Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e
Sforza: la ragione conversazionale dell’iustum/iussum – tra idealismo e
positivismo – filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Forli). Filosofo italiano. Forli-Cesena,
Emilia-Romagna. Direttore del Resto del Carlino. Insegna a Roma. Autore di
importanti saggi di filosofia del diritto quali Il concetto, il diritto e la
giurisprudenza naturale, Filosofia del diritto e filosofia della storia, Idee e
problemi di filosofia giuridica, ecc. Dizionario biografico degli italiani,
Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Al libro, in cui sono raccolti ed
esposti in ordinato modo i risultati delle sue indagini sui problemi del
diritto, il Cesarini Sforza ha dato un titolo di lapidaria semplicità:
Filosofia del diritto. Audace semplicità, si pensa: per un libro solo, e non di
grande mole, il nome stesso della disciplina cui appartiene, disciplina sí
ricca di storia e di complessi e vari svolgimenti. Ma, leggendo, si vede che
quel titolo non è senza buona ragione. I temi della filosofia del diritto (e
della teoria generale del diritto) ci sono, di fronte o di scorcio, tutti.
Pure, il volume è di sole 181 pagine, oltre gli indici. La concisione, la
sobrietà stilistica che ciò rendono possibile costituiscono uno dei principali
pregi dell'opera. La Filosofia del diritto del Cesarini Sforza ha il mordente e
la stringatezza possibili soltanto in opere profondamente mature: vi si ravvisa
il prodotto maturo, non solo d'una vita di lavoro, ma d'una scuola, d'un
movimento filosofico. Di tante discussioni, di tante polemiche delle correnti
filosofiche italiane cui, per connessione o contrasto, questo libro si collega,
non giunge il rumore: rimangono soluzioni approfondite di problemi lungamente
elaborati, in un discorso severo, talvolta scabro, sempre serrato e incisivo.
Un prodotto maturo, ottimamente rappresentativo, direi uno dei punti di arrivo
della filosofia giuridica italiana che ha avuto come maestri o come principali
termini di riferimento il Croce e il Gentile: qui se ne trovano, presentati in
uno dei modi migliori, i contributi piú importanti alla consapevolezza
dell'uomo. Punto di arrivo e punto di partenza su nuove strade: senso di
compiutezza che il libro dà fa sí che l'idea di nuovi passi, di nuove ricerche,
nell'inesauribile impegno per la consapevolezza, non possa dissociarsi
dall'idea di una revisione delle impostazioni di fondo e dei metodi della
scuola filosofica da cui esso pro-viene. Per tale sua patura la Filosofia del
diritto del Cesarini Sforza merita attenta medi-tazione. Dividerò questa nota
in cinque parti. La prima parte sarà dedicata all'esposizione. dei temi
fondamentali dell'opera. Data la ricchezza e la complessità dei suoi
svolgimenti, penso che l'individuazione dei temi fondamentali non sia inutile
agli studiosi e possa aver di per sé un valore critico. Seguiranno
considerazioni critiche, con particolare riguardo al metodo della filosofia; al
concetto, centrale nel pensiero del Cesarini Sforza, di dialettica del volere,
e al modo in cui si possa pervenire a una determinazione analitica dei processi
di espressione della volontà; al problema della giustizia; al carattere della
teoria. generale costruita dal nostro autore. La Filosofia del diritto si apre,
e si chiuderà, sul motivo idealistico, motivo dominante di tutto il lavoro,
dell'attività spirituale come perpetuo movimento, sforzo, tensione, mai
sufficiente fatica, trascendimento dell'oggetto dalla stessa attività
spirituale costituito. Cosí è per il diritto. Il diritto nasce dall'esigenza,
presente in tutte le società, di razionalizzare le azioni degli uomini dando a
esse un ordine stabile mediante regole o norme; ma i suc-cesgi non possono
essere che provvisori; le manifestazioni della volontà umana finiscono sempre
per sfuggire, con la loro inesauribile, irriducibile concretezza, a qualsiasi
astratto sistema di probabilità e prevedibilità; la etoria, opera della volontà
umana, lascia continuamente indietro le mete raggiunte nell'illusione che siano
definitive. L'esperienza giuridica procede attraverso questo tentativo di
razionalizzare la vita per mezzo della regola, e attraverso le ribellioni della
vita alla regola. Mentre la scienza giuridica ha per oggetto sistemi giuridici
dati, la filosofia si leva allo studio della dialettica di soggetto e oggetto
nell'atto di vita, studia l'esperienza giuridica come atto di vita. Diverso il
compito, diverso il metodo: la conoscenza scientifica si appoggia a una realtà
oggettiva, mentre la definizione filosofica deve essere trovata dal pensiero in
sé medesimo, poiché si riferisce alla sua attività in un determinato aspetto.
Anche la scienza del diritto può giungere, mediante uno schema ordinatore, a
una definizione del diritto di carattere generale, applicando ai prodotti
dell'attività creatrice del mondo giuridico la stessa attività
sistematizzatrice e ordinatrice in cui essa consiste; ma le definizioni del
diritto date dalla scienza considerano il diritto come un prodotto, non lo
definiscono nel suo prodursi. La filosofia dà invece la consapevolezza di tal
prodursi, consapevolezza indispensabile anche al giurista, per conoscere
l'origine spirituale del diritto e cosí rettamente intenderlo, e soprattutto
indispensabile al giudice, che deve essere il tramite tra legge e vita, tra gli
schemi del diritto e la concretezza dell'azione umana. All'esigenza spirituale
fondamentale, ondo trae origine il diritto, S. dà il nome di principio
costitutivo del diritto, in contrapposto ai principi regolativi: questi sono le
regole superiori e generali, da cui derivano le regole particolari di un dato
ordinamento, dalle quali si può risalire alle prime per via di induzione; e
hanno carattere storico e contingente, scaturendo dalle concezioni
etico-politiche di un popolo in una data epoca della sua civiltà. Il principio
costitutivo è la legge prima ed essenziale dell'attività dello spirito, per cui
il diritto viene creato; e consiste in un determinato processo della volontà.
La dialettica del volere (come quella del pensare) si svolge nel rapporto fra
l'attività dello spirito umano, infinita potenza pratica e virtualità creativa,
e la sua espressione: espressione è tutto ciò che dall'atto dello spirito si
distingue come fatto e forma la realtà oggettiva. Il passaggio dall'attività
spirituale soggettiva alla realtà oggettiva che se ne distacca è l'astrazione o
procedimento astrattivo, il quale, quando si applica al comportamento concreto,
lo divido in due, ossia rende possibile distinguere tra volizione e azione.
Volizione e azione, che nel concreto agire di ogni soggetto umano sono
tutt'uno, costituiscono nell'astrazione due momenti separati e statici,
diventando tipi pratici, cioè un dato tipo di volizione e un dato tipo di
azione; e l'azione appare come il risultato cui il soggetto volente mira, ossia
scopo della volizione. L'attività volitiva di tanti soggetti diversi, che si
manifesta con atti della concreta volontà di ciascun soggetto, può
estrinsecarsi nella realtà oggettiva incorporandosi in un'azione tipica o
astratta, uniforme per tutti: non ogni azione è conforme a un tipo, anzi gli
uomini, appena giungono ad affermare la loro indi-vidualità, agiscono anche
manifestando la loro originalità, e nel mondo pratico vi sono i santi e gli
eroi che superano le formule e rompono le convenzioni in nome di un ideale superiote;
ma la massima parte della vita comune a tutti gli uomini si svolge secondo tipi
e modelli, si presenta come una serie indefinita di comportamenti uniformi
esprimibili mediante le regole pratiche. Regola pratica è l'enunciazione di un
comportamento conforme a un altro comportamento onde ottenere il medesimo
scopo, vale a dire l'indicazione di un'azione tipica e astratta. Casi della
regola pratica sono la regola tecnica, con la quale si indica quale azione
tipica è mezzo per un fine, e il vincolo immediato tra azione e volizione passa
in seconda linea di fronte alla affermazione dello scopo mediato o motivo,
esistendo il vincolo solo in quanto si affermi il motivo; e la regola
imperativa, o norma, che enuncia un comportamento tipico riferito all'atto di
volontà necessario a realizzarlo, senza riguardo al motivo. La norma è sempre
riferibile a una volontà estranea a quella dell'individuo cui è posta: le cosí
dette norme individuali non sono che regole tecniche, poiché valgono solo nei
limiti e in relazione al motivo che il soggetto riconosce. Il diritto è dunque
il prodotto del procedimento spirituale astrattivo che, configurando volizione
e azione come tipi, pone ordine nelle azioni degli uomini mediante regole
imperative. Va rilevato che, in queste prospettive, la giuridicità non è
osclusiva dei vari sistemi di diritto positivo, oggetto delle discipline
giuridiche, ma è propria di qualsiasi applicazione del suddetto processo
volitivo, per cui ogni azione può essere giuridicizzata e diventar parte. dell'esperienza
giuridica. Dopo averci cosí introdotto al concetto filosofico del diritto, S.
procede a una descrizione fenomenologica del prodursi del diritto nella società
umana. I concetti intorno a cui questa trattazione è imperniata sono quelli di
istituzione sociale e di orga-nizzazione. La prima forma di socialità,
l'istituzione, si ha quando coloro che costituiscono il gruppo attuano un
complesso o serie di comportamenti uniformi per il raggiungimento di fini
comuni; la coscienza del fine, peraltro, può inancare, come sovente accade
nelle società primitive, e le pratiche sociali risultano misteriose, benché non
possano non avere avuto, all'origine, una loro ragione. La pura e semplice
uniformità dei comportamenti forma il substrato del costume sociale. Dall'istituzione
si passa all'organizzazione quando compariscono le regole imperative, o norme,
ossia il diritto, e mediante il diritto lo azioni di ciascun soggetto sono
coordinate con le volizioni di altri soggetti, e viceversa. Il sorgere del
diritto non fa però scomparire il costume; che rimane come continua e
ineliminabile rivelazione di tipi pratici tra i quali si differenziano quelli
coordinati mediante le regole imperative. Le regole imperative si formano
sempre sul presupposto di una regola tecnica, formatasi nella fase
istituzionale: se non si costituiesero tipi di comportamento che valgano come
mezzi per la realizzazione di determinati fini, neanche sorgerebbero le
volizioni imperative che a quei comportamenti si dirigono. Il modo in cui le
regole imperative operano nell'organizzazione della società umana, la
fenomenologia delle relazioni tra istituzione e organizzazione, i processi
mediante i quali il diritto nasce, è conosciuto, è applicato, è giustificato,
le relazioni funzionali e logiche tra i vari aspetti dell'esperienza giuridica
sono illustrati e chiariti dal nostro autore attraverso l'elaborazione e la
discussione di un complesso di concetti, che si coordinano in una teoria molto
interessante non soltanto dal punto di vista filosofico, ma anche da quello
strettamente giuridico: i concetti di norma giuridica e di consuetudine, di
rapporto giu-ridico, di autorità e proprietà, di diritto pubblico e privato, di
diritto soggettivo e di obbligo, di legge e di negozio giuridico, di torto e
sanzione, di giudizio, e via dicendo. Si riscontrano qui diverse interessanti
varianti e progressi rispetto alle note Lezioni di leoria generale del diritto,
che pure per non pochi anni hanno avuto un posto importante nella cultura
giuridica del nostro paese, per quanto atteneva alla teoria generale del
diritto. Particolarmente importante e centrale nella trattazione è, insieme con
quello di norma, il concetto di rapporto giuridico. Il rapporto giuridico, nel
suo schema fondamentale, è per S. la relazione che si instaura tra due
soggetti, quando il comportamento tipico dell'uno agsume il valore di mezzo o
condizione afinché si realizzi il fine dell'altro; il dirigersi della volizione
a un comportamento altrui in ordine a un proprio fine. La piú semplice
definizione del rapporto giuridico è quella di rapporto tra un imperativo o un
obbligo. Se ci riferiamo a un atto normativo primo, non giustificato sulla base
di precedenti atti normativi, il rapporto è di per sé giuridico; se invece si
riferiscono tutte le volizioni normative a un'unica volontà, i rapporti
concreti, cioè gli effettivi atti di volizione, sono giuridici solo in quanto
rientrino nel sistema dei rapporti astratti stabiliti dalle formule normative
riferite a quell'unica volontà. Ciò giustifica la distinzione tra pretcsa, il
concreto dirigersi di una volontà all'azione altrui, e diritto soggettivo,
l'astratta e virtuale possibilità di volere un comportamento tipico altrui;
distinzione cui corrisponde, dall'altro lato del rapporto, quella tra obbligo
concreto e obbligo astratto. Il riferimento di tutte le volizioni normative a
un'unica volontà, cioè la volontà dello Stato, è attentamente esaminato dal
Cesarini Sforza, mostrando il processo logico attraverso il quale avviene
l'identificazione del diritto con l'ordinamento giuridico statale. Tale
processo consiste nel ricavare dalle norme, nelle quali si esprimono volizioni
astratte, l'idea astratta di una volizione unica e comprensiva, che sostiene
tutto l'ordinamento, attribuendola a un unico soggetto. Da questo punto di
vista lo Stato non è dunque che un puro concetto, una personificazione compiuta
dal pensiero astraente. Come nella storia si sia venuti a questa astrazione,
all'associazione dei concetti di diritto e Stato, è indicato dal Cesarini
Sforza sottolineando il parallelismo di questo processo con la progressiva
monopolizzazione statale dei mezzi di attuazione coattiva del diritto. Se poi,
lasciando alla scienza giuridica il suo concetto astratto dello Stato, vogliamo
sapere cosa lo Stato è in realtà, l'analisi filosofica mostra che questa
cosiddetta volontà dello Stato si risolve nella concreta attività di
determinati uomini, nella cui effettiva volontà l'autorità statale ai
trasforma, da parola, in fatto. Chi comanda e chi è comandato: questa relazione
costituisce il rapporto politico fondamentale, ossia il rapporto giuridico,
considerato non piú nel suo schema logico, ma nella concreta realtà degli atti
di volontà. Volontà piú forti si impongono sopra altre meno forti, che
rimangono per un certo tempo in istato di sog-gezione, dal quale però tendono a
liberarsi, per diventare a loro volta dominatrici. Un equilibrio di interessi è
raggiunto, quindi è rotto, e gli si sostituisce un nuovo ordine nor-mativo, e
per queste lotte e superamenti la storia umana inesauribilmente procede. Da
quale parte è il valore, nel contrasto tra gli interessi affermati e gli
interessi che cercano di affermarsi, tra l'ordine costituito e le sue forze e
le forze innovatrici e rivolu-zionarie? Questa volta lo storicismo non è
conservatore. L'autorità è essenzialmente un fatto, dice S.: essa si giustifica
soltanto da sé stessa, nel suo effettivo manifestarsi come volontà normativa.
Ogni tentativo di dare all'autorità una giustificazione superiore è destinato a
fallire, come fallisce quello di fondare l'autorità dello Stato in un diritto
naturale o superstatale. La validità della legge consiste nell'effettivo
manifo-starsi di una forza vincolatrice dei valori umani, e se una nuova legge
prende il suo luogo come forza vincolatrice, la nuova legge è valida; se il
fatto di una nuova autorità si sostituisce al fatto di un'altra autorità, la
nuova autorità ha in sé stessa la sua giustificazione. In queste prospettive
sembra che il filosofo assista alle vicende della storia senza prendere partito,
senza affermare il valore delle forze che resistono o delle forze che tendono a
trasformare. Ma, dando un nome ai termini di questa sempre riaperta dialettica,
egli usa per l'ordine giuridico, nel quale il movimento della storia sembra
arrestarsi, l'espressione « principio di legalità»; « per indicare, invece, il
processo di oggettivazione nel suo movi-mento, cioè non nei suoi risultati ma
nella molteplicità e particolarità inesauribile dei suoi impulsi, soccorre la
tradizionale denominazione di principio di giustizia». « Il contrasto fra i due
principi — che appunto nel loro contrasto sono clementi vivi dell'esperienza
giuridica - richiama facilmente quello tra la valutazione dell'agire
nell'esteriorità conformistica delle sue manifestazioni e la valutazione morale
considerata nella profondità e originalità della esigenza spirituale che la
determina ». Non occorre sottolineare da quale parte è, per S., il valore. E
quale sia il valore intrinseco al movimento di progresso, cui egli dà il nome
di principio di giustizia, è quindi spiegato: «Il concetto di logalità esprime
la condizione delle azioni umane in quanto ordinate mediante un sistema di
imperativi, e quindi sottoposte alle volontà che negli imperativi si
manifestano. Invece è intrinseca al concetto di giustizia l'idea - affermatasi,
come già si disse, attraverso la dottrina cristiana e il giusnaturalismo
razionalistico - dell'eguaglianza fra i soggetti di diritto in quanto sono
tutti persone umane. Quest'idea fa sí - come dimostra l'esperienza storica -
che i principi tendenti a realizzarsi come regolativi di un nuovo ordine
giuridico esprimano nelle forme piú varie un'unica esigenza: quella delle
volontà giuridicamente subordinate di conquistare, rivendicando eguaglianza e
libertà nei confronti dell'ordine costituito, posizioni di predominio, di
divenire alla loro volta, cioè, volontà imperative. IL METODO DELLA FILOSOFIA
Esponendo, nella parte che precede, i temi cardinali della Filosofia del
diritto del Cesarini Sforza, ho detto delle indicazioni metodologiche
dell'autore a proposito della filosofia e della scienza. La scienza conosce
l'oggetto dato come dato, la filosofia pone in evidenza l'attività spirituale
che crca, senza mai esaurirsi, la realtà oggettiva. Il metodo della scienza
consiste nell'applicare alla realtà oggettiva schemi ordinatori, giungendo per
questa via al generale; la filosofia studia l'esperienza nella sua
universalità, e « la definizione flosofica il pensiero deve trarla da se
medesimo, in quanto si riferisce alla sua attività in un determinato suo
aspetto». Sono ben noti gli antecedenti di questa posizione meto-dologica: è
noto come nell'idealismo italiano il pensiero filosofico sia distinto dal
pensiero scientifico, legato all'oggetto o oggettivante e procedente per
generalizzazioni, come pensiero puro che trae da se medesimo le sue
determinazioni, dotate del carattere della universalità. Ma la definizione
filosofica del diritto, data in quest'opera, è veramente trovata dal pensiero
in se medesimo con metodo puro di riferimenti all'oggetto? L'indagine
filosofica, dice l'autore, rivela come l'atto spirituale che crea il diritto
sia un processo della volontà. La dialettica del volere consiste nel rapporto
fra attività e espressione, fra atto e fatto. Nel passaggio da atto a fatto consiste
l'astrazione che, applicata al comportamento con-creto, rende possibile il
distinguere tra volizione e azione, le configura come tipi, rende possibile la
razionalizzazione dei comportamenti umani mediante schemi ordinatori, regole
pratiche. Norma giuridica è quel tipo di regola pratica, la imperativa, che un
soggetto pone ad altro soggetto; la norma che l'individuo pone a se stesso non
è giuridica, Lo Stato è la relazione tra chi comanda e chi è comandato. Il
tentativo piú severo e rigoroso di un pensiero puro, che tragga sé da se
medesimo,, è stato fatto dal Gentile con la filosofia dell'atto puro. Un
gentiliano esigente potrebbe muovere al Cesarini Sforza il rimprovero di
empirismo o materialismo. Ecco ciò che il gentiliano potrebbe dire. Materialistica
è la concezione individualistica, che contrappone individuo a individuo, chi
comanda a chi è comandato, chi pone la regola imperativa a chi ne è
destinatario. E la dialettica dell'attività spirituale, la distinzione tra atto
e fatto, tra l'attività e i suoi prodotti, sono pensate dal Cesarini Sforza in
modo astratto e natu-ralistico. La volontà è concepita come fatto psichico, che
si svolge nel tempo formandosi, perdurando quale tensione volitiva, venendo
meno o per il compiersi dell'azione o per il cadere della tensione (v., per
es., a p. 132). I superamenti dello spirito rispetto ai enoi prodotti sono
superamenti che avvengono nel tempo, e non il superamento che lo spirito fa di
se stesso nell'atemporalità dell'atto. S. non parla del diritto come d'un
termine della dialettica spirituale superato dalla sintesi ideale, ma parla di
ordini normativi costituiti nella storia e superati dalle rivoluzioni
politiche. Guardate, potrebbe concludere l'attualista, scandalo!, come la
filosofia del Cesarini Sforza entra in colloquio con la sociologia e ne
utilizza gli apporti a conferma e chiarimento delle sue tesi; con la
sociologia, con la quale la pura filosofia dell'atto puro non ha mai avuto a
che fare poiché quella rimane immersa nel logo astratto, mentre questa à logo
concreto. Credo che il gentiliano esigente per un certo verso avrebbe ragione.
La dialettica della volontà e del suo esprimersi nel diritto, com'è presentata
dal Cesarini Sforza, non si svolge nel mondo senz'aria del pensiero puro, bensí
nel mondo umano della storia, empiricamente concepita, dove non lo spirito
unico celebra in solitudine le sue espressioni e i suoi superamenti, ma gli
uomini sono portatori di ideologie e di interessi diversi, e il diritto si
costituisce quando la volontà di alcuni si impone alla volontà degli altri e la
rivoluzione si ha quando i governanti non sono piú in grado di costringere i
governati all'obbedienza. A mio giudizio, però, proprio qui sta la forza
dell'opera: nell'empirismo che porta l'autore fuori degli sterili tormenti
della filosofa ancora in cerca del pensiero puro e, ponendo la filosofia del
diritto in pieno e vivace rapporto con la sociologia e con le scienze
giuridiche, le dà nutrimento e robustezza. Oso dire che le dichiarazioni
metodologiche sopra riferite, delle quali peraltro ben si comprendono, su un
piano psicologico e culturale, le ragioni di persistenza, sono smentite dallo
svolgersi della trattazione: la definizione del diritto, quella dello Stato e
le altre definizioni elaborate nel libro non sono trovate dal pensiero in se
stesso né sono formalmente universali, ma sono costruite sull'esperienza e
sullo studio che dei dati empirici fanno le scienze sociali. La Filosofia del
diritto del Cesarini Sforza dà una nuova dimostrazione della fecondità dell'atteggiamento
del filosofo che non tema l'accusa di empirismo e cerchi il colloquio con le
scienze, quando a ciò si accompagnino l'attitudine critica e la capacità di
sintesi, e il contatto con l'esperienza non vada a danno dell'interesse per i
presupposti e le condizioni e i rapporti delle scienze e di ogni altra attività
umana. Che cosa rimane, in questo libro del Cesarini Sforza, se non il metodo
del pensiero. puro, della tradizione filosofica idealistica? Rimane una
vocazione filosofica alla comprensione del mondo umano, che, non appagandosi di
analisi particolari, di punti di vista limitati, di prospeitive bloccate, vuol
vedere le cose da tutte le parti possibili, collegarle in visioni di insieme,
soprattutto non limitarsi a considerare i risultati delle attività umane, ma
comprendere le attività nel loro svolgersi. Ecco, però, un filosofo formato in
questa scuola che non ispregia la sociologia e sa servirsene. Ed egualmente S.
sa tenere buone relazioni con le scienze giuridiche, dedicando a concetti giuridici
un lavoro. del quale i giuristi potranno fare buon conto. Benché S. parli assai
spesso di attività spirituale e di spirito, il soggetto della storia e
dell'esperienza giuridica è per lui l'uomo reale. « La dottrina umanistica —
che non ignora la potenza dell'attività spirituale (« spiritus intus alit»), ma
sa che tale potenza non appartiene a un soggetto trascendente (com'è l'Idea di
Hegel) bensi s'incarna nel pensiero e nella volontà degli uomini reali (...) ».
E le vicende degli uomini reali sono considerate in modo assai disincantato,
che porta l'autore ad assumere talvolta accenti quasi marxisti, come a
proposito della proprietà: « (...) non è del tutto senza base la concezione
secondo la quale il diritto è strumento di dominio economico, e lo Stato
liberale democratico è il 'comitato d'affari della borghesia capitalistica'».
Lo Stato, lo si è visto, non è idealisticamente divinizzato, ma é concepito
quale rapporto politico tra volontà umane che si impongono e volontà umane che
soccombono. Siamo qui nella linea realistica della filosofia politica crociana.
Le pagine in cui questa ferma consapevolezza piú appare, e diventa piú cruda,
sono a mio avviso quelle sulla pena. Hanno séguito, osserva S., la teoria della
difesa sociale e quella dell'emenda; difesa ed emenda sono però scopi secondari
rispetto alla vera finalità della pena. In fondo all'idea della sanzione
punitiva, dice l'autore, si può sempre ritrovare il fatto della vendetta. Tra
la vendetta e la pena corre la differenza che la prima è esercitata fra
soggetti eguali, che si contraccambiano un male, mentre la seconda è applicata
da un potere sociale, superiore all'offensore e all'offeso; ciò rappresenta
senza dubbio una garanzia di imparzialità, una tutela della pace sociale, ma in
ultima analisi anche lo Stato non fa che contraccambiare o retribuire, col male
della pena che infligge, il male del reato commesso. Non si possono meditare
simili tesi senza turbamento, specialmente se si è esercitato il magistero
penale. Forse la teoria della difesa e dell'emenda sono soltanto schermi
costruiti per nascondere a noi stessi che il giudice è strumento di vendetta?
L'opinione del Cesarini Sforza, e il modo in cui è presentata e giustificata,
meritano apposita, approfondita discussione; qui l'opinione è stata addotta
come significativo esempio del suo realismo. E si dovrebbe sempre cercare di
tenersi nella stessa direzione, d'una filosofia che non tragga dal pensiero.
puro esaltazioni e giustificazioni retoriche o mitiche degli istituti politici,
e guardi invece francamente all'esperienza degli uomini reali per rendersi
conto dell'effettiva, anche se talora spiacevole natura dei loro rapporti,
delle vere ragioni del loro comportamento. VOLONTÀ E ESPRESSIONE Si vede
confermato, nel libro del Cessrini Sforza, come la filosofia giuridica
italiana. laica e immanentistica abbia raggiunto, a proposito dei problemi
classici della filosofia del diritto, impostazioni e soluzioni di decisiva
importanza. Diritto e morale: vano è cercare criteri assoluti e universali di
distinzione tra norme morali, giuridiche e d'altre categorie; la distinzione
dovrà essere fatta tra moralità da una parte, intesa come attività concreta, e
legalità dall'altra, intesa come conformità dell'azione alla legge. Unità o
pluralità degli ordinamenti giuridici, statualità o socialità del diritto:
tanti sono gli ordinamenti giuridici quante le organizzazioni sociali, ma i
giuristi scelgono un particolaro ordinamento e con esso identificano il
diritto. Le tesi filosofiche ora accennate potranno essere rifinite o
riformulate in vari modi, giudico però molto arduo l'allontanarsene o il
rovesciarle. Di special vigore mi sembra il modo in cui S. ripresenta la
critica al giusna-turalismo: l'errore filosofico del giusnaturalismo consiste
nella pretesa di far passare come- principio costitutivo del diritto un
particolare principio regolativo. Dicevo in principio del senso di compiutezza
che, quanto ai temi e ai problemi approfonditi e nelle sue prospettive, dà
questa Filosofia del diritto. Intorno al concetto centrale della dialettica del
volere come rapporto tra l'attività dello spirito e la sua espressione si
organizza un coerente discorso, ove filosofi e giuristi trovano molte
soddisfacenti risposte a loro domande. Il tema, rispetto al quale principalmente
mi par vi possa essere progresso di studio, è proprio quello del concetto di
volontà e di espressione della volontà. Che cosd intendiamo per volere, quali
processi designamo con questo nome? Che cosa intendiamo per espressione del
volere? Come avviene il passaggio dalla volontà all'espres sione? Ogni
filosofo, ogni scuola filosofica, compiendo l'arduo e paziente lavoro di
precisazioni e distinzioni concettuali, si ferma a un certo punto su concetti
non ulteriormente analizzati, che vengono sovente definiti come forme pure,
categorie, principi costitutivi. L'arrestarai non è senza ragione e necessità:
questi concetti non analizzati forniscono i punti di riferimento, le
impalcature di sostegno, di cui si ha bisogno per non smarrirsi nel terreno
dove si scava e si lavora. Poi, quando i risultati di quel lavoro sono
assimilati, è possibile rivolgersi a quei punti di riferimento, a quei concetti
centrali e organizzatori, per iniziare anche lí il precisare e il distinguere.
Ci si vale, in ogni nuova fase dell'im- presa filosofica, di nuovi punti di
riferimento, di nuove impalcature; ma vi può essere un progresso, se si estende
il campo della consapevolezza e soprattutto se si è imparato a non venerare
troppo le impalcature di cui ci si serve. La scuola filosofico-giuridica
italiana, di cui è rappresentante S., ha avuto ed ha come concetti
organizzatori quelli di attività spirituale, di volontà, di espressione, di
dialettica. Sono state dette cose rilevanti a proposito di tali concelti; ma,
laddove essi hanno resa possibile un'avanzata analisi filosofica in altri
luoghi, qui l'analisi non è andata molto avanti. Ha contribuito non poco ad
arrestarla il concetto del metodo filosofico di cui prima si è parlato. Pure,
anche su questo terreno c'è lavoro da fare. Grandi contributi portano al
chiarimento dei processi della volontà e del suo esprimersi la sociologia, la
psicologia, la linguistica e altro discipline, e il filosofo deve coordinare i
risultati rendendo chiari i fondamenti e i metodi con cui ciascuna di esse si
accosta a questi problemi. Come avviene, in particolare, l'esprimersi dell'atto
del volere attraverso il procedimento astrattivo che distingue volizione e
azione? Tale espressione avviene mediante il linguaggio. Il linguaggio non è
qualcosa di dato all'uomo e pronto e finito una volta per tutte, né è creato
caso per caso in ogni concreto atto d'espressione; esso è un prodotto della
storia e della cultura umana, nttra- verso una lunga e complessa elaborazione.
Si può studiare, come fa la linguistica, la formazione dei linguaggi nella
storia umana; si può studiare i processi di impiego del linguaggio per
organizzare la convivenza e la collaborazione mediante le prescrizioni; e
studiare la psicologia degli usi e delle ricezioni individuali di questo
prodotto della società. Invece di partire dai concetti molto generali di
volontà e di espressione, partire da situazioni e attività umane concrete; alla
coordinazione di quei concetti nella teoria della dialettica sostituire l'esame
particolareggiato dei procedimenti e degli strumenti degli uomini reali che
razionalizzano la vita mediante le regole. L'analisi dei concetti dovrebbe
servire, procurando gli schemi ordinatori, come mezzo per comprendere queste
attività. In tali prospettive è possibile indagare in che consista il
significato delle espressioni lin-guistiche, in che senso e in che limiti si
possa parlare di significati comuni e costanti tra piú persone, cioè di una
oggettività dei significati rispetto ai soggettivi atti di espressione e di
intendimento, in ispecie di una oggettività delle norme giuridiche rispetto ai
soggettivi atti di volizione; cercare in che consista l'astrattezza delle
espressioni linguistiche normative, che designano tipi di situazioni e tipi di
comportamenti, e come si formino i concetti astratti e come pragmaticamente
funzionino nel razionalizzare i concreti processi vitali; studiare infine la
disciplina cui gli uomini sottomettono gli usi linguistici o farsi custodi di
tal disciplina o attendere a migliorare le regole d'uso del linguaggio in
ordine ai loro scopi, con gli studi di semantica e di logica. Impegnarsi
insomma, anche a proposito della volontà e della sua espressione, nel pieno
dell'esperienza e della sua moltepli-cità, elaborare con precisa analisi i
mezzi concettuali della conoscenza Quanto ho detto avrà fatto pensare il
lettore al lavoro e ai programmi di lavoro del complesso movimento filosofico
che si indica col nome di filosofia analitica. Ma a cagione del loro modo di
lavorare e dei loro programmi gli analisti rischiano di avere vista corta. di
chiudersi entro i loro orticelli e perdere quell'ampiezza di visuali, quel
bisogno di visioni di insieme, che sono il carattere della filosofia; e per
effetto di tale limitazione finir con l'accettare in modo acritico una quantità
di presupposti e di condizioni di lavoro. C'è, negli scritti degli analisti,
una sorta di compiacimento del particolare, dell'opera paziente nel piccolo
campo. Questa disposizione è estremamente positiva come manifestazione di
reazione, come strumento polemico contro certo facile e retorico filosofare;
può assumere una funzione negativa se toglie lo sforzo di comprendere la
complessità dell'esperienza umana e di correlarne gli aspetti in una
considerazione sintetica. E importante, per esempio. studiare con pazienza e
rigore la struttura logico del linguaggio giuridico; ma è altrettanto
importante sapere che quella è la strutturi li un linguaggio che serve a dati
scopi nella società umana e si forma attraverso certi processi d'esperienza e
opera in certi processi di esporienza. Senza questa consapevolezza si corre il
pericolo, nel quale non di rado sono incappati cultori di logica giuridica, di
estendere surrettiziamente conclusioni dei loro studi oltre i limiti di quegli
studi, o fondar le analisi logiche in presupposti dogmatici che non
reggerebbero alla critica. Ecco dove la tradizione filosofica idealistica,
giungendo attraverso opere come la Filosofa del diritto del Cesarini Sforza,
mantiene, anche per chi senta l'esigenza di nuove indagini nel senso or ora indicato,
una piena e attuale validità. L'insognamento principale di questa Filosofia del
diritto si può riassumere in poche parole: sappiate vedere il diritto
nell'esperienza giuridica. Il concetto di esperienza giuridica, o meglio, piú
che un concetto, l'impegno a considerare il diritto nell'esperienza; l'analisi
delle relazioni tra il diritto come regola e la vita morale, politica,
economica, soprattutto l'elaborazione delle distinzioni concettuali necessarie
alla consapevolezza di tali relazioni, sono uno dei contributi migliori della
recente filosofia giuridica italiana agli studi filoso-fici; e costituiscono il
principale titolo di merito del libro di cui ci occupiamo. Il modo in cui S.
concepisce l'esperienza giuridica, comparato a quello di altri nostri autori,
sarebbe un interessante tema di ricerca. Qui conviene limitarsi, in relazione a
quel movimento filosofico di cui sopra si diceva, che ormai, e fortunatamente,
è pene- trato anche nel nostro paese e vi progredisce, a sottolineare
l'insegnamento da tenere vivo. LA GIUSTIZIA L'esperienza giuridica procede
attraverso il tentativo di razionalizzare la vita mediante la regola e
attraverso la ribellione della vita alla regola. Le sopraffazioni delle norme
sulla vita, le ribellioni della vita «sono aspetti necessari e insopprimibili
del processo spirituale sopra rievocato. Ciò la filosofia insegna, mostrando
che è un errore parteggiare aprioristicamente per le norme contro la vita, ma è
un errore anche parteggiare aprioristicamente per la vita contro le norme ».
Sembra dunque che il filosofo sia neutrale tra la vita e le norme; e, seduto
sull'orlo del fiume, veda scorrere il fiume col suo ribol. lire di lotta tra la
regola giuridica e l'originalità della valutazione morale, applicando il
precetto spinoziano di non appassionarsi alle une o alle altre sorti, sed
intelligere. Abbiamo però rilevato come alla fine il Cesarini Sforza prenda
partito, e mostri la sua simpatia per la parte della vita. Al momento
dell'ordine giuridico egli dà il nome di principio di legalità, al momento di
ribellione e superamento il nome di principio di giustizia. E nel principio di
giustizia ravvisa l'affermarsi dell'esigenza della eguaglianza tra i soggetti
di diritto in quanto sono tutti persone umane. Il filosofo non rimane dunque
freddo e intellettualisticamente indifferente innanzi alle vicende umene, ma ne
è partecipe, si impegna a sua volta. Cosí un recensore, il Ciarletta, ha potuto
dire che la filosofia del diritto è, per S., la filosofia della rivolu-zione; o
per lo meno, se la parola rivoluzione facesso necessariamente pensare al
sovvertimento violento di un ordine giuridico preesistente, la filosofia
dell'originale e profonda moralità che supera l'irrigidito schema della norma
astratta. La simpatia per l'autore certamente si arricchisce molto di questo
rilievo: il filosofo indifferente suscita sgomento, dal filosofo ci si aspetta
non soltanto una lucida spiegazione di come vanno le cose, ma d'averne un
orientamento e una guida per la parte che nella società umana noi stessi
dobbiamo pure svolgere. In questo punto ravviso, però, la maggior difficoltà
filosofica del saggio. Cho base ha l'affermazione della presenza dell'esigenza
egualitaria nel principio di giustizia, ossia nel movimento che produce e
supera il diritto? Sembra che il Cesarini Sforza le dia una base empirica: al
passo in cui si dichiara che l'idea di eguaglianza tra i soggetti di diritto è
intrinseca al concetto di giustizia segue un richiamo all'esperienza storica
(v. la citazione alla fine del secondo paragrafo di questa nota). Ma
l'esperienza storica, purtroppo, è al riguardo tutt'altro che univoca. Ci sono
movimenti rivoluzionari piú o meno sinceramento ispirati all'eguaglianza tra le
persone umane e ci sono movimenti che predicano e praticano la disuguaglianza
degli uomini, dei popoli, delle razze. L'esperienza storica mostra che vi sono
volontà in lotta per imporre la propria forza alla forza di altre volontà, e il
vario contenuto delle volontà contrastanti. Se principio di giustizia è il nome
che diamo al movimento che produce e supera il diritto, realizzano il facipio
di giustizia tanto i nazisti che vogliono abbattere la democrazia quanto i
desiocratici che si ribellano al diritto nazista. L'identificazione del
principio di giustizia con il manifestarsi dell'esigenza di eguaglianza delle
persone umane è il giudizio etico che una retta coscienza dà sulla storia;
l'esperienza storica ne è giudicata, e non può giustificarlo, non basta a
fondarlo. È possibile una fondazione teorica del principio di giustizia? Oppure
in quel principio si manifesta la nostra personalità, come si è formata nel
nostro ambiente culturale, e non v'è modo di dimostrarlo ad altri, ma soltanto
lo si riceve e lo si comunica per via di educazione? Questo è il problema della
giustizia, come problema del valore del diritto. La filosofia del diritto di
S., con il suo immanentismo, con il quadro che dà dell'esperienza giuridica
come dialettica di regola e di concreta e originale moralità, con la critica
dei principi regolativi, esclude la prima soluzione. Ogni tentativo di
identificazione teorica della giustizia, come valore del diritto, con
l'eguaglianza delle persone umane, sarebbe un nuovo contrabbando di un
principio regolativo, il principio dell'egua-glianza, quale principio
costitutivo del diritto. Dal punto di vista di questa filosofia si può dire
soltanto che principio costitutivo dell'esperienza giuridica è il sovrapporsi
della regola alla vita e il ribellarsi della vita alla regola; dal principio
costitutivo del diritto, chiarito dalla filosofia, all'affermazione del valore
di un certo principio regolativo, non c'è pas- saggio. La ragione filosofica
vede il principio costitutivo, la dialettica di morale e diritto; se poi, in
quella dialettica, noi ci impegniamo per un particolare principio regolativo,
ciò dipende da ragioni della nostra morale, che la ragione filosofica non
conosce. Il problema del valore, o dei valori, costituisce uno dei temi
centrali e piú critici dell'idealismo italiano, che in vari suoi rappresentanti
ha tentato di ricavare la fondazione del valore dalla teoria della realtà
spirituale. Mi pare che la chiara e stringente formulazione data alla filosofia
della pratica da S. ci metta innanzi a una conclu-sione: per una filosofia, che
nôn creda di poterli fondare nel trascendente, i valori non sono giustificabili
teoricamente. Questo non significa finire in pieno irrazionalismo e negar che
la filosofia debba occuparsi delle questioni di valore: gli atteggiamenti
valutativi sono connessi con credenze, e il discorsa razionale, modificando le
credenze, contribuisce a mutar le valutazioni; quanto alla filosofia, ossa ha
per compito di chiarire la natura, la portata e le conseguenze
dell'atteggiamento valutativo, di analizzare e distinguere le com• ponenti del
discorso sui valori ecc. Ma al fondo dell'affermazione di un valore c'è sempre
un impegno personale, un atto di coscienza morale. Tale tesi non ci riconduce
allo sgomento del filosofo freddo o intellettualisticamente indifferente;
desideriamo il filosofo che cerchi di realizzare con la filosofia il valore
della conoscenza spassionata, ma sappia nel mondo, conosciuto senza passione,
affermare con ferma e feconda passione tutti i suoi valori umani. Simile
discorso non può qui ulteriormente svilupparsi: quanto ho detto può forse
bastare per indicare la seconda, importante direzione di progresso di
consapevolezza che, a mia giudizio, si apre a chi medita le posizioni
dell'idealismo italiano, e queste, in particolare, del Cesarini Sforza. LA
TEORIA GENERALE DEL DIRITTO Al principio del saggio dedicato alla Teoria
generale del diritto del Levi, recentemente ripubblicato nel volume Studi sulla
teoria generale del diritto, il Bobbio rileva che tre sono i punti di vista da
cui una teoria generale del diritto può guardare il fenomeno giuridico: diritto
come rapporto giuridico, diritto come istituzione, diritto come norma. Ho detto
in precedenza che nella tcoria generale delineata dal Cesarini Sforza è
particolarmente importante e centrale, insieme al concetto di norma, quello di
rapporto giuri-dico; ed ho indicato il modo in cui l'autore lo definisce. Ora è
interessante rilevare come il concetto di rapporto sia da lui costruito sulla
base del concetto di norma, che è il vero pernio dell'organizzazione dei
concetti di questa teoria generale, talché essa va ascritta al terzo tipo
indicato dal Bobbio. Nel caso dell'atto normativo primo, non qualificato sulla
base di precedenti atti nor-mativi, rapporto giuridico è la relazione che ai
istituisce tra il soggetto attivo dell'imperativo e il soggetto passivo; il
rapporto giuridico è definito come rapporto tra l'imperativo e l'obbligo che
esso pone. La distinzione e contrapposizione tra norma e rapporto giuridico,
com'è presentata di solito (la norma quale fonte del rapporto, in quanto
regolatrice di una relazione sociale, economica ecc.), è sostituita, a
proposito degli atti normativi qualificati sulla base di atti normativi
precedenti, dalla distinzione e contrapposizione tra rapporto giuridico
concreto, ossia l'imperativo effettivamente rivolto da un sobbeece ad un altro,
e rapporto giuridico astratto, ossia lo schema di rapporto stabilito dalla
formula normativa riferibile alla volontà superiore. I concetti di rapporto
concreto e di rapporto astratto servono in effetti, come si vedo, a configurare
la correlazione tra una norma di grado inferiore e una norma di grado
superiore. È naturale, qui, il richiamo al Kelsen. La corri-spondenza tra
posizioni del Cesarini Sforza e posizioni del Kelsen appare evidente a
proposito della soluzione data al problema della legittimazione del diritto,
del fondamento. della sua obbligatorietà. I rapporti concreti, dice il Cesarini
Sforza, sono giuridici solo in quanto rientrino in uno schema di rapporto
astratto stabilito dalla volontà superiore. In termini kelseniani, la validità
di una norma deve essere dedotta da una norma di grado superiore. Riguardo
all'atto normativo primo, dico il Cesarini Sforza, la distinzione tra rapporto
astratto e rapporto concreto non ha nessun significato; l'atto normativo primo.
eta all'inizio di una serie di qualificazioni di giuridicità, ma non può essere
qualificato. nello stesso modo; esso è giuridico di per sé, purché in esso si
manifesti una forza vin--colatrice delle azioni. Cosí la norma fondamentale del
Kelsen sta all'inizio di una serio di qualificazioni di giuridicità, ma non può
essere qualificata nello stesso modo; e tutta: la catena delle qualificazioni
vi può essere appesa, in quanto la norma fondamentale sia posta come condizione
di validità dell'intero ordinamento. I due autori hanno in comune-l'importante
consapevolezza che il diritto non può essere giustificato con il diritto: si
giustificano, all'interno di un ordinamento giuridico, singole norme sulla base
di altre-norme; ma per sapere come l'intero ordinamento, entro il quale il
giurista adopera la sua. logica qualificatrice, stia in piedi, o perché debba
stare in piedi, per stabilire le condizioni prime di ogni ragionamento
giuridico, occorre andar fuori del diritto e impiegare-un altro tipo di
ragionamento. La differenza tra il Kelsen e il Cesarini Sforza sta nel fatto.
che il primo considera le norme nella loro struttura formale, si occupa
soltanto dei loro- rapporti logico-formali, e quindi il presupposto di ogni
qualificazione di giuridicità si presenta nella sua dottrina come una mera
condizione logica, un'ipotesi del pensiero giu-. ridico; il Cesarini Sforza
invece guarda agli atti normativi nella loro effettività storica e•
psicologica, concepisce la norma come imperativo, e quindi il presupposto di
ogni qualificazione di giuridicità si configura per lui come un atto normativo
primo dotato di forza politica. Mi sembra che da questa concezione della norma
come imperativo derivino alcune difficoltà, del tipo di quelle che si sono
sempre incontrate quando si sono definiti concetti di teoria generale del
diritto in riferimento a effettivi atti o stati di volontà, anziché in:
riferimento alla e soltanto alla loro espressione. Il nostro autore perviene
coerentemente a dire che il rapporto giuridico nasce nel tempo, perdura come
componente dell'ordine giuridico quanto perdurà la tensione volitiva, e viene
meno col cadere della tensione o col' compimento dell'azione voluta. Da questo
punto di vista non si spiega come mai i giuristi continuino a considerar
giuridica una volontà manifestata entro un certo ordine giuridico,, e i giudici
ad applicarla, finché non siano avvenuti certi fatti con efficacia abrogante,
senza preoccuparsi del perdurare della tensione volitiva in corrispondenza alla
volontà espressa. Meglio, a mio avviso, chiarito che e come il diritto si forma
e si trasforma nella società umana attraverso l'esprigersi della volontà, dire
decisamente che dal punto di vista giuridico ciò che viene conosciuto e
applicato è la volontà in quanto espressa, la norma come: espressione; e
costruire la teoria generale del diritto dal punto di vista della norma come
espressione linguistica prescrittiva, anziché dal punto di vista della norma
come imperativo. Checché si pensi, comunque, di queste osservazioni, la teoria
generale del diritto del Cesa-rini Sforza, accolta come è presentata o
trascritta in chiave formalistica, porta nel con.. testo della sua Filosofia
del diritto una nuova e considerevole prova dei meriti del norma--tivismo. La
concezione del diritto come norma consente di costruire. una organica teoria
generale del diritto e insieme di vedere filosoficamente il diritto nel
concreto dell'esperienza giuridica. In sede di teoria generale si determinano i
rapporti formali tra le norme, come si prospettano per la scienza del diritto
che assume una norma prima quale criterio d'individuazione di un sistema di
norme; in sede filosofica non ci si ferma alle norme come dato di un'attività
scientifica, ma si considera come le norme sono prodotte e superate nell'umana
vicenda del rinnovarsi del tentativo di razionalizzare la vita mediante la
regola e del rinnovarsi della ribellione della vita alla regola.Widar Cesarini
Sforza. Sforza. Keywords: iussum, iustum. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Sforza” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Sgalambro: FILOSOFIA
SICILIANA, NON ITALIANA -- all’isola – la ragione conversazionale della
misantropia – la scuola di Leonzio -- filosofia dell’isola di Sicilia –
filosofia siciliana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Lentini). Filosofo siciliano. Filosofo italiano. Lentini, Sicilia. Grice:
Italians say “Lentini,” but Sicilians say “Leonzio,” since there was only ONE
LION (leontino) that Ercole killed!” Important Italian philosopher. La sua filosofia è nichilista, definizione
spesso respinta da lui stesso, ma talvolta anche accettata, e si può piuttosto
definire un'originale sintesi tra la filosofia della vita di Schopenhauer e il
materialismo e pessimismo di RENSI, con le influenze dell'esistenzialismo sui
generis di Cioran, di alcuni temi della scolastica e della teologia empia e
naturalistica di VANINI e Mauthner. Noto anche per la collaborazione con
Battiato. Da una famiglia benestante (il padre era un farmacista), osserva un
riserbo quasi conventuale nella sua vita privata, fornendo tuttavia alcuni
elementi biografici nelle sue interviste o presentazioni. Dopo l'infanzia
trascorsa a Lentini, si trasferisce a Catania. S’iscrive a Catania. Dicedo di
non iscrivermi in filosofia perché la coltivavo già autonomamente. Mi piace il
diritto penale e per questo scelsi la facoltà di giurisprudenza. Inoltre non si
trova d'accordo con la cultura filosofica dominante allora nelle accademie,
troppo legata all'idealismo di CROCE e GENTILE. Sono loro che occupano tutto lo
spazio filosofico. Ma io non mi ritrovo affatto in quei sistemi complessi e completi,
dove ogni cosa era già stata incasellata. Per me, filosofare e una destructio
piuttosto che una costructio. Sono uno che noto le rovine, piuttosto che la
bellezza. Questo e un po' scomodo, e non certamente accademico. Il reddito che
proveniva da un agrumeto (lasciatogli in eredità dal padre) non basta più, così
sceglie di integrarlo compilando tesi di laurea e facendo supplenze nelle
scuole. Il matrimonio è un momento, come dice Hegel, in cui la realtà
determinata entra in un individuo. Dunque il matrimonio non coincide
semplicemente con l'amore per una persona, ma con la durata. Ecco dove sta
l'essenza, quasi teologica, del matrimonio. E dichiaratamente ateo anche se
crede nella reincarnazione, come ricordato anche da Battiato, e ha avuto un
funerale religioso. Vive da solo nella sua casa catanese. Che non ci sia
niente di peggiore del mondo, non si deve dimostrare. Ripete spesso che non
possedeva titoli né lauree per i biglietti da visita e quindi come sia riuscito
a diventare un filosofo e «un mistero»
che egli stesso stenta a spiegarsi. Il suo primo contatto con un saggio
filosofica avviene quando legge “La formazione naturale nel fatto del sistema
solare” di ARDIGÒ. Collabora a “Prisma” con un saggio, “Paralipomeni
all'irrazionalismo” dove, influenzato da RENSI, sviluppa un attacco
all'idealismo crociano allora in piena egemonia. S’ispira anche all'ironia di
Kraus di cui ama lo stile aforistico. Se Kraus avesse scritto Il Capitale lo
avrebbe fatto in tre righe. Scrive per “Incidenze”“Crepuscolo e notte”
(Messina, Mesogea), un saggio di "esistenzialismo negativo". Scrive
anche per la rivista Tempo presente. Decide di organizzare la sua filosofia in
un saggio sistematica. Manda “La morte del sole” con un biglietto di due righe
ad Adelphi. “E lì è rimasto.” “Ma siccome io sono fatto in questo modo, non ho
chiesto niente. Poi è arrivata una telefonata. Mi chiedevano di andare a
Milano, per prendere contatto con l'editore.
Calasso mi dice che “La morte del sole” (Milano, Adelphi) non e maturo,
e marcio: ed e esattamente così. Pubblica “Trattato dell'empietà: (Adelphi,
Milano); Anatol (Adelphi, Milano), Del pensare breve (Adelphi, Milano) Dialogo
teologico (Adelphi, Milano), Dell'indifferenza in materia di società (Adelphi,
Milano), La consolazione (Adelphi, Milano), Trattato dell'età – una lezione di
metafisica (Adelphi, Milano), “De mundo pessimo” (Adelphi, Milano); “La
conoscenza del peggio” (Adelphi, Milano); “Del delitto” (Adelphi, Milano) e
“Della misantropia” (Adelphi, Milano). Viene avvicinato al nichilismo. Talvolta
ha respinto la definizione, mentre altre volte l'ha accettata, nel senso di un
nichilismo attivo e demolitore, non passivo e chiuso. Indubbiamente questa
visione è nell'intimo di me stesso. Per un nichilista le cose -- il Papa, MUSSOLINI,
un vaso di terracotta -- si equivalgono. Questo non significa che non si ha il
senso di ciò che vale. Significa piuttosto che si prova a romperlo come si può,
per esempio con il martello del pensare. Intanto con alcuni amici avvia una
piccola attività editoriale a Catania. Nasce così la De Martinis. All'interno
di questa casa editrice, si occupa di saggistica, pubblicando un paio di propri
testi – “Dialogo sul comunismo” (Martiniis, Catania) e “Contro la musica –
sull’ethos del ascolto” (Martiniis, Catania) -- e ristampando VANINI e di
Benda. Suscita polemiche una sua intervista a Battistini sulla mafia, dove
critica anche Sciascia e il mito dell'anti-mafia militante (che tra l'altro fu
criticata da Sciascia stesso. L'immagine della Sicilia. C'è, come no? Ma
cercarla in faccende di Cuffaro e di Gabanelli è come cercare un tesoro fra le
spine dei fichi d'India. Cercare che cosa, poi? La griglia mafiosa è una
gabbia. È chiaro che ha ragione la Gabanelli e che Cuffaro vuole cancellare a
suo modo la mafia, con un tratto di parole. Ma contesto che la mafiosità sia
una chiave di conoscenza. Non cambio idea. La mafia è un concetto astratto. E
gl’astratti si distruggono con la logica, non con la polizia. La polizia può
arrestare la mafia. Eliminarla, mai. Quello che importa è la Mafia maiuscola,
concetto generale e perciò indistruttibile. La mafia in sé non mi fa venire in
mente nulla. Come la patria, i morti di Solferino. Cose vetuste. Sciascia e lo
scrittore sociale, un maestro di scuola che vuole insegnarci le buone maniere
sociali. Ma rivisitarlo oggi è come ri-leggere Pellico. La sua funzione si è
esaurita. La mafia è l'unica economia reale di quest'isola. Ci sono fenomeni
della storia, ricchezze che non si possono fare con le mani pulite. Qui la
ricchezza è sempre stata fondiaria, senza investimenti. La ricchezza è per sua
natura sporca. Basta col gioco della spartizione -- è mafioso o no? Domande da
periodo di lotte religiose -- è luterano o cattolico? In Sicilia sono arrivati
anche i laici, per fortuna. Definisce poi Fava "quel piagnone",
affermando che "i famosi Cavalieri", soprannome dato dal padre di
Fava a quattro imprenditori catanesi considerati collusi con Cosa nostra, erano
l'unica economia possibile» per la città. -- è tornato in maniera sarcastica
sull'argomento. Considero la Sicilia come un fenomeno estetico e non ne
cambierei nulla. In questo senso potrei dire che mi considero un mafioso. E
attaccato da Ferrarotti che lo define un
neo-reazionario e di "intolleranza aristocratica e silenzio sulla mafia.
Alla sua isola ha dedicato “Teoria della Sicilia”. Là dove domina l'elemento
insulare è impossibile salvarsi. Ogni isola attende impaziente di inabissarsi.
Una teoria dell'isola è segnata da questa certezza. Un'isola può sempre
sparire. Entità talattica, essa si sorregge sui flutti, sull'instabile. Per
ogni isola vale la metafora della nave. Vi incombe il naufragio. Oltre ai saggi
per Adelphi, pubblica per Bompiani Teoria della canzone, Variazioni e capricci
morali, e due raccolte di poesie, frammenti di una biografia per versi e voce e
Marcisce anche il pensiero (frammenti di un poema), nonché L'impiegato di
Filosofia, nel quale ironicamente afferma di aver rinunciato alla filosofia
ritrovandosi più filosofo che mai, curioso libretto stampato in un museo della
stampa con caratteri mobili, edito da La Pietra Infinita. Pubblica “Del
metodo ipocondriaco” (Il Girasole, Valverde), Quaternario (racconto parigino),
la raccolta di poesie Nell'anno della pecora di ferro, e Dal ciclo della vita.
La matematica è il tribunale del mondo. Il numero è ordine e disciplina. Ciò
con cui si indica lo scopo della scienza, tradisce col termine la cosa.
L'ordine, già il termine ha qualcosa di bieco, che sa di polizia, adombra negli
adepti le forze dell'ordine cosmico, i riti cosmici. L'autentico sentimento
scientifico è impotente davanti all'universo. L'inflazione che caccia nelle
mani dell'individuo, in un gesto solo, miliardi di marchi, lasciandolo più
miserabile di prima, dimostra punto per punto che il denaro è un'allucinazione
collettiva. Avviene l'incontro con Battiato, del tutto casualmente, perché
presentavano insieme un volume di poesie dell'amico comune Scandurra. Battiato
gli chiede un appuntamento per proporgli di scrivere il libretto di “Il
cavaliere dell'intelletto”. Un anno fa non ci conoscevamo neppure. Da allora
non abbiamo fatto altro che lavorare insieme. Lui e anche un filosofo, ma per
me è un talento che mi stimola e arricchisce. Mi sembra impossibile tornare a
scrivere i testi delle mie cose. In mezzo a tutto questo, mi capitò tra i piedi
Battiato. Per un certo verso direi che è stato uno di quegli incontri che ti
portano fuori strada, ma questa è una percezione che ho avuto molto tardi. A
volte trovo che è come se tutto quel tempo io lo abbia perduto. La questione
sta nel vedere se sia possibile recuperarlo. Accetta e risponde ironicamente
all'invito di Battiato chiedendogli di scrivere insieme un disco di musica pop.
Tra lui e Battiato si sviluppa un sodalizio artistico e umano, anche se non
sempre facile. Anche perché io non sono un grande seguace dell'amicizia. Con
Battiato abbiamo avuto lunghe liti, che duravano parecchio. Poi uno dei due, in
genere lui, telefonava e il rapporto riprendeva. Tutti i litigi erano per un
rigo da cambiare in una canzone. Io non accetto le esigenze della musica e per
lui questo e costoso. Il suo impegno in politica? Non ho mai capito come si sia
potuto lasciare tentare, tutti i giorni ho cercato di convincerlo a levarsi,
solo ora per fortuna sta tornando in se stesso. Collabora a quasi tutti i
progetti di Battiato, per cui scrive: i libretti delle opere Il cavaliere
dell'intelletto su Federico II di Svevia, Socrate impazzito, Schopenhauer e
TELESIO, Campi magnetici; L'ombrello e la macchina da cucire, L'imboscata,
Gommalacca, Ferro battuto, Dieci stratagemmi, Il vuoto, Apriti sesame, Perduto
amor, Niente è come sembra, Auguri don Gesualdo Bufalino). Benché affermasse
che la canzone era per lui "una distrazione", scrive testi di canzoni
anche per Pravo (Emma), Alice (Come un sigillo, Eri con me), Il movimento del
dare, Marie ti amiamo, Non conosco nessun Patrizio (Facciamo finta che sia vero
ed Aurora). Dopo essere intervenuto anche ai concerti di Battiato, si
cimenta lui stesso con la musica e pubblica il singolo. In una rappresentazione
de L'histoire du soldat di Stravinskij interpreta la voce narrante, con
Battiato nella parte del soldato e Giovanni Lindo Ferretti in quella del
Diavolo. Pubblica Fun club, prodotto da Battiato e Cosentino. Un
alleggerimento che considero doveroso. Dobbiamo sgravare la gente dal peso del
vivere, invece che dare pane e brioches. Questa volta, mi sono sgravato
anch'io. E poi, la musica leggera ha questo di bello, che in tre minuti si può
dire quanto in un libro di 400 pagine o in un'opera completa a teatro.Dà la
voce all'aereo DC-9 Itavia nell'opera Ultimo volo di Pollina sulla strage di
Ustica. La canzone della galassia, cantata assieme al gruppo
sardo-inglese Mab. Torna ad esibirsi in un pub di Catania, assieme al
Fazio e Cantarella. Finita l'esibizione alla presenza di Russo e Battiato,
seguì il concerto delle Lilies on Mars, band formata da due ex componenti del
gruppo MAB (Masia e Cristofalo), band che si era esibita con Battiato in Il
vuoto. Di passaggio (L'imboscata)
recita: La stessa cosa sono il vivente e il morto, lo sveglio e il dormiente,
il giovane e il vecchio: questi infatti mutando son quelli e quelli mutando son
questi. Interviene in Shakleton, da Gommalacca. In Invito al viaggio (da
Fleurs) recita: «Ti invito al viaggio in quel paese che ti somiglia tanto. I
soli languidi dei suoi cieli annebbiati hanno per il mio spirito l'incanto dei
tuoi occhi quando brillano offuscati. Laggiù, tutto è ordine e bellezza, calma
e voluttà; il mondo s'addormenta in una calda luce di giacinto e d'oro; dormono
pigramente i vascelli vagabondi, arrivati da ogni confine per soddisfare i tuoi
desideri. I fiori del male. Corpi in movimento, Campi magnetici, recita. Se io,
come miei punti, penso quali si vogliano sistemi di cose, per esempio, il
sistema: amore, legge, spazzacamino e poi non faccio altro che assumere tutti i
miei assiomi come relazioni tra tali cose, allora le mie proposizioni, per
esempio, il teorema di Pitagora, valgono anche per queste cose. Hilbert, Lettera a Frege. Partecipa a quasi
tutti i tour di Battiato: Recita versi in latino sul brano di
Battiato Canzone chimica: «Bacterium
flourescens liquefaciens, Bacterium histolyticum, Bacterium mesentericum, Bacterium
sporagenes, Bacterium putrificus. Esegue
una nuova versione con il testo riadattato in chiave filosofica. Accetta il
consiglio. Canta due brevi strofe dei suoi versi nella canzone La porta dello
spavento supremo, Dieci stratagemmi di Battiato. Quello che c'è ciò che verrà
ciò che siamo stati e comunque andrà tutto si dissolverà Sulle scogliere
fissavo il mare che biancheggiava nell'oscurità tutto si dissolverà. La porta
dello spavento supremo. Il sogno; “Teoria della canzone, Milano, Bompiani,
Frammenti di una biografia per versi e voce, Bompiani, Milano, Poesie,
Contiero, Reggio Emilia, La Pietra Infinita, Segrete (Contiero, Reggio Emilia,
La Pietra Infinita, Opus postumissimum; Firenze, Giubbe Rosse, Dolore e poesia
(Contiero, Reggio Emilia, La Pietra Infinita,
Contro la musica. (Sull'ethos dell'ascolto) e Dialogo sul comunismo),
Quaternario. Racconto parigino” (Valverde, Girasole); “Frammenti di una
biografia” (Milano, Bompiani); “La consolazione, L'impiegato di filosofia”
(Reggio Emilia, La Pietra Infinita); “Nell'anno della pecora di ferro”
(Valverde, Girasole); Marcisce anche il pensiero. Frammenti di un poema, Opus
postumissimum” (Milano, Bompiani); “Teoria della canzone” (Milano, Bompiani);
Variazioni e capricci morali” Milano, Bompiani,
Dal ciclo della vita” (Valverde, Girasole); Devozione allo spazio in
Raciti, Dello spazio, Catania, CUECM, Sciascia e le aporie del fare in
Sciascia. Scrittura e verità, Palermo, Flaccovio, Carpe veritatem, La filosofia
delle università” (Milano, Adelphi); “EMPEDOCLE o della fine del ciclo cosmico”
in Grado, Grandi siciliani. Tre millenni di civiltà” (Catania, Maimone);
“GENTILE o del pensare” in Grado, “Grandi siciliani. Tre millenni di civiltà
(Catania, Maimone); Post scriptum in Barcellona, Lo spazio della politica.
Tecnica e democrazia” (Roma, Riuniti); “Un discorso coerente sui rapporti tra
il divino e il mondo” (Catania, De
Martinis); “La filosofia dell'autorità” (Catania, De Martinis); quarta di
copertina prefazione in Scandurra, Trigonometria di ragni, Milano, All'Insegna
del Pesce d'Oro, La malattia dello spazio in Insulæ. L'arte dell'esilio,
Genova, Costa e Nolan, “VANINI e l'empietà” VANINI, “Confutazione delle
religioni” (Catania, De Martinis); “Breve introduzione in Tornatore, Una pura
formalità, Catania, De Martinis, Piccola glossa al “Trattato della
concupiscenza” in Bossuet, Trattato della concupiscenza, Catania, De Martinis,
Klaus Ulrich Leistikov, Mantrana. Un gioco, Catania, De Martinis); “GENTILE e
il tedio del pensare in Gentile, L'atto del pensare come atto puro” (Catania,
De Martinis); S., Il bene non può fondarsi su un Dio omicida in Martini, Eco,
In cosa crede chi non crede? Roma, Liberal, Sciascia e le aporie del fare in
Sciascia. La memoria, il futuro, Collura, Milano, Bompiani, Ottonieri, Elegia
sanremese, Milano, Bompiani, La morale di un cavallo in Cappellani, La morale
del cavallo, Scordia, Nadir, Cosentino, I sistemi morali, Catania, Boemi,
postfazione in Trischitta. Il miraggio in celluloide, Catania, Boemi, Piccole
note in margine a Basso in Basso, Dui, Catania, Prova d'Autore, Il fabbricante
di chiavi Ingaliso, Nell'antro del filosofo. Dialogo, Catania, Prova d'Autore,
postfazione in Pumo, Il destino del corpo. L'uomo e le nuove frontiere della
scienza medica, Palermo, Nuova Ipsa, Sodalizio in Battiato. L'alba dentro
l'imbrunire (allegato a Battiato. Parole e canzoni), Mollica, Torino, Einaudi, Del vecchio in
Mondo Turinese, Hillman. Venticinque scambi epistolari Torino, Boringhieri, I
malnati, Porretta Terme, I Quaderni del Battello Ebbro, seconda di copertina,
Lettera a un giovane poeta in Farruggio, Bugie estatiche, Roma, Il Filo,
prefazione in Contiero, Reggio Emilia, Aliberti, Teoria della Sicilia in Guidi
Guerrera, Battiato. Baiso, Verdechiaro, Falzone, Battiato. La Sicilia che
profuma d'oriente, Palermo, Flaccovio, Una nota in Battiato, In fondo sono contento
di aver fatto la mia conoscenza (allegato a Niente è come sembra), Milano,
Bompiani, L’ethos della musica in
Monsaingeon, Incontro con Boulanger, Palermo, rue Ballu, prefazione in
Vos, Il giardino persiano, Fanna (PN), Samuele, S. prefazione in Scandurra,
Quadreria dei poeti passanti, Milano, Bompiani, seconda di copertina Sull'idea
di nazione in Catania. Non vi sarà facile, si può fare, lo facciamo. La città,
le regole, la cultura, Catania, ANCE, Dicerie in Battiato, Auguri don Gesualdo,
Milano, Bompiani, postfazione in Guarrera, Occhi aperti spalancati, Messina,
Mesogea, Di un fantasma e di mari, Catania, Prova d'Autore, Nota in Bataille,
W. C., A. Contiero, Massa, Transeuropa, Massa, prefazione in Bellucci, Un
grappolo di rose appese al sole, Villafranca Lunigiana, Cicorivolta, prefazione
in Pourparler, Catania, Prova d'Autore, Apologia del teologo in Presutti,
“Deleuze e S.: dell'espressione avversa” (Catania, Prova d'Autore); Riflessione
in Scuriatti, Mico è tornato coi baffi, Milano, Bietti, Presentazione in
Rotoletti, Circoli di conversazione a Biancavilla, Modugno, Arti Grafiche
Favia, Il senso della bellezza in Battiato, Jonia me genuit. Discografia
leggera, discografia classica, filmografia, pittura, Firenze, Della Bezuga,
Moralità plutarchee in Trischitta, Catania, Il Garufi, La città dei morti in
Spina, Monumentale. Un viaggio fotografico all'interno del gran camposanto di
Messina, Milano, Electa, prefazione in Bellavia, Fermo immagine, Catania, Il
Garufi, Sulla mia morte in Battiato, Attraversando il bardo. Sguardi
sull'aldilà, Milano, Bompiani); Fun club, Milano, Sony,Sony, feat. Mab, La
canzone della galassia, Milano, Sony, L'ombrello e la macchina da cucire, Breve
invito a rinviare il suicidio, Piccolo pub, Fornicazione, Venosa, Moto browniano,
Tao, Un vecchio cameriere, L'esistenza di Dio, in Battiato, L'ombrello e la
macchina da cucire, Milano, EMI, Di passaggio, Strani giorni, La cura, Amata
solitudine, Splendide previsioni, Ecco com'è che va il mondo, Memorie di
Giulia, e Di passaggio in Battiato, L'imboscata, Milano, Polygram, voce (Canzone chimica) in Battiato,
L'imboscata live tour (registrazione video di un concerto), Milano, Polygram,
Emma Bovary in Pravo, Notti, guai e libertà, Milano, Sony, Casta diva, Il ballo
del potere, La preda, Il mantello e la spiga, È stato molto bello, Quello che
fu, Vite parallele, Shackleton in Battiato, Gommalacca, Milano, Polygram,
Medievale, Invito al viaggio in Battiato, Fleurs. Esempi affini di scritture e
simili, Milano, Universal, La quiete dopo un addio, Personalità empirica, Il
cammino interminabile, Lontananze d'azzurro, Sarcofagia, Scherzo in minore, Il
potere del canto, Personalità empirica in Battiato, Ferro battuto, Milano,
Sony, Invasione di campo in Invasioni,
Come un sigillo in Battiato, Fleurs, Milano, Sony, Non dimenticar le mie parole
in Battiato, Perduto amor, Milano, Sony, voce (Shackleton, Accetta il
consiglio) in Battiato, Milano, Sony, Tra sesso e castità, Le aquile non volano
a stormi, Ermeneutica, Fortezza Bastiani, Odore di polvere da sparo, Conforto
alla vita, 23 coppie di cromosomi, Apparenza e realtà, La porta dello spavento
supremo) in Battiato, Dieci stratagemmi.
Attraversare il mare per ingannare il cielo, Milano, Sony, in Un soffio al
cuore di natura elettrica (registrazione audio e video di un concerto), Milano,
Sony, Il vuoto, I giorni della monotonia, Aspettando l'estate, Niente è come
sembra, Tiepido aprile, Io chi sono?, Stati di gioia e dell'adattamento in
italiano di Era l'inizio della primavera (da Tolstoj) in Battiato, Il vuoto,
Milano, Universal, Il movimento del
dare, Milano, Sony, testi (Tutto l'universo obbedisce all'amore, Del suo veloce
volo (da Antony Hegarthy, Frankenstein) in Battiato, Fleurs 2, Universal, testo
(Marie ti amiamo) in Consoli, Elettra, Milano, Universal, 'U cuntu in Battiato,
Il tutto è più della somma delle sue parti, Milano, Universal, testo (Non
conosco nessun Patrizio!) in Milva, Non conosco nessun Patrizio, Milano,
Universal, Facciamo finta che sia vero,
in Celentano, Facciamo finta che sia vero, Milano, Universal, Eri con me, in Alice, Samsara, Arecibo, Un
irresistibile richiamo, Testamento, Quand'ero giovane, Eri con me, Passacaglia,
La polvere del branco, Caliti junku, Aurora, Il serpente, Apriti sesamo, in
Battiato, Apriti sesamo, Milano, Universal,
Strani giorni, in Battiato, Milano, Polygram, Patty Pravo, Emma Bovary,
Milano, Sony, F, Battiato, Milano, Polygram, Il ballo del potere, Emma,
L'incantesimo in Battiato, Milano, Polygram, Sarcofagia, In trance) in
Battiato, Milano, Sony, testo in Battiato, Il vuoto, Milano, Universal,
Battiato feat. Consoli, Tutto l'universo obbedisce all'amore, Milano,
Universal, Battiato, Inneres Auge, Milano, Universal, Battiato, Passacaglia,
Milano, Universal; Il cavaliere dell'intelletto, i Palermo, testi e attore in
Kleist, Socrate impazzito Catania) testi e attore in Battiato, Fano, attore in
Stravinskij, L'histoire du soldat, inedito, Roma, libretto e voce, Corpi in movimento, La mer,
in Battiato, Campi magnetici. I numeri non si possono amare, Milano, Sony,
Firenze, voce, Volare è un'arte, Negli abissi, Pratica di mare, A tu per tu con
il Mig, Verso Bologna, Simulacro, in Pollina, Ultimo volo. Orazione civile per
Ustica, Bologna, Storie di Note, Bologna) attore Carlo Guarrera, Frammenti per
versi e voce, Catania, Battiato, TELESIO, Opera in due atti e un epilogo,
Milano, Sony, Cosenza, Alliata in
Battiato, Perduto amor, Giarre, L'Ottava, nobile senese, in Battiato,
Musikanten, Giarre, L'Ottava, Battiato, “Niente è come sembra” (Milano,
Bompiani); Intervento in Consoli, La verità sul caso del signor Ciprì e
Maresco, Zelig, intervento in Battiato, Auguri don Gesualdo, Milano,
Bompiani, intervento in Perrotta,
Sicilia di sabbia, Movie Factory,
intervento in Battiato, Attraversando il bardo. Sguardi sull'aldilà,
Milano, Bompiani, Videoclip attore in
Battiato, L'ombrello e la macchina da cucire, attore in Battiato, Di passaggio,
attore in Battiato, Strani giorni, attore in Battiato, Shock in my town, attore
in Battiato, Running against the grain, attore in Battiato, Bist du bei mir,
attore in Battiato, Ermeneutica, attore in Battiato, La porta dello spavento
supremo, attore in F. Battiato, Il vuoto, attore in Battiato, Inneres Auge,
Battiato, Niso, Comunità dello sguardo (Torino, Giappichelli); L. Ingaliso,
“Nell'antro del filosofo” (Catania, Prova d'Autore); Cantello, Uno scherzo mimetico che possa
introdurre ad una filosofia, Mas Club, L'ultimo chierico, Messina,
Mesogea, Caro misantropo. Saggi e
testimonianze Carulli Iannello, Napoli, La Scuola di Pitagora, Fazio,
Regressione suicida. Dell'abbandono disperato di Cioran, Barrafranca,
Bonfirraro, Breve invito all'opera,
Miccione, Caltagirone, Lettere da
Qalat, A. Carulli, Introduzione a S.,
Genova, Il Melangolo, Carulli, Necchi, La piccola verità. Quattro saggi
(Milano, Mimesis); Zavoli, Le ombre della sera in Di questo passo. Cinquecento
domande per capire dove andiamo, Torino, Nuova ERI, C. Rizzo, De consolatione
theologie in Iiritano, Quinzio. Profezie di un'esistenza, Soveria Mannelli,
Rubettino, Matteo, il dovere dell'empietà in Della fede dei laici. Il
cristianesimo di fronte alla mentalità postmoderna, Soveria Mannelli,
Rubettino, Lanuzza, Il filosofo insulare in Erranze in Sicilia (Napoli,
Guida); Aprile, Giù al sud. Perché i
terroni salveranno l'Italia, Segrate, Piemme, Risadelli, Nizza, Polisofia,
Roma, Nuova Cultura, Per la critica della notte. Saggio sul Tramonto
dell’Occidente (Milano, Mimesis); Arosio, Ora, il mondo in L'Espresso, Lanuzza,
Il pensiero ipocondriaco in Il Ponte, Bergfleth, Finis mundi, Corda, filosofo
irregolare in Arenaria, Raciti, Maestro cattivo per elezione in Ideazione,
Raffaele, Intorno alla creatività filosofica. A colloquio con in Parolalibera,
Nisio, l'unico che canta. Mille sguardi, II in Democrazia e diritto. Guerra e
individuo, Faletra, Dialogo, Cyberzone, Presutti, Il cavaliere dell'intelletto in Freetime.
Sicilia, Faletra, La pistola,
in//peppino impastato.com/ visualizza.asp Faletra, L'azzardo del
pensiero o il filosofo della crudeltà: Cyberzone Faletra, In ricordo,
Artribune, Tesi di laurea Fazio, Cioran e S.: un confront, Catania, Battiato
S.. Tra musica e filosofia, Palermo, L'impossibilità di essere consolati.
L'itinerario tragico, Genova, Filmografia G. Cionini, Il consolatore, Cionini,
Faletra, Bellone, Battiato su Storia della musica Repubblica, adesso il filosofo diventa
crooner Intervista a Battiato e S.
YouTube Intervista a S.: Il filosofo
rock che dà del “lei” a Battiato livesicilia |
l'ultima intervista "Teoria
della canzone", Bompiani, e la prefazione a "La filosofia delle
università", Adelphi, il ricordo commosso di Cacciari. Con lui incontro
straordinario, Il Fatto Quotidiano. A un tratto ci si accorge di quella cosa
che chiamiamo pensare”: Addio a S.. La sua ultima intervista. cfr. "De mundo pessimo",
"Frammenti di storia dell'empietismo", "Trattato
dell'empietà" Adelphi GAP Speciali. Un viaggio oltre il luogo
commune Rai Scuola Mariacatena De Leo e ;
Ingaliso, Nell'antro del filosofo: dialogo con Manlio Sgalambro (Prova
d'autore È morto Manlio Sgalambro, il filosofo di Battiato, radiomusik,
Battiato choc a Napoli. Sento la fine vicina, meglio cogliere il giorno. Il
filosofo che canta il nichilismo, Tesio, "In ginocchio davanti",
Tutto Libri, "La conoscenza del
peggio", Adelphi La scrittura
aforistica, La Recherche, Calcagno, Il
filosofo è uno spione da La Stampa, Battistini,
Sciascia addio, non servi più, Corriere della Sera, Formenti, Ferrarotti
accusa: neoreazionario in “Corriere della Sera”, Battiato: note per un filosofo (da La
Stampa). Così S. canta la sua filosofia
(da La Stampa Sito ufficiale, su S. altervista.org. Meta Brainz Foundation. Il
filosofo cantante maestro dell'ironia. Sono un uomo felice di stare su
quest'Isola, Repubblica, Incontro in Le conversazioni di Perelandra. Manlio
Sgalambro. Sgalambro. Keywords: Telesio, Vanini, Gentile, Ardigò, Croce,
Empedocle, Gorgia, Lentini, Rensi, la sofistica, Girgenti, filosofia
dell’autorita. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Sgalamabro," per il
Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Sgalambro
Luigi Speranza – GRICE
ITALO!; ossia, Grice e Siciliani: la ragione conversazionale e la critica della
filosofia zoologica e la psico-genia di Vico – la scuola di Galatina -- filosofia
pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Galatina).
Filosofo pugliese. Filosofo italiano. Galatina Lecce, Puglia. Studia a Otranto,
Lecce e Napoli, dalla quale fugge dopo essere stato segnalato alla polizia a
causa delle sue simpatie liberali. Si laurea a Pisa sotto STUDIATI, stringendo
inoltre un proficuo rapporto di collaborazione con PUCCINOTTI, che influsce
molto sua filosofia. Sringe rapporti di profonda amicizia con personalità
importanti e influenti della cultura, quali: CENTOFANTI, PACINI, CAPPONI, e
BUFFALINI. Seguendo la sua vocazione, orienta i propri studi verso le
discipline filosofiche e ottenne la cattedra di filosofia nel regio liceo di
Firenze. Iniziato in massoneria nella loggia fiorentina "La Concordia.”
Nominato professore di filosofia a Bologna. Divenne docente ordinario della
stessa disciplina sempre nell'Ateneo felsineo. A Bologna tenne anche un corso
di sociologia. Qui, inoltre, strinse amicizia con CARDUCCIi, anch'egli
accademico a Bologna ed entra in contatto con FIORENTINO e SPAVENTA. Dirige la
Rivista bolognese di scienze, lettere, arti e scuole. Ne abbandona la direzione
per divergenze maturate in seno alla direzine generate, probabilmente,
dall'impostazione eclettica che S. intende dare alla rivista e che contrastava
con l'indirizzo idealistico voluto da FIORENTINO. A Bologna istitue un centro
di studi pedagogici, contribuendo all'elevazione della pedagogia al rango di
scienza. Convinto assertore della valorizzazione della persona e perciò la sua
azione educativa, per giungere alla conquista della libertà e del carattere
morale da parte del soggetto da educare, prevedeva l'intervento della famiglia
e della società. Altro sua filosofia fondamentale e il principio
dell'autodidattica che, pur non escludendo l'azione dell'educatore, mette in
primo piano il protagonismo del soggetto da educare. Ricevette onoranze e
attestati di stima da parte di molti studiosi europei e americani, mentre in
Italia la sua fama fu oscurata da giudizi negativi, espressi anzitutto da Gentile
che vede in lui un'espressione benché autonoma del positivism. Di recente è
stata rivalutata l'influenza vichiana sul suo pensiero. A lui è dedicata la
biblioteca civica di Galatina, nella quale è conservato il "Fondo S."
la raccolta, cioè, dei libri appartenuti al filosofo. A lui è dedicato anche il
Liceo di Lecce. Di formazione giobertiana, si accosta a VICO, tentando di
inaugurare una filosofia mediana -- detta della terza via -- che individua una
sintesi tra opposte e differenti discipline. Dal suo punto di vista, infatti,
ogni filosofia contiene del buono e delle esagerazioni. Metodo della filosofia
mediana e dunque, quello di salvare ciò che c'è di buono della filosofia per
rigettarne le astrattezze e le esagerazioni. Con il saggio “Zoologia filosofica”
(Napoli) approde nel più ampio dibattito, ricevendo apprezzamenti e pareri
favorevoli dai più illustri scienziati internazionali. Nel frattempo approfonde
e da il suo contributo speculativo alle nuove discipline che muovano alla
ricerca di un'identità epistemologica: la sociologia (“Socialismo, darwinismo e
sociologia” (Bologna); “Teorie sociali e socialismo” (Firenze) e la psicologia
– “Prolegomeni alla psicogenia” (Bologna). SANCTIS confere a S. la presidenza
di congressi a Firenze, Venezia, Genova, Milano, e Roma. Queste esperienze lo
portano a un approfondimento sempre maggiore della filosofia alla quale
contribue a conferire un indirizzo scientifico, positivista e ampiamente laico
(v. le sue opere Rivoluzione e pedagogia moderna, La scienza nell'educazione).
“Filosofia della scienza” (Firenze); “Il metodo numerico e la statistica”
(Firenze); “Della legge storica” (Firenze); “Della libertà ed unità organica
della filosofia” (Firenze); “Della fisiologia sperimentale” (Pisa);” “Medicina
filosofica” (Firenze); “I principi metafisici di VICO” (Firenze); “Il
triumvirato: ALIGHIERI, GALILEI, E VICO” (Firenze); Ai popoli salentini e al
gonfalone di Galatina un saluto e un augurio (Firenze); “Il criterio
filosofico” (Bologna); Critica del positivismo (Bologna); Le fonti storiche
della filosofia positiva in Italia in GALILEI (Bologna) Gli hegeliani in Italia
(Bologna); La condanna del positivismo (Bologna); Della pedagogia
all’educazione in Italia (Bologna); L’educazione (Bologna); Sul rinnovamento
della filosofia in Italia (Firenze); “La scienza dell'educazione nelle scuole
italiane come antitesi alla pedagogia (Bologna); Dei massimi problemi della
pedagogia (Roma); Il sacro secondo i dettami della filosofia (Firenze);
L’nsegnamento della pedagogia (Torino); Della pedagogia scientifica (Milano);
Rivoluzione e pedagogia moderna (Torino); Storia critica delle teorie sociali
(Bologna); Fra vescovi e cardinali (Roma); Rivoluzione e pedagogia (Torino);
“L’educazione secondo i principi della sociologia” (Bologna); Rinnovamento e
filosofia internazionale (Bologna); La nuova biologia (Milano) Le questioni
contemporanee e la libertà morale nell'ordine giuridico (Bologna). CALOGERO,
Enciclopedia Italiana, Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori, Mimesis-Erasmo,
Milano-Roma, Gentile, Le origini della filosofia contemporanea in Italia.
Calogero. Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
Invitto e Paparella, “Ri-leggere S.” (Lecce); Capone Galatinesi illustri, Guida
Biografica, Galatina, Tor Graf Galatina, Carteggio familiar, Luceri, Centro
Studi Salentini, Lecce, P. S. e Pozzolini. Filosofia e Letteratura, Convegno
Galatina Treccani L'Enciclopedia italiana, Psicologia filosofica. SUL
RINNOVAMENTO DELLA FILOSOFIA POSITIVA IN ITALIA PROFESSORE DI FILOSOFIA NELLA
R. UNIVEBSITÀ DI BOLOGNA, QlX PB0FES80BE NEL B. LICEO DI FIBENZE, FIRENZE, G.
BARBÈRA, PRINTBD IN ITALY-;atana.Quest'opera è stata depositata al ministero
d'agricoltura, industria e commercio per godere i diritti accordati dalla logge
sulla proprietà letteraria. G. BarbI'.ra. !', (rcnuitifi TERENZIO MAMIANI DELLA
ROVERE (vedasi). Mio SiQsoR Conte. Ella è primo tra i moderni italiani a
tentare un rinnovamento della filosofia e a Lei pure spetta il vanto d' aver
continuMa e compiuta la nobile tradizione de' Galuppi, de Rosmini e de'
Giobertij della quale per fermo rimarranno durevoli tracce nella storia dd
pensiero nazionale. A chi dunque meglio che dUa, S. V. Potrei intitolare questo
mio saggio j il quale mira al fine medesimo cui Ella indirizza il suo primo
lavoro? Che se talora per quella libertà di giudizio alla quale Ella stessa
educa le nostre menti colle sue dotte scritture troverà contbaittUi in queste
pagine akuni jprincijpii da Lei propugnati non vorfà perciò reputare scemato
qud senso di schietta riverenza chcy come ai pochi sommi onde si onora U paese
nostro, le professano tutt^ i cid tori degli studi severi. Anzi novella prova
di questa larga tolleranza io m’èbbi testé, quando, colla squisita gentilezza
che in Lei è natura, Le piacque accettare V offerta di questa mia fatica. La
qualeio spero vorrà giudicare benignamente: al che mi conforta pure il ricordo
di certe argute parole ch^ Ella dicevami ima volta chiudendo un lungo
conversare circa le gravi divergenze delle diverse scuole filosofiche: «porro
unum necessarium ! coscienza e fervore nel lavoro: il resto verrà da sé. » Suo
deditissimo P. S. BiTiglìano presso Monte Senario In questo salutare
innovamento politico d'Italia cui assistiamo trepidanti, un saggio di
rinnovamento filosofico dovrebbe giugnere opportuno e gradito. Perocché se
tutti oggi andiamo ripetendo l'arguta frase d’AZEGLIO fatta ormai l’Italia,
Insogna far gl’taliani parmi sia d'uopo cercare di rifarci innanzi tutto
nell'intimo di nostra coscienza, nella radice, nella sorgente stessa d'ogni
umano e civil progresso, eh' è dire il pensiero filosofico. Andare a Roma,
grazie agl’eventi fortunati e al nostro buon diritto nazionale, non è stato
guari difficile, né sarà difficile, speriamo, potervi restare. Ma vi staremo
senza dubbio materialmente, se Roma, la vecchia Roma, il pensiero cattolico non
si verrà anch'esso riformando e svecchiando. La qual cosa certo conseguiremo
per gradi e colle arti che dovrebbe saperci dare la sapienza politica, civile e
amministrativa ; ma gioverà non dimenticar mai come l' espediente più
d'ogn'altro efficace e sicuro ad opera siffatta, sia per appunto una rinnovata
filosofia n bisogno di restaurar la filosofia surse di buon'ora neir animo
degl’italiani; il che parrebb'essere un d^' caratteri speciali della storia
della nostra speculazione, sino da quando gli scrittori del Rinascimento,
scosso il giogo della scolastica, mandavan fuori i lor libri col titolo De
PhilosophÙB renovatione. Né quindi è a meravigliare se cotal necessità sia
venuta crescendo sempre più nelP animo e nella mente nostra col succedersi
degli anni, tanto che a siffatta impresa nobilissima abbiam visto provarsi gV
ingegni più illuminati e fecondi: primo fra tutti, in questo secolo, il Mamiani
col Binnovamento della Filosofia antica italiana e, poco appresso, SERBATI col
Binnovamento della Filosofia in Italia; indi il Gioberti con la Introduzione
aUo studio dèlia Filosofia, con la quale mirava anch' egli ad una restaurazione
filosofica nel nostro paese; e, per ultimo, il professore Spaventa ha
procacciato volgere anch' egli al medesimo intento le sue dotte scritture, in
ispecie quella su la Filosofia dd Gioberti. Se non che rinnovare, pel filosofo
di Pesaro, altro non voleva dire se non restaurare certi principi! e richiamare
in vigore alcune industrie metodiche de' filosofi appartenenti, la massima
parte, all'età gloriosa del nostro Risorgimento. Talché, quando Rosmini gli
fece toccar con mano i pericoli ne' quali s' era messo mostrandogli come il
Binnovamento proposto da lui conducesse diritto ad una maniera di sensismo, e'
venne modificando siffattamente le dottrine propugnate nel suo primo libro, che
dopo trenta e più anni s' é studiato nelle Confessioni d'un Metafisico
d'inaugurare un novello Platonismo, siccome forma di filosofare acconcia air
indole della mente italiana. H Roveretano poi non solo mirò a restaurar cose
vecchie, ma volle produrre altresì qualcosa di nuovo. E pur nullameno, chi
guardi ben addentro ne' copiosi e disameni volumi che seppe darci quella mente
potentissima, tranne il • problema psicologico eh' ei giunse ad illustrare in
guisa davvero originale, ogn' altra cosa in lui parrebbe invecchiata e quasi
stantia. Della stessa menda riesce offesa la Introduzione di Gioberti. Che V
ardente e generoso autore del Primo^ intendeva svecchiare (come diceva,
gloriandosene, egli stesso) le idee cardinali di quattro o cinque filosofi
cristiani, il cui sussidio e autorità invocava quasi ad ogni voltar di pagina.
Non parlo qui del rinnovamento eh' e' veniva meditando nella protologia: nella
quale senza dubbio avremmo avuto germi fecondissimi di vera e solida
ristorazione filosofica, se a queir ingegno privilegiato e supremamente
italiano fosse stato pur conceduto imprimere valore diffinitivo, forma netta e
coerente, alle diverse dottrine che con ansia febbrile andava saggiando e
trasmutandosele in sangue. Per contrario SPAVENTA, del quale abbiamo in
grandissimo pregio l'ingegno e l'amicizia, intese dare anch' egli nuovo
indirizzo al pensiero italiano, ma battendo ben altra via; la via
dell'Idealismo assoluto. E studiossi d'inserirci nell'animo e nella mente i
principii dell' Hegelianismo, per due ragioni: sì perchè egli pensa esser
questo il vero e compiuto sistema di speculazione, almeno secondo che viene
interpretato da lui; e sì perchè gli è parso d'averne rintracciato i germi in
certi nostri filosofi a cominciare dal Telesio, per esempio, fino a Gioberti.
Fer noi rinnovare non vuol dir solamente richiamare, instaurare, svegliar dalP
antico, né solamente importare dal di fiiora; che sì nelF un caso come nelr
altro il rinnovamento, anziché naturale, spontaneo, autonomo, storico,
riescirebbe artifiziale, imposto, incosciente e, dirò quasi, meccanico. Vuol
dire bensì far da noi: far da noi con elementi che ci appartengano, ma tali che
serbino (ciò che più monta) ^virtù d' originalità e di verace modernità. Vuol
dire » insomma esplicare; né si può esplicare senza correggere, compiere,
inverare. Avremo sbagliato strada anche noi? Potrebb' essere! Non saremmo i
primi, e, certo, neanche gli ultimi. In qualunque modo . ci sembra che, pure
sbagliando, noi non resteremo troppo indietro fra le mummie, né avremo corso
tropp' oltre col pericolo di fiac \ card '1 collo. So ben io che i Positivisti
fan presto; ad innovar la filosofia radiandola addirittura da' libri ^ e
dandole il ben servito dalle nostre scuole grandi e mezzane, quasi fosse un
trattato di teologia dommatica. Ma costoro avrebber fatto i conti senza Toste.
£ r oste in tal caso é lo stesso pensiero, anzi la mente stessa, dalla quale per
nostra fortuna mai non riesciranno a sradicare il profondo e sempre più acuto
bisogno del filosofare: senza dir già che, s' ei riescissero ne' loro intenti,
scambio di sciogliere V intricato nodo, altro non avrebber fatto che tagliarlo
di netto; e che potessero giugnere a tagliarlo con sicurezza ninno il crederà,
pensando come la spada eh' e' ci brandiscon sul viso non par che somigli quella
del gran discepolo d'Aristotele! Accennato il carattere generale ed il
proposito del mio saggio, toccherò della sua forma e del suo disegno. Mi si
potrà chiedere: È egli cotesto vostro saggio un lavoro di genere critico,
storico, monografico, ovvero dommatico? A parlar proprio non è nulla di tutto
questo. Un lavoro d' indole dommatica, per solito, dee racchiuder l'esigenza
d'un sistema nuovo, d'una dottrina originale, se pur non voglia esser vana
ripetizione ed increscevole imitazione del passato. Ora un novello) sistema
filosofico oggi sarebbe impresa da muovere a riso, od a pietà. Sono ormai
ventidue secoli, e noi, tardi nepoti, ci andiamo pur sempre aggirando, ivi
sostanza, fra il Platonismo, e l'Aristotelismo. La qual cosa non recherà
maraviglia a chi consideri bene la storia del pensiero filosofico, nella quale,
volta e gira, non si può esser che con l' uno o con l' altro sistema, ovvero
fra l' uno e l' altro, e però con tutt' e due, se pur non vogliamo smarrirci
inevitabilmente e miseramente in una forma di scetticismo, o di nullismo. Ai di
nostri, dunque, un nuovo sistema filosofico p^rmi utopia, sogno e, stavo per dire,
ciarlatanismo. L’ingegno filosofico oggi deve assumer valore di funzione
critica rintegrativa, nella quale si faccia luogo alla concorde attività di due
forze, la storia e'1 pensiero, che vuol dire il fatto e'1 da fare. La
monografia poi, o è d'indole semplicemente storica e obbiettiva, ovvero d'
indole critica. Se storica obbiettiva, ella avrebbe a essere, dirò così, un
fedel ritratto, una perfetta immagine della mente d'un filosofo, 0 di tutta una
scuola di filosofi. Or cotesto immagini e ritratti, se da una parte tornano
inutili e infruttuosi stantechè non facciano che ripeter sott' altra forma cose
che potremmo leggere nella stessa lor fonte, dalP altra mi paion quasi
impossibili, perchè è impossibile penetrar davvero nelle intime viscere del
pensiero altrui, e farai dentro alle occulte pieghe della mente d'un filosofo.
H notissimo detto di Kant si può e devesi applicare anche qui: quidqtUd
recipUur, ad modum recipietUis recipitur. Che se poi la monografia è di genere
critico, ella riesce assai pericolosa; perchè trattandosi d'interpretare, è pur
facilissimo affibbiare agli altri quel che invece frulla nel capo nostro; nel
qual vizio intoppano, com' è noto, gli Hegeliani, sì per la natura stessa del
loro metodo, e sì per le secreto esigenze del loro sistema. Da ultimo, un
lavoro di genere puramente istorico oggi non dovrebb' essere impresa molto
ardua fra tanti libri storici che ci piovon da tutte le parti. Basta sposare un
sistema, una dottrina da farla servire qual criterio giudicativo; basterà un po'
d' acume critico, un po' di tedesco per le citazioni obbligate a pie di pagina,
e poi molta e molta dose di pazienza e di sgobbo per raccogliere e adunar
notizie e teoriche da farle servire al criterio giudicativo che ci torna
comodo. Per me l'ideale d'un buon libro, l'ideale d'un libro serio, coscenzioso
e positivo di genere filosofico, oggi dovrebb' essere, diciamo così, una
sintesi di tutt' e quattro cotesti aspetti o condizioni le quali, guardate
disgiuntamente e solitariamente, si palesan manchevoli tutte e difettose. Ha da
essere perciò, nel medesimo tempo, monografico, isterico, critico, e anche
dommatico sino a certo segno. Cotesto ideale (negozio non molto agevole, come
sanno coloro che se ne intendono e che possiedono quel che dicesi gusto de^ lavori
filosofici), non può essere un ricamo sovra una stoffa altrui, e neanche un
parto assoluto del nostro cervello; sibbene ha da essere il risultamento di due
forze combinate, come dicevo poco fa; ciò è dire della mente di chi scrive, e
di chi per avventura possa più spiccatamente rappresentare il corso
tradizionale della scienza. A questo sol patto sarà dato pervenire al connubio
fra la teorica e '1 fatto, tra la scienza e la storia della scienza, portandole
entrambe ad un fiato^ come direbbe il filosofo nel quale io amo attingere
ispirazioni. Laonde chi volesse oggi filosofare con coscienza, dovrebbe saper
costruire, come dicon gli Hegeliani (e qui dicon benissimo); ma dovrebbe co ^
struire senza tradire, che è per V appunto il gran guaio della critica hegeliana.
Questa grave difficoltà parmi d' averla superata, s' io molto non m' illudo, E
mi pare d' averla superata, perchè il mio libro è come la sintesi e vorre' dir
la fusione razionale e organica de' quattro aspetti quassù rammentati; e tal
sarebbe la novità Cquant' al disegno e alla forma del lavoro) alla quale vorrei
pretendere, se avessi coscienza d' aver raggiunto lo scopo. Cotesto scopo, lo
veggo da me, io non ho potuto raggiugnerlo, perchè ho dovuto costringere e
rannicchiare il mio pensiero entro un dato numero di pagine, affogando in nota
molte e molte cose alle quali avre' voluto pur dare ben altro svolgimento e
fisonomia. Però chiedo un po' di compatimento quant'al modo col quale ho
incarnato il disegno, ma domando severità di giudizio quant' alle idee. Le
quali, meditate da me per tempo non breve, sento di poter difendere contro chi
vorrà farmi l’onore d' una critica non leggiera, non velenosa, non da scuola,
né da sacristia (alla quale non saprei rispondere, né risponderò), ma d'una
critica seria, onesta, profittevole. Il Gioberti scrisse che il critico onesto
e coI scienzioso deve durar la metà della fatica spesa dall' autore nel
meditare e scrivere un' opera di scienza. |Leibnitz andava molto più in là, e
richiedeva da'lettori quasi '1 medesimo lavoro sostenuto dallo scrittore. Io
non pretendo, né davvero posso pretender l' una cosa, né r altra: ma certo
potrò desiderare che, chi voglia giudicarmi con qualche serietà, debba leggere
e (se oggi non fosse troppo) meditare un po' le cose ch'io dico. 11 che ho
voluto qui avvertire, perché, se può dubitarsi che in politica esistano le cosi
dette consorterie, certo é che tra' filosofi cominciano a far capolino certe
fratellanze le quali giudicano d' un lavoro a priori, guardando solo al titolo
e al nome dell'autore. Dio ci liberi dalle fratellanze filosofiche! Esse per
me, a dirla schietta, sono altrettante Compagnie di Gesù negli ordini del
pensiero e della libera speculazione metafisica. Questo mio saggio, e l' altro
che terrà dietro su' principi della Sociologia^ non é l' espressione di nessun
partito, di nessuna setta, di nessuna scuola. Non é frutto di speculazioni e
ricerche passionate, perche io non mi sento schiavo di nessuna scuola, servo di
nessun nome, né milito sotto nessuna bandiera più 0 meno germanica, italica o
francese che sia. \Baiùmem, quo ea me cumgue ducete sequar: ecco tutto. Neanche
sarebbe una di quelle novità sbalorditole alle quali siamo avvezzi da dieci
anni a questa parte. Esso anzi è la più modesta cosa del mondo: che per quanto
il titolo paia ardito, non sarà tale per chi ripensi, come la sostanza delle
dottrine eh' io propugno non mi appartenga in modo assoluto. S'altri mi darà
dell' ecclettico, risponderò d'esser tale precisamente, ma nel profondo
significato che costumava dare il Leibnitz a questa usata e abusata parola. E
se qualcuno poi trovasse, che questa o cotesta dottrina alla quale verrò
accennando non sia propriamente dell' autore eh' io dico d' ormeggiare nel
metodo e Dell'indirizzo filosofico, tanto meglio per me. Rispondo come in un
caso simile rispose egli medesimo a certi suoi avversari: Che se finalmente non
volete » ricevere questa sentenza come di Zcìione^ mi dispiace » di darlavi
come mia; ma pur la vi darò sola, e B non assistita da nomi grandi. » € Le cose
fuori del loro stato naturale non dnrano né s' adagiano. » Vico. Non intendo
scrivere la storia, e tanto meno far la crìtica minuta del Positivismo;
indirizzo che, come ognun sa, non senza buon§ e diverse ragioni invade oggi e
pervadeTa mente di molti filosofi, di scienziati, di storici e scrittori d'ogni
maniera. Altra volta m'avvenne d'accennare alla parte debole di cotesto,
diciamolo pure, sistema filosofico. E allora parvemi, fra 1' altro, di provar
questo: che il Positivismo, secondo il concetto che se ne sono formati
segnatamente i Francesi, non pur mancava di storia, ma non può averne avuta di
nessuna sorta.* Oggi poi dovrò intrattenermi a ragionare su le dir. verse forme
che il Positivismo ha preso e può prendere in avvenire, giacché ormai comincia ad
avere anch'egli una storia, per brevissima che sia, da raccontare; e [quindi
rilevare certa parentela ch'egli ha con l'Hege'lianismo. Nel quale riscontro
probabilmente meriterò anch' io, dall' alto giudicatorio su cui siedon gli
Hegeliani, la solita commiserevole sentenza che, com'è pur [Vedi Critica del
Positivismo, Bologna, Monti]. 5ICILUM. 1 troppo noto, suona così: Pover'uomo,
non ne capisce niente di niente; non Im dramma di potenza speculativa, ne
briciolo di nerbo dialettico! Mostrerò, da ultimo, se . una vera forma di
Positivismo, ch'io chiamerò Filosofia Positiva italiana, sia per avventura
i)ossibile; e] in qual maniera si possa, mercè sua, pervenire a corregger r uno
e compiere l’altro de' due sistemi suddetti, accogliendo quelle parti veramente
pregevoli che in essi certamente non mancano. Comecché il Positivismo non sia
ne voglia essere un sistema, pure quant' all' origine psicologica, per così
dirla, non mi sembra eh' e' s'abbia a distinguere gran fatto dagli altri
sistemi filosofici. La ragione immediata del suo apparire parmi risegga nell'
esigenza di contrapporsi ad una forma contraria di filosofare creduta affatto
erronea; e questo filosofare in tal caso è il dommatismo metafisico. (IJom' è
chiaro, cotesta in sostanza è l'origine stessa dello scetticismo, secondo che
c'insegna tutta una storia di ventidue secoli, ne' quali affermazioni risolute
souosi contrapposte a risolute e persistenti negazioni. Il Positivista,
infatti, reputa inconcludente ogni speculazione! trascendentale. Positivismo
quindi vuol dire esigenza! della prova, esigenza, bisogno della dimostrazione;
maC della prova di fatto, della dimostrazione sperimentale. Se non che, a
guardarci bene, lo stesso Positivismo manifesta già senz'addarsene un bisogno
filosofico, una tendenza speculativa, un'attività trascendente là dove, per
dirne una, procaccia di raggiungere la così detta complessità crescente nel
coordinamento de' fatti, e nel volere imprimere forma gerarchica all'insieme
delle particolari discipline. Col che non intendo dire che il Positivismo sìa
già una metafisica; ma è per lo meno una metafisica incosciente, come un
illustre scrittore francese, non senza cert' aria di meritato rimprovero, ha
detto al Littré. Per la qual cosa paimi, che il Positivista contraddica*^ apertamente
a sé stesso quando vien su gonfio e pettoruto a dichiarar guerra sino all'
ultimo sangue contro a ogni maniera d'indagini metafisiche; tanto che la
tendenza de' Positivisti a filosofare, tendenza del resto naturalissima e
necessaria, diventerebbe atto, facoltà, vo'dire diventerebbe metafisica vera,
quando potesse avverarsi una condizione. Mi spiego subito. Io non credo
offendere anima viva osservando che fra' Positivisti irancesi sia un bel po'
difficile trovare un solo che abbia studiato con amore, per esempio, la Ragion
Pura di Kant, segnatamente la Critica dd giudizio: difficilissimo poi ritrovare
uno solo, fra'Positivisti italiani militanti ^ sotto le bandiere del Comte o
meglio del Littré, che con pari amore e spassionatezza d' animo abbia letto,
per esempio, il Nuovo Saggio di SERBATI. Prescindendo dalle mende svariate di
che non va esente il Criticismo e nemmanco il metodo psicologico rosminiano, io
non so persuadermi come, dopo aver letto e inteso a dovere lei due scritture
mentovate, si possa essere o dirsi Positivi vista, secondo il concetto volgare
che di questa parola ci ha dato e ci dà oggi chi piti ne parla. Se non che
nessuno immagini eh' io qui intenda far \ un fascio del Positivismo Francese,
del Positivismo In \ glese e, se vogliamo, anche del Positivismo Germanico; 1
benché quest'ultimo, assumendo sempre più forma di schietto e nuovo e ardito
materialismo, mostri esser già un sistema beli' e buono, checché se ne sia
detto o voglia dirsene in contrario. Ma di questo, fra poco. Quant' all' altre
due forme di Positivismo, ninno sarà che ' ignori le polemiche tanto gravi,
pacate, esemplarmente ' serene fra Mill e Littré avvenute or fa un anno. \ E
molti conosceranno le obbiezioni che quel robusto ingegno di Herbert Spencer ha
saputo muover contro certe dottrine del Comte. Chi abbia vaghezza poi di sapere
qual sia il carattere e il resultato di queste due maniere di Positivismo,
potrà innanzi tutto guardare alla forma, al fine, persino al titolo delle opere
nelle quali tale dottrina è insegnata e propugnata. Così, mentre Stuart Min ha
fatto una logica, o, a dir meglio, un ft Sistema di Logica, che potrebbe
riguardarsi addirittura \ come un contr' altare al sistema della logica
hegeliana;; il Comte, almeno nei primi volumi delle sue opere, ci ha lasciato
(chiedo perdono a tutti gV iddii della Senna) una specie di rassegna, ma di
rassegna ragionata, giudiziosa e, dicasi pure, ingegnosa, delle particolari
discipliiie, massime di quelle che a lui tormivan più familiari. Ho detto nei
primi volumi, perchè nelle opere posteriori, com' è noto, desiderando compier V
edifizio, egli ammannì un sistema di politica, un sistema di religione e d'
educazione, un sistema di morale positiva, e financo d'igiene: morale senza
principio, se pur non vogliamo appellare così certa regola di condotta eh' egli
espresse con quella brutta parola d' Altruismo: religione senza Dio, se pur non
vogliamo piegare il ginocchio e dar incenso a quella divinità chiamata il
Grand*Essere; intomo alla quale, com'è noto, il fondatore del Positivismo
francese finì per fantasticare alla maniera de' neoplatonici Alessandrini e del
FICINO. Checche ne sia, può dirsi ch'egli predicasse bene quant'a metodo, ma
razzolasse male quant'a sistema, perchè affermava, anzi esagerava nella pratica
ciò che sdegnava e risolutamente negava nella teoria e nell'ordine speculativo;
intendo il concetto dell' unità o Sistematismo nd sapere, secondo il suo
linguaggio. Da questo primo riscontro, che diremo esteriore perchè riflette la
forma generale delle opere e un po' anche il valore del metodo ne' due
filosofi, si può ai^omentare che Mill guardi la scienza sotto l'aspetto
subbiettivo, cioè come una serie di concetti, mostrando così d'aver piena
fiducia in una logipit che sia atta a risolvere un problema distinto sì cJaT
problemi e sì dal soggetto in che versano le speciali discipline/ Esiste
infatti, egli dice, una conoscerla scientifica déWuomo in quanfè un essere
intéUettude, morale e sodale, e quindi una dottrina delie cognidom détta
coscienza umana.* Agli occhi del Comte, per contrario, non esiste logica tranne
che intrinsecata con la natura stessa di ciascuna scienza. Se volete conoscere,
per esempio, la logica della chimica (egli dice), studiate la chimica. Ecco la
scienza sotto r aspetto puramente ed empiricamente obbiettivo; in quanto che
considera le cose in sé, e solamente come oggetti. Tal difiFerenza, com' è
evidente, non è lieve, massime quando tengasi conto de' risultati. Il risultato
cui giugno il Positivismo inglese è questo: la} metafisica esser possibile, ma
solo come ricerca logica,! come investigazione e analisi di concetti. Il che,
s' è| pregio nella logica del Mill per la fede eh' e' ripone nelle forze del
pensiero, è auche il suo difetto massimo, stante che siffattamente ei chiudesi
tutto nel formalismo logico, secondo che altrove mostrai.' So che il Mill se ne
vuol difendere, facendo vedere qual divario corra fra la logica formale e
quella eh' e' dice logica della verità. Ma la pecca di nominalista in lui è
chiara. Ed è chiara per chi abbia convenevolmente considerato quelle quattro
teoriche, nelle quali il filosofo inglese vuol darsi addirittura per
innovatore: intendo ' le dottrine della dimostrazione, della definizione, degli
assiomi e della induzione. In tutto questo egli è per* Vedi Stuart Mill, A.
Comte et U Pontivitme, Paris. Vedi la Ont, del Po9ÌHv. innanzi citata, VI, pag.
19. fetto Baconiano, checché ne dica egli stesso. Perocché, se la inente
ne'suoi concetti, secondo questo filosofo, è superiore ai fatti; non però cessa
d'essere un artifizio, logico, un artifizio psicologico, un intreccio a cui
nulla; d' obbiettivo potrà mai rispondere. E di qua proviene i poi un' altra
conseguenza, eh' è questa. Se nella logica la posizione di Mill riesce
evidentemente unilaterale e subbiettiva, è pur d' uopo eh' ella si manifesti
impotente anche nella scienza storica, eh' è dire nell'organamento ^ razionale
de'fatti storici. Ora se il metodo positivo giunge a legittimar 1' analisi de'
concetti e la critica delle idee, non bisognerà dire che, come esigenza
critica, ei contraddica a sé medesimo quando dichiara di non potere in alcun
modo studiare idee e concetti nell'obbiettivo lor significato? E donde questa
impotenza? Dalla natura stessa della mente, si può rispondere. Ma, s'egli è
così, la possibilità della scienza si traduce in impossibilità vera. Che poi
questo non sia e non possa essere, ne porge guarentigia sicura il processo
istorioo delle scienze tutte, e l' incessante progresso ond' elle ci dan prove
luminose. La ricerca in senso obbiettivo, adun-? que, è possibile; dove che per
Mill è addirittura impossibile. Questa è la parte debole del Positivismo
inglese.; L' errore opposto è il Jifetto del Positivismo francese. Se per Mill
psicologia e logica sono scienze che s' alimentano di sé medesime; per il
positivista francese, al contrario, elle non sono che appendici della biologia,
al modo stesso che la sociologia é come un allargamento della storia, ciò é
dire una generalizzazione del fatto istorico, ma del fatto verificato mercè la
deduzione delle leggi della natura umana. Qui, ripetiamo, la differenza è
profonda. La scienza della civil società, secondo il' Positivismo inglese, pone
radice nella così detta Etologia, li' Etologia è la vera scienza dell'uomo,
egli dice. . Essa è una generalizzazione non già verificata, ma sì
primiti/vamente suggerita dalla deduzione détte leggi della natura umana.^ Ora
la funzione deduttiva, nel Positivismo inglese, non è operazione immediata, non
è operazione secondaria alla induzione, com' è nel Positivismo francese, ma è
funzione a priori, è funzione i cui risultati vonn' esser giustificati con T
osservazione, e con la scrupolosa ricerca delle leggi empiriche. Brevemente,
dunque: pregio singolare del Positivismo inglase è il metodo deduttivo-concreto
(per usar la frase di Mill) applicato alle scienze morali in generale. Questo
metodo è costituito di due processi che si svolgono, per così dire, di fronte;
non già di due parti d' un medesimo processo, l’ una delle quali sia
conseguente all' altra, com' è per i Francesi positivisti. Per tal prerogativa
massimamente parmi che il Positivismo di Mill mostri accostarsi all' indole
della filosofia nostrana, e molto allontanarsi dal baconianismo alla maniera
che questo metodo s'intende da'più.* Carattere e pregio poi del Positivismo
francese, parmi stia nel credere alla j)ossibilità d'una filosofia come
risultato di tutto quanto il sapere umano, e quindi nel porre come inevitabile
o sua condizione la necessità della storia. L'indagine storica, il metodo di
filiazione: ecco il distintivo del Comtismo, eh' è anco il massimo suo pregio.'
Contro Comtismo è facile muovere la medesima difficoltà, quantunque in senso
contrario, mossa testé contro Mill. Se infatti è possibile una ricerca e una
critica storica; perchè non sarà possibile una ricerca logica, una critica dei
concetti, come tali? Perchè dunque negare una logica e una psicologia supef *
Vedi Mill, Sy^time de Logique. Vedi CoMTB, Pha. Pontive. Voi. V, Lez. 48".
. riore alla storia? Se non che delle due maniere di Positivismo, quella de'
Francesi va piii facilmente soggetta a contradizione; la qual cosa tiene alla
doppia origine storica per cui si distingue cotesto sistema. Parecchi scrittori
francesi infatti hanno avvertito, che ove il Comte parla di natura e di scienze
fisiche, è decisamente sensista, materialista e nominalista; mentre che ove
parla di filosofia politica e storica si mostra panteista, ma senza dar prova
di quella speculazione ingegnosa, di quella mirabile unità razionale, cui sanno
poggiare, bene o male che sia, i Panteisti moderni.' Donde tal contraddizione?
Dall'essere il Comte, } per una parte, figlio del Sensismo francese; dall'
altra ì poi figlio del Sansimonismo, che, com' è noto, è forma j grossolana di
panteismo. Per questa doppia tendenza | i Positivisti di Francia non possono
salvarsi dal cadere j nelle conseguenze d' uno de' due sistemi: materialismo, 0
panteismo. So eh' e' fan presto a difendersi dall'una taccia come dall' altra.
Ma la logica vale qualcosa più delle parole e delle calde proteste. E veramente
checché se ne possa dire, uno degli scrittori poco fa citati ha fatto toccar
con mano al Littré, che inevitabile resultato del Positivismo è il
materialismo.* E d'altra parte sappiamo, come tutti i Positivisti oggi, e
propria ' mente i Comtisti, faccian causa comune con que' della \ sinistra
hegeliana, co' quali hanno intimo legame, se-l condo che mostreremo. Ho detto
come per ragion d'origine al Positivismo francese tomi più facile inciampar
nelle contraddizioni. Ne poi^o qualche esempio. Non si vuol sapere nulla di
cause finali! Ma non è forse il medesimo Lit[Vedi Rbkocttibb, Annuairephìl Q
nell^altro . VaohbBOT, Metaphi9iq\w potive. ; Trattenim. Jakbt, Onte phiL *
Vedi Janbt] tré quegli che, mentre grida contro il principio della finalità, lo
afferma là ove dice, per esempio, l'essenza stessa della materia oi^anizzata
esser la causa prima della finalità? Eccoci in pieno materialismo, e in pieno
sistema; tutto che i Positivisti non vogliano esser detti né materialisti, né
sistematici. Ancora, io domando: se per domma del metodo positivo nulla è da
accettare che non sia guarentito immediatamente o mediatamente da' fatti;
perchè, al di là de^ fenomeni e dell' esperienza e delle leggi che se ne
traggono, voler credere in un obbietto il quale, per inconoscibile che sia, é
sempre un' affermazione della ragione? Domando: è egli atto di metodo positivo,
di critica, di ricerca, il parlare di certo grande oceano qui vieni battre
notre rive, et pour lequd nous n'avons ni barque, ni voiles, mais doni la dcdre
vision est aussi sahUaire que formUàble? È egli atto di Posh tivismo e di
ricerca che sdegni qualunque spiraglio di soprassensibile e di soprannaturale,
parlarci così d'un Infinito, comecché non se ne riconoscano tutti quelli air
tributi che il fanno tale? E se ponete la possibilità di conoscere cotesto
vostro inconoscibile per il quale dite di non aver barca né vele che bastino,
ma la cui cMaroi visione é pur tanto sàkiiare al pensiero; in che maniera non
accorgervi come tutta la storia della filosofia non altro sia stata per tutt'i
secoli scorsi fuorché una serie di risposte, per così dire, a cotesta medesima
domanda che neanche voi dite illegittima, né strana? Sarann'elle erronee tali
risposte: ne potrò convenire. Ma saran tutte errori da farne proprio tavola
rasa? Da siffatte considerazioni ci é dato trarre una conseguenza. Nel
Positivismo oggi avverasi una legge; quella legge che accompagna sempre ogni
novello indirizzo nella filosofia, eh' é dire l' opposizione nel seno % stesso
del sistema. Ecco una ragione di più per dichiarare, che dunque il Positivismo
è un sistema come tutti, gli altri ! La cagione profonda, dice il Littré, che
divide / Comte da Mill, è il punto di vista psicologico e logico nel quale s'è
messo il filosofo inglese, e la definizione reale, obbiettiva, non già formale
né psicologica, con che si presenta la scienza nel filosofo francese.^ Ora se
il Positivismo inglese è principalmente un formalismo logico, e il Positivismo
francese è essenzialmente un empirismo ! storico; ne viene di conseguenza che,
in virtiì della stessa critica positiva, noi dobbiamo riconoscer legit-^ tima
una terza forma di Positivismo, la quale sappia sebi Vedi Op. di Vico, ediz.
Predar!, pag. 762. Vedi Risposta a FINETTI] cosmologici sparsi nel LS}ro
Metafisico, e in questi attingere forza a meglio interpretare e propugnare le
applicazioni fatte dal Vico nella Sdenisa Nuova. La contraddizione, dunque,
passata dal maestro al discepolo * e il non aver saputo cogliere il principio
cosmologico del Vico, fece sì che tale polemica, nel modo ch'era sostenuta da
DUNI, apparisse inefficace e manchevole. Debole e manchevole infatti ci sembra
questa maniera di ragionare: « Voi vorreste che i primi fondatori delle nazioni
fossero stati dotati d' innocenza di costumi. Ma, caro signor censore, come
potete voi spiegare le origini dell’idolatria, la barbarie, l’immanità negli
usi delle orride loro religioni piene di duro materialismo? Come l'immanità
delie loro leggi e costumi, le cui religioni si sono per lungo tempo conservate
finanche nei tempi della maggior loro cultura, per qui tacere le origini delle
lingue, delle poesie, della frode e cose simili? Come finalmente i progressi di
tali nazioni di cui ne abbiamo le memorie troppo sicure, e non soggette alla
minime dubbiezze? Ma, giacché i monumenti e la storia degli antichissimi e de'
presenti barbari popoli sono per voi sogni, favole e delirii, perchè non ci
dite con quali altri principii, origini e progressi di cose umane debbasi
ragionare di questo mondo, degli uomini, deUe nazioni, delle tante umane
istituzioni, delle origini e progressi delle umane industrie nelle colture
delle cognizioni,alle tante maravigliose invenzioni, nei governi e polizia de'
popoli ed in tante altre maraviglie che osserviamo nel gran teatro di questo mondo
degli uomini? Come non sapete che i costumi e le leggi umane debbano
necessariamente trarre loro origine e progressi daUe idee degli stessi uomini?
Come potete negare il vario corso di tali costumi, che di grado in grado
spogliandosi del materialismo, li troviamo di fatto più puri nell' età avanzata
che nella fanciullezza di tutte le nazioni.* Io non dico che tutto ciò non sia
vero: dico * Vedi Risp. a FINETTI che DUNI, a difendere invittamente la
sentenza del suo maestro, avrebbe dovuto movere dai principii cosmologici e
psicologici, i cui germi non mancano certamente nelle opere di Vico. Gasuista
acutissimo, quanto insolente, il Finetti sorrideva a sentir elogiare e
difendere questa dottrina della Scienza Nuova; e tutto pieno d'entusiasmo
religioso rispondeva con XXIII obbiezioni cavate dai libri santi.' Quindi
esclamava: Dottrine veramente altissime ! religiosissimi e ammirevoli
pensamenti ! Tra le varie cose onde pretende il Vico di far grandemente
spiccare la divina Provvidenza, una è quel capriccioso di lui corso delle
nazioni sulle regole, diciam così, del trel II Duni andrà in estasi a tal
pensamento; e pure a me è soggetto da ridere, spezialmente quando si pretende
con à costante ternario di far spiccare la divina Provvidenza ; essendo chiaro
eh' ella rìsplende nella grandezza ed importanza de' fini e nella idoneità e
giusta proporzione dei mezzi, e non già nel far correre le nazioni pe' numeri
di tre o quattro. Un tale giuoco non sembra certamente degno dell' infinita
sapienza di Dio. » E altrove, allargando la sua critica, aggiunge: « La maniera
di filosofare inventata dal Vico è tale, che può porgere delle armi per
oppugnare la Religione. e non poco corredo a chi voglia farne uso per impugnare
e mettere in dubbio la Sacra Scrittura e la divina rivelazione....; » tanto che
paragonandolo al Boulanger, uno. degl'increduli de suoi tempi (com' egli stesso
nota), non dubita porre a riscontro le dottrine dell'uno con quelle dell'altro
per otto diflferenti capi. Com' è chiaro, FINETTI non ebbe tutt' i torti se gli
venne in grave sospetto la Scienza Nuova. Avea torto bensì nel confondere, come
ROMANO, tale dottrina del Vico difesa da DUNI, con quella de' filosofi francesi
Vedi Sommario delle oppoeizioni del Sietema Ferino di Vico alla Sacra SeriUura,
de' suoi tempi. Ed è a confessare che questo medesimo torto hann' avuto di poi
parecchi altri critici, anche viventi, laddove parlano della dottrina su lo
stato ferino propugnata nella Sdeiiza Nuova» Avvertiamo una volta per sempre
che lo stato di natura di Vico noa ci ha che vedere con quello de'
giusnaturalisti. E tornando a FINETTI, a meglio capire la maniera della sua
critica, nonché il carattere delle sue opposizioni, giova qui rammentare certe
parole, da lui stesso riferite con aria di trionfo, d'un personaggio"^
napoletano. Il quale, stato già scolare per più anni di Vico, raccontava come
il suo maestro in Napoli fosse ritenuto per uomo veramente dotto, ma che poi
fosse stimato pwsfjso a cagione delle sue stravaganti opinionL Finetti si degna
dirci d' aver chiesto a quel gentiluomo partenopeo se quando Vico scrisse la
Scienjsa Nuova fosse dotto, 0 non più veramente pazzo. ediz. Siena] ligente fu,
al pari di DUNI, PAGANO, di cui il solo nome è ricordo pietoso ad ogni anima
gentile e aperta ai sensi di libertà. Come in DUNI, così pure in PAGANO le idee
vichiane leggiamo esposte con chiarezza e facilità, ma anche con troppa
imitazione; che anzi è da confessare come in lui faccian difetto alcuni pregi
di DUNI, per esempio là dove pone questi principii: che lo stato della
primitiva barbarie non fosse generale ; che la gelosia, piuttosto che un certo
vago senso religioso, spingesse l’uomo al matrimonio; e che tra la barbarie
originaria e la barbarie medievale Vico non iscorgesse divario di sorta: il che
a noi non sembra punto vero. Ma grave errore di PAGANO è quello di volere
interpretare la storia in un senso troppo fisiologico; e questo tiene alla
efficacia che nella sua, mente esercitò la filosofia francese di quell'età. E
alla stessa cagione forse è da riferire s' ei non seppe vedere come il processo
storico non sia . né possa essere unilaterale, ma complesso, organico, dovendo
abbracciar tutte le manifestazioni e tutti gli elementi d' una data storia e
civiltà. Per le quali cose non possiamo accettare la sentenza ond' altri ha
pronunziato, che i Saggi del PAGANO siano la interpretp,zione più fedele della
Sciema Nuova: tanto piii che il Pagano, intendendo in maniera grossolana al
pari dello Stellini la dottrina del corso e ricorso, non dubita sostenere che
le nazioni tutte a per lo stesso movimento onde son rimenate alla luce della
cultura, ricadono nelle tenebre della natia barbarie. » Nel che non s'accorge
quel nobile e sventurato ingegno come il ricorso di Vico sia anche progresso, e
come il suo svolgimento abbia luogo in età diflFerente da quella in che accade
t il corso della civiltà; mentre al contrario in un medesimo popolo, per
esempio nel greco, egli vede insieme un | eorso e un ricorso storico.* Il
Pagano dunque non iscorge * Vedi PAGANO, Op. edlz. Capolagro, il modo con che
il suo maestro intese coordinare i diversi momenti de' grandi periodi della
storia eh' ei disse corsi e ricorsi storici. Non riesce a salvam dall'errore,
nel quale intoppò lo Stellini, d'ammettere una prima età storica non ferina, ma
innocente. Non sa vedere l' errore di VICO, oggi assai grave, delle catastrofi
e dei cataclismi fisici onde gli uomini furon da prima scossi e menati a
civiltà. Finalmente, come origine assoluta delle famighe ponendo il ratto delle
donne per opera degli uomini forti, non s' avvede che nelle dottrine del
maestro, più che cagione, cotesta era semplice occasione, non altrimenti che le
suddette catastrofi e cataclismi di natura. Ma è da notare che fra tanti errori
egli talora sorpassa il maestro, non che i mitologi suoi contemporanei, quando
sostiene, per esempio, che i Greci, \ quant' a mitologia, non facevano che
vestir poeticamente racconti d' origine primitivamente orientale. Né a quel
tempo erasi ancor difi'usa quella febbre, che tutti oggi invade, dell' orientalismo
indiano. E CUOCO, benché seguisse Vico nelle esagerate, interpretazioni del suo
Platone in Italia, romanzo fatto sul gusto délVAnacarsi del Barthélemy; ne
divina talora qualche idea originale come quando pone, a dirne solo
quest'esempio, un'origine spontanea anzi che comunicata e artificiale alle
manifestazioni storiche, religiose, mitologiche, poetiche e poUtiche. Così
mercé PAGANO e CUOCO, entrambi ingegnosi discepoli di Vico, temperavasi quella
dottrina del maestro che, come vedremo in altro luogo, potrebb'essere
interpretata con opposti e contrari significati. E vuoisi che CUOCO meditasse e
anche scrivesse un lavoro sulla Sdenta Nuova, ma che da sé medesimo avesse poi
distrutto, forse per que' motivi politici che sì crudelmente gli funestaron
l'animo, il quale, non meno di PAGANO, egli ebbe pieno di carità patria. Di
CUOCO in sostanza non abbiamo ne interpretazioni, né esplicazioni del pensiero
che informava la Scienza Nuova, degne d'esser rammentiite. È bene anzi
avvertire com' egli ne accogliesse alcune idee al tutto erronee: quella, per
esempio, d' un' antichissima sapienza italica, anteriore alla romana e alla
greca per cui riteneva che gli Etruschi, sparsi un tempo per tutte le terre
italiane, avessero costituito un popolo solo. Non pertanto CUOCO dà s^ni
evidenti d'avere studiato la Scienza Nuova ed essersene giovato, chi consideri
quanto egli imitasse e ripetesse le idee del Vico, ma sempre in modo ingegnoso,
acuto, geniale, sul corso della civiltà, su la co-l stituzione di Roma e su la
legislazione in universale. Chi dovea più d' ogn' altro valersi di Vico in
fatto I di principii legislativi fa il Filangieri. Il quale, se stu• diasse le
opere del nostro filosofo, e se in grande venerazione avesse alcuni principii
di lui, ce lo attesta, da una parte, una lettera del Goethe scritta da Napoli,
e dall'altra le citazioni ch'egli stesso £a e le dottrine eh' e' non di rado
toglie dalla Sdenta Nuova. Dalle opere del Vico infatti esce luminosa la prova
dell' esistenza d' un elemento universale e assoluto nelle leggi guardate lungo
il processo istorico, e per cui la legislazione nella storia non è altro che la
incarnazione dell'idea del Diritto; della quafe egli aveva additato, come
vedremo, il principio -nelr opera sul Diritto Universale. Perciò nella Scienza
Nuova avverte che la filosofia del Diritto considera Vuomo guai ddb' essere
mentre la legislazione censi ' dera V uomo quale è per farne buoni usi neW
umana società} Ora appunto la seconda parte di questa sentenza tolse a studiare
il Filangieri, e però diciamo che la . scienza della legislazione altro non
sia, chi ben guardi, ' che un' applicazione di questo concetto vichiano. E
veramente, se ad applicare ottime leggi al civile consorzio * Vedi nel Cintohi,
Studi oritiei, ec. Vedi Degnità VU. è necessaria l'esperienza; e se l'arte
dello sperimento non è possibile in siflFatt' ordin di cose tranne che mediante
la storia; perocché se la storia elevata a filosofia è atta a mostrare che i
fatti legislativi, guardati nella loro idea e nelle attinenze con altri fatti
pos8on essere considerati come altrettanti esperimenti che la civiltà va seco
medesima operando: se tutto ciò è vero, .è da concludere che l' antecedente
logico della Scienea deUa LegislcusAone sia per l' appunto la Scienea Nuova.
Laonde non parmi che il Lerminier s' apponga, dicendo FILANGIERI seguace del
Montesquieu,* per la semplice ragione che il medesimo Filangieri ebbe coscienza
di non dover battere le vie già con tanta gloria calcate dal filosofo francese,
com'egli stesso ci assicura. FILANGIERI non intese a ricercar leggi, né a
descriver | costumi: volle anzi levarsi alla teorica dei costumi e • delle
leggi. Ora cotesta teorica, come vedremo, è inutile cercarla nel Montesquieu;
ed è inutile cercarvela anche per confessione degli stessi Francesi. Ripeto
quindi che la Scienza della Legislazione, chi la guardi nella originalità del
suo disegno, è di fattura tutta italiana, e possiamo designarla perciò come una
pagina (splendida pagina in vero!) della Scienza Nuova. Ciò non pertanto è da
confessare come FILANGIERI talvolta s'accosti, forse anche troppo, al fare di
ROMAGNOSI, il cui pensiero mostra d' avere tanta affinità con la filosofia
francese. In gran parte meccanica e artificiale riesce infatti la sua dottrina
storica, alla quale si riferisce la legge ch'egli espone su le Religieni e eh'
è pure una debole imitazione attinta in Vico; 1 ma è tal legge, ch'io starei
per dirla disorganata. Filangieri è da lodare per piil conti, massime per aver
I saputo cogliere il vero di quel principio vichiano sulla incomunicabiUtà
originaria dei miti presso popoli differenti: * col che mostra d' aver
attinenze sempre piiì ' ItUroduction generai eo. Vedi Scienxa ddla Legialanone,
apffini con gli altri seguaci e imitatori d' un comune maestro e d' un
ispiratore comune, quali abbiam visto essere stati per differenti guise DUNI,
CUOCO, PAGANO. Se non che, come la tendenza alla pura imitazione eccita spesso
la critica, parimenti la critica efficace! e produttiva viene più spesso
eccitata dalla critica infeconda e negativa. Così DELFICO CIVITELLA quantunque
più volte citi Vico e ne accetti perfino al ) cune dottrine su la
Giurisprudenza romana, si presenta come negazione dì lui quando si pensi che
Vico e primo interprete critico del Diritto Romano, e dicasi pure della Storia
romana. Il dubbio critico e fecondo dell'uno su le origini di Roma e delle XII
Tavole, diventò dubbio scettico nell' altro. Egli infatti giunse a dire che la
comune opinione sulla grandezza romana devesi ridurre al solo ingrandimento de'
confini, ottenuto spesso con mezzi rei ed infami.* E se GRAVINA appoggiandosi
all' autorità di CICERONE appella Diritto per eccellenza il Diritto Romano; il
Delfico, in su lo scorcio 1 dello stesso secolo, non teme affermare che Roma,
tuttora barbara e ignorante, avea già veduto a' suoi fianchi gli Etruschi, i
Sabini, gli Umbri, celebri già per leggi e per giustizia, gli Equi e gli
Equicoli, così appellati perchè giusti. Che cosa ne fecero i Romani se non
distruggerli, piuttosto che imitarli?' Le grandi lodi poi fatte in ogni tempo
ai frammenti delle XII Tavole, egli chiamava letterario fanatismo. Il tanto
encomiato Diritto Civile riguardava come risaltato delle interpretazioni dei
Giurisprudenti e delle dispute forensi. Incertezza, arbitrio, volontà di
conservare r aristocratico dispotismo diceva essere il carattere proprio del
Diritto Romano. Che se Roma cadde, Vedi Riocrehe nU vero earattere della
Oiurttprudenxa Romana e dei \ 9uoi cultori. Firenze, Introd. non cadde perchè
oppressa dal pondo dell' estrema sua grandezza, ma per mancanza di base e
difetto di solida architettura nell'edifizio. E conchiudendo poi la prima parte
del suo libro, afferma che: (c la giustizia di Roma fu in principio quale può
essere neUa barbarie; d'indi| quale dev' essere nell' anarchia, nella
confusione delle leggi, e nella generale corruzione. Talché in ogni età al
pensiero del Delfico CIVITELLA Roma si presenta in antitesi con la ragione e
con la umanità: la giurisprudenza per lui è il fatale retaggio eh' ella ci
lasciò, e i secoli ne hanno moltiplicato le specie.* Vedremo altrove, che se
Vico fu primo a studiare con riservatezza guardinga e saviamente scettica la
storia del popolo e del Diritto Romano assai cose distruggendo accolte già e
sanzionate dall' autorità di molti secoli; non però cadde in quell' aperto e
desolante scetticismo che, uccidendo i fatti nella storia, spegne ad un tempo
la fede nell' animo di chi ne interpreta il significato, com'è appunto il caso
del Delfico CIVITELLA. Vico anzi pervenne a dimostrare, come vedremo, una legge
d' intimo progresso nelle successive manifestazioni storiche ' del diritto
romano. E questo evidentemente contraddice al dubbio scettico del Delfico. Così
può dirsi chiuso il primo periodo degli scrittori che han discorso di questa o
quella dottrina del nostro filosofo. Nel qual periodo, ciò che ha molto valore
| per noi, è la polemica fra Duni e FINETTI: il resto è lavoro d'imitazione
piii o meno fedele che solamente nel Filangieri comincia ad assumere forma d'
esplicazione ' originale. E questa tendenza imitativa, che finisce con lo
scetticismo giuridico e storico del Delfico, ci mostra poi quanto sia vera
quell'osservazione fatta da parecchi storici nostrani, che la snervata
filosofia firancese principalmente scemasse originalità agli scrittori italiani
d' allora, togliendo loro il poter discemere qual novità di principi! avesse
introdotto il Vico nel regno della scienza e della storia umana. Possiamo dire
che corra un abisso. Nell'ordine puramente speculativo ci è di mezzo il
Criticismo; e nell'ordine delle idee stori 1 che e giuridiche, come in quello
de' fatti politici, abbiamo i filosofi giusnaturalisti francesi, e la grande
Rivoluzione. Con la Scienza Nuova noi avevamo già prevenuto l'esigenza critica,
dal puro mondo dell'attività psicologica trasferendola e compiendola nel regno
dell' attività storica; e nell'ordine delle idee avevamo sorpassato al-tresì la
Rivoluzione, perchè, ammesso il processo istorico al quale, secondo la Scienza
Nuova, deon soggiacere tutti i fatti e tutte le idee, non v'è pagina in questo
libro dove non si senta la necessità, e non si tocchi con mano, per così dire,
lo scoppio d'un radicale innovamento negli ordini del consorzio civile,
politico e sociale.* Brevemente: nei tempi moderni veggiamo accadere nel nostro
pensiero quello stesso che venne verificandosi nell' età del Risorgimento. Co'
nostri vecchi filosofi noi avevamo arditamente sorpassato la Riforma, nel modo
stesso che con le nostre scuole politiche (sempre nell' ordine dell'idee) *
Nella Sociologia mostreremo che co*principii del suo Diritto C7ni-1 vende il
nostro filosofo Compie la dottrina della Socialità di Orozio, corregge i
prìncipii e quindi le consegoonze der Naturalimno speculativo e wteta/meo di
Spinoza, inrera il Natwali«mo empirico di Hobbes, contraddice al
TeoeraiÌ9wu> della scuola di Bossuet, alio Scetticismo giuridico di Bayle,
di Pascal e di Montaigne, e previene le idee principali di Montesquieaj e di
Rousseau legittimandole nel suo concetto istorico. avevamo già sorpassato le
tendenze nonché i bisogni politici di quell'età.* Col primo schiudersi del
nuovo secolo, adunque, non può non ischiudersi un periodo novello di studi
assai più severi circa le dottrine del Vico; talché V abisso fra' due secoli
poco fa accennato per noi non esiste, e in ogni modo la Scienza Nuova avrebbe
trionfato nelr animo nostro come nelle nostre menti: avrebbe trionfato nella
nostra storia civile come nel nostro pensiero filosofico, quand' anche il gran
fatto della Eivoluzione non ci avesse scosso. Ci saremmo arrivati da per noi J
forse più lenti, ma certo più securi. D segnale dunque de' nuovi studi
s'inaugura cqu coscienza più chiara sul valore delle dottrine vicinane, e tal
segnale ci è dato innanzi tutto da im poeta assai splendido nella forma quale e
MONTI, e da un poeta assai potente e insieme potentissimo prosatore quale si e
FOSCOLO. In una delle nostre più illustri Università, MONTI pronunzia quella
beUissima sentenza che poi tutti hsìn ripetuto e ripetono parlando di Vico: La
Scienza Nuova è come la montagna di Golfonday irta di scogli e gravida di
diamanti. E quindi soggiungeva: Chi amasse di chiamare a rivista le idee
generatrici e profonde delle quali si è fatto saccheggio nel Fico, tesserebbe
lungo catalogo, e nuderebbe a moUe riputa^zioni.* Ma MONTI sente la verità e
grandezza delle idee vichiane com' un poeta. FOSCOLO dà un nuovo passo e va
molto più innanzi allora che nel celebrato discorso d'apertura all'insegnamento
letterario nella stessa Università Pavese, piglia a trattare con l' usata
maschiezza d'ingegno il vasto soggetto dell' origine e dell' ufficio della
letteratura; nel quale prova insieme quant' avesse studiato le opere del nostro
filosofo, e come sotto novelle forme si possa applicarne le dot* Ferbari,
Cforto augii aeriUori Politiei italiani^ V. Monti, Proluaùme agli atudi delV
Univeraità di Pavia, MUano, trine anche nei temi letterari. FOSCOLO ha colto il
valore d'alcune sentenze psicologiche sparse nei lihri del filosofo napoletano;
e da queste appunto ei seppe trarre il concetto posto come principio
fondamentale del suo ragionamento. Egli, infatti, ricorre ai bisogni dell'uomo
nel rintracciar l’origine delle lettere; e quindi reputa necessario
investigarne la natura psicologica studiando le facoltà stesse dell' uomo.' Che
poi avesse meditato e inteso le altre dottrine del filosofo, lo mostra il modo,
per dire un esempio, con che egli discorre \ ea l'origine e su la natura della
parola; la quale, traducendo quasi lo stesso linguaggio dinVico, dice essere
ingenita in noi e contemporanea dia formazione dei sensi estemi e delle potente
mentali. Seguace del nostro filosofo anche si palesa quand' accenna
fuggevolmente a certe idee (per esempio a quelle del diritto e del dovere) le
quali, manifestandosi dapprima idoleggiate con simboli ed immagini, si snodano
poscia e parlan quasi da sé stesse nella nuda verità di ragione. Seguace
altresì quando tocca delle origini del consorzio sociale e dell'imperio civile:
del che poi egli stesso ci assicura dove, accennando a' poeti filosofi, dice
che delie verità sui principii di tutte le nazioni vedute dal VicOy egli s' è
studiato dimostrare e applicare le conseguenze alla storia dei nostri tempi}
Dottrine del Vico, finalmente, applica nel discorso su le De^cazioni nella
Chioma ' di Berenice, secondo che confessa da sé medesimo. Ma alla Scienza
Nuova volge tosto gli occhi con ben altro acume di critica il napoletano
Cataldo lannelli; la qual critica, come vedremo, esagerandosi nel Romagnosi,
finisce per esser perdutamente scettica nel Ferrari. Di tutte le opere o studi
fatti su la Scienza Nuova quella che più d'ogn' altra merita d'esser letta e me
! ditata è appunto l' opera del modesto impiegato della • Vedi Ditearto
dell’origine e deW ufficio detta LettercUura^ nel volume deUe Lesioni Queste
osservazioni hann' anch' elle un aspetto di verità; ma se ROMAGNOSI avesse
meditato la Sdevusa Nuova con più amore e men disprezzo e meno boria a lui, del
resto, tanto naturale, avrebbe visto che Vico altro non intese dire, come
vedremo, se non quello precisamente eh' egli stesso ha detto qui assai male e
senz' alcun metodo filosofico. E perchè poi reputa impossibile la similarità
de' circoli storici? Perchè intese anch' egli, in modo volgare, come parecchi
altri, il valore di cosi fatta legge. Ei non poteva persuadersi come nella storia
ci sia ritorni e ripetizione di forma (meccanismo); ma non s'avvide che se pel
Vico nella storia ci è ripetizioni, cotesto ripetizioni non sono possibili
senza veraci innovazioni (dinamismo). Io non so capacitarmi come l' ingegno
potentissimo di ROMAGNOSI non penetrasse nell' intimo della Scienza Nuova. Non
so capacitarmi com'ei facesse una critica Certo U Romafirnosi non TÌde che se
Vico prevenne Roasseau e tutti qnei giasnataralisti dell’epoca, i quali sì
volentieri ciarlavano sa lo ttato di natura, li prevenne correggendoli, cioè
legittimando razionalmente cotesto stato natarale, col porre in opera ben altri
prineipii di psicologia e di storia cho non eran quelli de' saddetti filosofi.
debole e scucita cosi che gira sempre attorno senza mai coglier la sostanza
delle dottrine di Vico. U che senza dubbio terrà alla forma della sua
filosofia, della quale il Rosmini pose in evidenza i molti e sostanziali i
difetti, e, nonostante le calde e lunghe difese del Nova, i giudizi del
Roveretano restano pur oggi intatti e verL Romagnosi, in ima parola, non poteva
pregiar la Scienza Nuovii, perchè le sue dottrine putiscon di meccanismo.
Artificiale e meccanica è in lui la dottrina sul governo dello stato, ch'ei
paragona al cervello dell'animale. Artificiale e meccanica la dottrina dei
Tesmofori in politica e in religione; le quali per lui sono bensì strumenti
benefici al popolo, ma nelle mani dello stato. E dottrina presso che meccanica
quella de' suoi Fattori dell' incivilimento. Perfino la terminologia eh' egli
adopera ne palesa l' indole della mente e delle idee: storia naturale dei
popoli, fisiologia degli stati, funzioni meccaniche e dinamiche della società,
dinamica e meccanica morale, e simiU. Come passaggio della critica empirica e
negativa del Romagnosi alla critica scettica di FERRARI, si presenta la
traduzione e l' anaUsi che della Sdenjsa Nuova die alla Francia 6 alla eulta
Europa l' illustre Michelet. Agli occhi degl'Italiani questo scrittore ha due
grandi meriti: d' aver fatto conoscere il nostro filosofo isin dal 1827 fuori
d'Italia, e, che più monta, d'averlo fatto capire nella sua verità mercè quell'
arte facile, disinvolta e con quel fare schietto e rapido con cui,
traducendola, seppe imprimere alla Scienga Nuova forma netta e fedele. Se non
che, per quanto Michelet non sia crìtico interprete (né egli vi pretende) ma
critico espositore, non pertanto i suoi giudizi son tutti co* Si yegga la
definizione che ne dà nello Leggi dtlV ineivUimento, FERRARI ha rilevato con
molta esattezza la differenza tra Vico e ROMAGNOSI nel lihro La menu di
Romagnoti. E noE a torto poi il chiarissimo FERRI pone Romagnosi come primo
ponHvi^ta In Italia. Ved. RÌ9t. de la PhU. lud., scienziosi e pressoché tutti
pieni di verità. Eccone un saggio. Ci ha due Scienze Nuove, egli dice; ma se le
Scienze Nuove son due, la prima d' esse è insieme I r ultima parola dell'
autore; ultima quant' alla sostanza delle idee. Un'altra osservazione è questa:
carattere e intento supremo di codesta Scienza Nuova è quello d'essere una
filosofia, e nel medesimo tempo una storia dell'umanità. E un'altra riflessione
che merita sia ricordata, è la seguente: il concetto d'una perfezione
stazionaria accennata dal Vico nella Scienza Nuova e riprodottasi poscia in
tanti libri, non riappare altrimenti nella seconda Scienza Nuova. Mi giova
notare con ispedalità quest' ultimo pensiero del Michelet, per corregger la
sentenza di tutti quegl' interpreti i quali per d lungo tempo ci han detto e
ridetto che dei corsi e ricorsi entro cui Vico chiuse V umanità (per dir la
parola consacrata), ei non abbia parlato fuorché nella seconda Scienza Nuova.
Non ne ha parlato mai, in nessun libro, in veruna pagina de' suoi libri I La
stazionarietà (sia detto unU buona volta per tutte) non è concetto vichiano. Io
noi trovo esplicito, né implicito in lui; e non iscaturisce in verun modo dall'
insieme delle sue dottrine. Il concetto del corso e ricorso storico, adunque,
alla maniera volgare ch'é inteso da' più, è concetto che assolutamente ripugna
al pensiero e alle scritture del nostro filosofo. Ma non tutti i giudizi del
Michelet ci paiono ugualmente giusti. Ei non giugno a spiegar convenevolmente,
per esempio, il concetto storico del nostro filo1 sofo su la forma del governo
monarchico; tanto meno que'due principii accennati piii d'una volta nella
iScien^^a Nuova e nel DvrìUo Universale su la necessità in che può ritrovarsi
un popolo di consentire a lasciarsi governare ov' ei non sappia governarsi, e
su l' affidar l' impero del mondo alla solerte prudenza dei migUorì. Il
Michelet seppe delle opere del Duni, ma forse non potè leggerle: così parrebbe
almeno dal modo con che lo SrnuAiii. ff cita fiiggevolmente solo una volta. Se
quindi avesse conol scinto DUNI, avrebbe dato al Jus Gentium del Vico il suo
proprio valore. E s'inganna poi quand' aflFerma, che il Libro Metafisico sia la
sola scrittura, le cui dottrine non fossero state trasportate nella Scienza
Nuova, del che lo riprende giustamente il Predari. Ma il Michelet ci compensa
di cotesti erronei giudizi laddove con acume non ordinario confessa di
riconoscere nel Vico U metafisico sottile,e profondo. E poi ci dà prova sicura
d'animo spassionato e libero da ogni boria nazionale, quando, egli francese,
francamente dichiara essere Vico r antagonista per eccdlenaa del CartesianismOy
l'avversario più illuminato e più eloquente dello spirito del secolo XVIII.'
Anche quest'osservazione è d'ogni parte vera e luminosa; perocché se carattere
di quel secolo, come giustamente si crede, fu la negazione assoluta, la
negazione in tutto e di tutti, distintivo, al contrario, delle dottrine del
Vico si fu quello di tutto restaurare, e tutto affermare mercè l'opera del
metodo isterico.* E poiché siamo a parlare de' Francesi, occorre far menzione
degli altri che in quel paese, nell'epoca di che trattiamo, non reputarono
tempo perso volger la mente al nostro filosofo. E primo fira tutti il
Lerminier, * Vedi Prtncipet de la PhU. de VHiat, traduite de la Scietua Nuova
de J. B. Vieoy BruxeUes La ridazione fatta dal Michelet détte occasioce iu
Italia ad una critica del Kicci pubblicata nell’Antologia del Vieusseax RICCI
mostra come lo storico francese altro non desse alla Francia che ì frantumi
della Scienza Nuova, e per cinque diversi capi ne rileva la incompiutezza.
Oltre a questo pregio, negli articoli del Btcci re n' è un altro; l’aver posto
in chiaro, meglio forse che non facess^i il Dani, il significato della parola
Autorità^ che ne* libri del nostro filosofo non è di lieve momento, e mostra
che talora egli assume questa parola nel senso del Gius Komano come sorgiva de*
diritti pubblici e privati; talora com*effotto del consenso d’una nazione in un
dato principio; tal* altra come potestà, come potere ch*ò negazione di ragione
e di coscienza speculativa. Notiamo altresì come il Ricci è quegli, fra*
critici, che più insiste su l* ufficio del Seneualiemo nelle idee storiche delj
Vico. Ved. Art. I, pag. 85. come quegli che nelle due principali sue scritture
ne discorre sempre con entusiasmo, con amore e grande venerazione. Ben s'
appone a designar la Sciema Nuova come il monumento sublime e hieearro^ in cui
è viva la impronta delle fofrme e dei colori dd medio evo, e che fa del Vico
centro dette antiche tradizioni, e insieme precursore déUa Scienza Nuova:
talché non a torto fino dal 1829 lo considerò come il vero predecessore de'
Wolf, de' Niebuhr, e degli Hegeliani. Se non che non sempre questo dotto e
simpatico scrittore dà nel vero, come quando lo dichiara padre dell'
JEfcfewswto moderno,^ o come laddove osserva che nella storia del mondo egli
trasportasse quella di Roma. Lerminier non vide che di questa seconda istoria
ei gioV06SÌ a meglio intender la natura della prima, alle storie tutte e
perfino alla storia universale trasferendo gli elementi essenziali, originari,
universali costituenti la natura umana. Assai meglio avrebbe detto d'aver egli
trasferito la psicologia nella storia, anzi che la storia di questo 0 quel
popolo alla storia di altri, ovvero a quella di tutt'i popoli in universale.
Né, d'altra parte, il Vico intese applicare una legge alla storia in generale;
errore, come vedremo, dei Teologisti e degli Hegeliani: intese bensì applicarla
ai popoli considerati nelle individuali lor tradizioni e civiltà. Tanto meno
poi é lecito creder eh' egli ponesse identità fra' tempi eroici primitivi e' '1
medio evo: bensì è vero eh' e' vi discemesse un moto perenne di ripetizione
essenzialmente progressiva. Altrove il Lerminier, parlando del Machiavelli,
osserva come r autore* della Scienza Nuova correggesse lo spirito storico del
Segretario fiorentino, mercé una pciitica ideale e platonica. ' Questa sentenza
in parte è vera; e dico in parte, poiché si può chiedere se co' suoi principii
applicabili alla politica, il Vico abbia • Vedi Introd. gin. à VHitioire du
Droit, cap. Xm. *0p. cit. pag. 167. •
Vedi JKrt. de la Phtl, du Droit, Tom. U, pag. 102.
corretto, o non piuttosto compiuto ciò che nel Machiavelli è solamente arte
politica. Tutt' insieme dunque può dirsi, che se la critica del Lerminier non è
molto acuta né molto sicura in alcuni giudizi, ella riesce nondimeno a cogliere
con lucidezza tutta francese la natura e '1 fine della mente e deUe opere del
nostro filosofo.' Su' giudizi del Lerminier riguardanti le idee giurìdiche e
politiche di Vico torneremo in altra occasione. Qui giova notare come in
Francia, quasi nel medesimo tempo in che gli scrittori di cui abbiamo accennato
facevan conoscere il nostro filosofo, altri presero a parlame come il Gousin,
Teodoro Jouffroy, il Ballanche. Tutti ripeton le usate lodi, e qualche giudizio
del Gousin, al solito, a volerlo sottilmente esaminare, non riesce molto
esatto. Quando vuol fard credere, per esempio, che Vico, benché combattesse
Gartesio ne seguiva nuUameno la filosofia generale^* ognuno capisce com'ei si
studi attaccare al gran carro del cartesianismo perfino il Vico; quasi che,
anco a detta del francese Michelet, non ne fosse stato anzi V avversario piii
terribile. E va lungi dal vero quand' osserva, che tutto ciò che è nel Bossuet
e in Vico trovasi in Herder; quasi che si possa ignorare che Fautore della
Metacritìca contro il Kant non fosse altro che un buon sensista, il quale '
perciò non dubitava credere che dall' organismo pullulasse ogni nostro pensiero
e facoltà:^ nella quale sentenza ci conferma il suo traduttore francese il
Quinet. U Gousin poi dice il vero laddove pone l'Herder ' come compimento del
Vico quant' al concetto della natura e della efficacia che la natura dispiega
sulla storia. Ma avrebbe dovuto avvertire che s'egli è compimento * Eccone, per
esempio, una prora nella seguente arguta osserraxione: w/tico più che scettico,
con la sua critica egli comincia a riprender V andamento pacato e sereno dello
. lannelli. Il Cattaneo è come Y anello fra FERRARI e TOMMASEO. Noi non
possiamo, egli dice, studiare con profitto lo spirito umano in sé, nella sua essenza,
bensì nelle sue elaborazioni storiche, e nelle situazioni più numerose e
diverse che si possa. Però bisogna studiare il poliedro ideologico nel
fluissimo numero di sue faccey e da questo terreno tutto storico e
sperimetitàle dovrà sorgere la vera cognizione dell'uomo; la quale indarno si
cerca nei nascondigli della coscienza. Lo studio dell' individuo nella società,
l’ideologia sodale: ecco una sentenza piena di verità per cui CATTANEO si
chiarisce assennato seguace di Vico. E che egli abbia inteso il pensiero del
filosofo napoletano lo pruova l'altra osservazione su le successive
trasformazioni storiche del diritto, per cui nella Scienza Nuova a troviamo
fusa la dottrina d^l' interessi come campeggia nel Machiavello con la dottrina
della ragione i esposta da Grozio, togliendo eoa la contraddizione che divideva
la storia dalla filosofia.' » Che se anche il Cattaneo s' addolora al pensiero
dei Circoli fatali che Vico ebbe in comune, secondo lui, col Machiamipremi
principii d'umanità, PuDOR e Libbrtas, che sono il cardine della ' Scienza
Nuova, e per cui anch* il servo, anch’il bimane un bel giorno diventa uomo,
personalità ? é'* Cade col Machiavelli nd »iHema delU dué fati, V ima harharay
V altra eivtU, No, introduce nn nuovo sistems nelle due differenti fasi, Tuna
tpantanea e raltrart^faMo; e questo non è circolo fatale, identico, ma
progressivo. Dice poi che il Vico eroit que la vdonU peut eorrompre Vceuvre de
la roMon. Qui evidentemente FERRARI non ha saputo, né poteva col suo
scetticismo, intender* e comporre in organismo i principii psicologici del suo
maestro. * Firbàri, Vieo et VltaUe. Paris CiTTRinBO, nel Politeonieo. Vedi
Periodico oit velli e col Campanella, una consonanza mirabile però sa trovare
fra i più recenti sistemi umanitari e quello del Vico, agli occhi del quale la
Provvidenza, con V occasione degV interessi delle inique passioni, trae la
giustizia effettuandola gradatamente nel mondo delle nazioni. Laonde osserva
come prima di Fichte, segnatamente prima di Schelling, a lui fosse dato riguardar
la ragione ' qual facoltà che occasionalmente si sveglia nell'uman genere.'
•CONTINUA IL PERIODO DE' CRITICI E DEGLI ERUDITI. Co' suoi Studi Critici V
illustre TOMMASEO segna il passaggio al terzo periodo, e quindi ad una terza
classe di scrittori che si sono occupati di Vico. Critico e filosofo, infatti,
egli stabilisce V anello fra i puri critici e gì' interpreti filosofi negli
studi riguardanti il nostro autore: Imitazione e riproduzione, come negli
scrittori del primo periodo, non era possibile nell'ingegno versatile, duttile,
acuto ed elegante del Tommaseo; e tanto meno possibile in lui una critica
scettica alla maniera del Ferrari. Piena la mente e l'anima di fede e di
profondo sentire, questo scrittore è anche filosofo, e vi pretende. Egli ha scritto
libri di filosofia; ha interpretato, e non di rado con sottigliezza scolastica
ha difeso il princìpio speculativo del Rosmini, e propugnatolo con ardore
giovanile. Nessuno dunque può negare a quest'ingegno artistico e severo buona
dose di virtù speculativa. Sarà filosofo scologizzante, sarà filosofo più che
rosminiano, ma è filosofo, oltre che critico de' più sottili: è filosofo e
critico, e, senza conNel PoUteenico trasto, quant' a proprietà di linguaggio
occupa oggi 1 primo seggio fra i viventi scrittori del nostro paese. Nessuno
meglio di lui poteva farsi a rilevar le bellezze nella parte letteraria ed
estetica delle idee del nostro filosofo. E, facile a spigolare ne' campi
altrui, anche in questo egli è andato scegliendo fior da fiore, e ne presenta
cotal mazzo che lascia scorgere l'arte di chi n' ha fatto la scelta. Chi, prima
di lui, avea saputo ritrar r indole, per esempio, di certe composizioni
poetiche del Vico, additar la possente originalità nello stile, la selvaggia
lobustezza della parola, la forma singolare dell' ingegno, e segnatamente l'
animo e tutto il carattere morale dell'uomo? Una delle più notevoli pagine
della prosa italiana, egli osserva, è la nobile immagine di donna egregia
lodata dal Vico: ed è verissimo; e vere ed argute non meno ci paion quelle
considerazioni su la storia del Caraffa, nella quale spesso questi è dipinto
non qncd era ma guai doveva essere, per meritare le lodi di VICO. La dignità
del lodatore si vendica per tal modo della indegnità del lodato j e la lode
diventa condaivna.^ Ma il Tommaseo, ho detto, è anche ingegno speculativo, e
spesso è felice nell'intravedere il vero di certe idee filosofiche del Vico.
Ecco un'acuta riflessione: Fólibio e gli antichi deducono osscì-va^ioni
generali da* fottio U MACHIAVELLI trae consiglif Vico determina leggi. Ma le
SUE LEGGI NON PANNO FORZA ALLA PRATICA, anzi egli dice cìie l'uomo dee nelle
teorie r attenersi come cavallo aìiimosoy per poi nelle pratiche cose correr di
maggior lena} Altra bella osservazione è quando nota come da Platone egli
traesse non l'idea, sì la ispirazione della sua storia ideale. Il che mi piace
avvertire col Tommaseo contro chi pretende rimontare sino al filosofo ateniese
a ripescarvi un antecedente alla Scienza Nuova! Verissimo altresì che le due Scienze
Nuove paiono entrambe due grandi edifici secondo la medesima idea architettati:
Tommaseo, Studi Critici. Venezia, questo avverta chi ha creduto vedere nella
seconda di esse non so che stravaganze, follie o puerilità. Con salde ragioni
poi contro parecchi critici del Vico egli dimostra come nelle opere di lui si
manifesti potente, vera, chiara l'idea del progresso; perchè se aUe cose umane
vide un corso e ricorso in orbita fissa, non disse che V orbita non si potesse
più e più sempre cól volger de' tempi allargare^ E non meno della critica che
riguarda per diretto il Vico, preziose paionmi anche quelle undici appendici
indirizzate ad illuminare il testo dove il filosofo napoletano sorge principal
figura: dico le appendici sopra STELLINI, Grozio, ROMAGNOSI, FOSCOLO, sul gius
sacro e sul gius romano, su le origini sociali, su gli Sciti, Illirici, Slavi,
sul Niebuhr ed altri. Il Tommaseo vuol esser rammentato ed encomiato eziandio
per un altro lavoro speciale sul Diritto Univer1 sale,^ È un esame critico, al
solito, assai condensato e sparso di riflessioni ingegnose, d'opportuni e
fedeli riscontri e di felici divinazioni nel penetrare le idee del filosofo. Ma
è pur d'uopo confessare che se come critico nessuno può entrargli innanzi per
sobrietà e giustezza di giudizi, come filosofo non tutti sapranno accettarne
ogni sentenza. Molte interpretazioni e parecchie confutazioni eh' ei move al
Vico noi non potremmo accogUere: quella per esempio dove, accennando alla luce
metafisica del nostro filosofo, si studia vederci non pili che Tessere ideale
di SERBATI,' e T altra onde presume che dal concetto della Trinità egli traesse
l' ordinamento delle facoltà umane, e nel medesimo concetto scorgesse radicarsi
la metafisica, la morale e fin la giurispruden• fe anche di TOMMASEO quesV
altra bellissima osseryazionc: Dalle proprie averUure Vico dedusse H mondo
invecchiato: ma ^gìi medesimo ci vieta di crederlOf egli che pronunziò: mundus
enim jaTenescit adhuc; interpretazione luminosa deUa sua /rantesa dottrina
delh* legje de ricorsi, e risposta sufficiente a dà lo accusa di negare al
genere umano ogni forza (T avatuamenfo. Dizionario Estetico» ^kudi Filosofici,
Venezia mdoooxl, . l« Stwli OrUici, ] za. Sbaglio grave, dice, Taver negato la
trasmigrazione I delle civiltà da popolo in popolo innalzandovi mura di bronzo.
Errore gravissimo poi da restame scandalizzati, più che uno, mille Tommasèi,
gli par la sentenza, che dopo il diluvio gli uomini si disumanassero 1 * E qui
r illustre critico si fa forte delle censure di LAMI, di ROMANO e di FINETTI e
di tutti gli oppositori del primo periodo, co' quali dopo un secolo e mezzo par
ch'ei si trovi in pieno accordo. TOMMASEO non poteva penetrare nelle dottrine
speculative di VICO, e da quéste trarre, più che dai due o tre passi d'autori lettini
o dagli urli dell'uomo bestiale assordante l'aria e le selve, nuove dottrine e
vere su le origini dell' umanità, non discordanti oggi co' risultati delle
scienze naturali. Come si vede, con una critica sempre acuta nelle sue
osservazioni tuttoché non sempre vera ne' suoi giudizi, il Tommaseo è stato il
primo fra noi ad esprimerci '1 bisogno d' interpretare in maniera filosofica le
dottrine del nostro filosofo; ma non vi giugne, né il poteva, perchè non gliel
permettevan né le esigenze della fede tanto salda e vigorosa nell' animo suo,
né la filosofia schiettamente Kosminiana nella quale è uso attingere i
principii filosofici e i criteri metodici. Usciamo ora un'altra volta dal
nostro paese, e vediamo se nel giro degli anni di che parUamo gli studi, i giudizi
e la stima circa il nostro filosofo sian venuti sempreppiù progredendo anche
presso altra letteratura come presso di noi. L'illustre Renouvier avrebbe
stimato manchevole la sua storia della filosofia moderna ove anch' egli non
avesse accennato all'autore della Scienza Nuova. Vico, egli dice ripetendo
un'aflFermazionedel Michelet, ToMMAsio, Studi Filotojiciy Studi Gritici, Due o
tre pa$9Ì d* autori latini e H troppo reU^oto rispetto di tutu torta tradizioni
in tali togni tmarrirono tale ingegno. del CDUsin, del Lerminier, dello
JoufiFroy e d'altri francesi, ha fatto alla scienza una rivelazione nuova
creando la filosofia della storia; talché dopo la morte de' due martki suoi
compatrioti Bruno e Campanella, ei ci si presenta davvero qual rivelatore d'un
mondo nuovo.* Un' altra osservazione, di cui è bene prender nota, è quella dov'
egli afferma che, quant' a Cartesio, il Vico ebbe pieno diritto a biasimarne
l'incompiutezza del metodo, egli che, considerando come scienze la poesia, la
storia e la filologia, potè gettar -le basi d'un metodo novello supremamente
sperimentale, storico e comprensivo. Ma quali sono propriamente i principii
filosofici del Vico? Ha egli una serie di principii metafisici? Renouvier non
risponde a questa domanda, e si tiene contento nell' affermare solamente eh'
egli ama/va la metafisica di Descartes. Sarebbe questo il luogo di rammentare
il Bouchez; * ma, fra tutt' i francesi, questi è l' unico scrittore che del
Nostro abbia parlato in guisa assai meschina, tanto che a veder come lo cita e
come n' espone le idee, farebbe sospettare di non averlo letto, o che ne abbia
solamente discorso per sentita dire.«£ noi non avremmo tirato fuori il nome di
questo debolissimo filosofo della storia e tenutone conto, se nel suo libro non
si vedesse confermata certa notizia della quale giova prender nota. Citando un
vecchio periodico di Francia, Bouchez dice come le opere di Vico fossero quivi
note già sino dai primi lustri del secolo passato. I francesi dunque molto
probabilmente non ignoravano il primo libro del Diritto \ Universale e, che più
monta, neanche il secondo nel ' quale è racchiusa, com' è noto, la sostanza
della Scienza Ifuova. La qual cosa abbiam voluto qui avvertire col fine di
rinfiancare vie piii la sentenza d'alcuni critici su l'origine delle molte
affinità fra alcune idee del Vico, * RBiroinriBB,Jfaraii««Z de PhUot. moderne;
Paris et Uipsig BouoHBZ, Inltrod. è la Scietkce de VHiet, ec. Paris, e quelle
di certi filosofi e storici francesi anteriori alla rivoluzione, massime del Tm^ot
e di Condorcet. Nel tempo di cui parliamo novella traduzione comparve in
Francia per opera dell' autrice anonima del Saggio sulla formaeUme dd damma
eaftólico. E anche qui e' è progresso; perchè se la traduzione det Michelet,
come si disse, è una riduzione non molto fedele e mancante di critica, la
traduzione di che discorriamo, oltre d'esser propriamente traduzione, è poi
fornita d'un lungo lavoro su le opere e su le dottrine del Vico, pregevole
soprattutto per V analisi cui è sottoposto il pensiero del nostro filosofo.* L'
autore di questa prefazione s' accorge subito ov'è il nodo delle dottrine e del
metodo vichiano. Cotesto nodo, evidentemente, è nella distinzione e insieme
nella relazione tra il vero e il certo, tra la ragioìie e Vautoritcu^ E innanzi
tutto osserva come la parola autorità pel Vico voglia dir volontà, coscienza, 1
voce interiore, sorgente di quel conoscere ond' all'uomo non riesce additar le
ragioni scientifiche e universali. Brevemente; la coscienza è autorità anzi la
piìi grave delle autorità. La ragione poi è facoltà che giugno a dimostrar la
cosa scientificamente, e quindi produce il vero. E poiché tutto ciò che 1' uomo
dimostra è fatto da lui e però ha natura finita, ne segue che il vero debb'
essere inferiore al certo. V è pertanto differenza tra il vero metafisico e '1
vero matematico: questo è nostra fattura, e quindi è vero; quello, in vece, non
ci appartiene come nostro effetto, e in conseguenza riguardo a noi è solamente
un certo. Ora siccome conoscere vuol dire scomporre ed astrarre per cavarne gli
elementi; così di Dio non potremo aver nozione vera, ma certa, stantechè non ne
sia dato scomporre ciò eh' è essenzialmente uno, né ritrovar cause di ciò che è
causa per sé. È necessario adunque un modo nuovo di conoscere Dio; La lunga ed
elaborata prefazione a coi alludiamo si vaole scrìtta da un celebre storico
firancese, A. M., amico della traduttrice. La Seience NouveUe, trad. etc.,
Paris, e però necessaria una nuova facoltà. Questa facoltà è appunto il volere,
che si rivela col mezzo della coscienza. La nozione di Dio quindi è un fatto di
coscienza e di autorità, perchè autorità e coscienza tornano il medesimo. Ho
voluto accennar brevemente queste osservazioni non solo a mostrare che la
prefazione di cui parliamo non è da annoverarsi fra le solite ampolle messe in
fronte alle traduzioni delle opere di grandi autori, ma a far Tederò altresì
come in essa racchiudansi interpretazioni davvero ingegnose. Il traduttore poi
avverte la confusione fatta da VICO tra Zenone lo stoico al quale è attribuita
la dottrina del punto metafisico, e quel Zenone a VELIA che riguarda i corpi
siccome aggregati d'infinito numero d^ atomi o di punti. Nota essere esclurivo
di VICO quel concetto per cui si considera il corpo siccome |?wn^o metaifisico
esteso. Osserva (e qui prego gli altri critici H tener conto di tale
osservazione) che il Vico non volle né poteva respinger l' idea del progresso,
attesoché avrebbe contraddetto alla propria metafisica: le$ cercle4 doni il
entoure l’hutnanité doit nécessairement marcher en avant.^ La qual sentenza,
che cioè nel padre della scienza storica rifulga chiarissima, chi sappia
discemerla, l'idea del progresso, è sostenuta in modo splendido da un altro
francese vivente, dal De Ferron come appresso vedremo. Fra le idee originali di
Vico il traduttore pone anche questa: V uniformità originaria di civiltà appo
differenti popoli più come eftetto della comune natura e dell' unità di fine
che ne presiede allo svolgimento, anzi che come resultato di comunicazioni
dirette avvenute fira popoli diversi.' Riferisce al Vico la scoperta de' tipi
fantastici di differenti classi d'uomini contro chi non vi sapeva scorgere
altro fiiorchè personificazione di forze naturali. À lui medesimo riferisce l'
aver dimostrato storicamente il processo delle tre forme politiche generali, [
La Science Nouvdle OVli. aristocrazia, democrazia, monarchia; V aver avuto
coscienza come né l’eloquio né la civiltà latina fossero provenute di Grecia;
e, anziché divinato (come vorrebbero alcuni tedeschi), aver egli dimostrato in
gran parte i suoi principii storici, né solamente dato impulso alla presente
filosofia della storia, ma avere concorso propriamente a svolgerla, a
costituirla: al qual proposito notiamo come il traduttore giustamente
rivendichi a Vico il merito attribuito a Champollion, d' aver interI pretato e
svolto le conseguenze del celebre passo di San Clemente Alessandrino. Fa vedere
poi come in pili cose ei mirasse più giusto e più sicuro dei suoi successori
quant' alla storia del Diritto; per esempio, su la tanto vitale distinzione fra
popolo e plebe, non veduta da ! Livio, e comprovata dopo il Vico dal Beaufort e
da Niebuhr. Mostra quindi essere assolutamente nuovo il modo con che V autore
della Scienza Nuova considera e risolve la questione circa l'origine delle XII
Tavole; nel che lodiamo la forza e la maniera ingegnosa ond' anch' egli sa
difenderne la verità. Verissimo, finalmente, quel giudizio su la dottrina
risguardante Omero e i poemi omerici, accorgendosi come il Vico non intendesse
con tal dottrina negare un Omero personale che 'impresse forma esteriore ai
suddetti poemi, ma negare bensì, nel che egli ebbe ed ha ragione, un Omero che
fosse creatore de' medesimi, come vedremo a suo luogo. Tali sono i pregi di
quest'assennato lavoro critico che va innanzi alla seconda traduzione della
Scienza Nuova. Ma non vi mancano difetti; e ne cito qualche esempio. Come non
iscorger l' attinenza fra il vero e il certo di VICO? Come non veder che 1'
autorità altro non è che la stessa ragione considerata quale obbietto che
propone sé a sé medesima, essendo due termini cotesti che, come altrove diremo,
van soggetti anch'essi alla legge di conversione? Se questo avesse inteso il
traduttore, non avrebbe affermato che dell' assoluto non si possa aver nozione,
ma sentimento. Nella Ragione e jìeW Autorità del Vico egli forse ha voluto
scorgere qualcosa della Ragion pura e della Ragion pratica del Kant, ' G certo
non s' è intieramente ingannato. Ma non s' incanna egli quando si piace di
scendere a conclusioni cosi immediate col Criticismo? Che poi tanto in
metafisica quanto in geometria il punto sìsl principio d^ estensione; che però
la matematica, sia come dire, copia materiale atta a farci conoscere il tipo
immateriale eh' è appunto la r»i avverato dopo la pubUicaiione di tale storia,
aTcndo questo scrittore poeto il gran princìpio per cui la storia è aommesea
{dVimpero di leggi univeraali. Ma non è questa per l’ appunto la grande
scoperta della Scienza Nuova almeno quant*al suo principio? E tutte le leggi su
la costanza de* fatti sociali trovate da Buckle e più dal Quetulut, non sono
forse altrettante applicazioni sociali di quel princìpio? Ma prima di procedere
innanzi giova rispondere ad mia difficoltà non diffìcile, a nascer nella mente
di qualche pedante. Si domanderà: perchè insieme co' puri critici ed eruditi in
questo secondo periodo avete messo filosofi di gran nome? La risposta è facile
e chiara: primo, perchè tale è l'ordine cronologico di cotesti filosofi;
secondo, perchè costoro han parlato o accennato alle dottrine del Vico,
adoperando una critica più presto erudita e storica che filosofica. Qui non
potevamo disporre e coordinare gli autori in ragione delle opere scritte e per
gli studi eh' essi han coltivato e per la forma del loro ingegno, bensì pel
valore della critica ch'essi hanno esercitato su le dottrine del nostro
filosofo. Nessuno ha dato segno d'elevarsi ai veri prindpii di queste dottrine,
non perchè non sapessero, ma sia perchè alcuni di essi non ebbero tal fine
parlando dinVico, sia perchè non han creduto ad una filosofia ' di
quest'autore. Nondimeno a contar dai primi fino agli ultimi scrittori
appartenenti a questo secondo periodo, dallo Jannelli, per esempio, al secondo
traduttore francese della Sdenta Nuova, è evidente un progresso mercè cui la
critica sul nostro filosofo, da erudita e sto \ rica e filologica, viene
assumendo gradatamente valore sempre più filosofico; di modo che T ordine
logico, in questo nostro saggio di storia sulla Scienza Nuova, risponde
perfettamente all' ordine cronologico. La critica nel senso d' interpretazione
filosofica sarà quind' innanzi il carattere per cui si distingueranno gli
autori a' quali verremo accennando nel seguente capitolo. periodo degl'
interpreti filosofi. Il terzo periodo degli studi sul filosofo napoletano, se è
vero che ha da risolversi logicamente, come s'è detto, in una critica
filosofica, doveva esser dischiuso propriamente da' filosofi come quelli i
quali, più che fermarsi alle applicazioni, costumano anzi risalire ai principii
e alle ragioni di esse. Or le ragioni e i principi! ( della Scienza Nuova
giacciono sparsi, quasi germi fecondi, nelle opere latine del nostro filosofo;
e a queste vediamo accennare più spesso, e ad esse volgersi più che ad altro la
mente degli scrittori che noi verremo adunando ed esaminando in questo terzo
periodo. Primo di tutti, infatti, al Libro Metafisico ricorre r illustre
ROVERE; e, trovatovi il criterio del vero e del fatto che è come il nodo vitale
di tutte le teoriche vichiane, nel Binnovamento dell' antica filosofia I
italiana viene applicandolo a quella dottrina ch'ei disse della hvtuijsione.
Sennonché, un criterio qual è questo di valore essenzialmente universale, come
vedremo, un criterio che nelle più elevate questioni di metafisica assume
qualità e forma di principio; nelle mani del filosofo pesarese invece piglia
natura e proporzioni, per cosi dire, di norma psicologica, o ideologica che
sia: né quindi ebbe torto il Rosmini se in cosiffatto innesto operato dal
Mamiani vide annidarsi difetti non pochi, né lievi magagne, confessate oggi
tacitamente e nobilmente dall' autore delle Confessioni d’un metafisico.
Vedremo a suo luogo se quando Vico propose quel criterio, non intendesse né
punto né poco uscir da' termini della Intuizione, come allora pensavasi '1 Mamiani.*
Il quale, ove oggi tornasse a parlarne, certo ne discorrerebbe in ben altri
sensi e co' riguardi di buon platonico, più che di filosofo naturale seguace
della filosofia del comun senso, al modo che con sì acceso entusiasmo prese a
fare trentacinque anni addietro.* Del • Vedi Del Rinnovamento della FU. antica
Itah, Parijri. 1 Difatto nelle Con/esnoni ROVERE designa il filosofo napoletano
come il vero e ardito rinnovatore della teorica delle idee, ma non dice come,
non dice perchè, e non giustifica in alcun luogo ed in vernn modo tale
affermazione. Nò Teramente il poterà, stantechè rimanente il merito a cui egli
può e dee pretendere panni questo. Primo d' ogni altro ei richiamò alla mente
degl'italiani non pur la dottrina su l'anzidetto criterio, ma eziandio alcune
teorie cosmologiche sparse nel libro De Antiquissima Itàlorum sapientia. Tale
si è quella de' punti metafisici come generatori di solidi, in quanto ci
significano una forza unica che in ciascun corpo meditiamo sotto la concezione
d' un punto: tale queir altra su la continuità che questa forza infonde a tutte
cose: * tale anco la idea del conato motore identico per tutto: tale il
concetto della incomunicabilità del moto onde ogni particola materiale si può
dir che possieda in proprio il principio motivo già ricevuto da tutto il
subbietto, talché il moto sia da ritenere per al tutto spontaneo:' tale,
finalmente, l'idea della impossibilità del vuoto assoluto, e 1' altra che il
divisibile accusi r indivisibile, l' indefinito e l' immutabile in seno alle
fenomeniche e divise realtà.' Ognun vede quanto ROVERE del Rinnovamento
cogliesse giusto in queste idee cosmologiche di VICO. Dopo trenta e piii anni
però egli è ritornato a parlarne, ma troppe cose nella nuova cosmologia
scordandosi della vecchia. Ristringendoci infatti, per ora, al concetto
istorico, se dell' antico maestro invocato sei lustri innanzi ei pur si
rammenta, se ne rammenta sol per addolorarsi anch' egli che il Vico fosse stato
l' autore della dottrina Corsi e ricorsi storici (malaugurata dottrina!) né sa
darsi pace pensando come mai nella mente di quel sommo tal gravissimo errore
fosse potuto capire. Al contrario oggi egli stima d'aver gettato le basi alla
filosofia storica, mercè l' idea dell' finità organica del mondo isterico. Ma,
diciamolo con buona pace dell'illustre U sua teorica neopIatoDìca delle idee
sia diametralmente opposta a quella che, come redremo, scaturisce dall* insieme
delle dottrine richiane. Dd Rinnovamento^ ec pai|^. 297. nomo, cotesto a noi
sembra ed è un concetto assolutamente vìchiano. Per tre fattori, infatti, dice
il Mamiani, il mondo de' popoli forma unità organica; e sono questi: 1* natura
comune e perpetua negli uomini; 2 È una relazione * Vedi negli Atti
dell’Accademia di Torino, celesta, tra Kant e Vico, della quale giova tejier
conto; e abbiam voluto farlo citando le parole del valoroso BERTINI. CONTI,
pensatore profondamente cattolico e altrettanto onesto e sincero nelle sue
convinzioni, ha voluto consacrare intera una lezione alle dottrine del I nostro
filosofo nel suo Specchio della storia generale della filosofia. Chi conosce i
principi! filosofici dell' illustre ed elegante scrittore toscano saprà
indovinar subito quale esposizione egli faccia di VICO, e sospettare in che
senso ne interpreti le dottrine. Può dirsi eh' e' sia il rovescio degli
hegeliani; perchè si studia di tirar tutto dalla sua parte l' A. della Scienza
Nuova, segnalandolo naturalmente com' uno de' tanti anelli della sua filosofia
perenne. Io non istarò qui a negare ne che il Vico sia cattolico, né che la
critica del prof, pisano sia fatta male. Sarà anzi critica savia e coerente: ma
è tutto Vico della prima maniera quello eh' ei ci dà, perocché niente vi sappia
discemere che non si ritrovi più o men palesemente in Agostino, in AQUINO, in AOSTA,
e simili. Però in VICO nulla ci é di nuovo, nel senso del filosofo
samminiatese, salvo che il concetto d'una filosofia civile. Né potrebb' esser
diversamente, ammessa la maniera con che suol procedere in tale esposizione
critica appoggiandosi per lo pili in certe aflFermazioni generali e
duttilissime del nostro filosofo, qual è, per esempio, questa: Dio, com'è U
principio ddV essere, così è anche del conoscere. Quante mai conseguenze non si
potrebbero far rampollare da cosifiatto principio ! Un giobertiano, per
esempio, vi mostrerebbe com' ei si sgomitoli tutto nelle note formolo e cicli
creativi e concreativi assoluti e relativi di cui al solito egli ha piena la
bocca; dovechè un hegeliano non mancherebbe darvi pruova di tal destrezza, da
sciorinarvi sotto gli occhi a fil di logica tutta la rete delle sue leggi
dialettiche. In VICO c'è parecchie di cpsi fatte sentenze; né a CONTI poteva
riuscir difficile tirarle alla sua filosofia comprensiva. Ma egli dice
benissimo dove osserva che i prìncipii del Vico, anzi che condurre al
panteismo, lo combattono; e in ciò noi conyeniamo pienamente. Or non sarebbe
stato mestieri dimostrar come non vi condncano e conte lo possan combattere?
Consentiamo altresì col dotto scrittore in tutte quelle saggio riflessioni eh' e'
sa fare su l'indole comprensiva e storica del metodo vichiano. Ma non sapremmo
concedergli che la dottrina dei corsi e ricorsi apparisca solo nella seconda
Scienza Nuova. È quistione di fatto eh' ei potrà risolvere col ridar un'
occhiata al sommario della 1* Scienza Nuova. Farà male anche a lui cotesta
dibattuta e combattuta dottrina; ed è forse per questo ch'egli procaccia di
trovar modo a scusarne l'autore: ma, più che scusarlo, avrebbe dovuto e potuto
difenderlo. Crede anch' egli poi, erroneamente, come FERRARI, che VICO
s'ispirasse alla teorica delle monadi di Leibnitz; ma contro il Ferrari mostra,
e fa benissimo, quanto il Vico fosse lungi dal confonder la causalità con l'
identità ideale. Finalmente osserviamo che i principii ond' il Vico resiste al
Cartesianismo e che il Conti riduce a tre, sono da lui debitamente
interpretati, meno T ultimo poco fa menzionato; che Dio, cioè, essendo
principio dell' essere, è anche principio del conoscere. Accettando questa
sentenza accetta anco l' altra tanto familiare al Vico, per cui la metafisica,
la matematica e l'etica siano da Dio. Anche cotesta è afi'ermazione generale,
onde nnlla può concluderai finché non si giùnga a mostrare come precisamente
accada che quelle scienze rampollino da Dio. Per ciò medesimo accoglie e ripete
quelr altro pensiero che il sommo della certezza risegga nella metafisica;
contraddicendo cosi a ciò eh' egli stesso ana pagina innanzi aveva accettato da
Vico: la certezza somma potersi l'aggiugnere unicamente con le matematiche.
Bisogna pur confessare che con la sua critica il Conti ha lasciato il Vico dove
appunto l' avean A. CoNTf, Storia della Filotofich Firenze condotto, per
esempio, il Duni, Tlannelli, il Tommaseo, r Amari, il Rosmini e tutti
gl'interpreti filosofi cattolici. E noi non sapremmo fargliene carico: con la
sua maniera di filosofare non poteva far diversamente. Anche l'illustre
Franchi, scettico ingegnoso, onestissimo, sincero, e critico furibondo, pare
talora siasi data la pena di leggere qualche libro del Vico; e ne parla I in
due luoghi neUe sue Letture sulla storia della filosofia moderna. È noto come
il Vico più volte accenni a Bacone, nella Scienza Nuova, nel Libro Metafisico,
nel^ r Orojsiotie sugli studi, e fin nelle sue Vindicue contro gli Atti degli
eruditi di Lipsia. Lo rammenta sempre con parole amorose e riverenti,
annoverandolo, com'è noto, fra' suoi maestri. Il valoroso Ausonio reputa
esagerati cotesti elogi, massime, die' egli, quando si pensi a GALILEI. Non
possiamo qui intrattenerci sul valore speculativo di Bacone: il divario e le
somiglianze fra lui e il nostro GALILEI accennammo altrove.* Ma gli elogi del
Vico al filosofo che primo ebbe coscienza della teoria sperimentale (dico della
teoria) non dovrebbero parere esagerati a nessuno: Franchi anzi avrebbe dovuto
chiamarsene contento, se avesse badato all'indirizzo storico e però
sperimentale cui è tutta volta la Scienza Nuova. Né qui giova gran fatto
invocar l'autorità di Cartesio, dicendo ch'ei fece appena menzione di Bacone;
del Newton che noi nominò mai; del Locke che lo citò solo una volta, non come
filosofo, bensì come storico. Questa anzi è una ragione di più per apprezzare
gli elogi che ne fa VICO. Qual è il motivo principale onde r autore della
Scienza Nuova encomia tanto spesso r autore del Nuovo Organo? Questo, parmi;
l'esigenza in Bacone a dimostrar con esperimenti la verità già concepita, e
quasi preveduta col pensiero.* La ragione dunque ond' al Vico piaceva Bacone,
ci mostra com' egli sapesse intendere e pregiare la mente del filo[Vedi la
nostra memorìa su GALILEI. Bologna. Vico, Vindìeke^ nve NoUb in Ada erudiUìrvm
lAptitnna] sofo inglese. E dico intendere e pregiare, perciocché -egli non
iscorgeva nel Nìmvo Organo quel rachitico sperimentalismo che ci san vedere i
positivisti, e per cui solamente e con tanto calore costoro invocano a maestro
il conte di Sant'Alban. Di che proviene poi un'altra riflessione ; ed è che
dalla citazione di VICO testé riferita è manifesto, come gli sperimenti non
sieno la sorgiva, bensì la riproduzione, la conferma di ciò che in qualche '
maniera si è innanzi concepito; e per cui i diritti dello spiritò restano salvi
di fronte a qualsiasi forma d'empirismo. D'altra parte, poiché senza sperimenti
ciò che s'è speculato riesce al tutto sterile e vuoto, ne segue che non senza
buone ragioni nella Scienza Nuova il metodo di iilosofare del Nuovo Organo è
detto essere il metodo più accertato. Avea dunque torto il Vico nel profondere
•encomii al Gran Cancelliere? Esagerazione é il dire, nell' Autobiografia,
essere stata grande fortuna per lui aver avuto notizia del libro del Signor di
Verolamio? Ma e' é di pili. Il Franchi reputa Bacone padre di quella storia che
l' autore del nuovo Organo disse letteraria, e senza cui la storia del mondo
pare vagli come la statua* di PoUfemo priva dell' occhio. Or come va che l'
acutissimo critico non s' è accorto esser la Scienza Nuova precisamente cotest'
occhio dato dal Vico al Polifemo di Bacone? E non é ella cotesta un'altra
relazione fra' due filosofi? E non è in questa relazione appunto il motivo
degli encomii esagerati? FRANCHI parla di VICO anche a proposito del Cogito di
Cartesio. È noto come l' autore della Scieìiea Nuova, ragionando di questo
criterio, facesse menzione altresì del detto di Sosia: quum cogito, equidem
certe idem sum qui semper fui. Ne parla €ome fatto inconcusso inverso a cui le
lance dello Scetticismo, per acutissime che paiano, rimangono spuntate appunto
perchè il dubbio, essendo anche pensiero e quindi importando identità
personale, racchiude certezza. Il Franchi domanda (e nel domandare, dà segno di
stupire in che maniei'a la penna d'un Vico abbia potuto scrivere tali
enormezzel): che cosa mai ci ha che vedere il motto volgare di Plauto col
principio filosofico di Cartesio? Ma, buonissimo e valoroso Ausonio, trattasi
per T appunto di questo I La posizione Cartesiana è ella davvero un principio,
o no? È egli un vero, o non piuttosto un certo? Tra i filosofi vi è anche
MAZZARELLA, che in quest' nltim' anni ha parlato di Vico nella sua Storia della
Critica, e ne ha considerato l'ingegno critico in relazione alla critica
anteriore e posteriore all'autore della Scienza Nuova. Con la solita chiarezza
e semplicità e dirittura di pensiero egli ha saputo mostrar che cosa
rappresenti il filosofo di Napoli nella Storia della Critica: !• il disprezzo
della critica meramente erudita: 2 zioni poco fa rammentato, niun altro fra noi
ha parlato del Diritto Univermle tranne roi:rregio prof. Luchini nella sua
Critica della penalità^ condotta secondo i principii del filosofo napoletano.
Egli ha messo a riscontro ia dottrina del Nostro con le teoriche di Kant, del
Bentham, di ROMAGNOSI, di ROSSI e della Scuola toscana, e se ne dichiara
seguace. Vedremo nella «Socto^ofTtd s'egli siasi apposto nello mterpretar la
teorica della penalità dell* autore del Diritto Univtrtale, anteriori. Di
fatto, porre a fondamento della società un doppio bisogno materiale e morale,
eh' è dire l'istinto al bene essenzialmente morale e all'utile tolto nel
significato di equo-buono; dimostrar Funo anteriore logicamente all’altro e
questo mostrar co' fatti anteriore a quello per sola ragion cronologica; trame
quindi il principio giuridico ed etico d' una doppia società (soci^as veri e
sodetas (squi-boni); far consistere la natura d'entrambe in uno scambio di beni
materiali e morali fra gì' individui; porre il concetto di giustizia come
proporzione onde questi beni vonn' esser distribuiti, ri che quand' anco non
esistesse un bene di genere morale ma solo beni materiali ci avrebbe a essere
ciò nullamanco una misura secondo la quale siffatti beni devano andar
ripartiti, e quindi la necessità del medesimo concetto di giustizia anche nelle
attinenze puramente materiali fra gli uomini: presentare siffattamente la
scienza del diritto, dice il Franck, vuol dire creare addirittiu*a la filo '
sofia delie relimoni civili e sociali, la benintesa Sociologia. Due sono perciò
le regole fondamentali dell'umana condotta che scaturiscono da'principii di
VICO: operare di buona fede rispettando la verità in tutto, ed esser utile ai
propri simili. ("onvien confessare, diciamolo di passata, che ove il
Franck avesse tenuto conto principalmente di questi criterii, non avrebbe speso
molte parole a biasimare il Vico a proposito dell'esagerato concetto che questi
ebbe intorno alla carità, la quale talora, com'è noto, egli confonde con la
giustizia. Altro pregio insigne di questo scrittore è l'aver saputo cogliere i
veri principii del Diritto punitivo del ' nostro filosofo, mostrando com' egli,
col tener d' occhio nella sua dottrina non pure il colpevole ma anche i diritti
e gì' interessi della società, compia nel medesimo tempo le due opposte
teoriche penali; quella, cioè, dei sistematici platoneggianti che nel comminar
la pena mirano soltanto all' ammenda del colpevole, e l' altra degli ntilitarii
e positivisti che della parte morale non ^ sanno tener conto, ne punto, ne
poco. Ma sopra tale argomento ci rifaremo altrove di proposito. Seguitando
intanto, parmi che il pregio massimo della crìtica di questo scrittore stia nel
modo col quale considera i principiì delia politica; prìncipii che, quantunque
nello stato di germe, possiamo rintracciare nel Diritto Umversale. La politica
del Vico, egli osserva giustamente, è tutta fondata sul Diritto, ma in armonia
con la storia. Sentenza verissima e feconda, che Franck avrebbe dovuto
rifletter meglio dove censura il Nostro per alcune applicazioni eh' ei venne
facendo alla storia. Laddove il Vico, egli dice, s' accinge ad applicare il
metodo allo studio del Diritto, urta evidentemente ad un doppio scoglio; da una
parte, quand' egli chiede soccorso alla sola ragione, risica di confondere e
spesso confonde il dominio della giurisprudenza con quello della metafisica;
dall'altra poi, quando chiede aiuto alla storia, altro non fa che aggirarsi in
mezzo alle istituzioni e ai destini del popolo romano, quasiché la storia di
questo popolo fosse la storia universale. In altre parole il Franck dice così:
VICO da una parte, svapora nell'a priorismo e dà nelle astrazioni; mentre poi
dall' altra intoppa nell' empirismo. Il Franck dice benissimo. Nel filosofo
napoletano questa doppia tendenza è manifesta. Ma anziché difetto cotesto,
perché non dirlo pregio? Non é egli stesso, infatti, che non rifinisce
d'incelare il metodo vichiano appunto perché consiste nel connubio della filosofia
con la filologia, della metafisica con la giurisprudenza, della ragione con
l'autorità? Or l'esigenza d'un doppio organo, d' un doppio strumento nel
metodo, non é la condizione legittima, e propriamente la parte vitale d' una
dottrina, doveché gli errori d' appUcazione hanno valore Affatto secondario? Il
non aver poi riflettuto a questo ha fatto sì che il Franck giugnesse ad una
conseguenza non vera, dicendo che il Montesquieu, quant'al metodo, vinca e
superi il filosofo italiano. Paragoni, somiglianze, analogie, riscontri fra
questi due scrittori non sono possibili. Montesquieu non ebbe neanche sentore
àeV n metodo vichiano; ed ecco perchè l'opera su lo Spirito ddle leggi non è
una filosofia della storia, non è la Scienza Nuova, né quindi credo che lo scrittore
francese siasi ispirato né punto né poco neir italiano, come inchinerebbero a
supporre Lerminier, Carraignani, Amari ed altri. Il senso delle storicità, come
primo fra tutti osserva FERRARI, manca affatto nel Montesquieu; e manca in lui,
come tutti oggimai ritengono, il compimento razionale filosofico; vi mancano
insomma i principii, 0, per dir la parola che usano gli stessi Francesi a tal
proposito, vi manca il carattere détta raziofialità. ^j L' ultimo libro nel
quale si parli cou serietà scientifica del nostro filosofo, è quello di Ferron,
ingegnoso e abilissimo filosofo. Nessun francese meglio dì 1 lui ha saputo
cogliere il significato razionale della Scienza I Nuova, comprenderne il metodo
isterico, e pome l'autora in quel seggio che gli spetta fra i pensatori dell'
evo moderno. Tracciata la storia dell'idea del progresso,^' egli entra a
discorrer su la scienza de' fatti storici qual' era concepita prima di VICO,
sul DIRITTO ROMANO rispetto alle dottrine di lui, su la Scienza Nuova di fronte
alla critica moderna, e con erudizione eletta, acconcia, sobria e non
affollata, prende a trattare la ' Il Canuignani dice benissimo dove affernia
che il metodo del Mon ) tesqaien rassomiglia al microscopio, in mentre che
quello del Vico rende imagine del telescopio. (Storia della FU, del Diritto)
Che poi il difetto di razionalità costituisca la parte debole deiropora del
filosofa francese, è cosa ormai detta e ridetta e provata fino dal secolo
passato, e confermata sempreppifi dai moderni. Non potendo trattenerci in
questi particolari, rimandiamo i lettori al giudizio che in proposito danno i
seguenti scrittori, e che torna conforme al nostro espresso poco fa: Duxi,
Saggio mila Giuritpr. univ., FlLAKOlRRI, Se. della Legialaz.^ lotrod. MaCKINTOSH, Vige, nur Vétude du Droit de la nature,
ec. RoTTBSKAg, Emil, Fra i moderni poi cons. Lebminirr, Biat,^ ginér, Barkt,
Hiwf. dea idéen morale» et politiquea en France Jakrt, Hiat. ec. yol. II, pag.
516. DaFAO,^; De la méth. d*olaervation aux aciencea mor. et poi.,. Qneit* ultimo anzi dice mancare affatto nel Montesquìon una teorica.
quistione su Tetà dell'oro, e l'altra su T orìgine e sul valore de' poemi
omerici. Il buon senso di Ferron nel saper rilevare in siffatte quistioni il
merito del nostro filosofo a me sembra davvero mirabile. Con dirittura di
giudicio intende la relazione fra il diritto civile e '1 diritto filosofico; e
con tal chiave nelle mani riesce ad interpretar debitamente la storia ideale
che l' autore della Scienza Nuova seppe cogliere nello svolgimento del gius
romano. Uno per lui è il sistema del Vico; onde le due Scienze Nuove non sono
da riguardarsi altrimenti che come detix rédadions éCun ménte sujet: al che
dovrebbe por mente il nostro Cantoni. Ritiene egli pure che lo Champollion non
discoprisse, bensì confermasse pienamente la dottrina del Vico su la storia
della scrittura, tale essendo infatti la triplice scrittura egiziana
geroglifica, jeratica e demotica. Dimostra ch'egli prima d'ogn' altri ritrovò e
compose in armonia parecchie dottrine accettate oggi e rassodate
difinitivamente dalla scienza, quali sono, per citarne qualcuna, la formazione
del dramma satirico riguardato come sorgente d'ogni poesia drammatica,
l'anteriorità del linguaggio poetico al linguaggio prosaico, e simili. Da
ultimo fa rilevare come, non contento d' avere scoperto la legge secondo cui si
vanno svolgendo nel corso isterico le grandi civiltà nonché le forme semplici
del reggimento politico, profondasse la mente nel ricercare e determinare il
carattere d' un' epoca anteriore alla città ed alle aristocrazie feudali, epoca
che costituisce appunto l'età divina. La quale osservazione, fatta da un
francese, dovrebbero oggimai spassionatamente meditare i positivisti francesi
che non rifiniscon di celebrare la scopei'ta della legge sociologica del loro
maestro! Ma nel De Ferron incontriamo riflessioni che non ci è venuto fatto
ritrovare in verun critico. Base della città, die' egli, fondamento del
formarsi delle nazioni per r A. della Scienza Nuova non è Y istinto della
sociabilità, come credevano i giusnatnralisti suoi contemporanei. Se tale
istinto può aver creato la iaiiiiglia e le tribiì, non però basta a fondar la
città, non riesce a condurre un popolo ad una data costituzione politica. È
necessaria dunque una l'orza estrinseca, senza cui r uomo rimarrebbesi nello
stato pastorale. Ora cotal forza estrinseca e tutta naturale consiste nel fatto
del successivo migrare delle tribù da alcuni centri; nel loro successivo
aggrupparsi in dati luoghi; nel fissare lor sedi, ond' è resa possibile
l'agricùltura; e finalmente) nel fatto delle conquiste, le quali hanno virtù di
creare e rendere sempre più stabili e quasi organiche le nazioni sedentarie.
Tutto questo, dice benissimo il De Ferron, scaturisce a fil di logica dalle
dottrine del Vico. Diciamolo ora con parole nostre: l’organismo sociale, la
società, è da natura; è nella natura: l'organisiifo dello Stato, in vece, è
sottoposto a processo; questo processo tiene ad arte; ma quest' arte è fondata
aqch'ella in natura. La relazione storica, dunque, ecco il concetto del Vico
che il De Ferron ha interpretato a meraviglia., Altra osservazione assai
notevole parmi questa. Non v'è stato né v' è, die' egli, chi i;on abbia
celebrato il filosofo di Napoli qual padre della filosofia della storia; mais
on se garde d'exposer sa méthode historique, aristoteliemie, i cui principii
son oggi venuti applicando, in diverse ricerche storiche Macaulay, Michelet,
Guizot.' Con queste parole il De Ferron mostra d' aver pienamente compreso il
metodo della Scienza Nuova; metodo essenzialmente aristotelico, checché ne
abbian' detto e si piaccian dire certi hegeliani. Ed ecco perché egli s'
allontana da parecchi altri critici nell* apprezzare il concetto vichiano sul
progresso; rispetto al quale consente con Y anonimo traduttore francese, col
Tommaseo, con lo Spaventa e con altri, per citare qui ' È uno de' principii su'
quali è fondata la Sociologia del Comte e ch'eglif spesso appella contenBo,
cospirazione {Coum de PhiU posity voi. V). Sarà anche questa una scoperta del Positivista
francese? Db Ferron, tre nomi che, quantunque discordanti nel resto, convengono
ciò nondimanco nel credere che in Vico esista r idea del progresso. E a chi
neghi o dubiti che cotesto concetto ritrovasi nella Scienza Nuova, il De Ferron
è pronto a rispondere: cela parati impassible a PRIORI, car le progrès décovUe
de son sy stèrne; mais en otUre U le prodame formellemeYU} Si dirà che il Vico
non vide 1' elemento, la molla principalissima delprogresso, cioè la
trasformazione dei rapporti econo spirito. Uno de' suoi pregi, come s' è detto,
è la posizione del pensiero qual inizio di scienza indipendente da ogni
qualunque autorità: ma di ciò, com' è noto, Cartesio non può vantarsi d' essere
stato primo divulgatore e sostenitore nel regno della scienza.' Vero pregio,
pregio massimo dell'autore delle Meditazioni sta neir aver considerato come
originaria virtù dell'anima l'attività stessa del pensiero; aver posto r anima
come il pensiero stesso, e però come soggetto e obbietto.' Senonchè il pensiero
per lui non era altro che rappresentazione, e, come tale, unione a dir cosi
meccanica, incosciente, immediata di due oppositi elementi, dell'universale e
del particolare, dell'infinito e del finito. Come dunque potev' egli riuscire
al vei'o organamento del sapere filosofico, posto un fatto empirico, Dt$c et le
Cartinanimne, Introd. Franchi, St. detta FiL mod., Tol. 1, letlnrs Jaitbt,
(Euw, phiL de LeibnitZj ToL I., Introd. TrnmtiiAinf, Su ddla FU. La riforma
cartesiana, cosa arvertita presso che da tutti gli storiografi, non giunse
nuova fra noi, tanto clie la si riguardi come rinnoramento filosofico, quanto
che come reazione scolastica. ATevamo avnto già PETRARCA, poi VINCI, la scuola
Telesiana – TELESIO (si veda), poi la scuola Galileiana – GALILEI (si veda).
(Vedi Libri, HUt. de» •eienc, math., ~ PncoiiroTTi, Sl della Med,^ voi. ult.)
Potremmo dire altresì che TAconzio, come osserva giustamente il Franck [Diet,
de» »eiene. phiL) fosse stato in ITALIA il devander \ del metodo cartesiano.
Avevamo avuto anche BRUNO; e segnatamente CAMPANELLA, le cui opere non
dovettero esser del tutto ignote a Cartesio, come nota il Bitter {Hi»t. de la
phU. mod.). Ma anche qui, al solito, s* inciampica neir esagerazione quando si
vuol risalire fino a sant'Agostino a ripescar 1* antecedente del pronunziato
Cartesiano ! Nò io mi ci vo' opporre, sapendo che in quel Santo Padre e' è pur
troppo r esigenza cartesiana (Vedi per es.: De Lib. Arò., e specialmente De
Civii. Dei). Ma il valore della posizione è tanto diversa ne* due filosofi, quanto
diversi i tempi in ch*ei vissero, trattandosi ben più che di certezza
d'esistenza. Il Cousin poi, com'è noto, va fino al No»ee te ipeum di Socrate !
Contentiamoci di questo, che non è poeo: un eclettico ne potrebbe far di
peggio. • DiBOARTBS, Médit., Lettre», U II, U». Obi. répotue», I, 4. posta una
dualità empìrica? E in che maniera spiegare nel pensiero l'unione del finito
con l'infinito? Ma che davvero l' idea di Dio sia innata e a priori nella
nostra mente com' egli stesso afferma, * al modo eh' è innata, non nata, cmmcUa
l' idea di noi medesimi (ciò eh' è proprio la novità di Cartesio) è ancor cosa
da dimostrare. È ella possibile nel nostro pensiero l'idea dell'infinito
veramente detto? L'essere adegua il conoscere, dicono certi interpreti hegeliani;
e poiché nel conoscere v'è r infinito, il pensiero è dunque infinito: ecco la
novità vera di Cartesio, su la quale s' imbasa propriamente la filosofia
moderna. Ma il pensiero è egli propriamente l'essere, come si vorrebbe darci ad
intendere? Non potrebbe stare che cotesta fosse un'affermazione arbitraria di
Cartesio, fatta legittima, più che altro, dal desiderio, nonché dall'
artifiziosa interpretazione che gli hegeliani porgono all'entimema cartesiano?
Diranno non ci essere artifizio di sorta in questa loro interpretazione. Ma non
è forse egli stesso, Cartesio, il quale a chiare note ci dice in che senso
parli d'innatismo, afiermando, la natura stessa averci fornito d'una facoltà
mercé cui produceìido queUPidea possiamo conoscere Dio?* Checché ne sia, era
d'uopo rivedere, chiarire e correggere in gran parte la posizione cartesiana
del pensiero. Questo quant' al Descartes, come iniziatore del novello
indirizzo. Quanto poi agli esplicatori del Cartesianismo, in generale, era d'
uopo restituire alla scienza'' il concetto delle cause finali invocando
segnatamente lo studio della storia; porre l'assoluto come obbietto •
Descartes, Médit. 8«. Vedi nella Troinhn. oljection9f Z" Rép,: e nella
Rép. à M. Begiut. Non ignoro che nella Meditaz. 3^ e 5" egli dice
apei-tamente, Tidea di Dio essere innata in quanto ci ^ imprenta da lui
medesimo. E qoi è chiara la contraddizione tra ciò eh* egli afferma in queste
Meditazioni, e le illustrazioni ch’egli stesso ne dà nelle Risp. alle
obbiezioni poco fa indicate. Bisogna dunque levarla di mezzo tale
contraddizione; è fuori dubbio. Ma perchè pretendere di leTarla con T
identificare Dio e pensiero, facendo contro cosi a tutte lo esigenze della
metafisica cartesiana ? anziché come principio di ricerca; accomunare in un
subbietto dinamico universale tanto la costituzione del mondo fisico, quanto
quella del mondo morale; e quindi statuir le norme d'un metodo non geometrico,
non puramente psicologico, né assolutamente a priori nella, costruttura della
Scienza Prima. Questo per V appunto presero a fare il Leibnitz in Germania e,
poco appresso, VICO IN ITALIA. Non vorrei che i lettori stimassero
inconcludente il ravvicinamento di questi due nomi, e inutile e vuoto un
riscontro delle loro dottrine. Non è cotesto, intendiamoci, uno de' soliti
riscontri onde rigurgitano certi libri odierni appo cui non di rado si dà per
concreta, storica, reale un'attinenza meramente logica, o ideale che sia. Il
riscontro tra il filosofo di Napoli e il filosofo di Lipsia è tutto ideale; ma
la ragione di esso pone radice, meglio che in qualche riposta e fatai legge
dialettica, in queste due ragioni principalmente: !• nella forma e natura
stessa di lor mente: 2* nelle condizioni della filosofia del secolo XVII. E
innanzi tratto ricordo anche qui, non esser possibile dimostrare che il
filosofo italiano siasi ispirato nel filosofo ) di Lipsia ormeggiandone metodi
e dottrine, com' altri hann' affermato.' Nullamanco l'affinità fra alcune
dot[Vico ha coscienza della propria posizione specalativa, e scientemente opponevasi
alP esagerazioni ed errori cui ruppero le diverse direzioni e scuole nate dair
indirizzo cartesiano. £gli conobbe lo opere di Spino}^, di Locke, di
Malebranche, e Tisi oppose. Quant'a Spinoza, cfr. Op. voi. QnanV a Locke,
Quant'al Malebranche, INon è dunque niente vero ciò che è stato affermato da un
hegeliano che il Vico, posto eh* abbia speculato, speculasse incosciamente e
senz" alcuna relazione alla storia della scienza. * In tutte le suo
scritture ne rammenta il nome appena appena due volte a proposito, non già di
qualche dottrina filosofica, ma delle controversie fra Newton e Ldbuìtz. Una di
queste citazioni è nella seconda Sa meth,, ec, Leibnitz, Meth, nova ditte,
dpcend. juritpr,, P. II, § 29. Amendne si presentano al pubblico con questioni
di metodo; ricerca degl* ingegni veramente grandi, anziché da filosofi pedanti
e scolastici, come si crede. ' Nella Ragion degli Hudi v' ha i criteri per lo
studio della ginrisprndenza. *
Vedi quant' al Leibnitz Mimoire» de VAeadfmie de Berlin^ voi. I,art. 1. ' Leibnitz, Xouv. Et», . il sustrato della Scienza Nuova, si
che vede svolgersi cotale idea anche attraverso gli antichi poemi. Quant' alla
fisica poi, alla res extensa di Cartesio, agli atomi fisici del Gassendi,
contrappongon gli (domi di sostanza, gli atomi metafisici,^ i punti, i momenti
metafisici e lo sforzo impedito nell'essenza stessa dell'universo.' Per questa
medesima ragione entrambi parlano linguaggio somigliante circa la natura delle
matemati-i che. Di fatti contro Cartesiani e Hobbesiani Leibnitz mostra la
inefficacia di siffatte scienze nelle indagini propriamente filosofiche, e al
di là del calcolo aritmetico e geometrico crede esserci luogo ad un altro e più
rilevante calcolo che tiene all' analisi delle idee; stantechè nella sostanza,
die' egli, ci abbia sempre qualcosa d' infinito.' La medesima insufficienza del
metodo geometrico scorge anche il Vico in più luoghi delle sue scritture; e lo
reputa difficile, anzi impossibile alla mente del metafisico.^ Col che essi
anticipano alcune idee di Kant in proposito. * Lbibnits!, %ff. noìit;. etc,
Vico, Risp. 1« al GiomaU de' Letterati, L* affinità de*dne filosofi, come si
vede, è mirabile anche nel linguaggio: punti metaJUici, conato («VTf^i'X^'av)
tramezzante la potenza e Tatto (Lbibkitz, Op.), 0, come direbbe il Vico, la
Quiete e il Moto; per cai la matteria, anziché passiva, ò per entrambi una
forza viva. Anche i punti matematici per entrambi non sono che simboli de*
metajitici; e i punti jieiei per tutt'e due riescono indivisibili, ma solo in
apparenza. La ragione poi ond*essì adoperano la parola punto è la idedesima; ed
è, che il punto racchiude infinito numero di relazioni. Finalmente si potrebbe
dir propria anche del Vico la nota sentenza del Leibnitz: eonatue e*t ad motum,
ut punctum ad epatium; e pel Vico vedi nelle Risposte al Oior. de* Lett.). In
omnibu» èubetantiis aliquid eet infiniti; unde fit ut a nobie per/ecte
intelligi potint sciite notionee incompUtfr, qualee eunt numeromm, figurarumj
aliorumque hujuemodi modorum a rebus animo abstractorum. Lkibxitz, Op., Vedi
neW Autobiografia, AìtroY e dice che la matematica è la più certa di tutte le
scienze, perchè prova per cause [De Antiq, Ital.), ma il metodo di essa riesce
esiziale, sterile e pericoloso quando si voglia adoperare nelle altre
discipline (Risp, a Gaeta), disastroso poi nella fisica, neir educazione degT
ingegni (/&»', passim), utile solamente neir ordinare anziché nello
scoprire (De Antiq., Ital. Entrambi poi riconoscono in Dio le stesse primalità:
potenza, volontà, intelligenza;* e se nell'uno troviamo il principio che Dio
creando non possa produrre altro che il migliore e il più perfetto de' mondi,
in Vico tale dottrina si lascia argomentare, come vedremo, dall' insieme delle
sue dottrine. Quant' alla storia, V un d' essi riconosce un progredire continuo
nel tutto, e la possibilità del regresso nelle parti;' dovechè l'altro, meglio
determinando e dimostrando cotal concetto, pone la dottrina dé*c(/rsi e ricorsi
storici, in cui sono racchiuse le idee di progresso e regresso, governati da
una medesima legge. Che se è stato detto esser d'uopo risalire, meglio che al
celebre Discorso del Bossuet, alla metafisica del Leibnitz per ritrovare un
concetto spe! culativo che fosse come il vero antecedente della filosofia della
storia, s'è detto giusto; atteso che veramente il filosofo di Lipsia, col
sommettere al principio della ragion sufficiente l' ordine delle cose fisiche e
morali, dischiuse la via alla dottrina del Determinismo universale, perocché
tutto per lui si annodi nel mondo, tutto si corrisponda, tutto armonizzi. In
Vico veggiamo questa medesima esigenza; ma nello stesso tempo ne troviamo la
correzione. Perciocché se anche per lui il passato è gravido del presente, al
modo stesso che il presente partorisce il futuro; non tutto però nel mondo
delle nazioni é avvinto a leggi fatali e cieche, perché nel regno dello spirito
vi è agli occhi suoi la ragione, v' è pur la libertà, sicché tutto il processo
isterico per l'Autore della Scienza Nuova non é altro, in sostanza, j che la
soluzione del problema della libertà, sia che tu la consideri negl' individui,
sia che negli Stati. Dinanzi alla mente d'entrambi, dunque, risplende chiara la
legge della continuità nel giro de' fatti umani e storici. Né si creda che l'
affinità fra ^ i due filosofi non si Lribnitz, MonaU., Op., ediz. Erd., Vico»
De Univ. Jur, Idem, Theod., 8. * Idoin, eod., 8. lasci scorgere altresì nelle
contraddizioni e non di rado anche nelle strettoie fra cui gi resta impigliata
la coscienza religiosa. Ei cominciano a scrivere innanzi d'aver fissato,
determinato e organato le proprie idee; di modo che, se l' uno fin quasi ai
quarant' anni, fino alla comparsa delle Meditazioni,* va fluttuando non libero
da incongruenze, l’altro va tentennando fino alla terza edizione della Scienza
Nuova. Onde non è a meravigliare se tutt' e due si contraddicano quant' al
concetto di creazione; perchè, se V uno ponendo la moltiplicità delle monadi
come primitiva ed esistente per necessità metafisica, dice nullamanco esser Dio
quegli che sceglie r ottimo fra i mondi, e immagina delle monadi create par des
fidgurcUiotis continudles dalla divinità; l'altro poi, stabihto il criterio
della conversione in senso metafisico, non dubita parlarci del miracolo della
creazione, e dell'annullamento del mondo! Quanto aiprincipii, in generale, si
palesano entrambi eclettici; ma è d' uopo intenderci nell' applicar loro
cotesto nome. Sono eclettici appunto nel significato e nel valore che lo stesso
Leibnitz dav' a tal voce; nel qual valore ci confermerebbero molte sentenze del
Vico. Sono eclettici, io dico, non perchè raccolgano in un tutto ciò che si
presenta come vero squadernato ne' differenti sistemi, eh' è precisamente il
fiacco e volgare eclettismo sfornito d' ogni originalità; ma sì perchè,
aggiugnendo anch'essi qualche altra cosa di proprio, riescono a comunicare
novello impulso a tutti gli ordini delle scienze. Rispetto alle fonti del
conoscere, o fondamenti del sapere, alla doppia sorgente vichiana del vero e
del certo risponde ' Meditationea de cognitionet veritate et ideiti f 1684.
Lribnitz, Monad,f Vedi questa sentenza del Leibnitz nelle Lettre* à Rémond de
Montmort, edlz. Erd., e ne* Nouv, £»»., Hb. I. Nel Vico poi troviamo molte
affermazioni del tenore seguente: Chi ai trae fuori da questi prineipii, guardi
clC ei non traggati fuori deìV umanità, E eh* egli poi sia eolettico in questo
senso, anziché nel significato voluto dal Cousin, dal ristica e popolare col
suo concetto della monade. (La FU. di Oiohertif ) Più chiaro e più accoucio di
tutti sembraci il modo col quale il Chalibosus pone relazione fra' successori
di Leibnitz. Kant, egli osserva, col concetto della cosa in s?, col noumeno,
nega Leibnitz; la scuola di Jacobi con r ide& d* un contenuto razionale
accessibile solo al sentimento, s' oppone all'idealismo critico di Kant, e nel
medesimo tempo all'idealismo subiettivo di Fichte; mentre la scuola di Herbart
col realismo delle monadi e col realismo psicologico, si oppone all'idealismo
obbiettivo e assoluto di Schelling e di HegeL (Willm) Questi due gruppi
rappresentano un doppio svolgimento del pari esclusivo del concetto moMen
fortunato del Leibnitz il Vico non ispiegò grand' efficacia in Italia,
nettampoco in Europa, per le ragioni ormai dette e ridette da' suoi critici ed
espositori. Ma anche in questo gioverebbe guardarci dal cadere in esagerazioni.
Posta la storia della Scienza Nuova da noi tracciata, nessuno, crediamo, vorrà
più oltre dubitare che l'azione del filosofo italiano fosse stata nulla, così
ne' suoi contemporanei, come ne' suoi seguaci. Legami intimi, vincoli
speculativi necessari, storici, nou vi sono; e quindi è inutile cercarvi
continuità e processo veramente detto. GENOVESI e GALLUPPI, per dire un
esempio, tuttoché non ignorassero, in ispecie il primo, le opere di lui,
scrissero non pertanto come s' egli non fosse esistito al mondo mai. Verso il
sesto lustro del presente secolo, in quella che co' seguaci di Hegel comincia a
declinare il moto filosofico originale di Germania, e in Francia come in
Inghilterra odonsi i primi rumori del Positivismo, vedemmo come anche fra noi
si cominciasse a sentir più acuto il bisogno al filosofare. E cosi il Mamiani
(il Mamiani del Rinnovamento), e quasi nel medesimo anno il Rosmini, si provano
a rannodar gli anelli della nostra tradizione filosofica, ma con efficacia
assai lieve. E dico lieve, perchè, quantunque ella ingagliardisse vie più col
crescer degU anni e col succedersi de' nostri filosofi, non pertanto pretendere
di stabilire in essa tradizione un vero processo ed una continuità logicamente
progressiva, a me sembra vana impresa e, fino a certo punto, anche infruttuosa.
Giova ripeterlo: a voler rintracciare alcun filo di cotesta tradizione in
maniera positiva, ciò è dire storica, né soltanto ideale, io per me non iscorgo
altra via tranne quella che noi abbiamo, anziché percorsa, additata; intendo la
via che dal Vico ci mena ai nostri ultimi filosofi, ma per mezzo de'
giusnatuoadologico; ma vi ò certamente un progresso fra 1 rappresentanti del
primo e qaelli del secondo. Vedi per le notizie particolari di questo periodo
fllotollco tedesco il Barohoc dr Ponhoem, Hìh, de la Phil. depuU UibnitK
juMqu'à Hegel. BuuLE, Hi9t. de la PhU,, voi. Vili. ralisti, de'sociologisti,
de'critici e degli storici attraverso i tre differenti periodi già discorsi.
Altre vie ci saranno, io lo so; ma tutte artifiziali, tutte pericolose, tutte
vuote 0 rigonfie de' soliti riscontri ideali che agli occhi dello storico e del
critico positivo valgono fin' a certo segno. Con la qual cosa non è a credere
che noi pretendiamo dare alla filosofia italiana caratteri e prerogative eh'
ella non ha, né può avere di fronte a quella di Grermania. Il professore
Spaventa osserva, che la filosofia italiana non costituisce processo, né
assomiglia, per così dire, ad un filo che si sgomitoli necessariamente e
razionalmente, com' é quello che in organismo vivente e palpitante annoda l'
Idealismo critico con l' Idealismo assoluto, mercé l'Idealismo subbiettivo di
Fickte e l'Idealismo obbiettivo di Schelling: non é, in somma, unevolturìone
strettamente logica, un dispiegamento serrato, compatto, e come chi dicesse
inquadrato e chiuso tutto in sé medesimo com' una severa dimostrazione
geometrica. Il professore di Napoli dice benissimo. Questo oggi dicon tutti; e
questo medesimo ripetiamo anche noi. Solamente chiederemmo: non potrebbe stare
che cotesto filar compatto e processuale; che coteste filiamoni seriali, com'
ha detto lo Spencer ai Positivisti francesi; che, in somma, coteste annodature
organiche, considerate (già s'intende) nell'ordine istorico, fossero per
avventura altrettante immaginazioni del nostro cervello, meglio che relazioni
di fatto a cui ci spinga la ragione, meglio che attinen/ie concrete in cui ci
confermi la storia? Annodamenti, giunture, articolazioni intime formano di
certo il pregio massimo della Scienza; costituiscono r essenzial condizione del
sistema; sono la vita della ragione, avvisata come funzione filosofica e
metafisica. Ma si vorrà dire che tutto ciò sia anche pregio e condizione vitale
ove dall'ordine astratto e teoretico e individuale si discenda in quello delle
applicazioni e della storia, per esempio ad un periodo storico nel quale ci sia
dato assistere all'opera svariata di molti ingegni, al lavoro molteplice di più
menti fra loro diverse per infinito numero di condizioni, condizioni differenti
per luogo, tempo, educazione, carattere individuale, e civiltà? È egli pregio,
di grazia, o non più veramente difetto il prendere un dirizzone e andare sino
in fondo diritto come fil di spada? E dov'è, dunque, la necessaria moltiplicità
di direzioni, e quella ricchezza d'aspetti differenti, e quella varietà di
vedute e di metodi e dottrine in cui risiede, a dir proprio, il moto e l'
essere e la vita feconda della storia? I quattro filosofi di Germania
costituiscono, come dire, una mente sola, un sol pensiero; formano quasi un sol
uomo che svolga e determini la propria attività: e, in effetti, come un sol
uomo essi hanno saputo filar sillogismi e tesser la scienza cosi da comporre,
sto per dire, una catena salda e compatta di soli quattro anelli.* Per
contrario la filosofia italiana non ci pone sott' occhio nulla di simile. Ella
non è un processo, o al più è un processo distratto, rotto, saltellante, fatt'a
pezzi e a bocconi, Qual relazione mai tra VICO e GALLUPPI? tra GALLUPPI, SERBATI
e GIOBERTI? tra GIOBERTI e lo scettico Fer? fra Ausonio critico radicalissimo,
e il cattohcissimo Conti? fra il neoplatonico ROVERE e il severo storico
BERTINI ? fra' nostri Hegeliani e i nostri redivivi Tomisti? Riconosciamo
francamente i pregi del periodo filosofico germanico; e non meno francamente
riconosciamo i difetti della nostra moderna filosofia considerata sotto r
aspetto storico. Ma ci si permetta una confessione, ed è che noi saremmo
tentati a scegliere più presto questi difetti, anziché que'pregi; per la
semplice ragione accennata poco fa, che gli uni, nella mancanza d'unità e
d'un'euritimia stecchita e geometrica, ci presentano il fecondo moto * Ecco
come il Remnsat riduce quasi a forma geometrica V andamento progressivo del
pensiero germanico, o meglio, de* quattro filosofi in discorso: L* idea^ dice
Kant, non prova che «d «fe««a: l’idea^ ripigìiè Firkte^ produce Veuere: Videa,
soggiunte Schelling^ riproduce V e«itcrc: V idf^, eondwe Hegel,, > Vetsere.
(De la Phil. ÀUem,) del fatto istorico, dovecchè gli altri, nell' evoluzione
serrata e compassata di loro speculazioni, ci traggono e e' incatenano allo
spirito dommatico, esclusivo, unilaterale del filosofare, e perciò medesimo
racchiudon la morte del pensiero appunto perchè presumon di chiudere il circolo
dello stesso pensiero. Non dimentichino gli amatori de' periodi storici filati
e serrati, come la storia della scienza e delle grandi età, presso cui rifulse
più splendido il pensiero filosofico, stia tutta contro di loro. Si rammentino che
nell' età gloriosa del Rinascimento in Italia cotesto filar sottile di
speculazione, cotesto fitto annodarsi di più scuole e stringersi e allacciarsi
di più filosofi impersonandosi quasi in un sol filosofo, non ebbe luogo. Non
ebbe luogo, checché se ne dica, nel più celebrato periodo che ci presenti la
storia del pensiero umano, il periodo della filosofia greca, né prima né dopo
Socrate; ma in esso il critico vede una moltiplicità sempre più crescente e
feconda da' primi Ionici agli ultimi Stoici, agli ultimi Scettici, agU ultimi
Neoplatonici, tuttoché quelle scuole così differenti si fossero succeduta sotto
l' impero d'una legge universale, storica e psicologica insieme. Questa legge
conforme alla quale si venne svolgendo il pensiero speculativo nelle scuole
greche, possiamo trovarla accennata dal Laerzio (come hanno osservato il
Brandis e il Ritter) là dov^egli afferma che presso quei popolo la filosofia
sMniziò con la nozione d*una pluralità^ indi venne progredendo con quella d*
un' assoluta um'rà, e appresso cercò di stabilire una relazione fra' due
concetti. E questi caratteri, in generale, ci additano veramente la scuola
ionica e pitagorea, la scuola eleatica e poi quelle d'Anassagora e d'Empedocle;
ma sempre in maniera esclusiva, grossolana, oggettiva e naturale. La comparsa
di Socrate segna un ricorto della medesima legge, ma con ben altro significato
e indirizzo razionale. Accanto a lui vediamo sorgere la Sofistica: il che vuol
dire che, oome in ogni ritorno istorico, nel 2fi periodo della filosofia greca
ha luogo un doppio lavoro di demolizione e di ricostruzione; l'uno
rappresentato da' Sofisti» l'altro da' Socratici. Ond'è che la sofistica né
vuol esser avuta in dispregio, come' fanno alcuni fra'quali il Ritter, e
nemmanco esagerarne il valore e l'importanza isterica secondochò fanno altri,
per esempio l'Hermann, col porre i Sofisti a capo d'un periodo novello di
filosofare. Nella storia del pensiero greco (passaggio al 2o periodo), tanto
vale un Sofista, quanto un Socratico; appunto perchè se la negazione del primo
non è annullamento di speculazione, l'affermazione del secondo non Un vincolo
storico, reale, positivo, cosciente, lo troviamo fra Platone e Aristotele. Al
di qua e molto più al di là de' due luminari non ci ha che relazioni ideali, gran
numero delle quali è, piò che altro, l'effetto della critica armeggiona di
certi storiografi; essendo già note le spostature a comodo che son venute
mulinando certe fantasie hegeliane dietro l'esempio del maestro, ponendo, per
dime una, dopo la scuola Zenoniana d' Elea quella d' Eraclito, con aperta
smentita della storia, de' fatti, della cronologia e de' dati storici più
sicuri, e considerando Socrate, per dirne un'altra, come logicamente posteriore
ai Sofisti, mentre è noto .come il gran figliuolo dell'umile Fenareta fosse
loro contemporaneo! Rammentiamoci che cotesti lambicchi e distillatoi, cui si
pretende sottoporre la storia, non ti può dir neanche posizione sistematica,
ovvero esplicazione organica d'nn dato ordln d' idee. Ma la ricostmzione
rappresentata da Socrate è essenzialmente psicologica ed etica, non più
naturale, empirica ed estrinseca; stantechè in loi, come incontra in ogni
ricorto ttoricOf ripetesi il carattere della pluralità oggettiva (però come
eoncetH, i quali importano la coscienza), e quindi in Platone ed Aristotele si
ripetono, ma trasflgorati, gli altri due caratteri. Platone infatti pone V
unità assoluta in 8Ò, mentre che Aristotele si studia ritracciare una relazione
fra quella mmo e il moluplieet sforzandosi di levare il dissidio fra 1*
immanenza deU*a8ffoInto nel mondo, e la permanenza del mondo neir assoluto
avvisato in sé stesso. Dopo il *i0 la Log, d^Ari»U^ T. U, 19^. ' n Barchou de
Penho^ln dice anche lui non di rado, come il Boullier, qualche enormità tutta
francese. Per esempio questa, che Cartesio, Spinoza e Malebranche formino una
mrd4>nlmn icuofa^ e una ntf^itm dot' trino/ Vedi Op. cit., p. 101.
discredere ad ogni processo istorico nel pensiero filosofico? Tutt' altro!
L'esigenza del processo, in tutto, non è meno salda e men vivace nella nostra,
che nella vostra mente. In noi non sistematici assoluti eli' è piii vera, più
legittima, più pratica, positiva: ecco la nostra pretensione. Sarà puerile o
troppo ardita cotesta pTetensione: ma, fra tante pretensioni che c'è al mondo,
e delle quali si mostrano cotanto ricchi gli annali della filosofia, non ci
potrà capir anche questa? Un processo nel pensiero filosofico, tanto nella
storia universale come ne' suoi differenti periodi e sin nelle diverse scuole
d'un sol periodo, ci ha da essere; e ci ha da essere appunto perchè la storia,
anche agli occhi nostri, è sempre l'opera d'un disegno. Ma poiché
l'incarnazione di cotesto disegno non è soltanto effetto di pensiero
incosciente, ma è la risultante di condizioni molte, svariate, complesse per
numero e complicate per natura, fra cui signoreggiano le intuizioni, prevalgono
i sentimenti, primeggiano le tendenze istintive; ne seguita che il processo non
può manifestare, come si pretenderebbe, una forma squisitamente organica e
seriale, Ei debb' essere incompiuto, com' avviene d' ogn' altro fatto storico.
Or s'egli è incompiuto, non bisognerà pur compierlo? E chi potrà compierlo, chi
potrà integrarlo fuorché il pensiero che lo studia e sommette alla propria
speculazione? Un processo dunque ci ha da essere; ma ha da essere insieme
obbiettivo e subbiettivo, storico e speculativo, essendo l' opera combinata non
già dalla nostra fantasia, com' è vezzo di certi storiografi che annodano, per
esempio, Cartesio e Kant co' fili ch'ei sanno maestrevolmente rimaneggiare a
tutto lor profitto, bensì r opera combinata fra il pensiero che fa, e il
pensiero che, facendo, vede, scopre e progredisce e sale sempre più in su.
Spieghiamoci meglio. Non si tratta di combinare fra loro le diverse menti de'
filosofi d'un dato periodo: si tratta di combinar tutto il periodo, o, per lo
meno, i risultati di tutta la speculazione d' un dato periodo filosofico, con
noi medesimi, cioè con la nostra mente, co' bisogni della presente
speculazione. Nel primo caso, plasmando a nostra immagine e simiglianza una
data serie di dottrine e di filosofi, la storia sarebbe fatta da noi: nel
secondo, invece, ella sarebbe fatta mercè una doppia forza, in virtù d'una
doppia leva; cioè da sé stessa, e anche da noi. Non è quindi la storia, la
storia come storia, quella che possa e deva render compatto organando appuntino
il processo; il quale perciò non può esser costituito nella sua forma organica
da più scuole e da più menti considerate queste alla maniera d'una scuola od'
una mente; bensì dev'esser fatto tale da chi, venendo dopo, è deputato a
raccoglierne l'eredità. Se non fosse così che cosa ne seguirebbe? Ne seguirebbe
che per nessun miracolo al mondo sapremmo salvarci da questa conseguenza: che,
cioè, la storia della scienza s' identificherebbe, si compenetrerebbe con la
scienza stessa;* e quindi per inevitabil necessità dovremmo giungere ad uno di
questi due corollari: credere, cioè, o che il sapore filosofico 1' avremmo oggi
beli' e conseguito, o che noi conseguiremmo giammai, essendo indefiniti i
limiti della storia. Dimodoché dovremmo, com'è evidente, imbrancarci o con gli
Hegeliani, ovvero co' Positivisti. E, se co' primi, non avremmo torto
dijicantar su tutt'i tuoni d'aver già piantato le colonne d'Ercole; né, se co'
secondi, c'inganneremmo menomamente nel predicare illusorie le speranze d' un
sapere propriamente scientifico e metafisico. La condizione dunque del processo
istorico del pensiero filosofico non istà nell'esserci fUicusione e continuità
ne' suoi rappresentanti: basterà che ci sia svolgimento e progresso, e quindi
vincoli ideali ove sieno impossibili gli storici; i quali non di rado è impresa
ben vana il cercare, non potendo esistere, o, pur esistendo, non * È questo,
coni* è noto, ano de* dommi supremi deU* Hegeliauismo, (Tedi Hrocl, Logique) e
del Positivismo, tuttoché il significato ne sia diverso.Vedi CoirrB e Littbì
nelle Op. innanzi citate. sarebbero che eccezioni. Anche noi quindi crediamo
che nella storia della filosofia c'è attinenze; ma aggiungiamo che c'è anche
salti: e se c'è attinenze e salti, la conseguenza (conseguenza buona solamente
per noi, anziché per gli aggomitolatori e sgomitolatori de' periodi storici) è
questa, che una critica è necessaria; necessaria una critica filosofica atta a
scoprire le une, e colmare gli altri. Tornando ora al proposito, nella storia
della filosofia italian«r ci è salti, per esempio, fra BRUNO e VICO, fra VICO e
GALLUPPI, fra GALLUPPI e SERBATI e GIOBERTI: ma non ce ne maraviglieremo per
ciò, sapendo che se questo non è pregio, non può dirsi nemmanco difetto. Poiché
il punto, ad ogni modo, sta nel vedere se tomi possibile scoprirvi una
progressione ideale; e questa per appunto debb' esser l'opera concorde de'
viventi filosofi, e il frutto d' una storia saviamente critica. Nulla infatti è
inutile nella storia della scienza, e tantp meno in quella della filosofia.
Agli occhi dello storico spiegano egual valore tanto il moto speculativo
attuatosi dal Leibnitz ad Hegel, quanto quello che, pur con varietà
d'indirizzi, è venuto effettuandosi fra noi da VICO a GIOBERTI Nello svolgersi
di*questi due periodi filosofici potremo verificare una gran legge; la legge
medesima che presiede alla storia generale del pensiero filosofico. Mi spiego
subito e in brevi termini, anticipando un' idea che altrove giustificherò.
Platonismo e Aristotelismo sono due parole di significato altamente comprensivo
per la storia della filosofia occidentale. Non solamente elle racchiudono una
legge che ritrae la natura del processo isterico della filosofia, ma cotesta
lor legge è anche principio, un principio d'indole teoretica. Non v' è infatti,
né v' è stato filosofo, il quale non si possa dir seguace dell' uno o dell'
altro indirizzo, ovvero d'entrambi, ma accordati e accostati insieme in uno de'
tanti modi tentati e ritentati già fino da antico, a contare da CICERONE a
BOEZIO, da BOEZIO a BESSARIONE, e dagli altri molti che nel Rinascimento si
provarono in simili accordi, fino al Rosmini. D'altra parte chi pigli per poco
a filosofare con serietà scientifica anziché da burla, come par che vogliano
fare oggi critici e positivisti, non può a meno di non riconoscer nelle cose un
fondamento assoluto. Ora tal fondamento assoluto non può esser posto tranne che
in uno di questi tre modi: o nel senso dell' idea platonica, o nel significato
della categoria aristotelica, ovvero in una terza maniera nella quale tomi
possibile un accordo fra l'esigenza dell'uno, e quella dell' altro indirizzo.
Qual debba esser la natura di tale accordo e come porlo in opera, diremo
altrove. Qui giova avvertire che siffatta legge non solo racchiude il nodo, per
così dire, della storia della filosofia, tanto guai-data neir insieme del suo
svolgimento universale quanto nei suoi particolari periodi, ma costituisce ad
un tempo la vera scienza della storia del pensiero speculativo, appunto perchè
forma il triplice aspetto sotto cui può esser considerata in sé medesima la
mente del filosofo nella soluzione del problema metafisico. Si dirà per
avventura che cotesta maniera di considerare la storia del pensiero filosofico
sia merce hegeliana? Può darsi che in apparenza la si dimostri tale. Ma fin
d'ora avvertiamo che cosiffatto principio è superiore all' hegelianismo stesso,
in quanto costituisce il criterio col quale potrà esser giudicato il valore speculativo
di quel sistema. Tornando al proposito, posto il Cartesianismo, Leibnitz e Vico
non potevan essei-e, e nel fatto non sono, né puri platonici, né puri
aristotelici. Essi bensì ci esprimono il conato verso un accostamento
scambievoli dei due indirizzi; tale essendo il valore della loro universalità,
e di quella sintesi confusa ond' inaugurano, come avvertimmo, i due periodi
moderni della filosofia tedesca e italiana: i quali perciò, rappresentando
l'analisi, costituiscono il lavoro a cui necessariamente conduce quella
sintesi. Invero dopo Leibnitz in Germania e dopo il Vico in Italia, la
filosofia assume, tanto nell'uno quanto nell'altro paese, il vecchio contenuto,
ma sotto novelle forme: da una parte, la filosofia fondata nel sentimento, e
l'idealismo assoluto; dall'altra, lo psicologismo scolastico, e l'ontologismo:
indirizzi più o meno esagerati del platonismo e dell' aristotelismo. E
lasciando qui de' due aspetti vieti della filosofia germanica e dell'italiana,
le due forme che in esse addimostrano più spiccata originalità rassomigliano
quasi a due correnti che riescono a due punti fra loro opposti e contrari, e
sono la filosofia ctisiologica, e quella dell'assoluta identità. Se nella prima
vi è, come s'è detto, processo e continuità di sviluppo; nella seconda non
manca già un carattere comune tra i suoi propugnatori, n Teismo fra noi è
venuto assumendo evidentemente forma sempre più netta, meno impacciata, men
grossolana; perchè se il concetto religioso, per dime un esempio, agli -occhi
di GALLUPPI e di SERBATI e di GIOBERTI costituisce un elemento essenziale
nell'organamento del loro sistema, la rdigion civile di cui ci parla ROVERE, è
una parola com' un' altra; una parola che non dice nulla, o pochissimo; e pure
ha fatto e fa tanto comodo all' autore ! Questo processo e questo risultato
della filosofia itaUana è come una risultante di più forze: fra cui è da notare
innanzi tutto r educazione storica tradizionale e cattolica, la forma e natura
speciale dell'ingegno italiano non così facile, come dissi, a dar negli
estremi, e segnatamente gl'influssi della stessa filosofia germanica. Queste ed
altre cagioni partoriscono il movimento filosofico in Italia nel nostro secolo.
Il pensiero filosofico nostrano (e qui han ragione gli Hegeliani) è venuto
promosso, eccitato dal pensiero germanico; a quel modo, potremmo dire, che le
diverse forme di filosofia del nostro Risorgimento vennero eccitate dal sùbito
risvegliarsi della filosofia greca e platonica; da' comAatori arabi e
aristotelici delle scuole di Padova, di Bologna, di Firenze. Il Criticismo
esercita grande Zone sili GALLUPPI; e le tre forme dell'Idealismo gern/anico,
subbiettivo obbiettivo ed assoluto, spiegano alla lor volta influssi potenti,
immediati sul Gioberti e sul Rosmini, come ci dimostrano la Protologia del
primo e Ja Teosofia del secondo, e anche in gran parte sul Msaniani. Ma se è
vero, com' è verissimo, che i nostri filosofi han procacciato d'ormeggiare i
Tedeschi, e questi sono valsi ad eccitare in quelli piìi gagliarda la virtù
speculativa; è altrettanto vero che gì' Italiani mai non cessaron di combattere
le pretensioni sistematiche assolute del Germanismo; e questo è un altro
carattere comune che li distingue. Si può dire, in somma, che il pensiero
italiano sia venuto affilando le armi nella fucina dello stesso avversario:
ecco tutto. Di chi sarà il trionfo? Chi canterà gl'inni della vittoria ?
Parliamoci tondo e netto. Il trionfo dell' Ontologismo e del Neoplatonismo,
come ci è dato da' nostri filosofi, è un' illusione; ma non sarà meno illusione
il trionfo dell' Idealismo assoluto. Noi dunque non faremo festa ne all' uno ne
all' altro, né batteremo le mani alla vittoria del Grermanismo né
dell'Italianismo, per la semplice ragione che in siffatt' ordin di cose le
credute vittorie ci paiono sogni di menti ammalate. Queste due scuole, queste
due filosofie (ci sia permesso stringerle entrambe sotto due concetti o
indirizzi distinti) ci rappresentano la speculazione ardita del nostro secolo;
ma per opposte ragioni si dilungano entrambe dalla castigatezza della sintesi
ontologica, discostandosi in pari tempo dalla severità del metodo istorico e
psicologico. Sennoncthè, oggi segnatamente, chi ben le guardi, elle cercano
allearsi e compiersi a vicenda, giusto perchè rappresentano e riproducono anch'esse
l'antica lotta fra r Aristotelismo e il Platonismo, tanto in sé stessa e nel
loro insieme, quanto nelle loro particolari divisioni, esprìmendoci perciò il
bisogno perenne e crescente di quell'accordo sperato sempre, ma non attinto
mai. Questo panni, dunque, tutto il significato del loro svolgimento; e questo
mi sembra il problema alla cui soluzione elle s' affaticano da un secolo e
mezzo a questa parte. Non è egli giusto quindi affermare che chi spera nel
trionfo assoluto dell'una su l'altra spera invano, e chi s' affida in certi
accordi e temperamenti in sostanza esclusivi e unilaterali non ispera peggio?
Citiamone un esempio. Il Gioberti dello Spaventa, lavoro (checché se ne dica
dagli hegelianissimi) d'una potenza critica veraramente singolare fra noi dopo
i libri del Rosmini, nelle intenzioni dell' autore dovrebb' essere un accordo
tra la filosofia italiana, e la così detta filosofia moderna Europea. Lasciando
stare quel moderna e molto piii Y europea (frase, la quale a me rammenta quella
che han su la punta della lingua i Pontefici di Roma quando costoro menan vanto
de' creduti e desiderati dugento milioni di cattolici), io chiederei, se il
fare assorbire à quel modo eh' egli ha fatto il filosofo italiano dal filosofo
tedesco, sia da dirsi accordo, o non più veramente un solenne trionfo del
secondo sul primo, e quindi '1 trionfo assoluto del divenire sul creare? ¥*
allora dov'è mai l'accordo fra le due filosofie? Un accordo, come suona la
parola, è necessario, ed è razionale; che posta l'analisi, posto il lavoro
analitico di quel doppio indirizzo, una sintesi ne dovrà sgorgare di necessità.
E il fatto stesso ce ne porge prova e guarentigia. Il Mamiani, l'autore delle
Confessioni^ ha pronunziato, fira le altre, questa gran verità: d'aver egli
concluso e chiuso, fra noi, un periodo filosofico nel quale egli stesso, con
GALLUPPI e con SERBATI e con GIOBERTI, è venuto cogliendo allori molti, e ben
meritati. L'À. delle Confessioni ha detto benissimo: ha chiuso davvero un
periodo; ma solo ha dimenticato avvertirci che in esso egU ha chiuso anche sé
medesimo. Chi consideri infatti il suo neoplatonismo, per quel tanto che
contiene di correzione verso gli altri nostri filosofi, l'illustre Pesarese ha
merito grande; ma avvisato in sé stesso cotesto neoplatonismo, specie quant'
alla parte psicologica, è già morto in sul nascere. E doveva esser così, almeno
per chi voglia ammettere che la storia della filosofia non possa esser
ripetizione inutile e infruttuosa di teoriche trascendentali. D'altra parte
l'Hegelianismo, checché se ne voglia dire, ha oggimai esaurito la propria
vitalità con lo scindersi nello tre note scuole di destra, sinistra e centro.
Oggi dunque non è impossibile raccorre i frutti di così lungo, di così ostinato
lavoro, e di lotte e contrasti e discussioni infinite attuatesi nei due paesi,
appo cui l' ingegno europeo serba piii acconcia e vigorosa virtù speculativa. A
tale impresa hann' influito efficacemente i nostri hegeliani, r opera dei quali
riguardata stòiicamente, io non dubiterei chiamarla provvidenziale. Nelle mani
di questo infaticabile artefice che appelliamo storia, i nostri hegeliani sono,
mi si lasci dir così, un istrumento, un mezzo, acciocché nel possibile accordo
delle due filosofie abbia a trionfare il vero. Più che apostoli e messia e predicatori
della buona novella, com' essi medesimi si piaccion segnalarsi, sia col
tradurre le opere di Hegel, come fa VERA (si veda), sia col modificarne e
interpretarne le dottrine, come fa SPAVENTA (si veda), e' mi paion la
condizione imprescindibile, efficace, perché il pensiero filosofico possa
innovare sé stesso nella pienezza d' una coscienza speculativa chiara, intima,
vivace, sceverando dal vero quel carattere arbitrario di costruzioni dommatiche
il quale accompagna i pronunziati dell' Idealismo assoluto. L' Hegelianismo é
cosa nostra: lo ha detto SPAVENTA (si veda); ed é verissimo. Ma é cosa nostra
in quanto è anche un assoluto realismo; realismo obbiettivo nel vero senso
della parola, non già campato a mezz'aria, com'è quello di Hegel, il quale perciò
usurpa, non legittima il significato della obbiettività. Ripetiamolo: se la
filosofia ha bisogno d'innovarsi esi i stro \ ica. i diventando positiva e
razionalmente positiva, tale esi genza del pensiero italiano e tedesco, pia che
dal nostro cervello, ha da scaturire dalla stessa ragione istorica Osservando
lo svolgersi di queste due forme del pensiero filosofico moderno, è facile
accorgersi com'elle assomiglino (ci si permetta un paragone) al cammino di due
linee le quali, partendo lontane fra loro, nondimeno si vadano accostando
sempreppiù. L'una s'è mossa prima dell' altra; e assai più spedita e più rapida
ne' suoi passi e difilatamente ha percorso assai più lungo tratto che non abbia
guadagnato la seconda. Questa poi s' è mossa dopo, e spesso è venuta sviando e
svagando per più e diverse ragioni; ma, non altrimenti che ne' fenomeni
elettrici d'induzione, passo passo ne ha sentito gì' influssi, e le si è venuta
più e più avvicinando. Un punto di coincidenza, dunque, fra queste due linee
convergenti è necessario; ma la grave difficoltà sta nel trovare cotesto punto.
Usciamo di figura. Se i due periodi filosofici nel dischiudersi per opera di
Leibnitz e del Vico mostrano, come vedemmo, cert' affinità spontanea e
incosciente, è pur mestieri che cotest' affinità s'abbia da palesare altresì
nel loro chiudersi; ma s' ha da palesare cosciente, riflessa, e quindi
promossa, eccitata, ricercata e partorita dalla stessa ragione come funzione
filosofica. E pensiero moderno debbe aver coscienza di tale affinità: né può
averla se non la cerca; né può cercarla efficacemente se non la pone. Ninno si
meraTigli se fra* vari indirìzzi moderni della filosofia noi qui non abbiamo
tenuto conto altro cbe della speculazione tedesca, e dell* italiana. L'
ingregno inglese procede sempre a un modo, ne da due secoli A questa parto ò
mai uscito dalle orme segnategli dal suo Bacone, e poi dal Locke, da Hume e
dalla Scuola scozzese. Spencer e Mill ce *1 dicono chiaramente; ne* quali
filosofi è pur chiaro un progresso rispetto ai loro antecessori, ma è un
progresso monotono, omogeneo. L’ingegno francese poi, dopo le grandi tracce
lasciategli dal Cartesianismo, si è svolto sempre fra il Sensismo eil un
acquoso Spiritualismo; né la scuola eclettica, i cut ultimi rappresentanti oggi
fan tanto onore alla Francia, ha nulla di veramente originale. )£ una bella
eccezione in quel paese la scuola e gli studi iniziati dal Main^de Biran. Se
dunque originalità di Italia e Glermania, madri d'ogni grande filosofia e
dìvinatrici delle più ardite concezioni metafisiche, per necessità isterica
hann'a risalire alle loro primitive sorgenti moderne, Leibnitz e VICO; ma
risalirvi (intendiamoci) con tutta quell'opulenta ricchezza che a noi porge il
lavoro di specukzione compiutasi nello spazio di due secoli. Il trionfo ha da
esser comune, perchè comune, quantunque diviso, è stato il lungo lavoro. Se non
fosse cosi, la conseguenza, per le menti che con ansia febbrile e con ignorati
e crudeli tormenti ma con altrettanta fede si travagliano invittamente nella
ricerca d'ogni parte spinosa della verità, sarebbe dura davvero, sarebbe
sconfortevole. E la conseguenza è, che la storia sarebbe un' ingiustizia:
ingiustizia altrettanto manifesta e insopportabile, quanto inesplicabile.
Ancora: se questi due periodi, queste due filosofie di cui si parla, non
avessero quelle attinenze e quel valore e quel fine che noi diciamo, elle
assomiglierebbero a due forze distratte, inconsapevoU, naturali, sciolte da
ogni legge, libere da ogni ragione; sì veramente che le analogie e le differenze
e l'intero loro svolgimento sarebbero tutte cose accidentali, estrinseche,
meccaniche, fortuite, e perciò stesso empiriche, perciò stesso inesplicabili,
perciò stesso insignificanti, non altrimenti che que' riscontri ingegnosi ma
vani, ma inconcludenti, che alcuni storici sanno scorgere fi-a la storia d'un
popolo, e quella d'un altro, fra la China, per esempio, e l'Europa, tra
Confucio e Pitagora, fra il Celeste Impero e il Teocratismo papale, come fa il
nostro FERRARI Or noi domandiamo alla coscienza di tutti gl'indefessi
indagatori del vero; domandiamo alla coscienza degli amici sinceri e de’sinceri
nemici della filosofia : È egli mai possibile speculazione oggi è possibile, è
d' uopo ricercarla, quantunque sotto forme diverse e con risultato e valore
differente, nell* ingegno tedesco e italiano. So che gli Hegel ianissimi
sorrideranno di gran cuore a queste parole. Ma io qui vo’restringermi a
chiedere, se da quarantanni a questa parte fuori d’Italia ci sìa stato filosofo
che possa reggere al paragone dell'ingegno del Rosmini, miracoloso per acutezxa
speculativa. che la storia, massime la storia del pensiero filosofico, abbia da
essere, o un' opera cotanto ingiusta, ovvero un artifizio cotanto sterile,
infruttuoso e meccanico? Concludo per ciò che riguarda il nostro filosofo
nonché la seconda parte del nostro lavoro. Si è detto e si dice che il Vico non
ispiegò efficacia di sorta nel soQ. secolo. E poi s' aggiunge che, quand' ei
venne scoperto (e fu vera scoperta) noi già l' avevamo sorpassato. Sarà vera V
una cosa e l' altra. Ma gli uomini grandi e ì grandi ingegni, se vogliamo stare
all' osservazione di Mill, i quali per difetto di favorevoli occasioni non
poteron lasciare traccia alcuna di sé nella loro età, spesso sono stati di gran
valore per i posteri.* Tale per noi è Vico; e tale si é pure la sua Scienza
Nuova. S'ei nulla valse pe' nostri padri (il che non è vero), vale moltissimo
per noi. Solamente in lui potremo rannodar gli anelli della nostra tradizione
scientifica: in lui ricongiugnere il nostro Rinascimento col nostro moderno
Risorgimento. Per andare avanti debitamente, come suona il motto volgare, è d'
uopo dare un passo indietro: Chi vuol salire, pigli V aire. Se questo é vero,
se questo é necessario in tutto; non sarà altrettanto vero, altrettanto
necessario in filosofia? Con sifi'atti intendimenti noi prendiamo ad
interpretare il principio filosofico della Scienza Nuova. L' acuto Littré lia
detto benissimo: Tout annonce gu'on ne verrà plus aucune grande éruption
métaphysigue, comparàble à celles qui otit signaU Vére moderne depuis
Descartes, et qui ont abouti à HegeV Ma la conseguenza vera non è quella che ne
trae il positivista francese, bensì quella che ne ricaviamo noi: e tal
conseguenza é la necessità di critica, la necessità di ritomo critico su la
feconda speculazione degli ultimi grandi filosofi, e quindi la necessità d'un
accordo fra essi. ' St. Mill.
SytL de Log., LiTTRi, Princ de Phtl. Poeit., Pré/,,
pag. 59, Paris, 1868, Il concetto della Scienza e '1 concetto del Criterio si
richiamano a vicenda, poiché non si può determinar l'uno senza additare nel
medesimo tempo il significato dell' altro. La prova più facile e megUo
convincente di tale affermazione ci è data dalla storia della filosofia; non
v'essendo sistema, non dottrina filosofica, nella quale que' due concetti non
rispondan fra loro per caratteri comuni, e per note affini ed omogenee. E
poiché applicare il criterio vai come imprimere forma al conoscere, onde poi
risulta il metodo; è naturale che, tanto l' idea della scienza, quanto quella
del criterio, abbiano a racchiudere altresì la nozione del metodo. Se non che,
scienza metodo e criterio sono tre concetti dipendenti dalla soluzione d' un
medesimo problema, del problema della conoscenza: nel quale perciò si radica
propriamente, direbbe il Trendelemburg, l' ultima differenza de' sistemi. Sono
dunque tre aspetti diversi, sono tre diverse determinazioni d'un medesimo
subbietto; le quali noi non possiamo definire, ma espUcare, stanteché la
definizione, secondo il detto di CAMPANELLA, sia come la conclusione e quasi l'
epilogo della scienza stessa. Nel circolo della riflessione infatti la mente,
ripiegandosi in sé medesima si compie, si pone, si determina, cioè si
definisce; e si definisce perchè si è venuta esplicando; e con r esplicarsi
mostra col fatto che cos'è mai l’intendere, quali vie abbia percorso, e con che
guarentigie si possa pervenire ai risultamenti più sicuri del sapere. Nondimeno
ci è cose che noi potremo sapere fino da ora; voglio dire le condizioni del
sapere. In che mai dobbiamo fondare la scienza? In che porre i limiti del
sapere metafisico? I più de' filosofi, com' è noto, si fanno tosto a
rispondere: « su la natura e sul valore dell'uomo stesso. » Ma il punto è
precisamente questo: qual' è mai la natura, qual è il valore dell' uomo ? La
risposta più seria e positiva a tale domanda, se non vogliamo perderci nelle
solite ciance trascendentali, panni questa: che l'uomo, l'uomo quale ci è dato
da' fatti e dalla storia, non l' uomo concepito sotto forma di spirito del
mondo {der WéUgeisf), non sia tutto, e nemmanco nulla: di che ci porgono
guarentigia nel medesimo tempo la coscienza, l'esperienza e la ragione. Ora se
questo è vero, due conseguenze n'emergono innegabili; la prima, che la scienza,
tolta nel significato di sapere metafisico, non può esser né propriamente
negativa, né propriamente assoluta; la seconda, che non si può esser
sistematici e dommatici, non essendo noi tanto fortunati da possedere una
formola assoluta entro cui mostrar chiusa la ragione ultima e propriamente
essenziale delle cose. Ma diremo perciò che il filosofare altro non possa
essere fuorché una pura e semplice ricerca sfornita di qual si voglia
risultamento metafisico che sia positivo, sicuro, determinato?' Che se anche
per noi filosofia suona ri' Homo quia neque nthU e«(, neqite omnia^ nee nihil
percipit, nec in,' Jinitum, De sntiqaiss. Italoram sapientia, Filosofo
dommatieo e filosofo nttematioo a$8oluto per noi suona il medesimo, anche
ammesso che un sistema possa esser costruito per sola Tìrtù di ragione, e
innalzato (se fosse possibile) ad evidenza matematica, secondo che pretendon
gli Hegeliani. Il dommatismo volgare, teologico, fondandosi in un principio
estrinseco alla ragione, è da ripudiarsi per difetto; ne conveniamo. Ma il dommatismo
sistematico de* metafisici assolati col pretender troppo, anzi tutto, non è da
ripudiarsi per eccesso ? Différiscon ne' mezzi infinitamente, io lo so; ma il
risultato è il medecerca e amor di sapere, nondimeno è ricerca effettiva, è
ricerca non solo atta a raccogliere il fatto, ma tale che sia un fare altresì
ella medesima, cioè una funzione critica, ma efficace, positiva, attuale, come
può e debb'essere dopo il Kant; funzione quindi capace non già a rimandarci al
futuro, cioè ai risultati della storia, sibbene a saperci dire qualcosa anc'
oggi su' grandi e terribili problemi di nostra esistenza, del mondo, della
vita, della società. Se la scienza è possibile, come alcuni, positivisti
cominciano a credere,* non vuol essere in qualche maniera attuale? Poiché,
giova bene ripeterlo anche qui, un possibile che mai non esca dalla nuda
possibilità, in realtà non è alti*o che un impossibile! È da dire perciò che
tanto V idealista assoluto o l'ontologista Giobertiano, i quali in una formola,
tuttoché diversissima, ti assommano la ragione d'ogni umano e divino sapere,
quanto il positivista e il puro critico che ogni sapere metafisico dichiarano
impossibile, escano tutti dal positivo, perchè chiudon l'indagine, e spengono
siffattamente ogni bisogno critico nel pensiero. E così neir uno come nell'
altro caso, la mente si rimane impigliata in un' affermazione supremamente
dommatica: dommatica positiva (sistematica) nel primo, dommatica negativa
(esclusione della metafisica) nel secondo. Or la filosofia intanto può assumere
forma e valore di speculaziope positiva, in quanto riesce a schivare non pure
il donmiatismo (il sistema assòluto propriamente detto), ma eziandio l'assoluto
positivismo (scetticismo, nullismo metafisico). Fra questi contrari il filosofo
che Simo, perchè Tano con la credenza e l'altro con la dimostrazione presamono
darci tutto il vero. Entrambi quindi negano 1* attività speculatÌTa; il primo
la nega dichiarando la ragione impotente, il secondo la nega reputandola
esauribile anzi esaurita e soddisfatta. Che nel]* insieme delle dottrine del
Vico non vi sia pretensione di gUtema propriamente detto, Tabbiam visto
riportando alcune parole della Conchu. del Libro MetaJUieot e meglio si può
vedere laddov*egli accenna ai dommatici del suo tempo ch'erano i Cartesiani. De
Antiqui^, etc., Vedi la Conclus. dell'ultimo libro del Taine suìV Intelliyenza,
voglia esser davvero positivo, sa di non esser dommatico; ma poi sa qualche
altra cosa. Egli sa di non poter esser mai dommatico, non mai sistematico
assoluto. Sa di non saper tutto, e, che più monta, può giugnere a conoscere la
ragione per cui deve ignorare qualche cosa. È il caso del sapere del non
sapere, appunto perchè se ne ha coscienza. E non è ignoranza cotesta? mi si
dirà. Sì, certo, è ignoranza: ma è ignoranza dotta, direbbe il Cusano. Tre ci
sembrano adunque le condizioni, tre i caratteri precipui del filosofare che
voglia riescire seriamente e razionalmente positivo; e sono questi: La
speculazione filosofica non può esser fondata sopra elementi che non siano
sperimentali, ma di esperienza intema ed esterna. Tutto è processo, genesi,
attività nel pensiero; stantechè tutto in lui sia generato, tutto edotto mercè
i dati sperimentali. Né questo vuol dire sensismo, psicologismo grossolano,
nettampoco materialismo ed empirismo, come potrebbe parere a tutta prima;
perocché non per nulla ne' ricchi annali della moderna filosofia esistono, chi
voglia meditarli sul serio, i Nuovi Saggi del Leibnitz, la Critica della Ragion
pura e quella sul Giudizio di Kant, il Nuovo Saggio del Rosmini, e qualche
altro libro di questo genere, ma non certo d' egual valore. Fatti dunque
(ripetiamo anche noi co' Positivisti) e leggi de' fatti; ma, aggiungiamo, la
ragione anche degli uni e dell'altre. La filosofia non meriterà titolo di positiva,
dove pretenda procedere scompagnata dall' altre scienze, e far da sé. Come
nella soluzione de' grandi problemi queste non bastano a sé stesse, parimenti
non v' è ragione a credere che anche quella da sola non abbia a soggiacere alla
medesima condizione. Che se mossa da antico orgoglio presuma d'essere scienza
di tutto, per ciò appunto eli' abbisogna di tutto; abbisogna di tutt'i fatti,
di tutta r esperienza, del concorso di tutte quante le sfere e discipline dell'
lunana enciclopedia. Il perchè non si può dire in modo assoluto esser la
metafisica quella che generi le scienze; vecchia pretensione del teologismo che
ci ricaccerebbe nel più fitto medio evo: ma neanche si può aflFermare esser le
scienze quelle che, come altrove notammo, possano di per sé sole partorire la
filosofia. A due patti la funzione filosofica riesce positiva: quando sia
generata dalle scienze, e quando, generata che sia in qual si voglia modo,
possa e sappia come ogni produzione organica viver da sé, e far vivere. Non è
dunque vero che all'altre discipline ella porga principii e dispensi metodi e
partecipi criteri. Riceve anzi dal di fuori tutte queste cose; ma per
legittimarle, organarle, ricrearle: il che non può esser riconosciuto dal
positivista conseguente a sé stesso, senza ch'egli inciampichi in
contraddizioni per quanto evidenti altrettanto inevitabili. Il terzo carattere,
conseguenza da' due primi, è questo; che concepita così la filosofia di fronte
alle altre scienze, ella riesce positiva, ma non però cessa di possedere un
valore metafisico. Diventa metafisica, non metafisica teologica, né metafisica
a priori e tutta d'un pezzo; orditura dialettica ideale somigliante a rete d'
acciaio che stringa, affoghi e strozzi tutto ciò che tocca o ricopre. Diventa
bensì metafisica atta a costruire sé stessa, ma in quanto costruisce anche le
scienze; in quanto, in somma, é attività filosofica d'un' attività anteriore,
dell'attività scientifica, sperimentale, molteplice, essenzialmente analitica e
particolare. Non é quindi lecito confondere, né identificare queste due
sorgenti d'attività, sia riducendo la prima alla seconda, sia facendo che
questa venga tutta assorbita in quella. Evidentemente contraddiremmo ad un
fatto; contraddiremmo al bisogno potente in ogni tempo, in ogni luogo per la speculazione.
Perocché non è possibile (per dirla con le memorabili parole di Kant) che V
uomo rinunei alla metafisica, come non rinunzia cMa respiratone anche con la
paura di respirare uri aria malefica. Queste condizioni che noi poniamo alla
ricerca filosofica sono, quanto semplici, altrettanto positive. Non è a dirsi
eh' elle precludano e arrestino in modo alcuno la funzione critica, secondo che
incontra tanto ai nemici d'ogni sistema, quant’ai sistematici assoluti. Nel
determinare infatti la natura e '1 fine della scienza, i primi ci dicono: « non
bisogna tentar l’impossibile prefiggendoci '1 fine di conoscere VinconoscìbUe,
l’assoluto. Ecco posta al sapere una condizione essenzialmente negativa, perchè
contraddice alla natura stessa del pensiero e dell’attività critica.* I secondi
poi, cioè i sistematici, sostengono che la scienza non solo può e deve
attingere r assoluto, ma ha da ridurlo trasparente così da adequarlo, da
conoscerlo sicuti esty altrimenti vai come nulla conoscere.* Ma se cotesto conoscere
(metafisicamente) il tutto, fosse un bel sogno; non ne verrebbe che nulla * I
poBitWisti credono anch* essi no fatto il bisogrno specalativo; e come fatto
noi negano. Ma dopo aver distinto quel che in esso ?* ha di permanente, cioè la
presenza perpetua dell'infinito nollo spirito, da ciò che è transeunte, eh' è
dire 1* inutile sforzo a risolverò problemi per se medesimi insolubili,
sogrgiungono : e Se l'Assoluto è qualche cosa, non può essere che una realtà.
Ora og^ni realtà si conosce mercè l'esperienza, la quale, del resto, non
potendosi applicare all’assoluto, ci fa piombare In un circolo senza uscita.
Dunque la metafisica e una fase tratmtorta dello spirito umano (Littré,
Prineip. de Phtl. Posiu Prófac.) Innanzi tutto domandiamo, se condizione permanente
del fatto, che nel caso nostro è il bisogno della speculazione, ò la presenza
nel pensiero d'un infinito, non sarà appunto per ciò possibile una ricerca
metafisica? Quant'all'inutile sforzo poi non approda fondarsi nella storia, non
potendo in siffatt' ordin di cose indurre legittimamente dal passato al futuro.
Finalmente, quant'al circolo senz'uscita, osserviamo che l'assoluto è reale,
realissimo, ma non di realtà sensata e tangibile; e non è vero che ogni realtà
non si possa altrimenti conoscere se non per l'esperienza; errore capitale del
Positivismo. Queste ed altre risposte han dato al Littré i medesimi francesi,
specialmente Janet, Caro, Vacherot, Rénouvier, Pillon, Reville, Laugel. A noi
piace rammentargli un'altra bella sentenza d'un filosofo poco fa citato non
certamente benevolo ai matefisici: Una metajinca è tempre enttita e tempre
eneterà nell* umanità^ perche etto ì inerente alle invettigagioni della ragione
umana che epecìda. Kant, Critica ddUi Ragion Pura^ noli' Introd. alla 2.* odiz.
Niente ni conosce te tutto non ti conotce. SPAVENTA, Lex. di FU. Vrba,
specialmente nell' /n6 resultato d'azioni e reazioni fra il mondo fisico e
quello dello spirito, e quindi d' una doppia serie di leggi, naturali e
psicologiche, modificate dalle diverse, attribuendogli caratteri e valore non
propri: avrete falsato la natura delle scienze; le avrete confuse; ne avrete
guasta V ìndole, turbando cosi tutta r economia razionale del sapere. Questa
dottrina, essenzialmente psicologica e quindi razionalmente positiva,
contraddice, com' è evidente, alla distribuzione enciclopedica de* sistematici,
per esempio a quella del Gioberti e di Beerei; e nel mentre racchiude i pregi
della classificazione de* Positivisti inglesi e francesi, ne corregge insieme i
difetti. Ma i pregi e la verità d* un criterio ordinativo non può vedersi altro
che nelle sue diverse applicazioni, nelle •quali non possiamo intrattenerci.
Solo notiamo che tal dottrina ò un* interpretazione de* principi! psicologici
del nostro filosofo, come vedremo. * T. BuCKLS, History of OivUiMation in
England . fa benissimo. Ma nella sua dottrina cotal distinzione à
un'inconseguenza. La costituzione d'una scienza muove dalla ragione: la
evoltmone di essa, per contrario, è frutto della storia. Or se F una cosa non è
V altra, è da concludere che la scienza è superiore alla storia. Perchè dunque
compenetrarvela? D'altra parte, non è punto vero che, vuoi nella genesi ideale
o psicologica delle scienze, vuoi nella lor genesi storica, procedasi dalla
parte al tutto, dal semplice al composto, dal rudimentale e irreducibile al
complesso, come vogliono i Francesi. È vero bensì che dal tutto si va al tutto,
cioè dal tutto iniziale al tutto attuale, o, come direbbe lo Spencer in suo
linguaggio, dall' omogeneo slVeferogeneo,^ La genesi storica del sapere,
infatti, rassomiglia quella della società stessa: nella quale dapprima i poteri
dello Stato, per esempio, anziché distinguersi fra loro, formano un potei'e
unico; e, anziché individui liberi, vi esiste un solo individuo. Parimenti le
scienze forman dapprima una scienza; uno le possiede, uno o pochi le insegnano,
come uno è quegli che comanda. Però diciamo che la genesi storica di esse
procede per tre momenti (vecchio concetto aristotelico) cioè: Sintesi iniziale
e confusa, poi Analisi, e poi Sintesi finale. Nel primo di cotesti momenti non
s' ha una data serie di scienze, come dice il positivista francese. S' ha bensì
tutte le scienze, ma fomite d' un carattere comune ; il qual carattere sta nel
comporre il sapere traendone le ragioni da tutt' altra fonte che non è Y
intimità stessa dello spirito. In questo primo momento, in somma, [La legge
secondo cui Spencer chiarisce la sua teorica del progresso con tanta sapienza
ed erudizione da lasciar maravigliata la mente d*ogni lettore, si potrebbe
applicare benissimo alla genesi delle scienze intesa storicamente. Egli, come
8*ò detto, non ha fatto quest'applicazione. Ma ci è da sospettare che,
facendola, rieacirebbe incompleta, com’è incompleto il principio su cui è
basata. Il procedere daW omogeneo alV eterogeneo è davvero un processo: ma è
processo che non risolve, mancandoci un terzo momento necessario a compiere il
primo e 1 secondo. Oltre questo difetto, il principio di Spencer ha l’altro di
non esser nuovo, anzi vecchissimo, perchè risale ad Aristotele: *Aft 70?^ sv tw
iffS^C \jncf.p^st To vfpÓTtpov, De An. II, m. lo spirito è, come dire, fuori di
sé, nella natura, nelr autorità, e quindi la scienza è quasi indotta; ma tale
induzione dapprima è affatto empirica, naturale, grossolana, divina, direbbe il
Vico. Nel secondo momento ci ha distinzione, analisi, astrazione: e qui la
mente, accostandosi a sé medesima, deduce. Nel terzo, finalmente, il pensiero
possiede sé stesso, perchè possiede l'altro: egli é filosofia perchè è scienza;
ed è scienza vera perchè è filosofia. Ci è dunque rispondenza, ci è armonia fra
la genesi ideale e la genesi stòrica della scienza, non già compenetrazione,
come vorrebbe Comte. Anche noi quindi crediamo in una legge di successione
nell'attività del pensiero; né respingiamo una disposizione gerarchica e
genealogica del sapere. Ma né r uua è assoluta filiazione, né 1' altra è
composizione organica e compatta sì che le scienze che seguono altro non possan
essere fuorché semplici appendici di quelle che precedono. È vero: il pensiero
nella storia assume innanzi tutto forma teologica. £ quando accada eh' egli
abbia carattere metafisico, il suo contenuto sarà sempre di natura mitologica,
religiosa, tradizionale, rivelata, essendo sempre un prodotto d' autorità.
Appresso riveste forma naturale; stanteché sorgano le scienze le quali,
svolgendosi com' elementi particolari del papere, si vanno liberamente
determinando con metodo appropriato a ciascuna di esse. In un terzo periodo,
finalmente, piglia forma complessa e insieme universale come nel primo; toa non
più sotto forma teologica, né metafisica ed a priori, bensì filosofica; appunto
perché è deputato a raccoglier la ricca eredità accumulatasi negli antecedenti
periodi. Or se è vero, come dicemmo, che il pensiero è superiore alla storia
tuttoché emerga dalla storia, non è men vero che la speculazione riflessa
trascende anch'olla le scienze, comecché dalle scienze sia venuta germogliando.
CJondanniamo dunque, anche noi, la metafisica che si presenta com' elaborazione
teologica riflessa. Condanniamo, per dirla col Littré, quel punto di vista
metafisico eh' è trasformaeiane del punto di vista teologico. Ma potremmo
condannare quella metafisica eh' è insieme critica e inveramento del punto di
vista positivo? In altre parole, condanniamo rìsolutamente la metafisica fatta
a priori; ma non meno risolutamente neghiamo che la terza fase^ il terzo stato
della scienza, abbia da esser positivo nel senso che i Francesi tolgon questa
parola. Lo staio positivo de' Gomtiani, afferma un giudice non sospetto, non è
che un'ignoranza confessata della causa: an avowed ignoring of cause
àltogether^ Ed è veramente così. L'attività riflessa della ragione intanto
giugno ad esser funzione critica feconda e profittevole, in quanto riesce a
superare il positivo mediante il positivo. Or è tejnpo d' interrogare il nostro
filosofo. Che cosa ci lascia indurre Vico tanto riguardo al concettx) della
scienza in generale, quanto rispetto alla costituzione e coordinamento delle
umane discipline? Rifacciamoci da questo secondo punto. Ei non parla di formolo
dommatiche, né d'alberi genealogici. Anzi ci avverte come in certo senso la
metafisica abbia da esser subordinata aUa fisica; la quale dà per vero ciò che
sperimentalmente possiamo imitare} Sennonché qui è da far piìi osservazioni.
Una scienza è indipendente nel metodo e autonoma nel processo. Questo è il
nostro pensiero. Ma potrebb' esser ' Sprncrb, The daasif. of The Scienc,, De
Anttq. hai, Sap,^ nella Condunone, Si dirà che per lai la scienza tovrana sìa la
teologia: ed è t ero; ma è sovrana solo in quanto è la piil oerta. Ora il eerto
nelle sue dottrine non è il vero, ciò ò dire un prodotto di ragione, bensì un
effetto di persuasione, un prodotto di natura empirica inseritoci nell* animo
dall* autorità. Quanto egli poi si mostri avverso alle scompartÌEioni
sistematiche delle scienze, vuoi nel senso pontivteta, vuoi nel senso metajUieo
dommatico^ può vedersi là dove con sottile ironia parla de' Cartesiani
(dommatici del suo tempo) i quali unum Metaphyeicam «Me docent qua notte
indubium det verum^ et ab eOf TAKQUiM a fontr teeunda in aUa» teientiae
derivari.»,, quare metaphyeieam eeterie »eientu9 fundo»^ euique 9uum aatedere
exietimant. anche tale nelle sue ultime conclusioni? No, certo: stantechè
queste, essendo di natura universale, hann' a dipendere dal lavoro, anziché
d^una, di tutte quante le umane discipline. Più ancora: potrebb'ella dirsi
indipendente rispetto alle condizioni logiche e formali? Nettampoco: se così
fosse, tornerebbe impossibile l'unità della enciclopedia. Finalmente si
potrebbe osservare, con Spencer, che a sapere se i corpi esistano la fisica non
abbisogni nuli' affatto della metafisica. Ed è vero. Ma evidentemente cotesta
notizia, più che razionale, è notizia empirica. Or bene, quando il fisico
volesse darsi dimostrazion razionale del soggetto o della materia eh' egli ha
fra mano, e cod legittimare il postulato onde move il suo pensiero, non
diverrebbe per ciò solo un filosofo? Diverrebbe, io credo. Nel processo della
scienza, dunque, v'ha un momento nel quale il fisico, od altri che sia, non può
far a meno della speculazione metafisica. Se a tal esigenza egli sappia e possa
per avventura soddisfare da sé, tanto meglio: vuol dire che, oltre d' esser
fisico e fisiologo e geologo e simili, egli è anche filosofo. Ma ov' egli non
senta questo bisogno, con che diritti e ragioni disco)ioscere ogni valore alla
ricerca filosofica? Il vincolo che tutte aduna e stringe le scienze son le
norme logiche ; la necessità logica che scaturisce dall' intima costituzione
dello stesso pensiero. Intesa quindi come logica, la filosofia precede e
accompagna le sfere diverse del sapere; ma, in quant'è metafisica, ella tien
dietro ad esse, e ne é il risultato finale. E anche in ciò siamo Aristotelici.
Mei., Tal si è pure la sentenza del Vico. In questo senso egli afferma che
ninna geienta bene incomineia »e dalia mektfieiea (logica) non prenda i
prineipii; perchè ella ì la eeienna che ripartieee alle altre i lor propri
eoggetti; e poichi non pud (in quanto metafisica) dare U 9W>, dà loro
immagini del euo. Onde la Geometria ne prende U punto e V dieegna; VArUmetiea V
uno, e *l moltiplica; la Meccanica il conato, e V attacca ai corpi. (Risp. al
Oiomale de^Lett.) In queste parole parmi chiaro T ufficio della filosofia, in
generale, rispetto alle altre scienze. Filosofia è logica. Veniamo al concetto
della scienza; ma gioverà fare innanzi tratto un' osservazione storica. Dicemmo
com' Vico sia tra Cartesio e KAnt, vuoi storicamente, vuoi teoreticamente.
Posizione puramente psicologica è quella del primo; puramente logica e
psicologica quella del secondo, la cui dottrina perciò molto acconciamente è
stata detta Idealismo crìtico, o Criticismo ideale. Nella posizione cartesiana,
avvertimmo anche questo, il pensiero non è altro che un fatto: la coscienza
trascendentale di Kant poi tiene doppio rispetto; è una e molteplice, è
diflferenza e medesimezza, in quanto importa il doppio elemento formale e
materiale nella cognizione. Ora, per quanto diverse, queste due posizioni han
comune un carattere; quello d'esser solitarie, astratte, puramente suhbiettive,
e quindi insufficienti; nel che ci confermerebbe, s'altro mancasse, il
resultato puramente speculativo cui pervennero le scuole diverse inaugurate da
que' due filosofi. L' analisi della Ragion pura alla fin fine a che mai riesce?
A metterci in guardia dell'assoluto di ragione, rilevandone i paralogismi e le
antinomie, e facendoci assistere scontenti e umiliati a quell'inutile ideale
che ci rende immagine, a dir cosi, dell' acqua di Tantalo: per cui s'è detto
che l'autore del Criticismo, sempre per quell' esigenza d' un ideale rimastogli
in tronco, scambio di chiudere, apri anzi le porte ad una varietà di
scetticismo, come osserva il B. Saint-Hilaire: nel che tutti convengono,
perfino Hegel, il quale appunto con l'idealismo obbiettivo e assoluto cercò
soddisfare aU' insoddisfatto bisogno della Ragion pura.^ Cartesio poi dove
psicologia, metafisica e simili. Come logica eli* è scienza madre, in quanto è
universale condizione d* ogni disciplina. Che poi in senso di metafisica debba
riguardarsi come risultato finale, ci è avvertito dnl medesimo filosofo dove
accenna alla relazione ch’ella ha, per esempio, cou la geometria: Geometria e
Metaphy$iea mum verum tMccipity et aecepttun (e però elaborato) in iptam
Metaphynctim refundit. De Antiq.y Giusta quindi, per tal motivo, l’accusa fatta
al criticismo dallo stesso B. Saint-Hilaire: Kant a voulu /aire une revolution}
il na guère en/anté qu'iine anarokie plue fatale. Log. d' Axist., Pref. si riduce
egli? Alla necessità d' invocare il solito Deus ex machina, tornatogli
insufficiente il criterio delPevidenza e deir idea chiara e distinta; senza dir
già eh' egli medesimo annunziava il Cogito qual semplice ritrovato atto a
soddisfare il bisogno di sua mente, non già pel fine d' insegnare agli altri un
metodo a ben governare il pensiero: seulement (son sue precise parole) de faire
voir en quelle sorte fai tàché de conduire la mienne. Nella posizione di Vico,
per contrario, è schivato nel medesimo tempo tanto il fatto empirico di
Cartesio, e quindi V indirizzo dell' ecclettismo e di quel timido spiritualismo
che da lui hann'oggi redato i Francesi, quanto lo scetticismo al quale pur
tiene aperto il fianco il criticismo, nonché quella serie di posizioni che,
nate da Kant, riescono all' Idealismo assoluto. Con qual mezzo? Con un mezzo
semplicissimo. Col criterio del vero e del fatto; ma elevato a dignità e valore
di principio. L'osservazione che Vico fa a Cartesio è, quanto agevole,
altrettanto efficace. Neanche gli scettici dubitano di pensare, egli dice: essi
aifermano solo che del pensiero non si possa avere scienza, bensì cosdensa} Ora
il pensiero cartesiano è un eerto, non già un vero; quindi ha natura di segno,
d'indizio certo (rsxfxyj/jtov), della cui certezza ninno al mondo non ha mai
saputo né voluto dubitare. Di qui si vede come la sua posizione speculativa non
istia già nell'aflFermare una verità di fatto, sì nell' indagarne l'origine, la
genesi, la guisa: cioè nel far la critica del vero che appare alla coscienza,
perché sdre est tenere genus seu formam qua res fiat. E si vede come il
criterio vichiano del fare il vero acchiuda una dottrina schiettamente
aristotelica, eh' è dire la ragion vitale di quel* Yed. le bello riflessioni
del Rsnottvzkb in proposito. EnsaU de Oritiqne generale^ toni. Il, part. 3. ' I
difetti che nella posizione Cartesiana scorge il nostro filosofo gli abbiamo
già riferiti. GIOBERTI non s'ingannava nel dire che Oarteno non ebbe il menomo
sentore de* teeori che n acchiudono nel SUO Cogito. (Protol. VOLTI) l'artifizio
logico secreto, naturale, onde la mente nel discorso rinviene il medio termine.
La mente sa perchè fa: AtTtov Sort vójfjffef >? i^épytia} Or di cotesta
attività occulta, superiore ed essenzialmente eduttiva, sensisti, scettici,
empirici, positivisti non hanno coscienza. Essi ignorano cogikdionis causs€e,
seu quo poeto cogitalo fiai^ * ilTTff ff9.ittpòit OTt ra ?ov«p£i ovra tiQ
ivspysiav àva'^òiJLstfx gUjOtcxerai. Airtov 5'ò?i vónii^ >j èvipynx. ÌItt'
$5 ève py e loti >i Sxivafii^' xa« Antiqui^. ItaLf Anch' egli quindi è
scettico la sua parte: e debb' essere, in forza del suo medesimo criterio.
Ritiene infatti che, quantunque la mente conosca sé stossa, ignora nondimeno la
propria genesi: Dutn «e mens cognoscttp non facit; et quia non /acit^ neacit
genvs quo «e cognoscit. Con la qual sentenza potrebbe sembrare cb'ei cada in
contraddizione con sé stesso; ma riflettendo che la mente che «» conotce qui ya
intesa non come facoltà, bensì come potenza (della qual distinzione ragioneremo
appresso), la contraddizione si dilegua. Così pure è da intendersi quell'altra
sentenza ove dice che l'occhio Tede le cose, e pur non vede sé stesso; che a
veder so medesimo egli abbisogna d'uno specchio; e però chiama insufficiente
l'idea chiara e distinta di Cartesio. Dal tutt' insieme quindi possiamo
argomentare tre conseguenze: 1° Che la posizione del Vico non è né dommatica nò
scettica, ma essenzialmente critica; e Critica del vero per eccellenza egli
definisca, ricordiamolo anche qui, la metafìsica: 2» Che a pervenire al sapere
scientifico non basti il eerto, il fatto, l'indizio, nò il criterio che il vero
sia il fatto; ma è d'uopo che cotesto criterio sia levato anche a principio:
3" Che a Ini non manca il nuovo pensiero, il nuovo Cogito reoo bum, come
vorrebbe Spaventa; anzi possiede chiara l'esigenza, per lo meno, della critica
psicologica, bastevole a prevenire il Kant. Dico esigenza, perché il problema
critico a lui si presenta sotto 1' aspetto isterico, ciò che forma la sua novità;
e avvertimmo come V aspetto storico importi già r esigenza psicologica. Se poi
si vuol dire che a lui manchi il Cogit*» nel significato di mediazione assoluta
e però di perfetta trasparenza deWesaercf Spaventa ha ragione. Ma questo per
noi, anziché difetto, é pregio grandissimo. E qui il filosofo di Napoli é tanto
dappresso a quel di Kcenisberg, quant' altri non s' immagina. Dommatici e
sistematici, hegeliani e ontologisti cattolici, unisconsi ad una voce nel
battezzare scettico l'autore del Criticismo. Perciò gli Hegeliani credono
compierlo dicendo, che la ragion pratica ò siffattamente collegata con la
Ragion Pura, che la prima in sostanza non sia altro che l' incarnazione, il
complemento della seconda, ma che questa di per sé stessa inevitabilmente meni
allo scetticismo. Io non vo' negar tutto questo. Osservo solo che due sono i
grandi concetti di Kant: che non si possa giungere al vero sistema, alla
dottrina propriamente dommatica^ che, ciò non Non si può ridire il mal governo
che s' è fatto e seguita a farsi del criterio vichiano. In molti libri
leggiamo: criterio del vero è il fatto; e da tutti è stato inteso • 0 in modo
materiale ed empirico, ovvero in significato trascendentale e assoluto. Se così
fosse, quel filosofo avrebbe consacrato, da una parte, ogni sorta d'empirismo e
di materialismo; e dall' altra avrebbe fatto ragione ad ogni maniera di
panteismo. La formula vera, la vera posizione della scienza e del pensiero, per
lui, non è questa: Criterio dd vero essere il fatto; bensì quest' altra: La
conversione del vero col fatto. Fra la prima e la seconda ci è un abisso
addirittura. E per veder cotesto abisso e ritrarsene, è mestieri penetrar
Bell'insieme delle sue dottrine con la luce del medesimo principio. La chiave
di volta d' ogni positiva speculazione, e quindi il vero Deus intus adest della
mente di questo filosofo, e però il bandolo a strigar tanti nodi che
avviluppano il suo pensiero, è appunto cotesto criterio, secondo che noi lo
interpretiamo. Il criterio ha da esser egli un segno, un indizio del vero, 0
piuttosto un primo vero? Ha da esprimerci un dato, un fatto, o pur V essenza
del vero, la condizione originaria e trascendente del conoscere? Intendendolo
al primo modo, la scienza tornerà impossibile, e trionfa lo scetticismo;
perocché non ci salveremo dal noto circolo eh' è questo: per conoscer la
ostante, non si cada nollo scetticismo, appunto perchè egli non crede che il
non esser sistematici Teglia dire essere scettici addirittura. (V. Critica dtUa
Ragion Pura) Per me la riyoluzione operata dal filosofo prussiano nel regno
della speculazione, cioè quanta alla natura del sapere, sta tutta qui. Il Vico
in ciò lo prevenne: almeno era su la medesima strada. Quindi può dirsi che
entrambi condannino le due posizioni esclusiye del Si^temaH^mo e dello Soetticinno.
verità è necessario il criterio; e per ayer il criterio è necessaria la verità.
Pigliandolo poi nel secondo modo, difficilmente schiveremo un sistema esclusivo
e dommatico. Il vero criterio, dunque, ha da esser Tuna cosa e l'altra; indizio
e principio. Come indizio, come postulato atto a conquider lo scetticismo e
inaugurare la scienza, e' consiste nel porre, come si è detto, il fatto qual
criterio del vero; né e'' è altra via. Come principio, sta nel porre, dall'una
parte, la conversione del vero cól fatto, e dall'altra, come appresso
mostreremo, la conversione del fatto nd vero, applicandolo all' essere e a
tutte le categorie dell'essere. Or in questa seconda forma assume egli davvero
natura di principio? Di certo, l'assume; giusto perchè importa l'essenzial
condizione dell'essere stesso. Ma non anticipiamo. Abbiam detto che di questa
dottrina del Vico s' è fatto mal governo. Mostrammo già come primo fra tutti ne
discorresse il Mamiani, e, poco appresso, SERBATI. Giova qui riassumer le
ragioni della controversia fra' due filosofi. Il Mamiani accogliendo questo
criterio, come si disse, osserva che con esso il Vico non intende propor nulla
che esca da' termini della intuinone (secondochè allora diceva l'A. del
Rimiovamento), ma considerare in essa, oltr' a' caratteri universali, alcune
doti più particolari, col fine di proferire a un tempo medesimo il criterio
della certezza, e '1 criterio della scienza. In altre parole egli dice: col suo
criterio il Vico intende guardare non pure al formale della cognizione, ma
eziandio al materiale obbiettivo.* Tutto questo è vero; ed è verissimo che,
tranne la natura fisica e quella degli atti del mondo estemo, tutt' altro pel
filosofo napoletano sia produzione del pensiero, com'avviene dell'algebra e
della geometria. È fuori dubbio altresì che il criterio per lui non pure ha da
esser segno del vero, ma anche principio. « Nee ulla »ane alia patct via qua
eeepticit re ipaa convelli poétit, niti ut veri criterium 9Ìt id ip»um fecitte*
t De Antiquisi, Ttaì, • ìiAìttAVif Rinnovdm, ec, Sennonché FA. del Rinnovamento
non vide allora ciò che avria potuto e dovuto veder oggi V A. delle
Confessioni. Non vide che l'aspetto originale di tal dottrina non istà nel
riguardare il criterio vichiano qual semplice segno ed inizio di scienza, ma
qual principio, qual legge dell'essere stesso in universale. Laonde non
avendone còlto altro che il significato psicologico, accadde che alla possente
lima di Rosmini non poteva tornar guari difficile ridurre in polvere cotesto
criterio al modo che maneggiavalo il Mamiani.' Se non che è da confessare come
neanche il Rosmini dal canto suo valesse a cogUere né la dottrina in discorso
né quella parte di vero che, con altrettanta verità quanto calore, propugna il
Pesarese. È noto che il criterio pel Rosmini ha da essere un principio, e dev'
esprimere la verità prima, l'essenza della verità. Or qual è l'essenza del
vero? Eccotelo ricorrere al solito rifugio àeW Ente idmle! Ma se cotesta potrà
dirsi condizione di conoscenza, non però é principio di scienza, criterio del
sapere per via di scienza. Che cosa potrà insegnarci mai con la sua vuotaggine
l'essere possibile? l^ou è dunque cotesto il criterio di cui parlava il
Mamiani, e tanto meno quello del Vico. Non potendo indugiare in minute
osservazioni sul modo con che il Rosmini interpreta la dottrina di che
parliamo, osserveremo solamente che sapere il vero, pel filosofo di Napoli, non
é solo un conoscere il vero, come vuole il Rosmini, ma è porre, è fare, é
creare il vero; altrimenti per nessun miracolo al mondo giugneremmo ad averne
notizia. Conoscere per Vico non RosMiKT, Rinnovami, ddla FU. in Ttalia, Milano.
Gioverebbe Ieg(?ere in questo copioso volarne del Roveretano qnel lungo
capitolo e que* prolissi cementi nonché quelle sette conseguenze che la invitta
dialettica Rosminiana seppe cavare dal criterio secondochè intendevalo il
Mamiani. A lui bastò congegrnare, al solito, una di quelle sue tavole
sinottiche nelle quali ei dimostra di quanta e qual vena analitica fosse ricca
la sua mente, per metter Tavversario col suo criterio accanto ad Elvesio, ad
Epicuro e ad altrettali! Ved. Tav. Sinottica (WSitt. FU.j intomo al criterio
della cert&ma^ voi. è vedere, non è patire, non è semplicemente apprendere.
È vedere, patire, apprendere, appunto perchè il pensiero è essenzialmente un
conoscere. In una parola, se il vero non si conosce facendolo, non si conosce
nuU'aifatto; non s'intende.* Quand' è infatti che diciamo di pensare? Giusto
quand'abbiamo idee. Avere idee importa cólligere dementa rei; ex quibus perfecHssime
exprimatur idea. Il vero è l' idea, ma l' idea innanzi che sia tale: è l'idea
germe, l'idea potenza, la stesso spirito in potenza, il pensiero non per anche
attuatosi come tale: in una parola è il senso che si leva a dignità d'
intelletto. Raccolta l' idea, fatta l'idea, cioè dispiegatasi la meìite, eccoti
il vero-fatto. Mi si domanderà in che maniera il Vico chiami esterni gli
elementi onde risulta l'idea? Perchè, rispondo, l'eduzione dell'idea suppone la
formazione del concetto; e il concetto suppone una serie di atti induttivi che
appresso determineremo. Tutto ciò è come estemo all'idea; è condizione, non
causa del suo processo. Senonchè col raccorre gli elementi esterni la mente
pone qualcosa di proprio: pone se stessa come pensiero; diventa ella stessa le
cose; diventa tutte le cose. Ond' è agevole vedere come il criterio del Vico
sia il principio del metodo geometrico, che per lui, ricordiamoci,, suona
genetico. Mi spiegherò con un esempio. Come si hanno gli assiomi, le verità
prime e necessarie, secondo i positivisti? Mercè 1' esperienza, risponderebbe
il Mill. L' assioma che due rette non cTiiudono spazio [Leggere è raccogliere
gli elementi della tcriUura onde le parole tono composte; con V intendere è
COLLIORBB elbmbnta RBI, KX QUIBUS PRRrBCTis-31VA RXPRIMATOR IDRA. Donde è
lecito conghietturare che gl’antichi itttliani conveniseero in queeto pensiero
: Vbrum rssr ipsuv factum.» Qual è cotesto fatto? È il pensiero, il vero-fatto:
perchò ricevuto, indotto, raccolto, e anche edotto dalla mente. In tale
questione il nostro filosofo, contro il solito, non manca di chiarezza. Egli
infatti dice: e AUora il vero 9Ì converte col /atto, quando trae il 9uo essere
dalla mente d^ lo eonoece; HI QDOD YERUM 00GNO8CIT0R SUUM K8SR A MBNTB HABBAT
QUOQaR A QOA cooKosci'TOR.» De Antiqui^,, De Origine et ventate Scientiaruni..
Sgorga immediate dall'esperienza. Che se apparentemente si origina dal
pensiero, cotesto pensiero in tal caso non è altro salvochè una ripetizione
dell'esperienza : è r immaginazione che allarga i limiti del fatto. Ma questa,
evidentemente, se è una maniera di sapere, non è il vero conoscere; perchè
cotesto conoscere non sarebbe una mia fattura, sibbene imitazione, copia
dell'esperienza. Che cosa, invece, vi direbbe il Vico a tal proposito? Direbbe:
non istate a immaginarvi due rette portevi già dall' esperienza e poi
prolungate all'infinito: fatevele da per voi medesimi coteste rette. Ma come
farle ? Generandole entro voi, per voi stessi, con elementi sperimentali; e
così, più che l' immagine del fatto, avrete la vera definizione, e però la
genesi del fatto. Concepite il punto come prolungato verso un altro punto:
eccovi la linea. Or se due rette hanno in comune due punti, potrann'elle
chiudere spazio? Non potranno. Questo precisamente è il vero-fatto, il vero da
me stesso fatto, da me stesso prodotto, da me stesso generato.* Per non
chiamare il vero fattura di nostra mente, il Roveretano si puntella nel solito
argomento de' caratteri della verità: immutabilità, assolutezza, eternità,
necessità, università e simili. Ma ci sarà lecito chiedere Men« humana eontinet
dementa verorum quce digerere et eomponere poMt'ti et ex quibu$ dUpontU et
compoeitie, exittit verum quod demoiutraiU {teientice) ut demontiratio eadem ae
operatio «i/, et verum idem ao faetum. > Ve Antiq.f cap. Ili, 4. Né Yale che
SERBATI, chiamando in soccorso lo stesso Vico, dica, questi elementi esser le
idee e coteste idee crearti ed eccitarti da Dio negli animi degli uomini. Per
questa frase VA., della Scienza iVuova è stato battezzato Malebranchiano ! Ma
come non vedere che in quel luogo il filosofo intende parlare del senso dato a
questa dottrina da coloro che eteogitarono tali locuzioni, le quali ei non
accetta perchè non sempre accetta il significato delle parole latine, come osserva
lo stesso Rosmini a proposito del verum e del factum f Bastino queste parole: e
Par, igitur eet ut qui ha» loeutione* excogitarint, ideas in hominum animi* a
Deo oreari exeitarique eunt opinati, Fa meraviglia che il Rosmini non siasi
accorto come quattro righe più giù l’autore contraddica apertamente a
Malebranche {Malebranckii doctrina arguitur): e come, se fosse vera V
interpretazione eh* ei ne dà, il Vico avrebbe sciupato addirittura il senso
verace e originalissimo del suo criterio. una proposizione d' Euclide serba
ella questi ed altrettali caratteri perchè ve li abbia inseriti la mente di
Euclide come tale, o non piuttosto il pensiero medesimo, il pensiero in quanto
è identico appo tutt' i pensanti, identico nelle sue leggi essenziali, identico
nelle condizioni logiche originarie? Nella proposizione 4 -j 4 = 8 havvi
necessità. Perchè? Perchè lo stesso pensiero ne ha messo gli elementi. Ma
perchè vien fiiora 8 e non 10? Precisamente perchè ci abbiam posto il 4 -h 4:
cangiate questo, e avrete cangiato anche quello. E perchè serberà egli un
valore universale tanto da non parer fatto né d' ieri né d'oggi, né intuito
solamente in Francia o in Australia, nell' età della pietra ripolita 0 nel bel
mezzo del secolo XIX? Appunto perchè il pensiero è anch' egli necessario,
universale nelle sue native condizioni in ciascun individuo che in qual si
voglia tempo o luogo sia capace di pronunziar 4 -f 4. Le critiche dunque che
altri potrebbe trarre dal RoHmini là dov' ei si studia d' interpretare a suo
modo la mente del Vico rispetto al problema del conoscere, tornano tutte vane,
tutte manchevoli. Ma veniamo al più sodo. Il criterio del nostro filosofo si
porge altresì come il fondamento più saldo della dottrina della prova. Nel
conoscere per cause, egli dice . seguendo lo schietto Aristotelismo, sta la
vera scienza: il che si riduce al medesimo criterio della conversione del vero
col fatto.* Che cos' è in sostanza il provare per cause? Al solito è un
raccoglier gli elementi della cosa.* Provar dunque per cause, e convertire il
vero col fatto, suona il medesimo. Un esempio. Il principe Alberto, dice St.
Mill, morirà. Perchè? Non perchè tutti gli uomini (egli risponde) sian mortali
; si perchè tutti quelli a me noti e che son vissuti, * « Probare per cauMaat
e/Jhere eat, Effecttu eH verum quod eum facto eonvertitur. (De Antiq.
}TCx>j, ri x fitriy^o^Tx ti ^caviac, ntpi aiTcaec xxt ^px^i sVtiv, if
o^xpi^ivripa^, -il dn'koìjvripaiy {Mttaph.\,\), Or questo precisamente ò U
metodo che il Vico, certo in modo assai confuso, esitante, arruffatissimo,
adopera nelle sue ricerche; nò quindi il De Ferron s' ò apposto male nel
dichiararlo, come vedemmo, metodo essenzialmente aristotelico. * Dice anzi
così: H mio criterio i in me aeeieurato daUa eeienga Hi Dio, eiCl fonU e
regalia dT ogni vero. (Risp. II al Oior. de^Lett.) eh' ella non possiede, ma
che pur va con infinito processo e per gradi accostando sempre più. Talché
quando sentiamo il metafisico teologista e Tontologista affermare la scienza
divina essere norma e regola dell' umano sapere, mostrando credere con ciò
d'averne contezza vuoi per virtù d'un rapido volo d'intuito, vuoi per notizia
chi sa come e da chi graziosamente rivelataci, e' non dicon nulla di serio,
nulla di positivo addirittura. Per affermar tutto questo con tanta sicurezza,
non dovremmo possederla cotesta scienza? Non dovremmo anzi dominarla e
rimaneggiarla a nostra posta così come l'agrimensore fa del suo compasso? Norma
vera, norma che noi dominiamo davvero, norma già nota al mondo prima d'ogni
altra, semplice, evidente, inconcussa, è per l'appunto la matematica. Della
quale l'A. della Scienza Nuova, non altrimenti che Leibnitz, GALILEI, BOEZIO,
CICERONE, Aristotele, Platone, Pitagora, è grandemente innamorato, e sempre ne
parla, e sempre con passione viva ne esalta i pregi* La contraddizione ch'altri
vede nel porre ch'ei fa qual modello del sapere or la scienza divina or la
matematica, è affatto apparente. Che nell'un caso parla, o intende parlare,
deìVidea massima della scienza, della scienza divina, la quale altro non potrà
essere salvo che la perfetta conversione del Vero col Fatto, la compenetrazione
assoluta dell'oggetto col soggetto. Nell'altro, invece, discorre non già
dell'idea massima, bensì d'un tipo, d'una forma che, più d'ogni altra
accostandosi alla prima, più fedelmente la esprima e la rappresenti. Tal si è
per appunto la matematica. Tipo infatti del sapere squisitamente razionale per
lui è la scienza dell'astratta quantità; tant'è vero che Dio stesso, die' egli
in suo linguaggio, non altrimenti opera nel mondo delle forme reali, di quel
che faccia il matematico nel mondo delle figure.* Questo parmi '1 significato
più acconcio da dare Ved. Risp. n al CHorn. de' LetU, § IV. a tal sentenza del
Vico se non vogliamo farlo cadere in aperta contradizione con seco medesimo;
non già che Dio e la sua scienza abbian da esser davvero norma immediata,
origine e sorgente del sapere umano 1 È un paragone, è una figura e nulla più.
E poiché intende a questa maniera la scienza divina, perciò riesce a salvarsi
dagli estremi cui per vie diverse rompon l' idealista assoluto e il teologista
ontologo. Pel primo scienza umana e scienza divina son tutt'uno: pel secondo ce
n' è tal divario quanto fra il finito e V infinito. Se non che Rosmini e
Gioberti nelle opere postume, ormeggiando gli aprioristi, pongono anch'essi
medesimezza fra V una e Y altra scienza, distinguendo solamente, specie il
Rosmini, la materia dalla forma, e questa reputando identica, e quella diversa
nelle due scienze.* Ma, s'egli è così, divario essenziale non ci è, né ci può
essere; stanteché l'essenziale nel conoscere, più che nella materia, stia nella
forma. Invece secondo la dottrina del Vico può dirsi, che se tra l'una e l'
altra scienza non corra assoluta identità, non vi possa esser nemmanco assoluta
difi'erenza. Il pensiero divino conosce, perché raccoglie gli elementi; e nel
raccorli reci' meivte li pone. Il pensiero umano va raccogliendoli anche lui, e
nel raunarli idealmente li pone. E tale veramente appare la sua sentenza là
dove osserva che il conoscere umano si discerne dal divino quanto il solido dal
piano, quanto 1' effige in rilievo dal monogramma. SERBATI, Teosofia^ GIOBERTI,
ProtoUy Altra difficoltà, secondo alcuni critici, sarebbe questa. Se vero
sapere è il sapere per cagioni, se conoscere Tal produrre, se pensare è fare;
com* è possibile arere scienza dell* assoluto senza farlo, senza produrlo?
Conoscere Dìo a questa maniera non è un assurdo? anzi una bestemmia, a detta
del medesimo Vico? Per tutta risposta io to* riferire alcune sue parole le
quali racchiudono, panni, il significato sincero di sua mente, checché ne possa
dire in contrario egli stesso: (Hist. ) E altroTO, parlando del perìodo della
filosofia greca, dice il suo processo esser e eon/orme au déveloj^ment
iiUelìeetuel de Vhofinne, don» Vindividu eomme dan» Veipèoe, ear la
civili»ation tend toujour» de la circonférence au oenlre, periodi storici
perchè la materia si presta a tal fine, come farebb'egli, il Ritter, a rilevare
e ponderare acconciamente i caratteri delle differenti scuole e sistemi senza
il sussidio d'una norma anteriore e superiore alla storia? Eccoci ricascati
nella solita necessità d'un criterio che valga ad imprimere forma razionale
alla storia: senza di che lo storico potrà esser pregevole per erudizione,
prezioso per esattezza storica, saggio e conscienzioso per fedeltà critica, ma
non per questo avrà valicato i confini dell' empirismo. Tale è il Ritter fra
gli storici contemporanei della filosofia. Egli è critico savissimo, checché ne
dica la scuola di Hegel. È interprete coscienzioso, indipendente, scrupoloso,
accuratissimo; ma non è filosofo. A lui fa paura il dommatismo; fa paura il
sistema nella interpretazione istorica: e non ha torto. Ma non si può essere
storico filosofo senz* esser dommatico e sistematico? Il gran pregio di Ritter
sta nel carattere d' indipendenza eh' ei dà alle differenti scuole. Ma un
principio sopra cui s'incardini la sua critica, e gli porga ragione di tale
indipendenza, a lui manca assolutamente. 11 criterio mercè cui lo storico potrà
render utile lo studio della storia ed elevarla insieme a dignità scientifica,
sta neir interpretar la successione e la genesi e le attinenze de' sistemi
filosofici ponendo in opera il criterio delle tre posizioni che noi abbiamo
accennato. Queste tre posizioni (e altre non sono possibili) invocate a
chiarirci nel magistero della critica e della interpretazione della storia, non
costituiscon già un criterio empirico, né un criterio d' indole eclettica;
tanto meno un criterio dommatico, sistematico, ricostruttivo. Non è criterio
empirico, perchè non sono i fatti storici (e nel caso nostro i fatti storici
sono i sistemi filosofici) che lo partoriscano, 0 lo spieghino; ma egli stesso
è che spiega la comparsa delle^differenti scuole e dottrine filosofiche nel regno
della storia. Non è poi criterio eclettico perchè non iscaturisce dalla storia,
né da' sistemi; anzi ci fa capaci d' interpretar V una e giudicar gli altri
senza esser sistematici: sentenza che per taluno avrebbe faccia di paradosso,
ma non è.* Finalmente il nostro criterio non è sistematico, perchè non isgorga
dalle viscere stesse di alta metafisica, né quindi importa ombra di necessità
dialettiche, a priori, metafisiche. Ma qui dobbiamo intenderci con gli storici
hegeliani. Qual è il criterio storico di Hegel? È il principio stesso cella sua
filosofia; V identità assoluta. Una infatti per lui è la filosofia, uno il
sistema; e le dottrine particolari non altro che forme diverse d' un medesimo
contenuto. 11 dommatismo sistematico nella storia de' si* La H;nola del Cousin
scimmiottando Hegel, com'è noto, Terrebbe far germinare la filosofia dalla
storia, o considera perciò come elementi organici necessari, aempiici e
irriducihili solo quattro sistemi; Sensismo, Idealismo, Scetticismo,
Misticismo. Da questi fa risultare la storia d'ogni tempo e ln)go; o da essi
medesimi vuol far germogliare la filosofia: La teoria deve emergere dalla
storia. [Court ec. Ber.) Or 80 la storia in ogni grand’età e in ogni periodo
filosofico presenta qne soliti qiattro demetiti organieif ne segue che la
teoria, dovendo pullulare appuiÉo da essi, altro non potrà esser che un accozzo
eterogeneo e, meglio che un eclettismo, un sincretismo. Se gli elementi infatti
sono contraddittorìi ed eterogenei, non dovrà esser tale altrosì l’insieme che
ne verrà fuom V Che se per tale accozzo è mestieri d* un criterio, eccoci tosto
fuori della storia; e allora non sarà altrimenti vero il gran domma che la
teoria abbia da emerger dalla stessa storia. Altro difetto di Cousin è, che
iella sua divisione non trovan luogo parecchi sistemi, come per es. il
Critclsmo, e Y Idealismo assoluto: 1’uno perchè non è sistema, e nemmanco
icetticismo; l'altro perchè, sotto il riguardo psicologico, sarebbe l’ unione
di due sistemi, secondochè avverte egli stesso. Inoltre non giunge a determinar
nettamente la fiinzione dello Scetticismo nella storia, e distinruerla dalla
funziono che esercita il Misticismo, il quale definisce, le eotf> ds
désespoire de la raièon humaine: quasi che il secondo fosse un atto legativo
cosciente, com'è il primo, e non già positivo in qnanto che imprta fede,
contemplazione, sentimento e simili. Finalmente chi non vorrà legare p^li
Eclettici che il Misticismo, il Sensismo e lo Scetticismo siaio da riguardarsi
come altrettanti sistemi V Ecco a che mena un criteri) erroneo su la divisione
e genesi de' sistemi filosofici. Non s' intende h storia, e poi si precipita
senza rimedio in una teoria affatto sincretici e però assurda. La storci della
filosofia mani/estaf ne* vari sistemi che sono apparsi, una sola i medesima
filosofia che ha percorso diversi gradi, e prova che i prineipii particolari di
ciascun sittema non sono che parti d’un solo e medesimo utto. > (Hbgel, Log.
Introd. trad. Vercu Wilmx, stemi non potrebbe risaltare più evidente, più rigoroso,
più universale, più assoluto. Noi innanzi tutto neghiamo risolutamente che le
vario dottrine non possan essere altro fuorché momenti diversi d* una
filosofia. Dov'è identità di contenuto, a dirne un esempio, fra Idealismo e
Materialismo? Tra Teismo e Panteismo naturale o ideale che sia? Ci vuol davvero
la pupilla lincea degli hegeliani a vedere, o meglio, a travedere siffatte
ideatità di contenuto ! D' altra parte, se posta la evoluzione della idea 0
contenuto dello spirito ne seguita (come dicono) che la filosofia ha da esser
identica alla storia: non è egli codesto un principio degno d' un eclettico
francese? Non è la negazione più aperta, più schietta del progresso in
filosofia, meno, s'intende, epoca memoranda in che con la sua bacchetta d'acciaio
il gran negi-omante del Nord ebbe diffinitivamente segnato e chiuso in perpetuo
il circolo della filosofia? S'egli è così, la dottrina ^é* circoli e de'
ricorsi storbi che il Vera dice esser l' errore madornale della Sdenzii NuovOj
per me sarebbe anzi una conseguenza logica, immediata, inevitabile dell'
Hegelianisrao, almeno quant' al pensiero speculativo.* Hi9t., voi. IH). La
successione istorica de' sistemi perciò riesce identica a quella delle
determÌDazioui logiche della Idea: il perchè in fondo a tuttM sistemi non si
occulta altro che un medesioo oontenuto. Chi consideri bene le dottrine e
applichi con acciiiatezza le esigenze del metodo vichiano alla storia de'
sistemi, si accorgerà tosto corno nella filosofia, guardata storicamente, ci
abbia da esser moIiipUcità di momenti, e, che più monta, diversità di
contenuto; del che /a storia dt'Ila filosofia greca, come accennammo porge
splendido esempio. Ma, si badi, ciò non toglie punto che ci abbia da esser»,
come di fatto ci è, differenze di forma. Se i ritomi e i rieorgi «tarici nm
importassero anche in filosofia un contenuto nuovo pur occultato sotto vecchia
forma, che cos' altro sarebbe la storia del pensiero filosofico salvo che an'
og;,Mo8a e sterile ripetizione d'un medosiuio uggiosissimo spettacolo'? Nella
storia de' sistemi, più che in altre, il moto e lo svolgim4Qto storico non
somiglia ad una linea retta, come dicono alcuni, e mmmanco ad un circolo, come
pretendono altri. La storia della filosofia 3 linea retta e circolo
insiememente. È linea retta, chi guardi al contenuto; ed è poi circolo, chi
consideri la forma, cioè la parto meccanica do' fatti; giacche la storia, lo
dicono e lo credon tutti, ò fornita alch'ella del suo Un' altra osservazione
contro gli Hegeliani poiché ci calza. Se V ingegno filosofico (quello, ben
inteso, degl' imperturbabili e severi negromanti in filosofia) racchiude in sé
tanta virtù e tal vena architettonica da costruire con lavorio tutto a priori
il sistema della scienza dell'essere e del conoscere; la conseguenza parmi chiara,
irrepugnabile: ed é che la storia della filosofia non potrà non riescire
affatto inutile e insignificante. A che sciupar tempo, a che sprecar la nostra
attività critica a studiar ne' bozzetti piii o manco smorti e melensi e sconci
e abortivi che ci presenta la storia, se abbiamo già dinanzi agli occhi in
marmo vivo e quasi palpitante il Davide e '1 Mosè? Dicono: « Noi invochiamo la
storia de' sistemi, é vero, ma per semplice guarentigia del sistema: la
invochiamo com' una riprova di fatto, com' una conferma sperimentale.... »
Conferma di che? Della costruzione a priori,^ Dunque codesta vostra costruzione
è una congegnatura inefficace! D' altra parte, se il sistema giace ascoso e
beli' e apparecchiato nella storia e non fa che germinare da essa, in questo
caso non sarà inutile la vostra costruttura ideale, a priori? Brevemente, una
delle due: La costruzione a priori del sistema é ella assoluta? Dimque è
faccenda inutile la storia de' sistemi. Il sistema giace egli beli' e
apparecchiato nella storia? Dunque inutile ogni alma meccanismo. Ora dunque per
noi il pensiero fllosofico ò daTvero progressivo; è progressivo sul serio;
progressivo noi verace senso della parola progresso, appunto perchè si svolge
anche, e sopratutto, nel suo contenuto. £ qui, com* è chiaro, noi rispetto agli
Hegeliani siamo addirittura a:rU antipodi; e non è altrimenti il nostro povero
don Giambattista quegli che non ebbe la fortuna (sic) di scoprire la gran Ugge
dd progredire della utnanità, ma è proprio il loro Hegel cui toccò la sventura
(abbiano pazienza!) di non conoscerla, anzi di negarla cotesta legge; o almeno,
riconosciutala da Talete, Tha poi negata a tutt*i secoli avvenire,
condannandoli senza scam(H> a ruminare eternamente la medesima formola
metafisica! Il concetto del vero prògre99o è concetto propriamente impossibile
nella mente degli Hegeliani, come vedremo nella Sociologia. MiOHKLiT, Exam,
Crit, de la Mèi. d'Arisi., Paris] nacchìo architettonico dialettico a priori.
Nel primo caso voi sarete altrettanti Dii; e noi non v'intendiamo, perchè
confessiamo di non esser capaci d' intendere un linguaggio e un pensiero
sovrumano. Nel secondo poi sarete eclettici, o positivisti; e noi vi superiamo.
Non v'è scampo. Se la storia de' sistemi ha da servire di per sé sola a darci
la filosofia; se, d'altra parte, la congegnatura a priori ha da essere assoluta
e tutta d'un pezzo: come legittimarle entrambe? perchè invocar la necessità
d'entrambe? Intendo l'eclettico che, non sapendo rinvenir filo d' energia
speculativa ne' bisogni intimi del suo pensiero, viene a chieder soccorso alla
storia. Intendo non meno il positivista che con le mani sotto le ascelle tutto
aspetta dalla storia appunto perchè non ha briciol di fede nelle native forze
della ragion filosofica, e sorride agli sforzi ne' quali nobilmente altri si
prova. Ma come potrò intender gli hegeliani che invocan la storia nel momento
istesso che vantano la singoiar pretensione di costruir l' edifizio scientifico
a priori rifacendosi dal tetto ? Che cosa dunque è da concludere? Precisamente
r opposto di ciò eh' essi pretendono: che ne la storia contiene il sistema, né
la mente può costruirlo e dedurlo a priori. Né induzione, al solito, né
deduzione neanch' in quest' ordin di cose. La possibilità d' una dottrina
metafisica può germinare dall' azione combinata delle due forze; dalla storia
de' sistemi interpretati a dovere, e dalla energia intima del pensiero
speculativo. Or tutto ciò potrebb' egli esser possibile, se questo pensiero non
fosse ad un tempo e dentro e fuori della storia?* Schmidt divìde la storia de’
sistemi filosofici morendo dal concetto della filosofia elio per lui è teienza
del fondamento ultimo del nottro pentierOf e delV a$§oluto, E poiché cotest'
obbietto si può concepire in tre gaise, cioè obbiettivamente, sabbio ttiv
amente e neirun modo e nell* altro riconoscendoli entrambi come identici, però
ne deduce 1’opposizione de* sistemi, e la divisione della storia. La prima e
più generale divisione è questa; 1» filosofia grreca; 2o filosofia nuova avanti
Kant; S*" filosofia Il nostro criterio non è niente di tutto questo. Non è
empirico, non è eclettico, non è sistematico, non è dommatico. E positivo, e
razionalmente positivo. Ed è tale perchè piglia di mira non già i sistemi
propriamente detti, anzi le posizioni ultime, più semplici, irreducibili del
filosofare, squadrandole sotto doppio rispetto; sotto il rispetto della
scienza, e del suo oggetto. Le posizioni possibili dell' ingegno filosofico, di
fronte al sapere metafisico, dicemmo esser tre: !• impossibilità della metafisica
(Scetticismo); 2» sua attualità (Sistema beir e compiuto); 3» sua possibilità
(Critica). Anche tre, dicemmo, le posizioni del suo oggetto, cioè le possibili
soluzioni del problema metafisico. Dunque tre han da essere i sommi generi
sotto cui la storia può venir adunando, disponendo, ordinando le dottrine, gì'
indirizzi, i metodi, le esigenze speculative formanti le specie e sottospecie,
le recente dopo Kunt {St, della FU.). Innan^ù tutto questa è una diTisione
essenzialmente sistematica, e riesce alla filosofia dell* identità: il che solo
basterebbe a condannarla. Il concetto inoltre nel quale è fondata • è
superlativamente esclusivo; tanto cbe rimaui^on fuori del corso isterico interi
periodi di speculazione occidentale, per non parlare della filosofia orientale.
Così precisamente egli tratta, per esempio, la scolastica: la quale, tuttoché
non si possa dire speculazione metafisica, non però cessa d'essere
8peéulazione,quantunque in servigio della teologia e del domma. K poi, come mai
dalla filosofia greca, con un salto più che mortale, si piomba a Cartesio? Dov*
è qui, non dico la verità, ma la realtà del processo storico della filosofia?
Un'altra domanda. Schmidt pone Videntìtà come contrassegno del 8^ periodo della
filosofia. Ma, con qual diritto, con che verità qualificar tutt* i filosofi di
cui egli parla nel suo S"* periodo col carattere dell* identità? Come si
vede, lo Schmidt cade nel1’ a pr»art«mo hegeliano, ma senza far pompa de*
grandi pregi di Hegel. Tranne V opposizione fra' sistemi, nonché la triplice
maniera onde in essi è concepito l'assoluto, ei confessa dì non saper altro per
via a priori di concreto, di particolare circa la storia delle scuole e delle
dottrine filosofiche: doveccbò Hegel non pnr move dalla logica, come s'ò detto,
e dalle alture logiche procaccia dedurre i sistemi ed i momenti della storia,
ma più ancora li costruisce; li costruisce indipendentemente dalla storia. Il
metodo dello Schmitd, quindi, avrebbe una parte accettabile, un aspetto vero;
che, cioè, r indagine storica, per lui, non riescirebbe un di più affatto
inutile, come in sostanza dovrebb' essere per Hegel. Se non che cotesto bel
pregio svanisce, tostraf«, appresso il vero metafinoo. Or questa genesi a cui
egli accenna, si applica evidentemente tanto al processo delle scienze, quanto
a quello della filosofia; e, di più, risponde appnntìno alla storia e al
processo ideale de' metodi. I metodi per lui sono ìtq;V Induzione^ il
Sittogiemo, il Sorite. {De Antiquiee.) È bene avvertire com'ecfli, discorrendo
del Sorite^ sbagli nell'attnbuire a Socrate quella forma. d'induzione cui
allude nel Libro metafìtico; e non meno sbaglia, come osservammo, quando chiama
sillogistico il metodo aristotelico. Ma questi, com' ò chiaro, sono sbagli di
storia, inesattezze di fatto, non già di dottrina. Ciò che importa è che sin
nel Libro metaJUico egli sa scorgere un vincolo, un processo, e quindi un
progresso fra le tre posizioni metodiche del pensiero: Induzione, Dedazione,
Eduzione, rispondenti alla storia delle scienze, come a quella della filosofia.
Giova perciò intenderci bene. L' Induzione, per lui, è un artifizio sintetico,
ma d'indole empirica; ondo la mente non facendo che raccogliere, adunare,
procede dall'effetto alla causa, e quindi è analisi, diremmo, sintetica.
(Inductio, pioura ànalytica; Stllooismus, stntrtioa. Ved. De Conet, PhUologim)
Il Sillogismo invece è un artifizio deduttivo, è ainteei analitica per cui la
mente procede dalla cagione all'effetto; ma è incerto nel euo procedimento e
però inetto a scoprire {De AntiquÌ9$., cap. II, VII, 4). Questo è quel metodo
eh* ei condanna ne' Cartesiani, ed è quel 9ÌUogi»mo debole oÌ79iv'/ì^
i7uXXo7(7]txo; che Aristotele biasimava in Platone (>lna/. Poet.,!,)
Finalmente il Sorite, per lui, è tutt' altro di ciò che ne dice la logica
ordinaria. II Sorite non è, a dir proprio, nò sintesi, né analisi. Non è
analisi sintetica che dall'effetto ealga alla cagione, e nemmeno è sintesi
analitica che dalia causa eeenda all'effetto. Invece è funzione che oofuxitena
caute con caute: Qui utitcb borite gauss ab oaussis, ouiqur proxiMAif ATTBXIT.
{De AntiquÌ89„ De certa /acultate eciendi, ) Perciò il Sorite essendo la
funzione sillogistica nella forma pid compiuta, presuppone e racchiude in sé
l'analisi e la sintesi, la deduzione e l'induzione, e di fronte a queste debb*
esser superiore e posteriore. Dunque la funzione discorsiva che egli appella
Sorite e che pone nel terzo momento della storia Se tutto questo che noi siamo
venuti sin qua discorrendo è vero, quale ne sarà la conseguenza? Sarà che tanto
nella storia deUa filosofia, quanto nel succedersi de' sistemi, il progresso
non è, come ci predicano i positivisti, un' illusione de' filosofi di mente
ammalata e nebulosa, ma un fatto storico e psicologico ad un tempo; una storica
e psicologica necessità. I diff'erenti sistemi, ci dicono i filosofi deW
avvenire^ possono conferire al progresso non come cagioni determinanti, ma come
semideale de* metodi, non è altro che il processo ednttiro di cai altrove
abl)iaino discorso. Neir annodar cau»e con carne sta V invenzione del termine
medio, e perciò la conversione dd vero col fatto. Se non che talora anche in
ciò egli si contraddice ! ifferma, per es., che V analisi (la qaale abbiam
visto essere per lui posteriore alla sintesi, e però, come artifizio deduttivo,
posteriore ali* induttivo), sia il metodo puramente critico de* Cartesiani; e
non senza ragione lo condanna, perchè esclusivo e solitario. Ma più volte poi
dice esser tale anche il Sorite; cioè un artifizio puramente critico e
analitico. {De AnUqxUss,^ Ds Nos. Temp.
Stud. Jiat,, Argum. RUp, i* al Glor. de' Lett., § IV. - /?« Oonst. PhiloL, Sec. Se. Nuo.) Ma non abbiam vist ) com'egli medesimo
ponga il Sorite dopo Vlnduzimie che è analisi-sintetica, e dopo il Sillogismò
che è sintesi-analitica? Come, dunque, se è posteriore e superiore, potrà esser
non altro che pura critica e pura analisi, e perciò anteriore e inferiore? Non
è contraddizione palpabile cotestaV A levar di mezzo siffatti controsensi,
bisognerà stare alla definizione eh' ei medesimo ne porge del Sorite: funzione
che concatena cause con ca«we, non già effetti con causcy o eause con effetti.
Ella compenetra, come dicemmo, in un medesimo circolo l'analisi e la sintesi,
l'artifizio induttivo e '1 deduttivo]. fe insomma il nwtodo ch'egli sposso
appella geometrico (Risp. al Oior. de' LcU.). È, ripetiamo, il metodo ednttivo,
genetico, il quale non è geometrico in quanto debba essere tolto cosi com' è
dalla matematica, ma nel senso che dalla geometria s'ha da pigliar la
dimostrationCf cioè la guisa per far la scienza. Lo dice egli stosso; non
m^hodus geometrica^ sed demonsb'otio. E dopo ciò auguriamoci che alcuni suoi
crìtici non vorranno maravigliarsi più oltre ch'egli abbia voluto appellar
geometrico il metodo proprio della sua Scienza Nuova! {i^ Se. JVuo.). Uno de'
continovi lavori di questa scienza d dimostrare FIL PILO.... lo spiegarsi delle
idee umane . Concludendo: Col porre la genesi psicologica de* metodi e '1
processo isterico delle tre funzioni metodiche, il nostro filosofo ci ha dato
insieme la dottrina su la genesi positiva delle scienze, secondo l'interpretazione
che noi altrove abbiamo accennato (p. 230), e sopra questa legge si modella
eziandio la storia ideale della filosofia^ com'egli dice, o la storia naturale
de' sistemi JUoéoJtci. Sono germi cotesti, io lo veggo; ma germi fecondissimi.
plici condizioni del progredire; cioè com' errori che si combattano, e che nel
combattersi a vicenda si correggano. La contraddizione qui è palpabile; e non è
la prima né l'ultima nella quale intoppino i positivisti. I sistemi filosofici
non sono che errori, e pur si correggono ! Ma, so correggonsi, in clie maniera
saran tutti un errore? È possibile correzione senz'una parte di vero? Or se
racchiudon parte di verità, certo non avrebbe a parere impresa disperata
poterli assommare; per la semplice ragione che se la mente umana è quella che
ha potuto partorirli e poi di mano in mano correggerli, ella medesima potrà
venirli adunando in organismo, nel che, come si disse, è necessario un criterio
superiore/ Abbiamo detto esser triplice il processo delle cose governato da un
medesimo criterio, il quale perciò assume valore di principio: la Conversione
del vero col fatto. Ora il primo processo a cui è d' uopo fare cotesta
applicazione è appunto la storia, perocché lo spirito nasce nella storia, e la
fa. E poiché nel medesimo processo isterico é racchiuso il processo psicologico
il quale n' è il fondamento più immediato in quanto é la I sistemi si
combattono, è vero: essi rappresentano il transito a verità; e anche questo è
verissimo. Ma ciò fanno non tanto perchè sono errori, non tanto perchè lottano,
qaanto perchè racchiudono in sé medesimi un elemento di speculazione e perciò
di verità metafisica. In una parola, essi lottano, ma non per distruggersi a
vicenda, sì per legittimarsi, e compiersi. Giova ripeterlo anche qui:
Positivismo e Idealismo assoluto mancano del vero concetto del progresso nella
storia de' sistemi. L* uno considerandoli come produzioni fantastiche della
mente, crede che poco alla volta essi finiscano per divorarsi a vicenda senza
verun incomodo degli spettatori; dovecchò l'altro, avvisandoli come organi e
vegetazioni d' una medesima pianta, nega loro ogni ulteriore progresso giunto
che sia a vedere sbocciato quel fiore nel quale sono contenuti in atto rami,
fronde, foglie, tronco e radici della pianta. Questo fiore, si sa, non può
essere altro che la filosofia dell'identità. Ora a me pare che, se hegeliani e
positivisti vorranno per poco tenersi conseguenti a sé stessi, la storia della
filosofia agli occhi loro non potrà essere altro che un caput mortuum; sempre
per la solita ragione, che gli uni hanno intera fiducia nella costruzione
ideale della metafisica, mentre gli altri non ne hanno punto, anzi la negano.
Caput mortuuml nò più, né meno. La logica è inesoraWle. stessa nostra
coscienza, perciò la prima applicazione di quel principio riguarda la genesi
psicologica. Ma, innanzi tutto, che cosa ci dice la storia della psicologia
rispetto al problema psicologico? Capitolo Quarto. platonismo e aristotelismo
nel problema psicologico. Il nodo al quale per ragioni più o manco immediate si
rappicca la soluzione de' piii vitali problemi delle scienze morali, e stavo
per dire anche quelli della metafisica, è il problema psicologico, che un
moderno filosofo ha giustamente appellato problema generatore.^ La psicologia
segue anch' ella una legge cui vediamo soggiacere ogn' altra parte della
filosofia. Pigliando a considerare il problema psicologico sotto l' aspetto
teoretico, ci accorgeremo tosto della possibilità d' una doppia soluzione, che
si riferisce a due sistemi fra loro opposti e contrari: i quali sistemi, per
quanto si voglian fregiare di titoli vistosi e facciano pompa di nomi pili 0
meno appariscenti, ci rivelano sempre alla fin fine l'esigenza del
materialismo, ovvero quella dello spiritualismo. Se pigliassimo poi a guardare
il medesimo problema sotto r aspetto isterico, sarebbe agevole il vedere come
quelle due soluzioni mettan capo a' due maggiori filosofi dell'antichità,
Platone e Aristotele, ne' quali s'imbatte sempre la mente dello storico quando
meno se '1 crede. Che se oltr' ai due massimi filosofi di Grecia togliessimo ad
esame anche la teorica psicologica degl' insigni rappresentanti della sapienza
cristiana. Agostino ed AQUINO, i quali non fanno che ormeggiare i due Fichte,
Doetrine de ki Seienetf trad. Grimbl^t,] greci quanto le necessità del domma
comportavano, avremmo beli' e fissato l' obbietto e determinato i confini della
critica intorno alle principali soluzioni date sul problema in discorso, e
fors'anco avremmo tirato le somme linee d' un intero disegno isterico della
scienza psicologica fino all' età del Rinascimento^ I quattro filosofi
menzionati comprendono in germe tutte le posizioni psicologiche possibili, meno
una; meno quella, cioè, che, nulla serbando di filosofico e di psicologico, si
riduce tutta a negozio di biologia, come vorrebbero certi moderni fisiologisti.
Nella storia della filosofia, infatti, avviene quel medesimo che in ogn' altr'
ordin di cose morali: le prime tracce dello sviluppo, i germi del processo,
come germi, s'annidan tutti nelle origini. Nelle origini la virtù spontanea e
divinatrice dell' ingegno emerge vigorosa e potente così che basta ad
alimentare i' attività analitica di più secoli, ed eccitar 1' ansia e '1
bisogno speculativo di più e più generazioni. Le origini . riflesse della
speculazione occidentale pongono lor prima radice nel pensiero greco; massime
in quel perìodo in cui Platone e Aristotele rappresentando, per così dire, 1'
analisi in cui sdoppiossi e ingagliardì la sintesi socratica, giungono a toccar
l'apice della riflessione metafisica sotto duo forme distinte; distinte
nell'idea, diverse nella forma e anco nello stile, ma atte ad integrarsi e
compiersi a vicenda. Il vivente storico inglese della Grecia ha detto che la
speculazione europea, nonché gran parte dell'orientale, altro non sia stata in
sostanza fuorché un commentario intricato e perpetuo de' due massimi filosofi.
A compiere il concetto avrebbe potuto •e dovuto aggiugnere che in cotesto
commentario, in cotest' analisi, tanto più evidente appare il progresso, quanto
più intenso é lo svolgersi delle dottrine, e più fitto e più variato il
succedersi delle scuole. Chi dunque pigliasse a far la storia critica del
Platonismo e dell'Aristotelismo, e' sarebbe già in grado di far la storia della
filosofia: in cui lo scetticismo avrebbe quella funzione e queir ufficio che
gli spetta; ufficio senza fallo assai rilevante, ma, come dicemmo, di semplice
strumento più che d' artefice; funzione di mezzo, d' espediente, d'incentivo
piii che d'elemento vitale della scienza. Se infatti v' ha cosa nella quale
consentano appieno i due massimi filosofi, è questa: che il concetto del
sapere, del sapere per via di scienza, debbasi appuntare neir universale,
stante che dall' universale possa emergere unicamente la possibilità della metafisica.
Ecco perchè tale possibilità è già beli' e dimostrata, s' altra prova mancasse,
dal fatto storico, dalla storia della filosofia. Ecco perchè lo scetticismo,
siane qualunque la forma, è distrutto, o meglio, è ridotto al suo legittimo
valore, dall'esistenza atessa e dallo svolgimento cui son venuti soggiacendo il
Platonismo e l'Aristotelismo. Ed ecco perchè, ripetiamolo, questi due grandi
sistemi racchiudono un significato supremamente comprensiva per due rispetti
diversi, l'uno storico e l'altro teoretico, e per due diverse ragioni altrove
accennate. Sul carattere precipuo del Platonismo ci sarebbe a sperare che né
critici, né storici qund' innanzi avessero a discutere più oltre. Volumi in
foglio scrissero antichi e riscrissero moderni, sia per determinare il concetto
platonico del Bene, sia per isgroppare que' tanti viluppi su la natura delle
idee, sia per ispecificar l' attinenza peculiare fra esse e Dio, o per
lumeggiare il processo della dialettica e chiarir la forma verace del metodo
filosofico platonico, o, finalmente, per additare il rapporto fra '1 pensiero e
l' obbietto sovrassensibile di esso. Pare che i più oggi consentano a ritenere,
il distintivo platonico star nella teorica dell' esemplarismo, e quindi nella
dottrina (vera o no che sia) delle idee avvisate oom' eteme conoscibilità, e
com^ eterne e assolute specie delle cose, 11 che tanto più avrebbe a parer
vero, in ^Ytìov wjTTioòc To (zé^iov (iTxpct^ityt/y.) iS\tntv. Tm. Cfr. quanto
che il punto attorno a cui s'aggira la critica dello Stagirita sta tutta qui:
Videa non pure esser Buperiore alle cose, ma tutta al di là e tutta al di fuori
delle cose. Né le tre scuole d' interpreti che hanno a capo Herbart Hegel e
Bitter, e che in Germania oggi dividonsi '1 campo della critica sul significato
essenziale e speculativo de' dialoghi platonici, dissentono guari intorno a
cotesto particolare, quantunque tutt' e tre riescano a dissidii profondi nell'
applicar la critica non tanto erudita, quanto d'interpretazione filosofica.
Difficoltà pili gravi porge l’Aristotelismo; col qual nome intendo abbracciare
tanto Aristotele, quanto la interminabile tratta de' suoi commentatori. Queste
difficoltà senza fallo tengono all' indole stessa della dottrina aristotelica,
all'esser eUa, per così dire, bifronte, racchiudendo i germi di due contrarie
ed opposte direzioni speculative: cosa che, ove non fosse universalmente
riconosciuta, basterebbe a comprovarcela, s' altro mancasse, la critica che
neanc' oggi ha smesso e certo mai non ismetterà la speranza di porre in accordo
lo Stagirita con sé medesimo. Eertanto, riconosciuta l' ambiguità e r
indeterminatezza del sistema aristotelico nonché il difetto d' impasto omogeneo
in parecchie sue teoriche; considerato come Aristotele uscito del tirocinio
platonico dovea serbare, come serbò evidenti, alcune tendenze già inseritegli
nell' animo dalla viva e potente e drammatica parola di chi seppe concepire e
scrivere il Protagora e '1 Filébo; tenuto conto sopratutto dell'opposizione
gagliarda e severa ch'ei mosse contr'al maestro; e, finalmente, considerato lo
svolgersi così vario, così intricato, così opposto ne' suoi resultamenti cui r
Aristotelismo andò «oggetto attraverso civiltà diverse, tempi diversi, luoghi
divedi : non avrebbe a parer Stallbacm, ne* ProUgom, al Parmenide di VELIA,
SERBATI, Aritt. eep. ed esam.f Introd. Zkllbr, DeU^ espogiz. aritt, della fil,
di PUxtone, c. rV. Tbbndelsnburo,
Plut. de id., Mabtik, Éhui. mr le Tim., Àrgom, CousiN, Du vrai, du beau et du
bien, loz. IV. troppo ardito T argomentare, come dal tatt'
insieme delle sue teoriche, in ispecie dalle tendenze molteplici degli esegeti
d'ogni età, cotest' indirizzi devan essere tre, meglio che due. De' quali
indirizzi noi chiameremo il primo ip&rpsicólogko; il secondo. Triturale
oàempirico; e il terzo medio, ovvero aristotelico-platonico propriamente detto.
Dal significato stesso di queste parole, ognuno s'accorgerà come il nostro
criterio diflferenziale, e la divisione riguardante gì' indirizzi della
dottrina aristotelica nonché le diverse esegesi a cui elle conducono, sia per
noi principalmente di natura psicologica; e non può non esser tale. Aristotele,
infatti, non cessando d' essere Aristotele, è anche mezzo platonico. Un
criterio diflFerenziale, dunque, circa le dottrine de' due filosofi, non potrebb'
essere attinto in altra sorgente salvo che in quella della psicologia, dove
appunto riluce piii netto il dissidio, checché ne dica il Ravaisson,* tra i due
filosofi della Grecia. D' altra parte cotesta nostra divisione non solo si
porge come criterio a discemere e giudicar le diverse scuole aristoteUche, ma
ci somministra modo altresì per valutare l' esplicazione storica del Platonismo
al lume di quel terzo indirizzo che noi pensatamente abbiamo appellato medio.
11 quale, se con gli altri due l' abbiam detto aristotelico, non è meno
platonico perciò. Cotesto indirizzo medio, infatti, non è originario, ma
secondario. Non è nato fatto, ma capace di farsi, di generarsi, d'assumere
fattezze proprie e fisonomia sempre più individuale e spiccata nel corso della
storia. Però più d'uno storico della filosofia ha paragonato 1' Aristotelismo e
'1 Platonismo a due fiumi che risalgono verso due sorgenti diverse; e meglio
avrebber detto due correnti distinte d' un medesimo fiume, le quali, scorrendo,
sempre più si rimescolano e conifondono per entro a un medesimo alveo. Nelr
Aristotelismo quindi ci è il Platonismo, o meglio ci * E9$ai de Ifitaph, d'
ÀrUt, Tom. I, Introd. p. Y. è germi di due maniere di Platonismo, legittimo e
spurio. Il Platonismo spurio in sostanza è Arabismo; e la cagion prossima, X
origine immediata di esso non risale già alla dottrina platonica, come altri ha
creduto cogliendo a frullo qualche sentenza qua e là sparsa ne' dialoghi del
filosofo ateniese; ma risale al medesimo Aristotele; e ciò per due diverse
ragioni. La prima delle quali, come ha osservato un illustre storiografo,* si
radica nell'opposizione che lo Stagirita ingaggiò contro il maestro; e questa,
più che cagione, noi diremmo sia stata occasione, incentivo alla dottrina
averroistica. La seconda poi vuoisi riferire, come toccammo,
all'indeterminatezza e ambiguità della stessa dottrina aristotelica su
l'intelletto; tant' è vero che Alessandro d' Afrodisea, intendendolo in parte
sotto l'aspetto empirico, potrebbe aver fatto più sdrucciola, per parte sua, la
strada all'Averroismo.' Se dunque tale è l'Aristotelismo di fronte al
Platonismo, si può dire che, ove altri pigliasse a far una storia compiuta del
primo conforme al criterio che noi diciamo, farebbe anche la storia del
secondo, cioè del Platonismo vero, del Platonismo legittimo, appunto perchè
nell'uno e' è, anche 1' altro, ma corretto, o a dir meglio, compiuto per più
d'un rispetto.' Ora che i tre indirizzi non siano per avventura tre fantasie
del nostro cervello, potrebb' apparir manifesto dalle sentenze diverse che noi
potremmo agevolmente venir adunando nel medesimo Aristotele, se potessimo,
anche a far bella mostra di peregrina ma non difficile erudizione, ingolfarci
in esami di esegesi minuta e particoleggiata, e se il Rosmini non avesse già,
meglio che * Renan, Averrhoé» et VAverr.^ pag. 42. * Ravaisson, Bonghi parlando
della metafisica d'Aristotele osserva, c^ tutti qtianti % »Ì9temi fino a
Carteno ei »% »ono tpecehiati dentro^ e ci hanno jwù o meno riconoeciuto il
proprio vieo, (Lett. al Rosm., Trad. della Metaf.i). Nourisson dice fino a
Leibnitz. {Tabi, de» progrU, ec., 2* ediz, 1S59 nella Condu$,) Perchè non dire
fino ad Hegel addirittura? ogn' altri, posto in sodo con maniera davvero
magistrale r esistenza nello Stagirita de' due primi indirizzi. Ma una prova
più chiara potrebbe averla chi guardasse al modo con che sonosi venute
svolgendo e diramando e poi intricando e vie più ravviluppando fra loro le
varie scuole aristoteUche non solo per tutte quelle dieci età che il nostro Patrizi
distingue nella storia degli esegeti aristotelici, ma eziandio per tutto il
periodo che corre dall' epoca del Rinascimento fino agli ultimi critici
tedeschi hegeUani e non hegeliani, Michelet, Pranti, Zeller, Trendelenburg. Da
Teofrasto, per eserapio, a Stratone di Lampsaco incomincia a prevalere di già r
indirizzo naturale, pigliando forma sempre più empirica di guisa che si
potrebbe dire non v'essere stacco assoluto fra questo indirizzo aristotehco, e
quelle scuole che vi tenner dietro, segnatamente l'Epicurea e la Stoica.* 11
Nominalismo del medioevo che SERBATI più acconciamente appellerebbe Bealisfno
aristotelico, nonché il naturalismo d'alcuni peripatetici, ci palesano anch'
essi l' indirizzo empirico. ' I Positivisti, finalmente, credono anch' essi
oggidì potersi agganciare allo Stagirita, ne in verità avrebbero gran torto se
troppo facilmente non dimenticassero come accanto all'Aristotele positivista ci
sia un Aristotele filosofo anzi metafisico propriamente detto. D'altra parte,
il Neoplatonismo e più l'interminabile serie dei commentatori arabi o
arabeggianti che smarrivansi in quella grossolana forma di panteismo
])sicologico annidatasi nella dottrina dell'intelletto agente così balordamente
interpretata in Aristotele, non ci palesano schiettissimo l'indirizzo
iperpsicologico? Fra questi estremi quanto evidente nella storia al[Ravaisson.
SERBATI, ArUu eiip. ed etam.y Introd. Roussblot, Étud^ tvr la Phil. dan» le
moì/en àgef l» Saint-RinÌ Taillak> DntB» Seot Erigene et la Phil, Seolwtt.,
CousiN, Fragni, de PkiU du fnoyen Age, [trettanto necessaria in teoria è la
posizione mediana. Ella si studia porre nn accordo fra l'esigenza fondamentale
del Platonismo, e quella dell' Aristotelismo; fra l'uniTersale in sé, e Y
universale anche nel mondo. Se non che è facile vedere come questa posizione
abbia a rendere immagine, diremmo quasi, del ferro magnetico il quale senza
posa oscilla fra mezzo al polo positivo e al polo negativo. Tale davvero è l'
indirizzo medio, un ferro magnetico: per cui non è impresa agevole stabilire,
per esempio, se certi realisti e certi nominalisti dell' evo medio, de' quali
il Rosmini con l' usata pazientissima industria andò scovando più e diverse
famiglie, sLin da dichiararsi aristotelici meglio che platonici. L' indirizzo
medio nelle dottrine filosofiche, massime parlando di Platonismo e d'
Aristotelismo avvisati nel loro svolgimento istorico, spicca per questo
contrassegno: d' esser la molla maestra, per così dire, del progresso nello
sviluppo del pensiero speculativo. Or s'egli è tale, non debb' esser
rappresentato da que' filosofi che Pretendono alcuni storici ctie il
nominalismo non dlfForìsca punto dal Concettualismo (per es. il Cocsin, (Euvres
cT Abelardo Introd., in ciò confutato meritamente da SERBATI, Atìm, ec.) Meno
a?7entato degli altri il Roverotano si contenta designare il secondo com* una
gpecie del primo. E sia pure. Ma se fra Tun sistema e T altro non fosse alcun
diyario, dovremmo porre in un fascio, non diciamo con quanta verità, i nomi di
Roscellino, di Guglielmo di Champeaux e d'Abelardo? Per noi la differenza delle
tre direzioni filosofiche medievali è precisamente quella che esiste fra le tre
posizioni dell' universale rispetto alle cose: ante rem, in re, poH rem. Non
dico già che tra Nominalismo e Concettualismo corra quel medesimo divario che
pur troppo intercede fra essi presi insieme, e quella specie di Realismo per
cui si distingue, 'per es., Anselmo d* Aosta. Ma la differenza è pur evidente,
essendoci differenza, parmi, tra V ammettere e 'I negare Vunivenalenel
concetto. Checche se ne dica, la scuola di Roscellino è nominale pura. Quella
di Guglielmo di Champeaux è schiettamente realista. Ma un barlume di vero
progresso nella scolastica traluce nel concettualismo. Esso ci rappresenta,
almeno compera possibile in quell'età e in quelle condizioni della scienza,
l'indirizzo aristotelico medio. Il Concettualismo è tanto superiore al
Nominalismo, quanto Io spirito all'esperienza, -le idee ai fatti, il senso al
pensiero. Il Rimuaat e il Nouritaon han saputo rilevare a meraviglia i meriti
di questo indirizzo nel periodo scolastico. (Abìlakd, Tahleaux de» progrì») la
critica non radamente finisce per battezzare con titoli diversi e disparati e
talvolta anche opposti, non altrimenti che gli zoologisti adoperano riguardo a
certe specie zoologiche le quali, in via di formazione specifica, non possiedon
per anche caratteri netti, spiccati e ben determinati? Tal si è agli occhi
nostri, per dire un esempio, Afrodisio; il quale, tuttoché meritasse titolo di
secondo Aristotele, ninno però vorrà dichiarare schietto aristotelico. S'egli
infatti, combatte la dottrina atomistica degli Epicurei nonché quella delle
forme seminali degli Stoici, é questa una buona ragione perché non sia detto
seguace dell' indirizzo aristotelico empirico. E, inoltre, se contro Avveroé
piglia a corregger la dottrina dell' intelletto possibile, ciò dimostra com' ei
non sia nuli' afiatto un iperpsicologista, e per la stessa ragione non é a
confondersi co' puri platonici. Che se, finalmente, opponendosi allo stesso
Aristotele procaccia dimostrare come la specie anziché nell'individuo sia nel
pensiero, con ciò si manifesta chiaramente seguace dell'indirizzo mediano. L'
Afrodisio dunque, se potessi designarlo così, sarebbe il concettualista per
eccellenza fra gli esegeti ellenici, e quindi potrebbe rappresentarci
l'antecedente ideale del Concettualismo mediqevale. Egli per primo nella storia
dell' Aristotelismo ci esprime il bisogno d' accordare le due opposte direzioni
aristoteliche, restando egli stesso aristotelico, e però non arabo, né
sensista. Si potrebbe facilmente dimostrare, se qui fosse luogo, che il
medesimo indirizzo ci esprime e la medesima funzione esercita san Tommaso nel
medioevo; talché nell'età medioevale AQUINO rappresenta ciò che l' Afrodisio fra'
primi commentatori greci.* * Parlando d’AQUINO BONGHI dice: Quello che m'ha
fatto molto maravigliare, e di cui non mi $on reso cofUo pienamentef come •'
accordi in tanti luoghi coW A/roditeo^ tema perft citarlo mai, ìé accordo ^
tale che non pud ewer casuale. (LeU. al Rosm.) È vero, AQUINO non conoscerà che
di nome rAfrodisio. Lo conosceva per mezzo d’Averroé; eppure tanto spesso
trovasi d'accordo con lui neir inAltri esempi più spiccati potremmo averli nel
Rinascimento; esempi di filosofì che a tutta prima non paiono stare né di qua
ne di là. Tali per noi sono, a dime questi, PORZIO, ZABARELLA, LAGALLA,
CASTELLANI; e non esiteremmo annoverarvi anche il Sessano, come quegli che finì
per combatter l'Averroismo e dar molto da pensare a' seguaci dell' indirizzo
empirico fra' quali in cima a tutti siede il Pomponazzi * Che se il Patrizzi e
più FICINO, fra gli altri, si palesano schietti neoplatonici, cotesto lor
platonismo non va certamente confuso con l'Arabismo. Anche noi crediamo che
certi Platonici e certi Peripatetici arabeggino la lor parte, e tanto
s'assomiglino fra loro quanto due gocciole d'acqua. Ma perchè pretendere porli
in un mazzo? La lor mente muove da sorgive diverse; così che, interpretando a
lor modo Aristotele e Platone, gli uni spesso vaporano, come s' è detto, in una
forma confusa di panteismo psicologico, in mentre che gli altri svolazzano sì
da restare immersi e balordicci in mezzo agli splendori d' un misticismo il
quale se non è panteismo poco ci corre. Arabismo quindi non è Platonismo; 0, se
si vuole, è i) fiacco, è il grossolano Platonismo venuto fuori, come to^tommo,
attraverso la critica male interpretata d' Aristotele contro il suo maestro. Se
dunque la storia dell'Aristotelismo è lì pronta a mostrarci incarnate nelle sue
scuole tre diverse tendenze, ciò vorrà dire più cose. Vuol dire che queste tre
tendenze debbono esistere, ma esistere come in germe nelle dottrine e nella
mente stessa del Caposcuola. Vuol dire terpretare il JUo$ofo, che davvero tale
consenso non può esser ccituale. Quale n' è, dunque, la ragione? BONGHI non ne
avrebbe fatto le meraviglie se avesse pensato eh* eran tutt' e due nel medesimo
indirizzo, nelr indirizzo aristotelico mediOf per quante possano esser le
differenze. Molti filosofi italiani, che d'ordinario sono mossi iu fascio con
POMPONAZZI 0 con gli schietti averroisti ovvero co' puri platonici (come
appunto NIFO) a noi paion seguaci più o mono spiccati dell'indirizzo medio,
quando siano interpretati con benignità di giudizio, e senza le traveggole
d'una critica sistematica. ch'elle hann'a distinguersi e sdoppiarsi e correre
il palio del processo istorico. E vuol dire, perciò, che a questo ior
successivo distinguersi ha da presiedere una legge di progresso che per passi
lenti, ma sicuri, valga a ricondurre r analisi alla verità della sua sintesi
primitiva. Aristotelismo e Platonismo, ripetiamolo, non sono a dir proprio due
filosofie; né sono due serie di filosofi gli Aristotelici veri ed i veri
Platonici. Sono ben due filosofie que’due commenti così opposti fra loro e
contrari, che, fondandosi in un concetto b empiricamente naturale o
esageratamente iperpsicologico del pensièro, vennero fabbricandosi col
succedersi de' secoli, con l'incalzarsi de' filosofi, e con 1' avvicendarsi
delle scuole. Non seguiremo perciò, a questo proposito, la sentenza del Buhle,
del Bitter, del Renan tb d' altri storici che altro divario non sanno scorgere,
fra' peripatetici del Rinascimento, se non quello eh' è possibile riconoscere
fra' commentatori d' un medesimo caposcuola. Come confonder ACHILLINI con
PORZIO? e PORZIO con NIFO? e NIFO con ZABARELLA e con GONTARINI? e tutti questi
con ZIMARA e con altri di simil tenore? Il criterio innanzi stabilito ci può
far comprendere perchè mai tutti quelli che han sempre sospirato un accordo fra
l' uno e l' altro sistema, risentano piii dell' indirizzo platonico anziché
dell' aristotelico; e perchè accanto a BESSARIONE, a PICO Mirandolano, al
citato Gontarini, al MAZZONI, e a tutti gli altri che credono toccar col dito
il vagheggiato accordo, non manchino i Donato, i Folieta. i Buratella che
reputino pazzia cosiflFatto accordo. I primi ci dimostrandoci fatto che
nell'Ari[Una prora estrinseca che fra il Platonismo e l’Aristotelismo primitivi
non V* è, masdme in certi ponti di metafisica, divario sostanziale, potrebb*
esser tolta dalla maniera ond' Aristotele conduce la crìtica inverso alla
fllosofia del sno maestro. Lo Scbleiermacher Tha chiamata critica da maestro di
scuola: e, per alcuni rispetti, non a torto. Zeller infatti ha mostrato ad evidenza
come il discepolo stiracchi non di rado il maestro per meglio abbatterlo. Ved.
Op. cìt. trad. da BONGHI specialmente nel Cap. iV. stotelismo c'è il
Platonismo, e però l'indirizzo medio; i secondi poi che nello Stagirita ci ha i
germi delle altre opposte e contrarie direzioni. Un accordo è possibile; ma non
fatto a maniera ^meccanica e per sovrapposizione, come si pensano certi viventi
neoplatonici col trasferire all'un filosofo ciò che si crede faccia difetto
all' altro, e dando per esempio ad Aristotele l' idea platonica, e a Platone il
concetto della Juva^c? o della ytvevii aristotelica. Il discepolo ha pur egli
la sua idea, cgme al maestro non manca la virtù del fatto e il valore
dell'esperienza. L'accordo quindi è opera della storia; ed è r opera travagliosa
della critica rintegratrice. La quale, rotondando le sporgenze e ammorbidendo
le angolosità che pur troppo si lasciano scorger ne' due filosofi, li modifica,
li rimpasta, li trasfonde 1' uno nelr altro e li trasfigura siffattamente che
ci scompaian dagli occhi Aristotele e Platone, senza che perciò abbia a
scomparire ed estinguersi quell'eterna e vivace esigenza cui levossi il
pensiero indoeuropeo fin da' primi momenti della sua riflessione speculativa e
metafisica. Ripetiamolo anche qui. Il risultamento finale dell'Aristotelismo e
del Platonismo non è già il trionfo dell'uno su l'altro, od al contrario. È il
trionfo d'entrambi, per una ragione altrove rammentata a proposito delle due
moderne filosofie. E que' critici che tanto sudano e s' arrovellano a mettere
in trono vuoi un Aristotele passato attraverso i lambicchi d'una critica
infedele ed eunuca, vuoi un Platone rimpannucciato co' cenci d'un troppo vieto
tradizionalismo, negano, senz' addarsene, la storia. Negano la storia, perchè
disconoscono gran parte del lavoro storico già compiutosi per opera degli
esegeti ellenici, arabi, alessandrini, latini, italiani del Risorgimento. Reca
marayiglia davvero il pensare come in questa maniera di critica incappino
perfino, parlando d'Aristotele^ gli hegeliani più assennati quando affermano,
per esempio, che aìVidea topra le cose di PlaUme AnstoteU SOSTITUÌ Videa delle
coae^ o la forma. Basterebbe già la parola 909Htu\ a far cangiare ftsonomia,
non pure airAristotelismo e al Platonismo, ma a tutta Premesse queste
considerazioni generali, veniamo alla quistione psicologica. U problema
psicologico al quale si connette ogn' altro, è quello che risguarda la
relazione fra V anima e '1 corpo. Se cotesta relazione interviene fra mosso e
movente, per usare l' antico linguaggio, s'ha l'indirizzo platonico; il quale
j>wò trovar riscontro con la posizione iperpsicologica della esegesi de'
commentatori averroisti. Se è relazione di potenza e Aleuto, pigliando l' atto
come determinazione o semplice la storia della scienza. B tal si è infatti il
linguaggio tenuto nella ìot critica da Hegel, dal Michelet, dal Franti, dallo
Zeller, ne' quali attingono ispirazione i nostri hegeliani. Ma dicendo che
Aristotele sostituì oc, non sembra che lo Stagìrita abbia inteso di negare addirittura
V idea platonica? Giacché a poter sostituire bisogna innanzi negare; e per
mettere qualcosa, è d^uopo averne levato qualche altra. Ora il vero si è che
Aristotele, oltre la specie come predicabile, il che costituisce proprio la
novità sua di rimpetto a Platone, riconosce altresì la specie separata^ la
specie in sé, là forma in sé, spoglia di materia. La qual forma in sé (s Zi poi
aurvj x^-^' aur^fv vj uo^^tj) è altrettanto chiara in Aristotele,'quanto la
forma mista alla materia (ùtgjùti^jvvj (uterà rrì; vItiq). lì divario fra* due
ftlosoft perciò non risguarda la prima, vo* dir la specie per eccellenza, ma si
la seconda, cioè la cosa contenente la specie. Di che si vede come per lo
Stagirita, oltre l'insieme de' due elementi (to au voXov) ci sia ben altro
ancora. Al di là del to' slSoz sv fn uXv), infatti, vi ha l'essere, vi ha la
ragion delle cose, tÒ tìSo;, (Ved. Metaph.). Intanto, che cosa ti fanno i
critici hegeliani ? Essi pigliano quel che loro toma comodo. Pigliano il to'
oùvoXov, e il resto considerano come un caput mortnumj o sentenziano: Ècco qua
il vero Aristotele! Che sia l'Aristotele del loro cervello, è chiaro, né vi
cape ombra di dubbio. Che sia l'Aristotele che ci porge la storia, lo neghiamo
risolutamente; né ci mancherebbe modo a darne dimostrazione, se questo fosse il
luogo. Si dirà che quel caput mortuum sia come il Deus ex machina dì Cartesio?
una contraddizione? Innanzi tutto potrebbe stare ch'ella non fosse tale: e tale
infatti non la reputarono i nostri vecchi critici del Rinascimento, né tale è
creduta oggi da' massimi e più severi interpreti moderni, qual è Trendelenburg
in Germania, SERBATI in ITALIA, Ravaisson e B. SaintHilaire in Francia. Checché
ne sia, la critica seria e feconda starebbe appunto nel levar di mezzo la contraddizione,
ma senza negare nò radiare in Aristotele l'esigenza platonica; se no,
risicheremo d'incespicare nel solito scoglio, quello cioè di far la storia
zoppicando, e far camminare la macchina con una sola ruota. Nessuno de' quattro
critici poco fa rammentati, fra' moderni, e neanche fra gli antichi il nostro
Simone Porzio per esempio, avrebbero detto, né dicono, sostituì. Avrebbero
dette aggiunse, a/mpìè, eon-ewT, iiirern, t' simili. modificazione della
potenza, avrai la posizione empirica dell'Aristotelismo, il cui rappresentante
più logico, più originale nell' età del risorgimento dicemmo essere il
Pomponaccio. Se cotest' attinenza, per ultimo, è quella di forma e di matefia,
ma intesa in maniera che la prima tuttoché rampolli dalla seconda non però sia
come assorbita da questa e ne dipenda in modo assoluto, ma anzi la superi, la
informi di sé e basti ad alimentarsi di sé medesima; in tal caso avremo una
terza posizione, la cui esigenza é pur manifesta in Aristotele, e nella quale
pone radice la soluzione più acconcia del problema psicologico. L' indirizzo
iperpsicólogico, nome che d' ordinario scambiasi con l'altro di platonico, ha
natura deduttiva, e costituisce il metodo degli spiritualisti di tutt' i tempi:
nelle cui mani la psicologia assorbe siifattamente la fisiologia, da ridurla
alle umili condizioni di sem.plice appendice della prima. L'indirizzo
aristotelico empirico ha natura puramente induttiva; ed é il metodo
de'mateiialisti d'ogni età, nonché di certi moderni biologisti e positivisti,
agli occhi de' quali la scienza dell' anima é com' un' ultima pagina, una
modesta appendice della fisiologia, ovvero una specie d'enumerazione, come
direbbe Hegel, di ciò che é l'anima, di ciò che in lei avviene, di ciò eh' ella
opera. * L' indirizzo medio, finalmente, facendo giusta parte e ragione tanto
alla psicologia quant' alla fisiologia, interpreta il rapporto fra la potenza e
l' atto col sussidio del metodo genetico; e così giugno a salvare ad un' ora
medesima i diritti dello spirito e quelli della materia. A siffatto
risultamento ci mena la critica e la storia delle differenti soluzioni date a
quest' arduo problema. Rifacciamoci brevemente dal Platonismo. Il concetto
psicologico del gran figliuolo d' Aristone, se é parso profondo a molti in
quanto che mira, come direbbe Cousin, a congiugner la natura intelligibile *
Phil, de VEnprit, trad. VERA, con la materiale maritando due mondi opposti
nell'anima razionale e sensitiva [cf. Grice, The power structure of the soul],
pur nullameno e' riesce manchevolissimo chi pensi come anima e corpo al
filosofo d’Atene s’affacciassero dislegati, scissi, e solamente appaiati così
fra loro com' il nocchiero col suo naviglio.* Nessun vincolo secreto, adunque,
nessun nodo, né ombra di processo nelle funzioni psicologiche pel padre del
Platonismo.' Di qua proviene che per lui la mente, vivendo d' una vita
superiore, non abbisogna, a dir proprio, di pareli^; il pensiero essendo già
per sé stesso un discorso con sé medesimo: Sto^UyaSat^ Perciò stesso una
divisione razionale e organica degli atti psicologici teoretici nella dottrina
platonica è impossibile: laonde quant' all' essenza propria e specificante l'
anima, piuttosto che generarsi, si compone; o, come osserva acconciamente un
acuto scrittore, si raccozza, non si esplica.® Il concetto psicologico dunque
del primitivo Platonismo é tanto incompiuto, quanto incompiuto si palesa quello
della sua cosmologia, nonché l' altro delle relazioni fra il mondo e gli etemi
paradigmi. Il processo psicologico é assai meglio determinato neir Aristotelismo.
Ed é tale in grazia della dottrina dell'entelechia, e della relazione fra la
materia e la L' anima uriiana è formata alla stessa maniera dell* anima del
mondo. {Tim., trad. Coubin) È qualcosa d' intermedio fra il mondo sensibile e V
idea. (Zeller, Eapo»tx. arìatotelica della jUoBofia platonica) * Di qui la
celebre definizione dell* uomo alla quale han fatto e fauno buon viso tutti gli
spiritualisti: Avro^f tu toO» (Tw^aro; OLpy^ov (àjÀo'koyTntTafisv «vO^owttov
govai etc. Ved. nel Primo Alcib.f 51. • Chaigkbt, De la Paycologie de Platon^
Paris, Ved. nel Soph,, trad. del Cousin, La classazione accennata nella Repub.
si riferisce agli atti morali; e lo stesso può dirsi dell'altra simboleggiata
nel mito poetico del Fedro. Solo nel Teeteto havvi un principio di divisione
teoretica delle funzioni psicologiche, ma anche questa manchevole. • BONQHI,
Storia del concetto deWAnipia neUe varie scuole antiche e del medio-evot, nei
Saggi di FU, Civile^ Genova' Arist., 2)« i4»., : W\j'/ri sanv «vtc>«x***
**^/'**'''*' arà^y.roc yuTtprou Sovy.jjLH Zwvj'v j^^ovto?. forma. Tale anche
dove si rifletta al valore che Aristotele porge al senso come rappresentazione
com' elemento essenziale del pensiero,* nonché all'ufficio eh' egli attribuisce
all'immaginazione (>3stxaT«a) come facoltà mediana fra senso e ragione;*
anticipando così la dottrina su la relazione che il Kant stabilì fra questa
facoltà e le altre due estreme funzioni dello spirito. Con queste idee
fondamentali, checche ne dicano coloro che col B. Saint-Hilaire non rifiniscono
d'incelare la psicologia platonica," Aristotele creò la psicologia come
scienza indipendente dalla biologìa, gettando insieme le basi della
zoopsicologia che, nelle mani segnatamente del Darwin e dell' Agassiz, oggi
comincia ad assumere dignità e significato razionale. Ecco dunque uno degli
esplicamenti, una delle correzioni dell'Aristotelismo verso il Platonismo neU'
àmbito delle ricerche psicologiche. Nel Timeo Platone riguarda l'animo qual
moto originario e spontaneo fàuToxtv»Toc); Aristotele, meglio avvisandosi,
estende siffattamente cotal virtii da riferirla altresì all' animale.^ E
questo, senza dubbio, fu un passo gigantesco. Ma se nel filosofo di Stagira vi
ha passi cCoro ad ogni pie sospinto, non per questo vi manca la scòria. La sua
psicologia, come quella del suo maestro, è manchevole ; ed è manchevole, perchè
riesce tale altresì la costituzione della sua cosmologia. Il sistema
dell'universo per lui è quasi una catena di cui gli anelli principali '
rappresentati dalla forma e dalla materia, dalla potenza e dall'atto (5uvx/:xtc
ed ivtpyéia), si ripetono, s' ingradano e moltiplicano viepiù col distendersi
di essa. * Akist., Ve An.f lib. I, cai). L ^ * Idem. Ta y.iv ovv e*trìvì rò
vokjtcxov «v toìc (por.vróÌ9fia9t voti. De An., B. SAnrr-HiLAiRK, Tmité de
VAme^ Introd. * Abist., Melaph. X. * Intendiamo accennare a* due princìpii
intemi che per Aristotele costituiscon r essere e sono anzi Tessere; a
differenza degli altri 4no ntemi che ne costituiscono i Jimiti. (Meutph. ) È
una scala in cui per moto continuo, dallo stato di sonno e di stupore, la
potenza s'aderge al più alto grado dell'attività pura. In cotesta relazione
trovasi precisamente la materia corporea di fronte agli esseri vegetabili e
sensitivi; il vegetabile e '1 sensitivo rimpetto all'essere intellettivo; e T
intellettivo inverso agi' intelligibili.' Ma in che risied'egli cotal
passaggio? Tutto ciò che agisce non può non essere un ente in atto, cioè la
specie che operando sopra un ente potenziale vien così traendolo dal nulla.' La
forma dunque che germoglia dalla materia è davvero il passo d^oro nella
cosmologia aristotelica; come il passaggio empirico e al tutto materiale e
puramente generativo dall' uno all' altro, n' è la parte inaccettabile ed
erronea. La potenza non movesi da sé per intima energia, ma solo in virtii del
movente, della forma. Il potenziale, in una parola, non giugne all'attualità,
salvo che per mozione d'un attuale.* Or com'è possibile che la potènza riesca
anteriore all'atto, se in realtà è sempre un atto quello che ha da movere il
termine correlativo ? Che se l'atto è antecedente alla potenza e la precede
altresì di tempo; ^ non è egli chiaro che cotesta potenza abbia a riescire
affatto vuota e sterile e infeconda, posto eh' ella abbisogni sempre d' un atto
che la tragga ad atto? • Ma c'è di più. Se l'originalità d'Aristotele risiede
neir aver visto l' elemento formale intrhisecarsi col materiale ; e la forma in
quanto reale costituire perciò la sostanza (ouVJa); e questa esser non altro
che processo. V? fuo-c;, wTTff rin trvvtyjia XavOoévscv to' TtsBóptov
aur&ìv xat tÒ ^ttjoy wOTi/Owv ««TTt'v. Hi»U Anim.f Vili. Arist., Metaph., De Oenerat. Aninu. O ffTTÌv VI xcv)}(7(; «V Tw xtv>jTw, Stj'koy' i'»Ts\éyr^siwc,
7ivj(T5a£ rt): la parte fiacca di sua dottrina, invece sta nell'aver posto,
com'ho toccato, medesimezza di natura, fra le due supreme determinazioni degli
enti nell'ordine delle sensate realtà, onde poi accade che rimanga difettosa
tutta la cosmologia. La potenza avvisata in sé medesima è Sivafii^, In quanto
fluisce verso l'atto è tvspysia. In quant'è atto, stato, riposo, stasi, è
5VT«>ex«ta. In quanto poi transigi ad atto novello ripiglia valore d'
Bvspyùv., e così di seguito. Il moto (KlvYiTit:), il conato^ come direbbe il
Leiljnitz, il conato 0 lo sforzo, come direbbe il Vico, costituisce l'essenza
di tutti questi tennini diversi; in lui s'incentrano potenza ed atto;* il
perchè formando fra loro continuità, compongono un sol ente capace di passare
attraverso stati o momenti in sé stessi diversi per intrinseca eccellenza. La
produzione si fa sempre nella medesima specie, ed all' univoco. * Or se cotest'
appunto è la natura del passaggio, non è egli chiaro che le cose devan liescire
identiche nella sostanza? Non é chiaro che, ov' elle progrediscano, cotesto lor
progresso altro non sarà che trasformazione, ninno potendo affermare che
trasformarsi vai progredire ? E s' é così, a qual fine e con che ragioni mover
critica al maestro, nella cui dottrina il mondo non è che parvenza, fenomeno,
ombra vaniente e passeggera? Nella dottrina cosmologica aristotelica, dunque,
il pròcessus è al tutto apparente. Apparente e fallace la spontaneità e r
intrinseca attuosità delle forze. Né AQUINO ebbe torto d' affermare, contro gli
arabeggianti dell'età sua i quali così appunto interpretavano Aristotele, che
una forma sostanziale novella mai non appare, * "iÌTxs \sins70n TO
'key^Biv slvxc xat ivépystav xat fivj 9* ecyae, Metaph,, Mrtaph. ove la vecchia
non isparisca; e che la generazione, concepita qual moto continuo e come incessabile
trasformazione d' un subbietto identico, renda le forme novelle affatto
accessorie e accidentali.' Se quindi il genie possente d'Aristotele seppe
scorgere e dimostrare una delle grandi leggi della realtà, vo' dir la
continuità tra forma e materia (tò (ruv-^sf), la relazione intima fra la
^uvaj^xì; e r £VTf>èX5*«» P^rò il profoudo concetto della £V5/>7sia; non
però giunse a vedere quell'altra condizione, non meno imprescindibile della
prima, la quale seguendo una vecchia frase pitagorica potremmo appellar legge
ddV intervallo {StitTTviiia), I medesimi pregi e le stesse manchevolezze nella
sua psicologia. L' uomo è tu vo>ov: dunque è materia e forma ad un'ora
medesima. L'anima intellettiva, quindi, è atto. E la potenza di quest'atto? È
il senso.... Lasciando le induzioni favorevoli che si potrebbero fare circa tal
dottrina d'Aristotele interpretando il concetto del senso ch'ei chiama
generale, si potrebbe domandare: in che sta la relazione, e qual' è mai la
natura del passaggio fra' due -termini? Se ci è continuità, in che maniera il
senso può diventar ragione, l'esteso inesteso, la materia pensiero? Se poi non
v'.è continuità (né ci può essere una volta eh' ei medesimo invoca la mente dal
di fuora^), com' è che alla fin fine si ritrovan, por cosi dire, sovrapposte le
tre anime che sono anch' elle forma e materia, atto e potenza? Trendelenburg e
Rosmini, fra gli altri, han messo a nudo, com' è noto • Summa e fe bene
arvertire come gli storiografi hegeliani, imbattendosi in questa dottrina
Aristotelica, credano scoprir le Indie e vi s'aggancino tenacemente,
senz'addarsene ch'ei s'agganciano, anziché al vero e genuino Aristotele, ad nn
tronco arabo ! E' non s'accorgono come già da sette secoli siano stati mlnerati
da quel modesto fraticello che, primo e meglio d' ogn' altri, mise a nudo le
magagne dell' Averroismo ove dimostra Averroè peripatetiofn philotopJUm
depravatore Ved. Opusc. Contra AverroytUy; e nella Somma q. LXXIX. * Aribt., Or
Gerterot, Anim., questo sconcio aristotelico. L' un d' essi non capisce in che
maniera lo Stagirita interrompesse la serie preclara, e però si studia
correggerlo facendo che la mente in potenza (tw Travra 7£vsf cor*»;), ma anche
potenza del corpo (d^jv^im tow jw/xaro;).' E nello stesso metodo fu poscia
ormeggiato da parecchi filosoh del Rinascimento: da quelli segnatamente che tra
V anima e '1 corpo introdussero un' attinenza di causalità reciproca, stante
clie la natura partorisca la forma in quanto é potenza anch' ella, ma potenza
attuosa; e la forma (juinci rigeneri e ravvivi la materia in quanto la compie.
Se non che il Tomismo, scordando spesso l'ottimo indirizzo d'Aristotele, tìgge
gli occhi nella materia, e in questa presume riporre talora la ragione e '1
principio dell' individualità. Errore del quale secondo alcuni storici tornerà
sempre vano il voler difendere il dottore Angelico, quando si consideri che la
materia, perchè si ' Idem, eoci., XG: educitur e potentia imtterice. Ved.
ueirOp. cit. del RAyAiSHUN, porga qual principio d'individuazione, ha pur
bisogno d'esser determinata, suggellata, segnata: or da che cosa mai può esser
ella improntata sadvo che dalla forma? ciò che formava appunto il nòcciolo
della opposizione degli Scotisti.* Del buon indirizzo aristotelico inoltre si
dimentica san Tommaso dove, rasentando l'aristotelismo emJ)irico, si mostra
così titubante su la verace natura del senso, che la potenza per lui non è così
piena e così feconda come pur domanderebbe la produzione dell'atto; e quindi
sente necessità di chieder sussidio a un lume piovutoci addosso non sai dir
come * Io qui non intendo propugnare la teorica sa T indìvidnazione di san
Tommaso. Son anch' io del parere che gli Scotistl non aressero poi tatt* i
torti neir opporrisi, perchè davvero non mancano sentenze nel Tomismo che
debbano andar soggette ad una critica severa. Ma fa meraviglia il pensare come
non tutti che ne han parlato siansi dati cura d' interpretare con benignità
siffatta dottrina; e più meraviglia il vedere come r abbian trattata male anco
i più versati nella filosofia scolastica e nello studio deir Àquinate, qual* ò,
per esempio, lo Jourdain che tanto nel 1® quanto nel 2* voi. Dell’opera poco fa
citata, si mette a sfatar l’Angelico AQUINO (si veda) in modo poco serio per le
contraddizioni nelle quali secondo lui, cade 1* autore della Somma, e per V
inanUà con che tratta siffatta questione. Si dice e si scrive che il principio
d* itulividwuione per TAquinate stia nella materia; e se davvero fosse così,
non s* avrebbe torto a dargliene biasimo. Ha, a voler interpretare con dirittura
di giudizio la dottrina tomistica, non è proprio e sempre la materia quella in
cui è da riporsi tal principio, slbbene ciò che in un ente ha ragione di primo
subbietto. Ecco le parole deirAquinate: Ulud qntodtenet rationem primi
tubieeti, est oausa individuationie et divieionin tpeciei in euppoeitis. E
qual' è questo primo «ubbietto t Est id quod in alio recipi non potesL Or le
forme separate, per ciò che non ponno esser ricevute in altro, hanno ragion di
primo subbietto; però s'individuano; e però In et« tot »unt epeeies, quot eunt
individua, (Ved. De nat. materia, e 8.) Or la materia è ella principio di
distinzione? Si, certo: ma in quanto e sin dove ha funzione di primo subbietto.
Nella dottrina tomistica, dunque, il principio d' individuazione non sarebbe nò
la forma né la materia, ma or l'una or l'altra secondo che quella o questa
esercita funzione di primo subbietto. So che i dubbi non per questo si
diradano, né gli oppositori cessano. Ma io, ripeto, non difendo in tutto tal
dottrina, sibbene chiarisco la interpretazione da darsene, e la critica da
fame. Vedi in proposito le lettere dell' egregrio Aless. Bbrntazzoli assai
dotto nella filosofia d’AQUINO: Di un ulteriore e definitivo esplicamenio ddla
FlIoHofin /tcnlasttra ec, Bologna, ISCl. né perchè,* invocando così un atto
immediato di creazione. Se l'anima è forma, atto puro, potrebbe esser generata
dal corpo? Non potrebbe, risponde AQUINO: ciò eh' è immateriale è impossibile
che rampolli per via di generazione; la quale non è altro, a dir proprio, che
trasformazione. Ma potrebb' esser fatta della sostanza divina? Tanto meno;
perchè questa non è che un atto purissimo.' Eccotelo dunque anche lui all'
intervento del solito DetAS ex machina; alla necessità d' un atto peculiare di
creazione ex niMlo, Or non vi sarebb'egli altra via al nascimento dell'anima
fuori di queste due, generazione o creazione estranea e divina? CJom'è evidente
l'A. della Somma (non altrimenti che l'A. della OUtà di Dio risguardo a
Platone) eredita, co' grandi pregi, anch' i difetti della dottrina
aristotelica. Il concetto della individuahtà è concetto capitale nella storia
della psicologia. È propriamente la radice prima onde pullula, chi ben guardi,
tutto il pensiero moderno filosofico, politico, religioso. La teorica della
individuazione, perciò, è l' addentellato più acconcio per cui, nella storia
delle soluzioni riguardanti il problema psicologico, il medioevo, segnatamente
il Tomismo, si congiugne con l' età e co' filosofi del Rinascimento. Non
ostante i pregi e i meriti grandi che l'Aquinate può vantare verso
l'Aristotelismo e più verso il Platonismo, la sua dottrina doveva esser
corretta mostrando che il principio d' individuazione non istà, a dir proprio,
nella forma, né tampoco nella materia, ovvero nell'una o nell'altra secondo la
ragione del primo suòbietto. Meglio ponendo il problema psicologico si dovea
mostrare che 1' anima è individuale non perchè informi una materia, ma sì
perchè, materia ella medesima, diventa forma; perchè l' anima si fa coscienza;
perchè la coscienza empirica attinge valore d'autocoscienza e di libero
pen[Summa, !• 2», CXI, art. 2: impre9no divini luminii in noòw, refidgentia
divincB cIoritoiM in anima, • Summa] siero, nel cui regno non v' ha materia e
organismo che lo spirito non vinca e sorpassi, né fantasma o immagine eh' ei
non superi e sottoponga a sé stesso. Ora produrre, o almeno compiere cotal
dimostrazione in maniera positiva ponendola sotto novelli punti di luce, non
era possibile senz' il concetto della storicità, essendoché appunto in seno alla
specie, in seno al comune e alla moltiplicità appaia e si determini e spicchi
vie più la nota della differenza, tuttoché cotal differenza germogli nelP
individuo, e sempre per natia virtù dell' individuo. A tal' opera spiegarono
grand' efficacia innanzi tutto i nostri filosofi del Risorgimento. Altrove
mostreremo come in tal' epoca si riproduca il medesimo triplice indirizzo della
scolastica, ma con esigenza ben diversa, perché la storia è tale artefice che
mai non ricopia sé stessa. Qui notiamo solamente che nel medioevo le tre
tendenze aristoteliche, le quali abbiamo appellato iperpsicólogica, empirica e
media, riproducono nel Risorgimento l'esigenza del Realismo, del Nominalismo e
del Concettualismo, ma trasformandola. Se per queste tre scuole la ricerca
filosofica versava su la natura dell' universale dapprima, e poi, massime con r
Aquinate AQUINO, su la natura del medesimo universale ma in relazione col
particolare (principio d' individuazione); per i filosofi del Rinascimento, in
vece, ella risguardava in modo precfpuo la natura intellettiva dell'anima,
nonché il rapporto fra il pensiero e l'organismo. Essi modificano profondamente
tanto il Platonismo quanto l' Aristotelismo; così che alcuni, specie quelli che
rappresentano r indirizzo medio, non intendono ristringere l'intelletto nel
puro senso, ma lo allargano si che, 'ricollegando il problema psicologico al
problema cosmologico, si sforzano di rannodar l'anima in quanto intelligente
con la natura in quanto intelligibile.* * Noi avremmo buono in mano a
dimostrare, se qai fosse luogo, che r indirizzo medio aristotelico nel
Rinascimento fa rappresentato, sebbene in maniera incerta e assai confusa come
portava il carattere di quelIl Rinascimento apparecchiava la moderna
psicologia, ma non la costituiva. E non la costituiva perchè il problema
psicologico non può ricevere acconcia soluzione quando sia troppo confinato
nelle pure indagini psicologiche. V'era, per esempio, chi studiavasi di pro*
vare V immortalità dello spirito e chiarire le ragioni e i modi ond' il
pensiero nel suo operare s' addimostra indipendente dal corpo. E v' era poi chi
facevasi ad invocare il sussidio de' soliti influssi divini come fanno
anc'oggi, a tre e quattro secoli di distanza, i nostri neoplatonici. Or io non
dirò che il problema su' destini dello spirito possa esser risoluto così
facilmente quant' altri s' immagina. Dirò che alla psicologia potrà dirivare
qualche sprazzo di luce non già mostrando (inutile tentativo!) che l'anima sia
indipendente dal corpo, ovvero che Dio faccia piovere il suo influsso su r
intelletto arzigogolando in che guisa lo irraggi, lo il^ lumini e lo riscaldi;
ma procedendo per altra via; procedendo per una via men soggetta alle angustie
dell'empirismo, 0 meno aperta alle facili speculazioni dell' a priorismo. Se
Dio influisce, comunque si voglia, su l'anima, altro ei non potrà fare che
modificarne l'operazione: cangiarne la natura non può davvero. Che se, d' altra
parte, si giugno a dimostrare l' indi-pendenza dal corpo, non per questo s'
avrà dimostrato ch'ella sia proprio immortale, se pure non vogliamo r età, da
parecchi filosofi; fra' quali notiamo il Contarini, PORZIO, ZABARELLA, VIO,
SPINA (si veda), SCAINO (si veda) fra gì' interpreti, 0 anche SESSANO. Il
quale, nella forma ultima da lui data alla dottrina 8U r anima, si può dire che
si rannodi con AQUINO e perciò anche con TAfrodisio; onde BONGHI ha detto
benissimo affermando che, nell' interpretare Aristotile, il Sessano segue
appunto il commontatore greco {Meta/, rf'Arwt., Leti, ed Roam.). Questi ed
altri vecchi nostri filosofi andrebbero studiati, interpretati, e naturalmente
anche corretti secondo il criterio che abbiamo appellajto medio. Specialmente
andrebbe studiato il povero Nìfo cosi malconcio e sfatato dal nostro collega
Fiorentino: al quale il Franck, del resto, ha saputo dire che il Sessano non
pure fu il piò, Maggio metafisico del suo tempo, ma, più ancora, che il
Pomponazzi trovò appunto nel Nifo un contraddittore imbarazzante, e d'una
grande autorità. (Joum, dee Sav. Magg. 1869.) acconciarci alla celebre quanto
inutile distinzione del Pomponazzi dell'Io fisico e dell'Io intellettivo, e
dell' anima propriamente mortale e impropriamente immortale! Al pili potremmo
giugnere a dir questo; che r anima non finisca così come finisce il corpo, cioè
disgregandosi e trasformandosL. Ma cotesta soluzione non è affatto negativa?
Tutt' insieme dunque la speculazione del Rinascimento, per quanto riguarda il
problema psicologico, era piuttosto negazione anziché affermazione: negazione
del medioevo, e apparecchio a novelle affermazioni. Neanche il Pomponaccio, il
più schietto seguace dell' indirizzo aristoteUco naturale^ potrebb' esser detto
materialista nello stretto senso della parola. Il significato vero del suo
libro su la immortalità, diciamolo di passata, è quello di porre sott' occhio,
da una parte, le magagne delle viete dimostrazioni su la natura, e sul fine e
su r origine dell' anima; e manifestare, dall' altra, il bisogno di prove più
salde, e però la necessità in cui trovavasi il pensiero filosofico di tentare
ben altre soluzioni, e schiudersi altre vie. Qual' era una di queste vie? La
durata dello spirito, come personalità, doveva esser indagata nella medesima
essenza e costituzione intima del pensiero. £ a tal fine che cos' era
necessario? Era necessario lo studio del processo isterico; appunto perchè
l'intima costituzione del pensiero si rivela da sé medesima nello svolgimento
della vita dello spirito; e la vita dello spirito è appunto la storia. In altre
parole: era necessario vedere per via di fatto, cioè col processo storico, come
l' essenza dello spirito tutta nelP esser egli un conato, un'attività profonda
che sempre più si estrica da'viluppi di natura e di sé stesso; che sempre più
si determina in sé, e si compenetra con la natura e con sé medesimo; e come per
siffatta qualità egli sia capace di trascender la natura, di sorpassare
l'organismo, di superare anche sé medesimo, pur rimanendo sempre una
personalità. Ed eccoci pervenuti alia conclusione dove in questo capitolo
desideravamo giugnere, e per la quale abbiam dovuto fare sì lungo giro da
risalire fino alla doppia sorgente storica del concetto psicologico. Se per più
e diverse ragioni ne il Platonismo né l'Aristotelismo primitivi non pervennero,
in generale, a determinare il vero concetto dello spirito quantunque ne
apparecchiassero gli elementi da secoli molti, il che non è poco; se i due
massimi rappresentanti della filosofia cristiana, tuttoché introducessero due
nuovi concetti in siffatta questione, non però giunsero a salvarsi da incongruenze
manifeste; se, da ultimo, cop lo sdoppiarsi dell'Aristotelismo nel Risorgimento
fu messa a nudo la fallacia delle vecchie posizioni, l'insufficienza d'im
argomentare fiacco e barcollante esprimendoci così l'esigenza di prove novelle
in siffatte indagini: è chiaro come all'uscire del medio evo importasse
rannodare i quattro concetti attorno a' quali vennero travagliandosi per sì
lunghi secoli co' lor proseliti i quattro filosofi cui siamo venuti accennando,
correggerli, esplicarli, compierli, e statuire una dottrina positiva circa la
genesi psicologica. In altre parole: importava accettar l'esigenza psicologica
platonica risguardante il connubio del doppio mondo sensato e razionale: ma
occorreva anche correggerlo mercé il concetto della triplicità intima,
originaria cui poggiò, primo fra tut^i. Agostino. Importava altresì accettar r
esigenza aristotelica del processo psicologico, e nel medesimo tempo modificare
profondamente e trarre a maggior compimento il concetto della generazione
psichica dello Stagirita mercè il concetto di creazione; il che tentò fare, e
lo fece da par suo, AQUINO (si veda): ma più ancora importava correggere il
concetto creativo de' Tomisti e de' filosofi cristiani, in generale,
cancellando in esso queir immediatezza divina eh' è un dato di fede anziché di
ragione, avvisandolo invece com' essenzial condizione dello spirito. Questo,
possiamo dire, si studiaron di fare tutt' insieme parecchi filosofi italiani
de| Rinascimento, o per lo meno ne sentivano la necessità. ^ Nessuno vi riesci
compiutamente, per la ragione qua ^ dietro accennata, d' aver voluto ristringer
tale ricerca ^^ negli angusti confini della psicologia. Ad essi mancava un
altro grande concetto. Mancava un'altra posizione, per cui si distingue
infinitamente il Rinascimento dal tempo moderno. Mancava l'esigenza di
riguardare il pensiero innanzi tutto come genesi psicologica, e questa genesi
psicologica poi considerare qual fondamento immediato della genesi storica.
Però non è da meravigliare se alla scuola de' nostri politici facesse difetto
la vera nozione del diritto sopra cui si puntella unicamente la scienza
politica, nonché il concetto vero della individualità, senza cui non può
sorgere né perpetuarsi lo Stato libero. Né fa meraviglia se i teologi
assorbissero il gius nella morale, e se una riforma religiosa allora non
potesse fra noi essere effettuata nelr ordine civile, comecché fosse già in
gran parte penetrata nella mente de' nostri filosofi. Mostrammo come il Vico si
colleghi col Cartesianismo; e dicemmo che co' nostri filosofi del Risorgimento
ei si congiugne logicamente, più che per le quistioni metafisiche, per la
ricerca psicologica. In lui si compie la posizione cartesiana, e si riproducono
e ringiovaniscono i vecchi principii improntati del sentimento della viva
realtà. Vi é dunque un' attinenza ideale, vi é un legame logico tra la
posizione di VICO, della Scienza Nuova, e quella de' filosofi del Risorgimento.
Alla ricerca psicologica nuda, astratta, empirica e subbiettiva, deve tener
dietro necessariamente la ricerca informata alla esigenza della storicità. Ecco
perchè a ricostruire la storia del pensiero italiano non avremmo guari bisogno
né di Cartesio né del Cartesianismo, se non fosse per alcune questioni
cosmologiche e ontologiche. Egli si ricongiugne co' filosofi del Rinascimento
in tre modi, come nel prossimo capitolo mostreremo; ma di più li trascende
infinitamente, perchè se è vero che nel medio evo il pensiero filosofico
riponeva l'essenza dello spirito, a così dire, furori di §è, mentre nel Rinascimento,
attraverso forme diverse, inchinava a riporlo sotto di se; è naturale che, col
sentire la necessità del processo istorico, novello sentiero egli avesse a
dischiudersi, rintracciando quell'essenza nel seno stesso dello spirito siccome
centro e insieme processo della storia. Gli storici della filosofia italiana,
ripetiamolo anche qui, non potranno far a meno, quando voglian discoprire un
vincolo ideale fra le due epoche, di questa relazione alla quale siamo venuti
accennando, e su la quale ci rifaremo più riposatamente in luogo più acconcio.
ORGANISMO E PROCESSO PSICOLOGICO. {Fxmdamenio razionale del processo istorico.)
I punti sostanziali ne' quali possiamo stringer la dottrina psicologica,
seguendo le orme del nostro filosofo, son questi: !• Concepire in maniera
compiuta e vera la natura della facoltà psichica in generale. 2« Distinguere
nelle funzioni psicologiche due processi, conoscitivo e operativo, ma formanti
unico organismo, unico circolo. Riguardar gli atti psicologici come una moltiplicità
di funzioni distinte e per sé stesse irreducibili; ma nondimeno determinate e
recate in atto dalla virtù d' unico principio originario. Finalmente, porre
siccome base razionale e immediata del processo istorico lo stesso processo
psicologico. Col primo di questi concetti il nostro filosofo si collega
dirittamente con Aristotele, e con gli Aristotelici del Rinascimento seguaci
dell' indirizzo medio; e nel medesimo tempo corregge, in ordine alla
psicologia, quel vecchio domma del falso Aristotelismo e del malinteso
Platonismo che suona così: niente moversi da sé, che non sia mosso. Col secondo
e col terzo imprime forma razionale e organica alla scienza dello spirito tanto
contro Averroisti e Neoplatonici che troppo distaccano i due elementi onde
risulta V ente umano, quanto contro quegli Aristotelici empirici che, troppo
affogando r uno neir altro, finiscono per confonder la sfera della psicologia
con quella della biologia: ma, sì nel primo come nel secondo caso, egli serba Y
esigenza psicologica platonica che dicemmo consistere nella distinzione dei due
elementi, nonché V esigenza aristotelica la quale riguarda il processo nelle
funzioni psicologiche. CJon gli stessi concetti onde corregge nella quistione
psicologica il Platonismo e l'Aristotelismo, previene l' esigenza del
Criticismo intomo al doppio ordine della Ragion teoretica e della Ragion
pratica, e insieme la invera e la compie. Col quarto concetto, finalmente,
imprime significato razionale e positivo al fatto storico, e crea la Scienza
Nuova. Innanzi tratto intendiamoci sul metodo acconcio a simili indagini.
Tommaso Buckle osserva che i filosofi, parlando su la natura dell'anima, non
sanno pigliar le mosse altro che o dalle sensazioni, o dalle idee; riuscendo
così, nell'un modo e nell’altro, ad un metodo solitario, astratto, inefficace,
inconcludente.* Sennonché egli stesso, il Buckle, non giugno a salvarsi dal
primo difetto. 11 suo metodo isterico, differente dal deduttivo inverso
raccomandato dal Mill, é addirittura un metodo empirico; onde inciampa in quel
sensismo ch'egli condannando vorrebbe causare. Checché ne sia, l'osservazione é
degna d'un * HUtory of Civilization in England]. positivista inglese; e noi,
pur correggendola, non dubitiamo farla nostra. A schivare infatti tanto le
conseguenze d'un gretto empirismo, quanto le arditezze d'un magro e sfumante
idealismo, è forza movere non dal fatto della sensazione, eh' è cosa estrinseca
e quasi sopravvenuta allo spirito, e nemmanco dalle ideej le quali in sostanza
non sono, per noi, fiiorchè produzioni di lui; ma da lui stesso; dallo stesso
spirito in quanto pensiero. Bisogna movere, in somma, dal centro, anziché dalla
circonferenza; dalle facoltà, ma dalle facoltà concepite quali sono in realtà,
cioè come funzioni. A tal uopo è necessario adoperare un metodo che non
escluda, ma che sappia includer le esigenze di tutt' i metodi; empirico,
naturale, sperimentale, psicologico astratto, fisiologico, e simili. In una
parola, è necessario il metodo genetico; il quale, rispetto alla psicologia, è
ciò che il metodo eduttivo è rispetto all'ordine del conoscere.' * Il metodo
col qnale i Positiristi presamono di far la scienza psicolosrica è al tutto
empirico e artificiale; ma qui non intendo porre in nn fascio psicologi
positÌYisti inglesi e francesi, com*ha fatto il Vacherot. {Betf. de» Deux
MondeSf die.) Spencer, Mill e Bain stimano che la psicologia è superiore,
indipendente dalla biologia, precisamente come la deduzione è indipendent-e e
superiore air induzione pel Mill, e come la Sociologia è indipendente dalla
storia tanto pel Mill quanto per lo Spencer. I Francesi, al contrario, facendo
della Psicologia una semplice appendice della Biologia, non sanno concepir r
nna senza 1’altra. lì ri'y a point de p9yeolog%e en déhors de la biologie.
(LiTTRÉ, A. Oomte et St. Mill) Tale anche è per la deduzione rispetto air
induzione, la psicologia rispetto alla storia, la Dinamica rispetto alla
Statica Sociale. Sennonché, qualunque ne sia la differenza, le due scuole
intoppano in due errori diversi; nel formalismo empirico Tuna, e nel
materialismo Tal tra: e così entrambe rendono impossibile la scienza della
psiche. Rifacciamoci brevemente dagP Inglesi. Qual debb* essere, secondo St.
Mill, il fine della psicologia? Non altro che la ricerca diretta delle
ntceeeeioni mentali, (Sjfét, de Log,) E quaV è la legge più semplice, più
generale cui si riducono i fenomeni psichici? Quella àéiV anaoeiazione delle
idee; la grran legge osserrata da Hume. [La PhU. de Hamilton) Innanzi tratto si
può osservare: La legge dell’associazione è legge empirica, e quindi ò un
fatto: ma qual n'è la ragione? Senza questa ragione potreste uscire
dall'empirismo? st. Mill non ispiega cotesto fatto, ma 1’accetta dair
esperienza. Altro difetto gravissimo, conseguenza del primo, è questo; che Il
metodo genetico applicato alla ricerca psicologica attinge valor positivo e
insieme razionale, quando la legge d* associazione nou racchiude necessità
psicologica di sorta. È una legge men che empirica, e può mancare. Dunque una
notizia scientifica circa la natura psicologica, per lui, è impossibile. Più
ancora: il prodotto ddV anaociaziowi è un fatto «t* generi»: egli stesso ne
conviene. {DUaertation and DiicuMiona) Or bene, come spiegare cotesto 9ui
generi» con la pura legge d’associazione? Ci ò qui rispondenza, ci ò
proporzione tra l’effetto e la causa? Finalmente, come spiegare con la semplice
associazione il gran fatto della coscienza f Bisognerà dunque concludere che la
legge, la quale St. Mill dice esser la più semplice e generale fra tutte quelle
d' ordine psichico, importi qualche altro fatto anteriore, 0 irreducibile. La
psicologia contemporanea inglese quindi cade nel formalismo empirico. E se
riesce a distinguer la psicologia dalla biologia e dalla storia (eh* è il suo
pregio), non riesce a trovare fra V una e le altro vincolo di sorta. Tocchiamo
ora della scuola psicologica de’ Positivisti francesi. Il Littré riguarda la
psicologia qual semplice appendice ed applicazione della biologia; e vuol
quindi trattarla con metodo analogo. Ma fa una distinzione acuta e ingegnosa di
cui giova tener conto, perchè forma la sua stessa condanna. Egli pone un
divario profondo tra la facoltà e il suo prodotto. Logica, ideologia,
psicologia (egli dice) non si distinguon menomamente dalla biologia quando
siano avvisato come funzioni; ma, guardate nei lor prodotti, se ne
differenziano in infinito. Parimente il linguaggio, come facoltà, è faccenda
biologica; ed ha la sua ragione in una delle circonvoluzioni anteriori del
tessuto cerebrale, secondochè ci assicuran oggi gli sperimenti fisiologici: ma,
come grammatica, se ne discosta per grand* intervallo, o nou ci ha che veder
niente con la biologia. Che cosa rispondere? Rispondiamo, troppo antica e
troppo vera esser oggimai la sentenza aristotelica, che tra la natura della
causa e quella dell' effetto non possa esserci divario essenxiaie. Or negli
esempi quassù arrecati il divario essenziale e* è: gli st>essi positivisti
non ardiscono dubitarne. Come dunque spiegarlo cotesto divario? È egli
possibile spiegarlo senza riconoscer la differenza fra le due scienze non solo
quant' a’ prodotti psicologici, ma anche quant*alle facoltà? Como funziono il
linguaggio non appartiene egli anche al quadrumane? Ora in forza di che cosa
riesce tanto profondamente diverso il risultato nel bimane che ha pur comune
col quadrumane la funzione? Si dirà in forza dell' unione, del numero, dell*
attrito nella specie, nella società? Ma non vivono in società anche alcune
famiglie di quadrumani? Eppure quella funzione non ha dato, e mai non darà il
risultato che pur dovrebbe! Àncora: se il prodotto fosse tant^ diverso dalla
facoltà solo per ragion dell' associazione e del contatto, che cosa ne
verrebbe? Che 1* uomo sarebbe fornito di qualità e doti essenziali non per so
stesso, cioè non perchè individuo, ma per altri e da altri, cioè perchè membro
della società. Or tutti sanno che la £eicoltà della parola, cosi intimamente
annodata col pensiero, non e dote accidentale ìn& eÈsenziffova;i^«i!l;
\iytxaiy to xvpiov in fvTf>f;i^sta jctc. (Id. Eod.) È Vachu in aetu degli Aristotelici
del Risorgimento segnaci deir indirizzo medio, per esempio ^del Gontarini, come
aTrertimmo. RàTAiBSOX, Métaplu d'Aritt.,. psicologica. Lo spirito è
essenzialmente processo, è generazione, ma non trasformazione. Non va dalla
parte al tutto, come avviene delle combinazioni meccaniche; ma dal tutto al
tutto, dal tutto potenziale al tutto attuale, dal di dentro al di fuori, da una
sintesi originaria e confusa, ad una sintesi analizzata. Voglio dire che il
processo psicologico s'inaugura non già con questa o cotesta facoltà, anzi con
tutte le facoltà. Le quali perciò non sono funzioni determinate e specificate
sin dalla loro origine, ma convengon tutte nell'essere altrettante potenze, e,
come tali, formano unica potenza originaria, eh' è conato essenziale, sforzo
incessante.* Che cosa sia questo conato, si vedrà nell' altro capitolo. Qui
dobbiamo considerar le facoltà psicologiche come ce le presenta il fatto, cioè
come una moltiplicità di funzioni. Che cos'è la facoltà psicologica? È un
passaggio dalla potenza all' atto. Ella ci esprime la pronta necessità di fare,
di determinarsi, d' attuarsi; e quindi vuol dire facilità, prontezza, solerzia,
agevolezza di fare.' Or la facoltà intanto significa pronta e spontcmea
solerzia di fare, in quanto fa il proprio obbietto; in quanto si fa come
funzione; in quanto si pone come [Anche in ciò la psicologia somiglia alla
fisiologia, ma non tì si confonde. L’organogenia s' inaugura, meglio che con
uno, con tutti gli organi ad un tempo. Per esempio i centri primitiTi multipli
del sistema nervoso, che la microscopia ci pone sott* occhio, chiarisce e
conferma quest' assunto. Cfr. Vulpian, Physìologie gfn. et comp. du syaL nere.
LhittS, SyH. New. cerebro-spinale. Glkibbrrg, Intinto e Libero cwbitrio trad,
del Langillotti, Nap. Oonatum uni menti attrihuimu»f quce libero arbitrio
prcedita pottH BUB8TARB.... eoque pacto potett motitm subsistrre et stare in
conato [De Univ.). Ne* corpi e* è moto, secondo il concetto cosmologico del
Vico, ma nell* animo e è moto e eoncUo: o meglio, il moto qui assumendo natura
di conato è moto del moto, e quindi è aetw in actu. Expedita seu expromtn
f'iciendi solertia (De Antiquisn, TtaU Sap.^ . Facoltà suona anche proprietà,
ma proprietà cosciente: distinzione confermataci dal comun linguaggio che
attribuisce la proprietà alle cose, ma predica dell* nomo \h facoltà. Vedi le
belle riflessioni dello JouFPRoy in proposito {^filang. Phil., ed. Bruxelles
attività: FacuUaùes sunt eorum, quce fadmus. Ecco il concetto psicologico piìi
originale di VICO (si veda). Il germe di questo concetto è schiettamente
aristotelico; ed è la chiave ond' egli, anticipando la moderna psicologia,
preveniva il Fichte, e insieme ne correggeva V esagerazione. Dunque la facoltà
posta come funzione psicologica che fa sé stessa in quanto fa il proprio
obbietto, è il ' passo d'oro del Libro Metafisico. Ad esso rispondono altri due
che troviamo nel Diritto Universale e nella Scienza Nuova; e tutt'e tre
riescono a comporre l'organismo del processo psicologico. Tale organismo, infatti,
parmi racchiuso in queste due sentenze: !• che r uomo è innanzi tutto SensOy
appresso Immaginazione e quindi Ragione: 2*» che l'uomo è un Potere, un Volere
e un Conoscere potenzialmente infinito. ÀRlST. De an. DoTe stanno, a mo*
d'esempio, i colori, i sapori, gli odori, il tatto? Se il senso è facoltà, ne
segue che tu in sostanza hai a far i colori nel vedere, tu i sapori nel
guastare, tu i suoni nelP udire, tn gli odori nelr annusare, tu stesso il
freddo e '1 caldo \iel toccare. Nam si «enatu facultates sunt, videndo colore»,
sapores gustando, sono» nudiendo, tangendo frigida et calida rerum facimua. {De
Antiquisa) Parimenti con le immagini e con le rappresentazioni la yirtù
fantastica partorisce il proprio obbietto, e si fa; di modo che scegliendo il
meglio di natura ed elevandolo a valore di tipo, a questo vien conformando V
opera d* arte. De medio lectam
{formam) ttupra fidem extoUunt, et ad eam auos heroaa con/ormant. (Ibi, 2.) E la memoria, potenza che rifa e penetra so medesima, non
potrebbe rifarsi e penetrarsi ove innanzi non si fosse fatta; ne quindi può
esser quella magra e sterile ritentiva di che ci parlano i sensisti. L'
intelletto è facoltà anche lui, perchè col determinarsi viene a geminarsi nel
giudizio, e perciò vede; e vede, perchè occhio dell' intelletto è il giudizio:
Judicium eat oculus intellectu; né potrebbe intellettivamente vedere, se non
intendesse; nò intendere, ove anch'agli, al solito, non facesse il proprio
obbietto. Intellectus verna faeultaa
est, quo quum quid intelligimua, id verum facimua, . In
tutto questo il Vico ormeggia Aristotele. Per es. la visione, secondo lo
Stagirita, è Vatto dd colore; l'udito è V aUo del auono. (Ravaisson Metaph, d^
Ariat., Aeist. De An.) Il primo di questi due principii è evidentemente
aristotelico, perchè dall* ou^SvitTiq al voù^, com' è noto, ricorrono parecchi
gradi e sfumature componenti tutte un unico processo: ^ója, ^àvTacr|ua, se V
Intelligenee^ Lauoel, Probi, de V Atne, Litthé, Revue de Phil. Potit. Consulta
anche le op. «it. di VuLPiAN e di Lhuts. dell' immaginazione, cioè all'
intendimento, nonché il passaggio dall'intendimento alla ragione? Fra il
termine sensato dell' intuizione e '1 fantasma e' è un abisso. Un abisso tra il
fantasma^ tra il fantasma anche salito ad universale poetico^ ed il concetto.
Un abisso ancora fra il concetto, e la nozione, l' idea, V universale
propriamente detto. Bisogna credere, perciò, che dall' un gruppo all'altro di
funzioni psichiche non esista continuità, ma transito; non passaggio immediato,
ma intervallo. Or bene, come, altro che per miracolo, l' una facoltà potrebbe
trasformarsi nell'altra? Non è dunque la facoltà che si trasforma e diventa; ma
è lo spirito che si forma, che si determina nel multiplo e mediante il multiplo
delle facoltà. Laonde attraverso e al disotto a questa multiplicità di
funzioni, è mestieri supporre una facoltà madre che, come facoltà deUe facoltà
compia i diversi passaggi e intervalli, e sia come il principio dinamico
dell'organismo psicologico. Ma di questo faremo parola nel prossimo capitolo
dove ricercheremo la genesi del processo psicologico. Seguitiamo. Quel che s'è
dettò del processo conoscitivo, dicasi pure del processo operativo e pratico
dell' organisriio psicologico. Una medesima legge governa tanto la genesi del
conoscere, quanto quella dell'operare. I diversi gradi e momenti del processo
operativo rispondono a' diversi gradi e momenti del processo conoscitivo.
L'operare infatti è determinato dal conoscere per necessità tutta psicologica.
Come dunque potrebbe non riprodurre la medesima legge? Il processo pratico
suppone il teoretico, stantechò la funzione yolitiva, alla quale si riferisce
ogn' altra facoltà d'ordine operativo, sia funzione essenzialmente secondaria.
Accenneremo qui i diversi passag^ di questo processo secondo i tre gruppi
(no««ey oeU«,^oMe) additatici dal Vico; ma ci ristringeremo a notarne i
difTerenti gradi seguendo l'ordine ascensi vo, tuituraU e, per cosi dire,
cronologico. L a) Istinto fisiolooigo. Risponde alla Sensazione; anzi è la
sensazione stessa, ma sotto l'aspetto riflesso, attivo, comecché incosciente.
In esso quindi si ripeton le medesime condizioni, non altro essendo fuorché
unità incosciente e confusa fra Vagente e'I motivo dell'azione. Additato così
con fuggevoli tocchi il doppio aspetto onde risulta il processo psicologico,
potremo intendere ormai quella dottrina del nostro filosofo a cui più di una
volta venimmo alludendo nelP abbozzar la storia della Scienza Nuova: dico la
dottrina del Vero e del Certo, che ha riscontro con V altra della Bagione e
ddVAidorità, 11 vero è produzione di Ragione; il certo è produzione d^
Autorità,^ Ma come nelP ordine conosci[Istinto uitano (il poste del Vico nel
sao primo grado empirico). Si ripeton le condizioni della Percezione sensata. I
due termini qui cominciano a distingaersi; ma VigUnto non è por anche
desiderio. L'istinto anche qui è immohile, è cieco, e pnr nonostante è umano.
Ed è umano principalmente perchò non può rimanere istinto^ ma dehb* esser
superato dal desiderio, dee diventar desiderio. e) Dbsidebio. ~ Risponde alla
Rappresentazione, e n' è l’attività. Il motivo dell* azione è determinato,
particolare. Quindi fra questo motivo e r agente havvi necessità empirica,
immediatezza. d) Passignk. Risponde ai primi gradi deirimmaginazione, e, come
questa, è mobile e varia; e perciò è meno indeterminata che non sia il
desiderio. Il Desiderio è uno,' la Passione ha più forme. L'obbietto che la
determina non è il particolare, e neanche il generale. Appartiene al-r
individuo considerato non come individuo, ma com' elemento di società. Segna
dunque un passaggio; il passaggio dal desiderio al libero arbitrio. II. e)
LiBRRo ARBITRIO. L* obbietto è generale, astratto; perciò è più mobile della
Passione, e quindi costituisce il passaggio dalla necessità empirica alla
necessità razionale (libertà volgarmente intesa). Risponde alla Immaginazione
imitatrice e riproduttiice eh* è tuttora schiava della natura; al modo istesso
che il libero arbitrio è dominato da un motivo tuttora eteronomo.)
Dbtkrminazionk (passaggio del libero arbitrio alla Libertà).Risponde, più che
all'Immaginazione (combinatrice), alle varie forme dell' Intendimento. Varietà
d* obbietti. g) SuK DIVBRSR POBMB {contrarietàf contraddizione j dezione).
Anche qui ha luogo un processo come neU* Intendimento. L* elezion razionale non
ò più libero arbitrio, ma Libertà. ) Libertà. È determinata dalla Ragione:
perciò importa la necessità razionale. Libertà quindi è dovere appunto perchè è
ragione. Ma può tornare ad una delle tre forme d'arbitrio, stantechè la
necessità, ond'è signoreggiata, sia necessità morale. ») Personalità. È
l’Autorità che si converte con la Ragione. È il risultato del processo
psicologico, e rappresenta il circolo delle facoltà perchò le suppone tutte, e
le contiene in atto. 1& dunque la circonferenza, cioè rio pienOf attuale.
Qual n*è il centro? (Vedi nel Gap. seg.) * n concetto à^ÀtUorità è una delle
idee cardinali dell'opera sul Piritto UniversaJle. Noi' qui ne parliamo per
incidenza; perchè questa tivo è mestieri che il vero si converta col fatto,
così nelr ordine pratico il certo fa d'uopo che si converta col vero. In altre
parole, se il processo teoretico guardato psicologicamente è una conversione
del vero col fatto; il processo operativo, al contrario, guardato storicamente,
è una conversione del certo col vero. La relazione che Vico pone tra il vero e
'1 Certo, somiglia quella che nell'Aristotelismo tiene la forma verso la
materia, ma considerata nel processo isterico. Risponde altresì alla relazione
eh' egli medesimo scorge tra la filologia e la filosofia. La filologia porge i
placiti dell' umano arbitrio (placita humani arbitri); la filosofia indaga i
principii necessari di natura (necessaria naturcey Perciò][aiferma. La
Filosofia contempla la Ragione onde viene la Scienza del Vero: la Filologia
osserva l’Autorità deW umano Arbitrio onde vien la Coscienza del Certo.^n Or la
Ragione, producendo il dottrina dovendo esser considerata principalmente sotto
T aspetto istorico (nel che sta tutto il suo pregio e la sua norità), dovrà quindi
formare oggetto d' interpretazione e dì studio nella Sociologia. Qui dobbiamo
avvertire solamente che, quantunque i siguiiìcati della parola Autorità pel
Vico sian diversi (Autorità polìtica, religiosa, monastica, incononiica, civile
e simili) nullameno tutte le specie d'autorità, chi interpreti bene la sua
mente, hanno d' aver per fondamento originario queir An^ontò alla quale,
propter rerum novitateìn^ ei volle dare un titolo nuovo, e V appellò
AUCTOttlTAS NATURALIS, ACCTOEITAS ì>tATURMj[De Univ. Jur., XCI). PerciÒ la
definisce: Humana: natura: proprietae. Perciò non dubita chiamarla divina.
Perciò la designa come T unità vivente delle tre funzioni costituenti l' ordine
pratico psicologico: noBsCf velie, posse. Perciò, finalmente, la dice Suitas; e
la Suitas nell'uomo vale, per lui, ciò che in Dio VAseitas. Vedremo altrove
esser questa una dottrina originale onde l'autore della Scienza Nuova prevenne
la moderna filosofia del Diritto. Del che niuno de' critici di cui parlammo ha
avuto sentore, tranne il Carmignani e l'Amari; ma l'uno, come dicemmo, ne parla
superficialmente, e l'altro in senso tutto cattolico e tradizionale. De
Constantia Jurispr., Proem., Sc. Nuova, Si noti qui, a maggiore schiarimento
del metodo vichiano, che la Filosofia è quella che contempla, e la Filologia
quella che ossava. Secondo il nostro linguaggio, quella deduce, e questa
induce. Or la Scienza Nuova non fa propriamente l'una cosa, né l' altra. Essa
pone in opera entrambe cotoste funzioni, e le couipenctra in una terza che dicemmo
essere il ma),àstoro eduttivo. vero^ costituisce il processo della coscienza;
in mentre che r Autorità, producendo il certo e legittimandosi nella ragione,
forma il processo dell'autocoscienza, e partorisce il concetto della
personalità (Proprietas sui; Suikis). Sotto l'aspetto isterico, perciò,
l'Autorità è il libero arbitrio che diventa libertà, e quindi Ragione: sotto
l'aspetto psicologico è lo stesso libero arbitrio già divenuto ragione. Ond' è
che come il certo non è il vero ma una parte del vero così V Autorità non è
Ragione, ma è partecipe di ragione. Che cosa è da concludere da tutto ciò? Che
il processo pratico, riguardato psicologicamente, comincia là ove finisce il
teoretico. Questo, infatti, s' inaugura col senso, e, sempre più ascendendo, si
risolve nella ragione. Quello, invece, move dalla ragione avvisata come
semplice colioscere, e, transitando pel volere, finisce nel potere; ma nel
potere divenuto già attività concreta, piena, reale, vivente, stantechè il
libero volere importi la ragione. Che se tra conoscere ed operare, fra
coscienza e autocoscienza, 0 (per usare il linguaggio del nostro filosofo) tra
Ragione e Autorità, fra il Vero e il Certo e tra filosofia e filologia havvi un
processo; è necessaria, è inevitabile una conversione fra' due termini. Dunque
1' Autorità devesi poter elevare a dignità di Ragione; al modo istesso che la
ragione operativa debbe aver coscienza di sé medesima anche come ragion
conoscitiva. Or che è ella mai cotest' Autorità convertitasi in ragione se non
l'autocoscienza? E non è appunto quest'Autorità autocoscente quella che,
assolvendo l' uno e l' altro pro' Ut autem VBRUM constai RATiONE, ita criltuu
nititur auotoritate, vd noHra $en»uum quat dicitur aUTO^i'a, vel aìtorum
dicti», qua in tpeei^e dicitur AUOTORlTAS, cx quorum alterutra naicitur
PRRSCASIO. Sed ipta auctoRITA8 e«t ^ar» ^rwofrfam RATiONis. {De Univ. Jur.y
Proloq.) Vedi le diverse applicazioni del Vero e del Certo. Il primo scolare
del Vico. Emanuele Dani, come arrertimmo, fin dal secolo passato colse giusto
in questa dottrina del suo maestro, massime quant* al valore e alla relazione
de' suddetti concetti. (Tedi Saggio di Oiuriprndenza Unirrr^aU, ed. cit., p.
CVIII). cesso, costituisce l'essere veramente umano (universale)? E che cos' è
l' ente umano, che cos' è VHumaniiaSj per cui l'individuo è davvero individuo,
subbietto veracemente universale, fuorché la personalità? E che cos'è la
persona se non queir unità vivente e operante del triphce diritto originario
(tutèla^ dominio e libertà) nella quale s' incarna e s' impersona la triplice
funzione del Potere, del Volere e del Conoscere?* Col concetto su la relazione
fra il processo conoscitivo e '1 processo operativo dell'organismo psicologico
Vico non solo previene l' esigenza Kantiana del doppio ordine di ragione, ma,
che più monta, la supera. La previene distinguendo la Ragion pura (Batio) dalla
Ragion pratica (Autoritas). E dovea distinguerla, perchè i due processi
conoscitivo e pratico, tuttoché formanti unico organismo, hanno, come s' è
visto, origine, natura, e andamento diverso. La supera poi, in quanto che
scorge la conversione (ripetiamolo) non pur fra l'una e l'altra ragione, ma
eziandio nell'una e nell'altra guardate ciascuna in sé stessa. Come processo
conoscitivo la Ragione dee convertirsi con sé stessa; e non potrebbe, ove non
divenisse anche Autorità. Come processo pratico l'autorità non potrebbe neanch'
ella convertirsi con sé medesima, s' ella stessa non divenisse Ragione. Li
altre parole: il conoscere non potrebb' esser vero conoscere, ove non fosse un
processo, una conversione de' tre gruppi di funzioni teoretiche innanzi
discorse. L'operare non sarebbe vero operare, se anch'egli non fosse una
conversione de' tre gruppi delle funzioni operative. Finalmente il processo
conoscitivo De Univ. Jur. Di qui nasce il concetto del gitu e della libertà
secondo le dottrino Yichiane, come altrove mostreremo. Ma già i lettori
prevedono qnal uso noi saremo per fare di cotesta dottrina nelle questioni
polìtiche, giuridiche, religiose e pedagogiche. Posto il concetto àdV
Auctoritcu naturalU^ e dell’Autorità in generale come particeptf RaHonUy cioè
come facoltà che devesi convertire con la Ragione, ognuno saprà argomentare
qual valore giuridico abbian per noi r autorità politica e 1’autorità religiosa
nelle teoriche sociologiche. e'1 processo operativo non sarebbero tali, ove non
fossero essi stessi una conversione tra se medesimi. Così il circolo è
compiuto; e così rimane sbandita ogni maniera di dualismo e di formalismo nel
regno della psicologia. Or la mancanza di processo è precisamente il tarlo che
rode le dottrine del Kant. Posto il noumeno come un'incognita, posta la
conoscenza com'una specie di combaciamento meccanico anziché come processo
dinamico del fatto con l'idea e della materia con la forma; non poteva non
chiudersi ogni via per intendere il fenomeno, e salvarsi dal cadere in quella
specie di scetticismo metafisico del quale altrove toccammo (p. 238). Senza
esempio nella storia della filosofia egli dimostra la necessità di certe
condizioni superiori all' esperienza nel fatto del conoscere. Ecco la massima
sua gloria. Ma non perviene a spiegar cotesto fatto, perchè non giunge a
risolvere il dualismo tra la sensibilità e l' intelletto col discoprirne il
germe comune eh' egli stesso )ion dubita chiamare sconosciuto. D'altra parte,
dal disegno della Critica della Ragion Pura egli trae quello della Critica
della Ragiofi Pratica, Nell'una move dal senso, e, attraverso l' intendimento,
giugne alla ragione. Nelr altra tiene un cammino opposto, perchè dal concetto
di libertà scende nelle facoltà inferiori. Or 1' errore non istà, certo, in
questo cammino, in questo circolo; ma piuttosto nell' aver interrotto cotesto
circolo. Donde avrebbe dovuto partire nell' organar 1' edifizio della Ragion
Pratica ? Precisamente da quel punto ove' pon termine la Ragion Pura, Egli
invece fa un salto; salto mortale; perchè voltando le spalle alla ragion pura
(né poteva altrimenti), si basa nel concetto di libera causalità.* Ov' è dunque
il processo fra l' un ordine e l' altro? Ov' è r unità, r organismo del circolo
psicologico? Nella distinzione Kantiana e' è del vero. Ed è che la Ragion Pura
è facoltà passiva in quanto ha per Kant, Crit, de la Raiaon Aire, Tissot. >
Idem, Crit. de la Maieon Pratique, termine il fenomeno, tuttoché s' addimostri
attiva nel concepire e disporre e costruir questo fenomeno mediante quella
mirabile tela delle categorie. La Ragion pratica, al contrario, è profondamente
attiva, stanteche con r atto del puro volere ella ponga il noumeno^ Se non che
il grand' uomo non vide che né la Ragion pratica è assolutamente attiva, né la
Ragion pura è assolutamente passiva. Il conoscere, certo, serba carattere di
passività; non altrimenti che V operare ha carattere d' attività. Ma sono tali
in modo relativo. Sono tali, cioè, in quanto T ordine pratico sopravviene a
compiere il teoretico, non già nel senso che nel secondo abbiasi a conseguire
ciò eh' è riescito impossibile nel primo, vo'dir la* posizione del noumeno. Che
cos'è infatti cotesto noumeno nell'ordine pratico? Perchè la Ragion pratica s'
ha da porre qual puro volere, cioè com'un fatto a priori? Insomma, che cos'è
questo rolere che vuole sé stesso? A tal grave quesito il Criticismo non
risponde, checché ne abbia detto poco fa uno della scuola della Morale
Indipendente che in ciò crede poter ormeggiare il filosofo prussiano. Che anzi,
se la legge morale procede dalla libertà come volontà indipendente e superiore
a qualsivoglia motivo, cioè come autonomia che trascenda ogni eteronomia; è da
confessare che un principio siffatto è condizione ni tutto subbiettiva, e
quindi sorgente mutabile appunto perchè assolutamente libera. Un atto assofuto
di volere, il volere come volere, io non l'intendo. Non intendo il voglio
perchè voglio^ giusto perchè non capisco un atto che sia razionale e insieme
scisso e quasi staccato dalla ragion pura. Brevemente: non intendo una Ragion
pratica che non sappia né possa convertirsi con la Ragion teoretica.'' Se la
radice del [Kant, Orìt, de la liaison Pure, Orit, de la Raiaon Pratique,
Secondo Kant la Ragion pura, oltr'esser fornita dell’uao tpeculiiivoy ha
eziandio un tntereaae pratico; il quale consiste semplicemente dovere sta nel
sapere; la volontà di sua natura sarà sempre una funzione secondaria, non mai
primaria: si che, ove nel processo istorico si svolga da sé, in tal caso ella
si determina non già come libertà, ma come potere, come desiderio, come
passione, come libero arbitrio. Laonde se il filosofo prussiano sente la
necessità d' un reale nel suo formalismo critico, cotesta necessità per lui non
può racchiudere il vero concetto del dovere, perchè importa una tendenza cieca.
Non è dunque un atto etico veramente detto, ma un bisogno assolutamente
empirico. Dal che si vede agevolmente non essere al tutto vero ciò che
aflFermano due serie di critici rispetto alla natura de' due ordini di ragioni
poste dal Criticismo. Alcuni credono esserci contradizione perchè, mentre Ja
Ragion pura è indirizzata solamente (tuttoché con artifizio formale) a regolare
V esperiènza, la Ragion pratica, invece, è destinata a ricostruire, a
costituire; e costruisce mercè la posizione del noumeno, del libero volere,
reintegrando siffattamente i postulati distrutti nell'ordine teoretico. Altri
pensano, fra quali Spaventa, che la contraddizione non istia già fra le due
Ragioni, ma in ciascuna d'esse. Per noi è vera l'una e l'altra sentenza, ma in
questo senso; che la contraddizione del Criticismo non istà, come abbiam detto,
nel porre due sfere diverse di ragioni; due ordini di processi psicologici, ma
si nel non aver risoluto nessun de' due. La contraddizione esiste non pure in
ciascuna delle due sfere, ma anche tra l'una e l'altra ad un tempo; con la
differenza, che nell' un caso eli' è essenziale, dovechè nell'altro è
secondaria. Togliete quella, e avrete insieme levato questa. Togliete il
dualismo e '1 formalismo nella Ragion pura, avrete parimente riparato al
formalismo e al dualismo della Ragion pratica. Perciò sommettete a processo nel
determinaref non già ne) eogtituire la Ragion pratica. La Ragion pura pratica
»i eoHituiace da «2. Ecco il grave difetto del kantismo nell’ordine morale. FU,
di Kant e «uà relaxione coUa FU, /tal., Torino, Puna e 1' altra, e avrete
schivata la contraddizione; e invece delle Idee sulla Storia Universale idee
che paion come disorganate, avrete l'organismo della Scienza Nuova.Or la
contraddizione, che per tre divers^e maniere offende il criticismo, potrà
essere tolta unicamente quando dalla dualità, onde non si potè liberare il
Kant, sappiasi risalire all' unità sua. Qual sia questa radicale unità da cui
move, ed alla quale ritoma il processo psicologico, diremo fra poco. Torniamo a
Vico. La Ragion pratica, l'Autorità, VAuctoritas naturalis^ che per lui
costituisce la base del processo pratico in tutt'e tre i momenti in che questo
si svolge, non è già un primo staccato da un altro primo al tutto formale, ma è
un secondo che si converte con un primo^ e per tale conversione formano
entrambi, anziché dualità irresoluta, unidualUà, Per l'Autore della Scienza
Nuova la ragione, in quanto ragione, è una non due,^ Non due perciò le sorgive
onde rampollano i ragionamenti; bensì Il significato della storia per Kant si
riduce a questo. Come gli uomini si son costituiti in società per ischivar la
guerra, cosi tutt* i popoli tendono a stabilirsi in federazione universale
{Idée de eeque pourrait ètre Vhiètoire universelle dana le» vuee d^n eitoyen du
monde). La P sentenza è un errore degno degli Hobbesiaui: la 2" è
un'utopia la quale partorisce 1’altra della Pctce universnlcf e V altra ancora
d* una Chiena filoeofica il cui fine dovrebb' esser quello di sorvegliare alla
morale del genere umano (Vedi nella Relig, dana lee lim. de la raiwn).
Sennonché è impossibile spiegar la stona col porne V origino in una condizione
accidentale, in una necessità euipirica qual' è appunto la guerra. II fatto
isterico può essere spiegato col risalire alle leggi psicologiche, e scoprirne
il processo. Or poteva egli, il Kant, prefiggersi tal fine s* ei non seppe
levare il dissidio fra le due Ragioni e mostrarne la conversione V Da ciò anche
dipende quel proporre, air attuazione del progresso, mezzi affatto artiflziali
com'è la federazione universale, la chiesa filosofica, e simili. « Con lo
apiegarai delle umane idee^ i fatti, i diritti e le cose umane si andaron sempre
più dirozzando, prima dalla acrupoloaità delle auperatìzioni, poi dalla
aolennità degli atti legittimi e dalle angustie delle parole, finalmente da
ogni eorpìdenxa; per ridursi al loro puro e vero principio che è loro propria
aoatanza. Or qual è questa aoatanza propria, qual è questo principio vero e
puro àe^ fatti e de' diritti umani^ eh' è dire dell' ordine pratico? È la
aoatanza umana, la noatra volontà determinata dalla noatra mente con la Forza
del Vrbo che ai chiama Coscienza. {Prima Se. Nuova) due le maniere del
ragionare. Di fatto, se lo spirito in quant' è conoscere (Batio) produce il
vero e dà la scienza; e in quant' è operare (Auctoritds) produce il certo e
cosi esplica e conferma la prima, ovvero la prenunzia e Y anticipa ; ne viene
che tra Y ordine teoretico e Y ordine pratico una conversione è necessaria. In
che risiede r intima natura della volontà? Intelletto e volontà, nelr ordine
psicologico spontaneo, hanno radice comune: per cui se r atto del volere non è
propriamente atto d' intendere, e nondimeno lo sforzo d' intendere: è lo stesso
conoscere, ma in quanto si realizza come Ragione universale, come operare
umano, autonomo, razionale. La ragione dunque è facoltà di conversione per
eccellenza ; e quindi lo spirito dee conformarsi al naturale ordin delle cose.
E che è mai il naturale ordin delle cose? È la Datura, l'essenza, il valore, l'
essere stesso delle cose.* Ora, conformarsi all'essere delle cose, non vuol
dire convertirsi con lui, diventar lui? Col concetto d' ordine adunque il Vico
determina la natura non del solo conoscere ne del solo operare, ma la natura d'
entrambi; cioè della Ragione vivente e concreta; della Ragione comune,
universale, imiana. La quale, supponendo già il concetto d'ordine, cioè dire
supponendo il processo Qpnoscitivo, importa anche il processo operativo come
risultato necessario dell' essenza umana. Con/ormatìo eum ipso ordine rerum e$t
et dicitur batio. {De Univ, Jur.^ Proem.j ) Questa con/ormatio mentis suppone
già il processo conoscitÌTO, e quindi il criterio della Convernone del vero col
fatto. Ella dunque è risultamento delle funzioni teoretiche, e insieme
principio delle funzioni pratiche. È la sostanza umana determinata con la Forza
del Vero. Rosmini nella FU. del Diritto fa la critica del concetto d* ordine
com' è inteso dal Vico. Il Finetti area fatto lo stesso fin dal secolo scorso
nelle sue polemiche col Dnni e col Concinna. {De Prineip. Jur. ) Ma né V uno nò
1* altro s*è accorto come la facoltà, che per Vico dee conformarsi air ordine
naturale, non sia il puro conoscere e neanche il solo operare; cioè non la
Ratio e nemmanco VAuetoritas, ma la Ragione per eccellenza, la Ragione in
quant' è risultato finale e quindi princìpio del doppio processo psicologico. £
la ragione, insomma, in quanto è conversione essenziale con la natura, con la
storia, con lo Stato, col supremo suo fine, e della quale il Duni dice che dove
Concludiamo quant' al processo pratico. La ragion pratica non contraddice alla
teoretica. Intanto eli' è pratica, in quanto è comando; ma è comando della
ragione fondata nel concetto del fine razionale, che vuol dire d' un fine il
quale iraponesi come legge, e perciò come imperativo. Cotesto fine imperante,
manifestato o imposto dalla ragione (e tutto ciò per noi è ragion pratica),
inevitabilmente importa la necessità etica, il cui soggetto è la volontà: ond'
è che tra la volontà e il suo fine, eh' è appunto il bene morale, òorre una
sintesi necessaria. Che se l' imperativo per Kant è la stessa volontà in quanto
è libera da ogni movente particolare e d'ogni particolare interesse; anche per
noi cotesto imperativo è il volere libero da ogni qualunque motivo, meno da
quello che scende dalla ragione, o per mezzo della ragione; ma di quella
ragione pura o conoscitiva la quale, essendo il vero convertentesi col fatto,
intende e legittima il fenomeno. Fra lei e’1 noumeno non esiste un abisso, com'
è pur troppo pel Criticismo. E in questo senso non ha torto Hegel d'affermare
che libertà è ragione, e ragione è libertà. Il motivo dell' azione, infatti, è
intrinsecato con la ragione; scaturisce non già dall' estemo, come incontra
nelle azioni di natura meccanica, ma dall' intemo. L'agente dunque è
razionalmente libero; e però è liberamente necessario. Il perchè se una sintesi
necessaria annoda il volere col suo fine, è pur mestieri che la volontà si
converta con la ragione, e produca la virtù. Così nella sfera pratica, non
diversamente che nella teoretica, il criterio è sempre il medesimo: la
conversione del vero col fatto, eh' è dire della legge con la volontà. E poiché
la legge neir ordine etico partorisce il dovere, e la volontà nelr ordine
giuridico produce il diritto; perciò accade che la Morale, nella dottrina del
nostro filosofo, deve stare al Diritto cosi come il vero sta al fatto, come la
Ra-non c'^ uniformaziont,, non e'? ragione, (Vedi noi Saggio di Giuritprw denzn
Umvermle^ .> gione air Autorità. Sono due sfere di fatti diversi; due ordini
di scienze differenti per origine, e per applicazione. Il Diritto non
iscaturisce dalla Morale, ne tampoco la morale puo emerger dal Diritto. Se cosi
fosse, l'una di queste scienze annullerebbe l'altra, assorbendola. Esse dunque
non s'identificano, ma si convertono.* Tal si è, come rapidamente l'abbiamo
descritto, l'organismo psicologico ne' suoi elementi e nella sua natura. Ma
quest' organismo può e debb' esser considerato riguardo a due soggetti, che
sono l'individuo e la specie, cioè dire psicologicamente e storicamente.
Nell'individuo ci è dato studiarlo, come chi dicesse, nella condizione statica,
cioè nel suo equilibrio, nella sua compiutezza, a cagione delle mutue relazioni
onde i due processi richiamansi a vicenda. Psicologicamente, infatti, il
pensiero inaugura, determina e compie il processo pratico. Lo inaugura come
senso in quanto eccita il potere: lo determina come rappresentazione,
immaginazione, intendimento che sveglia e sprona il volere: lo compie,
finalmente, come ragione, la quale costituisce l'essenza stessa della libertà.
La Ragione dunque è l'atto, la forma dell'Autorità; come l'Autorità è la potenza
e la materia della Ragione. Io voglio ed opero perchè conosco: né per altro
potrò conoscere se non perchè debbo operare. La ragion del volere pone sua
radice nel conoscere ; come la ragione e '1 fine del conoscere altro potrebb'
esser che Y operare. Chi vuol conoscere per conoscere è un mezz' uomo. E la
scienza per la scienza è frase ch'io non intendo, come non la intendeva nemmeno
Aristotele.^ I due processi, adunque, ne' quali si sdoppia e determina l'
organismo psicologico nell' individuo, s' importano a vicenda, e tutt' insieme
compon• Sotto il rapporto psicolosrico può dirsi, come più d*una volta arverte
il nostro filosofo, che ex Rottone Auctontas ipm orta ett. (De Univ. Jur.) * Rayaisson, Em, 9ur la Mitaph. ec.
gono un sol circolo. In questo circolo per 1' appunto sta
l'autogenesi dello spirito. Al contrario nella storia, che vuol dire nella
specie avvisata come un individuo attraverso il tempo, l'organismo psicologico
ci è dato considerarlo quasi in via di formazione, cioè sotto il rapporto dinamico,
e perciò nelle condizioni del movimento. Avviene infatti' in quest'ordin di
cose quel che la scuola di Lamarck pensa del REGNO ZOOLOGICO. Nell'organismo
compiuto, nel mammifero, ci è tutta la scala zoologica, ma in atto; al modo
istesso che nelle differenti specie d'organismi inferiori abbiamo l'organismo
perfetto, ma come squadernato nella successione seriale de' diversi momenti del
suo sviluppo. Se questa dottrina, secondochè altrove diremo, non è al tutto
vera in ordine alla storia naturale, è verissima nella storia umana. La
condizione statica non può verificarsi nell' ordine de' fatti, massime de'
fatti storici. Nel regno della realtà, anziché quiete ed equilibrio, tutto è
moto incessante, sviluppo, attrito, disequilibrio perpetuo: onde la Statica sociale
de' Sociologisti non è che un' astrazione del pensiero. Il processo psicologico
adunque, avvisato staticamente, è tipo, è realtà compiuta, alla quale
c'innalziamo scrutando la natura dell'individuo, investigando le leggi della
psicologia. Un processo psicologico in via di formazione non è altrimenti
Statica, ma Dinamica. Ora il processo psicologico è r atto, il tipo del
processo isterico; e quindi vana impresa è il pretendere d' imprimer ÌForma di
scienza alla storia, senza porvi a fondamento immediato la psicologia. La
storia non fa che ripeter la psicologia; ma al modo che la circonferenza ripete
il centro. Che è mai la circonferenza fuorché lo stesso centro considerato,
direbbe il Gioberti, fuori di sé? Tal è la specie rispetto all’individuo; tal si
é pure la storia di fronte alla psicologia.* Ciò che nell' una si compie * Vedi
le belle riflessioni del Noubisson in proposito. (La nature humainef Ess. de
Fsycol. appliquée, Paris) attaraverso lunghi secoli, nell' altra, cioè nell'
individuo, s' assolve attraverso una serie d' anni e di differenti età. E ciò
che sono i secoli per la storia e gli anni e le diverse età per l' individuo,
sono per la coscienza attuale que' diversi momenti necessari aftinché ella
possa recare in atto la doppia fimzione del conoscere e dell' operare. Ma per
quante sian le differenze, la legge è sempre una; non essendo possibile che le
note essenziali alla specie manchino ai membri, manchino agli elementi di essa,
ciò è dire agP individui.* Perciò nella storia tanto il processo teoretico
quanto il processo pratico s'inaugura cod come nell' individuo. U senso, lo
vedremo in altro luogo, sale a ragione attraverso le funzioni intermedie
dell'immaginazione e dell'intendimento. Il potere, l'istinto (il che
verificheremo nella sociologia) assume valore di Ubertà mercè la successione
delle moltiplici forme cui soggiaccion le passioni e le determinazioni del
libero arbitrio, e siffattamente crea il Diritto e lo Stato. Così la storia è
una correzione lenta ma incessante, ma progressiva di due forze che mai non
posano, Autorità e Rag^ne. La
molla occulta del[Ce qui 9e paage dan» Vévolvtion 4e Vindividu est la tacine de
ce qui se passe dans VévoìuHon de Vétte eoUectii*. (Littbé,
PatoUs de Phil. Posit.) Ognan vede che questo principio non è, come ci dicono i
Positivisti di Francia, una loro invenzione peregrina. È uno de* concetti
fondamentali della Scienza Nuova; ed è insieme la correzione del Comtismo, per
la ragione più volte rammentata che la psicologia pel Vico non iscatnrìsce
dalla storia, ma è anzi la storia, cioè la scienza istorica quella che dee
tórre a modello, a criterio la psicologia. * Tutte le opere del Vico sono una
dimostrazione continua di quésto concetto. Lasciando delle facoltà d* ordine
conoscitivo, basta meditare le diverse forme attraverso cui procede VAutotità,
per vedere come davvero ella sia potenzialmente ragione. Vi è progresso, per
dime un esempio, fra le tre forme d* autorità monasHcOf economica e eivUe (De
Univ. Jut.); e vi ò progresso nella storia dell* autorità considerata nelle
diverso maniere del reggimento politico {Ptima Se, Nuova Sec. Se. Nuova)
Scoprire la conversione dell' Autotità con la Ragione, è una delle sue
principali esigenze, e quindi uno de' precipui aspetti della Scienza Nuova. r
umano progredire, infatti, sta nella faticosa conversione d' entrambe. Perchè
sé la storia è la vita del genere umano,* il processo di questa vita, lo
svolgimento di quest'organismo altro non potrà essere fuorché il ridursi di
quella dualità a valore d' unità. Il processo istorico adunque non fa che
ripetere, ma sotto forme sempre diverse, il processo psicologico: talché se la
psicologia, come ha detto il Michelet, é quasi la storia in miniatura, cioè la
storia come raccolta, adunata e quasi concentrata in un sol punto; la storia
alla sua volta, secondo l'osservazione altrove accennata del Cattaneo, altro
non sarà che la psicologia stessa in più vaste proporzioni, e sotto aspetti
molteplici e svariatissimi. Ma quel punto, quel centro (ripetiamo la figura),
vai tutta la circonferenza; vai più che la circonferenza. Se la psicologia
infatti nasce dalla storia, chi vorrà dire che la prima non possa essere altro
fuorché una semplice appendice della seconda? La psicologia è superiore alla
storia, come il presente è superiore al passato. E le leggi psichiche sono
anteriori a quelle del fatto istorico, al modo istesso che il criterio e la
norma, in generale, sono anteriori alla materia interpretata e giudicata.'
Perciò dice che il suo libro è anche nn». JUotoJia deW autorità {Sec. Se. Nuova)
atta a ridurre a leggi certe V umano arbitrio di ma natura incertÌ9»imo. * Vita generila humani Hiètoria est, [De Univ.
Jur.) * Il Taine dice benissimo dove osserva che la pttyeologìt «« à ehaque
départentent de l’hintoire humaine ce que l^i physiologie generai^ e»t h la
phyaiologie partictdiire. de ehaque esplce ou doAèe animale. {De Vlntelligence, Pref.) Che oggi la psicolog^ia debba esser condizione
essenziale alla scienza del fatto storico, ninno è che ne dubiti. Ma la
questióne ò ben altra, e di ben altro valore che non crede il Taine. Come s' ha
da considerar la psicologia rispetto alla storia, e perciò r individuo rispetto
alla specie'? Ecco il punto! Predicarci la necessità della psicologia nella
indagine del fatto storico è un bel nulla, se innanzi tratto non si stabilisca
qual relazione corra fra le due scienze. Mi spiego subito. Se Io svolgersi
delle concezioni religiose, delle creazioni artistiche e letterarie e delle
scoperte scientifiche in un dato periodo istorico e presso un dato popolo non
sono in realtà altro che un’applicazione, un caso particolare di quelle
medesime leggi che in ogn'istante regolano lo svolgimento psicologico di
ciascun nomo; brevemente, se il fatto storico H nostro filosofo non pure colse,
ma dimostrò la relazione tra r uno e l’altro ordin di fatti, e fece quel che
non giunsero a fare i nostri platonici e aristotelici del Rinascimento; ciò che
non fece tutto il Cartesianismo; ciò che dopo di lui non seppe fare il
Criticismo in ordine alla storia; ciò che non han fatto, né sanno fare i
Positivisti e gli Idealisti assoluti; i quali trascendono il positivo perchè
disconoscono la difficile arte de' confini nella scienza del mondo e della
storia. Alla sua mente lampeggiò il vero concetto dell' ente umano: il concetìo
àeW individuo universale vivente, concreto, reale; e sotto doppia forma venne
applicando il suo massimo criterio della conversione del vero col foHo nel
conoscere, e del certo col vero nell' operare. Recò in atto quindi non una, ma
due grandi leve, la psicologia da una parte, e la critica de' fatti storici
dall'altra; la filosofia e la filologia; e perciò un a priori di natura
puramente psicologica, e un a posteriori indagato pazientemente con oculata
osservazione: e così gettando le basi del vero metodo storico razionalmente
positivo, riesci a comporre la scienza dello spirito. Però Storia e Psicologia
non sono due cose, ma una. Esse formano la vera scienza dello spirito, quando
sian portate ad un fiato, com' egli dice con significantissima frase. Ecco il
grande valore della Sdensfa Nuova, per quanti possano essere i suoi difetti
nella forma, nel disegno, nelle conclusioni, nelle applicazioni. Lo dichiara
egli stesso: il mio saggio è wrxR filosofia deW umanità. Perchè filosofia? non
è che un'applicazione delle lejrgi psicologiche: ne viene che nella psicologìa
solamente possiamo ritrovare il criterio, il principio, la teorica da applicare
nella intorpretaziono del fatto isterico. Dnnqne? Danque (mi par chiaro) la
psicologia è anteriore, e superiore alla storia. Or io non so davvero come
siffatta conseguenza possa accordarsi co'princìpii di Taine, specie con quello
ond'ei ci dichiara, che il fatto della coscienza non è altro che vm fantamna
metajinco! Il problema storico è problema psicologico: lo sappiamo anche noi da
un secolo e mezzo a questa parte. Quel che non sappiamo è il modo col quale il
valoroso estetico francese potrà giugnere a risolvere cotesto problema col suo
Positivismo. perchè ne inve^iga le coffionV Or le cagioni immediate e positive
del processo istorico, non s'hann' a radicar tutte nel processo psicologico,
eh' è, dire nella natura umana? Volere investigar le ragioni della storia
nonché i principii della sociologia invocando la dicdeUica immanente détta Idea
come fan gli Hegeliani, ovvero r opera della Provvidenza immediata come fanno
Ontologisti e Teologisti; è uscir dalla Storia, dalla natura umana, dalla
psicologia; ed è rendere il processo storico un processo affatto meccanico e
arbitrario. Un principio estrinseco e superiore che non emerga dalle viscere
stesse della storia, ma che alla storia si sovrapponga e s'imponga, che cosa
dee produrre? Da una parte, meccanismo, e arbitrio dall'altra. Ed è anche un
uscir dalla storia, dalla psicologia e dalla natura umana, queir invocare i soU
fatti siccome leggi empiriche riferendole a cagioni tutte estrinseche, tutte
mutabiU tutte acddentaU, come sono il clima, la razza, l'educazione e cento e
mille condizioni esteriori e secondarie di cui ci parlano i positivisti e i
filosofi dell’avvenire. Il fondamento razionale positivo del processo istorico
dunque è l'organismo psicologico, ma ravvisato come processo. Questa
precisamente è l' esigenza più legittima, la condizione più salda del metodo
istorico che scaturisca dalle opere, dalle dottrine, dalla mente del Vico.
Metodo isterico è anch'esso metodo genetico, metodo eduttivo. E metodo genetico
vuol dir metodo essenzialmente psicologico. Ne segue perciò che la legge
isterica delle tre età -divina, eroica, umana), pone sua ra[Ved. Prim, Se
Nuav.y Le tre/any o stati del Positvismo francese non sono che un fatto, una
legge empirica, non la ragione, non il principio delia storia. Lo confessa lo
stesso Littré; il quale perciò avendo visto la necessità di correggere e
compiere anche in questo il maestro, alle tre fasi del Comte sostitoisce le
cinque forme di civiltà calcate sopra altrettante facoltà psicologiche. (Vedi
A. Comte et la Phil, Pont.) Cosi il Littré ritoma a VICO, cioè al concetto
psicologico, quantunque sbagli nella scelta della strada. dice non già in un fatto
parHccHare quale sarebbe il nascere, il crescere ed il perire dell'individuo,
come vedemmo pretendere VERA, ma sì neljo stesso organismo, nello stesso
circolo delle funzioni psicologiche. Ciò che dunque è processo teoretico e
pratico deUe facoltà e quindi conversione del vero col fatto e del certo col
vero nell' individuo; nella specie, nella comunanza civile, assume forma e
valore d' organismo e di processo isterico. Ecco perchè nello svolgimento della
storia e delle diverse civiltà, lo stato, la fase, o (secondo il linguaggio del
Vico) V età divina ritrova sua ragione intima, immediata, nel predominio ed
esplicazione deUe due funzioni elementari, empiriche e naturali, che sono il
Senso ed il Potere. La fase eroica per contrario, è l’incarnazione del volere e
dell' Immaginazione. E, finalmente la fase umana è V attuazione e quindi il
trionfo e la signoria della Ragione spiegata, la quale neU' ordine della vita
civile, politica e sociale si traduce nel trionfo della libertà. La storia
dunque è un organismo come la psicologia; e quindi le leggi psicologiche sono
il criterio interpretativo principale del fatto isterico. Questo è il vero
concetto della VoUcer Psycólogie per VA. della Scienza Nuova. Dove sta il
difficile? Appunto nel far cotesti interpretazione; appunto nelr applicare le
leggi psicologiche alla storia. In tale applicazione occorre schivare (come
vedremo in Sociologia) que' due gravissimi errori ne' quali rompono Hegeliani e
Positivisti: cioè l'universalismo nel comporre la filosofia della civiltà, e il
particolarismo e '1 determinismo nel fissarne le leggi. Due perciò sono le
condizioni razionali per la scienza della storia: V applicare al fatto isterico
le leggi psicologiche; ma applicarle, non già all' umanità, come fanno i
seguaci di Hegel, bensì a' popoli, alle schiatte, alle tradizioni: 2 tener
conto delle mille cagioni estrinseche ed irraziouaU che in modi infinitamente
diversi e molteplici turbano lo svolgimento della storia; ond' emerge la
necessità, ripe* tiamolo, della psicologia e della crìtica storica nello
stabilire i principii deUa filosofia dello spirito. Or cotesto metodo, oltreché
nelle dottrine metafisiche, anche nelle teorie storiche e sociologiche risulta
logicamente, come vedremo, dallMndirizzo medio dell'Aristotelismo rappresentatoci,
ne' tempi moderni, dalla Sdenta Nuova. Nella Scienza Nuova, e perciò nel metodo
isterico e psicologico del Vico, abbiamo la condanna più severa e la
confutazione di fatto degli estremi indirizzi aristotelici rinnovatisi in
questo secolo per opera dell' Hegelianismo e del Positivismo nel regno degli
studi storici e sociologici. Ma qual è la genesi e quindi la teleologia del
processo psicologico? That is the question! Re la genesi e teleologia
psicologica. Lo spirito ha le sue leggi come la natura; ed è anch' egli un
organismo come la natura. Perciò dapprima è Sintesi iniziale, come si disse,
poi Analisi, poi Sintesi finale. Spencer direbbe che l' organismo psicologico
procede dall' omogeneo indeterminato, all' eterogeneo; e dall'eterogeneo (avrebbe
dovuto aggiungere;, fa ritomo all' omogeneo, ma all' omogeneo determinato e
universale. Fin qui abbiamo studiato la psicologia nel fatto. Movendo da una
dualità empirica, cioè dal senso che iniziando il processo teoretico s' eleva a
dignità d'intelletto, e A^X potere che preludendo al processo pratico assume
valore di libera volontà, abbiamo sorpreso l'organismo psicologico nel momento
stesso dello sviluppo, dell'analisi, dell'eterogeneità, della diflFerenza e
moltiplicità delle sue funzioni. Or è d' uopo rimontare all'origine
psicologica. È d' uopo ricercar la cellula madre di quest'organismo. È d'uopo
investigare il centro di questo cìroolo, la sintesi origìiiaxia di
quest'analisi che a noi porge la coscienza. La genesi dello spirito vuol esser
guardata in tre modi, sotto tre forme, per tre fini diversi: psicologicamente,
logicamente, ideologicamente. La Psicologia studia lo spirito, ma in quanto è
un multiplo di funzioni, d’operazioni, di facoltà. La Logica studia lo spirito,
ne ricerca le funzioni psicologiche, ma in quanto producono, generano,
partoriscono. L' Ideologia, finalmente, studia anch' essa lo spirito, ne indaga
le funzioni psicologiche, ma guardandole ne' lor prodotti generali La Logica
dunque siede in mezzo all' una e all' altra scienza. Ella studia non altro che
relazioni: studia le relazioni fra la causa e l'effetto, le attinenze tra la
forza e le sue produzioni, e quindi raccoglie leggi universali, attinenze
necessarie, poiché se lo spirito si differenzia appo gl'individui per attività
ed energia di potenza e per moltiplicità di risultati, non differisce
menomamente per le leggi alle quali dee soggiacere ciascun individuo. La Logica
è universale, obbiettiva; e quindi indipendente dal soggetto, non altrimenti
che la matematica. Or queste tre scienze che r analisi immoderata delle scuole
ha ridotto a frantumi, non sono che tre aspetti d'un medesimo subbietto: d'un
subbietto, cioè, avvisato P come forza e potenza: come atto e risultato;
finalmente come potenza in quanto diventa atto, e però come relazione dell' un
termine verso l'altro. Psicologia, dunque. Logica e Ideologia dovranno condurci
ad una medesima conseguenza nel problema su la gencHi psicologica. Nel processo
psicologico dicemmo esserci un primo ed un ultimo atto. Questo primo e quest'ultimo
atto, anziché facoltà, come pretendon gU Spiritualisti, anziché semplici
condizioni psicologiche riducibili alla fin fine alle funzioni biologiche, come
ci predicano i Positivisti,* sono invece facoltà delle facoltà. E son tali
per[Per esempio Mill [cf. Grice, “More Grice to The Mill”] {La PhU, de
Hamilton, trad. CazeUes). H. Taink (2>« VintelUgence). che runa d' esse è
originaria, e V altra è complementare; perchè la prima è potenza, e la seconda
è atto: perchè, in somma, quella è T Io in quant' è coscienza primitiva, e
questa è V Io in quant' è pienezza di personalità, auto-coscienza. Or è
mestieri ammettere che la coscienza, in quant' è facoltà détte facoltà, esista
dapprima come potenza originaria; preesista com’energia irreducibile; preceda
come atto che sia tutto, e nulla; e vaglia quindi a costituir la natura stessa
di quell'ente che nella scala zoologica diciamo ente umano, E innanzi tratto,
s'egli è vero che le fimzioni psicologiche convengon tutte nell'essere un
conato di natura essenzialmente teleologica, è d'uopo che, attraverso a tutte e
in fondo a ciascuna, si occulti un atto rudimentale, radicale, comune,
essenzialmente generatore, contenente universale e indeterminato del doppio
processo psicologico teoretico e pratico. D' altra parte, se il fatto ci addita
una dualità empirica, concreta ed elementare, cioè il senso e il potere; ne
viene che queste due facoltà, sia che le si guardino nel loro obbietto e
natura, sia che nel fine cui sono indirizzate, ci rappresentino due opposti, ci
esprimon due contrari; e, come tali, abbisognano d'un soggetto comune in cui
(secondo l'esigenza dell'Aristotelismo) elle sussistano originariamente. La
duaUtà empirica e, per così dirla, sensata, ci rimena infatti $ui una dualità
superiore e trascendente, la quale a sua volta non può non essere altresì
unità, unità confusa, unidualità anteriore, e della quale possiamo dire ciò che
Aristotele afferma delle parti avvisate in riguardo al tutto. Se la parte
potenzialmente e cronologicamente precede il tutto; attualmente e logicamente
il tutto dee preceder la parte.* ^Xou xai >f uX>i TT^c ouVtac" Jtar'
«vT«Xj;^tiav 5' u^7«/oov 5«aXxtBivroi y(/.p x«t* £vTi>JX«*av «(T']at. (Met.)
Ecco la ragiono (sia detto di passata) onde la Psicologia differisce in immenso
dalla Zoopsicologia, checché ne dicano il Darwin, V Agassiz, il Vogt ed
altrettali. Neir ordino zoopsicologico la dualità empirica del »etuo e dell'
i»Hnto esiste; ed è unità confusa, è unidualità: ma riman sempre tale, sempre
Questo tutto originario, quest' unità la quale anche come primigenia è numero,
cioè unìdualità e però facoltà déHe facóUà, è ciò che con antica ma
significativa parola il Vico suole appellar mente, mens.^ Alla medesima
conseguenza ci conduce la logica e r ideologia. Rammentiamoci della dottrina su
la conoscenza. Se neir ordine del conoscere il fatto è il dato, il fenomeno,
ciò eh' è posto, la cieca percezione; insomma, ciò che non può esser conosciuto
di per sé stesso: il vero, per conta'ario, è l’elemento ideale, astratto,
vuoto, formale, a priori; ma a priori in quant' origina immediate dal seno
stesso del pensiero. In che sta, dunque, il nello stato potenziale: mentre neir
ordine psicologico, cioè umano, ella diventa atto, numero, e quindi il Senso e
il Potere vi assumono anche valore di sentimento e di coscienza. Se dunque è
così, chi vorrà credere che quella dualità sia puramente animale come nella
Zoopsìcologia ? Se fosse tale, non dovrehhe restar sempre la medesima, come
incontra nel soargetto zoopsicologico? Dunque (la conseguenza parmi chiara)
quella dualità nell’ente umano deve importare qual cos'altro che non sia puro
Senso, né puro Istinto. * Quel che latinamente egli chiama men« cmimi è
essenzialmente pensiero; e pensare per lui è manifestare sé a sé medesimo: Mens
cogitando se extbet {De AsUiqHÌ9.). Or la mente è principio unico di tutte le
facoltà: principium unum Men»; e I’occhio di lei é appunto la ragione: eujw
oculua Ratio {De Univ. Proem.). Dunque ciò eh' è di là e dentro e dietro a
quest' occhio eh' é la Ragione, é appunto la MenU; la quale perciò è anteriore
a tutti i gradi, a tutti i momenti del processo conoscitivo. Se non che lo
spirito, in quant'ò menUf vede anch'essa; altrimenti come si farebbe a dirla
mente? Ma allora soltanto ella disceme, allora soltanto é oechiof e perciò era
visione, quando diventa ragione epiegata, e quindi processo teoretico. Per
intender meglio il significato della mente, ricordiamoci del »ene%u intemtu,
del eennu eui, della eoecienta, cwn-eeientia, di cui egli parla in più luoghi
delle sue scritture. In ispecie è da riflettere quando afferma, la coscienza
essere insieme univereale e particolare; e il senso intimo, individuaUt e
insieme comune, fi da riflettere dove accenna ad una facoltà naturale e
epontanea ond' é fornita la eomuiune natura degli uomini. È da riflettere,
finalmente, e specialmente, ove parla di certi giudizi istintivi eh' egli
chiama giudizi fatti sknza bifles8I0NK. (Vedi Prim. e See. Se Nuow% passim.) Or
di sotto a questo linguaggio esce chiara una conseguenza; la necessità, cioè,
di riconoscere come, attraverso a tutte le diiferenti forme psicologiche,
esista un punto centrale onde s' irradiano e dove si riconducon tutte le
funzioni dello spirito. Quest'esigenza psicologica nel Vico parmi evidente per
ciò che s* è detto, e per ciò che ancora diremo. conoscere? Nella conversione
de' due elementi. Intendere è legere; e legere è cdligere dementa rei, cioè
coUigere il vario sensato, il fatto. Questo fatto dunque vien raccolto e
innalzato a dignità di vero e quindi ad unità, appunto quando la mente,
generando sé stessa, conosca insieme la guisa onéPtma cosa è fatta. Or in
cotesta genesi hawi un intimo vincolo per cui V eiFetto è anche causa, e la
causa eflFetto; ed è questa quella tal funzione eduttiva onde la ragione,
annodando cause con cause, e però convertendo il vero col fatto e viceversa,
rintraccia il medio termine, e fa la scienza. Se intanto il conoscere è un atto
di sintesi ond'il vero è forma, predicato, categoria, ma non per anche
attributo e però cognizione, mentre il fatto è materia e parvenza fenomenale;
ne segue, esser davvero una grande scoperta della moderna psicologia quella
fatta dal Kant e legittimata in gran parte dal Rosmini, ma presentita dal
nostro filosofo; che, cioè, pensare sia essenzialmente giudicare.* Che cos' è
infatti il giudizio fuorché il predicato assumente forma evalore d'attributo?
Dunque, anziché nel cogliere il puro vero, o nell'apprendere il puro fatto il
giudizio risiede nel concetto. Ma che è egli mai il concetto salvochè la
conversione del vero col fatto, considerati questi com' elementi essenziali
nella sfera dell'intendimento? Ora, tornando al proposito, comecché il vero e
'1 fatto, convertendosi, generino il concetto e quindi il giudizio, e col
giudizio facKant, Orit. de la Raùon Pure. Log, Tra»cend., BosMiin, Nuo, Sagg,
L' atto del conoscere ò m'rtò di vedere il tutto di eitueheduna omo, e dì
vederlo tutto ineieme^ ehi tanto propriamente tuona intblliobri, e allora
veramente ueiam Tintblletto. (Vedi Lett. al Sotta.) È agevole scorgere, por
tutto ciò che abbiamo detto qui e altrove, quanto in Vico sia chiara Tesigeriza
kantiana deirunirà eintetica detTappereezione, non che quella della percezione
intellettiva Rosminiana, e meglio ancora (per qaèl che diremo), V altra del
Sentimento fondamentale. Ma in grazia del suo criterio, al solito, si può
riuscire a schivare il tubbiettiviemo e il formaliemo dell'uno e delPaltro
filosofo adoperando il metodo deduttivo. cian possibile ad un tempo la
coscienza e l'esperienza; nuUamanco, a somiglianza delle funzioni ond' essi
rampollano, restan sempre una dualità, ma dualità originaria; stantechè non
potendo T uno emerger dalP altro, né r altro dalF uno, debbano coesistere
entrambi nella coscienza. Se non che, una dualità originaria non è forse un
assurdo? Senza dubbio, un assurdo. Dunque è necessaria certa unità iniziale,
intima, primigenia, appo cui 1 vero e il fatto sussistano germinalmente come in
grembo ad una sintesi confusa. Alla medesima conclusione potrebbe giugnere chi
pigliasse a guardar Y intero processo logico, cioè le funzioni teoretiche tanto
nel lor movimento, quanto ne' lor risultati. Percezione, Giudizio e Sillogismo
son tre gradi, tre momenti, tre forme distinte d'una medesima funzione eh' è la
Mente.^ Nella percezione la Mente si manifesta come unità immediata appo cui
oggetto e soggetto sian tuttora confasi. Nel giudizio, invece, predomina
l'analisi, la differenza; perchè i termini standovi fra loro di fronte l'un r
altro e quasi irresoluti, avviene che la mente debbasi palesare come dualità.
Ma poiché il giudizio importa necessariamente un ritorno sopra sé stesso, e
questo ritomo appunto costituisce il sillogismo; accade che in questo ritomo,
nel sillogismo, la mente si palesi come unità e dualità in atto, come
triplicità attuale, come mente spiegai'a. Or se l’organismo logico e
l'ideo-logico son anch'essi un processo non altrimenti che l'organismo
psicologico; se il risultato finale di cotesto processo, la funzione
terminativa di cotest' organismo è • € Tre» mentit operationes: Pkroiptio,
JUDIOIDM, Batiooinatio. Tribua artilM diriguntvr: Topica, Critioa, Mbthooo. {De
AntiquUe.? aavT6)v, Met.). E s'aggira poi attorno alla seconda, cioè al senso e
all' esperienza, perchè dee verificar la prima, cioè dove inverare il
principio, o, eh' è il medesimo, dee convertire il vero col fatto^ il voù;
potenziale con l'esperienza. Perciò il voù; attuale è la conversione per
antonomasia, massime quando assuma valore di Ragione, Perciò stesso la scienza,
diciamolo anche una volta, non può essere un magistero deduttivo, nettampoco un
artifizio meramente induttivo. * e Metaphtfatei enim claritat eadem eat numero
ae illa lueÌ9 quam non nin per opaca cogno»eimu». Si enim in clathratam
fenestram qua lucem in aedee tuimittitf intente ac diu intueari»; deinde in
eorpue omnino opacum aciem oculorum eonpertae; non lucem «ed lucida ckuhra tibi
videre videaria. Ad hoc imitar metaphtfeieum verum illustre c«(, nullo fink
ooNOL0Drr(TR, NTTLLA FORMA disorrnitur; quia est infìnitìim omnium formorum
principium: phy9Ìea mtnt opaca, nempe formata et finita in quibu» metaphyeid
veri lumen videmue (De Antiquie) Come si vede, anche in ciò il Vico non fa che
inverare l' Aristotelismo. Che in Aristotele infatti ci sia il concetto del
Noùc potenziale come noi l' intendiamo, e però anziché passivo, come parrebbe,
sia fornito anch' egli d' attività stantechò possieda un oggetto somigliante
alla luce che fa essere in atto i colori, si può vedere dalla seguente
sentenza: xa la mente in potenua d'Aristotele, 2** V ettere ideale di SERBATI;
ma levando 1 difetti che certo non mancano nelle loro dottrine. Difetto
d'Aristotele, come avvertimmo, ò la mente che vien difuora. Difetto del
Bosmini, poi, è V immobilità originarla e la presenza non legittimata del suo
Ente poetibile dinanzi alla mente. Anche per noi la mente vien di fuori; ma
questo di fuori è la natura in generale. È un di fuori nel senso eh' ella serba
intimi vincoli con la natura e col sensibile, e sorge per virtù propria, ma col
mezzo del sensibile. Tal si è l'interpretazione che potremmo dare a questa
celebre frase aristotelica, nò ci mancherebbero testi in proposito per
confermarla; tanto la natura non può essere intelligibile in quant' ò semplice
realtà, ma in quant' è potenza attuosa, conato, processo, divenire. Or in che
maniera potrebb' esser tutte queste cose ove non includesse una legge, un
ritmo, una misura, una forma di moto, un moto ordinato? Che s'ella è per sé
stessa intelligibile in quanto che esplicandosi mostra sé medesima e si fa
intendere; evidentemente non potrebbe fai-si intendere ove non importasse tre
condizioni, ciò è dire un principio, un mezzo, ed un fine. Se dunque la natura
è potenza attuosa e quindi per sé stessa intelligibile, ha da essere
altresì))otenzialmente intelligente. E sarà intelligente attuale ove quelle tre
condizioni siano insieme compenetrate in unità: quando, cioè, il principio sia
soggetto, il fine oggetto, il mezzo relazione. Che cos'è dunque lo spirito
nell'atto suo radicale, nel suo momento originario? È soggetto, oggetto e
relazione: pensante, pensato e pensiero. Però l' intima sua struttura è insieme
dualità e unità, difi'erenza e medesimezza, e quindi, come si disse,
triplicità; ma triplicità sotto forma di sintesi iniziale e confusa. Ne segue
perciò che l' intuito, la mente, il NoJ; potenziale altro non possa essere, per
noi, fuorché il momento istesso in che la natura diventa pensiero; il momento
per cui l'anima attinge forma e sostanza d'intelletto. Ora il primo pensiero
non potrebb' esser triplicità, non potrebb' esser sintesi primitiva, quando non
fosse l’intelligibile divenuto altresì intelligente. Dunque la Mente è la
natura incarnatasi come individuo; l'intuito è l'individuo che, trascendendo sé
medesimo, assume valore di coscienza. più che interpretazione somigliante ne
dettero alcuni aristotelici del Rinascimento, fra cai meritano d* esser
menzionati PORZIO e ZABARELLA come quelli che considoramno la luce
intelligibile quasi di8»eminata tuHle /arme materiali^ e Dio come influente sa
V irUdletto potnbihf non in quanto intéUigente, ma solo in quanto
intelligibile. (Vedi SERBATI, Peieol,, Ddle Sentenze de' FU Rinnooam.) Possiamo
dire perciò che cotesto Noù? potenziale ci renda immagine della testa di Giano.
Con una delle sue facce ccrtesto Giano guarda al processo della sostanza;
guarda alla natura in quanto piglia valore d'individuo: dovechè con l'altra
inaugura, geminandosi, il processo psicologico, del quale son due forme
essenziali il processo sociologico, e il processo storico. Se non che,
lasciando per ora del processo della storia e della sociologia, importa notare
come dalla costituzione primitiva del pensiero, secondochè noi l'abbiamo
designata, emergano, fra le altre, alcune conseguenze risguardanti l'essere
individuale, l'origine e'I fine dell'anima. lUfacciamoci dalla prima. La triplicità
originaria, o, eh' è il medesimo, il secreto vincolo fra oggetto e soggetto,
costituisce la radice prima della individualità, e però il fondamento cardinale
della libera determinazione. Se infatti il N^uc potenziale è due cose e non
una, cioè mente e luce, ne segue che in quant'è niente è soggetto; e come
soggetto non può non esser reale, moltiplioe, diverso, individuale: in quant'è
luce, poi, è oggetto; e come oggetto deve serbar carattere indeterminato,
comune, universale. Ora il concetto di persona risale appunto al connubio di
questi due elementi primitivi. E invero, come mai l' individuo potrebb' esser
individuo se non fosse oggetto, fornito perciò della nota d'universalità? E
come, d'altra parte, potrebb' esser davvero universale ove non fosse nello
stesso tempo un soggetto concreto, vivente, particolare? Il particolare è il
fatto; e al pari del fatto e' sarà vero, quando assuma valore universale, non
ismettendo d'esser particolare. Similmente l'universale è il vero; e al pari
del vero sarà un fatto, quando rivesta, anche come universale, natura di
particolare. La conversione del particolare e del generale non può farsi che
nell'origine stessa del pensiero. Or se tutto ciò è indubitato, come potranno
salvarsi dall'errore più esiziale all'umano consorzio, eh' è l'annuilamento del
vero concetto di persona, tutte quelle diverse famiglie di filosofi che altrove
riducemmo ai due indirizzi estremi dell’Aristotelismo? Gli aristotelici
empirici e naturalisti e positivisti, infatti, distruggon la personalità perchè
negano il Nou; potenziale come diverso dal senso; perchè lo riducono al senso.
Ma la distruggono altred gP iperpsicologisti antichi e moderni, cioè gli
Averroisti e gli Hegeliani: i primi perchè separando i due elementi credono il
soggetto abbia a partecipare deir oggetto posto fuori e sopra dell'individuo; i
secondi perchè fanno assorbir l'individuo entro a quell'oceano immobile e
sconfinato, ch'essi addimandano Spirito Universale. La quale affinità di
risultati non avrebbe a recar meraviglia, chiunque sappia come la dottrina
dell'in^eZZ^^ agente, e l'altra non meno speciosa dello Spirito Vniversàlej
rappresentino, sotto forme diverse di speculazione, l’iper-psicologismo
aristotelico. Da questa prima conseguenza poi nasce una seconda di massimo rilievo.
Posto il Noù; potenziale non già come passivo, anzi come fornito
originariamente d'attività spontanea in quanto che nella sua nativa
indeterminatezza è pur determinato da un oggetto; si riesce a schivare così
quell'errore supremo a cui rompono, per vie diverse, i suddetti filosofi
seguaci de' due opposti indirizzi aristotelici, e che riflette i destini
dell'anima e dell'umana personalità. Se infatti nella mente, nel NoJc
potenziale risiede la ragione della individualità e quindi la radice prima
della personalità, ne segue che lo spirito, essendo coscienza originaria e
quindi soggetto superiore all'organismo, non può, tuttoché sgorgato
dall'organismo, finire così come finisce la funzione organica. Se l'organismo,
come dicemmo, è numero che diventa unità, o meglio, unione d'indole dinamica, è
chiaro com'ei non possa altrimenti finire, salvo che disgregandosi e
trasformandosi. Il suo fine è semplice ritomo; è ritomo propriamente detto: il
suo progresso è regresso nel significato di monotono rifacimento. Per contrario
lo spìrito è unità e numero sin dal momento ìstesso eh' egli è pensiero. Dunque
non può altrimenti finire fuorché attuandosi vie piii e compiendosi come
individuo, come coscienza, anziché annullandosi come tale per vivere in grembo
all' universale d' una vita che non é vita. Il suo finire non significa
ritornare, ma persistere. 11 suo progredire non è regredire, ma incessante
determinarsi. Non è insomma un monotono rifarsi, un ripetersi come la specie: é
uà perpetuo farsi: un perpetuo rinnovellarsi dell' individuo in sé, e per sé
medesimo. Che sia così, ce ne fa capaci l’essenza stessa del finito, delle
forze, della natura. Perché, davvero, se la natura é conato essenziale, non
verrebbe evidentemente a contraddire a sé medesima ov' ella non superasse il
senso e, trascendendo il fantasma, non se ne distaccasse rendendosene
indipendente?^ * A questa maniera di prora intende accennare Platone dove
afferma che r immortalità non è nò un eato di cui saremmo felici ore ci
toccasse, nò una aperanM della quale è pur bollo lusio^^are noi medesimi:
x3c).oV 7a/9 o' xtv'Tuvoc, X3tì jr^vj rà roiavra tò^mp ffTroé^scv eaurù. {Fed.^
ed. Stallbanm) Che se altri ci chiedesse notizia su la pecnliàr forma della
nostra esistenza sovramondana e sul modo con che il NoJ; attuale sarà unito
coll’assoluto, noi risponderemmo francamente di non ne saper nulla. WpoaithOfW
razionalmente poA/etVo, in siffatta quistione in che consiste? Consiste in ciò;
che il Noù; attuale, in quanto pienezza di coscienza e di personalità, finisco di
necessità neir Assoluto, cioò finisce col non finire; e quindi il soggetto
j>of«»ùifmeiUe tn/ìntro, qual si è appunto lo spirito, non può finire come
finiscon gli altri soggetti finiti, i quali finiscono appunto perchò non sono
propriamente aoggeui. Orda cotesto pentivo si dipartono tanto coloro che nella
soluzione di siffatto problema ci vogliono dar troppo, quanto quegli altri che
finiscono col non darci nulla addirittura. Escon dal positivo razionale o
fecondo, per cadere nel dommatico tradizionale, i Teologistt col loro inferno,
paradiso, purgatorio, eternità delle pene, e che so io. Escon parimenti da
questo positivo, per cadere neira priorinno dommatico e sistematico e nel
Nullismo, gli Hegeliani con la teoria dell* individuo accidentef fenomenico e pataeggiero,
£d escono finalmente dal positivo gli stessi Positivisti per cadere nel
negativo, sia che dicano col Littré esser davvero impossibile indovinar nulla
intomo a siffatto problema, sia che affehnìno col Feuerback di saperne ogni
cosa quando sia risoluto co* principii dello schietto materialismo. 31a sopra
questo tema ci rifaremo altrove. Qui ci basti d'aver accennato ad una maniera
non troppo usata di provare la immanenza necessaria della personalità come
coscienza individuale. Questo quant'al destino dell'anima umana. Che cosa potrà
dir la filosofia positiva nuant' all' origine sua? Tutto nell'ordine
psicologico move dal senso; ma nulla non può nascere per ragion del senso. Se
lo spirito è essenzialmente pensare e giudicare, e quindi, come s' è detto,
luce metafisica, intuito, mente e però triplicità; ne conseguita ch'ei nasce a
sé stesso, ch'ei genera sé stesso come pensiero. Ecco il vero significato
dell'innatismo, dell'idee innate, dell' innate facoltà. Questa conclusione,
circa l' origine psicologica, contraddice, al solito, tanto al Materialismo che
non sa elevarsi più oltre delle pure leggi meccaniche, quanto a quell'astratto
e nebuloso Spiritualismo che, incapace di scendere nel regno de' fatti, non sa
penetrare nell' esperienza, ed alimentarsene. Però la filosofia positiva, nel
problema su l' origine del soggetto psicologico, non vuole, non può accettare
il principio della trasformazione della materia come pretendon gli aristotelici
empirici rappresentati oggidì dagli Hegeliani di parte sinistra; e non può del
pari accettare il principio (pur ridotto a forma squisitamente razionale e
metafisica) d'una creazione estrinseca, immediata, superiore, secondoché
stimano, il tomista, il teologist^, l' averroista, il neoplatonico, r
ontologista. Dottrine ipotetiche entrambe, elle non sanno reggere al martello
della critica. La prima riesce insufficiente a spiegare il fatto del penciero:
la seconda torna inutile a legittimarne la natura. Tra il senso e
l’intelligenza ci ha intimo nesso ; ma ci ha da essere pure indipendenza e
diversità. Anche qui si verifica ciò che ha luogo attraverso a tutti i
differenti gradi della scala de' sommi generi cui si riducon le forze di
natura: si verifica, vo'dire, quella doppia legge che altrove appellammo della
continuità ideale^ o degl' intervalli reali, Havvi continuità perchè, posto il
senso, posta la natura, è possibile, anzi è necessario l'intelletto: si che può
dirsi che dall'uno scaturisca l'altro. Ma ci è pure intervalli, perocché se
l'intelletto germina dal senso, o meglio nel senso, non per questo potrà esser
lecito confonderlo col senso. Ci spiegheremo brevemente. Dicemmo come
l'esigenza massima, il principio che qualifica l’Aristotelismo sia quello che
si riferisce alla relazione tra la potenza e Tatto. Gli Aristotelici empirici
(per esempio gli Hegeliani di parte sinistra), ci dicon che la potenza diventa
atto; e, applicando siffatto pnncipio alla psicologia col fine di determinare
l' attinenza fra l'anima e '1 corpo, affermano che l'anima debba rampollare dal
corpo in forza della leggQ del diventare. Che cos' è per essi il diventare? È
il to 7$ vo? tolto in significato al tutto empìrico e sperimentale; il quale
perciò vuol dire trasformazione, generazione, ripetizione e quindi passaggio
incessante (attraverso infinito numero di forme) d'un soggetto identico, d'un
fondamento universale ma concreto e sensato, qual è appunto la Materia.^ Gli
Aristotelici iperpsicologisti poi (fra' quali sono d'annoverarsi gli Hegeliani
di destra), ci dicono an' È questa la teorica propugnata, come altrove
toccammo, da* moderni Materialisti tedeschi. Essa, com' è noto, è rappresentata
dal Feuerbach, è divulgata e sostenuta con incredìbile superficialità dal Di'
BUchner (Foror ei Matth-e, trad. Gamper, Leipzig Science et Nature etc trad.
Delandre, Paris), ed è applicata dal Moleschott alle scienze fisiologiche. Ho
appellato Arùtoteliei empirici questi moderni materialisti usciti dal fianco
sinistro doirHegelianismo, perchè davvero considerati st>orlcamente e* non
fanno che svolgere l’indirizzo naturale deirAristotelismo. Bel qual fatto hanno
coscienza essi medesimi, segnatamente il Moleschott, il più ingegnoso fra
tutti, quando afferma che Vunion de laphilosophie et de la acience ne e^eH
rialieée qu'une foie don» ArÌ9tote, {La Oirculation de la Vie, Paris) Ora
s'intende agevolmente comò pel Moleschott questo connubio della Filosofia con
la Scienza nella mente dello Staglrita si compiesse tutto a scapito della
metafisica. Aristotele, egli dice, è conoscitore delle .opere d* arte, degli uomini
e degli animali [Ibi). Evidentemente il dotto fisiologo riconosce in Aristotele
l'autore d'una Rettorica, d' una Storia degli animali, e degli otto libri su la
Politica. Ma perchè dimenticar r autore della Ptieologia, della iSi'HoywKca,
dell' £Wea e segnatamente della Metafisica t Non è vero dunque che
l’Aristotelismo de' Positivisti, do' Materialisti e degli Hegeliani di sinistra
è addirittura falso, erroneo, mutilato storicamente o teoreticamente V ch'essi
che ìsl potenza diventa atto; ma il loro diventai^e, anziché grossolana ed
empirica trasformazione, è, per cosi dire, un' addizione ideale, cioè posizione
e contrapposizione, determinazione, individuazione progressiva, ma d' un
soggetto unico, universale, intimo, trascendente, assoluto, eh' è appunto l'
Idea.^ Ora il soggetto del diventare, tanto per l'empirismo quanto per
l'iperpsicologismo aristotelico, cioè tanto per la sinistra quanto per la
destra hegeliana, è sempre uno, sempre identico a sé stesso, chiamisi Idea,
chiamisi Materia. Ecco dunque la ragione per cui ne' risultati, massime nella
soluzione del problema psicologico, le due scuole s' accordano a meraviglia. Di
fatto, l'anima per gli uni na^e dalla materia, è materia, e finisce nella
materia: per gli altri nasce in virtù dell' idea, è l' idea, e finisce
nell'Idea. Qual è dunque il fine supremo dell'anima? Non altro che un ritomo,
un estinguersi nell' Idea, o nella Materia: ecco tutto. L'intima parentela tra
il Positivismo e l’Hegelianismo non potrebb' esser più evidente I Seguaci dell'
indirizzo medio dell' Aristotelismo, a noi pare che l' interpretazione
legittima della sentenza aristotelica in discorso non sia questa, che cioè la
potenza diventi atto; ma quest' altra, che la potenza passi ad essere atto. Se
non fosse così, tutto affogherebbe sotto il pesante domma dell'identità
assoluta, né vi sarebbe differenza di contenuto fra le cose in generale, e
nemmanco fra il senso e l'intelletto in particolare. Or se questo fosse,
anziché progresso avremmo processo; e ' La materia e la forma, la pot&Ma e
V atto, la forma e il contenuto, non ooetitHÌacono altro che due momenti
deWIdea, (Hbgsl, Log., Vedi anche neir Introd. di VERA) L’Idea perciò s’occulta
eeaenxialmenu in entrambo i momenti; con questo semplice divario, che nell*
atto essa è piìi determinata, più individuata, più enudeata (direbbe con parola
significantissima Vittorio. Imbriaui) di quel che non sia nella materia e nella
potenza. Dunque, io concludo, la difTerenia non istà nel quali, ma nel qoaktvm;
e perciò diventare non altro Tale, a dir proprio, che traeformanL Ecco il punto
di coincidenza de* due estremi indirizzi aristotelici; ed è pur quello nel
quale per logica necessità debbono consentire (checché se ne dica) la destra e
la sinistra Hegeliana. quindi monotonia, eterno e indefinito cangiamento di
forme. Tutto quindi si ridurrebbe ad un meccanismo materiale, ovvero ad un
meccanismo ideale; e leggo universale del mondo sarebbe o la necessità empirica
e fisiologica, ovvero la necessità dialettica: fatalismo cieco nell' un caso come
nelF altro. Invece l' essenza del processo cosmico per noi, come vedremo, sta
nel canato secondo eh' è inteso dal Vico. Ma come il conato potrebb' esser
conato ove non includesse l' intervallo, la diversità vera, cioè la diversità
di contenuto? Conato è passaggio nello stretto senso della parola (irjìpytx
otTf)>?;); è transito, non trasformazione; eduzione (edu* dio entis ad
a4ium) ma eduzione intrinseca, e quindi conversione del fatto ìid vero, cioè
dire conversione della potenza nell’atto, creazione intima, creazione
spontanea. La potenza dunque recasi ad atto non in quant' è potenza, ma in
quanto cessa d' esser potenza, e passa ad esser atto; cioè in quanVè potenza
feconda. E come potrebb' esser feconda (tò ^warov), ove non fosse privajsfione
(«rrf/jvjTc;)?» Or tutto ciò, come sarebb' egli possibile senza la doppia
condizione della continuità ideale e dell'intervallo reale? Torniamo all'
assunto. L' intelletto nasce dal senso: è vero. Ma forse che nascere vài
risultare? Se così fosse, r intelletto non essendo altro che un risultato,
starebbe rispetto al senso così oomQ precisamente nella storta del chimico sta
un sale rispetto agli elementi onde risulta, cioè all' acido e alla base. Or
questo (chi noi ' Questo è il senso che noi diamo al principio aristotelico
della pn«astone. {Metaph.) Anziché principio negativo^ la pr«ea«ira posto
oggimai nella sua massima evidenza sopratutto da Rosmini. A niuuo è lecito
dubitare della necessità d’una forma oggettiva originaria nella sfera de* fatti
psicologici. Con salde ragioni il Kant ha dimostrato, contr*ogni maniera
d'empirismo psicologico, che lo spirito intanto pensa in quanto giudica; e più
ancora Rosmini ha posto in chiaro che lo spirito giudica appunto perchè è
toggeito e oggetto insiememente. Vedi Nuo. Saggio passim. Rinnowm, Psicologia,
Introd, alla FU.) I difetti della teorica Rosminiana li accenneremo in
quest'altro capitolo. Qui osserviamo che in tale dottrina il filosofo italiano
si ricollega con AQUINO (si veda), e, chi volesse andare più in su, anche con
Alessandro Afrodiséo, e quindi con Aristotele. Nello Stagirita infatti ò chiaro
questo principio: NotjtvÌ ^i in iTÌpcK. do. Ma nemmanco è presupposta al corpo,
come dice lo stesso Platone, 0 piovutagli addosso dal di fuori e dall'alto in
certo mese e in certo momento della vita intrauterina, come affermano tomisti e
teologi, senza dirci ne come né perchè: e tanto meno potrebb* esser venuta
fuora e venir fuora qual risultamento di leggi meccaniche e fisiologiche.
L'anima è creata; o, per dir meglio, l'anima crea sé medesima per una legge
profondamente dinamica che si confonde e compenetra con l' essenza stessa della
natura e del finito. Perciò alla domanda, se fra l'anima e '1 corpo come fra il
sentire e l'intendere oi è salti ed abissi, rispondiamo subito che sì; ma tosto
aggiungiamo, che, a colmare cotesti abissi e varcare cotesti salti, né la
psicologia positiva ha punto bisogno d' invocar l’atto immediato d' un deus ex
machina, né r ideobgia ha mestieri d' un a priori che, dardeggiando all' anima
il raggio dell' intelligibile sovramondano, svegli ed ecciti in essa la virtù
dell' intelletto. Questo, e solamente questo, noi potevamo dire 'quant' alla
genesi e quant' alla teleologia dell' anima umana, puntellandoci unicamente su
la natura dell' atto essenziale, dell' atto radicale onde vuol esser costituito
il pensiero. La psicologia non sarebbe famMndoèi bel bello diventa
miracolosamente intelletto, ignorando cosi o facendo le Tlste d'ignorare gli
studi profondi e le parti accettabili deUa psicologia Rosminiana; sì serva
pure: noi non istaremo a perderci ranno e sapone. Ma non sarà certamente
villania il dover dire di lui con Aristotele: uoeo; yixp f^fw o toiowtoc y,
toéoùtoc 'A^ril davvero positiva, non sarebbe razionalmente positiva, quand'
ella presumesse di risolvere diffinitivamente, donimaticamente,
sistematicamente questi due problemi, che non senza ragione Leibnitz appellò
terribili. Ella deve saper contraddire a due estremi opposti e contrari. Da una
parte dee contraddire allo Spiritualismo e al materialismo; dall'altra al
positivismo. Dee contraddire al volgare spiritualista e al materialista, perchè
entrambi pretendono, tuttoché per vie e risultati assai diversi, d'aver
risoluto in maniera invincibile cotesto doppio problema, mentre nel fatto l'un
d'essi disconosce il valore intimo, l'autonomìa dell'anima, e l'altro finisce
per impugnanie perfino l'esistenza. Deve poi contraddire al Positivismo, perchè
questo, al solito, non volendo sapere di siffatti problemi, ne dichiara
impossibile tal soluzione, e quindi inutile il parlarne. Il filosofo seriamente
positivo può fare qualcosa di più che non sappia il Positivista. Ma confessa di
non saper giugnere fin dove, con volo icario e fatale, sanno spingersi
materialisti e spiritualisti, empirici e tradizionalisti, hegeliani di destra
ed hegeliani di sinistra, mistici e ontologisti. I principìi della psicologia
positiva che abbiamo interpretato nell' autore della Sdenza Nuova ci possono
far capaci di determinare siffattamente la genesi e la teleologia dello spìrito,
da chiuder l'adito allo scetticismo e al nullismo. Il che non dovrebb' esser
poco, anzi dovrebb' essere moltissimo, agli occhi almeno di coloro che
modestamente sanno e voglion riconoscere i confini del pensiero umano. Abbiam
visto come la genesi del processo psicologico sia essenzialmente genesi
teleologica. Ella dunque ci vieta d'essere scettici per sistema, ci vieta
d'esser nuUisti circa il sapere metafisico. Se il mondo della natura e quello
dello spirito, come altrove toccammo, sono processo e conversione, stantechè il
primo sia numero che volge ad unità e il secondo unità che, in sé medesima
attuandosi, divien numero; anche l’assoluto, serbando medesimezza di legge, ha
da esser non altro che conversione, processo, mediazione. È dunque possibile
che la mente penetri in qualche maniera nel regno delle realtà metafisiche. Ma
se la legge è comune, sarà pur tale il contenuto? Agli occhi del modesto
indagatore del vero la metafisica è la scienza de' confini. Or questi confini
appunto ignorano tanto i Neoplatonici quanto i Neoaristotelici per opposite
ragioni. Di fatto anche qui, e sopratutto qui, navighiamo fra Scilla e Gariddi:
siamo fra que'due soliti estremi, come si disse, in che travagliasi '1 pensiero
filosofico fino da' tempi in cui sovraneggiarono i due grsmà'' istitutorì déW
uman genere, come il vivente filosofo berlinese non dubita chiamare Platone ed
Aristotele.' Qual è, in generale, l'esigenza e quindi '1 distintivo de'
Platonici e del Neoplatonismo di tutte l'età nell'afifermar l'assoluto? È il
propugnare la conoscenza immediata e primitiva dell' obbietto metafisico,
qualunque ne sia 1' ampiezza, il grado, il valore dell'intùito. Qual è, invece,
l'esigenza degli Aristotelici e del Neoaristotelismo? È il * 1|I0HIL«T, Metaph,
d'ArUL. mantenere la mediatezza del conoscere metafisico, ovvero menomarla cosi
da renderla inefficace, e talora persino affatto negativa.' I metodi de'
Neoplatonici nelP attinger l'assoluto ' In armonia con le idee accennate già
nel Gap. Ili di questo secondo libro sa la storia generalo del pensiero
filosofico, noi togliamo in sig^nificato largo le parole Neo-platonismo e
Neo-aristotelismo. In esse comprendiamo più e differenti scuole di filosoft. E
quindi non sono soltanto filosofi Neoplatonici gli Alestandrini o quelli àeXht
scuola Toscana « od altri simili tra' filosofi cristiani. Filosofo neoplatonico
è chi, pur modificando il Platonismo, ne sorbi, come notammo, due esigenze, di
cui 1’una ò p9Ìeologtea e 1’altra è tnetaJUica. La prima consiste nel porre un*
attinenza primitiTa, e quindi una connessione originaria Tra la mente e
l'obbietto metafisico. Secondo tal criterio, fra* neoplatonici andrebbero
annoverati parecchi filosofi arabeggianti, avvegnaché per ragione isterica ei
risalgano, come toccammo, allo Stagirita. La seconda esigenza poi risiede nel
riguardar le idee siccome entità aottanxialmente eaemplatrici; il che
costituisce davvero il distintivo del Platonismo in generale. Or le diverse
famiglie o varietà di platonici e di neoplatonici possono esser coordinate,
nella storia della filosofia, secondochè queste due posizioni si presentano più
o meno modificate. Per iVeoameoCetùn poi intendiamo qne'filosofi che
contraddicono, in generale, ali* anzidetta esigenza psicologica e metafisica. E
poiché il Platonismo, come dicemmo e come avverte il Barthélemy Saint-Hilaire
{Phif9. d*ÀrÌ9t., Pref.), si riproduco e si trasforma in Aristotele non pure
quanto alla filosofia ma eziandio quanto ad ogni altra sfera di scibile, cosi
noli' Aristotelismo è d’uopo saper rintracciare i germi del triplice indirizzo
speculativo da noi altrove accennato, massime deirindirìzzo mediof nel quale
unicamente è possibile rinvenir la correzione del Platonismo e
dell’Aristotelismo. Ripetiamolo anche qui: tutta la storia del pensiero
filosofico occidentale consiste nelJo svolgimento fecondo e svariatissimo di
questi tre indirizzi; ciò ò dire nella lotta perenne delle due estreme
posizioni, e nel trionfo lento e faticoso, ma immancabile, della posizione
mediana. Se questo è vero, ne segue (almeno per chi serbi alcuna fiducia nel
progresso della ragion filosofica) che se nessun filosofo oggi può dirsi od
essere un puro platonico od un puro aristotelico, tutti invece dobbiamo essere
e dirci neoplatonici, o neoarìstotelici, ovvero seguaci del terzo indirizzo; il
quale, sia storicamente, sia teoricamente, vien fuora tostochè sian dati i due
primi. Noi non possiamo intrattenerci sopra questa materia e corredar di prove
isteriche tale assunto, essondo ben altro il compito del nostro lavoro. Ma
riteniamo per sicuro che una storia particolare 0 generale della nostra
scienza, la quale non sia condotta con silEatti criteri, altro alla fin fine
non potrà esser che un lavoro d* intarsio, come tanti se ne vedono, ovvero un
arbitrio sistematico, dommatico e fftntastico dairnn capo ali* altro. (Vedi
tutto ciò che abbiamo discorso a tal proposito ( potranno differir nella forma
più o manoo arbitraria con che ci è data la dottrina delP immediatezza. Ma
tutti ci palesan lo stesso difetto: l'esser dommatici, Tesser sistematici; poiché
tutti trascendon T esigenza d'un positivo e fecondo psicologismo. L'
esagerazione di cotesto indirizzo è rappresentato da chi presume conseguir la
notizia dell' assoluto con la ragione, ma con la ragione che si lasci guidar
dalla fede, e sorreggere dal sentimento. Con siffatta maniera di speculazione
noi non ci abbiamo che vedere. Essa ci rappresenta quella posizione metafisica
che altrove appellammo DommcUismo empirico. Dobbiamo dunque rifiutarla. E
dobbiamo rifiutarla, sia perchè in sostanza ella riesce a negar la speculazione
trascendente, ùa perchè s'oppone alle condizioni più elementari della scienza
Le altre forme di Neoplatonismo afferman l'immediatezza dell' oggetto
metafisico ponendo l' intùito, ma l' intùito che legittima sé stesso in quanto che,
assumendo virtù riflessa, diventa ragione. Secondo tale indirizzo appunto è
venuta svolgendosi la speculazione italiana nel moderno periodo della nostra
filosofia. Talché noi dovendo, come richiede l'indole stessa del nostro lavoro,
tener conto non pur della ragion teoretica, ma eziandio della ragione isterica,
verremo accennando alla dottrina di Rosmini, Gioberti e Mamiani, che ne sono i
più legittimi rappresentanti. Rifacciamoci dal primo come quegli che per ragion
cronologica e per valore di speculazione va innanzi a tutti. A SERBATI s' é
voluto dar titolo d' idealista piatonico. * Con egual ragione altri potrebbe
dargli titolo di realista aristotelico. Il Roveretano corregge davvero il
neoplatonismo nella ricerca psicologica; ma v' è un punto vitale nel quale,
come si vedrà, ei si palesa più che ne* È un titolo in gran parte sbagliato.
Quelle eh' ei dice propriamente idee per lui sono eeemplari delV eetenxa
inteUigibiUf non' già eeemplatrici per «è medeeime, {ArieU E«p. ed eeam,,
Pref.) Come dunque ò idealista platonico ? platonico. Con ingegno potentemente
analitico, temprata alla severa speculazione d' Aristotele e dell’Aquinate egli
ha dimostrato ciò che in modo assai vago eran venuti affermando gli
aristotelici su la necessità d^ una forma oggettiva nella mente. Ma egli non si
contenta dell'essere in quanto essere: lo dichiara altresì immobile,
immutabile, obbiettivo, inalterabile, se^nplice, uno, immescibile, infinito^
necessario, insussistente, ideale} Ecco il puntello ond' egli s' augura di spiccare
il volo inverso ali Assoluto. Ma innanzi tutto guardiamo tale dottrina sotto il
rispetto psicologico eh' è appuntò il tema precipuo del presente capitolo. Col
porre l'Essere come oggetto primitivo della mente, e col dichiararlo fornito
del carattere d' universalità, il Rosmini taglia i nervi, come dicemmo, ad ogni
maniera di sensismo, e nel medesimo tempo corregge il Criticismo: lo corregge
non già mondandolo (com' ei si vanta) della magagna della subbiettività di cui
non sa neppur liberare sé medesimo, bensì dimostrando quant* inutile fardello
sia quella moltitudine di categorie originarie ond' il Kantismo si distingue
fra' moderni sistemi di filosofia. Ecco ciò che forma l'onore della psicologia
rosminiana. * Ma qual è il suo difetto? È il non aver indagato fino alla più
fonda radice quel eh' egli stesso appella il minimum della cognizione; e quindi
l'aver fatto pesare su l'obbietto originario un ingombro di note e d'attributi
cotanto copioso, da fargli smarrire affatto il carattere dell' originarietà. E,
davvero, cotest' oggetto è egli ideale? Dunque è già beli' e determinato. Ór
come un obbietto determinato potrà esercitare fun-[PAGANINI mostra 1’affinità
fra SERBATI od AQUINO quant'alla teorica del lume intellettivo. {Sagg. 9opra
«an Tomm, éC Aquino e t7 Roeminif Pisa) Vedi Rinnovam. Ptieologia, Nuo. Sagg.
SPAVENTA ha pasto in sodo questo gran merito del filosofo italiano di fronte al
Criticismo nel prezioso opuscolo altrove citato so la ' FUo9ofia di Kant e la
tua relazione con la FUotoJia Italiana, Torino. 2Ìoni di Primo psicologico? Non
verremmo cosi a turbare e confonder l'ordine primitivo della conoscenza col
riflesso? Dunque Y essere ideale nell'organismo della psiche, anziché Primo
psicologico, sarà il Primo logico. Quanto poi air attributo della infinità,
egli ha ragione dove aflerma con san Tommaso, la natura del soggetto dover
partecipare a quella dell'oggetto: e quindi se a questo appartiene il carattere
della infinità, non si vede perchè non debba appartenere anche a quello. Or s'
egli è cosi, è dunque infinito il pensiero? Lasciamo agli hegehani cotesta
innocua pretensione finché non ce n' abbiau dato valide e serie
dimostrazioni." Se, inoltre, cotal forma innata è immobile, immutabile,
immescibUe e inalteràbile, perciò non le sarà dato moversi di per sé stessa.
Ella si move bensì, ella diventa, ma in virtù d' una determinazione, in forza
d' un' oppliccunone. Chi recherà ad atto cotest' applicazione? La [SPAVENTA ha
ragione: « V errore di SERBATI non ì il fare ddV eteere come eeeere il primo eeientijico
o logico, ma di fame jil primo peiedogieo: non U primo pensabile, ma il primo
eonoeeibUe, » (Le prime categorie della Log, di Hegel, negli Aui dtUa B, Accad,
di Nap.) SERBATI stesso prevede questa grave difficoltà, e tenta rispondere in
più modi riparando al solito arsenale delle distinzioni; ma questa volta con
assai poca fortuna. {Peieologia) In altre opere, e anche nel Nuo, Sag., avea
chiamato infinito il pensiero, non però eotto tuui gli aepeUi. Ma un inAnito di
cotesta foggia chi vorrà accettarlo? La creduta infinità dell* oggetto
primitivo non ò infinità, ma indeterminatezza, E di fatto la nota epeeijicante
della Ittee metaJUiea^ secondo la sentenza di VICO (si veda) altrove riferita è
appunto la indeterminatezza, la potenzialità, ma la potenzialità non vuota e
subbiettiva de’ AQUINISTI AQUINO e de* Peripatetici, bensì piena, feconda,
oggettiva, essendo nella sua essenza un eonato. Or se questo ò il carattere
dell* oggetto, e se la natura del soggetto ha da rispondere a quella della sua
forma, ne seguita che alreggette indeterminato dee far riscontro una facoltà
d*indol6 somigliante. Ma che cos*ò un pensiero indeterminato nel suo oggetto
salvo che un essere potenzialmente infinito, un subbietto che tendit ad
infinitum, come lo deRnisce lo stesso VICO? Dunque 1* indeterminatezza è il
carattere precipuo della luce metafieiea, tuttoché in so stessa ella sia
determinata In quanto che non cessa, ripetiamo, d’essere un oggetto; mentre che
la potenzialità feconda è il carattere del pensiero inteso come soggetto. S. 2Ì
ragione. Or bene, la ragione non vi potrebb' essere mossa tranne che da sé
stessa, ovvero dal senso. Dal senso, no; che saremmo sempre impigliati in una
forma più 0 meno schietta di sensismo, dal quale indirizzo il filosofo di
Rovereto rifugge ad ogni patto. Dunque da sé stessa. Ma, si può chiedere:
muovesi ella da sé in quant' è soggetto, ovvero in quant' é oggetto? In quant'
è soggetto, no. Un soggetto spoglio di forma è una pò* tenza vuota; è la pura
potentia, la purafaeultas degli scolastici: e come tale riesce incapace
d'esercitar funzione di Primo psicologico. Movesi dunque siccome oggetto;
movesi in quant' è luce fnetafisica. Or come si potrà movere s' ella é
immobile, immutabile, immescibUe, iikiZterabile? Da ultimo, il difetto che in
tale indagine egli ha comune con parecchi altri aristotelici, e pel quale vuol
esser segnalato come neoplatonico, risguarda l' origine di cotesta forma
ideale. Donde mai cotal luce? Piove dall' alto, 0 piuttosto rampolla dal basso?
Non dall'alto, non dall' assoluto in maniera diretta, egli risponde; nettampoco
dal basso, cioè dall'esperienza. Rosmini qui ha ragione: nessuno, crediamo,
vorrà fargliene carico. Donde e come, dunque, ella viene? ' • Vedi
Antropologia. Sistema FUotofieo, p. 82. ' Bisogna confessare che nel punto più
vitale delle sae dottrine, eh* è Torigine dell* obbietto primitiro della monte,
questo filosofo fu sempre titubante anche ne* suoi lavori postumi. In alcune
opere evidentemente 8* accosta a san Tommaso, dove dice, per esempio, che
Tessere ideale è un cotal raggio ddla divinità, il quale noi tftdremmo in modo
ineffabile identijì earai con etaa quando ci si potesse disvelare la divina
e$»enMa. (Atto. Sagg., vol. II.) Altrove ritiene che la forma intellettiva non
ci abbia che vedere con Dio; e • dove pur ci fosse un* attinenza, difficilmente
(egli sogin»?"®) ci salveremmo dal panteismo. {FU. dd Diritto, voi. II, p.
195.) E con tutfaO questo el non dubita alTermare, additando la nota scappatoia
della distinzione tra forma reale e forma idecUe, che Dio si comunica al
pensiero idealmeìUe, non già realmente ! Ma che cosa ò mai, e come avviene
cotesta eomunieagione ideale f Che 8*ella è possibile, come, in tal caso,
potrete salvarvi dal panteismo ideale? Il Rosmini parla chiaro (Teoeojia, su la
Partecipazione del divino nella inteUigmza) ove dice che 1* essere iniziale
della mente e 1* estere divino sono addirittura identici. Dunque non v* è
scampo: o egli non riesce a salvarsi dal panteismo, ovvero deve attribuire all'
obbietto della mente la 11 Rosmini crede potere attinger la notizia dell'
assoluto ponendo in opera alcuni espedienti, per esempio il processo d'
dimincunone, d' intcgrcmone e slmili. Ma sopra qual fondamento si basano
cotesti processi? Appunto sul concetto dell'Essere ideale. Da cotesto concetto
egli stima possibile trar gli elementi a comporre quello dell' obbietto
metafisico. Perciò dagli attributi dell' ente ideale vuol concludere a quelli
dell' essere in sé: perciò dal simile vuol procedere al simile. Or cotesto è un
processo senza processo: è un processo apparente, illusorio, perchè dal simile
non si procede al simile, ma si è nel simile. D' altra parte, per isquisiti che
si voglian supporre i metodi eh' egli adopera a tal proposito, mai non avverrà
che gli attributi dell' ente ideale possano porgere quelli del reale. In che
maniera convertir le note d'assolutezza, d'universalità e d'infinità, che son
proprie dell'uno, con quelle dell'altro? E dove e come poi andare a ripescar
l'attributo della realtà? Checché se ne dica, a tale domanda ei non risponde, o
ricasca nel ginepraio delle viete argomentazioni scolastiche. E mentre crede
compiere o correggere il celebrato argomento di sant'Anselmo, non s' accorge il
grand' uomo come restino tuttora incrollabili le gravi difficoltà affacciate
dal Criticismo. Pur non ostante egli reputa negativa l' idea di Dio. Or come
negativa se ci avete saputo disasconder tante peregrinità a questo riguardo? E
s'ella é davvero negativa, non siamo già nel Positivismo? E se non é
assolutamente negativa, perchè non è tale? perché non può esser tale? nota
della realtà alla maniera del Gioberti. In altra opera postuma {Ari9t, Etp, ed
etam,) le titubanze non iscemano; perchò quantunque modifichi in alcune parti
la sua dottrina l’essere nondimeno ^W si prosenta sempre come ideale^ e crede
confermar la propria sentenza con r autorità d'Aristotele. Dalla prima ali*
ultima opera del Rosmini, dunque, il problema su la conoscenza s’aggira sempre
nelP equivoco tra il Primo pticologieo 6 il Primo logico; ne qnindi crediamo
che l’Idealismo Rosminiano siasi di mano in mano accostato air Ontologismo del
Gioberti, come pensa il eh. FERRI (Est. tur VHist. de la Phil. en Italie) La
guisa ond^ il Boveretano crede poter penetrare nel mondo metafisico non
sarebbe, a parlar proprio, un processo, una mediazione. Nessuna conversione
sarà mai possibile fra due termini simili appunto perchè fra questi, ripetiamo,
non è possibile un intervallo. £ dato ci sia cotesto intervallo, è poi
necessaria una continuità ideale; la quale, unzichè per comunicazione dell'
oggetto, com’egli pensa, avviene per eduzione per parte del soggetto. Né è
maraviglia eh' ei non abbia visto tali necessità, chiunque pensi come la
filosofia di SERBATI partecipa a quel difetto che, come altrove notammo, è il verme
pia micidiale che roda il kantismo. Tutto in lui sembra immobile, freddo,
sterile come il suo ente ideale. Psicologia, ideologia, cosmologia, storia,
diritto, politica e religione, nel loro insieme, paion quasi altrettanti
organi, anziché un organismo, perocché uiun soffio vitale imprima forza e
movimento a tutte queste membra. A lui, in somma, fa difetto l’esigenza del
processo. Eppure air A. del Nuovo Saggio non sarebbe mancato il fondamento
positivo sopra cui avrebbe potuto innalzar r edifizio della psicologia, e
apparecchiare cori la soluzione d'alcuni problemi cosmologici. Avrebbe avuto
una gran chiave nella sua teorica sai Sentimento fondametìicde, intomo a cui
nessuno, dopo Aristotele, ha saputo discorrere con eguale acume e accuratezza,
come saggiamente osserva il Ferri.^ Ma neanche in questo ei potè pervenire a
disascondere quel secreto vincolo che in seno all'unità primigenia del Noù;
potenziale annoda [Però Gioberti non a torto rassomigliò ad uno ttaUauUe il
sistema Rosminiano. La forma stessa del suo iugesrno mostra cotal difetto. Kcco
perchè non gli fa dato cogliere, come accennammo il valore del metodo Tichiano.
Ecco perchè altra lllosoila della storia agli occhi suoi non dovrebb* esser
possìbile, fuorché quella d* Agostino, del Bossuet, dello Schlegel, del De
Maistre. Non altro concetto sociologico, salro che quello della società divina
naitirale. Non altra cosmologia che quella del Tomismo. Non altra fisiologia e
patologia, tranne che quella de* Tocchi vitalisti. . la visione ideale, la percezione
empirica, nonché il sentimento fondamentale.' I difetti del Rosmini prese a
correggere GIOBERTI; ma die neir esagerazione. In maniera invitta egli mostrò
la fallacia della posizione dell' ente ideale, ma cadde nell’arbitrario anche
lui quando ingolfossi nel mare magno del suo intùito. Se infatti havvi dottrina
psicologica la quale più spiccatamente contraddica al criterio della
conversione, e quindi all' esigenza metodica aristotelica della Sdema Nuova, è
appunto quella del Neoplatonismo che con entusiasmo senza pari, con ingegno
mirabile e con vena fecondissma di speculazione egli prese ad innovare fra noi
con anima ITALICAMENTE generosa. A nessun italo oggi potrebb’esser lecito
disconoscere i grandi meriti del filosofo subalpino: a nessuno i benefizi
grandissimi che in età assai triste sepp' egli operar nella mente e nell'animo
di tutti con le sue scritture. ' fi noto come per SERBATI sia U tentimeruo
intimo e perfettamente uno che uniece la eeneitività e V intelletto. {Nuov.
Sagg. ; Ariet.). Ma in che maniera poi accordare questa sentenza con
quell’altra ove dice, la ragione eeeer quella che unieee il eentibile e V
intelligibile f {Pncologia). L* anità de* due elementi qui sarebbe posteriore,
mentre sarebbe ante^ riore la dualità, e quindi, come dualità primitiva,
inconcepibile. Il che ci è confermato da lui stesso dove afferma, la vitione
ideale non aver relazione di torta con la percezione empirica, {Antropologiaf
C. VILI). Ora a me pare che il Sentimento fondamentale avrebbe potuto porgrersi
a lui come base d* una dottrina psicologica razionalmente positiva, quando
avesse pigliato a considerarla come unità Iniziale, come sintesi originaria del
doppio elemento della conoscenza: il che non apparisce in alcun luogo delle sue
scritture. Che cos*è, infatti, il Sentimento fondamentale f te V atto onde V
anima vivifica il corpo, {Antropohf.), Or bene, checché se ne possa dire,
cotesta evidentemente è psicologia neoplatonica, e però tutt' altro che
positiva. Invece per noi il Senso fondamentale ha natura di conato, e quindi
rappresenta, anzi incarna il momento in che la vita, la ^uvauc; biologica,
superando so medesima, passa ad assumere anche valore di pensiero. In altre
parole: l'anima pel Rosmini è energia primordiale, ò una originariamente (Ibi,
e. IX); ma è una come anima, non già come anima e corpo, come vita e pensiero.
E con questo difetto, eh egli ha comune co' platonici e con sant'Agostino come
v^emmo, contraddice evidentemente all'indirizzo medio arittoulico secondochè
noi lo intendiamo. Ma chi è oggimai che vorrà propugnare sul serio la sua
teorica psicologica tuttoché sia da accogliere e svolgere non pochi principii
della sua Protologia? ^ Fra le molte e gravi obbiezioni mosse contro V
ontologismo giobertiano, noi ci restringeremo a ripetere quella semplicissima
affacciata poco fa contro il Rosmini, e che con assai più ragione s' attaglia a
GIOBERTI. Come oggetto primitivo del pensiero, la formula dell' Etite creante è
un oggetto determinato, sia che si tolga a considerar la natura de' suoi membri,
sia che la specie di relazione che li rannoda in organismo. In che maniera
dunque può essere inizio, principio della genesi psicologica? Anziché il
minimum del pensabile, qui s' avrebbe il maximum del conoscibile. Or s' egli é
così, la scienza, io chiedo, sarà ella generazione, conversione, eduzione, o
non più veramente copia, imitazione, ritratto d' un vero che non ci appartiene?
La posizione dell'Intuito giobertiano è dunque arbitraria, ipotetica,
oscurissima, come primo d'ogn' altri ebbe a mostrare lo stesso SERBATI. Perciò
la formula non può essere riguardata, secondochè pretendon gli ontologisti,
come sorgente d' ogni scienza, criterio d' ogni scibile, fondamento d' ogni
dimostrazione, come Primo ed Ultimo del pensiero. Il Nov; degl’ontologisti
italiani è la vecchia dottrina dell' Intelleito agente^ ma passata attraversò
la scolastica, e ricorretta dal pensiero filosofico cristiano. È r
IntelligibiHtà, la VerUà di sant'Agostino, ma determinata, concreta, reale. È
la Reminiscenza platonica, ma fatta viva, presente, parlante al pensiero. Egli
dun* Ved. il nostro opusc. Introduzione allo ttttdio delle acìenxe naturali e
ttoriche, Firenze, Celiini, Ved. GIOBERTI e il Panteismo, Lucca. Dopo il
GIOBERTI di SPAVENTA è impossibile difendere l’intuito del filosofo di Torino:
se ne persuadano gli ontologisti. Noi accettiamo la sua critica: ma chi ?orrà
accettar le conseguenze eh «i ne trae, o la relazioni eh' egli pone fra Io
Ctisiologismo, in generale, o l’Idealismo assoluto? Anche qnant*al concetto
creativo della /Vo(o/o^ fra Tuno e r altro sbtema, come avvertimmo, corre un
abisso. ' « que è r esagerazione del Platonismo. È un iperpsicologismo avente
il suo primo puntello nel catechismo, né può quindi essere accettata dalla
ragion filosofica positiva.* Sennonché gli ontologisti si fan forti, come
accennammo, della celebre sentenza vichiana su la rispondenza fra r ordine
logico e Y ordine ontologico." Il nostro filosofo non parla d' ordine
logico e ontologico, ma sì d' un Primo logico, e d' un Primo Vero Me[Qui
abbiamo inteso accenDare alla dottrina deir Intuito come ci è data nelle prime
opere di GIOBERTI. Ognuno sa che nelle scritture pòstnme egli Tiene talora a
modificarla sì che s* accosta a SERBATI, o meglio, ad AQUINO. Per esempio,
dice: {De Univ, Jur. Da questo lemma è agevole argomentare che Dio è Primo, sia
che tu lo consideri come essente, sia che come conoscente. Qui non v* ha luogo
ad interpretazioni. Ma vi è il lemma VII che dice: Itaque Primum Verum
Methaphysieum et Primum Verum Lo ' gicum, unum idemque esse. Qui la critica
interpretativa è necessaria, perchè qui la contraddizione con l' insieme delle
altre sue dottrine è pur troppo evidente. Se la rispondenza cai allude il
nostro fosse da interpretarsi come pretendono ontologisti e nooplatonici, olla
contraddirebbe alla dottrina del conoscere e del metodo; la quale in siffatte
ambiguità dee prevalere nel pensiero del critico, come quella che costituisce
propriamente l’originalità di VICO. Se dunque in forza del suo criterio la
scienza debb’esser frutto d’uno s?olgimonto riflesso e di ricerca e di critica
essenzialmente eduttiva, parmi evidente come il rapporto fra r ordine delle
cose e quello delle idee, anziché di corrispondenza originaria e di
parallelismo primitivo, abbia da essere invece di rispondenza derivata, e di
parallelismo riflesso. In una parola: cotesto parallelismo,cotesta equazione,
non è un principio, è un risultato. Nel che 11 fliosofo di Napoli, com* era da
sospettare, interpreta ed invera il beninteso Aristotelismo, perchè è lo stesso
Aristotele quegli che osserva come la radice di tutti gli errori de' Platonici
sia per l'appunto la confusione dell'ordine logico con l'ordine dell'essere, e
però delle causo reali dell'essere, con lo cause formali della scienza: KW ou
TtdvroL o€a tu \6yù» zjporepoiy xaì tVì oÙTc'a vipÓTspx^ {Metaph.). tafisico,
considerandoli entrambi come unum idemque. Siamo dunque nel panteismo? ovvero
in una dottrina neoplatonica? Intendiamoci. Qual debba essere per lui il Primo
psicologico, s' è visto. Or quali han da essere, in armonia con le sue dottrine
psicologiche, il primo logico e '1 Primo ontologico? Il Primo logico sarà, né
vi cape dubbio, un principio mediato, risultante, secondario, cioè posteriore
al Primo psicologico. Se infatti il processo della psiche s' attua ingradandosi
in pili gruppi di facoltà componenti fra loro un organismo; e se il processo
conoscitivo importa una serio di leggi atte a governare le diveree funzioni,
che vuol dire le facoltà stesse avvisate in relazione co' loro prodotti
(rappresentazioni, fantasmi, concetti, nozioni, idee, giudizi ec.); avviene che
come, data una funzione, è già beli' e dato logicamente il suo prodotto e
quinci una serie di leggi che ne regga lo^'svolgimento; così, posto il Primo
psicologico, non potrebbe a verun patto mancare il Primo logico. Ora se il
Primo psicologico è V essere indeterminato, eh' è dire il Nov; potenziale, in
quant' è luce metafisica; quale sarà il Primo logico? Non altro che l’essere
nella sua prima determinazione riflessa: l'essere in quanto ideale; il quale
perciò suppone, sotto il riguardo cronologico, il sensato reale, il fatto;
stantechè il senso, come toccammo, resti incluso nel circolo psicologico.
L'ente ideale adunque è un primo: qui ha ragione SERBATI. Ma è anche un ultimo;
uUimo psicologico, e primo logico. Al qual proposito giova notare che ove il
Roveretano avesse riguardato a questa maniera 1' Ente possibile, non sarebbe
caduto nell'aperta contraddizione di considerar l'essere come ideale^ e come
immobile ad un tempo; stantechè se in quanto è luce metafisica, cioè in quanto
originario ei non può non essere indeterminato, come ideale invece è
mobilissimo, essendo già beli' e determinato, e come tale ci esprime lo stesso
moto della facoltà, la facoltà in quanto è funzione. Quale sarà intanto il
Primum Verum Metaphysicum? Posto il primo logico e quindi '1 processo della
logica e r orditura de' concetti, il lavoro speculativo della mente non può ad
altro pervenire fuorché ad uno di questi due risultati: o air essere
indeterminato riflesso qual è, per esempio, l’indeterminato secondo eh' è posto
dall’Hegelianismo quasi chiave di volta dell'edifìzio dialettico; ovvero all'
essere determinato mercè Tartifizio del metodo compositivo sintetico, d'
integrcurìone; voglio dire, all'essere pieno, all'essere fornito delle note più
eminenti o delle primalità cui sappia poggiare il pensiero speculativo soccorso
dall'esperienza. Ora il Primo vero metafisico al quale accenna Vico non può
esser l' ente indeterminato inteso come luce metafisica, perchè questa, essendo
essenzialmente indeterminata, cioè indeterminata per necessità di natura in
quant'è oggetto primitivo della mente, è quindi un Primo psicologico anrichè
metafisico. Non può esser neanco l' Indeterminato così detto dialettico al
quale, come voglion gli Hegeliani, per un' assclida e subitaifiea astrandone si
levi la mente e vi si estingua, e in grazia di siffatta estinzione scoppi la
prima scintilla dialettica. E non può essere, sia perchè cotesto Indeterminato
contraddirebbe al con* cetto che il Vico ci porge dell'assoluto, sia perchè,
frutto d'un lavoro onninamente astrattivo, manca necessariamente d'ogni
condizione d'obbiettiva e metafisica sussistenza. Se dunque non è l'
indeterminato né come luce metafisica né come posto dall'astrazione, che eoe' altro
sarà fuorché l' ente concepito come determinato nelle sue primalità essenziali,
l’ente trascendente, il Nosse-Velle-Posse infinUum? Sennonché, per metafisico
che sia cotesto essere, ninno vorrà dirlo reale. Donde trarre siffatta
determinazione? Forse da un intuito primigenio? Ipotesi! Dal regno de' fatti e
della ' Il Primo Hegeliano, dice Spaventa, ò queUo che non ha altra
denominanione che di non averne alcuna, {Ddle prime Categ. della Log. di Hegti,
Hbqil, Log., trad. VERA) esperienza? Impresa vana! Dalle viscere dello stesso
pensiero per astrazione assolila e subitanea? Illusione! D' altra parte,
tuttoché entità ideale, non per questo sarà lecito credere che il Primo
metatìsico abbia da essere assolutamente astratto, poiché come determinato,
cioè come concepito e costruito dalla mente, è pur mestieri eh' e' risponda ad
una realtà. Egli dunque è metafisico ma non per questo può cessare d'essere
identico al primo logico. Perchè? Perchè da questo appunto lo trae la virtù
speculativa. Vico dunque ha ragione: il primum verum metaphysicum è unum
idemque col primum logicum, giusto perchè il pensiero vien costruendo l'uno
mediante l'altro. Brevemente: egli è metafisico, perchè ha valore obbiettivo;
ed è poi unum idemque con l' essere logico e però col Primo psicologico, perchè
non è, a dir proprio, una realtà, quantunque per necessità metafisica abbia un
riferimento alla realtà. Ma qui si può chiedere: dunque il Primo metafisico non
sarà egli né assolutamente reale, né assolutamente ideale, né obbiettivo, né subbiettivo?
Precisamente così. Non è l'una cosa né l'altra, ma è r una e l' altra insieme,
stantechè sia potenzialmente infinito. E poiché come infinito potenziale non è
perfetta conversione di sé con sé medesimo, però fugge, quasi diremmo, sé
stesso. EgU è, in somma, un essenzial conato; e come tale non può non riferirsi
necessariamente ad una realtà, e in questo senso possiede natura metafisica.
Dico necessaria tale oggettività, perchè il Primo metafisico, quando sia
determinato dal pensiero speculativo, non è altro che la stessa triplicità
psicologica, ma riguardata nella sua universalità. Che cos'è mai cotesta
triplicità universale? È mentalità in sé, è dialettica in sé, è oggettività in
sé. Ella dunque non può esser considerata nell' individuo, ma fuori dell'
individuo, in un soggetto appo cui le primalità dell' essere si convertano e
compenetrino: il che è davvero impossibile nell' individuo, come quello che non
è il pensiero (voùc) ma la facoltà del pensiero (vouc ^wa^ust) secondo la
sentenza aristotelica. Se il Primo metafisico, inoltre, fosse indeterminato,
non avrebbe alcun opposto, quantunque serbasse distinzione come oggetto di
pensiero. Al contrario éoncepito come determinato, e' tosto diventa obbiettivo
; e così da Primo vero metafisico assume virtù di Principio metafisico. Or che
cos' è questo principio metafisico? Che cos'è la realtà alla quale ei si
riferisce? È l'Assoluto: ma l'Assoluto che è davvero assoluto, come appresso
mostreremo. ÀR1ST., De An.t li, iv. Cfr. anche la Metaph. Secondo l'interpretazione
che noi qui abbiam dato alla sentenza del Vico 8i può dire che il Primo
Metafisico, essendo il vero in attinenza col realtf sia il fatto, cioè il fatto
del pensiero speculativo, il fatto della scienza che convertesi col Vero
assoluto, il quale, come vedremo, è il primo fatto per eccellenza. Accade
perciò che il Primum Verum Metaphysicum debba riguardarsi come anello di
congiunzione fra la Logica e la Metafisica; ond'ò che fra queste due scienze,
anziché esserci quella mediazione Hegeliana la quale in sostanza ò una
compenetrazione assoluta, ci è invece conversione; e la conversione esprime non
già identità nella difTerenza, ma identità e insieme differenza. Vi è, in altro
parole, medesimezza di legge, di forma, e qnìndi continuità ideale; ma ci è
pure differenza, differenza essenziale, differenza di contenuto, e però
intervallo retde. Ecco perchè il Vico, svecchiando un principio aristotelico,
afferma: « Qìullo eh* è metafisico in quanto contempla le co»e per tutti i
generi delV eteere, la steesa è la logica in qwanto considera le cose jìer
tutti i generi di eignificarle. Questa relazione fra la Logica e la Metafisica
fu dal nostro filosofo incarnata sotto forma simbolica nella IHpiniura ; e
nell' Introduzione alla Scienza Nuova la venne determinando nel concetto del
M(»ndo DILLE Menti r di Dio. Menti pensiero spirito, e perciò Psicologìa Logica
e Ideologia, come vedemmo, formano tutt*un processo. Un processo ha da essere
anche l’Assoluto. Ma le Menti e Dio formano anch' essi un processo, un organismo,
un Mondo: in quanto che fra que'duo termini ci ha da essere conversione. Questo
tutto organico lo dicemmo proceeto ideale per parte del primo termine, cioè
delle Menti, nel senso che ha da essere mediazione razionale, conoscitiva.
Perciò Primo vero metafineo e Principio metafinco. Logica e Metafisica, Menti e
Dio, compongono un Mondo; un Mondo superiore a quello della Natura nonché a
quello dello Spirito, inteso questo come sviluppo isterico, come storia che è
Vita Humani Qeneri, Dal tutt' insieme quindi si vede come il suo Primo Vero
metafisico non sia nient' affatto una vuotaggine, un’entità formale e puramente
astratta. È la sua luce metafieica^ non già indeterminata, anzi determinata
mediante sé stessa; determinata mediante il processo eduttlTO. È il risultato
estremo del Noùc attuale e Veniamo al vivente rappresentante del Neoplatonismo
in ITALIA. L'illustre ROVERE ha visto la necessità d'imprimere novella forma e
rigor logico alla dottrina platonica della conoscenza, modificando la teorica
di GIOBERTI, e correggendo quella del Rosmim'. A spiegare perciò l'elemento
universale del pensiero ei si raccomanda alla solita àncora di salvezza,
l'Intuito del l'Assoluto, ma con l’interposmone delle idee; le quali per lui
somiglierebbero quasi ad altrettanti spiragli ond'alla mente lampeggia la
Divinità. Tutto ciò, del resto, non toglie eh' egli abbia da ammettere doppio
ordin di conoscenze, percezioni e intellezioni, assai diverse fra loro e pur
fra loro collegate per via di rappresentansia. Ma non potendo intrattenerci a
riassumer le ragioni sopra cui si regge cotal dottrina, ci ristringiamo a far
poche osservazioni guardandola segnatamente sotto l'aspetto psicologico. Due ne
sembrano i difetti principali: l’nvocare l'intuito dell'Assoluto nello spiegar
l'elemento universale della conoscenza; 2** non dimostrare per che mai ragioni
l' ordine delle percezioni abbia a rispondere a quello delle intellezioni. Se
ne l'intellezione, come vuole il Mamiani, può rampollare in modo alcuno dalla
percezione, uè questa ci ha che vedere con quella tuttoché entrambe devano
esser congiunte in armonia; la dottrina psicologica del rifleASo; epilogo della
scienza psicolo^^ica, e però Defìnwione e Principio della Metafisica. Or la
luce in quant’è oggetto del Noù; potenziale no! la dicemmo metafitioa perchè,
quantunque superiore al sensOf è nondimeno po9ta da natura, ò originaria, e
quindi essenzialmente obbiettiva. La conclusione dunque parmi chiara: Primo
pticologico, Primo logico' e Primo vero metaJUioo non sono tre entità ruote e
formali, giuochetti d'astrazione, indovinelli da algthritiij come direbbe lo
stesso Vico, ma sono tre anelli d’una medesima catena, tre momenti dinamici d*
una medesima energia essenzialmente obbiettiva. Questa (per concludere contro i
Neoplatonici ontologisti) parmi V interpretazione più acconcia del rapportoche
il filosofo di Napoli pone fra il /Vìnto logico e’1 Primo vero metafisico, e
quindi fra l’ordine logico e l’ordine ontologico. Ogn' altra non riescirebbe a
salvarlo dalle contraddizioni col proprio metodo, e tanto meno poi dalle
incongruenze con la ragion filosofica positiva. Pesarese parrebbe, come ad
altri è parsa, una specie d'alcliimia. Per quanto diverse, le percezioni e le
intellezioni hann'a convergere si da appuntarsi quasi due raggi in un centro
comune, cKè V unità sostaiìzUàe dello spirito. Or non è questo precisamente ciò
che da ventidue secoli va chiedendo il pensiero filosofico: come mai, cioè, se
diverse, elle compongono fra loro unità? Abbiamo un intùito di qua, e un
intùito di là: la percezione che avvertendo un termine estriìiseco lo apprende
siccome forza, e la visione, l'intùito ideale^ che con T interposizione delle
idee coglie l'Assoluto. Non siamo già in una forma di dualismo psicologico che
fu ed è sempre la pietra d^nciampo d'ogni fatta platonici? Non abbiamo qui
sott' occhio Y etemo e gravissimo difetto del Neoplatonismo, la mancanza di
processo? Oltre l’alchimia (col dovuto rispetto al grand' uomo) qui veggiamo
una macchina a doppio retaggio: senso e concetti, esperienza e luce divina,
fatti e Assoluto splendente cui lo spirito inerisce con marginale adesione, e
per via di contatto spiìituale. Chi fa tutto ciò? Come avviene tutto ciò?
L'illustre di Pesaro ci dice e ripete a sazietà, che fra l'ordine delle
intellezioni e quello delle percezioni ci ha corrdaeione ordinata e continua,
rispondenza puntualissima^ squisitissima armonia. E sta bene: chi non è
scettico sistematico non penerà gran fatto a riconoscere e sentire cotesta e
ben altre armonie. Ma quel che ignoriamo, e pur vorremmo sapere, è appunto il
motivo di cotesta squisita rispondenza. Or questo motivo, non ci è, o almeno è
impresa non molto agevole rinvenirla nelle Confessioni d*un metafisico Perocché
s'io ho da coglier l'Assoluto mercè l'idee, o, meglio, se è l’Assoluto quegli
che ha da comunicarmele Mamiaki, Con/ftioni d'un mttaJUieOf Idem, eo: € come
avvenga che ad una data pereenone rieponda una daUx idea? non già
graziosamente, anzi inevitabilmente, quale ne sarà la conseguenza? Sarà che la
ragione onde questa 0 cotesta percezione ha da rispondere a quella o
quell'altra intellezione, in altro non si potrà occultare fuorché in un vieto
occasionalismo, od in una vieta e grossolana armonia prestabilita. Non v'è
scampo. No' parecchi cangiamenti cai è andata sogrgetta la mente del Mamiani,
sol una dottrina è rimasta immutata nelle sue scrìttnre, e della quale ei si
loda più d* una volta. È la dottrina su la percezione, che il nostro egregio
amico prof. Ferri dichiara bellissima. Bellissima sarà: ma è altrettanto salda?
Forse che Ano SERBATI con r acuta lama della sua crìtica non la ridusse a
polvere nel suo Rinnovamento f Intendiamoci bene. La percezione del Mamiani non
è senso, e nemmanco, a dir proprio, giudizio. Che cos*ò dunque? È e im intuire
V atto involto nella 8en9axione die congiugne in uno due termini^ oggetto
eentiio e avvertito come fortOy e soggetto tentenìe. » {Oonfeasionif ;
Meditazioni Carte»). Or bene, che è egli mai cotesto intuire? Quar è la natura
intima di quest'atto? È difficile averne risposta ben determinata. L'animn,
dice il Mamiani più d*una volta, è dotata d^una veduta it^eriore di ti
medeaimaj e questa interior veduta è quasi occhio mentalcf pupilla spirituale,
anteriore al fatto della percezione. Che cos* è, di grazia, cotest oeeAio,
cotesta pupilla, cotesta veduta interiore f È forse un giudizio? No, risponde:
che alla funziono giudicativa devq andare innanzi la percezione. {Confeenoni).
Che cos*ò dunque? Per quanto altri voglia andar ricercando no' copiosi volumi
di questo Neoplatonico, mai non gli verrà fatto ripescarne risposta. Ora a noi
pare che tal veduta interiore di si altro non possa essere tranne che un
ritorcersi, un geminarsi primitivo, e perciò un insieme d'oggetto e di
soggetto, una triplicità iniziale, uu giudizio. Sarà giudizio sui generis; sarà
giudino fcUto stnxa riflessione come direbbe il Vico; ma, in sostanza, ò
giudizio. Se dunque è tale, non importa un oggetto? Or quale sarà l'oggetto
dell' infmor veduta, cioò la luce di queir occhio, dì quella pupilla t V Ente
possibile no, certo: e il Mamiani con dialettica stringente e per quattro
differenti capi s' accinge a far minare dalle fondamenta la teorica rosminiana,
e in parte vi riesce. Che cosa dunque sarà? A quel che ne pare, neanche qui
egli risponde. E, checché possa dirne, certa cosa è che so l'anima è davvero
dotata d'una interna veduta (la quale perciò è logicamente anteriore alla
percezione), a spiegar questa non si può prescindere da quella. Se la cosa
infatti non procedesse così, in che maniera la percezione verrebbe capace di
trascendere i limiti del puro sensato ? Brevemente: l' Io non percepisce, V Io
non avverte un termine esteriore siccome /orsa, senza eh' e' /)ereept«ca e
avverta so medesimo. Or che cos' ò il percepire sé stesso, tranne che un atto
giudicativo ? Dunque anteriormente al fatto della percezione (com' ei la
intende), ci ha da Se non che, la più fresca novità delle Confessioni è r
intuizione dell'Assoluto; quindi la invitta prova che ne scende, secondo ROVERE
(si veda) Mamiani, su l'esistenza di Dio; quindi la salda costituzione a priori
della Metafisica. Innanzi tutto: se cotesta intuizione non è altro fuorché una
semplice contiguità, un' adesion marginale del pensiero con l'Assoluto, non è
chi in essa non sappia ravvisare quel toccamento spirituale de* Yecchi
Neoplatonici, dottrina rinverdita, quindici anni avanti '1 Pesarese,
dall'illustre neoplatonico Pomari. Vero è che la sentenza la quale a tal
proposito risulterebbe dall'insieme delle sue dottrine potrebb' esser questa:
che il suo intùito non sia già un atto originario, potenziale, essenziale,
bensì tutt' un ordine d' intuizioni per quante potrann' esser le idee
attraverso alle quali avvien che traspaia l' Assoluto. Or s' egli è così (né
sappiamo dir davvero s' e' sia così), perché aflFermare più d'una volta, esser
necessaria, inevitabile uxìl intuizione perenne e immediata délV Etite
sortitaci da natura e dalla essenza dd nostro spirito? * Se l' intuizione
dell'Assoluto é un atto essenziale, come potrebbe non esser primitivo? E s'
egli é primitivo, non è a reputarsi anteriore logicamente alla percezione? In
sostanza, se l’Assoluto é quegli che ^presenta al pensiero, e' s'ha a mostrare
fino dal primo atto della mente; la quale perciò sarà mente, sarà penessere
qualcos'altro che ne sìa la vital condizione. Evidentemente r acuta pupilla
speculativa del Pesarese non s’è profondata nolla natura di siffatta
condizione. E puro con quest* alchimia e' non dubita credere d* avere una buona
volta composto in armonia 1* antica lotta fra Platonismo ed Aristotelismo ! '
ROVERE dice: « balena con evidenza V intuito cT una poeitiva, immota ed
universale realtà^,, indeterminata e inqualiJiiMta e perciò oeeura e non
deecrivibile, > {Meditaz, Carte».) Non è egli cotesto V ohbiette
intelligibile colto dall* intùito, nulla interpoeita creatura, di che parlano,
per esempio, i seguaci di sant* Agostino, e, fra questi, il Fornarì? (Ved. VelV
Armonia Univ.). Meditai, Cartee, Questa sentenza, come ò chiaro, è in aperta
contraddizione con quell'altra onde il Mamiani afferma e ripete, nulla non
v'esser nolla sua dottrina d'innato, nulla di primitivo. Vedi Riep, al eig,
dott, Akt», Brentazzoli, Bologna] siero, solo in grazia di chi le sta dinanzi.
Ora se il yero, metafisico o no che sia, non è fatto dalla mente, ma da essa
ricevuto, evidentemente il Neoplatonismo di ROVERE viene a contraddire alla
dottrina psicologica del Vico, rompe contro alle severe obbiezioni mosse al
Gioberti, e massimamente soggiace a quella grave difficoltà che Aristotele
oppose al suo gran maestro circa la inu* tilità deir esperienza e de' fatti e
delle percezioni, posto che il vero e l'universale, in che risiede propriamente
la scienza, debba ne' suoi principii derivarci dall'alto e dal di fuori, meglio
che dal didentro/ Se non che, ingegno elegantissimo e ricco di vena poetica,
questo filosofo spesso indovina. Talora infatti sembra non esser l'Assoluto
quegli che determina e significa se medesimo nelle idee; bensì la mente stessa
la quale, generando cotesto idee, determina idealmente, esprime e significa l'
Assoluto : tanto che non sarebbe altrimenti lo splendor divino che penetrando
quasi attraverso gli esilissimi spiragli delle idee ne promoverebbe l'intùito,
ma la stessa virtù riflessa ne verrebbe argomentando r esistenza e la natura
per necessità eduttiva. Ora solo * AbisTm M«iaph.y Mamianì potrebbe dire: il
mio intiiito sta in ciò, che ogn* idea, avendo a significare per propria natura
un obbietto, debba importare un' enistenza etema, ed una $peciaU determinazione
ddVente aMolìtto e infinito. Accettiamo anche questa posizione. Che cosa ne
Terrà? Poiché gli obbietti tignijiecuiei dallo idee non potranno esser altro
salvo cho determinazioni ad intra o determinazioni ad extra delr assoluto,
sorge la necessità di spiegare se 1* intuito s* appunterà verso le une, meglio
che verso le altre. Stando alla dottrina della maboinalb ADS8I0NR e del
toecawtento epirituale, V intuito, non essendo un atto penetrativo, coglierebbe
le seconde anzi che le prime: e quindi, innanzi ogni altra determinazione dell*
assoluto, dovrebbe afferrar quella dell* atto creativo. Or se questo è vero,
parmi evidente come la dottrina del Mamiani su la conoscenza non si discosti
neppur d*un apice, quanValla sostanza, dalla dottrina di Gioberti, il quale non
ha mai preteso che il suo intùito abbia da essere un atto penetrativo. Ma il
termine esterno, il sensato (egli dirà) si ha per via di percenone, Ad un acuto
Qiobortiano qui non tornerebbe guari difAcile cogliere l’autore delle
Oonfe99ioni in aperta contradizione con so medesimo. Nelle Con/e99Ìoni è sempre
T Assoluto quegli che s'affaccia ed eccita e promovo lo spirito al pensiero, e
solo in qualche luogo (per per cotesta via egli avrebbe potuto correggere il
Gioberti, e riconoscere insieme la parte di vero che è pur nelle dottrine
Rosminiane. Solo per cotesta via avrebb'egli inverato il Platonismo, e
dischiuso fra noi un periodo novello di speculazione feconda, razionale,
positiva e, che più rileva, conseguente alla storia della scienza. E solo per
cotesta via non sarebbe incappato nella incoerenza di porre l'assoluto come
uiroOt^tc, e in un'ora medesima dichiararlo oggetto d'intùito. Perocché se con
l'analisi delle idee ci è dato risalire per logica necessità fino a cotesta
uttotsjc;, a me pare che una dottrina psicologica 0 ideologica, la quale invochi
'1 sussidio d'un intuito, sia un fuor d'opera addirittura. Con ciò stesso
avrebbe corretto il valor rappresentativo delle idee, eh' è r altra originalità
cui pretende il Neoplatonismo di ROVERE. Quale attinenza è mai fra l'idea e
l'ideato? Non quella di somiglianza come han creduto balordamente i
Malebranchiani, egli risponde; ma si quella d'una vera e propria
significazione. Eccolo dunque anche qui, senza addarsene, alla famigerata
wa/jo^ix platonica tanto invocata da Gioberti nella sua prima maniera di
filosofare. Nel che il Pesarese, anziché progredire, è rimasto molto indietro
all' autore della Protólogia nella quale, com' é noto, il concetto della
piOiSi; rivelasi improntato d'una forma novella, e, fino a certo segno,
originale. Ma lasciando stare del regresso e dello scadimento notevolissimo che
nella specuhizione italiana ci segnano le Confessioni d' un metafisico ove si
ponga a riscontro lo dottrine del ROVERE (si veda) Mamiani coll’ultima forma
cui s' era levato r ingegno potentissimo del Gioberti, è bene qui accennare
un'ultima osservazione su l' attinenza che il pesarese pone fra le intellezioni
e il loro obbietto) fa trasparire la nuora tendenza cni allodiamo. Ma noU*
opuscolo dì risposta ni BONATELLI (si veda) (Bologna) questa tendenza è pid
chiara, tuttoché manifestata foggevolmente e forse Inconsapevolmente. Dico
inconsapevolmente perchè nelle Meditazioni rinnovate e* ricasca nella solita
presenaialità, nella tolita marginale ndenone^ come ci attestano le sentenze
qna dietro riferite. Le idee importano il divino, egli dice; poiché non sono
fuorché altrettanti simboli, altrettante significazioni dell' Assoluto. Se
questo è vero ne segue che, in quanto simboli e segni, elle non avran valore
infino a che cotesti simboli non siano intesi e interpretati. Macome la mente
potrà giugnere ad intendere e interpretare siffatti segni? Mercé l'ordine delle
percezioni. Or bene, se l' idea non basta a significar sé medesima né a farsi
intendere da sé, evidentemente per noi ell'é come un chiaror confuso, vago,
indeterminato, insignificante, e quindi al tutto inutile alla scienza. D' altra
parte, se l' ordin delle percezioni é di sua natura cosiffattamente limitato da
essere incapace a darci r universale, non potrà non riescire anch' egli
d'ingombro inutile alla mente. Si dirà di poter superare il fenomeno e attinger
la scienza mercé il connubio dell'ordine percettivo con l'intellettivo? Questo
é per l'appuntò ciò che pretende il Mamiani. Ma, se eoa fosse, non vedremmo ad
assomigliare il regno della scienza e delle idee a quello di natura e delle
fisiche efficienze, ove se a due cavalli non vien fatto di tirarsi dietro un
carro vi potranno benissimo riescir quattro? Mamiani afferma non dimostra la
platonica 7ra/)0Tc«: afferma, non dimostra la platonica xotvwvèa. E per tutta
dimostrazione ci annuns^ia che l'idea é significativa, perché? perché havvi un
obbietto nel quale debb' ella necessariamente terminare.Or in che modo
legittima egli cotesto obbietto? Lo legittima, come s' é visto, dichiarandolo
presente^ ponendolo presente! Questo é proprio il nocciolo magagnato del
Neoplatonismo. La preserunalUà dell'Assoluto è un'ipotesi, un'affermazione
arbitraria: ecco tutto.Corte dottrine di ROVERE ci ricacciano addirittura fra i
Plotino, i Proclo e gli Ammonio, appo cai facilmente troverebbe riscontro il
sno concetto del Bene. E chi pigliasse poi a rovistare attentamente nelle
antiche scuole, per esempio nel vecchio e anonimo autore della Teologia
(Rayaibson), potrebbe ritrovar più che un germe della dottrina sn \*influxu$ divintu
che neir Arabismo e anche nella Sco[Concludiamo. Noi abbiam dovuto fare una
critica rapidissima del Neoplatonismo italiano considerandolo segnatamente
sotto l'aspetto psicologico, perchè i tre filosofi di cui abbiamo toccato ci
rappresentano le posizioni più serie, le forme principali ond'il Platonismo
crede attinger l'obbietto metafisico. Rosmini è il meno dommatico, il meno
arbitrario, il piii positivo e quindi il meno platonico fra tutt' i platonici.
Egli pecca nel porre l' essere della mente come ideale; e lo sbaglio di
siffatta posizione vale a spiegarci le contraddizioni in cui spesso ha
inciampato nella psicologia, nonché le gravi manchevolezze nel suo disegno
ontologico su le tre forme dell' Essere. Assai piii di SERBATI pecca GIOBERTI
nella dottrina psicologica affermando l'essere come reale e, che più monta,
come recde determinato. Non meno di GIOBERTI e di SERBATI pecca ROVERE ponendo
cotesto reale come infinito in se, e come presente al pensiero mercè l'
interposizione delle idee. Si direbbe dunque che il Neoplatonismo italiano, in
questi tre filosofi, abbia progredito su la via dell' a priorismo e dell'
iperpsicologismo. Essi han dato tre passi, ma indietreggiando sempre più;
perchè con l'esagerare l'esigenza platonica han trascurato l' esigenza
aristotelica, tuttoché ciascun d' essi abbia creduto d' aver impresso oggimai
un accordo definitivo fra' sistemi de' due vecchi filosofi. L'ultimo
segnatamente, il Mamiani, mostra d'aver progredito assai più di SERBATI e di
GIOBERTI in questa via. Sotto certi rispetti, infatti, il Neoplatonismo del
Pesarese par che confini col Teologismo: talora anzi vi si confonde, chiunque
ripensi a quelle cinque differenti maniere (oltre la sesta della comunione
ideale ond' abbiamo parlato) mercè cui egli stima debbansi attuare gV influssi
divini. E Dio che crea l' anima, e la fa esistere. Ma è anche Dio che le fa
intendere presentandosi a lei attraverso le idee. È Dio che le fa ammirare il
bello, e incarnarlo. È Dio che lastica tien luogo del processut.Vedi lo stesso
Rayaisson. Vachebot, Hi8t, critique de VÉcole d'^Alexandrie, T. II, iv.) le fa
operare il bene e la virtù. Che più altro? È Dio perfino che, disponendola
ineffabilmente, la eccita, la trae all'adorazione. È proprio il regno di Dio su
questa nostra terra 1 E Y illustre Mamiani potrebbe oggi ripetere le pietose e
calde parole del Malebranche: 0 Dieu! exaucez ma prière, après que vous Vaurez
formée en mai! Capitolo Ottavo, continua lo stesso argomento. {Critica del
NeoarigtoteUsmo), Notammo come il principio del conoscere metafisico immediato
ponga radice, per dirla con le parole di Hegel, nel rapporto d' un nesso
primitivo ed essenziale fra il pensiero e T Assoluto, fra il soggetto e T
oggetto/ Àbbiam visto come il Neoplatonismo italiano moderno propugni questa
connessione sotto tre forme più o manco razionali; e come abbia quindi a
tornare assai difficile al Rosmini, e molto più al Gioberti e al Mamiani, li
potersi difender dair accusa di panteismo ideale. Gli estremi si toccano anche
qui. Con la teorica dell' intuizione e deir immediatezza i nostri Neoplatonici
riescono, checché se ne dica, a' risultati cui perviene la dottrina della
mediazimie propugnata dagli altri nostri viventi filosofi, seguaci caldissimi
dell'Idealismo germanico. Dicemmo qual sia la doppia esigenza onde il
Neo-platonismo si divaria dal Neo-aristotelismo quant'al conoscere metafisico.
Per la natura istessa di questa doppia esigenza avviene che, come nel primo,
cosi pure nel secondo indirizzo sono possibili più forme, più maniere, più metodi,
sia che si tolga di mira il modo con che si crede poter attinger l'assoluto,
sia che il risultato ultimo a cui si potrà giugnere. Non « Hegel, Log. volendo
tener conto di quella vieta e volgar maniera di mediatezza che, quantunque
sotto aspetti differenti, fa sempre un salto mortale quando presuma levarsi
dall'effetto alla causa e dal dato alla condizione del dato; possiamo ridurre a
due le forme più generali e comprensive di tal mediazione. Esse, al solito,
risalgono a que' due estremi in che dicemmo sdoppiarsi r Aristotelismo: perchè
anche nella quistione metafisica il primo di cotest' indirizzi ci è oggi
rappresentato dal Positivismo e dal Materialismo; l'uno affermando, nulla mai
non potersi conoscer di metafisico, e l'altro innalzando a dignità d' assoluto
la stessa materia, senza legittimarne menomamente il concetto. Il secondo poi
vuol essei^e anch' egli avvisato sotto doppio rispetto, potendo assumere due
forme che, per due differenti ragioni, rivestano entrambe carattere
iperpsicologico. Si può infatti mantener la posizione d' un. immediato
irradiamento per virtù d'un principio superiore, generale e comune e s' ha uq
indirizzo averroistico; il quale, benché storicamente sìa come un virgulto
sbocciato nel giardino dell'Aristotelismo, può siffattamente svolgersi e
grandeggiare, come nel fatto è avvenuto, da toccarsi e talora confondersi col
Neoplatonismo. Ma, d'altra parte, può assumere forma squisita di scienza, e s'
ha, come ne' tempi moderni, una delle tre maniere dell'Idealismo germanico appellate
subbiettiva, obbiettiva, assoluta. Sennonché è da notare come fra tutt'i
sistemi quello dell'assoluta identità serbi '1 distintivo d'esser naturalismo e
ipei-psicologismo insieme, e racchiudere, co' molti pregi, i moltissimi difetti
dell'uno e dell'altro indirizzo. In metafisica l'Hegeliano è iperpsicologista.
Perocché quantunque non attinga l' assoluto per opera d' un intuito e
d'un'immediata visione più o meno spiccatamente neoplatonica, dice e crede
mostrare di poterlo cogliere quasi d'assalto, come toccammo, cioè per
stibitanea ed assoluta astraeione dd pensiero puro. Dice e crede mostrare di
poter dedurre a tìl di logica la dialettica che per lui costituisce la chiave
di volta d' ogni scibile e d' ogni ordine di realtà.. Anch' egli dunque trascende;
e però anch' egli vizia l'esigenza d'un positivo e severo psicologismo. Ma,
oltreché iperpsicologista, l'Hegeliano è anche naturalista. Checche se ne dica,
la sua logica obbiettiva, la dialettica intrinsecata e compenetrata con la
stessa metafisica, non è altro alla fin delle fini che imitazione e ripetizione
della stessa natura, delle stesse leggi di natura, tuttoché ridotte al grado
più universale e squisito di trasparenza ideale, pura, assoluta, per cui la
forma costituisce lo stesso contenuto, e viceversa. Il perché se l'Idealismo
assoluto, come altrove notammo, è stato detto con felice espressione esser
l’àlgebra dd naturalisino, con altrettanta verità può dirsi essere un' algebra
della psicologia, del pensiero e delle idee; tanto che ci sarà lecito designar
come indovinello d'algebristi (direbbe Vico) quell'assoluto che gli Hegeliani
con miracolo non mai visto fanno venir fuora dalle nebbiose alture della
dialettica. Possiamo dunque affermare che Positivisti e Idealisti assoluti oggi
rappresentino gli estremi indirizzi dell' Aristotelismo. E queste due forme
neoaristoteliche, tuttoché fra Joro si differenzino toto cedo nel metodo e nel
concetto della scienza, nuUameno si toccano ne' risultati, massime in quello
risguardante il valore e '1 destino dell' umana personalità. Chi tien conto
della necessità d* ìndole tutta fisiologica ed empirica secondochò è intesa da'
positivisti e da* niaterìalisti, e della necessità tntta dialettica ideale
assoluta com'è concepita dagli Hegeliani, tosto 8* accorgerà d' un* altr’
attinenza fra queste due tendenze della moderna speculazione. Il dinamismo
noli* essere, nelle cose, nella scienza e nella storia, sparisce cosi per 1*
una come pet 1* altra dottrina. Meccanismo ideale, come dicemmo, e meccanismo
fisiologico e materiale: necessità logica e formale, e necessità empirica e
meccanica; ecco tutto. Oggi dunque potremmo affermare dell'una e dell'altra
scuola ciò che Aristotele diceva de' pittagorìci e de' platonici: 'A).Xa yiyovi
roì fiscBrifixrcx. To?c vvv >j ^tXoao^ia {Metaph.) Cosi Hegeliani e
Positivisti, come avvertimmo nella Introduxione, tuttoché movano da due punti
Uh loro interamente diversi ed opposti, riescono pur nullamanco fid una
medesima legge. E come al Platonismo primitivo tenne dietro la scuola di Rifacciamoci
da' Positivisti, i quali, ove discoiTono intorno al problema del conoscere
metafisico, non mostrano quella serietà scientifica della quale non pertanto
vanno lodati quando parlano de' principi! metodici da applicarsi alle scienze.
Quant' al problema d'una realtà metafisica e' non sofirono d'esser messi in un
fascio con gli scettici sistematici e co' nullisti; e, davvero, non han torto.
I Positivisti infatti ci parlano d' un Inconoscibile. Dunque essi confessano V
esistenza d' un obbietto trascendente. Ma come legittimano cotest' obbietto?
Come ne determinano l'idea tosto che ne parlano? I Positivisti francesi ne
discorrono, ci piace ripetere anche qui la frase, come d' un oceano immenso
doni la daire vision est amsi salutaire que formidable.* I Positivisti inglesi
poi ci porgono un concetto più determinato di cotesto Deus àbsconditus,
àicenàoìo potenza, forzc^ di cui V universo è simbolo e manifestazione} Il
positivista francese qui, com' è evidente, s' addimostra pili positivo, 0
meglio, più negativo dell'inglese, e quindi più timido, più circospetto, più
scettico di di Speusippu cbe radiò addirittara il numero ideale (yortroc,
sc^yjtcxo;) sostitueodoTì il nunioro sensibile appunto perchè queir idea come
astratta e generale parevale cosa inutile (Arist. Metaph,, Rataibbon,
i!^>eu9ippe); parimente oggi Positivisti e Materialisti, in luogo dell*
/iea, pongono' II Fatto e la Materia; e cosi mentre negano V Idealismo
assoluto, mostrano d'arer con osso doppia ed intima relazione, una storica e
l'altra teoretica. La storia del pensiero filosofico progredisce, non v'ha
dubbio: ma anche nel progredire si ripete. Ecco qua -una prova, chi vuol
vederla. E. LiTTBi, A, Comte et la Phil. Poeit. Per quanto negativo, nullameno
questo concetto del Littré su V Assoluto è una correzione deir idea del Orand'
Eetere intorno alla quale con tanta vuotaggine avea finito per arzigogolare
Comte. Spencer, Firft Prìnci^ee^ Alcune idee di questo scrittore su V obbietto
metafisico superano quelle di St. Hill. L’Autore del Sietema di Logica parla
del soprannaturale, come notammo in altro luogo, da schietto formalista, senza
poterlo quindi legittimare in altra guisa che per empirica credenza. (Ved. A,
Comte et Le Potitivitme) La relatività del eonoecere per lui non è, a dir
proprio, quella di Spencer, e neanche quella de* Positivisti francesi. Vedi il
novero eh* egli stesso fa de’diversi modi con che può intendersi la relatività
della conoscenza nella PhiL de Hamilton, ed. cit. e. I. fronte alla scienza: ma
le contraddizioni in che restano entrambi avviluppati son le medesime. Anch'
essi infatti, i Positivisti, obbediscono e rendono omaggio al bisogno
speculativo che punge ed eccita continuo il pensiero filosofico, stantgchè non
solo riconoscono la realtà d' un oggetto trascendente, ma lo determinano, lo
pongono, lo specificano in qualche modo. Che cos'è, per esempio,
l'Inconoscibile onde ci parla l'illustre Spencer? È il fondo occulto delle
religioni, e insieme l'estremo termine a cui riescono le scienze. Le religioni
pongono tale obbietto per virtù d'istinto: le scienze lo subiscon per legge del
proprio svolgimento. Tra fede e ragione, perciò, non v'è antagonismo:
l'Inconoscibile n'è l' obbietto comune. Conciliarle dunque è possibile, tosto
che s'abbia diffinito le idee madri onde scienze e religioni sono inviluppate.
E poiché le une in sostanza Aon fanno che riconoscere ciò che le altre
contengono ed esplicano istintivamente, ne segue che lo spirito umano' per
mezzo della scienza perviene là ond' egli stesso era partito con la fede, cioè
all'Inconoscibile. Il pensiero del filosofo inglese è chiaro e spiccato, ma non
altrettanto vero. Innanzi tutto: perchè le religioni e molto più le scienze non
potranno pervenire a render conoscibile in alcun modo l' Inconoscibile di cui
pur confessate la realtà? Forse che tale impossibilità, ripetiamolo, non
contraddice apertamente all'attività critica del vostro pensiero speculativo,
alla stessa esigenza del vostro metodo critico e positivo? Non dubitate
affermarlo esistente cotesto Inconoscibile. Giungete anzi a determinarlo come
forza di cui l’universo è manifestojsnone. Or bene perchè non dare un altro
passo? Perchè non ispecificar l'attinenza eh' è tra l'Inconoscibile e '1
conoscibile? In altre parole, domandiamo: col porre i termini, non siete già
nella necessità logica di mostrarci in qualche maniera la relazione di essi,
dirci quale attinenza interceda per avventura tra la forjsfa e la sua
manifestazione, quale sia il vincolo che annoda insieme la potenza e l'universo
onde quella potenza è simboleggiata? Brevemente: siete qui in una forma di
panteismo, o di teismo? Il Positivista non risponde; e pur dovrebbe: dovrebbe
se davvero amasse mostrarsi ed esser positivo. Inoltre, l'Inconoscibile onde
move la fede, e Finconoscibile cui giugno la scienza, dice lo Spencer, sono una
cosa. Ma perchè? Perchè col prodotto confondere due facoltà fra loro diverse?
L'Inconoscibile della fede incontra un limite invalicabile in questa o cotesta
intuizione particolare in cui l'Assoluto è compreso dal sentimento religioso appo
un dato popolo, e presso una data civiltà. L' Inconoscibile delle scienze,
invece, è l' inconoscibile di ragione; e, come tale, non può restare
perpetuamente indeterminato, pel solito motivo che, ove rimanesse cosi
necessariamente, l' indagine positiva annullerebbe sé stossa; e annullerebbe sé
stessa perchè r esigenza critica non sarebbe altrimenti un' esigenza invitta,
naturale, un irresistibile e crescente bisogno speculativo. Ora se il contenuto
della fede è condizionato ad una forma speciale; se per la natura stessa della
funzione psicologica ond' ei rampolla riman chiuso e quasi cristallizzato nella
particolarità d'un sentimento: perchè, domandiamo, voler condannare alla
medesima sorte l’Inconoscibile delle scienze? Perchè così inesorabilmente pretendere
di segnare i confini alla ragione ponendo limiti all' attività del pensiero
speculativo, eh' è pur la forza più libera dell'universo? Non è anch' ella,
cotesta, una forma di dommatismo? 11 PositiTÌsto dirà: tosto che voi pigliate a
determinare Vlitcono9cihile, siete già beli e uscito dalla scienaa^ e cadrete
nella metafisica. verissimo: questo accade, e questo appunto deve accadere.
Altrove mostrammo come ciascuna scienza, come tutte le scienze, riescano
inefftcaci nel tentare la soluzione di certi problemi, segnatamente nel
determinare il concetto dell’Assoluto. Il Positivista che è tutto scienza e
solamente scienza, da una parte ha paura della speculazione, mentre dall* altra
sente il bisogno di determinare in qualche modo cotesto assoluto, e lo determina,
per esempio, alla maniera di Spencer o del [Concludiamo quant' a’ Positivisti.
Il Positivismo gallico rispetto al conoscere metafisico ci dà un Immenso
indeterminato; un Incondizionato reale, il positivismo inglese poi, facendo un
altro passo, determina vie più cotesta ignota realtà, e giugne ad affermare che
le forze, la materia, il movimento, la vita e l'universo non siano fuorché
simboli e rappresentazioni. Altre affermazioni d'altre maniere di Positivismo
che pongano T assoluto senza penetrar nel regno della metafisica^ io non
conosco;ne, a dir vero, sono possibili.* Littré con offesa apertissima della
logica. Ora, chi non voglia offendere non pur la logica ma neanche il hnon
senso, e insieme salvarsi dalla contraddizione, dove altro può penetrare,
uscendo dal regno delle «ctetue, fuorché in quello della tiietajUiea^ ma della
metafìsica intesa non già come scienza/>rtma, anzi ultimaf Determinare in
qualche modo la Potenza di cui r universo è manifestazione; specificaro questo
Immento formidàbile e pvr •alutare oltre cui non sa penetrar rocchio dello
Scienze ma della cai realtà nessuno che abbia mente sana potrà dubitare;
cotesta impresa, diciamo, non è né impossibile nò puerile, altro che per gli
animi volgari, incuranti e stupidi. La relatività nel conoscere non ò muro di
bronzo; non è oceano assolutamente sconftnato. Il conoscere metafìsico è
possibile; ma ò possibile come aesolato e come relativo insiememente. È
a«eolutOf nel senso che salva il pensiero dal nullismo metafìsico; ed è
relativoj nel senso che non istringe la mente entro la rigida catena d* una
formola sistematica. Se intanto ò vero, come dice Spencer, che tra V
Inconoscibile delle religioni e V Inconoscibile delle scienze non esiste
antagonismOy no viene che, fra gli altri fini, la speculazione metafisica debba
pre» figgersi anche questo: trasformare la fede, interpretar la credenza, porre
a nodo il germe delFidea che pure si s voi ve attraverso le produzioni mitiche,
superare il sentimento riducendo l'immaginazione a ragione secondochò richiede
il processo psicologico, e siffattamente porgere guarentigie sperimentali
all'inveramento della scienza mercè le applicazioni storiche in generale. In
questa rapida critica su la tendenza metafisica del Positivismo non abbiamo
tenuto conto dell' Umanismo di FRANCHI, e del suo Dio ddV Umanità che nega il
Dio detta Bibbia {Razionalismo del popolo, Ginevra), e neanche del Fatto della
vita, àeW Istinto ài cui parla FERRARI {Filosofia della Hivol.), perchè non ci
paion concetti scrii, né degni di critica seria. Quando s' è detto che il Dio
Umanità^ che la Vita della storia con tutte le sue leggi non sono che due fatti
i quali perciò abbisognan d'una spiegazione, s'è detto tutto. Ora a cotesta
qualsiasi spiegazione non sanno e non vogliono accostarsi questi due
arditissimi scrittori per paura della metafisica; e però non sono positivisti,
L' uno è critico, non Criticista, com' egli pretenderebbe giacOr bene, la
filosofia positiva, la speculazione razionalmente positiva, accetta, deve
accettar l' una e V altra posizione de' Positivisti inglesi e francesi, perchè
ci rappresentano entrambe uno sforzo di metafisica, perchè sono entrambe un
preludio alla metafisica. Se non che esse sono una metafisica incosciente, una
metafisica negativa, perchè sentono ma non soddisfano l'esigenza speculativa.
Come dunque soddisfare all'esigenza davvero positiva nella speculazione
trascendente? Evidentemente bisognerà appagarla superando il negativo,
superando quel sazievole non so, quel non mi preme sapere quel non si può sapere
che ad ogn' istante e con incredibile noia ci ripetono i Positivisti, ma nel
medesimo tempo restare nel positivo. E qual è il positivo in metafisica? Lo
dicemmo già, e lo ripetiamo: schivare gli estremi; perocché il nemico mortale
della positività metafisica son le colonne d'Ercole del tutto sapere, e del
nulla sapere metafisico. Se quindi la vera filosofia positiva ha da accettare
quel che il Positivismo ci dà e nel medesimo tempo superarlo in forza dello
stesso metodo positivo, deve accogliere l' esistenza che il crìticista, il vero
Kantiano affinchè sia tale, dehb' esser tutto d*un pezzo, dero accettare anche
i sommi pronunziati della Ragion Pratica, Ausonio dunque è un puro critico, un
critico sottile, è il doctor mbtilissimwi de* dì nostri, abile scaltri mai a
trovare il pel neir uovo neMibri altrui, ma non così nel dare una dottrina, una
teorica propria, fosse pur la teorica del giudizio. FERRARI invece è scettico
sistematico meravig^lioso nell’accatastare erudizione come nel distrugger
sistemi, ma nullista in metafisica al pari d’Ausonio. Costoro perciò son fuori
d’ogni forma di platonismo e d'ogni forma d'Aristotelismo; e se ne vantano; e
se ne gloriano: e si sortano pure! Ma non sono fuori della storia, chi sappia
che cosa voglia dire storia della scienza e della filosofia. FRANCHI e FERRARI
hanno esercitato fra noi quella funzione, parte benefica e parte malefica, che
viene esercitando lo scetticismo in certi dati periodi storici; funzione al
tutto negativa, ma necessaria. Ma la storia dovrebbe insegnar loro due cose:
che il l)Ì80gno speculativo è uu gran fatto, e che la possibiltà d' una
metafisica positiva non è un sogno. A questi critici e scettici, di cui fra noi
oggi non è penuria, opponiamo un dilemma invincibile do) BERTINI su la
possibilità di rintracciare un principio metafisico. (Ved. La\ FU, Greca prima
di Socrate, esposiz, storicocritica) d' un* ignota realtà in quanto è Potenza e
virtù dell' universo, ma legittimarla. Così il metodo positivo, assumendo valor
critico e razionale, non più sarà l'esagerazione d'uno de' due estremi
indirizzi dell'Aristotelismo, ne contraddirà'altrimenti alla sua posizione
media, anzi varrà a confermarla, ad inverarla, ad esplicarla sempre più.*
L'opposto indirizzo del Neoaristotelismo dicemmo esser THegelianismo.
L'Hegeliano si oppone al Neoplatonico, perchè non accetta veruna sorta d'
immediatezza nel conoscere metafisico. Si oppone al Positivista e ad ogni
maniera d' empirismo, perchè non può accoglier la nozione d' un assoluto
portoci dalla coscienza volgare, empirica o dommatica ch'ella sia. Qui egli ha
pienamente ragione. Ma qual è la sua via? Qual è il suo metodo? Dov'egli mira?
L'abbiamo detto: l'Hegeliano riconosce l' assoluto, ma lo riconosce ponendolo,
facendolo;e lo legittima per necessità tutta dialettica. Lo pone e lo fa non
perchè ci è, anzi perchè ci ha da essere; e per ciò nessuno potrà dire eh' e'
ci sia prima che il pensiero s'accinga a farlo. Di qui una conclusione
singolarissima: Tutto ciò che esiste, è anteriore a quello per cui virtù solamente
egU è possibile e reale! Ma non anticipiamo. Che cos' è dunque l'assoluto per i
neoaristotelici iperpsicologisti? Là risposta non è sì facile per noi quant'
avrebbe da essere per loro. L' Assoluto è il Tutto: è l' assoluta e immanente
relazione: è la relazione della relazione: lo Spirito. E così pure ?a in forno
T affermazione del Littbì: c qui e»t mitapKyne»«n, iCe»tpa9 po9ÌiivÌ9U; qui ett
positiwtefn'ett pa$ métaphyiieien (Princip, de Phil. Ponit. par A. Comte, Préf.
d^un ditdple) Noa senza ragione un nostro acutissimo hegeliano (Dr Mris, Dopo
la r^aureOf voi. I.) chiama Hegel V ArÌ9ioule moderno. Ma qual ò proprio V
Aristotole rappresentato dal filosofo di Stoccarda V Ecco il punto! U nostro
valoroso e carissimo professore, questo Oariholdi deW Hegdianimno come altrove
r abbiamo chiamato, non ammette che un solo Aristotele, il suo Aristotele!
'L'assoluto, dice un fodol ripetitore di Hegel, non è questo o quello, r
identità o la differenza, ma il tutto nella differenza e neil' unità tua, E il
conoscere assoluto poi sta nel porre i termini, nel mostrar Sennonché, in
cotest' assoluta relazione, in cotesto centro eh' è anche circonferenza, è pur
d'uopo cominciare. Da qual parte rifarci? Qual è il Primo? Eccoci nel cuore
dell' Hegelianismo: nella più alta e nascosa fortezza dove già da un pezzo la
breccia è stata ajiertaper opera degli stessi tedeschi, massime dal
Trendelenburg. All'assoluto, essi dicono, si perviene solo per medicunone. Ma»
cotesto lavoro di mediazione, come s'inaugura e perchè? A siffatto processo va
innanzi un momento d' assóltUa e subitanea astrazione} Col subitaneo astrarre
il puro pensiero pone. Che cosa? Pone Vinse, l'Essere, o meglio
l'Indeterminato. L'indeterminato non è soggetto né oggetto; non è pensante né
pensato: ma è qualcosa oltre cui non si può andare, e senza cui nulla non sarà
mai possibile, e mercè cui tutto sarà attuabile: l' idea assoluta, l' etema
nozione {der ewige Begriff.y Ecco Vàbsólute Prius, il Vero primo, e però il
vero Fatto.* La prima osservazione che qui sorge spontanea è la seguente.
Cotesto Indeterminato è cosiffatto, che non si può nemmanco pensare: perocché
ove accanto a lui fosse come s* oppongano fra loro, e come e perchè, opposti,
si concilino. (Vkba, Introd, alla Log. di ffegel). ~ 1/ assoluto, dico un altro
Hegeliano, non è Tldea, non la Natura, non lo Spirito, ma è VldeaNatura-t^rito;
la rdoMÌone dtlla relaztotie; VindifferenMa differenxiata indifferentemente
(Spaventa, Le», di FU.) Il vero abeolute Priue è 1* attività, il pensiero, lo
spirito: non TEnte che come puro essere è PremppoHo cominciamento; ma il
Ponente, vero Principio, che ò lo Spirito. FiL. di GIOBERTI. SPAVENTA ne
chiarisce il pensiero cosi: Io mi levo aU^eeeere per una riaoluMtone immediata
f per un'auoluta a$trazione. {Le Categ. della Log, di ffegd). Hrgbl, Log, voi.
I, Jntrod. L* Indeterminato per SPAVENTA è il È proprio uno scherzo, un
indovinello da algebristi ! Dunque, mi si chiederà, nel ^an sistema è egli
ripudiato V elemento della differenza? Tutt* altro. 611 Hegeliani anzi in ogni lor
libro, in ciascuna lor pagina s* affannano a mostrare e giustificar co* fatti
cotesta legge tanto necessaria air organamento della dialettica. Ma quanto i
Gesuiti non s’arrapinano anch^essi a parlarci di libertà di pensiero e di
coscienza? K pure chi non sa come la libertà vera per costoro sia la schiavitù
al Sillabo e al Domma, per cui la ragione è libera solo in quanto è assorbita
dalla fede? Tal si è il diverso per gli Hegeliani: un fuor d* opera. E* ne
parlan sempre, ma alla fin delle fini poi si trovano ingoiati nelr identico.
L'alterità che scorge Hegel nel suo pensierpuro è (ripeto la sua frase)
ineffabile e assolviamente vuota. Or una differenza assolutamente vuota non è
forse indifferenza, cioè non differenza, identità, vuotaggine addirittura? E
dato ci sia cotesta differenza, sarà ella di natura metafisica, o non piuttosto
logica? E una differenza non metafisica, domanderò, sarà ella vera differenza o
non più veramente semplice distinzione? Ecco la ragione per cui l'Idealismo
assoluto non può riescire a dimostrare l'oggettività della conoscenza, e
salvarsi dal pretto formalismo ond' è tutto magagnato. Che se poi la gran
pretensione sta nel volerci dare la scienza assoluta, e 'sarebbe d'uopo,
ripeto, che la logica, proprio come logica, fosse la metafisica; talché col far
l'una si farebbe anche l' altra, e così potrebb' esser risoluto l' arduo
problema dell' oggettività. Invece il più valoroso de’nostri Hegeliani come
rispond'egli a questo proposito? Se n'esce pel rotto della cuffia dicendo. Tale
oggettività non d un problema logico: la logica ami la presuppone, (SPAVENTA)
La presuppone? Mi par di sognare! Se dunque è così, la conseguenza chiara come
il sole, almeno per noi imbarbogiti sempre più nella vecchia logica
aristotelica, sarà questa: che la logica, grande o piccola che sia, subbiettiva
od obbiettiva che si voglia, non sarà e mai non potrà esser quella che ci si
vuol dare ad intendere, la chiave, cioè, del grand' edlfizio, il fondamento a
priori dell'enciclopedia, la vera metafisica del conoscere. Nò qui vale invocar
la Fenomenologia qual propedeutica atta a dimostrare 1’oggettività, come fa' lo
stesso Spaventa. Cotesta invocazione anzi è una ragione di più per dichiarar la
logica degli hegeliani una tela di ragno. Perchè se la Fenomonalogia ha da
esser la propedeutica necessaria della Logica, il processo a priori e assoluto
nel costruire la scienza diventerà una parola [LIB. H. della nuova loj^ica, s'
è provato a schiacciarlo. Ci è riescito? Un vizio magagna tutta la logica
hegeliana, dice anch' egli; ed è vizio d'origine, in quanto che pone radice
nelle viscere stesse del momento astratto, e propriamente nel concetto
dell'Indeterminato. L'Indeterminato è un equivalente comune dell' Essere e del
Non-essere, dell'Idea e del pensiero, dell'astratto e dell'ASTRAENTE. Di fatto,
che cosa mai sono cotesto Essere e cotesto Non-essere? Ei son cosa
indeterminata; ma non sono lo stesso Indeterminato. Se fossero, la difiFerenza
tornerebbe davvero impossibile (difetto radicale dell'Idealismo obbiettivo dello
Schelling), perchè avrebbe a sgorgare dall'identità. Che se non fossero la
stessa cosa, tornerebbe impossibile il contrario, cioè l'identità. Essere e
Non-essere, dunque, sono un medesimo, è vero, ma solo in quanto indeterminati,
non già in quanto indifferenti. Essere e Nulla sono lo stesso, ma non come
essere e Nulla. Una prima osservazione potrebb' esser questa. Se tra r Essere
e'1 Nulla havvi identità e diiferenza; idenYuota di senso, an a priori che non
è a priori, e perciò un* ironia, come dlcovamo poco fa. Ancora: se la Logica in
cotesto processo a priori ha da pretuppoire la Fenomenologia, ne segrue che
l’una di queste due scienze non potrà essere altro che imitazione, ripetizione,
copia, copia anche ridotta al grado supremo di trasparenza ideale, ma sempre
copia deir altra; e quindi s'intoppa nella solita conseguenza, che cioè la
conge?natura dialettica hegeliana, anziché una metafisica, sarà un pretto
formalismo, un assoluto soggettivismo. Che se la Logica prewpponendo
necessariamente la Fenomenologia non può non essere altro che una copia
trasparentissima di questa, non sappiamo dir davvero che cosa gli Hegeliani
avranno da opporre al metodo di certi Teologisti i quali pigliano a discorrere
della natura di Dio appoggriandosi nelle leggi psicologiche, ricopiandole,
ripetendole e trasportando così la psicologia nella teologia. Del resto, sul
significato e sul fine e sul valore della Fenomenitlogiat i seguaci di Hegel,
com*è noto, navigano pur troppo in opposte correnti neir interpretar la mente
del maestro. È d' nopo dunque che innanzi tutto e s’accordino fra loro e ci
sappian dire se la Logica sia davvero la scienza madre, la scienza davvero o
priori, ovvero abbia da presupporre qualcos'altro dinanzi a sé. In entrambe i
casi le difficoltà saranno insormontabili. * Spatbmta, Le prime Categ, ecc.
loc. cit. tità perchè entrambi indeterminaéi, e differenza perchè entrambi
indifferenti; io domando: cotesto indifferente non è già di per sé stesso un
indeterminato, cioè non differente, cioè non determinato? Dìinqne Isl
differenza di cotesto indifferente è una parola com' un' altra; un pio
desiderio: perocché, ripetiamolo, se l'indifferente è irrélativo, sarà per sé
stesso irrazionale, sarà il nulla, sarà il nulla addirittura: quel nulla che,
come dice il Vico, non può cominciar nulla, e nulla terminare: vuotaggine, e
voragginel Ora piuttosto che dirlo un absclide Prius cotesto Indeterminato, non
vuol esser anzi ritenuto come un vero capui mortuum, incapace a costituir la
scienza perchè incapace a far cominciare il pensiero?" Sennonché il
Professore di Napoli, nel corregger V Hegelianismo, par che voglia uccidere il
verme velenoso procacciando mostrare che il diverso ponga radice nel Nulla, ma
nel Nulla inteso non già com' essere purissimo, astrattissimo, scioperato,
bensì come astraente, come NuHa-pensiero il quale, perciò, non cessa né può
cessare d' esser pensiero. Or bene, l' illustre uomo così non risolve, ma
sposta la grave difficoltà del Trendelenburg. Egli riesce a mettere un po'di
calcina alla breccia, è vero; ma senz'addarsene poi n' apre un' altra non meno
fatale della prima, perché l' intrusione del diverso è sempre lì duro a
chiedergli ragione di sé. Infatti, s'egli considera l'Essere come un in sé, e
considera come un in se anch' il Non-essere; non v' è nessuna ragione al mondo
perchè non abbia da riguardare anche come un in se il connubio de' due termini.
Intanto che cosa fa il dotto filosofo ? Giusto nel momento che s' hann' a
decider le sorti della logica obbiettiva, giusto nell' istante supremo RÌ9p, al
Oiom, de* Leti., T, IL. Si dirà: è indeterminato anche il vostro intelli^bile,
la {«ce metafisica del vostro filosofo. Verissimo, io rispondo: ma tra il
nostro indeterminato e quello degli Hegeliani corre tanto divario, quanto fra
un oggetto posto da natura, e quello colto d'oMatto; fra T oggetto originario
intuito, e r oggetto afferrato por risoluzione astrattiva. Veggasi quel che s*ò
discorso nella sezione in cui la logica dee poter rivestire natura e valore di
metafisica, egli cangia bruscamente posizione, e invoca il pensiero, invoca 1'
astraente, invoca l’astrazione, e cosi dileguatasi a un tratto V obbiettività,
ci fa divagare nel mondo delle pure forme, ed eccoci di bel nuovo ricacciati e
ravviluppati per entro alle fitte maglie della tela di ragno! Dunque (mi si
chiederà) a voler penetrare sul serio nel regno metafisico, nel mondo delle
Menti e di Dio con metodo razionalmente positivo, chg cosa è da fare? Il da
fare è manifesto: bisognerà che il connubio de' due termini, cioè il divenire,
sia quel medesimo che sono cotesti suoi termini, dal cui annodamento esso dee
pullulare. In altre parole, bisogna eh' e' sia da sé, che sia per sé, che sia
mediante se. Fa d' uopo, insomma, che r Essere (ripetiamo volentieri la bella
frase del Trendelenburg) sia dialettico, ma dialettico davvero, non da burla;
dialettico nel verace significato della parola, e quindi atto a moversi da sé
medesimo, anche senza il vostro pensare, anche fuori del vostro pensare. Cosi
gli Hegeliani potrebbero schivare qualvogliasi intrusione; e così (e solamente
così) potrebbero conseguir quella che tanto essi desiderano, la scienza
assoluta. Ma questo non ha fatto Hegel; e questo non ha fatto Spaventa benché
con tanto acume siasi adoperato a rammendar lo strappo micidiale che con abilità
di grande maestro ha saputo operare il dottissimo Trendelenburg nella logica
hegeliana. E perciò il sistema delF identità assoluta è, e resterà in perpetuo,
come é stato appellato nella stessa Germania, il monismo del pensiero (monismi^
des Gedenkes). Abbiam detto che l' impossibilità di mostrare il principio della
difierenza nel regno della logica fa sì che il passaggio al mondo della natura
si manifesti arbitrario, illusorio, fallace. L'idea logica, dice VERA, è la
Idea cieca, l’Idea senza coscienza né pensiero, la nuda possibilità: in somma é
l'Idea, ma non l'Idea dell' Idea. In cotesta imperfezione logica sta proprio la
ragione del passaggio alla natura, e quindi la sua legge, e la sua necessità.*
Dunque, in altre parole, perchè r inderminato è indeterminato, perciò diventa
determinato ; perchè è possibile, perciò diventa reale; perchè è privazione,
perciò h posizione. Eccoci alla tt-ostc? aristotelica. Ma dicemmo che la
privazione non è negazione, non è vaga e astratta indeterminatezza, non è pretta
potenzialità, ma energia, principio positivo, e potenza feconda (to' ^uvarov).
Or l’idea dell’Idea di cui parla VERA, è qualcosa d'assolutamente potenziale e
d'indeterminato; è una possibilità logica, il to' ev^e^opevov, non già il tò
^uvktov, e quindi, meglio che principio positivo, è negazione d'ogni principio.
Come dunque principia e fa principiare? Come passa e fa passare? In-, somma,
com'è che diventa?* * Hegel, Log., Introd. n divenirey osserra il medesimo
traduttore, compie la a/era ddV E98ere e del Non-esaerey e forma ti passaggio
alla sfera ptù concreta dell' Idea, dove per novelle addizioni V Essere e il
Non-essere diventanoy o meglio son divenute qualità, quantità, essenza. (Log..)
Ma come fatte, da chi Jhtte e perchè fatte coteste novelle addizioni? Data la
sfera dell* Essere, del Non-essere e del Divenire, si passa tosto e
necessariamente alla sfera concreta del medesimo e del diverso... Ma come si
passa? Chi vi dà il diritto d'affermare cotal passaggio? Torniamo a domandarlo:
siamo qui fra* contraddittori, ovvero fra* contrari? Siamo fra nn termine posto
ed un altro opposto, o non più veramente fra il puro pensiero e il soggetto
determinatissimo e vivente che dicesì naturai Per quanto si faccia, la sola
relazione logica e la sola necessità logica torneran sempre inefficaci, e però
Hegel (secondo la severa critica dello Stahl) non giunge mai ad un mondo reale.
Egli passa dal puro pensiero alla Natura perchè? Perchè l'uno dee negare sé
stesso ponendo l'altro, l' opposto. Ora il carattere dell'opposto, della
Natura, non è la realtà, la sostanzialità, la causalità (attribuiti già allo
stesso pensiero puro), ma è la negazione dell'essere sostanziale, reale,
causale. Che cosa dunque rimane alla Natura? La semplice determinazione del
tempo e dello spazio (Ved. Enciclop). Or per qual ragione si dovrà ammettere
che questa natura estesa e temporanea debba esistere attualmente, che, cioè,
sia reale e non semplicemente pensata come estesa e temporanea, socondochè ci
accade ne' sogni? L'opposto del pensiero puro è la Natura solo come temporanea
ed estesa: ma per aver 1' opposizione forse che non basta pensarla come tale?
L^ Idealismo oggettivo di Hegel (conclude lo Stahl) non è meno di quello
soggettivo di Fichte un puro mondo di sogni: Tunica differenza ì che vi manca
ehi sogna, » {FU. del Diritto. A. quest' ultimo e severo giudizio dello Stahl
ci piace qui aggiungere quello d' un altro Parlando dell'Idealismo assoluto non
possiamo dispensarci dall' accennar poche cose, quant' occorre al nostro
proposito, sul suo organamento generale, e su le sue relazioni storiche col
Platonismo e con V Aristotelismo in generale. Gli Hegeliani riconoscono che il
mondo si svolge per una legge interna anziché per un caso o per necessità
ineluttabile e geometrica, come pensano gli Spinozisti ne' tempi moderni, e
come pensavano gli Epicurei in antico. L' Hegelianismo racchiude una grande
idea; l'idea del processo, che vuol dh-e d'un fine da conseguire con pienezza
di coscienza, di libertà, di razionalità. L'Idealismo assoluto, quindi, anziché
cieco meccanismo e fatalismo ineluttabile, parrebbe un essenziale e profondo e
universale dinamismo. Ma eccoci al punto 1 Al di là della natura, ci si dice, è
l' Idea che per ogni conto è indeterminata e potenziale: al di qua poi ci é lo
Spirito, eh' é l' Idea dell' Idea. Ora abbiam visto come la Natura non si possa
movere per l' Idea, perchè ninno potrà mai dare quel che non possiede. Tanto
meno poi si potrà movere per lo Spirito, perchè lo Spirito vien posteriore alla
natura, e le si sovrappone. Ck)me dunque movesi cotesta Natura? Per necessità
logica. E quale è il fine, quale il motivo ond'é spinta, eccitata, illuminata?
La razionalità. Or non è ella cotesta una forma di fatalismo cieco e geometrico
che, quant' a' risultati, non si divaria né pur d'un apice dallo Spinozismo?
Qual differenaotoreTole scrittore su* difetti sostanziali deiridealismo
assoluto. « Non 9% pud leggere Hegel tenxa chieder9Ì ei ragioni ttd terio.
Spesso cade ntl fatalismo y nella personificazione, e, leggendolo, par d’assistere
alla /ormatone d’una mitologia, alla genesi di un mondo che somiglia qtuilo
degli Gnostici, in cui avviene che le idee piglino corpo, marcino^ e subiscano
le piti svariate vicende. (SoBRRERt M^langes rf* Histoire religieuse). A
proposito della Logica hegeliana poi ci sembra notevole questa sent-enza d*ano
che se ne intende, e che per il solito è temperatissimo ne’suoi giudizi: Higd
n’a pas renouveU la seience, comme Venthow situme de ses disciples Va parfois
prodanU; il Va dénatwée, malgri les avertissements de Kant, et en la faisant la
premiare des seiences, ou pour mieux dire la seuU scienoe, U Va tuée, (I.
Babthìlkmt Saikt-Hilaibie Logique d^Arisiote, GL, Pré&ce.) za, infatti, fra
la necessità dialettica e la necessità matematica, fra lo Stoico l’ Epicureo lo
Spinoziano e l’Idealista assoluto fuorché la coscienza, in quest' ultimo, della
razionalità, eh' è dir la coscienza e la trasparente visione di cotesta
superiore, arcana, invincibile, ineluttabile necessità?^ Quanto poi alle sue
relazioni storiche, notammo già come r Hegelianismo distinguasi da ogni altro
sistema per la«pretensione di volerli tutti accordare e tutti compiere e tutti
inverare. E poiché guardando al modo generale onde si suol determinare il
fondamento assoluto delle cose, tutte quante le soluzioni metafisiche possono
esser rimenate ai due indirizzi del Platonismo e deir Aristotelismo, così gV
Idealisti assoluti, con la dottrina delia Idea e quindi del metodo dialettico,
reputano d'esser finalmente pervenuti ad accordare l'esi[Nò Tale che alcuni fra
i più intelligenti Hegeliani^ stimando dMnterpretar meglio la mente del
maestro, riguardino i tre momenti del processo assoluto, nonché i tre termini
del gran sillogismo, come in un sol momeìUo^ cioè nella loro immanenza,
nell'attuale ed assoluta relazione, vomire nella immanenza àeWIdea della Natura
e dello Spirito dandoci così a credere che cotesta non è altrimenti la
metafisica della Idea immobile e irrigidita, e neanche della Mente, e tanto
meno poi dell* Ente, ma si la metafisica Tera perchè metafisica dello spirito.
Con l’aggiugnere al concetto del processo e del reale divenire quello
dell’immanenza, panni che le difficoltà, anziché scemare, crescano. Fra que*tre
momenti e que*tre termini, infatti, una relazione caueale è ineyitabile, essendo
verità troppo antica ed altrettanto irrepugnabile, che la catua ì per la tua
e$9enta avanti V effetto (Twv yàp fiéd^v^ wv coriv l5« xt etrj^oirov xae'
o/BOTfjOov, ocva^xacov givat tÒ zrpórspoy airtov t«5v /xct' auro. Arist.,
Metapk.). E questo principio rlbadiscon oggi per Tia sperimentale tutte le
scienze naturali e fisiche, mostrando ad evidenza come la natura fisica, nello
svolgimento cosmico, preceda alla comparsa del regno vegetale, il vegetale
(secondo alcuni) all'animale, e air animale rumano. Come dunque persistere a
farci erodere aW immanenza del ternario f Come scaldarsi tanto per darci ad
intendere che V Idea i insieme Natura e Spirito e che la Natura è insieme Idea
e Spirito f È metafisica positiva cotesta? o non più veramente un abuso di
logica nonché un'ingiuria ai pronunziati più sicuri della moderna scienza di
natura? L'opposizione più salda, più seria, più invitta all' Idealismo assoluto
la fanno oggi le discipline sperimentali. R pure gli Hegeliani non se ne
accorgono! Felicissimi loro! genza metafisica dell' uno, con quella dell'altro
sistema. Or è in questo preteso accordo eh' ei si palesano iper-psicologisti
per doppio rispetto. Osservammo come uno de' massimi concetti dell'
Aristotelismo sia quello del moto; fondamento e sintesi di tutte le categorie,
ou xoivóv. Metaph. TóSe yy.p rt tÒ f^soóiievov >? Si xcvyjaiC} ov. Phys,, *
Twv a^à^ffwv Z"» e) xévvjo'cc); oX>) ^%p ri zapi fVT£(ai (TXSìpi?
ÒLV^p7)T0Lt. Melaph.y ' Tal è, per esempio, il ciottissimo Felice Raraisson, il
quale, segnatamente nel 2** yolame dell* opera che noi più Tolte abbiamo
citato, si mostra critico assai poco benigno verso le teoriche platoniche nel
porre a riscontro la Dùdettiea e la Metajitùsa, E di questo difetto è stato
giustamente ripreso dagli stessi francesi fra* quali Janet. {ÉhuL tur la
DialecHque dant Platon et dans Hegel, Paris) come nota lo Zeller, che le idee
abbiano da esser lo stesso che i sensibili; onde poi la conseguenza su
l'inutilità di ciò che Aristotele chiama sensibili etemi, la facilità di rilevare
T assurdo delle essente separate,^ il rimprovero su la necessaria vacuità degli
eterni parodigmi, e la irrisa e, certo, ridevole mitologia delle idee come
reminiscenze d' un' altra vita.* Ora il Platonismo espostoci da Aristotele
arieggia, per più rispetti, al sistema dell' assoluta identità: di guisa che
ov' altri desiderasse elementi per una severa confutazione della dottrina
hegeliana, dovrebbe intendere Platone così come lo intese il suo celebre
discepolo e come lo stesso Platone si rivela talvolta nel Parmenide e nel
Sofista, e saperne quindi ritrarre gli assurdi. Anche nel Platonismo passato
per la trafila dello Stagirita si può dire esser la logica quella che crea il
mondo, essendo la nozione, il generale, Punita indeterminata che pone il multiplo.
Fra il finito e l'tw/ìnito, fra l' Ente ed il Non-ente, fra 1' Uno e V Altro
(rauToi, 5dÌ7spoy) nou ci ha chc uu rapporto di natura logica; sia che si parli
di fx^juviacc, sia che di fisOf^ic, ovvero d'una relazione intima ed essenziale
emergente "Ere Sol^iisv av aSiivarov ywpc'c stvae tìj'v ouT^av xai OH VI
o\J7iOL' wt7« ctw; «y ac cosai ovacat t»v apxyfAOiTta'» oZdOLi X^P**"^
suv. Metaph, Quanto al vaJore della critica Aristotelica cons. lo Zbllkb
{Eapo•inone arittotelica ecc.). Vedi anche Tbendblbkbubq come intende i n^ùròc
àpt^fAoi {PleUonU de idei» et numerie doetrina ex Ariet. iUtutrata, Lipzia,
Stillbaum, Prolog, in Parmenide di VELIA, ove tocca dell* esposizione
aristotelica. !. Simon, Étnd. tur la Théodieée de Platon et cT Artet, Cuosiir,
note al Tim. dorè Platone è difeso dall* accusa riguardante la causa finale. Jacqitks, Thior. dee Idée* réfutiee par Ariet,
Lkvbano, De la Critique et Ice Idéee Platonicienne» par Ariat. au premier liv.
de la Métaph. Lrclf.bc, Penniee de Platon
preceduti da una Hist. abrégie du plaumieme, Oggimai dunque le interpretazioni
e la difesa in favore di Platone sono tante e così evidenti, che la crìtica
aristotelica è ridotta ai suoi legittimi confini. Molte obbiezioni Aristotele
andò cercando col lumicino; ma alcune reggono e reggeranno contro ogni forma di
Platonismo come altrove toccammo, e come vedremo meglio nel prossimo capitolo.
dalla natura stessa delle idee secondochè appare nel Parmenide di VELIA. Non è
questo il luogo per dire qual possa essere il significato sincero di questo
celebre dialogo e quale il metodo più acconcio onde vuol essere interpretata la
mente di Platone. Ripetiamo che per lo Stagirita, come per alcuni critici
francesi, sembra che il filosofo Ateniese rimonti all' assoluto mercè gli
artifizi dell' astrazione, dispogliando le cose de' lor caratteri individuali,
risalendo gradatamente a' rispettivi prototipi, e giugnendo così al minimo
della realtà, cioè al generale che per sé stesso è cosa indeterminata e
vuota.*Ora, dare al Platonismo cotesto valore tornava comodo al discepolo per
meglio combattere il maestro; ed era altresì naturale, atteso che il metodo
adoperato da Aristotele, anziché iperpsicologico ed astratto, come dicevamo, si
palesa essenzialmente psicologico, sperimentale, induttivo nell'ampio
significato di questa parola, per cui la sua metafisica riesciva al massimo
delle realtà eh' è l'Atto puro. Così ciò che per questi interpreti è il minimum
pel malinteso Platonismo, è il maximum pel beninteso Aristotelismo. Questo fa
oggi l'idealismo assoluto, ma il fa con quella ricchezza d'espedienti, come
giustamente osserva r illustre traduttore di Hegel, e con quella possente vena
di speculazione, che sanno dar venti e più secoli di storia e di profonda
attività filosofica. L' Hegeliano condanna il metodo aristotelico, lo dice
empirico, e si studia invece di seguire e compiere il metodo dialettico
dell'autore del Parm^enide; ma nel fatto non fa che perpetuare la vuota
posizione del Sofista in quanto che col TÒ ov di questo dialogo, che è
precisamente il suo Indeterminato, e' si riman sempre nelle secche della
logica. Rayaisson. Vera, V Hegelianifime tt la PhUoBopkie. Ma è poi davvero Y
Indeterminato la posizione del Sofista? È egli tale forse r«»«er« che ì
realmente e aaeolvUamejUe : rw travre^wc ovt«? {Soph.) L'Idealista assoluto non
riesce al minimum platonico, è vero: ma comincia dal minimum dell'essere,
perchè salendo di slancio, come dicemmo, air Indeterminato, coglie
immediatamente (es egreift) l'In -sé {dans ansich) che è Nulla ed Essere, e poi
con metodo dialettico e generativo egli viene sgomitolando, a così dire, ogni
cosa con ritmo costante, immutabile, invincibile, matematico, monotono, per
indi riuscire al medesimo punto onde era mosso per l' innanzi. E con ciò pensa
d'aver conseguito il vantato accordo fra l’Aristotelismo e il Platonismo,
mentre in realtà ad altro non riesce che ad una forzata compenetrazione e
meschianza del melenso e indiscerniljile tò cv con quel Noùc immobile, solitario
e tutto chiuso entro sé stesso di cui Aristotele parla nel XII libro della
Metafisica. L'Hegeliano quindi é iperpsicologista per doppio conto. Egli
incarna, esplica logicamente e compie mirabilmente uno de' due indirizzi
estremi dell' Aristotelismo, e insieme interpreta il Platonismo con una critica
che somiglia non poco a quella d' Aristotile. Concludiamo. Abbiam visto come la
forma di mediazione onde i Positivisti mostrano d'aver coscienza dell' Assoluto
sia contraddittoria. Essi protestano di non saper nulla, di non poter nulla
sapere di metafisico; ma nel fatto confessano un nescio quid, la realtà d' un
obbietto trascendente. Lo confessano in maniera empirica, e si contraddicono
anche qui, perché, dichiai'andolo Inconoscibile, negano così l' esigenza più
vivace della ricerca, negano il metodo positivo, negano la critica severa e
feconda. Positivisti, Critici, Scettici o com’altrimenti si chiamino cotesti
filosofi déW avvenire, non hanno e non vogliono aver fede nell' indagine d' un
sapere metafisico. Essi dunque condannano sé medesimi, il proprio metodo, la
ragione e la storia della scienza, poiché non fanno che perpetuare un
aristotelismo fiacco, empirico, unilaterale, impotente, negativo. Ad un opposto
resultato riesce il neoaristotelico iperpsicolggista. L'idealista asBolnto dice
di conoscer l'Assoluto, d'intenderlo nel senso più stretto di questa parola,
perchè lo fa solo in pensandolo, e ripensandolo il rende a sé stesso
trasparente. Chi conosce Bram è già Bram, dice il filosofo indiano. Chi giugne
a pensar Dio, l'infinito, ci dicon gl'Hegeliani, egli è già Dio, è già
l'infinito. Ma il modo con che pervengono a pensarlo, il processo di
mediazione, non è processo, non procede, non cammina, ma sé in sé rigira,
direbbe l'ALIGHIERI, poiché riman sempre nel mondo del più puro pensiero, del
subbiettivismo, in quel letto di Procuste appellato formalismo logico, come
dell' Hegelianismo dice un illustre scrittore vivente di Germania.' Cotesto
processo quindi é una mediazione bugiarda, perchè non é vera e legittima
conversione. Quell'ombra, dunque, di dottrina metafisica, quel vano conato di
conoscenza trascendente che ci porgono i Positivisti col confessare la realtà
d'unDews absconditus ci rappresenta una delle forme costituenti la prima
|)0sùnone speculativa; la quale perciò, chi guardi alla legge istorica
aristotelica secondo cui si svolve il pensiero filosofico, s'addimostra tutt'
altro che positivo, in quanto che ci rappresenta l'esagerazione del Dommciismo
empirico. La dottrina hegeliana poi neir attingere a modo suo l' Assoluto e nel
determinarlo, ci rappresenta invece la seconda posizione speculativa, ed è
l'esagerazione del processo deduttivo, in quanto é dommatismo sistematico
assoluto; e neanche questo merita nome di positivo. I Neoaristetelici moderni,
dunque, sia che per necessità di sentimento e d' opinione e d'istinto pongano
l' Inconoscibile, sia che a furia di speculazione trascendentale pongano
l'Indeterminato come un absdute Prius, partono dall'ignoto; partono dall'
impensabile. Essi movono dal buio, o riescono al buio: talché rassomigliano a
que' filosofi di cui parla Aristotele, i quali fanno nascer tutte cose dalla
notte: ol * CoLEBBOOKE, PhiL dea HindotUf Ess. II. Gbbvihub, Hìh, du
IHx*Neuviéme SihUe, Paris. fx vuxTo'c 7fvvo3vTic. Perciò i Neoaristotelici, s'
appellinQ Hegeliani o Positivisti, meritano, comecché per ragioni diflFerenti,
il titolo di filosofi della notte; mentre i Neoplatonici con le vantate
visioni, intuizioni, splendori, irradiamenti e influssi divini, ben ci figurano
i filosofi del giorno e della luce. Il positivo nel conoscere metafisico non
istà nella immediatezza de' Neoplatonici, e neanche nella mediazione de'
Neoaristotelici. In che dunque vuol farsi consistere? Re LA RICERCA
DELL'ASSOLUTO SECONDO LA RAGION FILOSOFICA POSITIVA, altrove notammo come
l’essere s' incarni e sostanzii ne'tre processi, ideale^ naturale,
istoricO'Sociologko: e come il Vico, a significare l'indipendenza di ciascuno e
insieme la comune legislazione, siasi ben apposto nel chiamarli a Mondo delie Menti
e di Dio^ Mondo della Natura^ Mondo dello Spirito. Avvertimmo altresì che le
scienze le quali studiano lo spirito in sé stesso indipendentemente dallo
svolgimento isterico, si adunan tutte nelle tre discipline fra loro distinte
eppur connesse in unico organismo, i cui tre momenti, per così esprimerci, sono
il primo psicologico, il primo logico e’1 primo vero metafisico. Ora il
processo ideale è la dialettica; la quale volendo essere avvisata sotto doppio
rispetto, ideologico e metafisico, è davvero, come l'han sempre designata i
Platonici ed i neo platonici, una scala; ma una scala a doppio congegno; una
scala ascensiva e discensiva, come direbbero certi viventi critici francesi
nell' interpretare il Parmenide di Platone,' In qnanto ascensiva, è ideologia;
e V ideologia, se non avesse alcun valore dialettico, altro non sarebbe che una
serie di norme logiche e un cumulo di leggi e d'attinenze onninamente formali.
Essa dunque rappresenta il processo eduttivo. Questo processo muove dal Primo
logico, e riesce al Primo vero metafisico; e vi riesce col mezzo delle idee
(ntpi iSé(av) che sono il medio per eccellenza, lo strumento pili acconcio, più
legittimo, e perciò la prova razionalmente positiva per potere attinger la
notizia dell'Assoluto. In quanto poi la dialettica è discensiva, è metafisica;
ed è metafisica perchè, giunti, come accennammo, al sommo della scala, il Primo
vero metafisico assume valore di principio metafisico che è anch'egli .processo
e conversione con sé e col fuori di sé. In Vico é abbastanza chiara l'esigenza
di questo doppio rispetto della dialettica laddove, nella simbolica Dipintura
della Scienza Nuova, pone il pensiero e l'essere come formanti un organismo, un
sol mondo, il Mondo delle Menti e di Dio. Vedi per es. Jankt, Étude »ur la Dicdectìque
ecc., ed. cit. p. Vaoherot, HÌ9t. critique de VÉcole (TAlex.^ NoCTRlsSOir,
Expo8Ìtion de la Théorie pUUonieienne de$ idée», PftHs, Simon, HìH. de VÉcole
d'Alex. Perchè le idee tornino fruttuose han d' avere un valore dialettico.
Cons. a questo proposito Plat., De Rep., Sop}i.\ Abist., Metaph., Proclo, Comm,
in Parm. Il metodo dialettico beninteso risale, secondochò notammo, a Socrate,
come quegli che trasferi tale parola dagli usi della vita (^ta'kéyt'jBxL^
eonvereare), agli usi della scienza. Però dialettica, nel suo razionale
significato, indica la convenione della mente, vuoi con sé medesima, vuoi con
altro. Vico intende a meraviglia tale origino istorica, nonché Tapplicazione
speculativa alla scienza, laddove afferma: V ordine delle umane cote i d*
ouervare le cote SIMILI, prima per ISPIROASSI, dipoi per provabr; e ciò prima
con V ESKMPLO che ti contenta d* una coea^ finalmente con V INDUZIONE che ne ha
hi' eogno di piò: onde Socrate, padre di tutte le eitte de*filo9ofi, introdueee
la Dialettica con l’Induzione che poi compiè Aristotele col eillogiemo eJte rum
regge senza un universale, {Se, Nuo.) Veggasi quel che abbiamo discorso quant*
al metodo. Ricordiamoci che per noi la metafisica non ò sdema aeedlmUi, bensì
Il nodo gordiano della filosofia, e però la chiave della metafisica, son le
idee. Se il lettore ha badato al processo e alla genesi psicologica che assai
fuggevolmente venimmo tratteggiando, avrà potuto indurre qual sia e qual debba
essere, secondo V esigenza del filosofare positivo, r origine e la natura delle
idee. Coteste idee non sono entità puramente formali, né puri concetti dello
spirito. Non sono essente sparate, almeno quelle intomo alle quali (come usava
dire GALILEI) possiamo discorrer noi umanamente; e però non sono sostanze esteriori,
come Aristotele interpreta i napaStiyyiotrx del filosofo Ateniese. Non sono
concetti innalzati ad universalita determinata ne^ quali col chiudersi il
circolo dell' essere si esauriscano ed assolvano le ragioni delle cose, com' è
per gl'Idealisti assoluti. Non sono, a dir proprio, le cose stesse nelle
assolute lor qualità. E, finalmente, non sono quasi altrettanti simboli, o
spiragli attraverso cui si affaccia al pensiero l'Assoluto. Le idee
costituìscono il prodotto del processo psicologico. Elle dunque sono una
fattura di nostra mente: son la mente stessa, direbbe Vico, ma la mente in
quanto è Magione spiegata. Ecco le idee umane, sul cui svolgimento s'imba&a
tutto l'edifizio e tutto il valore della Scienza Nuova.* Mcienxa ddP à»9oIìUo
in quanto è Critica del Vero. Però accettiamo anche qui la sentenza che
costituisce, diremmo, la chiave dell* indiriuMo medio dell* Aristotelismo. Per
Aristotele la Metafisica è «ciennadeU^AatolìUo; e questa scienza dell'Assoluto
è anche logica, logica in «2, logica in quanto considera l'essere »n «è,
realmente: to' sgw ov xai x^/^'^l^v. {Metaph.): il che consuona con la sentenza
di Vico riferita altrove: Quello che è metafiaica in quanto contempla le cote
per tutti i generi delV e»aere, lo tteseo è la logica in quanto considera le
coee per ttUti i generi di Bignifienrle. Col pensiero d’Aristotele poi rinverga
il concetto del suo maestro. Platone, come ò noto, appella filosofi quelli a’
quali ò dato asseguir la notizia di ciò che è costante e assoluto (^cXóaoooc
jiasv oc toù àcc xxT« rauToè wc«i»tw; e;^ovTo; 5«và^«ovi SfxnrtfrOxt. Bep.y). A
prima giunta parrebbe che nella dottrina delle idee il Vico fosse un filosofo
arciplatonico, ma non è. La dialettica platonica, intesa in un certo senso, non
può menomamente prescindere, come osserva il Simon, dalla dottrina della
reminiscenza: La euppreseion de la remini»cenee en peycologie ut la négation de
la dialectique et de la tkéorie de» idée. Ma se le idee sono il moto stesso e
lo stesso esultato della energia psichica, e, come tali, chiudono il circolo
della natura e dello spirito, non però chiudon sé stesse, anzi dischiudonsi, e
col dischiudersi ci mostrano di lor natura un intimo riferimento all' Assoluto.
Se r uomo, lo spirito, secondo la nozione del nostro filosofo, non è, a dir
proprio, Y infinito attuale e nemmanco r attuale finito, ma una potenzialità
infinita, una potenza che tendU ad infinitum, ne seguita che anche, le idee,
sue determinazioni, voglion esser fomite del doppio carattere della finità e
della infinità, sia che le si considerino nelle intime lor attinenze organiche,
sia che nella lor solitaria immanenza. Dunque l'idea è genm, è forma
metaphysica, e, come tale, somiglia alla forma del plasticatore, anziché a
quella del seme. Ma anche come genere, anche come forma metafisica l' idea è
finita e infinita: finita in ampiezza e universalità; infinita in perfezione.'
Però tiene del finito, in quanto che un' idea non è l'altra; e tiene poi
dell'infinito, perchè è). Or la dottrina psicologica del Vico, secondo che noi
siamo Tennti interpretandola, contraddice ad ogni platonica reminiscenza, ad
ogni maniera d’intùito iperpsicologico; anzi non mancano luoghi ne^qaali egli
condanni questa dottrina. (De Univ.j'ur.) Quanto alla scienza e alla virtù,
dice esser cose che hisogna edurle dalla mente e dairanimo come fa T ostetrico
(De Coruu PhiL, e. I). Non è poi nniraffatto platonica nò quant’alla natura, né
quant’all’origine delle idee, perchè le idre, per lui, non sono gli eterni veri
(essenze separate ed esemplatriei)^ ma sono entità che significano l'assoluto
in quanto si riferiscono a ]uì [De Univ.). Non sono quindi appreso
direttamente, ma fatte. Vedi, per es., quel che dice sul generarsi de* generi e
delle forme metafisicke, le quali a nostris pueris primulum bua spontk «xpZtcantur.
E ciò non pertanto gli hegeliani V han battezzato o seguitano a battezzarlo per
platonico sviscerato ! Neil' altro capitolo vedremo fino a qnal segno e per
qual ragione egli possa meritarsi questo titolo. Forma» intelligo metaphysioas
(pice a physieis ita diversce sunti « forma plaatm a forma seminis. Plastce mim
forma dum ad eam quid fermatur, manet idem et semper formato perfeetlor; forma
seminis, dum quotidie se esplicai, demutixtur ae perjicitur magie: ita ut
formfn pkysicct sint ex formis metaphysieis formatw {De Antiq.). Vedremo fra
poco qual valore abbia quest'ultima sentenza. Genera esse formas, non
amplitudine, sed perfezione injìnitas. l'altra e, sotto certo rispetto, tutte
le altre. La legge dialettica, dunque, è la stessa legge universale dell'
essere; legge di conversione; legge d'alterità e di medesimezza. Sennonché
cotesta conversione ideale non è semplice opposizione, e neanche
compenetrazione, conciossiachè la ragione dell'un termine non istia solamente
nell'altro. Il dialettismo si radica, non già nelle idee come opposte fra loro
o come generate, ma, innanzi tutto, nel soggetto che le genera. Un'idea non è
universale perchè perfetta, ne perfetta perchè universale. E non è finita
perchè infinita, né infinita perchè finita. Questo è l'errore delle dialettiche
a priori che, levando a principio l' opposizione per r opposizione, riescono ad
un pretto meccanismo ideale. Un' idea è infinita, o finita, principalmente per
sé, e anche per l' àUra. Se dunque la lor conversione non è equazione, né
semplice opposizione, ne conseguitano due cose: V ch'elle non chiudono il
circolo; 2*" eh' esse importano l' ideato nella pienezza di sua realtà. Si
vorrà supporre che anche cotesto ideato sia un'idea? un'idea madre? E allora
avrà luogo il medesimo discorso, e saremo sempre daccapo. Si vorrà giugnere
all'idea dell'essere mercè i soliti lambicchi de' raffinamenti e
assottigliamenti astrattivi? E avremo la nuvola, non Giunone! Certo, l' idea
dell' essere non è come le altre, finita nell'ampiezza, bensì infinita,
universale; ma è vuota, è vacua, né altro è capace di dare fuorché yffi'kÒLi
evvoiaf. Ella comprende tutto, ma non racchiude nulla: è un Primo logico, non
già un Primo vero metafisico. Dunque vuol esser determinata; stanteché debba
cessar d' essere infinita per universalità, e assumer valore d'idea infinita
per perfezione. L' ascensione dialettica perciò è incalzata dallo stesso
principio della conversione; e la mente deve posare in quell'ideato che, a dir
proprio, sia un ideato dialettico, ciò è dire conversione piena, assoluta,
vivente, reale. 1 Generi f dice il Vico, aono non per univer»alità, ma per
perfezione inJiniH: e questo eeeere U brieve e vero 9en§o del lungo e intricalo
F€tnn&' Se r idea è infinita non per ampiegm ma per_perfmone, perciò non va
confusa col concetto; al modo nide di Platone; e questo intendimento doverti
dare alla famosa Scala ddle Idee onde i Platonici pervengono alle perfeUianime
ed eteme (Bisp. I, al Oiom. De’ Lett.). Quanto al brieve e vero senso del
Parmenide toccheremo più giù. Dove poi Vico dice: Genera esse formasy non
amj^itudinef sed ptr/ectione injinitas^ tosto SOggiugne: et quia injinitas in
uno Deo esse. Come va intesa questa sentenza? In quanto le idee possiedon
carattere dMnfinità e d* assoluta perfezione, elle sono in Dio; e sono in lui
perchè forman tutte assoluta unità, e assoluta totalità: unitotalità. Lo avea
detto GALILEI che non era un metafisico: Le idee, perchè inJinitCf sono una
sola ndV essenza loro e nella mente divina (Op., ed. Albóri, Dial. de* Mass.
Sist,). Ha in quanto possiedon Tubo e r altro carattere, elle si producono e
rìseggon nello spirito, nel pensiero; sono il pensiero; e sono finite e
infinite perchè tale è, ripetiamo, la natura stessa dello spirito, cioè
potenzialità infinita. Ne viene perciò che, ove le idee fossero infinite in
atto, non potrebbero essere altresì finite. E dove fossero solamente finite e
puramente universali, sarebbero forme vuote e astratte, e però, contraddicendo
air intera dottrina psicologica del nostro filosofo, cadremmo nel pretto
sensismo. Or le idee, le nostre idee, non sono infinite e perfette perchè siano
lo stesso Dio o pertinenze di Dio, ovvero spiragli ond’ei s’afikccia al
pensiero, come dice il Mamiani col suo linguaggio tinto di certo color poetico;
ma son tali perchè tale per T appunto è il soggetto che le partorisce; il quale
perciò, mediando sé stesso come potenziale infinito, deve per necessità
eduttiva concludere alla notizia dell’Assoluto. Di qui nasce che le idee non
possono essere infinite di fatto, e ce *1 dice egli stesso: enim vero ista
genera nomine tenue infinita, homo enim ncque nikil est, ncque omnia. Quare nee
de nihilo nisi per aliquid negatum, neo de infinito, nisi per negata finita
cogitare potest. Ai enim omnis triangulus habet angulos cequales duobus rectis.
Ita bene: sed non id miìU infinitum verum, sed quia habeo trianguli formam in
mentGot imprcssam, cujus hanc nosco proprietatem, et cu mihi est archetypus
ceteroruh. Fatta dunque l’idea, tosto in essa io riconosco, non già l’infinito,
ma il carattere della infinità: hanc proprietotem nosco. Per questa proprietà
essa diventa un archetipo, diventa una misura {archetypus ceterorum); e come
archetipo e misura ella, per me, è un assoluto; e così è vero, che Vuom tende a
farsi regola deW universo,che vuol dire tende a farsi assoluto. E qui toma
acconcio il riconfermare quella relazione che tra le opere di Vico altrove
procacciammo chiarire. Nella Scienza Nuova Tuomo è regola e misura in tre
maniere, secondo i tre momenti dello svolgimento isterico; 1° nella fase 0
stato divino, per credenza e per sentimento; 2« nella fase eroica, per
arbitrio, forza, potere, volere; 3 nella fase umana, per magistero logico e
scienziale, cioè per la ragione spiegata,^eT le idee {idee umane). Ecco dunque
una prova novella che ci mostra come la Scienza Nuova, anziché contraddire al
Libro metafisico, lo esplichi e lo legittimi sempreppiù, al modo istesso che
questo riassume le ragioni metafisiche di quella. istesso che l'intendimento,
secondochè mostrammo, non è da confondersi con la ragione. Tanto Videa quanto
il concetto sono una dualità, perchè T una e l'altro sono conversione,
giudizio, e però medesimezza e distinzione. Ma la dualità dell' idea è l'
universalità e \2l perfezione; dovechè quella del concetto è l' estensione e la
comprensione. Nel concetto come vedemmo, ci è sempre un'orma del fantasma; e
nell' idea v' è sempi-e un' orma del concetto^ cioè il comune, l'universale. Or
chi dirà che il concetto abbia carattere d'infinità solo perchè sia comune e
universale?* Il circolo, a mo' d'esempio, in quanto è universale, è concetto;
ma in qijanto racchiude la nota essenziale ond' e' si discerne da ogn' altra
nozione, è quello che è; è perfettissimo; è infinito; e così lo pensa Dio come
l'uomo. Si vero id contendane etse injinitum gentu (cioè che i tre angoli d*aii
triangolo rettilineo siano eguali a due retti, eh' è l'esempio riferitopoco fa
dallo stesso Vico), quia ad eum trianguli archettfputn accommodari innumeri
trianguli po«8unt, id tibi habeant per me licet; nam vocabulum iÌ9 lubens
condono, dum ipti de re mecum eentiant. Sed enim perperam loquuntur, qui
decempedam dixerint injinitam, quod omne extenaum ad eam normam metiri poannt,
> {De Antiq.) ' Galileo nota stupendamente questo privilegio del pensiero là
dove distingue V intendere extensive dair intendere intensivCf confermando così
la dottrina di Vico. Vintenèive del filosofo pisano è il perfettamente^ com*
egli stesso dichiara. Ora v* ha cognizioni, egli dice, le quali, guardate sotto
il rispetto della inteneìtà e della perfezione, agguagliano le di-rine neUa
certezza obbiettiva^ perchè con essa arriviamo a comprenderne la nec€99Ìtà
sopra la quale non par che posta essere sicurezza maggiore, {Dial. de' Mass.
Sist,j) Gli esempi co' quali GALILEI procaccia chiarire tale idea, son tolti
dalla matematica; e la matematica, anche per lui, è una fattura della mente; e
però la certezza e la necessità ond'ei parla scaturisce immediatamente dalle
leggi stesse della psicologia. So che il Neoplatonico neanche qui si darà pace,
ed opporrà la solita inTitta necessità di certi yeri che, vada o Tenga il
pensiero, sono e saran sempre quello che sono. A questa difficoltà ahhiamo già
risposto. Il due e due fan quattro (direbbe un neoplatonico alla Maminni) gli è
un vero assoluto e necessario, né io posso pensare il contrario; dunque T*ha in
lui qualcosa che non m' appartiene; e però,o è Dio, o è pertinenza di Dio.
Nient' affatto! Io non posso pensare il contrario; ed è yerissimo: ma perchè
non posso pensarlo? Perchè non posso contraddirmi; ecco la ragione immediata.
Il regno della logica non è il regno Or se tale è l’organismo delle idee, è
impossibile che il pensiero partorisca e generi un'idea laquale sia infinita
così nelF ampiezza come nella perfezione. Se potesse, e' già sarebbe V infinito
in atto. Se potesse, egli, col farsi, già sarebbe un fatto. Ma così non si
contraddirebbe? Non annullerebbe sé stesso anche qui? La conseguenza, dunque,
parmi chiara: il pensiero, questo nostro pensiero con tutto il suo ^contenuto,
non possiede l' essere, non è l'essere, non si compenetra con r essere. Questa
invincibile manchevolezza d' essere, questa insuperabile impotenza d' essere,
come ci si rivela? quand' è che ci si rivela? Precisamente nella stessa
impossibilità d'afferrare e fermare il pensiero nell'o/to. Ed è impossibile
poter cogliere e fermare quest'atto, appunto perchè lo spirito, pensando, è già
un atto, è già faUo (actum). Or se non è atto, non ci ha da esser r atto ? Io
penso l'essere; io son l'essere: eppure non sono la realtà dell'essere! Dunque
la stessa impossibilità a dedurlo come tale, mi dà il diritto a concluderne la
realtà. Il che accade per una ragione detta e ridetta, che, cioè. Essere e
Pensiero non sono l' uno in due (come direbbe lo Spaventa), non sono l' identico
nel diverso, ma sono il due in wwo, sono piuttosto il diverso nell’identico. E
qui ci è dato scorgere sempre più nettamente V errore degl’intuitisti e ie^
mediatisti. Cotestoro, come vedemmo, voglion rintracciare la ragion
dell'assoluto e dell' infinito nel pensiero, e ricorrono ad espedienti opposti
e contrari. Gli uni ci dicon che la mente colga immediate l’Assoluto; gli
altri, che lo faccia. Ora chi dice di vederlo, per me, sogna ad occhi aperti; e
senz' addarsene resta impaniato nel panteismo. Chi poi dice di farlo, sogna
anche lui e, per di più, diverte la doli* arbitrio. E perchè poi non posso
contraddirmi? Giusto perchò lo stesso pensiero è quello die nel due e due fan
quattro pone gl’elementi e le condizioni del giudizio: le quali io non potrei
negare, senza distruggere il mio stesso pensiero. Se potessi, ne verrebbe che
io farei, e non farei: cioè /arci il nulla t gente con indovineUi da
algebrista, e finisce per immergersi nel nulla: talché anniillando cotesto
assoluto, la sua deduzione riesce davvero ad \m3i bestemmia. Il neoplatonico s'
affida ad un intùito; e così esagera l’impotenza in cui è il pensiero d' esser
l’essere. Il neo-aristotelico hegeliano, al contrario, s'affida a sé stesso; e
così esagera la potenza del suo pensiero adequandolo all' essere. Entrambi
dunque deducono; ma l'uno appoggiandosi neh' obbietto intuito, o nell’Ideato
presente al pensiero; l’altro,movendo dsàll’indeterminato cólto o posto per
astrazione immediata e subitanea. Illusione l' immediatezza dell' uno!
illusione e arzigogolo logico la mediatezza dell' al trol Non intùiti, ne
posizioni a priori: non immediatezza, né mediatezza, ma conversione, ma
processo del pensiero con l'essere. Le idee non sono r Assoluto significativo,
l' ente in quanto sigtii/ica, in quanto presenta sé stesso al pensiero:' ma é
lo stesso pensiero quello che per sé medesimo é significativo dell'Assoluto, in
quanto é Bagione spiegata. Brevemente: se r idea è mezzo, eli' è il pensiero,
ma è il pensiero in quanto rappresenta l'Ideato, non già l'Ideato in quanto s'
affaccia al pensiero. Or qui si compie nella sua vera forma la funzione
eduttiva. Parlando della genesi e classificazione delle varie discipline
dicemmo, le scienze eduttive ridursi ad una sola, ed esser la filosofia. La
filosofia s' intrinseca con tutte le scienze; e però é anch'olla induttiva e
deduttiva la sua parte. Ma anch'essa é autonoma, anch'essa è trascendente, e
come tale è di natura eduttiva; poiché non cessando d'alimentarsi de' tesori
adunati dalle altre discipline, nondimeno sa e può trovare alimento in sé
stessa, e per sua propria virtù. Se le idee infatti hanno lor fondamento in
natura, nessuna funzione basterebbe * Hine adeo impiat euriontatit notandi, qui
Deum Optimum Maximum a priori probare ttudeiU: nam tantundem ettet, quantum Dei
Deum «e /aoere, et Deum negare, quem quixrunt. (Vico, De Antiq.) ROVERE, Lett.
al DoU. BrentoMMoUf 424 DILLA DOTTBiNA ulosoiioa. [lib. n. a scioglierle da'
viluppi delle sensate apparenze, ove la stessa mente non sapesse pai*torirle.
Tra il fantasma e l'idea, tra la forma metafisica e la fisica^ c\ è quel
medesimo intervallo esistente fra il senso e la ragione. Or tuttoché le idee
pongan radice nella natura e si muovano in questa, nondimeno con lieve soccorso
del senso elle possono esser generate dalla mente, poiché a concepir r idea del
circolo, o meglio, a fissare il concetto del circolo nella nota che costituisce
la sua perfezione e trasformarla in idea o forma metafisica, non v' ha mestieri
di prolungati lavori d'astrazioni e di generalizzazioni. La mente perciò nel
concepirle fa altrettanti giudizi eduttivi. Il giudizio eduttivo è diverso,
così nella forma come nel contenuto, dal giudizio induttivo, e dal deduttivo.
Il suo carattere specificante dicemmo radicarsi innanzi tutto nella relazione de'
suoi termini, e quindi nell' origine dell' attributo. L' attributo non è dato
dal fatto; e però non è sintetico a posteriori. Non è ricavato dal soggetto e
applicato al soggetto stesso come parte del suo contenuto; e quindi non è di
natura analitica. Non è ripetizione del medesimo soggetto; e quindi non è
identico. Il giudizio eduttivo serba in' Se pensare, come altrove mostrammo, è
giudicare, e giudicare è un atto di conversione in quanto che convertire è
scorger la medesimezza e la differenza ad un tempo; ne viene che il giudizio è
la sintesi di due elementi, convertione del vero col fattOf sintesi della
medesimezza generica (vero) e della diversità specifica (fatto). Ora guardando
alla funzione speciale onde la mente forma concetti e giudizi, ricavammo esser
tre i sommi generi a cui essi potranno rimonarsi, e li appellammo induttivi,
deduttivi, eduttivi. Questa divisione è essenziale, perchò si fonda
principalmente nella differenza del contenuto de’ giudizi, e perchò dà origine
alle tre funzioni metodiche. Si fonda dunque su la dottrina della conoscenza e
della scienza, e perciò è razionale e cpmpiuta. L'atto del giudicare, Infatti,
ò sempre identico nella sua forma logica, poiché è sempre una conversione al
pari del concetto ond' emerge; ma differisce nel contenuto, ed ecco r origine
delle tre differenze di giudizi. Tutte quelle innumerevoli distinzioni e classi
e divisioni e suddivisioni di atti giudicativi fatte da Aristotele sino al Kant
e a SERBATI, sono spartizioni secondarie, le quali riguardano l' estensione, la
quantità, la relazione, la forma e l'indole de' giudizi; ma riescon tutte
incompiute. dole essenzialmente sintetica, e però sgorga dallo stesso pensiero
per virtù e necessità eduttiva. Ma qual sorta di sintesi è cotesta? Non è
sintesi a priori nel senso de' Neoplatonici, perocché l'obbietto non è dato da
nessun intùito o visione trascendentale. Non è sintesi nel senso dell'
Idealismo assoluto e del criticismo, perchè r obbietto non è posto per mera
legge dialettica, e neanco per non so qual cieca necessità subbiettiva. Il
giudizio eduttivo è un vero atto sintetico, un atto sintetico trascendentale
per eccellenza perchè l'attributo non è nel soggetto, e nondimeno è posto dal
soggetto. Qual è l'oggetto di questa sintesi trascendentale? È appunto ciò che
le forme metafisiche possiedon di comune. È ciò che nel concetto e nelle
determinazioni ideali scopriamo d' infinito, non già nell'ampiezza, ma sì nella
perfezione. La funzione eduttiva dunque è funzione dialettica, dialettica
ascensiva. Perciò eduzione delle idee non vuol dir la pura e semplice
generalizzazione delle qualità dell'essere: vuol dire accrescimento dell'
essere; vuol dire concentramento dell' essere nella [I griudizi iintetici a
priori di Kant non sono propriamente apriori, ma si riducono a giudizi
analitici. Il processo conoscitivo è, per dir così, nna catena, gli estremi
della quale sono due sintesi, e però due forme di conversione; l’una di esse è
originaHay e l'altra finale. Quella precede, come si disse, ogni riflessione, e
costituisce il primo psicologico, l’unidualità primitiva; la quale, facendo
possibile la formazione de' concetti mercè il processo psicologico, toglie
queir apparente petizion di principio tra la necessità per cui ogni giudizio
deve importare il concetto, e la necessità ondMl concetto debb' essere un atto
giudicativo. La sintesi finale poi riesce al Primo vero metafieico^i] quale
devesi convertire col Principio metafisico. Avviene perciò che la sintesi
originaria sia costituita dal pensiero e dal suo obbietto che è l’essere in
quanto indeterminato; e però è sintesi naturale essendo posta dalla stessa
natura. La sintesi finale per contrario, ha per oggetto 1’essere determinato
ideale, e determinabile in quanto reale; e )»er ciò è sintesi superiore alla
natura essendo prodotta dallo stesso pensiero. Queste due sintesi dunque sono
due giudizi d'indole sintetica, ma diversissimo n'è il contenuto; per la
ragione che, se nel primo d'essi l'obbietto è posto da natura, nel secondo è
posto dalla stessa mente. sua idealità. Or se tale è la natura di questa
funzione accade che il principio ond' ella è governata non possa esser quello
d' identità, di repugnanza, di causa e simili; stantechè qui non si tratti di
logica formale la cui materia è costituita, in generale, da' giudizi deduttivi,
ne di logica induttiva, i cui giudizi riposano sul principio di causalità e di
sostanza empiricamente intesi. Se il fine della logica formale sta nel fissar
le norme del ben pensare, e il fine della logica induttiva nel porgere i
criteri a fruttuosamente sperimentare; è chiaro esser necessaria una logica la
quale sappia ritrovare il vero facendolo, se pure s' ammette che la metafisica
abbia da essere una critica del vero. Ed è chiaro altresì esser necessario un
principio che sappia guidarci nel processo di siffatta critica, il qual
principio è appunto, come altrove toccammo, quello della conversione. Or questa
funzione eduttiva, di natura essenzialmente dialettica, non va dall'effetto
alla causa, né dalla causa all' effetto: non va dalla sostanza alla
determinazione, né dalla determinazione alla sostanza. Le idee non sono
effetti, non sono risultati, né determinazioni dell'Assoluto. Se così fosse,
come sarebbe possibile il transito dialettico? Il passaggio dialettico
(nopsisi) è solamente possibile dov'è possibile medesimezza e differenza; dov'è
possibile intervallo e continuità; dov'è possibile, insomma, conversione di
termini. I termini in quest' ordine di cose, da una parte, sono le idea, la
Eagiotie spiegata; dall' altra sono le stesse idee, le stesse forme
metafisiche, ma in quanto concludono nel loro ideato, neir ideato come
Principio e Mente reale, nell' ideato che basti a sé stesso (ro^izavov),
nell'ideato che nulla suppone, ma che si pone (ro ocvuttoOstov). Intanto la
ragione, tuttoché secondo le leggi altrove notate del processo psicologibo
debba mover dalla natura e dal senso, nondimeno, come tale, è caussa sui
(suitas); e l' effetto di tal cagione è la scienza, le idee, le quali, in
quanto forme metafisiche, si riferiscono all'Assoluto. E cotesto Assoluto alla
sua volta è Caussa sui (Aseitas), ma è anche cagione del mondo in quanto è
mente; e l'effetto di tal cagione è lo spirito, non già come Ragione spiegata,
come Nove, come attualità, ma come virtualità, potenza, materia, natura, conato.
Ora questa evidentemente è conversione, e quindi è sintesi eduttiva. Ed è tale
in quanto procede da causa a causa, in quanto concatenando caussas caussis le
annoda e distingue ad un tempo, perchè in realtà le s'immedesimano e si
distinguono anche fra loro. Il perchè, se da una parte qui abbiamo le idee, le
forme metafisiche, la ragioìie spiegata, la coscienza, il vero; mentre
dall'altra abbiamo r Assoluto, r Assoluto in quanto è mente, in quanto è la
Mente, in quanto è il Fatto per eccellenza; in una parola, se da una parte
abbiamo quel che VICO (si veda) dice le Menti, e dall'altra Dio: ne viene che
in questo Motido delle Menti e di Dio, in quest’organismo del pensiero con r
essere, il passaggio dall' un termine all' altro non è processo deduttivo, né tampoco
induttivo, ma è processo essenzialmente eduttivo, perchè anche qui ha luogo la
conversione del vero col fatto, cioè la conversione delle Menti con Dio, della
logica con V ontologia, dell' ideologia con la metafisica. Sarà un' alchimia
anche questa ? Potrebbe stare. Ma chi ben la consideri, anziché un'alchimia,
scorgerà in essa il fondamento della prova legittima, vera, positiva intorno
all'Assoluto. Le tre ordinarie maniere d’argomentare resistenza di Dio furon
ben cento volte dimostrate deboli, incompiute, fallaci, per la solita ragione
che, non racchiudendo processo, mancano perciò di valore propriamente
dimottratico. Il cosi detto argomento ontoìogicOf per es., qaalanque ne sia la
forma datagli da Anselmo d’AOSTA, Cartesio, Malebranche, Fénelon, Leibnitz,
Gerdil, SERBATI, GIOBERTI, ROVERE e simili, non può concludere alla realtà
assoluta, perchè, comunque e' si squadri, ha sempre nn valore deduttivo. Gli
argomenti poi dettiyì«ico, moralcf ootmologieOf sono sfomiti d* ogni rigor di
prova razionale, in quanto che si riducono alla forma induttiva, la quale, in
tal caso, racchiude nna petizion di principio. Laonde se la deduzione move da
un /ntùtto, siamo nella ipotesi; e la scienza non può accettar le ipotesi come
principi], tnttochò se ne possa e debba giovare È dunque vero, è verissimo che
l' uomo da sé e con la propria mente faccia Dio. E lo fa dapprima col senso,
poi con r immaginazione, da ultimo con la ragione. Col senso lo vede
immediatamente nella natura, lo sente nella natura. Con l'immaginazione lo vede
attraverso alla natura, ma lo sente in sé medesimo. Con la ragione lungo il suo
processo come d'altrettanti mezzi. Se poi muove da un Indeterminato f siamo nel
formalismo psicologico, nell* arbitrio logico, e però si riesce agi* indovintUi
da algebristi, l’una forma di deduzione perciò non dimostra, cbè anzi invoca
appunto l'Assoluto per dimostrare: T altra invece dimostra troppo, e perciò non
dimostra nulla. Dunque l’argomento eduttivo o della eonveraionef che noi
contrapponiamo a qualunque forma di deduzione e d* induzi one, è prova
legittima, stantechè racchiuda il vero termine medio, il vero m«szo tra il
mondo e l’Assoluto. Il solo Trendelenburg ha parlato d' una forma di prova
ch’ei chiama argomento logico, il quale potrebbe avere alcun riscontro col
nostro. Ma non poche sarebbero le difficoltà nelle quali intoppa il dotto
tedesco, chi guardi al concetto del moto ch’ei pone a capo delle categorie.
Neil* ordine psicologico noi moviamo dal vero che per necessità eduttiva si
converte col Fatto: e ne ricaviamo che cotesto FaUo non è già moto, anzi
pensiero per eccellenza, mentalità assoluta. Or bene s* e* fosse moto, corno
saria possibile una conversione f E mancando la possibilità della conversione,
come farà, l’illustre autore delle Bioerche Logiche, a salvarsi dal pericolo
d’un vuoto formalismo? Giova qui rispondere ad un'obbiezione. Si dirà: cotesto
vostro peregrino argomento, in somma delle somme, si riduce ad una forma d*
induzione. Dall' effetto, andate alla causa; dal particolare, al generale;
dalla determinazione, alla sostanza; dal finito, all'infinito. Brevemente, dal
mondo salite a Dio, sia che consideriate la natura, sia che lo spirito, ovvero
le idee. Rispondo: induzione pura o semplice, 'no; ma processo induttivo: il
quale, compiendosi nel processo eduttivo, assume quindi valore d'argomento
razionalmente positivo. Dio, a parlar proprio, non è pura sostanza, causa,
essere infinito solitario; nò il mondo è pura qualità e determinazione, puro
effetto, puro finito posto dall'infinito. Se Dio fosse cagione semplicemente
presa, il mondo (l'effetto) ne sarebbe l'atto. Se fosse sostanza, il mondo ne
sarebbe la modificazione. Chi ci salverebbe dal panteismo? Se poi fosse
infinito ut «ie, perchè, domanderò io, se basta a so stesso ha da porre il finito
? Dio è tutte queste cose, infinito, causa, sostanza e simili, ma è tale,
perchò principalmente è idea, pensiero, mentalità. Or non è anch' egli mente e
pensiero l’universo? L’argomento della conversione, dunque, non va dal mondo a
Dio, non procede dall’effetto alla causa (ohe non procederebbe davvero), ma va,
ma procede da causa a causa annodandole insieme. E le annoda, perchò serbano
medesimezza e diversità; le annoda, perchè adopra il mezzo delle idee; le
annoda, perchò educe le idee, e perchò queste idee converte con l’ideato.
Un’ultima osservazione che avrei dovuto fare già in altro luogo: meIo vede
nelle sue stesse idee, perchè lo fa come idea; e così r uomo (ripeto la bella
frase di GIOBERTI) giunge a rendere a Dio la pariglia. L'idea dell'Assoluto ha
anch' egli i suoi annali ne' diversi momenti della storia e del processo
psicologico. Ma nel far cotest'idea, e proprio quando l'abbiam fatta, noi
somigliamo a quell'artefice che s'affatica e suda e si travaglia nell'
incarnare il tipo che gli splende dinanzi alla fantasia, mentre la stessa
natura potrebbe offrirglielo vivo e palpitante nella infinita ricchezza delle
sue creazioni. Novello e arditissimo Prometeo, il pensiero del filosofo non
abbisogna d' alcuna scintilla: la scintilla della vita s' agita già vivissima
nell'opera stessa delle sue mani. Perocché quando il pensiero abbia prodotto
l'idea dell'Assoluto, e' tosto s'accorge d'aver prodotto quello che già e' era,
quello che è il Fatto per eccellenza, e che non può esser fatto perchè di sua essenza
è il Fare, E così pure ci accorgiamo di far Dio con la scienza e con l'
attività riflessa, solo perchè è egli innanzi tutto che fa noi come potenza,
perchè siamo potenza, perchè siamo termine del suo atto. * glio tardi che mai.
GIOBERTI accenna una sola volta (quant’io sappia) al metodo eduttivo, e lo fa
consistere nell* andare dal particolare al particolare, dal generale al
generale (Protei). £ precisamente la funzione deduttiva come la intende, per
esempio, Miìl. La eduzione di GIOBERTI f com* ò eTìdente, non ci ha t;he vedere
con la nostra. ' Questa precisamente è la facoltà della quale, come dice
Cartesio, ci ha saputo fornire la stessa natura, e con la quale noi, produeendo
Videa di Dio, conosciamo Dio. (2Ve ossiano forme dell" infinito, e disponendole
le conosce, e in questa sua cognizione le fa, e questa cognizione d' Iddio è
tvMa la ragione della quale l’uomo /m una porzione per la sua parte, E poiché
l'Ente è assoluta conversione del Vero col fatto interno (Generato) e col Fatto
propriamente detto (Mondo), ne viene che debb’essere altresì conversione come
pensiero e come forza, come Causa e Mente, appunto percJiì unica causa quella
che per produrre l’effetXo non% ha di altra bisogno; come quella la quale
contiene dentro di sì gli elementi delle cose che produce, e li dispone, e sì
ne forma e comprende la guisa, e comprendendola manda fuori l’effetto, (Ved.
liisp. al Giom. de' Leu.). Per quanto questo lingruaggio possa sembrar vieto e
coperto di muffa scolastica, nullameno tornerà agevole all'accorto lettore
potervi scorgere come in germe la soluzione positiva del problema metafisico.
In queste tre usate e abusate parole. Vero, generato e fatto, abbiamo, per così
dire, i tre punti ne' quali s* imperna e gira il processo idealo che,
considerato in se proprio, costituisce la dialettica discensiva. Qui è la
sostanza, com' è noto, e, sto per dire, il nocciolo della teorica cristiana, ma
^levata al supremo valor razionale e speculativo oud'è capace: ed è il fine
(chi ben consideri la storia della filosofia cristiana e non cristiana,
ortodossa ed eterodossa) a cui par che convergano insieme e riescano il
Platonismo e l'Aristotelismo nello differenti loro forme isteriche. Sennonché
si badi a non pigliar come ripetizioni vano certe analogie e somiglianze di H
Vero dunque è l'essere; e cotesto essere-vero non sarebbe tale, ove, anziché
identità sostanziale deiTessere e del conoscere, anziché assoluta unità e
assoluto monismo, non fosse invece un' essenzial dualità e ^nità, essenzial
conversione del soggetto con l’oggetto, e quindi medesimezza e differenza
attuale. Qui dunque, innanzi tutto, il nostro filosofo corregge Aristotele come
quegli il quale disconosce una condizione eh' è l'interna necessità della
stessa natura dell'Assoluto. Lo Stagirita pronunzia: ecTTtv >j
vó>?o"ec vovìtso; vó/jtc?. Ma fo^c che l' eccellenza del pensiero starà
nel pensar solamente sé come sé, e non anche sé come altro? Una Visione
veggente Sé stessa non ^ un atto sterile e solitario? Vedere non è anche
operare? Pensare non è generare? Ov'è dunque il gran linguaggio, che qui il
Vico potrebbe aver con altri filosofi. Mi spiego subito. Per sant'Agostino, per
es., intelligibilità e realtà si compenetrano insieme, e danno luogo alla
natura assoluta formando così il Vero-EnU fVed. SolU?(T«oc proprio in sé, e s'
avvilirebbe: Tò 9st6xarov Y.ot.1 to' rifxtwTatov vote, xa/ ou fAsra^aXXci *
«t;;^«t/90v 7à/9 ^ /x£Ta6o>KÌ. Metaph. pensiero aristotelico della facoltà
che pone il proprio obbietto e se ne distingue ? E perchè, mai non applicarlo anche
all' Atto, e soprattutto all'Atto?* U Essere-Vero dunque è mestieri che sia
anche Verbo, anche Fatto intemo, anche Generato. Che cos'è il generato? Non è
luce metafisica, non è oggetto indeterminato e primigenio posto da natura, come
nella genesi psicologica; ma è luce e colori, è oggetto determinatissimo,
perchè è insieme la natura e ciò che è sopra alla natura. È dunque il diverso,
il diverso dell'identico; al modo istesso che il vero è l'identico del diverso.
Perciò è l'intelligibile che, mentre adequasi con l' intelligente, se ne
distingue. Perciò è il pensante che, convertendosi col pensato, è pensiero, e
quindi è in sé medesimo il trinuno. Se dunque l'Assoluto è generazione e
dinamismo interiore, per ciò stesso è Mente: prindpium unum, Mens. Or come potrebb'
esser mente senza esser cagione, attività, energia,e quindi idea, possibilità,
relatività, infinità, moltiplicità ideale? Ma se qui il nostro filosofo
corregge l'Aristotelismo, invera nel medesimo tempo il Platonismo. Il Generato
del Vico, in quanto è termine di generazione ad intra, è appunto la benintesa
idea platonica. Cote$ta idea platonica non è assoluta Unità, né assoluta
Moltiplicità. Ma, si badi: il difetto metafisico dell* Aristotelismo non è tale
che 1* annnlli e distrugga addirittara, ed è appunto per questo che Aristotele
non potrà esser mai in etemo, né un idealista assoluto, nò un positivista, anzi
così egli si presenta come una confutazione parlante deir Hegellanismo, e del
Positivismo. Voglio dire in sostanza che il principio metafisico dello
Stagirita non è, propriamente parlando, erroneo, ma incompiuto; e però è tale
che corregge benissimo sé stesso. In che modo? Se l’Atto ha da esser davvero
quello che dice Aristotele, ne viene che, metafisicamente e logicamente, è
impossibile un Actu» pwru» ab^olute. Gli Alessandrini se ne accorsero; e questo
è precisamente e principalmente il lor merito di fronte air Aristotelismo. La
verità della Scuola d'Alessandria e dell’antico neoplatonismo sta chiusa in
questo poche parole: [0,in ptaiix JfiTai Twv ci^wv xarà to tv caurw voitjtov o'
vou?. Vod. Proclo in Parm. Lo stesso dicasi, come vedremo, del Platonismo; e
così può affermarsi che Tesigenza della correzione, nel concetto metafisico
deU'ano o dell* altro sistema, sia reciproca. in sè. Non è l'identico, ne il
diverso. Non è il moto, ne la quiete. È dunque l'una e l'altra cosa ad un tempo
istesso. È dunque il tò E?a/yv>?; senza cui ella riescirebbe affatto
inintelligibile, e assurda; e quindi ci significa il momento nel quale è
insieme numero, senza cessare d'esser altresì unità essenziale: talché
costituendosi centro e circonferenza ad un tempo, rende siffattamente possibile
l'accordo de'contrari. E tale accordo sarà possibile a questo sol patto: che il
momento sia non pur la Nó»Ttc vóvjTswc dello Stagirita, ma eziandio Mente, e
perciò Mente e Verbo, Vero e Generato, e quindi fornito della virtù onde lo fa
ricco il filosofo Ateniese. Così interpretando il to' E^otéipvvjc (senza
confonderlo col fjura^y.l'kety che sarebbe confonder la condizione col condizionato,
il Generato col Fatto), non verremo a contraddire al contenuto degl’altri
dialoghi, massime al Sofista ove la natura dell'assoluto ci è determinata come
pensiero, come mente, e perciò come pienezza di vita e d'assoluta realtà.'
FICINO traduce 1* 'E^ai^vvj^ per momentum indimduum; mii in questa parola e* è
qualcosa di più, esprimendoci propriamente l’istantaneo; ed ecco perchè Platone
lo dice di natura mirabile e etrana: ^ tUTcc aroTróf tc^. Partn., , E; 157, B.
* *AjO ouv ìttì to' (xxoTTtìv TOUTO, sv w tÓt' av ety?, ots fiSTa^dXktfj Tò
TToìov 5vi; To' e^at^vyj?. rò ydip i^at^vrjc Toeòv^j ti Jfocxf a^juatvecv wce?
«xatvou ^«TaSaXXov sìq ixoirspov, ov yxp i'A ye Tov io-Tavai sttùtoì in
asTa^séXXst, ou5'«x tkj; kiwitsoì? xtvovfx«v>ic «TI fj.tr OL^iWti' àW Tn
i5at^v«c auT>j fvtriz oironóz Ttf iyìndBrirat jExcTa^u tt^C xiv>jo'««c rt
y.olI «rTOCTEwc, iv XP^'*^} orjSsvi ouTa, xat te; TavTvjv 5vì xai e'x
TauT>JC to rs xtvov'jEXffvov fjitra^oiWsi ini tò éo-Tavai xa« tò écTOc «Vi
tÒ xivelo'dae. Kcv^uvsùst. Kat to ?v 5v7, etnsp «a"Tv?x/ Te xat xivjÌTat,
/xsTa6a^^oi av if éy.drtpOL' fjLÓvwi ydp av outo? àp^ÒTSjoa Trotot'y»*
/xeTa6a).>ov 5' sfat^vvjf /xsTaéai^ft, xac ot£. /xsTa€a»e£, ev ou^evt
XP'^'^V *^ ^^^'j ou5« xtvofT* av tòts, ou5' àv ^rxirt. (Parm. 156., d.) * Te
9:; TO 7t7vwTXJCvì5 to yiyvtàTìLsv^^ai fCt.TS noinuoc I Tra^o;:^ àfifòrspov; -^
to' asv 7ra3-/?aa to' ^s 5aT£^ov; ì^ ttzvTCCTra^tv ou5sTg/30v ouJiTfi^ov TOUTwv
^fTaXau/Savsev* (Soph.) ^ ' Té dai itpò% Atò;; wc a^>J'9'wc x«vT7Ttv xat
^w>jv xat >/'vxiQv xa* ^^óv>70'iv tJ paSi(ùi 7re£j3>jo"ò|txjOa
t« TravTsXw; «?vti /x>: Ma se r Idea è il Generato, e quindi rispetto al
vero è il diverso dell'identico tò jts^oov, ciò nondimeno ravvisata in sé
medesima ella è un possibile; e, in quanto possibile, è anche il medesimo d' un
altro diveiso. Poiché se di sua natura eli' è possibile, deve importare una
moltiplicità opposta, estrinseca, reale, determinata; deve necessariamente
importare il diverso, il quale sia tale, non solo di fronte all'ofóro, cioè
rispetto al Generato, ma anche in sé stesso tò aXXo. E se non includesse
cotesto diverso? Se non l'includesse, finirebbe d'esser possibile, e negherebbe
sé stesso. Perciocché un possibile, il quale non si potesse mai recare ad atto,
evidentemente sarebbe un impossibile addirittura, o al più un possibile
infecondo e fantastico. Laonde, poiché il generato é infinita idealità, e
quindi infinita possibilità, però devesi necessariamente convertire col fatto:
é si converte in quanto lo fa; si converte in quanto lo pone. VICO (vedasi)
dunque ha detto giustissimo: Il vero si converte ad intra col generato, e ad
extra col fatto. Or che cos'è mai cotesto fatto? È anch'egli il diverso
dell'identico, il diverso del generato; ma é il diverso in sé proprio tò
a).Xo), il mondo. Poiché quantunque il fatto e il generato sono moltiplicità,
nonpertanto l'uno é, moltiplicità reale, e 1’altro ideale; talché se la prima
si 7r«/oetvac, innari K^v aiiro ^>j5s (ppovelv ùWoi (rtfj.'^òv zat oiytov
voùv oux f §e twv 7r/)afg&)v xa^' coìpidrMv xac à.'k'kri'Koìv xotvwvta
navrot^^v yavTa^ópsva no'kXd yatvff^at Ixa^Tov. Qui pare che r idea 8i divida,
si rompa, si spezzi nella moltiplicità fenomenalef e costituisca il positivo
del fenomoDO, ma nella forma inadoquatadeir estensione: e siamo quasi all'idea
hegeliana che passa ad tsaer natura, che si contrappone nella natura, che
jiiventa natura. Perciò la metessi de’platonici mostra sempre un carattere di
passività anzichò di attività, appunto perchè viene di su, mentre dovrebbe
partire di gii, ed estrinsecarsi per opera e virtù del Fatto in quanto è
infinita potenzialità. Questo carattere passivo della metessi platonica si
scorge anche, e non dovrebbe, nel Parmenide di VELIA: tÒ elvat ^Wo 7t eTTtv ri
p.:'0s5'C ouTicz; ^era ^povoìj 70Ù Tra/oovTOff. La metessi dunque spiegherebbe
troppo; perchè il nesso tra l'idea e la cosa verrebbe ad esser cotanto
immediato, da non farci discernere fra 1'una e l'altra nessun divario
essenziale; e così avremmo l’identità come essenziale, e la diversità come
fenomenale. Or se l'Assolato, perchè davvero sia tale, ha da ossero innanzi
tutto una conversione di sé con sé stesso, deve risultare indivisibile e
imparabile nella sua stessa moltiplicità infinita: e se il mondo ha da essere
anche lui una conversione di so con sé, ne segue ch'egli debb' essere
essenziale moltij^icità, moltiplicità in sé, diversità in sé; tanto che l'unità
progressiva, che in lui s’agita e vive e spicca sempre più ne'diversi gradi
della realtà cosmica, sia ben altra cosa dell'unità che dimora in seno all'assoluto.
Dunque il vero che si converte col fatto, cioè per parlare la lingua
degl’ntologisti l'infinito che pone il finito è anche finito, ma non si
confonde per vorun modo con lui. E non può, per queste duo semplicissime
ragioni: perchè, se cosi fosse, ne'due termini avremmo una ripetizione
sostanziale inutile, e quindi potremmo cancellar l'uno o l'altro addirittura, e
così finirebbe per aver ragione il panteista; e perchè un infinito avrebbe a
partorire-, produrre o porre un altro infinito, e cosi negherebbe sé medesimo.
D'altra parte, se il fatto devesi convertire con sé medesimo facendosi vero,
cioè facendosi infinito essendo potenMialità in/inUaf non per questo si potrà
credere eh'ei si possa identificar con lui, pelle due ragioni detto poco fa.
Dunque stiamo contenti al quia ! né identità oMolutaf nò aseotuta diversità, ma
conversione. E però le idee platoniche non sono da intendersi né come
7ra/9a^u7/xaTa, né come vov}^KTa, secondo che vogliono due schiere
d'interpreti. Se fosse così ne verrebbe, nel primo caso, che Vid^a
dovrobb'esser presente alla cosa in maniera, che questa, tanto nella sostanza,
quanto nel movimento, tanto nella materia, quanto nella forma, dipenderebbe
onninamente dalla prima, ed altro non sarebbe fuorché una semplice sua copia; e
allora non avremmo bisogno d'un Dio artefice, non del SnfAioxjp'yoi del Timeo,
non del deus ex macchina dall'ontologista, né della magna Idea degli Hegeliani.
Nel secondo caso poi r idea sarebbe un termine del soggetto, ma un termine,
dirò così, meramente soggettivo: somiglierebbe quindi, anzi 8areb))e
addirittura pretare in modo razionale e positivo l'intuizione religiosa del
Ternario cristiano. La cognizione immediata e divinativa, in questo e in ogn'
altr' ordine di conoscenze, previene, come V ombra la persona, i portati della
speculazione metafisica. Così prima ancora che la Scuola d' Alessandria si
profondasse nelle ardite e vaporose elucubrazioni su la triplice ipostasi
Plotiniana, il mistero della Trinità alberga di già nella coscienza popolare
siccome oggetto d' intuizione, e cominciava a rivestir forma e valore dommatico
mercè la Riflessione teologica. L' assoluto è uno e trino; è trinuno: e noi
ormai lo sappiamo.* Ma è egli un trino ipostatico? E qual n'è l'essenza?
L'assoluto importa tre ipostasi: ecco il mistero, ed ecco la fede.^ Quanto a
determinarne l' essenza, la speculazione occidentale, anche sotto forma di
speculazione teologica, non poteva non interpretare le divinazioni altrettanto
spontanee quanto ricche e feconde della coscienza orientale essenzialmente
religiosa, con l'inV inteìligìbile del Dio aristotelico, con l’intelllgrente
formerebbe identità essenziale; e allora le idee non sarebbero essenzialmente
relative quali appunto sono richieste dall' economia del sistema platonico, e T
esigenza vera e giusta della metafisica platonica sparirebbe. Dunque cotesto
idee plaioniche come s'hanno da intendere? Le idee platoniche sono T'Egac^v;?
stesso, ma concepito come essenzialmente relativo &\VaUro, ma iiValtro non
già come tò trspoif puro, assoluto, bensì come 70 ìrspov in quanto abbia un
riferimento necessario al rò àWo, A questa maniera non è altrimenti vero che,
accettando le idee platoniche, debbasi accettare altresì la dottrina dell'
avajtzvYiTcCt come han detto certi critici moderni: e neanche si è costretti ad
accettarla> nelle forme nuove ond' è stata presentata da' moderni
neoplatonici, dal Malebranche fino al Mamiani. « SiMOX, ffitt. de l’Ecole
d'Alex. Il tre è il numero che assolve tutte le condizioni della perfeziono, ed
è perciò che tutto è definito del tre: to' Tràv y.(xt to Travra rof; TùtTiTt
(fìptfTTat (Arist. De Coelo). Vedi le belle riflessioni di GIOBERTI sulla
Trinità considerata razionalmente {FU, della Rivelaz.., XVIII) e di ROSSI
(Regno di Dio naturale, ecc. li Studi di Zocehif) ' Prendiamo la parola tpostcm
nel significato:' istiano non già nel senso neoplatonico e alessandrino.
dirizzo, al solito, dell' Aristotelismo e del Platonismo. Il peripatetico
nominalista ripone la divina realtà ed essenza nelle triplicità di persone, e
riguarda l' unità come un puro nome. Tre sostanze indipendenti e separate, ma
congiunte in unità mentale. Perchè congiunte? Perchè fomite d' egual potere, d'
egual volere, d' egual conoscere. Il realista platonico, per contrario, vuol
far consistere l'essenza divina nella realtà in quanto è unità determinantesi
nella triplicità di persone. Agli occhi del primo, dunque, l' Assoluto è il tre
in uno: agli occhi del secondo è l’uno in tre: ecco la lotta interna della
riflessione teologica del medioevo. Ora giusto perchè questa riflessione è di
natura teologica e dommatica, avviene eh' ella non supera, non può superare il
sentimento, né trascender l'intuizione, né solvere il mistero, né
disimpacciarsi dall'aperta contraddizione. Laonde Nominalisti e Realisti vecchi
nuovi, avvegnaché discordi nella maniera di determinare l' essenza del Ternario
cristiano, non sanno rimuoversi d'una linea dall'insegnamento dommatico su l'
unità assoluta nella separazione delle tre persone. Se il ternario cristiano,
in quanto germina dall'intuizione rehgiosa, è come l'immagine anticipata della
ragione, in esso deve acchiudersi un vero che la ragion filosofica dee saper
disvelare, correggere e legittimare. Questo vero non risguarda già l'unità
nella triplicità ipostatica: riguarda il trinuno assoluto, l'assoluta
triplicità considerata, come abbiamo toccato, nella medesimezza di subbietto.
Perocché l' unità di sostanza mai non tornerà conciliabile con la pluralità di
persone; e se così non fosse, il panteista avrebbe già trionfato nel regno
della scienza, né io davvero so dirmi che cosa mai potrà rispondere il sottile
teologo all'arguto hegeliano, il quale pretende precisamente questo: che la
diversità delle persone non dimostri nuli' affatto la pluralità delle sostanze.
Il perché pigliando alla lettera il domma della Trinità, la teologia cattolica
non si salva dal precipitare nel tenebroso vuoto dell' assoluta identità. Il
contenuto del ternario cristiano adunque ci significa le tre primalità del
conoscere, del volere e del potere, ma nella relazione del vero che,
convertendosi con sé medesimo, diventa generato, e, come generato, come verbo,
è infinita idealità e possibilità del Fatto. Interpretandolo così accade che
l'intuizione religiosa, generatasi per leggi inerenti allo stesso processo
psicologico, rinverghi col concetto metafisico a cui può elevarsi la ragion
filosofica positiva; e quindi può dirsi che, come la religione è il preludio
naturale e necessario alla filosofia, di pari modo la speculazione metafisica
sia la interpretazione critica e Tinveramento delle intuizioni spontanee e
comuni della coscienza religiosa. Il cristianesimo è la religion razionale per
eccellenza, e con essa oggi chiudesi il corso e ricorso delle creazioni
propriamente mitologiche e delle grandi rivelazioni e divinazioni religiose. Ed
è razionale perchè è in sé medesima processo, e svolgimento. Che se anch' ella
come tutte le manifestazioni della storia é un processo, é mestieri applicare
ad essa la universal legge storica e sociologica della Scienza. Guardata
infatti nella sua storia ideale, anche la religione é innanzi tutto divinay
indi eroica, appresso umana. E giugne ad essere umana quando la forma siasi
potuta elevare a cotal grado di trasparenza, che il simbolo palesi da sé
medesimo l'idea, e il mito siasi venuto elaborando così che rac[Non poco 8*
illudono perciò quo' filosofi ohe, come il Cusano fra gli antichi e il Rosmini
fra i moderni, si sforzano d'applicare a Dio il concetto delle categorie col
fine di spiegarsi in qualche maniera il mistero della Trinità. Io potrò
intendere il Cardinal di Cusa dove mi dice che Unitcu, Iditas e Identità siano
quasi i tre momenti dialettici interiori dell’assolato. R potrei forse
intendere il Roto retano quand'ersi studia mostrarmi che Realtìk^ Jdeaìità e Moralità
sieno le tre forme in che si determina l'essere. Ma come intenderli quando il
primo d'essi afferma che Vvnità è il Padre, Vegtiaglian Ma il Figlio e la
connessione lo Spirito, e quando il secondo applica alle tre persone quelle sue
tre sparute /orm« ontologiche f chiuda un vero metafisi(X) o morale che sia. Or
se è tale il valore del sentimento religioso nello svolgimento isterico della
civil società, perchè dirlo morbo della mente, fiacchezza della coscienza
volgare, abberrazione della fantasia? Se dunque la ragion filosofica vorrà
attingere anche qui forma razionalmente positiva, ella vi potrà giugnere a
questo sol patto; che il concetto metafisico ond' è capace, non abbia a
contraddire in modo assoluto ai portati della coscienza religiosa. £ se la religione
dal canto suo vorrà essere anch' ella positiva e razionale e perciò
rispettabile e santa, potrà essere tale a questo sol patto; che sappia porgersi
alla ragion filosofica siccome riprova e guarentigia, tuttoché di natura
istintiva ed empirica, ai pronunziati della speculazione metafisica. Anche qui
regna la gran legge del concorso di forze combinate, e del loro corrispondersi
tanto necessario alla eccellenza del risultato. E in tal caso religione e
filosofia, serbando entrambe valor positivo e medesimezza di contenuto,
formeranno un criterio al cui lume potrà esser giudicata ogn' altra filosofia e
religione. Una critica religiosa che si diparta da questo principio, sarà
critica infeconda ed erudita, com' è quella de' Teologisti cattolici, ovvero critica
esiziale e sistematica com' è quella de' mitologi hegeliani. Tal si è
precisamente il nostro concetto metafisico rispetto al ternario cristiano, che
è il mistero piii comprensivo cui abbia saputo elevarsi la coscienza religiosa.
L'uno è correzione dell'altro, al modo istesso che questo è, per così dire,
guarentigia sperimentale del primo.' * Qui abbiamo dovuto accennare solamente
al simbolo della Trinità, ma nella Sociologia mostreremo di proposito come la
dottrina del Vico su la natura ed origine del mito in generale, sia fondata
anch'ella nelle leggri del processo psicologico, e quindi racchiuda il concetto
e la necessità della interpretazione morale nell'ordine delle intuizioni
religiose, e mitologiche; deHa qual necessità il Kant, dopo Vico, ebbe assai
chiara coscienza {Rdig, daiu le» lini, de In raiton). Ora ciò che qui preme
osservare questo: s^ col concetto metafisico del nostro filosofo si può
acconciamente interpretare il simbolo del ternario cristiano, ne scendono due
Concludiamo. Se è vero che la metafisica è scienza non assoluta ma dall'
assoluto, stantechè sia possibile attinger notizia razionalmente positiva circa
il fondaconseguenze: P che il Libro Metafisico f nel quale troviamo depositato
il germe del concetto riguardante il procesto ideale, sia intimamente collegato
con la Seiema Nuova, appo cui la teorica sul mito (superiore sotto più
riguardi, come vedremo, a quella de* mitologi e filologi Tiventi), non è che
un' applicazione della sua dottrina psicologica, della quale noi ahbiamo svolto
i tratti principali: che interpretando col suo concetto metafisico il simbolo
cristiano, in generale, e, in particolare, quello del ternario, si viene a
contraddire in modo serio e positivo al panteismo. Anche per gli Hegeliani il
mistero della Trinità, come ogn' altro mistero, shnboleggia una verità
filosofica. (Heobl, Phil. de VEaprit, ItUrod. del Vera); nel che siamo
perfettamente d'accordo. Ma l'interpretazione alla quale costoro sottopongon la
simbolica religiosa, anziché legittimare in qualche maniera la credenza
elevandola a significato filosofico, l'annullano addirittura, perchè la rendono
assai più inintelligìbile e paradossastica ch'ella stessa non sia come
credenza. Idea, Natura e Spirito: Padre, Figlio e Spirito Santo! Ma che cosa ci
ha che veder la Natura? Non è egli questo precisamente ìl vecchio concetto
degli Alessandrini, di Plotino, che pretende ritrovare nel Parmenide di VELIA
le tre famigerate ipostasi dell' Unità, del Multiplo, e dell’Unità-multiplo,
riponendo quest'ultimo appunto nell'anima e nella natura V (Enn., tBoulliet).
L' interpretazione davvero potitiva e non già fantastica del contenuto
religioso, non deve e non può contraddire al simbolo (almeno per quel tanto che
esso contiene di filosofico), perchè contraddirebbe alla stessa ragione. Or
quest' elemento di verità, contenuto germinalmente nel simbolo cristiano,
riguarda per appunto il ternario considerato in sé; riguarda il ternario
assoluto, il ternario com'è richiesto dall'esigenza metafisica positiva, e non
già il ternario trasportato anche nel processo della natura, e nello
svolgimento della storia. Questa enorme confusione fanno i Teologi, e la fanno
anche gli Hegeliani con la lor teorica e critica della simbolica cristiana. Che
cos' è il Dio che eeende nella natura? Che cos'è il Figlio che si parte dal
Padre per umanar»if Che cosa mai sono il popolo eletto, i profeti, gl'ispirati,
il mondo latino-cristiano? E che cos' è la Idea che dall' astratta mansione
dialettica scende anch' ella e passa mediandosi nella natura e penetra nella
storia? Che cosa sono \6 funzioni storiche speciali de' popoli privilegiati,
àQ* privilegiati personaggiy del mondo cristiano-germanico? L' Hegolianismo è
davvero una contraffazione del più grossolano Cattolicismo! ò una mitologia
anche lui! E quanti punti di contatto anche in questo, e specialmente in
questo, con la dottrina sociologica dei Comtiani! VERA ha detto bene: il
positivismo i una contraffazione dell’Hegelianismo. E noi alla nostra volta
crediamo dir benissimo (col permesso dell' illustre traduttore) che r
Hegolianismo è una contraffazione evidente del cattolicismo. Ma di ciò basti:
ce ne rifnrorao altrove più riposatamente. mento e la ragion delle cose; se è
vero, d'altra parte, che il significato esteriore della storia della filosofia
occidentale sta nella lotta fra il platonismo e l’aristotelismo, mentre il
significato interno ed essenziale di essi risiede nella correzione vicendevole
de' due estremi indirizzi aristotelici in quanto concorrono al trionfo
dell'indirizzo medio: ne viene che nel concetto del processo ideale e nella
relazione de' tre termini costituenti la dialettica discensiva che abbiamo sin
qui rapidamente interpretata nel nostro filosofo, trovasi non pure il risultato
e insieme l' inveramento delle tre posizioni unicamente possibili in metafisica
delle quali altrove toccammo, ma l' inveramento altresì della doppia esigenza
deU'ùZga platonica e della categoria aristotelica. Trovasi la correzione, come
ci sarà dato meglio vedere fra poco, del Dio platonico previdente e provvidente,
e dell' immobile Dio aristotelico che nulla vede, nulla prevede e niente
provvede nel mondo. E per tutto ciò troviamo l'accordo fra il principio della
medesimezza che prevale nel padre della Dialettica, e'I principio della
diversità che predomina nel padre della Metafisica. Cìotesto accordo per noi è
vero accordo, è vera conciliazione, appunto perchè, come dicemmo, è vera
correzione: correzione dell'Idea, dell'essenza che, pur sparata, dovrebb' esser
l' essenza della cosa: correzione dell' Ji^o il quale, non ostante l'assoluta
immobilità sua, dee muovere il mondo come causa finale. Quest'accordo e questa
correzione trovano lor saldo fondamento nel criterio della Conversione, elevato
a dignità di Pilicipio metafisico. E questo medesimo principio metafisico può e
deve assumer natura, come si disse, di principio speculativo, di norma, di
criterio essenzialmente isterico, universale e comprensivo, a poter saggiare e
acconciamente ponderare la verità delle soluzioni che intomo al problema
metafisico han dato le diverse scuole, e le differenti filosofie. Se ci fosse
dato fermarci in siffatti riscontri storici, non sarebbe guari difficile
mostrare come in esso trovi correzione, per dir qualche esempio,
1’Alessandrinismo; il cui rappresentante, Plotino, interpretando erroneamente
il metodo dialettico di Parmmide di VELIA e abusando dell' Unità parmenidea,
non potè coglier la ragione del vincolo che insieme annoda i suoi differenti
generi del sensibile, co' suoi generi dell'intelligibile, e siffattamente sfumò
nell'iperpsicologismo platonico pur credendo d' inverare l' Aristotelismo.
Questo vincolo e questo passaggio non potè scorgere l'ingegno profondo
d'Erigena con l'ardito concetto della yuVic e con le quattro diverse maniere
onde per lui s'attua la Natura; poiché giunto all'assoluta essenza, com'è noto,
ei se ne ritrasse invocando in sussidio la teologia rivelata. Né il Cusano, per
citare un esempio del rinascimento, tuttoché con mirabile acume giugnesse a
cogliere il concetto àéìT alteritcLS e delle determinazioni dell'Assoluto,
bastò a dedurre acconciamente e necessariamente l'attinenza verace onde il
mondo è a Dio congiunto,' e anche lui finì con intender l'atto creativo al modo
che è posto dalla coscienza religiosa. Tanto meno l'arditissimo BRUNO puo imbroccare
nel segno, con la dottrina de' tre intelletti, quant' all'attinenza tra
l'intelletto divino e l'intelletto che tutto fa; e quindi sfumò in quel suo
naturalismo che potrebbe dirsi un aristotelismo cui manchi il concetto
dell'Atto in sé. Né il Campanella giunse ad applicare in maniera dialettica le
sue tre primajità psicologiche all' Assoluto,' come il Vanini non superò guari
la dottrina della natura e della forma de' peripatetici. Nello Spinoza poi,
meglio che dialettica, ci è meccanica e geometria; poiché il concetto della
sostanza unica' è negazione della tripli* Simon, BUt. Haubiau, PhU. Sool. '
Nio. DB Cusa, DicU. cU Pot§e9t. * Bbono, Dial., De Prine.j oc. Camparblla,
MetapKt SpurosA, £th.t I, n. U, cita e d' ogni processo intimo e dinamico nelP
Assoluto; onde il pensiero, che è uno de' due modi universali della sostanza,
riesce, con evidente assurdo, molto piii che non sia la medesima sostanza. In
opposizione alla sostanza spinoziana sta la monade del Leibnitz. Ma se nel
concetto monadologico del filosofo di Lipsia vi è una divinazione originale che
la scienza moderna è venuta semprepiii confermando, voglio dire il concetto
dinamico, niun vincolo razionale e dialettico esiste tra la gran Monade e T
universo delle monadi, come altrove dicemmo.' E per toccare finalmente de'
moderni, niuno, tranne gli adepti, vorrà creder sul serio che Hegel col suo
ternario assoluto ci abbia dato un concetto metafisico positivo. Egli anzi ha
cancellato aftatto il concetto della conversione ad intra^ riducendo siffattamente
il dinamismo ideale ad un ideale meccanismo; talché il processo geometrico
della Sostanza spinoziana avrebbe più d' un' attinenza col processo formale e
dialettico dell'Idea hegeliana. Alla vera nozione del processo ideale non sono
pervenuti poi né GIOBERTI, né SERBATI. Il principio ctisologico del primo è
senza dubbio un processo, come vedremo fra poco: ma, appunto perchè processo,
non dovrà supporre forse un altro processo anteriore, e superiore? La
dialettica giobertiana é Una dialettica a metà; e il creatore del filosofo
subalpino è troppo accosto al suo concreatore, alla sua iitBì^ic^ al suo
Intelligihile relativo che, coni' egli dice, è l' Idea redw^ata, V Idea per
soìiificata; talché potendovisi facilmente confondere, non poteva àgli
hegeliani riescir guari difficile tirarlo all' Idealismo assoluto.' Il Rosmini
finalmente, col concetto dell' ente iniziale e comunissimo determi[Vedi ciò che
abbiamo discorso del Leibnitz e se^. Gioberti, FU, ddla Rivdaz. Al GIOBERTI
manca e deve mancare, come vedremo fra poco, il vero concetto della dialettica;
e Io confessa egli medesimo là dove si prova a distinguere una dialettica
interiore, ed una dialettica esterna (Protologia) nantesi nelle tre forme
dialettiche, non è giunto, e non poteva giugnere neanch' egli a sciogliere e
poi rilegare il vero nodo dialettico. Com'è possibile un processo fra quelle
sue tre forme? Com'è possibile la distinzione categorica reale del suo essere?
Le cose discorse ci menano a due conclusioni quanto chiare, altrettanto
irrepugnabili: P L'assoluto è il vero che si converte ad intra col generato, e
ad extra col Fatto: dunque la posizione del Fatto è razionalmente, liberamente
necessaria: 2 U Fatto è V aUrOj è il diverso: ed è tale per doppio rispetto;
come termine ^05^0, cioè come fatto semplicemente detto, e come fatto che si
fa; come sostanza e come causa: dunque il fatto è estemo al Generato, è
indipendente da lui, non come termine posto, bensì come Fatto che s'invera,
come Fatto che si converte con sé stesso e perciò nel vero; insomma come
sorgente perenne d'attività. Diciamolo in altre parole. Dio crea il mondo in
quanto lo pone; e il mondo, in quanto è posto come fatto, si crea. 11 mondo,
adunque, appunto perchè ha natura di Fatto, appunto perchè ha natura di altro
sotto gemino aspetto, è insieme posizione e creazione. È posizione, in quanto è
termine di conversione con l’altro, ciò è dire con Dio: ed è creazione, in
quanto è subbietto di conversione con sé e per sé medesimo. Perciò se il Fatto
non è creato ma è postOy ne viene eh' egli ha da essere il vero pònente, il
vero creante sé medesimo. SERBATI, Teotojia. La parola ponzione è brutta, io Io
veggo; ma qui non saprei come dire dÌTersamento per non restare avviluppato
negli equivoci ed esagerazioDi in che sono caduti gli ontologisti con l’uso ed
abaso deUa parolA Il mondo nel processo cosmico ci si presenta sotto tre
aspetti. Riguardato come Fatto, egli è in Dio. Riguardato qual fatto che
s'invera e converte con sé stesso, è fuori di Dio. E, finalmente, considerato
qual Fatto che si converte col vero nel regno della storia e della psicologia,
non si può dir propriamente eh' e' sia fuori di Dio né in Dio, ma Dio è in lui:
é in lui nel senso che il mondo è pensiero, scienza. Ecco la correzione e
insieme l'accordo del dualismo e del panteismo. Non vi é unica ed assoluta
sostanza: né vi sono due sostanze poste empiricamente. Vi è bensì una dualità
formante unità: vi é due sostanze formanti organismo. ertaMÌ4me. Nel g^reco non
ini pare ci sia una voce che possa rendere il concetto: anzi non ci può essere^
chi consideri come al pensiero ellenico manchi r idea alla quale accenniamo.
Tra l’Atto puro e la dateria prima deir Aristotelismo non ci è vincolo nel
signifioato di potìnofu; ma t* è solamente relazione di finalità, perchò VAtto
non pone, ma attrae; e attrae la materia in quanto essa è jiotoiua, cioò in
quanto è opi^i; e però in quanto nelle cose Tiene inserito il deeiderio con
perpetua in/ueion% che è 1’interpretazione erronea de’vecchi aristotelici e
antiaristotelici (Rjlvaisbok, Metaph, ec. Neanche nel Platonismo ci è V idea
della posizione, e quindi nò pur la parola che vi risponda; essendo noto come
pel filosofo d’Atene la materia sia anche eterna e al tutto indipendente
dall'ùlea, cioè un'assoluta recettività, iimeno intendendo Platone come si fa
d'ordinario: nò poi la fii9t^i^ e la yLl^junii come toccammo, bastano ad
esprimerci il concetto della conversione. Il pensiero ellenico dunque non
pervenne a determinar nettamente l'attinenza originaria, non finale tra
l'indeterminato e l'Idea, tra l’infinito e il finito, tra la forma e l'Atto; e
quindi non riusd, com'ò noto, a superare il dualismo. Ora trascendere il
dualismo è uno degl’aspetti e però uno de'fini della lotta fra il platonismo e
l’aristotelismo. L'alessandrinismo tenta superarlo, ma evapora nel concetto
dell'identità assoluta: e però neanche presso gl’alessandrini sarebbe facile
trovare nò il concetto, nò la parola che significhi '1 vincolo originario tra
il mondo e Dio. Gli Hegeliani usano anch'essi, fra le altre non meno brutte, la
parola poeizione, che anzi costituisce il lor pane quotidiano. Ma pell'
Hegelianismo poeizione vale determinazione, medùizione, compenetrazione; e
perciò, checché ne dicano, esprime un rapporto di natura, per cosi dire,
meccanica e formale. La nostra posizione è diversa dalle loro quanto il nostro
generato dalla loro Idea; quanto la nostra convereione dalla loro
contrappoeizione^ negazione, med̀tzione e che so io. fe inutile avvertire che
le parole bara, asa, vasàb della letteratura ebraica, esprimon tutt'altro
concetto di quello che noi intendiamo significare colla parola poeizione.
Quest'organismo è vita, non è morte fqueet' organismo è profondo dinamismo, non
è meccanismo. Ed è vita e dinamismo, perchè non è monismo assoluto; non è
monismo inintelligibile, assurdo, esiziale alla scienza come alla civil
società. E qui ci corre il debito di rendere giustizia alla mente straordinaria
di GIOBERTI, e correggere nel medesimo tempo la sua formola ctisologica.
Anch'egli è tal pasta d'ingegno che si svolge e s'allarga e s'invera e si
corregge; ma non per questo si contraddice. La novità della protologia non stà
nel concetto del creare inteso come divenire, secondochè vorrebbe Spaventa. Se
così fosse, egli, in verità, non avrebbe detto nulla di nuovo; come nulla di
nuovo dice nella Introdu' jrìone col rinverdire l’idea della creazione. La
novità vera, la nuova esigenza del filosofo subalpino sta nel concetto della
concreojgione, com'ei suol dire; della cancrecunone intesa non già come
fxsOf5«; dell'Idea verso il mondo e rispetto al mondo, ma si del mondo verso r
Idea, e rispetto all'Idea. Perciò l'ontologismo giobertiano va corretto; va
fatto più conseguente con sé stesso: e, scambio della celebre formola dell'Ente
creante l' Esistentey è forza porre la formola metafisica di VICO (vedasi)
nella quale è racchiuso quel vero e compiuto dialettismo che r ardente
scrittore del primato anda sempre cercando con ansia febbrile, e non trovò mai:
cioè il vero che, convertendosi ad intra ed generato si converte anche ad extra
col fatto. La sua formola teleologica, poi, vuol essere anch' ella corretta; e
invece d'aflFermare che l’esistente ritoma alV ente (prima maniera), o che
l’esistente concrea Venie concreando se stesso j è d'uopo dire che il Fatto si
converte nel vero e col vero, e perciò si crea, e perciò si fa divino. Il
concetto ctisolo^'oo di GIOBERTI della prima maniera (e dico marnerà per dir
forma nello stiluppo, non già diversità di contenuto nella sua dottrina, come
Terrebbero gli Hegeliani), sta nel presentar V’atto creatiro siccome prodaconte
T esistenza in quanto la individua.
Nella IntroMi si chiederà: la seconda forinola, la formola cosmologica
esprimente il vero concetto della creazione, cioè il fatto che si converte nel vero,
esiste ella in VICO (vedasi)? Esiste, io rispondo, per chi la sappia ritrovare,
e dedurre; e dedurla e trovarla è negozio agevolissimo. Come la si deduce?
Considerando con accuratezza la sua formola metafisica. Quando egli pone il fatto
siccome termine di duzione il creare suona, a dir proprio, individuare. Che
cosa in£atti ò r individuo? È l’dea pasMta dalla potenza alTaUo. Qui t;* ò dol
neoplatonismo, e anche buona doso di panteismo. Della prima maniera altresì è
queir afTermare con tanta sazietà che l’uno crea ti mi«ltiplof e che ii
tntdtiplo ritoma aU^tmo: concetti yaghi,
indeterminati ed erronei che ci fanno pensare a Proclo e a Plotino. Se GIOBERTI fosse rimasto qui, non sarebbe stato ingegno
potente ed essenzialmente correttivo di sé medesimo. Non sarebbe stato ingegno
progressivo, fecondo ed esplicativo. Ma se nella protologia fosse giunto al
concetto del divenire, più che esplicarsi e si sarebbe data la zappa su' piedi;
si sarebbe codtradetto: sarebbe passato
dal bianco al nero, dal no al sì, da Dio alla Idea, e siffattamente sarebbesi
mostrato ingegno leggiero, pensatore sghengo e anche un pò vanesio. Era egli
tale T ingegno di GIOBERTI? Lo dica chi può! Dunque l'A. della Protologia, se
per nostro conforto fosse vissuto, non sarebbe divenuto Hegeliano; anzi avrebbe
inaugurato novello periodo filosofico in Italia conforme all'indole di nostra mente; ciò che non ha
fatto, e non poteva faro MAMIANI. FERRI ha detto benissimo: la teconda JUoaofia
di GIOBERTI {che racchiude non già un nuovo 9Ì9tema, eibbene uno epirito
nuovo)^ inaugura un altro periodo, la cui aorte i rieeronta al futuro Hist. E
davvero, se fosse vissuto, ci avrebbe dato un Btnnovn mento filosofico, al modo
stesso che ci dìo il rinnovamento civile col quale inaugura la nuova ITALIA, e
del quale Cavour, dovremmo esserne ormai convinti, non fece che attuare il
programma. Ciò non pertanto anche nella protologia si scopre l'uomo vecchio,
VintuitUta, e però il neoplatonico schietto. Non dubita affermare, per esempio,
che Videa pone il finito, e 8i COMUNICA): che le idee formino in Dio una gela,
la quale 9Ì «quaderna e pa^aa dalV
as9oluto ed relativo merde l’atto della
creazione: che l’infinito attuale e l’infinito potenziale, anziché due cote,
formino una sol cosa, ma sotto doppio aspetto: e che l'infinito potenziale non
è né il finito né 1’infinito, ma la sintesi di essi, non {scorgendo il
grand'uomo come finitò, e infinità potenziale non siano già due cose, ma due
aspetti d’un medesimo subbit'tto, ciò è dire il fatto in quanto è alterità
verso il Generato, e verso se stesso. Or le contraddizioni da cui bisogna
salvare Gioberti nella sua seconda maniera di filosofare sono queste, non
quelle che ci veggon gli Hegeliani. E bisogna salvamelo appunto, per liberarlo
dalle tracce d’iper-psicologismo, di neo-platonismo, d’alessandrinismo,
d'arabismo e d'hegelianismo che pure
contiene. conversione col Generato, cioè il Fatto come Fatto, come
posto; con ciò stesso ei ci dà questo Fatto come subbietto che essenzialmente
si converte con sé medesimo; cioè come creante sé, come autogenito, come
conato, E come poi ritrovarla cotesta formola? La ritrova chi abbia occhi in
fronte; cioè leggendo la Scienza. La quale è per l'appunto un'applicazione di
essa, ma è un'applicazione al mondo de'
fatti umani, eh' è dire d'ima parte, d'un genere, del sommo genere del fatto.
Che cos'è il certo che diventa vero? Che cos'è l’autorità che a grado a grado
assume forma e valore di ragione? Che cos'è la filologia che diventa filosofia?
Che cos'è la storia, l'uomo, lo spirito che dalla fase divina passa alla fase
eroica, e dall'eroica all'wwana. Che cos'è il pensiero, la Mente che è Senso poi Immaginaeione e poi
Ragione? Taluno potrebbe dire: di cotesta formola VICO (vedasi) non fece
applicazione al mondo della natura. Neanche questo è vero. E non vero, perchè
non solamente quest'applicazione ci è dato dedurla, al solito, dal suo
principio metafisico, ma, che più rileva, ei n'ha lasciate tracce
visibilissime, germi assai fecondi ne'suoi principii cosmologici, come vedremo appresso. Torniamo
al proposito. Dato alla creazione il significato e il valore che noi diciamo,
ne vengon fuora parecchie conseguenze le quali verremo accennando man mano. La
creazione non è, per parte di Dio, né una deduzione, per dir così, né
un'induzione. Per dedurre il mondo, egli dovrebbe cavarlo da sé: assurdo grossolano.
Per indurlo, poi, dovrebbe cavarlo da una materia preesistente, ovvero dal
nulla. Una materia preesistente senz'alcuna idea, un ricettacolo indeterminato,
come lo concepisce il platonismo, riesce inintelligibile, e ci lascerebbe in
pieno dualismo. Dal nulla come tale, nel che sta il concetto balordo dal
pietoso credente, tanto meno. Si dirà esserci la potenza Vedi a questo
proposito quel ohe abbiamo discorso nel Cap.
V del Ub. U. infinita attuale? Benissimo: quest'Atto ha da esser
Oenerato; e, in quanto è Generato, pone il fatto, educe il fatto per necessità
razionale, e quindi per legge di conversione. Se dunque lo educe per necessità
intima e razionale, veggiamo scaturire una seconda conseguenza, ed à che un
mondo particolare, contingente e d'ogni parte finito e mutabile e scorrevole,
senz'altra necessità fuorché quella d'un
beneplacito divino, contraddice apertamente alla ragion filosofica positiva,
nonché ai risultati sicuri della moderna scienza fisica, geologica,
cosmologica, astronomica. Se il mondo, anche in sé medesimo, é una conversione
di sé con sé stesso, non può non esser necessario nella sua esplicazione e
nelle sue leggi, appunto perché essendo termine di conversione d'una causa eh' é mente, debb'essere anche
lui causa, mente, razionalità. Il mondo, in somma, é posto razionalmente.
Dunque l’atto col quale Dio pone cotesto mondo é liberamente necessario, e
necessariamente libero. Dicemmo qual relazione corra fra libertà e ragioue. Se l’atto
volitivo guardato nella sna radice, secondo la legge del processo psicologico,
non è altro in generale che uno «/orso
(Tintenderef cotesto sforzo, che in noi ò impedito perchè essenzial conato, nell’assoluto
non può aver luogo, e quindi è speditissimo. £cco il fondamento della necessità
della creazione. Ma la sapienza infinita! si dirà: chi ne misura gli abissi?
Lasciamo gli abissi: qui la faccenda è chiara, perchè ce ne porge guarentigia
la psicologia: gl’abissi ci sono, pur troppo, ma non qui; e qui ci sono, perchè ce Than messi l’ignoranza,
il pregiudizio e l’immaginazione. Nò si creda che togliendo a Dio la libertà
anche quella a n«oem(ate natura, ella rimanga distrutta altresì nell’uomo.
Innanzi tutto non è vero che si tolga a Dio U libertà; anzi gli si dà la
libertà vera, dal momento ohe si concepisce come vera e compiuta ragione. L’uomo è ^rt»eep«rous.
Non v'è dunque destino: il destino è la natura e la ragione; e appunto perchè
il destino è natura, perciò è lungi d'esser cieca necessità. Tutto quindi è
provvidenza nella mente di VICO (si veda), perchè tutto è creazione, attività
intima, profonda, spontanea si nel mondo fisico, e rì nel morale; né senza
ragione volle metterla in cima alle sue discor verter La provvidenza agl’occhi
suoi apre e chiude il circolo della
scienza, non meno che il processo della storia. Ella perciò è innanzi tutto
naturale e divina, appresso eroica, da ultimo umana. La provvidenza umana è la
stessa ragione, la quale non può non essere libertà: essa dunque importa
pienezza di responsabilità. La provvidenza è il primo de'tre grandi principii,
0 sensi comuni dell’umanità: ed è
altresì l'ultimo corollario della mente
del filosofo. La provvidenza dunque è principio e fine della storia
umana, al modo istesso eh' è dedica e conclusione della scienza. E anche quest’altra:
ab ipta rerum humatuxrum natura. De
Oon$t, Philel Il coDCotto di Vico
è concetto aristotelico; e così infatti 1‘Afrodìsio interpreta la neceasìtà
Jinea e naturale d'Aristotele. Ved. NooBI8S0N,
De la UberU et du Haaard,
E$8a% sur Alexandre d'Aphrodina» ec. Paris Ved. Tavola
delle Diteoverte nella Seien»a Perciò chiama il soo libro una teologia civile e
ragionata della Prowedema divina Se.; e più d' ana volta si dà Tanto d'aver
prodotto una nuova dimostrazione, una dimostrazione di fatto ittorieo circa l’esistenza
di Dio. Che cor' ò questa dimoetratione
di fatto ietoricot t! la provvidenza in
quanto è Fatto, in quanto è creazione. et
il Fatto che si converte con so stesso, e mostra quel che è, quel che contiene,
quel che debb'essere; e così, mostrando sé stesso, mostra anche Dio. Perciò la
provvidenza non ò Dio che si mostra, Dio che interviene; ma ò il mondo delle
nazioni che attuandosi, che creandosi e edébrando così la propria ìvatwra, si
mostra sensatamente, e si manifesta come
termine di conversione. Indi è che la
provvidenza per lui non può essere un argomento induttivo dimostrante
l'esistenza di Dio, appunto perchè ella nel mondo, anziché effetto, ò una
causa. Questa sua dimostrazione di /atto ietorico, dunque, è una forma dì
eduzione, non già di semplice induzione: col che confermiamo anche una volta la
natura del metodo vichiano. Ora se questo è il significato significato davvero nuovo e originale del
concetto della prowidenaa n^U' A. della scienza, n concetto ctisologìco
inteso al modo che noi lo interpretiamo nel nostro filosofo, si presenta come
il risaltato del mondo moderno. È la vita stessa della scienza moderna: è il
gran secreto della filosofia positiva: ed è l'esigenza massima della Sdenea.
Chi non Faccetta, deve negare il presente,
dee dare una smentita alla storia; e sarà condannato a indietreggiare
sino al medio evo, per non dir già sino alla Grecia. La formola cosmologica del
nostro filosofo corregge e trascende, anche in questo, il neoplatonismo
italiano moderno, ponendo non è a merarigliare s’egli in ciò sia stato franteso
e interpretato assai male, come vedemmo, da certi saoi critici. JOMMELLI
(vedasi) e il primo ad osserrare che
nella scienza tale concetto può intendersi in dne sensi; e l’acato archeologo
napoletano non s’ingannata. Talora infatti sembra che la provvidenza, per VICO
(vedasi), abbia a consistere solamente nell’azione di Dio. È la provvidenza,
per dirne un esempio, che eccita Atejo Capitone e Lahtone; il primo nella gdoèa
e tenace cuttodia de^ vecchi diritti, e il secondo nel propugnare interprc tOMioni tempre nuove
affindii la romana ffiurieprudenMa potetèc evtdgerai. De Univ,
Jur,. La provvidenza egli invoca per iepiegare la rapida e univereale
comporta del Cristianesimo merco la civiltà romana; la quale perciò altro scopo
non avrebbe avuto nel mondo, fuorché quello di schiuder la via all’idea
cristiana. Or tutto ciò contraddice all’esigenza del suo metodo, ed è in aperta opposizione colla
sua dottrina metafisica. Lo stesso religiosissimo JOMMELLI (vedasi), il quale
del resto non avea nò punto né poco subodorato il valore della filosofia del
suo maestro, non dubita affermare, che se per prowidenxa nella scienza vuole
intendere eolo l’axione di Dio eugli uomini, Mora non pare che n faccia altro che una lemone di
teologia poco neeeeearia ai Cattolici,
ami ai Crietiani e a tutti gli eneeri ragionevoli. Provvidenza dunque, per VICO
(si veda), vuol dire natura. Provvedere è fare, è creare, ò attuare. Dunque è
incessante e vivace conversione del fatto nel vero. Per lui quindi è prowidenxa
l’itetnto, laddove, parlando dell’origine della
parola 2ex, dice che gl’uccelli
nidificano pretto le fonti. De Vniv. Jur.
provvidenza il pudore, onde procede la frugalità, la temperanza, la
giuttÌMia, e simili De Contt. Juritpr.,
I[I). È provvidenza la storia della poesia, e le false religioni. E
provvidenza la forma monosillabica delle lingue. È provvidenza lo teoppiar de’primi tumulti deUe plebi nella terza età del tempo oscuro.
È per provvidenza rebut iptit dietantibut che le religioni cominciano a venire
in dispregio. È prorvìdenn rebut iptit
dietantibut, l’origine dell’arte della guerra e della pace. fe provvidenza che
le Centi Minori apprendano dalle Centi Maggiori; ed è provvidenza la templieità e naturalcMM Oud*ò condotto il corto ddC umanità Se..a nudo le magagne del concetto
creativo del Teologismo, nonché dell' Hegelianiamo e del Positivismo: che vuol
dire, al solito, corregge i due estremi
del filosofare, iperpsicologismo ed empirismo. Di fatto che cos' è per
l'Hegeliano la creazione? È l’identico in guanto si differendo. Dunque non è
vera creazione, svolgimento, processo; ma ripetizione ritmica e, come dire,
inquadrata sovra un medesimo fondo che è la Idea. Pel Positivista il moto, la
vita e l' essere
delle cose non
è che trasformazione di forze,
o di materia; trasformazione fisica, meccanica,
biologica; determinismo affatto meccanico, affatto accidentale, affatto cieco.
Dunque anche per lui la creazione è ripetizione monotona d'un identico
subietto. Colla formola cosmologica del nostro filosofo, inoltre, si giugne a
conciliare le esigenze legittime del teismo e del panteismo sulla natura del
mondo. Nel Panteismo vi è un'affermazione
giusta e ragionevole; ma vi è pure una negazione iriragionevole, erronea
ed esiziale. L'affermazione risguarda lo svolgimento d'un principio interno e
divino nel mondo, e nella natura. La negazione poi riguarda un'efficienza
sovramondana, che come intelletto amore e potenza ponga il mondo e la natura, e
sia presente al mondo e alla natura. Il Teismo grossolano e volgare
contraddice al Panteismo col porre l'efficienza
sovramondana; ma non sa intendere per nulla il divino della natura; non capisce
il divino anche nel mondo. L'affermazione del Panteismo è l'esigenza
dell'Oriente, e, in parte, dell'Occidente; della scuole jonica, eleatica,
pitagorea, stoica, alessandrina; poi delle grandi intelligenze d'.Erigena, di
BRUNO, dello Spinoza; ed è anche l'esigenza
dell'hegelianismo. L'affermazione poi del Teismo beninteso, è
principalmente un portato della speculazione occidentale, perchè è l’esigenza
profonda della metafisica platonica, e della metafisica aristotelica. Panteismo
e Teismo, dunque, oggi sono di fronte; perchè essendo pervenuti entrambi al più
alto grado di speculazione, ci porgono due forinole nette, chiare, spiccate:V essere,
il non-essere e il divenire, da una
parte. Il vero, il generato e il fatto, dall'altra. Or l’affermazione, r
esigenza ragionevole del panteismo è inclusa nella formula cosmologica di VICO
(vedasi), e, che più importa, vi è anche corretta. L'affermazione e l'esigenza
ragionevole del teismo, poi, trova correzione e inveramento nella formola
metafisica dello stesso filosofo. Quant'alla parte negativa,
cotesti sistemi sono da ripudiarsi entrambi. Se il teismo ignora il vero
concetto di natura e però disconosce il divino e perciò stesso disconosce la
creazione autonoma del mondo; il Panteismo, alla sua volta, disconosce la vera
natura di Dio, e perciò disconosce la vera natura dell'uomo, e cosi viene a distruggere
la grandezza e l'eccellenza dell’umana personalità. Se intanto la
creazione è un processo, cioè dire il fatto
che si converte nel vero, si può domandare: in che maniera s' attua cotesto
processo? In altre parole: come avviene che la creazione diventa provvidenza?
Il modo con che s'attua la creazione potrà dircelo solamente l’esperienza: ce
lo potran dire le scienze di natura, e le discipline storiche in generale. Ma
anche nella soluzione del problema cosmologica
sbagliano, tanto quelli che tutto vogliono indurre, quanto quegli altri
che tutto pretendono dedurre. Oggi non è permessa una dottrina cosmologica
empirica; e tanto meno è permessa una cosmologia che, fabbricata a priori, si
rimane campata a mezz'aria. La filosofia cosmologica potrà attinger valore
positivo e razionale ad un sol patto; che, cioè, il pronunziato generale
ch'ella potrà fornire alle scienze le
quali si travagliano intorno alla ricerca delle leggi da Mill appellate
empiriche, sia del pari, o possa essere, il risultato complessivo e finale
delle scienze stesGiastissime qaiodi le parole d*aii valoroso sorltlore moderno.
(Tttt
ùonire le panthéitme que tou» eeux qui retUM ^i>rit
de la vrai grandéur de l’homme doivent »e riunir et eombattre (Tooqukvillk, De la
VemoeraHe, Paris) se. La metafisica positiva altro non sa
darci, salvo che la legge della conversione come principio della essenzial
costituzione del fatto. Quant’al modo poi, ella non sa, ella non può assegnar
né regole ritmiche, né tricotomie a priori di nessuna sorta. Che se anche qui
per avventura è possibile un accordo e una rispondenza tra la speculazione del
filosofo e l’osservazione induttiva e
deduttiva dello scienziato, in verità non si cerca di meglio. In cosiiFatto
accordo si avrà la guarentigia più sicura dell'ottimo indirizzo cosi dell'una
come dell'altra sfera di scibile. Se il Fatto à il diverso, non solo
considerato qual termine di conversione col generato, ma anche avvisato in sé
stesso, avviene che, nel convertirsi con sé medesimo, e' debba manifestare
varietà di momenti e passaggi e
transiti, e quindi intervalli e tjontinuità nell’esplicazione delle sue forze.
Vuol essere insomma, ripetiamolo, un vero processo, che è dire svolgimento,
conversione, creazione, anziché una serie di semplici trasformazioni e
d'increscevoli rimutamenti di forma. Vuol esser quindi un passaggio incessante
ed essenzialmente dinamico dalla potenza all'atto, dall'omogeneo
all'eterogeneo, per usare anche qui la frase di Spencer, dall'indeterminato al
determinato, e però dal genere alla specie, e dalla specie all'individuo, per
finire nell'individuo capace d'essere o di rappresentare insieme nella sua
virtù il genere e la specie. Tre sono i sommi generi del processo cosmico; e
altrettante le fermate o, per così dire, i momenti dell'attività creatrice. Tre
sono dunque i processi speciali e
differenti attraverso a cui il Fatto si fa, e che potremo appellare fisico, orgor
nicOf e storico-sociologico od umano; e
tre sono quindi gli anelli della gran catena; Forza, Vita e Pensiero. Fra
questi tre processi ci ha differenza e medesimezza, e però intervalli e
continuità: ma né questa continuità è di natura materiale, né quell'intervallo
é un semphce passaggio alla maniera che
lo intendevano e lo intendono, come notammo, gli aristotelici empirici, ed i
moderni materialisti. Fra il processo fisico e il processo organico, per
esempio, ci è continuità ideale, e quindi intervallo reale; stantechè non sia
la Forza che diventi Vita, né la Vita che diventi Pensiero, ma è la forza che
passa ad esser vita, e la vita pensiero. E nel pensiero compenetrandosi
non già sovrapponendosi od assomandosi le prime, abbiamo nel medesimo
tempo r attuazione della forza, e della vita. Il passaggio quindi, come
accennammo, non è semplice trasformazione, ma è transito, è passaggio nello
stretto senso della parola (iyipyetò:
aTi>>i;), eduzione eductio
entìs ad actum y e perciò creazione. Se
intanto nel passaggio vi ha intervallo, cotesto intervallo non è egli davvero un salto che fa la natura?
L'intervallo superato dalla stessa natura è precisamente la conversione del fatto
nel vero; è r energia creativa; è il vero passaggio dal nulla all'essere, dalla
potenza all'atto: ed ecco il significato della creazione ex nihilo. Dunque
l'intervallo per noi non è come altrove toccammo quel che per gli antichi era
i) diastema e il cenon; negazione, vuoto,
nulla. È anzi pienezza d'essere, attuosità vivace, conato (to Juvarov), perocché ci rappresenta il momento
in cui la continuità ideale tende a diventar reale. Ai due capi della catena
poi vedemmo esserci due intervalli; psicologico l'uno, e metafisico l'altro. U
primo dicemmo potersi superare mercé la dialettica ascensiva, poiché qui il fatto,
già convertitosi con sé medesimo e perciò
divenuto forza vita e pensiero, si converte quinci col vero, eh' é dire
col primum verum metaphysicum: mentre il secondo é superato dall'essere stesso
colla dialettica discensiva, secondochè ci addimostrano la formola metafisica e
la formola cosmologica di VICO (vedasi). Queste sono le due leggi universali, o
meglio, le due condizioni dell'attività creatrice di natura. In virtù di esse
é possibile una scienza cosmologica
razionalmente positiva, poiché in esse sta il nodo di que'dibattati e YÌtali
problemi sulla generazione, sulla genesi spontanea, sull'origine delle specie.
Né il Platonismo, né l’Aristotelismo, né alcuna dottrina che risalga a queste
due sorgenti, ci potranno dar mai questa doppia legge. Nell'uno fa difetto il
concetto del processo; nell'altro questo processo, ripetiamolo, è passaggio empirico>
meccanico, generativo, ovvero logico e formale. Ammessa quindi la legge
dell'intervallo nell’attività creativa di natura, verremo capaci di correggere
il vieto concetto cosmogonico del teologismo e dell'empirismo. Il vecchio
naturalista contro il teologista pronunzia, che natura non fadt saltum. A
salvare il deus machina il teologo risponde, che natura fadt sattum; e questi salti per lui sono
altrettanti atti immediati del Demiurgo. Ora la verità non istà dall'una, né
dall'altra parte. Naturalisti, sperimentalisti, deterministi, positivisti hanno
ragione a non credere ai salti; ma non ha torto il teologo se dice che la
natura procede per creazioni ed atti creativi diversi. Il positivo qui dove
sta? Neil'accettar l' una e l' altra affermazione, e correggerle entrambe. La natura, certo, non fa salti; non
v'essendo ragione perché ella non proceda continua nella ricchezza e fecondità
delle sue produzioni Ma eccoci al punto Questa continuità continuità
materiale, fisica, sensata ha luogo
entro la sfera. Ma anche in questa dottrina Aristotele potrebb essere difeso,
chi lo interpretasse benignamente. Se
pel Platonismo il divenire e il generarsi, ha
luogo per l’essenza, pell'idea che attua la cosa e la scorge e la
determina; per Aristotele, al contrarlo, l’indeterminato procede al tUterminato
qucdUativo per sua propria energia. Fra i molti passi che potrei addurre mi
contento di questo che si legge nella Metaph.:
Uòrtpov ouv iv^i
tic (Ttfatpa uxpot.
raqSi Xf oixiu vK^pct TOtc
oXcvdouC} i 01» J*
av aoTf iytyvexoy
ti ovtwc tJv,
róSt ri; àXXa tÒ
Toióv^c vrifjLaivtiy róSt
Sé xai (upurixivov
oux tf(r7(v, àWà trotcì
xac' 7evvà ex
totJ^s rotov^s •
xat orav 7«vv>30i7,
Ìt^i ro$t rotòvBt. È nna
prova di più, come si
vede, della possibilità
di rintracciare e dimostrare
nell'Aristotelismo, anche in
siflbtta ricerca, r indirizzo
medio della speculazione filosofica
contro gì* interpreti
empirici e contro gì*
iperpsicologisti che il
generarsi delle cose
in Aristotele traggono
in due e
contrarie sentenze opposite d'una
specie, d'un genere, d'un ordine, anziché nel passaggio dall'uno all'altro. Se
così non fosse, la natura non sarebbe guari natura, non sarebbe creazione,
sibbene ripetizione sazievolmente monotona d'individui. E non meno ragione ha
il teologo o il neoplatonico che sia, nel pretender che la natura procede a
salti; ma non ha niente ragione a predicarci essere il demiurgo, proprio lui,
quegli che la fa saltare. È ella stessa, è la stessa potente e feconda natura
che si muove. E si muove per qualcosa che non sopraggiugne dal di fuora, anzi
sgorga dal di dentro. Cosi, e solamente così, è possibile l'autogenesi del
mondo. Chi non sia disposto ad accettarla, romperà senza rimedio contro Scilla,
o Cariddi; che vuol dire contro uno de'due soliti estremi. Come intanto
s'inaugura, come si svolge e come s’assolve egli il processo cosmico? Dell’attività
creativa ne'diversi momenti del processo cosmico, se l’attività creatrice di
natura è una conversione del fatto nel vero,
ella non può esplicarsi altrimenti che per gradi, per momenti diversi, e quindi per intervalli
e per continuità ideale. Il processo cosmico, dunque, è universale. Ed è universale principalmente perchè, secondo la
frase di BRUNO, racchiude in sé, quasi circolo più ampio altri piccoli circoH,
il triplice processo fisico, organico e sociologico. Così la legge che governa
il tutto come le parti è sempre la stessa: è la gran legge del trasformarsi e
del rintegrarsi perpetuo, progressivo, incessante delle forze universali e
comuni di natura. Perciò è il numero che
[lIB. H. sempre più volge ad unità; è l’indeterminato, l’omogeneo,
l'indefinito (tò uopiiTòv) che procede al determinato,
all'eterogeneo, al perfetto (tò
TsXitov). Se tale dunque è la natura di quest'universal movimento che
dispiegasi nel tempo, in che maniera potrebb'esser un incessante cangiar di
forme e di fenomeni? Se cosi fosse, quest'universo sarebb'egli un cosmos o non
più veramente un increscevole ed eterna monotonia d'apparenze fenomenali,
ovvero un caos? La legge del processo cosmico dunque è legge di creazione; è
legge di coixyersione, anziché di semplice trasformazione. Col processo fisico
si genera la forza; e la forza è subbietto omogeneo, sintesi confusa, numero e
unità generale, unitotalità vaga e indeterminata. Cotesto processo fisico
si sdoppia nel processo organico nel
quale si genera la vita; e la vita è numero, eterogeneità essenziale, essenzial
dualità -- vegetale e zoologica. Nel processo
storico-sociologico, finalmente, SI GENERA LO SPIRITO, il pensiero; ed è un
ritomo all'unità, ma come triplicità. La forza quindi si converte nella vita,
come la vita si converte nel pensiero. Unità, dualità, dualunità: Forza,
Vita e Pensiero. Ecco il processo
cosmico, ed è sempre il fatto che si converte nel vero, perocché è sempre il
conato, il medesimo, che si fa diverso per intervallo. Come intanto. È il
vecchio principio per cui si distingue l’indirizzo medio aristotelico
nella dottrina sulle forze fisiche,
organiche ed organizzate: *H $i fxJffi^
ffivyet tÒ aTrci^ov
* to fiiv
yoip anstpov otTtlsq,
Si «vece «s( K^Ttt
TsXoc (I>e (7en.
an.). E più chiaramente ancora:
'Aft yàp
€v Tw efslivii
vppxst xo upOTspov De An..La scienza moderna non ha
fatto e non fa che confermare questo principio aristotelico; ed è quel medesimo
pronunziato che Spencer considera siccome chiave del processo cosmico. Ma
avvertimmo già l’aspetta manchevole delle dottrine dell’illustre scrittore inglese;
che, cioè, se il processo cosmico è davvero una creazione, è forza che
nella sua natura altro non possa essere che uua teleologia, un processo
essenzialmente teleologico, a partire dall'etere, dalla materia nebulare
indeterminata, e scendere giù giù fino all'atto estremo, alla forza che
diciamo pensiero. Questo dato
vitalissimo manca a Spencer nonché ai Positivisti e, come vedremo, a' naturalisti
Darwiniani. E pure, chi ben rifletta, è un concetto essenzialmente
poeitioo^ perchè è un fatto.rivelasi la prima conversione del fatto? In altre
parole: in qual modo s'inaugura l'attuosità creativa dell'universo? La natura
comincia con l’esser conato. Ella dunque comincia come sintesi iniziale e
confusa: ella s'inaugura come materia metafisica Vico, De Antiqui^. La nuiteria metafisica alla qaale
più voite accenna confasimente VICO (vedasi) e che SERBATI, come toccammo, non
interpreta convenevolmente, ò neill/ordine cosmico e naturale ciò che
nell'ordine psicologico ò la luce tnetaJUica. Nel passaggio, nell’intervallo in
generale, ha luogo nn novello conato, eh' è il momento creativo, il parto
a/orno impedito della natura; e quindi
racchiude qualcosa d’intimo, d’universale,
di metafisico, d'iperfisico, di soprassensibile. Ecco perchè talora in VICO (vedasi) nonv'ha
divario nelle parole conato, momentOf
t/orto impedito, luce meta/i»
nea^mcUeria metaJÌ9Ìca,virtue^vi», dvvxfJLi^y
«vT«).ffXJeav, e simili. Però è facile incontrarvi qualche sentenza di
questo tenore: Lux metaphyeica §eu eduetio virtutum in actue conatu
gignitur. Perciò se si vuole
interpretare a dovere la sua mente, il valore della parola conato, nella quale
pone radice la novità della cosmologia vichiana e leibniziana, è questo: che il
conato per lui sia il principio concreto, reale, vivente della natura: che sia
perciò relazione la qual comprenda e annodi in organismo vivente i tre
processi, e per cui risulti come la molla
secreta deir intero Proceeeo
eoemólogico, È la relazione concreta, e reale del fatto col vero; cioè
del fatto che, in quanto divereo in sé, diventa Vero. In una parola, è la eoetanxa della natura, come fra
poco vedremo, e perciò è Vdpx^ xivKj
Tcwc d'Aristotele (AfetopA) ma corretto profondamente, e però trasfigurato e
legittimato, stantechè non sia altrimenti un principio di movimento
ipercosmìco, ma nn principio
essenzialmente eoemico, essenzialmente naturale; e perciò è lo stesso
movimento che, in quant'è motOf si
rivela come autogenito. GIOBERTI che ha un senso storico divinativo tutto suo
nel saper cogliere in certe sentenze l'aspetto originale d’una dottrina, non
dubitò scrivere che la teorica de'punti e del i eoncUo di VICO (vedasi) ì il perno del tuo eietema; aggiungendo che
per questa parte egli è arietotelico e platonico ad un tempo Protol.. Che la
dottrina del conato sia il perno della sua cosmologia, nessun dubbio; ma la
cosmologia non è la sua metafisica. È dunque il perno, è la molla della sua
formola eoemoloffica, non già della sua formola metafiica: il perno di questa
seconda è ben altro. Che poi in questo egli sia aristotelico e platonico
insieme, è vero; ma è tale in quanto
corregge, trasforma e compie i due filosofi, e perciò in quanto li accorda. Nel
platonismo il concetto del conato, al modo che è inteso da VICO (vedasi), non
ci è, e non ci può essere, come si può ricavare da tutti que'luoghi ne'quali
siamo venuti accennando rapidamente a quel sistema. Può esserci, e vi è di
fatto in Aristotele, ma confuso e indeterminato cosi che non si lascia riconoscere facilmente. Al qual proposito mi
sia qui lecita nn* osservazione storica. Ma se la natura comincia coll’esser
conato, appunto perchè conato ella dev'esser riguardata sotto doppio QualcQDo
potrebbe confondere questo conato del filosofo napoletano colla monade
leibniziana, o, pegfifio, col1’
?pe$(? aristotelica. Lasciamo
della prima perchò ne dicemmo qualcosa in altro
luog^o. Qnant'al secondo osserro che tra Voptl^ii dello Stagirita e il conato àe\ nostro
filosofo, ci è profondo divario. Accennammo già qualcosa riguardo alr aspetto
esagerato della «aiMo y!iMi2«
d'Aristotele. L'ó^e^cc certamente
è designato da lui qual moto 9pontaneo; e basti per tutti questo passo:
Kcvftrac yoLp to' xivouufvov t?
òpiysrat^ xat 17
xévTio'c; rtc opsl^ti t»spytia.
{De Xn,)! Ma ò poi veramente
tale, voglio dire essenzialmente spontaneo cotest’opegi^ d'Aristotele? Non
sarebbe più tosto un residuo del maestro passato nella mente dello scolare?
Aristotele, avvertimmo, rompe la terie predara in due modi; col1'intdllgibUe
venuto di /uorOf BvpstOiv, e colla causa
finale, cioè, col dender€tb%le [70 òptxTÒv
xat to' voutÓv).
Luce per ribtelligenza, dunque, e calore pella volontà vengon
d'altronde; e però chi determina tanto il peneiero, quanto la tendenna, è il
pensiero divino. Eih, Eud.. Ora dunque 1*opeHc'c per Aristotele non può esser
davvero spontaneo, se no si contraddice. E tant*è vero che la natura per lui
non ò propriamente attiva per so, che non mancò, fk'a' vecchi aristotelici, chi
pigliasse a dimostrare come in Aristotele,
in forza del suo medesimo sistema, debba aver luogo la causa efficiente.
Se Dio infatti ò canea finale^ per ciò stesso ha da essere anche canea
efficiente; tanto pare ad Ammonio, il primo a dare tale interpretazione, che
Aristotele dove mettersi in accordo con Platone (Yed. Rayaisson). Dunque l’ops^i^ noir Aristotelismo ò ?^e^cc non per essenza propria, ma in grazia
d’un determinante estrinseco, d’un’infiuenza
eeteriore; la quale influenza non essendo stata chiarita nettamente nella sua
natura dal filosofo di Stagira, ha fatto e fa si che molti i quali si studiano
d’interpretarlo benignamente, credano d'aver buono in mano per assumerne le
difese, e fino a certo punto riescono ad aver ragione. Sennonché il vero
concetto dell'o^sHcc, che
in parte risponda al conato di VICO (vedasi) e
rappresenti perciò r indirixMo medio in siffatta questione, sarebbe da riporre
piuttosto nella nozione di svipyna
aTf>>i:, la quale è appunto attiva per sé, ò attiva per virtù
propria, essendo ciò che esiste in potenza, ma in quanto s'avvia all'atto; e
s'avvia per sé medesima, non per un
altro; s'avvia e procede per propria essenza: 'O^óc ttQ
ouTiav {Metaph.) In altre parole è ciò che, imperfetto, non ha il fine in so
stesso, e quindi lo cerca. E lo cerca non perchè ne sia attratto (platonismo 0
aristotelismo platonico), ma k1 perchè ne ha bisogno. E se lo cerca e ne
abbisogna, vuol dire che questo fine non potrà essere un'illusione addirittura.
Perciò Aristotele determina il concetto del moto cosi: Twv apy.^£Mv eiv «tt/
taipoc ov^sjMca tjXoc, àWà
t«v tapi To TsXo;. {Metapk.). Ci slam voluti intrattenere
un momento su questo particolare non solo per chiarire il concetto di VICO
(vedasi) sul conato ma anche por mostrare l’attinenza ch'esso ha col concetto
del rispetto. Anche del primo cosmologico possiamo dire qael che dicemmo del primo
psicologico: egli è una testa di Giano; ha due facce. Il conato adunque è due
cose, non una: è punto e momento (cf«7ft*i^ v) materia e moto, estensione e
forza: ma e punto e momento di natura metafisica che vuol dir di natura
potenziale, virtuale, soprassensibile, semplice, indivisa, universale. In altre
parole, il conato e attuosità concreta e reale; ma non è, a dir proprio, né
moto, né estensione, bensì virtii di moversi, e d'estendersi: e come virtù,
come potenziaUtà, esso in generale é un soggetto identico. Punctum et momentum
unum sunt, e quindi é nel medesimo tempo numero e unità, dualità e unità,
polarità originaria, e perciò é unitotalità originaria, concreta, universale.
Ora il conato in quanto é punto, materia, cioè in quant' é soggetto potenziale,
recettivo, indeterminato, omogeneo, indefinito e indefinibile, é il ro Ssrspov;
è la wa/xcc come pura capacità; in somma
é il fatto semplicemente detto; il fatto in quanto è termine di
conversione dialettica coi Grenerato. Al contrario, in quanto é momento, ciò é
dire materia e moto, estensione e forza, to'
Strtpov e to' notilo e però to warov, é il fatto in quanto è termine di
conversione cosmologica; è il fatto in quanto é conversione di sé con sé
stesso; e quindi é sostanza semplice,
sostanza universale, sostanza indivisibile in sé, ma divisa nelle cose
che sostiene. Brevemente: il conato, guardato come puro fatto, cioè come termine posto, é potenza in potenza,
come direbbe Aristotele (^uvfltfii;
^uvot^n); guardato invece come termine che si pone, come soggetto che si
fa, egli, per dirla con le significantissime parole di VICO (vedasi), é for/pa
che si fa dentro moto aristotelico, il
quale, inteso a doTere, nono tale quale d’ordinario Tiene interpretato dagli
hegeliani. £ ci siamo trattenuti anche perchè quest'ultimi non abbiano a
pigliare il concetto del conato per Vopt^i^ giacché nel conato del nostro
filosofo non ci è necessità dialettiche, nò relaiioui di finalità come neiriperpsicologismo
aristotelico fecchio e nuOTo. Il conato di VICO (vedasi) non è propriamente VEatcre, nettampoco il
NoH-ctnrc; dunque non sarà nemmanco U Divenire: ecco tetto.di sè medesima:
perchè? precisamente perchè SFORZARSI È UN CONVERTIRSI IN SÈ STESSO; 0 perciò è sostanza che si sforsa a mandar
fuori le cose. Che il ùonato nel concetto vlchiano sìa la sostanza delle cose e
costituisca perciò il nerbo della sna formola cosmologica, si pnò rìcaYare agevolmente da queste sentenze. Che
cos*è la sostanza? Sattanza, in genertf
d ciò eke »ta 9otto e
90$tiene la eoaa; indivitibile indivisa nelle cote eh* ella fottiene, e
$oUo le dìvite cote, quantunqtu disuguali, vi §ta egualmente, Risp. al Giom. de
Lett,. Questa deflnizione non ha che vedere colla definizione spinoziana: id
quod existit a te et per «e. Sono entrambe definizioni nominali, e però vere o falso flnchò non se
ne faccia applicazione. Dal modo con che applicolla Spinoza, venne fuora il suo
panteismo acosmico geometrizzato, con quella lunga sequela d’assurdi che
ognuna conosce. VICO (vedasi) 1’applica
al fatto in quanto si fa vero, non già al vero che si converte col generato; e
perciò riesce a schivare ogni maniera di panteismo. Infatti egli dice: Quello che i moto ne*corpi particolari,
neiVunivereo moto non è; perchè V’universo non ha con ehi altro possa mutar
vicinanze. Dunque è una forza OHB fa
DRNTBO DI sà MBDESiifo: questo in s^ stesso sforzarsi, ì uno in sa strsso
convertirsi. Ciò non pud eseere del corpo, perchè ciascuna parte del corpo
avrebbe a rivoltarsi contro di sè medesima. Onde questo sarebbe tanto, quanto le parti dd corpo si replicassero.
Dunque, dico io, IL CONATO non è dd OORPO, ma deU* UNI
Visse del corpo. Tutto ciò è
chiarito e confermato da quest'altra sentenza; Virtus est extensi, e perciò
prior extenso est, soUicet inextensa. De
Antiq.. E spiegando altrove il valore di quest’ultimo concetto, dice: Io mi
servo eie* vocaboli di virth e di potetaa appunto come se ne servono i meeeaniei, appo i quali sono voci
oelebratissime: con questo perciò di vario; cA' essi (parla de’Cartesiani seguaci detta dottrina
meccanica) V’attaccano ai corpi particolari, ed io dico esser dote propria e
sola dell’universo. Risp. al Oiom. De’ LeU., E tornando al suo concetto gradito
del conato, dice plh aperto: Nel mondo vero e reale vi ha un che invisibile che
produce tutte le cose. Ancora: Uno è lo
sforzo delC universo, prrob2 dell’univrrbo:
ed è l’indivisibile centro cui non è lecito trovare nell’universo esteso, e cAe
dentro le linee deUa sua direzione tutti i disuguali pesi sostenendo con egual
forza, tutte le partieo' lari cose sostiene insiememente ed aggira. Questa è la
sostanza che si SFORZA mandar fuori le cose. È impossibile commentare queste sentenze. Ci vorrebbe un capitolo per parola;
e alla fin fine poi non riesciremmo che ad una freddura, ad una ripetizione
fiacca e sbiadita. Bisogna dunque farle soggetto di meditazione severa,
tramutarsele in sangue, e col loro sussidio interrogare! fenomeni e le leggi
del mondo sensibile. Posti intanto questi principi! cosmologici, ecco alcune
norme metodiche pella filosofia della natura
e delle scienze naturali: In fisica si trattano le cose per termini di
eorpo t di moto; in m^afisioa trcUtar si debbono per qudli di sostanza e di
conato, E come U moto non è altro
realmente che eorpo, cosi il conato altro realmsnU non sia che sostanza, L’altro
domma metodico riSe questo è il cardine della cosmologia del nostro filosofo,
le conseguenze e le applicazioni che se
ne traggono riescono supremamente feconde, positive, originali in tutte
quante le sfere delle scienze di natura, dalP’astronomia alla fisiologia, dalla
meccanica celeste alla zoologia e alla zoopsicologia. Noi non possiamo
intrattenerci in queste applicazioni, e ce ne duole. Ci ristringeremo ad
accennarne qualcuna, e rilevarne l’aspetto originale; e innanzi tutto quella
risguardante la dottrina del Cronotopo.
Se la sostanza cosmica è una, indivisibile e divisa nelle cose a cui sta sotto
egualmente per diseguali che queste siano, i modi essenziali e primigenii in
che ella si determina, sono lo spazio e il tempo puri: punto e momentOj virtus
extendendi e virtus movendi. Sennonché la virtii d' estendersi, logicamente, va
innanzi alla virtù del moversi, al contrario di ciò che pensa il GIOBERTI (vedasi); poiché, al solito, se il
fatto come diverso in sé vuol essere un processo autonomo, avviene che la prima
forma di conversione, la prima individuazione cosmica, debb'essere il punto che
divien momento; debb' esser la virtù d'estendersi che si gemina, e assume
valore di virtù motrice. Perciò la sostanza in quant'è virtus extendendi,
inquant'é pura capacità, è V’altro, è il diverso, è il fatto come posto, e però
è lo spazio infinito, la cui prima determinazione è ciò che domandasi etere
da’moderni. In quanto poi è virtus movendi, cioè atto, diverso gniardante lo
stadio delle leggi fisiche ò questo: L’unica ipoteti cioè finzione speculativa
per la qwd dalla MetaJUica ndla Fisica discenda giammai ti po99a, netto le matematiche;
e che il punto geometrico eia una SOMIOLIANZA del metafieicOf dot della
sostanza; e ch’ella aia coea che veramente t, ed i indivisibile; che ci dà e
sostiene distesi uguali con egual /orza: perche per le dimostnxzioni di
BONAIUTI Galilei ed altre piene di meraviglittf le disuguaglianze quanto si
vogliono grandi, ritirandoci al lor principio indivisibile, cioì ai puntiy
tutte si perdono e si confondono., ti appena bisogno d’avvertire che colla sua
dottrina cosmologica ei non fa che interpretare ed elevare ad altezza
metafisica positiva l’esigenza del metodo galileiano. Nelle lor relazioni
ideali BONAIUTI Galileo e VICO (vedasi) si richiamano a vicenda. (Ved. il
nostro Disc. DanU, Galileo e Vico, Firenze, Celliul). L'esistenza dell’etere od
abaro (come con ragione vuol chiamarlo il nostro valoroso e valente Colonnello
Pozzolinì) che per i fisici è una in $èj 0 Fatto ohe si fa, la sostanza è il
cominciamento originario, autogenito della natura, e perciò indipendente da
Dio. Ed è affatto indipendente da Dio nel suo svolgimento, e però nelle sue
leg{2p, appunto perchè, come fu mostrato, Dio pone il mondo non già come
attuale, anzi come potenziale. Perchè dunque il punto diventa momento? Per
necessità della propria essenza: vo'dire perchè è diverso in se; perchè è
sformarsi che è uno in sé stesso convertirsi. Se adunque come materia il conato
è confusione, impenetrabilità, pura capacità; come virtù di moversi, invece, è
cominciamento d'ordine, inizio di cosmos finteli'atomo, nelP’esteso metafisico
il quale, essendo medesimezza e differenza in atto, rappresenta perciò la prima
dualità in cui forza e materia formano un medesimo subbietto. ipoteti della
quale non possono in yenin modo prescindere, nella fonnola cosmologica di Vico,
invece, assume valore di teti. Essi non sanno dir che cosa sia quest'eeere. Noi
sanno oggi e noi potranno saper mai: perchè? Per la semplice ragione ch*ei
trascende la mente: e la trascende in quanto che riguarda un’attinenza della
sostanza come potta, non già della sostanza come causa, come forza. Perciò
riguardando il dato della creazione, ne Tiene che, por intendere questo dato in
qualche maniera, bisognerà filosofare; e per filosofare in modo serio e
positivo e razionale bisogna ricorrere alla formoUi cosmologica del nostro
filosofo. Non V’è scampo: o questa formola, oppure il concetto inintelligibile,
grossolano e balordo d’una materia concepita qual ricettacolo assoluto e
generativo d’ogni cosa: eh' è propriamente (chiedo perdono a tutti i
materialisti e meccanicisti vecchi e nuovi) un concetto da cretini! Dunque il
cronotopo non è, come pretendono i Leibniziani, la successione e coesistenza di
punti e di momenti; teorica al tutto empirica la quale non ispiega nulla di
nulla, perchè non addita la ragione della coesistenza. Non si può dir nemmeno
pertinenza deir Assoluto in quanto ì l’Idea ad extr(h Videa come potnbUità
infinita (GIOBERTI, ProtoU, Sagg. Ili); ì° perchè non s'intende che cosa mai
sia codest'Idea ad extra; 2 perchè s*ella è pottihilità infinita, come tale
appartiene al Fatto, il quale in quanto conato è precisamente un' infinita
po$9ÌbilitiL Non è poi relazione tra U finito e linfinito (FoRNABi, DeW Arm.
Univ. DiaL I) perchè, se così fosse, dovendo i termini partecipare alla natura
della relazione, ci avrebbe a essere spazio e tempo anche nell' infinito!
Finalmente non è la prima e immediata esistenza detta Idea (SPAVENTA, Mem, mi
Tempo e tulio Spazio, negli Atti dell'Accad. di Nap.), perchè l’Idea è incapace
di rivestire spazialità e temporalità per le ragioni altrove accennate. Dunque
che cos'è cotesto cronotopo? È precisamente il conato; Abbiamo detto che
l’atomo è l'esteso metafisico. Esso dunque è la compenetrazione del punto, e
del momento: è il punto divenuto momento; è la virtù d'estendersi che s'estende
in quanto si move. Neil'atomo perciò, neir esteso metafisico, trova pienissima
applicazione il pronunziato di VICO (vedasi): ptmctum et mofnentum unum sunt In
altre parole: che cos'è l’atomo? È l’estrema realtà (non astrazione) cui possa
poggiar la mente. Dunque è la prima realtà onde move la natura. Anche in seno
all'atomo quindi si dee verificare ciò che i fisici oggi riconoscono in molti
fenomeni; il principio della polarità. L'esteso metafisico è un'essenzial
dualità; è forza e materia in atto; è la determmazione originaria, autonoma
della doppia virtii estensiva e motrice. Dunque è la prima conversione del
fatto, in quanto il fatto è un subbietto diverso in sé. Perciò è il primo
momento della creazione propriamente detta: il momento solenne in cui la forza,
nascendo nella materia (non dalla materia), si crea.'ma il conato in qnanto ò
polarità essenziale, essenzial dualità. È la sostanza stessa del mondo in
quanto ha una doppia faccia: estensione e forza; wirhu extendendif e virtù»
movendi. Ora se il conato è un subietto essenzialmente duplo^ essenzialmente
polare, ì moderni fisici non possono, non debbono menomamente ripudiarne il
concetto, che anzi accettandolo, giungerebbero a spiegare più d'una loro
ipotesi. Chi dunque dice fona, dice ereazione: ecco il rero dinamismo, il
dinamismo positi?o. Perciò erra tanto il materialista grossolano quando afferma
ch/D la forza naaea dalla materia, o ne sia una pura e semplice determinazione;
qnanto il dinamista puro (Hibn, Cotuiquence» phil. et mHaph. de la
Thirmodinamique, Paris) che pretende concepire la fona anteriore alla materia!
La forza Don nasce dalla materia, o per la materia. La forza si pone, e perciò
si crea nella materia. Il suo nascere è creare nel Tero senso della parola; è
uscire ex nihilo, E qual è il nulla f Il nulla del filosofo cattolico, no:
cotesto nuUa ò impossibile, perchè ò inconcepibile. Dunque è la materia, ma la
materia considerata come puro Fatto, come pura capaciti, come possibilità.
Platone la diceya ricettacolo, e diceva benissimo. Dov'errava? Errava
gravemente nel determinare il modo con che nel contenente sorga il contenuto. È
precisamente l’errore del materialista moderno. La forza, dice questi, suppone
la materia. Certamente! ma non ò pnra e semplice trae/ormanane o modiJicoMione
o qualità di materia. La materia in qnanto diventa forza è conato: e perciò
(ripetiamolo) ò intervallo già superato; ò atto propriamente detto, e Se
intanto l'atomo è an'essenzial dualità, in esso è l'esigenza dell'altro atomo,
delle molecole, del corpo, dell'organismo atomico. Ma ecco tosto nn dilemma: o
l'atomo è semplice, o è composto. È egli semplice? Dunque non può dare il
composto. È egli composto? Dunque richiede il semplice. Dilemma seriissimo,
davvero. L'atomo non è l'una cosa ne l'altra; o, più veramente,, è r una cosa e
l'altra insieme. Se l'atomo, è conato, momento in cui la materia e la forza si
compenetrano; come dirlo semplice? come dirlo composto? Pertanto se l'atomo è
conato, perciò racchiude l'esigenza degli altri atomi. Dunque? dunque l'atomo
non ha figura in quanto è un esteso metafisico, ma ha figura in quanto si
marita e si converte con altro atomo: la figura è un risultato. Or se l'atomo è
virtii d'estensione che si attudij avviene che, come tale, e' debba essere
attrazione: e s'egli è virtii di moversi in atto, avviene altre che, come tale,
e'debb'esser moto essenzialmente rotatorio} Se dunque 1'atomo in quanto conato
è insieme identico e diverso, perciò è in sé, e fuori di se; è per sé, e anche
per l’altro; abbisogna dell'altro. Per questa comune proprietà gl’atomi ci
rendon quasi immagine delle idee platoniche, la cui vita sta nell'essere
essenqaindi è atto naovo, atto creatÌTo. Eccoci al miracolo! sento grridarmi.
Precisamente al miracolo: ma gli è nn miracolo essensialmente naturale,
unlversaie, necessario; e per consegnenza non ò miracolo. Se dunoue VeaUto
metafinco è la forza in quanto si genera nella mcUeriiif ne viene cne VaUnno ha
da essere tutt*altro che inerte. Anzi è la materia, è l’etere, è l’abaro, è
quel quid nebulare primitivo che, da unità indeterminata, passa ad essere anche
forza, profonda energìa in cui e per cui sMnaugura il Prooeeeo fieieo. Se così
non fosse, io domando, come farebbe il chimico ad intender le leggi deir
affinità? E se così non fosse, la moderna dottrina delTatonicità non andrebbe
in fumo? Questo è il moro etemo e continuo dell’Aristotelismo, cagione d'ogni
moto, il quale perciò non può non ettere un moto circolare nello epaxio {Phye,,
Vili, ix), e come tale è moto naturale d'un elemento eempliee du non ha contrari
{De Cod., I, li). Al motore motto bisogna sostituire il conato. E il moto
circolare non avente contrari bisogna darlo all’essenza stessa dellatomo,
dell’eeteeo metafisico. Ecco una delle correzioni vitali della cosmologia
aristotelica richieste logicamente daU'indirimco medio. zialmente relative.
L'atomo qaiadì, in quanto è medesimezza, è attrazione; in quanto è medesimezza
e diversità, è rotazione e circolarità. Dunque può dare origine al moto per
induzione e rivoluzione, che à moto secondario e derivato. Or questa legge si
verifica in una lunga serie di fenomeni; luce, elettrico, calorico, magnetico.
Si verifica ne'grandi coi*pi dell'universo. Perchè non dovrà verificarsi
altresì, e principalmente, in seno alla stessa vita intima degl’atomi?
Attrazione e rotazione, dunque, riduconsi ad un sol fatto primitivo,
universale, assoluto. Il conato è moto essenzialmente rotatorio; e quindi è la
sorgente prima d'ogni e qualunque forma di moto. La legge di rotazione perciò è
legge universale; ed è la sostanza stessa cosi delle grandi, come delle piccole
masse: Questo in se stesso sforearsiy è uno in se stesso convertirsi.* Le
conseguenze di questa dottrina cosmologica sono evidenti, originali,
modernissime. n vuoto è un assurdo; perchè è un assurdo il nulla. Esiste dunque
l’universo infinito; ed è tale non come mondi, ben^i come conato, come sostanza
universale determìnantesi ne'due attributi essenziali della spazialità e
temporaneità pure. È un assurdo il moto comunicato, perchè è un assurdo che la
forza si rompa, si scinda, si divida: senza dir già che, se è vero che la forza
debb'essere anche materia, la comuniccmone del moto importerebbe la
compenetrazione e insieme la inerzia degli atomi, ciò che costituisce un doppio
assurdo. È uYi ' Ved. a questo proposito la bella Mem. di POZZOLINI (si veda)
{Indumone delU forte finche, Bologna), Baudrimoni, Atomologie e le tre Memorie
eu la atrtUtura cUi* Corpi. Bordeaux * Ved. la Mem. su la Legge univeraale di
rotazione del nostro amico prof. Bàrbera, della quale accettiamo in gran parte
la dottrina perchè ci sembra un'applicazione rigorosa de*principii cosmologici
di VICO (vedasi). Di BARBERA merita esser letto il discorso stupendo su Newton
e la Filoeofia Naturale Napoli. La memoria poco fa citata di POZZOLINI, come
questi due saggi del BARBERA, sono i primi segui d'una riforma seria delle
scienze astronomiche e della filosofia naturale in Italia. Abibt., PAy«., Tiii.
assurdo che il moto universale cominci e finisca, poiché è un assurdo che il
mondo, che è pur egli necessario come termine di conversione dialettica abbia
principio e fine. È un assurdo un impulso primitivo impresso da Dio alla
materia, ciò che è l’esigenza illegittima del fiacco Peripatetismo,
dell'Aristotelismo platoneggiante: perciò assurda e gratuitamente ipotetica la
base nella quale s'appoggia la teorica newtoniana sull’origine del moto. È un
assurdo che la materia diventata forza, ciò è dire l’atomo, tomi ad esser pura
materia; perciò assurdo che la forza cessi d'esser quella che è nella sua
essenza, e che si sperda, che decresca, o si menomi in qual si voglia modo.
Sono dunque un assurdo, sono indovinelli da algebrisH quei conti e racconti di
certi facili calcolatori matematici che, come il teologista e il millenario,
segnano già ne'secoli futuri la fine e lo spegnimento della terra. Ne'loro
problemi essi dimenticano che la forza è creazione: e dimenticano troppo
facilmente, che creare vuol non dire annullamento. Il conato adunque, è il vero
motore immobile e mobilissimo dell'universo; è l'universo stesso in quanto è
infinita potenzialità; è l’àpxrì xcv)ic intrinsecato, essenziato con l'universo
stesso. Come tale l'universo procede di numero in numero, secondo la frase di
Bruno, svolgendosi come mondi nelle successioni, e perciò è infinito nel tempo;
e come tale anche l'universo, come il pensiero nel formarsi il concetto
dell'Assoluto, rende a Dio la pariglia. Cosi il principio cosmo' LìtìQUB, Le
premier moteur et la nature dame le tyetòme tTArietote Paris. V. a questo
proposito con che assennatezza crìtica Barthélemy Saint-HUaire dÌMOm sula
cosmologia aristotelica (PAyttgiM trad, en /rangaie et aceompagnie dCune
paraphraee et de note» perpetueUe», Paris, Introd. V. L) Cosi resta
lesrittimato il concetto sull’Universo e sullo Spaaio del filosofo nolano. Egli
pone Io spazio come infinito e però infinito anche l’universo che è nello
spazio [DeW Infinito Univereo e Mondi, DinL I.) L’unverso certamente ò inAnito,
ma, ripetiamo, ò tale in quanto è eonaio; e così pure lo spazio. Perciò Mondo,
Universo, Spazio ec., sono infiniti nella successione, che tuoI dire nella lor
potenzialità. logico, o meglio, il Primo cosmologico di VICO (si veda), in
mentre che corregge la cosmologia de'Platonici e degli Aristotelici, condanna
ad un tempo quella de’neo-aristotelici empirici e degl'iperpsicologisti,
legittimando r esigenza de'meccanici e de'dinamisti, de'Cartesiani e
de'Leibniziani, che vuol dire della materia e della forza. I moderni cosmologi
avran fatto moltissimo quando avranno ridotto ogni fenomeno ad un ultimo
fenomeno. Essi così dimostreranno, o meglio, verificheranno la divinazione
aristotelica. Ma si dovrà arrestar qui la cosmologia razionalmente positiva?
No, certo. U suo grande problema sta nel dimostrare (e dimostrare non vai
mostrare) come quest'ultimo e irreducibile e universal fenomeno, sia
precisamente la sostanza stessa delle cose, la vita stessa degli esseri, la
vita dell'universo che Vico rassomiglia ad una fiumana onde sgorga acqua sempre
nuova e perenne: H(BC est vita rerum, fluminis nempe istar quod idem videtur,
et semper alia atque alia aqua profluit} Se il Processo fisico s' inaugura col
conato in quanto è un esteso metafisico e risolvesi coll'estrinsecazione della
forza nel seno stesso della materia; ne viene che tal debba essere altresì il
corpo nella sua sostanza; È inutile mostrare come il concetto del nostro
filosofo sul Conato sia una correzione del conato leibniziano. Mostrammo già
raffiniti tra Leibnltz e VICO (vedasi). Colla dottrina del conato questi
filosofi ci rappresentano entrambi r indirizzo medio dell’aristotelismo negli
studi cosmologici. Ma il nostro supera quel di Lipsia, perchè il suo conato è
essenzialmente un e«(e«o reale, metafisico, non già fenomenico, ed apparente.
Questo concetto manca assolutamente nella monadologia, Gens, il LoYR {Essai sur
l’identité de» agentt qui produigent ec., Paris Obovr {Correlation de» force»
phi/9Ìque§, trad. Moigno. E. Saiqry {E8»ai»nrVunité de» phenomène» nature!»,
Patìs) A. Sroohi {Unità ddle forze fiticke ec. Roma), Dr BoocHRPORif [Du principe generale de la PhU.
naturale, Paris. A. Obuyrb Principe de PhU, Phyeiqtte ec. De Antiqui»». Gom* è
evidente, è il concotto fisico dell’indirizzo medio aristotelico: La vita
universale della natura non conosce riposo, nò morte: Kac toOto flèOxvarov xac
an'auTrov xinapytt roi^ ouTtv^ otov ^a)>j Ttc ouffa toì; fxivtt ^uvio-tùtc
notvtv. Phy»., Vili, i. S. 8f forza attuata; monodinafnia;
e però sorgente perenne di forze fisiche, meccaniche, chimiche, dinamiche.
L'atomo è sfornito di centro, perchè è centro egli stesso. Il corpo lo possiede
cotesto centro; ma è di natura ideale, e perciò rende immagine dell'universo
stellare nel quale il centro non è in alcun luogo, e pure è dappertutto, il
moto nel corpo è monotono; è un’etema produzione di forza; e questa forza non
è, a dir proprio, LA VITA (cf. Grice, “Philosophy of Life”). Però è un conato
onde l’analisi delle forze omogenee e de’comuni agenti di natura tende ad
elevarsi alla sintesi; ed è lo sforzo del numero che volge ad unità. Or la
necessità di questo conato non importa egli un altro intervallo? Il centro
dunque si manifesta nel vegetabile LOGICALLY DEVELOPING SERIES GRICE, e
s'inaugura il mondo degl’organismi. Posto il processo fisico, la forza, nata
già nella materia, qui nasce in sé stessa, qui rinasce, qui si rinnova, e qui è
vita. Ma neanche il vegetabile, a dir giusto, possiede un centro reale. Dunque
il vegetabile non è vita, bensì passaggio, e quindi strumento di vita. Il
processo fisico perciò trae seco il processo geologico; e la genesi della forza
importa la genesi della terra. Il processo geogenico alla sua volta importa il
processo organico -- vegetale e animale -- e quindi il processo paleontologico,
entro cui si vengono accumulando e sovrapponendosi cento e mille faune e flore.
Dalla roccia cristallina non istratificata e non fossilifera alle più recenti
produzioni geologiche; dal jeriodo antizoico al post-pliocene e all'attuale,
rivelasi tutto un processo di forza. È il fatto che si fa come forza, ma in
quanto è altresì conato alla vita. Dall’epoca eotoica nella qaale s’annunzia la
prima aara vitale, e molto più dair epoca paleozoica alla oenozoiea e da questa
all’età potiUrxtarifi quaternaria, accade che col processo fisico e g^logico si
marita il processo paleontologico, e così ci si manifesta la continuità della
vita attraverso le forme organiche passate o presenti. Or se tutto ò processo e
conversione e perciò successione costante di fatti regrolati da lejrgi
necessarie ed immutabili, ne viene che i cataclismi, riferiti a cagioni
ipercosmiche, contraddicono evidentemente alla ragion filosofica positiva, nò
l’ha interpretazione benigna ed ingegnosa della critica teologica che sappia
legittimare la cronologia mosaica ed il racconto biblico. Ma a Ma come avviene
egli il passaggio del processo fisico air organico, e quindi il passaggio della
forza alla vita? Avviene per legge di conversione; la quale perciò, supponendo
r intervallo, importa la differenza. S'invocano, al solito, anelli intermedi
nel r^no vegetabile. Ma forse che il vegetabile rappresenta il transito
eflFettivo tra il minerale e l'animale? SMnvocf no analogie esteriori fra certi
minerali e certe piante. Ma forse che accanto alle analogie non sorgono
diflFerenze profonde? S'invoca la eterogenesi, e se ne traggono disparate
illazioni secondo il sistema che si vuol propugnare, come se la generazione
spontanea possa soggiacere a dimostrazione noi non ci ò permesso intrattenerci
intomo a questa particolarità. Solamente ci preme d’aTfertire che il concetto
del procetio^ nella Geologia e nella storia naturale, forma oggi l’onore di
Lyell e Darwin. Ma se la Scienza Nuova ò la dimostrazione, o, per lo meno,
l’esigenza del processo istorico, in essa è racchiusa la verità della moderna
geologia e zoologia. Quando VICO (vedasi) dice che i fllosoA prima di lui
avefaii ricercato Dio, la scienza, il divino nel mondo della natura e non per
ancho in quello della storia, ei s'ingannava. La vera scienza di natura, in
generale, sta nel conoscere principalmente due cose: i il doppio processo
geogenico e organico paleo-zoologico, in modo affatto sperimentale; 2*
nell’annodarli entrambi in guisa razionale col processo storico. Or la scienza
di natura condotta a questa maniera è posteriore a lui, essendo nata e
cresciuta principalmente sotto gl’occhi de' due dotti inglesi poco fa
mentovati, mentr' ei non faceva che inaugurarla prevenendone i grandi
risultati. E questi insigni risultati preveniva non già producendo scoperte
geologiche, zoologiche e paleontologiche, ma incarnando i^el processo de’fatti
umani l’esigenza del metodo storico, e gettando i germi d’una dottrina
cosmologica nella quale è racchiusa la necessità del processo universale, e, iu
questo, la necessità del triplice svolgimento fisico, organico e storico. I
vecchi naturalisti pretendeno rintracciare argomenti in favore della continuità
reale fra questi due processi, notando la struttura mirabUe e squisita, per
es., deirArragonite cotanto affine a quella d’uno de’più elementari vegetabili;
come se nel cristallo la composizione semplice, uniforme, immobile cosi nel
tutto come nelle parti e senza centri ne’suoi nuclei ed elementi, avesse che
vedere col composto organico più rudimentale! Il fatto della eterogenesi è
tuttora un’ipoUsi, e probabilmente resterà sempre tale nel campo della
osservazione, ma è ten nella mente del filosofo. Gl’eterogenisti s'affaticano a
dimostrare coi fatto ciò che già di per so stesso ò fatto! La genesi spontanea,
appunto perchè tale, non è un fenomeno di trasformazione d’indole meccanica
della /orna alla vita: essa importa già un transito, e quindi un intervallo.
Come Per la medesima legge avviene il passaggio dal vegetabile all’animale. È
vecchio il pregiudizio per cui si è creduto che Tun ordine d'esseri si
congiunga all'altro col digradarsi del processo superiore, e col perfezionarsi
deU'inferiore. Il pesce si congiugne coll'anfibio; gl’anelli zoologici
inferiori s’annodano co’vegetabili superiori, e simili immaginazioni. Oggimai è
d'uopo raccomandarci alla paleontologia, e alla geologia. Queste scienze ci
additano un processo quasi parallelo ne'due ordini in che viene sdoppiandosi la
vita sin dalle sue origini primitive. Il processo organico dunque non può
danque potrà esser possibile in tal caso una prova sperimentale seria e
irrepugnabile? Ti sono parecchi sperimenti, io lo so. Ma come fatti? Quante e
quali cautele sono state adoperate? La questione della genesi spontanea ò mal
posta. E poiché il naturalista non ò in grado di porla diversamente di quel che
fa, sarà quindi necessario abbandonarne la soluzione ad altro metodo, ad altra
maniera d’investigazione. In somma è una questione essenzialmente filosofica:
si diano pace i travagliati seguaci di Pasteur e di Poullet! Neir epoca
j9aZ«oltKeaapparÌ8con le grittogame superiori: indi, nell'epoca nuéoUtica le
piante conifere: appresso, nell’età oenoUtica le fanerogame; e, finalmente,
nell’età antropolUica, o meglio pott-terxiarta, si manifesta la flora attuale.
Ecco qui un processo nella flora primitiva. Il medesimo reggiamo nello
svolgimento della fauna. Co* più modesti tipi vegetabili s’accompagnano i più
bassi tipi zoologici negli strati inferiori che ci rappresentano l'età
originaria; e, nella medesima epoca negli strati superiori veggiamo lu prime
forme di pesci, accanto alle quali appariscon le grittogame. Colle conifere
appaiono i rettili; e negli strati superiori additatici dal periodo eenolitico,
appariscon gl’uccelli. Ai rettili ed agl’uccelli, dappresso alle fanerogame
teugon dietro e si manifestano le forme inferiori de’mammiferi; e negli strati
superiori del perìodo terziario si rivelano le primo tracce del regno umano.
Alla flora attuale poi s’accompagrna l’attuale FAUNA. Il processo riesce
evidente anche qui, e il riscontro ne'caratteri generali, nella flsonomia e
nell’insieme delle relazioni geografiche e biologiche, toma evidentissimo.
Vegetabile e Animale, dunque, sono due correnti, per cosi dirle, che movon da
una medesima sorgente. Elle si rassomiglian nella semplicità ed omogeneità
delle forme primitive; e tal riscontro è più spiccato in ragione che il
panteologista ascende verso il centro comune. Sennonché il processo nella serie
GRICE LOGICALLY DEVELOPING SERIES zoologica è assai più compatto e variato; lo
svolgersi è più rapido, e l'attuarsi di questo svolgimento è più intricato
quanto più ci accostiamo alle recenti formazioni. Tal è, per es., lo sviluppo
che ci palesano gl’articolati e i vertebrati, a differenza del modo con che si
vanno svolgendo le classi de’vermi, de’molluschi, de’celenterati,
degl’echinodermt non esser di natura essenzialmente polare. Il vegetabile e
l’animale ci rappresentano incarnata la legge universale della dualità; la
quale movendo dalF unità sintetica iniziale – il vertice della V della vita --
e confusa e passando pell’analisi, riesce ad una sintesi concreta, determinata,
analizzata. La vita è vita in quanto si diversifica: è vita in quanto
s’etereogenizecu^ Ma dov'è la radice primitiva ond'emerge questa doppia scala
in cui e per cui la forza, incarnandosi, diventa vita? Non si discerne cotesta
radice: non si verifica; né si può verificare. Fin negli strati primigeni
dell'età archeolitica vi è tracce di vita animale e vegetale. Dunque il fatto,
r’osservazione, ci pone sott'occhio una dualità. Ma una dualità originaria,
ripetiamolo anche qui, non è un assurdo? Dunque l'analisi, il fatto, suppone
già una sintesi rudimentale, in cui sia germinalmente contenuta la doppia forma
di vita vegetale ed animale. Or questo comune stipite, che con felice
espressione un illustre vivente naturalista ha chiamato unità astratta, o non
esiste come realtà sensata, ovvero, esistendo, non può essere, a dir proprio,
ne vegetabile, né animale, ma l'una cosa e l'altra insieme. ALICE MUSTARD GRICE
S' ella é una realtà, è destinata a scomparire dal regno della vita, appunto
perché non é forza né vita. S'ella é una realtà, sarà un soggetto di natura
indeterminata, fisica e organica ad un tempo. In essa la forza diventa vita; e
quindi, più che anello di continuità reale, ci rappresenta una continuità
ideale; e perciò coll'intervallo reale ci significa la virtù e l'efficacia del
conato, Ved. H. SpBircRR, E$$ay$ $ei€ntifìe, polUicalf (md 9peeulativef ed.
cit. Veramente ingegnosa è l’analisi che quest’autore fa circa il modo con che
avviene il procetso zoologico il quale egli talora chiama |7roee««o di
di//erenziafzione: e non meno ingegnosa è quella sul processo geologico,
etnologico e paleontologico. Jl difetto sta neir applicare la sua legge al
processo èoeiologieOf dov* egli evidentemente abusa delle analogie estrinseche
col. mondo zoologico. Si vegga, per dirne una, come considera il fatto de’fili
telegrafici che abcompagnauo sempre le vie ferrate, in relazione a certe leggi
biologiche degl’organismi zoologici inferiori. VoQT, Le lib. del diritto
universale, e segnatamente nella storia delle cinque età del tempo oscuro;
dalla quale storia risulta la legge storica e sociologica che, portata a pii
largo sviluppo, costituisce la scienza. Noi consacreremo apposito capitolo
intorno a questa teorica del tempo oscuro perchè in essa troveremo il
fondamento legittimo della sociologia davvero filosofica e positiva. L’altro
strumento poi che VICO (vedasi) ha fra mano e sa maneggiare in guisa che non ci
ò dato nò pur sospettare alla lontana, costituisce propriamente la parto
geniale, originalissima del suo metodo storico; ed ò quella che noi dicemmo di
natura psicologica, e che di fironte alla prima serba indole a priori; ma è un
a priori positivo, positivissimo, perchè di natura psicologica. Ella in somma
cojitltuisce, se cosi potessi esprimermi, un lavoro mentale da geologo, da
paleontologo. Se infatti lo spirito dell'uomo in una data epoca storìca somiglia,
vorre dire, ad una caverna ossifera, bisogna studiarlo analizzandolo,
anatomizzandolo, decomponendolo. Perciò è necessario dimenticar noi stossi, e
lavorare attorno ad esso in modo tutto ideale dÌ8cendendo da questa no$tra
umana ingentilita naturaf a queUe affatto fiere ed immani, U quali oi affatto
negato d’immaginare, e eolamente a gran pena ci i permeeeo cT intendere, Se.
Breremento: bisogna aver presenti noi stossi, ma nel medesimo tempo
dimenticarci: bisogna etordire ogni eeneo «T uwtanità -- sono sue parole -- e
ridurei in uno etato di eomma ignoranjta di tutta l’umana e divina erudizione.
Questo è precisamente ciò eh egli dice portare ad un fiato il vero e il certo,
la filosofia e la filologia. Questo è il metodo istorico davvero positivo, che
è propriamente metodo di natura eduttiva. E questo dovrebbero mediterò ed
applicare i nostri sazievolissimi predicatori di certi metodi storici e critici
che al postutto riduconsi ad un meschino empirismo I perciò medesimo è scienza
del presente, scienza dell’oggi, e, fino a certo segno, anche del domani. Ma
senza quella filosofia che non le è incorporata ma ch'ella presuppone
necessariamente, cotesta scienza non sarebbe niente di tutto ciò. Posta infatti
la doppia formola metafisica e cosmologica, i cui germi giaccion nel libro
metafisico; posta segnatamente la gran legge del processo cosmico, ella è
davvero un poema, è un gran poema, un poema sul serio, ma un poema sui generis.
Perchè? Per questa ragione principalmente: perchè è una storia naturale della
umanità nell'uomo: perchè in lei si scruta l'originaria formazione dell'ultimo
sommo genere; perchè eli'è la celebrazione solenne dello spirito che si crea
nel regno stesso della vita; perchè è la creazione parlante, vivente, reale del
pensiero ch'esce dal caos delle forze brute fisiche, meccaniche, biologiche;
perchè, insomma, rivela il fatto che, convertitosi con sé stesso come forza e
come vita, ora convertesi col vero come pensiero. Ecco l'originalità della
filosofia di VICO (vedasi). È una filosofia d'una grandezza e d'una potenza,
sto per dire, titanica ! un pensiero nuovo, nuovissimo, anche dopo due secoli I
La Scienza, dunque, rappresentandoci la genesi del processo storico e
sociologico, fra le altre cose pronunzia, legittima, compie e insieme corregge
il darwinismo. Una delle degnila sulle quali è innalzato il suo grandioso
edifizio è lo stato ferino dell'umanità; cagione certamente non puerile delle
dispute e delle sètte de'ferini e degli antiferini surte fra noi, come
toccammo, sotto gli occhi del Papa e de’cardinali nel bel mezzo del secolo
passato. Il suo problema dunque è il gran problema ond'è agitata e mossa la
scienza odierna. È lo stesso problema che, con significato assai pili
comprensivo, assai più razionale, assai più sintetico e profondamente sintetico,
agita e muove sotto gli occhi nostri la filologia, la zoologia, la geologia, la
paleontologia, l'antropologia, la sociologia, la filosofia e la storia del
diritto, la filosofia e la storia delle arti, la filosofia eia storia delle
religioni, come saggiamente ha detto Fèrron. Il suo problema quindi si collega
con quello stesso di Lamarck, Couvier, Saint-Hilaire, Herbert, Mathew, Omalius,
Halloy, Rafinesque, Schaaffausen, Hooker, de'viventi naturalisti, de’viventi
filologi, de'viventi mitologi, e degli storici d'ogni maniera. Nella scienza
infatti il processo storico-sociologico nasce, sorge o si produce nel processo
zoologico; ma nasce, sorge o si produce creandosi. Dunque il bestione, l’uomo
ferino, per quanto ferino e bestione vogliasi immaginare, importa già un
intervallo. Come ci si rivela egli cotesto intervallo? In altre parole: com'è
che s'inaugura il processo istorico? Com'è che s'inizia il regno dell'umanità?
Al solito s'inaugura con la gi an legge delle polarità, ma nel medesimo individuo:
s'inizia colla legge della dualità, ma nella coscienza stessa dell'individuo.
Ciò che nell'ordine psicologico è senso e intelligenza, potere e volere.
Autorità e ragione; qui, nell'ordine sociologico e storico, è libertà e pudore:
ecco i due principii éC’umanità; principii essenzialmente sociologici. Lo stato
ferino per VICO e GRICE è an fatto accidentale, ed è accidentale perchè non è
universale; ma questa dicemmo essere un’aperta contraddizione in che cadde
tanto VICO, se non GRICE, quanto il suo discepolo DUNI (si veda). Ed ò
contraddizione, perchè fa contro non solo ai suo principip cosmologico, ma
anche all’esigenza stessa del suo metodo, fe-una delle contraddizioni duoque
dalla quale ei pì libera da so medesimo. Nessuno prima di VICO impreme valore ed
importanza storica a questi due iftm o principìi d’umanità. Grozio, per citare
un esempio, parla anch’egli del pudore; ma non sospetta nò la necessità
sociologica e storìca di questo fatto, nò il significato psicologico di questa
tendenza, e però non ne fa uso di sorta'. Dt Jwr. M. et paeitf Disse la libertà
madrt di qualsivoglia diritto civile; ma perchè madre? Citiamone un altro
esempio. Anche l’accademia parla de’due beni. Pudore e OiuetÌMÌ€L, che Giove
imparte agl’uomini Protag., ed. Cousin: ma pella filosofia dell’accademia tale
tendenza ò partecipata, è comunicata, mentre per VICO è affiatto naturale.
Pell’accademia riiman»tà si manifesta nella CVttèt, nella iSepubò^tca; dovecbè
Qual valore, infatti, qual significato hanno queste due parole nella mente del
nostro filosofo? Considerate sotto il rispetto storico e sociologico, pudore
libertas non sono idee, concetti, nozioni, astrazioni; sono bensì condizioni
efficienti originarie, intime, spontanee, istintive di nostra natura. Sono i
due principii che principian l’umanità nell'uomo; principii ch'ei pone quasi
geni tutelari alle porte della storia e delle cose umane. Sono facoltà, ma
facoltà involute, potenziali; stantechè l’obbietto d’esse non sia per anche
fatto, noh sia per anche elaborato. Perciò sono giudizi, ma, al solito, giudm
sentUij come direbbe egli stesso; giudm fatti senza riflessione. Sono dunque
tendenze primigenie, sono esigenze autogenite; e però ci rappresentano
anch'elle ima sintesi confusa, entro cui si racchiude infinita virtù esplicativa.
Qual è infatti il principio d'ogni socialità? Qual è la radicedella socialità?
£ il concetto stesso d' umanità. £ come si determina, come s’esplica dapprima
questa tendenza innata e originaria ad umanarci? Appunto col gemino sentimento
del pudore e della libertà Questa originaria dualità costituisce la natura
stessa dell'uomo, giacché l’ente umano intanto è animale umano, in quanto non è
una cosa, ma due: (ùov fiU7Ttxoy, e (wov ttoXctcxov. £d egli è tale fin dalla
sua prima origine, questa essendo pell'appunto la invitta necessità del
processo iper-zoolo per VICO ò originaria, tanto che si manifesta anche nello
stato di natura: il quale perciò, come altrove accennammo, non ò quello do'
giusnaturalìsti. Fra la ReptMdiea del filosofo ateniese, quindi, e la SeienMa,
anche per questo rispetto t*è un abisso, checche ne abbiano detto o possano
dime certi hegeliani. Per questa medesima ragione non ò da confonder
menomamente l’uomo ferino della scienza, con gl’uomini selvaggi di cui parlano
tanto spesso gl’antichi, segnatamente r A. della RepubUica, Aristotele,
CICERONE e simili. una posizione affatto diversa, a cui bisogna por mente.
HumaniUu ett hominU hominum juvandi affedio, De Conti, JurUprudenHt, Sed ex
latiori genere humanitatie heie a nobU aoupta a duobue prineijnù ootMtal,
pudori et libebtatk. gico, e della legge di conversione: rèbus ipsis
didantìbus. Or qual è la relazione che stringe insieme i due Principii
d'umanità? È quella medesima che, posto il processo isterico e sociale,
congiugne in armonia la società di ragione, Societas Veri, e la società
dell'utile, Societas qui boni. È appunto la relazione che corre fra il certo e
il vero, tra la forma e la materia. Ma se questa dualità di principii
inauguratori dell'umanità nell'uomo è originaria, accade che, appunto perchè
originaria, debba rivestir forma d'unitotalità e d'incosciente unità. Or come
potrebb' essere unità ove, al solito, non serbasse natura di conato? Pudore e
Libertà quindi sono un conato; sono dualità e unità insieme; sono perciò
triplicità. Se non che, questa triplicità non è inaugurazione del processo
psicologico teoretico, bensì pratico; non del processo conoscitivo, bensì
operativo. E dunque una triplicità originaria di natura pratica, empirica,
istintiva, e dee quindi serbare, nel medesimo tempo, valore psicologico e
sociologico. L'ente umano adunque è di sua natura un soggetto essenzialmente
relativo. Egli è in un'ora medesima in sé stesso, e anche nell'oZ^ro: è sé
stesso, e insieme debb'essere anche l'altro. Egli insomma, ripetiamolo, non è
una, ma due cose in sé stesso: uomo e cittadino. E dovendo esser tale fin Qai
risiede, come Tedremo, la condanna della dottrina sociologica del positivismo,
e della confusione eh ella fa tra la storia e la sociologia, tra la sociologia
e la psicologia, tra la psicologia e la biologia, nonché l’erroneo concetto
della statica toeiale de’positivisti. De Univ. Jwriè PrineiptOj Ex vi ip$iu9
humanct natura de duobu$ hit HumanitcUit prineipii» di«8eramìt$f ^orutn unum,
ceu forma, erit Pudor, alterum, vduti matebia. erit LiherUtf, {De CoMt, Jur.)
Trasportando questo concetto dall'ordine sociologico a quello delle idee e
della scienza, possiamo affermare che in tal modo VICO pone nella stessa
coscienza, nello stesso individuo, la distinzione, oggi vitalissima, tra la
morale e’1 diritto – H. P. GRICE moral justice, politico-legal justice --,
salvando così l’autonomia d'entrambe queste discipline. Perciò nò la morale può
dedursi dal diritto, come farine i giusnaturalisti hegeliani e positivisti, nò
il diritto dalla morale, come usan fare i teologisti e, in generale, i filosoft
dell’accademia. Di queste cose discorreremo nella Sociofogicu dall'origine sua,
fin da che apparve naturale, sdvaggio, ferino bestione; perciò in lui il pudore
è conato, stantechè col conato incofninciò in esso a spuntare la virtù
dell’animo, Per la stessa ragione è tale anche la Libertà, la quale è conato
proprio degl’agenti liberi, onde que’giganti si ristettero dal veezo cT andar
vagando pella gran sélva della terra, e s’aweisearono ad un costume ttdto
contrario, Ma se la relazione che annoda i termini di questa originaria dualità
è quella che corre tra la forma e la materia in generale, avviene che il pudore
sia logicamente anteriore alla libertà, e la libertà, alla sua volta, sia cronologicamente,
empiricamente anteriore al pudore. See, Scienza Idtmf eod, Perciò dice che il
pudore l U primo antiehitnmo principio d’umanità. Sec. Se, E gaardADdo
agl’effetti di questo sentimento, osserva che il pudore arreeta la vaga venere
origina la eocictà matrimonÌ€i!e, donde emerge la soeietà Prim. Se.; e come
inizia la società, così pure inventa la religione: Pudor inventar religionie.
De Conti. Jur. Additando poi la priorità logica del pudore di fronte alla
libertà, dice: Pudor euetoe jurie naturalie De Univ. Jur,; «Tura a pudore oria,
ad pudorem redeunt, et a contemplatione nata, in contemplatione poetremo
deeinunt Ihi, OC Vili: Pudor omnie divini kumanique Jurie parene Ihi, GIV:
Pudor Jurie naturalie /one e. Ili: Pudor exoitator virtutie. Il senso di
libertà, poi, assume dapprima nna forma affatto empirica e naturale; assume
forma di potere poeee di volere sfornito di ragione, d'arbitrio, di passione;
e, come tale, riesce cronologicamente anteriore al pudore nò potrebb’esser
diversamente ammessa la relazione intima fra il processo zoologico e il
processo storico. L'anello vero perciò fra questi due processi, l’anello reale
fra i due mondi, òr «OMO stesso; ma l’uomo considerato come un poro poeee
potenza, potestà naturale. Sennonchò cotesto ò un momento indiscernibile; è un
intervallo che tosto ò superato, e il potere già diventa voUre e il volere
diventa oonoeeere sempre per la solita legge del rehue ipeie diotantUnu,
àéìVipea rerum natura. Libertà e pudore quindi son come le due facce del conato
umano: l’una ò intima, secreta, individuale; l’altra ò sensata, estrinseca, e
perciò di natura essenzialmente sociologica. Or come tale la libertà ò il primo
punto di tutu le eoee umane Se.; e perciò ex libertate eommereiay ex eommereiie
humanitae excuUa, De Conet, Jur,) E poichò ò una condizione primitiva, perciò
la dice dote proprissima dell’uomo: NihU hcmini magie proprium quam oo2imto; ed
essendo proprissima proj>rM(o^va del filosofare, quanto le forme negative.
Ogni maniera di speculazione soccorre al progresso e alla ricostruzione della
metafisica, a contare dalla piiì grossolana affermazione dommatica, alla
negazione del più volgare ed em])irico pirronista; dalla più ardita formola
sistematica, al più sottile sofisma dello scetticismo sistematico. Ma neanche
qui ci poteva esser concesso dimostrare, senza trascendere i confini del nostro
disegno, il modo con che in mezzo allo svolgersi de'due estremi indirizzi siasi
venuto incarnando e pigliando quasi persona l'indirizzo medio. Mostrare insomma
come le forme positive della metafisica siansi venute svolgendo, sarebbe stato
lavoro di storia, e di crìtica: al modo istesso che sarebbe stato lavoro di
esposizione far vedere la monotonia con che si sono succedute le forme negative
del filosofare. Solamente ci fu mestieri accennare come nell'età moderna, dopo
le divisioni del Cartesianismo nel quale ripetesi, con elementi di novella
speculazione, la vecchia sintesi aristotelica, l'indirizzo medio ci sia
rappresentato dal Leibnitz in Germania, e, più spiccatamente, da VICO in
Italia; e come ne' tempi a noi piii vicini siansi ripetuti gli estremi, e si
ripetan tuttora sotto novelle forme, così nell'uno come nell'altro paese. È
iper-psicologismo il neoplatonismo italiano moderno: ma forse che sarà meno
iperpsicologismo il sistema jdeir assoluta identità? È empirismo e nullismo
metafisico il positivismo di Francia ed il materialismo di Germania: ma sarà
meno empirismo lo scetticismo sistematico di FERRARI e certa ibrida forma di
criticismo di FRANCHI e il nullismo metafisico de'nostri filosofi
dell’avvenire? Vedi qael che altrove abbiamo discorso circa le forme negative e
le forme po»Uìve del filosofare e circa la storia della filosofia in generale.
Lo scetticismo non è da pigliarsi a gabbo, come par che facciano tutto giorno
dommatici e sistematici. La sua funzione storica ha grande importanza, essendo
quasi la molla efficace, tuttoché negativa, del progresso in filosofia, né
y*,ha periodo storico in cui lo scetticismo non accompagni sempre lo STolgrersi
del dommatismo. Il dommatismo è syariatissimo nelle sue forme, e quindi
possiede una storia. Lo scetticismo invece è immobile, è immutabile; e questo è
insieme il suo pregio, e la sua condanna. Perciò lo scetticismo non ha né può
avere una storia, appunto perchè non importa un processo; e non è processo
appunto perchè è negazione. L’arma dello scettico infatti è sempre identica a
sé stessa. Nel nostro Ausonio rivive Enesidemo, e nel nostro FERRARI vi è tutto
Sesto Empirico. Chi si voglia quindi provare o siasi provato, come il Bissolati
(Ved. Tntrod. alle fgtituxioni Pirroniane^ Imola), a fare una storia dello
scetticismo, altro non fa, altro non potrà mai fare, salvochè una rassegna, un
racconto monotono e sazievole d'argomenti identici. L'esigenza scettica, il
metodo teettieOf potrà benissimo cangiare i punti di m«(a, come fann'oggi gli
schietti positivisti, ma la sostanza rimane e rimarrà sempre la stessa. Invece
l’esigenza dommatica è un fatto al pari dell'esigenza scettica: ma ò un fatto
che si muove; è un fatto che sì fa. Hegel ripete Platone, e ripete Erigena; ma
non è nò Platone, né Erigena. ROSMINI ripete Aristotele o AQUINO, ma non è né
Aristotele, né AQUINO. GIOBERTI ripete Malebranche, ma non è nient'affatto
Malebranche. FERRARI anch'egli ripete. Ripete Sesto Empirico. Ma come lo
ripete? Facendone la fotografia! Ora se il dommatismo conta una storia essendo
un processo storico, e lo scetticismo n'é al tutto sfornito, com'è possibile
che il trionfo stia pel secondo anziché pel primo? La funzione storica dello
scetticismo dunque è necessaria, essendo »na ruota della macchina; ma badisi a
non confonder la macchina con la ruota, ciò che costituisce appunto l'errore di
chi spera (vana speranza!) nel trionfo definitivo del pirronismo. Se non che,
lasciando di Leibnitz e del moto filosofico d'Alemagna, peculiar proposito del
nostro saggio e quello d'additare la correzione e l’inveramento delle due
estreme tendenze (scettica e dommatica) che nascono e rinascon parennemente
nella storia, e che oggi, assunta forma pia conseguente e razionale,
s’addimandano Positivismo e Idealismo assoluto. Il fondamento di tal correzione
e '1 criterio di siffatto inveramento, per ciò che spetta al nostro paese, pone
radice nelle dottrine del filosofo napoletano, interpretate e ricercate con
metodo critico rintegrativo. Ma, a far questo, che cosa era d' uopo mostrare
innanzi tutto? Era d'uopo mostrare la possibilità di rinvenire in lui cotal
fondamento. In altre parole, era d'uopo mostrare se in lui per avventura fosse
alcuna originalità di speculazione razionalmente positiva: il che ci parve
opportuno innanzi tutto far vedere in maniera indiretta e per via storica,
abbozzando una storia de' critici e degli espositori delle dottrine vichiane.
Che poi davvero esistano in lui germi d'originalità metafisica, r abbiam
chiarito nel secondo libro di quest'opera, interpretando le sue teoriche con
una forma di critica che scaturisce logicamente dalla stessa triplice
paiiizione de'periodi ne'quali abbiam diviso quel nostro saggio istorico. Se
pertanto un rinnovamento del pensiero filosofico italiano è necessario e
inevitabile perchè richiesto dalla ragion filosofica positiva, perchè domandato
dall'esigenza del sapere moderno, e perchè imposto dalle rinnovate condizioni
politiche, civili, religiose del nostro paese; si domanda: come innovarci?
introducendo forse il Positivismo, o perdurando nello Scetticismo?
Evidentemente contraddiremmo all'indomabile istinto verso la scienza:
contraddiremmo al bisogno sempre più acuto e profondo di nostra ragione:
negheremmo la ragione. Vorremo innovarci seguitando a dirci ed essere
iperpsicologisti? In tal caso dovremo accettare due condizioni: costruire la
scienza con la ipotesi, con Va priorismo; e disconoscere i limiti del pensiero
e della scienza stessa, dando così alla ragione un valore dommatico,
sistematico, assoluto, anziché critico e positivo. Chi vorrà oggimai accettare
siffatte condizioni? Dunque Positivismo e Idealismo assoluto, negazione
assoluta di sistema e assoluto sistematismOy son le colonne d’Ercole che la moderna
Francia e la moderna Germania ci vogliono imporre: esse non ci appartengono, e
a noi sarà lecito abbatterle, non per vana horia nazionale, ma si per necessità
di ragione. Forse che un rinnovamento in senso hegeliano non ha ormai fatto fra
noi le sue prove per quindici anni, per vent'anni? Non è stato favorito con
ogni guarentigia di libertà? Non è stato e non è rappresentato così nel privato
come nel pubblico insegnamento? E pure l’Idealismo assoluto, almeno quant^alla
peculiare esigenza che lo distingue, cioè come Sistema delP identità assolata
non ci è passato in sangue, ne poteva; e nonostante gli sforzi nobilissimi di
egregi scrittori, egli è rimasto ne'libri, e rimarrà ne' libri. Altrettanto
impossibile riesce un rinnovamento dsL positivisti. Piii deir Hegelianismo il
Positivismo è stato accarezzato, favorito per ogni verso, predicato
privatamente, talora persino officialmente. Ma gF ingegni severi vi han
reagito, vi reagiscono; e l’infinita moltitudine di que' filosofanti che han su
le labbra cotesto nome pomposo e bugiardo, è lungi dall' averne ponderato il
valore, le conseguenze, le applicazioni. Rinnovamenti di cotal genere, dunque,
sono impossibili fra noi: e' non sarebbero legittimi, coscieuti, naturali,
autonomi, efficaci, intimi, storici.Vogliamo finalmente ritentare un
rinnovamento d'iperpsicologismo da ontologisti neoplatonici? Resteremmo quel
che pur troppo siamo stati, e siamo: non andremmo avanti; torneremmo indietro.
Se dunque la necessità del nostro innovamento filosofico deve poter germinare
dalla passata speculazione, noi dobbiamo rintracciarne gli elementi nelle opere
e nella mente di chi è capace di rappresentare non pure il passato, ma, più
ancora, il presente e l’avvenire. È d'uopo attingere ispirazione nelle opere e
nella mente di chi può soddisfare l’esigenza positiva e l’esigenza ideale del
sapere, ma correggendole entrambe. È d'uopo invocare gl’auspici di chi,
incarnando il medio indirizzo della speculazione, valga a rannodarci colla
nostra tradizione scientifica, e collo svolgimento dell'intera storia della
filosofia. Chi potrebb'esser questi, fra noi, salvo che l’autore della Scienza?
Ecco l'addentellato piii sicuro e tutto nostro, dal quale è mestieri s'inauguri
il presente rinnovamento filosofico italiano. Ma, nell'invocame gli auspicii,
noi dobbiamo interpretarlo colla coscienza del sapere moderno: noi dobbiamo
correggere anche lui; e correggendo, lui correggeremo poi stessi, e gli altri:
correggeremo il neoplatonismo, l' hegelianismo, il positivismo. Brevemente: se
rinnovarci è suprema necessità, di tal necessità è d'uopo aver pienezza di
sentimento e di coscienza storica. Abbiamo dunque bisogno d'una base per
muoverci, d'un punto a cui mirare, d'un segno per orientarci, d'una guida tutta
nostra in cui la nostra mente riconosca sé medesima. Chi potrebbe risponder
meglio a cosiffatta esigenza tranne colui che seppe concepire il sublime per
quanto rozzo e incompiuto disegno d'una scienza? Il nostro quesito adunque era
semplice e chiaro; ed è questo: Come penserebbe il nostro filosofo ov'ei
tornasse a vivere in mezzo a noi, nelle nuove condizioni politiche, sociali,
religiose, co'nostri nuovi bisogni, con le nostre nuove tendenze? In altre
parole: come farebb'egli a risolvere oggi, col suo stesso metodo, i grandi
problemi della scienza? La risposta riguardante i problemi speculativi, è nella
seconda parte del presente libro. La risposta poi che concerne i problemi
d'ordine storico, politico, religioso e pedagogico, la daremo nella Sociologia.
È che sia questa per l'appunto l'esigenza del suo pensiero; che sia questa la
necessità del nostro Rinnovamento, ce ne porge guarentigia e conferma la
storia, e il modo con che s'è venuto attuando e svolgendo il nostro pensiero
filosofico. Noi non possiamo intrattenerci a lumeggiare in qualche maniera
cotesto svolgimento. Non possiamo rilevarne i caratteri, ritrarne la necessità
ne'passaggi, e dichiararne il progresso ne' differenti periodi, dando così
forma determinata e compiuta al nostro assunto. Questo faremo quando che sia
con apposito lavoro, di cui abbiamo già in pronto la materia. Ma accennare di
volo al risultamento del nostro pensiero senza por tempo in mezzo, è cosa che
possiamo fare anche ora; tanto piii, che tal risultamento, chi ben guardi,
traesi facilmente dalle cose discorse in piii luoghi del nostro libro. La
storia della filosofia italiana, dunque, a noi sembra doversi dividere in tre
difiFerenti periodi, de'quali stringiamo in pochissimo i caratteri e le
tendenze peculiari: Primo Periodo (Scolast%c(hteologico), S'inaugura con Boezio
Severino (Marciano Capella, Cassiodoro ec), e finisce con Tommaso (Tomisti e
Scotisti inclusive).Vi è chi col Gioberti divide la storia della filosofia
italiana in cinque epoche Ved. Prìmnto, ed.; e v'è chi la divide in quattro
età, cominciando dal VI sec avanti Cristo Babtolom I M RS, Dici, den teienc
philot. Divisioni di cotal fatta evidentemente peccano d'eccesso, in quanto che
abbracciano più e diverse civiltà, e però non riescono ad imprimere valor
razionale e forma omo^renea allo svolgimento del nostro pensiero fllosoftco. La
storia della filosofia italiana s’inaugura quando il popolo di Roma, cessando,
secondo il detto di Hegel, d’essere essenzialmente umanitario e univertale,
comincia ad essere italiano. Il suo cominciamento amare il concetto del metodo,
cioè la industria induttiva, ma ne' fatti d'ordine fisico sensato, e in parte
filologico ed erudito. L'indirizzo medio perciò s'inaugura con ricercare e
determinare il metodo, non già coll'edificare un sistema. Questo è il lor
merito comune; e questo è anche il loro difetto, stantechè manchi ad essi la
nozione compiuta del mesi pretende imprimere ralore a tutta la storia, quando
s’interpreta, cosi com’es8Ì fanno, la scuola platonica toscana, e le si vuol
dare quel valore ch’ei le danno. Un altro esempio sono gli studi di Spaventa su
Bruno e su Campanella: studi bellissimi e pieni di vedute profonde dall’un capo
all’altro, e come monografie noi H accettiamo, e ne caviamo il nostra prò: ma
com’elemento di storia generale, la Agnra e la Asonomia di Bruno, per esempio,
ò delineata siffattamente, che quando siamo al significato della storia
generale della filosofla, si toccan con mano lo Gonsognense sistematiche e
parziali della critica monografica. In una parola io; voglio dir questo: la
monografia ò boli e buona, ò supremamente utile, ma è sommamente pericolosa;
perchò se come studio monografico ella può esservera, come parte, com’elemento
di storia pu^ riescire falsissima. Altrove noi proveremo largamente e con
esempi mostrani tale assunto. todo com'è applicato oggidì da metafisici. Se non
che l'indirizzo medio nel rinascimento ci può esser più convenevolmente
rappresentato da que'filosofi che, travagliandosi attorno alla questione
dell’anima intesa come problema puramente di psicologia filosofica, fanno ad un
tempo ogni sforzo per interpretare con benigna critica la dottrina
dell’inteletto possibile e dell’inteletto agente e fra questi, come altrove
notammo, van rammentati NISO (si veda), PORZIO (si veda) (il quale non è
nient'affatto un seguace di POMPONAZZI (si veda), come pretende il nostro
collega FIORENTINO (si veda), ZABARELLA (si veda), CASTELLANI (si veda), ed
altri di simil valore. Costoro sorpassano i confini del senso; trascendono in
parte la modesta indagine della psicologia filosofica introducendo la ricerca
cosmologica, e rannodano così il problema dell'anima intelligente coll’altro
della natura intelligibile. Nessuno ha I pensato a rilevar nettamente questo
aspetto, e segnalare questa tendenza tanto evidente in parecchi filosofi di
quell'età. E pur ci sarebbe tanta mèsse damietere, i quando non fossimo
signoreggiati dalle prevenzioni sistematiche dell’accademia, o dell’idealismo
di Hegel. Ma l’eterogeneità, il contrasto, l’opposizione cresce sempre più. Da
una parte ella s’esagera, per esempio, con ZIMARA (si veda), CESALPINI (si
veda), VANINI (si veda) e simili; i quali rappresentando, diremmo quasi, una
mischianza di naturalismo e d' iper-psicologismo, palesano la fiacchezza del
LIZIO: dall'altra poi s’esagera con que'filosofi che presumon d'interpretare
convenevolmente il LIZIO e l’ACCADEMIA, mentre arabeggiano la lor parie; e tali
per esempio, sono LAGALLA (si veda), LICETO (si veda) ed l’altri di simil
fatta. È l’accdemia toscana, è il naturalismo di POMPONAZZI (si veda), è
l'arabismo di PADOVA che si prolungano pur sempre svigoriti e indeterminati.
Bruno e Campanella rappresentano anch'essi debolmente l’accademia e il lizio,
ma per una ragione assai diversa. L'esigenza della psicologia filosofica,
razionale, propria del rinascimento, nei due arditissimi frati assume ben altro
valore, e si allarga a sistema; e così vediamo i due estremi modificarsi di
guisa, che Bruno e Campanella ci paion quasi filosofi moderni, e modernissimo
Galilei BONAITUI rappresentante dell'indirizzo medio nella scienza fisica, in
quanto ci esprime assai vivacemente l'esigenza induttiva nelle discipline
sperimentali. BRUNO (si veda), CAMPANELLA (si veda), e BONAIUTI (si veda)
Galileo Galilei, infatti, non ripetono Aristotele del Lizio e Platone
dell’ACCADEMIA, e neanche intendono ad accordarli. Essi piuttosto tendono a
correggerli, e credono correggerli, come altrove mostreremo, in tre diverse
maniere. Perciò non a torto il filosofo nolano è riguardato oggi siccome
antecedente isterico di Spinoza; il filosofo di Stilo è ritenuto come
antecedente di Cartesio; e di Galilei BONAITUI viene invocato da'positivisti
come uno ùe'padri del positivismo, secondo che ci han fatto grazia dirci Comte
ed Littré. Or tutto questo sarà vero; sarà vera cotesta novità ne'tre filosofi:
ma sarà vera nel senso che a tutti e tre manchi qualcosa. Essi ci
rappresentano, vorre’dire, tre esigenze solitarie, esclusive e quasi
inorganiche. In CAMPANELLA, per esempio, vi è il concetto della COSCIENZA e
della storia; ma non vi è quello dello spirito come storia. In BRUNO vi è il
gran concetto della natura; ma è un concetto sifl'attamente annebbiato e
indeterminato che riesce affatto irrelativo, e nulla non ha né dietro, né
avanti a sé. Talché con l'avere affermato che la prima causa dove essere insieme
efficiente, formale e finale, e'si chiarisce seguace, non già d'Aristotele del
LIZIO, come vuole Michelet, ma dell'indirizzo naturale dell'Aristotelismo del
LIZIO. Il metodo di BONAIUTI Galileo Galilei, finalmente, é quello che
dove’essere; un processo induttivo e critico, ma solamente applicato allo
studio delle leggi fisiche. D'altro canto il filosofo di PISA ha grandissimo
valore quando si pensi com'egli, riducendo le leggi di natura fisica o
meccanica a fenomeni piÌL 0 manco generali, giugnesse a scacciare dal regno
degl’agenti naturali ogni fantasia astrologica del falso Aristotehsmo LIZIO
(“Only he wrote his own horoscopes!” – Grice): ma chi dice eh' e'pervenne a
darei Métaph, us ipsis dictantibus. Però non più individui predestinati; non
più famiglie, né razze privilegiate. Non più popoli eletti – i galilei: ma
privilegio dell'intelligenza, ma trionfo della libertà in ogni senso e sotto
qualunque forma, nella famiglia, nello stato, nella chiesa, nella scuola, nella
società. Dunque, formola suprema della vita e della storia, della natura e
della speculazione, de'fatti e delle scienze e di Dio stesso: la conversione
del vero cól fatto, e del fatto col vero. Il terzo periodo della nostra
filosofia ci rappresenta l’età umana: rappresenta l'età delle idee, l'età della
ragione spiegata. Quale sarà dunque la conclusione? La conclusione è
chiarissima. Questo terzo periodo importa l'esigenza, la necessità d'un
rinnovamento: racchiude l'esigenza e la necessità d'una filosofia razionalmente
positiva. La sintesi confusa del primo periodo si ripete anche nel terzo; ed
ecco le contraddizioni evidenti, manifeste, grossolane, talvolta puerili di
VICO (vedasi). La medesima sintesi veggiamo ripetersi ne'nostri ultimi filosofi
dell’accademia; ed ecco le contraddizioni di SERBATI (vedasi), ecco i
contro-sensi di GIBERTI (vedasi), ecco l’incongruenze dell’accademia di ROVERE
(vedasi). Ma cotesta sintesi tien dietro ad un'analisi, tien dietro all'analisi
del rinascimento. Dunque, tuttoché erronea, ella già segna un progresso. Perciò
le contraddizioni dei nostri filosofi si risolvono di per sé medesime; si
risolvono e correggono per necessità storica: le risolve e corregge la storia
ella stessa; rebt4S ipsis dictantibus. In altre parole, il terzo periodo è un
ri-corso, dice l’Autore della Scienza Nuova; è un ri-corso d'uà corso, cioè un
ri-corso del primo periodo. Ma cotesto ri-correre non è già un semplice
ri-petersi, bensì é un ri-petersi che si rinnova necessariamente, ciò è dir
razionalmente: ecco la ragione del suo verace progredire. Quale é dunque il
problema che la storia del nostro pensiero filosofico tende a risolvere? È
sempre l'antico, l'antichissimo problema, or divenuto novissimo: la correzione
e l'accordo della doppia e vecchia esigenza naturale e iper-psicologica, empirica
ed a priori, positiva e ideale. Quale n' è poi il risultamento? È il trionfo
dell'indirizzo medio; è Finveramento successivo, progressivo e razionalmente
necessario di tale indirizzo; ed è quella perennis philosophia di Leibnitz la
quale non è fatta, ma si fa, e sempre più si farà. H. P. Grice: If philosophy generated no new problems,
it is dead. Abbiam detto che in questa terza età la ragione
sommette l'autorità, trionfa dell' Autorità, e la riduce ne'suoi giusti
confini. Or nell'ordine de'fatti che cosa veggiamo? Ci è dato osservare (noi
fortunati la medesima legge. Il grande spirito nazionale trionfa di Roma;
riduce a ragione l'Autorità; la fa ragionevole. E questo gran fatto accade
anch'egli per necessità e provvidenza storica: rebus ipsis didantìbus. Accade
senz'av vedercene; accade senza grandi rumori; accade senza grandi strepiti
guerreschi; accade senza i temuti fiumi di sangue. Evidentemente il pensiero
filosofico italiano è provvidenziale I Egli è già penetrato nella gloriosa ma
altrettanto ardua, altrettanto spinosa e travagliosissima età umana! La legge
de'tre periodi, che noi abbiamo a fuggevolissimi tocchi tratteggiato ne'suoi
caratteri essenziali e differenziali, non è, al solito, una legge dia-lettica,
non è legge a priori, non è legge sistematicaj non è legge organica nel
significato che vorrebbero darle gli Hegeliani. È una legge, ripetiamolo,
essenzialmente storica e psicologica: e la necessità a cui ella è informata,
anziché dialettica, è anch'essa di natura storica e psicologica. Non è dunque
una tricotomia ideale, dialettica, logica e trascendentale applicata alla
genesi del nostro pensiero filosofico; ma è una divisione risultante dal fatto
stesso della storia, e qì è confermata dalla genesi delle funzioni
psicologiche. Interpretando così la storia della filosofia italiana, il nostro
rinnovamento speculativo non pur si presenta come un'esigenza della ragion
teoretica, ma come un profondo bisogno altresì della ragione storica, I fini
perciò a' quali potrà e dovrà pervenire lo storico della nostra filosofia
saranno questi: 1"Egli così avrà dato forma razionale al movimento filosofico
del pensiero italiano, a contare dalle sue proprie origini fino ai dì nostri:
Avrà legittimato la scolastica e la riflessione teologica facendole servire
entrambe allo svolgimento isterico del nostro pensiero filosofico. Avrà
schivato le pretensioni esclusive, l’interpretazioni erronee, infedeli e
parziali degli storiografi hegeliani che altro non veggono, sì nella nostra
come nell’universale storia della filosofia, fuorché il trionfo d'un
aristotelismo o d'un platonismo interpretati, rimaneggiatie rimpastati a tutto
lor comodo e favore: Potrà giustificare la rinnovata filosofia positiva
italiana correggendo l'arabismo vecchio e nuovo, correggendo il vecchio e’1
nuovo positivismo, legittimando la vera esigenza platonica e la vera esigenza
aristotelica, e dimostrando col fatto il progresso nel corso del nostro
pensiero filosofico mercè il trionfo dell'indirizzo medio. Finalmente potrà
porger modo alla storia politica, alla storia civile e alla storia letteraria
del nostro paese d' attingere significato razionale e razionalmente positivo,
elevandole a dignità filosofica legittima. Fuori di questi principii è impresa
vana pretendere d'imprimervalore scientifico alla storia del popolo italiano.
FILOSOFI CHE DI PROPOSITO O PER INCIDENTE TRATTANO DELLE DOTTRINE DI VICO
Giornale de’Letterati oT Italia, Osserrazioni al De antiqtuissima italomm
sapìentia, Venezia, Clbbioo, JBihl anL e mod. Concinna, Originia futidamenta et
capiUi prima JurÌ9 Naturalie. Padova, Romano, Difeta storica delle Leggi Oreche
venute a Roma contro l’opinione di Vico, Napoli, Lettere evi terno principio
della Scienza Nuota ec. Napoli, Ganassoni, Memoria in difesa dd principio dd
Vico tu l’origine delle XII Tavole. Opasc. del Galogerà. RoOADEl, Saggio del
diritto pubblico o politico del regno di Napoli, DdV antico stato de’popoli
d’Italia Cistiberina. Vedi anche ColanOELO, Biblioteca analitica ec. Diamo qui
tale indice tanto in servigio e compimento della storia e della critica fatta
nel primo libro sn gli scrittori che parlano di Vico, quanto per ehi amasse di
ripetere i medesimi studi, e far le medesimo ricerche da noi fatte. D’alcuni di
questi autori, come aTrertìmmo, non ahhiam creduto prezzo deir opera far cenno;
d'altri poi non abbiam potuto, segnatamente d’alcuni venuti alla luce quando la
prima parte del nostro lavoro era già in corso di stampa, come per esempio del
Qalatio, del D§ luca, del Sarchi, traduz. del saggio ì Mstafisieo, del Laurent
e di qualcun altro. Tutti gli’abbiam letti o consultati o studiati secondo che
richiede non solo il proposito di questa nostra opera, ma piti ancora quello
della seconda che pubblicheremo intorno ai prineipii della sociologia. Non
abbiam potuto.leggere gl’articoli di Wotf e dell' Or««t, la Prefatiom del Wsbsr
alla trad. della Sdenta Nuovuy ì Fogli $parsi del QOichet e gli scritti di
MUller e del Cauer; ma ne abbiam dato giudizio traendone notizia da fonti
sicure. Disporremo qnest'indice, quant'ò possibile, secondo l’ordine
cronologico, affinchè sia fatto più chiaro il pensiero a cui è informato il
presente lavoro. Laui, Novelle Letterarie, Firenze. Vedi pure nelle note al
Meursio. FlKETTi, De PrineipiU Jurx$
Naturce et Oentiam adver$tu Bòbbeatum, Pu/endorjium, Woljium et alio. Venetiis, Bettinellus, Sommario dell’opposizioni del Sistema ferino di
Vico alla Sacra Scrittura. La faUità dello stato ferino: appendice al diritto
di natura e delle OentU E. DuNi, Op., edi?. completa per cura di Gennarellì.
Roma Scienza del Coetume. Saggio sulla giurisprudenza Universale. Origine e
progressi del Cittadino di Roma. BuoNAFEDR, Istoria critica del diritto di
Natura e delle Genti: la ediz. E fatta a Perugia in sa lo scorcio). Stbllini,
Opera omnia. Padova, specialmente nell'Opera, Do Ortu et Progressu morum. M.
Delfico CIVITELLA, Ricerche sul vero carattere della giurisprudenza romana
de’suoi euUori. Napoli Pagano, Op. Capolago. I Saggi PoliHei sono pubblicati in
Napoli. Cuoco, Platone in Italia. Milano, FiLANGiBBl, Scienza della legislazione.
Firenze, Monti, Prolusione agli studii ddV Università di Pavia. Milano,
Foscolo, Discorso dell’origine e dell’ufficio della letteratura. Vedi nelle
lezioni d'eloquenza, ediz. di Napoli, WoLP, nel Museum der
Alterthumwissenschafi. Berlino, Orblli, Vico e Niehuhr. Museo Svizzero,
Anonimo, Dell’antichissima sapienza degl’italiani, versione dal latino. Milano,
Silvestri, Iannblli, Sulla natura e necessità della Scienza delle cose e delle
Storie umane. Napoli, Anonimo, nell’Indicatore di Gottinga COLANOELO, Saggio
d’alcune considerazioni sulla Scienza nuova di Vico. Napoli, RoifAGKOSi,
Osservazioni sulla scienza nuova. Weber, traduzione della Scienza Nuova.
Lipsia, G. Db Cbsarb, Sommario delle dottrine di Vico, compilato sull’ediz.
della scienza nuova fatta dallo stesso Vico e pubblicata nell’ediz. dello
stesso saggio in Napoli. Gallotti, Principii «T una Scienza Nuova di Vico,
prima edizione pubblicata dall'autore riprodotta e annotata. Napoli, CHE
TBATTANO DEL VICO Michelet, Prineìpca de la PkiloBophic de VHUtoìre, traduits
de la Scienza Nuova, Paris; ripubblicata colle altre opere a Bmzelles Ricci,
nell’Antoloffia del Vleussenx, Firenze, studio critico sulla tradazione fatta
da Michelet). lìivitta Enciclopedica f Fascicolo (art. sa la tradazione di
Michelet). LBBXiinEB, Initoduction
generale à VBittoire du droit. Paris Bietoire de la Philotophie du droit. Bruxelles. Ballanchb, Opere. Paris, JouFFBOY, Mélangea Philo$opMqu€$.
Bruxelles CousiK, Oaurs ec, 2« serio, Paris Introductxon b. VHieioire de la
Phil.f Lea, II, T. Maviani, Rinnovamento della Filonofia antica italiana,
Paris, L. T. (LniQi Tonti), Saggio sopra la Scienza Nuova di Vico, Lugano,
PREDABI, Op. di Vico con traduzioni e commonti. Milano, Bravette, Febbabi, Op.
di Vico ordinate ed illustrate coW analisi détta MenU di Vico ec. Milano, Società Tipografica, Édit. compllte dee
oeuvre de Vico, Paris, Vico et r Italie. Paris, Eeeai sur le principe et le$
limites de la Philoeophie de VBittoirt Paris, Joubert Vico et VItcdie (nella
Recue dee Deux ^fond€9, Cattaneo, Vico e l’Italia, nel Politeniico. St. MrLL, Sifithne de Logique, RosviNT, Il Rinnovamento della Filosofia
in Italia propoeto dal Conte Terenzio Mamiani della Rovere, Milano Vedi pure
nella Filo•ofìa del Diritto, e nella Filosofia politica.) G98CHEL, Zerstreute
Bldtter, nella Rivista Giuridico-filosofica. SchlousSingen, A. Cosmc, Lettera a
Mill (vedi Littrì, Comte et la Philosoplie Positive, Paris, loLA, Studio su
Vico e sulla filosofia della Storia, letto nell’Accade-mia filosofica di
Sassari, Torino Maviani, LrUere intomo alla filosofia del diritto. Napoli,
Mancini, Intorno alla Filosofia del Diritto, Lett. al conte Terenzio Mamiani.
Napoli, Re.kouvieb, Manuel de PhU, moderne. Paris Gioberti, IiUrocU allo studio
della Filosofia. Losanna, ToMMAsio, Stridii critici, Venezia, Studii filosofici,
Venezia, BonCHEZ, Jntrod, à la Science de VHist, Paris, Anonimo, La Science
nouvélle par Vico, trad. par Tautear de Tessa! sur la formation da Dogme
Catholiqae. Paris, Della Valle, Saggi exdìa Scienza della storia, ossia Santo
della Seiema Nuova di Vico.Napoli, Eocoo, Elogio storico di Vico. Napoli
Farina, Storia (L’Italia, narrata al popolo italiano. Firenze, Poligrafia
italiana, Prefazione. S. Centofakti, Una Fortixola logica della filosofici
della storia, Pisa, TomiASào, Notizie sulla vita e sull’opere di Vico. Vedi
nell’edizione della Scienza Nuova fatta a Milano dal Silvestri F. CARyiGNANl,
jStona deUe origini e de’progressi della Filosofia del Diritto, Lucca Mancini,
Intorno alla nazionalità come fondamento del Diritto delle Genti. Torino Ondes
Begqio, Introduzione ai principii deUe umane società, Genova, Vannucci, Storia
antica d’Italia, Firenze, Marini, Vico al cospetto, Napoli MUller, Vico Oleine
^c^/ten Neuhrandehurg. BouLLiKR, Hlst. de la Phil, CartUienne, Paris Poli,
Manuale della Storia della Filosofia del Tenncmann, Milano. A. De Carlo,
Istituzione filosofica secondo % principii di Vico, Napoli, Giani, DeW unico
principio e deW unico fine dell’universo Diritto. Oper.a di Vico tradotta e
commentata coir aggiunte d’appendici relative alla materia dell’opera stessa.
Milano, Della eguàU autorità e naturale amicizia di tutte le scienze. Milano
Caubr, nel Museo tedesco Amari, Critica d’una Scienza dille Legislazioni
comparate, Genova, Tipografia de’Sordo-Muti, FORNARi, Dell’armonia universale,
Napoli; Firenze, Faonani, Ddla neeessità e ddT uso della Divinanione
tettifieata dalla Scienza Nuova di Vico. Alessandria, Ristampata a Torino. CHE
TRATTANO DI VICO GIOBERTI, Protoloffia, Ediz. del Massari (Saggio ITI), B.
ll&zzARELLA, La Critica dtUa Scienza. Genova, tipi Lavagnino, Spavrnta,
Carattere e sviluppo della JUoBoJia itàliajut d IL Periodo de' critici e
degl’eruditi Continua il periodo de' critici e degl’eruditi. Periodo
degl’interpreti filosofi Continua il periodo degl’interpreti filosofi.
Conseguenze. Forma della mente, e carattere delle opere di Vico. Valore della
nostra critica.) Vico, Leibnitz e il Cartesianismo delle due moderne filosofie,
Germanica e Italiana i INTERPRETAZIONE DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. Preambolo
Dottrina della scienza e del criterio IL Del criterio e del metodo nella
scienza Òtà Posizione e critica del Principio speculativo n Platonismo e
l’Aristotelismo nel problema psicologico Organismo e processo psicologico.
Fondamento razionale del processo storico. Genesi e teleologia psicologica. Del
conoscere metafisico. Critica de’ moderni Neoplatonici. Vin. Continua lo stesso
argomento. Critica del Neoaristotelismo: Positivismo ed Hegélianismo, Su la
ricerca dell’Assoluto secondo la Ragion filosofica positiva Del Principio
metafisico Sul moderno concetto della Creazione e della Provvidenza Xn. Deir
attività creativa ne’diversi momenti del Processo cosmico XnL Darwinismo,
Scienza Nuova e Sociologia. Idea sulla Storia della Filosofia Italiana Indice
degl’Autori che di proposito o per incidente trattano delle dottrine di Vico
operazione immediata, per operazione mediata, e^non potrebbe non rieecire, per
e non potrebbe rietcire, quel certo Jiloeofoy per certo, quelfloeofo. tuo*dirc,
per vo^ dire. Crieto quel centro maeeimo, por Cristo, qvidl centro massimo,
jUosofia fisiologica, per Jìlosofia etisologica, assommano la ragione, per
assommano le ragioni, T&g. Firtz, per iVr««.v. 13. degVim-, ponderabili suW
esistenza, per degV imponderabili e dell’esistenza. Sft^rji vrr(xpx,tt to, per
fyi?:?? V7ra^;^«e to'. Sovsifiit, per juva/xee. tovto, per toùto.
Jiaviafjperxat Jtavoiat;.7rauTt, per Travri. affermazione promessa, per
affermazione promossa, ù^iirpòi, per wc irpò^. x**^' auTvJv, per xar' auTvjy. Avto7s tv, per Auto yt to. Sovo^iisi Zwki'v s^'V' ^®^
SvvdfjLii ^w>7v ?yovTOf.. rsOo^tov, per fAi9óptoy. tfivafjicf, per Svvafiig,
TdJ ^9vzx 7tvgG'5a, per to' nuvroc yiviaOxAi.. altro
potrebb* essere, per altro non potrtbV essere.. e perciò era visione, per e
perciò visione. aXXov «^eu/xaTOtiv, per aXXwv a?to/iaTwv. tololtyi?, per
Tuvxng. gL Tra/DOff ta, p«r Tra^ou^ca. che le fa iìUendere, per che la fa
intendere. di coglierne concetto, per di coglierne il concetto. es egreift, per
es ergreift, dans an sich, per das an sich. Jtvoljixffovt, per ^vva/X8VG(. e s^
avvilirebbe, ^r e* s* avvilirebbe. ytuVe?, per f^J7t(. /*v?5>j, per iit$è.
^a£va-5ae, por yaevjo'^'at. rxpoi^vy' |xaTa, per 7ra^a?£t7fAaTa. del Dio
aristotelico, con; per del Dio aristotelico che con,, y. 40, in due e cantra-
rie sentenze apposite, per in due apposite e contrarie sentenze yjppxsi ro,v^r
vnapxst to. to (^trepov, per TO 5«UTe/)0v. to' rra^Xo, per tÒ oiWo, dell’atonicità/dell’atomicità,,
creare vuol non dire/creare non vuol dire; ci son addate/ci son additate; e
correggendo, lui/e correggendo lui; chi, davvero, ragion teologica/che,
davvero, la ragion teologica. Pietro Siciliani. Siciliani. Keywords: la psico-genia
di Vico, ateneo felsineo, l’unita organica della filosofia, zoologia
filosofica, psicogenia, “I principii metafisici di Vico”. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Siciliani” – The Swimming-Pool Library. Siciliani.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Sidonio: la ragione
conversazionale dell’implicaturis – inplicatura Lewis/Short -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo
italiano. Sidonio Appolinare – follows a political career. He writes a number
of letters in which he makes reference to philosophers and philosophical
issues. He claims, for example, that Cleante di Assus bites his nails. Grice:
“Implicature is a natural thing in Roman. You have -plicare, you add
in-plicare, and then you conjugate!” – Keywords: inplicatura, implicatura,
implicature, disimplicatura. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Sidonio” – Sidonio.
Luigi Speranza -- Grice e Signa: la ragione
conversazionale della ruota di Venere – la scuola di Signa – filosofia
fiorentina – la scuola di Firenze -- filosofia toscana -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Signa). Filosofo
fiorentino. Filosofo toscano. Filosofo italiano. Signa, Firenze, Toscana. Insegna
retorica (“ars dictaminis”) a Bologna e Padova. Vive ad Ancona, Venezia,
Bologna, Padova, e Firenze. Tra i saggi più significativi si ricordano il
saggio storico “L’assedio d’Ancona” (Viella, Roma), il “Bon Compagno”; “Rethorica
novissima”; “Scacchi e il “Libellus de malo senectutis et senis”, nel quale,
con spirito arguto, prende in giro le affermazioni di Cicerone che idealizzano
la vecchiaia”; la “Rota Veneris” (Salerno), un saggio di epistolo-grafia
amorosa; “Liber de amicitia”; “Ysagoge Boncompagnus; “Tractatus virtutum”; “Palma
Oliva Cedrum Mirra Quinque tabulae salutationum”; “Bonus Socius e Civis Bononiae. Garbini,
Roma, Salerno, Gabrielli, Le epistole di Cola di Rienzo e l'epistolografia,
Archivio della Società romana di storia patria, Gaudenzi, Sulla cronologia
delle opere dei dettatori bolognesi da S. a Bene da Lucca, Bullettino
dell'Istituto storico italiano, G. Manacorda, Storia della scuola in Italia, Palermo,
Tateo, Enciclopedia dantesca, Treccani Dizionario biografico degl’italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. S., su ALCUIN, Ratisbona. Wight: S.'s charter doctrine (Bologna), in:
Medieval Diplomatic and the 'ars dictandi', Scrineum. Keywords: Cicerone, “ars dictaminis” – o rettorica --.
Bon Compagno da Signa. Signa. Keywords: rota veneris – erotica – ermafrodita –
erma: mercurio, afrodita, venere, afrodisiaco. Luigi Speranza, “Grice e Signa”
– The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Silio: la ragione conversazionale a Roma – la
maledizione di Dione – Scipione come Ercole – il sacrificio dell’eroe – filosofia
veneta – la scuola di Padova -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Padova). Filosofo padovano. Filosofo veneto.
Vilosofo italiano. Padova, Veneto. Avvocato, console, pro-console de principato
romano. Muore in Campania. Figli: Lucio Silio Deciano. Console, Proconsole in
Asia. Noto semplicemente come S. Italico è anche un poeta, avvocato e politico
romano, autore dei Punicorum libri XVII, il più lungo poema epico latino
pervenutoci. Abbiamo notizie di lui da una lettera di PLINIO il Giovane a
Caninio RUFO, nella quale parla della sua morte. Il nome ‘Asconio’ porta a
ritenere che e legato alla gens patavine. Altre brevi informazioni ci vengono
da TACITO e da Marziale. Di Marziale, S. è il patrono e sappiamo che opera nel foro
come avvocato difensore, probabilmente già al principato di CLAUDIO. Secondo
Plinio, nel principato di Nerone, dove esercitare anche l'avvocatura d'accusa,
ovvero la delazione vera e falsa per il favore del principe. Il beneficio che
ne tratta e il consolato ordinario. Con la caduta e morte di Nerone, in
quanto amico di Vitellio, S. partecipa alle trattative di questi con il
fratello di Vespasiano, Tito Flavio Sabino, che è a Roma con il figlio di
Vespasiano, Domiziano. S. è pro-console in Asia Minore agl’ordini di VESPASIANO.
Testimonianza è un'epigrafe ad Afrodisia, che riporta il suo nome completo. Allo
scadere del mandato pro-consolare S. si ritira dalla vita politica attiva
dedicandosi agli studi e alla stesura del suo “Punicorum libri”. Nel Libro
III vi è un riferimento al titolo di "Germanico" assunto da Domiziano
e Marziale saluta l'opera nel IV libro degl’epigrammi. Anche a causa dello
stato di salute aggiorna a Campania, dove compra la villa di CICERONE, il suo
modello di oratoria, e la terra che custodia la tomba di VIRGILIO, di cui è un
estimatore e ai cui stilemi si rifà abbondantemente nel corso dei Punica. Durante
il principato di Domiziano, ha la paterna soddisfazione di vedere nominato
console il figlio Lucio Silio Deciano, anche se Marziale e Plinio ci informano
che, peraltro, dove subire la perdita del figlio minore. In Campania, provato
da un male incurabile, si lascia morire di fame alla maniera del Portico. S. scrive
i Punica, poema storico, anche se secondo una parte della critica il testo è
incompiuto, in quanto si ipotizza un progetto originario in XVIII libri,
parallelo alle dimensioni degl’annales d’ENNIO. La tomba di Virgilio al
chiaro di luna, con S., dipinto di Wright. I Punica sono la più lunga epica romana
che ci sia pervenuto. Racconta la guerra punica dalla spedizione d’Annibale in
Spagna al trionfo di SCIPIONE dopo Zama. La disposizione annalistica
testimonia la sua volontà di ricollegarsi alla III decade di LIVIO, ne recupera
la cornice architettonica del modello. Colloca dopo il proemio il ritratto di
Annibale e chiude, come LIVIO, con l'immagine del trionfo di Scipione. I Punica
è concepita quale continuazione ed esplicazione dell’Eneide virgiliana. La
guerra d’Annibale è, di fatto, vista come la continuazione di Virgilio,
originata dalla maledizione di Didone contro ENEA, mentre dal poema virgiliano
S. restaura la funzione strutturale dell'apparato mitologico, anche se lo
stravolgimento anti-frastico della provvidenza virgiliana è sostituito da un'EPOPEA
dal finale rassicurante. PLINIO ha delle riserve sulle capacità di S., lo
ritiene più antiquario che artista per il suo gusto per le ricostruzioni
minuziose. Lo stile sembra influenzato dal gusto del tempo:
"barocco", scene macabre unite al modello epico mitologico, con BANALI
RIFLESSIONI ETICHE. L'opera, comunque, risulta frammentaria, poiché dà più
importanza ai particolari piuttosto che non all'unità dell'opera stessa.
Quindi, lo scritto di S. è importante soprattutto per la quantità di
informazioni storiche e mitologiche piuttosto che per la sua poesia. S. in
Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. S., in Treccani.it –
Enciclopedie, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. S., su Sapere.it, De
Agostini. Pollidori - Postilla a S., su gionni altervista.org. Giarratano, S.
in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Epist.
III, 7. Patavino: cittadino di Padova (dal latino Patăvium, nome della città di
Padova. Marziale. Vinchesi, Introduzione, in Le guerre puniche, BUR, Milano, Occioni,
S. e il suo poema, Firenze, Monnier, Vinchesi, Introduzione, in Le guerre
puniche, BUR, Milano. S. su Treccani – Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Giarratano, S. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, S. su sapere.it, Agostini. S., Enciclopedia Britannica, Encyclopædia
Britannica. Silio Italico, su ALCUIN, Ratisbona. S., su Musisque Deoque; S. su
PHI Latin Texts, Packard Humanities Institute. S., open MLOL, Horizons Unlimited, S., Open
Library, Internet Archive. S. su
Progetto Gutenberg. V · D · M Poeti epici antichi Portale Antica Roma
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Avvocati romani Politici romani, Poeti, Consoli imperiali romani. S. has a career in politics
before retiring to his villa near Napoli where he pursues his interests in
philosophy. He is a follower of the Porch, and admired by Pliny Minore. S. is
a philosopher of the Porch.. S. adopts
Virgil's basic concept of seeing in the Punic War a fateful step on the road to
Rome's greatness, pre-ordained and hence supported by the divine. In his epic,
however, S. goes further than Virgilio had done in trying to illustrate how the
actions of the great Romans of the period, such as Marcellus or Scipione -
reveal that harmony between pre-destination and CHOICE which is demanded by the
philosophy of IL PORTICO. Romans like Marcello or Scipione remain loyal to the
ancient values of Rome, which are unknown (and naturally totally foreign) to
the antagonist Hannibal. S. shows both Scipione and Hannibal as trying to
emulate ERCOLE, that hero whom philosophers from both IL PORTICO and IL CINARGO
present as the archetype of a man whose unceasing endeavour and striving make
him able to attain perfection through his own efforts. The Roman ERCOLE is,
moreover, an important figure in popular religion and in Flavian principate
ideology. In S.’s epic only one of the two claimants is Hercules’s legitimate
successor: Scipione, whose individual striving for perfection is sub-ordinate
to the summum bonum (OPTIMVM) of serving Rome, and thus in harmony with the
universal order in which Rome has its divinely given place. By applying the
doctrine of fate of IL PORTICO to explain the tradition of Rome's heroic past
with its many Republican memories S. establishes a meaningtul connection
between that tradition and the state of the principate in which he himself lives.
S.’s aim is to prove that a classicising frame of mind with its orientation
towards the legendary past of Rome leads to an affirmation, instead of a
rejection, of contemporary reality. Tiberio
Cazio Asconio Silio Italico. Keywords: SCIPIONE, l’eroe nudo. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Silio, and the labours of Ercole” – per il gruppo di gioco
di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library. Silio.
Luigi Speranza -- Grice e Silla: la regione conversazionale della ta
meta ta physika -- Roma – lascuola di Roma – filosofia lazia -- filosofia
italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo romano.
Filosofo lazio. Filosofo italiano. Apellicon, a member of the Lizio, acquires
an extensive collection of the works of Aristotle and Teofrasto that had once
belonged to Neleo, della Scessi. S. takes the collection away from him and
transports it to Roma, where TIRANNIO (si veda) is put in charge of sorting it
out and looking after it. Grice: “Tirannio saw a bunch of books which where
obviously on physics. ‘And what are these?’ A bunch of books piled after those
about physics. ‘I don’t know. I call them ‘the books that come after the books
on physics’ – ta meta ta physika.” Lucio Cornelio Silla Da Wikipedia,
l'enciclopedia libera. Disambiguazione – "Lucio Silla" rimanda
qui. Se stai cercando altri significati, vedi Lucio Silla (disambigua).
Disambiguazione – "Silla" rimanda qui. Se stai cercando altri
significati, vedi Silla (disambigua). Disambiguazione – Se stai cercando
l'opera di Händel, vedi Lucio Cornelio Silla (Händel). Lucio Cornelio Silla
Console e dittatore della Repubblica romana Ritratto di Silla su un denario
battuto da suo nipote Quinto Pompeo Rufo Nome originale Lucius Cornelius Sulla
Nascita Roma Morte Cuma Coniuge Giulia Elia Clelia Cecilia Metella Dalmatica
Valeria Messalla Figlida Giulia Cornelia Silla Lucio Cornelio Silla da Metella
Fausto Cornelio Silla Fausta Cornelia Silla Lucio Cornelio Silla da Valeria
Cornelia Postuma GensCornelia PadreLucio Cornelio Silla Questura Pretura
Propretura in Cilicia Consolato Proconsolato in Asia Dittatura Lucio Cornelio
Silla Nascita Roma Morte Cuma Cause della morte cancro Etnia Latino Religione Religione
romana Dati militari Paese servito repubblica romana Forza armata Esercito romano
Grado Dux Guerre Guerra giugurtina Guerre cimbriche Guerra civile romana Prima
guerra mitridatica Battaglie Battaglia dei Campi Raudii Assedio di Atene
Battaglia di Porta Collina Battaglia di Cheronea Battaglia di Orcomeno
Comandante di Esercito romano Altre cariche Dictator voci di militari presenti
su Manuale Lucio Cornelio Silla (in latino Lucius Cornelius Sulla Felix,
pronuncia classica o restituta: ˈluːkɪʊs kɔrˈneːlɪʊs ˈsʉlla ˈfeːlɪks, nelle
epigrafi L·CORNELIVS·L·F·P·N·SVLLA·FELIX; Roma – Cuma) è stato un militare e
dittatore romano. Lucio Cornelio Silla naque a Roma da un ramo della gens
patrizia dei Cornelii caduto in disgrazia. La motivazione è rintracciabile: un
quadrisavolo di Silla, Publio Cornelio Rufino, nonostante fosse stato console,
dittatore in data imprecisata e avesse celebrato il trionfo sui Sanniti, fu
espulso dal Senato perché possedeva più di dieci libbre di argenteria in casa. Il
figlio di Rufino, Publio Cornelio, fu nominato flamen Dialis, posizione di
massima importanza in ambito religioso, ma i cui obblighi lo escludevano di
fatto dalla vita politica.[4] Questi fu il primo a portare il cognomen Sulla. Nelle
sue Memorie, Silla stesso scrive che il primo Sulla fu il flamine, facendo
derivare la parola dal nome della Sibilla: infatti Publio Cornelio, figlio del
sacerdote e bisavolo di Silla, aveva consultato i Libri sibillini per decidere
se celebrare i primi ludi Apollinares; questo tentativo di nobilitare il
cognomen non rispetterebbe però un'antica usanza romana. Tradizionalmente,
infatti, il cognomen descriveva un tratto della famiglia che lo portava: in
questo caso, mentre Rufinus richiamava la capigliatura rossa della famiglia,
Sulla derivava da suilla, «carne di porco», e alludeva alla pelle chiara e
cosparsa di lentiggini. Nonostante il cambiamento del cognomen, la reputazione
della famiglia non migliorò e i successori del flamine non ricoprirono cariche
superiori a quella pretoria. Il bisavolo di Silla, Publio Cornelio, fu
unitamente praetor urbanus e peregrinus e, come già detto, indisse i primi
Giochi di Apollo. Avvicinandosi all'età di Silla le informazioni scarseggiano:
del primogenito e nonno di Silla, omonimo di suo padre, si sa che fu pretore in
Sicilia, mentre il secondogenito, Servio, ricoprì la carica in Sardegna. Del
padre, Lucio Cornelio Silla, si sa ancora meno: è probabile che non fosse il
primogenito di Publio e che fu amico di Mitridate il Grande, per cui potrebbe
essere stato promagistrato in Asia o membro di una delle numerose delegazioni
che venivano frequentemente inviate in Oriente. Ebbe due mogli: la seconda,
matrigna di Silla, era decisamente doviziosa. Gioventù Busto virile detto
Silla, copia del 40 a.C. ca. di un originale dell'età augustea, marmo, alt. 47
cm. Copenaghen, Ny Carlsberg Glyptotek (in Roma, Palazzo Barberini, collezione
privata). La scultura e identificata con Silla ma, considerata la datazione
(incerta), si può dire che probabilmente non lo ritrae. Poco si sa della
fanciullezza di Silla. Ci rimane solo una leggenda, secondo cui, poco dopo la
sua nascita, una donna lo vide in grembo alla nutrice e le disse «Puer tibi et
reipublicae tuae felix» (Il fanciullo [sarà] fonte di gioia per te e per lo
Stato).Certo è che il crollo del prestigio condizionò la situazione economica
della famiglia, descritta così da Plutarco: «οἱ δὲ μετ’ ἐκεῖνον ἤδη ταπεινὰ
πράττοντες διετέλεσαν, αὐτός τε Σύλλας ἐν οὐκ ἀφθόνοις ἐτράφη τοῖς πατρῴοις.
γενόμενος δὲ μειράκιον ᾤκει παρ’ ἑτέροις ἐνοίκιον οὐ πολὺ τελῶν, ὡς ὕστερον
ὠνειδίζετο παρ’ ἀξίαν εὐτυχεῖν δοκῶν. σεμνυνομένῳ μὲν γὰρ αὐτῷ καὶ
μεγαληγοροῦντι μετὰ τὴν ἐν Λιβύῃ στρατείαν λέγεταί τις εἰπεῖν τῶν καλῶν τε
κἀγαθῶν ἀνδρῶν· «Καὶ πῶς ἂν εἴης σὺ χρηστός, ὃς τοῦ πατρός σοι μηδὲν
καταλιπόντος τοσαῦτα κέκτησαι;» I suoi di Rufino discendenti, fin dal primo,
condussero una vita mediocre e Silla stesso fu allevato in una situazione
patrimoniale niente affatto invidiabile. Da adolescente abitava in casa d'altri
e pagava un affitto basso; questo gli fu rinfacciato in seguito, perché
sembrava aver raggiunto una fortuna superiore al merito. Si dice che, dopo la
campagna in Libia, quando si faceva bello e si vantava, uno dei boni gli si
rivolse con queste parole: «E come potresti essere meritevole di lodi tu, che
ti sei ritrovato tante ricchezze senza che tuo padre ti abbia lasciato niente?»»
(Plutarco, Sull., 1, 2; trad. di Lucia Ghilli) Il biografo greco
probabilmente esagera, perché Silla non crebbe nella povertà più assoluta: era
ricco agli occhi del plebeo, ma povero agli occhi del nobile, una posizione
assimilabile a quella di cavaliere. Nonostante l'ambiente modesto in cui visse,
a Silla fu impartita un'ottima educazione, degna delle sue origini patrizie:
gli furono insegnati la letteratura latina e greca, il diritto, la retorica, la
filosofia e l'arte e fu impregnato dei valori tradizionali del mos maiorum. Con
questi strumenti, Silla poteva certamente rivaleggiare con i più eruditi della
sua epoca, ma per ottenere una carica gli serviva il denaro. La speranza
di ricoprire una magistratura sembrò svanire quando, verso l'età in cui indossò
la toga virilis, il padre Lucio morì senza lasciargli nulla in eredità. Silla,
che godeva di un reddito annuo di 9000 sesterzi, nove volte maggiore rispetto a
quello di un operaio, ma decisamente umile per un aristocratico, prese a
frequentare i sobborghi dell'Urbe, che poco si addicevano a un patrizio, e
personaggi ambigui come mimi e istrioni, per cui scrisse anche alcune atellane.
Secondo Plutarco, in occasione delle bevute con i suoi amici plebei Silla, la
cui immagine è passata alla storia come severo dittatore, mostrava il suo lato
migliore: «ἀλλ’ ἐνεργὸς ὢν καὶ σκυθρωπότερος παρὰ τὸν ἄλλον χρόνον, ἀθρόαν
ἐλάμβανε μεταβολὴν ὁπότε πρῶτον ἑαυτὸν εἰς συνουσίαν καταβάλοι καὶ πότον, ὥστε
μιμῳδοῖς καὶ ὀρχησταῖς τιθασὸς εἶναι καὶ πρὸς πᾶσαν ἔντευξιν ὑποχείριος καὶ
κατάντης.» «sebbene fosse attivo e
più accigliato per il resto del tempo, non appena si buttava nella mischia e si
metteva a bere cambiava del tutto, tanto da diventare gentile con mimi cantanti
e ballerini, dimesso e propenso ad accogliere ogni richiesta.» (Plutarco,
Sull.; trad. di Lucia Ghilli) Ormai pronto al matrimonio, Silla sposò una
certa Ilia, che potrebbe corrispondere a una Giulia, sorella di Lucio Giulio
Cesare e Cesare Strabone Vopisco, o una Giulia minore, sorella di Gaio Giulio
Cesare, Sesto Giulio Cesare e Giulia maggiore, moglie di Gaio Mario, o più
probabilmente si tratta di un errore di Plutarco, per cui la figura di Ilia
coinciderebbe con Elia, la seconda moglie di Silla, di famiglia plebea e di cui
non si sa altro che il nome. In ogni caso, da Ilia Silla ebbe la sua prima
figlia, Cornelia, e il primo figlio, Lucio, che morì infante.Ad ogni modo, il
legame matrimoniale non gli impedì di intrattenere relazioni extraconiugali:
coltivò una relazione omosessuale con l'attore Metrobio, un amore giovanile che
portò con sé fino alla morte, così come continuò a frequentare i circoli di
buffoni. Amò anche la facoltosa Nicopoli, liberta più vecchia di lui e sua
amante, che, quando spirò, lasciò al giovane Silla una grande eredità. Nello
stesso periodò morì anche la matrigna, da cui Silla ereditò un'altra ingente
somma di denaro.Fu probabilmente così che Lucio Cornelio Silla, nato da una
famiglia decaduta, poté intraprendere la sua carriera politica: l'inizio della
sua Felicitas. Esordi della carriera e opposizione a Mario Lo
stesso argomento in dettaglio: Guerra giugurtina e Guerre cimbriche. Silla e nominato
questore di Gaio Mario, del quale era cognato avendo sposato la sorella minore
della moglie di Mario, Giulia, nel periodo in cui questi stava assumendo il
comando della spedizione militare contro Giugurta, re della Numidia. Questa
guerra si protraeva ormai., con risultati addirittura umilianti per l'esercito
romano, tenuto in scacco dalle forze di questo piccolo regno africano. Alla
fine Mario, riuscì a prevalere, soprattutto grazie all'abile e coraggiosa
iniziativa di Silla, che riuscì a catturare Giugurta convincendo il suocero
Bocco e gli altri familiari a tradirlo e consegnarlo ai Romani. La fama che
gliene derivò gli servì da trampolino di lancio per la carriera politica, ma
provocò il risentimento e la gelosia di Mario nei suoi confronti. Difatti Silla
continuò a servire nello Stato Maggiore di Mario fino all'elezione al consolato
di Quinto Lutazio Catulo, di antica famiglia aristocratica come lui, e infine
passando nello Stato Maggiore di quest'ultimo nella difficile campagna condotta
in Gallia contro le tribù germaniche dei Cimbri e dei Teutoni. Silla si
distinse anche in questa occasione, aiutando il console Quinto Lutazio Catulo e
Mario a sconfiggere i Cimbri nella Battaglia dei Campi Raudii, presso Vercelli.
Al suo ritorno a Roma, Silla riuscì a farsi eleggere pretore urbano, e i suoi
avversari non mancarono di accusarlo di aver corrotto all'uopo molti degli
elettori. In seguito fu assegnato al governo della Cilicia, regione situata
nell'odierna Turchia. Si assistette a un avvenimento storico per quell'epoca.
La Repubblica romana e il grande Impero dei Parti vennero a contatto in modo
del tutto pacifico. Una delegazione inviata dal sovrano parto, Mitridate II, si
incontrò sulle rive dell'Eufrate con il pretore Lucio Cornelio Silla,
governatore della nuova provincia di Cilicia. Dopo l'anno di pretura, Silla fu
inviato in Cappadocia. Motivo ufficiale della sua missione era il porre di
nuovo sul trono Ariobarzane I. In verità egli aveva il compito di contenere e
controllare l'espansione di Mitridate, che stava acquisendo nuovi domini e
potenza non inferiori a quanti ne aveva ereditati.» (Plutarco, Vita di
Silla) La missione di Silla, procuratore della Cilicia, nel 96
a.C., quando incontrò un satrapo dei Parti presso Melitene (futura fortezza
legionaria). Rovine di Aeclanum, la città del Sannio irpino conquistata
da Lucio Cornelio Silla. Questo primo incontro fissò sull'Eufrate il confine
tra i due imperi. Una curiosità di quell'incontro fu che Silla cercò, anche in
quella circostanza, di affermare la preminenza di Roma sulla Partia, sedendosi
fra il rappresentante del Gran Re e il re di Cappadocia, come se desse udienza
a dei vassalli. Una volta venuto a conoscenza dell'accaduto, il re dei Parti
fece giustiziare colui che lo aveva così maldestramente sostituito all'incontro
con il comandante militare romano. Ecco come racconta l'episodio Plutarco. Silla
soggiornava lungo l'Eufrate, quando venne a trovarlo un certo Orobazo, un
parto, quale ambasciatore del re degli Arsacidi. In passato non c'erano mai
stati rapporti di sorta tra i due popoli. Tra le grandi fortune toccate a
Silla, va ricordata anche questa. Egli fu infatti il primo romano che i Parti
incontrarono, chiedendo alleanza e amicizia. In questa occasione si racconta
che Silla fece disporre tre sgabelli, uno per Ariobarzane I, uno per Orobazo e
uno per sé, e li ricevette mettendosi al centro tra i due. Di questa situazione
alcuni lodano Silla, perché ebbe un contegno fiero di fronte a due barbari,
altri lo accusano di impudenza e vanità oltre misura. Il re dei Parti, da parte
sua, mise poi a morte Orobazo.» (Plutarco, Vita di Silla. Silla lasciò il
Medio Oriente e rientrò a Roma, dove si unì al partito degli oppositori di Gaio
Mario. In quegli anni la Guerra Sociale era al suo culmine. L'aristocrazia
romana si sentiva minacciata dalle ambizioni di Mario che, vicino alle
posizioni del partito popolare, aveva già retto il consolato per 5 anni di
seguito. Nella repressione di quest'ultimo moto di ribellione delle popolazioni
italiche alleate di Roma, Silla si mise particolarmente in luce come brillante
e geniale stratega, eclissando sia Mario sia l'altro console Gneo Pompeo
Strabone (padre di Gneo Pompeo Magno). Una delle sue imprese più famose fu la
cattura di Aeclanum, città degli Irpini, ottenuta incendiando il muro di legno
che difendeva la città assediata. Come conseguenza, ottenne per la prima volta
il consolato, insieme a Quinto Pompeo Rufo. Occupazione militare di
Roma Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra civile romana. Silla,
assunta la carica di console, ricevette poco dopo dal Senato l'incarico di
governare la provincia d'Asia. Durante il governatorato organizzò una nuova
spedizione in Oriente e combatté la prima guerra mitridatica. Si lasciò
tuttavia alle spalle, a Roma, una situazione assai turbolenta. Mario era ormai
vecchio, ma nonostante ciò aveva ancora l'ambizione di essere lui, e non Silla,
a guidare l'esercito romano contro il re del Ponto Mitridate VI. Per ottenere
l'incarico, Mario convinse il tribuno della plebe Publio Sulpicio Rufo a fare
approvare una legge che sottraesse a Silla la guida, già legittimamente
conferitagli, della guerra contro Mitridate e gliela attribuisse. Appresa
la notizia Silla, accampato in quel momento nell'Italia meridionale in attesa
di imbarcarsi per la Grecia, scelse le 6 legioni a lui più fedeli e, alla loro
testa, marciò su Roma. Nessun comandante, in precedenza, aveva mai osato
violare con l'esercito il perimetro della città (il cosiddetto pomerio). La
cosa era talmente contraria alle tradizioni che Silla esentò gli ufficiali dal
parteciparvi. Spaventati da tanta risolutezza, Mario e i suoi seguaci fuggirono
dalla città. Dopo avere preso una serie di provvedimenti per ristabilire la
centralità del Senato come guida della politica romana, Silla lasciò di nuovo
Roma, e riprese la strada della guerra contro Mitridate. Guerra contro
Mitridate in Oriente Lo stesso argomento in dettaglio: Prima guerra
mitridatica. Mitridate (oggi al museo del Louvre). Approfittando
dell'assenza di Silla, Mario riuscì a riprendere il controllo della situazione.
Con il sostegno del console Lucio Cornelio Cinna (suocero di Gaio Giulio Cesare),
ottenne che tutte le riforme e le leggi emanate da Silla fossero dichiarate
prive di validità e che lo stesso Silla fosse ufficialmente dichiarato «nemico
pubblico» e costretto perciò all'esilio. Insieme, Mario e Cinna eliminarono
fisicamente un gran numero di sostenitori di Silla, e furono eletti consoli
Mario morì pochi giorni dopo l'elezione e Lucio Valerio Flacco fu nominato
consul suffectus al suo posto, mentre Cinna rimase a dominare incontrastato la
politica romana, essendo rieletto console negli anni successivi. Nel
frattempo Silla si era recato in Grecia, dove portò alla caduta Atene. Il
comandante romano vendicò quindi l'eccidio asiatico di Mitridate, compiuto su
Italici e cittadini romani, compiendo un'autentica strage nella capitale
attica. Silla proibì, invece, l'incendio della città, ma permise ai suoi
legionari di saccheggiarla. Il giorno seguente il comandante romano vendette il
resto della popolazione come schiavi. Catturato Aristione, chiese alla città
come risarcimento del danno di guerra, circa venti chili di oro e 600 libbre
d'argento, prelevandole dal tesoro dell'Acropoli. Poco dopo fu la volta del
porto di Atene del Pireo. Da qui Archelao decise di fuggire in Tessaglia,
attraverso la Beozia, dove portò ciò che era rimasto della sua iniziale armata,
radunandosi presso le Termopili con quella del condottiero di origine tracia,
Dromichete (o Tassile secondo Plutarco). Con l'arrivo di Silla in Grecia le
sorti della guerra contro Mitridate erano quindi cambiate a favore dei Romani.
Espugnata quindi Atene e il Pireo, il comandante romano ottenne due successi
determinanti ai fini della guerra, prima a Cheronea, dove secondo Tito Livio
caddero ben 700.000 armati del regno del Ponto, e infine a Orcomeno.Mappa dei
movimenti delle armate romane, prima e durante la battaglia combattuta presso
Cheronea Mappa dei movimenti delle armate romane, durante la battaglia
combattuta presso Orchomenos Contemporaneamente, il prefetto della cavalleria,
Flavio Fimbria, dopo aver ucciso il proprio proconsole, Lucio Valerio Flacco, a
Nicomedia prese il comando di un secondo esercito romano. Quest'ultimo si
diresse anch'egli contro le armate di Mitridate, in Asia, uscendone più volte
vincitore, riuscendo a conquistare la nuova capitale di Mitridate, Pergamo, e
poco mancò che non riuscisse a far prigioniero lo stesso re. Intanto Silla
avanzava dalla Macedonia, massacrando i Traci che sulla sua strada gli si erano
opposti. Quando Mitridate seppe della sconfitta a Orcomeno, rifletté
sull'immenso numero di armati che aveva mandato in Grecia fin dal principio, e
il continuo e rapido disastro che li aveva colpiti. In conseguenza di ciò,
decise di mandare a dire ad Archelao di trattare la pace alle migliori
condizioni possibili. Quest'ultimo ebbe allora un colloquio con Silla in cui
disse: Tuo padre era amico di re Mitridate, o Silla. Fu coinvolto in questa
guerra a causa della rapacità degli altri comandanti romani. Egli chiede di
avvalersi del tuo carattere virtuoso per ottenere la pace, se gli accorderai
condizioni eque. Appiano, Guerre mitridatiche) Dopo una serie di
trattative iniziali, Mitridate e Silla si incontrarono a Dardano, dove si
accordarono per un trattato di pace, che costringeva Mitridate a ritirarsi nei
confini antecedenti la guerra, ma ottenendo in cambio di essere ancora una
volta considerato «amico del popolo romano». Un espediente per Silla, per poter
tornare nella capitale a risolvere i suoi problemi personali, interni alla
Repubblica romana. Si racconta che Silla, prima di tornare in Italia, ebbe un secondo
incontro con ambasciatori del re dei Parti, i quali gli predissero che «divina
sarebbe stata la sua vita e la sua fama». Allora Silla decise di tornare in
Italia, sbarcando a Brindisi con 300.000 armati.Il ritorno a Roma, la dittatura
e le liste di proscrizione Lo stesso argomento in dettaglio: Proscrizione
sillana. Possibile ritratto di Silla (copia di un originale, oggi
conservata presso la Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen). L'identificazione è
stata avanzata dall'archeologo tedesco Klaus Fittschen. Quando fu raggiunto
dalla notizia della morte di Cinna, nell'84 a.C., lasciò l'Oriente e si mise in
marcia verso Roma, ottenendo l'appoggio, tra gli altri, del giovane Gneo Pompeo
Magno. Dopo un periodo iniziale di stasi delle operazioni militari, nel
novembre dell'82 a.C. Silla ottenne la vittoria decisiva sconfiggendo nella
Battaglia di Porta Collina un grande esercito costituito dalle legioni della
fazione dei populares e dalle agguerrite truppe sannite al comando di Ponzio
Telesino. L'esito di questa battaglia fu determinato in modo risolutivo
dall'azione del futuro triumviro Marco Licinio Crasso che al comando dell'ala
destra sbaragliò le forze nemiche, mentre Silla era in grave difficoltà
sull'ala sinistra. Subito dopo la battaglia, essendo morti entrambi i
consoli, Silla fu eletto dittatore[56] a tempo indeterminato dai comizi
centuriati con la Lex Valeria de Sulla dictatore: i suoi poteri comprendevano
il diritto di vita e di morte, la possibilità di presentare leggi, di
effettuare confische, di fondare città e colonie, di scegliere i
magistrati. Fu sulla base di questi poteri che Silla realizzò
un'articolata serie di riforme, che, nelle sue intenzioni, dovevano risolvere
la crisi in cui si dibatteva da decenni lo Stato romano. Divenuto padrone
assoluto della città, Silla instaurò un vero e proprio regno del terrore,
mettendo al bando e dichiarando fuori legge (prima proscrizione) tutti gli
oppositori politici, offrendo ricompense a chi li avesse uccisi. I più colpiti
furono i cavalieri, che erano sempre stati ostili a Silla e che presero potere
grazie alla riforma del proletariato: ne furono uccisi 2.600 e i loro beni,
messi all'asta a prezzi irrisori, finirono nelle tasche dei Sillani. Il
giovane Gaio Giulio Cesare, come genero di Cinna, fu costretto ad abbandonare
precipitosamente la città, ma ebbe salva la vita grazie all'intercessione di
alcuni amici influenti, soprattutto della cugina Cornelia, figlia di Silla, e
del marito di lei Mamerco Emilio Lepido, princeps senatus. Silla annotò poi nelle
proprie memorie di essersi pentito di averlo risparmiato ("e sia, lo
risparmierò, ma vi avverto, in lui vedo mille volte Mario", frase citata
in Svetonio, Vita di Cesare, edizioni Laterza), viste le ben note ambizioni
politiche del giovane. Una vittima delle sue proscrizioni, con una morte
particolarmente violenta e crudele fu Marco Mario Gratidiano, del quale si
racconta che fosse decapitato da suo cognato Catilina anche se, in un frammento
delle Storie, Sallustio non menziona Catilina nel descrivere la morte: a
Gratidiano, dice, «la vita era sfuggita da lui pezzo per pezzo: le gambe e le
braccia gli sono state spezzate e gli occhi cavati». La circostanza che
l'uccisione avvenisse presso la tomba di Catulo ha fatto pensare gli storici
che si trattasse non di una semplice crudele vendetta ma di un vero e proprio
sacrificio umano rituale per pacificare un antenato morto, riprendendo l'uso di
sacrifici umani a Roma, documentati in tempi storici da Andrew Lintott, seppure
da 15 anni fossero stati vietati. Il nuovo ordine Ormai rimasto senza
vere opposizioni, Silla attuò una serie di riforme tese a mettere il controllo
dello Stato saldamente nelle mani del Senato, allargato per l'occasione da 300
a 600 senatori. La nomina a senatore fu resa, inoltre, automatica al
raggiungimento della carica di questore, mentre prima era demandata alla scelta
dei censori. Per evitare l'accumulo di poteri si stabilì un limite minimo di
età per le varie magistrature: trent'anni per i questori, quaranta per i
pretori, ecc. Il potere dei tribuni della plebe fu inoltre fortemente
ridimensionato: le loro proposte dovevano essere approvate preventivamente dal
Senato e il loro diritto di veto limitato. Il potere giudiziario fu restituito
al Senato, sia per i reati più gravi sia per le cause di corruzione che la
riforma graccana aveva demandato ai cavalieri. In definitiva tutte le sue
azioni erano animate dall'intento di restituire al partito aristocratico il
controllo della città. Introdusse inoltre la legge per cui i vincitori di corone
militari di grado pari o superiore alla civica sarebbero stati ammessi di
diritto in senato indipendentemente dall'età, questo fu il motivo per cui Gaio
Giulio Cesare all'età di vent'anni ebbe accesso al Senato. Il ritiro dalla
vita politica Cronologia Vita di Lucio Cornelio Silla Nasce a Roma a.C.nominato questore di Gaio Mario fine
della Guerra Giugurtina legatus di Mario nella Gallia Ulteriore legatus di
Quinto Lutazio Catulo nella Gallia Ulteriore sconfigge i Cimbri nella Battaglia
dei Campi Raudii (Vercelli) eletto pretore urbano governatore della Cilicia comandante
nelle Guerre Sociali consolato insieme a Quinto Pompeo Rufo e successiva
occupazione di Roma e messa fuori legge di Mario spedizione in Medio Oriente
contro Mitridate VI del Ponto .messo fuori legge da Mario ritorna a Roma e la
occupa con la forza per la seconda volta eletto dittatore consolato insieme a
Quinto Cecilio Metello Pio 79 a.C.si dimette dal consolato e si ritira a vita
privata muore per cause naturali in Campania nella sua villa di Cuma Nella sua
veste di dittatore a vita Silla venne eletto console per la seconda volta
Cresceva intanto l'insofferenza verso gli eccessi compiuti dai suoi uomini. Un
suo liberto fu denunciato in un processo, e sconfitto grazie alle arringhe del
giovane Cicerone. Silla, sorprendendo tutti, l'anno successivo decise di
abbandonare la politica per rifugiarsi nella propria villa di campagna, con
l'intento di accingersi a scrivere le proprie memorie e riflessioni.
Quando si ritirò a vita privata, pare che attraversando la folla sbigottita uno
dei passanti si mise a ingiuriarlo. Silla si limitò a rispondergli, beffardo:
«Avresti avuto lo stesso coraggio a dirmi queste cose quando ero al potere?. E
alla fine, personaggio dall'indole spietata e ironica allo stesso tempo,
confidò ad uno dei suoi amici: «Imbecille! Dopo questo gesto, non ci sarà
più alcun dittatore al mondo disposto ad abbandonare il potere]» Plutarco
nelle Vite parallele lo rappresenta come il vizio, narrando che fosse
circondato da una variopinta corte di attori, ballerini e prostitute, fra cui
un certo Metrobio, e che gli dei per punizione lo fecero ammalare di lebbra.
Dopo aver terminato le sue riforme, si ritirò a vita privata. In compagnia di
questa allegra brigata, Sulla Felix fino all'ultimo respiro, morì probabilmente
di cancro. Lasciò vedova e incinta la sua ultima moglie, Valeria Messalla, che
qualche mese dopo partorì una figlia, Cornelia Postuma. Com'era allora
d'uso presso i potenti di Roma, lui stesso dettò l'epitaffio che aveva voluto
s'incidesse sul suo monumento funebre: Nessun amico mi ha reso servigio,
nessun nemico mi ha recato offesa, che io non abbia ripagati in pieno.»
Conseguenze dell'operato politico di Silla I problemi politici e sociali che
avevano portato alla guerra civile non erano però affatto risolti. Silla aveva
ristabilito l'ordine oligarchico in virtù della forza derivatagli dagli
eserciti, al cui appoggio avrebbero ricorso sia i sostenitori sia gli avversari
del nuovo corso da lui instaurato. Da Silla in poi la vita politica e civile
dello Stato fu perciò condizionata pesantemente dall'elemento militare:
disporre di un esercito da usare contro gli avversari e, se si rivelasse
necessario, contro le stesse istituzioni romane, divenne l'obiettivo principale
dei più ambiziosi capi politici che aspiravano al potere. Il sistema
costituzionale romano uscì distrutto dalla guerra civile. E l'esempio di Silla
trovò presto un imitatore d'eccezione proprio in un uomo che aveva idee opposte
alle sue: Giulio Cesare. Matrimoni e discendenza Silla si sposò cinque
volte: Giulia, chiamata anche Ilia. Probabilmente una parente di Giulio Cesare,
si sposarono e lei morì., probabilmente di parto. Ebbero una figlia e un
figlio: Cornelia, che fu madre di Pompea Silla, terza moglie di Giulio Cesare.
Lucio Cornelio Silla, che morì giovane. Elia, da cui non ebbe figli. Clelia, da
cui divorziò con l'accusa di sterilità. Cecilia Metella Dalmatica. Si sposarono.
Ebbero due figli e una figlia: Fausto Cornelio Silla. Gemello di Fausta,
questore Fausta Cornelia. Gemella di Fausto, madre di Gaio Memmio, console
suffetto Lucio Cornelio Silla. Morì giovane poco prima della madre.Valeria
Messalla. Si sposarono e fu l'ultima moglie di Silla, che morì nello stesso
anno. Ebbero una figlia: Cornelia Postuma. Nata alcuni mesi dopo la morte del
padre, si presume sia morta prima dell'età da matrimonio. Note Esplicative ^
Chiamata anche Ilia Le figure di Giulia/Ilia ed Elia potrebbero
coincidere (vd. infra). Plutarco, Sull.; Brizzi; Hinard; contra Keaveney,
secondo il quale deriverebbe da sura, «polpaccio»; cfr. Quintiliano, Inst.).
Noto anche semplicemente come Silla, nome che probabilmente deriva dalla
corruzione della grafia originaria del suo cognome (SVILLA). Il cognome
aggiuntivo (in latino agnomen) Felix fu aggiunto quando già era al termine
della carriera, a motivo della sua quasi leggendaria fortuna come condottiero.
Plutarco, Sull., 1, 1; Sallustio, Iug., Plutarco, Sull.; Brizzi; Hinard;
Telford, Brizzi; Hinard Brizzi Livio, Brizzi; Hinard Hinard; Telford, Livio Brizzi;
Hinard; Keaveney Brizzi; Hinard; Appiano, Mith. Plutarco, Sull.; Brizzi;
Hinard; Keaveney Per maggior informazioni sul busto e la sua storia si rimanda
ai seguenti link: The General Publius Cornelius Scipio Africanus?, su
ancientrome.ru. The General Publius Cornelius Scipio Africanus?, su
ancientrome.ru. Keaveney Hinard Sallustio, Iug., Hinar; Keaveney Brizzi;
Keaveney Brizzi; Hinard, suppone anche la partecipazione a un'associazione
bacchica; Keaveney Brizzi; Hinard; Keaveney Plutarco, Sull., Brizzi; Hinard;
Keaveney Telford, Brizzi; Hinard Plutarco, Sull.; Brizzi; Hinard Hinard Plutarco,
Sull.; Hinard 2003, p. 21; Keaveney Sheldon Livio, Periochae ab Urbe condita
Piganiol Brizzi, Storia di Roma. 1. Dalle origini ad Azio, Bologna Livio,
Periochae ab Urbe condita libri Appiano, Guerre mitridatiche Plutarco, Vita di
Silla, Appiano, Guerre mitridatiche Appiano, Guerre mitridatiche, Appiano,
Guerre mitridatiche, Plutarco, Vita di Silla, Floro, Compendio di Tito Livio, Livio,
Periochae ab Urbe condita libri Appiano, Guerre mitridatiche, Plutarco, Vita di
Silla, Livio, Periochae ab Urbe condita libri Plutarco, Vita di Silla Appiano,
Guerre mitridatiche, Appiano, Guerre mitridatiche, Livio, Periochae ab Urbe
condita libri, Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, Velleio Patercolo,
Historiae Romanae ad M. Vinicium libri duo, Livio, Periochae ab Urbe condita
libri, Livio, Periochae ab Urbe condita libri Appiano, Guerre mitridatiche Velleio
Patercolo, Historiae Romanae ad M. Vinicium libri duo, Per ulteriori
informazioni: ancientrome.ru/art/artworken/img. La carica di dittatore non era
stata ricoperta da alcun politico romano l'ultimo dittatore era stato Gaio
Servilio Gemino. Appiano, Guerre civili Lucio Cornelio Silla, romanoimpero. In
principio ci fu Silla. È noto che egli fu modello a Cesare per tanti aspetti
del suo agire, dall’uso spregiudicato di un esercito ormai politicizzato alla
marcia su Roma, dalla dittatura (sia pure a tempo indeterminato, e non
perpetua) al mantenimento dell’immissione dei neocittadini italici in tutte le
tribù; così, anche in campo storiografico è difficile concepire la genesi dei
commentarii di Cesare senza il precedente sillano": Zecchini Giuseppe,
Cesare: commentarii, historiae, vitae, Aevum: rassegna di scienze storiche,
linguistiche e filologiche: Milano: Vita e Pensiero, Plutarco, Vita di Silla
Dufallo, Basil John Ciceronian oratory and the ghosts of the past. University
of Michigan: UCLA. Bibliografia Fonti antiche Appiano, Guerre civili, in Storia
romana (versione inglese) Appiano, Guerre mitridatiche, in Storia romana.(QUI
la versione inglese Internet Archive. Dione Cassio, Storia romana. versione
inglese. Floro, Flori Epitomae Liber primus (testo latino) . Tito Livio, Ab
Urbe condita libri, Periochae (testo latino) . Tito Livio, Periochae (testo
latino), in Ab Urbe condita libri Plutarco, Vita di Silla, in Vite parallele.
QUI la versione inglese Plutarco, Le Vite parallele di Plutarco, volgarizzate
da Marcello Adriani il Giovane, a cura di Francesco Cerroti e Giuseppe Cugnoni,
traduzione di Marcello Adriani il Giovane, III, Firenze, Le Monnier, Plutarco,
Lisandro; Silla, introduzione di Luciano Canfora, traduzione e note di
Federicomaria Muccioli (per Lisandro), introduzione di Arthur Keaveney,
traduzione e note di Lucia Ghilli (per Silla), con contributi di Barbara
Scardigli e Mario Manfredini, Milano, BUR. Quintiliano, Institutio oratoria.
Sallustio, Bellum Iugurthinum. Strabone, Geografia, XII. QUI la versione
inglese Valerio Massimo, Factorum et dictorum memorabilium libri QUI la
versione latina. Velleio Patercolo, Historiae Romanae Ad M. Vinicium Libri Duo
(testo latino) .QUI la versione inglese. Fonti storiografiche moderne Giuseppe
Antonelli, Mitridate, il nemico mortale di Roma. La vicenda umana e politica
del principe orientale che ha avuto il coraggio di opporsi all'imperialismo di
Roma, Roma, Newton Compton, Ernst Badian, Lucius Sulla: The Deadly Reformer,
Sydney, University Press, Giovanni Brizzi, Storia di Roma, I: Dalle origini ad
Azio, Bologna, Patron, Giovanni Brizzi, Silla, prefazione di François Hinard,
Roma, Rai-ERI, Jérôme Carcopino, Silla o la monarchia mancata, traduzione di
Anna Rossi Cattabiani, introduzione di Mario Attilio Levi, consulenza storica
di Federico Ceruti, Milano, Rusconi, Hinard, Silla, traduzione di Anna Rosa
Gumina, Il Giornale, Roma, Salerno, Keaveney, Silla, traduzione di Katia
Gordini, Milano, Bompiani, André Piganiol, Le conquiste dei Romani, traduzione
di Filippo Coarelli, Milano, Il Saggiatore, Rose Mary Sheldon, Le guerre di
Roma contro i Parti, Traduzione dall'inglese di Pasquale Faccia, Gorizia, LEG,
Lynda Telford, Sulla: A Dictator Reconsidered, Pen et Sword, Voci correlate
Catilina Gens Cornelia Console romano Dittatore romano Pretore (storia romana)
Altri progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Lucio
Cornelio Silla Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Mario Attilio Levi, SILLA, Lucio Cornelio, in Enciclopedia Italiana,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Silla, Lucio Cornelio, in Dizionario di
storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Ernesto Valgiglio, Sulla, su
Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Ernesto Valgiglio,
Sulla, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Opere di Lucio
Cornelio Silla, su PHI Latin Texts, Packard Humanities Institute. Lucio
Cornelio Silla / Lucio Cornelio Silla (altra versione), su Goodreads.
luciuscorneliussylla.fr, su luciuscorneliussylla Estratti dal libro di Carcopino su Silla, su ilpalo
L. Cornelius Sulla, Sylla, su noctes-gallicanae.org. Mario e Silla, su
janusquirinus.org. Predecessore Console romano Successore Gneo Pompeo Strabone,
Lucio Porcio Catone con Quinto Pompeo Rufo Lucio Cornelio Cinna I, Gneo
OttavioI Gneo Cornelio Dolabella, Marco Tullio Decula80 a.C. con Quinto Cecilio
Metello Pio Appio Claudio Pulcro, Publio Servilio Vatia IsauricoII V D M
Plutarco Antica Roma Portale Biografie Portale
Ellenismo Portale Storia Categorie: Militari romaniMilitari del II
secolo a.C.Militari Romani del II secolo a.C.Romani Morti Nati a Roma Morti a
Cuma Lucio Cornelio Silla Consoli repubblicani romani Dittatori romaniSenatori
romani Cornelii Auguri Tresviri monetales Governatori romani dell'AsiaPersone
delle guerre mitridatiche [altre] Gamerra Mozart, Attori ATTORI Lucio
SILLA, dittatore TENORE GIUNIA, figlia di Cajo Mario, e promessa sposa di
SOPRANO CECILIO, senatore proscritto SOPRANO Lucio CINNA, patrizio romano amico
di Cecilio, e nemico occulto di Lucio Silla SOPRANO CELIA, sorella di Lucio
Silla SOPRANO AUFIDIO, tribuno amico di Lucio Silla TENORE Guardie. Senatori,
Nobili, Soldati, Popolo, Donzelle. La scena è in Roma nel palazzo di L. Silla,
e ne' luoghi contigui al medesimo. Altezze reali Lucio Silla Altezze reali Non ommetteremmo
la possibile diligenza per sperare, che il presente spettacolo rimeritar
possa il generoso gradimento delle aa. vv. rr. Degnatevi perciò di riguardarlo
con quella benignità, di cui ne abbiamo tante prove, ed animati da tal lusinga
con profondissimo ossequio ci protestiamo di aa. vv. rr. divotiss. obbligatiss.
servitori Gli associati nel Regioducal teatro. Gamerra /Moza Argomento Son
note nell'istoria le inimicizie di Lucio Silla, e di Mario. È palese altresì il
modo con cui il primo trionfò del suo emulo. Non può a Silla negarsi il vanto
di gran guerriero felice in tutte le sue marziali intraprese. Ma co' la
crudeltà, coll'avarizia, co' la volubilità, e co' le dissolutezze adombrò la
gloria del proprio valore. I molti suoi amori lo caratterizzarono per uomo
celebre nella galanteria, quanto glorioso nell'armi, e questa inclinazione,
come ci assicura Plutarco, gli fu compagna fino nell'età sua più avanzata.
Lucio Cinna, da esso innalzato a sommi onori co' la promessa di secondarlo, e
d'assisterlo, celò poi contro di lui sotto le sembianze dell'amicizia un odio
il più implacabile. Aufidio tribuno, menzognero adulatore, fu quello, che
precipitar facea Silla negl'eccessi i più vergognosi. Fra l'incostanza,
l'avarizia, e la crudeltà, che lo dominavano, era soggetto talora a quei
rimorsi, che non si allontanano da un core, in cui per anche non si sono
affatto estinti i lumi della ragione, e gl'impulsi della virtù. Odioso a tutta
Roma lo resero le stragi, l'usurpatasi dittatura, la proscrizione, e la morte
di tanti cittadini, ma degna fu d'ogni encomio la volontaria sua abdicazione,
per cui cedette le insegne di dittatore,
richiamando in Roma tutti
i proscritti, e anteponendo
all'impero, e alle grandezze la tranquillità d'una
oscura vita privata. Dall'istoria non meno rilevasi, che la famiglia dei
Cecili fu sempre affezionatissima al partito di Caio Mario. (Plutarco in Syll.)
Da tali istorici fondamenti è tratta l'azione di questo dramma, la quale è per
verità fra le più grandi, come ha sensatamente osservato il sempre celeste, e
inimitabile sig. abate Pietro Metastasio, che co' la sua rara affabilità s'è
degnato d'onorare il presente drammatico componimento d'una pienissima
approvazione. Allorché questa proviene dalla meditazion profonda, e dalla
lunga, e gloriosa esperienza dell'unico maestro dell'arte, esser deve ad un
giovane autore il maggior d'ogni elogio. Atto primo Lucio Silla ATTO PRIMO
[Ouverture] Molto allegro (re maggiore) / Andante (la maggiore) Archi, 2 oboe,
2 corni, 2 trombe, timpani. Scena prima Solitario recinto sparso di molti
alberi con rovine d'edifizi diroccati. Riva del Tebro. In distanza veduta del
monte Quirinale con piccolo tempio in cima. Cecilio, indi Cinna. Recitativo
CECILIO Ah ciel, l'amico Cinna qui attendo invan. L'impazienza mia cresce nel
suo ritardo. Oh come mai è penoso ogn'istante al core uman se pende fra la
speme, e il timor! I dubbi miei... ma non m'inganno. Ei vien. Lode agli dèi.
CINNA Cecilio, oh con qual gioia pur ti riveggio! Ah lascia, che un pegno io
t'offra or che son lieto appieno, d'amistate, e d'affetto in questo seno.
CECILIO Quanto la tua venuta accelerò coi voti l'inquieta alma mia. Quai non
produsse la tua tardanza in lei smanie, e spaventi, e quali immagini funeste
s'affollano al pensier. L'alma agitata s'affanna, si confonde... CINNA Il mio
ritardo altro motivo asconde. Tutto da me saprai. CECILIO Deh non t'offenda
l'impazienza mia... Giunia, la cara, la fida sposa è sempre tutt'amor, tutta
fé? Que' dolci affetti, ch'un tempo mi giurò, rammenta adesso? È 'l suo tenero
core anche l'istesso? CINNA Ella estinto ti piange... 6 / 52
www.librettidopera.it G. De Gamerra / W. A. Mozart, 1772 Atto primo CECILIO Ah
come?... Ah dimmi! Dimmi: e chi tal menzogna osò d'immaginar? CINNA L'arte di
Silla per trionfar del di lei fido amore. CECILIO A consolar si voli il suo
dolore. (in atto di partire) CINNA Deh, t'arresta. E non sai, che 'l tuo
ritorno è così gran delitto, che guida a morte un cittadin proscritto? CECILIO
Per serbarmi una vita, ch'odio senza di lei, dunque lasciar potrei la sposa in
preda a un ingiusto, a un crudel? CINNA M'ascolta. E dove, di riveder tu speri
la tua Giunia fedel? nel proprio tetto Silla la trasse... CECILIO E Cinna
ozioso spettator soffrì?... CINNA Che mai solo tentar potea? Pur troppo è vano
il contrastar con chi ha la forza in mano. CECILIO Dunque, nemici dèi di
riveder la sposa più sperar non poss'io? CINNA M'odi. Non lungi da questa
ignota parte il tacito recinto ergesi al ciel, che nelle mute soglie de'
trapassati eroi le tombe accoglie. CECILIO Che far degg'io? CINNA Passarvi per
quel sentiero ascoso, che fra l'ampie rovine a lui ne guida. CECILIO E colà che
sperar? CINNA Sai che confina col palazzo di Silla. In lui sovente da' fidi
suoi seguita fra 'l dì Giunia vi scende. Ivi sovente alla mest'urna accanto del
genitor, la suol bagnar di pianto. Continua nella pagina seguente. Atto primo
Lucio Silla CINNA Sorprenderla potrai. Potrai nel seno farle destar la speme,
che già s'estinse, e consolarvi insieme. CECILIO Oh me beato! CINNA Altrove co'
molti amici in tua difesa uniti frattanto io veglierò. Gli dèi oggi render
sapran dopo una lunga vil servitù penosa la libertà a Roma, a te la sposa. [N.
1 Aria] Allegro (si bemolle maggiore) Archi, 2 oboe, 2 corni, 2 trombe. CINNA
Vieni ov'amor t'invita vieni, che già mi sento del tuo vicin contento gli alti
presagi in sen. Non è sempre il mar cruccioso, non è sempre il ciel turbato,
ride alfin, lieto e placato fra la calma, ed il seren. (parte) Scena seconda
Cecilio solo. Recitativo accompagnato Andante (sol maggiore) / Allegro /
Andantino / Allegro / Adagio Archi. CECILIO Dunque sperar poss'io di pascer gli
occhi miei nel dolce idolo mio? Già mi figuro la sua sorpresa, il suo piacer.
Già sento suonarmi intorno i nomi di mio sposo, mia vita. Il cor nel seno col
palpitar mi parla de' teneri trasporti, e mi predice... Oh ciel sol fra me
stesso qui di gioia deliro, e non m'affretto la sposa ad abbracciar? Ah forse
adesso sul morir mio delusa priva d'ogni speranza, e di consiglio lagrime di
dolor versa dal ciglio! 8 / 52 www.librettidopera.it Gamerra / Mozart, 1772
Atto primo [N. 2 Aria] Allegro aperto (fa maggiore) Archi, 2 oboe, 2 corni.
CECILIO Il tenero momento premio di tanto amore già mi dipinge il core fra i
dolci suoi pensier. E qual sarà il contento, ch'al fianco suo m'aspetta, se
tanto ora m'alletta l'idea del mio piacer? Scena terza Appartamenti destinati a
Giunia, con statue delle più celebri donne romane. Silla, Celia, Aufidio, e
Guardie. Recitativo SILLA A te dell'amor mio, del mio riposo Celia, lascio il
pensier. Rendi più saggia l'ostinata di Mario altera figlia. E a non sprezzarmi
alfin tu la consiglia. CELIA German sai, che finora tutto feci per te. Vuò
lusingarmi di vederla cangiar. AUFIDIO Quella superba co' le preghiere, e coi
consigli invano sia che si tenti. Un dittator sprezzato, che da Roma, e dal
mondo inter s'ammira, s'altro non vale, usi la forza, e l'ira. SILLA E la forza
userò. La mia clemenza non mi fruttò che sprezzi, e ingiuriose repulse d'una
femmina ingrata. In questo giorno mi segua all'ara, e paghi renda gli affetti
miei. O 'l nuovo sol non sorgerà per lei. CELIA Ah Silla, ah mio germano per
tua cagione io tremo, se trasportar ti lasci a questo estremo. Pur troppo, ah
sì pur troppo la violenza è spesso madre fatal d'ogni più nero eccesso. Atto
primo Lucio Silla SILLA Da tentar che mi resta, se ostinata colei mi fugge, e
sprezza? CELIA Adoprar tu sol devi arte, e dolcezza. S'è ver, che sul tuo core
vantai finor qualche possanza, ah lascia, che da Giunia me n' corra. Ella fra
poco da te verrà. L'ascolta forse sia che una volta cangi pensier. SILLA Di mia
clemenza ancora prova farò. Giunia s'attenda, e seco, parli lo sposo in me. Ma
non s'abusi dell'amor mio, di mia bontade, e tremi, se Silla alfine inesorabil
reso favellerà da dittatore offeso. CELIA German di me ti fida. Oggi più saggia
Giunia sarà. Finora una segreta speme forse il cor le nutrì. Se cadde estinto
lo sposo suo, più non le resta omai amorosa lusinga. I preghi tuoi cauto
rinnova. Un amator vicino se d'un lontan trionfa, il trionfare d'un amator, che
già di vita è privo, è più agevole impresa a quel, ch'è vivo. [N. 3 Aria]
Grazioso (do maggiore) / Allegretto / Grazioso Archi. CELIA Se lusinghiera
speme pascer non sa gli amanti anche fra i più costanti languisce fedeltà. Quel
cor sì fido e tenero, ah sì quel core istesso così ostinato adesso quel cor si
piegherà. (parte) 10 / 52 www.librettidopera.it G. De Gamerra / W. A. Mozart,
1772 Atto primo Scena quarta Silla, Aufidio, e Guardie. Recitativo AUFIDIO
Signor, duolmi vederti ai rifiuti, agl'insulti esposto ancor. Alle preghiere
umili s'abbassi un cor plebeo. Ma Silla, il fiero terror dell'Asia, il vincitor
di Ponto l'arbitro del senato, e che si vide un Mitridate al suo gran piè
sommesso, s'avvilirà d'una donzella appresso? SILLA Non avvilisce amore un
magnanimo core, o se 'l fa vile, infra gli eroi, che le provincie estreme han
debellate, e scosse, un sol non vi saria, che vil non fosse. In questo giorno,
amico, sarà Giunia mia sposa. AUFIDIO Ella sen viene. Mira in quel volto
espresso un ostinato amore, un odio interno, un disperato duolo. SILLA
Ascoltarla vogl'io. Lasciami solo. (Aufidio parte) Scena quinta Silla, Giunia,
e Guardie. SILLA Sempre dovrò vederti lagrimosa e dolente? Il tuo bel ciglio
una sol volta almeno non fia che si rivolga a me sereno? Cielo! tu non
rispondi? Sospiri? ti confondi? ah sì, mi svela perché così penosa t'agiti,
impallidisci, e scansi ad arte d'incontrar gli occhi tuoi negli occhi miei.
GIUNIA Empio, perché sol l'odio mio tu sei. SILLA Ah no, creder non posso, che
a danno mio s'asconda sì fiera crudeltà nel tuo bel core. Hanno i limiti suoi
l'odio, e l'amore. Atto primo Lucio Silla GIUNIA Il mio non già. Quant'amerò lo
sposo, tanto Silla odierò. Se fra gli estinti l'odio giunge, e l'amor, dentro
quest'alma che ad onta tua non cangerà giammai, egli il mio amor, tu l'odio mio
sarai. SILLA Ma dimmi: in che t'offesi per odiarmi così? che non fec'io,
Giunia, per te? La morte il genitor t'invola, ed io ti porgo nelle mie mura
istesse un generoso asilo. Ogni dovere dell'ospitalità qui teco adempio, e pur
segui ad odiarmi, e Silla è un empio? GIUNIA Stender dunque dovrei le braccia
amanti a un nemico del padre? E ti scordasti quanto contro di lui barbaro
oprasti? In doloroso esiglio fra i cittadin più degni languisce, e more alfin
lo sposo mio, e chi n'è la cagione amar degg'io? Per tua pena maggior, di novo
il giuro, amo Cecilio ancor. Rispetto in lui benché morto, la scelta del
genitor. Se l'inuman destino dal fianco mio lo tolse per secondare il tuo
perverso amore ah sì, viverà sempre in questo core. SILLA Amalo pur superba, e
in me detesta un nemico tiranno. Or senti. In faccia di tanti insulti io voglio
tempo lasciarti al pentimento. O scorda un forsennato orgoglio, un inutile
affetto, un odio insano, o a seguir ti prepara nell'Erebo fumante, e tenebroso
l'ombra del genitor, e dello sposo. GIUNIA Coll'aspetto di morte del gran Mario
una figlia presumi d'avvilir? Non avria luogo nell'alma tua la speme ché
oltraggia l'amor mio se provassi, inumano, di che capace è un vero cor romano.
Atto primo SILLA Meglio al tuo rischio, o Giunia, pensa, e risolvi. Ancora un
resto di pietade sol perché t'amo ascolto. Ah sì meglio risolvi... GIUNIA Ho
già risolto. Del genitore estinto ognora io voglio rispettare il comando;
sempre Silla aborrire, sempre adorar lo sposo, e poi morire. [Aria] Andante ma
adagio (mi bemolle maggiore) / Allegro / Adagio / Allegro Archi, 2 oboe, 2
corni, 2 trombe. GIUNIA Dalla sponda tenebrosa vieni o padre, o sposo amato
d'una figlia, e d'una sposa a raccor l'estremo fiato. Ah tu di sdegno, o
barbaro smani fra te, deliri, ma non è questa, o perfido la pena tua maggior.
Io sarò paga allora di non averti accanto, tu resterai frattanto coi tuoi
rimorsi al cor. (parte) Scena sesta Silla, e Guardie. Recitativo SILLA E
tollerare io posso sì temerari oltraggi? A tante offese non si scuote
quest'alma? E che la rese insensata a tal segno? Un dittatore così s'insulta, e
sprezza da folle donna audace?... E pure, oh mio rossor! e pur mi piace!
www.librettidopera.it 13 / 52 Atto primo Lucio Silla Recitativo accompagnato
Allegretto (do maggiore) / Allegro assai Archi. SILLA Mi piace? E il cor di
Silla della sua debolezza non arrossisce ancora? Taccia l'affetto, e la superba
mora. Chi non mi cura amante disdegnoso mi tema. A suo talento crudel mi
chiami. Aborra la mia destra, il mio cor, gli affetti miei, a divenir tiranno
in questo dì comincerò da lei. [N. 5 Aria] Allegro (re maggiore) Archi, 2
oboe, 2 corni, 2 trombe, timpani. SILLA Il desìo di vendetta, e di morte sì
m'infiamma, e sì m'agita il petto, che in quest'alma ogni debole affetto
disprezzato si cangia in furor. Forse nel punto estremo della fatal partita mi
chiederai la vita, ma sarà il pianto inutile, inutile il dolor. Andante (fa
maggiore / la minore) Archi, 2 oboe. Scena settima Luogo sepolcrale molto
oscuro co' monumenti degli eroi di Roma. Cecilio solo. Recitativo accompagnato
Andante (la minore) / Allegro assai / Andante / Presto / Adagio Archi, 2 oboe,
2 fagotti, 2 corni, 2 trombe. CECILIO Morte, morte fatal della tua mano ecco le
prove in queste gelide tombe. Eroi, duci, regnanti che devastar la terra,
angusto marmo or qui ricopre, e serra. Già in cento bocche, e cento dei lor
fatti echeggiò stupito il mondo. E or qui gl'avvolge un muto orror profondo.
Continua nella pagina seguente. Atto primo CECILIO Oh dèi!... chi mai
s'appressa? Giunia... la cara sposa?... Ah non è sola; m'asconderò, ma dove? Oh
stelle! in petto qual palpito!... qual gioia!... e che far deggio? Restar?...
partire?... oh ciel! Dietro a quest'urna a respirar mi celo. (parte) Scena
ottava S'avanza Giunia col séguito di Donzelle, e di Nobili al lugubre canto
del seguente: [N. 6 Coro e arioso] Andante mosso (mi bemolle maggiore) Archi,
2 oboe, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe. CORO Fuor di queste urne dolenti deh
n'uscite alme onorate, e sdegnose vendicate la romana libertà. Molto Adagio (do
minore) Archi, 2 oboe, 2 fagotti. GIUNIA O del padre ombra diletta se d'intorno
a me t'aggiri, i miei pianti, i miei sospiri deh ti movano a pietà. Allegro (mi
bemolle maggiore) Archi, 2 oboe, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe. CORO Il superbo,
che di Roma stringe i lacci in Campidoglio, rovesciato oggi dal soglio sia
d'esempio ad ogni età. Atto primo Lucio Silla Recitativo accompagnato ... (mi
bemolle maggiore) Archi. GIUNIA Se l'empio Silla, o padre fu sempre l'odio tuo
finché vivesti, perché Giunia è tua figlia, perché il sangue romano ha nelle
vene supplice innanzi all'urna tua sen viene. Tu pure ombra adorata del mio perduto
ben vola, e soccorri la tua sposa fedel. Da te lontana di questa vita amara
odia l'aura funesta... (esce il séguito) Scena nona Cecilio, e detta.
Recitativo CECILIO Eccomi, o cara. GIUNIA Stelle!... io tremo!... che veggio?
Tu sei?... forse vaneggio? Forse una larva, o pur tu stesso? Oh numi!
M'ingannate, o miei lumi?... Ah non so ancor se a questa illusion soave io
m'abbandono!... Dunque... tu sei... CECILIO Il tuo fedele io sono. [N. 7
Duetto] Andante (la maggiore) / Molto allegro Archi, 2 oboe, 2 corni. GIUNIA
D'Eliso in sen m'attendi ombra dell'idol mio, ch'a te ben presto, oh dio fia,
che m'unisca il ciel. CECILIO Sposa adorata, e fida sol nel tuo caro viso
ritrova il dolce Eliso quest'anima fedel. GIUNIA Sposo... oh dèi! tu ancor
respiri? CECILIO Tutto fede, e tutto amor. GIUNIA E CECILIO Fortunati i miei
sospiri, fortunato il mio dolor. GIUNIA Cara speme! Atto primo CECILIO Amato
bene. (si prendon per mano) Insieme GIUNIA Or ch'al mio seno caro tu sei
m'insegna il pianto degl'occhi miei ch'ha le sue lagrime anche il piacer.
CECILIO Or ch'al mio seno cara tu sei m'insegna il pianto degl'occhi miei ch'ha
le sue lagrime anche il piacer. Atto secondo Lucio Silla ATTO SECONDO
Scena prima Portico fregiato di militari trofei. Silla, Aufidio, e Guardie.
Recitativo AUFIDIO Te l' predissi, o signor, che la superba più ostinata saria
quanto più mostri di clemenza, e d'amor? SILLA Poco le resta da insultarmi
così. Risolvi omai. Morir dovrà. L'ho tollerata assai. AUFIDIO L'amico tuo
fedele può libero parlar? SILLA Parla. AUFIDIO Tu sai, ch'eroe non avvi al
mondo senza gli emuli suoi. Gli Emili, e i Scipi n'ebbero anch'essi, e di sue
gesta ad onta il glorioso Silla assai ne conta. SILLA Pur troppo io so. AUFIDIO
Tu porgi nella morte di Giunia a rei nemici l'armi contro di te. D'un Mario è
figlia, e questo Mario ancor ne' propri amici vive a tuo danno. SILLA E che far
deggio? AUFIDIO In faccia al popolo, e al senato sia l'altera tua sposa. Un
finto zelo di sopir gli odi antichi la violenza asconda. Al tuo volere chi
s'opporrà? Di numerose schiere folto stuolo ti cinga. Ognun paventa in te
l'eroe, ch'ogni civil discordia ha soggiogata, e doma e a un sguardo tuo trema
il senato, e Roma. Continua nella pagina seguente. 18 / 52
www.librettidopera.it G. De Gamerra / W. A. Mozart, 1772 Atto secondo AUFIDIO
Signor del comun voto t'accerta il tuo voler. La ragion sempre segue il più
forte, e chi fra mille squadre a supplicar si piega? Vuole, e comanda allorché
parla, e prega. SILLA E se l'ingrata ancora mi sprezza, e mi discaccia al
popolo, al senato, a Roma in faccia? Che far dovrò? AUFIDIO L'altera non
s'opporrà. Quell'ostinato core ceder vedrai nel pubblico consenso del popolo
roman. SILLA Seguasi, amico il tuo consiglio. Oh ciel!... sappi... io ti scopro
la debolezza mia. Quando le stragi, le violenze ad eseguir m'affretto è il cor
di Silla in petto da più atroci rimorsi lacerato, ed oppresso. In quei momenti
fieri contrasti io provo. Inorridisco, voglio, tremo, amo, ed ardisco. AUFIDIO
Quest'incostanza tua, lascia, che 'l dica, i tuoi gran merti oscura. Ogni
rimorso della viltade è figlio. Ardito, e lieto il mio consiglio abbraccia, e
suo malgrado la femmina fastosa costretta venga a divenir tua sposa. [Aria]
Allegro (do maggiore) Archi, 2 oboe, 2 corni, 2 trombe. AUFIDIO Guerrier, che
d'un acciaro impallidisce al lampo, a dar non vada in campo prove di sua viltà.
Se or cede a un vil timore, se or cede alla speranza, e qual sarà incostanza se
questa non sarà? (parte) Atto secondo Lucio Silla Scena seconda Silla, indi Celia,
e Guardie. SILLA Ah non mai non credea, ch'all'uom tra 'l fasto, e le grandezze
immerso tanto costasse il divenir perverso. CELIA Tutto tentai finor. Preghi,
promesse, e minacce, e spaventi al cor di Giunia, sono inutili assalti. Ah mio
germano immaginar non puoi come per te... SILLA So quel, che dir mi vuoi. Silla
non è men grato a chi per lui anche inutil s'adopra. In man del caso se pende
ogni successo, il proprio merto, all'opere non scema contrario evento. In
questo dì mia sposa Giunia sarà. CELIA Giunia tua sposa? SILLA Il come non
ricercar. Ti basti, che pago io sia. CELIA Perché l'arcan mi celi, e perché non
rischiari un favellar sì oscuro? SILLA (Perché in donna un arcano è mal
sicuro.) Il mio silenzio or non ti spiaccia, e m'odi. Te pur sposa di Cinna in
questo giorno io bramo. CELIA (Oh me felice!) Lascia, ah lascia, ch' a Cinna,
il tuo fido amico io rechi così lieta novella. Il labbro mio gli sveli alfin,
ch'ei solo è il mio tesoro, e che ognor l'adorai come l'adoro. (parte) SILLA Ad
affrettar si vada in Campidoglio la meditata impresa, e la più ascosa arte
s'adopri, onde la mia nemica al talamo mi segua. Ah sì conosco, ch'ad ogni
prezzo io deggio il possesso acquistar della sua mano. Rimorsi miei vi
ridestate invano. (parte con le guardie) Atto secondo Scena terza Cecilio
senz'elmo, senza mento, e con spada nuda, che vuole inseguir Silla, e Cinna,
che lo trattiene. CINNA Qual furor ti trasporta? CECILIO Il braccio mio non
ritener. Su' passi del tiranno si voli. Il nudo acciaro gli squarci il sen...
(in atto di partire) CINNA T'arresta. Ma donde nasce questa improvvisa ira tua?
CECILIO Saper ti basti, che prolungar non deggio un sol momento il colpo...
CINNA E il tuo periglio? CECILIO Non lo temo, e disprezzo ogni consiglio. CINNA
Ah per pietà m'ascolta... svelami... dimmi... oh ciel! Que' tronchi accenti...
que' furiosi sguardi... le disperate smanie tue... gli sforzi d'involarti da
me... l'esporti ardito a un cimento fatal... Mille sospetti mi fan nascere in
sen. Parla. Rispondi... CECILIO Tutto saprai... CINNA No, non sarà giammai, ch'
io ti lasci partir. CECILIO Perché ritardi la vendetta comun? CINNA Sol perché
bramo che dubbiosa non sia. CECILIO Dubbiosa non sarà. CINNA Dunque tu vuoi per
un ardire intempestivo, e vano troncare il fil di tutti i meditati disegni
miei? Giunia rivedi, e quando amar per lei di più devi la vita incauto corri ad
un'impresa ardita? Più non tacer. Mi svela chi furioso a segno tal ti rende? Atto
secondo Lucio Silla CECILIO L'orrida rimembranza in cor m'accende novi stimoli
all'ira. Odi, e stupisci. Poiché quest'alma oppressa della mia sposa al fianco
trovò dolce conforto alla sua pena, dal luogo tenebroso allontanati appena
aveva Giunia i suoi passi, un legger sonno m'avvolse i lumi. Oh cielo! D'orrore
ancor ne gelo! Ecco mi sembra spalancata mirar la fredda tomba, in cui
l'estinte membra giaccion di Mario. In me le cavernose luci raccoglie, e 'l
teschio per tre volte crollando disdegnoso, e feroce sento, che sì mi grida in
fioca voce: «Cecilio a che t'arresti presso la tomba mia? Vanne, ed affretta
della comun vendetta il bramato momento. Ozioso al fianco più l'acciar non ti
penda. Ah se ritardi l'opra a compir, che l'ombra invendicata di Mario oggi
t'impone, e ti consiglia, tu perderai la sposa, ed io la figlia.» Recitativo
accompagnato Allegro assai (re minore) / Presto Archi. CECILIO Al fiero suon
de' minacciosi accenti l'alma si scosse. Il sonno da sbigottiti lumi
s'allontanò. M'accese improvviso furor. Strinsi l'acciaro, né il rimorso piede
io più ritenni, ma 'l reo tiranno a trucidar qua venni. Ah più non
m'arrestar... CINNA Ferma. Per poco dell'ira tua raffrena i feroci trasporti.
Ah sei perduto, se in te Silla s'avvien... 22 / 52 www.librettidopera.it G. De
Gamerra / W. A. Mozart, 1772 Atto secondo CECILIO Paventar deggio d'un tiranno
gli sguardi? Un'altra mano trucidarlo dovrà? Non mai. Mi veggio intorno ognor
la bieca ombra di Mario a ricercar vendetta; e degl'accenti suoi ad ogn'istante
or ch'al tuo fianco io sono mi rimbomba all'orecchie il fiero suono. Lasciami...
CINNA Ah se disprezzi tanto i perigli tuoi, deh pensa almeno, che dalla vita
tua pende la vita d'una sposa fedele. Oh stelle! E come per così cari giorni...
CECILIO Oh Giunia!... oh nome!... Il sol pensiero, amico che perderla potrei,
del mio furore ogn'impeto disarma. Ah corri, vola per me svena il tiranno... Oh
numi, e intanto al mio nemico accanto resta la sposa?... ahimè!... chi la
difende... ma s'ei qui giunge?... Oh dio! Qual fier contrasto, qual pena,
eterni dèi! Timore, affanno, ira, speme, e furor sento in seno, né so di lor
chi vincerà! che penso? E non risolvo ancora? Giunia si salvi, o al fianco suo
si mora. [N. 9 Aria] Allegro assai (re maggiore) Archi, 2 oboe, 2 corni, 2
trombe, timpani. CECILIO Quest'improvviso tremito che in sen di più s'avanza,
non so se sia speranza, non so se sia furor. Ma fra suoi moti interni fra le
mie smanie estreme, o sia furore, o speme, paventi il traditor. (parte)
www.librettidopera.it 23 / 52 Atto secondo Lucio Silla Scena quarta Cinna, indi
Celia. Recitativo CINNA Ah sì, s'affretti il colpo. Il ciel d'un empio se il
castigo prolunga, attenderassi, che de' tarquini in lui gli scellerati eccessi
sian rinnovati a nostri tempi istessi? CELIA Qual ti siede sul ciglio cura
affannosa? CINNA Altrove Celia, passar degg'io. Non m'arrestare... CELIA E
ognor mi fuggi? CINNA Addio. CELIA Per un istante solo m'ascolta, e partirai.
CINNA Che brami? CELIA (Oh dèi! Parlar non posso, e favellar vorrei.) Sappi,
che il mio german... CINNA Parla. CELIA Desìa... (Ah mi confondo, e temo, che
non mi ami il crudel.) Sì, sappi... (Oh stelle! In faccia a lui che adoro
perché mi perdo? Oggi sarà mio sposo, e svelargli non oso?...) CINNA Io non
intendo i tronchi accenti tuoi. CELIA (Finge l'ingrato!) Or che dubbiosa io
taccio non ti favella in seno il cor per me? Che dir poss'io? Pur troppo ne'
languidi miei rai questo silenzio mio ti parla assai. Atto secondo [Aria] Tempo
grazioso (sol maggiore) Archi, 2 flauti. CELIA Se il labbro timido scoprir non
osa la fiamma ascosa per lui ti parlino queste pupille per lui ti svelino tutto
il mio cor. (parte) Scena quinta Cinna, indi Giunia. Recitativo CINNA Di
piegarsi capace a un'amorosa debolezza l'alma non fu di Cinna ancor. Ma se da
folle s'avvilisse così, no, non avria la germana d'un empio usurpatore il
tributo primier di questo core. Giunia s'appressa. Ah ch'ella può soltanto la
grand'opra compir, che volgo in mente. Agitata, e dolente immersa sembra fra
torbidi pensier. GIUNIA Silla m'impone che al popolo, e al senato io mi
presenti; l'empio che può voler? Sai ciò, che tenti? CINNA Forse più, che non
credi è la morte di Silla oggi vicina per vendicar la libertà latina. GIUNIA
Tutto dal ciel pietoso dunque speriam. Ma intanto alla tua cura io lascio
l'amato sposo mio. Deh se ti deggio il piacer di mirarlo, poiché lo piansi
estinto, ah sì per lui veglia, t'adopra, e resti al tiranno nascoso.
www.librettidopera.it 25 / 52 Atto secondo Lucio Silla CINNA A me t'affida, non
paventar su' giorni suoi. M'ascolta, ai padri in faccia e al popolo romano Silla
sai ciò, che vuol? Vuol la tua mano. Con il consenso lor la violenza
giustificar pretende. Il suo disegno tutto, o Giunia, io prevedo. GIUNIA Io son
la sola arbitra di me stessa. A un vil timore ceda il senato pur, non questo
core. CINNA Da te, se vuoi, dipende Giunia un gran colpo. GIUNIA E che far
posso? CINNA Al letto segui l'empio tiranno ove t'invita, ma in quello per tua
man lasci la vita. GIUNIA Stelle! che dici mai? Giunia potria con tradimento
vil?... CINNA Folle timore. Deh sovvienti, che ognora fu l'eccidio de' rei un
spettacolo grato a' sommi dèi. GIUNIA S'è d'un plebeo pur sacra fra noi la
vita, e come vuoi, che in sen non mi scenda un freddo orrore nel trafiggere io
stessa un dittatore? Benché tiranno, e ingiusto, sempre al senato, e a Roma
Silla presiede, e di sua morte invano farmi rea tu presumi. Vittima ei sia, ma
della man dei numi. CINNA Se d'offender gli dèi avesse un dì temuto la libertà
non dovria Roma a Bruto. GIUNIA Ma Bruto in campo armato, non con una viltade
della latina libertade infranse la catena servil. No, non fia mai ch'a' dì
futuri passi il nome mio macchiato d'un tradimento vil. Serbami, amico, serbami
il caro ben. Deh sol tu pensa alla salvezza sua. Della vendetta al ciel lascia
il pensier. Atto secondo Recitativo accompagnato Allegro (si bemolle maggiore)
/ Andante Archi. GIUNIA Vanne. T'affretta. Forse lungi da te potria lo sposo
per un soverchio ardir... l'impetuosa alma sua ben conosci. Ah, per pietade,
fa', che rimanga ad ogni sguardo ascoso. Digli, che se m'adora; digli che se
m'è fido serbi i miei ne' suoi giorni. A te l'affido. [Aria] Allegro (si
bemolle maggiore) Archi, 2 oboe, 2 corni, 2 trombe. GIUNIA Ah se il crudel
periglio del caro ben rammento tutto mi fa spavento tutto gelar mi fa. Se per
sì cara vita non veglia l'amistà da chi sperare aita da chi sperar pietà?
(parte) Scena sesta Cinna solo. Recitativo accompagnato Vivace (re maggiore)
Archi. CINNA Ah sì, scuotasi omai l'indegno giogo. Assai si morse il fren di
servitù tiranna. Se di svenar ricusa Giunia quell'empio, un braccio non
mancherà, che timoroso meno il ferro micidial l'immerga in seno. Atto secondo
Lucio Silla [N. 12 Aria] Molto allegro (fa maggiore) Archi. CINNA Nel
fortunato istante, ch'ei già co' voti affretta per la comun vendetta vuò, che
mi spiri al piè. Già va una destra altera del colpo suo felice e questa destra
ultrice lungi da lui non è. (parte) Scena settima Orti pensili. Silla, Aufidio,
e Guardie. Recitativo AUFIDIO Signor, ai cenni tuoi il senato fia pronto. Egli
fra poco t'ascolterà. D'elette squadre intorno numerosa corona ad arte io
disporrò. SILLA L'amico Cinna non ignori l'arcano. Il suo soccorso è necessario
all'opra. Ah che me stesso più non ritrovo in me! Dov'io mi volga della crudel
l'immagine gradita mi dipinge il pensier. Mi suona ognora il caro nome suo fra
i labbri miei, e tutto parla a questo cor di lei. AUFIDIO Io già ti vedo al
colmo di tua felicità. Della possanza usa, che 'l ciel ti diè. Roma, il senato,
e ogn'anima orgogliosa or che lo puoi fa', che pieghin la fronte a' piedi tuoi.
(parte) Atto secondo SILLA Ah sì, di civil sangue inonderò le vie, se Roma
altera alle brame di Silla, oggi s'oppone; ho nel braccio, ho nel cor la mia
ragione. Giunia?... Qual vista! In sì bel volto io scuso la debolezza mia... ma
tanti oltraggi? Ah che in vederla, oh dèi! il dittatore offeso io più non sono;
de' suoi sprezzi mi scordo, e le perdono. Scena ottava Giunia, Silla, e
Guardie. GIUNIA (Silla? L'odiato aspetto destami orror. Si fugga!) SILLA
Arresta il passo. Sentimi per pietade. Il più infelice d'ogni mortal mi rendi,
se nemica mi fuggi... GIUNIA E che pretendi? Scostati, traditor! (Tremo,
m'affanno per l'idol mio!) SILLA Ah no, non son tiranno come tu credi. È
l'anima di Silla capace di virtù. Quel tuo bel ciglio soffrir più non poss'io
così severo... GIUNIA Tu di virtù capace? Ah, menzognero! (in atto di partire)
SILLA Sentimi... GIUNIA Non t'ascolto. SILLA E vuoi... GIUNIA Sì voglio
detestarti, e morir. SILLA Morir? GIUNIA La morte romano cor non teme. SILLA E
puoi?... GIUNIA Sì posso pria d'amarti, morir. Vanne, t'invola... SILLA
Superba, morirai, ma non già sola. Atto secondo Lucio Silla [N. 13 Aria]
Allegro assai (do maggiore) Archi, 2 oboe, 2 corni, 2 trombe, timpani. SILLA
D'ogni pietà mi spoglio perfida donna audace; se di morir ti piace
quell'ostinato orgoglio presto tremar vedrò. (Ma il cor mi palpita... perder
chi adoro?... svenare barbaro, il mio tesoro?...) Che dissi? Ho l'anima vile a
tal segno? Smanio di sdegno; morir tu brami, crudel mi chiami, tremane, o
perfida, crudel sarò. (parte con le guardie) Scena nona Giunia, indi Cecilio.
Recitativo GIUNIA Che intesi, eterni dèi? Qual mai funesto e spaventoso arcan
ne' detti suoi? Sola non morirò? Che dir mi vuoi barbaro... ahimè! Che vedo?...
lo sposo mio?... che fu?... che avvenne?... Ah dove sconsigliato t'inoltri? In
queste mura sai, che non è sicura la tua vita, e non temi di respirar
quest'aure comuni a' tuoi nemici? In quest'istante il tiranno partì. Tremo...
deh, fuggi... Ah se dell'empio il ciglio... CECILIO Giunia, il tuo rischio è 'l
mio maggior periglio. GIUNIA Deh per pietà, se mi ami, torna, mio bene, ah
torna nel tenebroso asilo. Il rimirarti qual martirio è per me! CECILIO Non
amareggi il tuo spavento, o cara, il mio dolce piacer. 30 Atto secondo GIUNIA Piacer
funesto, se a un gelido spavento abbandona il mio cor. Se de' tuoi giorni
decider può. T'ascondi. Ah da che vivo no, che angustia simile... CECILIO Sola
vuoi, ch'io ti lasci in preda a un vile? So, ch' al senato in faccia il reo
tiranno con violenza ingiusta al talamo vuol trarti, ed io, che t'amo restar
potrò senza morir d'affanno lungi dal fianco tuo? Se invano un braccio, un
acciaro si cerca per svenare un crudel, ch'odio, e detesto, quell'acciaro, quel
braccio eccolo è questo. GIUNIA Ahimè! Che pensi? esporti?... Correr tu solo a
un periglio estremo?... CECILIO Tu paventi di tutto, io nulla temo. Frena il
timor, mia speme, e ti rammenta, ch'una soverchia tema in cor romano esser
puote viltà. GIUNIA Ma il troppo ardire temerità s'appella. Ah sì ti cela, né
accrescere, idol mio, nel tuo periglio nuove cagion di pianto a questo ciglio.
CECILIO Eterni dèi! Lasciarti, fuggire, abbandonarti all'empie insidie, all'ira
d'un traditor, ch'alle tue nozze aspira? GIUNIA E che puoi temer, se meco resta
la mia costanza, e l'amor mio? Deh corri, corri donde fuggisti. Al suo dolore,
a' suoi spaventi invola il cor di chi t'adora; se ciò non basta, io tel comando
ancora. CECILIO E in questo giorno correndo se al tiranno io mi celo, chi
veglia, o sposa, in tua difesa? GIUNIA Il cielo! CECILIO Ah che talvolta i
numi... GIUNIA A che ti guida cieco furor? Ad onta de' miei timori ancor mi
resti a lato? Partir non vuoi? Corro a morire, ingrato. Atto secondo Lucio
Silla CECILIO Fermati... senti... Oh dèi! Così mi lasci, e brami?... GIUNIA I
passi miei guardati di seguir. CECILIO Saprò morire, ma non lasciarti. GIUNIA
(Oh stelle! Io lo perdo. Che fo?) CECILIO Cara, tu piangi? Ah che il tuo
pianto... GIUNIA Ah sì per questo pianto per questi lumi miei di speme privi.
Parti, parti da me, celati, vivi! CECILIO A che mi sforzi! GIUNIA Alfine
lusingarmi poss'io di questo segno del tuo tenero affetto? Che rispondi, idol
mio? CECILIO Sì tel prometto. GIUNIA Fuggi dunque, mio bene. Invan paventi, se
di me temi. Ah pensa, pensa, che 'l ciel difende i giusti, e ch'io d'altri mai
non sarò. Di mie promesse dell'amor mio costante ch'aborre a morte un traditore
indegno, sposo, nella mia mano eccoti un pegno. Recitativo accompagnato Allegro
(mi bemolle maggiore) Archi. CECILIO Chi sa, che non sia questa l'estrema
volta, oh dio? ch'al sen ti stringo destra dell'idol mio, destra adorata, prova
di fé sincera... GIUNIA No, non temere. Amami. Fuggi e spera. Atto secondo [N.
14 Aria] Adagio (mi bemolle maggiore) / Andante (do minore) / Adagio (mi
bemolle maggiore) Archi, 2 oboe, 2 corni. CECILIO Ah se a morir mi chiama il
fato mio crudele seguace ombra fedele sempre sarò con te. Vorrei mostrar
costanza cara, nel dirti addio ma nel lasciarti, oh dio! Sento tremarmi il piè.
(parte) Scena decima Giunia, indi Celia. Recitativo GIUNIA Perché mi balzi in
seno affannoso cor mio? Perché sul volto or che lo sposo io non mi vedo
accanto, cade da' rai più copioso il pianto? CELIA Oh ciel! sì lagrimosa sì
dolente io t'incontro? Al suo destino quell'anima ostinata alfin deh ceda e
sposa al dittator Roma ti veda. GIUNIA T'accheta per pietà. CELIA Se in duro
esiglio cade estinto Cecilio, a lui che giova un'inutil costanza? GIUNIA (A
questo nome s'agghiaccia il cor.) CELIA Tu non mi guardi, e il labbro fra i
singhiozzi, e i sospir pallido tace. Segui i consigli miei. GIUNIA Lasciami in
pace. CELIA Bramo lieta vederti. Il mio germano oggi me pur felice render
saprà. La mano mi promise di Cinna. Ah tu ben sai, ch'io l'adoro fedel. Più non
rammento i miei sofferti affanni se sì cangiano alfin gli astri tiranni. Atto
secondo Lucio Silla [Aria] Allegro (la maggiore) Archi. CELIA Quando sugl'arsi
campi scende la pioggia estiva, le foglie, i fior ravviva, e il bosco, il
praticello tosto si fa più bello, ritorna a verdeggiar. Così quest'alma amante
fra la sua dolce speme dopo le lunghe pene comincia a respirar. (parte) Scena
undicesima Giunia sola. Recitativo accompagnato Andante (re minore) / Molto
allegro Archi. GIUNIA In un istante oh come s'accrebbe il mio timor! Pur troppo
è questo un presagio funesto delle sventure mie! L'incauto sposo più non è
forse ascoso al reo tiranno. A morte ei già lo condannò. Fra i miei spaventi,
nel mio dolore estremo che fo? Che penso mai? Misera io tremo. Ah no, più non
si tardi. Il senato mi vegga. Al di lui piede grazia, e pietà s'implori per lo
sposo fedel. S'ei me la nega si chieda al ciel. Se il ciel l'ultimo fine
dell'adorato sposo oggi prescrisse, trafigga me chi l'idol mio trafisse. 34 /
52 www.librettidopera.it G. De Gamerra / W. A. Mozart, 1772 Atto secondo [N. 16
Aria] Allegro assai (do maggiore) Archi. GIUNIA Parto, m'affretto, ma nel
partire il cor si spezza. Mi manca l'anima, morir mi sento né so morire. E
smanio, e gelo, e piango, e peno. Ah se potessi, potessi almeno fra tanti spasimi,
morir così. Ma per maggior mio duolo verso un'amante oppressa divien la morte
istessa pietosa in questo dì. (parte) Scena dodicesima Campidoglio. S'avanza
Silla, ed Aufidio seguìto dai Senatori e dalle Squadre. [N. 17 Coro] Allegro
(fa maggiore) Archi, 2 oboe, 2 corni. CORO Se gloria il crin ti cinse di mille
squadre a fronte or la temuta fronte qui ti coroni Amor. Stringa quel braccio
invitto lei, che da te s'adora. Se con i mirti ancora cresce il guerriero
allor. Atto secondo Lucio Silla (compar Giunia fra i senatori) Recitativo SILLA
Padri coscritti, io che pugnai per Roma, io, che vinsi per lei, io che la face
della civil discordia col mio valore estinsi. Io che la pace per opra mia
regnar sul Tebro or vedo d'ogni trionfo mio premio vi chiedo. GIUNIA (Soccorso,
eterni dèi!) SILLA Non ignorate l'antico odio funesto e di Mario e di Silla. Il
giorno è questo in cui tutto mi scordo. Alla sua figlia sacro laccio m'unisca,
e il dolce nodo plachi l'ombra del padre. Un dittatore, un cittadin fra i gloriosi
allori altro premio non cerca a' suoi sudori. GIUNIA (Tace il senato, e col
silenzio approva d'un insano il voler?) SILLA Padri già miro ne' volti vostri
espresso il consenso comun. Quei, che s'udiro festosi gridi risuonar d'intorno
son del pubblico voto un certo segno. Seguimi all'ara omai... GIUNIA Scostati
indegno! A tal viltà discende Roma, e 'l senato? Un ingiurioso, un folle timor
l'astringe a secondar d'un empio le violenze infami? Ah che fra voi no, che non
v'è chi in petto racchiuda un cor romano... SILLA Taci, e più saggia a me porgi
la mano. AUFIDIO Così per bocca mia tutto il popol t'impon. SILLA Dunque mi
segui... GIUNIA Non appressarti, o in seno questo ferro m'immergo. (in atto di
ferirsi) SILLA Alla superba l'acciar si tolga, e segua il voler mio. Atto
secondo Scena tredicesima Cecilio, con spada nuda, e detti. CECILIO Sposa, ah
no, non temer. SILLA (Chi vedo?) GIUNIA (Oh dio!) AUFIDIO (Cecilio?) SILLA In
questa guisa son tradito da voi? Del mio divieto e delle leggi ad onta tornò
Cecilio, e seco Giunia unita di toglier osa al dittator la vita? Quell'audace
s'arresti! GIUNIA Incauto sposo! Signor... SILLA Taci, indegna, ch'omai solo
ascolto il furore. (a Cecilio) Al novo sole per mia vendetta, o traditor,
morrai. Scena quattordicesima Cinna, con spada nuda, e detti. SILLA Come? D'un
ferro armato, confuso, irresoluto Cinna tu pur?... CINNA (Oh ciel, tutto è
perduto; qualche scampo ah si cerchi nel cimento fatal!) Con mio stupore col
nudo acciaro io vidi Cecilio infra le schiere aprirsi un varco. La sua rabbia,
i fieri minacciosi occhi suoi d'un tradimento mi fecero temer. Onde salvarti da
quella destra al parricidio intesa corsi, e 'l brando impugnai per tua difesa.
SILLA Ah vanne, amico, e scopri se altri perfidi mai... Atto secondo Lucio
Silla CINNA Sulla mia fede signor riposa, e paventar non déi. (Quasi nel fiero
incontro io mi perdei!) (parte) SILLA Olà quel traditore, Aufidio si disarmi.
GIUNIA Oh dio! Fermate! CECILIO Finché l'acciar mi resta saprò farlo tremar. SILLA
E giunge a tanto la tua baldanza? GIUNIA (Oh dèi!) SILLA Cedi l'acciaro, o
ch'io... CECILIO Lo speri invan. GIUNIA Cecilio, o caro. CECILIO Ad esser vil
m'insegna la sposa mia? GIUNIA Deh, non opporti! CECILIO E vuoi?... GIUNIA
Della tua tenerezza una prova vogl'io. CECILIO Dovrò? GIUNIA Dovrai nella mia
fede, e nel favor del cielo affidarti, e sperar. Se ancor mio bene dubbioso ti
mostri, i giusti numi, e la tua sposa offendi. CECILIO (Fremo.) T'appagherò.
Barbaro, prendi! (getta la spada) SILLA Nella prigion più nera traggasi il reo.
Per poco quest'aure a te vietate respirar ti vedrò. Fra le ritorte del
tradimento audace tu pur ti pentirai, donna mendace. Atto secondo [N. 18
Terzetto] Allegro (si bemolle maggiore) Archi, 2 oboe, 2 corni, 2 trombe. SILLA
Quell'orgoglioso sdegno oggi umiliar saprò. CECILIO Non lo sperare, indegno,
l'istesso ognor sarò. GIUNIA Eccoti, o sposo, un pegno, ch'al fianco tuo morrò.
SILLA Empi la vostra mano merita sol catene. Insieme GIUNIA Se mi ama il caro
bene lieta a morir me n' vo. CECILIO Se mi ama il caro bene lieto a morir me n'
vo. Insieme SILLA Questa costanza intrepida questo sì fido amore tutto mi
strazia il core tutto avvampar mi fa. GIUNIA E CECILIO La mia costanza
intrepida il mio fedele amore dolce consola il core né paventar mi fa. www.librettidopera.it
39 / 52 Atto terzo Lucio Silla ATTO TERZO Scena prima Atrio, che
introduce alle carceri. Cecilio incatenato, Cinna, Guardie a vista, indi Celia.
Recitativo CINNA Ah sì tu solo, amico ritenesti il gran colpo. Eran non lungi
al Campidoglio ascosi gli amici tuoi, gli amici miei. Seguito volea da questi
infra le schiere aprirmi sanguinoso sentier. Ma la prudenza il furor moderò. Di
tanti a fronte che far potea cinto da pochi? Il cielo novo ardir m'ispirò. Gli
amici io lascio, tacito il ferro io stringo, e in Campidoglio m'avanzo.
Allorché voglio vibrare il colpo, in te m'affiso. Il ferro nella man mi tremò.
Nel tuo periglio gelossi il cor. M'arresto, mi confondo non so che dir. Quasi
il segreto arcano, il tiranno svelò. Ma il suo comando, che di partir m'impose,
la confusione e il mio dolore ascose. CECILIO Giacché morir degg'io morasi
alfin. Sol mi spaventa, oh dèi! la sposa mia... CINNA Non paventar di lei.
Entrambi io salverò. CELIA D'ascoltar Giunia men sdegnoso, e men fiero mi
promise il german. CECILIO Giunia al suo piede? E perché mai? CELIA Desìa di
placarne lo sdegno. CECILIO Invan lo brama. CINNA Odimi, Celia. È questo forse
il momento, ond'illustrar tu puoi con opra sublime i giorni tuoi. CELIA Che far
degg'io? 40 / 52 www.librettidopera.it Gamerra / Mozart, 1772 Atto terzo CINNA
M'è noto a prova già tutto il poter, che vanti sul cor di Silla. A lui
t'affretta, e digli che aborrito dal cielo, in odio a Roma, se in sé stesso non
torna, e se non scorda un cieco amore insano l'eccidio suo fatal non è lontano.
CELIA Dunque il german... CINNA Incontrerà la morte se non s'arrende a un tal
consiglio. CECILIO Ah tutto, tutto inutil sarà. CELIA Tentare io voglio la
difficile impresa, e se aver ponno le mie preghiere il lor bramato effetto? CINNA
La destra in guiderdone io ti prometto. CELIA Un così dolce premio più animosa
mi fa. Me fortunata, se fra un orror sì periglioso, e tristo salvo il germano,
e 'l caro amante acquisto. [N. 19 Aria] Allegro (si bemolle maggiore) Archi,
2 oboe, 2 corni, 2 trombe. CELIA Strider sento la procella né risplende amica
stella pure avvolta in tanto orrore la speranza coll'amore mi sta sempre in
mezzo al cor. (parte) Scena seconda Cecilio, e Cinna. Recitativo CECILIO Forse
tu credi, amico che Celia giunga a raddolcir un core uso alle stragi, e che
talor di sdegno ingiustamente furibondo, ed ebro fe' rosseggiar di civil sangue
il Tebro? www.librettidopera.it 41 / 52 Atto terzo Lucio Silla CINNA So quanto
Celia puote su quell'alma incostante, e Giunia ancora forse placar potria co'
le lagrime sue... CECILIO La sposa mia a qualche insulto amaro invan s'espone.
Un empio, un inumano non si cangia sì presto. Onde abbandoni il sentier del
delitto ch'ei suol calcar per lungo suo costume, ci volle ognor tutto il poter
d'un nume. Ah no più non mi resta né speme, né pietà. L'afflitta sposa ti
raccomando, amico. In pro di lei vegli la tua amistà. Del mio nemico vittima,
ah no, non sia. Nel di lui sangue vendica la mia morte, e 'l mio spirito
sdegnoso nel regno degl'estinti avrà riposo. CINNA Ogni pensier di morte si
allontani da te. Se il cor di Silla contro al dovere, e alla ragion s'ostina,
sulla propria rovina, ne' suoi perigli estremi quell'empio solo impallidisca, e
tremi. [N. 20 Aria] Allegro (re maggiore) Archi, 2 oboe, 2 corni, 2 trombe.
CINNA De' più superbi il core se Giove irato fulmina, freddo spavento ingombra,
ma d'un alloro all'ombra non palpita il pastor. Paventino i tiranni le stragi,
e le ritorte, sol rida in faccia a morte chi ha senza colpe il cor. (parte) 42
/ 52 www.librettidopera.it G. De Gamerra / W. A. Mozart, 1772 Atto terzo Scena
terza Cecilio, indi Giunia. Recitativo CECILIO Ah no, che il fato estremo
terror per me non ha. Sol piango, e gemo fra l'ingiuste catene non per la morte
mia, per il mio bene. GIUNIA Ah dolce sposo... CECILIO Oh stelle! Come tu qui?
GIUNIA M'aperse la via fra quest'orrore la mia fede, il mio pianto, il nostro
amore. CECILIO Ma Silla... Ah parla. E Silla. GIUNIA L'empio mi lascia... Oh
dio! Mi lascia, ch'io ti dia... l'ultimo addio. CECILIO Dunque non v'è per noi
né pietà, né speranza? GIUNIA Al fianco tuo sol di morir m'avanza. Che non
tentai finor? Querele, e pianti, sospiri, affanni, e prieghi sono inutili omai
per quel core inumano che chiede o la tua morte, o la mia mano. CECILIO Della
mia vita il prezzo esser può la tua man? Giunia frattanto che mai risolverà?
GIUNIA Morirti accanto. CECILIO E tu per me vorrai troncar di sì be' giorni...
GIUNIA E deggio, e voglio teco morir. A questo passo, o caro, m'obbliga, mi
consiglia l'amor di sposa, ed il dover di figlia. Atto terzo Lucio Silla Scena
quarta Aufidio con Guardie, e detti. AUFIDIO Tosto seguir tu déi Cecilio i
passi miei. CECILIO Forse alla morte... parla... dimmi... AUFIDIO Non so.
CECILIO Prendi, mia speme, prendi l'estremo abbraccio... GIUNIA (ad Aufidio)
Rispondi... oh ciel! AUFIDIO Sempre obbedisco, e taccio. CECILIO Ah non
perdiam, mia vita, un passeggero istante, che ne porge il destin. Parto, ti
lascio, e in sì tenero amplesso ricevi, anima mia, tutto me stesso. GIUNIA Ah
caro sposo... oh dèi! Se uccider può il martoro, perché vicina a te, perché non
moro? CECILIO Quel pianto, oh dio! Ah sì quel pianto non sai come nel seno...
Ahimè! ti basti, o cara sì ti basti il saper, che in questo istante più d'un
morir tiranno quelle lagrime tue mi son d'affanno. [N. 21 Aria] Tempo di
minuetto (la maggiore) Archi. CECILIO Pupille amate non lagrimate morir mi fate
pria di morir. Quest'alma fida a voi d'intorno farà ritorno sciolta in sospir.
(parte con Aufidio, e guardie) Atto terzo Scena quinta Giunia sola. Recitativo accompagnato
Allegro (do maggiore) / Andante / Allegro / Adagio / Presto Archi, 2 flauti, 2
trombe. GIUNIA Sposo... mia vita... Ah dove, dove vai? Non ti seguo? E chi
ritiene i passi miei? Chi mi sa dir?... ma intorno altro, ahi lassa non vedo
che silenzio, ed orror! L'istesso cielo più non m'ascolta, e m'abbandona. Ah
forse, forse l'amato bene già dalle rotte vene versa l'anima, e 'l sangue... Ah
pria ch'ei mora su quella spoglia esangue spirar vogl'io... che tardo?
Disperata a che resto? Odo, o mi sembra udir di fioca voce languido suon, ch' a
sé mi chiama? Ah sposo se i tronchi sensi estremi de' labbri tuoi son questi
corro, volo a cader dove cadesti. [N. 22 Aria] Andante (do minore) / Allegro
Archi, 2 flauti, 2 oboe, 2 fagotti. GIUNIA Fra i pensier più funesti di morte
veder parmi l'esangue consorte che con gelida mano m'addita la fumante
sanguigna ferita e mi dice: che tardi a morir? Già vacillo, già manco, già moro
e l'estinto mio sposo, ch'adoro ombra fida m'affretto a seguir. (parte)
www.librettidopera.it 45 / 52 Atto terzo Lucio Silla Scena sesta Salone. Silla,
Cinna, Celia e Senatori. Recitativo SILLA Celia, Cinna, non più. Roma, e 'l
senato di mia giustizia, e del delitto altrui il giudice sarà. CINNA Più che
non credi di Cecilio la vita necessaria esser puote. CELIA I giorni tuoi... la
disperata Giunia... il suo consorte creduto estinto, e alle sue braccia or
reso. SILLA So ch'ognor più l'odio comun m'han reso. Ma un dittator tradito
vuol vendetta, e l'avrà. Stanco son io di temer sempre, e palpitar. La vita
agitata, ed incerta fra un barbaro spavento è un viver per morire ogni momento.
CELIA Ah speri invan, se speri fra un eccidio funesto, e sanguinoso trovar la
sicurezza, ed il riposo. CINNA La furiosa Giunia correre tu vedrai ad assodar
le vie di querele, e di lai. Destare in petto può de' nemici tuoi quel
lagrimoso ciglio... SILLA Vedo più che non pensi il mio periglio. Amor, gloria,
vendetta, sdegno, timore, io sento affollarmisi al cor. Ognun pretende
d'acquistare l'impero. Amor lusinga. Mi rampogna la gloria. Ira m'accende.
Freddo timor m'agghiaccia. M'anima la vendetta, e mi minaccia. De' fieri
assalti in preda, alla difesa accinto, di Silla il cor fia vincitore, o vinto?
Continua nella pagina seguente. Atto terzo SILLA Ma l'atto illustre alfine
decider dée, s'io merto quel glorioso alloro, che mi adombra la chioma, e
giudice ne voglio il mondo, e Roma. Scena settima Giunia con Guardie, e detti.
GIUNIA Anima vil, da Giunia che pretendi? Che vuoi? Roma, e 'l senato nel
tollerare un traditore ingegno è stupido, e insensato a questo segno? Padri
coscritti innanzi a voi qui chiedo e vendetta, e pietà. Pietade implora una
sposa infelice, e vuol vendetta d'un cittadino, e d'un consorte esangue
l'ombra, che nuota ancora in mezzo al sangue. SILLA Calma gli sdegni tuoi,
tergi il bel ciglio. Inutile è quel pianto. È vano il tuo furor. De' miei
delitti della mia crudeltade a Roma in faccia spettatrice ti voglio, e in
questo loco di Silla il cor conoscerai fra poco. Scena ottava Cecilio, Aufidio,
Guardie, e detti. GIUNIA (Lo sposo mio?) CINNA (Che miro?) CELIA (E quale
arcan?) CECILIO (Che fia?) SILLA Roma, il senato e 'l popolo m'ascolti. A voi
presento un cittadin proscritto, che di sprezzar le leggi osò furtivo. Ei, che
d'un ferro armato in Campidoglio alle mie squadre appresso tentò svenare il
dittatore istesso. Continua nella pagina seguente. Atto terzo Lucio Silla SILLA
Grazia ei non cerca. Anzi di me non teme e m'oltraggia, e detesta. Ecco il
momento che decide di lui. Silla qui adopri l'autorità, che Roma al suo braccio
affidò. Giunia mi senta e m'insulti, se può. Quell'empio Silla quel superbo
tiranno a tutti odioso vuol che viva Cecilio, e sia tuo sposo. GIUNIA E sarà
ver?... Mia vita... CECILIO Fida sposa, qual gioia... qual cangiamento è
questo? AUFIDIO (Che fu?) CELIA (Lodi agli dèi.) CINNA (Stupito io resto.)
SILLA Padri coscritti, or da voi cerco, e voglio quanto vergò la mano in questo
foglio. De' cittadin proscritti ei tutti i nomi accoglie; ciascun ritorni alle
paterne soglie. CECILIO Oh, come degno or sei del supremo splendor fra cui tu
siedi! GIUNIA Costretta ad ammirarti alfin mi vedi. AUFIDIO (Ah che la mia
rovina certa prevedo!) SILLA In mezzo al pubblico piacer, fra tante lodi,
ch'ogni labbro sincer prodiga a Silla, e perché Cinna è il solo, che infra
occulti pensier confuso giace, e diviso da me sospira, e tace? Fedele amico...
(vuol abbracciarlo) CINNA Ah lascia di chiamarmi così. Per opra mia tornò
Cecilio a Roma. In Campidoglio per trucidarti io corsi, e armai non lungi di
cento anime audaci e la mano, e l'ardir. Io sol le faci a danni tuoi della
discordia accesi... SILLA Tu abbastanza dicesti, io tutto intesi. CELIA (Dolci
speranze addio!...) 48 / 52 www.librettidopera.it G. De Gamerra / W. A. Mozart,
1772 Atto terzo SILLA La pena or senti d'ogni trama ascosa. Celia germana mia
sarà tua sposa. GIUNIA (Bella virtù!) CECILIO (Che generoso core!) CINNA E
quale, oh giusto cielo, mi s'accende sul volto vergognoso rossor? Come
poss'io... SILLA Quel rimorso mi basta, e tutto oblio. CELIA (Me lieta!) (a
Cinna) Ah premia alfine il mio costante amor. Della clemenza mostrati degno, e
di quel core umano la virtù, la pietade... CINNA Ecco la mano. SILLA Qual de'
trionfi miei eguagliar potrà questo, eterni dèi? AUFIDIO Lascia, ch'a piedi
tuoi grazia implori da te. De' miei consigli, delle mie lodi adulatrici or sono
pentito... SILLA Aufidio, sorgi. Io ti perdono. Così lodevol opra coronisi da
me. Romani, dal capo mio si tolga il rispettato alloro, e trionfale; più
dittator non son, son vostro uguale. (depone l'alloro) Ecco alla patria resa la
libertade. Ecco asciugato alfine il civil pianto. Ah no, che 'l maggior bene la
grandezza non è. Madre soltanto è di timor, di affanni, di frodi, e tradimenti.
Anzi per lei cieco mortal dalla calcata via di giustizia, e pietà spesso
travìa. Ah sì conosco a prova che assai più grata all'alma d'un menzogner
splendore è l'innocenza, e la virtù del core. Atto terzo Lucio Silla [N. 23
Finale] Allegro (re maggiore) Archi, 2 oboe, 2 corni, 2 trombe. CORO Il gran
Silla a Roma in seno che per lui respira, e gode d'ogni gloria, e d'ogni lode
vincitore oggi si fa. GIUNIA E CECILIO Sol per lui l'acerba sorte è per me
felicità! CINNA E SILLA E calpesta le ritorte la latina libertà. TUTTI Trionfò
d'un basso amore la virtude, e la pietà. SILLA Il trofeo sul proprio core qual
trionfo uguaglierà? CORO Se per Silla in Campidoglio lieta Roma esulta, gode
d'ogni gloria, e d'ogni lode vincitore oggi si fa. librettidopera G. De Gamerra
Mozart AttoriAltezze realiArgomento Atto [OuvertureScena AriaScena AriaScena
AriaScena Scena Aria] Scena AriaScena Scena Coro e arioso Scena Duetto Atto
Scena Aria Scena Scena AriaScena AriaScena AriaScena AriaScena Scena AriaScena
AriaScena AriaScena AriaScena Coro Scena Scena TerzettoAtto Scena AriaScena
AriaScena Scena Aria Scena AriaScena Scena Scena FinaleBrani significativi
Lucio Silla BRANI SIGNIFICATIVI D'Eliso in sen m'attendi (Giunia e
Cecilio) Dalla sponda tenebrosa (Giunia) Fra i pensier più funesti di morte
(Giunia) Fuor di queste urne dolenti (Coro e Giunia) Parto, m'affretto (Giunia)
Pupille amate (Cecilio) Se lusinghiera speme (Celia). Grice: “At Oxford
they put you down. “That IS an original interpretation of Silla’s behaviour –
but of course you would need to challenge Mommsen’s objection,” my tutor said,
righly assuming that I had no idea Mommsen had an objection!” -- Silla. Keywords: Mommsen. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Silla”. Silla.
Luigi Speranza -- Grice e Sillo: la ragione conversazionale e il voto al
divino -- Roma – la scuola di Crotone -- filosofia calabrese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza
(Crotone). Filosofo
italiano. Crotone, Calabria. A Pythagorean, cited by Giamblico. The sect being
very reluctant to take an oath – invoking ‘il divino’ in vain – Sillo refused
to take one, and just hand over money.
Luigi Speranza -- Grice e Simbolo: la ragione conversazionale della
filosofia di Giuliano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma) – Filosofo italiano. Along with two other
philosophers by the names of Ieroteo and Maxximiniano, he persuades Giuliano to
pave the floor of Hagia Sophia with silver. However, the story is doubted, as
is the existence of these three philosophers. Grice: “It amuses me that the name of this
Italian philosopher is identical with an artificial language invented by J. L.
Austin, Symbolo!”
Luigi Speranza -- Grice e Simichia: la ragione conversazionale dell’élite
di Crotona e la sua diaspora -- Roma – la scuola di Taranto -- filosofia
pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo pugliese. Filosofo italiano. Taranto, Puglia.
A Pythagorean, cited by Giamblico. “This is the diaspora from Crotona – as if
we would have an Oxonian diaspora, provided the mayor of Oxford deems us
elitists!” – ‘or the gown elitist towards the town, but surely Boris Johnson
never saw himself as gown!’ – Grice.
Luigi Speranza -- Grice e Simioni: la ragione
conversazionale degl’amanti – filosofia veneziana – la scuola di Venezia –
filosofia veneta -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Venezia). Fiosofo veneziano. Filosofo veneto.
Filosofo italiano. Venezia, Veneto. Tra i principali studiosi di PIRANDELLO (si
veda), inizia la sua attività politica militando nelle file del socialismo. Venne
espulso dal partito per indegnità morale. Collabora con l’United States Information
Service. Si trasfere a Monaco di iera per approfondire gli studi per poi
ritornare a Milano. Leader di un collettivo operai-studenti, mentre lavora alla
Mondadori, fonda il collettivo politico metro-politano milanese. Teorizza lo
scontro aperto, e si considera il progenitore delle brigate rosse. Insieme a
circa settanta persone, tra cui componenti del collettivo ed elementi del
dissenso, partecipa al convegno di Chiavari nella sala Marchesani, adiacente la
pensione Stella Maris, nel quale un gruppo di partecipanti dichiara la propria
adesione ad una visione politica. La data di questo convegno viene da taluni
considerata come la data di nascita delle brigate rosse. Altri affermano che la
formazionesia nata con il convegno di Pecorile (Reggio Emilia). L'ultima
attività, prima di passare alla completa clandestinità, a compe come redattore
di "Sinistra proletaria", l'ultimo dei quali riporta in copertina uno
sfondo rosso con disegnato al centro un cerchio nero attorniante le sagome di XIV
mitra. Fonda la scuola di lingue Hyperion, la quale secondo alcuni ha la
funzione di una vera centrale internazionale. Si afferma che e anche il capo
del Super-clan, organizzazione nata da una costola delle brigate rosse. Si insere
nella vita cittadina, ricominciando a frequentare gl’ambienti progressisti e divenendo
vicepresidente della fondazione Pierre. E proprio quale accompagnatore di Pierre,
e ricevuto da Giovanni Paolo II in udienza
privata. Si avvicina al buddhismo tibetano. Si apparta nella campagna di
Truinas, nella Drôme, dove geste un B et B. Craxi, alludendo alla esistenza di
un grande delle brigate rosse (l'eminenza grigia ipotizzata da alcuni che
dall'estero avrebbe guidato, come un burattinaio, molte delle azioni sul suolo
italiano), dichiara che costui poteva essere cercato tra quei personaggi che
avevano cominciato a fare politica con noi e poi sono scomparsi, magari sono a
Parigi a lavorare per il partito armato, frase che venne da molti ritenuto
indicasse come grande proprio lui. L'organizzazione di sinistra extra-parlamentare
Lotta Continua lo accusa di essere un confidente della polizia e in contatto
con i servizi segreti.. Durante la fase iniziale di Mani pulite, e accusato da LARINI
di essere il grande, accuse respinte da lui che le ritenne parte di un'azione
contro Craxi, vista la comune militanza nel socialismo. Hyperion e realmente
una scuola di lingue o la stanza di compensazione di diversi servizi
segreti? Ferrari, In teleselezione dalla
Francia gli ordini ai italiani? Corriere della Sera. Entrambi gli edifici sono
proprietà della curia Il convegno di
Pecorile in Anni di Piombo. Il nucleo storico delle brigate rosse. E morto il
misterioso grande, La Tribuna di Treviso, Fratini, Hyperion: scuola di lingue
chiacchierata, ANSA, repubblica cronaca news/caso
moro_il_bierre_franceschini moretti una_spia riduttivo si sentiva_lenin. Dalla
lotta al buddhismo, in Critica Sociale, Anni di piombo Superclan Hyperion
(Parigi) Venezia Anni di piombo. Corrado Simioni. Simioni. Keywords. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Simioni” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza-- Grice e Simmaco: la ragione conversazionale del console
filosofo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A philosopher of considerable
wisdom, also a consul. Quinto
Aurelio Simmaco.
Luigi Speranza -- Grice
e Simoni – la scuola di Caprese -- filosofia italiana – Luigi Speranza Caprese). Filosofo
toscano. Filosofo italiano. Caprese, Toscana. Antenato: Simone de Buonarrota.
Nome: S. Grice: “Some call him Michelangelo, but that’s rude!” -- See the study of Buonarroti’s Moses by Freud,
“filosofia” Michelangelo Buonarroti. CDisambiguazione – Se stai cercando
altri significati, vedi Michelangelo Buonarroti il Giovane, Michelangelo
(disambigua) e Buonarroti (disambigua). Pietro Freccia, statua di
Michelangelo, piazzale degli Uffizi a Firenze. Michelangelo Buonarroti, noto
semplicemente come Michelangelo (Caprese, 6 marzo 1475[1] – Roma), è stato un filosofo
italiano -- pittore, scultore, architetto e poeta italiano. Daniele
da Volterra, Ritratto di Michelangelo Autoritratto (?) come Nicodemo,
Pietà Bandini Michelangelo, disegno di Daniele da Volterra Soprannominato
"Divin Artista" e definito "Artista universale", fu
protagonista del Rinascimento italiano, e già in vita fu riconosciuto dai suoi
contemporanei come uno dei più grandi artisti di tutti i tempi[3]. Personalità
tanto geniale quanto irrequieta, il suo nome è legato ad alcune delle più
maestose opere dell'arte occidentale, fra cui si annoverano il David, il Mosè,
la Pietà del Vaticano, la Cupola di San Pietro e il ciclo di affreschi nella
Cappella Sistina, tutti considerati traguardi eccezionali dell'ingegno
creativo. Lo studio delle sue opere segnò le generazioni artistiche
successive dando un forte impulso alla corrente del manierismo. Nome
Nelle fonti coeve, Michelangelo è chiamato in latino Michael.Angelus (la firma
dell'autore sulla Pietà vaticana è MICHAEL.A[N]GELVS BONAROTVS FLORENT[INVS]) e
in italiano Michelagnolo, come risulta dalla biografia del 1553 Vita di
Michelagnolo Buonarroti scritta da Condivi, suo discepolo e collaboratore. Lo
stesso Vasari lo chiamava Michelagnolo e il nome rimase tale fino alla metà
dell’Ottocento. Il cambio in Michelangiolo prima e la successiva
italianizzazione in Michelangelo poi, avvengono tra l’800 e il ‘900.
Benché tra le nuove generazioni si sia affermata la versione moderna, a Firenze
resiste la variante ottocentesca di Michelangiolo nel parlato degli anziani e
nella denominazione di luoghi simbolo della città (viale Michelangiolo,
piazzale Michelangiolo, Liceo Classico Michelangiolo, ecc.). Biografia
Gioventù Origini Il ricordo del padre sulla nascita di Michelangelo Michelangelo
Buonarroti nasc a Caprese, in Valtiberina, vicino ad Arezzo, da Ludovico di
Leonardo Buonarroti S., podestà al castello di Chiusi e di Caprese, e Francesca
di Neri del Miniato del Sera. La famiglia è fiorentina, ma il padre si trova
nella cittadina per ricoprire la carica politica di podestà. S. è il
secondogenito, su un totale di cinque figli della coppia. I S. di Firenze
fanno parte del patriziato fiorentino. Nessuno in famiglia ha fino ad allora
intrapreso la carriera artistica, né l'arte meccanica (cioè un mestiere che
richiedeva sforzo fisico) poco consona al loro status, ricoprendo piuttosto
incarichi nei pubblici uffici. Due secoli prima un antenato, Simone di
Buonarrota S., è nel consiglio dei cento savi e ha ricoperto le maggiori
cariche pubbliche. Possedeno uno scudo d'arme e patronano una cappella nella
basilica di Santa Croce. All'epoca della nascita di S., la famiglia
attraversa però un momento di penuria economica. Il padre è talmente impoverito
che sta addirittura per perdere i suoi privilegi di cittadino fiorentino. La
podesteria di Caprese, uno dei meno significativi possedimenti fiorentini, è un
incarico politico di scarsa importanza, da lui accettato per cercare di
assicurare una sopravvivenza decorosa alla propria famiglia, arrotondando le
magre rendite di alcuni poderi nei dintorni di Firenze. Il declino influenza
pesantemente le scelte familiari, nonché il destino di S. e la sua personalità:
la preoccupazione per il benessere economico, suo e dei suoi familiari, è una
costante in tutta la sua vita. Già alla fine di marzo, terminata la carica
semestrale di Ludovico Buonarroti, tornò presso Firenze, a Settignano,
probabilmente alla poi detta Villa Michelangelo, dove il neonato venne affidato
a una balia locale[6]. Settignano era un paese di scalpellini, poiché vi si
estraeva la pietra serena, da secoli utilizzata a Firenze nell'edilizia di
pregio. Anche la balia di Michelangelo era figlia e moglie di scalpellini.
Diventato un artista famoso, Michelangelo, spiegando perché preferiva la
scultura alle altre arti, ricordava proprio questo affidamento, sostenendo di
provenire da un paese di "scultori e scalpellini", dove dalla balia
aveva bevuto «latte impastato con la polvere di marmo»[9]. Nel 1481 la
madre di Michelangelo morì; egli aveva soltanto sei anni. L'educazione
scolastica del fanciullo venne affidata all'umanista Francesco Galatea da
Urbino, che gli impartì lezioni di grammatica. In quegli anni conobbe l'amico
Francesco Granacci, che lo incoraggiò nel disegno[6]. Ai figli cadetti di
famiglie patrizie era di solito riservata la carriera ecclesiastica o militare,
ma Michelangelo, secondo la tradizione, aveva manifestato fin da giovanissimo
una forte inclinazione artistica, che nella biografia di Ascanio Condivi,
redatta con la collaborazione dell'artista stesso, viene ricordata come
ostacolata a tutti i costi dal padre, che non la spuntò però sull'eroica
resistenza del figlio[10]. Formazione presso il Ghirlandaio
(1487-1488) Michelangelo, San Pietro da Masaccio, 1488-1490 circa. Penna e
sanguigna su carta. Staatliche Graphische Sammlung, Monaco. Nel 1487
Michelangelo finalmente approdò alla bottega di Domenico Ghirlandaio, artista
fiorentino tra i più quotati dell'epoca[10]. Ascanio Condivi, nella Vita
di Michelagnolo Buonarroti[11], omettendo la notizia e sottolineando la
resistenza paterna, sembra voler enfatizzare un motivo più che altro letterario
e celebrativo, cioè il carattere innato e autodidatta dell'artista: dopotutto,
l'avvio consenziente di Michelangelo a una carriera considerata "artigianale",
era per il costume dell'epoca una ratifica di una retrocessione sociale della
famiglia. Ecco perché, una volta divenuto famoso, egli cercò di nascondere gli
inizi della sua attività in bottega, parlandone non come di un normale
apprendistato professionale, ma come se si fosse trattato di una chiamata
inarrestabile dello spirito, una vocazione, contro la quale il padre avrebbe
inutilmente tentato di resistere[12]. In realtà sembra ormai quasi certo
che Michelangelo fu mandato a bottega proprio dal padre a causa dell'indigenza
familiare[13]: la famiglia aveva bisogno dei soldi dell'apprendistato del
ragazzo, al quale così non poté essere data un'istruzione classica. La notizia
è data da Vasari, che già nella prima edizione delle Vite (1550)[14], descrisse,
appunto, come fu Ludovico stesso a condurre il figlio dodicenne nella bottega
del Ghirlandaio, suo conoscente, mostrandogli alcuni fogli disegnati dal
fanciullo, affinché lo tenesse con sé, alleviando le spese per i numerosi
figli, e convenendo assieme al maestro un "giusto et onesto salario, che
in quel tempo così si costumava". Lo stesso storico aretino ricorda le sue
basi documentarie, nei ricordi di Ludovico e nelle ricevute di bottega
conservate all'epoca da Ridolfo del Ghirlandaio, figlio del celebre
pittore[10]. In particolare, in un "ricordo" del padre, datato 1º
aprile 1488, Vasari lesse i termini dell'accordo con i fratelli Ghirlandaio,
prevedendo una permanenza del figlio a bottega per tre anni, per un compenso di
venticinque fiorini d'oro[10]. Inoltre in elenco di creditori della bottega
artistica, al giugno 1487, è registrato anche Michelangelo dodicenne[10].
In quel periodo la bottega del Ghirlandaio era attiva al ciclo affrescato della
Cappella Tornabuoni in Santa Maria Novella, dove Michelangelo poté certamente
apprendere una tecnica pittorica avanzata[15]. La giovane età del fanciullo
(che al termine degli affreschi aveva quindici anni) lo relegherebbe a mestieri
da garzone (preparazione dei colori, riempimento di partiture semplici e decorative),
ma è altresì noto che egli era il migliore tra gli allievi e non è da escludere
che gli fossero affidati alcuni compiti di maggior rilievo: Vasari riportò come
Domenico avesse sorpreso il fanciullo a "ritrarre di naturale il ponte con
alcuni deschi, con tutte le masserizie dell'arte, et alcuni di que' giovani che
lavoravano", tanto che fece esclamare al maestro "Costui ne sa più di
me". Alcuni storici hanno ipotizzato un suo intervento diretto in alcuni
ignudi del Battesimo di Cristo e della Presentazione al Tempio oppure nello
scultoreo San Giovannino nel deserto, ma in realtà la mancanza di termini di
paragone e riscontri oggettivi ha sempre impossibilitato una definitiva
conferma[16]. Sicuro è invece che il giovane manifestò un forte interesse
per i maestri alla base della scuola fiorentina, soprattutto Giotto e Masaccio,
copiando direttamente i loro affreschi nelle cappelle di Santa Croce e nella
Brancacci in Santa Maria del Carmine[15]. Un esempio è il massiccio San Pietro
da Masaccio, copia dal Pagamento del tributo. Condivi scrisse anche di una
copia da una stampa tedesca di un Sant'Antonio tormentato da diavoli: l'opera è
stata recentemente riconosciuta nel Tormento di sant'Antonio, copia da Martin
Schongauer[6], acquistato dal Kimbell Art Museum di Fort Worth, in
Texas[17]. Al giardino neoplatonico (1488-1490) Copia da Cesare
Zocchi, Michelangelo giovane scolpisce la testa di fauno, Studio Romanelli,
Firenze Molto probabilmente Michelangelo non terminò il triennio formativo in
bottega, a giudicare dalle vaghe indicazioni della biografia del Condivi. Forse
si burlò del proprio maestro, sostituendo un ritratto della mano di Domenico,
che doveva rifare per esercizio, con la sua copia, senza che il Ghirlandaio si
accorgesse della differenza, "con un suo compagno […]
ridendosene"[18]. In ogni caso, pare che su suggerimento di un altro
apprendista, Francesco Granacci, Michelangelo cominciò a frequentare il
giardino di San Marco, una sorta di accademia artistica sostenuta economicamente
da Lorenzo il Magnifico in una sua proprietà nel quartiere mediceo di Firenze.
Qui si trovava una parte delle vaste collezioni di sculture antiche dei Medici,
che i giovani talenti, ansiosi di migliorare nell'arte dello scolpire, potevano
copiare, sorvegliati e aiutati dal vecchio scultore Bertoldo di Giovanni,
allievo diretto di Donatello. I biografi dell'epoca descrivono il giardino come
un vero e proprio centro di alta formazione, forse enfatizzando un po' la
quotidiana realtà, ma è senza dubbio che l'esperienza ebbe un impatto
fondamentale sul giovane Michelangelo[15]. Tra i vari aneddoti legati
all'attività del giardino è celebre nella letteratura michelangiolesca quello
della Testa di fauno, una perduta copia in marmo di un'opera antica. Veduta dal
Magnifico in visita al giardino, venne criticata bonariamente per la perfezione
della dentatura che si intravedeva dalla bocca dischiusa, inverosimile in una
figura anziana. Ma prima che il signore finisse il giro del giardino, il
Buonarroti si armò di trapano e martello per scalfire un dente e bucarne un
altro, suscitando la sorpresa ammirazione di Lorenzo. Pare che in seguito
all'episodio Lorenzo in persona chiese il permesso a Ludovico Buonarroti di
ospitare il ragazzo nel palazzo di via Larga, residenza della sua famiglia[19].
Ancora le fonti parlano di una resistenza paterna, ma le gravose necessità
economiche della famiglia dovettero giocare un ruolo determinante, infatti alla
fine Ludovico cedette in cambio di un posto di lavoro alla dogana, retribuito
otto scudi al mese[19]. Verso il 1490 il giovane artista venne quindi
accolto come figlio adottivo nella più importante famiglia in città. Ebbe così
modo di conoscere direttamente le personalità del suo tempo, come Poliziano,
Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, che lo resero partecipe, in qualche
misura, della dottrina neoplatonica e dell'amore per la rievocazione
dell'antico. Conobbe inoltre i giovani rampolli di casa Medici, più o meno a
lui coetanei, che diventarono negli anni successivi alcuni dei suoi principali
committenti: Piero, Giovanni, poi papa Leone X, e Giulio, futuro Clemente
VII[19]. Un altro fatto legato a quegli anni è la lite con Pietro
Torrigiano, futuro scultore di buon livello, noto soprattutto per il suo
viaggio in Spagna, da dove esportò modi rinascimentali. Pietro era noto per la
sua avvenenza e per un'ambizione pari almeno a quella di Michelangelo. Tra i
due non correva buon sangue e, una volta entrati in contrasto, durante un
sopralluogo alla cappella Brancacci, finirono per azzuffarsi; ebbe la peggio
Michelangelo, che incassò un pugno del rivale in pieno volto, rompendosi il
naso e avendo deturpato per sempre il profilo[20]. In seguito alla rissa,
Lorenzo De Medici esiliò Pietro Torrigiano da Firenze. Prime opere
(1490-1492) Michelangelo, Madonna della Scala, marmo, 1491 circa. Casa
Buonarroti, Firenze. Al periodo del giardino e del soggiorno in casa Medici
risalgono essenzialmente due opere, la Madonna della Scala (1491 circa) e la
Battaglia dei Centauri, entrambe conservate nel museo di Casa Buonarroti a
Firenze. Si tratta di due opere molto diverse per tema (uno sacro e uno
profano) e per tecnica (una in un sottile bassorilievo, l'altro in un
prorompente altorilievo), che testimoniano alcune influenze fondamentali nel
giovane scultore, rispettivamente Donatello e la statuaria classica[19].
Nella Madonna della Scala l'artista riprese la tecnica dello stiacciato,
creando un'immagine di tale monumentalità da far pensare alle steli classiche;
la figura della Madonna, che occupa tutta l'altezza del rilievo, si staglia
vigorosa, tra notazioni di vivace naturalezza, come il Bambino è assopito di
spalle e i putti, sulla scala da cui prende il nome il rilievo, occupati
nell'insolita attività di tendere un drappo[21]. Michelangelo,
Battaglia dei centauri, marmo, 1492 circa. Casa Buonarroti, Firenze Di poco
posteriore è la Battaglia dei centauri, databile tra il 1491 e il 1492: secondo
Condivi e Vasari fu eseguita per Lorenzo il Magnifico, su un soggetto proposto
da Agnolo Poliziano, anche se i due biografi non concordano sull'esatta
titolazione[22]. Per questo rilievo Michelangelo si rifece sia ai
sarcofagi romani, sia alle formelle dei pulpiti di Giovanni Pisano, e guardò
anche al contemporaneo rilievo bronzeo di Bertoldo di Giovanni con una
battaglia di cavalieri, a sua volta ripreso da un sarcofago del Camposanto di
Pisa. Nel rilievo michelangiolesco però viene esaltato soprattutto il dinamico
groviglio dei corpi nudi in lotta e annullato ogni riferimento
spaziale[22]. Michelangelo e Piero de' Medici (1492-1494) Il
Crocifisso di Santo Spirito (1493 circa) Nel 1492 morì Lorenzo il Magnifico.
Non è chiaro se i suoi eredi, in particolare il primogenito Piero, mantennero
l'ospitalità al giovane Buonarroti: indizi sembrano indicare che Michelangelo
si ritrovò improvvisamente senza dimora, con un difficile ritorno alla casa
paterna[19]. Piero di Lorenzo de' Medici, succeduto al padre anche nel governo
della città, è ritratto dai biografi michelangioleschi come un tiranno
"insolente e soverchievole", con un difficile rapporto con l'artista,
che era di appena tre anni più giovane di lui. Nonostante ciò, i fatti
documentati non lasciano alcun indizio di una rottura plateale tra i due,
almeno fino alla crisi dell'autunno del 1494[23]. Nel 1493 infatti Piero,
dopo essere stato nominato Operaio in Santo Spirito, dovette intercedere coi
frati agostiniani in favore del giovane artista, affinché lo ospitassero e gli
consentissero di studiare l'anatomia negli ambienti del convento, sezionando i
cadaveri provenienti dall'ospedale del complesso, attività che giovò
enormemente alla sua arte[19]. In questi anni Michelangelo scolpì il
Crocifisso ligneo, realizzato come ringraziamento per il priore. Attribuito a
questo periodo è anche il piccolo Crocifisso di legno di tiglio recentemente
acquistato dallo Stato italiano. Inoltre, probabilmente per ringraziare o per
accattivarsi Piero, dovette scolpire, subito dopo la morte di Lorenzo, un
perduto Ercole[19]. Il 20 gennaio 1494 su Firenze si abbatté una violenta
nevicata e Piero fece chiamare Michelangelo per fare una statua di neve nel
cortile di palazzo Medici. L'artista fece di nuovo un Ercole, che durò almeno
otto giorni, sufficienti per fare apprezzare l'opera a tutta la città[24].
All'opera si ispirò forse Antonio del Pollaiolo per un bronzetto oggi alla
Frick Collection di New York. Mentre cresceva lo scontento per il
progressivo declino politico ed economico della città, in mano a un ragazzo
poco più che ventenne, la situazione esplose in occasione della calata in
Italia dell'esercito francese (1494) capeggiato da Carlo VIII, nei confronti
del quale Piero adottò un'impudente politica di assecondamento, giudicato
eccessivo. Appena partito il monarca, la situazione precipitò rapidamente,
aizzata dal predicatore ferrarese Girolamo Savonarola, con la cacciata dei
Medici e il saccheggio del palazzo e del giardino di San Marco[6]. Resosi
conto dell'imminente crollo politico del suo mecenate, Michelangelo, al pari di
molti artisti dell'epoca, abbracciò i nuovi valori spirituali e sociali di
Savonarola[25]. Il frate, con le sue accalorate prediche e il suo rigorismo
formale, accese in lui sia la convinzione che la Chiesa dovesse essere
riformata, sia i primi dubbi sul valore etico da dare all'arte, orientandola su
soggetti sacri[19]. Poco prima del precipitare della situazione,
nell'ottobre 1494, Michelangelo, nella paura di rimanere coinvolto nei
disordini, quale possibile bersaglio poiché protetto dai Medici, fuggì dalla
città di nascosto, abbandonando Piero al suo destino: il 9 novembre venne
infatti scacciato da Firenze, dove si instaurò un governo popolare[19].
Il primo viaggio a Bologna (1494-1495) San Procolo (1494-1495) Per
Michelangelo si trattava del primo viaggio fuori Firenze, con una prima tappa a
Venezia, dove rimase poco, ma abbastanza per vedere probabilmente il monumento
equestre a Bartolomeo Colleoni del Verrocchio, dal quale trasse forse
ispirazione per i volti eroici e "terribili"[26]. Si diresse
poi a Bologna, in cui venne accolto, trovando ospitalità e protezione, dal
nobile Giovan Francesco Aldrovandi, molto vicino ai Bentivoglio che allora
dominavano la città. Durante il soggiorno bolognese, durato circa un anno,
l'artista si occupò, grazie all'intercessione del suo protettore, del
completamento della prestigiosa Arca di san Domenico, a cui avevano già
lavorato Nicola Pisano e Niccolò dell'Arca, che era morto da pochi mesi, in
quel 1494. Scolpì così un San Procolo, un Angelo reggicandelabro e terminò il
San Petronio iniziato da Niccolò[27]. Si tratta di figure che si allontanano
dalla tradizione di primo Quattrocento delle altre statue di Niccolò dell'Arca,
con una solidità e una compattezza innovative, nonché primo esempio di quella
"terribilità" michelangiolesca nell'espressione fiera e eroica del
San Procolo[28], nel quale pare abbozzata un'intuizione embrionale che si
svilupperà nel famoso David. A Bologna lo stile dell'artista era infatti
velocemente maturato grazie alla scoperta di nuovi esempi, diversi dalla
tradizione fiorentina, che lo influenzarono profondamente. Ammirò i rilievi
della Porta Magna di San Petronio di Jacopo della Quercia. Da essi attinse gli
effetti di "forza trattenuta", data dai contrasti tra parti lisce e
stondate e parti dai contorni rigidi e fratturati, nonché la scelta di soggetti
umani rustici e massicci, che esaltano le scene con gesti ampi, pose eloquenti
e composizioni dinamiche[29]. Anche le stesse composizioni di figure che
tendono a non rispettare i bordi quadrati dei riquadri e a debordare con le loro
masse compatte e la loro energia interna furono motivo di suggestione per le
future opere del fiorentino, che nelle scene della Volta Sistina citerà diverse
volte queste scene vedute in gioventù, sia negli insiemi, sia nei particolari.
Anche le sculture di Niccolò dell'Arca devono essere state sottoposte ad
analisi da parte del fiorentino, come il gruppo in cotto del Compianto sul
Cristo morto, dove il volto e il braccio di Gesù saranno richiamati di lì a
breve nella Pietà vaticana. Inoltre Michelangelo rimase colpito
dall'incontro con la pittura ferrarese, in particolare con le opere di
Francesco del Cossa ed Ercole de' Roberti, come il monumentale Polittico
Griffoni, gli espressivi affreschi della cappella Garganelli o la Pietà del de'
Roberti[27]. L'imbroglio del Cupido (1495-1496) Rientrato a Firenze nel
dicembre 1495, quando la situazione appariva ormai calmata, Michelangelo trovò
un clima molto diverso. Nella città dominata dal governo repubblicano di
ispirazione savonaroliana erano nel frattempo rientrati alcuni Medici. Si
trattava di alcuni esponenti del ramo cadetto che, per l'occasione, presero il
nome di "Popolani" per accattivarsi le simpatie del popolo,
presentandosi come protettori e garanti delle libertà comunali. Tra questi
spiccava Lorenzo di Pierfrancesco, bis-cugino del Magnifico, che era da tempo
una figura chiave della cultura cittadina, committente di Botticelli e di altri
artisti. Fu lui a prendere sotto protezione Michelangelo, commissionandogli due
sculture, entrambe perdute, un San Giovannino e un Cupido dormiente[27].
Il Cupido in particolare fu al centro di una vicenda che portò di lì a poco
Michelangelo a Roma, in quello che può dirsi l'ultimo dei suoi fondamentali
viaggi formativi. Su suggerimento forse dello stesso Lorenzo e probabilmente
all'insaputa di Michelangelo, si decise di sotterrare il Cupido, per patinarlo
come un reperto archeologico e rivenderlo sul fiorente mercato delle opere
d'arte antiche a Roma. L'inganno riuscì, infatti di lì a poco, con
l'intermediazione del mercante Baldassarre Del Milanese, il cardinale di San
Giorgio Raffaele Riario, nipote di Sisto IV e uno dei più ricchi collezionisti
del tempo, lo acquistò per la cospicua somma di duecento ducati: Michelangelo
ne aveva incassati per la stessa opera appena trenta[27]. Poco dopo,
tuttavia, le voci del fruttuoso inganno si sparsero fino ad arrivare alle
orecchie del cardinale, che per avere conferma e richiedere indietro i soldi,
spedì a Firenze un suo intermediario, Jacopo Galli, che risalì a Michelangelo e
riuscì ad avere conferma della truffa. Il cardinale andò su tutte le furie, ma
volle anche conoscere l'artefice capace di emulare gli antichi facendoselo
spedire a Roma, nel luglio di quell'anno, dal Galli. Con quest'ultimo, in
seguito, Michelangelo strinse un solido e proficuo rapporto[27]. Primo
soggiorno romano (1496-1501) Arrivo a Roma e il Bacco (1496-1497) Michelangelo
accettò senza indugio l'invito a Roma del cardinale, nonostante questi fosse
nemico giurato dei Medici: di nuovo per convenienza voltava le spalle ai suoi
protettori[30]. Arrivò a Roma il 25 giugno 1496. Il giorno stesso il
cardinale mostrò a Michelangelo la sua manutenzione di sculture antiche,
chiedendogli se se la sentiva di fare qualcosa di simile. Neppure dieci giorni
dopo, l'artista iniziò a scolpire una statua a tutto tondo di un Bacco (oggi al
Museo del Bargello), raffigurato come un adolescente in preda all'ebbrezza, in
cui è già leggibile l'impatto con la statuaria classica: l'opera infatti
presenta una resa naturalistica del corpo, con effetti illusivi e tattili
simili a quelli della scultura ellenistica; inedita per l'epoca è
l'espressività e l'elasticità delle forme, unite al tempo stesso con
un'essenziale semplicità dei particolari. Ai piedi di Bacco scolpì un fauno che
sta rubando qualche acino d'uva dalla mano del dio: questo gesto destò molta
ammirazione in tutti gli scultori del tempo poiché il giovane sembra davvero
mangiare dell'uva con grande realismo. Il Bacco è una delle poche opere
perfettamente finite di Michelangelo e dal punto di vista tecnico segna il suo
ingresso nella maturità artistica[31]. L'opera, forse rifiutata dal
cardinale Riario, rimase in casa di Jacopo Galli, dove Michelangelo viveva. Il
cardinale Riario mise a disposizione di Michelangelo la sua cultura e la sua
collezione, contribuendo con ciò in maniera determinante al miglioramento del
suo stile, ma soprattutto lo introdusse nell'ambiente cardinalizio dal quale
sarebbero arrivate presto importantissime commissioni. Eppure, ancora una volta
Michelangelo mostrò ingratitudine verso il mecenate di turno: a proposito del
Riario fece scrivere dal suo biografo Condivi che era un ignorante e non gli
aveva commissionato nulla[32]. Pietà (1497-1499) Michelangelo,
Pietà, 1497-1499, marmo. Basilica di San Pietro, Città del Vaticano. Grazie
sempre all'intermediazione di Jacopo Galli, Michelangelo ricevette altre
importanti commissioni in ambito ecclesiastico, tra cui forse la Madonna di
Manchester, la tavola dipinta della Deposizione per Sant'Agostino, forse il
perduto dipinto con le Stigmate di san Francesco per San Pietro in Montorio, e,
soprattutto, una Pietà in marmo per la chiesa di Santa Petronilla, oggi nella
Basilica di San Pietro[33]. Quest'ultima opera, che suggellò la
definitiva consacrazione di Michelangelo nell'arte scultorea - ad appena
ventidue anni - era stata commissionata dal cardinale francese Jean de Bilhères
de La Groslaye, ambasciatore di Carlo VIII presso papa Alessandro VI, che
desiderava forse adoperarla per la propria sepoltura. Il contatto tra i due
dovette avvenire nel novembre 1497, in seguito al quale l'artista partì alla
volta di Carrara per scegliere un blocco di marmo adeguato; la firma del
contratto vero e proprio si ebbe poi solo nell'agosto del 1498. Il gruppo,
fortemente innovativo rispetto alla tradizione scultorea delle Pietà
tipicamente nordica, venne sviluppato con una composizione piramidale, con la
Vergine come asse verticale e il corpo morto del Cristo come asse orizzontale,
mediate dal massiccio panneggio. La finitura dei particolari venne condotta
alle estreme conseguenze, tanto da dare al marmo effetti di traslucido e di
cerea morbidezza. Entrambi i protagonisti mostrano un'età giovane, tanto che
sembra che lo scultore si sia ispirato al passo dantesco "Vergine Madre, Figlia
di tuo Figlio"[34]. La Pietà fu importante nell'esperienza artistica
di Michelangelo non solo perché fu il suo primo capolavoro ma anche perché fu
la prima opera da lui fatta in marmo di Carrara, che da questo momento divenne
la materia primaria per la sua creatività. A Carrara l'artista manifestò un
altro aspetto della personalità: la consapevolezza del proprio talento. Lì
infatti acquistò non solo il blocco di marmo per la Pietà, ma anche diversi
altri blocchi, nella convinzione che - considerato il suo talento - le
occasioni per utilizzarli non sarebbero mancate[35]. Cosa ancora più insolita
per un artista di quei tempi, Michelangelo si convinse che per scolpire le
proprie statue non aveva bisogno di committenti: avrebbe potuto scolpire di
propria iniziativa opere da vendere una volta terminate. In pratica
Michelangelo diventava un imprenditore di sé stesso e investiva sul proprio
talento senza aspettare che altri lo facessero per lui[35]. Rientro a
Firenze (1501-1504) Passaggio per Siena (1501) Nel 1501 Michelangelo decise di
tornare a Firenze. Prima di partire Jacopo Galli gli ottenne una nuova
commissione, questa volta per il cardinale Francesco Todeschini Piccolomini,
futuro papa Pio III. Si trattava di realizzare quindici statue di Santi di grandezza
leggermente inferiore al naturale, per l'altare Piccolomini nel Duomo di Siena,
composto architettonicamente una ventina di anni prima da Andrea Bregno. Alla
fine l'artista ne realizzò solo quattro (San Paolo, San Pietro, un San Pio e
San Gregorio), spedendole da Firenze fino al 1504, per di più con un uso
massiccio di aiuti. La commissione delle statue senesi, destinate a nicchie
anguste, iniziava infatti a essere ormai troppo stretta per la sua fama, in
luce soprattutto delle prestigiose opportunità che si stavano profilando a
Firenze[36]. Rientro a Firenze: il David (1501) Michelangelo,
David, 1501-1504, marmo. Galleria dell'Accademia, Firenze. Nel 1501
Michelangelo era già rientrato a Firenze, spinto da necessità legate a
"domestici negozi"[37]. Il suo ritorno coincise con l'avvio di una
stagione di commissioni di grande prestigio, che testimoniano la grande
reputazione che l'artista si era conquistato durante gli anni passati a
Roma. Il 16 agosto del 1501 l'Opera del Duomo di Firenze gli affidò ad esempio
una colossale statua del David da collocare in uno dei contrafforti esterni
posti nella zona absidale della cattedrale. Si trattava di un'impresa resa
complicata dal fatto che il blocco di marmo assegnato era stato precedentemente
sbozzato da Agostino di Duccio nel 1464 e da Antonio Rossellino nel 1476, col
rischio che fossero state ormai asportate porzioni di marmo indispensabili alla
buona conclusione del lavoro[38]. Nonostante la difficoltà, Michelangelo
iniziò a lavorare su quello che veniva chiamato "il Gigante" nel
settembre del 1501 e completò l'opera in tre anni. L'artista affrontò il tema
dell'eroe in maniera insolita rispetto all'iconografia data dalla tradizione,
rappresentandolo come un uomo giovane e nudo, dall'atteggiamento pacato ma
pronto a una reazione, quasi a simboleggiare, secondo molti, il nascente ideale
politico repubblicano, che vedeva nel cittadino-soldato - e non nel mercenario
- l'unico in grado di difendere le libertà repubblicane. I fiorentini
riconobbero immediatamente la statua come un capolavoro. Così, anche se il
David era nato per l'Opera del Duomo e quindi per essere osservato da un punto
di vista ribassato e non certo frontale, la Signoria decise di farne il simbolo
della città e come tale venne collocata nel luogo col maggior valore simbolico:
piazza della Signoria. A decidere di questa collocazione della statua fu una
commissione appositamente nominata e composta dai migliori artisti della città,
tra i quali Davide Ghirlandaio, Simone del Pollaiolo, Filippino Lippi, Sandro
Botticelli, Antonio e Giuliano da Sangallo, Andrea Sansovino, Leonardo da
Vinci, Pietro Perugino[39]. Leonardo da Vinci, in particolare, votò per
una posizione defilata del David, sotto una nicchia nella Loggia della
Signoria, confermando le voci di rivalità e cattivi rapporti tra i due
geni[40]. Confronto tra il profilo del Louvre e il profilo
scultoreo di Palazzo Vecchio conosciuto come l'Importuno di Michelangelo[41]
Contemporaneamente alla collocazione del David, Michelangelo potrebbe essere stato
coinvolto nella realizzazione del profilo scultoreo inciso sulla facciata di
Palazzo Vecchio conosciuto come L'Importuno di Michelangelo. L'ipotesi[41] su
un possibile coinvolgimento di Michelangelo nella creazione del profilo si
fonda sulla forte somiglianza di quest'ultimo con un profilo disegnato
dall'artista, databile agli inizi del XVI secolo, oggi conservato al
Louvre.[42] Inoltre il profilo fu probabilmente scolpito con il permesso delle
autorità cittadine, infatti la facciata di Palazzo Vecchio era costantemente
presieduta da guardie. Quindi il suo autore godeva di una certa considerazione
e libertà d'azione. Lo stile fortemente caratterizzato del profilo scolpito è
vicino a quello dei profili di teste maschili disegnati da Michelangelo nei primi
anni del XVI secolo. Quindi anche il ritratto scultoreo di Palazzo Vecchio
dovrebbe essere datato all'inizio del XVI secolo,[43] la sua esecuzione
coinciderebbe con la collocazione del David[44] e potrebbe forse rappresentare
uno dei membri della suddetta commissione.[45] Leonardo e Michelangelo
Leonardo dimostrò interesse per il David, copiandolo in un suo disegno (sebbene
non potesse condividere la spiccata muscolarità dell'opera), ma anche
Michelangelo fu influenzato dall'arte di Leonardo. Nel 1501 il maestro da Vinci
espose nella Santissima Annunziata un cartone con la Sant'Anna con la Vergine,
il Bambino e l'agnellino (perduto), che "fece maravigliare tutti
gl'artefici, ma finita ch'ella fu, nella stanza durarono due giorni d'andare a
vederla gl'uomini e le donne, i giovani et i vecchi"[46]. Lo stesso
Michelangelo vide il cartone, restando forse impressionato dalle nuove idee
pittoriche di avvolgimento atmosferico e di indeterminatezza spaziale e
psicologica, ed è quasi certo che l'abbia studiato, come dimostrano i disegni
di quegli anni, dai tratti più dinamici, con una maggiore animazione dei
contorni e con una maggiore attenzione al problema del legame tra le figure,
risolto spesso in gruppi articolati in maniera dinamica. La questione dell'influenza
leonardesca è un argomento controverso tra gli studiosi, ma una parte di essi
ne legge le tracce nei due tondi scultorei da lui eseguiti negli anni
immediatamente successivi[47]. Ampiamente riconosciute sono indubbiamente due
delle innovazioni stilistiche di Leonardo assunte e fatte proprie nello stile
di Michelangelo: la costruzione piramidale delle figure umane, ampie rispetto
agli sfondi naturali, e il "contrapposto", portato al massimo grado
dal Buonarroti, che rende dinamiche le persone i cui arti vediamo spingersi in
opposte direzioni spaziali. Nuove commissioni (1502-1504) Tondo
Taddei Tondo Doni Il David tenne occupato Michelangelo fino al 1504,
senza impedire però che si imbarcasse in altri progetti, spesso a carattere
pubblico, come il perduto David bronzeo per un maresciallo del Re di Francia
(1502), una Madonna col Bambino per il mercante di panni fiammingo Alexandre
Mouscron per la sua cappella familiare a Bruges (1503) e una serie di tondi.
Nel 1503-1505 circa scolpì il Tondo Pitti, realizzato in marmo su commissione
di Bartolomeo Pitti e oggi al Museo del Bargello. In questa scultura spicca il
diverso rilievo dato ai soggetti, dalla figura appena accennata di Giovanni
Battista (precoce esempio di "non-finito"), alla finitezza della
Vergine, la cui testa ad altorilievo arriva a uscire dal confine della
cornice. Tra il 1503 e il 1504 realizzò un tondo dipinto per Agnolo Doni,
rappresentante la Sacra Famiglia con altre figure. In essa, i protagonisti sono
grandiose proporzioni e dinamicamente articolati, sullo sfondo di un gruppo di
ignudi. I colori sono audacemente vivaci, squillanti, e i corpi trattati in
maniera scultorea ebbero un effetto folgorante sugli artisti contemporanei.
Evidente è qui il distacco netto e totale dalla pittura leonardesca: per
Michelangelo la migliore pittura è quella che maggiormente si avvicina alla
scultura, cioè quella che possedeva il più elevato grado di plasticità
possibile[48] e, dopo le prove a olio non terminate che possiamo vedere a
Londra, realizzerà qui un esempio di pittura innovativa, pur con la
tradizionale tecnica della tempera stesa con fitti tratteggi incrociati.
Curiosa è la vicenda legata al pagamento dell'opera: dopo la consegna il Doni,
mercante molto attento alle economie, stimò l'opera una cifra
"scontata" rispetto al pattuito, facendo infuriare l'artista che si
riprese la tavola, esigendo semmai il doppio del prezzo convenuto. Al mercante
non restò che pagare senza esitazione pur di ottenere il dipinto. Al di là del
valore aneddotico dell'episodio, lo si può annoverare fra i primissimi esempi
(se non il primo in assoluto) di ribellione dell'artista nei confronti del
committente, secondo il concetto allora assolutamente nuovo della superiorità
dell'artista-creatore rispetto al pubblico (e quindi alla
committenza)[49]. Del 1504-1506 circa è infine il marmoreo Tondo Taddei,
commissionato da Taddeo Taddei e ora alla Royal Academy of Arts di Londra: si
tratta di un'opera dall'attribuzione più incerta, dove comunque spicca
l'effetto non-finito, presente nel trattamento irregolare del fondo dal quale
le figure sembrano emergere, forse un omaggio all'indefinito spaziale e
all'avvolgimento atmosferico di Leonardo[50]. Gli Apostoli per il Duomo
(1503) Il 24 aprile 1503, Michelangelo ricevette anche un'impegnativa con i
consoli dell'Arte della Lana fiorentina per la realizzazione di dodici statue
marmoree a grandezza naturale degli Apostoli, destinate a decorare le nicchie
nei pilastri che reggono la cupola della cattedrale fiorentina, da completarsi
al ritmo di una all'anno[47]. Il contratto non poté essere onorato per
varie vicissitudini e l'artista fece in tempo a sbozzare solo un San Matteo,
uno dei primi, vistosi esempi di non-finito[47]. La Battaglia di Cascina
(1504) Copia del cartone della Battaglia di Cascina di Michelangelo,
eseguita da Aristotele da Sangallo nel 1542 e conservata presso la Holkham Hall
di Norfolk Tra l'agosto e il settembre 1504, gli venne commissionato un
monumentale affresco per la Sala Grande del Consiglio in Palazzo Vecchio che
doveva decorare una delle pareti, alta più di sette metri. L'opera doveva
celebrare le vittorie fiorentine, in particolare l'episodio della Battaglia di
Cascina, vinta contro i pisani nel 1364, che doveva andare a fare pendant con
la Battaglia di Anghiari dipinta da Leonardo sulla parete vicina[47].
Michelangelo fece in tempo a realizzare il solo cartone, sospeso nel 1505,
quando partì per Roma, e ripreso l'anno dopo, nel 1506, prima di andare
perduto; divenuto subito uno strumento di studio obbligatorio per i
contemporanei, e la sua memoria è tramandata sia da studi autografi sia da
copie di altri artisti. Più che sulla battaglia in sé, il dipinto si
focalizzava sullo studio anatomico delle numerose figure di "ignudi",
colte in pose di notevole sforzo fisico[47]. Il ponte sul Corno d'Oro
(1504 circa) Come riporta Ascanio Condivi, tra il 1504 e il 1506 il sultano di
Costantinopoli avrebbe proposto all'artista, la cui fama iniziava già a
travalicare i confini nazionali, di occuparsi della progettazione di un ponte
sul Corno d'Oro, tra Istanbul e Pera. Pare che l'artista avesse addirittura
preparato un modello per la colossale impresa e alcune lettere confermano
l'ipotesi di un viaggio nella capitale ottomana[51]. Si tratterebbe del
primo cenno alla volontà di imbarcarsi in un grande progetto di architettura,
molti anni prima dell'esordio ufficiale in quest'arte con la facciata per San
Lorenzo a Firenze[52]. Il progetto per il tamburo di Santa Maria del
Fiore (1507) Nell'estate 1507 Michelangelo fu incaricato dagli Operai di Santa
Maria del Fiore di presentare, entro la fine del mese di agosto, un disegno o
un modello per il concorso relativo al completamento del tamburo della cupola
del Brunelleschi[53]. Secondo Giuseppe Marchini, Michelangelo avrebbe inviato
alcuni disegni a un legnaiolo per la costruzione del modello, che lo stesso
studioso ha riconosciuto in quello identificato con il numero 143 nella serie
conservata presso il Museo dell'Opera del Duomo[54]. Questo presenta
un'impostazione sostanzialmente filologica, tesa a mantenere una certa
continuità con la preesistenza, mediante l'inserimento di una serie di
specchiature rettangolari in marmo verde di Prato allineate ai capitelli delle
paraste angolari; era prevista un'alta trabeazione, chiusa da un cornicione
dalle forme analoghe a quello di Palazzo Strozzi. Tuttavia questo modello non
fu accolto dalla commissione giudicatrice, che successivamente approvò il
disegno di Baccio d'Agnolo; il progetto prevedeva l'inserimento di un massiccio
ballatoio alla sommità, ma i lavori furono interrotti nel 1515, sia per lo
scarso favore ottenuto, sia a causa dell'opposizione di Michelangelo, che,
secondo il Vasari, definì l'opera di Baccio d'Agnolo una gabbia per
grilli[55]. Intorno al 1516 Michelangelo eseguì alcuni disegni
(conservati presso Casa Buonarroti) e fece costruire, probabilmente, un nuovo
modello ligneo, identificato, seppur con ampie riserve, col numero 144
nell'inventario del Museo dell'Opera di Santa Maria del Fiore[56]. Ancora una
volta si registra l'abolizione del ballatoio, a favore di un maggiore risalto
degli elementi portanti; in particolare un disegno mostra l'inserimento di alte
colonne binate libere in corrispondenza degli angoli dell'ottagono, sormontate
da una serie di cornici fortemente aggettanti (un'idea che sarà successivamente
elaborata anche per la cupola della basilica di San Pietro in Vaticano). Le
idee di Michelangelo non furono comunque concretizzate. A Roma sotto
Giulio II (1505-1513) Ricostruzione ipotetica del primo progetto per la
tomba di Giulio II (1505) La tomba di Giulio II, primo progetto (1505) Fu
probabilmente Giuliano da Sangallo a raccontare a papa Giulio II Della Rovere,
eletto nel 1503, gli strabilianti successi fiorentini di Michelangelo. Papa
Giulio infatti si era dedicato a un ambizioso programma di governo che
intrecciava saldamente politica e arte, circondandosi dei più grandi artisti
viventi (tra cui Bramante e, in seguito, Raffaello) nell'obiettivo di
restituire a Roma e alla sua autorità la grandezza del passato
imperiale[47]. Chiamato a Roma nel marzo 1505, Michelangelo ottenne il
compito di realizzare una sepoltura monumentale per il papa[57], da collocarsi
nella tribuna (in via di completamento) della basilica di San Pietro. Artista e
committente si accordarono in tempi relativamente brevi (appena due mesi) sul
progetto e sul compenso, permettendo a Michelangelo, riscosso un consistente
acconto, di dirigersi subito a Carrara per scegliere personalmente i blocchi di
marmo da scolpire[58]. Il primo progetto, noto tramite le fonti,
prevedeva una colossale struttura architettonica isolata nello spazio, con una
quarantina di statue, dimensionate in scala superiore al naturale, su tutte e
quattro le facciate dell'architettura[58]. Il lavoro di scelta ed
estrazione dei blocchi richiese otto mesi, dal maggio al dicembre del
1505[58]. Particolare dell'ipotetico profilo della montagna da
scolpire come un Colosso, Casa Buonarroti, 44 A[59] Ricostruzione
ipotetica del primo progetto per la tomba di Giulio II (1505)[57] Secondo il
fedele biografo Ascanio Condivi, in quel periodo Michelangelo pensò a un
grandioso progetto, di scolpire un colosso nella montagna stessa[59], che
potesse guidare i naviganti: i sogni di tale irraggiungibile grandezza facevano
parte dopotutto della personalità dell'artista e non sono ritenuti frutto della
fantasia del biografo, anche per l'esistenza di un'edizione del manoscritto con
note appuntate su dettature di Michelangelo stesso (in cui l'opera è definita
"una pazzia", ma che l'artista avrebbe realizzato se avesse potuto
vivere di più). Nella sua fantasia Michelangelo sognava di emulare gli antichi
con progetti che avrebbero richiamato meraviglie come il colosso di Rodi o la
statua gigantesca di Alessandro Magno che Dinocrates, citato in Vitruvio,
avrebbe voluto modellare nel Monte Athos[51]. Rottura e riconciliazione
con il papa (1505-1508) Durante la sua assenza si mise in moto a Roma una sorta
di complotto ai danni di Michelangelo, mosso dalle invidie tra gli artisti
della cerchia papale. La scia di popolarità che aveva anticipato l'arrivo a
Roma dello scultore fiorentino doveva infatti averlo reso subito impopolare tra
gli artisti al servizio di Giulio II, minacciando il favore del pontefice e la
relativa disposizione dei fondi che, per quanto immensi, non erano infiniti.
Pare che fu in particolare il Bramante, architetto di corte incaricato di
avviare - pochi mesi dopo la stipula del contratto della tomba - il grandioso
progetto di rinnovo della basilica costantiniana, a distogliere l'attenzione
del papa dal progetto della sepoltura, giudicata di cattivo auspicio per una
persona ancora in vita e nel pieno di ambiziosi progetti[60]. La
targa che a Bologna ricorda il soggiorno di Michelangelo del 1506 e la fusione
della perduta statua di Giulio II benedicente (1506-1508) Fu così che nella
primavera del 1506 Michelangelo, mentre tornava a Roma carico di marmi e di
aspettative dopo gli estenuanti mesi di lavoro nelle cave, fece l'amara
scoperta che il suo progetto mastodontico non era più al centro degli interessi
del papa, accantonato in favore dell'impresa della basilica e di nuovi piani
bellici contro Perugia e Bologna[61]. Il Buonarroti chiese invano
un'udienza chiarificatrice per avere la conferma della commissione ma, non riuscendo
a farsi ricevere nonché sentendosi minacciato (scrisse «s'i' stava a Roma penso
che fussi fatta prima la sepoltura mia, che quella del papa»[61]), fuggì da
Roma sdegnato e in tutta fretta, il 18 aprile 1506. A niente servirono i cinque
corrieri papali mandati per dissuaderlo e tornare indietro, che lo inseguirono
raggiungendolo a Poggibonsi. Rintanato nell'amata e protettiva Firenze, riprese
alcuni lavori interrotti, come il San Matteo e la Battaglia di Cascina. Ci
vollero ben tre brevi del papa inviati alla Signoria di Firenze e le continue
insistenze del gonfaloniere Pier Soderini («Noi non vogliamo per te far guerra
col papa e metter lo Stato nostro a risico»), perché Michelangelo prendesse
infine in considerazione l'ipotesi della riconciliazione[61]. L'occasione venne
data dalla presenza del papa a Bologna, dove aveva sconfitto i Bentivoglio: qui
l'artista raggiunse il pontefice il 21 novembre 1506 e, in un incontro
all'interno del Palazzo D'Accursio, narrato con toni coloriti dal Condivi,
ottenne l'incarico di fondere una scultura in bronzo che rappresentasse lo
stesso pontefice a figura intera, seduto e in grande dimensione, da collocare
al di sopra della Porta Magna di Jacopo della Quercia, nella facciata della
basilica civica di San Petronio.[61] L'artista si fermò quindi a Bologna
per il tempo necessario all'impresa, circa due anni. A luglio 1507 avvenne la
fusione e il 21 febbraio 1508 l'opera venne scoperta e installata, ma non ebbe
vita lunga. Poco amata per l'espressione del papa-conquistatore, più minacciosa
che benevolente, fu abbattuta in una notte del 1511, durante il rovesciamento
dalla città e il rientro temporaneo dei Bentivoglio[61]. I rottami, quasi
cinque tonnellate di metallo, vennero inviati al duca di Ferrara Alfonso
d'Este, rivale del papa, che li fuse in una bombarda, battezzata per dileggio
la Giulia, mentre la testa bronzea era conservata in un armadio[62]. Una
parvenza di come doveva apparire questo bronzo michelangiolesco possiamo averla
osservando la scultura di Gregorio XIII, ancora oggi conservata sul portale del
vicino Palazzo Comunale, forgiata da Alessandro Menganti nel 1580. La
volta della Cappella Sistina (1508-1512) Lo stesso argomento in
dettaglio: Volta della Cappella Sistina. La volta della Cappella Sistina
(1508-1512) «Senza aver visto la Cappella Sistina non è possibile formare
un'idea completa di ciò che un uomo è capace di raggiungere.» (Johann
Wolfgang von Goethe) I rapporti con Giulio II rimasero comunque sempre
tempestosi, per il forte temperamento che li accomunava, irascibile e
orgoglioso, ma anche estremamente ambizioso. A marzo del 1508 l'artista si
sentiva sciolto dagli obblighi col pontefice, prendendo in affitto una casa a
Firenze e dedicandosi ai progetti sospesi, in particolare quello degli Apostoli
per la cattedrale. Nell'aprile Pier Soderini gli manifestò la volontà di
affidargli una scultura di Ercole e Caco. Il 10 maggio però un breve papale lo
raggiunge aggiungendogli di presentarsi alla corte papale[63]. Subito
Giulio II decise di occupare l'artista con una nuova, prestigiosa impresa, la
ridecorazione della volta della Cappella Sistina[64]. A causa del processo di
assestamento dei muri, si era infatti aperta, nel maggio del 1504, una crepa
nel soffitto della cappella rendendola inutilizzabile per molti mesi;
rinforzata con catene poste nel locale sovrastante da Bramante, la volta aveva
bisogno però di essere ridipinta. L'impresa si dimostrava di proporzioni
colossali ed estremamente complessa, ma avrebbe dato a Michelangelo l'occasione
di dimostrare la sua capacità di superare i limiti in un'arte quale la pittura,
che tutto sommato non sentiva come sua e non gli era congeniale. L'8 maggio di
quell'anno l'incarico venne dunque accettato e formalizzato[64]. Come nel
progetto della tomba, anche l'impresa della Sistina fu caratterizzata da
intrighi e invidie ai danni di Michelangelo, che sono documentati da una
lettera del carpentiere e capomastro fiorentino Piero Rosselli spedita a
Michelangelo il 10 maggio 1506. In essa il Rosselli racconta di una cena
servita nelle stanze vaticane qualche giorno prima, a cui aveva assistito. Il
papa in quell'occasione aveva confidato a Bramante l'intenzione di affidare a
Michelangelo la ridipintura della volta, ma l'architetto urbinate aveva
risposto sollevando dubbi sulle reali capacità del fiorentino, scarsamente
esperto nell'affresco. Nel contratto del primo progetto erano previsti
dodici apostoli nei peducci, mentre nel campo centrale partimenti con
decorazioni geometriche. Di questo progetto rimangono due disegni di
Michelangelo, uno al British Museum e uno a Detroit. Ignudo
Insoddisfatto, l'artista ottenne di poter ampliare il programma iconografico,
raccontando la storia dell'umanità "ante legem", cioè prima che Dio
inviasse le Tavole della Legge: al posto degli Apostoli mise sette Profeti e
cinque Sibille, assisi su troni fiancheggiati da pilastrini che sorreggono la
cornice; quest'ultima delimita lo spazio centrale, diviso in nove
scompartimenti attraverso la continuazione delle membrature architettoniche ai
lati di troni; in questi scomparti sono raffigurati episodi tratti della
Genesi, disposti in ordine cronologico partendo dalla parete dell'altare:
Separazione della luce dalle tenebre, Creazione degli astri e delle piante,
Separazione della terra dalle acque, Creazione di Adamo, Creazione di Eva,
Peccato originale e cacciata dal Paradiso terrestre, Sacrificio di Noè, Diluvio
universale, Ebbrezza di Noè; nei cinque scomparti che sormontano i troni lo
spazio si restringe lasciando posto a Ignudi che reggono ghirlande con foglie
di quercia, allusione al casato del papa cioè Della Rovere, e medaglioni
bronzei con scene tratte dall'Antico Testamento; nelle lunette e nelle vele vi
sono le quaranta generazioni degli Antenati di Cristo, riprese dal Vangelo di
Matteo; infine nei pennacchi angolari si trovano quattro scene bibliche, che si
riferiscono ad altrettanti eventi miracolosi a favore del popolo eletto:
Giuditta e Oloferne, Davide e Golia, Punizione di Aman e il Serpente di bronzo.
L'insieme è organizzato in un partito decorativo complesso, che rivela le sue
indubbie capacità anche in campo architettonico,[65][66] destinate a rivelarsi
pienamente negli ultimi decenni della sua attività[67]. Il tema generale
degli affreschi della volta è il mistero della Creazione di Dio, che raggiunge
il culmine nella realizzazione dell'uomo a sua immagine e somiglianza. Con
l'incarnazione di Cristo, oltre a riscattare l'umanità dal peccato originale,
si raggiunge il perfetto e ultimo compimento della creazione divina, innalzando
l'uomo ancora di più verso Dio. In questo senso appare più chiara la
celebrazione che fa Michelangelo della bellezza del corpo umano nudo. Inoltre
la volta celebra la concordanza fra Antico e Nuovo Testamento, dove il primo
prefigura il secondo, e la previsione della venuta di Cristo in ambito ebraico
(con i profeti) e pagano (con le sibille). Creazione di Adamo[68]
Montato il ponteggio Michelangelo iniziò a dipingere le tre storie di Noè
gremite di personaggi. Il lavoro, di per sé massacrante, era aggravato
dall'insoddisfazione di sé tipica dell'artista, dai ritardi nel pagamento dei
compensi e dalle continue richieste di aiuto da parte dei familiari[6]. Nelle
scene successive la rappresentazione divenne via via più essenziale e monumentale:
il Peccato originale e cacciata dal Paradiso terrestre e la Creazione di Eva
mostrano corpi più massicci e gesti semplici ma retorici; dopo un'interruzione
dei lavori, e vista la volta dal basso nel suo complesso e senza i ponteggi, lo
stile di Michelangelo cambiò, accentuando maggiormente la grandiosità e
l'essenzialità delle immagini, fino a rendere la scena occupata da un'unica
grandiosa figura annullando ogni riferimento al paesaggio circostante, come
nella Separazione della luce dalle tenebre. Nel complesso della volta queste
variazioni stilistiche non si notano, anzi vista dal basso gli affreschi hanno
un aspetto perfettamente unitario, dato anche dall'uso di un'unica, violenta
cromia, recentemente riportata alla luce dal restauro concluso nel 1994.
In definitiva, la difficile sfida su un'impresa di dimensioni colossali e con
una tecnica a lui non congeniale, con il diretto confronto coi grandi maestri
fiorentini presso i quali si era formato (a partire da Ghirlandaio), poté dirsi
pienamente riuscita oltre ogni aspettativa[64]. Lo straordinario affresco venne
inaugurato la vigilia di Ognissanti del 1512[67]. Qualche mese dopo Giulio II
moriva. Il secondo e terzo progetto per la tomba di Giulio II
(1513-1516) Lo stesso argomento in dettaglio: Tomba di Giulio II.
Mosè (1513-1515 circa) Nel febbraio 1513, con la morte del papa, gli eredi
decisero di riprendere il progetto della tomba monumentale, con un nuovo
disegno e un nuovo contratto nel maggio di quell'anno. Si può immaginare
Michelangelo desideroso di riprendere lo scalpello, dopo quattro anni di
estenuante lavoro in un'arte che non era la sua prediletta. La modifica più
sostanziale del nuovo monumento era l'addossamento a una parete e
l'eliminazione della camera mortuaria, caratteristiche che vennero mantenute
fino al progetto finale. L'abbandono del monumento isolato, troppo grandioso e
dispendioso per gli eredi, comportò un maggiore affollamento di statue sulle
facce visibili. Ad esempio le quattro figure sedute, invece che disporsi sulle
due facciate, erano adesso previste in prossimità dei due angoli sporgenti
sulla fronte. La zona inferiore aveva una partitura analoga, ma senza il
portale centrale, sostituito da una fascia liscia che evidenziava l'andamento
ascensionale. Lo sviluppo laterale era ancora consistente, poiché era ancora
previsto il catafalco in posizione perpendicolare alla parete, sul quale la
statua del papa giacente era retta, da due figure alate. Nel registro inferiore
invece, su ciascun lato, restava ancora spazio per due nicchie che riprendevano
lo schema del prospetto anteriore. Più in alto, sotto una corta volta a tutto
sesto retta da pilastri, si trovava una Madonna col Bambino entro una mandorla
e altre cinque figure[61]. Tra le clausole contrattuali c'era anche
quella che legava l'artista, almeno sulla carta, a lavorare esclusivamente alla
sepoltura papale, con un termine massimo di sette anni per il
completamento[69]. Lo scultore si mise al lavoro di buona lena e sebbene
non rispettò la clausola esclusiva per non precludersi ulteriori guadagni extra
(come scolpendo il primo Cristo della Minerva, nel 1514), realizzò i due
Prigioni oggi al Louvre (Schiavo morente e Schiavo ribelle) e il Mosè, che poi
venne riutilizzato nella versione definitiva della tomba[69]. I lavori vennero
spesso interrotti per viaggi alle cave di Carrara. Nel luglio 1516 si
giunse a un nuovo contratto per un terzo progetto, che riduceva il numero delle
statue. I lati vennero accorciati e il monumento andava assumendo così
l'aspetto di una monumentale facciata, mossa da decorazioni scultoree. Al posto
della partitura liscia al centro della facciata (dove si trovava la porta)
viene forse previsto un rilievo bronzeo e, nel registro superiore, il catafalco
viene sostituito da una figura del papa sorretto come in una Pietà da due
figure sedute, coronate da una Madonna col Bambino sotto una nicchia[61]. I
lavori alla sepoltura vengono bruscamente interrotti dalla commissione da parte
di Leone X dei lavori alla basilica di San Lorenzo[52]. Michelangelo e
Sebastiano del Piombo In quegli stessi anni, una competizione sempre più accesa
con l'artista dominante della corte papale, Raffaello, lo portò a stringere un
sodalizio con un altro talentuoso pittore, il veneziano Sebastiano del Piombo.
Occupato da altri incarichi, Michelangelo spesso forniva disegni e cartoni al
collega, che li trasformava in pittura. Tra questi ci fu ad esempio la Pietà di
Viterbo[70]. Nel 1516 nacque una competizione tra Sebastiano e Raffaello,
scatenata da una doppia commissione del cardinale Giulio de' Medici per due
pale destinate alla sua sede di Narbona, in Francia. Michelangelo offrì un
cospicuo aiuto a Sebastiano, disegnando la figura del Salvatore e del
miracolato nella tela della Resurrezione di Lazzaro (oggi alla National Gallery
di Londra). L'opera di Raffaello invece, la Trasfigurazione, venne completata
solo dopo la scomparsa dell'artista nel 1520[71]. A Firenze per i papi
medicei La facciata di San Lorenzo (1516-1519) Il modello ligneo del
progetto di Michelangelo per San Lorenzo Nel frattempo il figlio di Lorenzo il
Magnifico, Giovanni, era salito al soglio pontificio col nome di Leone X e la
città di Firenze era tornata ai Medici nel 1511, comportando la fine del
governo repubblicano con alcune apprensioni in particolare per i parenti di
Michelangelo, che avevano perso incarichi d'ordine politico e i relativi
compensi[72]. Michelangelo lavorò per il nuovo papa fin dal 1514, quando rifece
la facciata della sua cappella a Castel Sant'Angelo (dal novembre, opera
perduta); nel 1515 la famiglia Buonarroti ottenne dal papa il titolo di conti
palatini[73]. In occasione di un viaggio del papa a Firenze nel 1516, la
facciata della chiesa "di famiglia" dei Medici, San Lorenzo, era
stata ricoperta di apparati effimeri realizzati da Jacopo Sansovino e Andrea
del Sarto. Il pontefice decise allora di indire un concorso per realizzare una
vera facciata, a cui parteciparono Giuliano da Sangallo, Raffaello, Andrea e
Jacopo Sansovino, nonché Michelangelo stesso, su invito del papa. La vittoria
andò a quest'ultimo, all'epoca impegnato a Carrara e Pietrasanta per scegliere
i marmi per il sepolcro di Giulio II[72]. Il contratto è datato 19 gennaio
1518[73]. Il progetto di Michelangelo, per il quale vennero eseguiti
numerosi disegni e ben due modelli lignei (uno è oggi a Casa Buonarroti)
prevedeva una struttura a nartece con un prospetto rettangolare, forse ispirato
a modelli di architettura classica, scandito da potenti membrature animate da
statue in marmo, bronzo e da rilievi. Si sarebbe trattato di un passo
fondamentale in architettura verso una concezione nuova di facciata, non più
basata sulla mera aggregazione di elementi singoli, ma articolata in modo
unitario, dinamico e fortemente plastico[74]. Il lavoro procedette però a
rilento, a causa della scelta del papa di servirsi dei più economici marmi di
Seravezza, la cui cava era mal collegata col mare, rendendo difficile il loro
trasporto per via fluviale fino a Firenze. Nel settembre 1518 Michelangelo
sfiorò anche la morte per una colonna di marmo che, durante il trasporto su un
carro, si staccò colpendo micidialmente un operaio accanto a lui, un evento che
lo sconvolse profondamente, come raccontò in una lettera a Berto da Filicaia
datata 14 settembre 1518[75]. In Versilia Michelangelo creò la strada per il
trasporto dei marmi, ancora oggi esistente (anche se ampliata nel 1567 da
Cosimo I). I blocchi venivano calati dalla cava di Trambiserra ad Azzano,
davanti al Monte Altissimo, fino al Forte dei Marmi (insediamento sorto proprio
in quell'occasione) e da lì imbarcate in mare e spedite a Firenze tramite
l'Arno. Nel marzo 1520 il contratto fu rescisso, per la difficoltà
dell'impresa e i costi elevati. In quel periodo Michelangelo lavorò ai Prigioni
per la tomba di Giulio II, in particolare ai quattro incompiuti oggi alla
Galleria dell'Accademia. Scolpì probabilmente anche la statua del Genio della
Vittoria di Palazzo Vecchio e alla nuova versione del Cristo risorto per
Metello Vari (opera portata a Roma nel 1521), rifinita da suoi assistenti e posta
nella basilica di Santa Maria sopra Minerva[72]. Tra le commissioni ricevute e
non portate a termine c'è una consulenza per Pier Soderini, per una cappella
nella chiesa romana di San Silvestro in Capite (1518)[76]. La Sagrestia
Nuova (1520-1534) Lo stesso argomento in dettaglio: Sagrestia
Nuova. Sagrestia Nuova Il mutamento dei desideri papali venne causato dai
tragici eventi familiari legati alla morte degli ultimi eredi diretti della
dinastia medicea: Giuliano Duca di Nemours nel 1516 e, soprattutto, Lorenzo
Duca d'Urbino nel 1519. Per ospitare degnamente i resti dei due cugini, nonché
quelli dei fratelli Magnifici Lorenzo e Giuliano, rispettivamente padre e zio
di Leone X, il papa maturò l'idea di creare una monumentale cappella funebre,
la Sagrestia Nuova, da ospitare nel complesso di San Lorenzo. L'opera venne
affidata a Michelangelo prima ancora del definitivo annullamento della
commissione della facciata; dopotutto l'artista poco tempo prima, il 20 ottobre
1519, si era offerto al pontefice per realizzare una sepoltura monumentale per
Dante in Santa Croce, manifestando quindi la sua disponibilità a nuovi
incarichi[72]. La morte di Leone sospese il progetto solo per breve tempo,
poiché già nel 1523 venne eletto suo cugino Giulio, che prese il nome di Clemente
VII e confermò a Michelangelo tutti gli incarichi[72]. Il primo progetto
michelangiolesco era quello di un monumento isolato al centro della sala ma, in
seguito a discussioni con i committenti, lo cambiò prevedendo di collocare le
tombe dei Capitani addossate al centro delle pareti laterali, mentre quelle dei
Magnifici, addossate entrambe alla parete di fondo davanti all'altare.
L'opera venne iniziata nel 1525 circa: la struttura in pianta si rifaceva alla
Sagrestia Vecchia, sempre nella chiesa di San Lorenzo, del Brunelleschi: a
pianta quadrata e con piccolo sacello anch'esso quadrato. Grazie alle
membrature, in pietra serena e a ordine gigante, l'ambiente acquista un ritmo
più serrato e unitario; inserendo tra le pareti e le lunette un mezzanino e aprendo
tra queste ultime delle finestre architravate, dà alla sala un potente senso
ascensionale concluso nella volta a cassettoni di ispirazione antica. Le
tombe che sembrano far parte della parete, riprendono nella parte alta le
edicole, che sono inserite sopra le otto porte dell'ambiente, quattro vere e
quattro finte. Le tombe dei due capitani si compongono di un sarcofago
curvilineo sormontato da due statue distese con le Allegorie del Tempo: in
quella di Lorenzo il Crepuscolo e l'Aurora, mentre in quella di Giuliano la
Notte e il Giorno. Si tratta di figure massicce e dalle membra poderose che
sembrano gravare sui sarcofagi quasi a spezzarli e a liberare le anime dei
defunti, ritratti nelle statue inserite sopra di essi. Inserite in una nicchia
della parete, le statue non sono riprese dal vero ma idealizzate mentre
contemplano: Lorenzo in una posa pensierosa e Giuliano con uno scatto repentino
della testa. La statua posta sull'altare con la Madonna Medici è simbolo di
vita eterna ed è fiancheggiata dalle statue dei Santi Cosma e Damiano
(protettori dei Medici) eseguite su disegno del Buonarroti, rispettivamente da
Giovanni Angelo Montorsoli e Raffaello da Montelupo. All'opera, anche se
non continuativamente, Michelangelo lavorò fino al 1534, lasciandola
incompiuta: senza i monumenti funebri dei Magnifici, le sculture dei Fiumi alla
base delle tombe dei Capitani e, forse, di affreschi nelle lunette. Si tratta
comunque di uno straordinario esempio di simbiosi perfetta tra scultura e
architettura[77]. Nel frattempo Michelangelo continuava a ricevere altre
commissioni che solo in piccola parte eseguiva: nell'agosto 1521 inviò a Roma
il Cristo della Minerva, nel 1522 un certo Frizzi gli commissionò una tomba a
Bologna e il cardinale Fieschi gli chiese una Madonna scolpita, entrambi
progetti mai eseguiti[76]; nel 1523 ricevette nuove sollecitazioni da parte
degli eredi di Giulio II, in particolare Francesco Maria Della Rovere, e lo
stesso anno gli venne commissionata, senza successo, una statua di Andrea Doria
da parte del Senato genovese, mentre il cardinal Grimani, patriarca di
Aquileia, gli chiese un dipinto o una scultura mai eseguiti[76]. Nel 1524 papa
Clemente gli commissionò la biblioteca Medicea Laurenziana, i cui lavori
avviarono a rilento, e un ciborio (1525) per l'altare maggiore di San Lorenzo,
sostituito poi dalla Tribuna delle reliquie; nel 1526 si arrivò a una
drammatica rottura coi Della Rovere per un nuovo progetto, più semplice, per la
tomba di Giulio II, che venne rifiutato[72]. Altre richieste inevase di
progetti di tombe gli pervengono dal duca di Suessa e da Barbazzi canonico di
San Petronio a Bologna[72]. L'insurrezione e l'assedio (1527-1530)
Copia dalla Leda e il cigno di Michelangelo, alla National Gallery di Londra Un
motivo comune nella vicenda biografica di Michelangelo è l'ambiguo rapporto con
i propri committenti, che più volte ha fatto parlare di ingratitudine
dell'artista verso i suoi patrocinatori. Anche con i Medici il suo rapporto fu
estremamente ambiguo: nonostante siano stati loro a spingerlo verso la carriera
artistica e a procurargli commissioni di altissimo rilievo, la sua convinta
fede repubblicana lo portò a covare sentimenti di odio contro di essi,
vedendoli come la principale minaccia contro la libertas fiorentina[77].
Fu così che nel 1527, arrivata in città la notizia del Sacco di Roma e del
durissimo smacco inferto a papa Clemente, la città di Firenze insorse contro il
suo delegato, l'odiato Alessandro de' Medici, cacciandolo e instaurando un
nuovo governo repubblicano. Michelangelo aderì pienamente al nuovo regime, con
un appoggio ben oltre il piano simbolico. Il 22 agosto 1528 si mise al
servizio del governo repubblicano, riprendendo la vecchia commissione
dell'Ercole e Caco (ferma dal 1508), che propose di mutare in un Sansone con
due filistei[72]. Il 10 gennaio 1529 venne nominato membro dei "Nove di
milizia", occupandosi di nuovi piani difensivi, specie per il colle di San
Miniato al Monte[72]. Il 6 aprile di quell'anno riceve l'incarico di "Governatore
generale sopra le fortificazioni", in previsione dell'assedio che le forze
imperiali si apprestavano a cingere[77]. Visitò appositamente Pisa e Livorno
nell'esercizio del proprio ufficio, e si recò anche a Ferrara per studiarne le
fortificazioni (qui Alfonso I d'Este gli commissionò una Leda e il cigno, poi
andata perduta[76]), rientrando a Firenze il 9 settembre[72]. Preoccupato per
l'aggravarsi della situazione, il 21 settembre fuggì a Venezia, in previsione
di trasferirsi in Francia alla corte di Francesco I, che però non gli aveva
ancora fatto offerte concrete. Qui venne però raggiunto prima dal bando del
governo fiorentino che lo dichiarò ribelle, il 30 settembre. Tornò allora nella
sua città il 15 novembre, riprendendo la direzione delle fortezze[72]. Di
questo periodo rimangono disegni di fortificazione, realizzate attraverso una
complicata dialettica di forme concave e convesse che sembrano macchine
dinamiche atte all'offesa e alla difesa. Con l'arrivo degli Imperiali a
minacciare la città, a lui è attribuita l'idea di usare la platea di San
Miniato al Monte come avamposto con cui cannoneggiare sul nemico, proteggendo
il campanile dai pallettoni nemici con un'armatura fatta di materassi
imbottiti. Le forze in campo per gli assedianti erano però soverchianti e
con la sua disperata difesa la città non poté altro che negoziare un trattato,
in parte poi disatteso, che evitasse la distruzione e il saccheggio che pochi
anni prima avevano colpito Roma. All'indomani del ritorno dei Medici in città
(12 agosto 1530) Michelangelo, che sapeva di essersi fortemente compromesso e
temendo quindi una vendetta, si nasconde rocambolescamente e riuscì a fuggire
dalla città (settembre 1530), riparando a Venezia[77]. Qui restò brevemente,
assalito da dubbi sul da farsi. In questo breve periodo soggiornò all'isola
della Giudecca per mantenersi lontano dalla vita sfarzosa dell'ambiente
cittadino e leggenda vuole che avesse presentato un modello per il ponte di
Rialto al doge Andrea Gritti. La sala di lettura della Biblioteca
Medicea Laurenziana Lo scalone nel vestibolo della Biblioteca Medicea
Laurenziana La Biblioteca Medicea Laurenziana (1530-1534) Il perdono di
Clemente VII non si fece però attendere, a patto che l'artista riprendesse
immediatamente i lavori a San Lorenzo dove, oltre alla Sagrestia, si era
aggiunto cinque anni prima il progetto di una monumentale libreria. È chiaro
come il papa fosse mosso, più che dalla pietà verso l'uomo, dalla
consapevolezza di non poter rinunciare all'unico artista capace di dare forma
ai sogni di gloria della sua dinastia, nonostante la sua indole
contrastata[77]. All'inizio degli anni trenta scolpì anche un Apollino per
Baccio Valori, il feroce governatore di Firenze imposto dal papa[72]. La
biblioteca pubblica, annessa alla chiesa di San Lorenzo, venne interamente
progettata dal Buonarroti: nella sala di lettura si rifece al modello della
biblioteca di Michelozzo in San Marco, eliminando la divisione in navate e
realizzando un ambiente con le mura scandite da finestre sormontate da mezzanini
tra pilastrini, tutti con modanature in pietra serena. Disegnò anche i banchi
in legno e forse lo schema di soffitto intagliato e pavimento con decorazioni
in cotto, organizzati in medesime partiture. Il capolavoro del progetto è il
vestibolo, con un forte slancio verticale dato dalle colonne binate che cingono
il portale timpanato e dalle edicole sulle pareti. Solo nel 1558
Michelangelo fornì il modello in argilla per lo scalone, da lui progettato in
legno, ma realizzato per volere di Cosimo I de' Medici, in pietra serena: le
ardite forme rettilinee e ellittiche, concave e convesse, vengono indicate come
una precoce anticipazione dello stile barocco. Il 1531 fu un anno
intenso: eseguì il cartone del Noli me tangere, proseguì i lavori alla
Sagrestia e alla Liberia di San Lorenzo e per la stessa chiesa progettò la
Tribuna delle reliquie; Inoltre gli vennero chiesti, senza esito, un progetto
dal duca di Mantova, il disegno di una casa da Baccio Valori, e una tomba per
il cardinale Cybo; le fatiche lo condussero anche a una grave
malattia[72]. Nell'aprile 1532 si ebbe il quarto contratto per la tomba
di Giulio II, con solo sei statue. In quello stesso anno Michelangelo conobbe a
Roma l'intelligente e bellissimo Tommaso de' Cavalieri, con il quale si legò appassionatamente,
dedicandogli disegni e composizioni poetiche[72]. Per lui approntò, tra
l'altro, i disegni col Ratto di Ganimede e la Caduta di Fetonte, che sembrano
precorrere, nella potente composizione e nel tema del compiersi fatale del
destino, il Giudizio universale[78]. Rapporti molto tesi ebbe, invece, con il
guardarobiere pontificio e Maestro di Camera Pietro Giovanni Aliotti, futuro
vescovo di Forlì, che Michelangelo, considerandolo troppo impiccione, chiamava
il Tantecose. Il 22 settembre 1533 incontrò a San Miniato al Tedesco
Clemente VII e, secondo la tradizione, in quell'occasione si parlò per la prima
volta della pittura di un Giudizio universale nella Sistina[72]. Lo stesso anno
morì il padre Ludovico[72]. Nel 1534 gli incarichi fiorentini procedevano
ormai sempre più stancamente, con un ricorso sempre maggiore di
aiuti[79]. L'epoca di Paolo III (1534-1545) Il Giudizio universale
(1534-1541) Giudizio universale Cristo, dettaglio del Giudizio
universale L'artista non approvava il regime politico tiranneggiante del duca
Alessandro, per cui con l'occasione di nuovi incarichi a Roma, tra cui il
lavoro per gli eredi di Giulio II, lasciò Firenze dove non mise mai più piede,
nonostante gli accattivanti inviti di Cosimo I negli anni della vecchiaia[79].
Clemente VII gli aveva commissionato la decorazione della parete di fondo della
Cappella Sistina con il Giudizio universale, ma non fece in tempo a vedere
nemmeno l'inizio dei lavori, perché morì pochi giorni dopo l'arrivo
dell'artista a Roma. Mentre l'artista riprendeva la Sepoltura di papa Giulio,
venne eletto al soglio pontificio Paolo III, che non solo confermò l'incarico
del Giudizio, ma nominò anche Michelangelo pittore, scultore e architetto del
Palazzo Vaticano[72]. I lavori alla Sistina poterono essere avviati alla
fine del 1536, per proseguire fino all'autunno del 1541. Per liberare l'artista
dagli incarichi verso gli eredi Della Rovere Paolo III arrivò a emettere un
motu proprio il 17 novembre 1536[72]. Se fino ad allora i vari interventi alla
cappella papale erano stati coordinati e complementari, con il Giudizio si
assistette al primo intervento distruttivo, che sacrificò la pala dell'Assunta
di Perugino, le prime due storie quattrocentesche di Gesù e di Mosè e due
lunette dipinte dallo stesso Michelangelo più di vent'anni prima[79]. Al
centro dell'affresco vi è il Cristo giudice con vicino la Madonna che rivolge
lo sguardo verso gli eletti; questi ultimi formano un'ellissi che segue i
movimenti del Cristo in un turbine di santi, patriarchi e profeti. A differenza
delle rappresentazioni tradizionale, tutto è caos e movimento, e nemmeno i
santi sono esentati dal clima di inquietudine, attesa, se non paura e sgomento
che coinvolge espressivamente i partecipanti. Le licenze iconografiche,
come i santi senza aureola, gli angeli apteri e il Cristo giovane e senza
barba, possono essere allusioni al fatto che davanti al giudizio ogni singolo
uomo è uguale. Questo fatto, che poteva essere letto come un generico richiamo
ai circoli della Riforma Cattolica, unitamente alla nudità e alla posa
sconveniente di alcune figure (santa Caterina d'Alessandria prona con alle
spalle san Biagio), scatenarono contro l'affresco i severi giudizi di buona
parte della curia. Dopo la morte dell'artista, e col mutato clima culturale
dovuto anche al Concilio di Trento, si arrivò al punto di provvedere al
rivestimento dei nudi e alla modifica delle parti più sconvenienti. Una
statua equestre Nel 1537, verso febbraio, il duca d'Urbino Francesco Maria I
Della Rovere gli chiese un abbozzo per un cavallo destinato forse a un
monumento equestre, che risulta completato il 12 ottobre. L'artista però si
rifiutò di inviare il progetto al duca, poiché insoddisfatto. Dalla
corrispondenza si apprende anche che entro i primi di luglio Michelangelo gli
aveva progettato anche una saliera: la precedenza del duca rispetto a tante
commissioni inevase di Michelangelo è sicuramente legata alla pendenza dei
lavori alla tomba di Giulio II, di cui Francesco Maria era erede[76].
Quello stesso anno a Roma riceve la cittadinanza onoraria in
Campidoglio[76]. Piazza del Campidoglio Piazza del Campidoglio in
una stampa di Étienne Dupérac (1568) Paolo III, al pari dei suoi predecessori,
fu un entusiasta committente di Michelangelo. Con il trasferimento sul
Campidoglio della statua equestre di Marco Aurelio, simbolo dell'autorità
imperiale e per estensione della continuità tra la Roma imperiale e quella
papale, il papa incaricò Michelangelo, nel 1538, di studiare la
ristrutturazione della piazza, centro dell'amministrazione civile romana fin
dal Medioevo e in stato di degrado[76]. Tenendo conto delle preesistenze
vennero mantenuti e trasformati i due edifici esistenti, già ristrutturati nel
XV secolo da Rossellino, realizzando di conseguenza la piazza a pianta
trapezoidale con sullo sfondo il palazzo dei Senatori, dotato di scala a doppia
rampa, e delimitata ai lati da due palazzi: il Palazzo dei Conservatori e il
cosiddetto Palazzo Nuovo costruito ex novo, entrambi convergenti verso la
scalinata di accesso al Campidoglio. Gli edifici vennero caratterizzati da un
ordine gigante a pilastri corinzi in facciata, con massicce cornici e
architravi. Al piano terra degli edifici laterali i pilastri dell'ordine
gigante sono affiancati da colonne che formano un insolito portico
architravato, in un disegno complessivo molto innovativo che rifugge
programmaticamente dall'uso dell'arco. Il lato interno del portico presenta
invece colonne alveolate che in seguito ebbero una grande diffusione[80]. I
lavori furono compiuti molto dopo la morte del maestro, mentre la
pavimentazione della piazza fu realizzata solo ai primi del Novecento,
utilizzando una stampa di Étienne Dupérac che riporta quello che doveva essere
il progetto complessivo previsto da Michelangelo, secondo un reticolo
curvilineo inscritto in un'ellisse con al centro il basamento ad angoli
smussati per la statua del Marc'Aurelio, anch'esso disegnato da
Michelangelo. Verso il 1539 iniziò forse il Bruto per il cardinale
Niccolò Ridolfi, opera dai significati politici legata ai fuorusciti
fiorentini[72]. La Crocifissione per Vittoria Colonna (1541) La
copia della Crocifissione per Vittoria Colonna di Marcello Venusti Dal 1537
circa Michelangelo aveva iniziato la vivida amicizia con la marchesa di Pescara
Vittoria Colonna: essa lo introdusse al circolo viterbese del cardinale
Reginald Pole, frequentato, tra gli altri, da Vittore Soranzo, Apollonio
Merenda, Pietro Carnesecchi, Pietro Antonio Di Capua, Alvise Priuli e la
contessa Giulia Gonzaga. In quel circolo culturale si aspirava a una
riforma della Chiesa cattolica, sia interna sia nei confronti del resto della
Cristianità, alla quale avrebbe dovuto riconciliarsi. Queste teorie
influenzarono Michelangelo e altri artisti. Risale a quel periodo la Crocifissione
realizzata per Vittoria, databile al 1541 e forse dispersa, oppure mai dipinta.
Di quest'opera ci restano solamente alcuni disegni preparatori di incerta
attribuzione, il più famoso è senz'altro quello conservato al British Museum,
mentre buone copie si trovano nella concattedrale di Santa Maria de La Redonda
e alla Casa Buonarroti. Inoltre esiste una tavola dipinta, la Crocefissione di
Viterbo, tradizionalmente attribuita a Michelangelo, sulla base di un
testamento di un conte viterbese datato al 1725, esposta nel Museo del Colle
del Duomo di Viterbo, più ragionevolmente attribuibile ad ambiente
michelangiolesco[81]. Secondo i progetti raffigurava un giovane e
sensuale Cristo, simboleggiante un'allusione alle teorie riformiste cattoliche
che vedevano nel sacrificio del sangue di Cristo l'unica via di salvezza
individuale, senza intermediazioni della Chiesa e dei suoi
rappresentanti. Uno schema analogo presentava anche la cosiddetta Pietà
per Vittoria Colonna, dello stesso periodo, nota da un disegno a Boston e da
alcune copie di allievi. In quegli anni a Roma Michelangelo poteva quindi
contare su una sua cerchia di amici ed estimatori, tra cui oltre alla Colonna,
Tommaso de' Cavalieri e artisti quali Tiberio Calcagni e Daniele da
Volterra[79]. Cappella Paolina (1542-1550) La Conversione di Saulo,
dettaglio Nel 1542 il papa gli commissionò quella che rappresenta la sua ultima
opera pittorica, dove ormai anziano lavorò per quasi dieci anni, in
contemporanea ad altri impegni[79]. Il papa Farnese, geloso e seccato del fatto
che il luogo ove la celebrazione di Michelangelo pittore raggiungesse i suoi
massimi livelli fosse dedicato ai papi Della Rovere, gli affidò la decorazione
della sua cappella privata in Vaticano che prese il suo nome (Cappella
Paolina). Michelangelo realizzò due affreschi, lavorando da solo con faticosa
pazienza, procedendo con piccole "giornate", fitte di interruzioni e
pentimenti. Il primo a essere realizzato, la Conversione di Saulo
(1542-1545), presenta una scena inserita in un paesaggio spoglio e irreale, con
compatti grovigli di figure alternati a spazi vuoti e, al centro, la luce
accecante che da Dio scende su Saulo a terra; il secondo, il Martirio di san
Pietro (1545-1550), ha una croce disposta in diagonale in modo da costituire
l'asse di un ipotetico spazio circolare con al centro il volto del
martire. L'opera nel suo complesso è caratterizzata da una drammatica
tensione e improntata a un sentimento di mestizia, generalmente interpretata
come espressione della religiosità tormentata di Michelangelo e del sentimento
di profondo pessimismo che caratterizza l'ultimo periodo della sua vita.
La conclusione dei lavori alla tomba di Giulio II (1544-1545) La Tomba di
Giulio II Dopo gli ultimi accordi del 1542, la tomba di Giulio II venne posta
in essere nella chiesa di San Pietro in Vincoli tra il 1544 e il 1545 con le
statue del Mosè, di Lia (Vita attiva) e di Rachele (Vita contemplativa) nel
primo ordine. Nel secondo ordine, al fianco del pontefice disteso con
sopra la Vergine col Bambino si trovano una Sibilla e un Profeta. Anche questo
progetto risente dell'influsso del circolo di Viterbo; Mosè uomo illuminato e
sconvolto dalla visione di Dio è affiancato da due modi di essere, ma anche da
due modi di salvezza non necessariamente in conflitto tra di loro: la vita
contemplativa viene rappresentata da Rachele che prega come se per salvarsi
usasse unicamente la Fede, mentre la vita attiva, rappresentata da Lia, trova
la sua salvezza nell'operare. L'interpretazione comune dell'opera d'arte è che
si tratti di una specie di posizione di mediazione tra Riforma e Cattolicesimo
dovuta sostanzialmente alla sua intensa frequentazione con Vittoria Colonna e
il suo entourage. Nel 1544 disegnò anche la tomba di Francesco Bracci,
nipote di Luigi del Riccio nella cui casa aveva ricevuto assistenza durante una
grave malattia che l'aveva colpito in giugno[72]. Per tale indisposizione, nel
marzo aveva rifiutato a Cosimo I de' Medici l'esecuzione di un busto[76]. Lo
stesso anno avviarono i lavori al Campidoglio, progettati nel 1538.
Vecchiaia (1546-1564) Gli ultimi decenni di vita di Michelangelo sono
caratterizzati da un progressivo abbandono della pittura e anche della
scultura, esercitata ormai solo in occasione di opere di carattere privato.
Prendono consistenza invece numerosi progetti architettonici e urbanistici, che
proseguono sulla strada della rottura del canone classico, anche se molti di
essi vennero portati a termine in periodi seguenti da altri architetti, che non
sempre rispettarono il suo disegno originale[79]. Palazzo Farnese
(1546-1550) La facciata di Palazzo Farnese A gennaio 1546 Michelangelo si
ammalò, venendo curato in casa di Luigi del Riccio. Il 29 aprile, ripresosi,
promise una statua in bronzo, una in marmo e un dipinto a Francesco I di
Francia, che però non riuscì a fare[76]. Con la morte di Antonio da
Sangallo il Giovane nell'ottobre 1546, a Michelangelo vennero affidate le
fabbriche di Palazzo Farnese e della basilica di San Pietro, entrambe lasciate
incompiute dal primo[72]. Tra il 1547 e il 1550 l'artista progettò dunque
il completamento della facciata e del cortile di Palazzo Farnese: nella
facciata variò, rispetto al progetto del Sangallo, alcuni elementi che danno
all'insieme una forte connotazione plastica e monumentale ma al tempo stesso
dinamica ed espressiva. Per ottenere questo risultato accrebbe in altezza il
secondo piano, inserì un massiccio cornicione e sormontò il finestrone centrale
con uno stemma colossale (i due ai lati sono successivi). Basilica di San
Pietro in Vaticano (1546-1564) Progetto per la basilica vaticana
nell'incisione di Étienne Dupérac Per quanto riguarda la basilica vaticana, la
storia del progetto michelangiolesco è ricostruibile da una serie di documenti
di cantiere, lettere, disegni, affreschi e testimonianze dei contemporanei, ma
diverse informazioni sono in contrasto tra loro. Infatti, Michelangelo non
redasse mai un progetto definitivo per la basilica, preferendo procedere per
parti[82]. In ogni caso, subito dopo la morte dell'artista toscano furono
pubblicate diverse stampe nel tentativo di restituire una visione complessiva
del disegno originario; le incisioni di Étienne Dupérac si imposero subito come
le più diffuse e accettate[83]. Michelangelo pare che aspirasse al
ritorno alla pianta centrale del Bramante, con un quadrato inscritto nella
croce greca, rifiutando sia la pianta a croce latina introdotta da Raffaello
Sanzio, sia i disegni del Sangallo, che prevedevano la costruzione di un
edificio a pianta centrale preceduto da un imponente avancorpo. Demolì
parti realizzate dai suoi predecessori e, rispetto alla perfetta simmetria del
progetto bramantesco, introdusse un asse preferenziale nella costruzione,
ipotizzando una facciata principale schermata da un portico composto da colonne
d'ordine gigante (non realizzato). Per la massiccia struttura muraria, che
doveva correre lungo tutto il perimetro della fabbrica, ideò un unico ordine
gigante a paraste corinzie con attico, mentre al centro della costruzione
costruì un tamburo, con colonne binate (sicuramente realizzato dall'artista),
sul quale fu innalzata la cupola emisferica a costoloni conclusa da lanterna
(la cupola fu completata, con alcune differenze rispetto al presunto modello
originario, da Giacomo Della Porta). Tuttavia, la concezione
michelangiolesca fu in gran parte stravolta da Carlo Maderno, che all'inizio
del XVII secolo completò la basilica con l'aggiunta di una navata longitudinale
e di un'imponente facciata sulla base delle spinte della Controriforma.
Nel 1547 morì Vittoria Colonna, poco dopo la scomparsa dell'altro amico Luigi
del Riccio: si tratta di perdite molto amare per l'artista[72]. L'anno
successivo, il 9 gennaio 1548 muore suo fratello Giovansimone Buonarroti. Il 27
agosto il Consiglio municipale di Roma propose di affidare all'artista il
restauro del ponte di Santa Maria. Nel 1549 Benedetto Varchi pubblicò a Firenze
"Due lezzioni", tenute su un sonetto di Michelangelo[72]. Nel gennaio
del 1551 alcuni documenti della cattedrale di Padova accennano a un modello di
Michelangelo per il coro[76]. La serie delle Pietà (1550-1555
circa) La Pietà Bandini La Pietà Rondanini Dal 1550 circa iniziò a
realizzare la cosiddetta Pietà dell'Opera del Duomo (dalla collocazione attuale
nel Museo dell'Opera del Duomo di Firenze), opera destinata alla sua tomba e
abbandonata dopo che l'artista frantumò, in un accesso d'ira due o tre anni più
tardi, il braccio e la gamba sinistra del Cristo, spezzando anche la mano della
Vergine. Fu in seguito Tiberio Calcagni a ricostruire il braccio e rifinire la
Maddalena lasciata dal Buonarroti allo stato di non-finito: il gruppo
costituito dal Cristo sorretto dalla Vergine, dalla Maddalena e da Nicodemo è
disposto in modo piramidale con al vertice quest'ultimo; la scultura viene
lasciata a diversi gradi di finitura con la figura del Cristo allo stadio più
avanzato. Nicodemo sarebbe un autoritratto del Buonarroti, dal cui corpo sembra
uscire la figura del Cristo: forse un riferimento alla sofferenza psicologica
che lui, profondamente religioso, portava dentro di sé in quegli anni. La
Pietà Rondanini venne definita, nell'inventario di tutte le opere rinvenute nel
suo studio dopo la morte, come: "Un'altra statua principiata per un Cristo
et un'altra figura di sopra, attaccate insieme, sbozzate e non
finite". Michelangelo nel 1561 donò la scultura al suo servitore
Antonio del Francese continuando però ad apportarvi modifiche sino alla morte;
il gruppo è costituito da parti condotte a termine, come il braccio destro di
Cristo, e da parti non finite, come il torso del Salvatore schiacciato contro
il corpo della Vergine quasi a formare un tutt'uno. Successivamente alla
scomparsa di Michelangelo, in un periodo imprecisato, questa scultura fu
trasferita nel palazzo Rondanini di Roma e da questi ha mutuato il nome.
Attualmente si trova nel Castello Sforzesco, acquistata nel 1952 dalla città di
Milano da una proprietà privata[84]. Le biografie Nel 1550 uscì la prima
edizione delle Vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori di
Giorgio Vasari che conteneva una biografia di Michelangelo, la prima scritta di
un artista vivente, in posizione conclusiva dell'opera che celebrava l'artista
come vertice di quella catena di grandi artefici che partiva da Cimabue e
Giotto, raggiungendo nella sua persona la sintesi di perfetta padronanza delle
arti (pittura, scultura e architettura) in grado non solo di rivaleggiare ma
anche di superare i mitici maestri dell'antichità[85]. Nonostante le
premesse celebrative ed encomiastiche, Michelangelo non gradì l'operazione, per
le numerose scorrettezze e soprattutto per una versione a lui non congeniale
della tormentata vicenda della tomba di Giulio II. L'artista allora in quegli
anni lavorò con un suo fedele collaboratore, Ascanio Condivi, facendo
pubblicare una nuova biografia che riportava la sua versione dei fatti (1553).
A questa attinse Vasari, oltre che in seguito a una sua diretta frequentazione
dell'artista negli ultimi anni di vita, per la seconda edizione delle Vite,
pubblicata nel 1568[85]. Queste opere alimentarono la leggenda
dell'artista, quale genio tormentato e incompreso, spinto oltre i propri limiti
dalle condizioni avverse e dalle mutevoli richieste dei committenti, ma capace
di creare opere titaniche e insuperabili[79]. Mai avvenuto fino ad allora era
poi che questa leggenda si formasse quando ancora l'interessato era in
vita[79]. Nonostante questa invidiabile posizione raggiunta dal Buonarroti in
vecchiaia, gli ultimi anni della sua esistenza sono tutt'altro che tranquilli,
animati da una grande tribolazione interiore e da riflessioni tormentate sulla
fede, la morte e la salvezza, che si trovano anche nelle sue opere (come le
Pietà) e nei suoi scritti[79]. Altri avvenimenti degli anni cinquanta Nel
1550 Michelangelo aveva terminato gli affreschi alla Cappella Paolina e nel
1552 era stato completato il Campidoglio. In quell'anno l'artista fornì anche
il disegno per la scala nel cortile del Belvedere in Vaticano. In scultura
lavorò alla Pietà e in letteratura si occupa delle proprie biografie. Nel
1554 Ignazio di Loyola dichiarò che Michelangelo aveva accettato di progettare
la nuova chiesa del Gesù a Roma, ma il proposito non ebbe seguito[76]. Nel 1555
l'elezione al soglio pontificio di Marcello II compromise la presenza
dell'artista a capo del cantiere di San Pietro, ma subito dopo venne eletto
Paolo IV, che lo confermò nell'incarico, indirizzandolo soprattutto ai lavori
alla cupola. Sempre nel 1555 morirono suo fratello Gismondo e Francesco Amadori
detto l'Urbino che lo aveva servito per ventisei anni[72]; una lettera a Vasari
di quell'anno gli dà istruzioni per il compimento del ricetto della Libreria
Laurenziana[76]. Nel settembre 1556 l'avvicinarsi dell'esercito spagnolo
indusse l'artista ad abbandonare Roma per riparare a Loreto. Mentre faceva sosta
a Spoleto venne raggiunto da un appello pontificio che lo obbligò a tornare
indietro[72]. Al 1557 risale il modello ligneo per la cupola di San Pietro e
nel 1559 fece disegni per la basilica di San Giovanni Battista dei Fiorentini,
nonché per la cappella Sforza in Santa Maria Maggiore e per la scalinata della
Biblioteca Medicea Laurenziana. Forse quell'anno avviò anche la Pietà
Rondanini[72]. Porta Pia a Roma (1560) Porta Pia Nel 1560 fece un
disegno a Caterina de' Medici per la tomba di Enrico II. Inoltre lo stesso anno
progetto la tomba di Giangiacomo de' Medici per il Duomo di Milano, eseguita
poi da Leone Leoni[72]. Verso il 1560 progettò anche la monumentale Porta
Pia, vera e propria scenografia urbana con la fronte principale verso l'interno
della città. Il portale con frontone curvilineo interrotto e inserito in un
altro triangolare è fiancheggiato da paraste scanalate, mentre sul setto
murario ai lati si aprono due finestre timpanate, con al di sopra altrettanti
mezzanini ciechi. Dal punto di vista del linguaggio architettonico,
Michelangelo manifestò uno spirito sperimentale e anticonvenzionale tanto che
si è parlato di "anticlassicismo"[86]. Santa Maria degli Angeli
(1561) Santa Maria degli Angeli; praticamente del progetto di
Michelangelo sono visibili solo le volte Ormai vecchio, Michelangelo progettò
nel 1561 una ristrutturazione della chiesa di Santa Maria degli Angeli
all'interno delle Terme di Diocleziano e dell'adiacente convento dei padri
certosini, avviati a partire dal 1562. Lo spazio della chiesa fu ottenuto con
un intervento che, dal punto di vista murario, oggi si potrebbe definire
minimale[87], con pochi setti di muro nuovi entro il grande spazio voltato del
tepidarium delle terme, aggiungendo solo un profondo presbiterio e dimostrando un
atteggiamento moderno e non distruttivo nei confronti dei resti
archeologici. La chiesa ha un insolito sviluppo trasversale, sfruttando
tre campate contigue coperte a crociera, a cui sono aggiunte due cappelle
laterali quadrate. Console dell'Accademia delle Arti del Disegno Il 31
gennaio 1563 Cosimo I de' Medici fondò, su consiglio dell'architetto aretino
Giorgio Vasari, l'Accademia e Compagnia dell'Arte del Disegno di cui viene
subito eletto console proprio il Buonarroti. Mentre la Compagnia era una sorta
di corporazione cui dovevano aderire tutti gli artisti operanti in Toscana,
l'Accademia, costituita solo dalle più eminenti personalità culturali della
corte di Cosimo, aveva finalità di tutela e supervisione sull'intera produzione
artistica del principato mediceo. Si trattava dell'ultimo, accattivante invito
rivolto a Michelangelo da parte di Cosimo per farlo tornare a Firenze, ma
ancora una volta l'artista declinò: la sua radicata fede repubblicana doveva
probabilmente renderlo incompatibile col servizio al nuovo duca
fiorentino[79]. La morte La tomba di Michelangelo in Santa Croce A
un solo anno dalla nomina, il 18 febbraio 1564, quasi ottantanovenne,
Michelangelo morì a Roma, nella sua modesta residenza di piazza Macel de' Corvi
(distrutta quando venne creato il monumento a Vittorio Emanuele II), assistito
da Tommaso de' Cavalieri. Si dice che fino a tre giorni prima avesse lavorato
alla Pietà Rondanini[79]. Pochi giorni prima, il 21 gennaio, la Congregazione
del Concilio di Trento aveva deciso di far coprire le parti "oscene"
del Giudizio universale. Nell'inventario redatto qualche giorno dopo il
decesso (19 febbraio) sono registrati pochi beni, tra cui la Pietà, due piccole
sculture di cui si ignorano le sorti (un San Pietro e un piccolo Cristo
portacroce), dieci cartoni, mentre i disegni e gli schizzi pare che fossero
stati bruciati poco prima di morire dal maestro stesso. In una cassa viene poi
ritrovato un cospicuo "tesoretto", degno di un principe, che nessuno
si sarebbe immaginato in un'abitazione tanto povera[76]. Le solenni
esequie a Firenze La morte del maestro venne particolarmente sentita a Firenze,
poiché la città non era riuscita a onorare il suo più grande artista prima
della morte, nonostante i tentativi di Cosimo. Il recupero dei suoi resti
mortali e la celebrazione di esequie solenni divenne quindi un'assoluta
priorità cittadina[88]. A pochi giorni dalla morte, suo nipote Lionardo
Buonarroti arrivò a Roma col preciso compito di recuperare la salma e
organizzarne il trasporto, un'impresa forse ingigantita dal resoconto del
Vasari nella seconda edizione delle Vite: secondo lo storico aretino i romani
si sarebbero opposti alle sue richieste, desiderando inumare l'artista nella
basilica di San Pietro, al che Lionardo avrebbe trafugato il corpo di notte e
in gran segreto prima di riprendere la strada per Firenze[89]. Appena
arrivata nella città toscana (11 marzo 1564), la bara venne portata in Santa
Croce e ispezionata secondo un complesso cerimoniale, stabilito dal
luogotenente dell'Accademia delle Arti del Disegno, Vincenzo Borghini. Si
trattò del primo atto funebre (12 marzo) che, per quanto solenne, venne presto
superato da quello del 14 luglio 1564 in San Lorenzo, patrocinato dalla casata
ducale e degno più di un principe che di un artista. L'intera basilica venne
addobbata riccamente con drappi neri e di tavole dipinte con episodi della sua
vita; al centro venne predisposto un catafalco monumentale, ornato di pitture e
sculture effimere, dalla complessa iconografia. L'orazione funebre venne
scritta e letta da Benedetto Varchi, che esaltò "le lodi, i meriti, la
vita e l'opere del divino Michelangelo Buonarroti"[89]. L'inumazione
avvenne infine in Santa Croce, in un sepolcro monumentale disegnato da Giorgio
Vasari, composto da tre figure piangenti che rappresentano la pittura, la
scultura e l'architettura[89]. I funerali di Stato suggellarono lo status
raggiunto dall'artista e furono la consacrazione definitiva del suo mito, come
artefice insuperabile, capace di raggiungere vertici creativi in qualunque
campo artistico e, più di quelli di qualunque altro, capaci di emulare l'atto
della creazione divina. Arma Stemma Blasonatura Cimiero D'azzurro a
due cotisse d'oro, e il capo d'Angiò cucito, abbassato sotto un altro capo
d'oro, caricato di una palla d'azzurro marcata di un giglio d'oro in mezzo alle
lettere L. X. per concessione di papa Leone X. Un cane uscente con un osso in
bocca. Rime Frontespizio delle Rime, edizione 1960 Un sonetto sulle
fatiche alla volta della Sistina, copiato in bella e con uno schizzo autografo
Da lui considerata come una "cosa sciocca", la sua attività poetica
si viene caratterizzando, a differenza di quella usuale nel Cinquecento
influenzata dal Petrarca, da toni energici, austeri e intensamente espressivi,
ripresi dalle poesie di Dante. I più antichi componimenti poetici datano
agli anni 1504-1505, ma è probabile che ne abbia realizzati anche in
precedenza, dato che sappiamo che molti suoi manoscritti giovanili andarono
perduti. La sua formazione poetica avvenne probabilmente sui testi di
Petrarca e Dante, conosciuti nella cerchia umanistica della corte di Lorenzo
de' Medici. I primi sonetti sono legati a vari temi collegati al suo lavoro
artistico, a volte raggiungono il grottesco con immagini e metafore bizzarre.
Successivi sono i sonetti realizzati per Vittoria Colonna e per Tommaso de'
Cavalieri; in essi Michelangelo si concentra maggiormente sul tema neoplatonico
dell'amore, sia divino sia umano, che viene tutto giocato intorno al contrasto
tra amore e morte, risolvendolo con soluzioni ora drammatiche, ora ironicamente
distaccate. Negli ultimi anni le sue rime si focalizzano maggiormente sul
tema del peccato e della salvezza individuale; qui il tono diventa amaro e a
volte angoscioso, tanto da realizzare vere e proprie visioni mistiche del
divino. «Di giorno in giorno insin da' mie prim'anni, Signor, soccorso tu
mi fusti e guida, onde l'anima mia ancor si fida di doppia aita ne' mie doppi
affanni[90].» Le rime di Michelangelo incontrarono una certa fortuna
negli Stati Uniti, nell'Ottocento, dopo la loro traduzione da parte del grande
filosofo Ralph Waldo Emerson. La tecnica scultorea di Michelangelo
Schizzo esplicativo per cavatori con blocchi e misure, Casa Buonarroti Da un
punto di vista tecnico, Michelangelo scultore, come d'altronde spesso accade
negli artisti geniali, non seguiva un processo creativo legato a regole fisse;
ma in linea di massima sono comunque tracciabili dei principi consueti o più
frequenti[91]. Innanzitutto Michelangelo fu il primo scultore che, nella
pietra, non tentò mai di colorire né di dorare alcune parti delle statue; al
colore preferiva infatti l'esaltazione del "morbido fulgore"[92]
della pietra, spesso con effetti di chiaroscuro evidenti nelle statue rimaste
prive dell'ultima finitura, con i colpi di scalpello che esaltano la
peculiarità della materia marmorea[91]. Gli unici bronzi da lui eseguiti
sono distrutti o perduti (il David De Rohan e il Giulio II benedicente);
l'esiguità del ricorso a tale materiale mostra con evidenza come egli non
amasse gli effetti "atmosferici" derivati dal modellare l'argilla.
Egli dopotutto si dichiarava artista "del levare", piuttosto che
"del mettere", cioè per lui la figura finale nasceva da un processo
di sottrazione della materia fino al nucleo del soggetto scultoreo, che era
come già "imprigionato" nel blocco di marmo. In tale materiale finito
egli trovava il brillio pacato delle superfici lisce e limpide, che erano le
più idonee per valorizzare l'epidermide delle solide muscolature dei suoi
personaggi[91]. Studi preparatori Studio per un dio fluviale nel
blocco di marmo, 1520-1525, British Museum Il procedimento tecnico con cui
Michelangelo scolpiva ci è noto da alcune tracce in studi e disegni e da qualche
testimonianza. Pare che inizialmente, secondo l'uso degli scultori
cinquecenteschi, predisponesse studi generali e particolari in forma di schizzo
e studio. Istruiva poi personalmente i cavatori con disegni (in parte ancora
esistenti) che fornissero un'idea precisa del blocco da tagliare, con misure in
cubiti fiorentini, talora arrivando a delineare la posizione della statua entro
il blocco stesso. A volte oltre ai disegni preparatori eseguiva dei modellini
in cera o argilla, cotti o no, oggetto di alcune testimonianze, seppure
indirette, e alcuni dei quali si conservano ancora oggi, sebbene nessuno sia
sicuramente documentato. Più raro è invece, pare, il ricorso a un modello nelle
dimensioni definitive, di cui resta però l'isolata testimonianza del Dio
fluviale[91]. Col passare degli anni però dovette assottigliare gli studi
preparatori in favore di un attacco immediato alla pietra mosso da idee
urgenti, suscettibili tuttavia di essere profondamente mutate nel corso del
lavoro (come nella Pietà Rondanini)[91]. Preparazione del blocco Il
Giorno, dettaglio Il Crepuscolo, dettaglio Tondo Pitti, dettaglio
Il primo intervento sul blocco uscito dalla cava avveniva con la
"cagnaccia", che smussava le superfici lisce e geometriche a seconda
dell'idea da realizzare. Pare che solo dopo questo primo appropriarsi del marmo
Michelangelo tracciasse sulla superficie resa irregolare un rudimentale segno
col carboncino che evidenziava la veduta principale (cioè frontale) dell'opera.
La tecnica tradizionale prevedeva l'uso di quadrati o rettangoli proporzionali
per riportare le misure dei modellini a quelle definitive, ma non è detto che
Michelangelo facesse tale operazione a occhio. Un altro procedimento delle fasi
iniziali dello scolpire era quello di trasformare la traccia a carboncino in
una serie di forellini che guidassero l'affondo via via che il segno a matita
scompariva[91]. Sbozzatura A questo punto aveva inizio la vera e propria
scolpitura, che intaccava il marmo a partire dalla veduta principale, lasciando
intatte le parti più sporgenti e addentrandosi man mano negli strati più
profondi. Questa operazione avveniva con un mazzuolo e con un grosso scalpello
a punta, la subbia. Esiste una preziosa testimonianza di B. de Vigenère[93],
che vide il maestro, ormai ultrasessantenne, accostarsi a un blocco in tale
fase: nonostante l'aspetto "non dei più robusti" di Michelangelo,
egli è ricordato mentre butta giù «scaglie di un durissimo marmo in un quarto
d'ora», meglio di quanto avrebbero potuto fare tre giovani scalpellini in un
tempo tre o quattro volte maggiore, e si avventa «al marmo con tale impeto e
furia, da farmi credere che tutta l'opera dovesse andare in pezzi. Con un solo
colpo spiccava scaglie grosse tre o quattro dita, e con tanta esattezza al
segno tracciato, che se avesse fatto saltar via un tantin più di marmo correva
il rischio di rovinar tutto»[91]. Sul fatto che il marmo dovesse essere
"attaccato" dalla veduta principale restano le testimonianze di
Vasari e Cellini, due devoti a Michelangelo, che insistono con convinzione sul
fatto che l'opera dovesse essere lavorata inizialmente come se fosse un
rilievo, ironizzando sul procedimento di avviare tutti i lati del blocco,
trovandosi poi a constatare come le vedute laterali e tergale non coincidano
con quella frontale, richiedendo quindi "rattoppi" con pezzi di
marmo, secondo un procedimento che «è arte da certi ciabattini, i quali la
fanno assai malamente»[94]. Sicuramente Michelangelo non usò
"rattoppamenti", ma non è da escludere che durante lo sviluppo della
veduta frontale egli non trascurasse le vedute secondarie, che ne erano diretta
conseguenza. Tale procedimento è evidente in alcune opere non finite, come i
celebri Prigioni che sembrano liberarsi dalla pietra[91]. Scolpitura e
livellatura Dopo che la subbia aveva eliminato molto materiale, si passava alla
ricerca in profondità, che avveniva tramite scalpelli dentati: Vasari ne
descrisse di due tipi, il calcagnuolo, tozzo e dotato di una tacca e due denti,
e la gradina, più fine e dotata di due tacche e tre o più denti. A giudicare
dalle tracce superstiti, Michelangelo doveva preferire la seconda, con la quale
lo scolpire procede «per tutto con gentilezza, gradinando la figura con la
proporzione de' muscoli e delle pieghe»[95]. Si tratta di quei tratteggi ben
visibili in varie opere michelangiolesche (si pensi al viso del Bambino nel
Tondo Pitti), che spesso convivono accanto a zone appena sbozzate con la subbia
o alle più semplici personalizzazioni iniziali del blocco (come nel San
Matteo)[91]. La fase successiva consisteva nella livellatura con uno
scalpello piano, che eliminava le tracce della gradina (una fase a metà
dell'opera si vede nel Giorno), a meno che tale operazione non venisse fatta
con la gradina stessa[91]. Rifinitura Appare evidente che il maestro,
nell'impazienza di vedere palpitare le forme ideate, passasse da un'operazione
all'altra, attuando contemporaneamente le diverse fasi operative. Restando
sempre evidente la logica superiore che coordinava le diverse parti, la qualità
dell'opera appariva sempre altissima, pur nei diversi livelli di finitezza,
spiegando così come il maestro potesse interrompere il lavoro quando l'opera
era ancora "non-finita", prima ancora dell'ultima fase, spesso
approntata dagli aiuti, in cui si levigava la statua con raschietti, lime,
pietra pomice e, in ultimo, batuffoli di paglia. Questa levigatura finale,
presente ad esempio nella Pietà vaticana garantiva comunque quella
straordinaria lucentezza, che si distaccava dalla granulosità delle opere dei
maestri toscani del Quattrocento[91]. Il non finito di Michelangelo
Non-finito nella Pietà Bandini Una delle questioni più difficili per la
critica, nella pur complessa opera michelangiolesca, è il nodo del non finito.
Il numero di statue lasciate incompiute dall'artista è infatti così elevato da
rendere improbabile che le uniche cause siano fattori contingenti estranei al
controllo dello scultore, rendendo alquanto probabile una sua volontà diretta e
una certa compiacenza per l'incompletezza[96]. Le spiegazioni proposte
dagli studiosi spaziano da fattori caratteriali (la continua perdita di
interesse dell'artista per le commissioni avviate) a fattori artistici
(l'incompiuto come ulteriore fattore espressivo): ecco che le opere incompiute
paiono lottare contro il materiale inerte per venire alla luce, come nel
celebre caso dei Prigioni, oppure hanno i contorni sfocati che differenziano i
piani spaziali (come nel Tondo Pitti) o ancora diventano tipi universali, senza
caratteristiche somatiche ben definite, come nel caso delle allegorie nelle
tombe medicee[96]. Alcuni hanno collegato la maggior parte degli
incompiuti a periodi di forte tormento interiore dell'artista, unito a una
costante insoddisfazione, che avrebbe potuto causare l'interruzione prematura
dei lavori. Altri si sono soffermati su motivi tecnici, legati alla particolare
tecnica scultorea dell'artista basata sul "levare" e quasi sempre
affidata all'ispirazione del momento, sempre soggetta a variazioni. Così una
volta arrivati all'interno del blocco, a una forma ottenuta cancellando via la
pietra di troppo, poteva capitare che un mutamento d'idea non fosse più
possibile allo stadio raggiunto, facendo mancare i presupposti per poter
portare avanti il lavoro (come nella Pietà Rondanini)[96]. La
personalità Lo stesso argomento in dettaglio: Aspetti psichici nell'opera
di Michelangelo. Una delle versioni del ritratto di Michelangelo di
Daniele da Volterra La leggenda dell'artista geniale ha spesso messo in seconda
luce l'uomo nella sua interezza, dotato anche di debolezze e lati oscuri.
Queste caratteristiche sono state oggetto di studi in anni recenti, che,
sfrondando l'aura divina della sua figura, hanno messo a nudo un ritratto più
veritiero e accurato di quello che emerge dalle fonti antiche, meno
accondiscendente ma sicuramente più umano[89]. Tra i difetti più evidenti
della sua personalità c'erano l'irascibilità (alcuni sono arrivati a ipotizzare
che avesse la sindrome di Asperger[97]), la permalosità, l'insoddisfazione
continua. Numerose contraddizioni animano il suo comportamento, tra cui
spiccano, per particolare forza, l'atteggiamento verso i soldi e i rapporti con
la famiglia, che sono due aspetti comunque intimamente correlati[89].
Michelangelo si autoritrasse forse come pelle senza corpo nel Giudizio universale
Sia il carteggio, sia i libri di Ricordi di Michelangelo fanno continue
allusioni ai soldi e alla loro scarsità, tanto che sembrerebbe che l'artista
vivesse e fosse morto in assoluta povertà. Gli studi di Rab Hatfield sui suoi
depositi bancari e i suoi possedimenti hanno tuttavia delineato una situazione
ben diversa, dimostrando come durante la sua esistenza egli riuscì ad
accumulare una ricchezza immensa. Basta come esempio l'inventario redatto nella
dimora di Macel de' Corvi all'indomani della sua morte: la parte iniziale del
documento sembra confermare la sua povertà, registrando due letti, qualche capo
di vestiario, alcuni oggetti di uso quotidiano, un cavallo; ma nella sua camera
da letto viene poi rinvenuto un cofanetto chiuso a chiave che, una volta aperto,
dimostra un tesoro in contanti degno di un principe. A titolo di esempio con
quel contante l'artista avrebbe potuto benissimo comprarsi un palazzo, essendo
una cifra superiore a quella sborsata in quegli anni (nel 1549) da Eleonora di
Toledo per l'acquisto di Palazzo Pitti[89]. Ne emerge quindi una figura
che, benché ricca, viveva nell'austerità spendendo con grande parsimonia e
trascurandosi fino a limiti impensabili: Condivi ricorda ad esempio come fosse
solito non togliersi gli stivali prima di andare a letto, come facevano gli
indigenti[89]. Questa marcata avarizia e l'avidità, che continuamente gli
fanno percepire in maniera distorta il proprio patrimonio, sono sicuramente
dovute a ragioni caratteriali, ma anche a motivazioni più complesse, legate al
difficile rapporto con la famiglia[96]. La penosa situazione economica dei
Buonarroti doveva averlo intimamente segnato e forse aveva come desiderio
quello di lasciar loro una cospicua eredità per risollevarne le sorti. Ma ciò è
contraddetto apparentemente dai suoi rifiuti di aiutare il padre e i fratelli,
giustificandosi con un'immaginaria mancanza di liquidi, mentre in altre
occasioni arrivava a chiedere la restituzione di somme prestate in passato,
accusandoli di vivere delle sue fatiche, se non di approfittarsi spudoratamente
della sua generosità[96]. La presunta omosessualità La tomba di
Cecchino Bracci nella basilica di Santa Maria in Aracoeli a Roma, realizzata su
disegno di Michelangelo Diversi storici[98] hanno affrontato il tema della
presunta omosessualità di Michelangelo esaminando i versi dedicati ad alcuni
uomini (Febo Dal Poggio, Gherardo Perini, Cecchino Bracci, Tommaso de'
Cavalieri). Si veda, ad esempio, il sonetto dedicato a Tommaso de' Cavalieri -
scritto nel 1534 - in cui Michelangelo denunciava l'abitudine del popolo di
vociare sui suoi rapporti amorosi: «E se 'l vulgo malvagio, isciocco e
rio, di quel che sente, altrui segna e addita, non è l'intensa voglia men
gradita, l'amor, la fede e l'onesto desìo.[99]» Sul disegno della Caduta
di Fetonte, al British Museum, Michelangelo scrisse una dedica a Tommaso de'
Cavalieri. Molti sonetti furono dedicati anche a Cecchino Bracci, di cui
Michelangelo disegnò il sepolcro nella Basilica di Santa Maria in Aracoeli. In
occasione della morte prematura di Cecchino, Buonarroti scrisse un epitaffio
(pubblicato la prima volta solo nel 1960) dalla forte ambiguità
carnale[101]: «La carne terra, e qui l'ossa mie, prive de' lor begli
occhi, e del leggiadro aspetto fan fede a quel ch'i' fu' grazia nel lecto, che
abbracciava e 'n che l'anima vive.[102]» In realtà, l'epitaffio non dice
nulla su tale presunta relazione tra i due. Del resto, gli epitaffi di
Michelangelo furono commissionati da Luigi Riccio e da questi retribuiti
mediante doni di natura gastronomica, mentre la conoscenza tra il Buonarroti e
il Bracci fu solo marginale[103]. I numerosi epitaffi scritti da
Michelangelo per Cecchino furono pubblicati postumi dal nipote, che però,
spaventato dalle implicazioni omoerotiche del testo, avrebbe modificato in più
punti il sesso del destinatario, facendone una donna[104]. Le edizioni
successive avrebbero ripreso il testo censurato, e solo l'edizione Laterza
delle Rime, nel 1960, avrebbe ristabilito la dizione originaria. Il tema
del nudo maschile in movimento è comunque centrale in tutta l'opera
michelangiolesca, tanto che è celebre la sua attitudine a rappresentare anche
le donne coi tratti spiccatamente mascolini (un esempio su tutti, le Sibille
della volta della Cappella Sistina)[100]. Non è una prova inconfutabile di
attitudini omosessuali, ma è innegabile che Michelangelo non ritrasse mai una
sua "Fornarina" o una "Violante", anzi i protagonisti della
sua arte sono sempre vigorosi individui maschili. Nel 1536 o 1538 è da
collocarsi il primo incontro con Vittoria Colonna. Nel 1539 la donna rientrò a
Roma e lì crebbe l'amicizia con Michelangelo, che la amò (almeno dal punto di
vista platonico) enormemente e su cui ebbe una grande influenza, verosimilmente
anche religiosa. A lei l'artista dedicò alcuni tra i più profondi e potenti
componimenti poetici della sua vita[100]. Il biografo Ascanio Condivi
ricordò anche come l'artista dopo la morte della donna si rammaricava di non
aver mai baciato il viso della vedova nello stesso modo in cui aveva stretto la
sua mano. Michelangelo non prese mai moglie e non sono documentate sue
relazioni amorose né con donne né con uomini. In tarda età si dedicò a
un'intensa e austera religiosità[100]. Le fonti su Michelangelo
Ritratto di Michelangelo nella seconda edizione delle Vite di Vasari
Michelangelo è l'artista che, forse più di qualunque altro, incarna il mito di
personalità geniale e versatile, capace di portare a termine imprese titaniche,
nonostante le complesse vicende personali, le sofferenze e il tormento dovuto
al difficile momento storico, fatto di sconvolgimenti politici, religiosi e
culturali. Una fama che non si è affievolita coi secoli, restando più che mai
viva anche ai giorni nostri. Se il suo ingegno e il suo talento non sono
mai stati messi in discussione, nemmeno dai più agguerriti detrattori, ciò da
solo non basta a spiegarne l'aura leggendaria, né sono sufficienti la sua
irrequietezza, o la sofferenza e la passione con cui partecipò alle vicende
della sua epoca: sono tratti che, almeno in parte, sono riscontrabili anche in
altri artisti vissuti più o meno nella sua epoca. Sicuramente il suo mito si
alimentò anche di sé stesso, nel senso che Michelangelo fu il primo e più
efficace dei suoi promotori, come emerge dalle fonti fondamentali per ricostruire
la sua biografia e la sua vicenda artistica e personale: il carteggio e le tre
biografie che lo riguardarono al suo tempo[85]. Il carteggio Nella sua
vita Michelangelo scrisse numerose lettere che in larga parte sono state
conservate in archivi e raccolte private, tra cui spicca il nucleo collezionato
dai suoi discendenti a casa Buonarroti. Il carteggio integrale di Michelangelo
è stato pubblicato nel 1965 e dal 2014 è interamente consultabile online.
Nei suoi scritti l'artista descrive spesso i propri stati d'animo e si sfoga
delle preoccupazioni e i tormenti che lo affliggono; inoltre nello scambio
epistolare approfitta spesso per riportare la propria versione dei fatti,
soprattutto quando si trova accusato o messo in cattiva luce, come nel caso dei
numerosi progetti avviati e poi abbandonati prima del completamento. Spesso si
lamenta dei committenti che gli volgono le spalle e lancia pesanti accuse
contro chi lo ostacola o lo contraddice. Quando si trova in difficoltà, come
nei momenti più oscuri della lotta con gli eredi della Rovere per il monumento
sepolcrale a Giulio II, il tono delle lettere si fa più acceso, trovando sempre
una giustificazione della propria condotta, ritagliandosi la parte di vittima
innocente e incompresa. Si può arrivare a parlare di un disegno ben preciso,
attraverso le numerose lettere, teso a scagionarlo da tutte le colpe e a
procurarsi un'aura eroica e di grande resistenza ai travagli della
vita[107]. La prima edizione delle Vite di Vasari (1550) Nel marzo del
1550, Michelangelo, quasi settantacinquenne, si vide pubblicata una sua
biografia nel volume delle Vite de' più eccellenti pittori, scultori e
architettori scritto dall'artista e storico aretino Giorgio Vasari e pubblicato
dall'editore fiorentino Lorenzo Torrentino. I due si erano conosciuti
brevemente a Roma nel 1543, ma non si era instaurato un rapporto
sufficientemente consolidato da permettere all'aretino di interrogare
Michelangelo. Si trattava della prima biografia di un artista composta quando
era ancora in vita, che lo indicava come il punto di arrivo di una progressione
dell'arte italiana che va da Cimabue, primo in grado di rompere con la
tradizione "greca", fino a lui, insuperabile artefice in grado di
rivaleggiare con i maestri antichi[85]. Nonostante le lodi l'artista non
approvò alcuni errori, dovuti alla mancata conoscenza diretta tra i due, e
soprattutto ad alcune ricostruzioni che, su temi caldi come quello della
sepoltura del papa, contraddicevano la sua versione costruita nei carteggi[107].
Vasari dopotutto pare che non avesse cercato documenti scritti, affidandosi
quasi esclusivamente ad amicizie più o meno vicine al Buonarroti, tra cui
Francesco Granacci e Giuliano Bugiardini, già suoi collaboratori, che però
esaurivano i loro contatti diretti con l'artista poco dopo dell'avvio dei
lavori alla Cappella Sistina, fino quindi al 1508 circa[108]. Se la parte sulla
giovinezza e sugli anni venti a Firenze appare quindi ben documentata, più
vaghi sono gli anni romani, fermandosi comunque al 1547, anno in cui dovette
essere completata la stesura[108]. Tra gli errori che più ferirono
Michelangelo c'erano le disinformazioni sul soggiorno presso Giulio II, con la
fuga da Roma che era stata attribuita all'epoca della volta della Cappella
Sistina, dovuta a un litigio col papa per il rifiuto a svelargli in anticipo
gli affreschi: Vasari conosceva i forti disappunti tra i due ma all'epoca ne
ignorava completamente le cause, cioè la disputa sulla penosa vicenda della
tomba[109]. La biografia di Ascanio Condivi Non è un caso che appena tre anni dopo, nel
1553, venne data alle stampe una nuova biografia di Michelangelo, opera del
pittore marchigiano Ascanio Condivi, suo discepolo e collaboratore. Il Condivi
è una figura di modesto rilievo nel panorama artistico e anche in campo
letterario, a giudicare da scritti certamente autografi come le sue lettere,
doveva essere poco portato. L'elegante prosa della Vita di Michelagnolo
Buonarroti è infatti assegnata dalla critica ad Annibale Caro, intellettuale di
spicco molto vicino ai Farnese, che ebbe almeno un ruolo di guida e
revisore[107]. Per quanto riguarda i contenuti, il diretto responsabile
dovette essere quasi certamente Michelangelo stesso, con un disegno di
autodifesa e celebrazione personale pressoché identico a quello del carteggio.
Lo scopo dell'impresa letteraria era quello espresso nella prefazione: oltre a
fare d'esempio ai giovani artisti, doveva "sopplire al difetto di quelli,
et prevenire l'ingiuria di questi altri", un chiaro riferimento agli
errori di Vasari[107]. La biografia del Condivi non è quindi scevra da
interventi selettivi e ricostruzioni di parte. Se si dilunga molto sugli anni
giovanili, essa tace ad esempio sull'apprendistato alla bottega del
Ghirlandaio, per sottolineare il carattere impellente e autodidatta del genio,
avversato dal padre e dalle circostanze. Più rapida è la rassegna degli anni
della vecchiaia, mentre il cardine del racconto riguarda la "tragedia
della sepoltura" (l'interminabile iter per la tomba di Giulio II),
ricostruita molto dettagliatamente e con una vivacità che ne fa uno dei passi
più interessanti del volume. Gli anni immediatamente precedenti all'uscita
della biografia furono infatti quelli dei rapporti più difficili con gli eredi
Della Rovere, minati da duri scontri e minacce di denuncia alle pubbliche
autorità e di richiesta degli anticipi versati, per cui è facile immaginare
quanto premesse all'artista fornire una sua versione della vicenda. Altra
pecca della biografia del Condivi è che, a parte rare eccezioni come il San
Matteo e le sculture per la Sagrestia Nuova, essa tace sui numerosi progetti
non finiti, come se con il passare degli anni il Buonarroti fosse ormai turbato
dal ricordo delle opere lasciate incompiute[108]. La seconda edizione
delle Vite di Vasari (1568) A quattro anni dalla scomparsa dell'artista e a
diciotto dal primo lavoro, Giorgio Vasari pubblicò una nuova edizione delle
Vite per l'editore Giunti, riveduta, ampliata e aggiornata. Quella di
Michelangelo in particolare era la biografia più rivisitata e la più attesa dal
pubblico, tanto da venire pubblicata anche in un libretto a parte dallo stesso
editore. Con la morte la leggenda dell'artista si era infatti ulteriormente
accresciuta e Vasari, protagonista delle esequie a Michelangelo svoltesi solennemente
a Firenze, non esita a riferirsi a lui come al "divino" artista.
Rispetto all'edizione precedente appare chiaro come in quegli anni Vasari si
sia maggiormente documentato e come abbia avuto modo di accedere a informazioni
di prima mano, grazie a un forte legame diretto che si era stabilito tra i
due. Il nuovo racconto è quindi molto più completo e verificato anche da
numerosi documenti scritti. Le lacune vennero colmate con la sua frequentazione
dell'artista negli anni del lavoro presso Giulio III (1550-1554) e con
l'appropriazione di interi brani della biografia del Condivi, un vero e proprio
"saccheggio" letterario: identici sono alcuni paragrafi e la
conclusione, senza alcuna menzione della fonte, anzi l'unica citazione del marchigiano
si ha per rinfacciargli l'omissione dell'apprendistato presso la bottega del
Ghirlandaio, fatto invece noto da documenti riportati dallo stesso
Vasari[109]. La completezza della seconda edizione è motivo di vanto per
l'aretino: "tutto quel [...] che si scriverrà al presente è la verità, né
so che nessuno l'abbi più praticato di me e che gli sia stato più amico e
servitore fedele, come n'è testimonio fino chi nol sa; né credo che ci sia
nessuno che possa mostrare maggior numero di lettere scritte da lui proprio, né
con più affetto che egli ha fatto a me". I Dialoghi romani di
Francisco de Hollanda L'opera che da alcuni storici è stata considerata
testimonianza delle idee artistiche di Michelangelo sono i Dialoghi romani
scritti da Francisco de Hollanda come completamento del suo trattato sulla
natura dell'arte De Pintura Antiga, scritto verso il 1548[110] e rimasto
inedito fino al XIX secolo. Durante il suo lungo soggiorno italiano,
prima di tornare in Portogallo, l'autore, allora giovanissimo, aveva
frequentato, intorno al 1538, Michelangelo allora impegnato nell'esecuzione del
Giudizio universale, all'interno del circolo di Vittoria Colonna. Nei Dialoghi
fa intervenire Michelangelo come personaggio a esprimere le proprie idee
estetiche confrontandosi con lo stesso de Hollanda. Tutto il trattato,
espressione dell'estetica neoplatonica, è comunque dominato dalla gigantesca
figura di Michelangelo, come figura esemplare dell'artista genio, solitario e
malinconico, investito di un dono "divino", che "crea"
secondo modelli metafisici, quasi a imitazione di Dio. Michelangelo diventò
così, nell'opera di De Hollanda e in genere nella cultura occidentale, il primo
degli artisti moderni. Caratteristiche fisiche Nel 2021 il paleopatologo
Francesco M. Galassi e l'antropologa forense Elena Varotto del FAPAB Research
Center di Avola, in Sicilia, hanno esaminato le scarpe e una pantofola
conservate a Casa Buonarroti, che la tradizione ritiene appartenute al genio
rinascimentale, ipotizzando che l'artista fosse alto circa 1 metro e 60[113]:
un dato concorde con quanto sostenuto dal Vasari, il quale nella sua biografia
dell'artista sostiene che il maestro fosse "di statura mediocre, di spalle
largo, ma ben proporzionato con tutto il resto del corpo. Opere Lo
stesso argomento in dettaglio: Opere di Michelangelo. Opere letterarie Rime di
Michelangelo Buonarroti raccolte da Michelangelo suo Nipote, in Firenze,
appresso i Giunti, 1623. Rime di Michelangelo Buonarroti il Vecchio, con il
commento di G. Biagioli, Parigi, presso l'editore in via Rameau nº 8, 1821.
Rime e lettere, precedute dalla vita dell'autore scritta da Ascanio Condivi,
Firenze, Barbèra, Le rime di Michelangelo Buonarroti, a cura di Cesare Guasti,
Le Monnier, Firenze, 1863. Le lettere di Michelangelo Buonarroti, a cura di
Gaetano Milanesi, Le Monnier, Firenze, 1875. Die Dichtungen des Michelagniolo
Buonarroti, a cura di C. Frey, Berlino, 1897 Edizioni moderne: Rime,
Prefazione di A. Castaldo, Roma, Oreste Garroni Editore, 1910. Le rime e le
lettere, precedute dalla vita di Michelangelo per Luigi Venturi, Collana
Classici Italiani, Milano, Istituto Editoriale Italiano; Milano, Bietti, 1933.
Poesie, Prefazione di Giovanni Amendola, Lanciano, Carabba, 1920. Le rime,
Prefazione e note di Foratti, Milano, R. Caddeo, 1921. Lettere e rime, per cura
di Guido Vitaletti, Torino, SEI, 1925. Le rime, Introduzione, note e cura di
Valentino Piccoli, Collezione Classici Italiani, Torino, UTET. Rime, a cura di
Gustavo Rodolfo Ceriello, Collana BUR, Rizzoli, Milano, 1954. Rime, a cura di Enzo
Noè Girardi, Laterza, Bari, 1960. Il carteggio di Michelangelo, edizione
postuma di Giovanni Poggi, a cura di Paola Barocchi e Renzo Ristori, 5 voll.,
Firenze, S.P.E.S., 1965-83. Rime, premessa, note e cura di Ettore Barelli,
Introduzione di Giovanni Testori, Milano, Rizzoli, 1975; Fabbri Editore,
1995-2001. Rime e lettere, a cura di Paola Mastrocola, UTET, Torino, 1992-2015;
De Agostini, 2015. Rime, a cura di Matteo Residori, Introduzione di Mario
Baratto, con un saggio di Thomas Mann, Collana Oscar Classici, Milano,
Mondadori, 1998. Rime, a cura di Stella Fanelli, Prefazione di Cristina
Montagnani, Garzanti, Milano, 2006. Le rime di Michelangelo, a cura di Marzio
Pieri e Luana Salvarani, La Finestra Editrice, Trento, 2006, ISBN
978-88-880-9771-8. [riproduce l'edizione delle Rime stampate a Firenze nel
1623] Rime, a cura di T. Gurrieri, Collana Classici, Firenze, Barbès. Rime, a
cura di Paolo Zaja, Collana Classici, Milano, BUR-Rizzoli, Canzoniere, a cura
di Maria Chiara Tarsi, Biblioteca di scrittori italiani, Milano, Guanda, Rime e
lettere, A cura di Antonio Corsaro e Giorgio Masi, Collezione Classici della
letteratura europea, Milano, Bompiani, 2016, ISBN 978-88-452-8291-1. Omaggi
Michelangelo è stato raffigurato sulla banconota da 10.000 lire italiane dal
1962 al 1977. Film e documentari cortometraggio - Rolla e Michelangelo di
Romolo Bacchini (1909) documentario - Michelangelo di Kurt Oertel (1938)
documentario - Il titano, storia di Michelangelo di Kurt Oertel (1950) film tv
- Vita di Michelangelo di Silverio Blasi (1964) lungometraggio - Il tormento e
l'estasi di Carol Reed (1965) documentario - Michelangelo: The Last Giant di
Tom Priestley (1966) documentario - The Secret of Michelangelo di Milton
Fruchtman (1968) film tv - La primavera di Michelangelo di Jerry London (1990)
cortometraggio - Lo sguardo di Michelangelo di Michelangelo Antonioni (2004)
documentario - The Divine Michelangelo di Tim Dunn e Stuart Elliott (2004) film
tv - Michelangelo Superstar di Wolfgang Ebert e Martin Papirowski lungometraggio
- Michelangelo - Infinito con Enrico Lo Verso (2018) film lungometraggio -
"Il peccato - Il furore di Michelangelo" di A. Konchalovsky Opere
teatrali e musicali Ferdinand Avenarius, Faust bei Michelangelo, in: Kunstwart Hugo
Ball, Die Nase des Michelangelo, Leipzig, 1911 Anita Barbiani, Michelangelo,
Sarzana, Domenico Bolognese, Michelangelo Buonarroti, Napoli, 1872 Georg Braun,
Raphael Sanzio von Urbino, Mainz, Bussotti, Nottetempo, Milano, 1976 Salvatore
Cammarano, Luigi Rolla, Trieste, 1872 Barry Cornwall, Michelangelo, in:
Dramatic Scenes and other poems, London 1857 Pietro Cossa, I Borgia, in: Teatro
in versi, Torino, Etienne Delrieu, Michel Ange, Paris, 1802 Wilhelm Dunker,
Michelangelo, Stettin, Eberlein, Michelangelo, Roma 1942 Dietrich Eckart,
Lorenzaccio, München, 1918 Konrad Falke, Michelangelo, in: Dramatische Werke,
vol. V, Zurich, 1933 Arthur Fitger, Michelangelo, Bremen, 1874 Giorgio
Giachetti, Rolla, Napoli, Paolo Giacometti, Michelangelo Buonarroti, in:
Teatro, Milano, 1874 Joseph A. Gobineau, La Renaissance, Monaco, Haecker, Die
Michelangelo Tragoedie, Berlin, 1942 Friedrich Hebbel, Michel Angelo, in:
Werke, vol. III, Berlin, 1908 Alexandru Kiritescu, Michelangelo, Bucarest, 1948
Miroslav Krleža, Michelangelo, in: Legende, Zagreb, Lafont, Michelangelo e
Rolla, trad. it. di Gottardo Calvi, Napoli, Longfellow, Michael Angelo, in: The
poetical works, Boston, 1975 Luigi Manzotti, Rolla, Roma, Nedden, Michelangelo,
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storico Giorgio Vasari tracciò un ideale percorso di rinnovamento delle arti
che partiva da Cimabue e arrivava a Michelangelo. ^ Gilberto Michelagnoli e
Filippo Michelagnoli, Michelagnoli. Storia di una famiglia., Masso delle Fate,
2021, ISBN 978-88-6039-536-8. ^ La notizia è ricordata in una nota del padre.
Nella nota è riportata la data 6 marzo 1474, la mattina «inanzi di 4 o 5 ore».
Secondo il calendario fiorentino era l'anno 1474, mentre nella notazione comune
è il 1475. Camesasca, p. 83. Alvarez Gonzáles, p. 10. ^ Forcellino,
p. 6. ^ Forcellino, Gonzáles Ascanio Condivi, Vita di Michelangelo Buonarroti,
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eccellenti pittori scultori, e architettori, apresso i Giunti, Gonzáles, p. 13.
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Condivi, cit., p. 10. Alvarez Gonzáles, p.
14. ^ Forcellino, pp. 32-33. ^ Alvarez Gonzáles, p. 32. Alvarez Gonzáles,
p. 34. ^ Alvarez Gonzáles, p. 15. ^ Forcellino, p. 43. ^ Forcellino, p. 44. ^
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Forcellino, p. 83. ^ Milena Magnano, Leonardo, collana I Geni dell'arte,
Mondadori Arte, Milano Marinazzo, Una nuova possible attribuzione a
Michelangelo. Il Volto Misterioso, in Art e Dossier, Avant Banksy et
Invader, Michel-Ange pionnier du street art dans les rues de Florence, su
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Every Day. Now a Scholar Says It Was Probably Carved by Michelangelo Himself,
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Marchini, Il ballatoio della Cupola di Santa Maria del Fiore, in
"Antichità viva. Il progetto di completamento del tamburo della cupola di
Santa Maria del Fiore, cit., pp. 28-29. ^ Il progetto di completamento del
tamburo della cupola di Santa Maria del Fiore, cit., p. 28. Adriano
Marinazzo, La Tomba di Giulio II e l'architettura dipinta della volta della
Sistina, in Art e Dossier, n. 357, 2018, pp. 46-51. Alvarez Gonzáles, p.
22. Adriano Marinazzo, Una riflessione su alcuni disegni
michelangioleschi., in Bollettino della Società di Studi Storici Fiorentini,
Gonzáles, p. 128. Baldini, p. 95. ^ Baldini, pp. 94-95. ^ De
Vecchi-Cerchiari, p. 198. Alvarez Gonzáles, p. 24. ^ Adriano Marinazzo,
Ipotesi su un disegno michelangiolesco del foglio XIII, 175 v, dell'Archivio
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Sistine Sketch, in Wall Street Journal, Gonzáles, Marinazzo, Michelangelo as
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self-portrait of the Buonarroti Archive, Critica d'Arte, Gonzáles, p. 23. ^ De
Vecchi-Cerchiari, De Vecchi-Cerchiari, p. 217. Camesasca, p. 84.
Baldini, p. 83. ^ Alvarez Gonzáles, p. 26. ^ La colonna infame di Michelangelo,
articolo sul Corriere Fiorentino (Corriere della Sera) del 6 aprile 2008. La
colonna spezzata sarebbe ancora oggi conservata nel parco del convento nella
villa Hainaux nel borgo di Ripa presso Seravezza. Nella pieve della Cappella ad
Azzano Michelangelo scolpì il rosone e forse anche un colonnato, opere perdute
durante i bombardamenti. Baldini, p.
cit. Alvarez Gonzáles, p. 27. ^ Heusinger, cit., pag. 305 Alvarez
Gonzáles, p. 29. ^
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of the encased column and what Michelangelo made of it in the Palazzo dei
Conservatori at the Campidoglio in Rome, in Annali di architettura,
Crocifissione di Viterbo Brodini, San Pietro in Vaticano, in Michelangelo
architetto a Roma, Cinisello Balsamo, Zanchettin, Il tamburo della cupola di
San Pietro, in Michelangelo architetto a Roma, Cinisello Balsamo, Tartuferi e
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Dialoghi romani, essendo stati scritti prima delle opere di Doni, Vasari, Dolce
e Condivi, risultano un fonte primaria per quel che riguarda la conoscenza di
Michelangelo. vd. Elisabetta Di Stefano, Arte e Idea. Francisco de Hollanda e
l'estetica del Cinquecento, 2004, pag. 29 ^ Il valore documentario dei
documentari Dialogos em Roma è piuttosto dibattuto: Elisabetta Di Stefano. Si
tratta della prima occorrenza del termine "creare" in rapporto
all'attività di un artista: Elisabetta Di Stefano, La libertà del Genio,
Francisco de Hollanda e la teoria della creazione artistica, in "Il
concetto di libertà nel Rinascimento" atti del convegno, Galassi ed Elena
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Ricordi et C.. Spartiti o libretti di Michelangelo Buonarroti, su International
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italiani del XV secolo Architetti rinascimentaliArtisti di scuola
fiorentinaPittori italiani del RinascimentoPoeti italiani trattanti tematiche
LGBTPersonalità celebrate nel calendario liturgico luterano[altre]. ZD_A.'V"IID
f MILANO DITTA GAETANO BRIGO LA DI G. OTTINO E C. 1883, * *. LA MENTE DI
MICHELANGELO Digitized by th Internet Archive in 2015
https://archive.org/details/lamentedimichelaOOIevi ID-A-VIID LETTI Li MENTE
MICHELANGELO MILANO DITTA GAETANO ERIGOLA DI G. OTTINO E C. 1883. PROPRIET
LETTERARIA MILANO, 1383 TIP. GOLIO.
PARTE PRIMA LA CAPPELLA SISTINA LA CAPPELLA SISIINA i. Quando Michelangelo,
dopo un lavoro indefesso di venti mesi, senza aiuto pure di chi gli macinasse i
colori (i), ab- battuti i ponti, scopri al pubblico i dipinti della vlta della
Sistina, tutta Roma accorse ad ammirare lopera meravi- gliosa. Mancava il
ritoccarla collazzurro oltremarino a seccore con oro in qualche luogo perch
paresse pi ricca. Giulio II voleva che la fornisse. Bisognerebbe pur ritoccarla
d'oro, (1) Vasari. Vita di Michelangelo.
Gaetano Milanesi nelle sue an- notazioni al Vasari (Sansoni, editore,
Firenze 1881, pag. 177) scrive: Non sintende come un artista pratico qual era il
Vasari abbia potuto scrivere che in venti mesi, ecc. M. Paride de Grassi, cameriere se- greto di
papa Giulio II, nel suo Diario, ci dice, che nel 1512 erano tut- tavia in piedi
i ponti; anzi, che nemmeno alla morte di papa Giulio, avvenuta nel 1513, la cappella
era aperta al pubblico. Non sarebbero dunque pi n venti n ventun mese, ma
quattro anni, ne quali il Buonarroti condusse a fine quella stupenda opera
della vlta della Sistina. 4 PARTE PRIMA gli disse, la sar povera. Quei che sono quivi di- pinti, rispose il
Buonarroti, furon poveri aneli essi. Cosi, aggiunge il suo diligente biografo
Ascanio Condivi, si butt in burla ed
cosi rimasta! Ma la burla, come ogni detto di quel sommo, involgeva un
pensiero profondo. I profeti, le sibille, gli esseri umani ad un tempo e divini
dipinti nella Sistina erano poveri s, ma Toro lavevano nella mente e nel cuore;
gli tutta una miniera ricca del piu
prezioso dei metalli chessi avevano nel cuore, e che lartista profuse nel suoi
dipinti, e i secoli non cesseranno di sfruttare senza esaurirla. E i secoli passarono
sulla vlta meravigliosa, ogni et l'ammir, la medit, ne scrisse. Ogni classe di
persone, ogni razza, ogni popolo vi rinvenne alcuna parte di s, un riflesso del
suo pensiero, un riverbero dellanima sua; pochi o forse nessuno, ch'io sappia,
seppero sinora abbracciarne il vasto e ardito concepimento nel suo complesso,
estrarre il metallo prezioso, il tesoro nascosto nelle cavit e nei meandri de
suoi filoni, e produrlo alla luce. II. I dipinti Michelangioleschi della
Sistina, sono tutto un poema; vasta epopea che ha riscontro con quella
Dantesca, e ne il complemento. Poema
sacro esso pure, cui hanno posto mano e cielo e terra, e sul quale si pu
scolpire, come sul frontale di quello di Dante:
Giustizia mosse il mio alto fattore, a E giustizia sociale, un alto
concepimento del diritto indi- LA CAPPELLA SISTINA. 5 viduale e umano, moveva
il suo pennello, e ispirava sulla vlta quasi un epilogo della storia dei
popoli, e ne stam- pava poscia, sopra il muro di fronte, la nuova Apocalisse
dellUniversale, Giudizio. Sinora di questo lavoro, in Italia sopratutto, non si
am- mir che la forma. Litaliano, artista innamorato delle apparenze e delle
esteriorit, rado o mai suole penetrare di una grande opera oltre la corteccia.
Indagare il signifi- cato, sviscerare il pensiero che alita sotto la forma, non
suole o non osa; non suole perch troppo spesso si pasce o si piace della magia
delle forme, e si arresta alle appa- renze; non osa, perch il pensiero fu
schiavo della paura, dei pregiudizi e delle violenze dei poteri ecclesiastici e
politici, che sinora lo tennero incatenato e schiavo. Av- venne quindi che
ognuno si strinse ad ammirare il vasto lavoro ad un punto di veduta
particolare. Cos larchi- tetto si arrest ad ammirare la struttura del claustro
mar- moreo coronato della robusta cornice architravata, e larte mirabile con
cui nella parete, interpolata da pilastri spor- genti, movesi come una corona d
insenamenti a guisa di cattedra, e nellapertura spettrale, seguendo la
simmetria dellaula, lartista la chiuse ad intervalli simulandovi get- tate
cinque grandi arcature a botte, nascenti dagli acro- teri delle cattedre
disegnate. Ne descrisse 1 ardita combi- nazione architettonica, per cui venne
lo spazio aereo diviso in nove compartimenti alternatamente uguali, e ammir
quel miracolo di fecondit, per cui in ogni lato nei vani delletere, nel vlto
dei grandi archi, nei quadrilateri cur- vilinei, negli angoli della vlta, per
tutto rifluisce e palpita la vita, e poi nellintero claustro, negli acroteri,
piedestalli, timpani, mensole, gli un
succedersi, scaglionarsi di figure 6 PARTE PRIMA diverse per forma, per et, per
misura, per carattere; tal che il sommo artista sembra aver qui convocati tutti
i po- poli, le razze, per raffigurarvi i tipi principali che rappre- sentano il
genere umano. % Il pittore poi soleva arrestarsi sbalordito a studiare la
perfezione degli scrti, la stupenda rotondit dei contorni, che accoppiano alla
forza tanta leggiadria, grazia e svel- tezza, gl ignudi in cui mostra gli
estremi e la perfezione dell arte, le attitudini bellissime e svariate, la
potenza dei lumi e delle ombre, il girare delle linee negli scrti e nella
prospettiva, le difficolt dell'arte superate, lo spiccato ri- lievo dei gruppi,
delle figure, che imprime alla pittura T energia scultoria. Tutti poi, gli
architetti, i pittori, come il volgo, che visitavano la meravigliosa cappella,
ammi- rando lespressione delle figure, le movenze, ben si avve- devano,
sentivano, che quelle figure innumerevoli erano unite da uno spirito, dominate
da un pensiero, da un con- cetto generale... Ma qual era quel concetto? Quale
lo spirito che corre su di loro, e le guida ad unopera comune, e ne forma la
unit? I teologi dell'epoca ed i critici che si succedettero, non vollero mirare
nei soggetti dipinti che la riproduzione dei soggetti biblici e religiosi, gi
da altri in tanti modi trat- tati e dipinti, cio le storie e le leggende
bibliche della creazione, del diluvio, la creazione e la caduta delluomo,
poscia i profeti e le sibille, banditori alle genti della ve- nuta del Messia,
e la progenie di Davide in attesa del Re- dentore. LA. CAPPELLA SISTINA. 7 Per
tal guisa questo dipinto non significherebbe che lannuncio e la genealogia del
Salvatore. Ma tal spiega- zione non regge, se altri si fa ad esaminare minutamente
ne suoi particolari, come nellinsieme, la volta. Infatti molti critici
osservavano, come Michelangelo abbia sempre sde- gnato, al pari dei genii
superiori, di calcare i sentieri gi battuti cos nella forma come nel pensiero.
Egli soleva dire chi si abitua a seguire
altrui, non andr mai avanti e
cantava: Io vo per vie non calpestate e
sole. Egli aprivasi vie nuove,
inesplorate ancora. Come si era creato uno stile proprio, e in esso raggiunse
la perfezione, cos interpretava in un modo proprio i grandi soggetti religiosi
e storici. E i fatti, come i personaggi biblici, gli eroi dellantico e del
nuovo Testamento erano per lui i mezzi, glistrumenti per manifestare il suo
pensiero; egli ringiovaniva i soggetti antichi, non solo di forme, ma di
pensiero; incarnava in loro le idee proprie, come accadde nel David, nel Mos,
nella stessa Piet, forme nuove cor- rispondenti alla filosofa e alla nuova
fede, alle quali si era sollevata la sua mente. Inoltre, in questo affollamento
di figure, di forme, di sim- boli che saddensano sulla volta, non rinvieni pure
un sim- bolo, una traccia del Cristianesimo ortodosso e della li- turgia
cattolica. Mentre che i teologi ripetono che rappresenta la genea- logia del
Cristo, la sua glorificazione, non trovi traccia delle storie evangeliche, non
un simbolo dei miti della Chiesa Romana. Non S. Giovanni che precede Ges, non 8
PARTE PRIMA s. Giuseppe, non Maria, non Ges bambino, non vestigia del mistero o
della leggenda della Passione. Una folla di putti incontri in ogni angolo, ma
quale di essi ricorda pure T aspetto, le movenze di Ges bambino? Come manca il
Bambino, cosi non ci ritrovi pure un cenno o episodio della vita o della morte
di Ges. Del Cristianesimo ufficiale non un'ombra; vi sfolgoreggia tutto il
mondo antico biblico, parte del mondo pagano e del moderno addombrato, epi-
logato, scolpito; del Cristianesimo, dei suoi fasti, del suo martirologio,
nessuna traccia. Ci era pur stato osservato dai coetanei. Sino dal secolo
quindicesimo si disse che i dipinti della vlta e del Giu- dizio contengono
alcuni sensi allegorici, che vengono intesi da pochi, e nei nostri tempi quel
valente artista e scrittore che fu il Giovanni Dupr, soleva dire, che il giorno
di spiegare il concetto riposto nelle opere del Buonarroti non era sorto ancora,
e il Dolci nel suo Dialogo sulla Pittura , scrive : Parrebbe che egli avesse imitato quei gran
filo- soli che nascondevano sotto il
velo di poesia, misteri grandissimi
della filosofia umana e divina, affine che
ei non fossero intesi dal volgo.... per che Michelangelo non vuol che le sue invenzioni vengano intese
se non da pochi e dotti, e non vuol
gettare ai porci le mar- gherite. Non per
al volgo che i filosofi e pensatori italiani in- tendevano celare il loro
pensiero, ma erano costretti dalla tristizia dei tempi a velarlo e
dissimularlo, per sottrarsi ai sospetti e alle persecuzioni della Curia Romana,
e ad ab- bandonarli all'avvenire. LA CAPPELLA SISTINA. 9 IV. E lavvenire non
poteva spiegarlo che alla luce della li- bert. Di questa feconda epoca del
Risorgimento, all'Italia non venne sinora concesso di studiare che il lato
esteriore; letteratura ed arti plastiche; solo in questo ultimo periodo, alla
luce delle libert rivendicate, si cominci ad indagarne il lato religioso,
politico e filosofico, ed questo tutto
un tesoro di idee e di concepimenti che giacque sinora in gran parte obliato
(1). I brevi confini che io mi sono imposto in questo saggio, non mi consentono
pur di compendiare questo lavoro filo- sofico ad un tempo e religioso, che si
and compiendo ora nelle accademie, ora nei sodalizi delle stte segrete, ora
nella vita pubblica; mi limito ad accennare alcune parti che pi si riattaccano
al mio soggetto. Serpeggiavano in Italia, sino dal principio del medio evo,
numerose le stte religiose, come quelle dei Cattari, dei Patterini, dei
Templari. A queste nel secolo decimoquarto e quinto, in sui primordi del
Rinascimento, si erano aggiunte le filosofiche. Firenze era divenuta una vasta
accademia, (l) Mi sia concesso fra questi indagatori e scrittori ricordarne due
dei pi eruditi e coraggiosi ; il Villari colla sua stupenda Vita del
Savonarola, e il suo recente e vasto lavoro sopra Macchiavelli; e il
Fiorentino, che va risuscitando col Pomponaccio e col Bruno la li- bera
filosofia italica ; a questi vorrei pure aggiungere il nome del mio amico
Berti, che mi auguro fosse meno politicante per poter conti- nuare e compiere
gli eruditi suoi lavori sui grandi del nostro Rina- scimento. io TARTE PRIMA
dove si potevano liberamente professare e discutere tutte le dottrine e tutte
le opinioni filosofiche e religiose: il Giu- daismo, la Cabala, lAvcroismo, il
Gnosticismo, il Neopla- tonismo, lo Scetticismo, 1* Umanismo politeistico, T
Epicu- reismo, e quanti sistemi possiamo immaginare, avevano in Firenze espositori
e difensori (1). Il movimento da Firenze si era diffuso a Bologna, a Padova, a
Venezia e a Milano. La stessa Roma aveva le sue accademie segrete religiose e
politiche, sino dalla prima met del XV secolo. Durante il pontificato di Pio
II, si era fondata unaccademia platonica di cui erano membri Bartolomeo
Plutino, Pomponio Leto, Agostino Campanio ed altri; accademia, che venne in ap-
prsso sciolta da Paolo II. Molti dei suoi membri, accusati come paganizzanti,
miscredenti, cospiranti a rivendicare la libert di Roma, furono imprigionati,
torturati od uccisi. Per a Firenze, sopratulto ai tempi di Lorenzo il Magni-
fico, si godeva la maggior libert; ivi la vita intellettuale si svolgeva
orgogliosa in tutte le sue splendide forme, era un rifiorimento filosofico ed
artistico che accennava a dare presto o tardi i pi rigogliosi frutti, quando
non fosse stato soffocato ne suoi primordi, insieme colle libert politiche.
Quivi convenivano Angelo Poliziano, Marsilio Ficino, Cri- stoforo Landino,
Roberto Salviati, Pico della Mirandola, Mattia Paimeri, Alamanno Rinuccini, il
Filelfo ed altri. Gli studi filosofici si confondevano coi religiosi. Si voleva
pro- vare le verit del Cristianesimo colle dottrine di Platone; (1) In Firenze,
scrive il Villari, quei dotti e lItalia iniziavano allora una nuova civilt. Per
tutto erano cattedre affollate, universit fiori- tissime,
un'attivit&incredibile di studi, ecc.
( Vita del Saconarola). LA CAPPELLA SISTINA. li coi versi di Virgilio e
dOmero erano interpretati Isaia e Salmi.
Vi si era costituita una specie di scuola o di sttai la quale ispirandosi alle
dottrine platoniche, alessandrine, non si limitava allo studio dell antichit,
ma tendeva ad eser- citare unazione riformatrice negli ordini religiosi e
sociali. Questa scuola, mentre copiava, traduceva e diffondeva con ardente zelo
i codici dellantichit classica e sacra, mirava a fondare sulle tradizioni
antiche, tutto un nuovo sistema filosofico, religioso. Non si arrestava, come
la cri- tica moderna, alla fredda disamina dei libri antichi, alla parte
archeologica e filologica, ma continuando il pensiero religioso e filosofico
dell' antichit^ lo contrapponeva agli ordini esistenti, e ne faceva unarma per
combattere la scolastica e la filosofia del medio evo. Era una critica che
demoliva, ad un tempo, il medio evo e la sua ortodossia, e cercava nelle
antiche civilt gli elementi per elevare un nuovo edificio religioso e morale.
La cattedrale medioevale pareva troppo angusta e tenebrosa alle loro menti.
Sentivano che il gran nemico dell umanit era il medio evo; conveniva svincolare
i popoli dalle sue spire per ele- varli ad orizzonti pi larghi e sereni. Cosi
Genesto Pletone si riprometteva il trionfo dei numi antichi; Marsilio Ficino
intendeva scrivere la sua grande opera sulla Teologia Pla- tonica in senso
pagano; il Landino vaticinava che prima della fine del secolo avverrebbe una
grande mutazione nella religione cristiana. Principi, filosofi, letterati,
poeti sattende- vano a prossimi rivolgimenti religiosi, chessi preparavano colle
opere, colle accademie e gli studi, e tentavano di trasci- nare in questa
tacita cospirazione, persino alcuni dei grandi pontefici del Rinascimento. Per
questi innovatori prudenti 12 PARTE PRIMA e cauti, non combattevano di fronte
la Chiesa, anzi ne pra- ticavano i riti e professavano, a parole, obbedienza e
de- vozione, ma dicevano anzi che conveniva studiare nella antichit classica e
nei sistemi filosofici di ogni popolo, quanto si accoglieva di bello, di retto
e luminoso, per meglio comprendere i dogmi cristiani. Per non si limitavano a
stu- diare le origini del Cristianesimo, nei soli dettati dei Concilii e nei
rituali e storie ecclesiastiche, ma risalivano alle fonti primitive della
Bibbia, della Cabala, della filosofa alessan- drina e dei primi padri della
Chiesa, e sopra queste basi pensavano fondare la nuova religione dellumanit, un
nuovo Cristianesimo, e diremo la Chiesa dellavvenire. Essi ave- vano iniziato
quel lavoro di ricerche e di critiche, che negli ultimi tempi condussero con
tanto successo in Germania, in Francia, in Olanda a scrutare le origini del
Cristiane- simo, studiandole nella filosofia cabalistica alessandrina e nella
teologia e nei misteri pagani; interpretavano i dogmi colle occulte dottrine
cabalistiche; dichiaravano bens di volersi attenere fedelmente alle dottrine
della Chiesa, ma nel fondo le manomettevano, le scalzavano e sostituivano ad
esse un razionalismo critico, un ecletticismo religioso. Perocch, secondo la
dottrina loro, le religioni antiche, come la mosaica e la cristiana, avevano un
doppio significato, il volgare od allegorico, e il filosofico o recondito; nel
signi- ficato volgare si discostavano le une dalle altre, nel filo- sofico si
ravvicinavano e si confondevano insieme. Capo di quella scuola era stato
Genesto di Costantinopoli, che per la sua profonda conoscenza di Platone era
appel- lato Genesto Pletone; egli era venuto in Italia al tempo del Concilio di
Firenze, convocato da Eugenio IV per la riu- nione delle chiese greca e latina.
LA CAPPELLA SISTINA. 13 Egli asseriva che, tra pochi anni, il mondo intero
abbrac- cerebbe unanime una sola e medesima religione, la quale non sarebbe n
di Cristo n di Maometto, ma non diversa dal Paganesimo, e che le prime due
religioni dovevano spe- gnersi; altra ne sorgerebbe, che diffonderebbe su tutto
il mondo il vero assoluto. Aveva fondata una societ segreta in Oriente a
propagare le sue dottrine, che i Greci venuti in Italia avevano trasportato in
Firenze e in altre citt della penisola. Il centro di questa societ e focolare
delle nuove dottrine filosofiche e religiose era Firenze, s perch qui pi nume-
rosi si raccoglievano i cultori delle lettere greche e latine, come per la
libert di cui si godeva, nonch pel genio ar- tistico del luogo, che dava forma,
vita e calore daffetto alle nuove dottrine. Negli scritti di Marsilio Ficino si
scorge un continuo sforzo per mettere daccordo Mos con Platone, Socrate con
Ges; tenta di riunire in un sistema di sapiente piet , di culto divino ,
insieme con Mos, i Profeti, Cristo, Mercurio Trismegisto, Platone, Plotino,
Zoroastro, e, come dice argu- tamente legregio Berti, in un notevole studio
sopra Pico della Mirandola, il buon
Canonico tenta di far entrare nel Duomo
di Firenze, insieme col Dio Trino dei Cristiani, le Divinit egizie, caldaiche e greche. Il Pico port alla dottrina lappoggio della
sua portentosa erudizione, del suo entusiasmo giovanile, della sua dialettica
vigorosa e del suo nome. Il conte Gioanni Pico fu alla restaurazione della
antichit biblica ci che i Giorgio, Genesto, Marsilio Ficino, Filelfo e altri,
alla filosofia alessandrina e platonica. LAntico Testamento, era nel medio evo
un libro appena noto; tutti 14 PARTE PRIMA ne -parlavano, obbedivano ad alcuni
de suoi precetti, ma a pochissimi il libro era noto. Gli eruditi del secolo
decimo- quinto cominciarono a decifrarne il testo, e la stampa do- veva poscia
-metterlo nelle mani di tutti, e farne la pietra angolare della riforma
religiosa. Alle traduzioni latine suc- cessero numerose le traduzioni italiane,
alle traduzioni si alternavano i nuovi commentari, gli studi sulle antichit
ebraiche, sulla Cabala, sulla filosofia rabinica. Tra questi eruditi e filosofi
primeggi Gioanni Pico della Mirandola; leggeva con entusiasmo e fervore quanti
codici ebraici gli capitavano nelle mani, insisteva nella necessit dello studio
della lingua Ebraica e Caldaica; in essa, egli predicava, trovarsi il
fondamento della fede e il significato dei dogmi Cristiani: sotto l'ispirazione
dei libri e della filosofia caba- listica, dett prima YEptaplo (De Septi formi
sex dierum ge~ neseos enaratione ), che dest immensa ammirazione ed elogi
sconfinati. Qui la Genesi veniva interpretata allegori- camente e secondo le
tradizioni cabalistiche associate al razionalismo mistico, che era in voga nel
secolo XV. Ma la Corte di Roma condann il libro come eretico, minac- ciando il
Pico d'esser anche arso e vituperato in eterno. Il Pico dett un'apologi del suo
libro per difenderlo dalla Curia Romano, ma in essa mentre procura di
scolparsi, rincalza di nuovi argomenti le tesi condannate da Roma. Perocch in
essa sostiene e difende la concordanza di tutte le religioni, come dei
principali sistemi di Filosofia; enumera e commenda oltre un centinaio dautori
i pi disparati fra loro. Anima elevato, cuore generosissimo, egli mira sopra-
tutto n conciliare e a riunire tutti i sistemi religiosi in una sintesi
superiore; per cui Ficino, scrivendo a Roberto Sai- viali e a Gerolamo
Renuccini, lo appella non solo il Conte LA CAPPELLA SISTINA. 15 della
Concordia, ma Duce perch egli riconcilia
Giudei coi Cristiani , i peripatetici coi platonici , i Greci coi
Latini. Il Pico dettava poscia il trattato De Ente et Uno , clic de- dic al
Poliziano. In esso si fa a dimostrare, che tanto Pla- tone come Aristotile,
consentivano nel modo dintendere; il concetto dell Uno e dellEssere, fondamento
dell' universo; dichiara l Unit al dissopra dell'Essere, e che lUno metaf-
sico fondamento dellUno aritmetico, e,
come gi aveva sostenuto il Ficino nelle sue opere, lEnte supremo essere lUnit,
e Dio essere infinito e causa di ogni cosa. Innamo- rato delle ; Sacre
Scritture le leggeva il giorno e ia notte, in esse diceva trovare una forza celeste, viva, efficace, che con meraviglioso potere converte gli
animi allamore divino. Capitava in queir epoca a Firenze il celebre
Reuchlino; questi strinse amicizia con Ficino, con Pico, e da questi ellenici ebraizzanti
trasse argomento pei suoi libri deru- dizione ebraica, e all'opera che dest si
alto rumore nel mondo religioso e scientifico, De Verbo Mirifico, la quale,
ispirandosi alla Cabala e al Zoar, si epiloga in questo con- cetto, che soli
gli Ebrei avevano sino allora avuta la co- noscenza del nome divino. In tal
modo a Firenze, culla del Rinascimento, come gi neU'antica Alessandria, si
agitano liberamente i grandi si- stemi filosofici dal Pitagorismo all'
Aristotelismo, dal Giu- daismo, dal Gnosticismo al Politeismo e Cristianesimo,'
e si tentava di fondere insieme un grande sistema filosofico e religioso.
Firenze contrappose a Roma un nuovo Cattolicismo ra- zionale, a quello
soprannaturale e mistico da lei professato; il Cattolicismo delia conciliazione
e della pace contrapposto 1G PARTE PRIMA al Cattolicismo della divisione, della
persecuzione e del- l'odio. Perocch la scienza, le lettere erano per questa
congrega di sommi, pi che uno studio arido e freddo; essa era una religione,
una fede; si prostravano innanzi ad Omero, ad Eschilo, a Platone, come a nuovi
santi. Il busto di Platone collocato in luogo eminente nell'Accademia
Fiorentina era soggetto dinni e apostrofi; alcuni proposero si chiedesse a Roma
di canonizzare il gran filosofo. Festa religiosa era il 20 novembre, giorno in
cui nacque e mori. Si adoravano i Mani di Pitagora, come gli ebraizzanti
indagavano nei Profeti, nella Cabala, la parola di un Cristianesimo innovato.
Innanzi a questa resurrezione del mondo ellenico e bi- blico, sembra eclissarsi
il mondo evangelico. I tipi cosi scolpiti e vigorosi dei Profeti e del mondo
antico, offuscano quelli sereni e mansueti, ma fiacchi e scoloriti della nuova
fede. David, come dice Michelet, tentava pi che Ges, i profeti pi dei santi.
V. in mezzo a questa atmosfera
filosofica ed artistica che crebbe Michelangelo. Accolto nella prima sua et, e
ospi- tato in casa di Lorenzo il Magnifico, dest sino dai primi giorni il pi
vivo interesse e meraviglia pel suo genio pre- coce; strinse amicizia con
Poliziano, Pico della Mirandola Ficino, e con tutta quella plejade di filosofi
e letterati che accorrevano allora a Firenze, e formavano il lustro di Casa
Medici; divenne in breve membro dellAccademia Platonica. Filosofi e poeti
ispiravano il soggetto delle sue opere darte. I sistemi pi contraddicenti, come
abbiamo accennato, si LA CAPPELLA SISTINA. 17 agitavano nel seno delle loro
scuole e si cercava conci- liarli, stringerli in una sintesi, imprimere loro
una forma; ma ci non era loro dato, s pel timore della Curia Ro- mana, sempre
minacciosa e sospettosa, che gi aveva ini- ziato il processo contro Pico della
Mirandola, accusato di eresia, come perch la nuova fede non aveva tradizioni,
radici nel cuore delle moltitudini, n simboli per parlare ai sensi delle masse.
Era ancora il segreto di pochi neo- fiti. Spetta allarte nuova concretare lidea
astratta, darle forma, vita, e creare, diremo, il nuovo simbolo. Sar que- sto
il pensiero dominante, lintento che si proporr, du- rante la sua vita
laboriosa, il Buonarroti. Concretare lidea astratta in simboli, poich mal
poteano essere compresi dai coetanei, e legarli in forme splendide e durature
al- lavvenire. Esaminiamo infatti' il sommo artista pensatore, nelle opere che
venne compiendo; esse riveleranno la fede che, professata nei suoi primi anni,
non cess di nutrire nel suo segreto, e forse ci verr dato di scoprire il
mistero della filosofia umana e divina , alla quale esse si ispirano; ed ora,
che i tempi sono maturi, svelare al popolo e al volgo quelle invenzioni , le
quali, al dire dei coetanei, non voleva che venissero intese se non che da
pochi e dotti. Indaghiamo al lume della filosofia segreta e palese del- lepoca,
quel pensiero che da gran tempo serpeggiava nel- l intimo del cuore dItalia,
quel pensiero che Alighieri av- volse, sotto il velame delti versi strani , e
che Buonarroti scolp in simboli misteriosi, e presto o tardi dovr elevarsi a
verbo vivente della nazione italiana. La mente di Michelangelo . 2 18 PARTE
PRIMA VI. Il primo lavoro al quale in questa epoca mise mano, il bassorilievo che rappresenta la battaglia
drcole col Centauro. Il Poliziano, che
molto ramava e conosceva Michelangelo di
spirito elevato, gliene propose il soggetto,
Pico della Mirandola e i Pitagorici gliene dichiararono parte a parte la favola (1). Lartista si mise a farla di mezzo rilievo, la
condusse con tale ardore che in breve l'ebbe terminata. Il soggetto di questo
lavoro per s tutto un programma.
Come noto, Ercole, secondo i Mitografi
Alessandrini, si- gnifica non solo la forza e le audaci imprese, ma la luce,
l'aria pura, la libert; significa pure la sapienza, Athene, del Dio protettrice
e amica; mentre il Centauro, nato dal commercio incestuoso di Isione e duna
nube, raffigura la barbarie, la brutalit, per cui luomo ancora immerso nella bestia. Egli significa
ad un tempo la falsa scienza ed il sofsmo. Perci noi, in quella opera, gi
vediamo adom- brato quel concetto che sotto forme diverse, verr poscia
riproducendo, cio la lotta delluomo, delleroe e della forza intelligente,
contro la forza brutale; della verit, della realt, contro la finzione che si
pasce di vento, la superstizione, il sofisma. Per questo lavoro gi tutto un programma, simbolo e profezia.
L'aveva appena condotto a termine che Lorenzo il Ma- gnifico moriva. In
quellanno stesso Ludovico il Moro (l) Condivi. Vita di Michelangelo. LA
CAPPELLA SISTINA. 19 apriva le porte dItalia allo straniero e iniziava quel pe-
riodo, disastroso allItalia, d invasioni, doppressione teo- cratica e imperiale
che, con diverse forme e vicende, doveva perdurare oltre tre secoli, e contro
cui il popolo italiano, come Ercole contro i Centauri, dovette combattere una
battaglia secolare fino allepoca nostra, per rivendicare la propria libert
contro tutti i Centauri e le Idre congiu- rate a suoi danni. Morto Lorenzo, il
Buonarroti, dindole austera e disde- gnosa, mal sopportando le insolenze e le
baldorie a cui si abbandonava Pietro, e il suo mal governo, lasci la casa de
Medici e Firenze. Vi fece ritorno un anno dopo, quando i Medici erano stati
cacciati. Frate Savonarola commoveva allora la citt, ed esaltava le menti colle
sue prediche info- cate. IUerribile frate iniziava in Italia una grande riforma,
la quale, soffocata nel germe, non pot svolgersi e produrre effetti durevoli,
ma che avrebbe potuto infondere nuova forza morale alle nostre popolazioni,
rinvigorirne gli spiriti. Gli umanisti, come Pletone, Marsilio Ficino, Pico,
Poli- ziano, Salviati, iniziavano la riforma filosofica e razionale; ma la
filosofia pu formare, educare individui, non un po- polo. La religione invece,
la quale la filosofia delle masse, pu
formare un popolo, ed il frate parlando al cuore delle moltitudini con impeto
sublime ed entusiasmo di fede, fon- dandosi sulle tradizioni pi pure ed elevate
dellantico e del nuovo Testamento, tentava risuscitare un energico sen- timento
religioso nelle masse corrotte ed ignoranti, scetti- che o superstiziose; egli
predicava in pari tempo la riforma nei costumi, negli studi, nelle arti, le
quali, divenute quasi un slazzo, una seduzione, e spesso istrumento di corru-
zione, intendeva richiamare ad alto ministero, a scopo ci- 20 PARTE PRIMA vile,
mentre poi volle dare un nuovo e disciplinato assetto alla forma governativa, e
fondare la Repubblica sulla virt dei cittadini. La parola del frate, che
penetrava nelle co- scienze popolari e commoveva i pi eletti ingegni, accese di
nobile entusiasmo il Buonarroti, che ne divenne ausiliario e seguace; egli
tenne sempre in alta venerazione il rifor- matore durante la lunga sua vita, e
ne portava seco gli scritti, che medit e fece argomento di studi e
dispirazione. Nel Savonarola sentiva alitare lo spirito dei Profeti antichi; ne
vedeva la viva immagine. Egli aperse alla sua giovine mente il concetto
religioso morale che domina lantico Te- stamento e i Profeti, come lAccademia
Platonica gli aveva rivelato il pensiero
classico e greco. Il filosofo si rinfiam- mava nel concetto religioso; Isaia
gli spiegava Platone, la Sibilla Eritrea completava la Delfica. E quasi
presentisse in Savonarola il S. Gioanni della Riforma, come lo divenne
storicamente, egli prese in quei giorni a scolpire un S. Gio- vanni, e poscia,
quasi a meglio colorire il concetto reli- gioso col politico, immaginava la
statua del David. VII. Quando prevalse il partito del Savonarola e sinstaur il
nuovo Governo repubblicano, il Consiglio a serbare pub- blica memoria della
felice mutazione (1598), aveva delibe- rato di porre nella ringhiera del
palazzo della Signoria, il gruppo di Giuditta, gi fuso in bronzo dal Donatello,
in me- moria della cacciata del Duca d Atene, ma il Buonarroti scolpi il David,
acciocch, soggiunge il Vasari: siccome David aveva difeso il suo popolo, e
governatolo con giu- stizia, cosi chi
governava quella citt dovesse animosa- LA CAPPELLA SISTINA. 21 mente difenderla e giustamente
governarla. Quale am- mirazione, anzi
entusiasmo, destasse allora quella statua veramente meravigliosa, si pu
argomentarlo da queste parole del Vasari, che non possiamo trattenerci dal
ripor- tare: questa opera ha tolto il
grido a tutte le statue mo- derne ed
antiche, greche o latine che elle si fossero... con tanta natura e bellezza la fini Michelangelo,
n mai pi si veduto un posamento s dolce, n grazia che tal
cosa pareggi... e certo chi vede questa
non deve curarsi di vedere 'altra opera
di scoltura fatta ne nostri tempi o
negli altri, da qualsiasi artefice (1).
Vili. Dante, nel suo poema, suole alternare gli esempi di sog- getto
biblico coi mitologici, mettendo a riscontro i fatti del- l'antichit classica
con quelli che si raffrontano nella sacra. Non altrimenti procede nei suoi
lavori il Buonarroti, i quali sembrano svolgersi, a chi li esamina nel loro
complesso, come un continuato poema, e formano lunit di pensiero e di intento
di questa vita virtuosissima. Alla zuffa di Ercole contro i Centauri, fa
riscontro quella di David contro Golia, ambi simboleggiano, sotto forma
diversa, un identico concetto. Durante il primo suo soggiorno a Roma, alterna
le statue del Cupido dormente e del Bacco che tiene in mano un (1) Il
collocamento del David fu in Firenze un avvenimento, e pel popolo acquist
limportanza di una data storica. Si soleva direnelle scritture, anche in quelle
che non riguardano cose darte, tanti anni dopo lerezione del David. Statua che
venne considerata come il ge- nio tutelare di Firenze. oo PARTE PRIMA grappolo
duva, col celebre gruppo della Piet, o col Tondo conservato ora nella Galleria
degli Uffizi, che rappresenta dipinta la Vergine colla Sacra famiglia, dipinto
che, come da vari scrittori venne notato, mal si saprebbe distinguere se
rappresenti un soggetto sacro od uno dellantichit pagana. Verso quell epoca
(1503) si era obbligato di scolpire dodici statue degli Apostoli per la chiesa
di Santa Maria del Fiore, ne abbozz una sola, quella di S. Matteo, que- sta
pure non finita, poi smise n volle saperne altro. Altre quindici statue di
santi aveva a lui allogate il cardi- nale Picolomini, per la sua Cappella di Siena,
ma vi ri- nunzi del pari. Sembra che il suo genio mal si piegasse a ritrarre
soggetti di santi e di sante. Austero e indipendente, nulla poteva fare che non
rispon- desse alla sua mente, alla sua intima coscienza, o all'idea ondera
dominato. Anzi, verso quellepoca, al primo e in- tenso suo ardore per larte,
vediamo succedere un periodo di noia, di sconforto e spossatezza, quale ad
intervalli suole invadere i sommi genii. Essi sentono come la realt mai
corrisponda allimpeto de loro desideri, e alle loro aspira- zioni torni inutile
lottare contro le prepotenze prevalenti e le ingiustizie sociali, si sentono
sfiduciati, e cadono d'animo sino a che lurto di nuovi eventi, l'attrito di
forti passioni, non destino nel loro cuore la scintilla che scuote e rialza.
Egli gett via mazzuolo e pennelli, si diede alla lettura dei poeti, dei
filosofi, degli oratori nostri, e prese a scrivere versi; si chiuse in s,
compreso da quella mestizia che invade gli animi austeri e forti allo
spettacolo delle grandi sventure patrie, contro le quali l individuo sentesi
impotente di lottare, e alla vista del vizio e dellingiustizia trionfanti.
Tristezza questa che fiacca, snerva e vince le anime deboli LA CAPPELLA
SISTINA. 23 e dubbiose, ma finisce per ritemprare di nuove forze gli spiriti
gagliardi, i quali sogliono rilevarsi di questo com- battimento interno pi
agguerriti e presti, a compiere opere pi eccelse. E giorni cupi e obbrobriosi
volgevano allora per V Italia. Savonarola, di cui il Buonarroti era divenuto
uno degli am- miratori e seguaci, appunto mentre egli terminava in Roma il
gruppo della Piet, per decreto del Papa, era stato arso in piazza della
Signoria in Firenze; le sciagure da lui pro- fetate' piombavano sulla nostra
patria. Gli eserciti Fran- cesi, condotti prima da Carlo Vili, poscia da Luigi
XII scorrevano vittoriosi l Italia, mettevano a ruba la Lom- bardia,
minacciavano le Repubbliche Toscane, si appa- recchiavano alla conquista di
Napoli. Alessandro VI co- priva di turpitudini Roma, suo figlio Cesare
atterriva con guerre scellerate, con tradimenti, eccidii, le Romagne e si
preparava a far peggio. Svizzeri, Tedeschi, Spa- gnuoli , Francesi, orde
selvaggie si versavano gi da ogni parte delle Alpi, scorrevano la penisola,
mettevano a ruba le citt e il contado, e quanto non potevano rubare, ar-
devano. Pareva, che la civilt rinascente, dovesse spegnersi fra barbarie le pi
tetre. Re e masnade straniere, ora amici ora divisi e schierati uno contro
laltro, ma pronti ad unirsi e accordarsi per depredare, ardere, schiacciare il
popolo, lacerare la nazione, dividerne i brani insanguinati; i signo- rotti, i
vicari pontifici in guerra fra di loro, come i Co- lonna, gli Orsini intorno a
Roma, i Baglioni, i Vitelli, i Malatesta, gli Ordelaffi nelle Romagne e nelle
Marche ; assassini essi stessi alla loro volta, traditi, trucidati, avve-
lenati ; tradimenti, assassinii perpetrati con freddo calcolo da papi, da figli
e nipoti di papi, come da principi e si- 24 PARTE PRIMA. gnorotti; il senso
morale pervertito, spento; lingannare virt quando giovava e riesciva, la vilt
era colpa quando accoppiata allastuzia falliva allo scopo. I veleni strumenti
di governo, come le frodi di religione e culto. Ed in mezzo a questa ridda
sanguinosa e tetra, campeggiare i due grandi perversi, Alessandro Papa e Cesare
Borgia. Tale lo spettacolo che offriva in questo intervallo di tempo lItalia
allo sguardo del pensatore austero e dell'artista di- sdegnoso. Non meraviglia se egli sconfortato e stanco, si
ritraesse in s chiuso nel suo pensiero per non sentire, per non vedere. L
individuo, compreso da un gagliardo senti- mento della giustizia, a fronte
della fatalit del male che trionfa* delle sventure inesorabili che percotono la
patria, delle calunnie velenose, delle ire che lo perseguitano, si sente spesso
impotente a lottare, ma allora si raccoglie in s, condensa nel silenzio le
forze, aspetta l'istante pro- pizio per prorompere, e colla mano e col pensiero
rivendi- care gli oltraggi sofferti, e rialzare il sentimento morale che i
prepotenti e i tristi avevano offeso e calpestato. IX. Moriva intanto il Borgia
(1503) e gli succedeva Giulio II della Rovere, anima deroe, chiusa e soffocata
sotto il peso della pacifica tiara. Uomo di forti e gagliardi propositi, di
vasti concepimenti, nato ad opere grandi, fu uno dei pochi capaci di apprezzare
degnamente Buonarroti; due persona- lit poderose destinate a incontrarsi nella
vita e degne di comprendersi. Salito appena sul trono pontificio, volle Mi-
chelangelo, che aveva allora ventinove anni, presso di s; sentiva come dal
sommo artista poteva venire gloria e LA CAPPELLA SISTINA. 25 splendore al
pontificato. Bench lavesse chiamato a Roma colla maggior sollecitudine, sulle
prime era dubbioso qual incarico affidargli; poi, come se egli desiderasse di
asso- ciare il suo nome a quello del grande artista, sino dai primi giorni del
suo pontificato, gli commise di disegnare ed elevare in S. Pietro un monumento
per la sua sepoltura. Intendeva egli di erigere il proprio sepolcro, o quello
dItalia che precipitava di nuovo nel servaggio e nella morte? Certo lartista
immagin tosto un monumento degno dellItalia e del genio del grande Pontefice.
Questo monumento fu il pensiero che perseguit e do- min lintiera sua vita, fu
lincubo del suo genio; si strug- geva di condurlo a termine; e la fatalit, le
circostanze ne lo allontanavano sempre. Delle quaranta statue che dovevano
ornare lavello non pot compierne che una, ma quelluna tutto un monu- mento; essa non solo
rappresenta il genio di Michelangelo, ma compendia tutto un popolo, il pensiero di molti secoli. lestremo dellidealismo, o diremo della
filosofia della storia, petrifcato in una divina realt. la forza, la virt inflessibile, locchio
luminoso e profondo che misura i se- coli, domina i popoli e le et ; la Giustizia e la Legge. Tale la statua del Mos, in essa effigi lideale dun
popolo grande, unico nella storia, lidea dun pontefice sommo; e in esso vers
intera lanima sua di scultore, di pensatore, di politico e di filosofo. Il
Buonarroti era gi corso a Carrara, e si occupava di far estrarre e trasportare
masse di marmo per erigere il sepolcro di Giulio II, quando questi mut
consiglio. Glinvidiosi del Buonarroti gli susurravano essere tristo presagio,
il farsi edificare la sepoltura in vita, e lo persua- 20 PARTE PRIMA sero che
commettesse invece allo scultore di dipingere la vlta della Sistina; i nemici
speravano cosi di sfatare l'ar- tista, levandolo dalla scoltura dove si
scopriva perfetto, e cos spingendolo a dipingere a fresco, per non aver speri-
mento nei colori, facesse opera men lodata ed avesse a riuscire da meno de suoi
emuli. * X. Infatti, quando fu dal Papa ricercato perch dipingesse la vlta,
egli ricorse ad ogni mezzo per schermirsene, anzi metteva per ci innanzi
Raffaello. Ma quanto pi egli ricu- sava, tanto pi impetuoso il Papa insisteva
incalzando. Forse mai accadde che lo Spirito Santo ispirasse cosi fe- licemente
un papa per affrettare un capo lavoro all'arte e al mondo. In questo pontefice
che sente e comprende il genio, e nell'artista, che temendo di sobbarcarsi
all'alta impresa, dubita di s e delle sue forze, si sente la lotta del genio
col proprio destino, che lo trae e finisce per imporsi inop- pugnabile alla sua
volont. questo il momento psicologico
del genio che ne deter- mina il fato. Tale fu per avventura la condizione
danimo di Dante quando pose mano al poema sacro, e che egli stesso volle
dipingerci colla mirabile precisione de suoi versi scultorii; da un lato si
strugge daffrontare lalta im- presa, dall'altro sfiduciato perde la speranza
dell' altezza, in questalternativa come
. . . . quei che disvuoi ci che volle
E per novi pensier cangia proposto,
Si die dal cominciar tutto si tolle.
LA CAPPELLA SISTINA. 27 Ma limperiosa volont del sommo pontefice fini
per pre- valere, e a lui dobbiamo, nel pi meraviglioso monumento- delia pittura
moderna, un nuovo Poema Sacro. Egli si mise tosto allopera con quellardore
impetuoso con cui soleva affrontare le ardue imprese; si rinchiuse nella
cappella, non volle n compagni n aiuti. Il Papa aveva ordinato al Bramante di
costruirgli il palco, ma es- sendo incomodo e mal disposto egli lo fece buttare
a terra e da queireccellente meccanico che era, altro ne costruisse a modo suo
(1). Erano venuti da Firenze a Roma alcuni amici suoi, pit- tori, per porgergli
aiuto ma veduto le fatiche molto
lon- tane dal desiderio suo, e non
soddisfacendogli, una mat- tina si
risolv a gettare a terra ogni cosa che avevano
fatta, e, richiusosi nella cappella, non vuoile pi nemmeno aprir loro (2) . Non si mostr pi neppure in
casa sua, immerso nel lavoro, e ne suoi pensamenti faceva tutto da s, pre-
parava le mastiche, macinava i colori, acconciava i ponti; lavorava indefesso
il giorno e la notte, e per continuare il lavoro anche nelle ore notturne,
erasi fatta una celata di cartone con cui copriva il capo piantandovi in mezzo
una candela accesa, la quale rendeva lume dove egli la- vorava senza
impedimento delle mani. Errava, a guisa di Ciclope, fra le ombre in mezzo al
palco; un pezzo di pane che teneva in tasca bastava a sfamarlo; per pi mesi si
rifiut di vedere nessuno; per quanto fosse sollecitato da amici, da artisti, da
prelati, dallo stesso Pontefice, non (1) Vasari. Vita di Michelangelo. (2)
Idem. Ibidem. 28 PARTE PRIMA volle ammettere nessuno a visitare lopera.
Cominciato il 10 maggio 1508, fu compiuto in meno di venti mesi, il 1 no-
vembre 1509 (1). XI. Questo dipinto, come accennammo, tutto un poema, e come la Divina Commedia ,
esso il Poema Sacro del po- polo
italiano. Virgilio, il grande italiano del mondo antico, fu maestro e duce
aH'Alighieri, Dante del Buonarroti. Come la Divina Commedia fu pei molti
lenimma forte, che solo nei nostri tempi trov lEdippo che ne schiar le note
oscure e sol- lev il velo che copriva i versi strani, cosi accadde di que-? sto
dipinto. Solo al tempo dato rimovere il velo che copre la divina
nudit del vero. Al pari deUAlighieri, il Buonarroti suole mostrare la pi alta
riverenza per le somme chiavi, mentre fulmina gli atti del papato che il mondo attrista Calcando i buoni e sollevando i pravi; Inferno , xix. al pari di lui alterna il
sacro e il profano, il biblico e il classico, e suole coprire con una cotale
vernice dorto- dossia immagini e simboli, che ne sono la critica pi ar- guta e
la protesta pi energica. E fu ventura che sapesse velare in tal guisa il suo
pensiero, altrimenti ci sarebbe dato (l) Ci, ripeto, secondo il Vasari: secondo
altri vi avrebbe impiegato quattranni circa. LA CAPPELLA SISTINA. 29 di
ammirare ancora questo capolavoro dellarte? Quando la Corte di Roma cominci a
penetrare il significato se- greto della terribile Allegora Dantesca , volle
proibire la lettura del poema, e il suo nome fu iscritto nel Catalogo degli
eretici (1), e i Cardinali di Bernardo e del Pogetto, le- gati apostolici in
Lombardia, vollero far disseppellire il cadavere del fiero Ghibellino, e darlo
alle fiamme. Ora che sarebbe accaduto dei dipinti della Sistina se la Chiesa
avesse potuto penetrare il pensiero ben pi ardito che si celava sotto il velo,
e si ravvolgeva sotto forme ortodosse? G. Domenico Romagnosi agli appunti che
da taluno gli venivano fatti pel suo scrivere attorcigliato, confuso e spesso
oscuro, soleva rispondere, accennando alla duplice censura politica ed
ecclesiastica, la quale sino agli ultimi tempi tarp le ali allingegno italiano noi in Italia dobbiamo far i contrabbandieri delle idee. E dal Trecento, fino a questa seconda met del
secolo nostro, i pensatori italiani furono costretti a fare i contrab- bandieri
d'idee, n poterono oltrepassare le vigilate fron- tiere del paese, che
ravvolgendole in frasi tortuose, oscure, ricorrendo alle allegorie, al gergo,
al parlare velato, come dicevano i trecentisti, e parlando per figure e per
simboli. Alcuni lampi bastano a gettar luce tra le ombre addensate sotto la
selva oscura dei simboli, delle allegorie dei loro poemi, ed a svelarne il
pensiero segreto che da secoli ser- peggia nella coscienza del popolo italiano.
(l) V. Rossetti. Amor Platonico. Commento analitico di Dante. Lettera di Dante a Can Grande, in cui
dichiara che lopera sua po- lisensa, cio
di pi sensi, luno per la lettera, laltro per le cose dalla lettera significate.
PARTE PRIMA -30 Ornai lepoca del dire avvolto e del parlare oscuro, del gergo
esoterico e dellessoterico, tramontato
in Italia e in Europa. Il sole della libert risplende dal Campidoglio e penetra
entro le penombre e oscurit del Vaticano; n dogmi n stte segrete hanno pi
misteri per la critica moderna. Invano i commentatori ortodossi vollero con
sbiadite allegorie velare il concetto politico e religioso che informa il poema
di Dante; ornai dopo i commenti del Foscolo e di Gabriele Rossetti e
altri, facile scoprire sotto il velo del
poeta ortodosso, l'eresiarca, il vigoroso riformatore politico e religioso
nellautore della Monarchia , del Convito e del Poema Sacro. In ogni tempo si
sospett del secreto senso allegorico dei dipinti del Buonarroti, del mistero
che nascondevano al- cune delle sue figure e simboli; quel mistero tempo di penetrare e svellarne apertamente il
significato; e se la spiegazione sar
molesta * Nel primo gusto, vital nutrimento
Lascer poi, quando sar digesta.
Dante, Par., xvii, 132. XII. Chi penetri la prima vlta nella cappella
Sistina, e sar- resti a contemplare il soffitto, il primo effetto da cui in- vaso,
un senso di sbalordimento, di profondit, di maest, che ci atterra e ci
sgomenta. Noi ci sentiamo sopraffatti da tanta terribilit e grandezza. Ci pare
di assistere ad uno LA CAPPELLA SISTINA. 31 dei grandi spettacoli della natura,
quando luragano si avventa dal fondo dell' Oceano, sconvolge le onde tem-
pestose, accumula fantasticamente gruppi di nuvole agitate, vaganti per
lorizzonte; o, se vuoisi, esso richiama alla nostra mente alcune delle visioni
grandiose di Ezechiele, una nuova Apocalisse di S. Giovanni; se non che le
imma- gini michelangiolesche, anzi che larve impagabili della fan- tasia,
sembrano rizzarsi innanzi ai nostri sguardi, vive, parlanti; noi vediamo, noi
tocchiamo esseri umani ad un tempore sopraumani, fantastici e reali, e la loro
voce sem- bra tuonare dallaltezza di quella volta, nel fondo dei nostri
pensieri. Chetata questa prima impressione, vinto il tumulto e la meraviglia
destata nellanima, noi cominciamo ad ammi- rare in mezzo a tanta variet di
figure e di contrasti, un ordine, unarmonia e un ritmo come allaspetto di vasta
e ordinata mole architettonica; e alla vista di quellaffolla- mento di figure
dogni et, dogni sesso, d'ogni gente, al mirare quella serie di gruppi cos
finiti e segregati, ma ad un tempo vincolati e dominati da uno spirito stesso,
infor- mati da un pensiero che li agita e congiunge, noi ci do- mandiamo, che
cosa questo? Quale il pensiero che li
com- move, quale lo spirito che passa sopra di loro? Sono storia o fantasia?
Sono idea o realt? Ed invero mentre questi di- pinti si presentano alla mente
come astrazione, idealit, gioco di fantasia, essi ci parlano, si spiegano
innanzi ai sensi, quasi come realt palpabili;
in loro una potenza di attitudini, di posamenti, di muscoli, di scrti,
che li fa vi- vere, movere, operare.
lastratto che si fece reale, lombra che divenne persona. Pure questo
complesso di cose, que- sto spettacolo che si presenta ai nostri sensi desso un 32 PARTE PRIMA passato lontano che
lartista ha evocato dal sepolcro, op- pure la divinazione del futuro? la storia ornai tramontata, od un mondo nuovo
che dovr spuntare ancora, maturare nellet lontane, e che il vate artista
profeticamente si leva ad annunciare alle genti? Sinora si ebbe una facile
risposta a questi dubbi, la quale pot quietare la curiosit del volgo, che non
va oltre dalle apparenze, ma essa non appag il pensatore e il critico. Nei nove
scompartimenti, si diceva, sono dipinte le scene principali dellantico
Testamento, il Padre Eterno, la Crea- zione delluomo e della donna, il Diluvio
Universale, e cosi via via; quanto agli altri scompartimenti cio nelle gal-
lerie, nei grandi archi, nelle mensole, negli specchi, nei pedcci, nelle sedie,
ove stanno le figure dei profeti, delle sibille, si diceva, dipinta la genealogia di Davide, la quale
aspetta e prenunzia il Redentore; e quanto al resto, alle altre figure,
rispondevano, non sono che accademie, ornati e fantasie! Come il Padre Eterno,
riprende il critico, Iddio! ma del Dio cattolico, non vi ha ombra, del suo
simbolismo, non traccia. Invece della Trinit noi vediamo un essere immenso,
tutto pensiero e forza nella sua unit, che empie di s gli spazi
immensurati. Il Redentore! ma dove desso? della sua vita, dei suoi miracoli
della sua leggenda, degli apostoli, della sua passione, della sua morte, non vi
si scorge il pi piccolo vestigio; nelle cento figure che si agilano nella vlta,
non uno dei suoi seguaci, apostoli, ado- ratori, non una delle donne che ne
accompagnarono la vita, e presenti alla passione, alla morte, ne aspettarono la
ri- surrezione; della storia posteriore del Cristianesimo non vestigio. Come
mai avrebbe voluto dipingere una Crista- logia senza il Cristo, il
Cristianesimo senza uno dei riti, LA CAPPELLA SISTINA. 33 dei simboli del nuovo
Testamento e dei fasti della nuova fede? Inoltre il Messia avrebbe dovuto recare
la promessa salute la lunga in terra
lagrimata pace ; pure nella dipinta
vlta, ove volgiamo lo sguardo, tutto
perturba- zione, sgomento, sconforto, e spesso disperazione e terrore.
Anzich la sicurt della fede nella venuta del Cristo, la se- rena pace che
doveva tener dietro alla divina incarnazione, noi vediamo le cento figure dei
profeti, delle sibille, dei po- poli diversi che compiono la vlta, dominati
tutti da una pas1 sione febbrile, commossi come da uno sgomento arcano, quasi
fossero in preda al dubbio, a terrori, e presentissero una catastrofe
imminente, e nuovi flagelli dovessero piom- bare sul genere umano e trascinarlo
in un abisso di sven- ture. Per tutto un
grido dangoscia, di morte; per tutto la tempesta dellira, la desolazione che
non ha conforto. Per qui tutto ci presenta un simbolismo, il quale non solo si
stacca da quello liturgico ed officiale, ma ne
quasi la negazione, la protesta. Negli stessi nove compartimenti di
soggetto biblico, ci sta innanzi come una nuova crea- zione, una nuova Genesi,
che dellantico Testamento non serba che qualche apparenza, del nuovo Testamento
non trovi vestigia di sorta; come nel metodo, nella forma, nel meccanismo
dell'arte, qui tutto nuovo nel
simbolismo, nelle idee, nel pensiero. A tacere dei profeti e delle sibille noi
ci incontriamo ai primi passi, in tre figure titaniche, le quali dominano colla
loro potenza tutta la scena. Sono il gruppo di Amano, quello di Giona e quello
del Serpente di bronzo. Ora quelle immagini non potrebbero in verun modo attribuirsi
alla leggenda di Ges, attaccarsi alla sua storia oa quelle del La mente eli
Michelangelo. 3 34 PARTE PRIMA Cristianesimo. Pure in queste tre figure che
rappresentano un antico simbolismo metafisico, o diremo, cabalistico, avvolto il nodo dellenimma, riposto il segreto che il pen- satore-artista
legava ai secoli futuri. XIII. Appena scoperta la vlta venne osservato dagli
artisti come dai critici, che il Buonarroti aveva adoprato il mas- simo studio,
posta ogni cura nel dipingere e far spiccare queste tre figure; esaur in esse
lestremo dellarte; ed esse, per le mosse, l perfezione delle tinte e degli
scorci, per la espressione, per le difficolt superate, possono annove- rarsi
fra i pi finiti e spiccati capolavori della pittura mo- derna. La figura d'
Amano di scrto, straordinariamente
condotta. Il tronco che ne regge la persona, il braccio che viene innanzi il
corpo abbandonato, la gamba ripiegata convulsivamente, non sono dipinti ma
vivi, rilevati e slan- ciati dal fondo, e la figura, come scrive il Vasari nel
suo entusiasmo pel divino artista, fra le difficili e belle , bel- lissima e difficilissima. Arrogi che
pensatamente e con alto intento venne da lui collocata in un angolo della
cappella, e sospesa met in una superficie e met in unaltra mentre poi a forza
di prospettiva appare tutta nel medesimo piano, ed essendo disegnata quasi in
profilo, un braccio della croce va indietro e laltro viene in fuori, si che
pare stac- cato del muro. Quale fosse la ragione filosofica di tale di-
sposizione si vedr in appresso, perocch quel sommo nulla facea per caso,
tutto in questa vlta calcolato, meditato
e simbolico. LA CAPPELLA SISTINA. 35 Ora continuiamo lesame delle altre figure
che spiccano nei triangoli dei cantoni e alle testate della vlta. Nellaltra vla
angolare che fa riscontro alla Crocifis- sione di Amano, vediamo quellaltra
meraviglia dellarte: il Serpente di bronzo.
Tu miri da un lato un affollarsi duomini, di donne, di bambini, che
guardano affascinati il Serpente, stendono verso dui le mani supplichevoli, una
madre che sorregge le braccia prostese della figliuola in- ferma e cadente
supplicando da lui la vita, la salute, la redenzione; per contro dallaltro
lato, il Serpente spiccasi dal tronco, si avventa sopra le turbe, spaventate e
fug- genti; ravvolge fra le spire tortuose uomini, donne, fan- ciulli; quale di
loro tenta fuggire, quale si schermisce col braccio, quale ravvolto, come
Laocoonte, fra le squamme dun drago immane, combatte e si sforza di
svincolarsi, quale smarrita ogni speranza, muore soffocato fra spasimi atroci.
Atti diversi di orrore, di piet, di sgomento chiudono in lontananza il quadro
spaventevole. Terza figura che levasi giganteggiando a capo della vlta, quella di Giona liberato dall Orco, la quale,
non lul- tima, come suole dirsi dai
critici, sibbene la prima, che al pari di Amano e del Serpente aprono tutto un
ordine di secoli e di simboli. questo
pure un miracolo darte : cediamo la parola al valente Vasari, che s modesto, s
accurato e grande diede allItalia una meravigliosa enciclopedia degli
artisti. Chi non ammirer e non rester
smarrito, veggendo la terribilit di Jona, ultima figura della cappella,
dove con la forza dellarte la vlta, che
per natura viene in- nanzi, girata dalla
muraglia, sospinta dallapparenza di quella
figura, che si piega inditro, apparisce diritta; e 56 PARTE PRIMA vinta dall'arte del disegno, ombre e lumi, e
pare che ve- ramente si pieghi indietro? Ben si scorge come il Profeta, dopo dura
battaglia, svin- colatosi dalle fauci dellOrco ne balza fuori trionfante, lo
sfida col guardo, mentre colla testa eretta e la figura sfol- gorante e
titanica, sembra dominare tutto il dipinto della vlta e le pareti della
cappella. XIV. Queste tre figure, che destarono in ogni tempo lammi- razione
degli artisti, furono sempre mai un mistero, un problema pel critico e pel
filosofo. Infatti, la Crocifissione di Amano,
un fatto isolato della storia biblica; e non si rannoda in verun modo n
alla genea- logia di David, n al mistero e all'epopea della redenzione. La
storia di Giona, straniera del pari alle origini del Cri- stianesimo, fu gi
considerata da molti Rabini e Padri della Chiesa, pi come mero simbolo, anzich
una storia reale; e simbolo del pari il
Serpente di bronzo. Come mai avrebbe lartista-pensatore disposto queste tre
figure a testa del dipinto, se avesse voluto significare lori- gini e i fasti
del Cristianesimo? Con quale intento le colloc nella pi chiara prospettiva?
Basterebbero queste tre figure, che sono la chiave del dipinto, a provare
quanto si appongano al vero le inter- pretazioni sinora adottate. Cerchiamo
dunque in qualche modo nel concetto simbolico e filosofico dellepoca di pene-
trare il pensiero che moveva la mano dell'artista. j Chi , chi raffigura Ama'n?
Aman, secondo i teologi e LA CAPPELLA SISTINA. 37 cabalisti, rappresenta il
genio del male; lodio, il rancore,
linvidia, la calunnia, che tenta dilaniare il giusto, e avvolge i popoli delusi
e i principi nelle reti dellinganno. Esso corrisponde forse allArimano
Persiano, ed in Persia fu scritta la storia di Ester, la cui verit storica da alcuni messa in dubbio. Inoltre Aman ,
secondo i mistici ed i gnostici, il falso Cristo, il Cristo dellerrore, della
violenza, della perversit, il quale con inganno si insinuato nel Santuario della Chiesa, e prese
il posto del Cristo verit e
giustizia e la profan, la deturp. Sopra
di lui, che il falso Croci- fsso, fu
fondata la falsa Chiesa, la quale simula il Drago della famosa allegoria
dantesca, Che per lo carro su la coda
fisse. Purg., xxxii. Trasformato cosi Vedifico santo sostituendo il falso Cristo, ir Cristo della
calunnia e dellodio a quello della verit e dell amore, ecco l artista ci
presenta nella vela angolare a sinistra, gli effetti prodotti da questa
trasforma- zione della Chiesa gi santa, in perversa. Questa allegoria identica nel pensiero e nelle immagini a
quella di Dante nel 32 del Purgatorio , la quale non allude per nessun modo
alleresia, come vogliono i commentatori ortodossi, n a Filippo il Bello; il
concetto dantesco pi vasto e pi vero;
esso dipinge in ogni verso la trasformazione e la corruzione che mut la Chiesa
santa nella profana; e qui il dipinto imita in tutto il poema dantesco con
immagine anche pi scolpita. Vi si vede il Drago o la donazione di Costantino,
il poter temporale venirne fuori 38 PARTE PRIMA A s traendo la coda maligna
Trasse del fondo, e gissen vago vago. Purg., xxxii. Il concetto, che nel
poeta rappresentato dal Drago, qui raffigurato dal Serpente di bronzo. A
destra una folla di donne, uomini, fanciulli stendono verso lui le . braccia,
credendolo il vero Cristo; ma ei si muta nel falso, che si avventa su di loro e
ne fa strage. Il serpe della salute di- venta il serpe della morte. Il suo
Vicario arde Savonarola, avvelena l'Italia, ed il pittore esclama col poeta:
Fatto ha del cimiterio mio cloaca Del sangue e della puzza... In vesta di
pastor lupi rapaci Si veggion di quass per tutti i paschi 0 difesa di Dio,
perch pur giaci? Par., xxvir. Ci che significa Jona, la cui figura titanica
intercede fra Amano e il Serpente di bronzo, lo vedremo in seguito. In- tanto
continuiamo ad esaminare dietro queste due figure del Serpente e d'Aman, le
conseguenze che scaturiranno dalla trasformazione del Cristo o dal falso
Crocifisso. Negli archi, nelle lunette, nei peducci, nei medaglioni e nelle
mensole che si svolgono dietro di loro vediamo tutto un popolo di figure, che
si seguono con attitudine e abbi- gliamenti svariati. I critici, soffermandosi
appena ad esa- minarle, le battezzavano colla facile parola di Accademie ,
Medaglioni ed Ornamenti ; ma, come nel poema dantesco non v'ha un verso che non
racchiuda unidea, cosi non una figura dipinge e scolpisce il Buonarroti, che
non incarni LA CAPPELLA SISTINA. 39 un significato, un concetto. Tutto qui simbolo e pensiero; un pensiero che si continua, si completa, e
ci confonde colla sua immensurabile grandezza, e in queste figure, non che
decorazioni e accademie , egli scolp simboleggiata in altrettante figure e
movenze la storia dei secoli. Lumanit fu delusa, tradita; si sostituito il Cristo della calunnia e
dellodio a quello della verit e dellamore. Per col vedete dietro Aman
crocifisso, re, regine, sacerdoti, che banchettano sul tradimento compiuto; qui
il serpe della salute trasformato nel drago velenoso; dietro loro svol- gonsi
gli effetti del tradimento ; V umanit, che sperava si aprisse l ra della
giustizia, il millenario del regno dei cieli, vede rovesciarsi su lei flagelli
e sciagure pi atroci; la caduta dell Impero Romano, V oscurarsi di ogni civilt,
guerre su guerre, distruzioni, rovine. Quelle vicende di secoli tetri, di
furori bestiali, sono raffigurate dalle forme strane, arruffate, sconvolte e
atterrite, che si succedono, e aggrappansi negli archi, nelle lunette, negli
zoccoli dietro le figure di Amano e del Serpente. Anzi con profondo calcolo
egli collocava, cme vedemmo, quelle due figure, mezze in una prospettiva, mezze
in un altra, mentre sembrano disposte in un medesimo piano, quasi a significare
come la ingiustizia del mondo antico, le violenze, gli errori del Paganesimo,
che si dissero interrotti, si sono continuati ancora nei secoli cristiani. ancora il Paganesimo in cui domina la forza
brutale, che si continua nell et nuova; non
il nuovo ordine che succeduto
allantico, ma il male perdura e il danno e il servaggio. Egli anzich ri- trarre
unra di pace e di redenzione, ci presenta con ca- ratteri strazianti quale una
scena dell inferno, i patimenti moderni, le sofferenze, le crudelt inflitte ai
popoli. 40 PARTE PRIMA Qui vedi dipinta una donna che tiene in mano uno spec-
chio, e vi mira raccapricciando le scene dorrore che si avvicendano, e sarretra
spaventata; col un'altra gira nel- larcolaio lo stame della vita e della morte;
altra, levato sul culmine dellarco lo sguardo immoto e fisso, mira il fiotto della
sciagura avanzarsi mugghiando intorno, e in- vano attende un raggio di salute;
questa tiene in mano il cranio del suo figliuolo e ride impazzata;... questi
afferra il suo bordone di pellegrino e percorre la terra quasi cer- cando una
patria che gli negata; per tutto nei
mezzo- tondi, negli spicchi semicircolari si seguono altre figure in atto di
chi, affranto dalla fatica e dal cammino, si getta entro una fossa, altri pure
cammina sempre sempre in- stancabile e appena trova una pietra ove riposi il
capo; altri geme, si copre il volto per terrore e dispera; per tutto domina una
voce che grida sconforto, delusione, pianto ed oppressura! Tuttavolta in ogni
parte, in ogni gruppo miri un fanciullo staccarsi, spiccare e agitarsi; ecco
qui nasce, l vagisce in fasce, altrove
sollevato sulle braccia della madre, si dibatte, cresce, corre;
egli lumanit che si rinnova, si
rifeconda, si innalza e ci ricorda le parole del profeta: Nulla
consumato ancora. Spera e attendi; il giorno della redenzione ha da
venire, la giustizia matura; Dio e i profeti non hanno mentito! XV. E la
salute, la redenzione comincia da Giona.
questa la seconda parte del poema simbolico, di cui il Giudizio
Universale sar la terza, abbracciando cosi tutta la storia moderna e formando
come la palingenesi del Cristianesimo. LA CAPPELLA SISTINA. 41 Giona, dall
artista collocato alla testa della volta,
il prototipo di questa seconda parte, come il Cristo, un Cristo trasformato,
un Cristo-popolo, sar leroe della terza o del Giudizio. Giona, nel simbolismo
cristiano come nel rabinico, rap- presenta lUmanit che si svincola dalle spire
dellidola- tria, dellerrore, o dal ventre del Drago ove stava sepolto; dal
fondo degli abissi ove lo sommersero per elevarsi al Dio di verit e di
giustizia. E il sommo artista dipinge Giona nel momento in cui con sforzo
immane prorompe fuori impetuoso dal ventre dellOrco, il quale pi tenace, si
affatica ancora di trattenerlo e addentrarlo nel fianco, e slanciasi dalle
tenebre dellabisso alla luce distesa del cielo aperto. Egli tiene ancora
congiunte ambe le braccia, con cui si sgrupp dal mostro; solleva il dito
pollice come in atto di proclamare lunit divina; dietro di lui si leva e spicca
la testa di una donna bellissima, composta, serena e forte ad un tempo, donna,
che noi vedremo ripetuta in seguito sotto le stesse sembianze nella vlta, come
nella parete del Giudizio, e raffigura la nuova Chiesa e il Cri- stianesimo
futuro. Dietro Giona, nei vani dei nove compartimenti, si spie- gano dipinti i
fatti biblici, o il primo periodo dellumanit liberata dall incubo dell'
idolatria. questa come una se- conda
genesi, una nuova creazione, forse ispirata dalle idee mistiche e filosofiche
svolte dal suo maestro Pico nell ' He- ptaptas (1). Nel primo vano della
testata di sopra si vede ritta, li- (l) Pico, Heptaptas de septi formi sex
dierunt genesos enaratione. 42 PARTE PRIMA brata in aria la figura colossale
dun gigante in sembianza duomo, il quale, prostese le braccia in alto, separa
la luce dalle tenebre; poi lAdamo ricreato, e il maligno volto in fuga; la
donna, che con atto damore, al soffio creatore, levasi umilmente altera e in
uno spontaneo impeto daspira- zione, quasi si prostende e inchina innanzi
allEterno; e via via negli altri compartimenti alcune scene dell antico Testamento.
Poscia, frapposte ai nove compartimenti so- pra le lunette tra pilastro e
pilastro, quasi nel secondo cerchio di quella mole architettonica sopra quella
turba di angosciati e di sconfortati, posano e stanno a sedere nelle cattedre
del claustro i profeti e le sibille. I giganti della Bibbia e della poesia
classica, dice Gastelar, non sono cosi alti come questi profeti; sono uomini
si, ma uomini, che portano con s i dolori e le speranze di tutti i tempi, di
tutti i popoli; questi esseri giganteschi, straordinari, che, come immaginarono
le varie cosmogonie, sembrano pro- rompessero fuori dal seno del nostro pianeta
appena creato, dominano colle loro pose agitate insieme e maestose tutta la
scena, a quel modo che la loro parola si diffonde sopra le et e le governa e
guida. Primo fra questi sta Geremia.' Dolore senza conforto siede sulla sua
fronte. Invano, sembra dire, fummo redenti, lingiustizia regna pi sempre sulla
terra; inutile ornai lottare, vietata ne pure la parola, le lagrime sono ri^ stagnate
nelle pupille immote, si chiude colla destra la bocca per non tradire il
segreto del suo dolore/ e la sini- stra mano casca abbandonata sulle ginocchia;
ma bella e raggiante si leva a tergo la figura della Chiesa futura che vedemmo
risplendere dietro Giona. Spera, sembra
dire, non tutto finito. Ezechielle si agita impetuoso sul suo LA
CAPPELLA SISTINA. 43 seggio; lingiustizia dunque regner eterna sulla faccia
della terra? La dirittura non sar mai che trionfi? I figli sono dunque
risponsabili delle colpe paterne (1).. Se la giustizia esiste, perch il
giusto sempre perseguitato e soccombe?
Questo il problema che va scrutando nellampio volume che tiene nelle mani
convulse; e un fanciullo, che scuote colle mani una face, sta sulle mosse e
sembra dire : Allavve- nire la
risposta. E il fanciullo oltrepassando
il profeta Joel arriva alla sibilla Eritrea. Gi la lampada della spe- ranza sta
per ispegnersi innanzi alla divina profetessa stanca di leggere e daspettare;
la notte cade e s addensa intorno ad essa, la fede vien manco, il fanciullo o
lumanit che si rinnovella, passa, riaccende la lampada che conti- nua a
splendere e rompe le ombre della notte; e nei due angoli pi vicini allEritrea,
dove si confondono le due vele, che fanno riscontro a quelle, che alla testa
dellen- trata rappresentano il falso Cristo e la delusione del Ser- pente di
bronzo, ecco due composizioni, le quali aprono lepoca della redenzione vera. Da
un lato miri David, che uccide il Gigante; dallaltro Giuditta, che rappresenta
la Giudea , la quale tronca il capo ad Oloferne ed all idola- tria; luno
simboleggiante la libert politica, la indipen- denza nazionale dal giogo
straniero, laltra la vittoria del pensiero e della coscienza liberati dal mito,
o dallidola- tria; da essi si inizi la nuova palingenesi religiosa e so- ciale.
Zaccaria, il quale nellaltra estremit della vlta fa ri- scontro a Giona,
medita, assorto nella lettura dun libro, il (l) Y. Ezgchielle. Cap. xviii, 44
PARTE FRIMA disegno, la mole e struttura del nuovo tempio che dovr elevarsi;
due fanciulli da tergo, si chinano a leggere, a notare e pendono dalle sue
parole. Nel mezzo arco di sotto a destra un vecchio, coperto il capo del
berretto frigio: Va, dice al fanciullo,
lora tua venuta, lora doperare! A sinistra un altro vecchio, solleva il
fanciullo sulle braccia e sembra dire al
fine sei nato, a te spetta aprire i giorni della libert e della giustizia. In mezzo alle due sibille, la Delfica e la
Gumea, quella sempre giovane e bellissima, questa austera, pensierosa, solcato
il volto da rughe profonde, sorge ispirato, Isaia. Per tal modo sem- pre si
afferma il concetto della conciliazione dei popoli, lo spirito umanitario,
universale del secolo decimosesto, il pensiero- del Rinascimento, che pone alla
stessa altezza i profeti e le sibille messe a canto a loro, annunziatrici delle
stesse verit; Isaia, la Delfica, la Cumea, ossiano la Grecia, l Italia, la
Giudea, congiunte in un pensiero che, rappresentando lumanit, innalzano lo
stesso cantico di speranze al cielo. E il profeta dIsrael, levando il brac-
cio, vaticina ai secoli i giorni di libert, di fratellanza e pace. Ma quei
giorni son lontani ancora. Qui vedi negli spicchi sopra le ogive dei mezzi
archi, uno schiavo africano incatenato; disotto Aza, la quale, cinto il capo
dal turbante siriaco, rappresentante la Giudea, ovvero l'umanit esule,
oppressa, abbandonate le braccia, sta distesa sul sepolcro ira il vecchio padre
e il fanciullo, e guarda, e geme, ed aspetta. A fianco siede Daniele, il cui
nome significa Giu- stizia o Giustizia di Dio , che, alta la fronte, irti e
agitati i capelli, come dal turbine della profezia che passa, scrive e scrive;
ha gi pieno un volume, che il puttino regge sul capo; pure il Profeta continua
a scrivere e notare... Che cosa LA CAPPELLA SISTINA. 45 scrive? Raccoglie le
parole dei secoli? o ne segna sul libro il giudizio? Sotto di lui, negli
spicchi semicircolari, unaltra figura nota anche essa e scrive; unaltra volge
nellarco- laio rapido il filo dellet, e una figura cupa, avvolta nella tonaca
orientale, affila nel silenzio il coltello nascosto, quasi attendesse il giorno
della vendetta e del giudizio univer^ sale. Perocch il giudizio universale deve
precedere lor- dine morale che ha da sorgere; conviene spazzare il ter- reno
dalle tristi macerie dun passato ingannevole e funesto', per aprire poscia il
nuovo tempio della verit, della fra- tellanza e della pace. > XVI. .. . . .
... E trentanni erano corsi dal di, in cui termin i dipinti della vlta a quello
in cui pose mano al grande affresco del Giudizio Universale (dal 1507 al
1533-34). Egli aveva veduto in questo intervallo di tempo, tutto un edificio
scosso dalle fondamenta crollare, e sorgere un nuovo ordine di cose e
trasformarsi religioni, istituzioni e popoli. Quanto egli aveva amato, idoleggiato
da giovane, si era corrotto, pervertito, ed egli doveva assistere alla sua
rovina e pronunziarne il giu- dizio. Mentre in Europa tutto tendeva a
rinnovellarsi di leggi, di costumi, di religione, lItalia ripiombava nelle te-*
nebri del servaggio, e, uscita appena dalla notte del medio evo, quando
cominciava a salutare il crepuscolo del Rina- scimento, re, imperatori,
pontefici, popoli, tutti cospiranti a suoi danni, si gettavano su di lei, la
facevano a brani, schiacciavano le libert de suoi Comuni, lindipendenza de suoi
Stati, il rinnovamento, le riforme della Chiesa, e la ri- sospingevano in un
servaggio pi cupo dellantico, pi tetro del medio evo. 46 PARTE PRIMA Egli vide
lItalia percorsa, depredata, lacerata da orde straniere; gi opulente per
industrie, per ricchezze, grande per intelligenze e per arti, ma al solito
fiacca, debole, cor- rotta da una civilt precoce e imbelle; divisa e lacerata
da piccole invidie e ire insane, essa cade facile preda delle compatte
nazionalit, che sotto le forti monarchie sanda- vano ordinando in Europa;
eserciti stranieri scendevano d oltre Alpi a dividere le sue spoglie; essa
divenne il campo di battaglia aperto alle ire, alle gelosie, alle am- bizioni
della Francia, della Spagna, della Germania e del- lAustria, aperta alla ingordigia
di tutti i conquistatori stranieri, a tutti soggetta e preda. Michelangelo vide
il pontefice da lui pi pregiato e amato, Giulio II, portare il colpo mortale a
Venezia colla lega di Cambray; vide poscia, col pretesto o il vanto di voler
libe- rare lItalia dagli stranieri, gettarla preda ai Tedeschi, ai Francesi,
agli Spagnuoli, agli Svizzeri; vide altri pontefici parricidi aizzare principi
e predoni stranieri contro la sua patria, Firenze espugnata, disertata e
schiava, e cadere a mano a mano con lei le Repubbliche di Siena e delle Ro-
magne; mir con orrore il sacco spaventevole di Brescia, di Vicenza, di Milano,
di Prato e infine quello di Roma, e Clemente VII incoronando a Bologna Carlo V
stringere e intrecciare la spada col triregno, e consacrare per secoli la
servit dItalia. Vide per contro la riforma religiosa pre- sentita, annunziata
dal suo maestro Savonarola, nascere, crescere e prorompere impetuosa nella
Germania, scuotere la Scandinavia, la Svizzera e lInghilterra, e svellere met
d'Europa dal grembo della Chiesa di Roma; le guerre politiche rese pi feroci
dalle passioni religiose. Mentre che i popoli cristiani si lacerano tra loro l
Islamismo si LA CAPPELLA SISTINA. 47 avanza, Solimano percorre saccheggiando
lUngheria, e minaccia Vienna, e, colle sue scorrerie, getta lo spavento su
Napoli, sulle isole e sulle coste italiane. Allo spirito riformatore, che
commoveva lEuropa, rispon- devano le molte sette antipapali, che mai si erano
potuto domare in Italia, e alle scuole filosofiche venivano ad ag- giungersi le
sette di riforme religiose, i Paterini, i Soci- niani od Unitari, i Luterani.
La Corte di Roma, appoggiata dalla Spagna, dai piccoli principi, dal braccio
secolare, sguinzagliava, sulle terre e citt italiane branchi d'assas- sini, di
delatori, di sgherri. Le carceri riboccavano di so- spetti deresia ; si
vuotavano per alimentare le fiamme dei roghi, ove ardevano filosofi ed eretici.
Il dominio, che non poteva sostenersi colla ragione e colla fede, veniva pun-
tellandosi sulla punta della spada, imponendosi coi terrori, col ferro e coi
roghi. Tutto ci sentiva, mirava e notava il Buonarroti. Edu- cato alle dottrine
dei filosofi, discepolo del Savonarola, sentiva nel fondo del cuore la riforma
religiosa e morale, suprema salute dItalia, la quale dalla superstizione,
.dalla falsit, dallerrore, era caduta nella corruttela e da questa precipitava
nel servaggio e nella rovina. Sdegnoso, chiuso in s, egli non poteva favellare,
n aprire il suo pensiero. Quel cumulo di sciagure piombate sulla patria, quei
vitu- peri, quelle codardie, quei delitti, avevano condensata nel fondo
dellanima sua fiera e disdegnosa, una tempesta di dolori, di ire, di passioni
gagliarde e feconde, e quel di- sdegno, quelle passioni a lungo rinchiuse e
soffocate nel profondo del cuore, ei vers collimpeto del suo grande animo nel
sublime dipinto del Giudizio Universale. 48 PARTE PRIMA XVII. La volta della
cappella Sistina fa appellata un presenti- mento: qui dipinse un nuovo mondo
messiaco, invano a lungo atteso, e quale, dopo i profeti, avevano idoleggiato e
annunziato i Gioachim da Flora, i Giovanni di Parma, i Re* nuccini, i seguaci
dell 'Evangelo Eterno , nunzi di un nuovo Cristianesimo. Nel Giudizio
universale segna la sentenza e la condanna del falso Cristianesimo, e il preludio
della catastrofe e della sua caduta. Conveniva loro sfolgorare la falsit, il
sofisma, lipocrisia, spazzare la terra dalle loro immonde macerie, per aprire i
tempi della nuova religione evangelica, o meglio per ri- fecondare e condurre a
maturanza quei germi ricchi e feraci, che lantica racchiudeva ancora nel seno,
e che non poterono andar del tutto dispersi e spegnersi. Giovinetto, aveva il
Buonarroti scolpita la battaglia di Ercole contro i Centauri; vecchio, sapr
suscitare un Ercole pi santo; evocare un Apollo pi sfolgorante che sorge a
giudicare i vivi e i morti, e lo effigia terribile l nel Vaticano, per
pronunciarne innanzi ai secoli l'alto giudizio. Il Giudizio Universale fu
terminato e scoperto il 25 di- cembre 1541, il giorno di Natale, ed era un
nuovo Cristo infatti che, non in un villaggio umile ed ignoto, ma in Roma, ma
nella capitale del mondo cattolico, veniva alla luce del giorno. E questo
Cristo gigantesco, che si vede l campeg- giare nel vasto affresco, gi un Cristo trasformato, quale non era mai
stato n concepito, n veduto, e quale non altri che quellanima invitta di
Buonarroti avrebbe potuto immaginare, accogliere e imprimere. In quella folla
di put- LA CAPPELLA SISTINA. 49 tini, che egli aveva sparsi e dipinti nella
vlta, pi non ve- diamo traccia del buon bambino Ges. Essi non sono flosci*
"f leziosi e slavati, ma vigorosi, audaci, riboccanti di vita; sono tutti
membruti, ora frementi di inquietudine, ora in un vior lento riposo e avidi del
pari dazione; tutti sono come usciti da uno stampo; ed ormai quei bambini e
quegli adolescenti sono cresciuti, sono uomini, divennero giganti, e li miri
ef- figiati e raccolti nel nuovo Cristo. Qui non pi traccia del Ges mansueto,
umile, sereno della liturgia, non pi i tratti nazareni idoleggiati dalla Chiesa
Greca o Latina, non pi le forme raggianti e placide che ritrassero i Giotto, i
Gian Bellino, i Perugino; egli ti presenta lenergia dun Giove irato o drcole
che abbatte il Centauro; ha la nobile fierezza fieli Apollo del Belvedere, che
scende a saettare il Serpente; ha la terribilit di Mos che spezza le tavole
della legge. Egli ha vedute le violenze dei forti, mir le turpitudini, 1q
ingiustizie, le frodi degli ipocriti che tradiscono la fede, ha ascoltato e
raccolto i gemiti, le querimonie de deboli, le proteste degli oppressi. I
clamori de popoli e degli individui torturati nelle prigioni, conculcati, arsi
su roghi, salirono sino a lui; egli si solleva nella sua forza, egli
riparatore, egli scudo, egli giudice. il
nume antico proclamato dalla legge, vaticinato dai profeti, atteso dai
derelitti e dai mi- seri; il suo nome
Giustizia (1). (l) Tra i molti errori e le menzogne che si sono diffuse
intorno a Jeova o il Divino idoleggiato dagli Ebrei, suole ripetersi che esso
sia il Dio dellodio, della vendetta, e per fu contrapposto a Satana, ed ora,
con errore piu stolto, fu confuso con Satana. Jeova, nel suo si- gnificato
filosofico e metafisico, vuol dire l'Essere assoluto, fonda- mento del tutto;
in questa voce contenuto tutto lo
spazio, tutto il La mente di Michelangelo. 4 50 PARTE PRIMA Tutto, dice
Tertulliano, matura nei secoli, anche la Giu- stizia; e quel gigante che
miriamo sopra la vlta tra Joel ed Ezechielle, posato sopra un cesto di frutta
ancora acerbe, la Giustizia che si
matura nei secoli, si nutre nelle ansie, si fortifica nei tormenti dei popoli,
e poi s'innalza possente, come il Cristo, a chiamare a giudizio inesorabile
pontefici, e imperatori, popoli e plebi. Egli si leva in forma colossale in
mezzo al dipinto ; sem- bra col capo attingere ai cieli, e la terra gli sgabello ai piedi; i capelli abbandonati ai
venti, il fronte accigliato, maestosamente severo, l' una mano levata in atto
di male- dire, l'altra in atto di chi respinge con orrore colui che gli si vede
primo presentarsi innanzi, tutto in lui
severit, forza ed ira. Dietro a lui siede, e quasi si nasconde, la Ma-
donna. Quanto mutata dalla Vergine delle liturgie, la Regina dei cieli; quanto
diversa dalle Madonne ingenue, serene di Giotto, di frate Angelico e delle
formosissime di Raffaello! Non pi di sol vestita , non pi cinta la fronte della
divina aureola, non pi come la cant nel suo lirismo il poeta moderno, terribil
come oste schierata in campo ; ma
smarrita, ma paurosa e dimessa e ravvolta nel suo manto, quasi nascosto il
volto dietro il figlio, essa non appare pi che donna. 11 tempo della grazia
mite, obbliosa, fiacca, tramontato.
Troppo a lungo questItalia molle e snervata tempo; nel significato morale
significa l Equazione , la Giustizia . Ecco i termini mirabili di grandezza e
di precisione coi quali il Dio Ebreo
definito nella Genesi stessa dal legislatore: Dio
verit senza iniquit, Egli
giustizia e dirittura. Dei
perfecta sunt opera, et omncs viro eius judicia: Deus fldelis, et absque nulla
iniquitate, justus et rectus. * Deut. xxxii, 4. / LA CAPPELLA SISTINA.
51 immol alla grazia la giustizia; sagrific la legge ad una piet morbosa,
funesta e colpevole; la verit alle seduzioni di una bellezza fallace e alle
finzioni; l'antica e maschia -virt agli incanti della grazia, affascinata
sempre e sog- getta alle sirene umane e divine. Quel fascino tempo di spezzarlo, l'ora sorta della luce aperta, della verit pro-
clamata sopra i tetti, della Giustizia, che > impassibile innanzi alle
lusinghe della bellezza, come alle minaccie dei grandi e agli urli delle turbe
tumultuanti, colpisce del pari grandi e plebei, pontefici, operai, popoli o
principi. Dopo il Cristo, laltra figura che campeggia, e rilevata sembra
staccarsi e presentarsi innanzi agli spettatori, san Pietro;
in atto di avanzarsi e presentarsi al Cristo per essere giudicato.
Queste due figure sono tutta una rivela- zione, terribile rivelazione che
domina il gran poema e ne -spiega il pensiero. Ecco il Cristo accigliato,
sdegnoso, in atto di fulminare; poi col il suo vicario, che turbato in volto,
sospettoso e peritante si fa innanzi, e con unumilt infinta e sospettoso gli
porge le sacre chiavi, che il Cristo respinge con orrore. Intorno a loro vedi
affollarsi tutta una turba di. persone diverse, vera accozzaglia, come dice un
critico, di esseri umani, che quel grande aveva dipinti in- teramente ignudi,
come la verit vuol essere, e che i pre- lati fecero imbrattare o velare come l
ipocrisia; tutti questi hanno forme erculee, figure volgari, atti paurosi,
suppliche- voli, smarriti, ignobili; qual regge le tenaglie, quale il ma- glio,
il coltello, la sega, quale altro strumento di tortura e supplizio; si volea
ravvisare in questi gruppi i santi o i morti per la fede, i quali fanno sfoggio
degli istrumenti con cui subirono il martirio; ma chi ben mira le figure
strane, sconvolte, i volti volgari di questi santi, costretto a 52 PARTE PRIMA chiedersi se
cotesti sono santi o reprobi, martiri o carne- fici. Non sarebbero, per
avventura, essi, i frati, gl inquisi- tori, gli aguzzini, che per tanti anni
hanno condannato, torturato, arso gli eretici, i pensatori, che superano in nu-
mero, in virt e spasimi patiti i santi del calendario? E questa figura lunga,
nerboruta, che quasi in rilievo si fa innanzi a tutti, e che colle gambe larghe
sembra a caval- cione di una nube, ai piedi del Cristo, sarebbe invero san Bar-
tolomeo, o non piuttosto uno dei frati inquisitori scemi e fanatici, una specie
di Torquemada, cui il pittore volle stim- matizzare? E quellinvolto che tiene
in mano, anzi che la sua pelle sparuta e svelta, non sarebbe la larva con cui
celava le opere ree, o la maschera dellimpostura? ^ .. A meglio chiarire il suo
pensiero, egli tratteggi a destra di questo gruppo di gente, che altri battezz
per santi, scene terribili, oscene, feroci. Aveva suscitato gran scan- dalo,
appena scoperta, limmagine di santa Caterina, nuda, stretta voluttuosamente fra
le braccia di non so qual santo. Altre scene si seguono confusamente, che
denotano pi che la piet, il terrore, lira, lo smarrimento, ma lo spettatore si
arresta sopratulto su quel terribile gruppo dipinto sotto questi martiri o
carnefici. Sotto i piedi di san Pietro vedi alcuni demoni, che agguantano un
reprobo col capo arro- vesciato in gi, sotto quel fascio di vesti e di carni
umane, e gi lungo i fianchi gli cadono penzoloni le chiavi, che pi sopra san
Pietro presentava a Cristo, il che par signi- ficare il giudizio pronunziato ed
eseguito; e infatti si sco- prono qua e l altri religiosi e religiose, cui
demoni dai ceffi spaventevoli, afferrano colle branche e con forconi; essi
lottano invano, e tentano districarsi dalle ferree mani, agi- tandosi e
springando le piante, mentre che due donne bel- LA CAPPELLA SISTINA. 53
lissime, colle braccia in alto, in atto di percuotere, li spin- gono, li
urgono, li precipitano gi nellaverno; e queste donne, se ben miri, hanno forme
eguali a quelle dipinte dietro Giona, e di altre medaglie della vlta, e che
raffigurano la Chiesa futura. Sotto questi gruppi si seguono i rei dan- nati
per peccati capitali, che rovinano nell inferno dove li accompagna colla barca
Caron demonio , in atto di battere qualunque s adagia; nel mezzo poi si apre
lantro d Averno, come dai Ghibellini era appellato il Vaticano. Anzi, a me-
glio spiegare il concetto riposto, lartista entro quellantro cacci il noto
messer Biagio, custode del Vaticano. Un demone si china verso di lui, gli
susurra allorecchio una parola: non sarebbe per avventura il segreto del Buo-
narroti? Lantro, il gruppo degli angeli librati nellaria, come tra i due mondi,
il celestiale e linfernale, e che tengono aperto il volume dei destini dei
popoli e deglindividui, servono di transazione al lato destro del Cristo, a
sinistra dello spet- tatore ove succede la risurrezione dei beati. Qual variet
di scena si offre allora allo sguardo ! Men- tre a sinistra nel complesso era
una confusione, un affol- lamento di persone dal guardo obliquo, pauroso, dalle
mosse tortuose come di reprobi e d ipocriti, qui tutto spira grazia, serenit,
bellezza ineffabile e leggiadria. Sono figure tratteggiate con forza e grazia
infinita, che sciogliendosi dal sonno della morte si innalzano a vita eterna.
Sembianze di donne, di fanciulli, di pensatori, che nella vlta abbiamo veduti
accasciati sotto al pondo dei loro dolori, seduti sul sasso, affranti, e nei
quali molti secoli di patimenti e doltraggi non valsero a scuotere la fede nel
giusto e nel vero, ora, rigenerati da questa fede, risorgono, 54- PARTE PRIMA e
sono come da forze arcane tirati nel cielo. Qui una ma- dre bellissima solleva
la figliuola, che si avvince intorno al suo cinto, e seco T innalza ai beati;
col un bambino stende le braccia alla madre, lo sposo alla sposa; altrove una
monaca getta ad altri la catena del Rosario, la fede semplice e popolana, e a
lei si rannodano altre suore; linfanzia
del cuore che ricomincia la vita. Qui un gruppo di sposi librati nello spazio,
soli e intrecciate le braccia 1 uno collaltro, si sollevano come attratti per
virt damore. Pi sotto vedi gruppi diversi, ora ischeletriti, ora gi rive- stiti
di carni, appoggiati sui gomiti, svincolarsi dalla tomba contratti, portentosi
di ossa, di muscoli, di tendini, di cui consta la macchina umana, nei quali
trionfa larte reale e ideale, tal che la materia s eleva e diviene spirito.
Cosi alcuni, che agli atti, al volto diresti pensatori, scienziati, torturati o
costretti al silenzio nella vita, rimovono il co- perchio della tomba, si
levano in piedi, e attendono im- pavidi il giudizio, o si elevano al cielo e
salutano laurora della nuova fede, il sole della verit, mentre una folla di
uomini, di fanciulli, di donne, non daltro rivestiti che dalla loro innocenza,
per virt spontanea, si librano insieme in alto, e reggendosi l un laltro per
mano, intrecciano la ca- tena degli esseri, e rappresentano la concordia delle
razze diverse, la serie dei secoli ora compenetrati della giustizia divina, e
del pari rigenerati. Superiormente si spiegano due campi semicircolari, for-
mate dalle masse della vlta, e rappresentano la parte ce- lestiale della vasta
epopea. Vi si vedono staccarsi falangi di angioli, di santi, che portano gl
istrumenti della passione. Qui pure il simbolismo diverso dal liturgico, qui pure il nuovo
Cristianesimo LA CAPPELLA SISTINA. 55 crea il nuovo simbolismo. Gli angeli pi
non portano le' ali ufficiali, pi non presentano gli aspetti molli,
sfiaccolati* svenevoli; li miri fieri, virili, sono persone, non fantasmi, sono
uomini e realt, non finzioni. Portano la croce, che, vacilla loro in mano, sta
per cadere, e tentano invano so- stenere e reggere in piedi. Nellaltro
compartimento la co- lonna, gi quasi rovesciata, sta per precipitare loro sul
capo, una donna ne quasi schiacciata,
mentre altra donna, in sembianza di quella gi dipinta presso Giona, tenta
risol- levarla, simboleggiando la nuova Chiesa, che succedp alla Chiesa caduta.
In ogni parte, chi sappia penetrare il significato simbolico di questa
Apocalisse italica, pu scoprire il concetto ripo- sto dellantico domma che
tramonta e cade, del nuovo che si leva e trionfa; la religione della grazia,
della morbosa scuola delle restrizioni mentali, della falsa piet, che cede il
passo a quella della legge, della giustizia, delle maschie virt; il culto dei
rancori, degli antagonismi, degli odii sosti- tuito dal fecondo concetto, della
conciliazione e dellamore; la legge sostituita al privilegio; la realt forte,
virile, alle finzioni, allidealismo snervante, all ipocrisia ; la sicurezza
allequivoco, al sofisma; la verit al mito; alla fede cieca, un sentimento
religioso pi alto, la scienza. XVIII. La scienza fu l ultima parola del sommo
artista. La vlta, le pareti della Sistina rappresentano in certo modo il
Purgatorio e lInferno del suo poema sacro, la Basilica ne sar il Paradiso.
Nella sua prima giovinezza, la forma in cui impresse il suo pensiero fu la
scoltura; poscia lo 56 PARTE PRIMA svolse in modo pi preciso e largo colla
pittura, nelle pa- gine degli affreschi; ora, attempato, finisce collo
stamparlo in forme architettoniche nelle pareti, nella cupola, nell1 im- menso
edificio di S. Pietro. Quest immensa Basilica rappresenta e compendia in s la
storia del Rinascimento italiano, e in parte dellepoca mo- derna. Tutti i sommi
artisti avevano messo mano al vasto edilzio; fu il lavoro non mai scontinuato
del secolo deci- moquinto e sesto. Si successero nellopera Bramante, Raf-
faello, Baldassare Peruzzi, frate Giocondo, Antonio di San- gallo. Avvenne che
questi mor nel 1546; onde, mancato chi guidasse i lavori della fabbrica, furono varii i pareri, scrive il Vasari a chi dovessero darli. Finalmente credo che Sua Santit, ispirata da
Dio, si risolv di mandare per
Michelangelo. Questi sulle prime ricus,
come quando gli si commise di dipingere la vlta, dubit di s, si ri- trasse
dicendo che larchitettura non era larte sua; final- mente ai preghi e alla
volont imperiosa del Pontefice gli fu forza cedere, ed entr in quellimpresa.
Tutti i suoi biografi narrano le insidie tese al sommo artista dagli invidiosi
e dai tristi, mentre attendeva a diri- gere il grande lavoro; i conflitti
sostenuti contro la setta Sangallesca, le calunnie e intrighi, che
amareggiarono la sua vecchiezza, e per contro, la forza danimo, la pertinacia e
l'abnegazione da lui spiegata per tener fronte a suoi ne- mici, e il
disinteresse col quale quest uomo non volle ac- cettare compenso di sorta,
dicendo che egli lavorava per amor di Dio e dellarte. Noi ci limiteremo a
studiare il pen- siero a cui sispirava l'opera sua, e che riusci a stampare nel
tempio meraviglioso. L'idea, che si proponeva imprimere, la stessa che mo- LA CAPPELLA SISTINA. 57 veva
il suo pennello dipingendo la Sistina; qui la pittura diviene architettura,
assume forma pi precisa e gagliarda, permanendo nel fondo identica. Egli si
propone ancora di uscire dal medio evo, dal confuso, dal contorto, dallartif-
cia-le e dal falso, per aspirare alla semplicit, alla realt, alla verit;
lasciare le assurdit del mito, loscuro del fa- voloso, l indeterminato del
soprannaturale, per fondare sulla natura e sulle sue leggi eterne;
sprigionarsi, come il simbolico Giona da lui effigiato, dalle spire dellOrco,
svel- lersi dal fondo del pelago tenebroso, per cercare la libert, la verit in
s, ed elevarsi alla pienezza della luce. Questo concetto, come verremo
dimostrando, non parto della nostra
fantasia, ma ci viene chiarito ed esposto dal- lartista stesso. Il disegno
della fabbrica, quale fu ideato dal Sangallo, era una mescolanza di stile
gotico e di ro- mano; egli aveva sprecato gi somme enormi, consumati
quarantanni di lavoro, e ledifzio riusciva confuso, stentato, oscuro, con
proporzioni meschine. Il Sangallo aveva
con- dotta la fabbrica cieca di lumi,
aveva di fuori troppi or- dini di
colonne, le une sopra le altre, e con tanti risalti e aguglie e tritume di membra, che teneva pi
dellopera tedesca, che del buon modo antico, e della vaga e bella maniera moderna. Michelangelo invece ide di condurla con minor spesa ad un tempo e con pi maest,
gran- dezza, facilit e maggior disegno
dordine, bellezza e co- modit. In queste parole del discepolo si compendia
il pensiero del maestro. Il gotico, sotto quellapparenza di sveltezza e
leggerezza che presentano le sue guglie, gli archi a sesto acuto, la vaghezza
dei lavori cesellati e dei contorni,
stentato, impacciato, pesante; la Cattedrale oscura, cupa, come let che ledifcava. La
fabbrica si pre- 58 PARTE PRIMA senta come una ftta foresta di colonne, di
angoli acuti, che sintrecciano colle vlte;
un insieme di tritume di membra aggiunte l une allaltre, ricinte da una
moltitudine di minuti ornamenti, di fronzoli, di civetterie, che si ripro-
ducono all infinito; fragile qual , e priva di saldezza, si regge come sulle
stampelle per opera di contrafforti, spun- toni, ferri nascosti e dissimulati
nel muro. Specchio del sistema teologico dal quale emergeva, che non aveva
sicurezza, consistenza in s, n fondava sopra solida base. Anzi che su principi
scientifici e sulle propor- zioni geometriche, si fondava sul numero mistico
del tre e del sette, che si ripetono allinfinito. Perocch la Chiesa, al pari
della Teologia, doveva edifi- carsi sopra i numeri tre e sette, e al pari del
domma, anzi che sulle teorie della ragione e le leggi eterne della natura e
della scienza, poggiare sopra un insieme di pratiche, di finzioni, di teorie
fantastiche, di tradizioni erronee e impo- ste colla simulazione e colla violenza.
Per, come il sistema ortodosso ha bisogno di tutto un apparato esteriore di
forze, d un esercito di prelati, di frati, di inquisitori, di milizie ec-
clesiastiche e del braccio secolare per imporsi alla ragione umana e conservare
l impero, cos ledifizio gotico e medio- evale composto qual di minuterie e
fronzoli, di rappez- zature, che si ripetono sempre, ha un continuo bisogno di
custodi, di riparatori, di medici, i quali vigilino sopra l infermo debole e
pericolante; si sostiene con contrafforti, con chiavi palesi o mascherate, e
per poco si lasci in ab- bandono, ledificio vacilla, si sfascia, si sgretola
pietra a pietra. L Italia si lev prima a combattere questa architettura
mistica, tenebrosa, stantia del medio evo. I grandi edifizii LA CAPPELLA SISTINA.
59 dellantichit .romana, i quali sembrano emergere dal fonda del suolo, gettati
in un sol pezzo, e saldi al pari delle no- stre alpi, sfidano i secoli, porsero
il primo modello della nuova architettura. Mancava il genio pratico, ardito,
capace di comprenderli, d imitarli e dimprimere loro il concetto religioso e
cristiano. Questo genio sorse col sommo Brune-' leschi, il quale, dopo lunghe e
faticose battaglie sostenute contro gli oscurantisti dellepoca, colla cupola
del Duomo in Firenze gett la prima pietra angolare del Rinascimento.' Egli
prese le msse dalla prospettiva, dalla meccanica per riescire alla costruzione,
che imit la regolarit delle leggi celesti e leternit delle leggi meccaniche che
reggono il mondo. Inizi per tal modo la feconda riforma, la quale non era in
fondo che lo studio della natura e delle sue, leggi per riverberarle nellarte.
Buonarroti la compi e he suggell il pensiero, l nel grande centro
dellortodossia cattolica, culla e centro dellarte moderna, in Roma. XIX.
Riformatore, pensatore, come artista sommo, egli aveva coscienza chiara e piena
dellopera che stava per compiere. Infatti egli stesso ne chiarisce e spiega il
pensiero con pa- role precise in una notevole lettera, che dirigeva ad un amico
nei giorni in cui stava per mettere mano ai lavori, sulle traccie di
Bramante, valente nelV architettura
quanto ogni altro , che sia stato dagli antichi in qua. Egli inten- deva di elevare una fabbrica non piena di confusione , ma chiara ,
luminosa, isolata a torno , non come ha
fatto il Sangallo che si discostato dalla verit , e toglie tutti i
lumi alla pianta di Bramante , ma per s non ha ancor 60 PARTE PRIMA lume
nessuno , tanti nascondgli tra di sopra e dissotto scuri , che fanno comodit
grande ad infinite ribalderie. In altri
termini, col dove il Sangallo e la sua maniera avevano portate le tenebri
insidiose, egli intende recare la luce, la serenit; a queiraffastellamento di
ordini diversi, di architettura mistica, intende sostituire unarchitettura
semplice, grandiosa, che s ispirava alla romanit e al genio italico antico,
disegnando le grandi linee, e si basava sul calcolo, sulla scienza, sulle leggi
eterne della natura. Que- ste idee egli seppe imprimere, non solo nel marmo ma
nel- ledifizio tutto, il quale, secondo il suo concetto, doveva riescire il pi
omogeneo, uno, armonioso, che sia stato immaginato, ed elevarsi in Roma siccome
tempio dei tem- pli, e cattedrale del genere umano. Tale lo ideava, lo
idoleggiava nella gran mente il Buo- narroti, e tale lo disegnava; ma i suoi disegni
furono in appresso manomessi e adulterati. La reazione cattolica, che tenne
dietro ai grandi Papi del Rinascimento, incoraggi ed ottenne un'arte che ben
corrispondeva a quel feroce e barocco sistema teologico, il quale mirava a
prolungare le confuse e paurose tenebrie del medio evo, mentre gi in- vadevano
la terra i fulgri dell'et moderna, e fu visto pro- dursi un mostro ibrido che
teneva di tutti i sistemi, senza averne uno, e ne nacque il barocco. La
Basilica Vaticana fu sopraccaricata di ornamenti, di fronzoli, di larghe
cornici, di pilastri, di ricchi dipinti, di tutto quanto potesse parlare ai
sensi, abbagliare la vista, smarrire e snervare il pensiero (1). (i) Noi
avevamo gi scritte queste pagine quando ci cadde sotto gli occhi un notevole
articolo sulla Basilica dellinsigne prof. Barzelotti, che corrisponde
perfettamente alle nostre idee: vi uno
sforzo inge- LA CAPPELLA SISTINA. 61 Laccessorio divenne principale, mentre che
secondo il con- cetto di Michelangelo, le scolture, le pitture, gli ornati, non
dovevano figurare a capriccio, ma quali elementi architet- tonici, concorrere a
costituire larmonia, a crescere decoro al suo tempio. Nulla doveva sorgere a
distrarre locchio, fuorviare la mente daHahbracciare il complesso colossale.
Ispirandosi alla Bibbia, e compreso da quel severo senti- mento religioso, che
mosse gi la sua mano a ritrarre i profeti, a scolpire lispirata sembianza del
Mos, egli in- tendeva di sollevare il tempio al Dio del Pensiero, impri- mendo
e traducendo con ben altro genio e con arte pi in- gegnosa, in forma
architettonica pi pura e regolare, quel Vacuo sublime che, secondo la forte e
precisa espressione di Tacito, arrest meravigliato Pompeo sulla soglia del
Santissimo in Gerusalemme. Quel vacuo sublime, che aderge la mente dal vario
allunit, dallaugusto e caduco della terra alla infinitudine delleterno. Pure,
malgrado le alterazioni recate al suo disegno, il con- cetto michelangiolesco
domina ancora sovrano nella grande Basilica, e la riempie di s. Infatto la
parte essenziale del tempio, la cupola ed il suo ordinamento cos esterno come
interno, ritrae la vastit del suo pensiero, ci empie di una soave e sublime
meraviglia, non gi per il soverchio degli ornati, ma per la sua semplicit,
larditezza con cui si slancia nello spazio, in mezzo a quella leggiadra armonia
delle forme, e alla purezza, ed al sapiente accordo delle gnoso che accumula, moltiplica i ripieghi;
mancando il sostanziale, cio lo spirito,
il sentimento, si cerca lefficacia nellarte particolar- mente nella quantit, nel lusso, pi che nella
qualit, ecc., ecc. (Vedi Nuova Antologia
, luglio 1882). C2 PARTE PRIMA LA
CAPPELLA SISTINA. linee; la vlta che spazia cosi vasta e leggiera accoppia lunit
e la semplicit alla maest pi grandiosa. Tutto porge immagine di sterminata
grandezza, la quale, anzi che soverchiare i sensi, parla al pensiero, lo
soffolce, lo aiuta quasi per moto istintivo, spontaneo, a sollevarsi e poggiare
sempre pi in alto; il vero Excelsior,
che scol- pito in una massa architettonica, favella allo spirito, e grida alle
generazioni che si avanzano: sempre in alto. A questo effetto cospirano le
cupole laterali, le quali co- ronano, come serti minori, la vasta superficie.
Esse si le- vano a guisa di templi isolati, che accrescono maest alla grande
cupola centrale. La quale, mentre un
vero miracolo di calcolo e darte, incarna un alto concetto filosofico e re-
ligioso. Esso il Panteon antico
sovrapposto come a co- ronare il tempio moderno. Sono tutti i Numi, i
concepimenti religiosi e parziali del mondo antico, che accolti con armo- nioso
accordo nel nuovo tempio, sembrano convocati qui alla contemplazione del Dio
infinito, che di s empie luniverso. A nessuno dei coetanei fu dato di mirare la
gran cupola terminata, solo il Buonarroti la vedeva elevarsi grandeg- giente
innanzi allo sguardo, quasi a chiudere lepoca dei cieli angusti, che si curvano
come a serrare entro a breve confine il globo, ed aprire ai posteri spazi pi
luminosi, orizzonti sempre pi vasti, in cui navigano, come in un mare di luce,
miriadi di mondi viventi. L'artista aveva in quel tempio, nella sublime cupola,
ef- figiato il simbolo; non tardarono dopo di lui, quasi nuovi profeti, i
Kepler, i Copernico, i Giordano Bruno, Galileo, Newton i determinarne le leggi,
e su di essa deve forse l'avvenire fondare la religione della scienza, il domma
di tutti i popoli. PARTE SECONDA LUOMO IL FIGLIO E IL CITTADINO LUOMO IL FIGLIO
E IL CITTADINO I. A comprendere la mente del Buonarroti, non conviene limitarsi
a considerare soltanto lartista e le sue opere, ma vuoisi studiare luomo. Luomo
nella vita domestica e cit- tadina spiega l'artista; questo irraggia di viva
luce 1 uomo. Vittoria Colonna, con quella intuizione, che le donne dalto cuore
sogliono avere nel comprendere e definire l uomo grande, diceva che la vita di
Michelangelo era una, sempre uguale a s stessa in ogni atto, in ogni periodo
della sua vita, e che in lui era da pregiarsi, anche pi delle opere, il
carattere. E a dir vero, dote singolare che distingue e privilegia fi uomo
sommo, il giusto equilibrio dogni
facolt, le quali, pur svolgendosi nella loro pienezza si contemperano ed ar-
monizzano per modo, che sembrano sempre mosse da uno stesso spirito, rette, in
ogni circostanza, da un pensiero dominante; virt questa che quasi mai si
riscontra anche in taluni uomini grandissimi. La mente di Michelangelo. 5 66
TARTE SECONDA Infatto, in alcuni, come in quel genio sovrano che fu Torquato
Tasso, soverchia V immaginazione, il sentimento, a scapito della ragione; in
altri, come nell'Ariosto, sover- chia ed eccede la fantasia; in altri, una co
tal sensualit volgare, o sentimentalismo morboso; in altri, il calcolo,
lambizione, legoismo, e nei tempi moderni la tendenza al paradosso,
allaffettato pessimismo, o la vanit che cela la vacuit del pensiero e la fiacchezza
dellindole. Vha al- cunch di discorde, di balzano, che per eccesso o per di-
fetto rompe la rettitudine, larmonia di una vita. Michelan- gelo invece, come
Dante, Shakespeare, Galileo Galilei, Gote, Humboldt, ed altri pochissimi, sono
tali personalit, in cui ogni attitudine, ogni facolt si bilancia per modo, che
con- corre a costituirne un tipo, e fonderle in una possente e compatta
individualit. Esse sono sempre uguali a s stesse; sinnalzano e spiccano come
lApollo del Belvedere e la statua di Sofocle, del Pensieroso, salde, alte, in s
secure, sopra il loro piedestallo; sia che tu li contempli di fronte, di
profilo, sia nel torso, nel fianco, in ogni loro particolarit, tu sei costretto
ad esclamare: bello! perfetto! Tale apparve il Buonarroti ai coetanei, e lo
appellarono il Divino; per, a meglio comprenderne la mente, conviene pur
penetrarne il cuore, seguirlo in alcune vicende della vita, studiare insieme
coll'artista sommo e col pensatore, il figlio, il fratello nella vita
domestica, il cittadino nelle battaglie politiche, fra le tempeste e vicende
della patri, il suo cuore damante nel fuoco delle passioni, e per tal modo si
verr forse a comprendere e afferrare nella sua interezza luomo. Il che
tenteremo di fare a larghi tratti in questo studio, il quale sulle prime non
doveva essere che una introdu- luomo. 67 zione ad un lavoro poetico, ma che in
seguito prese pi larghe proporzioni a mano che ci sentivamo pi e pi at- tratti
e affascinati da questa figura simpatica e colossale, la quale, anche pi della
Dantesca, deve levarsi e grandeg- giare come modello di virt, di dignitosa
indipendenza, di nobile disdegno, di volont tenace, di operosit instanca- bile
e di grandezza, ad unItalia, la quale voglia sorgere a dignit di nazione
maschia, rispettata e libera. II. Studiamo prima luomo nella vita domestica,
poi nella cittadina. E qui, per quant possibile, cediamo la parola allo stesso
Michelangelo, il quale spesso, anche parlando o scrivendo, scolpisce. Numerose
lettere sue furono pub- blicate in questi ultimi tempi, sia dal Grimm
nellerudita sua biografia tedesca, sia dal diligente Aurelio Gotti nel-
loccasione dellanniversario, sia da Cesare Guasti nel vo- lume in cui con tanto
amore ne raccolse e ne chios le rime. Noi ci limiteremo a spigolarne alcuni brani,
che me- glio possano rilevare il carattere dellartista. In quellet
corruttissima di costumi, in cui la coscienza individuale era eclissata e
pervertita, la dissolutezza era virt, l inganno vanto, lamore tradimento,
seduzione e li- bidine sfrenata, e ognuno, chiuso nel suo egoismo, viveva per s
solo, i vincoli di famiglia, sopratutto fra gli artisti, erano rilassati e
sciolti (I). Michelangelo, che pur viveva (1) Sui costumi degli artisti ci
limitiamo a ricordare la sregolata vita del Lippi, che era pur monaco
carmelitano ; alcune lettere di Sebastiano del Piombo, in cui narra quando si
fece frate; la vita del Celimi, ecc. 68 PARTE SECONDA solo, per lo pi lungi da
suoi, fu un eccezione. Egli anche lontano
affettuoso, austero e illibato, e porta sempre il padre, i fratelli in
cima d'ogni suo pensiero; egli alla fa- miglia consacra le sue fatiche e la sua
esistenza. Io voglio <c,che voi
stiate certo, egli scrive al padre (1), che tutte le fatiche che io ho sempre durate non sono
state manco per voi che per me medesimo,
e quello che ho compiuto, perch sia
vostro ; e mentre voi vivete... con quelle en-
trate e con quello che vi dar io, voi vivrete come un signore.
E in altra lettera : Attendete a
vivere, o piut- tosto lasciate andare la
roba che patire disagi, che io vi ho pi
caro vivo e povero, che, morto voi, io arei tutto loro del mondo... E scrive al fratello Giovansimone, di cui aveva
a lagnarsi per il suo procedere poco rispettoso verso il suo genitore: Io ho provato gi pi anni sono con buone parole e buoni fatti, di ridurti al
vivere bene e in pace col tuo padre e
con noi altri; e tu peggiori
tuttavia. E poi con quanta
delicatezza e semplicit sog- giunge: Io
non ti dico che tu sei un tristo, ma tu sei in
modo che non piaci pi n a me, n agli altri... Ora io sono certo che tu non sei mio fratello, come
gli altri, perch se lo fossi, tu non
minaccieresti mio padre, anzi, sei una
bestia... Sappi che chi vede minacciare, o dare al padre suo
tenuto a mettere la vita, e basta...
E poi nel poscritto: Io non posso
fare che non ti scriva ancora due versi,
e questo , che son ito da dodici anni in qua
tapinando per tutta Italia, sopportando ogni vergogna^ patito ogni stento, lacerato il mio corpo in
ogni fatica, messa la vita propria a
mille pericoli solo per aiutar la (1) Lettere di Michelangelo, agosto 1508. l
uomo. 69 casa mia, ed ora che io ho
cominciato a rilevarla un poco, tu solo voglia esser quello che scompigli e
rovesci in un ora quel che ho fatto in
tanti anni, e con tante fatiche. Al corpo di Cristo, che non sar vero! Che
io sono per scompigliare diecimila tuoi
pari quand ei biso- gner. Or sia savio ,
e non tentare chi ha altra pas- sione!
(1) Un altro fratello, Gismondo, pare
voglia venire a Roma appunto nei giorni in cui egli stava dipingendo la vlta ;,
egli incarica Buonarroti padre di trattenerlo dal recarvisi: Perch non lo posso aiutare in nessuna
cosa. Non posso servire a me le cose necessarie. Io sto
qua in grande affanno e con grandissima
fatica del corpo, e non ho amici di
nessuna sorta e non ne voglio, e non ..ho tempo che io possa mangiare al
bisogno mio; per non mi sia pi data noia, che io non ne potrei soppor- tare un oncia... Austero a s stesso, non cerca agi n commodi,
ma quanto guadagna manda alla famiglia. E a buon diritto pu scrivere : Voi siete vissuti del mio gi quarantanni n mai ho avuto da voi, non che altro, una
buona pa- rola... E i danari li ho
guadagnali con quella fatica che non pu
sapere chi nato calzato e vestito come
tu. E in altra lettera al nipote : Abbia cura a non gettar via i ' danari che vi
ho mandati... perch chi non li ha guada- ' gnati non li conosce, e questo si
vede per esperienza, che la maggior parte
di quegli che nscono in ricchezza, li
gettan via e muoion rovinati. Sicch apri gli occhi, e " ' ' ' ; . '.v (1 (l) Lettere Archivio Buonarroti. 70
PARTE SECONDA pensa e conosci in che
miserie e fatiche vivo io bench vecchio
come sono (1). Mentre dipingeva la vlta scrive
ancora al padre accen- nando a qualche sventura domestica: Intendo dallultima vostra come la cosa va. Nho passione assai.
Non vi posso aiutare altrimenti; ma per
questo non vi sbigottite e non ve ne
date un oncia di melanconia, perch se si
perde la roba, non si perde la vita. Io ne far tanta per voi, che sar pi che quello che perderete...
Attendete a vivere, e pi presto lasciate
andare la roba che patire disagi... che,
morto voi, io non arei tutto loro del mondo.
E quando il 15 di settembre 1512 gli fu dato avviso che i Medici erano
rientrati in Firenze sospettosi e cupidi di vendetta, scriveva ancora a
Buonarroti: Statevi in pace, non vi fate amici n familiari di nessuno, se
non di Dio... Attendete ai casi
vostri... Io vi avviso che non ho un
grosso, e sono, si pu dire, scalzo e ignudo, e non posso avere il mio resto, se non ho finita lopera,
e patisco grandissimi disagi e
fatiche... Pure quando avessi qualche
grandissimo bisogno, vi prego che prima me lo scriviate, se vi piace. Io sar qua presto (2). Essendosi sparsa la voce, che egli aveva
sparlato dei Medici, nebbe molestie e noie il padre; e Michelangelo gli scrive
con infinita amorevolezza per confortarlo e offrirgli aiuto. Bisogna aver pazienza e raccomandarsi a Dio e ravvedersi degli errori. Queste avversit non
vengono per altro e massimamente per la
nostra ingratitudine; ch (1) Lettera del 6 febbraio al nipote Leonardo, Firenze
1525. Idem agosto 1548 (pubblicate per
cura di G. Milansi). (2) Archivio Buonarroti di Roma, 18 febbruio 1512. l'uomo.
71 mai non praticai gente n pi ingrate n
pi superbe dei Fiorentini. Per se la
giustizia viene ben ragione... At- tendete a vivere, e se voi non portate anco
"gli onori della terra come gli
altri cittadini, bastivi aver il pane, e vivete
ben con Cristo e poveramente.
Indi con quanta semplicit, affetto e grandezza, riandan- done i diversi
casi della sua vita, soggiunge: Io vivo
me- schinamente, e non mi curo n della
vita, n dello onore; ci del mondo, e vivo con grandissime fatiche e
con mille sospetti. E sono gi stato cos
circa da quindici anni, che mai ebbi
unora di bene, e tutto ho fatto per aiu-
tarvi, n mai lavete conosciuto, n creduto. Io sono parato a fare ancora il simile mentre io vivo, purch
lo possa. Ecco leroe nella vita
domestica, il vero figlio sempre immemore di s; schiavo del dovere, che
sprezzando ogni agio, vive per la famiglia e per il padre. Allorch questi, carico
danni mancava, quella natura, chiusa in s stessa, non trovava conforto che
sfogando il dolore con alcune terzine semplici, affettuose, sgorgate dal fondo
del cuore. Eccone un saggio : Gi piansi
e sospirai, misero tanto, Ch io ne
credei per sempre ogni dolore Coi
sospiri esalar, versar col pianto... Ma
qual core crude], che non piangesse Non dovendo veder di qua pi mai Chi gli di Tesser pria, nutrillo e
resse?... Nel tuo morir il mio morire
imparo, Padre felice Goder coi} la mia la tua salute (I). (1) Cap. in morte del padre e del fratello.
72 PARTE SECONDA Quanto si mostrava fiero e indipendente coi grandi, al-
trettanto soleva essere semplice, benevolo co suoi famigli e cogli umili,
riguardoso nei modi per non urtare chicches- sia, n recar danno. Cosi mentre
dipingeva la vlta e si trovava solo, e abbandonato dall unico servo, che teneva
il governo della casa, chiede al padre che gli mandi un
fanciullo, figlio di buone persone, povero... perch di qua (in Roma) non si trova se non tristi. Il fanciullo inviatogli dal padre non gli
serve, l infastidi- sce; egli chiede che il padre rimandi per esso. Per tanta la bont e delicatezza dellanimo, che,
temendo sia rimprove- rato dal padre, aggiunse a guisa di poscritto alla
lettera queste parole: Se poi parlassi
al padre del fanciullo, di- tegli la
cosa con buoni modi, che gli buono il
fanciullo, ma che gli troppo gentile e non atto al servizio
mio. Tutto amorevolezza per la sua
famiglia, si mostra coi fratelli e nipoti pi che fratello e zio, padre ed
amico; desi- dera che il nipote Leonardo conduca in sposa una donna virtuosa, e
sia di casa onorevole e conveniente; perci gli scrive: Se tu vuoi torre donna che tu non stia a mia
bada perch non ti posso consigliare del
meglio... ma ben ti dico che tu non vada
dietro a denari, ma solo alla bont e
alla buona fama. Io credo che in Firenze siano molte famiglie nobili e povere, che sarebbe
unelemosina impa- Tentarsi con loro,
quando bene non vi fosse dote, perch non
vi sarebbe anche superbia. Tu hai bisogno duna
che stia teco... che non voglia stare in su le pompe, e an- dare ogni di a convitti e nozze (1). (1) Vita di M. Buonarroti di A. Gottt, pag.
289. Vedi pure una sua lettera a Leonardo, da Roma, 28 giugno 1554. 1/ UOMO. 73
' E nel maggio del 1553 Leonardo tolse per donna la Cas- sandra Ridolfi. E
quando,, avutone un figliuolo, Leonardo gli scrive che con onorato corteggio di donne
nobilissime lo avevano accompagnato al
battesimo rinnovando il nome del
Buonarroti, egli risponde: Ho preso gran- dissimo piacere della vostra, e visto che pur
vi ricordate 5< del povero vecchio... e di aver visto rinascere un
altro Buonarroti... ma ben mi dispiace
tal pompa, perch luomo non dee ridere,
quando tutto il mondo piange, mi pare
non sabbia a fare tanta festa d uno che nasce, con quella allegrezza che s ha a serbare alla morte di
chi ben
vissuto. Egli vide morire suo
fratello Giovansimone il 9 gennaio
1548. Ne ho avuta grandissima
passione, scrive al ni- pot Leonardo,
perch speravo, bench fossi vecchio, ve- , derlo innanzi chei morisse, e innanzi
che morissi io: piaciuto cos a Dio,
pazienza! - E quando sette anni dopo, il
13 novembre 1555, ebbe la notizia della morte di Gilmondo, versava pure in
grave pericolo di morte il suo servo ed amico Urbino. Egli, ben- ch vecchio e
travagliato da molti mali, vegliava sollecito giorno e notte al letto del suo
fedele servo, e quando manc, ecco con quali parole, che rivelano quel gran
cuore, lo an- nunzia al nipote: Avvisoti
che jersera, add 3 di dicembre, pass di
questa vita Francesco, detto Urbino, con gran-
dissimo mio afianno.... tanto che mi sarebbe stato pi dolce morir con esso seco, per ramose chio
gli portavo..* onde a me pare essere ora
restato per la morte sua .<< senza vita; e non mi posso dar pace... E al Vasari pochi giorni dopo scriveva: .... Egli in vita mi teneva vivo, morendo mi ha insegnato a
morire; non 74 PARTE SECONDA con
dispiacere, ma con desiderio della morte... La mas- sima parte di me se ne ita, n mi rimane altro che uninfinita miseria. L'affetto, l interesse che aveva per Urbino,
conserv per la vedova, e in quanta venerazione essa teneva Michelan- gelo basti
a dimostrarlo una lettera bellissima che essa gli diresse, quando il padre ed
un abate le facevano violenza, acciocch sposasse un cugino di questo, di poco
buoni co- stumi, e che non possiamo trattenerci di riprodurla in ap- pendice,
come vero modello epistolare italiano, e saggio dei costumi popolari dellepoca
(1). III. Pure questuomo cosi affettuoso co' suoi, semplice di costume, cosi
benevolo cogli umili, era altrettanto fiero coi grandi. noto che presentatosi due volte nellantica-
mera di Giulio II, ed essendogli negato lingresso, e ve- dendosi cos
trascurato, disse al palafreniere: E voi
di- rete al Papa, che se di me curarsi
vorr, mi cercher altrove. E tornato a
casa, venduti i mobili, si parti per Firenze. Giulio mand invano dietro a lui
cinque corrieri, ma egli si rifiut di tornare; invano mand tre brevi alla
Signoria pieni di minaccie; finch dopo tre mesi, vedendo minacciata la sua citt
per lira del Papa, a preghi del Gonfaloniere, si pieg a ritornare. E quell'
uomo veramente terribile di Giulio II,
egli terribile, soleva dire, non
si pu praticare con lui. Voi, (l) V.
Appendice. l uomo. 75 gli scrive Sebastiano del Piombo, voi fate paura ad ognuno, perfino al Papa. Era temuto ad un tempo e amato. Nelle sue
parole vera la benevolenza ed insieme larguzia; nel volto, negli atti, austerit
insieme e cortesia. Io lo so, scriveva
ancora Sebastiano del Piombo con lettera
delli 9 novembre 1529, in che conto vi
tiene il Papa (Paolo III), e quando parla di voi, pare ragioni d un suo fratello,
colle lagrime agli occhi. Papa Clemente non osava sedere quando
favellava Buo- narroti, per timore che quegli facesse altrettanto senza
chiedere il permesso. Rifiuta lospitalit dei principi e dogi a Ferrara, a
Venezia; preferisce starsene solo nella sua modesta camera. Non conobbe mai
agiatezza; quanto gua- dagnava mandava al padre, ai fratelli, e largheggiava di
carit ad amici ed artisti poveri. Per quanto
ricco io mi fossi, diceva negli ultimi suoi anni al Condivi, ho vissuto sempre
come un povero. Buono per indole,
paziente, generoso, non tollerava torti, n di essere soverchiato da nessuno,
fosse grande o plebeo, equanime giusto
con tutti; larte era per lui cosa sacra; sprezzava chi ne faceva mestiere per
accumulare denaro. Di ci faceva rimprovero al Perugino, il quale, dopo aver
prodotto lavori di cos alto pregio, era diventato fabbrica- tore materiale di
quadri. Io non fui mai pittore n
scul- tore egli scriveva
come chi ne fa bottega; sempre me
ne son riguardato per P onore di mio padre e de miei fratelli, ben io abbia
servito tre papi: che stato forza (1).
(l) Lettera a Leonardo, da Roma, 2 marzo 1518. .76 PARTE SECONDA Non
mercanteggiava sopra i suoi lavori, e quando un gen- tiluomo, mandato dal Duca
di Ferrara, non si comport seco in modo degno, rifiut di consegnare il quadro
della Leda, e ne fece regalo ad un suo discepolo, Antonio Meno, per agevolargli
il mezzo di maritare le sue due sorelle. Dodici papi si succedettero nella
sedia di S. Pietro durante la sua vita di artista, e sette di questi devono parte
della loro gloria alla luce da lui riverberata; e al fortunato con- corso dei
grandi pontefici del Rinascimento e del Buonar- roti deve la Roma moderna parte
del suo splendore, T Ita- lia il primato delle arti. Tale luomo nella sua vita
privata, ne suoi atti; ora ci giova studiare il cittadino nelle lotte per la
patria, e nella vita pubblica. IV. Letterati ed artisti, per molti secoli , non avrebbero po- tuto in Italia
campare la vita senza mecenati e protettori. Mancava, come manca pur troppo
ancora presso noi, quel gran mecenate, che
il pubblico; per abbiamo avuto unarte, una letteratura, anzich libera
nelle sue mosse e ne suoi pensieri, in gran parte schiava e cortigiana. La
cortigianeria, come ora la consorteria, fu sempre mezzo di successo, fu il
segreto ai deboli, per arrampicarsi e rie- scire. Il secolo dAugusto, corrotto
e servile, divenne il se- colo doro vagheggiato da* principi, da letterati e
artisti. I principi dEste, d Urbino, i Medici, Leone X e i pontefici del
Rinascimento, trassero in parte la forza, e il prestigio loro dai letterati e
artisti di cui si circondavano. Erano piccoli Augustoli, ciascuno dei quali
aspirava ad avere il luomo. 77 suo Virgilio, il suo Orazio od Ovidio.
Esaltavano, salaria-^ vano un poeta, calpestavano i popoli. Larte inorpellava
le catene di ferro; e il letterato scambiava miserie e servit cittadine per
fasti e glorie. Anche la cortigianeria divenne unarte, come pi tardi cadendo
sempre pi bassi, i vezzi e le grazie di cantanti e mimi si dissero virt, e
quegli virtuosi. Per vediamo sommi artisti, filosofi insigni e poeti eccelsi,
da Raffaello a Tasso; da Perugino e Giulio Romano all Ariosto, da Filelfo, Mar-
silio Ficino al Caro, avvinti alle Corti, colorire colle arti e indorare le
catene ribadite intorno al popolo, inneggiare con canzoni e con poemi a coloro
che squarciavano il seno della patria, e con turpitudini, tradimenti
sprofondavano in servit abbietta la nazione. ) Michelangiolo anche in ci fa
eccezione ; si leva dal volgo degli artisti, libero nelle sue mosse, e fa parte
da s stessa de pochi sommi, che anche in
mezzo a quella greggia, che si stipa intorno alle Curie, alle Corti, ai duchi,
seppe sollevarsi incorrotto e austero, serbando intera la sua in* dipendenza e
la sua dignit dartista, duomo, di libero cittadino. Pure nessuno de sommi
artisti e poeti versava in posizione cos ardua e delicata al pari di lui,
combattuto da tanti contrasti, alle prese con difficolt cosi uggiose e ardue.
Cresciuto, educato nella famiglia de Medici, cui non poteva combattere senza
taccia di sconoscenza, era costretto dal dovere di cittadino di avversarla e di
opporsi alle sue usurpazioni. Seguace del Savonarola, e cresciuto ad un
pensiero religioso, elevato e libero,
costretto a porsi al servizio dei pontefici e della Chiesa; egli non
solo artista, ma aspira ad elevare
monumenti colossali, ad ornare lItalia e Roma di chiese, di palazzi, di statue.
73 TARTE SECONDA che solo dato ai
principi e papi far eseguire; circon-
dato, combattuto da invidiosi, da cortigiani, da rivali, i quali T osteggiano,
e lindole sua ripugna del pari alle adulazioni come agli intrighi. In mezzo a
tutti questi attriti, in cui la riconoscenza si urta co' suoi doveri di
cittadino, le convinzioni religiose e i simboli del culto sono in conflitto coi
convincimenti del pensatore, il sistema del riformatore, il genio dellartista
colle necessit e convenienze sociali, egli sa pure sempre serbare la propria
indipendenza, e conciliare le dure neces- sit della vita colla libert nellarte,
adattare i riguardi sociali colla dignit delluomo. Sino dalla prima adolescenza
venne accolto, educato nella Casa de' Medici; ma, morto Lorenzo il Magnifico,
quando vide i figli e i nipoti tralignare e cospirare con pontefici e re
stranieri a danno di Firenze, egli non
pi che citta- dino. Cacciati i Medici, egli segue la dottrina del
Savona- rola, l'eloquente propugnatore dei diritti popolari, e simbo- leggia la
vittoria del popolo sopra i suoi oppressori nelle statue di Davide, che atterra
Golia, di Ercole che uccide Caco. Ma una prova ben altramente ardua era a lui
serbata nella battaglia suprema per la libert non solo fiorentina, ina
italiana, durante lassedio di Firenze. I fatti sono troppo noti, perch noi li
ricordiamo in questo studio; essi furono stampati nella mente delle nostre ge-
nerazioni, non solo da sommi storici, ma in quel romanzo degno d'un' Italia
libera e virile, da quella gagliardamente di Guerrazzi. Egli seppe comprendere
il sommo artista, tratteggiare il magnanimo cittadino e farlo rivivere innanzi
ai nostri sguardi nelle sue pagine immortali. l uomo. 79 Tutte le tirannie de
secoli posteriori, le brutture medio- evali, le corruttele del secolo
cospiravano ai danni di Fi- renze. Clemente VII, Carlo V, principi francesi e
italiani, pontefici, patrizii, popolo grasso o borghesi, lastuzia, la forza, il
tradimento, tutti i vari partiti si trovarono asso- ciati in lega per
ischiacciare la libert fiorentina. Essa cadde, ma la caduta fu un trionfo, che
leg, cadendo, un retaggio di glorie e di nobili esempi all Italia futura. V. La
repubblica fiorentina si era levata in grandezza per virt dellarte e delle
industrie popolane, e un artista e un popolano, Michelangiolo e Ferruccio,
furono lanima della sua resistenza nel giorno della prova suprema. Fu questo
uno dei periodi pi tempestosi e angosciosi della vita del Buonarroti. Egli non
isfugg ai sospetti, alle calunnie dei coetanei, alle critiche dei posteri.
Parve che in quei mo- menti supremi per la patria fosse venuto meno a suoi do-
veri, e si volle scoprire, secondo la frase moderna, un punto nero nella sua
vita. Per il tempo rese tarda ma aperta giustizia a quel ma- gnanimo, e ornai
anche questo punto storico chiarito, e
qui pure egli si mostra sempre retto e uguale a s stesso. Egli era stato
nominato, sino dal principio dell'assedio, de nove della milizia, procuratore
e. governatore generale sovra le fortificazioni e i ripari con queste
parole: Sic- come quegli che oltre alle altre
singolarissime virt e arti liberali, in
modo che per universale consenso dell!
uomini non trova oggi superiore ed appresso come per amore ed affezione verso la patria pari a qualunque 80 PARTE SECONDA buono ed amorevole cittadino, ricordandosi
della fatica per lui durata e diligentia
usata nella sopradetta opera sino a
questo d gratis e amorevolmente... spontaneamente e per lor proprio moto... detto Michelangelo
conduxono <v in generale governatore e procuratore costituito sopra detta fabbrica e fortificazione delle mura,
ecc. ecc. (1). Egli si gett con febbrile
attivit allopera; non si limita ai lavori delle fortificazioni di Firenze;
visita, rialza quelle di Livorno, specula sulle fiumare del Pisano, e solleva
ri- pari; mandato per ragioni di Stato a
Ferrara, a Venezia per cercare alleati, raccogliere aiuti alla citt; poi ritor-
nato a Firenze, percorre giorno e notte la collina, le mura intorno; dappertutto, provvede a tutto. Oltre, alle
opere, fece dono alla repubblica di una gran parte del suo peculio, pi di mille
e cinquecento ducati, e rimase senza mezzi. Tuttoci non lo sottrasse dalle ac-
cuse e dalla calunnia , anzi accrebbe le ire de suoi detrat- tori e le frodi di
tali, che avevano interesse di allontanarlo da Firenze. Avveduto qual era, e
profondo conoscitore degli uomini e delle cose, egli comprendeva che Firenze
non bastava da sola a combattere tante forze riunite e collegate a suoi danni
al di fuori, mentre conservava pure in seno subdoli e numerosi i partigiani de
Medici e del papa, che con sorde cospirazioni stremavano le forze interne, e
davano ansa e forza ai nemici aperti. (l) Questo documento venne per la prima
volta pubblicato nel Gior- nale Istorico degli Archici Toscani, Voi. II, 1858.
E da questo si prova che Michelangelo aveva prestato, anche avanti,
gratuitamente lopera sua nella fortificazione della citt. l uomo. S I ricchi,
il popolo grasso per avarizia, per egoismo e per codardia, certi nobili, come
Nicol Capponi e i suoi per ambizione, altri non pochi per spirito partigiano,
per an- tichi vincoli co Medici, sopponevano ai forti propositi della resistenza,
e inclinavano a scendere a patti col Pontefice. Non riuscendo nel loro intento
ricorrevano a intrighi, a frodi, al tradimento. Nicol Capponi ed altri si
oppongono a che si fortifichi S. Miniato; Malatesta Boglione, che fin dal
principio dellassedio era stato nominato governatore generale, erasi venduto al
Pontefice; e anzich disporre i pezzi di artiglieria sopra i bastioni del monte,
li colloca non dentro, ma sotto i bastioni senza guardia alcuna. Mi- chelangelo
sospett subito dessere circondato da ribaldi, e che la repubblica si covava nel
seno i traditori in coloro stessi, che erano chiamati e pagati per difenderla;
svel i sospetti al gonfaloniere Carducci... Non solo non si tenne conto delle
sue rivelazioni, ma venne irriso come sospettoso e sognatore. Allora egli
domanda, insistendo, per essere in- viato in Francia, certo per sollecitare i
promessi aiuti da quel Re; ma gli venne negata la licenza (1). I suoi sospetti
divennero certezza, quando un cotale Marco Orsini gli disse temer fortemente
che Malatesta, accorda- tosi col Papa, dovesse tradire. I traditori, vuoi perch
si vedevano scoperti e designati da un tantuomo, vuoi perch sapevano che egli
era una potenza e lanima della difesa, (1)
E bench io come sapete volessi ad ogni modo andare in Francia, e avessi chiesta licenza e non
avuta, non era per che io non fossi
risoluto, senza paura nessuna, di vedere il fine della guerra.
( Lettera di Michelangelo allamico Paletta della Palla). Gotti, 190. La
mente di Michelangelo, 6 82 PARTE SECONDA per allontanarlo ricorsero alla
frode. Martedi mattina, egli scrive nella lettera citata pi sopra, ai
venti settem- bre venne uno fuori di
porta S. Nicol dove io era a' ba-
stioni, e nelborecchio mi disse, ch'ei non era pi da star qui a voler campare la vita; e venne meco a
casa, e non mi lasci mai, che non mi cav
di Firenze, mostrandomi che ci fosse il
mio bene; o Dio, o il diavolo quello che
sia stato, non lo so. Arte
diabolica fu per fermo coiesta, con cui fu circuito, alettato, sedotto,
spaventato, e costoro non lasciarono presa finch e fu partito. Uomo impetuoso,
di subiti propositi, sdegnato perch vedeva respinti i suoi consigli, e i capi
del governo accecati, illusi e inetti, se ne part. Ma dove volse i passi? Ove
si diresse? E qui manifestasi la prudenza, il senno del gran cittadino, e come
il Guerrazzi, degno inter- prete del grand'uomo, prima ancora che la celebre
lettera fosse scoperta, avesse colla sua ipotesi colpito nel vero. Se lintento
del Buonarroti fosse stato meno che generoso, si sarebbe diretto verso Roma,
ove dal papa Clemente avrebbe ricevuto le pi festose accoglienze. Ma egli s'af-
fretta a recarsi a Ferrara, poi a Venezia, ove, inviato dalla repubblica pochi
mesi innanzi, aveva iniziate le pratiche per ottenere soccorsi (1). Ma sembra
che a Venezia e a Ferrara non abbia avuto ancora che promesse; allora sin-
(i) Io non vi scrivo lo stato mio
particolarmente perch non ac- cade. Solo
vi dico questo, che portai a Venezia tra oro e moneta tre- mila ducati; diventarono, quando io tornai a Firenze,
cinquanta, e tolsemene el Comune mille
cinquecento : per non posso pi pi, ma
troverassi modo. ( Lettera a
Sebastiano del Piombo dalle leltere di
Michelangelo pubblicate da G. Milanesi). luomo. 83 forma, prende consigli per
recarsi in Francia, ma, sog- giunge:
emmi detto che andando di qua sha da passare per terra tedesca e ne dimette il pensiero. Intanto i suoi
amici gli scrissero da Firenze essersi sparsa voce essere egli fuggito per
pochezza danimo , che la Signoria gli diede il bando come rubello, come ad
altri, i quali avevano abbandonata la citt e non avevano obbedito al richiamo.
Intanto a Firenze gli animi si erano rifrancati, la citt si preparava a difesa
disperata. Michelangelo si persuade non poter sperare soccorsi da stranieri; gli
amici gli fanno istanza perch ritorni; gli ottengono un salva- condotto e
passando per Ferrara e per la Garfagnana
di ritorno a Firenze, dondera partito in sul finire di settem- bre, addi
venti novembre. Al suo ritorno, dice il
Varchi fu gran letizia nelluniversale e
non poca invidia in molti
particolari. Riprende l'opera
delle fortificazioni; rimedia il campanile di S. Miniato, chera stato battuto
dai cannoni grossi del nemico; sale sul campanile per osservare dal- lalto
tutte le circostanze di Firenze, le posizioni e i movi- menti dellinimico; con
lui comincia veramente la guerra, saccende lentusiasmo e il furore nella
resistenza e la vit- toria avrebbe coronato i magnanimi sforzi, se la citt non
fosse stata minata dai tradimenti. Spie e partigiani dei Me- dici e degli
Imperiali riportavano nel campo nemico le deliberazioni del Consiglio; altri
ritardavano ed impedivano le mosse de soldati; infine le arti sataniche del
Baglioni paralizzavano la resistenza, tenevano a bada i cittadini, mentre
questi si accordava di nascosto coi nemici. Tutto ci vede, sente, nota
Michelangelo. Qual cuore fu il suo in que terribili giorni! Qual tempesta in
quellanimo generoso al vedere un popolo deliberato ad ogni sacrificio 84 PARTE
SECONDA per la salute della patria, mentre il tradimento affilava nel silenzio
le armi per colpirlo a morte, e rendere vana ogni resistenza. Il popolo passava
dalla sfiducia alla speranza, dalla speranza al disinganno, e i traditori
attendevano il momento propizio per venderlo e immolarlo. Questo stato di cose
egli ritrae in un sonetto enimma- tico (1), in cui vede s stesso sospeso fra
due morti: Poco giova, che chi cadere
vuole Non basta 1 altrui man pronta e vittrice.... Io conosco i miei danni e l vero
intendo.... In mezzo di due morti il mio signore. Questo non voglio, questo non comprendo, Cos sospeso il corpo e lalma muore. E Firenze e la libert sono colpite a morte.
Invano Fer- ruccio opera prodigi di valore; egli cade a Gavinana. In- vano
mentre Ferruccio combatte di fuori, il popolo di den- tro si agita, prende le
armi, insiste per uscire contro il nemico, assalirlo alle spalle. Malatesta si
oppone, consuma il suo tradimento, e occupa colle sue truppe parte della citt,
ormai venduta agli Imperiali. Michelangelo st saldo al suo posto nel forte di
S. Mi- niato, cui era preposto a guardare; egli che era stato la- nima della
resistenza, vedeva che vano riesciva ornai com- battere, perch il tradimento
rendeva inutile ogni conato; (l) Non si appone forse il Grimm supponendo, che
tal sonetto sia stato scritto in que momenti angosciosi. un sonetto politico, n pu alludere allamante;
lamante la patria. Sembra che un altro
sonetto poco dissimile da questo parli damore, come qui di politica.
Raffrontare il sonetto xm con questo. l uomo. 85 pure comp sino allultimo il
suo dovere. Egli aveva bastio- nato il monte, aveva armato il campanile di S.
Miniato, aveva perfino proposto di spiantare e spianare il palazzo dei Medici,
farne unaia, che si chiamerebbe laia dei
muli. E quando le masnade spagnuole,
tedesche, papaline e na- poletane irruppero in Firenze, la tenace difesa non si
poteva obliare, n perdonare dai suoi nemici, egli venne cercato a morte.
Abbandon la sua casa e ripar nel campanile di S. Nicol. Per, passata dopo
alcuni giorni la furia delle sol- datesche, e sbollita lira di Clemente VII,
questi ricerc del sommo artista. Il Papa desiderava che fosse terminata la sa-
crestia e deliberava affidargli altro lavoro, n ritrovava un altro
Michelangelo; lo fece assicurare della vita, ed esso riprese i lavori della
sacrestia, e da quel d non trov pi altro conforto che larte, e si diede tutto a
lavorare. Larte divenne, fin da quellistante, il suo rifugio, la sua patria;
larte la sua arma, e la sua vendetta. Da quel giorno gli riesce pure increscioso
il soggiorno di Firenze, e vi rimase solo il tempo necessario per porre termine
a lavori, e so- pratutto al sepolcro de Medici. E in quel monumento , chi
sappia contemplarlo cogli occhi della mente e del cuore, egli sollev non solo
il sepolcro a casa Medici, ma la tomba o il deposito della libert italiana,
sepolta colla ca- duta della repubblica fiorentina, ma nella morte il cittadino
gi presente il crepuscolo della risurrezione e della vita. VI. Chi penetra per
la prima volta in questa meravigliosa sa- crestia, rimane compreso da un
sentimento lugubre ad un tempo e solenne. Egli sente che non ha intorno a s una
ne- 86 PARTE SECONDA cropoli, ma piuttosto un luogo sacro, un tempio leggiadro
insieme ed augusto, sul quale un genio divino ha fermato la sua sede; un luogo
in cui ferve nascosa, e fermenta sepolta e profonda, la vita. Nulla ha di
sepolcro, nulla di tetro e pauroso. La luce piove dalle vaste finestre e dalla
vlta serena e tranquilla. Le mura si spiegano alte, a linee leggiadre e
armoniose ; tutto invita a pensare, e il pensiero non tormentoso, sepolcrale, ma concentrato, forte
e fe- condo. Le pareti, che si levano dietro i sarcofaghi, leggiere e ri-
vestite di marmo liscio, sono divise in due campi dalla cornice uscente, che
corre intorno in forma squisita e serve di base allarchitettura superiore; essa
vi conduce grada- tamente su alla leggiadra volta, la quale non preme sul
sacrario, quale coperchio dun sepolcro, ma pare traspor- tarci ancora in alto,
a cercare nuovi spazi, orizzonti piu vasti. Intorno a noi, a destra e a manca,
stanno qui le stupende statue coricate sopra i sarcofaghi, colle teste
rilevate, e su di esse ritte nella loro nicchia, fiancheggiate da pilastri
scanalati, le statue dei duchi. Ogni gruppo forma un tutto per s stesso; mentre
poi collegate, unite in un concetto, concorrono a costituire un tutto che
sintegra in un effetto complesso. Architettura, pittura, scoltura e ornato, non
sono come nei monumenti moderni, parti distinte, ma sin- trecciano, si
adempiono a vicenda; sono come altrettante scene del dramma greco, in cui le
varie parti del coro, dei personaggi, delle decorazioni concorrono a ordire la
tra- gedia, e presentano un complesso armonico e maestoso. Sembra che quel
sommo con questo Deposito , anzich, alla morte, ispirandosi alla natura vivente
che lo circon- l uomo. 8 dava, in questeuritmia di forme, di colori e di linee,
siasi propos'to di ritrarre la vaghezza dei panorami che pre- sentano allo
sguardo le colline e le convalli toscane, la purezza delle linee degli orizzonti,
la quiete serena del cielo azzurro dItalia, di cui la leggiadra Toscana il centro e il cuore. LItalia, l in quei
marmi di morte, aspira alla vita; essa
simboleggiata ne suoi periodi di cadute, di morte, di rinascimenti, ne
ricorsi storici della notte che pes su di lei, del crepuscolo che si leva, e
del giorno lontano che lattende. Era stato commesso allartista di ritrarre
leffigie del Duca di Urbino e quella del Duca di Nemours; ma i coe- tanei non
riconobbero nelle statue veruna rassomiglianza colle sembianze conte dei due
duchi. L'artista non fece che adombrare le sembianze di Lo- renzo e Giuliano;
scolp piuttosto nel marmo il suo pen- siero; e il popolo nostro, che ha
lintuito del simbolismo, appell luno il Pensieroso , laltro il Guerriero ; luno
sta concentrato in s, chiuso in un profondo pensiero che lo tormenta, come
potrebbe venir per avventura effigiato il Principe di Macchiavelli; volge
dentro di s un disegno profondo, misterioso, che lo preoccupa; laltro, in
faccia, chiuso nelle armi, coperta la fronte dellelmo, la mano sul- lelsa, si
dispone ad attuarlo. Ai piedi del Pensieroso (il Duca d Urbino) si distendo la
meravigliosa statua della Notte o del Sonno. Un sonno, che non pur sonno; questo colosso pro- steso, col A guisa di leon quando si posa. Non
sonno, stanchezza, che in mezzo
al furore del combat- timento lha vinto; ma tanta lenergia della volont, la forza che palesa
pur nel sonno, che tu presenti quindi non 88 PARTE SECONDA lontano il suo
risvegliarsi, e quel risveglio sar terrore agli stessi vincitori. Miratela?
Questa statuasi presenta di profilo distesa da destra a sinistra. Sta la coscia
volumi- nosa ripiegata col ginocchio sollevato, quasi airaltezza del capo
inclinato sul davanti, il piede posa sopra un fascio di papaveri; la spalla
sollevata e sporgente comprime un lato del corpo, r avambraccio si ritira
alquanto indietro, laltro ripiegato sostiene il gomito che sappoggia sopra la
coscia colossale, mentre colla mano regge la testa incli- nata e trattiene il
diadema che vacilla, e sta per cadere gi dalla fronte. Tutto in questa
statua colossale; il petto ampio, le
mammelle divise l'una dallaltra, turgide, salde, il sangue corre bollente nelle
vene rigonfie, il cuore palpita impetuoso, tutti i muscoli del collo rilevati,
e sono caldi di sangue e di vita. Dorme, ma agitata da sogni misteriosi; vi ha
un incubo, una forza arcana che lo tiene come in- chiodato nel sasso. Non una donna, ma la moglie di un Titano, che in
mezzo al furore della mischia casca come colpita da spossamento, o vinta dal
sonno. Oh! aspettate! essa non pu tardare a scuotersi, a sollevarsi, e sfider a
guerra i leoni! Essa Firenze, l'Italia, cui forze brutali e straniere ten-
gono soffocata, compressa; ma, caduta, sfida ancora i suoi vincitori; sicura in s, e vede non lontano il giorno
della riscossa. Per appoggia il braccio sinistro sopra il macigno, il macigno
delle Alpi e degli Apennini, sul quale
dipinta la maschera che ne simboleggia il concetto arcano; sotto le
ascelle si scopre il gufo, la triste notte delloppressura nordica e del
lamento; ed essa giace ravvolta in un ma- gnifico mantello a larghe pieghe,
come entro il paluda- mento delle sue glorie antiche. luomo. 89 Molti dei
coetanei compresero il significato politico del monumento, a quel modo che la
nostra generazione affer- rava di volo le allusioni del Nabucco, del Procida
nelle tragedie del pi libero e invitto poeta italiano moderno, G. B. Nicolini,
o i simboli del Vela. Egli scrisse bens di suo pugno, dietro un disegno una
cotal spiegazione del mo- numento; ma tale scritta, un vero logogrifo, un enimma, che ne accresce
loscurit (1). facile a comprendere come
(l) Gi G. B. Nicolini, poeta troppo oggi obbliato dalla floscia e ras- segnata
scuola sorta sulle orme manzoniane, aveva divinato e spiegato nel suo discorso
Del Sublime il concetto politico del Deposito. Poco dopo si ritrov la
dichiarazione scritta da Michelangelo stesso dietro uno de suoi disegni. Ma
dichiarazione siffatta tutto un
arzigogolo e gioco di parole, il quale, anzi che chiarire il suo pensiero,
tende a velarlo maggiormente, e sviare la mente dal significato vero. Per a
ragione quel valentuomo che fu il Dupr, nel suo studio sopra i se- polcri
medicei (Ricordo al popolo Italiano), dopo aver riportate quelle confuse frasi,
che riconosce dettate per artifizio o per ischerno, sog- giunge: La
generazione, la quale possa fissare lo sguardo della mente nelle profondit michelangiolesche, forse
non nata ancora; cia- scuno spinge lo sguardo secondo le proprie
forze. Il Buonarroti con potenza
meravigliosa fiss il suo sguardo nellEterna Luce, ne rap una favilla, e la trasfuse nelle sue opere
immortali I maligni non possono
sopportarlo; ch laquila figge severa e gioiosa lo sguardo nel sole, mentre le nottole ne restano
accecate. Parole doro degne del sommo artista e scrittore. Del resto sulle idee
che il Buonarroti incarn nelle sue opere potremo dire ci che Gote rispose ad
Esker- mann, il quale lo interrogava sulle idee che intese di personificare nel
Faust: Come se io lo sapessi! soggiunse,
come se io fossi in grado a dirlo
a me medesimo!... Il Fausto un soggetto
incommen- surabile, e tutti gli sforzi
dello spirito per penetrarvi interamente
riesciranno vani. E tali sono i
sapienti e i grandi concepimenti di quel divino artista. 90 TARTE SECONDA
intendeva di dare lo scambio agli interpreti e sviare latten- zione dei nemici.
Per il significato vero che come meglio tenteremo dimostrare nel capitolo
seguente, lo grid egli stesso in un momento di generoso disdegno colla
terribile quartina (1): Grato m il
sonno, e pi Tesser di sasso, Infin eh il danno e la vergogna dura; Non veder,
non udir m gran ventura, Per non mi destar, deh parla basso. In que marmi, durante e dopo lassedio di
Firenze vers il furore, il disdegno, lirrequietezza, che tormentava lanima sua
esulcerata; ad essi fid le sue vendette per i secoli futuri, come Filippo
Strozzi, quando prima di suicidarsi scriveva sulle mura nel carcere: Deo liberatori. Exoriare aliquis nostris ex ossibus ultor. *
VII. Caduta la libert, egli deliber di abbandonare la citt nativa. Vi rimase
qualche tempo ancora per condurre a (1) V. GuAsrr, pag. xxxix. E meglio ancora
apriva il suo pensiero, quando scolpiva a Ridolfo Cardinale una testa di Bruto,
aperta allu- sione di Lorenzino, e chiaramente alludeva alla spenta repubblica
nella medaglia fatta per quel Bindo Altovito, che nella guerra di Siena spieg
la verde bandiera col motto dantesco:
Libert vo cercando, ch s cara
Come sa chi per lei vita rifiuta. luomo. 91 termine i lavori intrapresi,
e che Clemente VII voleva ve- dere ultimati. Morto il Pontefice (il 25
settembre 1534) egli abbandon i lavori della sacrestia, della biblioteca, della
facciata di S. Lorenzo, che rimasero incompiuti. Non ristava dal gemere sulla
sorte di Firenze che creata dangelica forma e per mille amanti, cade preda dun
solo. Ma questi, che lha spoglia di libert ,
Col gran timor non gode il gran peccato (l). Fiss dimora in Roma, come
la citt dellarte, ma non lamava; viveva solitario, mesto, con pochissimi amici.
Ri- chiesto dal duca Alessandro di disegnare il luogo per eri- gere una
fortezza contro Firenze, vi si rifiut. Cosimo gli promise onori e beni per
lettere e per messi orali, perch ri- tornasse in Firenze, ma egli con diversi
pretesti declin sem- pre linvito; risponde
che gli onori non erano fatti per lui ; la patria portava ognora nel
cuore, e non gli reggeva la- nimo di vederla schiava. Inviava spesso sussidi di
danaro per mezzo del suo nipote alle confraternite e a famiglie povere di
Firenze. Bench cinto di sospetti continu pure ad aver rapporti cogli esuli
toscani, che cospiravano per rivendicare la libert della patria. E per mezzo di
Scipione Strozzi, e poi per certo Deo, corriere, mand a dire a Fran- cesco I re
di Francia, che se fosse sceso in Italia
e se rimetteva Firenze in libert, gli voleva fare una statua di bronzo a
cavallo sulla Piazza dei Signori, a sue spese.
(l) Per molti, Donna, anzi per
mille amanti Creata fosti, e dangelica forma.
Madr. I., Firenze e gli esuli fiorentini. .
PARTE TERZA VITTORIA COLONNA VITTORIA COLONNA i. Dopo la famiglia e la
patria, la donna. Lamore nelle grandi
personalit la pietra di paragone, che prova la tempra del cuore. Il quale,
secondo la pas- sione che domina la vita, si svela grande o meschino, ma-
gnanimo o dappoco. Per il femminile viene considerato nella nostra letteratura
come il complemento del poeta e dellartista. Sulla passione, che ne irradia la
vita, si suole ordire la sua storia o la leggenda, e portare un giudizio sul
carattere. Il nostro popolo non sa scompagnare il suo poeta dalla donna dell
animo suo. I grandi poeti stranieri , come Shakespeare, Corneille, Klopstoch,
Gote, Schiller se ne stanno virilmente soli o vivono della vita domestica e
reale; in Italia si vuol circondarne la vita colla storia e colla leggenda
dellamore. E non sappiamo scompagnare Dante, Petrarca, Boccaccio, Tasso,
Raffaello, da Bea- trice, da Laura, da Fiammetta, da Eleonora e dalla For-
narina. Lolimpo religioso non sembra completo senza la 96 PARTE TERZA Madonna;
1 Olimpo del poeta e dellartista senza la sua donna , che il poeta attira e
solleva seco lui nella sua im- mortalit. Anche a quellanimo austero e maschio
di Michelangelo si doveva attribuire il suo femminile, e lebbe ; ma lamore suo un amore a parte , un amore eccezionale. Anche qui esso batte
strade disusate e sole. Egli come i geni sovrani, che appellerei profetici o
sa- cerdotali, non ha conosciuta giovinezza. Sino dalla prima et egli si mostra
innanzi a noi austero e adulto; lo ve- diamo dai primi suoi passi nella vita
compreso dun alto sentimento, chiamato come ad una missione arcana, schiavo del
dovere e del lavoro. Non mai vissuto per
s, come scrive in una sua lettera, ma per la famiglia, per la patria e per
larte. Tutto in lui austero e fortemente
sentito. Lamore, che per gli altri artisti e letterati era riguardato come un
tra- stullo, unavventura, un piacere fugace, era per lui quale una religione,
era passione dellanima, ed elevazione. Scipione ammirato nelle sue storie
scrive: Che essendo il Buonarroti vissuto per lo spazio di
novanlanni, non si trov mai in tanta
lunghezza di tempo e licenza di pec-
care, gli si potesse meritamente apporre macchia o brut- tezza alcuna di peccare. E il Condivi, il quale era stato compagno
della sua gio- vinezza, e ne raccoglieva con religiosa cura i ricordi, dice di
lui: Non altrimenti averlo mai sentito a parlare e ragionare d amore di quello che appresso
Platone si lesse.... Non sentii mai
uscire di sua bocca che parole onestissime. Quali fossero i costumi dell'epoca noto; ne fanno te- VITTORIA COLONNA. 97
stimonianza oltre gli scandali di cui riboccavano le storie, le commedie del
Bibbiena, i capitoli di monsignore Della Gasa, del Berni, del Macchiavelli, i
novellisti, le storie dei principi, di pontefici e di artisti. Il secolo
decimoquinto e decimosesto un baccanale
di coltura, di poesia, darte e di turpitudini. Michelangelo spicca anche qui
come es- sere eccezionale. Le numerose sue lettere non accen- nano mai a
venture e intrighi amorosi; pure era uomo di passioni violenti e fortemente
sentite. E lanimo suo, avido daffetti e di passioni, egli soleva versare in
rime amorose, come a cercare sollievo e sfogo alle interne tem- peste. Di
queste rime non si conoscono le date, n le circo- stanze in cui furono scritte;
ma si sente che sono medi- tate a lungo nel silenzio de suoi affetti, e
prorompono dal fondo del cuore. Non sono fuochi fatui, finzioni come quelle dei
numerosi e sfibrati imitatori del Petrarca, ma sono ac- cesi lampi, che
rischiarano la profondit dunanima agi- tata, gli oscuri e intimi involgimenti
di un cuore chiuso in s, che cerca di comprendersi e di rivelarsi. Sono pi an-
cora che voci damore, aspirazioni, lampi, fantasie o versi con affetto elevato
e intimamente sentito, e pi spesso pen- sieri condensati in versi. Un concetto
ideale e reale damore risplende ne suoi versi, e si svela a tratti brevi,
luminosi e scultorii. Spesso la statua
abbozzata appena, come nel Giorno della sacrestia. Il concetto oscuro, perch la pa- rola non pronta ad atteggiare il pensiero, ed egli, al
pari di Dante, sdegna di sagrifcare il pensiero alla frase o alla parola.
Questa deve rispondere alla sua volont. Berni nota esser egli fra pochi poeti
che dicono cose e non La mente di
Michelangelo. 7 98 PARTE TERZA parole (1).
schivo di vezzi e di adornamenti. Scolpisce pi che non scrive, ma se
penetri oltre la scorza della sua statua, senti fremere un anima, palpitare un
cuore acceso. II. Come dell'arte, egli si era formato un ideale eccelso della
sua donna e dell'amore. Qual fosse cotesto ideale, ce Io dir egli stesso; la
parola del biografo riescir sempre sco- lorita e fiacca a petto di quella
deH'artista-poeta. Amore quando l'anima
sua si dipartita da Dio, occhio sano me
fece, e te splendore. Sonetto vi: Come dal fuoco il caldo, esser diviso Non pu l bel dalleterno; e la mia stima Esalta chi ne scende e chi l somiglia. Veggendo ne tuo occhi il paradiso, Per ritornar l dove io tamai prima, Ricorro ordendo sotto le tue ciglia. Sonetto vii:
Non so sell limmaginata luce Del
suo primo Fattor, che lalma sente, 0 se
dalla memoria, o dalla mente Alcuna
altra belt nel cuor traluce. (Guasti,
200). (l) Derni nel suo capitolo a Sebastiano del Piombo dice: Ilo visto qualche sua composizione; Sono
ignorante, o pur direi davelie Lette tutte nel mezzo di Platone. S chegli nuovo Apollo e nuovo Apelle; Ei dice cose, e
voi dite parole. VITTORIA COLONNA.
99 Chi mi pu guidare a lei? Vede la sua donna, l ideale che irraggia T
anima sua pende tra il dolore, il dubbio e il desiderio: Questo, Donna, mavvien poi chio vi vidi Chun dolce amaro, un s e no mi muove. (Guasti, 200). E nel madrigale vii: Nascendo, dice, mi fu data la bellezza : Che di due arti m lucerna e specchio... Questa sol locchio porta a quellaltezza Per cui scolpire e pinger mapparecchio. Sono giudizi temerari e sciocchi quelli che
tirano al senso, la belt che< muore, e poi
porta al cielo ogni intelletto sano.
Ci che muore non pu porgere . quiete alluomo saggio, n soddisfarlo: Voglia sfrenata .1 senso, e non amore, Che lalma uccide. Amor pu far perfetti Gli animi qui, ma pi perfetti in cielo. Non basta a lui il bel chagli occhi piace; ma
nella belt individuale lanima sua cerca larchetipo della bel- lezza: - *
Trascenda in ver la forma universale. 1*00 PARTE TERZA Per svolgendo anche in
una forma pi precisa e chiara il concetto, nel sonetto in (211) scrive: La forza dun bel volto al ciel mi
sprona, (Chaltro in terra non che mi diletti), E vivo ascendo tra gli spirti eletti;
"Grazia eh ad uom mortai raro si dona...
Onde se mai da due begli occhi il guardo
Torcer non so, conosco in lor la luce
Che mi mostra la via eh a Dio mi guida.
E nel sonetto vili: Amore sveglia
e muove, e impenna lale Per alto volo;
ed spesso il suo ardore Il primo grado, onde al suo Creatore, Non ben contenta qui, lanima sale. Lamor che di te parla, in alto aspira, Ned
vano e caduco; e mal conviensi
Arder per altro, a cuor saggio e gentile. Egli aspira al bello eterno, e a dargli forma
precisa, im- peritura quale la stamp nel pensiero, talch Se poi l tempo ingiurioso, aspro e
villano Lo rompe o storce o del tutto
dismembra, La belt, che prim era, si
rimembra Dentro 1 pensier Similemente la tua gran beltade, Chesempio
di quel ben chil ciel fa adorno,
Mostroci in terra dallArtista eterno, ecc. * E altrove, rivolgendosi
alla sua Donna: Vidi umil nel tuo volto
ogni mia altezza; Rara ti scelsi, e me
tolsi dal volgo; E fla con lopre eterno
anco il mio amore. * VITTORIA COLONNA. 101 E ancora: Fallace speme ha sol lamor che muore Con la belt, che scema a ciascun ora., Perch
suggetto al variar dun viso. Certa ben quella in un pudico cuore, Che per cangiar di scorza non si sflora N langue
La belt chegli mira vera, reale,
e l ha il poeta dentro il cuore : Dimmi,
di grazia, Amor, se gli occhi miei
veggono il ver della belt eh io miro,
O s i l ho dentro il cor, eh ovunque io giro, Veggio pi bello il volto di costei... La belt che tu vedi, ben da quella
Ma cresce poi eh a miglior loco sale,
Se per gli occhi mortali allalma corre:
Quivi si fa divina Che cosa amore, onde scende a noi? Dalle pi alte stelle Discende uno splendore, Che l desir tira a quelle; E quel si chiama amore. Ned altro ha gentil cuore Che lo innamori, e arda, e chel
consigli, Ch un volto che negli occhi
lor somigli. Nella perfetta bellezza si
svela Dio: N Dio, sua grazia, mi si
mostra altrove Pi che in alcun leggiadro
e mortai velo, E quel sol amo, perch in
quel si specchia. 102 PARTE TERZA III.
Tale la sua teoria dell'amore, tale 1 ideale femmineo, che splendeva innanzi
alla sua mente, o, come egli stesso dice, aveva dentro il cuor. Innamorato dogni maniera di bello, egli cerc
a lungo il bello che vagheggiava la sua mente. Affetti diversi e ardenti hanno
senza dubbio agitato il suo cuore giovanile. Egli stesso scrive ne' suoi tardi
anni: Affetto alcun mortale non m nuovo. * Ma il bello che sentiva in s, la
donna che vagheggiava col pensiero, non si offri che tardi innanzi agli occhi
suoi. Raffaello aveva trovato la sua donna nella Fornarina, e in altre bellezze
non so se pi sedutrici o mistiche, che vediamo riverberate in forme
meravigliose ne' suoi dipinti. Tutti gli artisti la riprodussero nelle diverse
bellezze o modelli che ritraevano. Per essi si sono per lo pi arrestati alla
bellezza esteriore. Perugino, Gian Bologna, il Masaccio, lo stesso sommo
Raffaello, Tiziano, prendono a ritrarre larmonia delle forme, la purezza delle
linee, la rotondit dei contorni, lo splendore del colorito, o vuoi, come frate
Angelico, il candore, lingenuit dellanima che traluce dal sembiante, o vuoi,
come i Veneziani, il foco della passione, lo sfolgorio delle carni, lardore
della sensualit nel colorito caldo e smagliante. Altra cosa era la bellezza che
vagheggiava il Buonarroti. La bellezza che egli cerca, la desiata luce Del suo primo fattor, che lalma sente, VITTORIA COLONNA. 103 quella bellezza che non fallace , e
Trascende in ver la forma universale.
(1) Prima ancora che vivente apparisse innanzi a suoi oc- chi, egli
laveva scolpita, egli laveva realizzata nei dipinti e nelle statue. Queste
donne, che noi ammiriamo nei suoi dipinti, a prima veduta non ci sembrano belle
secondo il concetto della bellezza, che ci lasciarono i Greci, o molti dei
nostri pittori, anche sommi; le sue donne hanno alcun che dirregolare nelle
forme, di turbato, dirrequieto nelle mosse, talora anche un non so che di
scomposto, di subi^ taneo e di colossale; sembrano tipi, pi che personalit vi-
venti; pure vedute, si stampano nella mente per modo che non solo non le
dimentichi pi, ma ti perseguitano, tin- vadono, ti stanno fsse innanzi agli
occhi, ti favellano. una bellezza di cui
egli solo possiede il segreto. Quale
questo segreto? La donna dipinta da molti pittori un es- sere per lo pi passivo, essa il riflesso di una bellezz esteriore, non
duna passione, d un idea che prorompe dall intimo dellessere, ma viene dal di
fuori, ed bellezza obbiettiva. Essa la vergine che in s riflette lo spirit
divino, che transita su di lei, in s lo accoglie, anzi che elevarsi a lui; la Madonna, che in s rispecchia la in-
genuit, lamore, lo spirito del suo bambino, o l Assunta che trasportata dallestasi, e da nimbi dangeli
che lele- vano ai cieli; sempre una
potenza esteriore, angelica, soprannaturale, od umana che opera, e di cui essa
non che listrumento, il ricettacolo, il
Vas delezione. Invece (1) Rime di Michelangelo , sonetto lu, 214. 104 PARTE
TERZA la donna di Michelangelo una forza
in s stessa. Essa per s una volont,
unenergia, unintelligenza. Egli non cerca di sedurci, di allettarci colla
soavit delle forme, la regolarit delle linee, d innamorarci colla leggiadria
delle pose, ma ci signoreggia e simpone a noi. Egli lha concetta, l'ha
fecondata, riscaldata a lungo nellinterno della sua mente, e quando prorompe
fuori, imprime in lei la vita che sente in s, lispirazione che lha creata, e la
passione che lo tormenta. Quando dal mondo delle idee le sue donne sor- gono
allesistenza nel mondo dei fatti, traboccano di vitalit, di forza, si muovono,
operano.. Tu le miri non solo, ma le senti, e si stampano colle loro attitudini
strane e indimen- ticabili nella mente, per modo che sorprendono e sbalordi-
scono. Sono le dee madri, sono i grandi tipi femminei, che lumanit conserva,
riscalda in s di secolo in secolo per rinnovellare i popoli, per trasformare,
rialzare le razze. Tali ci appariscono le Sibille che scolpi, pi che non
dipinse, nella volta Sistina; veri archetipi delle cose, ideali dellarte. Tali
le cento donne che or si elevano, or sinchinano fles- suose, or si esaltano,
ora sabbracciano per innalzarsi al cielo, ora precipitano tormentate negli
abissi, nelle scene del Giudizio Universale. Tale la Madonna cosi
passionatamente mesta, che tiene Ges morto su le sue ginocchia; tale la Madonna
ancora, che atterrita si nasconde paurosa ed esta- tica dietro il
Cristo-Giudice. Queste donne sono quali le vagheggiava nel suo pensiero, e sono
il risultato conver- gente di tutte le facolt attive della sua mente, del suo
cuore; ed egli a tratti le dipinge ne suoi versi, non molli, caduche, sfibrate,
o tutta leggiadria, moine e dolcezza, come le donne di Petrarca, del Perugino,
di Gian Bellino; ma sono donne energiche, operose, intelligenti. La loro forza
risiede VITTORIA COLONNA, 105 in loro; non
passiva, non riverbero di potere estraneo; la bellezza risiede
sopratutto nella espressione, riflesso dellanima, nella volont indomita; donne,
che, superiori alle leggi del tempo, illumina una bellezza che per can- giar di scorza non si sfiora , N
langue, o scema a cia- scurora (1), ma
perdura come il pensiero da cui irraggia il sentimento, la passione del cuore
che le accende e agita, lispirazione da cui sono invasate; non sono n la Marta
che mesce e serve a tavola il Signore, n la Maddalena che versa ol odorosi ai
piedi del Signore, e stemprasi in lagrime di pentimenti o di passioni; sono
forme superiori, superbe, sicure in s; hanno dell eroico insieme e del soave;
alla forza virile accoppiano la bellezza, la grazia; alla bont, allabnegazione
gli impeti e gli entusiasmi fem- minei. la
donna biblica, come veniva concepita Rachele, la quale in s incarna le passioni
e l'anima di un popolo; la profetessa Ulda, che si presenta temuta e minacciosa
al Re di Giuda; la donna guerriera e liberatrice, come Debora, Giuditta; ia donna di valore, la donna solerte e forte
quale cantata dal Savio dei proverbi;
quella che cinge i suoi lombi di fortezza e la cui luce non scema , n si
estingue la notte, che stende la mano al bisognoso e che pu sfidare V avvenire
(2). Ma la donna di valore, dice il Savio, chi sapr trovarla? Mulierem fortem
quis inveniet? (1) V. Sonetto ix di Michelangelo. (2) Proverbi, Cap. xxxi. 106
PARTE TERZA IV. E questa donna, si a lungo vagheggiata col pensiero, non si
offr al suo sguardo che nellet gi matura; Michelan- gelo aveva compiti i
cinquantanni quando in una delle gite che faceva fra Firenze e Roma nel
1532-1533, s incontr con Vittoria Colonna.
questa forse, meglio che let dei trentacinque anni, segnata dal
Romanziere moderno , per luomo e per la donna, che l esistenza non corruppero e
sfibrarono, let degli amori energici, passionati e du- revoli. Amore nella
prima giovinezza si alimenta d immagina- zioni, di fantasie, di facili
entusiasmi, e svampa insieme coi piaceri dei sensi; spesso non lascia dietro di
s che delu- sioni, spossatezza e scoramento; del fuoco avvampante non rimane
che carbone e cenere. Rado o mai la realt corri- sponde allardore delle nostre
fantasie, all intensit del de- siderio, e nasce nell uomo e nella donna il
disinganno, la delusione, una disgustosa saziet e il tedio. Il tedio, il vuoto
del cuore, che nelle anime passionate sopratutto, corrode innanzi tempo il
verde della giovinezza, sfronda dogni ramo l'albero della vita, e affretta il
gelo dellet senile e della morte. Ma nelle anime forti e virili d'ambo i sessi
l'amore si rinnova, si trasforma cogli anni; si raccende ed ascende come
fiamma; esse hanno sete damore nelle di- verse fasi della vita. Tramontato il
primo periodo, l'anima, anzi che satolla, anela ad un pascolo pi elevato, pi
du- revole. un nuovo aspetto damore, o,
come dicevano gli antichi, un novello grado nell'ascesa, nella scala damore,
che saccende nel focolare del cuore, come dellintelletto; VITTORIA COLONNA. 107
diviene il vincolo di due anime, le quali sanno compren- dersi, di due spiriti
che sanno identificarsi e si completano a vicenda. Non solo amore, ma fiamma che va a con- fondersi, identificarsi
nellanima a lei gemella; sono due pensieri, che saccentrano in uno solo; e
siccome il pensiero non muore, quel vincolo non si frange colla morte, perdur
pi forte sopravvivendo alle vicende del tempo e al gelo della tomba. Rari sono
questi amori; pochi ne ricordano le storie degli amanti, n si riscontrano che
in esseri eletti e supe- riori. il pensiero,
che, dopo un faticoso agitarsi nella vita, ritrov il suo pensiero
corrispondente; lo spirito, che dopo intenso anelito e lungo cercare, ha alfine
rinvenuto lo spi- rito, che nelle lotte della vita lo conforta, lo sostiene, lo
sorregge, lo spinge a meta pi eccelsa, lo affina e leleva al suo cielo
(1). questa non solo unaffinit elettiva,
ma diremmo, intellettiva. Nelluomo
intelligenza, energi, volont ferrea ad un tempo, ed affettuosa e
riguardosa ; nella donna fuoco di pensieri e di affetti, abnegazione tutta prova,
passione dellanima che si converte in una specie di culto, nel senso
umano ad un tempo e divino. In (1) Questi concetti ecco come sono espressi da
Michelangelo : Che quel che non te, non
mio bene. Ogni stupore ed ogni
meraviglia Delluniverso par che a te mi
chiami, E nel pensier mi si dipinge e
tiene... Chi da voi si parte Pace non trova, n salute poi Ch l ciel non
dove non siete voi. {Rime, Mad.
xlii e var.) 108 PARTE TERZA ambo
svolgimento all ultima potenza delle facolt pi nobili della mente, pi
affettuose e passionate del cuore. Questo amore si differenzia del pari dagli
amori volgari, come dalle vacuit e finzioni dellamore detto platonico. Esso si
pasce di letizie arcane, di piaceri pi profondi e durevoli del primo, e meglio
del secondo si fonda e si radica sulla realt dellesistenza, e corrisponde ai
bisogni, agli istinti, agli aneliti della coscienza umana. Dante, la cui anima
ha tanta affinit con quella di Mi- chelangelo, comprese e descrisse quella
specie damore, o meglio diremo, deline questeducazione ed elevazione del-
lamore nelle varie fasi che percorre. N solo lo sent, ma ne descrisse e ne segn
il passaggio dalluno allaltro pe- riodo. Beatrice, la quale incarna insieme
lintelletto e lamore, la scienza e il sentimento, la filosofia e la religione,
nel trentesimo canto del Purgatorio , ricorda al poeta laffetto, dal quale egli
fu acceso al suo primo apparire. Ma il gio- vane imberbe non seppe in lei
discernere se non la bel- lezza esteriore:
Mai non tappresent natura ed arte
Piacer, quanto le belle membra in chio
Rinchiusa fui, e che son terra sparte.
E allora lo sostenne col suo volto,
Mostrando glocchi giovanetti a lui.
(l) Poscia accenna al secondo periodo in cui lamore dei (1) Dante,
Purgatorio , xxx. VITTORIA COLONNA. 109 sensi o delle belle membra si muta in
affetto pi nobile, in sentimento : S
tosto come in su la soglia fui Di mia seconda etade e mutai vita. E infine al periodo pi elevato: Quando di carne a spirto era salita E bellezza e virt cresciuta mera. Sinch sollevato da lei all ultima visione di
amore, nella quale mille desiri pi che fiamma caldi, stringono gli occhi suoi
agli occhi rilucenti, l'animo gusta di quel cibo Che, saziando di s, di s asseta. (1) Allora discerne la seconda bellezza
chessa cela, e di- viene isplendor di viva luce eterna. Per tal modo Dante
percorre la gamma delfiamore, che forma la grande sinfonia della umana
esistenza. Dal senso si eleva al sentimento, da questo si trasforma nell
intelletto, intelletto damore. Il concetto estetico e psicologico si mut in realt
nella vita del Dante, come in quella di Michelan- gelo. Con questa differenza,
che il primo sincontr con Beatrice nella prima sua et, a nove anni. Sparita
Beatrice, egli la segue col pensiero nella tomba, e si tramuta in un amore
ideale. Il simbolo si confonde colla realt, anzi questa si eclissa nel simbolo.
Mentre il secondo sincontr colla (1) Dante, Purgatorio , xxxi. HO PARTE TERZA
Colonna, pervenuti entrambi allet matura. Lartista allora si trasforma in
poeta, e segna quasi le fasi del suo amore nelle sue rime, in cui stampa, anzi,
spesso scolpisce le impressioni dellanima accesa. V. Vittoria Colonna
accoppiava in s tutte le qualit fem- minee che Michelangelo aveva vagheggiate
come artista, come pensatore, come poeta. Esso pot in lei disbramarsi la decenne testa ed appagare le aspirazioni dellintera sua
vita. Essa toccava i quarantanni; vedova da otto anni, splendeva della venusta
maest di una bellezza matura e gentile. Alta e leggiadrissima persona, fronte
larga, rilevata e luminosa, capelli lunghi, sottili e d un biondo doro; occhio
tutto intelligenza e fuoco, collo alto, spiccato e marmoreo, dalla bocca, dallo
sguardo spirava una tranquillit gran- diosa, l incesso, gli atti tanto pi
ardenti quanto pi com- pressi e avvolti in un velo di mestizia profonda, che pi
non labbandon dopo la morte dello sposo. Sotto la rigida severit della
gentildonna le grazie della poesia, la forza del pensiero, labbandono di un
cuore benevolo e acceso di fuoco inconsuntibile damore : cuore di colomba,
tempra dacciaio. Poeti, prosatori, gentiluomini, levavano a cielo le virt, le
bellezze, lingegno della Colonna; ed i coetanei unirono lei e lui , ambidue, in
uno stesso appellativo, chiamando essa pure Divina. E sembra che siansi
incontrati la prima volta a Viterbo, ne frequenti viaggi che il Buonarroti
faceva da Firenze a VITTORIA COLONNA. Ili Roma, quando attendeva a lavori della
sacrestia. Ap- pena la vide, dice il Vasari, egli am
grandemente la Marchesana di Pescara, del cui divino spirito era in- namorato, essendo all" incontro da lei
amato sviscerata- mente. Questamore ebbe la durata di dieci anni, e
segna unepoca nella vita di questi due geni potenti, che si levavano come
aquile solitarie sul loro secolo. Ambi erano gi stati pro- vati da tutte le
gioie, le amarezze, le grandezze e le mise- rie della vita. Michelangelo
portava il cuore spezzato per la perdita della patria e di molti amici, essa
per quella del marito e per sventure domestiche; il dolore gli univa come
lamore. Pure questi furono per Michelangelo i giorni meno tristi della lunga
sua vita. Lamore loro per av- ventura
una delle pagine pi notevoli e degne di studio nelle numerose storie degli
amanti. Noi possiamo se- guirne le fasi, sia dietro brevi accenni sparsi nelle
lettere, che si vennero tratto tratto scoprendo in questi ultimi tempi, sia
colla scorta de biografi coetanei, sia dei versi, in cui il Buonarroti disvela
lanimo suo, e ne esprime gli affetti. E in questo decennio percorsero intera
lorbita della passione, preludiando dall idillio di Beethoven, poi passando a
traverso le melodie affettuose e concitate del Bellini, per elevarsi alle
mistiche note di Palestrina e Mozart. VI. Come prima, si sono scontrati a
Viterbo nel 1532, si sono compresi e amati. In un sonetto che porta appunto la
data del 5 agosto 1532, accenna Michelangelo a questo primo 112 PARTE TERZA
incontro. Come Fenice egli si sent rinnovare per foco. Non si duole del suo
amore: perch io veggio Negli occhi di quellangiol lieto e solo Mia pace, mio riposo, mia salute, Seco m impenna a seguir sua virtute (1). Pare sia cominciato tra loro uno scambio di
lettere e di versi, che si facevano pervenire per mezzo d un comune e fido
amico, messer Tomaso dei Cavalieri, giovane romano colto e nobilissimo. In una
di queste lettere, Michelangelo rispondendo ad altra precedente della Colonna,
dice, che per piacere a lei, luce del secol nostro , unica al mondo , vuol
dedicarle tutto il suo tempo , tutte le opere sue ; e sempre infervorandosi
vieppi in questo pensiero aggiunge che, vorrebbe pur ria- vere il suo passato
per metterlo a' suoi piedi; ed eccessivo nel suo sentire, dorrammi , ripete,
molto forte non poter riavere il passato , per quella servire. E in altra che
tiene subito dietro a questa in risposta alla Marchesa, dopo averla fatta certa
del grandissimo, anzi, sviscerato amore che le porta, soggiunge, che la sua
lettera in lui accese nuovo e massimo foco, se nuovo e maggiore pu essere. Io posso prima dimenticare il cibo di che io
vivo, che nutrisce solo il corpo
infelicemente, che il nome vostro, che
nutrisce il cuore e lanima, riempiendo luno e laltra di tanta dolcezza che n noia, n timor di
morte, mentre la memoria mi si serba,
posso sentire. Pensate se l'occhio
avesse ancora la sua parte in che stato mi troverei. (1) Sonetto l, pag. 211. VITTORIA COLONNA.
113 Essa, come si esprime, era divenuta V anima sua; egli ardeva di riveder
lei, ed essa, per mezzo di Bartolomeo Angiolini, il quale, come amico di
Michelangelo, era a parte dogni cosa, gli fa scrivere: Per quanto ritrassi dal suo parlare, mostra non aver altro desiderio al
mondo che la tornata vostra, perch,
dice, quand con voi le pare desser
felice; perch tutto quel che desidera al
mondo; di modo che mi pare, che se voi
vi consumate di tornare, lei abbrucia
dal desiderio che voi torniate: s che state
contento e attendete a spedirvi per tornare a dar quiete a voi e ad altri... Ho vista V anima vostra.
Attende voi. In una lettera del
Michelangelo, di cui rimangono pochi frammenti, diretta all Angiolini, delli 11
di ottobre 1533, parla di lei come dellanima sua. Se io desidero giorno e notte essere cost, non altro che per tornare in vita: la qual cosa mai pu essere senza Yanima, e perch il
cuore veramente la casa dellanima, ed
essendo prima il mio nelle mani di colei,
a cui voi lanima mia avete dato, na-
turai forza era ritornarlo al luogo suo... (1). Come lanima arde darle
il corpo, tutto s stesso. S che non
sarei qua in tanti affanni; ma se
non stato possa essere, quanto pi presto, meglio, ne possa in eterno vivere
altrove. Parole di foco che prorompono
dal fondo dellanima. Colla lettera manda pure alla Marchesana versi damore (1)
Lo stesso concetto esprime in varie poesie dettate in quei giorni : Come avr dunque ardire Senza voi mai, mio ben, tenermi in vita, Se io non posso al partir chiedervi
aita?... Il cor lasso con voi che
non mio.
(Madr. xxiv, pag. 49.) La mente di Michelangelo. 114 PARTE TERZA ed a
queste lettere risponde Angiolini il 18 dello stesso mese di ottobre: Per sapere quanta affezione ei porti a tutte
le cose vostre, ei m'ha permesso farvi risposta, la quale sar inquieta, e per quanto ho visto,
conta lore, nonch li giorni che voi dite
essere qua; pure ha cara ogni vostra
comodit, e molto vi si raccomanda. Era
un ricambio di lettere e di poesie tra la Marchesana e il sommo artista. Ed
egli si recava da lei a Viterbo, e forse allora dettava questo sonetto, che
porta pure la data del 1532: Tu sai chio
so, signor mio, che tu sai Chio venni
per goderti pi da presso... Se vera la speranza che mi dai, Se vero 1 buon desio che m concesso, Rompasi 1 mur fra luno e laltro messo Che doppia forza hanno i celati guai. Come fu smisurata l'angoscia che gli cagion
tal affetto, cos pur nel diletto Non fu, n sia, di me nissun pi lieto... * E
qui tronca il madrigale xcix, come Dante
Quel giorno pi non vi leggemmo avanti.
Egli in quei giorni alternava il soggiorno tra Roma e Firenze, ove
attendeva ai lavori della Sacrestia di san Lo- renzo. Sinch morto papa Clemente
VII sul cadere del 1534, prese ferma stanza in Roma. In questepoca, cio il 27
set- tembre 1534, vi fiss pure la dimora la Marchesana. Qui cessa la
corrispondenza epistolare tra di loro, e intorno ai loro rapporti, non ci
rimane altra scorta se non alcuni ri- VITTORIA COLONNA. 115 cordi dei coetanei,
e le rime che egli dettava e inviava a lei. La Colonna pure nel 1534 si recava
spesso a Roma, ove faceva lunghi soggiorni, e vi ferm dimora sino al 1539.
Visitava spesso lo studio di Michelangelo, dovegli lavo- rava, e questi si
recava da lei nel suo ritiro a S. Silvestro. Lamore non era unico soggetto de
loro colloquii, dice uno dei biografi, ma essi parlavano darte, di religione,
del mo- vimento riformatore che agitava Germania e Italia. Soleva spesso
convenire nella sagrestia di S. Silvestro o nei giar- dini, che da palazzo
Colonna si estendono a piedi della collina che conduce al Quirinale, uneletta
di letterati e dartisti, presso la Marchesana; fra questi giova ricordare il
Contarmi, il Polo, Perin del Voga, Latanzio Tolomei, Baccio Rondinelli,
Sebastiano del Piombo, e pi altri che vi si recavano desiderosi di vedere e
conoscere Michelan- gelo; uomini insigni, i cui nomi sono ricordati fra quegli
che presero viva parte al movimento religioso, politico o artistico dei tempi.
La maggior parte delle sue poesie furono scritte in que- sto periodo di tempo
che corse dal 1532 al 1542. Egli le vergava a sollievo dellanimo mentre
scolpiva o dipingeva; venivano raccolte dagli amici, e la maggior parte furono
stampate nel sessantesimo anno dopo la sua morte, nel 1623, da suo nipote,
figlio di Leonardo. Non abbiamo di tutte la data in cui furono scritte; ma,
dettate ne giorni de suoi rapporti colla Marchesana, esse portano qualche luce
sulle fasi e sull intensit delle sue passioni. Ci limiteremo a ci- tarne
qualche brano (1). (l) Le poesie furono raccolte con religiosa cura in un
splendido vo- lume da Cesare Guasti; esse abbondano di varianti, di prove e di
ri- 116 PARTE TERZA Ecco come amore lo tiene soggetto e ne occupa la mente: Amor cos mi tiene N vuole chaltro brami, Se a te non sassomiglia, Che sol da le tue ciglia Dipende ogni virtute, Onor, vita e salute. * Challalma grave ognor
chiaro rivela Quanto natura e l ciel
nasconde e cela. * E nel madrigale ix (228):
Ogni cosa chio veggio mi consiglia,
E prega, e sforza eh io vi segua ed ami,
Che quel che non voi non l mio bene.
Amor che sprezza ogn altra meraviglia
Per mia salute vuol eh io cerchi e brami
Voi Sole sola. E cos lalma tiene
Dogni altra speme, e dogni desir priva... E chi da voi si parte, Occhi mia vita, non ha luce poi. Chl ciel non
dove non siete voi. * Essa il suo
cielo e gli occhi; essa la luce, ed essa pu trasformarlo come si trasforma
pietra dura in viva figura , e dalle sue estreme parti quel pu levarne , che
lega in me prove. Noi fra tante varianti tentammo scegliere quel testo che sem-
bra esprimere il pensiero con maggior forza ed evidenza, poich in questo studio
ci occupiamo pi che della forma, della mente e del- lanimo del Buonarroti.
VITTORIA COLONNA. 117 ragion vrtuie e forza. Il suo amore gli accrebbe pregio e
virt: Poi chio tebbi in cuor, pi (fi me
vaglio: Come pietra chaggiuntovi
lintaglio di pi pregio chel suo primo
scoglio. (Sonetto, xix). Essa pu rendere
pi perfetta lanima sua, come lartista il suo modello: Da che concetto ha larte intera e diva, Le membra e gli atti dalcun, poi di
quello Diemmi materia un semplice
modello... Tal di me stesso nacqui e
venni prima Umil model, per opra pi
perfetta, Rinascer poi di voi, Donna
alta e degna. E quanta potenza
esercitasse nellanimo suo, espresse nel sonetto xn: Nel voler vostro sta la voglia mia, I miei pensier nel cuor vostro si fanno; Nel vostro spirto son le mie parole. Ella sola a lui par donna, un Dio parla per
la sua ingua: D uno in altro desio Si minnalza il bel volto, Ch io veggio morte in ogni altra
beltate. O Donna, che passate Per acqua e fuoco Palme ai lieti giorni, Deh! fate che a me stesso pi non torni. 118 PARTE TERZA Vorrebbe che le sue membra si
convertissero tutte in un occhio solo:
Ne fla parte di me che non ti godo.
Morendo gli sembrerebbe di essere seco beato anche nell inferno: Se dolce mi saria Linferno teco, in ciel dunque che fora? Beato a doppio allora Sare a goder io sol nel divin coro Quel Dio in ciel, e quel che in terra
adoro. La gioia luccide come il
dolore: La tua piet chamore e l ciel qui
folce, Se mi vuol vivo, affreni il gran
contento; Chai don soverchio debil virt
muore. * Il nodo indissolubile d'amore che lo avvince, e quel- l immedesimarsi
danima con anima, di cuore con cuore e la suprema, ineffabile, volutt di due
spiriti che si inte- grano, e quel presentimento od illusione negli amanti che
credono di essere da molti secoli innanzi, e prima di scen- der in questa
terra, vincolali, uniti nellamore e come iden- tificati per tutta leternit, e
quella la suprema volutt del- lamore mistico, per cui unanima come il complemento dellaltra o, come fu
detto nel linguaggio moderno, nel fra- sario damore, quel riconoscere o
rinvenire il suo doubl , la sua anima affine, il nostro poeta non solo
descrive, ma scolpisce in questo stupendo sonetto, in cui ricorda forse
VITTORIA COLONNA. 119 gli istanti pi soavi deUamor corrisposto e che non posso
frenarmi di trascrivere per intero: Se
un casto amor, se una piet superna, Se
una fortuna infra due amanti uguale, Se
unaspra sorte allun dellaltro cale, Se
uno spirto, un voler due cor governa; Se
unanima in due corpi fatta eterna, Ambo levando al cielo con pari ale; . Se amor d'un colpo e con dorato strale Le viscer di due petti, arda, discerna; Lamar l un laltro, e nssun s medesmo, Dun gusto e dun diletto, a tal mercede, Cha un fin voglia luno e laltro porre; Se mille e mille non sarian centesmo A tal nodo damore, a tanta fede, E sol lo sdegno il pu rompere e sciorre. (l). VII. Alla Marchesana egli insieme colle
sue poesie inviava lavori darte, fra quali un Cristo dipinto, quando tolto dalla croce: e lo viddi, essa gli scrive, cos mirabile,
che super in tutti i modi la mia
aspettazione.... Sta da ogni (i) Credo, a meglio chiarire il concetto,
riprodurre questa variante: Samar l un
laltro, e nessun mai s stesso, Sol
desiando amor damor mercede, E se quel
che vuol l un laltro precorre, A
scambievole imperio sottomesso, Son
segni pur d indissolubil fede, Or potr
sdegno tanto nodo sciorre? GuAsrr, 190.
120 PARTE TERZA parte in somma
perfezione, che non se ne potria deside-
rare di pi, n giungere a desiderare tanto. Venne asserito che ne avesse fatto di sua
mano il ri- tratto, ma la cosa incerta.
Il Condivi e il Vasari non ne fanno cenno; e da suoi versi parrebbe si fosse
posto a ritrarla o scolpirla, ma egli di fronte a lei sentendo la- nimo
conturbato e mesto (1) ; ora larte non risponde, ora la mano freme, e non pronta allintensit del desiderio, mentre
vorrebbe pure eternarne limmagine:
Dunque posso a ambo noi dar lunga vita
In qual sia modo, o di color o sasso
Di noi sembrando luno e laltro volto;
S, che millanni dopo la partita
Quanto voi bella foste, e quantio lasso
Si veggia, e come amarvi non fui stolto.
La sua immagine gli impressa cos
profondamente nel cuore che per ritrarla conviene rompa e strazi s stesso.
Mentre vuol dipingere lei, dipinge solo ed esprime il suo aspetto : Se avvien talor che in pietra un
rassomigli Per fare unaltra imagine, s
stesso Squallido e smorto, spesso Esprimo in me che tal son per costei, E par che sempre io pigli Limagin mia, chio pensi di far lei. (1) Madrig. xxr. VITTORIA COLONNA. 121 Vili.
Fu Vittoria Colonna una dalle personalit pi spiccate del secolo decimosesto cos
fecondo di caratteri vigorosi e svariati. Essa fa degno riscontro a quello di
Michelangelo e ne rappresenta in certo modo il lato femmineo. Levata sopra il
suo piedestallo di marmo, gentildonna, musa e sibilla, non sai se in essa sia
pi da ammirarsi la tenera venust delle forme, la passione dellanima, la gen-
tilezza, o la forza della volont, o laltezza dellintelletto (1). Passioni
impetuose, ardenti, fervono nel 'fondo di quel cuore meridionale; come una
figlia del Norte essa vive di vita interna, e severa a s, ma benigna, umile
cogli altri; sempre donna di s stessa,
si sforza di comprimere le sue passioni e padroneggiarsi, talch, come avviene
nelle donne forti, lintelletto finisce per vincere i sensi, la pas- sione si
converte in abnegazione, in oblio di s e di ogni cosa terrena, per non vivere
pi che della vita del pen- siero, o gettarsi in quegli ardori mistici, in cui
il cuore in- fermo e deluso trova talora conforto e pace, o un degno pascolo
allansie dello spirito irrequieto. (l) Di lei scriveva ad un suo amico di
.Brescia, il conte F. Marti- nengo, in una lettera del giugno 1546. Certo ella
donna rara e sin- golare per quel
che ho potuto comprendere, molto accesa dellamor di Cristo, che sempre ne ragiona non meno col
cuore che colla bocca. Che umilt
poi quella sua ! Che bont senza esempio!
Che maniere da principessa come veramente !... Ella ha tal forza di ragionare che par quasi che dalla sua bocca escan
catene, colle quali tragga i sensi degli
ascoltanti...: io mandr almen consolando daver cono- sciuto la pi segnalata e degna donna che oggi
vegga il sole. 122 PARTE TERZA La nobilt
dei natali, lalto parentado, prima del padre, il celebre Fabrizio Colonna, poi
dello sposo, lei spinsero giovinetta sui primi gradi della gerarchia sociale;
ma egli sopratutto per l'ingegno, la
grazia nativa e la grandezza dellanimo, che pot elevarsi al dissopra delle
donne del Rinascimento (1). Essa, al pari di madama Rolland, della Recamier, e
degli astri pi fulgidi dei saloni parigini, sapeva raccogliere intorno a s
leletta dei letterati, degli artisti, degli uomini politici pi insigni
dellepoca; per mentre le celebrit femminee dei saloni parigini brillavano
sopra- tutto per riverbero della luce altrui e di celebri adoratori, essa
spiccava e risplendeva pel suo genio. - Era una forte personalit per s stessa,
era unintelli- genza che dava luce e scintille anzi che riceverne. Per la mente
del pi grande degli artisti meglio si fa manifesta pel valore della donna
amata. Noi troviamo in Vittoria il grande tipo della donna del Rinascimento. Vi
si riscontra il valore, la bont, la cortesia della leggendaria castellana
medioevale, un cotal spirito ghibellino e antipapale dei li- beri e fieri
baroni romani; ma essa, anzi che schierarsi in campo a combattere il
pontefice-re, anela a riformare la Chiesa; mentre poi lindole femminea, le
circostanze, il carattere dei tempi la spingono a devozioni claustrali, alle
pratiche rigorose della Chiesa cattolica, il genio classico (i) E questo primo
posto, fra le coetanee, a lei assegnato
dal- IAriosto, il quale di lei cantava:
Scieglieronne una, e scieglierolla tale
Che superata avr linvidia in modo,
Che nessun altro avr da averla a male,
Se laltre taccio, e se lei sola lodo.
VITTORIA COLONNA. 123 e pagano del Rinascimento, le idee filosofiche,
laudacia del pensiero, svellendola spesso dalle severe pratiche monacali e
dalle sottigliezze teologiche, le aprono quegli orizzonti re- ligiosi pi vasti,
in cui, come nella suprema contemplazione del divino, si confondono tutti i
culti, e sono la essenza e il fondamento delle grandi e durevoli manifestazioni
reli- giose dei giusti di tutti i tempi, e di tutte le credenze. IX. Il sangue
di due nobili case, che empirono il medio evo del loro nome, si confondeva
nelle sue vene. La madre, donna di. alto ingegno, era una Montefeltro; il
padre, il va- loroso Fabrizio Colonna. Essa pass i primi suoi anni in Napoli,
presso la zia Costanza dAvalos, o in mezzo a quella poesia di giardini, di
ville, di spiaggie fiorite che presen- tano Margellina, i boscosi dintorni del
lago d Albano, Pie- traia, e il paesaggio cos vario, sorridente ad un tempo e
pauroso dellisola d Ischia, dove i boschi di rose, daranci, mirti e oliveti
coprono e dissimulano le mille screpolature dei vulcani sempre aperti e
minacciosi. A cinque anni venne fidanzata al marchese Ferrante, unico figlio
dAvalos. Laffetto pel Pescara crebbe in lei collo svolgersi degli anni.
Crebbero insieme fanciulletti; amore e ragione avvinsero quei nodi (1), e and
sposa (l) La ragion, chassai tempo prima
volse Allamata mia luce i miei
pensieri Ella fu che ne bei lacci
mavvolse * Non mica i sensi semplici e leggieri. V. Colonna. Sonetto xxix. 124 TARTE TERZA
quando essa raggiunse i diciannove anni, il 27 dicem- bre 1509. Brevi per
furono le gioie coniugali. Correvano i tempi delle guerre epiche fra i due
grandi rivali Francesco I e Carlo V. Il padre di lei Fabrizio e il Pescara,
avidi di guerre e di nobili imprese, combattevano alla testa delle schiere spa-
gnuole, mentre ella solitaria poetava:
Non credeva un marchese ed un Fabrizio
Lun sposo e laltro padre, al mio dolore
Fusser s crudo e dispietato inizio,
Del padre la piet, di te lamore,
Come due angui rabidi, affamati,
Rodendo stavan sempre nel mio cuore.
(1). Essa ardeva di seguirli nel campo di battaglia, pugnare al lor
fianco, ma non le era concesso (2) : Tu
vivi lieto, e non hai doglia alcuna, Che
pensando di fama al nuovo acquisto, Non
curi farmi del tuo amor digiuna.
Tuttavia, donna sempre di s, si confortava della loro gloria e della
loro gioia, E col vostro gioir tempro il
mio duolo. * (1) Epistola di V. Colonna al consorte dopo la rotta di Ravenna.
(2) Seguir si d lo sposo c dentro e fora
; E segli pat affanno, ella patisca, Se lieta, lieto; e se vi muore, mora, A quel che arrischia luno e laltro
arrisco, Eguali in vita, e eguali siano
in morte.... * VITTORIA COLONNA. 125 Il Pescara ferito nella memorabile
battaglia di Pavia, sfinito di salute, e forse punto da rimorsi pel gran tradi-
mento, quando vendette a Carlo Y il segreto del Moronp cospirante per liberare
lItalia, cadde infermo e mor a Milano il novembre del 1525 nel trentatreesimo
anno del- let sua. Mor non senza sospetto di veleno amministrato da Carlo V, il
quale, dopo aver profittato del tradimento, cominciava a dubitare della fede
del traditore. Egli moriva aborrito dagli Italiani, in sospetto e mala fama
presso la Spagna. X. Vittoria Che sol
dal vver suo conobbe vita allanr nunzio
della sua morte si ritir a Roma nel monastero di S. Silvestro, che apparteneva
ai Colonnesi, e, vinta dal dolore, aveva deliberato di farsi monaca; il
Pontefice con- sent alla superiora di accoglierla, ma viet, sotto pena delle
censure ecclesiastiche, di lasciarle prendere il velo. La vita claustrale era
allora meno severa e ristretta che non fu dopo il Concilio di Trento; nobili
donne erano ac- colte nei monasteri senza appartenere a verun ordine, erano
servite dalle loro donne, e vi ricevevano, come a fidato convegno, gli amici. I
chiostri offrivano alle derelitte la serena quiete della solitudine senza
sequestrarle dalla vita sociale. La Colonna mutava spesso il soggiorno del
chio- stro con viaggi a Napoli, a Marino, a Viterbo, ad Ischia, soggiorno a lei
prediletto, ma in ogni luogo portava seco il suo dolore, e disacerbava il duolo
cantando il valore, le imprese, le cortesie dellestinto consorte. Le sue
poesie, che dettava per sfogar V interna
doglia 126 PARTE TERZA di che si pasce
il core fanno riscontro alle petrar-
chesche in morte di Laura; e quando si libera dal manie- rismo dellepoca e vola
colle proprie ali senza ormeggiare i petrarchisti, sa trovare note sempre
profonde, affettuose, che prorompono dall intimo del cuore e che svelano un
affetto impetuoso, un cuore gentilissimo e vera potenza di ispirazione. Anni
terribili volgevano allora per lItalia; la guerra tra Spagna e Francia
infuriava in Lombardia ; Roma, nel 1527, era stata saccheggiata; la peste
faceva strage a Napoli e penetrava nellisola d Ischia, ove erasi Vittoria
rifug- gita. Essa scriveva, ora allimperatore Carlo V, ora ai sommi uomini
politici, come Bembo, Sodaleto, Gilberti ten- tando di pacificare gli animi,
conciliare i principi cristiani perch si unissero e volgessero le armi contro i
Turchi. Sforzavasi di obliare i suoi dolori privati per imprimere un alto
intento alla vita: Meglio assai fora che
alle chiuse porte Chieder mercede,
aprirne una alloblio: rimane a provare se meco vive tanta ragione , essa ag-
giunge, Ch io volga quest insano Desir fuor di speranza a miglior opra. Nel 1533, come vedemmo, sincontr in Viterbo
col Mi- chelangelo. Egli, dice il Condivi, si era innamorato del divino spirito
di lei, essendo all'incontro da lei amato svisce- ratamente.... Ella pi volte
si mosse da Viterbo e d'altri luoghi dove fosse andata per diporto e per
passare l'estate , VITTORIA COLONNA. 127 ed a Roma se ne venne, non mossa da
altra cagione se non di vedere Michelangelo , e forse a questo periodo della
vita di lei appartiene il madrigale, che chiude la prima parte delle sue
poesie, e apre come un nuovo periodo della sua esistenza. Il madrigale oscuro, enimmatico come so- leva essere il
linguaggio degli amanti a quei tempi; sottili astrazioni filosofiche e
platoniche coprono un affetto reale, ed ella con squisita grazia e femminea
accortezza svela il fondo del suo dire: dal soverchio desio, essa dice, nasce
la tema, e fa che lalma in un gioisca e gema; sente lardore che le offende il
cuore quando ascoso ancora e non com-
preso. Ma poich il lume irradia l'intelletto, il male, la noia spariscono, si
dilegua lequivoco ed il falso, il vero, il reale rimane e trionfa (1). Gi
accennammo alle fasi che percorse questo amore; vedremo in breve come si doveva
poi mutare in stabile amicizia legata da
un cristiano nodo d'affezione. (1) Ecco il madrigale, che ha lo stile o la
maniera di alcuni scritti da Michelangelo, e forse risponde ad uno dal sommo
artista diretto a lei : Dal soverchio
desio nasce la tema E fa che lalma in un
gioisca e gema. Sente lardor che T miser
cuore offende, Quando dal suo
imperfetto Il sublime valor non si
comprende. Ma poi che 1 lume irradia
lintelletto, Il mal fugge e la
noia, E sol mi apporta gioia, E fa laltezza del mio bel pensiero Il falso falso, e l ver pi che mai vero. ( Rime della Colonna). 128 PARTE TERZA Ma le gioie
della vita dovevano essere di breve durata per la Colonna, come per
Michelangelo. Soffrire, lottare la sorte
del genio, ed ella, sublime infelice, dovette soffrire, lottare, finch sotto il
peso dei suoi dolori e delle sue virt cadde accasciata e vinta. XI. La seconda
met del secolo decimosesto fu appellata Tet dei teologi; tutti si preoccupavano
delle questioni re- ligiose. Vittoria aveva frequentato in Roma quella scuola
di religiosi e pensatori in Trastevere, che convenivano presso il fiorentino Giuliano
Dati, e che, sotto il nome di Oratorio del Divino Amore , intendevano di
rigenerare la Chiesa; a Napoli interveniva alle conferenze di Giovanni Valdes,
che propagava i principii della riforma. Ad essa s erano associati Giulia
Gonzaga, sua parente, Caterina Cybo, duchessa di Camerino, il Carnasecchi,
Martire Ver- migli, Occhino, ed altri che divennero poscia gli apostoli della
riforma religiosa in Italia. Forse collintento di meglio conoscere e propagare
i prin- cipi della riforma, nelle diverse parti dItalia, essa si rec nellanno
1537 da Napoli e Roma, a Lucca e poscia a Fer- rara, che erano i due focolari
della riforma religiosa. A Fer- rara contrasse stretta amicizia con Renata di
Valois, prin- cipessa protestante e moglie del duca Ercole dEste. Un anno prima
dellarrivo di Vittoria, Calvino aveva fatto un lungo soggiorno in Ferrara, e vi
sparse i germi delle sue dottrine; durante il soggiorno di Vittoria veniva
pubblicata l'opera capitale di Calvino
Istituzione della Religione VITTORIA COLONNA. 129 Cristiana che lev si alto rumre. Cos le tendenze re-
ligiose di Vittoria trovarono quivi nuovo stimolo, vuoi pep le memorie lasciate
da Calvino, vuoi per le frequenti riu- nioni de suoi discepoli che professavano
la dottrina della riforma, e infine per le relazioni pi intime strette colla
celebre Renata. Lasciando Roma, essa aveva fatto credere che si sarebbe recata
a Venezia per quivi imbarcarsi per la Terra Santa; invece protrasse di un anno
la dimora in Ferrara; rinun- zi al suo viaggio in Terra Santa, ed essa, con
Olimpia Morato e la Renata, divenne centro della riforma reli- giosa in Italia;
e infatti, dopo il viaggio a Ferrara, si apre come un nuovo periodo di vita
intima e religiosa per la Colonna, ed ella stessa in que giorni, corrispondendo
con Giulia Gonzaga, le scrive di essersi liberata dalla super- stizione. La
Riforma in Italia vest un carattere proprio, che la differenzia dalla Luterana.
Da un lato non vorrebbe scin- dere lunit della Chiesa, e tende ad una
rinnovazione di questa conservando in parte le tradizioni del passato; dal- l
altro mira ad una rivoluzione pi radicale nel domma e nella disciplina; scalza
dalle fondamenta alcuni dommi pro- fessati dalla Chiesa, combatte la divinit di
Cristo, coi due Soccino, con Occhino, con Pietro Vermigli; Riandrete pre- dica
lUnitarismo. Vittoria non divideva le idee di questi. Fervente ammi- ratrice di
Occhino, essa vide con dolore che si discostava pi e pi dallortodossia
cattolica, sin che la sua posizione in Italia divenne insostenibile; il Papa e
lTnquisizione do- vettero procedere contro di lui, ed egli, per sottrarsi alle
La mente di Michelangelo. 130 PARTE TERZA / persecuzioni, pass le Alpi, esul in
Zurigo e poscia in Germania (1). Ma mentre Occhino, Pier Martire Vermigli,
Celio Cu- rione e altri seguaci di Valdes o di Soccino tendevano a pre- dicare
una riforma radicale, Vittoria, dopo il suo ritorno da Ferrara, ritirata ora a
Roma, ora a Viterbo, si circon- dava degli uomini eminenti che miravano ad una
riforma nella Chiesa, pi che a rivoluzioni religiose. Quivi conven- nero
Reginaldo Polo, inglese di nascita e parente non lontano del re Enrico Vili, ma
per lungo soggiorno in Italia fatto italiano, nominato poscia cardinale nel
1536 da Paolo III, Gaspare Contarini, Luigi Priuli, Lodovico Beccadelli, se-
gretario del Contarini divenuto poscia vescovo di Ragusa, Vittore Soranso, al
pari del Priuli, dillustre famiglia ve- neta, nominato poscia vescovo di
Bergamo, ma sospetto cV opinione eterodossa; e a questi convien aggiungere il
Flaminio, il Carnasecclii e altri. Cosi intorno al Polo e alla Colonna si era
formato un cir- (1) Ascanio, fratello della Colonna, diede il cavallo ad
Occhino e gli agevol i mezzi per sottrarsi dall Inquisizione e fuggire in
Svizzera. Prima di fuggire dallItalia dirigeva alla marchesa di Pescara questa
lettera, che porta la data del 22 agosto 1542. In questa, dopo averdetto che
aveva in animo di recarsi a Roma, dove il Tribunale lo invitava a presentarsi,
e che ne fu dissuaso dogli amici, soggiunge :
Perch a Roma non potrei se non
negare Cristo od essere crocifisso; il primo
non vorrei fare, il secondo s, con sua grazia, ma quando lui vorr. Andare alla morte volontariamente non ho
questo spirilo, per oro... Dappoi che
farei pi in Italia? Predicare sospetto, o predicar Cristo mascherato in gergo? e molte volte bisogna
bestemmiarlo per sod- disfare alla
superstiziona del mondo... Per questo e altri rispetti preferisco partirmi, che vedo vorrebbero
infine esaminarmi e farmi * rinnegar Cristo, o ammazzarmi, ecc. VITTORIA COLONNA. 131 colo duomini, che
riprendendo le idee agitate in Roma nel- YOratorio del Divino Amore ,
discutevano le questioni teolo- giche, politiche, miravano a riformare la
Chiesa, conciliare le opinioni religiose che scindevano lOccidente, e ricosti-
tuirne lunit. Essi speravano che le loro idee, propagandosi colla persuasione,
colla virt della fede, finissero per alli- gnare in Roma e imporsi alla Chiesa.
Alla morte di Paolo III, intendevano di portare alla Sede pontificia il
Contarini od il cardinale Polo, assicurando in tal modo il trionfo delle loro
idee; come ai nostri tempi i neo-cattolici si sono per qualche tempo illusi di
ottenere un papato liberale e nazionale. Ma la speranza fu di breve durata nel
XVI secolo, come nel nostro, e non lasci che delusioni pi dolorose. Il
cardinale Polo fu allontanato da Roma; Gaspare Contarini, la cui gra- zia e
virt la Colonna sperava potessero rendere alle torbide e irate onde del Tbro
ogni sua gloria antica (1), moriva; il Caraffa e il suo partito presero il dissopra,
e la Roma del Rinascimento divenne la Roma della grande reazione catto- lica,
preda alle ire dellInquisizione e alla politica dei gesuiti. A queste
delusioni, che colpivano la Colonna nelle spe- ranze pi caramente accarezzate,
altri dolori si erano in- tanto aggiunti, che la ferivano nei suoi affetti
domestici, nellalterezza del suo nobile casato, di cui erasi dai Far- nesi
ormai statuita la rovina. XII. Il Papato, che vedeva venir meno il potere
spirituale, mirava a rafforzarsi collo estendere il temporale. I papi (l)
Sonetto della Colonna sul Contarmi. 132 PARTE TERZA di casa Medici non avevano
osato muovere guerra ai Co- lonnesi, che erano troppo forti e popolari, e
protetti da Carlo V. I Farnesi invece non dubitarono di cercare ogni pretesto
per debellarli, e cosi disfarsi dei piccoli Stati, abbattere le castella che
circondavano Roma, e sottoporre i baroni romani. Paolo III, dopo aver espugnato
Camerino, assediata e sottomessa Perugia, volge le armi contro i Colonna. Manda
contro loro il suo figlio Pier Luigi Far- nese di Castro, che aveva costretto
Perugia ad arrendersi; poi muove ad essi una guerra spietata, piena di orrori,
di saccheggi, di terrore. Espugna le citt, arde le castella, ne diserta le
campagne. Ascanio Colonna, fratello di Vit- toria, oppone una resistenza
vigorosa, arma i sudditi, rac- coglie soldatesche nel Napolitano per opporsi
alle truppe pontificie. Vittoria, ora scrive al papa per ottenere mercede, per
iscongiurarlo a posar Tarmi, ora scrive a Carlo V perch sinterponga fra il papa
e i suoi. Quando vede ogni opera vana contro la ferrea volont del papa, pi non
sente in s che fervere il fiero sangue dei Colonnesi, e scrive al
fratello: Casa Colonna sempre la prima.... Tutto si scritto a Sua Maest. Ma vostra Signoria
attenda a guar- darsi.... Vedevate bene
ogni d che costoro hanno buone parole e
tristi fatti: per difendetevi, e Dio vi aiuti e spero nella sua bont (1). E la guerra fra i Pontifici e i Colonnesi
continua pi feroce. I primi sono capitanati da Alessandro Vitelli e Sa- velli
sotto il comando del Farnese, ed
commissario ge- nerale Giovanni Guidaccione, stretto in amicizia con
Vit- toria. Ascanio Colonna, fratello di lei, ora combatte chiuso (1) Lettera
della Colonna del febbraio 1541 a suo fratello Ascanio. VITTORIA COLONNA. 133
nelle castella, ora spinge le soldatesche sin sotto Roma, ma, sopraffatto da
forze superiori, vede ad una ad una le sue citt e castella espugnate. Cadono
Genazzano, Cave, Ceciliano e altre citt, preda ai Pontifici. La potenza dei
Colonna infranta per lungo tempo;
Ascanio, colla sua famiglia, erra esule per le citt dItalia; Vittoria, la quale
aveva abbandonata Roma in sul principio della guerra, si ritira prima ad
Orvieto, poscia a Viterbo. Ricorre agli amici, a Carlo V, perch acquetino il
furore del Pontefice e ten- tano riconciliarlo colla sua famiglia; ma
questi irremovi- bile; a lei non rimane
pi che la preghiera, Dio, la solitu- dine del chiostro, ove scrive di voler
condurre i suoi giorni, e di non pi parlare che a Dio e non al mondo (1). Fece
per poco ritorno a Roma, ove ritirata nell antico suo chiostro a S. Silvestro,
vedeva spesso Michelangelo e gli amici, ma il soggiorno di Roma le riesciva
increscioso; lantico palazzo Colonna presso la chiesa degli Apostoli era vuoto,
il fratello, i parenti esuli, o morti, molti degli amici assenti. La nave di S.
Pietro carica d'alga e di fango , scrive
ad un amico; essa non pu pi attendere al servizio di Dio, e si ritir in Viterbo
nel convento di S. Caterina. E quivi, nelle solitudini del chiostro, essa, come
diceva, non voleva pi pensare al mondo, non vivere nella terra e per la terra,
ma di vita spirituale per lanima e per Dio. (l) Lettera di Reginando Polo da
Roma al cardinale Contarmi, in cui scrive, che Vittoria aveva fatto quanto per
lei si poteva per sedare la ribellione e conciliare suo fratello col papa, ma
invano. Ora non essere pi rimasto a lei che la preghiera; si era ritirata in un
chiostro da cui gli scriveva, voler ivi condurre i suoi giorni : per vero una felicit il pensare a Dio e non
al mondo. 134 PARTE TERZA Un affetto per
ancora la vincolava alla terra, e volle colla sua ferrea volont svellerlo dal
cuore. Michelangelo continuava a scriverle da Roma, ed essa cos tenta con
questa lettera troncarne la corrispondenza:
Non ho risposto prima della lettera vostra, per essere stata, si pu dire risposta della mia,
pensando che se voi ed io continuiamo il
scrivere secondo il mio obbligo e la
vostra cortesia, bisogner che io lasci qui la cap- pella di Santa Caterina senza trovarmi alle ore
ordinate in compagnia di queste sorelle,
e che voi lasciate la cap- pella di San
Paolo senza trovarvi dalla mattina innanzi
giorno a star tutto il d nel dolce colloquio delle vostre dipinture, quali con li loro naturali accenti
non manco vi parlano, che facciano a me
le proprie persone che ho dintorno; s
che io alle spose e voi al Vicario di Cristo
mancaremo. Per, sapendo la vostra stabile amicizia ligata in cristiano nodo a sicurissima
affezione, non mi par procurar con le
mie il testimonio delle vostre let-
lere, ma aspettar con preparato animo sustanziosa occa- sione di scrivervi, pregando quel Signore,
del quale con tanto ardente ed umil core
mi parlaste al mio partir da Roma, che
io vi trovi al mio ritorno con limagin sua s
rinnovata e per vera fede viva nell anima vostra, come ben l'avete dipinta nella mia Samaritana. E
sempre a voi mi raccomando e cosi al
vostro Urbino. Una lettera piena di
misticismo teologico dirige nel tempo stesso a Costanza dAvalos sua parente; in
essa la prega di farla partecipe delle grazie ricevute (dal Signore) ch merc
sua l'alta invisibile luce si fa visibile a' suoi eletti... ch Egli ha
sublimato tanto questa nostra umanit , che l'ha fatta una medesima cosa con
Dio: ti prego ti VITTORIA COLONNA.
135 sforzi vedere come la singolarissima
patrona e regina nostra Maria il mirabil
mistero dell'altissimo Vefbo in- carnato
in lei.... di veder la sua istessa carne fatta un vivo eterno sole.... e che per la sua
benignit possano nei beati unirli e acquetarli
nellalta luce di Dio. Il cardinale
Reginaldo Polo, il quale era divenuto durante il soggiorno di lei in Viterbo il
suo direttore spirituale, esercitava un potente dominio sullanima sua; essa
ammi- ratrice delle sue virt, a lui scriveva nel suo entusiasmo: Sa il Signore nostro che per altro non
desidero ecces- sivamente di parlar con
Vostra Signoria, se non perch vedo in
lui un ordine di spirito, che solo lo spirito lo sente, e sempre mi tira su a quell
amplitudine di luce che non mi lascia
troppo fermare nella miseria propria:
anzi con s alti e sostanziosi concetti mi mostra la gran- dezza di lass e la bassezza e nichilit
nostra, che ve- dendo noi stessi e tutte
le cose create servire a questa, bisogna
trovarci soli in Colui che ogni cosa....
Ed ogni volta che Vostra Signoria mi
parla di quel stupendissimo sagrificiOj
dell'eterna destinazione dell esser preamati... fa stare l'anima sulle ali sicura di volare al
desiderato nido. Il Polo moderava i suoi
ardori mistici, trattenendola dal macerarsi con digiuni e cilici, come dall
agitare le ardue questioni teologiche. Avida di conoscere e di sapere, essa
leggeva tutte le opere che venivano pubblicandosi in ma- terie religiose e
filosofiche. Si sprofondava sul problema della giustificazione per la fede, o
per le opere, della Gra- zia, e del Sacrifizio di Cristo, e a sua volta
sfiduciata, o credente scriveva che dei sacri detti pi si fa certo Colui che
poco legge e molto crede. 436 PARTE TERZA A questo periodo della sua vita
appartengono le sue poesie religiose. Sono queste per avventura uniche nel suo
genere nella nostra letteratura. Mentre i nostri poeti per lo pi sispirano alle
bellezze delle forme, allo spettacolo della natura, e alla vita esterna, queste
sono lespressione della vita intima, voci del suo cuore, delle aspirazioni
dellintelletto. Non sispirano, come gli inni sacri moderni, al solo culto e ai
riti sacri, ma alle ansie profonde del- lanimo, e prorompono fuori, come
faville, da una mente accesa dei pi nobili entusiasmi religiosi. Spesso, come
nelle sue lettere e come nelle poesie di Michelangelo, non vi si trova traccia
d un culto positivo; ma sa poggiare a quellaltezza di sentimenti, daffetti e di
speranze, nella quale tutte le religioni si confondono come in unaspira- zione
infinita; sono voci dellanima, son lampi accesi in quel Sole che alluma gli
elementi e il cielo. Vha in esse forza contro limperversare delle sventure, e
soave ab- bandono femmineo, e sana rassegnazione avvivata da ric- chezza di
colore, severit, ardore e grazia. la donna
umile, benevole ed invitta, la quale combatte, sente ed ama; la pensatrice, la poetessa sempre accesa di
affetti nobili ed alti. Essa invoca con tutto lardor dellanimo la riforma . . . . che purga e rinnova Dal lezzo antico lalma vera Chiesa, ma nellinterno dellanimo edifica in s stessa
la vera Chiesa colla virt e la fede. Essa spinta dall' amore interno , sente
per che invano vuole sollevarsi colle ali a Dio , Prima che il caldo vostro
interno vento - M'apra l'aere intorno ; solo allora VITTORIA COLONNA. 137 Sgombra dal terren costume, Tutta al divino amor lanima intesa Si muove a volo altero in altre piume. Dio solo pu fare, Che lalma inferma e frale Al tuo vivo splendor serga e respiri. Lanima cerca il suo bene, ma poi
singombra S stesso amando, pi che l vero
bene, n pu la virt finita sentir
lardore Dell infinito Sol senza l suo
lume. Essa si preoccupa sopratutto degli
ardui problemi che agitavano il suo secolo, cio della grazia, della predesti-
nazione, dellefficacia delle opere e della giustificazione per la fede; ma in
lei non vha, come nelle poesie di Miche- langelo, vestigie della lotta dello
spirito, di dubbio, dirre- quietezza; essa riposa sicura nella sua fede, e,
scampata dall' acerba atra tempesta del travagliato mondo entr nel- larca di
No, larca della salvezza, e chiusa interna - mente dentro dell'arca , chiara ,
sicura, vive la fede mia dogni ombra scarca. Simile a Pietro , il mio cuore ,
essa canta : allor chio sento Cader la fede al sollevar dellonde, Dalla divina man sentisse alzarsi. 138 PARTE TERZA Pur talora si lagna misera
che per fede ancor non arde ; bene ha l'occhio al miglior fine del suo corso
, ma non vola ancora Per lo destro sentier salda e leggiera. Questi versi, che sono un vivido diamante
incastonato nella nostra letteratura, meglio che le lettere di Santa Te- resa e
di Santa Caterina di Siena, potrebbero offrire ar- gomento duno studio
psicologico e patologico intorno al sentimento religioso nella donna dalto
intelletto. Esse sono scevre del barocco misticismo, che spesso sincontra negli
scritti delle donne mistiche e dei predicatori di quel secolo, ma in ogni parte
riverberano il candore, specchio duna fede sincera, e i sentimenti d un anima
elevata, umile e benevola e di un cuore affettuoso. XIII. In lei la lama rodeva
la guaina; linterno foco aveva consunta la debole cera. Questa continua
tensione dello spirito, i digiuni, le ansie, le preghiere, i fervidi entusiasmi
che levavano sempre la sua mente ad orizzonti infiniti, avevano affievolito il
suo corpo gi provato da tante sven- ture terrene. Lanima non pu sempre star
librata sullali tra il finito e limmenso. Nella primavera del 1543 essa cadde
pericolosamente ammalata; gli amici, che la cir- condavano, ne furono turbati,
e consultarono fra i molti medici anche il celebre Fracastoro a Verona, il
quale, dopo alcuni particolari sulla malattia della Marchesa, ri- VITTORIA
COLONNA. 139 spose: Vorrei che si
trovasse il suo medico all'animo, che
calcolasse tutte le sue operazioni, et, fatto giusto equi - librio , desse al Signore quel che suo, et al servo quel che
suo... altrimenti io vedo che il pi bel lume di questo mondo a non so che strano modo si
estinguer (1). Nel finire del 1544 fece
ritorno da Viterbo a Roma, si ritir ancora nel suo convento de Benedettini di
SantAnna dei Fornari. Era quivi pure servita dalle sue dame, ma la vita
rinchiusa, laria pesante di Roma, la continua eccitazione e tensione degli
spiriti, i dispiaceri, le delusioni , avevano logorate tutte le sue forze. Il
suo palazzo avito era an- cora deserto, i beni dei Colonna, confiscati, il suo
fratello colpito d'interdetto, il secondogenito di lui, ancor giovinetto,
estinto ; estinti molti de suoi migliori amici , tutte le sue speranze di veder
riformata la Chiesa e rapacificati i mo- narchi cristiani per muover concordi
contro glinfedeli, svanite; anzi i Turchi, alleati del re Cristianissimo, s av-
vanzavano trionfanti nel centro d Europa, e disertavano le coste del
Mediterraneo. Essa, ritirata nel convento, colpita da ripetuti rovesci, ma pure
piena ancora di poesia e di fede, era spesso visitata dagli amici come il
Sadoleto, il Morone, il Bembo, e Michelangelo, il quale abitava a breve
distanza da SantAnna. Nel 1547 vide morire anche il Bembo, ultimo
rappresentante dellepoca aurea della Rinascenza. Crescevano le sue sofferenze
fisiche, ma si mostrava ognor serena danimo, invitta di spirito. A curarla
meglio e in luogo pi comodo, venne trasportata nel vicino palazzo dei Cesarmi;
e sentendosi ornai a fine di vita, dett le sue ul- time disposizioni, che segn
di sua mano; e circondata da (l) Lettere volgari di diversi nobilissimi uomini
, ecc. Venezia 1567. 140 PARTE TERZA parenti pi a lei affezionati, dai pi
stretti amici, la sua grande anima spirava il 27 febbraio allet di cinquanta-
sette anni. Secondo le disposizioni da lei date, venne se- polta la sera stessa
della sua morte nella tomba comune delle monache con cerimonie funebri semplici
e senza fasto. XIV. Michelangelo che aveva assistito a suoi momenti supremi,
quando la vide estinta, cadde al suolo privo di sensi. Rial- zato e rinvenuto
in s stesso, si affiss silenzioso sul ca- davere e le baci la mano. Da quel
giorno egli si senti tutto solo sopra la terra, e i suoi pensieri non gli
parla- vano pi che di morte. Sopravvisse ancora dodici anni alla donna
dellanima sua. La ferrea sua natura non ce- deva sotto i colpi dellangoscia.
Per, come si esprime il Condivi: Per la
costei morte pi volte se ne stette sbi-
gottito e come insensato. Dolori
su dolori si aggrava- vano in quellanno sopra il vecchio suo capo. La sola
donna che egli aveva amato del pi intenso amore, spenta ; morto pure nellanno
medesimo il suo fratello Giovan Si- mone. Mori eziandio Francesco I, appunto
quando sera accordato col papa e cogli esuli toscani per liberare Fi- renze.
Inutile e tardo vedeva ormai ogni tentativo per re- stituire l'antica libert
alla patria. Tutto precipitava a vilt e servaggio. Tutto era trasformato
intorno a lui, e in peggio. Leroica schiera dei liberi cittadini, come Baccio
Valori, gli Strozzi, gli Alemanni, esuli, o morti, e l Italia percorsa da bande
di Tedeschi e di Spagnuoli, che ne fa- cevano strazio. E un pi crudo servaggio
vedeva aggra- VITTORIA COLONNA. 141 varsi sopra Roma, e sulle menti italiane. I
grandi papi del Rinascimento che per qualche anno lasciarono sperare ad un
rinnovamento della Chiesa, spariti ; ad essi sottentrarono i pontefici irosi e
feroci; i caratteri pi puri ed elevati dItalia perseguitati a morte, le
intelligenze pi luminose soffocate; le arti belle sospettate anch esse deresia,
cor- rotte e volte al barocchismo; soli padroni dItalia a Roma il sospetto,
lintolleranza e la morte; Sant Ignazio e l' In- quisizione. XV. Michelangelo
aveva da pochi anni terminato il gran di- pinto del Giudizio Universale, e
attendeva ai lavori della cappella Sistina; gli era stato commesso di dipingere
nella parete corrispondente a quella del Giudizio, la caduta degli Angioli; ma
egli pure era venuto in sospetto di eresia; co- minciava a trapelare il
significato recondito e terribile del suo Giudizio, e frati e predicatori
scagliavano dal pulpito contro di lui ingiurie ed anatemi; e non gli fu pi
possibile di dipingere nella Sistina. Allora egli si chiude in s nel silenzio,
non conosce pi che Dio, larte, la poesia e larchitettura; questi furono i
supremi conforti nella sua vecchiaia. Mentre collarchitet- tura mette tutta
lanima sua nella gran Basilica di San Pie- tro, e nelle poesie versa le
angoscie e i profondi lacera- menti del suo cuore; a lui tutto favella ornai di
morte. Il Vasari dice che non nasceva in lui pensiero, che non vi fosse
scolpita la morte, per il che si vedeva che san- dava ritirando verso Dio. Ei
sembra che si diletti a cercare e penetrare il segreto della morte, come prima
indagava 142 PARTE TERZA quello della vita; si sprofonda pi e pi in esso, e per
usare le sue parole: Non trovo altro
soccorso Che limagin sua ferma in mezzo
al core. Cerca la morte che ogni mal sana, chi la vita toglie: In ciel quel solo ha miglior sorte Chebbe al suo parto pi presso la morte. Egli vede intorno a s la nuova generazione
pervertita, il male in pieno trionfo: Il
tristo esempio ancora Vince e perverte
ogni perfetta usanza... Spenta la luce, e seco ogni baldanza * Trionfa il
falso, e il ver non sorge fuora.
Rammarica non esser morto mentre ella era in vita, che gli avrebbe fatta
pi dolce la morte: ora non per che un
carbone acceso e ricoperto, e Morendo
senza, al ciel lalma non sale. Ora
prorompe in un terribile grido di desolazione, appo cui sono fiacche
declamazioni e freddi piagnistei, i gemiti dei Werner, dei Byron, dei Leopardi,
tanta la verit e il vigore di cui sono
improntati questi versi, che riportiamo secondo il testo di Michelangelo
nipote: Ohim! Ohim! che pur
pensando Agli anni corsi, lasso ! non
ritrovo Fra tanti un giorno che sia
stato mio ! Le fallaci speranze e il van
deso Piangendo, amando, ardendo, e
sospirando. VITTORIA COLONNA. 143 (Che affetto alcun mortai non mi pi nuovo)
Mhanno tenuto, ora il conosco e provo,
E dal vero e dal ben sempre lontano.
Io parto a mano a mano, Crescemi
ognor pi lombra, e il sol vien manco E
son presso al cader infermo e stanco.
Per in questo gemito supremo che prorompe dal fondo del cuore, quanta
energa v condensata ; quanta modestia in
tanta grandezza! Nessuna vita fu della sua pi piena e operosa! Egli, si pu
dire, ha rifatta Roma nel Vaticano, nella gran Basilica, nel Campidoglio, nella
Porta Pia, nei palazzi; in ogni parte lasci vestigia del suo genio, vi stamp
impronte delle sue grandezze; egli, la pi pura gloria dItalia; egli, una delle
figure pi maschie e gene- rose dellumanit... Pure, non contento di s, sente di
non aver fatto abbastanza! Qual divario dai moderni Leopardi in miniatura, che
a trent'anni, senza nulla aver pur tentato, saccasciano sfiancolati e vinti, e
non hanno che guaiti sul- V infinita vanit del tutto! XVI. Vecchio e stremato
qual era, n il dolore, n la delu- sione, n la fallacia delle cose umane valgono
a scorag- giarlo, a scemare la sua operosit. Fugge lozio; lavora giorno e
notte. Combattuto da una turba di invidiosi e sub- doli, che tentano
sostituirsi a lui per dirigere i lavori della Basilica, per cui egli rifiut
sempre ogni assegno, non si perde danimo, non si dimette. Sinch gli regge la
mano, va mattutino a presiedere i suoi lavori in Roma, adopera matita e
scalpello. Ottuagenario si alzava appena giorno, 144 PARTE TERZA si metteva a
lavorare intorno alle statue o sopra i cartoni, senza scarpe e senza calze, si
che un giorno, dopo aver lavorato per oltre tre ore, gli vennero meno le forze
e cadde estenuato a terra senza conoscimento; accorsero le persone che erano in
casa; lo raccolsero, credendo fosse giunta Testrema sua ora; ed ecco egli si
rialza, e, schiavo del suo dovere, monta a cavallo, e si reca ad attendere ai
lavori di Porta Pia. Il pensiero della morte anzich impaurirlo suscita in lui
energia novella. Il pensiero della
morte, soleva dire, distrug- gendo per
natura tutte le cose, conserva e mantiene coloro che a lei pensano, e da tutte le umane
passioni li difende. In una sua poesia
descrive una vecchia donna curvale innanzi a suoi passi si leva da terra la
mano di uno sche- letro coirorologio a polvere. A met della scala di sua casa
dipinge uno scheletro colla bara sulle spalle. Contempla da tutta Taltezza
della sua mente le vicende terrene, e,
tutto, dice, nel mondo ornai
bruttezza e noia. Condotto da molti
anni allultimore Tardi conosco, o mondo,
i tuoi diletti : La pace che non hai
altrui prometti, E quel riposo ciianzi
tempo muore. * E altrove canta: Non temo
invidia o pregio, onore o lode Del mondo
cieco, che rompendo fede, Pi giova a chi
pi scarso esser ne suole, E vo per vie
men calpestate e solo. * Egli sprezza quanto
caduco e grida: Mettimi in odio
quanto al mondo vale, E quanto sue
bellezze onora e cale, Chanzi tempo
caparro vita eterna. * VITTORIA COLONNA. 145 Non vive pi che per il suo
pensiero e Dio. Continua a gettare i suoi pensieri sulla carta, ma pi che
poesie sono lampi e pensieri condensati. Ora
assalito da dubbi; sente che gli manca la fede, e dice a Dio: Io tamo colla lingua, e poi mi doglio, Che amor non giunge al cuore.... Squarcia 1 vel tu, Signor, rompi quel muro Che con la sua durezza ne ritarda Il sol della sua luce al mondo spenta. ( Sonetto lxxv, 214). Dio sol pu rinnovarlo fuori e dentro.... Perocch 1 proprio voler nulla mi
vale.... Il cangiar sorte sol voler di Dio. ( Sonetto lxx, 10). Or si volge al Cristo
Redentore, per rinascere in lui, ma si sente preda al peccato: Vivo al peccato, a me morendo vivo Vita gi mia non son, ma del peccato. Serva mia libert. Or tutti i suoi pensieri restringe in un
solo, in Dio. Le favole del mondo
mihanno tolto Il tempo dato a contemplar
Iddio... Ammezzami la strada che al ciel
sale, Signor, mio caro, e a quel mezzo
solo Salir m di bisogno la tua aita. La mente di Michelangelo. 10 14G PARTE TERZA
Incerto a chi rivolgersi per assicurarsi leterna salute, scrive: Sotto qual debba ricovrar insegna Non so, Signor, se la tua non maffida, Come al tumulto dellavverse strida Perire, ove il tuo amor non mi
sostegno... Tu solo il puoi, la tua piet
suprema Soccorra al mio dolente, iniquo
stato, S presso a morte e s lontan da
Dio. Come prima egli si sentiva tutto
assorto nellarte, ora - tutto assorto in Dio, si solleva a lui, lo cerca e con
Dio lenta penetrare il mistero dell universo, mentre non rista dall' agitare
nel suo segreto i problemi della vita e della fede. Io vo, misero, ahim! ne so ben dove; Aspro temo il viaggio e 1 tempo andato, Cora mappressa perch glocchi chiuda, Or che let, la scorza cangia a muda. La morte e lalma insieme fan gran prove, Con dura, incerta guerra del mio stato... *
Leterna pena mia, Nel mal inteso, e mal
usato vero Veggio, Signor, n so quel eh
io mi spero. Spettacolo sublime presenta
questa grande anima, che misura col pensiero' tutto il suo passato, le vicende
tra- scorse nella vita, le angosce sofferte, le battaglie affron- tate, e cerca
di comprendere lavvenire prima di sprigio- narsi dal corpo e salire alleterno.
Baster a salvarlo la fede? le opere che condusse gioveranno alla salute? Ma che
VITTORIA COLONNA. 147 fu mai la vita, a che giova il lungo operare, i miei
trava- gli, i miei dolori? Sotto qual insegna ricovrare? Ove si trover la
salute? Che mai la morte?... E mentre il
suo spirito agita questi problemi poderosi, la mano mai non rista dal lavorare.
Collo scalpello dirozza il marmo e trae dalla pietra forme viventi; col
pensiero interroga la Sfinge del destino, e tenta penetrare i misteri della vita.
La mano tenta estrinsecare le forme del bello, l intelletto scrutare nella sua
realt il vero. Il mattino, appena giorno, balza sul cavallo e corre ad
assistere ai lavori della Basilica, e, ritornato a casa, si chiude nello
studio, ove tenta scolpire la testa di Bruto, o di condurre all ultima
perfezione la statua del Mos, che fu opera di quarantaquattro anni, il lavoro
di tutta la sua vita, e in essa ha epilogato il suo pensiero. Colla mano
spiritualizza la materia, col pensiero tenta i faticosi problemi dello spirito.
Le rime, che dettava a mano che egli si sentiva assalito e agitato dal
pensiero, non sono che frammenti, schggie balzate dal marmo, che d scintille e
lampi. Ma questi lampi rischiarano le procelle della- nimo suo. questo il soliloquio del Genio alle prese col
destino. Ci ricordano il soliloquio di Edipo a Colono quando sente rumoreggiare
il tuono e appressarsi la catastrofe; ci ricordano i soliloqui del Manfredi di
Byron alle prese col suo genio, e che, prima di morire, cerca di penetrare nel
mondo invisibile. Per in questi abbiamo innanzi allo sguardo il mito, la
finzione; con Michelangelo invece, si leva innanzi a noi V Edipo vivente, l
Edipo che si comprende, che s'interroga, che getta Femmina del suo genio e de'
suoi pen- sieri alle et future. Qui sentiamo, nelle rime, trasalire un cuore,
agitarsi tumultuoso il pensiero, che lotta tra la fede e 148 PARTE TERZA il
dubbio, tra la terribilit del destino e la provvidenza, tra il giudice
inesorabile e lamor divino, Che aperse,
a prender noi, in croce, le braccia. Chi
dovr prevalere nellultimo combattimento della vita? La giustizia inflessibile
dei profeti ebrei, o la piet della grazia cristiana? Sar il Cristo che redime
il fato della tragedia greca che cieco domina, trascina? Sar una legge arcana
che muove e sperde pel nulla il mondo e i popoli, uomini e cose? Stanco alfine
di questa battaglia interna, sentendo la propria debolezza, rompe in questo
grido: Il proprio mio voler nulla mi
vale, Tul ferma in me, come lo spirto in
cielo Che nessun buon voler contro te
dura (l). (l) Byron invece
nel Manfredi non si assoggetta allo spirito invi- sibile, padrone di s; vuol
lottare cogli angeli, col cielo: My life
is in its last hour, that I Know Norwould redeem a moment of that hour; Idonot
combat agaido death, but tliee And lliy surrounding angels... Thou didst not
temptjne, and thou couldst not tempt me.... Back,ye baffled flends ! The liand
of death is on me but not yours! In questi due soliloqui del genio che
combatte colla morte si sente lanima di due secoli; nelluno il genio che dubita
ma pur non sa discredere, anzi safferra alla fede, e nellaltro il genio che ha
gi oltrepassalo il dubbio, nega, respinge la fede. L un Dio che non morto, qui un Dio che si eclissa. Ma ove sar
la realt, dove la fanta- sia e limmaginazione? VITTORIA COLONNA. 149 E di lotta
in lotta, di pensiero in pensiero, si appressava allora suprema. Il 14 febbraio
1564, un suo amico, Calca- gni, avendo saputo che stava male, si rec presso lui
per visitarlo, lo trov che passeggiava fuor di casa, mentre pioveva dirotto.
Gliene fece rimprovero affettuoso. Che
vuoi, rispose, mi sento propriamente male, n so dove stare. Visse ancora quattro giorni; il 18 di
febbraio, verso Tavemmaria, quella grande anima era spirata. XVII. Ultima sua
volont fu che il corpo venisse trasportato a Firenze e l sepolto. I Romani
negavano avere egli ma- nifestato tal desiderio, e insistevano per dargli
onorevole sepoltura in Roma; ma il nipote Leonardo ne trafug la salma, che
venne trasportata a Firenze, e, dopo trentanni di esiglio, rientrava morto
nella citt natale. Le esequie furono degne del gran cittadino e dell'artista
sovrano. Tutta Firenze artistica e popolana accorse a quelle esequie. Ognuno
sentiva che con Michelangelo non si seppelliva un uomo, ma che tutta un'epoca,
e la pi gloriosa d'Italia, tramontava; succederebbe la notte; e il crepuscolo
del nuovo d era lontano ancora! Benvenuto Celimi, impedito da una malattia di
assistere alla tornata in cui V Accademia deliberava le prescrizioni da
prendere per celebrare le esequie, in una lettera diretta al Priore dell
Accademia, descrive il modo in cui vorrebbe si adornasse la Chiesa per la
cerimonia solenne. Io aveva pensato, egli scriveva, che intorno al suo
cataletto noi scultori, cio messer
Bartolomeo ed io... dovessimo fare sei
figure di quattro braccia l una, le quali fossero queste: 150 PARTE TERZA VITTORIA COLONNA. la scultura, la pittura, larchitettura, e la
quarta fosse figurata la gran madre
Filosofia. A capo del cataletto la Morte
fatta bene di ossature, in atto pi presto, ardita e e fiera che languida e afflitta; e per
ornamento e impresa fargli una vita
riccamente acconcia... e questa vita de-
nota che questo grand uomo colla sua morale virt, ha dato maggior vita alla sua morte, che egli
non ebbe in vita, perch essendo vissuto
novantanni, cos viver no- vanta volte
novanta. Per tal modo il Gellini
riassumeva l' uomo. Artista, il Cellini, non ammirava in Michelangelo solo
lartista, ma il filosofo che sapeva animare col suo pensiero il marmo,
scolpirlo nelle tele; e per virt del pensiero, cui imprime forma perfetta, pot
vincere la morte, ch la sua fama dura quanto il moto lontana. PARTE QUARTA
LARTISTA LARTISTA La personalit di Michelangelo, pi ancora che nella vita
privata e cittadina, emerge e grandeggia nellartista e nel pensatore. I suoi
coetanei, mentre assegnavano a Leo- nardo da Vinci il secondo posto fra gli
artisti e a Raffaello il terzo, lui dichiaravano primo fra quei sommi.
Francesco De Hollando, pittore portoghese, in una notevole lettera, descrivendo
uno di quei convegni in cui nel 1534 uomini insigni per lettere, per arti e
scienze, si raccoglievano presso Vittoria Colonna e Michelangelo nel giardino
del convento' di S. Silvestro, detto di Monte Cavallo, soggiunge: Maestro Michelangelo m ispir tale
ammirazione, che incontrandolo nel
palazzo papale e nella via, dovevano
sorgere le stelle, per indurmi ad andarmene; e sog- giunge, che la Colonna lo qualificava
liberale con prudenza, non prodigo per spensieratezza, e ci che essa pregiava
in lui sopratutto era la dignit del carattere, per cui si teneva in disparte,
sottraendosi dagli inutili discorsi, dal 154 PARTE QUARTA corteggiare i grandi
oziosi, per vivere solo dellarte e per larte. Lartista in lui, come in tutti i
sommi, non si scom- pagna dal pensatore; per, a meglio comprenderlo, con- viene
conoscere lambiente intellettuale, flosofco-religioso in cui viveva e a cui
sispirava; ed quello che tenteremo di
fare in questo studio. Cominciamo dallartista. Qui il suo genio non ha misura,
e campeggia solitario. Dante dice Lacqua che io prendo giammai non si corse ed
il Buonarroti scriveva: Io vo per vie
men calpestate e sole. Nei campi
dell'arte egli fa parte di s stesso, ma ap- partiene ad un tempo a quella
famiglia di pensatori e geni sovrani, i quali, come i profeti, Eschilo, Dante,
Shakespeare e altri pochissimi, dominano i secoli, abbracciano collo sguardo
dell'aquila la serie del tempo, lo svolgersi lontano degli eventi; li
presentano, li vaticinano, o li stampano, come nel bronzo, in simboli eterni.
Essi non sono figli di un epoca, n appartengono ad un popolo, ma allumanit e a
tutti i tempi. Levati sopra il culmine pi sublime del mondo umano, mal
compresi, irrisi dal volgo o temuti, sono come un fenomeno, un enimma pei loro
coetanei, sembrano esseri strani e diversi, non vivono col secolo, ma col
pensiero gi vivono nellavvenire e lo ricreano. Per avviene talora di essi, ci
che Dante dice di Beatrice, che non sapendo come si chiamare , lo dicevano il
divino , nel duplice significato di sommo, e di vate. I loro scritti, o le
immagini e figure dei loro dipinti, al pari delle visioni di Ezechiello,
percotono di confusione e di smarrimento i coe- tanei, i quali ammirano
istintivamente senza penetrarne lartista. 155 il fondo, e solo col progredire
del tempo, collo affinarsi delle intelligenze, si viene svelando il pensiero,
che vol- lero incarnare nelle loro opere. Cos in Eschilo, solo merc le successive
trasformazioni religiose, potemmo spiegarci il pensiero che ispirava il
Prometeo; cosi da pochi anni soltanto viene fatto di pene- trare il polisenso
della Commedia dantesca; lunit politica, lidea filosofica, che mira a ricreare
un nuovo Cristiane- simo ideale e razionale, cominciano a chiarire il concetto
filosofico e politico, che informa l Inferno e il Paradiso dantesco; soltanto
dopo i successivi rivolgimenti di popoli, il sorgere e cadere dimperi,
lelevarsi del senso morale, e colla filosofia della storia, si cominciano ad
illuminare di luce storica e razionale le visioni d Isaia, d Ezechiello e
Geremia, e a comprendere le aspirazioni universali, a cui levavano le menti.
Alcuni astri remotissimi non arrivano alla terra e non si fanno visibili allocchio
mortale, se non dopo centinaia di secoli; non altrimenti i pensamenti di pochi
geni sovrani, solo dopo lungo correre di et, possono penetrare nei consorzi
sociali. Questi geni vissero bens in mezzo alle loro famiglie, parteciparono ai
movimenti delle loro epoche, vennero a contatto coi re e sacerdoti, ma anche in
mezzo alle Corti ed ai movimenti popolari sono i grandi solitarii, inebbriati
(1) si partono dalle genti, vi- vono delle loro aspirazioni, hanno preso il
loro posto nel- l avvenire lontano. 0) Come inebbriato mi partii dalle genti
Dante, Vita Nuova. 156 PARTE QUARTA II. Il Buonarroti era costretto dallarte
sua a vivere nelle Corti, in mezzo ai principi, ai papi, ai cardinali; essi
soli potevano a quei tempi offrirgli il mezzo di lavorare, espli- care il suo
genio, imprimerlo nei dipinti e nel marmo; pure, come gi osservammo, egli non
solo si schermi in ogni occasione dal vivere nelle Corti, rifiutando
l'ospitalit dei grandi, ma, altiero e sdegnoso, vive solitario, modesto,
appartato dalle genti, assorto nei suoi pensieri, tutto in- tento all'arte. Ed
egli fece a s l 'arte idolo e monarca. Ma larte stessa non era per lui che un
mezzo per imprimere il proprio pensiero, dar vita al suo ideale. Non si
contentava, come il vacuo realismo moderno dellesteriorit; anzi, come dice egli
stesso, talora la vista del modello gli era dimpaccio, assegnando confini a
quella fantasia, che non conosceva misura. Egli aveva levata la mente ad un
grande ideale di bel- lezza, che gli era guida e lume. Questo egli sentiva
dentro di s, lebbe come per istinto fin dalla prima et, e si sfor- zava di
dargli forma. Dipingere, scolpire, non era per lui un atto materiale, ma nell
eseguire traeva ispirazione e vigore dal pensiero. Al suo amico Marco Vigerio
scrive: Si dipinge col cervello, non
colla mano, e chi non pu aver cervello
si vitupera. Quel sommo avrebbe sorriso
di piet e di sdegno a certe teorie moderne dellarte per l'arte. Facile teoria
creata a comodino di poetastri privi di idee e di convinzioni, o di scrit-
tori, che sono vesciche gonfie di vento e riboccanti di rime lartista. 157
rifritte, di artisti, la cui scienza consiste nello stemperare i colori,
scimmiottare modiste e parrucchieri; ed essendo sif- fatta arte facile e alla
mano, vedemmo giornalisti eunuchi, e critici senza studi n calore daffetti e di
passioni, fog- giare la teoria per dissimulare l'aridit del cuore, ed il vuoto
del loro cervello o la loro ignoranza. Pei grandi larte fu in ogni tempo
potenza creatrice, edu- catrice. Pensiero, passione e forma sono e saranno
sempre la santa trinit dellarte. Prima il pensiero, che raccoglie, come prisma,
i fenomeni esteriori, ne penetra lo spirito; poi laffetto che li anima, li
riscalda; infine la forma che li colora, li scolpisce. Questa la trinit
dellarte vera, e che, una e trina pur essa, non si pu scindere. La loro
scissura segna non solo la deca- denza dellarte, ma lo infiacchimento e la
corruttela duna civilt, la miseria di unepoca. Chi pinge e scolpisce senza
pensiero, imitando goffamente e pedantescamente la natura copiandola, dice
Buonarroti, si vitupera. Crede dessere
artista e non che fotografo, questa
scimmia dellarte. Lartista vero contempla il mondo umano e la natura; il mondo
dei fenomeni organici, come dello spirito, che si ma- nifesta e si svolge nella
storia, negli affetti del cuore, nelle religioni, li riflette in s, li avviva
delle sue idee, de suoi affetti, poi ne accentua i tratti con finitezza di
linee, con simboli e figure, porge loro una espressione, un linguaggio, li
anima di una vita intensa, e riassume la natura e la sto- ria, le riflette in s
e le ricrea. Per egli per virt del
concetto che grandeggia lartista vero, ed
pregio particolare del Buonarroti fondere in un tutto pensiero e forma.
Non sapeva, come certi moderni, distinguere, analizzare, sottilizzare; la forma
prorompeva 158 PARTE QUARTA in lui, come in un sol parto, insieme col pensiero,
e a nes- suno fu dato, come a lui, imprimere un concetto, anche dei pi
astratti, in forma pi plastica e vivente. Sotto il tessuto di quelle membra e
muscoli, si agita sempre unidea, pal- pita un cuore, ferve una corrente di vita
e di passioni; in ogni lavoro egli determina l indeterminato, scolpisce una
passione, rende sensibile linfinito, per cui nei suoi dipinti le stesse ombre
si toccano come cosa salda. III. Quell'anima era come un mare in tempesta.
Tutto nei suoi dipinti movimento e
forza. Il suo genio fu parago- nato al mare, ed era del pari vasto e profondo.
Tranquillo, calmo alla superficie, austero nei modi, in fondo a quel- 1' anima
si agitavano le passioni pi ardenti e tempestose, che spesso era costretto a
comprimere e a dissimulare; ma poi si rivendica, si sfoga col versarle
impetuoso nei dipinti. I suoi coetanei avevano osservato sulla sua fronte di
ferro, come impresse, sette rughe; sono i sette colori delliride, che non
annunziano il sereno dopo la procella, sibbene la tempesta, che senza posa
tumultuava nel fondo al suo cuore; perocch, come vedemmo, pari al mare, il suo
genio era sempre in moto. Tutto
movimento e vita, nelle sue figure; alcune delle sue statue non sono
finite, altre appena abbozzate, pure anche queste vivono, parlano. La vita
trabocca impetuosa, ardente in ogni parte, anche minima, delle sue creazioni
dalla punta dei capelli sino alle piante dei piedi. Da ci limpressione profonda
che si prova alla vista delle sue opere. Ogni sua figura si stampa nel-
l'anima, ci penetra, ci perseguila. l'artista. 159 Potrete criticarla,
scoprirvi molti di fletti, ma siete co- stretti a mirarla, a occuparvi di lei;
la sua memoria vi sta sopra, con
voi. la vita che parla alla vita, ma una
vita sana, gagliarda, agitata da passioni impetuose, illuminata dal pensiero.
In quasi tutti i dipinti del Rinascimento, anche dei sommi, i personaggi
posano. L'artista, non escluso talora lo stesso meraviglioso Raffaello, mira a
dare ai suoi personaggi un atteggiamento accomodato, una posa, talora teatrale,
cos nella figura isolata, come nei gruppi, che lusinghi e seduca lo spettatore;
si occupa, diremo, pi del modello che a lui sta davanti, che del soggetto.
Michelangelo invece, cerca di sfuggire le pose artificiose, composte, di
schivare quegli atteggiamenti solenni o classici. Egli si sforza di cogliere la
natura allimprevvisto, di sorprenderla ne' suoi capricci, ne suoi balzi,
nellimpeto d'un affetto, sotto il peso d'un do- lore, nel lampeggiare dun
pensiero, e stampare quel mo- mento nei suoi dipinti e nelle sue statue. Non si
preoccupa della posa, ma della passione che lo tormenta. Per le sue figure,
pinte o scolpite, si movono sempre. Mirate i Pro- feti, le Sibille, le cento
figure del Giudizio, la Maria nella Piet: nulla di manierato, nulla d
artifiziale; esse si agi- tano, si sprofondano nel pensiero, o sorgono
irrequiete, tormentate. una psicologia
fisiologica, o una psiche rea- lista. I moderni volendo fare del realismo
cadono nel vul- gare, nel triviale; il
piccolo realismo. Egli cre, disegn il grande realismo. Non trovando nei suoi
dipinti, negli scritti, traccia delle potenti e soavi scene della natura, altri
disse eh egli non ne sentiva e non ne comprendeva le bellezze. Quanto la
sentisse lo provano talune stanze, che ci porgono la de- 160 PARTE QUARTA
scrizione della vita campestre, del pi schietto realismo (1); ma nella natura
egli cercava la semplicit, la schiettezza e la quiete. Fra la tempesta del suo
animo cercava, al par di Dante, in mezzo alla serenit della natura, la pace.
Dopo aver visitati certi luoghi romiti nelle montagne di Spoleto, egli scriveva
al Vasari: Ho avuto gran disagio spesa e gran piacere a, visitare quei
romiti, or son ritornato men che mezzo a
Roma, perch non si trova pace che nei
boschi. Egli amava il bello, ma il
bello finito, individuale, amava universalmente ogni cosa bella, un bel
cavallo, dice il Condivi un bel paese,
una bella montagna, una bella selva,
ammirando con mera- viglioso
affetto. Uomo tutto intelletto, non a stupirsi non si fermasse a ritrarre le
scene della natura. La natura ha alcun che di oscuro, dinconsapevole,
dindifferente, che mal risponde ad unindole violenta, passionata ad un tempo e
compresa da un alto sentimento morale ed umano. Sentiva la natura, ma essa non
bastava al suo genio; egli la oltrepassava. La vera, la grande arte per lui,
come ripete spesso nelle sue lettere,
luomo. Luomo, la manifestazione pi elevata della natura, la quale in lui
si esalta ed esulta, in lui acquista pieno conoscimento di s stessa. L uomo
indivi- duo, 1' uomo umanit. Per il suo antropomorfismo non armonico, come quello dei Greci ; anzi sdegna
la bellezza nella sua immortale serenit ; ripugna al freno dellarte per
(i) Novo piacere e di maggiore
stima Veder lardite capre sopra un
sasso Montar pascendo, or questa or
quella cima. (Rime: Sulla cita
campestre). L ARTISTA. 161 raggiungere il gigantesco, il sublime. Ei fu primo
fra gli artisti a considerare le grandi questioni storiche, e a rap-
presentarle come tipi nellarte. Consider lumanit nel suo complesso, quasi un
uomo solo dotato d uno spirito, che percorre i vari stadi di sviluppo. Per
studi luomo indi- viduo, lo seguit nella sua vita lungo i secoli, per sco-
prirne e dipingerne le origini, comprenderne lo svolgimento, i destini futuri;
lo studiava con tenacit di osservazione, per conoscerne la struttura, nella
morte, per meglio sco- prire il segreto e il meccanismo della vita. La vita per
lui si continuava nella morte, la quale non gli appariva che come una
trasformazione della vita. Anzi ci narrano i coe- tanei come egli investigava
la natura nella morte. Vi- veva le intere giornate sui cadaveri tanto da
portarne stemprato lo stomaco. Ma nella morte studiava gli aspetti diversi,
i misteri della vita, che infondeva poscia nelle sue opere ri traendone, non
che il corpo, lo spirito immortale. IV. E lo spirito, o meglio il pensiero
interno conviene inda- gare in ogni suo lavoro, anche pi che il meccanismo
della forma. Nellartista scoprire il pensatore ed il filo- sofo. Cercare questo
pensiero, e con esso penetrare pi innanzi, che non ci consenta la letteratura e
la stessa filo- sofa, il concetto di riforma morale e sociale che agitava
allora l Italia e usciva dalle viscere stesse del Rinasci- mento, lo scopo che proponemmo a questo nostro stu-
dio. Questo pensiero, come accennammo,
ravvolto come d'un velo, dun simbolismo arcano nelle sue opere. Solita-
la mente di Michelangelo. il 162 PARTE QUARTA rio, sdegnato d una societ
corrotta, o frivola, o codarda, raccolto in s, circuito da invidiosi o da
nemici, che lo rendevano cautissimo, egli soleva chiudere i suoi pensa- menti
nel profondo del cuore, costretto spesso a celare e dissimulare la sua fede,
che si rivela a lampi, sia in al- cune delle sue parole, sia nelle grandi opere
darte, le quali sorgono come un mistero innanzi agli occhi de suoi coe- tanei,
e stanno innanzi a noi come una sfinge che attende il suo Edipo. E tal segreto
non riveleranno solo le opere darte da lui condotte, ma le sue abitudini, gli
studii e lambiente intel- lettuale e locale nel quale cresciuto, e in cui si vennero formando e
maturando i suoi convincimenti. Le letture, che altri predilige, ci svelano
luomo: Simili similia, spesso si cerca s stesso, lo specchio, la parola dei
propri affetti nel libro. Il libro il
riflesso dellanimo. Nel romanzo prediletto trovi spesso la tendenza della
donna, e diremmo, il modello a cui vorrebbe accostarsi il giovane. Se coi
nostri costumi, nellet moderna, il libro diviene spesso un trastullo per
ingannare il tempo e la noia, o per istordirsi, tal che si legge molto, si
scrive troppo, e non si pensa punto, nelle et antiche invece si leggeva poco,
si scriveva meno, si pensava molto; e sui libri, po- chi e sani, luomo di genio
foggiava il suo carattere. Tre libri predilesse il Buonarroti, ed aveva fatti
compagni in- separabili ne suoi viaggi, nelle sue solitudini, nel suo la-
boratorio: la Bibbia, il poema di Dante, gli scritti del Sa- vonarola. A questi
possiamo aggiungere le opere della filosofia platonica alessandrina, da lui
imparata e profes- sata sino dalla prima giovinezza, di cui vediamo le traccie
lartista. 163 ne suoi scritti e nelle poesie che iva dettando pi per se stesso,
per bisogno del suo animo, che per altri, e sopra- tutto per isfogo dei suoi
pensieri, e per sollevare e rinfre- scare la sua mente nelle ore di ozio e
riposo. Ora, nessuna di queste tre opere era ben accetta alla Curia romana. La
Bibbia, lantico come il nuovo Testa- mento, erano libri quasi ignorati dal
popolo italiano; non si conosceva di loro che quanto andava dicendone il clero
di Roma; la lettura non era permessa (1) che sulla tradu- zione della Vulgata e
coi commenti teologici, che spesso corrompono, velano il senso originale e lo
tradiscono. V. Il Cristianesimo aveva bens trionfato del mondo antico, ma pi di
nome e di apparenza, che nelle idee e nella so- stanza. Era divenuto nella
forma una continuazione di Pagane- simo in parte peggiorato. E nella sostanza nessuno
de vi- tali principii filosofici e sociali, banditi dallantico Testa- mento e
dal nuovo, erano stati accolti, tradotti nella vita sociale ed applicati. La
parola biblica ed evangelica sa- rebbe suonata come condanna inflessibile alle
abitudini, ai maneggi della Chiesa e dellImpero; per venne vietata, soffocata,
confiscata solo in quanto tornasse a vantaggio della Chiesa regnante e
militante. Cos, a cagion desem- pio, la Bibbia, nelle istituzioni mosaiche, era
avversa al (l) Gregorio IX e diversi Concilii, dopo di lui, decretarono, che
nissun laico potesse leggere i libri santi in lingua vulgare sotto pena des-
sere scomunicato e perseguitato dallInquisizione come eretico. 164 PARTE QUARTA
dominio della teocrazia, il sacerdozio veniva dalla legge confinato ad una
casta rilegata al tempio, limitato ad una sola famiglia, ed i Leviti erano
tutta una trib dedicata ad istruire le plebi: insegnanti pubblici e maestri. La
Chiesa invece, cercando alle sue istituzioni un appoggio nella so- ciet
ebraica, fece credere che i Leviti fossero sacerdoti, e fond su questa erronea
interpretazione il dominio teocra- tico della Chiesa. Samuel, che unse a re
Saul, era profeta, uscito dal popolo; ed essa ne fece un sacerdote, una specie
di papa che corona limperatore. Nella societ ebrea lugua- glianza sociale era
fondamento alla citt, un Dio uno, un popolo uno, uguale, quindi nessuna casta o
classe privile- giata: tutta la societ del medio evo invece era fondata sulla
disuguaglianza, sul dualismo, Impero e Chiesa; sulla trinit, feudalismo, baroni
e sudditi. La legge, la giustizia sociale era la vera religione, o vincolo che
univa trib e famiglia e individui in Israele; alla legge scritta e alle isti-
tuzioni dirette a provvedere ai bisogni civili e positivi del popolo, si sostitu
una legge mistica, ideale, in opposizione sempre della realt, che predicava un
mondo oltre umano, e condannava il mondo terreno; la vera societ era fuori e
sopra le leggi sociali, era rappresentata dalla Chiesa; la vera vita era nella
morte, o oltre tomba; la vita non era che una prova, la terra non era che un
passaggio, la so- ciet civile, operosa, vivente veniva immolata alla Chiesa,
che viveva appartata, in ozio e fuori di essa. Avvedendosi della contraddizione
che correva tra i suoi ordinamenti ed i postulati biblici, essa predicava che
la Bibbia doveva essere interpretata dalla Chiesa, n pote- vasi leggere dai
secolari, e che essa rappresentava la legge materiale e temporale, mentre alla
Chiesa spettava sosti- lartista. 165 tuirvi la spirituale e mistica. Ma questa
ad un tempo con- fermava i privilegi di pochi eletti, e le violenze sulla
terra, facendo lampeggiare la speranza di felicit mistiche, remote e rilegate
oltre il sepolcro. Quei principii di giustizia politica e di leggi pratiche,
che lantico Testamento aveva voluto tradurre in istituzioni so- ciali ed
applicare nei consorzi umani, Cristo, san Paolo e alcuni dei primi cristiani
avevano elevati ad alte massime morali e sociali, per applicarle nelle
comunanze cristiane, generalizzandole per diffonderle nel mondo dei gentili, e
farne la sostanza del Cristianesimo, ovvero la forza, la ragione dessere del
Messianismo. Cos essi popolarizza- rono nel mondo greco-romano, quei principii
nati, cre- sciuti, fecondati nel seno della societ ebrea, quali sono la
redenzione, la libert reale, individuale, e non mistica, leguaglianza sociale,
la giustizia, la carit e la fratellanza umana, presentando di essi siccome tipo
umano ad un tempo e divino, il figlio di Maria. Ma trascorso quel primo e
mirabile periodo dellesplo- sione del vero Messianismo redentore r tutto fu
mutato e quasi tutto fu falsato. Forse i tempi non erano maturi per la loro
esplicazione ed applicazione in mezzo ai popoli appena usciti dal Paganesimo;
forse convenne transigere colle condizioni sociali esistenti, cedere a bisogni
reali e ideali, che le miserie dei tempi avevano fatto sorgere, e a queste
considerazioni venne sagrificata lidea, il principio immolato al successo.
Allora alla dottrina di Cristo si so- stitu la leggenda di Cristo; al vero
Cristianesimo o Mes- sianismo la Cristologia; alla Croce, segnacolo di pace e
di martini pazientemente sofferti e di redenzione, si sostitu il Labaro
collaquila e la spada della guerra e della con- 166 PARTE QUARTA quista; alla
diffusione del Cristianesimo colla persuasione, coHinsegnamento, collesempio
dabnegazione e di martirio, le violenze, le oppressioni, ed i martiri si
mutarono in car- nefici. Gli Ebrei, che pi non potevano riconoscere, nella stta
uscita dal loro seno, il vero Messianismo, si allontana- rono sempre pi da lei;
la scissione tra la nuova dottrina e lantica si fece pi radicale e larga. I
filosofi e i razio- nalisti alla lor volta si staccarono sempre pi da una dot-
trina, che aggiungeva nuove superstizioni alle tante del- lantichit, e la
Bibbia, la quale era come una protesta contro il nuovo sistema, e sorgeva a
testimoniare contro di sso, venne vietata ai credenti; e allora pullularono
ogni sorta di eresie, che con mille forme scissero la societ re- ligiosa e
laica. La Chiesa e lImpero, divisi fra loro per cupidigia di regno, si
trovavano sempre uniti per combat- tere la libera ragione, per reprimere e
soffocare leresia. Queste lotte insanguinarono lOriente e lOccidente. Nella
loro storia contenuto e si esplica tutta
la storia del pen- siero e della civilt moderna. Noi vediamo det in et elevarsi
spiriti generosi a protestare contro il falso Cri- stianesimo, e pontefici,
imperatori e re unirsi a soffocarne le voci.
questo un lungo martirologio che si apre sino dai tempi di Costantino, e
si prolunga det in et sino a noi. Tutti i grandi eresiarchi, che si successero
in Italia da Ar- naldo a Savonarola caddero, ma il loro spirito sopravvive ad
essi. La Bibbia, l'Evangelo si falsarono invano, non si poterono sopprimere, e
con essi vivono, si propagano i principii, che portano in seno. lartista. 167
VI. Il Rinascimento classico, come gi notammo, sorse ge- mello col Rinascimento
biblico. Fu una doppia rivelazione e risurrezione (1). La Curia romana aveva
proibita la Bibbia? Sorge la stampa a riprodurla a milioni di esem- plari;
innumerevoli edizioni latine si fecero in pochi anni di questo libro, a cui,
come dice Michelet (2), da secoli luma- nit obbediva senza conoscerlo; le
traduzioni nelle lingue europee si succedevano; la Germania ne ebbe diciassette
in pochi anni. Innanzi alla parola biblica dellantico come del nuovo
Testamento, si ecclissano quelle dei glossatori, dei predicatori, e degli
scolastici della Curia romana. Tutti cercano nelle fonti vive e primitive la
parola redentrice. (1) Intorno allimportanza che acquistarono in Italia nel XVI
secolo gli studi biblici e sui diversi modi d interpretarne i fatti storici, le
parole, rimandiamo ancora il lettore all erudito e notevole capitolo del
Villari, su questo argomento nella Vita del Savonarola, voi. n, pag. 114. A forza di studio e di meditazione essa (la
Bibbia) aveva cessato di essere per lui
un libro, era divenuto un mondo vivo e
parlante, un mondo infinito in cui trovava la rivelazione del pas- sato e dellavvenire... Vi trovava come il
microcosmo dellumanit, lallegoria di
tutto, di tutta la storia del genere umano... Oltre al- linterpretazione letterale, egli ne faceva
altre quattro sopra quasi ciascun passo
della Bibbia, ed erano: spirituale , morale, allego- rica ed anagogica . La Bibbia, come noto, era il libro favorito di Michelangelo,
il suo compagno fedele; discepolo del gran frate, egli ne suoi dipinti non si
arrestava a ritrarre il fatto storico, ma lo spirito, il genio dellepoca e il
senso allegorico e morale; da ci lim- portanza filosofica dogni opera del
grande artista. (2) La Renaissance, xc. 1C8 PARTE QUARTA Singolare dote
dellantico Testamento quella di plasmare
caratteri energici, elevati, interi, dempirli dun fuoco sacro, che si propaga,
si comunica; dote del nuovo Testamento di temprare quest ardore con parole di
carit, damore, dabnegazione; e questi libri meditati nelle loro forme pri-
mitive, produssero quella Riforma in Germania, in Inghil- terra, in Olanda, che
da secoli covava e maturava, ben pi radicale e razionale, in Italia. La storia
della riforma religiosa in Italia ancora
da farsi, n si potranno riempire i molti vuoti, le incertezze che presenta, se
non quando potremo penetrare gli archivi vaticani che ne serbano il segreto, e
scrutare le denunzie ed i numerosi processi per eresia accumulati nelle biblio-
teche principali dItalia. Roma aveva cento occhi aperti in ogni citt, in ogni
villaggio, in ogni casa; vigilava, spiava, e appena nasceva un sospetto deresia
colpiva, imprigio- nava, alzava roghi, ne soffocava la voce. Malgrado la
vigilanza ecclesiastica, in tutta la storia d Italia noi pos- siamo seguire le
vestigia di questo movimento religioso, ma in gran parte le fila principali si
nascondono fra i misteri delle societ segrete. I sodalizi religiosi, in varie
provincie, si confondono colle accademie filosofiche e colle societ ghibelline
antispagnuole e politiche. Esse avevano i loro concili, i loro gerghi segreti,
i loro ritiri misteriosi per sottrarsi alla vigilanza ecclesiastica e civile, e
non si rivelano che a lampi, e per chi sa comprenderli. Noi sappiamo che le
citt italiane erano nel secolo de- cimoterzo e quarto piene di Paterini, di
Templari, di Ca- tari; che i Ghibellini stessi non erano solo un partito poli-
tico, ma religioso e antipapale; le loro idee si ravvolgevano in un gergo, noto
solo agli affigliati. Forse Gabriele Ros- L'ARTISTA. 169 setti, nelle varie sue
opere, esager nella interpretazione dei nostri poeti e prosatori di quei
secoli, volendo ritro- vare in tutte le poesie, le novelle, i poemi, da Dante e
Boccaccio, al Bajardo e all Ariosto, il gergo antipapale; ma certo vi ha di
molto vero nelle sue interpretazioni; perocch molti di questi scritti, ove non
coprissero un significato segreto, o riescono inintelligibili o sembrano parto
di menti inferme (1). Lo spirito antipapale di Dante non pi un mistero; invano si vollero interpretare
in senso ortodosso le sue allegorie, far credere, merc com- menti foggiati da
Roma, o dentro i claustri dei conventi, che alludesse ai peccati capitali e
alle virt teologali, nelle audaci sue allegorie politiche; si tent scambiare
con fred- (1) Tali sono : la lettera da Dante diretta ai principi per la morte
di Beatrice, VAmeto, la Fiammetta del Boccaccio, le Egloghe di Pe- trarca, e il
suo libro intitolato Segretum meum, le opere di Cecco d Ascoli, di Frizzo e
altri. Gli scritti del Rossetti, pieni di erudizione e di vedute profonde e
pellegrine, furono stampati a Londra, e quasi pi non si trovano ; pare che una
mano misteriosa o la setta gesuitica si adoperi per ritirarle dalla
circolazione; i numerosi manoscritti da lui lasciati, ci venne asserito siano
stati abbruciati dalle sue figlie, le quali divennero istromento del partito
nero. Da gran tempo io mi adopero perch venisse ristampato in Italia \ Commento
Analitico di Dante, e alcune delle sue opere principali, ma sinora non ho
potuto rinvenire un editore italiano, che vi si sobbarchi. da desiderarsi che in Italia si facciano meno
monumenti di marmo ai nostri grandi estinti, e si ristampino e propaghino le
loro opere dove essi vivono veramente. Ma in Italia, e sopratutto nei giorni
che corrono, la vanit soverchia la realt, le finzioni tengono luogo delle idee.
Si sperava di rifare una Italia giovane, ed
senile, forte ed fracida e
pettegola; credevamo trovare Roma in Roma, ed
Bisanzio con un Basso Im- pero bassissimo. 170 PARTE QUARTA dure
scolastiche o rettoriche, i grandi concetti religiosi e morali coi quali
fulmina i vizi della Corte romana, e pre- nunzia la riforma negli ordini
religiosi e la caduta del potere temporale. Merc i lavori eruditi e profondi
del Foscolo, del Rossetti, ed il nuovo spirito di libert che percorre lItalia,
gi si comincia a veder chiaro nel parlare oscuro , o nei versi strani dello
sdegnoso Ghibellino; nel poeta si svela il riformatore religioso. E Dante era,
dopo la Bibbia, il libro prediletto di Buo- narroti, e molti de suoi simboli
vennero ispirati dal divino poema, a cui egli aggiunse, completandoli, quei
concetti, a cui il lungo studio e il movimento religioso e filosofico dellet,
aveva elevato la sua mente. VII. Fra le diverse stte religiose e scuole
filosofiche, che miravano a suscitare una riforma religiosa in Italia, aveva,
gettate pi profonde radici nel nostro suolo, quella iniziata in Calabria da
Joachim da Flora, che predicava YEvan- gelo Eterno. Era ad un tempo la pi
radicale ed elevata, e la pi temuta, per cui i seguaci eran costretti a celarsi
nel mistero. Questa eresia era nata nei conventi della Ca- labria sino dal
duodecimo secolo; combattuta invano e perseguitata da Roma, perdura, si
diffonde dalle Calabrie, gettando propaggini nelle altre parti dell Italia
Centrale e Superiore. Raccoglie numerosi seguaci negli stessi con- venti, e
molti Francescani e Domenicani se ne fanno apo- stoli ardenti, e di convento in
convento, di terra in terra, ne diffondono la dottrina nella Romagna,
nellUmbria, nella Toscana, e da essa partono le prime scintille, che poi ac-
lartista. 171 ceser le menti dei numerosi riformatori usciti dai sodalizi di
Francescani, Domenicani, Capuccini sparsi in Firenze, Lucca, Siena, Venezia. La
dottrina predicata dai seguaci di Joachim era assai pi radicale, che non quella
che diffondevano i riforma- tori tedeschi e svizzeri. Vi si sentiva il genio di
una ci- vilt pi avanzata, il concetto chiaro e purificatore del vero
Cristianesimo; ma appunto per esser troppo elevata e spesso mistica, non
rispondeva ai bisogni sentiti dalle mol- titudini, e mentre era pascolo di
poche intelligenze elette, non pot penetrare nelle masse, e si limit ad una generosa
utopia, che i tempi non erano ancora preparati e maturi per tradurre in realt,
e farne fondamento alla nuova Chiesa (1). Questa dottrina predicava, che
l'antico e il nuovo Testa- mento avevano compiuto il loro tempo. L Evangelo (di- cevano i seguaci di Joachim da Flora)
non il vero Evangelio; dibatti non seppe edificare la
vera Chiesa, n condurre il mondo alla
perfezione... n produrre la sa- Iute del
genere umano... La Chiesa greca, dicevano,
Sodoma, la latina Gomorra... La dottrina di Ges non definitiva, n per suo mezzo il regno dello
Spirito Santo pot essere fondato.... Il
regno spetta allEvangelo Eterno che sar
predicato a tutti i popoli... Al regno
del pa- dre e del figlio deve succedere
quello dello Spirito Santo (1) Infatti, se solo nei nostri tempi, dopo
cinquecento anni, il po- polo nostro comincia a comprendere ed apprezzare
Arnaldo da Bre- scia, quanto tempo correr prima che sappia levarsi al concetto
ra- dicale di Joachim che abbatteva lantico domma, e mirava a fondare la nuova
Chiesa ? 172 PARTE QUARTA che sar quello
della scienza. Invece del falso pontificato
dovr elevarsi un pastore evangelico che far fiorire in tutta la terra l Evangelo Eterno; sorger una
nuova re- ligione libera e
spirituale.... in cui il romano pontefice
dominer spiritualmente sopra ogni gente dalluno al- laltro mare.
Nei numerosi scritti dei seguaci di Joachim, si riscon- trano frequenti
allusioni politiche, che sono governate da uno spirito solo, il quale ne forma
la unit, cio lavversione alla Corte di Roma, che paragonata come nel Canto xm del Purgatorio,
alla prostituta de\Y Apocalisse, e il ponte- fice, identificato allanticristo,
si propone di predicare un nuvo Evangelo, il quale in s accolga la morale
universale per tutti i popoli e per tutti i tempi. Limperatore vi rap- presentato come loppressore dItalia, e
si palesa chiaro nei numerosi scritti della stta, che lo scopo cui mira, di produrre una riforma radicale nella Chiesa
e fondare un nuovo Cristianesimo. questa
la dottrina, che potremo appellare nata in Ita- lia, la riforma autoctona col
Genio nazionale. Ne troviamo i germi diffusi in ogni provincia, propagati in
gran parte dagli stessi frati di terra in terra, dalla Calabria al Pie- monte.
Bastici fra gli altri ricordare frate Salimbeni, Gio- vanni da Parma, Leonardo,
Giovanni, Labertini da Casale, fra Dolcino da Novara, e molti Francescani e
Domenicani dogni provincia d Italia. Perseguitati in ogni dove, gli af-
figliati assumono forme diverse; quale si limita a svolgere e predicare la parte
politica della dottrina, come Arnaldo; quale la parte sociale, come fra
Dolcino; quale la religiosa e filosofica; sinch la dottrina trasse nuovo vigore
e in- cremento dal Rinascimento classico e biblico. Cominci a lartista. 173
vedersi un principio del loro trionfo nella Riforma luterana, che essi avevano
preconizzata da due secoli, e le numerose stte religiose, che serpeggiavano
presso di noi, cercarono imprimere certa consistenza e unit alle nuove
dottrine. A fianco alle stte religiose, sorsero nel secolo decimo- quarto le
filosofiche. Sino dalla met del secolo decimo- quinto nelle universit di
Bologna, di Padova, di Mantova, si agitavano i pi arditi e delicati problemi
filosofici e re- ligiosi; ma verso la fine del secolo, vero centro del movi-
mento filosofico era divenuta, come gi si disse, Firenze, e le varie scuole
filosofiche vi presero il maggior svi- luppo e incremento, appunto nel periodo
delladolescenza e giovinezza di Michelangelo. Quivi si discuteva liberamente
sulla rivelazione, sulla religione suHimmortalit dellanima, sulla Provvidenza
divina; la citt traboccava di vita intel- lettuale. Tutto questo lavorio
recondito ad un tempo e pa- lese riesciva ad un eclettismo filosofico
religioso, per far concordare Platone con Aristotile, ad indagare nei misteri
della teologia pagana la parentela e comunanza colla teo- logia mosaica e
cristiana. Nella Cabala e nei libri della filosofia segreta ed orale degli
Ebrei indagavano lorigine e lo svolgimento della dottrina e dei misteri
fondamentali della fede cristiana; per cui la Cabala, o filosofia segreta degli
Israeliti, contenuta nello Zoar (Libro della luce), di- veniva la chiave per
aprire i misteri del Cristianesimo e pervenire alla vera fede. Ardente
propugnatore di queste dottrine fu -
come ve- demmo il Pico, il quale voleva
dimostrare che Cristo e Mos non avevano usato che parabole, figure e allegorie
per potere essere compresi dalle moltitudini; avvolgendo, come Pitagora e i
Savi egiziani, di un velo i sommi veri 174 PARTE QUARTA che trasmettevano oralmente
a pochi iniziati. Le reli- gioni antiche, come la mosaica e la
cristiana, avevano per Pico (dice col
suo solito acume, riassumendone la
dottrina, il Berti) un doppio significato, il volgare ed al- legorico, ed il filosofico e recondito. Nel
significato vol- gare si discostavano le
une dalle altre, nel filosofico si
confondevano tutte insieme. Per tal modo la Teologia cristiana si trasformava in un razionalismo
mistico e indefinito, qual quello dei
Neoplatonici di Alessandria e dei Neoplatonici
di Firenze. E questo era infatti lo
intento, al quale miravano le grandi scuole religiose e filosofiche del
Rinascimento ita- liano. Ben vero, come
nota con soverchia timidit il Berti, che tal dottrina avrebbe avuto per
risultato, la ne- gazione del Cristianesimo ; ma avrebbe fondato, con buona
venia del mio illustre amico, una dottrina ben pi feconda e comprensiva, la
religione deirUmanesimo, che sarebbe lul- tima e grande parola dei due grandi
sistemi, i quali sotto di- verse forme, riescono ad un risultato identico (1).
Da un lato il Razionalismo filosofico, che si insinua negli ordini re- ligiosi,
dallaltro il Razionalismo politeistico e umanistico, che ispira la letteratura
e le arti; luno, che scaturisce dalle vere sorgenti della Bibbia, e fonda l'E
vangelo Eterno; lal- (1) Con Pomponazzi e la Scuola bolognese, una dottrina
libera e audace veniva propagandosi sulle religioni. Anche le religioni, egli
in- segna, nascono, crescono e muoiono, per necessaria vicenda causata dai
rivolgimenti degli astri, e dalle vicende storiche. Anche la cri- stiana soggetta a questa inesorabile legge, e il
filosofo bolognese ne prenunzia prossima la fine dallo intiepidirsi della fede,
e dal dira- darsi dei miracoli. Quare , et nunc in fide nostra omnia
frigescunt, miracola desinimi... nam propinquus ctdetur finis. L ARTISTA. 175
tro dall antichit classica, e ispira le arti, le lettere, le scienze, e
convergono nella dottrina dellUmanismo. Queste idee, che si diffondevano negli
ultimi anni del se- colo decimoquarto e nei primi del decimoquinto, non spa-
ziavano nelle sfere dellastratta speculazione, n si arre- stavano a pure
teorie, ma si tentava di tradurle in sistema e applicarle; si fondavano
Accademie per meglio discutere le dottrine platoniche e pitagoriche e ordinarle
a sistemi; e, dietro le Accademie, si costituivano le societ segrete per
applicarle nella vita civile. Allapparenza, per fuggire noie, si continuava a
professare il Cattolicismo, nel fondo si era scettici o pagani, o si tendeva ad
una riforma radicale, a rinnovare la Chiesa. Per Roma non si lasci mistificare;
condann le Tesi e i libri di Pico, fece chiudere molte delle Accademie pla-
toniche in Roma e in altre citt d Italia, e soffoc nel suo germe la dottrina
nascente. Vili. Intanto limpulso era dato; lo studio della filosofia, del-
lantichit classica e della sacra, la passione per le discus- sioni speculative
e per le arti, tutto spingeva ad un movi- mento rinnovatore. La parola del
Savonarola, che da Fi- renze si diffondeva in ogni parte d'Italia, annunziava
che i giorni di questa grande rinnovazione si avvicinavano. Nelle sue prediche,
ne suoi libri, egli si professa cattolico e non parla di donimi, non segna i
termini della riforma, non sottilizza sulle dottrine; ma la sua parola
infiammata mirava piuttosto a suscitare il sentimento religioso sopito o
soffocato o falsato in Italia; egli tende a ridestare la co- 176 PARTE QUARTA
scienza morale pervertita, a richiamare in vita la sempli- cit, la morale
evangelica (1); flagella i vizi, si leva contro le corruttele delle alte
classi, e appoggiando la riforma reli- giosa alla politica, ispirandosi
allantico Testamento, rico- stituisce il regime popolare e repubblicano in
Firenze. Sa- vonarola fu arso il 23 maggio 1498, ma le sue ceneri erano calde
ancora quando in Germania si levava Lutero e spie- gava la bandiera della
Riforma, che il Papato credeva aver abbattuta e arsa sul rogo in piazza della
Signoria (2). (1) Savonarola, scrive il Villari nella sua bellissima Storia del
Sa- vonarola, fu primo assentire che si avvicinava un grande rinnova- mento pel
genere umano, che i popoli dovevano ritemprarsi in un nuovo sentimento
religioso; rammenta che labate Joachim predisse questa rinnovazione. Il Signore, egli predicava al popolo
fioren- tino, vuole che rinnoviate ogni
cosa, che distruggiate tutto il passato,
che non resti nulla del cattivo governo... E tu, popolo di Firenze, in- comincierai in tal modo la riforma di tutta
Italia, e spanderai su lali per tutto il
mondo per portarvi la riforma di tutti i popoli... Parole terribili pronunzia contro Roma: Apparecchiati, egli tuona, che la tua bastonata sar grande, o Roma, tu sarai
cinta di ferro, tu an- drai a spade, a
foco e fiamme... Italia, tu sei inferma di una grave infermit... Roma tu sei inferma di una grave
infermit. Tu hai perduta la tiyi sanit,
ed hai lasciato Iddio, sei inferma di peccati, e. tabulazioni... Abbasser i tuoi principi, e
far cessare la superbia di Roma. Voi
siete corrotti in tutto. Fuggite da Roma, fuge, Sion, qui habitos apud silicem Babilonis. Fuggite
da Roma, perch Ba- bilonia vuol dire
confusione; e Roma ha confuso tutta la Scrittura, ha confusi insieme tutti i vizi, ha confuso
ogni cosa. Fuggite dun- que da Roma.
Tornate a penitenza. (Prediche del
Savonarola so- pra Amos e Zaccaria). (2) Cosi il giorno 23 maggio 1498, si vide
in piazza della Signoria costruito un gran rogo, all estremit dei quale sorgeva
una croce, alle cui braccia furono impiccati i tre frati, il Savonarola nel
mezzo, gli altri due dai lati. (Villaiu,
N Macchiacene, voi. i, p. 299).
lartista. 177 In Lutero l Italia vide avverate le profezie del frate.
Aspettata, preparata da lunga mano, la Riforma fu salu- tata in Italia come un
evento provvidenziale. Guicciardini stesso, che aveva veduto ardere il
Savonarola, scrive nelle sue memorie che, ove non lavessero trattenuto riguardi
personali verso due pontefici, alla cui grandezza ha do- vuto affaticarsi,
amerebbe pi Martino Lutero che s me- desimo,
perch spererei che la sua stta potesse rovi- ne nare, o almeno tarpare
le ali a questa scellerata tiran- nido
dei preti. * Le semenze della Riforma, deposte nel nostro suolo da lunga et,
riscaldate ora dalla terribile parola del Rifor- matore tedesco, non tardarono
a fruttare. In molte citt si formarono comunit cristiane per occuparsi di
riforme re- ligiose, fissarne i principii e le dottrine. Varii focolari ci sono
dagli storici segnalati, dai quali irradiavano le idee dei novatori. Uno a
Venezia, dove era consentita maggior libert di pensiero, laltro in Savoia, ove
regnava Marghe- rita, sorella di Francesco, e amica di Calvino; laltro, come
vedemmo, a Ferrara, ove Renata di Valois manteneva con- tinue relazioni con
Calvino e ne professava pubblicamente le, dottrine; e altro a Napoli, ove le
dottrine filosofiche pi audaci si alternavano colle riforme religiose propagate
dal Valdes. Lo spirito innovatore si fece strada in Roma stessa e assumeva il
nome di Oratorio dellamor divino. Qui si cercava di trovare una conciliazione
coi luterani, e rie- scire a quella rinnovazione della Chiesa, che da due
secoli era predicata e annunziata in Italia. E gi uomini notevoli per dignit,
per posizione sociale e per dottrina, speravano poter raggiungere lo scopo
anelato, quando ai pontefici moderati, prudenti e dotati dalto e largo
pensiero, succes- sa mente di Michelangelo. 12 178 PARTE QUARTA sero i
pontefici rigidi e talora feroci, e col Caraffa pre- valse il partito della
grande reazione cattolica e dell In- quisizione. A fronte del nuovo sistema di
terrore, che inaugurava il Cattolicismo, vediamo succedersi in Italia, a breve
inter- vallo di tempo, due fatti che chiudono, in certo modo, il movimento
riformatore, e ne determinano presso noi il concetto: uno artistico, laltro
religioso. Nel Natale 1541 si scopriva in Roma il Giudizio Universale di
Michelangelo; nel 1545 si raccoglievano in Vicenza quaranta persone no- tevoli
per nascita, per influenza sociale, insigni per dot- trina, collo scopo di
conferire su materia religiosa e fissare le fondamenta della riforma corrispondente
ai bisogni e al- lindqle del popolo italiano. Intervennero a questa riunione il
celebre Ochino, Gentili, Giulio Trevisan, Socino e altri, e gettarono le
fondamenta dell Unitarismo. Scoperti e accusati al Tribunale dellIn-
quisizione, alcuni di essi vennero torturati, dannati alle pri- gioni o
allestremo supplizio, altri poterono salvarsi colla fuga, e, come Ochino,
Gentili, Soccino, Biandrate, valicarono le Alpi cercando rifugio in Germania,
nella Transilvania, in Ungheria, in Svizzera e in Inghilterra; e, come nel no-
stro secolo vedemmo i Santa Rosa, i Mazzini, i Ruffini e l'eletta dei nostri
emigrati, propagare nell Europa i prin- cipii di libert e dindipendenza
nazionale, cosi nel XVI se- colo gli esuli italiani propagarono in Ungheria, in
Tran- silvania, Polonia, Olanda, Inghilterra i principii dellUnita- rismo, che
ora negli Stati pi civili dei due mondi divenne l'espressione pi elevata della
riforma religiosa nel Cri- stianesimo. lartista. 179 IX. Noi ci siamo
soffermati pi che non convenga al nostro soggetto intorno a questo punto
storico, non tanto per ri- chiamare F attenzione del Paese sopra questo
movimento intellettuale e religioso iniziato dal Rinascimento, quanto per
meglio far conoscere lambiente morale che si andava formando in Italia, e a cui
s ispirava il pensiero di Mi- chelangelo. Antico seguace di Savonarola,
cresciuto nella scuola di Marsilio Ficino, di Pico, di Poliziano, egli non po-
teva a meno di tenere dietro a questo movimento riforma- tore, che gi era stato
vaticinato dal frate in sul finire del secolo decimoquinto, e che prorompendo
nella prima met del decimosesto, scuoteva Francia, Italia, e in breve aveva
scissa met dEuropa dalla Chiesa romana, e mirava a fondare un nuovo
Cristianesimo. In Italia, le nuove dot- trine combattute dalla violenza, dai
sospetti, dal terrore, del potere ecclesiastico unito alla potest civile e
politica, non pot gettare larghe radici. Coloro stessi, i quali le professavano
in segreto, erano costretti a smentirsi negli atti e a praticare il culto cattolico.
Anzi era vezzo in Roma stessa seguire scrupolosamente le forme, mentre si
criti- cava -il domma, e si volgevano in ridicolo le istituzioni. La Chiesa se
ne contentava, purch si rispettassero le apparenze. In quel tempo, scrive il Caracciolo nella
Vita di Paolo IV, non pareva che fosse
galantuomo e buon cortigiano colui che
dei dogmi cattolici non aveva qualche opinione er- ronea ed eretica. Pochi avevano il coraggio della propria
opinione. Le 180 PARTE QUARTA persecuzioni, l'intolleranza religiosa, mentre
scemano forza e sincerit al vero sentimento religioso, creano lipocrisia, la
vilt da una parte, il libertinaggio, lo scetticismo dallal- tra. E quellepoca
infatti segna un nuovo grado di deca- denza nel carattere italiano, che si
riflette nelle lettere e nelle arti. La reazione e il terrore cattolico anzich
rialzare la religione e insieme con essa la forza morale nella nostra societ,
logor, fiacc i caratteri, e aggiunse alle antiche corruttele la simulazione e
un vacuo pietismo. Pochi ave- vano il coraggio delle proprie opinioni; si
passava dal pie- tismo al libertinaggio, dall'ortodossia allo scetticismo, al-
lepicureismo come dal confessionale agli assassinii. Il genio pi poetico,
passionato, elevato che vanti lItalia, Torquato Tasso, canta le armi pietose, e
diviene pietista e ortodosso; Pulci
materialista e ateo; Ariosto scettico, umorista, e si crea un mondo ora
fantastico, ora troppo reale, mentre il volgo de' poeti nella seconda met del
secolo sedicesimo sar vieppi frivolo, vacuo o licenzioso. Le arti plastiche,
che in quest'et salirono ad una perfe- zione non pi raggiunta, coi Ghirlandajo,
coi Gian Bellini, coi Lippi e col Raffaello stesso, lusingano i sensi, parlano
alla fantasia pi che al pensiero. I dipinti di Raffaello, che fu ed il vero genio della pittura, se si eccettuano
la stupenda Storia di Psiche e la Scuola d Atene, sono me- ravigliosi di forma
e colorito; si mostra per lo pi pittore ortodosso e ufficiale, straniero ai
movimenti filosofici del secolo, egli non vede che l'arte. Uno solo si leva
sovrano fra queila pleiade di sommi artisti, e rappresenta il pen- siero
filosofico e religioso dellepoca in tutta la sua gran- dezza e verit, ed Michelangelo; ci che non os o non pot la
letteratura, oser, per virt di quel grande, larte. l'artista. 181 X. Larte fu
sempre la coscienza, la parola vivente dItalia. La nazione da dieci secoli oppressa dalla triplice
tirannia imperiale, ecclesiastica e locale, le quali si danno la mano; si
reggono a vicenda per soffocarne il pensiero, e vietarne le libere
manifestazioni nellordine politico, nel religioso e scientifico. La coscienza
nazionale, che nessuna forza pu mai violare e sopprimere, cerc sempre altro
mezzo per manifestarsi, per esprimere i suoi dolori, le sue speranze, le
aspirazioni, le ire ; abbiamo veduto come i Catari, i Ma- nichei, i Troveri, i
Ghibellini nei secoli decimoterzo e quarto ricorressero al parlare segreto , al
gergo settario, al lin- guaggio velato. Talora ricorrevano ai simboli antichi e
classici, come vediamo in alcuni scritti di Dante, nelle Eglo- ghe del
Petrarca, nellAmeno e altri scritti di Bocaccio. Ta- lora adoperavano un
linguaggio figurativo, tolto dai Profeti e dallApocalisse, linguaggio che si
presta ad un doppio senso, interno ed esterno, isoterico ed essoterico.
Natural- mente a questi mezzi si aggiunsero pure le arti plastiche pi
perfezionate, nelle quali, anche durante il medio evo, facile' scoprire un simbolismo antipapale. In
tempi a noi pi vicini ricordiamo, che quando era impedita la parola, schiava la
patria e la stampa, e sottoposta alla censura ecclesiastica e politica, e certi
soggetti vietati alla stessa pittura, uno dei mezzi a cui ricorse il genio
nazionale per manifestarsi fu la musica; e le note ispirate di Guglielmo Teli,
della Norma , dei Puritani, del Nabucco e altri capo- lavori di Rossini, di
Bellini, Donizetti e Verdi, furono come la voce della coscienza nazionale,
manifestavano in profe- 182 PARTE QUARTA
LARTISTA tiche note i dolori, i fremiti, le passioni, che tumultuavano
nel cuore del popolo. Tutti, senza parlarsi, senza essere iniziati, ne compren-
devano il significato, perocch erano la nota dei tempi. Quando il Vela, artista
sommo e grande cittadino, scopriva in faccia alla nazione la sua stupenda
statua dello Spar- taco, ogni uomo grid: Ecco V Italia! Essa simboleggia il
nostro dovere, le nostre battaglie future. Non altrimenti avvenne a
Michelangelo, il quale cre- sciuto in mezzo a quel movimento riformatore,
allorch la parola era vietata, tent esprimerne il pensiero e con- tinuarlo nelle
sue opere darte. Questo intento era com- preso e indovinato dai coetanei. Non
si ignorava che queste opere nascondevano sotto il velo dell'arte , misteri
grandissimi in filosofia umana e divina , misteri, che tutti quelli che
vivevano della vita dellepoca comprendevano, ma che era forza dissimulare.
PARTE QUINTA LE SUE OPERE LE SUE OPERE i. Quali fossero questi misteri, noi
accennammo appena nella prima parte di questi studi, soffermandoci sopra tutto
a descrivere ed esaminare i dipinti della Sistina e a trat- teggiarne le figure
e il lato esterno. Ora, dopo aver seguito di volo il movimento riformatore di
questo secolo, che ap- pelleremo il Gran Secolo in Italia, ci giova meglio
rile- varne la parte interna, il pensiero nascosto, con cui volle incarnare
alcune di queste idee porgendo ai secoli futuri il nuovo simbolo, o il concetto
religioso e sociale dellUma- nismo. Michelangelo al pari di Goethe (due genii i
quali hanno tra loro tanti punti di riscontro) visse intera la vita del suo
secolo. Ma il poeta tedesco, innamorato dellarte in tutte le sue diverse
manifestazioni, nella sua olimpica se- renit, assisteva impassibile ai
rivolgimenti, che sconvol- sero il suo secolo. Dallaltezza del suo piedestallo,
egli mirava lo insorgere dei popoli, il crollare degli imperi, il 186 PARTE
QUINTA succedersi degli avvenimenti, che trasformarono la societ moderna.
Lartista italiano invece, dalle riforme predicate dal Sa- vonarola, allassedio
di Firenze, ai grandi movimenti della Riforma, alle seguaci guerre politiche e
religiose, si me- scol a tutte le battaglie, che si combattevano per la libert
e per la patria, e quando fu costretto dalle circostanze o dalla fatalit
inesorabile di forze soverchienti, a ritirarsi in disparte, tutto mir, not e
medit; spettatore solitario e giudice, senti nel profondo del cuore le
angoscie, gli or- rori del secolo e le lontane speranze, e di questa pas- sione
dellanima scopriamo le traccie in ciascuna delle sue opere. Tutte prorompono ad
un tempo dal fondo del- lintelligenza, nutrite colle lacrime del cuore.
Esaminiamo alcune di queste opere cominciando dalle minori, sebbene anche
queste si possono qualificare somme. Uno dei primi suoi lavori il celebre Tondo che si con- serva nella
Galleria di Firenze; esso rappresenta la Ver- gine inginocchiata, che tiene
sulle braccia il bambino Ges in atto di porgerlo a S. Giuseppe. L estetica
religiosa, i pietisti dell'arte cristiana, scomunicano questo dipinto. Il pio
Selvatico, il quale non sa vedere nell'arte nulla al di l delle secche e
compassate figure di Giotto, di Beato An- gelico, condanna solennemente questa
Sacra Famiglia come opera pi che profana , e tale, non lo neghiamo, pu appa-
rire al punto di veduta ortodossa. Esso infatti pi non rappresenta la famiglia
mistica, fit- tizia, convenzionale, ma la famiglia reale; non pi la fa- miglia
divina, ma la umana. Il medio evo, il dogma cat- tolico o meglio la sua
teocrazia e disciplina, avevano distrutta, scalzata la famiglia reale; da un
lato predicando LE SUE OPERE. 187 siccome stato di perfezione, il celibato, la
verginit, dal- laltro sostituendo una famiglia ibrida e falsa; la chimera alla
realt sociale. Alla madre, base della famiglia, ave- vano sostituito il
misticismo della vergine; al fratello, il frate o il monaco; al padre naturale,
un padre fittizio, il santo padre, il frate, il prete ancora; alla santit dei
lari domestici, le soglie del convento, o il monastero, come alla patria la
Chiesa. La famiglia era soppressa, l indi- viduo uomo o donna, svelto dalla
societ operosa, dalla vita civile e laica per appartarlo, isolarlo, renderlo
schiavo ed istrumento della Chiesa. Per una delle conseguenze pi feconde della
Riforma che ne costitu la forza, la durata, e divenne fondamento alla civilt e
grandezza de popoli protestanti, fu appunto la ricostituzione della famiglia.
Perocch la societ umana suole sempre in s rispecchiare e riflettere lideale,
che si forma del divino. Alla parola del prete, Lutero, sostitu quella del
libro, la parola rivelata, la Bibbia, che mise nella mano di tutti. Leggete, disse, studiate, pensate colla
vostra mente. Dopo lindividuo, rialz la
famiglia. Egli consacr la religione della famiglia, la vita e santit del
focolare domestico preposta al convento, la patria antepose alla Chiesa. Il
genio di Michelangelo, il quale ha non solo il senti- mento della riforma
religiosa e sociale, ma il presentimento della vita moderna, e che sempre
combatt lequivoco, lipo- crisia, la menzogna, alla famiglia ibrida sostitu
quella reale, alla vergine la madre, a quelle figure convenzionali, che pur
meravigliose per contorno, per dolcezza e sem- plicit armonica di colorito e
bellezza di linee, sembrano per sempre fredde, inanimate, prive di gagliardia e
di vita, 188 PARTE QUINTA egli surrog figure reali, tutte vita, affetto,
movimento e realt. Irreligioso pure e profano venne giudicato da critici pie-
tisti il celebre gruppo della Piet. La Vergine, essi osser- vano, pi non ha qui
F aureola del divino, troppo bella e
giovane per essere madre; nel Cristo, notano ancora questi zelanti dell arte cosi
detta cristiana o medioevale, nel Cristo, che casca abbandonato sul seno
materno, nes- suna traccia scorgi del divino; non desso il Redentore, che deve risuscitare, in
cui la morte non fu che un pas- saggio e una finzione, che anzi la morte
vi scolpita in tutte le sue membra;
nulla in lui che accenni al forte che ne spezza le catene. Tutto ci verissimo, rispetto alle teorie della scultura
teologica e tradizionale, ma altrettanto falso rispetto all idea, che voleva
trasfondere nei suoi la- vori lartista. Egli volle presentare innanzi al
pubblico, non tanto una divinit, ma la passione di una madre affettuosa,
sconsolata, che tiene sulle ginocchia il figliuolo morto, e posa e fissa su lui
i suoi sguardi, e lo serra contro al seno, e cerca riscaldarlo, avvivarlo, e
vuole sperare ancora! Tutto ci ha sentito il popolo romano, il quale appena
terminato il celebre gruppo, accorreva affollato ad ammi- rarlo. N io posso mai
soffermarmi innanzi a quella statua senza un senso daffetto pietoso, e sento
ripetersi dentro di me le parole del poeta:
Non odi tu la piet del mio pianto?
Anche qui non pi il dolore
convenzionale, sfibrato, duna fede femminea e fiacca, ma un dolore elevato, ma
la nobile, fiera e soave piet umanamente divina. LE SUE OPERE. 189 Con parole
anche pi acerbe fu condannato il Deposito della Croce, che si ammira a Santa
Maria del Fiore. La realt di quel Cristo scrive Camillo Boito in un volu- metto
gravido di pensieri, e ispirato a un sentimento sereno e forte dellarte
(1) con le membra stecchite, fa
rabbri- vidire. Casca davvero gi come un
morto ; tutte le sue parti tendono al
basso, si sfasciano... Quello non Ges, un cadavere da ospedale. E larguto critico ha ragione, quello non il Ges teo- logico, non pi il Cristo ufficiale del medio evo, ma il Cristo, che volle veramente effigiare in
quei giorni il sommo artista pensatore. Fu questo uno degli ultimi suoi lavori;
il Cristo antico, convenzionale, falsato, si dissolve, morto ; ma il nuovo gi si agita in fasce,
cresce. Il Cristo del so- fismo, della violenza, del rancore si spegne: si
desta il nuovo Cristo, il Cristo della realt, della giustizia; il Cri-
sto-popolo, gi nato, si leva in tutta la
sua vigoria, l nelle pareti della Sistina. Quivi la sua epopea, anzi lepo- pea italica del
Rinascimento. IL E qui riprendendo il nostro soggetto onde abbiamo co- minciato
questo studio, ci forza rientrare nella
Sistina, a meglio chiarire il nostro concetto intorno alla pi grande delle
opere michelangiolesche. Fu questo l enimma forte, che il Rinascimento gett ai
secoli successivi, e che tenta pur sempre i critici del secolo decimonono. In qual ordine si domanda Michelet nel suo spien- ti)
Leonardo da Vinci e Michelangelo , presso H. I-Iepli, Milano. 190 PARTE QUINTA
elido volume del Rinascimento, parlando della vlta in
qual ordine conviene studiare questo libro sibillino? questa una delle pi ardue quistioni che la
critica si proponga. Egli (il
Buonarroti) ha durato quattro anni a
dipingerla, io durai trentanni a interrogarla; non pas- sava un anno che io non venissi a meditare
questa Bib- bia, questo Testamento che
non , n il Testamento vec- cliio, n il
nuovo, ma d'un'et sconosciuta ancora. Nata
dalla Bibbia ebraica, la oltrepassa e va molto al di l. Ecco infatti cosa dice Castelar: Essa sembra comin- ciare una nuova umanit; l'apoteosi del corpo umano <<
rigenerato; esseri giganteschi, straordinarii, quale fu im- maginato nelle varie cosmogonie che uscissero
fuori dalla prima feracit del nostro
pianeta appena creato e rigo- glioso di
vita... Il pensiero e lo sguardo volano dall una all'altra di queste figure senza sapere su
quale fermarsi... Leggi tutti i Trattati
del Sublime , e non riescirai a capir
bene questo concetto (1). Lordine
col quale conviene studiare quel dipinto, rico- struirne il poema, lo indica lo
stesso vate col posto asse- gnato ai suoi eroi, ciascuno dei quali porta in s
tutta un'epoca. I protagonisti si riducono a tre principali ed essi sono la
chiave dell'enigma. A meglio significare il suo pensiero egli li collocava in
sullingresso della cappella alla testata della vlta. Essi sono Aman, Giona e il
Serpente di bronzo, e da essi si svolge come una triplice azione o meglio la
vasta tragedia dei secoli. Gi accennammo a questi concetti nella prima parte di
(1) Castelar, Ricordi d' Italici. LE SUE OPERE. 191 questo studio, ora ci si
consenta di meglio chiarirli anche a costo di ripeterci. Il problema, che
visitando e medi- tando questo dipinto, ci preoccupa a lungo, non tanto lordine con cui conviene studiarlo, quanto
il significato dei tre protagonisti, che dominano la scena. Intatto se egli
intendeva alludere al presentimento della nascita di Ges, alla sua genealogia,
come centrano queste tre figure? Quale strana idea fu cotesta di presentare da
un lato la crocifissione di Aman, che non ha verun rapporto con quella di Ges,
dall'altro il Serpente di bronzo, e nel mezzo, come leroe posto in cima del
poema, la figura titanica di Giona che campeggia sovrano in mezzo a questa
scena? Nulla faceva il sommo artista, se non dopo lungo studio e meditazione, e
certo non poteva essere condotlo se non che da un profondo intendimento,
perocch in lui tutto era studio, calcolo, e ad un tempo entusiasmo e genio.
Cercai il significato simbolico delle tre figure e sopra- tutto di Aman nei
libri cabalistici, nelle tradizioni ebraiche, come nei santi Padri, e non
tardai a chiarire, che Aman personificava lodio, la calunnia, lipocrisia, la
cupa perse- cuzione, egli era il ... Crocifisso dispettoso e rio Nella sua vista (1) ... contrapposto al vero Cristo, al crocifisso
sereno, pietoso e divino (2). Il Serpente significa il vero e il falso Cristo,
o (1) Dante, Purg. (2) Aman personific in s lante-semitismo, o meglio il
funesto odio di razza. E per singolare coincidenza, Michelangelo, questo
terribile 192 PARTE QUINTA la trasformazione del vero Cristo nel falso. Infine
Giona, che si libera con sforzo titanico dalle spire del falso, per elevarsi
alla libert, alla vera redenzione, alla luce. Fermata la mente su quelle tre
grandi figure o simboli comprensivi, la scena si svolge ordinata nella vasta
tela? allora si apre la tragedia dei secoli. La sostituzione del falso
Crocifisso al vero reca i suoi frutti. L'umanit, riguar- dando al Serpente
della distruzione, invece che a quello della salute, rimane oppressa, divorata,
fatta a brani. Dietro loro si svolge quel seguito di figure, le quali rotte
dagli scomparti delle cornici e dei costoloni, invade ogni riposto angolo delle
lunette, degli spicchi, dei pennacchi. Si aggrappano in ogni parte figure varie
e terribili agi- tate da passioni violenti, tutto un mondo di tormenti e tor-
mentati; in essi tumultuano tempestose tutte le passioni, i deliri, i fremiti,
le speranze che agitano i cuori umani ciascuno rappresenta una passione
particolare, un dolore; un sentimento, e in mezzo a tanta diversit di forme e
di atteggiamenti, senti uno spirito solo, un pensiero potente che le domina,
agita e move. il mare in tempesta della
grande visione dEzechiello. giudice d ogni iniquit, vindice dogni ingiustizia, stampava
l, nella Sistina. Aman crocefisso, nel 1508, nellepoca della grande persecu-
zione degli Ebrei in Spagna, allorch centinaia di famiglie ebree, spo- gliate,
torturate, affamate, fuggendo le persecuzioni della Spagna, ap- prodavano a
cercar rifugio nel littorale italiano a Livorno, a Civita- vecchia, a Roma. Il
grande artista mirava egli forse, dipingendo il Crocefisso dellodio, a
stimmatizzare la rea persecuzione contro la razza, che diede al mondo la Bibbia
e tenne viva la speranza di ogni libert nel suo concetto del Messia, che doveva
elevarsi come giudice dogni violenza, quale liberatore dogni oppresso? LE SUE
OPERE. 193 Tutte queste figure corrono, s attorcono, fuggono, ritor- nano come folgore in vista, ciascuno di essi
cammina diritto davanti a s, il loro
suono simile al suono delle grandi acque, alla voce dellonnipotente,
cajnminano dove lo spirito li move (1); in questo mare in burrasca, i fiotti
sono le onde dei popoli commossi, la tempesta, il vento impetuoso, che passa su
di loro le sventure, che i secoli le oppressioni, le tirannie, i tradimenti, le
ipocrisie hanno accumulato sulle nazioni. Al Crocefsso del Golgota, Dio damore,
di carit hanno sostituito il Crocefsso dellodio, del rancore. D allora il
Serpente alzato da Mos o dagli Apostoli simboleggiante redenzione e salute, si
mut in serpe di tossico e di morte, e cominci la tragedia che insanguina e
tormenta da quin- dici secoli luman genere, e trasform la redenzione in de-
solazione; il lenzuolo sanguinoso che
luna et passa allaltra, e non sar lavato e purificato sinoch lumanit possa
rialzarsi dal pelago d'errore e dipocrisia, in cui fu immersa, e uno spirito
nuovo, quasi nuovo Evangelo, passi sulla fronte dei popoli. Non questa lepopea duna stirpe sola e d un epoca,
ma quella di tutte le nazioni e di tutti i secoli. Il pittore non sentiva solo,
n pingeva gli anni terribili, che allora si aggravavano sopra l Italia, la lega
di Cam- bray, le cospirazioni dei principi , imperatori e papi a danno della
libert d'Italia, gli assedi, le guerre fratricide, i saccheggi spaventosi di
Brescia, di Vicenza, di Prato, di Roma, ma compendiava tutta la serie di
sciagure, che si versarono sullumanit dopo la caduta dellimpero romano; (1)
Ezech. Cap. 1. La mente di Michelangelo . 13 104 PARTE QUINTA linvasione dei
barbari, le pazzie e furori delle crociale, le tenebri monastiche e cattoliche,
l Inquisizione, le guerre fratricide deirimpero e della Chiesa, che
distaccarono ipo- poli del pari dalla Chiesa e dall Impero, e prepararono la
riforma religiosa, nunzia delle rivoluzioni politiche moderne. A ritrarre il
suo concetto, cerca i tipi appo tutti i popoli, e nei secoli: ove trovarli? La
Grecia, Roma, danno dei tipi nazionali, particolari, che si incarnano nelle
sibille, ma la Bibbia e i profeti porgono i tipi dellumanit. Perocch la Bibbia,
per Savonarola ed i suoi seguaci, rappresentava il passato e lavvenire; era
come il microcosmo dell uma- nit e delluniverso, 1 allegoria del genere umano.
Adam, i patriarchi, Mos, i profeti, non rappresentano un popolo, un momento
storico, un individuo, ma tutta la storia del passato, e il Messianismo futuro.
Ad esso si ispir lartista, e cre i tipi generali o lepopea dei tempi nuovi.
L'epopea si apre colla figura di Gionata. Egli
il nuovo Prometeo, il nuovo Apollo dei tempi futuri. E lo colloca l nel
mezzo della vasta apertura alla testata della vlta. Non ha la sembianza d' un
profeta, ma del Titano che emerge fuori vittorioso da una lotta di giganti.
Egli pugn contro gli abissi dellonde tenebrose, e dopo lunga battaglia, risorse
a respirare la luce; pugn contro le tempeste, contro lorco, che ancora tenta
addentarlo nel fianco, ne esce trion- fante coi segni di vittoria sulla fronte,
spezza i ceppi deller- rore, del servaggio, dellidolatria, anela alla libert,
alla luce, e colla mano incrociata, col dito pollice in alto, proclama il Dio
Uno. E dietro a lui ecco si leva, erto in piede, in forma colossale, il nuovo
Dio, che, le braccia tese in alto, divide la luce dalle tenebre; lAdam, uomo e
donna sono ricreati; su loro corre come un nuovo spirito, comincia una nuova LE
SUE OPERE. 195 umanit. Adam levasi da terra, ove giace oblioso, e riconosce il
vero Dio, la nuova va in un impeto damore; in s rac- colta, umilmente altera,
si slancia verso il suo Dio, lama, l'adora. Il diluvio delle grandi acque, che
passarono sopra la terra, va ad ora ad ora abbassandosi per cedere il luogo
all'et novella. I profeti lannunziano alle sibille, la Giudea alla Persia, a
Roma, alla Grecia, al mondo futuro. Tutti insieme preconizzano, maturano il
nuovo Cristo. Ecco egli nato. Ma invano
quivi cercherete un segno del Cristianesimo ufficiale, del figlio di Maria, del
Nazaret. un Cristo novello, quello eh
egli ha concepito, e che stampa nelle sue tele. Egli il Cristo figlio dei profeti e delle sibille,
fecondato dai dolori, dai pensieri, dalle aspi- razioni di tutti i popoli. Lo
vedete l, bambino appena nato, sulle braccia materne, tra il profeta Geremia e
la Persiea, che l ha concepito nel dolore, e il profeta Ezechiello, il profeta
della giustizia; egli passa di profeta in profeta, di epoca in epoca sempre pi
robusto, vivace, ardente, forte di intelligenza, di muscoli; qui si china a
meditare la strut- tura del nuovo tempio, a tergo del vecchio Zaccaria; col ne
porta la parola alle sibille Delfica e alla Cumana, alla Grecia e a Roma, indi
si leva ispirato a fianco d Isaia, regge sulla testa il grande volume vergato
da Daniello, che infaticato continua a scrivere. Che cosa scrive? Ci proclama
il nome di Daniel, che significa Giudizio. Scrive le parole profetiche ,
destrues et cedifices , distruggi ed edifica, perch il falso dia luogo al vero,
la molle grazia e la ipocrisia, alla sincerit e alla giustizia. 196 PARTE
QUINTA LE SUE OPERE. III. E tutto verit
e giustizia limmenso quadro che, nuova
Apocalisse, dipinse dopo treni anni di dolori e di medita- zioni, l nella
parete di fronte. Il fanciullo che abbiamo veduto sul soffitto cresciuto gigante, il nuovo Cristo denudato , quale predicavano
Ochino e i grandi eresiarchi del secolo. Non
pi la con- ciliazione dellantichit classica colla biblica, di Platone ed
Isaia, la guerra, la condanna dei falsi
Santi, del falso Cristianesimo, dellipocrisia, della menzogna, nel nome della
sincerit, della verit, della giustizia umana e divina, la condanna di unepoca
per preparare la via allaltra che si avanza. Da un lato a sinistra del Cristo,
tutto gagliardia impetuosa, smarrimento,
ansia irrequieta, furore e con- danna,
come il soffio della rivoluzione che mormora e fermenta nel seno dei
nepoti, e irrompe impetuosa; dal- laltro, tutto
movimento rinnovatore, una specie di risor- gimento umano, lalba di un
giorno sereno che si avanza, la sicurezza, la fede incrollabile nellavvenire di
giustizia e di carit, che non pu fallire. Tutta Europa, dall' Inghilterra alla
Francia e Germa- nia, era in orgasmo, agitata da un movimento riforma- tore;
questo movimento serpeggiava sotterraneo in Italia, ma vi era costretto al
silenzio; quel silenzio ruppe, col suo pennello di ferro, Michelangelo, e l nel
Vaticano an- nunzia e proclama e incide la rivoluzione, che maturano i secoli,
la rivoluzione, che abbatte e che edifica. PARTE SESTA IL PENSATORE E
LERESIARCA DELLARTE IL PENSATORE E LERESIARCA DELLARTE i. Fu questo il segreto
della sua vita, che il grande soli- tario chiudeva nel profondo del cuore, per
non tradirsi , e non essere tradito. La nuova signoria de Medici, che cupi e
sospettosi dominavano in Toscana, circuiti da delatori, la reazione cattolica
che prevaleva e soffocava ogni manife- stazione del pensiero, i furori dell
Inquisizione che per quasi un secolo, dalla met del decimoquinto al 1540, al-
lontanata o mitigata dallalto senno e nobilt danimo dei papi del Rinascimento,
ora impera e infierisce sullItalia, e tenta rinnovarvi le selvagge stragi
commesse in Spagna (1) (l) Fra il 1448 ed il 1515 in Spagna furono arsi
trediciraille ' eretici , furono condannate a pene ecclesiastiche 170,000
persone, e nello spazio di quarantanni, nella sola Siviglia, 45,000 persone
perirono nelle fiamme ; nel 1519 furono abbruciati in Salamanca 6000 volumi. Il
popolo si af- follava a queste immani ecatombe di carne umana, come allo
spetta- colo dei combattimenti dei tori.
Grimm, p. 220 Storia dell In-
quisizione- PARTE SESTA 203 tutto lobbligava a proceder cauto, ed a
dissimulare. Egli stesso era circuito da nemici, insidiato, spiato, e doveva
ap- plicare a se i consigli che soleva dare al padre, ai fratelli, in sui
primordi del regime dei Medici a Firenze.
Statevi in pace, scriveva loro
non vi fate n amici, n fami-
gliari con nessuno se non di Dio, e non parlate di nes- suno n bene n male, perch non si sa il fine
delle cose Ed in altra lettera al padre: Attendete a vivere e vivete bene con Cristo e
povera- mente come fo io qua, che vivo
meschinamente, e vivo con grandissime
fatiche e mille sospetti. Questa
condizione dellanimo suo costretto a comprimere il segreto pensiero della sua
vita, egli simboleggi in una lunetta, dipinto meraviglioso di passione e di
mistero, che si vede nella vlta della Sistina. Nello spazio che intercede tra
Isaja e la Delfica, spicca quasi vivo e parlante, un vecchio seduto fra una
donna bellissima ed un fanciullo , che, ritto in piedi, sembra ascoltare e
raccoglie ogni pa- rola dal labbro paterno; questi cinge colle braccia la donna
ed il bambino, e gli occhi spalancati, sospettoso negli atti, ch altri non
l'ascolti, confida loro un segreto pauroso. La testa del vecchio ha qualche
rassomiglianza collo stesso Buonarroti, ed il fanciullo non sarebbe lavvenire?
e quella donna bellissima, che giace l distesa e abbandonata tra il padre ed il
bambino, non sarebbe questa Italia, a cui affida il segreto del suo cuore, e
che passer det in et allavvenire, a cui spetter di tradurre nei fatti?... Non
sarebbe questo il segreto che avvolge le grandi opere Mi- chelangiolesche, e il
vero santo mistero dellavvenire umano, di cui la volta il presentimento? Buonarroti, che scolpiva IL
PENSATORE E LERESIARCA DELLARTE. 201 per leternit, gettava Femmina; ai secoli
spiegarlo , com- prendere a fondo il suo pensiero e dargli movimento, realt e
vita (1). IL Soggetto di lunghe discussioni fu la religione da lui pro-
fessata. In un epoca, in cui gli artisti facevano pompa del cinismo pi
sfrontato e di ateismo, o erano schiavi delle su- perstizioni e pregiudizi pi
volgari, tutti, ammirando la virt , la rettitudine di Michelangelo e F alto
sentimento religioso, non scompagnato dalla pi assoluta indipendenza, che in
ogni circostanza dimostrava, si domandavano, qual la sua religione ? E a questa domanda, da
suoi coetanei fino a noi, si rispose in modo molto contraddiente. Cosi per non
riassumere che le opinioni di autori recenti, il Foscolo, il Nicolini, dietro
alcuni cenni di scrittori antichi, ne fanno un seguace della scuola Platonica o
della Pitagorica, il Guasti, il Gotti, il Conti vogliono scorgere in lui un
cat- (l) attribuito al Savonarola un
opuscolo stampato nel 1497 contro la Chiesa di Roma, che ha per titolo : Loqui
prohibeor et tacere non possuin , in cui dopo aver flagellate le violenze, le
corruttele della Corte Romana, dimostrando che larbitrio in luogo della legge e la malva- git sopprime
la debole voce del giusto, onde gli
vietato di parlare, conclude : Ideo loqui cogor et esclamare compellor.
Ora questa lu- netta non sarebbe il simbolo e la glossa del concetto svolto dal
frate? Gli vietato parlare, ma affida il
segreto dellavvenire al bambino, perocch, come soggiunse il frate : Gi cade la
notte e sorge l'aurora di un giorno migliore , la redenzione vicina. Questi e simili libri erano dettati e
diffusi in quellepoca, e ne vediamo le immagini di- pinte e simboleggiate in
quella e in altre figure della vlta. 202 PARTE SESTA tolico, apostolico,
romano; il pio Selvatico ne dubita e vede in lui un eresiarca artista; il
Grimm, e con lui varii tede- schi, scoprono nelle lettere, negli scritti, nelle
parole, nei dipinti, il luterano mal velato; altri, come Michelet, ci ve- dono
il libero pensatore , che da gran tempo erasi , non solo scisso dalla Chiesa
romana, ma staccato dal Cristia- nesimo. Fra tanta variet di opinioni e contraddizioni
di dati e e sintomi, arduo pronunciarsi
in modo assoluto. Erano tempi tristi, sospettosi, e come vedemmo, conveniva
dis- simulare e tacere, massime ad un uomo che vivea in mezzo a cardinali, a
prelati e adorava, come suo Dio, l'arte, e solo, merc pontefici e cardinali e
grandi, poteva dar vita e corpo alle sue idee, dipingere, scolpire, elevare mo-
numenti. Per, anzich in altri, cerchiamo in lui, nei suoi detti, nelle opere
sue, quali fossero le opinioni da lui pro- fessate, quale il concetto suo
intorno a Roma e al poter temporale ? Mentre lavorava nella cappella, scriveva
al padre gli mandasse da Firenze, un
figliuolo di buone persone e povero ,
per fare tutte le cose di casa , perch in Roma
non si trova se non tristi. Tra i
diversi papi, che si succedettero sul trono di S. Pietro durante la sua vita,
quello che egli tenne sempre in maggior pregio fu Giulio II, e pure in alcuni
brani di un sonetto, che sembra sia stato scritto nel principio di questo
pontificato, nel 1506, cos si esprime: Signor, se vero alcun proverbio antico * Questo ben quel, che chi pu mai non vuole; Tu hai creduto a favole e parole E premiato, chi del ver nemico. * IL PENSATORE E LERESIARCA
DELLARTE. 203 Ma il cielo, dice nell ultima terzina, non vuole esaltata la virt
dopo averla messa al mondo, e pretende, che ' vada a prender frutto da un arbor
che secco, alludendo al Papato. Per
anche pi terribile di quanto sia stato forse scritto da Dante a noi contro la
curia romana questo sonetto che sembra
dettato, non sotto Giulio II, come argomenta il Guasti, ma nella sua vecchia
et, contro Paolo Farnese, forse quando moveva guerra ai Colonna (1). Qua si fan elmi di calici e spade, Sangue di Cristo si vende a giumelle, E croci e spine son lance e rotelle; E pur da Cristo pazienza cade ! Ma non carrivi pi in queste contrade, Che nandr il sangue suo Ano alle stelle, Poscia che in Roma gli vendon la pelle, Ed ecci dogni hen chiuso le strade. Sio ebbi mai voglia a posseder tesauro Per ci che qua opra da me partita,
Pu quel nel manto che Medusa in Mauro (2) Ma se alto in cielo povert gradita Qual sia di nostro stato il gran
ristauro Se un altro segno amorza laltra
vita. (1) Questo sonetto sembra far
riscontro a quello che Vittoria Co- lonna indirizz a Paolo III guerreggiante
contro la sua famiglia , so- netto che prende appunto le mosse dallo stesso
concetto con cui comincia quello di Buonarroti; ma in uno si scorge la donna
ango- sciata, paurosa e supplice, nell altro si vede Michelangelo giudice e
vindice ; il sonetto della Colonna comincia
Veggio rilucer pur darmate squadre
I miei s larghi campi... Pag.
290. (2) Forse incorso qualche errore
nel testo che converrebbe con- frontare con altri manoscritti se pur esistono :
V interpretazione ch 204 PARTE SESTA e quasi sdegnoso e di Roma e del Pontefice
egli segna il sonetto, che credo diretto a Vittoria Colonna , con queste
parole: Vostro Michelangelo , in
Turchia. Guasti, p. 157. III. Costretto
a vivere nella Corte per la necessit dellarte, ne flagella i vizi, nelle
stanze In lode della vita rusticale: ne
d il Guasti, cio che il secondo verso accenni a mancanza di lavoro, parmi
erronea e puerile. Infatti Michelangelo non manc mai di lavoro, e non possibile che dopo una sfuriata simile, il
poeta si occupi di siffatte miserie. In questa come nelle poesie del Buonar-
roti conviene afferrare il complesso dellidea pi che arrestarsi alla parola che
talora mal risponde alla potenza del pensiero ; inoltre bi- sogna ricorrere al
simbolismo , e cercarne il significato nel suo gran modello, Dante. Nella
Divina Commedia , Inf. ix, troviamo
Venga Medusa, sil farem di smalto.
noto che le Gorgone e Medusa nel gergo Ghibellino significavano il Papato.il
quale impone il silenzio, toglie la parola e impietrisce; ora qui , dopo aver
detto nella seconda quartina Ma non c'
arrivi pi in queste contrade non capiti
qui, che sarebbe straziato, dissan- guato di nuovo , e si vende la sua pelle ,
e vi chiusa la strada ad ogni bene,
aggiunge : se avessi avuto voglia darricchirmi, mi sarei partito da qui, ove il
Mauro (o Papato) come Medusa in Mauritania, converte luomo in sasso; ma la
povert pu esser gradita in cielo, se pure ci
vero, e si pu sperare salute (o ristauro) sotto un segno o vessillo che
uccide la vita ? 0, come spiega il Guasti , che conduce alla morte e alla
dannazione. E come se egli stesso volesse andarsene, per farsi turco, e
abbandonare il vessillo , scrive sotto il sonetto ^ Vostro Michelangelo, in
Turchia. IL PENSATORE E LERESIARCA DELLARTE. 205 Povero e nudo sol se ne va l vero... Vestito doro e di vari ricami Il Falso va che ai giusti sol fa
guerra... Ed ha per sua difesa e
compagnia La frode, la discordia e la
bugia. Mancano alcune ottave, e poi si
fa a descrivere un gi- gante (1) Che
molte volte ha ricoperta e franta Una
citt colla pianta del piede; Al sole
aspira, e lalta torre pianta Per
aggiungere al cielo, e non lo oede, Che
l corpo suo cos robusto e magno Un
occhio ha solo, e quello in un calcagno (2).
(1) Torreggiavan di mezza la
persona Gli orribili giganti... La faccia sua mi parea lunga e grossa Come la pina di S. Pietro a Roma. Dante, In/, xxxi. Molti spiegano anche qui che
il poeta volle alludere al Papato, o al govern temporale, e ne chiarisce meglio
il concetto, il paragone con S. Pietro in Roma. (2) Vidi di costa a lei dritto un gigante; E baciavansi insieme alcuna volta e poi nel canto seguente, Purg., xxxm Messo da Dio, ancider la fuja E quel gigante che con lei delinque. In tutti questi brani e nel complesso del
canto chiara V allu- sione alla falsa
Chiesa e al Papato che raffigura ad un gigante mo- struoso. 236 PARTE SESTA Il
gigante il Papato, la citt Roma. Egli ha, seguita ancora, il capo fermo
e prossimo alle stelle (Vicario di Dio). Tutti calpesta sulla terra. Sotto la
pianta a lui son le mon- tagne (i sette colli). Seco una donna ha per sostegno
eletta in cui ricovra in ogni sua paura
(la falsa Chiesa). Quando il gran Giove
fulmina e saetta Nelle sue braccia sol
si rassicura. Egli prescrive al popolo
inopia, cresce del male altrui. N
sempie, per cibarsi a tutte l'ore (1). * - Di pietra ha il cuore {super liane
petram) e di ferro le braccia ; per lor sapre e si serra leterno abisso (le
chiavi di S. Pietro); sette lor figliuoli (i sette peccati capitali? o gli
ordini religiosi?) vanno pel mondo e ciascun di loro ha mille membra, E solo al giusto fanno insidia e guerra. Hanno le chiavi (di S. Pietro) e 1 eterno
abisso per lor s apre e serra (2), colle lor membra ci avvolgono e avvin-
ghiano passo passo Com edera fra 1 mur, tra sasso e sasso. *
(1) E dopo l pasto lia pi fame clic
pria. (2) Lallusione a Roma e alla Corte
romana, in queste stanze, chia- rissima;
pur anche qui, come nella Lonzo, nella Pantera e nella Lupa della Dicina
Commedia, si vuole dai timorati e pictisti interpreti, so- stituire le fredde
allegorie dellorgoglio, de peccati originali, a figure politiche cos vive ed
evidenti in ogni verso. IL PENSATORE E LERESIARCA DELLARTE. . 207 Tale la
pittura che fa di Roma e della Corte romana in queste stanze di cui non ci
restano che frammenti incom- pleti. I suoi biografi narrano che teneva in poco
conto gli atti della Chiesa, n gli andavano a verso frati e preti. Quando
Sebastiano del Piombo dipingeva in S. Pietro in Montorio una cotal storia con
entrovi un frate, egli sog- giunse che quel frate guasterebbe tutta V opera.
Richiesto della ragione, rispose, che
avendo i frati guasto il mondo che s grande, non sarebbe gran fatto se
guastassero la cappella che s piccola.
Al suo nipote che si pro- poneva di recarsi in pellegrinaggio a Loreto,
risponde: Non conviene perdere tempo, ne
portare denaro ai preti: chi sa quel che
ne fanno. noto che quando Paolo IV
voleva fargli acconciare le figure del Giudizio e coprirne le nudit, egli
rispose dite al Papa, che le pitture si
ac- conciano presto, pensi egli ad
acconciare il mondo. LAretino ammette
che era un grande artista, ma ostile alla religione cristiana (1); altri lo
diceva luterano, perch frequentava i convegni di Valdes, del Mercantonio
Flaminio, (l) Ecco le parole dellAretino sul Giudizio Universale , e sulla
irreli- gione di Michelangelo, citate dal Grimm: . . . . Dunque quel Miche- langelo, stupendo in la fama, quel M.
notabile in la prudenza, ha voluto
mostrare alla gente non meno empiet dirreligione che per- fezione di pittura ? possibile che voi, che per essere divino non
de- gnateil consorzio degli uomini,
abbiate ci fatto nel maggior tempio di
Dio? Sopra il primo altare di Ges? Nella pi gran cappella del mondo? .... Per un bagno delizioso, e non in
un coro supremo, si conveniva il far
vostro. Onde sara men vizio voi non credeste,
che in tal modo credendo, scemate la credenza in altri... Cos osava scrivere quel timorato di Dio,
luomo pi abietto dellet sua ! 208 PARTE SESTA Cernasechi, Ochino e Pietro
Vermigli, che furono in ap- presso perseguitati ed arsi dall Inquisizione, e
Michelet, dopo aver esaminato le sue grandi opere , si domanda : Si era egli staccato dal Cristianesimo? (1). IV. A questa domanda rispondono ad un
tempo le rime che egli compose in gran parte quando carico d'anni , e giunto il
corso della vita al comun porto (2), e le opere darte che portano lo stampo de
suoi pensieri. Le rime, come il lettore avr potuto giudicare dai brani da noi
riportati, sono frammenti spesso rilevati, duri come il marmo, nel quale
gettava i suoi pensieri, condensandoli. Sono lampi che mandano qualche luce
sugli avvolgimenti di queUanima solitaria e meditabonda. In queste poesie, che
chiameremo religiose, non sacre nel significato moderno, indarno cercheresti
quello spirito di umilt, di contrizione e di compunzione, in cui diluiscono il
loro zelo i nostri poeti pietisti dal Lemene agli inni sacri di Manzoni e de
suoi imitatori; indarno cercheresti le palinodie dei canti divoti del secolo
decimosesto e set- timo, che si volgono ora alla Vergine, ora al Bambino, ora
alle gerarchie serafiche o a Santi e Sante, invano il gemito della colomba, o i
pianti sui misteri della passione, sui sa- (1) Michelet. La Renaissance. (2) Giunto gi l corso della vita mia Con tempestoso mar per fragil barca Al comun porto,.. ( Sonetto cxv, 230). IL PENSATORE E
LERESIARCA DELLARTE. 209 cri chiodi, e sulle divine piaghe. Del formulario
leggendario, serafico e monacale non vi
ombra nelle rime sue, come nei suoi dipinti; qui senti sempre, anche
quando sembra accasciato sotto il peso degli anni e dei dolori, senti una- nima
alta, libera e virile. Al par dei Profeta egli si leva, e sta faccia a faccia
col suo Dio. Anche credendo e pregando pensa altamente, liberamente, ed agita i
problemi pi for- midabili della vita umana. Si sente in questi versi, ora lo
spirito filosofico dellepoca, ora il transito del genio di Lu- tero e di
Calvino. Egli si affatica intorno al gran problema dellepoca, al problema della
predestinazione, del servo ar- bitrio, della grazia, senza mai preoccuparsi del
domma cattolico della salute per la efficacia delle opere, o della mediazione
della Chiesa, del prete sostituito a Cristo re- dentore, a Cristo Uomo-Dio, per
cui luomo si salva per virt della fede, o della grazia. Ora al pari di Pascal,
sente la vanit de suoi sforzi per ottenere la fede : Il proprio mio voler nulla mi vale Che nessun buon voler senza te dura. Ora egli pure
assalito dal dubbio, mira stendersi un velo di ghiaccio tra s e Dio , e
ammorzare il foco del cuore. Lamore, la fede non giungono sino allanimo suo, e
chiede a Dio che gli mandi la fede, per modo che Il cuor senza alcun dubbio te sol senta. Or afferma che vive al peccato, gli manca la
volont: Del mio sciolto voler, d che io
son privo, Serva mia libert. Sonetto xc, 255. La mente di Michelangelo. 41
210 PARTE SESTA Op sentendosi giunto agli ultimi anni di vita , vorrebbe
restringere gl1 infiniti pensieri in un solo, in Dio, che sia Guida agli eterni suoi giorni sereni. Sublime soliloquio di unanima solitaria, che
sentendosi giunta al limitare della morte, agita in s gli ardui problemi della
vita. Invasato da un alto sentimento religioso che riscalda lanimo suo si
solleva al disopra delle cose ter- rene. Pure tranne pochi tratti, che sono per
lo pi simboli immaginosi, atti a meglio significare e imprimere il suo pensiero
e servire alle circostanze, non si rinviene in esso ombra della pura ortodossia
cattolica, o che esprima la sua fede in un culto positivo. Cresciuto, come
vedemmo, nella prima giovinezza, fra letterati, eruditi, filosofi, egli aveva
levata la mente ad un concetto religioso, vasto, conciliante, libero. Discepolo
e seguace del Savonarola sino dal 1492 (1), egli credeva alla necessit di una
riforma nel dogma e e nella disciplina; questa riforma, vaticinata dal frate
mar- tire, proruppe in Germania, si estese sullEuropa e scisse in due campi il
mondo cristiano. Egli per non poteva arrestarsi n alla dottrina di Cal- vino, n
a quella di Lutero. I convegni di novatori italiani, la piet della Colonna,
l'influsso dell'epoca, avevano deter- minata in lui una cotal tendenza alle
questioni teologiche^ (l) Savonarola, abbandonando le dispute teologali, nelle
sue prediche ripeteva: La perfezione
nostra non sta nella fede o nella legge, ma
nella carit... Chi dice il contrario, fosse pur papa, anatema,
ferro rotto. * IL PENSATORE E E ERESIARCA DELLARTE. 211 e quasi
raccostavano alla Riforma luterana, ma questa non bastava ad appagare il cuore,
a quietare i dubbi del pensiero. I riformatori e pensatori italiani avevano da
gran tempo oltrepassati i limiti fssati dai Calvino e dai Lutero alla Riforma.
Essi ripugnavano al particolarismo prote- stante; per essi la religione era una
sintesi vasta, che riu- nire doveva intorno a s non un popolo , ma tutti i
popoli. Per in Italia si predicava da due secoli quasi un nuovo Cristianesimo,
ed un Evangelo Eterno, da sostituirsi al Cristianesimo storico e agli Evangeli
esistenti (1) ; si voleva erigere una nuova Chiesa, sulla rovina della Chiesa
orto- dossa romana, che appellavano Sodoma, o la grande adul- tera. Era questa
la Chiesa, che Buonarroti aveva effigiata nel profondo simbolismo della
Sistina. Per non diremo, come Michelet, che egli si era staccato del
Cristianesimo, era scisso dalla Chiesa, ma ne era uscito per rientrarvi; aveva,
come ne suoi dipinti, abbandonatoci Cristianesimo Jeratico, leggendario, per
elevarsi al Cristianesimo ideal e morale, abbandonata la Cristolatria, per
abbracciare il Cristianesimo nella sua verit ed essenza. Ed il Cristia- nesimo
nella sua idealit corrisponde allessenza di tutte le grandi manifestazioni
religiose, anzi la essenza della
.religione. Infatti questa n si pu limitare alle minute pra- tiche dei riti, ed
al meccanismo del culto, n si risolve tampoco nelle astrazioni metafisiche di
alcuni filosofi se- gregati dalla vita popolana, ma la religione si fonda nel-
lindividuo, sopra i bisogni profondi dello spirito, e nei po- (l) Queste idee
si diffondono ora con un metodo , direi, scientifico dai ministri protestanti
in America, che insegnano di sceverare nel Cristianesimo lelemento transitorio
dal permanente. 212 PARTE SESTA poli, sulle grandi tradizioni del genere umano.
Essenza delle religioni laspirazione
continuata verso il giusto, verso un vero assoluto, eterno, non contingente o
passeg- gero, verso un bello perfetto, che parla allo sguardo e al- l
intelletto. V. Questaspirazione, la quale nellindividuo si manifesta, si
concreta nel sentimento dell immortalit dun premio o dun bene oltre la tomba,
diviene nel mondo dei popoli pre- sentimento di pi alti destini pel genere
umano; ovvero credenza nel trionfo della verit, della giustizia e della fra-
tellanza sopra la terra: credenza, che concepita e procla- mata nel seno della
civilt ebrea colla dottrina del Mes- sianismo, fu propagata nel mondo
dallApostolato cristiano, e divenne parte sostanziale delle sue dottrine e
della sua religione. La quale nelle lente e necessarie trasformazioni imposte
dai bisogni sociali, tende a integrarsi colle verit, che a mano a mano vanno
discoprendo le scienze nel mondo della natura e della storia, collapplicare i
principi di giustizia, di moralit negli, ordini economici e civili, il bello o
il perfetto sensibile nel mondo dellarte o nel culto. Per oziose riescono per
lo pi le discussioni intorno ai diversi culti e le sottigliezze teologiche
intorno allessenza divina, al libero arbitrio, alla grazia, allefficacia delle
opere e della fede, perocch la vera soluzione risiede nella ap- plicazione dei
principi del giusto, del buono, per modo che ciascuno individuo o popolo,
scopra o senta in s il di- vino , cio il sommo buono , il giusto e il vero, ne
informi ogni suo atto, e risponda di s verso lumanit e verso IL PENSATORE E
LERESIARCA DELLARTE. 213 Dio. Oziosa del pari la discussione intorno ai diversi
culti, i quali nella loro essenza tendono sopratutto a riflettere e
rappresentare in s il vero, il buono e il bello, e compene- trarne individui e
popolo. questa la religione professata
dal Cakyamuni nelle Indie, dai profeti e dai giusti nel mondo ebraico, da
Eschilo, da Platone nell ellenico, come dai sommi geni nel mondo moderno. Tutti del pari professano il culto del vero,
del buono e del bello; tutti del pari animati da ardenti aspi- razioni verso un
avvenire di umanit e di giustizia. Molte e varie sono le manifestazioni di
queste idee nel mondo della storia. La Giudea sar la gran sibilla, che presenta
e profetizza lavvenire. Il popolo-profeta, segna il cammino prescritto al
genere umano. Il verbo a cui la
parola culto suona umanit, fratellanza dei popoli, e
giustizia. La Grecia mira meno all avvenire, pi al pre- sente, meno alla umanit,
pi alla natura e alla patria, e cerca e idoleggia il bello nella sua forma pi
eletta e pura, canta e dipinge le armonie del mondo e delle cose. Roma antica,
in mezzo alle sue lotte, agli orgogli delle conquiste, si travaglia a cercare
lidea del dritto , a fissare e definire i rapporti fra individuo e individuo,
po- polo e popolo. Sorge il Cristianesimo che sinnesta sul tronco ebraico, ma
cresce, si alimenta e si svolge nellam- biente greco romano; prende a
diffondere i principi di ca- rit, di solidariet umana, la virt di sacrifizio, e
prescrive, sanziona il culto della carit e del dovere. Infine, dopo un sordo e
vasto movimento filosofico e razionale, scoppia la rivoluzione, che apre let
nuova, fissa, proclama i diritti. Ciascuna di queste manifestazioni, tanto pi
sappressa alla perfezione, quanto meglio in s rispecchia nella loro es- 214
PARTE SESTA senza il sommo vero, il sommo bene, e il bello perfetto, e sa
compenetrarne le moltitudini. VI. Questi concetti che i grandi legislatori e i
tesmofori ten- c tarono trasfondere nelle istituzioni sociali, che i sommi
filosofi concepirono nella loro essenza ed attrazione, l'arte, la poesia, la
musica, la pittura e la scoltura procacciarono di estrinsicare e vestire di
forme perfette, doffrire allo sguardo, di rendere sensibile alla mente, al
cuore. La filosofia ne scopre e ne detta i principi assoluti; i grandi geni
deH'umanit, profeti, salmisti, poeti, li ritrag- gono nelle note ispirate, li
esaltano coi ritmi armonici per- ch parlano ai cuori ; larte vera li fissa
nella tela, li stampa nei marmi, e ne presenta i simboli, e i tipi eterni. A
queste famiglie, che appellerei artisti-sacerdoti, che imprimono loro la forma
perfetta, appartiene Michelangelo. Egli fu per avventura il primo e solo che
seppe incarnare nellarte 1 ideale del sentimento religioso, creare, diremo, il
simbolo della religione dellumanit. La religione, la quale per molti filosofi
del Rinascimento non era considerata che come stimolo alla virt, pei poli-
tici, che come mezzo di governo, per molti teologi e per la stessa Corte di
Roma, che una specie di monopolio a suo benefizio, un artifizio, od un
tirocinio scolastico, e che non era, pel volgo degli artisti, ohe lenocinio dei
sensi e uno splendido lusso e ornamento e distrazione, egli richiam a pi alto
ministero. E per lui divenne simbolo di una nuova religione, della religione
universale, la quale si risolve in una aspirazione IL PENSATORE E LERESIARCA
DELLARTE. 215 infinita. Ma non linfinito vago dei metafisici, sibbene lin-
finito che poggia sopra il reale e si svolge in una scala ascendente nei
secoli. Egli prende i suoi simboli, l dove li trova pi perfetti, pi interi, pi
spiccati, dalla Bibbia, dal mondo greco-romano, figure archetipe dellumanit,
come i Profeti, Mos, le Sibille, che in s concretano un grande momento storico;
ma questo momento il punto di par- tenza
per un rifiorimento di nuovi simboli e di un evolu- zione pi vasta nel corso
dei secoli; sono personalit, che intercedono fra il mondo e Dio, il presente e
lavvenire, la materia, lo spirito, il finito e linfinito, che esprimono il
pensiero religioso, il quale si continua lungo le et, e sono il legame dei
tempi; lideale infine della Storia
ridotta a concretezza. VII. Mirate la volta della Sistina, da cui non possiamo
dilun- garci essendo essa lo scopo e la ragione di questo scritto. La storia
porge allartista il tipo, la forma, i colori, talch le figure sembrano come
statue, ciascuna finita, compiuta in s, ritta sulle sue basi; pure uno spirito
vasto aleggia- sopra di loro e le collega insieme e le agita e le muove. Questo
spirito limmanenza del divino che muove
il mondo umano, a quel modo che le correnti dellaria, del calorico,
dellelettrico spaziano sulla natura, e le compenetrano di s, la muovano e
fecondano. Essa venne appellata lepopea del presentimento; ma al pari del
sentimento religioso da cui sispira
presenti- mento e realt. Ed
infatti quellansia continuata e faticosa, quellarcana ) 216 PARTE SESTA
aspirazione che si travaglia del pari nel fondo dell indi- viduo come nel fondo
della storia, che Michelangelo sentiva nella vita e stamp nell'arte. Le sue
figure sono i veri Raprescatwes mens , tratteg- giati da Emerson, che
compendiano e rappresentano luma- nit. Quella figura colossale, titanica, che
domina lepo- pea, Jona, ma in questo
Jona voi scoprite nel volto, negli atti, nella passione che ne commove ogni
membra, il forte che si solleva, leroe il quale, dopo lunga lotta, perviene a
spezzare i suoi ceppi, e beve a larghi polmoni le aure di libert, e sfida a
battaglia eterna i tiranni. Egli Ercole, Teseo,
Spartaco, Prometeo liberato,
raffigura in s la lotta continuata nei secoli contro ogni oppressione, il prototipo di un arte che non appartiene ad
un momento storico, ad unepoca, ma riassume in s, come sintesi, tutta una
storia, e inizia larte, che appellerei pe- renne. A tergo gli si leva unaltra
figura colossale, ritta in piedi, le braccia sporgenti in alto, e continua
lazione di Jona, drcole, di Prometeo. Esso non solo ha rapito il fuoco, ma lo
padroneggia, e colle braccia poderose separa la luce dalle tenebre, mette in
fuga lignoranza, la superstizione, l'errore. Ecco un altro archetipo dellarte
perenne, del Dio liberatore, il Dio della luce e della forza, in ogni epoca
della storia. Infatti nofl vedete pi in lui traccia del Dio dei teologi, dei
metafisici, ma il Dio intelligenza, il Dio della storia, il Dio-umanit, e con
lui comincia una creazione novella. Ecco il diluvio ha cancellato il mondo
antico,, ricomincia il nuovo Adamo, la nuova va, che tolti alla vita inco-
sciente, si destano alla conoscenza della natura, di s stessi e di Dio. IL
PENSATORE E LERESIARCA DELLARTE. 217 Lo spirito della storia passa sopra a
tutte quelle figure che si continuano; ogni figura, ogni gruppo, sono come
categorie determinate in s e in simboli, mentre lidea, lim- manente, spazia su
di loro e li lega ; lo spirito dell uma- nit li move in un circolo infinito
ascendente. Dalla Giudea, passa alla Grecia, da questa sopra Roma, da Roma ri-
torna ad Isaia, il profeta dei popoli, a Daniele, l'uomo che vive per la
giustizia, e tutti rappresentano lintimit del pensiero nel mondo , limmanenza
del divino sull umanit e sono appellati col vecchio Zacaria ad elevare il
tempio dei templi, il culto del genere umano. Ma lumanit non si rinnova che per
la giustizia, e la giustizia non si compie che colla rivoluzione; la rovina ac-
cumulata di un mondo che si disfa e cade sar la base su cui si elever il mondo
novello. Il Giudizio Universale scolpito , anzich dipinto, l nella grande
parete della Sistina, la giustizia, la rivoluzione, la gran catastrofe che chiude
unepoca, cancella una ge- nerazione, per suscitarne unaltra pi pura. Qui ancora
larte perenne riproduce lideale della storia, lo concretizza, e quel gran
giudice che il tempo, invo- cato a compiere lopera, a giudicare i
vivi e i morti. Anche qui nessun vestigio dellantico Cristianesimo, una nuova umanit, un altro culto e simbolismo
che levasi in- nanzi a noi. La figura colossale che domina la scena, come
notammo, non gi il Cristo dell Evangelo
, Ercole an- cora, Prometeo,
Jona, che spezzati i suoi ceppi, chiama a giudizio gli oppressori dei
popoli, e giudica tutti, dai pontefici ai santi, al plebeo, secondo le sue
opere. Egli ci appare e grandeggia in forma di un personaggio ignoto, non
visto; una forza arcana che domina la
scena, 218 PARTE SESTA come il Fato dei Greci che invisibile conduce la vasta
tra- gedia greca; limperativo morale, la
giustizia, che con- tinua lopera sua a traverso lo spazio e i tempi. Questa
persistenza del divino nella storia dei popoli, questaspirazione verso
linfinito, il concetto che, sotto di-
verse forme, imprime Michelangelo nelle sue opere. Il sepolcro di Giulio II ,
che i coetanei chiamavano la tragedia del Buonarroti, e fu il pensiero della
intera sua vita, tutto un poema, che ne
esprime lidea con forme colossali. Questo monumento, di cui abbiamo diversi
disegni, doveva elevarsi a modo di una montagna di bronzo e di marmo in Roma, e
constava di tre parti sovrastanti luna sullaltra. Fra quell incrociarsi di
cordici capricciosamente scolpite, fra quella folla di statue che
rappresentavano le scienze , le arti, la vita attiva, la passiva, poi S. Paolo,
che apre il il mondo moderno, Mos, che spinge il guardo fisso e sfol- gorante
nellavvenire dei popoli e domina la storia, i due giovinetti incatenati
morenti, cio il pensiero e l'Italia in- catenati, che attendono il nuovo Mos
liberatore, pi in alto doveva elevarsi sopra trofei, i tributi della natura, le
memorie della storia, grandeggiante la statua di Cibele, simboleggiante la
terra , ed essa mentre sostiene il lembo dun lenzuolo mortuario, appunta lo
sguardo in alto sopra Urano o nellinfinit dei cieli. La terra non basta alla
sete infinita che divora lanima: nella terra tutto caduco e muore. Cibele, vero, veste formo colossali, ma la mano sua
regge il lenzuolo mortuario, il piede posa sulle tombe dei morti, per aspira al
cielo, con- templa Urano. Ed Urano, sfavillante di un riso divino sulla yetta
del mausoleo, collocava in mezzo a nimbi di luce, fra IL PENSATORE E LERESIARCA
DELLARTE. 219 aureola di stelle, il sommo pontefice simboleggiante la Chiesa
futura, la Chiesa della verit e della luce. Questa aspirazione all alto , o
meglio la sublimazione della materia, fu la passione della vita del nostro
artista. Dopo avere svolto questo concetto nella pittura, averlo ri- prodotto,
scolpito nel marmo, lo plasm nellarchitettura che fu il supremo studio, la
fatica della sua vecchiaia. E che altro
la grande Basilica di S. Pietro, quale era stata da lui concepita e
disegnata, colla vastit della mole, la pu- rezza delle linee , la semplicit
delle pareti s solenni ed eloquentemente nude, se non il tempio dei templi che
do- veva in s riunire tutti i popoli, conciliare le razze, e poi colle tre
cupole slanciate negli spazi aerei , elevarle del pari riconciliate e
purificate, al cielo? Vili. Conciliazione era stata F ultima parola pronunziata
dal pensiero filosofico-religioso della Rinascenza italiana; ma il nostro
pensatore-artista non pot soffermarsi ad essa; altro termine vi aggiunse, che
schiude e rischiara F avve- nire , e lo stamp , pi profondamente che nelle
tavole di bronzo del Sinai , nelle sue opere immortali , ed , Eleva- zione. Questa veramente lultima parola dellarte nella Rina-
scenza, questa vuol pur essere la parola dordine, il motto del Rinnovamento
Italico, ma questa pur troppo, per ora,
appena nota,susurrata da pochi ed irrisa, come aereo sogno, dai molti. Il
periodo nel quale versiamo, che fu grande veramente e splendido pel nostro
rinnovamento politico, si manifesta, 900 PARTE SESTA per quanto altri voglia
illudersi e millantarsi, sempre pi basso e meschino nelle arti e nelle lettere,
vacuo, sterile nelle scienze morali e filosofiche. La filosofia, che pure il pi glorioso e splendido portato del
pensiero umano, si confonde ormai colle scienze positive, e suona positivismo
l'ultima parola del secolo nostro. Tutte coteste teorie di evoluzioni,
selezioni, e questa fraseologia darwiniana, la quale non ha di nuovo neppure la
parola e il nome, tende ad applicarsi, come al mondo naturale, cosi allo
storico, alla letteratura, allarte. E l'arte e le lettere, ali- mentandosi dell
ambiente filosofico in cui vivono , cercano vieppi di farsi positive, pi e pi
realiste. La filosofia, la scienza, non cura pi, non vuol esaminare altro che
il fatto, la realt che parla ai sensi, il fenomeno, il momento che la colpisce;
e l'arte, alla sua volta, non cerca che di ripro- durre pi che 1 atto e il
fatto materiale. Essa s industria di ritrarre nelle sue pi minute particolarit
l' individuo , un uomo, una donna, un albero, una marina, un evento, quale si
offre ai sensi, la realt pura; la filosofia nuova e la scienza non vogliono pi
mirare altro che la materia , non conoscono in essa che due attributi, il moto
e la forza, e larte alla sua volta non sapp mirare nella vita che la materia,
la corteccia, lesteriore. Per lultima parola, che, scienza e filosofa del
secolo decimonono trasmettono al ventesimo
, evoluzione, sele- zione, forza e movimento; e lultima parola dell'arte
, materia, sensualit e realismo. Ora nessuno, meglio del Buonarroti, senti,
comprese la materia, e seppe ritrarla, plasmarla. Le sue statue gran- diose, i
muscoli risentati, le membra titaniche, le prospet- tive, che mai non vengono a
fine, gli atteggiamenti, le pose IL PENSATORE E LERESIARCA DELLARTE. 221
ardite, tutto nelle sue statue, nei dipinti
un apoteosi del corpo , parebbe un orgia della materia. Pure in esse non
resti mai colpito dalla materia; in esse non
lesteriorit, la sensualit che ti commove e sbalordisce. A che
attribuirlo ? Avviene da ci che lartista non , come i moderni, alettato,
padroneggiato dalla forma materiale, ma egli sa padroneg- giare la materia,
non asservito ad essa, ma la domina,
non soverchiato, ma la oltrepassa. Egli
studi bens la forma, lesteriorit, ma non si limit a ritrarla nella sua cruda
realt. Non lo scienziato , il quale, nel
silenzio del suo gabi- netto di clinica, mira innanzi a s disteso il cadavere,
e collo scalpello in mano ne tronca i muscoli, le arterie, poi 10 dissecca, per
sottoporlo brano per brano a minuto esame; ma nella materia egli vuol indagare
la vita , dalla selice fa scaturire la scintilla, in ogni sua fibra e cellula
cerca la vita. Non si arresta, freddo osservatore, allesteriorit, ma penetra
nella natura intima, ma cerca lo spirito, ma ne ravviva la passione, ma la
riscalda ancora col foco del suo core, collentusiasmo del suo genio. Di pi
lartista osserva 11 mondo umano e naturale nella storia, nelle religioni, come
nella natura, ma non si arresta alla pura osserva- zione; questa non diretta, sibbene riflessa, e ne ricrea in s i
grandi tipi, i fantasmi che sono il risultato dellazione convergente di tutte
le facolt attive della sua mente, ed estrinsecandoli, ravviva la materia del
suo soffio animatore? la riscalda colla passione del suo genio, per cui i suoi
dipinti rivivono e divengono la storia riflessa del mondo. Cos la realt, la
carne esce dalle sue mani trasformata, o se vuoisi transubstanziata. Come mai
ha egli potuto imprimere tal po- tenza nella materia? quale fu il segreto
dellarte sua? Il segreto lo rivel egli stesso, quando disse che non dipinge^
222 PARTE SESTA non scolpisce colla mano, ma col cervello. L impressione
esteriore si fa dentro di lui pensiero, passione, vita, e nel- T esteriorit
trasfonde il foco della sua vita, lardore delle sue passioni. Egli non si
arrester a cercare le minuzie n le particolarit; nelle opere sue non trovila
squisita finitezza dei dettagli, la correzione nelle minute parti, che scopri
nei dipinti e nelle statue moderne, ma in tutto
movimento, ferve la passione, palpita la vita. Non trovi neppure in esso
quel vago idealismo che aleggia sui dipinti di Raffaello, o la metafisica del
bello assoluto, ma vi trovi sempre unindividua- lit energica, e in ogni
individualit la potenza interna del carattere, la foga duna passione, la
vigoria dun pensiero dominante. Egli, meglio d ogni moderno, comprendeva,
sentiva la realt , ma per lui il moto , la forza , la evolu- zione, non
bastavano, sentiva che queste qualit non co- stituiscono ancora tutta la
materia. E a dir vero esse non ne sono neppure la legge da cui dominata e determinata, ma sono piuttosto
attributi di essa , sono indizio di una legge che esprime la successione dei
fenomeni, lo svolgimento di un principio, vera legge dominante, e determinante
essendo la vita, la potenza interna, l'intelligenza, la volont; la vita che
parla alla vita, il pensiero che parla al pensiero, nel pen- siero, pel
pensiero. Ora il pensiero, forza vivente, la vera realt dellessere ed essenza
delle cose, non si arresta alla evoluzione , al movi- mento, anchesso
passeggier, ma va oltre, ed questo il
punto per cui il genio michelangiolesco oltrepassa non solo il secolo
decimosesto,ma il decimonono, e sar forse faro al ventesimo; perocch nelle sue
grandi opere insegna, come l evoluzione la selezione nella materia come
nellarte, si completa ed in- tegra con un terzo termine che gli scorta e meta, ed eleva- IL PENSATORE E LERESIARCA DELLARTE.
223 zione. La materia non si ravvolge in un circolo fatale, sempre uguale, ma
si affina si elabora, si eleva, si transubstanzia; la vita aspira ad elevarsi
alla verit pura, alla luce della luce, a svolgersi nella pi alta potenzialit.
La elevazione della vita, la sua sublimazione nella materia e per mezzo della
mate- ria il segreto dellarte di
Michelangelo. questo il prin- cipio
dellarte che pochi sommi artisti preanunziarono; e primo Michelangelo ha
divinato ed offerto agli sguardi, e sar forse questa larte dellavvenire,
quando, come scriveva il Dupr, la generazione, la quale possa fissare gli occhi
della mente nelle profondit michelangiolesche, sar nata. Noi tentammo di
studiare lartista: una filosofia e una cri- tica pi comprensiva che non la
presente, sapr apprez- zare in tutta la sua grandezza il pensatore, ed ^offrire
ai- fi Italia il grande modello dellarte futura, dellarte perenne. EPILOGO La
mente di Michelangelo. 15 EPILOGO Giova ora ricapitolare brevemente questa vita
, la quale abbracciando quasi un secolo, chiuse il Rinascimento e pu, meglio
dogni altra, degnamente inauspicare il Rin- novamento italico. Questa vita cosi
complessa ad un tempo, cosi armonica ed uguale in ogni sua parte, si pu dividere
in tre periodi, i quali furono mai sempre dominati da uno stesso pen- siero,
rivolti ad uno stesso altissimo intento. Ogni pe- riodo in s riflette e
riassume un importante evento storico e T evento si riverbera e simpronta in un
gruppo di capo- lavori darte. Il primo periodo, quello delladolescenza e della
giovi- nezza, si svolto in Firenze,
culla e sede della Rinascenza, in mezzo ai poeti, agli eruditi ed ai filosofi
dellAccademia Platonica; e, frutto di questo periodo, che diremo filosofico,
sono la battaglia di Ercole contro i Centauri , l idea della vlta della
Sistina, anche simboleggiante la lotta delluomo contro le forze brutali della
natura, e il presentimento e le aspirazioni continuate del genere umano verso i
suoi 228 EPILOGO. grandi destini, le sue sofferenze e battaglie pel trionfo
della verit e della giustizia. Il secondo periodo, che diremo politico, segna
la cac- ciata dei Medici, la lotta per le libert cittadine e lassedio di
Firenze; e si riflette nelle statue di David, del Bruto, si epiloga nel
Deposito di S. Lorenzo, e ci presenta nelle statue del Giorno, del Crepuscolo,
dell Aurora, della Notte come effigiati i corsi e ricorsi storici, e i periodi
di sonno, d'oblio, di vergogna, di decadenza, di riscossa e rinnova- mento del
popolo italiano. Il terzo periodo, che corrisponde all'epoca pi fortunosa
d'Italia, in cui ai pugnali, agli incesti, ai veleni, agli orrori dei saccheggi
savvicendarono le invasioni straniere, le guerre fratricide accese da re,
imperatori, pontefici, le agitazioni e le guerre religiose per la riforma, che
scon- volgono lEuropa intiera, ispira alla sua mente lApoca- lisse del Giudizio
Universale. A questi potremo aggiungere il periodo della tarda vec- chiaia.
Egli aveva veduto tutto un mondo sparire, inabissarsi innanzi a s; tutta quella
pleiade di artisti sommi, di pen- satori, di poeti, che fecero per quasi un
secolo il lustro di Firenze e Roma, erano scesi nella tomba; la libert di Fi-
renze, lindipendenza dItalia manomesse e spente; tutta lantica generazione dei
suoi parenti, damici, dartisti, di donne, che aveva amati, discesi nel
sepolcro, ed egli so- pravissuto a tutto un mondo , si trova come solo , invaso
dalla immagine della morte, agitato dal problema dellav- venire. Solo,
sdegnoso, chiuso in s, egli si travaglia nel fondo del suo pensiero a cercare
il suo Dio, a trovare in lui conforto e pace. Agita nella mente tutti gli ardui
secreti EPILOGO. 229 dell umanit, si sprofonda nel mistero della vita e della
morte. Mentre il pensiero combattuto tra
i dubbi paurosi e la fed che si svelano a lampi nelle sue rime, la mano con-
tinua a lavorare, a lottare col marmo, e conduce all ul- tima perfezione le due
opere, che furono il travaglio della sua vita , nelle quali epiloga s stesso ,
la sua mente , il suo cuore. La statua del Mos in cui lavor quaranta- quattro
anni, e la immensa Basilica di S. Pietro, con cui sembra non solo dominare lo
spazio, ma signoreggiare i tempi, sollevare le menti all infinit dei cieli, e
inau- spicare, insieme colla nuova Roma, i nuovi secoli ita- liani. Tale fu
luomo. Quale fu lazione sua, la sua influenza nellet che gli tenne dietro?
Quale potr essere lazione della sua mente, della sua vita nella nazione
italiana, che caduta si basso dopo la sua morte, ora risorge a civilt per la
terza volta, e aspira a rinnovarsi? Il suo destino quello dei Profeti, quello di Dante, di
Shakespeare, e di tutti i geni sovrani, poco compresi dai loro coetanei, ma la
cui azione si svolge a poco a poco , e lenta si propaga , si diffonde per
rischiarare i tortuosi sentieri che lumanit deve percorrere. Le sue opere sulle
prime destano un arcano senso di me- raviglia e di terrore religioso, che
confonde la mente e sba- lordisce; sono creazioni straordinarie, un mondo a
parte; il pensiero appena compreso o
male interpretato; ma, pari a Dante Se
la voce sua sar molesta Nel primo gusto,
vital nutrimento Lascier poi quando sar
digesta.. 230 EPILOGO. Tal fu di lui.
Dopo la sua morte, la sua influenza nel- larte non fu efficace n sana, anzi si
ripete tuttavia (1) che fu cattiva, e produsse il barocco; e l insigne critico
che vide pur profondamente nell animo e nelle opere del Buonarroti, non ha
torto al punto di veduta dellesteriorit dellarte; ma conviene aggiungere che i
suoi imitatori nulla seppero comprendere del vero Michelangelo, n po- tevano
apprezzare in lui quelle qualit che non erano atti ad afferrare e scoprire per
T angustia delle loro menti , e per difetto dei tempi poco propizi. Col doppio
servaggio politico e religioso , che oppresse ITtalia dalla met del secolo
decimosesto alla met del nostro, cess la vera vita morale e artistica italiana.
Venne meno quella vita facile, aperta ad un tempo seria e grave, che pre-
valeva nei nostri Comuni e nelle citt ; pi non avveniva quello scambio didee,
di consigli tra artisti, poeti, eruditi, scien- ziati, quell incoraggiamento ed
entusiasmo pel bello, che scendea dalle alte classi sociali, dai pontefici, dai
principi, dai patrizi, e trovava sempre eco vigorosa nel seno del popolo. Le
classi furono divise da sospetti, rose da invidie, agitate da paure. Lartista
visse appartato, cess dal pensare, non fu pi che un esecutore, un mestierante,
ligio per lo pi al padrone, schiavo nel suo studio, e prigione entro 1 of-
ficina, come il poeta, il pensatore rilegati nel gabinetto, non seppe elevarsi
al di sopra de suoi marmi, al di l de suoi colori e disegni; si occup
sopratutto dellesteriore, del meccanismo dellarte. Nefle opere di Michelangelo
egli non seppe vedere nulla al di l del meccanismo, delle pose, dei
panneggiamenti, del (1) Bono. Leonardo e Michelangelo. EPILOGO. 231 gioco dei
muscoli, delle meraviglie degli scorci: quando si avevano superato felicemente
queste difficolt dellarte, si avevano dipinti e scolpiti scorci pi arditi, e
paneggiamenti pi ricchi e grandiosi, muscoli pi veri e risentiti, si credeva di
aver superato il maestro. Del pensiero non si preoccupa- vano, o scambiavano
per pensiero le gelide allegorie di virt, e di vizi che effigiavano sui
mausolei e nelle tombe, o nelle chiese. Non sapevano che pensiero verit,
pas- sione, forza, che linterno d
vita e venust all esterno, ed per queste
qualit, che vivono tutte le grandi opere darte, e giganteggia Michelangelo.
Egli fu 1 ultimo artista veramente libero d Italia , libero nel pensiero ,
libero nella forma. Cre la libert nell arte come Lutero nel pensiero. Avverso
al convenzionalismo, come alla teologia. Il gran nemico, che egli combatte du-
rante tutta la sua vita, fu appunto lartificiale, il falso. Quel barocco, che
si dice derivato da lui, egli laveva in orrore, e concorse con tutte le sue
forze per combatterlo e schiac- ciarlo. Ma colla reazione cattolico-spagnola,
il fasto, il teatrale, il barocco prevalse, ruppe gli argini, inond ogni ordine
di cose , nella religione , nel culto , nelle abitudini , e riverber nelle
arti. Qualche sintomo di questa tendenza si era gi palesata pur troppo, e tale
tendenza conviene ri- cercarla nellindole di alcune provincie dItalia ; ma la
parte buona e sopratutto la Toscana, la contenne, limped di al- largarsi, e di
prevalere. Venuti gli Spagnoli, e trionfando la reazione cattolica, caddero le
dighe, lindole nazionale nel suo lato sano, energico fu compressa, avversata,
soppressa; prevalse il teatrale, il convenzionale nellarte, come la falsit,
lipo- crisia nell ordine morale e sociale. Tutto divenne , e in 232 EPILOGO.
parte dura ancora in Italia, convenzionale e falso, orpello pi che oro, lustro
pi che vera luce. Nel domma le alte aspirazioni profetiche, i concepimenti di
verit e giustizia, di cui abbonda lantico Testamento, quelli di moralit e
damore, di semplicit, che formano il prestigio e la virt del Nuovo , diedero
luogo a una mitologia erronea e vol- gare, che cade al disotto del Paganesimo ,
e ad un etica immorale, fallace e morbosa, che fiacca gli spiriti e cor- rompe e
degrada i caratteri; il culto fu mutato in un apparato teatrale,
collaccompagnamento di musiche, pro- cessioni, pantomime, in unadorazione delle
parti materiali del corpo di Ges e della Madonna, pi che del suo spirito, dei
privilegi da lui predicati; la poesia divenne arcadia, tutta concettini,
finzioni, convenzionalismo, barocchismo; la prosa, rettorica, suono di frasi
risuonanti e vuote. Sopra tutte le arti prevalse la musica, arte la quale,
checch sene dica, segno di decadenza,
perniciosa sirena che ci seduce i sensi, ci getta 1 animo in vacui
fantasticamenti e ci dispensa dal pensare, solletica l'orecchio, spesso molce e
addormenta il cuore a detrimento dellintelligenza. Non passione, ma si- mulazione di affetti,
ipocrisia, di passioni. Sopprimere il pen- siero sotto la vernice sfarzosa
della parola, cullarlo, addor- mentarlo con profluvio di note armoniose, molli,
soffocare le passioni sotto un sentimentalismo piagnucoloso e sterile,
ostentato, divenne scopo e venust dellarte. La natura fu immolata al
soprannaturale, la religione ad un falso misti- cismo, la verit alla rettorica,
il reale al convenzionale; la chimera aveva sostituito la realt, i Centauri
avevano ucciso Ercole. Ora come vedemmo, l'intento che nella vita, nelle opere
si era proposto Michelangelo, fu sempre mai quello di abbat- EPILOGO. 233 tere
i Centauri, mettere in fuga le chimere, dissipare le tenebre fallaci. Egli
abborr le forme convenzionali del bello, anche quando vestivano le apparenze pi
lusinghiere, affascinanti, come in alcuni dei pittori sommi, per sosti- tuirvi
il forte, Tintelligente, la bellezza virile, l'espressione. Abbattere le
vecchie forme molli , slavate , per contrap- porvi il virile, il semplice, il
vero: combattere il conven- zionale, il teatrale, lo spettacoloso, per
sostituirvi la schiet- tezza, la verit, la realt; non un realismo volgare e ab-
bietto, come si tenta fare da alcuni nei nostri tempi, ma la realt elevata,
energica, accesa di nobili affetti, illuminata dal pensiero ; confondere l
idolatria, che falsa e corrompe la vita, portare da per tutto, nella pittura,
nella scoltura, nella poesia, la vita, il movimento, e colla vita la sincerit e
la spontaneit, ecco quale fu lo scopo che egli si propose. E in quel mondo di
sole apparenze, dipocrisie, didoli vani, che si avanzava, e ornai doveva
prevalere, egli fu la sincerit, la realt, la virt, la forza che si afferma, e
posa in s sicura. Di fronte a quei paludamenti imperiali, pontificali, i quali
avvolgevano entro le pieghe di manti sfarzosi fantocci vacui o mostri turpi e
inumani, egli cerc la realt in s, ed impresse il nuovo nudo vero ; Cristo de-
nudato , ovvero vestito solo della sua moralit e giustizia, come gridavano e
predicavano Savonarola, O chino, Soc- cino; e Cristo denudato egli dipinse e
scolpi. Ai scenari di cartone egli sostitu il marmo , all orpello 1 oro puro
dei- fi arte, e il diamante che splende al pari del pensiero, di luce schietta
e durevole. Per venne appellato leresiarca dellarte, il Lutero dItalia.
Tuttavia la riforma artistica morale egli pot iniziarla ap- pena; l'Italia lontana ancora dal comprenderlo e dallap- 234
EPILOGO. prezzarlo degnamente. Al pari di Dante ebbe i suoi periodi di ecclissi
e di oblio, e al par di lui risorge e risplende col risorgere della nazione.
Egli deve inauspicare V era del Rinnovellamento; da lui e dai sommi riformatori
di quel- T epoca, la nuova et deve prendere gli auspici; larte ispirarsi ai
suoi grandiosi simboli, il filosofo ai suoi pen- sieri, il cittadino alle sue
virt. La sua mano ha, pos- siamo dire, rinnovata e ricreata la Roma artistica
mo- derna , la sua grande figura basterebbe a rialzare e ri- creare, appo un
popolo energico e sano, la Roma e lItalia politica e morale. APPENDICE
APPENDICE Lettera diretta da Cornelia Colonnelli, gi moglie d Ur- bino, a
Michelangelo, in cui io avverte delle pratiche che si facevano da suo padre e
da un abate per rimaritarla ad un cugino di costui, giovane di poco buoni
costumi: Molto magnifico come patre
optimo La cortese amorevolezza che V. S.
ha sempre mostro a miei figliuoli e a me
stata tale, che io posso vera- mente dire che sia stata maggiore et
habbi di gran pezza avanzato quella de mio patre, de mia matre, ed ogni altro
mio attinente. Cognoscendio esser cosi in verit, lho sempre amata, obedita e
riverita da patre e da mio patrone amo- revolissimo, sempre har Tanimo
prontissimo ad obbedirla, servirla et osservarla; n mai penser far cosa veruna,
se prima io non so la sua volunt e il suo consiglio. Se V. S. se racorda,
questi giorni passati io gli scrissi una mia, nar- randogli il desiderio grande
che mio patre e mia matre havevano de rimaritarmi; e che oltre glaltri partiti,
molto gli piaceva un giovane da Santagnolo in Vado, fratello 238 APPENDICE.
consobrino dellabate di questo luoco. Essend egli, sempre contro ogni mia
fantasia, sopra tutti gli altri piaciuto e a mio patre e mia matre, et essendio
amonita e consigliata da V. S. de adempiere il volere loro; volsi, come si con-
veniva a obbedientissima figliuola, obedire e fare quanto da loro m era
comandato; e cosi consentirei de pigliare per marito, ancor che fosse contro
lanimo mio, quello che a loro piaceva tanto. E per mia mala sorte ho
inciampato, come si suol dire, in un fil de paglia, et ho rotto il collo merc
de mio patre; il quale ha fatto il maggior errore che forse mai facesse altr
huomo , lasciandosi persuadere da persone pocho amorevole a lui, a mia sorella,
a miei nepoti et a me istessa, di fare quello che mai dovea pen- sare, non che
fare, a persuasione dellabbate e del patre di quello a cui io dovea esser sposa
e moglie. Subbito doppo che furono cellebrati i contratti delle dote (li quali
furono fatti pubblicamente, presenti tutti i mariti de mie sorelle, et altri
parenti et amici amorevoli nostri) mio padre na- scostamente, senza mia saputa,
contro ogni ragione, solo per gratificarsi labbate, me fece donatione de tutta
la sua robba, privando senza causa alcuna tutte le altre sue fi- gliuole e
nipote; per la qual cosa tanto poco honesta e mancho raggionevole, io me so
tanto afflitta e conturbata, che io oggimai mi trovo fuori de ogni sentimento;
consi- derando che a mio patre non se conveniva de privare le sue legitirne
figliuole, cariche de sedice figliuole tra ma- schi e femine, e donare a me ,
che gi ero dottata da lui di p' assai maggior dote dellaltre mie sorelle,
havendio havuto mille fiorini per le mie dote, e mie sorelle solo dua cento per
ciascheduna de loro. Havendomi egli poi fatto questa donatione, V. S. puoi
considerare quanto danno sia APPENDICE. 239 alle povere mie sorelle, le quali
sono pur ancho figliuole de mio patre , legittime e naturale com io. Ma Iddio ,
al quale dispiace le fraude e V inganno , non ha voluto com- portare una tale
iniquit. Prima ch'il sposo venisse a me, ha discoperto alle mie sorelle e a me
questa donatione, la quale dispiacendomi oltre muodo, per mostrare amorevo-
lezza alle mie chare sorelle et a miei diari nepoti , e per fare capace il
mondo eh' io non so' stata consapevole de simil trappole e inganni, con quel
miglior muodo e via chio ho saputo e potuto, ho cercato de tirare indietro
questo mal fatto, con il consenso del patre dello sposo e dell abbate; volendo
retrocedere e redonare a mie sorelle tutto quello che mio patre havea donato a
me; contentan- domi della mia prima dote , e volendo , come convene- vole, che le mie sorelle habbino
altrettante dote quantho haut io. Ma loro , privi di quella charit che conviene
al christiano, non hanno voluto consentire; anzi hanno fatto e fanno pi conto
della robba che della carne mia, et io, con animo pi generoso, ho fatto e
faccio fermo proposito di fare pi conto delle mie sorelle e de suoi mariti e
fi- gliuoli, che di quanta robba mhabbi donato mio padre; essendo io certissima
che, non facendo questo, ero perpe- tuamente in continua inimicitia con le mie
sorelle , con suoi mariti e figliuoli. Ondio mi risolvette con prontanimo de
mandare per il patre del sposo; al quale io con gran- dissimo mio affanno e
fastidio dissi quanto a me parea raggionevole, supplicandolo che si volesse
contentare della mia prima dote, e non volere esser caggione chio sia, in-
sieme con suo figliuolo, in perpetue inimicitie con mie so- relle, Suoi mariti
e figliuoli. Dal quale io non ebbi risolu- tone alcuna: per mandai mia matre
allabbate, facendogli 240 APPENDICE. la medema proposta che io havea fatto al
patre del sposo, pregandolo nei medesimi muodi: il quale similmente poco
ragionevole, disse che non voleva consentire altrimenti alla retrocessione e
redonatione; anzi accenn a mia matre, che s io era malcontenta e poco
sodisfatta della donatione, e sio non mi contentava che sequisse in questo
muodo , chio facesse i fatti miei, che loro farebbono i suoi. Onde, non volendo
li predetti consentire a questo ragionevol mio proposito, et oltre havend io
hauto molte sinistre e cative informatione di lui, che pieno di mal francioso, giovane poco accorto
e manco virtuoso, con molti altri mancha- menti della persona sua, con
pochissima robba e quasi niente; ho publicato di non volere in alcun muodo
esser pi moglie di suo figliuolo , et hogli fatto sapere che fac- cino i fatti
suoi, chio far i miei. Onde per questo suc- cesso io mi trovo molto malcontenta
e soddisfatta, e tanto pi quanto vedo ancor mio patre poco amorevole dellaltre
sue figliuole, stare fermo in quel primo proposito di volere ch'io piglia anche
costui per marito, non curando il grave lamento, li stridi e il tumulto delle
sue figliuole, de generi e nepoti; ahi quali io non posso patire, n mai so per
sopportare, che gli sia fatto s grave danno et espresso torto, essendo elle
tutte poverissime. S che, magnifico come patre honorandissimo, io mi trovo in
questi travagli e guai, come ha inteso, n so con qual via me ne uscire, merc
del mio ostinato patre, il quale, anchor che sia stato pregato da molti e
diversi huomini da bene , non dimeno non vuole confessare de havere mal fatto,
e pentirse del- lespresso torto che ha fatto alle sue figliuole. E se V. S. con
una sua amorevol lettera non me aiuti , io so affatto affatto disperata. Ch il
parentado vada innanzi , io non vi APPENDICE. 241 cognosco ordine alcuno , si
per la villania usata , come ancho per le cative qualit da lui; et ancho perch,
es- sendo successo tra noi queste male sodisfattone e rumori, io so certissima
chio non ce harei mai un hora di bene; onde mi so resoluta per il meglio di non
volere altrimente che il parentado segua. E per seguire questo mio buono
proposito, la prego quanto pi so e posso, che mi dia aiuto e consiglio da
removere mio patre dalla sua dura ostina- tione, la quale tengo al fermissimo,
che per persuasione di V. S. lui lascier da parte, per haverla molto in os-
servanza e riverirla da maggior suo osservandissimo. Io star ad aspettare che
V. S. mi dia qualche consiglio, e che persuada a mio patre che non vogli, con
tanto grave danno dellaltre sue figliuole, darmi questa discontentezza,
facendosi tenere huomo partiale, crudele e senza piet al- cuna. E se tra questo
mezzo io posso qualche cosa per lei, mi comandi da figliuola, che io sempre sar
prontissima a suoi servigi, e perdonimi, se io non gli scrivo pi spesso, chi
travagli mi tengano s occupata la mente, che alle volte io non so in questo
mondo. Michelagnolo (1) se raccomanda insieme con Francesco a V. S. , mio patre
e mia matre. Io gli bacio la mano; V. S. se degni raccomandarmi a Luisa e a
tutti. Di Gastei durante, l 4 ott.e
1558. (l) Michelangelo e Giovan Francesco, figli di Cornelia- FINE. La mente di
Michelangelo. 16 * INDICE-SOMMARIO PARTE PRIMA. La Cappella Sistina. I.
Michelangelo scopre gli affreschi della vlta della Sistina Giulio II
Risposta di Michelangelo Pag . 3 II. La Sistina il poema sacro dellarte Suo riscontro col poema dantesco Impressione prodotta in Roma appena la vlta
fu scoperta Incertezza sul concetto che
lispirava .... Pag. 4 III. LItalia non ammir sinora che lesteriore del dipinto Non si os, non si pot scrutarne il pensiero
segreto Architetti, pit- tori,
letterati, storici, teologi, ciascuno lesamin sotto un aspetto particolare,
senza abbracciarne il concetto generale
Molti coe- tanei supposero che velasse un mistero Nessuno os pale- sarlo Parole del Dolci nel Dialogo delle
pitture Quale pu essere il concetto
segreto Pag. 6 IV. Rinascimento classico in Italia Firenze centro del rinasci- mento filosofico
e artistico Lorenzo De Medici il
Magnifico Accademia Platonica Politeismo religioso e filosofico Cri- tica e razionalismo Tendenza segreta ad una riforma reli-
giosa Genesto Pletone, Ficino Rinascimento biblico Pico, la Cabala e l antichit Ebraica Reuchlino
La Bibbia Pag. 9 V. Michelangelo
accolto in casa dei Medici Seduca
alle dot- trine di Platone Poliziano ,
Ficino , Pico della Mirandola gli spiegano il senso dei miti antichi Gli suggeriscono i primi sog- getti delle sue
opere Pag 16 244 INDICE-SOMMARIO. VI.
Battaglia di Ercole e i Centauri
Significato simbolico Morte di
Lorenzo il Magnifico Savonarola Sue prediche
Impressione che ne riceve Michelangelo
Scolpisce il S. Gio- vanni, nunzio della nuova Redenzione Pag. 18 VII.
Rivoluzione di Firenze I Medici
scacciati Statua di David Simbolo politico Parole del Vasari intorno a questa statua
Pag. 20 Vili. Primo soggiorno a Roma di Michelangelo Alterna, come Dante, i soggetti dargomento
classico a quelli biblici LItalia non pu
rinunziare all antichit classica del Paganesimo , che segna 1 epoca della sua
grandezza Come raffronto al David
immagina la statua di Ercole che abbatte Caco
Sconforto del- l artista Smette
ogni lavoro Tristizia dei tempi Condi- zione infelice d Italia . Pag. 21 IX.
Giulio II e Michelangelo Due anime
grandi che si compren- dono Il sepolcro
di Giulio e il sepolcro dItalia Statua
del Mos Mos liberatore e
legislatore Giulio gli impone di di-
pingere la vlta della Sistina Pag. 24 X. Dubitanza e timore di accingersi
allimpresa, come Dante ad intraprendere il poema sacro S accinge al lavoro Rifiuta ogni aiuto Lo termina Pag. 23 XI. Il Poema della Sistina
e il Poema dantesco IL parlar co- perto
nella poesia, e il simbolismo nellarte
Detto del Roma- gnoli sul contrabbando delle idee LItalia costretta da secoli a velare e
dissimulare le sue idee Linguaggio esoterico
ed essoterico Lepoca della luce La nuova critica apre e schiara i misteri
antichi Pag. 28 XII. Meraviglia prodotta nei coetanei quando scopr i dipinti
della vlta Impressione di sbalordimento
e di terrore che destano tuttavia
Quale il pensiero che li
domina? Una risposta fa- cile ma non
convincente Michelangelo abbandona ogni
mito .ieratico e cristiano Crea un nuovo
simbolismo .... Pag. 30 XIII. Analisi del dipinto Tre figure, tre protagonisti dominano la
scena e porgono la chiave delloscuro poema
Amano, il Ser- pente di bronzo c Giona
Il falso crocefisso e il vero mar- tirio Pag. 34 XIV. Cosa rappresenta
ciascuna di queste figure Aman e il Ser-
INDICE-SOMMARIO. 245 pente di bronzo aprono la prima parte del poema Loro si- gnificato storico e simbolico Significato dei medaglioni e delle diverse
figure Pag. 36 XV. Giona apre la seconda parte del Poema L uomo liberato dallorco La vera redenzione La nuova creazione Sim- bolismo biblico La Chiesa adultera e la Chiesa legittima Il falso Cristo e il vero La Chiesa futura I Profeti e le Si- bille La Giudea, 1 Ellenia e Italia La Palingnesi umana Daniele
Il giudizio dei popoli e dei re Pag . 40 XVI. Trent anni dopo Vicende politiche L Italia preda agli stranieri Giulio II
Lega di Cambray Francia e
Spagna Lotta eroica di Firenze contro
Spagna e Clemente VII La Ri- forma
luterana Tristizia dei tempi Michelangelo, come sde- gnosa protesta ,
dipinge il Giudizio Universale Pag. 45 XVII. Laffresco del Giudizio Giovane, scolp la lotta drcole contro i
Centauri ; vecchio, il Giudizio sul Papato
Cristo de- nudato contrapposto al Cristo orpellato La realt contro il sofismo e lipocrisia Analisi del dipinto S. Pietro respinto La Grazia e la Legge Condanna del Papato I falsi Santi
La pelle o la maschera? Il
Vaticano e lantro di Averno Messer
Biagio custode del Vaticano Gli
Eletti La nuova Chiesa e lantica Un nuovo domma che sorge, lantico che
cade La scienza Pag. 48 XVIII. La
Basilica di S. Pietro il Paradiso della
grande tri- logia michelangiolesca S.
Pietro compendia la Storia del Ri- nascimento
il vero tempio italico Primo
disegno della Basilica Sangallo Lo stile gotico Il domma cattolico, il Medioevo e la sua
Architettura Oscurit e mistero Luce e scienza Lo stile italico Brunelleschi
Il Rinascimento Pag. 55 XIX. Concetto di Michelangelo sulla Basilica Vuol farne il tempio de templi Ecletticismo italico Umanesimo
Il vacuo sublime La Cupola Copernico
Bruno Galileo Lin- finito nel tempio, l infinito ne cieli
Pag. 59 16 246 INDICE- SOMMARIO. PARTE SECONDA. HjtLonao, il figlio e il
cittadino. I. Luomo spiega lartista
Opinione della Colonna su Michelan- gelo
Dote che privilegia luomo grande: confronti Lunit della sua vita La sua individualit Si leva come modello al popolo italiano Pag.
65 II. Il figlio Michelangelo nella vita
domestica Sue lettere al padre, al
fratello Lavora per la sua famiglia Amorevolezze al padre, ai fratelli Consigli al nipote per condurre moglie Fierezza e cortesia Liberale cogli altri, duro a s stesso Pag. 67
III. Rapporti suoi coi Papi Sua
indipendenza e fierezza Aned- doti Pag.
74 IV. Il cittadino Servilit dei
letterati e degli artisti Cortigia-
neria e consorteria Mecenati e servi Diffcili condizioni in cui si trov
Michelangelo Assedio di Firenze Il romanzo di Guerrazzi solo degno d unItalia
libera Pag. 76 V. Firenze difesa da un artista e da un operaio Michelangelo e Ferruccio Operosit e oculatezza di Michelangelo Cospira- zioni e tradimenti Sospetti di Michelangelo Va a Ferrara, a
Venezia per soccorsi Ritorno a
Firenze Difesa Sonetto politico Caduta della Repubblica Il guerriero ritorna artista Lartista scampa dalla morte il
repubblicano Come riven- dica la libert
oppressa Pag. 79 VI. I sepolcri medicei
Il Pensiero Il Guerriero Il Sonno , il Crepuscolo Significato del Deposito Il busto di Bruto Pag. 85 VII. Michelangelo
si ritira a Roma Pag. 90 PARTE TERZA. "Vittoria, Colonna. I. Dopo la
famiglia e la patria, la donna Il
femminile nella let- teratura italiana
Ad ogni poeta la sua donna uniti nella vita INDICE-SOMMARIO. 247 e
nellimmortalit Lamore nelluomo di
genio L ideale fem- minile ne poeti e
artisti italiani Pag. 95 II. Lideale di Michelangelo e la sua teoria dellamore
. . Pag. 98 III. La donna e gli artisti
Confronti La donna dell Evangelo
e la biblica La donna forte ove
trovarla? Pag . 102 IV. Let dei forti amori
Le tre fasi damore descritte da Dante
Il simbolismo dantesco realizzato nella vita di Michelangelo Suo primo incontro con Vittoria Colonna Pag .
106 V. Ritratto della Marchesana Pag. 110 VI. Fasi diverse del loro amore Dallidillio al misticismo e al- lelegia Pag.
ili VII. Michelangelo invia a Vittoria lavori darte Le fece il ri- tratto? Pag. 119 Vili. Lanimo della
Colonna il tipo della donna del
Rinasci- mento Pag. 121 IX. Sue nozze col Pescara Sua vedovanza Pag. 123 X. Si ritira in un
monastero Soggiorno di lei a Ferrara, a
Na- poli, a Viterbo e a Roma Pag. 125 XI. Sue idee religiose Movimento della riforma religiosa in Italia
Pag. 128 XII. Feroce guerra di Paolo III contro i Colonna Resistenza e di- sfatta dei Colonna Ultima lettera di Vittoria a Michelangelo
Pag. 131 XIII. Sua malattia e sua morte . Pag. 138 XIV. Michelangelo dopo la
morte di Vittoria Egli pure invaso dal pensiero della morte Pag. 140 XV.
Si concentra nel lavoro della Rasilica * Pag. 141 XVI. Le sue ultime
poesie Combattimento interno Fede e dub- bio Fatalit
Libero arbitrio Predestinazione e
provvi- denza Edipo a Colono Il Manfredi di Byron e Michelangelo alle
prese colla morte Sua morte Pag. 143
XVII. Esequie Benvenuto Cellini Tramonto d un secolo Pag. 149 248
INDICE-SOMMARIO. PARTE QUARTA. Lartista. I. Artista e pensatore Il suo genio campeggia sovrano nellarte I geni dellumanit Luomo del presente, luomo dellavvenire I geni profetici pag. 153 II. L arte per l
arte e l arte-pensiero Michelangelo
imprime forma all idea , determina l indeterminato : dipinge col cer- vello
Pag. 156 III. I suoi dipinti sono il moto, la passione Il manierismo
Il realismo volgare e il grande realismo
Lantropomorfismo greco e quello di Michelangelo Il sentimento della natura in
Michelangelo Ama la natura e loltrepassa La grande arte per lui luomo
Luomo individuo, luomo nella storia Pag. 158 IV. Ne suoi dipinti
conviene cercare il pensiero I libri a
cui sispirava Pag. 161 V. La Bibbia
Dante, Savonarola e Platone La
Bibbia proibita dal Papato Antinomia tra
il falso Cristianesimo e le dottrine politiche e morali dellantico Testamento
Pag. 163 VI. Le eresie del medio evo
Gergo antipapale e Ghibellino *
Rossetti Nuovo commento di Dante Pag.
167 VII. Riformatori italiani
Rinascimento classico e biblico
Eclet- ticismo filosofico
Conciliazione religiosa Pag. 170 Vili. Savonarola e la Riforma I focolari della Riforma in Italia L Oratorio del Dioino Amore Il Congresso di Vicenza del 1515 Pag. 175 IX.
Reazione cattolica, persecuzioni Effetti
della reazione sulle arti Pag. 179 X. Larte
la coscienza dItalia e la sua parola
Michelangelo raccoglie il pensiero del Rinascimento Pag. 81
INDIDE-SOMMARIO. 249 PARTE QUINTA. Le sue opere. I. Michelangelo e Goethe:
Michelangelo domina, come Goethe, il suo secolo
Vive la vita del suo secolo Concetto
religioso e sociale che ispirarono le sue opere
Il Tondo La famiglia mistica e la
reale Il gruppo della Piet La passione di una madre Il Deposito della Croce Il vecchio e il nuovo Cristo Pag. 185 II.
Ancora la vlta della Sistina e il Giudizio Universale Opi- nioni del Michelet e del Castelar Il nuovo simbolismo Si espli- cano meglio le principali figure
della vlta Pag. 189 III. Ancora del Giudizio Universale La Rivoluzione che atterra ed edifica Pcig
196 PARTE SESTA. Il pensatore e lEresiarca dell Arte. I. Segreto di
Michelangelo Lambiente La lunetta della vlta Loqui prohibeor et tacere non possum Pag. 199
II. Quale fu la religione da lui professata?
Opinioni diverse Pag. 201 III. Suoi sonetti e stanze contro Roma
papale Michelangelo sera scisso dal
Cristianesimo? Pag. 204 IV. Lotta tra il dubbio e la fede Il Cristianesimo storico e il Cristianesimo
ideale L Evangelo storico e l Evangelo
eterno La essenza delle religioni Pag.
208 V. Segue lo stesso argomento Oziosit
delle discussioni sulla bont o meno di un culto
Il culto del vero, del bello, del buono Pag. 212 VI.
Artisti-sacerdoti Eclettismo religioso
di Michelangelo Pag. 214 VII. Ritorno nella Sistina Limmanenza del divino nellumanit Larte perenne e i suoi tipi I Rapresentatives Mens Sim- bologia dellUmanesimo e gli uomini che
rappresentano lUrna- 250 INDICE- SOMMARIO. nit
Il Giudizio Universale e la Rivoluzione
Mausoleo di Giulio II La
sublimazione della materia Pag. 215 Vili. Conciliazione fu lultima parola della
Rinascenza Eleva- zione fu il motto
dellarte michelangiolesca e dovrebbe esserlo del Rinnovamento italico Il realismo moderno e il realismo di
Michelangelo Levoluzione dominata dal
Pensiero Michelan- gelo precursore
dellarte futura Pag. 219 EPILOGO. Tre periodi della sua vita Triplice serie di opere: quelle del- l et
giovanile, dell adulta e della vecchiaia
Suo intento Si epiloga nel Mos,
nella Basilica di S. Pietro, tempio dellU- manit Influenza da lui esercitata nellarte Giudizio di Boito Reazione cattolico-spagnuola Servilismo
Ipocrisie Finzioni spettacoli e
apparenze Il barocco Larte che lu- singa, fiacca, sopprime il
pensiero La musica, arte della de-
cadenza Michelangelo combatte il
convenzionalismo e le fin- zioni Inizia
larte libera Leresiarca dellarte Dante rias- sume il medio evo; Michelangelo
corona la Rinascenza, inau- spica il Rinnovamento Da lui si devon prendere gli auspici Come ricre Roma artistica , la sua mente
potrebbe rinnovare Roma morale e politica Pag. 227 Appendice Pag. 237 GETTY
RESEARCH INSTITUTE 3 3125 01295 7128 OPERE DELLO STESSO AUTORE Patria f.
Affetti Liriche. Emma Liona o I Martiri
di Napoli nel 1799 Dramma storico. Lunit
Cattolica e lunit Moderna Questione Ro-
mana. Democrazia e Papismo Questione
Romana. Il Profeta o la Passione di un popolo
Poema-Dram- matico. Martirio e Redenzione Canti patrii. Ausonia. Vita dAzione. Vita di Pensiero Ricordi e Liriche. Demeter. Cuor di
Madre Racconto in versi, e saggio sullIdeale
Femminile in Italia. Lo Stato in Italia
Nuovo programma. Il Femminile Eterno. Canto dei Cantici La donna nelle civilt dei popoli.Michelangelo
Buonarroti Simoni. Keywords: the theory of everything. Refs.: “Grice e
Simoni.” Simoni.
Luigi Speranza -- Grice e Simoni: la ragione
conversazionale degl’ ‘eretici’ reazionari italiani – gl’acuti – i nobili – filosofia
toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Lucca). Filosofo italiano. Lucca, Toscana. Studia
con BENDINELLI e PALEARIO, due umanisti in dore d’eresia. Il secondo fine sul
rogo a Roma. Legge sostenuto dal padre e dal patrizio veneziano MOCENIGO e peregrina
nei maggiori studi d'Italia: Bologna, Pavia, Ferrara, e Napoli. Si laurea a Padova.
Diversi ma tutti autorevoli i suoi professori: da MAGGI a CARDANO, da BOLDONI a
BRASAVOLA. La sua formazione e di stampo del LIZIO, come s'insegna nello studio
padovano, con una forte esigenza razionalistica che ha riflessi nel campo
religioso, tale da mettere in dubbio l'immortalità dell'anima e a creare
sospetti di eresia tra i professori e gl’studenti di quella università. Con
questa preparazione, S. fa ritorno a Lucca, dove scrive saggi di argomento
filosofico. Lucca ha vissuto un periodo concitato d’aperti conflitti
sociali e poi di tentativi di riforme politiche, portate avanti dal
gonfaloniere BURLAMACCHI e dal circolo di filosofi riuniti intorno a VERMIGLI. Quando
ritorna a Lucca, quella fervida attività è già stata spenta dalla reazione
cattolica guidata da GUIDICCIONI, ma certo quelle idee di riforma circolano
ancora sotterraneamente, e forse lui stesso le ha già raccolte durante i suoi
trascorsi nelle diverse università da lui frequentate. Sta di fatto che è chiamato
dall’autorità lucchesi a dare spiegazioni sulle proprie opinioni. Per tutta
risposta non fidandosi troppo delle sue forze, cerca la salvezza con la fuga. Munito
solo di un cavallo e dei propri risparmi, dopo aver preso commiato dalla
famiglia, fugge, accompagnato da un servitore, alla volta di Ginevra. Negl’atti
ufficiali della repubblica di Lucca, la sua condanna per eresia si formalizza. A
Ginevra, patria del calvinismo, si forma una numerosa colonia di emigrati
italiani e tra questi non pochi sono i lucchesi. La comunità italiana è
inserita in una propria chiesa e S. vi ha l'incarico di catechista. Preso a
benvolere dall'influente teologo BEZA, ottenne di insegnare filosofia: un
incarico dapprima senza compenso, poi retribuito insieme con la nomina a professore.
Anche il padre Giovanni si stabilì a Ginevra. In quello stesso periodo gli
venne aumentato lo stipendio, ottenne un alloggio gratuito e, nell'accademia è istituita
appositamente per lui la cattedra. Pubblica saggi. Presso Crespin apparve
il suo “In librum Aristotelis de sensuum instrumentis et de his quae sub sensum
cadunt commentarius unus” è il commento al “De sensu et sensibilibus” di
Aristotele. In esso define la verità filosofica -- una premessa tipica del
lizio padovano ma poi cerca di dimostrare che la ragione, indagando la natura,
può giungere al divino, rivelando le verità di fede. In tal modo, sostiene che
anche ogni questione ha natura razionale e, qualora sorgano contrasti, la
ragione è in grado di comporli, indicando la via da seguire per una corretta
interpretazione. Una conseguenza, seppure non esplicita nel commento, della
prevalenza della ragione sulla fede, è che il dogma espressione della
tradizionale sub-ordinazione della ragione alla fede non ha motivo di esistere.
Il suo LIZIO che poco concede alla teologia si conferma con i successivi
commenti all'Etica Nicomachea e al De anima, mentre S. condusse una lunga e
dura polemica contro il filosofo Schegk. Questi, proprio all'opposto del S. usa
argomenti tratti dalla scolastica per dimostrare la realtà della teoria, allora
caldeggiata in ambienti luterani, della ubiquità del corpo di Cristo. S.
risponde con argomenti di carattere fisico dimostrando l'irrealtà di tale
assunto. Un olo corpo fisico non può che occupare, nello stesso tempo, un unico
spazio determinato. Anche Cristo, in vita, e soggetto alla legge naturale. Dopo
la morte, Cristo mantenne soltanto una natura divina. Non è sostenibile l'idea
che il divinopossa mutare una legge naturale in legge trans-naturale o
sovra-naturale. Ente perfetto e primo motore immobile come lo delinea
Aristotele il divino agisce sulla natura unicamente attraverso la sua
perfezione che indirizza al bene gl’esseri naturali. Il suo carattere
collerico e l'alta considerazione che ha di sé lo porta a una lite clamorosa
con BALBANI, un altro lucchese. Durante il matrimonio della figlia di questi, S.
lo copre d'insulti, con grave scandalo delle autorità di Ginevra, che fanno
imprigionare S. e lo espulsero dall'accademia. A nulla valsero le suoi scuse
presentate -- è del resto probabile che la severità del consiglio e del
Concistoro ginevrino e motivata anche dalla freddezza e dallo suo spirito
d'indipendenza dimostrato che pure si dichiara calvinista in materia di
religione. Tuttavia BEZA gli mantenne ancora la sua amicizia e lo forne di una
lettera di raccomandazione con la quale si dirige alla volta di Parigi. A
Parigi ottenne una buona accoglienza. I calvinisti qui chiamati ugonotti sono
ancora tollerati e le lusinghiere referenze gli fanno ottenere una cattedra di
filosofia al collège royal, dove le sue lezioni ottenneno subito un grande
concorso di pubblico. Come scrisve a BEZA, alle sue lezioni assistevano sei o
settecento uomini barbati, dottori, professori, et altri di robba lunga, preti,
frati, giesuiti et altra simil razza d'uomini. Si ha congratulazioni di RAMO,
che volle incontrarlo e lo chiama “felicissimum et praestantissimum ingenium
italicum”, non però quelle del collega CHARPENTIER, che teme che fosse stato
mandato da Ginevra per turbare questa scuola. Sa che la sua permanenza a Parigi
è precaria. Il nome di Ginevra mi nuoce più che il nome di ugonotto -- né puo
valere molto la protezione del cardinale COLIGNY, passato al calvinismo. Rifere
di aver rifiutato offerte sostanziose da parte cattolica per insegnare in loro
collegi, a prezzo di una sua conversione, e di attendersi un prossimo editto che
affronta il problema della convivenza tra cattolici e ugonotti. Un editto
effettivamente ci e, emanato da Carlo IX, con il quale si proibe ai protestanti
l'insegnamento pubblico. Così, perduti anche i suoi saggi che gli furono
sequestrati, e costretto ad abbandonare la Francia. Si apre un nuovo
periodo di difficoltà. Non potendo insegnare a Ginevra, cerca di ottenere un
incarico a Zurigo e a Basilea, sollecitando in tal senso altr’emigrati italiani
come l'editore PERNA e il filosofo umanista CURIONE, ma invano. I sospetti di
anti-trinitarismo che gravano sul suo conto, da quando fa visita nel carcere di
Berna all'eretico GENTILE poco prima che
questi venisse giustiziato, e il recente scandalo provocato a Ginevra non
agevolavano il suo inserimento nelle élite filosofica delle città
svizzere. Ottenne bensì una raccomandazione da BULLINGER per un posto di
insegnante a Heidelberg, ma anche qui rimane poco tempo. La sua amicizia con
l'anti-trinitario ERASTO, il suo a LIZIO senza compromessi dal nulla, nulla si
crea, sostenne in una pubblica lezione, cosicché anche Cristo era stato creato
dal divino Padre e il suo carattere spigoloso gl’alienarono ogni simpatia e
dove riprendere la via di Basilea. Ottenne una cattedra straordinaria di
filosofia a Lipsia. Se puo fregiarsi della stima d’Augusto I, non eguale
considerazione ottenne dai suoi colleghi, che fanno gruppo a sé e lo isolarono.
Non si perde d'animo. Molto popolare tra gli studenti per la vivacità delle sue
lezioni e lo spirito critico che infonde negl’allievi, fonda, all'interno
dell'Università, un'accademia sul modello umanistico italiano, battezzandola degl’acuti.
Degl’acuti, entra a far parte un gruppo di suoi studenti. Le discussioni
dovevano vertere sulla interpretazione di passi del LIZIO i filosofi così
raggruppati intorno a lui dettero ben presto dello spirito critico e dell'idea
di esser superiori agl’altri, che il vivace professore finisce per insinuare
nei loro animi. Pasquinate anonime contro un professore, e un litigio clamoroso
tra questo e S., iniziano una serie di incidenti che ha termine con la
soppressione degl’acuti. La soppressione degl’acuti, decisa dal senato
universitario, testimonia i difficili rapporti intercorrenti tra l'università e
lui, che per altro in città era reputato ospite illustre, professionista
affermato e ricercato, uomo di mondo e di cultura dalla posizione prestigiosa,
che gode della stima e del rispetto dei suoi concittadini, e la cui fama
oltrepassa la frontiera del paese che gli dava ospitalità. Infatti, oltre a
insegnare filosofia e ad avere allievi anche illustri, come il prìncipe RADZIWIŁL,
esercita la professione medica, vantando clienti di riguardo. Pubblica il suo saggio
filosofico più originale, la “De vera nobilitate”, dedicato ad Augusto I. La
vera nobiltà è la virtù (ANDREIA) dell'anima umana, la quale è intesa alla
maniera del LIZIO, come forma del corpo. La virtù dell'anima è perciò
strettamente legata alla particolare costituzione del corpo, trasmessa
nell'individuo di generazione in generazione dal seme del padre, che
costituisce la causa efficiente del singolo essere. Non per nulla da ‘genere’ deriva
‘generoso’. Se pure non ogni nobile è generoso, chi è generoso è considerato
nobile. Le differenze sociali tra gl’uomini e le conformazioni dei loro corpi
sono egualmente corrispondenti per necessità naturale. La natura vuole infatti
fare diversamente il corpo dei liberi da quelli dei servi. Questi robusti e con
deformità necessarie al loro particolare utilizzo. Quelli diritti e belli,
perché non desti tali fatiche, ma alla vita civile. L’educazione svolge una
funzione per la formazione dell'uomo, ma resta inferiore a quella naturale. Di
due uomini, di diversa estrazione sociale ma educati allo stesso modo, il
nobile risulta meglio formato, in quanto la natura lo ha costituito di una
materia superiore. L'educazione ha lo stesso effetto della medicina. Fa recuperare
la propria condizione di salute, ma non può migliorarla oltre il limite fissato
dalla natura. Viene da sé che le famiglie nobili d’Italia diano lustro
alla nazione italiana, formando l'élite della società civile sotto l'aspetto
culturale e politico. Questo avviene nella nazione italiana, di antica civiltà in
sostanza. Presso i barbari non può esistere nobiltà. Il barbaro e giustamente
detto servo per natura e in quanto servo non porta in lui nessuna virtù,
essendo nato per servire sotto una tirannia e non in un regio e civile governo.
La virtù dei nobili non possono consistere nell'accumulare ricchezze, ma essa e
ugualmente attiva e pratica. E la virtù civili del politico, che si occupa del
benessere dei cittadini, quelle del medico, che si occupa della salute degl’individui,
del fisiologo, che studia la natura e infine del metafisico, che studia le cose
divine. Queste ultime, insieme alla virtù della contemplazione, è però meglio
riservarle nella vita che ci attende dopo la morte, quando quei problemi
saranno facilmente risolti. Queste cose sono irrise dai politici, tra i quali,
non tra gl’angeli, si discute di nobiltà. Nel frattempo, è opportuno dedicarsi
alle cose di questo mondo ed essere utili alla società degl’uomini. Si loda
Socrate il quale, trascurate le altre parti della filosofia, coltiva quella
sola che era più adatta ai costumi degl’uomini e alle istituzioni civili. Che
la vera nobiltà si debba esprimere nell'attività pratica e civile è ribadito
più volte. La nobiltà spunta fuori dalla società civile, non dalla solitudine e
la virtù spirituale, come quelle mostrate dai mistici e dai contemplativi,
non e virtù nobile propria dell'essere umano. Questa virtù discende direttamente
dal divino e perciò non derivano da generazione spermatica naturale del padre,
non sono frutto della carne e del sangue il fondamento della vera nobiltà e non
essendo ereditarie non puo essere considerata virtù nobile. Naturalmente, ai innobili
non possono essere affidati incarichi di responsabilità nel governo della
società, ma al più solo l'esercizio di magistrature minori. Derivando dal
sangue la nobiltà, non si può diventare autenticamente nobili attraverso
conferimenti onorifici, anche se concessi d’un sovrano mentre, al contrario, un
autentico nobile non può essere privato della fama e dell'onore, perché in lui
opera sempre quella forza e quell'efficacia naturale ricevuta dai suoi antenati.
Dopo questa applicazione dei principi del LIZIO al vivere civile e al governo
dello stato, che deve essere affidato a chi per natura fa parte degl’ottimati,
si dedica a trattare temi propriamente medici. Appare a Lipsia il suo “De
partibus animalium” ove descrive la conformazione del feto, la “De vera ac
indubitata ratione continuationis, intermittentiae, periodorum febrium
humoralium”; l'”Artificiosa curandae pestis methodus” ; la “Synopsis brevissima
novae theoriae de humoralium febrium natura” -- temi di drammatica attualità, a
Lipsia, investita da un'epidemia di peste. Ottene il permesso di
esercitare la professione medica all'interno dell'università, pur senza
ottenere, oltre quella straordinaria di filosofia, anche una cattedra di
medicina. Presenta ad Augusto I una proposta di riforma universitaria. S'indica
la necessità di una maggiore cura nell'assunzione dei professori, che dovevano
dimostrare non solo di possedere la necessaria scienza, ma anche capacità
didattiche. Dovevano anche essere obbligati a tenere un maggior numero di
lezioni s'imponevano multe ai professori inadempienti mentre la durata
dell'anno accademico venne prolungata. Particolare cura dedica
all'insegnamento. Dovevano tenere lezioni V professori, tra i quali un chirurgo
che avrebbe tenuto esercitazioni di anatomia e fatto dimostrazioni pratiche di
cura delle diverse affezioni. La qualità dell'insegnamento teorico anda migliorata.
Ritene che corressero troppe affermazioni dogmatiche, che sarebbero dovute
essere verificate dalla pratica e dal rigore della dimostrazione dialettica. A
questo proposito opina che avrebbe giovato un'accurata conoscenza delle opere del
LIZIO. Non mancano poi critiche severe sull'attuale andamento a Lipsia. I
rettori sono scelti grazie alle loro aderenze, si promuovevano studenti
immeritevoli, vi è scarsa pulizia, la farmacia universitaria è mal tenuta. Tali
proposte e simili critiche non potevano che alimentare ancor più l'ostilità dei
colleghi. Egli non sembra preoccuparsene. La stima dell'Elettore Augusto si
mantene immutata, se lo fa nominare Professore di filosofia e lo promuove a suo
primo medico personale. Avvenne tuttavia che, su sollecitazione della chiesa
luterana, la quale prepara una confessione di fede che in particolare tutti
funzionari e gl’impiegati, a vario titolo, dello stato avrebbero dovuto
firmare, l'elettore pretese tale sottoscrizione anche dal professor S.,
ottenendone un netto rifiuto. Racconta lo stesso S. che, avendo rifiutato
costantemente di sotto-scrivere quella che i teologi sassoni denominarono
Formula di Concordia, il Principe Elettore rivolge il suo sdegno contro di me. Al
che S. decide di andarsene e, nonostante l'Elettore cerca d'impedirlo, da
l'ultimo saluto a quelle popolazioni. Si trasfere a Praga, dove venne assunto
quale medico personale di Rodolfo II. Tale incarico e il carattere cattolico
dell'Impero di cui era ora suddito rendeva necessario un chiarimento sulle sue
posizioni religiose, poiché è nota la rottura avvenuta a Ginevra con i
calvinisti e a Lipsia con i luterani. S. si adegua facilmente alla nuova situazione
e abiura pubblicamente le passate convinzioni, ritratta quanto nei suoi scritti
poteva esservi di eretico e abbraccia formalmente il cattolicesimo. Si tratta
di una scelta di convenienza, seppure comprensibile nel clima torbido delle
persecuzioni e dell'intolleranza. Lo scrive lui stesso all'amico Selnecker, un
teologo luterano. Confesso di aver abiurato, anche se non avrei voluto farlo
neppure a costo del mio sangue. Di tale mio atto altri comunque sono i
responsabili. In nessun altro modo avrei potuto infatti salvare la mia vita,
quella di mia moglie e dei miei figli che speravo di poter condurre con me. La
moglie muore poco dopo e i tre figli rimasero affidati a Lipsia al nonno
materno. Io, un italiano perseguitato a causa della religione luterana,
dichiarato nemico della patria, esposto per decreto del senato all'agguato di
sicari. E ricorda la sorte di chi non si è piegato a compromessi. I che vidi
con questi occhi il Paleologo, esule per causa di religione, condotto su
richiesta del legato pontificio dalla Moravia a Vienna, e di qui trascinato in
catene a Roma (si sente dire che ormai è stato crudelmente arso sul rogo), io
che sono circondato da ogni parte da infinite difficoltà e pericoli di ogni
genere, che cosa avrei dovuto fare? Questa lettera non venne agl’occhi dei
gesuiti, che vantarono il successo ottenuto con la presunta conversione del
filosofo famoso, il quale avrebbe promessoa dir lorodi collaborare nella lotta
agl’eretici. La loro soddisfazione non dovette però durare a lungo, o forse
essi stessi credettero poco alla conversione del S., se lo storico gesuita SACCHINI
puo qualificarlo di miserabile uomo che in disprezzo di ogni religione sprofonda
nell'empietà, mentre tra i protestanti BEZA, alla notizia della sua
conversione, commenta di essere sempre stato convinto che l'unico divino è in
realtà Aristotele, del Lizio. Monau, dopo aver ricordato i suoi continui
trascorsi da cattolico si è fatto calvinista, da calvinista anti-trinitario, da
anti-trinitario luterano, e ora di nuovo papista. Lo stratteggia da uomo
profano ed empio, come indicano sia i suoi costumi, sia i suoi discorsi, sia
tutta la sua vita. Forse egli stesso sente di essere circondato da un clima di
diffidenza se non di disprezzo, perché prende la risoluzione di lasciare le
terre dell'impero per trasferirsi in Polonia. Sembra che sia stato un
altro italiano, BUCCELLA, medico personale del re Stefano Báthory, a
raccomandarlo come medico della corte di Cracovia. BUCCELLA, di fede
anabattista, gode di notevole considerazione, né la sua fama d’eretico gl’aveva
pregiudicato l'esercizio della professione in quella Polonia che era ancora un
paese tollerante. Il prestigioso incarico e la fama stessa di cui da tempo gode
gl’apre le porte della migliore società. Riprese a pubblicare alcuni saggi: la “Disputatio
de putredine” è una confutazione, sulla scorta di Aristotele del Lizio, delle
teorie d’Erasto, mentre la “Historia aegritudinis ac mortis magnifici et
generosi domini a Niemsta” è una relazione sulla morte di un borgomastro. Sulla
malattia di quest'ultimo torna nel “Simonius supplex” insieme con una delle solite
polemiche che lo videro ora opporsi al medico di SQUARCIALUPI. Una nuova svolta
nella sua si verifica con la malattia e
la morte del re Stefano. Báthory si sente male nel suo castello di Grodno, e
nel consulto tenuto da BUCCELLA e da S. emersero serie divergenze. BUCCELLA giudica
molto grave le condizioni di Stefano. S. ritenne che non ci è nessun pericolo.
Due giorni dopo le condizioni del re si aggravarono e i due medici si trovarono
d'accordo nell'imporre un salasso al re ma in contrasto sulla dieta. S. e
favorevole a fargli bere del vino, che BUCCELLA intende invece proibire.
Nemmeno nella diagnosi si trovarono d'accordo. Per BUCCELLA, il re soffre di
asma. Per S., d’epilessia. Sopravvenne una nuova grave crisi e il re perde
conoscenza. Pur giudicando molto gravi le sue condizioni di salute, S.
rassicura i circostanti, perché, a suo dire, non c'è ancora pericolo di morte.
Appena pronunzia queste parole che il re spira. Lascia il castello e non volle
assistere all'autopsia, sostenendo che è inutile, poiché l'epilessia “ab
infernis partibus ducit originem” e non lascia tracce nel cadavere. Coordinata
da BUCCELLA, l'autopsia è effettuata da Zigulitz, che accerta una grave
alterazione dei due reni. La ri-cognizione dello scheletro di Báthory conferma
che la morte avvenne per de-generazione renale, uremia e calcolosi. Cracovia:
chiesa di San Francesco pubblica a sua difesa lo “Stephani primi sanitas, vita medica,
aegritudo, mors” che e violentemente contestato dal “De morbo et obitu
serenissimi magni Stephani” scritto da Chiakor su ispirazione di BUCCELLA. La
polemica prosegue a lungo, coinvolgendo altr’amici di BUCCELLA, e degenerando
in insulti e attacchi sulle convinzioni filosofiche dei due protagonisti. Contro
S., tra gl’altri, e indirizzato l'opuscolo “Simonis Simoni lucensis, primum
romani, tum calviniani, deinde lutherani, denuo romani, semper autem athei
summa religio”. Alla fine, Sigismondo III ri-conferma BUCCELLA nella carica di
medico curante, escludendo S. da ogni incarico di corte. Da allora, le
notizie su lui si fanno scarse. Pur senza avere incarichi ufficiali, mantenne
una ricca clientela e gode della considerazione di Rodolfo, dei principi Radziwiłł, di Pavlowski e
dei gesuiti, dai quali si fa ri-ilasciare un salva-condotto per rientrare in
Italia e recarsi a Roma. Precauzione necessaria, con i suoi trascorsi: una
precauzione maggiore e però quella di rinunciare al viaggio. La sua vita
agitata ha così fine a Cracovia, come lo ricorda la lapide posta sulla sua
tomba nella chiesa di S. Francesco. La data di nascita si deduce dalla lapide
sepolcrale, poi andata distrutta in un incendio, posta nella chiesa di S. Francesco,
a Cracovia, nella quale era scritto che il Simoni «ultimum diem clausit III.” Il
testo della lapide è in S. Ciampi, Viaggio in Polonia, Queste notizie biografiche
si apprendono da saggio di S., “Scopae, quibus verritur confutation”. Per
secoli gli storici discuteno del luogo della sua nascita. Verdigi, “S. filosofo
e medico”, Madonia, “S. da Lucca”; Lucchesini, Come scrive egli stesso: S., “Synopsis
brevissima” Madonia, S. da Lucca, Tommasi, “Sommario della storia di Lucca”; Pascal, “Da Lucca a Ginevra. Studi
sull'emigrazione religiosa lucchese”; Fabris, “La filosofia di S.” n Verdigi, S.,
S. S. a Teodoro di Beza, in Pascal, Da
Lucca a Ginevra, e in Verdigi, S. S. a Beza, in Verdigi, S., Madonia, S. Pierro,
La vita errabonda di uno spirito einquieto. S. S. S., “Simonius supplex” in Madonia, S. da Lucca, Firpo, Alcuni
documenti sulla conversione al cattolicesimo dell'eretico lucchese. Il paleo-logo
e decapitato in carcere e il cadavere
arso pubblicamente a Roma, nel campo de' fiori. Firpo, Alcuni documenti sulla
conversione al cattolicesimo di un eretico lucchese; Sacchini, Historia
Societatis Jesu, in Verdigi, S., Beza, lettera a Gwalther, in Pascal, Da Lucca
a Ginevra, Monau, lettera a Crato, in Caccamo, “Eretici italiani” Pierro, La
vita errabonda di uno spirito inquieto. S., Madonia, S. da Lucca. Altre saggi:
“In librum Aristotelis de sensuum instrumentis et de his quae sub sensum cadunt
commentarius unus” (Geneva, Crispinum); “Commentariorum in Ethica Aristotelis
ad Nicomachum, liber primus” (Geneva, apud Ioannem Crispinum); “Interpretatio
eorum quae continentur in praefatione Simonis Simonij Lucensis, Doct. Med. et
Philosophiae cuidam libello affixa, cuius inscriptio est: Declaratio eorum quae
in libello D. D. Iacobi Schegkii, et c.” (Geneva, Crispinum); “Phisiologorum
omnium principiis Aristotelis De anima libri III” (Lipsiae, Võgelin); Anti-schegkianorum
liber I, in quo ad obiecta Schegkii respondetur, vetera etiam non nulla,
dialectica et phisiologica praesertim, errata eiusdem, male defensa et excusata
inculcantur, novaque quam plurima peiora prioribus deteguntur” (Basilea, Perna);
“Responsum ad elegantissimam illam modestissimamque praephationem Schegkii, cui
titulum fecit Prodromus antisimonii”; “Ad amicum quendam epistola, in qua vere
ostenditur, quid causae fuerit, quod responsum illud, quo maledicus, et multis
erroribus refertus Schegkij doctoris et professoris Tubingensis liber plene refellitur,
nondum in lucem prodierit” (Pariggi, in vico Jacobaeo); “De vera nobilitate” (Lipsiae,
Rhamba); “De partibus animalium, proprie vocatis Solidis, atque obiter de prima
foetus conformatione” (Lipsiae, Rhamba); “De vera ac indubitata ratione
continuationis, intermittentiae, periodorum febrium humoralium” (Lipsiae, Bervaldi);
“Artificiosa curandae pestis methodus, libellis duobus comprehensa” (Lipsiae,
Steinmann); “Synopsis brevissima novae theoriae de humoralium frebrium natura,
periodis, SIGNIS, et curatione, cuius paulo post copiosissima et accuratissima
consequentur hypomnemata; annexa eiusdem autoris brevi de humorum differentiis
dissertatione. Accessit eiusdem Simonis examen sententiae a Brunone Seidelio
latae de iis, quae Jubertus ad axplicandam in paradoxis suis disputavit” (Basilea,
Perna); “Historia aegritudinis ac mortis magnifici et generosi domini a Niemsta”
(Cracovia, Lazari); “Disputatio de putredine” (Cracovia, Lazari); “Commentariola
medica et physica ad aliquot scripta cuiusdam Camillomarcelli SQUARCIALUPI nunc
medicum agentis in Transilvania” (Vilna, Velicef); “Simonius supplex ad
incomparabilem virum, praeclarisque suis facinoribus de universa republica
literaria egregie meritum Marcellocamillum quendam Squarcilupum Thuscum Plumbinensem
triumphantem”; “Pars in qua de
peripneumoniae nothae dignitione curationeque in domino a Niemista, de subiecto
febris, de rabie canis, de starnutamento, de infecundis nuptiis agitur” (Cracovia,
Rodecius); “D. Stephani primi Polonorum regis magnique Lithuaniae ducis vita
medica, aegritudo, mors” (Nyssae, Reinheckelii); “Responsum ad epistolam
cuiusdam G. Chiakor Ungari, de morte Stephani primi”; “Responsum ad Refutationem
scripti de sanitate, victu medico, aegritudine, obitu, D. Stephani Polonorum
regis, Olomutii, Scopae, quibus verritur confutatio, quam advocati Nicolai
Buccellae Itali chirurgi anabaptistae innumeris mendaciorum, calumniarum,
errorumque purgamentis infartam postremo emiserunt (Olomutii, Milichtaler); Appendix
scoparum in N. BUCCELLAM, Sacchini, Historiae Societatis Iesu” (Antverpiae, Nutii);
Ciampi, “Viaggio in Polonia” (Firenze, Gallett); Lucchesini” (Lucca, Giusti); Tommasi,
Sttoria di Lucca” (Firenze, Vieusseaux); Pascal, “Da Lucca a Ginevra. Studi
sull'emigrazione religiosa lucchese” -- Rivista storica italiana, Cantimori, “Un
italiano a Lipsia” Studi Germanici -- Pierro, La vita errabonda di uno spirito inquieto,
Minerva, Torino; Caccamo, “Eretici italiani” (Firenze, Sansoni); Firpo, “Alcuni
documenti sulla conversione al cattolicesimo dell'eretico lucchese S.”, “Annali
della Scuola normale superiore di Pisa, Madonia, Rinascimento, Firenze, Sansoni, Madonia,
Il soggiorno in Polonia, in «Studi e ricerche I», Verdigi, Lucca, Tiraboschi su
S., in Biblioteca Modenese, Modena, Ciampi,
Viaggio in Polonia, Lucchesini, Della storia letteraria del Ducato lucchese, Tommasi, Sommario della storia di Lucca, su S. Antischegkianorum liber I. S., De vera
nobilitate; S/ Artificiosa curandae pestis methodus. I 4*F* SIMON IS SI- MONI I
LVCENSir D O C T. ME D. E T P H I L, COM M EN TAXI OR V rfti IN ETHICAARIST. AD
KICOMA- CHVM,LIBBRPRIMVS: Inquo,omniafereargumenta adPoliticam homfnis Foe-
lieitatem proponcitdam pertinencia, tnt&antur, ^ D I LLVSTRI S S. P R I NCI
PEM D, CHRIST OPHORVM.PALATINV.M,ILLVSTRJ$S. atquc Excellentjfi.Princijj'vs
D.fkide&ici Comim ' &Eie3oruFilittm i Bavaril)Hcem i &'c. 'Com
Indite rerun, omniaaipewa&atarumlocupkttfsimo. * G ' H" E V AEi *ipvn VO^iNNEM
CRISPINVM. *& T^ 2 - zed by G00gle \
* EI? S I M 1 N A" T O N S I Af ft NION T A NdJJTJKof olffJta&axbf
Jitvaposw As at KctMgi E/* 0* A* A etflfetAtf A rum modb quod Tceliatatis vj,
naturaq, bene coprehenfa,incredibik virtutumamore wcendi pofiimus^ad eafy nobis
comparandas ,fummo quodam Sludio incitarijed quoniam ctiamfola
ipJiusccgmtio,adituntnobti odea qwt de totohocge- nere Vhilofophi* abAriflotele
traditafmt percipiendaipateface- repoffe videattir.Quamettam obrem^erendum
tnihi initio futt-> ne nofier hie fetus, wfuam tenuitatem exiguitatcmque ,
in tanta diofumcomentmorinh turba, non
admodnm cohfyicuus appare- nt, imb plane pro mdlohaberetmSedanwaduerti^ colter
yt\ii. Digitized by GoOgle * epistola; tis diligftet omnibus, cum tabonum
^fgrandea nobis cmitti, vt fuum ipfe quoque locu inter Adultiores comode
tuerijatifque emi nerevalcatScripfcrut white librii innumerabiles:prope
virhquo- ru tame maximaex parte fcriptaifi libereloqui debeo)dormientiU [omnia
potius, qmm vigilantiu opera ejje videntur.Vudetfcreme dc qmbufda Italis
noftris loqui,vt Figltuccio,Acciaiolo, {cjuaqua fcripta qucejub nomine
Acciaioli de ca re circuferuntur ', non Ac- ciaioli comentariajed Argyropyh
pr^ekSiiones Flore ti^e habits, &abAccimlodefcript apl\t audio in Ariftot.
leSlione vix acne V/x quide \erfati eranty aut effe ctiampoterantiThomas wbifcu
ceque ac cu J puens agit,quare verba Anfl".
dihgctercoftruitynilpnttereaan- mtatione magnoperc dignii attingit.Albcrtu
vtMagnuin quibuf- da pus hogicis &hyjiologicis plurimi ducojhic vt Minim u
pla- ne nib'difadendum efte exiftimo. Bark us qui iflorum Inter prete
agit,quanquain 0B0 libris de phyfica aufcultatione explicadis no male
fcgefiit-iinhis tame comentariisjde eft qui in hogicis, lauel- lum aliofqi
nonulloscxcufo vtMonachos,qui Ethica doirma,qude ijs qua difficdiou erant mhd.
Quod vero ad cos qui in verbisArifl u grerlu vku
(llhtftJ?rinceps)bowfrote,itgcnue^ pdrum imo mbil^comctariis lis qua extat in
Etbkd Arifi ".in me\s bifieperfiaedis ddiutiifuife* Ex Ekftr.qie d
mefumptd er illu firdtd/untyoes facile dgnofcet. RelujuaArift. Vlat 1 . Proclo
Marf.fi- dno y dlafqueVlSim pi. A- chllinoy Zimarteiland.Thomce inquafifuisTl^k
Scoto,dcce- fta refero^Ex bom ego diutwma decurdtaque lcho);e , alias ( vt
foleo) excerpji bine inde rmlta , qua pofied dd prafentcm librum dlufirdnduwdximevdlerc
dmmadi.em.Extdttfcfrdgmetdquit y ad nomm vfum apte accommoden- tur. lime
eTgofahmfhiSiiifinon alum ex comentariis omnibus nojbris LeElores femper
percipient y vtquicquid ve/ ab Ariftote- It) \el a nobis ex
aliorumfententiaproponitur^quo loco y (f a quo Autore
pertrafteturjntelligant.'Neminemenim \fquam vel tan- tillumdefraudo , quid a
quo y ^f in quo loco dicaturjndko. In quo etiam mmtre y quid t$ quantum meimftt
y quantopere etiam rmhi tribui debeat, a ddEiis & aquis leSioribus agnofci atque
decerm cupio. Sed ad Lee nojbra propius accedo.Explicaui quidchoc an- fio
librumhuncprimumitbicumad Nicomacbumpublice:placuit tamen nzed by Google
Digitiz e pis tola; tamen in maiorem nofbvrum Auditorm yfitm, qui nan omniatx
meispubUdspraleEhambus aMigere potuerunt^\tin illafcrtben- difejiinatione
acaderc folet, er quae coUegerantsnutdrtdydcfor- tafjc etiam rum bene iis quce
dixeram congruentia crant, in lucem eundemproferre.
Nemtnemautemhabui(lllufirifi. Vrincep$)in asms nomine apparere mallem quant in
Tuo , vf quemadmodum tre tuoprimum omnium exapi youat^tta mc alter bengrntate
d- Uus exaperetufy qm tati Vatris imaginem exprejfam vndequaque refemt Accedit
eb>qu6d ex eafamihafis natus^qua quafi \iuum fioddam Fotlicitatis exemplar
1xtbc&r:quareeoe nan nomine, gratierem hmckbeUumAuditmbusmeisfa > no-
mine Tmpr face- re turn pemrfuin tarn nobtlibuiHslibclli edendiaTgumeraomoni-
tus/wrummmodumTiUgrdt Gratidamjnqu^Tdx^-- luftrifiime Viinceps)quiin
luuentuteiflatua y maicmm tuorum ex- cmp&f vnataxus , verifim* Gloria
folidifiimaque Laudis iter y tarn ardenti animojtata vigilantia afiiduitatcque
adhbita^ ingref- fusfisyCmfi diutius injiftas y non dubito quin danfintum
Herotae Vtrtutis lumCypofteris tmsfispralatu^ y quinTe tua Vita memorise bomimm
atern* comendaturafjt^qmn tandem veram Beatitudi- Digitized by VjOOQIC . E P I
S T O I/A vtm tihifts aures y animum y mententque in te vwo defixamfemper in*
tueonyerumcultuiatque meiammi in Tepropcnfbnisiqu EESSOT^IS CO M ME NT A R ;:L
A I N E T H I C-AX A RlSTOT E L IS Ji D N2COM dfffufa iurit, in homine qua-
ficonglutinata&fimulconiunda reperiuntur. Corpore nanque fuo crafla atque
ex dementis concreto cum rebus inanimis conuenit,Anima vegetinte cum
Stirpibus,cum bmtis animantibus fenfu,cum puris 8c fimplicibufcMen- ribus Iritelltgentia,quibus
omnibus vniuerfita^ hare conftituiturab&luitur- que.quo etiam nomine a
veteribus Gra?cis,Homo {tUK^tMrtm eft appellatus. ^Juemadmodam autent,vt Arift.
6. thi.ca.primo ihquit, non vnius generis & conditionis res funt, quas animo
comprehfcnderp vofumus , ita non Vna paf s anittli noftri eft,qua ad iftas Rfcs
oranes pertinet. Res enim aut funt ne- ceffaria: 8c perpetux,
auunutabiles,& qija* hcvel iflo^nodo poffum euenk a* Digitized by VjOOQ IC
i ETH1CORVM re/Animi ite noftri du* font partes, Vn*l|tr* ratiojift eft expert:
altera qua? rationis capax vel ipfapotius ratio eft, (illas in hunc
modumdiftinxit Anft. primo magnorummoralium,cap,ji.& fextpJjUhi. qi.i.&
ex Ariftoteie Sim- pliciusin pra?fati$ne fua in primum de Phyfirfa aufcultatione).
Ratio quoq; duas habet quad partis: prior au(e ea eft,qiip? tota Swpro^l
dicitur,& iaqua ineft fciendi vis:pofterior vero, qua? C*kZtiym & koyw*
appellatur,qua?que cofultat, deliberat,cogitat,ratiocinatur,& tota in parte
alia irrational i per- ficienda verfatur. Res ergo neceffarias Mens ipfa
coritemplatur,in qua fci- endi vim ineffe didum eft. Res autem mutabites pars
confultans & ratioci- nans tradat. Rurfus vero , Res neceffaria? aut caufam
habent , aut non ha- bent ex f . metaphy.cap. j. verbi gratia,Hominem effe
docilem neceffarium eft, habet autem caufam, rationem videlicet & mentem a
qua proficifcitur. Veriim cur Homo rationis capax fit,nulla afferri ratio
poteft , quandoqui- dem Definitio ineft immediate. Habitus ergo ille, quo Mens
res necef- farias &caufacarentes, fuaptequevi Scnatura notas comprehedit ,
Intel- ligentia ab Ariftoteie nominatur , ita vt nihil aliud Intelligentia fit
5 quara caufarum &Principiorumcognitio.Habitus autem ille,quo mens res
necef- farias & caufam habentes percipit, Scientia proprio nomine dicitur.
Vnde liquet in omni difciplina in qua caufe & effeda confiderantur ,- turn
Intelli- gentia? turn Scientia? locum elfe : nam caufa? ad intelligetftiam,
effeda vero adScientiampertinet. Sunt autem multopluraeflfeda, quara principes
cau- fa? , ( vt rede Dodi quidam annotarunt ) idcircoque Difciplina? omnes
denbminatiohem ex maiori parte fumentes vt a?quumeft, Scientia? po- tius quam
Intelligentia? appellantur. Reliquus habitus qui Sapientia? dici- tur, eft
quidem aliquid quafi ex Scientia Sc Intelligentia conftitutum , vt A- riftot.
primo magnorura moralium ca.$$.docuit,perfedius tamen aliis duo- bus
habitibus.Nam fi aliquis fit,qui prima omnium rerum initia cognofcaf , prima
que omnium rerum eflfeda,ts noraen Sapientis v ere fibi vendicabit:i- ta yt
Sapientia fit quafi perfedifsima quidam Intelligentia , ac fimul Scien- tia
perfedif$ima.Csterum Zn^tmiuiv iftara partem^non hoc tempore trada- mus. Quare
pluribus,habitus ipfius partes& natur&m perfequi, fuperuaca- neum
eiTet.Res itaque mutabiles, partemque Animi confultanteui in manus fumamus.Ha?
autem vel fub Adionein vel fub Eflfedionem cadere dicunjtur: ad illas
Prudentia,adhas pertinet A rs. E>iftindio fane Ariftotelica eft , vt ex
fextp Ethico cap. 4. liquet , & peruulgata, non tamen ab omnibus vndequa-
que rede expofita. Alexander in fexto metaphy.com.i.iis contentus qua? A-
riftoteles primo magnorum moralium libro cap. 3j.de hacrepronuntiaue- rat: {ujj
Effedionem cadere ea ftatuit, qua? opus poft fe relinquunt , vt poft ardiheatioriem,
Domus^iib Adionem vero ilia, qua? poft fe nullu fuperftes opus habent ,
cuiufinodi Cantio &: Saltatio eft. Alexandru fequutus eft Eu- ftratius
fexto Ethi.fub finely cap. quart*: Veruntarnen,quanuis vterque redp quod ad
voces ipfas ex parte diftinguendas loquutus fit , nemo tamen ipfo- rum ad
naturam Artts & Prudentia? exprimendam appofite dixit. Nam fi ad
prude^ti^,Adipn^omnemiIl4mrererant , qua? poft fe nullum opus re- " 1
luiquit Digitized by VjOOQIC LIBER I. ' 3 linquit, faltationem & cantionem
ad Prudentiam reuocari oportebit : Qua pohto,explicent fe ab hifce nodis. Nam
prudentia cum deliberatione& m&ufiov appetitu interueniente Temper eft
> at quid horum in iftis aftioni- bus proprie fpeftatur ? Item Prudentia in
iis verfatur qua? non huic & ill! bomioi>ied fimplicher homini bona
& mala fuat>bonaque fencer deligcns: Ars vero canedi & faltandi, de
iis tan mm qua? tali homini bona funt & ma- la, cogitat ratiocinaturque :
puta faltanti bonum eft, $a1tatio,multis pedum ia&ationibus , ex artificio
& cocinne fafta, canemi vero cantio cum fuauif- finu fenfui auditus
fymphonia:Malu vtrique eft , fi a&io eorum expers artis & dulccdinis
exift imatur. Poftrcmo in prudentia , nulla manus auralterius partis corporis
opera exigitur,cantioautem&faltatio> in nulla aliarever- fan videmur.
Contra fi cantionem & faltationem ad artem fimpliciter per- tinere dicamus,
refpondere oportebit Ariftoteli qui in fex to ethi. cap. 4, ita loquutusefh
QmaautemEfFedio& Aftiodiuerfum quid funt,non aft ionis , fed effe&ionis
artem eflenecefle eft. Non dubium eft autem quin Ar iftote- , les nomine
Effe&ionis eo in loco id tantura intelligi voluerit,quod exemplo paulo ante
a fe allato coueniret : eft autem exemplum ab aedificandi arte de- iumptura.
Thomas in prima parte x. q. $7.art.j.& in quaeft. vnica de virtu-
tibusinvniuerfumart.il. in concl. diligenti us cene has voces diftinguere
voluit'.Quum in vno loco ita ioqiiatqr > Nil refert quompdo fe habeat Arti-
* fex fecundum appetiium -, vtrumjSt lanus an iratus, qua item voluntate opus 4
efn*ciat>dumopus quod efficit bonum fit, ilia fiquidem virtutis. propria
funt. fed vna in vfum tantum vt equi-
tatioequum, faltatiopedes^ cantio a^rqrn^ citharizatio citharajn; altera ve- rb
, vt illam immutet , formaque aliqua cpnftanti informer atque ; effingat>
quod iam opus vocamus. Vnde etiam non dubito amplius de errore illorum, qui
Artem pulfandicithara&omnem muficamad Prudentiam retulerunt. Sed
fatiffacere necefle eft Ariftotelis exiftimationi,qui nullibt ne verbo qui- dem
vno,vocum iftarumhuiufcempdi diftinftione ugnificafle videtur quam nos
attulimus:S- d prius refppndedium eft verbis eiuijde fexti Ethi. ca. 5. vbi
nomine Prudetia? omnei illas agones copleftitur,quaru finis no eft quid ab ',., '
. "',"' V : a,iL Digiti zed by G00gle 4 ETHICOUVJt -illis
diucrfum-.Vndc proculdubio fcqui videtur omnes illas a&iones y de qui- bus
no* proximo memione fecimus^ion fubArtevt diximus/edfub Prude - fc tia
cotsnerhVerba Ulius hare Tent* Reliquii eft igitur vt Pr udetia, habitus fit
" vertfl cu rationeagei,ea verfans qua* bona & mala !iominWunt:na
eflfe&io- " iris finis diuerfum quid ab fea*ft,a&ini s verb no
iimper,i pfa nanq; bona a- u &iofirtiseft.PfoAHitaergo:dice^ qua?
Prudential peculiaris eftvnatura abeo vbi oportuic fuifle fignificata. Ec in 5.
quide Ethi.ad finem 1. cap; in i.cap.j. in fexto verb eiufdemtra&atio-
nis & a&ionis moralis natura
tra- dat, verba qu*da imb multa habet, qua? ti quis diligenter expeda*,officium
Arift.in hac re,iu>n amplius ( v4 puto) defiderabit. Ad locum aute fexti
Ethi. cap.5:& qui jfupefiusaddxicebatur ex eodem lib.ca^reipontfendum.
Arift/ fpectes illas habituum in fexto ethi;*numerarc ? qua? perte&f
funt,id eft quae, quamaxime inter fe diftSt:at inter fpecies perfe&as
Temper fere aliquf font quafi media? interfit?,qua? partim ad vnam,partim ad
alia,quanuis no (qua-' liter, referri poflfunt. In natura hoc manifcftb cernere
licet. Nam inter ani- malia &Platas &i jCa?load finemfumma?
feptima?,& Ari{Lmultis ift lock recefet : Ita hicinttfP A Prudentia
ahqiiado coitiuniter Artis ftominedefenari/iqyide Prudetia ad aftione ipfam
teMat.Non eriim prudes de iis qua? fub-a&ionem cadunt o*\ ptime
deliberdt,& r de eo quod optimu eft (foiifilifrca^it^ifi Vt a&ione
ipfi, qtia; fihgulaKs eft>aggredi optime dt facillirtie queat ^qvo etia riomirie,aTho
ma i.{ec.q. , 4r.arf.2f}& ^.ethiitec.^e^ Afift.fententiatedem iri loco
^Ptmde^ tia,Praftica qua?dam fcietia nuncupata^eftiqueadmbduttixotra
Arift.i.Top. ca*>,nomine eleftionis,
omne afiiori'e qu$ gratia operis alicuius fiue i Hud fit ' aftio fiue
efteftio,fignificare vifus eft.Ex quo loco elici illud cupio, Habitus quide
iftos inter fe tiatiira difti&Os efle,vnfl l tam^ illoru m altero reperiri
& 3 aliquid vaius off altero confuiidi rio eflfe aWurdam, In
fci&ii^enim nohulla* eriTeaionem reddlereykaivt m artibus
nowftulkcottt^irtplurion^m redbktit,' aanotauitProdusiaEuclidem, Nosautem-in
fcientiis Intelligentiam,in Digitized by Google
-' .Llftfr&aL..: 5 S apk n ria lntelllgftfam Srtdemi^ fpcAari/upcrhis
ex Ariftotek dmmutf jn artibus v$ri prudenriam cernt,
li^^^xiiique^^pjtot}aGr^cis,a no- bis autemcoaieaurales
vocantur,vrars*nititari$ ,rhetori medicinal Hse nanque in deliberando perfappe
funt occupat a^Poftremo in Prudetia Artem & aliquo etiam modo Sapientiam
cofiderari , partim ex iis quae diximus co- gnofci poteft , parrim vero ex
illis quae Thomas in fee; fee q.47. artic t. in refp.ad primum oftendit.
Eget^utem ha?c prudentia q*ia? habitus metis eft, yiitutibus moraliku6,qua?
habitus fattjteatis appetentis diomtur, imo nil a- liudfere funt,quam mentis
& prate tiaeVeftigia in Appetmifrapf eifa: Quid? nonne ymutetn,re#airt
effefationem d&iJBHG t Nude atitem fe&a ipfa rati6 prudent ia eft. Hinc
ilia did folet*qu* Platd'etia in Memn^ne oftendit ,Pru- demiara
videltcet,virtutibus moralibus, & Virtutes morates prudentia iadi-
jere.Eura qui habet vnam vhtutem perfe&am atque abfifrlutam , omnes ha*
ere, quandoquidem perfe&wirtUs fine pftklentia efie nofl pofsit : Contra,
3ui prudentiam pofsidet, omnes quoque virtutes obtihere 3 hequeenim prii- es
eritjtufi reftifsimum rationis iudi& appctittim rat ienj obe- dientem, vbi
autem ha?c dub adfiint , ottines adeffe virtutes ftecefle eft. Qua? omnia ex
Ariftoteiis fedindo ethics cap.
denominationem fufcipe- redebeat,Morale hanC Pftil6fophiam,quap de
^virtiitilbiis^gitAnttnBrafti-. cam fine Agentem jneritoBe no' dfreet qtiomodo
prudentia a natoff proficifca- tur ,id nana; feijtiam redolerefc fed quomodo
ipte,prudemer um ciuSbtis & cumdoroefticis,nobifq-, ipfis agamus.
Infumma,nonfVeritatem fifci pro fine proponrt,fcientiaque>non quo pado
tantum res fe habeartt docere Vult, non per fe caufas conteplatur, fed omnia ad
aft ionem r efemQuocirca in libello de aotmaliu motione dicitur, in artibus
opus ipfum effeeonchifionem. Ha?e vero qu* mox d^ximus,verifsiftiadfeteftanir
Arift.ttim rtVi.ethi.&i.i.italo qui tunQuoma autem pra?fens tra&atio no
taufa fpeculationis eftyqiiemad- niodum
ali^no enim cofideramusytcognofcamus quid fit vmus,fedvf bo- niefficiamur,alioquin nulla
eiusefletvtilitas)necefre eftttdeiHftionibus
quomodo agenda* lint coftderemus.Sic Arift.redeinfexto
metaphy.prilno, omnem fcietiam in
op6ri;efc? qu^*eri^m wo^k&ebune Atqui (inquit) Veritas til
rebusiiimura?xjuarf#dipitemai (um,tamumreperitu*vnon in rebus agen-
disinquibusiuta fempkerna Veritas eft* fed 7jto&^^: mutant urenini res
agendaejfecudum * tateni agentium, fortunas habitudinefque eorum uv* quibus
aguatur. Sed iam eo oratione pcoucfti fumus 9 vt Subieau & Scopum huius
artif eiufde'mque Diuinx>neni 5 Ordinem partium Jnfcriptionem,&v-
futotamgenerfttui^quanxfpeciatim.proponere atque explicate debeamus. Alias
annptauunus ex Alexadfpo&aup meta|> hy .qhmo.& aliis Gratis in-
terprfctibu* jn arttfnis^fubjg&imnoft Pf P r le fihero dici poffe , quanuis
ad fubie&um omnia refer ri vidtttttur; fed a forma & fine
diftingui.Vult nanq* Ars non formani ret contemplari, fed materiam aliquam , vt
natura, formis exomare: V nde fequitur ,Subie&um ab artifice non gigni,
quod Arift.primo Pol. cap. 7. docuit. SiC,illi qui aut Prudentiam, tut
Virtutem, aut Honeftam actionem fubieftum in Plulofopjua Morali
ftajtuer^nt,erraffe deprehendun- tur, quumiftaa Aiorali fiant. Suit fggpftfl?
fines &fcrm^ Mater ie* vero& Subieaura H.pie,fiue auiflu
hominis,Voco>iaquk Arift J^ca.* -materiero & fubie^tunj 3f tjs J4ex quo
opus confiptur, vt textpris i*nam,?s ftatuarjj.
Atqui AHftotdes,pryno Etlu.ca. ij. ita loquutus eft: Propofitum politici
eft (quo flominetotatn Moralem
Philofophiam fignificat vt often demus)ciue*
bono* &legibus obtemperant,e$jefcere, Et paulo inferius addit :
Virtutem yero Jiumanam dicimus non
corporis, fed animg.Fqelicitatem quoque ani-
rax pperationejn appeHgmus.Et in primp ormic9 ? cap.primo :ftes
fam* liarit^ $: refpublica inter fe
differuntV non fojqm quantum domus & ciuita*, quar, fan* earum fuHe&a>yerumetiam
ilk>, &c. Quamobrem vt fabro lignfe rio fads e& tegueo* ligni, id
eft fubie&i fui cognitioncm habere,(perfe#ani enim akeri rellquix )it^
Morali fat eft, fi aoinue natura leuiter tatum, & qua^ turn foo^propohto
fat eft informetur,quod in ij. cap.prjmi Ethici, Ariftofe- cc les pf
fcftiturusj ita primum Jpqui voluit : Sc;4 fi hax ita habeot, perfpicuuni cc
4?ft,Polki(Cum qu*,ad atjkaam fpe&ant,qupdammodo cognofpere oportere,
ugnarevidetur, qui docet vnaiulfcienti^m vnius tatiim generis.^if &i efle:
Non debet, inquam c(fe^okftu$',quandoqu4iiem,idnominuni^
faciiiorlfque^b^rinapgrati^ yttjun^nquahtuniper nos fierjpo* teft^nintb^
fatijfiiat^icaws Pniq>iaii^ jlubi^um Verojkpiftipiem. Priintfm
horuntcoqfiriWtp au^ritflteArifiote T lisf^xtoEthi.^p. 2. quoinioCoPoiiticam&PrideAtiOTvaum^
lubitum efle di^it , quo pouto deinceps Prudentiam , in earn quat fui ipfius, '
^ "" ' ' """"' "" -- - &qu Digiti
zed by G00gle ? LlBETt t j> ft vt fuperius diximus* Secundu ero probare
fuperuacaneum , & nimis fortafle puerile eflet. Quis enim eft mi noa
fateatur tarain Ethicis quam in ceconomicis , & Politkis hontinem
fwiici^uaiuis UUc Moralist OecgnomS hie Ciuu nomiaetuHUlud qu-
ftionedignhiseft,Cur>fi Artifex Swbkdumifunniflon efficit^ceconomus ta- men
Domum, Polkicus ciuitatem, quam volunt informare faciunt. Id cert e ex libris qui de iftis
rtbtfstradaht liquet. Nam primo Pol.
cap.prima&pr, Oecon.cap.*.Parte$ domu* eif umerantur affignanturque,&
in a.3.4.7. pra?- fattm cap. to. & 1 u pol. panes ciukatiseodem fere or
dine conilrtuuntun. quum tamen ifta a nukoalioartifice tradi ficriue conftet.
Accedit eo,nonul^ k verba effefec.phyV*4,quf pugnarecutniis yidencurquf nos
diximus, ni^ minim/ubieduiuabanifaenotofi^^
fcs materiairi faciun^ cc foluitur hie nodus fi dicatur , Secundum
fubiedum ab artifice fieri non efle abfurdum, de quo fecundo fubiedo tantum
libro illo fec^>hy Ariftetefcilo quebatur. AEdificatoria nanque art lateves
facit, & medicma medicamenta, %k figuiinalutum > & colores raiftos
pidura^qu? omnia fecundaeflfe fubiefia re^oftuiftaruittartium^n^moeft
quinonagnofcat. Quapropter primum fubiedum quod Homo eft,vt n6s pwtrimus,
nonefficit ppliticus : facece au~. tern fecundum, nempe Domum aur Chtttatem
quedammodo pocerih Hoc fine atque hoc fubie&o Moralis jphilofophi*
coitituto , ad Diuifionem veni- -enduraeft: Peruulg^taautemillaeft>iaMoralem
> oeconoraicam ,.& politic cam:qnas partes Euftrattus materia
fubtedainter fe dift Idas efle docet. Ni in Ethica vnus Homo fubiicftur,in
QeconoanicaI>omus,In PotitieaCiuitass Hcdtuifiox Ariftotelis ore
m^toEthiLca,8;& primo oecon. cap. 1; de- fumpta videeur,Sedcerte Moralts
pKUofopiiif fummameiufdonq; partium iericm & orpine non magnopere cxplicat
atque proponit, quod tamen Di- uifioniimunus eflelnterpretes admonuerut.
Secundo- ArHloteles tarn Ethi- cam quam Politicam nomine vno communi
fignificat^nempe Politice$,vt ex lexcentislocis Ariftoteiis demonftrari poteft.
Pr^ciDuavero locaillafunt* Infinei.capitishuiusprimihbri)Vbiiaquit: Atque
nscquidemmethodus
quesroAmxi77ri^hocexpetit. In primo etiamRhet.ca. 4.Rhetoricamex4~
nalyticafcientia& politicaquardemoribns eft* conftitutam efle dixit. Ter-
aa Ariftoteles^Politica &Oeconomtcamquf in ferendis Jegibus inftkutu>~
nibufque>&m^iftratibns conftituendis vcrfantur, Ethiccs gratia inuentas
dfe tracbt io.Etb.fub finem quum inquit .Leges &oeconomica inftituta pro-
ffer bominum prauitatem excogitata efle, vt videlicet 9 tarn amici quam ci- nes
& filii nxofncio bonl viri retinercntur* qua tamen quomodo fint intcl-
ligenda4nfra cap jwquicquid Mirandulanus Epifcopus dixem, pluribus cx-
fxmemttt. Quapropter concludereoportet, cum quide.bonivjrivirtutibus
rgit^debodi quoque ciuis virtutibus quodaxnmodo egifle, qutun virtutes v+
*mnshom]nisjnatiirar r nonni(i ciuilis ^dftatis^atta>^dquamiiantsdlc6
uemre'iiidtatur.Ynde ctiaoiUudArift pact i vni tarttum refpe&u altenus non
conuenit, vt in illis compo- ftcis omnibus euenit qug vnum ordine folo efle
diaitur. Qujoprca etiam re*- drfsime ab Arifrotele, Px>littcafcietia,fiueM
oralis Philofophia, in Ethicam OeconomicaraA Politica diftribUtaeit. Djjamus
ergonos planius, natura rci fpe&antes, Scientiam Pol jticaH^nxiuas partes
prf cipuas cffe diftribu^- dara,In vna quarpohticea eleraertta&fumma tradit
atque defcribiibq uf que decern lufcc libr is Ethicfc abfrlukur: In
alteram,qua? quafi ex hac colfatuta*, peculiares quafdam inftitutiones proponit
Et ha? v*l ad familtam vel ad cl- ues in officio Politic retinendos &
rc&eadminiftrandos pertinent. Ex illts QeconomicaPhilofopbia^exhis
vjeroPohticaemergi* : a fubie&o videlicet earurii fecundoi refpe&u
illiufpeculiarjs quod afferum>denominatioae fuV tnentesjEK priore tlla
qiurJEthica dmtux>Dux iftttunduAtujC>vt liquet ex iis
quacxliximus^Quareredifsime Thomas left.juprftfl)ietkfcidpcuit , In lit- bris
ethicorura principia & elementa Politia? tradt *in aliis vero quafdam
Polkie) partes,ex illis elementis quafi eflfe&as proponi,quod tamen ipfum
et Artftotele primo magnorummor. ca* i. fumptumeft : quern locum expend! maxime
cupio. Vnde etia cognofci potcft* quam improprie & falfo a Mira- dulano
(implicit et alicubi fuerit pronanciatum > Etnicam videlicet tantum*- veram
poiiticen efle. Neque enimfi id vtriim effet, Ariftoteles in 10. ethi.ca. vlt.
Bthtcam adPolkicunordtnaretJ>icet quis,Politica qua? proponit foe-
licitatem,vocatur Ap^f7FK.7^y/jw)pri.ethic. cap^.Refpondeo , per Politicam
partem Politicam aut totam hacmoralemPhilofopliiam inteliigi. Excipiet, non
effe hoc verum , quandoquidem ills Politiar quae Archite&onica ibi vo-
catur,oeconomia fubiiciatur,vt ex eodem loco liquet, quod certe falfumef- fet
ft nomine Politiae tota fcientia moralis defignaretur , cum nihil fibiipfi
-ftibie&um fit.Refbondeo*nihil ibi falfum dki,quod fuo loco
declarahtmu&. Ordo haru inter fe partium>aperte ex his qua? diximus
elici poteft, eftenim compofittuus.Quare Ethicaprfcedunt r duplid nomine >
turn quia ibi veri Politici mores expliicantur , tumquiaex illis tanquam ex
elementis quibuf- dam Oecondmica & Politica pr$cepta de ferendis legibus
extimduntur:Se> quitur ftatim oeconomices, quod eius pra?ceptaad pauciores
pertineant* i~ pfaque pars quf dam Politico de ferendis legibus ut, quemadmbdum
etiam Doniusciuitatis pars efle dicitur.Hinc ab Ariftotele primus Poliricus
liber* in tradatioiieoeconomif totus confumptus eft in quo pmnia fere ea propo
oir^qua? iiUpr?cipuafum. Quod fi libros alios duos aat etiara pluresdeihac
eadem refeorftm eiere Wuerit^ulli miru vtderi debet;,cuin particulariora
qua^in&^perfequat^r>quoniniainprim^ " " : ' k '->'"
-"' - '*" ".' --^ ' " . ". '"" ' " :"; ft Digiti zed
by G00gle LI HER I; " f fct. In hunc eundem finem,pler$que ex iliis
tradationibus qua? fob nomine paruorura naturalium continentur, traditf font:
nircrirum vt qugdafl* perfi- cerentur,qua? in libris de anima ad vpguem abfolm
& explicari non potue- runt. Nulla ergo araplius obie&io ilia eft, qpa
nonnulli vrgent Ariftot.Eum videlicet ab ordinis lege difcefsuTe., vt qui
primuai de Politica quam de oe- conomjcaagerevolueritjlnfcriptiocom inftituta,
legefque tradantms quibus afie&iones hominum coerceantur , vc focietas
& coafuetudo mutua coferuari quea&hinc ab Ariftotele in i. Rhet. ap.
t.Pbfitica,tra&atio de affe&ionibus nuncupata eft.ak enim^ wfjcuti m
prrteeielu/ 5J *$&pvif y f JktteKVxXfjjt), $ i ef fkit que. vttuto it inere
ad roelititatem peruenire pofsimiuL Qua Tola ratione Ariftoteli in decimrilibro
Moralium de ea felicitate dtfputare licuit qua? in contemplatione confiftit
,qufque vere faominis naturam explet perficitque: vt indicaret videlicet,
ciuile banc foelicitatem a reft e prudeterque fa&is pendentem, quam nobis
hf cdo&ri- na moralis tradit , non ob ali am caufam amplexandam efle , nifi
vt cohibitis ac moderatis affedionibus, alten quf verc lumma
foelicitas,fummumq; ac preftantifsimumhominisbonum^^^ ba Enftratii quum Moralem
fiue Pohticam hanc difdplinam Medirinarco- parat, fntelligenda font. Neque ehim
abfolut e virtus qu{ in agendo pofita eft, & quf animi fanitas cenfetur,
fini* vltimus aoimi liumani eft , vt neque etiamfahitasfeuincoldmitas
corporis:vt ergo fenfusiiue corporis non ii*- columitas fed yoluptas extreraura
bonum exiftit,ad quam perfruendam nu- quam non rapitur , ita mens hiimana non
a&ionem honeftam, fed contepl#- tionem veritatis qu 5 raultu a&ionrpr f
ftat pro fummoiine & extremo pro- pofitam habet. Carter urn hoc in
loCo.D.Pethis Martyr nofter pia? membri?, (quern honoris caufa nomirio )
quaarir anve*um fit Contemplationem in beau vita efficienda multo
pra^labiliorem Adione efle. .Qurftio fane torn ob eius exc^Uentiara , turn ob
fe&atores furomos &c prxclaros quds v- trinquehabuit,dienifsiraa quae
diligenter pert ra&etuh Perttnettamen ad Decimum librum huius traaationis ,
in cuius capite 7. & 8. Ariftot. de ea re non'nihilagit. Nos t amen pauds,
ratiortesrvtrimque partis pra?cipuas intgr fe conferarous.
Proiisquivitscontemplantife dederunt,prxcipuailla jratio eat Ariftotele
furoitur^Maximam videlicet>atque inter ce terns excellew tcmdft f oehcitatem
illam,^ua? proumitis ad fummam maieltatem vitaque DcifoeEcifiipiamaccedat.
AtquiinI>can^aitem in nobis diuturnior eflfe poteft , quant 1 Adio:fiquidem
virtutes occafionem ex- pedant, vbi fe oftencfere pofsint: contemplantes autem
e nobis ipfis dunta* xat pendemus , a nobis ver& ipfis nunquam abfumus.
Item Deus vt fit foelix nil externum requirit,fic vita contemplation! dedita
paucifsimis eget ad vi- tamfuftentandam: contra vitaciuilis raulta requirit v
topes 3c clientelas,& dignitates, 3c munera, vt prarclarc agere
queat.Prarterea quietis & traquil- lkat is arnica contemplatio eft , vita
vero ciuilis multts afsidue negotiis eft implicitaiquoetiam nomine
coqtecnplando vitat Deifirailiores efficiraur. Ar gumto illud eft, ait
Artftoteles,quod foelicitatis & beatitudinis nomeifc bmtis animantibus non
tribuimus t quoniam contemplandi facilitate deftk ruuntur, in homintbus vero
vfurpamus eatenus, quatenus contptandi vim habenty qua Deo fimiles funt, cuius
tota vita beata eft. Qui vero contrariam opinionem tuentur. Priraum hoc (
reference Ariftotele eodem libro cap.7,) obiiciunt: Si homo 3c mortalis
e$,mortalia 3c humana cures,neque te iis im- mifceas quo? tuar nature
repugnent. Mox & aliam pro fe rationem liabent que ex primo magnorum
moralium cap..a j.elickur. Eft aute ifta ; Prudeo- fia? propriamunus eft,de iis
qua? homini fimpliciter bona vel mala futyleli- beraxft bonaque eligerc, inter
quaeSapientia enumerator ,ergo ipfa etia fub prudentia; dele&um cadet.
Itaque quemadmodum Architeao reliqui Arti- fices qutbus ipfe ad aliquod opus
moliendu vtiturjeg^fque prarfcribit,fub- ie&i efle dicuntur,ita 3c
Sapientia in qua contemplatio (ita eft,Prudentia in A&ione verfanti
fubiicietur,cunrabhac ad fabrica banc foelicitatis compa^ randar,vduti opera quardamadhiberivideatur.
Terti6aiunt?curcontem~ plamur naturam>imo Deum ipfom,nifi vt eundem cognitum
amemus atque colamuscatque in fumma contemplatio omnis a&ionis , gratia
videtur efle. Poftremo illud habent in ore: Nihil melius* nihil praftabilius
aut diuinius reperiri poffe quam prodeffe quamplurimis , id eft focietatem
humana cut n#i (umus, patriam, parentes>amicos iuuare. Qua omnia
a&ionibus pra?- claris non contemplationibus exequi pofllimus.Quid$
(dicunt) nonne eum nefarii fceleris condemnandum efle omnes fateremur , qui
quupatri* ftiar res in fummodifcrimine pofitas effeaudir et*de eiofdequefawte
a&ah ir* fua contemplatione pofthabtta laboranri patriariKm fucciracret?
&dqua>- niamBliUofophonim&t^ tori, Digiti zed by G00gle tIBER. I. \
if. tari^ofltbuTqitedemonftrattibus fulcitur, Ciuilkim verqpofteriorvt
probabilis tantum habetur :Philofophorum &fapientum veftigiis fenten-
tiifqueadha?rerepr*ftabit. Quareratio^iibusaduerfariorumallatis occur-.
tamu$.& iam iam prima?, ex Ariftotele refpondeamus,nos nullo pado natu- tx
regugnare, fi in hoc etiam corpore habit antes, vitam beatarum mentium imitari
velimus:neque enira animo & corpore tantum homo eft , fed etiara
mente:quare fi mente viuat, id eft fi fola fcieutia & veritate ali
velit,natura? fuar fines non excedit.Hinc duplex ille homo, quern Arifi ot.nono
& dectma libroderaoribu5,nonferaelftatuerevifuseft. Tantum ergo abeft,yt
con- templaado nature fua?repugnet,quinpotius vimiUam&facultatem exe T rat
, qu* ipfi a natura traditur: quo etia nomine , iure Simonides ab Ariftot. in
primp raetaphy.repjreheofus eft.Ad fecunduraargumentum refpondet i- dem
Ariftoteles, Prudentiam,Sapietia? ancillary non autem Sapientiam pru dentin ,
Sapieatia enim vere Architeda & Domina eft , cudaprafcribenj^ Prudentiaergo
illi famulatur atqv Atrienfis cuiufdamprodromique munere fungitur.Nara &
affediones cehibendo moderandoque ocium Domina? fua? pzrztM eft ef ficit vt
fapientia libera & vacua,officio fuo operam d?re pof- EtyScde rebus qua?
homini bona? funt deliberans, nunctat nobis alteram efle poft (e,pra?ftantiore,
vitam,quara arapledixiebeajmis. Non ergo Sapientia ytituradfabricam
vtfamula,fed illampotius nobis prudent iaoftendit yt Architedam. Tertiu
argumentum quod ad priorem partem attaiet D.Mar- tyr rede quidem refellit >
fed non plane (qukquid de Tbeologica fcientia dicat, ea enim de re, Sententiam
fummi viri Heruei folam, yerara efle exi- ftimo)expltat. Dicatur ergo, Deum
turn vt amatum turn vt intelledu , na- f uram ooftram explere, & tarn ipfum
amando quam intel ligendo , nos efle oelices 9
priustamen&magisintelligendoquamamando, quod alias pro- bandum
eft.Hodpofito dicendum eft,Mentem quidem primumDeum intel- ligcre, mox in ilium
propehdere,quod iam amoris eft. Interea tamen dum in ilium ita propendet,a
iucundiftima ilia contepIatione,dulcifsimoque ijlo afpedunon auellitur, imo
propenfio ilia exacuit mentem ,effkitque vt in 7 tenfiusetiani Deum
coutempletur, & intueatur. Quod vero ad fccunda ar- gumemipartcm, negandum
eft omnino cpntemplationera omnem adionis gratia efleiEt eo etiam pofito
Agentemcontemplanti prarftare . audiajur de iac re Ariftoteles primp
metaphv%cont.4.Quapropter & Archjtedos circa cc fingula pra?ftantiores
efle, magilque fcire, quam eos qui fuis mam'bus opus cc aijisconficiunt,
&Sapientioresefleputamus. Ei Alexander in com. primo cc eiufde libri ita
loquutus eft: Quod fi cognitio fimpliciter nobilior eft adjo- in Architedi enim
artificibuspra?feruntur.(Cognofccntes videlicet, a- cc gentibus, fie
e^ficientibus) confequens eft vt ipfum infelligere, quam agere cc bmplufitor
melius apbiliufque habcatur,Non ergo quicquid alterius gratia cc quoquomodo^ft,
ep ignobiliys sflfe-cenferi debefcquanuis Ariftoteles fepti- jmq politico
abfplutepronun(wevifusfitJ>eteriusftmpermelioris gratia
^flV,Corporanaqueca?leftiahisinferioribus mult 6 pra?itantiora efle in Phi
lofophu nidli^ aibitat> Yt etiam ex prigap depart.aninucap^.cognofci o-
Digitized by Google t i- ETHICORVM tcft:& tame henira inferiorum gratia
effe, primo meteorologicb Sr alibi afl firmatur. Sed de hac re poftea, neque
enim omnia vno in loco funt incuicS- do- Ad poftremam rationem , dico, non
deeffe fapienti id quo genus huma- num iuuare magnopare pofsit. Nam fcientia f
oecundifsimus eft : quare ad- miniftrationis Diuina? exeplar fuae Reipublica?
proponcre poterit,SuQS con filio & monitis iuuare* Scriptis item non modo
viuentibus,verum etiam po- fteritati j (quod Agemi homini non datur)mirabiliter
multumque prodefle: Quod fi etiam fateamur,aliquando a&ioni contemplatione
pofthabita dan- dam operamefle,vt in fommopatria? difcrimine , id necefsitati
conceden- dum eft, non a&ionis praeftantiar, Quemadmodum (vt refte quidam
Do& parte tertii continetur , fumpta a fine propofito ratione, de
virtutibus in vniuerftim aeitur. In term , qua? a poftrema parte tertnlibri,
vfque ad decimum protenditur,virtutum fingularum natura,eo-
rumquevitiaoppofitaexplanantur. In quarta,qua? totum Decimum librum
obtinuit,foelicitas in contemplationepofita,tanquam fcopus omnium adio-
pumhumanarumaperitur, extolliturque: Cuius etiam gratia initio illius li- bri ,
pleraque de voluptate repetutur. Ordo analyticus eft,proponitur enim finis, qui
in artiumtra&atione, quod ad partes attinet,pra?cipua caufaeft, vnde
inftruitfenta & aftiones artificis dtriguntur. Methodus eft Demonftra- tio
077 , id eft per pofteriora & nobis notiora , fubiefta? videlicet materia?
accomodata . de qua re pofteatrum Ariftotele ageiiius. Irifcriptio eft A P I-
2TOTEAOT2 nSrnSr N/x*fu*;eW, Quis & quantus Ariftotdes fit , no- mint qui
non exulcerato animo funt, id eft prater Petrum Ramum , omnes. Nicomachus vero
Ariftotelis filius fuit , in cuius gratiam amore tompulfus Pater,hf c fcribere voluit, vt Cicero libros
de of ficiis Marco filio fcripfit . Sut qui velint, vt idem Cicero,hos libros
non ad Ariftotelem , fed ad ipfummet Nicomaehum authorem f eferehdos eflt.
V-ettim fatiffacere oportet Arifto- feli,qui infine decimilibri
declarait,eiufdemauthoris hbs fibres Ethicoset feiaiius politici funt: Atqui
PoKticos libros, nullus adhuc quod fciam Ari^ quae Sapientia? no- men fibi
vedicauit,a communifsima propofitione initium fumpht, ilia vide- licet. Omnes
homines natura fcire appetunt. Et fane totus ilie Ariftotelicus decurfus huic
non eil abfimilis : Quandoquidem,vt ibi a communi omnium hominum appetitu
fciendi, ad excellentiam fcientiarum fpeculatiuaru, ma- xime vero ipfius
fapientia? teftificandam paulatim afcendit : ita hoc in loco, ad fummum quoddam
human? vita? bonum, extremumque finem, ex homi- num mirifico boni defiderio
colligendum, ftatuendumque afcendendo pro- greditur. Difputat ibi primum
nonnulla,de cognitionibus fiue difciplinis in genere : monet deinceps , quxnam
ilia difciplina fit ad-quam Sapientia per- rineat , poftremo viam 8c rationem
eius comparand* oitendit : Ita hie in i. capite de Finibus nonnulla agit in
vniuerfum, mox in fecundo , pofito fum- rao quodam atq; extremo hominis fine,
eius proponendi munus Politici efle docet , in tertio tandem viam ratronemque
doftrinar politic* dedarat. Cap- terumexplicemusiam tandem, quid ha?cnoftra tam
Celebris &peruulgata propofitio valeat. Summa contextus eft:Omnem artem
oranemque tandem methodum, omnem a&ionem 8c eleftionem, ad bonum aliquod
tanquam fi- nem 8c extremum referri: qued cofirmatur teftimonio veterum tam
Acade- micorum quam Peripateticerum videlicet ,qui cum animaduerterent,omnia
qua?cuque in hac vniuerfitate cotinentur,mirifico boni defiderio efle
effe&a, acquirendi, aut certe conferuandi, Bonum id efle definierunt : Quod
omnia appetunt. Hie primum omnium annotari cupio:Definitionem boni ex vete-
ribus fumptam,non vt Propofitione Ariftotelica, ipfa confirmaretur, fed ad
Ariftotelicam ipfam propofitionem potius(qua? quidem vera 8c feipfa per- fpicua
ell )magis con&rmandam adduct Quadoquidem,eo quod omnis ars, omnis methodus
at que omnis atio 8c eleftio bonum aliquod appetit,no id- circo potuiflcnt
Antiqui colligere, Bonum id efle quod omnia appetunt ( fi- quidem multa alia
fuperfint , in quibus neque methodus, neque actio nee e- leHo locum
vllumhabent.) vt re&ifsime contra potuit Ariftoteles , defi- nitione ilia Boni
ex fingulis rebus colleda , fuam Propofitione Particulario- rem ftabilire.Qnare
Euftratius quidem, qui defcriptionem Boni hie allatain a pofteriori efle docet
3 re&e loquutus eft,(yt ex iis liquebit qua? poftea dice-
mustMirandulamunamen, non bene earn ex loco probahili dedu&am efle
affirmauit.Crterumquaeannotauimusverifsima efle manifefto apparebit fi quis
morem Ariftotelicum vt in priori de phy.aufc&Poft.analyt.necnon in libris
Metaphyficorum obferuare voluerit. Neque moueat nos particula M , qua? non
magis complexionis quam cauff vim lecum afferre videtur.Ex his patet, Contextum
in duas particulas fecandum efle. Prima autem Propo fitionem continet,Secunda
vero iliius cofirmationem.Particularior eft pro- pofitio, vniuerfalior
confirmatio. Quarc particula ilia i;*3w7, non ita late in ropofitione, vt in
cofiramtione patet:quod quide marticulus to huic appo- itus indicare vult. Eft
autem Ars fi proprie furaatur. Habitus cf ficiens cum refl* Digiti zed by
G00gle LIBER i; if re&a ratione in iis confiftens quar aliter fe habere
pbffunt*, ob humana? vit* vfum:vnde Euftratius ab hac propofitione omnes illas
artes explodit quar vel mal ^ vel nuliius vfus funt,quas etiam a?quiuoce artes
dici debere monet. Minim eft autem artem aliquam explodi ab eo , qui duplicem
tllara boni di- ftin&iontm propofuerit, eius videlicet quod per fe 8c
natura fua bonum eft, atque lllius quod per accidens, id eft non verura, fed
appares bonum efle di- citur,de qua dift inftione Arid oteles multis in
locis,prarfertim autem tertio ethic cap.*, loquutus eft. Sed fciendum artem
fumi hoc in loco, vt plxrun- que fit coramuniter, id eft pro omni via 8c
ratione docendi aut difcendi quj certa fit, qua fignificatione fcientiam, quum
proprie etiam accipitur, conti- net. Queraadraodum nanque Scientia proprie^eft
Ars communiter , ( vnde fit vtGeometria & Arithmetica qua? proprie
fcientise funt, artibus liberali- bus adnumerentur)ita Ars proprie,eft Scientia
comuniter. Quod certe Ga- lenus nobis declarabit, qui Medici nam definiens,
fcientiam nominauit. Ve- ram autem eife hanc Artis fignificationcm ex cap. 2.
primi Rhet. atque aliis ex Jocis cognofci poteftata vt exiftimem non latius hoc
in loco Methodi no- men patere, (quod quam libet difciplinam via 8c ratione
progredietem,aut in contemplatione aut in a&ione , vel effe&ione
pofitam fignificat ) , quam Artis vocabulu pateat. Ac fi diceret
Ariftoteles,Omnis ars,& in fumraa, D'u fcipIinaomnisqua?tunque ilia fit,
modo ratione ordineque nitatur ad bo- num aliquod tendit. In hac eadem
fignificatione in primo phyficorum cont.i.vox piStJbf pofita eft, quicquid ibi
dicat Auerroes.Na vt omnes eiuf- modi difciplinam, bonum aliquod tanquam finem
refpiciunt,ita principia a- liquot 3 & caufas habet,e quorum cognitione
reliqua cognofcantur.De mul- tiplici vero vocabuli (i&SiJbv fignificatione
fi quis plura nofle cupit,ea ex co- mvntartis Alexandri,Simplicii,Philoponi,in
primo phy.com. i^petere pote- nt. Cur autem Methodi vox ad artes etiam ipfas 8c
fcietias defignandas ac- comodata fit, declarat egregie Magnus Albertus p.
Top.cap.t. Non alio au- tem fenfu ad ha?c duo vocabula proferenda Ariftoteiem
progreffum fuuTe* manifefto cognofci poteft ex iis qua? primo magnorum moralium
capite i. tandem propofitionem repetens, inquit. awm fdp oivUiTv/ifoTT *W
&bdmq6d omnis are omm'fque* Digitized by VjOOQIC LIBER I. 17
ottnlfquefcieatfe, a&to item& eledio , naturam explere vtilt, id eft id
co- oenfarequod natural deeft, fi eflimnihil nobis deeffet, fruftra agere,
fruftra icire, appeteremus , vnde & Deum aliquid extra fe intelligere
Phyficus ne- gat, fensiesit videlicet, fe id affirmare non poffe, quin
Deumalicuius perfe- ftionis expertemconftituat. Porro hie primo dubitatur, Cur Ariftoteles de fine
extreme hominis loquuturus, Boni non Finis nomine in hac propofitio- ne vtatur.
Deinde illud in quapftionem cadit: Si per Methodum omnes difci- plinas
intelligamus , quomodo illas qua? in Tola contemplatione fita? funt,no potius
ad verum quam ad bonum tendere dicamus , quandoquidem , bonum & verum non
idem omninofunt,nequeeadem facultate percipiuntur. In verum enim dirigitur Mes,
quo etiam folo pafcitunin bonum vero Appete- di facultas. Quare intelligibile ipfum,
non nifi Tub ratione veri Mentem vn- quam moucre potericquod etiam ex Platone
in Sy mpofio colligi poteft. Pri mamautem qua?ftionem diflbluit Thomas in p. p.q.f .art 4. & in
quarto co~ tra gem.ca.1.} .& \6. in hunc modum, Finis cuius gratia omnia
agunt , non* nifi bonum effe poteft :_nam id ad quod agens vt ad finem tendit ,
aliquid de* terminarum fit oportet, atque adeo nature agentis accomodatum , vt
illius appetitum expleat perficiatque,quod vox etiam ipia nAo* indicat. Quare
di ximus etia,rem ob id ipfum quod bona fit,hoc fibi peculiare vendicare quod
finis dicatur. Proipdeque Ariftoteles in fec.de Phy.aufc.cont.ji.dicebat, A- Cl
lia vt finis bonumque carterorum: id eniiri cuius gratia, optimum finifque a- c
liorum effe debet. Ad fecundam dico, Mentis bonum effe ipfum verum, ma- lum
vero falfum:idcircoque habitus illos,Virtutes Mentis tanfuromodo nfi- cupari
pofle, qui femper veri funt nunqua falfi: Vnde Opinionem & Sufpi- cionem
virtutes Mentis minime dici debere quodam in loco Thomas often- dit. Hoc autem
clariusexplico:Anima noftra quodammodo omnia eft", vt
terriodeanim.cont.37-conftat,idcirc6queconuenientiam cumomni ente habere poteft
ranima? vero duplex vis eft,vna qua? cognofcens dicitur( voce- tur autem
Mcns)altera qua? appetens nuncupatur, fiue optfyf , quanuis com- mnnius hoc
vocabulum quam vox Appetitus effe videatur. Appetens animar vis^voluntas proprie
hie nominanda eft, qua? reipfa a Mente non differt, fed
folaradone.ConuenietiaergoEntis cum voluntate, nomine Boni exprimi- rur, ex
cuius poffefsione voluptas oritur: Conuenientia vero Entis cum In- rei/fgentia,
verum dedarat, ex cuius perceptione certitudo & fcietia repor- tatur.Harc
fere ex ore Arift. 3. de ani. fumpta funt. Vnde cum dicimus Me- tem rendere ad
verum, vt ad finem & bonum , id volumus , non quidem ve- rum fub ratione
boni proprie mentem mouere, fed Mentem antequam o- peretur,id eft fpeculetur,
finem fibi ilium proponere cuius gratia vult fpe-^ eulari.Non prhis ergo ad
operadum excitatur Mens , quam Voluntas affen- * ferifcaflentire autem
voIutasnequiret,nifipriusab Intelligibili moueretur, atqui no nifi fub ratione
bopi,Intelligibile voluntatem mouere vnquam po- Ccrit:Vel dicas,Mentem vt eft
natura quardam qua* perfici poteft,bonum pro obiedo habere : vt autem Mens eft
, in verum tanquam proprium obie&um fcrcL Venianuncadalteramcontextus
partem, qua dicitur , Antiquos de* Digiti zed by G00gle ig E T H I C O R V M
finiiffe ipfum bonum, Id quod omnia appetunt. Similishulc ilia eft qua? i Diony
fio quarto cap.de diu. nom.ponitur. Sed ante omnia declarandum eft quid hie per
(tv i,}*Siv) intelligendum fit ,mox quid per vocera (Omnia) Quantum ad primum
attinet,dico Deum per ii &ya.5iv oranino debere intel- ligi , qui fons 8c
ratio omnis bonitatis eft, aut fi mauis , Bonu vniuerfe,quod bonum
vniuerfefumptum,eftipfanaturabonitatisquar non differt a Deo. In hunc ergo
omnia tendunt, nam 8c elementa ciim ad proprium locum fe- runtur Deum
qua?runt,quanuis id non animaduertat:& Homines etiam,ho- nores,voluptates
& diuitias appetere poffunt,& etiam repudiare,bonum ta- men vniuerfe
non appetere minime poflunt , cum nemo malum expetat qua malum eft. Ha?c Alexander
quoque, primo metaphy. cont. ij.tcltatus eft. Refpcxerunt ergo veteres illi,ad
Deum cum Bonum definirent:quod eo etii Connrmatur, quia Ariftoteles qui eorura
definitioiiem hie probat, in duode- cimo metaphy, cap.io. Deum effe ipfum bonum
8c ipfum appetibile often- dit. ( w-7*),Id eft quarcunque in hac vniuerfitate
continentunBonum enim neceffario volunt ortlnia, aut faltem quod fpeciem boni
pr*fert,vt idem ait primo Pol.capite primo, 8c boni ratione volunt quicquid
volunt. Nam fi adsequatum appetitus obie&um , fit ipfum bonum,certe bonitas
erit ratio i- pfa, qua appetitus aliquid appetat , ita vt non aliter appetitus
in omni re qua appetit bonum expetat ,quamvifus in omni colore quern videC 9
lumen vi- deat. Atqui vt in fingulis quibufcunq; rebus efficiendis,licet midta?
cauf? co currant , fummus tamen opifex fuam &ipfe efficientiam adhibeat
neceffe eft,alioquin enim nihil in fucem prodire,acnepaulum quidem moueri pof-
fet, fie in i ifdem rebus alliciendis rapiendi'fque, multa quidem bona,&
mul- ti fines exiftunt, fed omnes deriuantur,& vires accipiunt a fupremo
illo bo- no &iine qui reipfa cum Deo idem eft. Quapropter Princeps ille
Deus cum caufis omnibus erficientibus fimul efficit, 8c cum reliquis finibus
fimul alii- cit & mouet: afcendentibus enim elementis ad afcenfum conducit
, defcen- dentibus ad defcenfum , progredientibus confert ad progrediendum,
ca?lo volubiles ad ambitum circuitus iuuat,animos hominum mobiles libere pul-
fat, allicit, perfuadet , proindeque tam apud Philofophos quafn Theologos illud
vulgatifsimum eft,Nihil eue in rerum natura quod non Deum expetat. Hapc fere
Thomas in tertio contra gent. cap. 17. & 19 > qua? Peripatetice e- ttam
difta funt.Sed &alioquodam in loco egregie,vt mihi videtur,expofuit
Siuomodo omnia Deum appetere dicantur. Omnia enim(inquit) naturaliter ui
conferuationem appetunt,& ideo ftudent vt fint quamdiutifsime:vnde fi qua
fint interitui obnoxia, refiftunt quantum poflunt contrariis , in eoq; fta- tu
8c loco effe v*lunt , in quo fahis eorum incolumis feruari quest. Terres &
aauea,id eft grauia omnia , ad inferiorem locum feruntur, ignea 8c aerea id eft
leuia ad fuperiorem, quia horum in fuperiori vniuerfi parte , illorum in
inferiore forma & perfe&io optime conferuetur. Nunc omnia hac ipfa
ratione nempe quod Sint, cum Deo conuenientiainhaberedicuntur. Deus nanque
ipfum Eue verum 8c fubfiftens eft , cuius participatione alia omnia Effe
dicuntur 9 Et Euftratius inquit^ihil effe bonum nifi participatio ~ Digiti zed
by G00gle LIBER I. I* bc,fununi boni,nimirum Dei , qui vere eft bonum non
participatum nihili facienda erit. Nam
quod Sepul- ueda inquit ex primo Eudem. capite tertiq: omnia, id eft,
remquaroque, fuum proprium bonum appetere: verifsime didum eft: nihil tamen ad-
uerfus noftram explicationemmomenti habet. Quis enim eft qui non fa- teatur
omnium rerum finem & commune extremum Deum efle? quo e- tiam refpicientes
veteres Bonum hoc modo definire potuerint ? Quis etiam nefcit, quemadmodum
cuiufque fpeciei propria &fua natura eft, a cete- ris diftinda, ita proprium
quendam exiftere finem, &vni tantum natu- ra? accomodatum? Superius.de
dementis dixiraus, percurramus nunc a- lia. Plants radices in terram defigunt
,'vt-ea alantur & fuftententur, truncos & ramos foli exponunt, vt
frudus ferre valeant > & fobolem pro- pagare. Animaliamultam curam
adhibent , vt comparent qua? fibi ad vi- tam funt neceflaria ,& qua?
nocituravideantur declinent , tuentur quoque fenfusfuosdiligentifsime, nihil
praetermittunt , vt progrediendi faculta- temincolumemconferuent. Homini item ,
qui nobilifsimahuius vniuer- Catis pars eft , bonum aliquod peculiare^ pro fine
& extremo propofitu eft* Turis item & cxleftibus illis Mentibus fuum
efle conftat. Condudatur ita* quevnamquanque quidemfpeciem fuum peculiarem
quendam finem ha- bere propofitum, non tamen e6 veteres refpicerepotuiflequum
dixerunt, Bonum id efle quod omnia appetunt. Quo? vcro Mirandufanus ex primd
Rhet. cap. 7. affert , tantundem valent. Verba autem Philofophi ifla iuntt
Quoniam id bonum efle dicimus , quod res omnes expetum > vel qua? /ar,t/>#eW Hie vero obiter non poflum ,
illud non dicere, mirari me Mirapdulanum do&ifsimum &fummum noftra?
atatis Philofophura , in decern lineis bis in repugnantiam incidifle. Quaerit
primum quid illud fummum bonum fit, quod omnia expetunt, Refpon- det eflfe Deum
: Mox quarrens quodnam bonum illud lit quod htc defi - nitur , Refpondet , efle
bonum quoddam vniuerfale non tamen fimpliciter, fed iis tantum commune qua?
Mente pradita funt. Hoc eius refponfum eonfirmar.eo quod definitio eiufmodi, ex
propofitione deducatur, qua? nonnifi mente prarditafpe&at. Poftremo quawens
, cur Ariftoteles iftam boni defenptionem hue afferre voluerit , Refpondet : vt
propofitionem fuam quam demonftrare nonpoterat,communi omnium (ententia com*
probaret. Iftanunc quarfita &refponfa alii perpendant , mihi qui errata
indicaui , ea propofuifle fat eft, Redius animaduerfum ab Euftratio eft, banc
Boni explicationem,non definitionem fed defcriptionem efle, con- ftantem ex iis
qua? pofteriora funt. Etenim, Bonum Primis adnumeratur, & cum
Enteconuertitur. I fta vero prima tranfeendentiaque , per aliapru ora exprimi
nequeunt , fed per pofteriora exprimuntur, vt caufat per pro* pria effe&a.
Quum igitur Bonum hoc fibi proprium habeat , vt fimulatque eius fpecies
appetitu percepta fit > ilium raoueat , re&ifsime per motum appetitus ,
vt omne mouens pec motum defcribi folet . Qua etiam fola ra- tioned quod dicimus,Rem videlicet
in Efle appetibili rationem Boni con* ftiti&re , intelligi oportere bene
Capreol. 1. fent. dift. J4* fl- * annotauit. Sedqua?rerediligentiusoportet ,
Quomodoinanima appetere bonum aut finemdicantur,qiuimpra?fertim finis nonnifi
fubratione amati&defide* rati moueat 5 qua? certe ratio cognitionem in
amante , & defiderante exigit. Illud fecundoquaeftionedignum eft: Si
vaicuique fpeciei fuus proprius fi- nis, fuumque proprium bonum fit propofitum
, cur eft quod Homines in fi* &e deligendo facile decipi pofsint, & in
proprio veroque aflequendo ,.mul~ tumlaboris&diligentiapadhiberecogantur? C
altera vero fuum finemde* Centem & ftatutum, femper confequantur \ Poftremo
dubitatur: NumDeus commune &extremum bonum gqualiter omnium rerum efle
dicatur? Ad primam quapftionem dicimus: inanima bonum fuum appetere, non quod
ipfa cognofcunt , fed quod , Numen illud prarftantifsima? &
faj>ientiftima? Mentis , cuius vis per cun&as naturas huius Mundi fefe
perfundit atqut infinuat , bonum efle cognouerit: Deus , inquit Atiftot. in
lib.de mundo,per omnes Digiti zed by G00gle LIBER I. xi omncs naturas pftntas
& animaliafufus eft : Vniucrfa namqueexiUo fc per
iUuraconftkiita,&coagmentatafunt. AI^ vita &ftatus omnium Knotty (&
harara quidem obfcuripr,iilarum verb clarior ) pendct. HiftC tUud Vc- tcrnra,
l^onimomnta plena. ErPot ilia aurcacarmiBa, - Deum nanque ireper onuses
Terrafquetraftttfquemarif,ca?lumqueproftimefnorat z de quodiui* nttus ctiara a
Dionyfio in lib. de diui. nominib. fcriptum eft. Et Thomas in 3. contraGc ot.
cap. x$. & p. p. fumraar. q. 7o.art.}.item i.fent.dift.^art.j.
totamhancreminhuncmodumilluftrauit. Corpora cadeftia abaliqua in- telligente
Subftantia vt; organum quoddam ab agente mouentur : motus au- tern corporis
ca?leftis ortum & coferuationem inferiorum refpicit, vt Arift.
p.meteor.fcribit. Vnde primum {equitur, qrtus & affe&iones horum infe-
riorum noa aliunde quamexconfilio fubftantia? illius intelligentis &mo-
uentis pendere, neque enimaliura finem refpicit inftrumentum ab eo, ad 2uem
Agens ipfe princeps tenditideinde quem^dmodum corpus carlefte ad Bern fui mptus
a Subftantia intelugenteiijouetur 3 ita corpora ha?c iriferiora omnia,quqrum
mofus a. carleftj pendet 3 ad proprios fines ab eadem Subftan- tia
intelligenteferri,& duct non alia rati^ne auara Sagittam a Sagittarib(de
iis quar cognition is expertia funt nunc potifsimum ioquor)ad fignum ab eo
infpe&um pelli dirigique videmus. Hoc illud eft,quod Auerroes alicubi di-
xi; Opus naturae effe opus Intelligentiarnon
errantis : EtThemiftius fecd^^nimcap,i4,Naturara volentera & ppftulantein,
yocauitSecuda aur temquxftioitadiffeluendaefl:. HominiquincJbiliifsima huius
vhiuerfitatls pars eft y verumitem quoddan^propriumq; & nofcilifsin^urn
bonum pro fi- ne & extremo propofitum efle: quern ft affequi .veljt,
plurimum laborisVplu- rimumque diltgetiar eum adhibere nccefle fit , quod inius
appetitus ita a na- tura formatus fit, vt fefe ad bonum & malum couertendi
facultateni habe at, (hocomnino phyficum eft, aliter enim germane vera,&
Euagejica Theolo- gia loquitur, quanquamPapalis theplogia a Genjiliui^libertate
non abhor- reat } qupniajn tantq tanque excellenti munere v jd eft
Intelligentia jpfa do- oafusfeft. Quafi volueritPeus, tantiboni collatiHominem
memoremeffe, proindequemcrcedem aJiquambeneficii,laborem nempc & ftudium{
vt Prodicus Chins inquiOabeo continenter^xigere. At cumaliisaniniantibus
inaniratfque rebus , quibus cognitio vel ratio & mens concefla non fijit,
alir rer prorfus egit. Nam iis certum ac
decentem finem conftituit , quern fere femp? r wnkquereiKur. Poftrema?
quarftioni ex Euftratio cap.*, in hue mo- him fatifficri ppterit : Qeu*n efle
quidem coinmune oninium rernm bonum, rri*3p viufcuH*fque jei pjr^riunj,quatenns
projjr io qqodam & pcculi- afi flp^d^i^nguliscoprehenditur vel
participator: no enini onines equa&- ter,4ioinam natut^au^ e^^e^aut
comprelwndcre ^icuntur, fed qua** 'biii. Digiti zed by G00gle %% T.HlCO:RVM
qusque fts ab illopropius abcft, eo petdpitfwricipattjtie perfe&his. Hinc
Thettrfftiufffcc.de amxapa^imjun , Qmnes dtuins naturarparticipes fie* ri V
thtiMlmt expccere , quantum tamen cuiquefatis eft ; Euftratius e-* riam m hoc
priraomiaquifcEns qUod prirao bononon eft knraediatuni, ha* bere ali quod
propnum&peculiarebonum, per quod ad iliud primum & commune bonum
refertut * Item T^omasasi 4. contra Gent.ca. t{>ait pr4 xi- mius aliquid Deo
coninngi, quum aliquidde Dei fubftantia comprehendit, quam quum aliquam tantum
tlltus fimtlitudtnem, vt Mentes videlicet orle- ftes,quar*,id eft opera V
eflfeda quxdam. "Voco autem isipyi&y, motionem aut operationem fpfam,
aut etiam , fi mauts , facultatem ipfam iam agentem & operatem,fiue,vt
Galenus initio primi de fac.nat.ait, f&siidtjj xivwtf. Hoc modo cantio,
Saltatio, equitatio, qua? motiones qua^ dam funt, fines efle dicuntur
facultatis cariedi, laltandi, equitandi , propter- eaque nihil poft cantionem ,
faltationem eqiiitationemque tanquam produ- ^iim atque effedum fuperftes manet
.S ed yocd ii t^v quod iam fa&um ai^ que coiripletum per adkmem,fuperftes
efiVvt in naturali adione, c*ro,f*A- guis,' lieruus, in artificiofa ver6,domus.
Quanuis Galenus loco fuperius ci- 'ut6h4fyiaM quoque ipfim ii \?y>i
"dici poile velit. tamen c6tra,non licear, 9pus,adi6nemomninov6care:fiquidemcaro
natura? &dorausartis opus eft, non tamen caro aut domus eft adio.Horum ergo
finium talis eft Ari ito- telis fentetia,vt fines ejiii funt opera,
operatidnibus feu motionibus per quas cojrnDlentur,pra?ftare r dicit,Sedhic
primum animaduertatur Ariitotelera ^runqie vocibui illis -mi&iui nempe dc
Ui?yti*t abut ( , Pro^rie rer^ anfi yiidv vt dixutiUsoperatiotiemfignificare
,fiue,vt diiigentifsimuVLambiriu* ck M.Yullio dicit, fiindionem muneris, qua?
idem eft quod vrnhiyu*. feci- da, qua : aduiti fiue adionem fignificat: Hec
idcirco finis fatione habet,quia jacuftati* accefsio quaedam 8c perfedio eft,
fiquidem tuc maxime res perfe- da dicitur , quum in propria adione verfatur:
Adio etiam facultati pra*ftar, quum facultates adionum , non adiones facultatum
gratia fint comparata?. Neqlie enim homiriesroncionibus aut pr$ledionibtis
adfunt, eifque audiut v| faciilfafem audrefrdiadipifcantur^fed contra
potius^noti aliam pbcaufarti laclultateriftii pra?diti fuehiritiquam
Vtaudiret.Hirtt illud pronerbiumrDum dorriiitdodUsabindodoniliildiffm; Hta
fflodocotffgplado ttK>tioqu^ Digitized by VjOOQ IC LIBER I. %i . dam &
qwdemperfc&a,noftr* Mentis eft,Anima? vero fentientis 5 vt vide-
/i>Audire,olJFacere. : Adhanc fortafle refpiciens Arift oteles primolocp voce
inp*44t x i$ hoc contextu vti voluit, (ecpado vero mffr quum certefaU tatiouero, aut
ardificajkmn>q\*Qd non ita perteda? energy lint ( nam & Or pera corporis
egem * & ad opu&extermira tendunt ) , a$ fignifica^ tio, quum neps ad
imper fedam quandam jqptionem exprimendam iumitur refpedu reiqu? ad id quod
potentate eft pergit. Inde Arift. 5. de ani, cap.4. vocat c*^ y% acute intuenti
patet. N^ade energ^a agentis, contempla^tis^elt- gcntis , & efficientis
inteliigi poteft. Quapropter non poflum non mirari iupfdam^lioquin magn*
exiftijnatioais viros, fuam quandara fintum diui- onem ex hoc Arift otel ico
vocabulo comminifci voluifle > ita vt dixerint v- gam genus finiu efle
ipfius Oper js e^edum mqtioqesi per ficiitem: alarum vero,perfeda eaergaani
fubieduperficisate>npn jqpuooejVt yidere, audi- re^telligerelPrim^equn
impcoprieOpus dic^tqr perfedio adionis,quii ptrfedip, vtSimjdicius. &
jpterpjretes pmc^s Qre^i jp feeble Phy.auc.co^ 7. annotarunt : ,|ion tollat id
cuius perfedio eft, i^o perckit , opus vero fa*
cukatera deft mat. Deinde etiam in genere finium qui motiones diqumu* .
tamperficietes fubie&u in quo fum,vt videre,audire,qua perficientesexter-
nufuhicdu,& ad opus aliquod tedetes>vt equitatio ardificat ioq; ,
continetur, Ni ^*^^T &rede > na opera fiiat id irexfr quod vere rat^ione finis ter sniqiq*
obtinet: pp^ rat tones yprafiit *$*$>$ tt^K.Notat ide4iuiufccnK>4i finiO
$flfoi6uidepab Arift,iuidej>pofita,vt fypulu e medio toliere^quii^qve- tis
diftidiaai^ ^^&fentetiefficacia t f e{w4ere ( $qtpnttf]$c autc omnia gaulcx
Digitized by VjOOQIC ETHlCiORVM 4r^ rit ^ c ^s^teteie ipCo Cfcgttofafttur.Kunc
exp^amusfqutfhtfinlo- teriusex ratoteicipiw*6 a :..,;in.-m4- verba
iftaexj>liCas *>nere)ait. Duplex autem eft id qu^ fab nomme Cuius gtttn
rl vtoluMas, turn id quo itur , turn id cui itttr.vt*KmH moralibus bifa- 2z |s
iuidkur,vt primus foelicitas habeatur, quo omnes contendintus, mt% nn _ ^^ - fi
? & fibi quifque cui foelicitas optatur,& qua?rttur.Idem du* :er ^jr is
ira iwledicuiaConfpicitur.EfteBimibifanitas,tanquamidqu6per- srX "i&r
cu jus caufa accerfitus medicus eft : eft pratterea aegrotus, cui paran- cll
JC'-. e {fc:i*uendaque fan itats. Item in rerumnatura,Diina,iHafempiterna- el *^ rtuamappetiabomni
re dtximus,eftid lummum quo res omnes *M -^v^cxc 8c cuius gratia inft ituunt omnia: Animans
vero quod gignitur/it *. >i
- &c 3d cuius vfum' iftk&c arternieas Comparari videatur. Sed enim hare
k rtxift** irefba diferte doftrinar iftorum repugnant. Quid? nonneThei *Vf ^TT
s foelicitatem voCat finem Cuius, quam tame ifti finem Cui efle affir- lltt * z
y^ r iftoteles quoque *.Phy. cont. j%: inquit. Noftri gratia funt omnia, iatX
-^ e rr%. finis quoquomodo nos etiam fumus: Id enim Cuius gratia bifarii
1"*-*^ vt in HbrodePhilofophiatraditumeft. SimpliciusexplicansinqUiti lC *
c c ^ e ft finis, alter idCuius gratia
eft appetitus ,'quemScopum iuniores u P^ t ^ C eti partitas, quam medicus vule
aflequi : alter in quo hoc eft , vt cui 9*^*^^ C eu Sejifus,natti hie eflb
finis Cui. Auerroes itent ibid, in hue modum ittax- - Fit"* dwbbus modi*
diCitur,aut ficut dicimus quod forma eft finis * f *l s ~itx , & illud ad
quod peruenit res eft finis rei : aut ficut dicimus Homi-i l *rr*cfCc finem
return creatarum propter ipfum. Quomodo autemhsec Sim- f -*l\ s sc Auerrois
verba,cum do&rina iftorum conueniat,iudicent nunc alii: J* ,1 xacixxatf
fortaffe lftifunt cum Simplicio,in eo , quod putauerunt , per H- Ls **^ A*
l>Rilofophia"ifcrtptos,m quibus fe dehac finium dtftiadioaeegifle r
^^x-xi* AriftoteleS.Ethicos hoTcelibros defignari. Naminhis-ethicisimrii c ^^am
iftiuff o* 1 } finium dtftinctio legtturT & fi legeretur , non aliaeflet
y*, ^ 4uaffl Anftoteles,Sr ip f ms mterpretes , tot alfts in locis quos
recenfuU * ^^^P of T Unt - ^ UaqUe CT S D oai ifti,hoc in loco in Philofophia
^^a^***"; N k S f efequetur,Oues,"quas pa- fcere & cuftodire vult
Paftor , antefercndas effe paftori : Angelorum i- tem'naturam hominibus quorum
miniftrifunt non antecellere : Carlos tandem qui horum inferiorum gratia motu
fpherko feperenni moiien- tur > inferioribus hifcc fore ignobiliores. Statim
autem litem dirime- re vult , quum ait. Finem Cui ,pofle efle ignobiHorem eo,
quod ad i- pfum refertur,Finem vero Cuius Temper nobiliorem haberi. Nam
(inquit) quando aliquid ad finem Cui dirigitur vt ipfum perficiat,no vt ab ipfo
per- hciatur, tunc finis Cui indtgnior eft: vt Cadi finis Cuius, eft afsimilari
Deo & alia perficere: Angelorum finis Cuius,eft obedire Deo & nos
feruare: O- ptttonis finis Cuius,eftfuaipfiuscopia &vbertas, finis Cui
ipfa? ouesquas perficere vult. In fumma concludit Cados, Angelos,Paftorem,efle
excellcn- tiores fine Cui,non fine Cuius.Laudo D.Marty reTheologu,quod reftius
de fine Cuius & fine Cut quam Philofophi illi (de qmbus
fupra)lfenferit,& di- ftiadmi perfpicuat, tenebras nouis prarceptionib*
offunderenoluerip. Ta- tiim in eo lapfus eft,quod in afsignandis finibus Cuius
& Cui, propriam no feruet analog i am. Globorum cadeftium finis Cuius, eft
perennis ilia libera arque indef elTa motio,qua Creatori fuo pro viribus fe
ftmiles reddere volut . Purarum item & Simpliciura Mentium , quae Planetarum
orbibus prcfunt, Autoreim&Effedorem fuum contemplari atqueamire , finis
Cuius eft. Fi- nes vero Cui non homines,aut inferiora, fed ipfemet Mentes &
ipfimet ca?- leftes orbes ftatuendi funt : ita enim Themiftius fupra
loquebatur. Primus a- ftoris ergo finis Cuius erit, la&is,
lana?, & carnium copia, quam ex blacidis antmafttibus, m ocio & fine
labore cohfequi cupit , vt ait Arift.p.Pol.cap.f . finis vero Cui non erunt
Cues, qiribus nihil hiiiufmodi acqiiiritur, fed ipfc- met Paftor. Atqui
Ariftoteles eodem in loco doCuit. Stirpes omnes, anima- tium, animantes vero
omnes homrnis caiifa, him ad cibum turn ad alios vfus fiiiffe procreatos,&
in fecundo Phy.cont.ij.Noflri gratia omnia e(Te,& nos cflequoquomodo fines.
Oportet igitur neceffario ftatuere , finem Cuius id effc & dici femper quod
generatur.Cui vero,id cui res generatur , & acqui- ritur fine internum
illud fit, fiue externum. Exemplumin iifdem rebus fu- Af poterit -h oc modo *
Orbes c*leftes propter noftram admtnift ratione efle dicuntur(fiue primo
vtTheologi dicunt,fiue feCundario,vt Phyficimihil in- tereft) ergo conferuatio
noftri,Orbium celeftium finis Cuius erit , Nos Ve- ro , Cui. Quis hoc neget?
Vnde fequituf non femper finem Cui , fifti Cuius preftare, Deo enim,qui vt a
feipfo intelledus,eft fua ipfius foe!icitas,vt au- tem ab aliis Mentibus
intelle&us,foelicitas,beatitudo & finis Cuius illarum: nil
perfe&ius reperitur. Item non femper finem Cui ignobiliorem efle , fi-
quidetn, laftts, lana?, & carnium copia,quanuis vita? paftoris commodafint,
non t amen Paftori prarft*ht. Sed quorfum ifta? Nam dum Angeli , aut cor- pora
Catleftia,conferuationtsnoftra? gratia agunt,neque fines Cuius neque Cui dici
poffum. Quomodo autem omnesCraraturar propter Hominero,& Digiti zed by
G00gle u ETHICORVM Homo propter Deum J)eus Uemhorao propter homines fa&us
efle dicatur, alibi quarrenduiyi eft. Quarefimpliciter concludatur opera , fuis
a&ionibus praeftare,quia Huiufmodi a&ionum natura &
perfeftio,n6nifi in opere dtf- cerni aut apparere poteft. Neque ob hoc fequitur
Angelos,corporaque cap- left ia,. nobis efle imperfediora : aut Paftorem ouibus
ignobilioremifiqui-. dem>noti in Efficientibus fed in aftionibus
&operibus efncientium,propo- fitionisAriftotelica? Veritas fpe&anda
eft. Ergo quod ex hoc loco colligere aliqui voluerunt, Prspcim ncrape in
Artibus Theorise anteferenda efle,pra?- terquam quod,vt fuperius
oftendimus,Ariftoteli in primo metaphyficorum repugnat, omnino etiam a fcopo
huius loci alienum eft. Aliud nanque a&jp ipU eft qua? in opus tendit,
aliud cpnteraplatio cognitioquc. Sed hc al4s, nuncadcootextumredeo. ,. .. \
Qupnia vero a&iones & artes,Scienti#que mulcas funr, mulciquotjuc fines
exiftunt: Mcdicina?iiquidem,Sanitas: Artis excruendarum nauium , Nauis:
Militaris tacultatis, Vi&oria;Oeconomiaz,Piuitiae. Deducitur ha?c pars ex
pr jmis verbis huius capitis, Nam fi vnicuique ^r- ti difcipliaopquefuuseft
propofitus finis , multis certe extantibus artibus
&difciplinis,corapluresquoque fines extabunt. Quod exeraplis probattir,
feipfis perfpicuxs. Verifsime autem Medicina? finis Sanitas dicitur*pam: vt
alibi 4ixiraus , quod in Artibus efficitur , proprie Finis eft : quod vero for-
matur,Subie&um,vrinMedicina Corpus humanum. Quoin locpanimad- Hertcndum
eft, npnita lehabere materiem,aliarum artium,vt materiara fiue fubiedu
Medictna?. Alia? nanque nullam intimamj>ropenfionem gerentes, ad fformam
artificiofam, totas fe vni artifici elaborandas ac formandas prae- l>ent ,
neque repugnant informanti : quo fit vt Artifices in iis fuum finem, facile
& temper confequantun At Medicus non Temper fuum confequitur finem. In
caufa eft, materia illi fubie&a , qua? tarn ad fanitatem quam aegri-
tudinem,propenfionem innatara gerens a multifque & contrariis caufis eo-
dem tempore agitata. Medico renftit Alias autem omnes artes eiufdem na- turquas
inordinatiores Arifto- tcles in meteor, vocabat , proindeque eas nee finem fuu
femper aflequi,& in cofultando deliberandoque perfope pecupatas eife. Exhis
cognofci poteft locum Ariftotelis primi Topici cap. 2. nil prohibere,quin
Sanitas Medicinal finis ftatui pofsit,quanuis Alexanderea in re nimis
fuperftitioiits fuerit.Ne- queenimmedica;mentaexartea5ihibe^e,finis Medici eft
> fed medium quel faaita- Digiti zed by G00gle LIMBIC f. r %i foniratem vuh
inducer e aut eonferuafre, qua? fanitai fiiris dicitur, quoparta vero difpouta-
que rede vti.Proprerea etiam primo PoLcap.7. ftriftius comprefsiufque de his
loquitur , fiqutdem dixit.Sic opes parare, quodammodo Patris familias rxter eas
aJiud quippiam , vtinScientiisquas commemorauimus. Ex fuperiore iHa
propofitione vrjiuerfali , Affumpt ionem hanc volut t A- riftoteles elicere,
nempe in humamsadionibusahquS finem efle. Ita ex hac noua fimum diftindionc,
Aliam vult c6cludere,nirairum, In adiortibus hn- man/s finem reperin optimum
prarilaotifsimumque^iuccerte fpedat,quar in priori htiiut cdiexrus parte
afteruacur jde finiti inter fe coHatione, qua vi- delicet vnum akmrtn
compledi,vel conttnere dicitur. Docet itaque, finem ilium qui ermnentiqr eft V
qwque alios compledijur ,& fub fe ita coint inet, Ft illrs pr aut eius qua?
framos , calcaria , aut e- ^pptaeffidt:,idcircointeniogeuereProbleniaturq ab
Ariflotele primo topteo enumerator urn coHocari oportere^qwaadaliumquendam
& vltimil fineitojhijcdirifeaobir.Namfiid concedatur.fateri quoqueopbrtebit>nuJ]am.
Digiti zed by G00gle at ETttlCOlVM tia habere. Omnes enim artes, quarum opus
eft in agendo, ad Politicam re- feruntur, vt fcquenti ca. audtemus. In altera
contextus parte, tollitur e me- dio fcrupulus,cuius gratia ex Euft ratio
fuperius diximus , ab Ariftotele prir orem illam finium diftin&ionem f
uifle propofitam. Eft autem talisiNon yi- deri finem illum^qui eminentior
eft,& reliquos comple#itur 5 optabiliorem> quia fieri aliquando poteft ,
vt fuperior finis ctqyi* tantum fit , inferior ve- ro to tppsisquod cum aliquid
fuperftes & manes fit,magis appetedum videa- tur. Spluitur, nil interene,
vtrum fines fint opera, vel operationes:Quocun- que eoim modo fe habeant,ccrtum
eft ef ficaciam eorum & pra? ftStiam, non aliunde quamex maioreaut minore
complexu , ex humiliqri aut fublimiori gradu,tand^mqueexdominiiiure ampuori
velanguftiori petqpdam efle. Nemo ccrte eft, qui Equitationem frarno,proindeque
Equeftrem artem>arti conficiendoruvifrarnorum prxftarenon uteatur.
Itaconcedum pmnes', fa- nitatem qua? opus quodda eft, exercitationi corporis
qu* eft operatio > pro- ptereaque Medicinam G ymnaftica? anteferendam efle.
In verbis funt non- nulla expendenda. (ccpmrr ). Nos vertimus facultatem-.idcm
enim hoc in lo- co valet, quod Alr&fjur. Vocantur autem facilitates artes
qua?dam,vt Rheto- rica 8c Dialedica,& Conie&urales omnes. Caufa triplex
eft,inquit Alexan- der in primum Topicum cap. i. turn quia res contraiias a?que
tradant , quod verbum 70 JtirA&$ indicat , turn quia homines iis imbuti
> poteftate 8c excel- lentia quadam fint prediti: pofeemo quontam qui iis
funt ornati , ancipites funt/ben^que&male,modifqueoppo(itisillisvti valent.
Quae fi vera fint, & non potius facultatis nomine,Habilitas ipfa ad
(juoquomodo agedum ac- quifita intelligatur: vocabuli ^W^imr , quam alibi etiam
vt in fecEthi. ad- hibet,erit hoc in loco agnofceda. (Et omnis belHca atio),vt
Sagittandi, Ia- culandi ars, 8c qua? abEuftratio ^/Apoeix* nominator ,
aliarqueeiufmodi. Quae hie a nonnullis'de Architefti Vniucrf? Reipublica?
moderators officip proponutur,quod Scopum Philofophi nulla ex parte
attingat,omnino veluti fuperuacanea habedaerut. Qua? ratur ergo illud potius
quod fupra ex D.Mar tyre propofuimus. Num videlicet opus finis rationem
obtinere pofsit : Si e- nim effedum quid fit,quomodo caufc? munus
geret?Refponde,o>duobus mo- dis de rebus nos.pofle loquirvel co quo extra
animam exiftuat > vel quo in a- mma habent Effe. Hes non poteft caufa
finalis efle , vt in anijaa eft , alioquin enimMedicusnunquan
fuofinefhiftraretur,afsidue naoque illi in niente pnefto eft Sanitas. Quid?
ergo finis caufa erit, prout exjtra nuentem Artificis eft* Refpondeo,finem vt
amatum quid defideratumque per fui fpeckm ageV roouere: quacerte fpecie
nifiafFeausfitagens 9 nunquammouebitur. Quid enim aliud eft, Propenfio amantis
in amatam rem , quam fpecie s amata? rei In amante ? Ha?c tamen fpecies non
poteft agentem allicere 8c rapere , nifi ratione illius Efle quod extra mentem
reipfa obtioet.Idtirco naque Athkta? ftrenue certat , vt propofitamcoronam
acquirere pofskit; oeque in certaj$e defcenderent, nrfi ea fe donari poffe
exiftimarent Jtafeotit Auerroes **jne~ taphy^-Sed obikiet quefpiam , Aut Finis
eft caufa quando eft V aut quando non eft&ion quando eft, quia Arift.i.
deortu & inMf^dixit, habitibipra? fentibus Digitized by Google 1 1 B E K 1
h > ftatibui in materia,omoein morum define re. &eo confirmattir,
qnodfopc- fiusdiximus, Finem videlicet raouerefub rationeamati&appetiti r
cjuotf fane indigentiara & abfentiam rei , non pra?fentiam & pofleisionem
indi- at ; Non qjuum non eft: quia non ens* rationem boni habere, caufa
efle,rrio- uere>terminare, nequit*iita vero omnia finalis caufe miinera
funt. Secundo fi finis fit caufa,vnura& idem eriteflFedus&caufa. Caufa
nempe qua mo- net agens, effe&us vero qua ab agente mouente materiam
iriducitur. Ter- tio , repugnant ifta duo inter fe, efle
amatum&defideratum: nam fi finis defideratur , non adeft aftu , quomodo
ergo amatur ? Si amatur , iara adit adeft,quomodo ergo defideratur? erit fane
idem adu fimul &* poteftate,pr#- fens&abfens. Dico ad primum, Finem
mouere partim quatenus non eft, id eft prout poteftate tantiim, fiue prout
extra producendus eft: partim qua- tenus eft, in flaente neftipe artificis
impreflus. Agit ergo finis , non omnino vtpoteftateeft, neque ortuiino vt a&u,
fed vt partim hoc,partim illo modo> efle dicirur.Locus Ariftotelis
addu&us nobis non repugnat,qui affirmamus, finem qua finis eft, efle caufam
folummododum resfit,tefte Auerroe i. pod. com.39.tunc enim efficienti
proponitur , eumque ad agendum mouet. Quaetiam ratione Arifhin 7. metaphy. *9.
dixit Caufam efficientem ,effe potius caufam rei dum fit, quam iam
confiftentis. Quod fi ibidem idem do* *eat,csufas rei iam confiftentis, forraam
efle & finem,nil mirum,cum finem* fumat quatenus idem eft cum forma, vt 8,
metaphy. w, & multis *liis in lo cis habetur, non autem vt proprie finis
eft, fiquidem tunc agens iam in a&u prodiit. Ex his liquet, qucmodo
finis*pra?fens & abfens ^ amatus & defide- rams, fimul diet queat. Ad
fecundum dico , Finem, quum a&ionera agentis termmat , non efle caufam fed
effe&ura, qui cum form* in ortu prarfertira oaturali re ipfa idem eft.
Ceflante ergo agentis aftione, definit item adio fi- nis , quandoqaidem
Caufaiitas finis , a&itaem prccedit agentis : terminat kaque finisfedidadu,ideft
quandonon'eftampliuscauftjnon terminal tntem, fed mouet, Ciira poteftate
fuerit. Ad tertium dico , finem appeti pec a&uta, quern nondunt habet , fed
haBiturus eft : amari autem, quia in mente artificis refidet : proindieque rede
dici folet,Id cuius ratioire Finis mouet ad agendum , nil aliud effe,quam
realem confiftentia qua? extra product queat, , id vero fine quo non mouet
jefle coraprehenfionem & refidentiam fpeciei il* litis in anima Efficient
is. Quo in loco , vt tota res hare planius intelligi pof- fit, illud pro furama
quarftionts apponam, In caufa Materiali r & Finali,nori fancam entitatem
defiderari,quanta in Efficients & Formali exigitur. In his enim Efle adJu
requiritur, quia vnumqucdq; Efficit, quatenus eft, be Forma son dat efle, nifi
ipfa fit. Materia vero caufa eft,prout formam recipit, quod iam poteftatem dici
t. Fin is item mouet agens ad fui produ&ionera : quare in. Efle
cotoprehenfo, & productbili fat habet Vt caufa efle pofsit. CA P V T I I.
Cl igicur aliqufs fie rcrtim agendarum finis, quem qui- dexn podptcrie expecamus>alia vero propter
ipium, & Digitized by VjOOQ IC p ETHICORVM noil omnia propter aliud
optemus,(Sic enim res in infinu * turn progrederetur jproindeque inanis &vanus
nofter ap- petituseflet)perfpicuumeft,hunc ipfumfore bonum ac- - que optimum :
Cuius cogmtio nonne magnum ad vitam degendam momentum habet ? Atque tanquam
fagittarii /ignum habentes,faciliusidquodexpetere oportet con- fequemur ? Quod
fi ita eft , danda erit opera , vt quid tan- dem fit j & ad quam fcientiam,
facultatemue pertineat - ^adumbrcmus. lam concludere oportet ex hypothefi
fuperiore , rebus humanis agendis aliquera finem efle propofitum , qui veluti
fummus quidam Archite&us ha* beatur, id eft qui no alterius, fed fui ipfius
gratia folummodo expetatur 5 ho-
minifquevotumitaexpleat^vtineoappetitioomnisacquiefcat: Alioqui fi propter
aliud expeteretur, appetitio human* in infinitum abiret , proinde-
quefruftradefiderium noftrum ad optimum naturaliter propenfum eflet. Nullus
ergo infiriabitur, Hominem agentem, habere fummum quoddam & extremum bonum
pro fine propofitum, ad quod eius appetitio feratur, & ad cuius normam
omnia fua ftudia, omnes fuas cogitationes , a&ionefque exi- ?[ere debeat,
fi nunquam a bona & laudabili a&ione difcedere velit. Vnde equitur , non
minus talis finis cognitionem, ad vitam prudenter & prccla- re inftituendam
prodefle, quam nauta? ad tenendum portum quern concupi- uit Cynofura?,aut
Sagittario ad attingendum Scopum Signi inipe&io codu- cat. Ha? c prima
contextus pars habet. Secunda indicat quaerendum efle, quid namiftud fummum
bonum fit , & ad quam facultatem illius tra&atio pertk neat. Quod
ipfumnosSecundam huius Prooemii partem prcecipuam efle, fupra ftatuimus. (Si
igitur aliquis eft rerum agendarum finis). lam reftrin- giturpropofitioadTtt
denreraumHominiageM cxoptando propofitura efle , aut fruftra appetitionem
noftram j nature vi & du&u propenfam in bonura efle, quandoquidem
nullum vnquain bbnum af- fequiHomo agendo poterit, quo expleatur,perficiatur
que: fed Temper aU terum ab eo quod habebit, appetere cogetur. Quod eerie
Naturae, imo ipfi Deo, quo autore in bonum & finem appetitio noitra fertur,
macula & netiu* eflet, qui inconfulte temereque, hanc propefionem homini
irididiffet : Atqui hoc de Deo aflerere nefas eft, Cuius fumma prudentia,prouidet
iaque in mi- nimis quibufuis huiufce vniuerfitatis partibus,a? que ac in ca?lo
&beatis ipfis Mentibus/ibi coftftat. (r iyt3or,^7ootee$py). Namfivtfinis,bonumeft:fie
Ttextremus finis optimum erit. Vtrunqueautemfuprioftenfunifuif.Iffre* bus nempe
agendis non modo finem aliquem, fed etiam finem qiiendam ex* tremum fpeaar i
oportere. Hunc ergo finem proprie , Homo agerido v
tilt affequl Quare a&tones fuas omnes ad illius naturam conformaredebebit.
Alias docuitPhilofophus, Finem afferre necefsitatem Materia?. Eft enim,
inquir,Serra ferrea vt fit hoc & huius gratia. At quomodo confirmari vnqua
ad ilium poterut a&iones, ntfi primum cognofcatur? Propterea Arift.i.phy.
$9. docebatildem fini in naturalibus proprium efle,quod principiis in difct-
plinis conuenit. Vnde cognofci poteit,quam inepte hoc in loco nonnulli vo-
cem(?r*0i*Oad do&rinam fiue praecepta de moribus referantrnolint autem ad
finem ilium tantum refetri,ex quo praecepta de mor ibus,id eft vita? infti-
tutio haurienda eft:quum prcfertim Ariftoteles addat,dandam efle operam,
vtquafilineis quibufdam du&is, aualisfitifte finis exprimatur. (wtfp>%
4c*aGtv). Argyrop.figuracomprehenderc. Antiqua, figura accipere.Alii* crafla 8c
pingui minerua. Nonnulli crafsiore do&rina. Lambmus, Formam
adumbrare,elegatius certe omnibus aliis,non tamen fignificantius. Eft enim
adumbratio rei nil aliud quam crafla & quafi leui penicillodu&a rei
figura defcriptioque. Explicationem vero vocis huius tw^ ex Ariftotele non vno
in loco commode petipoteft.cap.vdicitille, ijA^wWro^^feJ mirm* iLl* itrrrwr
*jkpfl** i my)htif 19 rwy r khndif hf cfc/jcftid^In fecudo vero librohu^
iustra&cap.i. voceta rimv opponit, voci ixexCS* . primo autem Topicoca. i.
vocabulum tv**? per vocem hmfit exjponit,vt liquet ex fine capitis,&*Ale-
zaoder ibidem Ao^Kcf rC*?, vocat mimes*. Haecdixivt fciremus quomo- do Ariftoteles
de foelicitate cy iww fe a&urura efle hoc in loco moneat.Ne- que enim valet
quod obiicitur. Nufquam alias Ariftotelem k%eis%&t , aut magis propric de
foelicitate agere. Nam cr iww agit, quu in vniuerfum & xurcK agit,vt in
primo hoc Ubro: x&er autem quum fpeciatim, vt in reli- quis vfque ad
decimum : fi quidem in illis non owrxSr , fed aufivi&t de ener- ga virtutis
tra&ans, de foelicitate item Talparumoculos obiiciut,Mularum
fterilitatem,& Appetitio- Hem hominis: Qup dubitatiocerte hoc loco no eft
traftada, quum vix quic- 3uamliuninisadpra?fentemdifputationem afferrequeat.
Quareinfecun- urn phyficum* fub finem, vbi de Natura? a&ione fermo eft
omnino reiicia- tur.Illud tantiim in pr a?fentia monemus,quod tenendum eft,
nempe propo-. jitionem iftam , Naturam nil fruftra agere,eode modo efle
intelligenda quo illam aliam Ariftot. videlicet. Natura nil quicqua prius efficit
aut pofteriu* quam vfus exigat. Hoc
elicio ex Ariftotele qui in x.de gen.ani.cap.4. vnan* cum altera coniungit.
Atqui natura manus & pedes hominis facit antequanr raunera ipforum exequi
pofsint,vtidemfatetur in 30. fecprobl.4. Ergo> quemadmodum aliquid prius
&pofterius quam y fus exigat natura coa#a a- liquando facit (neque enim
pedes & manus foetus extra vterum matris effi- cere poflct) ita fi
cogatur,aliquado monftra facit, Cogitur autem vt Alber- tiis inquit,a quatuor
potifsimum caufis , Materia? defea us,vna eft, Altera>e- iufdmcopia,TertiaAgentisautpatientisqualitas.
Quarta, locus fiuein- ternus Cue externus prauitate infe&us. Sed illud
addatur -In Monftris etiam, natura? confultationem animaduerti , non modo quia
Natura Monftru quo- que fibi aliquo modo proponere dicitur, vt declarant
interpretes, verum e- tiamquia ad ordinem&perfe&ionemhuiusvniuerfi
cuius ipfaDomina& Conferuatrix eft, Monftra ipfa dirigit:vnde dici folet,
omnia qua? fiunt a na- tura vel fines efle, vel propter finem. Ex quo
patet,multa effici a natura quar quanuis non funt fines, non tamen cafu efle
dicutur , vt Mularum generation Sunt autem Mula? non finis natura?,fed propter
finem: quanuis enim necefsi- fate materia? ftcriles fada? fint, funt taraen
natura? propofita? non quide per fe, fed propter alterum,nimirumvt oneribus
grauifsimis vitro citroque 4 remotis regionibus importandis exportandifque, ad
copiam rerum natura- lem , &r commoda vita?, eflent idonea?.Talpas vero
alias diximus^oculos ha- bere, & y ider e. De appetitu autem hominis rede
dicitur, ilium non vt pra- ua opinione infedu,deprauatumque(hic nanque
infatiabilis eft ){ed naturae lem accipi oportere, de quo
Arift.i.Rhet.ca.8.1oquutus eft. Animaduertatur autem difcrimen, quod inter
Appetitum &yoluntatem ftatui debet. Eft vo- lutas Mentis propria,cui verum
bonura propofitum efle dicebat Themiftius X. Metaphy. Appetitus vero eft
Cupiditas fenfiis , quern opinatum bonun* afficit: Digiti zed by G00gle LIBER
I. 3 aflicit. Voluntas re non differt a Mente, atque eft ipfa Mentis induftio
ad re obie&am iam perceptam fub ratione boni aut mali fequendam vel dedina-
dam. Appetitus quoque reipfa a fenfu no differ atque eft propenfio fenfus, ad
rem obiedam perceptam fub ratione iucundi,aut molefti, fequendam vel fugiendam.
Dtfcitur ergo Appetitus a fenfu, voluntas ab intelligentia. Ha?c tx Ariftotele
tertio de anim.elici poflunt,qui vocem ope?/*, 4 ua? appetitui &
voUintaticonmiunis eft, nihil aliudindicaretradit,quam motionem &e-
nergciam Mentis & Scnfus . Quare quum Arift . in primo magnorum mora-
liumcap.ii. ope^/y in Cupiditatem , Iram&Voluntatem partitur, non alio modo
intelligendus eft acfi diuideret in vohmtatem 8c Appetitum , qui Ap- petitus a
Platone in duas partes diftribuitur , Iram nempe & Cupiditatem, qua?
mcckpes potius, aut affeftiones appetitus nominanda? funt , quam Ap-
pctitu$:idem autemeft Platoni motio appetitus quam cupiditate nominauit, quod
Ariftoteli Appetitus voluptat em fequens. Itaetiamidem Platoni eft* notio
appetitus quam vocatlram, quod Ariftoteli Appetitus dolorcmfiu Hens : qui Dolor
& qua? Voluptas inttia affe&ionum , aut etiara affe&iones wot. Ha?c
omitti non potuerunt > turn quod ofi%UK vocabulum , Arift oteles in hocprimo
libro, olerunque in ore habeat, turn 8c qtfod ea dextre, intelli- gere
noscommonefaciunt > qua? hoc in loco D.Martyr annotauit. Sed vide- tnr hie centextus
pugnare cum iis qua? fee. Ethico habentur. Ibi nanque do* cet Philofophus,
nufiam ex virtutibus moralibus quarum energe/a foelicitas eft, infitam nobis a
natura efle. Nam qua? natura conftant , nunquam aliter ataue funt affuefcunt :
at hominis natura ita ad has virtutes fe habet > vt illas fiiiciperepariter
& no fufcipere queat.Nullam ite do&rina acquiri certum cft,quia
fequeretur,vt cum primum virtutes nobis cognka? eflent , tunc no s cas
pofsidere diceremur, quod falfum efle, res ipfa oftendit, & Ariftot. t. e-
thi. cap-4.d0cet.vbi poft quam deartibuslo^uutus eft addit. Quae vero fe- cuodum virtutes fiunt, non fi aliquomodo ipla
fefe habeat ,continuo tuft e &
tempcranter aguntur , Sed fi qui agit quoque,aliportet,& refiquis fi
qua? lunt honefti formulis feruatis:nihil tame donare, tmovndique fi poflunt 8c
quidem cupidifsime accipere. Quis ergo dicet in huiufmodi homine liberalitatem
adefle? cette fi adeflet,Homini pu- taprobo,&paupertateimpedit6 ne
Phyfiologia? Thtologiar que atque aliis bonis difciplinis operam dare
pofsit,benigni2sime faceret. Hucilla OukUi penmlgata carmina fpedant: Sed
trahit inuitatmnouavis, alifidque cupido Mens aliud fuadct, video meliora
proboque, Deterioralequor. Qua? fi uera flint, quomodo Ariftoteles hie dicere
potuit>ognitaonenriftfu* finis ad vitam rede agendam inftituendimqu*
conducere i 8c alibi quoque vt ckcimoethi.ca. vlfc& /.pol.i^viros fieri
pw^dodrina, into in bocco^ /Google Digitized by ^ )4 ETHICORVM dem prime infer
iui Faelicitatem poflc inefle omnibui,per doftrinam & cu- rara. Refpondeo
virtutes, non ingenerari do&rina, fed doArinam inftruc- re nos quid aeere
& quomodo,3c quando agere oporteat,ex quibus aftioni- bus,imperfeais
quidem,fpius repetitisHabitura vircuti? perfe&uro adipi- fcamur. Confert
ergo tain natura quam dodrina^ad Virtues, & ilia quidero aptitudinem &
habilitatera tribuit, vt fee, ethi.cap, i. dicitur:h?c vero ma* gnum adfert
adiumentum, quia nos inftruit , allicit, inftigatque. Sola vero afluctudo &
mos funt modus, quo proprie & per fe,nobis fie a natura fa&is* & a
doftrina inftitutis ingenerantur & confirmantur: Virtutura ergo & vi-
tiorum omnino tales habitus fequuntur, quales a&tones prcceflerunt. Vir*
lutes nan que confequimur,virtutis prius fundi muneribus. Quibus'pofitis,
pugnam fupra propofitam, nuHam amplius efle,fatis coaftat. a Quare ad con*
textum redeamus. Videbicur aucem ad illam qu^ prxcipua cft,& maximc
Architcdonica pcrtinerc, talis aucem Ciuilis fd^ntia efle videtur.Quales4ianque
in Ciuitate fcietias efle oporteat, & quas quifquc difcere debcat,&
quoufque,ipfa ftatuit.I- tem facultates honoratifsimas fub hac fitas efle ,
cernim*, vt Militarem,Occonomicen,Rhetoricen:Qudd fi h$cre- liquis (cictiis
pra&icis vtatur,prefcribatq> quid agere,quo abftinere oporteat, eius
finis reliquarum fines complete- tunguare is ccrte, hominis bonum erit.
Explicatur alteram ex iis qua? ad quarrendum propofita funt : Et ftatuitur*
finis huius humani, extremi,& fumrai rationem inftitutionemque a Politico
expe&andam efle , quod tarn excellens ac fupremus finis, huic foli
Difcipli- na? quat Archite&a quidam & quafi domina praeeminens inter
difciplinas humanas eft*bcne conueniat. Et dominii quidem ius eo declarator ,
quod no modo ipfa fit quae ftatuat , quas in Ciuitate difciplinas doceri, quas
item di~ fci , & quoufq; oporteat ,verum & aliis honoratifsimis
facultatibusartibiif- que etiam praaiis leges,modos, finefque prcferibat.
Architefti vero,quod praftieis omnibus artibus tanqua miniftris vtatur.
(w/ew7W),id eft pr;ci ' pua,princeps,Domina (ma; 'mSh^fT). Vel abutatur hie vel
non abutatur friend? nomine, non multum de re ipfa laboro , dum modo id femper
reti- neatur, quod Thomas monet,Politicu videlicet eatenus ; tatiim fcientiis
con- teplatiuis imperare, quatenus eas doceri & difci in ciuitate iubet:
Quod iam f amulatum potius prat fe fert earum refpedu,quam Dominium ,
vtiuperius de prudeotia refpe&u fapientix dicebamus. Quare nullam rogo D.
D. Iurisinterpretesfuperbiendioccafionemexhoc loco fumant:Nam velint nolint
fafces Philofopho contemplanti fubmittere debent. Quid ? quod ne- quc hate de
luris iatcrprcte dicuntur,fed de legum latore, id eft vere Politic co,qui
Digiti zedjDy G00gle LI Bin 1, r ^ cb qui PhHofophus eft. Alios alio quodara
loco Arift. Pcritos nomination Scietes. Quare fi iis Praxronu munus in fuo
famulatu afsignemus, fa t certe redeq; afsignabimus. ( wDA/77)u).Intelligit vel
vniuerfa morale tr a&atio- nem,vel Poltica qua? vna pars eft>& de
qua i.PoLcap.i. loqnesait. Maxime enim
in feren- dis tantum legibus , & magiftratibus conftituendis verfatur , fed
in reda e- tiam & prudenti, omnium adionum Publicarum adminiflratione,quod
iam Prudentia, feu Ciuilis f oelicitas eft. Quare fatemur quidem , vt Arift ot.
ait ia ethi. cap. vlt.leges idcirco fancitas fuiffe, vt homines in officio
retinerf- flir, /edaddimus quoque, non in eo folo Ciuile munus confiderari.
Quot e- nimcommodatamanimi quam corporis , Ciuili,in totius politiae vfum par
randa fund quot deliberandi? de quam multis confilium capiendum?in hel- lo, in
pace, in xrarii copia, in egeftate: & in fumma, in deliberationibus, in
hidiciis,in ferehdis legibus,infinita afsidue Politico proponuntur,in quibus
prudenter agere debeat:de qua perfe&a prudentia in ciuibus &r
principibus defideranda,ab Arift.tertio pol.diuinitus eft pertra&atum.Hoc
voluit Tho- mas cum inquit, In toto hoc,quod nomine Politices vocamus aliquid
confi- derari,quod in parte nempe Ethico non confideratur: & Ariftot. in
contcx- tu fequeti,cum dicet : bonum ciuitatis efle quidem idem bonum quod
ynius eft, fed pulchrius diuiniufquehabet ergo aliquid neceflario , quo bonu
par- ticulare caret. Quapropter tota
haec res hifce Theorematibus iam tandem inhuncmodum concludatur. Primo,duplex eft f oelicitas qua? in agendo co-
fiftit, vna quam viriprobi vocamus: Altera quam Ciuili Homini tribuimus?
Secundo,vna& eademfcelicitas eft Hominisprobi& Ciuilis ,ha?c tamen quid
amplius habet , ratione communi tatis, & circunftantiarum , quam ilia.
Tcrtio, In Ethicis libris vtraque quidem f oelicitas proponitur, defiiutur,da
cetur, cum vna eademque fit ibla ratione differetis, non tamen Arift jxtdi 3
li- bri foli Ethici proprie & vere Politici funt. Quarto proprie & yer^
Eplij:i n ci funt,qui Rerumpublicarum adminiftrationem tradunt,quales o&o
illi ef- fe dicuntur quos Ariftoteles poft Ethicos ftatim fequi voluit. Quinto
, pro- pterea libri Ethici nort refie Archite&onici vocantur. Sexto vere
& proprie Architedonici funt, Politici hbri. Septimo, vnde fequitur ,
refte* ab Arillo- kdidumfuifle, Politici aut in vniuerfumaut ex parte
fumpti,inupus efle^ feKcitatemhumanaraproponere 5 definire 3 docere. (jim).
Inutilesartes& lafckiasmalafquecxpellkPoliticus aJciuitate,non virproi>us,atqpe5
t dob eamcaufam,ne ciues aut kjutilibus occupati feria preterm i ptant , aut
malis aoibus operamdaDte$,Yeleffoenunati redd wur 3 vclprauis ration ibusim-
c.iL Digitized by VjOOQIC -y ETHlCORVM butt damnum alterius pottus, quam bonnm
procurare difcat. (Ee quit quif- quedifcere debcat &quoufque) . V tiles
vero artes quasretinet Politicus moderatur:de Mechanicis loquor, quibus folis
Politicus terminos & modos quofdam pra? fcribere poteft, quos excedere
operando non liceat. Hue fpe- ttant proclamatioues & ftatuta,de moderato
Conuiuiorum apparatu,de vc- ftimentorum ornatu, aliifqueeiufmodi ad nimium
luxum compefcendum fpedaitttbus , qua? bene initituenda? reipublica? non
poftrema? caufa? funt. Prmonecettamerudiendos,&puerospra?fenim >
prodiuerfo eorum in- genio, quibus ftudiis operara dare debeant. Qua? omnia vt
vera fint, ex Po- hticis Ariftotelis libris , Piatonis autem de Legibus ,
itemque de Republ. a quouis difci fact 1 lime poteft. Ha?c autem verba aperte
declarant , Arifto- telem hie non refpicere icientias c6templantes,quibus ccrte
Politicus , nul- lum finem 3 nullumque modum prefcribere vllo pafto valet, cum
ilia? huma- aa? voluntati non fubiiciantur,fed a certa,determinata,
conitanti'que rerum rattonependeant. (ItemfacultatesHonoratifsimas)
Archite&i ius often- dit, quo Politica, Artis militaris opera, Rhetoric*
,& oeconomia? in Reipu- blica? tutelam & conferuationem vtitur. Nam
Imperatori quidem prcferi- btt,quo ducere exercitum, quo pafto eo vti,quando
confl igerey quos milites elifcere debeat. Oratorum vero vfus, quantus in
Republican^ nemo eft qui rielciat: Atqui his quoque, quid, quatenus, quo loco
8c tempore agendum fie a Politico mandatur. Oeconomico ettam prj cipitur , vt
modum aliquem in poflefsiohe agrorum , famulorum, in permutando id eft vendendo
atque e- , mendo feruet. (Rhetoricen). Non eftfeipfa honoratifsimarhetorica,vt
Arift.i. Rhet. cap.*, aduerfus iftos Arrogantifsimos Rhetores declarat. Ar-
rogantifsimosinquamrhetores quofdam noftritemporis*quife volut ora- aibus
fciefttiis immifcere, fuifque perfuadibilibus ea damnare in Ariftotele &
aliis fummis Philofbphis,qua? legere quidem poffunt fed non intelligere; Vride
imponut tenerion iuuentuti, & illius animos ab Ariftotelica le&ione, ex
qua vrta vera? & folid? difriplinaJ hauriri poflunt,fuis quibufdam flofcu-
fis argumentorum, eleganti & vbere oratione veftitis volunt auocare. ToU
lendacertee medio iftamonftraefTent, non autem inGyipnafiis publico vi- Sbi
alenda: Eft ergo Rhetorica eatenus tantum honorat ifsima,quatenus ad- iundaeft
materia? Politica? in qua vna proprie verlatur.(Oeconomice).N6 imperat Politic
9 Oeconomico, quod ad mores familiar pertinet*fed quod ad pecuniariam
facultatem, qua? in parandis opibus verfatur. Ha?c Platoni i- deiri eft quod
oeconomia. Aliis oeconomiar potifsima pars: Ariftot. vero,e- ius mtntftra t
liquet id ex p. pol. cap.? .*. Colligatur ex hac contextus parte: Non quamuis
fcientiam qua? fub altera quouis raodo fit, effe illi ( vt vocant )
fubalternatam:quanuis id Ariftoteles quibufdam fuis verbis in i.poft.analy.
djcerevidtfarur. Scientia ergo vnafub alia, etiamdicipoterit,foIo!ordinis $
yfus refpe&u. Colligatur fecundo Polkicam Scientiam non raodp Archil
teeuodem prorfus fjnem efle Politici & Ethici: auanuis ifle peculiare
aliquid amplius habeat,quoci & lattus pateat,& perfe- cts diuiniufque
habeauir, proindeque fummi boni inftitutio ad eum prae-
cipuepertineredicidebeat. Alter anguftior eft contr&fiiSrque , quare non
itaeminens. Sed verba paulum perpendamus. (Nam fi). particular caufam ^flFert
eorum qua? did a funt. Nulla vero aut caufa aut ratio hie petenda fait,
prarterquam eius quod proxime ddcuerat,nrmi t rum,cijr Politico muneti
tribuerit, quod Ethicus ipfe folus praftare vjdehnv ( Vniushojninis). Dixi
antea,virtutes norninis vnius natura?,nonhifi ciuilis focietdtis gratist , ad
jquam natus eft, conuenire videri. Viri tamenprobii&ib , qiied non adco in
multos redundet vt Ciuilis of ficium, vnius efle dicitur. (Ciuitatis tamen bo-
Bum). Quanuis idem bonum fit viri probi, $c Ciuilis, non tamen neceflario
cSocedendum efle Ariftotefi videtur, Summi boni inueniendi intelligendiq;
rationem rede Politico, non Ethico afsignatam fuifle. At fi conftet Ciuileia
foeticitate foelicitate fingulorii excelletiorem efle,iam Arift.libere
affentie- dum erit. Eft aute excellentior & dignior Ciuilis foelicitas,quia
amplior fit- Quod probatur, quia diuinior eft :Nam qua? bona latius patent,ea
ad bonita- te Dei qua? latifsime & copiofifsime fefe fundit, propius
accedere, explora- tifsimumeft. HacrationeCiuitatem naturapotiorem&priorem
qualrbet alia focietatis fpecie nunciipauit i.pol.cap.i.perfeftum nanqueprius
eft na- ture imperfedo,vt ex primo de carlo liquet,& Autor rerum prius
totum ta- quam finem confiderat,fibique proponit,quam partes. (Genti). Inter
Ciui- tate)n& getem illud intereft,quod Ciuitatem locus vnus & Vrbs
vria 3 Gen- ton vero regio vna tQUContinet 3 elicitur ex i. cap. fecundi pol. & ex 4. ft- Digitized by
Google jl ETHICOHVM ptiral (Quafda Politica). Non dicicur ergo fola verifs jme
Political vf Mi- randulanusvbiqueinculcat, fed pars quzdam Politica?. (H*c
methodus). Ethica nempe, qua? idcirco finem humanum proponet,quia quapdam
Politi- ca eft: Vttra&atiodePrincipiisrerumnaturali^ efle dicitur, id eft
pars qua?dam continens elemeta omnium effedorum Phyficorum,qu elementa in aliis
libris non proponutur, quod eadem femper, fed magis ap- propriata, vt Auerroes
ait, efle fupponantur. CAPVT III. Satis aute hac dc re di&ii erit , fi pro
rci CubicStx natura explicabitur.No cnim inotnnibus difputationibus,2qua- liter
docendi fubtilitas requirenda eft, quemadmodu nee in iis operibus qua? arte
fiunt. Acqui in iis rebus quae hone- fbe& iuftae funt,quas Ciuilis
fcienciaconfiderat, tan tain- eft difsimilitudo tantufque verfatur error, vt
lege tantum- modo, non etiam natura conftare viaeatur. Eiufmodique ctia error
in bonis ineft,propcerea quodxnulci ex his deed menca capiant. lam enim aliis
diuitia?,aliis fortitudo exi~ tiumattulit. Ha?c eft tertia prooemii pars , qua?
ad rattonem dodrinar huius politic* tota/pertinet,&quaficuiufdam
excufationismodumobtinens. Eaveroeft in fumiraNon vbique neceflarias argumenti
conclufiones efle requirendas, fatis agi , fi fubie&a? materia? fit
accomodata oratio : prarfertim vero in mo- rali Philafophia, vbi multa funt
incerta & vana propter varias hominum o- piniones, atque adeo vt tota ab
hominum exiftimatione & opinione pende- jre videatur.Qur inconftantia &
varietas,tara in bonis,quam in iuftis &rlio- neftis animaduertitur:(iquide
ea qua? valde etiam bona reputatur,vt Diuitia? & Fortitudo, multis exitio
plerunque fuerint. (Satis autem hac de re di&uiti erit). Safpius
Ariftoteles in his libris de moribus hac excufatione vtitur:%*o fubiefta
videlicet materia difputationes fufciptedas efle:Qua> item in a&io- mbus
verfantur nullam habere ftabilitatem,fed alias conferre alias minimi, vt bellum
gerere modo vtile eft modo inutile:& inlioneftis eodem mddo.rti aliquado
depofitum reddere,vt inquit Cicero , honeftum erit,interdum non Z r ^: Itt V
unma>imniutar i iftaproa?tatum,agetium,locoru, opportunitatum, habitudmum
necefsitatumque diuerfitate. Non Temper eadem Reip. tepo- ra funt, non femper
iidem flatus manent. Quare quemadmodum neque Sa- lubria exquifite definiri
poffunt, vt liceat videlicet dicere,tantam efle opor- tere exercitationem,
tantum cibum falubrem , proptereique plerunque tarn
exercitatioquamcibusnoceat:itah qua? occafionibus maxime expofta f unt,adamufsim
determinant fcientia comprehend! nequeunt.Ergo fi di- Tp utationis genusjeis
accomodatum afferatur , cert* fat erfc,fimefurvtEU- ftratius Digiti zed by
G00gle LIBER I. & fbatius inquire! quod met imur quadraredebeat. Alias
nosdiximus, Res 'aut mutabiles effe aut neceffarias, *.ethi.ca.i.primo
magnorura mor. ca. 3*. lies aut em flec^flariar aut caufam habent aut non
habent 5. mct.cap. 5. & o- &ano phy.tex. 15. Res vero quae hoc &
illo fe habere modo poflunt, aut fub a&ionem aut fub effedionem cadunr. Et
liarcomniacognofcuntur vel certo & vfquequaque,vel incerte ac tenuiter. Si
leuiter apprehendantur > opinio & exiftimatio eft. Sin vfquequaque
comprehendantur, habitus illi quinque cxtunduntur,dequibus nos fuperius
fatis(ni falIor)diximus.Eft ergo opinio tefte Philopono in 3. de anim. nil
aliud,quara rationis conclufio cognitioquc deterior, qu&m per
ratiocinationem. Ad (cientiaJm vero gighendam firmif* fimo illo argument^
nempedemonftratione opus eft. Hincfit,vt Prudentia & Ars medio quodam loco
fit* fiat ( quod ad certitudinem attinet ) inter o~ pinionem ex vna parte,
atque Scientiam & Intelligentiam ex altera. I nfinuat lgitur fe opinio
& exift imatio in res omnes tarn mutabiles quam immutable les,quemadmodum
etiara de Solerti%& Ratione dicit Ariif oteles fub finein rirai pofianaly
t. Tarn enim Ratio in neceffanis difcurrit, quam in proba* ilibus: Solertia
item , qua? eft facilis & expedita medii inuentio , tarn in re neceflaria ,
quam mutabili locum habet , vt exempla ibidem ab Arifto- tde allataoftendunt.
Ergo falfum eft quod nonnulli ad hunc locum decla- randuin fimpUciter dicunt.
Qua? fprtt extra mentis comprehenfionem & fub fenfum cadunt,opinabilia
effe.Dkamus itaque in Rebus quidem[moralibus, quodneque vniuerfales fint neque
fua ipforuronatura exiftat,vt Alexander ait 2. met.com. 5. verkatem
illaraverifsimara &certifsimamnonreperiri, qua? in rebus i fenfu abiudis
&ftmpiternts reperitun Ta tame in his quam in illis quod ad certitudinem
attinet,de qua hoc in loco agitur , Opinionem fuum locum obrinuiffe. lam vero dertionftrans
argumemum in moralibus nullum habere locum pofle, fat ex iis liquet,
quxdeeiusnatura in analyticis tradita funt. Illudmagis a nobis qui* poterit
efflagitare,Cur fi Intelligentia qua?fupra ratiocinationem pbnttur>non nifi
leuioribus quibufdam afgume- tis comparetiir, nempe iiidu&ione argument o
ab effe&is,confequemibus & babilibusrationibus,cur inquam 9 quodad
certitudinem attinet, opinio pliciter did non pofsit: nil certe id prohibere
videtur. Refpodeo, in In- igetia aliquid amplius fpeftari,quam in opinione :
nam ibi principiahac vim & naturam habent, vt folo frfnplid obtutu, fine
alterius rei mteruentif, menti vel paulum illuftrata? tota fe infpkienda
prxbeant, idcircoque natu- ta nota vocantur. Hac condition* Opinio caret.
Colligitur ex hoc loco , in omni traftatione principia confentanea propofitis
rebus aflumeda efle-.nam, vt Ariftoteles inquit ex eodem generc efle debect
qua? demonftrantur , & ea per qua? demonftratto confidtur. Vnde & muhos
gradus demonftrationum certiorum & incertiorum^dres videlicet
neceifarias,&c6tingents varias, & conftantes , fecundum exigentiam
accommodandos, Greci ex Arift otele propofuerunt. Quaretum fatis rede materiam
propofitam tra&auerimus, cumprindpiaexquibus demonftrare>&fubieaa
quibus pafsiones inefle voluamsa 8c gafsiofles quas problems , ex iifdem rebus
quarum ars a nobis Digiti zed by G00gle 4 * * XTHICORVM n^itur,eoifthiit4enmt.
(Materia), \focp wtei:iam ? inquUEuftratiu$iV- iiamquauque rem mcthodo
fubieftaro&riA qua ipethodus verCmmquam i- tern vocat Ariftoteles. (Genus).
RedditrationenMdemEuftr. quia mate- ria &fubie materia? variety,
inftrumentorum varietatem infert , ( neque eniraeadem prwfns faber lignarius,
& Sculptor inftrumenta expcdiendo& excudend^tra&ant ) 1 tain his
> generis fubie- &i natura conft an tioraup minus cpnftans,Methodoruy
arias differ etiasex^^ git : aut fcilicet verifsimas qtweque nuilo pafto refelU
queant^ujt probabiles & poputares,qualefque res bx human? incertum exitum
habentes expofcut. Vtitur frequentius Rhetor exemplo & emhymemate,i.rhet.c.zi.&
tj. Dia- le&icus frequentius fyllogifmum &Indu&ionem ad
difputationem adhibe- bit. (Non
etiam natura). Aqaturaiufta^hneftadu magis quam pro patre & patria pugnadum
ef- fet. Sed exeplis agamus, qua? adeaqua? in.obfcurp latent,vt inquit
Ariftote- les, in lucem proferenda djjclarandaque* yelutiteftes valent. Vidit
Sapiens elemental reliquas huius yniuerfitatif pactes r fibi inuicem cedere,
iuum quanqueamare ordine^apquabilitatemque ^jwegeometricam feruare.Hihc ergo
tuftitifc hincliberalitatis^iiagnificentijContinentiap, temperantiaeque modo
Natura; fed ipfius Dei vuljt ftatuta fequi. Atqui homo opus natur^e^^m cuius
fahrica ifta omnia nature decreta clarifsime veluti m roto ipfo vniuerfo
fped^ri poffimt. Itaque vt non natura illi inefle morurft virtutes flicimus^ita
neque prarter natura inefle affirmamus,quodin co ienunamorumnonmoresfitaanaturafint.
Statuaturergo verifsimedi- ci,Jufta /Google Digitized by ^ LIBER t 41 ti ,
Iufta fchoneffid natura , id efi Diuina lege dk , & horura in nobis fcrni-*
na natura inefle. Qtipd fi prifti fit prsectptor id eft Sapiens , multaeque
& rcpcritx aSiones fimiles adhibeanfuf , Habitus ipfi acquiruntur ; qui-
bus adept is, conftanterpoftea expeditque8ducunde,honeftaiuftaque a- giraus.
(In bonis). D bonis loquitur, .qua? facilitates dicuntur, id eft bona omnia
externa & corporis atque etiam animi,qiia? tamen a natura nobis co-
tingunt:vt vis ingenh,vt diuitia?,robur,pulchritudo,eloquetia,fcientia, Vo-
catur autem faautates,quia dant nobis & bene & male agendipotcftate:
pro ilUusnanqueingenioinquemincijderint 5 quanuisfuapte natura bona fint, foleat
& kicommoda & vtilitates afTerre. Neque hac ratione folum ifta bo- na
aliquado homini mala &r exitiofa funt, fed etiam quia pofsidentibus ipfis
exitiumafferunt.Quod fi refpiciamus,in numerohorum bonorum>& virtus
&Religio qua? bona laudabilia & honore digna vocaret
Ariftoteles,colloca- ri decent, RelicionanquequidexceHenseft,advirtutes autem
lausperti- et,de qua re alias. (Fortitudo).Robur corporis fignificat ,quod ad
amicos* propinquos,parentes, patriam denique & nos ipfos tuendos multu
prodeft. V/urpatur ergo ctf/|ptf$ vocabulum hoc in loco , ob affinitatem
fortitudini $ quarincorpore,&eiusqua?inanimocon{ideratur 9
vtuftratiusinquit. I- dem fupra de vocabulo Virtutis fa&u eft,& infra
quoque audiemus.Dicitur autem et*fyH*preprie , quafi virimaxime peculiaris
virtus maximeque pe- culiare oriiamentum.Hinc contra vulgus,fummam
turpitudinem, timidita- tem & ignauiam in homine,ficuti in mulieribus
impudicitiam putat. Et eft tfftfy&A virtus ilia cuius munus prccipuum eft
quiduis pati , & Mofti it opus fit , non propter poenas a legibus fortafle
inftitutas > non propter pcmia& bonores, non propter iram aut fpem,feu
periculi ignorationem,fed propter vnam horieftatefti fe exponere. De qua re
pluribus in tertio Ethico. Robur vero,inintegritate&vigore fenfus &
mows, omnium partium corporis noftrifpedatur.
Ergo fatis crit , fi ii qui de hifce atque ex fiifce retius cfi-
cunt,rudiore quodam modo,&wtf, quid verum fit de- monftrent,&de lis
atque ex lis qua? plurimum eueniunt, diccnccs^talia quoque concludant. Ibctts
hie qui veluti in cbnclufionis modum profertur, perfpicuus iis qua? fupra
aHatafunt^amredditusefTevidetur. Sed tarn pro his quampfoillis ab
Ariftot.&r a fjobis aIlatis,confuTatur pulcherrimuslocu$,& fane
dignifsi- mus qui aTsidue in mente & in ore docentis & fcribentis
liabeatur: Id eft in primo Eudemico cap.;. (Plurimum eueniunt). Ratio iufti
& honefti,item- que boni,ex eo rerum eehere eft, quod plurimum eodem modo
fe habet,ipfa vero iufti & hbnefti aftio, in numero eorum contingentium
collocatur quar apqualiter vno & altero modo fe habere poflunt. Pnmum enim
fi natura no- hunts confideretur, antequam habitu virtutis obtineat, vktutes
pariter fuf- cipere & non fufcipere poteft; Appetttus enim rationi obedire
& repugnare Digiti zed by G00gle 4* ETHIC OR VM *que valet. Poftquam etiam habitus erit
adepta, munia ipfa viftutts cxequi pariter&nonexequipoteft. Noneflct ergo
minus facienda fcientiaharc quamPhyfiologia 5 quodadcertitudinempertinet 3
nificontingentia phyfi- ca,a coftantion radice oriretur. (De iis atque ex iis).
Tamfrincipia argu- mentatiouis quam conclufionem hgnificat, qua? eiufdem
generis efle debet* tefte Philofopho in Analy ticis pofterioribus. Eodemque
modo quicquid dicicur accipi debet. Eft e~ nimhominis eruditi tantam in
vnoquoque genere fubti- litatcm requirere, quanta rei natura recipit. Perinde
nan- que efle videtur , Mathematicum rationibus probabili-
busvtentemferre,&aboratore demonftrationes poftu- lare. Atqui de iis
quaeiibi tiota funt bene quifque iudicat, & eorum bonus eft iudex:De
fingulis ergo rebus, refte itf- dicabit is qui peritus eft : de omnibus vero 7
qui in omni re eruditus eft. Hare quoque ad rationem dodrinar Politico
pertinent ^quauis Auditorem nonDodoremrefpiciant. Lex autem fane aequifsima
hicfcrtur, vt epdem fcilicetmodoresaccipereaprzceptore velimus , quo tradi
& demonftrari ilia? poflunt. Hinc de duplici illo Erudito mentio fit,de quo
in primo de par- tibus animalium cap. primo 3 vno videlicet qui de vna re
tantum : altero qui de cundis rebus iudicium ferre poteft. Vtrunuis horum pro
auditore exigit Ariftoteles. Eft autem Eruditio nihil aliud quam facultas
nidicadi quidnam rede aut non rede ab eo quidocet exponitur, non tarn methodo
quam expe riment comparata-Differt a Scietia,quod ilia intimius res cognolcat :
Eru- ditio vero tenuius &Ieuius,&quafiimperfe&afcientia. Adnibet
Scientia, principia propria ad demonftrandum: fed Eruditio quicquid propofitap
tra- dationiinferuire poteft, quanuiseius fines tranfgredivideatur. Anguftior
eft Sciemia? campus, amphfsimus Eruditionis. Propterea rede Euftratius inquit,
Eruditus eft qui rationes vnicuique fubiedo accomodatas exigit, & qui
multarum rerum peritia eft imbutus. Erit itaque Sciens Eruditus,led no omnis
Eruditus Sciens. Eruditi in omnibus rebus habitumfanpiusinduit A- riftoteles,
vt quum Dialedicvm agens Categorias tradat , Ethicem docens, habitus Mentis
exponitJPhyficen tradens,diuifionem Entis,aliique permul- taeiufmodi mmc a
Phyfico,nunca Mathematico & Metaphyfico fumit pro- pofitar fibi materiei
inferuientia. Multi etiam homines eiufmodi extiterunt & adhuc extant , qui
nempe,verbi gratia,, in Mufica de fonis aliquam habent experientiam, in pidura
colores, lineas, vmbras vtcunque nofcunt > in car* minibus codendis numerum
& metrum fola experientia ex diuturna Iedio- ne acquifita tenent: Aut etiam
qui in cundis fcientiis fimul aut pluribus eo- dem modo eruditi fint. Horum
magna aliquando arrogantia efle folet. Cum nan- Digitiz tized by G00gle LIBER
I-
i^^e^feaUqmdperegrinum&exalienafcieiitiaad res tradadas adhibere
pofleScicnte$ ipios^id eft vere b$jfpow fpernunt,iifque etia pr 5. ftarc
vohmt,quum cotra patios multiplice ill am fua le&ionem, incertitudi- nc
& cofufionc qua detinetur, raetiri eos oporteret.Parat ergo Eruditio iter
ad Scientiam, quemadmodum diximus Adiones virtutu imperfedas > ad vir tuttun
habitus iter parare:Quapropter Greci muftutv ipfam vocarunt ,quod Videlicet in
puerili prafertim artate adhibita plurimum proficiat , magna- que
adfcientias&virtutes progreffuum caula eflepofsit. Ob banc ratio- Bern,
nonnulla 6i Mathematico &Oratore Ariftoteles mtermifcet,vt videli- cet,
inter Eruditum &Ineniditum,difcrimen appareat. Quia ineruditus iy- dicto
carens, non diftinguit propriam a peregrina tradatione, fed vt Philo-
fophuseffe videatur,quamlibetvel inanemetiam tradationem adquiduis
doccudumaduocatamprobat. QuarctamlaudatacprobatMatheraaticum, quiprobabilibus
rationibus acdialedicis vtatur quamoratorem,demon- ftrationes^d eft neceflarias
argumentationes adhibentem. Mathematicarum TerodifdplinarumixeiCgAo^^ hoc in
loco expendere fuperuacaneum ef* le&Dicamtts tadtum ob ea quae in
Theorematibus noftris propofuimus,DcT monftrationes Mathematical quicquidSummus
vir Tomitanus &clarifsi~ Jftis meus preceptor dicat. cont.ioi.p. poft. vt
non funt ii 1m , quoniam ab effe&is nonprogrediuntur,ita non efle propter
quid, quoniam non funt per vtramcertunquereicaufam. Refcruntur aut em ad
demonft rat ionem pro- pter quid,quatenus font ex prioribus &
notioribus,qua? in mathematicis( v- bi veriores caiife non adfunt) cenfentur ,
ac fi effent vers caufa? rei. Idcirco* prinripiamathematicavocata funt
abAriftotele fimilitudine principia , 1. moraliumEudentcap. 7, vt a quodam
dodifsimo PhilofoDho alias animad- uerfum futt.Iam quod Mathematjca non fit
vere Philofopliia liquet ex Sira- plici03.de antm.36. Alexatyito in prcfatione
in primum Analyticum>ProcIo m primum Euclidis, Ammonio in categ.
qualitatis,Philopono in pft.analy. Com. i. Nam neque fubftantiam imieftigat,
proindeque proprias & defini- cas certaTq; caufas non habet, imo vnius
effeaus multiplicem obtinet. Ne- que repugnant haec Ariftotcli 1. poft* cap.
13,6c 1. meta.11. Nam certifsimas vocat demoftrationes Mathematical , quia eoru
propofitiones ita nota? funt acperfpicua? 3 vtvelfenfibus ipfispateant,iU{fque
fcrmifsime aflentiamur. Hare Simpl.p.de anim.n . Alia certior certitudo
demonftrationum eft,quan- do videlicet effeda qua* adu lint, per caufam fuam
veram, propriam* & certam co^nofcuntur. Qua notione tarn tradatio de Antma
, & tota etiam Phyfiologia^quamMetapIiyfica, certior Mathematica diet
poteft. Iadent nunc Mathematici >
fuaTque predicent Demonftrationes. Orator vero, qpi quanuis omnia fere omnium
Scietiarum tradare veHe videatur, proprie ta- men maioriq; ex pane in rebus
ciuilibus verfatur, exemplis,& enthymeraa- tibus, a verifstmuibuf feu
perfuafibilibus dudis,plerunque vtitur , fpedans fingularia > fortunam,
locum, tempus,& perfonaro : pro qua re tota confu- latur pulcherrimum
Alexandri prooemium in Topicen, vbi quomodo Rhe- toricaDialcdic* fit ahirewn
explicare vult. (Atquideiis qusfibi notj| Digiti zed by GoOgle 44 ETHICORVM
funt). Iudiciumfiucxe/W eft notiriacondufionisquam Mens efficit: Hoc; le&io
fequitur quae Mentem iudicat ; quo fa&um eft, v t oh maximara con-
iiin&ionem, ide eflfe dicantur. Quaeratur,verbi gratia, num Refputyica qua?
ex ciuibus,agris etiam colendis operam dantibus conftat optima fit:Concht dat
autem Mens ratiocinans , optimam effe . ognitio huiufce conclufioni$
Iudiciumnuncupabitur,cognofcetur autem quura Iudicans Cogkabit>Rem- {ublicam
ex hoc hominum genere coftantem iuftifsimam Sc tutifsimam ef- e:nam viuunt
huiufmodi homines diuitiis partis fecudum naturam , abfitnt ab ambitione, non
funt ociofi , idcircoque in nouis rebus occogitandis , auc exufckandis non funt
occupati , fed finunt leges vndequaque dominari Jam fequitur Bledio,qua? hoc
ordine hominum coftituendam rempublicam efle omnino deliberatum habet,
imperatque aliis ariimar facultatibus,vt ad idem (enttendum agendumque
moueantur. A Iudicio Iqdex deriuatur> qui differt ab Arbitro , quod caufa
cognita ex lege iudtcet,hic v?rq cognitam litem, ex
a?quo&bonodiriraat,teftePhilofophoprimoRhetorico. Qupcircaciuilis Scientist
non eft Iuuenis idoneus audi- tor,^ nah^ueaftioniim humane expers rdcquibus
tamen & ex quibus haecnoftra trattatio conftit : praterca vero cum libidini
animi feruiat , friiftra atque inutiliter audiet, quandbquidem finis hnius
difciplinar non in co- gnitione,fed in a&ione confiftae. Nihil autem
rcfert, an moribus adolefcentulus fit, v el state. Non eft enim culpa in
tempore, fed in eo quod conuenienter fuisaffe&ioiu- bus viuat , &
fingula perfequatur. Huiufmodi nanque ho- minibus^vt & incontineritibus,
iniitilis hxc difciplina eft. At yero qui ex recfca ratiohe appetunt, lis
fru&um vbcrri- mum ferre poteft. Ac de Auditore quidem , quoque mo- do
accipiendum quicque fit, & quid nobis fit propofitum hxc prooemii loco
di&afint. Colligit au&arium ex lis quat de Erudito auditore Ioquutus
erat Hoc ye* ro eft > Adolefcentes ( quo nomine adultos &fenes etiam
intelligi yujt, fi morbus adolefcentum viuant,id eft affedionibus obtemperent)
ad hanc.ci- uilem Scientiara no efle accomodates auditores>quod nullum ex ea
fri$un* perciperepofsint. Sedperpendamus fingula. (Quocirca Ciuilis fcientke
Iuuenis, non eft idoneus auditor. ) At qui no femel tarn a Platone qui de vir-
tutibus&vitiis,omninoque de bonis hifce rebus &malis copiofe& enu-
cleate fcripfit, quam ab Ariftotele di&ura eft, In pueromm inftitutione
plu- timum efle elaborandum, & hoc forum qui leges ferunt pracipuum munus
ge,vtciuesin bonis & yirtuttconfeatands a&ionibus eosexerceajitt Id
certef Digiti zed by G00gk LI1E>R i: . m
*mceTio.etUcapMt.&o&ai*>^^ Verum tftacum hoc loco non pugnant 5 in
qw Ariftotelesvt fides fui$ demo- Ibmioiiibus popular ihuspr$ttetur, Audxtore
peritiim exigit, qualem certe r IuuenemefTe nemo dicet, qui expers eft omnium
a&ionum qua? in hacvita verfantur. Non arcet ergo hoc in loco luuenes a
Politica clifciplina , fed eos vt impcritos iudices certitudinis huiufce
difciplinae damnat. Quare alibi iubet pueros bonis adiontbusafluefieri, vt fidera
iis qua? in Politica rradun- tur praeftcnt. Hoc eodem modo loquebatur fexto
etbico cap. 9. cum diceret, Iudicium vero eius quod diximus eft>quia pueri
Geometric* fiunt & Mathe- cc matici, prudentes autem non videntur fieri:
caufa autem eft, quia prudent ia cc eft fingularium, quae fiuntaota
experiential Iunenis autem non eft expertus: cc longitude nanque temporis facit
experientiam. Aut dicamus Idoneos Poli- " f tear Auditores>hoc in loco
Adolefcentes no cenferi,quia Auditor es veri Po- litices tili funt, qui non
modo norunt quid agi oporteat, verum etiam, nihil jfine vtrtute agunr.quod
praeftare nequeunt Adolefcentes,qui nonduni affue- tudineaut vte rerum
initru&i habitus morura adtpifci potuerunt. Hie fen- fus elfdrur dim ex
verbis Philofophi qua? proxime adduximus,tum ex mid- tisaiiislocis qua?
adducere fuperuacaneumeffet, omnium vero maxime ex pnrfcnti contextu. Fruftra
nanque & inutiliter audiet, quandoquidem finis nuhis difciplina? non in
cognitione fed in aclioneconfiftit. (Nihil autem re- fertanmoribusadolefcentulus
fit vel state). Quofdamefleexmultitudine docec Arift.io. ethi. cap. vlt qui ad
honeftatem & probitatem nulla ratione excitari queant. Nam cum penitus
affe&ionibus locum dare diuturna aflue- tedine foiiti fiot,t oti'que in
voluptates fenfus propeof^ea quibus ha? pariuri- tur,confedari>reliqua vero
omnia odio proiequi,nuUamprocfus nonefti, nullam iufti notionemanimo
depi&am habentes, ita quafitiatura fa&i funt, vt nullaoratione
emedari,atque a vitiis & flagitiis ad virtute t raduci queat. Nequeenim
fieri poteft, autcerte vix>vt quae iampridem moribus concepu funt, oratione
deleantur. Hos ergo homines Ariftoteles quos etiam incon- tinetibus coparat
veluti iniquos huius difciplina? moralis iudices& inutiles auditores
reiicit. Quare nullus ampkus fupereft locus qua?ftioni illi,qu hie tot verbis
ab interpretibus felet exagkar i,qua nempe qua?ritur,Cuina hare difciplina
Politica vfui fit.Refpondetur enim*primum Adolefcentibus,quia in ea prascepta
a&ionum difcunt* quibus poftea ad praxim fxpius reuocatis habitus virtutum
perfedos acquiront* Refpondeturfecundo, omnibus iis qui natura fua*& non
fcientes cum ratione rede agere videntur. Refpode- tur tertio, omnibus iis oui
non adeo affectionibus & appetitui locum ac do- minium tribuere foiiti
funt, vt non aliquid etiam Rationt iuris reliquerint, quae deinceps do&rina
excitata,& confuctudine adiuta,imperium integrum adrpifci valeat, ideft,
appethum & affe&iones ita fibi fubiicere,ita profter* nere, v t quanuii
iafurgere aliquando velint, ipfa tamen afsidue dominetur, Conducitad haec^urfus
vitap a primis Jttatis temporibus inftitutus: irabibu- tur enim omntno
tenuioribus annis , mores & exempla , quae ob oculos no- ftros ponuntnr ,
quibufqueinltituimur. Quod fiadinftitutionem diuturna Digiti zed by G00gle 4*
ETHIGORVM cofuetudo accedat, nil aut reft ius fi bona>aat maris exltiofumfi
mala fit. Vi* cnim ac ne vix etia fieri poteft ,vt vel monit is vel praceptis
vel poena etiam, a perpetua confuetudine male agendi>ad vita? rationem
officii & humanita- tis plenam, huiufcemodi homines vnquam reducas. Sed omnium maxima &
potifsinucaufaeft Natura, id eft habilitas advirtutescapeflendas a natura nobis
tributa. Namvt7. pol.cap.13. docemur, Homines tribus rebus boni probicp fiunt,
natura,do&rina,moribus. Nam primum nafci oportet ,- id eft hominem effe,
npn ex alio geriere animantium, turn vt certo quodara modo, corpore & animo
fis affe&us,id eft ad virtutes procliuis. Et in f . pol. cap: n. dicitur,
Naruram aliquando prauos homines gignere, quoru prauitas difci-
plina&virtute nequeatfuperari. Eftautem narura iftaa'quo habilitatem hanc
accipimus,cor pus caelefte , & ex confequenti Deus veluti caufa prima- ria
coefficien s,caufa?que inferiores 8c fpecialiores,qua? Omnia temperatio- nem
corporis & habilitatem animi,pra?fertim vero appetetis diuerfam pof- funt
efficere : Omnia (inquam)quandoquidem Caelum nihil producit in his
inferioribusnifi caufarum particularium beneficio, quas ipfuiti mutare ne-
quit:Appetenti vero anima? potifsimum dominatur, quod ilia e materia? la-
tebris edu&a fit, corpon'fque temperationem fequatur. Mens natura fua di-
uina & capleftis eft, quare a caducis iftis & corporeis no mouetur :
quin imo ipfa dominatur Aftris, 8c fupra Fatum eft. Sed quae ri hoc in loco
iure poflet, cur Natura voluerit, no modo intelligentiam homini tribuere,verum
etiam fenfum & appetitum, qui intelligentia? refifteret, illamque
fappifsime pro- fterneret ? Certe
Naruram, fuum in homine finem aflequi non potuifle , fu- fpicandi aliqua hinc
nobis occafio prcbetur. Nam cum hominem ad verita-
tem&hondtatemgenuerit,fittamen incommodo &.importuno comitatu
appetitus,vt is omnibus caecetur erroribus,omnibus vitiis inquinetur,dete-
riorquebrutis euadat:vt enim homo,inquit Arift.i. pol.cap.*,& 7.
ethi.ca.tf. perfetionemna&us:aiiimantium eft optimus : fie cum a lege 8c
iuftitia dif- cedit, omnium pefsimus habetur , dum ratio miniftrans &
fubferuiens fen- fui,infceleribusatqueflagitiis
noiusexcogitandis&rinquiredis continen- ter eft occupata , Prudentia 8c
virtute qnibus eft a naruraarmatus ad omnes fuas cupiditates expledas abutkur ,
vnde homo nefarius & immanifsimus e- tiam aliquando euadit, in vencremque &
gufem turpifsimus. Hinc monftra ilia, vt Caligula?, Nerones,alia?que noftn
teporis fortafle no minus agreftes fera?, non minus turpes,non minus immanes*
Refponderi folet 8c rede,Me- ti 8c in agendo 8c in cognofcendo ( quorum ipfa
munerumrvtrumque obti- net) Sentientem anirpam annexam 8c copulatam fuifTe-.In
cognofcendo qui* dem, quia cum per fe,& a fenfus focietate libera,
firaplici intuitu , reru for* mas comprehenfuraforet, nunc phantafia? tanquam
materiei fubftrata? vt forma coniunda , componit,diuidfr,ratiocinatur, a
communibus ad indiui- ^uadefcendit,contraqueabindtuiduisadcommuniarevtoranes
Temper voluptates qua? corpore & potifsimum guflu ttduquecapiuntur fibi
amplexadas putet,ita vt cocitet ipfe potius affedia- nes, auirn ab ipfis
concitetur. Contra Temperans ilk dicitur, in quo appe- titus abetter paret red?
rationi: Continens in quo non libenter fedrepu- gnans vincitur, viduique vi
obedit. Ex quibus liquet , quemadmodum In- conanetiaeft gradus quidam ad
intemperantiam qua? integrum vitium eft, ita cootinentiam eflq progreffum ad
Temper atiam quar vere virtus eft. Pro quibus confulendus eft
Arift.-.ethi.cap.io. & feptimus eiufdem trad.cap.i. vfauc ad u.funt
nanque-omnia ex illius ore fumpta. Vnde conftare illud vo* lojtoc interefle
inter hominem viuentem k? 93pf , vt vocat Jioc in loco A- riftot.&
flbt^i,Quod ille capit confdiu,& na^ntem habefts a cupiditate om- uino
capcatam malifa ue moribus proffus deprauatam, de eo quod agendum eft
deliberate conhlium capit, ita vt deprauata? menti aliquid proponenti, putaonme
iucundumefleampledendum y Appetitus qui infano iinpetu fer- tur
ftatimconfentiat. Incontinens vero conhlium non capit , fi ad confilium
capiendum,rationem & appetitym coniungi oporteat. Nam non vt cogno- fcens
& contemplans fed vt dormiens & ebrius agit.Qu^re quauis re afiqua
iucunda propofita in qua potienda flagitium admitatur , integraque & reda
ratione alb ilia abftinendum fuadente,altera tamen & peiotf ratio* nempe cu
T piditas,omne iucundum profequendum effe clamet,ha?c tamen verba no in* tefligit,nequefibi
accommodate fed ita affuefadusappetitus,prioremra- tionem fugat atque
expellit.Ex quo Ariftoteles,Incontinentem Ciuitati bo- nas leges habenti quibus
tamen ipfa non vtatur,comparat.Annotadum prar- terea eft, duplicem efle
Incontinentiam, vnam qua; natura,alteram qu$ con* fuetudineingenerata
eft(itaquoque duplicem intemperantiam conftituere licebit), Illam autem quae a
natura eft , aut incontinentia aut intemperaritia,
&dequaetiam^rtaifeAriftoteles loquitur cum homines memorat ** mL 9wr
viuentes, vix ac ne vix quidem corrigi poteft. (At vero qui ex reda ra- tione
appetunt) . Id eft ii in quibus aliquem ratio melior locum habet , ne- 3ue
appetitus ita infanus & effr*natus,neque cupiditatum vis tanta eft, (Ac e
auditore quidem). Epilogus eft prooemii, omnia hadenus expofita, ab vltimis ad
prima progrediendo per capita repetens. ( Auditore) aequo & pcrito :
(accipiendum quicque fit ) vt tradi ac doccri poteft ; ( quid nobis) Digiti zed
by G00gle V* ET&ICOHVM Politicis. (Sitpropofitum) ageredefummo bono
hominisagemis,idcp& }roponere &tradere, populari oratione
argumentttkmibuique inaterii ubie&ar accommodatis vtentes, c a p V T i i i
t. ' 4 Nunc igitur,repetentes ea quae fupradiximus,omnem videlicet cognitionem
, omnemque ele&ionehi bonum quoddamexpetere:Dicamus > quidnaim illud fit
> quod a Politica fcientia appetitur, te quod fit omnium agendaru rerum
fummum bonum. Etcerte inter plurimos fere de nomine conuenit. Beatitudinem enim
& valgus &Poli^ tiores vocant.Bene autem viuere,& bene agere,ide
quocl beatumefle exiftimant. Qua? autem fit beatitudo, inter fc dtfTcntiunt,
Neque vulgus &fapientesfimiliter cam declarant : Alii enim aliquid eorum
quae font in prompt u & quae perfpicua funt, & voluptates^aut diuitias
> aut Ho* norem , aliique aliud. Sxpenumero autem vnum & idem aliud.
Quum nanqucafcgrotat, bonam valetudine,Quum pauper eft,diuitias,Quu vero fibi
ignorantias confeiifunt^ eosadmiranturqui magnum quiddam,&eorum vires fu
peransjloqutmtur. Quidam autem prxter haec complura bona,aliudquoddamper fe
bonum efle putabant , quoct & his omnibus cur bona fint, caufa eft. Atque
omnes qui- demopiuionesexquirere^fortaflefuperuacaneumfuerit, Satis autem erit
fi eas podfsimum , quae funt celeb rio res, quaequealiquaratione niti
videbantur,expendamus. Secimdahuiuslibri&prapcipuahapc pars eft,in. qua
tradatioipfius fum* mi boni humani abfoluta cominetur.Enumerantur in primis
male dehac re (entientium opiniones 8c refutantur.deinde Verifsima fententia
preponitur cxpIicaturque.Prior pars vfque ad Scptimum caput 3 feciida vfque ad
Decimu tertium progreditur. Caeterum quoniam Ariftot.hoe in loco primis {ipfif
verbis proponit fe velle qua?rerequid fummum bonum fit,id eft ipfa Foelici-
tas, adquam qua?ftione definitio refpondeturmon erit ab re fi de Definitionir
natura 8c yarietate nonnulta pra?loquamur
Hoc enimmodo , De quana f delicitatis definitione afferenda laboret
Ariftoletes , & in qua ei cum vete~ fibus conuenireautnonjconuenire
cxiftimandumfit, facilius nofle poteri- mus. Definitionis itaquedu* funt
fjpeoresvvnaexp.licans quid noraen ft:.. gfufioet Digitized by VjOOQIC Xljf^*-
..-v - ,> LIBER L, 4> gnificet,
dnfta ab accident iby^uibufdara , quam ante omnem quaeflionera nobis notam
efleoportere docebat Arift.7.metaphy.59.Fru{traenini^ua!re- mus an Foelieitas
fit,vtrum fit bonfc per fedum, nifi F oeiicitat is & Perie&io- nis
noracn intelltgeremus. Altera qua? vim & naturam rei aft ert: prior Del-
criptio nominator; feCutada Definitio quid rei. Huius dua? funt fpecies, vna
qua? genus & differentias propria* definiti expi i mi t* Altera qua? caufam
ad* ducit,a qua res ita pendet vt per earn eflfe & coferuari dicatur .
Prior Defini- tio in omniCategoria locum habet.Ariftot.primoTopico cap. 7.
idvoluit: pofterior Accident ibus propriis tantum peculiaris eft.
Accidetiaitaque ma- lori in definiendo varictate ]prardita funt: nam earn
primumhabet definition nem 5 qua? ex genere ac differ entiis rei conftat,a?que
ac fubftantia,deinde ha- bentaliamqUam eaulalerttSjchola?nommant. Exemplum
prima?. Febris eft intemperies catkla& fitca , qua? primi generis
eft,afteres nimirum genus &* differemiam, (formalis quiditatiua nuncupatur
inScholis) Exemplum fe- cunda?,Febrfe eft caloriftfitus conuerfus in igneum.
Hie non genus & diffe- rentias Febris affefo* fed caufam per quam Febris
eft 3 & conferuatur. Hoc fi animaduerrete Vohiiffent(obiter liceat ha?c
dicere ) boni illi veteres Medici, nonadeolabbhUleiifeVfFebthncoi^seflej
fruftra oftertderent: Vtraq; de- BnkioGzl^C^e^K^^^Jt^or.iS.di: t/f.liquet. Sed
vna Formalis qui^~ ditatiua, altera CitoSfalis: Iri'pricfri idexigitur vt non
modo genus, verum e^- nam generfs gehus Wipfe ad generalifiiriium, per regulam
illam ante Cat*- goriaspofitam,iti quiddeDehflftopr^ intempe-
ricmadDifpofitioherri feuoces,& Difpofitibnem ad Qualitatem, Febris tarn
Qtalitas,tarti Maid tfifpbfitio; qtiam Intemperies dici poterit. Hoc non ac-
ciditCaufali definitiorii, nJiitlC-ater irinatus, eft quidem corpus,eft
fubftan- tia,nont)toehFelJrts r atttfi!bteftti^ Ciir igiturad
hapcHlirefpicerertorirenirft^u^ eflemorbum in nuraei^SedredeoW'ifeftra.InE^
genus &diffe- retiam hoc modo. EcHpfiseftprn^atioliiminisquodlunaafole
accipiebat. Ponerem item caiifara h diceremiBdipfis eft interie&io terra?
inter folem & lunam. Ha?c definitifccaufalis, fi cum Formali ilia quiditatiua
comparetur, vere definitioQuid rei dici pofle videtur.Nunquam ehim quiefcimus
in na- ture propriarum aflFeftionuh^haurif daj, niff aim ad caufam a qua pendet
af-r fe&io,peruenimus. VrtdeabAriftoteleBefiriitio qua? caufam aperit ,
prin- cipium demonftrationrs Sra GrWcii formalis appellatur : ilia vero qua?
ge- nus & differentiam afFert, Cbncltif?o dernonftratioriis 3 & a
Grapcis Materia- lis vocatur. Nunc ad idcfiius> funt. Ariftoteles itique
prime loco,initio nernpe huius capitis,illara Define ttonern nobis ob oculos
ponit , qua; defcriptio aut quid nominis dici folet* d*. Digiti zed by G00gle
40 ETHlCORi^M' fecundo altcram(quaft per gradus defcen4ens)infirrtierm a genete
& dif- fieretiis fumptam vult afferre, in primanempe leptiroi capitis
parte.Poftre** ftio tcrtiam Yerifsimam atque certjfsijnam > qua?
caufanjfqpljcitati* confix cientera exprimit , in altera videlicet feptimi
capitis parte , quam deinceps v fque ad vltimum caput diligetifsime perfequkur*
Qya? yero inter feptirai} c hoc noftru caput quarturn, interie&a fuat, ad
refutandtas aliorum fenten - tias de caufa Foelicitatis pertinent , quod
Ariftot. in omni fua difputatipne ante omnia praeftare folet : caufa multiplex
alias fuit a nobis expofita. ( Et certe inter plurimos fere de nomine
conuenit). Omnesfummuni illud bo- ttling oelicitatis nomine aut alioeius fimili
in fignificatipneexprinuit 3 id eft, ftueAupiovicits & ^Jbupjovw
defcribunt,vt fit bepe viuere,& bene agere : (idem, eoim eft vita hoc in
loco quod atio , fiue cmA*;c&* fequnda) Idem, in pri-, m o MagnorumMoraliumcap.
4. repetit his verbis: (Qarterum bene viuere, g bene agere,nihil aliud dicimus
quam f oelicem efle,ergp & foelicitas viue Jo eft* Euftratius autem cap. 1.
vocis huius vim explicans,inquit, Nihil aliud ^Jsfattw'uw fonare quam boni
genid,quod videlicet fyomo qui jn perfe&ipne conftitutus fit, da?monem feu
genium bene affeeii, qui neque etiam i- ftam foelicitatis notionem infitam in
animp habent. Animaduertatur hoc in loco deceptos illos fuiffe qui fcribunf
Ariftotelem dicere, omnes fere fateri, Fcelicitatem id eife quo referuntur
omnia. Hoc nanque falfifsimu eft , cum ifta notio ad definitionem quid rei no
ad definitionem quid nominis, de qua s hicfermo eft, pertineat,vt liquet ex
cap& 77 5Jr. Non quia (vt Euftratius impro- prie loquens cenfet) quantum
77V fa fubie&um foelicitatis afferat , ( neque ^nim aliud fubie&um
foelicitas habet quam Hominem cui adharret) fed ' quiaqua?fitum 77V ^
caufamconfidentem foelicitatis proponit,qua? iam i- pfamet foeUcitas eft.Nifi
pro Lambino dicas, hoc quaeifitum 77V
confue L &genera~ . tim nobis ob oculos ponere. Hoover^ praeterquam
quod in more Ariftote- Us pofitum eft, quia aninum legends ad rem poftea
diftinft ius pertra&atara intelligendam,paratiorem habuioremque reddat ,
pertinet etiam ad tra&a- tionisdifficultatemaperiendam, cuius etiam gratia
Arifloteles exeufatione quadam vtetur, vt poftea audiemus . (Vulgus ;. hoc
nomine non modo Pie- bem,fed ciues,Principes,IUges,& Imperatores etiam
comprehedi oportet, fi plebeio atq; abie&o animo (int. (Sapientes). Eos
omnes intelligit qui bru- toruraanimantiumimagineranoninduerunt, neque mores
lllorum expri- rount, id eft qui non ea qua? fenfibus tantum offeruntur quxque
perfpicua funteligunt,fedquipauioaitiusmenteafcer^dunt.Seddenis infra. (Saepe-
numero autem). In iummi boni iudicio , non modo vnum hominem ab alte- ro
difcrepare, verum etiam eundemet a feipfo diffentire ( fi praefertim vul- garis
conditionis fit)animaduertere licet. Aliquado enim fiet vt aliquis gra- uirer
agrorans, nil expetibilius effe aut melius hbmini accidere poffe fecum animo
cogitet atq; etiam clamet, bona valetudine. Idem poftea,fi quado bo- nam
valetudinem adipifcatur, egeftate verb fe laborare & premi icntiat, a-
nirao ftatuat, & affirmet,nil etiam alia bonaj effe fi cum Diuitiis
comparetur. Qui item fi Diues forte-fortuna euadat/entiat verb interim fe
infcitia? mor bo laborare, id eft partem fui pra?cipuam nulla cognitionis
doteexorna- tam habere, fummopere iUosvtfoelices laudetatqueextollat>qui
rerum frientiam fibi coparauerint. Hmcjitvtquicquiddkiaudiant,quodafen- fu
paulo remotius fit v & quareuhque fibircommwiiter obuia, more vulgi mi-
rentur.Qwa? admiratioquanuis(quiequtdCythagorei fenferint)veftibiilum quoddam
& adytus ad PhilofopW!|;effeai& generofialiquid in fe habere vt deatur
: femper taraen multuifc imper fedionis & jgnorationft fecum aifert:
Proinde'que admiratio eorurn>in quibus, in amorem, appetitionem* tandem-
queincognitionem defirrit laadaddaeft teorumvero in quibus in ftupidi- tatem
quadam terminatur,(quod diuitibus iftis otio & luxui deditis accide- re
folet)eft fummopere vituperanda. (Quidam verb pr*ter hare coplura), Platonem
intelligit,qui Ldcambonorum itatuit,quamque Arifloteles po/iea coarguet>non
ad folam vocem Platonicara 3 fed ad fignificationera vocis re T fpiciens. Qui
fieri naque'paffet-vt Ariftoteles cum adhucplatoneirj audiret, ab illo
diffehfiffet * & cum'eo multum faepeque vnius vocul^e caufa difputaf-
fetfid tamen Philoponus raemorat. Non ergo Deum, fiiae qup abfolute nul- lum
bonumdici aut liaberi poteft, intelligere voluit Plato, cpm abAriftote- U
citatur,(id enim nemo inficiaretur)ied boni IdeajCuius paruqipatione tan turn
alia bona effe volebat. rat autem Platoni aliud quid Idea boni > a Deo: Sed
hapc poftea copiofius. (Atque omnes quidem opiniooes). In primo Mo-
raliumEudemicorum cap.i. ita loquitur. Verum omnes omnium de fummo bono fententias perfequi fuperuacaneum
efjt'.quum^ a^grotis, & deliranti- " busySa pueris^uardam videantur,
qu nemo fan* menjif in qiweftionem af- & d.ii. ~" Digitized by Google
n ETJCORVM fen. Hatione entm non egent.
Sed pueri quident zmc maiori , qua eorum
iudidumcorrigatur:Adinfipientcsaiitem&apgr6tantes eraendandos, poe-
cc nam Politician! aut Medicam adhibere opertet, qua Poena Medica haud mi- ce
norem inferendi dolores vim habet,quamYe*fcera JE,odem modo & vulgr de omnibus rebus fere temper
proirancuntftsigrattemitteda fententiaeft.Ab~
furdum eft enim velle cum iis ratio^econtenderffs qui non ratione fed
mid- da & poena egeant.Et in primo Top.cap.9.ii nobis fcripta generatim re-
liquere voluit.a eAw $ way m&CxMt4A>* j nuna Sim &h alias enim nobis
itoraz i^lix per fe& abfolurse nota^ dicuntur . Fortaffe igi- tiir nobis
initium ab iis fumfcndu ^ft>quz Tunc nobis nbta*. Nonfruftraqua? fupra
generatim de ratione huiusdo&rina? Politici tradidit,nunl re aggreffuras
paulum a rcpropofita digredies fpeciatim ma- gis explkat. Quar e propofita in
prima parte huius contex tus rationum de* monftrationumque diftindione 5
ftatqitinaltera iquaanam ilk fit, fecundum qtiam Polkicum progredi
oporteat.&uptexauterii ddmoftratioms genus exj* ponitur, vftumqued
principiis feipfis notioribusi id eilcaufis^alterum quod prindptis notis nobis
idefteflfe&is vtitunhocfecundum tanquam Pohticd accommodatum ehgitur.Pf b
qua re totfc fciendum eft , Triplex Demanftra^ tionisgenus effe,vt ex Auerrois
& Gracorum , imo ipfius Ariftot.fententia* neminem latere puto. Vnum quod
res fiti oftendens: vt quum ex effe&u cauv famelicio. Alteram caufam
afteres effe&us* antea nobis cogniti quidem,ve~ rum non per caufam. Tertium
eft quod vtrumque fimul praebet* rem nimi~ ru effe^&caufam ob qua res
eft.Primum dem6ftrationis genusy Quia, Signi* 8t Efle dicitur Secundum Propter
quid & Cauf*:Tertium Simpliciter,id eft caufap&Effe. Prima item ilia a
notis duntaxat nobis progredi didtur: Se- Cunda a notis natura : Tertia a notis
nobis & natura. Dux priores in Natu- rafibus potifsimum difdpHnis
habentur., Tertia in Mathematics locu pra?- cipuum habet: ep tame modo quo
fuperius oftendimus.In iis enim vt SinrpL inquit in i. de anim.ii. cum caufa*
lint accidentia^ eft quanthates & quali- ties qua? fub fenfum cadunt, vt
priheipia, funt nature notiora, vt vero fen (ilia, nobis: At in rebus
naturalibus fecus accidie, in quibus caufae , funt fub- fbmia?,ad Cum his quae
hoc in locoexPfctonc tradunttirl{quim habent (imilitudineau Nanv percept ionis
hunuawe diftinAio rcmm naturae fimilis codcm in loco ponitur: ea videlicet qua
a fuppofitis fiue imaginibut ad prima ^c vera,aut contra a vcris & prtmis
ad fuppofita imaginefque pro* grcdi cognofcendo dicimur. Alia qua? ex Phedro
&Philebo ab aliis addu- cuntur ;funt hifce noft r is abfimiliora. _ Sed
neutra huk loco Diane quadratic Omitto,qu6d neque in lib.de Republ.neque in
Philebo & Phaedro exempli Stadii reperitur (id enim abAriltotele explications
gratia fuiffe additum, fufpicari quit poffet ): Illud tantura dicam > me
nullibi Platonera de duplici hoc procreffu dubitantem & quaprentem (talem
nanque ipfum inducit Ari- ftotclcs) audiuiffe. Quare libenter iis nunc
aflentior , qui docent , hunc lo- cum in aliquo alio libro Platonis qui ad
noftras manus adhuc non peruene- nerit>fcriptum effe , aut , quod ego non
minus crediderim , non ex libro a- liquo Platonis , fed ex ipfomet Platone
docente aut difputante , ab Arifto- tele eius difcipulo fuiffe
annotatum:Particula? ille wrfp,xj \fyru huic noftr$ Coniedura? fidem facere
poflunt. Sed non eft de hac re magnopere laboran- randum. Qua?
deexemploftadiipofteaabArift.proponuntur>feipfismani~ fefta funt. Qua? item
de duplici notojis quap fuperius attulimus , commod {cuique bona efficiantur,
fie ex cuique notioribus , ea quae funt nota naturS, cuique efficienda funt
nota. Sunt autem notiora nobis in difciptina raorali effeda,id eft operationes
qua? in a&ionibus humanis con- lideranturjquaequeivirtuteproficifcunturjquam
virtus ipfa &foelicita qua? bonarum operationum caufa? funt , quarumque
natura nobis latentior eft, aut(fi mauis)quam caufae quamobrem virtus &
foelicitas itafit.Ideoque probationes fere omnes omnium moralium rationum
adhibit is clarisexe- plis tanquam teftibus ftabiliuntur.Haec monita fi
voluiflent Latini vbique a- nimaduertere,no in tarn multis ofFendiffent. Dum
enim res iftas quap ad mo- raiem Philofophiam pertinent inopia iudicii
fubtilius quam par effet tra- ^arevoluetuntjin multa incurrerunt errata ', quod
, tilorum & praefertim Thomae fcripta tra&ationefque de virtutibus
confideranti facile pbterit ap- parere 3 & nbs fuo loco oftendemus. Illis
fane accidit quod Ariftoteles quo* dam in loco dixit, nempevtab iis qui non
rtiukum intelligunt, fuerint fupe- rati. Qnat hoc in loco Euftrathis affert,
oftendens videlicet , quomodo Foe- *! c ^ t ? s >P r incipium& finis
aftionum dici pofsit,funt quidem omninoveraj led fuperuacanea, Neque enim hoc
in loco Ariftoteles deprincipio &fine ipeculantis & agentis traftat,
fed de principiis & effe&is feuconclufionibus ex quibus & de quibus
in hifce ftioralibus rebus ratiocinamur. Quae vero a* 1" ex fexto de Rep.
Platonis &-4Vahm$mh principiorum hie annotarut, Piae^mn,^^^^^ ,^
ifcipliiMpefcgatiar^ tized by G00gle prapterquam quod accuratius &
fecudummaiorem diftiplinap elegatiam di- da LIBER I. tf dafuot quam re*
fubie&a ferat ne dum poftulet, lubrica etiam aereaq; funr, ghrx6$rm nanque
ilia qua? Plato in fexto de Rep.fignificat,&ad quae per hy- pothefe$nosaicenderevult,nonfuntontnmo
ilia quorum refpe&uea qua? in fcientiis ponimus hypothefes nucupantunlllud
potius ab ipfis defideraf- fern, vt tarn hie quam in aliis locts in qmbus hanc
rem attigerunt > declaraf- fent*quoknodo ex hypothefi ad *ntfiodw,aut contra
quomodoab aixrriSt- ituadhypothefimprogredr demonftrando licear. Siquidem omnia
aiviri- dm, (dico omnia,ne quis me putet ilia tantum duo maxime communia m-
tclligere, qua? vix vnquamdemonftrationem niftad incqmmodum ducetem ingredi
videntur)nequeper fe fint primomodo^neque: fecundo>neque prin- apiarei*
neque neceflariae propofit iones,proindeque nullam cum hy pothe- hbusaffini
totem habeant. Quid?quod Arii^oteles,Alexander,&Themiftius,
yU*vfflfef7*,pofteriora& ignotioranatura vocant.Ha?c Arabes,ha?c Gra? aiixc
Latini, in libris de Demonftratione explicandis aonotarunt : Quare
miranduramagis eft, cur ii qui artem Demonftrandi integram abfolutamq; nullo
adiumento ex Gratis , Arabibus aut Latinis fumpto , fe tradere velle
profe/sifunt,iftaatquealiapropeinfinita ardua& fr.mmopere neceflaria ad
Analytica Ariftot* intelligenda aut nihil aut leuiter attingere voluerint.
Carter lim Qua? D. Martyr de primo cognito hoc in loco difputat ,tam fiimr a
re& locoaliena , vt vel hoc iolo nomine dignifsima fint qua? pranereatur: verim
qifenia no vndequaque etiam confentanee Peripateticorii doctnnf abeo
dici>& corifufe proferri videntur, ne alicui imperitiori errandi occa-
fionem vllam prabere vfquarapofsint , adhanc furamam quam nos hicvt verifsimam
proponimus , ea exigi oportere dicimus. Cum qiia?ritur quid fit Menti
noftra?(de Senfn enim nulla quafftio eft ) primo notum , V trum vi- delicet
lingular* & conceptus fpeciei infima?,an conceptus generis & cormi
nior,proponedaiftiufjmodi diftin&ioeft. Duo funt ad qua? nos refpicerepof fumusrPrimu
eft abftra&ionis mod 9 , al ttcu vero cognitionis ordo.Refpe^u pf hni, quia
abfttfahendi initium arfingularibus fufH*mus,ex quibus etia con* ceptum fpeciei
infirtia* primo loco^extundimus , certe fingularia & fpeciei inhau? nobis
notioreserunt. Refpe&uverofecundijideft cum conceptus iam abftra&os
&feiunflos inter lecomparamus, quoniam conceptus com- munior eft fuapte
natura cognitu facilior , idcirco nobis notior effe dicitur. Primura Tfeeoreraa
ftibilire feperuacaneum eflet,cum prefertim alibi,vt irt libris de AEfthetertis
Senftidm & Senfilibus pluribus dem^fti5auerimus 3 Mea. rem
noftramneceffario Singular ia primo loeocogrfcere:Hoc fortafle mo- do Sc6to fat
is eritfa Qua?na fatio Platoni occalionem dubitandi pr f buertt^Vtrum a
principiis an ad principia, cognof cendo proficifcendu eflfer.Deinde tollere
oportet ambiguitate qua? ex decla~ ratis a nobis, oriri videtur.Nam fi
Cognitionis ordinem fequentes,commu niora Menti noftr$ primo nota effe af
tirmemus,quid Aciftot.imo quid nobis ipfis refpondebimus qui fuperius diximus ,
ea efle nobis notiora qua? ad fen- fum propius accedunt? Certe Cenfus non
videtur efle.vniuerfalium.AHas o~ ftendi (vt ab hac poftrema dubiutione
exordiar ) quomodo fenfus etiam V- niuerfalium effe dicatur . Nunc tantiim dico
ha?c noftra nuilo pa#o inter fe pugnare-.Cum enim de primo cognito Menti
noftra? loquebamur,Conceptu conuuunem cum conceptu infima? fpeciei comparabamus
, fingularia nanq; quin prirtio nota fint Menti no amplius dubitabit aliquis,
fi noitrum cogno- icendi modum, fi effe&um Mentis>fi verba Ariftotelis
in ii.raetaphy.cofide~ rabit. V nde colligo, rede idem & notius &
ignotius diuerfo tamen refpe- #u diet poffexommuniora naque quatenus natugam
fenfilium rerum magis redolent, id eft compofiti, totius , effe&us , nobis
notiora effe dicuntur ipe- ciebus ipfis:hoc enim raodo crebro fenfibus noftris
occurrere dicuntur: qua- tenus vero caufa? natuxam fapiunt , id eft
fimpliciori$,prioris, partisjconfti- tuentis fpeciemquaetotumquoddam&conftitutum
feucorapofitumdicit, minus nota vocari. Sed iam egent ifta diligentiori
tra&atione,& ad exquifi- tioremdifciplinam pertinent. Adaliam
generatimprimiimdico, in caufa dubttationis Platonica? fuiffe, Scientia? ex vna
parte , ex altera vero Nature noftra? conditionem. Scire eft rem per caufam
cognofcere propter quanpj-es eft, ergo in fcientia a caufa rer omnino progredi
oportere videtur .At nobis, id eft Menti noftra* qua? Phantafia? & fenfibus
immixta eft, pon caufa? rerum (ed effe&a & compoiita Senfibus crebro
occurrentia,nota funt. Ab effe&is i- taque ad caufas primo afcenderc iubet
Ariftoteles , vt regredientes deinceps a caufa ad effe&um veram ac certam
Scietiam adipifcamur : de. quo Regref- fi* alio loco difputandunt eft. Qnanquam
fpeciatim magis dice re poffumus platonis locum pauio aliter explicantes , hoc
modo* Duplex Priacipiorum genus effe, vnum quod Effatorum ( vulgo dignitatum
dicif ur , quod nempe > dignifsimum fit cui fides adhibeatur,vt Theophraft*
affiriipare videtur): Al- teram quod Hypothefe*n eft. Primum illud genus in
communia mwime & minus communia fecatur: voco maxime communia duo
illa,OequoUbet eft veraaffirmatio vel negatio.Et>Non contingit idem fimul
effe,& no effe, Mi- nus vero communia funt:vt,Qu* funt aequalia vni tertio
, 6V inter fe funt a?- Sualia: Si ab a?qualibus a?qualia demas, qua? remanent
fqnt a?qualia. Hypo- jefes voco qua? vni tantum fcientia? conueqiuitt, ( non
late &V expert -
cni^&confenfucommurav Hscfuit ratio , qua Plato dubitare potuit an via
& ratio progrediendria faentiis,fit a principiis , an potius ad principia:
dicitur enird a princ*piis,quatemis ab illis per fe notis proficifcitur,ad
prin- cipia vero quatenus ad ifta fuppofita* id eft aliorum ope ftabilita
tendit, Ac fi duo principiorum fcientiar genera fuadubitatione innuere vellet.
Quocirca eum qui de rebus honeftis & iuftis,& vt femel dicam,de
Ciuilibus idoneus auditor futurus fit , oportec bonis moribusefleinfti tutu m.
Principium enim eft rem itaefTe.Qupd fi fit fatis perfpicuum,quamobrem
fit,afFer- re, nihil opus erit. Homoautemeiufmodi aut iam tenet Drincipia,aut
ea facile pcrcipcre poffit:Cui verb neutrum florum ineft,audiat Hefiodi
carmina. Exverjionc Umbini. Optimus ille quideqa eft, qui per fe mente animoque
Omnia perluftrat, qua? fint raeliorafutura Poftea ad extreraa? vfque nouifsima
tempora vitar. Eftaue adeo ille bonus monitis qui obtemperat acquis
ReOcfuadentis:verumdetcrriniusilleeft Qui neque confiliuipper fc explicat
ingenii expers, Nee mopita alteriu* (equitur peque fpente recondtt. ? verfime
Turnebl>tju* minus a Gratis ipfis verbis difcedk. Optimus eft,fefe qui nouit
cundamaciftro, Spedans qua? poft, qux femper prodefle valebunt, Ille etiara
bonus eft, audit qui re&a monentem: At cui confilium defit, rton vultque
monendo Aufcultare alii,demura, vir inutilis eft is. ,
Quemadmodumnonfruftrademethodohuius difciplineea qua? pro- line fpeciatim
explicauimus, repetitt funt, ita non eft h*c repetitio condt- tionumin
AuditorePoliticesdeuderatarumfuperuacanea,quumhoc abil- lo deducatur. Oportet
(mquk) Auditorem Politicu vt agrum in quo iacicn- da funt feraina,bonis
raoribus effe natura aut inftitutione paratum,ac difpo- fituntalioquin
enim,quod pro principiorin hat arte furoendum effe fuperius diximus, id eft
ipfum 7? 2i* , non concedet , quo fiet v vt nullam qubque con* chtfiombus
Potiticis itdem fit prarftaturus, Huius rei occafione > quem nam auditorem
ilium effe intelligat, cui aut natura aut inftitutione ipfumWcj? Digiti zed by
G00gle ft ETHlCOfcVM morumfit perfuafiim planiusdeclarat, Tria ilia genera
hominum ex Car* minibus Hefiodiproponens. Primumeft,eorum quinaturafua
ad^virtu- tes & bonos mores habilitatem habent. Alt crura. eorum qui
quanuis earn ha^ bilitatem feipfis no habeat,quia naturam paulo obtufiorem
obtinuerimma+ giftro t^men rede moneti obtemperare , prafto fum. Tcrtium
deternmura omnium, illorum effe dicitur, qui neque feipfis natura valet, nee
raoniti Sa- pietiorurafequivolut.Prioris&fecudt generis homines ipfum to
077 tenet, . &: primi quide loco eflfati(vt ita loquar)aln verb loco
hypothecs , quoctrca - vtiles & idonei funt Politices auditores Pofteriores
plane funt inutiles. , (Oportet bonis moribus). Explicetur hie locus non aliis
verbis quam illis- primi carminis Hefiodi, nempe qr o*Tor mt^m ymov. Natura
videlicet at que educatione : Neque enim ( yt fupra diximus) parui refert fub
qutbus 8f cum quibus vitam agas. Siquidem poifumus diuturna cum improbis
familiarita^ te, non modo improbi reddi , Fed Mens etiam qu*turpia oc honefta
iudica- mus, ita caecari poteft, vt quad natura fua deprauataprincipia iufti
& hone- fti videre nequeat. (Principium enim eft rem ita efle). At que ita
principal, ., vteohabito,non multumqua?ri velit quamobrem res ita fit, imo
inferius. cap. 7. dicet ccaa' ix&w U -nIuftiti^ St Honeftatis ratio eft.
(Homoverofciufrtiodi)* demonftrationis
diutdere voluit tarti in id quddifc ipfa tale .'eft Vt efFatum &
fuppofitioyjuim in id quod facultatt folui9dQ ^aie dicjtur vt^kfinitio , ita
hoc in loco declarat, fe eum Hominem to x '!m morum obtinentem nuncupafr fe,qui
aut reuera & natura id fecum affert, aut qui a pra?ceptore facile acci-
pere & acceptum continere valet. (At cui conhlium defit).Fortaffe hocito-
minum genus neque principia etiam ipfa CQmm&iifsima ftupiditate fua con
cederet.Id infe&atur Plato in 6.de Rep.Prb icbnditionibus horum generum
bominum,qui ad per fe nota &occulta diiudicanda apti aut inepti (unit, cor-
poris conftitutio imprimis fpeftandaeft i vnde & duriores carne inepti me*
tedicuntur ab Ariftot. contra molies Oogkarois aninue vis 3 probe vel maw le
affeda, Auerr.^de ani.xo- Experiemiamdior & minor, quam Platoni ftp-J pius
exprobrat Ariftoteles. Exercitatio breuior aut dkiturnior in Diale&ifca,
Auer.p.phy.com. 7i.Bonorumpr2Pceptoruexprincfpiorumcopiaaut ino- pia.
Lincon.i*poft. c6t.i.Mathematicarumt^fciplinanimcognitio(nondi- co abufus in
hoc enim tantum Pkuo-ib Ariftotele coarguitur )aut ignorarky Confuetudo &
familiaritas; aurieMqt H*cad rtdftrummof alertwuditorcm^ accommodato. ani- maduertifle videtur: Quivt magnum fuit
ingenium, & multa fub inuolucris quibufdam & integumentis precepta ad
benp beateque viuendum tradidit, ita has tres vitap conditiones jfimilitudine
mercatus illius qui in maxima O- ly mpfcorum ludorum celebritate
habebatur>adubrare voluit.|Nam vt illhlc alii in certamen defcenderept>vt
honorem & gloriam confequerentur , alii qurftus gratia in vendendo &
emendo eflent occupati,alii vero quid agere- tur & quomodo tantiim
infpicerent:Ita nos ex alia vita tanquam ex vrbe all- qua>innanc vitam quafi
in mercatumvenientes, alios honori adipifcendo addi&os efle , alios
pecuniae inferuire , qui item vita qua? tota perfruendis
voluptatibusconfumitur^amplederentur, (ferenanqueob voluptatemfo* lam,diuitias
expetiimis) Alios vero neque qua?ftum,neque honore aut plau-
Gimqiiarrentes,jrerum naturaro & illarumopificemconteplarentur. Ex quo
Anaxagoras,eodem Artftotele primo Eu4em*ci* referente, ambigentc quo* Digiti
zed by G00gle *> ETICHORVM dam atque interrogate, quareviuere|>otius
quamnonviuereexpetedum cflet> iuffit vt caelum munch' que totius conftitutionem
animaduerteret ; Sen- tiens videlicet,vitam ob earn tantum caufam nobis
opcabilera efle debere,vt rerum naturam contemplan pofsiraus. His autera tr
ibus vita? condit lonibus expofitis , primam primo loco ref utat Ariftoteles ,
nempe illam quae multi- tudinis imperita? eil> quanquam etiam poftremo loco
rationem qua niti ipfe* poterat,adducerevoluerit. (Bonum enim non fine
ratione). Cur LamW nus ha? c verba cum iis qua? proxime de viilgo dicuntur
connedere voluerit a nefcio:ita enim legit : Nam vulgus quidem & odiofifsimi
infolentifsimi que 99 homines, efle fummum bonum & beatitudineiii,
vbluptatem, ex multis vita? > gener ibus non fine ratione exiftimare
videntur. Verba vero Gra?ca in hunc modum jfcripta leguntur.To $ ky*$ir kou rtw
*Ad*.iym* hk khbyn* ioi/^mht *?ff@icw \&z>\m&$ut
feujtoKTtu./Sotfxiquct'typ /3tfr &&u? yildpot. Cur itaque Dofti quidam
hoc in loco docnerint,Ariftotelem fenteil tia? vulgi nihil c6tradicere
voldiflfe , icjudd voluptatis vocllbulo latilsime pi* tenter nil de ea temere
pronunciandutii fuit, valde miron Cum enim Philo-> fophus Multitudinem
mancipiis & brutis comparet, iam voluptatis nomine non illud verum genus
quod ad animum pertinet & de quo io. Ethi. agitur, fed illud falfum 8c quo
fenfus tantum commouentur , titillanturque,vt Cic. in *.deFin.ait,fignificari
manifefto liquet. Vnde & in i.Eudem. ca. %. non a> lia ratione
hanceandemopinionemrefutare Videtur. (Sed ratione etiam hacnititur). Vulgus
imperitum,Principes &eos qui in fumma poteftate conftituti intperioque
pollentes funt, vitam luxus & voluptatum omnis ge- neris vndequaque
refertam agere animaduertens , eos imitari in fine de- ligendo vult,exiftimans
videlicet Tales homines qui ad aliorura gubernacu- la fedent, atque in tanto
dignitatis gradu a Deocollocati fint , decipi nullo pa&o pofle: item eos
nuliam ob aliam fere caufam beatifsimos iudicat quant
quodplurimasmaximafquequandolibet poffunt capere voluptates. De Sardanapalo,
aut SmyndyrideSybaritadequo i.Eudem.ca.t. paffimlegitur in hiftoriis.Fuit ille
Aifyria? rex,obfcoenf atque monftruofa? xnollitudini li- bidinique Digiti zed
by G00gle *V" LIBER I. *x bidiniqueioduleens: quern tandem voluntas
perdtdiutque delcuit. Quern cxitumvulgush reputare
vellet,fortaffedeiinerettantopere Sardanapali- cam vitam ilia adnurari.ed quid
de Sardanapali^exitu loquor \ Infinita alia extant exempla Vetera Imperatorum 9
Regum, Populorum , quibus volup tas &otiuminfinita
tormentamalaqueproruisexitiofaattulit. Regnum Perfa- rum opidentifsimum ac
potemifsimum funditiis euertit yoluptas. Populi Roraani imperium,eadem
voluptas,ideft Ca?farum vita>in omnilibidinura fcluxusgenereeffufa perdidit.
QuareverifsimeaPoetailludaliquando di- ftumfuit. Ocium & Reges prius,&
beatas Perdidit vtbes. DifcanthincquiadReipublica?gubernacula fedent, quorumque
mores &: vitam alii intuentur , exemplar omnium yoluptaoim continentia?
prarbere, non vetri fcruire, noa vsnereas perfequi voluptates,animi quanuis
bene jn- fbtuti-coraquinatrices,no mollkudiniociove indulgeifoTiberii Ca?farjs
rno re, aut Xerxi$ Perfajru regis: quoru alter magiltratum inliituit,qui cura
con- tinenter gereret ,nouarum conquirendaru voluptatum, alter edido,pr# mia
{huuit 9 ei qui incognitum voluptatis; genus afferret : Sed contemptisomni- bus
voluptatibus,ita Reipubijcae dare operant , vt nullam cogitationum Ala- rum
panem alio deriuet.Ita fiet,yt ad ipfumoculi fubditoru conucrfi exem- plar vitx
non opof? fed vigilantis furaere pofsint. Qmrtino quemadmodu
inaeleftibusbeaufque Mentibus qua? nos regum atque gubernant , excel- lentiores
quafdam & nobiiiores conditions die aninia^.uertimus^uemad- raodura etiam
Homines dotibus animi reliquis animantibus quibus pra^funt excellere videntur,
ita qui prinefpatum Imperiumque obtinent^feft eo di- gnitatis
gradu4*gnos,prbere debent , id eft earn viuendi rationem fequi, 5 ma? Vt
ribbilior & melior,oronibu$ iubdfcis admif ationi fit. Exempla ha?c umma?
induftri2,diligeti,& vigilantia? , in Friderieo patre tuo (Illuftrif- fima?
Princeps)complura vifa funt. Hind vero nunc & vident . Marty r
longifsimamquide dehac re tra&ationemhk^ftituerit,itatameacQnfufam 3 vtvix
habeas quid ex e$ firmi & folidi colligere queas. Exordieraur autem ab
illius definitions Ari- ftotelis prarcepta fequuti & aliorum qui de hac re
egregie noftra tempeftate fcripferunt.Voluptatemjinquit Cic.*.deEinibus,Latine
omnes vocat,Gra?- ce vero iJbvb* , Iuctmdum motum quo fenfus hilaratur : Nos
vero dicaraus ex Arifb0telc7.de mohbus Voluptaseftfundiomunerisnon impe- Digiti
zed by G00gle ** ETHICORVM dita, habitus tllius qui cum natura confeiitiat. Sedplanius naturam volu- ptatis
explicare conemur.Ex tribus anima? generibus,ad vegetabilem neque voluptas
neque dolor pertiner. Ariftoteles ita cenfet > quaquam Anaxagoras &
Democritus, Plantas fenfu praditas voluptateque & dolore affici , vege-
tantemanimamcumfenfuOQfundentes,inepteaffirment. In fenfu ergo & Mente
voluptas & dolor inerit. Dicamus deSenfu* (quanquam ea qua? ge- neratim de
natura voluptatis dicemus Mentis quoque voluptati conueniat) In omni fenfione
(Senfionera voco energaam ipfam facultatis fentientis,aut facultatem ipfam
fentientem inipfo (uomunere) duo principia potifsi- miim defiderantur. Facultas
fentiendi,& res extrinfecus obieda, vt in vifio- ne (quod de hoc fenfu
dicetur,in csteros quoq; trafferri commode poterit ) Facultas videndi, &
color extrinfecus obiedus,in cuius fpeciem formata facultas in
adumerumperedicinir. Tuncitaquevifioimperfedafiet, aim aut facultas videndi non
optime aut male affeda fuerit , aut non muka aut etiam nulla conuenientia &
pToportio erit rei obieda? cum facultate. Sen- fum nanque in proportione quadam confiftere
docutt Arift.i.de anim.qua? a rebus obiedis perturbari poteft. Ergo perfeda
vifio tunc erit appellanda, cum & facultas videndi bene fe habebit, &
illi in natura diftantiaque & fitu obieda res plane congruet. Hanc
proportionem & conuenientiam percii- piens Senfus bene affedus, at que in
earn totus propendes,voluptare quadam fuauitatequeperfunditurrQuofitjVt
quemadmodum fenfus paulo melius vel deterius affedus effe poteft,&
fimiliter rei obieda? conuenientia gradus quofdam habet , ita maior voluptas
aut minor emergat. Sit ergo voluptatis perfeda definitio ha?c. Voluptas eft
perceptio &comprehenfiorei obieda? Oroportionem, conuenientiam , &
natura? coniundionem habeat cum ate percipiente, bene affeda & non
impedita* Voluptas ergo non eft motio*,vtputabantnonnulli,fedtota fimul
&ftatimefficitur,firiguk'fque momentis tota perdurat,vt vifio.Ha?c ex
Ariftotelis ore io.de moribus Aim- pta funt. Ex quo etiam loco facile afferri
ratio poteft, cur Hoiflinibus in o- pere laborando defatigatis, voiuptates
minuantunvna enim ilia eft,quian&- pe aut aliquid de obiedi praeftantia
proportidneque det radum fit, aut facul tas agens debilitata : cum tamen quo
perfedior muneris fundio fuerit eo e- riam diuturnfor futura (it: vt qui acri
oculoru acie pra?ditus eft, minus afpi- cierido defatigatur quam qui
hebeti.Hinc omnia nouamagis placere fenti- miis,quodin primo illo occurfu
facultas acrior atque in rem obuiam fa- da nouitate excitata propenfior fit,
fuoque munere perfedius fungatur: qua) poftea cognita,remittitur, Ariftot.
io.ethi.cap.4. Sed ad voluptatis naturam
expifcandamredeamus,aliatantumqua?dampauca proponentes, cumha?c alibi copiofius
nobis pertradanda lint. Voluptas eft ipfamet- fundio a- dioque itfuneris, vt
dicebat Ariftoteles, id eft ipfamct perceptio & cognitio rei obieda?, aut
expletio qua?dam facultatis , qua? illi ex perceptione libera rei fibi
comienientis veluti forma qua?dam perficiens accedit, Arift.io. ethi; cap. v
Vnde in fentiendo aut intelligendo confiftere dicitur non in appeten- do >
prlUs enim a fenfu iucunditas 8c voluptas percipiatur oportet, quam e- mergat
Digiti zed by G00gle IrlBEH- L 4% WTg& appetltio? i4 eft qun> fc&fus
ad rem qiam fibi iucfidam iudicat pro- fequendam moueatur:non e*go ad appetitum
fed ad fenfum voluptas refer- (ur > vt Arift.io. ethi.cap.j. in illi$ verbis
tradit. Propinquiores autem funt
operarionibus voluptate*qua? inipfis exiftunt,ponit,vere Platonica funt:
Ariftoteli verb idem Gaudium &La?titk eft 5 qua? tamen in genere affedionum
ab eodem colloca- tur. Omnino autem ita tota ha?c res ex Ariftotelis opinione
fe habet. Senfus fpeciem rci pbieda? primum percipit :qua percipit tantiim ,
Senfus dicitur. Quod fi res obiedaiucunda fit & conuenientiam fecumhabeat,
fuauitate vo luptateque afficitur, affedus verb ea fuauitate commouetur &
excitatur ad ip/am profequend nih quod Appetitio dicit habilitatem illam
facultatisadfequendumvelfugiendumaliquidA Appetitus Senium ipfum
adfequendumvelfugiendumhabilem : At Affedio pra?fentem iamexcita- rione &
commotione dicit. Quod fi a voluptate affedio p^feda fit,primum omniu oritur
Amor, mox Cupiditas, inde Spes : quod fi re aliquando potia- tur Gaudium,quod
nil aliud eft (quicquidPlatonici dicat)quam quies qua?-
darafacultatisappetentis. Ea qua? lia&enus diximus de nature voluptatis,ad
Doloris item naturam , affedione'fque ex eo deriuatas tranfferri,contrar io
tamen raodo,volumus. NuncdeDiuifiohe. Duplex eft in nobis perceptio, vna
Sefus,altera Mentis^ergo &duplex voluptas.Illa Mentis cofultb in pra?- fentia
pra?termittemus,copioe deeain io.ethi.aduri. Qua? Sefus eft,aut eft Naturalis
aut contra natura. Naturalis ab omnibus aut faltem pluribus exo- ptatur,qubd
naturam recreet reficiatque. t ha?c multiplex eft, qua?dani co- munis cundis
aniraantibus alia vni duntaxat fpeciei propria. Ariftot.io.eth. cap.*. Communis
eft ilia qua? ex cibo>potu,& venere bauritut*. Propria non ita perfpicua
eft , aliquid tamen eft ita vni natura? vmque fpeciei cognatwn & peculiare,
vt alteri commune non (it. Deledat enim queque quod naturae fuse (it aptum,
vnde Heraclitus dicebat Afinos paleas magis quam aurum fe* leduros. Voluptas
qua? contra naturam dicitur , 7*ethi.eu ilia a qua vniuer*- Digiti zed by
G00gle *4 ETHIC OR V'M fum pene genus hominum abhor ret ,7.ethi.H multiplex
efttvel enim a fla- gitiofa quadam natura & corrupta proficifcitur >
qualis erat mulieris illius quam Ariftoteles fcribit, pr jegnantium vifcera
folere refcindercpueroftjue* vorare. Qualis item Troglodytarum eit,qui
ferpentibus vefcutur,item An- tropophagorum. Vel a confuetudinepefsima oritur,
vt nonnullorum volu- ? ptas eft,euellere fibi pi1os,vngues edere: Vel ratione
morbi aut animi aut cor poris nafcitur : hoc modo prjgnates fepe in quibus
melancholia fucci mul- tiim retinetur,& alios melancholicos,ta carbones
&gypfiim &xalce vorare auidecernimus , velutipanem.
Sedpluribusiftaperfeqilihoc tempore non licet. Vniufcuiufque vero Senfus
proprias voluptates Galenus proponit iii z* de fympt. caufis . Multas alias
voluptatum diuifiories colligere e* Ariftbtefe liceret , quas tamen
pra?termitto , quod in praf fentia ha?c dixifle fat effe pu- tauerim Jam vero
facile erit cognofcere cur vulgus vitamvoluptariam adeo amplexetur.Neque enim
natura? fu r excellent i am & pra?ftantiam cognitam habet vulgus : qui a
primis fuse a?tatis temporibus fenfn vti folitus , nunqua fe ad vita qua?
verehomiiiis eft,errgere potuit. Defaerut enimilli proba in- ftitutio ,
educatio, Phiiofophia? preceptor , quibus excitari pbtuiffet : Qua- propter
Sefus non cohibitus,in eopaulatim vires 'maioresitipftt ; ittjue adeo vt tandem
in ipfa etiam a?tate adulta principatum obtincre velit. Hitic fit Vt vulgus
belluarum habitu prorfus indutus, vt inquit Trifittegiftus, non alias
voluptates quadrat, quam qua? Senfibus affines funt. Imo dicebat Ariftot. in i.-Eudem. cap.*. Videt
tarn multa incommoda vulgus,quibus mortalium vita * expofita eft,vt
morbi,dolores,aliiq; eiuimodi>vt fi illi pptib ab ifiitio detur: -. non
nafci potius quam ilia experiri velit. & Cicero in 3. Tufdqua?ftionum,
inquit ,Naturam paruulos nobis igniculos dediffe , quos celeriter malis mo^
ribus,opinioriibufque deprauatis fie reftiriguimus vt nufquam poftea lumen
illud natura? apparear . & Plato in Phaedone^, voliiptas (inquit) quafi
clauum tenens,animumcorporiaffigitatqueconiungit,efficitque vtinfeftus cor-
porea fyecie,ea putet effe vera qua? fuadet corpus. Vt verifsime illud Lucre-
tii in 2.de Nat.in eos conueniat. O miferas hommuni mentes, o peftora ca?ca.
Politici vero homines,&: qui a4 agendum nati funt^Hcv norem, Fere enim hie
finis viw ciuili p^opoficus eft* Scd ; videtur co que quserimuslfeuior.Eft enim
Honor in eo po* this fitus qui colit,
qnamin eoquicolitur. Atfiimmubd- Hum propriumquiddamefTeaugur^ipuy^quod'vix
eri- , pip.ofsit Jam vero honoremeo pcrfequi Videntur , vt ere-
dancfeipf6sbonose(Te. Icdqtt'e'honbre affici aprud^nd- bus qusef unt , & 3b
iis quibus hbti tunt^ $: virtutis npm& ne. Perfpicuurrieftitaq;Ue& Wum
quidemiudicio, vir- tutemeflemdiorem. " Sunt- Digiti zed by G00gle LIBER
I. "f: Sunt qui res acutius difpiciant quam vulgus,ideoque aliquid quod
non fie adeo perqulgatum & humile proline Hominis afferunt,vt
Honorem,quauis & hicquoque non multumab oculis hominuta remotus fit.Sed
falluntur Po- litic! dum gloriam pro extremo fine quaeriint. Nam fdelicitas cum
fummum bonura fit, firmitatem ftabilitatemque habeat necefleeft, vixque,aut ne
v quidexaeripi pofsit. Contra,H6nor ab iis pendet qui colunt, Idcircoque multos
qui anteafummis honoribus vfi erant,in odium pbftea & infamia in- currifle
, atqiie in fordibus iacuifle, audiuimus:& nunc idem multis aliis ac-
cidere quotidie cernimus. Accedit eo,quod F oelicrtas per fe ipfa tantum ex-
petitur>at Honorem eo perf equi fere vjdentur,vt multos quafi teftes habeat,
quorum defe id dt fuis virtufcibiis iudicio credant. Quarenona pueris noa
abignotis coli fe atque honore affici volunt , ftd a prudentibus & ab iis
qui- bus probe cogniti funt. Vnde
liquet, bos tacito quodam natura? iudicio,non Honorem , fed Virtutem quam
gloria veluti vmbra corpusconfequitur, ex- petece videri. Hac Ariftoteles.
Nuncfingula illuftranda funt. (Politi vero homines). Vocularum iftiufmodi
Hbenter Lambini explicationem progo- no y quod ilk mihi pra?ter caeteros, earum
germanam fignificationem afle- quutus videtur. In gra?coeft 6/ $-%wt4rui.
Lamb.ex Cicerone id eft huma- ftitate Politi,aut ft vis etiamGenerofc
Etr&re, nam fifuperiores ^77x07*- td/ habit i> funt , id eft odiofiiquod
fuis commddis ton inferuientes , nihil in communis
focietatisvfumconfulerepoffintrhi certe Politi (fchumanitate
prapditimagisdicetur qui adioiiibtls ciiiilibus fe dedut,id eft qui in luce hac
ciuilihorain&nq, focietate verfarivolurA,Ufaftribus fa&is
laudabilibufq; a&ontbus, quarum teftimonium menxumque honor eft,operam
dates. (Fe- reenim). Ratiohuiuslimrtantispartkula? abEiift ratio petenda eft.
Nam E'smciuitatibus, nil habeatur honore maius^aut amplitudine dignius iufqne,
norfpauci tameri reperti funt, & afsidue reperiuntur , qui a- honeftas
amplexantur , nullahonoris cup'iditate flagrates: Vt Socra- tes, otitis
pnfecepta ad hahc rem pertinentia in Apologia Platonis legantur. Sunt
etiammuiti qui propter qu^fturri&emoMmentom duilibus negociis fe
irnmifceant,gloria? veto & honoris nullum gufttim & fenfum habeantJn
ciuitatrbus liberjs hochominum multiplex genus ad deliberandum concur- rere
folet. (Sed videtur eo quern qua?rimus leuior). Id eft nonfolidum ne- Jiue
ftabile vt ea qua? funt altius in terram defixa, fed flu&uans , vt ea qua?
in ummo aqua? natant,&vajdedebile. (Eft enimhonor). Ratio cur Honor fit
leuis jeft ,quia hori ita in nobis conftanter ha?refc,Vt eo carere no pofsimus,
quinimo aliunde totiis pendet. At qua? extra nos funt nihil ad nos,ait ille.Eft
vero in eorum qui colunt pot eftate, honorem dtferarit necne,vt poftea
liqn'ebit. Hoc modo locus hie intelligendus eft :Nam alioquin , honor plus
attert ei qurhonore afficitur,quam ei qui affkit>nam qui colitur certior
fua- rum virtutum &pra?ftantia? redditur , cumqui cblit nonnifi mediocris
cu~ iufdam virtutis indicium pribeat, ii Ithet. cap: $: Itein qur colitur
augetur beneuolenttahoxnfniliTn,' quod maximal b^um eft, qtiiVericolit eximii
i- (hus boning ita ^articepsefficitur. IniKiVtaiidcttiiucuiidifsimaadio in-
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generatur,ideft virtutumfuarum contemplatio, in his non iten^quanuis ad cos
honeftas ipfa a&ianis accedat, qua augentur. Eft etia, vt ad rem redearn*
Honor valde tnitabilis,qui a yulgi fauore (quo nihil inftabilius) pedere po-
tifsimum vacatur. Item quia accidunt perfaepe cafus qui homines debitis
honoribus fpoliare poffunt, Ira principum , jnimicitia potentiorum, aut in-
fimorum,vel verboforum, amifsio opum,Cckas, furditas, calami t as aliqua infignis,
aut er ratio vel propria vel confanguineorum. Multaextat exempla cum Vetera
turn nouajiominum qui infqualore& fordibus vixerunt, cum tamen antea apud
Ciues fuos & alios in fummo honore manfilTcnt. Quoties Mithridates regno
pulfusj Annibal quoties dignitatem fuam& vulgi fauo- rcm amifit? Alcibiades
item modo domi glonof us,raod6 exul in fordibus vi- xit? Sed iftameminiife
forte fuperuacaneura eft. (At furamumbonum pro- prium quoddam effe auguramur),
& quod vix eripi pofsit)* In Greco ver- bumillud(auguramur)eft/LtttyT6i/ofd*,quQytitur
Ariftoteles, quiaindefi- nitione Effentiaji Foelicitatis vt poftca dicemus
conueniunt omnes : Qua? eft vt fit Bonumperfe&u quod fatis eft homini ; Jn
alia vero qua? caufam affert, vnd^que cognofci pofsit, Foelicitatem quid ftabile
& conftans effe, maxime funt inter fe difcrepantes
hominumopiniones:Idcir,c6que coiedura potiu* fciuntalu, Foelicitatem effe
bonuni quoddam perfe&um & ftabile, quanx fcientia: tunc vero manifefto
pognofcetur cum caufa foelicitatis, efficient erit expofita. (Per,fpiuqn>
eftitaque);. Dubitat D.jMartyr, qui fieri pot? fit vt Ariftoteles4ixerit
Ppliticum,hoijorein pro fine quaerere, cuj&hic con- tra concludar. Honorem
virtutis nomine ah eo exoptarL Refpondet 9 Ar ifto 7 telem hancipfam caufam
quapfiuifle&occafionem fumpfi^fle eorum sonfu- tandorum, quanempe eos a
fejpfis difcrepare oftenderet, quod in eo qui fa. - jpiens yult haberi
turpifsimum eft,. Sed addamus^iioti omne^ f Politico?virm- jis faciem &
formam pulcherrjraam atque exf ellente^u oculis ajainni cerne^ re
potuiffe>.quanius,oxnnps tafito quodam iudicio & aaturae monito, in vir-
*utem ferrentur. Atqui dices^ jnuki Politici fuerunt atque extant qui excel-
lenti ingenio pra>diti Virtutis pul(:hritudinem pptuerut infpice^e: Refponw
deo , eos virtutem pro fini ftaxuere noluiffe, quod in ea aliquid ad fqelicita-
tisabfolutioaeradefiderariirognofcerent. Hop in loco D. Martyr multa de Honore
agit. Nobis ergo liceat quoque,paucis de eadem re in hunc mpdum dicere ex
Ariftot. in i. Rhef.cap.f.Honor eft figaum. gloria? , ex plurimis in alios
mentis cpmparat^ Quo iu lopo imprimis aniinaduert-atur Ariftotelerac'
omninodifa-imeapofuiffeinte^^ /aim antea Exiftitnatipneni iejinierat, quod
effet Judiciuin bpminum de vir- tute alicuius. Eft ergo prppirie honor P id quod
iboha exidirnatipne profit ,cifatur,
velutiabEffedp$igaum:quanqu^yincentiusMadius Summus; noftraa?tatePhilofophus v
in oratioue de cognitionis praeftantia docuerit, jrerum, fincerum & foKdum
honorem id effe, quod nos bona? exiftimationis nomine appellanius, id eft
poffeftionem animorum hominum,beneficio vir- tutis partam: iftaver^qu^ Z /
"" ^ * ' ' """ : " ^ "... detuc Digiti zed
by G00gle LI BE It I. if detur ftabiGri pofleAriftbtelis teftimonio qui in 4.
ethiica 3. Honoremrem maximam vocar. atqui ccrteaperire caput , genua fledere,
ipfa perle mini- mum quid funt : vere magnu eft, amnios hominum pofsidere,&
amari,quod lis accidere folet de quorum virtutibus & beneficetia bona in
animis homi- num opinio concepta eft. HincPlutarchusinPoliudsaliosJionores,
vulgi bonores vocat, ilium verb folidum & verum,Gratiam nempe, qua?
beneuo~* kntia hominum continetur. Quod fi vnum alteri copules, id eft bonam exi-
ftimationem (ignis externis, tertiani Honoris fignificationem habebis. Sit i-
ntur Honos , vt diximus, Sig&um opinionis de illius qui colitur bonitate
& beneficetia in animo colentis tiocepta:Inqua definitione tarn caufa qiiam
ef- fedus comprehendkur. Ef ficiens feft ex parte colentis bona opinio , ex
parte eius qui colitur Bonitas & Beneficeti&Forma eft ipiius adionis
externa? for- mula;Finis declaratio opinionis noft rap de virtute aut de adionibus
virtutem conftituentibus,eius ad quern honor defertur , Materia in qua ineft
ipfemet colens habetur, illius enim adio eft.Ex quo dicebat Ariftot.Honorem in
ho- noranteporius quam in honorato efle , vt contra dici folet, Gloriam , magi*
in eo qui colitur habere : vocam aUtem Gloriam lucem illam qua? in aliquo ex
fcona illius famahonoribufque ineum collatis,exoritur:vocant (inquam)
quoniamfivoce Ariftotelis fpedemus qua? eft &&/* aliud quid fignificare
vidctur, vt liquet ex iis verbis c&f.priim Rhet.Xe/fcgict SJ)W \&i ymrw
rau- Jhum v0BA*^*Ked>i to/St* it t%Ht ou Wmf fym*nu& 0/ TtohKot > $
oi ky&$o)$ oi t&rtfAOi. Hoc nos fupra bonam exift tmationem voGauumis*a
qua honos pro* ficilcitur. Et Cicer.ettam vocat Gloriam , Illuftrem &
peruufgatam faraam rede fadorum & magnorura velin fuos ciues vel in Remp.
vel in omne ge- nus hominum. Quod item fi veru fit*Gloria hon ft mper virtutem
fequere- tur, vt illi dicunt , aim id omne confequi pofsi t , quod vel a multis
vel a bo- nis,vel a fapietibus exoptetur.Sed procuUubio locus Hie i.ca.Rhet. ad
Alex, priori etia definitioni fauere videtur* \s vero eft. Honefta funt,e*
quibus 'Caputaperire. Inter hos honores ille exceffit,qui ad honores quos Deo
adhibemus propius accedunn Hiacftmoiioiiuiilisomittsdebeamw^ * ciu Digitized by
VjOOQIC * ETHICOHVM gtfteatushondf $ft.
RederrfponderifolctjMajiftratiinihonoremeflfe fed non omnino : quanuis enimcum
Magiftratum alicm coramitttmus, declara- mus noftram de eo bonamopinionem,
tamen aliquidab eo nos velle , raagis fignificamus,nimirum vt leges feruet,ius
dicat ,puf>licas & priuatas vrgetf
tefque curas : aecnon paternum pro nobis deque rebus aoftrispatrociniuia
fufcipiat, difficultates quafcunque vel etiam acrumnofes ac periculoruna
plenas(fi opus fit)pro falute noftra fubeat>& in furama vt pro nobis
vigilet. Pro quibus poftea rebus, honorem & reuerentiam debitam illi
retribuiinus. Ex quibus cognofici poteft, Honoremaon minus vinutis premium dici
pro prieabAriftotelepotuifle,quamLaudera, quodtamen Mirandulanus ne- gauit. Eft
autem Laus tefte Ariftotele, i. Rhetxap ?.oratio qua? virtutis ma- gnitudinem
explicat : quod ipfum honoris partibus ex Ariffotelis Fententia
iupraadnumeratumeft. Carter um quid Laus fit ,quidEncomiu> quid item y qua
continet a> morem , amari autem cum per fe optabile eft , turn etiam quia
qui eft homi* ' numbeneuolentia munitus, multapra?terea,vt tumultus
coprimere,feditio- r ' Res fedare
aliaqjhuiufmodifingulariaHominu&Reip.comoda poteft af- ferre8.Ethi. cap.8.
Secunda, qua Dominium fclmperiumfecum affert,t. Rhet.cap.it. Regriare autem
fuauifsima res eft, atqui pra?ditum effe fapie- * tia,Regium eft, Ariftot.
ibidem. Tertia,quamemoriam hominispoft mor* iemornat,id 1
eftilliimmortalitatemComparat,i.Rhet.cap.9.Alia?ad h as fa- cile referri
poffunt. Atquc hanc fortafle quifpiam vitas Ciuilis fincm efle (tar tuerit ,
fed ea quoque miiius perfe&a videatur. Fieri nan- que poteft vt qui virtute
fit praditus, dormiat* autm tota vita nihil agat,& pneterea maximis in
malis & calamkati- ' bus verfetur.Eum autem qui ita viuat,nemo in beatis
nu- nterauerit>ni(;quiThefimtucrivelit. Aede hisquidem fatis.Nam de eis
copiofe diximus in Encycliis '.[ , Cum viitutemnemoPohna valetudo & roW ,
& pulchritu- do,& fenfuii integritas , Item nobilitas,diuitia? Jionor^propinquorii & ami- corum copia, qua? funt
veluti inftrumeta ad a&iones virtuti cogruentes exer cendas. Fundamentum
buius exigentia? inde fumitur , quia vt infra patebit, nihil aliudFoelicitas
eft quam a&io animi a ratione prfe&a,Ratio aute turn in mente veluti in
propria arce reperitur , turn appetitui comunicatur : Er- go Foelicitas tarn
Mentis quam appetitus a&io erit, modo vtraq; animi pars virrute perficiatur
: Virtus Mentis qua reliquis anima? facultatibus confulk, Pru& dormiat,id
eft nihil agat, & prarterea maximis in malis & ca- lamitatibus in tota
vita verfetur , non pofle in beatis numerarn Qua? omnia inferius planius
cognofcentur. (Qui virtute fit
pra?ditus), id eft habitu vir- tutis. (dormiat). nihil agat: Quare fruftra hie
de Saxnno quid fit & qualis difputaturiEoelicemnanque Aritioteles no
negaret Somno Aium pofle tem- pus dare , quemadmodum & cibo 8c potui , vt
foelix efle poflet. (Thefim). Non intelligit altera fpeciem principii immediate
de qua i.poft.analv. fed Problematis genus illud quo in hunc modum
i.Top.cap.9.defintuit.$s*K eft Sententia alicuius viri in Philofophia clari,a
communi hominum iudicio a- liena, vt ifta , qua? fuit Antifthenis , Non licet
contradicere : & altera Hera- diti 4.metaphy.Omnia in cotineti motu
verfari. Alias ifta 7* q^p'Jfcgctiui- cupantur, Cicerone etiam tefte > qui
in fuisTaradoxis initio dicit 3 idem efle fibi *$fJbZoy , quod Scholis StTiKov.
Has Thefes ferraonis j>otius 8c diftm- tationis gratia in medium proferri,
videtur vefle Ariftot.quam quia ha fen- tiant j qui illas tuentur.
i.phy.cont.io. Ex quo loco collige prtm6,cur The- fes problematis
diale&icis adnumerari voluerit : collige fecundo quomodo Effata quanuts per
fe nota dicantur , ab Antiquis tamen negata fuerint , ore nempe non corde,
4,metaphy. 9. p.pofter. if. Hoc itaque modo Thefes tue- ri illi proprie
dicentur , qui aut fua > aut amicorum Dogmata 7 cum fibi male e.iiL Digiti
zed by G00gle ^ ETHIC OR VM confciifint, fcrmoms am dif^utatidnis vel etiaitt
exiftimatfonis ttiendat gratia defendant. ( Ac de his quidem fatis:nam de eis
copiofe in Encyclii* diximas). Ne exiftimes particulam illam stfe* //&
Toirav^d ea qua? de vittotc dixerat abfolute referri. De virtute nanque item de
foelicitate itfque etiam qua? in foelicitate exiguntur:6Vnumfortunatus an
infortunatusFoelix efle debeat , i>&vw hifce in libris agere debuit,
atque egit , non alibi.Refpiciunt itaque ad Thefes iftiufmodi cum ad hanc
praefentem tra&ationem , turn ad alias pertinerites, difputatas. Encyclia
vero ea fuiffe qua? Euftratius &Tho- mas affirmant) nullus
ampliuseruditusexiftimabit, certum nempe Car- minum genus, in feipfum
recurrehs.Deceptus fortaffe Euftratius fuit verbis quibufdamAriftbt.
i.po'l.analy.cap.*. Minus quoqueaffentiendumiis efle arbitror, qui hoc nomine ,
alterum fcriptorum Ariilotel . genus , nimirum IZamejuoDf intelligi oportere,
putant : Pnmum enim,diuerfa nomina funt,.& nomen Encyclii peculiare aliquid
defignat:deinde locum quern ex Simplicio in i. caeli com.97. adducunt, nihil
illis fauere certifsimum eft, ( grauate h Exoterica tame fcripta ab Encydiis
diuerfa tuiflfe omnino iudico. Sim iifca, fi placet,ea difputationum genera
qua? in Topicis ca.t. Ariftoteles yjpvtt&j&f vocat.No- minis vocem
fequor, qua? Circulum & Coronam adfignificat:pra?terea veri. quibus earn infirmarent, & confirmarent.
Extant etiam tales Ariftote- * lis libri
& Theophrafti, in quibus in vtramque partem difputatur.Sint ergo Encyclia
libn in quibus difputationes devariis rebus in corona multorum Sapientum
habita?,exercitationis gratia defcripta? erant. Lubricum iudicium eft de
re,nobis & fenfu & ratione ignota, pra?tereaque fere fuperuacaneum: cum
nthil ad noftra lia?c > certa huius rei notitia conducat. ' 1 Tertium vita:
genus eft quod inrerum contemplacio- necernicu^quod deinceps confiderabimus.
Hoc in loco Euftratius errauit, quod per Genus vita? contemplantis,eam tantum
intelligi vitam putauerit , cui contemplatio pro fini proponitur , de qua in
decimo libro , fermo futurus eft. Errauit
inquam, quia itadicens non habet amplius in quo vita? genere , a&iones
honeftas collocare pofsit. Dici poflfet pro EuftratiojAgeritem vitam ad
contemplantem referri , ad hanc e- nim ilia tendit, prudentefque efficjmur, vt
fedatis & compjefsis affe&ioni- bustotiinSaptentiam incumbere valeamus
, Dici inquam iftud poffet,nifi Euftratius , diferte declaraffet , fe illud
vita? genus hoc in loco intelligere quod affe&ionuro expers eft, Etenim
dura cotemplamur,mente a fenfu exol- uentes Digitized by VjOOQ IC * LI BJEtBt
L] * ft entes,& auafi e corpora euplantes, ab appetitu certe,&
affe&ionum tumul- tu ferme Jiberi, raentibus cadeliibus, quarum vita
intelligentia eft> fimillimi euadimus. Quodipfum Plato vpcat Modern
commentari. At Homo ad age- dura conuerfus, in affe&ipnibu$
moderandis,cuftodiendbque appetitu totuj occupatuseft.
(^anuis.enim^ffe&iones minui pofsint, non tamen donee fenfus in homine
ent,id eft. donee homo in terris aget,ill# funditus extirpa- n poterunt:
fednecdttKnt,cumCiuili virtutem^Philofo-* phico prudentiam,nomine Prudentif
videlicet Sapientiam cople&ens,queV admodumalibi quoque Yt in $.fec.
probl.9. quarens cur Artifices quida im~ probts raoribus maiorem partem efle
foleant , Sapientia? vocabulo Pruden- uam^omplexuseiK.Sed oritur hoc in loco
non con tenuxenda qua?ftio, Cur; nempe, fi Ariftoteles fupra dixit,Ciuili
honorem pro fini efle propofitum,in Eudemicis poftea dicat Ciuilem pro fine
virtutem quaereretFacile eft refpo- dere , fi dicamus Ariftotelem in Eudemicis
, non de omnibus Ciuilibus:, fed dequibufdamtanturaacutioribus menteqi
&ingenioexcelletibus,qui pay- ciadmodumfunt,fuifleloquutum: Supra
verodeCiuilibus omnibus inge- nere~, qui quanuis honorem virtuti gratia
exoptarent 5 id tamen non animad- uertebant , quia videlicet vinutis
pulchritudine' \i\ poflent agnofcere.Hoc eUdo ex verbis Ariftotelis in i.illp
cap. cum ita loquitur. Sed denominatio " ifta non omnibus Ciuilibus
conuen.it : nam nee reueraciuilesfunt, qui ho- " neftasper
(eadionesexpetunt^curnplerique aliihabendi Audio, &diui- " tiarum
gratia vitam eiufmpdi capeffinf . Sed expritur ftatijn alia ex hoc re- "
fponfp, & m^gis etiam ardua dubitatio*I)ifftum eft enim fupra, Ciuiles qui-
dera aliquot cognouifie formam & excellentiam virtutis a illamque pro fine
pofuuTe , interna tamen in w quoque ?j&]uifi defujerari, A&ionem nempe
i- pfara,(huc enim ilia verba Arittotelis fpe&ant > y wSu/Jitt
tX*7*Tb/)iftTLuJ). Atquinonhabitum,(edafcelicem dirit oportsre * Cinico/itra
f>hj fa&Uces beaftique yifjerentu^
qui iuftis honeftiique aftionibus * lnjcurnbeJftQti, di.Uina^evaliqua
content * platione part iciparent. His verbis vitam Ciuilem , &
cpntemplantem ab A- riftotcledefcribf,intuentiani^cedentia& cpnfequcntia
illius capitis mani- fcfto paterepoterit. Accedit eo, Ariftotelem ibidem Ciuili
in genere^pro fi-r ninon honorem, fed dmitias propofitas eflVdi^re.Dica quod
fen tio 3 qnan- quan^fateor )in hac pone r^^ptorem al^quem defi^ar^n: fupra
Arffto^ Digitized by VjOOQ IC ji ETI CHORUM teles non in eo folo coarguit
ponentes virtutem efle fummdm bonum , quod in adione no facilitate & habitu
f oelicitas fita fit , veriim in eo quoque,qi*6d quanuis a&io ex virtute
prtmam folicitatis pars fit , exigit ta&en fecun- darias illas partes &
inftrumend, de quibus fupra mentionem fecimus,pro- indeque dicebat , Homine
egeftate &rcalamitatibus grauatum, foelicem di- ci non pofle:qua in re a
Zenone & Stoicis Peripateticos difcrepare antea di- ximus , & inferius
quoque pluribus dechrabimus. Ad aliud quid refpodeam prorfus nefcio, nih
velimus diuinare , Ciuiles Eudemicos,diuittas honori* caufacupere:Nam diuitia?
rerumque plurimarum copia & opes , & pote- tia , eo fere pertinent, vt
horiorentur qui ipfis pol'cnt illiTque cumulandis inhiant. Annotetur hoc in
loco, Ariftotclem Ciuilis nomine plerunque fuif- fe abufum.(Deincej>s
confiderabimus)* a ca.7.vfque zdi J.huius libri, & dc^ cimiacap.
tf.vfquead*. i Vita vero quaeftuofa, violent* eft:& conftat diuitias noa
efle iliud bonum quod quaerimus. Suntetiim ex boriorum vtilium numero , &
aliorum gratia.Quapropter ea potius qu fupra expofuimus, fines quis effe
exiftimauerit , pro- pter fe enim adamantur. Veramtamen ne ilia quide fune,
quanuis multx rationcs ad hoc oftendendum allatxfint- Sedhaecmifla faciamiisi
Celebre admodum hoc vit* genus tempore Ariftotelis erat , & noftro hoc
feculo celeberrimunfclnuafit auri fames non modo Plebem, fed CtuiJes: -atque
vtinam non arcem etiam ipfam,id eft Philofophiam inuafiflet. Quare & de ea
aliquid Ariftoteli dicendum ftiit. Quod fi quis de me petat, ad quod nam trium
yit* generum hare quaeftuaria referri propfie bporteat:Re(pon-
debo,Diuitiax&opes non aliarii obcaufam expert, quamVtfaciliusvitap commoda
voluptetefque confequartwr.-. Honoriscefte (quod ftfpra nos di-
uinauimus)noninulta in iis comparandis ratio habetur. Teftis fit nobis Py-
thagoras,qui vulgi fiaeni diuitias & opes efle dixit,cui tatnen Ariftoteles
vo- luptatem pro fine afsfgnauit , quafi non multum yoluptas & diuitia?
inter Cs differre&t. HincillaHoratii: v ' w ' Nefcisquidvdeatnummiis,quemprarbeatvfum:
^ Panisematurjolusjvinifexeariusiiadde ,> Queis humana fibi doleat Natura
negatis. Diuitiae itaque commodorum yita? gram exoptantur , id eft cibi , potus
y ve- " ftium, Hgnarum,fuppelie&ills 3 domus,-famulorum, anciilarum,
equorum a- micorum, raedicorura, medicameiitorum, ornamentorum,y iridariorum,a-
lidrumque eiufmodi ad decorum y oluptat^rague peftinentiunvVnde etiam liquet,
in Diuitiis non efle illud bonum quod quae rimus pofitum r cum non ver e
bonaTmt,fed bona vtfl duntaxat,id eft propter aliud eXpetenda. ( Vi- ta yero
^uftfa^^ii(^^ Semper ab ^tempore, quo Ariftpcelica . .._ _, . . ..... . ^^
Digiti zed by G00gle tI%EH f; # brc pr&cepta turn EtWeatum Potitica
conqmrere # expendere ccepi, tudi- dkaui locum hunc alto raodo efleexpKcandum
quamEu^ratiuscefeat: Ipfe cairn voluit Artem hanopecuniarum parandarum idcifco
violentara diet, quia no fine vi aut vibtentia quadam in imbecillior^s illata
paretur 5 ac fi om- tiis peCuniaria art yiotentta iftiufmodi exerceretunquod
fane falfum eft.Sed rem plaaiiw exponaraus. Qua? nos fiiperius enuraerauimus ad
commoda vi- ta? pertineotia, Ariftoteles vnico nomine Poifefsionem fiue Kivtnv
nuncupa- ret. Duoautemiftud nomenfignificat:nam&resomnesquas pofsidemus,
puta fundos,pecus,naues, & reliqua huiufmodi , qua? iam babemus 3c noftri
domiaii funtjSecudo vero res quas nondum quidem pofsidemus, fed acqui-
rimuaquafignificationeidjemfignificat^ di vero duplex genus eft , vnum quod
fecundum naturam fife alteram quod non fecundum naturam, fed artem potius
peritiamque. Arift. i.pol.cap.7. Ilia dicitur Secundum naturam quae abipfa
natura omnibus data videtur ob vinr indigentiam,qua?que iufta eft , mitis &
pia, non qua?rens ab hominibus TolentibuS) non extorquens a nolentibus , &
id qua?rens quo tantumodo vti vulti.oecon.capi.Ha?c multiplex eft,Nam &
Paftoralis, & pra?datoria qua? 4 nacura eft vt venatoria 3c pil'catoria:
& harum omnium ex cellentior Agri- cultural i.oecon. cap A.i.pol.cap.*.
& fexto pdl.cfap.4. Quae vef 6 arte 8c pe- ritta fit, non ex proprio vfu
tei procedit, fed ex permutatione qua? propr ius rei vfus nop Cenfetur. Ha?c
item duplex eft,qua?dam natura? non repugnans, qua?dam vero omnino violeiita.
Qua? natura? non repugiiat , in commutada re pro re confiftit:alia nanqtie pro
aliis dare,& recipere , vt triticum pro vi- no,vinum pro Carnibus, carnes
3c alia pro hna , pro veftibus, opus fuit,cum $lii plura quam opus fit, alii
habeant pauciora, i.pol. tf. Atqui , oportuit ali- quado a remotioribus
regionibus auxilia qua? rere, importando ea quibus U- laru MK0I9 indigebant,
& exportado ilia quibus abundabantmon facile aute & fine incommodo
multoque difpeadto, fingul? merces pro mercibus dad# aut accipiendt deferri
potefant,quare ex hac fpecie acquifitionisindu&a eft pecuniaria commutatio:
inuento nanque,percuffo & oblignato nnmmo , qui ponder e 3c quant itate
definitus, atque ex materia aliqua multi pretii confla- tus cflet, commodeque
ad remotiores regiones ferri,ab iifdemque exporta- ri poffet,pecuniam pro re
dari #que accipi coeptum eft. At Hominum ma- lkia ab vlii nacuraii nummorum 1
poftea omnino deflexit : Voluerunt enim, nummo nummum non rem parere,jd eft,
Humfois ad focnus feu nummorum foeturara vi;Qua? arscum vfum nfcrami peruertat
, &noc ex iis qua? natura paret, fedex hoobnibus^
ipfisiacqukatstranflatitja, adulterina, improbanda,
iUaudabiiis,.praterpatt]ram,odto^ fidendarumcupiditas infinita fit, ab
Ariftotele cenfetur , 1. pol.cap.7. & hoc in loco violenta. Nequemiretur
aliquis>cur Ariftoteles de diuitiis loquens* foliim de Nummularia fermonem
facere videatur,quara et iain vt violentaul damnatrNam vt ait idem i.pol.cap,*.
Diuitias pleruoque rionunt efle , mujL titudinera nummorum **ft 7**fb* mvr 1$)
rbai ^u&wmdt^ 3^ rtfi n&im*J*&t* (Sunt eaimerbcinorum^t^ txmi
diuideadira* Digiti zed by G00gle 74 ETHICO&VM cio a Platone in u 4e
JLep.& in Kutyden^sab^iiW^it^^ni^^ca.}. x* u4em.cap.4.& hoc eodemlibro
cap.*.& ii. propofna. Nobis ergo ItfC vo- ce huius contcxtus admoniti, id
muaus incumbercvidcturMy t Zhbmww in&rius fuis quibufdamlocis perfequi
opprtebit : quare ne ide repeti a nobis fruftra de-: treat, ab hoc munere in
prxientia fuperfederefatiuserit> Tantum inpra?- fentia afTeram diuifionem
quandam ex priori Eudemico cap. 4. defumptam, . quod ilia quanuis ad moralem
tra&ationem non multum pertineat i non ta- men adeo peruulg^ta eft, vc
omnibus nota atque perfpicua fitjquare hoc fal- tem nomine occaiionepraefente
non omktpnda. Bona aut fun t ' T
'*&%*&> id eft fub actio- nem xadentia, aut quap motu acquirunt
ir,vt ait idem Arift.. Et harci fijnt velpertinentia. adHominem vt Foelicitas
quae vela&ione, vel contemphtione comparatur . eft autem adio &
contepfatio Mo tus impropric - acccptus. ad prarftantio- ra nomine. vt finis
corporum carieftium : qua? ad fuum.fioeaau. non perueniunt nifimotu^&illo
etiamproprie dido. amplexantur,retinentur, foucntur : Q^i vero fe iiudiis
r^onarum artium tradunt,fi auro careant, nihiliprorfus habentur.Eit
Profeflbrjeil Do&or, a- periaturergoillovifo
jCapuijialutetur^qiadranteetiam fi quando maxime opus fit iuuetunHaec illi fat
eitox t tera iis a quibus ahud quid pra ter verba, & bene viuendi
praeceptahauriri poteft , reddenda funt. In hunc modern 3- d ilter ma qu?dam
Mercatorum id etl diuitum hominum fpecies, no. ro hoc feculo loquitur, qua? hoc
vno beata cenfenda eft, quod non lent it fe effe roil exam:
Q^idenimillomiferius qui Temper anxius &follicitus maneat, nodes diefq-,
torqueatur? qui multa tmo omnia praua admittit, vt cupidita- tem infatiabile
expleat: qui accumtilandis pecuniis totus deditus,veroru bo- norumprorfus
oMitus fidre&e Horatius; -Horum Semper ego optarim pauper rimus effe
konorum. Carter um dubitabit aliquis. Si neque voluptates corporis deque
diuitia?, nc- que opes , neque honores , fines hominis iunr.vt Arifloteles
oftendit,qua rationed Veritas illius propofitionis initio libn pofita? conft
are poterit 1 Bo- num(videlicet)ideflequodomnes imo pmnia appetunt , Bonumque
id eft Deum ( kaenim nos interpnetati fumus ) omnia appetere \ Refpondeo.
Quemadmodum elementa , cum ad propria & fua loca feruntur , ad benum /bum
feruntur,id e*'t Deum ipfum, qui omnis bonitatis fon s eft 3 & fi ipfa aut
booum aut Deum, a fe expeti non animaduertant: Ita,homines illi qui in di-
tiitiis, opibus, honoribus hominis bonum fitum effe putant, idcircoque om- ui
ftudio ilia fibi comparant , Deum quaerunt, Deum fibi comparare ftuderit,
quanuis id non animaduertant , nihil enim bonum eft , nifi quia in illo boni-
tatis diuina^ radius interlucet. Falluntur tamen homines i ft iui modi, quod
vrnbram ac fane tenuem boni fequantur , non verum ac folidum bonum ri~ uulofque
fe&antur , non ipfum fontem adeunt , ciim commode poffint:pro- indeque ab
Ariftotele & ab aliis merito reprehendi poffunt ac debent. ' c a p v T VI,
Vniuerfurn autcm bonum confiderarc,& quo modo di- catur, quaerere fortafle
praftactametfi nobis hxequx- ftiograuis (it futura,proptcrea quod nobis amici
iut iiqui Ideas incroduxerunt. Atqui oportere fortafle & pat efle
videatur,, veritatis conferuandac caufa, vcl etiam noftra i- plbrum decreca
euertere>& prafemm Philofopbos*Nam Digitized by Google H ETHICORVM cum
vcriquc chad fint> turn pium eft,amici$ anriquiore/n habere veritat em.
Longam orationem ? & librum feparatum ipfa per fe expeter# tra&atio de
Ideis Socraticis Platbnicifve, ab Ariftotele hoc in loco inftituta:non quia
(vtmultidicunt)difficilefitintueninquo Platonem Ariftoteles coarguat, Sed quia
Plato ita fibi parum conftans fuifle in re hac vifus fit, ( hoc fiat illi
peculiare vitiura in phyficis omnibus pema&andis : nan\de moraiibus, 14 eft
virtutibus & vitiis omninoque de bonis rebus & nulis copiofe &
accu- rate, de Diuinis praeterea, plane diuinitus fcripfit ) vt Interpretes primarii
quales fuerunt Proclus>Simplicius, Euftratius,D. Auguftinus,Scotus 3 &
alii compluresconatifuerint oftendere, Aut Platonem re&e de hac refenfifle*
Aut etiam eandem fentcntiaiu de Ideis Ariftotelem habere cogi ^quam Plato
habuerit. Hinc poftea ilia in quibufdam Scholis impudenter di turn, de
nominibus & appellationibus Idearum >de veritate earundum , de ocea-
Digiti zed by G00gle ccafione ilbrHmconOirucnclarum 5 de loeis iff quibus Plafo
eai maaifeft o introduxerit ,& de its Philofofophis qui ipfuitif pof lea
fequuti funt agere de- creuir Deinceps explkare * quid ill hac re fenfetit
Ariftotel. &r quibus in lo- cis Platonis Ideas tra&are coafutareque
potuerit. Ha?c fibreuifsime(verif- fime tamen ) explicuero, fat interprets
Ethici munerc fundus effe videbor, id eft aditum patefecifle ad ea magis
percipienda qua? Ariftot. in hoc capite Autoribusldearum obikere voluit. Qua in
re,prudentiamPorphyrii in fua logica inftitutione agnofcere licet, qui de
vniuerfalibus agens , qua?ftionem hanc de Ida?is.fe velle de induftr iz pf
a?terire teftatus eft , quod magna & ar- duaqua?ftio ilfaefTet,&maiore
confideratione egeret. Aliter quidem D. Martyri noftro faciuaduro vifum eft,
Cuius tamen veftigia in pra?fentia fe- 3ui non decere exiftimo.Sed pra?ftemus
iam tandem quod polliciti fumus.I- ea? vox &d T9v iam non potuit Plato , fpecies illas per fe
fubfiftentes , a rebufque feiunftas , caufas, 3c exemplariahaec noftratia
informantianuncu-r pare,nam fequeretur Deum h^c omnia informare,quod eft abfurdifsimunr.
Autfiaequiorfententia Platonis de hac re fuiflet , Ideas Ariftoteles adeoa-
criter oppugnare tot in locis noluiffet >neq; e^s Ti^-najMmtM eft moftra aut
inonftruofa praludia nominare aufus effet,qui in n. metaphy. libentifsime
fatetur ordine qui in hac vniuerfitate fpe&atur no per fe efle, fed ab eo
pen- derequiinprimoopificeeft,quemadmodumordoexercitus non per feefTe
dicitur,fedabeopendere, qui eft in Imperatore. Et Auerroes quoque qui multis in
locis has Ideas reprobauit, fateretur libentifsime , Formam pfimi Mouentis
effequodammodoformasomnes,ii.roet.i8.&i4. Qupdii form*. iHae non idemfint
quod fubftantia 3c NaturaDei,iamDeus coagmentatus e- rit: At fint in Mente ilia
prima, feu Filio,feu fimulachro DeiiDeus ergo extra fe Sc fubftatiam fuam
aliquid habebit quod intueatur, 3c quod illi vicem ge- rat exempli rerum
procreandarum : quod quam fit abfurdum patet * nifi ve- limus Deum noftrum
alicuius perfe&ionis expertem fingere. Iam etia 9 fub- ftantiaDei varia
& quad diftin&is 3c infinitis imaginibus, res diuerfas refe- rent ibus
pi6U effet ; Item mutabilis, quandoquidem fpecies , quae referebat antea,puta
Vere,rofam exiftere,hyberno tempore illam deletam effe referet.i Quare con
cludamus necefle eft, firationesAriilotelis tot in locis , tantique .. momenti
3c roboris aduerfus iftas chymeras Platonis propofitjas fpe&emus, , nil
aliudPlatone idea? nomine defignaflfe credere nos cogi.quam quodPlri 7i loponus
inquit, formam nempe incprpoream, nare$, manus,& pedes inCor- . poreos (fi
hominis Idea effe fumatur)habenjemi& per fefe fubfiftentem, a4 ,
quamrefpiciens opifex veluti ad exemplar , hos homines qui funt hie apud . nos
procrearet. Ha?c quod nimis craffa fint,Platoni tribuere nefas effe alicui videbiturtdicamtamencum Ariftot.j.metaphy.iS.Iftaquidem
Platonem non dicere,fed ifta Platonem dicere voluifle, H^rum autem Icfctagum
finge^ j darum anfam duae caufa? pracipua? Platoni praebuerunt. Videlicet,Rerii
im*? , gularu generatio,earumq; Scietia:Et Generatio quidem.Quoniam yt Artifex
v xxemplum format applicanda? materiei animo prius concipiat neceffeefl* .;
quam agat , ita primum opificem quern S*m%w>v appellate, Ideas illas natu-
rafque leparatas rerum fenfilium intueri oportet , fi confulte prudent erquc
opus fuum efficere debeat: omttto alias ad generationem pertinentes caufas qua?
pro Platone poflunt adduci, illas enim aliunde pet tin prafentia cupio, vt ex
Auer.7.met.com.ji.& n. eiufdem traeireobnoxfa>Bflentias Hlas pofuit ,no
qua? in Indiufduis ipfis muta biiibus,(qui eoim fieri poflet vt ipfa? quoq*,
hoc modo no murabiles eflend ) fed extra res
iRdiuiduaque,feorfimfubfifterent.Locaver6 in quibusdehifcc Ideis Plato
meroinit,ifta funt :Timeus, Parmenides. Phedrus , Epinomides, Htppias de
pulchro. Qui vero aut Platoae prorfus tueri in hac re volueruitt, . aui
Ariftotelem cum illo conciiiare conati fiint, rationefq; multas pro vtra- que
parte attulerunt, funt,Si rianus, Iarflblicus,Plotinus , Puoclus, p rarfertim
in comment.Timaei, Alcinous,Olympiodorus, Ammonius,Alexader, Themi
ftus>SimpliciusJD.Auguftinus & Scotus. Nunc ad Anflotelis fententiam ve-
rioreni, venio:Qui neque generationis neque fcientia? gratia Ideas ifias co-
mkufcinosdebercputans,pximometaphy.ai5.c6t. vfqueadjf. tertioeiuf- dem
tr4d.cot.18.ite feptimo a conMo. vfque ad 47: item 13. itictaphy iribus
capitibuSjPlatonis dogma op pugnat. Phyfiologicorum vet % librorum fere aullus
eft> in quo alitjmd aduerfus idem non proponatur . Analy tici item li- bri
aliquideiufmodi in Platonem habent. Poftremo Mojales, tarn qui Nico-
machi,quimquiEudemi&Magnorum nomine infcripti funt , fuas etiara
reprrfienfiones Platonicas obttnuerunt : vt fere nulla t radatio ab Ar ift
otele initituta fit > in qua non aliquid ad hafce Ideas euertendas
accommodum re- pe riatur. Devniuerfalibus autem ipfis qua? Mente
percipiuntur,ha>c Ariflo- tclis feotentia/uit.Mentemnoftram ( videlket)qu ad
omnia intelligenda paratifsimaeft>iatelHgf r^ rerumforjnas & fpecies
accipiendo : Formas ve- rqiftas.in mente fieri &4>riri , cum pries non
eflenr : Fieri inquam a Mente Efficients luroifii* ipfius vtefficaciaqueex
rcbjusfingulis quarextra mentcra funt * abftrahendo fegregandoque : Ita vt quod
antea fingulare erat , & ma* teriasuBmerfura , id jnentequafi materia?
expers ,-& vniuerfalecuadat. Ma- teriam in qua voiuerfalta ifta a Mente
agete elaborata recjpiunrur, Mentem poteftate, dk 9 quam ab Agents rexion
diiferre alias oftendimus. Locum au- tem > io quo fubfiftuit Vnon^alium quam
fingularia ipfa ftatuit , AEterna ve- ro per feeflevpk>quateniisnempe fimul
tota, id eft fecuftdugnooroes fuas fubipdas partes , oriri aut interirenequeunt
: fed per accidens tantum inte- rkui obnoxia dici, qua videlicet , per
continentem partium fubiedarum fuc eefsionem fiunt, interaintque, i. de ortu
& int. 53. Nomen non aliud fortita funt^uimitt ^3Aov id eft vniuerfaiia
demulti? fiue poftmultarproqua denominatione Ainmoniusjn prxfatione in
Porpliyrium confulatur.Potuit autem Arift.comra Platonemldeas introducentem
difputare,in Metaphyfi- cts libris>quateaus Idea? vt forraserquafdam
abftrad? & Der fc fubfiftetes de- fcribebantur , outti ad Metapbyficurai
turn' per fe abltrada , turn per indiffeu rentiam(vt vocant)pertineant.Potuit
itemillase medio tollere,prout obie- dum deraonftrantis argument ivideri
pofTent , primo poft, analyticoru,cum pra?fertim,vt Philoponus inquit , illis
inlibris,Demonftrationem aterno- rura & vriiuer falium effetradtt um fit.
Potuit tandem eafde Ideas impugna- re in Moralibus, ne quis Ideam quam in fexto
de Rep.libr. luni i^3V> Pla- to nomioat j cuiufque fci^ntiampotifsiraam efle
fcientiam dicit, qua fine nil rite cognofci am pofftikiiconunga^t, finem
huroanarum adionum efle exi- Digiti zed by G00gle lo ETJUCQfcVM ftimare
quifpiam poflet: Quod quomodo fiat,verba AUofdplii percutrete*, iam
declaremus.( Vniuerfum autem
bonum),id eft &f & prout fit a nobis cognofci. (Nobis amici funt ii }.
Cum Socra-i te t res annos Ariftoteles coniundifsime vixit , quo extia&o ,
ad zmickpari Platonis fe contulit , quicum annos viginti magno familiaritatis
vfu con- iuridusfuit. Vtetquevero horum Ideas inuexit > cum nullus antea
nenutu quidem Hlas fignificaffet. Cur ergo D. Auguftinis^.quafffione ^aliter
dicere voluerit prorfus nefcio , cum prcfertim Ariftoteles qui muko ant^
Auguftinum vixerat, omnidque omnium veterum fcripta diligetifsiine per-
quifierat euolueratque,verbo Hju.ya.yuv hoc loco vtatur. (Atqui opprtet for-
taffe). Diuinum precep'tiim eft, quo docemur, veritatem ipfam pofthabitis
amicis , noftraque etiam , fi opus fit , exiftimatione contempta, propugnare
hominum,maxime veroPhilofophiintereffe. Honeftum effe omnium ami- corum, &
fui ipfius quoque rationem habere, Sed Pium & fandura ad veri-' tatis
prxfiditim , & conferuationera omnia contemners Eft nanque Diuihu quid
Veritas, imo Deus Veritas ipfa eft:Deus autem , Iuftitiam illam a nobis exigtt
cuius pars pietas &: Sanditaseft. Voco Pietatem , agnitionem ipfam
Dei:Sanditatem>eius quo4'Deieft,Deoagnitoretributio : Atqui &Mente toeam
, &" corpus Deo acceptum referunt omnes , In Deum ergo,id eft cuni
ixaSic intiiendum,colendum,amandumque, omnem Mentis & rationis vini,
ttegledo & abiedo omni alio refpedu continenter fixa habere, cuih qua de-
ipceps lingua*, oculi*aures,manus,pedes,omnefque corporis noftri partes
confentiant, id demum veiifsuaa Pietas, & Sanditas eft, Carter umha^c
Sar>- ditas*. Digitized by Google aH^S^ie^buij^&ftii? cordi elfc debct ?
quod iirm^cime om^u^uid %o dc>?at \wQ,fX(&}wfy$wfat?w S^pip te*J$* ri,
4r;i^inihvi.ve- , liot^qu* fcjiej^ia m rebus^erijid eft proii{ funt f
pgnpjfe^dis/u^ eft :,' (&- ^ nuos anti/^pre l^^e^mtef^ : Ifi^ oeq^ abqmm
officio ajni$ j^orfijj^ difedkAr^.dum^^ $"03? 4 uan {K
cfl^i^i^lL/py^.^jara^^qgLa; in croomwoicatioja^ ferppnum goitifc v fimum
ceraitur; Qua nehipe eorum quibus cum verfamur 3 illaqua? probada ? 8^yt
p^;ob5^ Afnt^'O^pus, cpmraria aute non prol>amu$,qui>d ita decere ,
atquehoneftum.eife iudic emus. Placet hoc coptexju duoannotare^vjuan j
qupdfereab pn^i^u^j^ad^r^fji^ft ; Anftotelem nempe hac pifatio-. , neexculWo(u$
t p^aJii/ce iaw;um |n iibris no alibi aduerfus Pjatorie , di(j>u t
taturun^vUYoiui^>n ipfe immocJeI\ii & maleiioleniia? cuiufdara
inGwiuiari poflfet , qup etiamcrinnHe non caver^t,fi (vt,ifti nim\t?1nV PlatonP
addiih aiunt) ei nulla alia caufa amjci & prieeptoris repreher^dehdi ,
prar- * terquam vocis^fuiflet. 'Alterum^quod Lambinus vidit , particulam
videlicet '; ecieipH "^i& fi^eie^e>,&^fempi^^^ s & >
ea^e&&,ex ?qu6 ptindpiiupi omnibus iis qu^ adius Timi- Digitized by
Google at* ETHiSJ duplo print fittSuperfora vero,id eftqux ita ftnt
fecund^prius & jicfterius, vt quodamteniopattidpcnt^d^mcaminuaemhabere
ambigendumnon effediofterius fiicuur :nara longe prius homo quam leq animal eft
, proptereaquod lpjjge quoque per- fe&ioreanimalis graduparticipat. Ex quo
colligere tandem aduerfusAri- ftotelem volunt, nullum hoc fuum argumentum
aduerfus Pjatonem mo- mentum habere: cum Bonum idcirco potius Ideam efle aft
rueadum fit > pro- pterea quodmione iamexppfiumultisineft.
Sediw>nlatoraui 4 pr$fqn videlicet Plato in ipfis Ideas, pofuejrit , vel^
noq^pqfiie- rit , volumus enijn rtftjj tantumin prqefenxia percurrere > vt
dM^njifs ,, Tan- turn peto dejiftis,num Subft ant iain & Acqdens (
PlatonicidicerentEns& Entis proprietas-^ in priori fpetie.eorum go-
fterku,coUocari oportfat, an in pofteriori. In pofteriori dicent $ JNam Sub-
ftantia fuapte natura efledicitur, Accidentia vero, quia ente participant; vt
Plato in Sophifta,& Ariftoteles feptimo metaphyficorum context*! jfr-
cnndo, oftendit:Qganquana li Auerrois interpret f tionem quarto metaphy.
comment.!, Iegaraus , aliter fdrtafle ex feptentia Ariftqtells dicendum yi-
deretur: nequeenim accidens eft accidens quia fubftantia eft fubftantia, vt
quia ignis calidus eft , ferrum calidum eft* Pro qua re moneo,vt diligenter
expendantur qua? annotauit Zimara Theor. 4.
pertinent enim omnia ad arduam iUamquarftionem,de Entis vniiiocatione:
Sedadmittantur in pra?- fentia ifta omnia: Si Substantia? & Accidentis una
communis Idea non fit, quodinfecundogenere eorumqua? fecundum prius
&pofterius funt, col- locentur ,.cur bonum qupd perinde vt Ens dici , ac
naturis ipfis categoria- rum ha?rerq concedunt, rfori in eodem gradu eflV ,
eand&naue fubire legem & coditionem quam Eritia dkut? (At id quod per
fe eft,& iubft antia). Duas preeminemias m Categoriis.aniraaduertedas
innuit: Vnara qua? fpe#atur, inter ea qua? per fe funt , id eft ad alterum npn
relata , & inter Rekta ipfa , quorum efle , id ipfum eft vt ad aliud nempe
referantui*. Alteram vero.qua? inter Subftantiam& Accidens omne, inter
cedit. Eftnanque Subftantiave- rius Ens quam Accidens, quia fubftantia
folafeiungipoteft,&ipfaperfe exiftere & conftare , vt coljigitur ex
Ariftoteles it. metaphy. contex.3. Ac- cidentia vero non funt fimphciter Entia
, quia per fe&um efle non obtinue- runt: nequeenim a fubftantia feiungt,aut
per fefe exiftere & conftare va- lent: Sententia & lijnitatio Auerrois
eft, n. metaphy.. com. j. Bonum itaque per fe, accidentia dici nequeunt , cum
propter fubftantiam fint I Bonum ve- ' ro fimpliciter , fubftantia erit , qua?
caufa alterius non eft , fed contra, ipfius caufa , reliqua dicuntur. (In
fubftantia c* r? t nW) S^pifsime ita fubftan- tiam nominat Ariftoteles ,vt in
TopicisiCaufa eft (ni tailor) quia vox ifta
quid*feu,hocaliquid,fubfiftensquiddam fignificet, Subftantia autem eft qua?
verifsime fubfiftit,reliqua? vero Categoria? inha?rent: Vnde & alias an*
ootaui^ Accidentia inexiftenuam propriys quam exiftentxam habere dici, Digiti
zed by GoOgk ir6Ko)pt ', K&TOY l - :,}l ' l > - 1 ^ : Pr^ter6a,cum
barium totidem iriodis dicatiir,quot Etfe, (nam&inSybft^ litate,
vtvirtmcsz&c inQuanto, vt medioer iul&zSc in us qtaead Aliquid
refcrfcttturvt vciiitfts.-; VTki Tempore yt occafio: & in L.Qcqyt
dpnifcilium fei^ ii lifrforaUm,^, $l|a hviiufmodi) perfpicuum ? cft,comoiwni?
clique*! WsflAWi fconum, vmuferfumeiTc^on poffe, Non enim in onmibqs '
catfegoriis,fedmvniafolumdiceretur. Ha?c ratio eiufmodi roboris fere eft, cuius
fuperior : vt nanque illa,ra- tione Siibftantiae & Accidentis,Bonum
fecundumprius& pofterius dici o- ftendit, proptereaque fimpliciter &
fecundim vnam communem Ideam di- ci non pofle : Ita haec , quia bona (quod in
Categoriis omnibus fiht)fummis ferieribus differunt, riullam communem bonitatem
habere monftrap :>!laia : Gcnerum ipforum furamorum, id eft Cat egoriarum,.
nihil commune fta- tuere pofluraus. ^Eadem argumehtandi formula in primo Eudem.
cap. 5. habeturj&magis adliuc explicata. (Bbnum totidem modis dicatur qiiot
Ens). Sunt Genera quxdam,Tranfcedentia a Metaphyficis nucupata,Nem- pe , Vnura/
Aliquid ,lles ? Verum, Boniim . quia?,Ens reale diuidunt , a quo jtamen
rejiondifferunt ; auod pate| ^quia tarn concrete , quaim abftrafte(Vt aiunt )
Ens de omnibus iftis dicitiir : Bontim nanque eft Ens , fe eft Entitis,
codommodo alia. Item non - aSeruitt le&ib'aliqui^ii^^ V''4^^ itim Eiis non
Digiti zed by G00gle LIBER t t* non afferat: E>rjferre igitur ifta volunt
abEnte fola rationetquod videtur col ligi ex Ariftot.4. metaphy. com.}. Vt.vero
fciamus vndenam tranfcenden- tia ifta ortum habuerint , animaduertet-e opqrtet
; vocem banc Ens^ conce- ptumEntitatis iimpiiciter fignificare,nullum
veioeflendiMpdum adfignifi- care. Modus, aute Jinti,&Reali pra?fenim ,
additus 5 duplicis generis efle po- left : vel enim talis qui non omniEnti fed
fpeciei a4icui Entis convieniat , vt hie modus qui dicitur^Per fe,Enti tnbuitur
, ratione folius fubftant i$. Hie ergo modus & alii eius firailes fpeciales
Entis modi nuncupantur. de quibus non vnoloco Ariftot. meminit. Alii vera modi
fuut, qui mne prorfus Ens confequutur, & Generates nuncupantur: Atquehimodi
Qyiflque ilia fwpe- riusenumerata Tranfcendentia, cobftituunt: de quorum nature
alibi eopip- fius agere oportet tNunc^dc Bono tantiimpaucaiftadica^ius :
J4empe,Boni rationem a duobus eonftitui, v.no quod vt materia, alter q quod yt
forma eft. Vt materia, & primum Bonitatis tundamentum, eft ipfum Efle
rei:nam Bo- num quaBonum,ratipoem"perfe&i & perficientis habct,
vnumquodque au- tern earenus perfedum dicitur quatenus aftu eft-.A&u autem
vnaquaeque res, efle diCitur,prout habet Effe,Effe nanque eft id primum,quod
rem a potefta- re ducit ada&um. Hoc Efle fiueba^c ratio Eflendiji Forma
fu^nitur. For- m$ icaque vnumquodquei fuam bpnitatem aeceptam
refcrt,Auer.i.caeli ioo- & 1. phyfi.St. iMateriavero proprio iure >.
boni rationem non incjudit , A- tier. 12- metapby)conUjient.^. GoJlige,
Entiarationis, non efle propria ra-r done Bona^Chymer as item, f^astcrea
Mathematical Quo fortafle refpe&u, (quanquam Thomas. Ipa^i Agandauenfis,
& Zimara alios afferant) Ariftot. 5. Meuphy.cont. $.tlicebat*Booi rationem
non efle in immobilibus : Mate* riametiam primam idtirco turpem vocari, i,phy.
80, Quod vero rationem Formarin BonoQbtineta&ptr^ ad appe- tittim: vt enim
Verum per licit Meqt$ra> ka Bonum, Appetitum. H,pc modo a*- lias djximus ,
Intellieentiam dum fanitatis & pulchritudinis nudamnatu- ram
fpecularurjnuliy^ifigidefideri^i tum'riram autem Bonitatis no- tiooemeo addat,
contirrab defideiaumemergiti*go perficer^ appetitum, fatio propria Boni eft (eo
modo quo in priori capitediiimus)quaque ab a* liis Tranicendentibus feiungitur.
Ex quibus item colligendum eft,Boni no- men ? refpeftum adfignificare. Nam
Bonum in re, eft Efle rei^perfeft ione ad- ditaiquamtamen perfe&ion vt
bonum^nireo concipere non poflumus v nifi conuenientia eius cum appetitu
ao^ur-.q^dipadmodum quoq; diciraus y e- mminrc ? eflenaturam rei ?
quap^m?rinonflififnedioreipe^u conuenien- tia illius,cum Men tevt vera^oteft
apprehendi. Tertio annotetur 5 quomo- 4o ftamendu (it de quaeftione
illaabHericpGad.quol.i.q.ici. propoma 3 &4 JThoma in j.p.Sum.q.i^.de Volutate
& intelligetia damnatoru,art a. pertra- AataJdeft ,:Numpofsit quilpiamcaiu
aliquo magis no efle appetere 5 quam in miferiaefle.Na Non ^fle nulla prorius
ratione qua appetj pofsit propria obtinejt , & quanuis mufti fint qui in
miicjriis eooftituti clament 3 $e non efle n^Ile 5 iis tamen refpodendurn eft 5
qUod Henricus Gad. ait,cos videlicet me- tiWflpW wlfifcAut
diatur,YtThpinas,rofle Digiti zed by G00gle U ETHIC OR VM Kori efle
atiquandoexpeti , rationemque boni obtinere , quatmus non efle eft priuatio mali,
quod iam bonwm eft, tefte PhiJofopho Etfiuf, Sed ifta alias pluribus.
Colligatur tandem, cur Ariftotelesdi cat Bonum a? que atque Ens reafe
videlicet, patcre. Ha?c vero qua? de Tranfcendentibushoc loco dkere
voluimus,fuperuacaneaautinutiliaiudicari non pofle ,*cenfebunt omnes* qui
toties nomen hoc Boni fimpliciter fumptum , in hoc primo libro , atque
hocpvfl^fettitncapite,rcpctitum,confiderarevoluei^t. (InSubftantiadici- tur,vt
Deus & Mens). Ne a moralis
tra&ationis limiteexcedam,dicampau~ cis: Deus 6c Mens Substantia? funt,quid
ni? Simplicifsima fubftantia ille,ha?e vero cftmpofttionem aliquant indudens,
vt alibi oftendimus.Sed merainerii noneffchocmlocoSubftantia? vocem
adftormamiliius qua? in Categorii* explicatur exigeridanblbt naque Subftantia
ta vntuerfe-non accipitur,quanl hie accipi volumua. H tc turn seternam turn
mutabilem >continet , analogic^ tamen, ibi vero mutabilem folam-.Ratio eft,
quia cum Categoria* eo in loco> ideo explicentur, vt fternatur materia
Logico,exquapoftea fuosipfeifines fuafque formas extundat , fubftantia? vero
a?terna?tormis logicis patiendis non nnt idonea?,(in iis enim neque genus neque
fpecies eft , fed nature fuat fingtilares & folitiria?) idcirco de fubftantia
non in vrihierfum vt de Quan^ titate qua? & ipfa aaalogice quadam
ttiagnitudincm &numerum conwiet, fed deea tantumqufc interitut obnotia eft
traftawtr i qua? formislogicis-co-* mode poteratinfigniri.
Scotusaliterloqiieretur: qui dixitjCaregbrias^tiartl quafdamtranftendentes'
efle, quarde- Deo pira?4cantur : fed ifta alibi. ($* toW Si*AT*)i id eft mora
& couerfatiocommoda 8c Hihibris.Retiqraexequ pla perfpicua funt:Ex quibus
conftat, fententiara Ariftoteiis efle ,4uairt vni- cuique categoria? bonitatem
afsignandam cffciSc vflamquamque fuo genera definiendam,nullam autem comrrtun^m
& fej>aratam quam bonitate* iftiufi
modifmguh?participeht,c6nftitui!oportere; * ' - ' -'-' Pratcrea vefd,quoniam
eorum omniumqux^a Idea cont incntu^vna dufi taxac feiencia cft,ncccflc
quoqjrcflfcc bonorum omniu vnalcicntiacflc, Niaric vcrofcienti^ plii; res
funt,etia eoru qu? v.ni categorise fubie&a fapt* vt beca! onis,in bello ars
imperatoriarin morbo med*c*tia;& rae n dibefitatis, in vi&u m^diGina:in
labtoib^arsgytmraftices; : Tertiumargumetttum, quod huiufmoditft; Quorum
Wea-vtia, & Set- eiitia vna: Atqtn Bonorutri non' eft eadem
ScrentiarergOj&c^Proppfitio patetr quia Ideata boni conftitiiunt Platonici
, Bonum qubddam priimim > Separa- tum,bonitatis aliorum quibus adfuerit caufa
, ita vt participattone tatum fi^ militudineque illius, reuera & maxime
bona; ca?tei aexiftetent r ? noiri&qtia? Boni obttperent : i . Eudem.
cap.?, . Si itaque res quatehus extra ahimam'fuht, fbrmam generis aurf beciei
aflequi nLequeuntJ hifi Ideam partitipandpjrefl^ fequituri'Meatem hoftrani non
poffi rfes iddgnofceje, hifi quktenus earum 4? deis & formis quafi
effirtgitur atqiie iniormatur, Et hoc eft quod Matdnid 5 dice. Digiti zed by
G00gle LI BE I I. %i ilicebant, Ideas Sckntiae gratia da riopotte re :vndeetiam
minifeflo liquet eofum quorum vnaldea e(t,vnaraiteraScietiara efle. Atqui( quod
ad afium> * ptionem pertinet)Bonoru non modoindiuerfiSjfe^din eademetiam
Catego ^ riapofitis-,nonvnam&eandem^edmtthipnceme(refcientiaCQnft^iNam
Occafioois,inbelloquidemMiliaris per it ia, in morbis auteramedeudieFa-
cufeasfpeculatmeft. ItaMediocritatis
in viduquidemMrseaderiinrede- di : in laboribus autem > ars ilia qua?
adexerckarionem corporis pertinet. (Occafioms ) . Exemplum eft a bono quod in
Tempore eft. Rede aufiem did folet,nihii aliud efle Occafionem quam
tempeftiuitatem quadam circu- {bmem&fidcientemcaufam. Perficitnr
iftaoccafioamultis corninodirati* burvt perfona r
opibtis,tate4oco^empore,aliifqueeiufmodi. In Medicina Cauia,ideft4inis &
7pc/>i7?,quomedicus adadhibendumpharmacum rno- uewreft Sanitas inducenda^uit
conferaandaehanc nifi comoditates fulciaaf, frttftraerit.Commoditates autem,a
tempore,loco,perfonap,morbi, & partit male affedar natura^Medicus petet: Hz
fi adfint, iam occafio feu tempus op? porrooitatemhabens/eu opportunitas
adefledickur.De qua Hippocrates ScGilenus non femel loquuti funt ,quod praeceps
admodu (it & lubrica,mnl taromcircunftantiarumrefpedurlnExercitu
quoqueCaufa eft,Hoftiunt cip/ugnatio: occafio vero eoram expugnandoruin erit, a
perfona Imperato- ris, a loco,a tempore, a militumnumero qualitate'que. Eft
autem occafio bonum, nam fi non fit bona occafio, ne occafio quidem eft.
Alteram exemplu contextus a bono categoric Quantitatis petitunv perfpicuumeft.
Et nos de Med^mateinfecudolibropluribusagemiis.HicpluraEuftratiusproPla-
tone:nonnulla etiam Diacetius nofter li. i.dePulchro cap.8. Sed in Marf. Fi*
cino fere omnia eiufmodi babetur. Verum fi cufta ab illis &
aliisfPtatonicis allata, in his commentariis perfequi , excutereqne vellemus,
nullus vnquam fini&dicedi efl(et:Multaex Platone ifcpetere,explicare> difquirere
oporterefc quaraut attingendanon funt, autfi attingantur longifsimam expetunt
difpu tationem. Nos vero h*c commentaria non Idearum gratia , fed Foelicit atis
human* explkanda? ftudioaggrefsi fumus. Dabitur alias locus , i&qno ifta -.
omnia commodius ad vriguem excuti atque expendi pofsint. , Sed qu^ret
aliquis,quid libi velit apud lllos ipfum quicq ; (hni WOquod appellant,cum
& in ipfum homihem,& in hominem, vna eademq; quadret haminis dcBnitio.
Nam qu^homo>nihilintercft. QunuIlamPlatenifuifle caufam
qtIdeamreicuiufque^iu7o j(cwwappellaret -.Quandoquidemeadem fit ra-j
tto&fub&antta qua? fiiritione perctpfr&r hominis v& p*r fe
hominis ,'quod af pdttamAtffckx &homirii$ipfampwiapawi^ drf- * f.iiti. '
Digitized by G00gle *S ETHICORVM nitione difcrime eft qua vterque homo). Hoc
certc fequitur, ciim voluerirft Platonici non nomen. tan turn, fed Ideam ipfam
participari. Quod fi verum eft^'cur non imi h^pa-mx tarn homo participans,quam
Idea participata di- cetuHQupdde homine dicitur, idem ad Bonum trafferatut.Neque
vero eft, Jjuod Plato obiiciat Ide* apternitatem : hoc eniraaccidens eft, quod
rationed ubftantiarno addit*aut imminuiti&nil affert rationiboni,quo
quatenus bo* num eft,ad ipfum, per febonum nominandum nos cogi debeamus :
Bonura naoque no perinde magis tale eft,fi a?ternum,ficut nee magis
album,annuun]i album qtdm vnius diei : Ex quibus etiam liquet , ad cognitionem
& intellir eentiam boni>Diuturnitatem, quar in ojjtv ct^xder eft, nullum
momentum afr ferre. (Ipfum quicque,au/7o?^59f). Continet enim Idea omnium
fuorun* fingularium in fe rationem,& propterea quafi vnumquodq; toru eft.
Locut hie per fpicue oftencht do&ifsimum Melanchtonem , ( quern ego hie vt
cla-r rifsimum quondam pietatis, & do&rina? lumen , honoris tantum
caufa no4 mino)no omnino re&e fenfifTe , aim alicubi velle vifus eft ,Plat
on i Ideas ni- fiil aliud e(fe,quam Illuftres quafdam notiones. Atqui notiones
\t fuperius di*imus, accidentia funt , Ideas vero Plato conftituit noftratibus
etiam fub- ftantiisnobiliores: quid enim aliud eft airri hfytTnt quam quid per feexi*,
ftens>&effiriensalia 5 effeidipfumafeacceptum* Item Idea? ponusuqr pre
caufis extra intelte&um noftrura, At notiones funt rerum figna,in Meote per
fpecies cognofcente.Imo eruditifsittus Scaliger nofter addit, tantum abeflfe vt
Idea? P&tont accidentia fint, vt neque fubftantia? neque accidentia etiam
aliquandoefie pofsint. Argumentatio eius digna eft qua? defcribatur , quod in
Platonem ipfum etiam conueniatSi ojjtd kytSir non eft in fubie&o , non eft
accidens.Si congeneris cognati fui *3w/ quod hie eft accides,autor eft, non eft
ftibftatia: nifi veliraus ex non fubftantia fubftantiam efficulde de af- fedi
onibus propriis fubie&orum qua?ri foletmam fi extrema demonftratio- nisyid
eft Subieaum & affe&io ac medius terminus, in eodem genere conti- neri
debeant, vt 7-cap.i.poft arialy.dicitur , afie&io propria,erit fubftantia.
Si vero Dtmonftratio accidentium tanturaodo fit,& dehnitio fubftantia?, vt
tot ies clamat idem A riftoteles,afFetio propria nil aliud quam accidens erit.
Veriim habet A rift ot. quid ad harc^dicerepofsit: non habebitaute Plato Yn-
quam,quid ad ilia & alia refpondeat. Ex4ioc contextu quid Ariftot. velit
ad^ uerfus Platonem habere, minus etiarp dubiu erit, fi quis ad ea refpiciat
quae " i.Eudem.Ca.f.fcriptaleguntutiquafunt. Pmereaconfiderandum eft
quid nam vocent
flu^^dtr^u^qutdemadditum^idcircovidetursvtcomunem rationemintelligas -.Hoc vero quid aliud lit
quam seternu &feparabile : Ve- rum
albiMp multorum dierum nihilo magis album eft, albo vnius diei : qua- cc
propter Communebonum idem cum Idea cenferi non debet,omnibus enim cc incfi. Ex
quo loco liquet Platone ab Ariftot. in eo coargui , quod ipfum twii comuni
rationiboni q Ua? fcparabilis & sterna efletitribuere vellet,cum t*. men
nullum *fcrinjeafit,quodabboni ratibnemattinet iateri>*3or & wti\
M49&3r:Itemque quocUdramune ilIudnucuparet,quod feparatum eft; nam fi,
fepara*um,noaeftia^a^^ - .-... -.- .... ^ Digitized by^ /Google LIBTElt
1." *> Comune k Ideam no idem efle.Neque nos moueat ivk tocio locodec*l(?-
ftibus Metibus,&inferioribu$ iftis rebus proponi foleqt:Qua? niq; ab Arid.
4icuntur,in iis tantumodo vera effe tcnedum eft 9 qu; in eadc fpecie fita font.
Ac mihi probabiiius dc eb loqui Pychagorei videtur, qui t vnum in bonorum
ordjnelocat, quos & Speufippus vide- tur cilc fecur'.fcd de his quidc no
eft hiCjppri 9 diccdi loc 9 . Pythagorici de bonis loquetes magis
Arift.probantur quam Platonici-.ra- tio eft,quia non ad Idcam feparatam , fed
ad vnum omnia bona referebant: quod vnum no nifi in rebus ipfiscemitur,nempeFinito,Impari,itf#o,qua*-
drato, lumine dextro,raafculo,quiete.Quarcur bona efle dicatiir, quia vniu s
naturam 8c conditione,omnia Tecum aiferant,facile eft videretfiquidem, ea-
tenus omnia perfe&a dicuntur , quatenus vnione quadam detinentur : con-
tra^ multitudine interitus-.Liquent ifta percurrenti fingula. Py thagoreoru
verofementiamSpeufippumquoqi Platoniscofanguineum ampiexu fuifle fiarrar> vt
fe non (olum fuifle declaret,qui a Pla tone in hac re defecerit.Po- flebarautem
Pythagorici duo effe rerumprincipia,Bonii videlicet & Malu, noo tamen
earundem : quia Bonum eorum tantum qua? fua cv&ijgidi conti-
nerentur,principium erat:Ita Maluriveorum qua? fua.Tam.vero Boni quam Mali
cir&r%i yolu- Digiti zed by G00gle 9o ETHICORTM ptatesyqua^ahiter^^terius
tantum gratia , aut quia videlicet confemenf* aut efficiant * td quod per fe
booum eft, aut fattem prohibean tie a contrario illudinterimatur. Hoc modo
dicimus corporis exercitationem effe bbnara* ob valetudinem fuftentandam: opes
^diuitiasyVtyitaecommodaaflcqua- mur. Ex his duobus ordihibus tertium paulo
poftextundet Ariftoteles, id eft eorurn qua? propter feipfa,&propter aliud
quiddatn exbptantur,vt Pulchri- jtudo, vires,fenfuum integritas.Cafteriim in
hoc tertio bonorum ordin^om- niafortafle bona collocare, vna excepta
foelicitate/ortaffe poterimus:in pri mo vero folara foelicitatem , qua? omnera
perfeftionem in feinclufam ge- rit, idcircoque nullam extrinfecus abfolutionem
expe&at,& propter fc t an- turaexpetitun , ( Sed quxnam per fc bona habenda
funt? an quaxunque vel Tola & a ceteris feiun&a quaeruntur* vt
fapere>vt vide- re,& nonnulhe vo!uptates& honores?(haec enim &t
fi pro- pter aliud quippiamfequimur,tamen in bonis per fenu* merari fortafle
poflunt)an nihil aliud erit per fe bonum* prater Ideam?Erit igitur mams
Idea-Quod fihxc quoquc iis qua: per fe bona (tint adnumerari debent , boni
defini- tionem candetiun iisojnnibuselucere ncceife erit * vein niue&
ceruflacandoris, Athonoris > prudeci*e,& volupta- tisjdifsimiles funt ac
differunt definitioncs qua bonafunt: Non eft igitur fummum bon&m commune
quiddai quod vna Idea declaretur; Pollicitus erat Ariftoteles, orpi.fsis bonis
propter aliud, quaerere velle, hum in bonis propter fe , de quibus tantiini
Plato fortafle loquebatur , Ideal boni locum inuenire valeat: Nunc igitur ita
videtur in Platonem argumen- tari-Si bona per fe funt,vt
fapere,videre,voluptates & honores,quorum vna Idea fit,oportebit fane illis
eandem prorfus definitionem conuenire qua bo- na f unt:quemadmodum etiam.eaderti
prorfus eft definitio albi quod ceruflae & niui accidit : Hoc patet,Si
verfi fit quod Platonic* inquiiit ipfam videlicet Ideani a multis participant
eft rationera fubftantia? ipftus in iis qua? parti- cipant, non
nom.ntantumineffe. Atquinon efthocverum,imo'bonoruni per fe commemoratoru
definitions difcrepantes funr.fi naquetibi-iredden- da ratio fit *ur
Honores,virtutes , voluptates bona dicantur$non vnam cert h omnium poteris
aflferre, fed multiplex proponenda erit. Carterum-in Plia- tonis gratiam aliquis
reprehendere Ariuotelem potuiffet , qui id in Aia'aiw gumentatione fufyponeret,
quod Plato non concefeiflet, dari neftipefecmaa- liqua per fe 'pra'tef Ideam ,
hot nianque ex Platdne i co\l*$i$brik$*cfc~ fe videtur. Ariftoteles itaque 3
antequa argumentatibneiwftMMtt^duiCa^Dia* iedice Digiti zed by G00gle LIBER I;
n le&ich quarrendo imeieg^oque,vt ia iftiufmttti difputationibus folet,o*
ftendit : Nifi alia per fe bond prete* vnam illam Ideam adtnittantur, fore t
Plato fe Ideam illam fruftra pofiiifTe iam&qtiat:cur qpim Idea pofita eft 5
nt- fi generations gratia? cur caufaS cur exemplar part icipatumy &
participant tibus inhxrens nuncupata eiH -(Sed quaeaam per fe bona). Definitio
per fe boniproponitur,qiiadcclareturfapere,videre,&c. effeperfe bona, quod
. Plato negare potuiffet. Ea vero eft : Quod vel folum & a ceteris
deftitutum quammus. (Sapere). Omnes homines natura\id eft iniita quada vi &
pro- penfioneappetuntScire, cuius fignum eft ipfe fenfuimiamor \ fcire inquarft
appetunt propter fe , vnde Alexander dicebat >Gognirionem rerum natura
confiftentium , vt plerafquealias,ob feipfamexpetetidaeffe.Caufafuperius in
prcfatione a nobis fuit expofita,cum dicer emus qua ratjone,homo ad fci-
entiasacceflerit:expleri nan que natura hominis videtur,qui ex animo 3c corpore
conftat, cum homo notionibus rerum,quarum fimilitudinem in fe- gerit
inclufara,exornatur. Eft etiam fapere, bonum propter aliud quiddam, nimirura
propter f oelicitatem. Sed animaduertere oportet, vocem hanc modo anguftiori
fignificatione,accipi folere.Sapere nanqi dicitur, qui Moralibus qui
Mathematkis , qui item Phyfiolojgicis difciplinis aburid& iriftru&us
eft,Sapete autem proprie & vere ille dicendus eft, qui in
pclagusipfumDiuinitaitis feimmfittkiac Dei natural quantum fibifaseft comprehendit
, inqiiacomprelienfione iucundifsima nobilifsimaque con-* quiefcit.de hoc
Sapiente, prima metaphy ficorum agitur. Hoc etiam modo Sapientia idem re eft
quod ipfa foelicuas,vt ex to. de moribus liquet : & ex Iaduno fummo
Peripatetico, qui poft logam difptitationem i. phy.q.x. pr$- farionis/ummum
hominis bonum in Sapientia locandum cefet : Sic ergo fa- pere e*it
bonttmprfafcpter fe tantumiqtiahquam (jTliomap verba 9 primo me*a- pfcy.com. i.
ex^ndaiituishac etiam fignifiidcirc6qiie ftatus corporis,qui fit nfaxime e natura
5 per fe ipfe a nobis qui animb 8r corpore c6ftamus,quar- reodus eft. Nori
minus ergo lux quara oculorum vfus expetitur, vt Gn. Au- fidius oculis
captus,Ckerone rererertte,dicere foliius erat.Et AriftoM. me- taphy.
defenfibusita toquutiiseft. Nonenimfolum vt agamus , fed ft nihil " etiam
a&uri fumus videre ipfum pre ceteris omnibus'eligimus. Locus fane "
fubobfcuxkis>vt]ali^annotaui.CumAriftot.idcircoprobarevideaturvifum propter
fe quam maxirae exoptari , quia ad cognofcendum. raaxime faciat: ita nanque
addit : Idque ex ep fit , quia fenfus hie ad cognofcendum maxi- mefacitjCoraplurefque return differentias
declarat: Sednon fumhaec in
pKrientiapluribu^ perqUirertda. (Nofuiullar voluptates) . qua? videlicet
a-f gendo honeft?>aut qpntem^Jaodo percipiutur.aliae nanque falf*
voluptates, quar nempe corpori tantum fenfibufque placent , noxja? homuij &
perni- ciofar effe foIerit,nedum propter fcexpetibileshabenda?. PnoresilUho-
Digiti zed by G00gle n ETHICORVM neftaefunttaudabiks Stfummo ctiam ftudio ample&enda?.
Dicamus am* plius, voluptatem Mentis a foelicitatis oocione yix dift ipgui:
Voluptas enim vnius facultatis percipient is expletio a nobis intelligttur,
Foelicitatis autem vocabulum hoc prater eafignifi cat, quod in ea facultatis
percipientis perfe- #ione, naturae etiam ipfius humana? perfe&io confiftat.
Turn demum autem agendo &coatemplandoprogre(Tus magnosfacimus,cum voluptas
quae- dama&ionis & conteraplationis quad comes accefferit. Efficit
itemvolu- ptas,leues labores omnes,quantumuis magnets, quas obcaufas , bonum
pro- pter aliqdquarrenduindici debet. (Honores). Quas obcaufas honores ex-
petifoleantanteadiximus: nunc dicamus,Honores etiam propter feipfos quodammodo
quaeri , quod magnum quiddam at que Diuinum lint : ac pro* inde no.s in ftatu
quodam Diuinitatis (Deo enim honos tribuitur) collocent*. pr^fertimfinonieues
& communes honores uerintYt falutari , deduci,
reduci,fedmagniponderis,&cumamore pietateque horainuru couiun&k
(Vtinniue&ceruflacandoris). Nonpoterisauthunc aut ilium candorem
aliopaftodefinire^quarafidicas, E(fecolorem,difgregantem vifum. At
prudenrixTatio qua bonum quoddam eft , non eadem cenfqtur cum ratione honoris
aut voluptatis, qua bona funt. fcft prudentia bonum, quia virtus eft,qua
poflliraus rede de rebus fubadionem cadentibus deliberare: Eft ho* Qos
bonum,quiaeft fignu quo nosDiuinitatis paiticipes efferent imus.Eftvo luptas
bonum, quia expletnosintrinfecus id eft naturae defedum. Nequc verb eft quod
obiiciataliquis:Conuenire omnia ift a in definitione ilia boni propterfe, ab
Ariftotele propofita : Eft nanque ilia, nomen potius,quam na-
turamquandamexplicans Definitio , cenfenda. Quo nomine folo Idearaa Platone
conft itutam fuifle,dicere,ridiculum effef. quomodo naaque prude- tia,vtrtus,
honor , voluptas participatione illius,bonaper fe dici potuiffent? Hane
cotextus huius expjicandi ratione & illam^tiaperuulg^tamfequi ma- luimus,
ne eorum fimiles hie euaderemus , qui quibufdam Auerrois verbis moti,quandama
verodiffentieiitem interpretatioaemlucattufenmt . ver- ba nanque ilia (Erit
igitur inanis Idea,Gra?ce eft &fe) , dicunt hot intelligi modo oporfece
:quoniam f\ Boni Idea ita fir communis vt geftus eft commu* ne, & in
definitione boaorum pro genere ponatur , bonum per fe erit tan- . tun* ipfum
genu,fpecies vero i>on erit, quum fpecies addita differentia ge- neri
conftituatur.$ed quarfo quis negabit Hominem per fe Animal efTe,quir Mis Homo
nonmfi differentia animal* addita conftituaxqri . t Quonam igitur modo dititur
? non enim fi mile Hide- ; turiis, quorum nbrticn fbrcuico commune eft; Ah quia
ab vnofincfan quia ad vnum omnia referuncur? an pbrius proporcione >
videlicet >vt in corpore Vfdendi; facql w$ , i- ; ta Mens in animo, &
alkrd in alio? Sedhsecifortafleimpr^. fenti funt omittenda: Nam ad dri^utinidum
"de ifs fiib- J tilius Digiti zed by G00gle LIBER I. 9j rilius,alia
Philofophia accomrhodacior effc videtur^ite'm- que dc Idea. r // . : v ..'.'
'..' >.. Dixerat in poftremis verbis contextus, vnam & Communem non
poffe cflebonorumperiedefinitioneiti fecundum vnam Ideam , quod difsimilia
inter feeflenh Nunc explicat , qua ratione commune bonum ftatui,&dici
queat, non modo ad ea bona qua? proxime enumerauerat,verum ctiam ad a- lia
omnia refpiciens:vt iure, hie contextus, pro altera & pra?cipua huius ca-
pitis parte poni debeat. Commune itaque bonum , non fynonymum tlici .vult,
omnium Hlofrum bonorum , neque tamen ettam homonymum,fed cum
vfticuique-categoria? fua bonitas afcribatur, & in quaqte catego- ria
fingulaquseque bona V Cuum habeant ordinem& gradum, commune tantum anal6gia
bonum omnium bonorum diet poterit. Analogiainquam, vel qua omnia abvno,Vel
advnum,vel fecundum proportionem quan- dam mutuant fe habere dicuntur. ( Quonam
igitur modo dicitur). Con- oedantur verba ifta cum illis sx-Qwo^
Ti&y&diy unit nwrvipidjfyMdw. (Nbrremm fimile ) . AEquiuoca fortuita ,
vere a?quiuoca nuncupantur . Exeraplar-horum fit , ctim puta variis in locis ,
duo eiufdem nominis repe- riuntur , vt Alexander Paris , & Alexander
Macedo. His opponuntur a?- quiuoca a confilio, quorum multa? commemorantur
fpecies ab Ammo- nio,Stmplfcio,Boetio:pra?cipua?ilIorum funt,qua? ab vno
&qua? adv- num referuntur: vocantur a?quiuoca ab vno , qua? non a fortuna
fed a con- iilio & irtftitutione alicuius, quod ab vno prinripio aut exem
plari : vt ho- mo in tabella piftus: aut efficiente, vt Medicum inftrumentum ,
& medicus libenVtmuficaLyra,mufic 9 liber a-medkina videlicet muficaque. Ad
vnum rcro aquiuoca furit , qua? Cofttra ndmen idem ex inftituto
hominisobtinue- runt 9 quod ad vnum
futuru finem dirigantuf , vfrPharmacum falubre, dia?ta falubris,
Exercitatifrfalubrts*: Ad hasipecies a?quiuocorum a c6nfilio ilia arc- cedtt,
t]ua? in propbitiefne quadam confideratur : ha?cin its locum etiam ha- bet,qua?
quam maxtme inter fe diftant,id eft,difpaf ia genere funt,vt hacra- tione iure
AriflotelesprinlO Topico , cum detertio organo Dialedico age- ret, id eiWeeo
quod eft, tS hyaU wtyr, non nifi hainc Identitacem analogiac prbpbfuerit rait
eniitt ibidem 'petoK^w) rZv *oik: puta,vt fe habet fcientia ad id quod fcitur ,
ita fenfus ad id quod fub fenfum fta tranquillitas in mare. Coll ige qua?
proprie Analogadicantur-.qua- quam hare vox i Gf3?cis,etiam in a>quiuocis ab
vno & ad vnum fa?pifsim , i> Ltftiftirvetio femper vfiirpetfin t\ec
iniumcumid'eti^ravellevkleaturAri^ floteies cum rabl tin in loti,tum
vcroquSarto metaphy.conti t. qua m loco* Ens quod tamen ad vnum eft >
AEqtuoct|padicf nqfiuit : Alibi con tDMfta ad Digiti zed by G00gle 5t ETHICORVM
vnum a?quiuoca vocat hoc annotauit Alexander ibid. Collige fecundo, Aoa- loga
communher accepta,inter vere vniuoca & vere a?quiuoca intercedere* Auer. in
difp. aduerfus Algaz. difp.7. fol. vlt. dub.itera 4: metaphy.*. Cdt-
ligetertioquodmagis ad pra?fentera difputationem attinet: Qua rarione Ens eft
ex eorum genere qua? ad vnum dicuntur , tta & Bonum quod ab En- te re non
diflfert , vt fupra oftendimus : quanquam in Bono,ratio quoque eo- rum qua? ab
vno 3c Analogic fpe#ari pofsit. QuckI cum verum fit , iam ha- bet Ariftoteles
aduerfus Platonem pro certo,vnam communem Ideam Boni conftituinonpofie,fiquidem
Analogumnon afFert vnam communem natu- ram iis qua? Tub fe continet: Them. ex
Ariftot. 1. de aninucora.30, & j. phy. com. 70. item Auer.4.phy.com.i. quod
magis etiam in Ente &Vero explicat lo.metaph. com.8.& 11.metaphy.com. 20. Dicitur enim
Ens de iis qua? funt, vt Sanum de Sanis,ita Verum de Veris : & Bonum de
Bonis. Obiter monco, AEquiuoca ifta ab vno, & ad vnum , itemque a
Proportiooe , hn na&nyit %j Lsi^r dici , quod eorum qua? fub ipfis continentur
, vnum Temper fit alte- riusquodammodocau(a,vt in Bonis, bonum quod eft in
fubftantia,caufa eft boni quod in accidente eft, Auer. paraphr. metaphy.tra.4.
col, i*. Ex his cognofci
poteft , cur dicat Ariftot. (An quia ab vno fint , &c). Quaritur, quia ex
Arift. in io.met.cont.7. Auerroes ibidem & aliis in locis ait , In om- ni
genere dari vnum, quod eft veluti mcnfura aliorum qua? in genere illo
coUocantur : Ex quo videtur fequi 3 in omnibus generis cuiufcunque ipetie- bus
ordinem effe, aut eflentialem aut accidentalem. A t fi fit ordo eflentialis,
vna/pecies alterius caufa erit , quare genus earum fynonymum cenfeqdum non
erit: Si veroaccidentalis,vnafpeciesab altera nonnifi fecundum acci- deiis
difcrepans erit. Refpondetur, ordinem eflentialem inter fpe^icsvni- uoci
generis intercedere dici , verum effentialem perfedionis,iibli cau- fx p Ha?c
ex Auerroe non vnico loco colligere licet. (Vt in corpore videndi jacultas). Vt
Mens eftoculus aqima?, ita oculus eft Mens corporis : ideme- nim munus videtur
obire pupiila in oculo , quod Mens in anima : Hjnc An- ftoteles 1. metaphy.
inquit , Nos pro? ceteris fenfibus videndi facultatem o- }> tare, quippe qua
exquifitius cognofcimus. Hinc etiam, vox j^V, tarn Gra?- cis quam Latinis,idem
quod IntelKgere plerunque figni&cat, & facul$as vi- dendi, ad
inteUigemiamabrtifdem traduci folet. (Sed ha?c fprtafle). In me- taphyficis,
urn ifta dean alogia Vnius & Emis fuarum fpecierum^Vefpedu, cquam ilia de
Ideis accurate t ra&antur. Et de Idejs quidemjleganmr loca fu- perius a
nobis addu&a:de illis vero aliis in quarto metflpby.p*>tiHUiflumfcri
bitur; Cur ergo hare nonnulh ad CQnt. 19, dp^decimimetapby.rei'erunt,in quo
qua?ritur, vtjfum e&dera fmt omnium rerura principia& ftatuitpr dein-
ceps,eademquidem efle omnium >fed analogic Legftur potiu^fcontexttw fextusquarti metaphy. vbiha?cfcripta
leguntur: Et quanuis vnum multis c. modis dicatur , ad primurrvtamen cetera
djcentur&r conjraria fiouli mpdo. .Etfi id quod Eft aut etiam ip&m Vnum non vpiuerfaleeft^^
idem in Qpi- *. nibus vel feparabile , quemadmodum
foditaanoneft,aIiatarBenadVnum Hicfcruntur,aliadeincepsconfequenter. . Namfi
Digitized by Google LIBER t *J Nam fi quod eft vnum bonum, quod communiter dc
multisdicacur,auc fiquod eft ab all is feiunhim*&:ip (urn per fe,
conftac,id ncc Tub a&ionem humanam cadere,nec ab homine comparari pofTe.
Nunc aucem tale aliquid quseritur. Boni Ideam admitti non poffe iaru oftenfum
eft,quaquam illius ad viuum refecatio ad metaphyficum pertineat: Atque
didumeft, Neque vnum e- tiam bonum,commune & vniuocum omnium bonorum efle,
fed analogunu Nunc ifta tenia capitis huius parte pjrobatur , de eo non efle in
prafentia la-: borandum, quoniam videlicet neutrum ex iftis,vfum Politico
pofsit afferre. Quod fictaonftratur, Illudbonuni non eft
in prs(entiavfui Politico quod non eft sin cun&iserit. Pro hoc contextu
vide qua? eodemcapite fcribit A- riftoteles,cura docet : Neque etiam Commune
iftud bonum hoc loco teluti finem Ciuilis pertra&ari debere. Verba quidem
iUius/ub obfeura funt,cum diuidat bonum commune
in id quod dtfoitione, & alter urn quod indufti- one proponitur
inquiriturque^deanos alibi ,. accommodate (ni fallor) ad
cfl^^Ariftotelisexplictufllus. EodempeninentnomiullajquapprimoEu- dem. cap. $.
de eadem re compreftius tameo fcripta leguntur. Sed forfitan fatius efle
duxerit quifpiam,id cognitum habere, ad ea bona qua^ pofsideri, quaequc agi
poflunc co- paranda. Nam cum ipfum tanquam exemplar, nobis pro-
pofitumhabcbimu$,faciliuscaquoque qua? nobis bona
furit,cognofcemus,&:cognitaconfequemur. Atqui pro- babiliter quidem hxc
dicuntur , fed a (cienciis difcrcpare videatur. Nam cumomncsaliquod bonum
expctant,& quod dceft requirat , eius camen cognitfonem pretermit- tunc.
Verum non eft confentaneum verifimileque , artifi ces tantum adiumentum fuifte
ignoraturos , neque fuifle requifituros.Illudquoquc dubium eft , quidnam
vtilitacis Digiti zed by G00gle $f ETttiCOiYM ad artem fuam textor
j^ut&ber^e;* cognitionc ipfius per f$t>qni confccu euros fit>autquo
tadem raodo, aptior mc- dicusautimpcrator > iicuwrusis >
quiIdcamipfa,mqo4i- tpmplatu$fuevjc,videtur enimro^dicus nonhocmodo, infpicere
valetudinem, fed hominis imo/ortalFc huius ho minis
potius-.fingulisenimmcdicinamadhibet.Acdc his quidem ha&enusdi&umfit.
Excioere fort&ffe quifpiam pro Platone ex 6. de Republ. potuiflet , I-
dea?bbm cbgnitionem, faitem ad id nobis vtilem lefle , vt veiiigia ex for-' r
ma & exemplari illobononirti 5 nimfrura Idea'imprefla , & cum
condition!- * bus ilfcus per fe boni c6llata,commodfois signbfeere &
cftiudicare^ueanius*- ' dif udicata verb inquirere > & coflfequi. Sed
hac exceptionem qua? alibquin probabilitatem af iquam fecum affert,biferiam
confutat Anltotf les. Et pri- mi quidem, quia fi illud daretur, oporteret
aflerere, NullamefTevere fci- entiam aut artem; fiquidem nuilaipfarum(cum tamen
omnes boniialiquod appetant, femperque idqubddeeft requirant )taletantiimque
adkimefo- turti cognofat, requir&ue:Sfccundo, quia- vix acne vix quidem
e-xplicari poteifc, quidnam vtilitatis
textor aut faber alias ad fuam artem, 1 an? ifio tan- dem
modoMedicus^dmedeiidumVImperaror ad exercitum dbctndum, ex t iftiufmodiBoni
pffcbgnitidne capturus fit: Guirtcomratootius-.'Medic&stio I valetudinem in
vmuerium, fed hominis,& huius atque Situs hominis vale- k tudinem oboculos
fibi poaerQ,infpicere / quevtdeatur.(Atqiii probabiliter). In artibus tradendis
, prceepta-qugdam iudicandi pra?ire arquius eft , quant & inuewiffe
putamus,fatis congruant, expedenu tes, id quod quarrebamtts inuentum
efle,recognoftanBis. Ha?c prxcepta A^ riftotele* curti arttfl4nvagit ,
nobisfemper & vbiqa* proponit : quato quant Cicero in fuisTopicis artem
kiueniendi ,priu$ l *quim iudicandi doceri.&* portere,inepte ob earn caufam
affirmant,' eo quod inn entio natura iudicium praeeat. Sed pra?cepta ifta non
aliunde quama re quaefita , ducuntur : neque . enim qui horainem aliquem
ignbtum vult inquirere', cbnditiones Idea? ho- minis, aut hominis in vniuerftim
, fed Htias ipfitfs quern quarit , puta quatr* facie, quo capillo, qua figura
corporis fit , ^ fciat imprimis ope^arn da^jf n quod item moralis efficit, in
fine nominis inueftigandq:Eo nanque pertin^t conditiones ilia?
foelicitatis,qu6d fit Bonum perfe&um,' quod fatis ftflfoini- \ ni\ quod
propter ft tantura exnetatu^jquod ab j aiftioneex ; ratibne profe&ay i
eaque re&a pendeat. (Nam cum omnes ^ aliqupd Vwiunvexpeltaot); Nulla/
enimfcientiaaiitarse^,quapmaHc^ufaiit: pmnium finis t>onuseft,i.magn. ^
mor.ca.i.(Et quod deeft requirant ).6mnis ars omnifq*, fcientia,natura de-' '
fe&um explere vult,7.pol.ca.i7.x hoc veriratem fiimere propHfitioneillani *
peruulgatam,Omnes homines niturafcireiexoptat,fupra dvximusicur^jQim , fare
appeterem 9 ,fi niliil aaturj noftr* d^fleti(y idet}ir f ent ^4^)2-^^? } Digiti zed by G00gle LI BE*
I. ft eft hoc in Iocodubitatio. Artes enim omnes fiver* aitctfint fuapmeptt
niuerfalia habent 3 quamuis ilia omnia ad adionem referant : pertinent au~ tern
vniuerfalia illapraeceptaad vniuerfalem formam quamfibi primum contemplanda
& deinceps applicandam proponit Artifex . vnde Scotus in (.met. q. p. in
fol.arg. non audet vniuerfale artis nuncupare fimpliciter v- niuerfale,fed
magis vniuerfale>quam videlicet fingulare ipfum fit , ad quod ars agendo
refpicit. At qui illud magis vniuerfale, puta fanitas in Medicina, non eft quid
feparatum,quale bonum Platonis erat, fed quid ita homini an- nexum,vt eo abfque
neque definiatur,neque imaginatione a Medico conci- piatur.Idcirco Ariftoles
limitate loqui voluit cum inquit, ouou7m hneiunrw rbji vyiw.Qux deinceps addit
ad a&ionem non ad cotemplationem artifi- cis pertinent: A&i namque(de
tranfeunte aftione loquor ) in fingularibus primo verfatunquamquam per accidens
Mcdicus adhibens Socrati medici- nam Jioraini earn adhibere dicatur.per accidens
, inquam, ideft per aliud & non primo, vt Ioanni Agand.p.met. q.itf .
aliter &male fentienti fatisfieri pofsh. Verba Arift.eo in loco Jioc modo
fcripta leguntur. Adiones vero ge-
nerarionesque omnes circa fingularia fane verfantur: Nam qui medetur no
>, homioem fanat,nifi per acciden?,fed Calliam,vel Socratem, cui accidit ho-
, roinem efle. Animaduertatur,hoc loco Anftotelem 3 qui conf utauerat Ideam
iMam boni,propterea quod neque fub actionem humanam cadere pofTet,ne- que ad
cognitionem conduceret, fanitatem prout a medico cognofcitur,& prout
appficatur fiue agitur,ideft fingularem & minus fingularem^pro exera plo
fumpfiffe.Confulas pro hoc cont.cap.i.p.mag.mor.& i.Eudem cap.f. CAP, VIL
Rurfusveroad idbonu quod quasritur reuertamur,&: quid illud fit videamus .
Aliud enim in alia atione &: arte vidctur efle , fiquidem aliud fit in
Medicina , aliud in arte Imperatoria , & in reliquis artibus eod'em modo
... Quod namigiturcuique fumraum bonum eft? nonne id cuius gratia cetera aguntur?
Hoc in Medicina bonavaletudo eft,in arte Imperatoria vidoria,in arte
sedificandi domus, aliudque in alia* in omnidenique a&ione &
ele&ione fi- nis: eius enim caufa omnes agunt reliqua Quocirca fi all- quis eft finis omnium rerum
qua? in a&ione verfantur,hoc crit bonum quod fub a&ionem cadit: fin
plures , haec. Sed digrediendo
codem oratio reuoluta eft . Vcrum danda nobis opera eft,vt hocplanius
explicemus. TripIicemFoelicitatishumana? definitionem dari poffe fupradiximus:
Prior qu$ explicit quid nomen fignificefa & defcriptio vocamr, jam prgr ~~
" ~~ ~ ------ -- - g.^ Digitized by VjOOQ IC 97 ETHIC OR VM.
pofitaeftcap.4.Multadeinceps cap. 5. &*. partim ad ignobiliiim &:
inetu-' ditiorumhominum,partimad eruditiorum & nobilioriim ipfiusque Plato-
nis fententiam de natura fa?licitatis refellendam,interpofitafunt. Nunc vt
perfpicua,quantum fieri poteft , fcelicitatis huraana? natura reddatur, quafi
poitlongam digrefsioaem ad fuum propofitum exequtndumredicns , vuk Ariftoteles
alias duas fcelicitatis dehnitiones, eius vim & naturam expri- jiientes,in
medium afferre . Prirao loco proponet illam quae genus & diffe- rentiam
continet:fecundo,alteram qua? ex caufa conftat a qua foelicitas pen
det,&per quam eft confer uaturque.Ratio ordinis eft,quia ha?c pofterior de
finitio,adeo vera & certa omnium propriarum affedionum, (in quo genere
foelicitas refpedu hominis collocatur) definitio cenfetur, vt fi proprium il-
larum genus, & proprias differentiasafferas,nomen duntaxat declarafle
videaris:Neque enim( vt antea quoque monuimus)mens noftra in iftiufmo- di rerum
natura haurienda,quiefcere vnquam poteft,quandiu ad illam defi-
nitionemqua?caufamexprimit, non peruenent . Sic nos Ariftotelis * ntinullos
propter alios expetimus,vt dmitias,tibia$,ck vno nomine inftnimenta omnia,
perfpicuum eftnon omnes cflc perfe&os . Quod aurem optimum eft * id
perfe&um quiddam videtur. Si quis ergo vnus folus perfe&us fit, hie
eric finis quern quasrimus : fin plures,eoru abfolutifsimus, A tqui quod
propter fe expecendum eft , eo quod propter aliud expetitur,pcrfetius
dicitur:& quod nunquam .pro- pter aliud optabile eft , iis qua: propter fe
& propter aliud eliguntur: Atque,vt vno verbo dicam , perfetum eft id, quod
propter fe Temper, nunquam propter aliud eligen- dum eft :qualis videtur
efle-in primis Foelicitas: hance- ziim propter fe femper , nunquam vero propter
aliud opcamus. Hxc eft fecu da huius capitis pars,In qua Philpfophus talem^vt
vno ver- bo dicam,foelicitatis definitionem colligere vult . Foelicitas eft
bonu perfe- &ira,quod fatis eft homini,& propter te tantum expetitur .
Ha?c enira fere fwit qua* non modohoc in loco Ariftoteles, verum etiam Plato in
Philcbo foelicitati tribuit . Tres vero iftse conditiones ita fefe mutuo
refpiciunt , vt vna alteram confequatur, proindlque rairum nemini videri debeat
, ft Ari- ftoteles vna aliamutuo aftruat, ftabiliatque, & ex vna in alia
gradatim tran feat'.verum enim eft illud > Homini qui nobilifsima huius
vniuerfitatis pars eftjbonmu aliquod maxime perfeftum propofitum efle
oportere>quod ipfius naturam expleat : qua? expletio foelicitas &
beatitudo appellari folet : Ho c ipfo vero quod bonum iftud perfe&um eft,
idcirco fatis eft homini, & pro- pter banc caufam quod homini fatis eft, ab
eo votis omnibus , & propter fe tantum quaeritur.Nunc ad contextum. (
Quoniam igitur pluires efTe fines.) Si aliquis fit finis omnium rerum quae in
a&ione verfantur,is certe non mo- do bonus fed optimus erir.Et bonus quidem
qua finis, optimus autem quia eft id cuius gratia omnes alii funt .Hocautem
ipfo quod optimus dicitur, perfeftus efle cenfetur,cur enim optimus vocatur,nifi
quia nullam extrinfe- cus abfolutionem perfe&ionemque expeftat , fed
vniuerfam ipfe in fefe in* clufamqua?rit,ideft 3 bonum omne & amabile in
feipfo continet? Vnde fequirar,talemfinempra?ftantiorem efle cum iis qua?
alterius tantum gra~ tia,tum iis qua? & propter fe & propter aliud
quiddam expetuntur : pro- pterea quod videlicet , omnem vel aliquam
abfolutionem extrinfecus ifti expeftent : foelicitas , vero , qua* fola
eiufmodi perfe&us finis cenfenda eft, propter fe tantum quxritur. Quapropter
fi quis de me quaereret, cur diues, honoratusjprudes efle
vellera:refponderemjVt eflem foelix-.Qupd fi iterum jne rogaret,cur foelix efle
exoptarem,cui refpoderem eflet plane indignus. His argumentis etiam Euft jatius
probated quod optimum in aliquo gener g.ii. tized by Google Digitiz f 9f
ETHICOVVM eft,non nifi vnicum effe . Cjteriim de bonorum ordinibus y memininos
fu^ pra nonnulla egiflfe,atque annotafle ex Alex . in q. moral . cap.xx. Vtilia
bo- na ilia omnia ab Ariftotele vocari qua? adaliud quid perfeftius excellcn-
tiusque conducuntivnde vocabulum vtile , rationem propne & per fc boni
tollere idem ibidem concludit,Dubitatio qua? hoc in loco ab Euft ratio raoue
tur,infrai nobis commodiore loco expendetur , vnaque eiufdem Euftratii .
di&ailluftrabuntur. , At verd hoftorem, voluptatem, & intelligcndi vim,
omne'mquevirtutcm,propterfequidemoptamus,(nam ctiamfi nullum ex iis fru&um
pcrcepturi fimus, tamen eorum vnumquicquc optarcmus ) fed beacitudinis etiam -
caufa,eadem expetimus^exiftimantes-nos histediumen- tis beatosfuturos.At
Bcatitudinem nemonequehaium, neque alius omnino rei caufa expecir. Perfpicua
funt ifta , cum iis qua? nuper contextu fuperiori fcripta a no- bis funt,tum
nonnullis aliis qua? antea cap. 6. diximus:cum nempe expofui- mus,quomodo voluptas,honor,ingenii
vis & pra?ftantia , bona per fe,qu6d nos intrinfecus expleant,
perficiantque>& propter aliud etiam cenferi de- beant. (yevy).
Vertivimintelligedi:quam^liashoclibroappellauiingenii acumen,quod in docilitate
& celeritatead cogitandum, diiudicandumque confiftere alias declaraui. Eft
autem Homioi qui vult rationem virtute per r fe&a informare,ingenio eximio
6Vpraeftanti opus.Tardis enim mentibus & male a natura conftitutis
animis,perfe&a virtus vtx ac ne vix quidejn com- mitti poteft. Quare non
laudo Euftratiii,qui per Mentem intelligit pruden- tiam.id nanque valde
improprie diftum eft>quamuis prudentia in Mente re fideat,multo etiam minus
proboipt7ki) Menti opponi:quomodo enimpo- tuit,cumvirtus appetitui
tantumconueniariSimpliciter ergo omnia proba- ta funt,vt nos
explicuimus,&Thomas quoquevoluit.(Omnemquevirtute.) Ex fequentibus libris
cognofci vnaquxque debet : non eft igitur , quod hoc loco enumerentur.Regina
omnium prudentia eft , qua? omnes virtutes con- tinet,eo modo quo poftea declarabimus.
Idem porro ex eo quod fufficiens eft homini,fequi vi- detur : Qux>d cnim
bonum perfe&um eft , fatis efle vidc- tunSufficiense/Te autem ipfum per
fedirimus, non qtria ipfi foli vitam folitariam agenti,fed quia parentibtts,
libe- ris^coniug^&^r femel dicam ,amicis& ciuibus fatiseft.
Quandocjuidem^omonatura ciuile animal eft.Sed in his certiis qurdam terminus
conftituendus eft- Nam fi porri- gamus ad parcntes , pofteros , amicorumque
amicos,abi- bit res in infinitum. Verum hoc quidem iterum confide- ^ randum
Digiti Google LIBER J, loo randum poftea crit, Quemadmodum hoc ipfo quod
Foelicitas bonum perfeftum eft, idciroj Horaini fatis effe
dicitur,!ta,propterea quod fatis eftliomini,perfehim bo num cenferi debet.Sati*
autem effe per fe f oelicitatennlico^non ipfi foli ho-
mini,verumpar^ntibus,Hberis,coniugi,atque 3 vt : feiiid dicatur 3 amicis &
ci uibus,quibu$ etia, vt Plato dicebat,Homb natus eft.Tot naque tantaque foe
Iici adeffe oportere cap.8.moriftrabimus,vt familiam liberaliter educare,ci - *
uibufquelaborantibusfubfidiumferrevaieat .Neque tamen exiftimet ali- quis,cum
in foelici copiamquanda bonoru ponirtius , qua' ex virtute agere, & familia
fuara inftituere, Reiq; publica? prodeffe valeat,immerifum quid- dam atque
infinitum anirao concipere,ita vt pofteris etiam omnibus, atqu*
amiconimamici$fuppeteredebeat,(hocnanquemodores in infinitum abi- ret)fedcertum
quendam in bonis externis,quae ad foelicitafem pertinent^- nem conftituimus,vt tanta videlicet copia
eoru fit,quata fufficiat ad eaxjua? ad bonum partem familias,bonumq> ciuem
pertinet,exequeda.Quare Arift. i.pol.cap.f.damnansSolonem qui diuitiaru nullu
fine homini poni diceret, vu/t>fufhcientia taliu bonoruranon
eSeinfinitam.Qucmadmodu enim(in- quit)nullum inftrumentu cuiu%, artis,eftvel
magnitudine vel multitudine, infinitum, itadiukiae infinite nonerunt in
politica arte, cum fint inftru-* menta Reifamiltas &Reipubl. Ide etiajin
fifdem Politicis no femel claniat, mediocritatembonorum extemorumeorundem
exuperantia optabiliorem effe, vt Solon quoque teftatur : Bona enimifta,fi
mediocritatemnonexc?- dant,rationi facile obtemj>erant:at ft
excedant,difficillime. (Satis autem ef- fe) Omnes homines,quafi membra qua?da
fun tvniushumanitatisr corporis, naturalifque inter ipfos focietas ,
propenfio,& amor intercedit : Maior ta- men inter dues, & inter amicos
, maxima adhuc inter propinquos , paren- tes & filios,natura? coniun&io
eft : Quo fit,vt alter alterius bonis laetetur, &
malisoffendaturtanquamfui$ > & vniiisfoelicitas,alteriusjfoelicitatls
pars /k,vniiisque calamitas,alterius quoque quodamodo calamitas habeatur.Qui
fieri igitur poteft,vt ille foelix cenferi queat,qui familia? fua? iifque quos
a- mat laborantibus,opem ferre qequeat?Hin$ Chremes apudTerentium,Cli- tiphoni
miferiam Clinia? obiicientis refpondit, Miferum! quem minus credere eft. Quid reliqui eft quin habeat,
qua? quidem in homine dicuntur bona? Parentes,patriam incolumem,
amicos,genus,cognatos,diuitia$. (Veru hoc quide iteru confiderandu poftea
erit.)Quarto politico ca.ii.hsc fere fcripta de hacre leguntur . Vita beata
efficitur virtute non impedita: Ciim autem virtus mediocritas fit,neceffe
eft,vt ilia fit optima vita,qus me- dia eft ea mediocritate,qua? pofsit
fingulis contingere . Ex quo>cum]id opti- mum effe conftet quod
mediocritatem mediumque tenet,fatis intelligipo- teft mediocrem poffefsionem
omnium,eiTe optimam, quippe qua? facillime rationi paret. Nam qui pulchritudine
,aut viribus ,aut generis nobilitate aut clientelis,vel diuitiis,ca?terifque id
genus magnopere pra?ftant,hi vt ra- tionem fequaW 5 4$icile eft, Palam^nim
$ontumelias magis inferunt,& in Digiti zed by G00gle xoi ETHICOR VM maghis
rebus peccant,aliena videlicet inuadentes, homines interficientes,& fimilia
iodigna facinora comittentes. Ite, otiu & ambitio eos facit imperadi
cupidifsimos^quapropte^neq*, volut neq; fciunt, imperii pati, imo propter
delitias atq*, indulgentia,ne in ludo quide literario parere cofueuerunt.Hoc
virtutibus no accidit,cuius aim fit in medio cofiftere, quo magis virtus e?it ?
eo magis mediocntate coferuabit*vt Arift.ait , & nos magis humanos &
be- nignos ^eddet.Quare virtutis incrementu vitare non ita oportebit,vt vitare
oportet magna bonorum exuperantia,qua qui prxditi funt, totius Ciuitatis ftatu
coturbat,n6 aliter atq* nicbra in humano corpore nimiu excrefcentia, totius corporis
decore peruertant.Vnde &PhocyllidesMilefiusPhilofQphus & no ineptus
Poeta,Mediocribus iftis hominibus optima multa precari fole , bat:t Arift.in
ca.feq. Virtuti,fufficientes quide fortunas,ne impediatur. bo- . sno a virtutis
operatione,no tame immefani quandacopia adiunget.(.Quan doquide homo natura
ciuile animal eft), Partes ad totu^vt materia ad forma referutur:Et quauis
propria aliqua forma fint praedita?,illa tame forma a to- tius forma
pendet,cuius etia caufa fuit procreata:vt manus , oculi, pedes,id- circo fua
forma peculiare habuerunt,vt vniuerfum animal bene fe haberet. Ergo,homo qui
Ciuile animal eft>fi foelix efledeb^at,cura fuotru, eorumque
quosamatj&rciuiumfufci per epofle&rvelle debet, . Sufficiensauce
ideileponimus,qiiodipfumperfefolu & aliis bonis defticutu,vita
effici^tbptabile , riiilliufqj rci indigente.Tale vero quiddabeatitudfne efle
ftlituimuSjac queadeomaximeomniuoptanda^etiajficu alio bono non coiungatur
.Quod fi coniungatur, perfpicuu eft ilia cu all-* qtiovel minimo bono
optabiliore fore. Id enim quod acce dit,boni exuperatio eft. At qup q.uicqJ
bonu maius eft , eo ', magis Qptandu.eft.Hisigitur perfpicuu eft,Foelicitate
per fe&u quidda eflfe,& quod fufficiens eft,cumreru Omnium qux in
a&ione poCitx funr,fic extremum. Locus hi c fatk obfeurus eft.Nos ergo
imprimis fententia Arift.qua puta mus efle veram proponemus 3 mox quid nonnu^li
alii dixerint perpendemus. Quonia
Arift.Foelicitate Bonura per fe fufficiente appellauerat,quam fuffi-^ cientia
non nifi negationeimmenfitati? & infinitudinis cuiufdam declaraue rat,nunc
planius ilia explicans^iqquit:SM|ficiens per feipfum & ^bunde bo- nis &
amabiiitate cumulatumM Bonu voco,quod quanuis ab alii$ boijiis; de-,
feratur,vita efficiat optabilem,nulliusque rei indigente.Talevero quiddam
Foelicitas eft,proindeq; quanuis cum alio bono ipfa no coiungatur,eft tame
omniu bonoru maxime optada ; & fatis ipfa per fe abfoluta eft, nulliiifqj
rei indigens^ac fuis omnino viribus pollens. Foejicitatis enimnomine a hoc in
lo- co no prudentia fola aut perfe&a virtute int^lligit ) fed perfe&a
virtute cu ea bonoru alioru copia qua? hpmini fat fif , vtentea
fienihcau#,&: i.magpo- ru mor.ca.3. (eft aute ille locus no fatis
perfpicuus & plaiTUs jdiferte expref- fit.Ergo Digitized by Google LIBER I,
101/ fit.Ergcfi augeatur fcaropltficetur copiaexternorfi bonorfi,fodidtat ipfa
quoque nonihil quide araplificatum in libere fateri oportet: verum ifta ac-
cefsio no tati erit,quin antea etia Foelicitas,perfe&um bonum, feq$ ipfo co
Centura dici potuiflet.Quare,cum quis itaarguraentatur , Perfe&u bonu eft
id cui nihil addi poteft,ergo Foelicitas cui aliquid addi poteft ,bonu
perfe&ii cenferi no debet.Refpondedum eft,id exiguu atq$ exile admodum
refpedu foelicitatis effe quod accedit .,& f oelicitate quide
amplificare,no tame effice re, vt ipfa per fe foelicitas antea abfoluta &
perfe&a dici non poflet . Vndc colligit iureArift.integra Foelicitatis definitione
eiufmodi:Fcelicitas,eft bd num perfe&u feipfo cotentura.E&quibus duabus
eoditionibus alia clicitur, qua nos fupra appofuimus,& A rift, in hoc
noftro cotextu innuit,vtvidelicet furame ab homine,&propter fe tatum
expetatur.No enim poteft no fumme ab homine illud exoptari,quod eius abfolutio
atque expletio eftHa?c eil hu~ ius cotextus germanaxplicatio,& ab omnibus
fere,qu am's no adeo perfpi- cue,aliata.N6nullttame verbis quibufdaAtterrois
decepti,ita dixerunt,F oe- licitate omninocrefcere no poffe,cu fit 1 aaut cui
nullu aliud bonu nequeat adnurae rarima cui accedere poteft bonum
aliquod>illud ccrte crefcere poteft,& me lius effe quam antea
ruerit.QuareFoelicitas^ft id optiimi & in eo genere bo norum,quo nihil
melius:quod ilia verba volut %n ve/lm dfytlalklljj^ roor.capitexitatoyqui dicit %&)
fitquefingu]isfeparatimacceptis,maius & pra?clarius: qua fecunda notione
Foelicitatem iecVmsideft praeftantifsimum & abfolutifsimum bonum nomi- nari vult:continet enim complexu fuo bona
animi > corporis 3 fortuna?,atque vt femel cum Speufippo dicam, eft bonum,
ex omnibus bonis camulatiim* Hoc refpsftu, Ariftocelcs ibidem dicit y
Foel^itatem nonppffe inter bona connuraerari, alioquin enim fequijidemXeipfo
melius fore: Namfupe-* rat Sc excellit omnia turn anira^ turn wrporis* &
fortune bona fteajitu~ do jvelutietiamtotum, partes excelleredicitur, Adeosqui
fe^onfe-., mat ad Ulam propofiuwero > Perfe&ujn vndique fanum eft cui
nihil , g-uiii Digiti zed by G00gle **v riireprehendioportere^WDO^g^^Si
j^i t,otea.* eoe "* ?& vndequaque perf^ llsim T P cu i ve
rifsimen>l itneStuudfimpUcuer^ addi poteft-Talenanque^ ^ m ^ At^^ tcni[u e
|let.Quarto,tP atc " w illius verb.. q^ htceog fit tatw _fta,J ^
rumiftorulntcrprrtu- fbu oni pof *"' m ^fverboru difcrte fonenp nik'habet
Anftote cu ver^ h omnia & penodi ^ ac que alio traducatur quam eft
.)ine:quod tame ^^"o ^ '^^^^ n&
m losDoaos homines, rfiM L:L?.n i n !*%*-*> no noflum no mtrari
nonumf Aff_ LIBER I. 104 - quoddixerat^bonaravaletudine^non modo propter
fe,verum "etia propter a-> liud ex pet i ,(Naturam enim corporis explet
>& efficit vt animus expedite ea pofsit aeere quae laude digna
funt,qua?que F oel icitatis pritnaria? conditio- nes censentur) Dubitat 3 cur
eft,quod homines tamen quidam,& ii qui virtu- tern maxime profefsi funt,
corpora fua vigiliis ac diuturnis inediis afflida- uermt,f ibique etiam ipfis
plagas infiixerint:Et paulo inferius addition nK>- do hofce cruciatibus
doloribufque feipfos afficere,verum etiam extrinf ecis omnibus bonis fponte priuare,
folere . Democritu ferunt, fponte fibipculos effodifle,vt mete reftius
immortalia & diuina intueri poffet . Sed horu exe- pla,at.q, alioru etia
qui diuitias & alia vita? comoda aut abiecerut>aut parum omntno
curauerunt,tot extant , vt meminitfe fuperuacaneum fit : Refpoh-
detEuftratiusjDupiice extarehominumvitam, Ciuilem & Purgatoriaii- ue
cotemplante. Cjuilis animo & corpore fimul agit,Gonteplatiua feu Pur-
gatoria,fola mente.Illa ad a?tate vigentes pertinet , & in cartu hominum
vi- uentes,& affe&ionum corporisque curam gerit,res humanas
gi)bernat,pro- indequeexternis bonis cum corporis,tum fortuna? eget, vt noamodo
opera &confilio,fed re etiam 5 Rempublica Ciues,&quos amat iuuare
pofsit^ Alte- ra yero qua? fenum peculiars efle videtur , tota conteplationi
Dei & rerum fnaximaru,diuinaruq*, dedita eft,&fpernens
omniaaliabona>in corpore fe- fe quafi obliuifcitur : & pro ni- hilo
habet)Ciim vimitu muneribus exequendis opera no det, proindeq-, nul- lis egeat
opibus,hullis diuitiis,nulla apud homines authoritate, nutlis hono- ribus: imo
folitar iam prorfus vita eligit, in qua pneftantiores quafda virtu- tes,Mete
Deo copulaty!^ c&iun&us, adipfcitur. Hanc vita purgatoria yo-
cantPlatoniciVquod omni tumultu atfeCtionu hominesp'urget,eofq; fer- ine in
kimtieldL ilia Stoicoru cpftituat.Sed oportet ifta Euftratiipaulu illuftra-
rexPrimii m ergo 3 Non eft exiftiraaodym eos qui fe totos contemplationi tra
dunt,oronino corpus contenere,fed id quoq, aliquado curare*fecus enim no
fapientes led Deo auerfi videretur,qurvellet animii a corporis focietate om
nino liberare ,anteaquam id ftatuerk Deus,quem contemp]antur > & in
cuius vnius amore fe conquiefcere prdfitetur. Atque(in furcma)quod Deus con-
iunxit,id ipii fepararet/preto diuina? legis decrcto.Quapropter Plato dice-
bat.Queadmodum qui ob fcelus aliquod admiffum in vincula conie&us eft, fi
vincula rumpat,atq-, iniulfu Iudicis aiifugiat, omnes leges fubuertit,reicin
di'tque, Ita homine,a Deojanquam milite,in hac corporis cuftodia, qijafi fta
tione pofitum,eara abfque illius iniuflu defefere, abfque nefarii fceleris cri-
mine>non ppfle.Ergo conteplationi dedita vita,corpusquide bonaq; corpo ris
& fortuna? floccifacit,no tartien oipnino^fi fapiensefle velit:ide|l no
earn affluentra bcfno.ru corporis 8r fortuna? exigit 3 quaitl exigunt qui in
agedover fantuf,verum paucisHoraines iftt qui vtfceliciores&bet- liores
euaderent,in fitu & fqualore. iacere voktfU, vulncra iibi infligere,octt
I9S cruercinfaiii potius quara fapientes,quoamque id nomine faciant*tudi xandi
funt: primum enim,prauer quam quod bona ifta externa tarn natura? flua fortunae
,natura humana explent,no video,cur no tarn qui ifta agit, qua qui feipfum
interficit>decretaDei contenat>cuius lex itaftatuit, antra a? par te cum
organo,putaoculi > copulata manere,veluti itatuit>tota anima cum to to
corpqre,tanto tepore focietatem coferuare oportere:Neque enim maior iudicn Dei
in totp habeda ratio eft>qua in parte.: Qui ergo eruit fibi oculum, flui
corpori vuljiera infligit, qui nimia inedia aut vigilia corpus affli&at ,
i$ wuuria Deo fuo Creatori 6c Iraperator* infert, contcmnens bona ipfius,uf-
que perjeulis ie exponens(quaii Deu tentas ) a quibus Deus ipfum immune
eflivoluit. No negarim in SandisDei,ea qua? ad ieiuniii fpe&at,aliaque hu-
nulitatis,poenitentia?,& fidei exercitia pertinent,laudanda efle:vt
macerata, ac fubada caro ne lafciuiat,& vt ad preccs fanftasqj meditatioes
melius fine coraparati;tanderaque,vt teftimonia fint noftra? coram Deo
humiliationis. Modus tame feruandus eft>ideft vbique necefsitati natur 9,(11*
partes danda? funt-.Quqd quia Papilla? no feruat, idcirco carnifices fui,&
legu Dei come- pjtores cenfendi funt . Sed redeamus ad noftros
fapie,tes.Dicunt,fe id agere, vt ab affedtionifeus
omninoliberetur:Refpondeo,vellefe abAffedionibus li berare,eft velle no amplius
efleHominera:Excipient,fe eo quidem tempore no effe hominesidico ipfos fomn
iare,quantuuis enim alte volent, quantum- uis mortem comententur,& fenfu
carere velint,in corpore tame Temper ha- bitabunt.Pra?terea,qui fieri potel],vt
corpus vel i tantillumcurent>& affe&io nu aliquo infultu no aliquado
corripiatuHNu oculi foli Democrito affe&iQ nes fuggf rideft> opinionu
noftrarumoderatione,quod cer-j te aliunde quam ex priuatione vifus hauriendu
eft. Re&ifsime etia fenferut Ariftoteles,Plato,$ocrates,Solo,aliique
infuiiti fapietes,qui genus iftudvita? oder unti cum tamen conteplationi
rerumaltifsimarumquammaxime de- diti effejnjAm; Deus eft (in quit
Ariftoteles)aut beftia 3 qui vitam iftam folita- riam ag;Atqui Deus effe nequit
:Sit ergo Beftia, Sedforcatfe Beaticudinem lunimum bpnum efie,eon* ftat: vtvero
plaiviusquid ca fit oftcndacur,res poftulat. Hoc autem facile pr#ftaripoterir,
fi munusjiominisprp- prium,acccptumfueric:vtenimTibicini,^ ftacuarumfi T
tori,omnique arcifici, & oninmo iis qui opus aliquod e#i ciunt ?
a&ioncmque exercet , in opere ipfo bonum 8c artii perfeftio confiftcre
vuletur; iic'liomini ,fi quod eft ciys o- pus&rounus, ErgoFabri,&:
Sutoriseruntaliqua opera &C a&ioncs;hommi$ vera nullum eric, atque ad
defidiam na* tus eft! Digiti zed by G00gle LIBERT. id* cus cftfAn non potius vt
oculi,manus, pedis , fingularum- qucpamumfuumcuiufque opus eft, (ic hominis
quoque prater haec,opusaliquodeireftatueirias? Tertia pars-cap it js in qua
qua?rit,non de ep cui infit Foelicitas,vt quidam male loquunturjed quid vere
fit foelicitas , ideft quarnam ilia caufa fit per quam Foelicitas eft,&
conferuatur . Quod declaraturus,gradatim more liio progreditunPrimumque fumit,
Foelicitatem humanam,cum bonum quod- dam hominis praHRantifsimum fit,non nifi
in eo confiftere poffe,quod inho- mine excellens babetur: Iftud vero eft
intelligendi facultas . Atqui A&io fa- cultati pra?ftat> vt non femel
ha&etous diximus : ergo foelicitaswie dubio in a&ione coiujftetjS;
nonin quacunque aftiorie, fed ilia qua? propria eft homi ms(huius enjm
Foelicitatem qiijerimus) ideft a ratjone & intelhgentia pro-
deunte.Ha'cfummaeft^amhuiusquarh fequentis contextus: nunc fingula
infpiciamus.(Sed fortaffe Beatitudine Ifummum bonum elTe coftat).Ih tradi ta
definitions omnes fere cofentire antea diximus , quod nemo ferme fit qui animo
Iianc notionem Foelicitatis infita non habeat:Eara videlicet effe fum- muiB
quoddam bonum 3 proindeque feipfo contentum,& votis omnibus ex- optandum.
(Vt Vero plan ins), Ideft vt eius conficiens caufa afferatur,per qua eft &
confer uatunEa enim habitay ere natur am foelicitatis tenebirnus.(HoC autein
facile jpra?ftari poterit,fi muniis hominis proprium). Nam in ipfo pro prio
hominis munere Foelicitas confiftit. Quid ergo inquit Mirandulanus, Quia opus
hominis quidda fenfile,eft?(y t enimTibicini).Probat afimili,bo num fummum
hominis,& bene eius viuere, in opere ipfo pofitum effe , quia
Piftoris,Tibicinis,&deniquecundorumartificum,vel potius* omnium quo- rum
aliqua aftio exiflit, perfe&io omnis,onineque bonum in ipfamet aaio- ne,non
in facultate aut habitu,fitumefrevidetur(ErgoFabri & Sutorls).Po^ terat
quifpiamnegare,hominis raurius & opus aliquod pectiliare effe: quern nunc
reprehendit AriftoteleSjVt imprudentem,acftupiduni:qui fcificetHo- mini vt artifex
eft ignobile videlicet gradum agens,nranus propriurn tribui velit:hominis vero
quatenus homo eft , in nobnifsimo hempe ftaru colloca- tus,nullum proprium opus
effe dicat,ac fi ad defidianrinertiamque natus ef- fet.Huc acceditjHominem effe
qiii artes pariat , quare abfurdum effet aliam ipfi & multo etiam priorem
a&ionem non tribuere, qua artes parere & infti tuerepoffet. (
Annpripotius*) : 'Ooncludit quod verurri cft,cqllatis partibus cum toto ipfo
hontine: Ac fi dicat.ofnnino oportet afferere J homine" qua ho*' moeft ?
peculiareqiiodda'mrriunus obtinuifie , veluti Vriaquaeque Hliuspars perfpicua 3
munus proprium, '& cui deftinata effet, habuit; Imo magis totum ipfum i!d
affequutum eft,cum'partift operatiorjes , norinifi ob corrferuatione-
bperationis totius exiftant. Quidnam igitur illud tandem erit? Nam viuerc
quide? cumftirpibuscicomuBeeft, At proprium hominis opus quarritur . Itaque
vitia alens,augensquetrcmouenda eft. Hancproximc fequitur vita Tended?. At hie
communis Digiti zed by G00gle %%9 ETHIC ORVM eft& equo,& boui,&:animantibus
omnibus , Relinqui- cur ergo vica qusedam aftuoia ad earn partem animi perti
nens,quas rationifreft particeps. Argumentatur a fufficieti partiiira
enumeratione,&oflencfit qualifna ifta propria hominis operatib,fit,eas in
enumeration operations fumens, quj ho mini no vt artifex eft,no ratione
partis,fed hominivt homo eft,& ratione to tius couenire maxime videri
poterantifunt verohar,viuere, fentire, cum ra- tione & intelligentia agere.
Tunc ita argumetatur, proprium hominis opus non eft viuere,quia Hoc ei cu
ftirpibus & planus comune eft:N6 eft ite fenti re,.Sumit aute vim fua
iftiufmodi enumeratio,ex hac argumetatione-.Quod couenit aliis abhomine,no eft
propria hominis,vi uere,& fentire couenit aliis ab
homine.ergo,&c,(Qujdna igitur illud tande erit?)OpusTibicinis,& opus
ffatuarii iteq; piftoris , & cuiufuis artificis eft hominis opus,fed no
propriu hominis opus.,vt Euftratius monuit, ideft 9 non fimpliciter hominis
opus^upingerejfimpliciter homini nocoueniat/ed ho- mini quia pidor: plurimu aut
differt,homine fimpliciter 3 & pi&ore* homine dicere. Aliud eft(inquit
ipfe)dicere homine,& aliud dice, re Tibicine homj- nenvllud enim fubftantia
& natura hominis in eo quod homo eft,exprimit, hoc vero,fubftantia &
accidens quodda,vnafignificat: vnde fit,vt opus homi nis quatenus eft homo,ab
opere hominis quatenus pidof 3 aut Tibicen eft,di- ueruimcenfertdebeat.Vbi nos
etiam admonet,vt agnofcamus argumetandi genus a pofteriori,quod luperius huic
tra&ationi conuenientifsimu efleArU itoteles nobis (ignificauit 3 ab artis
enim fine nobis notiori,ad>fine rationis ho minis,qua? artium caufa &
inuentrix eft 3 proindeque natura prior ? & notior, progreflfus
efficitur.Re&ifsime ha?c ab Euftratio di#a fu'rit . oportet tamen, paucis
ifta omnia illuftrare, vt quid opus hominis proprium, hoc in loco vo-
cetur,plane cognofcere valeamus.Hominis natura no eft fimplex quidda,&
vniufmodi fiue folitariu,fed ex duabus naturis aut partibus pra?cipuis,men- te
videlicet &corpore coagmentatu. Atqui omnis eiufmodi natura 3 ad fpecie aliqua
refertur,prQpriumq; alicuius fpeciei nome fumit,ex ilia parte aut na- tura
fui,qua? dignior,ex celletior & princeps eft: (Hac aute parte principem in
prani coiun&ione pltiriun\ ? difsimiliumq; naruraru adeiftvieceffe
eft>Jqua quafi imperas,& cohi^e$>alias diflblui au.t fabi no
fuW,)t^a?.pars in Homil ne Mens & injtelligejtia nuncupatur 3 hac enim in
homine dominant princi patu tenere^atqvUlud fummu efTe,qu6 ex vita & fenfu,
tanqua p?r gradus in homine Nat,ur4peruenit,nemo non cocedit: Ha?c igitur hominis
forma eft * ipfumq^poftremo aduenies,in quada certa fpecie a reliquis omnibus
diftin aac6ftituit:caterananqueanimatia,n6 ratione aut metered folo fenfus im
petu,ferutur:operatio igitur propria, & pecuIiarernuuns,quod homini fim-
pliciter couenit, illud erifrquod no ab anima augedi nutriediq^ vi praedita,
aut abeaiin qua fentiendj fecultas rpofaaeft >frda mente ituelligentiaque
proficifcatur.(Vita ( alens augensque).MaluimusTurnebi verfionero Iioc lo- co
fequi Digitized by VjOOQIC LIBER I. xog cO fequi,quam Lambini qui ita vertit ,
(yitaalendi augendi'que vi ac facul- tate pra?dita).pmerqyam enim quod copiofa
nimis verfio eit 3 non quadrat etiara huic loco,in quo non de Facujtate , fed
de ipfa muneris fundione fer- Hio fit.Canerum quot modis ^iTdicatur,alias ex
Simpl.in i,de an.117.anno- tauimus,qubd item augeri & ali,munera a
vegetabili anima prodeuntiafint, Tertib,audionem a nuiricatione non differre ,
nifi rationc quaalimentum vcl vt fubftantia qua?dam, velvt quantum
accipitunillo nanq-, modp alimen- tum nutritjhoc verb auget : Quartb,vitam,cum
pro forma ipfa dame vitam fumi po(fe>qua ratione Anima ipfa vita dicitur,tum
pro energaa fiue adio- ne anima?. Scaliger hoc improbaret,fed immeritb &
nimis fubriliter.Namfi vita eft adio,diceret ipfe,non ergo dicere licebit
corpus viuens:Refpondeo imb corpus hoc ipfo viuens dici, quia vita adio eft.
Adio inquam ab anima quidero pendtns 3 fed qua? non fine coxnpre effici queat.
Corpus ergo viuere dicttur,quiaaugetur & alitur, a nutralento agente vi anima?
, & Aninra vi- uere dicetur 5 quia alit &r auget nutrimento difpofito
&conuenkme,corpus: 8c in fumma,iita Adio qua 5 vita dicitur , eft in anima
vt ab anima: eft in cor- pore non vt a corpore fed vt in patiente & fubiedo
: fed quoniam nutrica- tio & audio in corpus ipfum definit,propterea 3
viuens corpus,non animavi- uens dici folet,quamquam tarn anima* quam corpon
vita? nomen tribuatur. Excipiet iterum Si vita eft adio , adionis adio erit ,
nam vita? adiones efTe quatuor Ariftpteles r.de an.docer. Refpondeo Ariftotelem
eo in Ioco,cont. oempe ij.id quidem dicere 5 Viuere quatuor modis dici , non
autem vitam quatuor adiones habere:Ego verb obiicio illi alterum locum eiufdem
i*de an.cont.;.vbi ait. Vitam vocamus nutritione qua? per feipfam efficiturau- dionem & diminutionem.Sed ifta in
pra?fentia omitto. Quinto vita? nomen j> proprie adioni Anima? vegetabilis
tribui:propriifsime verb non cuicunq; cius adioni fed ipfi nutritioni.Primum
fatis ex verbisAriftotelis liquet 3 atq> ex eo quod de vita neque per motu
fimpliciter , neque per motu voluntariu efficidemonftratio queat, item neque
per fenfumaut intelligentiam : Ele- menta nanque mouentur nee tamen viuunt 3
animalia item faxis adha?rentia non mutant locum:Homo pra?terea dormiens neque
fentit neque intelligk, - cum tamen viuat . Alterum ita doceri poteft,
Quandoquidem incrementum non femper viuenti corapetit,alioquin 1am adulta
animalia,ideft qua? ad a?- talis illius termkuim peruenerunt:cuif antum, a
naturacrementuni. tributu cft>mortua dicerentur. Voco nunc crementum animalis
5 appofitioncm quan titatis omnibus dimefionibus,nafimplicifer fupplementu
quodlibet repofi turn in locu partis
deeda?4ioc nanque fenibus etiam ipfis vfu venit:de dimi nurione eadem contrario
tamsn modb dico.Reliquum eft igitur , vt per fo- lamNutritionem de vita libere
ratiocinari pofsimus: omitto nunc ca?leftia qua? viuere dicuntur,non tamen
augefcunt,aut aluntur . ( Relinquitur ergo vita aduofa^d earn, partem animi
pertinens qua? rationis eft particeps. ) Mi ror cur Lambinus hanc Perionii
verfioncm reprehendat: verba Gra?ca funk h*rjn}mr. Hie ita vertit: Relinquitur
er-* jo vita qiu dam , qua? ad: adionem apu lit > eius* propria quod ration
Digiti zed by G00gle 2 io* RTHJCQRVM pra?ditum eft.In Scholiis vero illu4 ( 7w
fiue eius) ad homincm refer?! yule, Sed hare verfiopeccat:primum quia improprie
hoc loco dicirurvita ada- dionem apta,cum non de facilitate fed de adione
tantiimqua?ratur :fe* cundo,quia non quapritur an in adione hominis confiftat
foelicitas,hoc nan- ue pofitum eft,(ed in qua hominis adione:ergo illud loZ non
ad hominem, ed ad partem aliqua hominis qua? aliis duabus commemoratis
opponatur, reuocandum eft.Quid?nonne hoc quod Ariftoteles roixpr Koyov vocat
> illud ipfum eft quod diuiditur in fequenti contextu,cum inquit? Huiusautem
pars vna eft quae rationi obtemperat: al- tera qux ratione prasdita eft,&
intelligens.Cum vero ha:c quoqucbifariamdicacur, earn quae reipfa rationis
parti- ceps eft,poneredebemus. iikcenimmagis proprie did videtur. Quod fiica
eft, opus &C munus hominis erit, A- nimi afcio racioni confentanca , auc
certe racione non carens. Explicat planius quod in fuperiori conclufum eft,vt
libere colligere pof- itt?actionem hominis propriam efle , illam quae a ratione
pendet : Expfica- tionis vero efficaciam haurit ex diftindione eius quod to
tppr *&yw ante* Tocauerat: Quod igitur particeps rationis in homineeft,
duplex exiftit, Vnum,quodparet obtemperatque rationi, cum tamen ipfum
rationitfex- perfsit ideft appetitus : Alterura rationis compos vel ipfa potius
ratio , ideft Mens intelligentiaque,qua? moderatur>mouet,dirigi tque
appetitiones,vehi luti equo* Auriga . Hare Ratio Hue Mens , aut Intelligentia ,
quod adu & re ipfa in fe rationem contineat>illa erit in cuius adione
fcelicitas confifter.eft enimmagis propria homini 3 quam ilia fit ,quar non re
ipfa rationem habet, fed rationi ootemperat.Qupd fi itahabeat,opus hominis
proprium nil aliud erit quam Adio animi cum ratione,aut non fine ratione.
(Huius autem pars vna eft.) Duo tenere oportet ad banc diuifionem rede
percipiendam , quo- rum ignoratione 9 Dodifsimiquidamviri hoc loco in multa
errata incide- runt.Primum eft 6V facilius cognitu, quid fit illud quod
diuiditur : Alterum eft , ad quern vfum aut finem diutfio iftiufraodi
refpiciat.Diuiditur ro *% Ao- i^ideft Facultas animi noftri qua? rationis eft
particeps : vfus & finis diui- ionis eft*non vt facultatu anim* natura
patefiat,(hoc nanq-> munus Phyfio- logicu eft non Politicu,vt idem Arift,
fatetur ca.i$.huiufcelibri)fed vt fun- damenta $C fedes virtutu omniu>de
quibus hifce librit agitur,diftindifsime cognofcerenturs Artificiofa ergo
Ariitotelica iftadiftindioeft 3 non natura l*d*quare maximopere
animaduertgda.Sed agamus planius. Quod diuiditur eft Id quod in horoine ratione
habet:diuiditur autem in pane qua? proprie 8c in ieipfa rationem inclufam
continet,& in partem qua? fe habetvtFilius qui di&o Patrii audiens
eftiPrior ilU>Ratto & Mens nuncupatur ( quanqui magis propria Ratio qu*m Meat
cum Men* dicatur quatenus ipfa per fe Digiti zed by G00gle LIBER I. it
& fpedatur & a corporis focietate libera in cognofcendo verfatur :
Ratio ve- ro quatenus cum reliquis animg vinbus copulata,totique horaini
confulens ad agendum conuerf a eft) Altera Appetitus.Qup inlocoanimaduertendum
cft^quantum ad id quod diuiditur 9 Ariitotelem hoc loco ea coniungere 3 qua?
alibi naturas rerum fpe&ansnon coniunxiffet . Quis enim diceret Appeti-
tunij&Mentemcoiungi oportere 3 cum Appetitus Rationi perfrpeaduerfe-
tur,&quocunquevultipfamtrahat?cumex diuerfoprorfus genere &re
difcrepantes fint *. cum vnum natura iua diuinum & caelefte fit: alterum
ca- ducum & corporeum? Coniunguntur tamen hoc loco, quia virtutes morales
quastra&ano ifta cxponit ,Appetitui quidem conueniunt > nihil tamen a-
hud eil virtus appetitus >quam veftigium quoddam rationis in appetitii im-
preflunuTunc enim virtus Appetitus dicitur,cum ita conformant eft 3 vtli-
bentifsime fequatur 5 quocunque ipfum ratio ducat: de qua re pluribus in fe-
cundo libro huius tractationis agendum ell. Partem ergo appetentem quam alibi
Ariiloteles cum fenfu coniungere non dubitaffet 3 hic cum Ratione co- pula!^ a
fenfu difiun&am effe vult>vt ex fuperiori contextu liquet . Idcir- coque
etiam in 13. capiie huius libri Appetentem &fentientem vnico no- mine
vocauit fltAo^oypiW^quametiamvegetabilianimfopponit. Senfum veto &
appetitum reipfa inter fe non differre , fed fola cogitatione alibi o-
ftendimus.Quandiu enim fenfus tantiim & fimpliciter cognofcit vinum,pu ta
flauum efTe,fenfus eft,&non fequitur neque fugit 3 fed cum primum notio
iucundi ideft dulcis adiungitur,ftatim eraergit appetitio . Habet tamen Ap-
petitus conditiones nonnullas, praefertim prout a Morali confideratur,a co-
ditionibus Senfus difcrepantes:de quibus AfFe&ionibns nos non femel fupra
& Plato diuina qua?dam ad hoc propofitii fpe&atia habet 1. de leg . vbi
Hlas mufculis in corpore comparat. Et Gal. etiam libro de propriarum animse
aff.dign.& cur. Senfus, vt ad rem redea,nulla>affe&ionem excitat 5
Appeti- tus eft quafi ipfa affedio,tefte Euftratio s.ethi. in quibus
affedionibus mode randis virtutum vis elucet:Senfus ad fuum officium
pra?ftandumhabitu non eget,curaitaareobie&apendeat,vtinillius fpeciem
formatus nonpofsit non fentire. At appetitus rationi aduerfari poteft,atque
etiam folet, variaf- que & diuerfas liabet propenfiones : ne ergo repugnet,
fed rationem liben- ter audiat,habitus quidam confuetudine acquifitus adfit
oportet , quo vide- licet ftabiliter, prompte, & cum voluptate rationem
imperantemTequatuf. Senfus item non percipit res fibi fubie&as ex prarfcripto rationis (
pe*- cipitautemprofacultatis fua? viribus,) Appetitus vero menti obtemperat.
Senfus obie&um, fpecies ipfa reiftmplex & folitaria eft: Appetitus
autem, fpecies rei cum notione iucundi vel molefti . Quod vero ad vfum
diuificnis attinet, cupio Ariftotelis tantum verba fub finem cap. ij. fcripta
de ea re au- diri: Cum enim eandem partium anima? diftin&ionem propofuuTet
y quam hoc loco attulit,addit. Atque ex hac Anim* diuifione differentiaque,
virtu- turn quoque diftin&io
partitioque nafcitur,alias enim virtutes Rationis ef- fedicimusjalias Morales.Haec omnia fi vera
fint,miror primum cur Miran-
dulanus.lib.xxv.Euerf fecp.panemhanc quam hoc loco Arift,obedientenL
Digiti zed by G00gle ia ETHICOB.VM rationi vocat,Phantafiam potius
nuncupare,quim Appctitum volucritArii itoteles nanque fub finem capitis proxime
citati & 7-pol.cap.ff .tpfam ir/Ou (jumxl/j) up tyiKltnJbjjy prop no nomine
dici diferte oftendit ( quanquam noa me latct , ph antafiam quoque rationi
obtemperantem dici, & appetitum fi- ne phantaiia effe non poffe,vt ex j.de
an. com. * *. liquet, )Miror fecundo cur Idem lib.$8.Sec.io.ex hoc loco
colligere voluerit, Animam appetentem Cmc fentient em reipfa & tota
fubftantia ab intelligente differre , quia nimirum, Mens rationem in fe habeat,
Appetens vero rartonem in fe non habeat y fed rationi obtemperetiquum eodem
modo > Mentem eflficientem a Mente cap* ce reipfa 8c tota iubitantia
differre concludere oporteret: quod nunquam concederet Ariftoteles:vt ex multis
locis,fedpr?(ertim ex 15.& 2.0 c0nc3.de afycognofci poteil.Quod declaro:nam
Mens efHciens vi quada & luce pro- pria predita eft, proindeque
illuftrat,& efficit,Mens vero capax expers eft luminis,fed illuftratur
& patitur ab intelligente . Ilia adu , ha?c poteltate effe dicitur.Sed tame
eadem reipfa Mens eft,vtThomas etiam fatetur.Quidf quod ft hanc difcrepantiam
tantum fpedes, Ariftoteles fub finem 13. cap. to- 99 ties a nobis addudi ita
fcribit: Vna eft animi pars rationis expers: Altera par ? ticeps,qua? virum
diftindae fint quemadmodu corporis partes , & quicquid in partes fecari poteft,an ratione dux
(int,fuapte natura alioqui indiuifa?,vt 3> in rotunda figura ea pars qua?
conuexa 8c qua? concaua dicitur,ad id quod a- 99 gimus nihil
refert.QMarefiTlieologorumdehac re fententum(quamta- men adamare debemus )
confutare velimus , ad alia & firmiora arguments nos conuertamus
oportet.(Cum vero ha?c quoque bifariam dicatur. ) Locu huncnon bene explicarunt
qui Euftratium& Auerroem fequt voluerunt. Quod vt pateat manifeftius, verba
nonmillaGra?ca Ariftotelis* cum ad fupe- 0Lu7iit%nU! Ktytfy. Dicunt nunc fere
omnes, Ariftotelem verbis illis no- ftrispaulo ante commemoratis,diuidere tpljj
to&x7tK*v } quod nos quoque fatemuncum particula -mv7*r ad illam tantumodo
referatur.Diuifionem hac ita a nobis tntelligi debere aiunt,vt vita ilia
pradica vno modo dicatur ,cum vfu 8c energa ipfa declarat quid pofsit ac
valeat,ideft cum agit: alter o cum agendi poteftate fua non vtitur,neque vim
fuam experitur, fed otiofa 8c fe- riata eft.Exepli gratia;Hominis liberalisvita
pradica eft,vno modo cuvi 8c poteftatejiabitu tamen habeas liberalitatis,
liberalis eft>& nihil beneficii in alterum confert : altero,cum re
liberalis eft , ideft cum i am viros bonos,do- dos,& egentes fubleuat * Sed
quanro de ift is, num Ariftoteles hadenus non 4ocuerit,Foelicitatem horainis
non in habitu fed adione 8c ipfo opere con- fifterrfnon negabitfit ( vt puto )
quia Ariftoteles fuperius dixit,vt Tibicinis icuiufuis arrificis perfedio non
in habitu fed in .ipfaraet adione confi- ftit,itabonumfuinmum in opere ipfo
pofitumeffe.Pmerea, qiuerendum propofuit , cuiufnam facultatis aniraa? hoc opus
exiftat , 8c ftatuit eius effe flus rationis particeps effcab hgc nanque fpla
opus hominis propriura pro- ^~ " " - ficifci- Digiti zed by G00gle
LIBER I. ft? licffritur.Quorfum igitur debuit iterum Ariftoteles hoc in loco
quafi in du- biumreuocans,num Foelicitas in a&ione vet habitu confiftat ,
diftin&ione Agentis vita?vti,in earn qua? eft habitu poteftateque,&
earn qua? i am agit &* munere fungitur fuo?Quare dicaraus,
Ariftotelemverbis illis Mat 5 *tu 7*v 7ofaW,proxime explicata , anima?
facultatum diuifione defignare : il- lis vero qua? itatim fequuntuivrfa/
'^'mptftfr 878ot/,ponere difcrimen inter facultatemanimi,qua? dicitur rationis
particeps,quia rationi obteperet , & facultatem animi qua? dicitur rationis
particeps,quia reipfa& in fe ratione . inclufamgerat'.hanc nanqueproprie
rationis partidpem dici vult,cum ad- 6it>Kvej&Ti&v yipkvji Kcu iv Iav/^to
$ S^rtp 7 nr&7f>o? clkov&koy 7i. Thomas etiam hoc vidit,quanuis
Graca? lingua? non adeb peritus eflet , vt ifti qui Philofophis Italis nihil
aliud obiicere fciunt, quam illos Gra?ca? & politiorisLatina? lin- gua? ignaros efie,ideft
non efle Grammaticos.(Quod fi ita eft). Vult iam ta- dem illud habere,opus
proprium hominis pendere a Ratione,aut non efle fi- ne Rationejdeft opus
hominis a ratione proficifci , quia verb ratio turn in mentetamquam in propria
fede reperitur, turn appetituiimpertitur,inde confequi , opus hominis aut a
ratione p endere dici , ideft a mente qua? ipfa ratio eft,& proprie
rationem in fe continet , aut ab eo quod non eft fine ra- tione>ideft
appetitu,quiexpersquidem ipfe rationis eft,quiatamen rationi {>aret 9 compos
rationis nuncupatur . Cur hoc in loco nonnulli annotare vo- uerint^Foelicitatem
Ciuilem effe in eadem Categoria ponendam 5 in quapo nitur Homo cuius foelicitas
eft > rationem affequi nonpoflum.quanquam id verifsime dictum fit : Propria
nanque affe&io , a Logico ad idem genus inquofuumfuhie&um atjque
caufaaquapendet,conrinetur,referrifolet, qua videlicet per caufam illam &
fubiedum definitunDefinitura aute ac de finitione in eode genere collbcari
a?quu eft:quaetia Foelicitas ratione in Ca tegoria A&ionis poni
debet.Simpliciter autem loqui fi velimus 3 proprie om nes affediones ad
fecundam Qualkatis fpeciem reuocantur, cum tamen ip- fa? nullam pra?terea
peculiarem affe&ionem fecum coniundam gerant.Ca?- terum an verum fit quod
iidem affirmant^ oelicitatis nimirum genus efle in categoria Actionis,paulo
pbft cognofcetur. Idem autcrh genere, opus efTe dicimus>huius hominis, &
huius virtute praditi hominis, quemadmodum Citha- redi & boni Citharedi.
Quod omninoita eft in omnibus, fiaccedat ad opus excellentia virtutis,
Citharedi enim eft cithara canere,boni bene canere.Quod fi ita fit,Homi nis
opus vita quanda ponemus , qux nihil aliud eft quam animi operatio,fiueationes
cum ratione: Boniautem vi- ri hxc eadem bene U praeclare edita . Atqui , fua
quicque h.i. Digiti zed by G00gle ii 4 ETHICORVM virtute bene pcrficitur : Qu#
fi ita habent, Hominis Bo- num,erit Adioanimi ex virtu te:aut fi plurcs
yirtutes finr, ex virtute optima pcrfe&ifsimaque. Mirandulano Verba ha?c
imioluta videntur &obfcura, mihi certe expIT cita planiffimaque. Hadenus
oftendit Ariftoteles,FoeIicitatem in a&ione qua? a ratione penderet,aut
faltem non fine ratione elfet,confiftere: nunc do- cet,Foelitatem, non
fimpliciter in adione a ratione pendente,fed in a&ione, rationis virtute
dircda & perfeda, collocatam efle. Quod vt commodius te- iieri
queatjexemplum artincum in medium affert. Q^emadmodum enim pi- ftorem aut
citharedum non propterea laudamus, aut perfedionem fuam ha- bere dicimus^quia
pingat,aut cithara canat>fed quia rede & artificiofe pin- gat &
canat (quod de vna arte didum,valet in reliquas omnes) ita adiones Hominis
quanuis a ratione proficifcantur , nifi proba? fint , perfedionem &
abfotutionem hominis non continebunt : quinimo reprehendi potius debe-
bunt.Rationem vero errare, & perfa?pe falli agendo , ideft, in vita &
mori- bus pofle,omnino patet.Proba? ergo adiones ex ratione fint,oportet.
At,quo- modo proba? reddentur,fi fua natura tales non fint ? Refpondet
Ariiloteles, Quidque fua virtute, ideft ,habitu quodam excellenti abfolui,
perficique. Sequitur itaque Foelicitatem nil aliud efle , quam Adioiiem animi a
ratione profedam,qua? quidem ratio fit informata virtute : & fi pi u res
fint virtutes, optima perrediffimaque. Ex quo liquet, quam inept e Mirandulanus
libro quadragefiraoEuerf. Sec. prima, contextum hunc argument quodanifuo Protei
fimili expofuerit . Sed perpendamus fingula. ( Idem autem genera); Ac fi
diceret,Si fimpliciter afleramus Foelicitatem in adione a ratione pro- feda,fitam
efle , necefle ertt fateri , quencunque hominem quolibet modo a- gentem ex
ratione, ideft, ratione vel virtute confirraata veldeprauata,aut cafu vel
vtilitatis propria? gratia foelicem effe :genere nan que idem eft o- pusjfiue
adio eademiagit nanque tarn qui male quam qui bene agit. (Si acce- dat ad opus
excellentia virtutis) , Et paulopoft . ( Atqui fua quicque virtute
beneperficitur )Virtutis nomen,fi vniuerfe accipiatur,fignificat id quod be- ne
aftedum reddit id cuius eft virtus,& aptum idoneumque ad benefuum
munuspra?ftandum teftandeid Ariftotele fecundo Ethicorum capite fex- to ,:.
Quemadmodum virtus oculi,dicitur vis ilia qua oculus bene habet , be- ncque
& libcre fuo cernendi munere fbngitur. Et virtutem Equi illam did- . mus ,
quaEquusbene afficitur,& ad curfum,equiternque vehendum, necnon ad impetum
aduentantis & occurrentis hoftis fuftinendum , habilts idoneuf- que
redditur.Ergo cum ad omnem adionemhumanam,tam Appetitus cofen tie;ndo,quam
Ratio mandando con cur rat, Mens qu verifsime rationis parti ceps effe
dicitur,imo ipfamet ratio eft , fua quada virtute hoc adipifcetur,vt bene
fuadere & imperare pofsit & nunquam labatur aut erret fuadendo,tm~
perandoue: Appetitus item fua quadam viruue id fibi comparator, vtopti- . m* ,
Digiti zed by G00gle LIBER I. tif me fuum munus expleat,ideft,imperata rationis
prompte faciat. Virtus fpc- ciatim accepta , & qua? Rationi hue Menti ad
agendum conuerfa? conuenit, quagnam eft ? Refpondeo, Prudentiam efle. Hagcenim
ilia virtus eft qua? in Mente veluti in arce fedens, clamat,imperatque :de qua
in fexto libro pluri- bus fumus a&uri. Appetitui vero,ea virtus
conuenit,qua? moralis dicitur, vt , iuftiti^liberalita$,atia?quefimiles. Sunt
autem virtutes har.appetitus,nil a- liud,quamveftigia Mentis aut prudential in
Appctitu impreffa,idcirc6que partes prudentia? nuncupari folent , non quod
reuera fint illius partes:(pru- dentia nanque in mente refidet, virtus moralis
in Appetitu: )fed quoniam fi- ne prudentia nulla virtus exiftit,vt Plato in
Memnone docet . Nam fi temere^ aliquidiufte a&um fit ,nonxontinu6 iufti
fumus, fed illud requiritur, vt confilium captum fit , 8c formula? honefti
Teruentur , qua? niunera,prudentia folaexequitur.Qua ratione autem contra dici
foleat, prudentiam egere vir- tutibus moralibus,alibi copiofius exEuftfatio
declarabimus : qunc illud tan- turn dicaraus, Quia virtutes
pra?fentesprohibent,ne affe&iones vehemen- tes excitentur,quibus , Mens
perturbata 8c ca?cata,prudens in fine deligendo effenequeat. Vident auari
Homines , pauperes multos & pios,caritate anno- na? impediri,ne in
EcclefiaDei manere,ne muneraChriftianaexequi,ne filios 8c vxorem alere pofsint
3 nulla tamen in ipfis oritur mifer kordia , ob auari- ri am: Quod fi
fibefalitas adelfet, finem optimum rationi proponeret , nempe benefaciendt , de
quo deinceps Mens prudenter confultaret. Colligatur ex hoc loco caufa, qua, Qm
vnam virtutem perfe&am pofsidet , omnes pofsi- deat:Namnon eft abfoluta
virtus fine prudentia:Non eft prudentia vbi non optima adfit deliberation
appetitus rationi obedicns. qua? duo quihabet, omnes virtutes habeat necefle
eft. Hare fient planiora, cum vim & naturam prudentia? in fexto libro
expendemus : nunc vero ^ttingi omnino debue- runt,vt vis illius
vocisAriftolica^nertipe ctpg7v>plane (lognbfeeretur . Porro quomodo Virtus
fiue habitus ifti, quibus bene afficitu* Mens & Appetitus,
acquirantur,partim quide alibi fignificauimus^pofterius tamen &in fecundo
huiustra&ationisvoiumifte,il!emque fexto copiofius declarabimus. ( Qua? fi
itahabent Hominis Bonum , dec.) Addefi placet htiic definitioni ,fupe-
riorera,vt ex duabus vna integram quafi abfolutifsimam habeas:Hoc modo.
FOELICtTAS EST BONVM PERFECTVM, qvOD SATIS EST HOMI- NI , ET AB EO vbTIS
OMNIBVS EXOPfANDVM, PENDENS A RECTE PR VD ENTER CLVE FACT I S. ( Aut fi ptureS
viltUteS.) Omnes virtutes requiruntur in ffoclicitate , tarn pra?ftaritifsima?
, quam alia? minus pra?ftantes : fed fgnobiliores ad tarn qua? mdior &
pra?itan- tior eft,referuntur. Proindeque Ariftoteles , qui tolet definiendo,
res quira jnaxime poteftln anguftum concludere , cum definit Foelicitatem ,
pra?- ftantifsima? tantum nobilifsima?que virtutis meminiffe voluit: Vt in
eiufdem etiam foelicitatisdefinitione , decimoEthicorura, capite o&auo
expofita. Concludatur tandem a nobis , plaiiioris do&rina? gratia , Eos qui
pruden- tiam fuerint afftquuti & Appetitum propriis illius virtutibus
ornauerint; h,ii. Digitized by VjOOQIC H* ETJMCORVM ornant,hanc foelicitatis
ciuilis compotem efli. Prudentiam nanque, &r vir- tutes Moral es,in hominum
communione ac focietate, non in folitudine,con fpici,fa?pe
inculcauimus:proindequejdlorumetiara propria? maxime efle vi demur qui Cmilia
negocia & R^rop.adniiniftrant. Et praeterea in vica perfe&a: vna enim
hirundo ver non cfficit ", nee dies vnus . Sic neque dies vnus neque
tempus exiguum,efficic hominem foelicem ac beatum, Vt locum hunc explicarent
interpretes^mirabi liter fe ad hunc vfque die torferunt.Epifcopus Mirandulaiius
hb.4o.fuarum Euerf.Sec.i. omniumfe- re fcribentium opiniones recenfet, eafque
demum vt non confentaneas con futatjfuam vero ipfe quandam proponit , qua? non
minus vana 8c incptaeft, quam aliapleraque abeo in ilia tradatione & alia
quadam defcripta > ef- le foleant . Ca?teriim quoniam inferius cap. 10.
Ariftoteles dehac re iterum &copiofius loquetunNos amputata in pra?fentia
mnltitudine fententiaruro, fimpliciter quid de Mente Phiiofophi fit hoc loco
fentiendum dicamus.Exi- git Ariftoteles,temporis diuturnitatem aliquam qua homo
fi foelix yere dici debeat,munera & adiones virtutum multas &frequentes
exequi pofsit. Ne- que enim vnus dies,aut perbreue tempus,perfeda? vndique
& omnibus nu- meris abfoluta? foelicitati,cuius (imulachrum ha?c difputatio
vult exprirae- re,fatis eft : Quemadmodura etiam,vt eft in prouerbio, neque vna
hirundo, neque dies y nus,ver facit. Vt enim vita humana,fi perfeda f utura
fitter cer tumfpacium temporis perdurare debet $ic horainisadio perfeda , certo
fpacio temporis & longitudine quadam , comprehendetur : (In vita per-
feda). Vita? nomine , inquit Mirand . intelligjfc Tempus longum, perfe- da
autem vita eft,qua? omni copia bonorum aftluat . Ego vero dico vtrum- que horum
vocabulorum improprie 8c otAo>or a Mirandulano explicari:Vo- cabulum nanque teA^ad vocem Q'nh non ad aliud
refpicit , vt liquet ex ver- bis
cap.io.qua?itafcriptaluntur: Neque enimde foelicitate facile quis detrudetur,nec a leuibus intortuniis 3 fed a
grauibus 8c magnis. Ex eiufmodi etiam
non fiet iterum beatus paruo tempore,ied fi modo id licet, id in multo ,,
quodam atque perfedo tempore fiet.Pra?terea fi Ariftoteles per t*ao copia
bonorum fufficientem fignihcaret,in TouloKvyiarvixium turpiter definiendo incidiffet,cum eodem cap.dicat,Quid igitur
prohibet, Foelicera ilium homi nem efle
ftatuere,qui bonis externis fatis inftnidus,virtutis perfeda? adio~ nes 8c munera edat,non quouis tempore,fed
ti\hov Cm \ Quare qua?cunque adhibet(adhibet autem multa)Mirandulanusadillam
fuam explicationem confirmandam, ita vana funt , vt mirer ab eo bona
confeientia (fi qua in E- pifcopis &rvndis DominiPapa? eft)potuifle proferri:Expendant
rogo qui e~ ius dodrina? funt addidi.Caeteriim Ariftoteles in i.magn.mor.
cap.f. Seip- fum interpretatur , quare ex eius verbis Veritas commodifsime
haurietur. i, Sunt autem verba,ha?c:Cum igitur fcelicitas fit bonum perfedum ac
finis,la tere nos non oportet^id in
a?tate perfeda eflemon enim in puero , quia puer dici foelix nequit, fed Yiro,is nanque
perfedus:& id non in tempore imper- " fedo Digiti zed by G00gle LIBER
t ' , 117 fedo fcd perfe&o:jp*rfe6Sum auitem tempus fiierit,quanditi homo
viuerc po- c tuerit : rede nanque a mains dicttur , faelicem in longifsimo
vita? tempore plura qua?rattMihifat efle illud volo,Nempe>yitam perfe 6tzm
dici artatem inregram,non puerilem, & anatem integram,qua? ad termi num
certum ac iuiti fpacii temporis,quod curriculum humane vita? ( quern- admodu
reiiquaru etia animantiu)a natura habuit,ex i.de ortu & int.57. per-
uenit.De, puerili anateeadem i.Eudem.cap. primo repetuntur : hoc loco for-
taflenonappofuit , quia 4am antea pluribus verbis dedarauerat,pueros A-
dolefcetulolque propter teneritudinem necno rerum ac vita? ignorationem,
nequecognofcenda? vehtati difciplina? politica?,neque ration ispra?cept is 8c
monitis fequendis,quod in illis nimis polleat appetitus,aptos efle. Et f
ortafle longius etiam refpicit Ariftoteles* cum ha?c protulitu Epicuri nanque
abliir- dam fententiam quodammodo confutare videtur, qui cum voluptatem pro
fummo bono perperam arriperet,pueros etiam copotes efle foelicitatis ita- mere
cogebatunnara fimulatque natus eft homo , voluptatem appetit ( quod etiam
reliquis animantibus commune eft) eaque gaudetrdolorem vero afper natur,eumque
a fe repellit quantum poteft.(Sic neque diesvnus). Qui breui tempore foelix
fuit,optime aliquando egifle potuit , aeque ac ille cui omnia fauftaatque ex
votovirtutis permultum tempus &vfque ad extremyme- tiam vitar diem
euenerunt: fit tamen vt produdione temporis 3 vita beata au- geatur.Diuturnitas
ab arternitate minus abeft, quare perfedionem includit: orane enim a?ternu
perfedu eft.Ite(vt aiut)breuis foelicitas vix percipi ac iu dicari poteft: Ad
hoc enim vt cognofcamus verane & folidam, no adumbrata f aelicitate
obtineamus,breue tempus non fat eft,non minimum aute ad foeli- ckate
pertinetjfoelice fe efle fentire. Accedit eo,qui fpaciu habet 5 plures,pul-
chriores, &pra?ftatiores adiones aggredi atq;exequi valere. Sed quaeret
ali- quis,nu iftaoperatio qua? foelicitas eft,quemadmodu diuturna^ira &
cotinua ra at'siduaque effedebeat? Refpondet Pontanus non ignobilis
&fatisele- gans noftra? atatis politicus 3 libro primo de prud.capite
vigefimo odauo , il- lam continuatam efle oportere 3 ideft>eum qui foelix
dicivult,fcientem,volen- tem,aclibentem,irihoneitts adionibus,virtutis gratia
&bene faciendi Au- dio continenter pofle verfari, ad eafque , vbique feque
cogitationefque & curas accompdareocorporis ac fortunf bonis vti , atque vt
femel dicam,pu blicis & priuatorumcommodis femper omnibus modis intendere :
Troloco tamen facultatequeac tempore,de qua rep ofterius
nonnihilArifioteles:qua- revtgefimofextdcapite, idem rede voluit , omnem quoque
ceflationem ab agendo voluntariam, turpem efle, nifi relaxationis &
reparandarum virium gratia fiat , ( quae tamen per breue tempus perduret ) vt
quafi exiguum tem- pus dormientes,& a laboribus ceflantes, cum recentiori
vigore & robore,ad agendum regredi valeamus . Huius ergo negotiations
humana? politicaeque nullus fini$,milluiiu>cium efle debet,nifi cum Ciuitate
hac amifla,in aliam id- eft coeieftem Hie'rufalem adfcifci debemus : tunc enim
coeli , ideft domus & fundi noftli(vt Anaxagoras xnquit ) habitatores fadi
3 mortalia ha?c nequc cu- h.iii. Digiti zed by G00gle ul ETHICQRVM rare aut
eernere > v^l vlla ratione percipere , multoqtie minus iis prodefie amplius
poflumus.Sed opponet adhuc aliquts, Adio, & virtus quae in Adio . ne
confiltit,vt in pra?fatione libri condufum eft,non verfatur in externama
teria,fed in ipfius agentis bono, & perfedione * Quomodo itaque virtutis 8c
foelicitatis human* vis in eo vertetur > vt amicis,ciuibus , iis quos
araaimis, Reipublicaeque fubueniat!Certe hoc modo nullum inter ipfam 8c
Effedio- nem difcrimen intercedere videtur , fiquidem externum quippiam,hominu
videlicet falutem 8c conferuationem ha?c,vt illa,lignum videlicet > marmor
aut a?s fibi propofitum habet.Refpondere oportet,Hominem ea ratione qua homo
eft,fociabilem efle &ciuem raundanum,ideft partem human* comrau nitatis .
Ex quo fi hominum generi confulat/i ciuili focietati opem feratjfi-
biipficonfulit,fequeipfumiuuat,ideftfuum ipfius bonum perfedioneraq> . fibi
comparat.Effedionis vero opus,homini non qua homo eit,conuenit,fed qua talis
homo:verbi gratia,faber,pidor,a?dificator.Ergo in Adione meri- to bonum ipfius
hominis agentis non externum quid,qua?ri dicitur, quanuis - ex ea,aliorum
quoque vtilitas exoriatur . Quo in loco placet annotare , non omnino pro graui
&congruenti fententia illam Seneca? habendam efle, quit inquit, Velutt in
tempeftate qui enatare volunt,nudi enatant, ita ex hac vita tepeftuofa no
enatabit quifpia nijfi n. gotiis vacuus. Qualis enim vita eft fine negociis?Cur
non potius inquit, veluti in $ peftate qui enajtare volunt, nudi 8c vacui ab
omni onere efle volent.vt bene natunt , ita ex hac vita negociis plena non bene
aut fgeliciter enatabit quifpiam, nifi a cupiditatibus proprii
commodi,ca?terisqueafFedionibusexplicitus.Caeterura iara vndequaque abfolutam
definitional! foelicitatis nobis colli gere licet , vt ea videlicet fit: Bonum
perfedum, quod fatis eft homini propter fe tantiim exoptandum* _ (>endens a
rede prudenterque fadis in vitaperfeda.Scaliger adiuas fubti- . itates hoc
etiam loco fe conuertit, fed nos conuertamus fermonem ad foli- dipra quardam 3
qua?que non ita facile frangi queant , Foelieius non eft acHo ex virtute vt
Ariftoteles dicerevidetur 3 & nos hadenus affirmare vifi fumus: fed ab adione
ex virtute pendetlmo in foelicitate,&tranquillitas & ocium quoddam
Mentis eft . Sit ergoexpletio potius & fuauitas quaedam Mentis percipientis
rede fe atque ex virtute agere,in qua perceptione perfedio hu mana? natura?
exiftit. Alias diximus,Foelicitatis notionem,notioni Volupta- tis( voluptatis
inquam vera? ) coniundifsimam effe : Quapropter vix ac ne vixquidem vita Dei
immor talis vfquequaquefoelix atque beata ftatui po- teft,vt certe debet-.quin
illam fimul maximis atque infinitis voluptatibus co fertifsima efle : mente
concipiamus.Quid plus fecura fqelicitas atterat*quam voluptas antea diximus .
Hanc abfolutionem expletionemque,qua? ex rede fadis menti accidit, Ariftoteles
9 vt poftea liquebit,nomine Summi boni,fuflfi cientis,per fe tantiim
expetendi,fignificauit. Ex hisprimo colligo, omnibus modis eos erraffe qui
dixerunt Foelicitatis genus efle in Categoria Adionis. fecundo,noftrates
quofdam redius annetaffe, Definitionem illam qua? cau- fam affert,qua?que
principium Demon ft rationis a Grarcis dicitur,nunquam fere quura definitionis
modo profertur,per fe line altera fumi fpiere. Vjjt e?- nijn Digiti zed by
G00gle LIBER I, n$ aim dices vnqua,Eclipfis eft interiedio terra? 3 fed
priuatio luminis cb inter- iedam terrain: Cuiannotationi praterquamquod fauentlocacap.
&. 9.10. fec.poft.& multa alia , aftipulan quoque videtur Ariftoteles ,
quum in fee. pofter.aulyt.cap ao.dennitionem illam qua? caufam
affert,qua?queprinci- 1>ium demonftrationis aGracis
vocatar,abcadiftinguerenoluent,quae fo- o cafu a demonftratione differt .
Tertio verifsimura illud effe , nil diuiniu* autfuauiushominipoffeaccidere
,quam habere abundanter vtquam plu- rimis pofsit benefacere , vitamque oranem
in benefaciendo exercere: Hoc ipfo nil fere raaius habet Deus,atque ex hoc ipfo
foelicitas. Vnde Plato in quarto deleg.monet,Hominemillum,qui iis bonis
abundans qua? in alios quoque transfundi pofTunt,horoinilibenter benigne facit
, tanquam fummu virum honorandum effe. Quarto,in Sene maiorera quam in
Adolefcente aut famine confiftentis a?tatis,oelicitatem effe,Senex enim iam
quafi fecura foe licitate ex fuis rede fadis &filiorum,eorumque
quo&amat profperitate frui tur.Iunforveroheatitudinem fuamtelis for tuna?
magis expolkam habets Neque enim aliquod momentum aduerfus nos habet quod Cardanus
oppo- nit lib.i,de general, vita? inftit.Seneduti nempe proximam effe
mortem,fen fus hebetes Janguidas vires,cum Ariftoteles dicat,Foelicitatem effe
non in in nita,fed in per feda vita . An verb aliquis hoc modo f oelix effe
pofsit , po- fteadicemus. Atquehoc quide iflodo, fummu bonudefcriptu fic.Pri mu
enimfortafleadumbrandu fuit,pofteaveiddepingen re&e beneq; percipiat-.Huius
incrementi atq; accefsio nis,qua? amplifications & propagations omnium
Artium caufa tuit , auto- rem atq; adiutorem Tempus effe dicit,quod qui addit
auge tq*, logius habuif fe dicitur,quam qui inuenit.Nam qui addidit iis qua? ab
aliis inuenta funt,fi bique optime nota,non modo fuum vita? curriculum egiffe
dicitur,verum e- tiam illius qui inuenit , quatenus inuenta ilia prius optime
ipfum tenere oportuerit , quam augere potuerit : Citius autcip rede dilcimus
alie- na, quam rede uiuenimus noftra. (Primumenimfortaffeadumbrandum filtt ) .
Quid Qt wnrnrrZaoA antea diximus > cui opponitur ha,y^St % h.iiiu f^ t
Digitized by V^rOOQLC x u> ETlHICOHVM r &^*)a>V,&//tfp^pSOTt/ ,
ideft depingere,dilatare 3 4iAingucpe ,- Depingi- turautem,dilatatur, atque in
fuaquaii membra i> footque articiilos diftin- guitur propofita foelicitatis
detineatio defcoitioque inlibrU fequcoti- bus, in quibus fpeciatira magis.
& clarius Foelicitatis partes principiaque cxplicamur : idcirco initio
capitis decimi tertii huiuslibri, in nunc modum cc loquutus eft : Quoniam autem
Beatitudo eft a&io quxdam animi fecundum
virtutem perfettam , de virtute ipfa dicendum eft : Hoc enira modo
fortafle, c de Beatitudine melius drfpiciemus.Quamquam & ea quoque omnia
qua? in- ter decimum tertium caput & hoc nonrum interie&a funt , quibus
declara- turcopiofius 3 curFoelicitasdicaturaftio 3 cur& quomodo fecundum
virtu- tem,qua rati one acquiratur , vt fit inviuperfepflt9ireffe?Eft
vtraqueallataFoelicitatisdefinitlo ita perfeda, vt nulla certe in hoc genere
perfe&ior dari pofsit.(Cuiufuis atir- tem hominis).Nulla apparet ratio
huius interpofitionis de inuentione & in- cremeto Artium,nifi eandem
fumas,qua fub finem Elenchorum idem propo- nit,vt agnofcamus videlicet
,quantailli gratia (it habenda, qui Artium princi piainuenit.Quamuis enim,ipfum
primo inuentum & inchoatum, opus rude 5cimperfedumfit,magnitudineque
minimum: przftat tamen quibufuisac- cefsipnibus ad ilium induftria &
laboribus hominum poftea fa&is , quum & difficillimu fit , &
ooteftate omnia in feipfo contineat 3 tandeque nifi inuentii omnino
fuiflet,nullum quoq, incrementum,nulla extitiflet accefsio. Confu- latur ille
locus: inquode Artium omnium inuentione & progreffu ac de hifce etiam
politicis copiofior fermo habetijr. ( Atquehuiufmodi rerum in- uentor ).Tempus
nullam habet efficientiam,fed induftria hominum,fucceden , tium
morum,ingeniorumque permutatio,in temporum loAgitudine, artatum .. que &
feculorum vicifsitudine , veterum inuenta in artibus minus elabo- rata perfecit
, & quad inchoatis operibus adueniens,faftigiuta imponere voluit. Porro ea
meminifle nos oportet , quae fuperius di&a funt,fubtilitatem videlicet
illam enucleatam, non pcr- aequc in omnibus efle requirendam > fed in
vnaquaque re, pro materia fubietee rationed vfqtie eo,quoad Do&rinas natura
patiatur; Nam Faber 8c Geometra, non eodem modore&um anguluin exquirunt,
Sedillequatenusope- rivfuieft:Hic autem^quidnam {it,&qualisinquirit,nam
veritatis eft contemplator Eodemque modo
in ceteris , omnibus faciendum pft ,'ne opening appendices exi- - - ftanfc
Digiti zed by G00gle LI BE R X I tsti ftant opcribus ipfis longiores. Excufatio
hec tertio repet ita,explicationerh amplius non defiderat:oc~ cafio repetition
is a magnitudine opens Tumi tur, quod poflea Ariftoteles ag-
grefl'unjseftjFoclicitatis videlicet planiore exa&ioreque explication fub-
fcquutura.Qn2P de Geometra & Fabro adduntur , obfciiriora funt , ideoque
imerpretationealiqua egent.Platonem hifce fopius repetitisexcufatiombus ab
Ariftoteleperftringi nondubiumeft^quide repiiolica fcribens non coq- fentaneas
propofito hypothefes conftituit , politicumque horhinem pnnci- piorum
alieniorum a fuo munere contemplatorem efle vult. Debet enini Ar tifex, vt
AUerroes ait 3 earn fidem fuae art is exquirere 3 qua? fuo propofito fit .
aclomodata.Quare politicus quoq; no indagandis priricipiis quibufdam al- *
tibribus , ad accuratam veri contemplationem pertinentibus verfabitur, fed ea
tantiinf exquiret, qua? ad bona & honefta,prout in hoc & illo homirie
funtj&fuba&ionem cadentia pertinent . Hac ratione Ariftoteles fuperius,
Ideam Platoniseo etiam nomine confutauit,quod cognitionem hominis magis quam
actionem perficeret , & ad Theoricum potius quam ad politic cum
pertineret.Quare egregicAuerroes hoc in loco in hanc fententiam^qua turn ex
deprauata translation fuorum verborum affequi poflum r loquutus eft :Et hac
eadcm ratione oportet,vt in reliquis omnibus rebus, non adhibea tut fpeculatio
ilia inquifitioque veritatis , qua? ad ea fpe&at, qua; fub actio- nem aut
fub efledionem non cadunt:ea nanque ad opus noftrum operandunv nihil conduceret
.Non magis ergo politicus fpeculationes iftas de verita-
teBoni&Vhoneftidefideraredebet 3 qtiamFabercognofcere cupiat triangu- lum
fimplictter,& quoad eft in fe. Atqui is cum artificem & effe&orem
acat, non contemplatorem, triangulum non per fequahYfit,& quid fit 5
qualefue habeat anguio$,inquirit,fed ipfum quatenus in hac & in ilia
materia,puta li- gnea vel lapidea ineft,quatenufq; fui operi inftituto
efficiedo,vfui eft,vel ad, dirigendam, erigendamue fuam fabricam
acc6modatum,contemplatur.C6 rra,Mathemdticus qui veritatis tantum gratia>non
vfus & operis efficiendi, triangulum confiderat>eius naturam &
qualitarem fimpliciter & per fe cb- gnofcere vult. Vnde re&ifsime &
appofite ex Platone & Ariftotele hoc lp#> Dodus quidamannotauit . Totam
rationem Ciuilis dodrina?,circunftantiis
perdi,quascompleftiexquifita&:perfefta fcientianonpoflurnus:Peritiam
folertiamque Ciuilem, confilium capere ex rebus ipfis inquas incidiuqua?
inftabiles non neceflaria? & fingulis momentis mutabiles funt, non legibus
: qua? femper valeant, non fcientia aut certis quibufdam praceptis & regu-
lis haberi pofle:in fumrna,quidfacere omnibus in rebus debeas,nunquarn ad difci
licere.Ex hoc item loco colligi poteft,Eandem rem fubie&arn a duobus
artificibus traj&ari quidem poffe , non tamen eodemmodo: liquet id etiam -
ex i.phy.in exemplo Phyfiologici Mathematical que.Idcircoque poOeriores non
Forrhale : vocant autem Formale 5 Subiec"him cum fua forma , ideft
mbdoconfiderandi : peculiari:Nos alibi oftendimus fubiectum fcientiarurn -
improprie niittcmlcmtocaji:ca?teraadinittimus. Sec undo anno tan dum ex .-. Digiti zed by G00gle ++i -
***** m ETHIC OR VM Ariftotelis fentcntia 3 operis refpedum,id arris proprium
efficere , quod an- tea fcientia? crat . Annotandum tertio, raulta effe poffe
pnncipia ex icientiis fumpta maiorera partem necefTaria , qua? taracn operi
applicata, refpe qua? tamen ad imagines ipias nihil faciunt 3 vt mu(cas ,
ventos aftra,C3plum > flores,arbores & finiilia:ifta ,
inquamomnia^^p^funt , %pyof vero imago qua? depingitur. Abhis alienis
traaationibus abitinere debet phi lofophus,&propofitastantum res, propria
fibi atque peculiari tra&atione perfequi.Difcant hinc mterpretes quoque
munus fuum , ne a re&a interpre- tandi ratione vfquam aberrent . Capterum
particula ilia li pAoAt? , non bene hie vertitur a Lambino (pace tarn eruditi
homints hoc di&um fit ) Docend i via ac rario.De hac ipfa nanq*, docendi
via ac ratione hoc in loco,etiam quae ritur,atque ftatuitur illam pro natura
methodi, ideft rei pro pofita?,adhibea- dam effe. Ncque vero in omnibus caufa
flagitanda eft , fed in qui- bufdam iatis effe debet , fi bene demonftratum
fit,rem ita efle,quemadmodum in principiis, Primum autem & prin
cipiumeft,remitaeffe.Principiorum porroaliaindudio-
nepercipiuntu^nonnullafenfu, qusedam conibctudine aliqua,aliaaliter.Sunt autem
ea (ingulaita tratanda,que- admodum cuiufque natura patitur, dandaque opera
eft, vt bene definiantunMagnum enim momentum afferunt ad ea quae
fequutur.Qupcirca Principium plufquam dimi dium totius videtur,multaque in
quxftionc poiita , eo co- gnitoperfpicua fiunt. Non modo a fpeculationibus
fuperuacaneis abftinere debet Artifex,ve- rum etiam , id genus probations
fuarum propofitionum adhibere,quod res probanda patitur . Vt ( quod ad
propofitum noftrura attmet)probationes
qua?percaufamreiefFiciuntur,nonconueniunt priacipiis: noncnimipfa caufamfe
priorem habentqua probari pofsint/i principiafmt. fat ergo e- rit ,fi ea
probemus quod fint, ideft non per caufam , fed per pofteriora, ideft per
argumentum ab effeiHs,& confeqiientibus /& omnino vel per indu&io-
ne,veFper rationes probabiles diale&icafque.Quaf e Artifici, non adeo labo
randumeftdeprincipiorum & definition um exa&a probationer velutide rite
confentaneeque lllis conftituendis &r ponendis.Permagni nanque inte-
reft>qua? in quaque arte principia ponatur,quod ipfis re&e.legitimeq
coftL- tutis,facilis be expeditus fit ad reliqua artis pracepta progreflus , cu
princi- Digitized by VjOOQ IC LIB EH I. n$ pio bene cogoito , quod plufquam
dimidium totius eft \ multa in quaHHone pofita enodari,& dubia tolli facile
pofsint.(Neque verb in omhibus),Prin-
cipia qualia Arift. i.-poft. analy. cont. 5. & i$.proponit, ideft
fcientiarum propria, vt pofitioMSjfuppofitiones^poftulaUjdefinitioneSjpoflunt a
doceft iealiquomodoftabiliri,vtanteadiximus,non tamen^iufraodi qui cauGna
afferat.Modus verb ifte ab Ariiiotele in cotextu, occultkquidem multiplex,
exprefle tamen triplex proponitur,Indudio,fenfus,confuetudo . Ca?terum hoc in
loco diligcnter illud primo quf r edum eft , de quibufnam principiis ftrmo habeatur.Secundb
quid lfta probationum genera, principiorum ref- pedu pofsint : De
primo>quanuis fuperius nonnulla dixerim , adhuc tamen in prcfentia dico,non
axiomata feu effata principiorum nomine fignificari, ifta fiquidcm per fe
notafunt,&(vt ait Themiftius i.poft.cap.f .) veluti co- munes quidam fenfus
fuapte natura in nobis orti,abfque docentis difcipli*- na,(ine quibus vel
qua?rere vel intelligere quicquam non poflumus : proin-
dequeTheophraftuseavocabat axiomata, quail perfuafiones qua? dam ef-
fent.Nonnulla Auerrois verba in i.poft.com.ijL.extant,qua? cumThemiftio
repugnare videntur 3 fed intelligeti omnia ad explicandu facilia funt. EfFato
rum genera duo habentur ex Ariftotele,vnum communifsimum in quo for- rafle ilia
duo folaponenda fuht: Non contineit idem fimulefle &nonefle* De quolibet eft
vera afHrmatio vel negatio. Alterum
commune,vt Qija? funt , a?qualia vni tert io,& inter ft funt a? qualia. Si
ab arqualibus xqualia demas, . qua? remanent funt a? qualia. Quo in loco
annotare placet , quod animaduer- tit etiam clarifsimus & chanfsimus
preceptor meus BernardinusThomi- tanus,Diale&icorum omnium noftri temporis
abfquevlla controuerfia prin ceps.dccipi videlicet eos vt 3 Zim. The0r.j3.qui
tertium genus Effatoru in- troducunt,quod vocant
fuppofitionunrpetitionumque Quamuis enim
Ef- fata propria dici pofsint,communia fcientiis accomodata,v tverbi gratia il
? luddequomentiofiti.poft. i4.Siaba?qualibus numeric aequales numerosv
demas,numcri qui remanent aequales funt: aut etiam propofitiones ipfaeim- -
roediata? aitu conftituentesdemonftrationem, tamen fuppofitio & petitio
nuquam propria Dignitas aut proprium Axioma dici debet, cum diferte ab
Anr,dignitates a&ippofitionibus femper,vbi mentio de illis fit , feiungan-
tur.Sed redeoad rem:Nomine principioriim hoc in loco fuppofitiones , de-
nitiones,& poftulatafcientiaru defignantr.Haec Gquidemcum minus no-
tafint^proban aliqualeui,&vtGra?ci dicunt,confoIante probatione pqf-
funt>ad confirmandum potius ftabiliendumque quam ad olicndendum:item hahito
potius ad negantem , quam ad rem ipfam refpe:quap quamuis principia no ^
funt,}iabentur tamen pro principiis, cum fint immediate fenfui;dequibus ,
Them.primapoft.capk.^.&;5dicere videtur . Exemplumerit.Nix
eflqi!rat!oneegete,n6nfe^ ra i ftitifmodi a Difputatione Dialedicaexplodat^aon
tameaJTeqijirur,princi- pia aliquot in fcientiis,iiopus fit,probari fertfu
nequaquam poife;Confuetu- dims vero vocabalo defignac Experieatiam , dicit
Auerroes , qua? magnam vim habet in cognitione principioruro , ex fecundo
poft.cont. vlt. & primo deortu & int.cont.feptimo,vbi
repra?henditurPlato,qui in phyficis ob expe rientia? inopiam > etiara in iis
quae feipfis perfpicua erat, deceptus eft. Item 6.
Ethico.cap.9,docemur,puerospofle quidem Mathematicos effici,nonpru- dentes,quod
vfu & experientia careat. Cnerum an Auerroes hoc in loco re #eloquutusfit,paul6 infer ius dicam.
Addit Zimara loco citato jGohfuetudi- ois nomine , idetiam defignari pofftt 5
de quo Arift . loquutus eft z. metaphy. decimo quarto,quod cur Tomitano placere
non debuerit,caufarrt non perci- pio. Elto nanqueibi Ariftotelem devia quadam
probation is falfa refpe&u puerilium fabularum loqui , non tamen eadem
confuetudo primo libro decoelo 5 nonfemel in medium allata ,probatio falfa dici
debebit . Sed tri- plex hie oritur qua?ftio,quarum certe nulla non diflbluenda
eft,paucis tame, flrproutdo&rina nobis in praefentiarum propofita,poftulat
. Prior eft, cur principia qua? vocauimus petitiones, fuppoiitiones &
definitiones>non adeo nobis fin t not a vt axiomata? Altera, quomodo axiomata
in nobis a natu ra eflfe dicantur, notifsimaq^quu Ariftoteles principia omnia
ex fenfu oriri, aim in quamplurimis locis,praefertim vero primo de part. an.
capite quin- to teftetur,& nos nifi ilia ab aliis prius accipiamus , anirao
nulla effata tene- re videamur? Tertia,quia tarn Indudio,quam Experientia aut
Confuetudo ex iis qua? fenfu percepta funt,progredi videntur , cur ergo Aril
loteles hoc in loco voluit,tria i taorgana feiungereSAd primam 3 dico
quicquiddici fe- re hoc loco debet,& poteft : Vniuerfalia nepe notiora effe
minus vniuerfali buSjAtaer.inproaemioprimiphyficorumex Ariftotele primo
phyficorum: Nam totum fuis partibus notius eft: Atqui principia ifta propria
fcietia nm, fuht veluti partes:Effata verototum,& vniuerfalia. Ad fecundam
refpodeo, Axiomata eatenus in nobis a natura ineflfe dici , quatenus mtnimo
negocio tllis auditis fidempr.Tftarefolemus,acfiill nobifcumaflFerremus(altius
lo- Sfueretur Themiftius tertio dean, capite trigefimo fecundo.)Vere autem af-
erri a nobis dicuntur,ciim prim6,fenfu a nobis effent aequtfita,quamquam non
recordemur tempus quo illas coparauerimus,valde enim pueri illas adi pifcimur,
Auer. primo pofteriorum.commentariorjt. Tertiam itaexplico, omnia quidem
principia cuiufuis fcientixex ferifu hauftaefle, & fenfu item probaripoffe,
non tamen omnia eodem modo , fed alia celerius, alia tardius.quodfentiens
Ariftoteles,inquit,prinfipiorumqua?dam fenfu pro- bari quardamindu&ione,
ideft quardam vno tantum aut altero ad fum num, fingulari propofito
ftabiliuntur , qua?dam vero induftione egent > ideft plu- rtbus fingularibus
addu&is, ex quibus indu&io coriftat, Confuetudine vem probare , non eft
omnino fenfu probare , fed aliquid angiiftius: Nittem enim albameffe fenfu
iudico, non confuetudine :Confuetudovero quam Digiti zed by G00gle LIBE>R I.
it* quam maxime in moralibus praceptis locum habet, qu quauis animo vera
effecomprehendamus,nontamenitatijneaexequi poflumusjnifi confuetu-
doexercitatioqueaccedat: Neque eft idem omninoAfluetudo quod Expo- nent ia :
Experimur enim in pluribus fipgularibus aliquid, vt cognofcamus id verum elle
in omnibus, & difcamus quod nobis dubium erat , vt Gal. te-
ftatur.i.part.aphor.com,p.poftquam enim vidimus rhabarbaru Socrati exhi bi turn
purgafle bilem,tamen quia fieri poffet,vt iftiufmodi effe&u ab aliqua alia
caufapenderet,nondumcogni turn atque perfpe&um habemus,omnem rhabarbarum
purgare bilemiexhibemus ergo rhabarba^um multis aliis indi uiduis^vt rem ita
efle difcamus,& earn nobis notitiam coparemus,qua antea deft ituebamur.
AfTuetudo vero in moralibus potifsimum obtinet , in quihus non vt ea addifcamus
tanqua dubia,afluefcere volumus,fed vt in nobis inge nerentur habitus
virtutura,quos pofsidentes,deinceps libere atque expedi- te agere ex virtute
valeamus,vt,puta,oblatas omnes voluptates fine vlla cun ftatione atque audenter
repudiando temperantes efficiamur. Item,Efto ali- quis qui afluefcat Elleborum
comedere , primum tantum huius , deinde il- liu$ tantundem aut etiam plus
comedet,non vt difcat Elleborum cum fua na tura pugnare, hoc nanque illi fat
notum eft , fed vt confuetudine ilia come- dejidi>habitum quendam contrahat,
quern habens,poftea cum libuerit,& o- pus f uerit,quantumuis Elkbori
abfquevllo fua? vita? diftrimine comedere pofsit: Vnde etiam patet,Experientiam
magis ad fcientiam atque ipfum vni uerfale colligendum^quod pr incipium
fcientia? eft , tenderer Arift. i . meta- phy.cap.p.& i.poft.cap. vlt.
Afluetudinem vero opus refpiceretde qua ver- ba Arift.cum multis in locis turn
etiam.r8.Sec. probl. p. & hoc etiam in loco, quicquidAuerroes dixerit ,
proprie intelligendafunt. (Primum autem& principium eft,rem ita efle. )Idem
fuperius cap.4. Trincipia autem fcientia? alicuius ponere tamquam vera,eft
principium in fcientia ilia: vnde Arift.p. phy .cont. 11. antequam Parmenidis &
Meliffi fententiam de rerum natura? 5rincipiis cof utaret, aut ipfe fua
exponeret,ita loquutus eft,j^uK $ arua fiat facilitate tamen &vi optima
&maxima Cunt: Multa qua? hoc modo ehabent,cognofcimu$,inquit Alexander,!,
elen. Tub finem:Fici granum et- fi minima mole conftet , facilitate tamen &
viribus maximum eft , fi quidem ex ipfo Ficus arbor tantx magnitudinis ,
truncus * rami, folia, furculio- riuntur. CAP, VIIL De beacitudine autcm
videndum eft nonlolum ex conclufione , & ex quibus ratio conftat , fed ex
lis e- tiam qua: dc ea feruntur . Nam cum vero congruunc omnia , qux in re vcrc
infunt, a falfo autem cito ve- rum difcrepat . Cum icaque bona in tria genera diuifa fint,aliaque
bona externa, alia animi , alia corporis dican- tur, animi bona imprimis 8c
maxime proprie bona dici* mus. Adiones autem &c encrg"'as ab animo
prodeuntes, in animo collocamus.Quare ex hac fententia vetere, & v- no ore
a Philofophis comprobata , rede hoc a nobis dici- tur.Et rete etiam dicicur,
a&iones & enei g*as nonnullas, ipiius finis rationem & vicem
obtinerc . SiC enim efficitur vt bcatitudo in animi bonis , non in externis numerctur.
Cum hac ratione congruit etiam illud,Beacum hominem bene viuere,&: bene
agcre.NamBeatitudo fere nihil aliud eft,quamvitaquxdam bona,bonaquererum
a&io. Foelicitatis Definitionem adumbratam , illuftrioribus coloribus
&pi- gmentis,ixflt>^r oportet,vt eius imago magis exprimatur. Verum id
non itatim & vnico lineamentorum coloratorum dudu,fed paulatim & per
gra- dus,ad viuam Foelicitatis fpeciem depingendam (vt in perfetfa etiam
pi&u- ra efficilblet) procedendum eft . Secundam igitur manum huic piftura?
ad- mouet Ariftoteles cap.hoc odauo & 9. 10. 11. 12.. Extremam,librls
fequenti- bus impofiturus. Sumit autem primo loco inmanus,quafi caput huiusima-
ginis,ideft,Definitionis Foelicitatis quod eftA&io animi,atque id non modo
rat ion i bus & earum condufionibus,fed etiam communibus vulgi populari-
bufque fententiis confentientibus,expolire confirmareque vult. Veteres,in-
quictriplicembonorum ordinemcooiluuerunt : Alia externa, alia animi, alia
Digiti zed by G00gle LIBJER 1. ijj a lia corporis : Atquicumhorainis naturaex
duabus prarcipue partibus con~ ftct>anima & corpore>nullus dubitauit
vnquam,Aniraa ilia effe qua? pM?ftet> cum corpus pro materia anima?,vt
forma? fubfternatur,&ipfa anima fit quae Era?eft imperatque Ex quo, veluti
dicebat Ariftoteles eitremo ad Eudemum bro,itafe corpus ad animum,yt feruum ad
herum, atque inftrumentum ad antfkem habercitemque in politicis, animantis
magis effe partem animanij quam corpus:ita nobis colligere licet , corpus
hominis,partem viliorem at- aue ignobiliorem eife:vnde fequitur,borfa etiam
animi,bonis corporis pta?- ftare,quemadmodum etiam fuprade bono quod in
fubftantia elt,refpeltu eius quod eft in Accidentibus dicebatur. Atqui
A&iones ab anixno prodeun- tes,animi bona effe dicimus:quarum qua?dam cum
fines fint ,vt recte etiama nobis ex eorundemVeterum fententia didu eft,merito
& confentanee dictis veterum,foelicitas qua? a&io animieft,& ex
carum genere qua? fines funt,bo nis animi non corporis,a nobis adnumerata fuit
. Quod ftabilit ur etiam per- uulgato illo loquendi genere, cum nempe vulgo dicitur
, nil aliud Foeliciti- tem effe quam i^aiaM quandam & et^pa^/cusideit
bonnarum a&ionum con- iundiontra quandam congregationeque.Non me latet,
hanc noftram expli- cationem , ab aliorum interpretationibus effe diuerfam ,
quorum nonnulli duas,aliitres Ariftotelis nefcio quas rationes,hydram multorum
capitum re ferentes,ex verbis huius cotextus tamevi illis ill at a excerpere
atq; introduce re voluiffe:verum fi acute propofitumPhilofophi expendere,&
verba intueri voluerimus,hanc vnam quam nos attulimus interpretationem certe
retine- bimus.Sed planior ilia reddetur ,fi fingula perpendamus. (No folum ex
con- dufione),ide(t ration ibus quibus aliquid concluditur quocunque modo,vel
per caufam videlicet , vej per effe&a fimilia confequenriaque . Harum qua-
tuor genera furK,Syllogifmus,Entymema ,iIndu&io, Exemplumipro qua re
confule Alex. p.Top.cap.p.Porro de Foelicitate multa Ariftotelem probaffe ex
conclufionibus,ex cap.7,cognofci poteft , Et ex iis qua? infra, imo in reli-
;|uis omnibus! huius tra&ationis libris adducet. ( Sed ex iis etiam qua? de
ea cruntur),ideft,ex confenfu eorum,qua? vulgo de Foelicitate dici folent. Ani
roaduertatur autem hoc loco , rationes probandi a confenfu hominum fum- ptas
probabiles & Diale&icas nuncupari,vt primo Topico dicitur: Dialecti-
cs? vero huiufmodi rationes,modo ante,mod6pofl demonftrantes abArifto-
teieadduci folent, aliquando etiam folitaria?proponuntur*:Caufa huiufce diuerfi
progreffus,elicttur ex diuerfaoccafione illarum rat ion urn adducenda rum.vna
eft,ad excitandam vim ingenil & facilius inueniendam veritatem, 1
Arift.p.Top.cap.x. Auerr. p. coeli. com. 8. Altera confirmandi 6V ftabiliendi
alicuiusconcluii gratia, Auer.8.phy.ii. Tertia,ob inopiam verarum demon-
ftrationum,Auer.p.de an.^.&p.coeli.com.j. Cum igitur rationes Dialedi-
caeexcitare volunt. ingenia,pra?mittuntur:cumvero ftabilireijpoftponun- tur:
Cum tandem demonftratione vti non poffumus,vt in probandis.prin- cipiis , ilja?
folitaria? adhibentur: Qnod fi& excitare ingenium ad faci- lius inueftigandam
veritatem rei alicuius dubia?volumus,& vna inuen- tam veritatem >
demonflratamque flabilire 7 non modo ante fed poll Digiti zed by G00gle tiS
ETHICORVM etiam rationes propriasJDiale&ica? poni folent . Hos omnls
progredie nyrfe^i percipiat eoquofe habetmodo^ita Veritas orationis in
hoc)cernitur,Yt rem referat no alio quaty fe habeat mo- do. Huius fimilitudinis
caufa Efficiens eft Mens intelligens , ipfa nanque* eft qua? componit &
efncitrvnde dici etiara folet , Entia diuina refpe&u ih- telle&us
noltri a quo percipi nequeunt,prout funt , fuam propriam verita- tem non
obtinere,nequeenim Mens noftravllam in iisiimilitudinem gi- gnere aut efficere
poteft. Venim Res quoque ipfa pro caufa Efflciente po- teft haberi , qua^nus
kes ipfa eft, quae; fui notionem inMente effingit& format : Quapropter
Ariftbteles in Categories dicebat Rem effe wax aunov, quafi non fit abfoUite
&fimplicitercauia. Eft etiam Res norma quadiiu- dicamus anoratiovera fit
mam fi rem referat vt eft , vera cenfenda erit: fi non vt eft , falia.Exeraplo
quodam fatis claro& appofito , res ha?c in hunc modum folet expliqiri :
Pepingit pi&or imaginem quam firaillimam Pom- peio: Caufa huius
fimilitudinis efficiens,Pi&or eft pra?ftans in arte fua:Ve- rumPompeius
quoque ipfe 5 dici huius fimilitudinis caufa efficiens poteftj qui fui fpeciem
in animo piftoris formauerit. ( Cum itaque bona in tria genera). Ha?c diuifio
in Eutydemo A Platone ponitur. Ca?terum corpo- ris bona funt > bona
Valetudo,Robur, pulchritudo , atque pra?ftantia in fin- gulis partibus
elucens,vt wis in manibus , celeritas in pedibus , diftin&a vo- cumformatio
in Lingua: Ad qua? etiam bonarefertur,Senfuum integri- tas , vigor, &
expedita a&io. Externa funt,Libertas,Nobilitas,Diuitia?,0- pes>Honor 5 Nominis
celebritas, Copia propinquorum & amicorum eorun- demque dignitas &
virtus. Animi prout ad agendum conuerfi, funt Vir- tutes : prout vero.
coritemplationi operam dat , Celeritas ad inueniendum, fiue cogitanduni>
& Dpcihtas id eft celeritias ad percipiendum : Ha?c omnia bona,animi
videlicet , fortuna? fiue externa , & corporis fiue nature, conti- net
complexu fuo foelicitas ? vt inferius dicemus , quanuis bonis animi tan- quam
propria fedenitatur. Ariimaduertereautemprimooportet,
bona il- ia qua? externa vocantur Fortuna* accepta praecipue referri folere ,
quod illorum fine dubio Fortuna domina effe videatur. Animaduertatur fe- cundo,
corporis bona, fortune teliseffe non parum expofita , idcircoque ad fortunam
ipfa etiam refcrri oportere , afiquem fortaffe exiftimatu- rum : cum
pra?iertirn Anftoteles fecundo Rhet. cap.17. cum exponeret mo- res fortunatorum
dixerit. Fortuna? profperitas
eos mores habet $ui figil- latim
explicati funt. Nam qua? magna? profperitateseffevidentur ,adha?c * qua? modo
enumerauimus tendunt, & praeterea bonam magnamque libero- rum copiam,& qua? corporis bona
funt,Fortuna? profperitas adfert. Con-
tra tamen fub finem capitis decimi quarti , poftquam mores iuuenum vi-
rorum & fenum propofuiffet , in hunc modum loquutus eft : At vero de
for- tuna? bonis qua? mores
hominumvariosredderefolent ,deincepsdicamus,
Declarauerat autem antea fub finem capitis decimi diferte , qua?nam bona
ilia eflent qua? fortunam fequuntur,cuminquit ; Fortunasverovo- " i.
Digitized by VjOOQIC tj* ETHIC OR VM c6NobiTitatem,piuitias,CiuiIcmpotentiam,
&eaqua? futfthis coritraria. "' Legitur idem prirtto magn. mbr. cap.3.
Quare dicVridum eft , Bona corpo* : ris,
Natur^magi^acceptar^ferriquMPoAunajjiiiohiam maiorem par- tem, cerriores ac
ftabilio'tes eortirh caufa? poffuht aflfeiri : Externorum vera bonorum dominium
prorfus Fortune tribuemus, ciim ilia non ita certas ac ' ftabiles caufas
peifepe habeant , 8c cafus, inconftahtiam mutabilitatemque fortune magis experiantur , vt idem
Philofophus, i. magn. cap. nono affir- mare videtur. Poftquam enim dixiffet,
Externorum bonorum fortunam ef- fe
dominam , addit , Fortuna in eiufmodi effe dititur , vbi neque Mens vlla ncque reda Ratio eft. Nam vbi Mens ac ratio
fuerit, ibi aliquid ordinatum eft, atque
eodem modo Temper fe habens : noh ita id vbi Fortuna : Quapro- pter vbi Mens plurima ac ratio fuerit, ibi
Fortuna minima. Vbi fortuna plu- rima , ibi Mens perexigua. Ca?terum quid
fortuna? nomenArifloteh pro- prie fignificet, initio capitis fequentis , ex
fecundo magnorum mor. cap. x. & 7. Eudemio cap. 17. '& i8.(obfcuris
profedo locis,paucis dicemus, nunc)' illud tantum teneatur , Ariftotelem in
fecundo Rhetoricorum cap .17. com- munius nomen Fortuna? vfurpaffe, quapropter
corporis etiam bona , fortu- na? bonis adnuitieraffe. Annoteturtertioeffe
qua?dam bona qua? partim ex-' terna,partim interna nominari queunt , vt Hominum
Charitas veraque a- jnicitia. Nam fi mente confideremus', communem tahquam
humanitarem; corporis vnius ex omnibus hominibus conftitui: id eft omnes
homines qua- fi membra qua?dam effe vnius corporis , naturalemque inter ipfos
focieta- tem & propenfionem effe, hanc hominum inter fe bcneuolentiam &
chari- tatem, internum quoddam bonum atque intimam quandam animi noftri ex-
pletionem effe, non dubitabimus. Hinc illud vetere prouerbio didum, A-
micus,alter ego: At fi oculorum iudicium fequamur,hominem ab homine di ftindum
cernentes,aliorum erga nos beneuolentiam externu quippiam effe cenfebimus. (
Adiones autem & ehergaas ab animo prodeuntes). Adio- nes & energas ab
animo pendentes, animi adiones &bona did, fatcon- ftat. (Quare ex hac
fententia). Ac fi dicat , ex fententia veterum iam ha- bemus, Adiones animi
effe bona animi , Atqui ( Rede etiam dicitur adio- nes & energias
nonnullas), Id eft, ex adionibus animi qua? dam funt vt alia- rum fines, &
ifta? perfedifsima? habentur aliarum refpedu , imo foelicita- tem ipfam
continent : vnde ( Efficitur vt Beatitudo in. animi bonis) , Id eft, ex
prioriconclufo & pofteriori fequitur foelicitatem qua? adio animi eft,&
ex earum genere qua? funt fines, Bonis animi adnumerar i , non in Ex ternis, id
eft aut fortuna?, aut corporis bonis. Ex his liquet, vnicam effe Ariftotelis
hoc in loco rationem , atque vnura tantum, vulgo hominum confentiens , ab
eodem,g radatim tamen, concludi. Vnde Bias,pat ria Pr iene euerfa & capta
ab hoftibus , fe fua bona omnia fecum portare dixit. (Cum hac ratione),v- nica
nempe iamexplicata: congruit etiam illud quodGra?ci dicere vulgo folent ,
Beatitudinem e&edZoSioM , id eft commoditatem profperitatemque , vita?
& ? hoc in loco ab honor, nobilitas, & qux his contraria
funt , & finitima, Argumenjantiir autem hoc modo,vt v hancfuam opinionem
defendant : Boni propriuro eft iuuare non noce re, .vtcalidi eftproprium
calefacere non refrigerare. Diuitia? igitur,fanitas, & alia eiufmodi cum
non magis iuuent quam noceant , bona dici non poterunt. Item,C^uo bene &
male vti pofTumus , id non eft bonum , Diui- tiis & fanitate bene &
male vti pofTumus, igitur Diuitia? & fanitas non funt Bonum. Sed ha?
rationes nullum aduerfus Peripateticos momentum ha- bene Nam Peripatetici bona
ifta corporis & externa, non fimpliciter & a- dubona vocant , fed bona
poteftaite , vt antea capite , nerope quinto dixi- mus. Quare vt veftes quibus
induimur 9 cun*a#w calida? non fint , nos non calefacerent,nifi anoftri
corporis calore ipfe prius calefa&ae effent,fic bona ifta, bona nobis efletiequeuut,
nifi nos ilia quafi bona prius redde- remus:reddiraus autemcum ex prafcripto
virtutis ipfis vtimur. Proin- d^queAriftoteles primo magnorum, capite tettio ,
de hifce bonis loquens dicebat: Exploratur enimhouumvnumquodque bohiviri vfu,
non mail. Quare cum dicunt Stoici , Boni proprium ejflfe iuuare non nocere :
Refpon- dendum eft id effe verum>fi Bonum fimpliciter quo ad eft bonum
ipedetur aut Bonum quod femper adu bonum eft, vt virtus* qua abuti nunquam pof-
fumus:Gumver6addunt,Diuitias & fanitatem non magi* iuuare quam nocere, Dico
hoc efle falfura , fi fumantur qua bona funt , id eft iuxta nor- mam &
prafcriptum virtutis, ad agendum adhibita : quod non repugnat Ariftoteli qui-
ilias , bona quidem, fed cum adiundo hoc , Facultate , aut Facilitates
hmpliciter voc^uit , quoniam videlicet ,dant nobis bene & male agendi
facultatem, primo magnorum mouahum, capite tertio. Nihil e- nam pofterior
Stoicorim) ratio valet.: nam res^x abufu non vfu iudicandas fupponit , quod
Ariftoteles negaret , vt antea diximus : vfos autem iftorum in* tized by G00gle
Digitiz . QFfW..'Mi ijz, ETHIC OR VM .bonorumeft penes virumbonumi, id eft
virtute pr#ditum,qui nihil nori agttfecum,autciunalterocontrahitexpra?fcripto
virtutis. Et certefi ra- tio Stoicorum valeret , cibos maxime falubres , quique
optirai funt fucci, infalubresvocareoportefet, quod intempettiue , magna' que
copia ingefti plerunque morbum gignant. Tbrtiui^kemquoddaraargumentiim in me-
dium afferrefolebant,quod Ariftoteies non femel ipfos quafi tacite irri- dens(morefuo)adducit,6Yfoluit.
Idtaleerat: Bonumbonosefficit,Diui- ti* 8c fanitas boaum non efficiimt ,
ergo.Soluitur 3 ex Alexandra, quia Illud bonumbonos efftcit , quodper fe &
formaliter bonum eft , fiue, vr dicebat Ariftoteies , to effe dicere , ac proinde ilia feliei. ha?c
reiici velle, item ilia 8c iw^dy e^orm ,
appellare. Differre igitur Stoici a Peripateticis voluiffe videntur, quod ad
voces , quas nouas, traaftatas oVacommurii vfu defle&entes, fecerunt : quod
verb ad ootionem&rres attinet, cum illis confentire. Si caufa petatur,
refponde- ripoterit,idautirapefitiaquadam6Vftupiditate,qua difcernere non pof-
fent,fe a Peripateticis verbis tantum non rediffentire, faftum effe, aut
oontentionis Iiudio,vel curiofitate quadam,vel alioquouis animi yitio, ne a
femel recepta in feda fua nominum nouatione,difcedere velle vide* rentur , quo
poftea nomine aliis fe&is fe fubmittere , fiiam vero defere- re
iudicarentur. Ex quo etiam patet Stoicosinhac fua Thefi,non modo ea rattone
peccare potuiffe, quam Ariftoteies fecundo Topico , capite pri- mo ,
tranfgrefsionem twV K&idp>* At$efc* , verum etiam altero genere,quod
idem 7^>J^/c/^a-i,nuncuparivoluitr Idem Stoicis accidit(vthoc quoque obiter
dicam ) in kmt^uec , ilia conftituenda , ob quam aliam fe&am a ve- tere
Academica 8c Peripatetica difcrepantem condere voluerunt . Earn manque
ktii^ttajf magnifica quidem oratione celebrant : cum tamen ad rem
venitur,minime omnium affequi poffunt , quinimo fe ipfos data o- era
fallunt,&fuofegladio iugulant. Quum enim dicunt , nullam affe- aionem
virtuticonuenire,fedomnemprorfu$ effe tolkndam,ita tamen
""'"'""
"-. ""."r\.-r
- ... Defi- Digiti zed by G00gle LIBER I. kfl Dcfiniunt AffiwfHoaem ( Afpafio
refercfKe)vt fit vehemens incitatio Vel ap- pet itio raiionis expers. Atqui y
ehementem incitationero neque etiam Aca- demici 9c Peripatetici cum virtue*
congruere arbitraatur , fed raediocrem, & rittfmodi,qu? exacuat virtutes,no
retundat, quaeque non refiftat > fed fe- 2uatur quocumque ratio
ducar.Contrah^c^Stoicis nil adducitur> quare vt upidi vel rigidi nimium ac
feueri homines non modo ob has ,fed ob alias etiam caufas relinquantur. Nos
vero ad Ariftotelem redeamus. Atque etiam videntur in eo quod a nobis didum
eft>ea omnia inefTe,quannbeatitudinerequiruntur. Alii nan q^ virtutem, alii
prudential atitudinem e/fe exiftimant.Nonnullih^cipiaauthprum aliquid cum volu
p tat e coin ngunt,aut a voluptate feiun- gi nplunt : alii etiam rerum
externarum copiam faculta- temquecompleduntur. Atque horum,alia multiac vete- '
res, alia pauci fed clahviri loquuntur, quorum neutron probabileeft omni ex
parte * fedaliquatenus auc in plurt mis rede (entire. ' V V ', Expolirc nunc
vult totam fimul imagmem Foelicitatjs defer iptam, o* ftendensomnes illos
Veteres, quorum de F.odicitate fentetjas initio, exami- nauit, fiminus ventatem
ipfam,Crte veritatis vrobrara viduTe,proindeque fi non omnj ex parte, certe ex
aUquabuic definitioft* foelicitatia ?fonfent* nea duifie: Vero nanqu^ornnia
oratoi ex parte, eonrW eflfe kknu Quo kn co, Ver* definitions non modo proprjum
, fed aiaxime etiamj propnurd ** mnuduertendum eft*id efonon modo vt exea
pjofligentur qjjarftiones onv- Des,quodfuperiuscap. 7. Ariftotels* dixerat ,
verum etiam vt per fpiaatui analtorumopiniones venimaliqua ex parte attigerint,
vel aberrarint ; Re* do emm cognito,facillime oWiquum percipkur. Ar iftet.
& de antra, fub fi- nem. De ca?tero,propofitumPhilofophifeipfo per fpicuum
eft , neque egc^ aiienaamplificante orark>ne:Cum pra?fertira fingula qua?
hocJocodicrt,iint in /equenribus figillatirarepetendadeclaranda'que.
Aggrediamur jgitur co tupajticulas.(Ea omnia inefTe^qire in be#^^ nempe*
defummo Bono difputanttbus. (Alii nan que virtutem>alii prudent tiam). Hare
enumeratio fementiaruro de furamo BoiKfcnon multum euro eft conuenire vkletur
quam fupra prapofuk, eadero tamen eft, fi rem infpicia- mus. Nam qui prudentiam
pro fummo Bono definiunt ,vt Socrates apud Pla tonem in Pha?done,idem dicere
videntur atque aJii>fibus Virtus fumrmim Bonum effe videtur, vt Hefiodo,
cuius indicium eft ^quod idem Socrates in Gorgia* vJrtuCempro fummo bono
ponitquanqtiam&ieot qwi pn*te*iam ponunSt^cum iis.quibu* Sapieritia
videcur>Goniunge>rti pofll mus, vt fuperius &vpniifc{JkluSaj^ uiiL
jj4 ETKICORVM damplefedtohomineVquifiiam beatiforailseflfet 5 Te(jpo^i id eft
qui non Us qua? pofita funt in oculis omnium , 8c pehrolgata > fed
altifsimis Sc abitrufifsimis rebus , id eft fapientia* ftudio deditus eflet- Et
alibi, idem vitam hon&ini ob earn tantum aufam optabilem efle debere affir
matyvt naturam reru 8c illarum Codrtorem contenriplari pofsitiNihil enim aliud
eft proprie flimpta Sapient ia, quam rerum maxknai um,fublimium 8c plane
diuinarum conteplatio agnitioque. At in liac ipfa conteplationc agni- tioneque,
aliquid fummura eft quod y t finis fe haber,id eft quod plane men- tern
conterapla.ntem expleat > perficiitque. Nulla aut cm alia res mentis no-
ftra? abfoUitio 8c expletio effe poteft, prater Deum, cum ilia quidem verita-
te alatur,yeritas aucera, ynde.reliqua omnia funt vera,fit)ipfemet Deus:Co-
gnitio igitur Dei, quanta a mente noftra haberi poteft , verifsima Sapientia
eft, in qua]veriffimaitem Foelititas hominis^onfiftit. Quomodo autem , 8c per
quos cognitiopis gradus 8c quafi proceffus , Mens noftra k fingularibus . qua?
primo percijpit,a4 primam illam ac prxftaptifsimam Meptem contem- plandam pof
sit accedere , quomodo item, non mpdo quid nomen Dei figni- ncet, fed etiam
quadamex parte naturam Dei coraprehendere valeamus,v Herjieus inter Thomas
feftatoresexiftimat, alibi declarandum eft. (Non- nulli hare ipfa aut hprum
aliquid turn voluptate). Alii erant qui veluti per* fpicaciores , non vnum
aliquod ex his , fed vel duo vel plura coniungentes, addict voluptate
Beatttudmem effe ftatuerent.( Aut a voluptate feiungi no- iunt).Eadem opiio eft
qua* proxime exptkata,In qua Eudoxus, Ariftippus, & Epicurus
fuerer&fieorum alius plus 9 aKus minus vulgaris &plebeius* plus quoque
&* minus -tr&itern: corporis voluptatibus,qua ratione Artftore- k
fuperius nomine ndgi &Mukitudmi$ hanc epinioneraiaduxit,atque vt trtllwnara
rqwehetidtt. His idiici poteft DcmocritiH?,cui fumttiu botium nil aifaderat)
quijn trail quilUtas animi oniai moleftia vacant^ (Alii etiam re+ f
um^xtjernarum). Id eft cum aliis aut pluribus aut paucionbus (quod indi~* cat
particula ^m^x^irur) compie&imtur bonorum externorum copia: ( Atque horum
alia multi,alia veteres).7t N iy fimilemtiabes i.poft.cap.to; & inlibde m
dfuifl,.perfomnium: In cuius exordio ha;ofcribuntur f Diuinatio^em que ; "
-^-- - "- " per Digiti zed by G00gle LIBER I. itf per fomnulrfit ,
qozque ab ipfis fomniis contingit, Deque facile eft fperne- cvt habitus >
quiinfit>nihil boni efficiat vt in eo qui formic >aut qui alio aliquo
modo otiofus eft. At vcro de a&ione id dici nequir. Aget enim necefTario
& rede aget.Quemadmodum autcm in Olympicis ludis,no pulcherrimi ai^t
robuftiflimi quiquc corona donatur , (ed quiincertamcndefccndunt(horum enim
nonnuHi vin-, cunt)iic ca qu# funt in vita, bona atque fconqfta^aiTcquu-
tur&obtincntiiquiretefaciunt. } Confentaneas effe Veterum de felicitate
fententias enumeratas , its quae a fe di&a, & aliquaetjam ratione
conclufa funt , nunc Ariftotcles ofte- dit. Exorditur autem ab ea fententia qui
in virtute beatam vitam ponebat, ad quam reuocat illam cui Prudentia F oelici
tas erat. Nos quoquefmquit) virtute
foelkitatem pendere diximus, quanquamnofl fittplititer a virtute,
fcdavirtutisadionc&vfuyqui vfus>aut
a$jct quomodo habitui fiue joffefsioni prarftet > (upra non femel
expofctum eft>& ab Ariftotele exem- plo (atis apto perfpicuoque in
praefentia declarator :In fumina,fdelicitas no mhabku,non in ocio,hon
feriata,vt etiam io.thi. id eft ex conditione bona. Mulaa? & animad-
uerfiones , feu poenarum irrogationes in Rep. qua? per k mala effe viden- tur,
funt tamen pofitione bona: Nam propter earn caufam adhibentur,vt vi- tia ex
animis hominum&ciuitatetollantur. Iiyio,ficrirainairaproborun* atque
fceleratorum hominum impunita manerent , nullo otio & tranquilli- tate
nulla frui lkeret.Necefsitas ergo ha?c,opera reddit honefta,proindeque
avirtmeeaproficifciexiftimaiidum'efttVfus verovirtutis fimpliciter ho^ ncftus
eft,qui nullo pofito feipfo hoaeftus babetur ? 7.poLcap.i j. (Omne aut kiiiL
Digitized by VjOOQ IC ij* ETfclCORVM aliquam virtutem). Comple&itur his
verbis vt liquet vtramif, illarum opt* " nionum primo loco enumeratarum,vt
diximus. (A get enim neceffario 8i * refte aget) id eft qui iri vfu Virtutis
verfttur , non poteft non agere > & non rede agere: Qui vero tantum in
fe habet Sc jpofsidet virtutem, non necefla- ri6ag!t,quinimaferiatusacotiofus,mulafque
cafibus impeditus efl}? po- teft. Cartera
fine interprete poffunt intelligi , & fatis a nobis alibi funt il-
luftrata. Quorum ctiam vita per fc iucunda eft : Iucunditatc ati- tem
affici,animi eft, lam vero cuiquc id iucundum eft,cu- ius amians dicittinvt
cqiius equos amanti : fpedacuhim^ei quifpedaculis dedituscft. Eodcmmodo res
iuftse iucun- da: funt ci qui res iuftas amat,& vt femeldicatii,resom- ncs
qua: cum virtute confentiunt , ei qui virtutem amore compleditur. Ac
multitudiniquidem qua: iucunda funt, ei pugriant inter fe, proptereaque non
furit natura fua ta- lia.Qua: vero iucunda funt iis qui funt ftudiofi
honeftatis, funt natura propria iucunda: quo in genere funt, ex qua: virtuti
congruuntadiones : Itaque &c his furit iucunda: &: per fe iucunda:. Qupcirca corum vita nihil eget volupta- te,
tanquara appendice quadam, fed habet in fe inclufam volupxatem. Nam praster
ea,qua: dida funt , non eft vir bonus qui honeftisadionibus non del edatur.
Neqjquif- quamautiufhitttiUuttidixerit^quinoriexiufte fadis ca- piat
voluptateoi,aut; liberalem qui iiberalibus adionibus - non deledetunitemque de
ceteris virtutibus eft fentien- dum.Qua: fi ita (int,erunt per fe iucund?
virtutis adiones, N .atque etiam bona: & pulchra:,atque adeo maxime horum
fingula::fiquidem vere de iis vir bonus iudicat, &: rede iu- dicat,
quemadmodum diximus* Tfenfit adeos qui voluptatem pr# ceteris amare videbantur
, iis poftha- bitisquiinSapientiaBeatamvitam ponebant , de quibus inio. libro
huius Cradationis 3 cap,7. agendum eft,oftendendumque,Hoc ipfo quod Beatitudo
dicitur Aftio virtuti confentanea,probabileefleBeatitudinemillam figni- ficari
qua? in Virtute pra?ftant ifsiraa confiftit ^ quae quidem preftantifsima
virtus,ab ea hominis parte pendefcquae Optima eftJDominaJDiuina, i*erum- . que
bmniura honeftar um ac diuinar um in fe notionem continens. Clamant igitur
voluptarii ifj&voluptatem efie id cxtremum & vltimum quod per fei-
f>fum rt *>- LIBER I. 137 pfom
expetkur: Breunis caufa cetera agimus : Effe item mentibus noftris id infitum ,
vt omnia fikiamus atque patiamnr, quo poftea in gaudio & lamtia
comenti&qiiietiviuerepofsimus: Eaaiajpneftiumma &mera voluptas. Irai
idcirco ipfas virtutes cenfent ab hominibus exerceri dcbere , quia effe- drices
fint plurimarum voluptatum : cum contra , delidorum fcelerumque confcientia,
non fecus vexemur, atque Athamantes illi & Oreftes furiarum caddis
ardentibus agitarentur,inanifque cupiditatibus quibus ftultorum vita referta
eft, ita Mens hominis torqueatur & angatur , vt nunquam in quiete manere
valeat.'Ad hoc refpicit illud eorum argumentum : Omne animal fi- mul atque
natum eft,natura? inftindu voluptatem appetere , eaque gaudere vt fummo
bonoxontra vero dolorem afpernari vt fummum malum. ~ Quod non irridendum aut
adeo contemnendum eft, vt nonnulii Voluerut, atque i- pfcmet Ariftoteles putare
vifus eft , 10. Ethi. Nam & ipfe , hocprobationis genere,a nature videlicet
inftindu duda,no femel,vt 7.eth.c.i4.vtitur.De- iinitio itaque foeliqitatis
Ariftotelica, non magnopere a Voluptariorum fen tentia difcrepat: Nam ab hoc
fummo bono, ilia quae voluptas aut animi tra- quilitasvocatur(depura&
veraloquor,non de impura& falfa) nunquam difcedit,Sequitur enim
foelicitatem,& animi energ voluptate ac dulcedine affici vere poterit.
Atqui, vnufquifque eo dele- Digiti zed by G00gle ijt ETHICOHVM Aatur quod
airflat, id eft tunc gaudet aliqurs & vere quietumhabet appetku, cum
fruiturquodexoptauitatq,amauit:vtigiturquiesequitis inequo eft, quern cupiit
& amauit, ita Hoirois iufti Gaudium & tranquillitas confiftit
inadionibu$virtutediredis,quasamat.Imoha?chominis iufti tranquilly ' tas,&
pax potifsiiua necno quauis alia longe pra?ftantior,eft per fe 8c fuapte ,
natura fiiauis virtutis adio : qua? ^fco iucunda Multitudini videntur , id eft
qua? ad corpus pertinent fenfufque permulcent , non funt fuapte natura
talia,efl*ent enim omnibus & Temper eodcm modo iucunda,quod falfum eft:
quinimo pugnant ifta perfarpe inter fe : nam idem , nunc vno , nunc alio illi
oppofito deledatur , & quod vni dulce , aiteri vidctur amarum. Qua? ergo
plebeiis & vulgaribus hominibus videntur iucunda , 4a&* t*> aut mii
, tan- turn non fimpliciter 8c fuapte natura fuauia cenfenda funt. Quo fit ,vt
quern- admodum Epicurei perperam fummumbonumftatuebant,idquod per fe bonum non
erat:ita no rede alii voluptatem a virtute 8c prudentia quafi fe- paratam
pofuerint : Non enim iuftus, aut fortis vel temperans dicetur ille, qui
temperahter , iufteque 8c fortiter agat, fi vna adiortibus his no delede- tur.
Indicio nanque eft, tpfum affedu potius quodam naturali aut necefsita- te ,
quam virtute gubernari. Sunt ergo per fe iucunda? virtutis adiones, & bona?
etiam,&pulchra?,imo optima? pulcherrima?que , vt homines probi qui Optimo
iudicio pra?diti funt, de iis conftituunt. (lam vero cuique id iu- cundum eft
cuius amans dicitur). Alias aim de AfFedionibus loqueremur, diximus,Voluptatem
8c Dolorem initia affedionum omnium efle : Primara vero qua? in facultate
appetente ob voluptatem allatam excitetur , Amorem efle: Vnde dubitari poflet ,
non bene dici nobis ilia efle iucuda qua? amamus, imo contra potius dicendum
efle, ilia a nobis amari , qua; nobis afferant vo- luptatem: Sed meminiflfe
oportet , hoc loco non de ilia voluptate fermonem efle,ex qua tanquam e fonte
omnes affediones fluunt,fed de ilia qua; affe&io & ipfa eft, &
Gaudium proprio nomine nuncupatur: Eteft quies qua?dam facultatrs, in re antea
exoptata 8c amata, nuc vero poffefla, ita plane vt quid amplius rcquirat,quod
ad illam rem attinet no Iiabeat.Gaudemus ergo pro- pria cum f rutmur, id quod
antea idcirco amauimus , exoptauiraus,fperaui- miifque , quia noft ra? natura?
fimile acco mmodat um,& con fen taneum eflet. Collide quomodo verum fit id
quod dicitur,Amorem efle affedum vnionis, fpecies enim ilia 8c forma fme
repra?lentatio , animo accidens, iucundequc ipfum afficiens, difpofitionem vnionis
in eo creat : amans enim inaraatum Conuertivellet. Cofiige item, Amorem non
efle appetitum,vt multidicunt: fed appttitum feu defideriii amori accidere,
poftquam enim cognouerimus, rem illam cuius fpepies animo noftro accidit ,
nobis conuenire, & voluptati efle, emerget ftatim confequendi Defiderium ,
cum ilia perfrui quantu pof. fumus exoptemus. Sed qpponet quifpiara ,
peruulgatum illud , Amorem ea tantum refptcere qua? pofsidemus, imo fruitionem
quadam efle, frudus au- tern ex re praefenti furaitur : qui fieri ergo poteft
vt Defiderium confequen- di, confequatur amorem? Refpodere cogimur, Affedum
iftum vnionis qui dicitur Amor, non modo futur^verum etiam pra?feati rei
competere , De T fidcriuni Digit zed by G00gle L I B E K I. ij> fiderium
autem,amori tunc tantiim impingi*cum caremus amac a re, impm- gitur autem a
fpecie illa,quae ad animum venit. Eft ergo Amor in appeteti*, eft item non in
appetentia 5 hk maior & f er uidk>r , proprioque nomine vo- catur Amor :
alter verb, qui ex triftitia quadam& gaudio quafi compolitus eft,
Deiideriinomine exprimi folet. Hinc ficvt in puris illis beatifque Men- fibus,
ex his 511a? ad animam appetentem pertinent ,foli A*nori relidum efle locum
afferamus :-cum enim ad finera qui aon eft^Defiderium pertineat , ad cum autem qui
eft, Amor, Deus przfenseft Temper finis,foiutis Mentibus,il- laeque Temper fuo
fini horrent , & copulatae funt. Aut dkama* duplicem efle Amoreraivnum qui
ex Voluptate, alterum^ui ex Gaudio profacifekur , ille cum^ppetitu eft >
vult nan que frui bono quo caret , hie abfque, appetentiar cum enim non pofsit
efle Gaudium abfque boni prfentia eiufdemque frui- ttone,non poteft in Amore
Gaudiumc6fequente,motus vllus ad prqfcquen- dura^ffe. Optime kaque
Fracaft.lib.*.deantip.& fymp.cap.17, quod ad hoc attinet fcriptum
reliquitJDuo ad Gaudium concurrere,receptioneinboni > & caufam fiue rem
quae bonum illud producit:Si confideretur anima prout bo- num exoptatum
pofsidet,eoque f ruitur, fimplkker Gaudere dickur , Si ye~ ro prout refpkit
caufam , qua? gaudium illud in ipfa effick, A mare dkitur, hoc eft bene efle
illi reioptare. Nonvnomododehifce affedtonibus loqui Peripateticos interpretes
fcio , eo$ tamen hoc loco fequi voluimus , qui di~ ftftnoius&clarhisropofi-
tm fllaftrandum addamus , in Decimo Ethicp cap.4. ab Ai " cap.4. &b
Ariftotele fententii hancamplificari: vt enim hicdick vnkudque id efle iucundum
quod amat, kaibiinquk,vnumquenqueidagerelibenter,quo maxime deledatur, vt
Muucum,cantilenam exercere : Difcendi cupidum , cotemplationem: Nam (inquk)voluptasoperationemperficit.
(Eodemmodoresiufta?). Vinutts natnraeft, rede affedum reddere ipfum cuius
virtus eft* non poteft ergo qui virtute proedkus eft, non eas adiones amare
qua? a vktute pendent,cum prarter has,nihil eius natur? fimiliits fit^ut^onuenientius:Accedit
eojhomi-* nem virtute praedkum , ad opera ex virxute obeunda , inft rudum ,
paratumi atqueexpedi turn efle. (Ac mukkudkiiquidem quae iucunda funt). Vulgus
earn voluptatem atque id gaudium qu#rk>quod ad corpus pertinet , & per.
mulcet fenfustvarium autem & multabile eft corpu$,non modo diuerforura^ fed
eiufdera etiam refpedu: quo fit,vt quod yni aut femel placeat,id no om- nibus ,
& femper placeat, fed plerunque fortafle contrarium. Prafterea vo* luptates
ifttu&nodi , naturae noftrae aduerfantunfiquidem nos ex hominibus, belliias
inhumana fpecie atque figurareddit : Homo enim qui pwr aGrae- cis
eftappellatus, dam eft,tenebras odio profequatur,& quafiinquandamlucem
editus fit* fioblituso&aaJiabere^^ jfolo fenfu yolupta-* Digiti zed by
G00gle 140 ETHICORVM tern comprehedunt,earunde'mque fpeciera indutus,germanam
propria'mq$ omjttat voluptatem qua? Mente percipitur , natura? ordinem qui in
ipfo eit 5 turbat>& lumen eiufdem quafi igneminterclufumextinguit: Non
igitur per fe iucunda? dici poffunt voluptates vulgi, cum hommi qui Mente
viuat, qua? veluti radius quidam Diuina? lucis eft , Dei que maieftatem &
fplendo- rem in terris refejrt > fuauis efle nequeat : effet autem orani
homini, fi per fe fuauis effet, ex 10. Ethi. cap. 3. Quod fi etiam iufta? &
honefta? adiones quas per fe fuauifsimas vocamus,quod naturae hominis, id eft
Mem i, qua? a Boni- tatis Iuftitia?que illius fumma?>nempe Dei,quafi
fplendor quidam eft,omni- no coouenientes fun , non ab omnibus amari atque
amplexari videantur , id non virtutis nature, qua? feipfaamorem in omnibus
excitare apta eft r fed hominis 9 educatione,autinftitutione
aliquadeprauati,tribui oportet. Sed iamcolligenda , & quad in vnum
reftringendaeft , tacita Epicureorum re- pradwnfio. Voluptat is nomen, ad
voluptates corporis tantumqua? natura fua iucunda non funt ,accomodari ab
homiriihus iolere An :ot. alias docuit, jjroptereaque plerunque iis fefe
homines dedut , & earum funt omnes par- ticipes , ea'fque folas plerique
volunt. hoc item loco moneraur virtutes efle natura fuaiucundas, &
iucunditatem , adionibus virtutum accidere*. Qaare duplki nomine Epicurum
coarguere potuit, turn quia non expofuerit de qua voluptate loquetetur , num
videlicet de per fe iucunda , aut altera : tuni quia id*pro fummo bono
ftatueret,quod veri fummi bbni,proprium accides eft. ^Qupcirca eorum vita nihil
eget; voluptate). Plato in Philebo volupta- tem a pr udent ia & fapjentia
(epajrare videtur , cum de fummo bono Mentis firanima? agens,gradus bonorym
enumeraret. (Nampra?ter eaqua? did* dint). Non modo fponte adiones ex virtute
efficiun tur, verum etiam cum ejedione, quare fi is qui fe voluptatibus
abftinet,gaudio non afficeretur/ed doleret potius , fe necefsjtate magis quam
confiho , impelli oftenderet. Ex So Ariftot.i.ethi,cap.3.dicebat virtutem circa
dolorem voluptate mq> ver- i:Idemde iis dici fere poteft, qui bonitate
quadam naturali agunt : vide* mus enim inter homines, quofdam ad iuftitiam,
quofdam vero ad tempera^ liam, aut fortitiidinem & his finitjmas virtutes
eife natura propenfos atque habiles , qui tamen nulla confuetudine , nulloque
certo rationis p ra?fcriptq confirmati funt. (Qua? fi ita fmt,er unt per fe
iucunda? virtutis aaiones , at- que etiam bona? & pulchra?). Gra?ci vna
voce dicunt Bonum,& Honeftum, & Pukhrum. r^Aov, hoc in loco tamen
proprie pulchrum Cgnificat : dici tur
autempuichritudoj^cAoit,e/>(St7v^A^V,vtautoreft Proclusin commentariis.
fuis, in priorem Platonis Alcibiadem, vel etiam Jik ii xmkZv: obledat enim,
&ad fe allidt , nofque ad ipfam propter vnionis appetitum mouemur : Eft
autem pulchritudo qualitas qua?dam ex fymmetria > in re exoriens., Vnde
Ariftot. 1$. metaphyseal tJj^S //*?* Jtovocat, tIj* tx%sy wyuurreia*) rip 70
vvaydtw* Eft autem vi rtus pulcherrima res, quoniam,vt Thomasjatt ,cro- '
cunftantiarum , vt quando,quatenus,&quora6do,qua? quafi partes quardant
vitftutis habentur, erdinem& fymmetriam quandam feruat: Vt rede Plata
dfcxerit , fi fociem honefti oculis eernere pofieraus, forest in nobis
mirabtli* amor Digitized by Google LIBER I. 141 imor cxritaretur/Ariftoteles
kaque virtutura a&iones non mod iucundas; verum etiam pulchras
&bonaseflemerit6concludit. Qua? hie a quibufdi viris Dodis de diftindione,
th kytSwy id eft boni & koa* , id eft b onefti af- feruntur,pra?terquam
quod non vndequaque rede dicuntur , funt etiam fu- peruacanea >ideft ad
locum huncilluftrandum non faciunt. Ariftotelcs in 1 3. metaphy. inter bonutu
& pulchrum tale difcrimen ponit , vt dicat : Bo- num Temper in operatione ,
Pulchrum vero etiam in immobilibus effe. Ra- cioncm huiufce diftindionis
attulit in 3. metapby. cont. 3. Nam in immobi- libus boni natura effe nequit:
fiquidem omne quod per fe eft atque fuapte na tura bonum,finis eft, atque adob
caufa, vt illius gratia cartera Cut atque fiat. Finis autem & id cuius
gratia cetera fiunt,adionis cuiufpiam finis eft,adio- nes vero omnes cum motu
efficiuntur : quarein immobilibus vllum per fe fconum efle nequit. At pulchrum
effe poteft , etiam in immobilibus : Vnde colligebat ibidem Philofophus,
Mathematicum per caufam finalem nihil o- ftendere poffe. Cterum,an Ariftotelescaptioft
eo in loco argumentetur* t Alexander cenfet, an vere,vt ex Auerroe a.phy.
comment. 74, & eodem j. metaphy. com.3. elicitur, An item harciisrepugnent
, qua? 13. met. cap. 3. do raarhematicis, & primo de ani. de fcientiis
fpeculatiuis, in vniuerfum dixe- rar,An tandem in immobilibus vere to
i&*iw, retineri pofsit*&quomodo,in prafcntianolodifputare. Tantiim ha?c
dicere volui,vt oftenderem locum ilium non poffe ad hunc noftrum accommodari,
nifi per ^fco>, pulchrum m- telligamus: & eo in loco non /sfei tS
k&kov , quod fienificat honeftum, fed de eoquodfignifkat pulchrum agi , vt
liquet ex fpeciebus pulchritudinis ibi- dem enumeratis, & ex Definitione
honefti tradita in 1. Rhet. cap. 9. Vbi ho- neftum id nuncupatur, quod cum
propter fe fit expetendum , fit etiam lau- dabile, aut quod cum bonum fit , eft
etiam iucundum quatenus bonum. Dif- fert ergo (vt hoc biter ad
vocumdiftindionem pertinens addamus) Bo- num ab Honefto, fi proprie accipiantur
: Honefti m nanque proprie ad ani- ma? virtutes refpicit, 1. Rhet. cap.*. Bonum
vero latius patet, vt omne Ho- neftum fie bonura,non bonum omne ,honeftum. Hinc
A riftot . duo diftinda capita ponit, Tvvkyadw, ScnZtyhw: liquet id etiam ex
fuis oppofitis : Nam Bonoopponitur y&Koy , i. Malum, Honefto vero
flcifc*V,i.Turpe. Annotetur item,Bonum ab Ariftotele aliquando,vt z.
ethi.cap.3an tres partes diftribui, quarum vna in honeftate, altera in
vtilitate confiftit, tenia vero a voluptate ducitur. Honeftas in Mente locum
habet, eft enim id omne quod cum ratio- nc congruit,vt fuperius diximus :
voluptas ad fenfum pertinet, eft enim ( vt vulgo accipitur)fuauis fenfus
commotio, aut, vt inquit M.Tullius iucundus motus in fenfu, vtilitas autem a
parte xnimx vegetabili ducitur. V tile enim propriifsime vocamus illud,quod ad
falutem & incolumitatem vel dandam vd tuendam , vel reftituendam etiam
facit , incolumitas autem ad animam vegetabilem pertinet: Quanquam fuperius
Vtilis nomen , Alexandh autori- tate addudi latius vfurpauerimus:x quibus etia
liquet ,quomodo pro veris, & quomodo pro falfis ea poni pofsint , qua? hoc
loco D. Martyr tradit , cum nerape per ri ajftdw , vtile intelligi debere, nos
admonuit. Sed afferamus Digiti zed by G00gle I4& ETHICORVM nos quoque
aliquid Subtile, Ad quam partem animi pertinet Honeftum ? ad Mentem, prout ad
agendum conuerfa eft: nam prout contemplatur, propp T fitum habet Verum. Quid
eft ergo Honeftum* Verum Mentis; quod f equitur & admittit
Appetitus.Dicitur autem ii i&hw, quia cum reda & vera Ratio Appetitum
regit & moderatur,mirabiiis quaedam venuftas ex affedionibus noltris
ritecorapofitis, exiftit,quam vocamus Honeftatem* Eft igiturquiddam optimum,
pulcherrimum,iucun- difsimumquc Beatitudo. Neque vcro feparataha^c func, vt
DcliacumEpigrammavult. s VafwTurnebu Eft Pulcherrima >res iuftiffima:amata
tenerc, Iucunditfima res : optima fi valeas, In Tunc cnim hare omnia , in
optimis a&ionibus , quas qui- demautvnam earu optimam,beatitudine
eilbdicimus. Elogia perfedionis qua? hicFoelicitati Ariftoteles tribuk,
perfpicua funt : quomodo autem foelicitati conueniant, pulchritudo &
rucunditas,fu- (>ra fuit expofitum.De bonitate dubitari poflet nifi antea
oftendiflemus 3 Foe- ichatem effe quendam finem,ad quern adione vel
contemplatione (in qua- rum vtraque quafi motio quaedam deprehenditur )
peruenimus . Quo- modo item De Kacum Epigramma rede damnetur , quod abHonefto
in Iuftitia,iucundum5rbonumdirimeret,fatconrlat:cumin optimis adioni- bus,
quibus Iuftitia adnumeratur, omnia ifta infint. Tantum dicam,Deliaca carmina ab
Ariftotele limpliciter reprehendi non potuifle,(vt multi ad pau- careipicientes
affirmant) quoniam ilia fortafle inter notionem Boni,Ho- nefti hue
Pulchri,& iucundi difcrimen ponere voluerut, proindeque ea pro exemplis
arripuerint, in quibus eorum rationes diftinde poflent apparere: Valctudo
nanque,bona quidem dici poteft, non tamen honefta,item quacu- que re amata frui
, iucundum eft quidem,non tamen femper bontim aut ho- neftum, quanuis Iuftitia
honefta cum fit, 8c iucunda & bona fimul habeatur. damn aliter Cicero,fed
nos vim nominum prout accipi proprie folet^con- (ideramus t Ariftotelemetiam
prxceptorem fequimur, qui in 7. pol.cap.14* Honefta ab vtilibus manifefto
diuellit,cum vtilia ea efTe dicit qua? Honefta- rum f erum,id eft virtutum
& officiorum gratia fufcipiuntur. Alibi rem hac pluribus perfequemur. (Aut
vnam earum optimam),ideft Prudent iam,de qua fuperius.Sed no eft amplius
difsimulandaqua?ftioilla,de quaEuftratius ti. ethi. cap.13.agit. Num videlicet
Prudentia virtutibus moral ibus nobilior fit, an contra potius virtutes
prudentia nobiliores cenfenda?. Principem
& nobiliorem locum a prudentia obtineri,ha?c argumenta demonftrant. Pru -
dentia in Mente confiftit,virtus in appetitu,quemadmodum ergo Mens Apu petitui
pra?ftat,ita virtuti Prudentia.Secundo,virtutes funt quafi veftigia St radii
prudentia? , in Appetitu imprefsi : Prudentia verft quafi lu* 8t Forma:
Nobilior eft autem luxvnde radii emanant,& Forma vnde Exemjplaj W-
ftigiumque:Prudentia eft per fe rationis particeps: virtus autem eatenus ra-
Digitized by G00gle LIBER t t 4J tforiafif^idwr,quatcto^ morienti
obtempercrhus, P'f udentia imperat quafi Bomina,modu 3 6rdinem- que
pra?fcribit,pefficit, nam moderatur appetitiones, eafque coercet &r di- tto
rationis audientes reddit : Virtus autem in obedientia potius quadam(vt
dt&um eft)& in eo quod per ficitur,confideratur. Contra virtus, vt
Euftra- tiusex Ariftotcle ibid.cap.n.inquit,finem
bonumprudenti2eofFert,efficitq; fcopum propofitum agenti^redum; Ratio autem
prudetiaueea inuenit,qua? ad fcopum refer untur,quibufque ilium confequi pofsimus.
Vnde quemad-; modum finis nobilior & pra?ftantior eft, quam ea qua?
coriducunt ad finem, ita virtds moralisqua? finem proponit, nobilior prudentia
cenferida erit, qua? ad finem conducentia quamt: Cum pra?fertira dicat
Euftratius, pru- dehteni non bene alicfuem efle poffe> nifi fines bonos
atque honeftos propo- fitos habeat. Res ha?c, exemplo huiufmodi, planiorjreddi
poterit. Videt A- dulter pulchram foeminam proximi fui,continuo exoritur in eo
affe&io ve- hementior , nempe Amor, id fit , quia eius Appetitus non eft virtute,
id eft Temperantia conformatus : quare Appetitus non coercitus , finem mahtfto
ftatim Menti proponit , nempe vxoris rruitionem : Mens autem qua? Appe- titui
refiftere nequit , feruiens ei , & quocunque ipfe ducit , fequens , viam
excogitabit atque inueniet :quo hunc finem ab Appetitu a ratione nondum
caftigato oblatum, id eft fruitionem illius foemina? confequatur. Quod fi
adfmffet Temperantia , non adeo vehemens excitatus fuiflet amor , pro- indeque
bonus finis, menti propofitus fuiflet ad confequendum : verbi gra- tia,gloria?
Dei in pulchritudine illius f Gemma?, admiratio & laus. Refpon- deo,omnmo
Prudentiam virtute morali nobiliorem efle , vt priora demon- ftrant
argumentaiQuod vero attinet ad virtutis moralis naturam,quf$ finem reSum prudentia?
& ageti efficitrdico,Virtutem non efficere finem re&um, nifi ipfa
primum re&itudinis huius norma a Prudentia acceperit: Prudentia nanque
irrationales facilitates caftigans , appetitumque coercens , confor- mans,
atque rationifubiiciens,efficit vtvirtutes exiftant atque oriantur, qua? poftea
finem re&um ex ratione nimirum accepta a prudentia,proponut efficiuntque.
Id quomodo fiat,illuftrari poterit fentetia quadam Euftratii a- libi prolata.
Cenfet enim ipfe duplicem in rebus agendis appetitum,dupli- ce'mque
etiafnrationeminueniri; Prima appetitio eft, qua nulla adhibita confultatione
ex re obie&a emergitrSequitur ratio,qua? demonftrat huic ap- petitioni
velobfiftendum efle vel obfequendum : Rationis iudicio Appeti- tus
afTentitur,quod confilium capi dicitur,Poftremo ratio viam inuenit,quf nos ad
finem ilium facilius commodiufque deducat.Hoc modo fciri poterit, cur idem
aliquado dicat prudentiam tempore antecedere virtutes Morales, alibi vero non
nifi vna cum illis pofle reperiri. Item aliud efle, ex Prudentia contemplari ,
aliud ex Prudentia agere : Quar omnia nos fuo loco plunbus perfequemur.Nuc ad
rera.Ide Euftratius tf .Ethi.ca. i3-diferte affirmat,Pm^ dentiamin
aliquocoliocari lion poflfe,ni(ipoft quam virtutes morales ineo fueriot
ingeneratar. Idcirco fomfle alii dixerunt, virtutem moralem non proprie
efficere redum fcopum, fed prohibere tantum ne a cupiditate^ut Digitized by
Google 44 ETrilCORVM aliqua alia perturbatione, aliquod inboneftum defi Jerium
Menti offfi^tur, quod illi vim afferat: At prudentia ipfa eft , quae honeilum
effe finem cogno- fcit,fibi'que ilium proponit,necnon ad eundem confequendum fe
comiertit* Mihi prior refponfiofat probatur, quanquam alteram non improbem 3
quod eodem fere quo prior recidat , fed certe ilia firmior, tutiorq* & minus
im- J)Jicita eft. Ad id quod opponitur , Refponderem Euftratium non negafle
impliciter Rationem , quae appetitum coercet > at que conformat , pruden-
tiam dici pqffe,cum eadem re prudentia & ratio fit qua? praefcribit leges
ap- petitioni , quseque inuenit modum quo confequipofsimus id quod Appeti-r tus
a prudentia coformatus taquam reftum ef ticit atque proponit.Id elicia ex
verbis ipfiufmet Euftratii , qui quanuis Rationem lllam priorem nomi- ' ne
prudentia? nuncupari anteadixifTet, poftea tamen ita fcripiit : Qupmodo u
igitur multo pra?ftantior moralibus virtutibus prudentia non eft exiftiman-
" da? cum & tanquam ratio re&a > difpofitionem &r modum
a&ionibusprae- * c fcribat, atque imponat? & vt ipfa? turn bonos fines
habeant , turn eos auequi '* pofsint,in caufa fit.Quare Euftratiusinnuere
tantiim voluit difcrimen,quod inter Rationem primam fine contempIatricem,&:
Rationem fecundam fl- ue pra&icam intercedit, vt verba illius acute
intuenti patere poterit.Sed ex- oritur ex di&is alia qua?ftio : Qjoniam videlicet,
an tea diximus voluptatem &foelicitatem,ferequidem inter fe non differ re :
Voluptatem tamen efTe perfe&ionem &r expletionemfacultatis ex
perceptione rei ortam: Foelicita- rem hoc pra?tereafignificare,vt in
illafacultatis percipientts expletione, na tura? ctiam noftra? perfe&io
vera fit a fit > ita vt voluntas ad facultatem,puta Mentem qua contemplatur
pertinere videatur > Foelicitas autem ad Metera prout in rerum natura
exiftit:Ha?c inquam fi vera fint,qua?ritur num in Deo talis diftin&io locum
habeat>qui fimpficifsinn purifsimaq*, natura qua?dam eft, nihil duplex,nihil
coagmentatu habens,& in quo idem eft omnino mens efTentiaque.
Refpondetur,in Deo atque in beatis Mentibus fecretionem i- ftam voluptatis
& foelicitatis locum habere^quanuis non re,fed cegitatione fola : In nobis
autem & re & cogitatione diftingui patet: quandoquidem A- riftot.
io.Ethi.fub finem cap. j.dicit , virtutes expeti per fe potuifTe , quan- uis
nulla ex iis voluptas orireturrexplent nanque perficiuntque huirana na- turam :
& eodem libro cap. 4. vi tarn nos appetere affirmat , & cum ea volu-
ptatem , quippe qua? vitam alioquin per fe expetendam perficiat, Sed tamen
bonis quoque externis indigere videtur* vt diximus, Non enim potcft,aut vix
poteft, res pnsclaras is gererecui nulls fuppetunt facilitates. Permulta nanque
geruntur veluti inftrumentis quibufdanijamicorum ope- ra^diuitiiSjacpotentiaciuili. Etfuntqusedam
etiam res, quibus fi careant homines, foelicitatis fplendorem inqui- nent,
vtnobilitas generis, prbfpcra liberorans foboles, pulchri- Digitized by VjOOQIC
LBER I. itf pukhritudo.Neq; enim plane beatus eftinfigniter defor-
mis,autignobilis, aut vitafolitaria degens & fine liberis. A c mult 6 etia
minus fortafle ,. fi cui fint liberi improbifsi- mi,vel amici,aut boni
cumefleric,e vita excellent. Ergo, vt diximus > calem profperitatem,vita
beata defiderare vi- detur.Exquofic,vcn6nullieodelocoFoelicitatehabeanr y
acquegrandem prolperitate fprtunse: nonnulli virtu tern. Gftendit Ariftoteles
in hac parte, fuam fenteHtiam de foelititate , neque ctiam ab iis qui rerum
externarum affluentia Summum bonum definiebanc*. omnino diflentire. Externa
nanque bona et'fi in foelicitatis vi atque natura non comprehendantur,vult
tamen requiri & neceffaria effe,vt inftrumenta. Quaprooter reprehedebat
7.pol.ca. i3.eos,qui in externis bonis caufam foe- licitatis iita effe
arbitrabatur, perinde ac ft quis caufam fcite canedi fid i bus, lyra u potius
quam artem diceret. Hoc, fmgulabona externa percurrenda iHooftrat:& nos
ipfius veftigia fequentes figillatim explicare volumusrSum- ma nanque
totiusxonfcextus & or do connexioq; partium eiufdem,fat feipfis norafunt :
Seddicanrus imprimis : Exhoclocanon- minus colligipofle con- feafum quendam
Arift otelicap de foelicitate fententia?,cum iis qui quarftua- riam vuam
amant,quam cumiis qui voluptatem amplexabantutiNam fi bo- na externa &
corporis adfint in foelicitate , qui* fieri poteft, vt non maxima? femper
voluptates percipiantur? (Bonis externis). Super iusdiximusqua?- nam Bona
externa effent , ea-item alio nomine Bona fortune appellari. qua- quam vt
dicamus hac voce bona etiam corporis Ariftotelem hoc loco com- pledi, nil
prohibeat, vt patet ex verbis qua? fequuntur. (Non enim poteft aut vix poteft
res praclaras is gerere,cui nulla? luppetunt faailtates\ Tanv bona* externa
omnia,quam corporis , atque etiam. animi qua? tamen a natura nobis
coatingurit,vt visingenii,ingenerefacultatu comprehenduntur: vo- catur autem
facilitates, quonia dant nobis & bene &.male agendi poteft ate. Inter
externa bonarprout proprie accipiuntur, Amici pra?cipue funt , quan r
quamimernu etiam bonum amicitiameffe, fuperkis dixerimus. Sunt autenV Amici
expetendi,pfopterinnumerabiliacomoda,qua? hvvktutum muneri- bus funeendis,ab
illis proficifcuntur : Nam qui a multis amatur, magna ha- bet apudiuos
autotitatem,acillimeque a illis perfuadebit qua? fibi facien - da videbuntur :
Hominis enim beneuolentia multorum muniti , eonfiliis & monitis maxima
femperiiabetur fides,ficmultas acprf claras occafiones fu$ i rturis
declarada?,vt comprimendoru tumultuu,fcdandaru moleftifiimaru
ieditionu,infinita'q-, prope ac fingularia Reip. comoda afferedi habet$moda>
virtute duce fequatur. Plut.in Poli;refcrt,fide Archyta? habita,& beneuel-
tiam ciuiu inBa^H,magnopere iis profuiffe,qui pofteaeoru confilio &operai
vfi funt.^otra ver6,Caflandram vaticinatem,patria? faltiti effe no potuifle*-
quod nulla ei fides a fuis ciuibus haberetur. Vnde &illa Poete carmkiar Ac
veluti populo in iuagno cum fa?pe cooru eft It tized by G00gle Digitiz furor arma miniftran Turn pietate grauem, ac
meritis ft forte virum quern Confpexere, hlent, arre&i'fque auribus
adftant, Ille regit di&is animos, ac pe&ora mulcet. Aditu ergo ad magna
capeffenda, Amicoru copia prgftat :eadeq;(prudetum pre fertim bonorumq; virorumara
populus vt bdlua multoru capitu eft , ita paruis rebus mobilise fibi ipfe non
conftans'.proindeq*, fa?pe accidit vt que antea aroauerit paulo poll odio
profequatur)armat iaft ruitq-, tota bonorum vita aduerfus obtre&atoces
toimprobos : plebeiorumitem &patriciorum, nobilium 8c ignobiliu,diuitum
inopumgj , magiftratuu 8c priuatorum vires ?quat.~ Carterum amicitia eft etiam
per fe ipfa fummopere optabilis , vt A- riitoteles alibi dicebanpofsidere nanq,
animos hominum, quod dura amans aflequeris, eft animi noftri intima quardam
exoletio abfolutibq,. Quod hinc paterepoteft: Inter
eaqusefimiliafunt^iaturalisqua?dani cognatio reperi- tur , vt i.rhet.dicebat
Ariftot. quid autem hominis animo fimilius quam al- terius hominis animus, fi
prapfertim iifdem ftudiis teneatur , eademque vir- tute fit prarditus * Omitto
in prafentiacomoda qua? ab aimico proficiftutur, tarn in aduerfis quam fecudis
f ebus,que Plutarchus in libello fe etia alia externa bo- na. Accipiuntur
autemtanquam inftrumeu virtutis & f oelicitatis , id eft ad ilium vlum,vt
virtutis munera,pra?fertim verb liberalitatis ac beneficentia? exercere p
ofstmus,Vt nos, famitiimq*, noil ram virtutibus ac difciplinis ex- ornare, vt
ciuibus iifq-, quos amamus adiumeto & ornamentoefle, tandem-
que,fiexuperatiaqua?dam bonorum externorumadfit cum yirtute perfe&a planeq;
Heroica, bene de humano genere raereri valeamus. multas quoque 8c prarcla- ras
occafiones praebet illi fefe patefaciedar* Ignobiles vero 8c noui homines minus
habent quo id queant efficcre : priore enim obfcuritate,praefens glo- ria,
apudMultitudinemcomaculatur.Nobilitat is autem tres conditiones e- numerat
Arift.4.pol.ca.4. Diuiti?,Generis honeftas, Virtus, Do&rina: Vox tamen ilia
Generis ad fingulas conditiones accomodandaeft,vt liquet ex eo- dent), pol.
8.& 4.pol.8.ciim inquit.Nobilitatera generis nil aliud efTe,quara
veteresopesatquevirtutem.Hancduplicemftatuit idem i. pol. ca* 4-Vnam quam vocat
{implkiter 8c abfolute Nobilitatem,id eft vbique 8c apud quof~ cunqae : alteram
vero non fimpliciter fed domi tantum honoratam. De ilia loquebatur Helenaapud
Theode&em cum diceret, Vtrun- Digiti zed by G00gle LIBER I. 147 Vtrinque
Diuum ftitpe , me quis Kcu fatam Seroam vocare pofsit, aut dignum putetl Barbar
os autem apud feipfos , id eft domt tantumnobiles, vocabant G rxeu . Nobilibus
proxime adiun&i funt Liberi,quibus opponutur Serui, item Ho- neftis
paretttibus fiue honcfto matrimonio nati,quibus opponutur Spurii &
Nothi,vtmerit6 in aliquibusCiuitatibuS) hi pro nobilibus non habeantur,
ilkfquepublicamuneranegociaque non mandentur , quanuis ex nobilibus parentibus
fuerint procreati.Qui fieri nanque poteft vt iftiufxnodi homines, automate apud
fuos dues valeant, cum in omnium animis infitum (it , Vt ex homine homo 8c ex
belluis bellua generatur, ita ex bonis bonu atque ex roar lis malum.procreari*
Arift.i.pol.c.4. Proideq;Helenam.fediuinaftirpeg?- nitam iadabat, quia
videlicet maioribus fuis fe fimilem eflfe videri volebat. . lam verd Seruis
facultas virtutis atque prudentia? eorum oftendenda? deeft, cum ex alteriu&prudentia
& confiliis pendeant.Item expletijm nuquam ha- bere animum poffunt, cum
fuperiorem habeant, cui pacere continent^ de- beant.Hinc fit,vt tarn ardenter
in Rerumpublicaru adminiftranone libertai exoptctur.Quod fi natura Seruus
iit,de quo Arift.i.pol.is plane inliabilis ad N vita? beatam poflefsionem
eft.Profpera vero liberorum foboles 8c ipfa pro- pter illam caufam expetenda
eft,vt maknafimus autoritate,& iis munhi mi- nus obtredatoribus improbifque
8c vim inferre volentibus fimus expofiti: quanquam etiaui in hoc>aliqua
natura? expletiointima confideretur.Hinc a- doptiuorum filiorum creatio , qua?
or&tatis veluti folatium quoddam inuen turn eft: ClasnSte videlicet
natura,Homini non licere vt abfq; fucceflforibu* ex hac vita decedat , crudelifsima
item 8c prorfus ferina monflruofaq; exe% pla ilia Cleopatra?
&Catiling,noftriq; temporis'Solymanoru Iftiperatorum>
Turcaru^habedaefle:Iilaenimqua?^Antiochi AflTyria? Regis v*xorcrat,cum duos
haberet filios S?leucum & Gryphum,vt Tola regnaret>Seleucum primer
interfici curauit, deihde Gryphum veneno fuftollere conatareft : Ifte autem
pubefcetem vnicurafilium fuftulit, vt nuptiis Qreftilla? pradtuitisfoemuia?
potiretur:Hi tandemcum nihil dulce putare videantur -, pra?te quam tuto
regnare,&rfilios 8c nepotes non femel interfici iuflerunt. Bis erat apud
Ro- mano*, trium, qutnque,& feptcm filiorum,& noftra hac teropeftate
ius du- odecim Mafcuforu feruaxi etia folet,vt videlicet qui duodecim fitters
mafcu los genuerit,is quafi de Rep, optime meritus > aBomni tributo fit
immunise (Pulchritudo).Hexno pertinet ad exterminated ad bona natur? fiue cot.
poris,vt fuperius diximus,Quare liquet ,hoc loco nomine Lxternoru bonora- omnia
qua? no fit animi fignificari oportere, rfS *fe* 4^ *YL^\ynfc* i> w
^ixT^Pukhritiufine aute & afpe ftus digni- tote, muku ad co'mendatione
hominu pofle , mirificlq; hominesad amandu- allicerc&in fumma,virtute
exornarcperfpicuu eft. Vnde illud fumi poeta?* Gratior 8c pulchro venien s in
corpore virtus, Refert ite Arift. antiquitus ad illos Regia dignitate deferri
folitum efle,qiuV corporisjHikhritudine quada infigniori pr^diti
confpictrtur,qu6d viDifcrime inter bonaxorporis (iue natura?,&Externa fiuc
Fortuna:illa naq; &per fe,& ob alias Caufas funt expetedaiperficiut eni
atq; explet natura human a , nepe quia ad virtum munera obeuda plunmum profun
t,hjc vero jppter aliud ta turn no per feipfa exptantur.Ex quo duo
colligo,primum:Bona externa, in partibus foelititati s nuJlo modo nuraerari,fcd
tanqua illius inftrumeta tan- tu accipi:Bona vero corporis,partes quauis no
primarias^foelicitatis ceferi, fiquidem corpus pars hominis eft,cuius
Beatitudinemqugriinus, ftatus aute optimus corporis a natura expetitur. Altef u
elicio , aimiru dubitatione qua infoluta reliquit Arirt.10.Ethi.c4. Expetaturne
vita( videlicet )ob volupta- te,an voluptas ob vita,nuc pofle enodari: Viucre
naq; fi fit aftu nutrtri,nutri tio aute,fine dubio natura human! expleat,qux
ftatu fuu optimu ac diutur- ru adaraat,fequetur,nos vita efle appetituros,etia
fi nulla afferretvoluptate, proideq; plus quoq; vita? quam voluptati tribuendu
efle:vnde dicebat Euft. voluptate ob yita efle,non cotra,& natura nobis
voluptate dedifle,vt ad ali- mentu qu^redu induceremur,&nutriremur, quaqua
ita voluptate atq; vita inter fe comifta efle Arift.dicat,vt vix feparari
queat-Secundu verb & prx- cipmi annotandu eft,Stoicos rigidos homines
&feueros>vt ex 4.1i.de fin. bo. &md.M.Tul.liquet > multis
argumetis refellerehacPeripateticoru & Aca- deraicoru fententia>qua nepe
affirmatur, Ad virtute>fiHomo vere beat 9 effe debeat,multa alia adhigenda
efle.Soniant eni ipfi,fe homines efle obliti,foeli citate quanda non
humana,quauis hominis effe ilia dicat, Proideq; nihil ef- fe bonu,pra?ter
Honeftu,in eoq; vno cofiftere viti beata putat>Honeftu vo- ate$, A&ione
ex virtute bene & laudabiliter fa&a.Quare virtute ita fatis ef fe ad
beata vita efficienda exiftimat,vt neq; alioru accefsione bono ru, fit bea
tior, neq; difcefsione minus beata, qu;ite neq carcere,neq tormetis,neq do
lorib 9 vilts aut egeftate feruituteue, aut exilio pofsit impediri: Virumq
forte acveue faptente totu ex feipfo pedere, neq humanos cafus neq fortuna? mt-
nas expauefccre^nec jllis fi accidat vnqua fragi; irao iftiufmodi cafus illi no
effe mala,vt eni nihil eft bonu pra?ter honeftu, ita nil malu prater id Stoicos
a Peripateticis in re hac difcefsifle,quonia videf e non potuerint,quomodo
Foelicitas bonu perfe&u ftatui pofsit,fi in eo ftatu homine qui feme! lpfa
habueritno collo- cet,vt fortun? cafibus amplius no fit expon^tus,nullaq
formidine comutatio- Bis,obtemeritate fortuna? detineatur,necno totusfit aptus
e fefe,^ mhilo ea duceni5,q vulgi opinidne amplifsiraa funt, i.Corporis
&Foituna? bona: Yerii vt fuperius quoq diximus, non plus Stoicis qua
Peripateticis (quod ad bona corporis &ibrt!ufl attioet)de nomkie duTer^tia
eft:Illi bona nolut vocare> Digitized by Google LIBER I. 149 fedfuas nouas
apppellationesadamat,hi bon^ vocat cu vfitatu vocabulu re- tinere Yelint.De
toitunae autem tormentis doloribufqodiuerfitas aliqua eft. Aflerut illi,Homine
fapietem in fummis etiam calamitatibuspofitum,beatu e(Te:Hi vero,Foehcitatem
noftrinon vfquequaq; ftabilem celent. Hominis enim natura cum (implex non
fit,fed Mente & corpore conftans, fi quis vere beatus nuncupari debeat ,
hunc tarn Corpus quani Mentem^qua? optime fe habcant, obtinere neceffe eft:
Atqui natura mentis ftabilis eft & imr^ortalis, corporis
veromortalis&fragilis: Fgelicitas ergo hominis partim ftabilis, Ertim
caduca erit; prarftat aute Mens corpori infinitis prope partibus:Foe- itas
itaqueex virtute tanquatn ex prciiantiore , & maiore fui parte , qua?
ftabilequoddam & firrnura eft,bonum ftabile & firmum nominabuur.Qva^
propter fi quis erit Mente optimal virtutis perfe&a: ac firma? prcfidio mu
nitus,vix ac ne vix quidem de ftatu fuo deiici aut deturbari vnquam poterit.
Quod fi cafus aliquos fortuna inuehat , quid Homini in pofiefsione foeli-
citatispofito fiat, cap. io.dicemus. Nunc verba nonnulla contextus expen-
damus. (Sed tamen bonis
quoque externis),vt partibus fecudariis & inft ru- mentis,non primariis.
(Non enim poteft, aut vix poteft).Mirum eft,fi Stoi- ci de foelicitate Politici
hominis loquerentur , eos ita opinofos fuiffe vt pa- radoxum hoc propugnare
voluerint-.Prudenttm videlicet, in ipfis etiam ve-
hei&etioribuscalamitatibus foelicifsimumeJQTe: Nam aliquibus quidem vir-
tutis muneribus, vt fortitudinis, temper antia? que, fungi poteft eo tempore
fapiens, fed non iis quae maximeab homine Politico defiderantur. Ad hare
fortafle refpiciens Ariftoteles,illis verbis vti voluit^i^Ww,*! oi *&
ETHICOJLVM tatentagemis ,vitia debet atqueoptime onmium poteft agnefcere,vtpote
Eropria,aut vxorisifere nanque filii a parentibus mores omnes fuos contra*
unt.Illis quamprimum cognitis, ftatim pater falutaria remedia ad euelleri- das
vitiorum radices nondum alte infixas adhibere debet. Vnde ilia: Principiis
obfta, fcro medicina paratur, Cum mala>per longas conualuere moras. In
puerili ergo ilia state education is, difciplina?que optima? curfum a filiis
inftitui,curetvigilans pater, fivelitabiis,magnos ad virtutem progrefliis
poftea fieri: Vnde &Gra?ci educationem 8c inftitutionem mu^a** vocarunt,
quod in puerili pra?fertim state adhibita plurimum proficiat. Ne vero in amicos
improbos , aut ingratos {fi fieri poteft ) incidamus,pra?cipuum illud nobis
cordi efle fummopere debet : vt eorum beneuolentiam qua?ramus, qui
ftudiisiifdemteneantur,eademq;virtuteprxditi finr.vixenim poflumus
noftrieffigienvd eft amicum qui noftram raciem referat,fallere, 3c no con-
ftantifsimo fummoqueamoreprofequi. Vulgarium & plebeiorum hommu
beneuolentiam,vulgari quidem amicit ia colas(omnium fiquidem hominum amor
exoptandus eft ) non magni tamen a?ftimes : popularis etenim gratia
mobiliseft,atque inconftans, quod ab animis,qui aut ienedute defipiunt,vt Plato
de Athenienfibus ait, aut falfa opinione imbui facile a quouis poflunt
proficifcatur: Contra # Prudentum 3c bonorum virorum beneuolentiagrauis 3c
conftans habetur.Si hoc vnum prf ceptum non profit >nil certe nobis prf -
tervotafuperfunt. (Talemprofperitatemtp/fitaMU'). Ifta
nanque omnia bona,a fortuna immitti antea expofuimus. ( Ex quo fit, vt nonnulli
eodem loco habeant foelicitatem, a?que grandem profperitatem fortuna?) . Quo*
modo locus hie ex fuperioribus deducatur , liquet ex quarftione quam pro- xirae
in medium attulimus:& verbis iis qua? initio 9. cap.i. magn.raor. ha-
" bentur.Eafunt:Poftquamdefoelicitatediximus,de profpera fortuna di-
" cendum nunc eft. Arbitranturenimmulti Fo?licemvitam,fonunatamefle u vel
non efle abfque fortuna;& id fortafle non iniuria , cum abfque externis C
bonis quorum domina fortuna eft, foelixquis eflenequeat. Quanuis ergo horum
fententia ad illam referri pofsit, cm bonorum exrernorum abundan~ tia, fummum
bonum erat, 3c de qua fuperius difputatum eft, non tamen ea- dem prorfus
cenferi debet , cum ha?c de caufa efheiente Foelicttatis- extrin- fecus
pofitaloqueretur , ilia vero de efficiente interna , qua? loco forma? a
Dialeaicis cenfetur,quod per earn res confiftat 3c cofcruetur. Eft autem fe-
Cunda Fortuna duplex,quantura quide ex Ariftotele colligi poteft, i.de phy.
aufc.& x. magn.mor.ca.9. item 7.ad Eudem. cap. 17 , 3c 19. necnon in lib.de
bon.fort. quapdam qua? bona fortuna, a bono euentufortuito, in quern fine
alicjuo impetu vel animi propenfione tendit operans, vt fi quis paftitiandaru
yitium gratia, terramfodiens,Thefauruminueniat,huius efie&icaufara eflfc
Fortunam diceret. Ha?c non multum ad foelicitatem conducit,quoniam rard >
& abfque vllo impetu, vel particular! propenfione obuenit. Qua?dam vero cum
impulfu aliquo fit ad bonum ipfum , a bonitate nafura? profe&o, Afquc
ratione tamen , imo fortafle etiam reclamante ratione : vt fiquis quae-
Digitized by VjOOQIC LIBE1L I. iji quarfat cur ita feramur, hoc ynum refpondere
pofsimus , Nefcimus, fed ita jubet : Et bxc foelicitati copulata eft : Quare
definiatur Bona fortuna dupli- ctter Jioc modo: Bona fortuna eft concurfus
quarundam rerum , nullum in- ter (e ordinem ac nexum habendum , nobifque
propter confflium atque in- ftitutum noftrum contingentiumrex quo effedtts
quidam bonus atque opta- dns nobis eueniat: Contra fieffe&us malus ac
deteftandus innostemereex iUoconcurfu proficifcatur, Aduerfa fortuna
nucupatunquam Ariflot.i.phy. 5*. vocat ri%tT kyadiv , rv%*t ^xiy. Alia
dcfinitio , Bona fortuna eft vis fine Natura hominis,afuperioriprincipio illi
impartita , qua* prompt us eft ad fequendum quociinque impulfus vocet : banc
autem vim & naturam proxi- rnead certas quafdam caufasvtadparentum
conditiones,ad fydenjma- fpedus referre oportet,poftrem6tame ad Deum,vt ex
Ariftot.inferrius co- gnofcetur. Neque eft quod aliquis dicat , Ea quar natura
fiunt , non rarer & inordinate, fed plerunque & ordinate euenire ,
quandoquidem natura? vo- cabulum iuxtaea tantum fignificatione hoc loco
accipimus, quam Ariftot.i^ pol. & alibi fexcentis in locis vfus eft : cum
verbi gratia Hominem , naturS Polit tcum aaimal effe diceret r quo enim
modo,H6mo ex fui natura Virtutis capax effe potcft, quia Mente preditus eft:
ita Homini conuenit a Principio aliquo akiorr in Homme extftente, fine aliqua
pra?cognitione,ad profeque- drnn aliquod bonum > cum appet itionc moueri.
Quam naturam plerunque agerenonneceffeeft:quemadmodumetiam,quanuis natura?
hominis con- tieniat virtutis & foelicitatis effe compotem, plures tamen
reperire eft. vir- tutum & foelicitatis expertes,De hac bona fortuna
loquebatur Ariftoteles t+ phy.58,cuminquit)0i//bcS$077 Jb*wwn*viitVI)
Tn'Zjki^ifj'drfvjfani- jfw. Quo in loco obiter annotabo 9 Ariftotelem in z. de phy. aufc. 'Julvvdz
nomen, non ad bonam & profperamfimpk'ritcr fortunam accomodare, ied ad
illam qua? in excellenti aliquo magnoque bono fita eft, qua qui vtitur V&-
7v%* proprie vocatur:contricA;^^fV qui in maximum aliquod incident ma*
lum,maxima'que incommoda & aduerfa patiatur,quale& Priamus atque He-
cuba dici'potuerunt.Eft autem Foelicitas magnum bonum , idcireoque it7*~ ^t
quardam ab Ariftotele cenfetur, non tantum kyt^i 7&gp.Sed redeo ad co-
tcxtuminam de fortuna, in fequentibus copiofius adhuc agemus. (Nonnulli
virtutem). Qui videlicet alia qua? in fuperiori contextu diximus > animad-
uerterum, nempe, In aftionibus ex virtute , omne bonum pulclirum , atque
iucundum exiftcre. c a p v T IX. Ex quo exoritur quzftio, vtrum Do&rina,
vel Confuc- tudinc vel aliqua alia Exercitatione Beatitude corrjpara- ri
poflitfan potius Diuinitus,an etiam Fortuito ebuemat. E t ccr cc Ci quod aliud
munus aDiis eft Iionnnibus datum* prc&ftoiC^Brencaaeameft^eatitudincmquoquca
Diis btiuK Digiti ized by G00gle ifx ETHICORVM immortaKbus donari,eoque
rnax!me>qu6drerum huma* rum optima eft. Sed hoc foicaiTe ahcrius
diljputationis proprium eric. Exoriturex his qua? proximo di Vim quondam
effe,caufam per acridentcume(Fe&uonne&entcmiilliufque efFe&us
fortuita caufa fuit , ex ele&i- ooe& confiHoegerit. Ari&qt. t.
pliy. cont.59. Eft auttm in iis qua? alicuius ijratta fiunt , id eft in iis
quae- ex eorum numero funt qua? non dico fieri pof- unt, vtplertque) fed
frutttaljaiius gratia : quanuis cum in fortuna referu- rur, turn aticutus
gratia minimefiaiu. Earumautem rerum caufa Fortuna dicitur ^qua? non nectffario
feniper,non plerunque , non ex a?quo, quicquid Simpl, 8c Auicenna , ^pro
hi&Neoterici dixerint,fed raro eueniunt : Vt in fodienda terraThefauri
inutntior Quod fie intelligo,vt ea qua? fortuna? tri- buimus in iis quidem
intexdum accidant > qua? plerunque efficiuntur , raro "
tamenipfaeueniantc Vnde Ariftot.t. phy. cont.51. non dicebat , fi quis pie-
jrunqu^in forum proficifcebSi fed iiquis plerunque pecuniam acciptat>id
foauit^-non effici.Noto primum quia volun- tas, aut a&io a vojuntate
inftituta vt fofiio, profeftio, quajn Fonunam nun- , cupamus>eum finem qui
coofequitur propofitu nonhabebatfed alium que-, piam qui per fe effc&us
eft. Vnde hie eadem caufa ad diuerfa relaca >per Jfe & ex accidenti'
caufa eft.De aliis vero caufis per accident id diei nequk 9 qua? . quanuis in
caufis per fefint,abillis tamen dilUngwntur. Colligo ftcundo, Fonunam ac Mentem
in iifdem verfari : eledio nanque non fine Mente fit, proindeqiie Fortunam
necefiario in rebus agendis effe fitara ; proptereaqwe jd> Ariftotele
Fortune grandem profperitatem>aut idem cumFoeliciuteef- ie qua? dtj^$i* eft
,autillicogiiatam alio loco cenferi. Inrcbusiinquaro>a- gendisnon tamen
inoralibus,& qua? bona animi dicuntur, nam tfta tnpofce- ltate noft ra
funt, & Mente dirigutunagimos enim quando, quatenus & quo modo oportet.
Erie igitur in bonis externis. Colligo tertio quod dicebat A- riftot. Quanuis
fonuna locum habear in iifdem in qnibuaMens verfatur V- bi tamen plurimum
Mentis eft, ibi minimum Fortunam dominari.Htnc ru- des, & indociles >
infiptentefqtte profpera fortuna plerunque vti folent : I- ftiufmodi nanque
homines fine prudentia&conftlio,folo naturar impulfu du&i, nullamque
fui motus rationem reddere fcientes , agerefoient, proin- dequeeodemmodo
plerunque ad boniun ferri dicuntur. Quaratione Ari- ftoteles dicebat , Antiquum
&peruulgatum effe prouerbium,Benc fortunatis confulere non expedire. t Thomas
in 4.fent.dift.4.q.i. art.i. ad $.Fortima & Foclicitatem crrca idem quidem
fubie&um , non tamen circa idem obte- Sum verfari dicebat. Hare de Fortuna
in prsefentia fat efto. Cafus eft Cau~ fa efficiens per accidens,in his quf
alicuius gratia fiut,fimplictter & folum, id eft abfque
deledu,Ariftotel.&. phy. 61. Hocmodo in rebus inanimis , bel- luis &
pueri&ctiam cafus inuenietur : Vt Tripos ficadat, & cadens fubfelliu
fiat : Equus ab hoftibus captus,in aliquem locum adueniens vt biberet, a Do-
mino fuo feruetur, Infans ludendo > margaritam inueniat. Caufam in nobis :
voco*qua?avoluntatenoftra immediate proficifcitur. Dodrtna? nomena Do&ore
fumptum eft,vt Dif ciplina? a Difcipulo:Quare nihil aliud eft quam
AdioDocentis,difcipulum perficiens.Conuenit hocnomen Stientiis,Arti- bus,Prudentia?,
Methodis,Ordinibus, Vcaufas fupra enumeratasapud Ariftotetemtollit, vt male-
Cicer.exiftimauit in lib.de fato. fiquidemprarterPtiouideotiam&Neceffr-
tatera quat a Prouidentia pendet, Ariftoceles vt audiuirausantea^ Cafum m natu-
Digiti zed by G00gle LIBBH L y iff 4MturaHbu*confltuie, Sc materiam
contingents* caufam efle dkit, *.meta. ;.*.&V* Item 9neque legis
difpofitione facit. t vt hoc monftretur , Non omnium efficiendorum potcftatem
fecundis quibufdam caufis communicauit , fed quorundam fibi tamum referuaui t
:Item,qu?dam permittit,alia infinuat per fe, alia per mi- mftros immateriales
& extraordinarios* qua*da per materiales>alia per prin cipia atturalia
nobi'fque cognate la fumroa,oronia Poteftati eius contingl- tia funt, Scietiti*
neceflaria,vadc & fupra omnem Contiagentiam & Ne- cefsitatem ipfe
confiftit. Sit igitur Fatum vis jpfa Diuiaz prouidentia? , fc- ctmdartis caufis
inter feordinarisinferta, per quam inferiera in fuos fines ftraordinatos
mouetur.Tho.i.par.fum.q.tf.art.i.Hoc modo dicimus,Fata~ e eft, ver efle cum Sol
eft in Ariete, Socratem hoc die nafci , tanto tempore vixifle , Philofophia?
moralis efle peritum : hoc nanque quod praordinaue- ratDeus,5idera , in tak
fitu atque afpedu pofita exequuntur. Colltgo , Fa- tum afkirtuna diftingui,
quia in Fortuna^iulla eft prarordinatio nulUimque operant! s propofitum : in
Fato vero,eft prarordinatio fummi ac prapotentit Prinripis, quaratamen
fecundariar caul* exequuntur. Natura
eft vis & po- teftas eadem Dei, vnicuique ret infita, ad motus ordirtarios.
Huic opponi- tur Fortuna.Quare qui Necefsitatem tanquam alteram caufam ab his
enu~ meratis diftin3am,introducunt, Necefsitati vim inferre videntur,qua? exi-
git,vt fi pro peculiari quadam caufa ipfaconftituatur,Contingentiam etiam pro
altera caufaillioppofita,definiamus:Necefsitas ergo Contingentiaque Caufas
quidera enumeratas circuut, non tamen ipfar pro caufis ef (icientibut
propriecenfentur. Ex quibus omnibus liquet (paulatim enim propius ad noftrum
propofitum accedere volumus) Fortunam non efle Cafum^ion ef- fe item
Mentem,prout ea vel docemus vel difcimus, vel afluefimus , vel nos exercemus ,
aut quolibet modo agimus. Mens in nobis eft , Fortuna autem fiue bona , fiue mala,in
noftra poteftate fiu non eft : quare quod iufti , quod
dodifunms,fortunaracceptumnonrefertur,fednobis. Item vbi Mens, ibi ordo
&certa aliqua ratio adefta.mag.mor.ca.y . quf vero fortuito accidut, Am t
omnia inordinata & prorfus inopinata, imitabiliique. Vnde & aliqui
dMEerum Fortunam nihil aliud efle > quam priuationem quandam Scientist
Digiti zed by G00gle i*tf ETHICORVM atque conGUi>ac omnino prudentia? &
rationis inopiara. Et pterique Vetc^ rum turn Poetatum tumPbilofophorAim, ipfam
cream faciunt;, infanam & furdam : necnon AriftotjLmctaphy.
*.7ttieidji[lv%if produxiffe fatetur.,Con- ftat item,Fortunam ,taon cflc Dei
prouidemiam , quanuisconriogat ex pre- uidentiaDei : veluti 8c Fatum, &
qua? libet aliaEfhciens caufa a nobis antea commemorau. Nihil enim ne paulum
quidem vel neceflari6,vei continge- ter moueri poteft, non dirigente voluntate
Dei.Quare miror cur Ariftofeles fortune euenta ad Prouidentia Dei referre
dubitauerit,quod accideret per- fepe Improbos fceleratofque homines?
fortunatifsimos effe , Probosautem 8c fapientes adueriii fort una
confli&ari. Verebatur enim, ne fi id admitteret, Deus iniuftitix.condcmnari
poflet, i.magn.mor.cap. ?. cumprtffertim, v> ros probos 8c fapientes
|rnet,illifque benigne Temper $cere velit, * f,cOOvx. 77 xp7/oM , Id eft, omnia
mouentur ab exiiteme in nobis numine. Rationis autem principium non Ratio, fed
pra?ftaiuius quippiara ipfa ratione. Ac fi diceret : Honnoi ad res gerendas,
fortunam diuinuusefle adiun&am. Imo lbi laudat veteres dicentes, Fortunatos
a Deo mouc?*. Hac eademfuperftitioneaddu#us, alibi Diuinationem per Sojaniun*
ad.Deum refer ri non vult.Sed nos qui Chriftiani fumus, exiilimare debemus, cur
im~ probi aliquando omnibus fortunae bonis circunfluant,probi autera 8c fapie?
tes calamitatibus opprimantur , tandemque omnium tametfi nobis occulta- rum
rerum , aliquam fubefle & verifsimam caufam, quam nos ob infirmita- tem
Mentis noftr* perfpicere no valemus. Communis ilia eft & certiftima* Gloria
nempe Dei, quae: fefe vbique 8c omnibus fiiodis vult patefecere.For- tafle
autem Ariftotelis animus de hac re non dubius fuit, fed id prof erre vo-
luit,ne improbis ac fceleratis hominibus , qui ex prafentibus tantum de be-
neuolenua Dei erga fe ratiocinantur,anfam fuperbietidi pra?beret.Hoc col- ligo
ex verbis eiufdem in %.Rhet. cap. 13. vbi peruulgatam lllam fententiam laudare
videtur qua? dicebat,Deum opes quam maximas multis largiri, non vt fuam ergo
illos beneuolentiam teftetur, fed vt illuftriores poftea calarai- tates
patiantur. Veruraifta omnia alias intimius &copiofius, nunc quod
Moralemagamus, ilia quanuis non vndequaque Peripatetice, verifsime ta- men
attigiffe,fat efto. Nunc ad contextum. (Siquodaliud munus): Deum Hominibus
multa imo omnia Bona dediffe dono , 8c continenter dare , fate- tur Ariftoteles
hoc loco 8c fexcentis aliis : fed afcendamus ahius , Deus qui verifsime vera
Foelicitas eft, nobis feipfum largitur , etfi eius vis atque na- tura infinite
no ft ram excedat. Ea nanque eius benignitas eft, ea fapientia,ea poteftas, vt
in fe manens infinitus , nobis tamen finito quodara fe impertire modo , &
velit , 8c i'ciat , 8c pofsit. Hanc autem Dei couimimicatione^i ii Ph ilofophi
aflequuntur ., xjui ex hac vita decedunt, fenfuque ipfb mortis ca r rent ,id
eft quorum animi amore contemplationis Dei flagrante?, ante cor- poris
diffoluticHxem ad caelum ^fcenduntjainicitiamque cumf)eo cootrali^ revo- Digiti
zed by G00gk re tolunt. Qm iiori nanque alter poflct, ctjm^mkitiaa^ualicatem
qnand requirat?Quapropter qui Deum amant in Deum conuertuntar 3 ac pr*tcrea cum
amor amorera pariat, a Deo anaamur; Ita non raodo ilii in Deum > fed Deus in
ipfosconuertitur: Amoris enim proprium eftiamantem in amatuni plane conuertere.
Non*nodoinamando,fedinintelligendo idem eucnit, Nam Cum infinitam perfedionem Dei
Mens noftia , 4ut etiameseieftes ilia? nientescomprehehderenequeant/ed quantum
poflbnt: effrcic ^ertefe no- bis fatis apqualem ,teles hoc loco dubitare
pofsit,Num Fodicitas (it Donum Dei,neque enim de Foe- licitate altera loquitur
qua? Deus eft. Tunc enim nemo dubitaret , an Deus iehomini donet.
Hoclocononpraetermittam Ariftoteleminy. adEudem, -cap. 18. dtfene
concedere>Effe afiqiitmF alicem non confilk>& opera pro- pria, fed
numine Dei adiutum , ita vt eo inftigatus atque excitatus eaperfi- ciat,quar
fupra liominum expedationem iunt , admirandaque &infolita profperitate in
adionibus maxkne gloriofis atque itkiftribus,4]ua*que hu- tnanam condkionem
fupecare videntur , edendis vtatur. Non
negat tf tiara ex quodamanimi Fursorcexiftere in nobis alrqua
fpeciemfoelicitatis , prio- ri tame minus contkiuatam atque frequent em, vt ex
eodeVlococognofci po- teft : Priori Foelicitati quamDiuinam vocat,Virtus ilia
Heroica tortaffe re- fpondet,quam Priamus in perfona Hedoris celebrabat, &
Ariftotel.y.Ethiu cap. i. raram efle , ex Laconum fenteiitia affiraiabat.
Eiufiiem virtutis effe dicebatur in Polittcis , Regiiu filiis improbis no
relmquere ob earn caufam, & (vt
dicum) Imperia- li , cum Marito fuo Optimo 8c nobilifsimo viro* compatreque meo
, necnoa cumcharisfiliolisEuangeliigratia,viuentem>obEuangelii caufam harrc-
ditate plufquam quadraginta millia aureorum,fpoliauit : Sed repetet om- nia
Dominus, cui res innocentum eordi funt, loco & tempore. (Sed hoc for- cafle
alterius difputationis). Non poteft ha?c quxftio legitime diflblui , nHt de Dei
Prouidentia iimul difputetur : non poffuraus item quicquam de Pro- uidentia
exploratum habere, quin de cognitione eiufdemagatur : Quae om- nia in
4uodccimometaphyficorum determinant^ ,aut alio etiara Ubrode-; Digiti zed by
G00gle tjt fTHICOlVM terminate fune quiad noftras manus ha&cnus noo
peruenit.Obitrit.D.Mar- tyr, potuiffe Ariftotelem nuitno tantum do&rina? a
Metaphyfico acctpere* quantum fateflfetadfuamfententiam aperiendam, veluti de
Anima'indc- cimo tertio capite huius libri fecit, vbi ex Phyficis tantum
defumpfit, quaa- turn adVirtutumfedem&materiam ponendam faciebat.
YerumerratD. Petrus Martyr :primum, quia non potuit Ariftoteles hoc loco
(ignifican- tiusloqui cum ita argumentatur : Siquodaliud eft muous a Deo ho
mini- bus datum , confemaneura eftquoqueBeatitudinem a Deodoaari: Fate- tur
primum Ahftoteles,quanuis hypothetice loquatur. Nam 10. ethi.cap.8. ita loquutus eft. Nam fi aliquam Deus
humanarum rerum curam habet,fictit ( apparet , confentaneum eft ipfum , ilia re
qua? optima eft , atque ei maxime c cognata deledari,qua? eft Mens : Eofque qui
earn excolunt,amant,atque ho- c
norant,rauneribu$aDeoaffici.Alia6V(vtitaloquar)fexcentaloca extant inquibus hoc
idem teftatur. Non negat igitur Ariftoteles aflfumptionera, quareconclufumquoque
probat, Indicio eft, quodquanuis dicat poftea, F oel icitatem dodrina &
afluetudine comparari , illam tamen Diuinifsimam vocat : Ac fi diceret,largitur
nobis Deus F oelicitatem hanc Politicam,adfci- fcit tamen fibi veluti corattem
Dodrinam & Exercitationem noftram. Ne- queentm nobis nihil efficientibus ,
illam largitur Deus, fed ftudium atque laborem noftrum exigit. Vnde Poets* viam
ad virtutem ducentem afperam, faxifque & rcpribus impeditam finxerunt. Hinc
illud, Virtutem pofuere Dii,fudore parandam. Adhibet ergo Homo diligentiam ae
ftudium fuura, qua? vicem gerunt *u*i. vrnrn vt Euftr.inquit, Deus poftea
profperos fucceflus,& quafi laboru pra?- miu tribuit.Harc moraliter
did*e(fc volo, quibus quanuis Papatus,qui Vo- luntatem Hominis Chriftianifuperbo
illo^titulo libertatis infignirevuJt, Jirorfus adhaeferit , non tamen vera
EuangeUi dodrina , qya? Hominem ob uamingratitudinemabeximia gloria inextremam
ignominiam &ferui- rutemdeturbatum efle tradit , affentiretur. Nee valet
quod ex 13. cap. D. .Martyr opponit: potuit enim id eo loco efficere
Artftoteles^cum Subiedum totiusaritis Politico ftertiere deberet , fcicvero non
multiim adPoliticum hominem formandunv de Dei prouidentia, (iue de principe
foelicitatis cau- fa, tradatio quantumuis exigua,conducere potutflet Carter urn
de bona for- tuna habes land, quarft . & Egidiion Jibro de bona
fortuna,item Auguftini SuefT.primoRhetoricomm. Hlud certe perfpicuum cft,ctiam
fi non fie a Diis im- mortalibus donomifla r fed virtute acDo&rina
aliqua> auc Exercicatione pariatur , in rebus tamen Diuinifsimis die
numerandam. Virtutis cnim premium & finis, o- ptimum (juiddam eflevidetur
Diuinum ,~&Beatum r 8z quod cum mulmcommunicetur^Poteric enim con tin-'
gore,- LIBER I. H9 ^gere dffciplma cum prefertim vt Thomas inquit,Bea- titudo
ipfa fir qua? nos Deo fimillimos reddife (Et quod cum multis comu-
nicetur).Qirolat!us boaurn ali quod pat et, eo etiam Diuinius eft,vt fuperius
cap.i. dicebatur : Et Auerroes tertio de anima,comment.p. ait,Bonura com- mune
omnibus, efle bonum purum. Quare hare quoque foelicitatis con- ditio nobis
argumentoeflepoteft,ipfam non modo bonum quoddam,Te- rum etiam Diuintfsimum
bonum efle. (Poterit enim). 7-pol. cap.x ha?c lc- guntur. Maneatigitur
conftkutumque nobis fit ,cuique virtutis
& prudentis, & quae ab iis proficifcuntur a&ionurn
adeft,tantum foelicita-t videlicet res
optima>iucundifsi- ma ftabilis r continuata* perennis,Fortunae quae
temeraria, irr ationalis,mu- tabilis atque inconftans eft, prater omnem
rattonem permitteretur.. Needle eft enim vt res optim&modu optimum
e(Iendi,per medium; fibi in dignitate refpondens,confequatur, fcwiatura &
Arte quae inferior.es caufeiunt 3 hoc licet animaduertere:Heque enim Natura
homineniiper putrefedionem efi- cit, fed per hominem& per nohiliorem rood
um rationemque quam reliqua animantia; Confule Galenum iniib.de anat *adm.&
de vfu part. Rune fco- pum Ars,& qimiis alia caufa propofitum femper habet,
vt res ntmirum me- iiori quo poteft modoapriorique medio efficia* Multoigitur
magis Eodi~ citatem quae aboptima caufa, nempe>Dco imraititur^no Fortune
temerita- te , fed ftudio&hbore,honeHiqueadionibuscompai-ari fatendum erit
I- ta explico hunc locum , quanuis aliialtten Infpicieati vero acute con textua
verba , nos fcopum (vt aiunt)attigiu*e,planunfcerit;Quare vt omnibus fatif-
fiatjfingala verba interpretemur. (Quod fi fie beatum effe praeftat) per Do*.
drinam &: Exerciationem, (quam fortuito* Jik 7^^)> quam.per fortuna.
(Res naturales ita foleant fe habere, vt optime habere poflunt ) ? id eft per
mo* y. dum &r medium effictat ur apt ifsimiun. (Idem deiis qua?
ab*Arte,& omnia- :- iia,caufa)agent;e videlicet;
(^>c^^7W*e/V^.)^idieftab optima caufa . Efficiente , quj? Deus eft ,
& qui Foeiicitatem largitur :, 10. Ethicorum cap. ultimo. Ytide
abfurdifsimum diiftuefle,&nefarium,flagitiofumquecon*r
duditur^Rentomaiumguicherrimam optim4mqtie i & cuius Deus/it Amor* nobis*
Digiti zed by G00gle XI BE R L iSi nobis fortun^volubilitatesdifpenfari.
Annotetur hic>Arift.exeoquodj3iV It* vocat, arguttientari quide folere
pl&runq;,& probabiliter,id tamen con cludere quod ipfe omnino fentit.
Hoc ex multis locis,vt ex p.de an,cont.4*. con(tat:quo in locoPlatonem arguifequi
animam ex dementis produ#am,& cum corpore mixtam,ftatuebat, Atquc ctiam ex
definitione id quod quxrimusper- fpicuumj efTe poteft:Diximus nanque,eam efle
cuiuf- dara modi a&ionem animi ex vircuce . Cxtera au- tern bona , alia
prxfto fine nccefle eft , alia adiuua- re & conducere apta
funt,inftrumentorum inftar: At- que hx$ emm iis qua: initio diximus
confentiurit . Ci- uilis enim fcientix finem optimum efleftatuebamus,quae
magnam diligentiam adhibet, vt ciues ccrto quodam mo doaffe&os,bonofque
& ad res honeftas agendas idoneos reddat : lure igitur nee bouem, nee equum
, nee vllum a- Jiud animal beatum dicimus: nullum enim eorum , parti- cepshuius
a&ionis efle poteft.Ob eandemquc caufam, nee puer beatus eft : quippe cum
nondum per astatem ad hxc agenda fatis lit aptus-.fi qui autem dicantur r
propter cxpc&ationcm beati pra:dicantur:Opus eft enim (vt dixi-
mus)cumabfoluta virtute,tum vita perfe&arMultas enim in vita reram
coromutationes , variique cafus interue- niunt , fieriquc poteft,vt qui maxima
fortune profperita- tc vtatur,magnis in fene&ute calamitatibus amciatur :
vt inHeroici$,de Priamofabute referunt. Qui autem eiuf- modifortunam
fueritexpertusy&mifere de hacvicade- ccflcrir,eum profeko nemo beatum
dixerit. Vera? definitionis munera alias ex 4.phy.enumerauimus:pra?ter ca?tera
vefvtexea,qua?ftiones omnesinrecontingentes pofsintpro- fligari:QMare
Ariftoteles quodha&enus Dialedice oftendit,nuncveriusar gurtiento a tradita
definitione foelicitatis fumpto,vult demonftrare , Foeli- citatemvidelicetfortuito
nobis non obuenire.EftyinquitjFoelicitas quiddam abadfone animi pendens,
proiridequeconfentanee cum veteribus iuperius cAnchiuitieftjillafn in bonis
animi ptecipuis numerari : Atqui fortuna non in bonis anntii/ect in
externis^aut etiam corporis(fi fortune nomen coramu nitefaccipere velis) vires
fuas e j>artim verovt inftrumeu
" Li Digitized by VjOOQIC ufc ETHIC O&VM neceflaria requiri
dicamus,&confequenter fortunaraqua? in iftiufmodi bo- na potelt,quaii
Adiutricem iiatuere videamur ^non tamcg Jla in vi & natura Foelicitatis
comprehenduntur,cum luc folaatiione animi, quara virtus ab~> foluitjdcfiniatui :Quam ob caufam non modo
bruta,fed neque etiam pueros, qui alias Fortune boms abundare poflent ,
Foelicitatis compotes effe doce- mus.Quod fi aliquos eorum,beatos aliquando
nuncupari audiamus , id pro- pter fpem,quam de iis habent homines,fieri
exidimemus.Huc accedit,Pue- ros non etiam poffe dici foelices Bonorum fortuna?
ratione,quia non modo virtutemperfettamquam reqnirimus in foelicitate , veluti
& alia animan- tiabruta non habent ,verum etiam perfe&a? vita? ilia-
profperitate carent* quamfuperius commemorauimusiPu^ri nanque fi hodie,verbi
gratia, fes\ valde fccunda? fint,alias,vel etiam in fene&utc , tales rerum
commutation's &tamvariicafus poffunt interuenire,vtmaximiscalamitatibus
confli&e- tur.proindeque non antea&a? vita? conuenienter mortem fit
obiturus . Con* flat iam,vnkum effe argumcmum quo Ariftotelesin totohoc
contextunow bircumagitj&vnumconclufum non plura,vt alii fere omnescontextu
non re&e diuidentes exiit imarunt : Quanquam id 3 fuas qu*:fdam
propagines-ha- beat,qua? quorfum pertineant facile turn diiudicabimus^cum
fingulas con- t extus part lculas expenderimu s. (Cuiufdam modi) verba ilia
innuit^capit is feptimi, Si
rtalisque,necnon mortalis,&caduca?:Diuina? illius ration^ virtutis &
prudetia? qua? a&ionis Domina eftjCapaxfi^Mortalis verd occajione,Fortuna?
fubucitur:vndenon- nulli ftatuuntjln Fcelicitate eadcra rationemhabereVirtutem
ad Fortunam, quam ad Corpus habet Anima.Anima in homine principatum obtinet cu-
ius Intelli^endi yis homini Effe largitur, Ita aftiones animi ex virtujje ,
pri^ maria? partes funt fcelicitatis,eiufque vim & naturam folar
conSituu^t. AiiC, ma imperat,vtitur,prdinat ? j8c. quafi defiriit/.Corpus
vfumfui prsebet^gjuber- hatur,definitur:Ita viraites qua? origine &
pptentiapriores fiint^e&e vtun- tUr fortuna,eamque pr defiRitur.C6ur rk
ergo ad fpelicitatem tain virtus quam Fortuna , fed ita vt Fortuna > quafi
qua?dam materia fit,circa quam fe virtus explicet,aut( vt Ariftoteles ait),or-
ganica?caufa? rationemfubeat:qua?fi abfit,omnispropebene agendi aditus nobis
prafcludatur.Quemadmodum autemin Virtute quofdara gradus poni audita & in
Fortuna? bonis: Placeru autem hi gradus Peripateticis , quibus augerL&minui
Foelicitatem poffe cenfent.Ifta qua? diximus omnia,locus A- riitotelis in
feptimopoliticorum capite decimo tertio confirmat , in quo itafcriptumlegitur.
Omnesigiturredeviuere,vita'mqueheatamexpetere
perfpicuum eft>fed.quidam id aiTequi poifunt , aliis facuitas , propter
fortu- > nam quandam vel
naturaraabeft: Quoniam ad rede beateqife viuendum ad* iuraenta qua?dam defiderantur,fed pauciora
redius affedis,peius autem plu-
ra^Ommnoigiturfejcunda Fortuna a Foelicitatediuerfaeft,
qutabonatan-^ rum qua? extra animam
funt,Fortuna? beneficio contingunt , quanuis in ho- minis foelicit ate vt
inftrumentum neceffarium requiratur : claudicaret e- *iim Foehcitas &
langueret , iftiufmodi fortuna? prcfidiis deftituta . Li- quet hoc
ex,Deojpfo>qui cumbeatifsimus& foelicifsimus feroper fuerit atque f
uturus fit,nullo tamen externo bono*fed per fe , & quia talis eft natu- ra
(neque enim virtutem ab aliquo edodus eft, aut fortunam adiutricem ha-
buit)beatus habetur,feptimo politicorum capite primo.Homo autem neque natura
bonus neque beatus eft,fed Difciplina atque exercitatione eget, qua? etiam
Fortunam,aut(fi mauis fandius loqui) prouidentiam Dei adiutricem imo Ducem
habeat.(Ciuilis enim fcientia? fine). EftAppendix,& quafi ratio eius quod
proxime dixerat,nempe,Foelicitatem political cum pro primaria
fuipanehabereadionesexvirtute,turoprofecundaria Organica bona ex- terna : Nam
Ciuilis ha?c fcientia quam tradamus , & cuius munus peculiare
eft,Horainisfinemponere, nil aliudvult, quam reddere Ciues(ceno quo*
dammodoaffedos bonofque)quodadpra?cipuamFoelicitatis partem atti- net,(& ad
res agendas idoneos)quod ad omnia qua? in foelickate requirun- tunr referri
poteft,maxime tamen ad inftrumenta debet ,nifi velimus Arifto- telcra
nugari:Dixerat enim antea,hanc fcientiam velle bonos & quodam mo do affedos
ciues efficere,ideft habituvirtutis munire.quod fi fit,iam erunt e- tiamad
agendum idoneUquantum ad virtutem attinet:non erunt autem om- nino>nifi
iili$>alia inftrumenta bene agendi fuppeditentur: quod Ariftoteles: verbis
iftis nunc figni Scare voluit, kcu Lii.
Digiti zed by G00gle *4 - ETHICORVM quod Bona Fortuna,idcirco,non modo non
aliaaniraanttabruta>Yerum etii neque pueros foelicitatts compotes
exiilimanuis-.quanui^alioq^iniideni bo nis f ortunap multiim abundare
pofsintifiquidem ilia ononis yirtutis abfoiute funt expert ia,hi vero,cum
abfoluta,ideft ake infixavirt ute,tunt vittj> er fe&i carent,quam in
foelicitate omnino requiriraus* Arift. r- pol. cap, ij. dicekat* Homines probos
rcddi tribus rebus , Natura,Moribus , Ration* : &NatuiA quidem,inquit,quia
primum nafci oportet, idcft hominem efle , non ex alio genere
animantiumiCaufahic affertur , quia fecus virtutum coafequcnda- rum facultate
no haberemus:in exemplis igitur bonis & equi allatis,ne qnar- io plus artis
aut fpeculationis queramus^quam Arift in iOithLc.8.poftieritu Quod verb ad
pueros atti net ,qui fua& propria. rationcdeilitii(untur,aut(vC rectius
loquar) earn imbecillem & iraperfeetam 5 affedibuTque yariis &mul-
titormibus turbata obtinent,cum vix fui mis fint y incertumque &
flu&uans ludicium habeant,non modo non virtutis, fed neque etiam vitii
partkipe&ef ledicnutur,quanuisfalfaproverisplerunque
fumerefoleant>inaniafuper- uacaneaq;,necefl'aria ducere,necnon
noxia,provtilibusconfe&ari.Qro in k* .. cq ammaduertatur,Eos qui modo nati
funt , &r tencriori adhuc a?tate,rc&5 quidem rationis participes
dici,quanquam eius vfum non adu, fed potenti& tantum habeannquomodo in
Politicis Ariftoteles eft intelligendus . I*c eo kf I** ^ UiS ad C ^ Ut ^ 4
fec.de gen. an. item adr-pol. cap*, if.refpiciens* abiolute vellet
affirmare,non prius Animam in hominem infundi , quara v- ius illius exigar.Hoc
nanque falfum eft,vt alibi oftendimus:(qnanquam Mi-
randulanus,duplicishominisnatura & conditioneex i. Ethic.allafcbidfta- b i
1Fe * uent ) Clim prefer tim problema quartum fec.30. aliiquemult* A- rHtotehs
& Auerroisloca 5 cumiftiufmodifententiadifertepugnent. Eodem igitur momento
quo fumus,anima intelligens nobis communkatur, qua? ta- meninftrumenti vitio
impedita, ideft innata & redundante humiditate, op- . preffa atque
occultata,vires fuas non exerit:organis autem paulatim,ad tem peramenti
mediocritatem reda&is,tumdemum fefe patefacit. (Mult^enim in vita rerum
comutationes).Occafione eius quod de perfeda vita dixerat, , ba?c pauca de
inconftanti vita? noftra? ftatu interpofuit libentius,vt ad difpu \ tationem
perobfcuram,dignifsimam tamen qua? examinaretur diflbluendam liberius ingredi 3
poftea poffet. De perfe&a vita vberius fupraex Ariftote. le diximus.De
Priami ftatu & conditione ex Poetarum Herokorum Fabulist vnufquifque
cognofcere poteft:tantum aunotetin^his inverbis concIudi>Foe licitatemefle
quid conftans,perenne>#quod non modonon eripiaut amitti*. fed neque etiaai
intermifsionevlla frangi pofsit. C A P. X. Nemo ne igitur alius mortalium^quandiu
maner in vi- ta ^bcatus eft iudicandus?Sed Solonisfententidjfpedan- dum eft
tcmpus arcatis extremuin?Et fi hoc ita efTe fate Digiti zed by G00gle muf >
eciam ne beaeus eft,tum cum exce/Terint e vita ? An hocquidemprorfus
abfardiimcft, nobis prafcrtim, qui bcatitudinem cnerg^m quandam efle dicimus i
Quod finecnos beatumeum dicimus > qui mortuus eft,nequc hoc vulc Solon,fed
cum denique aliquem verc,ac tuto bea turn praedicari , cumiam a
maHs,mifcriifquefitlibcratus, dehocquoqpe quifpiam poflet ambigcre: videturenim
& mortuo, aliquidboni&: mali fupereffe, ycluti& viuen- ti,quaraiis
non fentienti,vt hbnorfcs,& ignominise libero- rum,& omnino pofterorum
res fecund#,&aduerfae.DifK- cultatem hxc quoque afFerunt:Fieri nanque
poteft,vt qui beace vixcrit vfquead fene&utem,& qui fupremum diem
conuenienterafoeiam #tati obierit,eum multann poftc- ris mutationes, ac
varietatescxcipiant, vt eorum alii bo? mfint 5 eamqudvitamdegant, quammerentur,
alii con- tra. Acquehoc fane perfpicuum eft* interuallis temporum cosvariis&difeimilibusmodis,
fi cum parentibus confe- rantur, poflc fe habere. Ab&rdum icaque fuerit y
fi vna cum cis,mortuus quoque commutetur , fiatque nunc mi- fer,nunc contra
beatus.Abfutduni vero etiam illud effet, res pofterorum nihil,ne ad vllum quicjepi
.tempus ad pa- rentes pcrtincre . Scd redcundum eft ad id quod primo lo- co
dubitatumeft: Exilloenim,fortafleidquodqua:rimus intelligetur. Si hominis aftio
perfe&a,beatitudoque , fpacium temporis", & longitu- i'mem quandam
defideret , Exoritur inde quaeitio, multa capitatempu$ aetatis extremum
expe&andum eft,ad foelicitatem diiudican- dam? Vnde ilia Ouidii: -vltima
Temper Expedai^a dies Hominijdicique Beatus Ante obitura nemo>fupremaque
funera debet. Atquanuis fententiaha?cSolonisadmittatur,adhuctamen&ipfadubita-
Liii. Digiti zed by G00gle U6 ETBICOHVM rionenon caret:
QuxntureniravnunLitaintelligaida fit, vt turn dtniquefit aliquis beatus,cum
vita? curriculum * natura datum confecer it 5 an hoc pro abfurdo habendum eft ,
a ncjbj$ pra?fertim qui de humana f oelicitate loqui- mur,cuius in hac vita
participes fumus, non'de ea qu2 poll mortem f rui de- bemus: verfatur atitenv
ilia, in virtutis vfu>actioflibusque koneftis:iis ergofu- blatis, beams
quinam dici potent* Qiyndfi aliter fententia Solonjs uitelli- genda fit,quafi
nempe dicere voluerit,tum denique vere beatum aliquem iifc- dicari pofle , cum
ex hac vita excefferit , qua? omnibus fortune telisjna- gnis, grauibus &
variis cafibus expofitaerat , tanquam videlicet extra-om- nium malorum atque
infortuniorum difcrimen pofitum , neque hoc exiara dubitatione vacat , An cum
quis e vit^excefl'erit , iitius liberi 9 po^eri atque amici in maximas
calamitates incidcnnt, telisque &fulminibus fortuna?,aut vitiis propriis ,
morum & fortuna? conditioner illi difsimiles euaferint, (quod aliquo , aut
longo temporis interiiallo euenire poteft ) fpolietiir ipfe f oelicitate? Vt
enim res aduerfas, & graues diuturnofque cafus pofteroru ni- hil
&nufquam ad mortuos pertinere,fententiis omnium repugnat , ita tanti momenti
effe,v t eos,fi antea f oelices eran t,ex poffefsione optima? vita? detur-
bent,non videtur concedendum. (Nobis
pra?fertim,quibeatitudinem,ener- e*am quandam effe dicimus). Loquitur
philofophus de^FoelkitatCsCuius in hac vita poli ticeagentes-cofnpptes fumus:
nam deea qua? poft mortem no- bis .obuenit 3 alterius Artificis,n6Efhici
qua?ftio eft.Et philofophjPeripatetici . pra?fertim , de eaexquifite
difputarenoluerut,qu6djnifallor,intelligeret,ea dem cunvilla effe, quam ex
parte in hac vita cotemplando confequi valemus? quanquam puriorem
&,folidiorem,vt Plato in libr. vltimo de rep.xlocet, id-. eft fpeculatione
natura? Dei,eiufque toprehenfione quanru nobis fas e&jnec non m eundem
maxime optatu bonu .mentis noftra? fumma propenfione, 8c ardentifsimum amore:In
cuiuslucuhdifshna cdtemplat ione comprehenfio- tt^que>quaii nedare &
ambrofia faturati ,conquiefcere debeamus . Ha?cex decimo de mor.intelligi
poffunt , vbi copiofe & fubtiKter , de ea F oelicitate difputatur qua? in
conteplatione confiftit. Aut pro Ariftoteledicas^Foelicita- tem quam poft
mortem expe&atnus , eo in loco declaraffe , vbi ( duodecimo nempe metaphyficorum
) proponit heatitudinen\ Coeleftium Mentium,a quarum natura & conditioned
Mens humana , poftquam 3 corporehocli- berata fuerit,non magnqpere
differt.Ca?terum hoc loco grauifsime DMen- tem humanam poft mortem nihil agere
, cum alioquin in tertio de anima H- bro capite fecrmd6,ip(am TZoiticf. w^ynex
effe affirmant > fed Animam ho-, minis a&iones virtutum eo tempore
exercere non poffe , qua?adiones Foeli- ritatem illam conftituunt , quam hoc
loco qua?rimus . Non conuerterent fe innecefsitatibusadSan&os
fuosPapifta?,fitantum natura? lumen obtinere* potuiflent ,vtdidiciflent ,
nullum ab eorum adionibus commodum in^u- inanum genus proficifci poffe.Excipit
D . Martyr debuifle faltem > Ariftote- ' '
""" fern. Digiti zed by G00gle L IBB % h *# lem,libcre
hoc in toco & palam ve/itatem teilari : Quid audio? Primum fi v-
hiqueexigamus id quod Ariftoteles ad Mentis Chnftianse voluntateme^- plendam
ageredebuit,nullibiipfum non defeciffc reperjemus:pra?terea,non potuit
Ariftoteles ad fuam fententia de animoru immortalitate aperienda fi-
gnifisanuus loqui,quam Ciim dubitauit,num res aduerfe a^nicorum & pofie
roru ad raortuos pertineret.( Videtur enira &mortuo aliquid boni &
mali). Explicatur ifta alioquin fubobfcura 3 ta ab Euftratio quaraab Auerroe
& Tho ma,hoc modo:Quauis raortui fenfu careant bonoru &maloni,qua?
amicis&r pofleris fuis obueniunt,ad eoru tame foeiicitate profpentas
fortune, aut in fortuniu pofteroru no minus pertinere videtur , quam calumnia
& dedecus atfinium,&amic6ruqi pectineal ad eorum beatitudinem,quiviuunt
quidem, tarae>aut quia longe a fuis amicis & cpnfanguineis abiint, aut
aliqua alia oc- cupationediftradi,dedecusillud,calumniamque eorum quosamant
cerne- *C,&femire nequeant: Atqui proculdubiode fajftigio foelicitatis
viuorum ifta nonnihil detrahunt , ergo & mortuorum . De contratiis ntmpe,
honotje, &profpero pofterorum*uentu,contrario modofentiendumeft . Hocloco
primum animaduerti cupio,Ariftotelem non modo verifsime exiilimaffe A- nimas
humanas immortales , effe , verum etiam, quod magis eft,tot effe nu- mero,quot
homines funt:cum alioquin phyfice loquens,id nullo pa&o concp derc
vo!uiffet,aut etiam potuiffet,quod nos alibi copiofiiis oftendimus. Qua-
propter Simon Fortius, qui vt animam humanam interitui obhoxiam effe e-
uinceret,locumhuncimpie torfit,illumqueadopinionemquae de foeiicita- te eorum
qui ex hac vita excefferunt apud homines manfit , accomodate vo- Iuit,omni
nomine iuftifsime reprehendenduseft : In tota nanque hac qua?- Atone
Ariftoteles ne vnum quidem verbum de opinione ifta f oelicitatis mon- [
tuonimagit/edvbique,vt etiam capkefequenti,fermonein fuui^admc*- tuos ipfos
dbnuertit. Quare vt omnem fcrupulum e medio tpllamus,ob non- hullos ref
raftarios & nimium fuperftitioios 3 dicamus,particuiam illam^ tumcfAty^non
omnem prorfus fenfum bonornm & rhalorum qua? pofteris obueniunt Mortuis
enpere, fed aliquem adhuc illis relinquere , verba ilia e- iufdcm capitis
a^W^/aok famjcu, & alia multa qua? ibidem' habentur,quod dicimus verifsimum
effe demonftrant.Dico autem,fenfum aliquem relinque re,non* ilium qui
corporearum rerum eft,Corporibus nanque exuti funt ani mi,fed qui animorqm
prpprie dicitur , quern cum alibi , turn etiam fortaffe primo Tolpicbrum cap.
decimo tertio nobiifi&riiificauit, cum poft mortem nu!losliberos,nuUbsamicosvctvtfciftel
.-. . v .^, _ ^ Liiiit "'' "'- Digitized by VjOOQIC i*S ETHICOHVM
dicam,pofterospecuIiarcs haberemus , quorum miferia /noftraFoelidta*
commaculari poffet. (Fieri nanque poteft).Explicatur ratio dubitationis dc
conditione Mortuorum , probofita rerumjhumanarum vicifsitude . ( Atquc . hoc
fane perfpicuum eft). Eodem pertinent iftai quo proxime prcceden- tia verba ,
fed rationem dubitationis apertius explicant , atque non a-, liofanemodo quam
Larabinus exprelTerit: Finge nanque parentes locu- pletes., honeftos ,
magnifieos jlenes,iuftosfuifle,euenirepoteft longoin- terualIo,vt eorum liberi
ac pofteri,alii egentes,alii turpes,& infames,alii for didi,raultifque
aliis vitiis affe&i, & fortune cafibus confli&ati , multum fint
& illis & inter fe difsimiles : patticula ergo ^d/Io^ATaffi^ , nota
niodo ad fortunse commutationeitt,verum etiam morum difsimilitudinem , vt omnia
fibi vndequaqiie refpondeant,referenda efhantea enim cf vrv^/fiusquafi oppo *
fitum qm^^fc iva&^/ar pofuerat:fr^ k&kvv. (Nead vl- lum quids tempus).
Vt datur ftatus &terminus quidara,in amicis,ciuibus 3 c6 fanguineis,&*
pofteris quod ad foelicitatem viuorum attinet, Ita quidam da- ri terminus debet
pofteroriim,qui vinculum necefsitudinis abrumpit , quod . ad foelicitatem mortuorum
pertiriet : fecus enim res in infinitum extendere- turrpaulatimitaq-,
defcendetiumafflnitas,coniundis .agcrct . Sutnma Arifto- telica? fententi* h*c
eft; Propofitis duafyus quaeftionibus, quarum vna ex al- tera fluxit,ad priorem
illam & praecipuam ; exarainan4am fe conuertit,vtpo- te ex.cui us
diflblutione, altera quoque aonnihil lucis accipere queat. Quae- rit ergo,num
non lit plane abfur4um 3 tumcum aliquif erat beatus : foelicita- temipfms prsedtcari non potuifle 5 fyvit?
fupremus dies fit expe&andus ex .fententiatSolouisjivt quis vere fqflix
iudkari debeat : non quod beatus turn- f fit aim orijur fc fed
qupclantjeafuerit . Vt , verbi gratiaji hodie ha?c enun- ciatio veraftiHeri
Coerfus diues fuit, profe^o yidetur,nos heri tuto pro- nunciar^ Digitized by
VjOOQ IC LIBER I. X67 nunciarepotuHTe,Croefus diues eft. Quid enim prohibet?
Numfortaffe vo- lubilitatera fortune extimefcimus j quae fefe ideiitidem
conuertens , atque inorbemrotaecuiufdam inftar voluens, eofdem homines
fiusfulminibus feridAt foeticitatemftabile quiddam > &firniujm, &
prope imnmtabile df- fe eziftimamus. Ccrtum eft enimji fortune cafus
fequamur eundeta nos nunc beatum,mmc
miferum faepc di&uros efle, Cha- mxleontem quendam virum beatum , nequc fatisftabili
fede collocatum fingentes : An potius iniquum eft For- tune varietarem fequi?
Non cnim in ea bene vel male viuendi ratio poika eft,{ed illam eo tantum modo
quo di- xiraus hum ana vita defiderat . Beatitudinis autem Domi- ni funt
a&iones virtuti confentaneae , Contrarji vero ftatus , contrarias; .Hanc
autem rationem id quoque con- iirmat , de quo nunc ambigitur. Nulla enim in re
mor- taliurti tanta ineft conftantia , quanta ina&ionibus, ex virtute.
Quanquam perobfeura fit propofita quaeftio, certifsimum eft tamen quid ex
Ariftotcle refponderi oporteatSi enim Fonvma,dominaFoelicitati$ eflet, &
non potius a&iones quae cum virtute confentiunt, proculdubio nullus dum
viuitjbeatus rede iudicari poflct : nifi Foelicem eum effe vellemus , qui
lingulis momentis fortune impetude ilatu fub deiiciatur,& nunqua ineodc
ftatu mangs,cuiufdam Chameleontis more commutetur.Nunc in Foelicitate &
Miferiaconfcruanda ad adiones animi 3 primas deferimus, in quibus folis bene
vel male viuendi ratio qua? Eoelicitatem & Miferiam conftituit fpe&an
daeft.Vt enim A&ionesvirtuti confentaneas,beatitudinis dominasefle did-
mus,ita Miferiaru Turpesadiones ac inhoneftas. Cui noftrae opinioni tefti-
monioideflepoteft,dequo proxime dubitatrimus : Nam idcirco quaereba- museum
vltimum vitae tempus effet expe&andum (quae eft Solonis fenten- tia)vt de
beatitudine hominis cuiufpiam,vere pronunciah poffetj quia^oe*- - licitas
ftabjle aliquid & cpnftans diuturnumque eft , at que homo qui fe- mel
in.poflefsioneeiusfuerit,perfedum quoddam tempus defiderat, quo in ftatu fuo
maneat:Nunc virtus ftabilitatem,firmitatemque fummam habet, (Chamaeleontis) J3e
hoc genere animalis ouipari,quod nempe tenuifsimum animal fit Jacertis
fimile,inopiafanguinis admodum rigens,&prae nimiome tu,fanguine videlicet
refrigerato multiforme totocorporeplerunque effU ciatur>vide quae
fcribatAriftoteles fecundo de hift.an;m.capitevndecimO'& quarto depart, an.
capife vndecimo . (Sed illam eo tantum modo quo dixi- aws).I ; ortunae bona vt
adiumenta quaedam humanavitadefiderat^non yt pat - Digitized by VjOOQ IC m
ETHICORVM tes primarias Joelicitatis:Claudicat enim & languet Beatitudo,
pra?fidiisfor tuns profperae dellituta^Beaticudinis autem domina?). Superius
ifta fat ex- pofuirous > cum oftendereraus Hominis duas partes elie >
cuius vnaperennis & conftans imper iumque obcinens:altera caduca atque
inftabilts & dido au- diens eft;Bonavniufcuiufque,eandem conditionem atque
naturam Tecum af- ferunt. (Contrarii vera ftatus), ideft,Miferia?>quae ab
imprudencibus & im- probis adioaibus. praficifciuir i Contrariorum enim contraria
funt confe- quentia.Sed vt ea qua? poftea ab Ariftoteledicenda funr,facilius
aflequamur, agamus de Miferiapaucis. Quid eft Miferia?$ummum malum, fummeque
fugiendum,quodprimumabimpriientia& improbitatependet>d^inceps a corporis
imbeciliitate,morbo , deformitate , poftremo a malis externis,vt odio
nomiaum,ignominia > egeftate,exilio>Teruitute> non modo fi ifta nobis*
verum etiam fi lieris,parentibus,confanguineis, pofteris,amicis 3 ciuibus t-
ueniaat >aut iam antea euener int : Quod fi diuturnitatem iftorum malorum
& infortuniorum , vita? hominis a?qualem addere velis , iam fummam &
vnde- quaqueabfolutamMiferiamdefcriptam habebis. Quo in loco animaduer-
tendumeft primum,Miferiam ab improbis Srfceleratis flagitiofifque a&io-
nibusproficifci,nonmodofi illo improbo 8c fcelerato homini nota? fint, quod
llkun mala atque exagitata met ucupiditatcque conCcientia excruciet, vlcifcatur
3 & nunquam quiefcere finat : verum etiam fi ei fint ignotae, atque lion
minus in fuis facinoribus ipfe,ita infe&us & veterno quodam confopi-
tus,vel potius caucus fibi placeat,illifq*> diuturna cofuetudine male*
faciedi de le&etur,qua Bonus vir aftionibusvirtutc confentientibus.Hocenim
humana naturam cxutam prorfus efle indicat,feritatem vero atque immanitatem bel
lua? efle indutam. Vnde noh erit omnino verurtt,quod vnlgo dici folet , Bea-
turn nempe effe quodammodo ilium, qui miferum fe efle no fentit:Cum con- trS
potius,in Miferrimo omnhim ftatu fit collocandus: Veluti etiam peius il- ium fe
habere dicimus,qui omnem cernendi facultatem amifit 3 quam qui he- betioculorum
acieprafditusaut epOaAufst correptus eft . Secundo annotan- dum,quanquam fola
improbitas fatis fit- ad Miferiam ", bona tamen fortune earn &
augere,& imminuere, omni nomine poflfe , omni , inquam > nomine, quia fi
improbus illredeftituatur,e6 Miferior erit:fin illis abundet , Miferri-
mus:Exteroa enim ifta qua? bona probis viri s funt , iihprobo hommi mala
fiut,qui iltis ad maiora fiagitia,indignioraque faciftora patranda vtiturXol-
ltge,inter ha?cduo,Foelicitatem nempe Mtferiamque>medium quendam fta- tum
exiftere;quandovidelicet , aliqua pars illorum bonorum deftituitur,qua? p
ra?ter virtutemin Foelicitate requiruntur,&quo plura iftorum bonorum
maioraqueaderuntvelaberuntj eolongius aut propius felicitate abefle, quam vt
confummatum & perfe&um quiddam bonum ex omnibus bonis cu mulatum/upra
definiuimus:Vt quemadmodum inter contraries colores pe- ne innumerabilia media
interfita funt,ita ftatus hie inter Foelicitatem & Mi- feriam raedius ,
multiplex fit , prout plura,aut pauciorajmaiofa item vel mi- nora bona externa
accedent,vel difcedent : Cum prafertim mala bonis , in- commodacommodis
compenfari foleantExul eft aliquis^magnus dolor, fed Digiti zed by G00gle LIB
ER I. 171 Ittagnum ctiam folatium 5 inlibertateEuangelii apudtxtcros vhiere^remi-
mur egeftate 3 magnum certe incommodum,fed non minor leuatio eft, nos in
aliquapr^claradafciplina tantwuexcellere, vt aditus nobis ad eafdemdi- gnitates
3 &neceflariavit#commodaconftquenda a?queatque opulentifsi- mis
quibufq;,aditus patefiat.Laceramur plebeioru &fufurromun contume- iiis^ab
indo&is fpernimwrriniqua conditioned a^quifsima confolatio cft,fi ab
Jiominibus virtute fcfapientia prarditis amemur. Habet autem vnufquifque gradus
interie&i hutus medii ftatus,fuam animi tfanquilitatem , quanquara
nonfiimmiillanMJuat oelicitati conuenirc diximus,fed remifsiore: (Nulla enim in
re mortaliutanta ineft coftantia). Virtus eft habitus,& conforraatio quxdam
appetitus,qua feroper/ine vlia cun&atione, expedite & libenter Fe- quatur,quounqne ipfurn ratio duck :
Ingeneratur autem & confirmatur in nobis liabitusifte 9
diuturna&frequentialiuctudine. Suum enim vnicuique finevllacun&atione
fa?pe tribuendo,nulli vnquara iniuriam inferendo,Iufti> periculis fe quoties
opus eft exponendo,Fortes,libidinem coercedo, mode- fteque ac fobrie
viuendTemperantcs,efficimur:Quarehac viavirtus parta^ radices altifsime
agit>atque adeovt amitti non po&it.&t quo Foet$ illam la-
pidequadiatoinfiitcntemfinxerunt. . . Multo enimikmiores &l:Conftantiores
fcientiis ipfaeef- fevfdentur.Et earumetiam,vt quseque praftantifsimaeft, ita
ftabilis maximcypropterea quod in eis a*tatem afsidue agunt beaci, qua: vjdetur
eflc caufa , curese nulla vnquam obliuionedeleantur r Incntcrgoin bea&oid
quodquxri- mus,tali{qucpcrtota vitamfutuiuseft. Namvel temper vel omniii maxime
, ca& aget.& animo cogitabit* quas cu vircuti congruunt, fortunseque
cafus pulchcrrime^ omni- -que ex parte,& plane concinne f eret , qui vere
vir bonus, - quadratus,& fine culpa. . Extollit firmi tatem earum
a&ionum quas nuper a virtute proficifci & iro-^ mutabiles effe
dixerat>propofita illius caufa,nempeoccafione qua? continen- - ter Politico
offertur a exercendi munera virtutum. Vnde vult habere , nullam amplius caufam
fupereffe,qua vereamur^Hominem turn cum vere beams e- ratjideft in vita,beatum
praedicare.Neq; enim fortuna? varietas erk extiroef cenda, cum virtus qua? F
oelicitati s maiorem & praeftantiorem principemq; . partem
obtinet>quiddam ftabile,firm unity & vix mutabilefit,proindeq; qui earn
pofsideat in eodem Temper ftatu manfurus fit.Semper enim,is qui perfe da&
abfoluta.virtutepraditusjfcvndequaqj perfe&useft 3 aut fake maxime*
omnium^optime aget & de optime agendo cogitabit, & quantumius telis ful
minibufq-, tortuns laceretur &obruatur,nunqua tame de fuo ftatu deturba-
bitur.(Multoenimfirmiores).Comparat virtutes politicas/cienti^qu^ad^
footemplttioneppeitinenfjtUa^^^^ - Digiti zed by G00gle 17* ' ETHICORVM dit :
vt manifefti ex verbis ipfius intclligi poteft. { Prppterea quod in eis aetatem
afsidue agiint beati)eft ratio qua virtus moralis pra?fertur,ftabilita- te
& con0&tatia,{cientia:Nam non tot occajfiones contemplandi,& adeo
fre- quenter,obuiam contemplated fiunt,quot & quam continenter Politico be-
ne agendi,offeruntur:Ifte nanque vel fecum agat, vel cum alterp contrahat, vel
domi,vel foris,vel publice,vel priuatim,vel fomno* vel^cibis fua; tepora
det,aut ager fit,aut valetudine fruatur_optima,&v t feme! dica,femper
&rvbi que campum habet s quo vircuti confentanea iara agere valeat,aut de
bene a- gendis in pofterum,(Prudentia nanque valet) cogitare. GontemplatorFnon
tanta? nee ta frequentes &no interrupts contemplandi occafiones,fed
diutur niores energise intermifsiones
ofFeruntur.Idcircoquevirtutum habitus Jia- hitufcientiarfuntomnino
conftantiores-.Cuiresteftimonioillud efleetiara J>oteft,quod minus
invirtutibus quam in fcietiis obliuio contingit. Adeo per picua eft i 8c
vndequaque quadrans Aerbis contextus ifta expontio,quam Eu ftr^tius/Thomas,
& Auerroes fequuti fint, vt valde mirer , hoc loco nonnul* los aiioquin
doftos,illam nefcio quo prejudicio,aut qua ratione , fortaffee- dam non bene
cognita Ariftotelis & interpretum mete,damnafle. Aiunt ipfi, Ariftotelem
hoc loco docere, in iis energiis quibus vita humana perficitur*
ftabilioreseffeeas, in quibus inert veri contemplatio . Hoc eft falfifsimum,
quia Ariftotelis verba in hunc modum fcripta leguntur.^/^t^pow yotf &v7*t
X3&7m iTTWucivyfoKiiiff/v ema:proxime autem de virtutum a&ionibus
loquu- tus erat: Addunt, Ariftotelem poftea comparare inter fe fcientias
contempla- trices veri,quarura primam & praeftantifsimi maximeq*,
durabilem, Theo- logiam ftatuit.Hoc eft prorfus Chymericum .* particular nanque
ill? TiyjS]*; 7ouyKa4fjL9Viu]Aja4 9 sid virtutes refer untur non ad fcientias ,
vt conftat , cum ftatimpoftparticulameti7*/appofita?fint 5 &ea pra?cedan,t
qua? immediate adduntur ,nempe Jia, % ukht^L kou ^vv^(^olJcl yj&]clQjjj\v
Aujout 7out ^.cLKaptov^ qua? que nullo pado ad energias contemplatoris poflunt
accommodari.Tuen tur fepofteahac ratione, Ariftoteles in decimo Ethicorum
capite feptimo c italoquitunContemplari fiquidem afsidue magis, quam operari
quippiam poflumus.Quod eo ftabilire
volunt , quia energia virtutis pluraexterna re- ?[uirit adiumenta>& adminicula,Refpondeo,hoc
illis caufam efle non debuif e,qua a vetere huius leci expofitione
difcederent,& nouam a fcopo aberran* tern ipfi inducerent.Fatendum eft en
im,vt ex Arirtotele nos quoque in prcfa ttbnc huius Iibri diximus,vitam ciuilem
vt pra?clare queat agere, multa exter na,vt opes,copias,clientelas,dignitates
requirere: Cotemplatiorii autem vi- tam deditam,minus externis adiumentis
egere,proindeque fimilioremDiui- na? .vita? elfe.Nam qui contemplatur,fecum
tantum & cum Deo quern con- templatur viuens,paucifsimis eget: Atqui hoc
loco non de Foelicitate abfolu tc fermoeft,vt in decimo de moribus qua? tot
tantaq; inftrumenta defiderat, fed d^primaria parte Foelicitatis,Virtute nempe,
quam folitariam in nomi- ne confiderat Ariftoteies , eamque plures fua? energa?
edenda? occafio- . nes habere affirmat , quam Contemplationem. Xo nanque
tempore * quo Digitized by Google LIBER I, i 7J 2uo contemplatur Homes
Pcditicus benewl cum aUis vet fecumiara ag/cre, ue etiam de bene poftea agendo
cogitare poteft: At non omni tempore quo Politicus munera vtttutis ex^qiii valet
3 ClotltempMtori$ encrg^a libera erit: quidenini domi, cumdormit,Cum
tftom'fimit,quidin Ciuitate,cumami- ciscumciuibus, quid in Republica aget ?
tloc fiiftividere non pofuerunt, quod tamen adeo cralfum eft,quid agerem * cef
te autpra?terire locum hunc ipfi debuerunt,quemadmodum alios quoque
difficilioresl jbenter b?a?terire folent:aut quia ilium obfeurare
voluerint,reprehendendi fuerunt. (^ t qua?- qneprajftantifsiraa eft). Apt
p^a^antifcimas vjijtutes hpcloco ea* vocafcquae intra animum noftrum quod^omodo
^fol}4up^ui>& arTe^ones lllas m randas potifsimum fibiprop^punt, qua?
plurimum manimis ^pftris v^gent: aut illas,qua? quanuis incerta quadam
aifedione moderanda VerfantUr ,po- tifsimum tamen eluceant in externis
quibufdam,adionibus a quibus abftine- re non fine net* ario feeler e licet ,
Sunt au tern Voluntas & Dolor* , prima* affe- diones qua? infunt in
nobis(quanquam fi propria loqui vellerausyiftaaion af fediones led affedionum
principia dici debercnt) Voluptas eft natura? no- ftra? maxime cangruens
amicifsiraaqueivnde iIludGaleni:Solo dulci alimur: Et aiterum Htppoeratis?
thutHk>r cibus,dum mddo fiteiiior -fit ,gf dtfs prar- bendus eftwQ^are
mirandum noneft/rad earm jftaxkne propendamus,& ve- hemens qua?damerga
illam aiFedioao^isinnaficatur. Dolor autemquleft ab adione aduerfaria? fpeciei
delate, atque irnprefTa? in fenfum , inimicifsi- mus eft natura? noftra?,vnde
& ab illo quaih maxime abhorremus. Hinc ilia? duar virtutes maxima?
pw?cipua?quf ,Temerantt a^&Fortitudo.lUa volupta- tijk&c Dolori moderarivult
3 atque appetitionisvehemeptiam cum natura pu gnantem,vtrobique comprimere
conftringereq^Extr a animum vero noftru abfoluuntur virtutes illa?,quas in
adionibus externis quodammodo fpedari diximus. Maxin&& pr^ftantifsima
inter illas habetur , Iuftitia 5 quod ea fi- ne flagitio & Icelere catfere
itequeamus. Oitfftes enim miufti>fceMifunt*A-. uarum vero aut
arrogantem,fceleftum non nominabis,vt Arift. ait.z. Ethi.f. Sed illos
turpitudinis pot i us cuiufdam condemnabis. Maxima? ergo & pra?-
ftantifsima? virtutes funt,vt Arift.etia p.Rhet.fcribit & 7.pol.i.
Iuftitia,Te- perantia , Fortitude Has qui virtute prafditus eft, fere vbique
& in quouis ftatucommodifsimc&proutdeceteXereerepoteft.(Jnerit ergo in
beatoid quod qua?rimus),ftabihtas nimirum coftantiaq;. ( Vel omniu maxime )D an- daenim
funt neceflario fua temporacibo , fomnoque . ( Fortun&que cafus). Hoc, in
contexra fequenri pluribus & fpeciatirrt niagis explicanduni erit.
(QuadratusSt fine culpa. )Arift^.Hhet. ca. n. ait^viitaifebonum quadratuift
appellant per tranflationem.Significat autem Ti7pftwor 5 hpc in loco homing
conftaintem aptumque ex fefe Juifque viribus pollentc>& vndetjuaque adeo
- bene virtutis pra?udio fulum,& quafi quadrata bafi pofitu, vt difticulter
lo- cocedat,ideftea^atqua?reprehenfione.velodiodigriafunt . Horatius I.a.
fcrntfst.zo; aliafignificatibne vocauittalem hominem^tetetem atque rotun
durrt^e eft a?qualem atque in feconftamem&r qui niiHo fortune flatu aut
aduerfo aut profpero ab officio viri probi difcedat.Eius carminaqupdpr*- Digiti
zed by G00gle t74 ETHICORVM fentem contextumrepr$fentent:hic apponere placuit :
Qjiifnam|gitur libertSapfeifi^Cbfi quiimperiofus, (^uem ne^ue
pauperies>neque r^ovs nequevinciilaterrent, Refponfare cupiditiitus,vt
Vkdignafit qu^tecenfeaturjoriiiiiiio nihili faciffius. Sedcummulcafortuito
eueniant,eaque magnitudine &paruitatedifferant, perfpicuum eft, res
fecundas atquc aduerfas qua* exisuae Tunc > nihil momenti ad vicam habe-
re:eas vero quae magna? Sctnultx eueniunt , vicam beario- rem efle
effe&uras. Nam & ornamento fuapte natura efle folent,&
vfuseorumpulcher& bonus eft: con traria vero vitam beatam excruciant, &
labefa&anc: dolores nan- que inferuntanimis, &
multasa&ionesimpediunt. Ve- rumenimvero etkm in his elucetipfumhoneftum,cum
quis mulras & magnas calam itates asquo animo fere , noi\^ quod doloris
fenfu careat,fed quod generofi magnique fie animi.Icaquefi vitae principatum
obtinent a&iones,v t di- ximu* , Nemo beacus vllo pato mifcr efle
poteftmuquam enim^getquicquam improbum,autodio dignum . Nam qui vere bonus&
fapiens eft,eum putamus,omnesca- fas fortune decenterferre, femperqueex iisquae
fuppe- tunt,res pulcherrimas agere. Quo modo bonus Impera- tor , eo.exercitu
qui prafto eft, femper vticur bellicofifsi- c. Etfutor^xiis pellibus qua? ad
eumdelatxfunt,cal- ceum puloherrimum conficit,eodemque modo casteri ar- tifices
omnes. Cafuscerte qui in vitam noftram impetum facei* folent,fpernit vir
bonusj&ni&lipwtfiw^ , ciyn virtu T - - _ . ^ .... ._. .. -- . - . ^ . ,
^ Digiti zed by G00gle L I BuER I. Y m ti$ habitum bene confirmation haheat.
V*rtimtam*n aliqua- diftin&jo diuer- fitafque itatus 8c conditions yiri
probi, aBimaduertenda eft, prout grauio- ribus,aut diuturnioribus malts con
fti&atur. Namfiaduerfa fortuna exigua fit &leuis ^ parumaut nihil de
lUins foelkkate detrahetur ; quemadroodum etiarafiproi"perafit,&nonjagDi:ppBderis,ttuHuiTi
habere momentum vi- detur ad Beatitudincm augendam:res enim exigua?( vt magnus
Auerroes di- cebat)nihilLinftar obttnent.Si vero magna fint
infortiauajabefadabitur qui dcm nonndiil , ac debilitabituc Beata vita , quod
ab iis , omnis bene agendi f acuJtas Beato er ipiatunquanaimuis tamen
calamitofus fit & aiHitus,(t per- fetia atque abfoluta virtute praeditus
exift at , nunquam prorfus f rangejtiuv autaoimumdefpondebit ifedYirtutij
eiusfobur vbiqueelucefcet, fortitu- dineanimife erigens , leuiterque;&
placidecalaraitates fuasfuftinens.Ex quo colligituriBeatum homiriem, ideit qui
menie bona & firma , virtutisque perfeda?pra?fidiotantum munitus eft >
non effe quidem abfolute oinnino- que foelicem, ciim parum de perfe&a?
foelicitatis ftatu recedat,non ta- menMiieruvnquaniefficipoffe.Nanvquantunmis
raagnis aut multis corpo-. ris & fortuna? bonis ornamentisque^vel ipfe
fpoliatus fit, vel ill is quos amat plurimum,quta tamen maiorem &, pc
ftantiorem Foelicitatis paem 5 ideft prudentiam reliquasque virtutes pofsidet,
femper aduerfam fortunam puj- chtTfime f eret: non quiaftupidus, & doloris
fenfu carensjvt Stoici? dicunt, (hoc nanque efle non poteft ,fi homo ,homo fit
, aut faltem non infanus, ) fed quiarobore^aequitatequeanimiquadajnftabili prarditus
fit : atquevtfemel dicam,ita
comparatus^vtproi^agnitudinefortun^r&inflrumentorum co- piafibi
fuppetente,decenter 3 & ftre nue femper inwtaj SrMoribus bene fege- rat. (
Res fecundas atque aduejfas qua? exiguae funt**) V tTota qua?ftio pro- pofitain
anguftum coacludi a nobis poftea pofsit 3 colligantur pa&im Theo- remata
adiUam pertinentja :x hoc itaque loco pfimum colligitur,quod ita> habet:
Sileusaliquqs '8c non fpulti ponderis infrequentesquecafus For- tuna inuehat,
retinebit adhuc Beatus Foelicitatis , tametfi non omnino inte-
grafit,poffefsionem. (Eas vero quae magna?). Quomodo ifta fint intelligent
da/uper ius $c non femel diximus , cum de bonis Natura? & Fortuna? agere-
mus* Tantthn ooto 3 npn fat is, prudeates
eos h6o rloco f uifle > qui fimplicrter dixerunt , Bona externa , non
ex hjrpcfchefi fcAfer fe optabilia effe y id nan- que vetede omnibus did non
poffoaqtea oftendimus;: Et falfo Cyrus a- pud Xenophontem dixiffet >
diuiijfs illos appellandos non efle > qui plu- rimam argent i atque auri copiaftt,
in arculi$ obfignatam habent, eaque, fibinunquam vtendum cesfent : Qiipd tamen
non eft falfo idi&um: Secus- enim ( vt idem in quit ) tJ nHli^es 3 qui in
aliqua vrbe excubias agynt om- niumditifsh^os paeritaiijd.iciare ^porteret >
ab its enim plerumque innu- merabiles thefauri cuftod^untur : Qu^aproptercapite
etiam quinto diceba- mus y Diuitias a yoluptatibus 3 ex Ariftotelis &
Pythagora? fententia>nonr multura inte)c fe differre>(Contrariavero).
Alterum Theoremaeft 3 Sivir bo- pus Anxagnas gj^uifsHn^sqi calamitates mcidat^o
erit ille quid^ abfolute* Digiti zed by G00gle 17* ETHICORVM emnihoque foeiix
fedpToxrme tardea accedet ad Foelicitate : Nam ma- iorero 8c pra?ftanuorem
foelkitatis partem,ideft virtutem pofsidet. (Dolo- f emaanq; inferut animis).
Caufaeft cur ifta infortunia magna,enoruare& labefa&are foehcitatem
foleant. ( Non quod dolqris fenfu careat , fed.quonempe
ft&y&i&^X*** Magaanimi autem natura in eo potifsimum elucet, (
neque eaim ehw vim diligentius perfcribere huius loci eft ) vt cum excellent!
quadiam fingularique virtute fit prafditus , fi pro bene fadis Am, igaominiam
accipiat,$ obimproborum inuidiam in fordibus iaceat], nullo- que in honore apud
fuos habeatur,ipfe tamen fe non frangat , 8c confcientia bene ad vita?
eximiaeque virtutis t ua?,fat fit aduerf us omnem famientis for tuna?
impetummunitus,floccifadatnonmodo honores in quibus expeten- dis magnanimus
cernitur/e^etiam principatus>& diuitias,qua? maxime pro peer honore
optabilia fimt:in fumma,tam aduerfam quam fecund&m fortu- 'rtam bellifsime
ferat.De Magnaniroitate & Magnanimo Pontanus adeo egre fie fcripfityVt
quantum ego iudico , parem ea in re fcriptorem hadenus non abuerit.(Itaque fi
vita? principatum).Tertium Theoremahoc fit, Si Foelici tas> prudentiS reliquifque
virtutibus tartquam primariis & prafftantidribus fui partibus coftat 5 ifra
verb ftabilia funt>& nullo pado poflut amitti.nunqua
quifemelfcdixfueritadmiferiam recidet: cum Mifer proprie fitquipru^
dentia,iuftitia 3 temperantia fortitudineque fit deft itutus . Sed opponet
liuie Theeremati quifpiam,locum z.pol.cap.4. vbi de Magnitudine Patrimonii lo
quens Arift.diCebat,Fieri pofle vt tempest quidem Mifere tamen vkuitur;
Refpondetur quidem rede,putajidum efle ibi Arift.improprie vocabulum U lud
vfurpa{re,&intellexifrenonbeates quanquam 8c aliter poflet refpofcde-* ri 3
Ariftotele 3 nempe eo in loco>hon vti parttetfla ot8AW,qliod fignificatMife
re,fedparticulaTfltA(w^pr:difficulter,cum penuria 8c la- bore: Concederet autem
Arift.Fbelieehi poffe *&hauJp/do ^^Ik>nUsMp^raW^.fra diffi cilia
verfahir Ars & Vttms^il^x^^u^ v^r^iefr^dfficilW^Verfitiw vt Iuftiti!a
TeperaAcia,Fomtudo^frud^i^dhtSt of acftintiorW Virttitcs ft*! .ai^&^.N^qui
w fortitudinis,Temperantia?,Iuftitia?,atque Prudential expers,mufcas circum- uolaa-
Digiti zed by G00gle LIBER I. 177 uolantesraetuat , & quicquid libuerit
etiam exfremoram,edendo vel biben*. do,a nullo fe continens perfequatur 3 non
parcat amicif simor vita? vt au&ior fiat vno quadrante,Hunc nemo Foelicem
efle dixerit. Qui ergo has virtutes pofsidet in rebus etiam difficillimisfe
virum efle probum,iro:egrum 3 no fra dumautlanguentemoftendet,nondefperabit,non
defpondebit animum, fed pro loco 3 tempore,& fortunis 3 bene fe in vita
& moribus eeret,inftar 6- ptimi Imperatoris 3 euius quanuis penetotus
exercitus abholhumimpetu fu gatus fit 5 ipfe tamen non fuccumbit Hofti,im6
copiis iis paucis qua? fibi in- tegral manfenint , impetum in ilium ft
reriuifsime & bellicofifsime agit.Ex- emplum futorisaffine eft priori
Imperatdfis , &feipfoperfpicuum : Quart eo prartermiflo,ad Ariftotelem
fedire fatius ef it . Quod fi ita eft , ptofe&o qui Beatus eft, Mifer efle
nun- quam poteft-Non tamen Beatus did poterit,{i inPriami calamitates incident.
Neque igitur vari 9 &: mutabilis eft: Nam neque facile de beata vita potent
dimoueri , neque a quibuflibet rebus aduerlis,fed a iliagnis& multis.Con-
tra,neque etia talibus fortune cafibus perfun6~tus , rurfus breni tempore fieri
potent beatus: fed fiet >fi logo & per- fe&otemporis interuallo ,
magnarum atque honcftarum rerum compos lit efte&us. Quantum eft initio
capitis,primo 3 num expe&andus effet extremus vi- ta? dies , vt quis vere
fbelix iudicari poffet : Caufa dubitationis ea fuit , quia^ Fortuna?
volubilitatem extimefcere oportet, Oftenfum eft poftea,Fortunanv non efle extimefcendam,
quia qui femelFcelixfuerit jideft habitum pru- dential & virtutum perfede
adeptus fuerit, adeo firmo & ftabili ftatu quafi quadrata bafi pofitus
fit>vt de eo deiici nullo fortune impetu queat. Hoc ter tio Theoremate antea
collegimus:Exquofequitur 3 Hominemtalem non expeftato vita? eius extremo die,
fed dum viuit 3 non iniuria Beatii iudicari, & praedicari
poffe:quanquamidem 3 fi reliquis bonis externis fortuito priue- tur,parumper de
perfedo & Integra? foehcitatts ftaru 3 fit reiceflurus. Huius Theorematis ,
& Quaeiftionis occafione oftenfum eft deinceps , quantum & quatenus,
Foelix de fua poflefsione, euentibus Fortuna? malis ; cedcre pofsit. Primo enim
Theoremate declaratii eft,Si leues lint cafus & nullius momcn- ti,nihili
inftar obtinere;Secundo vero>Si in calamitates graues & infortunia
diuturnamagnaque,(quales Priami calamitates in hoc noftro cotextu fuifle
refeft)vir probus incident, ilium non quidemabfoluteomninoque foelice fore, fed
proxime tamen accedere adfoelicitatem.Ha?con nia iterum pau- cis &
mirabreuitate arteq; in praefentia repetit,vt vniuerfale pnrceptum ex
qua?ftionis propofita? diflolutione,nobis relinquat. Vir Beatus (inauit)mi- fer
efle nunquam poteft , quanquam non,beatus effici queat. Quid ergo,di- Digitized
by VjOOQ IC i?8 ETHICORVM cet aliquis,fi a Beatitudine difcedere poteft, in quo
ftatu jColIocabttur ? neq;- enim ad miferiam tranfit , vt pofitum eft:
Reipondeo, ilium declinare ad .Medium ilium (latum inter Beatitudinem &
Miferiam jntejrie&um , de quo nos fuperius loquuti fumus. Hoc modo explica locum
Ariilotelis feptimo xc Ethicorum capite decimotertio,cum ita fcribit. Nam qui
eum,qui rota tor- cc quetur, & calamitatibus magnis opprimitur , Foelicem
effe dicunt,fi bonus nihil dicunt , fiue fua fponte, flue inuiti dicant. Stoicos
nanque eo in loco proculdubio perftringit , qui Summum bonum fola virtute
definiebat:ii er- go vt fibi conftarent,& ne pugnantia loquerentur,Hominem
grauiftimis e- tiam calamitatibus circunuentum,Foelicem dicere cogebantur:quod
falfum eft :quanquam idem Mifer prsedicari nequeat. Pulcherrima Sc Aurea
do&ri- xia ex hoc loco colligenda nobis eft:Nimirum vt fi Foelices effe
velimus , aut eerte a Foelicitate non longe abeffe , ftudeamus in primis,vt
Prudentia, Iu- ftitiam,Temperantiam,Fortitudinemque 3 nobiscomparemus. Has qut-
dem confequi difficillimii eft ', qua? difficultas ob naturam virtutis con- tin
git , cum in medio confiftat,a quo multis modis poffumus aberrare, vc- rum ( vt
Plato ait)hoc incommodum , alio bono natura compenfar.Nempe, vt qui vnam harum virtutum
adipifcatur , omnes pofsideat : quod in vitiis non euenit,v tin fecundo huius
aperietur. Pro qua re animaduertendum eft , ita fe rem habere in Ammo noftro vt
in Adamante , qui natura fua du- rifsimus quidem eft, ac difficillime franci
poteft , fi tamen fanguine hirci- no illiniatur,molIefcit ftatim, &
facillime frangitur : Ita animus nofter qui Diuinus eft atque carieftis , neque
fuccefsibus vllis Fortuna? expofitus , fi in- ertia? acfocordia?fededat,
&mollitie diffluat , fa?pifsime flante Fortuna aduerfaaffligetur, &
quantumuis exiguis infultibus fortuna? fuccumbet.A- liter Theologia Chriftide
Beatitudine loquitur. Quanquam enimdicat* Beatus vir qui timet Dominum, &
qui in lege Domini meditatur die ac no- de : tamen iftos habitus ad Obe k
dientiam Deo pra?ftandam refpicientes, confuetudine & vfgilantia in nobis
ingenerari , iuftifsime negaret. Exordia tur Ppliticus ,.ab iis qua? in nobis
funt , ii'fque adha?ret,ciim lumineSpiri- tus fan&i deftitutus, non quid
verifsime homo fit, fed adumbratam &fu- catam eius effigiem tantiim
cognofcat. At ii quorum oculis, lumen amiffum
vifplendorisfpiritusChriftireftitutumeftjUitimiusacutiufque pia? men- tis acie
hominis naturam intuentes , nihili prorfus ipfum effe deprehen- dunt , &
hoc quicquid apparet,fucatum,impurum , atque adultcrinum effe. Quare qui
fuperiora carmina,Beatum defcribentia,cecinit , idem alias cla- nuuit, Bcati
quorum remiffa? funt iniquitates , & quorum te&a funt pecca- ta. Beatus
vircui non iraputauit Dominus peccatum. Et fane fi caufam FcelicitatisChriftiana?Efficientemprimara,&internam,qualemfere
A- riftoteles fua? Foelicitatis inueftigauit,reddere Philofophice , id eft cum
ra- tione velimus, nullam aliameffereperiemus ,pra?ter Remifsionempecca- torum
3 qua? Adioni Bonorumex virtute opponitur. Sedde
hacre agere, neque inunerismei,nequetemporis huius eft: Quare redeo ad
contextual. (Nam rteijue
facile). Repetitur primum Theorema. (Sed a magnis & mul- tis). Digiti zed
by G00gle LIBER I. 17* tis). Hepetiturfeomdum. (Contra neque etiam talibus).
Hoceftvehiti au&arium,quod deducittir quidem proxime ex fecundo Theoremate
, vim tamen fuara & efficaciam a Tertio fumit. Vt, inquit> raagnis
calamitatibus Fcelix deftatufuo deiicipoteft, quia tamen
obpraecipuam&potifsimam illius partem quamfemper ret inet , Foelicitati
proximusmanet: ita Foeli- citatem amiflam recuperare valet 3 fi videlicet 3 pofteaquam.
omnes Fortu- ne impetus f regerit 3 non vnum aut alterum annum , fed longifsi
mum & iu- ftifsimum tempus ex virtutis praceptis inf uturum agat.
Quemadmodum fcnim non vnus dies , neque exiguum tempus, effieit hominemf
oelicem at- que beatum ,ita non vnus dies neque exiguum tempus , Hominem probum
de ftatu fuo femel deie&um>in priitiqam poflefsionem FoeKcitatis
reftituit. Quid prohibet igitur,quominus eum dicamus Bea- tum , qui fuas
a&iones perf e&a virtute dirigit , bonifque externis mediocriter inftru&ns
eft , no ad quodlibet tem- pus, fed per totam vitam > An etiam addendum ,
qui fit i- ta victurus, &c mortem rationi coniienienter obiturus?
quandoquidem futura nobis incerta funt. Beatitudinem
autem finem e/le,& quiddam prorfus &omni ex parte perfe&um ponimus
. Qvx fi ita fine , Beatos ex viuis di- cemus eos , in quibus ea
infunt&inerunt, qua? a nobis fupra di&a funt: beatos (inquam) homines.
Atque hax quidem hactenus. Quicquid Euftratius dicat , Ariftotelesin hac vltima
capitis decimi parte ,vtomnem fcrupulum e medio prorfus tollat, vult paulo
illuftriori colore ,fuamillamFoelicitatisadumbratam imaginemexprimere 3 acdefi-
nire : vt ex particulis illis initio contextus pofitis, 77 olv jowaSh Kiyuv,
fat po- teftintelligi-.Definitio autem exprefsioque eiufmodi eft > Vere
Srabfolute fdelix ille appellaturrQui virtutis perfebe 3 perfe&o fungatur
munere,reli- quis etiam bonis 5 fortuna? nempe & corporis fatis affluens ,
non in quanto- uis terapore,fed in vita perfedta , quique refte , laudabiliter,
atque anteaite vita? conuenientcr,fit mortem obiturus. Circunftantiae huius
& coloris po- ftremo loco additi ratio affertur : quia quales fortunse
cafus & fucceflus fe- quuturifint,ideft boni vel mali, profperi an aduerfi
, inexploratum nobis atque obfeurum eft 3 cum tamen Beatitudinem finem effe ,
& bonum quo'dda furnmum,omnique ex parte perfeftu,atque diuturnu animo
concipiamus,& quod hominem vfq; ad extremum vita? diem cpmitari debeak
Definitur er- go Fdelicitas hoc Ioco,non foliim praefentibus, fed etiam futuris
bonis. Vbi iam referre ea dportet,qua? fuperius ih recetifendaStoicorum
opinione,po- flea dicenda effe fignificauimusj Ariftotelem
videlicet,Bearitudinem ftatue- re quide Completed quenda bonorum,tam IJortunae
& Corporis,quam Ani- ma* ', non tame ill'am totam 3 fed particula illius
minima in poteftate fortune -/ mii. Digitized by VjOOQIC * * i8* E T H I CD R V M quae
multum poteft in rebus humanisrelinquere. Co(Ixge, vt non valet,Qtf* hodie
Foelix eft, eras erit mifer : ita etiam non valere. Hie hodie Fcelix dx>
ergo abfolutc Foelix cenfetur : nequcenim abfolute Foelicem heri aliquem fuifle
dicere poffumus , nifi eodem ftatu e vita excefferit : Quare neque Ho- die
abfolute Foclice illu pra?dieabimus,in quo infit talis bonorumexternoru
copia,qu# paulo poll euanefcat: Contra fi per omne vita? tempus ftabilis vi- deaturpcrnranfura.
(Beatos inquam homines). Euftratius legit (vt homi- nes)^ explicat > id eit
quatenus hommum nature conuenit, quorum Vita in
afsiduofluxu&variamutationeverfatur. Eodem modo legit & interpre- tatur
Thomas. Alii,vt Auerroes,legunt(Secundum quod Homines) : quod i- ta
interpretantur , Beatitudinem defcriptamHomini fecundum quod Ho- mo eft
conuenire , acfi llli excellentior qua?dam alia,pra?ftanti6rque conue- niatj
non prout Homo eft, fed quatenus Diuinum quid exiftit , de qua Arift. in io.lib.&nosfuprinonnulla
obiter diximus. Sunt qui velint hoc locoex- plodi Hominem a Foelicitate Dei:
Quorum vllum vt non improbo ita noif omnino probo, cum non in omnibus Graecis
exemplaribus particula ilia (if cu^)'ide{t(vt)aut (Secundum quod) reperiatur.
Simpliciter ergo dico, Ariftotelem , addere ilia verba,vt intelligeremus
quofnam beatos antea vo- caflet, ne quis exiftirtiaret Bruta etiam,qii2e a
foelicitate prorfus explodun- tUr,hancdenominitionemfortiripoffe,idcirc6que
verba-illa p*)&e/vr $ difyww , coniupgi debent cum illis,]**;^^
l&vfjfa. Tota ha?c periodus ita fcripta legitur : eiSi o*]a, usu&e/vf
i&v{jb %f(&flw oft \j&f>%t , j \krctp| ibJ Ar^3tX7tt, v ay^eir5
v ai^pimv^. (Ato^uehaecquidemha&enus). Acfi dice- ret * hoc pafto prima quarftio
propohta, ad exitum perdufta fit. Nuncad al- tcramquae ex ifta exjtunditur
accedendum: Confule pro his qua? hoc ca .tra- datafunt cap. i. i. iecundi
voluminis ad Eudemum. c a p v T XI. Cafus auttm pofterorum atque amicorum
omnium, nihil omnino ad beatam vicam conferre , id ab ami- cicia valdc alienum
, fentenciifque omnium repugnans videtur. Caeterum cum mulca quotidie cuenta
exiftanr, corumque magna fie varietas > cumque alia magis alia minus ad nos
percineant , ea quidem figillatim in par- tes diftribuerc 5 atquc explicare,longum
5 & infinitum vi- detur. Vniuerfe autem oftcndcrej&velutiadumbrare,
fortafie facis fuerit. Si igicur quemadmodum & res ad- uerfa? , qaae cuique
accidunt , alia? pondus aliquod & mo- men turn habenc ad vitam,alix leues
videtur: ita ea: etiam quae tized by GoOgle Digjtiz quae amicis omnibus
accidut.Et intcrcft sin viuis vel mor- tuiscafus vnufquifque accidat,&
longequidem magis quaminiquae&nefandaercs intragediis ante extiterint,
quanigerantur,profedohacquoque radon c differentia colligendaerit: Vel potius
forte de hoc quaerendum ac dubitandum eft, An mortui boni alicuius , aut mali
parti- cip6s line :perfpicuum enim eft ex his,etiam liquid ad eos perueniat ,
quodcunque illud iir^iue bonum due malum,, perquam id exiguum , atque obfeurum
, vel abfolute , vel illis elTe: Sin aliter, certe cantum ac tale, vt neque eos
qui non erant , beatos efficiat> neque beatitudinem iis> qui e- am adepti
funt,eripiat. Videntur ergo res amicorum turn fecunda?,tum aduerfa^nonnihilad
mortuos pertinere,fed tales & cancx eflc , vt neque beatos aut mifcros
efficiant* neque quicquamaliud tale. Quoniam de f celicitate & ftatu
alterius vita? hominum difputare, non huius temporis, neque Politici rauneris
eft:Idcirco eo pofito quod fuperio- ri capite diximus , nerape Ariftotelem in
hac quarftione adducenda diflbl- uendaque,non mod6 ad id refpicerequod ipfe
feniit,cuiufque ratio certa & perfpicuajnulla extat , fed obfcura,quam ad
id quod vulgo hominum ac po- pulorum exifhmabatur , minus accurate rem
hanc,prcceptoris veftigia fe- quuti, in pra?fenti tra&abimus; Verba tantum
ipfius Ariftotelis paucis inter- pretantes,&r quad percurrentes&eliqua
qua? ad hunc locum pertinere pofle videbantur , in publicis pr deleft torn bus
noftris in duodecimum metaphyfi- corum, hoc anno Deo volente propofiturtae
examinaturi,quomodo & qua- tenus Peripatetico ea proponere,expedere, ac
ftatuere licet.Quaeftionis hu- ius fumma erat , num cum quis e vitaexceflerit ,
(i eius amid & pofteri , in maximas calamkates incidant,amit?at ipfe
foelicitatem. Affertur duplex ra- tio, qua oftenditur,Mortuos non efle omnino
cxpertes calamitatum& mife- riarum pofterorum , quos amant,ibi, (Idab
amicitia). Prima Ratio eft ,quia ab Amicitia? vi efficaciaque & munere
alienu effct>nihil ad mortuos pertine- re qua? poft obitum eorum, fuis
eueniunt. Altera, quia id fententia? omnium hominum &populoriun clamant,
quibus certe non repugnandum eft. Pro- qua re animaduertendum , Nat u ram
prouidam & fagacem qua? rerum con-, feruattoni ftudet quantum potfeft ,
animantibus fere omnibus quae iifdeirt fpeciei funt , mutuam quandam
propehfionem & beneuolentiam indidifle, vtalterumex alterius commodis
lxtitiam,incommodis.vero maerorem acci peret: quofieret , vt cum ar&o
iftiufmodi inter fe vinculo coniun&a mane- rent, iniuriisjintentuique minus
effent expofita obnoxiaquclmprimis autfir i m.HL Digiti zed by G00gle Ife
ETHICOIVM fibi ?nufquifqui omnibus aliis charior eft, & vtTerentianus
Birria inqui^ Verum illud verbum eft, vulgo quod did folctj Omnesfibi melius
effemalle,quamalteri. Sequitur amor in filios,paretes,8q>ropinquos,quibufcum
maiorem naturae* coniun&ionem haberaus: erga amicos etiam magna eft
charitas , Amicus e- nim alter ego: (inquit ille) E rga ciues minor, quod inter
ipfos minor quoq, naturae cognatio mtercedat:Vnde,effe#ailla, inftituendorumliberorum
diligentia, in diuitiis comparandis ftudium , propagationis nominis auidi- tas,
teftamentorum diligentia , aliaquc huiufmodi,quibus quafi exprefle de- claramus
, cios idcirco de pofteritate velle bene mereri , quiaillorum euen- tuumadnosquoquefenfus
fitperueturus. Char i igitur mor tuis etiam po- fterieffeputantur,obhanc
ar&ifsimam naturae cognationem intercede* - tern > vnde Virgilius 3 de
Anchife inquit. -omnemque fuorum Forte recenfebat numerum , charofque nepotes. Quapropter tarn bona quam mala viuorum,ad Mortuos
pertinentia cenfea- tur. De fententiis autem ex antiquitate petitis,fatis
fuperius diximus.Hifce fie pofitis,Ariftot. excufat fe quodaramodo , fi
quarftionem propofitam non adeo exquifite determinet vt fortafle res poftulare
videretur,ibi,(Ca?terum cum multa). Varii nanque funt afiinitatis gradus ,
varii item amicitia?:pra?~ terea euenta qua? illis obueniunt , cum plura , turn
grauiora aut pauciora dc leuiora > effe poffunt, in quibus omnibus magna latitudo
eft:quare vix ac ne vix quidem fieri poffet,vt omnia ifta
fingillatim,determinarentur:fat igitur rit,fi fummatim & in vniuerfura
quaeftio haec definiatur. Quod vt fiat , rc- petitur id quod de F oelicitate
viuorum cap.luperiori di&um eft , nam pra?- fenti quoque qua? ft ion i
conuenit: ibi, (Si igitur quemadmodum). Non om- nes fucceffus Fortuna?, puta
leues & exigui, fed quales Priamo acciderut,vel in amicorum & affinium
, vel in vitam noftram incurrentes, Foelicitate no- ftram labefa&are valent
dum viuimus : quare idem de amicorum mortuoru conditione ftatuendumivt
videlicet exiftimemus,non omnia 3 omnium viuo- rum euenta,aeque illosattingere.
Sed illud pmerea eft addendum, (Et inte- reft an viuis), Id eft, quanquam
pra?ceptum iftud, tam in praefenti, quam in fuper iori que-ftione locum habeat
, aliquid tamen difcriminis effe inter ma- la,prout a,d viuos,&.prout ad
mortuos pertinet.Longe nanque aliter fuper- ftes & viuens afficiebatur
Priamus, dumtot fuas, fuorumque calamitates ac funera videret , quam mortuus,
fuiffet affe&us: vix ergo videntur affici at- que commoueri
Mortui.calamitatibus viuorum. Pro qua re adhibetur fimi- fitudo eorum qua? in
Traga?diis repraefentari folent. ibi,(Et lo nge quidem magis).Nam atroces &
acerbifsimi cafus in A&ionibus Tragicis repraefen- tari foliti,Heroes
quibus illi acciderut, iam defun&os nihil attingiit^uc ve- re attingebant,
cum viuis illis obuenerunt. Quo fit,vt magis videatur qua! rendum, Vtrum ad
Mortuos bona vel mala viuorum vllo modo pertinean quam vtru bona & mala viuorum
ad vitam beatam Mortuorum conferuan dam velinquinandamvaleant. Concluditur
tandem ibi,(Perfpicuum eni{ eft ex his), Res aduecfas aut profperas amicorum
& pofterorum,fi qui Digiti zed by G00gle : li &fi& i; \%i
Momiofiattingam,aut quianatura fuaexigu* funtiautquiaquintuuis mar gna? in
viuis, leues in mortuis reputantur , (vt exemplo Tragicarum narra- tionum
proxime explicatum eft)nen eflfe tanti momenti,vt eos, fi antea foe- lices
erant, beata vita fpoliare,vel fi non antea erat,f oeliccs efficere queat: Quo
forfitan mo4o locus ille $.ethi.ca.$*ne cum hoc pugnet , intelligendus > aut
erit ad normam lllius particulf appofita?,nempe c&u /plane exigendus. C A P
V T X I I. His ita pofitiSjVideamus vcrum Fcrlicitas habenda fit in numerorerum
laudabilium , an in earum qux Honorabi- les dicuntur. Perfpicuum nanque eft,eam
in facultatibus nonadnumerari. Videturigituridomnequod laudabile eft,ob earn
caufam laudari > quod fie cuiufdam modi,& ad aliquid
quodammodoreferatur. Namiuftum ) fortem,& omnino virum bonum,&
virtute,propter fa&a a&ionefq;. Jaudamus.Robuftum autem,& eum qui
ad curfum aptus ft , &C vnumquenque aliorum , propterea laudamus>
quodnatura,cuiufdam modi finc&adaliquodbonum, praftantiamquealiquaih
apti.Qu.od etiam oftedunt De- x>rum laudes : Ridiculi enimvidentui^cum ad
nos refe- xuntur. Af & eft fummus honos qui fermorie haberi pofsit?
x.rhet.ca. 9. Quapropter Deo & Diuinis tantum re&ifsime tribuitunnam
eft,vt ait Ari- ftotel. finium , alia vero duo eorura qua? aliquo modo ad finem
funt affe&a, Sed exoritur ftatim dubitatio. Nam in hoc cap.& 1. rhet.
fcribitur,Laudem, pertinere ad virtuteni,Encomium vero ad fc&a
praedara.Item in cap. tf.pri*. mi magn.mor.negatur,Laudem ad prudentiam
pertinere,cum tamen virtu- tes moris,fineprudentia,qua? illaru
reginaeft,eflenequeant.Refpodetur,A^ riftotelem &r Gra?cos fa?pifsime,
eodem nomine>& genus & fpeciem appel- lare. Porphyrius hoc monuit ,
qui nomen Differentia? communiter > & pro- prie^ maxime proprie fumi
poflenotauit : Ariftoteles quoque diferte do- cuit, ciim in i.Top. cap.i.
Sophifticum locum vocat, to ayav HtlotZiw po9u& Zh%if>n(A.a.TW, cum
tamen poftea dicat, tunc tantum elfe fophi- fticum , cum fjwrn dmyj^ToYj nytim
$djtvo{/fa>v,it, & ad illam laus pertineat , cur ad prudenrii aus non
pertinebit? Virtutes item laudantur ,quia honefta? funt 6c fub ai&io-
nemcadunt,Launidentiaer^ eft &fub adio- Digiti zed by G00gle LIBER L tt,
afticmemcadit. Mdximereroproprie accepta vox iTfotoryittutihus mora* iibus
tantum tonuenit. Quod verb L*us alicubi Fadorum effe dicatur v ali- bi verb
virtutura, nil mouere nos debeat:proprie nanque Elogiis flue Enco- miis
fa&a fubiiciuntur,Laudi verb nonnifi quaterius virtutem vniuerfe co-
fequuntur , &inillis virtus 9 cumlaterer,fefeoftendit,i.rhet. cap^t Hsecex
Ariftotele. Quare quanquam quod ad vocis %7iwv yaivov'Tzu , a&t $**
ditupiet- pSfjos. Lambinus Thomam fequutus, putat particulam >*Ao/o/,referri
ad pro- ximum fuperius, nempe Imiyov , & idem hie fignificari quod decimo
huiuf- ce tradationis feriptum legitur : Ineptam videlicet Deoru laudem futuram
efle , fi quis eos ita laudet , quod malis cupiditat ibus careant. Ha?c &
alia ab aliis propofita,nullo pado , quod ad rem attinet poffum improbare ,
neque Thoma:, neque aliorum fenfunr.petere tamen explicationem confentaneam verborum
Ariftotelicorum poffum^debeoq* , cum omnes particulam illam dJciupcu&Hfyoij
aliter accipiant, quam accipi oportere videatur,& vim aliqua verbis
inferant. Quare vetus interpres & Argy ropylus,qui particulam y+- a.o7oj,
ad 5*m retuierunt , redius meo iudicio fenferunt, Antithefis naque eft inter
hac fententiam,& alteram qua? fequetur, quamque nos paulo ante ad-
duximusivt enim hie Deus ftudio
&dili- gentia noftra adhibita, confequi valeamus . Encomia his finitima
funt , pertinent enim ad opera & fa&a pradara , a virtutibus &
habitibus. Digiti zed by G00gle M ^ ETiHICORVM tarn anima? quam corporis
profe&a: qua? & ipfa alio referumur, nempe ad Foelicitatem. Vnde
colligitur , Beatitudinem , eo quod Finis fit omnium o- ptimus, ac
defiderabilifsimus, cuius gratia omnia facimus,Principium,om- ne amabile, omne
iucundum in fefecontinens,tanquam Diuinum quippiam in numero
earumrerumcollocandaraefle, quibus Honos & is etia magnus debeatur.
(Sedha?cquidemaccuratius). Excufatio perfpicua , cuius affe- renda? occafio
fumitur ex iis quae proxime de Laude & Encomio dixerat , & qua dicit^De
Laudis & Encomii natura diligentius difceptare,non effe pra?- fentts
inftituti , fed eorum munus, qui Laudes & Encomia fcribunt : ( Quia
principium eft). Quicquid eft Excellens, aut vt Antiquum , aut vt Melius, aut
vt Prinjcipium,dicitur Honore dignum , i. magn. mor.cap. y Annotetur hoc loco,
Laudem ad id pertinere quod ad aliud bonum quod eft veluti finis relatum eft,
vt patet: vnde fequitur neceflario 3 vt tunc tantiim Laude afticia- mus aliquem
, cum ftudio & induftna fua , inj>rofecutione illius boni infla- mato
animo & impigre ftrenueque elaboratrcontra vero vituperemus,fi ne-
gligentcr turpiterque in ea re fe gerat. Annotetur fecundo , Hue quidiem id
pone referri, quod ex fententia Alexandri de Laude a nonnullis di&um fu-
periusreprehendim js , Laudes nempe ad cohortandum referri poffe , aim Latas in
illisfit, in quibus ftudium&dtligentia noftra defideratur , non ta- men,yt
diximus,hoc ad proprie fumptum Laudis vocabulum pertinere. An- notetur tertio.
Quicquid obaliquampra?ftantiameminet atque excellit,id venerationem,Cultum,
& honorem mereri.4. Ethi.cap.j. Vnde, & egregios artifices quos fcimus
in arte fua excellere , plerunque colimus. Item ea fci- eatiam , qua? de fimplicibus
& diuinis mentibus pertra&at, nempe Theolo T giam, Ariftoteles
Honorabilifsima appellat.Quanquam fi aliquis ex ilia pra? ifcantia fru&us
iivnos proficifcatur,maior Temper honos illis adhibeatur , vt Foelicitati,vt
Theologia?,Yt Mentibus ca?leftibus,Yt Deo: verba Philofophi vnde
iftaextunduntur, fcripta funt 4.ethi.cap.de Magnaimo. Q^od fi quis petat , qua
ratione addufti eos admiremur, atque honoremus, qui quanqua aiiquam in fe
habeant praeftantiam, non taraen nobis fru&uofi funt: Refpo- detur, id a nobis
fieri, quia fi minus vtilitatem nobis afferant, faltem volu- ptati &
iucunditati funt,qu# voluptas in genere bonorura eft : omne autem quod bono
aliquoexcellithonorabile eft. S^diamad finem tra&ationis de
Foelicitatehumanaperuenimus,Q^arecommodioris Do ftrina? gratia co- cludamus in
anguftum loci fpacium ea, qua? hadenus de illius natura ab A- riftotele fcripta
fu^t. Id fiet , fi pofita imprimis illius Defcriptione,caufa? e- kifdem omnes
enumeretur,poftremo definitio perfeclifsima affignetur. Eft ergo Humana
Foelicitas,que hoc loco qucritur,nil aliud quam Bene viuere, aut Bene agere,
cap. 4 Efficiens illius caufa, eft duplex, vna extrinfecus po- fita, altera
interna , qua? vicem forma? gerit,vt ex Auerroe non femel dixi- mus. Caufa
extrinfecus pofita,prima maximeque communis Deus eft: Mi- nus
verageneralisFortuna, cuius profperitate egemus,vt integram Foeli- citatis
poffefsionem obtinere ac retinere valeaihu$,cap. 9. Propria? vero ma-*
gis,exter.n# caufa? efficieotes funt * Pareittum in nobis fufcipiendis &
alen- dis,Pra?- Digiti zed by G00gle UBER I. t$p di$, Prsceptorum in nobis bene
educandis inftit ucndi'fqiie diligentia fedu- iitafque. Efticiens aute caufa in
terna,eft*Aftiones probx virtuti prudetieqj confentanea?. Finis Foelicitatis 3
ad quod videlicet tanqua nd caufam ipfa rt- feratur, eft Foelicitas ; qua?
iirconteraplatione verfatur , cuius deinceps nul- lus finis eit,cum ipfa lie
fin is & extremu quo fertur humana natura Finis co- munis die eft ac
generalis 3 Vniuerfitatis npe perfeftio integritafque,& glo- riaDei in eius
benignitate ita fufa^elucens. Forma,eft vis & natura ^oelici- tatisiqua? ab
Ariitotele tribus illis conditionibus exprefla eft. Bonum perfe- d:um, Seipfo
contentum , Propter fe tantiim exoptatfdum. Materia illius, cum fit accidens
hominis,ipiumqueexornans&perficiens, Primariaerit> Mens prout agit,&
Appetitus ratione conformatus 3 Secudaria corpus, quod etiani cum Homiriis pars
fit, optimum ftatum habere vult.Haec paucis addi- -tis, aut mutatis,
Foelicitati qua? in Contemplatione confiftit , qua?que prar-
ftantifsimaeft,conueniunt. Sit igitur Foelicitas,Bonum perfedum, quod fatis eft
homini, propter fe expetendum,pendens ab aftionibus ahimi ratio-
niscompotisjcumvirtute congruentibus , &Fortuna? profperitate in vita
perfeda , a Deo Hominum generi datum , vt vniuerfitatem nanc perficeret,
jfuamque benignitatem raagis patefaceret. CAPVT XIII. Sed quoniam Beatitudo eft
adiqejuardam animi, vir-v tutiperfe&aecongruens, virtus ipfa
coniiderandaeft: Sic enimforfan Beatitudinem melius concemplabimur. Nunc vult
Ariftoteles extremam roanum adhibere , exprimenda? ima- gini Foelicitatis : de
qua ha&enus quid & qualis fit difceptatum eft. Princi- ()iananque
illius intimius , virtutiique naturam multiplicem , fequentibus. ibris
fpeciatim magis, atque ad viuum, vt aiunt, examinata proponet. Hoc vol lint
verba ilia. ta^x. $ **Im di'&Woy ^
6c vulgo & Adokfcfcntibus.iniucuadum eft,quaprdpter & ecjucatio-
nen\ Digitized.by^VrOOQlC ? e . LIBER I. 191 nem & ftudia , 8c
exercitationes legibus defcriptas eflWnecefle eft. Ha?c A- riftoteles diuinitus
16. ad Nicomachuma cap. vltimo. Quae vtinam ob ocu- los continanter haberent
omnes qui adjju)bernacula Rerum publicarum fe- dent. Eacerte Geneuenfes
meihabent , qui non modo certas quafdam leges certofq; ordines ad mores, raaxime
vero Adolefcentulorii probe efforraaa- dos,bonifque &iuftis a&ionibus
inftituendos afTuefaciendofque ftatuerunt veriim etiam in nullam aliam rem
magis incumbere toti videntur , quam vt a primis illis temporibus setatis ,
optimus curfus , pietatis nempe , vigilan- tia? , afsiduitatifque inftituatur:
Animaduerrunt nanque Pii viri vel ipfa e- tiam nature ratione admoniti
,adpra?claram aliquam formam excipien- dam , Materiem idoneam redditamprius
efle oportere , id eft praecultam pra?paratamque: Permagni enim hoc intereft.
Nam prout Materies hoc .vel illo modo erit affe&a , ita etiam Yel praeftans
velvilis forma inlucem prbdire folet. Ita prout Animus Hominis educatione a
puero adhibita pra?- paratus erit,maiores vel minores ad virtutem,ad honeftatera
&decus pro- greflus faciet. Sed ad rem : Vult Legiflator 8c Politicus
ciuibus ad virtutem affuefaciendis, eos bonos efficefe, lecundo ethicorum
capite primo. Vnde turn probi dues dicuntur, cum legibus parent : parent autem
legibus cunt probi funt : probique fiunt confuetudine parendi bonis legibus, vt
omnino illudverumfit,Ciuem bonum , & bonura virura inTe&einftituta
Repub, idem efle. Idcirco Ariftoteles non modo inquit. CiKtttu y> iws mhrn^
kyt- SovtmiSv , fed etiam ^Kp^Hus-MxaV. (Cretenfium & Lacedemoniorum). de
Horum Lecumlatoribus legibufque optimis *d mores ciuium informan- . dos
pertinentibus , habes in hiltoriis:fiquidem veluti infigniores & nobilio-
res celebrabantur tefte etiam Arift. i.pol cap. % & in hoc praefertim
lauda- tor- , ab Ariftot. io.ethic. cap. vltimo Refpub. Lacedemoniorum cum
paucis aliis,quod in ea lator legum educationis & ftudiorum curam habuerit
, qua- quam multa earundem inftituta ab eodem reprehenduntur , lib. z. pol.cap.
t.bcj* (Qua?ftioha?cconfentitcuminftituto). Euftratium,qui ha?c ad me- thodum
tra&anda? difciplina? politic* refer t, non probo , quod a verbis ni-
miumdifcedat,pra?terea vero Ariftotelis argumentationemconfcindat 3 quf . tamen
integra eft. Dixerat , Politici hominis efle , de virtutibus difputare,
quia^virtutum in primis efformator &: Architedhis efle debetrNunc colligit.
Hanc difputationem ad praefentem traftationem pertinere : fiquidem ifta, vt
initio libri di&um fuit,Po!itica quaedam fcientia eft,bonum vniufcuiufq; 3c
Ciuitatis (idem enim eft )'qua?rens. In hunc etiam modum Auerroes , &
Thomas interpretantur. De vircutc autem videndum eft , humana videlicet: Nam
fummum hominis bonum,humanamq>FaJicitate quasrebamus. Virtutem vero faumanam
appellamus,non corporis fed animivirtute. Atbeatitudineanimi a&ione
dicimus. Quseilitafehabet,perfpicuu eft oportere Poli- ' 1 Digitized by VjOOQ
lC t 92f ETHIC OK VM ticum cognita quodammodo habere eaquae ad animum pertinent
>qttemadmodum etiam qui oculos,&: cotum corpus curaturus eft, oculorum
totiufcyie corporis natu- ral*! perfpc&am habere debet, atqueeo quidem
magis* juo
fcientiaCiuiliseftmaiorehonoredignaquamMedi- cina- Atqui politiores Medici
multum operas in cognino- ne corporis ponunt:ergb&
Politicusinanimicognitione*. operam conferre debet, conferre 3 inquamrhaium
rerum gratia, &L quatenus fan's fit ad ea qu# quazrimus. Nam ac- curatior
eius cxplicatio,maioris forcaUe negotii fit,quaea ipfa quae nobis propofita
fut. De quo in libris Exotericis,. {atis copiofe a nobis ditafunt nonulla ,
qutb 9 vtendu eft, ReftrinjjitAriftoteles ftatim,quod abfolute antea
propofuerat,non* %&m rei neceisitate impulfus 3 quain commoditate
opportunitatis,qjua fibi a- ditum ad qua?dam 3 pnus adhuc quam virtutum naturam
explicet neceffaria pertraftandapatefaciat. De virtutibus qjuidem ait, hoc nobis
loco difcepta- tio inftituendaeft , fed non de omnibus > verum de iis quae
hominis propria? funt : E5 de iis etiam non. omnibus , fed qua? ad animum
illius pertinent :qui- bufque animus hominis quafi fubie&a materies
informatur effingiturque. Ex quo tandem colli git >confentaneumeffe rationi,
Politician natura & vim aninu quern virtute ornare vult, aliqua ex parte
contemplari debere:quera- adroodum etiam.bonus Medicus* qui-oculos totumque
corpus curaturus eft, plurimum operg ftudiique in oculorumtotiufque' corporis
cognitione con- tumit. Quanquamnon magnopere anima? virium inquifitionem
explica- tionemque ad Ciuilem pert inere dicit : fed eatenus tantum quatenus
fat is fit ad animum quo ad eius quafdam partes curandum, id eft ? vel virtute
or- natum conferuandum, vel vitiorum morbo affedum in fuam fanitatem re-
ftituendum. (De virtute autem), propofitio. (Nam fummum hominis bo- num),
probatio propofitionis. Qua? omnia perfpicua funt iis qua? fuperius attulimus.
(Virtutemverohuraanam). Gradatim defcendit,& magis fpe- ciatim
propofitumfuum aperit. Quod fane notifsimum erat , ex cap. 7, fed hie
explicatur , vt necefsitas tra&ationis de anima, qua? ftatim fubfequutura
cft,aperiatur:Opponitur autem virtus anima? virtuti corporis , quo nomine id
omne intelligi volo, cuius adiomanus aut alicuius partis corporis opera eget,
vt faltatio,equitatiojalia'q> his finitima. (Qua? (i ita fe habet).Dixi ini-
tio huius libri,Moralem banc Facultatem, Artem quandam eife,qua? proFine &
Scopo habet virtute,pro Subie&o veroHomine 7 fiue hominis animu:hunc cnim
vult bonis morib 9 effigere informareq*,. Quare debuit Arift.natura a-
nimiji.Suhiedi fui,paucis conteplarirSubiefti inqua fui,quia Arift.i.pol.c.^.
de artib 9 loques dicebat,Yoeo aute materia,fubie&u, ex quo opus coficitur,
vttex- Digiti zed by G00gle -ZV V .!"
LIBER I, [m vt textorilanaf,quafi materia r ubiiciuntur, a?sautem
ftatuario.Hoc fubie- ftum nonvult conficere Ars>fed F inem,vt ex primo polit
icor urn capite fexto illis verbis difci poteihNam vt medicina infinite fertur
in fanitatem , & ar- tes fuumqua?quefinem line modo pet unt, quippe quern
maxim e volunt effi cere,&c. Item ex iis quae initio feptimi capitis
habentur . Vt enim Politica noneflficithomines,fedanaturalibitraditisvtitur,&c.Cuiquever6
artifi- ci fat eft,fi vel tenue coghitionem fui fubie&i habeat,vt fabro
lignario ligni, (perfe&am nanque contemplatori Philofopho relinquit,) ita
Politico fat eft fi quarundam animi partiu quas curat > quarumque fanitate
boni homines 8c fcelices,morbo autem improbi & miferi exiftimantur,natur a
leuiter iibi in- formetur , plena traftatio difquifitioque Phyfico referuetur .
IdcircoA- riitot eles inquit 9 pjf70K q Ivuiwyfaw kcu \& in fanitate
conftituta funt,Exercitatrix,congrua & moderata exercitatione adhibita , in
fuo ftatu firmat at que conferuat :ea vero qua? a bona temperatione , natu-
rseque exoptato ftatu ceciderunt , Medicina natura? fubueniens,morbum de-
bellans,in priftraam fanitatem reftituit . Praeterea quoad fubiedtaetiamin
quibus veriantur,magna eft Politici & Medici fimilituda . Corporis mem- bra
qua*dam & partes diuer fam naturam obtinentes, funt , ita Animus mul- tas
habet quafi partes,vires & facultates. E t fi vero munera vtriufque (imilia
fint,praeftat tamen tantum Politicus Medico , quantum Animus Corpori an- tecellit.Politicus
inquam,ideft Legiflator qui Philofophus eft(vt Ariftoteles non femel &
tacite & exprefle monuit)non iuris quiuis Peritus : ille nanque Autor legum
eft,& Philofophiae partem fibi vendicat, hie quafi cuftosr & mi- nifter
legum habetur: Annotetur infuper in contextu,Oculi & Anima? colla- tio,
quorum duoru quatafimilitudo in ofFicio>dignitateq a , extet,alibi diximus.
(Politiores medici)quos capite primo libri de AEftheteriis fenfuum & fen-
frlibus, item initio libelli de fanitate & apgritudine: Medicos Tifa? 7bj)
lixrbjj (jLtlioflu appellat:boc in loco^etpiv7^ , ideft eruditiores dicit ,
& funt ii qui artem non Empyria quadam tantum tenent 9 fed accurate illius
pra>ceptaexquirunt.(Maioris negotii eft) Phyfiologioci nimirum, atq; illius
partis phyfiologia?,qua? honbrabilifsima dicitur,primo de anima capite pri- ~
n.i. Digiti zed by G00gle Z 9t E T HJ C O R V M mo. Quid fi dicas Metaphy Gees?
nil certe obftat>vt alias oflcndimus.(De qua in libris Exotericis) . Multade
hac voce a multis di&afunt : Prater caeteros vero,ii mihi furamopere
probantur,qui dicunt Ariitoteli* duo librorum ge- nera f uiffe, vnum
populariter fcriptum,quod i%a7ff>tiwv appellauit:alterum li
matiusquodincommentariisreliquit,& ixf (m^jlavjcov dixit.Non quia>vt Plu
tarchus cenfuit,in illis ciuilia 3 moralia,& oratoria Jdeft leuiores
rationes tra &entur,in hisrverofubtiliora,vtNatura,Deus pertraftentur,fed
quoniam,vt Alexander & Euftrarius fcriptis fuis mandarunt , tradationis
difsimilitudo, non rei varietas,in illis animaduertenda fuit:de iifde enim
rebus ab Ariftote- Ie bis difputatum elfejifti tradunt,fed in Accroamaticis
quidem fubtilius,at- que ad limandam veritatem aptius,in Exotericis verb
probabilius > atque ad efficiendamopinione accommodatius. Cui quidem
fententiae quamego ve- rifsimam nunc iudico,id non leue teftimonium efle
crediderim, quad vix v- namaut alteram tra&ationem Ariftotelicam reperire
licet, in qua nonde Exotericis eiufdem argumenti difputationibus mentio fiat.
Atque banc ccn- fuetudinem non in fcribendo foliim, fed etiam in docendo
Ariitotelem reti- nuiffe Euftratius & Plutarchus declarant:nam auditoribus
iis , quorum ipfe optimum ingenium fpe&atum haberet , acroamaticam
difciplinam & qui- dem matutinis horis in Lyceo tradebat,aliis vero exotericam,vefperttnis
ho ris,necnon extra ly ceiuiL Mirum tamen eft,vt obiter illud etiam dicam,Exo-
tericorum iftorum librorum nullum aut certe paucos ad manus noftras per-
uenifTe.Eudemum Dialogum in quo de anima exoterice^teftePhilopoao,agi- tur ,
nos, quod fciam , nondum vidimus . Extant Iibri illi quatuordecim, Theologiae
fiue Philofophiae Myftica? Roma? anno 1519 . imprefsi , in quibus multa de
Diuinis differ untur:Caetera perierunt,nifi problem ata (qua? tamen
noninvnacertamateriaverfantur.libellude mundoaliaqueeiulmodi,liuic . librorum
generi adnumerari velimus. Vtcunque vero fit,non dubito amplius de illorum
errore,qui Exetericos commentarios apudAriftotelem,interpre- tantur eos qui
extra rem fcripti funk Vcluti,vnam eius partem rationis expertem efle , alte-
ram vero participem.Vtrumautemhaediftin&as fintque- admod um partes
corporis,&quicquid in partes fecari po- teft , an ratione dux fint,fuapte
alioqui natura mdiuifa?,vt in rotunda figuraea pars quseconuexa,&: ea quae
concaua dicitur,ad id quod agimus nihil refert. Eius autem par- tis quae
rationis expers eft,vna eft pars qua: omnium com- munis eft,&: qua? piantis
etiam e6uenit,eam dico qua? cau faeftcuralamur augeamurque. Talem enim animi
vim, cuminiis omnibus qua? aluntur, atq; adeo in fcetibus im- perfeftis ponere
liqct,tum etiam in perie&is animatibus: P rQ - Digiti zed by G00gle LIBER t
itff probabilius eft enimhanc eandem efle , quam aliam . Hu~ iusitaquc virtus
omnium communis, non hominis pro* priaefTevidetur,quippe cumin
omqisha?cparticula,at~ que hxcvis fuo munere fungatur: Atqui bonus ab impro* bo
infomnominimu difcernitur.Hincillud,quodaiunt, Inter beatos ac miferos
dimidiamvitae partem nihil inter- efle:eiufque rei ratio probabilis cur ita
accidat , afFerri po- teft . Somnus enim animi requies eft , qui vel probus ,
vel malusdicitur,nififimotusquidamfenfiminterueniantac
permaneant,atqueitabonorum,quam quorumlibet alio- rum phantafmata fine meliora.
Sedde his
quidemfatis. Alendi itaquevis pratermittenda eft,quandoquidem vir- tutis
humana? fuanaturaexpers eft. Egimus capite feptimo nonnulla de hac Anima?
diuifione,qua? ab Ari- Itotelenonmodo hocinloco>fedetiamfa?pifsime in aliis
libris Ethicis Poli cicifque repetitur: Quoniam igitur , ad politicum accurata
exquifitioha- rum animae partium , non magnopere pertinet,paucis quibufdam
addi- tis , fatis muneri noftro interpretandi teciffe videbimur . Quod verb in
praefentia addendum effe exiftimo , illud eft , vt partium aut facultatum
animar diuifionem quandam,non illam quidem integram,fed huic loco acco-
modatam,ex A ridoteleque defumptam,fpetadam ob oculos ponam, necnon
carundembreuifsimam quidem,verifsimam tamen expKcationem fubneda. Neque erit
hoc, vt puto,a re alienum,pmerqua enim quod adMoralem hanc tra&atione
aliquo id modo pertinet, Animi noftri naturam, quod multo ma-
gtseft,velpotiusnos ipfos nobis notos reddet-.Ex qua demum cognition ne 3
multa? magnxq; vtifitates in nos prouenire poffunt,vt Croefo Lydorum
Regi,fortunatifsimo,quonampa&oreliquas vita? partes,foeliciter perage- re
poffet oraculura confulenti,ugnificatum eft. fORMVLAM ET FIG VRAM DIVISIONIS H
A B E- B I t I E O^J E NT I PAG, DESCRIPTA M. n.ii. Digiti zed by G00gle 194
ETHICORyjt AMIMAE TRES SVNT quam vt Confer wet ant amiflam recupe- ret,
conuentemibusquibufdam ad earn rem irtftrumehtis , a natura munita dhratione
caret , quam etiam non audit , & in fomrio pra?ripue fua munera exequitur,
b.cd. Nutritio ab anima efficitur non a natura, vt Medici exifti- mant,auxilio
tamenCaloris infiti,qui veluti pra?currens, alterat,& cocoquit id quod
parti nutrienda? afsimilandum eft . Eft ergo nutritio nil alit^ quim appofitio
qua?dam fubftantia? deficientis 3 partibus, aut Conuerfio nutriment ti in
corpus animatum.In quaNutritione tria fefe nobis fpe&anda offerimt, Quod
nutritur,Quod nutrit,Qup efficitur nutritio.Nutritur Corpus anima- turn cuius
humidam fubftantiam Calor infitus ob fui conferuatioricm afsi- due depafcitur :
Nutrit Anima: Nutrimurveroalimento, quod poreftate eft fubftantia partis
nutrienda?,a&u vero talis a Galore infito alterante con- coquente
&mutante,tam in ventriculo,quam hepatevenis 3 &: ipfis particulis,
efficitur. Viget autem Nutritio in animato , quandiu viuit . Nutritionem fe~
quitur Audio, quae fit ebdem alimemo , non prout fifnpliciter qua?dam fub-
ftantia eft>fcd prout eft quoddam Qitantuni : Vt Audio nihil 4liud fit ,
quam folidarum animalis partium amplificatio in longum, latum , Srprbfundum. Et
ha?c in viuente aliquando quiefci t.Generatio non vna & fimplex aftio eft,
ied ex alteratione formationeque cotnpohitur , & eft Aftio anima? , qua ani
- mantia ad producendum quod fibi ad fimilitudinem forma? refpondeat , apta
funt, partefquefingula? in anirnantibus & ipfe foetus perficitur. e. Senfus
apud Peripateticcs,eft qua?d5 Forma fiue facultas ex mate- ria? finueruta,
conitans ex temperarione elemetitorum, atqtie inftfumento corporeo ad res
extrinfecus obie&as percipiendas vtens. Tradiicitiir iute ad a&urnFacultas
ifta,fufceptione fpecierum a rebus extra pofitis ad organa fen fuum delatarum.
Tunc enim fenfilia percipere & diiudicare poteft, cum ipfe in fenfilium
fpeciem quafi formatus erit. f.g.h.i.l.m.n.o.p.q. VniCus reipfa fenftis in
homihe eft ,inCorde manens veluti in Regia , qua ratibne Interior appellator .-
vtitur autem quafi manibus propriis quibufdam organised res externas capiendas
: ad colores Afpeftu , ad odores Olfa Fhantafia vbcatur : At fi nbn fimpliciter
de ipfis cogitet,fed temporis qudqu* pta?teriti,& loci rn quo ad ipfum
dela- te ruetint,circunftantiarti& cohtfderatioriem adhibeat, Memoria?
nomeii adipifUturtcui affirm eft RemiiirTcentia. Ca?terivm huic fiobiliori
anima? fa- cultati.bonum M quod perfruettdum femper iuducitur & rapitur,
non eft in .iii. .Digiti zed by G00gle 8 ETHICORVM columitas fed voluptas .
Quare quandiu fenfus communis aut Phan tafia Cm- plice cognofcit rem 3 aut
(impliciter de ea cpgitaj, npn moiietur> ideft non fu- git,non
fequitur,& fenfus au{ Phantafia diutur ; Gumprimura vero fpecies aliqua
iucundi aut molefti rei adiungqtiu; , continuo excitabitur AppetHio. Eft ergo
Appetitus idem re,cum fenfurimo eft idemmet fenfus cum habilita- te ad iequenda
vel declinanda re fub fpecie iuciidi aut molefti pcepta: vthoc modo apte
definiatur; Appetitus eft Indu&io fiue ^ppefio fenfus ad re obie&a
fequeda vel dedinanda,Sefus(inqua)aut SefusComunis,aut Phatafia?>cu i v-
troq, Appetitio>excitetur.Hic fefus ratioe caret(neq-, enim ipfe fibi expr
efcri pto rationis res fubie&as pcipit) copos tameRatiois euadit quatenus
Appe- titus qui illius comes eftMetiji honiine 3 qua? Ratio ipfaeit obteperare
pptefh r.s.t.u.x. Pra?ftantifsima ha*c nobilifsimaque anima? facultas eit Diui-
oa &r extrinfecus acccdens 3 qux Mens capax(neque enim de Mente efficiente
nunc verba facere volumus)fiue Intelligentia Ratioque dicitur . Huius mu- nus
duplex eft,prout,vel contemplatur,quod praecipuii illius opus eft> vel a-
git.Speculatur illo modo rescorporeas vniuerfejquas primum vt fingulare
percepitcex, return yero corpprearum cognitipne , palatini ad fui cognitio- nem
peruenit,fpe.ftans videlicet guemadmodum fpecies accipiat > & eafdem
{>rius ilLuftret,a iiagularribul^ue^nditronibusfegr^getjtandern adpuras iU
as Mentes & ab omni concrejipfle materiei feiunda$ 3 qiubiis genere c^gna-.
ta eit^accedittpofU'erap cum^ogitet^yira ac facultatem illam qua fpecies fen-
files illuitrat 3 atque intelligibiles ifeddit > ideft feipfam, effe quafi
radium fu- premi illius folis qui puriisjmus.Adus,& furama qua?da lux eft >
cuius fplen- dore omnia alia fucent,ad ipfummetDeum pmniu#i rerum coftditorem
& ef- f edorera intuendura peruenit. Quod fi ad, Agendum fe Mens conuertat, vult res has
humanas^or^inaresmouere^admirijiftrane. Menticontemplanti verum pro fine
proponitur: Agenti vero decus ^.honeftas.Caeterum Mensquoque, ad aftum
traducitur fpja fpecierum fufcqptione: Antequara enimTemperan- tiam
cognofcatjTemperantiae fpeciemfecipit, absque impreifam & infcui- pta in fe
gerit. Quadiu ergo Intelligentia Teperantia?
&Sanitatis nuda & fo litaria ria,tura cpteplatur>n6 mouetur^o
cofedatur aliquid aut fugit>& Mes fiue Intelligetia dicitur. At fi
^pnitatis alicuius aut malitia? notio ei addatur, (tatim aliquo tagitur
^eli4efio>&yoluntas emergit,y t nihil aliud Vplutas fit quam indudio
Mentis>fiue;ipfamet Mens cu indudione & jppefione a4 cofe danduin,vel declinandum ^liquid;q.uod fibi
bonum vel malu Mes cpgnouit. Nunc qua?da qua? in cotextu iubpbfcura videtur
illuftremus, ( Vtrum aute hx diftinda? fint)eandempropofuit dubitatipne p.de
an. cont.y. fi Philop.Sc Aue rjfequamur, na aliter Alex.locu Ulu interpretatur
. Quaeftio autem Plat,, gratia introduciturjqui alicubiAnimas in hpmine no
ratipne tantum,fed fuh ieifto etia difcrepant.es 1 efle dicit:Rationa\e in
cer^ebrp collpcai>at, Sefttiente, & irafcibile in corde, Appetente fiue
cocuaijfcibile > fiue vc;getabile inEpat^ quanta GaLfub fine
^deplac.ftip.&P^^iimaihhomkievna tribusfa- Cl t lta 5'l bus P r ^tamex
WatpnisautJhprifateponerevide^ur J ^ide i n|PlatQ no mh duas animas iij Timeo ;
diferte,ft^>at.. Appetentis^duo fun^munera: vnuincibo&potu,alteru in
rebus venereiscernitut, VtidevtGalenusdic. Digiti zed by G00gle ; f / LI BER T.
~ 1*5 bat,Tityonis ortafabulaeft > qui captus amore Laton* Appjlinis matris,
ei de ftupro interpellauit.C^amobrerajratusApollo fagitti5ipfumconfodit 3 &
apud inferos reiigauit,eiufque iecur yultur jbus lancinandum appqfuit . Ac fi
Epar pati voluerit 3 m, quo cocupifcet.ia? ^ityom$ fomes extitiflet.HaC vini in
piatis reperiri ide Gal.5j.de Plac.Hip. tacit e fign ificat a quod no omnino
abfur du efife,vt quida ad paucarefpicietes clamat 3 alias oftendimus.
Irafcentis fiue fentietis anima? tres operatioes efle dicut.Prima eft 3
c6tradio &ditatatio ar- teriaru ob vfum refocillationis caloris infiti, qua
ratione Vitalis anima nun- cupatur.Secunda,fpeftatur in affeftionibus anima?
fentietisjVt ira 3 timore 5 o- dio 3 moerore,inter quasaffedionesquonia
primariaeii ira, vtpote qua maio ri circa cor totuq; corpus comotione f
ada,excitetur,idcirco Anima ab ea fua
fumpfitdenominatibncjatqjlrafcibilisnucupata eft: Tenia operatio,eftvtRa
tionali anima? aduerfus impetu cocupifcentia? infurgetis 3 auxilio fit. Leontii
exeplo id Gal.declarat,qui cu accepiflet in via multa cadauera a carnifice in-
terfeda iacere 5 animarationali monete 3 ne ta horrenda fpedacula cernerevel
let,oculos claufit 5 cocupifcetia tame & Appetitio afpiciendoru Cadauerii
in- furgens,proftrauit Ratione 3 atq> Leontiu impulitadoculosaperiedos. Tunc
ira aduerfus concupifcentia quafi pro Ratione infurges aitVAfpicite 6'miferi
oculi>fpedaculuadeo wrpe,&c.Rationalis anima? tres funt facilitates:
Sefus, cuiusvires totide effe talefq; dicut quot &qualesnos antea
comemorauimus, Motus volutarius,que volutas feuAppetitus cognitione feques
iperat:vis au teillamebris &mufculis
infitaexequitur,Intelligetia.Verutame,vt ide Gal. ait,Qua?ftio lia?c
logevtiliorMedico quaPolitico eft.Illi neq-, partes iftiufmo di nota? effe de
bet,vt in Curatione,exploratum habeat cuinam partimedica- metaapplicare
debeat.Politicus vero anima hominisvirtutib.iformarevulr, qua? coiuetudine
acquirutunquare nihil refert 3 fi vet 1 hac vel i ilia parte refi deat.
Merit6itaq-,difquifidonehacomittendacffe,&n6magnopereptinere ait ad id
cpfibi ^ppofitu habet Arift.(Vt i rotuda figura).Ideft,an h f no plures animf
fedvnius anime_ plures facultates no fubietto fed fola ratioe differetes
fintjVtCauii a Curuo I circulo no quatitate &fubiedo 5 fed dutaxat ratioe
dif fert.(Eius aute partis qua? rationis expers).Intelligitvegetabile
&fentiente, vtraq, enim jppria ratioe caret ,vt diximus,(Vna eft
pars)Vegetabilis.( Atq; adeo in foetibus).In foetibus no modo vegetabilis,veru
etia fenties,atq-, In- telliges anima eft,vt antea diximusrvegetabilis tamen in
eis magis viget 3 aliar funt quafi fomnb ; c6iopita?.In j>fedis etia,ideft
adultis eade eft, quanqua no ita,vt in embryonib.& pueris,cofpicua fit.
Audio enim qua? 1 iftis viget 3 fub fenfum magis cadit,quamNutritio,qu5 fola i
adultis manet. Porro Audione iviuete,aliquado ceuare(6Vvt aiut poft annu 30.)
Arift.i.de ortu &int.li.cot. 4i.madauit:Ahrix vero vis nuqua otio
^fruitur.Quo etia argumeto Philop. x.de an. 47. Alente Augenteq; faiiultate, no
vna prorfus & eadem effe aflfir- mabat.Huc verba ilia noftri cot^fpedant ,
IvKoyeoJ^ov yap akkI/ju
7/vpropriuHominisquatenushomo eft opus cenferi de- bet >fuperius
diximus:Nucvero ab Arift.eo etia argumeto ftabilitur^Horao dum dorrait non agit
prout Homo eft , imo eo tempore nil differt a Planta: aaiii. Digitized by
Google fcoo ETHICORVM Atqui in fomno vegctabilis anims opus quammaxime fertict:
colle&u! naii- queinteriuseo tempore calor,quo vt inftrumento Anima vtitur
, melius concoquit 3 vnde &:melior alimenti appofitio,affi#io 3 afsimilatio
3 tande'mque largior nutricatio fequitur.Quocirca vrfi & glires per fomnum
maxime pin guefcunt : Sed quorfum alias Beftias in medium addiicere ? Monachi
fatis id nos docet.Haec medici diligentius.Ex his illud tritii fermone
prouerbiujn- terBeatos&Miferos dimidiavita? parte nihil intereffe.Vnde&illud
fluxit,Du dormiuntjDo&us ab indofto nihil differ t.Foelicitas enim
perfedtioq; omnis, 3c omneboniiviri probi,&quo ab improbo
differtjinjipfamet a&ione 5 qua? in vigiliaperficitur 3 n6 in ocio 3c
fomno^cofiftit. Dormientes igitur nihilo plus haberevidetur,qua Miferi. Quod vt
vulgo di&um, htcaffertur ad probandii vegetabilis anima? funftione,hominis
qua homo eft no effepropria.Id tame no vndequaq; probabile eft.(S6nus enim
animi rcquies).Cur ex parte veru, 3c ex parte falfum fit>quod di&u
eft,deDormiente 3c Mifero,caufa hie affer- tur.Eft(inquit)SomnusAnima? cefTatio
3 vacatioq, 3 ab opere illovidelicet 3 quo homo bonus vol malus dicitur : neque
enim,fiquis cibummale concoquit^id- eo malus eft:aut fi bene 3 propterea bonus
3c foelix cenfetur. Non ergo omnia anima? principia in fomno quiefcunt, tv 077^
enim,& to juvhtikov in cordc neque ceflant neque fomno impediuntur 3 aut
intercipiuntur. Viuimus & a- limur certe in fomno: Animales item fpiritus
continenter mouentur , vnde & fomnia prodeunt.Quamuis autem in fomno quod
ad fomnum attinet, Bo- nus a Malo 3 & Foelix a Mifero non diftinguatur,
tamen eft aliquid, quo eo e- tiam tempore 3 quid inter eos interfit 3
difcernere ac iudicare pofsimus:fomnia nempe 3 cma? bonorum meliora funt, quam
quorumlibet aliorum . Pro qua re fciendum eft,nihil aliud efTe Somniura quam
Phantafma quod in fomno cer- nitur :Phantafma inquam,quoniam inAefth^teriis
fenfuura noftris 3 dum vigi lamus a rebus externis~infculpuntuir 3 3c quafi in
tabella quadam depiguntur imagines rerum externarum:Quarum imaginum 3 qua?dam
illefa? atque Inte- gra? prout imprefT? fuerant 3 manent perfeuerantque:
quaedam ver 6 contur- bantur 3c confunduntunplerf que etiam paulattm
obliterantur 3 & tandem pc nitus euanefcunt.Qua? igitur reftant > vel
plane integrae imagines ,-vel pau- Ijim oflfufcata? 5 Somni tempore 3 dum nepe
ipiritus animales & vitales mouen tur 3 vaporefq; a ccrebro ad cor
deuoluuntur applicata? 7c* a rebus magis
honeftis 3c iuftis 3 quibusvigilantes dele&antur 3 defumptafunt,vnde
&magis quoque honefta fomnia iifdem offeruntur . : (vyts7Sv */j>^finr) 5
Phantafmata qua?da.('?> W* ouKpoy): nequeenim diu{Iurant.(conclu(ifed efiam rationem non
audit,tranfit ad fentientem qua? Sdpfa vacat quidenx ratione, cius tamen compos
euadere poteft,cum Appetitum comitem nabeat, yt antea diximus.Hanc partem qua?
veluti media inter Ve getabilem & Rationem in- tercedit,conat ur quafi
digito ab aliis diftinftam monfftrare,cum Continerttis & Incontinentis
dtuerfara conditionem proponit . De his memini me fupe- riuscapite tertio ex
Ariftotele feptimo Ethicorum dixifle, quare non eft mod pluribus in pra?fentia
eorum naturamperfequar . Illud nunc monuiuY at efto>tam in Cotinente quam in
Incontinente, Appetitum &Rationem in- ter fe digladiantes animaduerti:
quanquam in illo Appetitus adhuc non U- bens,& repugnans vincatur
virtutiqueobediat>in hoc vero ratio fana quide fedimbecillior 3 vehementi
Appetitionis infultude gradu deiijeiatur . Vide igitur iam,in vtroque incolume
ac re&um efle Rationis judicium ,-fed in v- no,Appetitum quantumuis
contumacem Rationi tandem obfequi , in ajte- roautem Rationem, infirmiorem
profternere ac vi&orem efle: vnde hac pugna,facultatum iftarum anima?
diuerfa natura confoicuafit . Ca?terum pugnaha?c quae in continente
&incontinehte fpe&atur,fimilitudinepartium refolutarum in corpore
animati,a Philofopho illuftratur : qua? aided nota *ft vt nonegeat
interpretatione-.Dicaitius tamen tionnulUdeea,Vt Tbfeim%fpe- cistim.(Planeenim
vt in corpore). Partes Corporis Pifalyii, velTremore affc#as,deprauatum atque
incertum motum habere perfpicuum eft :Facultas i Digiti zed by G00gle xoz ITHICORVM
enim quap membrum mouereautattollere vult>ii^beciIHorftjqiiarcGraul- . tas
membrieirefiilk.QuofitjVt membrum hue arque lllucinfitapotiusgra- uitate
delabatur, aut deorfura,quafitemerekliftrahatur,quam, vel in fublime
attolIatur,vel re&a feratur. Valde itaque miror,cur Lambinus Streba?um non
probet>qui illudrtrapAptpitityov ita vertit,Qupd prater volutatemfertur.Mo-
tus nanque ifti deprauati membra quibus accidunt, praeter vbluntatem con-
cutiunt.(Quod quomodo ab ea diuerfum fit).Quodam alio loco horum com
mentariorumdixifle me recordor>Appetitum & Rationem,ex diuerfo pror- fus
gendre effe perip&teticis videri : Siquidem illehuic fa?penumero refiftit:
Quod alioquih mirum videretur,cum qua? pro materia,alicui forma? fubfter
nuntur, (vt Appetitus Mentifubfternitur) nunquam itU repugnare foleant, vt
corpus anima?>ahima vegetabilis fenfui,ignis Ieuitati,terra grauitati, non
refiftit.(Vtrofortiactemperante).Dehifcequoquemenonnihil&quantum ad
praefentem locum illuftrandumfateflepofsit , alibi in hoclibromedi- xiffefcio.
Apparct ergo vim rationis expertem,duplicem efle: V- nam ad ftirpes proprie
percinentem , nulla ex parte ratio- nis parcicipcm: Alteram concupifcentem
& omnino ap- petentem,aliqua ex parte ratione preditam, quatenus vi-
delicet ei paret, atqueobtemperat.(Atque ita fane ali- quem dicimus'habere
rationem patris & Amicorum) no** autem vtrerum Mathematicarum . Rationi enimquo- dammodo parere , animi parte
rationis experte , cum ad- monitio, tumomnis reprehenfio, atq; exhortatio
indicat. Qu6dfiFatendumft, hancvim ratione quoque eflepras- ditam,duplex erit
animi vis rationis particeps : altera pro- prie>& vt habens earn in fe
ipfa,altera veluti filius , qui pa- tri obedit. . Qua? deduplici parte anima?
rationis experte,quarumtamenvna parti- ceps rationis euadere queat, initio
cotextus repetuntur, pro conclufione eo- . rum qua? proxime expofita fuere,habenda
funt. Qua? etiam fimilitudine alte raadniodumperfpicuadeclaratur,pofteaver6
fignoquodammagis ftabili- tur^SimiUtudo^ftaPatre&FilioitemabAmicitia &
difciplinis defumpta: Quemadmodum enim Filius dicitur rationem patris habere,
& amicus ami- ci,no quia ratio patris infit in filio,aut amici in amico,aut
quia filius ratione cur pater fie agat,vel amicus cur aliquid agat
amicus,redderevaleat(quorao do rerum mathematicarum caufas & rationes
animus aofter in fefe contine- re Digiti zed by G00gle LIBER I. roj re dicitur)
Sed quia fequuntur, quocunque voluntas Patris & Amici clamat:
idefteorumrationiobtemperant. HaecEuftratius:&re&e,quanquam ob- fcurius
ibi.Illic ratio>curam & obedientiam , in mathematicfs vero cogni- c t
tionem & caufam fignificat 5 qu6d aliquid alicui infit.Signum eft, a
reprehen- cc fionibus,monitis,pra?ceptionibus, obiungationibufq*, defumptum,ea
nanque fpe ifta adhibeturvt homines a deteriorib.ad meliora reuocetur,ideft,vt
pars ilia hominis qua? a xatione deuia eft , Rationi obediens reddatur .
Caeterum quid Adrnonitio fit, qua? inter aequales locum habet , quid item
Reprehenfio qua? in inferiores nobis conuenit,quid tandem Exhortatio,qux tarn
ad fupe- riores & ineriores,quam ad a>quales*refpicere apte poteft ,
declarat Euftra- tius in fuis Commentariis : tu vero confule libellum Plutarchi
De dignotio- ne Adulatoris & Amici,ex quo multa pra?cepta,mukasque
circunftantias^re- prehendendi,.obiurgandi admonendique , vtiles ac fcitu
dignaS haurire po-' teris.In poftremacontextus parte,Ex fuperiori conclufione ,
altera extundi- tur : Nam quemadmodum duplex anima eft rationis expers , quarum
tamen vna rationis aliquomodo particeps euadere poteft : fie duplex anima
rationis particeps ftatuenda erit,quarum altera in fefe rationem gerit inclufam
3 imo & antea me nonnihil egiffe
memini; Devirtutibus itemmorum fatis pro hoc loco diximus , & dicemus etiam
copiofius initio fequentis libri . Virtutes au- tem Mentis , non effe virtutes Moris hoc
loco , difcrimine appellatio- ; nis deckraur rquanquam vtra?que virtutis nomine
appellentur. ( In Men- te &Ratfone. ) Enumerantur
virtutes Mentis tametfi non omnes , fed pra?- cipua? , Sapientia ,
Intelligentia , Prudentia . Miror eurnonnullis vox iUa^W/y'Sagadtatem
fignificet &>ftenpotiu5 intelhgentiam
: perfe* &e cognofcimus,
Animaduerte, Virtutes moris in appetence quidcra anima, fedemnabere,Prudentiam
autem in Mcnte,vt non femel diximus: Virtutes ta men moris nihil aliud effe
quam Mentis & Ration is quafi formam& vefti- giuroquoddamalte in
Appctente anima impreffum . Prudens autem Mens dicitur % cum vt agat ad Conformandum 8c dirigendiun Appetitum fe
conuertif *Qnare virtus Moris erit Prudentia qu$dam in Appetitu, aut Pru-
dentia qmedam quam fequitur libenter atque admittit Appetitus . Decla- ro:In
omni virtute medium eft deligendum,non nimium,non parum.Quenv* admodum enim
moderate exercitationes,moderatus cibus,& potus , bonam valetudinem
efftciunt,augent>tuentur, contra vero,immoderatae exercitatio
nes,poculenta&efculentacopiofms aut parcius exhibita, valetudinem mi- nuunt
atque offendunt : fie mediocritas qua?dam in a&ionibus, virtutes pa* rit
atque conferuat. Fugere omnia 8c extimefcere, & minima quaque re vifa &
percepta tremere,fimiliter aute ad omnia periculapnecipitem ruere,For- titudini
obeft,quam fynceram & integram confequemur , ii quando,& qua-
tenus,& quomodo oportet fidamus,atque fi quando 8c quateuus,& quomodo
oportet>metuamus. Ariftoteles x.Ethicorum capite fecudo.Carterum hoc Mc dium
in quo virtus con(iftit>non nifi ratione bene cogitata prudentisviri prae
fcriptum effe debet : quam re&am Rationem , prudentiam appellamus. H#c eft
ilia virtus qua? adco propria humana? mentis eft> vt quicunque ea careant*
fpecie tantum 8c forma homines dici mereantur,cum natura animoque , aut
voluptatibus,aut propriis vita? commodis tantum dediti,pro Beftiis 8c Plan* tis
cenfendi fint.Quod fignificarunt,veteres Philofophi,vt Pythagorei,cum
Metamorphofes illas Hominum nobis propofuerunt . Agnofcendum eft iani
tandem,ar&ifsimum vinculum quod inter virtutes morales , 8c prudentiam
intercedit>de quo nos antea>& Ariftoteles tf.Ethic.capite 13.&
cuius gratia de prudentia longior difceptatio quamdereliquis Mentis virtutibus
a Morali mftituta fit, ( Nam cum de moribus alicuius) . Aliud afferet difcrimen
quod naturam rei magis attingit fequenti libro: hoc quod in praefentia
proponitur cam habet vim:Nam cum volumus aliquem ob mores fuos laudare,non
ilium Sapientem,aut Intelligentem appellamus,fedClementem,vel Temperatem: Quare
no funt virtutes mentis idem quod virtutes quae a more 8c confuetudi nequaacquirunturfumunt
fuam denominationem , quanuis tamillaequim ifta? virtutes dici pofsint,ac
debeant:Quod probatur,quiaSapientem propter eius habitum,non minus quam Fortem
, aut Temperantem propter habitum adeptumlaudamus: Atquilauscommuniter
acceptavirtutum eft,vt fupe- rius pofiiimus-.Quare virtutis nomen,latius nempe
fumptum,Mentis quoque habkibus conueniet.Sed pluradeharum virtutum
difcrimine,denominatio- neque in fe,cundo 8c fexto huius philofophia?
libris,difputanda funt:quare vt omnia fuo loco pertra&entur,Finem prim*
huic parti noftrorumcomm^ta- riorum imponemus ,Deo. Opt. Max. Domino &
Patri noftro gratias agentes, eundc'mq; qui Mentis & Rationis aoftrae Dux
eft obfecrates,vc noftr* nobili mis & pr*ftatia?,qua toti ab illo
accepimus^nemores cotineter nos reddat, vt Digiti zed by G00gle LIBER i: ioj Vt
vigilantes & nos ipfosfpedates,tam clarum nature noflra lumen fomno &
ocio extingui non patiamur: Efficiat quo que, vt irraticnalibus affeftioni- bus
iam tandem perpurgati > Foelicitatem lllamvere politicam 3 confequi
valeamus>quam nobis vnigeriitus eius Filius & praceptor nofler
IefusCbri* ftus>in bac vitapropofuit. Vt videlicet pie.cafte rejigiofe'que
viuamus 5 fra- tribufque noftris benigne femper faciamus , quibufewh tandem
Joelkitate fempiterna , ac beatitudineccelcfti*per eundemChriftumift altera
vita- perfruamur. FINIS COMMENTARJORVM IN PRIMVM LlBRVMi ETHICORVM, Digiti zed
by G00gle INDEX IN COMMENTARIOS PKIMI LlBXlI ETHICORVM Anllotelis. Numems
paginam Indicat. Accidentia non funt fimpliciter ** cntia 0j Accidentia
omnia,exceptaQuantita- te,in fui definitions lubiettum ac- cipiunt ioj Sub
A&ione qua?na caderedicatur z A&io praeftat facultati xj,& 69
A&io quomodo dicaturverfari in fin gularibus. 96 A&iohonefta
dicitur,vel fimplici- ter,vel ex pofitione 13* A&iones ex virtute debet
efficifpo- te 140 A&iones exvirtute quomodo fint diu turniores &
frequetiores fcientiis 17* vbi reprehenditur opinio no- nullorum Adamantis
natura 178 Admiratiodicitimperfe&ionem n in quibus laudabilis fit ibid.
AequiuQCorum diftin&io $3 Aetatem perfe&am quam exigat Ari ftoles in
Foelicitate 116.117 Affe&io quid fit Stoicis 133 Affe&ionum numerus 63
Alexander reprehenditur %6 Amicitia? duplex fpecies 81 Amicitia cur Politico
expetenda , & 5[uasobcaufasi45.i46 CurinFoe- icitate requiratur ibid.
Amicitia dici poteft Bonum internu, & externum 130 Amicitia plebeiorum
hominum non eft fpernetuUjfed non multifacie- da 150 Amicos improbos ne
habeamus,quid agendum t; Amor duplex 1 j^ Amor non eft Appetitus , vt quidam
dicunt \& Amor non eft femperpr&fentium 138.13? Amor cuiufcuiufq; ,
primum eft pto priarumrerum 181 Analoga quae dicantur ^3.^4. Eorura natura
explicatur ibid. Anaxagora?Clazomenifententia de foelicitate p Angeli nullam
aliam habent affeftio nem praeter Amorem 139 Angeli an fint Foelices.dubitatur
, 8c ibluitur i^ 9 Anima vegetabilis voluptate & dolo re caret & Anima
rationis particeps duplex in homine 109.110 Anima? diftindionon eodem pror- fus
modoa Morali quo a Phyfico confideratur no Anima praeftat corpori in homine,vt
dominus feruo 117 Anima hominis eft immortalis ex fententiaArift.i^
&multiplica ta numero hominum ibid. Animi noilri diuifio %
etKu^ro^g7Syprincipiorii opinio quo- run dam damnata $4.7$ Avriti&m,
Sroicorum falfa 131 Appetibile nihil eft nifi ob fimilitudi nem diuinae
bonitatis 19 Appetitio differt ab affe#ione $3 Amicitia? efficacia quomodo
perti- Appetit? vox quid fignificetvulgozo neat ad mortuos 18* Appetitus &
fenfus quo modo diffe- rant Digiti zed by G00gle I N D rantapudmoralem no
Appetitus duplex in homine } cui ref- pondet ratio duplex *4$ %ft?or 79 quid
Arift otel i fit ioi Arift. locus in prima Magnorum Mo raliuracap.ii.delaratus
33 Arift. in moralibus de Ideis Diale&i- cedifputat 84 Arift. m os in
definiendo 11? Arift.argumentatur plerunque ex eo quod to &\mv i&,
& concludit quod ipfefentit 161 Arift. pie fentit de Animorum nume ro 167
Ars quid., z Ars quid fit 14 Ars quoraodo proprie diftinguatur a prudentia 3
Ars non efficit fuum fubie&um r 6 Ars communiter fumpta, quid figni- ficet 15
Artes aliqu confultatione egent z& Artesfuam habent praxim &.iuam
theoriam , omnia tamenadadio-* nem referunt 26 Artifexquomodopofstt efficerefuu
fubie&um 7 Artium condufio eft opus 5 Allium inuentor & (adiutor Tempus
119.no B T^Enefacere poffe eft fuauifsimum & & optabilifsimum 119
Brantis fententia de Foelicitate 130 Bona corporis funt bona Fortune, quamuis
proprie dicantur bona Naturae 119.130 Bona externa cur dicantur Facilita- tes
14? Bonaexterna,&Bona corporis,quo- modo differant refpeau Foelici- tati$
148 Boni natura declaratur 8? Boni ratio eft efle appetihile, & quo, X. modo id fit verum 10 Bonis externis minium
abundare ma lumeft 100. 101 Bonorumdiftin&io $9 examipatur 909\ Bonorum
diuifio Stoicis 131 Bonorumdmifio qiuedam ex priori Eudem. 74 Bonum quid fit 17
Bonum mentis, eft Verum 17 Bonum quoddampeculiare vnicuiq^ fpeciei propofitum
eft 19 Bonu quo latius paret eo diuinius 37 Bonum non dicitur melius ob diutur
nitatem 88 (hvtevliKn pars animi noftri qua?nam dicatur 1 Bruta non funt
foeliciav 164 n C K^ Ardanus reprehenditur n* Cafus 151 Caufa per accides
efficies qnid fit 15& Cauflaru efficietiu prim&diuifio 152. Chameleon
quod & quale animal fit 169 Chriftiani quid /entire debeant de
prouidentiaDei i$tf Cicero rep rehenditur iff Ciuitas a Gente quomodo differat
37 Ciuitas pra?ftat cuiuis focietati 37 Commentari Mortem, quid fit 71 Communis
confenfus, probat proba biliter 134 Confiliu capere & confultare quo- modo
differant. 16 Contt mplatio non eft Temper a&io- nis gratia 11 Continens
& incontinens qui fint 47 Corpus fuum affligere ftultitia eft 104 .10? D
-ptEfinitio quid fit 48 eiusfpecies Defi-, Digiti zed by G00gle INDEX,
Definitio CaufaKs vocata nunquam fere fola profertur 1x8.119 Derinitionis vera?
raunera ijj Democritus, cftm fibi oculos eruic ftultifsimus fuit 10$ Demon ft
ratio quia quot modis con- ficiatur 53 Demon itrationum tres fpecies. ft Deus
an fit Foelix dubitatur &ftatui- tur 159 Deus eft caufa eflficiens
&finalis om- nium rerum 18 Deus quomodo appetatur ab omni- bus 18 Deus in
omnibus rebus eft 10.11 Deus quomodo fit proprium cuiufq, rei bonum > &
commune omnium . " Deus & Naturanil fruftra agunt jx
Deus quomodo nobifcum amicitiam contrahat 15^.1^7 Deus quomodo fe nobis
largiatur if* Deum quomodo affefti intelligere . pofsimus 157 Deus immittit
nobis foelicitatem,fed per difciplinam &exercitationem noftram 158.159^
Diale&ica? rationes quomodo dican turconfirmare 118 Diale&icis
rationibus quot modis,& quandovtatur Arift. 117.118 Diuifio librorum
Ethicorum 11 Diuifio philofophia? moralis 7.8 Diuites plurimi, Doftores minimi
fiunt a mercatorib.adulteririis 7$ Diuites quos non cenfet Cyrus 175 Diuitia?
cur expetantur 71 Diuitiarum acquifitio quotuplex 73 Diuturnitasnilconfert ad
rationem boni 88 Diuturnitasperfe&ionemdicit. 117 Doftrina quid fit 154
Do-& curlaborentineo af- fequendo io Homines apti & inepti ad virtutes
&fcientias quibus figais cogno- fcantur $8 Hominis opus propriiim
inueftiga- tur&proponitur 107 Homines efficiuntur probitribus re bos a^4
Hominum,prout advirtuteS &fcie- tias fe habent,tria genera 57.5$ Hominum
mutationes in varias bru- torum formas ab Antiquis Philo- fophis jppofitae quid
fignificet 1.04 Honeftum quid fit 140. 141. in quo differ at a pulchro,&abvt 111140.141
Honeftti quid proprie fit 14c. 141 Honefta &Iufta funt anatura , &
quomodo 40.41 Honor quid fit if .47.eius fpeties ib. Honor non haeret in nobis
6? Honor honorato plus affert quam iionoranti 4% Honor res inftdbilis 64 Honor
eft virtutis premium ontanus laudatur n 7 jofitionumnatura,&diftinaio m
pfzx\% quid fit , ^f<a* voce abutitur Ariftotelis a. 13. ^fitaam cognitum
quod fit i^ri fici P e$ q u ales efle debeant ^^^incipia quibusdemoftrando vti
* ,nur duphcis generis funt n r ,- r cipia quamam probari pofsint * **3 .
^^cipjaquotmodis probentur nt (, r rcipjapofut dici definitiones n$
iytrttdetita eft virtus mentis ik * tinman pra>ft e tvirtuti morali p r
uaeot.aan pr^ftet Sapientie to.ti prua^ptis&vtrtutum morallfi ar- ^irsunum
vinculum i04 Pi - U aetia egetvirtutibus moralibus Pru^""^ *ci Putct*
err } mt ad re 44 S> am dignitatem a /l l h ?um quid'nt , ebant 'f PU S^rata
1 Bono *^- q uomodo Pul^^ d
^^dPcelicitate^ jj r itudregequa?rre,fol.5^. lin.5. natunt,lege,oatent.
ii&Hnw. mt* 7vwStfw,lege\i5mT77WffBtf,pag.ii5.1in.vlt, pcapftantior, eft,
lege, pra?ftan- mor eft. 1 j8. lin.5. virtutis atfio, lege, habetur, 158.
lin.*. w/w,lege pag. 1sr.lin.a41-.
Digiti zed by G00gle f^* **.- ' -f -**-t *** * Digiti zed by G00gle [Mi y*
Digiti zed by G00gle ws ^ am Digiti zed by G00gle. SIMONIS SIMONII ... IN
LIBRUM ARISTOTELIS PERI TON AISTHLTLRION... Simone Simoni, Aristoteles
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FESSORls, JK^ L1B%JU*M *A%J STOTSLIS nEPl' Til^N AI'20 H T H Pl'fl N KAI* T iCn
ArxeHTn" Hoc efl/k fenfuian mftnmcntis &dekv qutfuh fcnfum cadnnt,
COMMENTARIVS VNVS. EIVSVSM JN LIVT^VM *ARIST, riE P l v M N H'M H 2 KAI' TH'2
A' N A M N H'S E Q. 2, Hocefl,de Memoria T Remmifcentia, COMMENTARIVS
ALTER." AD ILLVSTRISSIMVM ET OPTI. murru frmciferru D Fftbkmi&BkUtmunu
Hfiem, 5* facri !{onu. Jmf. Eleclorenu, tus eftlndcx rcrum& Qiiarftionum in
coco hoc opcrc percra&acarum Jocuplen/fimus. E X C V D 1 T m. d. l x y i: )MK : 2IMOMI2 -IH q ?.
UM3DY J I I W -O^l 5M H 1 O 2 O J ,i I J| o z*z 1 f 'l A X Hn'MHTH 6J'f /. VI
~U T 1 'I 1 I! /"(l T II O J *)A T* .2 V H V l 7 I /l A I* VI il M M O D
3C a 3 2**H K M AW A T/J A Ji 2: II Wll I * !1 3 n 1 T quod viderinu multorum
& fuperioribus temportbus, & nofira etiam tempe-
ftate,pht(ofoplwnttu//u ,tmpias Cf nefarias extittffe opintones.
JamentmJejWaXoneJ& oJriftotele^ didiceranu, resprope omnes quanuis fuapte
natura bonas ,'pro ulius mmen ingenioin quenu inciderunt >aut maxima
incommodt, autingentes vttltm- tes afferre^. Qua in re nofbri ettam temporis
deploranda eft cala- mitasimultos enim ,tm mancunu per- plexumcfcfitsvt
neque^vnquanu fcciusfBono nts, primum,mox Ttcim,pofiremoTamuu,prAclaros atquetnfi-
gnes tn phtlofophtcis ommbus partibus, noftrt teporis hominesaudi- ui,cxquorum
pnuatis & quotidtants fcrmonibus,cum ab i/ioru latere quoadiiceret nuncj
difccderefhaud paulo maiore qux tum ab aiijsaccepemmjum per me ipfe
didtcemm,nefiufim natus efie c , prtmum,quod m iuffus eJfem,mox*i**t VpoaVw^. p
r io r\s quatuor libros dtaleclicofquenonuUos
priuattnuconfulerem, elabomJfefPlacuit aute hoc tepore nonnullis noftra
oAcademU ho mtntbus,vt in nofirs, SchoU vfum meas illas explicationes publi-
caspr&Io mandare>& in publicum emittere.quorum iudicium &
authorttnte' detrehtre,cu mihi Itberu no ejfet,non altenu fore duxi, ft
hafcequoquelucubmtiones priuatas tn librum n e p f a f 2 0 h- t h p i'fi n k a
f t n ' n a f 2 0ht rf n eiufdem oArtftotelisJjoc eodenu anno
euigilatas^quafi^vna eademque operaexire paterer. Qua etia mtionefieripoffe
putaui ^tnomodb nofiros auditores, fed omnes etutm PhtlofophU
Hudtofbs^tltquafaltem ex parte iu- uaremfB^es mmenlubricafateor, in tnnta
prsferttmclartfitmo- rumPhiIofo^horumcorona,quoru cenfuram fugere , Juuenis ego
omniu infimus nec velimjtec pofitm.aAt magna conantem honefiu efl pTAclamm
faltem njoluntatem fuam aperuifie^ldihi quidenu ad h&c aggredtett,nulla
fj?esg!orU jppofimfuifetenim ingenij mei imbecilltmtem mrdimtemque nout,quo fit
vt magnificentiusde^j me femiri minime cupiamjiullumque nomen ex hoc illuflriw
ex- optem,quam quodmea condtttofufiinere queat.Pfoc onus ea mn- tum mtione
fufcepi/vt honefld aliorum volunmti parerem^aque fj?e *vt quibufdam [i non
ommhus prodeffem . Etenim ftnon multu, non
i EPISTOLA. xton mmen
omninonihtlornammtiadcommcnmtiontshorwnuk- broru mea opem accefitffe puto.
*ffle certe arrogantu accufari ntm quam iure pojfe fat fctojfuafi tot
pr&claripmorum Phtlcfophoru commenmrios velutiimperfeftos& mancos
abfou4ere_j,tmdimq f ab ilits aut reprobare,aut dtligentius perqutfit tufque
tmclare vel/e videar.J\(am quemadmodum tn bello non modo Jmpemtorefed etiam
Tribunos & Qenturiones eiufdem acteijnutuum fibi auxi lium
inutcepr&fiareftopus fit y mt/ttefque fuis omnibus modisiu- uare oportet.tm
tn his philofophicis fiudtts & cermminibus cunu fummi viritfflarcus
^Antonius Janua, Vincentius sMadtus, Fmncifcus Vicomercatus,Antonius Fmnctfius
Fabitts, Fmn- cifcus QarolusTiccolomineuSyAd aynettuseMaynetiusJBernar- dtnus
Tomimnus,F/amtnius J^obi/tus(quosfere omnes prace- ptores vei t vocc_> e
vel{crtptis habui)nofim tempefiate impemtoriu munus prxc/areftrenueque
obiuerint,obedntquego quoqut-jcui ordtnem a/iquem ducendum Dominus dedtt,meum
qua/ecunque pr&ftare officium pofitm,defidemrifinerenon debeogregiam qui-
dem magts opemm altquando prtftare animus eftft ttte tdenu T>o- minus
dedertt.Qupdvtnon confiquar culpa certeneg/igentU mea non eueniet , nam &
accummdiuturndque Cjrtcorum, Ambum & Lattnorum phi/ofophantium letttonc,exquifitaqueexcufiionc
ttn delettorsjt nullis vtgi/tjs nu/lifque^, laboribtss adhuc parcam, quo
defiderto meo plane fatisfacere queam.hCoc imquc^j meunu iuuandi & paredt
defideriumft quo cupio euadet, Deo ipfiaquo omnis faptentta emanat acceptum refemmftn
minus,hunc faltem ex eo percipiam frufiumj]uodinte//igam,reftdne inUiterim
*via, an alta poft hac mihi infifiendunu ftet.Ffabes iam, JtlafirifiSPrm
ceps,inflituti mei mtionenu.cognofce^, nunc reliqua. tfflihi Cjeneua in meo
munere verfanti, tl/ud prxter cdtem iu- cundifitmum,atque iamdiu opmtifiimunu
contigitjVt cu Theo- doro 'Befa Theologorum noftri temporis fere
prwcipe,atquc_jin omnibusftienttiserudtto,verfari popm.Qui,- nortbus,
pr&misfciue , per tz_jexcttentur,ac tn celcberrtma acade- mia tua
Hydeibergenft afstdue floreant->. Facis
mter c/tteros Germanu ^Principes natunu effe exislt- ment omnes/juifis
vere religtonis Chrifiian^maxtmarucjucvtr-
tutupiemtisfaptenti,iufiitts,&quimtis,atjuehumanimtis/um infigne Trmctptbus
aitjs ad imtmtione exempium,tu il/uflrifitmu Cjcrmanis. toti adfiumma gloria
ornamentu Hac imque extmia- ru virtututuarumfima captus, r fllus~l. c Pr i
nceps,tampridenu o- mnia mca,me(juc ipfum ttbt /ibettfsime addixi , mnm piemte
am- plttudine tua cofenSjVt necjue etta iiiis a cjutbus maxtme obferua- ris
cedere veti. Quius mei in te jludtj & obfiruatu cum nulluma- itudedere
montmentum propter tmbeailtmtcm meam pojfem, iuini herois,apud (hrifiianos
omnes refers, pro fingulariilla tua facilimte^,ne,oro, munut ipfum quantum- uis
tenue ajfiernatorfed fiminusingenio(quodexiguum efiefen- tio)induftru filtcnu
ac diligenti&,quanu in his reclifiimis Phi- lofophi&ftudits non
medtocrenu pofui, honeftoque^, deftderio meo faueto.Qupdfi/vt
Jf>ero,fiet,non modo amplifiimos meorunuU- borunufruttus,fedetianu
votorunuquafijummanu mdrivL- debor confequutus. Va/e^j. (Jenem, tffl. ZX LXVI.
Candido & axjuo Le&on , S. O N mc latet grauusimos Philofophos tum
anti- quos , rum recentiores, hos libros antc mc diligcnter interprcutos efle ;
& ltaquidcm^vtfumm.am do&ri- nx laudcm ex co finc confcquuti . Illud
tamcn facis intelligunt omnes,non vni dacum cfTc vt omnia pof- fit
animaducrtcrc. Prxcerea fi quis attentius lllos lc- ^at,multa fortafie minin
accurate cxplanata , quxdam etiam confufc ac prrurbate falfoque ctijm ( ncc
Grxcos ncc Auerroem etiam ipfum vcl Latinos p U to excipicndos ) di&a cfle
dcprehcndct . Ego igitur non vc qui onnia poflem, eoquc confilio, vt palmam
aliis prxriperem, acccfsi: icdvtpio vinbus qux obfcuriora minicflc vidcbancur
((uncillaqui- demcertenonpauca)cumiisquxabaliis do&ifsimis Prxcepconbus
accepi,cum us qux per me ipfc inueni,illuftraren,mulcaque ab aliis co-
niuencibus oculis prxtermifla fupplerem . Iamdiu cnim cft quod fcn- tentiam
illam fummi Peripatetici Themiftii, ad hanc rcm pertincntcm cogitamus . Hxc vt
commodius prxftare pofsim , quemnam in mter- prctando ordinem fcquuturus
fim,paucis apcriam. Primum omnium, verba Ariftotelis ex Grxco exemplari
crannaca j5roponam ,ad vcrbum quampotero fidelifsimc rcddens: ita tamen , vt neque
fenfus orationi fuus deficneque fit paraphraftica %rfwnc . In hoc cnim Ar^yropylus, in
illo vetus interprcs cft fxpifsimc lapfus . Breuis ria vniufcuiufquc parti ,
Thcorcmara annotabo : qux tandem quum ocus poftulabit dubitando diligcnter
cxaminabo , propofitaque vcri- tate detcrminabo. vbique autem,fiquafuntquxintcr
fcpugnarevi- deantuTjConciliabo.In q uibus omnibus eo gencrc orationis vtar
quod I Hs vfitataftirit,vtAnimafticurn,Ens, aliaquc huiufmodi,liccr prorfus
barbara, Ammonii praxeptum fequu- ti,& qu6d nonfacilcfineoranonis
obfairitate, fenlufque difpcnmo,in alia Latiniorafubfticui poiTenr,rcrinerc
volunnus. Nuperftitiofiforcaile in co aliquibus vidcri pocerimcis , quod
iigHIarim vbi opus eft loca A- riftotehs aiit InteT^cmmtrrethus : prxcerca,
quod in Aaiftotclis fenfu proponcndo idcm plurjbus repetere videanau^, Sedii
jQraxorum incer- pretanrium morem , commoditaccm legenciuni,ajquc Intcrprccis
mu- nusfpcdarc quis volccnos in ca rc nulla dignos vicupcracione iudica-
bic.Infumma,ftudiiimus,quantum fieripcrnospotuit,per- fpicuicatL Vale,optime
Leux>r,3f volumatem noftram ftudiytnquc piroba. .0-J XI l ni f JiWj v i
.'^wW^fW^ff.^^^ *??*** tioa4j6ui &eb N ao* j J ^t*cw r tfri ^ic Siun fat\c
afyvn, . - ISfli r r : A/^wrM^Ab/^p* (pwric
^j&pWtfjinftluj i-] f rr> ! [OK|
avShw^ariiffivrtoisau.ZcTtfct&ylpas. Atfptf ouar, AfA^3wS difpttro-irooto
07 fcinp Tlf.l V UO uJ' rT Ader^
Ipiiqueingenioparvcl Ariftotcli. SIMONIS SIMONII LVCENSIS C 0 *M*M E WJT
RIVS IN LIBRVM ARISTOTELIS, n E P T A I'2 0 H T H PI'X1 N KAf T xfN A I Z 0 H T
Xf N. IJ cft Jc rganisicn/iium & ienfihbus. 'V E P I A l 0 HTH Pl'flN K A I
T Xi*N A' I 2 0 H T tT N qux nob* Ariftoteles fcriptarcliquic, ita fubtiliter
& do- &cabeotintexpofita,vtnili quismulcum diligentixac ftudii
achibcat,non facilc re&a germanamque coru intcl ligcntiafit alTequuturus.
Quauis enim omnia rcrmc An- ftocclisfcripca finccmfmodi,vcnon ftupidu
ignauumque lc&ori > fcd exccllcci ingcnio conftariquc animo prxdirii
defiderct, hic tamcn vius , ob qu^ftionu piilchcinmaru &: liibtiliflimaru
co- pia quam continet, honine no modo noninerte, fed multaru ctia &:
difricili- maru rcru cognitionc inbucu cxigit.Nobis igitur adillius
cxplicationem ag- grcdicntibus,nonnullt primum Gr^coru morc, placct pnefari ,
qu? &: nobis ad intcrpretandu &: aliis ad noftra intcrprctationc
percipicnda cocincdam- r que,non mcdiocriccrcoferrepoifinc. Hxc a Grxcis e>
^iu*m , a Lacinisprx- iaciones di&x,varicagicarifolcnc: nos tamcn quinque
cancum capita exami- nanda fumcmus: Ordinc libri, que fcilicct hic noftcr tam
prc.ccdenriu quam fequenciu rationc obcinear.Scopu ciufdc, Infcriptione,
Diftributionc in par- tes,poftrcmo Vtilitatem. Aliaomnia cjux Simplicius&:
Aucrrocs aliquando proponur,canqua minus vtilia confulto prxrermiccemus.Hxc
vcroqu^ prin- cipc locu cenec,&: line quibus intcrpres,vix ac nc vix quidc
Authorc aggredi poccft,libeccr rccincmus.Ordinc cnim libri, rcbus diionc
Cynofurx. Infcriptio quoque, iicct ad no- titia fcopi mulcumc6fcrac,quia came
artis ncfcioquid arriplius habct, quam fimplicitcr intuenti apparcat,fir, vt
ipfius quoquc non modica ratio ab inter- pretibus fit habeda. Diuiiio, rcru
diccndaru fcricm numcriiquc coplecticur: qu6 fit vt ingrcdicntiii animis
intcgram quodamodo tra&andaru rerum pof- fcflioncftatimprxbcrc
vidcatur.Vtilitasqu^labocisprqmiu pollicetur,exci- tat animos fcicntie. deiiderio
&: icupiditate. Sed vt ad rcm ipfam tandc vcni.t- mus , Illud omnibus fatis
eonftat,hunc libcllum in illa phyliologie, partc col- locandu ciTc,quc_ Parua
Naturalia complc&itur. At nc quid a nobis lgnotum ponarur , agc nonnulla
prius dc huius dcnominationis rationc dicamus. parvorvm natvralivm dcnominatio
a Latinis inuecaeft, Grccis pror- fus ignota.Hi enim,vnuqucmque cx libcllis fub
huiufmodi infcriptione con- tcntis,proprio nominc vocarunt,comunc iftud
omifcrut . Hoc vcronominc, dcfignancLacini,omncsillastra&ationcs inquibus
Ariftotclcsdc paifioni- a. i D E ORGANIS SF.NSVVM, bus communibus animx &:
corpori dodrinam rcliquic.Quxnam vcro iinc il- be,mfcrius luo locodcdanibimus.
Ratioautcm mlcriptionis , facilc .1 nobis pcrcipi potcric ii,quid pcr NATVRALE,
mox,quid pcr P A R V V M li- gnihcctur,cxportamus.Naturale hic nihil aliud
iignificat quam quod in- tra Natur.r hm tcs continctur: atqui huiufmodi funt
omnia de quibus in hifce libcilrs agitur:iurc igitur nacuralii di&a iunt.
Aifumptioncm facilc cftprobarc,fivcrba Arillot.in 6.mctap.cont.z,&: in
primodcanimacont.16, &:ih iccundo Phylicx autcultationis noa fcmcl rcpctita
vidcamus: Natu- ralis, inquic , proprium cft formam in ma:cria coniidcrarc , ac
pcr matcnam fcnfiJcmdcfinirc,cumnihil habcat quo. non iitvt Simum,&: cuius
ratio a mocu &: maccria fcparari poflic . Talcm ^icurformam qui
conlidcracvcl ialccmaccidenciacalisformx,iurc naturaliidici potcrit:tcltisclt
Anltotcl.in it primo Cxli,cuiuslixc funt vcrbasScicntia di Natura fcrmc plunma
vcrfatur t* incorporibus&:magnitudinibus,&:horuart^ionibus,&:
motionibus,prctc cc rca vero m principiis qux talis fubftantix fwuQuod autcm
hqc dc quibus in hislibris agitur, talcsafYcctioncs fint , patct , ;tquc cx his
qux mrra diccmus adhuc planius fict . P A R V I nomcn,non ratbnc cxiguitatis
libroru additu cft(lcuis cnim dcnominandi ratio ifta cifct ) ncuic ob id qu6d
rcs agatur non multi momenti (commcntatio cnim dcamma,iuius iftx fuitt
appcndiccs ad- 8 mirabilis atquc aluflima cft )fcdquiaharumrcnmtrattatio, multa
in bbris dc anima cxplicata omittit , qux vt hic aifcrri dtbcrcnt , ita non
affcruntur, fcdtanquam ibi cxquifitius atquc altius tra&acafupponuncur. Hoc
do- cet Ariftot.in cxordio huius libri ,
dum ita loquitui: Qu.c igitur dc anima di-
c>afunc,ponancur,&: dc rcliquisdicamus, primumqicde primis.Et
paulo in- fcrius,Scd dc fenfu &:
fcnticndi atru,quid fic,&: quarcaccidat animalibus hcc afTettio, di&um cft prius in his qux dc
anima . Quoc, ii Parua ctiam iftadi- ci,aflcrcrc vcllemus, ob id quod leuiora
fint: quam qux in prccedcnti dc Anima commcntationc dc iiidcm fere rcbus
dicuntur , non cflct a men- te
AriftocclisciuldcmqucconfuctudincaJicnu,quicumtrcsdcmoribustra- cacioncs
cdideric,vnamillarum,nomine Magnorummoralium infcripfic, non,quod plura, illis
qux ad Nicomachum vcl Eudemum fcripcx iunt com- plcttacur.fcd quod dc
grauioribus atquc altioribus agat.Nimis fortaifc multa dc infcriptionc hac,qUx
ncquc Ariitotclis cfi,neque cx aliocruam cx vi nomi nis pcndet,dixiilc nos
alicui vidcri poterit:at fiis,non temcrc aliorum inueta rciicicndaelfe
didicerit,cx Auerroc m prxfatione poftcrioru Analy.&: Arifto c cclcm ipfum
ratiombus cx vi nominum fumpcis , in primo Mctcor. aduerfus Anaxagora,&: in
mulcis aliis locis vti animaducrccric, hxc anobis iurc omit- ti rn faac psacfationc
non potuiifc,quinimo prope ncccifaria fuiife cognofcct: Quarcadrcliqua pctgamus
oportct . Qucm locii PARVA NATVRA- L 1 A m phyfiologia obtincant,dcclarat
Ariftotel. ftatim in initio huius libri " cum ita loquitur, Poftquam dc
anima per feipfam , deque iingulis eius potcn u tiis dcccrminatum l.im antca
cft , proximum cftvtdc animalibusagamus, ac " de omiubus qu.c vit.im
habent , qux iint proprix &: qux communcs ipforum "
aCtioncs.Pcrtincntigicui iftaadpartequxeitde Animalibus.Scdhic dunlcx fit
quxftio,vna,qua quxritur,qucmna locum libri ipii dc Animalib 9 in phyii-
ologiaobtincat:altcra qux eft explicatu dirricilior, qucna lcilicct intcr feor-
dinc Animaftici libri(multi cnl lut)haberc dcbcat . Nos vt priori quxiito ia-
tisfaciam*, fcntcntia ab Ariftoc.in primi'libri Mctcorologici initio, dc rc hac
" poiica,audicda eifc dicimus,qux ita habct,Dc primis caufis nature,,
&: dc om 44 ni mocu nacurali di&u cft.Prima cft hxc pars phyfiologix
quc. 8.hbris fermo- num ET SENSIL/BVS. j ^ num naturaliumpriorum continccur.in
illiscnfmdcprimis&rcommunifTi- mis principiisrcrum
naturaIium,corundemqueaccidcnribus agitur. Dico
primis,vtmatcriaprima&:moucntcprimo,&: hocn5abfqucratione:Curn
cxmatcria prima, formx,quibusrcs phylicxactulunt,a lolo agtntc cduci polTincquas
dcindc propru fincs cofequancur. Formam etcnim pi imam Sc primu fincm non
conliderac phylicus, fcd mcraphyficus,vc docct Aucn ocs M
inccruolibromecaphy.comccrcio. Raciocft,quiaprimaforma& primus M finis
quaraIcsfunc,abomnimocu,ommqucabftrahunr mutacionc. Matc
havcroprima,moucnfqueprimum,mocumucacionemque aquibus nun- qua difcedic
fpcculatio phylica,hahct fibi fcmpcr anncxa.Quare agcrc qui- " dc de
formaquz pcr motu habetur,& de finc qui hanc confcquitur,ad phy- ficu
fpcttac:primx vcr6 formx,& vltimi finis c6fidcrario,lupcriori artifici,i. B
mctaphyficorelinqucndaeit.Hoc AlbcrtusMagnusin fccudophylicx au- lcultationis
tra&.fccudo,cap.i.pluribusdeclarauir:qux tamcn omnia func ex vcrbis ipfius
Arift.fumpta,quiin finc prioris phy.ita loquutus cft:Dc pnn cipioautem fecundum
formam vtrum vnum an plura,&: quoc , aut qost linr kt coniidcrarc
diligcnccr,primx Philofophix munus cft:dc phylios aurc &: m- tt
tcntuifofmisobnoxiis.mpoftremisdemoftrandisdicemus.EtibiAucriccs optimenotacfpcculationcmformarum non ad vnam
fcicntiam pcrtincrc. Exquoobiterilludcolligcrcplacccnonomnino clfc iis
alfcnticndum qui doccnc,Ariftoc.in primo phyficorum ob id canrum dc matcria
prima cgilfc, vt Anciquocumerracadcccgcreccorumquc dc principus fcntcntias
falfas c mcdiocollccccalioquin, cxordium fuxcracracionis a fecundo libro
ftiiilc fumpcurum. Hxc,inquam,non facis probanda funt,cum ncquc ita dicctcs, C
rationcmfcre vllamcurdc primomotorcinoclauo cius tractationis volu-
mincagatucafferrc poflirrtmeq; quonam in loco dc matcna prima,qua pri- roa
agcndum forcc,dcclararc valeanc. Sed dc his alias pluhbus : Nuc fatit i i c
iignificairc,Ariftor.pcrprimascaufasmatcri3primam&: pnmum Efficicns
incelJjgerc-.ac proidc verbis illis libi osDc nacurali aufcultationevocacos dc-
fignarc :quod iccm part icula , piobat, cum dc illo in tcrtio cius tracta-
cionis,ob naturam, in rcliquis vcro quatuor poftrcmis ob primum Moucns,
vcleciamobfcipfum(primacnim paliio corporisnacuraliscit Jagatur. Sc- quitur
Arift.in codcm cxordio : Prxtcrca vcr6dcaftrisrcttcdiipolins,m\r lationtm
liipcnorcm,8cdeclcmcntiscorporcisquoc&: qualia. Abibluitur u hxc parsin
hbrisquatuorde Mundo{ itarcctc vocant Alcxandcr cv OJym-
piodorus)inquibusdclimplicibus illis corponbusquxprimocx principiis Y)
anceacxpoiiciscoalucrunci.de c.iIo& quacuorvocacisc)ctncntisagitiii:in
duobuscnim prionbus,deipfocorporc c.rlcfti,prxccripvcr6 dc Aftris,in
poftcrioribusauccm dcclemcncts quaccnus fi rr pliciacorpora lunt, p.u tci quc
vniuerli.agirur.Quocciam rit, vtnulKi rationeillorum lenccntiam pro bc m,qui
libros dc Mundo,hbros dc Principiisinfcribendos pucanrac fi cx
Jcftiacorporaranquamagentcs&: moucntcscaufr, grauia& lcoia caquam
maccriarerumnaturaJiumfinchabtnda.Pnmunicnim,aduerfantur vcxbis iJUs primi
Mcrcorologicorum , in quibus non limplicitcr clcmcnti nomcn legituc,fcdclemenci
corporei: iracnim habcnc, k) 4tl SfS&ixfnflf miuv- w Prxccrca primis vcrbis prioris dc Cxlo qux
func : Scicntiadc natu- " ra fcre pJurimavcrfacur incorporibus &:
magnicudinibus , in liorum mo- * tionibus atque paflionibus , adhucautcm in
principiis , qu.c talis iub- * ftantix func.
Simpliciustalcmcxhacpropoiitioncconfcquutioncm tol- ligit , ( ncmpc) Poftquam
dc pnncipiis naturalibus actum cft , oportet a. ii. 4 DE ORGANIS SENSVVM, dc
corporibusfc habcncibuscorpora dicere. Et Auerrocs ibidcm initio fuat
commcntationis ita loquutus eft : Libcrdccxloeft primusinordine libro- rum
particularium , in quibus particulariterde fingulis totius mundi parri- bus
loquiccepic. Siergo Ariftocclcsinillis librisjdccorponbus&habcnci- bus
corpora, parcibufque Vniuerli compoficis vcrbafacic, quificri potcrit, vt
infcriptio dc Principiis fic cis propric accommodata ? Addit Philoiophus
ineodem procemio mcteorologico , Etdceaqux inuiccm fit pcrmutatio-
nc,&dcortu &:intcriru communi. Tcrtium defcribft librum phyfiologi-
cum,qui Dcortu&:interftu infcriptuseft: ibinamqucdcclcmcntis iifdcm
dequibusinpoftremisduobus fibris dc cxJo cgcrat , non tamen cadem ra- tionc,fcd
qua principia mixtoru funt,noua,fubtmsaclongarraditurdoctri- na.Noui pcrmultos
eofq; clanflimos PhilofopHos e/Tc , qui alitcr vcrba ifta
Ariftot.interpretcntunnosvcro Olympiodorum ,&Ph;iloponumhacinre libcntcr
fequimur. Argumcntum autcm, quo adductialitcr illi fcntiat, talc cft:
Nacummlibnsdcortu&:inccritu primumdcortu comunitcr agarur, mox dc
artcrationc mutua clcmcntorum : qui fieri poterir , vt verba hxc in quibus
altcratio mutua,gcncrationi comuni prxponitur , ad illos rcfpiccre dic.im.us ;
Quarc addut, Libros duos Dc cxlo poftcriorcs, iilis vcrbis potius
de(ignari,quam cos qui De ortu 6c interitu vulgo infcripti funt. Nos autcm
dicimus primum,rationcm iftam, illi etia intcrprctationi aducrfari, cum in
tcrtio Ub.de cselo, primum nonulladegcnerationc vniuerlim ab Arilt. prx-
mittantur, mox qux ad mutuam elcmcntorum mutationem pcrtincnt, cx- planetur: Pr.utercaargumcntuilludnullumomcntuhabcrcitaoftcdimus.
Cdftat Arift. hlc cx propofir o partcs fux phyfiologix cnumerare. Suc igitur
eius vcrba proprie limpliciterque accipicnda,ita vt partcs illas ab co propo-
ni exiltimcmus in quibus pcr fcfic propric dc phyfiologicis tractar. Patct au-
tcm in Ubris tplis dc ortu fi intcntu infcr/ptis , cx propofiro,&: pcr fc,
dege- ncrationc, mutuaquc clcmcntoru mutationc alccrationequc : in libris vcr6
dc czlo cx accidcti potius dc iifdcm doctrinam fuifTc inftitutam.Quarc vcr- bis
illis,non libros dc cxlo,fcd dc ortu &: intcritu notari putandum eft.Qux
vcro diximus probari pofllint Ariftor. ipfius tcftimonio, qui in primo libro dc
ortu &: intcritu lta loquu tus cft: Dc ortu autem ficinteriru corum qux na-
tura fiunt &: intcreunt, zquc dc omnibus , &: caufx diuidedx &:
rationcs dc- tcrminandx. Prztcrcaveru dc Alccrationc&^Auctioncquid
vtruquefit. In cxordio vcrotertii Ubri cractationisdccxloalitcr.aitcnim,Dc
primoigitur clcmcniorumdiclumcft,&:qualcquidcftfecundum naturam.&quodcft
ortus &: intcritus expcrs. Rchquum cft autcm dc duobus dicere, fimul vcro
accidct dc his dicencibus,de ortu &: intcritu confidcrarc.Obitcr igitur ibi
i- fta pcrtractantur, atquc hoc ob cam fortafic prxcipuam caufam , quod cum ibi
declemcnusquaparccs Vniuerfifunt,fcrmofiat:Vniucrfumautcipfum xtcrnum
perpetuumquc fit, vidcri alicui potuiiTcr, clemehta ctiam xterna poni dcbcrc :
Kx non xtcrnis cnim, qua vnquam rationc xtcraum coftitue- tur>A tqui vidcmus
tamcn clemcta affidue oriri atquc intcrirc. Arift.igitur vtdcclararct
quarattonc, clcmcta xccrna,&:intcntuiobnoxiadicidcDcat, de Generatione
vniucrfim primum n6nulla,mox de murua elementoru ge ?
iicrationcdifputarcvoluit.Scquitur,Rcliquaaure parshui 9 mcthodicftco- %
fidcranda,quam omncs vctcres Mctcorologiam vocabant. Quarra partcm phyiici
ncgotii innuit : in qua dc iis qux in fublimi ( id cft in fpatio quod in- tcr
tcrra&: igncm eft)ex duplici halitu oriucur,tractatio,trib* hbris abfolui-
tur. Quartum autcm, qui tot difficulutes pcpcric,c6cque liccs cxcicauic , vc
mccco- .T SENSILIBVS. 5 metcorologicoargumcncocum
Ariftc>ccIeconiungimusMcaexaccidcncipo- cius,qu.im ciltncialiccrad
Meceoralogiam fpe&acc ftilcrittiusi Nequchoc mirum alicui vidcri debcbic,
ii morcm Arilcncclis dihgcnccr hac in rcob- fcruet,&
quxdoctiilimusciusincciprcs Lirtconicnlisnon lcuacinobisanno- tatarcliquit.
Addicincodem procemio.Pcrgenccsautcm fpcrulabimur.iiqaidpofljmus nixta rationcm
inductam de atumahbus &c planns vniucriim 6c ligillaum diccre.
Lxprimicquincaphyliologiae parccm (iucpoftrcm.im (ad h.iUc cium
prxcipuascnumcratas, hbclhahj dcphylicis confcripci, rcferuncur ) in qua dc
animalibus prinuim ordincm dottrma,- fcruans loquitur, prarcerca ycrd
deplancis. Librosaucem iftos Dc plancisnon habcmus ( duobus txccptis)
qucma.lmodum ncquc hbros de Foflihbus, qui quatuor Mctcorologicos commcmoratos
fcquebantur. Pnori quxftionc adcxitum perducta, reliqum eft vcad lccundam
pcrga- mus,adquamcnodandam,eodcm prorfus mododicimus:Non aliundcordi- ncm
librorum Animafticorumcilc pctcduuuquam cxiplomttAuchorc,qui folus cocam hanc
liccm dirimcre poccnc. Vcrbaciusin prioricapicc lccundihbridcpartibusanimalium
ua habct, Exquibulham&rquot numcro mcmbris (ingula animaliaconltarcnt ,
hbns Hiftoriarum, qui dc his a nobis icripci lunr,planius cxphcauinuis: Nunc
quas ob caufas, quzquc luxca hunc modum fc habcntconlidercmus. Hic intclli-
gerc quiuis poceft hbrum dc liiftoriaanimaliumprxcederchbrumdcpar- tibus,qui
polt ftacim fcquicur. i Infincdeindcquarci ciufdcm hbri ica loquucus cft:Scd
deparcibus nm- * malium quam ob caufam,qua:que(inc,di#umiamcft in omni
animaJium 1 gcnerc,quibuscxplicacis , rcftacvtdeParcibus animahum inceflui
lcruicn- 1 tibus dufcramus. Qux vcrba liccc m quibufdam excmplanbus ahccr habca
' cur rccte cam jnadoctwGrrmyiris, icaeirclegen.lavc nos lcgimus animad- ucrfum
cft , ciim ii altcram lc&ioncra fcqucremur , non facilc apparcrct qua
ratione verbaillaquintilibriDegt-ncr.uioncanimaIium>capiccfcpcimocx- pbcari
poflcnt. Taliaautcm liinc: De voccigicurquajnonancediircruimus , cumdcicnfuaucde
animaagcrcmusjhunchabcantmodiim. M.mitcltum , igicur cft hbcllum dc inceflu
animahum , hbrum dc partibus eoi umdem lc- qui-.quod verbactiaminillius
cxordiopoflcacomprol at.Cumennninlibro dcPartibus,animaIuim partcs
comnuiniorimodo limpliuteiqucpropojj- t*
cflcnt,adparticulanorcs&:concraciiorcs (ordincm natuwr lcqucnsdcf-
cendcndum libieflc oftcndic,quando ita loquitur,Dc commodisauccm ani- malium
partibus ad motioncm qua- pt-i locum rir.pcrfcrurandi m cft . Ncc minons momco
tucque in finc hbelli lcguntur : Dc pai cibus lgicur cum alns,
tumiisqusEadmocumanimaliufaciuncdiocmodoichabec.Hisauccm/icdc-
tccminacis,proximumcftdcanimaconccmpIaiL Quarequi ad diftin&ionc
duplicisordinisconJugiunt,vthancdiflicultaitm vucnt,ahumqucordincm intcr
hoslibros ponanr,non funt, vt mihi quidc m v uletur,3udicdi. Ex his au- tcm
poftrcmoallacis vcrbis,duohabcrtcur,quoiium vnuclt, l.bellumdcani-
mahuinccflu,librumdc parubusanimahu fcqui:alccrum vcrcshbrosde Ani-
maportillumftaumcflcponendos . ScquicurdcindchbclJus dcinltrumcn- tisfcnfuum&:lcniihbus,icacnimdocct
Anftoctiesineiuscxordiohis vcrbis, Quoniam dc anima per fc,nccnon
dcpoccftacibusiingulis,qu.ir pcr paicrs i illi mfunc,cradacum cft prius :
proxnnum cft dc animahbus diccrc,&: ns i qiia.'Vicamhabcnc,quxnampropnc,&:qu.u
communcsillorum linc aciioncs: * a. iij. 6 D E ORGANIS SENSVVM, &:infrt.
Dcfaculcaceigicurqua vnufquifquc fcnlus prxdicuscft , ilichim cft ' prius.vcrum
inquibufnam lnftrumentiscorporisapti linrficri quxrirur.Pro- A, ximus huiceft
hbcllusDc memoria&: rcminifccntKuquod ttftantur bxcvcr ba qux lunc in finc hbri de feniilibus, Dc
inftrumctis quidcm fcnfuum & fcn > rtlibus,quonam modo fc
habeant,di&um cft. In rcliquis autem de Memoria i &:
Rcminifccncia,pia.tci ca dc Somno&: Euigilacione coniidcrandum cft.Ex his
duoannocarc liccc,nimirum , hbrum dc Somno poni poft librum dc Mc- moria, m
quohbrodcSomno Anftotclcs librum de Somniis vnum,&alrc- rumdc Diuinationc
exfomnns Vult contincri: quod nobis fignificauicin c- pilogo libclli dc
Diuinacione cumair, Quid igicureftfomnus&quidfom- niurtv,qtumur bbcauiam
vrrumqucillorum fit:prxtcrcadcDiuinationecx iomniis,dichimcft:nuncdc
Communianimaliumotioncdicendum.Exqui- busctiam vcrbispatcc,librumqui
Dcanimalium motionc dicitur, lllos fta- B tim fcqui dcbcrc. Cui dcinceps acccdit
libcr Dc gcncrationc animalium: id cnim colligitur cxpreiTe cx vcibis poftrcmis
libri prXccdcntis,quxficha- ,, bcnt, Dc partibus quidcm lingulomm
animalium^&dcanima^dcfcnfuc- *, tiam,
&:mcmoria,&fomno,&:communiraotionediximus,rcftatvtdege- ,,
nciationcagamus. Scquiturliber Dclongitudinc &: brcuitatc vit.c,vrap- parct
cx poftrcmis vcrbis quintilibri dc Gcnerationcanimalium,&:priori- bus
lllius.Succcdit libcr Dc iuucncute&: fcnectuce , mox alccr qui cft Dc vica
&:mortc,vt cxvcrbis in finc libclli Dclongitudmc &: breuitatc vitc,
ofteditur. " Que funt alicuius momcnti &: diligcntcr
confidcranda:Surium cnim.inquir, w plantx&c iplius caput cft radix,annux
autcm infcrnc,cum augmcntum,tum " fru&uscapiunc . Cxterum de iis
fcorfim incommcntariisdc Stirpibustra- * kabitur:tn prqfcntia autem aliorum
animalium cum longitudinis tum breui *'
tatisvitx tradicacaufacft.Reliquum igitureftcontcmplaridc iuucntute&: ^
" fcnc&uce, dc vica& mortc . hisnamqucdcterminatis,cra&atiodc
amma- " hbus finem habcbir. His in vcrbis tria funt animaducrtcnda , acquc
illud im- primis,hbros dc Animalibus{hoc fupra diccbamus) eos qui luc de platis
pr$- ccdcrc. Altcrum vcr6,cum Ariftorcles ait , fe vellc dcinccps dc Iuucntutc &:
fcnc&utc,dc Vita &: mortc agcrc,c6ncxa hifcc tra&ationibus vna
vellc intel- ligi.Ifta vcr6 funt Iibcr Dc Expiratiohe&: infpirationc:&:
libcr Dc fanitatc& t> xgritudinc: quod dcfignant vcrba ad finc illius
polita. Dc vita aute&: mortc,
dciifqucilliscognatafcrcomhibusdiftumeft.Tcrtiumanimaduerfionedi-
gnumcft,fincm fpcculationis dcanimalibusinlibrum dc fanitatc &:xgri-
tudine,delincrc,qui dcfidcratur: ad phyficum tamcn aliquo modo illum pcr-
tincrc doccc Ariftotclcs, incxordio libri dc longitudinc &: brcuitatc vicx
hls vcrbis: Dc Somrto quide &: vigilia di&u cft prius,De vica autcm
&: mortc ^ poftcrius diccndum
cft,atque cadcm rationcde morbo&: fanitatc quatcnus ad phyficamcontemplationempcrtinent. Quod
veropoftrcmus omnium librorum Animafticorum fit libcr De fanitatc
&:morbo,facilceftprobarc: Ecenim C u m A nftocclcs in finc libri dc
infpirarionc &: cxpiracione narrat : fe iam cgiflc dc(omno&:vigiIia,dc
vita &: mortc atquc dc annexis his,non limpliciter loquutuseftjfcdcum verbo'***',
qnod Sancindicat,aliud quid adhuciibiagcndum fupcreire. Exhisqux
anobisallatafucrunc,faciscon- ftarc puto,quallfnam fit intcr libros de
animalibus ordo retinendus. Res exi- gcrot vcad lllum confirmandum rariones
adhibcrcmus. Vcrum illas in com- rnodiorcm locumdirrerre,farius ciVc ccnfcmus
&,quod ad inftitutumno- ftrum magis pcrtinet,in prelentia pcrfcqui. Qua-
ETSENSILIBVS. 7 Quaredefcopo(quod quidcm fccundo loco a nobis propoficum
cftjnunc agerc aggrcdiamur . Scopum iddicimus quod &: Grxci^rcudiligentcr
cxpcndcnti vcrba Ariftorelis in finc de longitudinc &brcuitacevicx,
vbicumnonnulladc plancisdixnfcc, h.ec iuluucrc voluit: Scd dc hisin
conimcncariisdc Stirpibus agetunin prx- fentiaauccmaliorumanimalium
cumlongitudinis tum brcuitatis vitx cau- fadictacit. Rchquum c!k igicur dc
iuucntute &c fcneccucc conccmplan, nccnon dc vica &: morccihis namquc
dccerminacis, ca qux de animalibus cft fpeculatio flncm habcbit. Ncqucidnobis
ncgociumexhibeat vllum,qu6d nimium inhifccvcrfari vidcacur. Mos cnim cft
Ariftotclis vcaliquandocommoda occafionedu- ftiis de rcbus qux libi ofFcruncur
inalicnis locis pluribus agac quam opus ciTcvidcacur, dummodo ad cundcm omnia
finempctincanc. Multafunt apud Ai.lu tckm cxcmpla huiufmodi :ac nullus fcrc cft
qtij id non ani- maducrtcrir. Scdaliquisforcaflcirrftareacrius poftct, Qua/i
himirum dc hifcc paffio- nibus c ommunibus animalium &: vitam habentium,
hlc agcrc locus non hr, cum ad librum potiusdcanima,iftacractatiofpccccc:quod
probatur, quiac- iuidem uu ntixcft,dccaufis&: dciis
quxacauiiscftectaoriuncurvnacra&a- re: ac m hbris dc anima agitur dc
principio&:caufa lilorumomniumacci- dcncium, ncmpc aninu: igicur ibidcm
dcciufmodipaflionibus agidebuit. Affumptio probacui u quia
caufa&idquodacaufaoricur,inuiccmrcferun- c-.r. : i clacorum autcm natura
cft , vt vnum ablque alio dirfinicc cognofci non pofTn&: vt limulinnt, ita
quoqucftmul cognofcantur.HocdocerAriftotclcs in Catcgoriis:Capitc dc
Relaciuis,&: chciuncur exquincolibro Mccaphyfico- rum , capitc dccimo
quinco. Minor pacec , &: confcquucio, nota cft . Confir- matur'wquia ifta
lunc animaJium accidentia: vbr igicur dc animalibus crattatum
cft,ibidchisoporcuit agi:Probarurconfcquutid,quiaeiufdem fci- cncix murtus eft
dc fuo luluc&o &: aflectionibus cuifdcm vna difpcrtarc.Col- ligitur cx
Anftotele inprimp poftcriorum analyticorum tcxtu quadrnge-
iimoccrcio.Rcfpondcrcoporccc :dc hilce affcCtionibus tam in libris dcani-
maquam lucagi, fed lccundum djuerlararacioiu ui : quod qmdctn optime couucnit
:Dchisfane'agiturin libnsdeanimacxaccidcnti, nimirum vtex cbicdu ET SENSILIBV 9
obiectis &:ationibusfaciliusnofci poflcnt animx poteftates.quxibipro-
pnc& pcrfediic vcro ccontra,iIla ncmpc pcr ic, potcftatcsanimxexacci-
dcnti,conlklerantur.Prxtcrca,vt monct Aucrrocsin pnmo mctcorologi- corumcapitc
primo,iftain librisdc amma vniuerlalitcr &: fubquadam ra- tionc
communi,velquaanimxtantumconucniunt,hk qua animx &cor- pori communia funt (
vcl xquc dicas vcl non xque nihil rcfcrt ) coniidcran- tut.Quain
reanimaduertcndum cft,quod infupcrioribusetiam monui, A-
riftotcleminlibrisdeanima,multaexhiicc hbns fumpta,cxaccidcnti pro- poncre , ad
declarandas fcilicct magis racu 1 tates animx. hic vcro c contra, multa cx
accideti fumcrc qux in libris dc anima pc r ic ikclarata lunt,vt ha- rum
affcccionum dodrina planior rcddi poflit . Argumento ita latisracicn- dum
eft:Illud quidcm locum habcre m fcienciis totis, non item in partibus
fcientix.Nam in libns dc phyfica aufculcationc dc cauiis agitur, non tamcn
dccfFcctisnaturalibus:itainlibrisdecxlo, doccmurcxlum fuo motu& lu-
mineomnia ifta inferiora producere &confcruarc: non tamcndcipiiscr-
fcctisfublunaribusacxlo produ&is&cconfcruatisvlla moucturquxftio.be
cumadditur,iftacflcrclata:dicendum eftcverum ld ciTc in gcnerc,nonm
fpccie.Sidicatur,fcnfum Sc fcniile eiTe relacain fpccic : rcfpondcndum \ bi
dcdcrimushxceirerclata,fatiseircibidem iimul nota Acriquantum adid qu6 rclata
funt,non autcm quantum ad naturam, &r ad vtriulque : cum prxfcrtim hxc ex
co tantum gcncrc rclatorum linc qux fccundum dici Lacinivocant. Adidquod
additur ita rcfpondcmus: Siper libros de animalibus fn-
celligamusomncsillastractacionesqux fupraa nobis func cnumcratx,& qux
cxordium alib.dchift.animaliumfumur,ad librum ver6dcianicate&:
xgritudincdclinunt, vera eflequxobiiciuntur , nihij tamcnaducrius nos
facerc:atiiappellationclibrorum dc animalibus intclliganturrantum ( vc vulgo
(blec)libri dc hiftoria,&: de partibus animaJium: diccndum cft hoc cf-
fcfalfum,quiainlibnsillis nonniudcmaccria animalium fcrmo fit . Quod vc vcrum
(it dcclarandum cft. Vniuerfa dcanimalibus difciplina,tribus co- gnitis
abfoluitunhorum primum crt animalium e/Tentia , cum fibi propriis
operationibus. Alterum cft corundem gcncratio,quafcilicct gignuntur, &c
lucccflionc quadam confcruantur.Tertiumeft vita&c mors.Triahxc Ari-
flotclcs admirabili nobisartificioproponit,&: primum confufc omnia(vc fo
lcr)mox diftincte&: pcrcaufas. Inlibris igitur de Hiftoriaanimahuma pri- mo
vfquc ad quincum,quid eflcntiaanimalium &: qux lint eius operarioncs
doccmur . Illud fatis patct. Hoc patcbit ctia acutc ltitucei capuc odtauu, no-
nu,decimu,&: 1 1 .quarti libri,vbi dc fenlibus.de iom no.de vigilia &:
de fora.- niisagitur.Inquinco vcrociuldcm traciationis,de gcncrationc animaliu.
In8.dc vita&: mortcdiilcruit.Ath^cqu^ibicofufc&^quoadwCT traditaiiit:
diftintc&:qiioad7: , r,m ahis hbris iubfcquctibus proponutur.Quantu c-
nimadcflentiam animaliumfpcctat,illa cxmatcria &: forma conftat: Pri- ma
autcm cx hifcc cfletiahbus cauiis matcria cft : quod clicitur cx Ariftocc-
lc,quialiquandoait,ad cognofcendam nacuram artificialium non folum roaccriam
fcd formam cciam nobis cognitam ciTc oporcerc . &: hoc ipfc fcr- uauic in
libris phyficx aufcultationis.& cft fcntentia Aucrrois in priroo me-
ccor.in cxordio,&: in primo phyiicorum ccx. fcpcuagciimo , &: ccrcio
eiufde tra&ationis tcxcu fcxagcilmoquinco: quod aSimplicioquoq; aliis
verbisdi ci folec,formaa matcnafubftcntari,matcriamquc ad rcccptioncm formx
fupponi . Prxtcrca natura ipfa in rcru generationc hoc cocic ordinc vtitur: io
DE ORGANIS SENSVVM. priuscnimmarcriampnrparar, cxquamarcriapreparata
formaextudirur, moxcompoiicumipfumnaturalcontur.AriftottU sia,nirpoftlibros
dc-hi- ftoria animalium, pokuc Jibros dcpartibus animalium, vrram in gcncrc
ouaoi tn lpccicdcmatcriaagcrec:mox additlibrosdcamma m ojiubus dc
forma,tdelt,animaipla diflcrircx matcnaautcmilla&hacforma.rotaani-
maliumcll"cnriacorundemqucproprictatcsliabcntur,quandoquidcm cau Ix
ellcncules tam compolirorum , quam proprictatum compoiita (cqucn tium.caufa-
dicuncur eilc.Has auccm propnctatcs multx funt:pra?cipuc vc- ro Scnfus&r
motus.his cntmnrimum animatum ab inanimatodiftert,vt cc- Itacur An(t.inprionlib.dcanima.rc\.i9,&:infccundotcx.iK.
De hifccigi- turproprictatibus Artft.in patuisnaturalibusagit,quancum
atrinctadco- rum quaruor libros priorcs,vcinfra diccmus.Hilcc ita conftitutis
fequirur hbcr dc Gcncratione animalium tanquam qumto hbro dc hiftoria rcfpon-
dcns.Scquunrur poftrcmoloco iiqui rcfpodentottauo,in quibuslcilicetdc
vita&mortcatqucaliisannexisdjfccptatur.Ex hisapparctquomodoargu
mcncumiitinanc:Nam licctadcandcmfcientiam pcrtincacfubiccltrm fuu
poncrc,ciufdcmqueaccidcntiadcmonftrarc,non tamcn vcmm cft,vbicii- que dc
maicria fubiccti agatur,vcl dc cius forma,ibidcm de accidcm ibus to
tHiscompolitidillcrioportcrc.Nam,vrcxcmploagam,inlibrisdcpartiluis
animahum,fubic&um c*ft pars animahs qua ifr^f>rcft,tanquam tocum quoddam
: ibidem igitur agit dc lubftanria partium, id cft, tam de ma- teria quam dc
formaipfarum: prartcrca vcro dc accidcnribus qua iplic talcs funt, vtomnibUs
patct:atii ifta- partcs adanimal rcferanrur,nonrotum
quidfunt.fcdparsanimalistantum.quxcuforma^id cft,anima, coniun&a, iompoficumcrfair,animalnempc
vclanimatum. Huius animati copolici vcl a n i malis accidentia qui flcri potcft
, vt doceantur anteaquam dc forma ipfa.id cft,animadifputatumiit?Ethoccftquod
nonnullicxGrarcorum fcn tcntiarctcdixcnmt,librosparticularcsnon haberc
fubicchim propriclo- qucndo:fubicaumcnimtotiusfcicntixcft:cum dcbcatcflcgcnus
fcibilc vniucrlalc,&:dcomnibusinfcientiahabitis,dici.Dcfccndonuncad parri-
culare fubicttum huius libn,quod cx vcrbis eiufdcm Ariftotclisclariflimc a
quoutschci potcft qui in poftremis vcrbis huiufcc libri inquir, Diximus or-
ganaicntiendi& ipfa fcndliaquomodofc habcantcumcommunitcr tum
ligillatimircftat vcdc memona&: co quodcft meminiflc primiim omnium
agamus.Quar vctbacum iis conucniuncquat in particula quarra,iuxta Alc- xddri
lccctoncm pollta lunrdiabenccnim hoc modo , Scd quam facultatem fenlus
vindquifquchabeatiam dichim cfbinquibusaurcm corporisinftru- mcntis
fianr.nonnullipercorporumclcmentaquarrunr.QupIocoAriftote- les &: in aliis
ctiam jvtitur nominc "Ztk". Nos vcro ha&enus Inftrumcrum
fcnfusdiximus.nccumaliisfcnforiumdiccrecogcrcmur moquiavox bar- baralic(hxccnim
monltranofugic Philofoph 9 fcdGrammaticus, vtdocct Ariftot . infccundo de
Phyiicaaufcultationc)ied quia obfcura nimis (ir, nc- cjuc vim vcrbi Grxci fatis
cxplicet: Alii Seniitcrium voc3t,fcd codcm mor- boiaborant.Nosigitnr
pofthacnccircunfcriptione vticogamur, vcrbum Grxcum
Larineprofcremus,&:aliorum Philofophorum prxcepca (equctcs
AKlUictcnumvocabimus,id quodinftrumcnrum fcntiendi hactcnusnurt cupauimus.Hoc
vcropropoiitu cflc Ariftotch in hoclib. tcftatur &: Alexa- dcr in iua
prcfationc clariflimisvcrbis^Aucr. in primomctcor.ca.i.Quod
vtpcrlpiciatur,illudtcncnc1umcft(quodfupractiam dbcimus) Propoiitum Ariltoccl
.s in libris dc amma clfodc anima agerc,qux liccc comparata ani- malibus
ETSENSILIBVS. rj a maliluis lit pars &: forma,comparata tamc fuis partibus
totumquoddam cft, parteique&: pailiones habet qu.x dc ipfa dcmonib
antur.Hoc verum cflc do- cct Ariftotclcs
in primo dc Anima tcx.$. his vcrbis: Qucnmus autera co- cc gnofccrc naturam
animc iubftantiamquc,&; qux llli accidunt.Scd quoniam tractacio dc
fubftantia animi dirHcillima cft, vt docct lbidem in tcx. 4. acci-
dentiaautcmadcognitioncm ipiius quod quid cft contcrunt,cx tcx. iz.ciul- dcm
libri:hinc fit,vt achirus Ariftotclcsdc fcnlitiua animx partc, ciufquc vi-
nbus,anceadcahonibus,atqucomnium primum,de obic&isipiis tanquam
notioribus,vnaquc dc inftrumcntisad fcnfum requiiitis,agat: quod clanili- mis
vcrbis iignificauit m fecundo dc anima,tcx._; ;. Nulli lgitur mirum vidc-
ridebet,ftibidehisquoqueagat,cumhic lftanon ex accuienti&.quaad altc-
riusnotitiamconferunt,fcdperlc&: proprie, quoadeorum lciliccteilc ,ge-
nerationcm &: naturam coiidercntur.Hac pat eiculanus dcclaro, Adurus A-
riftotelcs dc attu lcntiendi,quinonficabfque corpore,necclfc hm vt ibtdcm dc
inftrumentis fenticndi agerct vbi &: dc actu.Prxccrea vis fcnticndi ad aclu
no ducitur nili obie&o prcfcntc (omnc enim quod mouetur vcl patitur, ab a-
liquoalio mouctur,pafltoncmquerccipit,fincqtioa&io vclpaflio nunquaro
fiet)atquifenfus inmoucri&:paticoniiftrt,tcftcArift.in fccudodcanima tc\.
5i(patiturautemabobicto)abfqucobicfto iguur fenfus nunquam ficripo
terit:ratione igicur facultatis ic nticndi vcl lplius acT:us,dc obicchs iiuc
fcniili- bus ipfis a&um cft. Hoc efTc vcrum docet Ariftoylcs in codcm libro
tcx . 66. vbi fpc&abile illud cifc dicit,cui vifus accidit ,*acli dc
fpcttabili fiuedeobic&o vifus catcnus tantum agat,quatcnus ad vifum
rcfcrtur , ciufquc notitiam fa- cit.Ex fubic&oita poiito&: conftituto,
patct primum cur infcriptioncin ll- lam libri rctinucnmus qux cft,dc
INSTRVMENTIS SEN- S V V M &:S E N S I L I B V S,non autem qux dcS E N S I B
V S& SENSILIBV Svulgorcceptacft.Nouimusquidcmqux adhanc rcm Alexadcr
dicat:fcd confulionem quantum ficri potcftfugimus,refque ipfas,
vtifunt,dcccftas&rclaras,nonobfcuritate inuolbtas cerherc .ui.imamus: cu-
iusfortaifcratione Ariftot . acrius aliquando in antiquos inucdus cft, quam rcs
ipfadciidcraflcc. Excodcmctiam fubicCto patet,curlibcrhic omnesalios Paruorum
naturaliu libros prxccdat. Nam cum dictu iit,in hifcc libris agi dc accidcttbus
&: proprictatibusanimalium,quorumpriorcs funt (enfus& mo- tus,&:
intcrhasfcnfuscxccllat,hiclibcrin quodeiis agitur qux ad fenfum C ipfum
pcrtinet,omnibus prc,poni iurc dcbcbit. At fcnfu s duplcx eft,cxtcrior
fcilicet&: intcrior.fcnfuscxrcriorcs prirh6animalibusconucniunt,tumintc-
riorcs:quod patctcxcorum opcrationibus.Iiinc fitvtpofthunc librum po-
natur,isquidc Mcmoria&:Rcminii'cctiadicitur,quinimo pys etiamhuius a Grxcis
iudicat 9 cftihofcc autc fcnfus fua fcquitur paflto,qua rattonc tertio lo- co
ponitur liber in quo dc fono&: vigilia earumquc anncxis agitur . Scquitur
pars que, cft dc altcrajpprictate, nimiru dc motu. Scd de his &C rcliquis
hbris, cur fcilicct co ordinc poncdi lint,quo nos fupra pofuim*,iuo loco
agcmus:ni- miru ciim ad intcrpretationc illorft accedem 9 ,quod
aliquado&fortaile jfpe- dic anobis fictdntcrca
hxcdixiflefatisfttrationcmq_j actulifTc,cur hicnofter precurrcre debcat.Iam(ni
fallor)tria cx propofitis dcclarata funt. Rcliquu cft vtdeDiuiiione&:
Vtilitatcpaucadicamus.Diuiditurcrgolib. induas prxci- puas partcs,Exordium
&: ipfamTra&ationc.Hxc in trcs partes fubdiuiditur. In quarum prima dc
AEfthcteriis ipfisagirur,quxrcndo cx quanam matcria, conftcnt,&: in qua
corporis partchnt conftituta.In fccunda dc fcnliliumci- fcntia,
gcncratione&c corundcm fpccicbus. ln tertia dubitacioncs quxdam ii DE
ORGANIS S E N S V V M ad hac omncm trattationcm pcrtincnces apcriuntur. Hanc
vn.im fimplicif- lim.im duulioncm fcqui placct, quodad ipfam commodiflimc
omniahu- luslihricapit.ircduceicpoflimus. Quantx autc hec difquificio
vtilitatis iit, i \ co tantumdifccrc pofliimus , quod tractationcm dc aqima
pcrficit: qux lanc( vt Thcmiftiuscx fcntcntia Ariftot. protulit)adomniaqux
cxtrafunt conofccnda,virtuccfquc omncs comparandas , magnum atquc inccedibilc
aftct c adiumcntum. Quare qucmadmodum Mcdicum dcccr, vt corpus fanu confcruct:
Pictorcs vcro&:Sratuarios,vt lllud coloribus &: fcalpcllo rcccc imi-
tcntur,plurimumopcrcltudiiqueincorporis cognitionc confumcrc: ita ra- tioni
quam maximc confcntancum eft,Nos,vt animum vircute orncmus,vcl potius
ignorancix morbo grauicer affectum liberemus,animi nacura ciulque propriccaces
omni cx parcc afliduc conccmplari.Hxc dc *0*>*yt*ntt. Uei^ oTtpov &r Xryoffip , i&j rma aniraaliu
a&u cft)pluribusdcclaracalucrc:gcn*enim dansforma(cefteAuerrocin ccrciocar-
li cora.zS) dat omnia accidcntia gcncrato,mcdia illa forma. Pnmum autc dc
primis agam*. ( Ponacur).Nocac Alcxadcr cx Arift.primo Analy.poft.duphcc clfe
fuppolitioncm. Vnam qua Grxci aliquando vocat: Ariftot.VCto lllo in loco
po(icione\Lacinicffacum,Alcxaderhic limphcircr fuppoiicioncm. 1 clt propolirio
ilia,quam ncccilc eft qucmlibct doccndum domoafrcrre, non autem a prarccptorc
cxpcftarc : vt,dc quolibct cft vera afnrmatio vcl ncga- tio,non contmgit idcm
limul cifc&nonclfc. Quibus lolisaut ccrtc pau- cisaliis ,dcfcriptio llla
Anftotelica conucnit. Alia vcrocftqvue ab Arifto- tclc fuppolitio ulcft imStmt
voca t u r , .i Philopono po(itio,idcft 3t*r,ab AK xandro luppoiitio expartc,
ldcft *'3ik xtA^i'p0-, quia non omnino indc- monftrabilis & fuppolita cft ,
(cd in aliqua lciencia folum dcterminata 16 DE ORGANIS SENSVVM
&probara,inaliavcrofuppolicaaccanqua conccfla&: indemonftrabilis ac-
ccpta: &chanc cum quidem quifit doccndus habcrenoneft ncccllc: hac m-
fcicncus fubalccrnis cognofcicurdcmper cnim quq fupcrior eft , principiain-
fcrioris probarc debcc:infcriorvcrdafupcriori probata rccipcrc.Philoponus avitc
in primo poftcr.com.xihnita cflatum a poiitione idcft fvd tutfpoutionem ab
Ariftotclc, aut liippolicione cx parte ab Alcxandrovocatam. Hat aUtem nil aliud
limcquam veldchnicioncs cra- dit.cvcl propofitiones inhbnsdc Anima dcclaracat.
(Primuqucdc primis). Latiniqui Alexandrum fcqui volucrunc, malc inccrprccati
funt h.cc vcrba. Pcr primas cnim,communioresoperacioncs incclligunt, ac dc iis
pnmum a- gendum cllcvolut.quiacommuniora ordincdodrina:pia:currat,dcfcntcn- cia
Anftotchs pnmophvf. tcx.57. &: tcrtiociuldcm tradatiomstcx.i. Paccc tamcn
Anltocclcmpriusdcproprusquam dccommunibus doclrinam infti- cuiifc. Scnlus
cnimAE motusdc quilms primo agit iiinc animalium propria, mox cafcquuntur qu.c
viucncium omnium communia funt.Qui Alcxandro aham tnbuucfcnccnci am,ntmium
llliusfuncftudioli. Ncquccnim vidco,vn- dcnam illameliciac. Diccndum
cftigicurhicvcrbum =*tw pro co quod pro- pnum cft fiue proximum, ab Ariftocclc
vfurpari. Hocautcm farpc ab ipib ric- ri , in fccudo de phyfica aufculcacionc
&: in poftcnoribus Analycicis vidcrc li- cet.Dc primis igicur,id cft
proprns&: qua- primo cciam loco propoiic? func o- pcrationes agit
Ariftocclcs:hoccftdc iisqua? animahbuscantiim conucmut, iniifqucfolisrcpcnuntun
vt fcnfus,cuiusobicctum&:inftrumctum hicqua:- rirur,mcmoria,rcmmik i
ntia,&: mocus: mox easdcclararurus,qujc viucnci- bus omnibus,hcct
nonxque,tribui polfunt. Iam vcroargumcto Latinorum lta
rclpondcmus:Ordincquidcmnatur.E, qui a prioribus&: vniucrfalioribus
ducitur,comuniora precurrcrc : (&: hoc quidc ordinc vtitur Ariftotclcs mtcr
partcs prax ipuas &: k icntiaru totarum,vt ita dica, complctiuas.) Ordinc
ta- mcn docrrinx, qui noab vniucrfalioribusfumitur,fcdab iisa quibus facilius
difciplina tradi &: acquiri poflic,pr$ccrea vcro a nobihorib 9 ,ahquado
poftpo- ni. Huncordineminduxit Ariftotel. inquintometaph.cap.priori,&:
Aucr- rocs ibidem in com.quinto , clarifsimis vcrbis cofirmauic. At non folum
iplc tradidic,lcd farpefcruauic in lcicciisprarfercim parcicularibus
liucinparcibus (cicntiarum.De Animalibus cnim primo agcrc voluic quam de
plancis,vc fu- pra oftcndimus , hac fola racionc. Na licec anima
vcgccaciuacomunior iic &C prior nacura, quam fcnfitiua:tamc quia fcietiade
Animalib* faciliiis cradicur ac percipicur, quinimd plancaru nocicia cx illa
fola manifefta fic , vc doccc A- ucrrocs ET SENSILIBVS. i 7 ucrrocs m fecundo
dc Anima com.fi. idcircoAnimaliu do&rinam prxcedcre A voluit. Scd & in
iccudo hbro dc Anima idc prxftinc. Nam licct fcnfus cachis
pnornaturaiit&communiorviiujqui m pcifettiscanrum animalibus repc- ritur :
a vifij tamen tanquam a nobiho. i iaculcacc inmiun fumplit. Ex his ca-
mcnncquiscolhgacordmcm do&rinx, a naturx ordinc pcnicus fciunccum
^flc.Quinimo ita illi cohxrct,vt idcm doCtrinx ordo dicacur qui nacurx. Do-
ctrma cnim quxdam quali ars eft, ab inccllechi quali ab artifice luo coftituta:
Omnis auccmars nacuram imitatur : Do&rinx igicurordo ,nacuram fcqui dcbcc,
niii cx accidcncc aliquo vc di&um cil, prohibcacur. Qalvtraf q rd fi!tyie
op*Z't * x) &pcc rw- TOiC, "ooCjX; avatnovi , oxcsrvo* , xa) fytvi Xj
ddvar&- '
dccommunibus&propriisariimahum &: vicam habcncium opcracionibus.
Nunc igicur qux quaiefquc illx,prxlercim vero maximc. &: prxcipux hnc, cx-
planac.Primum auccm primas,id cft animalium proprias(vt dixcrac)mox co-
muncs,idcft,viucncibusomnib* c6ucnicnces,cnumerat.HictamcArilt.c%m inccr primas
quaminccrlecundasorcbncm ftacuic : alias cnim akiscommu- nioresvocat.
Dicicigicur,Tamcommunesquam proprix &: prxcipux opc- racioncs animalium ouc
cum corpoh cum animx conucniuncluncv ticniUs, mcmona,ira, cupiditas ,ac candcm
appccitus : pra:cerca vcro dolor&: volu- pcas.Iftas opcrarioncsicirc
communes&c proprias animalium indc hqut c.Sut enim fcre in omnibus.Tam
autcm communcs quam propriij prarcipueqt vi- ucntiu opcrationcs anim^ &:
corpori coucnicccs func quacuor ad iummu nu- mcro coiugaciones: Somnus&
Vigiha: Iuuccus&: Scnccius:Expiracio&; Rc- fpiracio, Vica&Mors. Dc
auibusorruiibus,quidlinc',&:obquamcaufamfi- anc,coniiderandum eft.Poilcmus
parccm lianc in trcs particulas ihicribuerc mprima^propriaj&communcsanimaliumppcraciones
proponuncui: In ic- c,unda,communiilimx: Intercia, quarnam iincdc his quarronda
docccur.Pn- mampaitcm aggrcdiamur Cuius h^c cit iuirima: Maximas cumcomrauncs
tum prxcipuas opcracioncs,camanima: quam corpori animahiun conucmc- tcs eile:vc
fenius,mcmoria,appccicus,volupcas, &c dolor . Quul in hac propo- iicionc
fubie&i vicem gcrat, &C quid prxdicaci, nO lacis apud inceJrprcccs
aiios 18 DE ORGANIS SENSVVM, conftar. Thomas vuk hic doccn commiincs &:
proprias opcraciones anima- ^ hum , tnm corpori quam animx conuenirc , vt cx co
ncccisicas huius crada- cionis a libris dc anima lciuncix intclligatur. Idcirco
iplc,propoiitioncm hac nou lolum a rchqiusduabus parubus hui* tcxtus : fcd
ipfammct alcipladif- mndam nucrprcracur.Quaccnus Thomas aiTcrit Anftotelemin
hacpropo- titionc viani Gbi ad ca qux dicturus cft quodammodo ftcrncre:eatenus
ipiius fcncenciam probo. At quantum adfcnfum prxcipuum Authoris allacum, omnino
improbo.Nam quod Ariftotclcs hic dicenda clartus & parcicularius explicet,
patct primum cx cius conrucrudinc : mox ex hs qux in tcrtia parte a nobis
enumerata ponuntur. Dcindc quomodo ifta vcrba a fcquccibus dif- iungi pollint
non vidco. Vcrbumcnim, VT,cantamconncxioncm fccum afferc,qu:kam vcl
vlloaliomodopoilic. Leonicusquoqucpartcm iftam,non cadcm tamcn ratione
icindit.Qud f3t,vt tam in ncxu quam in fcopo affcrcn- do : prxtcrca vcro m
vcrbis cxpcndcndis,quid iibi vclit , non fatisconftct. 5 Alcxandcr vcram quuicm
totiushuius pai us cxplicationcm aifcqui alicubi vidctui , fcd in mtcrprccandis
verbis cantam incoftantiam prx lir fcrt,vt quc, litcius mcns llatui nullo
modopoiTit.Ex rcccntionbus lunt qui vcrba non- nullamuccnc,&:quiillis ctiam
vim affcranc. Quodlicccin Anftotclc inccr- prctandoaliquandoficri neccilclit
nontamcnfcmper libcrtatc hacvti fas cft. Atnos, nctvllabaquidcm
mutaca,omnia,vtfpcro, planillima rcpcnc- mus.Hoc autc inhac ption partc
primum-.mox in aliis oftcndcmus.In his ta- mcnomnibus, Anftotchs artiticium
primum animaducrtcndum cilcdico. Propofucratfupra agcndum cilcde propriis&
communibus opcrationibus aninulium ,&:vitam habencfum, nuncnon modo
quidpcrcommuncs ic proprias opcrarioncs intclligat,fcd quid pcr animalium
opcrationcs: pr^tc- rca etia quid de lllis troctandum iit, explicat. Dc primo
cnim ait , Commu- q ncs iflas&: proprias opcrationes cifc, vt lcnfus,
memoria , ira,dciidcrium,ap- pctitus,voluptas& dolor:prxtcrhxc,ctiaquatuor
illx coniugationcs.Dc ic- cundo ,liifc opcrationes corpori &: animq
conucnieces. De cercio,Quid vna- quvjquc iit &: ob qua caufam fiat,quxri
oportcrc.Prima lgitur pars contcxtus, conrincrcxcmplaoperationummaximarum&:
prxcipuarum tam commu- nium quam propriarum animalium.Iftx funr qux velad
fcnfum, vcl ad mo- tum pci tincnt.Priorcs crunt,fcnfus ipfc exterior(qucm
nomine Scnfusdcii- gnat ) &: mcmoria ad quam rcminifcchtia rcducitur.
Pofteriorcs erunt appe- titus , qui cft prima caufa motus in animali , tcfte
Ariftotcle in ccrtto libro de amma tcx.jo.&: ex confcqucnri paflioncs quc_
in facultatc appetctc funr.Mo- tus cnim cx codem libro tcrtio tcx.4tf.eft aut
fugicnris, aur profcquentis:fu. gcre autem &prot'cqui,vt declarat idcm m
fccundo dcanima,abfquc illis paf fiohibusvel principhs paflionum ftcri
ncquit.Dc his autcm affectionibus agit D Anftoteks in hbro dc motu ,qua illius
principia funt , vt ipfe tcftaturcap.j. cnis tractationis.Dc nfdcm ahbi
pluribus, vt in libris dc anima,&: in libris dC
moribus,fcdaliarationc,vcrba fccit.Scd quid flngula horum fignificent,pau cis
primum declarcmus: mox corpon &: animx communia cffc oftcndamus: poftrcmo
vcrba quxdamin cotcxtu poiitacxpcndamus.Animalia vtanima lia iint, primocx
lcntictcfacultatchabcnt:fcntiendi ver6facultas,ad actum fola lufccptionc
fpccicrum fcniilium traducitur.Tunc enim vifus albedinem pcrcipcrcpotcnt,ciim m
ipcciemalbedinis formatus crit:idcmdc aliisfcn- fibus cxtcrnis dico. Addc,cum
fcnfus fimplcx fuum obicctum cognofcit, non fcquiriir,ncqucfugit:at cum Ipecies
aliqua iucundi vcl molefti acccdit,runc appcritio cxcicatur.Vifus enim,vcrbi
gratia,quandiu cognofcit flauum,non moue- ETSENSILIBVS. i 9 mouccurcum primum
autcm dulccdinis fpecies adiungitur.vc m melle,con- cinuocxcicacurappecicio.Eft
igicurappcticusnihilaliudquam faculcacis fen- ticntis indu&io ad
remobicctam fcquendam veldeciinanda.Etreipfaappe titus .1 fenfu no dufert } fed
rationc tancum quada & cogitatione feiunguntur.
qucmadmodumcciamcumdicimus,cerrca inhnorcmlocumappcterc : ap- pcticum lllum a
forma tcrrae diftinctum non intclljgimus.Hoc vcruni eile te- ftatur Arift. qui
in tertio libro dc anima^inquirv^ffnihil aliud efTc quam
motionemmcntis&fcnfus: priorvolunuspropric dicitur: lccunda appcti-
tus.Vbiillud animaducrccndu cft, Licccappccicus m lcnlu cxcicctur, non ta- me
in hoc vel illo cxcicari:lcd in fenfu iplb cdmuni qui vnicus rc ipia rn omni
bus animalibus eft , qua vcro propriis quibufda organis ad rcs externaspt rci-
picdas vcicur,variisnominibusnucupaiiir,icnliisicihcct vifus,audicus,cact 9 , ^
guftus,olfaftus:Ncquccnimpccptioncsfcn(uu quiin organisiftis cxcerion- bus
iniunt, tcrminatur aut quicicut ruii ciun ad comune fcjifu pcrucncric, Ln
quoomnisfencicdi fonseft.Inhoc igitur icnlu qui aliquadophacalia,aliquan do
mcmoria ob diucria fui muncra vocacur,& qui difFcrcncias lpccicrum fibi
oblatarum cognofcit, appctitio fic.Hxc dcappericu in prarfcncia . Ad rcliqua
accedc.Infcnticntchacaninia.criainefleicpe dicit Anftotelcs,Facultatcm,
afFcc"tioncm,habicum. Facultas, inquit Euftracius, cft ipfemet appetitus
ido- ncus,qui a voluptatc rei luctunU pcrcept?, vcl dolorc rci molclLc
cxcitctur. Nilul cnim aliud(vt ex his qua: diximus colligi potcft)appctitus cft,quam
ha bilitas illa & facuitas,qua cxcitamur ad aliquid , vel fequendum , vcl
fugien- dum . AfFcctio vero, cft ipfa iam prarfens cxcitatio commotioquc. Idco
recte Andronicus afFcctioncm dcfinu c vifus cfbEfFe anime^ motioncm racionis
cx- pcrtcm,ex opinione vcl boni vclmali cuiufdam cxcitatam . Dc Habicu nihil C
hoc quidcm loco . Rcdco igicur ad afFectioncs fiuc a Grarcis vocata . At- quc
dc ipiius primum fontious,ex quibus ilta: aiFcctioncsfluunc,nonnulJa di- co .
Fontesiftifunt, Volupcas&: Dolor. ncquccnimin numcro afFcctionu ifta duo
reponutur: alioqui icqucrcrur , quo nihil cft abfurdius, nimirum ipfa ex fcfc
oriri. Volupcas auccm nihil aliud c -ft,quam pcrccptio rei objcxta:, con-
ucnicnciam &: cognacioncm habcncis cum raculcacc pcrcipictc: percinecque
voluptas tam ad ienfum quam ad lnccllcctum, qucmadmodum &: dolor. Ve-
rumnonnulladicamusdc Voluptatc iUa,quxfequitur fenfum,vtciusnatura paccfiac.In
fcnfuomni(fumoautcm fenfum pro actu ipfo&^energiafencicdi) vt vcrbi gratia,
m vilione duas cauias requiri fatis conftat : faculcaccm vidcn- di,&: rcm
cxcrmfecusobicctam,in cuius fpecicm faculcas ipfa formacur,&: ica formacain
actum cxic. Cumigicur faculcas vidcndi opcimc cnc affecta, muicaquc proporuo
&: conucnicncia , nacurxquc confcnlio rci obic- D ct.c cum faculcacc , nifi
aliquod in mcdio inccrccdac impcdimencum cunc perfecta viiio fiec . Pcrceptio
autcm fenfus, ilhus conuenientiz voluptas dicctur : &C quo maior vcl minor
crit conucnicntia , vcl racio- nc rei obic6hc,vclfaculcacis, vcl medii , eoquoqucmaior
vel minor voluptas vocabicur.Quid fic dolor cx his paccc . contrarium cnim ex
concrano judica- cur.EricCnim perc^pcio reiobkrctx qua; difcrcper,&:
raculcaci fencicnci pcrci picnci aduerfecur,iplaraquc male arficiac . Ex hac
volupcacc, Sc cx hocdolore omncs aiFectiones oriuntur. Nam fi res obiecta
fcnfui>illique confcmanca,vo luptacem at! cr.it ,cxcic.icur amor in
faculcacc appcccncc . Scquicur deiidcnu. anima cnim illa volupcaccaffecta,re
ouc fibi fimillima eft,&: quam amac,pcr- frujcxoptat.Hinc fpcs. Quod fi ea
aliquando f ruatur,ontur gaudiutmquod a Tolupcate diftmguimus r quia
volupus,eftuUacxquaaffcctioncsiica?oriun^ b, iiii. / r - " 10 DE ORGANIS
SENSVVM, cur. Gaudium vcro eft quxdam facultatis appctccis quics: quod fi rcm
quam cupit alicutus opcra acquiiiucrit ,innafcitur Gratitudo, qua fcilicet illi
a quo bcncficium acccpimus granam rcfcrrc cogitamus. Cum vcro appcccns racul
cas dolore commouetur,primo odium cxontur.mox fuga,pr^terca timor,his acccdit
mccftitia,poftrciiK> lra.Nomelatet iftas affcctioncs inter fc confundi
ahquando& copulari,vt Placomoncrfcd nosomncsiftas cx fuisfonribus fct
uatoproprio vniufcuiufqueordinc,hauriic maluimus.Iam patct,quid Arifto- teles
pcr iram,quid pcr cupiditacem fiuc dcfidcrium,appecicum,volupcaccm 6c dolorem
intclligat . Pcrgamus ad altcrum propolitum caput . Hxc omnia tam corpori quam
animx conucnire Ariftot.infra declarabit: fcd in primo li- brodc
animat.iz.& int.i4&: m ccrtiociufdcmcra&acionisc.^.idcmdoccc. Vcrum
probcmus hxc omnia vnica racionccx dcrinitione animc. fumpca, corporeaclfe .
Anima cft .ichis corporis phyliciorganici,ade6vteiuspcrtCr ^ b'o&quiddicas
fi/ . Nunc vcro lta argumcncor. Anima, eft acbis&: perrccbo corpons, trgo
opCrationes ab animali prodcuntcs, lunt animxfit corpori co-
muncs.Cofcquutioncm probo vcrbis Aucrrois in i.dc anima com.ai.Si cnira cft
perfecbo coi pons, nullo modo fcparacur a corpOrc.Probatio hui'cft,quia fims a
re hmtanonfciugitunluncenimcorrclata: atqui pcrfccbocft rinis:are igitur
pcrfccca &c rinica non lciQgCtur.No fciugitur crgo anima a corporc,cui
perfccbonc&: Efle lareicur. Ex quo confcquitur, operationcs vtrifquc conue-
nire.Nam dato oppofico aftumpcioni iam probacx,concrarium colligcrccur: Animam
k rilicec clfeacorpore fcparabilcm . Animam ratelligcntem hicex- cipio^nccjuc
enim dc hac quxftio eft , fed dc animalium anima, quam acbim corporis vcrc elfe
protulit Ariftocelcs. Aliccr vcr6 dc incclligctc loquucuscft. (Maxima).Sunt qui
lca inccrprcccncur: Dicucur iftx maximx rcfpecbi habito adabasquas addcc,nimiru
adquacuorcobinationcs,i.^n^ Acqui lllasetia C m.ixun is vocac Anft. Alcxadcr
aute non iatis vidccur fcipium explicarc,licct nonnulli fallam quanda hutus
dicbonis inrcrpretatjoncm llli fali'6 cribuanc. Thomas recbus loquucuscft,fcd
non planc vidic quod rcs crt . Nos vcro cxi- ftunamus dicboncm (Maxima) idcm
valcre vel lignificarc ac Prxcipuum Sc apparens-.habito lcilicet rclpecbiad
ahas huiufmodi opcracioncs inhoc gc- nere minus apparcnces . Sunc hxc cx partc
fenfus, vt imaginatio,xftimatio: cx parcc arredionum,vt fpcs,gaudium,amor,odium,
fuga,timor,alixquc ad has rclatx,vt alacri tas,clatio animi,infolcncia,
oftencacio, remifsio animi, &C in hoc generc innumcrabilcs alix. Vc cnim
priora illa duo a fcnfu rc non di- ftinguuncur,itahx affccbonibus iam dicis
lmplicarx func , ad illafquc prx- cipuas cnumcracas rcducunrur.Iram auccm&
cupidicaccm hic cancum pro- poncrc voluic,quiacumdc animalium affecbonibus
loquacur,qua mocus ^ pnncipia lunt,omnib us animalibus a natura inlicum clfe
vidccur,vc fc vicam corpufquc cucantur,atquc ca qux fibi ad viucndum
nccclfaria, aut volupta- tiserncicncia cxiftimanr,omnibus
vinbuscomparent,viccncquccaqux no- cicura,aut dolorem lllacura
vidcancur:idcirc6que cis cupidicasad vcilia & iu cunda profcquenda cribuca
cft. Prxcerca cciam fax quxdam iracundix,qua canquamftimuloii ric.ic.i facilius
fc dcfcndant , noxiaque &C molcfta cxpcl- lant.qua -fortalfe rarionc
appctitum in cupiditatcm &C iram Plato diftribuin &C Ariftotcles lpfum
fequcns tcrtio librodc anima t.41. partcm irrationalcm inconcupifcibilcm&iirafcibilcm
partitus eft. pcr iram&rcbncupifccntiam vtcrquc rignificans , partcm illam
facultatisappetentis, quam nos moueria volupcatcdiximus :atque itcm altcram qux
mouctur adolorc. ( "Hxccnim fctc omnibus infunc
animalibus).probataiFccboncs&:operationcs iftas com muncs ETSENSILIBVS. 11
muneseiTe&rproprias animalium. Commurits funt yquia fenfus^cupidltas, 6c
appctitus in omnibus ineft : quod itcm docet Ariftoteles m fccundo de a
mmat.2.7.Noniicira.Eftcnimiralibidovlcii'ccndi,&: irafcitur quivim iibi
prxter xquum aut lxfioncm aliquam rc vel vcrbis infcrn pcrcipic. ac anima-
liaimpcrfcctiora,quxomni prorfus xquitacis,honoris&:gloTix fenfucarcnr,
quomodo irafci propric vnquam dici potcrunt ? Non omnis quoque motus cft in
omnibus,ncquc mcmoria,ncque rcminifccntia.qux igitur in omnibus
animalibusrcperiunrurcommuniavocantur,quxin aliqiubus, propria.Ari-
ftotelcsautcm ita loquendo( hxc cnim ferc mfunt in omnibus ammalibus) id omnino
quod nos diximiis,fcd obfcurius cxplicat. Idcm cnim vult acii ita
loqucrecur(hxccnimnonomnia,omnibus animalibusconucniunc)cccnim dittioilla
(fcre)rem gcncralius prolatam rcftringit.Scquiturfccunda pars:in g
quacommunes&propri.c tam animxquam corpori conucnientcsopcra-
tioncs,imperfcctiorcs tamcn,id cft ad vegctantem animam magis acccdcn- tcs,cnumcrantur:atquc
inter has prxcipux &: maximac . Quarc,ni rallor,ad huncmodumloqutcur
Philolbphus: Prxccr has cxcellcntiores operationcs quxanimalibus,qua animal
cft, conucniunt , funt aliae qux fibi ciun aliis vi- ucntibusc6muncsi'unc:inccr
quasquxda iunt comunifsimx,ita vc in viucn- tibus omnibus,vt plantis &
^^irvt inlint: cmuimodi funt iuuentus,fenctt*, fomnus,vigilia,vita,mors.Quxdam
vero ad vcgctatiuam quidcm accedunt, &: plantis aliquomodo conueniunt.fed
funt animalium quorundam , non o- mnium proprix:vt cxpiratio&: rcfpiratio ,
qux duo nonnifi animalibus pul- moncm habcntibus tribuuntur . Ex hoc loco illud
colligi voloquod monui in cxordiohuiuslibri,nonagifcilicct in hifcc libnsdc
opcrationibus com- munibus &: propriis plantarum,nifi cxaccidcnci , nimiru
quatcnus animalia C cum vcgctatiuisconucnientiam habcnt. Ariftotclcs enim in
dmifioneifta- rumopcrationum infcriorum &: plancisconuenientium,provno
membro omnia viucntiaaccipit:proaltcroanimaliaquxi!am. Prxtcrca nulla propc
cftcxhifccopcrationibus,quxnonmctaphoricc tantum in plantis cffedi-
catur.Eftocniminprxfcntia(nam dcrchac fuolocoagcmus)iuucntutcm&:
fcnchitcm,vitametiam&:mortcm illisconucnirc: quul de refpirarionc&C
cxpirationc,quid dcfomno&: vigiliadici potcrit?Caui"a cnim fomni cit
rcfn- gcratio,vcl(cxGalcni (cntcntia)humcctatio primi 'sTeiVquod,pcripateti-
ccloqucndo,corcft:idc6quci"omnuslcnfuumcxccriorum ligamen cllc dici-
tur.vigilia vcro qux cx aducrfis oritur caufis,illorum folutio vocatur. Rcfpi-
rarioctiam nil aliud cft, ex Ariftotelis&: Galeni fcntcntia,quam motus
rcci- procus fubftantix acrec, cxcitatus a facultatc animali &;
vitali,mcdus muicu- lis thoracis&: fcpto tranfucrfo,vt fcruor caloris
naturalis in cordc ob vicx cu ftodiam vcntilatus confcructur. At quid horum in
planris repcries,qux fcn- D fu,cordc,ccrebro,pulmonc,&: mufculis funt
dcftitutx? Scd cx libro de Rc- fpirationc,&:dciuucntutc,fcncctutcquc qua
rationeifta plantis conucnire dicanturfatisab Anftotclcdifcimus . Non cft
igitur quod nosinhisdiutius hxrcamus,fuo loco omnia pcrtractaturi .
(Maxima).Eadcm ratione ponitur, quain fuperioripartitionc.Multxenimacpropc
innumerabilcs alix opcra- tioncs funt,quibus,cum animalibus,plantx,vcl cum
plantis animalia conuc niunt.h^not^ ficnt pcrcurrenti pcr facultatcs illas
naturalcsac prxcipuas qu vytetxr^ovrt ri~ (rov otofft yinoi^ (Sc WtpnfjSfJoir
%* r$ rt qnoad prin- cipiaillarum proxima,fcd quoad rcmota tantum. &: illud
cftquod ait Aucr- rocs in fccundo Collig.cap.dccompl.mcmbr,c*um:Mcdicx lcilicct
artis ah- quid fpcculatiuum clfc,idcft
ad fcicntiamnaturalem pcrcmcns,&: aliqmd
pra.Hanc candcm propolicioncm iifdem fcrc verbis &: darioribus eciam
Ariftocclcs proponic in rcliquo illofragmeco cractacionisdc fanicacc &C mor
bo,vbiinhuncmodumloquitur: Dcfanitaceauccm&: morbo,non lolum medicijfcd
eciam phylici cftaliquomodoquoadcorumcauiasdicerc.quacc- M nus cciam hi
dificranc &: diucrfa conccmplcncur , laccrcnon oponct . N.im lt D quod ex
partealiqua atfines lint iftx craccacioncs, ld, quod lcruacum eflc vi- 1'.
iilisfidcs&: auchoncas adhibcndaerit. (Qiiarc multi fcrc
phylicorum&:medicorum,ctiam n qui philofophice magisarrcmcxcrcent) .
Dixihanc rationcm cx prioriprofi- cifci,quia cum eiufdcm munus fit corporis
viui caufas pcma&arc , &: fanit cisprincipiaprima:phyiicusinvtroquc vcrfan
dcbcbit,& mcdicusqui arce rationc cxcrccrc volucrit,a phylicis
cxordictur.Extat Galcni libcllus,m quo hoc ipfum oftcndit: Optimum ncmpc
mcdicum cundcm cifc pliilofophuin . i 4 DE ORGANIS SENSVVM Prxtcrca libri
eiufdcm de elemcntis,de tcmpcramcntis, dc faculcatibus na- turahbus:Hippocratisquoquclibcrdc
natura humana: Auiccnnxitcm pri- nufen . piioiisctnonis,verum ldcifcprobant,
quodhic Ariftorclcs dcqui- buki.nu anriquioribus&erudirioribus alfcnt.
(Philofophice magis). Sa- picntis &: philofophi cft caufas nollc,cx Ariftot.in
procemioprimi mctaphy. fi natui a philofopluxeft rescxadtilsimc
pcrlcrutari,tcftc Aucrroe in fecun- do ciufdcm tra&aticmis comm. 1 5. &
in iccundo cxli comm. 34. ldcircoquc mcdicus qui dogmatice,caufas fcilicet
xgritudmum ab ipfarum natura,par- tiumquc malcarfecrarum cflentia,tam
vniuerfaliores quam particulariores petcndo,aget,philofophice agerc,non autcm
cmpiricc dicctur . Hanc di- cxioncm fatis apcrtc cxplicat Ariftotelcs m libcllo
de fanjtatc &: xgritudinc, in hiS VCrblS l^ nyf )*r&r mu-\) l 4kttfyt ,
ytyta 7* tki % Cn*t iat iftw o*.u$ir rjtccderc,non tamenqui fub
phyfifcfieonfiderationc c.ulunt, multu e- nim aphyfioo ncgocio rcce^dere
tldcntur : idcircoque Ariftotcfts huc refpi- cicnsjconiugacionc hane abaliis
canqua poftremoloco rractanda rcparauir. Ad (ecudu Aehillinus iri qua?fico dc
fub. phyfionA; Conciliator in diff! j.& 8.' fequuti AlglzcHcm dncerut
mcdieina abfolurc fubaltcrnari phyfiologfcr : fcd
quottiideqUeabipfKjrieqtfcabeoriimftudiQfisjadhucquidc rationibus* Zi-
marxiriTheo.-^.allatis fatisfactu eft, ldebndsaliamdiccndi rarionchacten*
fempcrfequucifumus.Hicverb animaduerrendum eftrBcet Subalternari,nil g alwd
dicercvidcacur,quamvnu fub alio poni(vt parct cx Anftoc.in primo po
fterioruanaly.ca.ii.)vlifcrimen tamen aliquod clottifllmu inrerprcre LirtCo-
riicnf em,ineer hxc duoarnibrauifTe.ScnSalrcrnari,! AAr propric dictu (cx primo
pofterioru analy .cap.j .& cx Auerroe i bidc IL aJiis quapluribus lo-
cis)duas prarcipuas cxigit coditiones,quarum ncutra carcrc dcbcr. Prior cft, vt
vnius fcicncic* fubicctu(at2 hoccnim qmncs fuam fibi cfTenria dcccrroinac)
ftafubaJio ponacur,vrfuperi'orisfubicttum dcipfo,raquadeinfenori ac fpe- cie
dici pofht,atqucinferiusle habcat vt materia : fupcrius, vt fbrma . Et hoc
quidc cft quodaJiisverbisdicwur,vt non differat vnumab aJio,nifiquoda ac-
cidcnccSecunda c6ditiocft,vtfuperior fciecia dicat pto^prcrquid, i. 7i J,U,c-
ius,cui 9 mferior quial h dicit: non
tamcn omniu talium, fcd coru rantura quxadfubicctu afuperion ductumiJJ .Kccpcu,pr.ecipucperrinec:
vtannotac ? Linconicnlis in primo pottcnoru analyt . Qupd ab aJiquibus didu
cft,SubaI- C ccrnari proprienilaliud eile, quamlumcrequi mperior fucncia
conliderat O fimpIicitcr,caqucadopusdirigcrc,caivcroabclt,vtnulJar.uione
ficaudicn- dum.Primumcnimmi ! vnqiram cale prbculic
Aciftoceles,vtiiu>locooftendc-' mus.prarrerca, fi lttud cflct, Fdbrum
Gcomctra? fubaltexnari propnc diccte: poffcmus.Quod quidcm adco cft abfurdum,vt
non poflit admicti , qum fcic- tiarum dnuiioab Ariftor.infcxtometaJ>hyf.
inftituta,pcnitus labefatVctur. Subaltcin.moigitur(vt adrcm rcdci)ancM
defcripia,projjria& abfolutavo catur,fccundu qua Pcrfpectiua Gcomccru:,
&: Harmonica Muiicx fubalcerr narifatcmur. Poni fub alio , ett vcl cx
partc,vcl fecundum aliqua propoiitio- ncm,vc 1 quoad vi"um,fupcnori
icicncix fubiici . Hac rationc ph\ iicus quoad parccm illa mcteorologicam in
qua de Indc agitur>iub pcrfpediuo pomcur. medicina cciam quoad
i]lapropoiicione,qua:cil, vulncraomnia orbiculana j) a^riusad fanicacc
mpcrucnirc,Gcomctric; iiibiiciccuri&Gcomccriaphyiic?, cum llla
propoficioncm canquamnota rccipiat, probatam tamen a phyfico
iiilcxcolib.phyf.apunctoad punctu rccram linca duccrc. Policicxeciam(ra- tionc
vfus)ars militaris,ccconoroica^ rhcconca fuppomcur, vc ccftatur Ari- ftot.in
pnmo Etli.ca.i.Hislicpolicis,pacccmcJicinaphyfiolo^ipropricn6 cfle
fubaJccru.icam.Ncquccnim vniusl'ubiectri,vtgenus^Jtcrius,vc(pccies,
habctur.Sulncctumeniminphyfiologiacfttcsnacursc: medicinatvcro arcis. Ac Rcs
arcis,&: Rcsnaturx cflcntiahccr diftir>guuncur:vc ccftacur Ardt. fecu-
do phy.A: fcxcomcup^y^larid . probauit in quarft. ptoptio, &. hocidipiiim
eft quod Aucrrocs in diip. pjiyf. aducrfus Alga/cllcm dixit : Ncquc cft,quod
adpartcmmcdicinx confugiamus , qu.v Theorica vocacur. Incpta cmm cft ifta
diftincuo,vc alibi oftcndimusicum camen fua Thcorica medicinacarcrc nuJlomodo
dcbcac.Acqul(vc opcimc animaaucrcic Scocus ra fcxco mecaph. 16 DE ORG ANIS
SENS.V V M, q. prinu,&: in proccmio primifcat.)caus part dUcjrur quxopus
qmdcK- fpicit fcd non ica propinquc,vfcpars quc pra&ica voft^r.Coutgo^igituf
nw- dicmain pomquidc lub pnyliologia,ri.on camu irugiisjUifubaJccciui i,quaru
mcchanicam quamuis alumdiciplipain;Eadcn) profiusclUoiKluJio bun- plicu m
proucmio primi phylicpwm , &: Ammonu in prxtax;iQnc! in Porpliy-
ruinititucioncm. RcJaus igicur,qui vt facultas in ipla quafi fingatur atqwc
formctur. Quod ii ipfam quoquc facultatcm dcfinirc vellcmus,ita dici polfct:
Senfus eft que- dam forma cx matcri.r latcbris cruta, quac inftrumcto corporco
vutur, &: cx clcmcntorum tcmpcrauoncconftat.Exhacdefinitione patct,in
rarione for mali fenius,corporcam pcrccptioncm contincri: idcoque fenfum vci
achim fcnticndi tam animx quam corpori clfc communcm . Minorem propoiitio- nc
probat Ariftotclcs quada inductionc:quam nonnulli ad quinquc tantum coniugationcs
,proxime cnumcratas,accommodant. Alcxandcr & Thomas adomncs:quodlancmagis
arridcr,ob illadifcrta contcxtuS vcrba rT*A- 8 ^3'T*.Dicit lgitur
PhiJoibphus,omniacnumcrata ica fe habcre,vt (aut cum fcnfu fiant)
qualiscftvigilia,inc]iut Akxandcr.Cibocnimconcocto& vapo ribus digcftis
,foluuntur fcnfus,& vigiha oritur . Qupd
vcro addit dc dolorc ic voluptatcnon co modo accipio. Dcclaraui cnim antea
voluptatcm nil a- liud cflc,quam pcrccptioncm ipfam rci,conucnicnciam habcntis
cum facul tatc fcncicndi non impcdita.Fiunt igitur ifta duo pcr fcnfum, (iuc
mcdio fcn fupotius,quamctiml'cnlu,vtdc vigili.i dictti cft.ldcoque
Anftot.io.lib.Eth. dc voluptatcvcrbafacks,aic;Non tamcnvidctur
voluptas,autratio,auc tcn fus ciTc,ahfurdu enim critrfcd ^pptcrca quod non
fcparatur , idc cffc nonnul- li cxiftimant.Et ahbi eodc libro:Pcrfk ic auccm
muncns funciione voluptas, fcdnon lta perficitvt rcs fubiccta,&: fcnfus
ipfe cum bcnc fc habet:qucadmo du bona valctudoalitcr in caufa cft cur ahquis
valcat,aliter medicus.Pcr fen fumquoquc mcmoria&ciannexarcmiiiifccntiafict.
Quoddocct Anftot. C jn illo hbcllo,&: in proccmio mctaphy. ( Aut pafliones
fenfuu funt) vt ira,cu- piditas,& alia huiufmodi.In fccundocnim dc
moribus,ait, AfFcctiones voco
ciipiditatcm^ira^cxcandcfccntiam^odiumjtimorcjfpcjinuidiamjgaudiujbc-
neuolentia,xmulationc,mifcricordiam,ca dcniqucomniaqux voluptas vcl dolor
confcquitur.Qui igitur nomen hic alio modo accipiu nt , mamfc- ftecrrant,
cnumcrata cnim &: illisanncxa rcfpicit Ariftotcles. ( Aut funtha-
bitusfcnfus),vt iuuentus&: fcnechis,quaru tota vis&: naturacft,vtfenfuum
tcpcratiooptimc vcl dcbilitcr fc habcat. ( Aut fcnfum cuftodiut) , vt rcfpira-
tio,fanitas,vitaqucipfa.(Aut tollunt),vtfomnus,morbus,&:mors.Scdin his non
ita lupcrftitioli cflb dcbcmus,quin fatcamurvna&: eandc cx hisopcra-
tionibus,in pluribus iftis fcdibus,alia atquc alia ratione collocari poile .
Pcr- gamus ad reliqua que, maioris momcti cifcvidcntur.In hac partc lllud primu
attcndi&: cognofcicupio:Agi lcilicctinhis hbrisdc opcracionibuscomum- D
bus&: propriis animaliu tantum : ii cnim plantas inter hxc coniidcratas
cflc vclimus,qua rationc Ariftoteles omncs lftas opcrationcs ad fcnfum reducc-
rc poifct.cum plantx fcnfu iincdefticutx?Prxccrea,quonia ulcirco coLhgitur
opcrationes illas cnumcratas animx&: corpon vnaconuenirc,quia cii fenfu vcl
pcr fcnfum fia t,aut aliquo alio modoad iplum rcfpiciant,hac cadc i atio- nc
probabointcllcctum,vcl ipfum intclligcrc,ideft7 wur,cam corpon qu am animx
communc cilc . Namatusintclligcndifitpcrfcnlum,cx fccundo &: tcrtio libro
dc anima: Oportct cnim intclligetem ad phantafmat a fc con- ucrtcre, phantaiia
autc non iine fenfu fitcrgo achis intclligendi ta a corpo
requaabanimapendct.Ncc eft quod aliquishocitaeludat, Nimiru vcJ phl tafmata non
fcmpcr pcr fcnlu rccipi, quia imaginamur chymxra,qux tamcn c. ii. x8 DE ORGANIS
SENSVVM, nufquam fubfenfumcadic: vcl lnceUcchimabftraherealiquandoaphanraf- .
macibus,quiaDcum&: Incclligencias pcrcipimus, quorum camcn nulJum
phanraimaproduci poccllnam,ncqucimaginamurchym.cram,niiipcrpar- ccsfuas illa
leniu ancea pcrccpca iic, ( vtclicicurcx Anftotele in librodc lb- mnoSi
vigilia)ncqucDeum vd Intelligentias incelligimusabfqucconcinuo &: motu.a
quibuslcnlus nunquam iciungipoteft.lcddcrchacplunbusinli- bcllo dc mcmona .
Porro omne noftram cognicionc m a fcnfu pcndcre, Ari- ftoccles kcundo
poftcriorum analy.ad finc,&: in prooemio mecaphy. &: alibi frpiflime
ccftacuscft. Iam vcroalia ltem dubicaciocx his quxdiximusoriri
vidctur,nimitum,vcrumnc iit notitiamfcnfus,icavcramcercaque fcmpcr cflc,vt
nunquam dccipiacunquod li cciam cft,cur ldcm dc inccllcctuaffirma ri non
poffit.Vc prioriobic&ionifacisraciamus,ccncndu cft defcntcncia Ari ftocclr.
&: GrCoruminrerprctum,intellectumduobus modis accipipoflc:
vclquainfcmanct,idcft iutwr^H^vc Simplicij morc loquar, vclquaafc- B ipfo
rccedic,id cft * wfw9Mcliue(vc Thcmiftii vcrba fcquar)qua vna Incel ligenciarum
cft,vcl qua nobis luctus . Priori modo conlidcracu,dicoabfoluce (quadc rcalias
in noftrisqu.rltionibus)cum Thcophrafto,Simplicio,&; Thc miftio,intcllccKi
noftrum propriam fibiq\ic'''l eft ^ mulcaspropolicioncs;tianlit,antcquaml'uumfincm
colligat . Tcrtia caulai- pfcmcticnliis cft,qui incellcccuivcl cogicaciux
im.dus, fuam illi cribuit im- pcrfctioncm:lcdhxcquxSimplicius&:
PhUo('ophusdoccnc,an vcra linc,&: quomodo intelligi dcbcac,c6modi 9 a nobis
alio loco aliquado dcclarabuur. 6 A' A Aa % (Af) aj&rVKiK C ui&drtfyft
jffli ovftfittfrft Sf f tS?T0 5* Sed dc fenfu quidcm,& fcnriendi
racionc,& quarc in animaJibus hxc pa(sio infic,dicl:um cft in libris cle
Anima. Hxc cft lccunda proccmij pars,in qua Anftocclcs commodilsima occalio- nc
fumpca ab ns qux m priori dixcrac , ad parcicularc huius libelli propolitu
cxplicandumdcfccndic.HocAicxanderquoqucinprimis vcrbisquarti co- c. iii. jo DE
ORGANIS SENSVVM, mcntariidifertcfatetur,(vr acucc illa lnrucnti patct )alii
tamcn concedere vcl vi.icrc non potucrunt.Nos igitur vcnorcm hanc fcntcntiam
fcquuci,di- cimus: Ariftotclcm,poftquam dcclarauit opcrationcs tam propriasquam
communcs a n i m a 1 1 u m >. corpori anim.rquc conucnientcs,libi in
hislibris pcrtfattandas eife,Scn lu inquc inror illas pnmum cnumcrauic,
probauitquc omncsaliasvclcumipfovclpcripiumficri: nunc,vta pcrtcttioribusScma-
gis proprus ( quxlupra T ieJ7*vocaucrac ) cxordtarur , dc palfioneipfaqux
lcnlus dicicur,acturum tc cllc antc omniapolhcctur . Atqui dc lcnlu, dea&u
fcntiendi,&: curanimahbus lcnlus ipfi tnbuci linc ,quod hi fcilicet ob
nccefli caccm,ali| ob vic.c cuftodiam , vcl pcrtcctionem: ditum clt libro
fccundo dc anima: rcliquum igitur elt , vtablolutamtcgraquc notitia lenluum
habca- tur,de lnftrumcncis fcncicndi,ipfifquc lcniihbus obicctis verba facere .
Hzc loquicur,hxc polhcccur Anitoccles in rocahac parcc,qux vfquc ad fecun- p.
dum caput, id clt ad TraCtacionis lnitium ccndic.Quarc non pollum non im-
probarc alios qui hic cxordium tcnninanc >& tra&ationis micium cflc
dicunccum t.imcn ab Anftoccle nihil hactcnus propofitum iit,quod ipli pro
fisopo huiushbclli lumcrc pollint: mvcrbis autcm quxicquuntur( vt patc-
bit;apci tc id omnc proponacur . Hancigicur fccundam procrmu partcm, nos
ltadiftnbuimus: vt primum quxdefcnlibus dicta func, in gcncre cxpli- cct:mox
nonnulla ex llhs a fcopohuiuslibclh minusalicna ,in fpccicdecla- rct poltrcmo,
quxdiccnda lint,apertc cxponat.Primum crgoita fcreloqui- cur Anftotcks:
Dixivcllcmcagcrcdcoperationibus commumbus cVpro- priisanimaliuni,cv intcr
haslenlumprimum locum habcrc: dc lcnluigitur quantuin ad quid lit,cv ob quam
caulam fiat(vcpollicicusfum)mihicractan- dum ettiatqui um lnhbnsdc animaquidlit
fcnfus,& lpla ratio lcnticndi, prxcerca vcro cur in animalibus inlit,
abundc dcclarauiufta igitur non crunt C mihivllomodorcpctcnda. (Dcfcnfu).
Facultatem iplam incelligicquC; ( itacx fecundo dc anima hbro rcxc.5 i,cv
iii.defcribi poccrt.Scnfus cft vis vcl facultas quxdam pacics,ipccicrii
vclformarumablquc matcria immcdiace fufccptibilis.additur vcrbum Immcdiatc , vt
lenfum cxtcriorcm(dc quohic fcrmo futurus cft)ab intrinfeco fciungamus . (
Scnticndi ratione, vel, fcn- rirc},in(kxcocft^^,Attioncmiplam(quxnihiIaliud
cftquamfacultas fcmct prodicns/iiucactumfcnticndiinttlligit. EftigiturTo*a*.3wattiocx-
cit.ita ab obiccto tcniih in iacultatcm , quando faculcas fcntiendi inipfum
quali fingtDU &: informatur. (Etquareinanimalibus hxc paflioiniit). Infi-
neccrtn libmlcannna,oltcndit Ariftocelcs fenfus animalibus obncccflita- cem &c
lalutcm cnbutosfuiflc. Scddcrchacmfracum codcm particularius agemus.
(PalIio).Omncquodrccipitparicur,idcirc6quc intcllcctus noftcr jy qua nobiicum
mngicur &: rccipicpacicnsappcllatur: quiaigituradiofcnfus fuiccptionc
fpccicrum icniilium fit,vc in fccundo hbro de animadcclaratun pailio,caquc
pcrficicns( cumpcriplamfacultas adactumducatur)iurcdici potcru.Scd oritur
ft.icim dubicario quomodo fic vcrum, icnfum cllc faculca- tcm pacicntcm: nam
hoc pofico fcquerccur Nucricnccm f aculcatcm illo pcr- fcctiorcm elfc: n u t n
1 10 enim vis actiua cft , &: in fuu obieclum ncmpc nutri- mcntumagit,vt
Aucrrocs diferte fatetur m fecundo dcanima t.^z. prxtctca agenscil
nobiliuspaticntc:vnumquodquc igitur fcnfibilc in fcnfum agens fcnfu
cxccllcntius clfct . Abfurda qux ex hifce fequuntur , erunt hxc: prip mum, vis
cognofcens impcrfedtior erit non cognofccnte : fccundum,co- lorvifu digniorcfle
dicctur. Huc acccdit quod Ariftotelcs in primo de onima texc. 6$ . contrarium
aflcrcre videtur : ait enim fcnfum non pati, V >P?T! SENSILI -BfV . 3 a ji
ide6quefenem nhabcacocu^umiuucnisvicsiforerpcdaturum viiuuenis:in
fecundocciamciufdemcra&acioniscex.35.$6.& jy.animamcf fccauiam cor-
poris fuaramquc opcrarionum crhcictcm docct.Subobfcur.i eft hcc qucftio, ob
nonulla alia Thcorcmata,qux lecum airerc ica cxplicacu d. lfficilia , vc gra-
uiflimis cciam philofophis haclcnus ncgocium exhibuiifc vn lcatur. Scd lanc
ifta percincnc ad libros dc anima, intcrprccifque munus eft,n- i 1 adco vcllc m
iingulis vcrbis hxrcrc, vcxmuiia vbiquefeuereexpcndac. Nm irum vbi prx- cipuum
gcrmaniimq; auchoris fcopu cxcuifcric,& ea qux ad i . !ius llluftracio- ncm
fpcccancacculcnr acquc cxaminaucric, fuo muncrc abi. nde pcrfunctus: rcliqua
func fuis locis conlidcranda,nc vcl lcienciarum vel T 1 leoremacu con- fuiiooboriacur.
Nosigitur(vtquidcmcxiftimamus ) fatisoihcionoftrofcce- rimus,ii,vc
Ariftotclcmab iniuria&mconftancialibcrcmQs.irgumccaaliaca
diluamus,locolq;addudoshuicnoftro minimc repugnarcoircdamus. Dici- mus ergo
raculcaccm nucricndi, actiuam cile : medio cnim alore H Ta tj) u* Jor
fiopify/dp. 7 Animahbus autem qua vnumquodque animal eft , necefle eft inelTe
fciifum: hoc enim, animal & non animal efTe determinamus. Hocvnum
cxilliscft, quxinlibris quidem de anima,fucruncexplicaca: hic vero canquam raca
poni oporccc Vnumquodque fcilicec animaJ , qua a- nimalcft,(cccicfte
excipimus)fenfumhabere: acquc hocfolo anon animali- bus primo dii*ccrni.Que ad
huiuirci prohacioncm, ab Ariftocele rerciolibro deanimacex.fo.dicuncurjhxc icre
iunc. Animal elicpropcer finem, hoccft vcilludgcncrcc quodlibi
adlimilicudinemforma*rcfpondeac,idcirc6q; fcn- j fu prxdicum cflc oporrcrc.
Aflumpcionem canquam nocam ponir , colcquu- cioncmprobac. Qu.ia lccusccmcrc
natura toctantafqucanimalium formas edidhlct , niii adiumcnca quoque lllis fuppedicaflec
, quibus ad fuum fincm perucnirc poflcnc. Talia adiumenca func fcnfus , nam li
gencrarc fibi fimilc dcbcanc,neceirc cft quoquc vt cibum
lumac,quoalancur,augcancur,cadem- quc femcn cmiccci c poflinc. Acqui cibum iri
loco vbi gcnica func non habec, neque elcmcncisaluncur , vc plance: nccelTe
igicur fuic vc a longmquispar- tibus pabulum pcccrc &: pararc polTcnt,ca
uccu,guftu, vifu,aliifquc lcnfibus prxdica fuifle, quibuscanquamdc fpecula
prarmoncrcncur quid appctere, quidadirc, vcl declinarc oportcrec. (
Quavnumquodque aniraaleft). at*J>- 9***h
prima7lpcciei,idcirc6quccaufaminhxrencia:accribuci m fubicctono- cat,eamquc
formalem, hoc enim animal in dcccrminaca fpccie ponitur,quia C fcilicec fenius
obcinuic, vcvcrba fcqucrrcia declaranc (Hoc cnim animal &C non animal
cflcdcccrminamus).Vcha:cvcrbacommodiusincclligantur,fci-
cndumcft,Tnaeireinhacinferiori mundi parcc animancium gcnera. Ali- quaenim
duncaxac viuunc,idcft aluncur, augcfcunc, &: cxccnuancur ,&:ad fibi
limile gigncndum apta funt:atq;ifta7i{2r7*id eft viueria,&: 7k?vhti%tT* vo-
cacur ( ccftc Philoiopho fccundodcanimaccx. 16.) Nonnulla vero fcntien- ce
vi,&: tcnui quodam cognolccndi iudicioprxdita,vidcnc,audiunc,olfaciuc
guftanc,cangunc,rcrummocus &:quieccm percipiunc: figuras itcm&: ma-
gnicudincspr.ccerca vcro inccriorc quadam faculcatc, coru qux fub icnfum
cadunt,diicrimcn allcquuncur,eorumqueimagines in memona rc cc ndunc.
Hxc1kZhumidi,licciq; D poiicus cft,idcircoq; ( vt idcm quarto libro
mctcorologicorum docuit ) non- nilicxtrcmaiudicarcpotcft. Hxcverbacxprcflc
nccelTitatcm abfolutam in Tatu ponunr.quod a mulcis eciam ahis fuic
animaducrfum : Qux camcn cx tex. 6 j . ccrcii dc anima fupcrius func allaca his
difcrcejpugnarc vidcncuc : Nc- que cnim ad E(Tc,fed ad confcruacioncm , Taccum
necclfarium dici dcmon- ftranc. Equidcm huius qu^lici vcriracc cx duarum rcrum
nocicia hauriri pof- fc arbicror. Quarum vna eft. Iplius ncccllarii mulciplcx
(ignificacio &vis v- niufcuiufque lignificacionis propria : alccra,Ipiius
fcnfus nacura. Vcrumq; ex Ariftocclc oftedi potcft.Primum cx quinco libro
mctaphy. cap. 6. vbi accura- tcNcccfTariiquatuor fignificata & rcccnfcncur
, &dcclarancur: Eaauccm omniaThomas(qui,quantum ego iudicarc po(Tum,cgrcgie
libros illos mcta- phylicos E T SE N S I L I B V S. }S A phylicoscftinterpretaws)addaopr^cipuacapitarcducic:
vno,Ncccflarium fimplicicer fi ablolute, ideft 1a*mt*i*ynp*r didtum. Altcro ,
Ncccllarium fc- ainddOjtudjidcftjiyr^continctur.Ncccflarium fimplicitcriilud
cft,quod ali- xcrfehabercnonpoteft. Rcmautemaliter fchabtrc ncn poffc,aliquo
rei infico imimoquc efficitur:Tale cft vcl forma rei, vcl matcria , vcl
ipfamctef- fcntia.Iuxtahanctriplicem Ncceflitatis abfolucx
caufam,diccrcfolcmus,A- nimalneccflarioabfoluteinterituiobnoxiumcfle, rationc
fcilicct materia*, quaterms cx contrariis conftat: Itcm, animai cflc neceflano
fcnfiie, quia hoc habct a propria forma.-& eflefubftanriamanima ficfcnfu
prxditam,quiahoc cft eius eflentia. Ncceflarium autcm fecundum quid, dicittn
u1,cijius ncccf- fitas non cx aliqua rci infita , fed extnnfcca porius caufa
proficifcitur. Caufa extrinfcca duplex cft , Finisfic Efficicns. Finis autem
cft , vcl ipfum Efle rti, abfolutum : neceffitafquc ab eo fumpca, pnmum modum
Ncceflani con- B ftituit, ab Anftotele #ui7w vocacum. Excuius modi rationc, cibum
rc- fpiracionemquc animali neceflariam, vt animal viuerc cfleque poflit: vcl
eft l aliquod bonum,adbenccflcpcrtinens :n"cpharmacum ad fanitatcm rccu-
perandam:(ic dixtam ad eandem conferuandam neceflariam cflb fatcmur.
Caufavcrdefficienstcrriummodum nccoflarii cfficit, quod violcntum ap-
pcliaturquando nimiru rcs,abcxrrinfeco moucntc ad id impcllitur,ad quod
expropnanaturanoneftaptamoueri. Altcrum vcroquod anobis cognoici dcbet,ad
naturam fcnfus fiueanim? fcntictis pcrrinct.Quare* dicamus vnicu rcipfaincunttisanimalibusfenlumcfle
, qui vc propriis quibufdam fijpccu- liaribus inftrumctis,ad
rcscxternaspcrcipicndas vtitur,tachis,vifus,gufttis, olfatus,auditus
nuncupatunplura aute^ni fi diuerfa iftaorgana , a natura in- fticuta (uncquia
Senfilia,non vnica ratione, paffioncm m corporibus anima- lium efficiunc:
Alitcr namq; fapor , alitcr color, fcnfum afficit. Ipfc itaq; fcn-
fusvnicuscft,incordctanquaminrcgiamancns, ccntriquc inftar obtmcs,
atqucadipliimresomncscxtrinfecusobicdxdefcrunttir. Hicdulccdinem afono,8odorcmacoloredifrcrrc
pcrcipit: juanuis enim guftusa lingua, auditusab auribus , olfacrus a nanbus ,
vifusaboculo,exordiantur;non ta- mcndelinunt nili m fcnfumcommunem,
imoabcofolotcrminantur. Qua etiamracionc(iircsipfe obicftxadliint )fenfus communis
nominatur. His addcndum , quod Ai iftotclcs in fecundo dc Anima ttxt.5. 6. 6$
9-docct : ani- mam nepc&: quamlibct eius partem Attu fimplicitcr cflc:
Acrum jpric dico primum,cumcfle rci opcrationemnatura prxcedar.
Poftrcmpattcndcdum eft,Nan*ramqunil vnquam fruftra facit,& pcrfcdtioribus
rcbusdiligJtius femperconfulit,in vnoquoquc ex cribus generibus viucncium fupra
cnume- cacis,qua/i pcrgradusincedcre. Licetcnimomnia animalia(alia modo omic- p
co)cxfuinacura fcnfum habcant, non tamcnomnibus omncs func fenfus dati.Carent*r
dici debet.Ex his ctiam patet,quidfc" cudo argumcnto relpondcri pollit.Nam
fcnfus Tacius cft quidcm fcnfus ah" mcnti,quatc nus ex iflo alimur , cx
quo conftamus : conftamus autcm cx prf mis qualicacibus,quorum fenfus,cft ipfcTa&us.Guftus
vcroajiararioncfcn" ius alimcnti dicitur,nimirum quia fuauc & infuauc
in alimcnco folus iudicat> atqucdifccrnit: quofitvt faporaJimcnto
condimcntum aft*ctrcdicatur,pra:- tcra nihil. Dicimus ergo Facultatcs pcr fua
quidcm obicta pnma diihngui: fcd no fempcr ncceile cft,vtobicc"ta illa
rcaliccr lciucta fint: fat cnim cft ii ror- maliter diftinguantur. Idem nanquc
rc nutrirncntum cx Ariltotelc fccundo de anima cont.42. obicctum facultatis
alcntis &: gc neratis eflc dicitur : huius tamcn,quatcnus id cx quo fubftantia
fit:illius vcrd,quatcnus id,quo fubftan- tia confcruatur. Tcrtioautcm tacilc
cft rclpondcrc. Eccnim cum animal im- motum loco , &: radicibus amxum non
ha:rcac , cibum iibi inucnire, fumerc, B pararc,proriulquc concoqucrc
dcbuit:quo ctiam fir, vt ad hos vfus mulca in- ftrumentaobtinucrir, quibus
omnibus plantai dcfticuutur. Vcrum cibis qui- demalituranimal, nontamcn
omnibus, fcd nstantum qui ca qualitatum tcmperationc conftat,qua: iic iu*e
natura: conucnicns: atqui faporcs funt pri- rr arum qualitatum, quaii nUvr*) $C
indices : iurc igicur guftum obcinuit,quo dc cibis omnibus, libcrum iudicium in
fuam falutc m fcrrc poflct. Plantx vc- ro,non
modoquiamcdiocritatcillaqualitatum carcnt,quam faculcas fcn- cicndi
dciiderat(vt docct Ariftot.fccundo de anima cont.114.) V 1 ifta vtilc ab
inutilidifccrncndi,cognofccndiqjdcftituuntur: vcrum ctiam ,quiaabfque
huiufmodiguftandifacultatccommodc ali poiTunt :fumunt nanq; alimcn- tum a terra
, iam propc digcftum ad alcndumquc accommodatum. Quod ii ^ plantarfuccum cx tcrra
cum fuanatura congruentem cxugcrc vidcantur : id C naturafolum,
noncognofccntealiquafacultate,autiudiciomcdioficri cxi- ftimandumcft.
(Alimcntum.) Hoc&contrarium J & iimile corpori alendo dici
potcft:cotrarium quidcm,antcaquam concoquatur(ctenim in naturam
corporismutaridebct, omnis autcm mutatiocx contrario in contrarium fit)limilc
vei 6, cum iam concodum fucrit, &: in fubftantiam corporis alendi
conuerfum. Alimcnti igiturproprium eft,conferuarc,&augerc animal: di-
coaugcrc intrinfccus,id cft rationcform$(ha:cenim veraauttioeft,vcex pri mo
libro de ortu Sc intcritu difci potcft)non cxtrinfccus, &c rationc matcna?,
quod inanimisctiam accidit. Pnrtcrca,nc putcmus hic aJimcnti nomine, id
dciignari , quoda&u iam alitmam ncqucguftus ncquc taihis , ad huiufmodi
alimcntum ncccflarij ciTcnt, ciim animalia tunc maximc aJatur cum fcnfum nuJlum
habcnt, id eft cum dormiunt , quemadmodum aJibi docct Ariftotc- les. Alimentum
ergo in hoc contextu id omne vocatur quod ad alendum a- nimalaptum cfle potcft.
(Et omnino fapor eft alcntis partis paiTio.)Quid lic fapor,&E fajixxf ^it In nonnullis vt nos lcgimus.
Ratu) autem eft-.Quia, inquit,ahfurdum cft allcrcrc alcntcm animam a fa-
poribus pati:pcnndc cnim cft acli dicatur , alentcm animam faporcs fcntire:
atquitacultasalens,noncftfenticns. Poflumusiftam Alexandri lcctionem rctincrc:
tum enim planior quidem crit fcnfus , fcd aho modo ratio Philofo-
phidcduccdacrit:&praxcrea vcroaliquadubitatioorictur. Porro argumen- B
tatiohuncinmoduni difponctur: Guftuscft lcnfus,iudcx faporum: igitur Guftus cft
fcnfus iudcx alimcnti:confcquutio infcrius dcclarabitur , quia ni- mirum Sapor
lit alimenti paflio: & caula cur animal cibo vtatur cx Aucrroc in fecundo
dc anima,cont.i8.maior probatur,quia Sapor cft pallio liuc obic- chim propnum
Gulhis. HaeC autcm cft dubitatio : Quia fcilicct non vidctur rcctc dicj polfc,
Saporem cflc pailioncm Guftus.Sicnim fcntirclitquoddam pati,& omnis
pallioab aliquocfTicicntc, &c quod actu iit pi oriciicarur, (ex fe-
cundodcanimacont.54.)faporquiguftum etficit, quomodo non achuuspo- tiusquam
pafliodicidcbcbit? Quinimo verba Ariftotclis,lccundodc anima " cor.105.hoc
ipfum difcrtc cxplicat,quc_ iunt ciufmodi:Quarcguftatiuum cft, quod cft talc potcftate,guftaDiIc vero quod
cft cfTcdiuum achi cius. Refpon- dcri potcft ad Alcxandri partes tucndas, cx
Ariftotclc quinto metaphy. cot. 35. Paflionis nominc appcllari,non modo motus
ipfos,&: altcrationcs,vcrum ctiam qualitatcs, quibus corpora mutari atq;
altcrari poflunt : vt album , ni- grum,aulcc,amarum,qu$omnia in Categorus
cap.dc Qualitate m$*7i$ Stdxxiiet rtiTrPoaj&avOfjdpa r %o- tpluu, Kj ra
fauXct tt) ra fiVaj j-tAwri Jfe$opa\ }
c% elv \\rt t$ ro*-ffi tyylvtraf ppmnc , c- cies ?a>*?inw veluti planta
radicibus afHxa Iqco non mouetur , tenucmquc co- ETSENSILIBVS. 41 cognofccndi
vim affcquuta , tafom,guftumquc iolum habct, quo prxfcntia . tantum obiccta
iibi oblata pcrcipcrc qucat.Scquitur animaliu gcnus locum
mutans,atqucincedens:quod non prxfentia tantum ,fcd abfcntia ctia ,co- N
gnofceredebuit:idcoq, pratcrca&um,&gultum fenfum olfachis,vifus,audi-
tufq; obtinuit. In fuprcmo tandcm gradu animalia collocatur,qux no modd
fcnfibus omnibus, fcd mcntc etiam rationcquc vigcnt. Ariftotel. crgo vfum trium
fcnfuum poftcrioru in animalibus declaratmon modo qua loco tatum moucntur,vcriim
ctiam quaviuuntintclligencia.Senftisfinquit)olrac>us,au-
ditus,vifus,quimcdio cxtrinfcco, cfficiuntur,iaIutioniniumanim.ilium qui- bus
infunt ( infunt autcm omnibus ingredicntibus)hunc vfum afferut : quod
illismcdiis,animalia veluti prxfcntiencia , cibuQ) iibi quxrcrc Scinuenirc,
preccrca vero omnia noxia,fuxq; vit corponq; aducrfatia,dcclinare pofllnc.
Q^ddfiprxterinccfliim,rarionem quoque fint aflequuta ,iamhabcnt quo" B
horum fcnfuum mcdio,multam rcrum lntelligedarum cognitionem,agcda- rumq;prudcntiamiibicompararcvalcant.
Hisinverbis multa funt anobis cxpcndcnda : quod vt commodius prxftari poflir,a
primis crit e> ! um . Docct Ariftotclcs olfaftum, vifum , auditum
,omnibusanimalibus ihgredi- entibus,vt illorum faluti confulcrctur,tributosclfc,
Idcmvcrd qu.mcum ad primam partc attinet,docuit iecundo dc anima cont.i j i .nc
mpcanimali- bus pcrfctis omncs fcnius tributoi fuifle. Vocat autc aflim.dia
perfeira,qux locomouctur: quiafacultas moucdi( vtibi Plnloponus ait)
citracultatc (cri- ticntc pcrfedt ior.Quarc vbimcliora,ibi quoq;
aderuntdcccriora. Quantum vcrdad fecundam partcm, Ariftotclcs rcrcio dc anima
cont.^8. cxprcflc do- cuit , Scnfus iftos,non ad efle : fed adhoc vt benc
linr,ammali tributos fuiifc. Sedhteprimumquxritur,An vcrumfir,animalia omniaquejoco
moucncur, C Scnfus omncs habcrc:prxterea quomodo vifus , auditus , & olfacf
us faluti a- nimalium conferant. Prioris quxiiti occaiio , a Talpx natura
przcipuC liim- pta cft,qux loco mouctur,vt conftat, vifu tamcn carer,vt vidctur
Ariftotelcs docerequartolibro dehiftoriaanimalium cap.8.prxterea ab Apibus,quas
audire in proccmio mctaphy ncgat. Talpam autcm oculos habeie c Oltat, cx
fcaindohbrodcanima cont. i ji.&quarto dchiftoria animalium cap. 8.i- ccmq;
pnmo eiufdcm tractationis cap. 9. qud ctiam fit,vc quxliri occaiio ma- iorcm
vim haberc vidcatunnam(quemadmodum ait Simplicius cx Ariftutc -
lefecundocxlicont. jo.)cum naturanil fruftrafaciat,atquc oculos Talpis
dcdcriceifdcmquoq^vilumtnbuidcnccefle cft. Fruftrananque cftcalcca- mcntum
cuiusnon cft calceatio,ex Ariftocele in primocxliconc.ji.lmohoc fcre codcm
argumcnto, probat in fccundolibrociufdcm rractacionis , aftra nonhabcrc
facultatcm,quade locoadlocummoucripoflint, quia nimirum
inftrumentisadmotioncmaptis defticuancur. Aucrroeshuic qua-ftioni fa- tiflacere
cupiens,ait:Talpam habcrc quidem ocu!os,carcrc camen vifu:quia D Naturaqux
fcmper mcliora rcfpicit , cognofcens nutritionem Talpx vtilio- rcm fore,quam
vifum : (fubtcrram cmm aflidue dcgit, lllamquc fodjc, vcei- bum
fibicomparct)Talpxoculos pcllc illaobtegit,nccibum \ cnando lxdc- rctur.
Additprxtcreamatcriameiusadplura rccipienda aptam non fuifle, quaii fcilicet
matcria illa tcrrca multum , non fit perfpicua , vt inftrumcta vi- dendi
requirunt. Thomas Aucrrocm iequutus eft : &: vt fatilfaciat Anfto- teli
fecundo dc anima contcxtu 131. dicerc vidctur : Animal ucrfc&um, omnia
quidcm *t&*7if* habere debere , non tamen omnes lcnfus : ac- quc itaTalpam,
animal pcrfedhim eflc, cum omnia organa fcnfuum ha- beat , vifu tamen
dcftituatur . Qudd ii dicas , Naturam nil fruftra agerc, DE ORGANIS S E N S V V
M, rcip6dec : AiArrfpw iUa^dcircoTalpxcntnitAfuiirc.vcingcncrc perfe&orum A
unnnalium collocatacile vidcrctur. Zimara m Indice, htcraT. candem lcn-
tcnciamaducr(usSunplicium&: Albcrtum tuctur. Argumcnns autem ali- '
tcrquamThomas fatilfacu. Nam nequc fruftra oculos Talpxdatos ruiHc ofccndit,
qma rcplcnt vacuumillud &conc.uium,quodintcrduos (inus o- culorum
continetur:& Nacuram nil agcrc niii proptcr rtncm , aliquando ca- mcn cafu
impcdiri/atccur. Scd qux ab iftis arTcruncur vcl nimium cralTa vcl nullius
momcnricile vidcntur.Aucrrocm in prxfcnciaomiccamus, quiargu- mcncis no
refpondenTliomc. 6c Zimai x vcrba,abfurda craifa cite dcmon- ftrerous. Namquaro
impiumlic,nc dicam faJfum , diccrc , Naturam idcirco tancum,oculos
inTaJpapofunTc, vcro gcncrc animalium pcrrcctorum col- locatacllc vwcrctur,
oronibus iis conftacqui Naruraro, non qu6d apparcat, g Jcd quod vcre iic,
quxrcrcnorunc. Alchymiftarum illud proprium chV, non N.uurx.Idcmdc illis
dicoquioculosTalpx ob dccorcm cancum trihucoscf- fc dcfendurit. Prxccrca, Ci
Talpa habct omniaa7,r/*, vcl illa iimt prxdica (uisopcrationibuj,vclnon; Sinon,
crgooculus Talpx xquiuocc octihis &. vclun lapideus dicctur,(quod Aiiilot.
aduetJatur). Si fic, igirur Taipa vidcc. Tcrci6,Jn6nncNatura conunpdius
concauitates illas , vtvacuum fuecrct, c arnc rrcpugnantAriftotch,qui fccundo
libro pnydocct, Eaquxacaluiunt,rar6 crfici:.uqui Talpanunquam non
itanai*cicur.Addoit n.uui.i ingcncratione Taipe. impcdiretur,fa&um iri Monftrumaliquod:non
a.utc Talpa cum his oculis code (cmper modo fc habccibus. Solus ltaq; Sim-
plicius huiusquxliti vcutatcm aflequutus eihquiTalpamvidcrcarfirmauit. C Cuius
lciucntiAargumccisfupcriusallatisprobari poccft:prc;ccrca vcrofuui- Ittudine
acquc cxpci icnt :.\. Jiccnim Ariftoccles quarco dc hift.ammal. cap.8.
dcclaracPifccs quoidaro(vcGyprinum)quia palacum carnofum lubccquod lingux
adJixrcntis&iramobihs vicemgcric, Guftumobciruiiilc. Curigicur Talpxnos
viium,aufcremus, cum inftrumcnra advidendum aptalit conJc- quuta? Atquiccrncrc
liccc, Talpam aliquandoa fuocumculo ibi
vcnandi acia egrellam,longiufq; progrcllam: liftrcpirum fcatiat, incrcdibili
cclcn- tace ad (uuro cuniculum rccta rcucrri? Miru id eilcc , ii oroni prorfus
viiu dc- ftituerctur: quacnmi rationc folo olfa&u hoc cificcrcqueat,vix
potcft mtcl- ligi. Diccndu cft lgirur, Naturam, quxlempcrcum rationc comuntfca
cft(vc doccc Arilc.fccundodcorcu&intcricu conc.41.) Talpis
quidcoculosdcdiife, lllolo; pclllcula^laccnuiobcegi(^e,nonvcnonVJdcccuc,fcdnc
vidcdolxdc- q ivncur. Cum cnim Talpa cibum toca facie ccrram fodicndo quxrac ,
facilc a quolibct corporc cangcnccorfcndi pocuiilcc,ni(i cah veluci fulcro,illi
naxura fubucmjU. c : idcircoquc pcllis tlla cenuiilima eft , & abfque pihs,
vccranlpa- rcndo Talpa ccrnerc poftct. Vbicunquc aute Anftot. Talpam non
ccrnerc, vidctur alicrcrc, nonalia crit a nobis rationc audicdus, quam ca qua
fcipfuro libris dc luftoria Animaliu inccrprccacur. Priroo cnim illi 9
cractacionis cap.9. ica loquitur : Habcnt profccto oculos animalia qux ^nimal
gcncranc oronia, p 1 xccr Talpam quam modo quodam haberc dixcriin, cu camen
omnino ha- bcre ncgc,quippc cu omnino quidem ncc vidcac, ncc pcrfpicuos habeac
ocu los. Exquolocopaccc, AnilotcJcm ncqs oculos ncq; vifuraTalpis omuino aufcrrc,
fcdj oculos pcrfedos,vifumquc pcripicuum.Qupd quidcm &: nosfa- tcmur :
11110 niiiiioc mode Nacura c uni Talpis cgiftcttfcprchcndcnda forcc. Qupr- ET
SENSILIB.VS. rj , 4 aiia pctc rc poflit.Rclpondcndumcil,pra-tcrcaqu.c-
tupcriusacculimus: Tactum cflc ncccifanum ad lalurcmanimalis, fcd 111
hocabaliis fcnlibusdirfcrrc,quod mcdio tactu,ca vitarc licct quc, totu anunal
taderc atquc corrumpcrc qucac Hac funt cxccfliis pnmarum qualitatum:nam(vc idcm
conc^y.icnbicjcvcci ius tactiliujntotumuciuuitaiumahTactuscnim^^wwcocum corpus
ani- malishabctucanimalautcm ii tali lcnlu carcrct,tam pcrigncni quam pcra-
quam inccdercc Abi vcrb lunt quidcm ad ialuccm,fed non totius primbnc-
quccxupcrantia ibni,odoris,coloris, aut fapons , tocum v .nnmalmi- ii cx
accidcnccjlcdluum tantum a '^' ' ">' propnum,coi nimpct . ( Scnfusqui
pcrcvccma fiunc). Anftoccles certio de anima conctfadoccc, animalia ii lal- ua
tucuralinc,non modboporccrc vc cangcndo fcncianc, verum criam clon-
ginquondcircbqucfcnfusquic longinquo fendunt , pcr mcdium cxu mfecu
cmciuntur.Omncsautcm fcnfusmcdiocgcncScniilc cnimfupralcnium po D
fltum/cniioncmnon producit . Scd liuius pocillima racio clhquia vt fcniiis,
lenfilepcrcipiat,nccciicclr piimiim vt in lllud quaii tingatur atquc rormc- tur
: atqui idticri non porcrit,niii primum fcnlilc , limilc quodammodo fcn- fui
rcddacur.Scnlilc auccm cxcnnlccum,corporeum cft,&: maceriam prorfus
obcincns:fcnfus vcrbfpiricuahs&C immatcrialis,cnmfaculias animxlit . O-
portcbitigitur feniilc priys fpmtualcrcddiquamalcnfupercipiatur: vcrum non
tranlibn vnquam ab illotuocorporcoprorfuiquc matenaliEllc,quod in fcfc
obcinecadillud f.jfc multum fpnitualc , quod m icnfu acquiric , nili pcr
gradus.Inhmusaurcm ommum cft in iptb mcdio, rn quo Uium,icnlileacqui- ncltavt,
qucmadmodum Aucrrocs ahquando m hishbrisaic torraam rci (cntilis in phantafia
cflc magis fpiricuaiem,auam cum cft m fcnfu communi: ic adhuc magis in fcntu
comrtuuii > quam cum cft in tcnlu cxteriori: Ita dici- mus formarh illam in
lcnlu cxccrion fpiritualiorcm adhuc eifc , quam cum oyu^VS d f iiUi 44 DE
ORGANIS SENSVVM, cll in mcdio:in quo canquam m infimo gradu(vc ica dicam)
flendi fpiricualc ^ rcpericur. Proprerordinc
igirurgradusipinrualicacis,quiinfenfionerequiri- cur,ncceile eft mcdiumdari,
quodminimum gradum lllius rccipcrcquear. Omnis igicur icnlus mcdio cgcr , (
Alcxandri nanquc iencencia,nimirum can cum fcnlus , id cft vifum,audicum ,
olfatrum, mcdium defiderarc,re&cab A- ucrrocfccundo dc anima comm.i 16.
explofa cft): egccaucem, propccr ipfam S nlionem,vc declarauimus.Quo fir,vc
mcdium non cancum fcnfui conucni- re,l"cd pcr fe&: ncccflarid
conucnire diccndum (ic:fcnfus cnim per fc &: ct fui nacura,ad ipiam
feniionem ranquam iaculcas ad propnum actum rcfpicic: fcd in fcnfu tathis &
guftus,hoc magis laccc. Racio cft, quia non excrinfccum in lllis mcdiuni cifc
vidccur,fcdcum organis ipfis coniunttum.Eft enim caro, vcdcclarat
Auerrocsexfcnccncia Aciftocelis fccundodc animacomm. 116. Tadilc igitur &
guftacile non videcur a mcdio ad nos dcferri, fed vna pocius cum mcdio pcrcipixum
c concra fpctabilia,olfadilia,&: audibilia , idco pcr- jj cipiancur,quia
medium cxtrinfccum(quodcft acrvelaqua) ahquancummo- ucc nos:cnm lpium primo
licab obietcomocum.Haxdocer Anftoccles fccu- dodc animac0nc.7t.Ex his pacccin
his cribusfcniibus, fifeniilcorganumra- gac, fcnlioncm non fcquuturam . Corpus
nanque album in iuperficic oculi poficum, ccrninon poccric.fccus fc habcc m
guftu &: cattu , in quibus fcnfilc fcnlumcangatoporccc. Toca
luiiusdifcnminisrariocft:quia himaccrialcs magis&: corporci funt,illi
fpiricualiorcs. In fccunda conccxcus pamcula Ari- ftotcles docctrTrcs
cnuincracosienfus in animalibus qua: pnidcntiam obci- nucrunr,bonigraciaincifc.
Qua:ritur itaquc primum,quarnam fincanimalia qux prudcntiam obcincncia vocac :
prarccrca , qua rationc m lliis boni gracia fcnfus hi inciledicancur.Prion
quarftioni fatistacit Thomas,quipcrprudcn- tc hicram biuta,quam homincs
incclligivult. Alcxandcrdchominc tan- cum loouitur:fcdThomam magis
probo,vcanimaliumomniumgradusAri- Q ftocclem nobispropofuuTeconftcc.Infimum
vocauimus (v^C-m^ quar cadum habenc &: guftuin : reliquis fcniibus Sc
mcmoria carenc. Sequuncuc illa quac omnts quidem (cnius habc
nr,icdaudiruperfedo carenc.vcapcs,formicar,a- ranc*:quxquiaauditu
carcnt,dilciplina:funccxperccs : mcmoria tamcnat- quc ldcn co prudcntia
vigcnt.Tcrcium locum obcincnc animaliaquar cu fen- fibus aliis &: mcmona ,
fcnfum audicus habenc : vccanes, cqui, &: huiuimodi. Quxquia mcmoriam
liabcnc,prudcncixfuncparcicipancia: quia veroacuci* audiunt,diiciplina\In
iuprcmograducollocacur Homo,qui iftaomniacxccl lcntion modo cftaiicquutus.Harc
fcre Ariftotcles in proa*mio mctaphy Ex
his nonnulli triphccm ilIamprudcntia?diftincionemeliciunc:Racionalisfci-
liccc,Animalis,&: N.iturahs.Dcquaii paucis diflcrucrimus, non crit(vc opi-
norja rc ahcnum:I(ta cnimad huiusconcexcusincclligcnciampcrtincnt. Ab
hominisautcm prudcnciaexordicndumeft,quafcilicetaliarum rcgulaeflc potcr ic.Duz
func animi noftri parces:vna racionc carcns, aiccra quar ipfamec ratio
vocatur.Hax rurfus duas quaii parces habec:prima,rcs neccflanas&c im
mucabilcsfpedac.fccuda,illas quje non vnomodopoifunc cucnire. poftcrior
hzc,rurfus auc vcriacur in rcbus qux fub adionem caderc dicuncur , id cft in
quibusappccicus iiucparsilla animi racionis cxpcrs , affedioncfque cmer-
gunc,vc racioncm pcrcurbenc:auc in iis qust fub etfechonem caderc dicimus, id
cit quar opcram pocius corpon s,&: przcipue manuum deiidcrcr,quam con
cicacionem vllam appccicus pariancur . Priora illa flmpliciccr adhominc fpc-
danr-.pofteriora vcro ad calcm homincm . Vc igicur mcns in his rcbus muca-
bilibus,quod bonum&:confcntaneumeft,fempcr aflequi poflic,habicu cgcc.
Nequc ETSENSILIBVS. 45 Ncquc enim rcs ica dc mcntc,vti dc fenfuhabec. nam
fcnfus ad fuum mimus prxftandum habitu non cget:ita cnim pcndct
arcfcntiliobic&a, vt in ipecic illius formacus,non poflit non fcntirc . At
mcnri appetitus farpcnumero rcii- ftit,licet impenum illius in appctitum hcrile
efle dicatur, afTc&ionefquc im- maderata*,&: vchcmcntcs
libidincs,rarioncm pcrturbant,ac propc aJiquan-
doprofternunt.Acccditc6,qu6dinccrtaomniaiftaiunc , tam quxfubactio- ncm,quam
qu.v fub crrcccionem cadunc.Qup cciam fic,vc in vcriiquc conful- cacio
cxigacur.Habicus igicur qui ad rcs fub accioncm cadentespertinct,pru- dcntia
vocacur.Idcircoquc ita dcftnin folct: Quod iit habicus mcncis noltr.c,
quodebonis&malishominisquahomoclt,iiuc dcrcbusfub actioncm ca-
dentibus,optiinc confultamus,&: quod opcimum confcncancumque cft,cli-
gimus.Dc prudcntiapropric itaditta hicloquimur . Nam quod Anftocelcs primo
policicorum cap.2.&: fecundo rhctor. ciu. i . pradcnciam voca¬i ia-
B gacitaccm auc folcrtiam potius quanda propric dicimus: cum prudctia a vir-
cuce morali nunquam abcifc poi1it,vc fcxco cchico.&: akbifarpiflimcdocctur.
Ex hac prudcntia: notionc patct,cur brutis prudecia cnbuacur^prxlerrim au- ccm
Animalis. Nam quiaprudctiaconfultationc cgct, h.rc vero mrcbus in-
ccrtis,collationeprxtcncorum cum tuturisvcrlatur: idcirco cumvidcntur animaJia
commodum aJiquod vcl incommodum prxuidere(quod iinc colla tionc &: mcmoria
ficri non poccft)prudcncer agere dicuncur. Acquc ob hanc rationcm Ai lftocclcs
in pcoamio mccaphy.coliigic animaha mcmoriam ha- hcncia,prudcnnam quoquc
poilidcrc. Mulca Anftocclcs m libns dchiftoria animalium,&: Plmius in
octauo libro hiftorixnaturalis, dcquibuldam ani- malibus,vt dc
clcphantc,lupo,vulpc,canc,cquo,iimia, ad hanc prudenciam animalem
percinencia,&: profccto admiracionc digna, commcmor.it. Enci- gicur
prudcncia animalis,nil aJiud quam vis quxdam dirigcns animal mcmo q riam habcns,v
t cx rcrum prxcentarum rccordatione,futurum aliquod com- " modum vcl
incommodumprxuidcac. Nacuralisprudenciaproprioporius nomine Inftinctus nacurx
appellarunidcircoquc ncquc confuIracioncm,nc- quc collacioncm prxcericorum cum
fucuris cxigic . Quo rit,vt animalia qux hac tantum prudencia inftructa
iunc,codcm fcmpcr modo agcrc vidcancur. Formicacnim nupcrnaca,&:nunquam
hyememexperta,cibum prxparac:6c hirundonidumcadcm fcmpcr
rationcparac.Dchocvcroinftinctu Anftocc- lcs hicnonloquicur, cum dicacad Jiancprudcntiam
viium, audicum, atquc olfactum conf erre,&: nos alibi fuo loco agcmus. Pcr
prudcntcs igicur tam ho mines,qui rationali prudcncia,quam brura,quxanimaii
prstdita i'unt,intclli- gcredehcmus. Altcram quxftioncm cnodarevidctur
AriftoccIcs,cum aic- Idcirco fcnfus iftos bonigraciaappcllari,quiamultarcrum
dilcrimina nsper- cipimus,quibusprudcntiarcrumagedarum
intclligcndarumquepcrficirur. Alcxander ifta quidcm m fpecie magis cxplicacdcd
non modo ad prudcncia, vcrumeciam ad fcientiam accommodac.Quod non cft improbandum
: quo- niam Ariftoc.in conccxcu fcqucnci,incclligcciam a prudcncia non
fcparabic. Haec autc fcrc Alexander : Vifu luccm &: tcncbras, ld cft dicm
&: no&e vide^ mus,lumimLquclunx variccaccm:qu6ftc,vcad horum crreccorum
cauiamco gnofccndam excitcmur. Vidcmusprxrereaaftrorum luccm acqucdiftan- tiam
: quarc dc magnitudinc illorum iudicamus, bonorum etiam 6c ma-
lorumrationcmcxpulchro&cturpivifonobis comparamus. iceex cxlimo- tu
vniformi &: conftan cifllmo , ad primam omnium cauiam cognofccndam
alccndimus.Ex iis quoquc qux pcrcipic audicus, vt fonus,magnitudo,mocus, anima
ad cauiam inquircndam quali inftigacur.Scd paucis rcm abfoluamus: 4 * DEORGANIS
SENSVVM, Non mod6 fcnfibus ad intclligcndum excitamur(vt ait Alexander)fcd
nulla ^ prorfusfcienriaeft,quarnonafcnfu proficifcatur: vt ex primo poftcriorum
jn.ilv.t ap. 1 4-&: ex fecundoeiufdem tra&ationis fub fincmrprartcrea
vero cx- prcflc cx tcrtio dc anima cont. j9.probari poteft . Porro ad
prudcntiam qux ma&ombushumanisvcrfatur,trcs iftos fcnfus conferrc docet Alcxandcn
Quoniam(inquit)actioncs particuiarium funt:prxtcrca confultatio qux pru
dcntiacparscft,experimcntum detidcrat : hoc autcm cx particularibus ipfis qux
fcnfu pcrcipiuntur,crrici conftat . Ifta Alcxandri intcrpretatio licet vcra ac
doda fir,atque ab omnibus rcccpta:vidctur tamcn ab lftius contcxtus fcn tcntia
abhorrerc.Nam dc prudcntia hic quidcm loquitur Ariftotclcs, illam- quc
intclligcndis atquc agcndis rcbus tribuit: nullum tamcn vcrbum de fci-
entia,qua: cft habitus a prudcntia fciun&us . Licct autem Leonicus dicat
pcr prudcntiam hoc in loco , iudicium ipfum , atquc indagationcm vcri in- g
cclligcndam cil"c(quod cx Ariftotclis ctiam orc fumitur , qui in contextu
fe- qucnti^cum confunderevidetur )fcmper tamcn aliquam vimvcr- bis contcxtus affcrri
conftat.Huius rci occaiionc , nonulli lta Ariftotclis vcr- ba transfcrunt,vt
plura de fuo addant. Vcrba G rxc.i lic habent: ir fV - tytyytitTruvdi-mt^iW
*&kW. Aliqui ita vcrtunt:(Ex quibus intclbgcntiaprin- cipiorum oboritur,
quibus partim ad dcmonftrandas rcs, partim gubernan-
disa&ionibusnoftrisvtimur). Alii ctiam audacius plura,nonibluminhis vcrbis,
fcd in aliis etiam vertcndis affcrunt . Quod quam parum lntcrpre- ti docto
conueniat,&: quantx ignoran tix argumcntum prx fc fcrat, pcncs Pc ripatic;
difciplina: ftudiofos iudicium cfto.Nos igitur dicamus,rc&c prudcn- tiam
intcliigendarum&agendarumrerum hicdici poflc.Quandoquidcagi- bilia
lingularia iint : quorum ccrtc fingularium prudcntiam clfc oftcndit Ari-
ftotclcs lcxtocthtc.cap.13.ad fincm.Intclligibiha autcm propric iunt vniucr C
falia,quorum ctiam vniucrfalium prudcntia cft : vt cx libcllo dc communi a-
nimalium motionc,&:cxfeptimo cth.cap.j.fatisconftat . Nam abfquebcnc- ficio
Syllogilmi pradici fieri non potcft vt aliquid agamus : is autcm cx maio- rc
propoiitionc vniucriah conftat,&: minori particulari,quc, a&ionis
domina cfbcx ca cnim colhgitur concluflo particulans,id cft iplamct actio .
Prudcns lgiturpropncin vniucrialibus verfatur: quoniam tamcnvtaliquidagat,fub
vniucrtali particularcm propofitioncmaccipit&: colligit, qux cft
a&io:idcir co actionum potius dircctiuus,quamvniuerfalium contcmplator
appellatur. Avt^u j lovroBGplc uSfj & drayii(fi* y xpeiojaer n #4
u*->.3\t> y xUtfftr, fdoir, d p& fx6r.fi dxoii Qc. %u \ -\6$n ifyjpipdc
uorot.obJyoic xj 1&c ptmc . Kp
cn>Li$t@nx:c pr. Q Ex his autem ipfis ad neccffaria, melior Sc per fe quidem
eft vifus: ad inrelligenriam autem,ex accidenti Audicus . Ecenim facultas videndi,"
multas attjuc yarias diflerentias denunciaccum corpora omniacolorem obri- ET
SENSUIBVS. 47 obtincancquare & communm Jiac nijiximc lcntiiintur : (
communia au- tcm voco^^iram^nw^nitumncm^momm^fUttiro^numenim ) Auditus autem,difcrimina
tantum foni: paucis tamcn & cacjuae vocis . Ex acci- denti
jutem,multumauditusadprudentiam conferpfermo n.mqueqiiL lub auditum
cadicdifciplina: caula eft : non cjuidem ex fefe, fed ex acci- dcnti,cx
nominibus nanque conftat : nommum aurcm vnumquodque nota cft.Proptereacx illis
qui ab ortu,alrero horu fenfuum priuati lunt: caci,mutis furdifque prudentiores
exiftunr. Comparauerat,quancum ad ncccfllcatem ;icnnct, tactutn 3j guftum, cum
cribus fcnlibus poftcrioribusmunc cx his tribus duos pr.rt lpuos vifum ncm-
pc&audicuminanimaIibusracioncm,vcl racionis velbgium aliquod obci-
ncncibus,intuccmcomparac.Nam olfa&us vix fcrcad prudtntiam,minimu
quoqucadincelligcncia conferrtvidt rur.Occaliotoparacioniscx co fumpta cft,qu6d
fupcriori conccxcu fuit allacum , nimirum vcrunquc cx lus fcnii- bus,magnas cum
adlaluccm,cum ad animalis bonum oportunicaces habcrc. Scnlum icaquc vifus , ad
ntccflaria quidcm vkx pcr fc vciliorcm audicu eflcdcclaratdiunctamcn vifu,ad
intcLugcntiamprudenriamquc tx accidcn ti oportuniorcm . Priorcm Thclim ,
tanquam nociorcm fola racionc probat:
Poftcriorcm,rarionc&:cxpcricncia.Ha?cvniucri:m Ariftotclcs:in fpccic ve-
r6italoquicur:Vifuscftpcr fc,ad vicx neccflaria& animahs ci-nicniacione
vcilior auditu:hic autcm vifu, ad incclligcntiam cx actidcnci aptior . Vcrun-
qucprobarur:&; pnm6primum,hac racionc. Scnfus qui plura lequcndaveJ
dcclinanda,pro lalucc vicxanimalium pcrcipit,cft ad ncccflaria vic.canima- lium
vcilior audjcu:acqui vifus plura huiufmodi & pcr fe cegnolcic, quam au
dicus:Vifus igicur ad neccllaria vic.e animalis peffe cftauditu commodior.
Maior propolicio nota cft, cum pnrfercim ccrtio de animadichmi lic, ad hoc vt
animal confct uccur,ncccflc cflc illud non modo cangcndo,vert\m cciam c
longinquofcncicdojfcnnrc . Minor proharurillo polico: Animal fciliccccor- pus
habcrc,arquc idcirco a corponbus cangi, nccnon ab iifdcm cangcnnbus
l^dicorrumpiquepofle. Tunc vcroica licecargumcutari Stnfusqui plurcs
diffcrcnciascorporum nobisdcnunciac,illcpluraprofalutcaniraaJis lcqucn da,vel
dcclinanda percepca habec^vifus plurcshuiufmodi, variafque corpo- ru
dirTcrencias pcr fc pcrcipic:igicur. Maior^ppolicio cx policis pcndcc. minor
probatur:nimirum,quoniam colort s,qui lunc pcculiarc vilus obiccrunvn o- mni
corporc rcpcriuncunSoni vcro qui ad audicum pcrtinc nr,cxiguam rcril varietatcm
cxplicar prxtcrca vcro,iudicium voc um qua: foni pracipui func, apciquc ad
mulcas rcrum varicrarcs lignificandasmo in omnibus, led in pcr- fcctioribus
rantum animalibus rcpcritur . Ex quo canquam se|U* fllud fc- quicur:Nullum
cflccx fcnlibusquifenlilia quxCommunia vocancui,atnus ipfo pcrcepca habcrc
r>oflic.Figura nanquc,magnicudo, mocus, quics,nume- rufque,primo propriequc
in corporc rcpcnuncur . Sccundum vcro propofi- tum hac primum racione probac :
Scnfus qui fcrmoncm , liccc cx accidcnci, comprchcndir,cft ad
pnidenciamanimaIisapciorvifu,qui lllum non ptrci- pic: Audicus,fermoncm,liccccx
accidcnci,comprchcndic:Audicus lgitur cft ad animalis prudcnciam vifu
aprior,qui fcrmonis nullam prorfus pcrct pcio- ncm obcinuic.Maior propolicio
probacur:quia fcilicct lermo iiuc oracio qux licnfum prxccpcoris incrinfccum
mcdiis nomimbus cxplicac,difciplinam cf- ficit. Minor probacur , quoniam oratio
fonus quidam cft , vcl non linc fono, 48 DE ORGANIS SENSVVM, cx fccundode
animain cap.de voce:(pnum auccm obictcum pcculiarc audi- ^ cus crtc
fupcriusconituuimus . Hocidcmligno iiuccxpcricntia confirmat: nam lidencur duo
homincs, alccrohorum lenfuum ab ortu priuati:fcmpcris qui audiai pnrdicus cnt ,
liccc vifu carcat , crit altcro prudcntior, qui audicu dcftitutus,vifum
obtmucnt. Contcxtus igicur huius, particulas trcs, nimiru
iuxcaracionum,quxaJTeruiuurnumcram,confticuamus:quarum priormul- ta
vcrbadignaquxcxpc rndantur habct. ( Ad ncccrtaria). Loquitur Ariftoce- Lcs
comparacetfccus cnim libi ipfi aduerfarcrur,qui iupcrius docuu cx ccrtio
dcanim.icont.64.SolumcatuniclTcanimah ncccrtarium , idrircoque in o- mni
rcpcnn.Nonergo hic doccmur, vifum crtc neccflariu animali : fed cum iic ad bcnc
eflc neceflarins^anim a I i magis quam audicum confcrrc. Ncccila- ria iane
animalibus lunc Taclusfic Guitus : ad tucndum igicur cactum 8tgu- ftum,plunmum
vifus,minimum auduusv.ilcc.hoc ua dcclaro:quia nimirum vbi cibum gracum libique
conucmcnccm animal pcrfpcxcrir,iJlum appccic: g noxiumvc libiquc inrdtum,fugu.
Quod de cibis dicicur,id ad ahaomnia ad huuccundcm lcopum , nutricndi nimirum
,foucndi,gcnciandi,confcruan- diquc corporis pcrcinencia,poccft accommodan.
Ncquc obllat,qu6d multa exhis,auduuctiam cognofci poifcvidcantur.
Namncqucfuaspartcs audi- tui Ariftotclcs aufct t,cum com parace loquacur:&:
nos non arque perfccre ifta ab audicu cognofci dcclaramus.Primum cnim (vc
Thomas au ) vifus cercius iilaagnolccrcpoteft.cumipfcabiplifmccrcbus,
Auduusvcro non niftafo- nis rcrum mocumconfcqucnubusarnciarur:ideft vifus
percipit accidcntia, qiue in rebus mancnt,nimirum colores: Auditusvero
accidencia, quz a rc rtu- unc atquc difceduc,vcluci fonos. Addimus: Vilum
longius profpiccrc, quam auduum rcmociusaudue. Momentoitcm
cincuvifus,quodauuitustcmpo- rc : prius cmm corufcatio ccrnuur quam tonitrus
audiatur . (Pcr fc).Rcc"cc vcrtu Akxandcr;Su.iptc natura ) .nam huiufmodi
omnia vcl profcqucnda C vcl fugicnda, ccrnuntur fub ca tantum rationc,qua
colorata func,& proptcr colorcm tatumxuius icnfus proprius& pcculiaris,quinimo
vnicus, vitus eft. Nontic auditus ad prudenciam contcrt, quinon pcr fcatquccx
fuinatura a. fcrmonc prudcnti.c cfTedori afficicur: fcdcx accidcnci, qua
fcilicct fermocu vocc fonoqucprolcrcur. Qui alucrcompararioncmiitam
inccrprccancur, ncfciunc lc explicare , Sc gcrmanum Philolbphi fcopum fane non
accingunc. (Incclligcnciam).Conlundic cum ^rJ, vc conftac. Caufafupcrius allata
cft.Tanrum nocabimus poft Gnecos intcrprctcs , Ariftotclem la?pc nomini-
busabuci.Huius rci rcftimonium,huicnoftrolimUlinium huiufmodiaffcrrc modo
poilumus.Docturuscft Ariftocclesfcxco cchic.cap.2. Elcchoncm non crtc abiquc
mencciiuciiucllccru,&:appccicu morali: idcoquc rcbus cancum fub accionem
cadcncibus conuenire. In prion camen Topico cap. 8. Elcctio- nis nomcn ad
omncopus,vclagcndum, vcl etficicndum accommodarc vi-
dccur:fccuscnim,vcdoclcibidcm a clariffimis viris animaducrfum eft,man- caatque
tmpcrtccra circtproblematuraenumcratio,quam proponu Arifto- cclcs.Eccnim non
omniaillaqua: adopus afpiranc^complcccerecur: curn prc,- fcrtim codcm prorfus
modo,id cft racionc finis,cffeiciuaab adminiculancib* & contemplatiuis
fciungatur,quoabiifdemadiua. Iam vcronomincScicn- ttx pro quacunquc
difciphna,uemque arcis profcientia, aliifquc huiufmodi propc infinitis,
abucilipifsimc Philofophumnoftcumfacis conftac. Acqui non
moddlimilis,fcdidcmomninolocus(in quonimirumfapicncia pro pru dcncia fumitur)in
tcrtia parcic.problem.p.leguur.Itatamcn cautc hac vticur libcrcatc, vc nullibi
perturbacioncm , auc obfcuricaccm Ycrbis lmpropriis hommi ETSENSILIBVS. 4? ^
homini intclligcnti pariat.Nam cum proprieMoquineccfTeeft(quandoncpe aut dcrc
vcrboiignificaraprarcipueatque ex propofito agitur,aut vcrbi fi-
gnificatiotra&ationispropofitarexplicationi, vfui aut incommodo eflepo-
tcft)tuncnon communia,fcdgermanapropriaquc vcrbarctinerefolcr.(Mul tas atquc
varias diftcrcntias dcnunciat) . Addo cx primo metaphy . in procc- mio: Vifum
vnum maximc intcr omncsalios fcnfus nosdoccrc . Cuius ratio cft,quia intcr
alios fcnfus eft in cognofccndo pcrfcctior : cum fit fpiritualior. Qupd patct,ii,qua ratione alij a fuis obicciis
afficiantur, confiderare vclimus. Scnrittatus,quiacalcfit:guftus,quia
faporcaliquo organum cius inficitun auditus,quia a corporco aliquo motu
patitunolrarus,quia cuaporantcm ex- halationem admittit: folus vifus ,
fpiritualiter immutatur. Ncquc cnim proprie pupilla colorc coloratur,fcd
coloris fpcciem fpiritualiter rcciperc di cicur.Idcirco Platonici(vtcx
Phardro& Phardonc elicitur)cum fexilla inftru B menta cognofccndi inanima
ponerent^rationemnempcjVifumjauditum, olfac\um,guitum,ac tadum: priora
triaadfpiritum magis pcrtinerc, pofte- riora ad corpus afTcruntrquod illa
fcilicct , res eas capianr, quae a matcria re- motifTimar,animsc
conucnicntcs,ipfam vehcmcntiflime, parumautcm cor- pusmoucant. Nam incorporca quar
Ratjonis obiet*a funt, Colores item &: voccs,corpus vix moucnt,&: aciem
animi ad indagandum acuunt.Quo fit,vt no modiceab illotanqua iibi
fimiliadcfidcretur.Odorcsaute,iaporcs,&: pri- mar quahtates,quar proprix
funt alioru fcnfuu,moucnt quidc cor pus, illique plurimii ,pfunt,aut obfunt:vix
tamc anima afficiut, aut ad illius admiratione vel iudiciu
confcrunt.Quare,ncquc animae defideriu ad fefe multum allicere poifunt. Viiurn
prattcrca igni tribuuc quianimiru in iublimi corporis partc, vcluti m fuprcma mudi
elcmctaris rcgionc locat" , lumcnquc quod ignis eft ^ propnu
pcrcipiens,ccrtiorc&: clariore fcnfum,cxac1iorcmqucordinc ahis o- C mnibus
prarferat. Auditui dcinde aerc dant,&: hunc vifui quammaxime pro- xirnu
cilcdialt.Quaproptcr Plotinus li.j.jtnead. pnmar,cap.p.Muficu poft fcniilcs
fonos,lcniile(quc figuras,matcria fciugerc, atquc ad intelligibilc har
monia&: pulchritudinc,tanqua a proximioribus mcnti fcnlibus(vifu ncpc&:
auditu)ai'cedcrciubet.Exhisctiaconftat,curvifus cfficiat vt plurimas rcru
diffcrcntias cognofcamus.Na audit* ld quide percipir,quo harc infcriora a fu
pcnoribuscorponbusdiftinguutunat vilus cacapit,qmbusinfcriora haeccu
artcrnoillo&:fupcrocorporcconucniunt,luccnimiru,qua rcsa&u fpc&abi-
lis rcdditunidcirc6queca?leftiacorporafolo fcnfu vifus lcniiha efle dicucur.
Hsrc Ariftot.fccundo dc anima cont. , i^TT* vocate di- D cuntur.Sit igitur
Vox,fonus prolatus ab animali,mcdio pulmonc,qui voci vc luti matcnam
fuppcditat,id cit fpiricum:&: mcdia artcria vocata , qux quali voccm
cltingit.Quo fiet,vt non omnia animalia voccm habeant.Exan- guia enim &:
qux pulmonc carcnt, vt pilccs,vocarc non polfunt . Atqui vox
nonvniusgcncriscft:quxdam cnim articulataa Grxcis"*f> af dicta,lingua,
labns,palato,dcntibufquc formarunhominiquc foli conucnit qui vt vi mtcl ligcndi
valct,&: ciuilc animal cft,ita multa fcnfu cognita , mentcque inucfti-
gatapropriapcculiariquc voccdcbuit cxplicarc . Bruta talem voccm non funt
aiTcquuta:iat cnim fuit ii pailioncs fcnfus , quibus nunquam non impcl-
luntur,rudi atquc indiitincto quouis fonoiignificare poifcnt : idcircoquc A m
monius ait non magis voces brutorum quam fonitum maris , literis fcribi ac-
qucfyllabiscxprimipoflc.Homoigicurfoluseftqui multas rcrum difFcrcn- tias no
modd fono,fcd &: vocc,atquc cloquutione, medio audicu aiTcqui pof- iit. ET
SENSILIBVS. yi iic. Scquicur fccunda conccxtus particula: ( Audicus aute cx
accidcnti ad pnT dcntiam).DccJaratquomodoauditusad prudcnnam confcrat : quia,
inquic icrmoqui audjtur^citdilciplinxcaula.Plana lut ifta omnia,&: planiora
adhuc a nobis infcrius rcddcntur,cura peculiari quxfito hac dc re agcmus .
Tatum monco primum ex AIcxandro,Auditum idobdici cx accidcnri confcrre ad
prudcntiam,quta proprie &:pcr fc ad auditum,fcrmo,qui eft cauia diiciplin^,
non fpcctat,lcd vox& lonusdcrmoquc audicur,quia curh vocc &: lbno comn-
ccus cil.Prxccrea,ex Anllotcle, fermoncm difciplinam non crHccre pcr lc,fed
quacenus antmi fenla fccum adferc , qux icnia non capic audicus,cum iermo
cxinlticutionccancumhumanaligniticcc.hociibivolunc illavcrba: (Sermo cx
nominibus conllat,nominum aucem vnumquodquc noca cic. ) Addicur in
concextu,(Scrmo caufa cit dtfciplinx) . Ncquc fcrmo extrinlecits doccntis, _
(att Linconieiis primo poft.analy.cap.priori) ncque fcripca:funt.Magiftri fci-
enrix:fcd cxcicant tantum dtfcipuh montcm . Vervts Magiftercft qui mcnte
intnniccc&c mtcllcccu tlluminat,veritatequeoftcndit,id cftintcllcccus agcs
vocatus. Atquc hac prorfus ratione vcrba ifta Philolbphi funt lncerprcrada. (
Propccrca cx iis qui ab orcu). Poftrema hxc pars,iigno coprobac,audicu pru-
dencia? mulcu confcrre:argumcncacio vcrbcftab ciTcdu petica: ldcirco illud
A/wvim caufz indicac,quiafciiiccclricaudicu,illevifum habet^Mucifurdi- que ),id
cil iaculcacc audtedi ab orcu priuaci:cales cnim muci ncccflarib func, cumloqucnces
homincs nunquaaudiermc:idcirc6queloquendi,(iuc crfinge doru &: formandoru
vcrborum norma nunqua difccrc valuennc.tx hoccon tcxtu pulchcrrimac quarftioncs
oriuncur.Prima eft, An audicus cantum ad dif ciplinamconfcrat.Secunda,anmagis
vifu.Poftrcma,an omnis mutus iitfur- dus.Prions occaiiofumitur cx verbis
Ariftocelis^qua- hic videtu r foli auditui C difciplino: munus trihucrc. Alibi
tame(vc primo ?oft.analy.c.i4.)docccur,l'cn fu vnodciicicnrc,fenfus
illiusfcicnciaamicci:cun$raciocft:quia nimirum o- mnis noftra cognicio a
feniibus oricur. Huic veroquaeftioni ita paucis fatisfa- cimus: Anftotcle hic
coparate iolum,non ablolurc loqui.Idvcl co probari po tcrii,quod cum fuperius
dixilfct, omncs trcs fcfus,qui cxtrinfcco mcdio hut,
falutisgiatiaaniinalitributosfuillc: hictamcn v.fumad ncccifariavitxptar-
ftantiorc appcilacNon icaque abfoluce colIigit>i'cd coparacc audicum plun-
mum addilciplinaconfcrre.Arqui vcrba illa x r"waj-^,a>Lrr,Mfi&
,iatis hoc quaiitu ediiTerunt.Sccudum,arduu magis cft,&: (vt
Anftotciismorcloquar) ^Tii r/r*. *yr . Etcnimiiomniaillaipcttcmus,quxancbis
iiipcnus dcvilu cx Ariftotclcin procrmiometaphy. &: hocloco,prxtcrc_ vcrb
cx Alcxan- dro,& Platonicis tandem ipiis rciata funt: vifum plurimum
quidcm, audi tum vcrbparumaddifciplinasconduccre conftabit. Scd acccdant rario-
p ncsalixcxcodcm Anftotcic ductx: Senfus, quinobiltorcmdilciplinam pa-
ric,cftad difcipltnam apttor : at vifus nobiliorcm diiciplinam auiitu parit:cr-
go cft ad difciplinas aprior auditu.Maior vcra cft , quia a nobilion caula cfFc-
ciusnobiliorproficilcitur. Minorcmfacilccftprobarcfivnumpctatur,cx i. lib.dc
anima cap . i .vbi oftedicur,Sctcnci? nobilitatc vel a gcncrc demoftradi,
quoipiavtitur,vcla rc fubicctajphcifci. Qup poiito ualicct argumetari: Que_
vifu difcira*, ccrciora funt &: nobiliora qua quz audicu
pcrcipimus:difciphna igitur vilus,crit cxccllctior illa quz auditu
c5paratur:qubd verb obiecta vifus iint
nobiliora&:ccrriora,iupcriusabundedeclararu cibfic-nuc ice exphcacur. Na
ijux vifu difcim 9 , ca,nacura aliqua rcipia cxiftecc obcincc, vc lux&:
color: ice qux lucc habcnc &: colore:ac fonus qui ad audicu percincc, fola
duonl cor- poru pcrcuilio cft,qua? in rluxu&; lucceflione pottus quam in
permanccia cft, c.ii. 5 i DE ORGANIS SENSVVM, Huc acccdit quod Ariftot. hoc
loco dc Auditu vcrba faciens, aic, illu cx acci dcnci ad prudcnciam facerc:dc
vilu vcr6,docct, iihim pcr fc mulcas rcru difFc rccias nobis dcclarare,magiiquc
omniu lcniilia communia capccc . nunc au- tem,quodcft pcr fctalceft
magistdc,quamcxaccidcnci calc. RcguIaTopi- ca cft omnibus noca.Rcfpondcri folcc
a nonnullis cx fccundo Elcnch.Omne nociciam auc inucniondo auc difccndo
fien:viiumque ad inucncioncm pluri- mu,audicum ad difcipbnam yalcre. Scd ifta
lcnccncia ica abiolucc rcccpca vc profcrcur,rciicicdacft:vcqux
Ariftot.rcpugnct,quii.mccaphy.c6c.i. monet agcdas cflc gracias illis qui nobis
fuas opinioncs rcliqucrunc : quadoquidc cx 1 1 1 1 s audicis vcricatc
dii'ciplinaru4im 9 adcpci^ addic,Nili cxticuTecTimochc', nunquam cucnifle,vc
mulcu melodixhabcrcmus t & niii Hyeroiinus prxcef- luTec,Timocheum non
fuiilc fubfcquucurum.Ec Aucrrocs in com.ibidcmta- cccur,Nullum polfe cx fcfc
arccm achuam, vcl lpeculaciuam inucnirc,nifl au- xiliopriorum fcribencium.Iccm
Anftocelcs lecundo Elcnch .cap ,8.cancum
audicui cribuic,vcco vnofcicciasomncs comparaeas fuiflc aflcrcrc
vidcacur. Pnttcreainuencioncm cifcncix loci , idcirco ardua vocac ccrtio phy.
cont . z. quia nil prorfus ab antiquioribus dc ipfo tradicum accipi poflec. Ad
hxc quid dc inuerionc arcium illaru diccmus, quarum fubiccta a fola racionc
pendenc? Tam igicur audicus quam vifus,inuencioni prodcft.Nos itaquchic cu
Arifto tclc arfirmamus,audatuc*i , 'ef' w" , ',cfle vifu,cx accidcnti
camcn,prxfta- riorem.Qupd ica probatnus:fiquidcm omnis inucncio, omnilquc doctrina
& difcipkna vcl a&iuaiic,vdfpcculaciua,acognicioncpnncipioru
pcndcc:prin cipiavcrd ipfa non ccndunt in infinicu,fcd in lndcmoftrabilia quxda
dciinuc, qux fola ccrminorum cogricione noca fiunc.Tcftis cft Ariftot. primo
poftcr. analy.cap.$.&:Themiftiusi;>idem,qui ait:Effata illa mcntcm
pcrficcrc tcrmi nis>id cft fubiccto accribucoquc, cx quibus conftat(vt
Philopopous cxplicat) rc&c pcrccpcis.Terminoruaucc nocicia folo audicu
habcri, qui voccs capiat, ^ rcs ipfas mcdiis conceprioribus flgnificances,ica conftac
vc probacione no c- gcac.Dcindcquiacrcm velaquam vcl tcrram fpectat, haudquaqua
ficri pof- fcc,vtacccm vclaquam vclrcrramagnofcerct: niii hancaquam,hunc acrcm,
Ulamcerramdicipnusau Innilct.Pr.cccrca^vifuTiiT/jblumobiectoru acqui-
rimus:auditu vcro7* T ' limul* 7M7i: quaccnus fciliccc vcrba prxcepcoru icri
pcavel prolacaaudicnccs,vcruquc vnadifcimus . Poftrcm6,audicu caomnia qux vifu
pcrccpca funt,'iifcimus : vifus vcro non icem omnia ab audicu com- prchcnfa
capjinus. Adde,viram hominis brcuiflima cfle, arccs auccm rcrum- quc fcicncias
cxirum vix habcrc.Quarc cum vifus non omnia,auditus autem omma,id &X non
qux vnus,fcd qux infiniti homines vidcrunt, audicrunr,at-
quccxcogitarunc,aiTcquipofllt,iurcab Ariftocelc fcnfus dilciplinx vocacus
cftCum crgoobiicicur vifum nobiliorcm&: certiorcm fcicntiam cfficcrc: Id
nos faccmur,rationequidemobicctinobilioris,quoctiam fenfusvifus fpiri- cualiccr
afficicunfcd non hoc quxrimusTcd illud, An audic'magis addifcipli- nas
comparandas vifufltaccommodacior. Tuncaucemncgamusargumcn- tu,quia audicus
plurcs diiFcrcncias rcrum cx accidenci pcrcipir: cum(vc dixi- mus)&: vifa
&c audica ab aliis comprehendcrc qucac. Prxccrca ccrcius ifta do- cct,cum
Sc 7 In Qc tJ tifit flmul (quod vifui non accidit ) audicndo aflequacur. Sccudo
quoquc rcfpondcmus; Vifum no eflc pcr fc calc,ad difciplinasfciliccc coparadas
apcu.Pcr fc cnim talis cft folusintellccV.Nalicct principia omnia afenfu oriri
dicantur,intellccrustamcn iscft quiex hocvifo,cx illo audico,v- niucrialc ipfum
abftrahic,quod principium fcicncix confticuicur. Hic vcr6 vifus non pcr fc
dicicur multorum corporum difcriminaoftendcre , (cum id potius I I SENSILIBVS.
j$ A pocius ex accidenci prxftcr)fed pcr fe ad vitx neccflaria apms . Eft
itaquc au- dicus magis talc,id cft magis addifciplinas idoncus,quam vifus,vt
iupcrius a- bundc dcclaracum cft.Porro cercix quxftioni lta paucis rcfpondctur
: Omne furdum ab ortu mutum cfl"c:tum quia vari$ ac prope intinitx voces
fignifica- tiux,ex impoficionc hominu func , idcircoque a furdo pcrcipi ac
difci ncqui- rcnc:cum cciam quia lnftrumcnta audicus ii ab orcu lxfa fint ,
poflunt vna or- gana voccm formanciaimpcdirc.Qupd Conciliatorannotauitex
Auiccnna p.fen.i.doc.5.fumma3.c.i.Si aliiiniigncs Anatomicicradiderunr.Namfcxtu
parncruoru quod mocu lingue^ tribuir,cu quinco pari cotinuu panniculifque
&ligamcnris conncxumoririacercbro, quincum vcro par audicui fcruirc
oftcndunc.Hocicem Ariftocclcs vndecima parriculaprobl.primo,& alibi ftj- g
fpiflime fignificauic : placcc auccm illud animaducrccrc , plura cflc vocis in-
ftrumeca: prxcipua auccm duo(cx Gal.in libro dc voccj&y*** &L*~7F'w7f*-
^fwrvocacam. Vnicuique auccmiftorummultaaliaorganafeniiunt: Arte-
nxquidcmmufculi thoracis &: pulmo , qui matcriam vocifuppcditanrEpi-
glofsivcromultxmcmbranxquibus vcfticur,&: multi mufculi quibuscius mcacus
claudicur &: refcracur. Ifta ab Auiccnna primum vocis inftrumecum
appcllatur. Linguaaute voccmfanc iuuat,fcd fcrmonisfiueloquurionispro Erie
cfFcdtrix efblingux focii func,dentcs&: labia, vt formatis litcris, &
fylla- is, cxicusquafipcrincifioncmfadus facillimus adfic. Hxcco actuli,vciam
liceacincelligerc, cur Ariftocclcs quarco dc hiftoria animalium hbro , cap. 9.
dicac/urdos ab orcu nacure; voccm cmiccerc pbflc,nuquam vcrb ( cuius con-
trarium nonnulli aflerunt)loquutioncm. 1 1 Tltp) fjSfi oZr$ wudu.ta>c ) ttv
iyti rffl m&iuTtw ind^n^Kfortpor eipvtrai. Sed quam facultatcm vnufquifquc
fcnfu.s habeat,ancea in libris dc anima
fuiflepertra&atum, viam philolbpho ftcrnic, qua& fco- pum huius libri
proponcre,vnaquc ciufdcm trattationc aggrcdi poflit.Nulli igitur mirum , fi
hinc initium fccundi capitis a Grxcis fumacur. I x Th* h cdfjutr' cV oTc
rtipuxt ytyrt A/0i) In quibus autcm corporis vEitheteriis ficri aptiiint,nonnulIi
quidem in corpons clcmcntis inueftigant : fcd cum copiam no habean t,ad qua-
tuor elcmenta quinque nimirum fenfus reuocarc, dequinto fitagunt. j) Libri
fcopum proponic, vnaque rcm ipfam aufpicatur. Scopus ex his quar hattcnus
fuerunt in cxordio cxpofita,ducitur.Dixcrat agcndum cflcdc com. munibus&
propriisanimalium operationib 9 tam animxquam corporicon- ucnicncibus,illas
dcinceps enumerando,fcnfum priori loco pofuerac , quod ad ipfum alixomncs
aliqua racionc referantunmox fcnfus ncceflitatcm pau- cis quibufdam cx libris
dc anima rcpetitis , tam vniucrfe quam in fpecic dc- claraoit: Nuncita
fcreloquicur, Dcfenfu,cuiusdignicasneccflicafq; inccra- lias opcracioncs
dcmonftraca cft,agercdebcmus:nontamen quoad cius om- nia,(nam dc principio
ipfo,facultatc,achi, mcdi6q; fcnticndi in libris dc ani- ma abundv itrttixaXvfAfiivw
ytmafy% ^ rort ztcxvm. Omnes autem vifum Igni tribuunt, propterea cuiocl
palfionis cuiuU 5 dam cauiam ignorant. Confncato cnim & agitato oculo ignis
emicas confpiciturjioc vero in tencbris accidcrc folet , aut adopertis
palpebris etenim & tunc rn tencbns fit. Ha&cnus aliorum fcntcntias W
d3*1qm vniucrfc protulit : nuc fua? mc" thodi no immcmor, ad
particulariadcfccndit.Prirnum autc dcvifu loquitur, natuceordinc
prxtcrmiilb:vcabeo fcnfuqui pcrfcctior& nobilior cft, ( vt fc fupcrius oftcndimus)cxorcuacun
qucmeciamordincmvfqucad fincmcapi- tis fcruac.Nam poft Vifum,dc Aiuiicu, mox dc
01factu,poitrcm6 dc Ta&u &: Guftu duTcrit. Adde, dc Vifus organo
maiorcm cxticiilc concroucriiam : id- circoq; totumfcrccaput, in quo huiufmodi
vEfthctcriorum tractatio abfol- uicur, inillacxaminandaconiumi: pauca vcro
quxdam de organis aliorum ^ fcnfuum (in quibus illi cum anciquis propc
conuenit)ab Ariftotelc affcrn vi- dcmus. In horum vcrborum cxplicationc
vidcomultos dccipi,qui dicant Ariftotclcm hic aiTcrcrc,omncs Antiquiorcs qui dc
icnlibus egcrunt , viium igni tribuiilc : proptcrcaquod pallionis iJlius caufam
ignorabant, cuius in co- tcxtu mcntio tic.Qupd ccrtc minimc vcru cft:no cnim
omncs Antiqui in hoc conucnc runc,cum Dcmocricus vifum aqua: afiignaucric,vc
mfcrius doccc A- nftocclcs. Re&ius igitur Thomasaic , Hic Anlcocclcm
mcncioncm illorum faceie qui vilum igni cribucbanc , iimulq; lllius rci cauiam
arlcrrc. Quaii ica loquatur : Antiquiorcs philofophi vnumqucmquc fcnfum fuo
clcmcnto af- iignabanc-.ledomnesquiviiumad igncm rcuocabant hac ratione tantum
addu&i funt,quia nimirum aliam cuiufdam paiTionis caulam,afFcrrc non po-
tcrant, quam quod viius organum,igncam naturam obtincrct. Paflio autcm ifta,
cft, quod comprclfo aliquando ,&:celerrimc agitatooculo , quadam 1- gnisfcinull^erlulgcrcvidcantun&chocin
tenebris accidit, vclquia nox i- piaadiit , vrlquia inccrdiu palpcbrxoculis
fupcrinducancur: cunc cnim in tcncbris func oculi,pcrindc acfi nocc
obccgcrccur. Tcncdum vcrocft lftam poiicioncm nonmodoPlaconisfcdEmpcdochscciam,
cuius carmina mfc- rius cicancur,cxriciifc. Pucabanc illi oculum propccr eius
lucidicacem &: cla- ricaccm igneum cflc, lumcnq; ab ignca pupilla vcluci ab
acccnfa luccrna cxi- re. Qua dc re inrra pluribus. Quancum vero adpalTioncm
accincc,non modo alli/is & agicacis oculis ignis fcincillx apparcnc ,
vcrumccum li cui capuc , auc gcn5,vclaliquailliuspars,vchcmcncius
pcrcuciacurauc vcllicccur,no&uquc abfquc vllacommocionc cfomno
cxufcicaco,ocu!ofque rcpcnce apcrienci, lgnca illa corpufcula vidcbuncur
obuerfari-.prarccrca cciam fuppolifo ad ocu- lum digico,c6q; moco &:
clcuaco,idcm fulgor cmicabic.( InTcacbris).Iftapaf 56 DEORGANIS SENSVVM,
fioluminisnatiuirationc fit , quod in humorcoculi KfmAA*/^ vocatorepc- ntur: lumen autcm huiufmodi modicumcft ,
quarc maioris luminis prx- ftntiaitaoftufcatur, vc intcrdiu nullum
fpc&abilcm fplcndorcm cmitterc pollic. Nonmelacccquofdam cx Aucrroe
ccrtiolibro collig.cap.38. ccnfcre, humorem xfvAAjw nullo luminc natiuo
preditum effe, fcd quicquid habcc, cxcnnfccus acccdere. Verum,quoniam
hxcopinio, ncquc caufas colorum in oculo exiftcncium rcddcrc poccft, &:
fcnfui rcpugnac , ( quandoquidcm in oculisleonum,luporum&mufcipularumnociu
nulloexccrno lumineprr- fencc,fplendorem illtimeernamus)prxterca verocum Ariftorclc
non con- gruic,ide6omninoeftrciicicda(*A*7uu7i#,&; magis pcr- fpicufi.
Ncquc cnim conftrido& mococancum oculo,ignis illc cmicac,fcd il
vclconniucncibuspalpebris,vcl iifdemincencbris opcrcis oculus confrica- do
vchcmcncius agicctu r. g x 4 L^xh J[ dtroptav tvto trifav . tt >8 /un Ifti
XttiSu-eii ai&avo/bSjjcv x) bpStra opcS/mtro'r ri^dieiyxn apa aurot tavrv
bpatrot of^aXfiov' rl ttvnptuvvri ruro h auu3uvci *> Scd & hoc ipfum
altcram fecum afTerc dubicacionem. Nam fi cjuod fpehbi!e eftX-ntientem
&videnccm laccre non poceft,ncce(Te vriqucc- rit oculuin femecipfum
vidcre:Cur igicur hoc cunefcenri non accidic ? Conanci fenccnciam aliquam
euerccre hoc opus mcumbic , vcnon mod6 illam hmpliciter rcfutct, fcd cas eciam,
quibusconfirmatur , racioncs diluac acquc rcfellac. Vcrumquc morc fuo hic
prxftac Ariftocclcs. Atqui tunc fatis lcntcntiam refcllimus,cum incommodis
&dubitationibus perplexis i**7#r- C quc dubitationibus, cam lcatere
oftcndimus : quod cx difputatiombus dc a- nima,ab Ariftotclc in priori illius
tratcationis libro aduedus Antiquos habi- cis,abundcpcrfpicicur.Inhisicaquc
verbis proponicur dubicacio, Placonis &: Empcdoclis opinioncm confequens,
qux vt cnodari no poteft, ita falfum elfcdogma,aquoorcumhabct,cxiftimandum eft.
Visautcm dubitationis ducitur cx us qux in fccundo dc anima iam declarata
fucrunt , Scnfum fcili- licct omnCffl , organo aut mcdio non impedico ,obicdoq;
proprio prxfence fcnure.Igncm prxrerca quatenus lumcn obcincc,omniaq; corpora
lucida(vt funt aftra , animaliu mulcoru oculi, aliaquc huiuimodi lucc
cmittcntia)ocu- L obiccta mdicand cllc. His verd politis, hunc in modum
dubitatio propo- nitur: Oculus cft igncus , crgo femec afTiduc in tcncbris
vidct. Alfumpnb ab aducrfano fumitur: Confcquutio ex policis valec.nam prxfens
obieftum nu- quam oculum &: vifum laccrc dcbcc,obiccum aucc vifus cft ipfc
oailus,cum ^ igncus fic , 6c co magis quod in ccncbris nil nili iplc ubi
ofFcrrur. Acqui con- fcquutio falla cft,nam quicfcencc oculo&r non
agicaco,nihil buiufmodi ccr- nitur. Vnica lgitur cft ifta dubitatio, nonduplex,
vt Alexandcr ccnfec, cum pi xfcrrim Ariftocclcs in vcrbis qux modo fequcncur ,
hsnc non canqua mul cipliccm , lcd canquam hmplicem ioluat. Qux crgo huius rci
gratia ab Ale- xandxo affcrunrur,a rcaliena funt, hoc vno cxccpto:Dubicacioncm
hanc ni- mirum nonmodo Anciquosifta fcnticntes, fed Peripateticos etiam ipfos
vrgcrc polfc . nam vccunquc fulgens illc fplcndor appareac , cur agicaco o-
culo non autem quicfccnte fiat,fcmperiure qucri potcft.Prxccrca hec dubi- tacio
iplnm ctiam dogma fundicus conucllic, vc paccc : qui igicur cxiftimanc in his
vcrbis non dogma , fed dogmacis racioncm impugnari , toto (vt aiunt) cxlo
ETSENSILIBVS. 57 A caMocrranc.Dirnculcas aliqua in co cflc vidccun
qnomodonimiru Ariftorc- lcs,cx opinionc Anciquorucolligac: neccflario
fcqui,oculumfciplum in ce- ncbris affiduc viderc,cum ilh nilhuiurmodi affirmare
vidcancuc Scd ccrtc omnia planafunt:fiquidccum Anciqui idcirco oculo agitato
fcintillas iilas cmicantcs vidcri aflererec,quonia oculus narura ignca
obrincrcc,a quo tan- qiiam a quoda foculo illac cmittcrcntur, vidcdo fuigorem
iliu fibi limillimu, lciplu quafi in (peculo vidcrciudicacur&hoc
Ariftoc.inferiusinpropriafen tcntia, his vcrbis cxplicabit J i'w'5'7 Rcctc illuda nonnullis animaducrfum
eft,dubicacionc iftam ad organu tan- tum vifus,nonad facultace vidcndi(quod
Lconicusinnuit)acc6modandam cflc.Nam ncq; inipfa fplcndor apparcr,ncq}fcipfam
ccrncrcpoccft,cumfor ma fir in indiuifibili cofiftcns:fcd preccrca hic dc
./tfthccerioru nacura, non dc principio vcl facuicacc ipfa vidcdi,qua:ftio
fiat.RccuftimcomniuThomas B annocauic,vimhuiusdubicacionis,nuJlius jprfus
momcnciforc, ii Ariftocelis principia fpcttentur.Ccnfcc cnim ipfc fcnlum cfle
in pMcftacc ad ipfum fcn iilc,atq;ide6adfenfionc cfticicndamcdioopusefle,qu6d
fpecie rci fcnfilis ad lcnfum dcferrc aptu fic:cx quo colligit(vt nos iupra
plunbus oftendimus) obicftu, vt fcnlione cfficiat,a lcnfu diftcc oportcre:
quandoquidc li fupra (cn fum ponatur(atq; ocuium prajfcrtim)nulla fcnfione
producere potcrit.Faci- lc igitur rcfpondcrc potcrant Arttiqui:Oculusno fc
videt,quiafcnfilc fupra fcnium
pofitu,fcnfionc non cfTicit. At dubicacio cx fundamecis quc, ieceranc Antiqui
nafcitur.Putabant illi idco anima intclljgere omnia,quonia actu o- mnia
eflct(vt fuperius declarauimus )&: ita organu fenfuu,quod omnia cor-
poralia cognofccrct,atu omniu corporu principia cotincre,quo fane pofito
redditur dubitatio incxplicabilis.Neq; hoc cuipia miru videatur>niiniru A-
riftotclem aliquandofalfa difputando fupponcrc.hoc cnim illimoris eft, C cum nondum
cxpolita rci vcritatc, fcntcntiam ahquam cxaminat, multa fu- mcre x qui a fuis
quidc aduerfariis probcntur,ipfa tamcn omnino faifa fint e- xiftimanda.In
tcrtiodephyfica aufcultationc,aducrfuscos agcnsquiinrini- tu
conftitucbant,fumit,Omne corpus vcl grauecflc vcl lcuc, aiiaq; nonnul-
la,qua?tamcn(vtmonct Aucrrocscom.48.ciufdcmlibn)fimplicitcr vcra cilc non
poflunt.ln primo ctiam dc anima aducrfus Platonicos difputans vidc- tur
conccdcrCjQucmhbct animx motum mcdiis organis ficti Prartcrca vc- ro,Omncm animam
eifc incorruptibilcm . Ha:c Grarci mtcrprctcs pnmum; poft hos, Arabcs &
Latini animaduertcrunt. I j T e/\' atrnt Tgufgv ttj ^Vsrp/ac , 'lr. Qsrf Jl'
^^t/T?c tsrciu 1* xnmaunfyuert fcru&v 'irtcov p tivaf fg opSv rij 1o
oodfjSfjov.^th 63(fl tyxuv a/ua. tT vo
xjtv tfff^ 7 opoiV XjTo opei/j&fjov.txt/vo>( av&q avrlv ofa 6
6f3-aAfj.of t aavtp 2? or7>T a.vaxXaLan. Scd huius caufis dubicationis,nepc
& curvifus ignis elle videarur>hinc funt accipiendxLxuia nanque in
tenebris apta nata funt fulgcre^no u- me luccmemittere:Oculi veroparsquae nigra
& media vocatur,la:uis apparct.Quodconftat fioculus agitetunnamcjiiod vnum
elc , vcluti m duo abire vidctur.Hoc autcm celcntas motus efficit,vt appareat
vidcn- ,8 DE ORGANIS SENSVVM, rcm ire vua diuerfum eflfcquare hoc non accidic
nifi celcrirer, atque in ^ tenebris fiat .Etcnim lacue in tencbris fulgcrc
aptum eft , vt quorundam pifcium capita , 8c fepix atramentum. Tarde
autcmmotooculo, non accidit vt videns & res v lt.Umuil vnum & duo efTe
apparcant. lllo ve- r6 modo,oculus fcipfum ccrnit,vcluti & m refratione.
OftendensAriftotcles,inoculo igncmfllum cmicantcm,nonobcam cao fam ccrni,quod
oculus igncus fit, (nequc enim rc iufam potuit non affirma- rc) , fundamenta
rationcfquc propou"te > opinionis,tatiscucrtercvidctur,c6- quc magis
qudd dubicacione allaca , qux alioquin enodatu difTicillima erat, Sc
Pcripatcticos ctiam ipfos vrgcrc pocerar, hac fua cxplicationc nullonc-
gociofoluit.Duoigiturhisin vcrbis(rli fallor)docct Ariftot .Primiim,curin
oculoluxillaliucfplcndor nottu apparcac . Sccundum ,curiftaocu!o moto non autcm
quicfccnteaccidant. lUud ad dogmatis fundamcntum cucrtcn- |$ dum: hocad
dubitationcm propofitamediflcrcndafacit.Hanccontextusdi ftributionem fcqui
placcc , quia ab ipfo Ariftot. initio fuoru vcrboru propo- nitur.Caufam
fiquidcm^c dubitationis& paflionis allacx vellc fc hic docc- rc
ligniiicat.De pnmo ita ratiocinado dctcrminat : Omnia corpora lxuia&c bcnc
terfa in tencbris fulgere apta funt: pupilla qux mcdium oculi vocacur, cft
corpus lxuc & bcnc ccrfum: pupillaigitur in tcnebris cft apta fulgcrc.Ma
iorcm propoiitionc experientia probat:capita nanquc pifcium,multaq; alia
huiufmodi,noftu luccre confpiciuncur : minorc canquam noca ponic. Iure i- taquc
colligic,illiuspaflionis caufam non nacura oculi ignca , fcd illius Ixuo- rcm
cxiftimanda cflc. Dc fccundo aic : Idcircoiftam paflionc agicaco oculo, non co
quicfccnce fieri,quia cum oculus agicacur,concingic id quod vnu cft, duo
quodamodo euadcrc: Acfi dicat,cum oculus agitatur,&a fcipfo,jppri6- quc ficu,quali
diuelhcur 5c fcparacur,fic,vc duo diucrfa cllc iudicecur, rcs nc- pe vifa,5c
organum videns.videc cnim cunc fcipfum oculus, licct non pcr jp- C pria
formam,fcdpcrquendafplcndore, luique limilicudine,& quaii per re-
rraftionc.Qupd fi aut cardc moueatur,aut omnino quicfcat, non diliugitur, nequc
a proorio ficu rcmoucrur.qu6 fic,vc canqua vnum quidpiam,nimirum organu cancum
mancns,(plendore lllum vel fcipfum pcrciperc ntqueac. Vc rum hxc diligcncius
conudcranda. (Lxuia nanquc in cencbris apca func ful- gerc,non camcn lucc
emicccrc).Lxuc &c afpcru ex fccundo dc orcu 6c inccn- tu lib.conc.S.inccr
qualicaces r.utilcs connumcrantur . Lxuc aute illud dici- tur quod fupcrficic
obtinuit , cuius partcs xqualiccr & in rcftitudine iaccnt. Afpcrum,cuius
vna pars cminct, alia autc inferior cft. Lux hoc in loco & ful- gor liuc
fplcndor,non diiferuncnifi quod hic minorc, illa maiore lume figni-
ficac.Solcnc camcn hic nomina hunc fcrc in modu mcer fc diftingui: Lux cft D
qualicas ipfa a&iua mucas liuc afHcicns vifum, qux quidc cft in corporc
luci- do,non jpdu&aabalio aucconferuaca.Qua racionc in Sole lucc ponim 9
,pcr fc fcilicet,&: a nullo alio illuftrancc produ&a. Lumcn vocamus,
candc quali- cace vifum afhciencc,acorporeft***rM,idcft acorporcnon
Iucidopcrfc,fcd ab alio illuftraco, participaca . hincaercm dicimus lumcn
habcre:&: Anftot. in z.dc anima:Lumcn ^*9*watum cfie tcftatur. Hoc lumcn
participacu, fi ca racionc fpcft ecur,qua a corporc pcr fc lucido pcr linea
rc&am produci- tur,Radius appcllacur:fin aucem qua rcflcxc,id cft ob
repcrcuflioncm , puca fpcculi iIIuftraci,oricur,Splcndorproriricdicicur.2wTvf
,id cft Tcnebrarum nomcn Luminiopponicunqu6fic,vcquemadmodulumen
atusficAalbedmccacam dici,quanta cft fupcrflcics cui inhxrct. quarc Ixuor cft
qualitas dlius fuperfi- cici,qua fplcndor cx tcpcranria &: natura illius
corporis Ixuis fcquicur.Quod aucem addicunColoracalumen rcquircrc,vt cerni
poilint: Rcfpondco,colo- rcm cfle quidem obicctum vifus prxcipuu,non camcn
adxquaru.Plura cnim videmus,qux propric colorcm non obcincnc : (cuiufmodi func
fol,luna,ftcl- Jx,ignis,oculi quorunda pifcium,aliorumq; animalium, mulcaquc
ligna pu- trida,randemque omnia corpora valdc ccrfa &C cxpolica,qux rn
ccncbris can- ^ tum lucida,mtcrdiu vcro non lucida,fcd proprio colorc coloraca
fpcctantur. Vifus icaquc obiectu adxquatum eft ipfum vifile , quod &:
colorcm &: lumcii /iuc fplcndorcm complecticur.Colorcs crgo non finc luminc
vidcncur , quia cx fcipiis fcnium afTiccrc ncqucunc , niii ancca accu pcr
fpe&abilia a luminc rcddancur.Splcndor aucem &: lux func fcmpcc a&u
viiilia , niii impcdiancur. (Oculi vcrd pars qu nigra&: media
vocarur,lxuisapparcc).OcuIi lubftancia cx quacuor prxcipuis
cunicis,cribufquchumoribus conftac.Tunica prior at- quc cxtcrna&mfwTshoccft
adnata&adhxrens appcllatunhuiusintcructu oculus quaii ccnccur &:
adhxrcfcit.huic ^pximc adhxrct altcra, qux quia cor^- nu iimilis eft, w'^ r
vocatur, vniuerlumoculum cingcns,&: pcllucida,vc pcr cam ccrni poiTet. Hac
concluditur humor ab aqua au t ab oui candido no mcn habcnSj^WWr a Grxcis, Albugineus
ctiam ab Anacomicis appcllacus. hic rn cxceriorc oculi parcc circa pupillam a
nacura ficus cft , nc lumcn cxtcr- D num^fs^^^humori fubicooccurrcs(quiquidcm
prxcipuum cft vifus 111 ftrumcntum)acicm vifusperftringcrct:prxtcrcavt
aficcic.uc libe- raret,in quam aliquando incidcre pocuiiTcc.Hunc cundcm humorc
moxTa nica vuxp*^*^'nuncupata,vniuerfumc6prchendit:foramcn quodin partc priorc
&: mcdia habct veluti granu vux , &: c quo acics cft, qua ccrnimus pu-
pilla vocatur.P*; 1 '^ circucirca proximc fuccingjc cunica araneoru tclx pcr-
fimilis *?*;t r *^',colorc nigra.Scquitur humor''***^ vicro fufo iimilis,vicrc-
ufquc ldco vocacus . Copiofus is cft&: crailior, inquo ^s^^^f tanquam m
ccntro oculi ftabihs&: conftans infiftichic dunilimus cft , &: glacie
concrcta auc cryftallu rcferc : figuram globofam quidem habcc , fcd qua
pupillam fpe- ctat prcffior cft.ponitur autem non in medio vitrei, fcd parte
cius priorc pu- pill.v prorfusobicctus , vt&: commodius aqucum humorc
llluftrarcvalerct, &: tucior ab iniuriis excernis rcdderecur.Ex his patet
quid Ariftotcles pcr par-: tcmnigram&:mcdiamincelljgac:partcmfcilicct illam
cantumqua Aranca $o DE ORGANIS SENSVVM, mcmbrana per pupillam vila
continctur,&: qux nigr.i in omnibus rcpcrirur: non autcm quicquid pr$CtK album in oculo clfc
ccrnitunlicer iplius vcrba in pnmo librodchiltoriaanimaliumcap.io.id
vidcanturligniricarc. dnduiu (inquit)oculimagnacxpartc limilcinomntluiscft:
atquodnigrum dicitur, variar.alus cnim atrum , ahis ccfium, aliis riiluum ,
aliis caprinum . A rqui in quarto ciufdcm cractationiscap.S.intcrpupillam ,Sc
nigram oculipartcm difcrimen pomt: quandoquidcm dcoculis talparu ita loquutus
clt:Habent nigrum illud orbiculum,quod in pupilla continctur , atquc albx ctiam
por- cionis circunfcrcntiam. Non abs rc auccm iltam parccm cancum Ixucm ap-
pcllauit,cumalioquinalixpartci ocuhlxucs cifc vidcancur,&: cunica ipla
i.a;/ B fuanacura lxuiflimum,cum ca cunicx fax"**^" parte,qux pcr
pupillam ccr- nicur,coniunctum inccIligcre?Vndc non poilim non mirari, lllos
qui aifcruc: idco ab Ariftocclc parccm tancum iftam mcdiam Ixuem fuiife vocaca
, quia cum nigraiit,ad lumcn reflectcndum,8 fplcndorcm lllum produccndum a-
liis oculi parcibus apcioreflc vidcacurquod fane raliu clfc,cx co liquec, quod
Ariftoccles docccmcdiam iftam oculi parccm,non quia nigra lit,lcd quia Iq-
uiMplcndorcmcmicccrc.Hicmulrxoboriunturdirriculcaces. Primumcnim non vidccur
cflc vcrum , mcdiam illam oculiparccm in ccncbrisfplcndcre pofle,cum oculi
omncm fuum fplcndprem cxcrinfccus rccipianc , quo ccrcc in ccnebris
dcfticuuncur.Prxccrca,ii ob lxuorcm oculus fplcndcc,cur ab ocu locxccrno
fplcndorillc auc noctuaur inccrdiu nonpcrcipicurrPoitrcmo, cur quicfccns oculus
acquc in cadcm fcmpcr lxuoris racionc mancns, fplendorc C no cernicJ Priori
dubicacioni cx iis qux fupra allaca func,facilc cft facisfaccrc. Nam oculus cx
fui nacuralumcn habcc,cum Ixuorcm obcinucric: ab cxcrin- lcco auccm lumcn ldco
tantum ftcipere dicitur,vt ad acrum coloresreducac quibus aifc&us
cft.Sccundxdubitationi rcfpondct Alcxander. Splendorcm nimn um illum ab oculi
tumcis rctmcri,vt cxirc ncqucat.Scd minim eft hxc ab illoprotcrri ,cum oculi
nuil'cipularum,c6quemagisleonum,nonmod6 totidcnUcd crafliorcs cciam tunicas
obtincant: prxtcrca, runicxillxinpri- mis flnc pcliucidx ac crafparenccs:qua dc
caufa lucis craniiru impcdirc non pofsint.Diccndumcll igitur:Ade6 cxiguum clfc
lumeninoculishominum, vc inccrdiu a maiori ofruicecur.noctu vcro fui ipcciem
pcr mcdium multipli- carc,oculumque cxtcrnum ferirc nequcac. In oculis aliorum
animaliu mul- cumcft,acproindcnotculaltcmcxtcrnumoculum moucrcpotcft. Scd hic
nafcitur noua dubiratio . Nam qui fir vt in oculis mufcipularum no&u , nuU
l6queprorfuscxtrinftcolumincprxfcntc,non fcmper fplcndor lllcconfpi- ciacur Hoc
fanc ncgari non potcft,cum cxperientia fit mamfcftum. Dicc- D rem igitur,cunc
cancum iftorum animalium oculos m ccnebris fulgcnccs co- fpicucum intcntius
afpiccre voluerinrcunccnim ric vttunic.roculiqualidi ftcntx(quod aliis ctiam
rcbus accidir) Ixuiorcs & lucidiorcs rcddantur.vndo cciam lcnccncix
Alcxandri abiurdicas magis perfpici poccft. Tcrcio dubio Anftotcles rcfpondcns,
ait, Oculo agitato,id quod vnum eft, in duo quali a- hirc-idcoquc
hlcmquodamodofeipfum vidcrc,quod quicfccnrcoculofieri ncquit. Alcxadcr,vt
hxcverbareddar clariora,nonnullapnmum &obfcurc quidc ,pfcrt:huc ramcn(ni
tallor)iplius fcntctix fumma rcddit : Cum ocu lus commouctur,fic duo,id cft
organumvidcndi Sc obicctum vifus.nam agitatus ET SENSILIBVS. &: cx proprio
loco motus fplcndorcm cmittit : poftquam vcro ad fuum locu naturaJcm rcdicibi
lllum offcndit adhucconftanu m&: inregrum:qucm cer ncs quaii ab alio
cftVdum,feipfum lpectarc dicitur . fed cclcritati hxc omnia ct tbucnda funt.Hxc
ianc rcfponfio pnctcr alias dimcultatcs quas fecu arfcrt, his(vtquidcm
puto)obicctiorubusnon fatisfacit . Docctcnim Ariftoteles lplcndorcm illum non
ab agitatione hcri,(cd lxuorem oculi conlequi*agita- ttoncniquc id tantum
cfhccrc,vt fplcndor fpccran pollit. Prxtcrca , oculum non alitcr Jplcndorcm
lllum vidcrc,quam lciplum vidcns: idcircoquc ait,V-
numqunfiduocuadcrc.Hxcanimaduertcns Alexandcr, mulcaquc alia ab- furda,luam
intcrprctationcmconfequcntia,alitcr Ariftotclis vcrba cxpbca- rcaggrclfus
cit,inhancfcnccnciam: Inagitationcoculi viuim ficriduo, non
quodoculusfccundumcandem parccm,fi.u\ ukns&:rcsvifa,fcdfccundum
diucrlas.Nam cum corporcam magnitudincm habeat , ac proindc (it diutfi-
bilis,dum agitatur,potcft no totus in loco naturali , nequc totus in loco pr.r-
tcr naturani iimulcxiftcrc:fcdpcrcontinuam illamconfricationcm,partcm fui in
loco naturali habcrc,partem nomfibiqucinuicem partcs fucccdcrc : i- ta vt qux
modo abcrat,adlit:& qux adcrat,ablit . Pars igicur illa quxin loco naturali
cft,vcl difccdcns vcl rcdicns, percipit fulgorcm parcis qux extra re- pcrttut
.Qua rationc oculus qui vnus cft,duo facrus clTe videtur. Vna cnim U- lius
pars,ab aliaquaii lcparacur,idcmquc vifumiiueobictum,& vidcns iiue organum
vidcndi cfficitur. Hxc Alcxandri explicatio vcrbis conccxtus
bencquadrat,&:cxpcricntixconuenic:nam fulgorille non vtquiddam ma- ncns,fcd
vt traniicns ccrnicur,omniaquc dcdararc vidctur : hoc vno cxcc p- to:non cnim
(atisapparet,qua ratioheoculushocmodo feipfumin rcfratio- nc(vt ait Philofophus
in conccxcu)confpiccrc dtci poflit.Prxtcrca, obiiciam, AriitocclijConfricato
aliquando oculo , &: celeritcr commoto,ec(i quiefcas, pcraliquod tamcn
tcmporis intcruaIlum,fplendorcm illum tibioboculos obuerlari.Poftrcm6,quid dc
lis dici potcrit quibus facics pcrcutitut?quiddc iis it^mquiafomnocxulcit.in
clcrcpctc oculos.ipcncntcs huutfmodi fulgo- rcmccrnunt>hicnullaprofcct6conimotio,null.ioculidiuilioHt-
Nonnulli, vt pnorcm dubitationcm foluant , nou.mi \ crborum Ariftotclis
intcrprcta- tioncmitaproponunt: Oculum fcihccc vc fplcndorcmcmiccac, lumcncx-
cnnlccum a (pirittbus rccipcrc oporccrc , cum prxlertini lit a prxdominio a-
qucus.In commotionc igitur illa nigrum oculi a fpintibus illuminatum,ficri
viliuc. facultatis obicccum , ibiquc lcipfum canquam infpcculopcr rcflexio- ncm
ccrncrc. Vcrum hxcopinio primum cum AriUocclc pugnat , qui lumi- niscaulum lxuoritnbuit,nonfpintibus:
pr.vccrca oculum lciplum vnlcrc, non autcm oculum a facultate viliua
ccrnidocet.Tcrti6,nulla commotionc facta,lplcndor iftc inoculo apparct.n.im (i
vcl lcuitcr $ turdc oculo digitum fupponas ,illumquc clcucs ,&: moucas loco
, ftacim flamma quxdamtotam pupdlam rcprcfcntans tibiobucrfabitur.Q u.n t6,in
aliofuni ammalium cx u lis nulla taii fpirituum agitationc mcdia,fulgor appa
rct , non igicur a fpiriti- busilluminantur.hos tamcPhilofophus pro
cxcmplofumic.Poftrcm6,quod aiunt vix tolcran potcft, Oculu fcUiccchominis
aqucumeife,iftonim vcro animalium igncum: cum non modo iidem humores, , fcd
copioiiorcs cciam,
inoculisbrucommrcpcriancur.Lconiciisrcccius.diciccnim,Qucmadmoclii in
fpcculopcr rcperculitoncm&: rcfractioncm imaginis, ipic icipfum ccrncs
oculus,duoqua(icuadit, ( imagonimirum quxccrnic,&: ida quo imagmis
rcprc/cntatio fit, idcft oculus ipfc ): ica in hacconfi lcitionc, oculus quafi
m duo abit,&: lpfc icipfum cernerc vidccur. AddicThomas:Ec qucmadmodum t.
ui. 61 DE ORGANIS SENSVV M, infpeculoabcxtcnori rcditfpecrcs oculi
adoculumpcrrcflcxionismodum: ^ ua In hac,fulgor oculi , quali ad oculum ipfum
rcdirc dicitur . Parscnim illa qui extra propnom fttum cft,licct
nonvideat,alliduc tamen fulgorem cmit- iit.Ad aliudporrodubiumdicilortairc
pollit, Non ftatim poft confncatio- nem,oculum , fecundum fc totum , ad fuurn
naturalcm locum redirc , atquc ob hanc caufam tandiu fplendorcm lllu conipici
,quandiu fucccffio illa par- tium commotarum atquc agitatarum pcrdurct. Ad alia
cquidcm rcipondc- rcm,Hanc pailioncm a fupcriori diucrfam ciTc , ncque cmm in
hac Iplcndor orbiculatus&: continuus , vt in illa , fcd numcrus infinitus
corpuiculorum c- micantium ccrnitur.Idautcma multoconcurlu lpintuum
fubitoerumpcn- tium fa&um ellc crcdidcrim,noob aliquam oculi
agitationcm.Multa autcm illa fpirituum fubitaque Sc confcrta crupuo , vel quia
ftatim a pcrcuflionc producitur,vcl quiapaulatim in fomno palpcbris adopertis
gcncratur, crrici poteft.Spintus autcmipfos vifui fcruicntcs punirunos cilc ac
lucis naturam * retinere,exeuntcfqucab ocuh fplcndorc illuminan poifc fatis
conftat . Hxc Alcxandcr m pridri partic.probl . 60, & in
quartn^probl.y^.Prartcrca vcro A- uiccnna rn tcrtio libro dcanimacarf.?
.dicercforfan voluit. Scd hictollcn- daeft rcpugnantia quse cx trigelima
partic.probl.19.orin vidctur.Ibi cnim di fcrte Ariftotelcs fatctur,quod hic cx
propofito aducrf vctcrcs philotophos ncgat.Nam quxrcns cur marius dextra a
tiniftra,&: pcs dextcr a iiniftro diffc- rat(quatcnus fcilicct vnum horum mcmbrorum,cft
altcro tortius &: mobi- lius)oculusaboculo non item: rcfpondctid accidcrc ,
quia elementa qua: pura funt , fcoriim iiimpta a fcipiis diffcrrc non vidcntur,
cum difcrimcn cx varia tantum illorum pcrmixtione atquc habitudinc fumi
vidcatur . Atqui ^ manus &: pcdcs cx clcmcntis compofitz partcs funt ,
vifus Sc auditus cx pu- nsatqucimpcrmixtis elcmcntisconftant,illc nimirum ex
ignc,hiccxaere. Adhoc quicquidaln dicant,ftatuendum clTcputo , Authoritatcs cx
problc- matibus fumptas,aut omncs probabilcs cilc,aut plarrafque non multum vc-
ras &: neccflarias. In illis cnim fcrmonibus Ariftotcles fe communi homtnu
loqucndi rationi modoquc accommodat, velmagninominis cuiufdam ho- minis
opmioni.Hoc vcl cx co deprchcndi poteft, quod pauca in lllis cxtant, cmx cum alns
ab Ariftotclc alibi cx propria fcntcntia dcclaratis pugnarcno vidcanrur.
Contincntur ifta tiib llla philofophia,a qua Anftotclcs cxtranca- rum
rationum;id cft cx\ ulgiopinionevclaliorum fiindamcntis fumptarum)
appellationem duxtt.Id contextusquadragefimusicptimusquarti hbriphy.
&:ccntefimus Aucrroiscommcntanus prioris libridecarlo nosabundcdo- cct.
Quarc niJiil ifta luuc loco in quo dc rebus fcrioagirur, rcpugnarc cenfcndum
cft. ( Vcluti&: in rcfractionc). Rc&c hicanimaducrfum cft,rc- D
rlcxioncm liuc xanquamac6trariis cxtinguctur. Eftauccm flam- ma(vtidcm in
quarto meceorologico conc.47.de corporibus vihbilibus 1 gcnsjnil aliud , quam
ipfc ignis , iiuc fpiritus &: rumus ardcns. Quarrunt hic nonnulli:an
caliditas fcmpcra contrario corrumpatur, cum alioquin in pu- B trcdincab codcm
calorc cxtinguiyidcatuniedccrte nimis practcrrcm , cum Ariftotclem de calido
ignco 6c flammeo loqui conftct: pra:tcrea,cuftincho :1- la cocics a Galcno in
priori partic. aph. repctica omnibus nota lit : Calorcm fcilicec duo fignificare,
qualitatem ipiam clcmcnti(crimur, in vifuxolligicur ergo lumen il- ludegrcdicns
flammeumigneumque dici non porTe : vndeimpropne mce- ncbris cxtingui
dicitunidcoque mancc vcrum quod obiicitur Platoni, nimi- rumii viiio emuTionc
iftorum radiorum fiat, in ccncbris quoque nos fpc- dtaturos. ,y h % fxtn
$ozX%( toau tofxlfym > ort uSft ciC
^* t^a> J^aSfSoTur taor raratJrtpor
r, Sa.fx diflcrunt aniouentqjj Lumen autem extra emanans quo
prorra&ius eft, I mms emicac ad
folum indomitis radiis: Sic etiam cmicat qua? aercm &: obie&fi il-
luftrando,vifionem in animali producitHis in vcrbis vnaEmpcdochs opimo
pcrfpicinir,'nimiru vifioncm ficri radioru croiflione. Altcra nimiru defluxus
illos ab obicclis ad vifum proficifci, non cxplicacur:&: quide idc6
forfan,quia, non omnia Empcdoclis icripca ad illiusmanus pcrucncrint, fed
llluda Pkl- tonc tantum rclatum acccpuTec. Hiccnim ( vt Alexandcr ctiam monct )
in DialogoquiMcnondicirur,&:ijiThcatcto,definicns colorein o: Empcdo- clis
fcntcntia, nilaliudcfle declararquam defluxum qucndam qui a rcbu corporcis
obic&is aipe&i adoculos perucniat.(*Tfvt'w )id eftApW, indomitis. Qupd
verbum dici poteft de cquis &:aliisanimalibusfcroci- q bus qui nulla vi
retineri poflimt.EmpcdocIcs igitur qui Philofophia pocticc, (vt&
multialii)c6fcripfit,hacmctaphoravimignisinlatcrnaincluli dcfcri- oit:qui licct
cornu circundctur,foras tamcn lume ac radios emittcndo, quali
excraprolilircobcorum cxilitatem&Jibcre quali cxcurrcrc vidctur. Tho-
mastraruTcrt(Domitis)ideftattcnuat!s pcr latcrnxvclum . ncquc enim ita
pcrfpicue&clarcaerilluftraturalumincillo ita domito&: refra&o,vr
abi- gne non fepto ncquc vclaminc obtefto. Etaddit,hocvocabulo Empcdo- clcm
fignificare cur in tcncbris vilio non fiat, quia nimirum rraniicns pcr la-
ccrnc; cornu dcbilitatur.Hcx vcro interpretatiolicct rn fefe no ltc
talla,aGra:- co tamcn vocabulo prorfus cxcurrit. Quodaucemadiugitomnino cft**-
/mnr. Vitu cnim in tenebris fieri no idconcgabat Empcdoclcs,quia lumc c x-
cundo infirmarctur:(cadem enim ratio intcrdiu(quoquc valerct)fcd quialu- me in
tencbris cxtinguerctur , vel(vt ferio loquamur.) quia in tcncbris lumi- nis
cxtcrniauxiliodcftituerctur( *y&yntwf) Antiquum ignc,id cft( vt Plato in D
Timeo intcrprctatur qui primigcnia oculi formatione coftitut 9 fuit,^ j^t^>S).Sunt
qui lcgatSf,quonia fcilicct lumcn,non ignis cxilit: icd illi ia- nc inter
mctaphoras&: tropos fcrmonis proprictate qua:runt. Conftat cnim Empcdoclem
defcribcrc igncm laterna tanquam propugnaculis circum- fcflim cocrcitu , cuius
dcinde radios indomitos vocat , qui a nulla vi retinc ri poflint quin excra
proiihancVt igitur mctaphorx vis mancat, antiqua lc&io
rctinendacft,qua:ctiam Alcxandro aliifquc interpretibus probari videtur. Ex
hisEmpcdoclis verbis illud colligendum cft:Oculum quidcm igneum el- fc vctcrcs
illos arHrmafle,quo ad illius ccntrurmcircunfcrcntia tamen pupil- lx,aquam
contincrc.Thomas diccre vidctur,idco vetcrcs affirmaflc in pcu 1 i
circuferentia,aquam fuuTc pofltam vt quali ignis nutritioni,&:tcpcracioni
in tf3 DE ORGAKIS S E N S V V M, fcruirc poflct.( Aliquando igitur fic vilionem
fieri ait).Iubct Ariuot. in tcrtio
Rhctor.ne nimis longum intcruallura , intcr coniunttiones fibi rc-
ponden- tes in oratione ponaraus, vt mcmoriacaudicntium vel lcgcntium
tofulamus. Eft autcm hoc in loco prior coniunctio illa , Empcdoclcs aute vk
ttur cxifti- marc aliquando quidem. Poftcrior iibi rclpondcns cll : Aliquitndo
etiam per dcfluxus. Nimis igitur multa mtcr illas inferta vidcbantur. f^iurc
Phi- lofophus,huicincommodo mcdctur,cumpartcm contcxtus fupra pofitam
rcpetit,in qua prior coiun&io continebatur, & mox aliam ftatim &bU
cfpon- dcntcm rcddit. Htt/nox.ctTQ' ^orijuttr vtyci XtfAac ' ortita (ni
fallor)ratiocinatun Vifio fit in facultatc videndi,arExa tamc organo,qua- lis
cft oculus:ifta pailio, non fit in facultatc vidcdi:crgo non cft viiio. Aflum-
ptionota cft ex iis qujc tradita funt in fecudo dc anima, nimirum vifum eflc,
opera- ETSENSILIBVS. 6 9 A operationcm facultacisvidendi,perfpccici
lnorganofufceorionem.mino- rcm in contcxtu probat,quia lfta paflio qua?
vocacur,r.fractio rancum quzdamcftjquaripfioculolxuorcmhabcntj accidit. Polltr
quidcm po- ftcrior harc argumcntatio ad priorcm rcuocari: fcd v t cmnia
cHucidiora red dcrcnrur,nos Alcxandrum fcquuti ita diftin&e conccxtum
cxrJicarc malui- mus. Iri ncnnullis autem ab aliorum intcrprctationibus
recedjnus : quod cur faciamus,fuolocorcddendaratiocrit. ( Dcmocrirus aucer ) .
Non modo Dcmocncus, vtannotat Akxandcr, fcd ante ipfum Lcuctppus,ac poft ipfum
Achenicnfis Epicurus ,huiusfenccncix fucrunc: quodfcnfuura principia ,clTcnc
illa^**&: fimulacia,quacafenfilibus rcbus cfiucncia, formamquc&T
colorcs obicccorum confcruancia , incurrcrcnc minftru- mcnca fenfuum, quar idcm
animac indicancia , fenfioncm cfficcrenr.Ucque fcnlioncm folum,fcd cogicaciones
cciam &c lntclle&ioncs , ex huiufccmodi B idolorum occurfu abcxcernis
rcbuscmanancium ficri volucrunc. (Hjcc- nim accidic quia oculus eft laruis). Ex
his porro vcrbis &C iis qua: in ftnc con- ccxcus apponuncur,prior
argumcncacio fumpta eft. (Et cft non in illo,ftd in vidcntc ) . Hax vcrba cx
quibusnos fccundam argumentationem duxi. mus,non eodcm modo ab omnibus
cxplicantur. Alcxandcr hunc in mo dum intcrprctatur : Scnfus ccrncndi non
confiftit in illo , id cft in imagme, ncc proptcrimagincm fit:fcdinvidcncc,idcft
mcoqui facultacemcerncn diobtinuit. Vcrafunt iftaomnia: fcdoporcuic,fericm
vcrborum&argu- mcncationum Ariftotclicorumformam refpiccrc : qux fanc
omiiia,iftain- ccrpretatio confundit,vt paccc acucx incucnci vcrba Ula ( ) .
Dicamu* crgo illud i ad proxima refcrri debcrc, id eft ad "8* hh* . Nequc
enim i n oculo qua laru is cft,vifio fic : fcd in oculo, qua pracdicus cft
faculcacc videndi : >>*'" autem llla eft paflio quardam corporca ,
fiue rcfractio, oculo C concingens,quacenuslauoremobcincc,non ccrncndi faculcacem:
idcofta- tim additur *'****'" w , rim$Q>. RectcannocauitThomas ,
Democncum non habuifTc pro abfurdo vifionem cflc paflionem omnino corporcammam
animam ipfamquid corporcumefFcccnftbat: quo ctiam fa&um cft(tcftc
AIcxandro&:Simplicio)vtomncmnoftram cognitionem, lpfamqucadco dcorum
notioncm, diuinandi artcm , fomniorumquc inccrprecacionem ad huiufccmodi
cxccrnorum idolorum lmaginumquc incurfioncm pulfacio- ncmquc rcuocarec.
Oftendic prarterca Thomas quomodo Dcmocritio- pinio,cum Peripatcticis congrucrc
, & ab iif dcm diflcncirc videacur . Vifio, mqui t,cft a&us animac
fencicncis pcr organum corporcum: habcr igitur ali- quam fui caufam in corporca
ifta paflionc quse >** vocatur . Caufa vcro c ft prima illa idoli fiuc
formnc rci vifibilis in oculum pcrcufllo . A t corporca n ipfa paifio non cft
vilio,ncquc rcflcxio confequcns illam percuflioncm quic quam vifioni
conferc,cum oculus rcm videac pcr fpecicm illius, non camcn imagincm
fcnciac,quam in fc rci vifibilis concincc. Ex his facilc noilc poflfu-.
mus,quancamafrinicaccm fcnccncia Dcmocriti,cum poftrema Empcdo- clis&
Pcripacccicahabcar.ac proindc quam abfurdc fcnfcric Placo,qui vi
iionemcniiffionefieriaducrfus Vccercs omnes,ipfamquc adcovcricatem
exiftimauerit.qua dc rc infra pluribus. (Sed omninodeimaginibus&J rc
fraciione). Rcprehenditur non excufatur Dcmocritus . Nam(teftc c- tiam Platone
in Alcibiadc priori) Furiofum cft ea doccre,quz nefcias : & in Hippia
minorcjDoccntcs qui non fponcc crranc, pciorcs func illis qui fpon- tc
mcntiuncur. Quantum vct 6 zdiwrv*ifnc naturam actincc: 7o DEORGANIS SENSVVM,
lciendum ctt.,*!"**"*'** ** di^erretcftc Philopono qulatt pcr *'l f
,aquocum tranlmitci non po(lic,rccr6 fcrtur,ac quaii m pilar morcm ad parictcra
proicctae rciilic : quo modo imago ad par- tcmoppoiicam rcdirc videcur.
Exquibus perfpicuum cft,corporaomnu, qux* luuufmodi fpcctabilcs imagincs
rctinere dcbcanr,Uuia &: ccrfa eife oporrcrc . Preterea , nc immutatio illa
progrcdiatur & euagctur , intcr- cedere quod circumfcribcndi ac cerminandi
habeac faculcaccm . Et hctc cft caula cur fpccuhs cryftallinis cx alcera parce
opacum quid, & dcnlum ,vt plumbum,obducacur. Hoc codc m prorfus modo ima-
go illa , de qua diximus , in oculo producitur ; in co cnira cft lauior:
prarcc- ETSENSILIBVS. -i A prxterca vcro opacum in profundo,a quo
circumfcnbatur. Vcrum enimvc-: vo cum Ariitotclesdicat,oculum,quatcnus j.cius
clt ,huiu(modi pallioncm rcopcrc, quarrerc pollct aliquis,Num corporu
la?uigatorum propnum hoc iir,an& aliis nonlaruigatis communc. Videtur
cnimfic illis pollc congrucre: 'louidcm c tcrra quantumuis afpera,radij
folisreflc&uncur,icemquccxaliis corporibus nonLcuibus neq;
c6planacis.Refpondeo,rcflcxionem lllam qu.e ad vidcndum facis iic,& dc qua
hic fcrmo clc, nonnifi l.vuibus corporibus co ucnirc:quia nimirum ab
afpcris,vel radii omncs (vt ait Aucrrocsl non limul reflcctuncur,fedaltcrnatim
tantum,vcl(vc Grarci)licetlimul tepore omncs rcflcccancur,non cameninidemcoirc
poflunriquofic vt dcbiliorcs rcddan- tur,quam vcad rcm fpcctabilcm perduci,
camquc vidcdam prarberc qucat. Idcoin tcrra ,quanuis radios rcflecrat,
nnagofolis minimc ccinicur, dilgrc- gatos cnim rcflcccit &: non vc
aqua,acr,aliaquc corpora lxuia,vt fcrrum,cha B lybs,cryftallum,in vnum
cocuntes. TopSft oxw rlw 0^0 ff ra/ vfafcqp XnB^ fj&fj'. tt /ufy/ 7
trvftfiairtt ofar tj vup t aXX % % ifo ^ {? itra&ffl Tovfa Th" trdfjutrot: dppyujg&v o
oySoXftoc. %ir . oeJo^ftc ydp **$ @i\rnt 3P or dpxv fvtfy S/ b*MA*f&',
av/btipvtefy r( oftenditur,quia fi idcmmoucri poffct localicer, codem
tcmporc,pcr nuiorem&minorem diftantiam , acl excrcmum finc mcdio
pcruenirecur,nequcmocus localis fucccffiuc ficrct,vt Ariftotclcs in libns dc
phviica aufcultationenon fcmcl dcclarauit . Ad haec acccdic : f i duo c regionc
pofiti fc inuiccm fpccicnt , aut ncucrum alccrum vifurum , li coni fc inuiccm
frangant atque diiiungant , auc vnum cahcum alccrum confpccturum , li nimirum
vnius cancum conus loco ftcceric aliumquc ccdcrc ET SENSILIBVS. 77 A ccdcrc
cocgcric. Poftrcmo, ii quod cxir tcnuiiTimum corpus fit , certc auc acr aut
lgniscrit, cum lfta inccr corporca clcmcnca , lint ccnuiora vt cx fccundo
deortu&inrcnru libro,vbide tranimurationc muctia clcmeco- rum,&T ex
primo mcceorologico conftar , vbi dc corundem proporrioJMi . gitur.
ScdncucrumcilepotdV: quoditaoftcnditur : quia, cum natura nihil fruftra
fnci.u.ii calc corpusciTctacr,rruftra cflet , acr cnim vbujuc antcocu-
loscopiofcobuerfacurzQuprfumcrgonouumcx oculo prodeuntcm pone- rc oportcrct,
lurc quidcra rack) cx Ariftotel. defumpta cft, in primo phyfics auiculationis
cont. 56. qua probac cnum principiorum luripuw. Ec ccrtc , (i
nacuranUiilfupcrfluumagit,(vtibidcm annorauit Aucrrocs) id vidcndum auccm
corpusacrcumrcquiracur,quicircumrtat ablq; cxeuntefurficcrcpo- tcnc. Igncm
ctiam ciTc poncrc haudquaquam hccr.cu m cium ignis , corpus lcuilfuiuim
fic,fuaptcq;naturafcm'pcrfurfum petcns,fupenoraqtudemccr g
ncrcpoilcmus,xqualiaatqucinfima,nunquam. Irnisprxtc i ]uaex- tinguitur,fub
aquamigiturpoutacorporahaudvideripotcrunt. Scl quor fum hxc plunbus,cum a
pupiUa,quzaquca eft, ignem cxirc nullus vnquam oftcndcc:Tandcmquc arquc
noctciine lumine exccrno ac inrerdiu cernere- tur,fi prajfcrtim plurcs in codcm
loco cifefic . nam a multo 1II0 ignc,ex tot o- cuhs
cxcuntc,acrcircunftansilluftrarccur. Quidenim acraflitic forlan actis
impccuctur,cum ab aquaqux cniflior &den(lor cft,nullomodo impedm pofliti
Scd addamus ctiam ahquid, quo Pcrfpecbuorum ita fcnticntium , a> liud quoquc
crratum dcprchcndatur. Corpora fcre omnia cx fui narura hoc habcnt , vt cum ab
alns proficifcantur, non m Jatum & amplum definanr ac tcrmincntur,fed in
anguftum rediganrur. Aquaenim quo magis fluit, edan- guftiorredditur.
Flammaetiamquanco magwatcolicur,in ranto acutiorem figuram terminacur: atqui
ifti radios lllos fuos alircr fe habcrearTirmanr, bafim nanquc ipforum rcm
vifam attingcre , conum vcro in oculo eiTe C docent. Hxc Alcxander : qux hcct
Lconicus Platonis paulo ftudioiior , Perfpc- ctiuorum fcnccnciam nulla
inrclabefactareoftendat , multaquc alia in Pla- tonisctiam grariam arTcrac:
noscamen infra difputatione aduerius I-laco- ncm pccuhari.harc omniaaliaquc ab
Ariftotclc& Philopono in fccundo de annnapropofitamultum valcrc
dcmonftrabimus. (Etenim fatius cflit.Rc- fpuit Platonisopinioncm, nonmodoex
coquodlumen internum cxtcrno coniungi in viiionc diccret: fed quod etiam
coniunctionem iliam extra ocu- Jum in dctcrminato quodam fpatio flcri aflercrec
Inde auccm cxorditur , o- ftcndcns rcdius Platoncm diccre pocuilTc ,
coalitioncmillam in organo i- pfo vidcndi ficri:quod tamen non probat.
Alexander vero tnbus ld rarioni- bus aftruit,quas paucis hisvcrbis
complectimur.Si coalitio interius fiacnul-
laaderitncccflitasahquidcmittcndi,nullum fpacium mcdiumadvidcdum ^
dciidcrabitur,tantumdcmquc&:mult6ctiapluslumcncxtcrnum interno confcrcr,cum
& firmius &C conftantius^prc; terca etiam tutius vcftigia rcrum
ccrncndarum illi quafiper manuscradcrc poterit. Sedaccedat hxc noftra c>Ai,
Coniunttioncmiftamluminum ,extra oculum fieri , vcl dcftctu lu-
minisintrinfccivclcxtnnfcci, Nonluminisintrinfcci,quia ille quo magis progreditur,c6magisdcbilitatnr:Infui
igitur principioarftius&Tcomodius cumcxtcrno,quaminfinc&: quaii in
morte coniungcretur , non ratione luminis extcrni, quia ld vfque ad oculum
peruenire aptum eft. Quandoqu i- dcmii habCTiaculcatcma vim habcre quod ab
Ariftotcle dc membrana intcriecta coa- licioncroqucimpedicnccproponicur.
Dicchdumeritigitur reprchedi qui- dcm coalicioncm iftam luminum , fcd ob eam
caufam , quia fi Placonis fcn- tcnciam fpccicmus,vcram mixcioncm in iftaluminum
coniundlionc dcfidc- C ran perfpicicmus.Sccus cnim,quoroodoluminis cxccrni
visica inalcerum tranficvcillircrum obicctarumvcftigia,adfacultatero vfque
videndi quar intraoculumeft, dcferendarum coromunicarc poflit? vtlumen intcrnum
cxicns,externo mcdio ad rcm vfquc vifam perducatur? nili,inquam,ita inui- ccm
illa lumina altcrcntur,atque pcrmifceantur, vt ex cis vna mcdia forma
oriaturiHxcautcmvcramixtiocft, Aucrroc tcfteprioridc orcu&inccriru
librocom.8racioneproprii coloris vcl albi , vel fufci, vcl fubei(vt quidam male
fcntiunc)fed(qucmadmodum aicAriftoteles)cum nullum
colorcmobtincricpcculiarem,nonquatcnusccloraca,fcdqviatcnu$
tantumfplcndcns,conlpKitur:parsvcro,vt ignis&raftra,etiam interdiu,non
tamcn quatcnus coloraca(nifi impropric cum l.atinis loqui rclimus ) fed fci-
pfa(vc aiunc)fub afpcdtum cadit.Golor ergocft prsecipuum vifus obiecrum, quiaad
illum pratcipucafficicndumapms eft, non tamcn finelumine'. Qvc- circa , Cblor
Jn tcnebris , non a&u fcd poteftate fpectabilis appcllatunquan- _
dofinemcdioilluftratoadoculum multipHcarincqucat: multiplioattlr au- tcm
afficicndo mcdium actu^!^k:qu6fitvtiuredixcrit Ariftotclcs +*tlt catcnus cflc
fpc&abilc, quatcnus extranco colorc imbuitur. Acquid
aliudeftactUc|^t9nf,quamc^nf reddicui : Acr vcro,quialumcnfinc
ahquocorporcJfc?uccuus cft a&us , nunquam rcperictunatqui actus , ab eo
cuius cft actus feparari n c- quic. Ex quo rccte aic Alcxander , tam lumen quam
actcm ad viiioncm cf- q ftcicndamdcuderari:illudquidcm,vtmedium difponcns: hunc
autcm , vc coloresdefcrcntcm.MericoautcmPhilolbphus acrismentionemfacicquo-
niam vt plurimum per ipfum, rard pcr aquam aut alia &**r? corpora ccrne- rc
contingit. Docct igicur Ariftotcles, quoduis horum mcdium dicas,fat cf fc,Motum
qui ab illo fit, vifioncm ipfam crficcrc.a b illo,inquam , pnmum a rc
lpcctabili arlecto, mox fpeciem fiue vcftigium illius ad nos dcfcrecc.Hinc
plana iam pcrfpicuaquc Ariftocelis fcntcncia dc modo vidcndi clidcur , vi-
iionem ncmpe ficn,nonquiaaliquid emitcarur,fedquiadelaca fpeciesob- iccti a
medio in oculu fufcipiacur. (*$ 7 * ). Quidam ,ab illo, quida pcr illum:
vcracmc inccrprecacio quadrac. In vifione cnim duplcx mocio fpcccacur: vna, qux
amcdioinoculumfinaltera^quxabobiccto inmedium. Priorcm dcfi- gnac
Ariftocclcsfccundodeanimaconc.74.cumaduerfus Dcmocritum di- fputans,vifioncm
(inc medio fieri non poncoftendic. Ait enim,vifioncm fie- ri, videndi
vtftheccrio patiente,ipfum verono a coloribus qui fpcctacur,fed D
amcdiopati.Pofteriorcmdcfcribicin codemlibro,cumcolorcm Jfy**ncx fc mouerc
aiferic,J&f*wquc coloris f7*AW?/*i id cft fufccptiuum vocat. Illc nanque
agichoc paricur,7V.iMK camen,id eft, vc ica dicam, pcrfcctiuc: auin Sc
calor Jfy**** perfectio appcllatur. Ne
quis autc putct, fpcciei in mcdiu ob- icctx mocum localicer ficri : (quo modo
Democric 9 6c Empcdoclcs defluxus illos ab obicctis ad oculu proficifci
cxiftimabanc ) fcd ccrce eaccnus moucri obicdtu m admedium ccfcndum eft,
quatcnus color, qui efle fuum naturale in coloratohabccfui veftigium in
medium(Eue incentionalefic diminucum aln vocant)producit,quo mcdio oculus
faculcacc vidcndi prc.dicus,colorem in coloraco intuccur. Idcoquc Aucrrocs
aic,Oculum primo incus rcmvi- fione ET SENSILIBVS. 81 ^
fionefpiricuali,moxilIamcxcrinfccusccrncrc.ad oculos ccndcnccs,cauos &:
pcrforacos produxcric. I- mo doccc Galcnus(quod fupra cciam monuimus) Placonem
h.u fola racione vifum igncumappellaflc,quiafpiritusifti , Ctttn plunmi&:
tcnuirlimi iint,na- turam lucis obtincanc , ac promdc ad dclationcm coloru qui
pai ricipationc lumims/iuntjaptiiint.Huncigimrfpintumcftundipcr acrcm ab
oculodo- cct,fccumq; vim vidcndi affcrcntcm , aeri lummofo comixtum vjiionem
jp- duccrc.AIibi umcn alitcr fcntcntiam Platonis cxplicarc vifiis c(t ? quadc
rc (ne coc incerfercndo oracioni filus abrurnpacur)infra agcmus. Nuc ad Arifto-
cclcm cranfco. Qui cum fcnfus omncs in quodam paci coniiftcrc iudicauc-
ric,&c vifionem paflioncm quandam,non ationcm efle,vc Plato cenfuic:Plo-
cinus &: Iamblichus, pluribus racionibus confirmarunc , vilioncm in videncc
non autcm cxcra ipium cflc dcccrminanc . Mulciplicacam (iquidcin fpiricua- liccr
ab obicctofpc&abili formamfpcciemquc,acrc mcdio illuftraco &: quaii
illa fpccic picto,ad eam vfque partcm oculi dcfcrri,qua viiio maxiinc ac prin
cipaliter pcrficitur.Hxc vcr6 pars humor ipfc cryftauanus cffcnam in hoc co-
gruic AriftoCel,cs,(vccxfccundqdcparcibus animalium cap. priori manife ftum cft
) cum Galcno in libro dc oculis &: ahbi,&: Auicena ccrria Fen. can.3 .
In omni tcihccc organica partc, vna fcmpcr prxcipuam &: principaic adcfle,
qux quaiiillius principij &: faculcacis fcdcs iic : rcbqux vcro partcs canquam
illius latcllitcs &: adminiftrx, Exhis colligitur , vifioncm cx fcntcntia A
- riftotelis,non pcr cmiflbcium aliquod , fcd pcr vcftigiorum rei obicctx
lpiri- cualcm rcccpcioncm in oculo cffici. Aduerfus Ariftocclcm qux Placonici
at- tulcrunt hxc fcrc funt: Si vilio pcr reccpcioncm ficrcc, ipccitrum
fpeccabjliu inoculotcernercccrcc pollcmus ncuciquam conueriis ad rcm viiam
oculis: ac cum nonnili oculos ad rcm ipfam intcndendo cernamus, cxtranonmcus
viuonem cffici conftac , Prior confcquucio noca cft.Receptio cnim fufficc-
recabiqucoculorumconucriionc. Sccunda,nullaprobationccgcrcvidx> ,
tur.Praetcrca,nil opus eflet vt continua rcccptio ad ccrncndum ficrct : quoi -
fum cnim,ii forma rci iareccpta fucric ? Na a maccria(cu prxfcnim v:iio paf-
fio iic)conieruari dcbec r Tcrti6 diftantia difccrnic , ergo rem longe a fc
poiit a hii. 84 D E ORGANIS SENSVVM, confpicir, non icaqucincus fpcciesrccipit
:valccconfcquucio, quiafiintus ^ rccipitur,non diftat ab oculo,non crgo potcric
is dc diftancia iudicium fcrrc. Quarc6,qua rationc rcs m fuo E fle cogHofccrct
oculus, cum quantitatcm in ccgram monns,aut iplius czli recipcrc nequcat ?
Ncquccnim eit quod obn- ciatiu ,nos non rccipcrc rcs ipfas , fcd rcrum
imagincsmam alia crunt quar in rc l'unt,alia quac nobis apparcnc. Quinc6,qu6
magis fpcttabilc proximius cf- fccco acutius &: rcchiis
cerncrctur.quodcxpcricntiar repugnar,&Ariftocclis fententie^qui ait icnlilc
politum fupra(cnfum,icnfioncm non cfrtccrc.Scxto, contrarix fpccics limul Sc
fcmel in codcm fufcipcrcntur. Quandoquidc ocu- lus limul duo obiccta contraria
confpicic,aibum puca &nigrum.confcquucio vcro quam iir abfurda,in hac quidc
Pcripacecicorum racionc , doccc Ariftoc. infintcis in locis,vt in
4.mctaphy.cont.5>.& dccimo ciufdem cra&at. cont .13. Sanc
contradiccntia vcra fimul cflcnt , vndc alicubi Aucrrocs & Anftoc . di-
xcnmt(vtin4.mctaphy cont.9.&: m lcpcimociufdcmdo&rina:cont.i7.)Nul '
lum intcllcctum poifc intclligcrc contreria fimul in codcm cflc . Scptim6,o-
culus ccrncndo valdc dcbilitacur,aliquid crgo ab ipfo vidcndo dticcdit.Octa
uo,quomodofigura,iicus&: locus rci cernipoccricvelucifchabcr, cum pyra-
rois ipia lcmpcr verius oculum,qui paruus cft,in anguftiorcs cerminos rediga
curf Acccdunc ad racioncs Cxpcrienciac mulcar.Prima cfc,Muliercm mcnftruis laborante
fpcculum inficcrc,vt docct Ariftoc.in libcllo dc Somniis.Batilifcu cn.im vifu
hcimincm inccrflccrc narrant.Quid,qu6d aliqui cum obie&u lon- gius diitans
acutius incucri cupiunt,oculos reftringut,&: quafi cxprimunt, vt ncpcex
illis aliquid in maiori quam folcteopia,adrcm obiectam pcrcipieda proficifeatu
r?Itcm,rcs a longinqua psirtc vifq minores vidcncur,8c quemulcu feiunctx
funt,tanquam conncxa? apparent.Error hicccrtenon fcqucrctur, fi fpccics rctutn
intus lukiperctur. ltein,dilatatapupillamagisvidcrctur,cum C m.iior rccc
pnoficripoflcr.quod tamcn falfumeft,quiapeiorvifiorcddicur,vc mcdici&: ipfa
cxpcnentia docenc.Po ltrem6,nullaaffcrri ratiocomode pocc- nt,cur qui lam
homincs prope tantunn ,quidam longc* noh prope,quida tam longcquatn propc ccrn.int:acquc
nani}ueomnesrcrufpecies confpiccrc dc- bcrcnr,li intus ab omnibus arquc
fufcipercnrur. Addic Lynconienfls in libcl- lodc optic.i, Fclcm noctu mures
capct c , lupum viderc fera, cancs itcm, pif- ccfqucnon nullos:quod
fierinonpoilcc,eotempore omninimtru luccdefti- tutomifiab huiufmodi
animaliumocufjs aliquid(quodRadium vifualcOpti- corum morcvocac)egredcrecur.Ex
altcra partcPcripacccici,multas aduerfus Plaronicos raciones affcrunt,mulcaque
incommoda illoru opinioncm fequi caufancur.Eccnim omiflis iis rationibus quas
ha&enus ex Alcxandro, & Ari- ftot.in conccxcus explicatione
attulunus,alix non minus firmar & knJ^nxrnuu (cx Philoponoi.de
animacomm.cT9.atquecx codcm Alexandrovariisinlo- D cis , prarfcrtim vero ad
finem com.y.in hunc lihcllum,&: in mediootaui,pro- pofita?,&: cx
Aucrroecnp.7.huius cractationis)afrerri poflunt.Nos vcr6 brcui-
tatisgratiaabillarum enumcrarione fupcrfedere arquu nunc efle duximus, cum
prarfcrrim ab ipiis illis interprecibus comodius peci poflint.Tancu non-
nullacxiis proponamquar Galcnicciam fencencia abfurdam efle dcclarare
poccruncrfcd primum omnium dicam,hanc Philofophi opinioncm,eacxpc- ricntia
probari poflc,quod fi quis folem auc aliud obicchrmdiuciusactcnciuf-
qucincucacur,oculumqucdcindcclaudac,obicctum illud pcr aliquodtepo- ris
interuallum contincnrer afpiciecacqui hoc ficri ncquiret,nifi fpecies ipfa rei
fpc&abilis tntus rcccpta fuiflec,velhoc phancafiae, vc Philoponus in le-
cundo de anima conc. 1 38 . vcl organo,vc Ariftocclcs,cribuas.Quid,qu6d fcn-
lilibus ETSENSILIBVS. 85 ^ (ilibus abcuntibus a noftris fcnfibus poft longum
cciam tempus rcmjncnc illorum idola&: mcmorix: quorics cnim libucrit ,
formarcpotcro imagina- cioncldolum D.Bezx in
fubfcmoScholxfrcquencifliniaaumcorum circum- ftantccorona Sacra9 paginas explicancis
: quod certe non fierer,nifi Idolum
huiuimodi,intusacccptumrcfcruatumquefuiirct. Prxcercaquihumidiorcs habcnt
oculos , fempcr obie&a maiora quam finc confpiciunc-quod non alia rationc
fit,quamquodillorum fpc&ra, in oculis imprclla crafltoraquc abhu- miditatc
reddica,in caufa funt,Yt obic&a maiora cflc apparcanc. Sed lllud ma gni
momcrtti ad hanc fcntcntiam tucndam cflcvidctur,qu6d cxcellcns vili-
leoculumdeftruit.Confirmatur magis,quiainfpeculoimagincm rci oppofi-
cxfpetcamus: quodvciqucnonfiercc,niiivcftigiumrci ab obicccis ad mc- dium
&: ad fpcculum vfque multiplicarctur. Prxtcrea,lxfa aliqua tunica o- ai 1 1
, iu>n collcrerur vifio,quinimo talibus tunicis aut humoribus nil opus eC- ^
fec,nili aliquid recipicndum,fcd potius excra mittendum forct.Scd dilcmma
Auerrois Alcxandrco iimilc, poftrcmo loco expendatur , quo vno fi nonnul- lacx
Philopono addantur , Opticorum &: Platonicorum omniumdogmac mcdio tolli
potcrit.Quicquid exic ab oculo auc corporcum eft,aut incorpo-
reum.Sicorporcum,duo incommodaabfurdifllmafcqucncur.Nimirum auc viiioncm in
temporc fucuram,cum prxierrim obiechim fpccrabilc rcmotum crit,quod quam iit
falfum patct : aut motum localem vclociorcm motu cxli t'ore,quod Ariftotcli
&:verjcaci rcpugnac,cum nullus mocus mocu diurno vc- locior auc xqualis,ncc
vis vlla qu.r vim Diuinum llludcorpus moucncc afle- quatur,repcrin
qucat.Confcc.utio tamen probatur,quiamomentofolaq; pal
pcbraruapcrtionc,corpusilludc.\icns ad aftravfquefirmamcnti cendic : qua
diftantiam Aftrologi ipacium diiorum zodiaci iignorum,id cftfexta toa'cq- li
parcemxquarcdcmoftranc. Exquocum cxlu luovelociflimo rapidoq;mo cu, cocu fpaciu
viginciquacuor horis fupcrcc, colligicur,nonnjfi quatuor horis C idallequi illu
poffc,quodoculusviucoaccitiflimoictuaifcquitur.Patetratio- nisvis,quia icptimophyficoru
hb.doccmur,ilIud moueri vclocius,quod mi- nori tcmporc,fpacium maius vel xqualc
ctiam tranfit.Scd detur cflc lux non corpus,tuciteru qu^remus ancxcravcl
incravtfoefBcitur.nonmtta,quiatru ftra cflet illud cm 1 flu m : no cx tra ,
quonia fcqucrctur anima m illa luce pofica cife^quod eftfalfum,cum fubic&u
animx fcntictisaccidcnsefleno pollit,fcd calor natiuus folus,qui ab oculo
fciuntus,intcgcr confcruari ncquit. Poftre- mo(vt idc A ucr.i .dc anima
com.67.docct)color non cflet fpe&alnlis pcr fc,i. pcr racionc intimam,fcd
pcr radium vifiuu cxtrinfecus acccdcntc, quod Pla- toni etiamipii abfurdu
clt.Hoc argumentu,quoadvlcimafui parte,fcntentia Galeni prxcipue c mcdio
tollerc vidctur. Quida tamcn vc &: Placonis &: Ga- lcni dogma cucrcntur,
nonnulla in mcdium atculerunc , quibus has aliafq; o- mnes Pcripacccicorii
racionesnuUius ponderis cfledemonftrarec.Ec ^pPlato- nequulc dicunt: Ab oculo
cxirc quidc radios quofda vifiuos, liucluminofos &; corporeos fpirirus,no
tamceius rationiscuiufmodicorporacopoiita,qux inuicc agcre &: pati nata
funt , fed atc 9 eflc quofda &: fpecics fpincus animalis excunces quide ab
illo,non tamcn pcr quanda aucdiiceflioneare ra- ca,cum cocincncer coniunctx
principio fuo a quo proficifcuntur maneant. Hoc modo(vcrbi gratia)lumc
acorporis luminofiprxfcntia,derlucrc dicicur, non odor a rloribus, auc ab
ignccalorrhi nanquc rccipicntis quafi propnj fiunt,&: non fcmper largicnci
concinui func,illud vero principium fuum non dcfcrcs,cmanat
atq;dirrunditur.Conccdut crgo,fpintus illos cflccorporcos, cu anaturatorporea
,pdcant,Ioc6quc rctincancur&: circuteribacunled altc- h.111. ( *6 ,
DEORGANIS S E N S V V M, rrnn.fl
^hyficavclmathcmaticacorporcamquandamnotioncm^dcftjVtlo-. i]u cur,corporcicaccm
comminiicuncur. Imo vt illius nacuram magis cxpli ccnt , rriuliccmproponunc
corporum liuc actuum(vt vocanc) dufcrcnriam. Eccmm aliosa maccria pcnicus
lciun&os c(1eaiuc,quos,inquoduit,& in qua- cunquc diftantia
lllicoqucagerc aftirmant:aliosarebus maccric. immer(is,lo cofic tpaciis circumfci
ipcosoriri,ncc iubico aut in quoduis,(cd aJcernacim&: m dcccrminaco loci
ipacio agcrc . Inccr hos quofdam mcdia quadam prxdi- cos nacura collocancqui
cum a rc compotica &: matcrialj non prodcanc , lcd a corporc
i'pirituali,quaccnus acorporca rc proticilcuncur, alicubi concmcn-
cur,lococircumlcribuncur,&: nonniiiad quoddam ipaciu agerc valcnt : qua-
ccnus verofunr actus fpiricalis corpons,non perparrcs,&: fucccifiuam,fedfu-
bicam actioncm habcnc . His policis , brcuiccr facisfac iunc ratiombus omni-
bus aducrfus Placonicos allacis.Siquidcm oftcndunc cas cancum alicuius p6-
dcris forc , 1 1 fpiricus ifti &: accus vcrc matcrialcs eiTcnc > lcd
quoniam nacura B illam mcdiam habcnc , quaidam quidcm corporeas condicioncs
obcinuifle aJhrmant, vcluti cxirc,lococircumfcribi,& aliquo modo moucri,non
tamcn omncs,quia cum (inta&us fpiricales , non propric moucncur,non confu-
muntur,non patiunturac6trariis,noncxcuntadopcrcispalpcbris:& infum- ma,hac
fuadcclaracionc omnibus alus obic&is aducrfus Placoncm fe (atisfa- ccrc
pojfc pucanc.Qupd ad Galcnum accincc,aliam illius (cncencix Placoni-
cxcxplicacioncm aifcrunc nimimm Platonis fenfumcflc, non quidcmin acrc viiioncm
ticn,fcd ipiricus illos cmiiTos, congrcgacofquc cum acrc luminoio, inftrumcncum
viiionis vnicumcjTe, quatcnus (imulachrarerum. viiibihum ad oculos
dcfcrrcnc:tandcmquc atfirmat vilioncm in incimaccrc- bn parcc,id cft( vt
puco)in fcn(u communi ficri,qui in incima ccrcbri parrc ab ipfo collocacur :
fcd ftatim Galeno hoc modo diccnci quis obiiccrciure po. fcc : Si fpincus illc
animalis ab oculo cxic, vcl pcnccrando cxic, vcl per poros, C non
pcnctrando.quia non dacur corporum pcnccratio , noo per poros&c ca-
uitatcs: oportcrct cnim primum Ariftotcli illas ncganci in pciori dc occu
&: lntcncu hbro,&: prxlcmm m cont.76.fatisfacerc.Frangunt forcafle
pupillam cxcundo r ac nil huiufmodi illam corporaliccr paci pcrcipimus:nam
dolcrcc: feddcmusfpiricus illospcr poroscgrcdi ,ccrtcnon niii diuuKi
cgrcdicncur. Pori naqucquibufdamfoliditacibus contincntur , quarc parccs
oppolicx fo- liditatibus illis non xque cxirc poccrunt : at li diuulfus
fpiricus excac, obicdu quoquc huiufmodi apparcrc n^cciTc crit : quod tamen
cxpcricnciafalfumcf- fc docet. Ncquc cft quod rcl'pondcat,fpiritus quidcm
iftosdiuulfos exirc,tcd acri pcrmixcos,concinuicaccm acquii . rc : pucrilc
nanque hoc eft , &c inexcr- cicaco Placonico(vcaic Philofophus in prioridc
ortu &: inccricuconc.8.)con- ucnicns.Hifceicaqucracionibus
mocinonnulli,aliumGalcni fcnfumadPIa p conis fcnccnciam accommodacum
cxfcpcimode Placicis proponunc Dicuc crgo ibi Galenum doccrc, Viiioncm quidcm
cmiflione ficri, quodfpiricus a- nimalis ad oculos delacus , imprimac in acre
excerno qualicacem quanda viV' ikndi,quidcmumacrillaimbucus,organum&:mcdium
obicccoadoculum dcfcrcndo apcum rcdditur.Quodvtplanius percipiatur, fcicndum
cft,Galc- num in fcptimo dc Placicis,in lib. dc locis afTcctis priori,&c
alibi, Vim anima- lcm,non quidcm inncam membris , fed prxeipue in cercbro fcdem
fuam ha- bcrcdocct: aquodcindc ranquamafolc lumenpcr totum corporis noftri hxmifphcnum,id
cftperomnia membra animalibus opcrationibus infcr- uicncia,mcdiisncruisinde
orru trahenribus cranfmiccacur: hanc vim,princi- pium onuiium fcnfionum vocac ,
quam aic cum fpiricu animali copiofo , pcr J. ner- ETSENSILIBVS. 87
ncruosopticosad oculos ferri,&: cum pcruenitadcxcimam vfque fuperfi- ciem
oculi,prorumpcre& in aerem circumfufum produci, arqueobpropin- quicatcm
fpiricus aniinalis, aeri cxcerno huiulmodi luccm fiue videndivim (Vcroquccnim
nomincvocatur)communicare: qno modo vifiopcr cmiflio- ncm quidcm,vt Plato
ait,non tamen fpincuum ,vt argumenca cuincunr,fic- ri probat . Ex quo colligit
, vifionem conra&u duorum luminum fieri rcclc a Platone prolatum
efle-.&c addic,contactum iftum, longius ab oculo & remo- tiusvcI
pr6ximius,iuxtafpirituummaiorem vd nunorem copiam fieri. Exc- ploctiam cotam
rcm hancilluftrat, a ncruo fumpco:Qui fanepropriumeft mftrumentum tahis,fi
tamen carnem ipiam pungas aut aliquo modo fcnas,
pundBonem&dolorempercipietjob facultatcmnempc fenuendicangcn- dique fibia
neruocommunicacam. Haccxpoiirione Galeni pofic.i,faaIe cft argumcncis
aliatisfatisfacere,cum omnia eo-fere tendanc,vtfpiricus ab ocu- B lo nullo modo
cgredi pofTe dcmonftrcnt . Sed nil adhuc habct GaJenus hac fua
cxplicationc,cumnonomnibus argumencisaducrfus Placoncmab Ari-
ftotcle-profatis,^ ab Alexandroa Philoponofic Auertoc fatisfaciat. Nos vc- rcl
clarius aduerfus ipfum hoc modcoSi vis vidcndi ab oculo cmittitur,& aeri
imprimitur,crg6viiio in acrefict : probaturconfequntio, quia vifiomcdia vi
viclendi cfficitur. At ii vilio eft in acrccrgo & anima vi6cns, ( vbi cnim
achis, ibi&ariimacft,quxachisdicirur)acritaquc anima icnticntc prxditus
erit. quid? quodracultasanimxrcipfaabillius cflentianonfciungitur. Nequc cft
quodGalcnus ad communicationcm iHam confugiat, tum quia quicquid afTcrat,fcmper
vifioncm inaereficri diccrc dcbcbit: tuni vcro quiaexcmplu dc ncruo &T
carnc ab Ariftotclc neglit;erctur. Caro cnim apud Pcripatecicqs rationcfui ,
quoniam (cilicct ipfa animam obnnct fcnticnccm , non rarione q nerui fcncic,vccx
fccundo de hift.animal.cap.de carnc,&:cxfecundoCoIlig. cap.8.patct.Falfum
cft etiam quod Galcnus affcrit, Animx poceftatcs mcm- bris nonefle infitas
,fcdacerebromitti : nam prxtcrquamquodanullocor- porc proucnircpoflinr,multoquc
minus a ccrcbiv ranquam ab excrcmcnto fcnfudeftituto,velutifchabettota anima ad
rocumcorpus,ica&:iIliuspar- tcsad partcs corporisyfcd tocaanimatoticA
inlitacorpori,ncque tranfmir- titur, crgo&: partcs partibus mlitx lunc.
Maior,ppolitio fumicurab Ariftotc- lc in fccundodcanimaconc.9.&:hacracioneftabilitui
: Sicuccnimanima cft achis corporis,ira hxc *f *" faculcas,accus fux
parciculans parcis cric : acqui a- his cfledcber,vbicftidcuiuscftachis: ergo
&:ibicft anima.Sccus cnim ali- quidfinefuaanimaachim habercc. At adquantamnam
diftanciam , illud quod exit,porrigicur?profcft6 ad modicam(vt ipfc ctiam
ait)&: ad circumfu- h aerismcnfuram.Quomodo igitur tam magnum obicclorum
fimulachrum D (quod ille nobis obiicit)rccipcre potcrit ? Magnitudo quidcm
iliius extcnfio- nis maior eft pupilla,nulla tamcn cft,fi rci
fpcdabilismagnitudincm rcfpicia- mus.Hxc dc Galeni ( vt videre eft) fcntcntia
inconftanti. Nunc ad priorcs il- los redco,qui Platoni fuppctias fcrrc
volucrunt. Primum ab illis qucro,Iftmc aftus aut finc matcria omnino Sc
incorporci fint, aut cum matcna : &: fi linc matcria,illudne vcl cx fui
natura obtinuerint, vcl &: rcmotione quada. Si cx natura propria incorporci
erunt, vtique res incelligibiles ad mctaphyfi- cum pcrtinentcs crunt,fcnfumquc
nulla rationc mouercpoterunt . Sin vcr6 fccundo modo fint
incorporei,erunrresMathematicx,qux pcrabftraclio- nem finc matcria concipiuntur
, qua etiam ratione ncquc ad naturalcm fpc- ctant,ncqucfcnfum moucrcpoflurir.Si
ver6 materiam habent, proculdubio corporafunt.Etcnim cum matcria fitcorporis
principium,efficiturvt quxcu- h.iiii. 88 DE ORGANIS SENSVVM, quc maccriam
habcnr,corpora linc . Hoc vcrb ipfum argumcnca a Pcnpacc- cicis addutta
impugnanc . Diccrc vcrb cifc corpus&: alccrius racionis,vanum fil . Nam
qubdnam cric Ulius principium : Sincgcs cnim cfle maccnam, fc quccur iitud
corpus cifc fola imaginacione hctuin.at h* maccnam clfe dcs,cric crgo cv ipfa
aiccrius racionis . Nam (ex primo dc orcu & inccntu ) ab codcm quaccnus
talceft,diucrlumnon crficicucfcd idem. Dabicurergoduplcx ma- ccria: quodccrce
rcpugnac Ariltoccli,quiin primo phyi.couc.56. &: fccundo dc orcu &:
inccricu conc. 6 . aic vnam cflc maccriam &: prmcipium vnum.pri mum
corporumfcniilium:iecundum,primas qualicaccs: ccrcium,primacor- poraquz
elcincncavocanrur,cxquorum mixcioncquodquarcoloco oricur, vcrc ufjKor corpus
cft . Pra*ccrea,huiufmodi corpus mcdium vocanc: Qusero quodnam mcdium fic,an
pcr compararioncm vocatum,iicuci aercm &: aqua mcdiaclemcnta vocamus:
anablblutum: iiprimomodo,crgo cx cxtrcmis non componitur,Ucct naturas
cxtrcmorum parcicipcc , vti Ariftotclcs priori B Jibro dc carlo cont. i y.dc
grauitatc & lcuitatc clcmcncorum , & in priqri mc- ccorologico refcrt
dc primis qualicacibus.Si fccundo modo,rc ipda &c forma- liccr cx cxcrcmis
compoiicum eft,qua racione eciam ab cxcrcmis diffcrc. Du - pliciccr camcn
huiufmodi mcdium fc habcc. quoddam cnim cancum dirfci c, lecundum magis cv
minus,vc ccpidum:quoddam verb fccundum formam c\i fpecicm,vc colorcs:mcdij puca
rubcum & croccum ab albo& nigro. Harc A- ucrrocs quarco hbro
craccacionis dc,cxlo corrun. 2 . cv fc xto phy.comm. 31. &: ccrcio
meceorologico cap.de Iridc . Scd ad rem rcdcundum: Si ifti accus
lunrcorporamcdia,&: non componancur cxcxcrcmis, nacurasfolccmilloru
parcicipabunc. Acqui hoc diccrc non poilunc abfqueconcradiccionc. Nam af
firmarc aliquid ciTe corpus,& cilc a maccria libcrum : przccrca,nacuram cor
- pons nacuralis & cncis mccaphylici obcincre,quidaliud eft quam pugnancia
loqui:Rcipondcrinc forcaifc,vocari mcdium, quoadcondicioncs&cftcdus: C cx vna
cccnim parcc mouccur &: concinecur , ex alccra a concrariis non paci tur
,&: ilhcbad quamlibctdiftanciam agic . Verum cocum hoc mhil cft. Effc- ctus
nanquc concrarij a caufls repugnancibus oriuncun cum igicur cffe&us i-. fti
concrarij iunt,certc proficiiccntur arcpugnacibusnacuris quae incodcm fimul
corporc vcrfcncur. Vcrum hxc omnia ita confirmancun Si a&us ifti ab oculo
cxcunc,vel ficc vilio in obiccco vcl in oculo:ii in oculo, crgo pcr regrcf-
fum,&: rcccp cioncm, & iic fruftra cxitus : li extra, vcl ifti fpiritus
habcnc ani- mam icnticndi vcl nonhabcnt:ii habcnc,ccrcei"uncanimalia:
vndccolcquc- cur ab ammaii anunal exirc,quod momcnco eciam moucacur : acqui
faculca- cc cciam vegetandi prardici crunt,vbi nanque fenciem eft , ibi &
vegetans(ex fccundo de anima)nutricntur icaquc,& augcbuntur, fibiquc ad
umilicudinc formx aliquid rcfpondcns gigncrc,apci crunc.Que, omnia prarccrquam
qubd abfurda iunc,corum quoque dogmacibus repugnanc. Haudquaquam dicenc cos
carere anima: quia fcquerccur vifum abfq; faculcace fcncicndi cffici pof-
fc.Scd forfan haec ica cludcnc, Ipfofmecaccus, vim ipfam fcncicdicfle. Acqui
cercc in cofdcm fcmpcr fcopulos alliducur.Namvcl vis ifta cu maccria&c cor-
porc fuo cxic,vel line illo-.fi primu conccdacur,eric aliquodvidcsnon animah li
fccundum,vis fcncicndi cric a corporc fcparabilis,poceric abfquc organo c*
pcrari,formxquc cranlicus a fubicccoadfubicccum pofthacconccdccur: qua: omnia
quam iinc abfurda quis non videc? Ac omniu abfurdiilimum iilud cft, nimirum
acrcm viucncc animacumq-,cffici,quod ccrce fcquicur,ii fpiricus ifti &:
atVin ac rc( vc aiunc)recipiancur.Quid cnim recipi quidc ilios act u s in aerc,
fcd non ob id aercm ab illis informari,tbrcauc rcfpondcbunc ? ac in prompcu
ETSENSILIBVS. 89 cft quid obiic;atunformam fcilicct fine fubiccto,&: vicam
in non viucntefo- rc,cx huiufmodi rcfponfofcqui. In fumma id lta loquentibus
accidcrc vidco quodnonnullisaliis,quivtcarnisChnlli \biquitatcm mordicus
tucantur, craffas quafdamdiftindioncsnupcr finxcrunt,quarum mcmbra nonmagis
cohxrcant quam cuminfinitototum&: vniucrfum.Et fanc Meliflus(cuius i-
ftafcntcntiaerat)nonmagisquam ifti attributorum vimconrundcbat. Eft (ait
quidam)caro Chnfti omnipnefens non pcr fc , non efTcntiftlitcr &: natu-
raliter,noncxtcnfionccorporali,aut locorum r,quod huiufmo- di diftantiacflctiicitur,J5&ic
&: corpons condicioncs rc- dolcrc,vcquacicaccm,numcrum, hguramoi mocu, non
camcn maccnam auc corpus obtincrc : cx quo ctiam fequitur,qu6dhcccinfinica?
iftiuimodi fpc- cics in oculo ciTcnt, nullum tamcn quancum cfficcrct, fiquidcm
cx no quan- co,vc fcxco phy. docemur, quancum ficri nequcac. Addo, numcrum
litarum fpccierum in oculo non augcri,ncquc enim m co vt in loco contincntur ,
vc- rumidcirco rccipidicuntur,quia oculumadactum vidcndi pcrduccntcs , il- g
lumafliciunt, non quidcm altcrando, fcd pcrticicndo: qua fola rationc ocu- lus
ilhr fpccics rormaliter effici dicitur:Prartcrca,fpccies ifta ab obic&oad
o~ culum pcr mcdium multiplicata,obic&um in fua magnicudinc rcpri/fencac,
nequc ad coar&acioncm pyramidis anguftior ipfarcddicur,feciin indiuili-
bili contiitcns,nunqua au&a,nunquam imminuta,eadc fcmpcr manec.Ncqi cft
quod dicamus rc non percipi vt in fc cit. Adnuttimus cnim, nos monccm non
rccipcrc, idcft vc cxtra dlc habecfcd cius iimulac hrum &: fpcciem : quc.
ab lllo non difcrt>vc Alcxandcrinq.nat. cap.de vifu docct,niii m hoc quod
obit&u in rc matcnalitcr habct Ellc : in oculo vcro f ormalircr ,&inrc
ratio- ncm abfolutc&: limplicitcr Entishabct,in vifionc CHttS l pc
ctabilis&iobiccti: ltcmquc in rc cum quanticacc rcpcricur , quia cum
maccria& corporc cft, m oculo lltis omnibus conditionibus carct : quo fir,
vt iure dici non poflit aliud ciTc quod nobisapparcr,aliud quod cxtra
rcpcritur.Quintum argumcntum, C data poiitione in qua tam Plato quam
Ariftotclcs conucnit, ncmpc ad vilio- ncm mcdium illuftratumdcfidcrari, nulh 9
pondcris cft : nam rcctc lcquitur, rcm quo proximior cft,c6 magis recip?,id clt
cum conditionibus&: qualicati- busmagisobic&oiimilibus: licamen congrua
proportio mcdij diltantiaquc vifus&:obicdifcruetur,quanimirumi{>ecics
multiplicata ad acutumdcduci angulum poilit: quodfioculumattingcict , lam
vcraquccondiciodccit. Ad lcxtum , aifcrcndum cft fpccics illas non cifc
contrarias: quoniam iic , nc- du m oculo fcd in qualibct medij partc lnfinita
limul cdtraria eifcnt : a quali- bct cnim ambicntis acris partc , vndiquc
fpccics rcrum afliduc multiplican- rur. Cur vcro non iintcontrariaharcratio
cft,quiancc m mcdio nccin oculo fecundum cfl*c(vt dicunt) vcrum&: matcriale
rcperiuntur.ncquc lubic&um, quodcftacrautoculus, vcrclubicftum ranquam
matcna abillis fpecicbus fcnfibiUbusinformacadicitunncqucipia- ctiam ipccics
mum ; (vt loquuntur) ^ rundamcntalcEflcinillisobtinencfcdiblum idvt
lintknlibilcs.Quorit, vt ciim quid s*n *k mmime arrirmcnt, fcd tancum qiucdam
fccunAria imt efFe- &aabobie&is proucnicncia, concraria cx dccimohbro
mccaphv-&C ahbi di- cinonpoflint. Harc Alcxandcrcap.de Scnfu communi.
Im6addic,cumvi- iio per lincas rc&as fiar,fpecieiqucobic&orum cxtra
poiitorum lnuiccmquc diftantium in oculo pcr augulum acutum in cxtrcmo pu&o
rccipiatur , nun- qua vt coniungancur,fimulqucfinc,ficri poflc: in codcm
fiquide pun&o,plu- ra contincri non pollunt, vc Euclidcs & Marhcmacici
doccnc. Argumcnco i- gicur illi>concrariorum fpccics effc concrarias,refpondcndum
cft, ld quidcm vcrum cflcquod ad origincm&: fundamentum accincc,
nonquoadTJ?J)To uJbwh id eft ,c/Tc fuum fpccificum , quia licct album &:
nigrum primiquc 9 t. DH ORGANTS SENSVVM, corum cffcdus fint cotraria: vt
dilgrcgarc vilum cundcnu'iuc congrcgare,fe- ^ cundam ramcn efledus,qualcsntnt
fpccics iftat Ipiritualcs^contranetate ca- rcnc. Vndcfit,vtrcttc dicatut
communitcr,contrana limul lncilc in mbtis, vt ita dicam, calibus : in potcntia,
vc in matcrtaprima: tn actu lmpcrfe&o fcuimminuco,vt m mcdio:&: ineilefpirituali,
vt in anima. EtrciccnamZi- mara docuit de fcntcnna Auerroisinfcxtomctaphy.
comm.8. Eaquxcon- traria funt in mfcrioribus &: matcrialibus,non eifc
contraria , in fupcrioribus & in matcrixcxpcrribusrquararionc ctiam
Aucrrocs duodccimo mctaphy. com.i8.aflirmat omncs fbrmas porcftacc eflc in
matcna prima , adtu vero in pnmo mouenrc:& in fcptimo ciufdem tractacionis
comro.ij.formas contra- nas in animarcceptas cflcvclutivnamfiicandcmformam.
Adfcptima di- ccndum cft, proptcrdcbilirarionem no cflc aflcrcndG vifioncm cxcramirrc-
do ficriquinimo,fi fpiritus illc&: acius nil corpus
imminucns(vcaiunt)extra- mittcrcntux,nullamhuiulmodiafl*cciioncpatcretur
oculus. Vis crgovidedi ^ dcbilttaricatcnusdicitur,quarcn 9
organumcorporcumquofine, adtu fuum non potcft cxercrcdcbUitatur: iplavcronon
patitur,nonfcnclcit,quando- quidcm ii fcncx oculum iuucnis habcrct,c6fpiccrct
vt iuucnis: &c in fumma, anima fcnties qua corpori arfixa cil, lllius
rationc 4* , id cft lmmcdiatc dc- bilitatur , immcdiatc,inquam,vt ditcrimcn
apparcat inter illam &: animam, intdligcntcm. Illacnim acorporc immcdiatc
pcndcr, acproindeabeoim- mediate pati dicitunat tV^kwf ,id cft mediatc patitur
ctiam mcns non quo ad cflcntiam, fcd quoad opcrationcs. Quandoquidcmdebilicaca
imaginatiua qux cll cius miniftra, & ad quam intclle&umfccouerti
oportct fi intclligc- ic dcbcar.ctiammcns ipladclMlit.uidicctur.Quantumveroad
cxpcricntias artinct Mulicris infictcncu fpcculum ,&: quod magis cft
ophthalmici oculos inrucnris,vtnulq; cffcduscadcm caufa cft, nimtrum quiaab
oculo cxcut va- porcs putrcfacti &: conragioii crafliq; : prxfcrtim vcro
dum morb 'adcft &ic cahda matcria profechis.IUc cnim cft motus quida(vt
Galcnus docct in prio- n dc locisaflcciiS,&: Anftocclcsin
fcprimapartic.Probl.4.)hxc vcromorum adtuuat &: cuaporationcm.Ficrt ltaquc
potcft vt ab illa vaporcs cmiccantttr, qui tcnacitcr inhxrcntes corpori
tcrfoapt6qsadrccipicnduxn,illudinficiat. Sedqunl hocad viiioncm ! ncquccnim
fpincusilli vaporoiiadccrncdum cx- tramitruntur.Dc baiiliico tdcmdi vcra c ll
iabula)dixeris,quod Albcrtuscla- riusaitlibroaywdeanimaLcap.de
Bafilifco:addirur ratum,vaporem cmiifum ab cius oculis vcnenofum elfc,
idcircoquc acrcm mhccrc,qucm cum poitca re fpi r c t homo,cor quod fos vitx cft
caloremq, innatum fua vcncnoiitatc Lc- dic, quam lxiioncm icquitur morsmon tamc
Baiilifcus co vaporc mcdio co- fpiccrc dicitur. Idc prorlus conchuiut cxpcnmcca
qux a Lynconicfc poftrc- molocoarfcruntur.Emittuntctcnimlumc ifta ammalia nociu
ob rationcm fupraallatanUquo quidcm luminctanmm-w^wacium tnbuunt, vt fpe- ccabiha
illnd moucrccoq; mcdio mulriplican&c adoculos illoru animalium dcfcrn
poflinr. Dcindc ailcnmus nullam ficrii cxprcflionc ocuh : fcd palpc- brarum
&: parcium oculum circunftantium vnionem iiuc coniun&ioncm
quawiam,&: quaii manuscuiufdam&: tutclar impofitionc ( vt
Ariftotclcslo- q uttur m 3 1. part. Probl. 1 6.)nc fcihcct oculus vcl a multo
luminc cxterno of- tendarur &: pcrturbctur, vclab alio cxtrinfccus poiito
obiecio afficiatur , vc quod cupiut vcl emin 9 vcl cominus pofitum confpiccrc,
commodius queac Prxtcrca otniifis, qux Oprici dicunt,conum fcilicct pyramidahs
figurx,ran- togradatimcrHci acutiorc,quanr6 remotiuscftobicchirn(rccicfiquidcm
im pugnantur a Piorino8.Enncad.librocap.z) Dicimus cx codcm PJotino lbi- dc
priori capitc>Totum tuc cxa&c cognofci,cum illius omncs partcs exquili-
tepcr- ET SENSILIBVS. 9i ^
tcpcrcipiutur,acpartcsill9primumpcrqualitatc,idcftcoIorc ipfum,qui cft obicdu
propnum vifus,mox pcrmagnitudmc fiuc qu.lritatcmcognofcucur: imo non vidccur
ipfa quacicas percipi pollb nifi mcdio colorc : na li collcs va- i larum rcru
formis plcnos infpcxcrisjcas ibi rormas pl.mc confpiciens , mo,-
piicudincmrcgionisiplius recciusmetieris, quam /ilormas ciulmodind irt-
uicaris: cum crgo obicctunimisabcft, color dchiliiisadoculum multiplica- tur.
Quoniam(vt optime Ficihus addic ) forma rci fpcctabilis in rc cjuidem ipfaj
macenalcm habcc naturam fed in medio
& oculo materia fubito cxuic, &fpiritali quadam racionc venitieoufq;
autcm venit,quoufq; proporcioncm quanda ad propriam maccriam fcruarc poflit :
cum primum ergo proporcio- B ncmillaamittit,dcbiliorrcdditur;Atq> hincfit,vc
rcsquoq; minoi apparcat, ac dcniq; li omnis ad matcnam propriam proportio
c6fumptalit,oculis non vltcrius cofpiciaturi& icares minores magis
coharreces oftedic.Dc dilacacio- nevcropupillx, fcicndum eftquacuorclfc
mftrumcta magispraecipna, qux vifioni lrtleruiunt, cum cx Galenicucx
Ariftor.lcnccncia:Tunicasoculi, hu- morcs,pupilla,& fpincu.Inccr cunicas
praecipua cft ipfa cornca, qua ccnue &i ccrla cllc oporcec: tcnuc^quificrafinoreiTctmobisobiecta
quafi pcr vclu fiuc tela( vcixpe fic)rcprfcncari vidcrecunccrfa quia fi rugis
afficcrccur,vc infeni- bus,rcs vcluci pcr vmbra cofpiccrcmus: fcquicur humor
albugjneus vocatus, qui contiguus ccnuifque cffcdcbccma fi craifus cxiftcrct
rcs fub maiori qua- ticacc quam cflcnc offcrrcc:vci patct cxcplonumilmatis quod
in aqua policu m.uus apparct:quodfi impurus clfcc &: non c5tinuus,tunc
obiecbi ipfa veluti pcrforata ccrncrentur.Hactenus CalcnusSi Ariftot.cocordcs
rcddi polfenr. _ Tranfcoadpupilla,cx quali iit angufta,(dc Galcmfcntcntia)
lpiritus&: radij vifiui magisvniticxcunt,Iiincacutioi viiio fcquitur,fi
vcroamplior,quiadif- grcgatiorcs cxeunt radii,Obtufior quoq; vifio rcdditur. At
fccus Ariftoc. ( vc & nocac Auiccnna j.fcn.cap.pceulian dc Dilatationc
pupillx]limulachrum mmirum ingrcdicns pupillain laciorc dilatari magis atq;
difpcrgi: quo fit vc Imex vilionc crTicicntcs ad angulum acucum vinri non
polfinc , peiorq; vilio fiac.Ncq; cft quod Philopon 9 obiiciac: fimulachrum
illudcllcqualicace fpiri- cttale 5cformalc,ac proidc fpargiacdifTimdi non poffc
, quia vcut rcs fic, lcm- pcr in vilionc apricudo mcdii, orgamq;dilpoficio
rcquiritur:pretcrea , eatcn* dicutur ill.c fpecics diftundi , quatcmts in
organo difHifo, diucrlilq; partibus fuicfpiutur.Quartum inftrumencu, iiint ipli
fpiritus ^icquib 9 mox:vbi quoq; problcmata poftrcmo loco allata aducrfus
Anftot.opinioncm comodius fol- ucmus)cgcntfiquidcmillaproximx partis
cxplicationc. Nuc Arift.lociqui intcr fc vidcntur pugnarc cociliandi nobisciTcnt:
fcd ccrte eos omncs quicx -q problcmatibus dcfumuntur cofulto prarccrmitcimus.
Illis vcro cx lib.meceo- rolog. allatis lupra ex Alcxadri fcntcnciaabundc
faciftactum clic puto.Nam licct in priori lllius cractacionis libro,cum dc
comctis ficc 1 rculo laclco agic,n6 fcmelin iftaru imprcllionum viiionc, vifum
noftru cxirc, &: ad illa Iragi arhr mcc: In ccrtio prxccrca cum dc Iridis
Halonis virgx , &: parciiaru orcu loqui- tur, afpcctu noftru,ab acre,
aqua,ommbufq; lummam parce leuem obcincn- cibus reflccti doccac,non came verx
fux fcntccix immemor eft Arift.vcl ahas fua vcriorcs cffc ccnfec:fed vc
facilius,quod vulc,demoftrcc (cu prjcfertim nil ad rc dc qua agicur
inccrlic)plaufibiliores& pcruulgacas fcncccias , fequi plx- runq; folcc.Hoc
nobis indicac ipfcmcc in quinco dcgcn.anim.lib.cap.priori, vbi dc caulis acuce
vidcdi agcs^rum nonulla Placomcx fcnccci; accomodaca ^pculiifccin huc modu
loquuc 9 cft:Nihil cnim inccrcft anvifus cxitu fieri dica curvr quida
aiut.Qu^ftionc ad cxicu pcrduda,illud addcrc placcc,Errarc cos qui Placonc cum
Arift.hociurc cociliari poifc putant: na quod aiut, Placonu lt 94 DEORGANIS
SENSVVM, pcr luminis cmiflloncm ab oculis,intclligcrc, vilioncm a lumine oculi
inccr- ^ no, (iuc ab oculi lucidicacc iuuari,nimis cft fccure di&u:cum
nullibi a Placo- nicorum quoqua,quicquam fcriptu inucniamus,quod ad hu.ulmodi
fcn i u m rcfcrri poilic. Ec ccrcc quid allcgorici ifti incerpretcs ad hxc ?
Placonici quac- rutjcur ncq; ca quxraraadmodu lunt,ncq; ncbulasvaldc proximas
ccrna- mus: Aiunt,huiulmodi obicda radios ocuiorum & adhuc potcncesA:
validos tcrminarc non pollc. Iccm in vilione plus luminis propc obicctum adcflc
o- porccrcmamtcUumcll,quampropcocuIum:cuiusctiamipii hac racioncm afTcrun t,
quoniam radius vbi primum ab oculis cmiccicur validus cft , ac pe- nes
obiectum,iam dcbilis,luminc multofoueri dcbcc, quo per obicttum dif- funui
polfic. Alia huiulmodi propc innumerabilia a Placonc , Plocino ,& Fi- cino
prolaca omicco, quz non ailcgoricam, fcd vcram luminis auc radii cmif- g fioncm
luceclarius cxpnraunt.Nuncadcontextum Philofophiredco: K.au hoy%' 1? orroc Zn
van->rr;r; /ISAor.nJV ydpfioi vtoTttan or neoXtpuy*J' corpus vcrenonefle. Ex
his facilc vnufquifq; nofle poteft, qu6tna oaruculas hiccotcxcus habcat. Nos
iingulapcrpcdamiis.(Ccrniturenim incraqucmadmodu &excran6fine luminc).
Qucadmodu fpectabilc no defcrtur pcr mediu fine lumine,ita ncqi fine eo in
oculo rccipicur.Ratio cft,quia ncq; color nc q -, in fumma vllu vifibi- lc,a-
ET SENSILIBV9. 9S le,aliquamad vifum rclationcrohabct, niii actu vililcflr ,
atquiachi , lumiric folofit: taigicurincoa quodcfcrturquamin
coaquorccipicurluminccgct: aMoquin mipfoorgano viflbilcefledciinerct.
(Oportuitcrgo&: Jfy**rit&c a- quara cfle). Lumen eft actus t*J
r&9rwf v bi itaqi lumc,ibi &: corpus Jfy***iii crit, (iactus abfque
cocuius achiscft, nonfciungicur: acqui iamftatutum cft in oculo eilc lumcn , in
oculo crgo cnc corpus Jfywit , quod non cft i- gnis,vc Placo afleruic,fed aqua:
(Siquidcm non cft acr). Mulca corpora rk *- ^xifi Artitocelcsfecundodeanima conc.68.cflc
profcrc,idcircoquc aquam,fe- cundum quod aqua cft , Jfyq* non cilc dkvfcac .
Diaphancs vcrd nil a- Iiudibivocarcvidccurquamcorpuslpcctabi.V non pcrfcfcdpcr
colotcm a- licnum,id cft per lumcn cxtrinfecus recepturn, quodaliquo modo,
licct im- propric,colordicipotcit. Hxc veromultacilcprxtcracrcm fcaquam docec B
ibi Ariltotclcs , illacamcn non cnumcrac. Dicimusigicur, dc iimphcibus : loqucndo,quacuor cifc prx cipua corpora
pcrfpicua , Aquam,igncm, acrcm, &cxlurru w y ait on illis lumen cxtcrnum folis,lumin
cryftallino ftatim occur rcrc,acicmquc vidcndi co modo hcbctarc &
petringcrc:(qua: ccrte non di- ccrct Ariftotelcs,nifi in glaucis aqueum humrem
paucum cfie putarct, crv ftallraum autcm multum ) c cotra>*wf** , '* M
intcrdiu rcOius vidcnt,cum a luminccxtcrnoobmultitudincmhumois aquci
nunuslaxlantur. Etprofc- -D a6 Auerrocs,in rcb'mcdicis nimisGseno aduerfari
voIuit:&: hac quidcm in rc Galcnum rcprchcndcndo,nilfamcn profcrendo,quod
eius fentcntia: non iit confcntaneum. Perfpccta colorum extrcmorum cau la,non
magno ncgo- cio mediorum , quorum xnulti gradus in homincfunt,caufam quiuis
attule rit.Scd tollcnda cft ambiguitas.Etcnim (i multitudo humoris
aquei,nigrcdi- nis:paucitasvcr6 ciufdem,albcdinis caufaeft,cur Ariftotelesin
14. Scc.pro- blcm.i4.Homines meridionalcs, vt Jf. thiopcs , nigros habcrc
oculos docct: Scptcntrionalcs vcro,albos?ln ilUs fiquidem minorem aquci
humoriscopia adclfc par cft,ob acris ambicntis cxficcantcm
calorcm:inhis,copio(iorcm. I- tcm infantibus recens natis oculi glauciorcs funt,quam
iplis adultioribus:co tamcn tcraporc multapollcnthumiditatc. Quid,quodoculorum
fcnes,ad glauccdincm dcclinare vidcntur l Poftremo , iis qui c morbo
conualcfccntc i. iiii. ioo DE ORGANIS S E N S V V M, oculi fubglauci apparenr.
His vcro omnibus,breuitcr iacisfaccre promptum * cft cx Anftot.problemacc fupra
commemorato,hunc in modum:Caufx prq- cipuxcolonim inoculis iuncquidem
cryftallinus humor&: aqucus,caqux antca dicta cft rationc.Scd auxibantcs
funt,calot naturalis &: fpiritus lucidus vilioni inlcruics.Mitco varios
mcmbranxf*^" colores, cum ii ad maiorcm &C rainorcm caloris
conco&ioncm rcferri poifinc/Echiopibus ergo atquc |n- dis omnibus,modica
Ipirituum lucidorum copia adcft, ob continuam ab am bicntc calido factam
rciolucioncm,qua lucc fpirituum abfcntc(vt ait Arifto- tck s)oculus nigcr &
obumbratus apparct. At Aquilonarcs, intrinfcco calo rc , mulctfquc fpiricibus
pollcnt: quo fic,vcfcrcglaucisoculisoriancur. Pueros item dicct Philoibphus,ob
dcbilitatcm , oculos glaucoshabcre,id cftobiplum humorcm natiuumadhuccaloris
dcfectu crudiorcm,neccum iicco terreo bcnc mixtu,qucm alb ucife Mcdici
confcquutionis vicolligunt. B Dc fcniibus ldem polfcmus affirmarc, non tamen
humoris natiui rationc(iI lc cnim in iis totus fcrc abfumptus eft)fcd
cxcrcmcncofx humiditatis & cru- dx,in locum natiux fucccdcntis.Exemplum
accommodatum foliaarborum cflc potcrunt, qux in priori fui ortu albcfcunt,
moxad fubnigrcdinc m,id cft viriditatcm pcrucniunt : poftrcmo iterum ad
albedincm flaccefcentes tran fcu n c . Dirfcr u n t aucc hi duo colores
albi,quia prior ille a natiui humoris cru- ditatc prof ctus,glaucus fiue albus
iimplicitcr cft : pofterior vcro ab cxcrc- mcnto ortus,ad flauitiem quandam
declinat. De iis qui c morbo aliquo re- crcancur,nilaliudMcdici cfoccnt,quam in
illis fpiritum humorcmquc aqueu puriorcm,&: ab omni excremcnto libcrum
rcdditum,cum natura ipfa vi&ri cc,tum dicta &: pharmacis.Nunc ad
problemata pcrgcndum. Quxricur,cur non omncs homincs xquc aut longc auc propc vidcanc . Iccm, cum
duo unt C oculi,obicctum camcn vnum ccrnacur. Poftrcmo,curaliquibus,vtcbriis,v
num duo cflc apparcac . Prioris quxiiti vcricas hxc ( vc quidcm cxiftimo) cflc
pocerir, Viiionis variecas minoris auc maioris acuminis racionc,aquinque po
ciflimum cauiis proficifci poceft : a pupilla,humoreaquco,mcmbrana, fpiri cu,
poftremo, a roco oculo . Spcctacur in toto ipfo oculo(vt ab hoc exordia-
mur)iitus : vcl cnirn m proiundo eft,vel prominet:hoc a calorc mulco, &:
hu- morcnc:(fiquidcmcalorin formacionc fcetus humidum quodfacilc p.uct, foras
procrudic)illud a'.iccitate.Qui crgo prominenccshabcncoculos,obie- ctum
propinquum,acutc.rcmotum,obtufccernunt.Acute quidcm,quiaalu minc cxtcrno commodius
ieuantur:propinquum,quia cius mcdiocricatc no Ixdancur.E contra,rtmota
vix-pcrcipiunt, quoniam a mulco lumine ob coru promincnciam tacilius
otfufcancu, vc Ariftoccles innuic in 3 1. parcic.prcbl. tf.Quivcro concrafc
habcnr,acutiusrcmocaconfpiciunc. Oculi cnim parti- bus,id cft
mufculisoflibuique quaii vndquaque icpti,non ica a mulco cxter- no lummc
offcnduntur. a pauco vcr6 vix illUtrantur.Excmplo nobis id cfto, quod
Plulofophus in eadcm parric.problcm.xvi.proponic, Eosnimirum qui obcufc
vidcntjfi longius conipiccrc vclint,aut palpcbras contraherc,aut ma- rtus
oculis quoquomodo obtendere. Qui etiam aftra interdiu acute fpectarc cupiunt,
in protiindum putci hac vna ratione defccndunt. Spiritus fi paucus fic,&:
purusliuc clarus, in caufacrit vtobiectum propinquum pcrfpicuc ccr
natur:illudquuicm,quiapaucus:hoc,quiapurus:quarationcfcncs in quibus non mulcus
fpiritus viiiuus incft,fpecillisiuuantur,non iccm iuuencs,aflucco quidcm nacurx
ordine. Racio hxc vna(ni fallor)prxcer alias eft,quod lumcn inccrnum lcnum cum
fit dcbilc,a lumine cryftalli quafi reflexo& forci iuua cur;in iuucmbus
aucem incernus fpiricus lucidus mulcufquc, a fpccillis pcr ftringi- ET
SENSILIBVS. 101 * frxingiturpotiusatqucoffufcatur.
Sifpiritusfitpaucusfic^bicurus, propin- quum ctiam obie&um obtufc conipic
ictur: 1 Jcncocjue qui ita fc h.ibct , pufb obicchim acutius
difccmcrcvolunt,rcmoucnt lllud aliquantulum ab oculis> ac rcmotius ponunt:
vt fcilicct a multoacris luminc > lntcrnus (piritus muc tur,&:
puriorclariorqucrcddatur . Nonmclatethic alios ahtcr icntirc , icd Platoncm
illi fcquuntur:nos,quantum poiTumus,Ariftotclcm,id eft vcra phi lofophandi
rationem . Si vcro fpiritus multus iit& purus, tam propinquum quam rcmotum
obictlum cxquiiitcccrnitur:iimultus &: impurus,vtrunquc quidem obiehim xque
cernitur,fed obtuiius.Cauia vtriufque efFe&i lam cft allata . Mcmbrana
ctiam ( vt aic Ariftotcles)& prxfcrtim cornea nuncupa-
ca:adhofccvarioseftcthismultum facit,quandoquidcm pct ipfam,tanquam
pcrlatcmxcornu,fpecicsrerumtranfmittantur .Tcnurscrgo&ccxpolita fit
oportct.Nam ii cralla fuerit, omnia tanquam pcr velum ccrncntur : fiaipera g
&corrugau,oculumfuis rugis obumbrabit. Vndecueniet,vt quad pcr vm-
bram(quodfcnibusaccidit)vi/iotantum cfliciqucat. Humor aqucus fi ci.il- fus
iit,rcsin maiori quantitatc offerct,quam vere iint . Quod pcrfpicuum eft cx
numiimatc iub aqua poiito.Si non bene cohxrens ncquc continuus,obic- ftaquaii
perforatarcprxfcntabicii pauc',vifiointerdiu xgre cffici potcrit. A
contrariisipiiusdifpofitionibus,contrarij oriunturcfFefhis. Hxc vero tcfta- tur
Philoiophus cum probat caefios fiueglaucos , ob fui humons exiguitatcm intcrdiu
vix ccrncre: ( moucntur liquidem nimis ab cxtcrna lucc, fpccicbuf-
qucfpcctabilibus)nodumultum. Nigrosautemobhumoriscopiam minus intcrdiu
pati,quarc magisintcrdiu obickacaperc,nohiver6 minus . Pupil- laautcm,vcl
angufta,velampla cft:illa quia in indiuiiibili magis recipit acu- tc:hxc quia
difpcriim,obtufc confpicit.Colligcdum eft itaquc cum qui pro pofiti problcmatis
vcritatcm rcctc tcncre vclit, caufas enumcratas non mo C do fcorfim poiitas,
(quod a nonnullis eo tancum animo, vt Auerrocm impu- gnarent fadum cft)fcd
vario modo intcr le comuntas pro natura fubic&i di- ligcntcr confidcrare.
Altera porro quxftio qux non modo in vifu,fcd in audi- tu ctiam,& in
olfa&u locum habet, (duplex ctenim in vnoquoque horu fen-
fuuminftrumcntumcft)itacnodatur.Abobicfto quodvnicum eft,duas qui- dcm
quodammodd fpccies in duobus ocuhs producuntur, quia tamen eodc prorfus tcmporc
ambx ab vtroquc oculocapiuntur ,&: fcnfui communi vna offeruntur,quinonniii
prxfentia fcniilia difccrnit, vnum tantuinobiclhim cffciudicantur. Quod indc
confirmarur,quonia ab codcm fpe&abili , multx atque innumcrabilcs fpecics
ad diucrforum oculos producunrur, qui tamcn illud non vt plura,fcd veluti vnum
tantum percipiunt.Tertium non vnicam obtinuit caulam. Aliquando cnim fit(vt
Ariftotcles in j i .partic.probl.xi.do- cct)ob muutionem fitus alterius
oculi,tunc cnim quianon xquc radius vni* remattingityvt radius
alccrius:fenfus,quod bis pcrcipit,tanquam duo fc pcr- E> cipcreccnfet.
Idacciditctiam intactu . Namfidigitusvnusaltcrijtaimpli-
catusfupcrponatur,vtlapillum cum eotangat, quod vnicum cft, tachis duo ciTc
putabit.Contorquctur etiam aliquando (fcd eodcm ferc rccidit ) ncruus i.rix .;
vnuis oculi , ita vt non eodem tcmporcquo aliusobic&umadfcnfum
communem,ofrcrrc valcat. ob camque etiam caufam,in numcro fpccici um
percipicndo dccipiatur.Dc cbriis idem dicendum cft,quod Aucrroes de ira- tis
aifirmacob fpirituum fiquidcm agitationcm a multo calorc fadam,idcm oculo
acciderc quod aqux fluenti,in quam imago folis cadens duplex appa- ret.Sed de
his ha&enus. ioi DE ORGANIS SENSVVM, cpjirtxop , 1/ jomoi t. Quare fi Iixc
ita habenr, v t dicimm, marufeftum eft , oponcre mxra iiuncmoclum,
lingulaxlthetena vnielemcnto tnbucrc atque aecom- modare.Ec oculum
ciuidcm,c]uo.ul partem vifioni feruientcm,ac]ua:ef- fc accipiatur: Organum vero
fonorum,acris: Et olfaiftum, ignis. Excoqubd viiumaquxcnbuic
Philofophus,quaiiilluc rcdicrts vndedif- ccflcrac,cplligicvnicuiquccx alusxfthcccrus
liiumquoquc clcmcntum afcri bj xquum cflc: vt cadcm ncmpc ratiom natura illorum
rradcndaferuccur. Quarc Alcxandriicnccnciam,Ariftocclcm nimirum
cxanimiluiicntuhacin partc honloqui, ncc omnino rccinco,ncc prorlus rciicio :
Hoc facitconccxc* B i3o.ic-cundidcanima,vbidocccur igncm Ite cerram ad
nullumxfthccertum accommodari pofle-.Illud, qubd vidcam, vnum hunc &:
prxcipuum ciTc Ari- ftocch propolitum locum,inquo dc e^fthcccrioru naturaagcrc
dccrcucrit,ml tamcn aliud quam quod hac in parcc liabccur,dciis fic pofthac
propoliturus: Prxcereai Ariftotclcm cum m phyiicis tum in aliis difciplims,
mulca quuicm aliquandoa vulgata hominum opinionc acciperc: fcdcuncmaximecxpro-
pria opjnionc loqui,cum corum que profcrt rationcs addir.atquchutuimodi
vcnulquamillasdcinccpsrcprobcc,quod ccrtc hic in organo olfaccusafli- gnando
illum prxfticiilcconftabit : poftrcmo,olfactu igninon ablolucc afcri- bcre,vc
PlacoTcddoccrcquaccnus illi pollicaflignari,quodiccmdeTacruin- tclligcndum cft.
Scd hxcinfraplunbus.Nuncdicamus, qux ratio fuit,vt dc vifu ante alios fcnfus
cgcrit, candcm nunc cifc cur Auditu aliis prxponat : dc qup tamcn pauca
loquicur , qubd fortaflc in co omnes A ntiqui , tam PhylTci O quam Mcdici
conucnircc.Nonnulla igicur nos,nc quid ad noftram Commc- t.uione dclidcrccur,ad
hanc rcm pcrcinencia ccmpcftiuc proponamus. Do- ccc Anllocclcs Audicum acns,hoc
cft,organum audicndi acrcum cire.Omic co qux hic Platonici,dc quibus iiipra :
iumo cancum quod procuht idem Phi- Joibphus
(ccundodcanimacont.Si.83,&:84.In aunbusacrcm qucndam nati- uum mcus
poiicum,mocu quodam proprio mobilcm,acquc mcmbrana fcpcu adcilc.Hunc
itaquclimul cum mcmbrana illa^quxH^ocnuncupacurjaudit" organum cffc
ibcuic.Hic vcrb fcicndum cft, Auriu nominc Anacomicos non naodb fubftanciam
illam carcilagmofam , cxcra ccmpora promincntcm,mo- cuvoluntario immobilc,
flcxuolbquc roraminc vi"qucadt^iMfS7ir, flucan- nulumoflcum paccnccm: lcd
aliacciam quxdaaudicus prxcipua mftrumcn- ta complccli.Poft illum iiquidcm
flcxum &: Wgf>i*i/pr,qui mcningc ipfao- j-j bliquc ccnfa
incusobftruicur,cauicas illa lcquicurquxTympanum. vocatur, obcam
quamh.ibcccummilicari cympano iimilicudinem. SupraTvmpanu cria lunc illa
oflicula,c]ux .\ rcccncionbus cxercicaciflimiique Anacomicis in_ ucnca ac
diuulgacafucre.Malleolus ncmpc,Incus,&: Scapcs. Hxccgo cuma- has Gabnclcm
Fallopium Mucincnfcm Anacomicum cclcbcrrimum Paca- uij prohccpccm,&
lnim.uiacorpora fccanccm obferuarcm, non modbpubli- ce,icdpriuatim ecia(qubd
cuncScholxPacauinx Proreccor cflem,&FaIlopio intimus)in mulcis iumma
adlnbica diligcncia, ne vllomodofallercr , mciso- culis vidcrc volui.Vcinamquc
corum quoquc mocum cerncrc pocuiilem: na v c cx forma &: ficu corum
artificioiiiiimo coniici poccft , huius cancum nocio- nc,ibni inccrm iiuc
audicus,racio clarc cxplicari poccft.Mirum ccemm cflcvi- dccur ET SENSILIBVS.
105 dctur,Incudcmcafui partcquxlatiorcft,itac.ipiti mallcoli iniidcre , altcro-
qucfuicrurc ( gcminacnim habct)ittcumftapcdisapiccconiungi,ftapedis vcro balim
lupcriorem tympani fcneftram ita claudcrc,vt concuila mcningc mallcolus,cuius
cauda mcmbrana: intcrna in facic infcntur, iccmqucincus, &: ftapcs
moucarur,candcmquc vno cx illis agitato,rcliqua duo iimulconien ciant .
DirHciliima fane cft hxc harmonia capcu , mirabilis camcn, &: fum- mo
arciftcc Dco digna . Audicus igicur c xcitat ur,cum fonus cxcrinfccus iiuc
acrcxtcrnusidusingyrum( vtdclapillo inaquamproic&oaiunc)mulcipli- catus,pcr
flexuofum aurium mcatum inuc&us , inccrnoquc aeri in cympano nimirum
conccnto coniundus & aifimilacus , mcdia ipia meningc , in quam ncrui
quinti paris a ccrcbro dcfccndcntcs fuii cxplicantur,in commune fen- g ticndi
principium dcfercurcxquocolligicur nunquam audicum cxcicacum iri,niii ionus
extcrnusad acrcm \ iquc innatum multiplicctur . lurc autcm aercm pr.ccipuum
auditus mftrumentum vocat Anftotclcs, cum fonus non- niiicx vehcmenti
pcrcuifionc , celcnquc motu fiat, recipieccque cito proii- lirc,&: nacurar
mutabilcm &: fragibilc ciTc oportcat.Huiufmodi ccrtc eft acr,
quocircaaqucaomnia&: magisadhuccerrea , fonitui cdendo incptaciTcfc- cudo
de anima dcclaratur.Porro, qui plura de aurium in hominc cxtcrifque animanribus
diicjimmc,vfu,figura,iituquc nofle cupit, Anftotclem in priori
dehift.animahumlibro,&: in Problcmatibuslcgat.Quarautemnonnulli ad- uerfus
Ariftotclicam dc organo audirus opinionem hic afFcrunt, lcuia planc funt&:
pucnlia.Siquidcm obic&aaudicus mnato aenhuic aiTinulancur.cum non corpora
ipfa dura,fohdaquc,&: fonum cfficicntia, fcd ionus m acrc rccc- ptus,vcl
lpfcmct aer ictus ad ingcnitum vfquc aercm per tortuolos lllos au- Q rium
anfradus,mocu pcrplacido peruadat,cum quo continuacur &: adhzre- llic.Etob
ccrcbri vicinitatcm quodfrigidum cft,acris lftiusnatura non tolli-
cur,cumncqucccrcbrum abfolutc frigidiifimum ab Anftotclcappcllctur, ocquc in
codem prorlus loco in quo aer collocctur. Quid?quod aqua quoad fui
fupcrficicm,acrihuiccxternocontigua cft,ncmotamcn ipfam fngidam non cile
indc(vt puto)colligct. O* 3!$ urtpftia,
ortpor^nc/l ' 6e-/*n,iuvtfvoi- fthcteriorum doctr.na crad.cur. Fincsiiquidcm
inftrumentorum ommum opcra funr,ad qua- tamcn cancum, fuorum obieftorum
prarfcntia, valcnt cx.rc.Sunr autem xftheteriorum obicda propna, quarfcnulia
vul^o nuncupantur, color n.m " rum,fonus,o,lor,faponpoftrcm6taa%MVtrcdc ?
AlcxandcTcxplicat)idq taOu pcrc, P itur.Qupniam vcro dr ufdcm fcnfilibus, multa
in l.bns dc amma d.lputaucrat,ne quis hac craaaxionem veluti fupcruacancam,
fruftraquc rc- pct.cam,damnarcc.Propoivc primum quidibi fi artpfuaffi jj
J[\w*(jm.7o $p o\m ivipytia ,yjpiS uut & 6 \d etv& ti irtpot ,
T⁢ xat ittpyciar *itSvcrto~a s oht opdo-ei ^ axovo-H } dpfaf it rdt^ji
-^X^.ti $ it txa,7? c ir CtuiroicjSn tfl XpauxtgC JfyjpavoCc x ffV[x0tf3nZ
xJf.o&v $ ifn n trvpuS 1 cr tr Jfypan7 } r fjSfj trapovvta puc , *j Wpwic
Wi 0"xot- . o j ^.ryofjSfj Sfy.QttA(,otx truUi* atf&jk i- fiuiran, a
AAct t/c xo tr* pvci^ uaAAor^p/f $
" T '^ , 19
(^iemadmodumigitAiribidiumcft,lumeneft colorperfpicuiex accidenci.Eccnim cum
aliquid lgneum Dcrfpicuo ineft,prxfentiaillius lumen eft , abfencia tenebrx.
Quod vero perfpicuum vocamus,non eft C quidaeris,aut acmx, auc alterius ex
corporibus ira nuncupatis, propriu: fed communis quxdam natur.i & vis,qux
certe fcparata non cft, fcd in illis alufcme corponbus meft,& in his quide
m.igis , in his vero minus. Dc coloribus cra&acio infticuicur.Que, coca vc
planior reddacur,agc in tres prxcipuas partcs diftribuacur. Prior , in qua nunc
verfamur,principia coloru concinec.Secunda,dcfinicioncm ipfam coloris vcnacur
acquc proponic. Ter- cia,fpecies &: diflfcrcnrias eorundcm dcclarac.
Abfoluuncur hx omncs in ccr- tio hoc capicc,quas nos fuis locis indicabimus . A
duobus igicur principiis, ncmpc lumine &: %**"Stoca colorum racio
prxcipue pendec. Idcirco Arift. in hoc concexc . nonnulla primum dc lumine,mox
dc^rw^alibi iam dccla- raca paucis rcpccit,atque iupponic . Quam racionem
diccndi fequcnces,con- D cexcum in duas parccs diftribucmus : Prior dc lumine
cft, quod formz vicem gcrac . Poilcnor dediaphano, quod macerix
inftar&fubie&i hac in rc obci- ncac.Lumcn ergo,colorcm pcripicui cx
accidcnci cflc , in libris dc anim. iam oftenfum fuilfe proponic:fcd
vbinam?Profcclo nonnifi in conc.69.vbi aic,Lu- mcn cflc vcluci colorcm diaphani
. Primiim crgo accipiacur , quod Aucr- rocs ibi moncc,pcr fcilicec idincclligi
quod non dcfinicum fiuc ccrmi- nacumcft,cuiulmodiaer:quadercinfra. Dicicur
icaque lumeneflcvcluti color huiufmodic^f^squaccnusqucmadmodum
pcrcolorcm,corpus colo racum,qua coloracum fub afpcftum cadit, ita pcrlumcn
cancu,corpus 3c pwr/c f r olof-fcto Jfe$ttei tr t^Ic troiftavi Jfapctvoos
tjyetrov on fj&p n vetrr) iXov. j 1
Eft luminis quidem natura in intcrmiriato pcrfpicuo, cius vcro pcr- fpicui quod
m corpof ibus ineft, cxtrcmu quidda cfle omnibus conftat. Subobfcura cft, horum
vcrborum cum fupcrioribus conncxio. Putant ali- qui:Quia fuprd dictum fucrat
lumcn cflc colorcm pcr accidc n s,n c quis cxifti- marcr, lumcn vcrum cflc
colorcm, hic ftatim doceri, quid intcr lumcn& vc- rum colorcm intcriit. Scd
pcrcipi fanc fatis fuperque ,difcrimcn potuit, cum vcibum *>nC*C***
indcfinicndolumineadditumcft. Prxtcrca nullum adhuc Anftotclcs vcrbumdc colorc
vcrofccit: Alcxandcrifta contcmpfit: Thomasexponendomagis,quam connccicndo
attigit. Nos igitur,ob par- ) ticu lasillas, /uViwr,
itcmquccasquxfcqmintur,3cxdcfinitioncluminis af- fignata aliquid aliud colligi,
idq; iimul cu m priori iam conclufo coniungi pu- tamus, vt cx ambobus
idquoddccolorc proponctur pofthac planiusrcddi poflit. Idc6qucqucmadmodum rcftc
Lconicus partcmhanca fupcrioridi- fiunXit, ita cadcm afequcnti etiam ( iiplana
dillinftaquc omnia eflcveli- mus) diliungcnda fuit. Vt vcro tota res percipi
poflit , illud poncndom cft, quod ctiam Lconicus admonuit , cx Alcxand. in
comm. 16. pcr Voccm cr corpora denfa &C folidiora intelligcnda cfle,qux
fenfu magis pcr fcconfta- repcrcipiuntur:Indici6cft,qu6dhiscorporibus pcrfpicuum
intcrminatum opponitur,puta acr,vcl aqua, qux tamcn corpora efTe omnibus
conftar. A- liudinfuper animaducrti oportct,nullum quulcmeflc pcrfpicuum quodi-
tcm non fit tcrminatum ,idcft, tcrminum fux magnitudmis non habcar,
eomodoquoanteafuit oftcnfum, &: Ariftotclcsdcacrc ,&aquaprimomc-
ccorologico dcclarat , aliquod tamcn pcrfpicuum intcrminatum dari , l.h. i4 D E
ORGANIS SENSVVM, quatcnus ncpc , qualitatcm iJJam pcrfpicuitatis cjua
anScitur,non in vna ran- tum fui partc iibi determinat , fed pcr totum dirfufam
obtinct : alitcr quidcm loquitur Thomas& Albcrtus , nimirum pcrfpicuum
intcrminatum , id eflc, quod cx (cipfoiiuc in fc nil habct, quo ccrni poflit,
fed codcm omniarecidur. Huic verc opponitur pcrfpicuum tcrminatum , tcrminatum
inquam rationc pcrfpicuitatis,non corporis cui inhc.rct, atquc id cft in cuius
folum fupcrficie qualitas hxc reperitur,liue id quod habet aliquid in fc
dctcrminarc, qud fub .ifpcctum cadcrcqueat, id cft ipfum colorcm. Nam.vt
moncbat Simpl. i. dc an1.cont.tf9. coloratum per fc viiilc cft , in propria
liquidc natura habcc colo- rem,qui m lumincconfpicitunpcrfpicuum vcro pcr fc
viiilc non cft.Nam Iu- mcn liabctaducntitium,quotantummodo qua perfpicuum
ccrnirur. Scd cft infupcr (cicndum, tcrmmum hunc in corporibus pcrfpicuis alia
ctiam ra- cioneconfidcrari poilcr.qiu nempc aliquafunt proprio tcrmino
finita,vc tcr- ia,&iiccaomni.i:.iliquavcroalicnotancum , vtaqua
&aer,& ipfc humida: haec inteinunata.illatcrminata vocantur, vtpatctex
Arift. infccundodcor- txx&c int.&^.mctcorol. Docctigitur Arift.
luminisnaturam cffc in corporc non tcrmmato pcrfpicuo,puta aqua vcl acrc , qux
pcrfpicua funt , &: proprio quidcm rerminodilhcultcrtcrminatur,facilcaurcm
alieno:itemquc,nil ha- bcnt in fc dctcrmmatc,quo confpici poiIint,idc6quc
vtroquc nominc intcr- minaradicuntur. Atpcrfpicui illiusquod incorponbus
denfioribus 6c foli- dionbus incft,tcrminum alique cflc conftat: &: hoc
duplici rationc, tum quia corpora ipfa proprio tcrmino dcfinita funt , tum
ctiam quia qualitatcm illam in fupcrficic iolum rccipiunr, habentq; aliquid in
fcdcterminace , quo fub a- fpcctum cadcrc poffinc, ncmpc colorcm.Quockca addic
Ariftocclcs: CVr* 3 ^ %S** ervfxfieuv^rrar ftatpot.loyb Xf**f JLa (1 ir rcS
trtpali Z$iv, w-criPaf . Sto Kj ol riuSuy 4f*tot rlw ffopdrutt* "Xjoiar
oK^Aw.iV/ fAp jbirrdrv ao/jUaT- ftttfafiy a AA* ov riTo rov aetfMf^ trtpaf. Quod efiam hoc ipfum fit
color, ex accidentibus patet. Etenim color aut mextremo,autipfumcxtremueft.
Quaproptcr Pychagorei,fuper- fic icm colorem vocabat. fi quidem in extremo
corpons,non lpfum cor- poris extremum cft. Probacauccm llludcxtremum corporisperfpicuitcrminati
colorcmef- le, dupUci mcdio. Primu cx accidcntibus fumitur , id eft iis qux
fcnlu pacenc nam confpicimus duntaxat colorcs incxtrcmitatibus corporumac
iiiperfi- cicbus,quocircadiccndam critcolorcvcl in fupcrficic confiftcre vcl
ipfam- mcr clfcfupcrficicm. Atquilicet, vt cgrcgic doccc Alcx. in q.
nac.cap.z.&c fccuruiodcanim.cap. j9.ccrminus corporis nacuralis perfpicui
qua corpo- ns nacuralis, fuperficics iir,qua pcrfpicui color, fimulque color
fic cum fuper- ficic: non camen color eft ipia fuperficies,ncquccnim pcr fc
quanm m eft,fcd forcalfcpcraccidcns:fupcrficiesautcm pcrfequanta cft, teftc
Ariftot. primo cxli. cont.i.&: j.mccaphy.cont. i8.prxtcrcaomnecorpus cum
fupcrhcie &C m fupcrricie cft,non camcn omnis fupcrficies cum colorc. ncque
cnim omne corpuscftperfpicuum tcrmmatum. Altcrum igirurmedium abauthoritate
Pythagorcoru fumptum ita cnt nobis intclJigcndu , vt non quafi probacum,
(indicio funtvcrba poftrcmacontcxtus)fcdad(impliccm confirmationem diicmmatis
propoiiti fumptu arfcratur. (In cxtrcmo corpons ,no ipfum cor- pons cxtrcmum
cft). Extremum eorporis, vr corpus cft, hic inrelligendum vemc :
alioquinmamfcfta rcpngnantia cffec. Ex his pacccquomodd colorex- crcmum ET
SENSILIBVS. 1*5 trcmum corporis dici, & non dici qucat. Scd obiiccre fanc
poflet aliquis,co- lorcs non in planitic fola harrcrc , vcl extra folum cflc ,
fed mcus quoq; & cor- pus ctiam ipfum cotum imbucrc. Nosveroiisomifiisqua?
ex Alcxandromi- nus tuc6 po/rcnc arfcrri,abfoIucc dicimus cum Aucrroc in quinco
coll.cap.19. colorcsnon nili in fupcrficie coloraci cflc, idcircoque ficri,vc
maiori cx parce ccm peracio parcis in quacft colorjalia (ic a ccmperacionc coci
9 coloraci. Non func crgo colorcs in profundo,niii (vc aiunc) in poCcncia,in
poccncia inquam, non vc colorcs in ccncbris , (flquidem Ariftocclcs hic colorcm
non in rclacio- nc fcdinfua nacurafpec-cac)fedinpoccnciavalderemoca,&,
vtaiunt,nou vc- rc. Ncqucobftac,qu6dincifolignoftacim colorin citis
profunditatc appa- rcat , quia incifio illa cx accidcnti huiuimodi colorcm
producit: quatcnus ncmpc ciim primum inciditur lignum , tunc ibi color vcrc
incipit eilc : fit c- nim ibi iuperficics rationcm Jfyt*rit terminati obtincns,
ad cuius clfc cum co- lorcm aflcquitur res fcifa quem fcla tcmpcratio cxigitmam
color cx mixtionc primarum qualit.itumontur,& iuxtaearum
variamtcmpcrationemmutan- tur. Arquifarisnotumcftdcnfationcm atquc foliditatem
tum lumcn,tum colorcs ctiam rcpellcre. Si quis
fmaragdum,rubinum,adamantcm,vitru auc aliudquid huiufmodi obiiccrct,in quorum
profunditatc,ii cxtrinfccus ccr- nantur,colorapparct:rcfpondcndumeft illosnon
vcrosfcd apparcntcs ra- tioncextrinfcca:
fupcrficicicolorcscirc:idcmqucprorfushisaccidcre,quod. aeri, in quo colorcs
multi ob lumcn pcnetrans , & corpus valde tranfparcns, pcrfxpc confpiciuntur
. Excipcrc ianc quis poflcc aducrfus hacc , Colorcm cf- fr,caque tcrminata :
quorum tamcn cxtre- mitasnon cft color, fed Jux. Vcrumdiluatur quxftiohocmodo:
Primum, Gcmmasillas,corpora^^ ! cfle,itemquetcrroinata:mixtanamquefuntcx
lucido& opaco terrco. Indicio
cft quod afpc&u ccrminac , quod inccrroinaca non crficiunr.
Qu6dficlaretranfpareatnilobftat,diaphan/xa.rttretf , ravrhv j ftT&' .
Qalnfttj eTi xjy dttp iyu' vdlap ^pa/uutri^o/LSfia. ' ^ 58 ti avyn fgiovror .
M* ok Jfy? irdopig-ca^ ov 7lu> avrlta iyyvdir ^'Sfocavai , !&} ttoppaQv
t%H "Xfotetr y 0$$ 0 anp, ovSr ti Bdterra . ir 3 Tais o-dfjutcrtr idt ui)
7o troui rh ut fafidhtoir , otprrof n Qar&ria Xpoae . d[nto>r apa ori V axflo xauuixarddfi
t/[txrix.or rxc Jcpoac Zb.feapa SfejarXt] , xa$6tror \rvfoit colorcs rccipit,
in corporibus itcm iblidis&C tcrminatiscolonun capax cft: A/*#i. cft natura
huiufmodi , in i*VW , i. intcrminatis , crgo &: in tcrminatis.
Maiorquzpomtur ah Ariftot. ita probarur:quiaidcmerrccusab cadcm cau fa
proficifcitur, quarc fi pcrfpicuitas cft ratio f ormalis rccipicndo- rum
colorum,optimc fcquctur, vbicunqueadfucrintcolorcs,ibidem pcrfpi- cuitatcm
quoquc adfuturam. Minor cx lc nota cft : quandoquidcm,cum cor- pora inicimm.ua
tranfparcant ,fatis conftat ipfaacolonbus non tcrminari. Colorcs crgo lbi in
diaphanum quendam &: pcr- fcftioncm accipiunt:quod color illorum pcr
accidcns nucupatur.Scd nil ob- l.iiii. I2 .8 DE ORGANIS SENSVVM, ftat fi
dicamus Anftotclcm hisinvcrbis ahos innucrc colorcs,quibusper-
fpicuaintcrminaca imbui videncur,&: quos fupraapparcntcs& mconftatcs
vocauit. Animaducrtcndum eftprimiim, Anftotclemin totohoccont .vti voce
in^nf^Tw , non autc m twftmUt, Quia illx corpus rcfpiciunt,hxc Dia
phancs,quocirca rcclcctiam colligitThomas,colorcm non cflcin gcncrc quantitatis
fcd qualitatis ficut pcrfpicuitas: cxtrcmum nanquc &c ldcuius c-tt c x
trcmum in codcm gencrc collocantur.Ncquc moucat nos ctiam, quod Aucrr in lib.dc
iub.orbis doccat.accidcntium fubic&um trina dimcofioncm
circ:namlicctcolorcsiniupctricictantum vcrc rcperiri dixcrimus:quiata- m c
corpus ldem Diaphanum & naturalc fimul cxiftic, idcirco bcnc fcquitur,
colorcm m cxtrcmjtatccorporisnaturaliscxiftcntem incorporc cflc.Ecrc- ciius
Alcx.qui hinc clictcquomodocoloraliquando in cxtrcmo,aliquando cxtrcmumiplumeiieab
Anftdicatur.InfupcrfcicndumcftjAriftotclcm hic id prxftarc quod pollicitus
cft,nimuum colorem fccundfi fuinaturam (impli citcr abfolutcq, colidcratam
dcfinirc . Nam ii cum Anft.in fccundo dc an.di- cercvclimusjcolorcm cfle
Diaphan^^^nnaclu, lamnon colorisfolum- modo natui am iplam fpcciamus,lcd
refpc&um qucm ad viium habctrmotus liquidcillius in Diaphan f>Z tt *f)
iifflf SfajQ licrcftc Ariftocclc fccundo dcan. conrcxtuyj. id
cft,vtfpccicscolorispcr mediummultiplicari& inoculo recipiqucanr,ac proinde
idcm Ariftor.in codem libro conrextu 66.Colorem moriuum diaphan nc coloris
fumitur, lumcn coloris vcluti formam eflc,in rcncbris ramcn non ccrni,quia
lumcn illud maccrix affixum &: dcbilc , mcdium mouerc nonpoccftnili lumcn
altcrumcxccrnumadlicquod adu Diaphanif rcddac: quod ET SENSILIBVS. i } i quod
lumcncolorcs non gcncrat^iftu liquidcm (unt)fed iJios fpcttabilcs red
dit.Arduaquxttiocft,&: amultiscxagitaca,anullo tamrn ad cxitum plar.c
pcrduda.Quarcnc commccarii noftri m maiorcm quam opuslir mok m cx- crclcant, in
pixfcnciaomiccacur,vnum canrumdicam ,nosfupra hac iolara- f.onc , colorcs in
profundo vcrcnon cffcdixilTc , quandcquidim intcrnx illxpartcs lucidx igncxquc
dcn/icate c ffu(cantur,acnon niiiin lupcrficic colorcsintcgros atquc abiblucos
quos cimpcrancia mixcicxigic,gigni vn- quam pollct.Dc Diaphan, iam fupra
rcfponfum c(r,cum cx Alcxandnfcn- tcntiadiximus.^^'corpulqiicnaturalcidcm
numcrocflcrquare eatcnus Diaphan}' maccria vcl iubic&um luminis dici
poifcc, quacenus idem corpus nacuralc,icemquepcrfpicuum eft.Dc catifarum
numcrodimmurojielp odco falfum ciicquodobiicicur . Nam omuTo finc,qucm canquam
nocum rcliquic Ariltocelcs, trcs alias caufas colorum numcrauic . Eft auccm
finis ( vt ab iilo cxordiamur)pcrfectiofaculcacis vidcncis: pcrficituriiquidcm
faculcasipfoa- ctu.imbquidaliud actuscft,quam facultas kmcccduccns ac prodcns?
Adus auccm cft rcccptioipfa fpcCtabilium,cuiulmodi certe funt loli colorcs. Qi
a- tumadaliascaufas:Dico Ariitotclcm dumallcric colorcs cxluminc&: Dia-
phanWa cum opacicaccoriri,cam formalcm , quam cfficicncc m , &: macenale
caulam cxplicarc.Ilia cnim cria vicem harum omnium preftant,quc madmo- dum
clcmentaquoquc tam cffcctiuc quam maccrialiccr &: tormaliccr,( vc lo-
quucur) quauis non eadcm vbique rationc,ad mixti confticucioncmconcur- rcre
dicimus.Quaccnus cnim clcmcntaluni& fubftantix,matcriam qua- fi cxhibent:
quod vcr6 ad qualitatcs arcincc,formam &: cfficicnciam . /iquid
hxduxcaufxaliquando codcm cocunt : vccx fccundodePhy. aulc. conc.70 patct.Ita
principia hxccolorum,quod ad matcria inqua fundamcntu habct, fpectat(raricaccm
cnim corpons,vcl aliasciuscondicioncs,Diaphan vutrtpv fAf) do&t&r tf)
aftntportrrtt.lff J*xrr xj^ ^iAor. Dc aliis autcm colonbus,iam diuidcdo,quot
modis gigni poflfint no bisdicendum eft.Contingit emm,iuxca ic poiicis albo
& nigro, neucru illorum ob paruiracem confpici.quod vcro ex eis conficicur
, eo modo fpe&abile fieri:fed hoc certc nequc album , neque nigi u fieri
porcft. Cu ver6 ncceflefit, aliuucm h.berecclorem,atquc lllorumncuuum eiTe
queacnuxtum c]tiidd,iuerfamquc colcirislpcaem eiTe oportebit.Exquo
intelhgirur,prseteralbum& nigrumplures cfiecolorcs. Dcclaraca cxcrcmorum
colorum gcncratione , ad mcdios cranfic,mcdios (inquam)nonomncs,fcdcosrancum
quicxvcris coloribus mifccncur.In li- bclloquidcm dccolonbusomncscomplcxuscft,idcft
ram cosqui cx vcris, quam qui cx apparcncibus conflancur.quod ibi parcicubrcs
mixcionum hu- iufmodicaulas,hicvniucrfalcsrataum rcccnfcic,
ipiiusiitconiilium.Porro Arift.fuum moremfcquitur. Prinuim nanqlicdupliccm dc
cocahacrc Anci- quoriiicnccnciac6mcmorac,acqucrcfcllir,moxquid ipfc fc
nciacproponir. Vna igicur Anciquorum fcntcncia dc rc hac huiufmodi ruiffe
cradic:minimas quafdam cam albiquam nigri parrescfle,quarum iingulac feoriim
poiicxco- Ipicinonpoflincobcarumcxiguicaccm. iicamcnin aliquo iuxra ponancur,
_^ ob auclnn molcmfubafpcciu cadcrc,ita tamc,vtncquefubrationcalbi,nc- quc fub
rationc nigri(fi quidcm fub ca rationc fintin c6fpicabilia)fcd cuiufda tct tii
cx illis conflatijdiucrfamquc ipccicm ob tl nencis, conipiciacur. Ex quo
rcct^colligiturquam plurimoscflccolorcspra-ccrduos cxcrcmos iam com-
mcmoracos.Hicduofuncanimaducrccnda,p r jrnumArifto.(vcinfrapluribus dicc m 5 )
Anriquos lllos rcfpiccrc qui corpora,n # eexa& \a$oyLu cTi Tira A
Aft4" drv fxfj.tr por.K) SV ai^r Xofi?o ic. xpoiual^xxSuKtp ixii&f
cvfi$an'aftdrarr 'flfjto-ttvc, , ot&c. Mulros aute proportione,Tna enim ad
Duo,&. Tria ad Quatuor > & fecundu alios numeros iuxra poni
pcflunt.Qpsedam vero cu nullapror ^ fus murua proponione funt,led cu qucda
cxccflu defe&ucnic intomen- furabtl .Qux faneeodem fe modo habere
exiftimandum eft,quo cofo- nantias.CcToresenimqui in numeriscgregiam
proportiontm llruanti- bus repcnunmr,vt lbi confonantix,gracifsimi omniu
colcrum cffe vide tur,cuiufmodi (ut purpureus, puniceus,&pauci alh eiufde
seneris.Qua quidem ob caufam,confonantiae qucque non mulrae funt . Qui autcni
n6fucinnumeris,aliifuntcoIores,aut cerreomnescolores in numeris funr,fed alii
crdinc difpofiti,al:i inordinarc,& hi ipfi c um puri nor. fint, ^ quia in
numeris non exiftanr,huiufmodi gignuntur. Vnus igitur genc- rationis cclorum
modushiccfto. Ex mixcionc illa inconfpicabilium partium albi & fiigri
multos orrri colo- rcsdeclaraucrat.Nuncrationcm iftius multitudihis ih rationc
&c iufta qua- dammutuaextrcmorum proportionccon(iilcrcafTirmar,Etcnim
prodiucr- firaccillius,diucrlxitcmcoloru fpccicsprodcunt. Vt vcroplaniora
fintqux dc Proporcionc loquicur.cxcmplum a difcreto quanto,ncmpc a Numcro fu-
mit-Nam qucmadmodum,vario modo numcri inuiccm difponi qucunt,pu- taTriacum
Duobus vc cxccdens,&: cumQuatuorvt cxcc(Tum,& cumaliis
alitcr,itaminimaillacxtrcmorumcolorum. Nequis vcro putarct omncm
cxceu*um,omncmquedcfcrum proportionicolorum gcncrandoruminfer-
uirc,addit,rationalcm quandam mcnfura vbiquc exigi,(i lufta cxccdcntis &
dcficicntis proportiodicidcbeat.Hanc vcromcnfura rationalc confonatiis p vocum
coparar,quatcnus fcilicet,proportiones con(onantiaruqurc tt x l G r,
intraquufdam ccrtos hmitcsconrinctur,ita vt illos cxccdcrc plurcsquc clTc
ncqucanc quo fic vc non multacctiamfint,lta in coloribus fe habcrc ait.Nam (i
nullusin mixcioncminimoru,proporcionisgradus ftrucrur infinitam qui- dcm
colorummuIticudincm,fcd irrationabilcm iniucundamque proponerc liccbit. Ex his
colligit cos folos iucudos afpcchiiq; gratos c(fe colorcs, qui nu mcrofam, vcl
sequam ordinaramquc proportioncm fcruant.Scd lingula func perquifitius
cxaminanda.Primum aute.quod ad propofitum facit, nonnulla vcrba Thoma?
illuftranda.Colli^it cx Ariftotelc dccimo metaphv. conc.i, 6C j.t^Tb rationc mcnfurs propric & pcr fcconuenire,quod
indiuifibiic (it: ra- tioque meniurx ccrtum tk conftans c(Tc cxigat , cuiquc
nil addi auc fubftrahj potlic.Hoc iccmVnumquod mcnfura cft,inquancicacc pnmcim
rcpcriri ra.i. S5NSI LIBVS. I}9 fonum-.fivcroceleriorfpifliorquc, aciuum. Qua
cmm magis Tcftudinis fi- dcs intcditur,coacunorcin ionum rcddic:quo magis
rcmicruur,grauiorcm. Huius rei ratio nullaalia cifc potcft nili quia Ncruus mccnfus vclociorcm
pollumnercti flioncm vc faciar, colcriufquc rcucrrcns,frequctius fpifliufquc
acrcm fcriat : laxus vcro folutos &: tardos pulfus habcns, diutiuiquc h
a> rcns,raroimbccilJitcrqucacrcmpcrcutiat.Ncquecnim quocicschordapcl- iitur,
vnus cantum cditur fonusaut vna fic percufllo: Imo totics aerem fe- riri,
quoties choxda trcrocbunda quaii abiens rcdienlquc pcrculfcrir , cxilti- mandum
cft.Scd latctaurcs inccrcapcdo huiu(modi,obiun&am ionorum vclocitaxcm .
Exhoc itaquc Graui& Acuto fono Symphoniam conllare doccnc Mufici.Symphonias
auccm omncs Mufiea&ad Quinquc pocirtim u m proportiones przcipuas rcdigonc ,quse,
quinquc iccm alns Anthmcticis rc- fpondcnt.Sunt vcro illx limpJiccs quidcm trcs
7wp*r,d$ tm^ ^wjcom pofltidux,^"^ ^^^''^*- 8 * 1 '. Priori refpondetin
Numcns.propor- tiofcxquitcttia,vt4,&: j.Sccundar
fcxquialteravcj.adi.TcrtixDupla^vt^, &i.QuartxTripla,vt'*facit,itain
coloribus.ccrtaiufta- quc proportio albi cum nigro ( quam ipfc vcrbis illis
lignirkat uifAtmtA. Aej?wri)j parcicularcmcolorisfpecicm vel magisvel minus
iucundam pro- ducic. ( Cuiufmodi funr purpureus, puniceufquc ) . Excmpla func
colo- rum inarquailla proportioncfcu Symphoniaalbi&: nigricxiftcntium.
Difcr- te aurcm in priori Mercor . vbi dc **ir*uirnf loqucbatur,co!orcs hos
duos Awf>fcilicct fcutff"^(idemenim cx commixtioncignei
&albi&:nigriapparcrcatKrmauit.Eft vero purpurcuscolor qualis aliquan-
doinauiumpcnnisadlucemfeu folcm cxtcnfis cxplicacifquc,acquc inma- rictiam
fublatis fluctibus, ccrni contingit- Natutalis autcm &c rcuera hu- iufmodi
color in languinc Purpurx marinx,dc qua Plinius hbro nonoca- pitc trigciimofcxto,confpicirur.
Puniccus autcm in flammapcr Iigno- rum viridium fumum infpccta,in Aftrilquc
ipfis aliquando, per vapo- rcm in fublimc clatum denliorcmquc redditum ,
apparct: reuera autcm &naturalircr cft in Cinabari &: draconrco,quod cx
fanguinc animalis eft, vt Alexandcr in certio mctcorologico docet . Scd dc his
pluribus agcre, vanum elfct. Tantiim igitur pro rchac moneo:
Intcrpurpurcum,&: Puni- ccum colorcm hoc difcrimcn colligi , quod Purpurcus
, tenuiori Iuminc alh6que,&: nigro mcdiocri interfc commixtisfiat,validiori
autem &mul- to luminc alboquc, & nigro pauciflimo, Puhiccus . Gratos
igitur nuncu- pat hos colorcs Ariftotclcs , quia in vifionc voluptatcm
producunc,vi- iioncm, mquam, iiue acfioncm ipfam & \nyy*tkt vidcndi non vim
facul - tatcmque anima: : difiuncfa liquidcm iftaduo func, nili Mcgarcnflum fi-
miles haberi vclimus,qiii dum nihil agimus, faculcacc eciam agcndi,nos plane
defticutos cxiftimabant . Vifioncm autem tunc volupcatc afHci, ciim Scfacultas
ipfa vidcndi bcneeft affecta , & mulca in coloribus cx- trinfccus
obic&is ( ab his cnim duabus caulis potiflimis viiio pcndct ) m. li. 136 D
E ORGANIS SENSVVM, cu facuItatcconucnicntia,natnra?q; confcnfioadcft,fatis
cmnibus ccnftar. Qualisvcro in colonbus confcnlus,proporrioquciftacu facultatc
vidcndi cilc dt bcat,adMcdicum potius quam adphylicu dcclararcpertinct.Galcnus
nonnulla dc rc hac,in 4-de fympt.caufis,cirm dc vira loquitur. (Et patfci
alii.) FJureslunt diilonantixquam confonaniie,,itcmquc colorcs infuaucsjfucun-
dis. Bonum liquidcm ( adquod conlbnantia rcrerrur)cxcaufa integraquse vna cft,
conftarc Atiltorclcs, tc Dionyf.doccnt. Malum vcrotx quocun-
qucdtfcciu-.idcircolicct in bonis ,&conlbnantiis gradus quidam rc&ifcr-
uari poiTinr,fcmpcr tamcn plurcs crunt quiab intcgra caula rcccdunc, quam qui ad
iplam acccdunt.Dc colonbus itcm diccndum c ft. (Scdalii ordinc di lpoliti,aJii
inordinatc. jCmncscolorcs in quadam nroportionc funt.(quodvo cat
Aiift.nifalJorwrW"')rcdn6omncsordinate& purc.idiftjAlcx^Ti.cx-
plicancc,non limilitcr liuc cadcm rationc pcr totum commrxti. Lccnicus cx
TJiomarumcns,cxcmplumarr*cit,hocmodo, vtii iuxtaduo albavnu nigru iit
poiitum,&: luxta alia duo rurliis vnum nigrum,& iic deinccps,pura
&; ordi nata mixtio nuncupabitur:corraria vcrdilli,impura &: inordinata
. Ab ca (vc poftu mo collrgit Anft.)colorcs fuaues,ab his tnftes
proficifcuntur. E*c ^ 5' peuvu&af
oTar o JtA^- xa& avVrf&fj >Jjxt c ^airtfof^ $ a\*.C& x)
xac'af fgravrcr ^c^t^r^ ^cniputip^fArtf ^tycc /af ar tmDc rfyji&moMcvfU
& w /3a'3.& v $ ^4^,id c ll dcli- neationcm,vmbram,&colore:nam
tmiiin planocorpora effingcrc cogatur, non raodo coIoru,fcd aliarum ctiam
duarupartium auxilioin.digct:quib 9 ccia fic vc
omniuaJiarumartiuqu^inrcprtjfcntandoverfcnturjdirhtilioriic^no bilidima.Iftai u
fiquidcm parciu opc,non folu cffigicm rcru animacat u auc in p
animaruvcfupc:vcrucciaro mcncisaff fculpcdi ars,neq; ca qux -*p *- vocatur
vnqua cfficicrgrum,&: quiadheru nacuram magisacccdunc.Acquc
obcacaufam,illiafpcdu cclcricermcucnr,vclctia\Iiiiiciunt:hi cardiusagur, &
afpcdum congregar. Indicio cft.q, pidores ciim aliquid cauum auc profun q du
remocius,vc puceum,vclantrum jpingerc volunr,colorc nigro,cxrulc6vc aut alio
ciulinodi vtuntur,albo fcu fpltndido circa illos adhibito . Cum vcrc* (pmincns
quid,vt vbcra,aucroanu,auc pcdc,auc aliud afpedui propiqoius,al- boaliifqucci
affinibuscolorihuscacffingunc, id prxccrcacotuquod ambir, nigro cciulcove
arficittt s.Scd hanc regula tunc maximc fcruant pidores, cu volut ita aliquid
vidcri ac ii in acrc,vcl aqua cflct.Pifce cnim incus in aqua po fitu,dcniicriatqicfficaciori
colorc pingur,illifupilltnitntcsdcbiliorc,quia- quxfupficic refcrar.Porro,cur
cfficacior.color ad colorc mediu gigncdu fup- ponidcbcac
caufacft,vcThomasanocauir,quiafidebilioritippcnciccur,nulJa lVi/pccicafpcccuicxhibcrcpoifcr,abcflicacioricnipenic*
offufcaretur,acq! hac racionc nulla fui partc in colorc mcdio haberccquinimo
mcdius null 9 co lor cfficcrccur. (Ecqucadmodu fol). Exc mplu cft a naturalil
us pt titu. Sol cni qui ex fcipfo clarus ft u fpltndid'cftin mcndic,&
idcirco albus apparct (nul)u cnl propric colorc Sol habctfcd caccnus albus
vocacur quaccn' claricas Iuci- dicasq; ad albcdine rcfertur,vtcx
$.me.c.dclridcc6ftar)mccrpofironigro,pu D ra haIituahquodelb,vt
pctfxpeinortu&occafu ciusaccic!ir,puniccusc6ipi citur.Scddc rchacArift.in
i.mct.plunb*. (Porrohacetiam rationc). Tcrcia hxc
pars:omniaplanahabcc:oftcndiccnim rationcm varictatis& iucundita- ciscoloru
mcdiorum,nonaliundc quamavaria proporcionc cacjueconue- nicnci, tam
coloruquilbpponuncuriiuein profundofunr, quamcorumqui fupcr illiniuntur,
fiueinfupcificie mancnc,elfc pccendam. i r Zr iw; -tlw Ttnli ~,\uj elfrfiy
tuTV(,l>- 'JLSur xfti-fltT qZrafT* xjt~3$ ts fH7w;o rki&*tn,i *t*j
-r-Tri^rfiittir. 9 Dicerc igitur, vt antiqui,colorcs nepe dcfluxiones e(Te,cV:
c b hanc cau lam cerni,abfurdum cft.cmniu enim fenfu,pcrca&u el'fici,de
dloru fen- tentia affirmarc necelTceft. Quare fatius ccrtc erit dicerc , fenfum
fieri m. iit , 5 8 D E ORGANIS SENSVVM, medio fenms a rc fenfih moto,ciuam
ta&u > deflu&ionibulque. Prior illa opinio , vel ob cam maximc
caufam colorcs mcdios cx atomis illis iuxta pofitis cffici forcaiTc doccbat ,
quod acomorum illarum dcfluuiis in oc ulos fefc infinuantibus,idolumqueaur
colorem rcbus ccrncndis limilcm a dfcrentibus,vifioncmerfici poncrct: vcl co
nomincpotius vifioncm ciuf- mo di dcfluku ficn ftacucrcr, quod atomos illas
darcr,cx quamm *W/ acu. ftfviui non modo colores,vcrum & alia propc omnia
mundi Enria efficcrenrur. Vtcunque vcro fic,fac conftat Anftotclcm allatis
duabus opinionibus,in pnrfcnti contcx.priorcm illam cucrtcrc. Et fanc vtramuis
rationc diccndi fc- quaris,nonabsrcAriftoteIcs,nonnullaprimum aducrfus hos
dcfluxus affcrr, anteaquam fcnreciam ipfam impugnarc aggrcdiatur, Quod ij noffe
poccruc, qmindifpucacionibus Ariftocclicislunt cxercicatiorcs.Notnale igiturTlio-
mas , cum ait:fundamcntum prioris opinionis inhoc conccx.tolIi:nec minus ctiam
rctc,qui obitcr& quafi pcr trafcnna ,anncxum folumodo quoddam ll- hus
cucrtidoccnt.Somniant autcm qui tcrtiam dc ortu mcdiomm colorum lcntcntiam,hic
affcrri putant.Quandoquidcm huiufmodi dcfluxio non ma- gis colonb 9
mcdiis,dcquibtis tantum agercin prxiccia Arift. inftituit, quam extrcmis
gcncrandis accommodaca lit:hic fiquidcm communis omnium rc- i um cerncndarum
modus ab illis habccur . Prxtcrca qui ficri poffic , vc dcflu. uia harc colorcs
mcdios varicnc,nili primum corpora ipfa a quibus fluunc va- ria finr, nc vcl
coniicerc quidem poifumus. Poftremo nullibi hxc opjnio ab Anftor.prarcerq; quod
ad vidcndi modu rcprehendicur.Ncquc obftac quod AnftorclcscolorcsiwfHV nomincnuncupct,cum
non alitcr fintcius vcrba liicaccipicnda,quam fupracum
Empcdocleincoftanrixargucnsdixir,*^ tft colorara ca vocarca quibus
defluuiaproficifcurur.Exhacirccxplicatio- nc , unotu cifc potcft,cuinam
priorillaopiniodc coloribus mediis tribucn- da fir,Empcdocli nc anDcmocrito.
Atquc illi quidcm,quia licct iftasatomos in gencrationc colorum non omnino
admifcric , ncquc pcrfpicuc lllis ta- mcn darc manum vifus cft,cum inconftantcr
vifioncm pcr dcfluxum corpuf culorumarclpc&abili, cfficialiquando affirmauerit:
Dcmocricovcro,quia quauis Atomis iftis no lcpcr faucrit:& vifionc
pcrW"ficri doccrc vifusfit, ; wien tamc illa,per ifta dcfluuia ad oculos
dcfcrri,& in cos imprimi , vt notat Alcxandcr,txiftimauir.
Scdquamamobiiciat Ariftotclcsiam tandcmcxpli ccmus.Si;inquit)vifiopcr
dcfluuiaifta atomorumficret,fcqucrctur vifionc c mncm tatu cffici , quod fane
perabfurdum eflc conftat. Na fi cx fcc. dc an. tcx.6j,& 144
vnufquifqucfenfusfua&propriaquidcm obic&ahabcrinqui- busvcrfcrunirafuumquoqueatquc
peculiarcm fcncicndi modum mln*nd. ty.* niminim & i^typ id eft
fpiricualiorcm vcl matcrialiorcm obtincrc dcbuit:imo harc fola racio eft cur
Animal non vnico fcnfu,fcd pluribus przdi tumfuiflc oporcueric.Confequucionis
aucem vis nocacft,quandoquidcm, vc illotum ferc opinio,minucifIima illa
corpufcula coloraca influcncia,fc ocu- lis applicanc , illofquc cangcndo
afficiunr. Ex quo dcinccps infcrt , Sacius multo elfc id affirmarc quod fupra
cciam oftcnfum cft , vifioncm , ncmpc idcirco crfici,quia id quod inter vifum
& obicttum intcrccditCfiuc lumen vo- ccs,fiuc acrcm , ab obic&o
fpe&abili pcr fpccicm moucatur , quod motu at-
qucicaaffctum,oculumipfumdcinccpsafficiac, fed non tangcndo,cum- taftus propric
corporum clfc dicatur. Eft ET SENSILIBVS. i )9 Eft igituractio ifta ipccici
icniihs in oculum, aifimilaciopotiusquxdam cum A facultate fcnticndi
nuncupanda, vt pcrfxpc diximus, quam ccntacrus. (Qua- re
abfquedubiofatiusccrtecrit. ) Vim fuamhocconncxum fumit,cx pro- poficionc
totics ab Ariftoc.repccica,prxfcrcim in o&.Phy.conc. 56. fccundode
part.an.cap.i4.&fccun.cxli.cont.j4.Naturam (cilicctcxduabusrcbusquas
vtrouis modo agcrc poteft,fcm pcr id agcre quod optimum cft. Quxquidcm licet
non candem xque rationcm obtincat in fcmpitcrnis,acin hsqux ortui &
interitui funt obnoxia,vt egrcgic annotauit Aucrroes in fecundo cx-
li,com.}3,&: 34.itcmquc tcrtiophy.commct.jzhoctamcnprxcipuumcom- munequc
fundamcntum(ni fallorjhabct.Natura proptcr fincm agcrc,qui i a- tioncm boni
fcmpcr obtinct,imo nunquam non cft bonus in rebus naturali- bus . Atquivbi
dcBoni gradibus agitur,illud quod mclius cft,rationcm boni fimplicitcr
afiequitur,quod vcro non ita bonum, mclioris refpcdu , pri- B
uationis&mali.Quoccrreficvcnacura propter bonum agcns,fcmperadcx-
tremumillud 7tA(m*p k, f*iy&&- ha/ufidHHrdopdtpr, oiJ5 2 "xfim
drafe^nfcr } )'ra XdBaonr af xrniati(d$iX90Uf*iraf, C fxx Qatn&af. In iis
itatiuc cjux iuxtafepofica funt,nccefTe eft, vt magnirudirem * inuifilem, ita
tempus mfenlilc accipere : vt motiones accedentes latcant, & quia fimul
appareafit, vnum eftfe vidcantur. Iam opinioncm ipfam eo qu6d iibi in prxfcncia
fat cft, falfam cftcdcmon- ftrat, quod abfurdam, ncmpc quandam &:
manifcftam incommoditaccm ad- fcrac. Rcliquacxiisquxinpropriaaifcrcndafcnccntia
dicct,nobis aducrfus hanc opinioncm colligcnda rclinquct. Subobfcurus cft
contcxcus : vc igitur planior rcddatur, induasillum partesdiftribuamus.Vnacarum
abfurdita- tcm, qux opinioncm confcquitur,(implicicer proponit:
Alccraabfurdicactm magis cxplicat & quafi diducit. Pi ior crgo ita habcrSi
magnicudincs illx in- ) uiiilcs iuxca pofitx pro gcneracionc mcdiorum colorum
dantur, crgo Sc tcm- pus infenfilc. Conicqucnscft abfurdum, confcquutionisautcm
vis eo patct, qniamagnicudini inuifili, cam motum quam tempus proportione
reipondes tribuere fanc oporrct. Sccundahuiufmodi cftrficolorcs mcdii
gcncrantur iuxtapofitionc & vnionc partium minimarum
albi&nigri:qucmadmodum particulxillx acccdcntcs cx fc inuiiilcs crat, ita
tcmpus quo talis vnio feu ap- proximatio parrium
hincatqucindcficbat,infcnfilecirc oportuit. Dcpiiori parteplurib' infra
fuoloco,quatcnus nimiru tam magnirudo,quam tcpusin- leniileadmittincqucat.
Alteram non vnoquidcm modo diducunt intcrprc- tes, omncs tamen in co
confcntientcs,vt de motione iftorum minimoiu qua* acic pcllunc vcrba ficri
putcnt. Scd ccrtc licct omncs vcrc &: iis qux ab Anft. pro rc hac ad fincm
libri proponuncur fcre couenicnccr,non tamcn( vc puto) m.iui. i 4 o D E ORGANIS
SENSVVM, huic loco accomodacc. Primum cnim mirum cft, cum omniu confcnfu Arift.
lioc in loco priorc dc orcu mcdioi u colorum icnccciam impugncr,in qua nul- lum
vcrbum de illis ad oculos dcrIuuiis,omncs tamcn ad dcfluuia illa contcx- cum
accomodarc. Quod ii nobifcum ccnccdant tcrtiam ad pnorcm pcrti- ncrc,cur crgo
non itcm ratcbuntur vcluti (upcrion rationc defjuuia illa abla- cafunt, itanac
modum lpfum gcncrationiscolorum auferri? quodfanccffi- cerc Ariftotcliprzcipue
propolicum cft. Ccrtc hi fupcruacancum diminu- tumquc fimul rcddunc
Philofophum. Przterca, vifio percontinuata fucccl- fioncmatomorumcxfcntcntiavctcrum
cfficitur: quificri itaque potcritvc T*f-Mt9'riAudixcrit
Ariftorclcs>Poftrcm6, dogmancn poncbacraagnicudinc inconfpicabilc quz
dcflucrcc , imo in defluxu lam ccnlpicabilcm , fed inuili- lcm antc coloris
mcdiigcneracicncm , quz dcinceps cum aliis vnita , viiilem magnitudincm
confticucbat. Quarc vt omnia cofonafc pcrfpicuacflcnc, ita putarcm vcrba illa
fccudz partis cxplicanda ciTc. ( Vt motioncsacccdctcs),i. localcs
illzapptoximationcsinuifiliupartium albi& nigri,adgcncrationcm coloris
mcdii,(latcat) ob tcmporis ncmpc T ***8'* r & ftW, l.vt ira loquar,
impctccptibihtatc. (Etquiaiimulapparcnt),i.Etquoniam partcs illzfimul apparcnt
^^^rtVtfupradixcratV^nx^rt^w. ( Vnumeflcvidcantur). Latct fiquidcm mocus ill:,
quibus iftud v num cx multis cocurrcntibus aggregacur. Scd quid , (i hzc
pollrcma vcrbaad magnitudincs inuiiilcs rcferrcmus,vcluti priora ad cc mpus
inlcn(ilc?vtrunquc ccrte pro abfurdo Ariftoc.infra habcbit. Vcrunquc crgo
fortalfcra his verbis apcrit atquc dcducit. eVSu/S^i 3 ov$ t/jtla, dvdyxti,
etAAa !s> itritn^ ypZfXA^dxirfior cv,Xj xtrovfdfjor u- th i/Wxftfii , ot/
ofxolctv fBrottiffet t xlvroiv . d KjtTtpor ito/, jyu oCrt Xtiixlr ovrt
fxih.tr. i Scd hic nulla nccclTicas vrger.Vcrum color qui cft 111 fupcrficicper
fc quidcm immobilis,feda fuppofito motus ,non fimilemmotioncmcf-
ficiecQjiiocirca nequcalbus ncqr.e nigcr apparcbit,fcd diuerfus. Sccunda
opinio,quzncquc vilioncm perdefluuiacffici, neq; colorcs mc- dios
pcrapproximationcm parcium inuiiilium produci, aifcrcbar,ab haium abfuiditatum
cnumeratarum nccciritatcimmuniscrat,idcircoquc probabi- lior. Qupd vt magis
patcat Arift.paucis,& clarius adhuc quam antca , ratio- nc m gencratJonis
colorum ab hac opinionc induttam,rcpctit. Color,inquir, in fu pcrficie
poiitus(eft pcr fc immobilis) , id cft, cx fc nullum mcdium colo- rcm crficir,
ncc vt mcdium quid mouc t. (Scd motus a fuppofito ) hoc cft cau- fam a
fuppoiito colorc , eracacioriq; rccipicns, vt hoc vcl illo modo apparcat &:
afpcdumarficiar. (Noniimilcm mocioncmcfficicc),i.n6fecundum ratio- ncm vifum
moucbit,fccundumquam cx fcipfomouerct , vclfecundu quam ctiam ipfc a fuppoiito
mouctur. Idcircoq; addit. (Ncq. albus ncq; nigcr ap- parcbir,fcd quid
diucrfum). Ex quibus ccrtc vcrbis patct, fatius eiTe hoc mo- do totum
hunccontcxtum cxplicarc, quam modo Thomz,Qui putauit,pcr vcrbum
(lmmobilis)motum localcm innui , pcr illud auccm ( mocus a fuppo- fito ) mocum
alterationis,ac (i Ariftotcles diccret: Opinionem hanc lupc- riori
przftarc,quod localcm mutationcm defluuioru non ponat,fcd colorc in luperficic
pofitu ab infcriori altcrari,atq;eomodonon limilc motu fcu rcprc,- icntationc
fui in fcnfum faccre,quam pcr fe ip(c cxhibcrcc.Quc. fanc cxplica- cio
prcccrqua quod,quantu ad lmmobilicacc liiam vana atque incpta cft,vuJc Ari- ET
SENSILIBVS. 141 Ariftotclem cciam mquampauciflimisvcrbis,amoculocaIi,
admocumalce- A rationistumadfenfusmutfltioncm tran(irej.ter^-vu/affludit. HVt*
effxti tvS t^rr a/ fxndvr tf) fxtyt&&' aopafa, AAa ftiyturaf ficnro~a. wcTf^iTix/ 6rtpor. Si VC-
t ET SENSILIBVS. i 4i Si vero corporum mixtio cft , non folum co modo quo
qnidam arbi- rr.inrur,poficis nempc uuicem minimis , qua: iul> fcnittm
noftrum non cadic, fed cum coca prcrfus pcr coca confundarur,vcluti in voluminc
de mixtione vniuerfim de omnib" diximus : Ulo certc modo,ea folum mif-
cecurqua:cunq,- vfqucadminima diuidi poiTunr,vc adhomines,cquos aut femina.
Hominum cnim, mmim 9 eft homo,equorum aurcm equus. Quare horum luxca
leinuicempofitionc,vcrcruquemulcimdomixca eft.Sed vnum Jiominemcum vno equo
nondicimus mifeeri.Qua:cu- quc autem non diuiduncur adminima ,ad hunc modum non
compo- juintur/ed vndequaqucmifcencur, qua: mifceri maximeapcalunt. Vc- rum
quomodo hoc maximc ficri quear , in libns de mixtione antca di- ftum cft.
Pofjtis aliorum dc ortu mcdioru colorum fenrcntiis,cifdcmq; quanrum lac
eracconrutads,propriam nuncciusrcifcntenciapreferre inltituic: quam vc
c6modiuscxliccc,diltin&ioncm quandam mixtionis proponicacq;cxpla- nacqua:
cft huiufmodi. Mixcio no folum vno quoda modo ab A nciquis cxco- gicaco,faifo
camc acquc incpco fic, (Quando fciliccc minimx parccs corporce. ob cxilicaccm,
fenfum nottrum fugicnccs,iuxtapoiitx,&: cotu quid vcluti co- pofitum auc
pocius accunralatum,fcnlilcq; confticucnccs, mifccri dicuncur) Scd cciam alio
veriori, & naturx proprio:cum mmirum rcs non modo fc con- tangunt, fed
cocxpcr cocas mifccntur fcu cofunduncur,vt in voluminc priori dc octu&
inccritu oftcnfum eft. Dcclarac dcinccps Arift. in quihufnam tam primus qu.ira
fccundus mixcionis modus locu m habcat, vt vtriufq; vis & na- cura magis
noca fic. Dicic icaq; priori modo ea folum milccri , qua* diuidi pof- func,ad
minima fccundum ipecicm, i. ad ea , quar vlcerius in illa quar fu.c funt
fpccieidiftribuincqucunc: qua ratione Hominum minimadicuncur, hicho- mo,&
ille:cquorum iccm hic& illc:granorum,pura milti,hoc& illud. Scd po-
ftcriori modo mifccri feu mixca illa nuncupancur, qux in minima iftiufmodi
diftribui ncqucunr, imo ipforum omncs partcs cotx pcr cocas ica confundun-
curjvcnullamillarumicoriim manfi/rcdicipoffic. Quod qua racioneefficia- tur ,
abundc in voluminc dc orcu & inccricu priori , nimirum cap.duobus po-
ftrcmis, facis fc explicaflc monec. Pi ior conccxcus pars,coca pcrfpicua
cft.Ac- ccdo igitur ad alia. (Illo ccrtc modo ca folum mifccncur quxcunq; vfq;
td mi nima diuidi pofluhr.) Id cit mixta vocatur illa quoru particulx mininvi
iunr, vc milii auc tririci accruus : vocac auccm minima ca qux vlccrius in
caquofuae funcfpccici fccaririequcuCjfcu qux noamplius fic comunis
mulciSj/Inuidua, & vnumnumcroaliasnuncupancur). Hoc codcm refpcchi Ariftrc
fccundo dcanim.conc.*i,hominem minimum vocauic,cftcnim,vcadmnuic Albcr-
cus,paucorum Indiuiduorum. Hiccrgo no nunimailla quancias rcru phvfi- carum,
cuius in fecundo d c an un. cont.41 . mcntio ric. Scd ipfc ipccicru m -
juWwindiuidua videncur lncclligeda : quod facis doccc PhiJjfophus cum ad- dic.
(Hominum cnimminimumefthomo), hoccft , MuLicudo hominum, oux^tt dlcicur ,pro
fuis minimis parcibus habec hunc&dlum homincm,vl- tra qucm dcfccndcrc non
Iiccr.Pro qua rc animaducrccndu cft , Ai iltotclcm inpriori volumincdcortu&
inc.conc.8f. dupliccm mixcionisopinioncm, v- tranquc tamcnfalfam proponerc.
Vnamquc mixciorcm cfficiaffirmabaccx parcibus, ad cam mtnima fccundum
quancicaccm diuiiis mixcis,adinuiceq.ud' \ 144 D E O-KGANIS SENSVVM, appolitis,
vt proptcr partium paruitatcm,nullus iuxta poiitionis fcnfus ciTcr, fcd
vidcrctur potius mixtio & tcmpcratura eiTc : Vcluti in fimila tcnui cx tri-
A tico, farinz hordei pcrmixta , apparcrc docct Philoponus : Altcram , quz ad
atomos vfque , clcmcta rcfoluebat,&: mixtioncm cx illis adinuicem ita iuxta
poiitis cffici cxiftimabat,vt vnaquc^que atomus puta ignis,atomis aquz iuxta
poneretur. Diicrimcnhoc intcr priorcm &c poilenorcm dcprchcndcrc qui- uis
potcft:Quod prior opinio formas quidcm corum quz miiccntur fcruar,li- cct illa
inicnlilia riant,exilitate iuxtapoiitionis: Altera vcro, non amplius fcr- uata
mixtoru forma fcd ipfis rcfolutis in ca vltima cx quibus conftanr,dcindc illis
iuxtapofitiscomodoquodixirnus mixtionc inducit : Vclutifilapides cX quibusdomusconftat,folutadomo,finguliiingulisiuxtaponantur.
Hicvc- ro Arift.non niii altcrius lentcntiz mcminit : ob cam caufam(ni fallor )
qu6d harc notioriit, vel quod illafub hac quodammodocQntincatur, vtmonct B
Philoponus:quoctiam racrum cft, vtab Arift.in cont.8mwo'j\ao-iv,un2t Itw
^js^AAnA air .oC$)4Voj>p'Jfyr fjSfj jyyvSvr c/[ ov tpa/rtraf uJaypoxffl
uryrvfjt,(rar,dj\j\d trdr- tpStr. o-flAAa/' /AAirA* ridijutrojy ^uuurut , ti
twxroAffc cr quincn cminus cantum , vcrumcnam ccminus iidcm confpiciunrur,oriri
queanc,aliis autcm ,apparcntcs folum gcncrcnttir. Ratiomultitudinis &:
incundicaciscolorum nonaliundciuxca hicopinioncm fumitur ,quam iux- caalias.
Difcrithcnrantum cft,quodhxc addiucrfam prcportioncm illam- quc numcrofam vcl
cxcedcnccm , excrcmorum colorum vere mixtorum c6-
rugit:fupcriorcsver6proportioncm&: numerumvelcxccflum, iuxra vcl fu- pra
poiitorum cxtrcmorum,ptoponunt. Trcs ergo partcs prxcipuas ccntcx- C tushabet.
In duabrtspoftrcmis intcrprctandis conucniunc fcre omnes. In priori magna
diucrlitas eft. Pcrfpicttum c ft, ait At iftot. eodc rr modo mifceri
coloresquocorpora. Colorcsliquidcm jncotporibusfunc,mixtiencm crgo corporum
mixriocolorumeodem prorfusmodofchabcs,fcquitur. Scd qux- ritur qualilnam illa
lit , Rcfpondcnt aliqui , cx albo&: nigto ita inuiccm con- fuhsvtcorpora
quibusipfainfunt con(unduntur,colorcsrricdios vcluti tcr- tiumquid, ncqticalbum
ncqucnigtum oriri. Hancaliicxplicattoncm idcir- cocorifutanc ,qu6dqua:dam cx
clcmcncorum mixcioncftacim gcnitacolo- ratalint,t iimramcn nullumcX clcmchtis,album
autnigrum vcrc cxiftat. Prxcerca, hac fcntc ntia po(ira,concraria (imul elfcnr,
quod cft abfurdu.Con- ditioncsitcm quxmifcibilius defidcranrur ,extrcmis
colonbusnon conuc- j) niunt,illaquc prxfcrrimvc inuiccmaganc&:
patiantur.hxccertc Ariftot.do- cuit in fecundo dc part. anim. cap.primo: &:
in priori dcortu &: int. ccnt. 89. quod itcm in fccundo voluminc ciufdcm
tractationiscont.49.rcpcti1t.Qcpd veronequcalbum ncqucnigrum
huiufmodieifequeanr, (acconftaccumid primarum lblummodo quahtatum munus ac
potcftas (it . Confirmari hxc co pofliinc, quod Ariltot.iplcin priori
voluminedeortu&r intcritucont.85. ncc album ncc difciphnam n.iliui
afrirmauir. Addunc poftrcmoaliqui,vnius rei duplicem fore formam . Idcirco
aliafolct cx Alcxandro, Albcrro , &: Thomafumptainterprctacioadduct
,ncmpccolorcsmcdioscx corponbtis non quatcnus albis&: nigris, fcd quatcnus
lucidis, pcr(picuis,opacifquc, mixtisoriri: lucidumcnim proalbo lumitur,
vclucidiaphanum atquc opa- cum pro nigro. Scd aduerfus hos ita cgo argumcntor:
Si medii colorcs hac rationc onuntur , ergo nullus dabitur color mixtus, nulh
cxtrcmi . quod n.i. , 4 S DE ORGANIS SENSVVM* confcquicur abfurdum cfle,fac
conftac. Confequucio facilcdcducicur, quia omnis color cx lucido ,
djaphanicemquea- nimalium , atquc corum prafertim quar ciuldcm funt fpccici,
non mediocri- ter confcrre: fcdnilprohiberc,cblorem eundein rccalidaS: frigida
, ircmq? in humida&ficca,rcpcriri : vtalbedoin
lalc&:camphora>aut(vtlibcriusIo- quamur)in marmorc ,calce , latte ,
& laccaro , nigrcdo in hebcno , pipere , a- cramento. Nunc ad lupeiiorcm
quarftionem rcdeo, atquc obicctionibus aduerfus Aucrrocm propofitisfarilfacio.
Priorcm autcm ita tollo: Album M nigrum fimplidlIimosdicicolores,idcircciquc
naturam,non anrcamcdios ctficcrequamlimpliciorcsiftos, quiipfo foloconcurlu
luminofi cum perfpi- euodeniogignuntur, abhis deinecps ad compoficiorcs iuxca
maiorcm auc minorcrolucidorum,inmixco cxiftentium corporum copiam
&vim,rran- q iire. Qjuodclicicurcx AucorelibelJidccoloribus,quiaic
Simplices colorcs limplicia iequi corpora , id cft , ea qu* magisad nacuram
fimplicium accc- dunc. Imdha?cfola ratio eft, curdicamus colorcs mcdiosex
cxcrcrnis effici, nonextrenioscx mediis:licctquantum ad principia rcmoca,cam
cxcrcmo- rumquam mcdiorum cauix eaVdcm prorfusfint,(ad qucm fcnfum ihcclligcn-
dafunc fortalfc Alcxdndri cV A)hertiverba,ccrte autemilla Auerrois infe-
cundodennima,conrcxr. 67, &: in hiscommcntariiscumaffirmat , NecelTc
eflccolorcs omncs conftarc ex duabus naturis jfe?ay*n ncmpe & luminoii,
harumque naturarum vanctatem,varictatisquoquc colorumcaulam cfTc) Ratioinquam
iola iftaeft ,(quxcerce Alcxandro& Alberrodeeft)quiacum de caufa&
clTectu loquimur, id fcmpcr quod fimplicius cft,caufam voca- mus : quod
compofitius,efT*ettum : ac proindc caufz quibus concurrenti- D bus effctta
onuncur,dicuntur quidcm principia cfTedtorum ,non auccm e concra, nequccnim
quiscfFectacaufarum principia vocabic,fedineasfor- taile cffctra rclolui dicct
. Ad lecundam obicctioncm rcfpondco ,non vt Pomponatius,quia/Ierit in mixto clcmcnta
inactu non manerc fcd porc- ftatc tantum , fcd vc Aucrrocs in priori dc phyfica
aufculcacione, com-- mentatfio 56 ,vbi ponicdifcrimcn inccr mcdiC ,&
fubicctum,& Galcnus,In mixCofciliVct&rinqualibct cuis partc clemc nta
eorumq; qualitatcsactu cffe, rcfractatamcn&qualicaftigata, itavt nonamplius
pugnet: Accommodan- tes igitiir hcc noftro profjohro dicimus , cx albo&:
nigro mcdifi colorcm effi- cidici poflc,n6tamc fccjui in codcm hmulpugnahtia
incflc cotraria, cu lam inmcdjoillomixro,rcfracta&: quaficmedata fint. Quod
vcro alhu&: nigrum qua huiufinodi funt,inuice agerc&rpaci no
pollint,nos libcccr fatemdr-fcd in- tcrcadicim y ,ca ranonc albu& nigrum
inuirf agcrc,qua ctia milccri dicucur: n.ii. i 4 8 D E ORGANIS SENSYVM,
mifcencurauccmfuorum principiorum,fcu primarum qualicatuni rationc, x vt
anteadcclarauimus. Confirmatio auccm cx A riftotclc fumpca , nulhus clt
roborisaducrlusnos,qui faccmurdjualicacumnon propric mixcioncm eflc,
fcdcorporum: quodibi vulc Ariftot. probarc>imo hoc cciafupra innuimus.
Manifcftunimirum cifc mixtiscorponbus mifccri quoq;colorcs,ncpequa- tcnus
colores,mixcionc corporu fcquuncur in quib 9 infunc. Scd hoc nunqua
tollct,colorcsmediospropricatqi immcdiatc cxcxtrcmis produci. Qupd addunt
poftrcmd,ita Aucrrocs in dccimo mct.com.i3.diluit,tncdia cx cxtrc- misrcfradis
&; tcmpcratis ccrtc ficri, vnumtamcn cxtremorum rationcm formar >
altcrum matcriae tantum rctincrc : Cumcnim fcmpcr vnum con- trarium iit
altcrius priuacio > ficri certc ncquit vt ambo mefuraj rauonem ob-
tinc.inc,cumcahabicuifolumodoc6ueniat. Imo hoc tolo fortallc rcfpcchx in
commcnt. 7.C lufdcmlibri dixcrat,colores medios non componi cx albo &c
rugro vcluti cx principiis,i.tanquam ex duobus principns mcticntibus pcrtc-
dioncm&icllc mcdiorum colorum.Eodcm ctiam in locoaduerlus Galcnum. hac lpfa
rationc probac arqualc ad pondus non dari: Licct crgo duar formar ad
colorcmmcdiumcrficiendumconcurrant, vna tamcn prxcipua cltquardo-
rninatur,&formxvniusinftarobtinct,pcrquamcompoiitum vnum uiadu
rcdditur,alccra vcro fubiicicur, matcnarqi vicc habct, quam ctiam rationc m
mixtionc .lemcntorum fcruari boni aflerunc Pcripatctici , Carccrum pro his
quxdixim*animaduerccrcoporccc,fatcrinosnoncandcm prorfuscfleratio- ik m
gigncndarum fpccicrum colorum mediorum ( quod itcm dc iaporibus incclligi volo)quar
racio eft fpecicrum inccr calidum &: frigidum,puta tcpidi- tatis
efHcicndac: calidum nanquc&: fngidumob mutuamacr.toncm&' pallio- ncm,
pcr tblam mixcioncm graduum caliditacis &: frigidicacis , fua mcdiaco-
fticuunc:quoctiamficvc non niti advnam fpccicm omniailla rcuoccncur, album
vcrofic nigrum nonaguncmutud,lcdfuamcdiacxpluribus aliisagc- cibuslpecic
diuolis,nccnon cx variis achonum modisqualicacum ncmpc primarum,onuntur.
Atquchincctiam fic, vt fiquidacalidiflimoadtugidif- ii mum t ranlire vcl lt, mcdios
omncs gradus atcingac , ncccflc iic : i\ vcro a ni- gcrrimoad albillimum
crantfcracur, non iccm pcr omncs mcdios colorcs tranlirccogatur. Fatcmur inquam
, ifta , fcd barc nullumaduerfus Aucrrois fcntcntiam momcntum habcnt, vt
intclligcnti conftat. Kttf jfAp 'ty fuyvv/biiTW, ^ C o AAo/c ' rira a\r(a
/e/>;fcP- fjL%ror Vtfv dp/O-fXttct, 'LiJ*iAl Hictantumquarnturcur
inaliumlocum tra&ationcm illam.difTcrat,in qua dctcrminat, finitas colorum
fpccics clfcnon mfinius : &: qua itcm occa- lionc dc rc hac difputct.
Vtrunquc notum eft cx vcrbis Philofophi.acquc hoc poftrcmucx co quodmultos
proportione colorcs efficicuantKjuisatfirma- ucrat, itcq; dc cxceflu mcntionc
tcccrat , non tamcn quota prcportio ifta ct- fe polfe expofucrat . A lterum
vcro , cx co, quod quarftio noa mqu ,
coloti- busfcdctiam faporibus&fonis communis habcatur:tub fincm
igicurhbri nimirumcap.6.poftquadchis omnibus egcnc,commodiushaxfUtucrc i-
" r pf c ET SENSlLIBVSr p(cpoccrit:&:nosiifdcmpluribusdifputare. Vcrum
nc hafc cOlorum rra" c~tutio,impcrfcca hic reJiquacur,& quafi
laccrctur: Nonnulla dc rc hacitcm* qucdcortu mcdiorum colorum tam Vcris quam
apparchcibuscccat. Primum nanq;quamuis intcfiorem alium alio gradum albcdinis
aflignare valeamus , no tamcn in in- flnitum abirc licct.Scd cfto infiniti
gradus,non tamen omrics fpecic differcr: quod faflus eft cciam Aucrrocs
indecimo mccaphy.com.ij.&: iis comprobari poccft quae Arift.in quinco de
phy.aufc.conc. iz. & autor libclli de coloribus, cradidic, quinimo colorcs
faporibus rcfponderc in cap.de faporibus doccbic Ariftotclcs. Hostamen
infinitos eflc, tanquam abfurdum aducrfum Dc- mocritum difputans
incapitccodcmfumct. Quddverdcx Ariftotclcquin- tophy .contex.KJifumit, nullius
roboris eft i Motus hquidem non modd intcr propria,fcd interlate ctiam (umpta
contraria fir. Eft igiturmocusin- tcr iftos gradus,qui rationcm contrani haberc
dicuntur*quatenus fitpro- ccflus a priuationc cius quod acquiritur, ad
acquificum : quarecum Ioan- ncs colligic,concraria eflc diucrfarum fpccicrum,
id non nifi in concranis po- /iciuis propriequc fumpcis vcrum cft: ( qua: ccrte
ciufdcm fpccici cflc nc- qucunt,quia ab cadcm forma cflcntiali conftitui
ncqueant)in aliis profc- ftdfalfum. Carterum quid dc Auerrocdiccndum
ht,patct:nequc enimprt - pric infihitas eflc colorum fpccics cxiftimauit, vt
ipfcmct in fextodcphy. aufc.comm.ji-tcftatuseft fcdirtconumcro qui honfacilcab
incclle&u hu- mano pcrcrahri poflct. Qua ctiam rationc Porphyrius,
Indiuidua fub fpecia- liflirhiscollocaca, infinita cflc tradidit. Quantum
vcroad mediorum colo- rumfpccics atcinct jfcpccm ab Ariftotelc infra, atquc hoc
ordinc cnume- n.ih. IJ0 DE ORGANIS SENSVVM, rantur. Albus,flauus,
puniccus.purpurcuSjvindiSjCarrulcus^nigcr. Hifunt prarcipui , ad quos omncs alu
quos Aucrrocs mfinitos nuncupauir, tanquam adfumma capica iunc rcduccdi: puca
Ladcus,Niueus,Argcntcus ad Album: Rcgius,palearis,cxrcusad Flauum: Rucilus,
lgncus,Flamcus, Rubcrad pu- niccum. Hcluus,(Columela aucorc lib. 3).
Dibaphus,ad purpurcum: H crba- ccus , praflinus , xruginofus ad viridcm : glaucus,
cxiius ad Cxrulcum : Accr, Fufcus,piccusad Nigrum. Scd dc his Pluribus Simon
Portiu* in fuo Jibcllo: Cardanus itcm in lib.dc\SubtiI. lib.4. 13,^17.
Scaligcrquoqucnon minus fubtiliccr in fuis Excrc. cap.jij. Nos nc infticuti
noftri tcrminos cxcedamust iic his iacis;tancum monco,pro mutuoru horum fcptcm
colorum ordinc fta- tucndocxcrcuia quidcro ipia m latcribus tanquam in
finibusc; diucrfo oppo- ficis collocanda cilc. In mcdio vcro quis ftacucndus
iit, non ica facilc iudicari polfc. Aiiftocclcsco protlus quonosantca,ordine
colorcs mcdios cnumc- rat.
Supraqucdccolonbusmcdiisloqucs,Purpurcumpuniccumquc,modu,
proportioncmquccgrcgicfcruarcdixit: quo fit vtiihxcrcfpiciamus.purpu- rcus in
mcdio poncndus iic , fcd m tcrtio mctcorol. cap. dc Iridc aliter fenfif- fc
vidctur cum ait: Validiorcm aipcttum in puniccum colorcm tranfirc , pro- ximum
in virjdcm, imbccilliorcm in purpurcum , cx qmbus verbis patc t vi- ruicm
colorem ad Nigrum magis quam puniccum,& Purpurcu magisquaro viridcm
acccdcrc. Acccditeciamracio,quiaqucmadmodum puniccumco- lorcm cx Cupholiiho
lapidc qui albus c i t , ita viridc cx lutco fcu palido, pur- purcumquc cx
puniceo, ars crficic 1 vc igicur, Iuccum auc pallidum , quod ob- fcurum
candidumcft, ad Albummagisacccdicquam puniccum , iramcritd colorviridis
Albopropiorquampurpurcuscrir. Scdnon (atis cutum cftah- quid in luc colorum
doctnna arBimarc : Intcrca tamcn illud non prxccrmit- cam,nonrccic aliquos
mhaccclorum fcrie tradcnda puniccum cumflauo coniundcrc,rubcum
vcroapuniccodiftingucrc. Ariftocclcsm cap.dc Iridc, iudcx cfto. Scd quxrct
aliquis; quia non fcmcl dictum cft,colorcm cflc paf- iionem mixti,an
mixtaimpcitccraverc coloratadiciqucac,pura, nix, nubcs, fumus,aliaquc lnnulmodi
non pauca: hxccnim ncquccx rcfkxione , nccroe cx aliquo iibi addico colorcm
habcre videcur, fcd cx fui nacura: Cumprimum cnim riunc,colorcm
aflcquunturfuamnaturam ccmpcracionemquc confc- qucnccm:cx alccra parcc,
qualiiham ccmpcracio in mixco impcrrctto,ac non diu pcrmancncc poncndacft?
Rcfpondendum paucis, talcm his rribui co- lotcmoporrcrc,qualistcmpcratio
fcumixciocft. Impcrfcda fanc ifta funt: Impcrfc^tus cigo color licec
verus,illis tribuecur: fcdanimaducrccndum cft, in nubc prxlcrtim maximam
colorum variccaccm quod ad cius parcesfpccta- ri, quo argumenco quis poflec cxcipcrc
nullam in nubibus colorcm ineiTc , a- nimaducrccndum inquam cft , Nubcm ,
colorc fibi proprium,qua nubcs cft, vcrumquc,fcd impcrfcctum,in quocunquc fitu
afpiciatur/empcrrct increra- liquando tamcn rationc coloris apparctis variam
vidcri , ob diucrfum (itum vndc afpicitur. Hic igitur color, cum nullam
fcquatur tcmperationcm , non propric
colormixtimipcrfcti,fcdpaflioquxdammcccorologicavocatur. 47 Dc vno vticjue 8c*
vocc cgimus antea in his qui dc Anima. Abfoluta tra&atione colorum,
fcquebacur ftatim docirma dc fonis , quod hi fimpliciorcs linr,& puriorcm
fimpliciorcmquc rationcm afficiendi fcnfus habcant.Cum vero dc fonis nil
agar,gcneratim cxplicac Ahft.Nos fupra fpc- cuura ET SENSILIBVS. i Jr
ciacimdocuimus.Nequcobftac,quodin cxordio Tcrtix partis principsili- A
bcUi/onusinccraliadoccndacxaminadaquclitpropoiituszpotuitfiquidcm
idabfquccalumniaagi,cum ibidcdilcrimincinccr rarioncm tradandorum
horuminhbrisdcanimaacprxfcnti volumincagatur. riip) tic >oh f tvuu
Xtxriot.^tdltt ydp tV' tc dvrc *rd$Q' ^hk it tc?c au rofc J\ttrtr itdrtpot
durSt. irtpyt^tftot j ii^jut Wi rl rar %y/uiutytto{, ii tc* tc cVfcwc. %tt'rtt
dC ctiTWyoTt yttpt '?lw tyofjSp lur AA& da Huu ai&vartt lauTtuu , Xj
lartr ifjJr eu>ro?( ai or&Kfftar. rluu ef^ ' d$tw x jdn.pt f&tfdrlw
Tor.ii}tZo~iqd${i t/c Wit. 48 De odore autem & fapore nunc agendum eft .
Siquidem eadem fere paflioeft,ac nonin cifdem vtraquciplarum habctur . S. pcrum
autcm genus perfpicuum ncbis magis eft,c]uam odorum.Cuius ratio eft, cjuia ^
prxtercscteraanimalia,atc|ueintcrfenfusnoftros debiliflimum huco- ctoratus
lenfum habemus:c contra Ta&um intcr alia ammaha exquiiicif fimum,Guftatus
autcm quidam Tactus eft. A&urus Arift. de odoribus Sc (aporib% vt ordo
tradtationis exigit, fcopura fuum imprimis proponmmox morem fuuml'cques,qux
alii dc iis dixc nnr,po ftrcmoquidipfcfcntiat, cxponit. Duplcxautcm hic
dubiumoriii potcrat: nimirum cur dc his fimul tractarctur,non fcorilm vt de
aliis : ltcm cur ccmra propoficum ordincmapcrfcc'tioribusncmpe&:
fpiritualioribus prius dc fa- poribus quamdeodoribusdo&rinainfticucrccur .
Vtruq; apcric Ar ft.in hu- ius conccxtus verbis.Et primum quidcm, cum
ait,x* 5ci /t *i9*.Qux verba Alexandcr & Thomas ita
cxplicanc. Tam odor quam lapor mix- C tionumprimarumqualitatumhumidi nempc U
iicci cum aliqua tcrmina-
tioncacolorcprorccta,fcquuncur:vtinfrapIaniusrcddctur.Vocanturautcm lixc ******
c\ quiapropriccxqualiratibustercixfpecicifinc, vclquiacomu- piter qualicaccsaiFedioncfquccoiporucuiuflibctfpcciciiint
pallioiics voca- tur,in quibus Anft.in priori voluminc dc cxlo cont. 1 Phyficx
fpcculationis partc vcriari tradidit.Cxccrum nc quis putarct, odorcm Sc
laporem, ica can- dcm dici paflionem.vcvnum prorfuscircnc,addic:(Acnonineifdcm
vcraque ipiarum ). Intcrprctanturaliqui cx Alcxandro,odorcs &: faporcs
iniifdcm nonclTc,quia vc plurimufapor ricinaqua,odorcm inacre.Vcraquidcm funt
hxc,fcd perpcram & impropricdi&a^ncqucenim quisvnquam dicccauca- quam
fimplicemfaporc imbucamciTe,auc acrcm odoracum . Alii clarius&: rctvciiis
hoc modo.Tam odorquam faporpaflioncs humidi&c ficci func,fedo- doc magis
ficci cft,fapor magis humidhcliciunturhxc ex Arift. in ii. c . dc an %
cont.104.Sc: cx iisquxfuprade olfattudocuic.Eft qui itacxplicc t, has noncf-
feca(dcmpallioncs,quianon iniifdcm organis reperiuntur,ncqurc iiikii m
fcnfusfunt.Cuiusreigratia fcicndum eft, Ariftotclcm in
quintomctaphyfcrcimihMctcorologicis pcrtrarandis,& incodc ctiam capicc,ab
vno aa alium ordincm cranlit.Sed qua? modb nos docct,agc
cxpcdamusSaporcs(ait)faciliusanobiscognofci, quiart&ius percipiuntur. Vishuius
probationis cx co fumitur,qubd quc; per iulccptioncm iudicanrur, quo mclius
rccipiuntur,cb ctiam cxquilicius cognofcurur. Acqui faporcs ccr tc rcftius quam
odorcs,capiunt homincs,cum ij organum lenfumque ipfum guftus cum cajtcrorum
animancium,cum aliorum fuorum fenfuum rclpc&u^ pcrft&illimum
obtinuerint:olfatus vcrbfenfum inftrumcntumqucdcbilif-
limum:quodccrtcconfcquitur,quoniam idemorgauum prout mcliusdetc- rlusvc fc
habct,pcrfcctius atquc im pcrfc&ius fuum fcnlilc capir. Alias huc rc
fpicics Arift.ad hunc modum loquucus eft ,Si oculum iuuenis fcncx habercr,
ccrnerct vtiuucnis,a:quechim acqueipfc recipcret . Cartcrum (imillimam huic
fenrcnciam proculic Philofophus in fccundo dc anima contcx. 91 . cum inquit,Dc
odorc & odorabili cxplicarc minus facile cfTe,quam dc iis quar an- tea
di&a funtmoh cnim conftat qualc quid lit odor,quomodo fonus , aut lu-
mcn,aut color.Caufacft,quianon habcmus cxquilltum hunc fcnfum,fcd de- . Ccriorc
compluribus animalibus: homo chim exiliter o!facit,& nullum odo- rabilcpcrcipitabfq.dolorc&volupcacc.Exquolocofacilcctia
colligcrc cft, D cur fcnfus olfactus mihus pcrfpicuus cfledicacur,ob ca fiquide
caufam , quia nonnilidirfcrcntiascommuncs,ideft exceflusipfos odoru in quibus
aucdo- lorcft,auc voluptas capicur. Acquidixcricaliquis: Tactusquoquccxfcc.de
an.conc. 1 1 8 nonnili cxcuflus percipit, mcdiocricatcs nunquam:qucm tamc hic
cxquiiiciflimum vocac.Rcl'pondeo,aliam cflc racionemin olfa&u &Ta-
ftu:in hoccnimidpropcereaflcquia lcnliliafunc ciufdem tcmpcrationiscfi ipfo
.xll hcccrio vcl mcdio.in illo aucem non i ca fc res habet, fcd ob fui debili-
tatcm omniaodorumdifcrimina,pra?fcrrimquzad mcdiocritatcm vcrgunt
fufcipcrenequit:tantum fufcipit cxccdcntia aquibus fortius affici poteft. Hxc
dcinccps fi ad bonum deciinat,voluptatcm in co panunt : li ad malum, trifticiam
. Vcrum iftaomniaad olfa&us vilicaccm dcprimcndam multum faciunc,ad
cxccllcnciam verb guftus cxcollcndam,nihil. Idcirro Arift.addit, ( Tactum c
concra exquifltiflimum,Guftus autem quidam Tactu s cft):acfi ita argu- . T
SENSILIBVS. iy } argumcncarecur,HomoinccromniaanimaliaTa.:tum
habcccxquifitiorcm, Guftuseft quidamTacus,G.uftum igitur habct cxquificiorcm
.Maiornota cft,quandoquidem Ta&us pra*Itanciaabexcellctia tempcracionis
animalis pcndct,quamhomoomniumanimaliuoptiinamncpc,tcpcratam,ab omni- biilque
contrarjisdcclmantcm ,aflcquutuseft. hanc optimam tcmperacio-
nem,iuiusii)genium tcftatur,qucmadmodum enini fcnfus in animalibus cft non
autc^inplatistquodhcjmediocritatcilladeftitut^tintjita intcllcchis,qui vtnobiliflimaomniumfacultascft,ita
nobiliorcm cxigit corporis tcmpcra- tioncm qux in hominibus tantum rcpcritur.
Idcircoquc A r ftot. in iccundo
dcan.con.jJ4quauafignoccrtiflimo,Mollcscarncaptioresingcniocilcpro-
tulit.Minorpropofitioitcmp.ucr cx ccrtiodcan,cont.6j.&: lccundoeiuldcm cont
. z8.& 94-in quo lococadcm verba lunt qua? hic rc pctuntur . Nos etiam
fupcriusquomodoid vcrum clfct,quantum fat fuit cxpofuimus. Conncxum crgo verum
fequitur.Sed ctia cotnmari potcft, iis qua: Arift. in priori dchift. an.cap.y.dc
vtrifque hifcc fcnfibus docct.Scd qua? de Guftus &: Ta&us cci ti-
tudincdoccc Arift. planafuncomnibus, non itaqucdc olfactus imbccillita- tc
tradit.Pfo his itaquequa:ri folcr, cur olfa&um dcbilcm homo habeat , iam
cnim cxplicauimuscuripfum dcbilcm nuncupcmus .Ratioenodandi qua?-
fitipra'cipua,illacft,qu?proponiturin fccundodcparr.an.cap.7 &:iisilluftra
ri potcft,qua: fupcrius docuimus.jEfthcteriu ctenim olfa&us in homincpro-
ptcrccfcbrumfibi proximu, frigidu atquchumidumcft:odor vcrocjuia pcr
cuaporationcm cantuma calido;uriaiiciuccxiccantcquccfTfcitur,naturam
attrahcncisrctincs,calidus&: liccuseft.Qujcumin fcnluolfa&usfuaf nature
contrariuagerc dcbeac,oportct vt iplu quafi rcucra afnciat , mutct , m fuam-
quenaturam conuertat .Maxima crgoadcft in hac a&ionc rtpugnantia&:
contrarictas,quo fit vt non nili ab cxcedcntc odorc,coquc cominus agcnte,
afrtci qucat. Alia cft in animalibus , putacanibus aut vulturibus ratio , in
qui- bus nequccercbrum ncquc olfa&us oiganu ita humidum cft, fcd ficcius
ca- lidiufcWc. Natura hoc difcrimcn in hominibus&cxrcris animantibuspo-
fuit,omnium fincm pcrfcctioncnnjuc rcfpicicns . Hcmincs fiquidcm quiad
contcmpIandumnaticrant,ationc'fqucanima]cs multas cdituri,ncmulto laborc
tabcfccrcr,fpirituumq; gigncndorii maccriadcftitucrcrnr,Inimidiori
ccrebrocgucrunt.Brutorum vita cibum potumqucfpcclat,idcirco fcnfum,
quin^iadnecen^ariacomparandalongiufotic pctenda,ad ca itcmfugicnda . quae
nocitura vidcrcntur vfui clfc potcrat , cxquilitiorcm obtinucrunt , imo,
vtmonctAucrrocsinfccundo collig.ca.de inftrum.odoratus,Natura,in hoc
quantumpotuic,nonnulla animantiaiuuit,nonnullis tnim,vtcanihus,narcs
obeammaXimccaufamlatiorcs cribuic. Carccrum non mirari non pomim aliquos ,
quiex j.dcgcncrarioncan.cap. fccundocolligcrevolunt,Hominc, olfactum cxadtiorem
exquifitiorcfmquc caitcris animalibus habcrc , quod minutiflimasodorum
difTcrentiasfpcciefquc, eafque acutius pcrcipiat, li- cct in hoc abillis
fupcrctur,qu6d no'ri ira procul oltaccrcillud quidcm fatcor queat . Namillud
quidem faceor,Homihcm qu^cunquc olfacit recrius olfa-
ccre,acqucexquificiusiudicarc,hontamcn minutas iilas diffcrcntias odoru aflcqui
pofTc,quasmulca animaliapr itcr Iiomincm a|]equurur. Ratioillius cft,quod in
Kominc odoramcntoru oblcdamcntapotiflimum infint , rationc animxpcrfcdiorisaltiorifqucf.Kultntisquapra:ditiiscft,
vtdcTachi Alcxa dcr in paraphrali dc an.cap.de olfacru afleruit.In brut is vc 1
6. (Quamim pan- thcrx odorc,beftiasoblcciari,fcripfcric
Arift.infcc.ij.publ.^Oohlcctacioifta faltcmineogradunonrcpcritur:Quprfura enim?cum
fibinonnifiadperni- M4 D E ORGANIS SENSVVM,
cicmprodeiTcpoflct;illisfiquidcmaJletain laqucos infidiantium incidcrc
potuillct.In Guilu folummodo&: Tac"tu bclluasdclcr.arioportuit.ne
vclgc- ncrationcm Ipcrnerent, velfamc pcrirtnt ,autlxdcntia vitarc nequircnr.
Altcrius vero fundamcncumclicitur cxfecundodcparr:an.cap.7.quodiam lupcrius
adduximus:veruin expcrictia confirmatur , quedoquidcm hominis,
multarumqucaliarum rcrumodorcmnos nullum pcrcipimus,quorfi tamc odorc
cattcllus(omitto alia animalia)cminus ctiam afficitur,atqucmouccur. Huic
vcritati quam f aucar cont.9i.fccundi de an.&: Auerr.in quinto collig.c.
zS.vnicuiq; patct.Adtcrcia dico,primum hicdeanimalibusperfcdisfcrmo- nc
ficri,vt patct.Mox propriu huc cflc locum vbi hoc dcrerminctur: idcirco in fe.de
an.iat illi,fuit,dixiifc olfactum m hominc peiore cife, quam in multis
animalibus, hic rcm clarius vcl dctcrminarc dcbuic ac poruit . H* fj$p tt t rov
vSafQ' c.lS).>itdyxii \t avforl viup fr rd yirtt rcZt "xy\u*t
dtaf&ifl* Jtfp cr/jUxpo7itra f xeL$a , 'B'tp E" ,wvi fjL09 *} rct
%/\iot $af'n r^Jovrat. Aqua: iginir natura cxigit quide Vt infipida fit.Scd
neceflceft vcl ipfam m feomniafaporum genera,quaeob exiguitatefcnfuu
lateant,habcrevt allcrebac Lmpcdocles,aut eiufmodi matena continere, quae
vcluti/apo- rum omnium fcminarium fit,& omnia ex aqua, alia autcm cx
parteilli' aha crfici:aut certe cum nullum ipfadifcrimen in fe fiabcat ,
conficienie caufam cfTe,ac fiquis calidum & fclcm huiulmodi dicat. Sccudam
aggrcditur partcm craclacionis , m qua opinioncs trcs Vctcrum dc ortu &:
natura faporum rcccnfct. Imprimis autem conccfllim quodda ab omnibus ponit, vt
quid dcinccps ab aliis quz cx eoru fcncccia in mcdiumaflc rct dciiderari
qucar,diftindiuscognofcatur. Conccuum eft,Aquam cxfui natura miipidam circ.Cum cnim
corpus iimplcx lit ,omnibus fccundis quali- cacibus,qux mixti cacum paflioncs
funt,carcrc,idcirc6qi nullo faporc imbu- cacfledcbuic.Imohocprc,cipuum aque,
optime,$ riam quandam habcat,cxqua vcluti cxfcminibusomncsfaporcsoriantur.
Varic. ETSENSILIBVS. i 55 varictatcm vcr6faporum,adiuerfiraceparrium aqua?,fcu
illorum fcminu cx quibus diucrfi clicicbacur,(umi oportcre arrirmabac.Hic nil
opus cft cn m A- lcxandrodubitarccuiu(namiitaopiniofucnt,cum 7 w*i7/ir mcntio
fiac: Nocafatiscft Dcmocriti vox,quiinfinitu facicbat
**.-T*twtT*'*%tiJ.i*tni>r>n?ul-nm id cft cx acomis infinicis figura
diftcretihus quar omnin m rerum fcm inarium cranc, quandoquidcm cx cis vcluci
cx fcminibus oriri omnia cxiftmarct. Similishuius,vox Empedoclis
Afofrcrat,quamaflam quandam indige contincntcm, fignificabac. Ariftotclcs hac
tradit tcrtio dc Phy.aufc.cont.27>& fccundo ciufdem tradtar.
cont.S^.Poftrema accidit o- pinio,quxcumfccunda
fortai!cinomnibusconucnicbat,prxtctquam quod varietate faporum no a diucrfis
aqua: parribus,fedabcrric icus diucriitarc( vcl Solcm hunc dicas, vcl
caliditatcm qux illius inftrumcntum oft)proficifci alTc rcbat.Huius fcntcntix
vindicc,neque Arift. nequc illius inrcrprctcs propo* nunt: fcd vidcamus an rcrc
ccnnccrc cx capoffimus, Anaxagoramfui/fc. Hic cnira a Democrito in co
dimVrcbar,qu6d in (ingulis parubus admillionc illam fuam infinitam,dc qua paulo
antc loquuci fumus,ftaru c , & quoduis in quouiscflearbirraruscft, cxquo
illudinitio lux Philoiophxconfcriprum, Zfifuu *Vtb ^(*u*7B.Dc-mocritus
vcrocorpufculailla (ua ciufmtdi cflc voluit,vt nullum illorum ex aliis gigni
poflcr.Scd hxc ad rcm nihil,vtAltxandcr dc a- tomis Dcmocriti hicait. lac \W rs
StpfJtiT rv( ffuf c,ce (patpnfilvuit reSt xiTe,camcnindiucrtis aqua? partibus
diucrforu l.iporum princpia ftatucrct.Quandoquidcmcxcadcmaqua, tanquamex codcm
alimcnco yarios confici faporesccmimus.Aquacnim,putaa flcu,pro nucrimcntoqu)d
ccrtccnmchumidumcft,haufta, vnacadcmquc cxiftcns, non vnius gcnrris laporum
caufa eft. Alius iiquidc m ficus frutiuum,alius fo- liorum, alius corticis^igni
itcm alius fapor apparec. . het'i%portifa , rc ^ viotp 4*3t/pc Wi.fic xj
XaM&air%poti$vbd%af iv7y X**?' T ^ wttf^ iAo/oHtpf/ ^tpfiaftOfJttvov oiStv olcum omnino crafllus
cfle ac|ua,quod probat ex- pericntia.nam fadlius olcuinin manu quis fcruabit
quam aquanvquxquia facilcdiffoluipotcft,hincatquc ihdc diucllitur& cmanac.
Ex his dcmum Arift.canqua profuxopinionis rundamcntb(vt Alcx. monuit)
colligic,calori quidcm,quantum ad faporum fpccics atcinct, no omniaaccepca
rcfcrri opor tcrc,vcVcccrcsccnfcbanc,fcdcamenillum canquahl ***^e** ad illius
cxplicacioncm adhibccur.( Scd quoniamaqua ipfa. fola calcracta no
crailcfcic).Idc iifdcm vcrbis in quarco mcccor.cap.4. & alibi craJidic.tx
quo Olympidorus colligcbac,aquam nucrirc no poflc, imo Arift. infccundodc orcu
&incc. narracpcricos Agricolasaquaplancas irriganccs, ccrram cum
iplamifcerc,vc indc ali,augcriquc pofiinc. Scd obiiciec quis,non fcmcl Anft.in
quarc mcceonaquam cociam dicerc,iccmquc condcnfari,cum prxfcrum mucacurin
tcrram.Rcfpondeo ad primum,Coftioncm& crudita- tcm folius mixti paffioncs
cfle,idcirco Ariftotclcm,cum iftasmbuit clcmcn- ^ tis limplicibus,mctaphoricc
tantiim loqui,vt plcrunquelblct. Ad fccundum dicoi aquamcondcnlariquidtm
autcongclari,nunquamtamcn craflcfccrc. diftcrt hocab lllis,
quiaquarcrafiiorarcdduntUrnon tamcn ficca rcmanenr, incraflatapropricdicuntur
,huiufmodicft olcum: quac vcrodurarcmancnc
conitaciaquc,qualisaqua,congclaca&condcniacanuncupancur.Infumma, craiiicics
mixci paffio cft: iimplicium clemcncorum condcnfack). fa/rorTa/^F
oixvpo)o4rfoi{, iTtoi JWpfcotTK k) tr ryyn. p, C ri ft*/W^>wc. Wftf* ydp
nt^uiu rhiryp^p^mip^rlxXa^ r* ipopl^.ipapHop j T i frpcV"*) vsrf tk vcl
duplicem in hoc contexru dicunt affcrri, qua terra principium laporum cfTc
probctur,nccfcopum , ncc mcthodu Phi- lofophi alfcquuti func. Quod cx iis qua:
fcqucntur, fatis conftarc poccrir. Idcirco cgo cxiftimo Ariftocclcm, cx
dcclaracis iam confticutis faporum principiis quiddam colligcrc,cuius dcinccps
occaiionc,modum quo tria ifta pnncipia ad gigncndos faporcs c6currant,paucisquo
ad ficri potcft(vc par c- rat)apcrirc conacur.Quocirca Lconicu m non vicu
pcro,qui priore contcxtus huius particulam cum fupcriori contcxtu iungic.illos
accufo,qui alia racionc illam fciunxcrunr.Elicit crgoPhilofophus ex fupcrionbus,iurcfaporum
om- niumgcnerainplantispotiffimum pcrcipi.Laboranc nonnulli vcrcm hanc
cxpliccnc,& ncfcio quxcommentain mcdium affcrunt.Mihi fimplcx illcfc- fus
placct, qut m Thomas quoquc fcquucus eft. Si in ccrra iaporcs omnes in- fuc,vc
probacu cft,fic in aquis ob ccrra quam Ibunc,iurc in platis pottflimum
omnibufqucherbarurogcncribus,qu6d in ccrra nal'cancur,indcquc fuum nucrimcntum
abfquc mcdio attrahant,omnia lapoi um dilcrimina dcprchc- ducur.Imo hocipfum
illud efl' quod antc aflupferar,cum in fupcriori cotcxcu aic.( Vidcncur aucc
quicunquc in fru&ibus faporcs inl'unt,iidem eciainTcrra incfTc).Scd
rcliquapcrfcquamur.Ex co quod dc placis protulerac, racionisgc nerandoru
faporii cx principhs iam dcclaracis explicada: occafione fumic, ica camcnvcquoddcplaciscancum
vidccuraffirmare,de omnibus faporibusgc ncratim vclitintclligi.Sumitaucem
vcluci cociushuius rcicapuc,quoda vc- ccribus cciam conccfmm cft, Aquam ncmpc
fcu humidum matcriar,fiue ma- cris , **rm%tf*kt vicem infaporuro orcugcrcrc,cx
quavc faporcscducacur, paf- fio ccrtc aliqua inccrccdacncccflccfttVcrurn aquona
pati hum/du,apcu cft? (ncqi enim quidhbec in quodlibcc agicauc aquouis pacicur)
fane a folo con- crariora flmilibus cnim no fic acbo,quod Arift.in priori dc
Phy. aufc. cont.471 quito eiu fdc tra.iS.in priori dc ortufc inc.$o. &:
kxcccis zliis in locis ceflacur. Acquiconrratiumhumidi,ficcumcft,cxfce.dc
orr&inc.conc.il.ficcumque
igniconucnic&magisadhuctcrra;,(iuxcafacramappcllacioncm,Ecvocauit
Deusarida,Terram)crgohumidu aquc,,rumab igmsficcirarc, cutn ver6ma- gis a
ficcicacc ccrrq,cum ciufdcm calidicacc(quc > proprie gni cribuicur) coniu-
fta,in orcu faporum,pacictur.Scd animaducrccndum cft,diucrfum cflc hunc
paffionismodum: patitur fiqufdcm humiduma ficco,vcIuti a concrari6: cx
quaaftionc& pafnoncmutua.mixti crafisoritur.acalidoverovtabcrHcic- &:
pcrmifcccc, cx cuiusaciionc,aJccracioipfacandcmqucgencraciofcquicur.
Propccreaquehumidura &ficcumin gencrationc faporum materixvicem
fcrunt,calidum vcr6 vcconficicnseaufa eft. In poftrcma contcxcus partc, quia
di&um fucrac,humidum ab igne paci,ne quis dccipcrccur , qdomodo id
intelligi oportcat, explanatur: nequc enim(Philofbphus air ) ignis qua ignis
auc tcrra qua tcrra,in aquam agit,quia clcmcca fubftanciz func, propccrcaqj
concrariccacccarcnr,fcdquaconcrariccacibus,idcftrcpugnancibusqualita- tibus
prxdita funt.Ex hoc concexcu pcrfpicue clici poccft, in vnoquoquc clc- mcnco
vnam tantum qualitatcm in fummo( vcaiunc)incfle:alteram vero (quicquid Galcnus
Auiccnna , Albcrxus& ThomasdixerinOrcmillam.Di- fcrtc ET SENSILIBVS. 1*1 fc
rce fiqui Jcm affirmac AriftoceIcs,ficcicacem Terrx propria cfle, Ignis vcro
calidicacemin fccundo voluminc dcortu & inccrirujconczj.idcm his Vcrbis
cxprcflu.Sedtamcn abfolutc quatuor cxiftunt, vnius tamcn vnfiquodquc cft.Terra ficci magisquam
frigidi.Aquafrigidimagisquam humidi.Acr hu- i midi magis qua m calidi.Ignis
calidus magis quam liccus. Quam fcntcntiam
Alcxandcr hic, Aucrrociquc infinitis propc in locis fcquuri funt.Et
ccrre qua ratione inuicc agcrc &c pati poflcn t clemttata,fi in fingulis
qualitates gcminz in Iummocflet,(vtAucrrocs
doclifiimcopponitinquartometeor.com. io.in decimo mctaphy.coma j.primo ceji
"}Al liec.dc ortu & nr.48.) mtcl hgc rc dif ficilc cft.Illud aliis
ncgotium non minimum faccflcrc videtur , quomodo rc- mifla qualitas in clemcnto
pcni queat,cotrarii mixtionc,non pofita,&: /incc- htatcclemcncorum non
violaca. Scd Aucrrocsin fcc.cc, licom.i ^.idem argu mcntum dcPoli mcridionalis
perfedione rcfpe&u poli fepcencrionalis , ftcl- larumq,
nobmcacercfpc&ucaeli,adduciu foluic,abfolutcncgans,remiflionc omnem
concrarii permixcionc ficri.Ncquc obftat qu6d aliquando( vc in fe- cundo
Topico)Ariftotclcsdixcrir,album cflc quod nigro no pcrmifcecur, id cft quod
minusnigredinishabennamquc Ariftotclisfcntcncia vbicunquci- ca loquacur,dc
contrariis ^ " fcu dcqualitatibus
contranum pofitiuum ha- bcntibus,accipicdaciLDicimuscnim,amarifiimum
dulccdinispermixcionc minus amarum rcddi.In qualitatibus vcro
contrariumff"?'**' habentibus A- uerroes rcde id vcrum eflc ncgat.Lux enim
rcmittitur, nulla tamen contra- rii pcrmixtionc fada.Imoaddebanc
ExcclJcntiflimi Prcccpcores mci,nonin omnibus cciam qualicacibus concrarium
poficiuumobcinccibus , rcmiflione, concrariimixtionc ficri,fed in illis cancum
in quibus rc millio muita vehcmes & uolcnca eft:qu6d fi a natura
remiftiohuiufmodi rei conucniat,nequc intc- fa iit,id falfum cife conftantcr
cum Alexandro in quarto mcccor.affirmabac. Aucr.ianc a fcroccipfo in rc hac non
icrocl diflcncienccm nobis obiicere pof- fcc aliquis:fcd quauisaliquado
iftiushoroinis opinione , aflcqui nihil aliud iic
quarodiuinarc:inhoccamcnnulloroodo ancipircroipiuro iudicandumcfle
putamus.Hecalias pluribus,nunc prociusexiftimacionc illud dixiflc fac cfto.
Qualitates ncmpcgeminas in fingulis clcrocncis lumroas inciTc dicpofl*c,id eft
quales fux naturx conucniunt:qua rationc,tam Acrem quam Ignem fum
maccrtccaliditatchabcrc,nontamen Acrcmzque calidumaclgnecfledi- ccmus,cum
acrcancum calidicacis obcineac,quancu cum fua propria ac prgci
puaqualicace,nimiruhumidicace,manere queat.Quantum veroad Galenu atcinc capcrte
iplu cum aliis crrafic fatcndu cft: quod enim aliqui pro cius c x culationc
afferut,Ipiu ncpe Medicu agcrc,idcirc6q; ita loqucte a fcnfu nodi fcedcre,
Gaicnumagisarguit,quamexcufat:quiemaroixtionedifcedit,qua ( vc ex Auer.
diximus)Galen' fuahac fcncecia fcruare nequic,mcdicoru quo- que fincs uon
miniroo inccruallo pcrcranfiflcdicicur.Hxc incclligenti patct. Ad aliaigicur
iam tande pcrgamus.Arift.in con.monct , nequcigne quaten 9 ignis cft,ncquc
tcrra quatcnus terra,agcrc pativc, fcd vnu quodque elcmetu quaccnus rcpugnaciis
przdicu cft.Locus fancdignus animadueriione,potifli- mu ob Mcdicoru omniu
harrefim, qui qualitates primas Forroas elemcntoru fubftatialcs ciTc, vno orc
aflcrut.Imo Alcx.ipfc,huic feccciz, in priori fuo libel Io dcan.c.i.faucrc
vifus cft,cu calore ficcicatcmq;,Ignisforma,lcuitanfq> eiuf dc principiu
vocat.quo fic vc noomnino immerico ab Aucr. & Tho.aliquado in rc hac
rcprchcndacur.Ncq; eft quod aliquis vc Ioan.Iand.in $ .\> U y.q .4 A' a- lii
rcccnciorcsalia Alex.fcncenciacribuerevclic:magiscniThcmift.in^.phy. con.9.
Aucr. qua plurimis in locis iudiciu dc Alex.opinione fercci, crcdedu cf fc
atbicror, qua iis qui vix vcrba Alcx. olfcceruc,auc olfaccrc cciam pocucruc. o.
iii. ' i6t DE ORGANIS SENSVVM, Iam veroPhiloponum non femclaliofquc grauiflimos
Pcriparccicos,meai- corum parcesfcqui voluiflc,patet.Hosomncs(nifallor)inhanc
hxrcfim fola A illa ratio induxir Qupd cum clemcnta pcr tcmperatura fubiici
ficnquc mix- torum corporum matcriam oporrcrcr, ncccflc quoquc eflct illa
rctundi , 6 ad mcdiu quoddam tcmpcrari, fi exquifica mixtio eflc dcbcrct .
Arqui illud fierinon poflcconftac,nifi clcmcntorum formx inqualitatum
gcnusordi- ncmque rcfcrantur,quibus folis proprium cft intcndi atque
rcmitti.Imdtan ti pondcris ifla fola ratio fuit,vt Aucrrocm ctiam ipfum in
fummasanguftias rcdcgiflc vidcacur,qui formas elemcntorum quafi imedias
inrcrfubftancias &: qualitatcs,ancipitifquc nacurx ftatuit . Scd longa cft
quxftio , &: a Pcri- patcticiscxagitata,alibiquCcorpioicpcrtrac>anda:dc
qua tamcn nihil ccr- cum auc probatum dcfiniri poflc cumDo&ionbus
cenfco,quandiu Mcns hu - mana crallo hoc corporc incluia , ncquc marcriam,
neque foimamfcnfi- g buscognofcctcvalcc. Affcramus igiturin prxfcnriapro rc
hac, carantvm qux minus a conccxcu noftro func alicna,atque ex his,qux firmiora
funt, vix- qucacne vix quidcm rcfclli qucant.Sipats concrcti
lubftancialisfubftan- tia cft,ob camquc caufam matcria ad fubftancix rationcm
accedere,in prio- ridcphy.aufc.cotcx.79.dicatur,in (cc.vcr6dcan.&
feptimometaph.pcrfape fubftantia ncminctur.ccrtc forma ipfa,qux concrcto Eifc
largitur,primaque &prxcipuailliusparscftmarcria,pra7ftantior,magifquc
fubftatia cnc cxifti- manda.Imo Alcxandcripfcin capirc prioris dc anima
(upcrius adduto,in huncmodumabfolutcloquucuseft: Forma non poteft ipfa
pcrfcfcorlimi matcria fciun&a fubfiftcre,vtramquc tamcn fubftantia clfc non
amb igimus. Etcnim licutmateria
ita&rnacuralisformaffubftnnriaeft^parresnanquefub- ( *
ftancix/ubftancixfunrquinimoquia vcrumquc ipforum , fubftantiacft ,id ~ quod cx
ambobus conftat,& fubftantia,&: vna quxpiam natura cft, non vt il- la
qu xartificio eflici videmus.Horum cnim fubiectum &: materia/ubftantia
clfccognofcitur,forma verdqualitas. Non ergoalia clcmcntorum,aut fub- ftantix
iiinplicis,qu.\m concrctx auc fccundorum corporum racio eric . cam cnim hxc
quam illa,clTc fuu formis propriis acccptu rcrcrut. Qudd li qualica- ccsiitas
yi clcmcntis fubftantias quis cflc dicat,illud affirmarc oportcbir, quod ncgac
AriftocclcsinprioridephY.aufc.conc vigcfimo fcptimo,&: cri-
gcfimo,ncmpcfubftanciam fcu quod verc cft, accidcrc alicui , quod vniuocc ctiam
rationcm illius participct .Dcducicur confcquucio,quia cadcmcali- ditasquxcft
formafubftantialisignis,eftqualitas in mixcis:in vcroqucramc eandc prorfus
rationcm obtincc , fcnfus cnim ca&us qui harum qualicacu vc-
iuscftiudcx,cadcmrationcatqucabfque vllodifcrimine ab ignismixtiquc calidiratc
afHcitur. Poftrcmddifercehic fatctur Ariftotcles, Igncm quatc- nus ignis eft,
non agcrc, atqui ignis,rationcm ignis fcu
* '(quodccrtc fo- D lum indicar, tcftc Simplicio in catcg.capite de
rcl.)fufcipit a folafor ma:ncquecnimid imateriacaperepocuir,quxrerum omnium vna
&: com- muniseft.Non mdaccc,quidGalcnus&:aliiexcipianc.Scdhxc
aliaquchu- iusgcneris inlibrisdeortu&: inceriru copiofius exa&iufque
funC pcrquircn- da.Nunccancumdicimus,id vcmmcflequod alias cx Aucrrois
fcnccncia in publicisnoftris difputationibus Patauij habitisThcor. centefimo
nono &c no.dcfendimus. Nempe,nequegrauitatem ncque lcuitatcm,ncquepri-
masqualitates elcmcntorum formas fubftatialcscflc.Sedquidab hisdiftin- ctum
,quod principiumetiam ifta rumomnium qualicacum fic iuchc-.imium. Addimuscamcn
, qualicatesiftasica infcparabilcs>fn elemencis poni,vc ad inrenfioncm&:
rcmiflionem harum, clcmenra quoquc ipl.i cum Anerioc inccrcio E T SENSILIBVSi m
intcrtiocxli.com.67.intcndiacquc rcmitti fateamur. Poftrcmo tollcndus A cft
fcrnpulus,quicxnoftracxplicaciortefcntcntiaq; potiflimum oritur.Quo- modo
dicere potuit Ariftotclcs,ignem qua ignis cft non agcrc, i. rationc for- mx , :
i forrox folius a&io fic ? tcftis cft ipfemct, fccundo dc phy. aufc. cont.
1 5 . vbicolligitformam effcnaturam, i.principium motusa&iuunvquodcxem-
plum allatum indicac cum addic- Homincm cx bominc ficri.Imo in con t.17. tcrtii
eiufdcm crac. ait : Id quod moucr,aliquam fc m pcr formam affcrre , aut
hanc>auc talem, auc cancam , qux principium &: caufa mocus cft . quod
lccm dcanimain cont. j6.&: j7.fccundivoluminisilliusdoicrinar,a/lcruit:Et
Aucr- roes,cum aliis in locis tum vcro maximc in difp.aducrfus Algaz.tf.in
Sol.dub* 6.\. Denomiftationes formaru ab a&ionibus ita fumi , vcluti
fubic&orii a paf- fionibus,corporaqueomniaexduabusnaturis conftitucaeffc,
agcntcnimi- B rum &: pacicncc, i. maccria&: forma ipfumq; agcns, formam
, quidicaccm , fi fubftanciamnuncuparirpacicns
vcr6,fubiettAim,elcmentu&:materiam. Rc- fpondco paucis,acrioncs propric
compoficorum c/Te,ab ipfa tamcn forma ra- cioncm agcndi fumi,vc Aucrrocs in
quintodc phy.aufc.com. j.& f.dc tormis ortui incccicuiquc obnoxiis loquens,
tcftatus cft. Igncm igicur vi quidcm fux formx agcrc,mediis tamcn
qualitatibusiftis contrariis aifcrimus:qux.vc non cfTentin ignc^nili
forulaignis aquaveluti acaufapcndcnt pnus,adcil*ct,ita ncquc abfque illius
formx viagcrc poflent. Agunt autcm quafi altcrando,ac difponcndo, vt forma
tandcm ignis induciqucac.C^pwViwifTwV^te^.v^.In- celligic Alcxandcrlibros
dcorcu& inccritu, & reCce.li pncfcrtim iccundmn il- liusfpcclcnuis, m
quo contranetas&: primarum qualicacum abunde Jc- claracur. Noneftcrgo,qu6d
crcsalioslibrosdc Elcmcntis , cjuorum Lacrcius C mcminic,&: quos nominc
Anftocelis circum lacos lcgi/fe fc quid amElorcncix afhrmanchabcrc cxopccmus.
sVcmtp otr oi crtttroirXtworrK cV rqf vypof^L %paf*a& y j? ^Vfiov^
%iav&$ ttoiovan t%Hr V vquar cx gcncrc conftat & difFcrcntiaxaufalis
alccra,qux ac- cidcncibus tantum coucnic , caufam cxprimcns a qua pcndet &
confcruacur afFedio. PoftcriorcomuTa, dcpriorinonnulladicamus. Locum habcc harc
dcfinicionis fpccics in omnibus Caccgoriis , qucmadmodum primo Topico ftacuic
Ariftocclcs. Acqui harc quoquc duplcx eft: vcl cnim abfquc addico tra-
dicur,& vocacur dcfinitio formalis quidicaciua : vcl cum addito,&: cunc
Defi- nicio formalis cum addico dicicur,(voco Addicum id omnc quod cxcra cilcn-
tiam dcfiniti eft)In fubftantia,prior illa locu prarcipue habcc: vc l i dixero
, Ho- mo cft aniraal, racionis compos:huius fiquidcm dcfinitionis duas func
parccs, Gcnusjformam gcncralcm,& quali maccriara prim6fignificans,vc Aucrr.
in fcpcimo mcc. com. 3 3 . ccftacur : & diffcrentia,formam fpccialcm, Iiccc
ambo maccriamquoqucadlignificcnt. Poftcriorinaccidentibus pociflimum fpc-
dacur, in qua gcnus quod cft accidcns,cft veluci forma , difrercncia \ c ro
qua: fubicctum&:iubftaciacft:cx Aucrr.8.mccaphy.6.(pra:fcrciminmaximcpro-
priis accidcncibus quas proprias afFc&ioncs vocamus ) veluci maceria:ac
pro- indcidcmquincomccaphy. J4.&: icpcimo eiufdem cra&acionis 17. 18.
&r 19. Accidcnciu dcfinicioncs vr* w nuncupauit,li quidcm ex diueriis
nacuris con- ftcnc. Nccefrario cnim indcfinicionc accidcncium,fubicc\um
aucexprcilc aut falccm occulcc przccrquam in Categoria
quantiracis,concincridebet.Ex quibus facis pcrfpicuum eflc dcbct , Definicioncm
ciTcntialem accidcntium cunccancum mcnti quietcm largiri,cum pcr omniaquatuor
generacaufa- rum cradicur.Efficicnccm nanquc &: finem in definicionc fu
bftanciarum non ica eft opus adhibcri,quod nocauic Galcnus in quinco dc diff.
pulfuum cap.z. &t cap.9-quod &: ipic prarfticic,cum pulfum
definircr.EiTc aftionc pcculiarcm prarcipue cordis,mox arccriarum ,contra&ione
&: dilacacionc mocarum .1 fa- culcacc vicali, vc caloris naciui mcdiocricas
confcruccur, fpiricufque animalis in ccrcbro gcncrccur. Hoccodem prorfus modo
Ariftoreles nobishic fapo- rem definic, ciim aic. EiTe afFedioncm in humido a
iicco cfTcccam , guftacum qui faculratc cft duccsad achim.Paflio cnim feu
affc6tio,cft vcluti forma, hu- midu vcromatcria,inquafaporcsquaiiimprimuntur.
Siccum quod duplcx cft nmpc tcrrz &: ignis,vt antea diftum cft, racioncm
cfHciecis habct, quam* uis iiccum cerrcum rcfpeftu iicci ignci calidique,
pcrmifcencis & conco qucncis maccrix pocius viccm gcrat. Cauia igitur
propriaiaporis confi- cicns calor cft : Siccicas camcn humidi refpc&u
abcuius agencis vicem gcrir. Ex ET SENSILIBVS. Ex qiio Alcxandcr mcrico annocarc,
racione vcriufquc potuir, Pnrnum in lo- cis valdcfrigidis, t i u&us non ica
faporofos cdi:Mox aquas pro diucrfa ccmpo- rum confticucionc,i. vcntorum
flancium, pluuiarum feu innundationum , x- ftufq; variacionc , fapores a
dulccdinc ad falfcdinem & amaritudinem abire, pro maiori ncmpc aut minori
ficcicaris participationc. Poftrcmo caufa fi- nalis apparct cum ait* Guftacum
qui facultacc cit, duccns ad a&um, & pcrfc- ftionem.Qucm fincm quafi
dcclarans Ariftoccles inquit,Scnfus adum abfo- lucamq; pcrfc&ionem , non
eilc vcluci difccrc, fcu habicum ccncrc,puca Rc- ligionis Chriftiana:
prarcchcaopcime noflc, fcd vcluti conccplari, i. apud om- ncs, & vbiquc in
orficio Chriftiani piique viri concincnccr manere, ab coque nunquamdifccdcre.
Itaachis & pcrfe&ioguftacus vltimacft,non poilcgu- ftarc, fed rpfa iam
deguftacto. Mancac icaquc apud nos conccxtus intcgcr, cum definitionem ipiam
faporis>nullamque praetcrca prxcipuam partc con- tincar, cuius parciculas
iam tahdcm a expcndamus. ). Quoniam de fa- porc hic abiolucc agicur , &
Anftotcles fic loquicur , -wibnyyri&A* i, tJ Jx? ^^J",puro pcr
paflionem illam eflc incclligendam quae inccr duo concraria m- ccrccdence *aawv
erficicur,ideft, qualicacemquandam infubie&o cxiftcn- cem,&
apalTionccum fotmxconcrariarabic&ioneorram ,& quar pallioncm cciam in
fcnfum infcrrc qucat^dc qua A riftot . in priori dc ortu & int.cont. j K
Im6hocipfcfupcriuscxprehisin verbis,lF7'5r3 nvjfiii fcVAi -nJ ^fit k^y
T7j^ci> y^ \ai t*vcl in mixtionc , agcntes & pa- tietcsdici poflunc.Ec
illud quidem patet,quandoquidcm tcrra aquam vcrtes in fui nacuram no
trigiditatc in qua fibi cum illa conucnic , fed ficcicacengec, iccmq; dc
carccris fcnciendum. Aliud vero,facilc cft dcclarare. Etcnim fi mix- cio cfnci
debcac cx quatuor clcmcnris,oporcecvcOmnia ad^Wquandam, quiccrmihusmixcioniscft,rcducacur.
Vcrum minquamcrafis iftanafcccur, nifi primumomnes quacuorqualicace* inuiccm
agant&paciancur . qui ficri cnim poceric, vc humidum ad crafim ficcum
rcducac , aucab ipfo rcducacur, nifi pcr mucuam a&ionem ariquc paflioncm
;Cartcrum illud rccinendum cft, humidum & ficcum,non principalitcragerc.
Scd(vtaiuht)fecundari6: ncq; cnim humidum in ficcum, aut ficcum-in humidum,
antca agct, quam vnum cum alcero pcrmifccacur, in minimafquc parccs
diftribuatur : quod calidi ,& l6 6 DE ORGANIS SENSVVM, frigiditantum opus
cft : agunt crgo hurnidum & ficcum , fcd a&ionisfuaeini- cium a calido
&: frigido aifcquuntur. Mcriro igicur Arift. hzc,agencia, rcrmi- ^
nacia&cvniecia vocac:illavcr6 pacicncia,vnica,ccrminacaq;.Scd nihilprorfus
adnos ifta,qui iam dcclarauimus,quomodo ficcu ccrreum cfficicns,quomo- do iccm
maccria dici qucac. Eft enim materia quaccnus pacicur a ficco ignco: cft
chScics quaccnus humidu ccrminac i quaii inficit. Ncq, coitio ifta caufa- ru
rcpugnac Arift.cum addiuerbsccrminos,oppofic6fq; rcferatur. Alterum
clicicndum,Nepc,non in omni humido faporcs fundamcnrum habcrc,nd c- mm in
humido fimplicis corporis fcd copofici folum. Hoc cx vcrbis cocexcus patet , fi
quidcm talc humidum a ficco tcrminari dcbct , calorc pcrmifccncc ac digerecc.
Prxccrea racione probacur,de qua in concexcu feq.pluribus. Scd hicduplcx
oricurquxftio,priorcft,an frigiditasad produccndos faporcs ali- quo modo
concurrac: Secuda,an humor ad faporum orcum fcmpcr exigacur. B
quandoquidcm,mulca corpora ficctf(ima,vc pipcr:& lapidcs quidam,vc fal:i-
ctmque radiccsCccilTim? ,puta rhabarbaru:cincrcs ctiam ipiiquiperexicca-
tioncmfcu potiuscxuftioncm Hunc,camcnamarifeu falfifunr,Saporcprz- dira c/fc
apparcnc. Priori quariico paucis rcfpondccur, rrigidicaccm pcr acci- dcns
cancum faporum orcui podc confcrre,quaccnus fciliccc vim caloris hu- midum
aqucum acccnuancis ac rcfolucncis, cum coque ficcum ccrreum agi- tancis &
permifccntis,aducnicns frigiditas rctundcrc ita potcft, vt non is dc- inccps
iapor oriatur, qui fortaffc non impcdito calorc oriri potuuTct, fcd lon- ge
diuerius. Alrcrum quziitum ita cnodadum : Nunquam corpora illa ficca, licct non
omni prorfus humiditatc intrinfcca deftituta fint , faporcm edcrc, niu' aliqua
priori humiditatc cxterna perfundantur : im6 hic vfus (aliuae pro- priuscft,
vtdocet Aucrrocsin fccundodc animacom. iox. Vndcibidcmo- ^ pcimcex
Ariftoc.colligit ,omncdcgu(tabilc,aduvcl falccm poccftace pro- pinqua,humidum
cffc oporccrc . Quod non ica eft incelligcndum, vc in qui- buida dcguftabilibus
humidu fic in poccftace propinqua : Eccnim hoc modo, ciim humidicas ficvna
cxcaufis faporcmconfticuencibus, vcl diccrc opor- tercc faporcm quoquc
potcftate tatum in illis incffc,cx fccundodc phy.aufc. cont. 38,
vclfaDoresnullamcxiftcntiam nullamqucnaturamre ip(a fcorfim habcrc ,nili
cumdcguftancur : quorum fanevcrunqucabfurdumcft. Hoci- gicur vulc Aucrrocs, in
omnibus quidcm deguftabilibus atu faporem incfle, &c adu humidum : fed vt
in aliquibus dulcis , m aliquibus amarus fapor prz- ualct,ica in aliquibus humidum
in aliquibus liccum prodiucrfa mixtione dominatur. Scmper itaquc aliqua
humiditasadcft , tum in cincrc , tum in fa- lc, &
rcliquis,qu2tamenobmuItamficcitatis copiam fit infenfnis:Quod co confirmatur ,
quod mixta funt , in quibus licct cx priori dc ortu & int. 89. fa- cultates
clcmcntorum xquari dcbeant iuxta variam mixti cxigcntiam,ita vt vna alteram non
dcftruat:non camea prardominium vnius auc alccrius col- p litur. Humidum igitur
in re ficca modicum cxiftens , ab cxcrinfcca humi- ditate adiutum,& quafi
excitatum cuocacumquc fapore linguam afficit. Quapropccr non malc concludunc
illi,qui faliuam non abfoluce ad dcgu- ftandum,vc mulci malc pucanc,fed ad
rcdius rcs ficcas deguftandas in lingua fcu palaco a nacurafuiffc
ftacucam,ccfcnt. Alium &fortaile prxcipuum illius vfum, Ariftoceles
infccundodcanima, capic.de fono proponic ,loquutio- nis ncmpe, quam,humctaca
lingua qux fcrnonis organum cft, idcirc6- uc mobilior reddica , commodius cdcrc
poccft . ( Ducic cnim fcnticn i vimad id quod antca potcftate crat.
Quandoquidcm fentirc non cft vcluti difccrc, fcd vcluti ipfum fpcculari).
Poteftatc bifariam aliquid di- ci, &: ET SENSILIBVS. ' i6 7 ci , SC item
actu bifariam, omnibus cx Ariftotclc conftat. Dicitur nam - quc
vnomodopotcftaccaliquidciTc,quod ad aliquid naturaJcm quandam habcc
habilicaccm,qua illud confcqui poflir, puca puervt Grammacicus cffi- ciatur:
hxcpoceftashabicuiopponicur,i.cum quisiamhabicum Grammati- carum
prxceptionumillarumquefcicriamcoparatamquidcm animoccner> non camcn auc quia
cdar>auc ft ica fors culcric quia dormic, pcr ipfas opcratur, in carumq;
pcrfpicicncia vcriatur: Hic habitus,actusprior, rcfpe&u iftius po- ccncix
nuncupacur, & quancum ad fcnfus accinct , a gcncratc proficifcitur,vt
Ariftor.infccundodcanim.conc.y9.tcftatuscft. Vcrumalrerfucccdica&us, pcr
quem Gramaticus ipfc fua iam promicTheorcmaca,auc altcri ca tradcns, aut fccum
ipfc exerccns.Hic vcre actus dicitur, cuius racionc prior ille fecun- dum
habicum nuncupatus, potcftacrs racioncm obcinec. In fcniibus adus ifte nonagencranccjfedcxcrinfecusabobie&oncmpeexcra
cxiftcnceproricifci- tur. Ex his patct,quomodo prior ilie a&us fic veluci
difccre, poftcrior vcr6 vc- luci iam adu fpcculari. Ad huc igicur pofteriorem
achim fapor guftum dedu- cic, canquam ad fuam perfe&ionem,eft cnim
pcrfcftio, abibluti6q; prioris , i . facultacis guftandi,quam in ipfo orcu
animal a gencracc rccepic, de qua rc co- fulacur Arift. conc.5. 53. 55.56,81
58. fccundi de anim. Deducic auccm fapor a- gcndo in ipfum, (qua ccrrc
racioncfaporcm , paffionem dici poifc non ncga- mus) non camen propria&
vera fcu vniuoca a&ione : hoc cnim modo ientic- difacultas&obic&um
ineodem gencre collocandaciienc,vtex priorivol. dc ortu, &: 1nt.cont.50.
colligitur, quod vcritati rcpugnaret:fi quidcm fenfilu vcl propria vcl
communia,aut qualitates aut quacicaccs funt: fcnfus verd tam cx parcc animx
quam corporis,fubftancia, vc cx fccundo dc anim.c0nt.z-3 .&c 4. fatis
conftarc potcft. Alterius itaque gcncris actio ( vt loquitur Ariftot. )fi quail
pcrfcdiua dicacur. 0"n Jl h }t& ty60^potJ.tror&v&yb p.i. S lyo DE ORGANIS SENSVVM, humidum &
iiccum aliracnti condiciones func,vc cx Anft.loco izpius cicaco
conftac,iedquoniamGuftusfuaucabinfuauidifccnnc infaporibus,quipri- A marum
qualicacum indiccs iunc,idcirco hoc obcinuic,vc racionc fui cibosale-
rcdicamus. Cicerum , quod ica iinc Ariftocclis verbaaccipienda>hinc ma- xime
pacerc poceft, cibum nucrire aflcric quacenus deguftabilc cft : quaero an de
cibo iam nucricnce > vcl dc cibo cancumodo animali oblaco incclligat: li hoc
, fanc non nucrit: ii illud , ccrcc huiulmodi non cft amplius dcgultabilc.
(Quandoquidcm omniadulcialantur. ) Tocum boc planius rcddccur fidc nucncionc
& au&ionc nonnulla ( paucis camen quoad fieri poccrit ) cx li-
brisdcorcu&inccr. alciusrepccamus. Quomodo idcm cibusnucriac,&au-
gcacfuperius cxplicauimus . Nunc dicamus quicquid augct.Quacum po- ccftacc cfle
dcbec , id cft , huiufmodi vc cx co quancum ficri poili t : ica quic- quid
nucricpoccftate( vcrbi gratia)caro: (dcvera femper au&ionc loqui-
murquxanimalipropncconucnic). Acaqu6namcxcali poteftace alimcn- n cum adattum
deducecur? anima ccrcc ipfa,mcdio organo fibi peculiari>ncm- pc calprc
infico>qui vcluci przcurrens alccrac, & concoquic , id quod parti
nucricndaciimilereddendumeft acqucaccomodandum. Scquiturpoftremo Akio>id cft
nucricio & au&io ipfa. Hxc Ariftoc. in fccundo de anim.41 .49.50,
&C Aucr. in quinco collig. cap.3.ex quo eciam coftac minus proprie,liccc
verc*: Mcdicps quam pcripacccicos de rc hac loquucos fuuTc. Caloris fiquide
opera ( vc Auerroes aic ) indeccrminaca func : de anima non ice diccnc vnquam
Mc- dici. Rcdeo ad rem , non diftcrc alimencum alcns ab alimcnco augcncc , nifi
quatcnus v c fubftancia cft , nucricacioncm cfficic : vc quancum quoddam, au-
tionem; fempcr auccm nucricio , augmcncum prarccdic: ica vc& fubftancia
quancicacem. Nucricioncmvcr6auciofequicur,quanuisnon femper.-Hzc fiquidcm in
viucnce aliquando quiefcic : illa nunquam , cx Arift. priori dc or- tu&:
1nc.tont.4i. QupargumcncoPhiloponusin fccundodcanim.47.alcn- q ccm augcncemquc
faculcacem, non vnam prorfus& candcm eflc aifirmabar. His ica
cxpoficis,illudmoncrcoporcec, Ariftocelcm inccr cibum alcncem, &: augcnccm
, non aliud hic difcrimcn ponerc , ab illo,quod nos proximc dc-
clarauimus.Quanuis cnim dicac,cibum quaccnus calidum augcre, quacenus dulcc
nucrirc,id vcl caracione,incclligendumeft,quaccnus ncmpe nucri- mcncum quod rci
nucricz aflimilari dcbcc, humidum cflc oportcc ( alimur c- nimcxfanguinc)inquo
fapor pociflimum cxiftic, vcl ca quamancca cxpo- fuimus , quanuis codcm omnia rccidanc.Semper
cnim proprie loquendo, ci-
busnucricquaccnusfubftancia,eaquccalida,frigida,humidaficcaqueeft:fcd Oiporcs
iunc vcluci difpoficioncs ad nucricione,quaccnus in caufa func vc con-
ucnicnccsanimalicibifumancunncquecnimproefculencoquamis resmix- p tanumcrari
poccft. Verbapoftremaconccxcusfacis harcomnia nos doccrc, poflunc,in quibus
Calor ram au&ionisquam nucricionis arcifcx,nuncupacur. Merico aucem calidi
, frigidiquc cancum mcncio c : fiquidem func hz pra% cipua? nurrimenri
qualicaces: iurc cciam his cum audcionis cum diminucionis caufa cribuicur,
quandoquidem veluci calor in alimcnco cxiftens a calorc in- crinfeco
adiucus,facilius mucare,concoqucrc,fcgrcgare, adiungerc, aflimila- re, undcmquc
nucricarc & augerc poccft,ica przdominanccfrigido compri- mcn tc &c
condcnfance in alim cncis,auc in alcndis corporibus>vc in fcnibus &
iisquimorbo fcne&alaboranr,modicanucriciofeu eciam dccrctio partium
fequitur. Sed quomodonam dulci aluncur omnia? Rcipondeo,parccs aii-
mcnciccnuiorcs,quod hzad aflimilacionem apcioresfinr,nucricioni maxi- me E T
SENSILIBVS. i?j m c omnium infcruiunc : huiufmodi vero dulciorcs quoque funr.
Ecenim fic- A C o ccrrco magis carcnc , quod falfcdinis , amaricudinifque caufa
cft , vc infra dicemus: humido vcroaquco abundaric, quoddulcedinem paric. Exquo
Auerrocs monuic, dulcem faporem calidohumidoquc , amarum vcro calido ficc6quc
cribui. Calor icaque inficus, parcesiftasalimcnci ccnuiorcsacquc
lcuioresaccrahic :quarfiomnin6aconcrariofcgregacac finc, dulccs mulcum mancnc :
fi vcro non omnino , minus. Sac illud cfto, cx fimpliciccr amaro rcs nequaquam
nucriri, cum calor ccrrcas parccs ob grauicacem accrahcrc, ac fupcrarc ncqucac.
Ariftocclcs in fccundo meceorologico, de falfcdinc maris loqucns, nonnulla
noftro infticuco vcilia cradic. Cum cnim faporis falfi
principium&caufam,cxhalacionem ficcam cfie cxponere infticui/Tcc, pn- mum
doccc, falfcdincm cx quadam commixtione oriri : admixcum vcro hu- iufmodi
faporcm gigncns, aliquid minimc conco&um c/Ic : cxcmplum afFc- j, rcbac ab
Animahbus fumpcum , in quorum corporibus , quod crudum ma- xime eft,&: non
codum, falfum &: amarum cft , falfcdincmque efficic in his quibus
admifcccur. Eam ob caufam vrinam , & fudorem falla cfic , quoniam &
alimcnci c quo cxccrnuncur,comparacionc (vc concodioncm Mcdicorum viccmus )
conco&a non func , & corpus aliquod non conco&um in fc habenc
admixcum,ncmpcficcumccrrcum: quod ccrce & in vrinariis vafis fubfide-
reccrnicur,&:in cuce animalis,nifipoftquam fudaric cgregie linceo cerga-
cur. Imononaliccrin iisquaraduruncur vfuvenircdoccc: inquibus quodab
ignenonvincifirnccconcoquicur,amarumrcmancc,&:fall"um, vtCinis. lic vc
ad nos rcdeamus , harc fola caufa cft , cur quancumuis dulcis ab animali ci-
bus fumacur , amari camcn aliquid fcmper in vcncriculo rcfidcac. Iam vcro,
inhocconccxcu mulca quzri po/lcnc. Noscamenomniaqua?pra:cipuafunr, non
quaeftionum icd Theoremacum modo paucis,vc omnis rcpugnanciz fufpicio in
Ariftocclc collacur, cxplanemus . Cibum nucrire aic Ariftocclcs quacenus
faporofus feu guftabilis cft. Id qua racionc fic aceipicndum iam di- ximus :
non crgo ica incclligcre oporcec , ac fi faporfic adarquaca &: im mcdia- ca
caufa nucrimcnci , fcd pocius vcluci comcs : cum fic qualicas quzdam or- cum
duccns cx cemperacionc humidi cum ficcoincali fubftancia,quzvere & proprie
nucric. Humidam auccm( cum dcbica camen ficci quancicacc)
cfieoporcuicfubftanciamhuiufcemodi vcaccommodari poficc.Ecquemad- modum
Aucrroes inquincoColligcc, capiccccrcio, monec: parccsquarpri-
monucciuncurfuncparces fimilares,&:cibusquialcre debcc conuercicur in
humidicacem, (imilem humidicaci fixx in parcibus fimilaribus, &:cum cis
permifcccur codcm prorfusmodo quo inuiccm res liquidzmifccri folenc: cum vero
hoc modo pcrmixcus cric , cunc acquirec coagulacionem &: coftan-
ciam,fimilcm coagulacioni&conftanci2nucriczparcis:ncqueenim aliomo- l^
donacura rem dillblucam,infingulis parciculis membri,reftaurarc pofiec.
Exhispacccquomodo ofiahumidoeciam nucriridicancur, iccmque quara- cione,
nullafuperfic repugnancia,incer hunc concexcum,&: quadragefimum fepcimu
fccundi dc anima,&: quadragcfimum, primum primi dc orcu &: ince- ricu.
Alcerum doccc Philofophus, dulci nimirum faporc Animancia ali. Cuius rci gracia
animaduerccndum cft, prxcer ca qux fupcrius diximus,Dul- cc hic accipi, pro co
quod vere dulce eft.Scd inccrea proporcionera inccr n u- cricum &:
nucribile, no modo quod ad dulccdinc fed quod ad alia icmper fpe- cari debcrc.
Sunc mulca dulcia,quz cancu abeft vc hominc nucriar,quod cos
poci*adinfania&:morce ducac,vcdc radicisMadragore. fuccofcruc.Sed quiJ,
p.ii lyt DE ORGANIS SENSVVM, dicec aliquis:Mel dulciilimu cft valdc tamcn parum
nucric.Iccm bilis,m c!q. ^ cholia, flcgma,dulcia nullus ccrce diccc: ab iis
came omnib 9 aniroal nucricur, fccusenim,vnocxccpcofanguinc,alii incorporc
aniroalis fupcruacanci cl- fenc : quod vcricaci rcpugnac. Quid iccm dc oifibus
- quz cum ccrrca finc, a fi* rotli ali dcbcbunc : crgo a ccrreo aliquo, puca
humorc melancholico, quod & faltum&amarumeft. Poftrcmo, vndcnam
pifccsmarishabebunc,vcdulcc- dinem iftam perrrahere qucanr,cx qua nutriantur?
candcmque quid dc variis animacum gcncribus diccmus , quz rebus alioquin
amanflimis & vcncnofis ali, tam Ariftoc.quam Galenus&
Pliniuscradidcrunc? Hxcadmedicos acci- ncrc vidcncur, pluribufquc
perrra&anda cflcnt: in przfentia camc ica ftacuif- fc fac cfto. Vcram
abfolutc fentcciam Ariftocclis cfle:fcroper cnim dulcc ma- gis quam aliusquiuis
fapor nucric: ad dulcc camcn refcras pinguc, cuiufmodi cft panis, ouorum,
carnis. Idquidcm brcuicaci ftudens omiflc in prxfcncia A- B riftocclcs,infracamcnadmoncbic.
Quamobrem Galenusquidcmin rc hac minus forcaflc laudandus cft,quam
Ariftocclcs,qu6d nempc obicurius nobif- cum cgcric,non camcn oronino ( vc multi
cxiftimant) vitupcrandus. Pro aliis vcro obictionibus addarous, Corpus noftruro
cx quatuor primis humoribus feu cx quatuor primis elcmcntis conftarc, quorum
vno carcre no poflit abfq; fui intcntu:nutriri cx fanguinc tatum vcl aliquo
proporcionc fanguini rcfpo- dcnce, coq; puriori ac (inccriori qui camen nullibi
feu nufquam purus& non aliis permixcus rcpcriacur: hicdulcis cft , rcliqua
vero cxcremcnca ad bilcm, aut mclancholiam,aut phlcgma magis acccdccia ,
ahcuius quidcm vfus funt in corporc humano,vc Mcdici dcclaranc, non camcn ipfl
alcndo , propcer ca- rum qualicaccs nacurxaducr(arias,confcrunc. Qiio fic, vc
ciim parcesanima- lisaliquandoomnialimcncodcftituta; illispafcicogatur,non
nifimaxiroum - dctrimentu confcquantur,quod Aucrroes optimc monuit, vtut
Conctl. difF. jo.aliter. Dc phlcgmatc
quidcm non cadcm prorius ratio cft , qux pcr vltc- riorcm concoitioncm fanguis
cffici poteft, idcft nutritioni aliquatcnus a- ptum. Dc oflibus dico,non vt
quidam,omnia ncmpc nuttii i fibi iimili,quan- tumadillam vlcimamaflimilationcm
: nam hocmodo fruftra Mcdici , puta infra&uraoflium,victum callogigncndoapcum,
idcft ccnacis& craffi fucci, cxhibcrcnc.Diccndum eft crgo,cx ianguinis
punori partc ali omnia , quiacx eoconftant,fcddiucrfarpartiumnutnendarum
naturarfcmpcr habcnda ra- tio cft, ica vc hanc fanguinis calidioris,illam
frigidioris cupidam cflc conftcc Sunc(aiuncMcdici)iftafcmper inrclacione fcu
comparacionc accipicnda. Pifccs vcro maris(quicquid Galcnus doccat)fumptaaqua
fallaquxmixta c-It, &: attu nullo modo dulcis ,vi caloris illam digcrunt,
ac diftt ibuunt, partefquc in ca dulciorcs poccftacc prius cxiftcnccs, fuarq;
nacura? conucnicnciores,nuc D vcro .k t u fcparacas ad nucricndum rccinenc ,
carccra amariora in cxcrcmenca vertun t. Dc aliis animantibus idem arHrmo,
nutriri fcilicct omnia ab iis quz fumut ca rationc qua dulcia funr, co^ionc enim
Cocurnix, puca, cicucam ca- lcmrcddic, vt partcs dulccs cx ca in
alimcntumpcrcrahcrequeac. Curvero cicuta delc&etur coturnix, aliaquc
animantia aliis huiufmodi quz homini
vcncnacflent,ratioillapotcftafrcrri,qu6daliquam cum guftu illorum hu- iufmodi
cfca conucnicnciam habeac . Poftrcmo, videcur Ariftocelcs affir-
marccxvnicoclemcncoanimalianonnucriri. Quid ergo devcrmibus illis Cypriis
diccmus,quos Ariftocelcs inquincodehiftoria,anim.cap. i^.viuc- rc in ignc &
volare pcr aliquoc dics narrac ? quod itcro Plinius in fcxto fuz
hiftor.nat.cap. 36, & ;8.confirmat? Hocnimirurr: Animaliaiftanon nucri- ri
aliquo cxccinfcCo,quia in ignc non cft aliquod humidu quo nucriri qucanc: fcd T
SENSILIBVS. j 7 j fcdaliquoincrinfcco humidoccnaci&:craiTo,quodaca]idicacc
ignis inquo A mane- noniii in mulco ccmporis fpacio, abfumi poflic.Exemplo linc
anirr.a lu qux m caucrnis diucius , abfquc cibo cxcrinfecus fumpto laccnc , vc
glirc s, vr/i,rana:,rcrpcnccs,aliaqucpropcinnumcrabiliahuiufmodi.Acquiin ignci-
pfo nafci,rcccnfcc Philofophus,im6 ignc dcficicnce,ipia quoq; mori:vndc cr-
gohumidicas, lftaintcrna? Certenonomninoprofabulafunchabenda qu* Ariftocelcs
hac dc rc narrar, cum 6c A ucores alii in hoc conucnianc , &c qui in Cypro
fucrunc noftra tcmpcftatc,idfcvidillc tcftcncur.-idcircodiccndum cft, vcaquam
puramnon cflc aiTcrimus,incaqucpifccs na(ci,nicnon ipfa dcficicte mori,quod
fua? naturx fic maximc affinis,ita igncm hun c apud nos, &:pr2lcrrim
Cyprium illum impurum atque permixcum cx lignilquc alli- duc mucus &crallioribus
excicacum, calcicis incocli humiditacc &cralii- g cic adiucum , animalia
hacc poflc per pucrcfactioncm cdere , mori vcro ftacim igne dcflciencc,quia ab
cxcremo ad cxcrcmum cranicanc,cui fua imbccillita- tcrcfiftcrc nequcanr,cum
prarfertimnaturxcorumrcpugnet. Animaliaal- fuetafub niuc viuere idcm
paciuncur,qui cum alocoobfcurifiimo in quo diu- cius fucrinc , ad clariilimum
ftatim ducuntur, vifu priuantur. Natura m fum- ma,has fubicas& immodcracas mucacioncs
, ablquc difpcndio animaiis non pacicur. O* J* cV t%& etificifft itnieT
Z> *%t* Sippct , %tf^ or rn 7J ua ^ pj- 7$f , 10 rpt^traf ra y>vxii .
av/uifjuynwretf J( o/ aMa/^tyto) c rpoylw 7r aZTor rfdwor, rot dXfMipqt ^jt/ o
, elrr) fiS vafJULr&fovfc. j 1o dmanra* rqj A/xfTpo- q QifMt tf) 7o yXvjuv^
xj ttwitnXe^a^K j8 Quod igitur calor exrcrnus in exccrnis corponbus praeitar ,
idem 111 n.trur.i animahum planrarumque mtcrnus efncit , quare dulci alunrur.
Sed alii Cipores ahmento commifcentur, eodemcertc modo quo falfurn &acidum,
nempe condimenti graiia , atque idcb eamcaulam, vrre- morenrur, quod in dulci
minus nutric atque excedit. Qupd proxime dixerat dc calorc inlito lcuiores ac
proinde dulciorcs par- tcs ad animalis nutrimcntum actrahente , grauiorcs vcro
&: amariorcs rclin- qucntc,id in prxfcncia fimilitudinc ab extrinfeco
fumpta,notius rcddcrecu- pic. Cztcrum,limilitudoilcacommodeexipfomet Anftoc. in
priori mcccor. fumi poccric,vbi cauiam efficicntem maccriamque ignicarum
imprcilionum communcm inucftigans, deduplici habitu loqucns,aic : Soliscalorc
cer- ram incalcfccrc , accenuarique, acquc illius vi aliquid furfum attolli :
qu6d fi fpiritusnaturam habcat,idcftlcuiorfit,cminet : li vero lithumidior,
prae ^ pondcrc fublidct. Ex quodcinccps colligic, mcrico concludi polfc anima-
lia dulci hucriri : Scd quorfum faporcs alios aut arce componimus , auc a
nacura produccos in cfculcncis,amamus: vcl quorfum pociusalios natura ipla
produxic, li vnicus nucricionl iuoncus habcacur? Rcfpondec PhiJofophijs, illos
condimenci locoaddi,ncfcilicct fapordulcis, guftum niroisamciens, fui
faciecacem ftatim produccrer,naufcamquc moucret, ita vccorpusccm- jnodc cx co
nutriri ncquirct. Obtundunc ergo cartcri laporcs( vt acidum, &:(alfum
quibus nosfamiliariccrvti iolcmus)&: quaii rcmorancur dulccdi- nis
efficaccm poccftacem, quat dcinccps tempcracior & micror rcddita , anr-
malis Guftui iucundior j accnon fux numcationi idonca magis , cuadic . p.iii.
,- 4 DE ORGANIS S E N S V V M, Addc, multum dulcc nimis lcuc cflc : quo fic vc
mulcum quoquc nucrirc pof- fiC- Saporcs icaque alii cum iplo mixci,ciulquc
lcuicaccm rctundcnccs,id prx- A ftanc j nc ica facilc pcrcrahacur, ncuc
immodico fucco rcplcca corpora , mor- bisexplechoraproucnicncibuscxponancur.
Vcrba conccxcus vcroquc hoc modo parccm iftam cxplicandam eflc,doccnt.
Poftrcmaflquidcm vcrba,cx- plananc priora illa, in quibus W '*iiiu* mcmincrac.
Particula txZtk $ hoc fa- tisfupcrqucdcmonftrac.
Vcrumquxfcquuncur^ncmpciJAMrrefW^i&^ Wnff*A$?Mr,non mod6nomincWAVp*7K,
ccmpcracionem dulcisin ipfade- guftationcqucm fuaucm faporem vulgo vocamus,
accipiendum cflc do- ccnt>fcdctiamdiftributioncmillius dcbitam
atquciZ^^cumiamiamnu- crirc,& pertrahi a calorciniico dcbcat. Hanc Thomas
interprctationc,illam Alcxandcr cft fccucus.Sunc qui hic quxranc: Si dulci
alimcnco pafci dcbcanc corpora, qui ficri poflir,vc parccs corum infcriorcs
alancur , li quidcm leuc ii t quod nucrir, idcircoquc aiccndcrc debeac. Quod li
dicamus, abfolutc quam- hbcc ahmentiquodfluxilccft,partcm,graucmcflc,&:
Ariftotclcm rcfpe&u partis amarioris cantum, parccm dulccm lcucm nuncupaflc
, itcrum dc mo- doquo partcsfupcriorcs alantur,dubitant. Scd certc quanuis
Aucrrocsin fcptimodc phyficaaufcultacionc, commcncario lo.nonnulla hacdc rc
acti- gcrit, Mcdicorum prorfus quxftio cft , quorum munus dc facultatibus nacu-
raltbusanimxnucricnci inlcruicncibusaltifquc inftrumcnris faculcacibus il- lis
adiuuandis a nacura dcftinacis,adamuflim agere , proprium eft. Illud a no- bis
quxrcndum magis iudtco. Quia Anftotclcs vbiquc & prxfcrcim in prio- ri
mcceorologico doccre vilus cft,halicum c ccrra cductum,quod caJidior,fic-
cior,tcnuior & lcuiorftt,in locum fupcriorem confccndcrc: cx aquavcro
cuocatum, qudd frigidior, craiiior, 6c ponderofior cxiftat, in infcriorcm. Hic
vcrd ccntratium aflcrcrcvidctur: parccs flquidcm crailiorcs&terrcas magisin
alimcnco fubfiderc , humidiorcs vcro pcrcrahi aflirmac. Rcfpon- q dcndumeft.
Pnmumintcrhalitum&halicum non candcmcfle tcnuitatis, & crafiitici ,
lcuitatis &: grauicatis rattonem , qux inccr tcrram & aquam.
Namtcrraquidemgrauior eft&craiflor quam aqua: halitus tamen eccrra emifllis
tcnuior co qui ex aqua. Cuiusdtfflmilitudinis ratio eflfc potcft , qudd tcrra
minus frigida quam aqua,faciliufq; ratione fux (iccitatis(qux ignis ami- caeft
JfolidiortfqucnaturxcalorccxcipcrciStcontincrcdiutiusapca, vicalo- ris magis
accenuari,leuiorq; fieri quam aqua poteft. Mox addendu, Calorcm infltum
animalis qui mediocriscft, in flngulis partibus , halitum quidcm lcuiorem ex
nutrimcnto ad fe trahcrc , qui& humidior & flccior , fcu tcrrc us
magisuclaqucuscft,prodiucrfa alimenciracionc calidicadfquc crTc&ionc:
fcmper auccm lcuior, parcibus illis pondcrofls , craffis , acquc cxcrcmencofls,
n quxanacura vcluci tnucilcsfcccrnuncur& relinquuncur. Non ficigicurhic
comparacio intcr halitum & halitum , in rebus externis: vbi alia ratio pcr-
trahcntis caloris, humidiquc & flcci paticntis, candcmque loci, vndc,
&: quo pcrcratiofir,rcpcricur. Similicudoauccm ab Ariftocclc caccnus camum
af- fercur, vcdifcamuscam halicum ccrrcum ,quamvaporemaqucum,fcmper ex parcibus
cenuioribus & lcui oribus ,euocari. 0?cmp 5 xjx&fjuL&, d* %Z
>JjxoZ $2 fjtixttvec %}i trituc, ovrut; olyyfjto) cm y\vxt& dyor
'M"apo- ru cum colonb* iam cxplicatisadhibcrc. Sflporcsaucccum colorib*in
pluri- busqua(inocisconucniunc.Quarumvnaeft,ad modum gcncracioms nimi- rum
pcrtincns,Saporcs mcdioscx cxcrcmis,dulcincmpc&amarofieri,vtco lorcs ex
albo &: ni^ro. Altcra,n6nullos faporcsguftui maucs , nonnullos verd
infuaucs, iuxta k>fciliccc auc A^^mrxtionjs prcporcicnc cflc, ira vc colo-
rcs parcim vifui graci,parcim mol cfti,eadem racionc cranc.Tcrcia,cotidt m fc
rc faporum,qui numcrum fcruant,fpccics habcri,quot cciam colorum.Nan-
quciipingucfaporcaddulcercfcras,vtrcfcrrc oportcc, ftpccilloiu fpccics V
pnccipuasrcperics.Exrrcmi,crucdulcis&amarus,qualcsin mellc vuis&ab
iynthio repcriucur.Mcdii interccdGt,ponticus fcu acer,vc in pipere &finapi:
auftcrus,vt in aliquib* vini gencrib*:ftipricus fcu accrbus,vc in pomis nondu
macuris:acidusfcuacucus,vc in accco:l'alfus,vcinfalc,liccchicadamarumrc
fcracur, quemadmodum cciam pinguis,fcu vnhiofusvocacus,ad duIccm.Ex quo nocac
Alex.faporum fpecics^: 6,&c 7,& 8 dici poifc. Hoc iccm in colori- bus
fpedtari potcft. AlbumSc nigru cxcrcma func , mcdii func puniccus, pur- purcus,
viridis,czruleus,decft auus feu fuluus qui ad album rcfcrcur, quod
illiusfpccics quxdam habcatur, qucmadmodum ctiamfufcus, vcltcrrcus
nuncupatus,nigrum quoddam cflevidctur.Poftrcmum in quo faporcs&: colorcs
conucniunceft,Eundemprorfuscircrcfpc&um incerexcrcmosfapo- rcs,qui inccr
colorcs cxci cmos.Quc -madmodum cnim nigrum albi priuacio* p. iin. iy6 D E
ORGANIS S E N S V V M,
nrmvocamusinpcllucido,icaamarumcftpnuatiodulcisinhumidontitn>ii ^ tc: ai
gumcnco cft cinis qui amanflimus ommum aduftorum idcirco cft,quod
incotocumhumidum dulcc lic cxhauftum . Contexcum inquatuor partcs iam notas
diftribucrc polfumus:prima cft. ( Cxterum quemadmodum colo- resj.Pro qua idcm
prorfus diccnducfic putamus quod ac coloribus antca fuic cxpofitum. im6m
faporibus id ipfumarstcftaripotcft:quod Aucrrocsdo- cct.lncoloribus non
itafacilc.Acccdicc6,omniaqua: mcdium icu mixtum faporcm ahqucm
obtinucrut,compoiici6racftc plurcfqucac diucrlasmagis facultatcs obtincrc(vt
Mcdici aiunc)qua illa qux aliquo faporc cxtrcmo funt imbura. (E I proporcionc
:quid,&: Galcnusinquartodc
nmpl.mcd.fac.propofuit:Auicennatamen,Plinius,&Thcophraftusabcu(?i q noucm
aflignarunr,ad hosliquidcinfipidum,&:vinofumfaporcm vocatuad- dur.fcd
rccrc? lllis rcfpohdetur,infipidu non cflc faporc,fed illius potius priua
cione,vndc ao.ua iure inflpida vocamus:vihofum vcroad dulcc reuocari,cum ab
ipfofccundum magisoVminuscancumdiftcrat.Quaprorfus rationc Catif- facicndum
crit illis qui obiiciunt,cx dulci puca&: auftcro, diucrfam fpccicm ab cnumcratis
cffici poffc, veluti Ariftotclcs cx mixtionc dulcis &: amari no-
namorifllaporcmcradit.nobiscnim quiomncmedium fapore in cxcrcmos rcfolui
pucamus,nonnouuproficifcccurfaporisgcnusabiftis fcpcc formadi- ftincttim, fcd
quid ab illis cancmiixb- wcv;Vt 'quidam obiiciuc,(i de phy.mixtionc loqui
yelimus.Ice dc* diuerfisdul- "cedihu
fpcciebus,putamcllis,racifeis,vini,&: alioru huiufmodi cuTheophraflo &:
Galcno affirmandum crit.Doccnt autcm pro horu faporu cxquifltiori gc- ~
ncracionis docirina Mcdici omncs,difcrimina faporum ab his duobiis pociffi mum
principiisfumijnempcamatcri^fubieclac crafflcicauttcnuitacc diucr- fa,&: a
caloris agcncis vario cxccflu vcl dcfccTu.Frigidum cnim nullu per fc fa porcrn
crficcrc facconftac,acproindcomniainflpidafrigida,&: vcplurimum criam
crafla eflepcrcipimus:Qucomnia quam vcra flnc,&: ad mcnccm Philo fophi
acconiodaca infcriMcdarabim 9 . (Ec qucadmodu nigru albi priuacio.)
Poftrcmapars.quam Alcx.vcfupracciamonuimusnon rcctc interprerarus cft. Vc vcro
omnis ambiguicascoflatur,norandu cft Atiftocelcrh non abfolutc affirmare Nigrum
cflepriuationemalbi,fcd priuacioncm *&\ itz vc ni grum ficaliquid
verc(vtloquucur)pofltiuu,pcrpriuacione veroignobilius ens * ' incclli-
ETSENSILIBVS, 177 , incelligic:caufa:fiquidcm albcdiniscumin fuoeflcincenfiori
fint , rarioncm cncis magis obcincnc,quam nigredinis,cum ibi finc in
cflercmiflb:in qua co- paracionc nigrcdo albi priuacio nuncupacur. Ica amarum
non dicicur abfolu- tc dulcis priuatio,fcd
, . T **'wVi kftSi enim amarum cum dulci quod ad nu- . cricioncm
confcras,priuaciuum vocaueris,cum nil prorfus co nucriacur :fi ve ro abfolucc
loquamur,amaru dulci concrarium pouciuum.in nucrimenco vc- roilliusn.wtTutir
vocabimus:qu6magisauccmmediilaporcsad amarumacce- dcnc,c6 quoquc magis ciufdcm
condicicnis participcs crunc. Animaducrca- cur vcrbum(* M v*0 id cft
poculcncum, vc cft dulcc:quo pcrfarpc vfus cft Arift. in fccundo
meccorologicorum,cum dc aqua dulci & falfa loquicur.Carccrum
inhuiusconccxcuscxplicacionc quzri ab inccrprccibus folcc, Andulcisfa- por
amaro vcluci excremus opponacur. Parcem affirmanccm Ariftocclcs am- plccirur,cui Galcnus repugnac. Aducrfus
Ariftocclcm harc argumcnca arTcr- ri poflunc , Excrcma func concraria,dulcc
& amarum non func concraria , cr- gonequccxCrcma. Maior noca cftcx decimo
mccaphyfic. vbi concraria ea cflcftacuicur,qua:in eodcm
gcncrcmaximediftanc.Minorprobacur,quiac6 craria lunc qu.r caufas concrarias
habcnc,acqui dulce & amarum non lunc hu iufmodi,non igicur concraria.Illud
nocum eft ex fec.de orcu & inccricu cont. j oZbjXj ro dftjSXJV^ro tt roTc
oyxoic xoitd rat af&riffteir i- rtret 3 /"* fcLffStyiXX b-^tdc yt Xj
dtpHc.S 10 ^ i -\6& obrufum quod in molhbus ineft,communia
fenfiliafunt.Qu6d fi .ion omnibus,certe vifus 5c tadus.Quaproptcr fcnfus circa
hxc qui- 0id cft,ad vcrbum,Tumori- bus.Hoc autcm idcirco additum cft(monentc
etiam AlcxSdro ) quonia qua- IrtatesTfta; fen afTc&ioncs,acutum nempe,&
obtufum,equiuoce fc habcntin fono,vocc,taporc& molc fcu magnirudine,quarum
illa qux ih fono cft,adau dicum pcrtinet,( vnufquifquc cnim fcnfus,&
propria obiccta &: corum J ifcrt-
minaomnia,pcrcipcredcbct)quafvcr6infaporead Guftum,quarinmagni-
tudinefcumoleadomnesjfcu faltcm adplures, putavifum& ca&um. Vc- rum hic
duplcx oritur dubitatio.Prima,quia fibi Ariftotcles rcpugnarc vidc- cur:naminfccundodeanimaconc.d4.fcnfiliacommuniaquinquc
cancumc- numcrac,hicfex,acqucabillisexpartc diucrfa. Icem,nonab omnibus fcnfi-
bus pcrcipi hic vt ibi,fcd a pluribus vno fatccunquz fcnccntia,cont.&,
&: 64. lccundi dc an.aducrfatur.Secunda dubitatio cft, An abfolucc fit
vcrum, Scn- D fum in propriis fenfilibus nunquam dccipi.Priori dubitationi,quod
ad prima partcm,ita facifTaciuc nonnulli, Ariftotclcm hic non cx propria
fentcntia,fed iuxca Dcmocriciopinioncm loqui.Sedccrtchocrcfpofum,frigidu cflc,
quis non vidcc?Nam &: Ariftoc. in pra?fentia,vcrc acquc cx animo Dcmocritu
rc- prehendir,qu6d propria feniilia cum communibus(qu$deinccps cnumerac) incpcc
confundcrct:&: in Cacegoriis itcm, cap. dc Qual. a fpcru m &: lamc,ra-
rum&:dcnfum,non qualicatcm,fcd ficum quendam partium indicarcoften-
dic:qucm ficum parcium fcnfilc quiddam communc clTc, Utis conftat . Dici- mus
crgo, vci fuperius quoquc in procemii explicarione: Ibi gencraliora U
velucifumraacapicaenumerarc,hic &:alibi abquando,dum fpcciacimma- gis agic,particulariora,&:qua:ad
illospr^cipuosjvducifoncesrefcrucunquid cnim ETSENSILIBVS. 181 cnimaliud
func,varii ifti iicu$,nififupcrficic$hoc atqueitlo modo ideftva-
rii$formi$acqucfiguri$ difpofica;?acqu*ifigura vnum cft ex quinque fcnlili- bus
communibus : nulla igitur Vel in riumcro, vel in fpccicbus , hac quidcm inrc
rcpugnantia cft. Sccuttdac vcroprioris dubitdtionis parti, rcfponderc
poflcmus.OnN 1 s appcllationc,inteIIigialiquadomultos,fiic6traMv 1 * 1 vocabulo
delignancuromnc$:vci& hotat Ariftotcles inPdcticahis vcrbis: Mulcividcncur
ranquarrt omncs,omncs vcropromultis fccundu mccapho- rarridicucur.Ec ccrtc
norifemclid quodcft'w"A*"WidcftplCrunquc, nori femcl ncccflarium
nuricupauit:comparata fiquidcm illacum iis qua: raro acciduntaut 3R ^9 io,aut
quidhuiufmoiiacomnum^busircmmul^aheprofiafcacur^circaquasMa- thcmat.c
vcrfctu^Exc^I.gratiaumom^regularius.&abaliisquanncatib'
pan,oncsal.a:.Ccrtefatcdum crit in Phyficis,caufas quafdam rcpcrir. ccrtio- rcs
lenluiq; not.ores,quam inmathcmaticis:ac proindcin ill.s dilciplinis ma-
g,squammhistutiorcs& potiorcs po/Tc demonftrationcs habcr. .Quaiei- rur
raoonc vcrum crit,quod apud omncs tanquam verillimum habetur,Ma- thcm at.cas
difc.plinas idcirco in primo gradu ccrt.tudinis eiTe , quia a notio-
nbusnobis&natur*proccdunt?im6quod Srmplicus ipfc inpriori voJum. de
an.com.ii.a.t,Mathematicas fc.licet idco ccrc.f/imas nuncupar. , quia ,n
quant,tat,bus vcrfcntur,aut qualiut.bus,qua5 vel fcnfus,vcl imaginatio pcr-
c.pcrc poceft. Vc, um , nc n.mium 4 propofito noftro difcedamus , al.m rcm B
i]f nc (q^lioqi^difr.ciIl I nncft)cop.o/iustra^ illud dixnTc fat efto,matcriam
a quaPhyiic' (cam quoad caufas, quam quoad
propnccaccs).mmuniseflcncquir,totius.mpedimenti,confufion.s,&inccr-
citudra.s cauiam cflc. Al.ccr ic habcnt mathcmaticorum proprictates & cau
f:qua7Cumamatcrialciungantur,lucid.orcsatquemagispcrfpicusfunc i- ta vt apcrcc
apparcat cas luarum proprictacG caufas eflc.Idcrco Ar.ft in t e 'r
tiophy.conc.71 5c 75 doccrevifuscft,nih,Iproh,bcrc al.quid fccundumJ>i-
r^verum eflc:fecundum autem rem,falfum : acqui Mocus(vc de ipib in pr*-
lcncialoquamur)n6nncininflnicumvfqucveloxreddipoccft>idccrccfccun- dum
imaginac.oncm vcrum cft , reipfa tamcn falium : c um inccll.gcn tia dc-
tcrm.nato tcmporc carlum fuum moucat,ac tanto, fcu tah, vt ncquc tard.ori ncquc
cclcriori ipfum moucre qucat. Scd rcdco ad rcm noftram , pro qua ad
hucqua:nfolct,quxnamfacuItasillafitqua7infi:,gulisfcnhon,bustrcs^^^ c
conditionesadeflciudicet.Ncquc enim vidctur Mentcmidpr^ftarc poflc cum n,I
,pfacognofcat,nifi fcnfu ipfoprarcutcncquc Scnfum,quandoquid ludic.um de debita
diftantia,nonnifi coliacione quadam acquc rariocnac.o- nc fern queat,acqu i
cxteriorcs fcnfus , non difcurrunt. Prxtcica , vcl fcnfus i- dcm b r * v > AAfiir xam&t /jtd/\j^a
a/&drttd-af } ^ rur a?U ivarTtont! rt dtsre-ifctir cvlur rcZr apudrctr
^dvayxaf or,x) T*V %L>uii\*^dhabeccontrariu. Ego rcfpondco, figuram tfuo
figntficarc,vd fupcrficicm ipfam iincis rcrminacam,id cft iphim figuracumfecundumlongicudincm
auc aliam dimchiloncm, vclipfammec ccrminacionem,id cft afrc&ionem quandam
fnpcrficici.rrimo modo quanci- cas eft,fcc. qualicas.Ex quo Simpliciusin
Careg.icaloquutus cft,N6 fignificac
hicFigura,mulcitudinemlinearum&:fuperiicicrum,fcd aliquam fupcrficici
figuratione,quace'nUs fcilicet in angulos, vcl quid huiufmodi rcdigicur. Harc
illc.Scd addamus,ngura quocjuevc cjualicascft concrarietacc carcrc , vc ibidc
cxponitur.Scd haic alibi copiofius.Hic igiturnon modo figuram,fcdipfa quo quc
figuracafptaamus,ex quibusfapores,iuxca Dcmocnci fcnccntiam,cOi
hcicbanrur.Poftremaacccdic ratiohuiufccmodi,Sifaporcsfiunt cx figuri:
crgoiaporcsfuntin/inici.ConfequensfaIfum eft ,vcfuperius aduerfus loan ncm
Iand.oftcndimus:dcterminatasenim faporum fpccics habcmus . Quod quidcm .i
nonnulhs ita mathcmatice probatur: quia ncmpe figurz rarionela tcrum acquc
angulorum crcfcere poifinc in infinitum. Sed Ariftotcles hic
mathcmaticenonJoquicur ,cum Phyfice pociusdcorcu faporumcx Phyfi-
cisprincipiisaauquccxiftcncibus rariocirtetur,qux ccrccadu infinicadart
nequeunt; Anftotclcs tamen c rc nata(vt aiunt)loquicur,&: conccdic atomos
illas figuratas,vt Dcmocrf cus fcncicbac,infinicas citc,vcl falccm infinitis
mo- dis poilc coniungi:cX quo fcqui vult,infinitos fapores confticui,ciim ab
infini toinfinicum confticui rcac poflk. Ha?c cx Alcxandro. Vctum obiiccrefta-
cim pociuc Dcmocricus,infinicosc/Tcfaporcs,fcdnon omnesfub fcnfum ca-
dcrc.Occurric crgo Philofophus,oftcndcns huius diutrficacis caufam illos
afferreoporcuiflc,quod ciim non praeftiterint,argumetocflc potcft illoscau- fam
quoquccurfaporcs adfiguras rcfcrrcnc,prorfus ignorafic . Vnum prar- ccr
hxc,paucis animaducrtcrcplacec,ncquisincaucusdccipiacur.In priort
argumcncatione, Ariftotdcm affirmare vidcri: Nullius (cnfus munus efle
communiafcnfilia pcrcipcrc, auc faltcm folius vifus:hoctamcnrallumeft,
vtnosdcduximus.Affirmacigituribi,maximam &: potiffimam illorumno- titiam
vcl ad nullum cx fcnfibus vcl adfolum vifum pcrcincre : quod non rc-
pugnaciisqux Anftoccles in fccundodcanimadocuic,fedfentencia: Dcmo criti,quicum
faporcs quorum fenfus pcculiaris&: pnecipuus iudcx Guftus- eft,ad figuras
rcuocarcc,Guftum figurarum iudiccm pociil3mum,confcqucn- ccrconlticucbac.
Nuncad alia. tuiti* rn ,86 D E ORGANIS SENSVVM Ka/ z&i fj8p tjT fct/tnT
qyu^idfmfai^ayttpabJjt W$nTr yyujutolxtiart- yet rLo ax*\n h rri pjJcKryltf ,tS
trtp) rSr ^vtSr. ' Ca:terumde fapore &Guftabili ha&cnus.nam
reliquarfaporum af- fe&iones, peculiarem obnnucrunt tia&ationem,in ea
parte phy ficx co- mentationis ciua: de plantis agit. Nonnulla tancum vcrba
func annotanda.( yw). non intclligas faporc qua- tcnus guftum arrtcic,hoccnitn
fibircpugnarcc, icd faporcm iam in achi con- ftitucum quo ad ciTc,in poccftacc
camcn adfcniioncm cmjricndam: hocliqui dcm vcre guftabile cft . Ariftocclcs
auccm & dc onu iaporum cx fuis pnnci- piis,& dc ipfo faporc iam conft
icuto nonnih J cgic,vc cx fuperius cxpoiitis pa tec .(*AA vc fu-
prainnuic,&cxfruluum varios acpropc innumcrabilcs (aporcs obcincn-
uumquocidianadcguftationcpacec.(*'' , 'V'' 1 * ).Duos huius tra&ationis li-
bcllos habcmus,in quorum fccundi finc id iplum agcrc vidccur quod hic pol- ]
icitus cft. Alcxandri camcn ccmporc vcl ht laccbanc,vcl pro Ariftocelicis nd
agnofccbancur. Tct ahrcr rc6 vyfxSrc f.
- v r/rw% crojfT tr a AAa> yii a rc 15 ^v^wr vyplrft atpix) 1 quod
hicvocacur-w^^^.AliccrintCTprctarividccur Alcxan.qui vultlim.licudincmiftam
& ad mcchodum rratationis,& ad caufarum affi- nicacemreferri.Nam &
a caulis fcu principiisodorum cxordiccur Ariftoc . fi cadcm erunc quae faporum
trincipiaipforum,ncn pc licci;m& humidum, ii priustamcn (aporofa (inc :
ncque cnim odor, cjuidaliudeft quam quali-
tasqucdaacorporcfaporofoclara.-Vcraquecxplicaciovcracft,& tcftrmonio
Ariftocclis conflrmari poceft , qui fuperius docuic faporem ,& odorcm can-
dem fcrc paflioncm c(Te . Scd ccrcc quar Thomas aic , nimis communia funt,
proximiora qua? Alcxandcr, & arti Ariftocclicxconucnicntiora. Qt 1 !* ft
fc- quamur T non modo fcopus,fcddiftrtbucio conccxtus planacft. Primume-
nimiibi de fapore agcndum ctTeproponitcdcmordine,& iuldcm principiis. mox
ET SENSILIBVS. 187 ^ mox cractationem ipfam aggrcditur,ibi: (Quod cnim
inhumido).Vbidocrr, Quicquid ficcum in humAiu agir
inorcufaporum,idcipfummethumidum, ficcum,fcu
fapcrofum^cudumaliudgcnuscfficcrein aerc&: aqua : quarduo vnico nominc
&: co-fimuni idcirco in pr.ck ncia appellac, ii Jfep**it, propccrca
quddcilmabacia &: aerefaporescatenusrantum cliciatur quaccnus humi- da func
abftfgcntia faporofi licci,(humidus enim eft acr, humida icem aqua)
humidmagcnscumalccroinfermoncconrundcre potuifTet,atquc indco- raciom parere
obfcuritatcm. Proptereaque Ariftoteles ncquis cale princi- pium ad ortu odorum
pcculiaricer requilicu, riui Diaphan** cflc exiftimarcr, addir,paflioncm iftam
quxcommuniseftacri&:aquac,abcis tamcn infcpa- rabilis, nil ad odorcs faccre.Quandoquidcm
aer & aqua odores recipiut, non _ quaccnus pelluciJalunc, lcd quaccnus
luahumidicacc faporofam liccicaccm lauancacq-.abftcrgunc. (Inahogcnere).
Alexandergcminum horum vcrbo- rum fcnfum proponic. V nus cft, Acrem &; aqua
non qua humida & pcllucida funt fcu laporum fufccptiua , fcd qua aliam
quandam naturam gcncrando o- dori (cu rccipicndoidoncam habcnr ,od6rum caufas
effe. Altcr cft , ficcum faporolum lnaquavclaerccfficcre vr odores
prodcantinaliogcncre,ncmpe odorabili,& quod nacum iic vt ab olfaccu percipi
queac : nu cnim idcm gcnus cft odorabilium &: deguftabiliurn. Leonicus
vcrunq;ienfum probauic.Non- nulli ex rcccncioribus primum cxplodunt, fccudum
rctinent.Scd certeneq; cur illum rciicianr,neq> cur huc probcnr,ratio vlla
adeft.Nam quod obiiciuc, priorcm fcnfum repugnarc Ariftor. qui docct acrcm
&: aquam fapores pare- rc quaccnu* abluiinr,&: fua
humidicaccabftcrgunr,nulljus ponderiscft:quia q in conccxtu non habecur,
aquam&:aercm fuahumiditate abfolute odorcs gignerc (quod ipfurri ncgat
Alexandcr) fcd fua abIutione&: abftcrfione fapo- ro(i ficci,odorum caufas
efle,quod non rcpugnat Alcxadro. Nullus fiquidem fimpliciter diccrct Aquam
&:acrem vt humida odores produccre,cum vt hu- mida,multa aliaqucant
efHcere,putaaqua faporcs, qucmadmodu fuprafuic expolicu:acquisraceri
verebicuraerem &aquamqua humidi abfterfiua la-
porofificci,faporesgcnerare?nullusfane. Obiicicndum icaque Alexandio fuiffcc
pocius , Ariftotclcm in hoc contcxcu non modd loqui dc principio o- dorum
rccipicncc , ica 41 doccat odorcm in acre &: aqua tanquam in reci - pictc
produci, fcd de principiis odorum conftitucntibustquod patet ex com- paratione
odorum cum faporum ortu propofica : & vcrba hoc indicant,fiqui- dcm ica
habenc: Quicquid in orcu faporum liccum in humidopraricac , idcm humidil
faporofum in alio generccfficere: &: hocquod in aliogcrtcrecfficic, in acre
6c aqua agcrc. Cum crgo proponac nobis Ariftoccles cam caufas odo- rumquam
corpora inquibusillxrccipiuncur,&:racioncm fccundum quam, P reccpcio fiac,
lacius forcafle erit omiflb Alexandro diccrc , pcrix>^, fic- cum iplum
intclligi: quod cnim profaporibus (iccum in humidooperatur,id pro odoribus
humidum faporofum in (icco praeftat : quod *aaVIW vocat, id cft aliamnaturam ,
ab humidodifferchtcm ( nomincfiquidcrn gcnerisrton fc- mcl aburicur
Ariftocclcs). Harc cxplicario confirmacur iis verbis , quae in po-
ftrcmaconccxcus parccapponuncur, in quibus doccr, naturam illam aefis &:
aquxcommuncm ,eatcnusfufccptiuam odorum cfle, quaccnus abftcrgic &C quali
lauac faporofam ficcicaccm, quam nomincJj^ot/tj^T-Tw appcllat:ac ii diccret
Ariftocclcs, hocgenus fccundum quod, humidum fapidum odores in aqua&
acregignic , cft ipfum ficcum: vcrunq; enim ipforum, affici potcft a (iccitate
rei odorab il is :u* -.->-, id cft,proptcr candc naturam *vwxh , pi^fl/w.
Scd quidplurarSumicurhcccxplicaciocxipfomctATiftotelemfcriuSjvbidoccbit ^iiHi.
1 t g8 DE ORGANIS SENSVVM, odorcm pcr euaporationcra crfici , qua* omnis,
cxiccationc gignitur : ad hoc tamcnhumoraliquisdcfidcratur: ctcnira
exfinvjilicitcrficcoinquodcalidu A nil agcrc valct, nullus halitus attollitur.
Ex quo qu^rnadmodum aqua cx fe faporcm non habcbat , fcd cx ficci admixtionc ,
ita iicaim ex fc nullum cdit odorcm, nifi humiditatis additione,quod in ignc
&: tcrra pira coftare potcft. fcd hxc pluribus infra. Animaducrtaturautcm
in pra*fentia,idquod in initio contcxtus vocaucrat Ij^.^r j->,infinc vocafi
r ci>ywu&OTr7r:&: rt&e:namli. cctfaporofum &: humidum &:
ficcumfimulfit, odor tamcn ab ipfo rationc ficciorum partium efficitur atquc
clcuatur. Ot/ $ fjUtot cr aVp/^tAAa or v& 6a^ vy p*\ ttn a r fi cV vypcf
TgZ 'tyyyuov Znpov $vp*tvr 7o Toniflfft. 6) Non cnim in aerefo!um,fcd
inaquaetiam odor fentitur^ucd in pifci- bu5 & oftreaccis perfpicuum
eft,qua; in aqua olfaciunt,cum tamen nul- lus lbi exiftat acr , (fuperfidet
enim cum quid eius genitu fuerit ) neque lpfa refpirent. Si quisergo vtriinque
aquam(inquam)cV aerem,humidu cfTe ponar,ent certe fapor, natura ncci faporofi m
humido , & hoc ipfum eritolfa&ile. Dixcrat ortum odoris in aqua&:
aere ficri, quod nunc probat &: przfertim
dcaquadequamagispotcratquiuisarabigcrc. Nanquc inacrc&homincm &: cztcra
ahimantia olfacere compcrtum cft.Probat autcm (iuxta nonnullo- rum
fcntcntiam)quod ad odorcm ipintualcm &: rcalcnv. Dicamus nos inprc,- fcntia
,odorcm rcalcm nihil aliud cile quam ipfamct fpccicrum olfa&ilium
ipultiplicationcm,idcircoq;nullumcfieintcr vtrunqidifcrimcn.Satiuscrgo eft
clauoribus vcrbis aifercrc odorem duobus fpedari modis pofic: vno quod C ad
corum 01 tum, alccro quodad corura opcrationcra. Hic ab eorum opcra-
tione,quatcnusncrapc fcnfum afHciunr,odorcmin aqua ficri dcmonftrat.
Dcmoftratio vcro huiufmodieft, Pjfccs&: oftrecoderma,in aqua olraciunt,
eigo in aqua cft odoncofequutio notaeft, quia vbi fcniio , ibi fcnfilc
prarfcnj. Afiumptio nota cft,cx quarto dc hift. anim.cap.8.vbi oftcnditur
pifccs quidc nullum pcrfpicuum olfactus organum ad cercbrum tranimeans
haberc\olta- ccretaracn.Qupd pluribuscxpcrientiis comprobatur,cfcam iiquidem
non recentemrcfpuunt,fanguincm propnum erfufum fugiunt:qucm neodorent in loca
longinqua fcccdunt,iolis odoratis c propi iis fpccubus in quibus latct, a
pifcatoribus cuocantur, variil quc vcfcis ad qua? folo odorc auide accurrunt
abiifdcmcapiuntur. Scdinftarc quispoilct, pilces in aqua olfaccrc rationc acris
in aqua inclufi : Rcfpondct Ariftotclcs , ncque ibi acrcm adc/Tc , ncque
fiadcftct,pifccs vllomodopoflcrcfpirarc. Primum itaprobat,Intusinaqua non adeft
aer , ergo pifces non olfaciunt ratione acris.Cofcquutio patet* Ma- ior
expcrimcncocomprobatur,qu6d aerem intra aquara contincri non poflc docct,quin
ftatim fubfiliat^tque ad furarau aqu ar afccndat- Vtrem inflatum in aqua
dcracrfum,&: deinceps pcrforatura pro cxcmplo adducit Alcxandcr.
Sccundura,hac ratione aftruit.Pifces non rcfpirant, ergo acrem liccc in aqua
adcilct non pcrtrahcrcnt: cx quo fcquitur,illos non rationc acris odorarc. A i- fumptio rcpetita eft in z. dc anim.76, &: in
loco citato. Excipiuntur tamc m 6.
dchift.anim.cap.ii^&a.dcpart.eorundeca.^.pifcesquififtulahabcntyVtBa- lena
&: Dclphinus,qui fpirat,recipiun tq; acrcra,qu6d pulraonc prcJui li n t :
1- moDclphinos roftro cmerfo dormire ac ftertere vifos efife, Arift. i
pdit.&: ratio adcft ETSENSILIBVS. 189 adeft(quam attigimus)id ipfum
probans:nam refpirandi ratio eft a pulmone, A piiccs non habent pulmoncm,
piiccs crgo refpiradi occaiionelcu rationeca- rcnt. Maiornoracftrcum
rcfpiratiofit motus ipfiuspulmonis,&hic ficprar- cipuum illius
inftrumencum. Minor pacer, quia vfus pulmonis & refpiracio- nis illis
dccft: cum cnim refpiracio aercm cxcrinfccus rccipiens c6 ccndac , vc animalis
vicam,calorcm illius inficum quafi vcncilacionc teropcrando, cufto- dicnd6que
confcrucc , pifccs pro aerc aquam habenc, vndc lacis rcfrigcrari qucanc: hxc
pluribus Ariftoc Jn fecundo dc parcibus animJoco cicato, & Ga- lenus in
fcxco de vfu patc. cap.i. Pifces ergofinc rcfpiracionc olfaciunc,quod
Aucrrocsiccm in fccundo dc anim.com. 7ittrtfu). Dc his min 9 manifcfturo crat,
in aqua nullo aerc pncfcnce rcfpi- rare-pro quibus lcgacur Aucrrocs in ccrcio
dc parc.aniro. cap. de pulmone,& Ariftot.in quarto dc de hift. anim. per
plura capita.^iwwWw^.Relpirationcm Hippo.in quarta part.aphor.68, fpiritG
vocauir,vt ibi Galenus facccur. Tcm- C poris
progreflufpiricusillcinfpiracionis,accandcmin rcfpiracionis nomen
apudMecticostranfiir. Mocumilluro pulmonisfignirlcat,qui parrima racul-
tatcammalipanimanaturali proficifcitur,quo accipimus fereddimus fcu
infpiramus&: cxpiramus acrcm,vt calornaturalis in cordc flabclletur&
con- fcruetur, fuliginofumquc excrcmefctum fimul cxpellatur.dc qua rc pluribus
Ariftot.&Galenus in fuisdc rcfpirationclibcllis.(Si quis crgo vtrumq;).Tam
acremquam aquam humidam cfle cx fui natura fatcntur omnes * acrcm ta- men primo
vulc Auerrocs in fccundo collig.cap.i.&: primo l'vx canc. com. 1 5 .
colligicur autcm cx Ariftot.in fecundo dc ortu & int.cap.fc.´ 1
egregieq, difputaturaducrfusGalcnum,&cxperimaaabAcchill.inj.dcclc.dub. 14.
0"ti \*fe ^Mor.fV 0 /A> *oo-,#f t* h AAflr tot**h>ffl 0 ' A**M y*p.
66 Otterum hanc aftc&onem a (aporolo prcficifci , ex odoratis &in-
odorivtebxis perfpicuum redditur. Namquc elementa,vt ignis*aer,aqua r
terra,inodtefunt,proptcrea quod quxexeis tumlicca,tum humida OlUjOJ :
-*> ; *.' ' ' ,9o D E ORGANIS SENSVVM, {unt,faporem
nonhabcnt,nifiquidillis commixtum (aporem cfficiat. ^ Quapropter Marc odore
habct, fiquidcm & faporem & (iccitatcm ob- tinuir.lt fal, Nitro eft
odoratior. argumento eft olcum quod ex lpfo ex- trahirunNitru vero mams tcrreum
eft. Praterea, lapis odons eft expcrs quia fapore carct: ligna c conrra , quia
fapida.& horum ctiam minus o- lcnt,qua: aquatica.Adhxcex metallisAurum
odore vacat,quippecui(k- J>or nullus ineft. AEs & Ferrum non carcntodorc
: cum vero exuftum labuerint humidum, Scoria? illorum omnium, modora: magis
reddun- tur. Argetum & Stannum , quibufdim metallis odorepraftant, a qui-
bufdam fupcrantur, aquca fiquidcm funt. Quodfaporrccipcrecurinhumidoiamprobatumcll:
quodvcroficcifapi- diiit(qux dux particulx dcfinicioncm
odorisconftitucbant)nunc dcmon- ftratun Ratio proponiin hunc modum potcft :
Quxcunquc fapore carcnc, odoremeciam nonhabcnc&quxcunquc odorcm obtincnt ,
faporofa func, &noncconcra: crgofaporeft qualitas
naturapriorodore,&adquam odor confcquitur. Vis confequutionis indc fumitur
, Proptcrca quod illadicuncur nacura priora& aliorum caufa , quibus
pofitisalia non ponuntur neccflario, ablacis camen alia aufcruntur, ex Poftcatcgoriis
& quinto metaphy. cont.16. AiTumpcioprobaturquod ad vtramqucpartem:
probatioplanacft,&cxpli- cationc non rcquirit: tantum crgo fingula paucis
expcndamus. ( Nanque c- lemenca). Elcmencaquiaiaporccarent,
odorisfuntcxpcrtia.Saporc auccm carencquia commixtionc (icci cumhumidocx
quafapor prodLir,dcftirura func:qui fieri enim poccft,vc clcmcnta, i.corpora
(implicia& pura,quxq; pcr ipfas
quahtatcs conftitui vidcntur, mixtioncm duarum qualitatum cocraria- rum
obtmucrtnt?concluditurcrgo,quiaficcumilloru,putatcrnr&ignis,hu- niidocaret:
humidum vcr6,putaacris&aqux,(iccodcftituitur,clcmcntain- fipida prorfus
c(Tc. Sed obncict aliquis Marc,quod eft aqux elemcntum & fa- porc prxditum.
Rcfpondec Arift.in Mari adcifc ficcitaccm, ncmpc terrcam cxhalationero cum
humiditacc pcrmixtain, ex quadcinceps fapor falfus cffi-
cicur.Hxcinfecundoracceor.copiofiusdifpucatafunt. Sed inftabit aliquis,
Ergomarenoneftclcmentumaquz. Refpondco cxeodcm quartomeceor. Mare non e(Te
principium & elcmencum aqux,fcd id potius quod cx co prin- cipio&
clcmcntofub(idec& manec,cotiusaquxlocum occupans,dulciflima illius partc
atquc tcnuifiima a folc eduta atq; fublata. ( Et fal nitro eft odora- tior).
Obicctioaliaquz probat tcrrac(lcfaporofam:nafuprafalquzdatcrrz (pccics vocata
eft.Eodcm fpc&anc quzde lapide dicuntur. Hanc igicurdiluit> -
Arift.oftcndenscum prxdominioquidcm tcrrcum&ficcumcflchumorcm tamc
admixtufhabere, quod collatione ipfius cum nitro magis coftat, quo fal rj)
(aporofus inagis&odorus eft,ob fuu exccfllim in humido. Argumcto cftolcu,
i.fuccus qui cxipfo in maiori copiaqua ex nicro quod magis terrcu cft,excipi-
cur.Dcfaleauce&nicroPli.li.ji.ca.7,& io.Diof.li. 5x2.84.6: 88.
Gal.nonovol. de fac.fimpl.mcd.cawi i.copiofe agut:vcomitt5 quz Arift. noftcrin
4.ractcor. dc iifde alufq;cius generis,c6c.40>& alibi,&Plai;inTimxo
cradioJt.Qupd au- cc cxfaleoleucxcrahacur,Chimicifacisdcclarar, qui tcftc
Albcr.& Aucr.ex omni lapidc olcu cducunc. Oleum cande & qux illius
natura rctineht, magis aquea cnc quacerrca , licct apredominioacrea jppri^fintjcolligc
cx ArJft. in. * 4.mcc.Ioco citaco.vbi oleu a frigido cra/Tefccrc docer,quia
partcs llli* humidc in aqua vcrtuxur,ex quaru mixcione oleu c6ftancius&
craflius rcddkuna cali-' do icc,non quia ccrrcu (ic,fed quia vi caloris parrcs
illz humidc aqucz tcttuio-* rcs ET SENSILIBVS. i 9 i res exhalat,quibus recedcntibus,quod craflius
aquar cft in olco mahcr.Scd c- gctiftamcceorologicafpcculacione.Nuncad rcm.
(Lignaeconcra). Secuda parsallumpcionishicaitruicunodorcnim
iaporcinfcr;,tnconi'equucionc, ac iaporodorcm inprodutcione:imo
inlignisipflsdifcnmcnodorum rcpcritur ob faporis quoq; qua obcinec difFcrcnm.
Nam quar mulca humidicacc acquc
indigeu:arcferca(unc,vcomniaquinaquisdegunr,minimumarqucimpro- porcionacu(ica
cnim fuperius loqucbacur Ariftoceles)laporcm Iiabcnt:idc6q; dcbili quoquc
odorcpncdicaiunc: cconcra quxhumidiraccmopcimc pcr-
mixtaScapprimeproportionatam cum liccoccrreohabenr,qualiafunc qux
Gummicmiccunt, vcpinus,cuprcflus,abies. Neq;repugnanchxciisquxde falcdixcrac:
quandoquidcm ibiin comparationc nicriloqucbacur,& fal ob copiam calidi
tcmpcratummagis magifqtdigcftumhumidum habcc. Salc- B
nim&nitrumacalidocoagulataiunt,idcirc6qucnon niliafngido humido diiTolui
poilunc: folus cnimcalor in aquam falfam agcs cxprimcrc & quafi rc- folucrc
omnem aquam dulccm poccft :n.im& frigus alioquin aquam faliam coagulare
poccft,vc Albcrcusadmoncc.( Aurum odorcvacat). Vtina qucm- admodum ncquc
olfactu, ncque gullu ,ica ncqucvifu,vcltacu,velaudicu pcrcipcrccur: nequc enim
illius famcs mulcorum morcalium pcclora , ad cot indigna facinora pcrpccranda
cogcrcc , quoc afliduc cogic. Odorc vcro & fa- porcipfumcarcrc paccc,cum
minimum humidum fic,mulcum cerrcum,pu- rum camcn.Indicio cft, illud grauiflimum
eflcygni cxpoficum non cuancicc- rc, non cingcrc , prxtcrea vcio rubiginc nulla
obduci, qux cx crudx humidi- catis copia ad cxceriorcs parccs cxhalatx mctallis
accidic: vel ( vc omnis fcru- puluscollacur)diccndumeft,maccriamquidcm
meralloru cmnitim & ipiius auriaquam ciTc, fcd humidum cum
eiusliccoperfc&iflimecommixttmatqj C compactum cflc: ica vc humidum illius
a fuo licco nullo modo fc parari qucat, cenaciflimumqueinccrommamccalla
habcacur. Quocirca Arift.aurum pu- ru elixari poflc rc&e ncgar#n quarco
mcccor. cor.ifi.Ec Mcdict inepcc aurum fc purum dccoquere polfc putat in fuis
medicamcntis, vc xgrocatibus cpe fc- rat.nil cnimab auro quam fordidiorcs
quafda partes fua rlia cbullitionc fcpa- rat, qux fola caufa cft, vt minoris
pondcris cuadac. Qcx dc JEtc tc Fcrro, Ar- gneco icem 6c Scanno adduncur,eodcm
percincnc &. noca func:id cantum mo- neo, Alcxandrumfuilfc
dcccptumquiaflcrat, Argcntumfc Stannum plus humoris habcrc quam xs&i.
fcrrum:tuc cnim Ariftocclis racio nulla eflet, qui vulccxiccatamagismctalla
iniipidiora ficinodoia magiseflc, vrdcauroau- diuimus,cui deinccps xs &
fcrrum opponit taquam humidiora: idcoque ma- iori faporc, odorcquc prxdica.
inmedio Aigencum ponicacquc Stannum: minus crgo faporis& odoris habcrc
dcbcnt quam xs &fernim,minuique D humiditaris : magis vcro
quamaurum,cuiustantum ccm parationc, aquca nuncupantur. Quid,quod aigcntum ad
mixtionem auri quam proximc ac- cedir, ciufquc puritati, firmitati,ccnuicaciquc
iubftancix pei (imilc eft-.quo flc vtdum liquefcic,igncnonabfumacur,
ncqueactcnuecur,vc plumbum&alia: imo (i purum argcntum (ic, longioribus teraporum
pcriodis,in auni m aliqua expartccommutaritradanc. Acqujminimumfitiplum quoq;
rubiginiscon- trahit. Sed nonnullacx hisquxha&enusi)abuimus,chligcnrius
trattari po- ftulac , quod ipJisrc&e cogniris dcfinicionc odoris alioquin
obfture tradiram facilius pcrccpcam iri conftet.Primo igitur dubitari
folet,vtrum odor in Cicco fundamcntumhabcat,vclutifaporin humido. Dcindeillud
in quxftionem cadit , An cum odor a licco faporofo pcndeat , tanquam a
conficicntc cau I .i, iapocabfqueodorccflequeat. Aducrfusailirmaccmparccm
primacquillio- i 9 t DE ORGANIS $ E N S V V M, nis,hxctaccrc vidcnrur. Odoris
marcria cftaer vclaqua, quarfunchumida, crgo odorcs in humido non in ficco
fundamencum fuum habcnr. Corifcquu- ^ tio cx lc patct : Maiorcxiisquac fupcrius
Ariftot.doccrcvifuscft. Iccmadue- nicntc humidicacc,puta manc,magis quam in
meridic*autiorcs &cvalidiores rcddunturodorcs: qua ctiam rationc Ariftot.in
partic. duodccima probl. 2. aic,apparcncc Iridc ob aque
humidicaccm.plancasodorabiliorcsrcddi:Cam- phora iccm rof.v, viola*, &:
alia huiufmodi f rigidiora & humidiora, maxime o- doraca func.Scd oppoiicum
huius doccc Ariftocclcs,cum odorcm calidi &: fic- ci cilc non icmcl in fuis
libris rcpecic,& cxpcricncia hoc comprobac i nam lo- cis&C ccmporibus
calidioribus , odorcs inccnfiorcs a ftirpibus cmittutur. Pio hac quiftionc
profiiganda dicendum cft, faporcm &: odorcm Wm') quxdam fcu quaUcaccs
quafdcm fccundas cflc,qux primas fcquunrur.-humidum nepe M ficcu calidicacc
mcdia qu r digcric, acq; pcrmifccc : diucrfam rame vcriufq; racioncm clfe,quia
fapor oricur cx mixrionc ficci cum humido vincccc humi- n do, odor cx cadem
vincence ficcoiyxw. Qux caufa eft, vt odor rtiaiorem cxi- gat caiidicatem,a qua
cxci tari qucat : lapor vcro non tantam : Mixcionc vero illam humidi cum iicco
ex qua fapor & odor , non fcmper pcrfecram ciTe , dc- clarant,Marc, Fumus,
aliaquc huiufmodi no pauca.Scd huic decerminaciom nonnulla rcpugnarc vidcntur,
acquc illud imprimis ! Odor eft cuaporacio fu- mofatcrgo nil cum humido habcc.
Aflfumptio cft Arift.qui hoc ipfoarguincn- to, fuperius, olfa&um dc nacura
ignis eifc demoftrauirconfequutio noca cft, quia huiufmodi cuaporacioncs,vc
ahas cx priori mcc.oftcndimus ,quam pro- ximead nacuram ignisaccedunc.
Prarccrca Anft.probauit quarcunqucodo- rcm habcc habcrc laporc:qu i ficri ergo
potcftj vc qux ex rcpugnahtibus qua- licacibus pcndcanc,mucuo fc cofequantur?
pcrfpicuum cft cnim, ea quar plus humidiobcincnc, fapida mngiscflcqua: vcr6
plusiicci,magisodoraca. Priori argumencationi quidam fatiffaciunt, diccntes A
riitorclcm fiipra cX fcntetia C Vccerum no cx propria fuiifc loquucum. Mihi v*6
rcfponfio ifta abfurda ef- fc vidctur : quauis cnim dcnarura aiftheteriiibi cx
fcncccia Veccrum Ariftoc. loquucum fuiiTc conccderemus , no camcn id de nacura
odoris aflercdum ci- fcc. Dicamus crgo ibi Ariftocclcs praaiominium tantum
odoris oftcndifle, &: id in quoa faporc diffcrt: quod iibi cunc facerac ,
cum de orru& fubftahcil odorum cx propofico agere nondum dccrcuiifct .
Vcriim inferius hoc i- pfum argumcncum copiofius parcraccandurn cric:
nuhcicadimiccacur. Ad fe- cundum refpondenr aliqui, odorcm &c faporem m
codem eflcj fcd fecundum diucrfas parces. Ridiculumrcfponfum,cum&nos
cxcadem parcc vtrtfqhe pcrcipiamus ! &: ii illud admitteretur , nulla
Ariftor. ratio efiet : cum plus vel
minusodorisinmixtisarguic,cxipfofaporepr2exiftenccor dicatur
humidi,odorficci,ex iildem ta- mcnqualitat>buscfriciuntur,cumincade&cx
cadcm parre finr. Infumma iaporeft qualitas fubic&i mixtioncm fequcns,&
in eo innafccs:odor vcrd in- dc gcnerarur , imo cftc fuum in ipib gigni
habet,difTerens tamcn a fono quod caufam in rcfapida fuarfubliftentixconftantem
&c rcalcm habcat: & hoc i- pfum eft,quod nos fuperiodorcm (icci ..v :n
acrc,vel aqua vocauimus. Pro quarectiam animaduertendum, Anftotelcm inhoc
libcllovbidc hisfcn- filibus quod ad corum caufas ortumquc agit, difcrimcn
iftud humidi , vel fic- ci vinccncis intcr faporem & odorcm non poncrc :
ciim tam hic quam ille ex mixtioneficcicumhumidofiat:
iniecundoverovolumincdcanim .quia de illisquod ad fcnfus mutationcm
loquutuscft, iaporemhumidi cilc protu- liiTe, odorcm ficci. Saporcm inquam
humidi, quando vt cx contcxtu ccntc- fimo fccundo, liquec is guftum ncqucac
afficerc nili pnushumcfiar,quod faltcmalinguaoptimcprsrftari poccft: odorem
auccm ficci , quia pcr infpi- racionem rccipitur , qux nonnifi halitus alicnius
attcnuati ciTe poccft,hic ve- rohalicus naturamrei calid.c&: liccxretinct.
Quarc concludacur:quoduis corpus (iccum, cumdcguftacur
liqueficri&humcltarioporterc: quodfic- tiam valdc fic humidum, odorcm
percxiccationem& euaporacioncm emic- cere. Argumcnco icaquc facisfaciendum
cft, ncgando aiTumptionem , cum qualicacesiftxodori,& fapori,non cnbuantur
,nifi quatcnus fcnium fuum afticiunc: fccusdiccndum , ciim deorcu ipforum
agitur. Excipics icerum cr- gonullum cftdifcrimcn intcreosquo ad naruram
fubftantiamquc: Vcriim lanrfupra' rcfponfum cft. Ex hisdeuenioad argumenca
pociffimaproquz- ftionc adduda. Ecadpcimumquidem Albercus rcfpondec,Odorcm
cifcin acrcvclinaqua,quxhumidafunc,quodad cifcfuum fpiricuale quofcnfum moucc:
quod vcro ad crte rcalc cft in (icco. Sed pcccndum cft ab AJberco, vc hunc
rcalcm odorcm ica a fpiricuali difTcrercm nobis oftcndac : nam fi in fub- icdto
fpe&acur, iam fapor cft,non odor : li vero vc ab ipfo cffcrcur & iam
odor cft,con(idcracur , iam idem & qui rcalis cft fpiricualis habecur , m
alioque rc- cipicur. Idcirco libcreafHrmandum eft,maccriamcx qua canquam
cxcaufa odor proficifcicur, ficcum fapidum ciTc,id vcro in quo**9or &:
naturaiicci hu- iufmodi , fic fcu recipicur,aercm 6c aquam:idcirc6q; Anftocclcs
diccbac, harc duo fua humidicace ficcum fapidum quafi lauare quo Igf&i-ri
ficrcnc , id cft , a ficcfcacefapidaafHcerencur,&:
ipfamccodonfcrarcddcrcncur. x quo bc- ih- fcquitur odorem in humido non fundari
vt argumcntatio fupponcbat. Pro fccunda argumcncacionc Alcxander confugit ad
anripariftaibn : nam cum humidicacc illa , aliqua adcft frigidicas, qua?
calorcm intcrrium Ho-- rumcogic, &vnit: harc vnica
forciorrcddicur,agcnfqucinhumidum cauia cft euaporationis , cum qua odorcs fuauiorcs
& inccnfiorcs dcfcruncur. Sed Ariftocelcs aliam viderur racionem proponerc
in problcmare cicaco. Inquic cnim , cenucm pluuiam , fupcrucniencem ficcicati
florum , ob calidi- tatcmipfamquzin floribus incft optimedigcrcnccm
&:ccmperancempcr- mifccntcmqi,caulameuaporacionis&: odoriseiTc;liquidcm
abcxuperanci i 94 DE ORGANIS SENSVVM, ficcodiirkilcquidaccollicur feu cxhalac :
a multo vcro odorcs cxtinguncur, nccclTc cft igicur vc humidum in onu odorum a
calido fupcrccur. ideoque A- ^ riftoc.ibi doccbac, partcs orbis tcrrarum qua:
ad Oricntcm vergunt,odoran- tia valdc produccre : quat vcrd ad
Scptcntrioncm,& quarad Mcridicm mini- mum,curninillisnimium multa
humiditasaquca,calorem opprimcns,in hisvcropauca &cxquanullusqueatattolli
vapor,adfit. Scd non multum differunt harc ab iis qux Alcxandcr. Dc camphora
& aliis Concil . rcfponde- ret, ifta ctcrogenca ctfe, quocirca partcs
quoquc calidas &: liccas habcrc , cx quibusodorcmanct.
Sedccrriusdicipotcft, cuiufcunquetempcracura? ifta fint, odorcm quem emitcunc
fempcr (icci rationcm habcrc , vt fuperius quo- quc diximus cum dc organo
olfactus agercmus. Adfecundam quxftionem nunc nos conucrcamus : 6c ( quicquid
Alcxandcr dicac ) conccdamus vcrum cflc quod proponicur, quancum adcogicationcm
feu rationcm,non autcm quantumadrcm ipfam attinet. Saporenim illomodo
prxcxiftic, hoc vcro g ncquaquam,fcd cum ipfo odorciimul cft : pofitis fiquidcm
qualicacibus illis faporcm conftitucntibus, codcm tcmporc odor cum faporc
confiftcrcpo- tcft.-fccundumcogitationcmcamcn prxcritfapor, cum pnclcrtim non
eo- dcmprorfusmodovtcrqucgcncrctur:namque cx commixtionc ficci cum
humido,calido adiuuancc, in mixco fapor oricur:cx illo aucc iam fapido, qua-
licatcs odoriferacfapidi corporis ex quo cfferuncur rctincntcs , pcr acrcm auc
aquamcalorcmcdiopcrtrahuntur:Quinimoficri potcft,in corporc aliquo faporcm
quidcm adelfc , non tamcn tancam vim vc odor gigni queat. AoxeT /[' cvioic *
xa/mdSnc dvxSvutxaic, J) oafJi oSera namyiic *) etVp-,*) ovraj t oi /u%i ac
drfju- Q /ct ol j dc dvw*Ar ir*3^/W nunc appellatur , tcrrca magis cft acrcaque
, ab illa autcm ficcitatem , ab hac caliditatcm
maiorcmforticur:quoficvcleuiorfiac,&:furfuin magis attolla- tur.
Hinchorumduorum halituum tot diucrfi cffc&us , de quibus Anftotc- lesin
mcteor. Nuncillomm mcminitquicommuniorcsfunt,ncmpc Aqux, quxcx vaporc fngido
condcnfantcgignitur,&: fpecicicuiufdam Tcrrx,qux cx cxhalationc codcm
frigido conftringcnte aut calido incendentc procrca- tur. Hasfcntentias paucis
rcfellit Ariftocclcs,&: primo illam qux odorcm vaDorcm cfTc ccnfcc , co
quod Vaporcx aqua fiat, inad ipfum nil aliud fic i^J qnam aqua
attcnuata.Indicio cft,quod fi conftringatur,itcrum fit aqua. Acil C
mdcvclicinferre, Aquaminfipidameflc,&:qux laporccarcntodorcmnul- lum
obtincrc . Qux omnia,iuperius dcclarara , iuc confulto omittit. Al-
tcramitavrgcr, Siodorcflctcxhalatio, in aqua nullus cflct: fieri cnim nc- quit
vt huiuCccmodi halitus fumidus in aqua cfficiatur,quinimo ibi cu m cali- dus
&: ficcus ipfe fit,afuiscontrariis cxtingucrctur. Atquipatct abfurdi- tas
cofcqucntis, cum pifccs in aqua odor arc paulo antca fit oftcnfum. Tcrtia
opiniocxambabusiam confutatisconftarf, quarc ruitcx fcipfa: rcfutaturta- mcn ab
Ariftotcle,argumcntationc vcrifquccommuni. Si(inquic)odorcft exhalacio vcl
fumida llla fit vcl vaporofa, fequetur odorcs perdcfluuiaek fict: quod eft
abfurdum : confcquucio noca eft, quia cxhaJaciones iftx non ahud funt quim
dcfluuia corpufculorum furfum clatorum fcu confccnden- tium. A bfurditas
confequcntis cx iifdcm patcre potcft,que. fupcrfus aduerfus Dcmocritum dc vifu
fueruntallata: Nam prctcrquamquod corpora odora- ^
taanlducdiminuerentur,tandcmquecuancfccrcr, atqucdifliparcntur,olfa- ctusi
fenfuTachisnon diftingucrccur. {iumSvpMn). Exhalacionis nomcn ali- quandoquidcm
communc cftapud Ariftocelerri,icavr fpirationum vtrun- qucgenuscomplcctatur,
tam fcilicetaqucum feu humidum , quam terrcum fcuficcum: (quaratione hoc
rrominc vfuscft Ariftotcles in poftrcmis vcr- bjise6ntexcus,cumtertiam
opinioncm infringic): propriatamcn quxdam fe- paratim vocabula acccpit : vtquod
a tcrra rcdditur irV'* hoc eftfumidacxhalatio,aliquandcretiam
w^T^JVf.i.fpirituofavcI flatuofa, in- tcrdiim gencris
nomine,iravw>rfimplicitcr dicatur:quod autc ab aqua attol-
lituriruiV,i.vaporfeu vaporofacxhalatio:quanqua&: hocnomeVapor ita Jatc
r.n. , 9 $ DE ORGANIS SENSVVM aliquandoi"uniatur,vt
\traitiqucfpiraticnctn,tjucnudmodum&haJitusrcu cxhaJacio,figniiicct. Scd
mirum cftli figmficationcs iftas propoiire; horum no- minum fcruanda:
linc,qucmodo Ariftotclcs in primis vcrbis conccxtusgcnc- ratim dc qualibcc
illarum ttium opinionum vcr ba facicns dixerit, in hoc om- ncsconucnire^
Odorcmcncr3wuai7 kwJ ,acritcrrzquec6rouncm,cum prarfcrtim infcrius paulo
hancipfama vaporc diftinguac. Ccrtccx aliorum cxplicacionibus vixhabcas quidpro
rc hac rcfpondcas , nili cx noftra dicas Ariftotelem cclcbriorcmcxillis
tribuspropofuifle fcntcnciam ,ad quama- lias rcferri dicac , quaccnus , vaporis
natuta , non multuro ab cxhalationc fu- mida difTcrar,cum conficicnccm caufam
candcm, matcriaro quoqi non roul- to diflimilcm habcat: Vcriufquc cnim
efficicns , folis calor cft , materia,pqua & terra limul , licct in
cxhalationc longc plus Tcrrar & licci,in Vaporc aqyx & humidi
contincacur : im6 Cam func mucuo ncxu hi duo lulicus iuncti,vt al- B ccrum
alceriusaliquidfcmpcrcomicccur,ncc vnquam viciflim inccr lcpror- fuslibcrcncur.
Quocirca Ariftoccles rcm hancapcrircvolcns, ncmpc quq- modo alii ad hac
icnccntiam rcferrcntur, fpcciatim dcinceps dc vno-quoquc agic.
(Spccicsquxdamcerrz.) Cadroiaroh]cnonnullifignificariaiunr,dc qua Diolcor. Iib.
$.cap.4j,&c Galenusnono dc limpl.mcd.fac. itcmPJinius hbro lo.cap. 34.
fcribunc in fornacibus xrariiscx ccnuioribus acris,aucar- gcnci parcibus,vi
ignis clacis,acquc ccftudini fornacium adhxrcncibus,cfHci. Scd non vidco cur
nos ad vnam cancum cadmiaro vcrba Anftotclis rcftringc- rc debeamus,cum
prxfcrtim lllius ortus non iit naturalis,fcd quodamodo ab arte. Quarc non itc
vidco cur non dc omniBus iilis fpecicbus linc incclligcda, quarumipfc fubfincm
cerciimcccor.rocminic,nepequxcx cxhalacionc ca- lida &: ficca in ipfis
tcrrar vifccribus gignucur, funt harc
{Ott|t. irt 'ir .icui A ri* 1
ri.''' Cftt /uSp oZt cVP [yyt&i ^aroAauw 7o vypct & cV rtStndjfjutn^ 7$
cV reJvfcni^ Quod iraque humidum aeri & aqux infitum , alicjuid a ficco
faii- do fumat ac patiatur , perfpicuum eft. Eft coim aer fuaptc natura hu-
midus. , Ad condufiqnis huius perfpicuicatem &: certitudinem magis
paccfacien-
dam,Vctcrumicnccntixinterpoiiiue&:rcfutatarfunt.Sententiaplanacft.De
rationc vcroachonis licci in humidum, in volum.de orcu 6c inceritu alias dif-
pucauimus. Ncquecium qualicaces primxagcnces,a:qucagercs>aut pacien-
tcsarque pacicncesfunc,cumaiopcrfcdcionem reifequacur:idc6q; calidum vc
pcrfe&ius, magis agac,& iiccum minus ab humido paciaciir, magifque hu-
mido rciiftac. ( Omnc iiquidcm agcns nacurale , non minus pro fuimec
confcruacionc rcliftcndo , quam pro libi iimilis gcncracioneagendo laborar,
quicquid MariiLPacau. & AJbercus dc Saxon.dixerinc.) Arguxncnco cft,Hu-
midumfaciliusiniiccum(vtSimpUciusadmoncc)quamliccuminhumidum pcrmucan:hoc
dcclarac( iiquidaliud)Hebcarum fcbnum incorporc hu- mano dirHcillima Curacio,ii
prxicrcim cxccrcio illogcnere fuerinr, quod a Galcn. infccundo de diMcrccns
fcbr. cap. 8.&: 9. Marafmodes nuncupacur. Dc acrc , qua nempc racionc
humidusclfc dicacur: loca fupcrius addu&a confulancur .Coniidcranda cft
parc icu 1 .1, -m^a n , quam nunc A riitOccles pro- Acrcvfurpac. Alias oftcndi
propriamSpiricusiignificacioncm^omnibusin linguiscifc
vencum,cranifcrricamcnhocnomenaliquandoadremomnem qu fub aipcctum fcu icnfum
non cadic, iiue corporea ea iic , flue incorporca. r.iii. i 9 8 DE ORGANIS
SENSVVM, Hinc fummi, & prxpocencis Dei,hinc naturz, hinc animz, atq>
binc humani ^ corporis fpiricus (qucm Hippocraces impccum facienccm vocac) cflc
dicicur. Acqui acr,ad nacuram hanc fpiricualcm in comparacione cernc, &
aquz,pro- ximcacccdic : quaaffinicacc& limilicudincnonfcmclapud Ariftotclc
Spiri- tus nomcn forcicur. Declarauic id Ariftoccles cum in conc.;4.prioris
vol. de phy.aufc. Vctcrcs illoslaudat,quod dc principiis rcru naturalium
loqucntcs, atquc fubic&umaliquodvnumcontrariis principiisftacucnces,non
igncm, auc aquam poncrcnr,fcd acrcm: quippc cuiusconcrariecaccs minus fcnfu ap-
prchcndcrcncur,quam ignis,& aquz.Humidus cnim quidcm cft acr,imo hu- morc
ipfo pociflimum confticuicur , aqua tamcft humida magis cflc fencicur. calor
cciam acris, minus quam ignis fcnfum mouct. Scd nodus quidam ifquc non obfcurus
folucnduscft.Etcnim Ariftotelcscum dcolfaccus organofupc- rius
loqucrecur,odorcm ,fumidam quadam cuaporationc ab ignc profectam cflc afleruic
. quinimo hoc ipfo probabac,zfthcccrium olfattus igncum cil"e,i. B
qu6dabhuiufmodicxhalationciicca,realitcrafficeretur,cuius camen con- trarium
difcrce hic aducrfus Vccercs aflcritur.Qu;d,qu6d ab Ariftocclc in fc- cundo dc
anim- Odor. W fatJ vocatur,qux fane appcllatio,no fpccici fcu for- mx,fed
corpori conucnit. Quxftio ifthxc obfcura eft,& ad cxplicandum dif- licilis
, quam ob caufam inccrprzccs nonvnanimcshabuic. Auiccnna Placo- nem fequutus
infcxco li. fuorum Nac. part. |*> ca. 5. putat omnino odorc cum
defluxionibus fcu euaporationibus fumidis quibufdam ad nos manarc. Id confirmat
expomis,quxflucntibus cxipfisodoribuslongo tcmporisfpatio corrugantur,ac li
fubftantia ipforu in qua odor incrat, per halitum digcratun Itcm quia corpora
com pacta nimis, non cmittunt odorem , n iii aut manibus primum calcftant, aut
ignc ipfo , quo rcfoluantur. Prztcrea odor impcdicur flancc vcnto, quod ccrcc
non ficrct, niii vccus in aliquid rcale , & corporcum, non auccm fpiricuale
agercc. Imo Ammonius hoc addebac,'nospcr graueo- lcncem locum
aliquandocranfeunces, fudario nares obcurare , & aercm qui- C dcm
rcfpirare, cccrum camen nullum odorem percipcre: indicac hoc,fub- ftanciam
aliquam acrc ipfo adco crafliorcm , a rc olentc deflucrc , vt aditum ad
ingrcdiendum per fudarii meatus haberc ncqueat. Maximo tandcm indi- dicio elTc
potcft , vna cum aliqua fubftantiz particula odorcs cmanare, quod
&tempcrationcmcercbri mutant,(id fiquidcm aqualitatc tancum corpo- rca
cfficitur ) & manib' ipfls aliquando odores ad nares extrinfccus acccden-
tcs , acrcm dimoucntes pellcrc valeamus. Quz omnia przrerquam quod fu-
pcrioribus addudis locis, ex Ariftocclccomprobariqueunc, co ctiamcon-
iirmancur,qu6din concexcu fequcnri Frigus,odorcs hcbetarc &quafl fuf-
focarc doccbit. Hocfancnullomodoflerecniiiodorescum fumidaquadam
cuaporacionediffiucrcnc. Auerroes auccm,in fecundodcanim.conc.97.7^ 4 & 101
. vt partcm Ariftotelis vcriorem , (a qua non multum Plotini fcntentia j}
difcedit)cucrctur,aduerfus Auiccnnam probat,odorismultiplicationcm fpi-
ricualem uncum cflc, ncmpe quiaacroblequens , quemadmodum foni$, coloribufque
cft peruius , ica odoribus: quos cum ipfc pcrcepic , ad nos cranf-
mictirolfactuique impcrtitur. Quinimoprobar Auerroes mcdiaextrinfcca, fcnfllia cum
corporibus in quibus exiftut , nullo modo poflTerecipere. Verum aducrfus
Auicennam flcargumentatur: Multa animalia ,a longinquis rc -
gionibusadefcammouentur,ergoodores pcrfumidam exhalationem non multiplicantur.
Aflumptio probaturcx vulruribus ipfls&tigribus,quz(vC fcrtur )cadaucra
inhumata in aliis vrbibus perfentifcunt , imo a quingcn- tis miharibus
aliquando ad ca dcuoranda profccta funt . Confcquutio noia L ET SENSILIBVS. i
99 nota c(t,ctenim a qucnam ad illum fintm moucrcntur?ccrrcafcnfu:ac quo A fcniuinon
fane ta&u,nonpillu,non vi(u,noh auditu,cum obiccla ipfadi- ftantia lint ,
&: auerfa , (onoquc& vocecarcanrcrgoolfa&u. Ex quo jcquicur
nccciTanoodorccadaucrum ad huiufmodi animalia pcrucnirc.Quopoliro, quis
locuscxhalacionifumidarrclinquerur, cumillaad racam djftantiamul- ciplican
nequcac?Prof"c&6 vcrum hoccifc fatcndumeft,cum prariertim ob-
ic&um omnc fcnfile,quod pcr mcdium pcrcipitur,arquaJitcr(niu* quid lmpe-
diac)vndcquaque coprehendi dcbcat,ita vt fenfilc fic vcluu ipfum in circulo
ccncrum.Nifi vclimuscorpusadeo paruum,qualc fumida cxhalatioeft, nul- la
fcruata proporcionc,maiorcm adhuc cxccnfionem , cxtcn/ionc jgnis (qua*
maximacft)fufciperepoiTe.Addit Aucrrocs , ii admrttaturicnrcntia jfta, to- rc
vccxhalacio illa dcfluens,auc acrcm alocoiuo ali6pcllat,aut pcnccrcr, n quorum
vnumabfurdumeft,altcrum nullaraciofuadcrc pottft: iiquidemfu mida exhalacio,
xque acque acr ccnuis cft,illiulque natunr periimilis . Addit Aromonius
racioncm nonleucm,adPlatonis&cAuicenna:fcntcntiam rcfuta da;EtHuxio(inquic)omnis,corpus
cft, &' huius quilibcc mocus nacuralis : nam
velleuceft,&confccndit:vclgrauc,&:adimum tcdit. Acquifuaucmpomio- dorem
omncs xquc fcntiunc,fupra(inquam )&infra,ahcc recr6,adtxcris &: a
iiniftris , mancnccs . Concludic crgo Auerroes , Vc colorcs in Diaphan (uc,ica
odorcs in mcdio cfle,id cft,natura illa comuni acris& aqusr , odoris (iif
ceptiua,fpiritualiter rccipi. Et quoniam aliquis ftarim vcntos abduccntcs
&: reducentes odores obiiccrc potuiiTcc,addic,odores iimilitudincm quidem
c- xiftentia: in mcdio cum coloribus habcrcodorcs camcn,EiTc minus fpiricua*
lc,coloribusipiisobtinuiiTc(fiquidcmacauijsmatcrialibus magis pcndcnc)
idcircoque vcncos acrcm auc aquam agicantcs,acquc ad hanc vel illam parre C
pellenccs,odorcsimpcdire . Imo hoc ipfumionis accidit,quos tamcnnul- lus
corpora eifc airirmabic,cum a paflionc cancum in acre crficiancur. Auicca na
hzc cx parcc pcrfcncicns,priorcm Aucrrois argumcncacioncmfoluic : Fu-
midam(diccfis)cxhalacioncm illamad ranrum inrcrie&u fpaciummulripli- cari,non
quia cxccndacur,fcd quia k vcncis co propcllatur. Ncc lcuis eft folu-
tio(vcquidam pucanc)licccncqucfcmpcrvcncosrlarc cumodorcs ab jftiuf- modi
animalibus percipiuncur, probarc poifc videacur Auiccnna, ncquc ra- rioncm
rcddcrc,curnonabhominibiJsquoquciidcm fcnciancur odorct, vc-
poteadquosnominusquamadcigres vel vulcures cxhalaciopuliapcrucni- redebcac .
Caeterum vt aliquid addamus,quodnonmindsmcmentiaducr- fus Auicennam habcat,iis
quas fupra funtallata,quid dc piicibus in aqua olfa cicncibus afFcrrct? Quid tandcm
dc rcbus quibufdam minucis odonfcris p quc odorcm quidcm aiiiduc emiccunc,non
camcn euanefcut aut didipantur, cumalioquin id
chScioporccrec,lidcfluxusifciaiTiduecumodoribus cmana- renr,qucmadmcxlum
Arift.ipfe in duodec.part.probl.8.obiicit?Poftrcni6ol- f.i.ttis hac racionc
T.ictus cilct , qtiodcftabfurdiftimum,cumnon modora- tioneobic&ijvcrum
ctiam mcdiia Ta&u diftinguatur . Ammonius vt has li-
tescoroponcrct,ftacuicaliquando,nullam iftarum opinionum fcorfimlum-
ptamcdevcram,(imultamcnfumptas, omncs admrrtendas. Aic chim, qui bus olfaciendi
fcnfus cfl hcbcs, vt (uibus, dcfluxionibus ciTc opus : iis vcro in quibus hic
fcnfus mcdiocritcr vigct,vt hominibus,mutatiohcm acris fufficc- rc:cosrandcm
quiacriccr&: cxqui(itcolfaciunr,id fatiupcrquchlbcrCjVtacr
fitodoribuspcruius. Vcrum praucrquam quod Ammonius ( fuomorc)nonr fat cxplicat
quid velit,in eo ccrte rcprchcndcndus eft, quod i diucrficate na- turx
olfacicntis,dcfubftantiafeu ciTcntu odorum ftatucrc vellc vidcatur.ica r. iiii.
16 o DERGOANIS SENSVVM, vtnon vna cerca dcccrminataq; odoru nacura fit,fed
vniusrefpccru cxhalatio, altcriusvero nequaquam.Quaproptcr,vcinuicc has
rcpugnantcs fcncecias ^ cocilicmus,diccndu nobis cflc puto,duo in odorihus clfe
fpedanda , eiTentia ncmpc ipforum,corumdcmque fubiectum& quafi
vchiculu.Eflentia eft,fapi dum humidum in ficco,fcu ficci fapidi
paiIio:vchiculum verocft narura com munis aeri& aqux, qux fua quafi
ablutionc odorcs elicit , quos dcinceps ad nos ipfostranfmitit.Hxccx orc
Ariftotelisfumptafunc,vcpacct fed adden- dum,in illa ablucionc calidum vcluci
agens concurrcrc,qui pcr modum qua- fi cxhalationis odorcs omncsa qualicacibus
illis maccrialibus cducic . Gigni- turcrgoodoracalido,cduciciirque,abluitur
deinccps ab humido acns&a- qux, a quibus tandcm infcctis ad nosper partcm
poft partcm, autad pi- fccs tranfmittitur. Et hoc ipfum eft cuius nosmcminiiTc
vulc Auerrocs, odo- rem nempe mulciplicari quidem fpiritualiter: non camcn ica
vc color& fo- ^ nus,cumillcacaufismagismaccrialibusproficifcacur. Excipic
aucemcor- g poraillaodoraquxnonnifi per rarefadtioncm odorcm cmittfercqueant,vc
thus,myrrha,(ulphur,aliaquc huiufmodi,quod pcr accidens& rardmul-
tiplicacione odorum vfquc adolfa&umnccciTarium e(Tc aftirmat . Nulli ita-
qucmirumli Ariftoteles aliquando odorcfn fumidam cxhalationemablb-
Jutcvocct,non quododor (itipfafumida cxhalatio,aut ncccflario eumfu- mida
cxhalationc,fcdquiaodordclatusab aerc& aqua abluente fpiritua-
literquidem,vt Aucrrois argumcntaprobant,fcnfum olfactumafticir,non ita tamcn
quin & matcriahter quoquc fcu realitet aliquantulum inficiar. Imo
Ariftotclcs idem,infra dicct odorcm cum fpirituali cuaporationcrc- cipi,id cft
cum aere fpiritualcm naturam habcntc.Omitto qux per accidcns fiunt : nam tunc
planior adhuc Ariftotclis fentcntia eflet. Aucrroes itcm in tcrcio colhg.
capitc trigcfimo fcxto,& inhiscommcntariis adhxc tan- tum rcfpicicns,odorcm
per fubftantiam aeream & vaporofam a re odora- ta dcflucntcm cfrici ,
vaporcmquc ifttfrm tam in aqua quam in aerc recipi, abloiute
profcrt.Hnicvcritati,omniaomnicx parte reipondcnt. Nam & A- uicennas rccic
Ioquitur,quatcnus ncmpcodor nonomnino fpiritualiseft, &pcr
modumexhalationiscducitur, atqucab olfaciente attrahitur.Et A- uerrocs
nondccipitur.fiquidcm odorpfoprienon cftcxhalatio,vtAntiquiaf ftrmabant,ncquc
cum cxhalationc necclTariodcfertur, vt fimpliciter docet-' Auiccnnas.Hoc
patet,quandoquidemab vnogtano mufci multus odoraf- liduemanat T
nihilotamcnminoris quantitatis quantumuis temporis mccr- uallo.confpiacur:
facisfacercautcm corummutuis obie&iohibus,expoficis vnicuiqucfacilc admodum
cft.Sed tollenduscft fcrupulus , qui reftat ,atque j > cxnoftra
prxlcrtimdcterminationcorirividctur.Sequiturenimhac rationc dicendi
po(ira,olfatum qucndamTachim dici oporterc,(i prxfertim confpi-
cuailla&accidentaliscuaporatioadiit. Rcfpondcnt aliqui,Tactum fun- gimuncrc
fuo,mcdio intrinfcco &congcnito,qualitatefque primas pcrci- pcrc : olfactum
vcrd cxtrinfeco mcdio vti,& m qualicacibus fecundisvcr- fari,quocircahunc
illumdici non poiTc. Atqui lihocfat cflec, obic&ioca- dcm Ariftotclis,
& Alcxandri aduerliis Dcmocritum ,qui vifum perdeflu- uiacffici
ftatucbat,incapitcdc xfthctcrio viius (upcrius adducta, nullum prorfus momcntum
haberet. Addcndum eft crgo, olfactum non cfle Ta- ctum,quta non rcalitcr,(cd
fpiritualitcr tantum ab odore afticiatur, dum ab coad actum
fcntiendifdcducicur, iiquidem non proprie' cxhalatio (it qux fcnciacur.Scd
hxc& alia pluribus in fccundo dc anima difpucauimus. A ! * ET SENSILIBVS. t0 i A t"n Ti ouoioh;
i to?c t^eeic vott x) ir r&dipi, oTor d>oouHpyouydva*%ovoribus
appcllctur,anteaa nobisfuitcxpofitum:cum ncnipediccbamus,(i (tait.ov ydp uU
t?it tofti rtToatppatrHy AA tfi.A^* 0 * KSH
x U% tc /^P > Jfr ^t^w* V Tf- &j /wfy/or AvrutjlT3f ifrTinMti) f** ^ 7 ?f*" v ^f 0 * Oi $ nu> ujynwrtceicrd tg-oudfa. Idc.
roiavrac J\\wduttc^ 0id^cy7ctf rr, oxwn&ft a rhu iioi!w y tuc. dr J[vo aj&iatuv fylitraf ro nJfi ai aut ad
appetea- tiamquicquam conferunt,iedcontrarium potius efficiunt. Vcrum cft cnim,
quod Euripidtin vituperans Stratis ait.Quando lensdecocjuitur, vnguetumne
iniundKo.Qui nanque noftratempeftatejiuiufmodivir rcs (odorum fcilicet)in
poculiis mifccnt,voluptatemuTuctudine cogunr, doncc vtique ex duobus fcniibus
fuauitas proucniat, veluti vna, cx vno. Spcciatim magisdefceditad
traftationcfpccitrum odoris.primumq; eos vitupcrat,qui ,vt Plato in Timaro cum
dc guftu & olfaftu a) qux non pro mixtura illa ccnax,qua chirurgi ad
fananda vulncraaluquc morborum gencra vcun- tur,fcd pro
condimcntoomnibcneOlcntcaccipicdacft.Aoxantiquisvfitata propriequc commiftioncmdiucrlbflim
odorum,addito oleo,ad vngeda cor- pora,dc]iciarumatqucluxus caufa , apud ipfos
fignificans . Non dubium cft crgo,Stratidcmdclcntcloquctem,moreComico,nomine
vngucntiabufum J) fui(Tc.(Tww''M}faporisfacultaseftnutriendi,vt ftpcrius docori
:odoris veropcr fc dcJec~candi& aliquoccia modo iuuadi, vc infra coftabir.
Ilfud infu permoncrcoporccc,flliudcilcarc(apidanafcijaliudad faporcm
obefcas&r nucrimcncumconfcrrc:hocfiquidcmmodo,prfaris rancum fpeciciodofcs,
illo ver6,omncshabcnt.Prxtcreaodorcs pcr ic,nullum (i ipfi fpeclentur , ad
cfculcnta & poculcnta momcntum habcnc? conringit tamen,fi curri aiiis fa-
pidisnucriencibusconiungatur,(quod prxcipuuitt Artis coquinatiar munus cft)vr
cum illis vniti aliquid ad cXufcitandam appctcntiam,& notricnduani-
mal,faciant.Nulla ergoin vcrbisPhilofophi rcpugnantia adcft, quanuis hoc aliqui
cuiirccre vcllc vidcantur.Qnod ite dc rffclle adducitur,in quo idemvi-
deturcfleodorpcr fcdclectabilis,atqucpcraccidcrrs, cum vtcrque incoin-
fit,nullum momcncumaducrfus Ariftocclicam diftriburioncm habcc: ficjui-
dcminmcUe,menca,alufquehuiufmodiherbisaucflonbus,racionc tantum? 7 io 4
DEORGANIS SENSVVM, maccrix odorcs ifti idcm eiTc dicuncur, rc camcn &
diucrforum rcfpcdu,dif> fcrunr.odor cccnim in mcllc quaccnus nucric & a
rc gull a b 1 1 1 oncur,'pcr acci- ^ dcnsodor nuncupacunquaccnus vcro
dclcdar,iuuacquc,nullam nucricionc refpiciens,perfcdicitur:& hocmodocancum
homini proprius c-tL rcliqua nanquc amnunti.i,olra&u qutdcm&ipfa
przdica func, cxquificcquc iftiuf- modiodorcspcrcipiunc,noncamcn fuauicaccm
illorum diiudicanc,iifque quaccnus fuaucs func dclcdancur. Trf^ % juSplff
off$pxr7or ftcr ar$pdmt%%{r'n j K^ff^c %VfJto\7tfgVfiirn)K) aXXug fyivrjStr vtp
Hpnfuf larpoltpor^xdxtirur /ufy/ ' 7o avfxfit^nxoc fctw n*f\v^ ^v^ir Iku ' , cs'3^if'*:
wf^u,adcfluxionibusdcfccndcncibus orcatiquasGraecicomuniccrirmat^^f AfW^-w
vocanc.Inhuncergo vfum na^ cura,quc perpccuicaci&conferuacioni rcnun
ailiduc ftudcc,odores genuic,vc iilarum viccrcbrumccmpcracum, id cft ad
calidiorcm iiccioremquc craiim rcdu- N ET SENSILIBVS. ioj tum,(quomodo odores
hoc pra-ftarc poflinc fupcrius fuit cxpoficum,& infra A quoque cx parre
declarabitur ) iftarum argricudinum caufa e/Tc ddincrcc. Qui cerrcodorum
vfuspcrfpicuus cft :ctcnim vc Aucrroes in tcrtio collig. cap.pcculiari dc
olfa&u aic,Maior odorabihum pars fngidasxgricudincscx-
pclhc-.omiccononnullosquosegonouiica odorc florumac prxlcrcim rolaru
inquibufdamfuisflrgricudinibusiuuari,vccofolo in fanicaccm rcftituanxur. dc qua
rc copiolius infra. H' ffi y& rpofri
$ Vwtrf otrfine ci Tsv tyxifxXov ifefi rluj ar xvrxlc ^ 3%pfto'rnr'
tucporn^ vytettortpoic t- %H ro- fcns cft,animal viucr,cum primum
abicrit,intcribit. Pars itaque illa,quxic- dcscft&: fundamcntum
caloris,Origo vjtxdicimeritopoterit.Corhanccf- fc affirmant omnesrcft cnim
calor natiuus veluti ignis,nunquam fcilicct idc, C vcluti ncc flamma
pcrmancns,fcd ex humido quoalitur,contincntcr &: fuc-
ccfliucflucns.Qucmadmodum autcm mundushicinferior,abfque motu&c Iuminc
fupcriori orbiu condftcrc aut regi ncquir,ita animalis vita ablquc afli duo
cordis motu,fpiritibufq; ab co gcnitis partcs (ingulas animalis quafi illu-
ftrantibus mancrc non poteft.Potcft aute calor hic non vno modo corrupi ac
queextingui,fcdpluribus:nam&: acontrario,ncpcfrigido,vtaliisctiaquali-
tatibus accidir,&:(quod calori tantum proprium cft)a dcfctu alimcnti ac pa-
buliquoalicur:prionllc modusviolcntus vtiquc fcmpcr cft, &: appcla-
tur,poftcrior qui dicitur,&: naturalis &: violcnrus cflc potcft.
Naturalis quidcm:namomniacorporanaturaconftantia,nullaquoquc acccdentccau fa
violcnta,aliquando ad fcnettam tandcjnquc ad inccricum pcrucnire,id eft D fuum
vire. periodum abfolucrc neccflc eft : Lapidcs in pulucrc ccmporis pro-
ccfludiflbIuuncur,Plantc^rcfcunr,Animalia pereunt:vioIcntusautcm(vta-
liosinprcfcntiamodosprxtermiccam)cumcaIor incernus aueius acquc in- tcnflorquam
parcftrcddirus,cocumalimcncum adfuinutricationem ido- ncum&:
paratumftatimabfumit,atqucita pabulo fuo dcftitucus cxtingui-
tur.Huicitaqucincomodonatura,im6Dcusnaturx Dominus &: Magiftcr in animalibus,
perrcfpiracioncm,&: cranfpiracioncmconfuluic .EftillaPul- monis,fcpci
cranfuerfi,&: mufculorum Thoracis mocio , hxc arceriaru ambx co rcfpiciunc
vc calor inficus animalis fua vencilacionc rcfocillecur,&: confer-
uctur.Hocdercfpiratione fat conftac:dc infcnflli illa tranfpirationc,quam
motioncm arccriarumcflcdiximus.Galenus inquincodelocis afFcct. capice
l'cxco,cxcmplofumpcoab animalibus diucius in cauernis fi*b ccrramlaccn- tibus*
ET SENSILIBVS. Z07 tibusa muIicribus"''M.o.ir pacicntibus&afcrtu in vteromatrisexftcntc,
comprobat.Scd tollenduscft vnusaut altcr lcrupulus qui ex propoitisab
Ariftocclcoriri vidcrur.Odorcs pcr fc(air ipfe)func homini propni : (i hcr vc-
rumfic,omneshomineshifccodocibusdelc*%> r*r.-mwiii -narr 'om/rtON >v^
ttrr^ .? 10 g DE ORGANIS SENSVVM, nc aliqmini fui dclcttatio.fed cognitionis
&: aducntus cxultatio cil , quam o- mnous modis fuis illis
gefticulationibus oftcndir. foT:r al 'rt (AtXirtaf miHGi nyccff imiXt,Xjtff
tffl fxaxfcZr uvp^tixuv $a&-,o&c xaXvoi rivtc oxritrac. x) r^j SuXarKar
a! vp*f,
'"odoramcntaatqucacutccciam fcntirc. Inc-
xcmplisr^V^^^Animaliaillamtclligitquorum corpusincifurisprecingi- cur,atit ca
partc tantum quae ad ventrem auc vcraquc , ncmpe cam quarad ve- cuquam
quaraddorfum attincr,ncco(Tcum quicquamdifcrctumautcaincir, fed quid intcr hosc
ipfa mediu contincnt , quippe quarcorporc duro, intus pa- ritcratquc foris
conftcnc,&:(pauciscamcncxcepcis)diuiladiuullaquc viucre po(Tunc:(i
prarfcrtim cumpcctorc,aut caput , aut aluus, (quar trcs communcs partcs in lllis
pcrfpicuc; funr)rcmancac.Eiufmodi vocam*apcs,crabroncs,ve- fpas,dc quibus
Arift.in prioiidc hilr.animahum c.ip.i .&: in 4. ciuidcm cract. capicc
primo,4.9&: 8.vbf idem quod in hoC conccxcu rcpccic, Infetca nempc omnia
cam pcnnashabcflcia,quamiisdcfticuca fenfum olfaccus obtinuillc. (
Vcluti&apesquod ad mcl). Ahqui itaaccipiut: Apesmouerifload mcl,qua-
doquidcm ipfonon nucriantur,fedadHorcscx quibusdcpaftismcl pariunt. Scd (i hxc
rctineamus infcrcnda crit vis Ariftotclicis vcrbis. Prartcrca in 4.de hift.anunaliu
capicc octauo di( ercc arKrmatur,apcs mcl ipfum procul fcntire. , 94 DE ORGANIS
SENSVVM, ' Quarc veriusaffirmandum cft,apesad mcl lpfum moucri, non quod ipfc
e- iomunr,fcd quod cx acrc dccidic,&: maximc fidcrumcxhorru: vndcinpri-
aurorafoliaplantarum mcllc rofcida inucniuntur. Dchuius nacura va- t cxticcranc
fcnccntix :llIudconftat,mclhoc pnmum tcrrathalitu infc- wtum,mox c frondibus ab
apibus cpbcum,candcm in luccrculos fuoru aluca- riorum rcpo(icum,ad
hec,fuccoflorum corruptum,quafifordcfcens,formam illammcllisquamvidcmus
rcciperc.Hax Plin.lib. x i.cap.6,&: ii.(Etgenus quoddam magnarum formicarum
) Vacab.ccnfcc eflegcnus illud culicum quodMulionu appcllacur,apibus
infcftnm,dcquibusPlin.codcm in libroca- picc i8.Scd crrar mccrprcs ifte,cum hic
dcgcncrc non culico , fcd formicatu non paruarum fcd magnarum fcrmolit .
Galenus hbro nono Dc limpli- cibusquoddam animaleilc ait.quod in vcrmiculorum
gcncrcponiccuhci- bus (imilc,&: vitium oculos crodcs:Ob (imilitudincm
paruitatis iftorum am- malium,gcn 9 hoc formicaru,fcnibasappcllatas erte
nonnulli alfcrut. Verum in hos idcm qnod in interprctcm argumcntum conucnit :
hic liquidcm ma- gnarum non paruarum formicarum mcntio (it. Vtcunquc vcro fit ,
Ariftotc- lcs in quatto dc hiftoria an malium, capitc primo , formicarum
quarundam pcnnas habcntium mcminit: pcrfpicux funt iftxomnibus,&: non
mcdiocris quanticacis.Plinius libro vndccimo , capicc crigcfimo primo , Indicai
u m fc- pccntrionaliumformicarumvolancium mcncioncmfacic.quas odorc mul- tum
vigerc prodit. Alii in Indixoccidctalis prouincia quadam,formicas fca- rabcorum
magnitudinc rcpcriritradunt.(Purpun)dchac Arift.libro oda- uo de hift. ani.
capite fccundo&: Plinius libro nono capitc trigefimo lcxto &:
pluribusaliisfcqucncibus,copio(a.Colligendum:pifccs olfacere nonramcn quia
rcfpircnc , fcd quia cumaqua fimul odorcs capianc , capiunc autcm non quia
pcrtrahanr,fcd quia aqua vfquc ad olfa&us illorum organum ducat odo
rcs.ibiquc periiftcns fcnilonem producac: Ita dc acrc dico,rcfpectu coru qux
nonrcfpiranc&: inacrcdcgunc. . cfrca 3 out&rtvtraf , ol% c/uoiac
Qartpov . A/o xav
)biofmT$*A/t$f , & /Jp t^et 0Ai- idtax*/\ut
JWctT*/ opft. crx>Jip6p^a/\(ua
, ovx i- %jH . St6qu;rcx verbisThomarin huncir.odu commode proponi acquc
intclligi poccft . Q^iarrirurolfaccunc&: fpiratione ammalia iftiulmodi
odores pcrcipianc , an pocius aliquo alio lcnfu , ab omfti- " bus
aliisqutnq; fcnfibusdifcrcpancc. Vidccur fanchoc argumcntum coclu- dcrcfcxcoid
coscfliccrcfcnfu. Animaliaiitiufmodi,dumodorcsicnciuntdi- uerfo afticiuncur
modo,quam dum quamuis aliam fcnlionc m cxercenc, ergo aiqucm alium fcnfum
prxrcrquinquead idmunus, adhibcnc. Aflumptio noca cft,quod ad quacuor.Quod
vcioad olfactum probacur,quiaolfa&usfpi- racionc cfticirur, qua carenc
animalia ifta , vc fupcrius fiiic oftcnfum. Confc- quucio probatur,quandoquidcm
fcncirc cftpati:cx quodiuerfus fencicndi modus diucrlam quoquc pnricndi
racioncm confticuic , quse icc diucrfam pa- tiendifaculcaccm mdicac:
Confirmacura fimili: diuerfus (iquidcm agcndi modus:diucrliraccm agcncis caufx
dcmonftrac , cum a calorc vchcmcnciori, calcfaclio vchcmccor oriacur. Huic tamc
fcntcntix rcpugnat argumcntatio q Arift. qux ica habcc. V bi idcm fcnlile, ibi
idem quoq; fcnfus cft, In ifta pifciu acque infcfrorumfenfionc,idem
fenlilcadcft,ncmpcodor,crgo. Propoficio pacec , i\ facu lcaccs racionc
diucrficacis obic&orum inuiccm fciugi verum iir. A Humprio icc m perfpicua.
Vc qua"ftioncm profligec Ariftotclcs,tandem air. Eodcm quidcm
fcnlucunccaanimaciaodorcscaperc, vcpofteriorargumen- tatio colligcbat , non
tamcn codem prorfus modo. Quam diucrfitacem in primisexplicat,moxpcrfpicuafimilirudine
confirmar. Vcrum prioriargu- mcncofacisfacicndum. Dicamuscrgo, opcracioncs
quidcm fpccificasacquc circncialiccrdiucrfasfaculcacem quoqucdiucrfam
indicarc,(huiufmodi (unt pura vidcndi,audicndiquc afcio) Ac illas que. accidcnrc
quodam cancumodo mffcrunc, nullameflencialcm diuerficaccmindicare: quod
confirmacionei- pfa adducca planum ficc i cahdicas iiquidcm intenfior non eft
aliquidAA, fcd quid i?*.a7er a minus inrcnfa, quod item dc calcfaftionibus
intclligcndum cft: D (Spiritus aufcrtquodfupcrimpoficumcft).
Explicacurdiuerficas modi olfa- ciendi. In rcfpirancibus nanquc nacura boni
confulens , o!f a&us organum a- dopcrcum pofuir,in aliis vcro decccVum.Hinc
fic,vt niii pcr acris infpiraci mo- tum opcrculumilludaccollatur, illanunquam
comodcauccxCruificc odorcs pcrccpcurafinc.omninoigicurcgccrefpiracionc.QujEaucc
huiufcemodi im- pcdimcco funtdeftituta, nullu huiufmodiadiumcncu ad
odorcscapicdosiibi fuppcdicari poftulanr.In oculisanimai.ciu cade racio
nacurc,,animaducrcirur. Qujcnanqucmolliores&humidiorcsobtinncruntoculosjpalpcbrasranqua
pro opcrimcnto funt aflcquuta, vt quse incidcrcnt, iis prohibcrc poflcnc. Hic
illarum cft vfus.Quocirca & homo &: animalia viuipara,gcminam
habcnr,&: coniuucrevcraquelolenc:ouiparaveroquadrupcda,&:
aucs(nonnullisexce- pcis)vnicam qua conniucnc, ncmpc infcriori . Quar vcro
ocolos praeduros ha- bcnt vc pifccs,infcda,&: cruftaca animancia ,
palpcbris carcnt , vfu iiquidcm carum dcftituuniur.Hinc fir,vt(vcrbi
graciajHomo fi cerncrcvelic palpcbras i.iui. 7 E T SENSILIBVS. zij dcm vis cfli
, ncmpc ncccilario colligcndi: Quarc fyllogifmus qui idem abfq; A auxilio
valcar , quod alccr nonnili cxcnnfccoadhibuo auxilio qucat crficcrc,
lancpcrfcdiorcnchabcndus. O^fjLo/ut 3*}?$ J[Sv oc r ydj c/r, rlw tfcdluuxv&tt;.
Eodcm queque modo, nullum ex a!iisanimantibus,eaaueriatur,qux per fe
graueolcima odoramenta funt , nifi force quid adfir, quod interi- B tum llii
poffir arTerre. Ab huiufmodi nanq ; ita intcritu recipere queunt,
velutihomincsacaibonum halicu grauedincm rrahunr,&pla:runqiic
Ctiamabolentiir: Sica VI fulphuris & bituminoforum alia animaliain-
terimuncur, ntque ob paflionem,fugiunt illamidcipfa vero per fe odorit
fcrditate nil curant,(quanquam multoe ex ftirpibus odorcs foctidos ha-
beant)nifi quid ad guftum efcamvc illorum interfir. ,
Abfolutisillisquxfjbidcclarandapropofuicdcduplicinempeodorisfpe- cic,vt
planiora omnia mancat,fcrupulum,qui rcftarc videbatur,e mcdio tol- lit. Qui
ficn nanquc potcft (dicc t quis ) vt odores pcr fc ab homihc tatum rc- cipidicamus,cumcaccra
quoq; animanciatctrosodorcsfugerc atqucabiif- dcm abhorrcrc planum (it-Et dc
fpirantibus quidcm non dubium cft:dc aliis C vcro cx quarto dc hift.anim. cap.
8. fatis conftat. Ariftotclcs rcfpondcns , fta- tuit,Animalia ifta,fotidos
odorcs pcr fc non rccipcrc auc declinarc, fcd qua-
tcnusaliquidiiodorcshabcnt,quod illorumnacuramlxderc,autcorrupere ( qucac: idcm
1 n:m lllis xquc acquc hominibus accidcrc,vc nimirum ab odori- biis quibufdam
malc affici, atquc intcnmi quoquc pofllnt. Si hacmtcrpreta- tioncm, qux mco
quidc iudicio vcnflima & limpliciflima cft fcquamur , neq; vim vcrbis
Ariftor. vllam infcrrc cum Thoma , ncq; alcius quam par tit,fcopi huiutcc
conccxtus racioncm rcpetcrc nobis cum Alcxandrocogemur. Infti- tutumvcro
fuumprobac Ariftotclcs duplici rationc:vna aconucnicntia,al-
tcraabcffcihilumpta. Omniafingillatim funt expcndcnda. (Eodemquoq; rnodo) qucm
fcilicct dc odoribus per fc fuauibus , rcfpcftu bmtorum propo- fuimus. (Nih
forrc quid ad(ic). Vt odorcs pcr fc fuaucs , non (ub rationc odo- > r is
fcdnidorisabrucispcrcipiuncur(velutidcpifcibusinl'peIuncislatctibus, &
Anguilla affirmat A riftoc.) ita fcetidos fugiunt,fub rationc nociturorfi. In-
dicio cft, quod ncn omnia gt aucolcntia fugiant , liquidcm multa hnt quibus
brutadclcacntur, vtftercusfalpx.dequa Ariftot.lococitaco,&:Plin.lib.9. ca
18 ( Ab huiufmodi nanquc).Sit hxc fecunda contcxtus pars,in qua inftitu- tum
conucnicntia quadam probatur. Nam &: homo a fumo carbonum Ixdi- tur
prxfcrtimfiisacarbonibushumidioribusnccdu bcncexiccatis attolla- turobftruit
cnimcraflitic fua fpirit 9 vias,& caput rcplct : quo fit vt nullus per
fpirationi rclinquatur locus,& caput.multo coque acuto hahru(calidus hqui-
dem & ticcus cft)infardum, vchemcnti dolorc ftatim afficiatur . Brutis idcm
accidit Proquarcanimaduertatur: NoncorrumpianimahaiUa \i iulphuris" iI4 DE
ORGANIS SENSVVM, autahoramfcctidorumtanquam abodorequodamcxcedete: hocfiquidem
mpdo corporaliter in corpus agcrct formalis qualiras&: lpincualis :
prartcrca abcxcelleciolfachlinon modorario ipfa&ciui./fthccerii
fenfufqucpropor- tio dcftrucrctur: verum &c totum iplum animal s quod ficri
poflc negat Arift. in tcrtio dc anim. cont.67.hoc namquc ta&ilium
cxccdecium lolumodo pro- prium cfle arfirmar.lncclligcndum crgo cft,odorcs hos
animalia corrumpcre pcr accidcns,quia nempc cum illis qualitas aliqua cachlis
dcfcratur,qua non modoolfadus, icd fic ccrcbrum nccnon organa vira: Ixdantur:
(atquc ob paf- lioncm) cum pnmum malc fc arrici ab ciulmodi odoramcntis bruta
fcntiunt, fugiunc, vtcadcclincnt quarlibi nocitura vidcantur. (Dcipfavero
pcrfc). Poftrcma pars, vbi rcpctitur quod di&um eft,nouauue confirmacio
innuitur. Mulci(inquic Ariftocelcs)foccidi hcrbarum odorcs pcr fefunc,a quibus
camcn non fibi bruta caucnt , imo cas dcpafcuntur, atque intcr ipfas afliduc
manct: 3 quod ccrtc argumcnto cft, odores illos aut hcrbas malc olentcs brutis
nullx curac vnquam cflc, nili quatcnus aliquidad fua clcuknta nui*\Zru , idcft,
quaccn** rce,cidusiIlarumodoraliquidguftuiillorum inimicum,alimcnrumq;
pcrturbans fccu adfcrt:tuc iiquidcm ab ipiis libi cauct, vcluti &: antca
ipfa j 7i*i9K,alia noxiafugcrcdcclaratum cft. Vtcunquc Lconicus dicac, &:
Alc- xandrilntcrprcstransfcrat ,mihi iftacxplicatio valdcarridct. Dubitat Alc-
xandcr,quomodoha:cqu?proximcfucruntcxpIicatanonrcpugnent iisquar fupcriusdc
imbccillicacc fcnfus olfaclusinhomincloquutiiumus. Quificri nanquc
poteft,vtolfac~tum illum imbccilliorcm dicamus,qui vtrumquc odo- rum
gcncris,illum acuciorcm qui vnum cancum capit : addc odorcs pcr fc, ab hominc
fcntiri,a brutis qui pcr accidens vocantur. Rcfpondct A lcxadc r,non idcirco
fcqui,homincm acutius oltaccrc ,quia plura olfaciar.compara cionc m q itcm in
iis in quibus vcraquc pars conuenic locum habcrc:addamus nos,vcra- qucodoris
fpccicm,aequc vcrum odore dici,cum codcm prorfus modo vcraq; oriacur, licer
hajcpcrfc,illapcr accidens dclccabilisappclccur,quod ccrtc ad ipforum naturam
nihil addic. Harc Alcxandri a nonnullis rcprchcduntur: fcd fane*
iniuria:proquarctota,caqua: fupcriusdiximusrccolantur. E"W J n at&nffic
n th~ ocrppairt&af, tfktrfoir ovaSr r$ al&no-tcnt } k) th dp&fxa
tXprr* fitaor TtT fkrrfu, k) avrn /J.to~n %i) rffl ti dtffmSr^oTor d xa) T^tT
J\j a A^h ai&nrixjSr , 0^01 o-\ta>c k) dxoHc . T k) 1& oapparrcr ,
ri . fc-Sl&.Jl' c* rqt aCrq! *) %o d*M?ov
k) %Z oparn . Siok)cv dtpi tgf iSan oaf4wrrai,c$rt to offfparror^toiror
ti fgvra* dfjvportpan^ 0 va^af %nponflsc GtCypqlx} ^vroT, D oTot f&ajpn
ric^i)*) nXwric. . Vidcrur autcm olfa&us , cum imparcs numero fenfus
exiftant , nu- merufquc impar medium habcat , medius clTe cum taclilium ncmpc
ta- &us &: guflus, tum corumquipcr aliafentiut, vt viius
&auditus.Qua- propter olfa&ile alentium pallio ahqua cft,haccvero in
codem gencrc funt. Et audibilium & vinlium ciuoque , cjuocirca tam in aere
quam in acjua odorantur. Quam ctiam ob caufam olfadile, eft vtrique gcncn*
quoddam commune,vtpotcquodtac"iili,audibili , &7 Jfeparei infic, atquc
hinc intelligitur,mcritoodorem,veluti tinfturara, & ablutioncm quandim
ficcitati m humido, & fufili, afTmiilatumfuifTe. Haccc- ET SENSILIBVS. iiy
^ Hacrcnus A riftotclcs dc natura atquc ortu odorum , nunc obiter ordincm
&locumqucm()lf"aausrci'pcdiialiorumrcnluumobtmucrit,vuJtdcclararc.
Occaiio.m faIlor,mdc fumpta clhquod Antiqui in co valdc laborarc viii lint:
quaproptcrcumquinquclcnfusad elcmcnta reuocnrccupcrcnr, vnicuique cx aliis
quaruor fuum clcmcntum tribucbant , de c lcmcto vero l'cnfus,huiuf-
cencmpcolractus,mirum m modii lar.igchar.HtincvcroJocum fcuordinem ab
olfactihum natura fumir, qu.v fortalfc c aula lola cft , vt ir.iclarionem hanc
ad hunc locum dilhilcrit, qua? ahoquin fupeiiuscum dca-fthcteriis ferroo
circt,ablolucnda vidcbatur. Addc,nonmagishicoIfactum,quam olfa&i- lia ipla
dilponi. Scd animaducrtcnda eft Philofophi ratio a numeris fumpta, qux in pnmis
vcrbis contcxtus poiita , in hunc modum comodc profcrri po- tcft.
Vbicunquenumcrusimpardarur, ibidcmnumcruintcrcxtrcmosmc- B
diumrcpcririncccirccft: Inlcnlibus Animaliscil&: numciusimpar,crgo in
fcniibusqucndam mcdium intcrcxtrcmoseft rcperire.Malorpropolitiono- . tacft cx
dcfinitioncnumcri imparis: a Boctioinpriori vol.fuararithm.cap. $, &: 14. m
huncmodum propoiita: Numcrus imparcll,qucm nullusina-qualia diuidir,quin vntim
mcdium non intcrcidat.F.odem rccidit Pythagorita /r dcmonftraic potcft. Dictum
cft iiqui- dcm odorcm aflimilari ablutioni licci fapidi in humido : rationc
crgo lic- ci fapidi cum guftatili tachliqucconucnit: rationcautcm
humidiablucntis &: quali abftcrgcntis ( quod humidum acris &: aqu.c
qualitas cft ) cum fono &c colorc, qui pcracrem &:aquam dcfcruntur.
Quadc olfachli dicuntur ad olfactum crunr accomodanda.Vttandcmdicamuscum
Ariftotclcoltachim medium elfc intcr tachim &' guftum, qui intrinfcco mcdio
vtuntur, itcmquc jntcr Auditum&c Vifum,qui^ i/>9,idcft, pcrcxtrinfccum
mcdium fcntiut. ^^Ttt^TOldiTw^rny.Vcrbaiftafuntcum
prxccdcntibusconncctcnda,nocum ftibfcqucntibusvtomniacxcmplamhabcnt. Alioquin
obfcuriorem atquc US DE ORGANIS SENSVVM, vix cxplicabile intcrprctationcm
adhiberc necefle crit. Quac ctiam fcquun- turitafuntconnc&eda,* **>iW 5
,ToJif cft paflioalimcnto- rum, quxincodcmgenerc conueniunt,ad tathim iiquidcm
&Guilum rc- uocantur: qua ctiam rationc( vt Thomas rcctc monet ) odor pcr
mcdium in- tcrnu ficri dici poteft.Eft quoq; pairio Viiilis&ix l
*ic/,quatcnus odor in acrc 6C aquaquxmcdia cxtrifcca funt,crficitur.(J,
iSkrtvima tX H%**w^Jfaf*>")' Ad taihlc reducitur guftatilc : nulli
igirui mirum , ii tattihs folumodo mcmi- ncrir, loco autcm viiilis iijfe*an
aflsicj, tfaJaatp & pftfc Vrt^otfi fjutTc*ttq H'atp%iTaj dtetSv/utdatoj^ a>f'tif
Tot dtcfartdj^ittct dt /3atef/c/ Tomjt. 81 Quod aucem Pytagorrci quidam
affirrnat:AnirraIia nempc qua?dam, odoribus pafci, rationc carct. Primiim
qutafamuscibum ccmpofitum tll . oporcere,quandoquidem qua: aluncur fimphcia
minimefinc,idcir- c6c|ucalimcnti cxcrcmenta gignantlir , vel intus in ipfis
nurriris: vcl cx- rra vt in plancis. Mox aqua ipfa fola & nulli commixt.i
alere non foler, quod enimaliquid conltirutum cft,corpulentiimquiddurn
cffeopor- tec. Arqui acrcm ficricorpulcncum, mulco magisa racicnealienumeft.
Adharc cun&is animantibus , Iocus alimCnti capax rnbutus eft , ex quo g
pertrahens fumit corpus. jtftheteriiim aucem olficV m capire eft;od. r- quc cu
fpirabili Iulitu ingrcditur,vt ad fpiracionis locu peruenircqueac
Alcxandcrfcricm huic contexruiafiignarecontcmpfit. Lconicus diccrc quidcm hac
dc rc voluic, nil tamen potuit. Ex Tfioma aliquid clicitur , quod ad rcm
hanccxplicandam rronnihil valear. Docucrac ancca Philoibphus,ol- fa&um eflc
fcnfum intcr alios mcdium: obiiccrc quis poterar,ex vcccrum Py- thagoncorum fcnrcntia,odorem
rcm cflcnutricnccm,quocirca olfaftum ad fcnlus nucrimeci, ncmpc Guftum &
Tathim omnind rcuocari oportcrc.Scd ordinc-m huncnrfaIlor,nosica
re&iuscxpcdicmus,fidixcrimus, Ariftocclcm qucniam paulo fupcrius
monuiflcc,odorem ^/s^J/wnrcflc,hequis hinc arrc pca occafionc ,odorameca ad
nucricacionc confcrrc abfoluce putaret, an- tcquamfmcm
craitacioniiVnponcrcc,fdplanins redderc voluiflc, veccrum C
hacdcrcfcnccnciasrcfutando. Quxccrcidocendi racio ica cft Anftoreli f'a-
miliaris , vc nulli in ciusfcripcis cxercitaco, imprarfcncia admiracioncm affc-
rac.Exhocncxufcopus paccc. Quicrtbusabfoluicur parcibus: In priori,fcn- tcncia
Pychagorcorum proponicur: In aliis duabus,duplici racionc rcfucacur. (Quodaurcm
Pychagoriciquidamaffirmanr). Prima pars,opinioncm con- tincns,quam Alcxafrdcr
fton mod6 Pychagoricis, fedquibufdam cciam Mc- dicis, eorum fc&acoribus
cribuic. Leonicus vt rem hanc cxcollcrcr, Plinii hi- ftoriam affcrc, ex fcpcimo
cius libro cap.i. Ad excrcmos (ait Plmiusjlndia; fi- ncs ab Oricntc , circa
fonccm Gangis, Aftomorum Gens cft , finc orc , cor- porc coco hirca, quac
frondium lanuginc vcfticur , halicuquc folo viUens, qucm naribus Crahic. Nullus
ipfis cibus, nullus pocus cft , cancum radi- D cum, florumquc, &
fyhicftrium malorum qux fecum longiori icihcrc porrar,
(ncfcilicccolfarusdefit)odoribusfruicur&: viuit.Heccerccfi vcra eflcnc,Py-
thagoricrs ccdcndum cflcr,& nullo modo racioncs Ariftocehs audiendx:Sed tam
ridicula funr,vcca proponercridendavoluifle vidcacur lpfcmct Plinins, quica fc
narfarurumeiTealicubiprxfatut,quibustamenomnibus ipfefuanV fidcm
obftringcfcnolir. Quaritaq.deanimalibusfolboddfe viuencibuscra^- dit, fimillima
iis habchda funtqux capite quarto, dc mutationcfcXuum, ncmpe maris in fcrminam,
profcrc,& eacenus recipiCnda,quarcnus ipfemo- nct. ( Primum quia fcimus).
Sccuhda pars , hoc argumcncum aducrlus Vctercs contincnSjNullum corpus fimplcx
nutrit: Odor cft corpus fimplcx: crgoodorno nucrit. Propofitio ita probatur.
Quod nutritur compofkum cft t.i. x i8 DE ORGANIS SENSVVM, (li quidem corpus
animatum quatenus animatum, vt cx fccundo dc ani. cot. i j .i4 k
54.46>&:49.patc r,id propric cft quod ahtunanimacura autcm cx triplici
illacompoficione conflacur , quar in fccundo dc partib. anim. cap. i . propofi-
taeft)Ergo&:quodnutritur. Confequutio valct quia cxiifdcm alimur cx quibus
conrtamus, vt pcrfarpc diximus. Aflumptio vcro argumcnti ita infc- rnis probari
vidctur , quandoquidcm odor quaiitas quardam lit,qux pcr aerc
mcdiumiVtplurimunwclpcraquam rccipiatur. quxaquaautquiacrodora- di officio
atcra&us minimc alcrc potcft. Patct itaquc concluiio. (Ideoquc a- limcci
cxcrcmcnta gignancur).Non cft noua argumcntatio, auca prxceden- ti difiuncta ,
fcd illius confiimario. Nutrimcntum, inquk, compolitum eflc dcbct: argumcnto
eftid,quodin omnianimato dum cibus alfumptus pro nutricationc caloris opcra
cxagitatur,partcs vtilcs fcccrnutur,digcruntur&:
conuertunturrcliquaquxanimato minusconucnicntia funt,& ad nutricn-
dumineptiora,incxcrcnuntaabeunt,quxmox anatura tanquam inutilia per certas
quafda partcs cxpclluntur. Hinc illa qux Mcdici dc triplici conco-
ctionutnfpccic in animali tradunt.prima,quc. in vcntriculo fit,&: m
intcftinis abfoluitur,jjtfixjcf J K}cc f & rpvpo/jfyia , i$iV in 4 c ' *? 4XP' r > *? fy/mcvfi xovqov ,
Jfjt/ oxXnp :r,) uaXaxcr , A elj[vulaZv ; oromndv ydp fc?iy ixa^iv aC} traf
wdv&fifc. dvdfxnp c.,rav& $ t*
ai&ma.ro a/Xt ai&rtrctt- ?aj twyxufjSfjot oox t% ai&m^ yxAAa atay
xahtM $txy*rW f*a3*(xxrat. B Sin autem non fic res habecfier, vt aliqliod
corpus fir, nulluin in fc 84 colorcm , nullam grauitatem,neque vllam ex
huiufccmcdi aliis pcrpct fionibus habes:Quan,obrcm infenfilc quocjue omnino
erit:Ha,c fiqui- dem fenfilia funr: fenfile itaque ex nonfcnfilibus
conftjbir.atqm necclTj cft; ncn enim cx rnathematicis. Partcm allam propofiti
theorcmatis, rtcmpe arfirmancem, vnica ratio-
nc(nontriplicivtaiunt)aftrucrccontcndit.Eain hunc modum proponitur.
Sii*iftaicnfilia,iuXtadiuiiioncmfuifubicai,id cft infinitcnon lccantur.fc-
c/uctur,aIiquoddaricorpusPhyficumabfqucqualitanbus:confcquutionota cft:fiquidcm
ii fumatur puta lignum aliquod album idque itcrum atquci tcru q diuidarur,ccrce
fccHo illius in infinitum abibit(pofitum cft nanquc aiibi om- ncm magnitudincm
infinitcfccabilcm ciTc )qu6d fi albedo quoquc infinice non fecctur,fcdeiusfcctioalicubi
mancat,atquca fccione hgni cxcedatur: ccrte ad aliquascorporis (cu ligni partcs
dcucnicndum erit quar albcdinc ca- rcant:confcqucnsautcm cft abfurdum:ctenim co
poiito, corpusaliquod fcu partcm aliqaam infenfilem vcligno admicccrc cogcrcmur
. Quandoquidc nullu corpus fub fcnfum cadac,nifi quaccnus qualicacibus,fcu
pcrpeflionibus iftiufmoaufcul.commcnc. fcxagcfirao,colligcndum> ftacucrc
vifus eft, ncmpc ET SENSILIBVS. lL$ ncropc in opinionc rantum rcs Mathcraaticas
politas eflc. Quanquam cnim cogitationc concipiuntur,in rcbustamcn naturx
infunr, ncc falfb conci- piutur,ied vtcarumnaturapoftuIat.TuciusidquidcmcIici
polfct.quod Sim plicius fequutus Alcxandrum in procrmioin primum Analyticum ,
in tcrtio dcani.com.jtf.ftatuit Mathcmaticam ncmpcnon vcre cllc Philolbphiam,
ncquc habcrc caulas,quia fubftantias non inucftigat. Dc qua rc alias. I "ti tht Jtp/rJ*^ &
yra>tro'utS-x ? Mat t$' ( XX' Oad
argumentationem pr iori loco pro pirte ncgantc allatam, rcfer- rc vclis,hoc
cnim commodc,&: non incptc ctiam facics, vt acutius intUcti pa tere potell:
Ac fi dicar,obtir.erc polfc videtur argumcntatio hacc poftcrior, (i prion in
hunc modum fatiffiat . ( Dc motu) . Intclligit libros de phyfica aaic, quos
aliquando de principiis.obpriorcs quiquc{vt Adrafto & Simplicio pla- cct)aut
quatuot (vt Porphyrio^alicpando dc Motu, ob poftcnorcs iii. vcl liii.
aliquandoctiam^f*TrA>> vt eXprioridecselocont.io.liquet,ob communc (ni
fallor)&: aJ vniucrfam naturam attinente tracrationcm.infcribcre voluit.
Yltp) 3 T " f ^v*te; eu$tf } *nir t^a^didytti Jj*lr % fiiXav^ wawc yiKuxv
x) trmp cr,) ti rotc a Moic tsraa-tv '6$w *t%dfo. ttatrla. Porrofofutio horum
ncxuum^umexplicationecaufaccur fpcciesco
lons/aporis&foni^cxterorumqucienfiliufinitafintvippparebit.Quo- rum nancjue
funt exrrema,ciua: mtenacent ternunata effe ncceflc eft . C6 traria autcm funt
exrrcma^atcjue in omni fenfilis genere contranccas cft, vc tn colore album
& nigrum,in faponbus, dulcc & amarum, in aliis l- tem omnibus contraria
cxtrcma repenuntur. Ad pcrfpicuitatcm difputationis,crrorcfque plurimos
vitandoscontro- ucriiafque dirimendas quotuplcx id fit dc quo diflcritur
cofiderarc , vtilis id modum,& paratiflima viacft.Se&ionem crgoinfinita
wwtSJr n on v- nomodofumercpoifumus: vclcnimvt fc&ionem gencrisin fpccics ,
( for- malcm vocant) vel vtcontinuiin partes,qucmadmodumalbcdo ciimiuxta diuiiioncm
fupetficiei diuidi dicitur, vcl (quod in prxfentia potiffimum quaritur ) vt
crHcientis fcniioncm , qoatcnus ncmpc, in parua , in mino- ri,8 adhuc infinite
in minori qnantitatc , a&um fcnticndi producere potcft. De piiori igitur
diuifione primum difterit Ariftotelcs , ca forta fc rationc motus, vtid quam
priraum cjcclararct , quod iam antca obitct de ET SENSILIBVS. xi 7
dcfoporibusloques,aducrfus Dcmocricum acculerar,finicum fciliccccflcfpc cicrum
faporum aliorumquc fcnlilium numcrum. Vt omittam, quxftioncm cfle propo(icam,an
ifta"*'*iuxta corporis in quo func, diuilionc fccccUr. Sunt autem ilta
fingularia & indiuidua qua: vcrc ("enlilia funt,non fpccics &:
gene- ra,vt Arift.in catcgoriis , capitc dc fubftantia dcclarauir . Etcnim (ait
) ii non in aliquo (ingulorum corporum crunr,ncc omnino in corporc.ldcoqucldcm
fui latis mcmor id nobis quodammodo in primis contt xtus vcrbis in mcmo-
riareuocarcvcllcvidctur,cuminquit, vnacufolucioncquccftionispropolitJC forc,vt
alccrum planum rcddacur.Ncmpe, cur fpccics coloris , faporis , alio-
rumqucfcnlilium finicasftacucrcoporccac. Summa cft: Scnlilia *8li vcgc- ocrain
fpecics fcccncur,infinicc fecari non poflcmumcrahilcs nanque funr i- pforu
fpcciesnoninfinirx\Hocadhihirahuiufccmodiracionc prohar: Quae- cunquchabcnrcxcrcma,ideft
vlcima ccrminancia,cadcm mcdia finicaob- tinercncccflccft,quxcunquc qualiratum
fenfilium gcncra extrema tcrmi- nantiahabenr.crgoquxcunquc qualicacum fcnlilium
gcncra ,mcdiafinira obcincre nccclTc cft.Maior probaturab Alcxadro,ab oppolito
: Si naquc mc- dio infinita funt,iam non porcrut pcrtranliri:idcircoquc
cxtrcmistci minati- bus carebunt: fccuscnim infinitum,tcrminatumcflct.Totiufquc
&t pcrfc- ftiappcllacionem fumcre pofl*ct,quod Ariftoccli rcpugnar : qui in
tercio phy. contcxtuc^.hocipfoargumcntoMcliflum vrgcr,quiTocum fcu vniucrfum
infinitumftatuit.Totum nanqueeft idcuinulla parsdccrt,& quodfincmha bcf.cum
Totum &: Pcrtcctum,vcl idcm lint,vcl naturam quam maximc afli- ncm
habeant.Minorcm probit Ariftorclcs in contcxtu,quiain vnoquoquc qualitatis
gcncrc cft contrarictas:quod indudtionc confirmacur , prxtcrea e- tia
tcftimoniociufdcm Arift.in priori dc phy.auf.com. 50.&: fcc.de ortu &:
int. conc.7. Acquiconcrariafunr,quxfubcodegcnerc quam maximediftar, vt li-
quct,cx dcc imo mcca. 1 $,&.' H.crgo vbi cft contrariccas,ibi
ccrminacio.Siqut- dc maxime^ Sc nominc,feu maions &: minoris diftantixrario
proporcioque in infiniro no habcrur.Pacet cx 5 . dc phy.aafc . Hinc crgo
colligitur prima qux- ftionisdiflolutiojlenfilium nimirum paflionum,gencra non cflc
infinnediui dua,id cft,infinitatisfpccicrufeumedioru
cxpcrtiacflc.Obiicitaduerlushxc Burid.in quxft.xviiii.in huc modum:Linea
finita,puta bicubitalis,duo habct cxtrema,nt mpcduopuncraipfam terminantia,
infinita tamcn media fcu li- nez partcs intcr duo illa excrcma interiacentia
funt.Refpondct conccden do in lineailla infinicas cfle parres : poteftatc , non
actu. Poccftacc inquam,qoa- tcnus linca* magnitudoinfinitc diuiduacft: in
concinui iiquidemdiuilionc ad cxtrcmum pcrucnirc non licct.quocirca hac racionc
mcdia illius fum pca, finicancquaquamcrunc.Scd obiicicuriterum in infiniroactu
&: fccundum fpccicm,Colorcs(air Ariftoreles,&: faporesmcdiiex
cxtremorum mixtio- neoriuncur.Atquialbcdo,puca,&:nigrcdo infinitc augcfccre
&: minui pof- funt,atquc (ccundum infimtas proportioncs accu permifcefi.
crgo &: inn- nicas fpccics mcdias gignerc. QuicquidadhicBuridanus&:alii
dicanc, videtur mihircfpondendum,obic&ioricmcomplicacam cflc:ide6quecxpli-
cari oportcte . Nam fi album 8c nigrum fumas vtprincia funt intcrccdcnti- um
colorurfi,illa vtpotequxactu tunt, acciperc nccclfc cft : ergo vtfinica. adtu
infinicu,vcexccrciodephy.aufc.liquec.Acquicxfinico acrunuquagignc tur.
Hocgencrc argumcntationis vfas cft Arift.in codem tercio volummc Sc in priorc
dc ortu &: int.contcx.16.dc rriatcria prima loquens.Concludcre ita- quc
licct cx coloribus illis cxtrcmis,infinitos mcdios ftunquam profccturos. Cum
crgo obiicitur,album &: nigrum fccundum infinitas proportioncs com ufi DE
ORGANIS SENSVVM, inirccripoflc.hoccritabfolutencgandum,fialbum & higrum
velut finitos colorcs iumi ftatuatur. To [flp cZv ffituf^ic ft'c 'orwpa
Ti/tiiriToy afiaa^ei c 3 JVct, mmpcurfyitL. 7g 3 ^ti Continuu igicur in
infinita cmidem inarcjualia fecatur, in infinita ve- ro iqualia.quod autCm
perfe continuum non eft , id in fpecics finit.is diuiditiir. Quicquid
AIcxandcr&: Thomas hkafTcrant, ccnfco Ariftotelcm inhac parcicula,alccra
lui quejiti partc cxpcdire.Qucritur an pafliones ifta:,infinite lcxctui
lcctionccontinuiinpartcs.Rcfpondcc,primumpanioncsiftas pcrfc continuas
nequ&quam dici,cum continuitatis ratio non nili in magnicudinc & pcr lc
iubliftcnti lpcctctur,lcd per accidcns,quatenus ncmpc in continuo
ha?rec.Quaproprer pcraccidcns iuxtadiuifiohc lui lubicdli cocinui , diuidi in
partcsinfinice polIc(infiniccnempe concinuum ipfum lccabilccft )quanuis pcr fc
no nifi in fpccics finitas formalitcr fecari antca fucrit cxplicatum. Hxc aucis
Arift.idcoquc fubobfcurc:ob id nimirum, vt cxiftimo, quoniam alibi a?c
copiolius lint pcrtra&ata , &: hic catenus ifta attingenda fucrint,
quatc- nusaditum adcertiamquarfiti prarcipuam partcm cxplicandam fuppcdita-
rcnc.Invcrbis funtquxdamcxpcndcda^Infinitaquidcm inaiqualia) . Expo-
nicurquomodoconcmuumipium pcrfcinfiniccfccabilc,& non fccabilc di- catur.
Pro qua re animaduertedum,Nullam dari magicudinc a&u infinitam, vtcx tcrtio
phy.& pnori vol.de cctlo,liquct: finitam icaque magnicudincm in finitc
fccabilcm poccftacc tancum non ailudici: potcftatc inquamnon fic, vt intcrdum
aducllc qucat,quomodo a:s ftatua cft potcftatc,fccl vtdies&: ludus dicuntur
poteftatc cum lunt,id cft,in lucccflionc quadam : Cotinuum
nanquccconcinuisconftat,quarc&:incontinua diuiditur.liquidcmin cadi-
uidircsnataeft,cquibuscftorca.Cum igitur continuum omnc incontinua diuidacui
,magnicud6que fit quiddam concinuu, fir vt magnitudinis diuifio- ncs non
ccfl'cnt,ommqucmagnitudincfinita, alia minorcirc poflic.vt in tcr-
tiodcphy.aufc.doccmur.Diuifionesautcifta:concinui limul non fiunt,fcd altcra
poft altcram,fcmpcrque alia erficicnda rcmanet(hoc cnim infinica: fc-
&ionisratio cxigit). Atquehic fit,vt infinitum indiuifionc poccftate
dicatur non a&u,nifi atu id dici quifpiam vc!it,co modo quo dics &:
ludus , quz duo adu non funt,quia fimul totus fit dics,aut totus a&u
Iudus,fcd quod pars ludi fiat, aut dici pars iit,rcliquis fucccdcntibus
partibus. Atqui infinitum hoc po tcftatc,in diuifione magnitudinis.quomodocuque
diuidcndo, non habctur. Scd tantum fi "*4 *^vf *>?,id cft cadcm
proportionc diu ifioncs fiant,hic" *w fcclioncs vocatjfcd eodcm vtcrquc
fermo rccidit.Namli diuidendo partes !u mas in cadcm proportionc,hoc eft,qua:
cadcm ad totam qua? rcmahfit , ma- gnitudincm,habeancproportioncm,quam
primapars iumpta T ad totam ini-
tiobabcbat,ina:qualcspartcs,&:pcrpctu6,mjnorcs aflumes. Vcrutificx ma-
gnitudinc dcccm cubitorum , partcm aufcras decimam , &: fic dcinccps ma-
gnicudinis cius qua? remanccpartem dccimam aufcras , eandcm proportio-
ncmfc-ruas,partcTqueina:qua]csefncis:qu6ctiam fit,vtfctio in infinicura polfir
abire,cum pars decima ab co quod mancc , fcmpcr poflit aufcrri . At fi t > 7
1n diuidas , id cft,fi liimas partcs xqualcs mole magnitudinis.ci qux pri- mum
fumptacft,fincm habcbit ncceflat 16, Sc&io.Nam fiex magnitudinc dcccm
cubiiorum,a;qualcm fcmpcrpartem ci qua; initio fumpca eft aufcrrc vdtt ET SENSILI.BVS.
u 9 v clis(puta cubitum fcmper vnum)noua diuifionc ad poftrcmafn diuiiioncm
peruenics:qu6d fi dccimum dctrahas cubitum, iam magnitudo tota confu-
mctur.Illudinfupcranimaducrtcndumclticumdicimuscontinuuminfinitc* diuiduu ciTe,
id rationc materi^cum quac(t,inqua materic*,vt ens cft &1 qua- tu
concinuu,noh vchanc fnatorcm,&: ilJam minorcm formam appctit cflc in
celligcndum.Hic quzn a nonnuilisiolcc- Anvcrum lic,continuu cflc id quod
infinite\liuiduum(it;cumalibi vt inCatcgoriis,in pnori vol.dcca*lo,&:in 5.
mctaphv. aliomododcfinirividcatunpraucrcaan corpus continuum vcte
poflitinnnitcYccariCaTtcrumquoniam ncquc in hac particula conttnuum jppnc
dcfinitur,ac vix duo aut tria vcrba alteritis infticuci gratia dc ipfo habe-
tur ,ab vcraquc quarftionc dcclaranda,diflolucndaquc fupcrfcdcrc arquum cf fc
ducimus:priort mquc in locacicaca,poftcriorem vcro in tcrtium dc Phyfi-
caaufc,aut tn primum dc cxlo rciicioportcre.Tantum fcrupulus eft cucllen-
dus,quipra:rciiri non potcft,Qupmodocnim continuum infinitcdiuiduum potcftate
dicimus,'fi potcftas ifta nuquam in adum qucat cxire? certe fruftra, vc
prioridccarlocontex. ^z.liquct, qUodcft abfurdum di&u. Quicquid Zi- mara ,
&: alit dca&u pcrfcdo & impcrfeto,- de potcftatc naturali ,&:
lcgica, dc fimultatc itcm potcftatis,&: poteftatc (imultatum cx Aucrroc
fcc. de 01 tu &: intc.coni.9.aflVrant,mili!inhunc moduqtiaftibnc explicari
fummoperc placct. Docct Arift.alibi.Rationc Infiniti in co cfTe pofita , vt
aliud pcrpctuo &: aliud fumatur,(cmpci quc maheat aliqtiidfumcndu,nunqua
vcro totumiic Iumptu:im6 vcro ii diuidamus,diuiderc infinitc
licear,aliamq;femper&: alia diuidcre pai tcm:quocirca vocat infinitum
poteftatc,' * . Hax nanquc o- mnium quidcm formarucapaxeft,&: poteftatc
omnia ficripotcft,(cdtame non fimul,&: quatcnus habet ahquas formas eatcnus
actu cfle dicitur : quatc nus vcroalias rcfpicit.potcftatc.Icaquc dicimus
magnitudincm cflc potcfta- tcinfiniccdiuiduam,&: cum ratio,lcu
cirentiainfiniti , in eoconfiftat , quod a nobis proximc fuit cxpofitum ,tunc
a&u infinitc diuidi magnitudincm ccnfcri, cum nouaparsita funmur, vtalccra
tamcn adhuc fumendarcma- ncat; E'i%tia. dei k) cV Tot(c/c, A*- trltor on 7q
J[wudfJ.HK) ro cjrtpyuairtpor^i^ ro ftvpioTXf^opm XarSdrnr^xiy opeJ/u&fjor.
Kj $J A*At/.&,*) 0 cVt fiutn tpdvyyoc At3ttV . xaf%i ouuo dxcuet
rn" ^tiAwc tsarroc.lo 3 ^idfnfiaro TtT /jLt&IZvjBpccTguc t%drnc
j\ar3drfi. OfjLoleac x) cV to?c AAciC ai&rflglclg? uixpd mdrv. J{wua'imy%
epa^t \dnfytia ofci %vpi&ii.KSH $
iw&dfxei Jlujjdfttt n trof taia rr\ J[ltnS t)rtpy tlet p"r>i (
d[uudiJJHy^i irv nonnulh ad partcs continui potcftatc , ncmpe quar in toco
tblummcdb fubiiftunc,&: partcs concinuia&u, qux fcoriim ctiam fubii-
ftcrc qucunc,rcfcrri velinc:Omniayeodem rccidunt,vt intclligcnti patct : di- \
Iucidiortamcn,&:vcrbis Arift.acc5modatiorcftlenccncianoftra,ftacim nan
qucde lefiliau, poceftaccqilVnlili vcrbaacic(tquiin Dixfi). Infonoqua rnaximc
(rcfpc&u aliaru qualicatu.)racio c5t inuitatis apparct:in ibno inquam
cantionisMuiicx^cuiusnunfura.tcmpuscilL/acconftat.Pro mtdligcntia vc rb cius
quod Anft. hic f Uu vocac,confulacur Boctius, li. priori fux Mufices
ca.i.&:li.3.ca.i.8.SatficnobisinprxfcciaDixfin,nilaliud cllequamdimidiu
fcmiconii , id cft , quarcam Toni parccm.principiumquc foni apud Muficos,
vcIucipuncr.umlincxapudMacucmaticos propcmodum habcri.( Inccrual- luruZGcnuscft
DjxIjs,vccx capicc primociufde primi Boccu,&locauoccrtu padJ(Poccftacc
naquc pcdulis linca) In linca bibedali cocinccur pcdalis non
actufcdfaculcacc.cccnim cocaadu bipcdaliscft.at ii diuidatura&upcdaliscf
ficicur. Poilcnr ifta confirmari pcr quarram propofitioncm libri pnoriscle.
Euchdis. (Scparacxauccm calcscxupcrantixJ.Si fpcdemus qux Ariiloccles
infcc.dcan.contcx.i oo,&: i2j,iccm j.ciuidcm crad.67, 8t6$ cradic,nominc
cxupcrantixnon nifi fcnfilc vchcmcns , &: quod maximam afficiendo fen- fui
clficaciam habcac, incclligcmus: acqui ccrce hke concra cft accipicn- dum,ncmpc
partcm illam minima qux in diuifione fupcrciTc djcitur , 6t* qux adfcnfum
pellcndum, nullius cft efficacix .(Exuperanria nanquc poteftate,
incxquifitioriincft).Ni fallor ,probatiocft amaiori, acfiicaraciocinctur,E-
xupcracix iftiufmodi,rcfpedu quoquc cxquifiti fcnfus facultate fcniilcs funt:
quo crgo magis rcfpectu lc nfus minus exquifiti-Scd quxritur quonam modo
Ariftocclcs,hacquxftionis cxplicacioncpofica&: ftabilira adparcium aducr-
fanciumargumenca rcfpondcrcqucar. Vc huic quxficocommodiusfacisfiac paucis toca
Philofophi fcnccncia rcpccenda cft. Quxritur an crrc&ioncs fcn- files
infihitc diuidux linc.Rcfpondccur,Si per fc fpcdcncur,quaccnus ncmpc
diuifioncgcncrum infpccics,fccancur,infinicc non diuidi: fi vcrbquatcnus in
continuo funt,iuxtaquc illiusdiuilioncm fccantur,poccftate quidcm in in finitum
abirc,ica vc minor qu^que,&:adhuc illa minor,fcniilis in coco ipfo fir, non
tamcn a&u,id cft, lcparaca,cum hoc modo ad quafdcm parccs icc ado dc-
uenirc ncccirc lic: qux ii vlccrius fcccncur,cuancfcunr,acquc in concincns rc-
foluancur.Qinbusftacucisad argumcntarioncm prions parcis diccndum cft,
fcnfum,&: fcnfioncmeodc mododiuiduam infiniteeilc,quoipfa* 9,, fcnfilia,
noslibentcrconccderc: facultatc nimiru , Idcbque quamuis ad partcsadco
minimas,vtfcnfuma6rufugiant,dcucnicndu indiuifioncfit,iftastamcfacul- Utc
fcntiri,quatcnus nimirum aliis accedcntes fcnfum pcllcrc qucunt . Ma- gni vcrb
intcrcft(vt hocobjtcrnon prxtcrcundu tamcn doccamus)Magnitu dincs qualicacu
omnium cxpcrtcs,&: infcfilcs acu,feorfimquc fubfiftcccs da- re,cxquibus
coeucibus aucinuicc fupcrimpoficis fcniilequid cfficiacur(quod Democ. ahifquc
placuic(&C magnicudinc darc cu aliqua quidc afrcwlione ft n- lili rationc
fui,adcb tamc cxili acque cxuperancc,vt rationc cxilicacis nonfcn
tiacunlmbdchocipfominimoin i.dc phy.aufc.c6c.36,&: 37.aducii v Anax;ig.
loquuc*cft.Scpcraucc illud rccincatur,rac6cinuuquac6ci.nui afttiboncsfcu
qualitates infinitc diuiduas poreftatc tamcn folumodo cx Arift. fcncctia dici.
v.ii . ET SENSILIBVS. t i} l verunfeorfim quociue cxiftar^neccfle
eft:ho:ccolorem ,inquam, fapore' fonofque numcro fimcas cffe:
Epilogumfacit,qua:monispropoiicxdctenmnaca capica rcpcrens.(Quar Icnium
laccnt).Egrcgie nocac Alexader,hzcdicine vidcacur illorum fcntcn
tiaadmitcuquxcorporaicnniiacxacomisinfenlilibus^nullamqucpainoncm
aiicqualicaccm in feipiis habencibus,coniticui pucauit.Habcnc itaquc minu- t.v
ilt.c parces fcnii lcs pa((ioncs:lcd exilioresquam par iit,ad fcnfum pcr fc af
n"cicndum.(Er quam ob caufamj.Ob mmiam ncmpc cxilicatcm, idcircoquc
exupcrancixiftiufmodij^^^x^^cuancfcunc. (Acqui vcfenciri&r non fcn-
tiri).Parccsquat fccundum fcfcoriim poiluncexilcere,adufcparara?,pocefta-
tefciunccar confpiciuncunvtluciDixiis in Symphonia,cconcracxupcrancix
illcfcn^ilcs:i'cparatx fiquidc potclhcctantumfunt vililes,cuca&uredducur,
cumaltcriacccdut,vclaccumu)icur.(Cuaucc).E(liflapcrbreuis c6clu(io,ad qu.eft
ion i s diffolucione clarius cxplicada,in hoc cpilogo addi ta.Hcc cft aucc (ni
rallor)illius (cnrccia: QucJitu cl^anaifcctioncs ic(ilcs,cum iuxta diuiiionc
concinui diuidantur,iint infinite fecabiles:ita vc athl fcniiles mancac. Rcfpo-
dccur,duobus pofitis que fupcrius cxpofica funcmepe parcescantum lllas a&u
fenlilcsdici,q\i.t:i'eor(im quoqueacocofcnciriqueunc:pra:cerca,concinuu,ii in
partcs qu.c fcoriim qucat exiit.crc,diuidatur,nequaqua infinitc fccari:Re-
fpondctur,inqua,^"" J * llta fcnliha.li no modo m cocovcru ctialcorhm
tofpi cua clfcdebeant,ncceflecft,ipfannicc,& nullomodoinfinite fccabilia
clTe. f\ 'iBnpriffHt sror\ yirtraf xl&Mt^ orar trtpyuc* uc Tpftiffor
apaPror, oTcr firt co~w) /xtnS' oxXiic ,
priusadmcdiuqua ad vifumauc adtcrram pcruenire'Quod quide nopnrer
rarioncacciderccxifti narur.Cu qiUB moucnrur,alicudcaliquo
moueatur,idc6quctepus quodda intercedere rcccfie fic,quo ab vno ad alteru
moueacur. Atqui tep' omne fecabile cft. tempus igicur aliqucdfuit, quo radius
nonccrncbatur,lcdadhuc per meclium lpfum ferebatur. Sccunda quxlbo difcucienda
: An fcilicec fcnfilia prius Mcdium pcllanc atqucafnciar,mox ifthcteriu:an
vtrumquciimul.vndc verohuiusqueitio- nis jpponcda? occaiio fumi potucric,ii
quis ca qux de iAhcccriis ancca cxpo- fita funt in mcmoria rcuoccc,tacile noifc
pocerit.Hic vcro ab ill is diilc tio,qui
qt:cSt:'MiciiacadircsutunH'>dofcnfusrcllriguc,\ifum,ncpc,au-iiiu^ oliactu
v.iii. tj4 DE ORGANIS S E N SV V M, cum tamcn fit vniucrfalis, id cft,ad omncs
fenfus pertineat: alioquinenim, GuftumfiTaaumabfqucmcJiocffici,dicerctideremur,quod
Ariftotclis doftrinx rcpugnat.
Argumcntatur itaquc Philofophuscx vcraquc partc, pri-
mumquc,obicauminmcdiumpriusagcrc,cxcmplo > autnoritatcquc ) moxe- riam
rationc dcmonftrat.Et quatum ad cxcmplum,aircrc fcnfus in quibus !d P
crlpicuummagiscu r evidctur,olfaftumncrapcficaudicum,olfacimu$nan- que prius
vicinum odorem,quam rcmotura, ergo intcmporc : crgo primum
amciturmcdiumabobicao,moxipfeolfadus.Sinanqucfccuscllct,odorrc. pcntc narcs
pctcrct,*: tam commus quam cminus olfacicntcs eodcm ccm- poris interuallo
afnccrcc.In auditu itcm fc rcs habct , ittus vna cum fono ctn-
cicur,ncqueenimdifiungiqucunc:fiquiscamen paulo diftancior mancac,i- ftumprius
conl"picict,mox fonum audict. Patcthoc,&: vnulquiiquc idpo- tuit
multoties cxpcriri.Dccorrufcatione,qua:quodad gcncrationcm acci- nct, tonitruo
poftcriot cft , prius tamen fentitur, candcm Ariftotclc$ ahbi fcntcntiam tulit
. Hxd in iumma indicant,ft>ccicsolfaailcsfiaudibilcs, permcdiumaliquo tcmporis intcruallo prius
fcni,quam icntiantur.Qux- rit dcinceps an idcm vifui accidat.Scacuic
authoritate Empcdoclis, viiilc ca- dcm prorius conditionc vifum afficere. Ipfc
nanquc ait , Lumcn a folc profi- cifccns,ad mcdium pcruenirc, id cft,mcdium
prius afficcrc , antcquam ocu- lum vel tcrram attingat, acfi diccrct, illuminationcm
fucccihuc fieri . Addi- turdemonftrans ratio,qua authoritas quidcm Empcdoclis
impnmisftabi- litur ad quoduis tamcn fcnfile potcft accommodari, Omnis (aic)
motus fit m tcmporc,hoc cft,fucccifiuc,illuminatio cft motus,crgo fit
fucccifiuc, crgo vi- filcpriusmcdium pcllitquam viium. Propofitio alibi
cxpofitacft, ncmpcm quinto dc phylica a ufcultationc contcxtu tcrtio &:
fcptimo . Omnis ( m- , ouit^^cft cx quodam in quiddam:declarat autem
hoc,nomcn~*A*: fiquidcm rT'i**i -n po ft aliud aliquid,Sc hoc quidem pr ius
fignificat,illud po- C ftcnus.Confirmari infupcr potcft dcfinitionc ipfa
motus.in tcrtio ciufdcm rraaat pofita . Etcnim ii motus fit attus mobilis,co
quod mobilc , fuccclsio- ncm in motu habeat.ncccifc clHccus nanqucnon fcd
potius w* ^ diccrctur &: iure, quandoquidcm quod mouctur , pnus cft m
tcrmmo a quo quamin tcrmino ad qucm:crgo'pnu$ inmcdio, quam in finc:ab vnonan-
qucadalterum cxtrcmum abiquc mcdio tranfirc nonlicct.ahoquin liqui- dcm
mutationcm momcntancam c6cedcrc,limulquemoucri,&: raotum cf-
fcaliquid,fatcricogcrcmur. Acccdittcmportsdcfinitio, inquarco,conccxcu 101
abcodcm Philofopho poiita: Eft cnim motus meniura,iccundum prius
&poftcrius.Airumptio probatur,quandoquidcm illurainatio altcra- cio quardam
cft , ergo inter contrarios cffici tur tcrminos , crgo vililc non po- tcft
cficlimulin tcrmino a quo 5c tcrminum adquem: quiaficincontraru$ D terminis
firaul rcpcrirctur,ergo pcr mcdium tranfit.Si cxcipia$, illummatio- nem,motum
ciTc localcm , idcm &c magi$ crit affirm m dum . Scmpcr cnira
tcmpu$inmotionaaliquod intcrcedatnccefTc cft i ^.rJU-rmr .Qup- modo contcxtum
diftribucrc qucamu$ hac noftra cxpl.catione conftar. (S7.V9-r i
miKh*imi&*M"Z'). Priorpar$.in qua quarftio propomcur. O- mnc$
Alcxandrumfcquuti,ccnfcnt Ariftotelcm inhacparrc,non raodoad propriam dc raodo
fcnfioni$ producendat fentcntiara , in quxftionc pro- poncnda ic rcftringerc ,
verum ctiam aliorum opinioncm dc AuiuOnodi recomplcai,vtpotc quc candcm
paciacurambiguicaccm .Idcircdquc illud ^^Jincerprccancurfenfil.a, fcu fcnfilium
fpccics : Ulud vero , i ^^,intcrprctanturcorporcadcfluuia,abobicaoad oculura m
vij.onc E T SENSILIBVS. i 3 j difccdentia. Hoc Dcmocritus, lllud
Ariftotclcsdocuit, vt fuperiusexpofi- tum cft. Scd lanc cxplicatio ifta tandiu
rctincri non dc buit.Ea nanquc pofita fruftraPhiloiophuactcmcrcQuarftioncm
huiufccmodi propofuifTc aflercn- dum cifct. Cui nanq; dubium, Corporca illa
dcrluuia cum corpora finr , qui- bus pcr fe localis motus conucnit , in mcdium
prius quam in ./Efthctcrium a- gcrcdcbcrc.'Mcnuimusantea,Motumlocalcm
atcrminoin terminum clfe, id clt , ab cxrrcmo ad extremum , quandoquidem
termini motus funt ipiius extrt mkatcs:ergo pcr mcdium ficri, (extrcma nanquc
funt inter qua: aliquid intcrcedit,nccfimuImancnt)crgopriusadmedium quam ad
/Efthctcrns*'jwf \smi ri prtvu rr c ( rii dxsn . tv\o7 J %v% k) n 9^ faH-uarox
/ut&%rfiaTirjic yt- vofj$fJn? rJivJ( tyfit ^juSfj ofnjfi ^ ^fdraf
,aazrtpTo~d %fat m otftrj&iftt nmtxdTtpovti). fpS taoKytto- /JfJot( cvft
Jfaptpei.n *ytv( w ;, & principia
parcium ua/^ Tsavrc, dxovHtjn apar^t 6 a^cj^.o^ii 'WaAAs) afta ofcSix/ ^
ccrumraf {? dxovKff. 94 Quo ficvt id ipium primus,atque poftren.us
.uidiar,olfaciarq : ,&quo- d.im etiam modo non. Pro qua re,a nonnullis
dubiratur,alfirmantibus, ficn n6poiTe,alium alioidem aud:re,aut videre &:
o!facere,cum ficri ne- qtieat, multos eofque inuice difiun&os audire, aut
olfaccre : ahoquin e- jiim vnum a fcmetipiu feiun&u efTet. An quod mitio
mouir,verbi gra- n.i,tintmabulum, thus, aut lgnis, id vnum & lde numcro fentiunt
om- ncs? quod \ ero i.un proj num erTe&um ell , diuerfum qiudem nun ero,
fpecietamcn ldem percipitur? Quamobrem multi fimul videntodo- rant fic audiunt.
Et folutione alIata,cxoricur quxftio, An qui rcmocior eft illud idcm audiac,
olfaciaruc,quod propior. Cuiusquxlicioccafioncilludcciamquibufdam in dubium
limpiicicer,&: nulla intcrualli locorum rationc habica, rc uocarii ciis An
dicicrli qui diuerlis jtftheceriis prxdiri l'unt:quanuis a Scniihbus calibus,
xqualibusfpaciisdirtcnc,idem prorlus olfacere, idcmque audirc dicancur.
Rariofanc elfc vidccur,curidncgarepoliimus. Ercnim iivcrum cft,mcucns Vc moucac
, cum mococlfe oporccrc , qucmadmodum (cpcimo phy. conc. 10. tradicur,obicchim
quod vnum pdlic& afhcir vna cum illo crit:quod li plurcs afficiat,&:
cum pluribus idcm cflc dicacur , idcm ccrce a feipfo difccrpi atque
difiungioportcbit: quod arKrmarc,abfurdiliimum cit. Vtrunquc iimul qux- fitum
hic diftbluit A riftorclcs , nimiru quodammodo idem,&: quodammod o
diuerfumab illisfcntiri. Ecidcmquidcm numcro,(i obicdum rcmocum 111 fuoque
principio ortiive coniidcrcmus : qua ratione ttirfinrmtinf vocatur: pucaionum
quaccnusa tintinabuloprimum ontur; odorem eodc m modo a chure,&:ab
ignccolorcmfculumcn : diucrfum autcm numcro(qu.imuisnon fpccic)iiobicda
iftaquatcnus propria, idcft,fcniioncm in quolibcr pcculiaii
produccntiafpeftcntur. In fumma,fonus in fuiinitio&: ortu vnuscir,qui vcr-
ius multas partcs, hinc fcilicct atque indc multiplicacus, mouctur. Dc odorc
&: aliis idcm diccndum. Qua folucionc poiica, aucoricati Anft. iaciliact i
c nos ica poflumus, dc moucncc nimirum proximo cam intclligi oporterc. Ex quo
fequitur, idcm a feipfo non feiungi , idcmq; rcmancns multiplicari numcro,
quaccnusfcnlioncindiueriisnumero fcnlibus variilquc mcdii parnbus pro- ducic.
Cxccrum qucmadmodum^^^^^Wjid cft,vcitadicam,plunfican- tur : ica in linca rccla
plurificari obic^u cale aiferimus , ica vt hon idc nunuio M o DE ORGANIS
SENSVVM, prorfus fit, quod propius origini luac cft, &: quod ab ipfa
rcmotius : quare noh idcm ommno a propincjuo quis fcntit, quod a longinquo.
fiVOTtfor i owlg vcf[ut o1~ f ua jjci fcttf '5t/ typfJLWt tcrmini contrariifunt
fccundum qualitatcm, iuxta quorum diftantiam mcnfura tcmporis fumicur , non
inccr- ualli magnicudinifvc. Proqua rc&:aliisnocacioncdignis,admucacioncs,qux
alccrnacim, quxquc iccm momcco enSciuncur incclhgcndas,confulacur illius
commentarius: Nos in hunc locum omnia congcrcre nolumus , quod pcrfpi- cue
aThoma profcracur,&* quod alias copouus ifta pcrtraclaucrimus,&: nc in
lulce noftris commcncariis ca tantum coportarc vcllc vidcamur, quxa prx-
clanllimo quoquc Philofopho funt tradita &: cxphcata. Summorum quidcm
virorum annotataadduccrc&: cxpcndcrc,pro inftituti lociquc rationc intcr-
prctis munus cft: Singula vero , cunoiiiis vbiqucinculcarc ,abfurdiliimum ccrtccft.
Sedadrcm. Dupliciecrabomnibusicrc incerprecancibushicdubi- tan lblet. Primum
quomodo mutationem,qux momento cfficitur, Ariftocc- lcs concederc pocucrit: mox
quomodo Viiilc non prius mediu quam fcnfum pellat &: afficiat. Prioris
dubitarionisoccafiolumicur cx fcxco dcphy.aufc. coc.ji. vbi tradicur,omnc quod
per fc mouccur quancu eirc,diuiduu,parccfq; habens, cuius pars vna f\t in
ccrmino a quo, altcra in tcrmino ad qucm , cum non fecundum fe totum aliquid
moueri qucat. Ex quo vidctur cocludi opor- tcre, aquam non totam iimul
congclafccrc , lac ltcm non iimul totu concre- fccre.
Pulchrafanedubitatio.Adquam aliiahtcrrclpodcnc, ncciniuriaxum propemodumiAumVcl
ipfotcftc Auerroecilc vidcacur,&: cancisdifficulcaci- bus inuoluca , vc
nobilcs Inccrpreccs, in cacxphcandaplurimum dcfudarinr. Qwc vcro pheriquc
acculcrinc, huiufmodi ccrcc func, vt non minores dubica- ciones rclinquanc.
Alexandcr cnim cum vulc Ariftot.nobis hic falfum rcddc- re, prorfuseft
rciicicndus. Thomascci.imqui dcmonftratioocm illam fcxti phylici ad motum tatum
localcm rcftnngit, opcimis Inccrprctibus &: Arifto- celi quidcm ipii
rcpugnar,qui illam ad omnes mocus fpccics pcrcincrc,acquc accommodari
conftantcr afjfirmant. Qui itcm Ariftotclcm hic cxcmpli non veritatisgratia
fuifleloquutuma(rcrunt,nugaccmipfum faciuntqui inpri- mo &: oftauo
phyiico,idcm in rc fcria ftatucnda rcpeticrit : imo qui hoc in lo- co in
qu^ftionc non minimi momcnti dcterminanda,ex apparenti vcrii con- cluderc
volucrit. Idem cnim cft ac fi ita argumcntacctur,Qucmadmodum a- quaftatimcoalefcereapparer,ira
vcrc llluminacio momcntocfficitur. In rc crgo adco perobfcura vix audeo
quidquam affirmarc,nili dicamus , Ariftocc- lcm non aifcrcrc aquq congelacionc
omnino momenco cffici:fcd limul quod ad omnes parces cffici, quauis enim non
pars poft partcm fcd cota (imul har, in temporc tamcn fit,atquc in tcrminis
oppolicis cum a non coagulacionc ad coagulationem, acque per gradus , id eft,ab
imperfcdiori ad perfcctam coa- gulationcm cranficus fiat. Si qua: Ariftocelcs
dc duphci principio &: cermino, in prioriphy.coc ij.nobis
fcripcareliquit,vclitquisdiligcntcr expcndcre, nonnullaquc item,in hoc
commcntarioa Thoma annotata confulcre,facil^ agnofcct, nullam aut faltcm minima
vim dcm5ftrationi fcxti phylici hoc nr> ftro refponfo aiferri. Ncque
obftacquod congelacio mometo cffici videatun hoc (iquidcm ob fcnfus noftri
imbccillitate accidir, Scd hxc omnia alibi co- piofius. Altcrius quarftionis
multa: funt occauoncs : omitto C|ux fucric Placo- nisdc Lumincfcnccncia,
quxiccm Ariftoc.hxccnimabundcfupcrius: nunc vcroicaobiicio: Omneagens
phyiicumpriusinlibi proximum quam inrc- motu agic, obic&um
vi(ilcefthuiufmodi*crgo&:c.cx quorcdc fequiturprius ipfum in medium quam in
fcnfum agcre : Sompta cft argumcntacio ex Arift. multis in locis , &:
prxfcrtim quinto phyiico.conc. zi. &: decimo mctaphy. 11. Huc ET
SENSILIBVS. M j Huc accedit accioncm vifilis decerminatamc/rc, ac proindc
fucccfliuam . Rcfpondcndum cft cx Alcxandri , Simplicii, &c
Auerroisfcntcntia,lumen eficqualitaccmfcu formam quandam(piricualem,concrariccarc,acquere-
fiftcncia carcntcm. Hinc illudconfequi: vifioncm momento erfici. Ulu-
ftracofiquidcm medio,obiect6quc rccic difpofito , ftacim vifioproducirur.
QupcircaobiC(5lioprior,nuIlum aducrfus Ariftocclcm momcntnm habcr, quar in vcro
agcntc & rcali corporeoquc valer. Ncquc fucccflio a dciermina- tionc
oritur, fcd a contrarietatc &c refiftentia patietis, quod alibi copioiius
cft cxplicatum. Quaproprcrcuminadtionc viTiIis nulla prorfusadfitrciiftcntia*
quid prohibct, quomin' lucidum corpus,fuoluminc pancm fibi proximam, id cft,
illam totam quam illuftrare aptum cft,(cft cnim agcns dctcrminatum ) ftatim
rcddacilluminacamrAdducaliiargumentamultaaduerfushxc:Nem- pc f orc vt crcatio
dccur, cum lumen e potcftate materici elici , dici nequeat: (hoc liquidcm non
nifi in ccmporc cfficitur). Eflfcchim iccm vclocius fua cau- fa pofic
mouenmcmpc Iumcn cxIo,quod nonnili viginti quatuor horis fuum
itcrabfoluit.Poftrcmocx Aucrr. Luminisvim infinitx virtutisforc,cum mo-
mcntoagat : quodtamcn Ariftotcli ino&auophy.rcpugnarcvidetur. Refte ad
omnia rcfponfumcft: Lumcn nouitcr non cffici, lcdreccns apparcre, idcircoquc
non cicari,ncqucircm efinu matcrici,quxantccxfftat,cduci. Pr.xtcrca,lumcn non
propric moueri i,fed fpintualitcr fcu formalitcr multi- plicari.Poftrcm6,argumcntum
Aucrrois in vcra actionc &C rcali locum habc- rc, non 111 fpiricuali, qux
ob nullam rcpugnaciam cx parcc cius quod pacicur, illico opcracur. Quod dc
Luminc ha&cnusdiximus, dc colorcitcm inccl- ligi voiumus, quandoquidcm
quaccnus Yifile cft, luminis racioncm obcinec, eiufquc accio,mcdio
iUuftraco,rcpcncc cfficitur , cum adopcrcis oculis ftacira confpiciacur. H%
e/l' av x) y^jfS-ctf^azrtfi n ovpti^ti wufpefn/A/J , tnppantpu t ti 'Gph
S-ly&t a-v&u v\&xvoM&tdj\6yo$ h v %b mTs&v %Z
ai&wnpiUyofy SluAtrclp^i t mhlut ki t ^cvtoc J/$l 5* tipn/jSfjov. JfaL 1s
av?? #o%4 'fad opav . ?o y% $eS$ vom^S
offi. Eflfec autcm vtique & fpfa deguftatio , quemadmodum olfactus , fi in
humido eiTemus , & remotiiis tthtti ,anteillius cont.;&um fentiremus.
Rationiautemconfentancum eft, illaquorum ^tftheteria interuailum habent, non
Gmul affici, praeterquam in lumine , ob caufam quae com- mcmorara eft. Item ob
id ipfum de vifione dtcitur : lumen ficjuidem vi- fionem efficit. Ncquc
Ariftoccles nequc aliusquiuis ncgarc poceft, Guftum &c Tactum candcm
conditionem in fuo munerc fubire , quam fubeunt olfatcusfic" Audi- tus,
cum& mcdiumabxftheteriolciunltum habcanc, &eorum obicctacor-
porea,realialceracione mulcipliccncur. Obfcuriusquidcm resinillishabcr, cummediumcorumaproprioxfthctcriovix
diftinguacur. Qua fortafic ra- tione , in fecundo dc anima,conccx. 1 1 j.
tatilc& guftatilc ab al \ s Seniilihus cofeiungi
tradidit,quodaliaScnfiliapulfo&:affcdoprius rncdio,nos dcin- ceps pcllanc
&c arficiant : hxc vcro medium lenfumquc fimul : ncmpc vt apparct,nonvt
rcueracft. Vndc Aucrrocs ait , particulam u* non ad tem- pus,fcd ad caufam
refcrri oportcrc. Qupd in hocctiam contcxtu pcrfpici po^ teft. Ariftocclcs
fiquidem in prima illius partc detcrminaturus , quomo-- do rcs fc in Guftu
habeat, ita loquutuseft i Obicctum Guftus cftlapoiy x.iiu z 4 6 DE ORGANIS
SENSVVM, fapor autcnicft wi5sr>y^orUT'Jjf^v4d.-5. Quareuitain humidoaqUeo
dcgcrcmus , vcluci in acrc, cadcm Guftatus , &: olfaftus ratio effcc.
Primum nanquc dici oportcrct aquam affici,mox Guftum, vcluci acrabodorcpri- mum
afficicur, poftremo olfaftus.afapida cnim rc fapor pcr aquam tranfuchi
multiplicariquc poffct. Egcmus igitur fi dcguftarc vclimus , vtfapida ipfa
hngux admoueatur, qux &: racdii &: xfthetcrii ( vt antea cxpofuimus )
viccm gcrit.Quo ctiam fit, vt codcm tcporc mcdium &T jEfthetcriu affici
vidcatur. Hac fortaffe racionc Natura pifcibus linguam quidcm &: in fumma
organum Guftatus tribuit, imperfc&u tamcn , offcum, ncc abfolutum, vt
Arift.in 4-dc hirt.ani.ca.8.lcribit.IIludinfupcrannotarc placcc,Arift.olfaftu
non auditum cum Guftu cotuliffc,quod hi duo fcnfus ratione fuorum obicttoru
finc quara maximc affincs , odor nanquc ablutionc humidi in ficco fapido fic :
quo fic vc qucmadmodumodoracrcmcdiomultiplicatur, ita faporcm multiplicari o- B
portcrcvidcripoffit.ExhisitaqueconftatGuftum&:Tadum non codc tcm- Q porc
iimul affici cum mcdio, ncquc id Ariftotcl. vdluiffc , fcd in illis non ita
perfpicuumcffc ,vclutiin aliis. Idcircoquc inquitn \Jt> l* jfv,ff7i
>*.'if3i') ^ui3,ac fi nollit omnino arfiimare,nildiftare mediuguftus ab
ciufdcm yfthctcno:fcd oftcndcrc vclit,fi cifcmus in aqua,forc vt diftantia illa
mani- fcftior cffcc.cum aqua faporc affccca,guftuiquc noftro admota,co cafu,
mcdii munusobirec. Colligittandcm ,rationi confcntancumcflc,obrationcs an- tca
allatas,fcnfus illos quorum xfthcccria mcdium habcnt cxtnnfccum, non fimul cum
mcdio affici,Luminc tamcn exccpco,&: omnino ipfo vifili.In fum-
ma,quemadmodum lumcn illico cffundiaifcrit, itaipfum ccrncndi atcum cuiusLumcn
caufacft,ftatim cfficiconcludit.Qupmodoautcm Jumcnvi- fionis caufa lit.alibi a
mc cxplicatum cft. E"V* ^Vwnp/flt Kj AAk tic, 3* Ti %t t{
al&rCttc, e/] xzsoxei&cu , oti
ixd^ udXhor itfrt ai&dvt&af dtrXd" orr', ti xtxpafjSfjn . o7ot
oint dxpctTH, ti xtxpafjStfu^ty} /utA/r- x) %pccts,i&l t^ rrTHC. uo'nigj cV
tti Jjfr imbccillioremrepcllerc: quod
cxpcricncia perfpicuum rcddicur. Namque oblaca oculis noftris non (cncimus, cum
cogicacione aliqua ica tencmur vtinccnci prorfusanimoin ipia vcricmur: quod
iccm cxpcrimur,cum for- tcforcuna mccu aliquo maximo occupamur ,auc vchcmcnci
ftrcpicus fra- gorc circunfuii quali ftupidi &c pcrcerrici decincmur .
Alcera hypochciis: Mixca difficilius icnfu pcrcipi, ipfis iimplicibus. Noca cft
& communis valdc cxpericncia , Quandoquidcm vcl Ebrii ipfi faccancur ,
Guftum,re- &iusvinimcracifaporcm& qualicaces fencire,quam fi
vinumaquataliquid admiftum habcar.Mel quoquc purum,facilius cfuam
adulcerinum,& fo- la,quam Jfa****' in audicu percipitur.inuiccm naque
fcniioncs quac ab vnofic ab alccro ofiuncur,fefe impcdiunc atquc obfcurant .
Atque idcirco in iis hoc tantum ficri moncc Ariftoreles,cx quibus pluribus
inuicem coeuntibus qua- D iiaggregatum
quoddam,atqucpcraccidcsvnumconflaripoflit.Compone- tiananqueibiatumanent:quo
frtvt fibi mutuoiint impedimenco.Exhif duabus praecipuis hypochciibus,alia$
quafda deinccps clicic.Si cccnim pona- tur,Simplcx magisfcntiri,quam mixtum ,
&c efficaciorcm fcniionc imbccil- liorcm
obfcurarc,rcftcfcquitur,maiusfcniilc,non ira cxatcc mixtum, vtiim- plcx comprehcndi.Quanuis
cnim commiftum,(ic co debilins,femperramen ab mibecilliori cfficaciusnonrtih.il
impediri poceft . Rcfte iccm exiifdcm il- lud alccrum fcquicur: Si,quz fentiri
mixta debcncarquali efficacia fint fcnfui afficiendo,forevt neutrum ferttiatur,c6m
ambo zqualem repulfam vclz- qualc impedimcncum mutu6 paciantur, quominus
percipiqucant : cum pr.rfcrcim in huiufccmodi mixco moucntia minus (implicia
fcn tiacur , quam x.iiii. l4 3 D E ORGANIS SENSVVM, in fupcriori : quo fi c ,
vt aut nullu talis mixti fcnfum cfle diccndu fit, aut li aJi- qucm,illumccrtc
non alterius componcntis,(ed canquamvnum quiddam ccrciu cx vcriufquc componccis
nacura proficifccs,quod fane in omnibus qux
commifccncur,perfpicuumcft.Vcrumcxpcndamusnonnullacontcxcusvcr baC*^ 4 ^ j*wX*f
)Non dacur ccmpus indiuiduum, qucmadmodum nc- quc mocus,cuius ccmpus mcnfura
infcparabiliscft, indiuiduus datur.Hxccr quartophylico.conftanc:pcr indiuiduum
camcn ccmpus id intclligitjquod ita diuidincqucat, vt vnafcnfioin hocfui
momcnto lcu (quod folum ccmporis accipi potcft)altcra in alccro ficri dici
qucat.(fcTi*).Confulacur Bo- cciusvoI.prionMuf. cap. x x.quinarracMuficamqux
cxcicharx neruiscf- ficinir vlque ad cempora Orphei limplicem fuiffc, adc6 vt
quatuor ncruis co- ca conftarct, cuius ^T^ot/iowMcrcurius fuic inucncor.Quincam
dcindc chor- dam Chorcbum Athyn Lydorum rcgem adiunxiilc . Mox fcxtam Hyagin
Phrvgium,lcptimam cadcm ad fcpccm planccarum fimditudincm addkulfe
TerpandumLcfbium.In hoci^f^qu^grauiiTimachorda&i fuprcmacrac wWrt vocaca
eft ,quali nuxima&' honoraniTima:qux vcro infcnor^quafi'**
T,idcftacucifiimanouiinma&:infima.Inccrccdcbancalixquinquc& poftJ-
muiiu, quidcm ^r^^^-^/^t^^^^^^^^^^Enumcrit dcinccps boetius aliainftrumcntorum
gtncra abaliis rcpcrtaj^^V^svtaLichaoncSamio, Mn^oVwaProphraftoPeriocc^wx^P^^^H
0 "^'? 0 Colophonio,i^ aei:t, doceamur,Conrraria omnianeccflaiicr, vcl
cflc in codcm generc,vcl in contrariis gcneribus,vel ipfamcc gcncra,ergo non
ncceflario in eodcm gcncrc:Rcfpondco, Ariftotclcm ibilatiiis vocabulfi
contrariiaccipcre quam vcra contraticcas cxigatiquod ctiam fccit primo phyfico.
contextu quinquagcfimo. (Neccxalbo &acuto vnumquid effici potcftnilipcr
accidcns.) Namfi vnumquidpcrfccxdiucrlis lftis obic&is cfficcretur,vna
ficrctmotio, vnius (iquidcm mobilis,motio vna,cx quinto phyfico.
trigcfimoquarto: fcntiocrgo vna,vnufquc fcnfus fcntiens crit:cx
quoablurdumfequitur:Nimirumforc vt vnus fcnfus obieda aliorum icn^ fuum propria
, pcr fc fcntiat.Pcr accidcns autem vnum illudeft , cuius gratia Ariftotclcs
Vctcrcs in pcrturbationcm incidiflcnarrat,primo phylicorum contextu
vigclimo:quo modo ncmpe album & philofophum,quorum eflcn- tia &: ratio
diucrfa cft , vnum quid &: idcm funt , quando Socraccs albus cft
idcmquephilofophus.Aliahuius vocabuliflgnificata y qui vult,inquintoMc-
taphyficorumlcgat. t^ri iid AAcr aua fvoTr aie&oifc dr n rn/uid
ai&no~fi,t5r uia af&ntric,oTor o%t&' Xj @af*&.fJut}^oiybalfJUL
n xlmaic t^ fjuac avrn avrncji to7r fvdirjoTort^tctc lydxonc. rn fjua ^ afJLa
Svoir ovx tV ai&drttd-af, dr /u fJUX&ji.To yb f^yfxa^ \r /SovAtTa/
I?).2>i/ q ircc fila af&iiCic. n /ata dita dvm,ti? xpoovarn aj&nV,
xjf} ra %oc wwnp*& otiWc JCtAvra* trvvoftct, oht mt *y&9n ro?*vnb }
ovran; ti ctyc to A^xoV.c wtw to /aiAar, ovo'r. ioo Praeterea,magis valer
anima,dtto fenfilia ad eundem fcnfum pern- nenna fimul fenure,vt acutum &
grauc.Magis cmm fimul motus vnius ipfc ipfius,quam duorun^veluti afpedus &
auduus. Vnico autcm fcn- fu fimul duo fcntire non licet , mficommifta fuermt.
Miftio nanquc v- num clTc vult , vniusautem vnus fenftis eft, & vnus iimul
fibi lpfi. Ita- quc neceiTc eft , vt mifta fimul fentijt anima , quoniam vno
fenfu actu tentit,ctim vmus numerojcnfus aftu vnus fit:at vnius fpccie, vnus
fcn- fuspoteftatc.Etiiquidemvnus acWueritlenlus, vnum llla eflc dicet* Quarc ncceiTe
eft vt llla mifceantur: qua* cum mifta non fuerint , fenfus aftuduo
crunt.Vcrtin fccundum vnampoteftatcnvempufqueindiui- duum,vnus aclus eft
neceflano. Quandoquidcm vnius poteftatis vno- tcmporc vfus vnus,motufque vnus
cft , vna cft autcm poteftas: non igi- turduofimulfcntiendo percipi vnico fenfu
queunt.Quod fifiert.non poreft,vt qtia: fub eunrlem fenfum cadunt, ii duo
fuerint,fimul ientian- runcertc qux fub duobus fcnfibus funt,multo minus
fcinire continger, ytalbum & dulce.Amnuenim,nulloalio,idquod vnum numerocft,
quamquia fimuhqnod autcmvnum fpccie cft,fenfu difccrnentc, & mododiiudicar.
Quod ldcirco dico,propterea quod fortafle album &
nigrtimquafuntfpeciediuerfa fcnfusdiicernitatque etiamdulce & a- C marum ,
ldem inquam ipfe , ab illo aut em diuerfus : veriim vrrumque iftmfmodi
contrariorummododiucrfo diiudicat,qucmad:rodum ea qua: funt iibi ipfls cogn.ua
eadcm ratione:vt veluti Guftus duke,ita vi- fusalbum;& vthic nigrum,fic
illeamarum. Idcmprobatfccunda rationca loco Topicofufnpta, inhuricmoduimSi cui
magis vidc tur inciTc aliquid,no incft,crgo ncque cui minus,intrir. Arquf magis
vidctur Animali hoc ifielfc,vt plura lcfiliaciufdem gcneris vnicofco- fuiimul
codeinquc tcmporc pcrcipiat ,quam vtpluribusfcnfibusdiucrf.>. quod tamc
cinon incft,crgo ncquchoc.Maiorcpcr fe nota,Affumptio quod ad uriorem partcm
probatur:quia quanto magis motus lunt diucrli.tantumi D nusvidentureidcm
facultati polfc Umul tribui. Atduo motus quibus ani- mafcntit fimul
diucrfafcnuliaduobus fcn oppofirorumfpcciesdiuerf{:qu6dil- lacxtrcmorum ciufdcm
gencris mucu6 in fcipfa agcntium, propriamqucfor mam &: fpecificum efle
obcinencium licthxc ncquaqua: verum refpefltu pcr-
fcclionis,aucc6cincti9,concraria,^'^quoqueopponiaffirmamus(fibiipfi
cognaca)vcinguftu omniadulcia,in vifu omniaalba, auccconcra:ini)lo o-
mniaamara,inhocomnia nigra. In primo phyficorum conr.quadragcfimo nono, ciim dc
anciquis loquerecur aic,Concraria quidem quanquam (ine ra- tione omncs Vcccres
pofuiffc principia,difTerrc camc incer fc,qu6d alii prio- ra,alii poftcriora accipcrcnt
:inco prxtcrea conuenirc quodfua principia UTifwrfw*w^'*f fwmcrcnt. Alitcr
quidcm atquc aliter fcricm illam Incer- preccs cxponunr.eo Jcm tamen fcre
recidunc omnes , &: huic loco luccm af- fcrunc. 1'r, t U DE ORGANISSENSVVM,
E^ti ct a.1 $f cVo-t/v xrnifftit vrarrlanzfttL j & cvarrta or rai* avro) x)
drbuu ovx c*) ivarria . l&/u8ft $ 7qv tJjxh^ *} %'j utXatoc %b. na} ir
'&c aXXoic oxto buolafCoTor '?$ yyttffi , oifBf) Tqv y/\vxt"r, 01 j %v
mtxpHAvJ^ fj.tfx'iy/ufyj'a dua.'/\6yotc ydp tioir amxeifjdfSur^ oTov 1p' 3fyi
tsraacfr,*) 7o Jfy? c j v.t cfbc afexrTorjH ouu rfi "trt d/\/\hutr ^
Jfeptpa rd ovroi%uc fjSfj Myo/uSfja y ir aAA 3 $/,rV *' t avru
*$/jfi(/\&yoi j oTor rb y/\vxv k) rb Xjjx6r.) xa/\ol arv^ot-^a^fifi q
irtpx.rb yXvxl/ 3 th~ u't/\arQ' >
& Jfaptpei, m th \d/XH . h"r/ dv nrfot dua irS typtTo adrd
ai&drt&nf f ti rd rqf 'j\jci ravfc.\ eSc rt ti uii^fjj^L^oCSi ixfir*.
Adha:c ficontrarioru motus torrarii funt,fimul autcm cotraria ineo- de &
indiuiduo,inc ih non valent: & fubfenfum vnu contraria cadut,vc dulce &
amaru>hxc vtique (imul fenriri non potcrunt: fimiliter aurem perfpicuu
eft,quod neq ; eaqua? non concraria:quippe qux parcim adal- bu,parcim ad nigrum
referatur. Caeterorum ecia ratio eadc eft,na (aportl fpccies partidulci,
partiamaro cribuucur.Sednec mixcafimulferiucur(in rationibus naque func
oppofitoru.veluti Diapafo,& Diapete)nifi vt vnu fentiatur. Atqui hoc modo
vna fit proportio extremorum,alitcr autc no.
Eritenimfimulha?cquideproportiomultiadpaucu,vclimp3ris ad pa- rem: illa vero
pauci ad muliu,vcl parisad iinpar. Si icaquc plus a fc inuice
cliftancdirTeruncque illa, qua: cognacaquiacm fibi ipfis func, gencre u- me
dirTerentia^quam quaceiufdcm generis :(vcrbi gracia,dulce & album cognaca
&gcnerc difcreparia voco ) dulce aure plus etia fpecie differc a ni gro
quam ab albo:profed6 mulro minus adhuc ifta fimul fetiri accidec* quam quac
genere cadem.Quare fi non ha:c,ergo ncquc illa. DcJucicur fcrc cx fupcrioribus
hzc tcrtia ratio,lcu vt rcftius dicam,ad fu- pcriorcm rationcm pertinct.Hic
crgo oftcndit, cudcm fcnfum plura propria lcnlilia iimul no poilc fentirc:vt
indc tutius colligat quod in fupcriori,in huc modum, Contraria limul in codcm
cflc ncqucunt , mocioncs fcnfilium duo- rum fpccic dirfcrcncium eiufdcm fenfus
funt concrarix,ergo,&c. Propoficio non vno in loco apud Ariftocclcm &
Aucrrocm lcgicur. Allumptio probatur quiaconcrariorum,concrarizfunc
mocioncs,vccx quincodc Pby.aufcul. cli- cicur.Scniilia vcroduo
ciufdcmfcnfuscontrariafunt, quod probac Arifto- tclcs,quiavelfuntcxtrcmafub
codcm gcncrc, vtalbum&nigrum: vclme-
duinccrcxcrcma.Sicxcrema,crgovcrcconcraria,cx dccimo mctaphy. 13.fi
mcdiafContrariorumiccmrationcm obtinent,quatenus vni cxtrcmo com-
parata,altcrius viccmgerunt.hxc copiotius fupcrius dcclarauimus . Imo ad- dit y
ncquc ipla mcdia fcu mixta fcndlia (imul pcrcipi , rationcm naque c6tra-
riorumobtipcnccomponcntia > vcalbum& nigrum ;n c.uult o ^/i- ^ j;k wti
in mu(icisSymphoniis.A u/h^iV- vocari ,
diucqa quar cxcontrana icnc accipiuntur, quam qux cxcadcm. O a 3
\tynJi'rn>tc r$S or cp3*ra/,it tSt^o, g 3S a r cpa/w T/t; jyt/ nto ToxfiV afta o^a' ^ ' Jw**r tr ti , 6't/ 0/
u$g,v "Xfotot /\ar$dmon . S St/S oJx aAiiS^f, oi^' ircTt^iTa/ ^pcrw ]?)
dtalebifoi oiSttajti^ Aar- 3aW,a'AAa zs-arT.-f ere/^tTa/ ai&drt&af.et
5$ ct ai/rca Quodaucem nonnulli de Symphoniis affirmant, fonos nempc non fimul
peruenire , videri autem , & latere nos , fi quando tempus lnfen- file
fucrit, re&ene affirmatur, vcl non? Nam luxta hoc aliquis for- t.\lTc dicet
: idcirco exiftimari, aliquid vnum fimul cerni &: audin, C quoniam inrer
media tempora late.int.An hoc minime verum- neque ef (e potcft tempus infenfilc
v uic lacere:fed omne fetiri valet. Etcnim fi cum aliquisauc fe.uit altcrum
fentit ,in concinuo tempore, non contingic tunclarereqiiodeft.cftautemaliquisin
continuo tempore, & tantus, qu.mtus
(Miviino lnfcniilis eft: patetquod tunclatere potent feipfum,fi. fir,&fi
videar.Praeterca & nonfencic&fentic. Antcaquam
Philofophus,oftcndatquomodofimul,ideft,vno eodcmque tcmporc pcrcipi fcnticndo
plura po/fint,rcfponfum quorunda gencratim ad vtramquc quciiti partcm
attincns,aficrr,qui in harmonicis fonis declarabac quid nobis in pcrccptione
icnlilium crcdendum cfle ccnfcbant. Occaiio hu- ius refponli m tcrfercndi fuic
, non vt illius confutatione viam fibi ad veritatc D ftatucndam,fupcrioraque
argumcnta rcfcllcnda munirct (quod quibufdam placct)fed vt obicer
crrauquorundam morcfuo,dctegcret.Summaautcm refponiionisiftoru
crac:Rcucraficrinon poiTcvtnon niii feparatim plurafc- iilu
peTcipiamus,quemadmoductiamharmonicosfonospcrcipimus:obmi- nutiflima tamen
tcmporum momcnta,quibus inccrualla pcrceptionum dif- cluducur,idnobis
videri,quodvercnon eft,ncmpcquoa limul plura fcntia-
mus.Priorcmrefponfionispartem,fupcriora argumcnra probant .Poftcrio- rem lac ic
ftabilirc opinancur,(i confugiancad ccmpus il)ud,id cft , iwfi*7i y^ 1 * (vt
loquuntur Grarci)confugiant,quod minimumfit atquc ita momcntancu, vcfucccifio
omnis,omncquc motionum intcruallum,fcn(umlaccac. Kcfu- tac
Arift.hancrcfpon(ionem,oftendcnsfierinon poifi:,vc huiufmodi tcpus
minimu,noslateat:cumcnimhocconftitucru(vc ait Alcx.jfcquccur fcnfio- ncs
mulcoru fcniihu:non ea ccrcc racionc fimul anobis pcrcipi qua vidcacur. i$*
DEORGANIS SET^SVVM, Rcfucacio auccm non fimplcx cft.Prior ica habct , Ille qui
fcncit, in quantali- bcc,vcl cciam minucillima ccmporis
parcicula,fcfcncirc,acquc in illo^T cfTc, pcrcipic:crgoquancunqucccmporis
cxiguampartcm fencic.AfTumpciofumi tur cx lcc. dc an. contcxtu 136. Nam cum
vidcmus,audimus,olfacirnus, fcn- fu cognofcimus nos vidcrc,audire,olfacere:ergo
in quantocunque cemporis
momccofcnciamus,fcmpcrfencircnos,cognofcimus.Etcnimfecus,falfaef- fcr
propofitio in fecudo de anima po(ica,quod vniucrfim vcra non cflct.Con-
fcquucio patec:fiquidcm fi fcnfus fenriedo fcntircfc percipic,cognofcic quo- quc
fc "7^ in ccmporc fcncirercrgo quanculumuisrcmpufculum pcrcipicc,
nullumquc ipfumfallcc. Vcrbapoftrcmx conrcxcus parcis,quxfubobfcura
funcligillacim ica cxplicencur.(Ecenim (i cum aliquis fcncic fcipfum aut alcc-
rum clle,in concinuo cemporc).Id cft,cum aliquis cft,co tcmporc quo cft,fci-
plum cfTe fentit ,vcl alium.(Non cocingic tunc latcrc quod cft).ld cft,fieri n5
poteft quin cognofcat fc fctirc cifc fc,vcl alium. ( Eft aute aliquis in
continuo tcmpore,&: tancus quatus omnino infcnfilis cft). Hoc eft , opmaris
autem cu, d.uiccmpufculuinilloccporc counuoquodfcnfum fugiac (Patccquodcunc
laccri poccric fcipfum,fi fic,8 ii videac.Prxrcrca non Ycncicfc fcncic). Id
cft.fc- quccur aliquoddari momcncum, in quo quifpiam feipfum laccac ,
fibiquefic abfcondicus,quod cft abfurdum i quandoquidcm nullus cft , qui co
ccmporc quo cft,non fcnciac fc cxiftcre,&: co rcmporc quo aliu ccrnic fc
illum ccrncrc non fcnciacidcmquc prxccrca crit hoc modo diccrc.acquc aliirmare
, alique non fcncicdo fcncirc-.quo nihil abfurdius audiri porcft. Alcx. &
Thomas lucc huic argumccacionialiqua afrcrunc,cum doccncTcpus pcrfc non
fcntiri,fed pcraccidens,rationefcilicct
rcrumqu^moucntuc&pcrfcintcporcfcntiun- cur: dicimus nanquc viiioncm,
putalongam , quia longa fpccicrum vifilium fucccdetium pcrccptio
fic.Quocircacum quifpiam fc ciTe,aur fc fentirc , pcr- cipicfcncit quoquc
tcmpus in quo ipfc eft,&: in quo actionem fuam cdit.Du- bicatur hic ab
omnibus , an fcnfus fuam opcrationcm cognofcac: pro qua du- biracione,mulca a
Philoponb,Simplicio,Thoma,aliifquc Lacmis aifcrri folcr.
MihifaneThcmiftiifcnccntiain fcc. dcan.cap.8.& Alcxandrimca.dcfenfu
Communi,valdc arridct:Scnfum ncmpc Communemcllcqui fun&ioncso-
mniumfcnfuumcxteriorumcognofcit.Quxquidcm cx Arift. dcfumpcacft inlib. dc iomno
-S vig.cap.fecundo,vbi hoc ipfoargumencofcnfumcomu-
neminanimaliafttuic,ncmpc,qu6Jvifusnonvidcacfc vidcrc,ncquc audi*
cusaudiacfcaudirc,fcdfaculcasquxdam communisadfit, qua animal fcvi- dcrc &
audirc fcnciacquam fcnfum communem vocacum eife dicic . Harc i- ca plana func
incclligcnci quid fcrtfus coramunis ab cxccriori difFcrac , quid i- ccm
vcriufquc proprium ficprxccrca quid vccrquc in hominc incclli gcndi vi
prardirovalcacvcnullusampliusdubicacionilocus fupcrfic,fic nilhuic Ari-
ftocclisargumcncacionircpugnans(quodcamcn aliqui nobis obiiciunc ) ua
iencicndoarteracur:quinim6hxcfolavia ficqua Simpliciuma fcipfoalicu- bihac in
redifccdencc,ad fcipfum rcduccrc valcamus .Sed confulancur The miftii,&
Alexandrivcrba,quxmulcis quidcm in locis,fcd in cicacis pociffi- mum
lcguncur.Nobis cnim hxc in prxfcnciafac funco:quiillainlibcllo dc iomno&c
vigilia pluribus fimus, Dominofaucnce,profcquucuri. L*ti ou*. ar 61 n ovrt
Xfiotoe ovrt Grpxfu.% o'vS\t t tu&slttraiJ ct awpTZu; yUZ opa bxlu,, ori %J[ ) avrHe cV
r'mque tcrrani fcntire . Eadem autem ratio in A.C.cMmpercnimin aliCjuahuius
temporis parte,& ahquid Inuus,totumautem fcntire non hcet.Omniaigitur
fentin valenr,fed non apparcnt quanta funt. SoKs eni-n m;*r n itucb videtur ,
6c qmtuor cubitorum a longinquo:at quama eft non a pP arcT,Quin plerunque m-
diuiduum apparer,ccrnit tamen non indiuiduni.Huius caufafupcrius a nobis
expolita cft.Qu6d igitur nullum fitinfenGlc tcmpus.ex his pcr- fpicuum cft.
Aliarationc idcm rcfuracqux huiufmodi fcre eft 4 Si dacur v:mpus infcn - (ilc.autmagnitudoinfcniilis,
(hxcnanquc feinuiceraconfcquui^uf.cun^ t 5 pus fit mcnlura
motus^mo^tcftcSimplicio^idcm rationc quod mocu;,m otus
vcr6nullus,prxtcrmagnicudinem)confequctur,nullum nunqtiamnos ot {i continuum
tcmpus,aucmagnicudine cocam pcrccpcuros,nili caccnus,qut- tenusparccm
aliquam^idcftjilliusceporistilliurquemagnirudinispcrcipim 9 - Sic cnimagnicudo
A.C.B.Sumacur huius magnicudims infciilis pars,puca C.
B.hacablaca,parsfcniihsmanec,ncmpe A.C.crgoquis hanc fcniilcm parce tancumodo
vidcns,cocam femagnicudinem ccrncre atfirmare poccric.Coipi cicns
icaqucquisTcrrxparccm,cocam feTcrramconfpiccrcdiccc&ambu bulans auc lcgcns
horam diei,cotum fc annum auc dicm ambulaifc, fcu lcgil- fc.Eademratiocftde
partcqu^feniilisponicurjnimirumA.C.iiquidcm illius pars aliqua infcnillis
eric:quo fiec,vc de ea quoquc fic idem concludcndu, nc- pc idcirco fcciri quia
ipilus aliquid fcntiacur,acquc id coufquc,dum fatcn co-
gamur,aliqiiidcilequodfenriacur quia infcnfilc tic:quod abfurdum cifccx prioris
& iecundx quxftionis decerminacionc liquec. Colligcndum cft cc- go cocum
racionc quidem, qua cocum quoddam cft,&: ccrto iimul colk- y.iii. M 8 DE
ORGANIS SENSVVM, ftarum partium numcro aggrcgatum fenlilc dici , non quia
aiiquid totius fentiatur,qiumm6(vt Alcxandcrmonct)nifi hoccflctid nobisdccflct,
quo primo&pcr fcfcntimus,ncmpctotum ipfum,cumrationc tantum totius, partes
pcrcipiamus. prxterca nil vnquam dc toto vcrc affirmarc licebit,cum quiduis
illi rationc partis, non quiatotum conucnirct. Id tamen vcrum cft, Totu non
fempcr pcrcipi quantum fit : vt fol qui no tanta magnitudinc a no- bis
confpicitur,quantaprxdituscft,aliaquc huiufmodi tanquam indiuidua
apparent,quxtamcn magnitudinem (uxquantitatis multograndiorcm ha- bcnt, ncquc
indiuidua fint : quinimo talia ccrni minimc poflunt , vt fupcrius
demonftrauimus, cum diximus , id quod vidctur , non cflc indiuiduum , vcl
darimagnitudinem attu inuililcm,poteftatc vcionequaquam. Aliudcrgo
cftTotumfentiri,quiailliusparstantumaliquafcntiatur: ahud totum qua
rationctotumeft,comprehcndi, ccrtamtamcn quantitatis illius magnitu- dincm ,
ncquaquam fentiri. Particula (M**0 inconcluhonc pofita, cum nempe ait ,
X"rm # fr ~*> , hmphcitcr ita cxponcnda cft , Omnia ita- que
lubfiftcntia,fcnfilia funt,fcd ea quanta fint,non (cmpcr pcrcipiutur.Lau- darcm
tamcn aliorum cxplicationcmrqux cft,vt pcr particulam iftiufmo- di totum quoad
fignificat fimul omncs partcs, hgnificetur , hcubi tamcn altcrum mihi locum ,
in Ariftotclc proponcrcnt , in quo particula ifta , ad i- dcm cxprimendum
vfurparctur. Hic illud in quxftioncm cadcrc lolct , nem-
pcanTempusinfenliledcrur : Quod vidctur conccdcndum , cum h fccc- Jurhora,
eoufquc fcdione progrcdtliccat, dumadmimmum fenuledeuc- niamus- quod ii itcm
diftribuatur,ccrtun. cft illius partcs in(t ndlcs forc,cum ipfum minimum
fcnfilc fit.Omitto hic qux Hcnricus Gand. in (uis quodl . &: Scot.in
i.fcnt. dift . i. dc Indiuifibili lojuuti lunt.qux itcm aln dixcrunt,nem- pc,
tempusinfcn(ilcdariquidem,pontamenmagnum,(iuxtaquamdiccndi rationcm Anftotclcm
cxcufanr.qui fuperius id pro abfurdo& taho aducrfus
Vctcrcs,dumagcbantdcoriu'olorumadduxit) Dicamcgopaucis.Tempus
infualatitudincacccptum,Jfccundum omncs (ui pnrtcs,continuam cflc
quantitatcm:Cuius tamc- id quod a&ri exiftit,& accipi potcft cft ipfum
tan- tum * r^quo ctiam fiN,tcmpus intelligi non poflct.Dicit autcm r.ru^ tcpus
prxfcns,(prctereo n n q uc dhid -rWxtcrnitatis dc quoSimpl.m tcrtiode ani.
cont. ij.W cft nc^us mturi cum prxtcrito. Hoc momcntum (cu inftans indi-
uifibilc c ft,vHtcndicur quarto phy. cont.16.17A: 18. Indiuifibilc autcm fcn-
fu pcrcipi pcquit, crgo concedit Ariftot. aliquod infcniilc tcmpus. Et quauis
ri rittTnc^ " r propric tempus ' y ncc pars tcmpons.cum indiuilibilc
(ir.tcpus vc- ro continuum, (quod ccrte ex ipfis mdiuiduis atquc ru*~ cx quinto phy. cot. f^.componi
ncquit)dic itur tamcn tcmpus quia terminus partium tcm poris, veluti punftus
partium lincarum cft:cft nanquc Momctum idcm,initium fu- turi, & finis
prxteriti,cum tamcn ipfum rc&: fccundum fc (it indiuiduu :nam fccus eflet
darc tcrminum tcrmini,pnufquc&: poftcrius lllius. Quarc fimph- citcr
concludamus, Tcmpus confidcrari duplicitcr poflc , vcl vt mcniura cft motus ,
qucm confcquitun qua rationc momentum non erit tcmpus : vcl rcmota fucceflionis
confidcrationc, vt id in quo rcs potiflimum cfriciurur, &: quod prxcipue
habcmus , quo certc modo p*4 vxx nrTiot^trortpot tfSt^trafdfjut trteiovvr al~
vSnivt&afji oox tvSf^trafJo f>u5v fjSf/ ouv.ap' &c/ t ti t%tf*f
iux/uty, trtpc* j ^J%iic cu&dri&^
, ^ otruc droueo oc taravti bvri traui^rf^ oricfrotfJfj7& k* rnvfxixv
eti&ittrir ohv Ar/a> b*-\ir.ei t$ra* A- A etitQ-xtopSfJn a AA
x^fxar&^teiaf rt utpn x) ei /u8p j-Awti^- ,a M 3 A^wT al&dtiraf r)
-jV^i fMpM , ifa 2T ok Tovtw ir iSbrjk ov% w. AAa drdyt* "ir.tv ydp rt 1p
alclrvtrixor &2i ntp&.rir' ouZ aiuiro aj >oCS\ryb 6* 7s>lrw
'wjdrdyrm dpa tr rt ^Aj%ris,Avw/ fcfr,*? AM 'S^A- A* .** y% ju yjvptra fgr iccm agctcm cucaiimul cognofccre di- cimus.
Illc naquc fcipfum folumodo inrelligens,cun&aincclligic: hxc cciam, quanuis
infinicc dcbilius impcrfcdiufqi reipe&u Dci,qliatcn 9 camcn feipfara per
propriam ellcntiam intelligit ,cxccra pcrfct>ionc&: craincncia quada co-
gnofcic, quacenus in fui cflcnciaconcinencur. Scd abftrufiora func hxc,& ad
certiumdcaniraa pcrtincnc. Quarcum Thcoremafit, Mcntcm noftram -uui plura iimul
apprchcndcrc non poflc. Pro qua re iciendu,nomcn Mcntis duo- busmodis
vfurpari,vcl jppriepro eaanimxpartcquxNrdicitur,& circafim- pli cia
vcrfatur: vcl impropric pro Ratione,i. irri n a>m/. n in pura & fimplici
contcmplationeconfiftit,vt Arift.tcftatur,ide6qucfimul duo^a fpccu- Jari
ncquit. Multoqi minus Ratio quxin tcrapore intclligic,mulca fimul non
pcrcipic,nifi forcafle vc vnum. Sed contra quis cxcipict, cx Arift. primo poft.
cap. i. E'*)fcwTOwiw.M*3tf J?i,idcft,vtLuiconicnfis&Thomas cxplica- runt,
Aflumpcio in Dcmoftracionefiraul eodcmque cempore cum coplexio- ne cognofcicur.
Rcfpondco,incerprecacioncra iftara abfolucc fumptam,fal-
fiflimamc(lc:quxcnimdiftincafunc,diftin6toquoquc tcmporc pcrcipiun- tur:
quanuis vcra Philofophi fcntcntiafic,cum poft nocicia vnius,ftacim quo*
qucalccrucognofcacur. Ad Argumcntaigitur fuperiora,diccndum, fcnium corarauncm
iimul plura caperc, non camen vc vnus fcd vc plura, quod menci 1*4 D E ORGANIS
SENSVVM, non accidic, qux abfolucc indiuidua cft,nec quod conucnit faculcaci
inferiori impcrrcciionisSidiuilibilitatisrationc,vtvi('uiin oculo&fcnfui
comuni in corde,id fuperiori cribucndum cft. Ad aliud,rcfpodeo,cum duo qua
inuiccm conucniunt,aut qua difcrcpant confiderancur,vnius viccm gcrcrc , &:
fub ra- tionc vnius cognofci-.iimilicudonanq; duorum & diflimilicudo , vnum
quod- dam cft. AucrroifccundoThcoremmatciamrcfponfumcft. Sedaliquisad-
hucnodusreftatcxpcdicndus. Nam Ariftot.ini.deanim cont.i47,& 148. id ipfum
vidctur reiicere quod hic airerit,atquc concludit,fcnfum ncmpc com- muncm fimul
conti arris affici,duobufq; contrariis motionibus fimul moueri poiTe. Quicquid
Alcxandcr in 3 . q. nat cap. pcculiari ,&: in hifcc ctiam com- mentarus dc
duplici fcnlionis modo affcrar, (ncque cnim fingula ad rcm hac fpedtantia nunc
perpcndenda funt) folus Thomas viam nobis ad nodum huc folucndum duplici
viaaperuit. Et primam quidcm iam fupcrius attingimus. Altcra cft: Vim
fcnticndi, quatcnus cognoiccns cft, vnam &: phircs fanedici polfc, nontamcn
quatcn* recipics. Hinc Alcxadcrinterfcncirc&: pacidifcri- me aJicubi poncre
videtur.pati naq; cft ipia reccptioquar in organo cflici tur, fentirc
vero,cognofcerecft.Vndc Animaquatcnuscadccognofcit plurafcn filiaad fc tanqua
ad ccntru a fcnfibus cxternjs dclata,vna cft:plurcsvcro,qua- tcnus plunbus atq;
diucrfis ipfis fcniilibus coparatur , quar no vna rationc fcd
multiplicicognofcit,vtalbu, nigru,dulcc. Noncrgoinanimaquacognofccs
cft,contraria rccipi abfurdu cft,icd qua patics:quo ccrte modo contraria non
rccipic.nifi fpiritualitcr.Ita(ni fa!lor)interprctat i quoq j potcrit
mesAlcxadri, qui alibi in cadcm parte pupilJx album & nigtum recipi
affirmat : ocul 9 cnim ii quatcnus anima praiditus cft c6fidcretur, ead in
partc albu m & nigru rcci- pcrc dici potcft,quia illa rcceptio cognitio eft.Poftrcmo,
nc fundamcntu cui innititur Ariftotclica folutio labafccrc vidcaturquaircduin
cft, An iftccomu- nis icdis dctur:quod quidc clariilimi aliquot in Philofophia
viri negare aliqu3 do funt aufi.His ncmpe rationibus potiftimum addufti,quod
fcnfus comunis muncre,tam phantafia quam opinio fungatur,&:qu6d ipfo poliro
fupcruaca- nci alii fcnfus cxrcrni cifc vidcrcntur. Illud quoquc in quarftionc
cadit, an vn* fit iftc comunis fcnfus,vt affirmarc vidctur Arift. Qvarrcndi
occafio cft, Qu2- doquidcm fi dcTadus vnltatcdubitatur, quia difcrimina multotu
fcnfilium cognofcit,puta calidum,frigidu,humidu,ficcum,afpctu,&: lcne.quato
magis dc fcnfu comuni id in dubiu rcuocari oportct, qui omniu fcnfuu, fenfilia
om- nia pcrcipit? Ad primam, Rcfpondeo paucis , Ncceffitatcm reru non aliunde
quam a fine fumi oponcrc: id fccundus dc phy.aufc.&: dc part.aiV- ( vt
multos alios locos omittam)docct.Eft autc flnis in rcbus phyficis,opcratio:ab
opera- tionc igitur comunis fcnfus,illius ncceflitas fumeda eft. Hacc vero cft
, cogno- fccrc difcnmina omnium fenfiliu, cum fimul,tum vero feparacim, illaq;
mdi- care. Hoccertemunusalioquin nccciTarJum,nonnifiabipfopoteft cxplcri, Qupd
itadeclaro. Primum Ratioidnon potuit,quia vt Alcxandcraitin cap. de fenfu com.
Vniuerfc & vniucrfalia comprchendit, n8 fingularia: Phantafia item,dererum
fcnfilium ctiam abfentium imaginib*cogitat,quasIvlemoria in fe infculptas
rcrinuitrfcnfus vcr6 communis difcrimina illa tantu pcrcipic &: iudicat,dum
res ipfar obicde. adfunt.Nequc igitur Ratio,ncquc Phantafia, ncque Mcmoria
(quanuis hst duar poftrcmar A nimar vires reipfa inuiccm &: i
fcnlucommuninodifcrcpent)id munus excquipofTunt. Multoq;ctia minus
opinio,qus(fi Philoponum audire vclimus)imprimis vniuerfalc quod in fcn- fu eft
comprchcndit, vtputa, oroncm colorem album,vifum difgregare:Mox conclufioncsa
facultatc ratiocinatc dcdudtas colligitjabfquecamcn difcurfu & caufa EX 1*1
BVS. i6 5 &caufa, puta, Animamnon eflcmorriobnoxiam. Opinioobtincc, poftqua
Raciocinadi vishoc modoidinduxcric,Animacx fc ipfamoueturquod cx fc- ipfo
mouccur,fcmpcrmouccur:quodfempermouccur,cft immorcalc.Quare exhis pcrfpicicur
opinioms non cfle , id przftarc quod propofuimus. Diccrc auccm vnum alique
cxcxtcrnisfcnlibuscimuncncfhcicndoidoncumc/Ic,
abfurdiflimutore:cumncqucvifus(quod dc vno,iccmdcaIiisdico;pr^tci fua
propria&peculianaobicclaahoiumquodpiam iudicccauccognofcacnccjuc
propriecciam fuacognoiccrc(vcThcmiftiusaic)fcd acciperedicacur, vcrc ii-
quidcmcognofcicqui incrinlecusknfuscft^ad qucm llla &alia dcfcruntur. Vndc
cx his colligicur,(cnium toinuncm ncccflariu ciTc. Extcrnos vcro fcn- fusnon
fupcruacancos.Hac quaricionc ica ad exicum perduda,ad aliam accc- dp,
hocquidcminprxfcntiaarrirmans: Noncam dubitari dcvnitate lcnfus
Taclus,quamdciiliusorgano,cjuodcarnc&icor cilcftatuicArift.quaui scaro g
cotdisrefpcdu,mcdhpotiusracioncobtincat.Scdnon.cqucc6ucnic in (en-
fucommunidubicandiraciojcuius vnicum jtfthctcrium cft , ncmpc cor,in
quocanquamin Rcgiamancus,caiudicatatq;cognofcit,quaridcmrccipcrc
dicicurquatenuspropriis quibufdam organis ad obicclacxcerna fcnticdav- tcns,
Vifus, Auditus,Tactus,Olf.u"tusappcllaci0ticm habcc. C?ri p 7s eu&nrcv
ttdr Zfr f*iy&r y t tdx i j.bpdraf uror oSw bparaj3gv& T r) drdyxn d
ktiptfgr tf) tf cV fjSfj rtjSi^artxtaa^ olx cVcT /fcTty ai&dri>\
or&c.t j rdt rdf t^drdyxn aiSdn&af.tt C 3j c/in t/ dc/ltxiptjfir
a/ naturam &c accidcntia animalis *
z.ui. A7o DE MEMORIA, mucariac proindcin vnomagisquam
inahopcrfc&am,inhominc camcn ob coniunctionem inccllcccus pcrfeciiflima
rcpcriri. Czccrum diuiditur hacc traccacio in duas prarcipuas partcs , in
priori de Mcmoria agicur ,in. altcra dc Rcminifccntia. Dc mcmoria primum
quacrit quid iic : mox ad quam aninut partcm pertincat:Tum qualis proprie fic
illiuscncrgm. Poft rcmo, dubicacio- ncs qualdam (vt (olct)ad hanc rcm pcrcincces
proponit atquc cnodac. Aliam partcmfuoloco,vtopuscrit,fubdiftribucmus. Nunc
illud addidiflc tac cfto, Digniffimam cam c(fe qusc aiiidue lcgacu r , acque in
mambus habcatur,quod incaampliffimiilliuschcfaurinacuradcclarccurjin
quo(vcSpeufippusnoni-' gnobilis Placonis difcipulus aic) id ipfum rccondicur
& conferuacur, quo iolo menshumanapafcicur. Iamigicur
Ariftotclcmipfumaudiamus. rici tic
cruca,corporis ccmpcracioncm, accidcncia,habilicaccmque fequutdc) Incorporibus
ergo uccioribus&c durioribus,dirficillime imprcflio rcrum ad-' dilcendarum
, carundemquc vniocum facultatc ficcatame factadiuciflimc concinccur : cconcra
(e rcs habcc in humidioribus , in quibas imprcluo non mulco negocio
recipicur,fluxio ramen illius,confcruacioncm prohibecln cx- ccrnisrebus hoc
iccmcxpcrimunHuc rcfpcxicPhilofophusinfec.de anima conc.94,cum ait,Mollcs
carncs apcos cfle ingenio,duros vcro inepros.Quj et go molliorcsfunt,&:
facile recipicntes,obliuionecapi folcncquamuis eadem quoque^v*^**
vicelcritatequc,paruo ncgocio rccuperenc quae iamamiic- riht fimulachra.E
contra alii : quamuis hoc non Cit pcrpctuo acquc in omni- busobferuarum
.Suncenim,qui&: , 4**" \>i atrt&tc,ravrn C $ ourtr^ fttXXM,ovrt
t^ fyjoittvov yvapltZoLttvjlxxd ro Jjx,br ort opa t ovS c dv tpatx
llv*llov4j(Hv, ovSl ro StapoC/ulfjOv , SwpSv tt) roav, d\Xa ro /u9fj
ai&dvt&ai tpntrt t rh S ' ^15-% lio ror.ofe quoque,id cft,operatio- ncmilliusatcingac.
Concexcum in duas principesparces fccarc oportct.In priori propoficum,&:
ratio propoficiapcricur. Inaltcra quorum fic Mcmona
dcmonllratur.(Imprimisitaquc).Priorpars,qua obic&orum mcmoiia: furu- ra
difquifitio narracur.(Sxpe nanquciftud nos decipic).Difquificionis fucurac
ratiOjhoclococonucnicns.Quomodoautem nosin rebac aliquando dccipi
dicat,dcclararcprartermittuntomncs.Mihi hzcratio cflc videcur,quiaali- quando
prejenrium quoquc mcmoria cfle vidcri poiIic:cum ncmpc illa nunc quis (cntit
quze alias quoquc fenfiife fc percipiat.Errarc autem ita fe habenti idcirco
accidicquia non quando rcm prxfcntc fcntit,tum mcminit, fcd ciim aliquando ldcm
fefenfliTccxploratumhabct.Vndecolligitur,rciprxfentis,
quatcnuspra:(cniial'unt,noncflcMcmoriam,fed prctcntorum cantum.(E- tcnim ncquc
fururum).Secundapars,qua?induasadhucdiuidcnda eft.Pri- Hiaconcincccnumcrationem
quandam,exqua fumiturqu6dnam iitmcmo
riarobicclum:lccundaidipfumdcducitatqucconcludit. Ad qua? fcicndum
cftMcmotixcncrg"am,cumotualiquoc6{iderari:inomnicnim opcratione ab vnoad
aliud fic cranficus:Mocus verd omnis in tepore eft, ciim priusfic" po-
ftcrius concincac,que. tcmporis dirfercnnae diuid entcs,vclctiam conftitucn-
tes dici poflunc.Patccs crgo tcmporis funt prarccricum atquc fucurum , quse
vnoatqucindiuiduo tcrmino,nempcMomcntoipfo fimul vniuncur.Quic- quid vcro
mouct, ncccflc cft quidcm vc racioncm prxfcncis induac ( praucns
nuncincclligoquod Aucrrocsfcxcophy. com.24.compofitum cx pra:cerito &
futuro,iuxta vulgi opinionem,appcllabac)non tamcn fcmpcr, vt fecudum
refpc&um tcmporis prcfcntis confidcrctur.In hunc igitur modum Aiiftote- les
cnumcrando& dcftrucndoargumctatur,Obicdcumquod mcmoriam mo uccvclcft pre
> fcns,vclfucurumaut pr^ccncu-.acncucru illoru,crgohocpoftrc mum. Aflumpcio
probacur,quiaprc,fcncis fcnfus cft:fucuri opinio& fpes,qua: logeabfunc a
nacura Mcmoria:. Addcre cciam poflumus,fcnium ciTc faculta- tcm recipicntem
& iudicantcm,Mcmoriam vcro confcruantcm: fcnfum itc conucnirc
cun&isanimahbus,Memoriam vcr6ncquaquam:vndc cognofci- mus,non mod6 qualc
fic obicftum Mcmoria? , vcriim cciam qualenonlic, quodcft vcluri principium
illi oppoficum: idcircoque rcctc ccncndum,cx prxcepro Arift.primo analy.poft.
vbi principia Demonftracionis , ica nobis vulccirccognica,vcillisoppofica
falfiftimacflc cxiftimemus. ( Ec prxfcnris quidcm).Hicidcmmagisdcducicacquc
concludic. De prajfcncibus auccm i 74 DE MEMORIA, tantum meminit,quia in illis Homincs decipi
magis accidic:quod nos antca dcclarauimus.Rcliqua perfpicua (uncHocnaque in
fumma voluit . N6 qua- do quis contcmplatur. , aut quando fcntit.puca
triangulum hunc habcrc trcs angulos $qualcs duobus reftis,tucanguloruTriaguli
meminiflc dicit,fcdcos velfcirelc,vclfcntirc: atcumfcaliquahdoeofdem angulos
contemplatum fuiflevclfcnlifrepcrcipictjita vt ienlionem contcmplacionemque
prarccrici tcmpbris fccum rcpetat,tu vcrc mcmirtirtc.Scmper cnim qui alicuius
rei me- minit*fecuminhunc mcdum quafi loc}uitur,cgo ha?c aliascomprehcndi,
hocfcnfi(A;afli,ixW).Habitum fcu facultatcm illamanirmnominat,quae futurum vt
futuru eft,fimpliciter c6(idcrat:futurumjinquam^qu6d caufas in- dercrminatas
inconftantefquc habcat,ac proindc & ipfa incerta atquc inco- ftans cft,vt
cx fcc.pott.analy.ca.vIt.&: fcxto cthic. 4 .liquec. Qua itcm rationc
alibiabcodi&umcft,Syllogifmum Dialcfticum non fcicntiamfcd opinio- ncm
parcre,&: ab Aucrroc,vt in proc,mioIibri primi poft.analytico: Opinio-
ncmicicntia? pnuationem cfle. Ncqucii funt prorfus audicndi, quiputanc hac,cum
Syllcgifmo Topico &: Rhctorico acquiratur, ab Ariftorcle propric
perfualioncm dici:idcm enim clfc,cum vtraquc cx iifdcm principiis proba-
bilibus,n^mpc&: verifinriIibuscommunibufquecfficiatur.Non(unc,inqua,
prorfusac (impliciteraudicdi,cum incerprobabilc&:vcrifimile*iccmq;ihtcr
Dialccticam Sc Rhcroricam aliquid intcrfit. Omitto in qtioconueniat, (nca
propofitonimisdi(cedamus)difcrimcn cantum paucis cxblico. Dialc&ica vcre
omniaomnfu fcicntiaru trac\ar,brcuiflima intcrrogatiohe&: refp6(ionc.
Summas itcm rcrum coniidcrar, ncc ad indiuidua ferc dcfccndit:Rhctorica vcro
quamuis grauioribus atquc altionbus ctiam fcientiis aliqfuando fc
vclicimmilccrc,maioti tamcn cx partcin rcbus ciuilibus verfarur,idciroo- quc
Propago Dialecticcs &: politicx vocatur ab AriftotcJc : rcs tractat rofe
&:copioic,(ingulanaetiam,fortunam,locum,tcmpus, pcrfonamqucfpcttas^ Eftcrgo
vcrilimilccxquoperfuaiiocopararurprobabilequoddam rebuSclui
libusaccommodatum^c/ingulatia fpctlans,copiofa orationeVeftitum . Ex his
conftat non idem omntnoc/fc opinionem &: pcr('uafioricm,quamuis Rhe
toricaargumentapleraqUc,ob orationis veftitum fidedignaeuadcrcpoftirirv qua:
pcr fe non cflcnt:Fides tamen opinioncm fcmpcr fcquitur , vt ex lecudo de
anima,contcxtu ccntcfimo quinquagefimo feptirao,itcm cx fcptimo mc-
taphyficorum,contcxtuquinquagcfimotertio,fatisliquet.Ca!tcrumillud tc-
nendumcft,vcrcpcrfuadibilc,cflc probabilc:Hinciidem locipracipui Dia-
lc&ici acRhctori$:hiricqucctiam illudquod Ariftotelesin tertio Rhetori- f
a?,capitc primo, ait,Fihcm nempc Rhccoricardpirtioncm cflc. Sed ad rcm. Futuri,
vt monuit iple Thomas,opinio cft , quatenus cdgdofciru r. Spes vert>Jjc
^aAAa rovrur racc fi t$;tc y n y -apo'- rtpor t a\Xa tjT (j$p ep aied-etrtraf.
B Eft iracjue Memona neque fenfus neque opinio, fcd horum alcerius 3 aut
habitus aut paffio,cum tcmpus elapfum fuent. Ipfius auccui nu nc ln ipfo nunc
non eft Memoria,iicutditum eft,prxfens nanque ad fenfum pertinec , futurum ad
Ipem , praetericum ad Memonam . Quamobrem Memoria omms cum cempore
efricitur.Acque hinc eciam fic , vt ciua: a- nimantia tempons fenfum
habenceafola meminiffe valcant , atque ifto quofcnciunc. Ex obic&o Sc cnerg
M a memorix fupenus cxpoiitis,dcf.nitione quanda iliius colligit,quam hoc in
loco ponit: A bfolu ta deiceps, poft traftandoru cxplica- tionc nobis
colligcnda reliqucs,Mox cx huiufmodi dchmtionc quxda vcluti au&aria fumit
atq; ^ponit.Sic du^ cont.partcs crur. Dcriuiuoita habct,Mc- C moriacft habitus
auc atfccho qucda iiuc fcnfus,fiuc cxillimatioms;cum ncpc lcniioncsatquc
aniniocomprchcnfaSimulachracx pixtcrito tcmporercpc timus,aut(li Thcmiftii
vcrba fequi malimus)cum tcpus adiungitur,quo facta imprcflio eft,Sc Ipcctrum in
anima dcrcli&um.Explodcndi igitur illi iunt,qui non facultatcm Mcmorandi
hic dchniriafnrmant,lcd fpc&rum >ulum,quod actum comprchclx aliasrci
reprxi'cntat:nullibicnim Mcmorix vocabuluab Aiift.in hac iignificatione
vfurpatum oftcndct:prxrcrca , quamuis fpcttrum illud affcctio dici poflir,vt
fupcriorc Libro oftcndimus, nunquam tamcn niii admodu impropnc habitus nomcn
illi accomodabitur . Dcfinitur crgo Mc moria,id cft,ipicmct habit 9 fcu encrga,
qua coprehenfam notitia in animo cotinenms,vt
facultatisnaturamagiscluccicat.Au&aria vcro funt.Mcmona _ omnc cum tcporis
perccptionc efHci,Ex quo clicit altcru,Hruta nimiru lola,
quitcmporisfenfumhabcnt,Mcmoriaprxditaeire:Exhocdcinccps tcrtiu:
nepceaiplaanimxpartc Brutamcminillc,quatcpuspcrcipiut.(Eft itaq;Mc
moriancq.fcnfus). Exploditta cxteriorcm ieuparticularem,quamcumqui comunis
fcnfus nucupatur,vtcrque cnim du res extrinfccuso biccla adcft , &:
quatcnuspre/enscft,opcratur.(Ncqucopinio).Hxc futuroru cft,vt diximus,
aquibustamcnfutuns non omnino fcientiam iplam explodit Anftotcles. (Sed horum
alteriushabitusaut paiIio)Non alio nominc Mcmoriam habitu vocat,quam
quoalibifcictiamjintclligcntiam^artcm^rationem^opinioncm
prudcntiam^fapientiam^folertiam&iufpicionem.Q^uomodoautemhecca- dcm-** 9j,
pcrricientiadicipoftint, liquct ex icc.dc anima contcxtu 57. &
58.&nosalibicopiofiusoftendimus. Quid crgo caufx cft curaiiqui dicant tfi
DE MEMORIA, pcr habitu rc conftiJtc fignificari, pcr aftcctionem vcro rcm cit6
tranlcuccm. Dclcribicur hicMcmorix cncrg*, quam conftans aut inconftans
fimulachri prxtcriti manfio ianc non con(tituit,vtrunque cnim mcmona
cft.QuidrHoc elfct Mcmorix fpccics &: diucrticatcs priusquam illius naturam
limplici- tcr aperirc.Qu ccrtc ratio,aMcchodo Ariftocelica cft alicna. Vfus cft
autem Anft . particula wni Xp5(,ovty atd %po*.ut l, : int>K.''>ni i )!.
Qmbusicapoficis,re&e fequitur Mentem no- ftram non cflc,ob cam caufam
intcritui obnoxiam(quod cx Aucrr.obiicieba- A.iiii. z8 4 DE MEMORIA, tuc) cum
noticia iingularium non propria rationc ipli cribuarur. Aliud itcm facilc
diluitur:nam ii obiccti nominc id omnc coplc&aris , quod a Mcnte co- gnofci
poccft | rallum cft quod obiicicur : Ncmpe id cffc folam rci cflcnciam,
i.quidicaccnvii vero id folum rcfpicias quod ratione pcopriaMens mcclligic,
Qujdicace cilc f accri poflbmus. Hoc vcro mhil noftrx fcncccix rcpugnarc co- ft
ac;Qua ctum rationc id tollitur quod alii aducrfus nos Achillcm quendam
cirepucarunc.Aiuccnim^adhaciingularisperccpcionem velopcram Mencis
cfficientisdeiiderari, vcl non-ex quouishoru polico, abfurda cmanarc: Nam
ncqucMenscfficicnsincelligic niii vntucr ) Ic,ncqucvis Mcnciscapacis lacius
pacccquam Mcnciscfflciencis. Rcfpondendum , Mcncis vcriuiqucopcracio- ncm
xqualcm ciTe, i.non rcpcnri opus aJiquod Mcnci capaci vc Mcns cft , 8C
racionciibi jppriacoucnicnSjquodiccm ErBcicnci non c6ueniac,fcu ad quod non
cocurracEfHciens. Nonicadc nsopcrationibusdiccdumquxMcntira-
cioncalceriuscribuucur.C^idliErVicicncisopusadhoccocurrcrcdicasmon- nc ipfacft
que, illuftrat: ijuc fcgrcgat:atqui(ais)vniucric cancu intclligit:faccor
vniuerfale fuum proprium obic&um ciIc,quo cxpletunparticulare tamcn ab co
attingi,hoc no prohibct:quauis parcicularccognofcere ( quod rcccptione &C
potcftatcm dicac)Mcnci tacum capaci cribuacur. Scd outur ftaci dubicacio c
crcnonleuior. NamuMcnsiingularia cognofcac: quxritur,quo idordine trxftet.
Thomasrcfpondcc, primum vniuerfc incclligi fpccics illasiara illu- ft atas cv
fegrcgacas, deindeanimaduercendo vndc fint ipfx fpecies acccptx, finjularia
cciam coprxhcndi. Vcrum iiordincm & modum noticiaru noftra- run
fpc&emus, rem aliccr fc habcre iudicabim 9 :ordo vero iftx & in
poftcrio- ribu*. Analycicisprxfercim ini.ad ftncm,& in Ethicis,alibique
icaab Ariftoc. propcnitur:vc Induclioncm qua cx rcbus (ingulis dc vniucrialibus
rariocina- mur, onnis cognicionis acquc fcicncix rundamcncum ponac. Auerr. iccm
in duodccm mcc. com.u. hacfcntcntiam confirmat. Ec Simplicius qui millics in
tcrtio cc anim. docct,Mencem progrcifam , & qux potcftatc cft ad excrc-
mamaxinc declinarc adfevcrorcdcuntcm, vniucrfalecognofcere: Poftre-
moRacioaccft:iiquidcm vix ac nc vix quidcm imaginacionc fingi poilic,Mcn ccm
noftran vniuccfaliacx finguIaribusconficcrc,prius camcn id quod con-
fc&umcft,qiamftracumfeu fundamentum, vndcrcs conficicur,incclligc- rc.
AccipiunciricaqucprimumaMenccrcrum iingularium formx iingula- rcs, acquc inccliguncur
, mox iua lucc illuftrantur, vniucrialcs rcdduntur,ac- quc vniucrfc
inclliguncur. Cum camen illud non inficiar , ab eadcm Mcnce alio ocdinc
(inguKria incclligi,ncmpe cum iam incclligcnsvniuerfale,ea quo- que (ingularia
perciperc dicicur,qux fub Ulo vniuedaJi concinencurPriorcm nociciam iingulariun
achi vocemus, poftcriorcm facultacc. Porro ad fccun- dam i qux maior ince-
Philofophos lis cft , acccdcrc iam candcm oporccc. Si quis
AucrroisvcrbaqixadFcelicicaccmhumanam cxprimcdam perrincnr, prxfcrtim in tcrtio
dcai i.com.ia.cV: nono metaph.com. vlt. cxpcndcrc acq; audirc vclit.Beacaruxi
mcnrium naturam perfpicuc fc intucri, im6 Dco iimilcm cx Themiftii audnritatc
euaderc poilc fperabic. Huc accedic racio. Nam ii Mcns noftra rcs cummaccria
concrccas incclJigic , illas a maccria,ma- tcriciq; coditionibus omnib'
fegregando : mulco magis illa incclligcrc dcbc-
bic,quxfuapccnaturaabomniconcrccionemacericifunchbcraca.Sic oculus noftcr
quoniam colorcs comprchendic, 1 i in luminc colloccncur : idcirco Ju- mcn ipfum
magis comprehendcrc ccrnicur. Nolumus in prxfcnci dc re liac copiolius diccre:
nc camcn in rc canci momenci quis decipiacur,proponcnda cft primum fcnccntia
lllaaurca Ariftotclis in fecundo mecaphy .qua ftatutc ocu- ETREMINISCENTIA. z8
5 ocuhimMcntisnoftrxnullo modotantamDiuinarum Metium maieftatcm; A atquc
perfpicuitatcm fuftincre poflcxum prarfertim fibi Phantafmatis opus fit,quorum
Dcinullumcft,qui fubfcnfum non cadit.Non pofluntitaque ta- tum mcntis humanae
vircs cxtolli, ad Dcum cognofccndu,vt ad id afccndat,
quodipfccft,fcdqua(idcfcflamult6,im6infinitc,inrraid quod eft fcmpcr fubiidat.
Quid?qu6d ncque ctiam fan&is Dei viris purifiimo illo Spiritus fan- ch igne
illuftratis , du mtcr has tcrrcnas fordcs crat , tantiim libi polliccri aut
arrogarc licuit ? Et Mofcs ipfe qui tam famiharem habuit apud Dcum aditu,
tcftatur,fc tantum potuhTe conlcqui vt Dci poftcriora intucretur. Addo etia
ncquc Angclos,nequc Bcatos ipfos(quanuis Dcum ipfum,miro atquc nobis
incomprehcnfibili modo, pcrfpicuc tamcn intucantur)Deum tamc pcrfc&c id cll
omncm iplius clfcntiam comprchcndcrc. Hac de rc Thomas in prima B partc
Sum.q.u. art.y.in tertiocontra Gcnt.ca.54.S1: in qusft.dc Vcri.q.8.art. z.
Quarc lumine quidcm Naturali,&: nomenDei,&:aliquaexpartcillius na-
turam Philofophos fcirc pofle, cxiftimarc oponct , vt Dcum cflc coditorcm,
formam,finem omnium rcrum, incorporcum, actum fincerum, fcipfum pcr-
fectiffimcatquc omnia in fcipfo intclligcntcm : Qupd li lumcn ahquod Spiri- tus
fan&i accedat,quo eftChrifti Mcmbris pcculiarc,hoc prqtcrca cfle,Crea-
torcm&: bpificcm (umme mifericordcm &: fummc iuftum , &: (quod
maxime Dei naturam cxplicat)Trinum eiTe &: vnum. Cognofcimusitaque aliqua
cx partc Dcumfednon perfpicue,cum Phantafiascaligincimpcdiamur.Ncquc lanc alia
fuit Ariftot.fcntcntia:cum in Deci mo libro dc moribus,de ea fcelici- tate
difputans qux in contcmplationc confiftit,nullum aliu fincm nobis pro- ponit
quam fapicntiam, qua non in alio colIocat,quam vt bonis moribus cx- C politi,
difciplinifque phylicis & tlicologicis inftruCti, Dci naturam, non pcr-
fetc,fed quantum nobis fas cft comprchendcrc conemur :atquc in ca iucun-
diffimacontcmplationc coquicfcamus. Quare quod obiicit Scotus in pnmo
Scnt.dift.^.q.i.nullumaducrfus Ariftotclemmomcntumhabct. Eft(inquit) fcelicitas
huiufmodi, vt ipfam naturalitcraiTcqui poflimus , atquc hanc in co-
gnitioneSeir^Miratqueipfius Dei,confiftcrctradit Anft. Refpondeo , Ari-
ftotclcm 10. Ethico.cap.8. voluiifc, Homincm naturalitcr poflc contcmplari
Dcum, & cum cflc faeliccm,qui in huiufccmodi contc plationc manct,atquc
acquicfcit. Non tamcn docuit, nos polTc Dcum perfede contcplan, aut cam vnam
pcrfcchflimam ciTcatq; vndcquaquc abfolutiflimam poftrcmamcjue fcelicitatcm.Imo
ibidem dlfertc fatetur Dcum folum bcatiflima vita frui, ho- mincm vcro nequaquam:
fed catcnus bcata, quatenus cft aliquid,in quo (ua? vitx,cum Diuina
c6ucniat,nempcopcratioipfa,fcuipfum Intelligcrc:quod D in Dco vcluti in fontc
&:pcr cflcntiam omnibus numcris abfolutiffimum cft: innobisautcmimperfcctum
,atquc pcrparticipationcm rcpcritut. Quida
PhilofophohacdcrcpotukVt^i*rpronuntiari? Inhancitcm fcntetiam ac- cipicnda funt
Aucrrois vcrba: ncque cxiftimandum.tam incptum quippiam tanto homini , in
mentem venirc potuiflc , vt fallaciflimis ducibus fcnfibus, &: phantafia
vtens,maicftatcm naturamq; Dci pcrfc&e aflcqui fc intclligcn- do poflc
putarit.Que vcro profcrtur ratio,nullius eft pondcris,cum vnius in- firmi
cxtrcmi quod ctigcrc Mcs fua vi poteft, ad altcrum cxtrcmum ad quod Mcns fua
imbccillitate, afccndcrc nequit, comparatio fiat. Quid , raluirn cft
fubftantias iftas cummatcriaconcrctas,abfquetcmporc,motu,magnitudi- nequc
intclligi. Excipics, Tempus non continetur in definitionc fubftantia?, quinimo
cft illi accidcns, crgo abfquc co intclligi potcft: dc aliis coditionibus
kcmdiccrequispoflct.Refpondco, tcmpusnonc6tinefiin definitionc fub- i85 DE
MEMORIA, JVmtix,eft tamcn,accidemnoftrumcognofcendi modu ncccilario fequcns,
qui ratiocinando mtdhgimus. Poffumus ergo fubftatiam intelligcrc abfquc
tcmpore, i. quati ipia temporc non JitaJfcdta, vt cygnum & niucm abfquc al-
bcdinc, non tamch iftam noticiam , prxtcrquam in tcmporc coprchendcrc
valcmus:quod ircm tempus quanuispcr i'c lcparatas Mcntesnon metiatur, mctitur
tamcn pcr accidens, rationc lntclligcntia: noftra?, quz motus quida cft, vt
cxo&auo dcphy.aufc.iTc f X wt ^l^arjl Qpo'mrir,ci k r$S romixeSr f^opiar
luS y ovx otr u- foo~ait&drtrct{ Bn &portpor . (p j
\>ov,i/& ai cricac orrr) "\uyVt y K)rcp popicaToC
crc&fjutr' ^rc/t^prri abrUu'oior fyftpdpHtudriG ij lo W3cf, o piat i/u- xa^dmp C cTvrloc^i 3 crxj\tip6rtpoi.^ie /*ir
oZr ' u tvti 7s quo dcmu effigies &t figura illa quauis res i- pfa fcrfilis
abiungacur ,roaner. Hancfiguram &: effigicm nucfpecicm, nuc ii- mulaclu u ,
aliquado imaginem, aliquado imprcilione , necno mocionc , fcn- fioncm,&:
paffionem vocare folemus,non camen propric vc Thcmiftius roo- nuic, fed pcnuria
apcioru vocabuloru.Ncq; enim imago ipfa, vifio diccda cft. Eccnim vi#o
fignificac adminiftracioncm feu cncrgam faculcacis vidccis , in qua imago
impcimicur. Na infenfu triafpeccacur: rcs ncpc fcnfilis,vis fcncic- di ET
REMINIS CENTIA. 19 , ^ di, ipfaq; energaquxcx vi fenricnce&: refenfili
canqua ftrtusquida parirur. Itain Mcntc,ipfum Jfy)mnw 9 Vu intclligedi, atq;
ipfa Intclligcntia, quacxa- lioru duorum coniudtione cxcluditur. Et idcirco
Alcx.in ca. dc Phant.inquit Simulachra ifta leniioncs vocari^pptereaque
Funtcionis fcnfilis opera cifc vi- dcncur.na aftu fcntire nihil aliud cft,qua
fimulachra ciufmodi,ab exccriorib 9 fcnfilibus intrufa in fc cocincre. Figuram
vcro& impreffioncm notu cft, W7 - ^rpxSr fcnfui tribui: qualcm enim figura
color,odor,aut fapor, haber, qua al- tcri largiacur?qux cminccia,qui rcccffus
partiu coloris in oculo cernicur,qux tamen duoin vera imprefiionc cofpiciuncur.
Iam crgo, vtad rcm redcamus, conftac q\iid iit illud,Mcmoria cilc pafiionis
prxfcnris.Eft cnim ipfa habicus, feu facrariu,&: quaii fin 9 in quo
imagines lllx Phacafix cofcruancur. Ex his c- hcic Arift.in 2.coc.parcc,lllos
omncs no bcnc ad Mcmoria apcos circ,in quib 9 huiufmodi inugincs impnmi
ncqucuc,funcvcro hi,qui primu ^Eft hcc.auc cc- jj rebru,auc fangui nc(quoduis
cm horu in pre/cncia dc fcncciia Arift. af fii marc poflumVc fupcrius ccia
oftendim v )vcl mobiliorcm.vrpucri qui\f pterxracc afliduc augcfcur,& fcncs
qui concincntcr cxtenuatunvt irati qui jf ptcr paffi- onem comouentur atq;
cocitancur,( in his cnim no manct impreiiio, fed fluic & dilabitur,vcluci
in aqua,ob motionc& fluxu rccipicntisimprciTioncm)vcl rigidiorem &:
duriorcm: vt valdc fcnes,quib* cor pr^gelidu cft,&: quaii algorc
co!liiu,&:antiquispariciib'fimillimu,quib 9 pidur5&:calxpr5(cnio
cxcidcrit. In his nanq; cancu abcft vt noua iimulachra indu&a fufcipi
valcanr, vt vcccra ctia abolcancur,&: collabantur.Iuxtacundc diuerfum modum
haberc fc eos ccrnimus,quos fupra bcnc dociles,&: non bcnedociles
nuncupauimus:qui fi mcdiocritatem quahdam cxceflcrint,&: nimis njuku ad vnu
vel alceru cxtrc- C mum dcchnent, vel no contincnt quod acccpcrut, quod
humidiorcs plus x- quo iint,vel ncq; etiam accipiucquod ficciorcm quam
iicnccefle, natura ob- tinucrinr. ( Paflione prxfcntcj. Imago rci fcnfilis
ducit fcnfum ad atu,&: Pha- tafma Phancaiiam ad atlu:ira
ipfum,uF^rXMemoria.Non ducerenturautc iftaadadu,niii quodammodoa fcnfili, a
Phatafmate,iOT?ftw/uwra - tanurmnf. Legatur hac dc rc Arift.in prioridcani.
cot. 63. ibidemq; Simpl.Phi- Iop.&: Aucrr. Ex his caufis ab
Anftot.gcncratim propofitis , quibus Memoria prohibetur, caufas alias omnes
pcculiarcs,quas affcruc Inccrpretes,vnufquif- que colligcrc potcft , cafq; ad
has, vcluti ad fontcs, reuocarc. Sencsitem du- pliccm ob caufam memoria carerc,
ob motum nimirum decrcfccntis xtatis D &: ob rigidiorcmfcuduriorcm
corumtcmpcrationcm . Dubitarihic anon- nullis folet, An Mcmoria fic Habitus,
i.conftans quxdam &: immutabilis Paf- fio, atquc ita vt obliuio ad ipfam
non concurrat. Mox, an vcrum fit, fcncs n5 bcne memorcs cflc, non itcm pucros.
Sed certc primxdubitationis , nulla a- deftoccalio, nifiobliuionisvocabulo
abuci vchmus. Mcmorixnomen duo indicac, ipfam Facultatem, mox cncrgam. Dc
Facultatc nullus dubitat, dc Encrg'a,quis cft qui ncfciat, ipfam inrcrcifam
cfTc , cum non fcmper eafdcm ipecics obuias habcamus , Memoriaquc fit quafi
infinira,&: Mcns non vnum fempcr intclligat. Difiunguntur quidcm
igiturMcmorixaaus,nonramen abolcntur fpccics,quam abolitione obliuio cxigic*
Tunc ergo fat habicu mc- morix quis tcncrcdicitur, cumprxfto habct,
feuabfqucmcditationc ali- qua rccolit rcuocatvc fpccics. Hoc ipfum cgrcgic
Aucrrocs cxplicauit, cum B.ii. i9 t DE MEMORIA, aic,memorhmciTcincercifamconfcruacioncm.
Qui vcro excmpla quardam . Biucorum h.c nobisobiiciunt,quid incer Difccrc,
Meminific,&: Reminifci dirTcratjquantuitcminterBrutorum &:Hominum
Phantaiiam, difcriminis poncndumlit, vidcntur prorfusignorarc. Qupdfccundoloco
quarricur, di- gnius eft quod cxpcndatur. Etcnim Arift.in z.Rhcc. ca. pcculiari
dc moribus lcnum ait: Sencs mcmoria magis quam fpc viuerc, quod rcliquum vicz
cuius fpcs eft, brcuc fic,pre > rcricum aute quod memoria rcfpicit, multum.
Dc puc- ris vcro, omnibus conftacquam combibancur tcncriorc illo animo atquc
al- tius imprimantur, qua: primis xcacis noftra: cemporibus ofTcruncur , acque
a- dc6, vc in coco deinccps vicx curriculo conftanciflime permancar.In orc func
omnium , carmina illa Horaciana. - nuncadbtbc puro Pcclorcycrbafucr^nunc
ttmcltonbmoffcr. Quofcmcl cjlimbutatcccns^fcruabttodorcmTcfladm. Rcpugnancia
hxc ica diluicur:Pucri quancum ad corum nacuram &: ccmpcracione accinec, g
nonfuncadmcmoriam apti,quod in mulca fpiricuum commcancium,& fcfc canquam
circulos in aqua fccacium mobilicacc finc, qua: a copiofa humidica- '
tc&caliditatc, faculcacumq;nacuralium intcnfo opcrc proricifcicur. Indi-
cio eft multus fomnus, quo alfiduc vcxantur , atquc eo minus quo magis au-
gclcunr. Hoc Ariftoc.voluic, ciimaicpueros obfluxibilicaccm fpccicsno re-
cipcrc,non quod proprie maccria cordis auc cerebri, vcl fanguinis,vna auc al-
tcrafpecicobfignacainducacur. Quod fiipfosfacilecorumqua? inpuerili x- cacc
percipiunc rccc mcmini/le cernimus:id per accidens fic,quaccnus ncpc, vc aic
Alb.ob mulcum ocium, rcrumq; nouicaccm valdeacccnci iinc.Pucris ii- quidcm noua
funcomnia qux orFcruncur,vndc admirancur. Eft auccmadmi- ratio nil aliud quam
fufpcfio animx fcu fixio,inccncaquc ad rcm ipfam appli- cacio. Dc fcnibus icem
diccndum eft, qui fpiritibus imagines defcrctibus dc- ft ituuntur : quos cnim
habcnt nimis crafli, tardiquc func. Fic auccm vc mulca C mcdirarione,&:
cogicacionc rrcqucnci ca aliquando concineanc , quac mulco
antcaacccpcrut.Arift.ipfcinz.Rhet.ca.citatodcclaratcumaic.Garruloscirc fcncs,&:
rcpccica pratccricorum narracionc,mirum in modum delcftari: racio- cinacionc
pocius,quam monbus viucrc:&alibi:fencs mccis,iuucncs corporis cxcrcicacionc
amarc. Quapropcer non modo fcncs , coru operu qua: nouicer cmergunc non facilc
mcminiflc, fcd &: anciqua, quoad fcnu natura acciner, fi cxcmplum
pariccisvccuftiab Arift.propoiicu vndcquaq;quadrarc vclimus, &: naturc, vim
fpedarc,difficillimcanimo rccolcre eospolfc affirmandum cft. A'aA* Tif roiovrov %b & avfi$aivov Wh y
ohvtitu*v Vi q Kop/o-xov.cr&vd-z j
& AA: V mtt 5o: piisT&vrnc; , x)
orat cic, fytotyrypa.fjLfi.iKt 3%^pri,it rt t -\v%n Q /At ytvtToj ttmfio'TtpH
Kprhai&t&a, *'i^^fvuCatm)t. an id cunc primumfcntiam 9 . (a
rnti^rn-niittln.ijlKKvt^in *utrit) Bxcif/r nilaliud cifc quam phancaiix cx
cc/fum qucndam in adm irarionc, pcr quam ab omni alia rc diftracti
immotique,& q uafi fcnfu dcftituti rcddimur,fat conftat . Hqc Mclanc
liolicis accidit , atquc iis qui phantafia vigent, ( omitto fanccoru Dci raprus,quorumaIia&:diuiniorracio
nobifqueignoraeft)qux vcmcndaxplc- rumquc cft,ita indigna cui fcmpcr fidcs
adhibcatur , qucmadmodum Arift. ad iincm tcrciidc phy.au fc.monuit.Ifticrgo
quxnunqtiam vidcrunt,imagi- nari poifur.c:&: vt Auer.hlc &: tcrtio dc
an.com.>' .&:io.monuic,res auditu tan- tumpcrccptas propria quadam
figura imaginationc inf'ormarc,ita vceorum quxdcinccps vidcanc, fc mcminific
puccnc. Cxterum nafcitur *" exrci ignocx,& nimium cxcellcntia
dignicaccquc prxftantis (pcculationc. Quo fit vt rcttc quidcm nonnulli
monucrinr,**'"*", nomcn ab Ariftot.in prxfeA cia vfurpan:in eo ramcn
pcccarunt qtidd exiftimenc,hic dc ift hominibus fcr monem cifc quos in libcllo
dc Somno &C Euig . ^i4> nocabimus.Hoc cx co liquet.quod infcrius
rcftitutio &: rcnoua tio prioi is lam collapix mcmo- rix vniucrfe^Difciplinc,
nominc, no Rcmin ifcctix hi(i fortc pct accidcns nu- cupabitunnihilcnim
diffcrca principio quippiam difccre,auc cum oblirus cft quifpiam rci alicuius
vniucriim,eam rurfuS inucncionc auc difciplina affc- qui.( Phancafmaca),qux
fibi obuia cunc flcbac.(* , > , '>"*''). Afhrmabac ca a (ealus
vifa,aucfenfualiquofuiifcpcrccpca,acfinon cuncea primumpcrci- pcienc,fcd
vcluciiamancea perccpcorummcminiifenc. A / j utMrau tw uvyuIu
aci^a-i^TcSi^atct^^ncrruHf.Tgu^ S ' T necjue apprehen A fio:cum enim primum
addifcit,autpatitur,nullamrepetit mcmoriam,
(fiquidemnullapriEfuitJncqueaprincipio acdpic.Cum nancjue fa&us fuerit
habitus,aut pafio,tunc eft memoria.Quare vna cumpamonequa: fic,non gignitur.
Qux alias cractara,&: nuc vc vcra &: confcfla vult fupponi,ifta funt,Rcmini-
fcentfam nequeMcmorix repetitionc cfle, neque fcicntix acquifitionc. Hoc ad
quxftionem,Quid fiv intelligcndam,aditum pararc lat conftsrridncmpe primum
poncrc,quod Rcminilccnciam cfle poflit exiftimari atquc id non ef-
Icdem6ftrarc,cum prxfcrtimRcminifcctia&:adRcpcticionemmcmorix,&:
adNouam fcicncix acquificionem iimilicudinc acccdcrc vidcacur.Hxc fimi- tudo
Platoni impofuit,qucm forcaflehicarguit Ariftotclcs.Extat Hippocra- tis
fcntcntia,Simi!itudinc bonos quoquc dccipi:acque altcra Platoms in So- phifta ,
Illum maximc tutam vitam ducturu,qui a fimilitudinc caucat.Hunc ordinem fcruarc
iolct Ariftotcles, cum fibi dc dirificiliQri aliqua difputationc ftatucndum
cft.Nequccnim ftatim quomodorcsfe habeatdefinit,fcdpri- mum quomodo non
habcar,cxponit.Difputatiodcloco in 4.dc phy.aulic.agi tata, id nos doccrc
potcrir. Vt ergo Arift. comodius oftendat Rcminifcencia
n6circ,autMcmori^rcpctitionem,autScicti^acquiiitionc,declaratprimum quid
ficfcicncix acquilicio(difciplina voccs aut inucntione nil incercft ) vndc
ctiamquidrcpecitiomcmorixfir,&: quidintcrhanc&rillam difcrimenadfir,
nobis colligendum rclinquit.Miraccrcc brcuitatc hxc docet:qu6 ctiamfic
vcobfcurafinc,acque inccllcctu difticilia.Eft(inquit) Acquifitio, llla quapcr
difciplinam aut inuentioncm , aliquid primum acquirimus : ncque enim ifta
Memorixrepctitio dici potcft,quadoquidcm fi tuc primum acquirim',nulla q
prxfuicMcnioria.QuidJquodncquccciamtuncaliquis memoriatn fumcre, ncdum rcpeccre
dici poccft .Eccnim cucmeminifle dicimur, cum iam didicc rimus,factufquciam
cxtiterithabitusimaginis acceptx nullo negociorcd- dcndx,non quando primum
difcimus.Ex quo item intelligitur ,quid fit me-
moriamrcpctcrc:Nimirumcogitarcbisaut ter quotiefque &: cum libueric de
fimulachro,quodaliasfeniuatqucanimocomprchcnfum, purum,nulla- quc cx partc
intcrlitum,acquc inccgrum conferuacum cft.(
*8). Vcru- qucgcnusacquificionisfcicncixdcfignac,Difciplinamfciliccc
acque inuen- cionem.Hxcdifficilior, illa facilior cft,cx fccundo Eknch. capicc
vlcimo. Vcraquc camcn pcr Doccrinam comparacur, fi quidem cx prxccdcnce co-
gnicionc ducuncur. Ec dc Difciplina quidcm hoc lacis conftac. Dc Inucntio- nc
vero probacur,quia iccus,Mcnnonis ambiguicas enodari non poflec: vcl c- D nim
nil prorfusinquircndo acquircrcm',vel quod ancca nouimus. In fumma vcro dicamus
^^Ai'rabti//>wnondirTerre,nifi quatcn' illaaborc doccntis
cxterioriscmanat,hxcab intcnori.Harumacquificionum naturaquin pau- cis
hisapcrirecur,prxccimiccendum non fuit,quod ad inftitutam Ariftotclis
difpucacionem pcrcipicnda,hoc nos non mcdiocricer iuuet.( *S **pC*r^ ad
vcrbum,ncque a principio fumic). Miris ic modis corqucnc hic Inccrprc-
tcs,vchorumvcrborumfcopum aflcquatur.ExThcmiftio vixhabcsquidin
mcdiumafferas.ThomasMcmoriamabacquificioncfcicncixhis paucis ver
bisexplodicenfec,ac fidicac Arift.Qui mcminitnonfumitaprincipio:quod vc
facilius pcrfuadeac,vcrba hxc a fuperioribus fciungic,coniungic aute cum
infcrioribus.LeonicusnonMcmoriamfco^Rcroinifccnciam pucacab Acqui- ficione
nouadulingui.Cum vctohocpacloVixfcvcrbaiequcntiainccrprcca- D E MEMOtUA, O0
riportepcHpicerccadditnonnuUa defuo:quod ccrtc fux mtcrpretationis abfurdirarcm
indicat.DeThoma nil addo,cum concextum incpte difccrpar. A
EgovcrocxiftimarcmAriftocclcmoftenderc Acqumtioncmdifcplmx,no modo noncffc
mcmorix repctitiohcm,fcd ncquc ctiam ipfum Memotix lu- mendx initium,fi quidcm
tunc primum Mcmoria eflcauc fumi d.catur, cum famhabit-auf paflio
fadafit.Illaigituc verba tnrn^ 4*m X, nil al.ud quam hoc ipfum fed clarius
exphcancprxccrea nulh dubiu cft parucul^ sfc veriat, omniaomni ex partc rcfpodencQuid
f, dton* P r,ncp,o fumc- rcnil aliud cflc quam rcmin,fci,infri nanq; dc
rcminifcecia loqucs ,ta docct *bim*m Cognofcctur autem paulo poft rcminifcenccs
prmcpmm ahquod momcntumquc maius intus poffidercquam qui dilcunc aut
inuen.unt.Hoc paSo, Ariftotclcs Acquifitionem fcicncix in prxlenti contcxtu
dcfcribcrcr, vtd,ximus,ipfamqueareminifccntia,& memorix
repecitionciciungcrcc.
Mihipriorexplicatiomagisarndct.Sedvtrauistcncamus : non eftccrcccux
dealiorumintcrpretantiumcrroredubitcmus.
JIA. w * " ******** ^ *W * h
te**; Prxrereacu primumfaOacft inindiuiduo, &vltimo , inclt cjuidem in
paticntc paffio fcientiaau e ,fi fcientiam nomine habitus,auc paflionis
appdlarc conuenil: ( nil ver6 prohibec cx accidenn nos nonnullorum C meimnuTe
cmx kimus ,) Meminifle autcm fecundum fc noneftante- quam tempusaliquod elapfum
Gt . Memimt cmm nunc cius quod vi- dicaut antea paffus eft,non quod nunc
pamuccms nunc mcmimt. Hxc (ni fallor)ad
idcm confirmandum apponuntur, quod nos fupcnus ab Ariftotclc illis in vcrbis
^i;ifX"^ ciw lignificari docuimus . Pcrfpicua eft autcm philofophi
fentcntia . Nam ipfo illo momcnto atquc indi- uiduo tcmporc quo paflio vel in
fcnfu,vel in mcntc fadacft ,fub,to ,n patien- tcDaffio atouc fcicntia tantum
cxift,t,quamuis pcr accdcns codcm mo- mco mcmoria quoque cxiftcre dici
poflicquacenus faliccc vc fuperius cum loquerccurdcmcmoriaaic'-^
Propriccamen&fecundumfe tunc crit memoria.cum poftquamal.quod temnus a
paffionc fada clapfum fucriceam (e aut icnfu ahquo aut mtclhgcn D m perccpiflc
exploratum quis habucrit . Qux dc fricncia interponuncur cx Arift
infcxtoEthico,atq;Euftratiocommode haunr, poflunt . Vocacur Ha- bitusnon
modoobhabihtatcm&: promptitudincm raoilcans ammx adid oercip.cndum quod
orTcrtur, vcrum ctiam ob lcientix ftab, hcaccm conftan- riamquc.pcrmanetcnim
&diuturna cft: quamuisvclmcdiocris ecam fic, nif, aut diuturni morbi
occupat.onc aut aliqua aHa infigm mucac.one,
amittatur:Panio,quandoquidcmqucmadmodum fcnfus cum rccipicob* feda cxtrinfecus
dclaca pacitur , ita Mcns a phantal.a fcu mcmor.a acc- oicns , fcientiam per
modum paflionis , alicuius nanciici dictur : in mo-
Feminquampaffionicquandoquidcm Mcns cumcx ignansfccntcscuadv. mus proprie non
mutatur,im.oquicfcit, atqucin ftatu&quictc pomtur, ET REMINIS CENTIA. 5 oi
Quadcrc fcpcimusphyficu*,fccunduspoftc. analy. &c primus Mcraphy.Ii- bcr
couilarurquibus cx locis quomodo Arccs Scienti?qu acquirantur,cpti
niccognofcipotcrir.Poccftauccmfcienciaram babitus quam AfFcttiodiei, cum omnis
habicus affcctio quoque fic.Liqucr pA cx caccg.Qualicacis. E^ri J $o&tr
wvdp%ar&, : lnucnirccocingic.Rcminilci crgo ab his differre oporccc,&:
pluri exiftetc prlcipio , qua cx quo cjjpia difcic, rcminifci. Contcxtus
alioquin pcrfpicuifcopum ,vixacne vix quidcm vlltiscx In tcrprctibus,qucmquidem
hattenus vidcrim(ab(it vcrboindiuidia)rccteeft ailequucus.Eorum autcm
intcrprctationcs in mcdiu afTcrrc fuperuacancum iudico,quod multx varixque
(inc*& quod cx coru commcncariis pcti como- dcqueanr.Dicamuscrgonosintercoc
prxclarifiimos viros minimi, Ariftot. poftquaDifciplinam fcu inuencionem,quam
ipfe vocabulo *-4*fdelignabau a
mcmorixrcpccicione,im6qucabip(oMeminiflcfciunxit:Nunc candcme
moriXrcpetitioncm,(cu mcminiflc,ipfamqucinucncionemfcu difciplinam
aRcminifccriciafcgrcgare,limulqucquidRcminifccciafir, quantumin prx-
fentiapoteft,aperire.Mcminifle(inquit)noncft remimfciex principioahquo hui 9
auc illi 9 ,quod antc vclfcn(im 9 ,vclaliquo alio modo pafll fumus: Imo hoc
ipiu Rcminifci dicimur,cu ea rccupcrafn 9 cx principioaliquo qux ancca mc-
cc,auc fcnfu cognouimus,quoruquc habicu Mcrnona fupcrius appcllauim 9 , 1.1] u
t mcmoriacoprchefahabebamus.Quarememoriafeu meminiflc,fcqui-
curncdilciplina,&:mcmo
riatradidit,&:moxdcrcminifcctiadcclaraturuscrt,nobis(ubintclligcndarc-
linqucs. inaccthkobitcrannotarc,caufamdifcriminisintcrArift.&: Plat.de
Genctationc l'cientix,hincforcailc colligi opcimc pofle.Placo Scicnciam no-
ftram,non primamlcienciaj acccpcionem,fcd rccordationem vocabac-.Scicn
tiamnanquc animabus o U ;*cfleinTim*odoceccum Dcumcrcaris a- nimabus
lcgcsmonftrairc cradic: hancdeinccpsob fluxum corporum m qua: animc^ctrudutur
oblitcrari.Quo rluxu&: motu ccllancciterum rcftaurctur,
Anftot.vcroMcntcminiingulishominibusinitionudam.omnifqucfcicntia: C cxpcrtcm
ftatuic,meptamque ctiam ob motum&c agitationcm corporum ad
illampcrdifccndam:qui motus cum cellac tum primiim anima fcientiam
nancilcicur.Hinc,inquam,difcriminis huius rano chci potcft Dckaatus cft Placo
mctaphoris: Arift.propria vocabulorum & fcrmonis fignificatione per-
amauic.Rcminifcipropricdicicur,cumillcmccqui primum rcm tencbat,c- iiiiquc
parccm oblicus cft,mox cx principio aliquo dcnuo iptam addifcic. Ac- qui Mcns
non Rcminifcicur hoc modo,nil enim noui recipic , fed homo , cu yrzfcrtim
Mcnsmcmoriacarcac.Rcminifcicuraucem Mcns, impropne lo- qucdo,nam fcicnrix func
Mcnci coctcrnacatquc in llla pra:cxiftut.quarc ncn Mcns fcd Socraccs auc Placo
difccc.hacc Aucr.in j .dcan.com. 5. Quibus Sim- pliciusaddicin com.io'.Menccm
formasquafdam proprias&c confubftantla- lcs omnuquc & fcipfam pcr
propriam cflcnciam incclligcrc : qua cerre ratio-
ncfcientiafimilicudincmaliquamRcminifcenci* rccincrc vidcrur.Etfanc D vel
iftafateri oportcc,vclquxdc Mccis vnicacc Arift.&: cclebriorcs Pcripatc
tici docucrunc omninorucrcncccflccft.Expcndaruritcmprorehacconr. io.7.phy.vbi oftcnditur
Mentcm nulla pati alcerarionc,ac proindc nil dcnuo rccipcrcquauis aliqui
Arift.ibioon cx propria fcntcntia loqui ralfo amrmc t. Ivufaiwvt we,u&* ,
x*ovut$alr tyortpc* ra* xmatm , jfocar nw- 9&fA>*u& Uv ixelr*
*$t.e/i rurtwji *M*rnk,*) ET REMINISCENTIA. m ttmffi al aOra)^ j aLfxttffl J
fjpQ. f Aadr $ Jx*3* fx*r ix,uyoj/iroo-i u^/ oir oire*. 16
FiuncauccmReminifcencia?,quoniam harc motio,poft iUa natacft fieri:Ec liquuic
ncccflario.pcrfpicuu eft,quod cumilla morus fueric, hac moucbitur.
Sivcr6noncxncceiritatc,l'cdconiuctudinc,vt plurimum moucbitur. Acci- dicaucem
quofdamfcmeJ,confucuiflcmagis,quam alios fpe motos . Vndc quxdara femel *)Koc ^
cft nacuraliter,ita vt vna mocio altcra ncccflario confcquatur.Hoc modoqui
Socratismcmimt, hominis,animalis,&fubftantix rcminifcitur, auc quini-
uis,albedinis,frigiditatis,&hyemis.(iAA"|3H) . Noninnuithic iro;,/'
id cft,vt Ioquucur,arcificialem
progrcirum,vc quidamexiftimant/cd nacurx ha bilicaccmquandam.qua rcminilccnsadhoc
vclad illud fcconucrterc folcac. Aflucfcimuscnim hs facillimc,ad quxnacifumus.
Noneftautcm afluccudo & cxpcrencia idcm,vc optimc a nonnullisahas
animaducrtu cit . Expcrimur cnim ca qux vcra nobis non apparcnt,non vt
aiTucfiamus , fcd vt iJ quod du- bium crat addifcamus. Aflucfcimus autem
aliquibus,non vt addifcamus illa tanquam dubia,fcd vt nobis faciliora fa&u
aut pcrfpc&u rcddantur . hoc A- ^
h(l.infec.mcta.contcx.i4:&clicicurcxfcc.i8.probl. i . Hincillud: Confuc-
cudo altcra natura cft.Qucmadmodum cnim Natura fine cognitionc agit,&
abfquc laborc,ica propc qui afluecudinc agunc.C^cerum huiulcc Mocionum
confcquii pcr afluecudincm cxcmplumefto. Hydrxab Hcrculx fagiccis &C ignc
interfccrx mc*moria, Papx mihi mcmoriamiuggcnc, hxcRomx,qua
dcinccpsBabylonixrcminifcor.(Vcnamurmcdicanccs ab ipfonunc.) Hirc minifcendi
fonces omncs quidem ad cofequia pcr nacura accomodah dcbcc (vc infra
liqucbic)finicima camc quam maximc:cx cxcplis allacis hoccoftac. Quod fi
Themiftii cxcmplum fumam* dc Lyra,Cori(co &c cius cancionc,idc
cognofcctur.fcd acutius mtucamur horu fonciu vim \' cfficacia . Eft(inqutc)
Anft. principium rcminifcencix vel ipfum nunc , vel quid aliud,vc fimilicu-
do,cocrariccas,affi nicas.Ccrcu cft omncs hui J cfficaci; fonces hic no
explica- ri:pociorcs camcn &c prxcipui hi func,ccmpus cnim cemporifque ordo
qui no bis ipfoNuc fignificacur,maxime ad cuiufcuquc rei(no modo cemporis,vc
ifti aiucjrecordacioncm valec.Quarcperipfum nucnonquodinftar,fed ccmpus quod
fumicur incelligi oporccc.Similicudinis vcro cfficaciam,dcclararunc vc tcres
llli aduerfus quos in priori dc ani. difputatum cft: cum idcirco animam cx
omnibus conftarc ftatucrct,quod omnibus fibi cognofccndis illam (imilc
circoportcrcc.Similcafimiligigni,cognofcipfimilc,appcccrcfimile,& cflc id
poccftacc,quod alcerum fimilc cft,liquec,cx fcxccncis Arift. &c Auer.
locis. Icaconcraria pcr fua concraria cognofci,candem habere maccriam,cflc quo-
dammodofimiliaadinuiccm,fiencx c6cranis,conftac:Poftrcm6dcfinitimis qux ad
partcs quidcm rci animo clapfx accommodauimus,cum tamc omnc id rcfpiciac,quod
alteri quocunquc modo proximum& afline eft,nil cftquod dicamus,cum
vnicuiquc pcrfpicuum fit, quid aflinitas &c coniun&io valcac. Excmpla
infinita fingi polfunt,quibus vnuquodquchoru ob oculos ponarun
quarcfupcruacancapratcecmiccamus. D Kct/u* ^nfoOtt*^ t tiWo,ufyu,i$/t3> irulm. 17
Cxterum nonquxrentesetiam fic,reminifcuntur,cum pofl alceram motionem illa fit
: vt pluriir.um autem aliis fa&is motionibus quales propofuimus efficiecur
illa. Hxcab Arift.idcoincerponucur,quiaincerimnulla inueftigacionis perfi-
milicudine, cotrariccacem,auc arfinicace intercedence folaprincipe mocione
cxcicata^alix nobis fefc ofTcrunt,quaru tuncrccordamur. Hac rcmmifcc ndi
viam,Arift.infolicamcflcaffirmac,ncc pauim ficri.HxcLeonicus,& optimc, quamuis
cx orcThc miftii flipca finc . Dcccpci luc auccm recen ciores, qu i exi- ftima
ET REMINIS CENTIA. 5oC A fcd per vna rancu jpgredicur.Ifta fiquidcno
raroaccidic.fcd plccuq;,& pranc- rca ad illa vcrba.m^o^ '^^ruw.^vix poccft
acc6modari:pottrcmd qui ica ccnfenc nc
vix quidem fequencis conc.fenccnciam accingcrc poifunc. OvTtr J vtaliquandoaccidcrCjp ximc iuppoficum
cftjRcfpondec id non efie quarrendu,cum raciohuius,in rc-
minifcenciafinicimoru,fpc^andafic.Eadcmnanq;cft,quanul]aancegrcdiece
inueftigacionc,auc rccordacionc ca quidam c5memorcnc qua? ordine quoda
confequuritur,cum aiTuetudinc hoc iibi c6pararinc,vc poft vna animi mocio- D
ncm,alia fibi ordinc fuggcracur &qua aUi cx co quod cx 7ir f^Siy^t
inucftigcc &C rcminifcancur.ac fi diccrec,idcm AiTuecudincm efficcrc, quod
Ars feu ra- tiocinacio.Colligic dcinccps hoc vcrifq; c6munc eiTc , vc cx
pnncipio aliquo pendcac,quod accipiuc,vc ex iIlo,ahafi bi vcl pcr
inueftigacionc&Rcminifcc tia,vcl pcrafluecudine,in mcrice vcniat.(*
*t.*Atir*urraut). Cuiobaftuc dinc vnu poft alccru fcfc offcrc,is nori
dicicuTinucftigarc,nil cnim heret:rieq; propriercminifci,id cft,ex vnoin aliud
per mocionc progrcdi.Porro dpyjnc *t
draiirioftc.eic yb iyn %l Xec y*t\uiftcji)
^uru Sfytyipti 7t> drA^t/x. tri ftluvrirttf,t tufy afuvctrtT
drctjU)ni&{u7afifftir *' ,ro rinrwr
$oxovo~n drttuiumcxt&cu orlort.ro
Quamobrcm cclernmc &opcime, a principio ducumur reminifccn-
tix.Quemadmodu cnim rcs intcr fcfchabcnc in confequendo,ica &mo tiones.Ec
facilc eamcmoria coprehcndi poftuncqua: ordine quoda con- ftanc , cuiufmodi
func Macemachicx diiciplinacaha vcro male & d i ( i i - cultcr.Et hac itcm
m rc rccordari ab lccrumdifcendo difterc,quiaDoceric quodam modo per fe
moueri,ad id quod principium fequitur.Cum ve- ro non,fcd per aliud,non iam
meminic. plcrunque vcr6 iamnon poceft quidcm reminifci,fed quarrere
poreft,& lnucnic. Hoc aute iis vfu venir, qui mulra mouenr,& agunc,dum
eiufmodi motioncm exciccnc , quam res ipfa cofequacur.Nam meminifle eft,vim
mocricem lneffe, hoc aucem ica,vc a fcipfo,& ob alns quas in fe habcc
mocionibus (vc di&um eft)mo- ueacur.Sed principium fumpcum eflc
oporcec.Quapropter ex locis vide cur aliquado reminifci. Cuius caufa
eft-.quoniam celerirer cx alio in aliud progrediuncur, vc ex Iace in
candorcm,ex candore in acre,ex hoc in hu- midum , ex quo Aucumnus m mcmoriam
venic, cum ldanni cempus qujercrcc. Pnnccps illa mocio cuius rftcminimus,non
modo ipfa cft qua; primum mo ucr,vcrum etiam qua: anfam prarbcc mcmoria:
alcerius, quod Arift . doccbat cum diccrct, ^^^C^ Vw ** Cl ''*% , ^^' , *CM8 ,
'*i''i $ ^. Mcricd itaquc colligicurRcminifccnciam cunc preclarcduci,cum
principium iftud ica fc ha bcbit,ncmpe vc ordinc & fucccfiionc quadam alias
poft fc confcqucnccs mo cioncs valcac cxcicarc:(quam enim res gcftc incer fc
habenc ordinis &confc- quucionis racionem , candcm cciam mocus animi ab
illis cxcicaci obcincc)ea- qucfacil^memoriacomprchcndipoflciquaiordigccohftanc,
vcdc Thcorc- macis Machcmacicis rcs habcc,in quibus cx primo fccundum , &
cx fccundo tcrcium acquc ica deinccps fequicur,vnaque dcmonftracio alia
fupponic.Ra- tiocinacurcnim Mathcmacicusvt plurimum^^riiw/i^w^iw >V t
Arift.aic. Quare quae ordinc carcnc,& tcmcre congcfta paffimvc difperfa
func, perdif- ficilitcr memoria percipiuntur.E* quibus ctiam illud obicer
infcrri poccft,di fcrime cifc inccr rcminifci & itcru difccre,qudd'cum homo
rccordacur, cum iam principium illud incolumc obcincac,quod exufcicandarum
aliarum iun &animmocionumcaufacft,poceftcurn vulci fcipfo nullaquc
alicnaopein- terccdentc mouere fc ad alia qua? iequuntur inucftiganda.Qui vcro
itcru ad- difcit,principiu illud cui reliqua iun&aalligacaquc lunc,incus in
memoria no habcc:quarcjaliena opc,id cft doftore & priccepcorc cxcrinfeo
cgcc,qui ci no nu,auc priori iimilc principiu fuggcrac.Quauis cnim is reminifci
dicacur, qui principiuincusincolumcfcmac^cumlibec, ad inueftigandu trafirc
potcfti non camcn cxiftiraandum cft fempcrprincipium illud vcnire in mcnce,aquo
digrcP etreminiscentia: ^ digrefli,in alia incidcrc valcamus,quxad cam rcm nos
ducar, cuius recordari nobispropofitumfuit:idcirc6tuncmultamoucmus,agimus,tetamus,atquc
mcmorix acicm per omnia circunferimus , dum ad id principium pcruenia- mus,
qu6d rcs ipfa cuius recordari volumus, vcl pluribus alns inccrccdcnbus iniciis,
vcl proxime c6fequacur. Quid cnim aliud clt Remini(ci,quam mouc- cem quandam
habcre infitam facultatcm, i.a feipfo & ab illis rcliquiis animo reccncis,
impelli & excicari, ad id quod euanuic fccupcrandum? Qupcunquc id modo
fiat,reminifci cerce dicimur,fi quidcm ex hac impulfionc, in memo- ria
confcruaca,in illam,& mox in aham proccdimus.Scd preclarior eric remi-
nifccncia cum principium fumpcum dut inuencum eric, a quo di/ccdcnccs,id nobis
obuiam ri.it, quod rcminifcedo aiTcqui exopcamus. Hinc factum cft,vt cx locis
illis quorum capica nonullafupcrius propoluimus, cito rccordemur, cum cx alio
aliud nobis cclerrime incidat : vcrbi gratia , cx 1 actc candor , qui ladti
naturalitcr finitimus cft,cx candore acr candori pcriimilis ob lucidicace, cx
aere humidum aeri finicimum , cx humido ccmpus Aucumni , affimtaci*
vclcciamconcrariccacisracionetquod cempus fortafic rcminifci fuic nobis
inftitutum.(Ket) XuM.t/orot 7 -m> 77; i^- )4. a fimpliciccr cxplicanda nuc
verfacur. Parcicula camen .tt, 1 ' tc m / 9 artc illam innucre videtur imaginum
certis quibufdam locis difponendaru , qua- rum vnadealcerafucccifione
&fcrie quadam continua nos commmoncfa- ciac: amiiTainq;& abolitam
fpccicm imagini accomodatam , rcpccacrcftau- rccque. HancM.
TuIliusinRhctoricisprofcquucuseft. Hicanimaduerccrc illud quoquc placcc,quod
inicid Libri monuimus , Cogicancem nimirum illa Animxfencicncis faculcatem,
cfic prorfus rciicicndam vtfupcruacaneam. Cum nanque Arift. dicat, Meminifie
feu rcminifci nil aliud efic , quam vint incirc qux moueat , fi vis ifta &
facultas moucns cogicans anima ii t : Bruta rc Ciiii. Jo 8 DE MEMORIA,
minifcetuia prxdita crunt: Vcl (inquam)cogitancem animam perfc&am vcl
impcrfcttam Bruto dcsrnon potcs eftugcrc,quin altqutd fakcm rcminifcccix ipfis
tribucrc quoque cogans: quo nil abfurdius. tfonu j V JUt^oAM, dpx* % V utaov
ttdfTuv . ft $b /u* ortfOv$ra* lfoi %\jtm l A9>i /uwe^rtr/,fi o uz trt a
AAoSvoJor t, pcrueneric , rcCordabitur, fi mod6 ,auc C cjiuerebac:fin minus ad
rrtKm *0,qu6d qux non ncgligcntcr cra&arc voluit Arift.ea ftnt nobis ab-
ftrufiora, vcl ipfa Magiftri arte, t. ingcnii noftri imbccillitatc,vcl
naufragioru bibliothccx Arift.iniuria. Hxcccrtc, fi in caufa efle pocuic ,
vcvcrba multa, mulcxqr propoiitioncs in Arift.voluminibus dcfinr,aut malc
fupplccx,& oo- firx iinc ,cfficcrc magis potuir, vt fimpliccs hx litcrx
quibus poftluc Ariftor. adcncrgfutrRcmmifccntixcxprimcndam
vtctur,tranfpofitx,& maicprorfus f ucrinc collocacx. Diuinandu crgo nobis
cric in rc obfcura.Scd camcn fcdulo cniccmur,vt Diuinacionoftraficquancum ficri
poccrict/npai c Arift. Quicqutd igtcur in gcncrc hoc vc vniucriale fc
habct,huiufmodi,Principiu &C mcdium cric dc quo hic loquimur. ( Alias ih
logicis difpucacionib 9 monui,ar- ciculu fubiccto cunc prxfcccim apponi
folcre,cu propoficio fic vniuerfafis. )i- ccmus cnim, Ammonio ccftc,* r^mV
sjii.u-^^, no autcm *rSpW jLkk ]. Ad hbc
cnm pcrucncrimus,vclcuncdcaliis poftcrioribusadmoncmur, vclccr-
renunquamaltas,& nullaaliarc. Vcfiquispcrcurraranirno,caqux ordinc quodartl
his litcris fignificancur , >,/,,,,. Ec corum qux in concinct ur non
rcminifcacur,rtcri potcrit,vt quam primum ad
pcrucniac,ci rcliqua vfqj ad* vcniac in mcnccm:abi nanquc taftquam
aprincipio & mcdio vmucrfali non folum ad ca qux poft^ fcquuncur, vcriim
criam ad eaqux pofti,pro- grcdi licec,Quarefi ncucrum horum crucemur,ncmpe
ncque tandcm quafifaltantcs ad ipfum contugtcmus, &fic ET REMINISCENTIA. 5
o 9 &: fic dcinceps-.nunc ad ca quarfunc ancc,, nuc ad ca quar
poft,quoufque id af- fequamur,quodrcpcrireftudcmus. Habitonanquc
&:pofitohoc vniucrfali mcdioque principio, puca i, vnde multa caqj tam
anteriora quam pofteriora inuadcrc po(Tumus,faciIc eft nuc vnu nunc aliud
tcntantes.fic modo pcr hoc, modo per illud memoria faltuacim circunfercntes in
id tandc inciderc,qu6d motionu ccrmin 9 & quics fic.In cxemplaribus Grxcis
quac circufcruntur,pu- to aliquid dcfiderari,quod illa verba prajcedac,ii w,J,u
f*/*W.Hoc vnicuiq; acucc intucnti patcrc potcrit : Prartcrcain cxemplari
vctultiilimo Lacino ca- men, quod apud mc eft, alia iftarum Iiccrarum verfio
fic difpoficio lcgitur. Ex Thcmiftio nil habcs quo poflis hxc in pcrfpicuum
qucndam ordine rcftitue- rc. Scd nobis illud fat cfto, pcrcc,non poife nos
intelligcre principium vniuer- falc &: medium, cum neque hrVfof* cx ipfo
moucri queamus , quod mcdii na- turae conucnir, ncquc principium vniuerfale
fit, cum de *,loquutus Arift. ad- dac, i,ww ati. Eft crgo,i, auc eciam / ,
veluci principium&c mcdiu vniuerfale, aquofxpius
qualicxcurrcntcsmodohucmodoilluc, ab initiofcmpcr tan- quam ab Indicc quodam
cJocti repeccnccs, acic mcmoFiei falcare poilumus, &: nunc poftcriora nunc
prioraattingcntcs , in illud tandc incidcrc quod cx- optamus. Hoc vnufquifquc
pcrfxpc cxpcritur. Noncft ergoquodde liccra amplius laborcmus. Wf 'axnp y% f JL
A to>f7i k) ofo) dmoueamur. Si itaque noab inueteraco mo- uearuT; ad
familiarius lanemcuetur.Eft raque quafi Natura,iam Cofue- tudo. Quamobre eorum
facilerecordamur, quse (irpe Mence verfamus: vt cnim in natura hscc res lllam
confequitur,iic ln abone. Frequens aute adl:io naturam facit.Quoniam autem
ficut in iis qux nacura conftaccon cin^ic quod cft cotra naturam , & quod
fortefortunanra id multo etiam magis m iis reperietur qux cofuctudine fiunt , m
quibus natura non eo- dem modo meft, fit, vt lnterdum & llluc & ali6
moueamur , praefcrtun cumillincrapitur, iftucaliquo.
Obeimquec.iufim,cuinnominis me- minifte oportebit, fimilis quidem mcminimus
,fedtamen in illo foloc- cifmum commiccimus. Ac reminifci quidem nafieri folec.
Qupniamprincipiumillud&C mcdium,vniuerfalc quoddaro cft,aquonc- pe ad multa
tranlirc poilimus,multgquc &: vanc mociones cxcitari qucunr,vc anteadiximus
: Hinc fic vc cx eodem, nonfcmper id quod quarricur , nobis irt Mcccm
vcniac.Cur vcro magis vna quamalia poft eandcm animi motioncm 3 io DE MEMORIA,
aliquando confcquatur , id afiiiccudini maiori & minori , vctuftatiq; &
noui- cacifimulachrorumcribucndumcft. Ficrj nanquc poteft , vt qux longoante
cemporc nobis magis noca fucrunt > poftca camcn quia intermiffionc inuccc-
raucrinc, latentiora,atqueobfcUriora finr,iis quoru recens cft mcmoria,qux- qne
confuccudinc, tatta (inc nobis familiaria. Confuctudo nanq; cft quaii al-
teranacura,vcfupcriusdeclarauimus:atquchacracioncfic vccorUm frequc- ter
rcminifcamur, qux lxpc cogitamus. Quarc qucmadmodu in Natura hxc res illam
confcquitur,(ic in AiTuccudine hxc actio illam. Ec vc in Nacura non fcmper
ccrti moc* func,&: dcfinici , fcd mulci forcuicd& veluci erraca
acciduc: ica&: adhuc magis in lis in quibus valet confuctudo , piura qux
incerta atquc indefinicafunc,&: vcluci pcccaca prouemunc. Quofic
vcaliquando,quanuis priorem imaginc ccneamus, qux veluci ccrcum pnncipium
rcminifcendi no- bis cfie folcat, aliocamendclabamur, rapiamurque.
Hoccxpcrimur, cum alicuius pura nominis inccrim rcminifci conances, in alcerum
ei affinc ineidi- mus:quodprofercnces,quafi foloccifmuminreminifcendocomiccimus.Hxc
Anftocclcs: quibusepilogumaddic, quodereminifccndi cnergna fcabunde* difpucallc
iignificac,cumaic :n^iZrirmurivKt^n^vuCaimnr^intr. Scd dili- gccius fingula
funt confideranda. (Si icaque no ab inucccraco moucatur). Vi- dctur Ariftoc.
difcrimcn poncre, intcr nf^t, , &: nr^m^y cuius contririu ha- betur in
fccundo mecaph. conc. t 4. Jtofnuncupauic. QuarcThcmiftii cxemplum non improbo
( vc nonnulli faciunt ) qui ait , poft ipicm feruorcm poft fcruo- rem
fplendorcm fcqui. Nequccnim dc ignc ciufquc fcruorc &: fplendorc
loquicur,vc Phyfica quxdam encia funt : tuc enim nullus intcr hxc ordo effet,
nil pnus poficum,nil pofterius cdfequens, cum vna finc ignis,fcruor, fplcdor:
Vcrum hxc lpc&ac,vt in Phatafia cdcepca narurale jnccrfc&necciTaria
con- ncxione habcc,icavc dc vno vix ac ne vix quidc cogicare qucas, quin
alrcrum itaum vcniac m menccm.Cxceru cxcpla quibus planum id rcddi poffit, quod
fcactc- ET REMINISCENTIA. , lt ha&enusab Ariftocclchoc inconccxcucraditumcft
,aThemiftio &:I.coni- cofacilchabcripoffunc. (Qupniamaucem ficut innsqux
naturacenftant). Confulcndus eft iccudus liber phylicus ad finc,vbi de moltris,
i.iis qux a Na- turaimpcdicacfriciuncur,dilpucacioaliquainfticucacft . Tacum
moneo,po- fteriorcm hac pr^ccpcionc-m , non co modo cum fuperiori connectcnda
eirc, vc quidam cxiftimarunc. Illud ccncndum eft , Anftoc. racionem primum at^
tuluTc,curahquando rcminifccndoa principioillodigrefii,innoua pocius, quam in
vctcra incidamus i tribuit hoc ailuetudini, cuius potiilima caula ad- miratio
cft,&c dcle&atio quxex rcbus nouis capitur. Poftrcm6,ne quis etiam
cancum aifuccudini confidcrcc, vc nullum in ipia pcccacum viquam commic- ti
ccierct, dcclare voluit, xquc rcm fc habcrc in motionibus C6fuccudinis,&:
N.icur.v vt quemadmodum icilicct ibi nonnunqua crrata proucniunc, ica&;
magis adhuc in cofuccudinc peccata ccrnantur : ncquc cmm fcmpcr lta ccr- tx
funt &: conftantcs in conicquio confuctudinis motioncs, vt non aliquado in
alicnos motus icu alicna iimulachra reminiiccdo incurramus. Excmplum ab
Ariftotclcpropoiitum, Thcmiftiusitaexprimit: Cupit aliquis rccordari
Leophancm,initium iumit a Lccnc, ob vocis fimilitudincm, tieri poccft(ia- quic)
vc hic loco Lcophanis Leofthcnem fupponac. (*Ac/e/&). Propric qui- dcm
inccncinnam oracionis ftructuram nocac , fcd & id omnc quod pcrpera, i.
ncquc reccc,ncqucordinc ficauc dicitur,comprchcndit.Animaducrccnda cft aucem
iimilicudinis huius vis. In Moftrisaliquis nacurarconacus rcccus ap- parcc, vc
pcrcurrcnti quartum degcn.ani cap.4.patcbit, ita in his quar pccca-
taConfuctudinis nunc appcllamus: Qjare Ariftotclcs etkuxMy.l? m nomme, fcu in
vocc,ad rcm hapc cxplicandam adduxit. To j fitfirov TvatpftjHv , k) rlv
\>J.ojcc^djXoyov j aazrtp *(& fx.rytSn.voei j Q fitydha k, trdppu,
o-jrotihnruvav i%tirluu J[ idvotzv ,eSavtp r o-^tv $ao~! nvtcJ&y& fJ.il
ovruv ofMtotg AAet rtvx As- yov xnmo~ti.i aCrh 7& ofxoia %nfa&, k) af
xarnow. Quod vero maximi momcnti eft, tempus
cognofcerc oporrer,vcl de- fini:e,vel indefinite. Sit autc quiddam,quo maius
&: minusdiiudicam* idque rationi con(enraneum,ncuti &: magnitudines.
lntelligit aure quas magnafunr, &qua:proculabfunt,nonillucfcrascogitarionem
inten- dendo,t]uemadmodum de vifione nonnulh afferunr, (crenim cum non finr ,
ecdem modo intelligit) fed fccundum rationem quandam moue- bit,in eo nanquc
fimiles figurx,& motiones funt. Et hoc quoque ad cncrgam reminifcentiar
pertinet, fed cft ctiam mcmo- ria: communc. quarc poft Epilogumcxpendi potuit.
Fortailc autcmhinc occafionem fumerc Arift.voluit qua mox, nempe in tertia
huius tractationis partc, Mcmoria cum Rcminifccntiaconfcrret. Hxc cx
Them.clicio. No cft crgo Reminifccntia(inquit Arift.)finc temporcqucmadmodum
ncquc Mc- moria ad quam Rcminifccntia tendir.finc tcmporc,inquam,vel
dcfinito,vcl indcfinito. Racioeft quzfuperiusfuitallara,cum de Memoria
difpucarccur. Ncmpequiarcmota tcmporis prxteriticogitatione,iam non
mcmmi;ic,aut rccordari fc quis hoc auc lllud cxiftimabit,fed nUnc primum
addifccrc auc in- uenire:Huc fpe&at particula/uiVju-. Atqui iircminilccns
dcfinitc,vcl indcfini- tecognofccrctcmpusdebcat ,cum hocficrincqucatabfque
cognitionc dif- criminis iutcrmaius&cminus tcmpus,quafuifaculcatchocpra;ftabit
remi- 3 ,i DE MEMORIA; nifccns ? Refpondet Ariftot.quemadmodum eft aliquid quo
inuicem magni- tudines confcrimus &: collatas diftinguimus , ita cft
aliquidquo tcmpus mu- cuo coparamus, &: brcuius a diucurniori internofcamus.
Iftud autcm eft,vt e- grcgic monuit Thcmiftius , Mcns Phantafix coniun&a
quam alii exiftiman- tcm, aliicogirancem,Grxci Jiirow vocanr. Itaautem
Animapcrcipit maius tcmpus & minus, maiorem itcm 8_ minorcm magnitudincm ,
vt non quafi a- cicm fui foras intendcndo ifta attingat,quod Plato,non modo dc
anima,vt ih priori vol. illius tract.expofitum fuit,verum ctia dc oculoru acie
ftatuit:Sed i ipccicbus 8 figuris, rcbus ipfis fimillimis, intiifq; in
Phantafia rcfidetibus im- pcllatunquo impulfu etiam qux procul abfunt confcrrc
diiudicarcquc valer. Nam fi Platoni manus demus, qui fict vt ca quar nulla funt
codcm intclligan- tur modo,quo fi adefient?Pcrfpicua funt hec omnia cx iis qux
fupcrius atculi- mus,& in libcllo dc Scnfilibus copiofius difputauimus.
Illud tantum ahimad- ucrtatur, Ariftotclcm de Mcntc inhuncmoduloqui, /C^k
-nnuJpr >unr{. Lcb- nicus ita vcrtit (cd rationem quandam mouct. Mouct cnim
fcu excitat Mes Phantaliam aur Mcmoriam, non Phanrafia mcntcm:quod dc Mencc
crficic- tc intclligcndum vcnic. Huic illud fimilc cft quod in tertio de
ani.docct,cum Mcntcm Artifici comparat. Artifcx cnim cft qui matcriam cxtcrna
in quam forma induccnda cft primum mouct, verfat,S_ quafi c fomno potcftateq;
fcx- fulcitac-.ica Mcns Efficicns cft,qux prima Phantafiam cXcirar,3_ qux in
caufa cft,vtPhantafmata MchtemcapaccafficCrequcant. Annotarc hxc dcbuic
loann.Iand.cum illostratat,quiMcncem noftrama Phantafmatisvtpotc i- pia
vilioribus , moucri non poifi: coccndunc. Phantaliam vcro vri xiyr mcrito dici,
cx co liquct, quod cum Phantaiia homtncm quo Jammodo in Ipccic de- finica
coftituat, tantum pcrfectionis prxtercxtcras Matcrialcsfacultates cft
allcquuta,vt rationi parcrc apta nata fit. Alias itcm nominc Phantafix Mcn- tcm
paticntem dcfignari monuimus. Scd cft aliquid , vndc Lconici cxplica- tio
cxtorta nimis clle apparcat. Eccnim particula i*iwTf lcqucs nullo pacto ad
*i)tr potcft accommodari: quod fanc dcbuit , fi Lconici vcriio pro vera I
uiilcc habenda Prxtcrca non hic dc Mcntis noftrx EfFcctionc circa Phantafiam a-
gicur. Quarc fatius crit, Antiquam fcqui vcrfioncm qux cft, (Quadam ratio- nc )
aut illam A rgyropyli, (Quadam proportlonc.) Philofophus nanquc nil a- liud
vult,quam Mentem per motioncm fcu rationcm quandam intcrnam cxtcriori
magnitudini proportione rcfpodentcm , ca qux cxtrinfecus & pro- cul
abfentia lunt, i. tcporis quantitatcm, ciufque logius aut breuius interual-
lum,in mcmoria rcuocarciudicareq;.Faucrc vidcturhiclocusiisquifpccics illas
reru intelligibilcs,quas rationcs ctiam intclligendi vocant,in Mcntc fta-
tuunt. In qua tamcn rc Thomas,Scocu; Ioancs Iand. & Zimara.Theophra-
fto,Simplicio,Thcmiftio, Acchillino,Hcnrico Gand.alnfqs&forcailc vcri- tati
aducrfari vidcntur. Dequarcalias. Incodicc vulgacomalc legicur wm, prosvir/*
Vtcunquealitcrnonnullicxrcccntioribuscxpliccnt. Tm oZv ra/(s fJttlfo wm , A tn
ctumt vot?v tXdoya^ nvdvQ. pS^t' cVtoc fXdortv^uavfp dtdhoyov Kj CAtroq , tc w
* y confictt * t/ , proportione nanque fibi refponacnt, * y\&c y s o/i.cur
ergo potius,>- /l\cuiam V,efficit? An cjue- admodum * y , ad * /3' fe habet , ita ipfum
3- x , ad ipfum i* \ Has- tgitur fimul mouebir. Si vero C intelligcre volet , ipfum /S N fimilitcr
intelli- gct, fed pro *\intelliget * a\ Hxc enim fe habent, vt ,ad @ *. Si ratio qaxdam intus adlit , qua
is qut rcmmjicitur, brcuioris auc longio- nstcrnports incemallum,maiorcmquc&minorem
magnicudincmcui ccm- y pusanne&icur rccordarioucat. Quxricur quid tnceriic
cumrcs maiorcs re- minifccmlo incclltgic,fic cunvminorescomprchcndic.Refpondcc
omnia qux nncus inclufa funr, &c in Phancaiia coplcxa, id cft fpecies pcr
quas anima pcr- cipicea quxcxcra func,cfle quidcm inccr fcxquales, minores iis
qux func cx- crinfecus poiica,quibus camcn proporcionc rcfpondcanc. Quarc pcr
iimilcm figuram non pcr diucrfam , maiora &c minora comprchcndcr. In
fumrma, h gurxomncs qux iunr in amma, minorcs func rcbus,quarum func iimulachra
&c rcbusnonxqualicaccaccommodacar. confjftuntenimin minimo iubicdto
indiuiduoque, quia camcn proporcionc rcfpondcnc, & accommodancur rc- bus
quaru ftgurx funt, idcirco anima maiorcs& minorcs inccrnofcic. Eodcm modo
diccmus,Iconcs,puca Cxfaris&Pompeii inxrc imprcfTas,xqualcs cflc &c
minorcs , diueria camcn rcprxfcncarc , quandoquidcm diucria proporcio-
ncrefpondcanc,iisquxrcprxfcncanc. Forcafle aucem quod dicimus dcpco- q porctonc
accipicnda , in ipfo cognofccncc , inccr formas rcrum , &c mocioncs fcu
figuras inccrnas rcbus refpodcnccs,in inccruallis &c lincis nocari dcprehc-
dique potcric. Conficiac crgoquis * $\&c i\is ccrcc ftmulconftcicc,* *V:
ean- demnanqucracioncm *y,&/ / ,& ' car dcmracionc pcragrabicur.
Acquicadcm proporcionisvi h*ec,vcruinoribus laccribus pcrluftracis &c
confccis,maiora quoq, perfccuTe dicamur : cofticua-
curergoplaniorisdo&rinxgraciaauaflgura,que > priorc concincachocmodo.
Hinc pacet vc lacus V , ad lacus ? fc habct, ita latus **,ad larus *y fe ha-
bcrc: iimul ergo quaii moucncur & incelliguncur. Idcmdclaccribus ( '', D.
i. DE MEMORI A, &c .'aicipotcft,inpriodfigura,&:cu8 x,coficict ^ ,cadem
nanq;hzpduo A rationcmmutuamfcruancquam r c , &
^\MoncrcDlacct,hterashasnonm omnibus cxcplaribus eode lc habcrc modo ,fcd
alicubi imutatas,al.cubi ordi- nc innetf a*quo fit vt co rcddatur obfcurior fcn
tentia Ariftotcl.ca,vari.q ; va- ria hic.eeregic tamc (qux vid.)cxcogitata dc
fuo ingcnio attuler.nt.S. autem pcrcurWntur qux Eucl.dcs in fcxto Elcm.propof.i
5 U 1 6. de propohion.bus oquitur,om ma qux h ic ab A r.ft.& ab al.is
traduntur plan.ora fiwit. Colligc- d.im cft nob.s, A n.mani ita pcr iimilcm
figuram fcu formam mtra m pnanta- fiacontcntam.tam maiorcm quam minorcm
tcmporis aut magnitudinis ouantitatcm cognofccre, vteadcm linca jicc i
codcnihtcrcconfcdo.v.pro- port.onis,ma.usquoque&: m.nus
pcrfcciiledicimur.C^pcir^ ouod eft ^>&^^'^in vcrbiscontextus nonlemcl
tranlit.Qux.i ncmi- ft.us deTr.anguloTcmporis&Rc.
diftinais,fcorfimaftrt,adremnoiifa- tiuns;Quanuis vcra ciic & fu bt.l.ter
excogitaca admittamus. M.hi lUudarri-
dct,(ncArift.mancum&confufumiibiqucminu5Conftantcfacerccogar,vt fi
Thcmiftiuscogitur)H.fcc m verbis dc propofito quxfito ftatui , fenceaajnqt
ablolui omn.a .g.tur eo rcfcrcda,atq-, ad .d folu accomodada iut , quodTho- mas
& ali. nonuUi omuT.s comcntis iimpliciter ( vt xquum tuic) prxft.terunt.
^u^v&JW^ 3 tS^u^ o^X^ W>*M> oitfa.Zft $ bZ tfti npriatfri i*r i 7f
^tt #0 JW>C TO" JtfW * dufac, 4 Cum i^itur rei fimul &: tcmpons
motus fit,tuncanimus mcmonam m opere lfabet.Si vcro non faciatA fe taccre
putet,tum item fc memiruf- fe putabicNihil emm prohibec ahquem falli &c ei
viden , cum tamen re- ucra non memincrit. Memoria vero agcntem, non exiftitrare
, fed mc- miniffe latcre , fieri non poteft. Hoc enim eft lpfum meminiae. Quod
fi rci fiatmotusabfque 1I.0 cmi teroponseft,autccontra hicfincillo,
mcminilTenondicitur.Isautemciunemporisduplexeft. Alias nanquc nulla menfura
adlnbita mcminit* vclutiquod hoctertio die haum fuc ritde %io vrc*
QatrdfffXarijTn- fiuat V cwfcAf7r cV/f } itrtheccrio,i.in cordc rcfidcncHoc pro
bat hmufmodi argumto : Faculfas qnsr hoh dcfiftic a fua opcracionc cx luilu
volcmcaas cft corporca otganica^,Refninifc6tiaeft huiufmodi,ergo.Propo- fitio
noca cft : quadoquidem,faculcafs qu^ nullo pafto a maccria pcdcc.volun- tatc
impcranccagcrc dcfinitrintclligimus naq; cum volumus , & cum libet e-
ciamabmtclhgcndodcfiftimus. Racio dilcriminiseft,quia agicaco&com- moco
organo , non ica facilc imprciTa , & fita in ipfo fpccics rcmoaeTi potcft.
D.iii. 5I g DE MEMORIA, Ncque cft quod hic fupcrftitiofus aliquis obftccquo
modofpecies in maceria cfleaucimprimipoffinc Notueft fiquidcmfpiritualia
quidemiftacflc,necu fenfilcm actionem in altcrando habere :vcrumtamenciufdem
rationis eflc cum formis illis craflis &: matcrialibus, quaru funt fpecics
, ncc difTcrrc ab iis mfi modo fubfiftcndi. Nanq; eatcnus matcriales formx
dicuntur, vt cgregie do&iflimusFracaftorius monuit ,quatenus crafla
quadamcxiftcntia inma- rcria funt, &: ccrtos tcrminos pofcunclngcnitum
autcm cft formis omnibus, fcfc quo magis poifunt propagarc , quod quidcm craflx
illx forrax cfficiunr, qux matcrialcs vocancur. Vcrum propagare fefc pcr cum
modu,& exiftencia qua iplx funcmon vtiq; poflunc,fcd tcnucm,&( vt
loquutur)fupcrficialcm fui vcl partem, vcl gradurh prodUcunr,qui ob fui
tenuitatem fpiritualis vocatur, &: conrrariu non habct, & momcnto
gignitur propagaturquc , atq; aptus cft id quod cft rcpncfcntarc, vfq; ad
craflam lllam forma a qua producrus cft.Sed g hxcalibi. AfTumpcioprobacurin
coccxcu. Experimurfiquide inccrim,quod cum rcicuiusoblitifumus,rcminifci
cxoptamus,incoquc diligcntiamftu- diumqi ponimus, fi rccordari no poffumus
offendimur,&: manifcftc pacimur &: aflicimur,&: vultus,aut
motus,aut ftatus,aut quid aliud intus vcl cxtra mu- citur. Quinimoiipluraautomnia
mcdiatcntaucrimus,quibu*dc rc obliw commoncficri nos poflc cxiftimaucrimus ,
rcs tamen non fucccflTcrit , animo quidcm coftituimus motum illum cohibcrc ,
intcrcidcrcqucrmcntcmque & cogicationcm omni conatu fuftincmus :
nihilominus tamcn motus illi in or- ganis fjcri non dclinunt,cx voluntatis
iuflii, fcd rccurrunr ,&: inuitis nobis c- rumpunt acq; proccdunt.
Dcclarantur hxc cxcmplo illorum quicclum iacu- ladi vcl non iaculandi poccftacc
habcnt,non tamcn cum ia&um fueric ipfuni iifterc aut reuocarc amplms
poflunr. Hoc vcro Mclacholicis poriflimu acci- dcrc narrat,quod altc in illis
fpccics infigantur, cxq; multa fpirituu agicacio- Q nc qua laboranc ,in mocu
afliduo habcahcur. Idcm dc iis dicicur, qui nimium humidicacis circa princcps
jfthcterium habcc , auc in fumma,qui himiuhu- midi func, nanque ob humidicacis
flu&uarioncm in pcrpccua agicacionc vcr- fancur, &C commoucri hon
dcfiftunr , quo ad id quod quxricur fc offcrac , mo- ciifquc animi rcta
proccdens via,ad mcta perueniat quam concupiuic(Cor- porcum aliquid moucc ih
quo paflio fica cft). Spiricus qui inftrumcncum ani- mx func incclligic, &
qui fpccicru func delacorcs.Mulci auccra funt fpiricus & mobilcsvaldc in
humidocordcvclccrcbro,quifimul crumpcnces fcfccan- quam circuli in aciua
fecanc.Melancholici iccm ob mulcos flacus,copiamquc fpiricuum : nccno
biliofi,vc aic Thcm iftius, ob mobilicaccm (func nanq; ficci ccnucfq; &:
acrcs)perpccua agicacionc paciucur. Cum primum crgo in huiuf- modi hominu
gcncrc i imago aliqua fcu fpiric' aliqua portiocxcicaca eft ima- ginc
dcfcrehs:cxagicancur quoq; alix cofcquio quoda\& turmacimjppccr hu- jj
midicacis quafi fluccuacione &: mobilicaccm copiamq; fpiricuu,inuiciflimis
c- cia nobis percinaciccr profiliunc.Hoc vnufquilq; cxpcricurjno mod6 in rcrai-
nifccndo,fcd in cogicando quoquc:nepc vc idcra (ibi cciam nolcnci,f fjLtitj*
typvrtc^. oirard /[c ^tjunfxort^tpoi
obli- uifiores iis funcqui contrario modo fe haberit. ProptereaqUe
magnum pondushabent** rwai&rmxS ,necpoifuntabinitio mocus animi in eis
confiftere/cd diflip.intur,neque in reminifcedo facilc rcclo ordinc pro-
grcdiuncur.Quinetiam, pueriadmcdum,& fenes proptermotum, me- moria minus
valenr.hi nanque in multo funt decremento , illi vero in
multoaugmcnto.Addcquodpuenad multam vfque setatem furit pu- milionfbus
perfimiles. HarcomniacoitemfpcftantvtprobcturRcminifccntiam e/Te affe&ione
corporcam. Adhibctur primum ir$ & timoris cxeniplum,qu^ paftioncs dicu
cur,id cft commotioncs & cxcirationcs quardam animx fcnticntis,cxquibus
cuidcntercorpusafficitur& patitur:mirabiliternanquc in iis qux aut ira, aut
metu comotifunt,vultus,vox,motus,ftacufqucmucacur.Cum igiturho m6 in huiufmodi
vclpaul6prorupcntaffctioncs,fi prarfcrtim fiepe& vche- mentcr prorumpere
foleat, vixac nc vix quidem comprirocre aut fedarc easpoterit:quinimoqu6magis
ipfe cbntranitctur, co illz magis conuale- fccnt&acutiorcsrcddcntur.
Argumcntocfthoc,aliquidintuscorporeu mo ucri> quod fcmcl excitatum rcprimi
ncqucat, vt in ira & cimorc , quz cx ani- D.uii. H o DE MEMORIA,
mafencicnce&:appccencedolorec6moca,orcumducunt.In iraquidemob odium in
remqu.eofrcndic,appecicu noccndioborto,calorcirca corcolligi- tur,vbi fedcs
ammx & vis cft: idcircoque fanguis fcruct , qui dcmu fcruor ad parxcs
cotporis omncs tranfmittitur,atq; illas przicrtim quar noccrc aut vim rcpcllcrc
apt; funt.In timorcvcrocum ncmpc rem a nobis difcrcpantcm,&: malam,immincre
nobis &L cucnturam putantcs triftamur, calor intus ad cor fcilicet
cordifquc pcnetraliafugit,cum coquc fpiritus&fanguis.Quaproptcr qui
cimcnr,pallcnc &: trcmunt:calore nimirum mcbradcfcrecc. Inhis autcm
Arfcdionibusnonxqueiehabcntomnes:funtqui tardillimi, alii quiprom-
ptiores:nonulli qui proptiOimi ad cas tinc,inquibus ccrtc hoc quam maximc
verumeflcccrnitur,quod nunc ab Anftorelc docemur.Quoddccancioni-
bus&nominibus proexcmplo additur,ncmo eft quiidnonfucrit' pcrfxpe cxpcrtus
. Noui cgo mulcosqui ira tibilo cuiciam fuotacito alfijcti tunc , vc g vcl
lcganc,vcl fcribanc,vel ambulcntjnunquam fibilarc dcfiftanc, imo moni- ti
cciam&:rcprchcnli,inuiticamcn rurfusadfibilumrcdcanc.Dciis vcroqtii
aliquando carmen autnomen quoddamanimo agitarc, accractarc or^quc
profcrrecccpcrunt,nildicam. Conftatcnimeos quamuis cc/Iarc a cogira-
cione&:prolacioncvelinc,inidcm tamcn carmen,aut nomenirmitos plac- runque
crumperc. Hoc idcm indicat,aliquid ncmpc corporeum cum fpccic illa fuitTc
cxciratum in phantafia, quod non facilc rcprimi qucat, idcircoque eandcm nobis
inuitis fpccicm ofFcrat. Qux dc Pumiliombus, pueris fcnibutqucaffcruntur ,ad
inftitutum prxcipuum ranquam abcfFceto confirmandum,perfpicua quoqucfunr.Notum
eft fiouidcm Nanos fupcr- na,&: in quibus lcnfus fcdcs clt,pondcrc maiori
deprcila cralfioraque habere infernis parrihus:dcprefia inquam mulca humiditate
: quo fic vt rcrum vcfti- q gia inillis imprimi,aut imprcfia confiftere&:
rctjncri, aurconlittcntin,re- . #oordincadrcminitccndummoueri&
progrcdinequeanr.Materie nanque cratIitics,fpirituumconfufio,humorquc fluciuans
in caufat ft,quonnnusilta eflftciantur. Pucri &: mfanccs quorum parces
ojnncs in motu lunt concincnti, quod plurimum finchumidar,tum
quiacopiofiusalancur&: augcfcant ,idcm patiuntur. Eadcmtranquilicatc (encs
dcftituuntur,quodnon ihltatu&^ qu ictc linc pofici, fed ih magna &:
contincnti deceffionc vcrfcntur . (Scd i) qui fupcriorcs partcs
corporis).Tcrminus harum partium fuperiorumab Art ftoccJc in quarcodc parrjbus
animalium capiwdecimo,definicur :acapicc nanquc ad coxas v Uju c progrcdi
narrat.Mcdicialitcr cxactiufque, fupra, i n- fra,&: mcdium in corporc
humanoquxrunc:&:mcrir6,vtpote quibuspro- fanicate rcftitucnda,multa fit
partium fitus,c6fen(ionis &propmquitatis ra- tiohabcnda:reuellcndumaut
fimpHcitercuacuandum.Scdnihil iftaad noi in prxfenciA,Hxc catiim dicerc libuit,
vt ilk>rum audacia rcprimeremus qui D cx hoclocoAriftotclcmquafi coa&um
MedicismanusdcduTecolligunt:par- ticulananquc ilIa' , qJ non
magisccrcbroquaracordihocpa&oac-
commodatur.Qupmodoautcmquauisdccctebroillam intelligcremus,nil tamen Ariftotcli
rcpugnarcmus,in fupcriori libclloexpartcdcclatauimus: vbidixrmus,corcflequafi
regiam,omniu fcnfionumqucfontcra&: Efficien- tc.Ccrcbru vcrocflc quafi locu
in quod fcnfiics fpccics omncs primo cogro gantur.( Addc quod pucri).Pucri
crura parua &: admodum imbccillia haber, fupcriorcsvcro partcs craffiorcs
:&p6dcrofiores,proptcrcaquccumilIasfub jftinerc ncqucant,proni morc
bclluaru incedunr,&: manibusrcpunt:progrc-
Iuzcacisinfcrioraaugctur,rcc^iqueambulat.Obhancipfam humidicacisco piara,
pumiJioncs &: nanos raulcum dormirc,in lib. dc fom. &: euig^ cradidir.
^^UJf E T REMINISCENTIA. 5 n Qux de affc ct.ionibus hic a nonnullis
difpucantur,an icilicec coliiberi pof- finc,adaliamPhilofophiparccm
pcrcincnr,quarnnuncnosnonprofitcmur. Summaramc huiusrei fic,afTccliones cum ad
animam appcrcncc pcrtinca , Mcncis dominancis vi quafi frarnarific cohiberi
quidcm poifc, non camc prcr fus colli,auc fundicus cxcirpari.Quanrumuis Scoici
clamcnr, vcrum illud cft, Quandiu fcniusinhominceric(eric aucem donec in terns
mancbit)fcmpcr forcvcafTcccionum infulcus aliquis , in ipfo veftigiaquc
appareanc: Quem- admodumcciamdum aqua&ignis cric,abilla prorfus
frigus,abhoccalor nu quam prorfus remoucri poiluncquamuis vcrumquc minuatur.
Acqui ncquc dcbcnc affcccioncs prorius cx animis noftris euclli,cum canquam
coces,vircu tcs exacuanr.Sed ha:c lam alia qu^ftio cft.lllud ammaducrcacur,
Arift.fcncen ciam dc Ira ScTimorc veram ciTe vtroquc modo,cum fcilicet vel
vchcmetius vcl rcmillius cciam erumpur,fiquidcm nequc vchcmccior, ncquc
rcmiilior i- * ra poftquam crupcrir,ftacim cocrceri auc reuocari poceft.Caula
expofica cft. Quibus ica cxaminatis, Arift.cpilogum fcrmoni fuoapponit his
vcrbis: tifp/uV ovv urr/uti^xj rou uvhusv&iuy itg n $Cotk owffl, tfTtH
rav "jUxHc uvnuo- rdln rcitfictjXj
fyff\s avxui\Jmax%&rtf t/ 'araQ finrcufi Jfeiiva. alrtaXvtt^af. Ac memoria:
quidem cjux narura fic, & quid ipfum meminille i cjua- qucanimi parcc
animaliamemincrint : Icem de Rcminifcentia,cjuidlic, & qtiomodo , quamciue
ob caufam fiat diximus. Huncctiam&noshisnoftrisCommcntariisaddcmus Dco opt.
max.gratias itcrum agentes,quod noftros hofce laborcs ad hunc cxitum vo- lucrit
perduci.Cupimusctia oratosDo&os omnes qui in harc noftra incider, C vt
candide de illis iudiccr:memincrintquc nos vcritatis indagadxftudio , vt- que
maghis viris in hac partc mbrem gcrcrcmus,& minus cxcrcitatis faltcm
prodeilcm 9 ,noncontcntionis auc oftcntationis libidinchxcpropofuiflcad
normamPcripatcuca:doccrina:quancum quidcm pocuimus,examinaca &c
conformaca:fcd hac camcn cum cxccpcione,vc nos non pcrfcciflc opus f xifti
mcmusdibcnccramplcxuriquecunquc mclioradcdcrit Dominus.Harcquo- quc abs cc, P r
i n c e p $ I l l v s t r i s s i m i ,fi orcm acque cxpc&e,non fru
ftra(opinor)c xpccrem:Quem cum alus Hcroicisnccnon maximis vircucibus aninuquc
docibus iingulare quoddam iudicium coniunctum habcrc, omncs Vno orcccftancur.
COMMENTARIORVM IN LIBRVM DE MEMORIA ET REMINISC ENTIA, F 1 N I S. i Errata
(tccoiri^ito. Priar uumrrut p.tgirurmalicr iincam oJtcnJit; ) .5 tj.lin .ij.
/r#vniucrtum. 15,1, fccunduru. ua r.n .cvpatur. is,n, fenfts. jojj, ptodcuV
j;,4* , infi-riort.n. 57,1. cibucrc. jy, 4 8,.W ca. 4 m, .leguitt f.i^pritcrttarum.
57.44. dubiutiorm ncmpc, ucem. 55, ifc, Ipc&abilia. 4,55. Anftotdtv . 4,54,
rfrlr diccnim. 4 ,3V. pcrtun&a-
ttir. ' , lo'ni orcm. 71, 10, t/rtri. 78.17. Proclm. .o, 4 4.color. 81,17,
prola.tciu. *},: ~. ouuoius. fc.5f,r!ctcrmirut. 85,11, illtv sratolivi
yj.r.auu. J7,4*.' l fc K>445, rubctur. ir.14, h. m t*ttm Ua. odo- c.n.
i3t,io,iiccv. iii,a,ponituriioo4irrcrTc. 115,14,1114. 115,15, mnutut. 15:^9,
chaphano. rjr.,uofli i: 4 ,i,e;tinu. i 4 i,i,uidcrc. i 4 i,t,ctTcnrialiv,.
A-tuum fcu corporum triplcx diffcrentiaexputonicis 8___ a, rcfutatio
87,d,88,a.b.c.d A&us a faculutc diftinguitur , U>>d Aau aliquid
bifariam dicitur i o7-b Adrairatioquuliit Wjb Acr quomodo fpiritus nominc
vucetur 1 ' . Acr cuoraodo propnum fit audi- tus initruracntum ioj,b Atr efl
prunb huraid-s,raox a- qua i 8y,c Aer &_iqua quot modis pcripi- cuadicantur
ith_ Aer non dicitur vcrc albus fcd lucidus i*M_ AEflhcterii nome quid
fignificct io,d Aiucrnafimul fiunt &funt i ^8,b AEthiopes cur oculos nigros
ha- bcant i___a_ Affedio anirrur fcnticntis quid fit & quotuplcx
n,b.c,& 1 0 Aflcctioncs propnar m gcncrc fnbflantix &_qualitatis collo-
cariroflunt m,a Agcns quomodo paflb dignius dicipoftit }i >d Agcn s duplcx
per fc,pcr accides _*_? Albus color cur vifum difgrcgat oSjb Album & Ixue
cur democritus i- dcm fcrc cfle aflirmauit i 8o,b .Albcdo & nigredo quomodo
principiadicantur lubcrc 1 30U AlchimiAa? quarrunt quod appa- rct non quodcit,
c contra na- rura 4i-b Alc v adri fcntetia dc medio ad fc fus r*quifito >
cxploditur 44 ,a Alcxandri cxplicatio reprchen- Jirur 97,a.b,c Alimentum
funplcx quid cfle nc- quit ' 18 ,d Alimcntum oponct vt fit nuxiu pcrfcctum
i49,b.c.d Alimcntum conHantiam habcre _ oporurc qua rationc intclhy gatur u?,a
Altcrationisnomc quid proprie flgniricct
t___j_c_ Aluntur oronia dulcibus 1 08 d Amarum vt dicatur piiuatio,&
contrariumdulcis 1 77,3 Amari fapons ortus cx dcmocrt- to 1 84 c Amraonii
fcntentiade odoribus rcprchcndjtur m,d.ioo.a Analoga habcrc naturam com- muntm
fcoriim quomodo in- tclligatur ij,c,d Angeli perfccte Dcum . id cfl om nc iu
dci cflcnua non com- prchcndunt 185.3 Angelorum cognitio alitcr ha- bct quam
nottra i8s,a Animalia artiuM. iiue infccta quz dicantur *o c Animaliacur guflum
obtinuerut 3__b_ Anunalia pcrfecta que fint 41, b Animaliaomniaqua* loco raouc
turanfcnfus omncs I1.1bc.1t 41 1 Animalium difciplina intcgra quibus parttbus
abfoluatur 9;C Animantiuro & viuemium gra- dus & munera tt>c.d
Antiquorum opioiones hodic cognofccrc non poflumus 1 97, funt potius rcfutandi
ob coru loqucndi improprirtatcffl ne- gligcntiamquc quam dcfcn- dt ndi 1 - b
Appellatio a fine inopcreefTtci- tur 104,^ Appetitusquidiit i_J. t9, in quo
diffcrat a fcnfu 1 ...i vbi cxcitetur ibidcm Appetitus in cupiditatem &ira
a platonc diuiditur,& huius ra tio xo,d Apes mouentur ad mel , quod co-
mcdunt mox cuomunt tio-a Aquafaporcomnicvet 1 54 c optim_ aquar indku Ibid.
Aqua eft tcnuior olco i_______a_ Aqua non nutrit mHj. quo- . raodo ad irngandam
terram , agricoLx ipia vtantur, Ibid. A qu .i 1 n t raflari nequit 1 J__c_
Argenttra & liannum iubcnt nunus humotis quam a;s &_ fcrrum i9i,c
Argentura ad mtitioncxn auri quam proximc acccdic . t_i_C Ariiiotclis pia
fentcntia dc co- gnitionedei s8?,b,c Ariltotclcs abuticur aliquando nominibus
48 c. cautc i.mu.J Ariliotclcsaliquando ralia fup- pooit difputando.&cur
,____. ius rnos in pcaractandu rc- bus, alicms m locis copioiius quam par eflc
videretur 8,c Arillotclcs cum galcno concilia- rur in caufa pcrcipicndarum
rerum&_contincndarum ijx, ab Ariflotrlcmcum piatone concilia rt in vidcndi
roodo, nulla ra- tioncpofiumus 94,2 Ariflotclcm cx propriaJoqmfcn tcntia quando
iit. cxUt-midum t ot,b Ariflotcles in tradenda philbfo- phuphyiica platoni j
rartt.it, .qui certisrituJisomnia dige- rit^ion confuic tradit 164,2
Ariflotclismos in rcfutandit ve- terum falfis dogroatis 1 __b Ariflotelis roos
in quxftionibus quar inter doccndum interci- dunt penractandis sx;,a
Ariflotclcs merito cadem argu- mcnta in diucrfis fcicntiis a- Iiquandotractat
m,d Ariflotclcs pic facit cum phyfi- Cc agcndo,ca ncgat quzphyii cara
fpeculationera fupcrant An . .otclcs rigidus cfl inpropric tatc fcrmonis&
vocabulorum mquibii$fi;;o4 a Dif M .m lcnius uctv\, nonocrui, fcrt toexpcntnua
, Ibid . Quo- , nou cor io9,b.cd mododacaiUou^nauira* tiif* rationem cJ*inem,fim-
Ibidb i pbciora up iC Aflra an fmt corporadiaplum. Ccrcbrum cft aqueum non tcr
tcimmnci ittc Aucttovtfiat 170, b. noulem- pcr nutritioncm fcquuur Ibi- dcm
Auditus pcrcipit numcrum,tcm- pus.motum & magmrudincm 50^ Auditus juomodo confcrat ad prtklcnnam reum 107
c tollitur - tf\ rc I . k repugnamia inAri! t. Ibidcm Ccrcbrum humidius inrer
alia a- nimalia cur homo obtinucric tft,b.c CcrcbrumhumidilTimumcV fri-
gidtfhmum Arift.vocat.io.b. caufa Ibid r- / *'* % i Audititf^MiK^^orefvrMMrvi-
Chymeram non poffumus ima- fu pra-ftaotior eft $1 b gjnarionc conciperc , nifi pcr Auduus
quomodofn aeris toi c AudKtn inftrumcnta infcruicn- ti.i toj.a Aucrroifopinio
falfadt-talpa Auicmn* rrarum Jc fi t u viden- tisfjctiltatis 46 b Auriumftrufitura
ie*c Aurora quid fit 8c vt fiat tM-c Aurum odore 8c fapore caret ii i> Aurum
punim n6 elitatur m c. Mcdicornm erratum in hac partc tbtdim Balliitus cur viTu
homincm intcrfictat *i c iii--.it 1 qiutcnus Dci etTcntiam co prohcndaiit it ,d
Cirotur-dtcatttrrcrrea m,c ienfum perccptafit 18, a Oiniscurlalfus&ramarus
171, b Cincrcs cxcoctx vt albiorcs rcd- dantur rjt.c Coctio cft paffio humidi
U9,b. htimidiinqtiammixti Ibidem Cogitans an ma in brutis nulla elt d Cogiuns
anima non datur 1*9,3. b. ficfcq. Cogitantcm an m.im nullam cflc prxtcr mcntcm
ad phantafu iingulariaquc conucrfam dif- putatnr ?,xb.c.d Cognofccndi
inftrumenta ex pla ' tonc 4,^ Coitusmultuscur perfpicuitate oculorum imminuat.
.1 Colorquidfit tl^.c.d t:-.J Coloradcognofcendam medica mcmorum tcmperationem
& vim confcrt i-p.b. itcm dca-
nimalibus Ibidcm Color a fupcrficic vt differat in b Colorum caufas
omncs enumcra uit Ariir.&nullara prartermifit rjt,b Coloridem
inrecalidacVfrigi- darcpcntur 147^ Color non efi fupcrficies ti4,c.d Color
quanuisin fuperficictan- tum Vcre fir r tamcn in corpore cffe dicitur nft,a
Coloraf i extra qua* dicantur tu, d.ti7,a Colorari inrus qua* dicatur u*,d
Colorcs apparcntes vt gignan- tttr ua,d Colores medios effe finitos nu- mero
i.p a Colorum mcdiorum fpccies fc- ptem prarcipuar ifo,a.qua* ve- rc media*
inter has Ibid. Colores medii quomodo ex ex- rrcmisgignantur i.}v,c,d 14*, m
Colores non nifi in fuperficie co loratircreeifedifputalur uf, a.b.c Colores
quomodo generantur Colorcs omacs an fint eiufdcm fpcciei iptcvaliQima- i } o,b
Colotcs vcrnn quibufnam.eiTe fuum habcant ixtj.j, Colorcs non funt infiniti,
U7,d Colomm p nntipia 8c caufa? 114, c.d Colorum principiaomnia ii9 jC
Compooeotil rationcm obtinct contrariorum M^d Concoctionisrriplt-itfpecies ii5,
b. fingularumque excrcmcu Ibidcm ConfiliumcapereqUid fit 517, a Hoministantu
propriu cfrlbu Confulutioin quibits locunrhi-' bcat 0 Confultatioc cortfilium mqoo difftrant v 7
,b. obiettttmv- tnufaue Ib j dtn| Contfplatiocur vitz ciuili prar- 2 ftrt md Con
, t muum diuidi r Z, m , at tit Tiquidiit
j.J Continuum cft infinite dmidtto rationc matcriar, vt en eft, fit
qttantum conrinvum non vt hanc ycl illamformamappcritma- iorcm aut mrnorem n?,a
Continuum poteftate ea mfinite diuiduum cft,qux ad actum e- tiampeTueoit 1
u^.l, Gontinuuravtdicaturper feio- finitefccabiJe,vtnon fccabile iiSJxcd
Cotrani vocabulum latius furat- tur aliquando abArift.aliqua- dopropric ,0,1,
Contrariorum quod cft pcrfc- ^tiushabitus cV fornur viccm gcrcre,quod
impcrfcdius pii uationis.vt intcttigattO' ijj d Conualcfccntibus c morbo cur
oculi glauci rcddantur roo,b Coquinaria? artis proprium toitd Corcur dicatttr
origo virar io,b Corpus hureidum cum ficco ter- reo mrxtum,efl"c fubicdum
a- ptum ad rtcipiendos coiorcs 131 a Corporis acceptio & fignificatio
duplcx UJl 4 Corporis humani partcs fuperio rcs 6c inferiorcs aliter Arifto>
tclcs fumit quara Galcnus 3o : c Corporis humani fcctio io,b Corufcatio prius
fcntitur toni- truo,quamuis pofterius geoe- rctur tj^g Crafll-fccrc a congclari
in quo diffcrat t fSj )0 Cutis eft medium fenfus tacttts no.b LIB. D
SNS.&DEMEM. E DeSnifip accidentium duotu- | .. wV.j tiii m,c Dchnitioms
fj-ccics ti4.b.inqui- b js Cutgorns locum iubcant ornncs,Ibidtm c.quid vnaqur
quc valcat c d Dct naturam plulofophus quatc- nusaffcqui valcat 185 .b Dti
nJluro pbatuafma cft Of^ Dcusct bcatuTirnus cx ftntcn- tiuDiogtnis m,a D.us
nallo indiget , qtiia omnu hab.t tnd iDiicis in Mufica quid fit 150 b Diilc.nca
& Riwtorica in quo diffcrant i74>b Dialcitic^agcrcquidfit ijo.a.v- bi
Conucnut Ibid. ^ix--?-u- fympbouu quarftt 1 \ 8,b -.- 1 d , 1 J lu n,b .. a
intcrminatum q ot modis intciiigatur 114, X-fat. .-jp :mi is3 ciui . . i. '
Amo* \ c Diut/iolibriquidcoafcrat i,b Dcccndafint qux- fcimus * Fidcshliorum
Deiquidfit Figura an habcat conrrarium t8j,b Finisrhetoricxopinio curdica- tur
174: Flamma qutd .,. d.~^ i Guflus
quomodo fit qiadarn ta- chis jS.c Guflustam perfecxus quamim- perfcftus faporcs
intcmofcit J8,b Guftus vtdicatur fcnfui alimen- ti p>rfpicuc docetur cx Ari-
ftotelc itcm Gyp fum & calx,vtcxcoctaalbro rarcddantur td Horooeft
*yn*&'r*? mtcr rcbV qua animanti " s,b IUumirutio non tft morus E.i.
1NDEX COMMENT. IN LIB ____. l^.ffln-iiotnultnm v_kt. m c- dft plctunuuc at b
indiccnti- non ottinij impcrte- tioncroimiic3t :: ' c Indiuiduura aqVjcufum b Indocilcs
cur V-fearic -mcmoru b. xji.b.c.d 4nnnitro C_ towm no lunul ma- ncm , ' c Ingcnium qui-fit-arex quibus fa
cultatibus animx conilct i_i_. ' a-b IngcnHimdciUtatcm& mcroo- nampoltulat
-- ______ Ingenjum S_ ooa ldcm _7i,a Inlcriptionem librorum pr* noire quantum
interlu i ,b Infcriptioiteshbrorurn nonfcm pcr ca oron.a comple-tuniur, -qu-r
tn-uact-tvooc doccmtur Inlu>idufflnoncfle faporo-uro I 7o> "- c In.hn.-us naturx quid iit 4*> -u^C u |dio
'- Imlromemorum fiuis cft opu$ &t;m,b ImclU-tio iriaexigu lotclbgcntia
quomodo dicarur lubitus in ratiocinationecon- Leonicus rcprthcnditur
Lcuiatorpor an hoc prxcipuu ipfaliabcant vt rcflcctant ima- gifKia Hber dc
knfilibus Svjnftrumen- w fcnfuum cur alios U p_*- uisNaturalibu contento* prar
ced-t iuhs^ *".'- fiociufdem.Ibidcm.ltcm vlus -AO-M LibeljiinfcriptioDc
inftmmtn- ti* fcnfuum fi- fcnfdtbus, cur rcccpt- a nobis . U_. > ' ' Libri
de animalibus quemlotum m phyfiologia oUuicaqtdif- puutur t, c. quenvordintm
intcr fc obtu-ucrint *>c Libn dtCalo,nonproprit in- fcnbunrarhbriDc prinupus
Lumtn quomodo color vocttur n-s-d Lumtn dici cdloiTm fcx acc^idtn- ti,quiacum
coldrnSus cerna- tur^actcmcft W,b Lumc colorc* no gcncrirc vt a.t Aucrroes ,
quomodo fir acci- picndum t jo.d.i^i,- Lumcn cft in acrc non.vt in pro- pno
fubitCto H>h Lumc quomodo cahditatemprcj- ditcat, quomodoitcra calidum
&: ficcum dicatur -5c Lumtn tam cftc in pcllucido qua do colorcs
pctcip.iuntUT _qu* afrirmant,impropric &ldtz- poftcreloquuntur ii},b.c
Lumcti vnius c-indr Ix acccnf- a luminc ahcrius in fuo pripc. - pio non augctur
i%A Lux cft colons principium ,hi- mcn vcro color cx acC-Jcnti filkens Libri dc
Phyfica aufcultationc, quotmodismicribautur _____ b i >j Libroru dc Phyfica
aufcultatio- ncJcopus 1_L Libn dc fomno &: Euigilatione ad prarccdtutcfc vt
fc liabcat Librorum Anunafticorum ox_ do I b LibroruroAriftotchs de animali-
busquale iudicium fcrcndunt f.t b - .. Librorum Paruorum naruralium ordo
->x-c f.q . dicitur rxo, Lux , lumcn , radius , fplendor, quid inter fe
dirfcrant . ftcnti ognitione ducuntur ______ Iraquidfit __,__. noncft in
animalitus imperfrc.iori'- bus Ibidcm Ira quid fit }>-ya, vtefficiatur
Ibidcm Iratus cur crxrfcre irara fuarti ncqueat V>>& . u LApidis rtum
intranubes.K- riftotclesnon ncgarct t?-, 8,a Lignum cuius pars vnain aqua lit polita,
altcta in at rc,cur fra _tum apparcat 70 b Lignamaximeodorata quz iint w,a Ltn^ur caro eft mftrumcntifra fcnfus
guftut,arque illa qux in pnori partc lingux cotinc- tur '. ,0C Lixhrium cur
amarum aliquado, ahquando falfum nuncupctnr H9,t' Loci dialtfftici &
rhetoris--trr 11- dan Logicararioqui fit Loquutio quomodo cfficiatur
Lumenquidfit Lumcn ciudicirura-tus perlpi- cui tuincncolorimpropric vocatur
Marc nori cffc propri. clemcmu aquar i__i___ Marmorcur albunt - ni.a Materia
formam pnrcedit 5_d_ Materia priroa non ad vctenim ernt detcgt-nd- penra.bt.i
cft in priori phyfico Mathemtfic_cOf pftraqur flnnx Alex-n^trb- ( *4.d
Matlicmaticanon eft vcre philcK fophia.quia fubftantiasnon co fidetat >Mi
Marhcmaticar cur CeniiTtrn_r 8c notiffim*
" . . __L* Maihcm-ticrresnon
funtt_ntu in opinionc M_rhemfttices nomcn ad omncm Philofophiam accommodari
falfumeft, ?rc M-thcmaticonim proprictates Sc caufx cur lucidiorc fifpcr fpicux
rnagisquAm phyfica^ r8jb D E S E N S. & D E M EM. & R E M I N.
Mcdiaexcxtrcmis confiituta , v- num vt forimm retnunt. altc- rum vtmatcrtam
148,4 Mcdici qut rctte mcdiana facere volunta Phylicisexordtuntur ii.d Mcdicina
anfubaltemeturPhyfi- btaeix 5U Mcdicina an fumat exordium ab Im 111 qu.v
Phyficus definit M,b mind^U.-i.Ji) Mcg arcnlium opmio talfa i}>, -MdilbmtiUi
biupoKiofo,a Mcloncholict cur 10 reminifcen- dolaborcnt ^iS.b.c Momoriaj
dVtinitiones 177^.178, b.c, abfolutillima delimtio Memoru? oonun duo tndicat
cciet pluntafla probarur pro Aucr. 4,D.C Mcmorum rcpctcrc quid fit *>f,c
Mensadduomuncra,indigct pha ^ tafia 181 ,b Mcni an plura fimul eodcmquc
runporcintclligat iR tslii Mcnscapatnon rccipit nifi ca quar funt extra,&:
aliquo fem- pcr modo limilu UJ, d ; ;
t.'.ftDHt:iQi0 Menscumaddiftit proprie non mutatur *oo,d MtBtcurcontcmplando
fit bca- tior quam agcndo ' : r - Ui, .4 KMUd Mi.is duplici ordinc fingularia
intclligit *84,C Mens tninus dtcirur locus fpceie- nim quam fcnfus 187, Mcns
non cft facultas corporea V8,d.v a.b. ^rVjootJi
Mcns noltraancognofcatfirigu- laru 181, b.8 li.j. Mcns noll ra an Dcum
comprc- hendcrc valcat feq. Mens nofira cur Artifcx diea- tur 711 b. mouct
phanta- Mcns vt intclligat cgvt habitu 4 , . . . . . Mcni vt fcquatur corporis
tcm- pcrationera *7.b Menfis obtechtm duplcx intelligt potcft i8 4 ,a Mcntis voli/pnsinquibus
cotifi- trat 107,C fitrn non mouetur dcm Menluraa-menfurato vtdifferat
i\!fr*t?3A;r nomcn quid ftgnifka ij 4 b iW Mcteorologka-" Memoru& fenfusin qtio ditfc- rant
i7^>d Mcmori i inter r. liquas homitns facultatcs^idmodum fragilcm cffc
7>a Memoria num fit pratcrttorum 78,d.i7?a Mcmoria quonata potiflimum
confeructur i98,a Mt.rnona vt ratiocinn naturam quodaramodo redolcat 194X
Memoria vtfitfacultas fcnfusnd mcntis i86,d Mcmoria vt fit habitus i77id
Mcmoriarenercciac.x Aucr. quar fit i78,b.ad iflara quot amcur rant Ibidcm
Mcmona- fcdcra quzrunt mcdi- a Qaa phyliolocici i8,t> Mcmortam clfc
fpiritualiorrm iiantut non pcffit abfquc pha tafmatis mtilligcrc dcclarat^
Metaphyficus , quamuis Phy- fici quoque pancs in ea rcdc- fidcrcntur i&,a.'
bc Mcns noitra dupliccm obtrnet na turam 180, b. vmca cit ta- men m hommc
Ibidcm vt lit actu& potcflatcfimul Ibidcm,c. cur non pofiit
inteliigercabfque phantafma tis Ibidcm,c.d Mt.it nofira quamuis infcriora hc
mtclligat.non timcn Mc- tibus fupcrionbuspcrfeaior tudicandadt 14^ c Mcns
quoraodo a corpore pati dicitur,& in quo differat in Ibid. xit, N.irium
iuquidfit Mik^-.tabtt-aiqiBaioami Naturx
coramunis noraenqmd fignificct ' ij.J Naturaex dtrabus meliut, cur a- g at
tj*,a Natura non patitur fubitatmuta tioncs t7 i b Natura perftctionbus rebus
fcrapcrmagtsconfulit 3, c.d I " hac paflionc a ftnfu x,b Natura pcr
pauciora quarapotcfl Mcnsquomodotiicaturfequicor rcscfricit 7 s,a poris
tcmpcrationcm vtx, Ncccf]arium*^r,qualc lit b Thoraa tt, 3 Mcns quoraodolocusfpccicrum
Nccctfarii fignificatio muitiplcx dicatur 90A cxArift. t^d^.a- Mcs fcu nut 8c
intellcctus in fcho NeccHanu & fcpcr.proeo quod lisprocodcm vfurpanrar nt,
cil v;plurimum,fxpc vfurpat b F.. ii. INDEX Ariftotclrs | iSt.ft Nig^r.colorcur
vifum Cogregat Nigi urri & afpcrumcur idcm fc- rc ; fc D.iiK.cr itus
afdrroauit 180 b N tjrim quomodo dicatur pri- uapo.ilbi i7i,d.i?7,a Nt ii)
Mufica quidut 148 b Nixvtlitalba . tud COMME NT. IN L I B. Ni vrub.-i .Kiiuiis,
.vi Loior.it 1 fint ijo c Ncunuiibut abnu quanclppr rfcr tiinnoiiliccat. .
___t_a N & e prnen connindujur pro todtm _ | 48,c.d Nubts,
jiLX,fumus,ancolorata fint Ifo.e Nutncriu impar qui itf,b Nutricns
facult.u>quanuisagcns dic.mir ,nou tamtn pra-ltat ft-nticmiqijvr pacicns
dicitur J b Nutnttovt fiat i7Q>b. prfCedit au&ioncra Ibi- ~* dcm
Nutritio an ficri qucat cx vnico tlemtnto _ irsd Nutntio an j fimpltci ficri
pof- ;&e._c nt ja; - i- 1 * ,,lC &feq. Nutritio fitabauimanonacalo-
rctaducrftis Mtdicos j;o, Nutri Jntrttio j corruptipnc in quo dtffcrat, _ iw.b
_ o r-v culi fub(tan(ia& compofitio Oculuro clTc aqucum probatur ___ Oculus
cur fit aqucus ___ b.c Oculorurricolorcs, &eorundcm caufr 98, d.'; 9. a,b.c
Qcnli an nocht fplcndcrc poilint *o,b Oculi pupilla alfquando cum par Olcum clt
aqua craiiius (coigraocuJi confunditur ab Anlt. aliquando fciungitur ___s
Ocului confricatus cur fplcndo- rcm ccrnittnon ftrm quiefces a.&f(-q.
Odoracalido profitifcuur iof, b Odorcsad cercbrumhomtnistc pcrandum quantum
valeat & quomodo 104. d.& fcq. Odor fiTtur non lotalitt-r fcd
fucceflione partni altcrataru Odor&fapor quomodo eadcm pafliofint ift.c.d
Odorum _ faporum cxtrctnu* lutus noilra tcmpcitatc, i vc- trtibus acceptus
toj.c Odorcscur intcnfiores in plantis fiant apparcnte iride,& mane quam
afias 1 . J Odorcs pcr fe , an fint grati om- ntbusnominibui 107. a.& fcq.
Ddoribus ftctidis quomodoani maliaintcrnciantur 114 _a Oleucurm.igisdiffudatur
quam aqua it7>c d. aercumcflc.cur aquar fupernatet. cur tam a ca lido quam a
frigido crafft-ftat noncoagulctur Ibtdt-m Olcum diutius inaqua concuf- fumcur
exalbt-fcu iti,d J_ b.c Olcumex omni lapideextrahunt chimici i->o,d Oleura
vt cralTcfcat J frigido , vt itemacaltdo 110 ,d Olfattus t-.t mcdius inter
alios ft-nfusextcriores if,b. & fcq. OlfaSumdcbilem cur obtinue- Cit homo
irttb Olfa^us hominis curdicatur dc- bilis tfx,d Olfactus inltrurnentum cur ab
obiecto iit iudicatu. Tadus Se Gufhis inftrumemum non ttc iu,d Olfactus
tnaquacfriurur t8&, c.d . Olfactus organura rx Galcno ic^>c. ex
Arutotclc ios, d Olfacrus organum an frigidum & ficcum Mt io.,c
Olfactiliaquomododc omnibtis ahts fcnlilibus pariicipciu ui,c Opacitasadcolorum
ortumcon curru tjo,c Opinio quid fit 174,1 Optnio quid lit ,& quidvdrat,rx
Plulopono ia Opimo quomodo dicatur coclu- iib fimui & pnncipium Dtale- Giti
fyllogifrai i7f,b Opinio cur dicatur fiois rhctori- ca? 174C
Opiniomquodi&rru atncmo na ____. Optnio &pcrfuaftoij>6funt pror fus
idcm i74,b Opttci ncmi qui 9a,a.b. cur illisabfciflxs vifio corrupatur 8 b c-
Opttcorumfententia dc ridendi ratione ab Aicxandro rrfuta- ta _>a.b.c.d.
7.a.b.c.d 77'a.b Ordoquid,&inquibus rnaxime fpectctur jio c. Ordo doctrinar
__d Ordincra docrrinar vbi potiffi- mum feruauerit Aritlotcics u,d Ordo natura?
m r A Ordo naturar abordine doctri- nar non diffcrt i7,a Ordonaturxmutatur
aliquando occafione facilitatis iti.b Ordo libclit de mcraoria & de forrino
i^7,d. u8.a. b Ordine librorum prxnoue qua- tum rntcrnt __
OiTavtdicanrurnutriri humido I7l>b.l7iC Outtm coctum cur albius redda- tur
rjt_c P Paipcbraru oculi diuerfiras in animantibus iu,d Papiiiarum craiTum
errarura 8?j Papiiiarum facrificorura crror de tranfublfantiatione aquar in
vinum uo,c Papyou poif combmiionem cur albus t_i,a Panes ratione tantum totius
pcrciptuntur i^8,a Paruoxum naruraiium infcriptid DE SENS. &DE MEM.&REMIN.
vndc duda i,c.-,a.h PcrfvCtior ,ib impcrfe&iori pcr- hctpoielt Ji.a
Phan;a)'ualiquandoMcns capax vocaturabArtlrot. w,b Phantalia cur ratio dici
poffit }I,C Phantafia cft comes Mctis, S:af- fi-clailliusindiuidua ifli>b
Phantafma no ducit .id opcratio- ncmintc,nifiriKdiatc iti,a Phaufm.i fcnfus
communit paf- fio quomodo dicatur aliquado i8i,d.i8t,,a Ph.it.ifma vt poftit
dici paffio & agcns tfo.a Philofophus , quatenus Dci co- gnitionem poflit
affequi i8\,h Phtlofophicc rcm traciare qutd frt y_a quid (ii , &qntbus maxinu- conucniat 141
h Phyficus qualcm forma,& qucrrt fincm confidcrct jvi Ptctura quot habcat
pancs 137^ difricillima.Ibtd. Pingucdo quomodo calcfaciat . 7>ib Pifccs
olfaciunt i88,c.abfguc rc- fpirationc i89,a Pifccs quomodo odorcnt i io,b
Pifccs maris vt alantur cx dulci 171.C Planta- an habcatu loca intus ad dctermin;ita receptioni,&co- co&ioni
alimcnti no,d Plantxcur guflucjrcrit yi,b Plantx vt dicuurcfurirc, fitirc,
nutnri.palci in,a Piantarum os vcntriculus & vcnc 110, d
Plantarumcxcrementa,ex fingu- lis conco.tiortum fpccicbus . xu,a Platonis &
Ariftot. diucrfa fcn- tcntia de fcicntia noirra, vnde , habuilTcortum potuit
joi,b Platonis mci non vcrc plulofo- phlCUS.ncqnc i-n.T/-;y/x;.^,d Platonis
philolophia phyltcjqua lis 8i,c Plinii fcripta qiu rationc laudari dcbent iio.c
Poteftatc aliquid bifana dicnur Proocmii natura u,t>. gcnera Ibidcm.
Probabilc&vcrifimilc diffcrunt *74>h Problcraata Arillotclis modicam vim
adaliqmd probandii ha- bcre deben^ t.c 1\(At.*. prxcipuc &necef- fano cxaminand.1
imtio cuiuf- que libri,quot,quaIia, & quid valcant . i.h.c Prophctiaquidfit
:-s-d. inquo diffcrat adiuinatrice fcicntia Ihdem Prophetix vcrx donum vt ha-
bcatur, non agnofcunt phyfi- ci xyiA Proportio fcu eua^eyn quidfit 35,b. quotuplcx, Ibid. Propria fpceiet non
omnia , om- nibus ilhus fpcciei indiuiduts conueniunt io7,b Prudentia quid lit
45. a Prudentiaanimalisquidfir 45 b Prudcntia inquibus animalibus rcpcriatur 44
c Prudcnrix triplex fpecics 44, c Prudcntix n.itura cxifons 44 d.
Prudcntixmunus t>,c Prudentiaquarationcintelltgc- darum & agcndarum remm
cflc dicatur 4*,b Prudctiavt bnms trtbuatur wc Puerianmcmortavtgcant *?i ; a.
b.& fcq. & cur Ibid. Pucri cur oculos glaucos babeant 100, a
Puniccuscolorqualis H?,c.d Puniccus a flauo dillulguitur, no a rubeo ifo,b
Purpurcuscolorqualis tjy.b.c.d Purpurcus eu color vcrcmedtus omnium no,b
Putrtsodorad amarum rcfertur 101. C.d Q_ Q* tulitates prinus non cflc for- -
masfubilaniialesclemcn- toru m,a.b. c. d. infcparabi- lcs cflc ab illis i6i,d
Quantitas cur non definiatur pcr fubiechim, quanuis fn accidcs ' n?,d Qjpniodo
plura fimul eodemq; tcmporc fcntiri pofiint i6i,b. cd. fca\ J^adius reflctus ,
quis , & ra- dius rcfraCtus 70,a.b Rationes a vi nominum fumptas non fcmcl
adhibet Ariftot. iji Rcflcxioa^wx' / - , diffcrt 7o a Relata xquaiitatis qux
funt ij7> Rclatorum genera quot x^7,b. naruraeorum Ibid.cd Relatorum vnam
fcicntiam eflc, vt fit verum ?,b Rerainifci quid fit 301 -c
Rerainifcieilaprincipio fumc- re 3oo,a Reminifcendi principiura qualc
3o3.d.:t04,c.t,o8,C Remirtifcentia in quo d uTcr at ab inucmionc, memorix
rcpetitio- nccxidifciplina m Reminifccnnain quo differat .1
repctitioneinuetionit fcu di- fciplinx joi,d.joi,a. j memo- ria joi,a
Rcminifccnt ix motio vt fiat 303, c. d Rcminifccntia eft paflio corpo- rea 317,
d Rcmtffio non oranis a contrario cfricitur ui,b Refpiratioquid fit 11, c.cius
defimtioioc^d Rcfpiratiocuritadicatur i8?,b. c.quid fit ibid. Rcfpirationis
vfus i8y>a rAgacitasquidfit 171, d *^SaIcft odoratior nitro 1 q t d Sa l tff
nitrum a calido coagulatur t>i,b
Salmixtum liquabilccft tcrrcti- quc H9,b.cius gcncr.it 10 jlbid
gencrajbid. Salfus fapor , cft fapor raixrus Saliux vfus rigfjfej Sanitas quid
fit ij, a. Sc. in quo conftltat ibid. Sanitas &morbus in quibusrc- penatur
i;,b Saporis definitiopcromniaqua- tuor gcncra caufarum g4>4 Saporcs
quot,& qui i7^,d Saporcs vt diuidantur in paffio- ncs & priuationcs
ia;,a Saporum principia cx fcntentia mcdicorum i7QM Sticntuquomodo vocttur
lubi- tus 3oo.d.quomodo paflio Ibi. Scicntuquomodofu futurorum i7*d Scit-ntiJ
cadcm caufas , 8c erTc&a carundcm caufarumcontcm- pl.uur: 8,d.quaudo vcra
abfo- lute fu ula propofitto w> Scipa ammal quod uo.a.b Scopura
hbrttcncrcquid confc- rat i .b Sencs an mcmoria vigcant uta Scncsfunt
garruli,tdcirc6q; mc- roona vigcnr i9i>c Scnfus an lit facultas paticns 30,
dApA 51 Scnfus cur vmbra intcllcdus ab Aucrroc nuncupctur 34 a. cur iicro
fcparabilis Ibid. St-niuscur mcdio cgcantomncs ex Aucrroe -; ; ,d-4 I 1 Scnfus
duplex obicctum,vniucr- falc cVparticuIarc i8i,c Scnfuscurnon dicatur fpccicru
locus 9o,b.c.d Scnfus cur dicatur ccrtior uucl- lc&u t9,d Scnfus an
cognofcat fuam opc- rationcm ifd Sciifus dtcuur magis locus fpc- cicrum qu.tm
mcns 18 : !> St-nfusconimunisandctur 4, c.d.& fcq.an fit vnus Ibid.
Stnfus communis quomodo v- nus,quomodo Utin diuiduus dtcipotcfl. >7.*
Strduscommunis nocgtt lumi- nc vt cxtrinfecaobicCta perci- piat:aducrfus
Alcxandru 97>d Scnfus comunti vt pofiit duabus fimul codemquc tcmpore mo-
tionibus afrki : . ; 1 !> Stnfus vt fcntiat non cgct habitu 4S>>
Stnfus andccipiatur in propho obicc)opcrcipit-doi8i,b.&:ft'q.
Senfuscxtcriorcs funtvcluti fa- rauli Sc miniltri in oltio fcnfus communis
mancntes 194,3 Scnfus intcrioris facultatcs cnu- nctantur i8,c Scnfus omucs an
ad falutcm tan- tum vcl ad neccfutatc , aniraa- libus trtbuti fuu 4J,c Scnfum
agcntcm poncrc, vt Me- tcm agcntcm ponimus , no co- gimur ;i !>
Stafusfinguli,quc vfum amma- liadfcrant ,;.!> Scnfus,tcllimonium ccrtilfunu
a nobis lubcri drbtt i*,d St-nfuum vfusadfcuntij Sc pru- dcntuinaflcqucndara
4-j,d.4/.a Senfus &.* fenlilc quoraodo rcla- ta cire dicantur 1 ; - . t . d
. cc 1 j8,a Scnticndi facultas quid lit :-.j Senticndiviscurnopofiitin in-
finitu abire fua tfhcacu tao,a StTilc quod fimul tcmporc a plu- ribus ftntitur
; quomodo ldc, quomodo itcm diucrfum dt- catur *3?,d Scnlilupropriaquarfint
5o,a Scnfilia quomodo opcrart dican- tur ii^.a Scnfilu communia quantitatt-m
confequuntur 49-d Scnfihs dt'hnctio,cognitum ncm pc&r in re,vndeclicutur
svi.c Senliliacommuniaquoraodo fcn tiantur i8i,c Scnfilu communia quot &.'
quar, cVan ab omnibus icnlibus om- uupcrcipuntur i8i-b Scnlilis fpccici nomina
190, d Scufilcs ipt-cics omncs funt fpin- tuales quod ad aftectionc fcu
rautationc quara in fcnfus pro duait,non tamen omncs quod adfuiortura i4J>
ScnJiks fpccies an prius mediura quam fcnfura afhciant 134, 8c feq. Seniile
minimumcx parte fenfi- lis.maximii verb cx parte fcn- fus datur i3o,c Sctifilc
cur magnitudinem cxigat 114 >a Senfile quomododucerc dicatur ad actum fcnfum
ipfum \i a. Scnltlu non propne agunt in fcn fus i7,b Scnlilu in infinitas
fpccics fcca- n ncqueum 11 7, a Scnfio quid fit i7,a St-nfiothacxigit tro.d
Senfio duplictter egere corpo- dicitur 190 c.d Senfiovt commoda&optimatf-
ficiatur, quot exigat conditio- nes 1S1 ,b Scnfioni optime cfficicndar con-
ditiones rcquifitasadcfle, qux facuitas iudtcet 183 ,c Septenthonalescur
oculosalbos habent uo,a Siccumduplex i Specics ftnfilcs vt dicantur im- prtmi
in matena 3154 Specics & formas , male diltin- guunt Latim ?o.c Spettabilc
onmc an luraine egeat 70,a Spccula vt 1 . :!
-n qualia eflc oportcat 70,4 Spcculans rcflcxio vt afrkiatur 70,c.d
Spermacuralbum iji,d Spcs futun vt appetitur 174, u Spes quid amphushabcat quam
fidtS tyyk Spes &r opinio vt diflerant i74,d Spes&fides ratiocinio
compa- rantur i Spintus animalis quomodo nu- trtndicatur 1104
Spihtuurnhuraanorum difchmi na & cfiicacu ex Galcno F;,.i.J>
Spiritushumani funt fpccicruni fcnliliumdelatores ;i? b.c Subiectii vt ponatur
in deflnitio- ne accftctis abflradi & con- crcti iM,a Sub ie^tum a fcopo re
non dificrt 7,a. in (cAcntiis hoc verura cft, I bid.b. in arttbus nequaquam.
Ibidera. Subflatiano potelj incclligi abf- quetempore i8f,d.i8$,a Succcflio no
oritur i dctermina- tavi D E SENS. E T DE M E M. U R E M I N. tavi&cfhcacia
agcntisfcd a rcii .ciuiapaticnti 4* J Sapcrtictcs v t iit tcrminus corpo Etl
jiliyfici & diaphanacr ii9,b Sudorcurfaifus i7J> Safdut omins ab ortu an
fit na- tus SirdiaboKUjCurmutifmt 5,a Ta:tusorganumquod fitdifpu- tatur ioS,
vbilitum. curtcr- rcumdaaiur to7,no TadusanaGuftufciungatur 57 b. & j8
TaJut mftrumcntum cur circa cor fitu cflc dicat Arift. no,d TaJusan fimplicitcr
animalilit nccclfarius. 54 c Ta.t.is ncccf.itas cx Thcmaftio 54 b.&c Ta-tus
& Guftus tcrrx funt 107, d.io8,a.iu,c.d Taitus pcrcipit cxccffus folos qualu.it
11 laailmin 151, d.qua- re&quomodo Ibid. >7ia Tcrra quanuisfit graiiior
aqua, halitus tamcn cx ipfa cuocatus lcuiorcft 174.C Thcmnlii fintcntiadc
Scnfilium comunium pcrccptionc aducr fus Aucrrocmdctcnditur,5o,b Thconcapars m
mcdicina.quam vocctScotus 16, i Thomasrcprchcnditur i8..a itimrcprchcnditur id
Vbiquitatcm carnis Chrifti qui ftatuuut , 1'apiftis funt mtolc- rahihorcs 89 ,a
TaailiacurnonpcrtraactArift. Vcrilimilequid ; *74-b Vcrmcs Cy pru vt viuat.vt
oa- turiuignc i7i,d.i75,a 115^ Talpa an habcat oculos & vidcat 4i,c.d
Tcmpus infcnfilc an dctur 158 c Tcmpus pcr fc 116 fcntitur if6,b Tcrapjs fioc
motu pcrcipi cur ncqucat *55.d Tcnebra* quid ?8,d.59,a Tcncbrr quomodo ccrni
dican- tur 8o,a Tcncbra* quomodo nign nun- cupcr.tur 80 ,b Ttrra facra appcllationc
anda dictacft 4o,c Tcrra qux apud noscft,impu- rior cft aqua qui apud nos cft
Vid-.ndi differctix in maiori vel mmort diltantia ioo,c
Videndifacultasvbifitafit .-a Vinummcracumcur magislcn- uaturquamaquadilutu
147.C Viuum modicum 111 multa aqua ingelluman corrupi dicatur, vcl pot ius aqua
augcrc 110 ,b Vifilium ommum gradus , & or - do uo,b Vifilc
noncffcimpcrfe&iusaltis fcniilibus probatur 145 c Viliovt vcrcriat
79.b.c.d.& 80 c Vifio an nat cxtramittcndo , vcl intus fufcipicndo 81 ,a
Vifio 6t per aflinulationc no pcr contactum 139,3 Vihovt cfricicbatur
cxPlatonis &vctb.c VifusprrftantiacxPlatonc 49 b. c Vifus an magis confcrat
ad difci plinasquamauditus fi,c Vifus maximc pcrcipit fcniiha communia 50/3
Vifus fol' fpiritualitcr afhcitur, aliifcnfusmatcnalitcr 49,4 Vitaquidlit ios,b
Viucuspcrfcctum qualc dicatur if Vngucnti nomcn quid lignirica- rctapud vctcrcs
ioj,C Vni fcu t EV/ mcnfurat ratio jp~ pric coauenit ijj,d Vnum pcraccidcnsquid
i5o,c Voccs l)mtorum fcribi ncqucut 50. d Voluptas quid flt i9jC&qui>.
modo cfriciatur Voluptatisduplcx gcnus io7,c Voluptasquxomnibus animan-
tibusconucnit 107,0 Voluptas & dolor non funuaffc- &iones,fcdaflcdionum
pnn- cipia i9,bx Vox quid 50^1 Vrina cur amara & falfa dici 1?9,C Vrdcum
latcnt,quo nutriantur no,a Vulturcs & Tigrcs quomodo cadaucra in loginquis
vrbibus inhumata pcrfcntifcant i98,d y'7n*:p4u in fcnlilibus qua* fint
ijo,b.&c H'-mKTe7!^Ty dandaeft. r.. POTENTISSIMO
FELICISSIMO Q_y E Principi ac Domino , D. dAugu&o, Duci Saxoni ce, Sacri
P^mufmp. Ar * chimarfchalco (sr SleHori , Lantgrauio Puringice, Marchioni
Mijhia, ! Burg * grauio ^vfagdeburgeyifi , &c. Domino fuo clemen * s " tifamoy Simon S . s. Lnc.ua r trnu tua
Lipfenfe ( ^Augufie Trinceps f elici fime J Trofejjora te ipfo con- flit utris
, tuajj ipfins liber alitate fu - {lentatus, Vialetiica, ThyficafiKio- ralia %
Jriftotelts,&%iedica Hip- pocratis atfi Galeni decreta Saxo - mea iuuentuti
explico > fa8um ef& , Vt cum in quadam di- w iBWHWBpPHiM i s t oiz k ~
fj>ut titione, nonnulla de Nobilitate ad materiam 'tum mihi propofuam
pertinentia obiter attigijfcm, Nobiles '& honefli aliquot Studtoji , primum
mirati fint, ea di re tot ac tam na- tura congruentia, ex lAriftotelii doftrina
potuiffe proferri : deinde Acritatis amore impulji, obnixe me.orarint , ve
quid- quid diuinus ille Thilofophus, de Nobilitate fenjijfct, uel di- ^ ' /T*
g* 0 . * "* i - i*/) .. 1 , . xtjfct ufquam,tdtis peculiari aliqua
dijputatione, ordine, me- xhodoq, decenti planum f acer e,ac dcntonjlu _ ..
.... rare non grauaref.: atq } fforiajfe ut ad eum rerrrprocliuiorem me
redderent J nl- tro fafii ftntyjeualde pauca ex ^AriJlotefe,primian in fhtto^__
ricti, deinde in exiguis quibufdam & mendojis fragmentis, qua apud Stolaum
leguntur , de toto ijlo argumento difeere po- tui ffe : alibi prope nihil
babuijfe pratdrea uero quaft conque- jli, aliquot ex ijs,qui haBenus
dffNvlilitkte ii^layolumtu* CQnfcripJertihf ^neg ;nomeq ipfnin jaCis'difb^le^ropoJuifJc
t / i J + u - ma- J' ' i- > ' ^ **v '
- 4 x j jj neq \ de ipfx rei natura magnopere-laborajfe.fcd in addttamtn
..Ax:: t\ I j[J^ fi* A tii juptaxat &
commknioribuf Quibufdam praceptts magna m ly fjmm&nivi urt+7 yuu/ujutun
yeidforum pompa jpitndidofy eotcmplurum apparatu amplifi- candis, magis
Occupatos fuijfe : alios autem rei , quidem ipji baftffe,c&nfufe tamen,
&qtt*fi lnejitanter,dixilfe potius,quam deelarajfe omnia. Quibus ego
uitifiim refpondd,iAriflotelem longe adhuc plura de Nobilitate , quam qua
obiter ego attu- liffem , nttjsquosab eo nunc habemus legitimos libros , reli -
qutjfefcripta : ac tot, utplursia ToIitiio Philofopho , non in foroyifed in
fchola uerfante , nem o debeat ucl etiam pofiit am- plius expetere : at% in fumma,
nullum ejfe argumentum, uti 'M' iif f ; ' ,0
/ meta- - M*-' t =1. e.-, i f. w ' r * : .'- r. , i V T m RVNCVPATORI metapbyficum, uelphyficnm
,-uelm'*/ uel ogieum ,dcquo abipjo m* non fuerit appofuipme^xquifrtiftme, (pro
ma- ter:* fubicft* conditione J perfeSifime yucnfimeq, dijjmta- tum : quod
multi} ( no dei fu loquor qui nugis & com- - fmdiolis quibujdam , totam
fuam Vitam triferrime coti fu-
difficile, ad intcUigendum mdcri foltret, moyfuerit , reruny doRrinas
nonfcmper exprefe proponere ,fed nonnunquam Ji - gnffcare duntaxatfquod ipfum
Socrates a quoq apud Tla- - , - tonem dicere uoluit,ctim de ratione reRi . M In
Cratylo. . , , . ... Amponendi vocabula wtclhgerc cupientes , ad Hemertun , qui
nufquam .tamen de nominum impoftione fcrtpfijpquicquamuideretur, obijciente
etiam id , mitanu. jdsrmegene,
reuocaret) ^Arifoteli tamen boc f amiti ariju- mum ei^ybreuifime dicere ,
artijiaojifiimc tamen , C quaji per nutus~ac figna ( Vt b Galenus quoq } deipfo
te flatus efi ) - . - exprimere multa, neo. fe uno m loco jem- 1 In Iib.de foplrif, p (f . rj a lin^j[ 0lVl
p\ uri b ui declarare : ptuoeeconttnr.e.i.
>,./ A r * nihil tamen wtft fruftra , vt qut nonfue- T t' 5^: IB M
v.r- ' cap io p torum etu * omnium op:is
ejjejt quis de iL - /// fetitentU iudicium ferre , fx doBrina,de propoftis
quibnsfi&quantnmuis etiam nobili- itu grauibusfi in omni difciplina
quxjlionibus diffmtare fe pojfe, y erum fi afequi & cognofcerc cupiat : iAc
tum etiam , feruandum d Galeni praceptum de operibus Hippocratis ad- . , .
uerfttsTheffalum , ne uidelicet tanti yiri ryj i. meth. mtden- r r " t
, cdb i JcrtptaJme praceptorc ,&
bono praceptore legantur. Quod autem a me petebant, id quia denegare iu/te non
poteram, fafl urum me promiji: ' Taulo poflfc igitur, quindecim continuit prxlcflionibus
,de tota re ex ^iri (io telis difciplina dijfutaui . Nam & proprie- tatem
nominis prout apud omnes communiter ufurpatur, an - ' te omnia expofui, &
ftudui deinceps quantum potui, ut yeri- tatem ipfam ac naturam rei, fublatis
etiam omnibus dubita- tionibus, cr quibufdam alijs pracipux dijjiutationi
nojlree an- nexis, & non contemnendis quxjlionibus propojitis, atfi de-
cifis, clare aper te fi intueri ynufqufy poffet. Hoc ita fi mo- do, fatis
petitioni defideriofi amicorum fecijfe me arbitrabar p Sed ecce, non multo poif
redeunt ijdem , ueniuht ali j, multum fxpcfi rogantes,yt qua ipft
audiuijfent,atfi ex publi- cis meis f>rxlettionib'is collegiffent, y erum ut
inillafcribendi fejlinatione accidit , mutilate, ac fortajfe etiam non fatis
ijs qua 3 I ' NVNCVPATORIA. ^ qua ego
dixeram congruenter , a me ipfo digefia,0 in com - , mentariolum aliquod breue
relata , in lucem proferrem ,flu- diofiijj omnibus communicarem . Quid pluribus
? & id quoqffaflurum me, recepi: Et qua caujfa fuit , quamobrem recufare
debutjfem f Nam quod multi ante me de Nobili- tate fcripferint , id nihil
eif^,ji non eadem , eodemfemodo fcripferint : Velle autem femper , Vt in nonum
annum fcripta premantur, ambitioft hominis potius e eius qui pro- friaftudeat
gloria, quam honejlum , & 7$eip. literaria Uti* litati confulentis. Quid
enim interim cum ijs agitur , qui minus intelligunt , & quorum difciplina
nobfreif, d Veo commijfa /* Ve catero , amplifimus Thilofophia cam- pus, in
quem uel ut Imperator, Vel ut Tribunus, vel ut Centurio , aut etiam priuattss
miles, certaturus defcendas, tuo funftum effe munere , atq i in eo praei aram
tuam volun- tatem ofiendijfe , honejlum laudabile^ fatis ef . xArifto - - > teles e ijs etiam, qui non
plane re fle de phyficis ftrip ferunt, , r haberi Voluit vratiaf, at a. eo
prafertim A lt2t.metapb.capj. , A 13
n J 1 nomine , quod tngenwm po fenorum
ex- citarim exacuerint g. Torro cenjuras dottiorum uereri, ef^ hominis , qui
doceri nolit & admoneri, qui veritatis di- fcenda cupidus non Jit. Suggillationes
autem indoBorum & plebeiorum hominum , calumnias qfinuidorum & maleuo-
lorum, emendes quantumuis fcripta tua, nunquam uitabis : -Sed tales fiernere,
magnanimi & prudentis viri cf. Omnino) itaq } , ingenuum ac liberale
indicatur, nulla in re uel magna , * uel par* , ^ > .. 'i i 27Q uel parua
finere futim defidtrari officium ,& cum aliquo etiam propria nefcio cuius
gloriola periculo, quamprimum pofiis, & quxcunq pofiis , in communem ufum
prompte proferre. Sic igitur fublatis omnibus tergiuerjandi occajiomlus , &
viBus flagitantium aquitate , quanquam fatis occupatus , qttibuf- * dam alijs
longe grauior ibus maioribus if commentarijs ador - nandis effem , atq, adhuc
me ejfe oporteat , quibus nempe cum . aliquot alia, tum uero inprimis analytica
tanta uttlitatis tantafj nece/litatis pracepta ab\Ariflotele paulo objcurins '
tradita illuflrcntur, &a quorudatn noflri feculi philofophan- ttum
fophifmatis erroribus % purgentur , longius tamen rem promijfam differre nolui.
Quapropter ,digefii fatim totam de Nobilitate dijf utationem habitam, in
quindecim capita : Ordinem inter ipfa natura rei couenientem flatui : Methodo
ufus fum materia fubiefla accommodata : Oratione humili Thilofophis a ufitata
& grata ', exprefi omnia : nullam di - - . cendi pompam affeBaui : nullum
fucum ' ' * in loco , coufy etiam
prouehit me , fflM in tuam Excel fitatcm Fiet as , ut ego quoq ) feruus tuus
gratulari tibi, imo uero toti tua ditioni , imo toti Germania de CHRI- STI A FI
0 Tr incipe filio tuo nato Elettore , aude- am : Qui in ifio etiam pueritia
flore , utre Augufli animum in fronte gerens , ampli fima diuinifima q } fua
futura merita pollicetur. 0 ter beata proles , tantis digna parentibus : 0 ter
beata Reff. qua tanta prolis principatu regetur. Habet autem domefiicaea^illufirif
ima multarum atatum , t*r, quod fatis patris tpfius exempla , qua imitetur :
ha- bet etiam quem audiat } Dotf. Taulum Vogelium Jurecon - f ultum , optimum ,
prudenti fimumq ^ , nec non omnibus dijci - plinis Ubero homine dignis ornati
fimum , fua Celfitudinis educationi , infiitutioniq ^ , fapientifimo confilio
tuo prafe - ftum : Sic Alexander ille quoq } , Macedonum ( inquam ) Rex,
cognomine magnus, non ab alio quam ab Arifiotclt_j , eruditus t ac praceptu
morum difciplinarumq, a prima atate b i forma- 26 1 formatus , Philippi patris
yoluntate fuit . In pari ita% ( yt ea qua pietatis fiunt , in prafentia mittam
J auita glori a f limulo , natura bonitate, par e tum ff e, educationis &
infiitu - tionis conditione , quis non jieret , parem atq, etiam maiorem
fortuna profferitatem in augendo imperio ,C HPJi ST I- AN V M Principem f
Cbriftianifiimi Principis Augufii Ducis Saxonia at % Eleftoris filium,
confequuturum t Hac igitur atq, alia merita tua ( sAugufiifftme Prin- ceps )
quia infinita fiunt, quis enumerabit f quia diuina , quis e/limare ynquam , ne
dum aquare fiatis poterit f 7{efiat t yt libere fateamur , hoc noflrum munu)
culum, cum ex fiua , tumuero multo magis ex tua dignitate Jpc flatum , perexi-
guum ejfie , yilifiimum , tenuifitmumq l : Et quis neget f xAttamen DE O ipfi
immortali, optimo , maximoq, totius huius Vniuerfitatis Monarcba , nos homines
fiacra facimus , yota offerimus, laudes canimus, qua ipfie fuper omnes Clemen -
tifsimns, non modo chara habet , fed etiam quantvdacunq i fint fibi offerri
ultro benignifsimus petit Neq, ifta nunc
alio nomine dedicantur Tibi, quam ut grati obferuantifsimi% fer ui animum,
qua/i arrha quadam declarem, qua me non modo non liberet a debito,
fedobftrifliorem etiam reddat: facere non
e, educationis & infiitu - tionis conditione , quis non jieret ,
parem at q 1 etiam maiorem fortuna pro feritatem in augendo imperio , C H Pff S
T /- A N - V %1 "Principem , Chrifiianifiimi Principis AuguJH Duci*
Saxonia atq f Elefler is filium , confequuturum I Hac igitur at % alia merita
tua ( Auguftifime Prin- ceps ) quia infinita fiunt , quis enumerabit f quia
diuina, quiit a/limare vnquam , ne dum aquare fatis poterit f* T^efiat, yt
libere fateamur , hoc noftrum munufculum, cum ex fiua , tumuero multo magis ex
tua dignitate fl>e flatum , perexi- guum ejfe , vili fimum , tenuifiimum^ :
Et quis neget i * Attamen DEO ipfi immortali , optimo , maximo g totiue huius
Vniuerfitatis "Monarcba , nos homines facra facimu* , Vota offerimus,
laudes canimus, qua ipfe fiuper omnes Clemen- tif simus, non modo chara habet ,
fed etiam quantulacun^fint j ibi offerri ultro benignifiimus petit . Jde^ ifla
nunc alio nomino dedicantur Tibi, quam ut grati obferuantifiimiq, f erui animum
, qua fi arrha quadam declarem , 'qua me non modo non liberet a debito , fed
obftrifliorem etiam reddat: facere non % Vna fidem uult debiti, quod prope
infini- tum. Quicquid igitur dem, nunquam fatis erit. Hoc certum #f: Sed &
illud quoq } certifsimum : "Magnanimum Au- guftum pro Clementia virtute %
fiua , fatis fibi effe faflum V [ putatu - t- -V * * * . .. -tf- ; * . ' . - c
4 * - / # ^ , M Vi ' . f , * NVNCVPATORIA. putatarum , quia
honorum omnium uti praftntium uel futu- rorum pojTtfsione cumfoluendo nonfrn ,
libentifsime cedam . Spem habeo aliquam in temporis intcruallo : & liber
alitas tua efficiet, vt multo plura maior a^ iam a me capta, & ex parte
abfoluta , nomini tue xAugufUjsimo dicare pofsim Mune quando maiora nen habeo ,
hisquantulifcun^nequafo {Princeps bumanifsimej offendaris : Sed faueas potius (
VteeepiftiJ mea induflria diligentia g, quam in optimis re- ^ Bifsimiiq i
Philofopbia xAriftotelica ac 'Medicina Hippo - cr atica jludijs non mediocrem ,
per omne meum yita tempus po/ui : me% ut antehac, ita deinceps com - mendati
fsimum pro tua fumma Clementia uelis habere. Vitiat Excelfitas tua diutijsime f
elici j sime g , . Lipjia xAnne Cbrifli ' -jtr - ' . * X . ' f T>. TZxTT. \ i f * 282 C ^OnuerfioGr*corum,quaf in tota
ifta tra&atione j leguntur, habetur in fine libri. Allegare autem Grzca hic
uoluimus, quod non minima totius contro- uerfiacpar$,indi&jonibus ipfisfita
fit. Adde, quod non tibiqjbene conucrfa habentur: vcrfionem autem mu- tare ego
nolui , ne efiet qui fufpicaretur, maiorem emphafin uel fignificationem verbis
latinis t a me fuifle additam, quam Gra:ca ipfr fecum afferrent. . Benigno
Lectori. r 0 Vt Mendofa hac pauca & mutilata loca, qng-opere iam cxcufo
dcprehenfa funt, priufquam libellum legas, - hoc pafto corrigas atqj rcftituas,
etiam atqj etiam roga mus. Pag. t. lin.ptnult. ck ymTwg wjj. Pag. |. lin. 4.
pol. cap. 9.. & lin. 14. svytve?. Pag-S. lin. 1. itgwroii, oiop ccv9ju7rop,
a^Kcc fxi rofj ti : airp- Pag. 17. .lin. 9. quam. Pag. jt. lin. ult. JVaurwjJ,
Hi funt gloriofi, * cfia tuj J llfoydvufJ, h &/) ccuroiij fXiTtsi, Hi funt
nobiles. Pag. 34. lin. 3. av9jio7rfc avfyonop. lin. qpol.+.lin.iz. 7 raT(fa
ro^ovSvr t 7 r/'scr/xcci ; t io-X-Hnira. Pag 39. lin.tz.pol.cap.il. lin.
9.fcripfit. ,Ad tat fane cauffas, quas proxime recitauimus, pertinent illa
Lycurgi in- Jlituta de procreatione liberorum, quorum Xenophon initio libri dt
. Rep.
Lacedxmoniorum meminit. Quod Pag. 39. lin. 11. aATv a/J) tjixjj.
Pag.iz6.lin.zz.eth.cap.9. Pag.lj4.Jin 11. quas. lin.zo.odiofa. Non dubitamus
quin infint etiam a lia nonnulla, pr traf^atidii^ 1 ^ ; i ? ?, j d ' o r r .i
u*i c i : h t di :H eN?b%at^uera effe ali* quidft^^ Cap.HI/' Duo fafH W i ^rum
genera: iH 1 ,1 , ,p To^fl^lfWTOD^ accioens ai \ | Capi I* 1 1 J 4
^Ndbilitaifii Griecum 3c La* :?> Clarus: ge* ^ ^ n A nPSTfltyffjilidoM .X ,qsO
| Gap^V*H : nQuk); n rNtfbift ta s : Gloria : i Rki&r - vuirjpils h;
Natura rpitonnim in filrjs : aua J ' c Or/go I.W' IpriEn NStHrii ' '* Mwirtr*-
Y 29 } r' A' N ; ? a Origottobilitati* : varfg cau# fe cur Nobiles degenerent r
*V -Noth^ 7J1C \V'* ?' j Cap.VI ) Prbpomifltilr fres quaeftio# \ nes: Quale
bonum Nobili# tas :Fortuna bona & mala Cap. VII# Genus uefe nQbile,quot ftm
* f y 7 : Falffibbbiles. ^ orn : . . iUTO,b cvsirK,.:^ Cap V I II. Lpcuf
quaten*is nobilitet Z Barbari ; eqrypi nobilitas! oHo ^^ u ^plicaftiir jfociis
Arift6tiffsr ex primo liWoPolir. Nobi* r> f( ;il- Laus: Virtus &
Scientia qua: ratione honorentur, & qua :
s 1 *'V ; ^ 1 laudentur: En^Oiiiium; ew^m- j>tj' (itntrpK* Cap. X L
Sapientiaqug.nobilitat: Co i tcmplatio pracftat atfioni: Jrdon^t non tamen
facftbob/lk>rftfv$ t jb ru r r , . i Policica de legibus : Ars mi* litaris
JPriiden^ijt: Virtute* tcbpo . ^ z morales. ^ Capi XII; -De dfoiftdn*
Nobilitatis no* suli ai^nnda^iiih,-; Gfcriftfana nobilitas : 2i;goliq3
*Phyiicjt ^CSuilfc: Publica: Priuata 1 : iGfadW nobilitatis unde petendi,. A'i
; - 3\pV4V T ^ v 1 1 rarm n niuQ Ca Pi^?l; r t, Itiones
quatuor; Maternum yo*p r'T r "r j
*'** ^
- f genus quatenus nobilitet:
rcemina mare non calidior; Non eft monftrum : habet fuas virtutes. Cap^X;II I L
Nobilis nafcituriho fit:Ho* nor quamobrem expetatur; c x Cia* 2 a i* v X .
s V ' pian v ^>- V t ~ . 1 SIMONIS SIMONII PHIL. AC MED. DOCT.
ET PROFESSORIS ELECTO- R A L I S IN A C A D
M IA L IP $ B M S 1 1 : fc *_ - 0 S ' ^ * 4- f/ * * De vera Nobilitate
liber vnus. ^ 1 >>!,' fr.ii. 4 I>' C A'P. I. i Scopus .* partes tra&ationist ordo
earun- dem: methodus tranandi* N omni difputatione quxtemere fufeepta non fit,
id de quo difpu- tatur,cfie ,yj:i runpojiendiim cfi, velante omnia
demonftrandum. Tunc demonftratur, cum ipeo- gnitum eft ac dubium an fit* at fi
fit ex fe ipfo euidens ac notum, rc- uocariin dubium fanenon debet. Sic naturam
efle non demonftrauit Arifiotclcs,cum
mfi .*.*.*.* nai ctp {f} j pot. cap . 4 ** L " 1 ' / > * * w * r 1 s m
W | uoViretv rif tr^wfiiKg^ xNobilitatemfi reuera fit, in ge- nere aliquo
hnnnrum fore- vel animj | vel corporis,, vel e xternoru m : at in nullo iftor
um efle, quod ipfa maiori- bus expolita calamitatibus, morbis ^caedibus,
infidijs, nibd^oxpori ad robur, ad pulchritudinem, ad valetu- dinem ,
nihiljDimo^ vel ad rc&c contemplandum vel agendum jOOqIc i 8 > / 1
MOBILITATE. f agendum peculiariter conferre videatur, cum humili genere natos
homines plerunqj ad virtutes aptiores f jropenfioresqj, & conditi
onibusalijs commemoratis ongefuperioresefle videamus. His inqiiam omnibus
efficere volunt, lege poti ii shnminnm & fluita opinio- ne, cuius d habitus
ferua facit iudicianoftra, gnam na Luia, nc bilium atqj ignobilium di- DO P
lutar. in lii. ferimen effe politum . Afferre huc de facie in ore luna, etiam
pofTent alij Ariflotelis autho- ritatem, qui in libello de Nobilitate, culus
fragmenta duntaxatquzdam hodie legimus, om- nino fe dubitare ait, quem oporteat
appellare Nobi- lem, ac tcftimonio Lycophronis fophifta: concludere, irff Jo%a
tlyctt r>yr eiipra tvyiveiar , xatret 3 kbrfiiiAt dtettyt^w Tttf ityvCiSTut
iuytpup. Quod idem fen- tirequocj} vifus eft, cum e doceret, Laudatorem non
a f tijreii I Secor, vrt
VtTU&->}Mu To fia treuretf ij vroXkiif V7re\ctfiC [gjHeroi. lib. f. it ferimen
illud nobilium atqj ignobi- Tbratib. lium exprefTum perfpici . Ex quali
Plutarcb. in qt utfi. arborcfurculus euellaturad frudus 76.de Scytbk plurcs,
maiores, fuauiores, atqj ele- cy J \pmawr. gantiores edendos, ex quali genere
canis u. e. vdnaticusfulcipiatur.ad ^ 4r * r0 indagandam fallcndamc teram, vel
1 * ad eandem perfequendam ftemen- damcp, ex quali item, equus generatus ad
curfum vel ad bellum, magni intereft : multo igitur magis ex qualibus
parentibus homo fit procreatus, ad vitam rede atep cx virtute agendam, referre
^xiftiraabimus Sic Xeno- phon ex Theognide. Ktwxr fiiv 2*i vui K vqn, 'iirireve
Evyinar, t&fTit fiouMreu iya6u v
Iqrtc 9 -eu : ytjfiai $ KAkIuj xctxtv i pthijeufu Ee 9*Acf a wfg. ' - Hominum
ftudia quaedam certa ,& mores quosdam inuariabiles , pro a locorum &
regionum vana natura r . .. . r , ad
fuccefsionem perpetua hxredita- ^ , 4
tnjwt $.4t tctra( j ll pi v j|demus; Verifimilius eft ** itacp parentes
ipfos, quorum pars c quxaam 1 mm m 4
v-.vr i -- 4 m * ! 4>A t I NOBILITATI. 7 quardam ipfi fumus , ad eam
rem aliquid , imo multum conferre, nec tanrundcm valere, fiue Barbara fir fiue
Grxca origo. Hoc certe fenfit b Homerus, ^qui [bi oM lib t Telemacho Vlyfsis
loquens , m- * J JJ ' * quit : Ef tii roi) arcnfof iviraxl fa rfxrct. Iam vero
fi Ariftotelem Nobilitatis arflimatorem vo lumus habete, is primo partem
beatitatis facit c nobi- litatem , atqj adeo vt dicat, w t.rltt. l Etb. ad
Nium. Qa> cenfet.igitur Ariftoteli nobu ea p 5 htatem efle nihil,is
felicitatem, cuius tamen mirifico quodam defiderio afFe&ifuntomneshomines,&dquam
omnes fuas co- gitationes , omnia fludia, osnnescp adiones referunt,-
Ariftoteli nihil efle, & fecundum Ariftotelem naturam iniquius cum homine,
qui tamen huius vniuerfitatis nobiIifsimaparscxiftit,quam cum reliquis
animantia bus, imo vero quam cura reliquis inanimis egitfe , cena febit quoqj.
Qua: omnia quam fint tanti Philofophi pla- citis repugnantia, adeo notum eft,vt
probatio nulla de- fideretur. Ad eandem fententiam pertinent illa, qua: ab
eodem icriptafunt alibi, d nos fieri bonos natura, do- , r.Ai. - drina,
cxercitationeritcm/dodri- Ijt: - nam non nndtom, alia vero duo _ * p. * multum,
imo totum ad id valere. 7 . Pol. oa t . A 4 2.0 3 .- % % . D 8 V ' H R A W _ ,.
' JfOJ y$ QuTAI Jv TTfUTCf CVTU X. VOiW i. Ethic. cab. 4. ' Sf 1 v \ f P,.f ~ 1 ra txontf rcte perfcaeqj
indicare, & quod vere bonum eftiumcrc atfS^*i pof* fit. Naturam certe non
aliam intelli git, quam habilita- - tem illam ad virtutes confequcndas i coelo
jarenti- fogjwcepta 1 Cuius rfpc&u alibi dixtf,^ To ^ IJt "an V * r *i
f ( P v ' Tiuf > ^ K i^ i9 vXA^%% i,aXtiei SbJ&nnf &ct> /! - Vv*j .
tetv- #m - +* % * * fii'/ * / * . f rJf didant dvt , c# o ' - '.a
rafoia,tiim etiam qbia n fi vqHnqtfir dmnS&nraeifhtfcus Vrriy duntaxat
probi pemkien 1 Veip\i bl i car jyxqtH ren tun
i&p iK r^t , t ^e^od qp t ) , qUfplc&cisquoqj A nbh ? , g ..^
rjr&irf c^Wepwts^s-eiMibus.finbnfcpa c i. v ; &-Y T^V'; * - ratirn
& rB qc fc, faktHH^bm^ci m 4 dl ? cs hono- rcsjvt tiuiram^ ius eligendorum
magiftratdufti j'bn- ft^tattopd^Voninf^rtieari petinifteret. Sctlfedeatrtns
ddprJma:.& pro dohjjrti&nt ebeamtrs, atfv^ttfurtile' &} habeat pro
ftfndamento iuris OHgarchid couftituram fuiffe,' cum prarfcrtimln eadem
quxrtione^i^tatq^jSnpjpo^ bkitate Lc^qi^accjKxn pq^affinnarir, ac de eadem ifta
ycjdjaprotuicritj^.^' toyuiM.zi&p Uasut, iixvrift '& ? +a?fAu ; ltjs ii
- * quod \ T.m \ * * r \. w . r f nnrnr, i]/n Orat. pro tvyiteic dfrxvrai t/^c,
it vtto* Cfcl 4- Hb. tthic. ad Se d quemadmodum initi5 Nicom. 'cap. j. dixi ,
nobilitatis ede, melius adhuc 1 .. VT , patcbK, cura quid ipfafitxxponc- tur.
Nuncaduerfariorumrationesrefcllcndx. Eandem l . W v* \
r; 2 9 0 A r * -t . . . 7 uucra omnibus or i g i nem primam tii(Te t nemn p( }
gnin eg'*f, fcd non tamen eadem d prima nm n j, n nririn r fuccefi jfio fequuta
eft. Pro qua re fic loquitur / Ariftotcles, {QMx. rbet. cap. 7 *S 'V ** * if.
unrtjibi to~c nara. TcttxcsgAc ynnui* , , : c7 Ayafibv TO yit@ J . Myymtreti
tye. nv&jtfmv cufyic zrqrfloi. katthta^aa Air eu*Jif*nr t igsrala,
T*ptiui$uZ yiv n s lf uanxu- B * Ttfft JfB- y 1 t T i' 8 i . V I H A cibus illis ad vitam agendam non ingredimur,
quibut (me, nihii feliciter contingere pofle dicebat / Hippo- ' . . crates. Et
vitium quidem rei g vni- OM--' J ,n e &* uscuiusqj eft, eu m male fe habet
in : _ 1 . , eo ad quod nata vel fada
cft, Sed [g3 C4/i. tn lib. t uQn j n jj f j cre f ipfj Nobilitati vitioii-)
Sopbif, in tr .eap. tas> , non ipfiinnata,non ipfi propria - 1 ' eft.fed accedit & acccrfitur, quarta-
hieti alijs communis cft. Et veritas eorum quae naturt
funt,infpiciendacftinijs, quae* fecundum naturam (e .. # ^ - habent, non in ijs
quz praeter na- l bihht. pol.cap.i. turam f unt aftefta : quapropter non
carnifice hic fuit opus, fcd paedagogo. .Im6.fi ad calculum rcuocare vtrancp
partem volueris , plurcs . & arrogantiores, intemperantiares , crudeliores
, ftf- perbiores, & ut paucis compleftar omnia, iniuftiorcs &
miferiores, ex plebeis habebis, quim ex nobilibus. Contrarium apparet, quia non
ex zquo vtriusq^condi- tionis homines obferuamus. Naeuus & verruca ia facie
magis infpicitur & notatur, qudm reliquarum partium corporis cicatrices
& maculae. Ob eandemr:auflam,no- bili tatis vitia & incommoda patent
magis,& pro maio- ribus habentur, quia in illorum i fafta magis quoqj rij
G,l. U fiar.ti : 4. ir 1 ii IT so *- ' '
A i t?'*'*' i sw jf * OAfeWt'4 T> * *. jw ; !s * in0n P rs excepta "virtute. TaliVruntW K?f ;Um c ?
us inciderunt. VtZ- ^iefac^ J ^T Ur CUm ad
ca,id * non ^nos non fetant, urii a corporis noftri calore ipfa prirts
cale- hanr-r fic^oiia.omnia prarter- virtutem, bona nobis, nobilia fliufi
boM^riSred!Sm^s cx P& &t jP tc> natur* ac viftutisni-' JJjl.
^^moBrem per eandem nobilitatem-vt obefle. em dicimus, noii effe no- cgfi,
aptea mmirum dubitare andra d ? cidere. alcrnm apud lapientes in dubium- rei
voce-' oncyreftd dcciiafit. Sicipremetibiroquinnv r f v 2fe*0PUy. K jS TtrdPa r
ie&SV 16 - :^ J . . t *> fi * y
th.tr a i.* T>;: $%} quod primo a nobis mente cognofcitur. Sic Ariftote- lcs
non dubitat an fit nobilitas, led qui nam fint nobiles: quam tamen dubitationem
paulo poli allegata verba abijeit his verbis, JtjXov itylui 'ori ey, ttylw iyeu
, zrti av zr&Mtt' ^it; R Eliquum
nunc eft, vt quid ipfa fit Nobilitas cxpip-' natur. Hoc , propofita &
explicata definitione,* commode fiet. Caeterum quemadmodum' non vnum genus eft
eorum, quae hanc vniuerfitatem conftihaimfc,' - / ita non vnica fpecie
definitionis aequ contenta fiint ' Vq
ppr| genus rerum e ft earum, quae feipfis confiftunt,ae * proinde vocantur
fubftantiae,Ytccrlum, elementa, me* ] teorologica, plantae, bruta, homo: altcumiierd
illa/ j rum,quae per fe ipfae fuisqj viribus confiftcrenequeuiity i fit
in V : V ' - - NOBILITATE. 17 & in altero nituntur , vtalbcdo , dulcedo ,
frigus : qu* Accidentia nominantur, & cuiufmodi eft ipla de qua nunc agimus
N&hilitas. Non enim ipfaperfccoharrer, fed li o m i ni ad haeret; non ita
tamen vt forma quae ipfi det efle, id eft, efle hominem (hoc enim ab
anima.ratio- naliprzftatur) fedeius tantum naturam PYnrnrt- Prio- ris generis
entia, vnien modo definiuntur : alteriusilu- plicitcr. Definitio generatim
accepta, eft c oratio bre- M Aritt. z.fofl />. 7. uis & circunicnpta ,
per quem Ammcn. inLf.Porfb. P ro P" c fpondeturid quxftro- 1 1 nem illam
qua quidquid fit d [b. i9. ipfam neceffe eft. Fruftra enim Galen.+.dc Jif.
pulf.tj. quarreres , vtrum (It anima , atcp Idem +. de caujis putf 9. vtrum (it
immortalis , m(i animae & immortalitatis nomen prarin- telligeres. Idfignificauit' 0 Hippocrates
his yerbis : , 0 . Aoxi Jtiuu to ut* rvuirett rif 0] Ltb.de arte a Prine. .* V . V Meti Vdtpict, HK tua" A* K&
fi Ao- yof tu v ion ut r/ iynGon fi>f iou Alterius definitionis du ae fhnt-
parr C s. genus & differen tia. Vtraq? primo fofmam fignificat , genus
generalem > differentia (pedalem , fed vtraqj tamen materiam connotat. Nemo
dicet, "Homo eft anima uel ratio, fed animal & rationale, id exanima .
fentiens & ratio in hac materia, puta quae condet ex ca- pite , thorace ,
ventre inferiore , artubus. Caetcrum,vt nulla Categoria eft, quae fuis
generibus careatacdiffe- rentijs, ita nulla d eft etiam, in qua talis definitio
lociun rvi . t - non habeat, non eadem tamen J
/. /.7. conditione. Nam
in-acridrari- 11 m -defin irione (quantitatem femper excipio ) prarfer- tiin
autem propriorum, fubi^&um nece(Tari,6 exprimi- tur , uel tacite faltem
(ignificatur. Quapropter Auer- roes, imo t Ariftotelcs dicebat , Ac cidentia
non fimpl i - citer definiru fed aliquom odovcu M7.m1.11.>!. a. 19.
piantin-fuidefiuitione. Hoc ipfum Scholaftici vocant definire per Additamentum
: addit enim aliquid quod non eft eiusdem Categoriae cuius eft definitum.
Subie- &um autem quod in definitione accidentium accipi- tur, aliquando
gcneris,vt cum concretum definitur ac- cidens u. g. Simum cflenafum curuum
,aliquado /dif- \ ferea- t. . N f * # * * , . 1 * /m v. ' i
>T % \ 10 '- 0 8 : V i k & ij- S
: ei 1 ' rjt * l* fc] Arift. 7. met , *Aucr.i. met. 14. , nobilitati. . I cf]
Autris.mtt.6.ar ferentia: inftar habet, vtcum ab- 7. ff. $ j. ftra&um
definimus u. g. fimita- tcm effc curuitatem nafr. Nam licet vtrunqj
vocabulumfprmam ipfam g primo figni- ficet, concretum tamen, magis adfignificat
fubic&um , & fecun- dum modum quoqj fignificandi, prius fubie&um
qudm formam defignat, quod fortaffe dicere Auicennas voluit. Porro accidentia
propria de- finitionem alius generis habent, qua fubftantia caret* Ea, non
genus ac differentiam , lcd cauffam adducit , d qua accidens illud adeo pendet,
vt per eam fit & confer uetur. Efto u. gratia tuJSxijuoviot , qua: proprium
ejuippi- am hominis eu: primo deferibetur fic, quafi to tu toji rU . h
tfo^ovaVx^* Definietur au- [4] u Top. tMp.penult. tem p Cr g enus & j
differentiam, . , vt fit bonum perfe&um feipfo 1] 1. Etb,
cap. 7. contentum quod fatis efl homi- ni. Tertio definietur per ranffam i qua
pendet. & per quam confiftit.vt fit adio animi rationalis cum virtute
congruens ;jvel ut fit a&io k. rc9'
dcjjniens dices ; illam dTe inter 'Auer.t.eU an. i. Jeftfbncm terrae
inter folenvflc jlunam, hanc aftionqm ex virtute , cum non id ipfinu fjt
felicitas. Verum dicemus potius Eclypfim eflc. pri^ Ci tioncm S
:Vl. * i : 54 jr \ 1 2 0 D B VERA tioncm luminis, qnod a fole accipit
luna, ob interie- ram terram, & Felicitatem cfTe bonum quoddam per- fedum
animi, ex adione virtuofa. Tanta: tamen digni- tatis eft Definitio ifla cauflam
affereps , vt eius rcfpcdu definitio Eflentialis ,qua? nempe ex genere conflat
& differt ntijs, definitio quid nominis ccnfeatur. Attpid multb magis in
affedionibus illis , de quibus vtrum in rerum natura exiftantdubitatur* Cum
enim quacftio u. g. de Vacuo proponitur, ac dcfinitur,vtfitlocus pri- uatus
corpore, fi vacuum cxifleret, talis definitio efiet efientialis , vacui nanqj
naturam aperiret: verum cum non exifiat , remanet nuda quxdam nominis m cxpli ,
, . . _ catio. Qui nanqj non exiftentis
t] u r. . op.c p. 4; rei^generadiffprtntixueefleuerc pofiiint? Omnino igitur n
cauffalis definitio collata cffcntiali, quid rei, fubflantiar.ac Arij f. lib.
i, Etbic. formalis reputatur. Alias cauffa N/Vow. c, 6. fuit allata . Nunc ifta
pauca de Eujlratw ibid. definitionum generibus attada Themin, t. pon. t y.
fuifie fatefto, quo nempe intelli- Alex j. metapb. fnt.19. geremus ,
NohiliLiraiiujuae-ho- mjru, accidit, atqj hominis pjro- . pri.1 gflr . Vtran y
exigere ac recipere d efinitionem, nmn eam quar proprium genus ac differentiam
explicat, tum perfediorem alteram, qua: caudam affert. Neceft quod nobis
opponat aliquis, a Ariftotclem nobilitatem -hru- , _ j na ' tiiumocn tribuentem, ibi, t>/ 0 sja J ccv
av-Non enim alia ratione dicun- tur bruta tu^ivo qudm 7(vvo7tf, TroXiriad eodem loco,&/wiJi^aTWtoTja*
alibi, ia eft,qudm xquiuoca. Atqj NOBILITAT 5 21 . i V
/ [b"] Lib.t. mttafh cap h Atqj vtdcvno loquamur , Vera docilitas non nili
accurfu ratio- nisfit: Omnis nanq*
do&rina ex pracognitis quibus dam progreditur : atqui cum Ariiloteles bruta
priuct reininifcentia eodem loco , vera fane docilitate orbae quoqf. Nam &
reminilccntia decucfus quidam rationis cft ad ignotum pernotum :hcc tantum
differens d di- fciplina,quod in hacprogrefliis eftadincognitum,prae- cognitum
tamen c quodammodo duntaxat,in illa vero m . ad ali:is g enera dif&rcntfaeue e/fe tserd
pofliint? Omnino igitur n cauflalis definitio collata cflentiali, quid rei,
fubftantiar.ac [] Arift. lii. t. Etbie. formalis reputatur. Alias caufTa ..
Nifom. e, 6. fuitallata. Nunc ifta pauca de Euftratw ilii. definitionum
generibus attada The mift. i. poft. 1 f. fuifle fatefto, quo nempe intclli-
Altx 3. mttapb. wv-Non enim alia ratione
dicun- tur bruta Ivyive, quim 7*, Qtfrixa, ttoWtikoi eodem - loco, &
fiaOiyAaTMttTigoi b alibi, ia cfi, quam xquiuoca . Atqj 1 NOBILITATE* 21
/flnnr,qn jm fplir ia ; cum tamen Arifloteles ita rfcribat,rK/*eJo/) 0 prlc'fccu2dumXcrVm5gnU t Zfi.g. Jivfe ucl
dicitur A (l v ' 2 9 6 V r *4 D E VERA
qui ex bono genere eft: alij dicunt,/ ex ampla familia, tn zcuMp,,. ex
fumm 8 en 7 c ucl l0 ^ qux omnia eodem recidut. Harc vt uera
fun,tita illos arguunt infcitiac, qui omnino affir- mant Nobile, quatenus hodie
communiter, ad familia: dignitatem fiimificadam ufurpatur, hocipfo dici, quod
qotum& illuflTe fit. Ali ud enim eft' Ariftoteli cui proprie refpondet
voxipfa duntaxat Nobilis , aliud luYnnk* c ui fignific atio eiusdem vocis, prout
hodie cum "Hominem vocamus Nobilem, accipitur , proprie qua- drat.
fnfumma,Te& fignificatione Nobilis idem pland ac , voce idem ati Yvaj//*-'
eft. g Ariftoteles' Y vm J'^ 9 vocat eos, qui in ciuita- [gJ Lik +.pol. cap. j.
te, propterea quod aliquo cxccl* H, cap. 4. lant bono , vt ttotret /xtyiOn rij?
ov * Nohliic- Sunt enim in Rc- Ku?pub.& diuiefis & virtute &
do&rina clari, qui ta- men pro Nohilihqf no hahf>rtfnr. Verum eft igitur
quod i Plato alicubifcripfir.valdelubricam & fallacem tij I, Crtytofilfi*
e!ft ; Um - P cr nomin * rcr m '
quatfere naturam earum, potius quimperresipfas. Qjud enim u ro i$aTop crcftfASg
b n> i NOBILITATE. 25 OtjasvSK' Annc&am his auream ciufdcm fcntentiam;
Ia xr f?i p hon pdht!{ iralpieif i; (tftf- pec. cap. 1 . item lib. it rtf J 6x
rrf hkov& paridvttt au* ori. lib.fuorum . item rlw rt durlw kclXus ettcarat
K& lib.it fopbifinuoce cont. fJw a^uav rrfwri Kut ; ijcx r?f item Arijlot .
lib, i.ply. ahtjQtletc aurita aurlw lyy
rlui cap. ult. ^ * ota avrtjfy ei nftToflor
y arati Nec minus redc ^.Hippocrates ante ipfum,quanquam m nu 1 .
**.*,*,*. , obfcuriusjdem lignificauitno- ' 5 bishisrerbis,o7jtt tuofiores ,
& quicunq* fecundum aliquam xbo^itikIjjj n favtxptp (vt l Ariftotclcs
loquitur) paulo lupcriores ha- tt iit, fd. ccp. ,. be " t . ur - Scd nos
reprehendere hac difputatione nolumus, cum tamen pollemus bona * * //\ n / /(.'
bllV T L dlllllUwV jAUUUWll illlilV
lV/WUlll } 111 VjUU L. Dicat, le * lobile accepifle prout d latinis accipitur ,
nempe quia conici* 297 r 16 D E VERA confcientia multos. Redum m cognitum iudex
erit fur & obliqui. Quorfum hzc dida ImJ Arijl. ib> cap. f. /xnt ,
intelligent ij ad quos perti- CaUn.lib.de opi do 8. nent, id eft, qui non rebus
fed vocibus philofophariuolunt. Nos ad noftrareucrtemur, a & imitati
prxeeptorem, _ K poftquam planum fecimus quat w ' T'f- t- 9- . Jit iJ cr ipfa
nomina dirtmfrm, non amplius deipfis laborabimus : neq? enim effingere
noua& rebus dare in prxfentia uolumUs. Certum eft illud, Italicam vocein
Gentil* htiomo , 6c Gallicam Gentil hommecum grxea magis conuenirc. lllaucro
quam communiter ufurpant Hifpani Hidalgo igrzca r.cmOtioreft,quanquam
remi^ramexplicctadhucma- gjis.quam Latina, Significat enim quafi Hfio hoc eft
Fi- lius, 8f algo, quod eft multum . Nec vtpiaTi^qnncy uel Gencrofus idem eft
atefc eodem fortafle mo- do quo Tt$oou$iTop & a uel 'noou$tl op & ek j
ifardpim cx rr t s ctvrx (pven* c] lib . i it bifl.an.cdp.t. r. eadem plane
fecundo rheto- lib. t. rbet. cap. 15. ricorum libro repetijt. Cum igi- ' tur lib.
2. i Politicorum, ibi, tta* C i}Cap. 9 , , c* ~ * * - 4 Ari 70 (Uot^.oKCi
ym/orige diximus, attp illius regulae quam alias annotafle me, allatis exemplis
recordor* Quia haec voxCaufla id omne fignificat apud Arifioto lem , quod ifta
vox Elementum , Elementum tamen nunquam apud eundem fienificare totum id
reperitur, qupd Caufla fignificat , idcirco peculiare aliquid Ele- menti
vocabulo defignari certo confiat. Idem de No- bili dicimus & Gcnerofo. Non
eft etiam tam abfurdum uel inufitatum ante & poftquam nomina inter fe
finiti . ma diftinfta funt , obiter ijsdem promifeu^ uti , at )) %Jta Hj 7 t/b-
Ticto iop^vK-'. Apud Lati noilpBBJI^bili^ appellatio malis r phllQ frihniVmr/
in caufla eftaequiuo catio quam fuprd monftrauimus. Nobilem ipfi hoc vno defi-
niunt, quod notus fit. Ex quibus colligitur : Non mul- tum efle ipfam ppr fe
Generofi denominationem , imd neqj Nobilis, ea quoqj fignificatione quaivysida:
re- fpondet. In priori verbo latentinfidia: : alterum quan- quam fit
liberalius, non multum tamen ad gloriam fe- cum affert. Maximus certe illi
honos adhibetur , quem Nobilem fimul & Generofum nominamus. Ifio titulo
nullus dari maior, nullus honorificentior homini ab homine poteft. Inifto
continentur omnes ahj, Magni- ficus , Prudens , Sapiens , Dodus*, Illuftris ,
Excellens , Serenus, Altus, & fi qui alij funt huiufmodi,a nullo alio
continetur ipfe. Se ipfos igitur fallunt, qui pofihabita luce ac veritate reru
, vmbra & fumo vulgarium .titulo- rum quorudam, quibus obfcuratur fama
potius quim illuftratur, hodie tantopere deledantur. Vbiqj nunc abufus obtinet
: nobis tamen fi non loquendi, at fen> tiendi faltem cum fapientibus
integrum (ut fpero) re- linquetur. Reformare mundum nolumus : dicere dun taxat
quod res eft , habemus in animo. Nec# enim fu - p erlatiua ifta lllu ftrif
simus . Ev rdlgnnTsimiic fifnus , Aitiisimus , tantum re vera dare Principi
pof- funt , quaatunrilla N5bnnsimus Generofifsimusc^ . Rex ipfe Galliae cum in
fermonibus familiaribus iura- - . tnen- NOBILITATE.^ /* jp iA . mentam fvt fit) interponere aliquando uult ,
non alio utifolet(noc a luis maioribus ipfum accepifle aiunt) quam Foy de
Gcntirhomme, quod multis quoqj Ita- liae Principibus eadem ratione ufitatum
efie confiat, A ' fc da GentiT huomo. Sed iftud tamen non fatis eti- - am efic ad fidem
faciendam , & antea diximus , & exfe- quentibust magis liquebit. C A P- V- Quid fit Nobilitas, Gloria: Natura pa#
rentuni in Filrjs: Origo Nobilita# tis. Variae caullae cur No# ' biles
degenerent. Nothi. - i N Vnc fi alteram
definiendi rationem fequamur , no majevt arbitror, hoc pado Nobilitatem
definie- . mus. Nobilitas e fl: Dignitas Ceneris rerl nndans in eos. qui extali
[tenere lemrime nrfnm Hnrunr. Dignitatem quidem ftatuimus , quoniam Nobilis hoc
ipfo quod nobilis efi } (plcndorem & lucem quandam affert fecum, ; qua dignior
eft & praftat ignobili ; Qualitates hafcea- .nimi/corporeisiffis
accommodatifsimis exprimi i no- bis , rerum inteiligentes arquo animo , quod
fcio, pati- entur. Et 4 Euripides de nobili loquens, ait , yavpp M I BtSiropbome. ' *** W* . e , UtUm , U- r . praeftantem : &
alio i 1oco,^/jl- [i] In EltQra. -ajoi >ot^ bq yiv J yt , quafi gene- D 3 re
fplcn- \ / 1 D fi V fi II A. K rc fplcndidu & c Galenus de nobilitate
agens, his ipfjs utitur verbis , TftyQavisa- [*] in fu*f. adart. ca. 4. rop-
& paulo poft, o^o/5'*cc^ ^op ngd^ Picurnixop t5 $. i" a j - NOBILITATE. 3X r ftim fortafle uidcri
portet: fatis erit rem indicarte. Ac P r
?>nde rcprehendebatur^uripidcs & quidem iure, qui allCllbl g dixerat T
Nohilrm nnn qui rpa j firiK i T y t3 Infrag. de nobil. ipnpoiam tempore hnn.Q r
. . fil^ied qui vir bonus ipfcfimpli. f
, !5 r '/ u l nt > T0 M ( Jn q uit Arirtotelcs ) om isiu . ofvM> tyrbri/j
oi xiu afX^P fni uj 'H^or/ 0 vti . Plato quocp in A omnibus locis, quibus
nobilitatis me- minit, eandem vocem retinet, & W VidAlcibud. . ucl idem ucl
alius quiuis fuerit, j. Cbarmidem . Nobilitatem i definit, vtfir T keagrm.
tuytu^e nfag. Hoc vulgo concc- [*]!*
Definit. dunt: & qui uel nobilitatis vo- . . . cem efferre duntaxat norunt,
ta- le quippiamipfafignificari confitentur. Hinc ratio eli- ' citur,cmamobrem
nobiles cum Reipub. adminiflratio- 'M nem ar r^gant, ea etiam iure utantur,
quod Arifto- ' ver ^is attigit, woAiVcfi
oi *y woioreeoi Ttc^i hytvvHp. Nam apud * u;
* / Ep Hi funt Nobiles, >p 2cwto7? {xitisi , hi funt Gloriofi.
Siccnim fe ftatim explicat ibi , ngw ro7q Uytviat koI ro7g s*JVfoi$ Quo etiam Cjcnerniiis i v irtunfo dif- fert,
quodjuc nullum /ibi proponat imitandum, ille no ' nifi relatione ad
veftigiamaiorumintclligatur. Quan* quam autem initib conflitucrim , nolle
mehacdifpu- tatione.Nobilitatispardagogiam profiteri, fed naturam eius duntaxat
docere, vtin tanto abufu rerum & nomi- num, qui reuera nobiles &
ignobiles eiTcnt,intellige- retur : attamen occafionc adeo aperte oblata ,
filen tio prarterireid non pofiiim,de quo /Galenus ad hocpro- XfirnMM.r, fiSSfc
xg * ** . biles , fcilluftriore & iplendidio- re guodamlocopofitos,bomines
latere no po ffe^oig ycuQift-Qxiisfys rolc(/wt inquit i Ariftotcles) & mult
6 etiam magis eorum vitam atq? tj Lib. i. rbtt. cap. 1 7 . adiones cognofci ,
quam igno- bilium, qui cum ex obfcuro loco exiuerint, hoc habent commodi, vt
quales fint,multos latere pofsit. Nunc ad prima. Redundare autem dici- mus
dignitatcfH^ prxftantiamjianc maiorum in po- iteros, non modo quia (vt g Cicero
inquit) valeat apud nos clarorum hominum & bene XgJ In orat. pro P. de
Republica meritorum me- to//*. moria etiam mortuorumin ipfis pofteris' excitata
, fed quia con- ienaneumeft(Yt inquit J> Plato) meliores effe naturas ^ jn
genere nobili: verba illius ifta b] In Ahibiad. 7 . funt. Socr- frou^ot eixee
aftcititf yiyn&tu $ 0 1 W:> I ' .
54 D B VERA ytyn&di c# ytr.aloif $!ttnv , yj f**i > AlCibiad. Aevm c*
ra~f Idem dixit A riftotcles ibi, afciSri $ uVTi^ s ivfyurx , dx tytitfaf
ylyvi&ai B-tj^ior , iVa ayy 4 ecyaQcr. & b alibi, tnftoTt /SiAr/W Vsr-
rar dx /pgAriaW* citem, sryo* , ironiorai diot acrri , *rget ttcT^o. . Ht ftne
(I loci t conditio, quod etiam fupra dicebamus, tantum valetin hominum moribus,
qua It] Plat.in/vit y, dc tum valere natura progenito ttg. rum debebit ? lufte
admiratur iftud Euripides,. [putT& xaxcf ynoir ai, ifetf tSto pt av irfioi
ttotu ' ' . * * # Tanta vis e(t natura?.
Sed hoc ipfum quo d hoc fo - co Naturam vnramnc. quid iit, d fapientibus
quarritur. Varias perfe&ione projnptitudinecg facultates animae noftra:,
varios mores, ftudiaqj varia d corporis &in- s' ' drumen ) naturali cx
temperamento conformationcqj contrafta effici Galenus dicet. Et Arillotcles non
repugnabit: qui o femen parentis & pradertim maris cautiam vocat i' ' efficientem. In quo tamen ierni-
; [0] i. Pbyf. ttx. 3 1. ne, non modo id quod ex tem- k il aliquid aliud
atep coelefte nufhus clementi particeps. Hocipfo,caro eft caro (vt Arifloteles
loquitur) atq? os, os:Etinhocipfo,animseomniscorporc*poteftas,quae w cum fpiritibus ex parentis vniuerfo corpore
, maximi autem ex principibus partibus in tcftibus per vafa cor- dis, epatis
& cerebri accepta cft , quafi delitefcens con- fidit, tum fefe oftentans,
cum expreflam fohdam^pcr- k feftionerh materi* habilitas obtinuerit . rot vf-
ji* ti (inquit) Ji rtxv* Gtto ivtyv vcl iiu(uis alius qua- ^ 8 * litatis excdTiis poteft, vt propte- ta * r6a mores in ijs mutentur , & no fimiles
in fobolem transferantur-. Vnde h*c igitur 2 Na ex eo quod ab elementis femen
habet, fed alio quo- piam, quod b cum feipfo tale fit,vel fi placet, a coelo
(y- derumqj a potentia, quam pro- lui Protlut ita ftnrit. - genitricis loco
Veteres omnes habuerunt , tali ac tali propric- [4] Lib. t. De gtn. git. tate
pidum , filijs cu femine ipfo etp. t. infunditur. Atcp hocipfum Pla - to b
fignificauit. cum dixit. Ho- I Ub.j . de rtp. mdt mines a Deo fic genitos , vt
aui Arifl, lib. x: pol cap. 3. apti futuri edent ad imperandu, eorum animis a
prima generati- one admixtum fit aurum ,alijs argentum, agricolis &
opificibus *s ac ferrum : ipgrninm4iempryirrutes E 'V E* R' A His
igitu^ita/Vhibcntibiis , liquet non temerx* Home- 'rhnv, SHrfpidetj*, Hippocratem,! latonem ,
Ariftote- .1 : ' * i* .1 * 1 / j Mpp vwi iiLviti ) 1 laivium j ili IIIV/LC* ,
lem^csapientiorbs quosuis, imo vero publicunitoti- 2 r*-.
/T*. v.t_ ^ - r r us
oTbis conltnfum Natura? parentum in fuccefsicmc prolis efficacitatcm-adeo
celcbrafle , & -Poetam no- -ftrum aliosimitatum (ic cectnifle : -t Horati
bi Vb: 4. Cdrm. 0J 4.. * FcrtercredMKrfortibU* bonis, .
nslorjjj.T . .. r ynA:, * . . '.;a f .> .m rmrj - Virtus : tjtc im
bellem [etoui . ,. 0JI , -V, . ii progenerant aqm-ti wltmbam * 3 j r C^o^fojjTcrentianusrjibain ille
Chremes quafi pro fe; certa^vtebacur norin4:ail Simandum filium cum So- S
iirataTixanscj-# - 3 b jjimortooli Is ftod tffcconfihfitis wdriim 0T Conuinces
facile ex te natum i tifi [mitis proli Nam illi nihil vitij relittum e fi, quin
id itidem [t tibi. . , * 7 #ot pracereatdjem niji tu nulti pareret filium , if]
*v sv J War v^rAnAhilirarig r>v #>f> r Quam igitur aliam Phi- ;,o 1
lofophi ifti plebei ex hiltorijs quaerunt ? Cum homini- bus ipfaqUoq^ coepit:
Tunc minus cognita, cum virtutis r ( pulchritudo & venuftas , minus
pcrfpcda & culta fuit, ifj , Haec veri> tum coli maxitnd coepit, cum
homines qui ad' focietatcm ciuilcmqj i conuldu m etiam fi ope mutua nihil
indigeant, procliues fune, j/j Lih.j. pol. C4/. 4. cum antea difpcrfi
vagarentur, *n- in vnurn congregari, ac ciuilibus ^ D 55 ' officijs inftitui
coeperunt. Inde orcainijsdcmadmira- '* 1 . - tio,fi mt f * * r&i * - PCJi
N O ^IlITATE. 3 P tia, (i quis multa magnaqi adiumenta ad duilem focic-
ratem conferuandam afterrct,quod ipfum virtutis eft opus. Primos illos homines
( inquit e Ariflotcles) flue M x. pol. cap. 'e. 3. degtn, *n. X.' cx ipfa
terra, fiue ex pauds ali- bi quibus poft maximam aliquam & vniuerfalem
internedonem feruatis hominibus geniti fue- rint, probabile eft bpctxf cimi n#
rxr Tv%cn tto&rxe intime. uwrni$. XtytTctnuiTa TUpyi jywwr.-^Atcp alibi
/fcripfit, temporibus illis Hcroids, fi quis vel artem a- liquam utilem
inuenire, vel ali- Lflipotedp- 10. unde importatam fuis tradere f.fol.io,
potuiflet, aut etiam multitudi-' nem djfsipatam , &; paf$im moye
bclluarumincertisfedibus vagantem, in tnum congre- gare, vt de Orpheo,
Amphione,Thefeo feri bitur, cum in , pfindpem & Regem chgi.atqj imperium
polleris eiu$- dem hireditario iure tradi folitum. Tan,ta yirjutis pe- . nuria
& caritas tunc erat. Qux cauda ctfamihit , vt fub ' Regibus primo fuerint
homines, quaiii fub Repub. K&l tvt Wcrt tCacriAtuciTo irgoregep , en
azrcivici/rv iu- vAvfyac weAu ut(pfcvTaf kat , Tempyris ' vero
fuccefUi,crefccntc virtute virtuoforumq-i copia,,, 5 non amplius Regna tolerare
voluerunt,'^ xoir M ti zrohiTH* xafoao-av. Impie ucro hic Viues, r* , Nobilitarem bello ,latrodrtijs,, Lib. a .
dt fam. Cbrift. fraudibus, fpoliarionibusppar-!ii tam & conferndtam
teftatnrni Quid enim hic ad nobilitatis originem ? quid ad nobi- litatis
naturam ? quod fica uflasintcil i gat 7 a quibus iilar fluit; \ r 3CM, /*
4 D B V B R A fluit, tam poflunt iftapro
caufis accipi nobil,tatis,quarh poflunt virtutis, if * ft>ysvrc xc tra, ilw
tS ytvUf iw* At qui nobilitatem rem flultam nominant, his oppo- nunt qua? haud
raro videntur : Multos nimirum ex cla- ris ortos b parentibus
degencrafle,quodab Ariftotcle . M . , quoque 'multis in locis fcriptum Arijl. m
rbet. *d j e gi tur> Vnum adducam qui Alu e.c4/>j+. comprehendit omnes,
-yweuoi Lib i bol C 4 t> * * K ** T 0 M c* W . i*. ijyrarat Je rei fit v
ivQviiytHl ciffiavuuoTt^a ijQtj , olov x . f * 1 0 ' Uq ^' K>y,. rllb** CJ
liib.^.pol. c af. iu [*] 4 . poL cap. m -/) j 1 i j re r - ytlj A 0J Simpl. iu
EpiEL tom. u i* p mirum A a N O 11 1 .: I T A T T, 43 mirum i n prima
grwnflrwi^ m ftnViitp COrpOriS habc- atur cura : deinde i vero appetitus, vt
moralibus virtu- tibus per optimam inftitutio- li.y.fol.ea:^. nem edueationcmc
informe- t ku.it., .Mg mrl -n r ; ^*cipfanancp pars i animz eap 6 * ili* c ** m
^ ua virtutes omnes * morales generantur : Tandem Ii 3 yrar ampli us progreffa,
mens ipfa ( haec enim finis m cft,ad quem generationem & morum inflitu-
tionem accommodare oportet) C *0 Lib. 7. pol. eap. ly. fcicntijs artibusq* no
modo prae- claris atqp utilibus, fed etiam co- uenientibus informetur. Nccp enim
ut a Ariftoteles quoqj Euripidis teftimonio feri- i*J Lib. $. pol. tap. 3. pfit
, inftir t inr> PrinripiV c fhquzciuis : ucart^ (P&vorrai clruy
(ZttriXtuir tjHC \7r7nxlw (c stoXitikIw ireti}tvo(iivti. Etpaulopoft. oof
tscrcLi nvu7nis W.^cK&di yinuv e 'nT^Xuf Karaylyvt&ai ro y(p&
TU9u,>fyu7ruv,xuxiov idonea - : * ied
illa artas in qua corpus & mens maxime vigent, atcommodatifsima. Qe qua
eti- am re in bene inftitutis Rebufpublicis flatutx d leges erant. Nunc non
iftx modo, (ed Id} Piat. in VJ.de legih. alii multa: redifsime conftitutx,
Arijl.lib.r.pol.cap.16. funt abrogati : omnia prope ambitione auaritia , intempe- rantia^ hominum in peius
mutata. Illud poftremo obferuarunt Medici, quod ad Aphroditicam mono- machiam
pertinet. Sunt quilanguide&ofcitanter,funt qui ebrij , funt qui non aaeo
intentam rem iplam men- te ludentur. Quorum, fartus a parentum natura gene-
ro/itateqj dcfcifcerevcrifimileeft. At, qui ardentius at- tentiuscp & cum
voluptate rem agunt* fimilis prope- modum indolis & paris conditionis
filios fufeipere fo- 1 f: ' i- lentu I f r * * i N O B/I LITATE* , ' fent.
Sicigitur fi ingenium illud acutum & folidum ma- iorum uel tantillum ob
vnam ex hifcc caufsis flacccfce- re incipiat, paulatim incremento in poftpris
accepto, inmfanumacftQlidumhebesqj(Iabi nanq* folent om- nia in res propinquas
) tandem conucrritur. Horum rationem i me alio loco expolitam elTc recordor.
Nuncaliudagimus. Pro quibus tamen faciunt etiam illa, quae Galenus libro de
hifi. Philofophica ex Parme- nidis , Empedoclis ,& Stoicorum fcutentia
fcripfit. Qpod atiterq peioribus etiam moribus Nbbiles efic, quamalij foleaut,
cauffa illa generalis eft, quod natu- ram habeant ad omnia paratiorem ,
plurimum^ inge* nio valeant cogitationcifc. Idem affert pro cauffa di* uinus c
Praeceptor in re fimili, (V } , , Cur homo qui adeo eruditione x . ,, praeditus
eft, animantium om- ,, nium fit iniufiifsimus ? njm 7r AftVtf ^cyia-fiS
Ktnoivupijiit: Metfiurt t 9 Tct( tfinus y&f rfw tv^aipoviap ifctjraxsi
reivTcb unv 'aJixists k Qpapropter cum virtutibus moralibus careant,nitu-r
ralibus autem perfedius infirudi atq3 armati fint quina, bruta, & quim
ignobiles effefoleant, mente cogitante*, fuggerenteq? , /importunifsimi omnium
immaniisi- micg fiunt, in venerem gulamt^r [/] Lib. p. pol, caj>. t. turpifsimi
. Multa: praeterea no - biliDus , cum in tanta exiltima- tione,
authoritate,fide, ubiqj prae cateris habeantur* fefe offerunt occafiones,
quibus adiuti, plus male agen- do prarftare, quam alij valeant, Quo etiam
refpedu no- hililsimos acditifsimos quofqj p.i7aAo7rov'M^ ^ t F 3 & contra. 4 6 D B VERA & contra
pauperrimos jjan^oirovn^ eflefblcre, ia g pdlificis d MagiftroTcriptu cft.' Cg]
p- Neque illud ell parui momenti,; quod
cum ambitio poftremiis fit morbus, qui ab homine recedat, ea tamen grauius
nobiles tdntantur, quam ignobiles. Eius rei cauda red * eKtur ab b Ariftotele
in rhetoricis: Commune omni- ^ timeft
hominum ,vt bona qiije Lil. %. tap. tj. prarcipue pofsident quicunquc illafint,
augere ftudeant,& ma- haVem femper eorum cumulum efficere. At riobiles
horipfo diduntur, qubd-Maiores habuerint magnis honoribus affedos. Hinc
itaq^fit, vt honoris titulum propter diuturnam pofldfsioncm quafi proprium fibi
vendicantes , cum abie&os , tum vero riouos homines - defpiciant, &
ipli prae nimia honoris auiditate ita ali- quando i rcfta ratione aiierfi
agantur, vt omnia huma- na diuinacp permifeeant . Verba Philofo^hi funt :
UjyivetAt fjivniv jdoVe$*. 7. tarum fator & cultor, nunquam tamen efficiet,
vt rubus vuam rat : neqj enim natura illius
talem a principio fuo per- fcdionem capere poteft : Et contra, vrfum
quamuis olim manfuefeccris.non tamen perpetuohabitu talem habebis. Poftremb,
quod a nobis imb ab c Ariftotele didum. efl,hanc generis digni- [ rentum
honeftioris conditionis efice,quia tamen fpurij & nothi non apud vtrunip
parentem, fcd apud alterum tantum folent educari, idcirco vix no funt omnes,
mo- ribus degeneres , Erunt igitur hxc quafi monftra quar- damna. 1 % i r IU.
M' vi , fcllf i>, 5 : '*! K 5 : f> 2 6H P(* ' M- fV te NOBILITATE* 49 dam naturar , qu*
licet fit fapicntifsima , in generatione tamen rerum aliquando peccare nobis
videtur. Atque prout monflra non proprie naturalia dicuntur efteda, quod i
natura non legitime agente , & aliud volente fi- ant , ita ifti qui male
contra fas & contra leges nati funr, deformitatem quandam & maculam
fecum afferunt quam nulla quantumuis infignis virtus delere pofsit: ac proinde
auafi non proprij, fed alieni filij reputantur. Monflroli partus, ait d Plato,
d fpecic fua,non ab ea ex qua nati funt habere appella- t. e. bilicatc . quaminjc continet, ex- . . .
petatur ab omnibus tacito fal* bJcilW ' > tem ani* I y \ lyL aj Lib. i. Eth.ad Ni coni, c ap. 6. Ii] Lib. 1. 1 tb. adNie. Cdp.
S. I. rbtt. cap. f . ' - '* VOBILITATE.
( 5 t tem animi confenfu,eaq$pra:fcnte bene afficiatur atqj in bono ftatu
ponatur hominis natura :& tandem a a felicitatem conducat maxime: quod de
fcientia quoqj atque honore ex Ariftotdis a lententia diximus alibi.
SeddcillodubitatunCumbona i n tria gc acta if "? b fint, vt alixammi., vt
Virtutes morales, iuftitia, temperantia , fortitudo, item mentis, vtacuties
ingenij foliditascp , celeritas atq* aptitu In rbtt. ad Alt x. cap. i. do ad
inucniendum.dilcendurn, 1 n mag.mor. lib.i.capf iudicandum, ratiocinadum ,co-
uEudcm.cafii. gitandum: aha rnrporis ,vt ho. na valetudo, robur, pulchritu- do,
fenfuum integritas & vigor : alia externa vel fortu nae, qubd fortuna:
accepta praecipue referri foleant , di- cantur, vt libertas , diuitiar , opes ,
honor : imquanapi hamm.claf6ium reponenda fa-no hi litas. Ariftoteles in h nniQ
fnrrnnaf libro c fecundo Rhetoricorum , vt alia loca mittam , bis cxprefse iiu-
c] Caf. 14. c rcap.il. merat ( tu'x % fi ivyiveap, 7t^Sro)j > (Tayft/xee ,
ait) quod ta- vernm nnn nide tur : nccp enim domina nobilitaris fortuna tam
etfe uidctur,quam u.g. honoris & diui- tiarum : fiquidem vt diximus
nobilitas eft bonitatis a uitr-impreffumih animo vcftigium , cuius confequens
eft (plcndor ac dignitas fiue exiftjmatio eorundem. Huic.nodo fucceditaltcr ,
cur non internum potius & animi .'quam extern nm bonum dicatur nobilitas.
Et tertius . quare non fit etiam corporis bonum, cum Na- turam fupra fic
acceperimus , vt non minimum icor- ~ ' Ci pori* 3 1 0 5 DE VERA poris temperamento pendere diminnm 1
C llv * n,l, tura i a i ' V/ / s NOBILITATE. n turadiftingui: Honcftum ad
mentem, volupe ad fen- fum, vtile ad vegetantem animam pertinere, ( Hoc bo- num
alio nomine folet Ariftoteles appellare faculta- tem,quodin caufTa lic vt
bona& mala gerere ualcamus, femperep
refertur ad aliud) fcd ita pleruncp inter fc confundi , vt in vno plura vel
etiam lrnint omnia . De Virtute atque alijs multis, oftendit id Ariftoteles
libro primo Nicomachiorum. De
Nobilitate quocfc a no- bis oftendi facile potcfEEft enim honcftum quippiam ,
cum prar- fertim d honorem contineat, fi honeftum illud fit quod eft in Rhetoricis definitum , id eft, quod expetitur
propter fe, & cu ut laudabile qua bonum , id eft, j i' fuapte natura, Jucundum
eft. Etfane expeterent omnes- t
nobilitatem , etiamfi nullum frudum fecum ferret ; cx-j / plet $nim & quafi
perficit naturam ac virtutis exupe- rantiam quandam oftendit. Et gaudet
vnufquisqp fi be- ncconftituto fit animo, quod fe in /> ea dignitate cpllo-
r#.i rt, *** ,, catum uideat, quae ab omnibutf r/] honoretur. Ao tandem ad Vir-
tutem conducit multum : ornat ipfam ,inuidiz minus, expolitam reddit : multasqj
illi & prxclaras occafiones- prxbetTcfe oftendendar patcfacicndxqj :
quofane re-. & fpedu, nobilitas ad felicitatem no vt pars, fed vtinftru-
^mentum concurrere dicitur- , . W C4/>. 6 .&: Et i. ad E udem, eaf.u-
[/] liid. LoJ Lib. l.rbu.cap.SK i: . f ' * >1 W. * ' ' ' 11 * ' - H t, V . ?* . . * v r .. CAP) 2 \l / . ;,/*, 'a: (rt . : ,tt *\ 'pti * : . '
i.flifiiCK Itiil frlaup g i:-;.. !*; i \ 3 C2 . ( ' V - A - ar I 5 * ib DE VER
* CAP. VII. , m . Genus vere nobile quot fundant: Falli Nobiles* S Ed exiftit
& altera quarftio , Quotnam v idelicet pra>- /rciir#ai\g r>pnrfV^
t.vt genus eflenQbil e r yel ex eo nobilis nafcipofsit. Hic fane d cautio
illa,quam Politi- ci homines in Ciue definiendo Lib. j. fol. cap. 3. ad
cohabitantes fallendos adhi- bebant , no eft nobis neceffaria : qui
vtttlliadulemur,veritati rerum derogare nolumus. . Ariftoteles poftquam diu
multumc^ hacfitaflet,rcm to- mrn m hnnr
mortnm verifxiW ripricht. Vnji^ qiianfajii* 4 virriire T fi pro pria tantum
nitatur , non eft fio- SUTHoc nomine reprehenditur ab eodem Euripi- . ?* des, qui dixi{Tet,bIahilimxfleil- r&W te] Infragm. DenobiL- lum. qui vir
bonus & clarusjpfc per fele nulla maiorum comme- datione fuerit, Et fane
non aliam ob caufTam Rhetores iftos nobilitatem propria virtute definiuiffe
credcn- dum eft, quam vt ad virtutem homines incitarent, ne ! vel qui funt
reuera nobiles, totum fe habere putarent, " | ; , vel qui funtignobiles
praeclaris tamen geftis infignes, nihil. Huc priora illa Galeni verba
pertinent, quibus antequam aduerfus nobiles difputaret 4 vfus eft, to5- rot Te
riviq ii 0 aiw tvyiv- 4] in fiuf.ad artt1.Mf.4-. t&ap ^a 6 ^uLSvc,xJjov
5 T ' , iisr 2 cutk fj-tya. Eo iam res ven vt non qui &
quales fint homines exploremus , fcd ie
a, / - NOBI LITATE. 57 nati. Egregie Bion db Antigono cuias clTet interroga-
tus, refpondit,'Sagittarios non qui genere proflent, (ed quifeopuin melius
feriant, eligendos efTe. Vnus eft fi ni$ lingulis per fe hominibus & eundis
fimulpropofi- . tus Felicitas, id eftr, bene beateqj umere.* Ad hunc qui
plus-confcrt & accedit propius, maiori etiam laude at- que jionorc dignus
eft. Alioquin (Vtad prima redeam) ii ne
claritate maioru m nulla piam- nohilirak rft. Simili exemplo illud b lc*cittir:
[ij Kicnatid. in Gnidia. , , i t .
fy '/
V . . '($y /,- .Q^is
autem audeat legitime natum quamuis malum .vocare nothum ? Et e Ariftotcles
hominem legis ac v . . ; i)ei refpeftu vocat bcftiam. I 3tjfi r fe qniHfftnjgniiA per fciuacp virtute infigni
s poterit, fi hanc obtineat facultatem vt multos fui fimiles generet, i pfe
tamen nobilis ar ^nr nnn direrur. V erba lunt d A- VJ , r e V, riftotelis :
cretv u.19 xv auree d.yet- tJ lnfragm. Dt nobil. * v r v > tW,f ir\ TotcLDiuo auvafiit rrs @veiuf,
ais" ritjtit xo?hxr cpoiar ;xk%xjh $ujj^17 t Syttxr & tvytveif ol
"Xvri t- rx Txyivxs eme- Etpaulo ante, ctuv xv iyyivtjreu raxjos Hfnf
c*ruytmK& XTuarxd*ufi, a? ixw to ax exeux kyaA'09 xoXb.af ymafjxro
cnrxSeuqv kvccyKtj Hvcttro ytrof. -Atqj fIhqmiftocle$dcfeipfo,cum
nelcioquisignobi- 10 C ,,W>bruo
' obijccret, a>XK tyu tw fiir
&u* ,fc. H t tm r 3 1 3 . \ 58 D E V E R A tW* yivJS *$u } yjj touXv ific
rctn 'cpS ytv&> a^trott^ Toii TOV ei S j cutt etudguv tl'oiv\ ytwctiKuy
ngy ypqnor Jjr(^ a.? r d/zQaiyi ocart cJ9n TroXivf 7 is rt TrfMTXf ymfaxs ,
>j \tt Xir>5 , >j tt hi- rto t >j atheo ru ruv Ttfiupevuvt k&)
'eiritya. tsis cx. tS ysvxr yJi K&i yuoeuKeif , K&t fias 3
irftffGvTegxr* "Et g alibi de caufsis loquens, ex quibus pendet nobili-
culcat, cum de nobilitate loquitur. Nec mirum uidea- tur, id quod eft ignobile,
efl c , M aten.nobiliutisLpriiici- pium. Perfedus virtutis habitus,
eximperfedis adio- nibus comparatur. Et omnis generatio, ex eo fit,quod .nqn
eft adu tale* Neqj h generatio, ipfa.diciturjia tura, ' \v vt neqj id quod
generatur dicr- [6] ph.t.j>hy. cttt. 14. tur nafei : vtrnnqj tamen poteft 1?
Irb. j. metxap.denit,., natura nuncupari ab o,ad quod ' . - proficifcitur,id
cft.ipfa natura: Vjub fine dubio refpexit Ariftotelcs,cumfuprd in Poli- ticis
& Rhetorici> gencrofum, virnin per fe probum nuncupauit, atq3 in
fragmento de Nobilitatfe, nobilem, illum qui facultatem multorum fui fimilium
procrean- dorum obtineat :alioquin enim, antea dixerat, us tux*- oux, 0)
ithifioi ovo 7t 3 Xmfacu lnyaQZp tu vive? tttp $p. Ex quo colligitur erratum
illorum, q ui nobil i n ig rri.i wnrra cn nhirtiernnr. Alternm-Cnim quod (c-
ipfo tu^tv^j vocant, non eft proprie: cum nullum genus eius antecellent. Qu od
fi nobi le lic appellent, quali principium nobilitatis , ne iflud quidem
conucnit > nili tale concipiatur, vt multos (uifimilcs generare queat, &
principij rationem ad pofteritatem habeat. Ncqj c- nim (inquit idem rerum &
verborum Prarccptor) & 7re dici nobilis queat, o. i /
. * 1 e^rrtr, eAevTfi^t ) flA#^o^,^>- T TiiroyS Ttrctpor o ivyinutr, etxcAs?
reif JvfiJy &c. Loquitur Arifloteles de ijs rebus quibus prxditi homines,
libi quifqj pares alteri honores & commoda ,in Rcpublica deberi contendunt:
atqj enumerat liber tatem,diuitias, virtutes : excufans poilca le quod nobi-
litatem omifilVet, quam tamen de paritate imperij cer- tare quocp folcre antea
dixerat , addit, Nobilitatem dt- uitias virtutem^ fcqui. Qpis hincaliud
colligat, quam A qnnd in terfi.i nobilitatis definitio ne afferenda dice- mus ,
nimirum dignitatem illam ac praflantiam maio t H i V7J rnm. I 60 D E V E R. A i i ' rum. guam t ad poftcros guafi
per gradus delatam pro* f Plutarcb. In lib.pro vo ca mn Sxuyv^> L J hi ex
virtutibus eorum ac diuitijs ,tobtl ' nafci ? Sic enimfe ftatim explicat
Ariftoteles : tfi fi ivytvua 7rXxT(&* r&j Et c alipi, iuytvfif fi arcti
Joxzertveic \jzrctf%& 7 ^oycvut IO 5 . J. c.f . .. W Vii-pmpria ,r r fi cft
antiqua? fi maiorum? fige neris? Sit e^go fecundus ille nobilis , fed non
proprii non vere,non formaliter : SduxLtfuaiuvrion alius a pri- hio,nifi quod
nobilitati generofitatem adiunxerit. Quorfum igitur hOs interfe comparare ? Non
fit com- paratio inter ea quorum i diuerfa. natura eft: &com- } I parabilia non fiint quae genere T^J
Lib-y.pby. cap. w/t. ;i diftcrunt.' Nonalio certe nomr- Lib. io}Mttaph. :,t -*
: r rie, in squali 8c iufto arftimandb 1y' ; u ; ;5r ';.. Politicos quofdatii,
& Platonem iquilletnp. popularem vocaret optimam malarum- Re- xump.
reprehendit r Ariftoteles quam ifto. Sed nos-eo renertamtir v nde difce fsimus.
& If3 Lib. j. pol. cap. 8. . certum numerum auortinicon- \+.lib. cap.zy _
ftirnnmn* , quo aentrs nobile di- ci poffiit. Diximus anfea nullam jfuiftc
aliam nobilitatis originem, qudm confenfum a tqi op jnioncm hominu m . qua:
eft, ex bonis nafci bonos. At non plane concipitur lur npinin nifi fit con-
tinu ata feries vsq* aiL vJtimnpi, $ etya(lunr.Kai (omnino enim ficlegendus
eflille locus) eandem nem- pe ob cauflam: quapropter concludit poflea,in ifliq-
rum neutro nobilitatem pofle deprehendi, led in eP duntaxatvtfit ytvvq
nempetotius ctft th. Exquibuso- mnibus colligitur, quam etiam errent VUilui dum
mul- tos ttccnfcre auos pofsint , fe no biksputant. Athcni* H 3 cnfium 3 1 5
t r % DE VERA cnfium nobilitatem ifto
nomine celebrantem Alcibia- dem irridet 4 Socrates his verbis: k# yS ro Z [ 4 j
In AlcibUd. i. A **&*J * JcufaXcv. 6 *, oi deuiaXes cis ifyctftot rsv JW*
a?Aa tu fjLiv XaxiJctipovluf vjy irt^rZ) cur avrZv /*tra, fiartfair eitriv ex
PctrtAew /ctjgi ^cV, ei piv etgyxe . rs (/ A.z+. pilogum. I -.pnga ad minimum v
; - # trium_c n n rin n atacp patrum f e. y ries , i n qua frequent e r magnae
jLirrnti^nirnpt-tr^ gf- - ' nus vere
nobile fund at . AtqThoc pafto altera quacmo' . 'V' ns acT exitum vidcturperduda. pK- * Afe - _ .t
T V M ' \\ /* ' 1 #1 4 * ** 'i* nh Cap. $ i ' r ' . V - K O B I 1
ITA T E. CAP. VIII. Locus quatenus nobilitet: Barbari: eorum nobilitas :
explicatur lo# cus Ariftotclis ex primo ,/ r*. Politicorum. Nobb * i w * i *
'/ * les in pagis ui* uentes. T Ertia exoriri ftatim uidetur, Vtr utn gen us
matgi- na quoq? (lirpe reddi nobile . & quo modo pofsit. Sed iila longe
commodius in fine huius operis tradabi- xur.llla nuncpotifsimum inflat: An loci
& patriae clar i, tas Nobilitati quicquam conferat ucl obfcuritas dero-
4kRede7cntiunt , qui dicunt nobile ouidem eHe poffe genus, nulla patri*
claritate commendatum , verum ex parte tantum, id cfl, in fuis duntaxatfcdibus,
non abfo- lute tamen uelubiqj nobile. Nos in hunc modum rem planius decidi
pofic arbitramur. Nobilem extra homi- num focietatem fi quis intelligat, is plane
fitineptus,vt ex fcquentibus conflabit magis. Hac focictas,efl ucl fa- milia:,
vel pagi, vel duitatis : prcrflantifsiina omnium Ciuitas eft: harc d finis
aliarum, harc feipfa contenta Lib. familiis nepe, generibus .pagis- Gi.poh
qiTepcrfed* copiofarqjvitargra- r * tiainllituta communio. In hanc qui plus
conferunt, vtpoft dicemus , illi fufpiciuntur ac pra; alijs coluntur & multo etiam magis fi de integra gente.
. , Hi J O D E V B It A bflitate dignior: Illud accidit, quia Nothi principio
dcflituuntur, quo definitur nobilitas: impudicam er nimatqj illegitimum
habuerunt. Atcp hoc differt No- thus ex nobili natu$,4 Nobili non Generofo :
Hic enim (vt infra dicetur) quamuis malus , nobilis tamen vi & ,
efficacitate principij fui, reputatur. CAP. VI- AC &Y 1 r>- * JH 'Ha
jrti ,/R ! : Wi Proponuntur tres quaeftionesr Quale bonum Nobilitas : Fortuna
bona 8c mala* - '*,' *T f * * 1 ' * M
I i
1 . ternam- v ' \ M >' VOBILITATE 5 * ] Lib. i. Etb.ad Ni com. cap.
d. t b] Lib. u ttb. ad Nie. cap. 8. I. rbet. cap. 5. ' I ,rf i rem animi
confenfu,caq{ praefente bene afficiatur atep in bono ftatu ponatur hominis
natura tandem ad felicitatem conducat maxime; quod de fcientia quoqj atque
honore ex Ariftotelis a lententia diximus alibi. Sed dc illo dubitatur:Cum bona
iiuxia^rnoca ita dinifi b fint, vt alixanuiu.,vt Virtutes morales, iuftitia,
temperantia , fortitudo, item mentis, vtacuties ingenij foliditastp , celeritas
atep aptitu ln rbtt. ad Alex. cap. i. do ad inucniendum.difcendum. In mag.mor.
lib.t.cap.f * iudicandum, ratiocinadum ,CO- uEudcm.cajJt. gitandum;
aliaxorpoiis ,vt bo- na valetudo, robur, pulchritu- do, fcnfuum integritas
& vigor : alia externa vel for tu nxy qubd fortunae accepta praecipue
referri (oleant , di- cantur, vt libertas, diuitiae, opes, honor: in qnanam
'harum rlaffiiiim r^p^n^r^? ftn^bilim Ariftoreles in fcgnisihmmae libro c
fecundo Rhetoricorum , vt alia loca mittam , bis exprcfse un- tO Cap.t 4.
(srcap.11. merat ( tv'x_; fi ivyiveap B 7rXbTo/j , ftwccpipG y ait) quod ta tnp
r] verum non nide tur : neqj enim domina nobilitatis fortuna tam efle
uidctur,quam u.g. honoris & diui- tiarum : fiqiridem vt diximus nobilitas
eft bonitatis a uitaeimprclfumin animo vcftigium , cuius confequens eft
fplendor ac dignitas fiue exiftjmatio eorundem. Huic.nodo fucceditalter , cur
non internum potius & animi Jqu ^mfcxrernuni bonum dicatur nobilitas. F>
tertius . quare non iit etiam corporis bonum, cura Na- turam fupra fic
acceperimus , vt non minimum icor- G a pori* Jl DE VERA _ 4 ' poris temperamento
pendere diftum fit . Et quartus; num fit bonum utile & honeflum. Hxc vna quxftio tot habet
capita. A d_giig,hac ordine relpondcmus. Non eft planr- nobilita s. ip(a
(impliciter natura bonita s 1 qua nempe (vt Arilloteles dicit) impulti ad bonum
ita teri- mur, vtii quis quxrat cur feramur, non pofsimus aliter rcfpbdcre,
quam, nefeimus, fed fic placet: S ed en. quam ex pir^nrihnc ffricl^ni^in
tflir> s derj uare n p i. nione omnium prripf hnmin^^ivimiK Vfrnnrp j m 'i
proprie fortunx tribuitur, cum ad certas cauflasfvt pa- tentum conditiones ,
fyderumqj efficacitatem, quan- quam nobis occultam, referri pofsit, &
reputaturpotr- usnaturx bonum,vtipfemet a A riftoteleslib. fecundo rhetoricorum
fatetur. Attamen i. n r- y V .M Cn//r. s. & ipfa non parum fortunx cafi-
bus expofitafunt,vtanteadiximus. r EanunaJgiuirfi r] Pidtu rhtt. eap.io.
Recipiatur , id eft, prout fi- r gmficat iH nmnp fniiu noji fufr.iLg dnrr|jpi f
$c quod prxter omnem noflram.ratio- cinationem accidit, & hanc etiam
bonitatem compre- hendit: pi^apriejLcroiccepta, opes folum diuitiasqj continet.
Audiamusipfummctr p n * ris bona non ad
fortunam, fcdad naturam rcuocantur. Sic idem / Diuinus vir , ad
bonam.cQmmndamqifene- , ftnrrm efficiendam -
dnn con- (itum, id efl concurfus
calidarum quarundam , qux nullum int ca dignitate cqllo- r , ri ,, catum
uideat, qua; abopmibuff, r honoretur. Ac tandem ad Yir*. tutem conducit
mukum : ornat ipfam,inuidia: minus, expolitam reddit : multasqj illi &
prarclaras occafiones . pracbetTcfe oftendenda? patcfacicnd*qj ; quofane re-
afetrai, T7 j'e Tov V Ti Ti\OJTr,rn
Militi- itacy rnmimiaM tni'c ( 1 fionc infignes virtute
viri.pragceflerint np refle eft , anfe- quim genus nohilereputetu r. Hincillain
Homero fre quens Heroum appellatio, d nomine auorum vel etiam proauorum deduCta.
Et hoc ipfum clarius etiam in / ; i. . .
Rhetoricis hifce verbis traditu L/ J i-**- 1 . cap.f. n v 1 clt: tdteb dt tuy&uci r\ ctir moqm
riciTTO yuui , >j ttA#- tco >j , o 3 1 V / * r- 1 6 o D E VERA rum.g uam
b ad pofteros quafi per gradus delatam pro , Ibj Plutarcb. b, lib.br o E ri M c
UCri vo cam u s hy h^ mbii ex virtut *bus eorum ac diuitijs ^ nafci ? Sic enim
fe ftatim explicat Ariftote!es:iyt jSeuyevua, X, 1 *** r&j Et c alibi,
ivyweif y$ eirai Joxza-ivrif \jzs"tt^st T^oysvur r o s-pcl. uf . *" W
V lii-p mp ru f . fi eft antiqua? fi maiorum? fige neris? Sit ergo fccnntfi 1 *
ille nobilis , fed non proprie, non vere,non for m aliter ' .V-hic tertius, non
alius a pri- mo , nifi quod nobilitatigenerofitatem adiunxerit. Quorfum igitur
hos interfe comparare? Non fit com- paratio inter ea quorurii d diuerfa. natura
eflr : &com- i ' ( parabilia non fiint qua: genere Lib.j.phy. cap. uft. -i
differunt. Non-alio Certenomf- Lib. tolMetapb. ;a - a ' ne, in xquali &iulto aftimandb . : ,: V
"" V, V' n ' Politicos quofdaiiii & Platonem igni Rcrnp.
popularem vocaret optimam malarum Re- Tump. reprehendit e Ariftoteles quain
ifio. Sed nos-eo ren ertamur vnde dffi-pfcinlns. te Lik- 3- Ph Wx 8 . cerrum numerum .nio^im roh- \+.lib.cap. 2 }
:, J( a; ftiruamus, quo penns nohiledi. ' ... cipoiait. Diximus anfea nullam
fuifTc aliam nobilitatis originem, qudrn confenfum a tqs opjnionem hominum ,
qua:efi, ex bonis nafci bonos. At non plane concipitur ^p ir>;r> ev
vnqfqjp ; nct p ex dualius rrin nucum pnefertim femper recens memo- ria
humilitatis pro3ui, patris & aui lucem obfcurena- deo vt neqj ipii plane effe; boni , neqj
eorum nati exifti* nientur. Tres igitur vel etiam quatuor antecefsifleil - 1 *
-i Iuftres Google ' I N O B 1,1! T A T E . rit. Lex erat apud/ Platonem, vt
patris opprobria & & proauus capitis condemnati findent. Talis autem
cum fuis opibus, forte tamen excepta,relegari in alium locum iubebatur. Nulli
dubium, Platonem dum cul- pam parentum filijs imputat, eo refpicerc, quo nosin
nobili genere conllituendo fpedamus. Ncqj altius ori- go repetenda ;alioquin
uel Reges ipfi (vt Plato aiebat) ex feruis tandem deriuarunt.atcjj ex Regibus
ferui. & nulla cft planta quantumuis pulchri frondefeens & flo- rens,
qux radicem fqualidam obfcuramqj.non habeat, ffrmrinna ram autem ede claritatem
iflorum quatuor nSdIkjcfl^uaqj ? v t fit nimiru m patris, api, proaui, ah-'
aui.: alioquin opinio illa influentis in pofleros dignitii-
tiTacpra:flantiar,quaflin medio curfu intercepta praeci- deretur. Quodiplum
fignificauit Arifloteles hifce ver- bis : IfioiuS x Iutd tamen uel ubiqj nobile. Nos in hunc
modum rem planius decidi pofle arbitramur. Nobilem extra homi- num focietatem
fiquisintclligat, is plane fitincptus,vt ex fcquentibus conflabit magis. Hac
focictas,eft uel fa- milia, vel pagi, vel duitatis : praftantifsiina omnium
Ciultas cft : hac d finis aliarum, hac feipfa contenta , ex UlUb.j.fot.ut.e.
kmilijs nepe, generibus ^ pagis. Gi.pol.t. qite perfeci* copiofaqjvitagra- _ *
tiainllituta communio. Iirhanc qui pl us conferunt, vt poft dicemus , illi
fufpiciuntur ac pr* alijs coluntur * & multo etiam magis fi dc integra
gente. r ' 3 i e r * 4 D E VERA - eente . fi dc omnibus bene promereri e
pofsint, xzsrw* . /O ~ V .*/ - , Gokn
to frarraf tviroteif. [fl Ltb.i. rbtt.cap. p. / ~ > v . . . * V - ; i ; Atqj / alibi, f TAT ** txn t at* c/j j|,w '
mi KM To 7 ^ T6* Afcorigov to T>jf 7roMut Qcuvitcu v&j Ad6V k&XKm aTn fliriMiran^fri fVpMc
nr>hi'li r A*. p \ j* fi w+w* rm I 3
NOBILITATE *5 'V J 5 R garis nobilibus fiet, quorum maxima pars in pagis atqj
oppidulis obfcuris degit? Et fanc fi patriam nobilitare dicamus , in dubium
controuerfiamqj vocanda erunt ea, quat de natura nobilitatis antea propofuimus.
Au- ger mmen tori enm mpndnri ruiQhilir a rrm ded necp hoc perfe: quo igitur
modo declarandum. Ariftotclesin Politias cum deiure,quodin uarijs
Rerumpublicarum Ipecicbus ufurpatur, verba faceret, ait, * omnes iute Za 2
s.pol.cap. 6 , quodam niti, & ius quoddam l.pol. ctp. i . pro fecitarc,quod
tamen in qui- busdam non eft arrX 5 fiue
-nap illua Mia/cji, quod kw- tfog iuftumcft, fed duntaxat & tx{#t t/v-' :
quo b etiam modo Oftracifmum in IJ ./.9.0*10. deprauatis Rebufpub. JVkctro/jef.
, fe fatetur, & Tyrannicum quoq* imperium sxep tj ' I lis ius \p * 317 66 D E V E R A lisius
illud quod irv.p 7rXw & fecundum naturam uo- catur, deduci potc^,& quo
nobiles -nana^ non do- lum 71-015 cturolq haberi atcp appeilari debent. Barbari
verd gens (quo nomine c omnes qui Europam tenent, fcdGrxci potifsimum excipiun-
EO Lib. 3. pol. c*p. 10. tur)quia in hunc finem non con- ucnit,quod ex cius
vita, legibus, inftitutis,moribus(^ fatis cognofcitur,idcirco non pro* prid 7
toAt/k -nominatur, neqjiurc quod eft aTrXwg, ... ,
&plane(ccunduranaturamuti- toj L ib. +. pol. +. tur: omnia nanqj &
ftudia &a- ftiones ad id refert quod pro- pofitum'habet. Et fan qualis
eftpriuata barbarorum vita, talis quocp Help, eorum ccnfcnda eft : h yot/p a 7
ro- Xrs(ot riq isi TCoXiw;. Vtri- \ pol. cap.st. ufqj caufla eft J ayvoia rs
atqp huius : quia uirnlrlfin E nonpcrfe&e, & non talis qua: ubi * que
ha- r Tf 1 .* .V v/ l? 1 * ap- Zml m. ^y.vj m: H/.T- .j^r, 41* T 'i I ' >il .-i^| 1 -43,* A (j * Mfft' i
NOBILITATE. 67 * , * k* * % . . 3 ne
haberi pro virtute atq? in admiratione & honore ebeat. Eft, ait Galenus,
ciufmodi nobilitas moneta s fimilis : qua in illa v rbe ubi cudituc-prob ata
elt, apud alias gentes .pro adulterina habetur. Omnia igituTad virtutem atqj ad
ipfum houiinemlandem redeunt. Quod ipfuminfimilifercpropofito concludebat hifce
verbis g A riiloteles, onty de riro Aeywvn, ddew atiC j r /i ' ytfi 6 Asut/g ov yjtf rtf tvyivtif j
yvfH irfof r .. ctyuV* r > xcu odO/oy
y (*r,T>;g> i?* ^ Ia' Ee if -1 . 41 *
*4 ' V H 316 D B VERA Curri Tymodemus Aphidncus Themidodi obij-
ceret,qu6d propter nobiUtatempatrix, non propter virtutes proprias a
Lacedxmonijs magnos Honores accepiflct,rcfponfum ab illo habuit, Ncqj ego fi
Aphid- neus eflem, tanta virtutis mfignia fiiiflbm confequutus, ncq? tu, fi
Athcnienfis. Importune autem quzruntboc loco nonnulli, an liceat Nobili ex
duitate m pagum fe- cedere,vtiriGallijs, in Germania, in Polonia,in Vnga- ria
fit: Quafi vero uel idcirco Rempublicam deferant nobiles, vel in pagis vt ferui
& rufcici,non vt domini degant In Regijs Rebufpublicis contingere iltud fo-
lct: cum prxfcrtim hodieillx (& hicabufus quoque in- naluit ) non amplius
typo & forma admimdrationis, fed magnitudine regionis adimentur. Propagatis
itaqj ditionis & agri terminis,iam non vmus vrbis, fed pluri- um , cum
magnarum tum mediocrium & .minimarum gubernatione, Regium imperium
definitur. Quod u- num ed quidem, & prxeipuum penes ipfum Principem, cx
multis tameri quafi partibus condans. Etenim cum ds bene iudi care, duobus item
pedibus totidemq* ma- nibus non fatis apte agere ipfe queat, multos multo- rum
oculos & pedes, multasq* manus & aures quafi fa- cere fibi cogatur.,
Condituit ergo magidratus,atqpim* perij, eos qui decp i. le , neqj ab imperio
fuo alienos ge- runt animos,quodammirif. A tqj, u. ** t v ? - r r 1 j. XxonrhVTtoisiid
ciuyaVoi.etXb. Infrag.dtnobtl. ... r , /
/ r * 01 tK 7 r ctXcti TrhHriav tj tJtxaAat iyaQuv ivytvHt e* Qjrod tlmen
dextre accipien- dum cft. Ppidepini tlinirjr nim gfr t qnnrl rnnVf iltrjnr i
tot lapientibus inculcatum diximus, & cui fere niti* Cur tota natura
nobilitatis ?cofcntarteum efle nimirum ex melioribus nafei meliores ? Rcdriimt-nc
dinili-g na- tt } ma ^ ; gnitudine, & pulchritudine excellentiam s fi
prsrfcrcini hic omnia certa fuerint, & omni periculo uacua, atqj adeo vt
eorum ufus 8 c proprietas in noftra potcftate : * r - pland * 32 0 7 * .6 H VERA plane fit. Quanqiiam fi
magiftram omnium naturam audiamus ,/ diuitixin ufu potius ipfo, quam in poflcf-
Ytl Tbid 1 rerum eipfmodi conliftere Er
1 , dicunrur.PorrodcHonorepIu- * 1 J -P
ra quidem difputata funt ab a- -lijs, fed quxdara inconftantcr, quod fe
ad omnium fen- tentias vno eodemt^ tempore accommodare uolue- fint: Vna
&fimplcx Veritas eft: hanc (equi oportet: & huius retinenda gratia uel
fua etiam decreta, nedum prsccptorum afnicorumq* tollere, Philofophi eft. Nos
igitur, quia locus id poftulat, totam rem, fed fumma- tira, in praefentia
proponemus. Et verum honorem.c fe , quod eft virtutis pratmium , libenter
concedimus^ * g t 9 8cjrJ yx/p 0Xop Tipf : praemium inquam, id eft, * maius
illud quod virtuti deferri fg] 4 . Etbic. cap. j. > queat : alioquin virtuti
vndigue 2. Et hic. cap.i+. : rit ,
Honorem efie virtutis teftificationem : quali ftatua quamuis muta fit, minus
tamen teftetur merita quam, narratio. Si metaphora difplicuit.habuitmulta qua*
ia quouis etiam fapicntifsimo feriptore
reprehenderet v & in leipfo plurima. Falfum n cftquotB*el tiones,
afiurrc&iones, praelationes , fieri ad exemplum,. , nadpraeo [] S. ttb. 14 . v.. elogia, pradica- 1 | non
ad pramium. 4 Honor quicunm fuerit, nifi fit fuca- \ tus , indicat bonam
exiftimatio nem , & confequentcr affert fe- cum tefiimonium virtutis, cius
qui colitur, atqj vni co-^ , Tentis officium ,quod eft quafi pretium fiue
pramium > V quoddam, quiadebitum. Sed reuertar ad priora- Ho-p4 noris
partes, uel dito~uelfa&o comprehenduntur, j Fa e g- nerationes,vtoleaftcr
in veteris Graeciae certaminibus, & coronx , qux Romanis militi- bus
fortitudinis caulTa dabantur: pra?terharc,Barbarica quadam, qbxfuntferuitutis
indicia, qualianuncetiam immanis Turearum natio in Rege luo colendo feruats vt
abijeere fe ad pedes , uel adorare, & ck , id cft, cum illius quem honorant
quaft numinis cuiufdam confpedum ferre fenon poflcoftendenrcs ,uel faciem
auerttmr, uel longcab illo fe proripiunt. Dido autem honores, funt,
laudationes, tum carrhine tum foluta o- rationeconfedx. Hx funt honoris partes
:qux tamen haud funt omnes ciufdem ponderis: alter enim altero honore
eftaltior, prout etiam gradus bencficetixfunt uel magis uel minus ampli, quibus
honoris gradus pro- K 2 portio* 7^ 8 V B
R A portione reipondent: arqj non omnis omni tribuitur. Multis affurgimus,
quibus non erigeremus ftatuam. Maximi autem eorum qui hominibus gionccdi debe*
ant , ij funt , qui ad honorem Dei propius accedunt . Qyxftio tamen eft de
Magiftratu , an Ut in partibus ho- noris collocandus. Ariftoteles in tertio libro
Politi* Cai> t eorum id affirmauit. Idem ta- ri, r/h i men libro quarto
JNicpmachi* ^ ^ * orum dixit, cu yS Juvctruat tyt/ i 7rXxr{& 2J& 'tiw
ri/tltu enr cuprei : qua: fi uera fint, dif- feret fine dubio Magiftratus ab
Honore . Huc accedit, quod idem in libro rhetorices priore, honoris partes
enumerans,, magiftratum omittit. Facile eft reconde- re. Cum magiftratus
mandamus , non id potifsimUm ft>e&amus,vt noftram opinionem de illius
qignitatein- ' dicemus , cui committimus t fed vt ipfe legum fit c cu* w 3.pcl
. . U 05 *"? adm,niftcr : v ' P r ? no- r bni rMb io his vigilet :vt pro
noftra falutc _ * laborem periculumcp
fufeipiat. Interim tamen oftendimus quoqj , nos de illo bene exi* ftimare : quo
nomine iure conqueri potuit Achilles de
Agamemnone, [] 9. lliad. furio-opai , of /* aritytihov cr ^yeioirif tpfctv
arfelfar, urei ni ari fitjrcf fitretrcirlu;
^Sic, Magiftratus fi non fimpliciter, faltem aliqua ex par- te dici
honos poteft. Idem dcmuncribusaffirmarifo- let: Afferunt commodum, atcpvna
honorem, 5 ii Cfl 1. rket. cap. j. Mx$ d ucl tu- r , iTo|td, omnium nempe rerum
C faluti nempe inco- lumitatiq? dandi ucl confcruandx , quidam ucilia,& hxc
uel magna , vt diuitiarum ,& alicuius exterorum bonorum , liue fint animi
,iiuc corporis , fiue'cxterna, -cuius non fitfacihs comparatio , uel parua ,
qui tamen propter temporis opportunitatemaut loci commodi tatem magna
illimentur, b -ro/boi yo op ^ V r / \ / 1 _ yerveramt , i> dtwttutvei ras ro
Mif fj t a tVj tvi^ytreiPy eniyxafcp Tijf rifiry retura' Non tamen adeo iuftus
hic honos eft cum inuitamentum quoddam magis , quam benefica: virtutis
teftimonium&compenlatio fit. Summa igitur honoris,de quo nunc loquimur, ad
Virtutem ipianij quafi ad caput redit : non eft enim beneficentia mfi vir-
tuofi viri proprium, a en ii tnftgycv
tup M 1 r - ayaQur ati^ut l quapropter ali- ti;! S. abii. m/. 14 . hi coniun
gcbantur, b t7j $ ^irifr (e tvtgytrtaf *i Ttfitij ye^af. Ex his cognoicere
fatis pofiiimus,cur diuiria: honoren- tur : funt enim Honefta*, quia Honefti
efficientia, item ligna t atqj ad adiones honeftas ncccflarix. At Honefti
folius 32 4 8 O DE VERA fblius uere honorem ede & diximus antea ex
Ariftote- lc,& nuncetiam repetimus his verbis, cKctha. fi Wit 0 1 * rt. 4 i AU. f't ' tvS $* 3 * T V ne - . t b . et** yvmrtTcu Teis
vr?a,arip. * Non poteft clarius id nobis
dici, qudmcum honeftum definiri audimus honore : atta- men idem d
alibinonminusexprefsehabetur. Eodem o igitur (vt rem tandem conclu- Y . ^ ' damus)iureadnobilitatcmdi- uitix faciunt,
quo ad honorem. Idipfum fentit e Arillo- . - teles, cuius ifta funt, tas fi
w?or t e * tzW bhvyA^xiAf /xaXKov t
iuQetn kaKhv ^triKfAriar : caufTa exponitur: 2 J& fo jta&op zrAifftAP
ivyzvuav rolt ivTcguTegsiS ' . Atxfixcthxc ctya&xs nforctyogivo-iv. Et
paulo pofl, y$ zfa^a TO~f ei ivTrcgi rui kaXuv k hycb* iuv foKVrt
xtrt^^^TsjX0i> i mag.mr.c 4 f. 3,
tcmMnc % h ^ , cciienti! [7] Vide 1. NTcom.cdf.il. quardam ac diuiua bona, vt
fci- j. mag. mor. 3. 6. eritias felicitatem^ , pertinere iMdEudtm. 1. z.
inquit: in quo etiam fibi no con- ; ftat: nam aliquando, vt fecundo libro ad
Eudemum-, fcientias' etiam laudabiles j>onit, wr aiiZpSj) yctQ ob ftovop
roi^ * p.jf 9 A jVM i!V Vr|f tVn M
litkjk > m- ' h a - NOBILITATE* S $ uendicare: in Oligarchia diuitiarum , in
Ariftocratia virtutis excellentisnominc. Vtrunque habent, quan- ti uatg vtroqj
non per fe ac proprie conftituaturnobi- ii$. Generis & antiqua virtus per
fe nobilitat : diuitijs id tribuitur, quia virtutis cauda & lignum ede
folent. Sine / dubio igitur nobilis vt nobilis in Ariftocratia & Regno plus
iuris habet, qua in Oligarchia- quod ipfum placuit Ariftoteli quoque dicenti
Oligarchicampoteftatern 4] 4. pol. cap . etiam Arillocraticam appellari, f//.
*o- &*- quia diciplina & reda educatio locupletiorum foleant magis ede
comites. Subfcri- bam vnum ex multis eius locis , tKaQctTnf 5 v arepeny
(Zanhelet, reraxleu xatoltIuj a^ex^xrlaf. nar aiavy$ far ij xar' ij xata yoarr*
Vbi audimus quoq^ inter propriam generis^ virtutem , id eft, nobilitatem,
exprede diferimen poni. Et alibi dicebat, no multas ede relp. Ariftocraticas ,
plurimas autem Oligarchicas De- mocrancasqj, quia nimirum nobiles &
virtuoil nufqua multi reperiantur* diuites autem pauperesep fint ubiq* plurimi.
Quoniam ver6 non poteft ipfa per fe no- bilitas cum propria virtute conferri ,
vt ex o&auo capi- te libri tertij Politicorum fatis colligitur, idcirco
miran- dum non eft, fi cum de Regno, Ari ! flantia dignitatecj} rerum
afficiuntur, aliam hanc hono- i ris cauffam , & quidem maximam
iuftifsimamcp agno* fcunt. Sic Ariftotclcs Theologiam reliquis omnibus v -
fcientijs,quantumuis vtilioribus, honore dignitatecp antecellere uoluit: ell
enim immenfum quoddam bo- num: ac proinde honore dignifsimum. Sic Epicurus, i
qui Deum nihil agentem, rescp hafce humanas non modo non procurantem , fcd ne
uidentem quidem in* duxit, eum tamen dignum arbitrabatur , qui ob natura; .
prxflantiam hominum pietate coleretur. Pidorcm eti* am egregium, nobis tamen
non fruduofum honora- mus : quanquam & ipfe frudum quendam , quod no- ftram
nimirum imaginem affabre reprifentans,quafi veri noftriprxfentia apud pofteros
nos reddat inimor j tales, tum iucunditatem mirificam, voluptatemcp af- fert.
Tertiam dubitationem hydra; capiti fimijem efle dodi quidam merito dicunt :
Tanta nanqj iftorum vo- cabulorum varietas tantustp abufusefl apud Arifiote-
lem , vt uix vnam illius partem diffoluerc queas , quin ' multarflatim aliae
quxftioncs exoriantur. Et quamuis m ulti magni qj viri de honore fcripferint ,
illorum tame nemo hadenus fuit, qui explere mihi animum fatis po- habitum ipfum
proprie pertineat. Sed huic fententi* obdat .1 4 N O B I L X T A T E.
obftatlocus,quiin primo e magnorum moralium Ii. W rMh . bro legitur, ta ivamTA
olor ' . * . s : a rro y> xat urar orfApjuy ytvircti-
qui locus omnino quali e di. ametro cum lententia commemorata pugnat. Didum
nanqjpaulb ante fuerat, ixw rjf *i \trii rifuori caufla expofita, 'otav yt att
Avrrf aru^cti* rU yt\TAi Honor igitur habitui potius quimadioni,Iaus vero
contri tribuitur. Similis d huicarqj repugnans adhuc . . . magiycft ille alter,
eoraive/l^f Afit- f TJjf ta t gya , K&ta iyy.UfA.iet TUf igyw: Sc (equitur
: ksh ftQetwnAi ei ruceemr id e fi, opera, a?ik ei hwAfuru nxr, id eft,
habitum, f**i n * kvvtk h. Item tertius* t ixee /f cx rur irfetfcfup i tVa/-
rof : Ji tu arujctiu & c. Ne , ex quibus ifta Laudis definitio extundi
pofleiftis uidetur, non aliter funt ac- cipienda , quam libro fecundo ad
Eudemum accipian- tur. Deiftopofteauidcrimus. Deinde cohortamur cum timemus ne
quis de reda via virtutis ad vitia de* clinet : laudamus autem propter
yirtutjis habitum prae- fentem , & propter ipfa iam prxclare atqj egregie
lada. Sic Ariftoteles rede 4 dicebat , iirv t7r* Arrtr , to ^fcajore^cv ij
^xtj. Et / alibi. A>;Acr o [/j Lib.i.S itom. capi n. r "^ w ?*j t iw
iv$. En**. u f . .. T, t ** Si a ?*
*" L r 009 ovtQ^ ii$ to thvro7iog b autem & pw>tcc$w7jw$
laudem continet atqj encomi- 1. rbn. cap. y. um , ficuti etiam tu^ctrpLoiMot om
nia bona in fe claudit Cum enim aliqaem p radicamus * * ' feli* _ NOBltlTATB. 91 V r. .* n b ' ' s
; pri : , i ' lV- *'-* ' hfW- Vrf" 8 BUt P s feklr* ' * : > V
1 - ' nobilitate.' p7 licedasmones b ab Ariftotele , qui virtutem
vhftorid , . tanquam fine & potiorc quo r ? , ca P' 7 ' dam probarent.
Ncgocium i 6 c [ij 7./o/. 14. (f cap.t. bellum orij ac pacis caufla fufci- *
piuntur, ovx wq ri\& 3J3 Vs i pS D
H E It A quamqt virtutem &
vnumquodqj vitium. Docet itaq* lex quia agendum & quidfugiedum .ncquifquam
prz- texcre ignorantiam pofsit. In ea itaqjnoniolumafti- maduerlio & mulda,
fcd ipfum praeceptum cft confide- randum. Illorum x refpedu neceflariam ex
politione __ . & conditioneritcmqj virtute po- . 7 '* ! , fteriorem uocat Ariftotdes le- gem, non
huius, quod (impliciter neccflarium eft. Qpanquam lex non eft neqj dicitur,nifi
prout cum mo- rali praecepto vim quoqj & poteftatcm illam (ecum-af- fert,
quam expopuli confeniu , longae^ a confuetudine accepit. Nem aliter accipiedum,
C *}t.pol.6. .. quodabeodcmmagiftroeftali- itl bididum,* Leges nempe, iuftas '
efle per accidens, quimqubdiu- ftus per fc is non fit , qui ex legis mandato
atq? imperio potius, qudm ex habitu iufta faciat: quem tamen * ha- r .. .. bitum uult ipfa lex inducere, fc] 9. ethic, c*p, ulr.
, r . ^ ... - % 1 Legem nunc mtelligo , quae fit a principijs honefti duda ,
naturxcp huius vniuerfiratis monarchx omnino cofentanea .Et propterhominum
imperitiam flexibilitatem^ , difciplina quoqj de mori- bus , & prxeeptores
morales indudi (unt. Quo magis mirari nonnullorum temeritatem fubit , qui vt
Politi- cam de legibus deprimerent, eam non efle (dentiam- demonftrarunt: quafl
vero ea quz de moribus cft/cicn- tia dici pofsit. Sed de iftis alio loco : ad
prima nunc re* deunditm. Ne quis edam nos reprehendat, quod pri- mas
nobilitaris partes Poliricx demus , quam tamen tertio loco enumerauimus :
Naturae ordinem enume- rando fequuri fumus : nafeitur enim Politica &
compa- vf* - - ratur a: w N OBIIXTATE. 99 v 4 -. ,Tit' . mu& m 4-r* t ; * AjW) i
WtJ-* Pff |fe ^ - 'i ! pii # *>':?!'
2lV i' V* V i OgjC .Wi| Ktr tatur ex
Phyfiologia,vt d grauifsimis Ariftotelis
in- terprctibus declaratum cft,atqj C] Jluer. Shnpl. i a
nobis hac alia ratione potiet in frti.phyf. przfentia montirari. Prudenti am
e(1e quali ancillam & mini ftram Sapienti* didum ab 4 Ariftotele fuit. Sed
in eo famulatu , duo potilsimum mu-. 4 ]
1 . magn. morxMp.uU. ncracius cernuntur. Atri entis vnum, Prodromi alterum.
Illud ab eodem magiftro , fatis eft in magnis Ethicis defini- tum : Hoc, paulo
obfcurius in multis tamen locis, ac prxfertim in quinto Nieomachior. libro
tigniticatum. Prudentia ipfa eft, qu* de rebus Homini timpliciter bo- nis deliberas,
nobis quafi nunciat alteram poftfc virtu- tem digniorem, id eft, Sapientiam
effe : atqp hortatur 8c imperat, vt ad eam tanquam ad proprium przftantifsi
mumqj hominis finem totis animi viribus contenda- mus . At qui poterit
Prudentia, Sapientiam tanquam fummum & proprijfsimum hominis finem fatis
uere re- detp difpicerc , & nobis patefacere , niti prius fcientii illa,
qu* de hufflan*mcntis natura tradat, quxqj po- rifsima maximaqj Phyfiologi*pars
eft, h (:Cfcp oiop i^P-) beni fuerit confirmata? Hac etiam de re memini me in
qua ftione de Habitibus copiofe fatis egitic. Porro cutA Prudentiam dicimus, no
folertiam & lagacitatem quan dam natur* dicimus, fed redam & bene
cogitatam ra- tionem, de ijs rebus qu* aliter fc habere potiunt, & fub hominum
adionem cadunt. At resquzfubadionem ijiui - Ni cadunt. 160 D 1 V B R A cadunt ,
fingulares funt : Primb igitur offerantur fenfi- bus: inde excitantur femper
appetitiones,/ E Fidciufsio , & his fimilia : Secundi
'generis , vt furtum, adulterium ,fcruialicni corruptio, talfum teftimonium,
cardcs dolo commifia,& huiufmo* di alia, quz clandeftina vocantur, item
violenta, vrver- bera, vincula, mors, rapina, maledicentia. In emenda- tione
autem, non hominis meritum, fed iniuriz magni- tudinem confiderare, zqualufc
damno compenfare, ius eft. Ad hanc Virtutem Equitas refertur, quz eft luris
legitimi corredio quzdam. Corrigendi occafio nafeitur ex legislatoris culpa ,
quanquam ncccflaria; res enim agendz infinitae funt, & infinite mutabiles:
przcepto ita. 6. t ripi ovt ixo&op- j \ Atqj ri- * t. le :v. i 4 r V
NOBILITATE. 107 rjm .4 ' Atqi * alibi
dicebat , honorem , non virtutem , fcd vir ... tutis excellentiam indicare, xol
. [] Iw .cap. 9i . xIkk tvj Ti/xi TWp Ka>wj) : a/ffra t yot% aKji cc^th^ to
7raTot viiroi&p, & , . ^ quid ab
homine illo expedes,* Pt rht. ca P-f- qui vt audiorfiat vno quadran- to 4- w
/c, 4* tCj non p arC at amicifsimorum vit* ? Aleatores , graflatores , latrones,
non aliunde fi- unt qudim ex auaritia. Temperantia item, qu* Reginae omnium
virtutum Prudenti*, cultos ell: ac proinde 4 Gr*cis rwcpeocrtttw redifsirac
appellatur. In illis quatu- orpotifsimumfitamcflc felicitatem, d alibi ab
Arilto- tele feriptum ell: ab illis igitur Id] 7. pol. 1. quatuor potifsimiim ,
Nobilitas quoq* oriri poterit, & conferua* ri> Atque de caufsis
Nobilitatis hxedida fufficiant. O a CAP. 3 40 1 . lof DE VERE CAP. XII De
dtuidone Nobilitatis, nonnulla: Chrv Aiana nobilitas : Phy (ica : Ciuilis:
publica; priuata: gradus ' ' nobilitatis.
;i*n- A Ge nunc fi cuti initio polliciti fumus , de fpeciebus eius
annotemus quzdam. Sunt qui d
iuidant in r;hpf>ianam ik>1 Theologicam, Phyfiram , & Moralem. Et
re&e quidem , non appofite tamen. Non eft Chri- ftiap^ virtus nerp
roncipirnr h*rg gliraria. (qirod ipfum eft ver' nobilitatis fundamentum) fcd i
patre lumi- r n TitmU 1111111
defcendens, cuius pura bo- r ji . r * nitate ac mifericordia nobis ad-
l4Ji.Cr.Mf.il. eft. Et in fummi, 4
fpiritualia, non ratione, non natur, non carnis opera comparan- tur. Deus eft
qui ea largitur, ac pro fua meraliberalita- tediipenfat. N " n mn fanffivi r K honorem rrcgi- mus, ac pr
yferrim Fcclefor paftorihns atq* verbi Dei tniniftris :vt alij dum fufpiciunt
eos , noftris commoniti laudibus, maiore in pretio exiftimationeq; habeant,
attentius audiant, diligenti usqj imitentur. Et omnino, fi non ipfis , qui boc
non morantur, (fi fandi fin t) fum- mi tamen Dei donis quz uidemus in ipfis
collocata honos & quidem magnus eft adhibendus. Patres no- ftri,ficubi Deus
benignitatem fuam quocunqpmodo dcclaraflct, aram ibidem erigebant, ucl aliquod
aliud mouu- ' C' l [fit] DOIItlTAKi lop monumentum ftatuebant,& nos
prarclara Del dona, in homine, qui prarftantifsimahuius vniucrfitatis crea tura
cft, non venerabimur ? Dc hoc itaqj non contcn- dunt nili perfidi &
refradarij. Neqjdcillo quoqj : inpo pulo Dei familiam quanqj.fuas habuiffe
genealogias, quibus in capita tribuum duodecim filios Ifrael, fuos maiores
reterebant racproinde t Apoftolum nobilita- r,i aj tem Uraelitarum quafi
celebra- M y" .em *,. turum djx . fli _ qJ. funt ](r4a> quorum cft
adoptio .gloria, legislatio .tcftamentum, cultus , & quorum funt patres ,
ex quibus eft Chriftus qui eftfuper
omnia : Hxc inquam vera effc fateri opor- tet , nifi certos ac diftindos gradus
hominu , generum, conditionum, munerum.dignitatum.conuellere pland velimus. Sed
& verum eft illud quoqj, Non ex ifto ccetu hominum, Nobilitatis vocabulum ,
quale vcr ac pro- prie ufurpatur , effc natum . Huc enim refpicitillua : in
Chrifto Icfii neqj feruum effc , neqj liberum , neqj Grae- cum, neqj Iudxum,
neqj Barbarum. Hocfi habeam.fat habeo .quo reprehendere iurepofsim eos, qui
eodem 'genere eademefc definitione vtramqj Nobilitatem com plexi funt. De
Phyfica divimns anrea : Perfedior eft fi- ne dubio adio & vira illa qux
Deivitx fimilioreft, vt contemplatio: fed nori reputatur ab ijs qui hominem
confiderant i natura fadumad colendam ciuilemfo- cietatem, atq? maximum hominis
officium ftatuunt, hancvnam iuuare. Magna tamen audacia lftorum quo- rundam
cft, cum dicunt, Deum quocp non dormirc.fed agere, & quidem afsidue fine
labore, nunquam defefi- fom : ac proinde ncqjifto nomine, contemplationem,
adioni prxftarc. Non intelligunt, hanc vnam adionem O t ; Dei / lio Dl V- B R A Dei primariam, & qua
fbJa^itamviuitvndequaqjper- fedt 3 m & beatifsimam,efle,fcipfum& in
feipfo omnia -intueri: cuius pofteacppfcqucns altera eft& fecunda-
Tia,immenfa videlicet atip incomprehenfa virtutis cius redundantia
foecunditatetp ccclum moueri , orbemqj terrarum regi gubernari^. Et cum etiam,
Contcmpla- - tionem adionis gratia e(Tc dicunt, non animaduertunt fpeculatiuum
& adiuumicftipfbs habitus inter fc com- , , . . . . . muniter,& cum ti.
g. Medicinam Vtdt pro btt. iAuic. m- . j n p artcs diuidunt,xquiuoce ae- rio
log.Scot. 6. met. q i. Hiccnim funt accidentales, ibi eflentiales differentix.
Non efleaute eafdcm generis ac fpc- ciei differentias .aiuidentes nifi fortafle
eo modo quo * Galenus dixit, quisignorat? Nihiligitur mirum, fi cum Theoria
Medica uel Politica referatur ad praxim, in proemio tame metaphyficorum ab
Arift. didum fit. Scientias contemplantes, non alius fed fui gratia efle. Alij
itaqj J nobilitat e m Pnliriram in dnn genera parti nnmr ^ PnKliV^m.-Xr * B VERA teles : nec merainiflc quoqj potuit,
fi fibi ,im6 verb na- tur* rerum conflare voluerit : aduerfiis eam fupri fatis
. eft didurn. Non diuidcrur igitur priuara Nohiliras t ni- fi^rn ratione
maioris,, uel minoris, veruftioris , ac mi. nus vetuft a vi miris. Quanquam
enim fola antiquitas nobilem non faciat , virtuti tamen & nobilitati multam
ornamenti ac maicftatis addit. Facilius autem & mi- nori cum odio aliorumc^
inuidia, vnufquifqj nobilis, propriam dignitatem adpropofitas a nobis antea no-
Dilitatis caudas, exigens, ac trutina veritatis pondo rans ,.gradus iftos ipfc
per fe reperire poterit & confti- tuere', quam vt id i quoquam debeat
cxpc&are. Haud temere fimul & femel dixit Arifloteles , Nobilitatem 8c
virfttrem A multis verbo uflimari. nui aurem reiiers /7 ne difputationis
ultimum caput , pergendum mihi efTe um video. , - Proponuntur praecipua?
quarftiones qua# tuor: An maternum genus nobilitet , 3C quantum: Foemina mare
non calidior; Non eft monftrum : Habet fuas virtutes. \r Mui- MO BIIIT Axinum
curam in definiendis rebus adhiberi de- bere fape diximus. Ea enim vis eft
redte conftitu- ta definitionis , vt omnes qualiipnes difloluat , atqj ad
exitum facild perducat. Id nun^in propofita materia verum efTccognofcetur.
Multa abtem,quanquam ma- gna|cx parte fuperuacuaquaftiones huc afferri ab iffis
ioleut: Illae vero non contemnenda:: An ex materno flenere ducatur Nobilita s :
An fplum nafeatur nob ilis, n on autem fiat. An Nobilitas pofsit amitti , An
mecha- nica artes & quadam alia iftis finitima,nobihtati dero- gent : ad
has multa alia rcuocarf facile poflunt. Nos itaqj de vnaquaq? iltarum
(igillatim dicere in hunc mo dum aggrediemur. Arilloteles citato fapius ex
rheto- primos duitatis auctores muures rume oporrcr,auc virtute aut opibus, aut
aliqua re alia qua honoretur, fic etiam in priuata troXkUf 'nrityaurHf cx tu
yuue , KJH * K&ytujcuxeH. A ntea vero dixerat Euripides, 1 I*o. J Et Poeta
Latinus idem fentire didetur cum de' JDranccloqucnsait, [/ XI. jEntiJ. 1 ] Grnm huic mattrna fuptrbntU His H4 DE VERA
His tamen fiar nhftanf; Primo gniagarenf virtu^-. bus mentis ijicmmorales
perfe&as non habent* qua- lem igitur generi fuo fplendorem afferent ? De
primo latis conflat : Adulatur enim fexui qui dicit , Nihil pro- hibere, quo
minus fceminar, propterea quod mete prar- ditae fint,ijsq* organis qui bus
intelligendo mens utitur, & ipfae prudentes efle, contemplari, ac fcientias
com- parare fibi queant. Primum , temperies & conflitutio earum inepta cfl
Philofophi* fludijs,qu* fuqt ad par- tus 4 edendos alendoscp nat*. Vocatur F
ccmina mas _ imperfedus. atra efl ipfo b frigi- t. tconom. cap. j. jior, ac
proinde minus habet *AriR. 4 . de gen. ingenij > minusqi ualet facultati*
an. cap.u bus vitalibus animalibusqj, & Item 6 . de bift. cap. >+. minus
quora obtiner roboris : Calen. 1 4 . de ufu part. indicat illud , excretio
fuperua- cuorum,qu non cfl nifi a crudi- tate ac defedu caloris . Fallun- tur
enim qui menflruum ipfum aliud putant , quam pituitofio- [4] Ariji.-ig.de gen.
an. u rem a fanguinem , non perfedd elaboratum , fola quantitate in- utilem,
fola cruditate vitiofum. b Si largius flua^argri- t-. tt' >. * tudines
cueniunt : Sustineatur, t j tppoc. y. ap .57. jj . 3. aberrationem haturx, ibi
g 7 ra^*K 6 acrtug 71; J&ijAu yivi&ai 6 ^ fxi v, n cytp, fed fi bene
intelligas , non tam iniquo animo :! idcirco paulb poftjcnsncccffariumjcfre
dicit, a>?v auT*" pfyavayKctia th ] tl.it ufu part. cap.i+. acmafculus
habet, ai 1'xf tSto to ovra irtpLvop kB - ' cScgov j to Hoc tolerabile eft:
illud non feredum: multos focmineum fexum totmalediftis pro fcindere,comparare
colubris, leonibus > draconibus. Suffexus monftraimpietatis omnis'&
crudelitatis infi- nita noftrorum ac (uperiorum temporum non annota runt: vnius
autem uel alterius fcemmx nequitia tantum apud illos potuit , ut totum genus
famincum infedari atep exagitare voluerint? Omnino uera eft illa Philofo- 14} l
pol' tap. i*. phinoftrU fententia* Neminem P i redd 3 43 I V- X l3 D B V E R A
r^fic pofle deproprijs iudicare, qu6d affe&ionibus te neamur omnes. A
fccminis itacp& quidem expertis, de mafculorum conditione, moribus , ac
natura , iudi* ciumfuitcxpedandum,nonabaIijs. Si calamo aeque vti vtricp
fexuilicuiffct , longifsimd plura & indigniora de noftro audirentur : ynb
audiuntur : fed quia nofira funt> non tam afficimur. Axi (lorei es uero
nofter quan- quam c dixiffet. viros efle natu ya meliores . acproinde I ,
ipforum virtutes & opera efle 0 hrhct.cap.9- hnnfftinra.qii^pi
mnliermrt-ar- i* ma & mor ' 3 * tamen nullibi vniuerfe femin e nmfexurn
virtute priuat , quod intemperantes ifti tam \ libenter faciunt. Habet igitur
focmina morales virtu- t es. fed fuas giiafdam.&i virilib. imperf eftiores.
Non .n. /verum eftia quodAjitifthenes diditabat, eandem c(Te , A viri &
mulieris iuflitiam,tempe- ^ i 13' pol. cap. 3 . rantiam, fortitudinem : nam vir
f.pol. cap. . q f ort i s e (f et> vt fortis mulier, timidas haberetur
,& mulier garrula, fi fic loquendo modefta cflet yt vir probus , Hicprgeft,
illafubefl ; vni- - us igitur fpecici & quidem praeftantioris , viri virtus
at- qne omnino prudentia efi, diuerfar atqp minus prarftan- us, virtus
fxminxralioquin afferri caufia non pofiet, cur hic przeffe femper debeat, illa
fubefle. Differunt i?- tiimhycdiinmunerainterfrfprrif Fundamentum to- tius
diferiminis efi, finis uel op us , ad quod obeundum nati fumus, yiri mnam
parargj vyotis cuftodire. Ex-, fre rna cumpriuata tum publica pertin ent ad
marem : g fcemina fi extra limen agere uelit,& rebus publicis fe Igj z.
acon. cap. i. immi(ceat,iam non prudens, fed i, con. cap. 3 . audax , &
quafi afinus ad lyram 1 . fapientes alioruirntefiati fiut, - noftra tamen
tempora latis fuperqj declararunt. Sat habet fcemina,vndefibi gloriam
immortalem compa- rare polsit, fi intra limen maneat, ac fuae det operam ecconomiar.
De qua re tota 4 praecepta extant aliquot r Ariftotelisplanediuina.quarnos [ 4
] a .cecon. caf.t. jnanguftam hanc fummam con- trahere non fine caufla uoluimus
. C uret proba mulier qu ae domi funt: neminem fine mandato viri domu m ' ing redi ad Pe permittat, cogitans
hoftiinumfufnicioia efle iudicia, & nihil tam iniuri* obnoxium qudm fcc mi-
nar um exlftlmAtionenx. vcititu atq* apparatu minore fe ornet, quam per 1'cges
etiam liceat ; conliderans necp veftimentorum nitorem & faftum , neque
excellentiam 'formae I * A '; _ ' I * " ~ v,. .\ r* n*. i 344 0 iia
D B VERA formx tantum valere ad mulieris laudem , auantu mo- deftia in rebus
gerendis ftudiumqj honefle ac decori uiuendi ualent. Harc ipfa vera funt
ornamenta, quz du- rant & amitti nunquam pedunt, quarqj etiam ad pofte- ros
cum (umma laude tranfeunt. In rebus quse extra li- men fiunt, virum audiat:
publica ne tradet: neq* etiam, quanquam domeftica fint,propriorum liberorum con
nubia : harc viro deferat. Neq* enim tam turpe viro eft domellica procurare, quam
fccminar quae foris unt Quod fi ad cofultandum de huiufmodi rebus ipfa quo* que
, quiTmater adhibeatur . ita tanienTententiam fu- am exponat, vt viri opinionem
praeferre uc litfuae: Cer- ta fit,mores viri quafi legem i Deo perconiundionera
matrimonij vitarfuarimpofitos : eos igitur qualefcunqj fint, aequo ferre animo
debet. In aduerfa uel externo- rum vel corporis bonorurn fortuna, non minus
quam in profpera feruiat alacriter & iucunde viro fuorhoc enim excelfi eft
animi , & ad maiorem virtutis laudem facit. Ncqp enim Alccffcs neqj
Penelopes tantas me- * ruiffent laudes , fi cum fortunatis viris vixifTcnt :
nunc AdmetisSc Vlyfsis infortunia, compararunt ipfis glori- ' am fempiternam .
Omnino eodem modo femper erga ipfum fit afteda,nifi tamen turpe quippiam, vel
bono viro indignum commiferit. Si tamen quidquam ob ali- quam animi
perturbationem ille offenderit , ipfa ne ex- probret vnquam,fed aegritudini
potius atqj ignoranti* adlcribatquim malitiae. Sic maiorem gratiam authori-
tatemqj apud eum fibi conciliabit. A turpibus abftine- rs debet, in aliis aute
multo magis obtemperare, qudm fi empta venifTet iri domum viri. Et magno fane
pretio emitur, loeietate nimirum vitae,procreatione amri11 p ar tem foetus fpatre haber, non fnatr c. A h illo icitur Amapis & meliu
s, ah ifta nQjpnl- tma-nobilitatur. Hanc ob cauflam non b eundem ho- m ^ i .
norem matrtadhiberi vult Ari- . W 9; ab. c*]>. i. ^ ftotelcs V qui patri^
exhibetur. [ jiutw Si KctOetvip facit, i TTArav S\ycnv&/ oi zroAircti tup
ircSty, t&i oi crrtf ruy fitTApprup ,K&oi (P^ovifia a(f^oyer yrofaot
cAtyar. y> iixof i AijOft/wr rir iigypims tup imyueav. Principem autem e
comparat Ariitoteles ex , . Homeri etiam
teftimonio, illi, [0 3. K0M4 . c*p. 3. p
art j an jtns noftrs quae prareti & ' imperat ; & in Politicis Platonem
imitatas , ex numero ximum quippiam&
vcncrabilifsimum in terris erit. Addendum etiam illud : Princeps vel vi uel populi
con- fenfu& voluntate tenet imperium : Si vi, tyrannus cff,/ atq? omni
honore ipfc in dignus, nedum vtalijsipfebo- norem pofsit addere. Honoratur
tamen : credo, fed ab improbis, aut a probis etiam , metu indudis. Verus autem
& legitimus honos, tyranno non debetur; caret enim iuftitia, qua? Virtutum
omniumregina eft, & qua carere fine fcelere non pofliimus. Nec fi lufte,
fortiter, tempcrater agere quippiam uidcatur, continuo iuftus, fortis,
temperans eft c Artium & virtutum ratio haud r , fimilis habetur: qu* fiunt
ab ar- *** .t ( tibus, perftdionem artis in fe gerunt inclufam : Satis eft
igitur ea certo quodam mo- do conformata effici. At qux ex virtutibus aguntur,
non fi ea cuiufdam modi fint , iufte aut temperanter a- guntur,fed fi is quocf}
qui agitww Vxf) 'n^ajfn^Ac pri- mum quidem fi (ciens : deinde fi confifio
propter ca ip- fa capto : Poftremb fi firma, perpetua, alacri & conflan- te
voluntate agat. Tyrannus autem non eflfic affedus, fed fimulat probitatem
pietatemqj , vt animos homi- num (ibi conciliet, ne fint i fe vel ab imperio
fuo alieni : atep in dfumma agit omnia, vt de fe faciat opinionem ' iuftitia!
temperanti*, non quia C J f fo / reuera fit talis : Sic Ariftotelcs cum
prsccepta tyrannidis coferuandar traderet, inquit, JSo cu vt&au toH
al&oiq PiaQivyep . Si vero confenfu populi teneatur im- periti m. aut
fortuna faflum id crit .aut ele&ione: & hac Vfl hyreHirariaj nrapiid t
Lacedaemonios . vel non hg- tc, uel fine : fi illud , iam verus & legitimus
princeps eft, cuiomnis honos adhiberi omnis oboedientia praeftari prompte &
alacriter debet. Talibus principibus Euro- pa noftra per Dei gratiam nuc
regitur, (iam enim mon* lira illa vt Nero & Caligula perierunt) y ir. tute
iit ut apud Afiaticos & Aftricanos
efle nunc folet, tyrannicum erit imperium , quia cum iniuftitia.con- iunduna.
Nam qui plus recipit, quam iibi conueniat ac debeatur * quanquam iniuriam
facere non dicatur (hasc enim / volentibus non iit) iniuftus tamen ipfc eft.
Vcr- iuper quxri folet, an qui propter merita fua Principis teuimonio fadus fit
Clarus, in maiorehonorcqiram Nobilis haberi debeat. Facilis eft refponfio.
Magni fit atep honoratur Nobilitas propter virtutis opinionem. Virtus igitur
omni Nobilitate pracftantior b eft, htt Kf&osop t w wY'e ro KaAw; 'n^araep.
[bl Eurip.in jEgeo. Et i Ariftotelcs,
aiproTigop cum huic argumento mire
congruant , adferibere non grauabor. Ouid. a d Pifon. Hinc tua me Virtus rapit
& miranda. per amne Vita modos, qu00? St p JVfeifJ StfX^a? fSTNQ !X$6 nicis
ftudijs operam f5 r: T dare. R * Tertia BH tmh E, V J- t-. r'. * 349 r * v
IjV DE VERA 1 T Ertia dubitatio minus adhuc difficultatis habet*. Non
poteft nobilis ipfe ignobijis fieri : fueriit enim* maiores ipfius illuftres.
Hoc tadum infectum reddi ul- la ratione nequit. Fama poterit , (quod apud
quafdam nationes moris cft , ) atqj honore fi meritus fit priuari, non autem
nobilitate. Sic ifti ad qiwrftionem dicunt: & rc&e dicunt. Alius tamen
in hunc modum occurret,. Honoratur nobilis propter opinionem virtutis^ opi-
nantur enim omnes ex bonis nafei bonum. Non potcfl igitur illi denegari honos ,
quin fimul auferatur nobis opinio illas hofc ipfum nobilitas eft. Male habuit
mul- tos hic fcrnpulus : qui tamen facili tollitur. Dextri ac- cipiendum eft
quod dicitur, Nobilem priuari fama & honore pofle : (impliciter atepex
toto, reuera non po- teft :icmj>erenim vis illa & etf fcicitas natura: i
parenti- bus accepta-, non paruam fui fpem nobis factt,& prar- conceptam
opinionem perire non finit. Leges alite perfuadere volunt & merito.Cupiunt
enim magnitudi- ne pernx, homines a.vitijs quibusdam turpioribus, & humani
fociewtj magis noxijs.detcrrcre: Huc potias Lcgislatores/quam rem ipfam
pleruncp fpedant. Simi- l^uippian^cftiquod 4 Ariilotelesdc lege Pittaci Mfc . T ' ' . /rylenei in Politicis dixit. Huius ^
' fiirt proprii lex , vt ebrij fi quem p
ulfyfle q u iori pepru , quiroifobrij plcdercntur I nam quia Mitvlepci vino
abundabant, & eorum plupes ebrij ip&bfobrijcofitumeliam ir ferre
folebanr,norfad veniam fpcdauit y qui danda riiagis cU i.^brio (agit e- nim
quodammodo c^c ignorantia )fed ad vtilitatem. Principium quidem (vt ad
propofitum reuerpamur) ignobilitatis eflepofteris qui^iam poterit , ipfe rameo
/I femper . H f. BR * , Ji^, NOBItITATE. f$X /cmper nobilis, atcp ifto nomine
honore -dignus erit. . Tnnc vere amittetur nobilitas, cumpater, filius, nepos acproncpos degeneres
fuerint. Paularim enim de/Tcii opinio illa, donec in totum extinguaturiin cuius
locutn 1ucccditaItcra,exmalismaIosnafci. Platonis
eandem videri fententiam,fuprd ex libro nono de legibus anno- tatum cft. Supine
autem loquuntur qui dicunt , quem- admodum fumma fenedus, mentis vim atqp
confilium debilitat, & affert interitum dignitatis^/ic etiam fpleQ- -dorem
nobilitatis mediocri vctuftate augeri, extrema verb feneda confici. Vt
fimilitudo non quadrat; ita n5 refite concludit: quo vetullas generis maior, eo
plus authoritatis nobilitas habet : crefcit enim id inanimis -hominum, cuius
cauffa in admiratione atqj honore eoe* pit haberi. Vitijs itacp noftris,uel
ipfi fortuna?, fenij vel potins morbi atqj interitus ipfius culpa tribuenda,
noa vetuftati. Reflat nunc ultima dubitatio, ad quam fic dicet Ariftoteles,
Ingenui hominis effe nullam opero- fam artem exercere, Vcfalteri a viuerc, KDun
/xuriixiap w .. rt. C ,(. J r toqwp
>oop to /x ii$o$ a J&op Nobiles autem & ingenuos inter fc finitimos
effe alibi b dixerat: quafi nobilis fit Ubcralitcrviuere.atqp extra , . 0
fordidas& neceflarias artes. Vt r J Z' f : ca f Seruus vocetur, no modo man- cipium ipfum ,
fed & is qui fordidam exercet artem , efl enim quafi feruus publicus.
Quapropter liberras , qu* vtriqj feruituti opponitur, h.oncfta quaedam hominis
conditio cft. A tqjcodenomine, nobiles & ingenuialio loco vnac c 6 iunguntur,g
op,n ii /$j airXwg tvjtviq u* cj i.fol. c*f>. 4 . fcgop. Ingenuo fiue libero
op- . . . . H 2 ponitur' ' 3 5 P I . 4
'I V i: J* o utt xa- Tt itf arTiirfyyLvcu. a?\k 4r oXKajttf w t aLmxtxoAcf fi
finatov iVrr otu irafaif yov* uf yS o i%n irfW T- cllct indutis > opificibus imgcrj- ura
nunquam communicabatur .atterant omnes vel ferui vel.pcregrini. Verba magni
Philofophihzcfunt, i gS c'r rf SmriiftZreu tu riff Zft rrjf , am& /3/er
Qa.ia.xt- rw>j S"ijtikok Atque r alibi Jibcrorum educandorum kn , prarccptf tradens, nOncbriticnft. XQtpLaf.
4. . re tc ft a batur,vt mentem fiorol & corpuslaboribusfatigcmus, quoniam
ipfi labo rea contra oa ,> ' v* ^ * .
- -V M O B r l I T AI I. r ; : -fcJJ
Contrariarum rerum fmt efficientes. Vt eftlm mentis h t- ' A C fc TS ra off " ej Jefine mire dfc pro
* dem /accipitur* DifputatAriftoteles an Multitudini 'tflM iof. 7 . 1 *
vdplcbeishomifiibus honores Concludit
Solonis E ^on^ate aliquam eisquocppQceflarcni k .vtrn& M defigendi
& corrigendi. itcmconfukandi*trj* , amtertt -JJJon nmep permittendum * vt
iepaS I mrir * na S 1 ^tum ullum serant: Comun g qu* in labore potius corporis
fit* IglOaLin fuaf. tdart. *" unr
qnim qu6d ratione ani- %Tr W. o. moqj trade tur: ^>-ycunai vocaiiA
ttPfc . V. S i- mrah S A **'* * 14 * j
turab A Ariftatele:quorumparv j r iJ ? r
1 fem tenen t ij qui xfv*rte dreup- bV ' ? *i.cuii^gciiccs: tu aurcirrvo
catulum ex manibiis papdoq* compofitum , eleganti R 3 meta- 3 1 n 2 # ggg !?i $34 . O E VERA -metaphora
illis accommodatum. Vnde optimi htimi- fyz iit* imago fiuepoflet exprimi .
Sitvitafluuius.^ui iu,^ttcr traniiti homrfqacausipaupcnqui cimbajtfaijcie
dines. tSed adrcmcu- at y^f uiS-et^ 9 Moet fjtfr.fictTtriKtoi Je tcv, 9r?W aye^ccg^iir
K& xa^-ifAixc^. Vbi audimus etiam sm&u a numero artium ingenuarum explodi
, non om- nem tamen. Efl enim aliqua naturae cdnucnicns&r ccco- riomo
pofiticoqj nccdfaria^vt priore libro politicorum? atfeioddm Magillro di.uinitus
monftratum luit . Minus* autem pertinent (ludia ciufmodi ad felicitatem, quia
partes illas animx (pedant , quae hominis propriae non cenfcntur, vegetantem
inquam & fentientem b Sto &'l eu Agireu. eu tu ijprtwu o^xtixu
jCu^uttu. Sunt'cnim omnes ciufmodi ar- V > ] i. Eudtm. cap: a. ter, Vel ad
alimcntoru m vita- ne- ccfsitatcm*c vel hominum deli- M +.p6r.caj>;4. ' cias
ab voluptatem excogitarx* . jV Quo tam eri loco duo iiotandai fiiht:Pfimnm
eri&,NobiIepi & ipfum qudq? PrittcfpCm' kiHepuMicSvirumjpqflTcltne ulla
dignitatis tna&Ula in ftortnnllis ctiaWi ex iftfs artibus, digniOribus
nempe fempuS ^&'dperabipondfel ;
fitaincn fui dlint&xat ulus* Tt voluptatis atq? aniriiigratte id faciarir',
non alterius.* TtihcCeriirt fibi V tori 1 alteri fenriunt: quapropter non
'urr.ij debeas t 3 b 2 f c/wrjxsr, 9*
tof tyafor (* aduri * , WiroTtffieicv;
Z*V uvtu n?cf . avrov Imo vero qui tam
acuto DO Vi 0 -3* ..* : / funt ingenio ,tantacn manus de- xteritate ualent,
honorandi magis 8c celebrandi funt. Alterum adhu^ generalius efte Ex operibus
utilibus, neceflTaria quaedam difei debere, qua: tamen habentein nou reddant t
fordidum , & cuiulmodi reputatur qu*
, cunqj liberorum hominum cor- W * P l
ca P- * , } pus uel animum, uel intelligenti- am.inutiles ad virtutis
adiones atqj vfus reddunt : Harc enim mercenaria & (ordida uocantur : quia
mentem impediunt abicdamcp reddunt. / Adde his fcientias C/3 JbiJ. quoqj alias
elegantiores , fi alio rum caufla, id cft, lucri & quxftus gratid
exerceantur: miiuv [itr Tir^ criur ftfrsxv ** "* o ds tuiTO tuto orfeiosuv
aXkuc, voX^cixif -Sbjniwr K&i ixXnut itfow clvo^atIm* Qu$d tamen fic
eftintelligcndum: In fcientijs communicandis non vt ex cis quaftum, quafi per
commutationem faciamus, fed vtpofsimus huma- n * focictati ipultpm ac
diuconfulcrc , mutuum benefi- cium potius., qu/im, mercedem & pramium
expedare jgq* accipere nos debere. Qua in rc dupliciter hodie peccant homines,vt iplWsime g
Galenus quodam loco. Lib. quoJ opt. mtJ. conqueritur-. Nam & quxftus a
fuuum^bil, gratiaperdjfcunt.artcs, non au. * 1 rrm nr i Hi n. q.v 4 ,t . M M B l r^Jf Mfl *9i i 'i m P i r m m, * V. ; v. M , . \ LtMjV ; ^ " ' > ' H O i I I X T A T
Bi IJ7 temvt de hominibus bend mereantur, & in quxftu fa- ciendo nullum
terminum ftatutum habent: quotus e-1 nim quifcp nunc eft ex Philofophis ,
Iurcconfultis , Mc- dicis, qui tantum habere pecuniarum cupiat, quantum ad
neccflarium vitx ufum fit/atis ? Quot reperias , qui * non folum verbis ( tales
nant# multi funt)fed rcipfa do- i ceant,diuitijs efle a natura impofitum modum,
ne ultra i progrediantur, quim Ytnecp fame necpfitineqj algore cot-pns
afficiatur ? At alios tamen fpe&amus ( dicet , : .
quiskumvtimurdifciplinisadbcnedehominibusme- rendum: Prxpofterus* igitur &
feruilis eodem etiam tnodo, ipfarum ufus erit. Non ficeft : nam homo ea ra-
tione qua eft homo ,fociabilis eft, & pars quxdam hu- man* communitatis :
Cum ergo falutem dat homini- bus, &ciuilcmfocictatem tuetur,
fibijpfiferuire.fuum' * ipfius bonum proprium pcrfedionemqi fibi compara- ta v
recenfctur. Tunc feruitalijs, cum artem exercet, non f- . * vt ipfis profit ,
fed vt pecuniam ex ipfis emungat ; hoc '! ,-renim proprium hominis bonum , atq*
hic proprius fci- entiarum ufus non eft. Seruile eft, inquit a A riftoteles; -
, , quod ovx auTaeKt? : quo etiam -
W + & u probabat, duitatem natura fer-i uam , non
pofle dici ciuitatem :,4uTotfKM; yofi h 7ro>/* * Qui ergo difciplinas ad
lucrum non ad ipfafmet refe runt,hiferuiles & mccchanicascasreddunt. Hifce
pau- cis qux generatim nunc attigimus, quafi/ulftibus fu- ' gantur omnes illx
dubitationes, qux de agricolis, mc- ; dicis, mercatoribus, procuratoribus,
aduocaris, iudi- cibus , furiofis , quatenus nempe dici uel non dici no- ,
biles debeant, maiorccum apparatu allarx& longe co J piofius qudm rei
natura poftularct ab aliis . fummx ta- S men au- i 3 5 3 ' w ' i XJg DE VERA N O B I L-I T. ' -K mcn
authoritatis hominibus , pertratfatxfunt.' Atque ' hic iam tandem receptui
canemus: -Omnia enim qux ad quxftioriem de vera Nobilitate explicandam
facie-ia' bant, perrccuti fumus : Illius naturam defijiitione" euql- uimus: a quibus caufsis penderet oflendimus :
non- nulla de fpecicbus eius diximus: Poftrcmo dubitatio- num quarundam,quxc
maioris momenti uidebantuc cflfe, nubes
omnes difiecimus. j , Eos autem qui hxclegent, vehementer oratosue- lim (
periti modo fint rerum de quibus agitur, nam car? v teros facile contemno) vtficuirei occurrant
quam n6 ' probent, eam amico animo & placidis verbis pro veri- tate
corrigere atqj emendare, vel etiam quod decft,ipfi. fuplerc dignentur: & faueant
nihilominus q^iantula* ! cuncp induftrix diligentixq? noftrx , qux no longo
tem* H
porisfpatiohuictradationi,petentibus id,imb vero efflagitantibus nobilibus ac
do&is amicis quibufdam, 3 fiiic adhibita, d! Omnino.tamen ftuduintos (fi b
Ariftotelisverba d ffj 1 pol. 2 * pol.
cAp. i. : , rc&ius commodiusqj de his rc~ busprxcipcremus,ry nw
yjzreXcipGavepithi* | s a e .fi*- * J iAg. r. t* *yt 7 HQ p. Cum fit al ortu
c*cut. Pag. 2 . orjx^*** ^ ' lArcbitcftos (srfcttntei. 7mcoUiros ) non r# lex :
ipfi enim funt lex Merito nanq; rideretur fi quit in eos leget ferre tottaret.
"\iirtt. SupereB igitur, ut uidetur , naturam eorum talem ejfe, ut ei
parere omnet debeant. dnfxdyea. Populi ajfentatorum , uel rhetorum.
t2irifiocratici autem, uirtu- tem. dVfc/lj}. Nullum enim itu afferre (Udentur
ij , qui uti propter diuitids,uel propter genus, imperio ji ejje dignos putant
. Pag- 10. CTJ- Quoniam ip fi plus agri obtinent, ager autem ccmmunk eft :
praeterea quia eu incomtrcijs maior habetur fides, tt oTiWcu. Pro ciuibiu enim
magk habens ur, nobilior es, quam ignobiles . hP sw-Y** Nobilitat autem apud
omnes domifin honore habetur. Pag- 1 1- a- Nobiles enim honore digni putantur :
funt enim in excellentia quadam. 0501 yoJ^. Eft enim infamilijs prouentm
surorum quidakt , perinde ac in ijs qu* nafcun
tur in agrk : & nonnunquam fi bonum gemu fit , uiri pru H ja. D#r4
igitur, mol- lia, lenta , rigida,# qu H
)( |W* 4:J * * | JM I 1 JF JP
i v ^tdi. oW Cvm igitur unm talis , in aliquo genere fuerit, uVot.
Natur* inbabilitas. u&Q' aJpeBum habentes, quo reSi iudicare. tujVtfupra:
mXh Diuiti* non reddunt nafcentes.fibifimiles. Pag* Jl iuyi Nobilitas eft.
generis uirti ^ ^ Eft a jiitm nobilkq u jdeintex ^ vi rtute generis .
EKTrottc BJf maior ibm longo tempore
diuitibm.. ftikop. Co nflat igit ur ( inquam ) no bilitatem effjuuxt utem gener
M. Pag 7 2 . TWJ Virtutis enim pr*mrum, eft honor. wflSXtf.
Pag. 75. St7ro. eft pr*mio honorare. Pag- 7
4 - Magifiratus & diuiti* , honoris caujjk eliguntur, jxvicrer pLf.
Recordor, qui me contemptibilem inter rgiuosfedt , *At ri- des tanquam aliquem
inhonoratum aduenami kou $ 5 . Muniit enim aft,
Qui autem fint Virtute buiufmodi bona obtincut , ntq- merito magnis l
nori W NK - - , nsribtfi dignet fe effe arbitrantur &c . coroU/Tfe;
"ffi.Omrttt entm qui duitates uti gentes beneficijs demeruiffent , uti
demerendi facul- tatem haberent , hunc honorem adepti fun*\ tri- raterea ob
acci- pta beneficia , reges conflit uebant : illud enim eft, bonorum Virorum
opus. 7 w* /jSfb' Virtutis enim 07 beneficentiae pramium , eft honor Pag. go. na Aer* Honefla utr 6 funf, ex
quibus bona quadam exifii- , natio , O* iUuftrit honos emanaturi tt fit in eos
qui ipfa egerint. ftjfp, Veri qua magis ad oligarchiam inclinant
,tArifiocraticas potitu nominari nolunt. Pici tb- Propterea quod reBa educatio
,. Laudabilium. V\~ Qui Encomium infiituit, laudat. Ma J gnitudinem. Ev^ai/xovnrfxoq. Felicitatio.
/uotKajur/uc'?. Beatifi- ' J v catto, Pag. pii Hymmu. Pag. p^. iarqo$ Si. autem
ac dicitur mediem , tum qui operatur , tuus virebit eHm ipfc,' tum etiam qui
peritus eff in arte medica . Pag . p 6 . it Multas contineat uir tutu partes.
ixaTjSct. Pracipue bonoraturjj* Fortitudo a RjbuJpublicn. rifxusrif!. Honorant
non qua /impliciter optima funt ,fed qua ipfis funt optima. v Pag. p f. ouX Non
ut Finit omnium fummue avayti. Neceffaria
magis, noit tamen magis honorabilia. Pag. p p. Videtur autem f cientia .
ZxujxrAntU quadam uirtutis eP,omnibui beneface**. Pag.no. Eu^eVacf* *Ac nobi-
litat quidem gemit o duitatis eft, indiget tsipfnswiut antiquos cjfe , &
primos duces illuftres , atque ex ijs multos ortos in ijs rebus quot temulamur,
illujires. Pag. II uTia. Vtfupra pag. 58. 7ro/&ou$. Vt fupra pag. 58. /riu)
\vy(v&ct}S . Nobilitatem etiam deformium coniugum , Liberorum gratia multi
colunt , Et dignitatem magis , quam pecunias JpeRant* Paj*. 11 $. ocjcuccraj.
ftarocarnofiorem bomine.ftSpfxO' Calidiorem, t ay(f^c. Homine calidiorem. Pag.
Il6. y$a.Q0VTt$. Pingentes tam, non modo fcemined Jpecie, ( quan - quam hoc
fatis erat, ad citu amentiam fignificandam ) TIJcoth. Pri- ma aberratio eft f
amittam generari non marem. aA?\. I r erum,h*c " natur * necejfaria eft.
Pag. II 7. \{cty tS/J. Et eorum qui naturd funt meliores , opera quoq ; or
uirtutes pro pulchrioribus habentur: u. g. Viri uirtutes O opera pulchriora ,
quam fccmin*. j .Alionttin etiam, animal hoc, mores non habet a que uenerandos
s ac mafculinum. Pa g. 1 2 2. HCu rifxfjf. Honor quoq ; parentibus ex- bibendus
eft , quemadmodum & D ijs: non omnis tamen parentibus : nam neq- idem
patri, qui matri debetur : Neq; uero fapiente aut im- peratore dignus honos ,
fed paternus , itemj- matri maternus. $Gop. Ex D js ab utrofyftirpe natam ,
quisquam dignum putabit appellari feruam ? Pag. 123. hJ Ttjj.it. Et honor ac
bona exiflimatio , re- rum funt iucundijlimarum :quia phantajia cuiq ; excitatur,
fetalem ac uirtute pr aditum ejfe : idq t etiam margis cum ij afferunt, quos
itera * dicere exifiimant : eiufmodi autem futi?, uicini potius, quam longin-
qui, & familiares, & noti , (f duts, quem externi : & qui funt,qnam
futuri: & prudentes , quam imprudentes : & multi, quam pauci: quia hos
uera dicere uerifimilius t fi, quam contrarios . Pag, 1 24 KO d KaOiS - *. Et
ftex ipfe , ex numero proborum utrorum creatus eft, propter ea quod uirtute,
aut rerum uirtute ge Parum magnitudine prteftqret, uti propter talis generis
excellentiam. asy^iKOp. Nam fa tes, tft
tuti jui imperat, propria : ovx. ! 65 tp. hfott prudentia , fed stertt potius
opinio quadam, uirtus eft. Pag. 125. tt$. Quodammodo aJfeElus agat. Quam qu* nunc homine t fcurctj. Ciuitot enim
eft,quippiam fe Iohanncs Rhambr
excudebat . anno' M. P. LXX11. Kf* {
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'4K * 1 3P * - V Jtf? .Simone Simoni. Simoni. Keywords: nobilità, eretici
italiani. Luigi Speranza, “Grice e Simoni” – The Swimming-Pool Library. Simoni.
Luigi Speranza -- Grice e Simonide: la ragione conversazionale e la
filosofia sotto il principato di Valente. la filiale dell’Accademia – Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. A member of the Accademia, well known for living a principled and
disciplined life. He is, unfortunately, accused of involvement in a plot
against the prince VALENTE (si veda). S.’s
refusal to betray any secret lets to him being burnt alive.


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