvjilicitcrficcoinquodcalidu A nil agcrc valct, nullus halitus attollitur. Ex quo qu^rnadmodum aqua cx fe faporcm non habcbat , fcd cx ficci admixtionc , ita iicaim ex fc nullum cdit odorcm, nifi humiditatis additione,quod in ignc &: tcrra pira coftare potcft. fcd hxc pluribus infra. Animaducrtaturautcm in pra*fentia,idquod in initio contcxtus vocaucrat Ij^.^r j->,infinc vocafi r ci>ywu&OTr7r:&: rt&e:namli. cctfaporofum &: humidum &: ficcumfimulfit, odor tamcn ab ipfo rationc ficciorum partium efficitur atquc clcuatur. Ot/ $ fjUtot cr aVp/^tAAa or v& 6a^ vy p*\ ttn a r fi cV vypcf TgZ 'tyyyuov Znpov $vp*tvr 7o Toniflfft. 6) Non cnim in aerefo!um,fcd inaquaetiam odor fentitur^ucd in pifci- bu5 & oftreaccis perfpicuum eft,qua; in aqua olfaciunt,cum tamen nul- lus lbi exiftat acr , (fuperfidet enim cum quid eius genitu fuerit ) neque lpfa refpirent. Si quisergo vtriinque aquam(inquam)cV aerem,humidu cfTe ponar,ent certe fapor, natura ncci faporofi m humido , & hoc ipfum eritolfa&ile. Dixcrat ortum odoris in aqua&: aere ficri, quod nunc probat &: przfertim dcaquadequamagispotcratquiuisarabigcrc. Nanquc inacrc&homincm &: cztcra ahimantia olfacere compcrtum cft.Probat autcm (iuxta nonnullo- rum fcntcntiam)quod ad odorcm ipintualcm &: rcalcnv. Dicamus nos inprc,- fcntia ,odorcm rcalcm nihil aliud cile quam ipfamct fpccicrum olfa&ilium ipultiplicationcm,idcircoq;nullumcfieintcr vtrunqidifcrimcn.Satiuscrgo eft clauoribus vcrbis aifercrc odorem duobus fpedari modis pofic: vno quod C ad corum 01 tum, alccro quodad corura opcrationcra. Hic ab eorum opcra- tione,quatcnusncrapc fcnfum afHciunr,odorcmin aqua ficri dcmonftrat. Dcmoftratio vcro huiufmodieft, Pjfccs&: oftrecoderma,in aqua olraciunt, eigo in aqua cft odoncofequutio notaeft, quia vbi fcniio , ibi fcnfilc prarfcnj. Afiumptio nota cft,cx quarto dc hift. anim.cap.8.vbi oftcnditur pifccs quidc nullum pcrfpicuum olfactus organum ad cercbrum tranimeans haberc\olta- ccretaracn.Qupd pluribuscxpcrientiis comprobatur,cfcam iiquidem non recentemrcfpuunt,fanguincm propnum erfufum fugiunt:qucm neodorent in loca longinqua fcccdunt,iolis odoratis c propi iis fpccubus in quibus latct, a pifcatoribus cuocantur, variil quc vcfcis ad qua? folo odorc auide accurrunt abiifdcmcapiuntur. Scdinftarc quispoilct, pilces in aqua olfaccrc rationc acris in aqua inclufi : Rcfpondct Ariftotclcs , ncque ibi acrcm adc/Tc , ncque fiadcftct,pifccs vllomodopoflcrcfpirarc. Primum itaprobat,Intusinaqua non adeft aer , ergo pifces non olfaciunt ratione acris.Cofcquutio patet* Ma- ior expcrimcncocomprobatur,qu6d aerem intra aquara contincri non poflc docct,quin ftatim fubfiliat^tque ad furarau aqu ar afccndat- Vtrem inflatum in aqua dcracrfum,&: deinceps pcrforatura pro cxcmplo adducit Alcxandcr. Sccundura,hac ratione aftruit.Pifces non rcfpirant, ergo acrem liccc in aqua adcilct non pcrtrahcrcnt: cx quo fcquitur,illos non rationc acris odorarc. A i- fumptio rcpetita eft in z. dc anim.76, &: in loco citato. Excipiuntur tamc m 6. dchift.anim.cap.ii^&a.dcpart.eorundeca.^.pifcesquififtulahabcntyVtBa- lena &: Dclphinus,qui fpirat,recipiun tq; acrcra,qu6d pulraonc prcJui li n t : 1- moDclphinos roftro cmerfo dormire ac ftertere vifos efife, Arift. i pdit.&: ratio adcft ETSENSILIBVS. 189 adeft(quam attigimus)id ipfum probans:nam refpirandi ratio eft a pulmone, A piiccs non habent pulmoncm, piiccs crgo refpiradi occaiionelcu rationeca- rcnt. Maiornoracftrcum rcfpiratiofit motus ipfiuspulmonis,&hic ficprar- cipuum illius inftrumencum. Minor pacer, quia vfus pulmonis & refpiracio- nis illis dccft: cum cnim refpiracio aercm cxcrinfccus rccipiens c6 ccndac , vc animalis vicam,calorcm illius inficum quafi vcncilacionc teropcrando, cufto- dicnd6que confcrucc , pifccs pro aerc aquam habenc, vndc lacis rcfrigcrari qucanc: hxc pluribus Ariftoc Jn fecundo dc parcibus animJoco cicato, & Ga- lenus in fcxco de vfu patc. cap.i. Pifces ergofinc rcfpiracionc olfaciunc,quod Aucrrocsiccm in fccundo dc anim.com. 7ittrtfu). Dc his min 9 manifcfturo crat, in aqua nullo aerc pncfcnce rcfpi- rare-pro quibus lcgacur Aucrrocs in ccrcio dc parc.aniro. cap. de pulmone,& Ariftot.in quarto dc de hift. anim. per plura capita.^iwwWw^.Relpirationcm Hippo.in quarta part.aphor.68, fpiritG vocauir,vt ibi Galenus facccur. Tcm- C poris progreflufpiricusillcinfpiracionis,accandcmin rcfpiracionis nomen apudMecticostranfiir. Mocumilluro pulmonisfignirlcat,qui parrima racul- tatcammalipanimanaturali proficifcitur,quo accipimus fereddimus fcu infpiramus&: cxpiramus acrcm,vt calornaturalis in cordc flabclletur& con- fcruetur, fuliginofumquc excrcmefctum fimul cxpellatur.dc qua rc pluribus Ariftot.&Galenus in fuisdc rcfpirationclibcllis.(Si quis crgo vtrumq;).Tam acremquam aquam humidam cfle cx fui natura fatcntur omnes * acrcm ta- men primo vulc Auerrocs in fccundo collig.cap.i.&: primo l'vx canc. com. 1 5 . colligicur autcm cx Ariftot.in fecundo dc ortu & int.cap.fc.&acute 1 egregieq, difputaturaducrfusGalcnum,&cxperimaaabAcchill.inj.dcclc.dub. 14. 0"ti \*fe ^Mor.fV 0 /A> *oo-,#f t* h AAflr tot**h>ffl 0 ' A**M y*p. 66 Otterum hanc aftc&onem a (aporolo prcficifci , ex odoratis &in- odorivtebxis perfpicuum redditur. Namquc elementa,vt ignis*aer,aqua r terra,inodtefunt,proptcrea quod quxexeis tumlicca,tum humida OlUjOJ : -*>  ; *.' ' '  ,9o D E ORGANIS SENSVVM, {unt,faporem nonhabcnt,nifiquidillis commixtum (aporem cfficiat. ^ Quapropter Marc odore habct, fiquidcm & faporem & (iccitatcm ob- tinuir.lt fal, Nitro eft odoratior. argumento eft olcum quod ex lpfo ex- trahirunNitru vero mams tcrreum eft. Praterea, lapis odons eft expcrs quia fapore carct: ligna c conrra , quia fapida.& horum ctiam minus o- lcnt,qua: aquatica.Adhxcex metallisAurum odore vacat,quippecui(k- J>or nullus ineft. AEs & Ferrum non carcntodorc : cum vero exuftum labuerint humidum, Scoria? illorum omnium, modora: magis reddun- tur. Argetum & Stannum , quibufdim metallis odorepraftant, a qui- bufdam fupcrantur, aquca fiquidcm funt. Quodfaporrccipcrecurinhumidoiamprobatumcll: quodvcroficcifapi- diiit(qux dux particulx dcfinicioncm odorisconftitucbant)nunc dcmon- ftratun Ratio proponiin hunc modum potcft : Quxcunquc fapore carcnc, odoremeciam nonhabcnc&quxcunquc odorcm obtincnt , faporofa func, &noncconcra: crgofaporeft qualitas naturapriorodore,&adquam odor confcquitur. Vis confequutionis indc fumitur , Proptcrca quod illadicuncur nacura priora& aliorum caufa , quibus pofitisalia non ponuntur neccflario, ablacis camen alia aufcruntur, ex Poftcatcgoriis & quinto metaphy. cont.16. AiTumpcioprobaturquod ad vtramqucpartem: probatioplanacft,&cxpli- cationc non rcquirit: tantum crgo fingula paucis expcndamus. ( Nanque c- lemenca). Elcmencaquiaiaporccarent, odorisfuntcxpcrtia.Saporc auccm carencquia commixtionc (icci cumhumidocx quafapor prodLir,dcftirura func:qui fieri enim poccft,vc clcmcnta, i.corpora (implicia& pura,quxq; pcr  ipfas quahtatcs conftitui vidcntur, mixtioncm duarum qualitatum cocraria- rum obtmucrtnt?concluditurcrgo,quiaficcumilloru,putatcrnr&ignis,hu- niidocaret: humidum vcr6,putaacris&aqux,(iccodcftituitur,clcmcntain- fipida prorfus c(Tc. Sed obncict aliquis Marc,quod eft aqux elemcntum & fa- porc prxditum. Rcfpondec Arift.in Mari adcifc ficcitaccm, ncmpc terrcam cxhalationero cum humiditacc pcrmixtain, ex quadcinceps fapor falfus cffi- cicur.Hxcinfecundoracceor.copiofiusdifpucatafunt. Sed inftabit aliquis, Ergomarenoneftclcmentumaquz. Refpondco cxeodcm quartomeceor. Mare non e(Te principium & elcmencum aqux,fcd id potius quod cx co prin- cipio& clcmcntofub(idec& manec,cotiusaquxlocum occupans,dulciflima illius partc atquc tcnuifiima a folc eduta atq; fublata. ( Et fal nitro eft odora- tior). Obicctioaliaquz probat tcrrac(lcfaporofam:nafuprafalquzdatcrrz (pccics vocata eft.Eodcm fpc&anc quzde lapide dicuntur. Hanc igicurdiluit> - Arift.oftcndenscum prxdominioquidcm tcrrcum&ficcumcflchumorcm tamc admixtufhabere, quod collatione ipfius cum nitro magis coftat, quo fal rj) (aporofus inagis&odorus eft,ob fuu exccfllim in humido. Argumcto cftolcu, i.fuccus qui cxipfo in maiori copiaqua ex nicro quod magis terrcu cft,excipi- cur.Dcfaleauce&nicroPli.li.ji.ca.7,& io.Diof.li. 5x2.84.6: 88. Gal.nonovol. de fac.fimpl.mcd.cawi i.copiofe agut:vcomitt5 quz Arift. noftcrin 4.ractcor. dc iifde alufq;cius generis,c6c.40>& alibi,&Plai;inTimxo cradioJt.Qupd au- cc cxfaleoleucxcrahacur,Chimicifacisdcclarar, qui tcftc Albcr.& Aucr.ex omni lapidc olcu cducunc. Oleum cande & qux illius natura rctineht, magis aquea cnc quacerrca , licct apredominioacrea jppri^fintjcolligc cx ArJft. in. * 4.mcc.Ioco citaco.vbi oleu a frigido cra/Tefccrc docer,quia partcs llli* humidc in aqua vcrtuxur,ex quaru mixcione oleu c6ftancius& craflius rcddkuna cali-' do icc,non quia ccrrcu (ic,fed quia vi caloris parrcs illz humidc aqucz tcttuio-* rcs ET SENSILIBVS. i 9 i  res exhalat,quibus recedcntibus,quod craflius aquar cft in olco mahcr.Scd c- gctiftamcceorologicafpcculacione.Nuncad rcm. (Lignaeconcra). Secuda parsallumpcionishicaitruicunodorcnim iaporcinfcr;,tnconi'equucionc, ac iaporodorcm inprodutcione:imo inlignisipflsdifcnmcnodorum rcpcritur ob faporis quoq; qua obcinec difFcrcnm. Nam quar mulca humidicacc acquc indigeu:arcferca(unc,vcomniaquinaquisdegunr,minimumarqucimpro- porcionacu(ica cnim fuperius loqucbacur Ariftoceles)laporcm Iiabcnt:idc6q; dcbili quoquc odorcpncdicaiunc: cconcra quxhumidiraccmopcimc pcr- mixtaScapprimeproportionatam cum liccoccrreohabenr,qualiafunc qux Gummicmiccunt, vcpinus,cuprcflus,abies. Neq;repugnanchxciisquxde falcdixcrac: quandoquidcm ibiin comparationc nicriloqucbacur,& fal ob copiam calidi tcmpcratummagis magifqtdigcftumhumidum habcc. Salc- B nim&nitrumacalidocoagulataiunt,idcirc6qucnon niliafngido humido diiTolui poilunc: folus cnimcalor in aquam falfam agcs cxprimcrc & quafi rc- folucrc omnem aquam dulccm poccft :n.im& frigus alioquin aquam faliam coagulare poccft,vc Albcrcusadmoncc.( Aurum odorcvacat). Vtina qucm- admodum ncquc olfactu, ncque gullu ,ica ncqucvifu,vcltacu,velaudicu pcrcipcrccur: nequc enim illius famcs mulcorum morcalium pcclora , ad cot indigna facinora pcrpccranda cogcrcc , quoc afliduc cogic. Odorc vcro & fa- porcipfumcarcrc paccc,cum minimum humidum fic,mulcum cerrcum,pu- rum camcn.Indicio cft, illud grauiflimum eflcygni cxpoficum non cuancicc- rc, non cingcrc , prxtcrea vcio rubiginc nulla obduci, qux cx crudx humidi- catis copia ad cxceriorcs parccs cxhalatx mctallis accidic: vel ( vc omnis fcru- puluscollacur)diccndumeft,maccriamquidcm meralloru cmnitim & ipiius auriaquam ciTc, fcd humidum cum eiusliccoperfc&iflimecommixttmatqj C compactum cflc: ica vc humidum illius a fuo licco nullo modo fc parari qucat, cenaciflimumqueinccrommamccalla habcacur. Quocirca Arift.aurum pu- ru elixari poflc rc&e ncgar#n quarco mcccor. cor.ifi.Ec Mcdict inepcc aurum fc purum dccoquere polfc putat in fuis medicamcntis, vc xgrocatibus cpe fc- rat.nil cnimab auro quam fordidiorcs quafda partes fua rlia cbullitionc fcpa- rat, qux fola caufa cft, vt minoris pondcris cuadac. Qcx dc JEtc tc Fcrro, Ar- gneco icem 6c Scanno adduncur,eodcm percincnc &. noca func:id cantum mo- neo, Alcxandrumfuilfc dcccptumquiaflcrat, Argcntumfc Stannum plus humoris habcrc quam xs&i. fcrrum:tuc cnim Ariftocclis racio nulla eflet, qui vulccxiccatamagismctalla iniipidiora ficinodoia magiseflc, vrdcauroau- diuimus,cui deinccps xs & fcrrum opponit taquam humidiora: idcoque ma- iori faporc, odorcquc prxdica. inmedio Aigencum ponicacquc Stannum: minus crgo faporis& odoris habcrc dcbcnt quam xs &fernim,minuique D humiditaris : magis vcro quamaurum,cuiustantum ccm parationc, aquca nuncupantur. Quid,quod aigcntum ad mixtionem auri quam proximc ac- cedir, ciufquc puritati, firmitati,ccnuicaciquc iubftancix pei (imilc eft-.quo flc vtdum liquefcic,igncnonabfumacur, ncqueactcnuecur,vc plumbum&alia: imo (i purum argcntum (ic, longioribus teraporum pcriodis,in auni m aliqua expartccommutaritradanc. Acqujminimumfitiplum quoq; rubiginiscon- trahit. Sed nonnullacx hisquxha&enusi)abuimus,chligcnrius trattari po- ftulac , quod ipJisrc&e cogniris dcfinicionc odoris alioquin obfture tradiram facilius pcrccpcam iri conftet.Primo igitur dubitari folet,vtrum odor in Cicco fundamcntumhabcat,vclutifaporin humido. Dcindeillud in quxftionem cadit , An cum odor a licco faporofo pcndeat , tanquam a conficicntc cau I .i, iapocabfqueodorccflequeat. Aducrfusailirmaccmparccm primacquillio- i 9 t DE ORGANIS $ E N S V V M, nis,hxctaccrc vidcnrur. Odoris marcria cftaer vclaqua, quarfunchumida, crgo odorcs in humido non in ficco fundamencum fuum habcnr. Corifcquu- ^ tio cx lc patct : Maiorcxiisquac fupcrius Ariftot.doccrcvifuscft. Iccmadue- nicntc humidicacc,puta manc,magis quam in meridic*autiorcs &cvalidiores rcddunturodorcs: qua ctiam rationc Ariftot.in partic. duodccima probl. 2. aic,apparcncc Iridc ob aque humidicaccm.plancasodorabiliorcsrcddi:Cam- phora iccm rof.v, viola*, &: alia huiufmodi f rigidiora & humidiora, maxime o- doraca func.Scd oppoiicum huius doccc Ariftocclcs,cum odorcm calidi &: fic- ci cilc non icmcl in fuis libris rcpecic,& cxpcricncia hoc comprobac i nam lo- cis&C ccmporibus calidioribus , odorcs inccnfiorcs a ftirpibus cmittutur. Pio hac quiftionc profiiganda dicendum cft, faporcm &: odorcm Wm') quxdam fcu quaUcaccs quafdcm fccundas cflc,qux primas fcquunrur.-humidum nepe M ficcu calidicacc mcdia qu r digcric, acq; pcrmifccc : diucrfam rame vcriufq; racioncm clfe,quia fapor oricur cx mixrionc ficci cum humido vincccc humi- n do, odor cx cadem vincence ficcoiyxw. Qux caufa eft, vt odor rtiaiorem cxi- gat caiidicatem,a qua cxci tari qucat : lapor vcro non tantam : Mixcionc vero illam humidi cum iicco ex qua fapor & odor , non fcmper pcrfecram ciTe , dc- clarant,Marc, Fumus, aliaquc huiufmodi no pauca.Scd huic decerminaciom nonnulla rcpugnarc vidcntur, acquc illud imprimis ! Odor eft cuaporacio fu- mofatcrgo nil cum humido habcc. Aflfumptio cft Arift.qui hoc ipfoarguincn- to, fuperius, olfa&um dc nacura ignis eifc demoftrauirconfequutio noca cft, quia huiufmodi cuaporacioncs,vc ahas cx priori mcc.oftcndimus ,quam pro- ximead nacuram ignisaccedunc. Prarccrca Anft.probauit quarcunqucodo- rcm habcc habcrc laporc:qu i ficri ergo potcftj vc qux ex rcpugnahtibus qua- licacibus pcndcanc,mucuo fc cofequantur? pcrfpicuum cft cnim, ea quar plus humidiobcincnc, fapida mngiscflcqua: vcr6 plusiicci,magisodoraca. Priori argumencationi quidam fatiffaciunt, diccntes A riitorclcm fiipra cX fcntetia C Vccerum no cx propria fuiifc loquucum. Mihi v*6 rcfponfio ifta abfurda ef- fc vidctur : quauis cnim dcnarura aiftheteriiibi cx fcncccia Veccrum Ariftoc. loquucum fuiiTc conccderemus , no camcn id de nacura odoris aflercdum ci- fcc. Dicamus crgo ibi Ariftocclcs praaiominium tantum odoris oftcndifle, &: id in quoa faporc diffcrt: quod iibi cunc facerac , cum de orru& fubftahcil odorum cx propofico agere nondum dccrcuiifct . Vcriim inferius hoc i- pfum argumcncum copiofius parcraccandurn cric: nuhcicadimiccacur. Ad fe- cundum refpondenr aliqui, odorcm &c faporem m codem eflcj fcd fecundum diucrfas parces. Ridiculumrcfponfum,cum&nos cxcadem parcc vtrtfqhe pcrcipiamus ! &: ii illud admitteretur , nulla Ariftor. ratio efiet : cum plus vel minusodorisinmixtisarguic,cxipfofaporepr2exiftenccor dicatur humidi,odorficci,ex iildem ta- mcnqualitat>buscfriciuntur,cumincade&cx cadcm parre finr. Infumma iaporeft qualitas fubic&i mixtioncm fequcns,& in eo innafccs:odor vcrd in- dc gcnerarur , imo cftc fuum in ipib gigni habet,difTerens tamcn a fono quod caufam in rcfapida fuarfubliftentixconftantem &c rcalcm habcat: & hoc i- pfum eft,quod nos fuperiodorcm (icci ..v :n acrc,vel aqua vocauimus. Pro quarectiam animaduertendum, Anftotelcm inhoc libcllovbidc hisfcn- filibus quod ad corum caufas ortumquc agit, difcrimcn iftud humidi , vel fic- ci vinccncis intcr faporem & odorcm non poncrc : ciim tam hic quam ille ex mixtioneficcicumhumidofiat: iniecundoverovolumincdcanim .quia de illisquod ad fcnfus mutationcm loquutuscft, iaporemhumidi cilc protu- liiTe, odorcm ficci. Saporcm inquam humidi, quando vt cx contcxtu ccntc- fimo fccundo, liquec is guftum ncqucac afficerc nili pnushumcfiar,quod faltcmalinguaoptimcprsrftari poccft: odorem auccm ficci , quia pcr infpi- racionem rccipitur , qux nonnifi halitus alicnius attcnuati ciTe poccft,hic ve- rohalicus naturamrei calid.c&: liccxretinct. Quarc concludacur:quoduis corpus (iccum, cumdcguftacur liqueficri&humcltarioporterc: quodfic- tiam valdc fic humidum, odorcm percxiccationem& euaporacioncm emic- cere. Argumcnco icaquc facisfaciendum cft, ncgando aiTumptionem , cum qualicacesiftxodori,& fapori,non cnbuantur ,nifi quatcnus fcnium fuum afticiunc: fccusdiccndum , ciim deorcu ipforum agitur. Excipics icerum cr- gonullum cftdifcrimcn intcreosquo ad naruram fubftantiamquc: Vcriim lanrfupra' rcfponfum cft. Ex hisdeuenioad argumenca pociffimaproquz- ftionc adduda. Ecadpcimumquidem Albercus rcfpondec,Odorcm cifcin acrcvclinaqua,quxhumidafunc,quodad cifcfuum fpiricuale quofcnfum moucc: quod vcro ad crte rcalc cft in (icco. Sed pcccndum cft ab AJberco, vc hunc rcalcm odorcm ica a fpiricuali difTcrercm nobis oftcndac : nam fi in fub- icdto fpe&acur, iam fapor cft,non odor : li vero vc ab ipfo cffcrcur & iam odor cft,con(idcracur , iam idem & qui rcalis cft fpiricualis habecur , m alioque rc- cipicur. Idcirco libcreafHrmandum eft,maccriamcx qua canquam cxcaufa odor proficifcicur, ficcum fapidum ciTc,id vcro in quo**9or &: naturaiicci hu- iufmodi , fic fcu recipicur,aercm 6c aquam:idcirc6q; Anftocclcs diccbac, harc duo fua humidicace ficcum fapidum quafi lauare quo Igf&i-ri ficrcnc , id cft , a ficcfcacefapidaafHcerencur,&: ipfamccodonfcrarcddcrcncur. x quo bc- ih- fcquitur odorem in humido non fundari vt argumcntatio fupponcbat. Pro fccunda argumcncacionc Alcxander confugit ad anripariftaibn : nam cum humidicacc illa , aliqua adcft frigidicas, qua? calorcm intcrrium Ho-- rumcogic, &vnit: harc vnica forciorrcddicur,agcnfqucinhumidum cauia cft euaporationis , cum qua odorcs fuauiorcs & inccnfiorcs dcfcruncur. Sed Ariftocelcs aliam viderur racionem proponerc in problcmare cicaco. Inquic cnim , cenucm pluuiam , fupcrucniencem ficcicati florum , ob calidi- tatcmipfamquzin floribus incft optimedigcrcnccm &:ccmperancempcr- mifccntcmqi,caulameuaporacionis&: odoriseiTc;liquidcm abcxuperanci i 94 DE ORGANIS SENSVVM, ficcodiirkilcquidaccollicur feu cxhalac : a multo vcro odorcs cxtinguncur, nccclTc cft igicur vc humidum in onu odorum a calido fupcrccur. ideoque A- ^ riftoc.ibi doccbac, partcs orbis tcrrarum qua: ad Oricntcm vergunt,odoran- tia valdc produccre : quat vcrd ad Scptcntrioncm,& quarad Mcridicm mini- mum,curninillisnimium multa humiditasaquca,calorem opprimcns,in hisvcropauca &cxquanullusqueatattolli vapor,adfit. Scd non multum differunt harc ab iis qux Alcxandcr. Dc camphora & aliis Concil . rcfponde- ret, ifta ctcrogenca ctfe, quocirca partcs quoquc calidas &: liccas habcrc , cx quibusodorcmanct. Sedccrriusdicipotcft, cuiufcunquetempcracura? ifta fint, odorcm quem emitcunc fempcr (icci rationcm habcrc , vt fuperius quo- quc diximus cum dc organo olfactus agercmus. Adfecundam quxftionem nunc nos conucrcamus : 6c ( quicquid Alcxandcr dicac ) conccdamus vcrum cflc quod proponicur, quancum adcogicationcm feu rationcm,non autcm quantumadrcm ipfam attinet. Saporenim illomodo prxcxiftic, hoc vcro g ncquaquam,fcd cum ipfo odorciimul cft : pofitis fiquidcm qualicacibus illis faporcm conftitucntibus, codcm tcmporc odor cum faporc confiftcrcpo- tcft.-fccundumcogitationcmcamcn prxcritfapor, cum pnclcrtim non eo- dcmprorfusmodovtcrqucgcncrctur:namque cx commixtionc ficci cum humido,calido adiuuancc, in mixco fapor oricur:cx illo aucc iam fapido, qua- licatcs odoriferacfapidi corporis ex quo cfferuncur rctincntcs , pcr acrcm auc aquamcalorcmcdiopcrtrahuntur:Quinimoficri potcft,in corporc aliquo faporcm quidcm adelfc , non tamcn tancam vim vc odor gigni queat. AoxeT /[' cvioic * xa/mdSnc dvxSvutxaic, J) oafJi oSera namyiic *) etVp-,*) ovraj t oi /u%i ac drfju- Q /ct ol j dc dvw*Ar ir*3^/W nunc appellatur , tcrrca magis cft acrcaque , ab illa autcm ficcitatem , ab hac caliditatcm maiorcmforticur:quoficvcleuiorfiac,&:furfuin magis attolla- tur. Hinchorumduorum halituum tot diucrfi cffc&us , de quibus Anftotc- lesin mcteor. Nuncillomm mcminitquicommuniorcsfunt,ncmpc Aqux, quxcx vaporc fngido condcnfantcgignitur,&: fpecicicuiufdam Tcrrx,qux cx cxhalationc codcm frigido conftringcnte aut calido incendentc procrca- tur. Hasfcntentias paucis rcfellit Ariftocclcs,&: primo illam qux odorcm vaDorcm cfTc ccnfcc , co quod Vaporcx aqua fiat, inad ipfum nil aliud fic i^J qnam aqua attcnuata.Indicio cft,quod fi conftringatur,itcrum fit aqua. Acil C mdcvclicinferre, Aquaminfipidameflc,&:qux laporccarcntodorcmnul- lum obtincrc . Qux omnia,iuperius dcclarara , iuc confulto omittit. Al- tcramitavrgcr, Siodorcflctcxhalatio, in aqua nullus cflct: fieri cnim nc- quit vt huiuCccmodi halitus fumidus in aqua cfficiatur,quinimo ibi cu m cali- dus &: ficcus ipfe fit,afuiscontrariis cxtingucrctur. Atquipatct abfurdi- tas cofcqucntis, cum pifccs in aqua odor arc paulo antca fit oftcnfum. Tcrtia opiniocxambabusiam confutatisconftarf, quarc ruitcx fcipfa: rcfutaturta- mcn ab Ariftotcle,argumcntationc vcrifquccommuni. Si(inquic)odorcft exhalacio vcl fumida llla fit vcl vaporofa, fequetur odorcs perdcfluuiaek fict: quod eft abfurdum : confcquucio noca eft, quia cxhaJaciones iftx non ahud funt quim dcfluuia corpufculorum furfum clatorum fcu confccnden- tium. A bfurditas confequcntis cx iifdcm patcre potcft,que. fupcrfus aduerfus Dcmocritum dc vifu fueruntallata: Nam prctcrquamquod corpora odora- ^ taanlducdiminuerentur,tandcmquecuancfccrcr, atqucdifliparcntur,olfa- ctusi fenfuTachisnon diftingucrccur. {iumSvpMn). Exhalacionis nomcn ali- quandoquidcm communc cftapud Ariftocelerri,icavr fpirationum vtrun- qucgenuscomplcctatur, tam fcilicetaqucum feu humidum , quam terrcum fcuficcum: (quaratione hoc rrominc vfuscft Ariftotcles in poftrcmis vcr- bjise6ntexcus,cumtertiam opinioncm infringic): propriatamcn quxdam fe- paratim vocabula acccpit : vtquod a tcrra rcdditur irV'* hoc eftfumidacxhalatio,aliquandcretiam w^T^JVf.i.fpirituofavcI flatuofa, in- tcrdiim gencris nomine,iravw>rfimplicitcr dicatur:quod autc ab aqua attol- lituriruiV,i.vaporfeu vaporofacxhalatio:quanqua&: hocnomeVapor ita Jatc r.n. , 9 $ DE ORGANIS SENSVVM aliquandoi"uniatur,vt \traitiqucfpiraticnctn,tjucnudmodum&haJitusrcu cxhaJacio,figniiicct. Scd mirum cftli figmficationcs iftas propoiire; horum no- minum fcruanda: linc,qucmodo Ariftotclcs in primis vcrbis conccxtusgcnc- ratim dc qualibcc illarum ttium opinionum vcr ba facicns dixerit, in hoc om- ncsconucnire^ Odorcmcncr3wuai7 kwJ ,acritcrrzquec6rouncm,cum prarfcrtim infcrius paulo hancipfama vaporc diftinguac. Ccrtccx aliorum cxplicacionibus vixhabcas quidpro rc hac rcfpondcas , nili cx noftra dicas Ariftotelem cclcbriorcmcxillis tribuspropofuifle fcntcnciam ,ad quama- lias rcferri dicac , quaccnus , vaporis natuta , non multuro ab cxhalationc fu- mida difTcrar,cum conficicnccm caufam candcm, matcriaro quoqi non roul- to diflimilcm habcat: Vcriufquc cnim efficicns , folis calor cft , materia,pqua & terra limul , licct in cxhalationc longc plus Tcrrar & licci,in Vaporc aqyx & humidi contincacur : im6 Cam func mucuo ncxu hi duo lulicus iuncti,vt al- B ccrum alceriusaliquidfcmpcrcomicccur,ncc vnquam viciflim inccr lcpror- fuslibcrcncur. Quocirca Ariftoccles rcm hancapcrircvolcns, ncmpc quq- modo alii ad hac icnccntiam rcferrcntur, fpcciatim dcinceps dc vno-quoquc agic. (Spccicsquxdamcerrz.) Cadroiaroh]cnonnullifignificariaiunr,dc qua Diolcor. Iib. $.cap.4j,&c Galenusnono dc limpl.mcd.fac. itcmPJinius hbro lo.cap. 34. fcribunc in fornacibus xrariiscx ccnuioribus acris,aucar- gcnci parcibus,vi ignis clacis,acquc ccftudini fornacium adhxrcncibus,cfHci. Scd non vidco cur nos ad vnam cancum cadmiaro vcrba Anftotclis rcftringc- rc debeamus,cum prxfcrtim lllius ortus non iit naturalis,fcd quodamodo ab arte. Quarc non itc vidco cur non dc omniBus iilis fpecicbus linc incclligcda, quarumipfc fubfincm cerciimcccor.rocminic,nepequxcx cxhalacionc ca- lida &: ficca in ipfis tcrrar vifccribus gignucur, funt harc  {Ott|t. irt  'ir .icui A ri* 1 ri.''' Cftt /uSp oZt cVP [yyt&i ^aroAauw 7o vypct & cV rtStndjfjutn^ 7$ cV reJvfcni^ Quod iraque humidum aeri & aqux infitum , alicjuid a ficco faii- do fumat ac patiatur , perfpicuum eft. Eft coim aer fuaptc natura hu- midus. , Ad condufiqnis huius perfpicuicatem &: certitudinem magis paccfacien- dam,Vctcrumicnccntixinterpoiiiue&:rcfutatarfunt.Sententiaplanacft.De rationc vcroachonis licci in humidum, in volum.de orcu 6c inceritu alias dif- pucauimus. Ncquecium qualicaces primxagcnces,a:qucagercs>aut pacien- tcsarque pacicncesfunc,cumaiopcrfcdcionem reifequacur:idc6q; calidum vc pcrfe&ius, magis agac,& iiccum minus ab humido paciaciir, magifque hu- mido rciiftac. ( Omnc iiquidcm agcns nacurale , non minus pro fuimec confcruacionc rcliftcndo , quam pro libi iimilis gcncracioneagendo laborar, quicquid MariiLPacau. & AJbercus dc Saxon.dixerinc.) Arguxncnco cft,Hu- midumfaciliusiniiccum(vtSimpUciusadmoncc)quamliccuminhumidum pcrmucan:hoc dcclarac( iiquidaliud)Hebcarum fcbnum incorporc hu- mano dirHcillima Curacio,ii prxicrcim cxccrcio illogcnere fuerinr, quod a Galcn. infccundo de diMcrccns fcbr. cap. 8.&: 9. Marafmodes nuncupacur. Dc acrc , qua nempc racionc humidusclfc dicacur: loca fupcrius addu&a confulancur .Coniidcranda cft parc icu 1 .1, -m^a n , quam nunc A riitOccles pro- Acrcvfurpac. Alias oftcndi propriamSpiricusiignificacioncm^omnibusin linguiscifc vencum,cranifcrricamcnhocnomenaliquandoadremomnem qu fub aipcctum fcu icnfum non cadic, iiue corporea ea iic , flue incorporca. r.iii. i 9 8 DE ORGANIS SENSVVM, Hinc fummi, & prxpocencis Dei,hinc naturz, hinc animz, atq> binc humani ^ corporis fpiricus (qucm Hippocraces impccum facienccm vocac) cflc dicicur. Acqui acr,ad nacuram hanc fpiricualcm in comparacione cernc, & aquz,pro- ximcacccdic : quaaffinicacc& limilicudincnonfcmclapud Ariftotclc Spiri- tus nomcn forcicur. Declarauic id Ariftoccles cum in conc.;4.prioris vol. de phy.aufc. Vctcrcs illoslaudat,quod dc principiis rcru naturalium loqucntcs, atquc fubic&umaliquodvnumcontrariis principiisftacucnces,non igncm, auc aquam poncrcnr,fcd acrcm: quippc cuiusconcrariecaccs minus fcnfu ap- prchcndcrcncur,quam ignis,& aquz.Humidus cnim quidcm cft acr,imo hu- morc ipfo pociflimum confticuicur , aqua tamcft humida magis cflc fencicur. calor cciam acris, minus quam ignis fcnfum mouct. Scd nodus quidam ifquc non obfcurus folucnduscft.Etcnim Ariftotelcscum dcolfaccus organofupc- rius loqucrecur,odorcm ,fumidam quadam cuaporationc ab ignc profectam cflc afleruic . quinimo hoc ipfo probabac,zfthcccrium olfattus igncum cil"e,i. B qu6dabhuiufmodicxhalationciicca,realitcrafficeretur,cuius camen con- trarium difcrce hic aducrfus Vccercs aflcritur.Qu;d,qu6d ab Ariftocclc in fc- cundo dc anim- Odor. W fatJ vocatur,qux fane appcllatio,no fpccici fcu for- mx,fed corpori conucnit. Quxftio ifthxc obfcura eft,& ad cxplicandum dif- licilis , quam ob caufam inccrprzccs nonvnanimcshabuic. Auiccnna Placo- nem fequutus infcxco li. fuorum Nac. part. |*> ca. 5. putat omnino odorc cum defluxionibus fcu euaporationibus fumidis quibufdam ad nos manarc. Id confirmat expomis,quxflucntibus cxipfisodoribuslongo tcmporisfpatio corrugantur,ac li fubftantia ipforu in qua odor incrat, per halitum digcratun Itcm quia corpora com pacta nimis, non cmittunt odorem , n iii aut manibus primum calcftant, aut ignc ipfo , quo rcfoluantur. Prztcrea odor impcdicur flancc vcnto, quod ccrcc non ficrct, niii vccus in aliquid rcale , & corporcum, non auccm fpiricuale agercc. Imo Ammonius hoc addebac,'nospcr graueo- lcncem locum aliquandocranfeunces, fudario nares obcurare , & aercm qui- C dcm rcfpirare, cccrum camen nullum odorem percipcre: indicac hoc,fub- ftanciam aliquam acrc ipfo adco crafliorcm , a rc olentc deflucrc , vt aditum ad ingrcdiendum per fudarii meatus haberc ncqueat. Maximo tandcm indi- dicio elTc potcft , vna cum aliqua fubftantiz particula odorcs cmanare, quod &tempcrationcmcercbri mutant,(id fiquidcm aqualitatc tancum corpo- rca cfficitur ) & manib' ipfls aliquando odores ad nares extrinfccus acccden- tcs , acrcm dimoucntes pellcrc valeamus. Quz omnia przrerquam quod fu- pcrioribus addudis locis, ex Ariftocclccomprobariqueunc, co ctiamcon- iirmancur,qu6din concexcu fequcnri Frigus,odorcs hcbetarc &quafl fuf- focarc doccbit. Hocfancnullomodoflerecniiiodorescum fumidaquadam cuaporacionediffiucrcnc. Auerroes auccm,in fecundodcanim.conc.97.7^ 4 & 101 . vt partcm Ariftotelis vcriorem , (a qua non multum Plotini fcntentia j} difcedit)cucrctur,aduerfus Auiccnnam probat,odorismultiplicationcm fpi- ricualem uncum cflc, ncmpe quiaacroblequens , quemadmodum foni$, coloribufque cft peruius , ica odoribus: quos cum ipfc pcrcepic , ad nos cranf- mictirolfactuique impcrtitur. Quinimoprobar Auerroes mcdiaextrinfcca, fcnfllia cum corporibus in quibus exiftut , nullo modo poflTerecipere. Verum aducrfus Auicennam flcargumentatur: Multa animalia ,a longinquis rc - gionibusadefcammouentur,ergoodores pcrfumidam exhalationem non multiplicantur. Aflumptio probaturcx vulruribus ipfls&tigribus,quz(vC fcrtur )cadaucra inhumata in aliis vrbibus perfentifcunt , imo a quingcn- tis miharibus aliquando ad ca dcuoranda profccta funt . Confcquutio noia L ET SENSILIBVS. i 99 nota c(t,ctenim a qucnam ad illum fintm moucrcntur?ccrrcafcnfu:ac quo A fcniuinon fane ta&u,nonpillu,non vi(u,noh auditu,cum obiccla ipfadi- ftantia lint , &: auerfa , (onoquc& vocecarcanrcrgoolfa&u. Ex quo jcquicur nccciTanoodorccadaucrum ad huiufmodi animalia pcrucnirc.Quopoliro, quis locuscxhalacionifumidarrclinquerur, cumillaad racam djftantiamul- ciplican nequcac?Prof"c&6 vcrum hoccifc fatcndumeft,cum prariertim ob- ic&um omnc fcnfile,quod pcr mcdium pcrcipitur,arquaJitcr(niu* quid lmpe- diac)vndcquaque coprehendi dcbcat,ita vt fenfilc fic vcluu ipfum in circulo ccncrum.Nifi vclimuscorpusadeo paruum,qualc fumida cxhalatioeft, nul- la fcruata proporcionc,maiorcm adhuc cxccnfionem , cxtcn/ionc jgnis (qua* maximacft)fufciperepoiTe.Addit Aucrrocs , ii admrttaturicnrcntia jfta, to- rc vccxhalacio illa dcfluens,auc acrcm alocoiuo ali6pcllat,aut pcnccrcr, n quorum vnumabfurdumeft,altcrum nullaraciofuadcrc pottft: iiquidemfu mida exhalacio, xque acque acr ccnuis cft,illiulque natunr periimilis . Addit Aromonius racioncm nonleucm,adPlatonis&cAuicenna:fcntcntiam rcfuta da;EtHuxio(inquic)omnis,corpus cft, &' huius quilibcc mocus nacuralis : nam velleuceft,&confccndit:vclgrauc,&:adimum tcdit. Acquifuaucmpomio- dorem omncs xquc fcntiunc,fupra(inquam )&infra,ahcc recr6,adtxcris &: a iiniftris , mancnccs . Concludic crgo Auerroes , Vc colorcs in Diaphan (uc,ica odorcs in mcdio cfle,id cft,natura illa comuni acris& aqusr , odoris (iif ceptiua,fpiritualiter rccipi. Et quoniam aliquis ftarim vcntos abduccntcs &: reducentes odores obiiccrc potuiiTcc,addic,odores iimilitudincm quidem c- xiftentia: in mcdio cum coloribus habcrcodorcs camcn,EiTc minus fpiricua* lc,coloribusipiisobtinuiiTc(fiquidcmacauijsmatcrialibus magis pcndcnc) idcircoque vcncos acrcm auc aquam agicantcs,acquc ad hanc vel illam parre C pellenccs,odorcsimpcdire . Imo hoc ipfumionis accidit,quos tamcnnul- lus corpora eifc airirmabic,cum a paflionc cancum in acre crficiancur. Auicca na hzc cx parcc pcrfcncicns,priorcm Aucrrois argumcncacioncmfoluic : Fu- midam(diccfis)cxhalacioncm illamad ranrum inrcrie&u fpaciummulripli- cari,non quia cxccndacur,fcd quia k vcncis co propcllatur. Ncc lcuis eft folu- tio(vcquidam pucanc)licccncqucfcmpcrvcncosrlarc cumodorcs ab jftiuf- modi animalibus percipiuncur, probarc poifc videacur Auiccnna, ncquc ra- rioncm rcddcrc,curnonabhominibiJsquoquciidcm fcnciancur odorct, vc- poteadquosnominusquamadcigres vel vulcures cxhalaciopuliapcrucni- redebcac . Caeterum vt aliquid addamus,quodnonmindsmcmentiaducr- fus Auicennam habcat,iis quas fupra funtallata,quid dc piicibus in aqua olfa cicncibus afFcrrct? Quid tandcm dc rcbus quibufdam minucis odonfcris p quc odorcm quidcm aiiiduc emiccunc,non camcn euanefcut aut didipantur, cumalioquin id chScioporccrec,lidcfluxusifciaiTiduecumodoribus cmana- renr,qucmadmcxlum Arift.ipfe in duodec.part.probl.8.obiicit?Poftrcni6ol- f.i.ttis hac racionc T.ictus cilct , qtiodcftabfurdiftimum,cumnon modora- tioneobic&ijvcrum ctiam mcdiia Ta&u diftinguatur . Ammonius vt has li- tescoroponcrct,ftacuicaliquando,nullam iftarum opinionum fcorfimlum- ptamcdevcram,(imultamcnfumptas, omncs admrrtendas. Aic chim, qui bus olfaciendi fcnfus cfl hcbcs, vt (uibus, dcfluxionibus ciTc opus : iis vcro in quibus hic fcnfus mcdiocritcr vigct,vt hominibus,mutatiohcm acris fufficc- rc:cosrandcm quiacriccr&: cxqui(itcolfaciunr,id fatiupcrquchlbcrCjVtacr fitodoribuspcruius. Vcrum praucrquam quod Ammonius ( fuomorc)nonr fat cxplicat quid velit,in eo ccrte rcprchcndcndus eft, quod i diucrficate na- turx olfacicntis,dcfubftantiafeu ciTcntu odorum ftatucrc vellc vidcatur.ica r. iiii. 16 o DERGOANIS SENSVVM, vtnon vna cerca dcccrminataq; odoru nacura fit,fed vniusrefpccru cxhalatio, altcriusvero nequaquam.Quaproptcr,vcinuicc has rcpugnantcs fcncecias ^ cocilicmus,diccndu nobis cflc puto,duo in odorihus clfe fpedanda , eiTentia ncmpc ipforum,corumdcmque fubiectum& quafi vchiculu.Eflentia eft,fapi dum humidum in ficco,fcu ficci fapidi paiIio:vchiculum verocft narura com munis aeri& aqux, qux fua quafi ablutionc odorcs elicit , quos dcinceps ad nos ipfostranfmitit.Hxccx orc Ariftotelisfumptafunc,vcpacct fed adden- dum,in illa ablucionc calidum vcluci agens concurrcrc,qui pcr modum qua- fi cxhalationis odorcs omncsa qualicacibus illis maccrialibus cducic . Gigni- turcrgoodoracalido,cduciciirque,abluitur deinccps ab humido acns&a- qux, a quibus tandcm infcctis ad nosper partcm poft partcm, autad pi- fccs tranfmittitur. Et hoc ipfum eft cuius nosmcminiiTc vulc Auerrocs, odo- rem nempe mulciplicari quidem fpiritualiter: non camcn ica vc color& fo- ^ nus,cumillcacaufismagismaccrialibusproficifcacur. Excipic aucemcor- g poraillaodoraquxnonnifi per rarefadtioncm odorcm cmittfercqueant,vc thus,myrrha,(ulphur,aliaquc huiufmodi,quod pcr accidens& rardmul- tiplicacione odorum vfquc adolfa&umnccciTarium e(Tc aftirmat . Nulli ita- qucmirumli Ariftoteles aliquando odorcfn fumidam cxhalationemablb- Jutcvocct,non quododor (itipfafumida cxhalatio,aut ncccflario eumfu- mida cxhalationc,fcdquiaodordclatusab aerc& aqua abluente fpiritua- literquidem,vt Aucrrois argumcntaprobant,fcnfum olfactumafticir,non ita tamcn quin & matcriahter quoquc fcu realitet aliquantulum inficiar. Imo Ariftotclcs idem,infra dicct odorcm cum fpirituali cuaporationcrc- cipi,id cft cum aere fpiritualcm naturam habcntc.Omitto qux per accidcns fiunt : nam tunc planior adhuc Ariftotclis fentcntia eflet. Aucrroes itcm in tcrcio colhg. capitc trigcfimo fcxto,& inhiscommcntariis adhxc tan- tum rcfpicicns,odorcm per fubftantiam aeream & vaporofam a re odora- ta dcflucntcm cfrici , vaporcmquc ifttfrm tam in aqua quam in aerc recipi, abloiute profcrt.Hnicvcritati,omniaomnicx parte reipondcnt. Nam & A- uicennas rccic Ioquitur,quatcnus ncmpcodor nonomnino fpiritualiseft, &pcr modumexhalationiscducitur, atqucab olfaciente attrahitur.Et A- uerrocs nondccipitur.fiquidcm odorpfoprienon cftcxhalatio,vtAntiquiaf ftrmabant,ncquc cum cxhalationc necclTariodcfertur, vt fimpliciter docet-' Auiccnnas.Hoc patet,quandoquidemab vnogtano mufci multus odoraf- liduemanat T nihilotamcnminoris quantitatis quantumuis temporis mccr- uallo.confpiacur: facisfacercautcm corummutuis obie&iohibus,expoficis vnicuiqucfacilc admodum cft.Sed tollenduscft fcrupulus , qui reftat ,atque j > cxnoftra prxlcrtimdcterminationcorirividctur.Sequiturenimhac rationc dicendi po(ira,olfatum qucndamTachim dici oporterc,(i prxfertim confpi- cuailla&accidentaliscuaporatioadiit. Rcfpondcnt aliqui,Tactum fun- gimuncrc fuo,mcdio intrinfcco &congcnito,qualitatefque primas pcrci- pcrc : olfactum vcrd cxtrinfeco mcdio vti,& m qualicacibus fecundisvcr- fari,quocircahunc illumdici non poiTc. Atqui lihocfat cflec, obic&ioca- dcm Ariftotclis, & Alcxandri aduerliis Dcmocritum ,qui vifum perdeflu- uiacffici ftatucbat,incapitcdc xfthctcrio viius (upcrius adducta, nullum prorfus momcntum haberet. Addcndum eft crgo, olfactum non cfle Ta- ctum,quta non rcalitcr,(cd fpiritualitcr tantum ab odore afticiatur, dum ab coad actum fcntiendifdcducicur, iiquidem non proprie' cxhalatio (it qux fcnciacur.Scd hxc& alia pluribus in fccundo dc anima difpucauimus. A    ! * ET SENSILIBVS. t0 i A t"n Ti ouoioh; i to?c t^eeic vott x) ir r&dipi, oTor d>oouHpyouydva*%ovoribus appcllctur,anteaa nobisfuitcxpofitum:cum ncnipediccbamus,(i (tait.ov ydp uU t?it tofti rtToatppatrHy AA tfi.A^* 0 * KSH  x U% tc /^P > Jfr ^t^w* V Tf- &j /wfy/or AvrutjlT3f ifrTinMti)  f** ^ 7 ?f*" v ^f 0 *  Oi $ nu> ujynwrtceicrd tg-oudfa. Idc. roiavrac J\\wduttc^ 0id^cy7ctf rr, oxwn&ft a rhu iioi!w y tuc. dr  J[vo aj&iatuv fylitraf ro nJfi ai aut ad appetea- tiamquicquam conferunt,iedcontrarium potius efficiunt. Vcrum cft cnim, quod Euripidtin vituperans Stratis ait.Quando lensdecocjuitur, vnguetumne iniundKo.Qui nanque noftratempeftatejiuiufmodivir rcs (odorum fcilicet)in poculiis mifccnt,voluptatemuTuctudine cogunr, doncc vtique ex duobus fcniibus fuauitas proucniat, veluti vna, cx vno. Spcciatim magisdefceditad traftationcfpccitrum odoris.primumq; eos vitupcrat,qui ,vt Plato in Timaro cum dc guftu & olfaftu a) qux non pro mixtura illa ccnax,qua chirurgi ad fananda vulncraaluquc morborum gencra vcun- tur,fcd pro condimcntoomnibcneOlcntcaccipicdacft.Aoxantiquisvfitata propriequc commiftioncmdiucrlbflim odorum,addito oleo,ad vngeda cor- pora,dc]iciarumatqucluxus caufa , apud ipfos fignificans . Non dubium cft crgo,Stratidcmdclcntcloquctem,moreComico,nomine vngucntiabufum J) fui(Tc.(Tww''M}faporisfacultaseftnutriendi,vt ftpcrius docori :odoris veropcr fc dcJec~candi& aliquoccia modo iuuadi, vc infra coftabir. Ilfud infu permoncrcoporccc,flliudcilcarc(apidanafcijaliudad faporcm obefcas&r nucrimcncumconfcrrc:hocfiquidcmmodo,prfaris rancum fpeciciodofcs, illo ver6,omncshabcnt.Prxtcreaodorcs pcr ic,nullum (i ipfi fpeclentur , ad cfculcnta & poculcnta momcntum habcnc? conringit tamen,fi curri aiiis fa- pidisnucriencibusconiungatur,(quod prxcipuuitt Artis coquinatiar munus cft)vr cum illis vniti aliquid ad cXufcitandam appctcntiam,& notricnduani- mal,faciant.Nulla ergoin vcrbisPhilofophi rcpugnantia adcft, quanuis hoc aliqui cuiirccre vcllc vidcantur.Qnod ite dc rffclle adducitur,in quo idemvi- deturcfleodorpcr fcdclectabilis,atqucpcraccidcrrs, cum vtcrque incoin- fit,nullum momcncumaducrfus Ariftocclicam diftriburioncm habcc: ficjui- dcminmcUe,menca,alufquehuiufmodiherbisaucflonbus,racionc tantum? 7 io 4 DEORGANIS SENSVVM, maccrix odorcs ifti idcm eiTc dicuncur, rc camcn & diucrforum rcfpcdu,dif> fcrunr.odor cccnim in mcllc quaccnus nucric & a rc gull a b 1 1 1 oncur,'pcr acci- ^ dcnsodor nuncupacunquaccnus vcro dclcdar,iuuacquc,nullam nucricionc refpiciens,perfcdicitur:& hocmodocancum homini proprius c-tL rcliqua nanquc amnunti.i,olra&u qutdcm&ipfa przdica func, cxquificcquc iftiuf- modiodorcspcrcipiunc,noncamcn fuauicaccm illorum diiudicanc,iifque quaccnus fuaucs func dclcdancur. Trf^ % juSplff off$pxr7or ftcr ar$pdmt%%{r'n j K^ff^c %VfJto\7tfgVfiirn)K) aXXug fyivrjStr vtp Hpnfuf larpoltpor^xdxtirur /ufy/ ' 7o avfxfit^nxoc fctw n*f\v^  ^v^ir Iku ' , cs'3^if'*: wf^u,adcfluxionibusdcfccndcncibus orcatiquasGraecicomuniccrirmat^^f AfW^-w vocanc.Inhuncergo vfum na^ cura,quc perpccuicaci&conferuacioni rcnun ailiduc ftudcc,odores genuic,vc iilarum viccrcbrumccmpcracum, id cft ad calidiorcm iiccioremquc craiim rcdu- N ET SENSILIBVS. ioj tum,(quomodo odores hoc pra-ftarc poflinc fupcrius fuit cxpoficum,& infra A quoque cx parre declarabitur ) iftarum argricudinum caufa e/Tc ddincrcc. Qui cerrcodorum vfuspcrfpicuus cft :ctcnim vc Aucrroes in tcrtio collig. cap.pcculiari dc olfa&u aic,Maior odorabihum pars fngidasxgricudincscx- pclhc-.omiccononnullosquosegonouiica odorc florumac prxlcrcim rolaru inquibufdamfuisflrgricudinibusiuuari,vccofolo in fanicaccm rcftituanxur. dc qua rc copiolius infra. H' ffi y& rpofri  $ Vwtrf otrfine ci Tsv tyxifxXov ifefi rluj ar xvrxlc ^ 3%pfto'rnr' tucporn^ vytettortpoic t- %H ro- fcns cft,animal viucr,cum primum abicrit,intcribit. Pars itaque illa,quxic- dcscft&: fundamcntum caloris,Origo vjtxdicimeritopoterit.Corhanccf- fc affirmant omnesrcft cnim calor natiuus veluti ignis,nunquam fcilicct idc, C vcluti ncc flamma pcrmancns,fcd ex humido quoalitur,contincntcr &: fuc- ccfliucflucns.Qucmadmodum autcm mundushicinferior,abfque motu&c Iuminc fupcriori orbiu condftcrc aut regi ncquir,ita animalis vita ablquc afli duo cordis motu,fpiritibufq; ab co gcnitis partcs (ingulas animalis quafi illu- ftrantibus mancrc non poteft.Potcft aute calor hic non vno modo corrupi ac queextingui,fcdpluribus:nam&: acontrario,ncpcfrigido,vtaliisctiaquali- tatibus accidir,&:(quod calori tantum proprium cft)a dcfctu alimcnti ac pa- buliquoalicur:prionllc modusviolcntus vtiquc fcmpcr cft, &: appcla- tur,poftcrior qui dicitur,&: naturalis &: violcnrus cflc potcft. Naturalis quidcm:namomniacorporanaturaconftantia,nullaquoquc acccdentccau fa violcnta,aliquando ad fcnettam tandcjnquc ad inccricum pcrucnire,id eft D fuum vire. periodum abfolucrc neccflc eft : Lapidcs in pulucrc ccmporis pro- ccfludiflbIuuncur,Plantc^rcfcunr,Animalia pereunt:vioIcntusautcm(vta- liosinprcfcntiamodosprxtermiccam)cumcaIor incernus aueius acquc in- tcnflorquam parcftrcddirus,cocumalimcncum adfuinutricationem ido- ncum&: paratumftatimabfumit,atqucita pabulo fuo dcftitucus cxtingui- tur.Huicitaqucincomodonatura,im6Dcusnaturx Dominus &: Magiftcr in animalibus, perrcfpiracioncm,&: cranfpiracioncmconfuluic .EftillaPul- monis,fcpci cranfuerfi,&: mufculorum Thoracis mocio , hxc arceriaru ambx co rcfpiciunc vc calor inficus animalis fua vencilacionc rcfocillecur,&: confer- uctur.Hocdercfpiratione fat conftac:dc infcnflli illa tranfpirationc,quam motioncm arccriarumcflcdiximus.Galenus inquincodelocis afFcct. capice l'cxco,cxcmplofumpcoab animalibus diucius in cauernis fi*b ccrramlaccn- tibus* ET SENSILIBVS. Z07 tibusa muIicribus"''M.o.ir pacicntibus&afcrtu in vteromatrisexftcntc, comprobat.Scd tollenduscft vnusaut altcr lcrupulus qui ex propoitisab Ariftocclcoriri vidcrur.Odorcs pcr fc(air ipfe)func homini propni : (i hcr vc- rumfic,omneshomineshifccodocibusdelc*%> r*r.-mwiii -narr 'om/rtON >v^ ttrr^ .? 10 g DE ORGANIS SENSVVM, nc aliqmini fui dclcttatio.fed cognitionis &: aducntus cxultatio cil , quam o- mnous modis fuis illis gefticulationibus oftcndir. foT:r al 'rt (AtXirtaf miHGi nyccff imiXt,Xjtff tffl fxaxfcZr uvp^tixuv $a&-,o&c xaXvoi rivtc oxritrac. x) r^j SuXarKar a! vp*f,  '"odoramcntaatqucacutccciam fcntirc. Inc- xcmplisr^V^^^Animaliaillamtclligitquorum corpusincifurisprecingi- cur,atit ca partc tantum quae ad ventrem auc vcraquc , ncmpe cam quarad ve- cuquam quaraddorfum attincr,ncco(Tcum quicquamdifcrctumautcaincir, fed quid intcr hosc ipfa mediu contincnt , quippe quarcorporc duro, intus pa- ritcratquc foris conftcnc,&:(pauciscamcncxcepcis)diuiladiuullaquc viucre po(Tunc:(i prarfcrtim cumpcctorc,aut caput , aut aluus, (quar trcs communcs partcs in lllis pcrfpicuc; funr)rcmancac.Eiufmodi vocam*apcs,crabroncs,ve- fpas,dc quibus Arift.in prioiidc hilr.animahum c.ip.i .&: in 4. ciuidcm cract. capicc primo,4.9&: 8.vbf idem quod in hoC conccxcu rcpccic, Infetca nempc omnia cam pcnnashabcflcia,quamiisdcfticuca fenfum olfaccus obtinuillc. ( Vcluti&apesquod ad mcl). Ahqui itaaccipiut: Apesmouerifload mcl,qua- doquidcm ipfonon nucriantur,fedadHorcscx quibusdcpaftismcl pariunt. Scd (i hxc rctineamus infcrcnda crit vis Ariftotclicis vcrbis. Prartcrca in 4.de hift.anunaliu capicc octauo di( ercc arKrmatur,apcs mcl ipfum procul fcntire. , 94 DE ORGANIS SENSVVM, ' Quarc veriusaffirmandum cft,apesad mcl lpfum moucri, non quod ipfc e- iomunr,fcd quod cx acrc dccidic,&: maximc fidcrumcxhorru: vndcinpri- aurorafoliaplantarum mcllc rofcida inucniuntur. Dchuius nacura va- t cxticcranc fcnccntix :llIudconftat,mclhoc pnmum tcrrathalitu infc- wtum,mox c frondibus ab apibus cpbcum,candcm in luccrculos fuoru aluca- riorum rcpo(icum,ad hec,fuccoflorum corruptum,quafifordcfcens,formam illammcllisquamvidcmus rcciperc.Hax Plin.lib. x i.cap.6,&: ii.(Etgenus quoddam magnarum formicarum ) Vacab.ccnfcc eflegcnus illud culicum quodMulionu appcllacur,apibus infcftnm,dcquibusPlin.codcm in libroca- picc i8.Scd crrar mccrprcs ifte,cum hic dcgcncrc non culico , fcd formicatu non paruarum fcd magnarum fcrmolit . Galenus hbro nono Dc limpli- cibusquoddam animaleilc ait.quod in vcrmiculorum gcncrcponiccuhci- bus (imilc,&: vitium oculos crodcs:Ob (imilitudincm paruitatis iftorum am- malium,gcn 9 hoc formicaru,fcnibasappcllatas erte nonnulli alfcrut. Verum in hos idcm qnod in interprctcm argumcntum conucnit : hic liquidcm ma- gnarum non paruarum formicarum mcntio (it. Vtcunquc vcro fit , Ariftotc- lcs in quatto dc hiftoria an malium, capitc primo , formicarum quarundam pcnnas habcntium mcminit: pcrfpicux funt iftxomnibus,&: non mcdiocris quanticacis.Plinius libro vndccimo , capicc crigcfimo primo , Indicai u m fc- pccntrionaliumformicarumvolancium mcncioncmfacic.quas odorc mul- tum vigerc prodit. Alii in Indixoccidctalis prouincia quadam,formicas fca- rabcorum magnitudinc rcpcriritradunt.(Purpun)dchac Arift.libro oda- uo de hift. ani. capite fccundo&: Plinius libro nono capitc trigefimo lcxto &: pluribusaliisfcqucncibus,copio(a.Colligendum:pifccs olfacere nonramcn quia rcfpircnc , fcd quia cumaqua fimul odorcs capianc , capiunc autcm non quia pcrtrahanr,fcd quia aqua vfquc ad olfa&us illorum organum ducat odo rcs.ibiquc periiftcns fcnilonem producac: Ita dc acrc dico,rcfpectu coru qux nonrcfpiranc&: inacrcdcgunc. . cfrca 3 out&rtvtraf , ol% c/uoiac Qartpov . A/o xav )biofmT$*A/t$f , & /Jp t^et 0Ai- idtax*/\ut  JWctT*/ opft.  crx>Jip6p^a/\(ua , ovx i- %jH . St6qu;rcx verbisThomarin huncir.odu commode proponi acquc intclligi poccft . Q^iarrirurolfaccunc&: fpiratione ammalia iftiulmodi odores pcrcipianc , an pocius aliquo alio lcnfu , ab omfti- " bus aliisqutnq; fcnfibusdifcrcpancc. Vidccur fanchoc argumcntum coclu- dcrcfcxcoid coscfliccrcfcnfu. Animaliaiitiufmodi,dumodorcsicnciuntdi- uerfo afticiuncur modo,quam dum quamuis aliam fcnlionc m cxercenc, ergo aiqucm alium fcnfum prxrcrquinquead idmunus, adhibcnc. Aflumptio noca cft,quod ad quacuor.Quod vcioad olfactum probacur,quiaolfa&usfpi- racionc cfticirur, qua carenc animalia ifta , vc fupcrius fiiic oftcnfum. Confc- quucio probatur,quandoquidcm fcncirc cftpati:cx quodiuerfus fencicndi modus diucrlam quoquc pnricndi racioncm confticuic , quse icc diucrfam pa- tiendifaculcaccm mdicac: Confirmacura fimili: diuerfus (iquidcm agcndi modus:diucrliraccm agcncis caufx dcmonftrac , cum a calorc vchcmcnciori, calcfaclio vchcmccor oriacur. Huic tamc fcntcntix rcpugnat argumcntatio q Arift. qux ica habcc. V bi idcm fcnlile, ibi idem quoq; fcnfus cft, In ifta pifciu acque infcfrorumfenfionc,idem fenlilcadcft,ncmpcodor,crgo. Propoficio pacec , i\ facu lcaccs racionc diucrficacis obic&orum inuiccm fciugi verum iir. A Humprio icc m perfpicua. Vc qua"ftioncm profligec Ariftotclcs,tandem air. Eodcm quidcm fcnlucunccaanimaciaodorcscaperc, vcpofteriorargumen- tatio colligcbat , non tamcn codem prorfus modo. Quam diucrfitacem in primisexplicat,moxpcrfpicuafimilirudine confirmar. Vcrum prioriargu- mcncofacisfacicndum. Dicamuscrgo, opcracioncs quidcm fpccificasacquc circncialiccrdiucrfasfaculcacem quoqucdiucrfam indicarc,(huiufmodi (unt pura vidcndi,audicndiquc afcio) Ac illas que. accidcnrc quodam cancumodo mffcrunc, nullameflencialcm diuerficaccmindicare: quod confirmacionei- pfa adducca planum ficc i cahdicas iiquidcm intenfior non eft aliquidAA, fcd quid i?*.a7er a minus inrcnfa, quod item dc calcfaftionibus intclligcndum cft: D (Spiritus aufcrtquodfupcrimpoficumcft). Explicacurdiuerficas modi olfa- ciendi. In rcfpirancibus nanquc nacura boni confulens , o!f a&us organum a- dopcrcum pofuir,in aliis vcro decccVum.Hinc fic,vt niii pcr acris infpiraci mo- tum opcrculumilludaccollatur, illanunquam comodcauccxCruificc odorcs pcrccpcurafinc.omninoigicurcgccrefpiracionc.QujEaucc huiufcemodi im- pcdimcco funtdeftituta, nullu huiufmodiadiumcncu ad odorcscapicdosiibi fuppcdicari poftulanr.In oculisanimai.ciu cade racio nacurc,,animaducrcirur. Qujcnanqucmolliores&humidiorcsobtinncruntoculosjpalpcbrasranqua pro opcrimcnto funt aflcquuta, vt quse incidcrcnt, iis prohibcrc poflcnc. Hic illarum cft vfus.Quocirca & homo &: animalia viuipara,gcminam habcnr,&: coniuucrevcraquelolenc:ouiparaveroquadrupcda,&: aucs(nonnullisexce- pcis)vnicam qua conniucnc, ncmpc infcriori . Quar vcro ocolos praeduros ha- bcnt vc pifccs,infcda,&: cruftaca animancia , palpcbris carcnt , vfu iiquidcm carum dcftituuniur.Hinc fir,vt(vcrbi graciajHomo fi cerncrcvelic palpcbras i.iui. 7 E T SENSILIBVS. zij dcm vis cfli , ncmpc ncccilario colligcndi: Quarc fyllogifmus qui idem abfq; A auxilio valcar , quod alccr nonnili cxcnnfccoadhibuo auxilio qucat crficcrc, lancpcrfcdiorcnchabcndus. O^fjLo/ut 3*}?$ J[Sv oc r ydj c/r, rlw tfcdluuxv&tt;. Eodcm queque modo, nullum ex a!iisanimantibus,eaaueriatur,qux per fe graueolcima odoramenta funt , nifi force quid adfir, quod interi- B tum llii poffir arTerre. Ab huiufmodi nanq ; ita intcritu recipere queunt, velutihomincsacaibonum halicu grauedincm rrahunr,&pla:runqiic Ctiamabolentiir: Sica VI fulphuris & bituminoforum alia animaliain- terimuncur, ntque ob paflionem,fugiunt illamidcipfa vero per fe odorit fcrditate nil curant,(quanquam multoe ex ftirpibus odorcs foctidos ha- beant)nifi quid ad guftum efcamvc illorum interfir. , Abfolutisillisquxfjbidcclarandapropofuicdcduplicinempeodorisfpe- cic,vt planiora omnia mancat,fcrupulum,qui rcftarc videbatur,e mcdio tol- lit. Qui ficn nanquc potcft (dicc t quis ) vt odores pcr fc ab homihc tatum rc- cipidicamus,cumcaccra quoq; animanciatctrosodorcsfugerc atqucabiif- dcm abhorrcrc planum (it-Et dc fpirantibus quidcm non dubium cft:dc aliis C vcro cx quarto dc hift.anim. cap. 8. fatis conftat. Ariftotclcs rcfpondcns , fta- tuit,Animalia ifta,fotidos odorcs pcr fc non rccipcrc auc declinarc, fcd qua- tcnusaliquidiiodorcshabcnt,quod illorumnacuramlxderc,autcorrupere ( qucac: idcm 1 n:m lllis xquc acquc hominibus accidcrc,vc nimirum ab odori- biis quibufdam malc affici, atquc intcnmi quoquc pofllnt. Si hacmtcrpreta- tioncm, qux mco quidc iudicio vcnflima & limpliciflima cft fcquamur , neq; vim vcrbis Ariftor. vllam infcrrc cum Thoma , ncq; alcius quam par tit,fcopi huiutcc conccxtus racioncm rcpetcrc nobis cum Alcxandrocogemur. Infti- tutumvcro fuumprobac Ariftotclcs duplici rationc:vna aconucnicntia,al- tcraabcffcihilumpta. Omniafingillatim funt expcndcnda. (Eodemquoq; rnodo) qucm fcilicct dc odoribus per fc fuauibus , rcfpcftu bmtorum propo- fuimus. (Nih forrc quid ad(ic). Vt odorcs pcr fc fuaucs , non (ub rationc odo- > r is fcdnidorisabrucispcrcipiuncur(velutidcpifcibusinl'peIuncislatctibus, & Anguilla affirmat A riftoc.) ita fcetidos fugiunt,fub rationc nociturorfi. In- dicio cft, quod ncn omnia gt aucolcntia fugiant , liquidcm multa hnt quibus brutadclcacntur, vtftercusfalpx.dequa Ariftot.lococitaco,&:Plin.lib.9. ca 18 ( Ab huiufmodi nanquc).Sit hxc fecunda contcxtus pars,in qua inftitu- tum conucnicntia quadam probatur. Nam &: homo a fumo carbonum Ixdi- tur prxfcrtimfiisacarbonibushumidioribusnccdu bcncexiccatis attolla- turobftruit cnimcraflitic fua fpirit 9 vias,& caput rcplct : quo fit vt nullus per fpirationi rclinquatur locus,& caput.multo coque acuto hahru(calidus hqui- dem & ticcus cft)infardum, vchemcnti dolorc ftatim afficiatur . Brutis idcm accidit Proquarcanimaduertatur: NoncorrumpianimahaiUa \i iulphuris" iI4 DE ORGANIS SENSVVM, autahoramfcctidorumtanquam abodorequodamcxcedete: hocfiquidem mpdo corporaliter in corpus agcrct formalis qualiras&: lpincualis : prartcrca abcxcelleciolfachlinon modorario ipfa&ciui./fthccerii fenfufqucpropor- tio dcftrucrctur: verum &c totum iplum animal s quod ficri poflc negat Arift. in tcrtio dc anim. cont.67.hoc namquc ta&ilium cxccdecium lolumodo pro- prium cfle arfirmar.lncclligcndum crgo cft,odorcs hos animalia corrumpcre pcr accidcns,quia nempc cum illis qualitas aliqua cachlis dcfcratur,qua non modoolfadus, icd fic ccrcbrum nccnon organa vira: Ixdantur: (atquc ob paf- lioncm) cum pnmum malc fc arrici ab ciulmodi odoramcntis bruta fcntiunt, fugiunc, vtcadcclincnt quarlibi nocitura vidcantur. (Dcipfavero pcrfc). Poftrcma pars, vbi rcpctitur quod di&um eft,nouauue confirmacio innuitur. Mulci(inquic Ariftocelcs)foccidi hcrbarum odorcs pcr fefunc,a quibus camcn non fibi bruta caucnt , imo cas dcpafcuntur, atque intcr ipfas afliduc manct: 3 quod ccrtc argumcnto cft, odores illos aut hcrbas malc olentcs brutis nullx curac vnquam cflc, nili quatcnus aliquidad fua clcuknta nui*\Zru , idcft, quaccn** rce,cidusiIlarumodoraliquidguftuiillorum inimicum,alimcnrumq; pcrturbans fccu adfcrt:tuc iiquidcm ab ipiis libi cauct, vcluti &: antca ipfa j 7i*i9K,alia noxiafugcrcdcclaratum cft. Vtcunquc Lconicus dicac, &: Alc- xandrilntcrprcstransfcrat ,mihi iftacxplicatio valdcarridct. Dubitat Alc- xandcr,quomodoha:cqu?proximcfucruntcxpIicatanonrcpugnent iisquar fupcriusdc imbccillicacc fcnfus olfaclusinhomincloquutiiumus. Quificri nanquc poteft,vtolfac~tum illum imbccilliorcm dicamus,qui vtrumquc odo- rum gcncris,illum acuciorcm qui vnum cancum capit : addc odorcs pcr fc, ab hominc fcntiri,a brutis qui pcr accidens vocantur. Rcfpondct A lcxadc r,non idcirco fcqui,homincm acutius oltaccrc ,quia plura olfaciar.compara cionc m q itcm in iis in quibus vcraquc pars conuenic locum habcrc:addamus nos,vcra- qucodoris fpccicm,aequc vcrum odore dici,cum codcm prorfus modo vcraq; oriacur, licer hajcpcrfc,illapcr accidens dclccabilisappclccur,quod ccrtc ad ipforum naturam nihil addic. Harc Alcxandri a nonnullis rcprchcduntur: fcd fane* iniuria:proquarctota,caqua: fupcriusdiximusrccolantur. E"W J n at&nffic n th~ ocrppairt&af, tfktrfoir ovaSr r$ al&no-tcnt } k) th dp&fxa tXprr* fitaor TtT fkrrfu, k) avrn /J.to~n %i) rffl ti dtffmSr^oTor d xa) T^tT J\j a A^h ai&nrixjSr , 0^01 o-\ta>c k) dxoHc . T k) 1& oapparrcr , ri . fc-Sl&.Jl' c* rqt aCrq! *) %o d*M?ov  k) %Z oparn . Siok)cv dtpi tgf iSan oaf4wrrai,c$rt to offfparror^toiror ti fgvra* dfjvportpan^ 0 va^af %nponflsc GtCypqlx} ^vroT, D oTot f&ajpn ric^i)*) nXwric. . Vidcrur autcm olfa&us , cum imparcs numero fenfus exiftant , nu- merufquc impar medium habcat , medius clTe cum taclilium ncmpc ta- &us &: guflus, tum corumquipcr aliafentiut, vt viius &auditus.Qua- propter olfa&ile alentium pallio ahqua cft,haccvero in codem gencrc funt. Et audibilium & vinlium ciuoque , cjuocirca tam in aere quam in acjua odorantur. Quam ctiam ob caufam olfadile, eft vtrique gcncn* quoddam commune,vtpotcquodtac"iili,audibili , &7 Jfeparei infic, atquc hinc intelligitur,mcritoodorem,veluti tinfturara, & ablutioncm quandim ficcitati m humido, & fufili, afTmiilatumfuifTe. Haccc- ET SENSILIBVS. iiy ^ Hacrcnus A riftotclcs dc natura atquc ortu odorum , nunc obiter ordincm &locumqucm()lf"aausrci'pcdiialiorumrcnluumobtmucrit,vuJtdcclararc. Occaiio.m faIlor,mdc fumpta clhquod Antiqui in co valdc laborarc viii lint: quaproptcrcumquinquclcnfusad elcmcnta reuocnrccupcrcnr, vnicuique cx aliis quaruor fuum clcmcntum tribucbant , de c lcmcto vero l'cnfus,huiuf- cencmpcolractus,mirum m modii lar.igchar.HtincvcroJocum fcuordinem ab olfactihum natura fumir, qu.v fortalfc c aula lola cft , vt ir.iclarionem hanc ad hunc locum dilhilcrit, qua? ahoquin fupeiiuscum dca-fthcteriis ferroo circt,ablolucnda vidcbatur. Addc,nonmagishicoIfactum,quam olfa&i- lia ipla dilponi. Scd animaducrtcnda eft Philofophi ratio a numeris fumpta, qux in pnmis vcrbis contcxtus poiita , in hunc modum comodc profcrri po- tcft. Vbicunquenumcrusimpardarur, ibidcmnumcruintcrcxtrcmosmc- B diumrcpcririncccirccft: Inlcnlibus Animaliscil&: numciusimpar,crgo in fcniibusqucndam mcdium intcrcxtrcmoseft rcperire.Malorpropolitiono- . tacft cx dcfinitioncnumcri imparis: a Boctioinpriori vol.fuararithm.cap. $, &: 14. m huncmodum propoiita: Numcrus imparcll,qucm nullusina-qualia diuidir,quin vntim mcdium non intcrcidat.F.odem rccidit Pythagorita /r dcmonftraic potcft. Dictum cft iiqui- dcm odorcm aflimilari ablutioni licci fapidi in humido : rationc crgo lic- ci fapidi cum guftatili tachliqucconucnit: rationcautcm humidiablucntis &: quali abftcrgcntis ( quod humidum acris &: aqu.c qualitas cft ) cum fono &c colorc, qui pcracrem &:aquam dcfcruntur. Quadc olfachli dicuntur ad olfactum crunr accomodanda.Vttandcmdicamuscum Ariftotclcoltachim medium elfc intcr tachim &' guftum, qui intrinfcco mcdio vtuntur, itcmquc jntcr Auditum&c Vifum,qui^ i/>9,idcft, pcrcxtrinfccum mcdium fcntiut. ^^Ttt^TOldiTw^rny.Vcrbaiftafuntcum prxccdcntibusconncctcnda,nocum ftibfcqucntibusvtomniacxcmplamhabcnt. Alioquin obfcuriorem atquc US DE ORGANIS SENSVVM, vix cxplicabile intcrprctationcm adhiberc necefle crit. Quac ctiam fcquun- turitafuntconnc&eda,* **>iW 5 ,ToJif cft paflioalimcnto- rum, quxincodcmgenerc conueniunt,ad tathim iiquidcm &Guilum rc- uocantur: qua ctiam rationc( vt Thomas rcctc monet ) odor pcr mcdium in- tcrnu ficri dici poteft.Eft quoq; pairio Viiilis&ix l *ic/,quatcnus odor in acrc 6C aquaquxmcdia cxtrifcca funt,crficitur.(J, iSkrtvima tX H%**w^Jfaf*>")' Ad taihlc reducitur guftatilc : nulli igirui mirum , ii tattihs folumodo mcmi- ncrir, loco autcm viiilis iijfe*an aflsicj, tfaJaatp & pftfc Vrt^otfi fjutTc*ttq H'atp%iTaj dtetSv/utdatoj^ a>f'tif Tot dtcfartdj^ittct dt /3atef/c/ Tomjt. 81 Quod aucem Pytagorrci quidam affirrnat:AnirraIia nempc qua?dam, odoribus pafci, rationc carct. Primiim qutafamuscibum ccmpofitum tll . oporcere,quandoquidem qua: aluncur fimphcia minimefinc,idcir- c6c|ucalimcnti cxcrcmenta gignantlir , vel intus in ipfis nurriris: vcl cx- rra vt in plancis. Mox aqua ipfa fola & nulli commixt.i alere non foler, quod enimaliquid conltirutum cft,corpulentiimquiddurn cffeopor- tec. Arqui acrcm ficricorpulcncum, mulco magisa racicnealienumeft. Adharc cun&is animantibus , Iocus alimCnti capax rnbutus eft , ex quo g pertrahens fumit corpus. jtftheteriiim aucem olficV m capire eft;od. r- quc cu fpirabili Iulitu ingrcditur,vt ad fpiracionis locu peruenircqueac Alcxandcrfcricm huic contexruiafiignarecontcmpfit. Lconicus diccrc quidcm hac dc rc voluic, nil tamen potuit. Ex Tfioma aliquid clicitur , quod ad rcm hanccxplicandam rronnihil valear. Docucrac ancca Philoibphus,ol- fa&um eflc fcnfum intcr alios mcdium: obiiccrc quis poterar,ex vcccrum Py- thagoncorum fcnrcntia,odorem rcm cflcnutricnccm,quocirca olfaftum ad fcnlus nucrimeci, ncmpc Guftum & Tathim omnind rcuocari oportcrc.Scd ordinc-m huncnrfaIlor,nosica re&iuscxpcdicmus,fidixcrimus, Ariftocclcm qucniam paulo fupcrius monuiflcc,odorem ^/s^J/wnrcflc,hequis hinc arrc pca occafionc ,odorameca ad nucricacionc confcrrc abfoluce putaret, an- tcquamfmcm craitacioniiVnponcrcc,fdplanins redderc voluiflc, veccrum C hacdcrcfcnccnciasrcfutando. Quxccrcidocendi racio ica cft Anftoreli f'a- miliaris , vc nulli in ciusfcripcis cxercitaco, imprarfcncia admiracioncm affc- rac.Exhocncxufcopus paccc. Quicrtbusabfoluicur parcibus: In priori,fcn- tcncia Pychagorcorum proponicur: In aliis duabus,duplici racionc rcfucacur. (Quodaurcm Pychagoriciquidamaffirmanr). Prima pars,opinioncm con- tincns,quam Alcxafrdcr fton mod6 Pychagoricis, fedquibufdam cciam Mc- dicis, eorum fc&acoribus cribuic. Leonicus vt rem hanc cxcollcrcr, Plinii hi- ftoriam affcrc, ex fcpcimo cius libro cap.i. Ad excrcmos (ait Plmiusjlndia; fi- ncs ab Oricntc , circa fonccm Gangis, Aftomorum Gens cft , finc orc , cor- porc coco hirca, quac frondium lanuginc vcfticur , halicuquc folo viUens, qucm naribus Crahic. Nullus ipfis cibus, nullus pocus cft , cancum radi- D cum, florumquc, & fyhicftrium malorum qux fecum longiori icihcrc porrar, (ncfcilicccolfarusdefit)odoribusfruicur&: viuit.Heccerccfi vcra eflcnc,Py- thagoricrs ccdcndum cflcr,& nullo modo racioncs Ariftocehs audiendx:Sed tam ridicula funr,vcca proponercridendavoluifle vidcacur lpfcmct Plinins, quica fc narfarurumeiTealicubiprxfatut,quibustamenomnibus ipfefuanV fidcm obftringcfcnolir. Quaritaq.deanimalibusfolboddfe viuencibuscra^- dit, fimillima iis habchda funtqux capite quarto, dc mutationcfcXuum, ncmpe maris in fcrminam, profcrc,& eacenus recipiCnda,quarcnus ipfemo- nct. ( Primum quia fcimus). Sccuhda pars , hoc argumcncum aducrlus Vctercs contincnSjNullum corpus fimplcx nutrit: Odor cft corpus fimplcx: crgoodorno nucrit. Propofitio ita probatur. Quod nutritur compofkum cft t.i. x i8 DE ORGANIS SENSVVM, (li quidem corpus animatum quatenus animatum, vt cx fccundo dc ani. cot. i j .i4 k 54.46>&:49.patc r,id propric cft quod ahtunanimacura autcm cx triplici illacompoficione conflacur , quar in fccundo dc partib. anim. cap. i . propofi- taeft)Ergo&:quodnutritur. Confequutio valct quia cxiifdcm alimur cx quibus conrtamus, vt pcrfarpc diximus. Aflumptio vcro argumcnti ita infc- rnis probari vidctur , quandoquidcm odor quaiitas quardam lit,qux pcr aerc mcdiumiVtplurimunwclpcraquam rccipiatur. quxaquaautquiacrodora- di officio atcra&us minimc alcrc potcft. Patct itaquc concluiio. (Ideoquc a- limcci cxcrcmcnta gignancur).Non cft noua argumcntatio, auca prxceden- ti difiuncta , fcd illius confiimario. Nutrimcntum, inquk, compolitum eflc dcbct: argumcnto eftid,quodin omnianimato dum cibus alfumptus pro nutricationc caloris opcra cxagitatur,partcs vtilcs fcccrnutur,digcruntur&: conuertunturrcliquaquxanimato minusconucnicntia funt,& ad nutricn- dumineptiora,incxcrcnuntaabeunt,quxmox anatura tanquam inutilia per certas quafda partcs cxpclluntur. Hinc illa qux Mcdici dc triplici conco- ctionutnfpccic in animali tradunt.prima,quc. in vcntriculo fit,&: m intcftinis abfoluitur,jjtfixjcf J K}cc f & rpvpo/jfyia , i$iV in  4 c ' *? 4XP' r > *? fy/mcvfi xovqov , Jfjt/ oxXnp :r,) uaXaxcr , A elj[vulaZv ; oromndv ydp fc?iy ixa^iv aC} traf wdv&fifc. dvdfxnp  c.,rav& $ t* ai&ma.ro a/Xt ai&rtrctt- ?aj twyxufjSfjot oox t% ai&m^ yxAAa atay xahtM $txy*rW f*a3*(xxrat. B Sin autem non fic res habecfier, vt aliqliod corpus fir, nulluin in fc 84 colorcm , nullam grauitatem,neque vllam ex huiufccmcdi aliis pcrpct fionibus habes:Quan,obrcm infenfilc quocjue omnino erit:Ha,c fiqui- dem fenfilia funr: fenfile itaque ex nonfcnfilibus conftjbir.atqm necclTj cft; ncn enim cx rnathematicis. Partcm allam propofiti theorcmatis, rtcmpe arfirmancem, vnica ratio- nc(nontriplicivtaiunt)aftrucrccontcndit.Eain hunc modum proponitur. Sii*iftaicnfilia,iuXtadiuiiioncmfuifubicai,id cft infinitcnon lccantur.fc- c/uctur,aIiquoddaricorpusPhyficumabfqucqualitanbus:confcquutionota cft:fiquidcm ii fumatur puta lignum aliquod album idque itcrum atquci tcru q diuidarur,ccrce fccHo illius in infinitum abibit(pofitum cft nanquc aiibi om- ncm magnitudincm infinitcfccabilcm ciTc )qu6d fi albedo quoquc infinice non fecctur,fcdeiusfcctioalicubi mancat,atquca fccione hgni cxcedatur: ccrte ad aliquascorporis (cu ligni partcs dcucnicndum erit quar albcdinc ca- rcant:confcqucnsautcm cft abfurdum:ctenim co poiito, corpusaliquod fcu partcm aliqaam infenfilem vcligno admicccrc cogcrcmur . Quandoquidc nullu corpus fub fcnfum cadac,nifi quaccnus qualicacibus,fcu pcrpeflionibus iftiufmoaufcul.commcnc. fcxagcfirao,colligcndum> ftacucrc vifus eft, ncmpc ET SENSILIBVS. lL$ ncropc in opinionc rantum rcs Mathcraaticas politas eflc. Quanquam cnim cogitationc concipiuntur,in rcbustamcn naturx infunr, ncc falfb conci- piutur,ied vtcarumnaturapoftuIat.TuciusidquidcmcIici polfct.quod Sim plicius fequutus Alcxandrum in procrmioin primum Analyticum , in tcrtio dcani.com.jtf.ftatuit Mathcmaticam ncmpcnon vcre cllc Philolbphiam, ncquc habcrc caulas,quia fubftantias non inucftigat. Dc qua rc alias. I "ti tht Jtp/rJ*^ & yra>tro'utS-x ? Mat t$' ( XX'  Oad argumentationem pr iori loco pro pirte ncgantc allatam, rcfer- rc vclis,hoc cnim commodc,&: non incptc ctiam facics, vt acutius intUcti pa tere potell: Ac fi dicar,obtir.erc polfc videtur argumcntatio hacc poftcrior, (i prion in hunc modum fatiffiat . ( Dc motu) . Intclligit libros de phyfica aaic, quos aliquando de principiis.obpriorcs quiquc{vt Adrafto & Simplicio pla- cct)aut quatuot (vt Porphyrio^alicpando dc Motu, ob poftcnorcs iii. vcl liii. aliquandoctiam^f*TrA>> vt eXprioridecselocont.io.liquet,ob communc (ni fallor)&: aJ vniucrfam naturam attinente tracrationcm.infcribcre voluit. Yltp) 3 T " f ^v*te; eu$tf } *nir t^a^didytti Jj*lr % fiiXav^ wawc yiKuxv x) trmp cr,) ti rotc a Moic tsraa-tv '6$w *t%dfo. ttatrla. Porrofofutio horum ncxuum^umexplicationecaufaccur fpcciesco lons/aporis&foni^cxterorumqucienfiliufinitafintvippparebit.Quo- rum nancjue funt exrrema,ciua: mtenacent ternunata effe ncceflc eft . C6 traria autcm funt exrrcma^atcjue in omni fenfilis genere contranccas cft, vc tn colore album & nigrum,in faponbus, dulcc & amarum, in aliis l- tem omnibus contraria cxtrcma repenuntur. Ad pcrfpicuitatcm difputationis,crrorcfque plurimos vitandoscontro- ucriiafque dirimendas quotuplcx id fit dc quo diflcritur cofiderarc , vtilis id modum,& paratiflima viacft.Se&ionem crgoinfinita wwtSJr n on v- nomodofumercpoifumus: vclcnimvt fc&ionem gencrisin fpccics , ( for- malcm vocant) vel vtcontinuiin partes,qucmadmodumalbcdo ciimiuxta diuiiioncm fupetficiei diuidi dicitur, vcl (quod in prxfentia potiffimum quaritur ) vt crHcientis fcniioncm , qoatcnus ncmpc, in parua , in mino- ri,8 adhuc infinite in minori qnantitatc , a&um fcnticndi producere potcft. De piiori igitur diuifione primum difterit Ariftotelcs , ca forta fc rationc motus, vtid quam priraum cjcclararct , quod iam antca obitct de ET SENSILIBVS. xi 7 dcfoporibusloques,aducrfus Dcmocricum acculerar,finicum fciliccccflcfpc cicrum faporum aliorumquc fcnlilium numcrum. Vt omittam, quxftioncm cfle propo(icam,an ifta"*'*iuxta corporis in quo func, diuilionc fccccUr. Sunt autem ilta fingularia & indiuidua qua: vcrc ("enlilia funt,non fpccics &: gene- ra,vt Arift.in catcgoriis , capitc dc fubftantia dcclarauir . Etcnim (ait ) ii non in aliquo (ingulorum corporum crunr,ncc omnino in corporc.ldcoqucldcm fui latis mcmor id nobis quodammodo in primis contt xtus vcrbis in mcmo- riareuocarcvcllcvidctur,cuminquit, vnacufolucioncquccftionispropolitJC forc,vt alccrum planum rcddacur.Ncmpe, cur fpccics coloris , faporis , alio- rumqucfcnlilium finicasftacucrcoporccac. Summa cft: Scnlilia *8li vcgc- ocrain fpecics fcccncur,infinicc fecari non poflcmumcrahilcs nanque funr i- pforu fpcciesnoninfinirx\Hocadhihirahuiufccmodiracionc prohar: Quae- cunquchabcnrcxcrcma,ideft vlcima ccrminancia,cadcm mcdia finicaob- tinercncccflccft,quxcunquc qualiratum fenfilium gcncra extrema tcrmi- nantiahabenr.crgoquxcunquc qualicacum fcnlilium gcncra ,mcdiafinira obcincre nccclTc cft.Maior probaturab Alcxadro,ab oppolito : Si naquc mc- dio infinita funt,iam non porcrut pcrtranliri:idcircoquc cxtrcmistci minati- bus carebunt: fccuscnim infinitum,tcrminatumcflct.Totiufquc &t pcrfc- ftiappcllacionem fumcre pofl*ct,quod Ariftoccli rcpugnar : qui in tercio phy. contcxtuc^.hocipfoargumcntoMcliflum vrgcr,quiTocum fcu vniucrfum infinitumftatuit.Totum nanqueeft idcuinulla parsdccrt,& quodfincmha bcf.cum Totum &: Pcrtcctum,vcl idcm lint,vcl naturam quam maximc afli- ncm habeant.Minorcm probit Ariftorclcs in contcxtu,quiain vnoquoquc qualitatis gcncrc cft contrarictas:quod indudtionc confirmacur , prxtcrea e- tia tcftimoniociufdcm Arift.in priori dc phy.auf.com. 50.&: fcc.de ortu &: int. conc.7. Acquiconcrariafunr,quxfubcodegcnerc quam maximediftar, vt li- quct,cx dcc imo mcca. 1 $,&.' H.crgo vbi cft contrariccas,ibi ccrminacio.Siqut- dc maxime^ Sc nominc,feu maions &: minoris diftantixrario proporcioque in infiniro no habcrur.Pacet cx 5 . dc phy.aafc . Hinc crgo colligitur prima qux- ftionisdiflolutiojlenfilium nimirum paflionum,gencra non cflc infinnediui dua,id cft,infinitatisfpccicrufeumedioru cxpcrtiacflc.Obiicitaduerlushxc Burid.in quxft.xviiii.in huc modum:Linea finita,puta bicubitalis,duo habct cxtrema,nt mpcduopuncraipfam terminantia, infinita tamcn media fcu li- nez partcs intcr duo illa excrcma interiacentia funt.Refpondct conccden do in lineailla infinicas cfle parres : poteftatc , non actu. Poccftacc inquam,qoa- tcnus linca* magnitudoinfinitc diuiduacft: in concinui iiquidemdiuilionc ad cxtrcmum pcrucnirc non licct.quocirca hac racionc mcdia illius fum pca, finicancquaquamcrunc.Scd obiicicuriterum in infiniroactu &: fccundum fpccicm,Colorcs(air Ariftoreles,&: faporesmcdiiex cxtremorum mixtio- neoriuncur.Atquialbcdo,puca,&:nigrcdo infinitc augcfccre &: minui pof- funt,atquc (ccundum infimtas proportioncs accu permifcefi. crgo &: inn- nicas fpccics mcdias gignerc. QuicquidadhicBuridanus&:alii dicanc, videtur mihircfpondendum,obic&ioricmcomplicacam cflc:ide6quecxpli- cari oportcte . Nam fi album 8c nigrum fumas vtprincia funt intcrccdcnti- um colorurfi,illa vtpotequxactu tunt, acciperc nccclfc cft : ergo vtfinica. adtu infinicu,vcexccrciodephy.aufc.liquec.Acquicxfinico acrunuquagignc tur. Hocgencrc argumcntationis vfas cft Arift.in codem tercio volummc Sc in priorc dc ortu &: int.contcx.16.dc rriatcria prima loquens.Concludcre ita- quc licct cx coloribus illis cxtrcmis,infinitos mcdios ftunquam profccturos. Cum crgo obiicitur,album &: nigrum fccundum infinitas proportioncs com ufi DE ORGANIS SENSVVM, inirccripoflc.hoccritabfolutencgandum,fialbum & higrum velut finitos colorcs iumi ftatuatur. To [flp cZv ffituf^ic ft'c 'orwpa Ti/tiiriToy afiaa^ei c 3 JVct, mmpcurfyitL. 7g 3 ^ti Continuu igicur in infinita cmidem inarcjualia fecatur, in infinita ve- ro iqualia.quod autCm perfe continuum non eft , id in fpecics finit.is diuiditiir. Quicquid AIcxandcr&: Thomas hkafTcrant, ccnfco Ariftotelcm inhac parcicula,alccra lui quejiti partc cxpcdire.Qucritur an pafliones ifta:,infinite lcxctui lcctionccontinuiinpartcs.Rcfpondcc,primumpanioncsiftas pcrfc continuas nequ&quam dici,cum continuitatis ratio non nili in magnicudinc & pcr lc iubliftcnti lpcctctur,lcd per accidcns,quatenus ncmpc in continuo ha?rec.Quaproprer pcraccidcns iuxtadiuifiohc lui lubicdli cocinui , diuidi in partcsinfinice polIc(infiniccnempe concinuum ipfum lccabilccft )quanuis pcr fc no nifi in fpccics finitas formalitcr fecari antca fucrit cxplicatum. Hxc aucis Arift.idcoquc fubobfcurc:ob id nimirum, vt cxiftimo, quoniam alibi a?c copiolius lint pcrtra&ata , &: hic catenus ifta attingenda fucrint, quatc- nusaditum adcertiamquarfiti prarcipuam partcm cxplicandam fuppcdita- rcnc.Invcrbis funtquxdamcxpcndcda^Infinitaquidcm inaiqualia) . Expo- nicurquomodoconcmuumipium pcrfcinfiniccfccabilc,& non fccabilc di- catur. Pro qua re animaduertedum,Nullam dari magicudinc a&u infinitam, vtcx tcrtio phy.& pnori vol.de cctlo,liquct: finitam icaque magnicudincm in finitc fccabilcm poccftacc tancum non ailudici: potcftatc inquamnon fic, vt intcrdum aducllc qucat,quomodo a:s ftatua cft potcftatc,fccl vtdies&: ludus dicuntur poteftatc cum lunt,id cft,in lucccflionc quadam : Cotinuum nanquccconcinuisconftat,quarc&:incontinua diuiditur.liquidcmin cadi- uidircsnataeft,cquibuscftorca.Cum igitur continuum omnc incontinua diuidacui ,magnicud6que fit quiddam concinuu, fir vt magnitudinis diuifio- ncs non ccfl'cnt,ommqucmagnitudincfinita, alia minorcirc poflic.vt in tcr- tiodcphy.aufc.doccmur.Diuifionesautcifta:concinui limul non fiunt,fcd altcra poft altcram,fcmpcrque alia erficicnda rcmanet(hoc cnim infinica: fc- &ionisratio cxigit). Atquehic fit,vt infinitum indiuifionc poccftate dicatur non a&u,nifi atu id dici quifpiam vc!it,co modo quo dics &: ludus , quz duo adu non funt,quia fimul totus fit dics,aut totus a&u Iudus,fcd quod pars ludi fiat, aut dici pars iit,rcliquis fucccdcntibus partibus. Atqui infinitum hoc po tcftatc,in diuifione magnitudinis.quomodocuque diuidcndo, non habctur. Scd tantum fi "*4 *^vf *>?,id cft cadcm proportionc diu ifioncs fiant,hic" *w fcclioncs vocatjfcd eodcm vtcrquc fermo rccidit.Namli diuidendo partes !u mas in cadcm proportionc,hoc eft,qua: cadcm ad totam qua? rcmahfit , ma- gnitudincm,habeancproportioncm,quam primapars iumpta T ad totam ini- tiobabcbat,ina:qualcspartcs,&:pcrpctu6,mjnorcs aflumes. Vcrutificx ma- gnitudinc dcccm cubitorum , partcm aufcras decimam , &: fic dcinccps ma- gnicudinis cius qua? remanccpartem dccimam aufcras , eandcm proportio- ncmfc-ruas,partcTqueina:qua]csefncis:qu6ctiam fit,vtfctio in infinicura polfir abire,cum pars decima ab co quod mancc , fcmpcr poflit aufcrri . At fi t > 7 1n diuidas , id cft,fi liimas partcs xqualcs mole magnitudinis.ci qux pri- mum fumptacft,fincm habcbit ncceflat 16, Sc&io.Nam fiex magnitudinc dcccm cubiiorum,a;qualcm fcmpcrpartem ci qua; initio fumpca eft aufcrrc vdtt ET SENSILI.BVS. u 9 v clis(puta cubitum fcmper vnum)noua diuifionc ad poftrcmafn diuiiioncm peruenics:qu6d fi dccimum dctrahas cubitum, iam magnitudo tota confu- mctur.Illudinfupcranimaducrtcndumclticumdicimuscontinuuminfinitc* diuiduu ciTe, id rationc materi^cum quac(t,inqua materic*,vt ens cft &1 qua- tu concinuu,noh vchanc fnatorcm,&: ilJam minorcm formam appctit cflc in celligcndum.Hic quzn a nonnuilisiolcc- Anvcrum lic,continuu cflc id quod infinite\liuiduum(it;cumalibi vt inCatcgoriis,in pnori vol.dcca*lo,&:in 5. mctaphv. aliomododcfinirividcatunpraucrcaan corpus continuum vcte poflitinnnitcYccariCaTtcrumquoniam ncquc in hac particula conttnuum jppnc dcfinitur,ac vix duo aut tria vcrba alteritis infticuci gratia dc ipfo habe- tur ,ab vcraquc quarftionc dcclaranda,diflolucndaquc fupcrfcdcrc arquum cf fc ducimus:priort mquc in locacicaca,poftcriorem vcro in tcrtium dc Phyfi- caaufc,aut tn primum dc cxlo rciicioportcre.Tantum fcrupulus eft cucllen- dus,quipra:rciiri non potcft,Qupmodocnim continuum infinitcdiuiduum potcftate dicimus,'fi potcftas ifta nuquam in adum qucat cxire? certe fruftra, vc prioridccarlocontex. ^z.liquct, qUodcft abfurdum di&u. Quicquid Zi- mara , &: alit dca&u pcrfcdo & impcrfeto,- de potcftatc naturali ,&: lcgica, dc fimultatc itcm potcftatis,&: poteftatc (imultatum cx Aucrroc fcc. de 01 tu &: intc.coni.9.aflVrant,mili!inhunc moduqtiaftibnc explicari fummoperc placct. Docct Arift.alibi.Rationc Infiniti in co cfTe pofita , vt aliud pcrpctuo &: aliud fumatur,(cmpci quc maheat aliqtiidfumcndu,nunqua vcro totumiic Iumptu:im6 vcro ii diuidamus,diuiderc infinitc licear,aliamq;femper&: alia diuidcre pai tcm:quocirca vocat infinitum poteftatc,' * . Hax nanquc o- mnium quidcm formarucapaxeft,&: poteftatc omnia ficripotcft,(cdtame non fimul,&: quatcnus habet ahquas formas eatcnus actu cfle dicitur : quatc nus vcroalias rcfpicit.potcftatc.Icaquc dicimus magnitudincm cflc potcfta- tcinfiniccdiuiduam,&: cum ratio,lcu cirentiainfiniti , in eoconfiftat , quod a nobis proximc fuit cxpofitum ,tunc a&u infinitc diuidi magnitudincm ccnfcri, cum nouaparsita funmur, vtalccra tamcn adhuc fumendarcma- ncat; E'i%tia. dei k) cV Tot(c/c, A*- trltor on 7q J[wudfJ.HK) ro cjrtpyuairtpor^i^ ro ftvpioTXf^opm XarSdrnr^xiy opeJ/u&fjor. Kj $J  A*At/.&,*) 0 cVt  fiutn tpdvyyoc At3ttV . xaf%i ouuo dxcuet rn" ^tiAwc tsarroc.lo 3 ^idfnfiaro TtT /jLt&IZvjBpccTguc t%drnc j\ar3drfi. OfjLoleac  x) cV to?c  AAciC ai&rflglclg? uixpd mdrv. J{wua'imy% epa^t \dnfytia  ofci %vpi&ii.KSH $ iw&dfxei Jlujjdfttt n trof taia rr\ J[ltnS t)rtpy tlet p"r>i ( d[uudiJJHy^i irv nonnulh ad partcs continui potcftatc , ncmpe quar in toco tblummcdb fubiiftunc,&: partcs concinuia&u, qux fcoriim ctiam fubii- ftcrc qucunc,rcfcrri velinc:Omniayeodem rccidunt,vt intclligcnti patct : di- \ Iucidiortamcn,&:vcrbis Arift.acc5modatiorcftlenccncianoftra,ftacim nan qucde lefiliau, poceftaccqilVnlili vcrbaacic(tquiin Dixfi). Infonoqua rnaximc (rcfpc&u aliaru qualicatu.)racio c5t inuitatis apparct:in ibno inquam cantionisMuiicx^cuiusnunfura.tcmpuscilL/acconftat.Pro mtdligcntia vc rb cius quod Anft. hic f Uu vocac,confulacur Boctius, li. priori fux Mufices ca.i.&:li.3.ca.i.8.SatficnobisinprxfcciaDixfin,nilaliud cllequamdimidiu fcmiconii , id cft , quarcam Toni parccm.principiumquc foni apud Muficos, vcIucipuncr.umlincxapudMacucmaticos propcmodum habcri.( Inccrual- luruZGcnuscft DjxIjs,vccx capicc primociufde primi Boccu,&locauoccrtu padJ(Poccftacc naquc pcdulis linca) In linca bibedali cocinccur pcdalis non actufcdfaculcacc.cccnim cocaadu bipcdaliscft.at ii diuidatura&upcdaliscf ficicur. Poilcnr ifta confirmari pcr quarram propofitioncm libri pnoriscle. Euchdis. (Scparacxauccm calcscxupcrantixJ.Si fpcdemus qux Ariiloccles infcc.dcan.contcx.i oo,&: i2j,iccm j.ciuidcm crad.67, 8t6$ cradic,nominc cxupcrantixnon nifi fcnfilc vchcmcns , &: quod maximam afficiendo fen- fui clficaciam habcac, incclligcmus: acqui ccrce hke concra cft accipicn- dum,ncmpc partcm illam minima qux in diuifione fupcrciTc djcitur , 6t* qux adfcnfum pellcndum, nullius cft efficacix .(Exuperanria nanquc poteftate, incxquifitioriincft).Ni fallor ,probatiocft amaiori, acfiicaraciocinctur,E- xupcracix iftiufmodi,rcfpedu quoquc cxquifiti fcnfus facultate fcniilcs funt: quo crgo magis rcfpectu lc nfus minus exquifiti-Scd quxritur quonam modo Ariftocclcs,hacquxftionis cxplicacioncpofica&: ftabilira adparcium aducr- fanciumargumenca rcfpondcrcqucar. Vc huic quxficocommodiusfacisfiac paucis toca Philofophi fcnccncia rcpccenda cft. Quxritur an crrc&ioncs fcn- files infihitc diuidux linc.Rcfpondccur,Si per fc fpcdcncur,quaccnus ncmpc diuifioncgcncrum infpccics,fccancur,infinicc non diuidi: fi vcrbquatcnus in continuo funt,iuxtaquc illiusdiuilioncm fccantur,poccftate quidcm in in finitum abirc,ica vc minor qu^que,&:adhuc illa minor,fcniilis in coco ipfo fir, non tamcn a&u,id cft, lcparaca,cum hoc modo ad quafdcm parccs icc ado dc- uenirc ncccirc lic: qux ii vlccrius fcccncur,cuancfcunr,acquc in concincns rc- foluancur.Qinbusftacucisad argumcntarioncm prions parcis diccndum cft, fcnfum,&: fcnfioncmeodc mododiuiduam infiniteeilc,quoipfa* 9,, fcnfilia, noslibentcrconccderc: facultatc nimiru , Idcbque quamuis ad partcsadco minimas,vtfcnfuma6rufugiant,dcucnicndu indiuifioncfit,iftastamcfacul- Utc fcntiri,quatcnus nimirum aliis accedcntes fcnfum pcllcrc qucunt . Ma- gni vcrb intcrcft(vt hocobjtcrnon prxtcrcundu tamcn doccamus)Magnitu dincs qualicacu omnium cxpcrtcs,&: infcfilcs acu,feorfimquc fubfiftcccs da- re,cxquibus coeucibus aucinuicc fupcrimpoficis fcniilequid cfficiacur(quod Democ. ahifquc placuic(&C magnicudinc darc cu aliqua quidc afrcwlione ft n- lili rationc fui,adcb tamc cxili acque cxuperancc,vt rationc cxilicacis nonfcn tiacunlmbdchocipfominimoin i.dc phy.aufc.c6c.36,&: 37.aducii v Anax;ig. loquuc*cft.Scpcraucc illud rccincatur,rac6cinuuquac6ci.nui afttiboncsfcu qualitates infinitc diuiduas poreftatc tamcn folumodo cx Arift. fcncctia dici. v.ii . ET SENSILIBVS. t i} l verunfeorfim quociue cxiftar^neccfle eft:ho:ccolorem ,inquam, fapore' fonofque numcro fimcas cffe: Epilogumfacit,qua:monispropoiicxdctenmnaca capica rcpcrens.(Quar Icnium laccnt).Egrcgie nocac Alexader,hzcdicine vidcacur illorum fcntcn tiaadmitcuquxcorporaicnniiacxacomisinfenlilibus^nullamqucpainoncm aiicqualicaccm in feipiis habencibus,coniticui pucauit.Habcnc itaquc minu- t.v ilt.c parces fcnii lcs pa((ioncs:lcd exilioresquam par iit,ad fcnfum pcr fc af n"cicndum.(Er quam ob caufamj.Ob mmiam ncmpc cxilicatcm, idcircoquc exupcrancixiftiufmodij^^^x^^cuancfcunc. (Acqui vcfenciri&r non fcn- tiri).Parccsquat fccundum fcfcoriim poiluncexilcere,adufcparara?,pocefta- tefciunccar confpiciuncunvtluciDixiis in Symphonia,cconcracxupcrancix illcfcn^ilcs:i'cparatx fiquidc potclhcctantumfunt vililes,cuca&uredducur, cumaltcriacccdut,vclaccumu)icur.(Cuaucc).E(liflapcrbreuis c6clu(io,ad qu.eft ion i s diffolucione clarius cxplicada,in hoc cpilogo addi ta.Hcc cft aucc (ni rallor)illius (cnrccia: QucJitu cl^anaifcctioncs ic(ilcs,cum iuxta diuiiionc concinui diuidantur,iint infinite fecabiles:ita vc athl fcniiles mancac. Rcfpo- dccur,duobus pofitis que fupcrius cxpofica funcmepe parcescantum lllas a&u fenlilcsdici,q\i.t:i'eor(im quoqueacocofcnciriqueunc:pra:cerca,concinuu,ii in partcs qu.c fcoriim qucat exiit.crc,diuidatur,nequaqua infinitc fccari:Re- fpondctur,inqua,^"" J * llta fcnliha.li no modo m cocovcru ctialcorhm tofpi cua clfcdebeant,ncceflecft,ipfannicc,& nullomodoinfinite fccabilia clTe. f\ 'iBnpriffHt sror\ yirtraf xl&Mt^ orar trtpyuc* uc Tpftiffor apaPror, oTcr firt co~w)  /xtnS' oxXiic , priusadmcdiuqua ad vifumauc adtcrram pcruenire'Quod quide nopnrer rarioncacciderccxifti narur.Cu qiUB moucnrur,alicudcaliquo moueatur,idc6quctepus quodda intercedere rcccfie fic,quo ab vno ad alteru moueacur. Atqui tep' omne fecabile cft. tempus igicur aliqucdfuit, quo radius nonccrncbatur,lcdadhuc per meclium lpfum ferebatur. Sccunda quxlbo difcucienda : An fcilicec fcnfilia prius Mcdium pcllanc atqucafnciar,mox ifthcteriu:an vtrumquciimul.vndc verohuiusqueitio- nis jpponcda? occaiio fumi potucric,ii quis ca qux de iAhcccriis ancca cxpo- fita funt in mcmoria rcuoccc,tacile noifc pocerit.Hic vcro ab ill is diilc tio,qui qt:cSt:'MiciiacadircsutunH'>dofcnfusrcllriguc,\ifum,ncpc,au-iiiu^ oliactu v.iii. tj4 DE ORGANIS S E N SV V M, cum tamcn fit vniucrfalis, id cft,ad omncs fenfus pertineat: alioquinenim, GuftumfiTaaumabfqucmcJiocffici,dicerctideremur,quod Ariftotclis  doftrinx rcpugnat. Argumcntatur itaquc Philofophuscx vcraquc partc, pri- mumquc,obicauminmcdiumpriusagcrc,cxcmplo > autnoritatcquc ) moxe- riam rationc dcmonftrat.Et quatum ad cxcmplum,aircrc fcnfus in quibus !d P crlpicuummagiscu r evidctur,olfaftumncrapcficaudicum,olfacimu$nan- que prius vicinum odorem,quam rcmotura, ergo intcmporc : crgo primum amciturmcdiumabobicao,moxipfeolfadus.Sinanqucfccuscllct,odorrc. pcntc narcs pctcrct,*: tam commus quam cminus olfacicntcs eodcm ccm- poris interuallo afnccrcc.In auditu itcm fc rcs habct , ittus vna cum fono ctn- cicur,ncqueenimdifiungiqucunc:fiquiscamen paulo diftancior mancac,i- ftumprius conl"picict,mox fonum audict. Patcthoc,&: vnulquiiquc idpo- tuit multoties cxpcriri.Dccorrufcatione,qua:quodad gcncrationcm acci- nct, tonitruo poftcriot cft , prius tamen fentitur, candcm Ariftotclc$ ahbi fcntcntiam tulit . Hxd in iumma indicant,ft>ccicsolfaailcsfiaudibilcs,  permcdiumaliquo tcmporis intcruallo prius fcni,quam icntiantur.Qux- rit dcinceps an idcm vifui accidat.Scacuic authoritate Empcdoclis, viiilc ca- dcm prorius conditionc vifum afficere. Ipfc nanquc ait , Lumcn a folc profi- cifccns,ad mcdium pcruenirc, id cft,mcdium prius afficcrc , antcquam ocu- lum vel tcrram attingat, acfi diccrct, illuminationcm fucccihuc fieri . Addi- turdemonftrans ratio,qua authoritas quidcm Empcdoclis impnmisftabi- litur ad quoduis tamcn fcnfile potcft accommodari, Omnis (aic) motus fit m tcmporc,hoc cft,fucccifiuc,illuminatio cft motus,crgo fit fucccifiuc, crgo vi- filcpriusmcdium pcllitquam viium. Propofitio alibi cxpofitacft, ncmpcm quinto dc phylica a ufcultationc contcxtu tcrtio &: fcptimo . Omnis ( m- , ouit^^cft cx quodam in quiddam:declarat autem hoc,nomcn~*A*: fiquidcm rT'i**i -n po ft aliud aliquid,Sc hoc quidem pr ius fignificat,illud po- C ftcnus.Confirmari infupcr potcft dcfinitionc ipfa motus.in tcrtio ciufdcm rraaat pofita . Etcnim ii motus fit attus mobilis,co quod mobilc , fuccclsio- ncm in motu habeat.ncccifc clHccus nanqucnon fcd potius w* ^ diccrctur &: iure, quandoquidcm quod mouctur , pnus cft m tcrmmo a quo quamin tcrmino ad qucm:crgo'pnu$ inmcdio, quam in finc:ab vnonan- qucadalterum cxtrcmum abiquc mcdio tranfirc nonlicct.ahoquin liqui- dcm mutationcm momcntancam c6cedcrc,limulquemoucri,&: raotum cf- fcaliquid,fatcricogcrcmur. Acccdittcmportsdcfinitio, inquarco,conccxcu 101 abcodcm Philofopho poiita: Eft cnim motus meniura,iccundum prius &poftcrius.Airumptio probatur,quandoquidcm illurainatio altcra- cio quardam cft , ergo inter contrarios cffici tur tcrminos , crgo vililc non po- tcft cficlimulin tcrmino a quo 5c tcrminum adquem: quiaficincontraru$ D terminis firaul rcpcrirctur,ergo pcr mcdium tranfit.Si cxcipia$, illummatio- nem,motum ciTc localcm , idcm &c magi$ crit affirm m dum . Scmpcr cnira tcmpu$inmotionaaliquod intcrcedatnccefTc cft i ^.rJU-rmr .Qup- modo contcxtum diftribucrc qucamu$ hac noftra cxpl.catione conftar. (S7.V9-r i miKh*imi&*M"Z'). Priorpar$.in qua quarftio propomcur. O- mnc$ Alcxandrumfcquuti,ccnfcnt Ariftotelcm inhacparrc,non raodoad propriam dc raodo fcnfioni$ producendat fentcntiara , in quxftionc pro- poncnda ic rcftringerc , verum ctiam aliorum opinioncm dc AuiuOnodi recomplcai,vtpotc quc candcm paciacurambiguicaccm .Idcircdquc illud ^^Jincerprccancurfenfil.a, fcu fcnfilium fpccics : Ulud vero , i ^^,intcrprctanturcorporcadcfluuia,abobicaoad oculura m vij.onc E T SENSILIBVS. i 3 j difccdentia. Hoc Dcmocritus, lllud Ariftotclcsdocuit, vt fuperiusexpofi- tum cft. Scd lanc cxplicatio ifta tandiu rctincri non dc buit.Ea nanquc pofita fruftraPhiloiophuactcmcrcQuarftioncm huiufccmodi propofuifTc aflercn- dum cifct. Cui nanq; dubium, Corporca illa dcrluuia cum corpora finr , qui- bus pcr fe localis motus conucnit , in mcdium prius quam in ./Efthctcrium a- gcrcdcbcrc.'Mcnuimusantea,Motumlocalcm atcrminoin terminum clfe, id clt , ab cxrrcmo ad extremum , quandoquidem termini motus funt ipiius extrt mkatcs:ergo pcr mcdium ficri, (extrcma nanquc funt inter qua: aliquid intcrcedit,nccfimuImancnt)crgopriusadmedium quam ad /Efthctcrns*'jwf \smi  ri prtvu rr  c ( rii dxsn . tv\o7 J %v% k) n 9^ faH-uarox /ut&%rfiaTirjic yt- vofj$fJn? rJivJ( tyfit ^juSfj ofnjfi ^ ^fdraf ,aazrtpTo~d %fat m otftrj&iftt nmtxdTtpovti). fpS taoKytto- /JfJot( cvft Jfaptpei.n *ytv(  w ;, & principia parcium ua/^ Tsavrc, dxovHtjn apar^t 6 a^cj^.o^ii 'WaAAs) afta ofcSix/ ^ ccrumraf {? dxovKff. 94 Quo ficvt id ipium primus,atque poftren.us .uidiar,olfaciarq : ,&quo- d.im etiam modo non. Pro qua re,a nonnullis dubiratur,alfirmantibus, ficn n6poiTe,alium alioidem aud:re,aut videre &: o!facere,cum ficri ne- qtieat, multos eofque inuice difiun&os audire, aut olfaccre : ahoquin e- jiim vnum a fcmetipiu feiun&u efTet. An quod mitio mouir,verbi gra- n.i,tintmabulum, thus, aut lgnis, id vnum & lde numcro fentiunt om- ncs? quod \ ero i.un proj num erTe&um ell , diuerfum qiudem nun ero, fpecietamcn ldem percipitur? Quamobrem multi fimul videntodo- rant fic audiunt. Et folutione alIata,cxoricur quxftio, An qui rcmocior eft illud idcm audiac, olfaciaruc,quod propior. Cuiusquxlicioccafioncilludcciamquibufdam in dubium limpiicicer,&: nulla intcrualli locorum rationc habica, rc uocarii ciis An dicicrli qui diuerlis jtftheceriis prxdiri l'unt:quanuis a Scniihbus calibus, xqualibusfpaciisdirtcnc,idem prorlus olfacere, idcmque audirc dicancur. Rariofanc elfc vidccur,curidncgarepoliimus. Ercnim iivcrum cft,mcucns Vc moucac , cum mococlfe oporccrc , qucmadmodum (cpcimo phy. conc. 10. tradicur,obicchim quod vnum pdlic& afhcir vna cum illo crit:quod li plurcs afficiat,&: cum pluribus idcm cflc dicacur , idcm ccrce a feipfo difccrpi atque difiungioportcbit: quod arKrmarc,abfurdiliimum cit. Vtrunquc iimul qux- fitum hic diftbluit A riftorclcs , nimiru quodammodo idem,&: quodammod o diuerfumab illisfcntiri. Ecidcmquidcm numcro,(i obicdum rcmocum 111 fuoque principio ortiive coniidcrcmus : qua ratione ttirfinrmtinf vocatur: pucaionum quaccnusa tintinabuloprimum ontur; odorem eodc m modo a chure,&:ab ignccolorcmfculumcn : diucrfum autcm numcro(qu.imuisnon fpccic)iiobicda iftaquatcnus propria, idcft,fcniioncm in quolibcr pcculiaii produccntiafpeftcntur. In fumma,fonus in fuiinitio&: ortu vnuscir,qui vcr- ius multas partcs, hinc fcilicct atque indc multiplicacus, mouctur. Dc odorc &: aliis idcm diccndum. Qua folucionc poiica, aucoricati Anft. iaciliact i c nos ica poflumus, dc moucncc nimirum proximo cam intclligi oporterc. Ex quo fequitur, idcm a feipfo non feiungi , idcmq; rcmancns multiplicari numcro, quaccnusfcnlioncindiueriisnumero fcnlibus variilquc mcdii parnbus pro- ducic. Cxccrum qucmadmodum^^^^^Wjid cft,vcitadicam,plunfican- tur : ica in linca rccla plurificari obic^u cale aiferimus , ica vt hon idc nunuio M o DE ORGANIS SENSVVM, prorfus fit, quod propius origini luac cft, &: quod ab ipfa rcmotius : quare noh idcm ommno a propincjuo quis fcntit, quod a longinquo. fiVOTtfor i owlg vcf[ut o1~ f ua jjci fcttf '5t/ typfJLWt tcrmini contrariifunt fccundum qualitatcm, iuxta quorum diftantiam mcnfura tcmporis fumicur , non inccr- ualli magnicudinifvc. Proqua rc&:aliisnocacioncdignis,admucacioncs,qux alccrnacim, quxquc iccm momcco enSciuncur incclhgcndas,confulacur illius commentarius: Nos in hunc locum omnia congcrcre nolumus , quod pcrfpi- cue aThoma profcracur,&* quod alias copouus ifta pcrtraclaucrimus,&: nc in lulce noftris commcncariis ca tantum coportarc vcllc vidcamur, quxa prx- clanllimo quoquc Philofopho funt tradita &: cxphcata. Summorum quidcm virorum annotataadduccrc&: cxpcndcrc,pro inftituti lociquc rationc intcr- prctis munus cft: Singula vero , cunoiiiis vbiqucinculcarc ,abfurdiliimum ccrtccft. Sedadrcm. Dupliciecrabomnibusicrc incerprecancibushicdubi- tan lblet. Primum quomodo mutationem,qux momento cfficitur, Ariftocc- lcs concederc pocucrit: mox quomodo Viiilc non prius mediu quam fcnfum pellat &: afficiat. Prioris dubitarionisoccafiolumicur cx fcxco dcphy.aufc. coc.ji. vbi tradicur,omnc quod per fc mouccur quancu eirc,diuiduu,parccfq; habens, cuius pars vna f\t in ccrmino a quo, altcra in tcrmino ad qucm , cum non fecundum fe totum aliquid moueri qucat. Ex quo vidctur cocludi opor- tcre, aquam non totam iimul congclafccrc , lac ltcm non iimul totu concre- fccre. Pulchrafanedubitatio.Adquam aliiahtcrrclpodcnc, ncciniuriaxum propemodumiAumVcl ipfotcftc Auerroecilc vidcacur,&: cancisdifficulcaci- bus inuoluca , vc nobilcs Inccrpreccs, in cacxphcandaplurimum dcfudarinr. Qwc vcro pheriquc acculcrinc, huiufmodi ccrcc func, vt non minores dubica- ciones rclinquanc. Alexandcr cnim cum vulc Ariftot.nobis hic falfum rcddc- re, prorfuseft rciicicndus. Thomascci.imqui dcmonftratioocm illam fcxti phylici ad motum tatum localcm rcftnngit, opcimis Inccrprctibus &: Arifto- celi quidcm ipii rcpugnar,qui illam ad omnes mocus fpccics pcrcincrc,acquc accommodari conftantcr afjfirmant. Qui itcm Ariftotclcm hic cxcmpli non veritatisgratia fuifleloquutuma(rcrunt,nugaccmipfum faciuntqui inpri- mo &: oftauo phyiico,idcm in rc fcria ftatucnda rcpeticrit : imo qui hoc in lo- co in qu^ftionc non minimi momcnti dcterminanda,ex apparenti vcrii con- cluderc volucrit. Idem cnim cft ac fi ita argumcntacctur,Qucmadmodum a- quaftatimcoalefcereapparer,ira vcrc llluminacio momcntocfficitur. In rc crgo adco perobfcura vix audeo quidquam affirmarc,nili dicamus , Ariftocc- lcm non aifcrcrc aquq congelacionc omnino momenco cffici:fcd limul quod ad omnes parces cffici, quauis enim non pars poft partcm fcd cota (imul har, in temporc tamcn fit,atquc in tcrminis oppolicis cum a non coagulacionc ad coagulationem, acque per gradus , id eft,ab imperfcdiori ad perfcctam coa- gulationcm cranficus fiat. Si qua: Ariftocelcs dc duphci principio &: cermino, in prioriphy.coc ij.nobis fcripcareliquit,vclitquisdiligcntcr expcndcre, nonnullaquc item,in hoc commcntarioa Thoma annotata confulcre,facil^ agnofcct, nullam aut faltcm minima vim dcm5ftrationi fcxti phylici hoc nr> ftro refponfo aiferri. Ncque obftacquod congelacio mometo cffici videatun hoc (iquidcm ob fcnfus noftri imbccillitate accidir, Scd hxc omnia alibi co- piofius. Altcrius quarftionis multa: funt occauoncs : omitto C|ux fucric Placo- nisdc Lumincfcnccncia, quxiccm Ariftoc.hxccnimabundcfupcrius: nunc vcroicaobiicio: Omneagens phyiicumpriusinlibi proximum quam inrc- motu agic, obic&um vi(ilcefthuiufmodi*crgo&:c.cx quorcdc fequiturprius ipfum in medium quam in fcnfum agcre : Sompta cft argumcntacio ex Arift. multis in locis , &: prxfcrtim quinto phyiico.conc. zi. &: decimo mctaphy. 11. Huc ET SENSILIBVS. M j Huc accedit accioncm vifilis decerminatamc/rc, ac proindc fucccfliuam . Rcfpondcndum cft cx Alcxandri , Simplicii, &c Auerroisfcntcntia,lumen eficqualitaccmfcu formam quandam(piricualem,concrariccarc,acquere- fiftcncia carcntcm. Hinc illudconfequi: vifioncm momento erfici. Ulu- ftracofiquidcm medio,obiect6quc rccic difpofito , ftacim vifioproducirur. QupcircaobiC(5lioprior,nuIlum aducrfus Ariftocclcm momcntnm habcr, quar in vcro agcntc & rcali corporeoquc valer. Ncquc fucccflio a dciermina- tionc oritur, fcd a contrarietatc &c refiftentia patietis, quod alibi copioiius cft cxplicatum. Quaproprcrcuminadtionc viTiIis nulla prorfusadfitrciiftcntia* quid prohibct, quomin' lucidum corpus,fuoluminc pancm fibi proximam, id cft, illam totam quam illuftrare aptum cft,(cft cnim agcns dctcrminatum ) ftatim rcddacilluminacamrAdducaliiargumentamultaaduerfushxc:Nem- pc f orc vt crcatio dccur, cum lumen e potcftate materici elici , dici nequeat: (hoc liquidcm non nifi in ccmporc cfficitur). Eflfcchim iccm vclocius fua cau- fa pofic mouenmcmpc Iumcn cxIo,quod nonnili viginti quatuor horis fuum itcrabfoluit.Poftrcmocx Aucrr. Luminisvim infinitx virtutisforc,cum mo- mcntoagat : quodtamcn Ariftotcli ino&auophy.rcpugnarcvidetur. Refte ad omnia rcfponfumcft: Lumcn nouitcr non cffici, lcdreccns apparcre, idcircoquc non cicari,ncqucircm efinu matcrici,quxantccxfftat,cduci. Pr.xtcrca,lumcn non propric moueri i,fed fpintualitcr fcu formalitcr multi- plicari.Poftrcm6,argumcntum Aucrrois in vcra actionc &C rcali locum habc- rc, non 111 fpiricuali, qux ob nullam rcpugnaciam cx parcc cius quod pacicur, illico opcracur. Quod dc Luminc ha&cnusdiximus, dc colorcitcm inccl- ligi voiumus, quandoquidcm quaccnus Yifile cft, luminis racioncm obcinec, eiufquc accio,mcdio iUuftraco,rcpcncc cfficitur , cum adopcrcis oculis ftacira confpiciacur. H% e/l' av x) y^jfS-ctf^azrtfi n ovpti^ti wufpefn/A/J , tnppantpu t ti 'Gph S-ly&t a-v&u v\&xvoM&tdj\6yo$ h v %b mTs&v %Z ai&wnpiUyofy SluAtrclp^i t mhlut ki t ^cvtoc J/$l 5* tipn/jSfjov. JfaL 1s av??  #o%4 'fad opav . ?o y% $eS$ vom^S offi. Eflfec autcm vtique & fpfa deguftatio , quemadmodum olfactus , fi in humido eiTemus , & remotiiis tthtti ,anteillius cont.;&um fentiremus. Rationiautemconfentancum eft, illaquorum ^tftheteria interuailum habent, non Gmul affici, praeterquam in lumine , ob caufam quae com- mcmorara eft. Item ob id ipfum de vifione dtcitur : lumen ficjuidem vi- fionem efficit. Ncquc Ariftoccles nequc aliusquiuis ncgarc poceft, Guftum &c Tactum candcm conditionem in fuo munerc fubire , quam fubeunt olfatcusfic" Audi- tus, cum& mcdiumabxftheteriolciunltum habcanc, &eorum obicctacor- porea,realialceracione mulcipliccncur. Obfcuriusquidcm resinillishabcr, cummediumcorumaproprioxfthctcriovix diftinguacur. Qua fortafic ra- tione , in fecundo dc anima,conccx. 1 1 j. tatilc& guftatilc ab al \ s Seniilihus cofeiungi tradidit,quodaliaScnfiliapulfo&:affcdoprius rncdio,nos dcin- ceps pcllanc &c arficiant : hxc vcro medium lenfumquc fimul : ncmpc vt apparct,nonvt rcueracft. Vndc Aucrrocs ait , particulam u* non ad tem- pus,fcd ad caufam refcrri oportcrc. Qupd in hocctiam contcxtu pcrfpici po^ teft. Ariftocclcs fiquidem in prima illius partc detcrminaturus , quomo-- do rcs fc in Guftu habeat, ita loquutuseft i Obicctum Guftus cftlapoiy x.iiu z 4 6 DE ORGANIS SENSVVM, fapor autcnicft wi5sr>y^orUT'Jjf^v4d.-5. Quareuitain humidoaqUeo dcgcrcmus , vcluci in acrc, cadcm Guftatus , &: olfaftus ratio effcc. Primum nanquc dici oportcrct aquam affici,mox Guftum, vcluci acrabodorcpri- mum afficicur, poftremo olfaftus.afapida cnim rc fapor pcr aquam tranfuchi multiplicariquc poffct. Egcmus igitur fi dcguftarc vclimus , vtfapida ipfa hngux admoueatur, qux &: racdii &: xfthetcrii ( vt antea cxpofuimus ) viccm gcrit.Quo ctiam fit, vt codcm tcporc mcdium &T jEfthetcriu affici vidcatur. Hac fortaffe racionc Natura pifcibus linguam quidcm &: in fumma organum Guftatus tribuit, imperfc&u tamcn , offcum, ncc abfolutum, vt Arift.in 4-dc hirt.ani.ca.8.lcribit.IIludinfupcrannotarc placcc,Arift.olfaftu non auditum cum Guftu cotuliffc,quod hi duo fcnfus ratione fuorum obicttoru finc quara maximc affincs , odor nanquc ablutionc humidi in ficco fapido fic : quo fic vc qucmadmodumodoracrcmcdiomultiplicatur, ita faporcm multiplicari o- B portcrcvidcripoffit.ExhisitaqueconftatGuftum&:Tadum non codc tcm- Q porc iimul affici cum mcdio, ncquc id Ariftotcl. vdluiffc , fcd in illis non ita perfpicuumcffc ,vclutiin aliis. Idcircoquc inquitn \Jt> l* jfv,ff7i >*.'if3i') ^ui3,ac fi nollit omnino arfiimare,nildiftare mediuguftus ab ciufdcm yfthctcno:fcd oftcndcrc vclit,fi cifcmus in aqua,forc vt diftantia illa mani- fcftior cffcc.cum aqua faporc affccca,guftuiquc noftro admota,co cafu, mcdii munusobirec. Colligittandcm ,rationi confcntancumcflc,obrationcs an- tca allatas,fcnfus illos quorum xfthcccria mcdium habcnt cxtnnfccum, non fimul cum mcdio affici,Luminc tamcn exccpco,&: omnino ipfo vifili.In fum- ma,quemadmodum lumcn illico cffundiaifcrit, itaipfum ccrncndi atcum cuiusLumcn caufacft,ftatim cfficiconcludit.Qupmodoautcm Jumcnvi- fionis caufa lit.alibi a mc cxplicatum cft. E"V* ^Vwnp/flt Kj AAk tic, 3* Ti %t t{ al&rCttc,  e/] xzsoxei&cu , oti ixd^ udXhor itfrt ai&dvt&af dtrXd" orr', ti xtxpafjSfjn . o7ot oint dxpctTH, ti xtxpafjStfu^ty} /utA/r- x) %pccts,i&l t^ rrTHC. uo'nigj cV tti Jjfr  imbccillioremrepcllerc: quod cxpcricncia perfpicuum rcddicur. Namque oblaca oculis noftris non (cncimus, cum cogicacione aliqua ica tencmur vtinccnci prorfusanimoin ipia vcricmur: quod iccm cxpcrimur,cum for- tcforcuna mccu aliquo maximo occupamur ,auc vchcmcnci ftrcpicus fra- gorc circunfuii quali ftupidi &c pcrcerrici decincmur . Alcera hypochciis: Mixca difficilius icnfu pcrcipi, ipfis iimplicibus. Noca cft & communis valdc cxpericncia , Quandoquidcm vcl Ebrii ipfi faccancur , Guftum,re- &iusvinimcracifaporcm& qualicaces fencire,quam fi vinumaquataliquid admiftum habcar.Mel quoquc purum,facilius cfuam adulcerinum,& fo- la,quam Jfa****' in audicu percipitur.inuiccm naque fcniioncs quac ab vnofic ab alccro ofiuncur,fefe impcdiunc atquc obfcurant . Atque idcirco in iis hoc tantum ficri moncc Ariftoreles,cx quibus pluribus inuicem coeuntibus qua- D iiaggregatum quoddam,atqucpcraccidcsvnumconflaripoflit.Compone- tiananqueibiatumanent:quo frtvt fibi mutuoiint impedimenco.Exhif duabus praecipuis hypochciibus,alia$ quafda deinccps clicic.Si cccnim pona- tur,Simplcx magisfcntiri,quam mixtum , &c efficaciorcm fcniionc imbccil- liorcm obfcurarc,rcftcfcquitur,maiusfcniilc,non ira cxatcc mixtum, vtiim- plcx comprehcndi.Quanuis cnim commiftum,(ic co debilins,femperramen ab mibecilliori cfficaciusnonrtih.il impediri poceft . Rcfte iccm exiifdcm il- lud alccrum fcquicur: Si,quz fentiri mixta debcncarquali efficacia fint fcnfui afficiendo,forevt neutrum ferttiatur,c6m ambo zqualem repulfam vclz- qualc impedimcncum mutu6 paciantur, quominus percipiqucant : cum pr.rfcrcim in huiufccmodi mixco moucntia minus (implicia fcn tiacur , quam x.iiii. l4 3 D E ORGANIS SENSVVM, in fupcriori : quo fi c , vt aut nullu talis mixti fcnfum cfle diccndu fit, aut li aJi- qucm,illumccrtc non alterius componcntis,(ed canquamvnum quiddam ccrciu cx vcriufquc componccis nacura proficifccs,quod fane in omnibus qux commifccncur,perfpicuumcft.Vcrumcxpcndamusnonnullacontcxcusvcr baC*^ 4 ^ j*wX*f )Non dacur ccmpus indiuiduum, qucmadmodum nc- quc mocus,cuius ccmpus mcnfura infcparabiliscft, indiuiduus datur.Hxccr quartophylico.conftanc:pcr indiuiduum camcn ccmpus id intclligitjquod ita diuidincqucat, vt vnafcnfioin hocfui momcnto lcu (quod folum ccmporis accipi potcft)altcra in alccro ficri dici qucat.(fcTi*).Confulacur Bo- cciusvoI.prionMuf. cap. x x.quinarracMuficamqux cxcicharx neruiscf- ficinir vlque ad cempora Orphei limplicem fuiffc, adc6 vt quatuor ncruis co- ca conftarct, cuius ^T^ot/iowMcrcurius fuic inucncor.Quincam dcindc chor- dam Chorcbum Athyn Lydorum rcgem adiunxiilc . Mox fcxtam Hyagin Phrvgium,lcptimam cadcm ad fcpccm planccarum fimditudincm addkulfe TerpandumLcfbium.In hoci^f^qu^grauiiTimachorda&i fuprcmacrac wWrt vocaca eft ,quali nuxima&' honoraniTima:qux vcro infcnor^quafi'** T,idcftacucifiimanouiinma&:infima.Inccrccdcbancalixquinquc& poftJ- muiiu, quidcm ^r^^^-^/^t^^^^^^^^^^Enumcrit dcinccps boetius aliainftrumcntorum gtncra abaliis rcpcrtaj^^V^svtaLichaoncSamio, Mn^oVwaProphraftoPeriocc^wx^P^^^H 0 "^'? 0 Colophonio,i^ aei:t, doceamur,Conrraria omnianeccflaiicr, vcl cflc in codcm generc,vcl in contrariis gcneribus,vel ipfamcc gcncra,ergo non ncceflario in eodcm gcncrc:Rcfpondco, Ariftotclcm ibilatiiis vocabulfi contrariiaccipcre quam vcra contraticcas cxigatiquod ctiam fccit primo phyfico. contextu quinquagcfimo. (Neccxalbo &acuto vnumquid effici potcftnilipcr accidcns.) Namfi vnumquidpcrfccxdiucrlis lftis obic&is cfficcretur,vna ficrctmotio, vnius (iquidcm mobilis,motio vna,cx quinto phyfico. trigcfimoquarto: fcntiocrgo vna,vnufquc fcnfus fcntiens crit:cx quoablurdumfequitur:Nimirumforc vt vnus fcnfus obieda aliorum icn^ fuum propria , pcr fc fcntiat.Pcr accidcns autem vnum illudeft , cuius gratia Ariftotclcs Vctcrcs in pcrturbationcm incidiflcnarrat,primo phylicorum contextu vigclimo:quo modo ncmpe album & philofophum,quorum eflcn- tia &: ratio diucrfa cft , vnum quid &: idcm funt , quando Socraccs albus cft idcmquephilofophus.Aliahuius vocabuliflgnificata y qui vult,inquintoMc- taphyficorumlcgat. t^ri iid AAcr aua fvoTr aie&oifc dr n rn/uid ai&no~fi,t5r uia af&ntric,oTor o%t&' Xj @af*&.fJut}^oiybalfJUL n xlmaic t^ fjuac avrn avrncji to7r fvdirjoTort^tctc lydxonc. rn fjua ^ afJLa Svoir ovx tV ai&drttd-af, dr /u fJUX&ji.To yb f^yfxa^ \r /SovAtTa/ I?).2>i/ q ircc fila af&iiCic. n /ata dita dvm,ti? xpoovarn aj&nV, xjf} ra %oc wwnp*& otiWc JCtAvra* trvvoftct, oht mt *y&9n ro?*vnb } ovran; ti ctyc to A^xoV.c wtw to /aiAar, ovo'r. ioo Praeterea,magis valer anima,dtto fenfilia ad eundem fcnfum pern- nenna fimul fenure,vt acutum & grauc.Magis cmm fimul motus vnius ipfc ipfius,quam duorun^veluti afpedus & auduus. Vnico autcm fcn- fu fimul duo fcntire non licet , mficommifta fuermt. Miftio nanquc v- num clTc vult , vniusautem vnus fenftis eft, & vnus iimul fibi lpfi. Ita- quc neceiTc eft , vt mifta fimul fentijt anima , quoniam vno fenfu actu tentit,ctim vmus numerojcnfus aftu vnus fit:at vnius fpccie, vnus fcn- fuspoteftatc.Etiiquidemvnus acWueritlenlus, vnum llla eflc dicet* Quarc ncceiTe eft vt llla mifceantur: qua* cum mifta non fuerint , fenfus aftuduo crunt.Vcrtin fccundum vnampoteftatcnvempufqueindiui- duum,vnus aclus eft neceflano. Quandoquidcm vnius poteftatis vno- tcmporc vfus vnus,motufque vnus cft , vna cft autcm poteftas: non igi- turduofimulfcntiendo percipi vnico fenfu queunt.Quod fifiert.non poreft,vt qtia: fub eunrlem fenfum cadunt, ii duo fuerint,fimul ientian- runcertc qux fub duobus fcnfibus funt,multo minus fcinire continger, ytalbum & dulce.Amnuenim,nulloalio,idquod vnum numerocft, quamquia fimuhqnod autcmvnum fpccie cft,fenfu difccrnentc, & mododiiudicar. Quod ldcirco dico,propterea quod fortafle album & nigrtimquafuntfpeciediuerfa fcnfusdiicernitatque etiamdulce & a- C marum , ldem inquam ipfe , ab illo aut em diuerfus : veriim vrrumque iftmfmodi contrariorummododiucrfo diiudicat,qucmad:rodum ea qua: funt iibi ipfls cogn.ua eadcm ratione:vt veluti Guftus duke,ita vi- fusalbum;& vthic nigrum,fic illeamarum. Idcmprobatfccunda rationca loco Topicofufnpta, inhuricmoduimSi cui magis vidc tur inciTc aliquid,no incft,crgo ncque cui minus,intrir. Arquf magis vidctur Animali hoc ifielfc,vt plura lcfiliaciufdem gcneris vnicofco- fuiimul codeinquc tcmporc pcrcipiat ,quam vtpluribusfcnfibusdiucrf.>. quod tamc cinon incft,crgo ncquchoc.Maiorcpcr fe nota,Affumptio quod ad uriorem partcm probatur:quia quanto magis motus lunt diucrli.tantumi D nusvidentureidcm facultati polfc Umul tribui. Atduo motus quibus ani- mafcntit fimul diucrfafcnuliaduobus fcn oppofirorumfpcciesdiuerf{:qu6dil- lacxtrcmorum ciufdcm gencris mucu6 in fcipfa agcntium, propriamqucfor mam &: fpecificum efle obcinencium licthxc ncquaqua: verum refpefltu pcr- fcclionis,aucc6cincti9,concraria,^'^quoqueopponiaffirmamus(fibiipfi cognaca)vcinguftu omniadulcia,in vifu omniaalba, auccconcra:ini)lo o- mniaamara,inhocomnia nigra. In primo phyficorum conr.quadragcfimo nono, ciim dc anciquis loquerecur aic,Concraria quidem quanquam (ine ra- tione omncs Vcccres pofuiffc principia,difTerrc camc incer fc,qu6d alii prio- ra,alii poftcriora accipcrcnt :inco prxtcrea conuenirc quodfua principia UTifwrfw*w^'*f fwmcrcnt. Alitcr quidcm atquc aliter fcricm illam Incer- preccs cxponunr.eo Jcm tamen fcre recidunc omnes , &: huic loco luccm af- fcrunc. 1'r, t U DE ORGANISSENSVVM, E^ti ct a.1 $f cVo-t/v xrnifftit vrarrlanzfttL j & cvarrta or rai* avro) x) drbuu ovx c*) ivarria . l&/u8ft $ 7qv tJjxh^ *} %'j utXatoc %b. na} ir '&c aXXoic oxto buolafCoTor '?$ yyttffi , oifBf) Tqv y/\vxt"r, 01 j %v mtxpHAvJ^ fj.tfx'iy/ufyj'a dua.'/\6yotc ydp tioir amxeifjdfSur^ oTov 1p' 3fyi tsraacfr,*) 7o Jfy? c j v.t cfbc afexrTorjH ouu rfi "trt d/\/\hutr ^ Jfeptpa rd ovroi%uc fjSfj Myo/uSfja y ir aAA 3 $/,rV *' t avru *$/jfi(/\&yoi j oTor rb y/\vxv k) rb Xjjx6r.) xa/\ol arv^ot-^a^fifi q irtpx.rb yXvxl/ 3 th~ u't/\arQ' >  & Jfaptpei, m th \d/XH . h"r/ dv nrfot dua irS typtTo adrd ai&drt&nf f ti rd rqf 'j\jci ravfc.\ eSc rt ti uii^fjj^L^oCSi ixfir*. Adha:c ficontrarioru motus torrarii funt,fimul autcm cotraria ineo- de & indiuiduo,inc ih non valent: & fubfenfum vnu contraria cadut,vc dulce & amaru>hxc vtique (imul fenriri non potcrunt: fimiliter aurem perfpicuu eft,quod neq ; eaqua? non concraria:quippe qux parcim adal- bu,parcim ad nigrum referatur. Caeterorum ecia ratio eadc eft,na (aportl fpccies partidulci, partiamaro cribuucur.Sednec mixcafimulferiucur(in rationibus naque func oppofitoru.veluti Diapafo,& Diapete)nifi vt vnu fentiatur. Atqui hoc modo vna fit proportio extremorum,alitcr autc no. Eritenimfimulha?cquideproportiomultiadpaucu,vclimp3ris ad pa- rem: illa vero pauci ad muliu,vcl parisad iinpar. Si icaquc plus a fc inuice cliftancdirTeruncque illa, qua: cognacaquiacm fibi ipfis func, gencre u- me dirTerentia^quam quaceiufdcm generis :(vcrbi gracia,dulce & album cognaca &gcnerc difcreparia voco ) dulce aure plus etia fpecie differc a ni gro quam ab albo:profed6 mulro minus adhuc ifta fimul fetiri accidec* quam quac genere cadem.Quare fi non ha:c,ergo ncquc illa. DcJucicur fcrc cx fupcrioribus hzc tcrtia ratio,lcu vt rcftius dicam,ad fu- pcriorcm rationcm pertinct.Hic crgo oftcndit, cudcm fcnfum plura propria lcnlilia iimul no poilc fentirc:vt indc tutius colligat quod in fupcriori,in huc modum, Contraria limul in codcm cflc ncqucunt , mocioncs fcnfilium duo- rum fpccic dirfcrcncium eiufdcm fenfus funt concrarix,ergo,&c. Propoficio non vno in loco apud Ariftocclcm & Aucrrocm lcgicur. Allumptio probatur quiaconcrariorum,concrarizfunc mocioncs,vccx quincodc Pby.aufcul. cli- cicur.Scniilia vcroduo ciufdcmfcnfuscontrariafunt, quod probac Arifto- tclcs,quiavelfuntcxtrcmafub codcm gcncrc, vtalbum&nigrum: vclme- duinccrcxcrcma.Sicxcrema,crgovcrcconcraria,cx dccimo mctaphy. 13.fi mcdiafContrariorumiccmrationcm obtinent,quatenus vni cxtrcmo com- parata,altcrius viccmgerunt.hxc copiotius fupcrius dcclarauimus . Imo ad- dit y ncquc ipla mcdia fcu mixta fcndlia (imul pcrcipi , rationcm naque c6tra- riorumobtipcnccomponcntia > vcalbum& nigrum ;n c.uult o ^/i- ^ j;k wti in mu(icisSymphoniis.A  u/h^iV- vocari , diucqa quar cxcontrana icnc accipiuntur, quam qux cxcadcm. O a 3 \tynJi'rn>tc r$S or cp3*ra/,it tSt^o, g 3S a r cpa/w T/t; jyt/ nto  ToxfiV afta o^a' ^ ' Jw**r tr ti , 6't/ 0/ u$g,v "Xfotot /\ar$dmon . S St/S oJx aAiiS^f, oi^' ircTt^iTa/ ^pcrw ]?) dtalebifoi oiSttajti^ Aar- 3aW,a'AAa zs-arT.-f ere/^tTa/ ai&drt&af.et 5$ ct ai/rca Quodaucem nonnulli de Symphoniis affirmant, fonos nempc non fimul peruenire , videri autem , & latere nos , fi quando tempus lnfen- file fucrit, re&ene affirmatur, vcl non? Nam luxta hoc aliquis for- t.\lTc dicet : idcirco exiftimari, aliquid vnum fimul cerni &: audin, C quoniam inrer media tempora late.int.An hoc minime verum- neque ef (e potcft tempus infenfilc v uic lacere:fed omne fetiri valet. Etcnim fi cum aliquisauc fe.uit altcrum fentit ,in concinuo tempore, non contingic tunclarereqiiodeft.cftautemaliquisin continuo tempore, & tantus,  qu.mtus (Miviino lnfcniilis eft: patetquod tunclatere potent feipfum,fi. fir,&fi videar.Praeterca & nonfencic&fentic. Antcaquam Philofophus,oftcndatquomodofimul,ideft,vno eodcmque tcmporc pcrcipi fcnticndo plura po/fint,rcfponfum quorunda gencratim ad vtramquc quciiti partcm attincns,aficrr,qui in harmonicis fonis declarabac quid nobis in pcrccptione icnlilium crcdendum cfle ccnfcbant. Occaiio hu- ius refponli m tcrfercndi fuic , non vt illius confutatione viam fibi ad veritatc D ftatucndam,fupcrioraque argumcnta rcfcllcnda munirct (quod quibufdam placct)fed vt obicer crrauquorundam morcfuo,dctegcret.Summaautcm refponiionisiftoru crac:Rcucraficrinon poiTcvtnon niii feparatim plurafc- iilu peTcipiamus,quemadmoductiamharmonicosfonospcrcipimus:obmi- nutiflima tamen tcmporum momcnta,quibus inccrualla pcrceptionum dif- cluducur,idnobis videri,quodvercnon eft,ncmpcquoa limul plura fcntia- mus.Priorcmrefponfionispartem,fupcriora argumcnra probant .Poftcrio- rem lac ic ftabilirc opinancur,(i confugiancad ccmpus il)ud,id cft , iwfi*7i y^ 1 * (vt loquuntur Grarci)confugiant,quod minimumfit atquc ita momcntancu, vcfucccifio omnis,omncquc motionum intcruallum,fcn(umlaccac. Kcfu- tac Arift.hancrcfpon(ionem,oftendcnsfierinon poifi:,vc huiufmodi tcpus minimu,noslateat:cumcnimhocconftitucru(vc ait Alcx.jfcquccur fcnfio- ncs mulcoru fcniihu:non ea ccrcc racionc fimul anobis pcrcipi qua vidcacur. i$* DEORGANIS SET^SVVM, Rcfucacio auccm non fimplcx cft.Prior ica habct , Ille qui fcncit, in quantali- bcc,vcl cciam minucillima ccmporis parcicula,fcfcncirc,acquc in illo^T cfTc, pcrcipic:crgoquancunqucccmporis cxiguampartcm fencic.AfTumpciofumi tur cx lcc. dc an. contcxtu 136. Nam cum vidcmus,audimus,olfacirnus, fcn- fu cognofcimus nos vidcrc,audire,olfacere:ergo in quantocunque cemporis momccofcnciamus,fcmpcrfencircnos,cognofcimus.Etcnimfecus,falfaef- fcr propofitio in fecudo de anima po(ica,quod vniucrfim vcra non cflct.Con- fcquucio patec:fiquidcm fi fcnfus fenriedo fcntircfc percipic,cognofcic quo- quc fc "7^ in ccmporc fcncirercrgo quanculumuisrcmpufculum pcrcipicc, nullumquc ipfumfallcc. Vcrbapoftrcmx conrcxcus parcis,quxfubobfcura funcligillacim ica cxplicencur.(Ecenim (i cum aliquis fcncic fcipfum aut alcc- rum clle,in concinuo cemporc).Id cft,cum aliquis cft,co tcmporc quo cft,fci- plum cfTe fentit ,vcl alium.(Non cocingic tunc latcrc quod cft).ld cft,fieri n5 poteft quin cognofcat fc fctirc cifc fc,vcl alium. ( Eft aute aliquis in continuo tcmpore,&: tancus quatus omnino infcnfilis cft). Hoc eft , opmaris autem cu, d.uiccmpufculuinilloccporc counuoquodfcnfum fugiac (Patccquodcunc laccri poccric fcipfum,fi fic,8 ii videac.Prxrcrca non Ycncicfc fcncic). Id cft.fc- quccur aliquoddari momcncum, in quo quifpiam feipfum laccac , fibiquefic abfcondicus,quod cft abfurdum i quandoquidcm nullus cft , qui co ccmporc quo cft,non fcnciac fc cxiftcre,&: co rcmporc quo aliu ccrnic fc illum ccrncrc non fcnciacidcmquc prxccrca crit hoc modo diccrc.acquc aliirmare , alique non fcncicdo fcncirc-.quo nihil abfurdius audiri porcft. Alcx. & Thomas lucc huic argumccacionialiqua afrcrunc,cum doccncTcpus pcrfc non fcntiri,fed pcraccidens,rationefcilicct rcrumqu^moucntuc&pcrfcintcporcfcntiun- cur: dicimus nanquc viiioncm, putalongam , quia longa fpccicrum vifilium fucccdetium pcrccptio fic.Quocircacum quifpiam fc ciTe,aur fc fentirc , pcr- cipicfcncit quoquc tcmpus in quo ipfc eft,&: in quo actionem fuam cdit.Du- bicatur hic ab omnibus , an fcnfus fuam opcrationcm cognofcac: pro qua du- biracione,mulca a Philoponb,Simplicio,Thoma,aliifquc Lacmis aifcrri folcr. MihifaneThcmiftiifcnccntiain fcc. dcan.cap.8.& Alcxandrimca.dcfenfu Communi,valdc arridct:Scnfum ncmpc Communemcllcqui fun&ioncso- mniumfcnfuumcxteriorumcognofcit.Quxquidcm cx Arift. dcfumpcacft inlib. dc iomno -S vig.cap.fecundo,vbi hoc ipfoargumencofcnfumcomu- neminanimaliafttuic,ncmpc,qu6Jvifusnonvidcacfc vidcrc,ncquc audi* cusaudiacfcaudirc,fcdfaculcasquxdam communisadfit, qua animal fcvi- dcrc & audirc fcnciacquam fcnfum communem vocacum eife dicic . Harc i- ca plana func incclligcnci quid fcrtfus coramunis ab cxccriori difFcrac , quid i- ccm vcriufquc proprium ficprxccrca quid vccrquc in hominc incclli gcndi vi prardirovalcacvcnullusampliusdubicacionilocus fupcrfic,fic nilhuic Ari- ftocclisargumcncacionircpugnans(quodcamcn aliqui nobis obiiciunc ) ua iencicndoarteracur:quinim6hxcfolavia ficqua Simpliciuma fcipfoalicu- bihac in redifccdencc,ad fcipfum rcduccrc valcamus .Sed confulancur The miftii,& Alexandrivcrba,quxmulcis quidcm in locis,fcd in cicacis pociffi- mum lcguncur.Nobis cnim hxc in prxfcnciafac funco:quiillainlibcllo dc iomno&c vigilia pluribus fimus, Dominofaucnce,profcquucuri. L*ti ou*. ar 61 n ovrt Xfiotoe ovrt Grpxfu.% o'vS\t t tu&slttraiJ ct  awpTZu; yUZ opa bxlu,, ori %J[ ) avrHe cV r'mque tcrrani fcntire . Eadem autem ratio in A.C.cMmpercnimin aliCjuahuius temporis parte,& ahquid Inuus,totumautem fcntire non hcet.Omniaigitur fentin valenr,fed non apparcnt quanta funt. SoKs eni-n m;*r n itucb videtur , 6c qmtuor cubitorum a longinquo:at quama eft non a pP arcT,Quin plerunque m- diuiduum apparer,ccrnit tamen non indiuiduni.Huius caufafupcrius a nobis expolita cft.Qu6d igitur nullum fitinfenGlc tcmpus.ex his pcr- fpicuum cft. Aliarationc idcm rcfuracqux huiufmodi fcre eft 4 Si dacur v:mpus infcn - (ilc.autmagnitudoinfcniilis, (hxcnanquc feinuiceraconfcquui^uf.cun^ t 5 pus fit mcnlura motus^mo^tcftcSimplicio^idcm rationc quod mocu;,m otus vcr6nullus,prxtcrmagnicudinem)confequctur,nullum nunqtiamnos ot {i continuum tcmpus,aucmagnicudine cocam pcrccpcuros,nili caccnus,qut- tenusparccm aliquam^idcftjilliusceporistilliurquemagnirudinispcrcipim 9 - Sic cnimagnicudo A.C.B.Sumacur huius magnicudims infciilis pars,puca C. B.hacablaca,parsfcniihsmanec,ncmpe A.C.crgoquis hanc fcniilcm parce tancumodo vidcns,cocam femagnicudinem ccrncre atfirmare poccric.Coipi cicns icaqucquisTcrrxparccm,cocam feTcrramconfpiccrcdiccc&ambu bulans auc lcgcns horam diei,cotum fc annum auc dicm ambulaifc, fcu lcgil- fc.Eademratiocftde partcqu^feniilisponicurjnimirumA.C.iiquidcm illius pars aliqua infcnillis eric:quo fiec,vc de ea quoquc fic idem concludcndu, nc- pc idcirco fcciri quia ipilus aliquid fcntiacur,acquc id coufquc,dum fatcn co- gamur,aliqiiidcilequodfenriacur quia infcnfilc tic:quod abfurdum cifccx prioris & iecundx quxftionis decerminacionc liquec. Colligcndum cft cc- go cocum racionc quidem, qua cocum quoddam cft,&: ccrto iimul colk- y.iii. M 8 DE ORGANIS SENSVVM, ftarum partium numcro aggrcgatum fenlilc dici , non quia aiiquid totius fentiatur,qiumm6(vt Alcxandcrmonct)nifi hoccflctid nobisdccflct, quo primo&pcr fcfcntimus,ncmpctotum ipfum,cumrationc tantum totius, partes pcrcipiamus. prxterca nil vnquam dc toto vcrc affirmarc licebit,cum quiduis illi rationc partis, non quiatotum conucnirct. Id tamen vcrum cft, Totu non fempcr pcrcipi quantum fit : vt fol qui no tanta magnitudinc a no- bis confpicitur,quantaprxdituscft,aliaquc huiufmodi tanquam indiuidua apparent,quxtamcn magnitudinem (uxquantitatis multograndiorcm ha- bcnt, ncquc indiuidua fint : quinimo talia ccrni minimc poflunt , vt fupcrius demonftrauimus, cum diximus , id quod vidctur , non cflc indiuiduum , vcl darimagnitudinem attu inuililcm,poteftatc vcionequaquam. Aliudcrgo cftTotumfentiri,quiailliusparstantumaliquafcntiatur: ahud totum qua rationctotumeft,comprehcndi, ccrtamtamcn quantitatis illius magnitu- dincm , ncquaquam fentiri. Particula (M**0 inconcluhonc pofita, cum nempe ait , X"rm # fr ~*> , hmphcitcr ita cxponcnda cft , Omnia ita- que lubfiftcntia,fcnfilia funt,fcd ea quanta fint,non (cmpcr pcrcipiutur.Lau- darcm tamcn aliorum cxplicationcmrqux cft,vt pcr particulam iftiufmo- di totum quoad fignificat fimul omncs partcs, hgnificetur , hcubi tamcn altcrum mihi locum , in Ariftotclc proponcrcnt , in quo particula ifta , ad i- dcm cxprimendum vfurparctur. Hic illud in quxftioncm cadcrc lolct , nem- pcanTempusinfenliledcrur : Quod vidctur conccdcndum , cum h fccc- Jurhora, eoufquc fcdione progrcdtliccat, dumadmimmum fenuledeuc- niamus- quod ii itcm diftribuatur,ccrtun. cft illius partcs in(t ndlcs forc,cum ipfum minimum fcnfilc fit.Omitto hic qux Hcnricus Gand. in (uis quodl . &: Scot.in i.fcnt. dift . i. dc Indiuifibili lojuuti lunt.qux itcm aln dixcrunt,nem- pc, tempusinfcn(ilcdariquidem,pontamenmagnum,(iuxtaquamdiccndi rationcm Anftotclcm cxcufanr.qui fuperius id pro abfurdo& taho aducrfus Vctcrcs,dumagcbantdcoriu'olorumadduxit) Dicamcgopaucis.Tempus infualatitudincacccptum,Jfccundum omncs (ui pnrtcs,continuam cflc quantitatcm:Cuius tamc- id quod a&ri exiftit,& accipi potcft cft ipfum tan- tum * r^quo ctiam fiN,tcmpus intelligi non poflct.Dicit autcm r.ru^ tcpus prxfcns,(prctereo n n q uc dhid -rWxtcrnitatis dc quoSimpl.m tcrtiode ani. cont. ij.W cft nc^us mturi cum prxtcrito. Hoc momcntum (cu inftans indi- uifibilc c ft,vHtcndicur quarto phy. cont.16.17A: 18. Indiuifibilc autcm fcn- fu pcrcipi pcquit, crgo concedit Ariftot. aliquod infcniilc tcmpus. Et quauis ri rittTnc^ " r propric tempus ' y ncc pars tcmpons.cum indiuilibilc (ir.tcpus vc- ro continuum, (quod ccrte ex ipfis mdiuiduis atquc  ru*~ cx quinto phy. cot. f^.componi ncquit)dic itur tamcn tcmpus quia terminus partium tcm poris, veluti punftus partium lincarum cft:cft nanquc Momctum idcm,initium fu- turi, & finis prxteriti,cum tamcn ipfum rc&: fccundum fc (it indiuiduu :nam fccus eflet darc tcrminum tcrmini,pnufquc&: poftcrius lllius. Quarc fimph- citcr concludamus, Tcmpus confidcrari duplicitcr poflc , vcl vt mcniura cft motus , qucm confcquitun qua rationc momentum non erit tcmpus : vcl rcmota fucceflionis confidcrationc, vt id in quo rcs potiflimum cfriciurur, &: quod prxcipue habcmus , quo certc modo p*4 vxx nrTiot^trortpot tfSt^trafdfjut trteiovvr al~ vSnivt&afji oox tvSf^trafJo f>u5v fjSf/ ouv.ap' &c/ t ti t%tf*f iux/uty, trtpc* j  ^J%iic cu&dri&^ , ^ otruc droueo oc taravti bvri traui^rf^ oricfrotfJfj7& k* rnvfxixv eti&ittrir ohv Ar/a> b*-\ir.ei t$ra* A- A etitQ-xtopSfJn a AA x^fxar&^teiaf rt utpn x) ei /u8p j-Awti^- ,a M 3 A^wT al&dtiraf r) -jV^i fMpM , ifa 2T ok Tovtw ir iSbrjk ov% w. AAa drdyt* "ir.tv ydp rt 1p alclrvtrixor &2i ntp&.rir' ouZ aiuiro aj >oCS\ryb 6* 7s>lrw 'wjdrdyrm dpa tr rt ^Aj%ris,Avw/ fcfr,*? AM 'S^A- A* .** y% ju yjvptra fgr   iccm agctcm cucaiimul cognofccre di- cimus. Illc naquc fcipfum folumodo inrelligens,cun&aincclligic: hxc cciam, quanuis infinicc dcbilius impcrfcdiufqi reipe&u Dci,qliatcn 9 camcn feipfara per propriam ellcntiam intelligit ,cxccra pcrfct>ionc&: craincncia quada co- gnofcic, quacenus in fui cflcnciaconcinencur. Scd abftrufiora func hxc,& ad certiumdcaniraa pcrtincnc. Quarcum Thcoremafit, Mcntcm noftram -uui plura iimul apprchcndcrc non poflc. Pro qua re iciendu,nomcn Mcntis duo- busmodis vfurpari,vcl jppriepro eaanimxpartcquxNrdicitur,& circafim- pli cia vcrfatur: vcl impropric pro Ratione,i. irri n a>m/. n in pura & fimplici contcmplationeconfiftit,vt Arift.tcftatur,ide6qucfimul duo^a fpccu- Jari ncquit. Multoqi minus Ratio quxin tcrapore intclligic,mulca fimul non pcrcipic,nifi forcafle vc vnum. Sed contra quis cxcipict, cx Arift. primo poft. cap. i. E'*)fcwTOwiw.M*3tf J?i,idcft,vtLuiconicnfis&Thomas cxplica- runt, Aflumpcio in Dcmoftracionefiraul eodcmque cempore cum coplexio- ne cognofcicur. Rcfpondco,incerprecacioncra iftara abfolucc fumptam,fal- fiflimamc(lc:quxcnimdiftincafunc,diftin6toquoquc tcmporc pcrcipiun- tur: quanuis vcra Philofophi fcntcntiafic,cum poft nocicia vnius,ftacim quo* qucalccrucognofcacur. Ad Argumcntaigitur fuperiora,diccndum, fcnium corarauncm iimul plura caperc, non camen vc vnus fcd vc plura, quod menci 1*4 D E ORGANIS SENSVVM, non accidic, qux abfolucc indiuidua cft,nec quod conucnit faculcaci inferiori impcrrcciionisSidiuilibilitatisrationc,vtvi('uiin oculo&fcnfui comuni in corde,id fuperiori cribucndum cft. Ad aliud,rcfpodeo,cum duo qua inuiccm conucniunt,aut qua difcrcpant confiderancur,vnius viccm gcrcrc , &: fub ra- tionc vnius cognofci-.iimilicudonanq; duorum & diflimilicudo , vnum quod- dam cft. AucrroifccundoThcoremmatciamrcfponfumcft. Sedaliquisad- hucnodusreftatcxpcdicndus. Nam Ariftot.ini.deanim cont.i47,& 148. id ipfum vidctur reiicere quod hic airerit,atquc concludit,fcnfum ncmpc com- muncm fimul conti arris affici,duobufq; contrariis motionibus fimul moueri poiTe. Quicquid Alcxandcr in 3 . q. nat cap. pcculiari ,&: in hifcc ctiam com- mentarus dc duplici fcnlionis modo affcrar, (ncque cnim fingula ad rcm hac fpedtantia nunc perpcndenda funt) folus Thomas viam nobis ad nodum huc folucndum duplici viaaperuit. Et primam quidcm iam fupcrius attingimus. Altcra cft: Vim fcnticndi, quatcnus cognoiccns cft, vnam &: phircs fanedici polfc, nontamcn quatcn* recipics. Hinc Alcxadcrinterfcncirc&: pacidifcri- me aJicubi poncre videtur.pati naq; cft ipia reccptioquar in organo cflici tur, fentirc vero,cognofcerecft.Vndc Animaquatcnuscadccognofcit plurafcn filiaad fc tanqua ad ccntru a fcnfibus cxternjs dclata,vna cft:plurcsvcro,qua- tcnus plunbus atq; diucrfis ipfis fcniilibus coparatur , quar no vna rationc fcd multiplicicognofcit,vtalbu, nigru,dulcc. Noncrgoinanimaquacognofccs cft,contraria rccipi abfurdu cft,icd qua patics:quo ccrte modo contraria non rccipic.nifi fpiritualitcr.Ita(ni fa!lor)interprctat i quoq j potcrit mesAlcxadri, qui alibi in cadcm parte pupilJx album & nigtum recipi affirmat : ocul 9 cnim ii quatcnus anima praiditus cft c6fidcretur, ead in partc albu m & nigru rcci- pcrc dici potcft,quia illa rcceptio cognitio eft.Poftrcmo, nc fundamcntu cui innititur Ariftotclica folutio labafccrc vidcaturquaircduin cft, An iftccomu- nis icdis dctur:quod quidc clariilimi aliquot in Philofophia viri negare aliqu3 do funt aufi.His ncmpe rationibus potiftimum addufti,quod fcnfus comunis muncre,tam phantafia quam opinio fungatur,&:qu6d ipfo poliro fupcruaca- nci alii fcnfus cxrcrni cifc vidcrcntur. Illud quoquc in quarftionc cadit, an vn* fit iftc comunis fcnfus,vt affirmarc vidctur Arift. Qvarrcndi occafio cft, Qu2- doquidcm fi dcTadus vnltatcdubitatur, quia difcrimina multotu fcnfilium cognofcit,puta calidum,frigidu,humidu,ficcum,afpctu,&: lcne.quato magis dc fcnfu comuni id in dubiu rcuocari oportct, qui omniu fcnfuu, fenfilia om- nia pcrcipit? Ad primam, Rcfpondeo paucis , Ncceffitatcm reru non aliunde quam a fine fumi oponcrc: id fccundus dc phy.aufc.&: dc part.aiV- ( vt multos alios locos omittam)docct.Eft autc flnis in rcbus phyficis,opcratio:ab opera- tionc igitur comunis fcnfus,illius ncceflitas fumeda eft. Hacc vero cft , cogno- fccrc difcnmina omnium fenfiliu, cum fimul,tum vero feparacim, illaq; mdi- care. Hoccertemunusalioquin nccciTarJum,nonnifiabipfopoteft cxplcri, Qupd itadeclaro. Primum Ratioidnon potuit,quia vt Alcxandcraitin cap. de fenfu com. Vniuerfc & vniucrfalia comprchendit, n8 fingularia: Phantafia item,dererum fcnfilium ctiam abfentium imaginib*cogitat,quasIvlemoria in fe infculptas rcrinuitrfcnfus vcr6 communis difcrimina illa tantu pcrcipic &: iudicat,dum res ipfar obicde. adfunt.Nequc igitur Ratio,ncquc Phantafia, ncque Mcmoria (quanuis hst duar poftrcmar A nimar vires reipfa inuiccm &: i fcnlucommuninodifcrcpent)id munus excquipofTunt. Multoq;ctia minus opinio,qus(fi Philoponum audire vclimus)imprimis vniuerfalc quod in fcn- fu eft comprchcndit, vtputa, oroncm colorem album,vifum difgregare:Mox conclufioncsa facultatc ratiocinatc dcdudtas colligitjabfquecamcn difcurfu & caufa EX 1*1 BVS. i6 5 &caufa, puta, Animamnon eflcmorriobnoxiam. Opinioobtincc, poftqua Raciocinadi vishoc modoidinduxcric,Animacx fc ipfamoueturquod cx fc- ipfo mouccur,fcmpcrmouccur:quodfempermouccur,cft immorcalc.Quare exhis pcrfpicicur opinioms non cfle , id przftarc quod propofuimus. Diccrc auccm vnum alique cxcxtcrnisfcnlibuscimuncncfhcicndoidoncumc/Ic, abfurdiflimutore:cumncqucvifus(quod dc vno,iccmdcaIiisdico;pr^tci fua propria&peculianaobicclaahoiumquodpiam iudicccauccognofcacnccjuc propriecciam fuacognoiccrc(vcThcmiftiusaic)fcd acciperedicacur, vcrc ii- quidcmcognofcicqui incrinlecusknfuscft^ad qucm llla &alia dcfcruntur. Vndc cx his colligicur,(cnium toinuncm ncccflariu ciTc. Extcrnos vcro fcn- fusnon fupcruacancos.Hac quaricionc ica ad exicum perduda,ad aliam accc- dp, hocquidcminprxfcntiaarrirmans: Noncam dubitari dcvnitate lcnfus Taclus,quamdciiliusorgano,cjuodcarnc&icor cilcftatuicArift.quaui scaro g cotdisrefpcdu,mcdhpotiusracioncobtincat.Scdnon.cqucc6ucnic in (en- fucommunidubicandiraciojcuius vnicum jtfthctcrium cft , ncmpc cor,in quocanquamin Rcgiamancus,caiudicatatq;cognofcit,quaridcmrccipcrc dicicurquatenuspropriis quibufdam organis ad obicclacxcerna fcnticdav- tcns, Vifus, Auditus,Tactus,Olf.u"tusappcllaci0ticm habcc. C?ri p 7s eu&nrcv ttdr Zfr f*iy&r y t tdx i j.bpdraf uror oSw bparaj3gv& T r) drdyxn d ktiptfgr tf) tf cV fjSfj rtjSi^artxtaa^ olx cVcT /fcTty ai&dri>\ or&c.t j rdt rdf t^drdyxn aiSdn&af.tt C 3j c/in t/ dc/ltxiptjfir a/  naturam &c accidcntia animalis * z.ui. A7o DE MEMORIA, mucariac proindcin vnomagisquam inahopcrfc&am,inhominc camcn ob coniunctionem inccllcccus pcrfeciiflima rcpcriri. Czccrum diuiditur hacc traccacio in duas prarcipuas partcs , in priori de Mcmoria agicur ,in. altcra dc Rcminifccntia. Dc mcmoria primum quacrit quid iic : mox ad quam aninut partcm pertincat:Tum qualis proprie fic illiuscncrgm. Poft rcmo, dubicacio- ncs qualdam (vt (olct)ad hanc rcm pcrcincces proponit atquc cnodac. Aliam partcmfuoloco,vtopuscrit,fubdiftribucmus. Nunc illud addidiflc tac cfto, Digniffimam cam c(fe qusc aiiidue lcgacu r , acque in mambus habcatur,quod incaampliffimiilliuschcfaurinacuradcclarccurjin quo(vcSpeufippusnoni-' gnobilis Placonis difcipulus aic) id ipfum rccondicur & conferuacur, quo iolo menshumanapafcicur. Iamigicur Ariftotclcmipfumaudiamus.  rici tic cruca,corporis ccmpcracioncm, accidcncia,habilicaccmque fequutdc) Incorporibus ergo uccioribus&c durioribus,dirficillime imprcflio rcrum ad-' dilcendarum , carundemquc vniocum facultatc ficcatame factadiuciflimc concinccur : cconcra (e rcs habcc in humidioribus , in quibas imprcluo non mulco negocio recipicur,fluxio ramen illius,confcruacioncm prohibecln cx- ccrnisrebus hoc iccmcxpcrimunHuc rcfpcxicPhilofophusinfec.de anima conc.94,cum ait,Mollcs carncs apcos cfle ingenio,duros vcro inepros.Quj et go molliorcsfunt,&: facile recipicntes,obliuionecapi folcncquamuis eadem quoque^v*^** vicelcritatequc,paruo ncgocio rccuperenc quae iamamiic- riht fimulachra.E contra alii : quamuis hoc non Cit pcrpctuo acquc in omni- busobferuarum .Suncenim,qui&: , 4**" \>i atrt&tc,ravrn C $ ourtr^ fttXXM,ovrt t^ fyjoittvov yvapltZoLttvjlxxd ro Jjx,br ort opa t ovS c dv tpatx llv*llov4j(Hv, ovSl ro StapoC/ulfjOv , SwpSv tt) roav, d\Xa ro /u9fj ai&dvt&ai tpntrt t rh S ' ^15-% lio ror.ofe  quoque,id cft,operatio- ncmilliusatcingac. Concexcum in duas principesparces fccarc oportct.In priori propoficum,&: ratio propoficiapcricur. Inaltcra quorum fic Mcmona dcmonllratur.(Imprimisitaquc).Priorpars,qua obic&orum mcmoiia: furu- ra difquifitio narracur.(Sxpe nanquciftud nos decipic).Difquificionis fucurac ratiOjhoclococonucnicns.Quomodoautem nosin rebac aliquando dccipi dicat,dcclararcprartermittuntomncs.Mihi hzcratio cflc videcur,quiaali- quando prejenrium quoquc mcmoria cfle vidcri poiIic:cum ncmpc illa nunc quis (cntit quze alias quoquc fenfiife fc percipiat.Errarc autem ita fe habenti idcirco accidicquia non quando rcm prxfcntc fcntit,tum mcminit, fcd ciim aliquando ldcm fefenfliTccxploratumhabct.Vndecolligitur,rciprxfentis, quatcnuspra:(cniial'unt,noncflcMcmoriam,fed prctcntorum cantum.(E- tcnim ncquc fururum).Secundapars,qua?induasadhucdiuidcnda eft.Pri- Hiaconcincccnumcrationem quandam,exqua fumiturqu6dnam iitmcmo riarobicclum:lccundaidipfumdcducitatqucconcludit. Ad qua? fcicndum cftMcmotixcncrg"am,cumotualiquoc6{iderari:inomnicnim opcratione ab vnoad aliud fic cranficus:Mocus verd omnis in tepore eft, ciim priusfic" po- ftcrius concincac,que. tcmporis dirfercnnae diuid entcs,vclctiam conftitucn- tes dici poflunc.Patccs crgo tcmporis funt prarccricum atquc fucurum , quse vnoatqucindiuiduo tcrmino,nempcMomcntoipfo fimul vniuncur.Quic- quid vcro mouct, ncccflc cft quidcm vc racioncm prxfcncis induac ( praucns nuncincclligoquod Aucrrocsfcxcophy. com.24.compofitum cx pra:cerito & futuro,iuxta vulgi opinionem,appcllabac)non tamcn fcmpcr, vt fecudum refpc&um tcmporis prcfcntis confidcrctur.In hunc igitur modum Aiiftote- les cnumcrando& dcftrucndoargumctatur,Obicdcumquod mcmoriam mo uccvclcft pre > fcns,vclfucurumaut pr^ccncu-.acncucru illoru,crgohocpoftrc mum. Aflumpcio probacur,quiaprc,fcncis fcnfus cft:fucuri opinio& fpes,qua: logeabfunc a nacura Mcmoria:. Addcre cciam poflumus,fcnium ciTc faculta- tcm recipicntem & iudicantcm,Mcmoriam vcro confcruantcm: fcnfum itc conucnirc cun&isanimahbus,Memoriam vcr6ncquaquam:vndc cognofci- mus,non mod6 qualc fic obicftum Mcmoria? , vcriim cciam qualenonlic, quodcft vcluri principium illi oppoficum: idcircoque rcctc ccncndum,cx prxcepro Arift.primo analy.poft. vbi principia Demonftracionis , ica nobis vulccirccognica,vcillisoppofica falfiftimacflc cxiftimemus. ( Ec prxfcnris quidcm).Hicidcmmagisdcducicacquc concludic. De prajfcncibus auccm i 74 DE MEMORIA,  tantum meminit,quia in illis Homincs decipi magis accidic:quod nos antca dcclarauimus.Rcliqua perfpicua (uncHocnaque in fumma voluit . N6 qua- do quis contcmplatur. , aut quando fcntit.puca triangulum hunc habcrc trcs angulos $qualcs duobus reftis,tucanguloruTriaguli meminiflc dicit,fcdcos velfcirelc,vclfcntirc: atcumfcaliquahdoeofdem angulos contemplatum fuiflevclfcnlifrepcrcipictjita vt ienlionem contcmplacionemque prarccrici tcmpbris fccum rcpetat,tu vcrc mcmirtirtc.Scmper cnim qui alicuius rei me- minit*fecuminhunc mcdum quafi loc}uitur,cgo ha?c aliascomprehcndi, hocfcnfi(A;afli,ixW).Habitum fcu facultatcm illamanirmnominat,quae futurum vt futuru eft,fimpliciter c6(idcrat:futurumjinquam^qu6d caufas in- dercrminatas inconftantefquc habcat,ac proindc & ipfa incerta atquc inco- ftans cft,vt cx fcc.pott.analy.ca.vIt.&: fcxto cthic. 4 .liquec. Qua itcm rationc alibiabcodi&umcft,Syllogifmum Dialcfticum non fcicntiamfcd opinio- ncm parcre,&: ab Aucrroc,vt in proc,mioIibri primi poft.analytico: Opinio- ncmicicntia? pnuationem cfle. Ncqucii funt prorfus audicndi, quiputanc hac,cum Syllcgifmo Topico &: Rhctorico acquiratur, ab Ariftorcle propric perfualioncm dici:idcm enim clfc,cum vtraquc cx iifdcm principiis proba- bilibus,n^mpc&: verifinriIibuscommunibufquecfficiatur.Non(unc,inqua, prorfusac (impliciteraudicdi,cum incerprobabilc&:vcrifimile*iccmq;ihtcr Dialccticam Sc Rhcroricam aliquid intcrfit. Omitto in qtioconueniat, (nca propofitonimisdi(cedamus)difcrimcn cantum paucis cxblico. Dialc&ica vcre omniaomnfu fcicntiaru trac\ar,brcuiflima intcrrogatiohe&: refp6(ionc. Summas itcm rcrum coniidcrar, ncc ad indiuidua ferc dcfccndit:Rhctorica vcro quamuis grauioribus atquc altionbus ctiam fcientiis aliqfuando fc vclicimmilccrc,maioti tamcn cx partcin rcbus ciuilibus verfarur,idciroo- quc Propago Dialecticcs &: politicx vocatur ab AriftotcJc : rcs tractat rofe &:copioic,(ingulanaetiam,fortunam,locum,tcmpus, pcrfonamqucfpcttas^ Eftcrgo vcrilimilccxquoperfuaiiocopararurprobabilequoddam rebuSclui libusaccommodatum^c/ingulatia fpctlans,copiofa orationeVeftitum . Ex his conftat non idem omntnoc/fc opinionem &: pcr('uafioricm,quamuis Rhe toricaargumentapleraqUc,ob orationis veftitum fidedignaeuadcrcpoftirirv qua: pcr fe non cflcnt:Fides tamen opinioncm fcmpcr fcquitur , vt ex lecudo de anima,contcxtu ccntcfimo quinquagefimo feptirao,itcm cx fcptimo mc- taphyficorum,contcxtuquinquagcfimotertio,fatisliquet.Ca!tcrumillud tc- nendumcft,vcrcpcrfuadibilc,cflc probabilc:Hinciidem locipracipui Dia- lc&ici acRhctori$:hiricqucctiam illudquod Ariftotelesin tertio Rhetori- f a?,capitc primo, ait,Fihcm nempc Rhccoricardpirtioncm cflc. Sed ad rcm. Futuri, vt monuit iple Thomas,opinio cft , quatenus cdgdofciru r. Spes vert>Jjc ^aAAa rovrur racc fi t$;tc y n y -apo'- rtpor t a\Xa tjT (j$p ep aied-etrtraf. B Eft iracjue Memona neque fenfus neque opinio, fcd horum alcerius 3 aut habitus aut paffio,cum tcmpus elapfum fuent. Ipfius auccui nu nc ln ipfo nunc non eft Memoria,iicutditum eft,prxfens nanque ad fenfum pertinec , futurum ad Ipem , praetericum ad Memonam . Quamobrem Memoria omms cum cempore efricitur.Acque hinc eciam fic , vt ciua: a- nimantia tempons fenfum habenceafola meminiffe valcant , atque ifto quofcnciunc. Ex obic&o Sc cnerg M a memorix fupenus cxpoiitis,dcf.nitione quanda iliius colligit,quam hoc in loco ponit: A bfolu ta deiceps, poft traftandoru cxplica- tionc nobis colligcnda reliqucs,Mox cx huiufmodi dchmtionc quxda vcluti au&aria fumit atq; ^ponit.Sic du^ cont.partcs crur. Dcriuiuoita habct,Mc- C moriacft habitus auc atfccho qucda iiuc fcnfus,fiuc cxillimatioms;cum ncpc lcniioncsatquc aniniocomprchcnfaSimulachracx pixtcrito tcmporercpc timus,aut(li Thcmiftii vcrba fequi malimus)cum tcpus adiungitur,quo facta imprcflio eft,Sc Ipcctrum in anima dcrcli&um.Explodcndi igitur illi iunt,qui non facultatcm Mcmorandi hic dchniriafnrmant,lcd fpc&rum >ulum,quod actum comprchclx aliasrci reprxi'cntat:nullibicnim Mcmorix vocabuluab Aiift.in hac iignificatione vfurpatum oftcndct:prxrcrca , quamuis fpcttrum illud affcctio dici poflir,vt fupcriorc Libro oftcndimus, nunquam tamcn niii admodu impropnc habitus nomcn illi accomodabitur . Dcfinitur crgo Mc moria,id cft,ipicmct habit 9 fcu encrga, qua coprehenfam notitia in animo cotinenms,vt facultatisnaturamagiscluccicat.Au&aria vcro funt.Mcmona _ omnc cum tcporis perccptionc efHci,Ex quo clicit altcru,Hruta nimiru lola, quitcmporisfenfumhabcnt,Mcmoriaprxditaeire:Exhocdcinccps tcrtiu: nepceaiplaanimxpartc Brutamcminillc,quatcpuspcrcipiut.(Eft itaq;Mc moriancq.fcnfus). Exploditta cxteriorcm ieuparticularem,quamcumqui comunis fcnfus nucupatur,vtcrque cnim du res extrinfccuso biccla adcft , &: quatcnuspre/enscft,opcratur.(Ncqucopinio).Hxc futuroru cft,vt diximus, aquibustamcnfutuns non omnino fcientiam iplam explodit Anftotcles. (Sed horum alteriushabitusaut paiIio)Non alio nominc Mcmoriam habitu vocat,quam quoalibifcictiamjintclligcntiam^artcm^rationem^opinioncm prudcntiam^fapientiam^folertiam&iufpicionem.Q^uomodoautemhecca- dcm-** 9j, pcrricientiadicipoftint, liquct ex icc.dc anima contcxtu 57. & 58.&nosalibicopiofiusoftendimus. Quid crgo caufx cft curaiiqui dicant tfi DE MEMORIA, pcr habitu rc conftiJtc fignificari, pcr aftcctionem vcro rcm cit6 tranlcuccm. Dclcribicur hicMcmorix cncrg*, quam conftans aut inconftans fimulachri prxtcriti manfio ianc non con(tituit,vtrunque cnim mcmona cft.QuidrHoc elfct Mcmorix fpccics &: diucrticatcs priusquam illius naturam limplici- tcr aperirc.Qu ccrtc ratio,aMcchodo Ariftocelica cft alicna. Vfus cft autem Anft . particula wni Xp5(,ovty atd %po*.ut l, : int>K.''>ni i )!. Qmbusicapoficis,re&e fequitur Mentem no- ftram non cflc,ob cam caufam intcritui obnoxiam(quod cx Aucrr.obiicieba- A.iiii. z8 4 DE MEMORIA, tuc) cum noticia iingularium non propria rationc ipli cribuarur. Aliud itcm facilc diluitur:nam ii obiccti nominc id omnc coplc&aris , quod a Mcnte co- gnofci poccft | rallum cft quod obiicicur : Ncmpe id cffc folam rci cflcnciam, i.quidicaccnvii vero id folum rcfpicias quod ratione pcopriaMens mcclligic, Qujdicace cilc f accri poflbmus. Hoc vcro mhil noftrx fcncccix rcpugnarc co- ft ac;Qua ctum rationc id tollitur quod alii aducrfus nos Achillcm quendam cirepucarunc.Aiuccnim^adhaciingularisperccpcionem velopcram Mencis cfficientisdeiiderari, vcl non-ex quouishoru polico, abfurda cmanarc: Nam ncqucMenscfficicnsincelligic niii vntucr ) Ic,ncqucvis Mcnciscapacis lacius pacccquam Mcnciscfflciencis. Rcfpondendum , Mcncis vcriuiqucopcracio- ncm xqualcm ciTe, i.non rcpcnri opus aJiquod Mcnci capaci vc Mcns cft , 8C racionciibi jppriacoucnicnSjquodiccm ErBcicnci non c6ueniac,fcu ad quod non cocurracEfHciens. Nonicadc nsopcrationibusdiccdumquxMcntira- cioncalceriuscribuucur.C^idliErVicicncisopusadhoccocurrcrcdicasmon- nc ipfacft que, illuftrat: ijuc fcgrcgat:atqui(ais)vniucric cancu intclligit:faccor vniuerfale fuum proprium obic&um ciIc,quo cxpletunparticulare tamcn ab co attingi,hoc no prohibct:quauis parcicularccognofcere ( quod rcccptione &C potcftatcm dicac)Mcnci tacum capaci cribuacur. Scd outur ftaci dubicacio c crcnonleuior. NamuMcnsiingularia cognofcac: quxritur,quo idordine trxftet. Thomasrcfpondcc, primum vniuerfc incclligi fpccics illasiara illu- ft atas cv fegrcgacas, deindeanimaduercendo vndc fint ipfx fpecies acccptx, finjularia cciam coprxhcndi. Vcrum iiordincm & modum noticiaru noftra- run fpc&emus, rem aliccr fc habcre iudicabim 9 :ordo vero iftx & in poftcrio- ribu*. Analycicisprxfercim ini.ad ftncm,& in Ethicis,alibique icaab Ariftoc. propcnitur:vc Induclioncm qua cx rcbus (ingulis dc vniucrialibus rariocina- mur, onnis cognicionis acquc fcicncix rundamcncum ponac. Auerr. iccm in duodccm mcc. com.u. hacfcntcntiam confirmat. Ec Simplicius qui millics in tcrtio cc anim. docct,Mencem progrcifam , & qux potcftatc cft ad excrc- mamaxinc declinarc adfevcrorcdcuntcm, vniucrfalecognofcere: Poftre- moRacioaccft:iiquidcm vix ac nc vix quidcm imaginacionc fingi poilic,Mcn ccm noftran vniuccfaliacx finguIaribusconficcrc,prius camcn id quod con- fc&umcft,qiamftracumfeu fundamentum, vndcrcs conficicur,incclligc- rc. AccipiunciricaqucprimumaMenccrcrum iingularium formx iingula- rcs, acquc inccliguncur , mox iua lucc illuftrantur, vniucrialcs rcdduntur,ac- quc vniucrfc inclliguncur. Cum camen illud non inficiar , ab eadcm Mcnce alio ocdinc (inguKria incclligi,ncmpe cum iam incclligcnsvniuerfale,ea quo- que (ingularia perciperc dicicur,qux fub Ulo vniuedaJi concinencurPriorcm nociciam iingulariun achi vocemus, poftcriorcm facultacc. Porro ad fccun- dam i qux maior ince- Philofophos lis cft , acccdcrc iam candcm oporccc. Si quis AucrroisvcrbaqixadFcelicicaccmhumanam cxprimcdam perrincnr, prxfcrtim in tcrtio dcai i.com.ia.cV: nono metaph.com. vlt. cxpcndcrc acq; audirc vclit.Beacaruxi mcnrium naturam perfpicuc fc intucri, im6 Dco iimilcm cx Themiftii audnritatc euaderc poilc fperabic. Huc accedic racio. Nam ii Mcns noftra rcs cummaccria concrccas incclJigic , illas a maccria,ma- tcriciq; coditionibus omnib' fegregando : mulco magis illa incclligcrc dcbc- bic,quxfuapccnaturaabomniconcrccionemacericifunchbcraca.Sic oculus noftcr quoniam colorcs comprchendic, 1 i in luminc colloccncur : idcirco Ju- mcn ipfum magis comprehendcrc ccrnicur. Nolumus in prxfcnci dc re liac copiolius diccre: nc camcn in rc canci momenci quis decipiacur,proponcnda cft primum fcnccntia lllaaurca Ariftotclis in fecundo mecaphy .qua ftatutc ocu- ETREMINISCENTIA. z8 5 ocuhimMcntisnoftrxnullo modotantamDiuinarum Metium maieftatcm; A atquc perfpicuitatcm fuftincre poflcxum prarfertim fibi Phantafmatis opus fit,quorum Dcinullumcft,qui fubfcnfum non cadit.Non pofluntitaque ta- tum mcntis humanae vircs cxtolli, ad Dcum cognofccndu,vt ad id afccndat, quodipfccft,fcdqua(idcfcflamult6,im6infinitc,inrraid quod eft fcmpcr fubiidat. Quid?qu6d ncque ctiam fan&is Dei viris purifiimo illo Spiritus fan- ch igne illuftratis , du mtcr has tcrrcnas fordcs crat , tantiim libi polliccri aut arrogarc licuit ? Et Mofcs ipfe qui tam famiharem habuit apud Dcum aditu, tcftatur,fc tantum potuhTe conlcqui vt Dci poftcriora intucretur. Addo etia ncquc Angclos,nequc Bcatos ipfos(quanuis Dcum ipfum,miro atquc nobis incomprehcnfibili modo, pcrfpicuc tamcn intucantur)Deum tamc pcrfc&c id cll omncm iplius clfcntiam comprchcndcrc. Hac de rc Thomas in prima B partc Sum.q.u. art.y.in tertiocontra Gcnt.ca.54.S1: in qusft.dc Vcri.q.8.art. z. Quarc lumine quidcm Naturali,&: nomenDei,&:aliquaexpartcillius na- turam Philofophos fcirc pofle, cxiftimarc oponct , vt Dcum cflc coditorcm, formam,finem omnium rcrum, incorporcum, actum fincerum, fcipfum pcr- fectiffimcatquc omnia in fcipfo intclligcntcm : Qupd li lumcn ahquod Spiri- tus fan&i accedat,quo eftChrifti Mcmbris pcculiarc,hoc prqtcrca cfle,Crea- torcm&: bpificcm (umme mifericordcm &: fummc iuftum , &: (quod maxime Dei naturam cxplicat)Trinum eiTe &: vnum. Cognofcimusitaque aliqua cx partc Dcumfednon perfpicue,cum Phantafiascaligincimpcdiamur.Ncquc lanc alia fuit Ariftot.fcntcntia:cum in Deci mo libro dc moribus,de ea fcelici- tate difputans qux in contcmplationc confiftit,nullum aliu fincm nobis pro- ponit quam fapicntiam, qua non in alio colIocat,quam vt bonis moribus cx- C politi, difciplinifque phylicis & tlicologicis inftruCti, Dci naturam, non pcr- fetc,fed quantum nobis fas cft comprchendcrc conemur :atquc in ca iucun- diffimacontcmplationc coquicfcamus. Quare quod obiicit Scotus in pnmo Scnt.dift.^.q.i.nullumaducrfus Ariftotclemmomcntumhabct. Eft(inquit) fcelicitas huiufmodi, vt ipfam naturalitcraiTcqui poflimus , atquc hanc in co- gnitioneSeir^Miratqueipfius Dei,confiftcrctradit Anft. Refpondeo , Ari- ftotclcm 10. Ethico.cap.8. voluiifc, Homincm naturalitcr poflc contcmplari Dcum, & cum cflc faeliccm,qui in huiufccmodi contc plationc manct,atquc acquicfcit. Non tamcn docuit, nos polTc Dcum perfede contcplan, aut cam vnam pcrfcchflimam ciTcatq; vndcquaquc abfolutiflimam poftrcmamcjue fcelicitatcm.Imo ibidem dlfertc fatetur Dcum folum bcatiflima vita frui, ho- mincm vcro nequaquam: fed catcnus bcata, quatenus cft aliquid,in quo (ua? vitx,cum Diuina c6ucniat,nempcopcratioipfa,fcuipfum Intelligcrc:quod D in Dco vcluti in fontc &:pcr cflcntiam omnibus numcris abfolutiffimum cft: innobisautcmimperfcctum ,atquc pcrparticipationcm rcpcritut. Quida PhilofophohacdcrcpotukVt^i*rpronuntiari? Inhancitcm fcntetiam ac- cipicnda funt Aucrrois vcrba: ncque cxiftimandum.tam incptum quippiam tanto homini , in mentem venirc potuiflc , vt fallaciflimis ducibus fcnfibus, &: phantafia vtens,maicftatcm naturamq; Dci pcrfc&e aflcqui fc intclligcn- do poflc putarit.Que vcro profcrtur ratio,nullius eft pondcris,cum vnius in- firmi cxtrcmi quod ctigcrc Mcs fua vi poteft, ad altcrum cxtrcmum ad quod Mcns fua imbccillitate, afccndcrc nequit, comparatio fiat. Quid , raluirn cft fubftantias iftas cummatcriaconcrctas,abfquetcmporc,motu,magnitudi- nequc intclligi. Excipics, Tempus non continetur in definitionc fubftantia?, quinimo cft illi accidcns, crgo abfquc co intclligi potcft: dc aliis coditionibus kcmdiccrequispoflct.Refpondco, tcmpusnonc6tinefiin definitionc fub- i85 DE MEMORIA, JVmtix,eft tamcn,accidemnoftrumcognofcendi modu ncccilario fequcns, qui ratiocinando mtdhgimus. Poffumus ergo fubftatiam intelligcrc abfquc tcmpore, i. quati ipia temporc non JitaJfcdta, vt cygnum & niucm abfquc al- bcdinc, non tamch iftam noticiam , prxtcrquam in tcmporc coprchendcrc valcmus:quod ircm tempus quanuispcr i'c lcparatas Mcntesnon metiatur, mctitur tamcn pcr accidens, rationc lntclligcntia: noftra?, quz motus quida cft, vt cxo&auo dcphy.aufc.iTc f X wt ^l^arjl Qpo'mrir,ci k r$S romixeSr f^opiar luS y ovx otr u- foo~ait&drtrct{ Bn &portpor . (p j \>ov,i/&  ai  cricac orrr) "\uyVt y K)rcp popicaToC crc&fjutr' ^rc/t^prri abrUu'oior fyftpdpHtudriG  ij lo W3cf, o piat i/u-  xa^dmp C cTvrloc^i 3 crxj\tip6rtpoi.^ie /*ir oZr ' u tvti 7s quo dcmu effigies &t figura illa quauis res i- pfa fcrfilis abiungacur ,roaner. Hancfiguram &: effigicm nucfpecicm, nuc ii- mulaclu u , aliquado imaginem, aliquado imprcilione , necno mocionc , fcn- fioncm,&: paffionem vocare folemus,non camen propric vc Thcmiftius roo- nuic, fed pcnuria apcioru vocabuloru.Ncq; enim imago ipfa, vifio diccda cft. Eccnim vi#o fignificac adminiftracioncm feu cncrgam faculcacis vidccis , in qua imago impcimicur. Na infenfu triafpeccacur: rcs ncpc fcnfilis,vis fcncic- di ET REMINIS CENTIA. 19 , ^ di, ipfaq; energaquxcx vi fenricnce&: refenfili canqua ftrtusquida parirur. Itain Mcntc,ipfum Jfy)mnw 9 Vu intclligedi, atq; ipfa Intclligcntia, quacxa- lioru duorum coniudtione cxcluditur. Et idcirco Alcx.in ca. dc Phant.inquit Simulachra ifta leniioncs vocari^pptereaque Funtcionis fcnfilis opera cifc vi- dcncur.na aftu fcntire nihil aliud cft,qua fimulachra ciufmodi,ab exccriorib 9 fcnfilibus intrufa in fc cocincre. Figuram vcro& impreffioncm notu cft, W7 - ^rpxSr fcnfui tribui: qualcm enim figura color,odor,aut fapor, haber, qua al- tcri largiacur?qux cminccia,qui rcccffus partiu coloris in oculo cernicur,qux tamen duoin vera imprefiionc cofpiciuncur. Iam crgo, vtad rcm redcamus, conftac q\iid iit illud,Mcmoria cilc pafiionis prxfcnris.Eft cnim ipfa habicus, feu facrariu,&: quaii fin 9 in quo imagines lllx Phacafix cofcruancur. Ex his c- hcic Arift.in 2.coc.parcc,lllos omncs no bcnc ad Mcmoria apcos circ,in quib 9 huiufmodi inugincs impnmi ncqucuc,funcvcro hi,qui primu ^Eft hcc.auc cc- jj rebru,auc fangui nc(quoduis cm horu in pre/cncia dc fcncciia Arift. af fii marc poflumVc fupcrius ccia oftendim v )vcl mobiliorcm.vrpucri qui\f pterxracc afliduc augcfcur,& fcncs qui concincntcr cxtenuatunvt irati qui jf ptcr paffi- onem comouentur atq; cocitancur,( in his cnim no manct impreiiio, fed fluic & dilabitur,vcluci in aqua,ob motionc& fluxu rccipicntisimprciTioncm)vcl rigidiorem &: duriorcm: vt valdc fcnes,quib* cor pr^gelidu cft,&: quaii algorc co!liiu,&:antiquispariciib'fimillimu,quib 9 pidur5&:calxpr5(cnio cxcidcrit. In his nanq; cancu abcft vt noua iimulachra indu&a fufcipi valcanr, vt vcccra ctia abolcancur,&: collabantur.Iuxtacundc diuerfum modum haberc fc eos ccrnimus,quos fupra bcnc dociles,&: non bcnedociles nuncupauimus:qui fi mcdiocritatem quahdam cxceflcrint,&: nimis njuku ad vnu vel alceru cxtrc- C mum dcchnent, vel no contincnt quod acccpcrut, quod humidiorcs plus x- quo iint,vel ncq; etiam accipiucquod ficciorcm quam iicnccefle, natura ob- tinucrinr. ( Paflione prxfcntcj. Imago rci fcnfilis ducit fcnfum ad atu,&: Pha- tafma Phancaiiam ad atlu:ira ipfum,uF^rXMemoria.Non ducerenturautc iftaadadu,niii quodammodoa fcnfili, a Phatafmate,iOT?ftw/uwra - tanurmnf. Legatur hac dc rc Arift.in prioridcani. cot. 63. ibidemq; Simpl.Phi- Iop.&: Aucrr. Ex his caufis ab Anftot.gcncratim propofitis , quibus Memoria prohibetur, caufas alias omnes pcculiarcs,quas affcruc Inccrpretes,vnufquif- que colligcrc potcft , cafq; ad has, vcluti ad fontcs, reuocarc. Sencsitem du- pliccm ob caufam memoria carerc, ob motum nimirum decrcfccntis xtatis D &: ob rigidiorcmfcuduriorcm corumtcmpcrationcm . Dubitarihic anon- nullis folet, An Mcmoria fic Habitus, i.conftans quxdam &: immutabilis Paf- fio, atquc ita vt obliuio ad ipfam non concurrat. Mox, an vcrum fit, fcncs n5 bcne memorcs cflc, non itcm pucros. Sed certc primxdubitationis , nulla a- deftoccalio, nifiobliuionisvocabulo abuci vchmus. Mcmorixnomen duo indicac, ipfam Facultatem, mox cncrgam. Dc Facultatc nullus dubitat, dc Encrg'a,quis cft qui ncfciat, ipfam inrcrcifam cfTc , cum non fcmper eafdcm ipecics obuias habcamus , Memoriaquc fit quafi infinira,&: Mcns non vnum fempcr intclligat. Difiunguntur quidcm igiturMcmorixaaus,nonramen abolcntur fpccics,quam abolitione obliuio cxigic* Tunc ergo fat habicu mc- morix quis tcncrcdicitur, cumprxfto habct, feuabfqucmcditationc ali- qua rccolit rcuocatvc fpccics. Hoc ipfum cgrcgic Aucrrocs cxplicauit, cum B.ii. i9 t DE MEMORIA, aic,memorhmciTcincercifamconfcruacioncm. Qui vcro excmpla quardam . Biucorum h.c nobisobiiciunt,quid incer Difccrc, Meminific,&: Reminifci dirTcratjquantuitcminterBrutorum &:Hominum Phantaiiam, difcriminis poncndumlit, vidcntur prorfusignorarc. Qupdfccundoloco quarricur, di- gnius eft quod cxpcndatur. Etcnim Arift.in z.Rhcc. ca. pcculiari dc moribus lcnum ait: Sencs mcmoria magis quam fpc viuerc, quod rcliquum vicz cuius fpcs eft, brcuc fic,pre > rcricum aute quod memoria rcfpicit, multum. Dc puc- ris vcro, omnibus conftacquam combibancur tcncriorc illo animo atquc al- tius imprimantur, qua: primis xcacis noftra: cemporibus ofTcruncur , acque a- dc6, vc in coco deinccps vicx curriculo conftanciflime permancar.In orc func omnium , carmina illa Horaciana. - nuncadbtbc puro Pcclorcycrbafucr^nunc ttmcltonbmoffcr. Quofcmcl cjlimbutatcccns^fcruabttodorcmTcfladm. Rcpugnancia hxc ica diluicur:Pucri quancum ad corum nacuram &: ccmpcracione accinec, g nonfuncadmcmoriam apti,quod in mulca fpiricuum commcancium,& fcfc canquam circulos in aqua fccacium mobilicacc finc, qua: a copiofa humidica- ' tc&caliditatc, faculcacumq;nacuralium intcnfo opcrc proricifcicur. Indi- cio eft multus fomnus, quo alfiduc vcxantur , atquc eo minus quo magis au- gclcunr. Hoc Ariftoc.voluic, ciimaicpueros obfluxibilicaccm fpccicsno re- cipcrc,non quod proprie maccria cordis auc cerebri, vcl fanguinis,vna auc al- tcrafpecicobfignacainducacur. Quod fiipfosfacilecorumqua? inpuerili x- cacc percipiunc rccc mcmini/le cernimus:id per accidens fic,quaccnus ncpc, vc aic Alb.ob mulcum ocium, rcrumq; nouicaccm valdeacccnci iinc.Pucris ii- quidcm noua funcomnia qux orFcruncur,vndc admirancur. Eft auccmadmi- ratio nil aliud quam fufpcfio animx fcu fixio,inccncaquc ad rcm ipfam appli- cacio. Dc fcnibus icem diccndum eft, qui fpiritibus imagines defcrctibus dc- ft ituuntur : quos cnim habcnt nimis crafli, tardiquc func. Fic auccm vc mulca C mcdirarione,&: cogicacionc rrcqucnci ca aliquando concineanc , quac mulco antcaacccpcrut.Arift.ipfcinz.Rhet.ca.citatodcclaratcumaic.Garruloscirc fcncs,&: rcpccica pratccricorum narracionc,mirum in modum delcftari: racio- cinacionc pocius,quam monbus viucrc:&alibi:fencs mccis,iuucncs corporis cxcrcicacionc amarc. Quapropcer non modo fcncs , coru operu qua: nouicer cmergunc non facilc mcminiflc, fcd &: anciqua, quoad fcnu natura acciner, fi cxcmplum pariccisvccuftiab Arift.propoiicu vndcquaq;quadrarc vclimus, &: naturc, vim fpedarc,difficillimcanimo rccolcre eospolfc affirmandum cft. A'aA*  Tif roiovrov %b & avfi$aivov Wh y ohvtitu*v  Vi q Kop/o-xov.cr&vd-z j & AA: V mtt 5o:  piisT&vrnc; , x) orat cic, fytotyrypa.fjLfi.iKt 3%^pri,it rt t -\v%n Q /At ytvtToj ttmfio'TtpH Kprhai&t&a, *'i^^fvuCatm)t. an id cunc primumfcntiam 9 . (a rnti^rn-niittln.ijlKKvt^in *utrit) Bxcif/r nilaliud cifc quam phancaiix cx cc/fum qucndam in adm irarionc, pcr quam ab omni alia rc diftracti immotique,& q uafi fcnfu dcftituti rcddimur,fat conftat . Hqc Mclanc liolicis accidit , atquc iis qui phantafia vigent, ( omitto fanccoru Dci raprus,quorumaIia&:diuiniorracio nobifqueignoraeft)qux vcmcndaxplc- rumquc cft,ita indigna cui fcmpcr fidcs adhibcatur , qucmadmodum Arift. ad iincm tcrciidc phy.au fc.monuit.Ifticrgo quxnunqtiam vidcrunt,imagi- nari poifur.c:&: vt Auer.hlc &: tcrtio dc an.com.>' .&:io.monuic,res auditu tan- tumpcrccptas propria quadam figura imaginationc inf'ormarc,ita vceorum quxdcinccps vidcanc, fc mcminific puccnc. Cxterum nafcitur *" exrci ignocx,& nimium cxcellcntia dignicaccquc prxftantis (pcculationc. Quo fit vt rcttc quidcm nonnulli monucrinr,**'"*", nomcn ab Ariftot.in prxfeA cia vfurpan:in eo ramcn pcccarunt qtidd exiftimenc,hic dc ift hominibus fcr monem cifc quos in libcllo dc Somno &C Euig . ^i4> nocabimus.Hoc cx co liquet.quod infcrius rcftitutio &: rcnoua tio prioi is lam collapix mcmo- rix vniucrfe^Difciplinc, nominc, no Rcmin ifcctix hi(i fortc pct accidcns nu- cupabitunnihilcnim diffcrca principio quippiam difccre,auc cum oblirus cft quifpiam rci alicuius vniucriim,eam rurfuS inucncionc auc difciplina affc- qui.( Phancafmaca),qux fibi obuia cunc flcbac.(* , > , '>"*''). Afhrmabac ca a (ealus vifa,aucfenfualiquofuiifcpcrccpca,acfinon cuncea primumpcrci- pcienc,fcd vcluciiamancea perccpcorummcminiifenc. A / j utMrau tw uvyuIu aci^a-i^TcSi^atct^^ncrruHf.Tgu^ S ' T necjue apprehen A fio:cum enim primum addifcit,autpatitur,nullamrepetit mcmoriam, (fiquidemnullapriEfuitJncqueaprincipio acdpic.Cum nancjue fa&us fuerit habitus,aut pafio,tunc eft memoria.Quare vna cumpamonequa: fic,non gignitur. Qux alias cractara,&: nuc vc vcra &: confcfla vult fupponi,ifta funt,Rcmini- fcentfam nequeMcmorix repetitionc cfle, neque fcicntix acquifitionc. Hoc ad quxftionem,Quid fiv intelligcndam,aditum pararc lat conftsrridncmpe primum poncrc,quod Rcminilccnciam cfle poflit exiftimari atquc id non ef- Icdem6ftrarc,cum prxfcrtimRcminifcctia&:adRcpcticionemmcmorix,&: adNouam fcicncix acquificionem iimilicudinc acccdcrc vidcacur.Hxc fimi- tudo Platoni impofuit,qucm forcaflehicarguit Ariftotclcs.Extat Hippocra- tis fcntcntia,Simi!itudinc bonos quoquc dccipi:acque altcra Platoms in So- phifta , Illum maximc tutam vitam ducturu,qui a fimilitudinc caucat.Hunc ordinem fcruarc iolct Ariftotcles, cum fibi dc dirificiliQri aliqua difputationc ftatucndum cft.Nequccnim ftatim quomodorcsfe habeatdefinit,fcdpri- mum quomodo non habcar,cxponit.Difputatiodcloco in 4.dc phy.aulic.agi tata, id nos doccrc potcrir. Vt ergo Arift. comodius oftendat Rcminifcencia n6circ,autMcmori^rcpctitionem,autScicti^acquiiitionc,declaratprimum quid ficfcicncix acquilicio(difciplina voccs aut inucntione nil incercft ) vndc ctiamquidrcpecitiomcmorixfir,&: quidintcrhanc&rillam difcrimenadfir, nobis colligendum rclinquit.Miraccrcc brcuitatc hxc docet:qu6 ctiamfic vcobfcurafinc,acque inccllcctu difticilia.Eft(inquit) Acquifitio, llla quapcr difciplinam aut inuentioncm , aliquid primum acquirimus : ncque enim ifta Memorixrepctitio dici potcft,quadoquidcm fi tuc primum acquirim',nulla q prxfuicMcnioria.QuidJquodncquccciamtuncaliquis memoriatn fumcre, ncdum rcpeccre dici poccft .Eccnim cucmeminifle dicimur, cum iam didicc rimus,factufquciam cxtiterithabitusimaginis acceptx nullo negociorcd- dcndx,non quando primum difcimus.Ex quo item intelligitur ,quid fit me- moriamrcpctcrc:Nimirumcogitarcbisaut ter quotiefque &: cum libueric de fimulachro,quodaliasfeniuatqucanimocomprchcnfum, purum,nulla- quc cx partc intcrlitum,acquc inccgrum conferuacum cft.(  *8). Vcru- qucgcnusacquificionisfcicncixdcfignac,Difciplinamfciliccc acque inuen- cionem.Hxcdifficilior, illa facilior cft,cx fccundo Eknch. capicc vlcimo. Vcraquc camcn pcr Doccrinam comparacur, fi quidem cx prxccdcnce co- gnicionc ducuncur. Ec dc Difciplina quidcm hoc lacis conftac. Dc Inucntio- nc vero probacur,quia iccus,Mcnnonis ambiguicas enodari non poflec: vcl c- D nim nil prorfusinquircndo acquircrcm',vel quod ancca nouimus. In fumma vcro dicamus ^^Ai'rabti//>wnondirTerre,nifi quatcn' illaaborc doccntis cxterioriscmanat,hxcab intcnori.Harumacquificionum naturaquin pau- cis hisapcrirecur,prxccimiccendum non fuit,quod ad inftitutam Ariftotclis difpucacionem pcrcipicnda,hoc nos non mcdiocricer iuuet.( *S **pC*r^ ad vcrbum,ncque a principio fumic). Miris ic modis corqucnc hic Inccrprc- tcs,vchorumvcrborumfcopum aflcquatur.ExThcmiftio vixhabcsquidin mcdiumafferas.ThomasMcmoriamabacquificioncfcicncixhis paucis ver bisexplodicenfec,ac fidicac Arift.Qui mcminitnonfumitaprincipio:quod vc facilius pcrfuadeac,vcrba hxc a fuperioribus fciungic,coniungic aute cum infcrioribus.LeonicusnonMcmoriamfco^Rcroinifccnciam pucacab Acqui- ficione nouadulingui.Cum vctohocpacloVixfcvcrbaiequcntiainccrprcca- D E MEMOtUA, O0 riportepcHpicerccadditnonnuUa defuo:quod ccrtc fux mtcrpretationis abfurdirarcm indicat.DeThoma nil addo,cum concextum incpte difccrpar. A EgovcrocxiftimarcmAriftocclcmoftenderc Acqumtioncmdifcplmx,no modo noncffc mcmorix repctitiohcm,fcd ncquc ctiam ipfum Memotix lu- mendx initium,fi quidcm tunc primum Mcmoria eflcauc fumi d.catur, cum famhabit-auf paflio fadafit.Illaigituc verba tnrn^ 4*m X, nil al.ud quam hoc ipfum fed clarius exphcancprxccrea nulh dubiu cft parucul^ sfc veriat, omniaomni ex partc rcfpodencQuid f, dton* P r,ncp,o fumc- rcnil aliud cflc quam rcmin,fci,infri nanq; dc rcminifcecia loqucs ,ta docct *bim*m Cognofcctur autem paulo poft rcminifcenccs prmcpmm ahquod momcntumquc maius intus poffidercquam qui dilcunc aut inuen.unt.Hoc paSo, Ariftotclcs Acquifitionem fcicncix in prxlenti contcxtu dcfcribcrcr, vtd,ximus,ipfamqueareminifccntia,& memorix repecitionciciungcrcc.  Mihipriorexplicatiomagisarndct.Sedvtrauistcncamus : non eftccrcccux dealiorumintcrpretantiumcrroredubitcmus.  JIA. w *  " ******** ^ *W * h te**; Prxrereacu primumfaOacft inindiuiduo, &vltimo , inclt cjuidem in paticntc paffio fcientiaau e ,fi fcientiam nomine habitus,auc paflionis appdlarc conuenil: ( nil ver6 prohibec cx accidenn nos nonnullorum C meimnuTe cmx kimus ,) Meminifle autcm fecundum fc noneftante- quam tempusaliquod elapfum Gt . Memimt cmm nunc cius quod vi- dicaut antea paffus eft,non quod nunc pamuccms nunc mcmimt.  Hxc (ni fallor)ad idcm confirmandum apponuntur, quod nos fupcnus ab Ariftotclc illis in vcrbis ^i;ifX"^ ciw lignificari docuimus . Pcrfpicua eft autcm philofophi fentcntia . Nam ipfo illo momcnto atquc indi- uiduo tcmporc quo paflio vel in fcnfu,vel in mcntc fadacft ,fub,to ,n patien- tcDaffio atouc fcicntia tantum cxift,t,quamuis pcr accdcns codcm mo- mco mcmoria quoque cxiftcre dici poflicquacenus faliccc vc fuperius cum loquerccurdcmcmoriaaic'-^ Propriccamen&fecundumfe tunc crit memoria.cum poftquamal.quod temnus a paffionc fada clapfum fucriceam (e aut icnfu ahquo aut mtclhgcn D m perccpiflc exploratum quis habucrit . Qux dc fricncia interponuncur cx Arift infcxtoEthico,atq;Euftratiocommode haunr, poflunt . Vocacur Ha- bitusnon modoobhabihtatcm&: promptitudincm raoilcans ammx adid oercip.cndum quod orTcrtur, vcrum ctiam ob lcientix ftab, hcaccm conftan- riamquc.pcrmanetcnim &diuturna cft: quamuisvclmcdiocris ecam fic, nif, aut diuturni morbi occupat.onc aut aliqua aHa infigm mucac.one, amittatur:Panio,quandoquidcmqucmadmodum fcnfus cum rccipicob* feda cxtrinfecus dclaca pacitur , ita Mcns a phantal.a fcu mcmor.a acc- oicns , fcientiam per modum paflionis , alicuius nanciici dictur : in mo- Feminquampaffionicquandoquidcm Mcns cumcx ignansfccntcscuadv. mus proprie non mutatur,im.oquicfcit, atqucin ftatu&quictc pomtur, ET REMINIS CENTIA. 5 oi Quadcrc fcpcimusphyficu*,fccunduspoftc. analy. &c primus Mcraphy.Ii- bcr couilarurquibus cx locis quomodo Arccs Scienti?qu acquirantur,cpti niccognofcipotcrir.Poccftauccmfcienciaram babitus quam AfFcttiodiei, cum omnis habicus affcctio quoque fic.Liqucr pA cx caccg.Qualicacis. E^ri J $o&tr wvdp%ar&, : lnucnirccocingic.Rcminilci crgo ab his differre oporccc,&: pluri exiftetc prlcipio , qua cx quo cjjpia difcic, rcminifci. Contcxtus alioquin pcrfpicuifcopum ,vixacne vix quidcm vlltiscx In tcrprctibus,qucmquidem hattenus vidcrim(ab(it vcrboindiuidia)rccteeft ailequucus.Eorum autcm intcrprctationcs in mcdiu afTcrrc fuperuacancum iudico,quod multx varixque (inc*& quod cx coru commcncariis pcti como- dcqueanr.Dicamuscrgonosintercoc prxclarifiimos viros minimi, Ariftot. poftquaDifciplinam fcu inuencionem,quam ipfe vocabulo *-4*fdelignabau a mcmorixrcpccicione,im6qucabip(oMeminiflcfciunxit:Nunc candcme moriXrcpetitioncm,(cu mcminiflc,ipfamqucinucncionemfcu difciplinam aRcminifccriciafcgrcgare,limulqucquidRcminifccciafir, quantumin prx- fentiapoteft,aperire.Mcminifle(inquit)noncft remimfciex principioahquo hui 9 auc illi 9 ,quod antc vclfcn(im 9 ,vclaliquo alio modo pafll fumus: Imo hoc ipiu Rcminifci dicimur,cu ea rccupcrafn 9 cx principioaliquo qux ancca mc- cc,auc fcnfu cognouimus,quoruquc habicu Mcrnona fupcrius appcllauim 9 , 1.1] u t mcmoriacoprchefahabebamus.Quarememoriafeu meminiflc,fcqui- curncdilciplina,&:mcmo riatradidit,&:moxdcrcminifcctiadcclaraturuscrt,nobis(ubintclligcndarc- linqucs. inaccthkobitcrannotarc,caufamdifcriminisintcrArift.&: Plat.de Genctationc l'cientix,hincforcailc colligi opcimc pofle.Placo Scicnciam no- ftram,non primamlcienciaj acccpcionem,fcd rccordationem vocabac-.Scicn tiamnanquc animabus o U ;*cfleinTim*odoceccum Dcumcrcaris a- nimabus lcgcsmonftrairc cradic: hancdeinccpsob fluxum corporum m qua: animc^ctrudutur oblitcrari.Quo rluxu&: motu ccllancciterum rcftaurctur, Anftot.vcroMcntcminiingulishominibusinitionudam.omnifqucfcicntia: C cxpcrtcm ftatuic,meptamque ctiam ob motum&c agitationcm corporum ad illampcrdifccndam:qui motus cum cellac tum primiim anima fcientiam nancilcicur.Hinc,inquam,difcriminis huius rano chci potcft Dckaatus cft Placo mctaphoris: Arift.propria vocabulorum & fcrmonis fignificatione per- amauic.Rcminifcipropricdicicur,cumillcmccqui primum rcm tencbat,c- iiiiquc parccm oblicus cft,mox cx principio aliquo dcnuo iptam addifcic. Ac- qui Mcns non Rcminifcicur hoc modo,nil enim noui recipic , fed homo , cu yrzfcrtim Mcnsmcmoriacarcac.Rcminifcicuraucem Mcns, impropne lo- qucdo,nam fcicnrix func Mcnci coctcrnacatquc in llla pra:cxiftut.quarc ncn Mcns fcd Socraccs auc Placo difccc.hacc Aucr.in j .dcan.com. 5. Quibus Sim- pliciusaddicin com.io'.Menccm formasquafdam proprias&c confubftantla- lcs omnuquc & fcipfam pcr propriam cflcnciam incclligcrc : qua cerre ratio- ncfcientiafimilicudincmaliquamRcminifcenci* rccincrc vidcrur.Etfanc D vel iftafateri oportcc,vclquxdc Mccis vnicacc Arift.&: cclebriorcs Pcripatc tici docucrunc omninorucrcncccflccft.Expcndaruritcmprorehacconr. io.7.phy.vbi oftcnditur Mentcm nulla pati alcerarionc,ac proindc nil dcnuo rccipcrcquauis aliqui Arift.ibioon cx propria fcntcntia loqui ralfo amrmc t. Ivufaiwvt we,u&* , x*ovut$alr tyortpc* ra* xmatm , jfocar nw- 9&fA>*u& Uv ixelr* *$t.e/i rurtwji *M*rnk,*) ET REMINISCENTIA. m ttmffi al aOra)^ j aLfxttffl J fjpQ. f Aadr $ Jx*3* fx*r ix,uyoj/iroo-i u^/ oir oire*. 16 FiuncauccmReminifcencia?,quoniam harc motio,poft iUa natacft fieri:Ec liquuic ncccflario.pcrfpicuu eft,quod cumilla morus fueric, hac moucbitur. Sivcr6noncxncceiritatc,l'cdconiuctudinc,vt plurimum moucbitur. Acci- dicaucem quofdamfcmeJ,confucuiflcmagis,quam alios fpe motos . Vndc quxdara femel *)Koc ^ cft nacuraliter,ita vt vna mocio altcra ncccflario confcquatur.Hoc modoqui Socratismcmimt, hominis,animalis,&fubftantix rcminifcitur, auc quini- uis,albedinis,frigiditatis,&hyemis.(iAA"|3H) . Noninnuithic iro;,/' id  cft,vt Ioquucur,arcificialem progrcirum,vc quidamexiftimant/cd nacurx ha bilicaccmquandam.qua rcminilccnsadhoc vclad illud fcconucrterc folcac. Aflucfcimuscnim hs facillimc,ad quxnacifumus. Noneftautcm afluccudo & cxpcrencia idcm,vc optimc a nonnullisahas animaducrtu cit . Expcrimur cnim ca qux vcra nobis non apparcnt,non vt aiTucfiamus , fcd vt iJ quod du- bium crat addifcamus. Aflucfcimus autem aliquibus,non vt addifcamus illa tanquam dubia,fcd vt nobis faciliora fa&u aut pcrfpc&u rcddantur . hoc A- ^ h(l.infec.mcta.contcx.i4:&clicicurcxfcc.i8.probl. i . Hincillud: Confuc- cudo altcra natura cft.Qucmadmodum cnim Natura fine cognitionc agit,& abfquc laborc,ica propc qui afluecudinc agunc.C^cerum huiulcc Mocionum confcquii pcr afluecudincm cxcmplumefto. Hydrxab Hcrculx fagiccis &C ignc interfccrx mc*moria, Papx mihi mcmoriamiuggcnc, hxcRomx,qua dcinccpsBabylonixrcminifcor.(Vcnamurmcdicanccs ab ipfonunc.) Hirc minifcendi fonces omncs quidem ad cofequia pcr nacura accomodah dcbcc (vc infra liqucbic)finicima camc quam maximc:cx cxcplis allacis hoccoftac. Quod fi Themiftii cxcmplum fumam* dc Lyra,Cori(co &c cius cancionc,idc cognofcctur.fcd acutius mtucamur horu fonciu vim \' cfficacia . Eft(inqutc) Anft. principium rcminifcencix vel ipfum nunc , vel quid aliud,vc fimilicu- do,cocrariccas,affi nicas.Ccrcu cft omncs hui J cfficaci; fonces hic no explica- ri:pociorcs camcn &c prxcipui hi func,ccmpus cnim cemporifque ordo qui no bis ipfoNuc fignificacur,maxime ad cuiufcuquc rei(no modo cemporis,vc ifti aiucjrecordacioncm valec.Quarcperipfum nucnonquodinftar,fed ccmpus quod fumicur incelligi oporccc.Similicudinis vcro cfficaciam,dcclararunc vc tcres llli aduerfus quos in priori dc ani. difputatum cft: cum idcirco animam cx omnibus conftarc ftatucrct,quod omnibus fibi cognofccndis illam (imilc circoportcrcc.Similcafimiligigni,cognofcipfimilc,appcccrcfimile,& cflc id poccftacc,quod alcerum fimilc cft,liquec,cx fcxccncis Arift. &c Auer. locis. Icaconcraria pcr fua concraria cognofci,candem habere maccriam,cflc quo- dammodofimiliaadinuiccm,fiencx c6cranis,conftac:Poftrcm6dcfinitimis qux ad partcs quidcm rci animo clapfx accommodauimus,cum tamc omnc id rcfpiciac,quod alteri quocunquc modo proximum& afline eft,nil cftquod dicamus,cum vnicuiquc pcrfpicuum fit, quid aflinitas &c coniun&io valcac. Excmpla infinita fingi polfunt,quibus vnuquodquchoru ob oculos ponarun quarcfupcruacancapratcecmiccamus. D Kct/u* ^nfoOtt*^ t tiWo,ufyu,i$/t3> irulm. 17 Cxterum nonquxrentesetiam fic,reminifcuntur,cum pofl alceram motionem illa fit : vt pluriir.um autem aliis fa&is motionibus quales propofuimus efficiecur illa. Hxcab Arift.idcoincerponucur,quiaincerimnulla inueftigacionis perfi- milicudine, cotrariccacem,auc arfinicace intercedence folaprincipe mocione cxcicata^alix nobis fefc ofTcrunt,quaru tuncrccordamur. Hac rcmmifcc ndi viam,Arift.infolicamcflcaffirmac,ncc pauim ficri.HxcLeonicus,& optimc, quamuis cx orcThc miftii flipca finc . Dcccpci luc auccm recen ciores, qu i exi- ftima ET REMINIS CENTIA. 5oC A fcd per vna rancu jpgredicur.Ifta fiquidcno raroaccidic.fcd plccuq;,& pranc- rca ad illa vcrba.m^o^ '^^ruw.^vix poccft acc6modari:pottrcmd  qui ica ccnfenc nc vix quidem fequencis conc.fenccnciam accingcrc poifunc. OvTtr J  vtaliquandoaccidcrCjp ximc iuppoficum cftjRcfpondec id non efie quarrendu,cum raciohuius,in rc- minifcenciafinicimoru,fpc^andafic.Eadcmnanq;cft,quanul]aancegrcdiece inueftigacionc,auc rccordacionc ca quidam c5memorcnc qua? ordine quoda confequuritur,cum aiTuetudinc hoc iibi c6pararinc,vc poft vna animi mocio- D ncm,alia fibi ordinc fuggcracur &qua aUi cx co quod cx 7ir f^Siy^t inucftigcc &C rcminifcancur.ac fi diccrec,idcm AiTuecudincm efficcrc, quod Ars feu ra- tiocinacio.Colligic dcinccps hoc vcrifq; c6munc eiTc , vc cx pnncipio aliquo pendcac,quod accipiuc,vc ex iIlo,ahafi bi vcl pcr inueftigacionc&Rcminifcc tia,vcl pcrafluecudine,in mcrice vcniat.(* *t.*Atir*urraut). Cuiobaftuc dinc vnu poft alccru fcfc offcrc,is nori dicicuTinucftigarc,nil cnim heret:rieq; propriercminifci,id cft,ex vnoin aliud per mocionc progrcdi.Porro  dpyjnc *t draiirioftc.eic yb iyn %l Xec  y*t\uiftcji) ^uru Sfytyipti 7t> drA^t/x. tri ftluvrirttf,t tufy afuvctrtT drctjU)ni&{u7afifftir   *' ,ro rinrwr $oxovo~n drttuiumcxt&cu orlort.ro  Quamobrcm cclernmc &opcime, a principio ducumur reminifccn- tix.Quemadmodu cnim rcs intcr fcfchabcnc in confequendo,ica &mo tiones.Ec facilc eamcmoria coprehcndi poftuncqua: ordine quoda con- ftanc , cuiufmodi func Macemachicx diiciplinacaha vcro male & d i ( i i - cultcr.Et hac itcm m rc rccordari ab lccrumdifcendo difterc,quiaDoceric quodam modo per fe moueri,ad id quod principium fequitur.Cum ve- ro non,fcd per aliud,non iam meminic. plcrunque vcr6 iamnon poceft quidcm reminifci,fed quarrere poreft,& lnucnic. Hoc aute iis vfu venir, qui mulra mouenr,& agunc,dum eiufmodi motioncm exciccnc , quam res ipfa cofequacur.Nam meminifle eft,vim mocricem lneffe, hoc aucem ica,vc a fcipfo,& ob alns quas in fe habcc mocionibus (vc di&um eft)mo- ueacur.Sed principium fumpcum eflc oporcec.Quapropter ex locis vide cur aliquado reminifci. Cuius caufa eft-.quoniam celerirer cx alio in aliud progrediuncur, vc ex Iace in candorcm,ex candore in acre,ex hoc in hu- midum , ex quo Aucumnus m mcmoriam venic, cum ldanni cempus qujercrcc. Pnnccps illa mocio cuius rftcminimus,non modo ipfa cft qua; primum mo ucr,vcrum etiam qua: anfam prarbcc mcmoria: alcerius, quod Arift . doccbat cum diccrct, ^^^C^ Vw ** Cl ''*% , ^^' , *CM8 , '*i''i $ ^. Mcricd itaquc colligicurRcminifccnciam cunc preclarcduci,cum principium iftud ica fc ha bcbit,ncmpe vc ordinc & fucccfiionc quadam alias poft fc confcqucnccs mo cioncs valcac cxcicarc:(quam enim res gcftc incer fc habenc ordinis &confc- quucionis racionem , candcm cciam mocus animi ab illis cxcicaci obcincc)ea- qucfacil^memoriacomprchcndipoflciquaiordigccohftanc, vcdc Thcorc- macis Machcmacicis rcs habcc,in quibus cx primo fccundum , & cx fccundo tcrcium acquc ica deinccps fequicur,vnaque dcmonftracio alia fupponic.Ra- tiocinacurcnim Mathcmacicusvt plurimum^^riiw/i^w^iw >V t Arift.aic. Quare quae ordinc carcnc,& tcmcre congcfta paffimvc difperfa func, perdif- ficilitcr memoria percipiuntur.E* quibus ctiam illud obicer infcrri poccft,di fcrime cifc inccr rcminifci & itcru difccre,qudd'cum homo rccordacur, cum iam principium illud incolumc obcincac,quod exufcicandarum aliarum iun &animmocionumcaufacft,poceftcurn vulci fcipfo nullaquc alicnaopein- terccdentc mouere fc ad alia qua? iequuntur inucftiganda.Qui vcro itcru ad- difcit,principiu illud cui reliqua iun&aalligacaquc lunc,incus in memoria no habcc:quarcjaliena opc,id cft doftore & priccepcorc cxcrinfeo cgcc,qui ci no nu,auc priori iimilc principiu fuggcrac.Quauis cnim is reminifci dicacur, qui principiuincusincolumcfcmac^cumlibec, ad inueftigandu trafirc potcfti non camcn cxiftiraandum cft fempcrprincipium illud vcnire in mcnce,aquo digrcP etreminiscentia: ^ digrefli,in alia incidcrc valcamus,quxad cam rcm nos ducar, cuius recordari nobispropofitumfuit:idcirc6tuncmultamoucmus,agimus,tetamus,atquc mcmorix acicm per omnia circunferimus , dum ad id principium pcruenia- mus, qu6d rcs ipfa cuius recordari volumus, vcl pluribus alns inccrccdcnbus iniciis, vcl proxime c6fequacur. Quid cnim aliud clt Remini(ci,quam mouc- cem quandam habcre infitam facultatcm, i.a feipfo & ab illis rcliquiis animo reccncis, impelli & excicari, ad id quod euanuic fccupcrandum? Qupcunquc id modo fiat,reminifci cerce dicimur,fi quidcm ex hac impulfionc, in memo- ria confcruaca,in illam,& mox in aham proccdimus.Scd preclarior eric remi- nifccncia cum principium fumpcum dut inuencum eric, a quo di/ccdcnccs,id nobis obuiam ri.it, quod rcminifcedo aiTcqui exopcamus. Hinc factum cft,vt cx locis illis quorum capica nonullafupcrius propoluimus, cito rccordemur, cum cx alio aliud nobis cclerrime incidat : vcrbi gratia , cx 1 actc candor , qui ladti naturalitcr finitimus cft,cx candore acr candori pcriimilis ob lucidicace, cx aere humidum aeri finicimum , cx humido ccmpus Aucumni , affimtaci* vclcciamconcrariccacisracionetquod cempus fortafic rcminifci fuic nobis inftitutum.(Ket) XuM.t/orot 7 -m> 77; i^- )4. a fimpliciccr cxplicanda nuc verfacur. Parcicula camen .tt, 1 ' tc m / 9 artc illam innucre videtur imaginum certis quibufdam locis difponendaru , qua- rum vnadealcerafucccifione &fcrie quadam continua nos commmoncfa- ciac: amiiTainq;& abolitam fpccicm imagini accomodatam , rcpccacrcftau- rccque. HancM. TuIliusinRhctoricisprofcquucuseft. Hicanimaduerccrc illud quoquc placcc,quod inicid Libri monuimus , Cogicancem nimirum illa Animxfencicncis faculcatem, cfic prorfus rciicicndam vtfupcruacaneam. Cum nanque Arift. dicat, Meminifie feu rcminifci nil aliud efic , quam vint incirc qux moueat , fi vis ifta & facultas moucns cogicans anima ii t : Bruta rc Ciiii. Jo 8 DE MEMORIA, minifcetuia prxdita crunt: Vcl (inquam)cogitancem animam perfc&am vcl impcrfcttam Bruto dcsrnon potcs eftugcrc,quin altqutd fakcm rcminifcccix ipfis tribucrc quoque cogans: quo nil abfurdius. tfonu j V JUt^oAM, dpx* % V utaov ttdfTuv . ft $b /u* ortfOv$ra* lfoi %\jtm l A9>i /uwe^rtr/,fi o uz trt a AAoSvoJor t, pcrueneric , rcCordabitur, fi mod6 ,auc C cjiuerebac:fin minus ad rrtKm *0,qu6d qux non ncgligcntcr cra&arc voluit Arift.ea ftnt nobis ab- ftrufiora, vcl ipfa Magiftri arte, t. ingcnii noftri imbccillitatc,vcl naufragioru bibliothccx Arift.iniuria. Hxcccrtc, fi in caufa efle pocuic , vcvcrba multa, mulcxqr propoiitioncs in Arift.voluminibus dcfinr,aut malc fupplccx,& oo- firx iinc ,cfficcrc magis potuir, vt fimpliccs hx litcrx quibus poftluc Ariftor. adcncrgfutrRcmmifccntixcxprimcndam vtctur,tranfpofitx,& maicprorfus f ucrinc collocacx. Diuinandu crgo nobis cric in rc obfcura.Scd camcn fcdulo cniccmur,vt Diuinacionoftraficquancum ficri poccrict/npai c Arift. Quicqutd igtcur in gcncrc hoc vc vniucriale fc habct,huiufmodi,Principiu &C mcdium cric dc quo hic loquimur. ( Alias ih logicis difpucacionib 9 monui,ar- ciculu fubiccto cunc prxfcccim apponi folcre,cu propoficio fic vniuerfafis. )i- ccmus cnim, Ammonio ccftc,* r^mV sjii.u-^^, no autcm  *rSpW jLkk ]. Ad hbc cnm pcrucncrimus,vclcuncdcaliis poftcrioribusadmoncmur, vclccr- renunquamaltas,& nullaaliarc. Vcfiquispcrcurraranirno,caqux ordinc quodartl his litcris fignificancur , >,/,,,,. Ec corum qux in concinct ur non rcminifcacur,rtcri potcrit,vt quam primum ad  pcrucniac,ci rcliqua vfqj ad* vcniac in mcnccm:abi nanquc taftquam aprincipio & mcdio vmucrfali non folum ad ca qux poft^ fcquuncur, vcriim criam ad eaqux pofti,pro- grcdi licec,Quarefi ncucrum horum crucemur,ncmpe ncque tandcm quafifaltantcs ad ipfum contugtcmus, &fic ET REMINISCENTIA. 5 o 9 &: fic dcinceps-.nunc ad ca quarfunc ancc,, nuc ad ca quar poft,quoufque id af- fequamur,quodrcpcrireftudcmus. Habitonanquc &:pofitohoc vniucrfali mcdioque principio, puca i, vnde multa caqj tam anteriora quam pofteriora inuadcrc po(Tumus,faciIc eft nuc vnu nunc aliud tcntantes.fic modo pcr hoc, modo per illud memoria faltuacim circunfercntes in id tandc inciderc,qu6d motionu ccrmin 9 & quics fic.In cxemplaribus Grxcis quac circufcruntur,pu- to aliquid dcfiderari,quod illa verba prajcedac,ii w,J,u f*/*W.Hoc vnicuiq; acucc intucnti patcrc potcrit : Prartcrcain cxemplari vctultiilimo Lacino ca- men, quod apud mc eft, alia iftarum Iiccrarum verfio fic difpoficio lcgitur. Ex Thcmiftio nil habcs quo poflis hxc in pcrfpicuum qucndam ordine rcftitue- rc. Scd nobis illud fat cfto, pcrcc,non poife nos intelligcre principium vniuer- falc &: medium, cum neque hrVfof* cx ipfo moucri queamus , quod mcdii na- turae conucnir, ncquc principium vniuerfale fit, cum de *,loquutus Arift. ad- dac, i,ww ati. Eft crgo,i, auc eciam / , veluci principium&c mcdiu vniuerfale, aquofxpius qualicxcurrcntcsmodohucmodoilluc, ab initiofcmpcr tan- quam ab Indicc quodam cJocti repeccnccs, acic mcmoFiei falcare poilumus, &: nunc poftcriora nunc prioraattingcntcs , in illud tandc incidcrc quod cx- optamus. Hoc vnufquifquc pcrfxpc cxpcritur. Noncft ergoquodde liccra amplius laborcmus. Wf 'axnp y% f JL A to>f7i k) ofo) dmoueamur. Si itaque noab inueteraco mo- uearuT; ad familiarius lanemcuetur.Eft raque quafi Natura,iam Cofue- tudo. Quamobre eorum facilerecordamur, quse (irpe Mence verfamus: vt cnim in natura hscc res lllam confequitur,iic ln abone. Frequens aute adl:io naturam facit.Quoniam autem ficut in iis qux nacura conftaccon cin^ic quod cft cotra naturam , & quod fortefortunanra id multo etiam magis m iis reperietur qux cofuctudine fiunt , m quibus natura non eo- dem modo meft, fit, vt lnterdum & llluc & ali6 moueamur , praefcrtun cumillincrapitur, iftucaliquo. Obeimquec.iufim,cuinnominis me- minifte oportebit, fimilis quidem mcminimus ,fedtamen in illo foloc- cifmum commiccimus. Ac reminifci quidem nafieri folec. Qupniamprincipiumillud&C mcdium,vniuerfalc quoddaro cft,aquonc- pe ad multa tranlirc poilimus,multgquc &: vanc mociones cxcitari qucunr,vc anteadiximus : Hinc fic vc cx eodem, nonfcmper id quod quarricur , nobis irt Mcccm vcniac.Cur vcro magis vna quamalia poft eandcm animi motioncm 3 io DE MEMORIA, aliquando confcquatur , id afiiiccudini maiori & minori , vctuftatiq; & noui- cacifimulachrorumcribucndumcft. Ficrj nanquc poteft , vt qux longoante cemporc nobis magis noca fucrunt > poftca camcn quia intermiffionc inuccc- raucrinc, latentiora,atqueobfcUriora finr,iis quoru recens cft mcmoria,qux- qne confuccudinc, tatta (inc nobis familiaria. Confuctudo nanq; cft quaii al- teranacura,vcfupcriusdeclarauimus:atquchacracioncfic vccorUm frequc- ter rcminifcamur, qux lxpc cogitamus. Quarc qucmadmodu in Natura hxc res illam confcquitur,(ic in AiTuccudine hxc actio illam. Ec vc in Nacura non fcmper ccrti moc* func,&: dcfinici , fcd mulci forcuicd& veluci erraca acciduc: ica&: adhuc magis in lis in quibus valet confuctudo , piura qux incerta atquc indefinicafunc,&: vcluci pcccaca prouemunc. Quofic vcaliquando,quanuis priorem imaginc ccneamus, qux veluci ccrcum pnncipium rcminifcendi no- bis cfie folcat, aliocamendclabamur, rapiamurque. Hoccxpcrimur, cum alicuius pura nominis inccrim rcminifci conances, in alcerum ei affinc ineidi- mus:quodprofercnces,quafi foloccifmuminreminifcendocomiccimus.Hxc Anftocclcs: quibusepilogumaddic, quodereminifccndi cnergna fcabunde* difpucallc iignificac,cumaic :n^iZrirmurivKt^n^vuCaimnr^intr. Scd dili- gccius fingula funt confideranda. (Si icaque no ab inucccraco moucatur). Vi- dctur Ariftoc. difcrimcn poncre, intcr nf^t, , &: nr^m^y cuius contririu ha- betur in fccundo mecaph. conc. t 4. Jtofnuncupauic. QuarcThcmiftii cxemplum non improbo ( vc nonnulli faciunt ) qui ait , poft ipicm feruorcm poft fcruo- rem fplendorcm fcqui. Nequccnim dc ignc ciufquc fcruorc &: fplendorc loquicur,vc Phyfica quxdam encia funt : tuc enim nullus intcr hxc ordo effet, nil pnus poficum,nil pofterius cdfequens, cum vna finc ignis,fcruor, fplcdor: Vcrum hxc lpc&ac,vt in Phatafia cdcepca narurale jnccrfc&necciTaria con- ncxione habcc,icavc dc vno vix ac ne vix quidc cogicare qucas, quin alrcrum itaum vcniac m menccm.Cxceru cxcpla quibus planum id rcddi poffit, quod fcactc- ET REMINISCENTIA. , lt ha&enusab Ariftocclchoc inconccxcucraditumcft ,aThemiftio &:I.coni- cofacilchabcripoffunc. (Qupniamaucem ficut innsqux naturacenftant). Confulcndus eft iccudus liber phylicus ad finc,vbi de moltris, i.iis qux a Na- turaimpcdicacfriciuncur,dilpucacioaliquainfticucacft . Tacum moneo,po- fteriorcm hac pr^ccpcionc-m , non co modo cum fuperiori connectcnda eirc, vc quidam cxiftimarunc. Illud ccncndum eft , Anftoc. racionem primum at^ tuluTc,curahquando rcminifccndoa principioillodigrefii,innoua pocius, quam in vctcra incidamus i tribuit hoc ailuetudini, cuius potiilima caula ad- miratio cft,&c dcle&atio quxex rcbus nouis capitur. Poftrcm6,ne quis etiam cancum aifuccudini confidcrcc, vc nullum in ipia pcccacum viquam commic- ti ccierct, dcclare voluit, xquc rcm fc habcrc in motionibus C6fuccudinis,&: N.icur.v vt quemadmodum icilicct ibi nonnunqua crrata proucniunc, ica&; magis adhuc in cofuccudinc peccata ccrnantur : ncquc cmm fcmpcr lta ccr- tx funt &: conftantcs in conicquio confuctudinis motioncs, vt non aliquado in alicnos motus icu alicna iimulachra reminiiccdo incurramus. Excmplum ab Ariftotclcpropoiitum, Thcmiftiusitaexprimit: Cupit aliquis rccordari Leophancm,initium iumit a Lccnc, ob vocis fimilitudincm, tieri poccft(ia- quic) vc hic loco Lcophanis Leofthcnem fupponac. (*Ac/e/&). Propric qui- dcm inccncinnam oracionis ftructuram nocac , fcd & id omnc quod pcrpera, i. ncquc reccc,ncqucordinc ficauc dicitur,comprchcndit.Animaducrccnda cft aucem iimilicudinis huius vis. In Moftrisaliquis nacurarconacus rcccus ap- parcc, vc pcrcurrcnti quartum degcn.ani cap.4.patcbit, ita in his quar pccca- taConfuctudinis nunc appcllamus: Qjare Ariftotclcs etkuxMy.l? m nomme, fcu in vocc,ad rcm hapc cxplicandam adduxit. To j fitfirov TvatpftjHv , k) rlv \>J.ojcc^djXoyov j aazrtp *(& fx.rytSn.voei j Q fitydha k, trdppu, o-jrotihnruvav i%tirluu J[ idvotzv ,eSavtp r o-^tv $ao~! nvtcJ&y& fJ.il ovruv ofMtotg AAet rtvx As- yov xnmo~ti.i aCrh 7& ofxoia %nfa&, k) af xarnow. Quod vero maximi momcnti eft, tempus cognofcerc oporrer,vcl de- fini:e,vel indefinite. Sit autc quiddam,quo maius &: minusdiiudicam* idque rationi con(enraneum,ncuti &: magnitudines. lntelligit aure quas magnafunr, &qua:proculabfunt,nonillucfcrascogitarionem inten- dendo,t]uemadmodum de vifione nonnulh afferunr, (crenim cum non finr , ecdem modo intelligit) fed fccundum rationem quandam moue- bit,in eo nanquc fimiles figurx,& motiones funt. Et hoc quoque ad cncrgam reminifcentiar pertinet, fed cft ctiam mcmo- ria: communc. quarc poft Epilogumcxpendi potuit. Fortailc autcmhinc occafionem fumerc Arift.voluit qua mox, nempe in tertia huius tractationis partc, Mcmoria cum Rcminifccntiaconfcrret. Hxc cx Them.clicio. No cft crgo Reminifccntia(inquit Arift.)finc temporcqucmadmodum ncquc Mc- moria ad quam Rcminifccntia tendir.finc tcmporc,inquam,vel dcfinito,vcl indcfinito. Racioeft quzfuperiusfuitallara,cum de Memoria difpucarccur. Ncmpequiarcmota tcmporis prxteriticogitatione,iam non mcmmi;ic,aut rccordari fc quis hoc auc lllud cxiftimabit,fed nUnc primum addifccrc auc in- uenire:Huc fpe&at particula/uiVju-. Atqui iircminilccns dcfinitc,vcl indcfini- tecognofccrctcmpusdebcat ,cum hocficrincqucatabfque cognitionc dif- criminis iutcrmaius&cminus tcmpus,quafuifaculcatchocpra;ftabit remi- 3 ,i DE MEMORIA; nifccns ? Refpondet Ariftot.quemadmodum eft aliquid quo inuicem magni- tudines confcrimus &: collatas diftinguimus , ita cft aliquidquo tcmpus mu- cuo coparamus, &: brcuius a diucurniori internofcamus. Iftud autcm eft,vt e- grcgic monuit Thcmiftius , Mcns Phantafix coniun&a quam alii exiftiman- tcm, aliicogirancem,Grxci Jiirow vocanr. Itaautem Animapcrcipit maius tcmpus & minus, maiorem itcm 8_ minorcm magnitudincm , vt non quafi a- cicm fui foras intendcndo ifta attingat,quod Plato,non modo dc anima,vt ih priori vol. illius tract.expofitum fuit,verum ctia dc oculoru acie ftatuit:Sed i ipccicbus 8 figuris, rcbus ipfis fimillimis, intiifq; in Phantafia rcfidetibus im- pcllatunquo impulfu etiam qux procul abfunt confcrrc diiudicarcquc valer. Nam fi Platoni manus demus, qui fict vt ca quar nulla funt codcm intclligan- tur modo,quo fi adefient?Pcrfpicua funt hec omnia cx iis qux fupcrius atculi- mus,& in libcllo dc Scnfilibus copiofius difputauimus. Illud tantum ahimad- ucrtatur, Ariftotclcm de Mcntc inhuncmoduloqui, /C^k -nnuJpr >unr{. Lcb- nicus ita vcrtit (cd rationem quandam mouct. Mouct cnim fcu excitat Mes Phantaliam aur Mcmoriam, non Phanrafia mcntcm:quod dc Mencc crficic- tc intclligcndum vcnic. Huic illud fimilc cft quod in tertio de ani.docct,cum Mcntcm Artifici comparat. Artifcx cnim cft qui matcriam cxtcrna in quam forma induccnda cft primum mouct, verfat,S_ quafi c fomno potcftateq; fcx- fulcitac-.ica Mcns Efficicns cft,qux prima Phantafiam cXcirar,3_ qux in caufa cft,vtPhantafmata MchtemcapaccafficCrequcant. Annotarc hxc dcbuic loann.Iand.cum illostratat,quiMcncem noftrama Phantafmatisvtpotc i- pia vilioribus , moucri non poifi: coccndunc. Phantaliam vcro vri xiyr mcrito dici, cx co liquct, quod cum Phantaiia homtncm quo Jammodo in Ipccic de- finica coftituat, tantum pcrfectionis prxtercxtcras Matcrialcsfacultates cft allcquuta,vt rationi parcrc apta nata fit. Alias itcm nominc Phantafix Mcn- tcm paticntem dcfignari monuimus. Scd cft aliquid , vndc Lconici cxplica- tio cxtorta nimis clle apparcat. Eccnim particula i*iwTf lcqucs nullo pacto ad *i)tr potcft accommodari: quod fanc dcbuit , fi Lconici vcriio pro vera I uiilcc habenda Prxtcrca non hic dc Mcntis noftrx EfFcctionc circa Phantafiam a- gicur. Quarc fatius crit, Antiquam fcqui vcrfioncm qux cft, (Quadam ratio- nc ) aut illam A rgyropyli, (Quadam proportlonc.) Philofophus nanquc nil a- liud vult,quam Mentem per motioncm fcu rationcm quandam intcrnam cxtcriori magnitudini proportione rcfpodentcm , ca qux cxtrinfecus & pro- cul abfentia lunt, i. tcporis quantitatcm, ciufque logius aut breuius interual- lum,in mcmoria rcuocarciudicareq;.Faucrc vidcturhiclocusiisquifpccics illas reru intelligibilcs,quas rationcs ctiam intclligendi vocant,in Mcntc fta- tuunt. In qua tamcn rc Thomas,Scocu; Ioancs Iand. & Zimara.Theophra- fto,Simplicio,Thcmiftio, Acchillino,Hcnrico Gand.alnfqs&forcailc vcri- tati aducrfari vidcntur. Dequarcalias. Incodicc vulgacomalc legicur wm, prosvir/* Vtcunquealitcrnonnullicxrcccntioribuscxpliccnt. Tm oZv ra/(s fJttlfo wm , A tn ctumt vot?v tXdoya^ nvdvQ. pS^t' cVtoc fXdortv^uavfp dtdhoyov Kj CAtroq , tc w * y confictt * t/ , proportione nanque fibi refponacnt, * y\&c y s o/i.cur ergo potius,>- /l\cuiam V,efficit? An cjue- admodum * y , ad * /3' fe habet , ita ipfum 3- x , ad ipfum i* \ Has- tgitur fimul mouebir. Si vero C intelligcre volet , ipfum /S N fimilitcr intelli- gct, fed pro *\intelliget * a\ Hxc enim fe habent, vt   ,ad @ *. Si ratio qaxdam intus adlit , qua is qut rcmmjicitur, brcuioris auc longio- nstcrnports incemallum,maiorcmquc&minorem magnicudincmcui ccm- y pusanne&icur rccordarioucat. Quxricur quid tnceriic cumrcs maiorcs re- minifccmlo incclltgic,fic cunvminorescomprchcndic.Refpondcc omnia qux nncus inclufa funr, &c in Phancaiia coplcxa, id cft fpecies pcr quas anima pcr- cipicea quxcxcra func,cfle quidcm inccr fcxquales, minores iis qux func cx- crinfecus poiica,quibus camcn proporcionc rcfpondcanc. Quarc pcr iimilcm figuram non pcr diucrfam , maiora &c minora comprchcndcr. In fumrma, h gurxomncs qux iunr in amma, minorcs func rcbus,quarum func iimulachra &c rcbusnonxqualicaccaccommodacar. confjftuntenimin minimo iubicdto indiuiduoque, quia camcn proporcionc rcfpondcnc, & accommodancur rc- bus quaru ftgurx funt, idcirco anima maiorcs& minorcs inccrnofcic. Eodcm modo diccmus,Iconcs,puca Cxfaris&Pompeii inxrc imprcfTas,xqualcs cflc &c minorcs , diueria camcn rcprxfcncarc , quandoquidcm diucria proporcio- ncrefpondcanc,iisquxrcprxfcncanc. Forcafle aucem quod dicimus dcpco- q porctonc accipicnda , in ipfo cognofccncc , inccr formas rcrum , &c mocioncs fcu figuras inccrnas rcbus refpodcnccs,in inccruallis &c lincis nocari dcprehc- dique potcric. Conficiac crgoquis * $\&c i\is ccrcc ftmulconftcicc,* *V: ean- demnanqucracioncm *y,&/ / ,& ' car dcmracionc pcragrabicur. Acquicadcm proporcionisvi h*ec,vcruinoribus laccribus pcrluftracis &c confccis,maiora quoq, perfccuTe dicamur : cofticua- curergoplaniorisdo&rinxgraciaauaflgura,que > priorc concincachocmodo. Hinc pacet vc lacus V , ad lacus ? fc habct, ita latus **,ad larus *y fe ha- bcrc: iimul ergo quaii moucncur & incelliguncur. Idcmdclaccribus ( '', D. i. DE MEMORI A, &c .'aicipotcft,inpriodfigura,&:cu8 x,coficict ^ ,cadem nanq;hzpduo A rationcmmutuamfcruancquam r c , & ^\MoncrcDlacct,hterashasnonm omnibus cxcplaribus eode lc habcrc modo ,fcd alicubi imutatas,al.cubi ordi- nc innetf a*quo fit vt co rcddatur obfcurior fcn tentia Ariftotcl.ca,vari.q ; va- ria hic.eeregic tamc (qux vid.)cxcogitata dc fuo ingcnio attuler.nt.S. autem pcrcurWntur qux Eucl.dcs in fcxto Elcm.propof.i 5 U 1 6. de propohion.bus oquitur,om ma qux h ic ab A r.ft.& ab al.is traduntur plan.ora fiwit. Colligc- d.im cft nob.s, A n.mani ita pcr iimilcm figuram fcu formam mtra m pnanta- fiacontcntam.tam maiorcm quam minorcm tcmporis aut magnitudinis ouantitatcm cognofccre, vteadcm linca jicc i codcnihtcrcconfcdo.v.pro- port.onis,ma.usquoque&: m.nus pcrfcciiledicimur.C^pcir^ ouod eft ^>&^^'^in vcrbiscontextus nonlemcl tranlit.Qux.i ncmi- ft.us deTr.anguloTcmporis&Rc. diftinais,fcorfimaftrt,adremnoiifa- tiuns;Quanuis vcra ciic & fu bt.l.ter excogitaca admittamus. M.hi lUudarri- dct,(ncArift.mancum&confufumiibiqucminu5Conftantcfacerccogar,vt fi Thcmiftiuscogitur)H.fcc m verbis dc propofito quxfito ftatui , fenceaajnqt ablolui omn.a .g.tur eo rcfcrcda,atq-, ad .d folu accomodada iut , quodTho- mas & ali. nonuUi omuT.s comcntis iimpliciter ( vt xquum tuic) prxft.terunt. ^u^v&JW^ 3 tS^u^ o^X^ W>*M> oitfa.Zft $ bZ tfti npriatfri i*r i 7f ^tt #0 JW>C TO" JtfW * dufac, 4 Cum i^itur rei fimul &: tcmpons motus fit,tuncanimus mcmonam m opere lfabet.Si vcro non faciatA fe taccre putet,tum item fc memiruf- fe putabicNihil emm prohibec ahquem falli &c ei viden , cum tamen re- ucra non memincrit. Memoria vero agcntem, non exiftitrare , fed mc- miniffe latcre , fieri non poteft. Hoc enim eft lpfum meminiae. Quod fi rci fiatmotusabfque 1I.0 cmi teroponseft,autccontra hicfincillo, mcminilTenondicitur.Isautemciunemporisduplexeft. Alias nanquc nulla menfura adlnbita mcminit* vclutiquod hoctertio die haum fuc ritde %io vrc* QatrdfffXarijTn- fiuat V cwfcAf7r cV/f } itrtheccrio,i.in cordc rcfidcncHoc pro bat hmufmodi argumto : Faculfas qnsr hoh dcfiftic a fua opcracionc cx luilu volcmcaas cft corporca otganica^,Refninifc6tiaeft huiufmodi,ergo.Propo- fitio noca cft : quadoquidem,faculcafs qu^ nullo pafto a maccria pcdcc.volun- tatc impcranccagcrc dcfinitrintclligimus naq; cum volumus , & cum libet e- ciamabmtclhgcndodcfiftimus. Racio dilcriminiseft,quia agicaco&com- moco organo , non ica facilc imprciTa , & fita in ipfo fpccics rcmoaeTi potcft. D.iii. 5I g DE MEMORIA, Ncque cft quod hic fupcrftitiofus aliquis obftccquo modofpecies in maceria cfleaucimprimipoffinc Notueft fiquidcmfpiritualia quidemiftacflc,necu fenfilcm actionem in altcrando habere :vcrumtamenciufdem rationis eflc cum formis illis craflis &: matcrialibus, quaru funt fpecics , ncc difTcrrc ab iis mfi modo fubfiftcndi. Nanq; eatcnus matcriales formx dicuntur, vt cgregie do&iflimusFracaftorius monuit ,quatenus crafla quadamcxiftcntia inma- rcria funt, &: ccrtos tcrminos pofcunclngcnitum autcm cft formis omnibus, fcfc quo magis poifunt propagarc , quod quidcm craflx illx forrax cfficiunr, qux matcrialcs vocancur. Vcrum propagare fefc pcr cum modu,& exiftencia qua iplx funcmon vtiq; poflunc,fcd tcnucm,&( vt loquutur)fupcrficialcm fui vcl partem, vcl gradurh prodUcunr,qui ob fui tenuitatem fpiritualis vocatur, &: conrrariu non habct, & momcnto gignitur propagaturquc , atq; aptus cft id quod cft rcpncfcntarc, vfq; ad craflam lllam forma a qua producrus cft.Sed g hxcalibi. AfTumpcioprobacurin coccxcu. Experimurfiquide inccrim,quod cum rcicuiusoblitifumus,rcminifci cxoptamus,incoquc diligcntiamftu- diumqi ponimus, fi rccordari no poffumus offendimur,&: manifcftc pacimur &: aflicimur,&: vultus,aut motus,aut ftatus,aut quid aliud intus vcl cxtra mu- citur. Quinimoiipluraautomnia mcdiatcntaucrimus,quibu*dc rc obliw commoncficri nos poflc cxiftimaucrimus , rcs tamen non fucccflTcrit , animo quidcm coftituimus motum illum cohibcrc , intcrcidcrcqucrmcntcmque & cogicationcm omni conatu fuftincmus : nihilominus tamcn motus illi in or- ganis fjcri non dclinunt,cx voluntatis iuflii, fcd rccurrunr ,&: inuitis nobis c- rumpunt acq; proccdunt. Dcclarantur hxc cxcmplo illorum quicclum iacu- ladi vcl non iaculandi poccftacc habcnt,non tamcn cum ia&um fueric ipfuni iifterc aut reuocarc amplms poflunr. Hoc vcro Mclacholicis poriflimu acci- dcrc narrat,quod altc in illis fpccics infigantur, cxq; multa fpirituu agicacio- Q nc qua laboranc ,in mocu afliduo habcahcur. Idcm dc iis dicicur, qui nimium humidicacis circa princcps jfthcterium habcc , auc in fumma,qui himiuhu- midi func, nanque ob humidicacis flu&uarioncm in pcrpccua agicacionc vcr- fancur, &C commoucri hon dcfiftunr , quo ad id quod quxricur fc offcrac , mo- ciifquc animi rcta proccdens via,ad mcta perueniat quam concupiuic(Cor- porcum aliquid moucc ih quo paflio fica cft). Spiricus qui inftrumcncum ani- mx func incclligic, & qui fpccicru func delacorcs.Mulci auccra funt fpiricus & mobilcsvaldc in humidocordcvclccrcbro,quifimul crumpcnces fcfccan- quam circuli in aciua fecanc.Melancholici iccm ob mulcos flacus,copiamquc fpiricuum : nccno biliofi,vc aic Thcm iftius, ob mobilicaccm (func nanq; ficci ccnucfq; &: acrcs)perpccua agicacionc paciucur. Cum primum crgo in huiuf- modi hominu gcncrc i imago aliqua fcu fpiric' aliqua portiocxcicaca eft ima- ginc dcfcrehs:cxagicancur quoq; alix cofcquio quoda\& turmacimjppccr hu- jj midicacis quafi fluccuacione &: mobilicaccm copiamq; fpiricuu,inuiciflimis c- cia nobis percinaciccr profiliunc.Hoc vnufquilq; cxpcricurjno mod6 in rcrai- nifccndo,fcd in cogicando quoquc:nepc vc idcra (ibi cciam nolcnci,f fjLtitj* typvrtc^. oirard /[c ^tjunfxort^tpoi  obli- uifiores iis funcqui contrario modo fe haberit. ProptereaqUe magnum pondushabent** rwai&rmxS ,necpoifuntabinitio mocus animi in eis confiftere/cd diflip.intur,neque in reminifcedo facilc rcclo ordinc pro- grcdiuncur.Quinetiam, pueriadmcdum,& fenes proptermotum, me- moria minus valenr.hi nanque in multo funt decremento , illi vero in multoaugmcnto.Addcquodpuenad multam vfque setatem furit pu- milionfbus perfimiles. HarcomniacoitemfpcftantvtprobcturRcminifccntiam e/Te affe&ione corporcam. Adhibctur primum ir$ & timoris cxeniplum,qu^ paftioncs dicu cur,id cft commotioncs & cxcirationcs quardam animx fcnticntis,cxquibus cuidcntercorpusafficitur& patitur:mirabiliternanquc in iis qux aut ira, aut metu comotifunt,vultus,vox,motus,ftacufqucmucacur.Cum igiturho m6 in huiufmodi vclpaul6prorupcntaffctioncs,fi prarfcrtim fiepe& vche- mentcr prorumpere foleat, vixac nc vix quidem comprirocre aut fedarc easpoterit:quinimoqu6magis ipfe cbntranitctur, co illz magis conuale- fccnt&acutiorcsrcddcntur. Argumcntocfthoc,aliquidintuscorporeu mo ucri> quod fcmcl excitatum rcprimi ncqucat, vt in ira & cimorc , quz cx ani- D.uii. H o DE MEMORIA, mafencicnce&:appccencedolorec6moca,orcumducunt.In iraquidemob odium in remqu.eofrcndic,appecicu noccndioborto,calorcirca corcolligi- tur,vbi fedcs ammx & vis cft: idcircoque fanguis fcruct , qui dcmu fcruor ad parxcs cotporis omncs tranfmittitur,atq; illas przicrtim quar noccrc aut vim rcpcllcrc apt; funt.In timorcvcrocum ncmpc rem a nobis difcrcpantcm,&: malam,immincre nobis &L cucnturam putantcs triftamur, calor intus ad cor fcilicet cordifquc pcnetraliafugit,cum coquc fpiritus&fanguis.Quaproptcr qui cimcnr,pallcnc &: trcmunt:calore nimirum mcbradcfcrecc. Inhis autcm Arfcdionibusnonxqueiehabcntomnes:funtqui tardillimi, alii quiprom- ptiores:nonulli qui proptiOimi ad cas tinc,inquibus ccrtc hoc quam maximc verumeflcccrnitur,quod nunc ab Anftorelc docemur.Quoddccancioni- bus&nominibus proexcmplo additur,ncmo eft quiidnonfucrit' pcrfxpe cxpcrtus . Noui cgo mulcosqui ira tibilo cuiciam fuotacito alfijcti tunc , vc g vcl lcganc,vcl fcribanc,vel ambulcntjnunquam fibilarc dcfiftanc, imo moni- ti cciam&:rcprchcnli,inuiticamcn rurfusadfibilumrcdcanc.Dciis vcroqtii aliquando carmen autnomen quoddamanimo agitarc, accractarc or^quc profcrrecccpcrunt,nildicam. Conftatcnimeos quamuis cc/Iarc a cogira- cione&:prolacioncvelinc,inidcm tamcn carmen,aut nomenirmitos plac- runque crumperc. Hoc idcm indicat,aliquid ncmpc corporeum cum fpccic illa fuitTc cxciratum in phantafia, quod non facilc rcprimi qucat, idcircoque eandcm nobis inuitis fpccicm ofFcrat. Qux dc Pumiliombus, pueris fcnibutqucaffcruntur ,ad inftitutum prxcipuum ranquam abcfFceto confirmandum,perfpicua quoqucfunr.Notum eft fiouidcm Nanos fupcr- na,&: in quibus lcnfus fcdcs clt,pondcrc maiori deprcila cralfioraque habere infernis parrihus:dcprefia inquam mulca humiditate : quo fic vt rcrum vcfti- q gia inillis imprimi,aut imprcfia confiftere&: rctjncri, aurconlittcntin,re- . #oordincadrcminitccndummoueri& progrcdinequeanr.Materie nanque cratIitics,fpirituumconfufio,humorquc fluciuans in caufat ft,quonnnusilta eflftciantur. Pucri &: mfanccs quorum parces ojnncs in motu lunt concincnti, quod plurimum finchumidar,tum quiacopiofiusalancur&: augcfcant ,idcm patiuntur. Eadcmtranquilicatc (encs dcftituuntur,quodnon ihltatu&^ qu ictc linc pofici, fed ih magna &: contincnti deceffionc vcrfcntur . (Scd i) qui fupcriorcs partcs corporis).Tcrminus harum partium fuperiorumab Art ftoccJc in quarcodc parrjbus animalium capiwdecimo,definicur :acapicc nanquc ad coxas v Uju c progrcdi narrat.Mcdicialitcr cxactiufque, fupra, i n- fra,&: mcdium in corporc humanoquxrunc:&:mcrir6,vtpote quibuspro- fanicate rcftitucnda,multa fit partium fitus,c6fen(ionis &propmquitatis ra- tiohabcnda:reuellcndumaut fimpHcitercuacuandum.Scdnihil iftaad noi in prxfenciA,Hxc catiim dicerc libuit, vt ilk>rum audacia rcprimeremus qui D cx hoclocoAriftotclcmquafi coa&um MedicismanusdcduTecolligunt:par- ticulananquc ilIa' , qJ non magisccrcbroquaracordihocpa&oac- commodatur.Qupmodoautcmquauisdccctebroillam intelligcremus,nil tamen Ariftotcli rcpugnarcmus,in fupcriori libclloexpartcdcclatauimus: vbidixrmus,corcflequafi regiam,omniu fcnfionumqucfontcra&: Efficien- tc.Ccrcbru vcrocflc quafi locu in quod fcnfiics fpccics omncs primo cogro gantur.( Addc quod pucri).Pucri crura parua &: admodum imbccillia haber, fupcriorcsvcro partcs craffiorcs :&p6dcrofiores,proptcrcaquccumilIasfub jftinerc ncqucant,proni morc bclluaru incedunr,&: manibusrcpunt:progrc- Iuzcacisinfcrioraaugctur,rcc^iqueambulat.Obhancipfam humidicacisco piara, pumiJioncs &: nanos raulcum dormirc,in lib. dc fom. &: euig^ cradidir. ^^UJf E T REMINISCENTIA. 5 n Qux de affc ct.ionibus hic a nonnullis difpucantur,an icilicec coliiberi pof- finc,adaliamPhilofophiparccm pcrcincnr,quarnnuncnosnonprofitcmur. Summaramc huiusrei fic,afTccliones cum ad animam appcrcncc pcrtinca , Mcncis dominancis vi quafi frarnarific cohiberi quidcm poifc, non camc prcr fus colli,auc fundicus cxcirpari.Quanrumuis Scoici clamcnr, vcrum illud cft, Quandiu fcniusinhominceric(eric aucem donec in terns mancbit)fcmpcr forcvcafTcccionum infulcus aliquis , in ipfo veftigiaquc appareanc: Quem- admodumcciamdum aqua&ignis cric,abilla prorfus frigus,abhoccalor nu quam prorfus remoucri poiluncquamuis vcrumquc minuatur. Acqui ncquc dcbcnc affcccioncs prorius cx animis noftris euclli,cum canquam coces,vircu tcs exacuanr.Sed ha:c lam alia qu^ftio cft.lllud ammaducrcacur, Arift.fcncen ciam dc Ira ScTimorc veram ciTe vtroquc modo,cum fcilicet vel vchcmetius vcl rcmillius cciam erumpur,fiquidcm nequc vchcmccior, ncquc rcmiilior i- * ra poftquam crupcrir,ftacim cocrceri auc reuocari poceft.Caula expofica cft. Quibus ica cxaminatis, Arift.cpilogum fcrmoni fuoapponit his vcrbis: tifp/uV ovv urr/uti^xj rou uvhusv&iuy itg n $Cotk owffl, tfTtH rav  "jUxHc uvnuo- rdln rcitfictjXj fyff\s avxui\Jmax%&rtf t/ 'araQ finrcufi Jfeiiva. alrtaXvtt^af. Ac memoria: quidem cjux narura fic, & quid ipfum meminille i cjua- qucanimi parcc animaliamemincrint : Icem de Rcminifcentia,cjuidlic, & qtiomodo , quamciue ob caufam fiat diximus. Huncctiam&noshisnoftrisCommcntariisaddcmus Dco opt. max.gratias itcrum agentes,quod noftros hofce laborcs ad hunc cxitum vo- lucrit perduci.Cupimusctia oratosDo&os omnes qui in harc noftra incider, C vt candide de illis iudiccr:memincrintquc nos vcritatis indagadxftudio , vt- que maghis viris in hac partc mbrem gcrcrcmus,& minus cxcrcitatis faltcm prodeilcm 9 ,noncontcntionis auc oftcntationis libidinchxcpropofuiflcad normamPcripatcuca:doccrina:quancum quidcm pocuimus,examinaca &c conformaca:fcd hac camcn cum cxccpcione,vc nos non pcrfcciflc opus f xifti mcmusdibcnccramplcxuriquecunquc mclioradcdcrit Dominus.Harcquo- quc abs cc, P r i n c e p $ I l l v s t r i s s i m i ,fi orcm acque cxpc&e,non fru ftra(opinor)c xpccrem:Quem cum alus Hcroicisnccnon maximis vircucibus aninuquc docibus iingulare quoddam iudicium coniunctum habcrc, omncs Vno orcccftancur. COMMENTARIORVM IN LIBRVM DE MEMORIA ET REMINISC ENTIA, F 1 N I S. i Errata (tccoiri^ito. Priar uumrrut p.tgirurmalicr iincam oJtcnJit; ) .5 tj.lin .ij. /r#vniucrtum. 15,1, fccunduru. ua r.n .cvpatur. is,n, fenfts. jojj, ptodcuV j;,4* , infi-riort.n. 57,1. cibucrc. jy, 4 8,.W ca. 4 m, .leguitt f.i^pritcrttarum. 57.44. dubiutiorm ncmpc, ucem. 55, ifc, Ipc&abilia. 4,55. Anftotdtv . 4,54, rfrlr diccnim.  4 ,3V. pcrtun&a- ttir. ' , lo'ni orcm. 71, 10, t/rtri. 78.17. Proclm. .o, 4 4.color. 81,17, prola.tciu. *},: ~. ouuoius. fc.5f,r!ctcrmirut. 85,11, illtv sratolivi yj.r.auu. J7,4*.' l fc K>445, rubctur. ir.14, h. m t*ttm Ua. odo- c.n. i3t,io,iiccv. iii,a,ponituriioo4irrcrTc. 115,14,1114. 115,15, mnutut. 15:^9, chaphano. rjr.,uofli i: 4 ,i,e;tinu. i 4 i,i,uidcrc. i 4 i,t,ctTcnrialiv,. A-tuum fcu corporum triplcx diffcrentiaexputonicis 8___ a, rcfutatio 87,d,88,a.b.c.d A&us a faculutc diftinguitur , U>>d Aau aliquid bifariam dicitur i o7-b Adrairatioquuliit Wjb Acr quomodo fpiritus nominc vucetur 1 ' . Acr cuoraodo propnum fit audi- tus initruracntum ioj,b Atr efl prunb huraid-s,raox a- qua i 8y,c Aer &_iqua quot modis pcripi- cuadicantur ith_ Aer non dicitur vcrc albus fcd lucidus i*M_ AEflhcterii nome quid fignificct io,d Aiucrnafimul fiunt &funt i ^8,b AEthiopes cur oculos nigros ha- bcant i___a_ Affedio anirrur fcnticntis quid fit & quotuplcx n,b.c,& 1 0 Aflcctioncs propnar m gcncrc fnbflantix &_qualitatis collo- cariroflunt m,a Agcns quomodo paflb dignius dicipoftit }i >d Agcn s duplcx per fc,pcr accides _*_? Albus color cur vifum difgrcgat oSjb Album & Ixue cur democritus i- dcm fcrc cfle aflirmauit i 8o,b .Albcdo & nigredo quomodo principiadicantur lubcrc 1 30U AlchimiAa? quarrunt quod appa- rct non quodcit, c contra na- rura 4i-b Alc v adri fcntetia dc medio ad fc fus r*quifito > cxploditur 44 ,a Alcxandri cxplicatio reprchen- Jirur 97,a.b,c Alimentum funplcx quid cfle nc- quit ' 18 ,d Alimcntum oponct vt fit nuxiu pcrfcctum i49,b.c.d Alimcntum conHantiam habcre _ oporurc qua rationc intclhy gatur u?,a Altcrationisnomc quid proprie flgniricct  t___j_c_ Aluntur oronia dulcibus 1 08 d Amarum vt dicatur piiuatio,& contrariumdulcis 1 77,3 Amari fapons ortus cx dcmocrt- to 1 84 c Amraonii fcntentiade odoribus rcprchcndjtur m,d.ioo.a Analoga habcrc naturam com- muntm fcoriim quomodo in- tclligatur ij,c,d Angeli perfccte Dcum . id cfl om nc iu dci cflcnua non com- prchcndunt 185.3 Angelorum cognitio alitcr ha- bct quam nottra i8s,a Animalia artiuM. iiue infccta quz dicantur *o c Animaliacur guflum obtinuerut 3__b_ Anunalia pcrfecta que fint 41, b Animaliaomniaqua* loco raouc turanfcnfus omncs I1.1bc.1t 41 1 Animalium difciplina intcgra quibus parttbus abfoluatur 9;C Animantiuro & viuemium gra- dus & munera tt>c.d Antiquorum opioiones hodic cognofccrc non poflumus 1 97, funt potius rcfutandi ob coru loqucndi improprirtatcffl ne- gligcntiamquc quam dcfcn- dt ndi 1 - b Appellatio a fine inopcreefTtci- tur 104,^ Appetitusquidiit i_J. t9, in quo diffcrat a fcnfu 1 ...i vbi cxcitetur ibidcm Appetitus in cupiditatem &ira a platonc diuiditur,& huius ra tio xo,d Apes mouentur ad mel , quod co- mcdunt mox cuomunt tio-a Aquafaporcomnicvet 1 54 c optim_ aquar indku Ibid. Aqua eft tcnuior olco i_______a_ Aqua non nutrit mHj. quo- . raodo ad irngandam terram , agricoLx ipia vtantur, Ibid. A qu .i 1 n t raflari nequit 1 J__c_ Argenttra & liannum iubcnt nunus humotis quam a;s &_ fcrrum i9i,c Argentura ad mtitioncxn auri quam proximc acccdic . t_i_C Ariiiotclis pia fentcntia dc co- gnitionedei s8?,b,c Ariltotclcs abuticur aliquando nominibus 48 c. cautc i.mu.J Ariliotclcsaliquando ralia fup- pooit difputando.&cur ,____. ius rnos in pcaractandu rc- bus, alicms m locis copioiius quam par eflc videretur 8,c Arillotclcs cum galcno concilia- rur in caufa pcrcipicndarum rerum&_contincndarum ijx, ab Ariflotrlcmcum piatone concilia rt in vidcndi roodo, nulla ra- tioncpofiumus 94,2 Ariflotclcm cx propriaJoqmfcn tcntia quando iit. cxUt-midum t ot,b Ariflotcles in tradenda philbfo- phuphyiica platoni j rartt.it, .qui certisrituJisomnia dige- rit^ion confuic tradit 164,2 Ariflotclismos in rcfutandit ve- terum falfis dogroatis 1 __b Ariflotelis roos in quxftionibus quar inter doccndum interci- dunt penractandis sx;,a Ariflotclcs merito cadem argu- mcnta in diucrfis fcicntiis a- Iiquandotractat m,d Ariflotclcs pic facit cum phyfi- Cc agcndo,ca ncgat quzphyii cara fpeculationera fupcrant An . .otclcs rigidus cfl inpropric tatc fcrmonis& vocabulorum mquibii$fi;;o4 a Dif M .m lcnius uctv\, nonocrui, fcrt toexpcntnua , Ibid . Quo- , nou cor io9,b.cd mododacaiUou^nauira* tiif* rationem cJ*inem,fim- Ibidb i pbciora up iC Aflra an fmt corporadiaplum. Ccrcbrum cft aqueum non tcr tcimmnci ittc Aucttovtfiat 170, b. noulem- pcr nutritioncm fcquuur Ibi- dcm Auditus pcrcipit numcrum,tcm- pus.motum & magmrudincm 50^  Auditus juomodo confcrat ad prtklcnnam reum 107 c tollitur - tf\ rc I . k repugnamia inAri! t. Ibidcm Ccrcbrum humidius inrer alia a- nimalia cur homo obtinucric tft,b.c CcrcbrumhumidilTimumcV fri- gidtfhmum Arift.vocat.io.b. caufa Ibid r- / *'* % i Audititf^MiK^^orefvrMMrvi- Chymeram non poffumus ima- fu pra-ftaotior eft $1 b  gjnarionc conciperc , nifi pcr Auduus quomodofn aeris toi c AudKtn inftrumcnta infcruicn- ti.i toj.a Aucrroifopinio falfadt-talpa Auicmn* rrarum Jc fi t u viden- tisfjctiltatis 46 b Auriumftrufitura ie*c Aurora quid fit 8c vt fiat tM-c Aurum odore 8c fapore caret ii i> Aurum punim n6 elitatur m c. Mcdicornm erratum in hac partc tbtdim Balliitus cur viTu homincm intcrfictat *i c iii--.it 1 qiutcnus Dci etTcntiam co prohcndaiit it ,d Cirotur-dtcatttrrcrrea m,c ienfum perccptafit 18, a Oiniscurlalfus&ramarus 171, b Cincrcs cxcoctx vt albiorcs rcd- dantur rjt.c Coctio cft paffio humidi U9,b. htimidiinqtiammixti Ibidem Cogitans an ma in brutis nulla elt d Cogiuns anima non datur 1*9,3. b. ficfcq. Cogitantcm an m.im nullam cflc prxtcr mcntcm ad phantafu iingulariaquc conucrfam dif- putatnr ?,xb.c.d Cognofccndi inftrumenta ex pla ' tonc 4,^ Coitusmultuscur perfpicuitate oculorum imminuat. .1 Colorquidfit tl^.c.d t:-.J Coloradcognofcendam medica mcmorum tcmperationem & vim confcrt i-p.b. itcm dca-  nimalibus Ibidcm Color a fupcrficic vt differat in b Colorum caufas omncs enumcra uit Ariir.&nullara prartermifit rjt,b Coloridem inrecalidacVfrigi- darcpcntur 147^ Color non efi fupcrficies ti4,c.d Color quanuisin fuperficictan- tum Vcre fir r tamcn in corpore cffe dicitur nft,a Coloraf i extra qua* dicantur tu, d.ti7,a Colorari inrus qua* dicatur u*,d Colorcs apparcntes vt gignan- tttr ua,d Colores medios effe finitos nu- mero i.p a Colorum mcdiorum fpccies fc- ptem prarcipuar ifo,a.qua* ve- rc media* inter has Ibid. Colores medii quomodo ex ex- rrcmisgignantur i.}v,c,d 14*, m Colores non nifi in fuperficie co loratircreeifedifputalur uf, a.b.c Colores quomodo generantur Colorcs omacs an fint eiufdcm fpcciei iptcvaliQima- i } o,b Colotcs vcrnn quibufnam.eiTe fuum habcant ixtj.j, Colorcs non funt infiniti, U7,d Colomm p nntipia 8c caufa? 114, c.d Colorum principiaomnia ii9 jC Compooeotil rationcm obtinct contrariorum M^d Concoctionisrriplt-itfpecies ii5, b. fingularumque excrcmcu Ibidcm ConfiliumcapereqUid fit 517, a Hoministantu propriu cfrlbu Confulutioin quibits locunrhi-' bcat 0    Confultatioc cortfilium mqoo difftrant v 7 ,b. obiettttmv- tnufaue Ib j dtn| Contfplatiocur vitz ciuili prar- 2 ftrt md Con , t muum diuidi r Z, m , at tit Tiquidiit  j.J Continuum cft infinite dmidtto rationc matcriar, vt en eft, fit qttantum conrinvum non vt hanc ycl illamformamappcritma- iorcm aut mrnorem n?,a Continuum poteftate ea mfinite diuiduum cft,qux ad actum e- tiampeTueoit 1 u^.l, Gontinuuravtdicaturper feio- finitefccabiJe,vtnon fccabile iiSJxcd Cotrani vocabulum latius furat- tur aliquando abArift.aliqua- dopropric ,0,1, Contrariorum quod cft pcrfc- ^tiushabitus cV fornur viccm gcrcre,quod impcrfcdius pii uationis.vt intcttigattO' ijj d Conualcfccntibus c morbo cur oculi glauci rcddantur roo,b Coquinaria? artis proprium toitd Corcur dicatttr origo virar io,b Corpus hureidum cum ficco ter- reo mrxtum,efl"c fubicdum a- ptum ad rtcipiendos coiorcs 131 a Corporis acceptio & fignificatio duplcx UJl 4 Corporis humani partcs fuperio rcs 6c inferiorcs aliter Arifto> tclcs fumit quara Galcnus 3o : c Corporis humani fcctio io,b Corufcatio prius fcntitur toni- truo,quamuis pofterius geoe- rctur tj^g Crafll-fccrc a congclari in quo diffcrat t fSj )0 Cutis eft medium fenfus tacttts no.b LIB. D SNS.&DEMEM. E DeSnifip accidentium duotu- | .. wV.j tiii m,c Dchnitioms fj-ccics ti4.b.inqui- b js Cutgorns locum iubcant ornncs,Ibidtm c.quid vnaqur quc valcat c d Dct naturam plulofophus quatc- nusaffcqui valcat 185 .b Dti nJluro pbatuafma cft Of^ Dcusct bcatuTirnus cx ftntcn- tiuDiogtnis m,a D.us nallo indiget , qtiia omnu hab.t tnd iDiicis in Mufica quid fit 150 b Diilc.nca & Riwtorica in quo diffcrant i74>b Dialcitic^agcrcquidfit ijo.a.v- bi Conucnut Ibid. ^ix--?-u- fympbouu quarftt 1 \ 8,b -.- 1 d , 1 J lu n,b .. a intcrminatum q ot modis intciiigatur 114, X-fat. .-jp :mi is3 ciui . . i. ' Amo* \ c Diut/iolibriquidcoafcrat i,b Dcccndafint qux- fcimus * Fidcshliorum Deiquidfit Figura an habcat conrrarium t8j,b Finisrhetoricxopinio curdica- tur 174: Flamma qutd  .,. d.~^ i Guflus quomodo fit qiadarn ta- chis jS.c Guflustam perfecxus quamim- perfcftus faporcs intcmofcit J8,b Guftus vtdicatur fcnfui alimen- ti p>rfpicuc docetur cx Ari- ftotelc itcm Gyp fum & calx,vtcxcoctaalbro rarcddantur td Horooeft *yn*&'r*? mtcr rcbV qua animanti " s,b IUumirutio non tft morus E.i. 1NDEX COMMENT. IN LIB ____. l^.ffln-iiotnultnm v_kt. m c- dft plctunuuc at b indiccnti- non ottinij impcrte- tioncroimiic3t :: ' c Indiuiduura aqVjcufum b Indocilcs cur V-fearic -mcmoru b. xji.b.c.d 4nnnitro C_ towm no lunul ma- ncm   , ' c Ingcnium qui-fit-arex quibus fa cultatibus animx conilct i_i_. ' a-b IngcnHimdciUtatcm& mcroo- nampoltulat -- ______ Ingenjum S_ ooa ldcm _7i,a Inlcriptionem librorum pr* noire quantum interlu i ,b Infcriptioiteshbrorurn nonfcm pcr ca oron.a comple-tuniur, -qu-r tn-uact-tvooc doccmtur Inlu>idufflnoncfle faporo-uro I 7o> "- c  In.hn.-us naturx quid iit 4*> -u^C u |dio '- Imlromemorum fiuis cft opu$ &t;m,b ImclU-tio iriaexigu lotclbgcntia quomodo dicarur lubitus in ratiocinationecon- Leonicus rcprthcnditur Lcuiatorpor an hoc prxcipuu ipfaliabcant vt rcflcctant ima- gifKia Hber dc knfilibus Svjnftrumen- w fcnfuum cur alios U p_*- uisNaturalibu contento* prar ced-t iuhs^ *".'- fiociufdem.Ibidcm.ltcm vlus -AO-M LibeljiinfcriptioDc inftmmtn- ti* fcnfuum fi- fcnfdtbus, cur rcccpt- a nobis . U_. > ' ' Libri de animalibus quemlotum m phyfiologia oUuicaqtdif- puutur t, c. quenvordintm intcr fc obtu-ucrint *>c Libn dtCalo,nonproprit in- fcnbunrarhbriDc prinupus Lumtn quomodo color vocttur n-s-d Lumtn dici cdloiTm fcx acc^idtn- ti,quiacum coldrnSus cerna- tur^actcmcft W,b Lumc colorc* no gcncrirc vt a.t Aucrroes , quomodo fir acci- picndum t jo.d.i^i,- Lumcn cft in acrc non.vt in pro- pno fubitCto H>h Lumc quomodo cahditatemprcj- ditcat, quomodoitcra calidum &: ficcum dicatur -5c Lumtn tam cftc in pcllucido qua do colorcs pctcip.iuntUT _qu* afrirmant,impropric &ldtz- poftcreloquuntur ii},b.c Lumcti vnius c-indr Ix acccnf- a luminc ahcrius in fuo pripc. - pio non augctur i%A Lux cft colons principium ,hi- mcn vcro color cx acC-Jcnti filkens Libri dc Phyfica aufcultationc, quotmodismicribautur _____ b i >j Libroru dc Phyfica aufcultatio- ncJcopus 1_L Libn dc fomno &: Euigilatione ad prarccdtutcfc vt fc liabcat Librorum Anunafticorum ox_ do I b LibroruroAriftotchs de animali- busquale iudicium fcrcndunt f.t b - .. Librorum Paruorum naruralium ordo ->x-c f.q . dicitur rxo, Lux , lumcn , radius , fplendor, quid inter fe dirfcrant . ftcnti ognitione ducuntur ______ Iraquidfit __,__. noncft in animalitus imperfrc.iori'- bus Ibidcm Ira quid fit }>-ya, vtefficiatur Ibidcm Iratus cur crxrfcre irara fuarti ncqueat V>>& . u LApidis rtum intranubes.K- riftotclesnon ncgarct t?-, 8,a Lignum cuius pars vnain aqua lit polita, altcta in at rc,cur fra _tum apparcat 70 b Lignamaximeodorata quz iint  w,a Ltn^ur caro eft mftrumcntifra fcnfus guftut,arque illa qux in pnori partc lingux cotinc- tur '. ,0C Lixhrium cur amarum aliquado, ahquando falfum nuncupctnr H9,t' Loci dialtfftici & rhetoris--trr 11- dan Logicararioqui fit Loquutio quomodo cfficiatur Lumenquidfit Lumcn ciudicirura-tus perlpi- cui tuincncolorimpropric vocatur Marc nori cffc propri. clemcmu aquar i__i___ Marmorcur albunt - ni.a Materia formam pnrcedit 5_d_ Materia priroa non ad vctenim ernt detcgt-nd- penra.bt.i cft in priori phyfico Mathemtfic_cOf pftraqur flnnx Alex-n^trb- ( *4.d Matlicmaticanon eft vcre philcK fophia.quia fubftantiasnon co fidetat >Mi Marhcmaticar cur CeniiTtrn_r 8c notiffim*  " . .  __L* Maihcm-ticrresnon funtt_ntu in opinionc M_rhemfttices nomcn ad omncm Philofophiam accommodari falfumeft, ?rc M-thcmaticonim proprictates Sc caufx cur lucidiorc fifpcr fpicux rnagisquAm phyfica^ r8jb D E S E N S. & D E M EM. & R E M I N. Mcdiaexcxtrcmis confiituta , v- num vt forimm retnunt. altc- rum vtmatcrtam 148,4 Mcdici qut rctte mcdiana facere volunta Phylicisexordtuntur ii.d Mcdicina anfubaltemeturPhyfi- btaeix 5U Mcdicina an fumat exordium ab Im 111 qu.v Phyficus definit M,b mind^U.-i.Ji) Mcg arcnlium opmio talfa i}>, -MdilbmtiUi biupoKiofo,a Mcloncholict cur 10 reminifcen- dolaborcnt ^iS.b.c Momoriaj dVtinitiones 177^.178, b.c, abfolutillima delimtio Memoru? oonun duo tndicat cciet pluntafla probarur pro Aucr. 4,D.C Mcmorum rcpctcrc quid fit *>f,c Mensadduomuncra,indigct pha ^ tafia 181 ,b Mcni an plura fimul eodcmquc runporcintclligat iR tslii Mcnscapatnon rccipit nifi ca quar funt extra,&: aliquo fem- pcr modo limilu UJ, d ;  ; t.'.ftDHt:iQi0 Menscumaddiftit proprie non mutatur *oo,d MtBtcurcontcmplando fit bca- tior quam agcndo ' : r - Ui, .4 KMUd Mi.is duplici ordinc fingularia intclligit *84,C Mens tninus dtcirur locus fpceie- nim quam fcnfus 187, Mcns non cft facultas corporea V8,d.v a.b. ^rVjootJi  Mcns noltraancognofcatfirigu- laru 181, b.8 li.j. Mcns noll ra an Dcum comprc- hendcrc valcat feq. Mens nofira cur Artifcx diea- tur 711 b. mouct phanta- Mcns vt intclligat cgvt habitu 4 , . . . . . Mcni vt fcquatur corporis tcm- pcrationera *7.b Menfis obtechtm duplcx intelligt potcft i8 4 ,a Mcntis voli/pnsinquibus cotifi- trat 107,C fitrn non mouetur dcm Menluraa-menfurato vtdifferat i\!fr*t?3A;r nomcn quid ftgnifka ij 4 b iW Mcteorologka-"  Memoru& fenfusin qtio ditfc- rant i7^>d Mcmori i inter r. liquas homitns facultatcs^idmodum fragilcm cffc 7>a Memoria num fit pratcrttorum 78,d.i7?a Mcmoria quonata potiflimum confeructur i98,a Mt.rnona vt ratiocinn naturam quodaramodo redolcat 194X Memoria vtfitfacultas fcnfusnd mcntis i86,d Mcmoria vt fit habitus i77id Mcmoriarenercciac.x Aucr. quar fit i78,b.ad iflara quot amcur rant Ibidcm Mcmona- fcdcra quzrunt mcdi- a Qaa phyliolocici i8,t> Mcmortam clfc fpiritualiorrm iiantut non pcffit abfquc pha tafmatis mtilligcrc dcclarat^ Metaphyficus , quamuis Phy- fici quoque pancs in ea rcdc- fidcrcntur i&,a.' bc Mcns noitra dupliccm obtrnet na turam 180, b. vmca cit ta- men m hommc Ibidcm vt lit actu& potcflatcfimul Ibidcm,c. cur non pofiit inteliigercabfque phantafma tis Ibidcm,c.d Mt.it nofira quamuis infcriora hc mtclligat.non timcn Mc- tibus fupcrionbuspcrfeaior tudicandadt 14^ c Mcns quoraodo a corpore pati dicitur,& in quo differat in Ibid. xit, N.irium iuquidfit Mik^-.tabtt-aiqiBaioami  Naturx coramunis noraenqmd fignificct ' ij.J Naturaex dtrabus meliut, cur a- g at tj*,a Natura non patitur fubitatmuta tioncs t7 i b Natura perftctionbus rebus fcrapcrmagtsconfulit 3, c.d I " hac paflionc a ftnfu x,b Natura pcr pauciora quarapotcfl Mcnsquomodotiicaturfequicor rcscfricit 7 s,a poris tcmpcrationcm vtx, Ncccf]arium*^r,qualc lit b Thoraa tt, 3 Mcns quoraodolocusfpccicrum Nccctfarii fignificatio muitiplcx dicatur 90A cxArift. t^d^.a- Mcs fcu nut 8c intellcctus in fcho NeccHanu & fcpcr.proeo quod lisprocodcm vfurpanrar nt, cil v;plurimum,fxpc vfurpat b F.. ii. INDEX Ariftotclrs | iSt.ft Nig^r.colorcur vifum Cogregat Nigi urri & afpcrumcur idcm fc- rc ; fc D.iiK.cr itus afdrroauit 180 b N tjrim quomodo dicatur pri- uapo.ilbi i7i,d.i?7,a Nt ii) Mufica quidut 148 b Nixvtlitalba . tud COMME NT. IN L I B. Ni vrub.-i .Kiiuiis, .vi Loior.it 1 fint ijo c Ncunuiibut abnu quanclppr rfcr tiinnoiiliccat. . ___t_a N & e prnen connindujur pro todtm _ | 48,c.d Nubts, jiLX,fumus,ancolorata fint Ifo.e Nutncriu impar qui itf,b Nutricns facult.u>quanuisagcns dic.mir ,nou tamtn pra-ltat ft-nticmiqijvr pacicns dicitur J b Nutnttovt fiat i7Q>b. prfCedit au&ioncra Ibi- ~* dcm Nutritio an ficri qucat cx vnico tlemtnto _ irsd Nutntio an j fimpltci ficri pof- ;&e._c nt ja; - i- 1 * ,,lC &feq. Nutritio fitabauimanonacalo- rctaducrftis Mtdicos j;o, Nutri Jntrttio j corruptipnc in quo dtffcrat, _ iw.b _ o r-v culi fub(tan(ia& compofitio Oculuro clTc aqucum probatur ___ Oculus cur fit aqucus ___ b.c Oculorurricolorcs, &eorundcm caufr 98, d.'; 9. a,b.c Qcnli an nocht fplcndcrc poilint *o,b Oculi pupilla alfquando cum par Olcum clt aqua craiiius (coigraocuJi confunditur ab Anlt. aliquando fciungitur ___s Ocului confricatus cur fplcndo- rcm ccrnittnon ftrm quiefces a.&f(-q. Odoracalido profitifcuur iof, b Odorcsad cercbrumhomtnistc pcrandum quantum valeat & quomodo 104. d.& fcq. Odor fiTtur non lotalitt-r fcd fucceflione partni altcrataru Odor&fapor quomodo eadcm pafliofint ift.c.d Odorum _ faporum cxtrctnu* lutus noilra tcmpcitatc, i vc- trtibus acceptus toj.c Odorcscur intcnfiores in plantis fiant apparcnte iride,& mane quam afias 1 . J Odorcs pcr fe , an fint grati om- ntbusnominibui 107. a.& fcq. Ddoribus ftctidis quomodoani maliaintcrnciantur 114 _a Oleucurm.igisdiffudatur quam aqua it7>c d. aercumcflc.cur aquar fupernatet. cur tam a ca lido quam a frigido crafft-ftat noncoagulctur Ibtdt-m Olcum diutius inaqua concuf- fumcur exalbt-fcu iti,d J_ b.c Olcumex omni lapideextrahunt chimici i->o,d Oleura vt cralTcfcat J frigido , vt itemacaltdo 110 ,d Olfattus t-.t mcdius inter alios ft-nfusextcriores if,b. & fcq. OlfaSumdcbilem cur obtinue- Cit homo irttb Olfa^us hominis curdicatur dc- bilis tfx,d Olfactus inltrurnentum cur ab obiecto iit iudicatu. Tadus Se Gufhis inftrumemum non ttc iu,d Olfactus tnaquacfriurur t8&, c.d . Olfactus organura rx Galcno ic^>c. ex Arutotclc ios, d Olfacrus organum an frigidum & ficcum Mt io.,c Olfactiliaquomododc omnibtis ahts fcnlilibus pariicipciu ui,c Opacitasadcolorum ortumcon curru tjo,c Opinio quid fit 174,1 Optnio quid lit ,& quidvdrat,rx Plulopono ia Opimo quomodo dicatur coclu- iib fimui & pnncipium Dtale- Giti fyllogifrai i7f,b Opinio cur dicatur fiois rhctori- ca? 174C Opiniomquodi&rru atncmo na ____. Optnio &pcrfuaftoij>6funt pror fus idcm i74,b Opttci ncmi qui 9a,a.b. cur illisabfciflxs vifio corrupatur 8 b c- Opttcorumfententia dc ridendi ratione ab Aicxandro rrfuta- ta _>a.b.c.d. 7.a.b.c.d 77'a.b Ordoquid,&inquibus rnaxime fpectctur jio c. Ordo doctrinar __d Ordincra docrrinar vbi potiffi- mum feruauerit Aritlotcics u,d Ordo natura? m r A Ordo naturar abordine doctri- nar non diffcrt i7,a Ordonaturxmutatur aliquando occafione facilitatis iti.b Ordo libclit de mcraoria & de forrino i^7,d. u8.a. b Ordine librorum prxnoue qua- tum rntcrnt __ OiTavtdicanrurnutriri humido I7l>b.l7iC Outtm coctum cur albius redda- tur rjt_c P Paipcbraru oculi diuerfiras in animantibus iu,d Papiiiarum craiTum errarura 8?j Papiiiarum facrificorura crror de tranfublfantiatione aquar in vinum uo,c Papyou poif combmiionem cur albus t_i,a Panes ratione tantum totius pcrciptuntur i^8,a Paruoxum naruraiium infcriptid DE SENS. &DE MEM.&REMIN. vndc duda i,c.-,a.h PcrfvCtior ,ib impcrfe&iori pcr- hctpoielt Ji.a Phan;a)'ualiquandoMcns capax vocaturabArtlrot. w,b Phantalia cur ratio dici poffit }I,C Phantafia cft comes Mctis, S:af- fi-clailliusindiuidua ifli>b Phantafma no ducit .id opcratio- ncmintc,nifiriKdiatc iti,a Phaufm.i fcnfus communit paf- fio quomodo dicatur aliquado i8i,d.i8t,,a Ph.it.ifma vt poftit dici paffio & agcns tfo.a Philofophus , quatenus Dci co- gnitionem poflit affequi i8\,h Phtlofophicc rcm traciare qutd frt y_a  quid (ii , &qntbus maxinu- conucniat 141 h Phyficus qualcm forma,& qucrrt fincm confidcrct jvi Ptctura quot habcat pancs 137^ difricillima.Ibtd. Pingucdo quomodo calcfaciat . 7>ib Pifccs olfaciunt i88,c.abfguc rc- fpirationc i89,a Pifccs quomodo odorcnt i io,b Pifccs maris vt alantur cx dulci 171.C Planta- an habcatu loca intus ad  dctermin;ita receptioni,&co- co&ioni alimcnti no,d Plantxcur guflucjrcrit yi,b Plantx vt dicuurcfurirc, fitirc, nutnri.palci in,a Piantarum os vcntriculus & vcnc 110, d Plantarumcxcrementa,ex fingu- lis conco.tiortum fpccicbus . xu,a Platonis & Ariftot. diucrfa fcn- tcntia de fcicntia noirra, vnde , habuilTcortum potuit joi,b Platonis mci non vcrc plulofo- phlCUS.ncqnc i-n.T/-;y/x;.^,d Platonis philolophia phyltcjqua lis 8i,c Plinii fcripta qiu rationc laudari dcbent iio.c Poteftatc aliquid bifana dicnur Proocmii natura u,t>. gcnera Ibidcm. Probabilc&vcrifimilc diffcrunt *74>h Problcraata Arillotclis modicam vim adaliqmd probandii ha- bcre deben^ t.c 1\(At.*. prxcipuc &necef- fano cxaminand.1 imtio cuiuf- que libri,quot,quaIia, & quid valcant . i.h.c Prophctiaquidfit :-s-d. inquo diffcrat adiuinatrice fcicntia Ihdem Prophetix vcrx donum vt ha- bcatur, non agnofcunt phyfi- ci xyiA Proportio fcu eua^eyn quidfit  35,b. quotuplcx, Ibid. Propria fpceiet non omnia , om- nibus ilhus fpcciei indiuiduts conueniunt io7,b Prudentia quid lit 45. a Prudentiaanimalisquidfir 45 b Prudcntia inquibus animalibus rcpcriatur 44 c Prudcnrix triplex fpecics 44, c Prudcntix n.itura cxifons 44 d. Prudcntixmunus t>,c Prudentiaquarationcintelltgc- darum & agcndarum remm cflc dicatur 4*,b Prudctiavt bnms trtbuatur wc Puerianmcmortavtgcant *?i ; a. b.& fcq. & cur Ibid. Pucri cur oculos glaucos babeant 100, a Puniccuscolorqualis H?,c.d Puniccus a flauo dillulguitur, no a rubeo ifo,b Purpurcuscolorqualis tjy.b.c.d Purpurcus eu color vcrcmedtus omnium no,b Putrtsodorad amarum rcfertur 101. C.d Q_ Q* tulitates prinus non cflc for- - masfubilaniialesclemcn- toru m,a.b. c. d. infcparabi- lcs cflc ab illis i6i,d Quantitas cur non definiatur pcr fubiechim, quanuis fn accidcs ' n?,d Qjpniodo plura fimul eodemq; tcmporc fcntiri pofiint i6i,b. cd. fca\ J^adius reflctus , quis , & ra- dius rcfraCtus 70,a.b Rationes a vi nominum fumptas non fcmcl adhibet Ariftot. iji Rcflcxioa^wx' / - , diffcrt 7o a Relata xquaiitatis qux funt ij7> Rclatorum genera quot x^7,b. naruraeorum Ibid.cd Relatorum vnam fcicntiam eflc, vt fit verum ?,b Rerainifci quid fit 301 -c Rerainifcieilaprincipio fumc- re 3oo,a Reminifcendi principiura qualc 3o3.d.:t04,c.t,o8,C Remirtifcentia in quo d uTcr at ab inucmionc, memorix rcpetitio- nccxidifciplina m Reminifccnnain quo differat .1 repctitioneinuetionit fcu di- fciplinx joi,d.joi,a. j memo- ria joi,a Rcminifccnt ix motio vt fiat 303, c. d Rcminifccntia eft paflio corpo- rea 317, d Rcmtffio non oranis a contrario cfricitur ui,b Refpiratioquid fit 11, c.cius defimtioioc^d Rcfpiratiocuritadicatur i8?,b. c.quid fit ibid. Rcfpirationis vfus i8y>a rAgacitasquidfit 171, d *^SaIcft odoratior nitro 1 q t d Sa l tff nitrum a calido coagulatur t>i,b  Salmixtum liquabilccft tcrrcti- quc H9,b.cius gcncr.it 10 jlbid gencrajbid. Salfus fapor , cft fapor raixrus Saliux vfus rigfjfej Sanitas quid fit ij, a. Sc. in quo conftltat ibid. Sanitas &morbus in quibusrc- penatur i;,b Saporis definitiopcromniaqua- tuor gcncra caufarum g4>4 Saporcs quot,& qui i7^,d Saporcs vt diuidantur in paffio- ncs & priuationcs ia;,a Saporum principia cx fcntentia mcdicorum i7QM Sticntuquomodo vocttur lubi- tus 3oo.d.quomodo paflio Ibi. Scicntuquomodofu futurorum i7*d Scit-ntiJ cadcm caufas , 8c erTc&a carundcm caufarumcontcm- pl.uur: 8,d.quaudo vcra abfo- lute fu ula propofitto w> Scipa ammal quod uo.a.b Scopura hbrttcncrcquid confc- rat i .b Sencs an mcmoria vigcant uta Scncsfunt garruli,tdcirc6q; mc- roona vigcnr i9i>c Scnfus an lit facultas paticns 30, dApA 51 Scnfus cur vmbra intcllcdus ab Aucrroc nuncupctur 34 a. cur iicro fcparabilis Ibid. St-niuscur mcdio cgcantomncs ex Aucrroe -; ; ,d-4 I 1 Scnfus duplex obicctum,vniucr- falc cVparticuIarc i8i,c Scnfuscurnon dicatur fpccicru locus 9o,b.c.d Scnfus cur dicatur ccrtior uucl- lc&u t9,d Scnfus an cognofcat fuam opc- rationcm ifd Sciifus dtcuur magis locus fpc- cicrum qu.tm mcns 18 : !> St-nfusconimunisandctur 4, c.d.& fcq.an fit vnus Ibid. Stnfus communis quomodo v- nus,quomodo Utin diuiduus dtcipotcfl. >7.* Strduscommunis nocgtt lumi- nc vt cxtrinfecaobicCta perci- piat:aducrfus Alcxandru 97>d Scnfus comunti vt pofiit duabus fimul codemquc tcmpore mo- tionibus afrki : . ; 1 !> Stnfus vt fcntiat non cgct habitu 4S>> Stnfus andccipiatur in propho obicc)opcrcipit-doi8i,b.&:ft'q. Senfuscxtcriorcs funtvcluti fa- rauli Sc miniltri in oltio fcnfus communis mancntes 194,3 Scnfus intcrioris facultatcs cnu- nctantur i8,c Scnfus omucs an ad falutcm tan- tum vcl ad neccfutatc , aniraa- libus trtbuti fuu 4J,c Scnfum agcntcm poncrc, vt Me- tcm agcntcm ponimus , no co- gimur ;i !> Stafusfinguli,quc vfum amma- liadfcrant ,;.!> Scnfus,tcllimonium ccrtilfunu a nobis lubcri drbtt i*,d St-nfuum vfusadfcuntij Sc pru- dcntuinaflcqucndara 4-j,d.4/.a Senfus &.* fenlilc quoraodo rcla- ta cire dicantur 1 ; - . t . d . cc 1 j8,a Scnticndi facultas quid lit :-.j Senticndiviscurnopofiitin in- finitu abire fua tfhcacu tao,a StTilc quod fimul tcmporc a plu- ribus ftntitur ; quomodo ldc, quomodo itcm diucrfum dt- catur *3?,d Scnlilupropriaquarfint 5o,a Scnfilia quomodo opcrart dican- tur ii^.a Scnfilu communia quantitatt-m confequuntur 49-d Scnfihs dt'hnctio,cognitum ncm pc&r in re,vndeclicutur svi.c Senliliacommuniaquoraodo fcn tiantur i8i,c Scnfilu communia quot &.' quar, cVan ab omnibus icnlibus om- uupcrcipuntur i8i-b Scnlilis fpccici nomina 190, d Scufilcs ipt-cics omncs funt fpin- tuales quod ad aftectionc fcu rautationc quara in fcnfus pro duait,non tamen omncs quod adfuiortura i4J> ScnJiks fpccies an prius mediura quam fcnfura afhciant 134, 8c feq. Seniile minimumcx parte fenfi- lis.maximii verb cx parte fcn- fus datur i3o,c Sctifilc cur magnitudinem cxigat 114 >a Senfile quomododucerc dicatur ad actum fcnfum ipfum \i a. Scnltlu non propne agunt in fcn fus i7,b Scnlilu in infinitas fpccics fcca- n ncqueum 11 7, a Scnfio quid fit i7,a St-nfiothacxigit tro.d Senfio duplictter egere corpo- dicitur 190 c.d Senfiovt commoda&optimatf- ficiatur, quot exigat conditio- nes 1S1 ,b Scnfioni optime cfficicndar con- ditiones rcquifitasadcfle, qux facuitas iudtcet 183 ,c Septenthonalescur oculosalbos habent uo,a Siccumduplex i Specics ftnfilcs vt dicantur im- prtmi in matena 3154 Specics & formas , male diltin- guunt Latim ?o.c Spettabilc onmc an luraine egeat 70,a Spccula vt 1 . :!  -n qualia eflc oportcat 70,4 Spcculans rcflcxio vt afrkiatur 70,c.d Spermacuralbum iji,d Spcs futun vt appetitur 174, u Spes quid amphushabcat quam fidtS tyyk Spes &r opinio vt diflerant i74,d Spes&fides ratiocinio compa- rantur i Spintus animalis quomodo nu- trtndicatur 1104 Spihtuurnhuraanorum difchmi na & cfiicacu ex Galcno F;,.i.J> Spiritushumani funt fpccicruni fcnliliumdelatores ;i? b.c Subiectii vt ponatur in deflnitio- ne accftctis abflradi & con- crcti iM,a Sub ie^tum a fcopo re non dificrt 7,a. in (cAcntiis hoc verura cft, I bid.b. in arttbus nequaquam. Ibidera. Subflatiano potelj incclligi abf- quetempore i8f,d.i8$,a Succcflio no oritur i dctermina- tavi D E SENS. E T DE M E M. U R E M I N. tavi&cfhcacia agcntisfcd a rcii .ciuiapaticnti 4* J Sapcrtictcs v t iit tcrminus corpo Etl jiliyfici & diaphanacr ii9,b Sudorcurfaifus i7J> Safdut omins ab ortu an fit na- tus SirdiaboKUjCurmutifmt 5,a Ta:tusorganumquod fitdifpu- tatur ioS, vbilitum. curtcr- rcumdaaiur to7,no TadusanaGuftufciungatur 57 b. & j8 TaJut mftrumcntum cur circa cor fitu cflc dicat Arift. no,d TaJusan fimplicitcr animalilit nccclfarius. 54 c Ta.t.is ncccf.itas cx Thcmaftio 54 b.&c Ta-tus & Guftus tcrrx funt 107, d.io8,a.iu,c.d Taitus pcrcipit cxccffus folos qualu.it 11 laailmin 151, d.qua- re&quomodo Ibid. >7ia Tcrra quanuisfit graiiior aqua, halitus tamcn cx ipfa cuocatus lcuiorcft 174.C Thcmnlii fintcntiadc Scnfilium comunium pcrccptionc aducr fus Aucrrocmdctcnditur,5o,b Thconcapars m mcdicina.quam vocctScotus 16, i Thomasrcprchcnditur i8..a itimrcprchcnditur id Vbiquitatcm carnis Chrifti qui ftatuuut , 1'apiftis funt mtolc- rahihorcs 89 ,a TaailiacurnonpcrtraactArift. Vcrilimilequid ; *74-b Vcrmcs Cy pru vt viuat.vt oa- turiuignc i7i,d.i75,a 115^ Talpa an habcat oculos & vidcat 4i,c.d Tcmpus infcnfilc an dctur 158 c Tcmpus pcr fc 116 fcntitur if6,b Tcrapjs fioc motu pcrcipi cur ncqucat *55.d Tcnebra* quid ?8,d.59,a Tcncbrr quomodo ccrni dican- tur 8o,a Tcncbra* quomodo nign nun- cupcr.tur 80 ,b Ttrra facra appcllationc anda dictacft 4o,c Tcrra qux apud noscft,impu- rior cft aqua qui apud nos cft Vid-.ndi differctix in maiori vel mmort diltantia ioo,c Videndifacultasvbifitafit .-a Vinummcracumcur magislcn- uaturquamaquadilutu 147.C Viuum modicum 111 multa aqua ingelluman corrupi dicatur, vcl pot ius aqua augcrc 110 ,b Vifilium ommum gradus , & or - do uo,b Vifilc noncffcimpcrfe&iusaltis fcniilibus probatur 145 c Viliovt vcrcriat 79.b.c.d.& 80 c Vifio an nat cxtramittcndo , vcl intus fufcipicndo 81 ,a Vifio 6t per aflinulationc no pcr contactum 139,3 Vihovt cfricicbatur cxPlatonis &vctb.c VifusprrftantiacxPlatonc 49 b. c Vifus an magis confcrat ad difci plinasquamauditus fi,c Vifus maximc pcrcipit fcniiha communia 50/3 Vifus fol' fpiritualitcr afhcitur, aliifcnfusmatcnalitcr 49,4 Vitaquidlit ios,b Viucuspcrfcctum qualc dicatur if Vngucnti nomcn quid lignirica- rctapud vctcrcs ioj,C Vni fcu t EV/ mcnfurat ratio jp~ pric coauenit ijj,d Vnum pcraccidcnsquid i5o,c Voccs l)mtorum fcribi ncqucut 50. d Voluptas quid flt i9jC&qui>. modo cfriciatur Voluptatisduplcx gcnus io7,c Voluptasquxomnibus animan- tibusconucnit 107,0 Voluptas & dolor non funuaffc- &iones,fcdaflcdionum pnn- cipia i9,bx Vox quid 50^1 Vrina cur amara & falfa dici 1?9,C Vrdcum latcnt,quo nutriantur no,a Vulturcs & Tigrcs quomodo cadaucra in loginquis vrbibus inhumata pcrfcntifcant i98,d y'7n*:p4u in fcnlilibus qua* fint ijo,b.&c H'-mKTe7!^Ty dandaeft. r.. POTENTISSIMO FELICISSIMO Q_y E Principi ac Domino , D. dAugu&o, Duci Saxoni ce, Sacri P^mufmp. Ar * chimarfchalco (sr SleHori , Lantgrauio Puringice, Marchioni Mijhia, ! Burg * grauio ^vfagdeburgeyifi , &c. Domino fuo clemen * s "  tifamoy Simon S . s. Lnc.ua r trnu tua Lipfenfe ( ^Augufie Trinceps f elici fime J Trofejjora te ipfo con- flit utris , tuajj ipfins liber alitate fu - {lentatus, Vialetiica, ThyficafiKio- ralia % Jriftotelts,&%iedica Hip- pocratis atfi Galeni decreta Saxo - mea iuuentuti explico > fa8um ef& , Vt cum in quadam di- w iBWHWBpPHiM i s t oiz k ~ fj>ut titione, nonnulla de Nobilitate ad materiam 'tum mihi propofuam pertinentia obiter attigijfcm, Nobiles '& honefli aliquot Studtoji , primum mirati fint, ea di re tot ac tam na- tura congruentia, ex lAriftotelii doftrina potuiffe proferri : deinde Acritatis amore impulji, obnixe me.orarint , ve quid- quid diuinus ille Thilofophus, de Nobilitate fenjijfct, uel di- ^ ' /T* g* 0   . * "* i - i*/) ..  1 , . xtjfct ufquam,tdtis peculiari aliqua dijputatione, ordine, me- xhodoq, decenti planum f acer e,ac dcntonjlu _ .. .... rare non grauaref.: atq } fforiajfe ut ad eum rerrrprocliuiorem me redderent J nl- tro fafii ftntyjeualde pauca ex ^AriJlotefe,primian in fhtto^__ ricti, deinde in exiguis quibufdam & mendojis fragmentis, qua apud Stolaum leguntur , de toto ijlo argumento difeere po- tui ffe : alibi prope nihil babuijfe pratdrea uero quaft conque- jli, aliquot ex ijs,qui haBenus dffNvlilitkte ii^layolumtu* CQnfcripJertihf ^neg ;nomeq ipfnin jaCis'difb^le^ropoJuifJc t / i J + u - ma- J' ' i- > ' ^ **v '  - 4 x j jj neq \ de ipfx rei natura magnopere-laborajfe.fcd in addttamtn ..Ax:: t\ I  j[J^ fi* A tii juptaxat & commknioribuf Quibufdam praceptts magna m ly fjmm&nivi urt+7 yuu/ujutun yeidforum pompa jpitndidofy eotcmplurum apparatu amplifi- candis, magis Occupatos fuijfe : alios autem rei , quidem ipji baftffe,c&nfufe tamen, &qtt*fi lnejitanter,dixilfe potius,quam deelarajfe omnia. Quibus ego uitifiim refpondd,iAriflotelem longe adhuc plura de Nobilitate , quam qua obiter ego attu- liffem , nttjsquosab eo nunc habemus legitimos libros , reli - qutjfefcripta : ac tot, utplursia ToIitiio Philofopho , non in foroyifed in fchola uerfante , nem o debeat ucl etiam pofiit am- plius expetere : at% in fumma, nullum ejfe argumentum, uti 'M' iif f ; ' ,0  /  meta- -  M*-' t =1. e.-, i f. w ' r * : .'- r. ,  i V T m RVNCVPATORI metapbyficum, uelphyficnm ,-uelm'*/ uel ogieum ,dcquo abipjo m* non fuerit appofuipme^xquifrtiftme, (pro ma- ter:* fubicft* conditione J perfeSifime yucnfimeq, dijjmta- tum : quod multi} ( no dei fu loquor qui nugis & com- - fmdiolis quibujdam , totam fuam Vitam triferrime coti fu-  difficile, ad intcUigendum mdcri foltret, moyfuerit , reruny doRrinas nonfcmper exprefe proponere ,fed nonnunquam Ji - gnffcare duntaxatfquod ipfum Socrates a quoq apud Tla- - , - tonem dicere uoluit,ctim de ratione reRi . M In Cratylo. . , , . ... Amponendi vocabula wtclhgerc cupientes , ad Hemertun , qui nufquam .tamen de nominum impoftione fcrtpfijpquicquamuideretur, obijciente etiam id , mitanu.  jdsrmegene, reuocaret) ^Arifoteli tamen boc f amiti ariju- mum ei^ybreuifime dicere , artijiaojifiimc tamen , C quaji per nutus~ac figna ( Vt b Galenus quoq } deipfo te flatus efi ) - . - exprimere multa, neo. fe uno m loco jem-  1 In Iib.de foplrif, p (f . rj a lin^j[ 0lVl p\ uri b ui declarare : ptuoeeconttnr.e.i.  >,./ A r * nihil tamen wtft fruftra , vt qut nonfue- T t' 5^: IB M v.r-  ' cap io p torum etu * omnium op:is ejjejt quis de iL - /// fetitentU iudicium ferre , fx doBrina,de propoftis quibnsfi&quantnmuis etiam nobili- itu grauibusfi in omni difciplina quxjlionibus diffmtare fe pojfe, y erum fi afequi & cognofcerc cupiat : iAc tum etiam , feruandum d Galeni praceptum de operibus Hippocratis ad- . , . uerfttsTheffalum , ne uidelicet tanti yiri ryj i. meth. mtden- r r " t ,  cdb i JcrtptaJme praceptorc ,& bono praceptore legantur. Quod autem a me petebant, id quia denegare iu/te non poteram, fafl urum me promiji: ' Taulo poflfc igitur, quindecim continuit prxlcflionibus ,de tota re ex ^iri (io telis difciplina dijfutaui . Nam & proprie- tatem nominis prout apud omnes communiter ufurpatur, an - ' te omnia expofui, & ftudui deinceps quantum potui, ut yeri- tatem ipfam ac naturam rei, fublatis etiam omnibus dubita- tionibus, cr quibufdam alijs pracipux dijjiutationi nojlree an- nexis, & non contemnendis quxjlionibus propojitis, atfi de- cifis, clare aper te fi intueri ynufqufy poffet. Hoc ita fi mo- do, fatis petitioni defideriofi amicorum fecijfe me arbitrabar p Sed ecce, non multo poif redeunt ijdem , ueniuht ali j, multum fxpcfi rogantes,yt qua ipft audiuijfent,atfi ex publi- cis meis f>rxlettionib'is collegiffent, y erum ut inillafcribendi fejlinatione accidit , mutilate, ac fortajfe etiam non fatis ijs  qua 3 I ' NVNCVPATORIA. ^ qua ego dixeram congruenter , a me ipfo digefia,0 in com - , mentariolum aliquod breue relata , in lucem proferrem ,flu- diofiijj omnibus communicarem . Quid pluribus ? & id quoqffaflurum me, recepi: Et qua caujfa fuit , quamobrem recufare debutjfem f Nam quod multi ante me de Nobili- tate fcripferint , id nihil eif^,ji non eadem , eodemfemodo fcripferint : Velle autem femper , Vt in nonum annum fcripta premantur, ambitioft hominis potius e eius qui pro- friaftudeat gloria, quam honejlum , & 7$eip. literaria Uti* litati confulentis. Quid enim interim cum ijs agitur , qui minus intelligunt , & quorum difciplina nobfreif, d Veo commijfa /* Ve catero , amplifimus Thilofophia cam- pus, in quem uel ut Imperator, Vel ut Tribunus, vel ut Centurio , aut etiam priuattss miles, certaturus defcendas, tuo funftum effe munere , atq i in eo praei aram tuam volun- tatem ofiendijfe , honejlum laudabile^ fatis ef  . xArifto - - > teles e ijs etiam, qui non plane re fle de phyficis ftrip ferunt, , r haberi Voluit vratiaf, at a. eo prafertim A lt2t.metapb.capj. , A  13 n  J 1 nomine , quod tngenwm po fenorum ex- citarim exacuerint g. Torro cenjuras dottiorum uereri, ef^ hominis , qui doceri nolit & admoneri, qui veritatis di- fcenda cupidus non Jit. Suggillationes autem indoBorum & plebeiorum hominum , calumnias qfinuidorum & maleuo- lorum, emendes quantumuis fcripta tua, nunquam uitabis : -Sed tales fiernere, magnanimi & prudentis viri cf. Omnino) itaq } , ingenuum ac liberale indicatur, nulla in re uel magna , * uel par* , ^ > .. 'i i 27Q uel parua finere futim defidtrari officium ,& cum aliquo etiam propria nefcio cuius gloriola periculo, quamprimum pofiis, & quxcunq pofiis , in communem ufum prompte proferre. Sic igitur fublatis omnibus tergiuerjandi occajiomlus , & viBus flagitantium aquitate , quanquam fatis occupatus , qttibuf- * dam alijs longe grauior ibus maioribus if commentarijs ador - nandis effem , atq, adhuc me ejfe oporteat , quibus nempe cum . aliquot alia, tum uero inprimis analytica tanta uttlitatis tantafj nece/litatis pracepta ab\Ariflotele paulo objcurins ' tradita illuflrcntur, &a quorudatn noflri feculi philofophan- ttum fophifmatis erroribus % purgentur , longius tamen rem promijfam differre nolui. Quapropter ,digefii fatim totam de Nobilitate dijf utationem habitam, in quindecim capita : Ordinem inter ipfa natura rei couenientem flatui : Methodo ufus fum materia fubiefla accommodata : Oratione humili Thilofophis a ufitata & grata ', exprefi omnia : nullam di - - . cendi pompam affeBaui : nullum fucum '  ' * in loco , coufy etiam prouehit me , fflM in tuam Excel fitatcm Fiet as , ut ego quoq ) feruus tuus gratulari tibi, imo uero toti tua ditioni , imo toti Germania de CHRI- STI A FI 0 Tr incipe filio tuo nato Elettore , aude- am : Qui in ifio etiam pueritia flore , utre Augufli animum in fronte gerens , ampli fima diuinifima q } fua futura merita pollicetur. 0 ter beata proles , tantis digna parentibus : 0 ter beata Reff. qua tanta prolis principatu regetur. Habet autem domefiicaea^illufirif ima multarum atatum , t*r, quod fatis patris tpfius exempla , qua imitetur : ha- bet etiam quem audiat } Dotf. Taulum Vogelium Jurecon - f ultum , optimum , prudenti fimumq ^ , nec non omnibus dijci - plinis Ubero homine dignis ornati fimum , fua Celfitudinis educationi , infiitutioniq ^ , fapientifimo confilio tuo prafe - ftum : Sic Alexander ille quoq } , Macedonum ( inquam ) Rex, cognomine magnus, non ab alio quam ab Arifiotclt_j , eruditus t ac praceptu morum difciplinarumq, a prima atate b i forma- 26 1 formatus , Philippi patris yoluntate fuit . In pari ita% ( yt ea qua pietatis fiunt , in prafentia mittam J auita glori a f limulo , natura bonitate, par e tum ff e, educationis & infiitu - tionis conditione , quis non jieret , parem atq, etiam maiorem fortuna profferitatem in augendo imperio ,C HPJi ST I- AN V M Principem f Cbriftianifiimi Principis Augufii Ducis Saxonia at % Eleftoris filium, confequuturum t Hac igitur atq, alia merita tua ( sAugufiifftme Prin- ceps ) quia infinita fiunt, quis enumerabit f quia diuina , quis e/limare ynquam , ne dum aquare fiatis poterit f 7{efiat t yt libere fateamur , hoc noflrum munu) culum, cum ex fiua , tumuero multo magis ex tua dignitate Jpc flatum , perexi- guum ejfie , yilifiimum , tenuifitmumq l : Et quis neget f xAttamen DE O ipfi immortali, optimo , maximoq, totius huius Vniuerfitatis Monarcba , nos homines fiacra facimus , yota offerimus, laudes canimus, qua ipfie fuper omnes Clemen - tifsimns, non modo chara habet , fed etiam quantvdacunq i fint fibi offerri ultro benignifsimus petit  Neq, ifta nunc alio nomine dedicantur Tibi, quam ut grati obferuantifsimi% fer ui animum, qua/i arrha quadam declarem, qua me non modo non liberet a debito, fedobftrifliorem etiam reddat: facere non  e, educationis & infiitu - tionis conditione , quis non jieret , parem at q 1 etiam maiorem fortuna pro feritatem in augendo imperio , C H Pff S T /- A N - V %1 "Principem , Chrifiianifiimi Principis AuguJH Duci* Saxonia atq f Elefler is filium , confequuturum I Hac igitur at % alia merita tua ( Auguftifime Prin- ceps ) quia infinita fiunt , quis enumerabit f quia diuina, quiit a/limare vnquam , ne dum aquare fatis poterit f* T^efiat, yt libere fateamur , hoc noftrum munufculum, cum ex fiua , tumuero multo magis ex tua dignitate fl>e flatum , perexi- guum ejfe , vili fimum , tenuifiimum^ : Et quis neget i * Attamen DEO ipfi immortali , optimo , maximo g totiue huius Vniuerfitatis "Monarcba , nos homines facra facimu* , Vota offerimus, laudes canimus, qua ipfe fiuper omnes Clemen- tif simus, non modo chara habet , fed etiam quantulacun^fint j ibi offerri ultro benignifiimus petit . Jde^ ifla nunc alio nomino dedicantur Tibi, quam ut grati obferuantifiimiq, f erui animum , qua fi arrha quadam declarem , 'qua me non modo non liberet a debito , fed obftrifliorem etiam reddat: facere non % Vna fidem uult debiti, quod prope infini- tum. Quicquid igitur dem, nunquam fatis erit. Hoc certum #f: Sed & illud quoq } certifsimum : "Magnanimum Au- guftum pro Clementia virtute % fiua , fatis fibi effe faflum V [ putatu - t- -V *  * * . .. -tf- ; * .  ' . - c   4 *  - / # ^ ,  M Vi ' . f , * NVNCVPATORIA. putatarum , quia honorum omnium uti praftntium uel futu- rorum pojTtfsione cumfoluendo nonfrn , libentifsime cedam . Spem habeo aliquam in temporis intcruallo : & liber alitas tua efficiet, vt multo plura maior a^ iam a me capta, & ex parte abfoluta , nomini tue xAugufUjsimo dicare pofsim  Mune quando maiora nen habeo , hisquantulifcun^nequafo {Princeps bumanifsimej offendaris : Sed faueas potius ( VteeepiftiJ mea induflria diligentia g, quam in optimis re- ^ Bifsimiiq i Philofopbia xAriftotelica ac 'Medicina Hippo - cr atica jludijs non mediocrem , per omne meum yita tempus po/ui : me% ut antehac, ita deinceps com - mendati fsimum pro tua fumma Clementia uelis habere. Vitiat Excelfitas tua diutijsime f elici j sime g ,  .  Lipjia xAnne Cbrifli ' -jtr -  ' . * X . ' f T>. TZxTT.  \ i f * 282 C ^OnuerfioGr*corum,quaf in tota ifta tra&atione j leguntur, habetur in fine libri. Allegare autem Grzca hic uoluimus, quod non minima totius contro- uerfiacpar$,indi&jonibus ipfisfita fit. Adde, quod non tibiqjbene conucrfa habentur: vcrfionem autem mu- tare ego nolui , ne efiet qui fufpicaretur, maiorem emphafin uel fignificationem verbis latinis t a me fuifle additam, quam Gra:ca ipfr fecum afferrent. . Benigno Lectori. r 0 Vt Mendofa hac pauca & mutilata loca, qng-opere iam cxcufo dcprehenfa funt, priufquam libellum legas, - hoc pafto corrigas atqj rcftituas, etiam atqj etiam roga mus. Pag. t. lin.ptnult. ck ymTwg wjj. Pag. |. lin. 4. pol. cap. 9.. & lin. 14. svytve?. Pag-S. lin. 1. itgwroii, oiop ccv9ju7rop, a^Kcc fxi rofj ti : airp- Pag. 17. .lin. 9. quam. Pag. jt. lin. ult. JVaurwjJ, Hi funt gloriofi, * cfia tuj J llfoydvufJ, h &/) ccuroiij fXiTtsi, Hi funt nobiles. Pag. 34. lin. 3. av9jio7rfc avfyonop. lin. qpol.+.lin.iz. 7 raT(fa ro^ovSvr t 7 r/'scr/xcci ; t io-X-Hnira. Pag 39. lin.tz.pol.cap.il. lin. 9.fcripfit. ,Ad tat fane cauffas, quas proxime recitauimus, pertinent illa Lycurgi in- Jlituta de procreatione liberorum, quorum Xenophon initio libri dt . Rep. Lacedxmoniorum meminit. Quod Pag. 39. lin. 11. aATv a/J) tjixjj. Pag.iz6.lin.zz.eth.cap.9. Pag.lj4.Jin 11. quas. lin.zo.odiofa. Non dubitamus quin infint etiam a lia nonnulla, pr traf^atidii^ 1 ^ ; i ? ?, j d ' o r r .i u*i c i : h t di :H eN?b%at^uera effe ali* quidft^^ Cap.HI/' Duo fafH W i ^rum genera: iH 1 ,1 , ,p To^fl^lfWTOD^ accioens ai \ | Capi I* 1 1 J 4 ^Ndbilitaifii Griecum 3c La* :?> Clarus: ge* ^ ^ n A nPSTfltyffjilidoM  .X ,qsO  | Gap^V*H : nQuk); n rNtfbift ta s : Gloria : i Rki&r - vuirjpils h; Natura rpitonnim in filrjs : aua J ' c Or/go I.W' IpriEn NStHrii ' '* Mwirtr*- Y 29 } r' A' N ; ? a Origottobilitati* : varfg cau# fe cur Nobiles degenerent r *V -Noth^ 7J1C \V'* ?' j Cap.VI ) Prbpomifltilr fres quaeftio# \ nes: Quale bonum Nobili# tas :Fortuna bona & mala Cap. VII# Genus uefe nQbile,quot ftm * f y 7 : Falffibbbiles. ^ orn : . . iUTO,b cvsirK,.:^ Cap V I II. Lpcuf quaten*is nobilitet Z Barbari ; eqrypi nobilitas! oHo ^^ u ^plicaftiir jfociis Arift6tiffsr ex primo liWoPolir. Nobi* r> f( ;il- Laus: Virtus & Scientia qua: ratione honorentur, & qua :  s 1 *'V ; ^ 1 laudentur: En^Oiiiium; ew^m- j>tj' (itntrpK* Cap. X L Sapientiaqug.nobilitat: Co i tcmplatio pracftat atfioni: Jrdon^t non tamen facftbob/lk>rftfv$ t jb ru r r , . i Policica de legibus : Ars mi* litaris JPriiden^ijt: Virtute* tcbpo . ^ z morales. ^ Capi XII; -De dfoiftdn* Nobilitatis no* suli ai^nnda^iiih,-; Gfcriftfana nobilitas : 2i;goliq3 *Phyiicjt ^CSuilfc: Publica: Priuata 1 : iGfadW nobilitatis unde petendi,. A'i ; - 3\pV4V T  ^  v 1 1 rarm n niuQ Ca Pi^?l; r t, Itiones quatuor; Maternum yo*p r'T r "r  j *'**  ^  -  f genus quatenus nobilitet: rcemina mare non calidior; Non eft monftrum : habet fuas virtutes. Cap^X;II I L Nobilis nafcituriho fit:Ho* nor quamobrem expetatur; c x Cia* 2 a i* v X . s  V ' pian v ^>-  V t ~ . 1 SIMONIS SIMONII PHIL. AC MED. DOCT. ET PROFESSORIS ELECTO- R A L I S IN A C A D  M IA L IP $ B M S 1 1 : fc *_ - 0 S ' ^ * 4- f/ * * De vera Nobilitate liber vnus. ^ 1 >>!,' fr.ii. 4 I>' C A'P. I.  i Scopus .* partes tra&ationist ordo earun- dem: methodus tranandi* N omni difputatione quxtemere fufeepta non fit, id de quo difpu- tatur,cfie ,yj:i runpojiendiim cfi, velante omnia demonftrandum. Tunc demonftratur, cum ipeo- gnitum eft ac dubium an fit* at fi fit ex fe ipfo euidens ac notum, rc- uocariin dubium fanenon debet. Sic naturam efle non demonftrauit  Arifiotclcs,cum mfi .*.*.*.* nai ctp {f} j pot. cap . 4 ** L " 1 ' / > * * w * r 1 s m W | uoViretv rif tr^wfiiKg^ xNobilitatemfi reuera fit, in ge- nere aliquo hnnnrum fore- vel animj | vel corporis,, vel e xternoru m : at in nullo iftor um efle, quod ipfa maiori- bus expolita calamitatibus, morbis ^caedibus, infidijs, nibd^oxpori ad robur, ad pulchritudinem, ad valetu- dinem , nihiljDimo^ vel ad rc&c contemplandum vel agendum jOOqIc i 8 > / 1 MOBILITATE. f agendum peculiariter conferre videatur, cum humili genere natos homines plerunqj ad virtutes aptiores f jropenfioresqj, & conditi onibusalijs commemoratis ongefuperioresefle videamus. His inqiiam omnibus efficere volunt, lege poti ii shnminnm & fluita opinio- ne, cuius d habitus ferua facit iudicianoftra, gnam na Luia, nc bilium atqj ignobilium di- DO P lutar. in lii. ferimen effe politum . Afferre huc de facie in ore luna, etiam pofTent alij Ariflotelis autho- ritatem, qui in libello de Nobilitate, culus fragmenta duntaxatquzdam hodie legimus, om- nino fe dubitare ait, quem oporteat appellare Nobi- lem, ac tcftimonio Lycophronis fophifta: concludere, irff Jo%a tlyctt r>yr eiipra tvyiveiar , xatret 3 kbrfiiiAt dtettyt^w Tttf ityvCiSTut iuytpup. Quod idem fen- tirequocj} vifus eft, cum e doceret, Laudatorem non a  f tijreii I Secor, vrt VtTU&->}Mu To fia treuretf ij vroXkiif V7re\ctfiC [gjHeroi. lib. f. it ferimen illud nobilium atqj ignobi- Tbratib. lium exprefTum perfpici . Ex quali Plutarcb. in qt utfi. arborcfurculus euellaturad frudus 76.de Scytbk plurcs, maiores, fuauiores, atqj ele- cy J \pmawr. gantiores edendos, ex quali genere canis u. e. vdnaticusfulcipiatur.ad ^ 4r * r0 indagandam fallcndamc teram, vel 1 * ad eandem perfequendam ftemen- damcp, ex quali item, equus generatus ad curfum vel ad bellum, magni intereft : multo igitur magis ex qualibus parentibus homo fit procreatus, ad vitam rede atep cx virtute agendam, referre ^xiftiraabimus Sic Xeno- phon ex Theognide. Ktwxr fiiv 2*i vui K vqn, 'iirireve Evyinar, t&fTit fiouMreu  iya6u v Iqrtc 9 -eu : ytjfiai $ KAkIuj xctxtv i pthijeufu Ee 9*Acf a wfg. ' - Hominum ftudia quaedam certa ,& mores quosdam inuariabiles , pro a locorum & regionum vana natura r . .. . r  , ad fuccefsionem perpetua hxredita- ^ , 4  tnjwt $.4t tctra( j ll pi v j|demus; Verifimilius eft ** itacp parentes ipfos, quorum pars c  quxaam 1 mm m 4 v-.vr i -- 4 m   * ! 4>A t  I NOBILITATI. 7 quardam ipfi fumus , ad eam rem aliquid , imo multum conferre, nec tanrundcm valere, fiue Barbara fir fiue Grxca origo. Hoc certe fenfit b Homerus, ^qui [bi oM lib t Telemacho Vlyfsis loquens , m- * J JJ ' * quit : Ef tii roi) arcnfof iviraxl fa rfxrct. Iam vero fi Ariftotelem Nobilitatis arflimatorem vo lumus habete, is primo partem beatitatis facit c nobi- litatem , atqj adeo vt dicat, w t.rltt. l Etb. ad Nium. Qa> cenfet.igitur Ariftoteli nobu ea p 5 htatem efle nihil,is felicitatem, cuius tamen mirifico quodam defiderio afFe&ifuntomneshomines,&dquam omnes fuas co- gitationes , omnia fludia, osnnescp adiones referunt,- Ariftoteli nihil efle, & fecundum Ariftotelem naturam iniquius cum homine, qui tamen huius vniuerfitatis nobiIifsimaparscxiftit,quam cum reliquis animantia bus, imo vero quam cura reliquis inanimis egitfe , cena febit quoqj. Qua: omnia quam fint tanti Philofophi pla- citis repugnantia, adeo notum eft,vt probatio nulla de- fideretur. Ad eandem fententiam pertinent illa, qua: ab eodem icriptafunt alibi, d nos fieri bonos natura, do- , r.Ai. - drina, cxercitationeritcm/dodri- Ijt: - nam non nndtom, alia vero duo _ * p. * multum, imo totum ad id valere. 7 . Pol. oa t . A 4 2.0 3 .- % % . D 8 V ' H R A W _ ,. ' JfOJ y$ QuTAI Jv TTfUTCf CVTU X. VOiW i. Ethic. cab. 4. ' Sf 1 v  \ f P,.f ~ 1 ra txontf rcte perfcaeqj indicare, & quod vere bonum eftiumcrc atfS^*i pof* fit. Naturam certe non aliam intelli git, quam habilita- - tem illam ad virtutes confequcndas i coelo jarenti- fogjwcepta 1 Cuius rfpc&u alibi dixtf,^ To ^ IJt "an V * r *i f ( P v ' Tiuf > ^ K i^ i9 vXA^%% i,aXtiei SbJ&nnf &ct> /!   - Vv*j .  tetv- #m - +* % * * fii'/ * / * . f rJf didant dvt , c# o ' - '.a rafoia,tiim etiam qbia n fi vqHnqtfir dmnS&nraeifhtfcus Vrriy duntaxat probi pemkien 1 Veip\i bl i car jyxqtH ren tun  i&p iK r^t , t ^e^od qp t ) , qUfplc&cisquoqj A nbh ? , g ..^ rjr&irf c^Wepwts^s-eiMibus.finbnfcpa c i. v ; &-Y T^V'; * - ratirn & rB qc fc, faktHH^bm^ci m 4 dl ? cs hono- rcsjvt tiuiram^ ius eligendorum magiftratdufti j'bn- ft^tattopd^Voninf^rtieari petinifteret. Sctlfedeatrtns ddprJma:.& pro dohjjrti&nt ebeamtrs, atfv^ttfurtile' &} habeat pro ftfndamento iuris OHgarchid couftituram fuiffe,' cum prarfcrtimln eadem quxrtione^i^tatq^jSnpjpo^ bkitate Lc^qi^accjKxn pq^affinnarir, ac de eadem ifta ycjdjaprotuicritj^.^' toyuiM.zi&p Uasut, iixvrift '& ? +a?fAu ; ltjs ii - * quod \ T.m \ * * r \. w . r f nnrnr, i]/n Orat. pro tvyiteic dfrxvrai t/^c, it vtto* Cfcl 4- Hb. tthic. ad Se d quemadmodum initi5 Nicom. 'cap. j. dixi , nobilitatis ede, melius adhuc 1 .. VT , patcbK, cura quid ipfafitxxponc- tur. Nuncaduerfariorumrationesrefcllcndx. Eandem l . W  v*  \ r; 2 9 0 A r * -t . . . 7 uucra omnibus or i g i nem primam tii(Te t nemn p( } gnin eg'*f, fcd non tamen eadem d prima nm n j, n nririn r fuccefi jfio fequuta eft. Pro qua re fic loquitur / Ariftotcles, {QMx. rbet. cap. 7 *S 'V ** * if. unrtjibi to~c nara. TcttxcsgAc ynnui* , , : c7 Ayafibv TO yit@ J . Myymtreti tye. nv&jtfmv cufyic zrqrfloi. katthta^aa Air eu*Jif*nr t igsrala, T*ptiui$uZ yiv n s lf uanxu- B * Ttfft JfB- y 1 t T i' 8 i . V I H A cibus illis ad vitam agendam non ingredimur, quibut (me, nihii feliciter contingere pofle dicebat / Hippo- ' . . crates. Et vitium quidem rei g vni- OM--' J ,n e &* uscuiusqj eft, eu m male fe habet in  : _ 1 . , eo ad quod nata vel fada cft, Sed [g3 C4/i. tn lib. t uQn j n jj f j cre f ipfj Nobilitati vitioii-) Sopbif, in tr .eap. tas> , non ipfiinnata,non ipfi propria  - 1 ' eft.fed accedit & acccrfitur, quarta- hieti alijs communis cft. Et veritas eorum quae naturt funt,infpiciendacftinijs, quae* fecundum naturam (e .. # ^ - habent, non in ijs quz praeter na- l bihht. pol.cap.i. turam f unt aftefta : quapropter non carnifice hic fuit opus, fcd paedagogo. .Im6.fi ad calculum rcuocare vtrancp partem volueris , plurcs . & arrogantiores, intemperantiares , crudeliores , ftf- perbiores, & ut paucis compleftar omnia, iniuftiorcs & miferiores, ex plebeis habebis, quim ex nobilibus. Contrarium apparet, quia non ex zquo vtriusq^condi- tionis homines obferuamus. Naeuus & verruca ia facie magis infpicitur & notatur, qudm reliquarum partium corporis cicatrices & maculae. Ob eandemr:auflam,no- bili tatis vitia & incommoda patent magis,& pro maio- ribus habentur, quia in illorum i fafta magis quoqj rij G,l. U fiar.ti  : 4. ir 1 ii IT so *- ' ' A i t?'*'*' i sw jf * OAfeWt'4 T> * *. jw ; !s * in0n P rs  excepta "virtute. TaliVruntW K?f ;Um c ? us inciderunt. VtZ- ^iefac^ J ^T Ur CUm ad  ca,id * non ^nos non fetant, urii a corporis noftri calore ipfa prirts cale- hanr-r fic^oiia.omnia prarter- virtutem, bona nobis, nobilia fliufi boM^riSred!Sm^s cx P& &t jP tc> natur* ac viftutisni-' JJjl. ^^moBrem per eandem nobilitatem-vt obefle. em dicimus, noii effe no- cgfi, aptea mmirum dubitare andra d ? cidere. alcrnm apud lapientes in dubium- rei voce-' oncyreftd dcciiafit. Sicipremetibiroquinnv r f v 2fe*0PUy. K jS TtrdPa r ie&SV  16 - :^ J . . t *> fi * y th.tr a i.* T>;: $%} quod primo a nobis mente cognofcitur. Sic Ariftote- lcs non dubitat an fit nobilitas, led qui nam fint nobiles: quam tamen dubitationem paulo poli allegata verba abijeit his verbis, JtjXov itylui 'ori ey, ttylw iyeu , zrti av zr&Mtt' ^it;  R Eliquum nunc eft, vt quid ipfa fit Nobilitas cxpip-' natur. Hoc , propofita & explicata definitione,* commode fiet. Caeterum quemadmodum' non vnum genus eft eorum, quae hanc vniuerfitatem conftihaimfc,' - / ita non vnica fpecie definitionis aequ contenta fiint '  Vq ppr| genus rerum e ft earum, quae feipfis confiftunt,ae * proinde vocantur fubftantiae,Ytccrlum, elementa, me* ] teorologica, plantae, bruta, homo: altcumiierd illa/ j rum,quae per fe ipfae fuisqj viribus confiftcrenequeuiity  i   fit in V : V ' - - NOBILITATE. 17 & in altero nituntur , vtalbcdo , dulcedo , frigus : qu* Accidentia nominantur, & cuiufmodi eft ipla de qua nunc agimus N&hilitas. Non enim ipfaperfccoharrer, fed li o m i ni ad haeret; non ita tamen vt forma quae ipfi det efle, id eft, efle hominem (hoc enim ab anima.ratio- naliprzftatur) fedeius tantum naturam PYnrnrt- Prio- ris generis entia, vnien modo definiuntur : alteriusilu- plicitcr. Definitio generatim accepta, eft c oratio bre- M Aritt. z.fofl />. 7. uis & circunicnpta , per quem Ammcn. inLf.Porfb. P ro P" c fpondeturid quxftro- 1 1 nem illam qua quidquid fit d [b. i9. ipfam neceffe eft. Fruftra enim Galen.+.dc Jif. pulf.tj. quarreres , vtrum (It anima , atcp Idem +. de caujis putf 9. vtrum (it immortalis , m(i animae & immortalitatis nomen prarin- telligeres. Idfignificauit' 0 Hippocrates his yerbis : , 0 . Aoxi Jtiuu to ut* rvuirett rif 0] Ltb.de arte a Prine.  .* V . V Meti Vdtpict, HK tua" A* K& fi Ao- yof tu v ion ut r/ iynGon fi>f iou Alterius definitionis du ae fhnt- parr C s. genus & differen tia. Vtraq? primo fofmam fignificat , genus generalem > differentia (pedalem , fed vtraqj tamen materiam connotat. Nemo dicet, "Homo eft anima uel ratio, fed animal & rationale, id exanima . fentiens & ratio in hac materia, puta quae condet ex ca- pite , thorace , ventre inferiore , artubus. Caetcrum,vt nulla Categoria eft, quae fuis generibus careatacdiffe- rentijs, ita nulla d eft etiam, in qua talis definitio lociun rvi . t - non habeat, non eadem tamen J  /. /.7. conditione. Nam in-acridrari- 11 m -defin irione (quantitatem femper excipio ) prarfer- tiin autem propriorum, fubi^&um nece(Tari,6 exprimi- tur , uel tacite faltem (ignificatur. Quapropter Auer- roes, imo t Ariftotelcs dicebat , Ac cidentia non fimpl i - citer definiru fed aliquom odovcu M7.m1.11.>!. a. 19. piantin-fuidefiuitione. Hoc ipfum Scholaftici vocant definire per Additamentum : addit enim aliquid quod non eft eiusdem Categoriae cuius eft definitum. Subie- &um autem quod in definitione accidentium accipi- tur, aliquando gcneris,vt cum concretum definitur ac- cidens u. g. Simum cflenafum curuum ,aliquado /dif- \ ferea- t. . N f * # * * , .  1 * /m v. ' i >T % \ 10 '- 0 8 :   V i k & ij- S : ei 1 ' rjt * l* fc] Arift. 7. met , *Aucr.i. met. 14. , nobilitati. . I cf] Autris.mtt.6.ar ferentia: inftar habet, vtcum ab- 7. ff. $ j. ftra&um definimus u. g. fimita- tcm effc curuitatem nafr. Nam licet vtrunqj vocabulumfprmam ipfam g primo figni- ficet, concretum tamen, magis adfignificat fubic&um , & fecun- dum modum quoqj fignificandi, prius fubie&um qudm formam defignat, quod fortaffe dicere Auicennas voluit. Porro accidentia propria de- finitionem alius generis habent, qua fubftantia caret* Ea, non genus ac differentiam , lcd cauffam adducit , d qua accidens illud adeo pendet, vt per eam fit & confer uetur. Efto u. gratia tuJSxijuoviot , qua: proprium ejuippi- am hominis eu: primo deferibetur fic, quafi to tu toji rU . h tfo^ovaVx^* Definietur au- [4] u Top. tMp.penult. tem p Cr g enus & j differentiam, . , vt fit bonum perfe&um feipfo  1] 1. Etb, cap. 7. contentum quod fatis efl homi- ni. Tertio definietur per ranffam i qua pendet. & per quam confiftit.vt fit adio animi rationalis cum virtute congruens ;jvel ut fit a&io k. rc9'  dcjjniens dices ; illam dTe inter 'Auer.t.eU an. i. Jeftfbncm terrae inter folenvflc jlunam, hanc aftionqm ex virtute , cum non id ipfinu fjt felicitas. Verum dicemus potius Eclypfim eflc. pri^  Ci tioncm S  :Vl. * i : 54 jr \ 1 2 0 D B VERA tioncm luminis, qnod a fole accipit luna, ob interie- ram terram, & Felicitatem cfTe bonum quoddam per- fedum animi, ex adione virtuofa. Tanta: tamen digni- tatis eft Definitio ifla cauflam affereps , vt eius rcfpcdu definitio Eflentialis ,qua? nempe ex genere conflat & differt ntijs, definitio quid nominis ccnfeatur. Attpid multb magis in affedionibus illis , de quibus vtrum in rerum natura exiftantdubitatur* Cum enim quacftio u. g. de Vacuo proponitur, ac dcfinitur,vtfitlocus pri- uatus corpore, fi vacuum cxifleret, talis definitio efiet efientialis , vacui nanqj naturam aperiret: verum cum non exifiat , remanet nuda quxdam nominis m cxpli , , . .  _ catio. Qui nanqj non exiftentis t] u r. . op.c p. 4; rei^generadiffprtntixueefleuerc pofiiint? Omnino igitur n cauffalis definitio collata cffcntiali, quid rei, fubflantiar.ac Arij f. lib. i, Etbic. formalis reputatur. Alias cauffa N/Vow. c, 6. fuit allata . Nunc ifta pauca de Eujlratw ibid. definitionum generibus attada Themin, t. pon. t y. fuifie fatefto, quo nempe intelli- Alex j. metapb. fnt.19. geremus , NohiliLiraiiujuae-ho- mjru, accidit, atqj hominis pjro- . pri.1 gflr . Vtran y exigere ac recipere d efinitionem, nmn eam quar proprium genus ac differentiam explicat, tum perfediorem alteram, qua: caudam affert. Neceft quod nobis opponat aliquis, a Ariftotclem nobilitatem -hru- , _ j na '   tiiumocn tribuentem, ibi, t>/ 0 sja J ccv av-Non enim alia ratione dicun- tur bruta tu^ivo qudm 7(vvo7tf,  TroXiriad eodem loco,&/wiJi^aTWtoTja* alibi, ia eft,qudm xquiuoca. Atqj NOBILITAT 5 21  .  i V / [b"] Lib.t. mttafh cap h Atqj vtdcvno loquamur , Vera docilitas non nili accurfu ratio-  nisfit: Omnis nanq* do&rina ex pracognitis quibus dam progreditur : atqui cum Ariiloteles bruta priuct reininifcentia eodem loco , vera fane docilitate orbae quoqf. Nam & reminilccntia decucfus quidam rationis cft ad ignotum pernotum :hcc tantum differens d di- fciplina,quod in hacprogrefliis eftadincognitum,prae- cognitum tamen c quodammodo duntaxat,in illa vero m . ad ali:is  g enera dif&rcntfaeue e/fe tserd pofliint? Omnino igitur n cauflalis definitio collata cflentiali, quid rei, fubftantiar.ac [] Arift. lii. t. Etbie. formalis reputatur. Alias caufTa .. Nifom. e, 6. fuitallata. Nunc ifta pauca de Euftratw ilii. definitionum generibus attada The mift. i. poft. 1 f. fuifle fatefto, quo nempe intclli- Altx 3. mttapb.  wv-Non enim alia ratione dicun- tur bruta Ivyive, quim 7*, Qtfrixa, ttoWtikoi eodem - loco, & fiaOiyAaTMttTigoi b alibi, ia cfi, quam xquiuoca . Atqj 1 NOBILITATE* 21 /flnnr,qn jm fplir ia ; cum tamen Arifloteles ita rfcribat,rK/*eJo/)  0 prlc'fccu2dumXcrVm5gnU t Zfi.g. Jivfe ucl dicitur A (l v ' 2 9 6  V r *4 D E VERA qui ex bono genere eft: alij dicunt,/ ex ampla familia, tn zcuMp,,. ex fumm  8 en 7 c ucl l0   ^ qux omnia eodem recidut. Harc vt uera fun,tita illos arguunt infcitiac, qui omnino affir- mant Nobile, quatenus hodie communiter, ad familia: dignitatem fiimificadam ufurpatur, hocipfo dici, quod qotum& illuflTe fit. Ali ud enim eft' Ariftoteli cui proprie refpondet voxipfa duntaxat Nobilis , aliud luYnnk* c ui fignific atio eiusdem vocis, prout hodie cum "Hominem vocamus Nobilem, accipitur , proprie qua- drat. fnfumma,Te& fignificatione Nobilis idem pland ac , voce idem ati Yvaj//*-' eft. g Ariftoteles' Y vm J'^ 9 vocat eos, qui in ciuita- [gJ Lik +.pol. cap. j. te, propterea quod aliquo cxccl* H, cap. 4. lant bono , vt ttotret /xtyiOn rij? ov * Nohliic- Sunt enim in Rc- Ku?pub.& diuiefis & virtute & do&rina clari, qui ta- men pro Nohilihqf no hahf>rtfnr. Verum eft igitur quod i Plato alicubifcripfir.valdelubricam & fallacem tij I, Crtytofilfi* e!ft ; Um - P cr nomin * rcr  m ' quatfere naturam earum, potius quimperresipfas. Qjud enim u ro i$aTop crcftfASg b n> i NOBILITATE. 25 OtjasvSK' Annc&am his auream ciufdcm fcntentiam; Ia xr f?i p hon pdht!{ iralpieif i; (tftf- pec. cap. 1 . item lib. it rtf J 6x rrf hkov& paridvttt au* ori. lib.fuorum . item rlw rt durlw kclXus ettcarat K& lib.it fopbifinuoce cont. fJw a^uav rrfwri Kut ; ijcx r?f item Arijlot . lib, i.ply. ahtjQtletc aurita  aurlw lyy rlui cap. ult. ^ * ota avrtjfy ei nftToflor  y arati Nec minus redc ^.Hippocrates ante ipfum,quanquam m nu 1 . **.*,*,*. , obfcuriusjdem lignificauitno- ' 5 bishisrerbis,o7jtt tuofiores , & quicunq* fecundum aliquam xbo^itikIjjj n favtxptp (vt l Ariftotclcs loquitur) paulo lupcriores ha- tt iit, fd. ccp. ,. be " t . ur - Scd nos reprehendere hac difputatione nolumus, cum tamen pollemus bona * * //\ n / /(.' bllV  T L dlllllUwV jAUUUWll illlilV lV/WUlll } 111 VjUU L. Dicat, le * lobile accepifle prout d latinis accipitur , nempe quia conici* 297 r 16 D E VERA confcientia multos. Redum m cognitum iudex erit fur & obliqui. Quorfum hzc dida ImJ Arijl. ib> cap. f. /xnt , intelligent ij ad quos perti- CaUn.lib.de opi do 8. nent, id eft, qui non rebus fed vocibus philofophariuolunt. Nos ad noftrareucrtemur, a & imitati prxeeptorem, _ K poftquam planum fecimus quat w ' T'f- t- 9- . Jit iJ cr ipfa nomina dirtmfrm, non amplius deipfis laborabimus : neq? enim effingere noua& rebus dare in prxfentia uolumUs. Certum eft illud, Italicam vocein Gentil* htiomo , 6c Gallicam Gentil hommecum grxea magis conuenirc. lllaucro quam communiter ufurpant Hifpani Hidalgo igrzca r.cmOtioreft,quanquam remi^ramexplicctadhucma- gjis.quam Latina, Significat enim quafi Hfio hoc eft Fi- lius, 8f algo, quod eft multum . Nec vtpiaTi^qnncy uel Gencrofus idem eft atefc eodem fortafle mo- do quo Tt$oou$iTop & a uel 'noou$tl op & ek j ifardpim cx rr t s ctvrx (pven* c] lib . i it bifl.an.cdp.t. r. eadem plane fecundo rheto- lib. t. rbet. cap. 15. ricorum libro repetijt. Cum igi- ' tur lib. 2. i Politicorum, ibi, tta* C i}Cap. 9 , , c* ~ * * - 4 Ari 70 (Uot^.oKCi ym/orige diximus, attp illius regulae quam alias annotafle me, allatis exemplis recordor* Quia haec voxCaufla id omne fignificat apud Arifioto lem , quod ifta vox Elementum , Elementum tamen nunquam apud eundem fienificare totum id reperitur, qupd Caufla fignificat , idcirco peculiare aliquid Ele- menti vocabulo defignari certo confiat. Idem de No- bili dicimus & Gcnerofo. Non eft etiam tam abfurdum uel inufitatum ante & poftquam nomina inter fe finiti . ma diftinfta funt , obiter ijsdem promifeu^ uti , at )) %Jta Hj 7 t/b- Ticto iop^vK-'. Apud Lati noilpBBJI^bili^ appellatio malis r phllQ frihniVmr/ in caufla eftaequiuo catio quam fuprd monftrauimus. Nobilem ipfi hoc vno defi- niunt, quod notus fit. Ex quibus colligitur : Non mul- tum efle ipfam ppr fe Generofi denominationem , imd neqj Nobilis, ea quoqj fignificatione quaivysida: re- fpondet. In priori verbo latentinfidia: : alterum quan- quam fit liberalius, non multum tamen ad gloriam fe- cum affert. Maximus certe illi honos adhibetur , quem Nobilem fimul & Generofum nominamus. Ifio titulo nullus dari maior, nullus honorificentior homini ab homine poteft. Inifto continentur omnes ahj, Magni- ficus , Prudens , Sapiens , Dodus*, Illuftris , Excellens , Serenus, Altus, & fi qui alij funt huiufmodi,a nullo alio continetur ipfe. Se ipfos igitur fallunt, qui pofihabita luce ac veritate reru , vmbra & fumo vulgarium .titulo- rum quorudam, quibus obfcuratur fama potius quim illuftratur, hodie tantopere deledantur. Vbiqj nunc abufus obtinet : nobis tamen fi non loquendi, at fen> tiendi faltem cum fapientibus integrum (ut fpero) re- linquetur. Reformare mundum nolumus : dicere dun taxat quod res eft , habemus in animo. Nec# enim fu - p erlatiua ifta lllu ftrif simus . Ev rdlgnnTsimiic fifnus , Aitiisimus , tantum re vera dare Principi pof- funt , quaatunrilla N5bnnsimus Generofifsimusc^ . Rex ipfe Galliae cum in fermonibus familiaribus iura- - . tnen- NOBILITATE.^ /* jp iA .   mentam fvt fit) interponere aliquando uult , non alio utifolet(noc a luis maioribus ipfum accepifle aiunt) quam Foy de Gcntirhomme, quod multis quoqj Ita- liae Principibus eadem ratione ufitatum efie confiat, A ' fc da GentiT huomo. Sed iftud tamen non fatis eti- - am efic ad fidem faciendam , & antea diximus , & exfe- quentibust magis liquebit. C A P- V- Quid fit Nobilitas, Gloria: Natura pa# rentuni in Filrjs: Origo Nobilita# tis. Variae caullae cur No# ' biles degenerent. Nothi. -  i N Vnc fi alteram definiendi rationem fequamur , no majevt arbitror, hoc pado Nobilitatem definie- . mus. Nobilitas e fl: Dignitas Ceneris rerl nndans in eos. qui extali [tenere lemrime nrfnm Hnrunr. Dignitatem quidem ftatuimus , quoniam Nobilis hoc ipfo quod nobilis efi } (plcndorem & lucem quandam affert fecum, ; qua dignior eft & praftat ignobili ; Qualitates hafcea- .nimi/corporeisiffis accommodatifsimis exprimi i no- bis , rerum inteiligentes arquo animo , quod fcio, pati- entur. Et 4 Euripides de nobili loquens, ait , yavpp M I BtSiropbome. ' ***  W* . e , UtUm , U- r . praeftantem : & alio i 1oco,^/jl- [i] In EltQra. -ajoi >ot^ bq yiv J yt , quafi gene- D 3 re fplcn- \ / 1 D fi V fi II A. K rc fplcndidu & c Galenus de nobilitate agens, his ipfjs utitur verbis , TftyQavisa- [*] in fu*f. adart. ca. 4. rop- & paulo poft, o^o/5'*cc^ ^op ngd^ Picurnixop t5 $. i"  a j - NOBILITATE. 3X r ftim fortafle uidcri portet: fatis erit rem indicarte. Ac  P r ?>nde rcprehendebatur^uripidcs & quidem iure, qui allCllbl g dixerat T Nohilrm nnn qui rpa j firiK i T y t3 Infrag. de nobil. ipnpoiam tempore hnn.Q r . .  fil^ied qui vir bonus ipfcfimpli. f , !5 r '/ u l nt > T0 M ( Jn q uit Arirtotelcs ) om isiu . ofvM> tyrbri/j oi xiu afX^P fni uj 'H^or/ 0 vti . Plato quocp in A omnibus locis, quibus nobilitatis me- minit, eandem vocem retinet, & W VidAlcibud. . ucl idem ucl alius quiuis fuerit, j. Cbarmidem . Nobilitatem i definit, vtfir T keagrm. tuytu^e nfag. Hoc vulgo concc-   [*]!* Definit. dunt: & qui uel nobilitatis vo- . . . cem efferre duntaxat norunt, ta- le quippiamipfafignificari confitentur. Hinc ratio eli- ' citur,cmamobrem nobiles cum Reipub. adminiflratio- 'M nem ar r^gant, ea etiam iure utantur, quod Arifto- '  ver ^is attigit, woAiVcfi oi *y woioreeoi Ttc^i hytvvHp. Nam apud * u;  * / Ep Hi funt Nobiles, >p 2cwto7? {xitisi , hi funt Gloriofi. Siccnim fe ftatim explicat ibi , ngw ro7q Uytviat koI ro7g s*JVfoi$  Quo etiam Cjcnerniiis i v irtunfo dif- fert, quodjuc nullum /ibi proponat imitandum, ille no ' nifi relatione ad veftigiamaiorumintclligatur. Quan* quam autem initib conflitucrim , nolle mehacdifpu- tatione.Nobilitatispardagogiam profiteri, fed naturam eius duntaxat docere, vtin tanto abufu rerum & nomi- num, qui reuera nobiles & ignobiles eiTcnt,intellige- retur : attamen occafionc adeo aperte oblata , filen tio prarterireid non pofiiim,de quo /Galenus ad hocpro- XfirnMM.r, fiSSfc xg * ** . biles , fcilluftriore & iplendidio- re guodamlocopofitos,bomines latere no po ffe^oig ycuQift-Qxiisfys rolc(/wt inquit i Ariftotcles) & mult 6 etiam magis eorum vitam atq? tj Lib. i. rbtt. cap. 1 7 . adiones cognofci , quam igno- bilium, qui cum ex obfcuro loco exiuerint, hoc habent commodi, vt quales fint,multos latere pofsit. Nunc ad prima. Redundare autem dici- mus dignitatcfH^ prxftantiamjianc maiorum in po- iteros, non modo quia (vt g Cicero inquit) valeat apud nos clarorum hominum & bene XgJ In orat. pro P. de Republica meritorum me- to//*. moria etiam mortuorumin ipfis pofteris' excitata , fed quia con- ienaneumeft(Yt inquit J> Plato) meliores effe naturas ^ jn genere nobili: verba illius ifta b] In Ahibiad. 7 . funt. Socr- frou^ot eixee aftcititf  yiyn&tu $ 0 1 W:> I ' . 54 D B VERA ytyn&di c# ytr.aloif $!ttnv , yj f**i > AlCibiad. Aevm c* ra~f Idem dixit A riftotcles ibi, afciSri $ uVTi^ s ivfyurx , dx tytitfaf ylyvi&ai B-tj^ior , iVa ayy 4 ecyaQcr. & b alibi, tnftoTt /SiAr/W Vsr- rar dx /pgAriaW* citem, sryo* , ironiorai diot acrri , *rget ttcT^o. . Ht ftne (I loci t conditio, quod etiam fupra dicebamus, tantum valetin hominum moribus, qua It] Plat.in/vit y, dc tum valere natura progenito ttg. rum debebit ? lufte admiratur iftud Euripides,. [putT& xaxcf ynoir ai, ifetf tSto pt av irfioi ttotu ' ' . * * #  Tanta vis e(t natura?. Sed hoc ipfum quo d hoc fo - co Naturam vnramnc. quid iit, d fapientibus quarritur. Varias perfe&ione projnptitudinecg facultates animae noftra:, varios mores, ftudiaqj varia d corporis &in- s' ' drumen ) naturali cx temperamento conformationcqj contrafta effici Galenus dicet. Et Arillotcles non repugnabit: qui o femen parentis & pradertim maris cautiam vocat i'  ' efficientem. In quo tamen ierni-  ; [0] i. Pbyf. ttx. 3 1. ne, non modo id quod ex tem- k il aliquid aliud atep coelefte nufhus clementi particeps. Hocipfo,caro eft caro (vt Arifloteles loquitur) atq? os, os:Etinhocipfo,animseomniscorporc*poteftas,quae  w cum fpiritibus ex parentis vniuerfo corpore , maximi autem ex principibus partibus in tcftibus per vafa cor- dis, epatis & cerebri accepta cft , quafi delitefcens con- fidit, tum fefe oftentans, cum expreflam fohdam^pcr- k feftionerh materi* habilitas obtinuerit . rot vf- ji* ti (inquit) Ji rtxv* Gtto ivtyv vcl iiu(uis alius qua- ^ 8 *  litatis excdTiis poteft, vt propte- ta *   r6a mores in ijs mutentur , & no fimiles in fobolem transferantur-. Vnde h*c igitur 2 Na ex eo quod ab elementis femen habet, fed alio quo- piam, quod b cum feipfo tale fit,vel fi placet, a coelo (y- derumqj a potentia, quam pro- lui Protlut ita ftnrit. - genitricis loco Veteres omnes habuerunt , tali ac tali propric- [4] Lib. t. De gtn. git. tate pidum , filijs cu femine ipfo etp. t. infunditur. Atcp hocipfum Pla - to b fignificauit. cum dixit. Ho- I Ub.j . de rtp. mdt mines a Deo fic genitos , vt aui Arifl, lib. x: pol cap. 3. apti futuri edent ad imperandu, eorum animis a prima generati- one admixtum fit aurum ,alijs argentum, agricolis & opificibus *s ac ferrum : ipgrninm4iempryirrutes E 'V E* R' A His igitu^ita/Vhibcntibiis , liquet non temerx* Home-  'rhnv, SHrfpidetj*, Hippocratem,! latonem , Ariftote- .1 : ' * i* .1  * 1 / j  Mpp vwi iiLviti ) 1 laivium j ili IIIV/LC* , lem^csapientiorbs quosuis, imo vero publicunitoti-   2 r*-.  /T*.  v.t_ ^ -   r r  us oTbis conltnfum Natura? parentum in fuccefsicmc prolis efficacitatcm-adeo celcbrafle , & -Poetam no- -ftrum aliosimitatum (ic cectnifle : -t Horati bi Vb: 4. Cdrm. 0J 4..  *     FcrtercredMKrfortibU* bonis,  .  nslorjjj.T . .. r ynA:, * . . '.;a f .> .m rmrj - Virtus : tjtc im bellem [etoui . ,. 0JI , -V, . ii progenerant aqm-ti wltmbam  * 3 j r C^o^fojjTcrentianusrjibain ille Chremes quafi pro fe; certa^vtebacur norin4:ail Simandum filium cum So- S iirataTixanscj-# - 3 b jjimortooli Is ftod tffcconfihfitis wdriim 0T Conuinces facile ex te natum i tifi [mitis proli Nam illi nihil vitij relittum e fi, quin id itidem [t tibi. . , * 7 #ot pracereatdjem niji tu nulti pareret filium , if] *v sv J War v^rAnAhilirarig r>v #>f> r Quam igitur aliam Phi- ;,o 1 lofophi ifti plebei ex hiltorijs quaerunt ? Cum homini- bus ipfaqUoq^ coepit: Tunc minus cognita, cum virtutis r ( pulchritudo & venuftas , minus pcrfpcda & culta fuit, ifj , Haec veri> tum coli maxitnd coepit, cum homines qui ad' focietatcm ciuilcmqj i conuldu m etiam fi ope mutua nihil indigeant, procliues fune, j/j Lih.j. pol. C4/. 4. cum antea difpcrfi vagarentur, *n- in vnurn congregari, ac ciuilibus ^ D 55 ' officijs inftitui coeperunt. Inde orcainijsdcmadmira- '* 1 . - tio,fi mt f * * r&i  * - PCJi   N O ^IlITATE. 3 P tia, (i quis multa magnaqi adiumenta ad duilem focic- ratem conferuandam afterrct,quod ipfum virtutis eft opus. Primos illos homines ( inquit e Ariflotcles) flue M x. pol. cap. 'e. 3. degtn, *n. X.' cx ipfa terra, fiue ex pauds ali- bi quibus poft maximam aliquam & vniuerfalem internedonem feruatis hominibus geniti fue- rint, probabile eft bpctxf cimi n# rxr Tv%cn tto&rxe intime. uwrni$. XtytTctnuiTa TUpyi jywwr.-^Atcp alibi /fcripfit, temporibus illis Hcroids, fi quis vel artem a- liquam utilem inuenire, vel ali- Lflipotedp- 10. unde importatam fuis tradere f.fol.io, potuiflet, aut etiam multitudi-' nem djfsipatam , &; paf$im moye bclluarumincertisfedibus vagantem, in tnum congre- gare, vt de Orpheo, Amphione,Thefeo feri bitur, cum in , pfindpem & Regem chgi.atqj imperium polleris eiu$- dem hireditario iure tradi folitum. Tan,ta yirjutis pe- . nuria & caritas tunc erat. Qux cauda ctfamihit , vt fub ' Regibus primo fuerint homines, quaiii fub Repub. K&l tvt Wcrt tCacriAtuciTo irgoregep , en azrcivici/rv iu- vAvfyac weAu ut(pfcvTaf kat , Tempyris ' vero fuccefUi,crefccntc virtute virtuoforumq-i copia,,, 5 non amplius Regna tolerare voluerunt,'^ xoir M ti zrohiTH* xafoao-av. Impie ucro hic Viues, r*  , Nobilitarem bello ,latrodrtijs,, Lib. a . dt fam. Cbrift. fraudibus, fpoliarionibusppar-!ii tam & conferndtam teftatnrni Quid enim hic ad nobilitatis originem ? quid ad nobi- litatis naturam ? quod fica uflasintcil i gat 7 a quibus iilar fluit; \ r 3CM, /* 4  D B V B R A fluit, tam poflunt iftapro caufis accipi nobil,tatis,quarh poflunt virtutis, if * ft>ysvrc xc tra, ilw tS ytvUf iw* At qui nobilitatem rem flultam nominant, his oppo- nunt qua? haud raro videntur : Multos nimirum ex cla- ris ortos b parentibus degencrafle,quodab Ariftotcle . M . , quoque 'multis in locis fcriptum Arijl. m rbet. *d j e gi tur> Vnum adducam qui Alu e.c4/>j+. comprehendit omnes, -yweuoi Lib i bol C 4 t> * * K ** T 0 M c* W . i*. ijyrarat Je rei fit v ivQviiytHl ciffiavuuoTt^a ijQtj , olov x . f * 1 0 ' Uq ^' K>y,. rllb** CJ liib.^.pol. c af. iu [*] 4 . poL cap. m -/) j 1 i j re r - ytlj A 0J Simpl. iu EpiEL tom. u i* p mirum A a N O 11 1 .: I T A T T, 43 mirum i n prima grwnflrwi^ m ftnViitp COrpOriS habc- atur cura : deinde i vero appetitus, vt moralibus virtu- tibus per optimam inftitutio- li.y.fol.ea:^. nem edueationcmc informe- t ku.it., .Mg mrl -n r ; ^*cipfanancp pars i animz eap 6 * ili* c ** m ^ ua virtutes omnes * morales generantur : Tandem Ii 3 yrar ampli us progreffa, mens ipfa ( haec enim finis m cft,ad quem generationem & morum inflitu- tionem accommodare oportet) C *0 Lib. 7. pol. eap. ly. fcicntijs artibusq* no modo prae- claris atqp utilibus, fed etiam co- uenientibus informetur. Nccp enim ut a Ariftoteles quoqj Euripidis teftimonio feri- i*J Lib. $. pol. tap. 3. pfit , inftir t inr> PrinripiV c fhquzciuis : ucart^ (P&vorrai clruy (ZttriXtuir tjHC \7r7nxlw (c stoXitikIw ireti}tvo(iivti. Etpaulopoft. oof tscrcLi nvu7nis W.^cK&di yinuv e 'nT^Xuf Karaylyvt&ai ro y(p& TU9u,>fyu7ruv,xuxiov  idonea - : * ied illa artas in qua corpus & mens maxime vigent, atcommodatifsima. Qe qua eti- am re in bene inftitutis Rebufpublicis flatutx d leges erant. Nunc non iftx modo, (ed Id} Piat. in VJ.de legih. alii multa: redifsime conftitutx, Arijl.lib.r.pol.cap.16. funt abrogati : omnia prope ambitione  auaritia , intempe- rantia^ hominum in peius mutata. Illud poftremo obferuarunt Medici, quod ad Aphroditicam mono- machiam pertinet. Sunt quilanguide&ofcitanter,funt qui ebrij , funt qui non aaeo intentam rem iplam men- te ludentur. Quorum, fartus a parentum natura gene- ro/itateqj dcfcifcerevcrifimileeft. At, qui ardentius at- tentiuscp & cum voluptate rem agunt* fimilis prope- modum indolis & paris conditionis filios fufeipere fo- 1 f: ' i- lentu I f r * * i N O B/I LITATE* , ' fent. Sicigitur fi ingenium illud acutum & folidum ma- iorum uel tantillum ob vnam ex hifcc caufsis flacccfce- re incipiat, paulatim incremento in poftpris accepto, inmfanumacftQlidumhebesqj(Iabi nanq* folent om- nia in res propinquas ) tandem conucrritur. Horum rationem i me alio loco expolitam elTc recordor. Nuncaliudagimus. Pro quibus tamen faciunt etiam illa, quae Galenus libro de hifi. Philofophica ex Parme- nidis , Empedoclis ,& Stoicorum fcutentia fcripfit. Qpod atiterq peioribus etiam moribus Nbbiles efic, quamalij foleaut, cauffa illa generalis eft, quod natu- ram habeant ad omnia paratiorem , plurimum^ inge* nio valeant cogitationcifc. Idem affert pro cauffa di* uinus c Praeceptor in re fimili, (V } , , Cur homo qui adeo eruditione x . ,, praeditus eft, animantium om- ,, nium fit iniufiifsimus ? njm 7r AftVtf ^cyia-fiS Ktnoivupijiit: Metfiurt t 9 Tct( tfinus y&f rfw tv^aipoviap ifctjraxsi reivTcb unv 'aJixists k Qpapropter cum virtutibus moralibus careant,nitu-r ralibus autem perfedius infirudi atq3 armati fint quina, bruta, & quim ignobiles effefoleant, mente cogitante*, fuggerenteq? , /importunifsimi omnium immaniisi- micg fiunt, in venerem gulamt^r [/] Lib. p. pol, caj>. t. turpifsimi . Multa: praeterea no - biliDus , cum in tanta exiltima- tione, authoritate,fide, ubiqj prae cateris habeantur* fefe offerunt occafiones, quibus adiuti, plus male agen- do prarftare, quam alij valeant, Quo etiam refpedu no- hililsimos acditifsimos quofqj p.i7aAo7rov'M^ ^ t  F 3 & contra. 4 6 D B VERA & contra pauperrimos jjan^oirovn^ eflefblcre, ia g pdlificis d MagiftroTcriptu cft.' Cg] p-  Neque illud ell parui momenti,; quod cum ambitio poftremiis fit morbus, qui ab homine recedat, ea tamen grauius nobiles tdntantur, quam ignobiles. Eius rei cauda red * eKtur ab b Ariftotele in rhetoricis: Commune omni- ^  timeft hominum ,vt bona qiije Lil. %. tap. tj. prarcipue pofsident quicunquc illafint, augere ftudeant,& ma- haVem femper eorum cumulum efficere. At riobiles horipfo diduntur, qubd-Maiores habuerint magnis honoribus affedos. Hinc itaq^fit, vt honoris titulum propter diuturnam pofldfsioncm quafi proprium fibi vendicantes , cum abie&os , tum vero riouos homines - defpiciant, & ipli prae nimia honoris auiditate ita ali- quando i rcfta ratione aiierfi agantur, vt omnia huma- na diuinacp permifeeant . Verba Philofo^hi funt : UjyivetAt fjivniv jdoVe$*. 7. tarum fator & cultor, nunquam tamen efficiet, vt rubus vuam rat : neqj enim natura illius  talem a principio fuo per- fcdionem capere poteft : Et contra, vrfum quamuis olim manfuefeccris.non tamen perpetuohabitu talem habebis. Poftremb, quod a nobis imb ab c Ariftotele didum. efl,hanc generis digni- [ rentum honeftioris conditionis efice,quia tamen fpurij & nothi non apud vtrunip parentem, fcd apud alterum tantum folent educari, idcirco vix no funt omnes, mo- ribus degeneres , Erunt igitur hxc quafi monftra quar- damna. 1 % i r IU. M' vi , fcllf i>, 5 : '*! K 5 : f> 2 6H P(* '  M- fV te NOBILITATE* 49 dam naturar , qu* licet fit fapicntifsima , in generatione tamen rerum aliquando peccare nobis videtur. Atque prout monflra non proprie naturalia dicuntur efteda, quod i natura non legitime agente , & aliud volente fi- ant , ita ifti qui male contra fas & contra leges nati funr, deformitatem quandam & maculam fecum afferunt quam nulla quantumuis infignis virtus delere pofsit: ac proinde auafi non proprij, fed alieni filij reputantur. Monflroli partus, ait d Plato, d fpecic fua,non ab ea ex qua nati funt habere appella- t. e.  bilicatc . quaminjc continet, ex- . . . petatur ab omnibus tacito fal* bJcilW ' > tem ani* I y \ lyL  aj Lib. i. Eth.ad Ni  coni, c ap. 6. Ii] Lib. 1. 1 tb. adNie. Cdp. S. I. rbtt. cap. f . ' -  '* VOBILITATE. ( 5 t tem animi confenfu,eaq$pra:fcnte bene afficiatur atqj in bono ftatu ponatur hominis natura :& tandem a a felicitatem conducat maxime: quod de fcientia quoqj atque honore ex Ariftotdis a lententia diximus alibi. SeddcillodubitatunCumbona i n tria gc acta if "? b fint, vt alixammi., vt Virtutes morales, iuftitia, temperantia , fortitudo, item mentis, vtacuties ingenij foliditascp , celeritas atq* aptitu In rbtt. ad Alt x. cap. i. do ad inucniendum.dilcendurn, 1 n mag.mor. lib.i.capf iudicandum, ratiocinadum ,co- uEudcm.cafii. gitandum: aha rnrporis ,vt ho. na valetudo, robur, pulchritu- do, fenfuum integritas & vigor : alia externa vel fortu nae, qubd fortuna: accepta praecipue referri foleant , di- cantur, vt libertas , diuitiar , opes , honor : imquanapi hamm.claf6ium reponenda fa-no hi litas. Ariftoteles in h nniQ fnrrnnaf libro c fecundo Rhetoricorum , vt alia loca mittam , bis cxprefse iiu- c] Caf. 14. c rcap.il. merat ( tu'x % fi ivyiveap, 7t^Sro)j > (Tayft/xee , ait) quod ta- vernm nnn nide tur : nccp enim domina nobilitaris fortuna tam etfe uidctur,quam u.g. honoris & diui- tiarum : fiquidem vt diximus nobilitas eft bonitatis a uitr-impreffumih animo vcftigium , cuius confequens eft (plcndor ac dignitas fiue exiftjmatio eorundem. Huic.nodo fucceditaltcr , cur non internum potius & animi .'quam extern nm bonum dicatur nobilitas. Et tertius . quare non fit etiam corporis bonum, cum Na- turam fupra fic acceperimus , vt non minimum icor- ~ ' Ci pori* 3 1 0 5  DE VERA poris temperamento pendere diminnm 1 C llv * n,l, tura i a i ' V/ / s NOBILITATE. n turadiftingui: Honcftum ad mentem, volupe ad fen- fum, vtile ad vegetantem animam pertinere, ( Hoc bo- num alio nomine folet Ariftoteles appellare faculta- tem,quodin caufTa lic vt bona& mala gerere ualcamus,  femperep refertur ad aliud) fcd ita pleruncp inter fc confundi , vt in vno plura vel etiam lrnint omnia . De Virtute atque alijs multis, oftendit id Ariftoteles libro   primo Nicomachiorum. De Nobilitate quocfc a no- bis oftendi facile potcfEEft enim honcftum quippiam , cum prar- fertim d honorem contineat, fi honeftum illud fit quod eft in  Rhetoricis definitum , id eft, quod expetitur propter fe, & cu ut laudabile qua bonum , id eft, j i' fuapte natura, Jucundum eft. Etfane expeterent omnes-  t nobilitatem , etiamfi nullum frudum fecum ferret ; cx-j / plet $nim & quafi perficit naturam ac virtutis exupe- rantiam quandam oftendit. Et gaudet vnufquisqp fi be- ncconftituto fit animo, quod fe in /> ea dignitate cpllo- r#.i rt, *** ,, catum uideat, quae ab omnibutf r/] honoretur. Ao tandem ad Vir- tutem conducit multum : ornat ipfam ,inuidiz minus, expolitam reddit : multasqj illi & prxclaras occafiones- prxbetTcfe oftendendar patcfacicndxqj : quofane re-. & fpedu, nobilitas ad felicitatem no vt pars, fed vtinftru- ^mentum concurrere dicitur- , . W C4/>. 6 .&: Et i. ad E udem, eaf.u- [/] liid. LoJ Lib. l.rbu.cap.SK i: . f ' * >1 W. * ' ' ' 11  * ' - H t, V . ?* . .  * v r .. CAP) 2 \l / .  ;,/*, 'a: (rt . : ,tt *\ 'pti * : . ' i.flifiiCK Itiil frlaup g i:-;.. !*; i \ 3 C2 . ( ' V - A - ar I 5 * ib DE VER * CAP. VII. , m . Genus vere nobile quot fundant: Falli Nobiles* S Ed exiftit & altera quarftio , Quotnam v idelicet pra>- /rciir#ai\g r>pnrfV^ t.vt genus eflenQbil e r yel ex eo nobilis nafcipofsit. Hic fane d cautio illa,quam Politi- ci homines in Ciue definiendo Lib. j. fol. cap. 3. ad cohabitantes fallendos adhi- bebant , no eft nobis neceffaria : qui vtttlliadulemur,veritati rerum derogare nolumus. . Ariftoteles poftquam diu multumc^ hacfitaflet,rcm to-  mrn m hnnr mortnm verifxiW ripricht. Vnji^ qiianfajii* 4 virriire T fi pro pria tantum nitatur , non eft fio- SUTHoc nomine reprehenditur  ab eodem Euripi- . ?*  des, qui dixi{Tet,bIahilimxfleil-  r&W te] Infragm. DenobiL- lum. qui vir bonus & clarusjpfc per fele nulla maiorum comme- datione fuerit, Et fane non aliam ob caufTam Rhetores iftos nobilitatem propria virtute definiuiffe credcn- dum eft, quam vt ad virtutem homines incitarent, ne ! vel qui funt reuera nobiles, totum fe habere putarent, " | ; , vel qui funtignobiles praeclaris tamen geftis infignes, nihil. Huc priora illa Galeni verba pertinent, quibus antequam aduerfus nobiles difputaret 4 vfus eft, to5- rot Te riviq ii 0 aiw tvyiv- 4] in fiuf.ad artt1.Mf.4-. t&ap ^a 6 ^uLSvc,xJjov 5  T ' , iisr 2 cutk fj-tya. Eo iam res ven vt non qui & quales fint homines exploremus , fcd  ie a, / - NOBI LITATE. 57 nati. Egregie Bion db Antigono cuias clTet interroga- tus, refpondit,'Sagittarios non qui genere proflent, (ed quifeopuin melius feriant, eligendos efTe. Vnus eft fi ni$ lingulis per fe hominibus & eundis fimulpropofi- . tus Felicitas, id eftr, bene beateqj umere.* Ad hunc qui plus-confcrt & accedit propius, maiori etiam laude at- que jionorc dignus eft. Alioquin (Vtad prima redeam) ii ne claritate maioru m nulla piam- nohilirak rft. Simili exemplo illud b lc*cittir: [ij Kicnatid. in Gnidia.    , , i t . fy  '/  V . . '($y /,- .Q^is autem audeat legitime natum quamuis malum .vocare nothum ? Et e Ariftotcles hominem legis ac v . . ; i)ei refpeftu vocat bcftiam. I 3tjfi r  fe qniHfftnjgniiA per fciuacp virtute infigni s poterit, fi hanc obtineat facultatem vt multos fui fimiles generet, i pfe tamen nobilis ar ^nr nnn direrur. V erba lunt d A- VJ , r e V, riftotelis : cretv u.19 xv auree d.yet- tJ lnfragm. Dt nobil. * v r v  > tW,f ir\ TotcLDiuo auvafiit rrs @veiuf, ais" ritjtit xo?hxr cpoiar ;xk%xjh $ujj^17 t Syttxr & tvytveif ol "Xvri t- rx Txyivxs eme- Etpaulo ante, ctuv xv iyyivtjreu raxjos Hfnf c*ruytmK& XTuarxd*ufi, a? ixw to ax exeux kyaA'09 xoXb.af ymafjxro cnrxSeuqv kvccyKtj Hvcttro ytrof. -Atqj fIhqmiftocle$dcfeipfo,cum nelcioquisignobi- 10 C ,,W>bruo  '  obijccret, a>XK tyu tw fiir &u* ,fc. H t tm r 3 1 3 . \ 58 D E V E R A tW* yivJS *$u } yjj touXv ific rctn 'cpS ytv&> a^trott^ Toii TOV ei S j cutt etudguv tl'oiv\ ytwctiKuy ngy ypqnor Jjr(^ a.? r d/zQaiyi ocart cJ9n TroXivf 7 is rt TrfMTXf ymfaxs , >j \tt Xir>5 , >j tt hi- rto t >j atheo ru ruv Ttfiupevuvt k&) 'eiritya. tsis cx. tS ysvxr yJi K&i yuoeuKeif , K&t fias 3 irftffGvTegxr* "Et g alibi de caufsis loquens, ex quibus pendet nobili- culcat, cum de nobilitate loquitur. Nec mirum uidea- tur, id quod eft ignobile, efl c , M aten.nobiliutisLpriiici- pium. Perfedus virtutis habitus, eximperfedis adio- nibus comparatur. Et omnis generatio, ex eo fit,quod .nqn eft adu tale* Neqj h generatio, ipfa.diciturjia tura, ' \v vt neqj id quod generatur dicr- [6] ph.t.j>hy. cttt. 14. tur nafei : vtrnnqj tamen poteft 1? Irb. j. metxap.denit,., natura nuncupari ab o,ad quod ' . - proficifcitur,id cft.ipfa natura: Vjub fine dubio refpexit Ariftotelcs,cumfuprd in Poli- ticis & Rhetorici> gencrofum, virnin per fe probum nuncupauit, atq3 in fragmento de Nobilitatfe, nobilem, illum qui facultatem multorum fui fimilium procrean- dorum obtineat :alioquin enim, antea dixerat, us tux*- oux, 0) ithifioi ovo 7t 3 Xmfacu lnyaQZp tu vive? tttp $p. Ex quo colligitur erratum illorum, q ui nobil i n ig rri.i wnrra cn nhirtiernnr. Alternm-Cnim quod (c- ipfo tu^tv^j vocant, non eft proprie: cum nullum genus eius antecellent. Qu od fi nobi le lic appellent, quali principium nobilitatis , ne iflud quidem conucnit > nili tale concipiatur, vt multos (uifimilcs generare queat, & principij rationem ad pofteritatem habeat. Ncqj c- nim (inquit idem rerum & verborum Prarccptor) & 7re dici nobilis queat,  o. i  / . * 1 e^rrtr, eAevTfi^t ) flA#^o^,^>- T TiiroyS Ttrctpor o ivyinutr, etxcAs? reif JvfiJy &c. Loquitur Arifloteles de ijs rebus quibus prxditi homines, libi quifqj pares alteri honores & commoda ,in Rcpublica deberi contendunt: atqj enumerat liber tatem,diuitias, virtutes : excufans poilca le quod nobi- litatem omifilVet, quam tamen de paritate imperij cer- tare quocp folcre antea dixerat , addit, Nobilitatem dt- uitias virtutem^ fcqui. Qpis hincaliud colligat, quam A qnnd in terfi.i nobilitatis definitio ne afferenda dice- mus , nimirum dignitatem illam ac praflantiam maio t H i V7J rnm. I 60 D E V E R. A i i ' rum. guam t ad poftcros guafi per gradus delatam pro* f Plutarcb. In lib.pro vo ca mn Sxuyv^> L J hi ex virtutibus eorum ac diuitijs ,tobtl ' nafci ? Sic enimfe ftatim explicat Ariftoteles : tfi fi ivytvua 7rXxT(&* r&j Et c alipi, iuytvfif fi arcti Joxzertveic \jzrctf%& 7 ^oycvut IO 5 . J. c.f . .. W Vii-pmpria ,r r fi cft antiqua? fi maiorum? fige neris? Sit e^go fecundus ille nobilis , fed non proprii non vere,non formaliter : SduxLtfuaiuvrion alius a pri- hio,nifi quod nobilitati generofitatem adiunxerit. Quorfum igitur hOs interfe comparare ? Non fit com- paratio inter ea quorum i diuerfa. natura eft: &com- }  I parabilia non fiint quae genere T^J Lib-y.pby. cap. w/t. ;i diftcrunt.' Nonalio certe nomr- Lib. io}Mttaph. :,t -* : r rie, in squali 8c iufto arftimandb 1y' ; u ; ;5r ';.. Politicos quofdatii, & Platonem iquilletnp. popularem vocaret optimam malarum- Re- xump. reprehendit r Ariftoteles quam ifto. Sed nos-eo renertamtir v nde difce fsimus. & If3 Lib. j. pol. cap. 8. . certum numerum auortinicon- \+.lib. cap.zy _ ftirnnmn* , quo aentrs nobile di- ci poffiit. Diximus anfea nullam jfuiftc aliam nobilitatis originem, qudm confenfum a tqi op jnioncm hominu m . qua: eft, ex bonis nafci bonos. At non plane concipitur lur npinin nifi fit con- tinu ata feries vsq* aiL vJtimnpi, $ etya(lunr.Kai (omnino enim ficlegendus eflille locus) eandem nem- pe ob cauflam: quapropter concludit poflea,in ifliq- rum neutro nobilitatem pofle deprehendi, led in eP duntaxatvtfit ytvvq nempetotius ctft th. Exquibuso- mnibus colligitur, quam etiam errent VUilui dum mul- tos ttccnfcre auos pofsint , fe no biksputant. Athcni* H 3 cnfium 3 1 5 t  r % DE VERA cnfium nobilitatem ifto nomine celebrantem Alcibia- dem irridet 4 Socrates his verbis: k# yS ro Z [ 4 j In AlcibUd. i. A **&*J * JcufaXcv. 6 *, oi deuiaXes cis ifyctftot rsv JW* a?Aa tu fjLiv XaxiJctipovluf vjy irt^rZ) cur avrZv /*tra, fiartfair eitriv ex PctrtAew /ctjgi ^cV, ei piv etgyxe . rs (/ A.z+. pilogum. I -.pnga ad minimum v ; - # trium_c n n rin n atacp patrum f e. y ries , i n qua frequent e r magnae jLirrnti^nirnpt-tr^ gf-  - ' nus vere nobile fund at . AtqThoc pafto altera quacmo' . 'V'  ns acT exitum vidcturperduda. pK- * Afe  -  _ .t T V M ' \\ /* '  1 #1 4  * ** 'i* nh Cap. $ i ' r ' . V - K O B I 1 ITA T E. CAP. VIII. Locus quatenus nobilitet: Barbari: eorum nobilitas : explicatur lo# cus Ariftotclis ex primo ,/ r*. Politicorum. Nobb * i w *  i   * '/ * les in pagis ui* uentes. T Ertia exoriri ftatim uidetur, Vtr utn gen us matgi- na quoq? (lirpe reddi nobile . & quo modo pofsit. Sed iila longe commodius in fine huius operis tradabi- xur.llla nuncpotifsimum inflat: An loci & patriae clar i, tas Nobilitati quicquam conferat ucl obfcuritas dero- 4kRede7cntiunt , qui dicunt nobile ouidem eHe poffe genus, nulla patri* claritate commendatum , verum ex parte tantum, id cfl, in fuis duntaxatfcdibus, non abfo- lute tamen uelubiqj nobile. Nos in hunc modum rem planius decidi pofic arbitramur. Nobilem extra homi- num focietatem fi quis intelligat, is plane fitineptus,vt ex fcquentibus conflabit magis. Hac focictas,efl ucl fa- milia:, vel pagi, vel duitatis : prcrflantifsiina omnium Ciuitas eft: harc d finis aliarum, harc feipfa contenta Lib. familiis nepe, generibus .pagis- Gi.poh qiTepcrfed* copiofarqjvitargra- r * tiainllituta communio. In hanc qui plus conferunt, vtpoft dicemus , illi fufpiciuntur ac pra; alijs coluntur  & multo etiam magis fi de integra gente. . , Hi J O D E V B It A bflitate dignior: Illud accidit, quia Nothi principio dcflituuntur, quo definitur nobilitas: impudicam er nimatqj illegitimum habuerunt. Atcp hoc differt No- thus ex nobili natu$,4 Nobili non Generofo : Hic enim (vt infra dicetur) quamuis malus , nobilis tamen vi & , efficacitate principij fui, reputatur. CAP. VI- AC &Y 1 r>- * JH 'Ha jrti ,/R ! : Wi Proponuntur tres quaeftionesr Quale bonum Nobilitas : Fortuna bona 8c mala* - '*,' *T f   *   *   1  ' *  M I  i  1 . ternam- v ' \ M >' VOBILITATE 5 * ] Lib. i. Etb.ad Ni com. cap. d. t b] Lib. u ttb. ad Nie. cap. 8. I. rbet. cap. 5. ' I ,rf i rem animi confenfu,caq{ praefente bene afficiatur atep in bono ftatu ponatur hominis natura tandem ad felicitatem conducat maxime; quod de fcientia quoqj atque honore ex Ariftotelis a lententia diximus alibi. Sed dc illo dubitatur:Cum bona iiuxia^rnoca ita dinifi b fint, vt alixanuiu.,vt Virtutes morales, iuftitia, temperantia , fortitudo, item mentis, vtacuties ingenij foliditastp , celeritas atep aptitu ln rbtt. ad Alex. cap. i. do ad inucniendum.difcendum. In mag.mor. lib.t.cap.f * iudicandum, ratiocinadum ,CO- uEudcm.cajJt. gitandum; aliaxorpoiis ,vt bo- na valetudo, robur, pulchritu- do, fcnfuum integritas & vigor : alia externa vel for tu nxy qubd fortunae accepta praecipue referri (oleant , di- cantur, vt libertas, diuitiae, opes, honor: in qnanam 'harum rlaffiiiim r^p^n^r^? ftn^bilim Ariftoreles in fcgnisihmmae libro c fecundo Rhetoricorum , vt alia loca mittam , bis exprcfse un- tO Cap.t 4. (srcap.11. merat ( tv'x_; fi ivyiveap B 7rXbTo/j , ftwccpipG y ait) quod ta tnp r] verum non nide tur : neqj enim domina nobilitatis fortuna tam efle uidctur,quam u.g. honoris & diui- tiarum : fiqiridem vt diximus nobilitas eft bonitatis a uitaeimprclfumin animo vcftigium , cuius confequens eft fplendor ac dignitas fiue exiftjmatio eorundem. Huic.nodo fucceditalter , cur non internum potius & animi Jqu ^mfcxrernuni bonum dicatur nobilitas. F> tertius . quare non iit etiam corporis bonum, cura Na- turam fupra fic acceperimus , vt non minimum icor- G a pori* Jl DE VERA _ 4 ' poris temperamento pendere diftum fit . Et quartus; num fit bonum utile & honeflum. Hxc vna quxftio tot habet capita. A d_giig,hac ordine relpondcmus. Non eft planr- nobilita s. ip(a (impliciter natura bonita s 1 qua nempe (vt Arilloteles dicit) impulti ad bonum ita teri- mur, vtii quis quxrat cur feramur, non pofsimus aliter rcfpbdcre, quam, nefeimus, fed fic placet: S ed en. quam ex pir^nrihnc ffricl^ni^in tflir> s derj uare n p i. nione omnium prripf hnmin^^ivimiK Vfrnnrp j m 'i proprie fortunx tribuitur, cum ad certas cauflasfvt pa- tentum conditiones , fyderumqj efficacitatem, quan- quam nobis occultam, referri pofsit, & reputaturpotr- usnaturx bonum,vtipfemet a A riftoteleslib. fecundo rhetoricorum fatetur. Attamen i. n r- y V .M Cn//r. s. & ipfa non parum fortunx cafi- bus expofitafunt,vtanteadiximus. r EanunaJgiuirfi r] Pidtu rhtt. eap.io. Recipiatur , id eft, prout fi- r gmficat iH nmnp fniiu noji fufr.iLg dnrr|jpi f $c quod prxter omnem noflram.ratio- cinationem accidit, & hanc etiam bonitatem compre- hendit: pi^apriejLcroiccepta, opes folum diuitiasqj continet. Audiamusipfummctr p n * ris bona non ad fortunam, fcdad naturam rcuocantur. Sic idem / Diuinus vir , ad bonam.cQmmndamqifene- , ftnrrm efficiendam -  dnn con-  (itum, id efl concurfus calidarum quarundam , qux nullum int ca dignitate cqllo- r , ri ,, catum uideat, qua; abopmibuff,  r  honoretur. Ac tandem ad Yir*. tutem conducit mukum : ornat ipfam,inuidia: minus, expolitam reddit : multasqj illi & prarclaras occafiones . pracbetTcfe oftendenda? patcfacicnd*qj ; quofane re- afetrai, T7 j'e Tov V Ti Ti\OJTr,rn  Militi- itacy rnmimiaM tni'c ( 1 fionc infignes virtute viri.pragceflerint np refle eft , anfe- quim genus nohilereputetu r. Hincillain Homero fre quens Heroum appellatio, d nomine auorum vel etiam proauorum deduCta. Et hoc ipfum clarius etiam in / ; i. . .  Rhetoricis hifce verbis traditu L/ J i-**- 1 . cap.f. n  v 1 clt: tdteb dt tuy&uci r\ ctir moqm riciTTO yuui , >j ttA#- tco >j , o 3 1 V / * r- 1 6 o D E VERA rum.g uam b ad pofteros quafi per gradus delatam pro , Ibj Plutarcb. b, lib.br o E ri M c UCri vo cam u s hy h^ mbii ex virtut *bus eorum ac diuitijs ^ nafci ? Sic enim fe ftatim explicat Ariftote!es:iyt jSeuyevua, X, 1 *** r&j Et c alibi, ivyweif y$ eirai Joxza-ivrif \jzs"tt^st T^oysvur r o s-pcl. uf . *" W V lii-p mp ru f . fi eft antiqua? fi maiorum? fige neris? Sit ergo fccnntfi 1 * ille nobilis , fed non proprie, non vere,non for m aliter ' .V-hic tertius, non alius a pri- mo , nifi quod nobilitatigenerofitatem adiunxerit. Quorfum igitur hos interfe comparare? Non fit com- paratio inter ea quorurii d diuerfa. natura eflr : &com- i ' ( parabilia non fiint qua: genere Lib.j.phy. cap. uft. -i differunt. Non-alio Certenomf- Lib. tolMetapb. ;a - a  ' ne, in xquali &iulto aftimandb . : ,: V "" V, V' n ' Politicos quofdaiiii & Platonem igni Rcrnp. popularem vocaret optimam malarum Re- Tump. reprehendit e Ariftoteles quain ifio. Sed nos-eo ren ertamur vnde dffi-pfcinlns. te Lik- 3- Ph Wx 8  . cerrum numerum .nio^im roh- \+.lib.cap. 2 } :, J( a; ftiruamus, quo penns nohiledi. ' ... cipoiait. Diximus anfea nullam fuifTc aliam nobilitatis originem, qudrn confenfum a tqs opjnionem hominum , qua:efi, ex bonis nafci bonos. At non plane concipitur ^p ir>;r> ev vnqfqjp ; nct p ex dualius rrin nucum pnefertim femper recens memo- ria humilitatis pro3ui, patris & aui lucem obfcurena-  deo vt neqj ipii plane effe; boni , neqj eorum nati exifti* nientur. Tres igitur vel etiam quatuor antecefsifleil - 1 * -i Iuftres Google ' I N O B 1,1! T A T E . rit. Lex erat apud/ Platonem, vt patris opprobria & & proauus capitis condemnati findent. Talis autem cum fuis opibus, forte tamen excepta,relegari in alium locum iubebatur. Nulli dubium, Platonem dum cul- pam parentum filijs imputat, eo refpicerc, quo nosin nobili genere conllituendo fpedamus. Ncqj altius ori- go repetenda ;alioquin uel Reges ipfi (vt Plato aiebat) ex feruis tandem deriuarunt.atcjj ex Regibus ferui. & nulla cft planta quantumuis pulchri frondefeens & flo- rens, qux radicem fqualidam obfcuramqj.non habeat, ffrmrinna ram autem ede claritatem iflorum quatuor nSdIkjcfl^uaqj ? v t fit nimiru m patris, api, proaui, ah-' aui.: alioquin opinio illa influentis in pofleros dignitii- tiTacpra:flantiar,quaflin medio curfu intercepta praeci- deretur. Quodiplum fignificauit Arifloteles hifce ver- bis : IfioiuS x  Iutd tamen uel ubiqj nobile. Nos in hunc modum rem planius decidi pofle arbitramur. Nobilem extra homi- num focietatem fiquisintclligat, is plane fitincptus,vt ex fcquentibus conflabit magis. Hac focictas,eft uel fa- milia, vel pagi, vel duitatis : praftantifsiina omnium Ciultas cft : hac d finis aliarum, hac feipfa contenta , ex UlUb.j.fot.ut.e. kmilijs nepe, generibus ^ pagis. Gi.pol.t. qite perfeci* copiofaqjvitagra- _ * tiainllituta communio. Iirhanc qui pl us conferunt, vt poft dicemus , illi fufpiciuntur ac pr* alijs coluntur * & multo etiam magis fi dc integra gente. r ' 3 i e r * 4 D E VERA - eente . fi dc omnibus bene promereri e pofsint, xzsrw*  . /O ~ V .*/  - , Gokn  to frarraf tviroteif. [fl Ltb.i. rbtt.cap. p. / ~  > v . . . * V - ; i ; Atqj / alibi, f  TAT ** txn t at* c/j  j|,w  ' mi KM To 7 ^ T6* Afcorigov to T>jf 7roMut Qcuvitcu v&j Ad6V  k&XKm aTn fliriMiran^fri fVpMc nr>hi'li r A*.  p \ j* fi w+w* rm I 3 NOBILITATE *5 'V J 5 R garis nobilibus fiet, quorum maxima pars in pagis atqj oppidulis obfcuris degit? Et fanc fi patriam nobilitare dicamus , in dubium controuerfiamqj vocanda erunt ea, quat de natura nobilitatis antea propofuimus. Au- ger mmen tori enm mpndnri ruiQhilir a rrm ded necp hoc perfe: quo igitur modo declarandum. Ariftotclesin Politias cum deiure,quodin uarijs Rerumpublicarum Ipecicbus ufurpatur, verba faceret, ait, * omnes iute Za 2 s.pol.cap. 6 , quodam niti, & ius quoddam l.pol. ctp. i . pro fecitarc,quod tamen in qui- busdam non eft arrX 5  fiue -nap illua Mia/cji, quod kw- tfog iuftumcft, fed duntaxat & tx{#t t/v-' : quo b etiam modo Oftracifmum in IJ ./.9.0*10. deprauatis Rebufpub. JVkctro/jef. , fe fatetur, & Tyrannicum quoq* imperium sxep tj  ' I lis ius \p * 317 66 D E V E R A lisius illud quod irv.p 7rXw & fecundum naturam uo- catur, deduci potc^,& quo nobiles -nana^ non do- lum 71-015 cturolq haberi atcp appeilari debent. Barbari verd gens (quo nomine c omnes qui Europam tenent, fcdGrxci potifsimum excipiun- EO Lib. 3. pol. c*p. 10. tur)quia in hunc finem non con- ucnit,quod ex cius vita, legibus, inftitutis,moribus(^ fatis cognofcitur,idcirco non pro* prid 7 toAt/k -nominatur, neqjiurc quod eft aTrXwg, ... , &plane(ccunduranaturamuti- toj L ib. +. pol. +. tur: omnia nanqj & ftudia &a- ftiones ad id refert quod pro- pofitum'habet. Et fan qualis eftpriuata barbarorum vita, talis quocp Help, eorum ccnfcnda eft : h yot/p a 7 ro- Xrs(ot riq isi TCoXiw;. Vtri- \ pol. cap.st. ufqj caufla eft J ayvoia rs atqp huius : quia uirnlrlfin E nonpcrfe&e, & non talis qua: ubi * que ha- r Tf 1 .* .V v/ l? 1 * ap- Zml m. ^y.vj m: H/.T- .j^r, 41* T  'i I ' >il .-i^| 1 -43,* A (j * Mfft' i NOBILITATE. 67 * , * k* * % . .  3 ne haberi pro virtute atq? in admiratione & honore ebeat. Eft, ait Galenus, ciufmodi nobilitas moneta s fimilis : qua in illa v rbe ubi cudituc-prob ata elt, apud alias gentes .pro adulterina habetur. Omnia igituTad virtutem atqj ad ipfum houiinemlandem redeunt. Quod ipfuminfimilifercpropofito concludebat hifce verbis g A riiloteles, onty de riro Aeywvn, ddew atiC j r  /i ' ytfi 6 Asut/g ov yjtf rtf tvyivtif j yvfH irfof r .. ctyuV* r >  xcu odO/oy y (*r,T>;g> i?* ^ Ia' Ee if -1 . 41 *  *4 ' V H 316 D B VERA Curri Tymodemus Aphidncus Themidodi obij- ceret,qu6d propter nobiUtatempatrix, non propter virtutes proprias a Lacedxmonijs magnos Honores accepiflct,rcfponfum ab illo habuit, Ncqj ego fi Aphid- neus eflem, tanta virtutis mfignia fiiiflbm confequutus, ncq? tu, fi Athcnienfis. Importune autem quzruntboc loco nonnulli, an liceat Nobili ex duitate m pagum fe- cedere,vtiriGallijs, in Germania, in Polonia,in Vnga- ria fit: Quafi vero uel idcirco Rempublicam deferant nobiles, vel in pagis vt ferui & rufcici,non vt domini degant In Regijs Rebufpublicis contingere iltud fo- lct: cum prxfcrtim hodieillx (& hicabufus quoque in- naluit ) non amplius typo & forma admimdrationis, fed magnitudine regionis adimentur. Propagatis itaqj ditionis & agri terminis,iam non vmus vrbis, fed pluri- um , cum magnarum tum mediocrium & .minimarum gubernatione, Regium imperium definitur. Quod u- num ed quidem, & prxeipuum penes ipfum Principem, cx multis tameri quafi partibus condans. Etenim cum ds bene iudi care, duobus item pedibus totidemq* ma- nibus non fatis apte agere ipfe queat, multos multo- rum oculos & pedes, multasq* manus & aures quafi fa- cere fibi cogatur., Condituit ergo magidratus,atqpim* perij, eos qui decp i. le , neqj ab imperio fuo alienos ge- runt animos,quodammirif. A tqj, u. **    t v ? - r r 1 j. XxonrhVTtoisiid ciuyaVoi.etXb. Infrag.dtnobtl. ... r ,  / / r * 01 tK 7 r ctXcti TrhHriav tj tJtxaAat iyaQuv ivytvHt e* Qjrod tlmen dextre accipien- dum cft. Ppidepini tlinirjr nim gfr t qnnrl rnnVf iltrjnr i tot lapientibus inculcatum diximus, & cui fere niti* Cur tota natura nobilitatis ?cofcntarteum efle nimirum ex melioribus nafei meliores ? Rcdriimt-nc dinili-g na- tt } ma ^ ; gnitudine, & pulchritudine excellentiam s fi prsrfcrcini hic omnia certa fuerint, & omni periculo uacua, atqj adeo vt eorum ufus 8 c proprietas in noftra potcftate : * r - pland *  32 0 7 * .6 H VERA plane fit. Quanqiiam fi magiftram omnium naturam audiamus ,/ diuitixin ufu potius ipfo, quam in poflcf- Ytl Tbid 1  rerum eipfmodi conliftere Er 1  , dicunrur.PorrodcHonorepIu- * 1  J -P   ra quidem difputata funt ab a- -lijs, fed quxdara inconftantcr, quod fe ad omnium fen- tentias vno eodemt^ tempore accommodare uolue- fint: Vna &fimplcx Veritas eft: hanc (equi oportet: & huius retinenda gratia uel fua etiam decreta, nedum prsccptorum afnicorumq* tollere, Philofophi eft. Nos igitur, quia locus id poftulat, totam rem, fed fumma- tira, in praefentia proponemus. Et verum honorem.c fe , quod eft virtutis pratmium , libenter concedimus^ * g t 9 8cjrJ yx/p 0Xop Tipf : praemium inquam, id eft, * maius illud quod virtuti deferri fg] 4 . Etbic. cap. j. > queat : alioquin virtuti vndigue 2. Et hic. cap.i+.  : rit , Honorem efie virtutis teftificationem : quali ftatua quamuis muta fit, minus tamen teftetur merita quam, narratio. Si metaphora difplicuit.habuitmulta qua* ia  quouis etiam fapicntifsimo feriptore reprehenderet v & in leipfo plurima. Falfum n cftquotB*el tiones, afiurrc&iones, praelationes , fieri ad exemplum,. , nadpraeo  [] S. ttb. 14 . v.. elogia, pradica- 1 | non ad pramium. 4 Honor quicunm fuerit, nifi fit fuca- \ tus , indicat bonam exiftimatio nem , & confequentcr affert fe- cum tefiimonium virtutis, cius qui colitur, atqj vni co-^ , Tentis officium ,quod eft quafi pretium fiue pramium > V quoddam, quiadebitum. Sed reuertar ad priora- Ho-p4 noris partes, uel dito~uelfa&o comprehenduntur, j Fa e g- nerationes,vtoleaftcr in veteris Graeciae certaminibus, & coronx , qux Romanis militi- bus fortitudinis caulTa dabantur: pra?terharc,Barbarica quadam, qbxfuntferuitutis indicia, qualianuncetiam immanis Turearum natio in Rege luo colendo feruats vt abijeere fe ad pedes , uel adorare, & ck , id cft, cum illius quem honorant quaft numinis cuiufdam confpedum ferre fenon poflcoftendenrcs ,uel faciem auerttmr, uel longcab illo fe proripiunt. Dido autem honores, funt, laudationes, tum carrhine tum foluta o- rationeconfedx. Hx funt honoris partes :qux tamen haud funt omnes ciufdem ponderis: alter enim altero honore eftaltior, prout etiam gradus bencficetixfunt uel magis uel minus ampli, quibus honoris gradus pro- K 2 portio* 7^  8 V B R A portione reipondent: arqj non omnis omni tribuitur. Multis affurgimus, quibus non erigeremus ftatuam. Maximi autem eorum qui hominibus gionccdi debe* ant , ij funt , qui ad honorem Dei propius accedunt . Qyxftio tamen eft de Magiftratu , an Ut in partibus ho- noris collocandus. Ariftoteles in tertio libro Politi* Cai> t eorum id affirmauit. Idem ta- ri, r/h i men libro quarto JNicpmachi* ^ ^ * orum dixit, cu yS Juvctruat tyt/ i 7rXxr{& 2J& 'tiw ri/tltu enr cuprei : qua: fi uera fint, dif- feret fine dubio Magiftratus ab Honore . Huc accedit, quod idem in libro rhetorices priore, honoris partes enumerans,, magiftratum omittit. Facile eft reconde- re. Cum magiftratus mandamus , non id potifsimUm ft>e&amus,vt noftram opinionem de illius qignitatein- ' dicemus , cui committimus t fed vt ipfe legum fit c cu* w 3.pcl . . U 05 *"? adm,niftcr : v ' P r ? no- r bni rMb io his vigilet :vt pro noftra falutc  _ * laborem periculumcp fufeipiat. Interim tamen oftendimus quoqj , nos de illo bene exi* ftimare : quo nomine iure conqueri potuit  Achilles de Agamemnone, [] 9. lliad. furio-opai , of /* aritytihov cr ^yeioirif tpfctv arfelfar, urei ni ari fitjrcf fitretrcirlu;  ^Sic, Magiftratus fi non fimpliciter, faltem aliqua ex par- te dici honos poteft. Idem dcmuncribusaffirmarifo- let: Afferunt commodum, atcpvna honorem, 5 ii Cfl 1. rket. cap. j. Mx$ d ucl tu- r , iTo|td, omnium nempe rerum C faluti nempe inco- lumitatiq? dandi ucl confcruandx , quidam ucilia,& hxc uel magna , vt diuitiarum ,& alicuius exterorum bonorum , liue fint animi ,iiuc corporis , fiue'cxterna, -cuius non fitfacihs comparatio , uel parua , qui tamen propter temporis opportunitatemaut loci commodi tatem magna illimentur, b -ro/boi yo op ^ V r / \ / 1 _ yerveramt , i> dtwttutvei ras ro Mif fj t a tVj tvi^ytreiPy eniyxafcp Tijf rifiry retura' Non tamen adeo iuftus hic honos eft cum inuitamentum quoddam magis , quam benefica: virtutis teftimonium&compenlatio fit. Summa igitur honoris,de quo nunc loquimur, ad Virtutem ipianij quafi ad caput redit : non eft enim beneficentia mfi vir- tuofi viri proprium, a en ii  tnftgycv tup M 1 r - ayaQur ati^ut l quapropter ali- ti;! S. abii. m/. 14 . hi coniun gcbantur, b t7j $ ^irifr (e tvtgytrtaf *i Ttfitij ye^af. Ex his cognoicere fatis pofiiimus,cur diuiria: honoren- tur : funt enim Honefta*, quia Honefti efficientia, item ligna t atqj ad adiones honeftas ncccflarix. At Honefti folius 32 4 8 O DE VERA fblius uere honorem ede & diximus antea ex Ariftote- lc,& nuncetiam repetimus his verbis, cKctha. fi Wit  0 1 * rt. 4 i AU. f't ' tvS $*  3 * T V ne - . t b . et** yvmrtTcu Teis vr?a,arip.  * Non poteft clarius id nobis dici, qudmcum honeftum definiri audimus honore : atta- men idem d alibinonminusexprefsehabetur. Eodem o igitur (vt rem tandem conclu- Y . ^  ' damus)iureadnobilitatcmdi- uitix faciunt, quo ad honorem. Idipfum fentit e Arillo- . - teles, cuius ifta funt, tas fi w?or t e  * tzW bhvyA^xiAf /xaXKov t iuQetn kaKhv ^triKfAriar : caufTa exponitur: 2 J& fo jta&op zrAifftAP ivyzvuav rolt ivTcguTegsiS ' . Atxfixcthxc ctya&xs nforctyogivo-iv. Et paulo pofl, y$ zfa^a TO~f ei ivTrcgi rui kaXuv k hycb* iuv foKVrt xtrt^^^TsjX0i> i  mag.mr.c 4 f. 3, tcmMnc % h ^ , cciienti! [7] Vide 1. NTcom.cdf.il. quardam ac diuiua bona, vt fci- j. mag. mor. 3. 6. eritias felicitatem^ , pertinere iMdEudtm. 1. z. inquit: in quo etiam fibi no con- ; ftat: nam aliquando, vt fecundo libro ad Eudemum-, fcientias' etiam laudabiles j>onit, wr aiiZpSj) yctQ ob ftovop roi^  * p.jf 9 A jVM i!V Vr|f tVn M litkjk > m- ' h a - NOBILITATE* S $ uendicare: in Oligarchia diuitiarum , in Ariftocratia virtutis excellentisnominc. Vtrunque habent, quan- ti uatg vtroqj non per fe ac proprie conftituaturnobi- ii$. Generis & antiqua virtus per fe nobilitat : diuitijs id tribuitur, quia virtutis cauda & lignum ede folent. Sine / dubio igitur nobilis vt nobilis in Ariftocratia & Regno plus iuris habet, qua in Oligarchia- quod ipfum placuit Ariftoteli quoque dicenti Oligarchicampoteftatern 4] 4. pol. cap . etiam Arillocraticam appellari, f//. *o- &*- quia diciplina & reda educatio locupletiorum foleant magis ede comites. Subfcri- bam vnum ex multis eius locis , tKaQctTnf 5 v arepeny (Zanhelet, reraxleu xatoltIuj a^ex^xrlaf. nar aiavy$ far ij xar' ij xata yoarr* Vbi audimus quoq^ inter propriam generis^ virtutem , id eft, nobilitatem, exprede diferimen poni. Et alibi dicebat, no multas ede relp. Ariftocraticas , plurimas autem Oligarchicas De- mocrancasqj, quia nimirum nobiles & virtuoil nufqua multi reperiantur* diuites autem pauperesep fint ubiq* plurimi. Quoniam ver6 non poteft ipfa per fe no- bilitas cum propria virtute conferri , vt ex o&auo capi- te libri tertij Politicorum fatis colligitur, idcirco miran- dum non eft, fi cum de Regno, Ari ! flantia dignitatecj} rerum afficiuntur, aliam hanc hono- i ris cauffam , & quidem maximam iuftifsimamcp agno* fcunt. Sic Ariftotclcs Theologiam reliquis omnibus v - fcientijs,quantumuis vtilioribus, honore dignitatecp antecellere uoluit: ell enim immenfum quoddam bo- num: ac proinde honore dignifsimum. Sic Epicurus, i qui Deum nihil agentem, rescp hafce humanas non modo non procurantem , fcd ne uidentem quidem in* duxit, eum tamen dignum arbitrabatur , qui ob natura; . prxflantiam hominum pietate coleretur. Pidorcm eti* am egregium, nobis tamen non fruduofum honora- mus : quanquam & ipfe frudum quendam , quod no- ftram nimirum imaginem affabre reprifentans,quafi veri noftriprxfentia apud pofteros nos reddat inimor j tales, tum iucunditatem mirificam, voluptatemcp af- fert. Tertiam dubitationem hydra; capiti fimijem efle dodi quidam merito dicunt : Tanta nanqj iftorum vo- cabulorum varietas tantustp abufusefl apud Arifiote- lem , vt uix vnam illius partem diffoluerc queas , quin ' multarflatim aliae quxftioncs exoriantur. Et quamuis m ulti magni qj viri de honore fcripferint , illorum tame nemo hadenus fuit, qui explere mihi animum fatis po- habitum ipfum proprie pertineat. Sed huic fententi* obdat .1 4 N O B I L X T A T E. obftatlocus,quiin primo e magnorum moralium Ii. W rMh . bro legitur, ta ivamTA olor ' .   *  . s : a rro y> xat urar orfApjuy ytvircti- qui locus omnino quali e di. ametro cum lententia commemorata pugnat. Didum nanqjpaulb ante fuerat, ixw rjf *i \trii rifuori caufla expofita, 'otav yt att Avrrf aru^cti* rU yt\TAi Honor igitur habitui potius quimadioni,Iaus vero contri tribuitur. Similis d huicarqj repugnans adhuc . . . magiycft ille alter, eoraive/l^f Afit- f TJjf ta t gya , K&ta iyy.UfA.iet TUf igyw: Sc (equitur : ksh ftQetwnAi ei ruceemr id e fi, opera, a?ik ei hwAfuru nxr, id eft, habitum, f**i n * kvvtk h. Item tertius* t ixee /f cx rur irfetfcfup i tVa/- rof : Ji tu arujctiu & c. Ne , ex quibus ifta Laudis definitio extundi pofleiftis uidetur, non aliter funt ac- cipienda , quam libro fecundo ad Eudemum accipian- tur. Deiftopofteauidcrimus. Deinde cohortamur cum timemus ne quis de reda via virtutis ad vitia de* clinet : laudamus autem propter yirtutjis habitum prae- fentem , & propter ipfa iam prxclare atqj egregie lada. Sic Ariftoteles rede 4 dicebat , iirv t7r* Arrtr , to ^fcajore^cv ij ^xtj. Et / alibi. A>;Acr o [/j Lib.i.S itom. capi n. r "^ w ?*j t iw iv$. En**. u f . .. T, t ** Si a ?*  *" L r 009 ovtQ^ ii$ to thvro7iog b autem & pw>tcc$w7jw$ laudem continet atqj encomi- 1. rbn. cap. y. um , ficuti etiam tu^ctrpLoiMot om nia bona in fe claudit Cum enim aliqaem p radicamus *  * ' feli* _ NOBltlTATB. 91 V r. .* n b ' ' s ; pri : , i ' lV- *'-* '  hfW-  Vrf" 8 BUt P s feklr* '  * : > V  1 - ' nobilitate.' p7 licedasmones b ab Ariftotele , qui virtutem vhftorid , . tanquam fine & potiorc quo r ? , ca P' 7 ' dam probarent. Ncgocium i 6 c [ij 7./o/. 14. (f cap.t. bellum orij ac pacis caufla fufci- * piuntur, ovx wq ri\&  3J3 Vs i pS D H  E It A quamqt virtutem & vnumquodqj vitium. Docet itaq* lex quia agendum & quidfugiedum .ncquifquam prz- texcre ignorantiam pofsit. In ea itaqjnoniolumafti- maduerlio & mulda, fcd ipfum praeceptum cft confide- randum. Illorum x refpedu neceflariam ex politione __ . & conditioneritcmqj virtute po- . 7 '*  ! , fteriorem uocat Ariftotdes le- gem, non huius, quod (impliciter neccflarium eft. Qpanquam lex non eft neqj dicitur,nifi prout cum mo- rali praecepto vim quoqj & poteftatcm illam (ecum-af- fert, quam expopuli confeniu , longae^ a confuetudine accepit. Nem aliter accipiedum, C *}t.pol.6. .. quodabeodcmmagiftroeftali- itl bididum,* Leges nempe, iuftas ' efle per accidens, quimqubdiu- ftus per fc is non fit , qui ex legis mandato atq? imperio potius, qudm ex habitu iufta faciat: quem tamen * ha- r .. ..  bitum uult ipfa lex inducere, fc] 9. ethic, c*p, ulr. , r . ^ ... - % 1 Legem nunc mtelligo , quae fit a principijs honefti duda , naturxcp huius vniuerfiratis monarchx omnino cofentanea .Et propterhominum imperitiam flexibilitatem^ , difciplina quoqj de mori- bus , & prxeeptores morales indudi (unt. Quo magis mirari nonnullorum temeritatem fubit , qui vt Politi- cam de legibus deprimerent, eam non efle (dentiam- demonftrarunt: quafl vero ea quz de moribus cft/cicn- tia dici pofsit. Sed de iftis alio loco : ad prima nunc re* deunditm. Ne quis edam nos reprehendat, quod pri- mas nobilitaris partes Poliricx demus , quam tamen tertio loco enumerauimus : Naturae ordinem enume- rando fequuri fumus : nafeitur enim Politica & compa- vf* - - ratur a: w N OBIIXTATE. 99 v 4 -.  ,Tit' . mu& m 4-r* t ; * AjW) i WtJ-*  Pff |fe ^ - 'i ! pii # *>':?!' 2lV i' V* V i OgjC .Wi| Ktr  tatur ex Phyfiologia,vt d grauifsimis Ariftotelis  in- terprctibus declaratum cft,atqj C] Jluer. Shnpl. i  a nobis hac alia ratione potiet in frti.phyf. przfentia montirari. Prudenti am e(1e quali ancillam & mini ftram Sapienti* didum ab 4 Ariftotele fuit. Sed in eo famulatu , duo potilsimum mu-.  4 ] 1 . magn. morxMp.uU. ncracius cernuntur. Atri entis vnum, Prodromi alterum. Illud ab eodem magiftro , fatis eft in magnis Ethicis defini- tum : Hoc, paulo obfcurius in multis tamen locis, ac prxfertim in quinto Nieomachior. libro tigniticatum. Prudentia ipfa eft, qu* de rebus Homini timpliciter bo- nis deliberas, nobis quafi nunciat alteram poftfc virtu- tem digniorem, id eft, Sapientiam effe : atqp hortatur 8c imperat, vt ad eam tanquam ad proprium przftantifsi mumqj hominis finem totis animi viribus contenda- mus . At qui poterit Prudentia, Sapientiam tanquam fummum & proprijfsimum hominis finem fatis uere re- detp difpicerc , & nobis patefacere , niti prius fcientii illa, qu* de hufflan*mcntis natura tradat, quxqj po- rifsima maximaqj Phyfiologi*pars eft, h (:Cfcp oiop i^P-) beni fuerit confirmata? Hac etiam de re memini me in qua ftione de Habitibus copiofe fatis egitic. Porro cutA Prudentiam dicimus, no folertiam & lagacitatem quan dam natur* dicimus, fed redam & bene cogitatam ra- tionem, de ijs rebus qu* aliter fc habere potiunt, & fub hominum adionem cadunt. At resquzfubadionem ijiui - Ni cadunt. 160 D 1 V B R A cadunt , fingulares funt : Primb igitur offerantur fenfi- bus: inde excitantur femper appetitiones,/  E  Fidciufsio , & his fimilia : Secundi 'generis , vt furtum, adulterium ,fcruialicni corruptio, talfum teftimonium, cardcs dolo commifia,& huiufmo* di alia, quz clandeftina vocantur, item violenta, vrver- bera, vincula, mors, rapina, maledicentia. In emenda- tione autem, non hominis meritum, fed iniuriz magni- tudinem confiderare, zqualufc damno compenfare, ius eft. Ad hanc Virtutem Equitas refertur, quz eft luris legitimi corredio quzdam. Corrigendi occafio nafeitur ex legislatoris culpa , quanquam ncccflaria; res enim agendz infinitae funt, & infinite mutabiles: przcepto ita. 6. t ripi ovt ixo&op- j \ Atqj ri- * t. le :v. i 4 r V NOBILITATE. 107  rjm .4 ' Atqi * alibi dicebat , honorem , non virtutem , fcd vir ... tutis excellentiam indicare, xol . [] Iw .cap. 9i . xIkk tvj Ti/xi TWp Ka>wj) : a/ffra t yot% aKji cc^th^ to 7raTot viiroi&p, & ,  . ^ quid ab homine illo expedes,* Pt rht. ca P-f- qui vt audiorfiat vno quadran- to 4- w /c, 4* tCj non p arC at amicifsimorum vit* ? Aleatores , graflatores , latrones, non aliunde fi- unt qudim ex auaritia. Temperantia item, qu* Reginae omnium virtutum Prudenti*, cultos ell: ac proinde 4 Gr*cis rwcpeocrtttw redifsirac appellatur. In illis quatu- orpotifsimumfitamcflc felicitatem, d alibi ab Arilto- tele feriptum ell: ab illis igitur Id] 7. pol. 1. quatuor potifsimiim , Nobilitas quoq* oriri poterit, & conferua* ri> Atque de caufsis Nobilitatis hxedida fufficiant. O a CAP. 3 40 1 . lof DE VERE CAP. XII De dtuidone Nobilitatis, nonnulla: Chrv Aiana nobilitas : Phy (ica : Ciuilis: publica; priuata: gradus ' ' nobilitatis.  ;i*n- A Ge nunc fi cuti initio polliciti fumus , de fpeciebus eius annotemus quzdam. Sunt qui d iuidant in r;hpf>ianam ik>1 Theologicam, Phyfiram , & Moralem. Et re&e quidem , non appofite tamen. Non eft Chri- ftiap^ virtus nerp roncipirnr h*rg gliraria. (qirod ipfum eft ver' nobilitatis fundamentum) fcd i patre  lumi- r n TitmU 1111111 defcendens, cuius pura bo- r ji . r * nitate ac mifericordia nobis ad- l4Ji.Cr.Mf.il. eft. Et in fummi, 4 fpiritualia, non ratione, non natur, non carnis opera comparan- tur. Deus eft qui ea largitur, ac pro fua meraliberalita- tediipenfat. N " n  mn fanffivi r K honorem rrcgi- mus, ac pr yferrim Fcclefor paftorihns atq* verbi Dei tniniftris :vt alij dum fufpiciunt eos , noftris commoniti laudibus, maiore in pretio exiftimationeq; habeant, attentius audiant, diligenti usqj imitentur. Et omnino, fi non ipfis , qui boc non morantur, (fi fandi fin t) fum- mi tamen Dei donis quz uidemus in ipfis collocata honos & quidem magnus eft adhibendus. Patres no- ftri,ficubi Deus benignitatem fuam quocunqpmodo dcclaraflct, aram ibidem erigebant, ucl aliquod aliud mouu- ' C' l [fit] DOIItlTAKi lop monumentum ftatuebant,& nos prarclara Del dona, in homine, qui prarftantifsimahuius vniucrfitatis crea tura cft, non venerabimur ? Dc hoc itaqj non contcn- dunt nili perfidi & refradarij. Neqjdcillo quoqj : inpo pulo Dei familiam quanqj.fuas habuiffe genealogias, quibus in capita tribuum duodecim filios Ifrael, fuos maiores reterebant racproinde t Apoftolum nobilita- r,i aj tem Uraelitarum quafi celebra- M y" .em *,. turum djx . fli _ qJ. funt ](r4a> quorum cft adoptio .gloria, legislatio .tcftamentum, cultus , & quorum funt patres , ex quibus eft Chriftus  qui eftfuper omnia : Hxc inquam vera effc fateri opor- tet , nifi certos ac diftindos gradus hominu , generum, conditionum, munerum.dignitatum.conuellere pland velimus. Sed & verum eft illud quoqj, Non ex ifto ccetu hominum, Nobilitatis vocabulum , quale vcr ac pro- prie ufurpatur , effc natum . Huc enim refpicitillua : in Chrifto Icfii neqj feruum effc , neqj liberum , neqj Grae- cum, neqj Iudxum, neqj Barbarum. Hocfi habeam.fat habeo .quo reprehendere iurepofsim eos, qui eodem 'genere eademefc definitione vtramqj Nobilitatem com plexi funt. De Phyfica divimns anrea : Perfedior eft fi- ne dubio adio & vira illa qux Deivitx fimilioreft, vt contemplatio: fed nori reputatur ab ijs qui hominem confiderant i natura fadumad colendam ciuilemfo- cietatem, atq? maximum hominis officium ftatuunt, hancvnam iuuare. Magna tamen audacia lftorum quo- rundam cft, cum dicunt, Deum quocp non dormirc.fed agere, & quidem afsidue fine labore, nunquam defefi- fom : ac proinde ncqjifto nomine, contemplationem, adioni prxftarc. Non intelligunt, hanc vnam adionem O t ; Dei /  lio Dl V- B R A Dei primariam, & qua fbJa^itamviuitvndequaqjper- fedt 3 m & beatifsimam,efle,fcipfum& in feipfo omnia -intueri: cuius pofteacppfcqucns altera eft& fecunda- Tia,immenfa videlicet atip incomprehenfa virtutis cius redundantia foecunditatetp ccclum moueri , orbemqj terrarum regi gubernari^. Et cum etiam, Contcmpla- - tionem adionis gratia e(Tc dicunt, non animaduertunt fpeculatiuum & adiuumicftipfbs habitus inter fc com- , , . . . . . muniter,& cum ti. g. Medicinam Vtdt pro btt. iAuic. m- . j n p artcs diuidunt,xquiuoce ae- rio log.Scot. 6. met. q i. Hiccnim funt accidentales, ibi eflentiales differentix. Non efleaute eafdcm generis ac fpc- ciei differentias .aiuidentes nifi fortafle eo modo quo * Galenus dixit, quisignorat? Nihiligitur mirum, fi cum Theoria Medica uel Politica referatur ad praxim, in proemio tame metaphyficorum ab Arift. didum fit. Scientias contemplantes, non alius fed fui gratia efle. Alij itaqj J nobilitat e m Pnliriram in dnn genera parti  nnmr ^ PnKliV^m.-Xr *  B VERA teles : nec merainiflc quoqj potuit, fi fibi ,im6 verb na- tur* rerum conflare voluerit : aduerfiis eam fupri fatis . eft didurn. Non diuidcrur igitur priuara Nohiliras t ni- fi^rn ratione maioris,, uel minoris, veruftioris , ac mi. nus vetuft a vi miris. Quanquam enim fola antiquitas nobilem non faciat , virtuti tamen & nobilitati multam ornamenti ac maicftatis addit. Facilius autem & mi- nori cum odio aliorumc^ inuidia, vnufquifqj nobilis, propriam dignitatem adpropofitas a nobis antea no- Dilitatis caudas, exigens, ac trutina veritatis pondo rans ,.gradus iftos ipfc per fe reperire poterit & confti- tuere', quam vt id i quoquam debeat cxpc&are. Haud temere fimul & femel dixit Arifloteles , Nobilitatem 8c virfttrem A multis verbo uflimari. nui aurem reiiers /7 ne difputationis ultimum caput , pergendum mihi efTe um video. , - Proponuntur praecipua? quarftiones qua# tuor: An maternum genus nobilitet , 3C quantum: Foemina mare non calidior; Non eft monftrum : Habet fuas virtutes. \r Mui- MO BIIIT Axinum curam in definiendis rebus adhiberi de- bere fape diximus. Ea enim vis eft redte conftitu- ta definitionis , vt omnes qualiipnes difloluat , atqj ad exitum facild perducat. Id nun^in propofita materia verum efTccognofcetur. Multa abtem,quanquam ma- gna|cx parte fuperuacuaquaftiones huc afferri ab iffis ioleut: Illae vero non contemnenda:: An ex materno flenere ducatur Nobilita s : An fplum nafeatur nob ilis, n on autem fiat. An Nobilitas pofsit amitti , An mecha- nica artes & quadam alia iftis finitima,nobihtati dero- gent : ad has multa alia rcuocarf facile poflunt. Nos itaqj de vnaquaq? iltarum (igillatim dicere in hunc mo dum aggrediemur. Arilloteles citato fapius ex rheto- primos duitatis auctores muures rume oporrcr,auc virtute aut opibus, aut aliqua re alia qua honoretur, fic etiam in priuata troXkUf 'nrityaurHf cx tu yuue , KJH * K&ytujcuxeH. A ntea vero dixerat Euripides, 1 I*o. J Et Poeta Latinus idem fentire didetur cum de' JDranccloqucnsait, [/ XI. jEntiJ. 1 ]    Grnm huic mattrna fuptrbntU His H4 DE VERA His tamen fiar nhftanf; Primo gniagarenf virtu^-. bus mentis ijicmmorales perfe&as non habent* qua- lem igitur generi fuo fplendorem afferent ? De primo latis conflat : Adulatur enim fexui qui dicit , Nihil pro- hibere, quo minus fceminar, propterea quod mete prar- ditae fint,ijsq* organis qui bus intelligendo mens utitur, & ipfae prudentes efle, contemplari, ac fcientias com- parare fibi queant. Primum , temperies & conflitutio earum inepta cfl Philofophi* fludijs,qu* fuqt ad par- tus 4 edendos alendoscp nat*. Vocatur F ccmina mas _ imperfedus. atra efl ipfo b frigi- t. tconom. cap. j. jior, ac proinde minus habet *AriR. 4 . de gen. ingenij > minusqi ualet facultati* an. cap.u bus vitalibus animalibusqj, & Item 6 . de bift. cap. >+. minus quora obtiner roboris : Calen. 1 4 . de ufu part. indicat illud , excretio fuperua- cuorum,qu non cfl nifi a crudi- tate ac defedu caloris . Fallun- tur enim qui menflruum ipfum aliud putant , quam pituitofio- [4] Ariji.-ig.de gen. an. u rem a fanguinem , non perfedd elaboratum , fola quantitate in- utilem, fola cruditate vitiofum. b Si largius flua^argri- t-. tt' >. * tudines cueniunt : Sustineatur, t j tppoc. y. ap .57. jj . 3. aberrationem haturx, ibi g 7 ra^*K 6 acrtug 71; J&ijAu yivi&ai 6 ^ fxi v, n cytp, fed fi bene intelligas , non tam iniquo animo :! idcirco paulb poftjcnsncccffariumjcfre dicit, a>?v auT*" pfyavayKctia th ] tl.it ufu part. cap.i+. acmafculus habet, ai 1'xf tSto to ovra irtpLvop kB - ' cScgov j to Hoc tolerabile eft: illud non feredum: multos focmineum fexum totmalediftis pro fcindere,comparare colubris, leonibus > draconibus. Suffexus monftraimpietatis omnis'& crudelitatis infi- nita noftrorum ac (uperiorum temporum non annota runt: vnius autem uel alterius fcemmx nequitia tantum apud illos potuit , ut totum genus famincum infedari atep exagitare voluerint? Omnino uera eft illa Philofo- 14} l pol' tap. i*. phinoftrU fententia* Neminem P i redd 3 43 I V- X l3 D B V E R A r^fic pofle deproprijs iudicare, qu6d affe&ionibus te neamur omnes. A fccminis itacp& quidem expertis, de mafculorum conditione, moribus , ac natura , iudi* ciumfuitcxpedandum,nonabaIijs. Si calamo aeque vti vtricp fexuilicuiffct , longifsimd plura & indigniora de noftro audirentur : ynb audiuntur : fed quia nofira funt> non tam afficimur. Axi (lorei es uero nofter quan- quam c dixiffet. viros efle natu ya meliores . acproinde I , ipforum virtutes & opera efle 0 hrhct.cap.9- hnnfftinra.qii^pi mnliermrt-ar- i* ma & mor ' 3 * tamen nullibi vniuerfe femin e nmfexurn virtute priuat , quod intemperantes ifti tam \ libenter faciunt. Habet igitur focmina morales virtu- t es. fed fuas giiafdam.&i virilib. imperf eftiores. Non .n. /verum eftia quodAjitifthenes diditabat, eandem c(Te , A viri & mulieris iuflitiam,tempe- ^ i 13' pol. cap. 3 . rantiam, fortitudinem : nam vir f.pol. cap. . q f ort i s e (f et> vt fortis mulier, timidas haberetur ,& mulier garrula, fi fic loquendo modefta cflet yt vir probus , Hicprgeft, illafubefl ; vni- - us igitur fpecici & quidem praeftantioris , viri virtus at- qne omnino prudentia efi, diuerfar atqp minus prarftan- us, virtus fxminxralioquin afferri caufia non pofiet, cur hic przeffe femper debeat, illa fubefle. Differunt i?- tiimhycdiinmunerainterfrfprrif Fundamentum to- tius diferiminis efi, finis uel op us , ad quod obeundum nati fumus, yiri mnam parargj vyotis cuftodire. Ex-, fre rna cumpriuata tum publica pertin ent ad marem : g fcemina fi extra limen agere uelit,& rebus publicis fe Igj z. acon. cap. i. immi(ceat,iam non prudens, fed i, con. cap. 3 . audax , & quafi afinus ad lyram 1 . fapientes alioruirntefiati fiut, - noftra tamen tempora latis fuperqj declararunt. Sat habet fcemina,vndefibi gloriam immortalem compa- rare polsit, fi intra limen maneat, ac fuae det operam ecconomiar. De qua re tota 4 praecepta extant aliquot r Ariftotelisplanediuina.quarnos [ 4 ] a .cecon. caf.t. jnanguftam hanc fummam con- trahere non fine caufla uoluimus . C uret proba mulier qu ae domi funt: neminem fine mandato viri domu m '  ing redi ad Pe permittat, cogitans hoftiinumfufnicioia efle iudicia, & nihil tam iniuri* obnoxium qudm fcc mi- nar um exlftlmAtionenx. vcititu atq* apparatu minore fe ornet, quam per 1'cges etiam liceat ; conliderans necp veftimentorum nitorem & faftum , neque excellentiam  'formae I * A  '; _ ' I * " ~ v,. .\ r* n*. i 344 0 iia D B VERA formx tantum valere ad mulieris laudem , auantu mo- deftia in rebus gerendis ftudiumqj honefle ac decori uiuendi ualent. Harc ipfa vera funt ornamenta, quz du- rant & amitti nunquam pedunt, quarqj etiam ad pofte- ros cum (umma laude tranfeunt. In rebus quse extra li- men fiunt, virum audiat: publica ne tradet: neq* etiam, quanquam domeftica fint,propriorum liberorum con nubia : harc viro deferat. Neq* enim tam turpe viro eft domellica procurare, quam fccminar quae foris unt Quod fi ad cofultandum de huiufmodi rebus ipfa quo* que , quiTmater adhibeatur . ita tanienTententiam fu- am exponat, vt viri opinionem praeferre uc litfuae: Cer- ta fit,mores viri quafi legem i Deo perconiundionera matrimonij vitarfuarimpofitos : eos igitur qualefcunqj fint, aequo ferre animo debet. In aduerfa uel externo- rum vel corporis bonorurn fortuna, non minus quam in profpera feruiat alacriter & iucunde viro fuorhoc enim excelfi eft animi , & ad maiorem virtutis laudem facit. Ncqp enim Alccffcs neqj Penelopes tantas me- * ruiffent laudes , fi cum fortunatis viris vixifTcnt : nunc AdmetisSc Vlyfsis infortunia, compararunt ipfis glori- ' am fempiternam . Omnino eodem modo femper erga ipfum fit afteda,nifi tamen turpe quippiam, vel bono viro indignum commiferit. Si tamen quidquam ob ali- quam animi perturbationem ille offenderit , ipfa ne ex- probret vnquam,fed aegritudini potius atqj ignoranti* adlcribatquim malitiae. Sic maiorem gratiam authori- tatemqj apud eum fibi conciliabit. A turpibus abftine- rs debet, in aliis aute multo magis obtemperare, qudm fi empta venifTet iri domum viri. Et magno fane pretio emitur, loeietate nimirum vitae,procreatione amri11  p ar tem foetus fpatre haber, non  fnatr c. A h illo icitur Amapis & meliu s, ah ifta nQjpnl- tma-nobilitatur. Hanc ob cauflam non b eundem ho- m ^ i . norem matrtadhiberi vult Ari- . W 9; ab. c*]>. i. ^ ftotelcs V qui patri^ exhibetur. [ jiutw Si KctOetvip facit, i TTArav S\ycnv&/ oi zroAircti tup ircSty, t&i oi crrtf ruy fitTApprup ,K&oi (P^ovifia a(f^oyer yrofaot cAtyar. y> iixof i AijOft/wr rir iigypims tup imyueav. Principem autem e comparat Ariitoteles ex  , . Homeri etiam teftimonio, illi, [0 3. K0M4 . c*p. 3. p art j an jtns noftrs quae prareti & ' imperat ; & in Politicis Platonem imitatas , ex numero  ximum quippiam& vcncrabilifsimum in terris erit. Addendum etiam illud : Princeps vel vi uel populi con- fenfu& voluntate tenet imperium : Si vi, tyrannus cff,/ atq? omni honore ipfc in dignus, nedum vtalijsipfebo- norem pofsit addere. Honoratur tamen : credo, fed ab improbis, aut a probis etiam , metu indudis. Verus autem & legitimus honos, tyranno non debetur; caret enim iuftitia, qua? Virtutum omniumregina eft, & qua carere fine fcelere non pofliimus. Nec fi lufte, fortiter, tempcrater agere quippiam uidcatur, continuo iuftus, fortis, temperans eft c Artium & virtutum ratio haud r , fimilis habetur: qu* fiunt ab ar- *** .t ( tibus, perftdionem artis in fe gerunt inclufam : Satis eft igitur ea certo quodam mo- do conformata effici. At qux ex virtutibus aguntur, non fi ea cuiufdam modi fint , iufte aut temperanter a- guntur,fed fi is quocf} qui agitww Vxf) 'n^ajfn^Ac pri- mum quidem fi (ciens : deinde fi confifio propter ca ip- fa capto : Poftremb fi firma, perpetua, alacri & conflan- te voluntate agat. Tyrannus autem non eflfic affedus, fed fimulat probitatem pietatemqj , vt animos homi- num (ibi conciliet, ne fint i fe vel ab imperio fuo alieni : atep in dfumma agit omnia, vt de fe faciat opinionem ' iuftitia! temperanti*, non quia C J f fo  /  reuera fit talis : Sic Ariftotelcs cum prsccepta tyrannidis coferuandar traderet, inquit, JSo cu vt&au toH al&oiq PiaQivyep . Si vero confenfu populi teneatur im- periti m. aut fortuna faflum id crit .aut ele&ione: & hac Vfl hyreHirariaj nrapiid t Lacedaemonios . vel non hg- tc, uel fine : fi illud , iam verus & legitimus princeps eft, cuiomnis honos adhiberi omnis oboedientia praeftari prompte & alacriter debet. Talibus principibus Euro- pa noftra per Dei gratiam nuc regitur, (iam enim mon* lira illa vt Nero & Caligula perierunt) y ir. tute iit  ut apud Afiaticos & Aftricanos efle nunc folet, tyrannicum erit imperium , quia cum iniuftitia.con- iunduna. Nam qui plus recipit, quam iibi conueniat ac debeatur * quanquam iniuriam facere non dicatur (hasc enim / volentibus non iit) iniuftus tamen ipfc eft. Vcr- iuper quxri folet, an qui propter merita fua Principis teuimonio fadus fit Clarus, in maiorehonorcqiram Nobilis haberi debeat. Facilis eft refponfio. Magni fit atep honoratur Nobilitas propter virtutis opinionem. Virtus igitur omni Nobilitate pracftantior b eft, htt Kf&osop t w wY'e ro KaAw; 'n^araep. [bl Eurip.in jEgeo.  Et i Ariftotelcs, aiproTigop  cum huic argumento mire congruant , adferibere non grauabor. Ouid. a d Pifon. Hinc tua me Virtus rapit & miranda. per amne Vita modos, qu00? St p JVfeifJ StfX^a? fSTNQ !X$6 nicis ftudijs operam f5 r: T dare. R * Tertia BH tmh E, V J- t-. r'.  * 349 r * v   IjV DE VERA 1 T Ertia dubitatio minus adhuc difficultatis habet*. Non poteft nobilis ipfe ignobijis fieri : fueriit enim* maiores ipfius illuftres. Hoc tadum infectum reddi ul- la ratione nequit. Fama poterit , (quod apud quafdam nationes moris cft , ) atqj honore fi meritus fit priuari, non autem nobilitate. Sic ifti ad qiwrftionem dicunt: & rc&e dicunt. Alius tamen in hunc modum occurret,. Honoratur nobilis propter opinionem virtutis^ opi- nantur enim omnes ex bonis nafei bonum. Non potcfl igitur illi denegari honos , quin fimul auferatur nobis opinio illas hofc ipfum nobilitas eft. Male habuit mul- tos hic fcrnpulus : qui tamen facili tollitur. Dextri ac- cipiendum eft quod dicitur, Nobilem priuari fama & honore pofle : (impliciter atepex toto, reuera non po- teft :icmj>erenim vis illa & etf fcicitas natura: i parenti- bus accepta-, non paruam fui fpem nobis factt,& prar- conceptam opinionem perire non finit. Leges alite perfuadere volunt & merito.Cupiunt enim magnitudi- ne pernx, homines a.vitijs quibusdam turpioribus, & humani fociewtj magis noxijs.detcrrcre: Huc potias Lcgislatores/quam rem ipfam pleruncp fpedant. Simi- l^uippian^cftiquod 4 Ariilotelesdc lege Pittaci Mfc .  T ' ' . /rylenei in Politicis dixit. Huius ^ '  fiirt proprii lex , vt ebrij fi quem p ulfyfle q u iori pepru , quiroifobrij plcdercntur I nam quia Mitvlepci vino abundabant, & eorum plupes ebrij ip&bfobrijcofitumeliam ir ferre folebanr,norfad veniam fpcdauit y qui danda riiagis cU i.^brio (agit e- nim quodammodo c^c ignorantia )fed ad vtilitatem. Principium quidem (vt ad propofitum reuerpamur) ignobilitatis eflepofteris qui^iam poterit , ipfe rameo /I femper . H f. BR * , Ji^, NOBItITATE. f$X /cmper nobilis, atcp ifto nomine honore -dignus erit. . Tnnc vere amittetur nobilitas, cumpater, filius, nepos acproncpos degeneres fuerint. Paularim enim de/Tcii opinio illa, donec in totum extinguaturiin cuius locutn 1ucccditaItcra,exmalismaIosnafci. Platonis eandem videri fententiam,fuprd ex libro nono de legibus anno- tatum cft. Supine autem loquuntur qui dicunt , quem- admodum fumma fenedus, mentis vim atqp confilium debilitat, & affert interitum dignitatis^/ic etiam fpleQ- -dorem nobilitatis mediocri vctuftate augeri, extrema verb feneda confici. Vt fimilitudo non quadrat; ita n5 refite concludit: quo vetullas generis maior, eo plus authoritatis nobilitas habet : crefcit enim id inanimis -hominum, cuius cauffa in admiratione atqj honore eoe* pit haberi. Vitijs itacp noftris,uel ipfi fortuna?, fenij vel potins morbi atqj interitus ipfius culpa tribuenda, noa vetuftati. Reflat nunc ultima dubitatio, ad quam fic dicet Ariftoteles, Ingenui hominis effe nullam opero- fam artem exercere, Vcfalteri a viuerc, KDun /xuriixiap w .. rt. C ,(.  J r toqwp >oop to /x ii$o$ a J&op Nobiles autem & ingenuos inter fc finitimos effe alibi b dixerat: quafi nobilis fit Ubcralitcrviuere.atqp extra , . 0 fordidas& neceflarias artes. Vt r J Z' f : ca f  Seruus vocetur, no modo man- cipium ipfum , fed & is qui fordidam exercet artem , efl enim quafi feruus publicus. Quapropter liberras , qu* vtriqj feruituti opponitur, h.oncfta quaedam hominis conditio cft. A tqjcodenomine, nobiles & ingenuialio loco vnac c 6 iunguntur,g op,n ii /$j airXwg tvjtviq u* cj i.fol. c*f>. 4 . fcgop. Ingenuo fiue libero op- . . . . H 2 ponitur' ' 3 5 P I  . 4 'I V i: J* o utt xa- Tt itf arTiirfyyLvcu. a?\k 4r oXKajttf w t aLmxtxoAcf fi finatov iVrr otu irafaif yov* uf yS o i%n irfW T-  cllct indutis > opificibus imgcrj- ura nunquam communicabatur .atterant omnes vel ferui vel.pcregrini. Verba magni Philofophihzcfunt, i gS c'r rf SmriiftZreu tu riff Zft rrjf , am& /3/er Qa.ia.xt- rw>j S"ijtikok Atque r alibi Jibcrorum educandorum kn  , prarccptf tradens, nOncbriticnft. XQtpLaf. 4. . re tc ft a batur,vt mentem fiorol & corpuslaboribusfatigcmus, quoniam ipfi labo rea contra oa ,>  ' v* ^ * . -  -V M O B r l I T AI I. r ; : -fcJJ Contrariarum rerum fmt efficientes. Vt eftlm mentis h t- ' A  C fc TS ra off " ej Jefine mire dfc pro * dem /accipitur* DifputatAriftoteles an Multitudini 'tflM iof. 7 . 1 * vdplcbeishomifiibus honores Concludit  Solonis E ^on^ate aliquam eisquocppQceflarcni k .vtrn& M defigendi & corrigendi. itcmconfukandi*trj* , amtertt -JJJon nmep permittendum * vt iepaS I mrir * na S 1 ^tum ullum serant: Comun g qu* in labore potius corporis fit* IglOaLin fuaf. tdart. *" unr  qnim qu6d ratione ani- %Tr W. o. moqj trade tur: ^>-ycunai vocaiiA ttPfc . V. S i- mrah S A   **'* * 14 * j turab A Ariftatele:quorumparv j r iJ ? r  1 fem tenen t ij qui xfv*rte dreup- bV ' ? *i.cuii^gciiccs: tu aurcirrvo catulum ex manibiis papdoq* compofitum , eleganti R 3 meta- 3  1 n 2 # ggg !?i $34 . O E VERA -metaphora illis accommodatum. Vnde optimi htimi- fyz iit* imago fiuepoflet exprimi . Sitvitafluuius.^ui iu,^ttcr traniiti homrfqacausipaupcnqui cimbajtfaijcie dines. tSed adrcmcu- at y^f uiS-et^ 9 Moet fjtfr.fictTtriKtoi Je tcv, 9r?W aye^ccg^iir K& xa^-ifAixc^. Vbi audimus etiam sm&u a numero artium ingenuarum explodi , non om- nem tamen. Efl enim aliqua naturae cdnucnicns&r ccco- riomo pofiticoqj nccdfaria^vt priore libro politicorum? atfeioddm Magillro di.uinitus monftratum luit . Minus* autem pertinent (ludia ciufmodi ad felicitatem, quia partes illas animx (pedant , quae hominis propriae non cenfcntur, vegetantem inquam & fentientem b Sto &'l eu Agireu. eu tu ijprtwu o^xtixu jCu^uttu. Sunt'cnim omnes ciufmodi ar- V > ] i. Eudtm. cap: a. ter, Vel ad alimcntoru m vita- ne- ccfsitatcm*c vel hominum deli- M +.p6r.caj>;4. ' cias ab voluptatem excogitarx* . jV Quo tam eri loco duo iiotandai fiiht:Pfimnm eri&,NobiIepi & ipfum qudq? PrittcfpCm' kiHepuMicSvirumjpqflTcltne ulla dignitatis tna&Ula in ftortnnllis ctiaWi ex iftfs artibus, digniOribus nempe  fempuS ^&'dperabipondfel ; fitaincn fui dlint&xat ulus* Tt voluptatis atq? aniriiigratte id faciarir', non alterius.* TtihcCeriirt fibi V tori 1 alteri fenriunt: quapropter non 'urr.ij debeas t 3 b 2  f c/wrjxsr, 9* tof tyafor (* aduri * ,  WiroTtffieicv; Z*V uvtu n?cf . avrov  Imo vero qui tam acuto DO Vi 0 -3* ..* : / funt ingenio ,tantacn manus de- xteritate ualent, honorandi magis 8c celebrandi funt. Alterum adhu^ generalius efte Ex operibus utilibus, neceflTaria quaedam difei debere, qua: tamen habentein nou reddant t fordidum , & cuiulmodi reputatur qu*  , cunqj liberorum hominum cor- W * P l  ca P- * , } pus uel animum, uel intelligenti- am.inutiles ad virtutis adiones atqj vfus reddunt : Harc enim mercenaria & (ordida uocantur : quia mentem impediunt abicdamcp reddunt. / Adde his fcientias C/3 JbiJ. quoqj alias elegantiores , fi alio rum caufla, id cft, lucri & quxftus gratid exerceantur: miiuv [itr Tir^ criur ftfrsxv ** "* o ds tuiTO tuto orfeiosuv aXkuc, voX^cixif -Sbjniwr K&i ixXnut itfow clvo^atIm* Qu$d tamen fic eftintelligcndum: In fcientijs communicandis non vt ex cis quaftum, quafi per commutationem faciamus, fed vtpofsimus huma- n * focictati ipultpm ac diuconfulcrc , mutuum benefi- cium potius., qu/im, mercedem & pramium expedare jgq* accipere nos debere. Qua in rc dupliciter hodie peccant homines,vt iplWsime g Galenus quodam loco. Lib. quoJ opt. mtJ. conqueritur-. Nam & quxftus a fuuum^bil, gratiaperdjfcunt.artcs, non au. * 1 rrm nr i Hi n. q.v 4 ,t . M M B l r^Jf Mfl  *9i i 'i m P i r  m m, * V. ; v. M , .  \ LtMjV ; ^ " ' > ' H O i I I X T A T Bi IJ7 temvt de hominibus bend mereantur, & in quxftu fa- ciendo nullum terminum ftatutum habent: quotus e-1 nim quifcp nunc eft ex Philofophis , Iurcconfultis , Mc- dicis, qui tantum habere pecuniarum cupiat, quantum ad neccflarium vitx ufum fit/atis ? Quot reperias , qui * non folum verbis ( tales nant# multi funt)fed rcipfa do- i ceant,diuitijs efle a natura impofitum modum, ne ultra i progrediantur, quim Ytnecp fame necpfitineqj algore cot-pns afficiatur ? At alios tamen fpe&amus ( dicet , : . quiskumvtimurdifciplinisadbcnedehominibusme- rendum: Prxpofterus* igitur & feruilis eodem etiam tnodo, ipfarum ufus erit. Non ficeft : nam homo ea ra- tione qua eft homo ,fociabilis eft, & pars quxdam hu- man* communitatis : Cum ergo falutem dat homini- bus, &ciuilcmfocictatem tuetur, fibijpfiferuire.fuum' * ipfius bonum proprium pcrfedionemqi fibi compara- ta v recenfctur. Tunc feruitalijs, cum artem exercet, non f- . * vt ipfis profit , fed vt pecuniam ex ipfis emungat ; hoc '! ,-renim proprium hominis bonum , atq* hic proprius fci- entiarum ufus non eft. Seruile eft, inquit a A riftoteles; - , , quod ovx auTaeKt? : quo etiam  - W  + & u  probabat, duitatem natura fer-i uam , non pofle dici ciuitatem :,4uTotfKM; yofi h 7ro>/* * Qui ergo difciplinas ad lucrum non ad ipfafmet refe runt,hiferuiles & mccchanicascasreddunt. Hifce pau- cis qux generatim nunc attigimus, quafi/ulftibus fu- ' gantur omnes illx dubitationes, qux de agricolis, mc- ; dicis, mercatoribus, procuratoribus, aduocaris, iudi- cibus , furiofis , quatenus nempe dici uel non dici no- , biles debeant, maiorccum apparatu allarx& longe co J piofius qudm rei natura poftularct ab aliis . fummx ta- S men au- i 3 5 3 ' w  ' i XJg DE VERA N O B I L-I T. ' -K mcn authoritatis hominibus , pertratfatxfunt.' Atque ' hic iam tandem receptui canemus: -Omnia enim qux ad quxftioriem de vera Nobilitate explicandam facie-ia' bant, perrccuti fumus : Illius naturam defijiitione" euql-  uimus: a quibus caufsis penderet oflendimus : non- nulla de fpecicbus eius diximus: Poftrcmo dubitatio- num quarundam,quxc maioris momenti uidebantuc  cflfe, nubes omnes difiecimus. j , Eos autem qui hxclegent, vehementer oratosue- lim ( periti modo fint rerum de quibus agitur, nam car? v  teros facile contemno) vtficuirei occurrant quam n6 ' probent, eam amico animo & placidis verbis pro veri- tate corrigere atqj emendare, vel etiam quod decft,ipfi. fuplerc dignentur: & faueant nihilominus q^iantula* ! cuncp induftrix diligentixq? noftrx , qux no longo tem*  H porisfpatiohuictradationi,petentibus id,imb vero efflagitantibus nobilibus ac do&is amicis quibufdam, 3 fiiic adhibita, d! Omnino.tamen ftuduintos (fi b Ariftotelisverba d ffj 1 pol.  2 * pol. cAp. i. : , rc&ius commodiusqj de his rc~ busprxcipcremus,ry nw yjzreXcipGavepithi* | s a e .fi*- * J iAg. r. t* *yt 7 HQ p. Cum fit al ortu c*cut. Pag. 2 . orjx^*** ^ ' lArcbitcftos (srfcttntei. 7mcoUiros ) non r# lex : ipfi enim funt lex Merito nanq; rideretur fi quit in eos leget ferre tottaret. "\iirtt. SupereB igitur, ut uidetur , naturam eorum talem ejfe, ut ei parere omnet debeant. dnfxdyea. Populi ajfentatorum , uel rhetorum. t2irifiocratici autem, uirtu- tem. dVfc/lj}. Nullum enim itu afferre (Udentur ij , qui uti propter diuitids,uel propter genus, imperio ji ejje dignos putant . Pag- 10. CTJ- Quoniam ip fi plus agri obtinent, ager autem ccmmunk eft : praeterea quia eu incomtrcijs maior habetur fides, tt oTiWcu. Pro ciuibiu enim magk habens ur, nobilior es, quam ignobiles . hP sw-Y** Nobilitat autem apud omnes domifin honore habetur. Pag- 1 1- a- Nobiles enim honore digni putantur : funt enim in excellentia quadam. 0501 yoJ^. Eft enim infamilijs prouentm surorum quidakt , perinde ac in ijs qu* nafcun  tur in agrk : & nonnunquam fi bonum gemu fit , uiri pru H ja. D#r4 igitur, mol- lia, lenta , rigida,# qu H  )( |W* 4:J * *  | JM I  1 JF JP  i v ^tdi. oW Cvm igitur unm talis , in aliquo genere fuerit, uVot. Natur* inbabilitas. u&Q' aJpeBum habentes, quo reSi iudicare. tujVtfupra: mXh Diuiti* non reddunt nafcentes.fibifimiles. Pag* Jl iuyi Nobilitas eft. generis uirti ^ ^ Eft a jiitm nobilkq u jdeintex ^ vi rtute generis . EKTrottc  BJf maior ibm longo tempore diuitibm.. ftikop. Co nflat igit ur ( inquam ) no bilitatem effjuuxt utem gener M. Pag 7 2 . TWJ  Virtutis enim pr*mrum, eft honor. wflSXtf. Pag. 75. St7ro. eft pr*mio honorare. Pag- 7  4 - Magifiratus & diuiti* , honoris caujjk eliguntur, jxvicrer pLf. Recordor, qui me contemptibilem inter rgiuosfedt , *At ri- des tanquam aliquem inhonoratum aduenami kou $ 5 . Muniit enim aft,  Qui autem fint Virtute buiufmodi bona obtincut , ntq- merito magnis l nori W NK - - , nsribtfi dignet fe effe arbitrantur &c . coroU/Tfe; "ffi.Omrttt entm qui duitates uti gentes beneficijs demeruiffent , uti demerendi facul- tatem haberent , hunc honorem adepti fun*\ tri- raterea ob acci- pta beneficia , reges conflit uebant : illud enim eft, bonorum Virorum opus. 7 w* /jSfb' Virtutis enim 07 beneficentiae pramium , eft honor  Pag. go. na Aer* Honefla utr 6 funf, ex quibus bona quadam exifii- , natio , O* iUuftrit honos emanaturi tt fit in eos qui ipfa egerint. ftjfp, Veri qua magis ad oligarchiam inclinant ,tArifiocraticas potitu nominari nolunt. Pici tb- Propterea quod reBa educatio ,. Laudabilium. V\~ Qui Encomium infiituit, laudat. Ma  J gnitudinem. Ev^ai/xovnrfxoq. Felicitatio. /uotKajur/uc'?. Beatifi- ' J v catto, Pag. pii Hymmu. Pag. p^. iarqo$ Si. autem ac dicitur mediem , tum qui operatur , tuus virebit eHm ipfc,' tum etiam qui peritus eff in arte medica . Pag . p 6 . it Multas contineat uir tutu partes. ixaTjSct. Pracipue bonoraturjj* Fortitudo a RjbuJpublicn. rifxusrif!. Honorant non qua /impliciter optima funt ,fed qua ipfis funt optima. v Pag. p f. ouX Non ut Finit omnium fummue avayti. Neceffaria magis, noit tamen magis honorabilia. Pag. p p. Videtur autem f cientia . ZxujxrAntU quadam uirtutis eP,omnibui beneface**. Pag.no. Eu^eVacf* *Ac nobi- litat quidem gemit o duitatis eft, indiget tsipfnswiut antiquos cjfe , & primos duces illuftres , atque ex ijs multos ortos in ijs rebus quot temulamur, illujires. Pag. II uTia. Vtfupra pag. 58. 7ro/&ou$. Vt fupra pag. 58. /riu) \vy(v&ct}S . Nobilitatem etiam deformium coniugum , Liberorum gratia multi colunt , Et dignitatem magis , quam pecunias JpeRant* Paj*. 11 $. ocjcuccraj. ftarocarnofiorem bomine.ftSpfxO' Calidiorem, t ay(f^c. Homine calidiorem. Pag. Il6. y$a.Q0VTt$. Pingentes tam, non modo fcemined Jpecie, ( quan - quam hoc fatis erat, ad citu amentiam fignificandam ) TIJcoth. Pri- ma aberratio eft f amittam generari non marem. aA?\. I r erum,h*c " natur * necejfaria eft. Pag. II 7. \{cty tS/J. Et eorum qui naturd funt meliores , opera quoq ; or uirtutes pro pulchrioribus habentur: u. g. Viri uirtutes O opera pulchriora , quam fccmin*. j .Alionttin etiam, animal hoc, mores non habet a que uenerandos s ac mafculinum. Pa g. 1 2 2. HCu rifxfjf. Honor quoq ; parentibus ex- bibendus eft , quemadmodum & D ijs: non omnis tamen parentibus : nam neq- idem patri, qui matri debetur : Neq; uero fapiente aut im- peratore dignus honos , fed paternus , itemj- matri maternus. $Gop. Ex D js ab utrofyftirpe natam , quisquam dignum putabit appellari feruam ? Pag. 123. hJ Ttjj.it. Et honor ac bona exiflimatio , re- rum funt iucundijlimarum :quia phantajia cuiq ; excitatur, fetalem ac uirtute pr aditum ejfe : idq t etiam margis cum ij afferunt, quos itera * dicere exifiimant : eiufmodi autem futi?, uicini potius, quam longin- qui, & familiares, & noti , (f duts, quem externi : & qui funt,qnam futuri: & prudentes , quam imprudentes : & multi, quam pauci: quia hos uera dicere uerifimilius t fi, quam contrarios . Pag, 1 24 KO d KaOiS - *. Et ftex ipfe , ex numero proborum utrorum creatus eft, propter ea quod uirtute, aut rerum uirtute ge Parum magnitudine prteftqret, uti propter talis generis excellentiam. asy^iKOp. Nam fa   tes, tft tuti jui imperat, propria : ovx. ! 65 tp. hfott prudentia , fed stertt potius opinio quadam, uirtus eft. Pag. 125. tt$. Quodammodo aJfeElus agat.  Quam qu* nunc homine t fcurctj. Ciuitot enim eft,quippiam fe  Iohanncs Rhambr excudebat . anno' M. P. LXX11.    Kf* { -- >*% tf y r JJ? 4-^: . Tv  . v~ 'ifl'  '  M  *': ., V  ' UT*^V-' * ; - > r v\ V . -. O. ' ._. . r    : *ljjj| f f '.WjW,  * * * ?.   . ' WStt - {> il .  Mm  ^ V\ ..i wl  - *   f i ..   ,  * 1 V \ . r . ir*:\iv r&sni^v 'i r "C' v , ' ' ' itnV-.t' s>v\ ;.ri ; * --  % ' m 4 * /* V* ^ x .i ' .*.   iCU : . .. jT ' j- i*. * V  \ N *3 ' ( .*' , *   e%   ;  '  *  % * *  i i, v * * *   \ y r .  f.  * *./ *  #  ^ -yyvj l v ..  ****! . ' .z i w : i 'i V^v. ., ~ s c;  4 % ^ : : .p*  .'-i*.!'* .. . '  . . i i v. /- * > 1 iscte . . . * * f.* 1  . - " -o  :h -*  '4K * 1 3P * - V Jtf? .Simone Simoni. Simoni. Keywords: nobilità, eretici italiani. Luigi Speranza, “Grice e Simoni” – The Swimming-Pool Library. Simoni.

 

Luigi Speranza -- Grice e Simonide: la ragione conversazionale e la filosofia sotto il principato di Valente. la filiale dell’Accademia – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A member of the Accademia, well known for living a principled and disciplined life. He is, unfortunately, accused of involvement in a plot against the prince VALENTE (si veda).  S.’s refusal to betray any secret lets to him being burnt alive.

 

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