Grice e Musonio: l’implicatura
conversazionale del Musonio di Gentile -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza. (Bolsena) Gaio Musonio Rufo
esercita un forte influsso sui contemporanei. Di famiglia equestre
dell’etrusca Volsini (Bolsena) suscita per la sua fama di filosofo l’invidia
di Nerone. Segue Rubellio Plauto nell'Asia Minore e lo incoraggia a
togliersi la vita quando Nerone lo condanna a morte. Ritorna a Roma, dove
e bandito insieme con Cornuto in occasione della congiura
di Pisone e confinato nell’isola di Gyaros nelle Cicladi, ove per la
sua rinomanza attira uditori da ogni parte.Verosimilmente richiamato a Roma
da GALBA, negli ultimi giorni di Vitellio si une ad una ambasceria del
Senato presso Antonio Primo per perorare la causa della pace fra i suoi
soldati, ma senza successo.Quando Vespasiano assunse il potere, M. accusa
davanti al Senato P. Egnazio Celere, quale delatore e falso testimonio nel
processo di Borea Sorano. Vespasiano lo escluse dalla prima espulsione dei
filosofi da Roma (71), ma poi lo esiliò per la seconda volta ; però Tito,
che già lo aveva conosciuto, lo richiamò dopo la sua assunzione al trono. In
seguito mancano notizie su di lui, ma da una lettera di Plinio il Giovane
sembra che non fosse più in vita. Non risulta che abbia composto e pubblicato scritti,
anzi sembra che si sia servito soltanto dell’insegnamento orale, del quale,
però, rimangono frammenti abbastanza numerosi. Essi comprendono 19 brevi
apoftegmi conservati da Plutarco, da Aulo Gellio e dallo Stobeo ; altri
apoftegmi e trattazioni filosofiche relativamente ampie raccolti da Epitteto
nel suo insegnamento-È e trasmessi i primi da Arriano, le seconde dallo Stobeo
; esposizioni o lezioni che si trovano nello Stobeo o costituiscono la parte
più estesa dei frammenti. È verosimile che provengano da uno scritto di quel
Lucio che si è già ricordato e che si deve ritenere la fonte più importante
dello Stobeo. Un’altra è Epitteto, cioè Arriano. Sembra che un Pollione
(probabilmente Valerio Pollione da Alessandria, vissuto sotto Adriano) compone
Memorabili di Musonio, ma non ne restano tracce. È giudicata falsa una lettera
di Musonio a un certo Paneratide. Le concordanze che si sono osservate tra i
frammenti di Musonio e il Pedagogo di Clemente di Alessandria hanno fatto
pensare o alla dipendenza di questo da uno scritto di Lucio o alla derivazione
di ambedue da una fonte più antica. Della forte azione di Musonio sui
contemporanei sono prova i suoi numerosi scolari, tra i quali si ricordano
(oltre al genero Artemidoro, amico e maestro di Plinio il Giovane), i filosofi
Epitteto, Dione di Prusa, Eufrate di Tiro e il suo scolaro Timocerate di
Eraclea, e insigni romani, come Plauto, Sorano e Minicio Fundano. Musonio si
avvicina ai cinici nell’assegnare alla filosofia finalità radicalmente
etico-pratiche, accetta spunti dell’ascetismo dei crotonesi. Ma nel complesso
dipende dal Portico con influssi posidoniani. Nel sno insegnamento non trascura
le esercitazioni logiche e i frammenti toccano argomenti di fisica, ma ciò che
vi è detto degli dei, designati con le denominazioni della religione
tradizionale, non supera la sfera del pensiero comune e non ha carattere
filosofico determinato. Invece riporta al Portico l'affermazione della
necessità universale, che equivale alla teoria del fato. Però l'interesse di M.
si concentra sulla funzione pratica della filosofia, che è assolutamente
necessaria in quanto (secondo la tesi introdotta dai filosofi dai Cinargo) gli
uomini sono malati che richiedono una cura continua la quale dev'essere
prestata dalla filosofia, che perciò è necessaria a tutti, alle donne non meno
che agli uomini. La filosofia però è identificata alla ricerca e alla
realizzazione della virtù, per conseguire la quale non vi è necessità di molti
discorsi, nè di molte teorie. Inoltre, in essa l'esercizio ha maggiore
importanza dell’insegnamento o del discorso. Siccome la natura ha posto in ogni
uomo i germi della virtù, se il discepolo non è stato corrotto, una breve
dimostrazione è sufficiente per fargli riconoscere i principi etici
giusti. Ciò che soprattutto importa è che maestro e discepolo uniformino
la loro condotta ai propri principi. Si comprende che M. si interessasse in
primo luogo della formazione etica degli scolari. Nell’insieme, la morale
di M. si conforma alle dottrine tradizionali del Portico. Occorre distinguere
ciò che è e ciò che non è in nostro potere. Ora da noi dipende soltanto l’uso
delle rappresentazioni, cioè l'assenso dato alle opinioni sul bene e sul male,
dalle quali è determinata la giusta valutazione delle cose e quindi
l'intenzione quale atteggiamento interiore della volontà. In la volonta, se è
retta, consiste la libertà, la virtù, la felicità. Tutto il resto non dipende
da noi e perciò rispetto ad esso, ossia alle cose esterne, dobbiamo rimetterci
all’ordine necessario dell'universo e aecettare volentieri ciò che arreca.
Soltanto la virtù è bene, soltanto la malvagità è male e ogni altra cosa è
indifferente. Però, per rafforzare la volontà, M. ritene necessario, oltre
l'insegnamento e l’esercizio morale, anche l’indurimento fisico, perchè,
essendo il corpo uno strumento indispensabile dell’anima, occorre rafforzare
ambedue. In generale raccoman, avvicinandosi ai filosofi del Cinargo, la vita
semplice e conforme alla natura e accoglie dai crotonesi, il divieto dei
cibi carnei. Oltrepassando le opinioni di molti antichi filosofi del portico,
esige una vita morale severissima, raccomanda il matrimonio, condanna la
limitazione delle nascite e l’esposizione dei figli. Nell'insieme, i frammenti
di Musonio rivelano un’anima nobile e retta, appassionata per il bene e guidata
dal desiderio di educare gli spiriti, ma a queste doti non corrisponde il
valore scientifico degli insegnamenti, perchè i suoi pensieri sono molto
mediocri e privi di originalità. Inoltre non si può trovare nelle sue parole
l’espressione di una visione della vita vibrante di dolore e di amore simile a
quella di Seneca. Gaio Musonio Rufo. M. (Volsinii) è un filosofo
romano. Frammento di papiro (P. Harr.Col.), con parte di una
diatribe. Sulla vita di Gaio Musonio Rufo, stoico, si posseggono poche notizie
certe. È noto che nacque a Volsinii, corrispondente all'odierna Bolsena, in
Etruria, che fu cavaliere. Il ‘prae-nomen’ Gaio lo conosciamo solo attraverso
Plinio il minore che ci fornisce anche un’altra notizia su una sua figlia
(presumibilmente chiamata Musonia, secondo l’uso romano), sposata ad
Artemidoro, al quale Plinio presta aiuto anche per stima e affetto nei
confronti del suocero. Sappiamo dalla voce “Mousonios” della Suda che Musonio e
figlio di Capitone ma non abbiamo altre notizie sulla sua famiglia, che era
comunque di origine etrusca. In effetti, il nomen “Musonius” denotare la gens,
e viene indicato da alcuni studiosi della lingua etrusca come forma latina di
un gentilizio etrusco “Musu,” “Muśu-nia.”. E capo a Roma di un circolo o
gregge filosofico e si dedica anche alla politica, con idee abbastanza
tradizionali e moderate. Fa parte del gruppo creatosi intorno a Rubellio
Plauto, un discendente della famiglia Giulia. Quando Rubellio Plauto e allontanato
da Roma in via precauzionale da Nerone, M. lo segue in Asia. Due anni dopo giunge
l'ordine del principe di eliminare Rubellio Plauto. Musonio ritorna a Roma, ma,
in concomitanza della congiura di Pisone,
e mandato in esilio, in quanto allievo di Seneca, nell'isola di Gyaros,
inospitale e rocciosa nel Mar Egeo. Indicativi della sua integrità morale
e della sua coerenza sono altri due momenti della sua vita, entrambi riportati
da Tacito nelle Storie. Dopo essere ritornato dall’esilio, forse grazie a
GALBA, con il quale sembra fosse in amicizia, nella fase finale della guerra
civile seguita alla morte di Nerone, Musonio si rese protagonista di un primo
episodio significativo, rivelatore della sua generosa attitudine a mettere in
pratica i principi morali e gli ideali di pace che insegna. In una Roma che era
teatro di violenti scontri tra le fazioni avverse, il filosofo di Volsinii si
impegna a svolgere un’improbabile opera di pacificazione. “S’era mescolato agli
ambasciatori M., di ordine equestre, zelante filosofo e seguace dei precetti
dello stoicismo, ed in mezzo ai manipoli prendeva ad ammonire gli uomini armati
con le sue disquisizioni sui beni della pace e sui mali casi della guerra. Ciò
fu per molti motivo di scherno; per la maggioranza, di fastidio. E non mancava
chi l’avrebbe spinto via o l’avrebbe calpestato, se, dietro consiglio dei più
equilibrati e fra le minacce di altri, non avesse deposto la sua inopportuna
esposizione di saggezza.” Il secondo episodio, ci presenta Musonio Rufo
impegnato nella riabilitazione della memoria dell’amico Barea Sorano, che era
stato sottoposto a processo e condannato a morte insieme alla figlia Servilia e
a Trasea. Contro di lui era stata resa una falsa testimonianza da parte del suo
stesso maestro, Publio Egnazio Celere, anche lui appartenente alla corrente
stoica. Musonio, che pure nei suoi insegnamenti si dichiarava contrario ad
intentare cause per difendere se stesso dalle offese ricevute, in questo caso
non esita ad accusare in Senato il traditore per difendere la memoria
dell’amico condannato ingiustamente. Come scrive Tacito: “Allora Musonio Rufo
attacca Publio Celere, accusandolo di aver attaccato Sorano con una falsa
testimonianza. Evidentemente con quell’accusa si rinnovavano gli odii delle
delazioni. Ma l’accusato, vile e colpevole, non poteva essere difeso. Di Sorano
e santa la memoria. Celere, che fa professione di sapienza, testimoniando
contro Barea, ha tradito e violato l’amicizia.” Musonio porta avanti con
tenacia il suo impegno, che e coronato da successo. “Fu deciso allora di ri-aprire
il processo tra M. e Publio Celere: Publio venne condannato ed ai mani di
Sorano e resa soddisfazione. Quel giorno, che si distinse per la severità dei
magistrati, non manca nemmeno di elogi ad un cittadino privato. Si era,
infatti, del parere che Musonio avesse agito con giustizia in tribunale.
Opinione ben diversa si ha di Demetrio, seguace della scuola cinica, in quanto
aveva difeso, più per ambizione che con onore, un reo manifesto. Quanto a
Publio, non ebbe né animo, né eloquenza sufficienti in quel frangente.»
Più tardi M. riusce a guadagnarsi la stima di Vespasiano evitando la cacciata
dei filosofi. Ci e però un secondo esilio e, dopo il suo rientro a Roma, voluto
da TITO, le fonti tacciono. Potrebbe essere stato espulso da Roma, assieme agli
altri filosofi, a causa di un senatoconsulto sollecitato da Domiziano, che fa uccidere
Aruleno Rustico e cacciare Epitteto e altri. Da un'epistola di Plinio minore si
apprende che egli non era più in vita. Si proclama suo discendente il
poeta Postumio Rufio Festo Avienio. Probabilmente in modo volontario,
sull'esempio di Socrate o Grice e come fa anche il discepolo Epitteto, non
lascia nulla di scritto. I principi della sua predicazione filosofica si
ricavano da una raccolta di diatribe dovuta a un discepolo di nome Lucio, di
cui 21 ampi estratti sono conservati nell'Antologia di Stobeo. Essi sono
intitolati: “Che non è necessario fornire molte prove per un problema” “Su chi
nasce con un'inclinazione verso la virtù” “Che anche le donne dovrebbero studiare
filosofia” “Se le figlie debbano ricevere la stessa educazione dei figli maschi”
“Se è più efficace la teoria o la pratica” “Sul praticare la filosofia” “Che si
dovrebbero disprezzare le difficoltà” “Che anche un principe deve studiare
filosofia” “Che l'esilio non è un male” “Il filosofo perseguirà qualcuno per
lesioni personali?” “Quali mezzi di sostentamento sono appropriati per un
filosofo?” “Sull'indulgenza sessuale” “Qual è il fine principale del matrimonio”
“Il matrimonio è un ostacolo per la ricerca della filosofia?” “Ogni bambino che
nasce dovrebbe essere allevato?” “Bisogna obbedire ai propri genitori in tutte
le circostanze?” “Qual è il miglior viatico per la vecchiaia?” “Sul cibo” “Su
vestiti e riparo” “Sugli arredi” “Sul taglio dei capelli”. Lo stile delle
diatribe è semplice. In genere viene posta una questione iniziale, poi
sviluppata con chiarezza durante il testo, spesso costruito in modo figurato,
usando metafore e similitudini (spesso sfrutta il paragone con il medico,
alcune volte intervengono immagini di animali). Questa caratteristica si adatta
bene alla sua personalità e al suo tipo di insegnamento, tutto rivolto alla
schiettezza della vita. Ci restano, inoltre, frammenti minori, spesso in
forma di apoftegma. A parte quelli sempre di Stobeo (in numero di 14), due
frammenti conservati da Plutarco sono brevi aneddoti che potrebbero essere
definiti come "detti celebri", mentre tre brani di Aulo Gellio
conservano detti memorabili ed un quarto è lungo abbastanza da rappresentare la
sintesi di un intero discorso. C'è, poi, un aneddoto in Elio Aristide ed
Epitteto ne racconta una mezza dozzina (11, per la precisione). Restano,
inoltre, due epistole, concordemente ritenute spurie. M. rappresenta, con
Epitteto, Antonino e Seneca, uno dei quattro esponenti più significativi del portico
romano del principato. Egli, se per certi versi corrisponde appieno alle
istanze propugnate dalla temperie spirituale del suo tempo, per altri si
distingue e mette in luce, soprattutto per il recupero radicale e profondo di
una filosofia intesa come arte del vivere bene e onestamente, cioè mezzo per
conseguire uno scopo riscontrabile nei fatti. Il ruolo della filosofia
Egli crede che la filosofia (stoica) fosse la cosa più utile, in quanto ci
persuade che né la vita, né la ricchezza, né il piacere sono un bene, e che né
la morte, né la povertà, né il dolore sono un male; quindi questi ultimi non
sono da temere. La virtù è l'unico bene, perché da sola ci impedisce di
commettere errori nella vita. Del resto, sembra che solo il filosofo si occupi
di studio della virtù. La persona che afferma di studiare filosofia deve
praticarla più diligentemente di chi studia medicina o qualche altra attività,
perché la filosofia è più importante e più difficile da comprendere di
qualsiasi altra occupazione. Questo perché, a differenza di altre abilità, le
persone che studiano filosofia sono state corrotte nella loro anima da vizi e
abitudini sconsiderate, imparando cose contrarie a ciò che impareranno in
filosofia. Ma il filosofo non studia la virtù soltanto come conoscenza teorica.
Piuttosto, M. insiste sul fatto che la pratica è più importante della teoria,
poiché la pratica ci porta all’azione in modo più efficace della teoria.
Sostene che sebbene tutti siano naturalmente disposti a vivere senza errori e
abbiano la capacità di essere virtuosi, non ci si può aspettare che qualcuno
che non abbia effettivamente imparato l'abilità di vivere virtuosamente viva
senza errori più di qualcuno che non è un medico esperto, un musicista ,
studioso, timoniere o atleta ci si poteva aspettare che praticassero quelle
abilità senza errori. In una delle sue diatribe, si racconta il consiglio
che offrì a un re in visita, dicendogli che deve proteggere e aiutare i suoi
sudditi, quindi sapere cosa è buono o cattivo, utile o dannoso, utile o inutile
per le persone. Ma diagnosticare queste cose è proprio il compito del filosofo.
Poiché un re deve anche sapere cos'è la giustizia e prendere decisioni giuste, il
principe studia filosofia, anche per possedere autocontrollo, frugalità,
modestia, coraggio, saggezza, magnanimità, capacità di prevalere nel parlare
sugli altri, capacità di sopportare il dolore e deve essere privo di errori. La
filosofia, sosteneva M., è l'unica disciplina che fornisce tutte queste virtù.
Per dimostrare la sua gratitudine il re gli offrì tutto ciò che desiderava, al
che il filosofo chiese solo che il re aderisse ai principi stabiliti.
Musonio sosteneva che, poiché l'essere umano è fatto di corpo e anima, dovremmo
allenarli entrambi, ma quest'ultima richiede maggiore attenzione. Questo
duplice metodo richiede l’abituarsi al freddo, al caldo, alla sete, alla fame,
alla scarsità di cibo, a un letto duro, all’astensione dai piaceri e alla sopportazione
dei dolori. Questo metodo rafforza il corpo, lo abitua alla sofferenza e lo
rende idoneo ad ogni compito. Crede che l'anima fosse rafforzata in modo simile
sviluppando il coraggio attraverso la sopportazione delle difficoltà e
rendendola autocontrollata astenendosi dai piaceri. Musonio insisteva sul fatto
che l'esilio, la povertà, le lesioni fisiche e la morte non sono mali e un
filosofo deve disprezzare tutte queste cose. Un filosofo considera l'essere
picchiato, deriso o sputato come né dannoso né vergognoso e quindi non avrebbe
mai litigato contro nessuno per tali atti, secondo M.. L'opposizione di M. alla
vita lussuosa si estendeva alle sue opinioni sul sesso. Pensa che gli uomini
che vivono nel lusso desiderano un'ampia varietà di esperienze sessuali, sia
legittime che illegittime, sia con donne che con uomini. Osserva che a volte gl’uomini
licenziosi perseguono una serie di partner sessuali maschili. A volte diventano
insoddisfatte dei partner sessuali maschili disponibili e scelgono di
perseguire coloro che sono difficili da ottenere. M. condanna tutti questi atti
sessuali ricreativi. Insiste sul fatto che solo gli atti sessuali finalizzati
alla procreazione all’interno del matrimonio sono giusti. Denuncia l'adulterio
come illegale e illegittimo. Giudica i rapporti omosessuali un oltraggio contro
natura. Sosteneva che chiunque sia sopraffatto dal piacere vergognoso è vile
nella sua mancanza di autocontrollo. M. difende l'agricoltura come
un'occupazione adatta per un filosofo e nessun ostacolo all'apprendimento o
all'insegnamento di lezioni essenziali. Gli insegnamenti esistenti di Musonio
sottolineano l'importanza delle pratiche quotidiane. Ad esempio, ha sottolineato
che ciò che si mangia ha conseguenze significative. Crede che padroneggiare il
proprio appetito per il cibo e le bevande fosse la base dell'autocontrollo, una
virtù vitale. Sostene che lo scopo del cibo è nutrire e rafforzare il corpo e
sostenere la vita, non fornire piacere. Digerire il cibo non ci dà alcun
piacere, ragiona, e il tempo impiegato a digerire il cibo supera di gran lunga
il tempo impiegato a consumarlo. È la digestione che nutre il corpo, non il
consumo. Pertanto, concluse, il cibo che mangiamo serve al suo scopo quando lo
digeriamo, non quando lo gustiamo. M. sostenne la sua convinzione che le
donne dovessero ricevere la stessa educazione filosofica degli uomini con i
seguenti argomenti. In primo luogo, gli dei hanno dato alle donne lo stesso
potere di ragione degli uomini. La ragione valuta se un'azione è buona o
cattiva, onorevole o vergognosa. In secondo luogo, le donne hanno gli stessi
sensi degli uomini: vista, udito, olfatto e il resto. In terzo luogo, i sessi
condividono le stesse parti del corpo: testa, busto, braccia e gambe. Quarto,
le donne hanno un uguale desiderio per la virtù e una naturale affinità con
essa. Le donne, non meno degli uomini, sono per natura compiaciute delle azioni
nobili e giuste e censurano il loro contrario. Pertanto, concluse M., è
altrettanto appropriato che le donne studino filosofia, e quindi considerino
come vivere onorevolmente, quanto lo è per gli uomini. Suda μ 1305:
«Figlio di Capitone, etrusco, della città di Volsinii; filosofo dialettico e
stoico, vissuto ai tempi di Nerone, conoscente di Apollonio di Tiana e di molti
altri. Ci sono anche lettere che sembrano provenire da Apollonio a lui e da lui
ad Apollonio. Naturalmente per la sua schiettezza, le sue critiche e il suo
eccesso di libertà e ucciso da Nerone. Numerosi sono i discorsi filosofici che
portano il suo nome e anche le lettere. Epistole. Di origine etrusca: cfr.
Filostrato, Vita di Apollonio di Tiana, VII 16. Pittau, “Dizionario della lingua
etrusca (DETR), Dublino. Tacito, Annales, XIV, Epitteto, Diatribe, III 15, 14.
Storie, III 81. Storie, IV 10. Cassio Dione, Girolamo, Chronicon, a. 2095:Titus
Musonium Rufum philosophum de exilio revocat»; Temistio (Orationi, XIII, 173c),
inoltre, attesta l'amicizia tra Tito e M.. Cameron, Avienus or Avienius?, in
"Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik". L'attribuzione è data nell'estratto XV Hense:
sicuramente questo Lucio era un allievo di Musonio, e uno specifico riferimento
in cui M. parla da esule a un esule rivela che anche Lucio partecia al bando del suo maestro. Nella diatriba Lucio
riporta una conversazione di Musonio con un re siriano e dice, tra parentesi,
che c'erano ancora re in Siria a quel tempo, vassalli dei romani. -- nell'edizione
Hence. Una delle due è una lunga lettera scritta da M. a Pancratide sul tema
dell'educazione dei suoi figli. Diatriba VIII Hense. Cfr. anche il detto «Un re
dovrebbe voler ispirare soggezione piuttosto che paura nei suoi sudditi. La
maestà è caratteristica del re che incute timore reverenziale, la crudeltà di
quello che ispira paura» (in Stobeo, IV 7, 16). A differenza del suo allievo
Epitteto, che mostrava disprezzo per il corpo, M. sottolinea l'interdipendenza
tra anima e corpo. Questa visione, del tutto coerente con il panteismo stoico,
non è estranea al pensiero neoplatonico. Diatribe III e IV Hense; Nussbaum, The
Incomplete Feminism of M., Platonist, Stoic, and Roman, in The Sleep of Reason.
Erotic Experience and Sexual Ethics in Ancient and Rome, Nussbaum and J.
Sihvola, Chicago. Bibliografia C. Musonii Rufi reliquiae, edidit O. Hence (Lipsia,
Teubner); Lutz, Musonius Rufus, the Roman Socrates, Yale classical studies. Dillon, M. and Education in the Good Life: A Model of
Teaching and Living Virtue. University Press of America. Laurenti, Musonio,
maestro di Epitteto, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt. Berlino, de
Gruyter, King, (Musonius Rufus: Lectures and Sayings. Edited by William B.
Irvine. Create Space. DOTTARELLI, M. l'etrusco. La filosofia come scienza di
vita” (Roma, Annulli). Musònio Rufo, Gaio, su Treccani.it – Enciclopedie on
line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Calogero, MUSONIO Rufo, Caio, in
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Musonio Rufo, Gaio,
in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, M., su
Encyclopedia of Philosophy. Opere di Gaio Musonio Rufo, su Open Library,
Archive. VDM Stoicismo. Portale Antica Roma Portale Biografie
Categorie: Filosofi romani Filosofi del II secoloRomani del II
secoloStoici[altre] Grice e Tito – La clemenza di Tito – “Titus M. Rufum
philosophy revocat. Amico di Musonio. Grice e Galba. Grice e Nerone – Grice e
Vespasiano. Gaio M. Rufo, figlio di Capitone e degli stoici di maggior grido in
quell'età, e uno di quelli che si guadagnarono un maggior numero di seguaci per
l'efficacia del loro insegnamento. Plinio Secondo infatti, lodando le virtú
singolari del suo amico Artemidoro, assicura che per esse ei merito che a C. M.
ex omnibus omnium ordinum adsectatoribus gener adsumeretur. E di Volsinio, in
Etruria. Ma non si può dire se fosse nato sotto Claudio o sotto Caligola. Benché
sia più probabile la seconda supposizione. Appartenne all'ordine equestre. L'incontriamo
la prima volta in Roma, quando ne è mandato in esilio da Nerone in quella serie
di condanne che segui alla sventata congiura di Pisone. A lui, come a Verginio
Flavo, celebre maestro di retorica, nocque, secondo Tacito, claritudo nominis nam
Verginius studia iuvenum eloquentia,
Musonius praeceptis sapientiae fovebat. Tre anni innanzi era nell'Asia Minore
presso Rubellio Plauto, insieme con un altro filosofo, Cerano,il quale non si
trova nominato in altro luogo. Sicché è probabile che egli non tornasse in Roma
se non dopo la morte di Rubellio, per seguire il quale aveva dovuto lasciar
Roma, quando a Rubellio per ordine di Nerone convenne ritirarsi in Asia. Se,
adunque, il nostro M. poté essere il filosofo di Rubellio Plauto, del quale
vedremo con che ardore proseguisse lo stoicismo, la frase di Tacito ci dice che
egli dove esercitare in Roma l'insegnamento pubblico. Le relazioni avute con
Rubellio, che al dire di Tacito, omnium ore celebratur, e quei due anni
consecutivi d'insegnamento pubblico, devono avergli fruttato la claritudo
nominis che fu madre del suo esilio Nerone nella scoperta della congiura
pisoniana trova tra i congiurati più d'uno della setta stoica, come Seneca, a
quanto pare, e Lucano. Ed era naturale che anche M., l'antico maestro ed amico
del suo odiato Rubellio, lo stoico che suscita tanta ammirazione intorno a sé e
trasfondeva in tanti il suo entusiasmo, siccome apparisce da quel che ne dicono
Tacito e Plinio il giovane, facesse nascere nell'animo di Nerone sospetti e
timori e fors'anche invidia. Musonio, cacciato da Roma, e da Nerone relegato
nell'inospitale isola di Giaro, tra le Cicladi. E quivi dimora fino alla morte
di codesto imperatore. Ma neppur li si rimase dall'insegnare. Giacché
Filostrato, testimonio, in verità, non sicuro, ci fa sapere che in quell'isola
accorrevano a lui da ogni parte, e da uno dei frammenti conservatici da Stobeo
si scorge che in Giaro era alla scuola di Musonio il compilatore di quella
specie di 'Azurnusycuata, donde gli estratti musoniani di Stobeo sarebbero
tolti. A Giaro si rese benemerito dell'isola, dove non s'era mai vista
dell'acqua, ed ei seppe trovare una fonte. Per vedere la quale Filostrato
afferma che al suo tempo si visita ancora quell'erma isola. Quanto tempo vi
rimane si può precisare da un luogo del suo discepolo Epiteto; dove si ricorda
un detto di lui relativo alla morte di Galba, dal quale risulta che M. e già a
Roma sotto questo imperatore. Sicché molto probabilmente vi sarà tornato alla
morte di Nerone. Non altrimenti dello stoico Elvidio Prisco, cacciato anche lui
da Nerone e tornato a Roma all'avvento di Galba all'impero. A Roma, M. si
trovava durante il breve impero di Vinelio poicho 1 Potia Coria, sli api
basiatori to riti Tao qua dio qui (o in pa la da i, partando gravi Guasti l'ambasceria
è rimasta famosa; giacché le parole, onde ce la descrive Tacito, colpiscono una
delle debolezze più ridicole che si possano rimproverare ai filosofi: quella di
far della filosofia fuori di luogo. Grave il danno prodotto dai Flaviani fuori
della città. Il popolo, levatosi in armi, vuole uscire in massa contro gl’assalitori.
Tra poco scope terribile la guerra civile. Si convoca il Senato. E questo
sceglie dei legati, che si rechino ai duci di quell'esercito, per persuaderli
pel bene della repubblica alla concordia e alla pace. Tra i primi inviati c'è
uno de' più fervidi e sventurati stoici di quest'età, Aruleno Rustico, allora
pretore. Ma egli e i compagni, venuti da Ceriale, furono accolti assai male. Egli
anzi ferito. Il che eccita più che mai gli animi del popolo: auxit, dice Tacito
invidiam super violatum legati prae-torisque nomen propria dignatio viri. E
quest'offesa recata a un uomo di tanta riputazione della sua setta. non dovette
essere l'ultimo dei motivi che spinsero quindi Musonio a mischiarsi con gl’altri
legati, che andarono da Antonio. Ma già non deve parere strano, che un uomo
cosi illustre, cosi rispettato al tempo suo, e che sapeva di essere ammirato e
di poter contare sull'efficacia della sua nobile parola, s'inducesse a
confidare in questa per calmare gl’animi dei soldati, dimentichi perfino del
più sacro diritto delle genti. Sarebbe stata forse la prima volta che M. parla
a una moltitudine. Anche le Vestali si fecero apportatrici d'una lettera di
Vitellio ad Antonio. Pure non si può non sorridere leggendo in Tacito che
Musonio coeptabat permixtus manipulis, bona pacis ac belli discrimina
disserens, armatos monere. Id plerisque ludibrio, pluribus taedio: nec deerant
qui propellerent propulsarent-que, ni admonitu modestissimi cuiusque et aliis
minitantibus omisisset intempestivam sapientiam. Ci si sente Tacito ammiratore
del vecchio Agricola, anche in quelle considerazioni che l'aveva sentito più
volte a fare circa il suo amore per la filosofia - ultra quam con-cessum Romano
ac senatori; anche nell'avere conservato soltanto ex sapientia modum: e pare
che goda a metterci innanzi lo spettacolo comico e pietoso della fatuità d'un
filosofo fanatico. Ma sotto i colori aggiunti da Tacito si scorge chiaramente
un quadro, che è eloquente testimonianza dell'atteggiamento morale e sociale di
questo stoi-cismo: nei seguaci del quale vedi l'anima piena di fede, ardente
degli apostoli. In Musonio non c'è l'uomo speculativo inesperto della vita, ma
un'anima infiammata da profonde idealità, non comprese dai molti. Un'anima
compagna a quella dei martiri coetanei della religione novella. Sotto la
pretura d'un altro illustre stoico, Elvidio Prisco, dopo il trionfo di
Vespasiano, M. si riaffaccia nella storia di Roma. E questa volta con un atto,
che gl’attira l'ossequio di tutti gl’onesti. Era costume del tempo, come sotto
l'imperatori violenti, di darsi al mestiere di accusatore, cosi sotto
l'imperatori miti di dare addosso agli accusatori che più avevano
spadroneggiato. Chi non ricorda il commovente processo di Barea Sorano, che occupa
gli ultimi capitoli degli Annali di Tacito? In quell'imperversare contro tutti
i virtuosi che Nerone vedesse in Roma, mentre Marcello Eprio assale Trasea
Peto, Ostorio Sabino citava Barea Sorano a scolparsi dell'amicizia, che nel suo
proconsolato in Asia aveva mantenuta con Rubellio Plauto e delle speranze
sovversive sparse in quella provincial. E ne trascinava in Senato anche la
giovane figliuola Servilia, che, mossa dall'angustia del suo cuore filiale,
s'era indotta a consultare gli astrologi sulla sorte del padre (delitto anche
questo agli occhi di Cesare, che ci vedeva sotto trame e propositi ribelli di
novità). Invano il padre proclamava l'assoluta innocenza della sua Servilia: e
accorreva verso di lei per abbracciarla, ma i littori frappostisi glielo
impedivano.Venuta la volta de' testimoni, fra essi si fece a deporre contro il
padre, suo discepolo, e la figlia, che a lui s'era rivolta per il responso
desiderato sulla sorte del padre, quel malvagio stoicastro di Publio Egnazio
Celere, vecchio antenato di Tartufo, e che già conosciamo. Quantum
mise-ricordiae, dice Tacito, saevitia accusationis permoverat, tantum irae P.
Egnatius testis concivit. Ma Sorano e Servilia dovettero morire; e Tartufo ebbe
il solito compenso dei delatori: denari ed onori — benché Tacito un po'
ingenuamente conchiuda che « dedit exemplum praecavendi quo modo fraudibus
involutos aut flagitiis commaculatos, sie specie bonarum artium falsos et
amicitiae fallaces ». Dopo d'allora i professori di filosofia avrebbero dovuto
diventar tutti fior di galantuomini; il che veramente non pare.Ma tra gli
Egnazii per fortuna c'è sempre un Musonio. E Musonio, anni dopo il turpe fatto,
ri-staurato con la vittoria di Vespasiano il regno della giustizia, sorse a
vendicare la morte del compagno Sorano. Simile al suo sciagurato Rubellio oltre
che nella misera fine, nel desiderio di avere presso di sè un filosofo, che gli
facesse da mentore, quasi dottrina vivente. Musonio adunque assali Publio Egnazio
Celere, accusandolo di falso testimonio contro Sorano. Mentre Elvidio Prisco si
apprestava a fare altrettanto contro Eprio Marcello, accusatore di Trasea. Nota
Tacito, che con l'accusa di Musonio pareva si rinfocolassero I vecchi odii
delle delazioni. Ma che nessuno tuttavia poteva far nulla che giovasse a
salvare un accusato cosi vile e cosi apertamente reo: quippe Sorani sancta memoria; Celer professus
sapientiam, dein testis in Baream, proditor corruptorque amicitiae, cuius se
magistrum ferebat. Quel giorno però in cui fu presentata l'accusa, si stabili
che se ne trattasse il di seguente: e l'aspettativa era grande. Ma, entrato poi
Muciano in Roma e tradottosi ogni potere in mano sua, si disviò e rinviò anche
il processo di Egnazio, e non fu ripreso che al principio dell'anno seguente un
giorno che presiedeva il senato il figlio dell'imperatore, Domiziano.Egnazio fu
condannato all'esilio, e Sorano vendicato. Sorani manibus satisfactum, dice
Tacito, con onore di Musonio, il quale parve a tutti che fosse venuto a capo di
un'opera di giustizia. Vi fu chi ambitiosius quam honestius tentò la difesa
della spia: ipsi Publio neque animus in periculis neque oratio subpeditavit. Questa
condanna fu un trionfo dello stoicismo, e poté sembrare per un momento che
un'aura più propizia incominciasse per i suoi seguaci, grazie al governo mite
di Vespasiano. Ma poco dopo, sappiamo da Dione che essi furono da questo
imperatore per consiglio di Muciano cacciati tutti da Roma. Tutti, ad eccezione
di M., risparmiato forse per l'amicizia personale che lo stringeva, secondo
Temistio, a Tito. Si vede le ragioni di questo bando generale dei filosofi a
cui Muciano, secondo Dione, avrebbe indotto Vespasiano (che pur tanto favori la
cultura) sitofino alla morte, che non si può dire quando sia avvenuta. Ma pare
che fosse morto da un pezzo quando Plinio il giovane scrive al padre
raccomandandogli l'amico suo e genero di Musonio, Artemidoro, e ricorda
l'affetto misto di ammirazione che egli quantum licitum est per actatem, aveva
portato al filosofo etrusco. PLINIO, Epist. Lo ZELLER dice soltanto verosimile
che il Gaio M. di q. 1. sia il noto filosofo stoico. Ma il contesto della
lettera a me non pare che lasci alcun dubbio. Sur A, s.v.(3) TAcioo lo dice “Tusci
generis”; Ab excessu; e TUpprvóv FILOSTRATO,Vita Apoll. Ma SuIDA precisa anche
la città, confermata da un'iscrizione relativa al poeta Rufio Festo Avieno
discendente di Musonio e anch'esso Volsiniense: Corpus inscript. latin., VI,
587. Cfr, anche Epigramm. Anth. lat. (Burm.). Infatti la frase di PLiNIo,
Epist. et M., socerum eius (sc. Artemidori), quantum licitum est per aetatem,
cum admiratione di-lexi deve far pensare che Musonio fosse innanzi negl’anni
quando Plinio era ancora giovane; che perciò intorno all'80 avesse una
cinquantina d'anni. Zeller pone l'anno di nascita di lui tra il 20 e il 80 d.
C.TAc., Hist., III, 81. (1) Ab excessu, XV, 71. Cfr. DIoNE-SIFILINO, LXII, 27.
SUIDA (s. v.) dice: 8iàNépwvos dvoupsitar (cioè è ucciso: ma questo è certo un
errore). Da un frammento d'una lettera di GIULIANO l'Apostata, riferito da
Suida, si ricaverebbe che quando Nerone bandi Musonio, questi occupa una
pubblica carica aTe-jé?eto Bapüv = murorum curator erat; ed. Bernardy). Ma non
è chiaro se il frammento di Giuliano si riferisca al nostro Musonio, o al Musonio
vissuto sotto Gioviano, a cui si riferisce l'art. seguente di Suida. Тас., Аб
ехсеззи, XIV, 59. Ma forse è una stessa persona con lo scrittore di questo nome
ricordato da PliNio tra le fonti della Nat. Hist. A torto l'HALM (nell'Index
historicus, s. v. Coeranus nella sua ediz. di Tacito) sospetta che sia da
sostituire Cornutus nel detto luogo Ab exc.; perchè la lezione è sicura; e
d'altra parte Cornuto in quel tempo era in Roma. Su Cornuto, maestro di Persio
e Lucano, v. per ora MARTINI, De L. Ann. Cornuto, Lugd., Bat.;ZELLER;
TEUFFEL-SCHWARE, Roem, Litter.-Gesch.; e PAULY-WIssOwA, Real-Encyclopidie s. v.
Il Lipsio al cit. loc. di Tacito sospetta che il Coeranus dovesse con lieve
mutazione di lezione identificarsi con quel Claranus, condiscepolo di Seneca,
di cui questi parla nell'epist. 66. Ed invero la probabile data di questa
lettera (Hu-GENFELD) e il dirsi in essa
che Seneca aveva riveduto cotesto Clarano post multos annos combinano con
l'anno 63, nel quale ei si sarebbe trovato con Rubellio in Asia. Ma nè anche di
Clarano s'avrebbe altra notizia. Ab exc. A questo tempo si può riferire la
notizia di EPITETo (Diss.) di un rimprovero dato a Trasea Peto, che avrebbe
detto voler egli morire la vigilia di quel giorno, in cui gli sarebbe toccato
di lasciar Roma.TU ODU aUTÕ POSSOS SiTEV; El uéy d5 PapÚTEpOr ¿xTErA, TIS i
Mapia tÃsextorisi si d'ós xoupótepor, tis ool déduxev; aù d618i6 pelerãy
apxsiolesTỘ Siouévo. Quando Musonio tornò, Trasea e morto. Quanta incertezza ci
sia intorno all'autore dei frammenti musoniani di Stobeo, comunemente
attribuiti a quel CLAUDIo PoLLIoNE, che secondo SUIDA (Moudúvos) avrebbe scritto
appunto degli anourquoveú para Mouraviou vedidi thy puyny pains au Epaxévos pE
X.T.?, STon.Cir. WENDLAND, JULIANI epist. in Rhein. Mus., XIII, 24, Froste.,
Vita Apoll., VII, 16.Tutti gli altri luoghi di Filostrato in cui si nomina un
Musonio, si riferiscono a un altro Musonio, di Babilonia, cinico
EPITETO (Diss.) dice:
POÚpO TIS ElEYE, l'álßa aparèvros,8t Noy Movoi o MóJHOE dOEia; "O 8à, Mi
yap dyú ool tot', egn, añò l'arßaнатвохейава, оть проова б хосноє діохвіто. Il
concetto di Calba accennato in questo passo M. non avrebbe potuto averlo se non
a Roma, dopo essere steto da lui richiamato ed averne sperimentato il governo
assai mite inconfronto del precedente. ZELLER cita anche (come il MoNasEN, Ind.
plin.) Tac., Hist. Ma questo luogo non proverebbe. È un evidente errore quello
di Girolamo, all'anno M. philisophum de exilio revocat/ Giacché nella cacciata
Musonio fu eccettuato, e rimase sempre in Roma sotto Vespasiano.Il CHRIST,
Gesch. d. griech. Litter., Nördlingen, dice che Musonio torna in Roma sotto
Trajano! -Molto probabilmente allora era morto. TAc., Hist., IV, Hist., III,
80,Tac., Hist. Miscuerat se legatis... ». Egli non era dunque propriamente un
legato.prodie tot, il vole di grinto rogu latativo. Bai minciava
sompre Era stato consul suffectus sotto Claudio nel 52; e apparteneva
forse alla famiglia Servilia (Ephem. Epigr.). Sua figlia infatti si chiamava
Servilia. Crimini dabatur amicitia Plauti et ambitio conciliandae provinciaead
spes novas. Tac. O 8è On MOÚTAOS Eri uE to duxopaurig nal xpipara Nai tudE
EraßEpostquam pecunia reclusa sunt. di Tac.. Barea Sorano dovette volgersi allo
stoicismo dopo il 52, perchè in quest'anno lo vediamo (TAc., Ab exc.) autore di
quel senatoconsulto (Pul-NIo, Ep., e SvEr., Claud.) in cui si decretavano le
insegne pretorie e 150 milioni di sesterzi a Pallante. Chi consideri il modo
onde Plinio parla di quel S. C., uno stoico non avrebbe commesso un tale atto;
mentre poi TAcITo, Ab excessu, dice che Cicerone volle distruggere la virtù
stessa, virtutem ipsam excindere concupivit, con l'uccidere Trasea e Sorano.(4).
Tum invectus est Musonius Rufus in P. Celerem, a quo Baream Soranum falso
testimonio circumventum arguebat. Tac., Hist. Il nome d'Egnazio, come s'è visto
più su, rimase tristamente celebre come sinonimo di delatore e traditore
vilissimo. Lo dimostrano le frequentiallusioni di Giovenale. Justum officium
[Nipperdey) explesse Musonius videbatur • Tac., Hist., IV, 40. Per la condanna
della spia cfr. DIONE-SirIL., e lo ScHoL. di Giovenale ad Sal., I, 33. -
TAcrro, l. c., continua: • Diversa [da quella di Musonio] fama de Demetrio
Cynicam sectam professo, quod manifestum reum ambitiosius quum honestius
defendisset Ma è da sospettare che Tacito abbia confuso il Demetrio cinico,
onorato da tutti gli stoici migliori del tempo (cfr. Ab exc.), col Demetrio
causidico, delatore di Nerone, ricordatodallo ScuoLIAsTE di Giovenale, ad Sat.,
Tac., 1. c. DIoNE-SIFIL., LXVI, 18.(5) Orat. XIII, 178.SvEr., Vesp. ingenia et
artes vel maxime fovit ..Epist., III, 11. Le lettere del lib. III di Plinio
devono essere state scritte tra il 101 o il 102, secondo il MouMsEN, Zur Gesch.
d. junger. Plinius, nell' Her. mes, III, 1869, p. 40 (v. lo stesso studio con
aggiunte nella Biblioth, de l'école des hautes étude, trad. par Morel, Paris,
Franck, Sulla vita di Musonio non v'è che la vecchia Dissertatio de M. R. di NIEUWLAND,
ristampata innanzi a C. M. R. Reliquiae et apophthegmata, cum ann. ed. F.
VENHUIZEN PEERLKAMP, Harlemi, e uno scritterello del REINACH, Sur un témoignage
de Suidas relatif à Mus. R., in Comples rendus de l'Acad. des inscriptions et
belles lettres. Rufo (si veda). Tito Musonio Rufo. Gaio Musonio Rufo. Musonio.
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