Grice e Nannini: l’implicature conversazionali dei corpi
animati – filosofia italiana – Luigi Speranza (Siena). Filosofo italiano. Grice: “Nannini has intuitions in Italian.” Grice: “I agree with Nannini about the naturalism: the ‘anima’ is
there to ‘explain’ ‘spiegare’ the action, ‘l’azione’ – He is the Italian
Muybridge!” – Grice: “The Nannini series is the equivalent of the Muybridge
series” Studia a Firenze con Luporini e Landucci e, inizialmente, con Cesare Luporini.
Ha accompagnato la sua attività di ricerca in campo filosofico ed i suoi
impegni accademici con una intensa attività politica a Siena come militante del
Partito Comunista Italiano. È stato Professore di Filosofia Morale all'Urbino e
di Filosofia Teoretica all’Università Siena, dove ha insegnato per alcuni anni
anche filosofia della mente ed è stato principale cofondatore e direttore di
una scuola di dottorato interdisciplinare in Scienze Cognitive. È stato inoltre
più volte, visiting professor presso le Osnabrück, North London, Bremen e
Oldenburg. Attualmente in pensione, è ancora pro tempore Docente Senior presso
l’Siena e dal è direttore di Rivista
Internazionale di Filosofia e Psicologia. I suoi studi giovanili si sono
incentrati sulla filosofia delle scienze sociali, lo strutturalismo francese e
la storia del pensiero antropologico. Successivamente, rivoltosi alla filosofia
analitica ed in particolare alla teoria dell’azione, ha cercato di sviluppare
il “naturalismo metodologico” criticando il ritorno di neo-wittgesteiniani come
Wright alla distinzione storicistica tra scienze della natura e scienze dello
spirito. Sempre muovendosi entro la filosofia analitica, ma rivolgendo il
proprio interesse alla filosofia pratica, ha difeso il non cognitivismo in
meta-etica. A partire dagli anni Novanta Professoresi è infine spostato dalla
teoria dell’azione alla filosofia della mente. In una prima fase si è occupato
soprattutto della storia del concetto di mente, per approdare ad una forma di
naturalismo cognitivo basata su una soluzione fisicalistico-eliminativistica del
problema mente-corpo. Saggi: “Il pensiero simbolico” (Bologna, Il
Mulino); “Cause e ragioni” -- Modelli di spiegazione delle azioni” umane nella
filosofia analitica” (Roma, Riuniti); “Il Fanatico e l'Arcangelo” -- Saggi di
filosofia analitica pratica, Siena, Protagon. “L'anima e il corpo” -- Una introduzione storica alla filosofia dell’animo,
Roma, Laterza; “Naturalismo” cognitivo: Per una “teoria materialistica” dell’animo,
Macerata, Quodlibet, “La Nottola di Minerva” -- Storie e dialoghi fantastici
sulla filosofia dell’animo” (Milano, Mimesis);“Educazione, individuo e società”
Torino, Loescher ), L’animo può essere naturalizzata?, Colle di Val D’Elsa (Siena),
SeB Editori. Saggi, Freud e l'antropologia, in La Cultura. Rivista di
Filosofia, Letteratura e Storia, “ Il materialismo “primario”, in, Il pensiero
di Luporini” ( Milano, Feltrinelli); “L'anomalia dell’animo «Rivista di filosofia»,
Corpi animati, nel dibattito contemporaneo, in
L’animo, Milano, Mondadori, I corpi animati e e società nel naturalismo
forte, nella Civiltà delle Macchine», Realismo scientifico e ontologia
materialistica, in «Giornale di metafisica», Nicolaci G., Perone U., Ontologia e
metafisica, Il concetto di verità in una prospettiva naturalistica, in Amoretti,
Marsonet, Conoscenza e verità” (Milano, Giuffré); “L’Io come Direttore Assente”
(in Cardella V., Bruni D., Cervello, linguaggio, società: Atti del Convegno di Scienze
Cognitive, Roma, CORISCO, Orologi, animo e cervello: Riflessioni preliminari su
tempo reale e tempo fenomenico tra fisica teorica e filosofia dell’animo, in
Amoretti, Natura umana, natura artificiale” (Milano, Angeli); Rappresentazioni
naturalizzate, in «Sistemi intelligenti», Kant e le scienze cognitive sulla
natura dell’Io, in Amoroso L., Ferrarin A., La Rocca C., Critica della ragione
e forme dell'esperienza’ (Pisa, Edizioni ETS); Realismo scientifico e
naturalismo cognitivo, La coscienza può essere naturalizzata?, in Nannini S.,
Zeppi A., L’animo può essere naturalizzata?, Colle di Val D’Elsa (Siena), SeB
Editori, In-conscio, co-scienza e
intenzioni nel naturalismo cognitivo, in «Sistemi intelligenti», La svolta
cognitiva in filosofia, in «Reti, saperi, linguaggi: Naturalismo cognitivo: Per
una teoria materialistica dell’animo, Quodlibet, Sandro Nannini, La Nottola di Minerva: Storie
e dialoghi fantastici sulla filosofia dell’animo, Mimesis. Nannini. Keywords: corpi
animati, l’interazione dei corpi animati, l’ego come direttore assente, freud e
il nos come dirretori assenti --. Luigi Speranza: “Grice e Nannini: il santo,
l’eroe, il fanatico, l’arcangelo” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Nardi: l’implicatura d’Alighieri -- dantesco
– Alighieri -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Spianate di Altopascio). Filosofo italiano. Grice:
“The Italians are fortunate: with Alighieri they can philosophise about him!” Primogenito di una famiglia
benestante, composta di nove figli, viene avviato sin dalla tenera età alla
carriera ecclesiastica. Entra nel collegio dei frati francescani a Buggiano e
nel 1900, a sedici anni, diventa chierico, assumendo il nome di frate Angelo. Uscì
dal convento di Buggiano perché non aveva intenzione di continuare nella vita
religiosa, avendone perduta la vocazione. Proseguì gli studi di filosofia e
teologia frequentando il convento di Sant'Agostino di Nicosia in provincia di
Pisa. Volendo proseguire gli studi, i genitori gli indicarono un'unica strada,
quella di entrare in seminario e diventare prete. Venne ammesso al seminario di
Pescia e diventò sacerdote. Qui si avvicinò fugacemente al movimento
Modernista, condannato da papa Pio X con l'Enciclica Pascendi. Nel 1908
Nardi sostenne l'esame di concorso per una borsa di studio triennale conferita
dall'opera Pia Galeotti di Pescia al fine di frequentare un corso di
perfezionamento filosofico presso l'Università Cattolica di Lovanio (Belgio).
Nel 1909 Nardi aveva da poco iniziato a frequentare l'Università
Cattolica di Lovanio che già decise l'argomento della sua tesi di laurea Sigieri
di Brabante nella Divina Commedia e le fonti della filosofia di Dante, che
venne discussa con Wulf. La lettura dell'opera di Pierre Mandonnet, nella parte
dedicata a Sigieri, non persuadeva N. sulla soluzione data al problema della
presenza di questo averroista nel Paradiso dantesco. Due pregiudizi la
inficiavano: il primo “consisteva in un'inesatta visione storica di quello che
nel Medio Evo e nel Rinascimento era stato l'averroismo. Il secondo pregiudizio
del Mandonnet era quello di ritenere il pensiero filosofico di Dante conforme
in tutto e per tutto a quello d’AQUINO." Nel momento in cui N. Entra a
Lovanio abbandonò il modernismo teologico, ma non abbracciò la filosofia
neo-scolastica che quella Università belga stava elaborando. Non aveva senso
per lui ripetere, sul finire dell'Ottocento, nell'epoca del positivismo,
l'operazione culturale d’AQUINO che prevedeva l'unificazione di fede e
ragione. Il metodo di lavoro che Nardi seguì nel corso della sua vicenda
di studioso e ricercatore, rimase sempre improntato al massimo rigore
filosofico, risentendo come una traccia indelebile dell'esperienza di Lovanio,
dove dovette affrontare studi scientifici. Per Nardi l'interpretazione del
testo coincide con la libertà, ma tale atto libero non può attivarsi senza uno
scrupoloso lavoro di scavo e ricerca del materiale documentario, l'esatta
interpretazione filosofica dei testi. Ottenuta un'ulteriore borsa di
studio dall'Opera Pia di Pescia frequenta corsi di filosofia a Vienna, Berlino,
Bonn. Oltre alla pubblicazione della propria tesi su Sigieri nella “Rivista di
filosofia neo-scolastica”, N. vi pubblica altri interventi spesso critici con
la linea editoriale del periodico. scritto ai corsi dell'Istituto di Studi
Superiori di Firenze perché voleva riconoscere in Italia la sua laurea in
filosofia conseguita a Lovanio. A Firenze discuterà la tesi di laurea in
filosofia dedicata alla figura del medico e filosofo padovano Abano. Collabora
alla “Voce”, rivista fondata da Prezzolini con il quale mantenne per lunghi
anni una fitta corrispondenza. N. volle abbandonare il sacerdozio. In una
successiva lettera indirizzata al
vescovo Angelo Simonetti, spiegava che era stato l'ambiente familiare a
spingerlo a chiedere la sacra ordinazione, con preghiere e minacce. Di trasferì
a Mantova per insegnare filosofia presso il liceo classico Virgilio, dove vi restò
fino al quando si trasferì a Milano. Ha da Giovanni Gentile un incarico per
l'insegnamento della filosofia medievale presso la facoltà di lettere
dell'Roma. Tuttavia non ottenne la cattedra universitaria (se non dopo molti
anni), a causa dell'art. 5 del Concordato in base al quale la curia romana
escludeva i sacerdoti secolarizzati dall’insegnamento. Gli fu assegnata la
“Penna D’Oro” dal presidente del Consiglio Tambroni. Gli fu conferita la laurea
honoris causa da parte dell’Padova e da parte di quella di Oxford. Le
opere e gli studi su Alighieri si è dedicato instancabilmente per di più in
mezzo secolo allo studio del pensiero di Dante, anche quando si occupava di
Virgilio, di Sigieri di Brabante, di Pomponazzi. Nardi ha saputo mettere in
discussione schemi consolidati, ha aperto strade nuove, ha formulato proposte
inedite che ci permettono di avere una più esatta comprensione dei testi
danteschi. Una costante di Nardi è di aver conservato sempre una propria
autonomia, se non un vero e proprio distacco, rispetto agli ambienti
culturali in cui si era trovato ad agire, fossero Lovanio, Firenze o Roma. Il
coraggio con cui seppe polemicamente ribaltare tesi consolidate negli ambienti
accademici, gli fruttarono ingiustamente isolamento e non adeguata
considerazione rispetto alle sue acquisizioni veramente anticipatrici. Basti
pensare alle sue tesi sull'averroismo latino, all'importanza data alla figura
di Avicenna, di Alberto Magno, al rifiuto del preteso tomismo di Dante. E se di
Gentile parlava come di un "vero e grande maestro", dandogli ragione
nella sua polemica con il De Wulf (relatore della sua tesi a Lovanio), Nardi
pur tuttavia non aderirà al Neoidealismo, ma vi trarrà soltanto spunti e stimoli
per le sue ricerche. L'incontro con Dante costituisce per N. l'episodio
decisivo della sua vita intellettuale e morale. Scriverà nel 1956: "in
Dante trovai il vero e primo maestro, quello a cui debbo la maggior
gratitudine". Il senso della sua ricerca è stato interrogare il
"miracolo" della Divina Commedia, questo "singolare poema
sbocciato all'improvviso contro tutte le buone regole dell'arte e del
dittare". Secondo N. nella commedia è custodita la Verità, che si è
manifestata ad un poeta ispirato da una profetica visione. La lunga fatica del
Nardi è giunta a concludere che la filosofia di Dante non si riduce a nessun
sistema codificato; è una sintesi complessa tendente a superare le antinomie e
che mantiene intera la sua spiccata originalità, il suo personalissimo
pensiero. Per arrivare a coglierlo occorre da una parte ristabilire il preciso
significato delle parole in rapporto alla terminologia filosofica e scientifica
del Medioevo, e ricostruire dall'altra l'ambiente culturale e l'atmosfera
spirituale nelle quali Dante si muoveva per arrivare a determinare la fonte, il
libro letto da Dante. N. ha gettato luce su molti elementi e suggestioni
che Dante derivava dalla filosofia araba e neoplatonica. Essenziali per comprendere
Dante sono Alberto Magno e Sigieri più di Tommaso; così come il neoplatonismo e
la cultura araba più dello scolasticismo aristotelico. A N. interessava
particolarmente affrontare il tema della "visione dantesca",
esperienza profetica che seppe tradurre come nessun altro nel linguaggio della
Divina Commedia. La visione di Dante non è finzione letteraria, è rivelazione
reale dell'aldilà, concessa da Dio in virtù di un supremo privilegio. Dante
visse il rapimento mistico ed estatico al terzo cielo come esperienza reale.
Dante credette di essere sceso veramente nell'Inferno, salito veramente al
Purgatorio e al Paradiso. Per N. la Commedia si distacca dagli altri scritti di
Dante, perché ne è il loro compimento. Tale culmine si realizza attraverso
un'esperienza eccezionale, di origine mistico-religiosa a lui soltanto
riservata, una rivelazione che ha il potere di trasformare e rendere nuove
tutte le altre opere precedenti. L'opera dantesca, secondo Nardi, si deve
suddividere in tre fasi: la prima fase, che termina a venticinque anni, è sotto
l'influsso di Guinizzelli, assente del tutto la filosofia. La seconda fase, quella
filosofico-politico, coincide con le rime allegoriche, il Convivio, il De
vulgari eloquentia e la Monarchia. La terza fase, quella della poesia
profetica, coincide con la Divina Commedia, poema che segna il ritorno
all'unità della filosofia cristiana. Dante vi compare come profeta che deve
annunciare al mondo l'avvento di un inviato di Dio per la redenzione umana. La
Commedia è "poema sacro", la sua è poesia religiosa. Nardi vede in
questa terza fase finalmente riconciliarsi la speranza cristiana spezzatasi con
l'aristotelismo e l'avverroismo. Per Nardi l'aristotelismo è inconciliabile con
il cristianesimo, e il tomismo pertanto è "il più strano paradosso del
pensiero umano". La Commedia testimonia della riunificazione della
filosofia con la rivelazione di Dio. Dante visse una visione profetica,
esperienza che mancò ad Aristotele. L’'Accademia dei Lincei gli ha
conferito il Premio Feltrinelli per la Filosofia. Saggi: “Flosofia dantesca” (Bari, Laterza) – ALIGHERI
-- ; “Critica dantesca” (Milano, Ricciardi); “Filosofia dantesca” (di
Alighieri) (Firenze, Nuova Italia); “La filosofia medievale” (Roma, Ed. di storia
e letteratura); “Alighieri” (Roma, Laterza). Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,."Giornale
Critico della Filosofia Italiana",
Premi Feltrinelli, su lincei, Medioevo e Rinascimento,” Firenze, Sansoni, Alberto
Asor Rosa, Dizionario della letteratura italiana del Novecento, ad vocem
Sigieri di Brabante e Alessandro Achillini, Di un nuovo commento alla canzone
del Cavalcanti sull'amore, “Cultura neo-latina”, Noterella poetica
sull'averroismo di Cavalcanti, Rassegna filosofica, Sigieri di Brabante e le
fonti della filosofia di Alighieri, in “Rivista di filosofia neoclassica” Sigieri
di Brabante nella Divina Commedia e le fonti della filosofia di Alighieri,
Spianate, La teoria dell'anima o animo e la generazione delle forme secondo
Pietro d'Abano, “Rivista di filosofia neoscolastica”, Vittorino da Feltre al
paese natale di Virgilio, in “Atti del IV Congresso nazionale di Studi Romani”,
Roma, Lyhomo (note al “Baldus” di T. Folengo), “Giornale critico della
filosofia italiana”, “Nel mondo di Alighieri” (Edizioni di Storia e Letteratura,
Roma); “Sigieri di Brabante nel pensiero del rinascimento italiano” (Edizioni
italiane, Roma); “Alighieri profeta, in Dante e la cultura medioevale; “Saggi
di filosofia dantesca” (Bari, Laterza); “La mistica averroistica e Pico”; “L'
aristotelismo padovano (Firenze, Sansoni) – i lizii -- già edita in “Archivio
di filosofia, Umanesimo e Machiavellismo”, Padova); “Il naturalismo del
Rinascimento, Corso di storia della filosofia. T. Gregory, Roma, Universitarie; “L'alessandrinismo nel
Rinascimento, Corso di Storia della filosofia. Anno accademico, I. Borzi e C. R. Crotti, Roma, “La Goliardica”
La fine dell'averroismo, Gli scritti di Pomponazzi. “Giornale critico della
filosofia italiana”, Le opere inedite di Pomponazzi. Il fragmento marciano del
commento al “De Anima” e il maestro di Pomponazzi, Trapolino, Il problema della
verità, soggetto e oggetto dell'conoscere nella filosofia antica e medioevale”
(Universale di Roma, Roma); “La crisi del Rinascimento e il dubbio cartesiano,
Corso di storia della filosofia T. Gregory, “La Goliardica” Il commento di
Simplicio al “De Anima” Archivio di filosofia”, Padova, La miscredenza e il
carattere morale di Vernia, Giornale critico della filosofia italiana, Le opere
inedite di Pomponazzi, “Giornale critico della filosofia italiana” Le
meditazioni di Cartesio, Lezioni di storia della filosofia. “La Goliardica”,
Roma, Pomponazzi e la cicogna dell'intelletto, “Giornale critico della
filosofia italiana” Il dualismo cartesiano, Corso di storia della filosofia. T.
Gregory, “La Goliardica”, Roma, Il dualismo cartesiano degl’occasionalisti a
Leibniz, Corso di storia della filosofia. T. Gregory, “La Goliardica”, Roma, Ancora
qualche notizia e aneddoto su Vernia, Giornale critico della filosofia
italiana, Marcantonio e Zimara: due filosofi galatinesi, “Archivio storico Pugliese” Un'importante
notizia su scritti di Sigieri a Bologna e a Padova alla fine del sec. XV,
“Giornale critico della filosofia italiana”, Contributo alla biografia di
Feltre, “Bollettino del Museo civico di Padova”, Letteratura e cultura del
Quattrocento, in “La civiltà veneziana del Quattrocento” (Firenze, Sansoni); “Appunti
intorno a Trapolin, In Miscellanea” (Edizioni di Storia e letteratura, Roma);
“Copernico studente a Padova”; “Studi e problemi di critica testuale. Convegno
di studi di filologia italiana nel centenario della Commissione per i Testi di
Lingua, Bologna, L'aristotelismo della Scolastica e i Francescani, in Studi di
Filosofia Medioevale” (Storia e letteratura, Roma); “Pomponazzi e la teoria di
Avicenna intorno alla generazione spontanea dell'uomo” (Mantuanitas vergilana –
(Ateneo, Roma); La scuola di Rialto e l'Umanesimo veneziano, in Umanesimo
Europeo e Umanesimo veneziano” (Sansoni, Firenze); “Studi su Pomponazzi” (Monnier,
Firenze); “I lizii di Padova” (Monnier, Firenze); “Corsi manoscritti di lezioni
e ritratto di Pomponazzi, in Atti del VI Convegno internazionale di studi sul
Rinascimento” (Sansoni, Firenze); “Studi su Pietro Pomponazzi” (Monnier, Firenze);
“Saggi e note di critica dantesca, Ricciardi, Filosofia e teologia ai tempi di Alighieri
in rapporto al pensiero del poeta, in Saggi e note di critica dantesca” (Ricciardi,
Milano); “Saggi e note sulla cultura veneta del Quattro e Cinquecento Mazzantini,
Antenore, Padova); “Saggi sulla cultura veneta del Quattro e del Cinquecento Mazzantini,
Antenore, Padova, Divina Commedia, Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Enciclopedia dantesca,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Un profilo biografico, Consulenza
scientifica Società Dantesca Italiana. Bruno Nardi. Nardi. Keywords: dantesco, Alighieri,
animo, Pomponazzi, Virgilio, Enea, inferno, il concetto d’animo, la filosofia
romana nel secolo d’augusto – il secolo d’oro della filosofia romana – il
secolo augusteo, pico, abano. Refs.: H. P. Grice, “Lasciate ogni speranza voi
ch’entrate,” The Swimming-Pool Library. – Luigi Speranza, “Grice e Nardi: il
paradiso filosofico” --.
Grice e Nasta: la setta di Caulonia -- Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Caulonia). Filosofo
italiano. A Pythagorean, according to Giamblico di Calcide, “Vita di Pitagora.”
Grice e Natoli: l’implicatura conversazionale
dell’uomo tragico – origini dell’antropologia romana -- filosofia siciliana – filosofia
italiana -- Luigi Speranza (Patti).
Filosofo italiano. Grice: “I like
Natoli. He philosophises on the ‘uomo tragico’ at the source of western
civilisation, and also the experience of ‘pain’ at the source of it.” Si laurea a Milano, dove ha trascorso gli anni nel Collegio
Augustinianum. Insegna a Venezia e Filosofia della politica alla Facoltà di
Scienze Politiche dell'Università degli Studi di Milano. Attualmente è Professore
di Filosofia teoretica presso la Facoltà di scienze della formazione
dell'Università degli Studi di Milano-Bicocca. Attività accademica In
particolare, Salvatore Natoli è il propugnatore di un'etica neopagana che,
riprendendo elementi del pensiero greco (in particolare, il senso del tragico),
riesca a fondare una felicità terrena, nella consapevolezza dei limiti
dell'uomo e del suo essere necessariamente un ente finito, in contrapposizione
con la tradizione cristiana. Filosofia del dolore Una particolare e
approfondita analisi sul tema del dolore è stata condotta da Natoli in diverse
sue opere. Il dolore è parte essenziale della vita e per gli antichi
filosofi greci era l'altra faccia della felicità: «I greci si sentono
parte e momento della più grande e generale natura, crudele e insieme divina,
si sentono momento di quest'eterno e irrefrenabile fluire, ove non vi è
differenza tra bene e male allo stesso modo in cui il dolore si volge nella
gioia e la gioia nel dolore» La natura infatti dava la vita e nello
stesso tempo crudelmente la toglieva. Il dolore in realtà fa parte della vita
ma non la nega: il dolore può essere vissuto e reso sopportabile se chi soffre
percepisce non la pietà dell'altro ma che la sua sofferenza è importante per
chi entra in rapporto con lui e con la sua sofferenza. Se chi soffre si sente
importante per qualcuno, anche se soffre ha motivo di vivere. Se non è
importante per nessuno può lasciarsi prendere dalla morte. Secondo Natoli
l'esperienza del dolore ha due aspetti: uno oggettivo, il danno («Nel momento
in cui la sofferenza è motivata attraverso la colpa, colui che soffre non solo
patisce il danno, ma ne diviene anche il responsabile»); e uno soggettivo, cioè
come viene vissuta e motivata la sofferenza. La stessa sofferenza è
interpretata in modo differente da diverse culture: per alcune il dolore fa
parte della contingenza del mondo fenomenico, dell'apparenza per altre invece,
è vissuto intensamente come ad esempio nel cristianesimo dove al dolore viene
associata la redenzione. Vi è una circolarità tra il dolore e il senso che fa
sì che, pur essendo il dolore universale, ad ognuno appartenga un dolore
diverso. Vi è dunque un senso del dolore e un non senso che il dolore
causa. Il dolore infatti contraddice la ragione che non sa darsi spiegazione
del perché il dolore abbia colpito proprio quell'individuo e per quali colpe
quello abbia commesso e, infine, perché il dolore travagli il mondo. Il
tentativo di rispondere a queste fondamentali domande fa sì che l'individuo scopra
nuove forze in lui che generino un vittorioso uomo nuovo che, partendo
dall'esperienza del dolore, s'interroghi sul senso dell'esistere, tenendo
sempre presente però, che il dolore può segnare anche una definitiva
sconfitta. Nel dolore l'uomo può scoprire le sue possibilità di crescita
ma questo non vuol dire disprezzare il piacere, sostenendo che questo, invece,
ottunde gli animi. Il piacere invece affina la sensibilità come accade per chi
ascolta frequentemente una buona musica. Il piacere invece è negativo quando
diventa «monomaniaco, eccessivo, quando, anziché sviluppare la sensibilità, la
fossilizza in un punto di eccessiva stimolazione. E l'eccessivo stimolo
distrugge l'organo.» A differenza del piacere, dell'amore che è dialogo tra
due, che è espansivo e affabulatorio anche quando è silenzioso, l'esperienza
del dolore chiude il singolo nella sua individualità e incomunicabilità, poiché
«il corpo sano sente il mondo, il corpo malato sente il corpo. E quindi il
corpo diventa una barriera tra il proprio desiderio, l'universo delle
possibilità, e la realizzabilità delle medesime possibilità.» Sebbene il
dolore sia "insensato" si cerca di spiegarlo con le parole spesso
inutili ed allora si cerca dapprima la parola "efficace" che offre la
tecnica o la parola "efficace" della preghiera, della fede, che non
annulla il dolore, ma dà una speranza nel miracolo. L'efficace uso della parola
per spiegare il dolore fa sì che gli uomini trovino conforto nella comune
sofferenza, in quella universalità del dolore dove però ognuno rimane nella sua
singolarità di senso. La parola efficace della tecnica per un verso ha
alleviato il dolore ma per un altro può creare delle condizioni di vita
tali per cui la stessa tecnica controlla il dolore senza togliere la malattia,
creando così un'esistenza prolungata senza futuro sotto la continua incombenza
della morte: «A partire dal Settecento, ma ancor più nel corso
dell’Ottocento, la tecnica è stata sempre di più associata alle filosofie del
progresso: infatti ha emancipato gli uomini dai vincoli naturali, ha ridotto il
peso della fatica, ha attenuato il dolore, ha accresciuto il benessere, ha
conteso lo spazio alla morte differendola sempre di più… ma la tecnica, oggi, è
nelle condizioni di interferire in modo profondo nei processi naturali
modificandone i cicli…» Una soluzione all'inevitabilità del dolore può
essere l'adesione a un nuovo paganesimo secondo l'antica visione greca
dell'accettazione dell'esistenza del finito e della morte dell'uomo. «Il
cristianesimo ha alterato l'anima pagana. Nel momento in cui il sogno di un
mondo senza dolore è apparso, non ci si adatta più a questo dolore anche se si
crede che un mondo senza dolore non esisterà mai. La coscienza è stata visitata
da un sogno che non si cancella più, e anche se lo crede inverosimile tuttavia
vuole che ci sia.» Anche il cristianesimo infatti teorizza l'uomo finito,
ma non essere naturale destinato alla morte, ma come creatura di Dio. Per il
cristiano la vita finita condotta secondo il dovere porta all'accettazione
della morte come passaggio a Dio. Per il neopaganesimo la vita finita è degna
di essere vissuta senza speranza di infinitezza ma vivendola secondo un ethos,
che non è dovere di obbedire a un comando morale con la speranza di un premio
eterno, ma buona e spontanea abitudine di una condotta consapevole
dell'universale fragilità umana. Saggi: “Soggetto e fondamento” -- studi
su Aristotele e Cartesio (Padova, Antenore); “La critica del linguaggio”
(Venezia, Marsilio); “Ermeneutica e genealogia -- filosofia e metodo” (Milano,
Feltrinelli); “L'esperienza del dolore -- le forme del patire” (Milano, Feltrinelli);
“Gentile” (Torino, Boringhieri); “Vita buona vita felice -- scritti di etica e
politica” (Milano, Feltrinelli); “Teatro filosofico -- gli scenari del sapere
tra linguaggio e storia” (Milano, Feltrinelli); “L'incessante meraviglia -- filosofia,
espressione, verità” (Milano, Lanfranchi); “La felicità -- saggio di teoria
degli affetti” (Milano, Feltrinelli); “I nuovi pagani” (Milano, Saggiatore); “Dizionario
dei vizi e delle virtù” (Milano, Feltrinelli); “La politica e il dolore” (Roma,
EL); “Soggetto e fondamento. Il sapere dell'origine e la scientificità della
filosofia” (Milano, Mondadori); “Delle cose ultime e penultime” (Milano, Mondadori);
“Natura, poesia, filosofia” (Milano, Mondadori); “Progresso e catastrophe -- dinamiche
della modernità” (Milano, Marinotti); “Dio e il divino” (Brescia, Morcelliana);
“La politica e la virtù” (Roma, Lavoro); “La felicità di questa vita -- esperienza
del mondo e stagioni dell'esistenza” (Milano, Mondadori); “L'attimo fuggente o
della felicità” (Roma, Edup); “Stare al mondo -- escursioni nel tempo presente”
(Milano, Feltrinelli); “Il cristianesimo di un non credente” (Magnano,
Qiqajon); “Libertà e destino nella tragedia” (Brescia, Morcelliana); “Stare al
mondo -- escursioni nel tempo presente” (Milano, Feltrinelli); “Parole della
filosofia o dell’arte di meditare” (Milano, Feltrinelli); “La verità in gioco”
(Milano, Feltrinelli); “Guida alla formazione del carattere” (Brescia, Morcelliana);
“Sul male assoluto -- nichilismo e idoli nel Novecento” (Brescia, Morcelliana);
“I dilemmi della speranza” (Molfetta, La Meridiana); “La salvezza senza fede” (Milano,
Feltrinelli); “La mia filosofia -- forme del mondo e saggezza del vivere” (Pisa,
Ets); “L'attimo fuggente e la stabilità del bene – la Lettera a Meneceo sulla
felicità di Epicuro (Roma, Edup); “Edipo e Giobbe -- contraddizione e paradosso”
(Brescia, Morcelliana); “Dialogo sui novissimi” (Troina, Città Aperta); “Il
crollo del mondo -- apocalisse ed escatologia” (Brescia, Morcelliana); “L'edificazione
di sé -- istruzioni sulla vita interiore” (Roma-Bari, Laterza); “Il buon uso
del mondo -- agire nell'età del rischio” (Milano, Mondadori); “Figure
d'Occidente. Platone, Nietzsche e Heidegger (Milano, AlboVersorio); “Eros e philia”
(Milano, AlboVersorio); “Nietzsche e il teatro della filosofia” (Milano, Feltrinelli);
“Le parole ultime -- dialogo sui problemi del fine vita” (Bari, Dedalo); “I
comandamenti: non ti farai idolo né imagine” (Bologna, Mulino); “Le verità del
corpo” (Milano, AlboVersorio) – IL CORPO -- Sperare oggi (Trento, Margine); “Le
virtù dei Giusti e l'identità dell'Europa -- la salvezza senza fede” (Feltrinelli);
“Enciclopedia multimediale delle Scienze Filosofiche. Il senso del dolore. In L'esperienza del dolore. L'esperienza del dolore nell'età della
tecnica. Siamo finiti. E anche la tecnica lo è, da Europa, I Nuovi pagani, Saggiatore, Milano, Treccani Enciclopedie,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Intervista per Il Rasoio di Occam, Video
intervista su Asia, su asia. Dov'è la vittoria? “l'Italia civile che resta
minoranza” intervista di, Il Fatto Quotidiano. Salvatore Natoli. Natoli.
Keywords: uomo tragico, origini dell’antropologia romana, Gentile, corpo. Chora
di Platone, antropologia degl’italiani, filosofia siciliana,
Gentilefilosofoitaliano --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Natoli” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Nausito: la scuola di Firenze, pre-romana -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo italiano. A Pythagorean – cited by
Giamblico, “Vita di Pitagora.” He rescued Eubulo di Messina, another
Pythagorean, from pirates.
Grice e Nearco: la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. A Pythagorean, he played host to CATONE
(si veda) Maggiore when Catone recaptured Taranto from the Carthaginians.
Grice e Nicoletti: quadratura ed implicatura conversazionale
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Udine). Filosofo italiano – Grice: “His diagramme for
‘arbor porphyriana’ is also brilliant – ending with “Plato,” “Socrates.”” --
Grice: “I especially like his squaring the square of opposition!” -- Grice: “A
veritable genius, this Nicoletti.” -- Not under ‘Venezia’! -- paolo di venezia:
philosopher, the son of Andrea Nicola, of Venice He was born in Fliuli Venezia
Giulia, a hermit of Saint Augustine O.E.S.A., he spent three years as a student
at St. John’s, where the order of St. Augustine had a ‘studium generale,’ at
Oxford and taught at Padova, where he became a doctor of arts. Paolo also held
appointments at the universities of Parma, Siena, and Bologna. Paolo is active
in the administration of his order, holding various high offices. He composed
ommentaries on several logical, ethical, and physical works of Aristotle. His
name is connected especially with his best-selling “Logica parva.” Over 150
manuscripts survive, and more than forty printed editions of it were
made, His huge sequel, “Logica magna,” was a flop. These
Oxford-influenced tracts contributed to the favorable climate enjoyed by
Oxonian semantics in northern Italian universities. Grice: “My favourite of
Paul’s tracts is his “Sophismata aurea”how peaceful for a philosopher to die
while commentingon Aristotle’s “De anima.”!” His nom de plum is “Paulus
Venetus.”— Paolo da Venezia Nota disambigua.svg
Disambiguazione"Paolo Veneto" rimanda qui. Se stai cercando lo
scrittore e vescovo nato a Venezia, vedi Paolino Minorita. Paolo da
Venezia in una stampa ProfessorePaolo da Venezia, o Paolo Veneto, vero nome N.
(Udine), filosofo. Eremitano, studente all'Oxford e docente a Padova ove ebbe
tra gli allievi Paolo Della Pergola. Divenne ambasciatore veneto presso la
corte polacca. Per le sue idee teologiche e esiliato a Ravenna ma, due anni
dopo, gli fu consentito di tornare a Padova. Fu seguace di Guglielmo di
Ockham e Sigieri di Brabante e autore di vari trattati, tra cui alcuni commenti
ad Aristotele. Il suo trattato Logica magna fu utilizzato come testo di
insegnamento della logica a Padova e può essere considerato la maggiore opera
di logica formale prodotta dal Medioevo. Opere: “Logica,” “Commenti alle
opere di Aristotele” “Expositio in libros Posteriorum Aristotelis,” “Expositio
super VIII libros Physicorum necnon super Commento Averrois,” “Expositio super
libros De generatione et corruptione” “Lectura super librum De Anima”
“Conclusiones Ethicorum” “Conclusiones Politicorum” “Expositio super
Praedicabilia et Praedicamenta.” “Scritti sulla logica: Logica Parva or
Tractatus Summularum, “Logica Magna”; “Quadratura”; “Sophismata Aurea. Altre
opere: “Super Primum Sententiarum Johannis de Ripa Lecturae Abbreviatio,”
“Summa philosophiae naturalis,” “De compositione mundi. Quaestiones adversus
Judaeos. Sermones. N Dizionario di Filosofia Treccani, riferimenti in.
Vedi «Paolo Della Pergola» in Dizionario di Filosofia Treccani. Eugenio
Garin, Storia della filosofia italiana, terza ed., Edizione CDE su licenza
della Giulio Einaudi editore, Milano, «Paolo Veneto», in Enciclopedia Dantesca,
Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, «Paolo Veneto», in Dizionario di
Filosofia Treccani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Alessandro D.
Conti, Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana,. Alessandro D. Conti: Esistenza e verità: forme e strutture del reale
in Paolo Veneto e nel pensiero filosofico del tardo medioevo. Istituto Storico
Italiano per il Medio Evo, Roma, Nuovi studi storici, A. R. Perreiah: "A
Biographical Introduction to Paul of Venice". In: Augustiniana.
Paolo Veneto, Logica, Venetiis, Bartolomeo Imperatore, Francesco
Imperatore, Enrico Gori, dal sito Filosofico.net (Alessandro Conti, Paul
of Venice, in E. Zalta, Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for the
Study of Language and Information, Stanford.Filosofia. LOGICA PAVLI
rectam atgemendatam. Additis quotationibus Postilis ad textus declaratione.
Necnon Tabulao figuris. VENETI HABES INHOC ENCHIRIDIO summam totius Dialecticæ,
mira quad a brevitatem atos facilitate ad utilitatem stude tium conscriptam ab
eximioætatis suæ magistro Paulo Veneto Nupero diligenti studio cor Venetes
EMANUELE ITECA NAZ GOMA ME YOLL .pkrior dla Lohan Somerilatarei long
COMO0Io (ICO? CO ? ri 1 1 ROMA ni logica OLUTELY A parva. A Pauli Veneti
Heremita Onspiciens librorum quorundam magnitudinem redium constituentem in
animo studerium nec non et aliorum nimiam brevitatem quibus nulla se ethica re
est annexa doctrina. Ideo volens cap.s. et medium retinere utriusg sapiensnam
5.ethic, turam extremt, compendium utile construxi iuveni t.co.6. ВB bus
pluribus diui sum tractatibus, Quorum primus summularum tradit notitiam.
Septimus contra primum obiicit, solutionem ad dens responfiuam. Quia ergo
doctrina quecuncka communiori ut ait t-C.4 . PHILOSOPHUS in prohemio phylic.
sumic exordsum , ideo Dislot tractatus primus terminum sic diffinies
incipitapriori. miningp De definitione termini et eius divisione quide.
i. II suppositionum declarat mareriam. III consequentiarum ostendit
doctrinam. IV terminorum vim instruir probativam. V ligandi regulam docet
obligatiuam. VI insolubilia solvendi dar artem et viam. VIII tertium fortificat
prationem argumentativa. cap. 1. prio. c. TERMINUS EST SIGNUM ORATIONIS
CONSTITUTIVUM. Et BOEZIO ut pars propinquae iusdem , ut: “homo” ,lyani in. 1,
de mal. Et notanter dicitur propinqua quia oratione vocatur “dictio”, remota
vocatur litera vel syllaba, di 2. ecin. i Dstio igitur et non litera uel
syllaba, est terminus. defyllo. Terminum quidam est per cate. T differē. Tio
habet partes propinquas et remotas, propinquatop.c. 2 cius vide
SIGNIFICATIVUS est ile qui per se sumptus nihil representat --: ut s. “me,”
“te,” “omnis”, “nullus,” “quilibet”, “quicunque”, “alter”, et consimiles.
Terminorum quidam si secunda significant naturaliter et quidam AD
PLACITUM.Termi divisio p nus naturaliter si significans est ille qui apud omnes
eius qua vide de m efd RE-PRAESENTATIVUS, sicut ly “homo“animal", in
primor mente. Terminus AD PLACITUM significans est ille qui ye.c.i.et NON apud
OMNES eiusdem est re-praesentativus sicut ille ipsum. Terminus “homo” in voce
vel in scripto, qui apud nosft. B Paul. sin significat ‘hominem’, sed apud
alias nationes nihil significant, ut sunt greci (“anthropos,” “aner”).
Reefo.Terminorum quidam est categorematicus, et quida3 S.colū.
SYNcategorematicus.Terminus categorematicus est pri. diui. ticularia
particulariter. Præpositiones determinatsub certocafu. Aduerbiauerbum, et
coniunctiones ha minum.i.rem quæ non est terminus datoque effet,ficut TRACTATVS
Secunduz se significativus, quidamnon.Terminus perle signi Voety fancarious est
ile qui per se sumptus aliquid re-praesen mologiã tasuely “homo,” ly “animal”.
Terminus non per se signi ille quitam perle quam cum alio habet proprium fie
Tertia significatum – ut: “homo”: siueen imponatur in oratio divisione, lieu
extra, semper significar ‘hominem’. Terminus Dehac SYNcategorematicus est
terminus habens officium qui vide la perfesumptus nullius est significativus.
ut signa distric tiusilo.butiva – ut: “omnis”, “nullus”, et signa particularia
– ut: ali mafo. 2. “aliquis”, “alter”, et præpositiones (“to”), et adverbial et
coniuctiones. Signa namqz distributiua habent officium, fal.3.quia determinant
distributive, universalia yłr, et par bent coniungere terminus vel orationes.
Terminorum quidam est prime intentio Pau.lo.nis, et quidam secundæ intentionis.
Terminus primæ ma, sol. intentionis est terminus mentalis significans non ter
D“homo, significat sor. & pla. quorum nullus potest esse terminus. Terminus
autem secunde intentionis est terminus mentalis significans solum modo terminum
A vel propositionem, ut ili termini mentales, nomen, verbum, participium,
propositio, oratio et huius modi. Nis est terminus vocalis vel scriptus
significans solum B modo terminum vel propositionem utili termini vocales vel
scripti, nomen, verbum participium, athuius modi. Terminorum quidam funcin
complexi, et quidam complexi. Terminus in 6.diui complexus vocatur dictio – ut:
lylapis,ly lignum. Sed fioVide terminus complexus est oratio – ut: “homo [est]
albus”, lor. et Paul.in placo, deum effe. et huiusmodi. De nomine. liter
considerat: ideo de his restat deffnitiones assignare. NOMEN est terminus
significativus lo.ma.f. SINE TEMPORE cuius nulla pars aliquid significat separa
dissintta – ut: “homo”. In ifta definitione ponitur terminus lotionoie
cogeneris, quia omne nomem est terminus. et non econ proqua verso: dicitur
significatiuus, quia termini non significativi depri non funt nomina apud
logicum, licet bene apud grammaticum – ut: “omnis”, “nullus”, et similia.
Dicitur ‘sine tempore’, ad differentiam verbi et participia, quæ significant
*cum* tempore. Ponitur: ‘cuius D nula pars aliquid significant separata’ -- ad
diferentiam orationis, cuius partes significant separate mo pyo er.c.c2
Terminorum quidam eat s.diuifio prime impositionis, quidam secundæ.Terminus
prime impositionis est terminus vocalis vel sriptus signi Boe.in ficans non
terminum -- ut “homo”, et “animal” in voce vel in scripto.Terminus autem
secundam impositio. In princ. L3 Via de nominee et uerbo ex quibus oratio с
componitur et propositio, logicus principa . Defini. V uuset extremorum
unitiuus, cuius nulla pars aliquid significar separata, ut “curre” c vel dispur
i io b i. tar. Ec dicitur primo, temporaliter significativus, ad eric. i. tiw
oro pin . p i disnes positum cum apposito sicut verbum. ceterg autem par trcuiæ
ponuntur. Sicut in deffinitione nominis. Ratio est terminus significativus,
cuius ali- B garlicant separatę. Orationum alia perfecta, alia hewide Dcoratione.
qua pars aliquid significant separata, ut “homo [est] albus” deữeffe. Vltima
particular ponitur ad Piroca Jüfferentiam nominis et verbiquorum partes non fi
cite suz etc . cogeneris, quia omnis propositio est oratio et col.1. cipit quæ
non sunt propositiones non obstante quod ilum generat IN ANIMO AUDITORI si –
ut: “Homo currit.” Or a boviti imperfecta. Oratio perfecta est ila quæ
perfectum len no Ide uim uce cio imperfecta est ila quæ imperfectum sensum
gene. ferinõis rat, Notandum quò d tres sunt species orationis perfectæ quia
orationum perfectarum. Alia INDICATIVA – ut: “Homo currit” . Alia est oratio
imperativa – ut: “doceioannem.” Alia ed incelreligie ineis oratio optative –
ut: “Utinam essem bonus logicus”. fint ap te nate. VERBUM est terminus
temporaliter significati differentiam nominis quod significat sine tempore.
Secundo dicitur, et extremorum uniciuus: ad differentia participium quod
significar cum tempore, sed non unitfup 0 -3 gñare fectū sen bus vide ilo, ma.
fol. Propositio eit oratio indicatiua verum vel falsum significans – ut: “Homo
currit” -- ponitur oratio lo non e converso. Secundo dicitur indicativa. quia
Cola indicari va est propositio, non autem imperativa nec
optativa.Vicimoannectitur: verum vel falsum significans: propcer tales
orationes. Cortes potest , plato in PS pro qui alia categorica
alia hypothetica. Propositio ca divisio. Categorica est ila quæ habet subiectum
prædicatum et Vide in copulam tanquam principales partes fui – ut: “Homo est
animal.” l o ,m a . f o animal. Subiectum est ly “homo”, prædicatum
uero,101.col, ly “animal”. Copula illud verbum “est”: quia coniungit tum.
Dicitur quod habet IMPLICATUM prædicatum. vide licet,ły “currens” quod patet in
resolvendo illud uerbum “currit.” -- in: sum currens, es currens, est currens,
et suum participium. Subiectum est de quo aliquid dicitur – ut: “homo”.
Prædicatum vero quod dicitur de altero – ut: “animal.” Sed copula Quid (u
bicctuz semper est verbum substantivum: “sum currens”, “es currens vel hom”,
“est homo et currens.” De quidp. propositione hypothetica posterius dicetur ad
cuius tum & C differentiam point urilla particula: principales partes quid
co . D sint indicatiue. Quia non significant verum nec falsum. Diffini cum sint
orations imperfectæ. Ca. 6. luifiones sub propositione contentas sequitur D
numerare. Propositionum Prima subiectum cum predicato. B rir est propositio
categorica et non habet prædica. Solutio Et si dicatur “homo cur . Dubo .
fui.quia principales partes hypotheticæ non sunt pula, subiectum et prædicatum:
sed plures categoricęut. Propoli diuifiotionum categoricarum alia affirmativa,
alia negativa. Propositio categorica affirmatiua est ila in ligiex.i. qua
verbum principale affirmatur, ut “Homo currit.” Propositio categorica negativa
est illa in qua er: Tertia bum principale negatur – ut: “Homo NON currit”
S. Propositionum categori:Diffusi carumalia vera, alia falsa. Propositio
categorica ue us&hac ra est ila cuius primarium et adequatum
signifi-materia carð est verum – ut: “Tu es homo.” Hæc enim est uera. “Tu es
vide in homo.” quiate esse hominem est verum.Voco filoma. divisio A tio. i. gi
her. C. 5. . a4 1 mo. Cetera autem significate, utte esse animal, teelic
substantiam, et huius modi, sunt significate secundaria, et pones illa non dicitur
propositio vera nec falsa. Propositio categorica falsa est illa cuius primariam
et adequatum significatum est falsum – ut: “Tu es asinus.” ria, alia
contingens. Propositio necessaria est ila, cuius primarium et adequatum
significatum est necessarium – ut: “Deus est.” Propositio contingens est illa
cuius significatum primarium et adequatum est contigens – ut: “Tu es homo”. Et
voco significatum contingens ilud C quod in differenter potesse se verum vel
falsum. Propositionum categoricarum alia alicuius uide.i. quantitatis, alia
nullius. Propofitio categorica alicu prior.n.ius quantitates est illa quæ est
universalis, particularis, 2.in pri, indefinita, vel singularis. Propositio
universalis est illa in qua subởcitur terminus communis signo universali
determinatus – ut: “Omnis homo currit”. Terminum communem voco in presenti
nomen appellativum et pronome pluralis numeri. Signa universalia sunt ista:
“omnis,” “nullus,” “quilibet,” unus gfavteros, ncuter, quails D. :.libet,
quantusliber, et huius modi. Propositio particularis est illa in qua subiicitur
terminus comunis igno 4. diui afol.158 significatum primarium et
adequatum propositionis, u r e a a d f. quod est simile orationi infinitive vel
coniunctiue il 267.secundlius. undete esse hominem, vel q “Tu es homo.” ,
diciturfiA dępris. Significatum primarium et adequatum illius, “Tu es homo.”
Propositionum categoricarum alia fio vide possibilis, alia impossibilis.
Propofitio categorica por ilo.ma.fibilis eft illa cuius primarium et adequatum
significatum est possible – ut: “Tu curris.” Propositio categorica et
adequatūfi. usa ad impossibilis est illa cuius PRIMARIUM SIGNIFICATUM est
impossibile – ut: “Homo est asinus.” Propositionum categoricarum alia ne
cella larem, nomen proprium aut pronomen demonstravi Suum singularis
numeri, ut: “iste”, “ista”, “istud”. Ex quibus fe B quitur iam quæ est
caregorica nullius quantitatis. Et dicitur quod illa quæ non est universalis,
nec particularis, nec indefinita, nec singularis -- ut exclusive et exceptivæ
et re-duplicative, videlicet, “Tantum homo currit, omnis homo preterfor.
mouetur, “Omnis homo in quantum homo est animal”. Luxta primam secunda Qualis,
ne, ue laf, u. Quanta, par, in, fin, Prima pars sic intelligitur, quod ad
interrogationem de propositionc factam r Quæ respondetur categorica, vel
hypothetica. Secunda autem asserit quod ad interrogatione factam per Qualis?
Respondetur affirmatiua vel negatiua. Sed in tertia denotata a quod ad
interrogationem factam g Quan tarmñdcatur, universalis, particularis
indefinita, ucl singularis, et hoc fm exigentiam propositionis propositę. De
duabus alijs pposition am divisionibus. Ræterfu pradictas diuisiones dugalią
declaran- Prima cur. Propositionum categorica divisio – ut: “Homo currit.”
Propositio categorica modalis est illa in qua ponitur aliquis modus -- ut
possibile est sor, cur particulari determinatus – ut: “Aliquis homo disputant.”
Si Idem in gna particularia sunt ista: “aliquis,” “quidam”, “alter”, reli7.
tract. A quus, et huiusmodi. Propositio indefinita est illa in huius in qua
subijcicur terminus communis SINE aliquo signo – ut: c.i.& in “Homo est
animal.” Propositio singularis est ila inqua lo.ma. . fubijcitur terminus
discretus, vel terminus comiscum 107. col. pronomine demonstratiuo singularis
numeri. Exem :4. plumprimi. sor.currit. Exemplum fecundi: “Ille homo disputat.”
Voco autem terminum discretum vel singu. с P. ultimam divifiones ponitur iste
versus. Querca, uel ră alia dein efle, alia modalis. Propositio catego
Dricadein efic est illa in qua non ponitur aliquis modus 1:
Figura de in effe. r e r e .Modi autem sunt sex . c possibile,
impossibile ne Seconda. necessarium, contingens verum et falsum. Propositionum
modalium: quædam est in sensu diviso et quædam in sensu composito. Propositio
modalis in sensu diviso est ila in qua modus mediat inter accusativum casum et
verbum infinitivi modi – ut: “Fortem possibile est currere.” Propofitio modalis
in sensu composito est illa in qua modus totaliter præcedit, vel finaliter sub
sequitur – ut: “Deum esse est necessarium.” Impossibile est hominem esse
asinum. Ex his divisionibus originantur tres figuræ. Quarum prima dicitur de in
effe. Secunda modalis de sensu diviso fchabés admodum primæ. Tertia modalis de
sensu composito: leda cæteris disperata. Quartum declarationes ha besin exemplo
hic posito. A G libet ho currit. adaz hó ñ currit, Nurbo de currit. Lontraric.
Contadictorie dictorie subalterne, subalterne Figura: demesse Gulltra gda3 ha
cuifit, subcontrarie reasu diuisio Contrarie Nullum
hoie3 possibile est! curtcit . Contradictorie Sub-alterne Sub-alterne de sensu
dictorie Lörra mine polee curitie . Modalis de sensu diviso. 6 sub-contraric
Modalis de sensu composito. Nec currere est los. Impose est currere for
sub-alterne Contra sub-alterne dictorie Aliquem, ho Contrarie de sensu
composito 3 : Fig. Loncra . dictonic Contingens et por, non currere 2. Figura
Que libet ho minepole? currere . Pole for currtre , A liquê home minē ñ pole
est currere, sub-contraric Secunda præcise proeodemuelpro eisdem,
sunt contrariæ in figura – ut: “Quilibet homo currit,” “Nullus homo currit.”
Particularis affirmatiua et particularis negativa de consimilibus
subiectis prædicatis et copulis, supponentibus precise proeodemuel pro eisdem
sunt sub-contrariæ in figura – ut: “Quidam homo B Tertia currir, etquidā homo
non currit. Universalis affirmativa et particularis negativa, ucl
universalis negativa et particularis affirmativa. de consimilibus subiectis
predicatis et copulis, supponentibus. precisepro eodem vel pro cisdem , fu
Tabula omnium capitulorum huius logicæ primus est de mentis summulis quiconti
De syllogismo: Tractatus secundus est determis. Car.Ź Cap. primă de definitioc
De verbo 3 6 De diuifione propofi 8. De figuris propositio pothetica po. copu.
ne ciusdem. cn ūt materialiter etqñ PERSONALITER De propositione hy. 8 De
ampliatiõibus 28 po. disiuncti. 15 De praedicabilibus Tractatus tertius. de
eiusdem di relativorum net De oratione De propositione norum quando fuppo num
deuppolitionibus có De cognitione termi De appellationib De converfionetibus
supponis et de diuisio De suppositione per de natur appõnuz sonali
tractatus divisa De nomine tionum De duabus alös diui De supposition ma.
de equipollentős de signis confunden de propositione hy de relativis proqui
bussupponunc De propositione hy. De modo supponen cinens C fionibus
propõnuzs teriali et de diuisione DE DECEM PRAEDICAMENTA de decem prædica,
consequentősconti. de resolubi de propositionibus Tractatus quintus est tionc
obligationis et De obiectionibus co tradictasreg. TABVLA uo tionc consequentiæ
et De hypo. descriptibio eorum divisionibus De regulis generalibus consequentiæ
for De gradu pofitiuocô malis De regulis con. for. q De gradu
comparati De regulis poenespropositiones quáras Delydiffert positions non
quan De exceptivis De ly necessario et contingenter parabiliter sõpto poncs
superius, atq De gradu superlati -minos pertinentes et De ly incipit et
defi : impertinentes nir nens. De officialibus pro De defini libus.
po. de reg. eius. inferius De regulis poncs pro De exclusiuis
universalibus De convertibilitate uo. tas Dedecem lis alñsregu De ly totus
positioncs hypotheticas De ab æterno De infinitum de probationibus ter
obligatory artis: De reduplicativis De regulis poencster De immediate De semper
De regu.pancs pro tinens minorum continens. De deffic go cioc insolubilib? et
di s Obiectiones cöcrare tra insolubilia Obiectiones contradi milibus
propositioni bus regulas huius de defin De obiectionibus có finitioncs
.hui? De exclusivis insolu De insolubili difiun- ulti. ca.contra modos
mi. De insolubili particu huiuspri De insolubilibus no é de obic
Obiectiones contra Obiectiones addicta est de obiectionibus contra De
obiectionibus factis contra re propositionum huiusprimitrac. De Amilibus et
diffig Obiectiones contra pr De deposition ibuster Obiectiones contra re
minorum Tractatus Sextus De insolubili uniuer Cali bus bilibus riuo ctivo
figurarum apparentibus Obiectio. Gulasprimo et gulas huiuspri de insolubilibus
Obiectiones contra dif habens. .huius uifioncciusdem. Gulas huiuspri lari
vel indefinito mitra. de predicabili. De insolubili copula. trac.in
maceria syllogismorum n a contra dicta huiuscertñ.tra, inm a Štionibus factis
con car . las.huius terti las. huius terti tracta. Venetijs ExpensisheredumLucæ
TABVLA teria consequentiară, tracta. tëtracta. Obiectacontraregu
Obiectacontraregu tracta. las, huiustertij las. huiusterto tracta Antonñ Iunte
Florentini Registrum illaiquaiferi predicaturde terrogatoez factapqualise
fuosuperiozi.vtaialeftbo. sozesvťplatopueniéterrñ Predicatio eéntialiséillai
deturq rifibiť totaratio quafuperi’pzedicaturdein quareficpdicaturdeilliseq?
feriozivelecóuersofzquod éppziapafsioilliustermini dictiévľoriadealiquod illon
bomo cum quo conucrtitur. Si predicatio accítaliséila Acchrétēmin’vniuoc'pze
iquappuúvelaccñspzedir. Dicabilisdeplib ieoquod caturde generefpeciezpria
qualeaccắtaleipuertiblrfi bľfuoidiuiduoautepuerfo Eréplüpzimi:vtbóèrifibil
dirurindecepdicasca. Quo Paialéalbu. exéplusivrrifi rupzimueltpredicarsitu lub
bileéhoalbueaial.Etpfiľr státiecul’generaliffimúébic dedriazidiuiduodicafl'me
teri’lb alubàpoiturhicter li’oicaturg pdicatioefriaťė mi? coup”.subcocpozecosp?
praedicatio terminoz eiusdez saiatu sub cozpoze aiato a
dicamentivtbóestaial.pze, aialifpes specialis simahoľ dicat ioautaccica est
piedi afinuszlbiftisfuaidiuidua carioterminoxdiuerfozpze foztesz plato.bzunellus
fa dicamentorumvthomoéale uellus. Secundum predicame bus.Termin superioradre tu
est pdicamentu quátitutis liquúdicitureffeillequicon Lui'generalisfimúeftquäti.
tinerillúznecóuerfoficutli tasfubý sunt duo genera aialrespectuisti'terminihó alternaärnulluestsuperius
qz fignificat quicgdile?cuz adreliquúvz continuuz?di bocaliquidvltra. Lermin’in
scretu primi generisiftefür feriozad reliquú dicitur effe
fpetieslineasuperficiescoz illequi continent urabeo. nnó pustempus locus.qR:bec
ecouerfovtliforesrespectu funtindiuiduabiliuea fupfi iftiustermini bomo.
hiclocus. Secundigeneris Lozpozea Jnco:pozea infinitesuntfdeties. f.binari,
Lozpus aiatum rius trinarius et cetera. Redicamentu zestcoő
ciumeltpaffiovelpafsibilis dinario pluriuztermi, qualitas. Quartuzestforma
nozuFmsubzlupza. Etdiui, vetcircaaliquidpitasfigura us trinarius quaterna
rizë Animatum Jnanimatuz indiuiduaverofunthicbina Sensibile Animal Tertium
piedicamentum è predicament z qualitatiscu iusgeneraliffimum est quali Lozpus
insensibile Rationale irrationale. Tas fubquofuntquattuo: ge Animal rationale
nera subalterna: non sebabe Socrates Plato rio. Secundum eftnaturalis p
potentiavelimpotentia. Ier Substantia tia secundum sub z fupza.pzi mortalis
Jmmortalis mumesthabitusveldispofi, Domo cies.boc cozpusboc rempus Primi
generis speties fune Quintum predicament em grāmaticalogicazrhetorica
dicamétuació iscuiusgener quaq individua sunt becgrå rasubalteznafuntfer quozu
matica logicab rbetorica. Nullu ėsuperiusad reliquum Lertijgenerisfpessunto
risspéssunt. generarehoiez redoamaritudo.albunigruz cozrupere equáquayindir
calidúzfrigidubuidum zfic uidua funtficgenerareboiez cum.quarúidiuiduasuntheç
ficcorruperee quum Iertijz dulcedobiamaritudohocal quartigeneris spessuntau.
bumhocnigp buius modi. Gere in longudi minuereila Quarti generis species sut
tum. quozumindiuiduafffic circulustriangulusquadra auger eilögumficdiminuer
gulus2 huiufmodiquarúidi inlatu. Quiti generisspés uidua funt. biccirculus.bicfunt
cale facerez frigefacere triangulushicquadrágulus. quaridiuiduafuntficcalefa
Quartiipredicamétü Ċpdi cerefic frigefacer. Sertigo, camerurelatóis. Lui'gene.
Neris speciesfuntmouct fur ralissimúeftrelatiovelada. Súmo ueredeorsumquaruin
liquidfbåfunttriagenera( diuiduafuntficmouerefurfu alterailebita,zsup2
ficmoueredeorfum. Sertus Primum est caparatio.Se predicamétaé predicaméruz
cuduzéfuppofitio. Lertiuzė paffioniscu generatiffimu supposition
primigenerisfpe estp dalisinfenfudiuitocillaiä nisbomopzeterfoztemoue
modus mediatiteractumca tur. Jurtaprimamfamzvi, sumzverbúinfinitiuimodi timam diuifionesponitifte
vtfoztempoffibileé currere versus. Quecavelip.qualif propositio modatisisenfu
nevelaf. vquanta.parifin. cópofitoéilaiquamod’to Dama psficitelligitpad i
taliter pcedirveifinaliter16 terrogationedepłopolinóe fegturvtdeumef Teénecessa
facta gquerespondeturcar rium.Impoflibileébominė tbegozicavelipothetica. Se
effeafinum. Erbisdiuifio cudaaurasseritquodaditer nibus origináturtresfigure
rogationéfactamoqualisre quanpriaordeieffe. Seci, fpondetur affirmatiuavľne
damodalisofenfudiuisore gatiua.seditertiadenotat habens admoduprime.ter, qad interrogationefactaze
tiaveroormodąlisofenfu2 quantare spodeatvniuerfaľ pofitofiacefisdispata qua
particularis indefinitavelfin ruideclaratóesbes ierobic gularis. hocfecundum
eri inferiuspofito.: gètiáppoitoisppofité är zo Sequuntur figure. Uifiones duealie
decla Quidam bó curri Quetz bõiez poffibile eft currere Weceffe
eft roz currere Subcötrarie Lontrarie Contrarte Subcötrarie currer. --
Lontradictorie Qutuber bomo currit Lontrarie Duídå bo. non currit Lörigesest
foz.ñ Aliquesboinem Aliquéboiez poffibile eft. Có posibile eftcurrere poffibile
eft soz. currer Subcontrarie Mullus bomocurrit. Impoffibilee Tozcurrere
Lontradictorie dictozie Lontra Lontradictoria Snbalterne Subalterne Subalterne
Hullu boiez poffibileeft. currere currere ditozie Lontra Lontraditozie
Subalterne Intigiturtåpueq funtcontrarieoisbocurrit fecunde figurebere
ptnll? bócurrit. necieptra gulegeneralespriaé dictorie.Disbócurrit2gda
tita. Uniuerfalisaffirmatiua bononcurrit. neciftefubala
zvniuerfalıfnegatiadepfitt terne.Disbó currit7 quida b?fubiectis7predicatisfup
bomocurrit. qztermininifup ponétib”precisepeodévét ponunt precisepzoeodevĽp
proeisdéfuntatrarieifigu, eisdez. Znona. n.fbinfuppóit ra. vtglibzbó currit. 2nllur provtroq; reru.Jnaliavero'
bocurrit.Secidaregťaeft particularis affirmaria et pro masculino tantum Scutqua
tuozfgula particularisnegatia de pfimi lib ?fubiectis 7 pdicatis fup. fituantur
propofitoea infiguraitaquattuoz ponétib?pcirepeodévelp
alijsregulisipfarumcogno, cirdez suntcontrarieifigu fciturlerseu natura. quarum
ra.vtgdabócurrit?qdåbo prima eftianonestpossibile nócurrit. Lertiaregľaviuě duo
ztraria effefimulvera falis affirmatiuaapricularis benefimulfalsa.Primapars
negatiavelvlisnegatiazp patzinductiei nomnibus. Et ticularisaffirmatiaopfilibö
fecundaprobatuz.quoniazia fiectisz pdicatisfupponen funt fimulfalfa.Quilibzboè
tib?pcirepeodezvelpejsó albus znullusboestalb”.Et sunt tradictoneifigura,vt
iafimiliter Dmne animaleft quilibzbócurriteqdábóñ bomocnulluzaialefthomo
curritP.ull'bócurrit?qui Secunda regula eftiftanon dåbócurrit.Quartaregla
eftpoffibileduofubcötraria vniuerfalisaffirmatiazpti effefimulfalsa. fedbenefim
culari saffirmatia. Etviuer, vera.Patetparsprima ifin salisnegatiuaa particularis
gulisdiscurrendo.fecunda. negatiuade pfitib lbiectis probaturquoniamistafuntfi
2predicatis fupponétib?pci mulvera.Aliquishomocal se peodez velpeisdezftit16
bus. Aliquis bononeftalby alterneinfigura.vtglibzbó Aliquod animal eft homo. Et
currit gdambó currit.Dar aliquod animal non eft homo lus homo currit. gdazbol
Tertia regulaeftifta. Honė mononcurrit Expdictis fegturgilenó
effefimulveravelfimulfalf. L madiuifio eftiftaterminori
vocaturlravelfyllaba.Pzie distributi abiitofficiuq2dtē 25boral definitio,sebutcomienicu
damagnitudiez caritus eftilequipermitesperjeigranasoatione. Tedium cóftitué
aligdrepritatveuboliaial. kupindistan'tbeineciligaya tezinajoftudentiuznecno
terminiple fignificatius Pericarioneperforsales aliornimia; breuitatez.gbɔ
eftilequiperfefumptusni,beit perqúemymim nulla fereeftaneradoctrina. Bil representatproisnulluseftpermainang
Ideo volensmediuftinere 7files.Secundadiuifioeft, vtriusq zsapiésnäzertremi.
iftatermiogquidazsignifi, ppendium vtilecostruriiuue cantnaturalrzquidãadpla
nibɔplurib, diuisuztractati, citum. Lerminusnatural'rfi bus.quorprimusfuimularu
gnificansestile quiapooés traditnotitia. Secud fuppo . eiusdeestrepsentatiuusficut
firionú declaratmateriá.ter ti-pregntia non dit doctrina. Po ad placitu
fignificanséil Quartusterminoqviistruit lequinóapudoéseiusdez é pbatiua. Quint’ligidiregu,
representatiu'ficurilletermi lazdocetobligatiuaz.Sert? nusbó in voce vel in scripto
isolubiliafoluendidarartem apud nos fignificatboiem.via. Septimusatraprimú
apoaliquascertasnatoer obijcitfolutione zaddensre, nibilfignificatvtf untgreci:
fpófiuaz. Dct aubotertium bebrei. Zertiadiffinitoéifta fodificarpróem
argunitati, Qterminokquidaeftcatbe uá. Quiag doctrinaque cun,
gozematiczgdáfincathego acoiozivtaitphusinpzo rematic termi’cathegoze, bemio physicozum
füiteros, maticuseftillegtampiezz duuideotractatuspzim’ter/ cialiob3 ppziùfignificatum
mũiico funitsicipapioi otlibófue.v. ponarinó eft tibölianimalinte. Lermi?
Gential uitdiferenmis.ut box Florin simp prout firepmimusi Cedex gramaticaj.
Lorical minátdistributiverparticu! complerus eftozó vthomo
lariaparticulariterÕpofitio alborozes platodeuzeffe nesdeterminatfbcertocâu
2buiusmodiic. Aduerbia verbúzcõiúctóes Uia noier verbo er biitcõiungere
terminosvel quibus ozatio compoi ozóes quarta diuifio est ia tur
ppofitiologicus pzici. g terminoxquidaz eftpziei paliter cófiderar. Jdeo'dbil
tentiois.7quidábeitencois reftat diffinitionesaffignare Terminuspeintentóniseft
Homéest terminus fignift terminusmentalis fignificaf catiu? Fineté pozecuiusnulla
nonterminu. i. réānonéter parsaliquidfignificatseper minusdatoq effetficutlibó
ratavthomo.In iadiffinite fignificatsoztem zplatoné.å poifterminuslocogencris.
ruinulluspoteffeterminus. q2ocnomen estterminus.e Lerminusaütbe itentóisé
nóego. diciturfignificatinis terminusmentalisfignificát quia termininó fignificatui
solimoterminilppofitone nófuntnoia apudlogicilicz ptiliterminimentalesnon bi apud
grāmaticivtomis verbti participiúppofio nullus similia. Tertio di,
zbuiusmodi.Qüitadiuifio citurfietemporeaddiffere, est istag terminozquidãcst
tiñverbiaparticipüafignis peimpofitionisquidife.ter ficantcumtempore. Duar
minuspeimpositois estteri toponit cuiusnullaparsali nusvocaťvèlscriptusfigni
quidfignificata ddifferentia ficansnoterminu.vtlibóz orationis cuiuspartesfigni,
liaialivoceveliscripto.ter ficät.(Uerbúeftterminato min’autéfe impofitioniseft
požaliter figificatiu?zertre terminusvocalisvelfcript? monvnitiuuscuiusnullap8
fignificas solúīmodoterminu aliquid fignificat separatave
velpropositionevtilitermi currit vel disputato icifpria
nirocalesvelfcriptinomen mo temporaliterfignificati, verbtiparticipitizhuiumói
uusad differentiam nominis Sertadiuifioeftifta.Termi quodfignificat finetempore
nonquidifuntincópleri29 Secundodicitur ertremo damcompleri.Terminusin
rumvnitiuusaddifferentia complerus vocaturdictiovt participü quodfignificatcií
lilapislilignum.Izterminus tempože. sednonvnitfuppo fituscum appofitoficurvero
quenonfuntppofitionesno · bum.cetereatparticťepo obftáteqa fintindicatie q?i
nuiturficur toenois. fignificantverumnecfalsuz . P Ropofitioeftoratioi
dicitur.vtbomo predicatuz, puma,plicare Progofito
catbegozicaet"prodicaria,madevenirate Alia iperfecta . Diario pfec bignier
parte dignins e.me,ose ista quebetßbiectuzzpiedichuo ublitt taeftila queperfectu
fenfi catucopula generat animo auditous. partes
tanöspzincipaler,peplicireutimplicie. vtbomocurrit. sui.vthomo eltaial. i),
Etfidicarurbomo currite Horá dumotresfuntspe propofitiocatbegozicaznon
Dratioefttérmin'lignifi cumfintozationesiperfecte catiu? cuiusaliqua pars ali
quidfignificat.vtboalb?de uz effe. Ulria particula poni
turaddifferentianominis? Propofitionu zaliacaibego verbi.grumpartesnonfigni
rica:Aliaypothetica. ficant. Dzationuzaliapfecta ibiectumes tubomo predica
Diarioimperfectaestilla tum verolianimal.7copula aiperfectuzfenly;generari
illud verbumestq:coniungit animo audito us vt bomoal fbiectum cumpzedicato.
busdeumeffe d Juisiones1 opposito ne contentas segtur nuerare Pria eft ifta 5
cies orationis perfecte Drationuzperfectar.alia indicatiuavthomo currit babz
predicatum dicitur qa babz implicicumpredicatuz v z li currens quod patzinreroí
alia imperatiua. ptooce joannem . Aliaoptatiua. Desum eseltasuum participiu
uendo illud verbum curritin vtinameffembonus logicus Subiectuz estoe& aliquidadfubiecit”alori
fal veroqd fümfignificás.vtbô animal. Sed copulafempererspularerreigitpilianca.
currit. poniturozatolocoge verbuzfbftátiuü. l.luzeseltveteteaiomm
neris.q:oisppofitioestoza De propofitione yporbeti-inwirtelde eius.
tioetnoneguerro. Secundo capofteriusdiceruraddif, dicitur indicativa quod sola
diferentiam cuius ponitur il la catiuaeitppofitio.nonátim
particulaprincipalespartes peratianecoptatiua.Ulrimo fui. annectitur verumvelfalsuz
Secundaoiuifioeftifta. fignificansproptertalesoza Propofirionuzcabegozi, tiones
foztespór. platoicipit car.Aliaaffirmatiuaaliane facit,
egineris,matiuaeftilaiquaibupäin num cathegozicarum aliane
kleinesitimplicies apaleaffirmat öcbócurrit. ceffariaaliacontingens,ppo
diferencia Presidurijgezo pzopoçatbegozicanegatifitionecefariaeftilacuius
artean = uaeftillai qobiipricipalene primariumzadequarumfigi gáf.vtbónocurrit.
Tertia ficatumeft neceffariumvtoe diuifio eft iappofitouzcatheus
est.popofitiocontingens goricaralia veraaliafalsa. Eftilacuiu sfignificatumpzi,
Propocatbegozicaveraéila mariumza dequatumeftcó tui? pzimariuzadeqtuligni
tingensvttues bomo. Etvo ficaruié verúztuesbobecco fignificatumcontingensil n. Eltperatues
hóq2reeffe lud quodindifferenterpotest boiezcftveru.Uocosignifi
esseverumvelfalsum.Sex catu primaritiza deq tuppo tadiuifiopropofitionumca!
fitionisqó eftfimileorationi thegozicaruzaliaalicui'quă ifinitiuevel piúctie
illius. vn ' titatis alia nullius.P2opo ca deteeffeboiem velqotues
'thegozicaalicuiusquantitati bódicitfignificatu;primari estillaque évniuersalispar
uza de quatúilliustuesbó ticularisindefinitavelfingu
ceteraåtsignificatavtteeffe laris. Flop. vniuersalise aialteefe Tbstantia7huiul,
ilainquafubijciturerminosnasdistri mõisuntfignificatasecuidaria comunis figno vniuersalides
gacia.Prop cathegõicaaffer Quintàdiuifio.propofitior burinemobil 7penesillai diciep
povera terminatusvtomnisbócursliepy. necfalla.Propocathegorica rit.
Terminuzcómunemvoco falfa eft illacui? pzimarius7 inprentinomenappellatiuuz
adequatü fignificatum estfal fumvttuesarinus pionomen pluralis numeri Signa
vnüerfaliafuntiaoil Quarta diuisioppónuzca nullus quilibet vnus quis qz thegou caşialiapoffibilisali
vterq; neuter qualislibzquá aipossibilir.ppocathegorica tufliberzhuiuf modi. pzopofi
poffibiliseftilacui'paimari tioparticularis eftillainqua
uz?adeqrufignificatúépor iubijcitur terminuscóisfigno fibile vt tu curris
particulari determinatus vt Propofitio cathegoricai, aliquisbo difputat.
Signap, poffibiliscst¡la cuiuspama ticularia funeiaaligs gdå al rium7 ad equariifignificatus
terreliqu’rbui?mór.pzopo eftiposibilevebóěafinus indcfinitacfiillaiqualbijcie
feprobatio: ctfromloco Fifolo terminuscómunisfinealiafip Reterfupiadictasdi
gno:ytbomo estanimal. Propofitio fingulariséil, rantur.Primaeiftappofiti
lainquafubijciturterminus onucatbegozicap.altadeief discret? velterminoconiunif
realiamodalis. Propofitio cumpnomine demostratiuo cathegozica deielleèillaiä
fingularis numeri. Ermprimi non ponituraliquis modus. ut Toutescurrit. ermfiillebo
vtbỏcurrit. Diopofitioca disputar.Uocoautemtermi, thegorcamodali scillaina num discretumpelfingularé
ponituraliquismod?vtpof nompoziùautp nomenomo fibileefoxtemcurrer. Modiy
Scromodi ftratiuúfingularisnumerivt autem funtferscilicetporsi, ifteiftaistud.
Erquib? fequi biler impossibileneceflariu turiamqueécatbegozicanĽ
contingensverum falsum liusquantitaris 7diciturgil Secundadiuifio p:opositi
laanoévniuersalisnecpar onum modaliumquedamcst ticularisnecidefinitanecfin
infenfudiuiso quedazifer gularisvterclu fiue ercep sucomposito Propositio motiue
vztantumbocurrit.om dalisinfenfudiuitocillaiä nisbomopzeterfoztemoue modus mediatiter
actumca tur.Jurtaprimamfamzvi, sumz verbúinfinitiuimodi timam diuifionesponitifte
vtfoztempo ffibileécurrere versus. Quecavelip.qualif Propofitio modatisisenfu*
nevelaf. vquanta.parifin. cópofitoéilaiquamod’to Dama psficitelligitpad i
taliterpcedirveifinaliter16 terrogatione depłopolinóe fegturvtdeumefTeénecessa
facta gquerespondeturcar rium. Impoflibileébominė tbegozicavelipothetica.Se
effeafinum. Erbisdiuifio cudaaurasseritquodaditer nibusorigináturtresfigure
rogationéfactamoqualisre quanpriaordeieffe.Seci, fpondetur affirmatiuavľne
damodalisofenfudiuisore gatiua.seditertiadenotat habensadmoduprime.ter, qad interrogationefactaze
tiaveroormodąlisofenfu2 quantarespodeatvniuerfaľ pofitofiacefisdispata qua
particularis indefinitavelfin ruideclaratóesbes ierobic gularis. hocfecundum
eri inferiuspofito.: gètiáppoitoisppofité är zo Sequuntur figure.
uifionesduealie decla Quidam bó curri Quetz bõiez poffibile eft
currere Weceffe eft roz currere Subcötrarie Lontrarie Contrarte Subcötrarie
currer C Lontradictorie Qutuber bomo currit Lontrarie Duídå bo. non currit
Lörigesest foz.ñ Aliquesboinem Aliquéboiez poffibile eft. Có posibile
eftcurrere poffibileeft soz. currer Subcontrarie Mullus bomocurrit.
Impoffibilee Tozcurrere Lontradictorie dictozie Lontra Lontradictoria
Snbalterne Subalterne Subalterne Hullu boiez poffibileeft. currere currere
ditozie Lontra Lontraditozie Subalterne Intigiturtåpueq funtcontrarieoisbocurrit
fecundefigurebere ptnll? bócurrit. necieptra gulegeneralespriaé dictorie.
Disbócurrit2gda tita.Uniuerfalisaffirmatiua bononcurrit. neciftefubala
zvniuerfalıf negatiadepfitt terne. Disbó currit7quida b?fubiectis7 predicatisfup
bomocurrit.qztermininifup ponétib”precisepeodévét ponuntprecisepzoeodevĽp
proeisdé funtatrarieifigu, eisdez. Znona.n.fbinfuppóit ra. vtglibzbócurrit. 2nllur
provtroq; reru. Jnaliavero' bocurrit.Secidaregťaeft particularis affirmaria et
pro masculino tantum Scutqua tuozfgula particularis negatia de pfimi lib
?fubiectis 7 pdicatis fup. fituanturpropofitoea in figura ita quattuoz ponétib?
pcirepeodévelp alijsregulisipfarumcogno, cirdezsuntcontrarieifigu fciturlerseu natura.quarum
ra.vtgdabócurrit?qdåbo primaeftianonestpossibile nócurrit. Lertia regľaviuě
duoztraria effefimulvera falisaffirmatiuaa pricularis benefimulfalsa. Primapars
negatia velvlis negatiazp patzinductiei nomnibus. Et
ticularisaffirmatiaopfilibö fecundaprobatuz.quoniazia fiectisz pdicatis
fupponen funtfimulfalfa. Quilibzboè tib pcirepeodezvelpejsó
albusznullusboestalb”. Et sunt tradictonei figura,vt iafimiliter Dmneanimaleft
quilibzbó curriteqdábóñ bomocnulluzaialeft homo curritP. ull'bócurrit?qui
Secundaregulaeftiftanon dåbócurrit. Quartaregla
eft poffibileduofubcötraria vniuerfalisaffirmatiazpti effefimulfalsa.fedbenefim
cularis affirmatia. Etviuer, vera. Patetparsprima ifin
salisnegatiuaaparticularis gulisdiscurrendo.fecunda. negatiuade pfitib lbiectis
probatur quoniamistafuntfi 2predicatis fupponétib?pci mulvera.Aliquishomocal
sepeodezvelpeisdezftit16 bus. Aliquis bononeftalby alterneinfigura. vt glibzbó
Aliquodanimalefthomo.Et currit2gdambócurrit. Dar aliquod animalnonefthomo
lusbomocurrit. 2gdazbol Tertiaregulaeftifta. Honė mononcurrit Expdictis fegturgilenó
effefimulveravelfimulfalfa poffibileouo contradictoria patetifta
reguladifcurrédo alter. Hecranonfoludefuit Pfingťaptradironia. Quar
primevelfecüdefigureimo taregulaeft14. Sivniuerfaľ tertie.Etvocoibinegatio eft vera
fuapticularisvelin ne prepofitaquandocolligit definitafibifubalternaeftde
modofuemod?pzecedarfi ralnego. Unfib effetvera uesequatur.7 postpofitaqui
gizboestalb?6fikreffzver coniungiturverboinfinitiui raaligshoestalbosznóez
modi. eréplüpzimi.nópofsi. q:iadefactobeveraaliquis bileésoz.curreredelsoz.cur
hoéalbɔ.znóiaquilzboeft rerenóépoffibileereplúfi albɔ.Eteodémódicodenei
possibileésoz. nócurrerevel funtregule. quorpria reequiuale tiftiptingenscft
eftia. Hegpäepofitafacitz foz. nócurrergpumă regula quipollerefuocótradictozio
EthneceffeeTo2. noncurrer viinoquil; bocurritequalet
equiualetiftiimpossibileest isti.Aligshónócurrit.Etnó soz. Currerr recundam regur
nullus homo currit equiualz isti lam zifta non nece f l e e soz . ni
aliquishomo currit. Eurrer cquiual; huic possibi Secundaraeftistanegató
leésoz.currergtertiamrei poftpofitafacitegpoller fuo gulamzita dicaturdecete
contrariopbaf. näiftaquils risquibuscunq3quare7c. bomo noncurritequipollet
SDnuerfioeitcranspofi uftinullusbomo currit. 2nul tiosubiectiinpzedicar
lushomononcurritequipol rum7 econuerfo:vtbomoé ictifti quilibethomocurrit.
animalanimalébomo.Etlý Lertiaregulaeftistanega diuiditurinconuersionefimi rio prepofitazpostpositatai
plicemperacciisopercorra cit equipollere suofubalter, pofitionem. Lonuerfiofim
no. Vnde bnonquilibethoñ pleresttranspositiosubieci curritequipolletistialiquis
in predicatú 7e2°manentee bomocurrit. Etifta nonnul: Adem qualitateaquantitate
lusbomononcurritequipol vtnulluanimalcurritnulluz letifti aliquis homo non cur
curr ése animal. Lonuerfiog rit.Undeversus. Precótra, acadésetranspofitiosubiec
dic. Post contraprepostaz.sb tiipredicatu epomanteca gatiuisquare 7c. roz. nó
currere èpossibile .6 Quipollentia rumtres ergo non neceffeesoz. curre
demqlitarefzmutataquanti uerfavera?Querfensfalfa. tate. vtoishó estaialaliqd
Håbé per aaliqrolanoné aialébo. Lóuerfiopptrapo fbftárianullarojaernte7ti
fitioneeträf posiectiipdica befalsaaliqui fubstätianon tiirecóuerfomanéteeadem
énonrosaq2 suutradictori qualitaterquitirate. kmura uzé vertivžoisnonfubftan
tistermisfinitisiterminosi tia ;estrora. finitosvtquoddaaialficurs
Lotradictiopuerfiõefim ritqodano currensnóénon pliciarguiťpaiofic'becéve
aialUtatfciafáfponóhis ranullusbõémuliē.zbecē puerhonib? puertatponun
falfanullamulierébóigif, furistiosus, Fecifimpliciter Secuidobecéveranull?ce
puertifeuapacci. Altopcon cusvid; ens:7becefalfanul traficfitpuerfiotota.Jng?
lumensvidetcecúergorc. ponúťquattuorlrevocales Lertio ßéveranuloom ?
S.a.e.1.0.2fignificatplezar éibbiezljéfatfanullusbó firmatiaz. 2vlemnegatiuaz
éidomogac. Adpzim DICIE i.pticularezvelidefinităaf, giftanó suapuertens.fzia
firmatiua.o.veropticulare; nulla mulieré aligfbó.qioz velidefinitanegatiua. Luš
effephilis limitatioipuerté dicitfecifimplr.i.plisnega teripuersa.Ad63picogi
tiua7pticularisaffirmatiua fitdesbiectopdicatu.qziicft puertütfimplr.puertiťeua
p:edicatúlyens13lyvidens pacci.i, vlis negariazplis ens.ióficpuertiéšnullüvi
affirmatiuapuertufp accñs densensécecii.Ad tertium Artopara. i.vlis affirmatia
difimiliterquiaiépuertens zpticularisvelidefinitane ei?Izianullüensiboiecdo
gatiuacouertuntpoponem. m?. vľiainullobõieédom? Harzuerfionúsimplerévti quianon
debétterminimuta lioz.q2vniuerfaliterfipuerfa recafumquarerc. é vera puertens é
vera 7 eco plures cathcgoricar ipuerfióepaccñsestpuerfa coniunctaspnotam
conditio falla. vtbeaialchó.2pueri nis copulationis difiunctiois
tensveraboéaisl. Jnquer velalicuiistarumequiualen fioneveropatrapènemécó
tez.Vttuesbóituefanimal uerfo.lzñéita i puersione p accideiis
velpatraponez:ná р Ropofitioypothe, ticaeftillaģb abet
Iresigitfuntfpesypotheti Deimpoffibilitatepossibly
CARnoequälentesifigifica, litate neceffitatezcoringen, do'ozaditionaťcopulatia tiaeiusdemnonopzdicerea difitictia. Alievero
vt localiterqzoiscóditionilisvera cális ztörať nó
funtypotheeftneceffariazoisfalraéim tice. fzcathegorice.Propofi
poffibilis.Hulla atitestque tioaditionalisèillaiäjiun
fitcótigens.iftereguledicte gun&plurescatbegoziceper
suntdecóditionalidenomia noriaditionisvtfituesbó taalyfiquarezi. tuesaial.
Propofitionü con ditionalium alia affirmati uaalianegatia.Propoaditic Dpulatiua
eftillaque onalis affirmatiua éillaiqua babetplures cathego 5nórepared
afirmaturnotaəditoiserel ricas gnota copulationisiui plüpofitúest. Londitionalis
cemcõitictas.vttuesboiz negatiuaestillaiquanotacó ditionisnegatur vtnonfitu
eshotuesafinus 7brempp batperaffirmatiua.Adveri ratezcóditional affirmatiue
requiriťzfufficitg oppofitú tusedes. Dzopofitionúcopu latiuarumaliaaffirmatiuaa
lianegatiua. Affirmatiuae illainquanotacopulationis affirmatur eremplumpofitu
eft. Hegatiua per oeltillai quanotacopulationisnegaE pritisrepugnetåtecedentivt
fitues bótuesanimal.bec vt non tues bomoztuesasi veraeftquistarepugnanttu nus.
csbomo tunoessial. An Et semper negariua proba tecedés vocatillappoqim
turperaffirmatiuam. mediate sequiturnotãcóditi Åd veritatem copulatiue onis:
cófequesveroeftalta. afirmatiuerequiriturquam f'meibad itaotuesboeftafcedens? Libet
partemerreveramvtcu tuesaialest consequens.Ad eshomoatuesanimal.
falfitatezconditionalis affir, Et adf alfitatem copulati, matiuer equirit. 2fufficitque
affirmatiue fufficitvnam "sistemahor oppofitum cófequentis ftét
partemeffefalsa; vttues behurinefrom cumancedentevifituesbó atucurris. tu
sedes. Hec aut ftant fimul Bd possibilitatem copula tuesbomoztunofedes.ió
tiuerequiriturqualibetpar itaconditionaliseftfalfa. técepossibiléznll'äaltériiz
tatomagis welalijs Jhiunctiuaeftillaique Deus évelfoztesmouef. Ere
coñitigüturplescathe pltiftvttues P'tunones.Et itbegorica.
gozicepnotazdifunctionis; adcótingentiaeiusdemrege Detuesbomoveltuesafin? Ritur
qualibet partemeffeco Propositionúdifuciuarú tingentezznullaalterirepu alia
affirmatiuaalia negatia gnarenecét cótradictoriail; Difiuctiuaaffirmatiuaéil,
laqvtantirpseftalbɔl'ipfe a inquaaffirmaturnotadi currit. Ponitur tertiapartir
litctóisvtpatuit. negatiade culaqebecdifiunctiuaeftne roeftillai quanota difiuctó
ceffariatunoesbóveltues aditsiplānisnegaturprñtuesboľ aial.ztinullapsalterirepu
notá quodtuescapza. zbecsemppbat gnatzõlibyéatigés. lzboc firdresinsme affirmatiuagneceffetnega
ióqzcötradictoriaptiuzre, Lisantca tiuanifipponeretnegatóvt pugnátvzt uesbó7tunes
Forrit pattunonesafinusveltunoes aial. veldicatomeliusqad foipropofitioneapza. Affirmatiua
estq2nul neceffitates difilactiverequi laillannegationumtranfitin
rifzfufficitcoplatiuafacta notam difiunctionis. tropugnante
poribilem.eremplüpzimivt tuesafinus. Etadfalfitatem tuesbo ztucurris. Szadi,
eilisre quiritur qualspartem possibilitatemei?fufficitvna
effefalfamvttucurrisl'nul partezeffeipossibiléautvná lusbaculusstatinangulo.
alteriicopoisibilez.eremplu Mdposibilitatemdifüctie-figutcomkepartesplenepost
primivttu curris. 7tuésafi, affirmatiuefufficitvnaj par tilesramom
nus.erempluzkivttuésztu temeffepossibilem. Vt homo ferposibilisetideopom
nes.Adneceffitatez.copla eftafinusvelantichristuseftfuficitermedpogriner
tiueregrit quamlib; premer Sed adimpoffibilitateeius ludvorbi uficiompor
seneceffaria; vtboestaialz requirif qualibetpartéeffe tot dimimurront14éria
de’eit. Etadarigentiazip impoffibilem vt homoeftafialiudfornogri. husregriť zfufficitynapzar
nusvelnullusdeuseft. tezelleptingentez.alteraatt Adneceffitatemdifiunctie ni pofsibilez
neceidéicópofi affirmatiuefufficitvnazpar bilemvttucurris7tuesbó
temeffeneceffaria;veliuicé pel deus eftz tucurris. cótradici. Eréplum pzimivt
de partibɔcontradictozijser} Ad veritatezoifiuctiueaf, feimpoffibilez. Etadcontin
Röme ftiguduozycótrario afirmatiuefuficitvnazparte gentiamcopulatiuafacta siune
imposfibilealiud effeveram. pttu.cshomop gtib oppofitisfitcótiges, metafarim
#coco scadcon coinout:fed quo hoc eftueru, cuno filin ilascopilgrimur, fatke
porousopofiris,codicarilkidekie Erionisdifnightutplan qnoradiinch omnis,Admiños
vilpropofiriones, congle:fed l Frelsabond murgiipropa Mit Saint Erine & filace
prolaindaoimportinisdefinitivaentrare difusique fignificatia'sseéincóueniensa
Popu-rarios gudwors contrariozeliuniecorigens unum idiom
conigat&difiurgatriper Sadcuila copulatiua falton Iparibusopofieasofusdeles
in diversors Et iceforcimoodradilosiaoliikaepoksidaéestimat arhdheof magister bisin
coligititommdig ogdifinitivaerit Drinsers. viétime quod propria fueimpropriauide
itq,amibe“pareddfentnene ožnnimado props liéefetwimmign ruenhomo
neltuesani bec.n.éneceffariatunocur iusmodi, ris. vel tu moueris .
q becco Lermin e quoc e termin ? pulatia éipoffibiťtucurrif fimplerplura
fignificarFzdi tunomoueris.Etbecéptin uerfasrationes ficutlicanis
géstucurrisvľtunomoue ghignificatcanelatrabilefi ris.q2 beccopulatiuaéptin,
duscelestez piscémarinuz. Genstunócurris tumoue zbocdiuerfisrationibus.
risfecúduregulasdatasde Paedicabile fecúdomó fti copulatiuis.
mifvideliczcóiterzp ergoétermin?vnwoc?pze. priePredicabilecóiterfup
túiterminoaptus. natusde aliquopdicari.zfictātermi nuscõis finglaristacói
dicabilisingddeplerib?ori tibus(pe. ptaialpredicatur deboiezdeafinogorritfpe
ineoqdquidqzaditerroga plerusqizplerusdiciepze tionezfacta; perquideftbo
dicabile. Sippziesicfumen velafin?rndeturqeltaial. do difinit. Paedicabilee ter
Ben'oiuiditur. naquodda minouiuoc'apt nat deplu estgenus gnälifsimu. zquod
rib?pzedicari.ficnull?ieri damgenussbalternum nusfingularisnec tráfcedes Benus generaliffimúéter
autpofit?diciturpzedicabiming ficégen?qd nopot lefeuvniuersaleqóidéė.q2
essespecies. ytfubftátia. Be null’ralisestterin vniuoclis nus subalternúeftterminus
Undetermin’vniuoc'est quificeft genusqdpóteffe termin?fimpler plura signifi
species vtaial.eeniz genus cásfm vnicáraionezficutli respectuhominis speciesde
boqo significatfoztezplato rorespectucorporis té oiađuagiftcataF5bác
Spesestterminusvniuo/ rationeať raroale. Perboccus nó fupremuspzedicabil
qodiciturterminusfimpler ercluduttermini3pofiti.fed fignificanspla ercluditter
minumfingularezzvnicara tione ercludit terminu trásce détez. videlzensaligdzbu
iad plib?vtlibópdicatur aloztez placóeieoqd aditērogatöezfactapgdest foz telvpťlatorideurgébő
Spéfoiuiditur q2qdazeft specialissimazadå Malterna
Segfcapituluopdicabilib? Faria videlzgen? speciediffe"Redicabiledupťrfu
rentiáppriazaccides. Sen? ptú diuidit iquinqz vniuer Spēs Balternaetermina
cutlialbuqapredicatur. de cu'filspeciespóreffegen? Boieieoqd qualeaccicale
vtanimal. qzaditëroğröezfactaequa Spésspecialiffimaéteri
lisehódlafin?pótpuenien nusqcum fitfpesnópóteê terrñderiqdalb?.2bocno genus. vt
bóvel aliter conuertibiliter. Quia nó con Spės spalissimaétermin?
uertiturlialbuaialiq°illoz, vniuocuspdicabilisigdde Suffitientiapdicabiliūbe
plurib'orñtıb nuerofolum turistomó quoë vleautest znotáterdiciturfoluiq2liai
piedicabile effentialiteraut alnéspéss pálissima.ztúert accíítaliter
termin?vniuoc?predicabilir Si effentialrautigdauti igddeplib’orntib?núero
quale. Siiqualeilludéoria 22defostezplacóeiznofoi Siigd autdeplurib'orīti,
làdeorñtib?nuero.qzitd e b?sperilludeitgen?.autde orñtib’spé.vtdeboierlebe
přib?orritib?nuero Toluet: Differentiaéterin’viuoc? illudéspés. Siveroepdica
paedicabiťde plib”iquale bileaccnraťrautgiqualeac cénale.vtroaleqapdicatur
cntalepuerribľrz. illudėp ocfoztez platoneieoqaqle pri.veliqualeacclitaleno
qzaditërogatóemfactaper puertibiťr.2illudéaccñs.er qualisest fortesrespódetur
predictispotpuiciafitper quod eft rationalis. dicato directavľ idirecta er
Peopriú eftterinviuoc fentiaľbľaccñcať. Predica Þdicabilisdeplib’ieoquod
tiodirectaeiaiqafupipze quale accñtalepuertiběrut dicaturdefuoiferiozi. Debo
rifibileqapdicatdesozteet éaial. Paedicatioidirectaé platbeieoqdqualeqzadin
illai quaiferi’predicaturde terrogatoezfactapqualise fuosuperiozi.vtaialeftbo.
sozesvť platopueniéterrñ Predicatio eéntialiséillai deturq rifibiť.7totaratio
quafuperi’pzedicaturdein quarefic pdicaturdeilliseq? Feriozi velecóuersofzquod
éppziapafsioilliustermini dictiév ľoriadeali q°illon bomo cum quo conucrtitur.
Si predicatio accítaliséila Acchrétēmin’vniuoc'pze iqua ppuúvelaccñspzedir. dicabilisdeplib”ieoquod
caturde generefpeciezpria qualeaccắtaleipuertiblrfi bľfuo idiuiduo autepuerfo
Eréplüpzimi: vtbóèrifibil dirurin decepdicasca. Quo Paialéalbu. exéplusivrrifi
rupzimueltpredicarsitu lub bileéhoalbueaial. Etpfiľr státiecul generaliffimúébic
dedriazidiuiduodicafl'me teri’lbalubàpoiturhicter li’oicaturg pdicatioefriaťė
mi? coup”.subcocpozecosp pdicatio terminoz eiusdez saiatu sub cozpoze aiato ať
dicamenti vtbóestaial. pze, aiali fpesspecialissimahoľ
dicatioautaccicaťeftpiedi afinuszlbiftisfuaidiuidua cario terminoxdiuerfozpze
foztesz plato. bzunellusfa dicamentorumvthomoéale uellus.Secúdupredicame bus. Termin
superioradre túeftpdicamentu quátitutis liquúdicitureffeillequicon Lui' generalisfimúeftquäti.
tinerillúznecóuerfoficutli tasfubýfuntduogenera aialrespectuisti'terminihó
alternaär nulluestsuperius qzfignificat quicgdile?cuz adreliquúvzcontinuuz?di
bocaliquid vltra. Lermin’in scretu.primigenerisiftefür
feriozadreliquúdicitureffe fpetieslineasuperficiescoz illequi cótineturabeo. nnó
pustempus?locus.qR:bec ecouerfovtliforesrespectu funtindiuiduabiliuea fupfi
iftiustermini bomo. hiclocus. Secundigeneris Lozpozea Jnco:pozea
infinitesuntfdeties.f.binari, Lozpus aiatum rius trinarius et cetera.
Redicamentu zestcoő ciumeltpaffiovelpafsibilis dinariopluriuztermi,
qualitas.Quartuzestforma nozu Fmsubzlupza. Etdiui, vetcirca aliquid pitasfigura
us trinarius quaternarizë Animatum Jnanimatuz indiuidua vero funt hicbina
Sensibile Animal Tertium piedicamentum è predicamentuz qualitatiscu
iusgeneraliffimum estquali Lozpus Jnsensibile Rarionale Jrrationale.
tasfubquofuntquattuo:ge Animal rationale nera subalterna non sebabe Socrates
Plato rio. Secundum eftnaturalis p potentiavelimpotentia.Ier Substantia tia
fecundum sub z fupza.pzi mortalis Jmmortalis mumesthabitusveldispofi, Domo
cies. boc cozpusboc rempus Primi generis spetiesfune Quintumpredicamétoem
grāmatica logicaz rhetorica dica métuacióis cuius gener quaqindividuasuntbecgrå
rasubaltez nafuntfer. quozu matica logicab rbetorica. nulluėsuperiusadreliquum
Lertijgenerisfpessunto risspéssunt. generarehoiez redoamaritudo. albunigruz
?cozrupereequáquayindir calidúz frigidubuidum zfic uiduafuntfic generare boiez
cum.quarúidiuiduasuntheç ficcorrupereequum.Iertijz dulcedo biamaritudohocal
quarti generis(pessuntau. bumhocnigpbuiusmodi. gereinlongudiminuereila
Quartigeneris fpeciessut tum. Quozum indiuiduafffic circulustriangulusquadra
augereilögumficdiminuer gulushuiufmodiquarúidi inlatu. Quiti generis spés uidua
funt.biccirculusbicfunt calefacerez frigefacere triangulushicquadrágulus. Quar idiuiduafuntficcalefa
Quartiipredicamétü Ċpdi cereficfrigefacer. Sertigo, camerurelatóis. Lui'gene. Neris
fpeciesfuntmouct fur ralissimúeftrelatiovelada. súmoueredeorsumquaruin
liquidfbåfunttriagenera( diuidua funtficmo uerefurfu alterailebita, 16zsupa
ficmoueredeorfum. Sertus Primum estcaparatio. Se predicaméta é predicaméruz
cuduzéfuppofitio. Lertiuzė paffioniscu’generatiffimu fuppofitio.primigenerisfpe
estpassio. Etb fi Ľrfergene tiessuntvicinusequale?li, rafbalternarisebūtia ;sub
milequarumindiuidua sunt. zsupaav; generari corrupia hicvicinusbocequalezboc
ugeridiminuialterari7fzlo fimile dñszmagister. qxidiuidua quúconīpiäri diduasütir,
süthicprbiconszbicmagi tuboiezgenerariftueqmco Tertijgeneris (péssútfili? rūpi.
Iertüzquarti generis fuus discipľ? quaruiidiui; spetiessuntaugeriinlon
duasuntbicfili? bicferubic gúdiminuiilatu quani diui. piscipulus. dua
funtficaugeriilogu fic cumouči. primi7figeneris, Secridi generis spēsfuitpr
fpessúthominez generarie Secundi generisspėssunt v3generarecourtīge augere OU
Rzmolle. quarüindiuidua diminuerealterare. cfmlo, funt hoc durumboc molle. Cu
mouere.Primiz figener -- b Nicoletti. Keywords. Refs.: H. P. Grice, “Paolo
da Harborne, and Paolo da Venezia,” lecture for the Club Griceiano
Anglo-Italiano, Bordighera. Luigi Speranza, “Grice e Nicoletti: quadratura ed
implicatura” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Negri: l’implicatura
conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Mercato San Severino). Filosofo italiano.Allievo di
Aliotta, con il quale si è laureato a Napoli prima in Lettere e poi in
Filosofia, ha sempre considerato come suo maestro Giovanni Gentile, di cui
tuttavia non è stato direttamente un discepolo. L'intensità con cui
Negri ha approfondito il pensiero gentiliano si è concretizzato dapprima nello
studio dell'allontanamento di Michele Federico Sciacca dall'attualismo poi in
testi quali: “Giovanni Gentile,” “L'estetica di Gentile,” e “Gentile
educatore.” Innumerevoli sono gli scritti dedicati all'idealismo
hegeliano, tra cui i saggi “La presenza di Hegel,” “Ricerche e meditazioni
hegeliane,” e “Hegel nel Novecento,” e le traduzioni di opere hegeliane come
“La vita di Gesù” e “Le orbite dei pianeti.” A queste traduzioni si
aggiungono anche quelle di grandi classici del pensiero filosofico, economico e
sociologico. Ha ricevuto il Premio San Gerolamo. A N. si deve
anche la valorizzazione di alcune grandi personalità della cultura italiana,
come quelle di Emo, Michelstaedter ed Evola. La sua carriera lo ha
visto professore di Storia della filosofia in alcune delle più importanti
università italiane: Bari, Perugia e Roma, dove ha lavorato presso l'Università
degli studi di Roma Tor Vergata fino alla fine del suo incarico
universitario. Nel corso della sua esperienza intellettuale è stato
impegnato in un'intensa attività saggistica e pubblicistica, scrivendo sulle
più importanti riviste culturali italiane e straniere, tra le quali: il
«Giornale Critico della Filosofia Italiana», il «Giornale di Metafisica», «I
Problemi della Pedagogia», «Rinascita della Scuola», «Dix-Huitième Siècle»,
«L'Enseignement Philosophique», «Studia Estetyczne», «Idealistic
Studies». Collaborato con molti dei maggiori quotidiani nazionali: «Il
giornale d'Italia», l'«Avanti», «Il Messaggero», «Il Sole 24 Ore», «Il Tempo» e
«il Giornale». Inoltre, ha diretto varie collane di testi filosofici per
la Marzorati («Ricerche filosofiche», «Testi e interpretazioni»), la Seam
(«Filosofi italiani del '900», «Sentieri del giorno e della notte») e la Pellicani
(«La storia e le Idee») e riviste come gli «Studi di storia dell'Educazione»
della Armando Editore. Gli è stato assegnato, a Palermo,
dall'Associazione internazionale di studi e ricerche Nietzsche fondata da Fallica,
il «Premio Nietzsche». Saggista sempre molto prolifico, ha continuato a
pubblicare opere originali non solo nella scelta degli argomenti ma anche dei
contenuti: il Discorso sopra lo stato presente degli italiani, il De persona.
L'indomabilità dell'individuo e Problema Europa: Unità politiche e molteplicità
culturali. N. Sciacca: dall'attualismo alla filosofia dell'integralità,
Edizioni di Ethica, Forlì. Collegamenti esterni «Négri, Antimo», la
voce in Enciclopedie, Treccani L'Enciclopedia italiana. Biografie Portale
Biografie Filosofia Portale Filosofia Ultima modifica 1 anno fa di un utente
anonimo Bertrando Spaventa filosofo italiano Michele Federico Sciacca filosofo
italiano Idealismo italiano Corrente filosofica predominante in Italia nella prima
metà del XX secolo Antimo Negri.
Grice e Negri: l’implicatura
conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Padova). Filosofo italiano. Grice: “Only in Italy a
philosopher philosophises on Pinocchio!” -- Grice: “I like his idea of a new
‘grammar of politics,’ even if he uses the extravagant metaphor, delightful
though, ‘fabbrica di porcellana’. He has a gift for metaphor, sure!” – Grice:
“’la lenta ginestra’ to qualify Leopardi’s ontology is genial!” -- Grice:
“Negri reminds me of ‘pinko Oxford’!” Tra gli anni sessanta e
gli anni settanta, fu uno dei maggiori teorici del marxismo operaista. Dagli
anni ottanta in poi, si dedicò invece allo studio del pensiero politico di
Baruch Spinoza, contribuendo, insieme a Louis Althusser e Gilles Deleuze, alla
sua riscoperta teorica. In collaborazione poi con Michael Hardt, ha scritto
libri molto influenti nella Teoria politica contemporanea. Accanto alla
sua attività teorica, ha svolto una intensa attività di militanza politica,
come co-fondatore e teorico militante delle organizzazioni della sinistra
extraparlamentare Potere Operaio e Autonomia Operaia. A causa della sua
attività politica è stato incarcerato e processato, all'interno del processo 7
aprile, con l'accusa di aver partecipato ad atti terroristici e d'insurrezione
armata. Venne, tuttavia, assolto da queste imputazioni, per poi venire
condannato a XII anni di carcere per associazione sovversiva e concorso morale
nella rapina di Argelato. Saggi: “Stato e diritto -- la genesi illuministica
della filosofia giuridica e politica” (Padova, Milani); “Lo storicismo” (Milano,
Feltrinelli); “Forma giuridica” (Padova, Milani); “Flosofia del diritto” (Bari,
Laterza); “Il concetto di partito politico” (Padova, Moderna); “Lo stato piano
e il comune” (Milano, Feltrinelli); “Il concetto d’integrazione nella storia di
Italia” (Milano, Giuffrè); “Il concetto di stato” (Milano); “Il capitale e lo stato”, “Della ragionevole
ideologia” (Milano, Feltrinelli); “Incidenza di Hegel. Napoli, Morano, Enciclopedia
Feltrinelli Fischer); Scienze politiche, (Stato e politica), Milano,
Feltrinelli); L’organizzazione operaia” (Milano, Feltrinelli); Partito operaio
contro il lavoro, in S. Bologna, P. Carpignano, N., “Crisi e organizzazione
operaia” (Milano, Feltrinelli); “I proletariato” Proletari e Stato. L’autonomia
operaia e compromesso storico, Milano, Feltrinelli); “La fabbrica della
strategia” Padova, “Cooperativa libraria editrice degli studenti di Padova, Collettivo
editoriale librirossi, La forma Stato, per la critica dell'economia politica
della Costituzione italiana” (Milano, Feltrinelli); “Il problema dello stato e
sul rapporto fra demo-crazia e sociali-smo” Milano, Unicopli-Cuem, “Il dominio
e il sabotaggio: sul metodo marxista della trasformazione sociale,” Milano,
Feltrinelli, “Manifattura, società
borghese, ideologia: Una polemica sulla struttura e la sovra-struttura,” Roma,
Savelli, Marx oltre Marx [Grice, “Grice oltre Grice”]. Quaderno di lavoro sui
Grundrisse, Milano, Feltrinelli, “ Dall'operaio massa all'operaio sociale. sull'operaismo,
Milano, Multhipla, “Comunismo e guerra,” Milano, Feltrinelli, Politica di
classe: il motore e la forma. Le cinque campagne oggi. Milano, Machina Libri,
“Otto Dix,” Milano, Studio d'arte Grafica, “L'anomalia selvaggia: potere e
potenza in Spinoza” (Milano, Feltrinelli);“Macchina tempo. Rompicapi,
liberazione, costituzione,” Milano, Feltrinelli, Pipe-line. Lettere da
Rebibbia, Torino, Einaudi, Boutang, Diario
di un'evasione, Cremona, Pizzoni, Le verità nomadi: lo spazio di libertà” (Roma,
Pellicani); “Fabbriche del soggetto: profili, protesi, transiti, macchine,
paradossi, passaggi, sovversione, sistemi, potenze: appunti per un dispositivo
ontologico, in "XXI secolo. Bimestrale di politica e cultura", “Lenta
ginestra: l'ontologia di Leopardi, Milano, Sugar, “Fine secolo. Un manifesto
per l'operaio sociale. Milano, Sugar,” “Arte e multitude” (Milano, Politi, “Il
lavoro di Giobbe. Il famoso testo biblico come parabola del lavoro umano,
Milano, Sugar); “Il potere costituente. Ssulle alternative del moderno,
Carnago, Sugar, Spinoza sovversivo. Variazioni (in)attuali” (Roma, Pellicani, “Dioniso,
o lo stato postmoderno” (Roma, Manifestolibri); L'inverno è finito. Scritti sulla trasformazione
negata” (Roma, Castelvecchi); “I libri del rogo, Roma, Castelvecchi); Partito
operaio contro il lavoro; Proletari e Stato; Per la critica della costituzione
materiale; La costituzione del tempo. Prolegomeni. Orologi del capitale e
liberazione comunista” (Roma, Manifestolibri); Spinoza (Roma, DeriveApprodi, Contiene:
S Democrazia ed eternità in Spinoza); “Sogni Incubi”, L’incubo, Visioni.
Politica e conflitti nella crisi della società del lavoro” (Milano, Lineacoop, La
sovversione” (Roma, Liberal, Kairòs, alma venus, multitudo. Nove lezioni
impartite a me stesso” (Roma, Manifestolibri, Desiderio del mostro. Dal circo
al laboratorio alla politica, a cura di e con Fadini e Wolfe, Roma, Il manifesto,
Impero. Il nuovo ordine della globalizzazione, con Hardt, Milano, Rizzoli, Europa politica. [Ragioni di una necessità],
a cura di e con Friese e Wagner, Roma, Manifestolibri, Luciano Ferrari); “Bravo
ritratto di un cattivo maestro. Con alcuni cenni sulla sua epoca” (Roma,
Manifestolibri); “L'Europa e l'impero. Riflessioni su un processo costituente,
Roma, Manifestolibri); “Moltitudine e impero, Soveria Mannelli, Rubbettino, Il
ritorno. Quasi un'autobiografia” (Milano, Rizzoli, Guide); “Impero e dintorni”
(Milano, Cortina); “Moltitudine. Guerra e democrazia nell’ordine imperiale” (Milano,
Rizzoli); “La differenza italiana” (Roma, Nottetempo); Movimenti nell'impero.
Passaggi e paesaggi, Milano, Cortina, Global. Biopotere e lotte” Roma,
Manifestolibri, Goodbye Mr Socialism, Milano, Feltrinelli, Settanta (Roma,
Derive); Approdi, Fabbrica di porcellana. Per una nuova grammatica politica,
Milano, Feltrinelli, Dalla fabbrica alla metropoli” (Roma, Datanews, Il lavoro nella Costituzione” (Verona, Ombre
Corte, Dentro/contro il diritto sovrano. Dallo Stato dei partiti ai movimenti
della governance” (Verona, Ombre Corte, Comune. Oltre il privato ed il pubblico, (Grice:
“Cf. Grice on ‘common language’ and ‘private language’”) Milano, Rizzoli, Inventare il comune, Roma, Derive Approdi, Il
comune in rivolta. Sul potere costituente delle lotte (Verona, Ombre Corte); “Questo
non è un Manifesto” (Milano, Feltrinelli); “Spinoza e noi, Milano-Udine,
Mimesis); “Fabbriche del soggetto. Archivio (Verona, Ombre corte); Arte e
multitudo (Roma, DeriveApprodi); “Storia di un comunista” (Milano, Ponte alle
Grazie, Galera ed esilio. Storia di un comunista” (Milano, Ponte alle Grazie, Assemblea,
Milano, Ponte alle Grazie, Da Genova a domani. Storia di un comunista, Milano,
Ponte alle Grazie. Antonio Negri. Keywords: implicature,
potere-potenza, l’incubo, la differenza italiana, grammatica politica,
assemblea, Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Negri," per il Club
Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Grice e
Neri: l’implicatura conversazionale dell’aporia della realizzazione – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo italiano. Grice: “Neri is an interesting
philosopher – he speaks of the aporia of the realization, which is intriguing,
and considers that ‘objectivism’ started with Galileo, which is realistic!” Professore
a Verona. Allievo di Banfi e Paci, rappresenta una delle ultime sintesi della
Scuola di Milano, di cui riprende alcuni dei temi portanti: ricerca
fenomenologica, analisi storico-politica, studi estetici. Rispetto ai suoi
maestri, del cui pensiero è stato uno dei maggiori interpreti, sviluppa un
percorso di ricerca originale, caratterizzato da una critica delle ideologie
del Novecento e dei loro fallimenti, e da una lettura non dogmatica della
storia contemporanea, volta a metterne in luce discontinuità e aporie. Forte di
un'indole scettica e fedele al principio dell'epoché fenomenologica, Neri ha
ripercorso le vicende della dialettica marxista, focalizzando in particolare la
sua attenzione sull'Europa centro-orientale, e sulle varie forme di
controcondotta e dissenso che, a partire dagli anni sessanta, sono andati
germinando in quel contesto storico. I suoi autori di riferimento Husserl e
Merleau-Ponty, Bloch e Lukács, Kosík e Kołakowskirivelano la tensione
intellettuale tra ricerca teoretica e storica che ha caratterizzato il lavoro
di Neri, dalle principali monografie, ai saggi su aut aut e Il filo rosso, fino
al materiale inedito conservato presso l'Archivio N., da pochi anni istituito
presso l'Università degli Studi di Milano. Durante gli anni universitari,
trascorsi tra Pavia e Milano, Neri ha l'occasione di frequentare gli ultimi
corsi di Antonio Banfi, ormai lontano dalla fenomenologia e intento a
perfezionare (e radicalizzare) il suo umanesimo di stampo marxista, e
dell'ancor giovane Enzo Paci che, in quegli stessi anni di dopoguerra,
intraprende un confronto innovativo con gli esiti della ricerca husserliana, e
in particolare con i contenuti della Crisi delle scienze europee, oggetto di
numerosi corsi. Proprio questo "apprendistato fenomenologico",
secondo l'espressione di Fausti, ha consentito a N. di acquisire un metodo di
ricerca che lo ha accompagnato, non solo nei suoi studi delle opere di Husserl,
Merleau-Ponty, Patočka (dei quali traduce e cura varie pubblicazioni), ma, più
in generale, nell'analisi del pensiero storico e politico novecentesco. A
questi interessi va ad aggiungersi quello per l'arte e l'estetica, decisivo in
questi primi anni, e dovuto in particolare agli insegnamenti di Formaggio, con
cui N. si laureò. Neri continuerà a interessarsi a questi temi anche negli anni
successivi, dedicando diversi scritti a Panofsky (della cui Prospettiva come
forma simbolica cura nell'edizione) e a Caravaggio, e interrogandosi sul
rapporto tra fenomenologia ed estetica. Agli anni di studio, segue una
fase di ricerca che lo porterà nei primi anni sessanta a Praga, ospite
dell'Accademia delle Scienze della Cecoslovacchia e, in seguito, negli Stati
Uniti d'America, dove è visiting scholar a Pennsylvania. A Praga, Neri entra in
contatto con la giovane generazione di intellettuali cechi che, in questi anni
cruciali, portano avanti l'idea di riformare il socialismo dal suo interno, a
partire da una profonda reinterpretazione del materialismo e della prassi
marxiana. È grazie a N. che in Italia si diffondono le opere di Kosík e di Patočka
che, pur così profondamente diversi, condividono con Neri l'interesse per la
fenomenologia e la politica. Durante la sua esperienza americana, N. dedica a
Marx una serie di lezioni e conferenze, i cui testi inediti, facenti parte del
Fondo N., sono conservati presso la Biblioteca di Filosofia dell'Università
degli Studi di Milano. Analizzando il pensiero di Marx, N. si rifà in
particolar modo, oltre che all'insegnamento di Kosík, agli scritti di Petrović
e alla scuola jugoslava legata alla rivista Praxis. Tornato in Italia, inizia
un lungo periodo di insegnamento a Verona, durante il quale incentra i suoi
corsi sulla fenomenologia post-husserliana, su Bloch, sull'idea filosofica di
Europa e la sua eredità, a seguito del fallimento dei principali progetti
politici novecenteschi. Escono in questi anni le sue opere più note: “Aporie
della realizzazione”, sulla filosofia e l'ideologia dei paesi del socialismo
realizzato, e “Crisi e costruzione della storia”, dedicato, ancora una volta,
al maestro Banfi. In più occasioni, manifesta il suo debito nei confronti
dei suoi maestri milanesi, per averlo iniziato allo studio della fenomenologia.
In tal senso, il passaggio dall'insegnamento di Banfi a quello di Paci è
decisivo. «Al centro non era piùscrive Neri poco prima di morire, ricordando
quegli anniil "disperato razionalismo" del fondatore della
fenomenologia: il fuoco della rilettura era diventato il "mondo della
vita" e la critica dell'obbiettivismo moderno». Un pensiero che ben si
presta a una generazione di giovani studiosi che, durante gli anni sessanta, si
raccolgono intorno a Paci, desiderosi di affinare un pensiero che consenta di
riguadagnare un sguardo disincantato, ma non indifferente, sulla realtà sociale
e culturale circostante, contro «l'asfissiante razionalismo» di Banfi e, più in
generale, contro l'impronta culturale del PCI. Neri rientra in questa
nuova leva di studiosi e in questi termini si possono interpretare anche i suoi
studi fenomenologici. «Con il tema del mondo della vitaribadisce N., in un
altro tra i suoi scritti più tardila fenomenologia mostrava di saper affrontare
i problemi posti dalle scienze storiche e sociali, dall'antropologia culturale
e infine anche dal pensiero marxista». L'esempio di Paci, tuttavia, che cercò a
tutti gli effetti di coniugare metodo fenomenologico e dialettica marxista, è
seguito dall'allievo solo parzialmente, lasciando la sua impronta più visibile
nel volume Prassi e conoscenza, una cui parte è dedicata ai critici marxisti
della fenomenologia. Col passare del tempo, tuttavia, Neri adotta una posizione
di sempre più evidente rottura, prediligendo a qualsiasi tentativo
conciliatorio una critica fenomenologica del socialismo realizzato e delle sue
distorsioni. A tal proposito, il confronto con Kosík e il dissenso, all'interno
del socialismo reale, giocano un ruolo di primo piano. Come si evince
dalla sua “Aporie della realizzazione,” distingue due fasi e due generazioni di
filosofi, all'interno della complessa crisi del socialismo in costruzione. Da
una parte, la prima generazione è rappresentata da Lukács e da Ernst Bloch.
Proprio al pensiero di quest'ultimo, alle sue concezioni di storia e di utopia
e ai suoi numerosi ripensamenti, Neri dedica una lunga analisi, che tornerà
periodicamente anche negli anni successivi, come testimoniano i programmi
dei suoi corsi universitari. A Bloch è ispirato, d'altronde, il titolo del
libro, che N. ricava da una pagina di Principio speranza. È all'interno della
dialettica tra realtà e realizzazione, tra condizione presente e speranza
futura, che N. individua l'andatura del socialismo reale, della sua filosofia e
della sua ideologia. Solo con la seconda generazione di filosofi, tuttavia, le
aporie della realizzazione socialista vengono veramente al pettine; la
malinconia di Bloch cede infatti il passo allo sguardo scettico di Kołakowski e
al tentativo di Kosík di rileggere la dialettica marxista in termini concreti,
al di là di ogni deriva ideologica. Dello stesso tenore è anche il libro su
Banfi, Crisi e costruzione della storia, di pochi anni successivo, in cui N. si
confronta con lo stesso tema della realizzazione, inteso stavolta nei termini
del tentativo banfiano di costruire un percorso storico su basi razionali,
oltre la crisi della civiltà moderna, verso una nuova prospettiva umanistica.
Alla luce del ritratto offertoci da Neri, che si concentra in particolare sugli
anni trenta, intesi come momento cruciale per lo sviluppo della teoria
banfiana, emerge un'immagine di Banfi particolarmente complessa, nella quale la
svolta ideologica e l'adesione al comunismo non offuscano il perdurare di uno
spirito critico e di una prospettiva europea, che si sviluppa al di là dei
particolarismi delle filosofie nazionali. L'Archivio N. -- è stato creato
presso la Biblioteca di Filosofia dell'Università degli Studi di Milano
l'Archivio N. In tale archivio è raccolta un'imponente quantità di materiali
inediti, che comprendono riflessioni, appunti per corsi e seminari, annotazioni
di viaggio, corrispondenze. Sono considerati di particolare rilievo, in vista
di futuri studi sul pensiero filosofico di N., i 149 quaderni, contenenti le
riflessioni del filosofo, dalla metà degli anni cinquanta, fino alla sua morte.
Attraverso la lettura di questi scritti, ora completamente consultabili e in
corso di digitalizzazione, è possibile chiarire il rapporto e gli scambi di
Neri con altri rappresentanti della filosofia milanese: da Banfi a Paci, da Dal
Pra a Preti. Grande importanza rivestono anche i commenti in presa diretta su
alcuni tra i più rilevanti avvenimenti storici del Novecento: dall'invasione
sovietica dell'Ungheria, alla Primavera di Praga, fino al crollo del socialismo
reale. A ciò si aggiungono le riflessioni sul ruolo della filosofia nella
società, sul modo e l'opportunità di insegnarla, e sulla sua tenuta, di fronte
alle scosse della storia. Saggi: : “La fenomenologia della prassi (Milano, Feltrinelli); “Il partito socialista
italiano” (Milano, Feltrinelli); “Crisi e costruzione della storia” (Napoli,
Bibliopolis); “Il sensibile, la storia, l'arte” (Verona, Ombre Corte, F. Tava, su
Open Commons of Phenomenology. G. Scaramuzza, Presentazione, in Atti della
Giornata di Studio e di Testimonianze svoltasi presso la Fondazione Corrente,
Milano, Materiali di Estetica, Archivi. su sba.unimi. degli scritti di in aut
aut, n. Atti della Giornata di Studio e di Testimonianze svoltasi presso la
Fondazione Corrente, Milano, in Materiali di Estetica, Quando tra noi Ricordo, amici, colleghi e studenti, Pizzighettone,
Viciguerra, L. Fausti, Tra scepsi e storia. Un percorso filosofico, Milano,
UNICOPLI,. L.Frigerio e E. Mazzolani,
Iin Sistema Università, A. Vigorelli,
Fenomenologia e storia. A partire da Patocka: itinerario filosofico, in Leussein, F. Tava, Open Commons of Phenomenology. sba.unimi.
Fondo librario. Grice: Mussolini used to say that Garibadi spoke of the
‘popolo’ while he speaks of the ‘nazione’ – and a nazione has a plusvalue over
popolo. Il popolo e l’asino, l’asino e il popolo utile paziente e bastonato. Grice:
“Neri made a great contribution or the spreading of Husserl’s interpretation of
their own Galileo n Italy. Who is this Jew to tell us anything about our
glorious Pisan? Husserl saw Gailei as a Platonist. Neri made a translation of
Husserl’s essay on Galileo and included in a saggio with the title GALILEO in
it – in this way, he gathered the attention of every Italian philosophical
Galileian!” Grice: “Perhaps the best introduction to Italian socialist politics
are the commentaries Neri made to the cartoons in the asino, which he entitled,
bitingly, the bite of the ass!” Grice: “Oddly, bite is an attribute of ass –
when a retrospective of the cartoons was held, the cliché journalese when
‘satira morente’ -- -- estetica di Diderot, senso e sensibile, il sensibile, la
sensazione, il Galileo di Husserl. –Guido Davide Neri, su sba.unimi. Neri. Keywords:
aporia della realizzazione, il mordo dell’asino, -- Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Neri” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Nerone: il melodramma di Boito -- Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
epicureo e imperatore romano. Demetrio Lacon dedicated a philosophical essay to
Nerone, making it extremely like that Nerone was himself a follower of the
doctrines of The Garden. BOITO: “NERONE” IL MELODRAMMA.
Grice e Nesi: l’implicatura conversazionale –
adulescentuli oratiuncula – Sono dalle celeste sphere Venere: perche
amore inspiro: dagl’elementi fuoco: perché d’amore accendo da uoi con
vocabul greco CHARITÀ chiamata: perché col mio ardore della GRAZIA della salute
viso degni -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo italiano. Grice: “I once had a
fight with Nowell-Smith; he was saying that a philosopher should not be a
moralist; I told him that by that token Nesi wasn’t one!” – “De moribus” Figlio
di Francesco di Giovanni e di Nera di Giovanni Spinelli, si dedica interamente
agli studi filosofici. Strinsge stretti rapporti con i principali umanisti
fiorentini dell'epoca, tra cui Acciaiuoli e Ficino. Influenzato dall'operato di
Savonarola, ricopre anche diverse cariche politiche. Saggi: “Adulescentuli oratiuncula”; “Orazione
del corpo di Cristo”; “Orazione de Eucharestia” “ Orazione sull'umiltà” “Sulla
carità”; “De moribus”; “De charitate”; “Oraculum de novo saeculo, Canzoniere,
Poema. Treccan Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Obviously,
Nesi is not having Davidson in mind. But Nesi is wrong in identifying GRAZIA
with CHARITA, ‘greco vocabull” – this is an etymological blunder. The charities
were indeed three – Eglea, Eufrosina, e Talia – and they danced mainly to
eroticse Mars, or more frequently Giove and Mars together --. Of course the
expression ‘gratia’ is not cognate! – For Davidson, charity is what the
Italians refer to ‘carità’, formed out of ‘carus’ – the spelling with ‘ch’ is a
French corruption! So to be charitable, in Davidson’s interpretation, is to be
kind, caro. Not graceful! --. Grice: “If Davidson doesn’t know his Greek
mythology, that’s not my fault --. Instead of his singular principle of
charities, I will take the liberty to sub-divide it into three maxims – The
first maxim refers to the first charity, Aglae: splendour; thes second maxim
refers to the second charity, Eufrosina, mirth; the third maxim refers to the
third charity, Talia, cheer. In Kantian format, these counsels of prudence
become: be splendorous – or try to make your conversational move one that is
splendorous; be merry – or try to make your conversational move one that will
carry mirth to your co-conversationalist; and ‘be cheerful’, try to make your
conversational move one as if it was spawned by Thalia!” -- Giovanni Nesi. Nesi.
Keywords: adulescentuli oratiuncula, principle of charity, Davidson on charity
on Grice. Who was the first Englishman to use ‘charity’ as a hermeneutic
principle? Butler. Grice speaks of self-love and benevolence. Benevolence – and
charity? Grice is not so much concerned with Beneficenza or Malificenza, but
with Benevolenza, and Malevolenza – where does charity fit? What was Ciceronian
for charity. What is pre-Christian about charity? Charisma, charitas, folk
etymological confusion here – caritativo – carita – caro, “le tre carità in
armónico conubio” “tre carità”. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Nesi” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Nicolao:
l’implicatura conversazionale -- Roma –filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Among his pupils are the
two sons that Marc’Antonio has with Cleopatra. He writes a biography of
Ottaviano, and the two became friends.
Grice e Nifo: l’implicatura conversazionale ludicra –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Sessa
Aurunca). Filosofo italiano. Grice:
“I like Nifo; first, because he wrote a treatise he called ‘ludicrous
rhetoric;’ second, because he tried to refute Pomponazzi against the mortality
of the soul – surely the soul is ‘mortal’ is a category mistake --.” Alla corte
di Carlo V (L. Toro, Sessa Aurunca). Studia Padova sotto Vernia. Insegna a Padova,
Napoli, Roma e Pisa, guadagnando una fama tale da essere incaricato e pagato da
Leone X di difendere l’immortalità dell’animo di Leone X contro gl’attacchi di Pomponazzi
e degli alessandristi. Ricompensato con la nomina a conte palatino con il
diritto di assumere il cognome del Papa, Medici. La sua prima filosofia si
ispira ad Averroè, modifica poi la propria visione giungendo a posizioni più
vicine al domma romano. Pubblica un'edizione delle opere di Averroè corredate
di un commento compatibile con la sua nuova posizione. Nella grande
controversia con gli alessandristi si oppose alla tesi di Pomponazzi per il
quale l'animo razionale non e separabile dal corpo materiale e, dunque, la
morte di questo porta con sé anche la scomparsa dell'anima. Sostenne, invece,
che l'animo di Leone X, quale parte dell'intelletto assoluto, non e distruttibile
e alla morte del corpo di Leone X si fonde in un'unità eterna. Tra i suoi
allievi, presso Salerno, tra gli altri, ricordiamo, Rosselli, filosofo
calabrese autore di un testo molto controverso, Apologeticus adversos
cucullatos (Parma), in cui cerca di affermare le sue dottrine che tendono a
discostarsi da quello del suo maestro. Lo si ritiene protagonista di un curioso
episodio. Pubblica il trattato “De regnandi peritia” (la perizia di regnare), che
alcuni ritengono essere un plagio del più noto “Il Principe” di Machiavelli del
cui manoscritto e venuto in possesso. Gli e conferita la cittadinanza onoraria di
Napoli ed iessa e estesa ai figli ed agli eredi in perpetuo.A lui è dedicato il
Convitto Nazionale di Sessa Aurunca, della quale e anche sindaco. Saggi:“Liber
de intellectu”; “De immortalitate animi”; “De infinitate primi motoris quaestio”
[cf. Bruno, Galilei, Novaro, infinito]; “Opuscula moralia et politica”; “Dialectica
ludicra,” “De regnandi peritia.” Furono
poi più volte ripubblicati, in quanto ampiamente diffusi, i suoi numerosi
commentari su Aristotele, di cui i più importanti sono “Aristotelis de
generatione et corruptione liber N. philosopho Suessano interprete &
expositore”; “Expositiones in libros de sophisticos elenchis Aristotelis”; “Expositiones
in omnes libros de Historia animalim, de partibus animalium et earum causis ac de
Generatione animalium, In libris Aristotelis meteorologicis commentaria” (Venezia,
Ottaviano Scoto); Physicorum auscultationum Aristotelis libri octo”; “Super Libros
Priorum Aristotelis”; “Commentarium in tres libros Aristotelis De anima”; “Dilucidarium
metaphysicarum disputationum in Aristotelis Deum et quatuor libros
metaphysicarum”. “Dialectica ludicra”. Biblioteca del Convitto, Dialectica; “Dialectica
ludicra”; “In libris Aristotelis meteorologicis commentaria”; “In libros
Aristotelis De generatione et corruptione interpretationes et commentaria, Biblioteca
del Convitto Nifo di Sessa Aurunca; “In libros Aristotelis de generatione et
corruptione interpretationes et commentaria.
G. Gabrieli, "Raccolta Storica dei Comuni", Istituto di Studi
Atellani, Sant'Arpino, C. De Lellis,
Discorsi delle Famiglie Nobili del Regno di Napoli, Napoli, G. Paci, G. Marco,
I sindaci della città di Sessa, Sessa Aurunca, Zano. La filosofia nella corte (Milano,
Bompiani). Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, G.
Marco, G. Parolino, Incunaboli e cinquecentine nelle biblioteche di Sessa, Minturno,
Caramanica, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, E. De Bellis, Il pensiero logico, Galatina, Congedo, Ennio De Bellis,
Aspetti storiografici e metodologici, Galatina, Congedo, E. ellis, Collana Quaderni di “Rinascimento”. Istituto
Nazionale di Studi sul Rinascimento (Firenze, Olschki); A. Poppi, I liceii di
Padova, Dizionario biografico degli italiani, Ratisbona. Grice: “I enjoyed
Nifo’s rambling on dreaming – quite an complement for Descartes on clear and
distinct perception!” Grice: “Part of my cooperative principle is based on Nifo
– echoing Aristotle rather than Kant. Or rather echoing Kantotle. In this case,
it’s Aristotle’s key concept of a ‘virtue’ – a collective virtue, like
solidarity, lies at the bottom of my conversational principle of cooperation.
The virtue is ONE of course, which is good. Each maxim then attends to some
virtue. Nifo is better than Castiglione in that his Italian is better. He
relies on Cicero, rather than on this or that court poet! So there’s VERITAS,
HONESTAS, CARITAS, and the rest. Each is seen as a virtue, and the point is to
find the ‘middle point’ or mesotes. A bore is a bore but if you include this or
that ‘implicatura ludicra’, two gentlemen can enjoy a nice conversation. Nifo
is having the Northern Italian courts in mind, away from that nefarious influence
of the Pope, who had paid him to demonstrate the immortality of his soul! The
virtue model of conversation is an interestin gone – “De re aulica” is the way
Nifo considers this, and he makes interesting observations on how to attain a
middle way, i.e .how to win frineds and lose enemies!” –Of course there are
overlaps. My model is Kantian, but what is a counsel of prudence if not a nod
to Aristotle’s virtue of prudentia – the principle is thus a principle of
conversationl conviviality, urbanity --. There are conceptual problems with a
purely Aristotelian model, rather than Ariskantian one. One is not after
VIRTUE, but the MESOTES – So the ideal is not to be searched for. It’s not pure
HONESTAS, but that which fits civil conversation. Oddly, Italians were more
concerned with ‘vitii’, which due to their Roman dogmatic assumptions, they
correlate with ‘vice’. For each vice, we should not look for the VIRTUE, but to
the MESOTES --. Kant could not make head or tail of this! Agostino Nifo. Nifo. Keywords:
ludica, ludicra, intellectus, animo intelligere, nous, intellectus passivus,
intellectus activus, intellectus agens, intellectus possibilis, intellectus
passibilis, what is so ludicrious about dialectis?– Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Nifo: la dialettica ludrica”, Grice, “Dreaming” – Malcolm, “Dreaming”
--. – The Swimming-Pool Library.
Grice e Nigidio:
l’implicatura conversazionale -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Friend of Cicerone. He
enjoys a great reputation for learning. However, he is on the wrong side of the
civil war between Pompeo and Giulio Cesare, and Cesare sends him into exile. He
is particularly interested in Pythagoreanism and is a leading figure in its
revival in Rome. He specialises in the mystical side of Pythagoreanism and is
credited with occult powers. Publio Nigidio Figulo.
Grice e Ninone:
la diaspora di Crotona e la sua causa -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Crotone). Filosofo italiano. Ninon was
one of the leaders of the anti-Pythagorean movement in Crotone. He claims that
the Pythagoreans are elitist and anti-democratic. He also claims to have a
knowledge of their secret teachings and published it in a book. However,
according to Giamblico, Ninon knew nothing of what the sect taught and the book
is ‘a work of pure invention.’
Grice e Nisio: il
portico romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Samnium). Filosofo italiano. A pupil of Panezio. Nisio.
Grice e Nizolio: l’implicatura conversazionale
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Brescello). Filosofo
italiano. Grice: “I read Nizolio and it’s like reading myself!” – Insegna a
Brescia e Parma. Pubblica il lessico “Observationes in M. Tullium Ciceronem”
(Brescia), il Thesaurus Ciceronianus” (Venezia, Facciolati) e il “Lexicon ciceronianum”
(Venezia, Facciolati). Ha una lunga polemica con Maioragio per una critica
portata da quest'ultimo a Cicerone che, iniziata con la Epistola ad M. A.
Majoragium, prosegue con l'Antapologia e si conclude con i “De veris principiis
et vera ratione philosophandi contra pseudo-philosophos” (Parma), scritto
contro gli scholastici, che interessarono Leibniz al punto che questi li fece
ristampare premettendogli il titolo “Anti-barbarus Philosophicus, sive
Philosophia Scholasticorum impugnata” con una prefazione ed una lettera a
Thomasius sulla dottrina di Aristotele, Francofurti (Roma, Bocca). E chiamato
da Gonzaga a Sabbioneta. Contemporaneamente alle critiche di Ramo alla logica
dei lizii, anche per lui occorre sostituire all'astrattezza di quella logica un
pensiero che sia concretamente legato al reale, e a questo scopo la strada
maestra sta nel ritrovare i processi del pensiero direttamente nella struttura
grammaticale dell’italiano. Individua cinque principi per fare della buona
filosofia. Il primo principio generale della verità e della buona filosofia
consiste nella conoscenza della lingua romana, in cui sono espressi quei saggi
filosofici. Il secondo principio è la conoscenza di quei precetti che si
trovano nella grammatica e nella retorica di Cicerone, sostituendo la
grammatica e la retorica alla metafisica, ontologia, o filosofia speculativa,
dal momento che il metafisico si e preoccupato solo di ricercare il vero, senza
occuparsi dell’utile, il necessario, o il pertinente delle cose trattate. Il
terzo principio consiste nell’interpretare il filosofo antico come CATONE IL
CENSORE, o Cicerone, o Antonino, e nello sforzarsi di comprendere il modo con
il quale il popolo romano si esprime, essendoci verità in quella schiettezza –
Grice: ‘slightness” -- di linguaggio. Il quarto principio generale del vero è
il libero, e la vera licenza delle opinioni e del giudizio su qualunque
argomento, in contro ogni domma, come richiede il vero e il naturale. Non
devono essere dunque CICERONE o ANTONINO nostril maestri, ma i cinque
sensi, l'intelligenza, il pensiero, la memoria, l'uso e l'esperienza delle
cose. Il quinto principio afferma che, oltre a esporre ogni tesi con la
chiarezza della lingua comune – l’italiano volgare, senza introdurre nel
discorso oscurità (avoid obscurity of expression, be perspicuous [sic], avoid
unnecessary prolixity [sic] o sottigliezze, occorre non trattare problemi che
non hanno realtà. Esempi di invenzioni filosofichi prive di oggettività sono la
“idea” platonica e la tesi del reale dell’universalie. Infatti, il reale è
costituito soltanto da singoli individui e questi devono essere indagati non
attraverso la loro natura propria e privata, ma attraverso la loro comune e
continua successione. Si fa filosofia non astraendo, ossia togliendo da una
singola realtà quel quid che viene poi analizzato come se esso fosse reale, ma
comprendendo, ossia considerando insieme il singolo reale. L'universale è una
vana e finta astrazione che deriva invece dalla comprensione di ogni singolare
di ogni genere, accolto insieme con un atto solo, senza astrazione
intellettiva, ma con il solo ausilio di un'intelligenza che comprende il
singolare. In sostanza, noi non possiamo distaccare, con un'operazione
dell'intelletto, un universale da ogni singolare, ma semmai passare
dall'individuale al collettivo. L'operazione consiste nel sostituire alla
dialettica la retorica e alla logica la grammatica ma, pur mettendo in rilievo
i difetti della logica classica, non riesce a fondare una nuova logica efficace
e persuasiva. Saggi: Garin, Rossi, Vasoli, “Testi umanistici su la retorica”;
“Testi editi e inediti su retorica e dialettica di N., e Ramo, Milano,
Bocca N. in M.T. Ciceronem observationes Caelii Secundi Curionis labore
et industria secundo atque iterum locupletatae, perpolitae et restitutae.
Ejusdem libellus, in quo vulgaria quaedam verba et parum Latina, ad purissimam
Ciceronis consuetudinem emendantur, ab eodem Caelio, s.c. limatus &
auctus”. Dizionario Biografico degli Italiani. Ballestri, Massimiliano. Milano,
Cosmo editore, Battistella, umanista e filosofo, Treviso, L. Zoppelli, Il
rinnovamento scientifico moderno, Como, Meroni, Rossi, “La celebrazione
della rettorica e la polemica anti-metafisica del "De Principiis" in
La crisi dell'uso dogmatico della ragione, A. Banfi, Milano, Bocca); W. Fink,
Logica aristotelica Universale Idea. Treccani Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. G. Calogero, Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana.Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Grice: “I was slightly disappointed when I got hold of
Nizolio’s overadvertised masterpiece, the “Lexicon Ciceronianum;” while Urmson
liked it, I found it more to be a common-or-garden dictionary. I did not care
for philosophical concepts, seeing that he starts wih “A”, ‘the first letter of
the alphabet,’ as N. defines it. So, I went straight to the third tome – heavy
as they are, and reprinted in London for use at public schools –‘adolescens’ –
to ROMA, ROMANVS, ROMVLVS. As for his advice as to deal with the longitudinal
unity of philosophy and his rhetorical, ‘Plato is my friend but a better friend
is truth,’ I can’t believe it coming from one who dedicated his life to TRACE
every little ‘diom’ (slogans as the London edition has it) uttered by Cicero!
WhileI would expect praise against the barbarian scholastic from Roger Bacon,
it sounds hypocritical coming from Leibniz. By N.’s standard, Leibniz was a
barbarian his self. The scholastics actually saved the books from the flames of
the Longobards and the Eastern Goths (earlier on) Roma, Contr. RuJ. Romain montibus posita, et convalUbus,
ccenacolis sublata atque suspensa.1. de Div.. Certahant, Urbem
Romam Uemamne vocdrent, Post led. in Sen. Roma
arx omnium terrarum. De Pet Cons. Roma civitas CK nationnm
conventu constituta. 1. de Onu. Roma domus virtutis, imperii et dgnitatis. Roma
domid Uum imperii et gloris. Roma luxorbisterraruhi, et arx onuuum gentium.
Div. Bmoul sexenniojpost Veios captos a GaUis capta. Rome et reges augnres, et postea privati eodem sacerdotio prsediti, lem
pub. regionum autoritate rexemnt. Qu. Fr. Roma, ubi tanta arrogantia est, tam immoderate
libertas, tam infinita hominum centia. Redu Romam Fonteu cansa
.Idns Qu. de Nat. Roma in terries nihU meUns. Inoer. Romam conditam 01 vmpiadis sestss anno tertio. Romani.
Pro Leg.Man. Romani
pn»ter ctiteras gentes laudis et glori» avidi. Romani cives facti Siculi lege Antoni
L9. Fara. Romani veteres atque urbau sales. Tus. Romani
serius quam GffKci poeticam acceperant 1. Di. Romaia nihU in bello sineextis agebant nihU
d<»B& sine auspiciis. Off. Romani Toscoianos, Equos, Volscos, Sabinos,
Hemicos, victoria parta non modo conservarunt, sed etiaro in ciritatem
acceperantPro Mur. Romani tempora voluptatis laborisque dispelrtiunt, etc. Tus.
Romani omnia aut invenerant per se sapientius, quam Greciaut accepta ab illis
fcicerant meUora. Div. Romani omnibut rebus agendis, quod bonnm, faustum,
felix, fortunatnmque esset prefabantur. Pro Cnc . Romani eos vendere solebant,
qui mUites facti non essent 3. de Ora. Romani minos qoam liitm Utteris
stndebant Pro Leg. Man. Romani omnibus navalibus puffuis Carthagienses vicerant
Aoad. Romanorum antiqua jurisjurandi formulaet consuetudo. de Or. Romanoram ingenia
raultnm csBteris liomiaibos omnium gentium prsstiterunt Snavitassemkonis
Atticoram et Romanomm propiia. Tosc. Apod priscos
Romanos morem honc epolaram fiijsseantor
est Cato in Originibos, ut
deincepi, qui aocobaient, canerent ad
tibiam virorom daroram Uodes atqoe virtutes Romanos, a, uro. 1. de
Nat Romana RO
JaiioteIbBoa«t,<f«aUs8oif2li« $.S.Fo^ paU RoaiaBi ovnk religio in ftcrt etin
anspida diyia. . Popalnm Boaunun nan DJ
saasnon Sn defendenda ropnb.sed Sn pUndendo cooso Bieie. Bum non nodo Romano
bomini, sed ne Perse qwden coiqaam tolerabile. Fam. Bomaoo nsoae oommendare. Romano
more feqni.1. de Orat et Ver. Romani ladL Att. Nu Bc Romanas res aedpe.
Romilla, iribus. t. cont Ral. Respondit, Romilla tribo se initiam esse
£se-tnram. I^,Tribos. Romalos, li, Qutnntti. Romalam» qu banc aibem condidit, ad deos immortales benerolentia famaqae sastulimas.de
L. Roawhis post exoessum suum dixit Proculo Jolio, se
deom esse, et Qaoinum vocartem plumaae sibi dedicari ia eo
loco jussit Romuhis quem
iaauratum m Capitolio pamun ac lacttntem, uberibos lopiais inhiantem fuisse meministis.
OfF. Peccavit igitar, paoe vel Qoirini
toI Bomali du Eerim.1. de D. Romuhis puldier. Ih, Romulus urbm auspicato
oodidit Roamlus non solom aospieato Romam condidit, sed etiam optimos augur feit
de N. Romnlos auspicBs, Numa sacris
constitatb, fandamenta jeeit ostiSB dTitatii. Off. Romjlus, cum
ci visom csset utilios solum, quam cum altero regnarefiratrem interemit De Or. Roma
Jns consitto magis et sapientfaqaam doqueotia usns est S. Div. Romolas et Remus
com altrice bdhui vi folminis idi oooddeiant Romulis et Remus ambo augures
fberant Roorali stataa decoelo taeta. Som. Ronmlo
moriente deficere sd bommibas eatingaiqao visus est. Summatim
quanam fine principia generalia veritatis investigande, recteque philosophandi.
Item in summa quanasmint princigpeianeralia pseudo-philosophorum et perverse
philosophandi. De generali omnium nominum divisione in substantiva, adjectiva
propria appellativa, deq; eorum proprietatibus et differentia, nginguam
facisusque inbuncdicmab ullo traditisaut cognitis, contra pseudophilosophos. De
nominibus propriis et appellativis, tam cole&li vis quam simplicibus non
cola Letivis, ac decorum proprietatibus et diferentis, contra philosophastros. s.De
us)0(sem (falsis. De denominativis reliquis capitibus Ante predicamentora, vel
supervalaneis vel. Universalia realia etiam five raese concedantur, tamen non
fuisse facienda quin. Que numeross ed velunumtantum, hoc est, GENUS, vel plura
quam quinque hoc est, septem veloflo, adiecto communi, simils, contrario, arque
substantia. De nominibus substantivis et adiectivis. De eorum proprietatibus ac
diferentis, contra pseudo-philosopos. De generaliomnium rerum divifione
oratoria pera & deila pseudo-philosophorum falsa, simul quede voce universi
anni versalis et in summa de falsirate universaslium realium ut vocant.
Universalia realia nec propter scientias artes quetradendas, nec propter
syllogismos eocateras argumentations formandas, nec propler predications
superiorum de inferioribus faciendas necessario ese ponenda contra
pseudo-philosophos. Universalia realta vere in rerum naturaese non posse. Co
propter canone c, uirea Etiffime dicunt nominales. Cintra sultam illam realium
opinionem de universalibus realibus, quorum rationes omnes plusquam in
aneslabefaltaneur. um suffi.ientia ,quamvocant. De toris,& corum
divisionibus, compositionibus quepere, contra falsissimam dialecticorum de his
omnibus doctrinam. De vere philosophico e oratorio genere et de vera eius definitione.
Contra falsum genus dialecticum et falsam cius definitionem. De vera specie
oratoria et vera ejus definitione, contra falsam speciem dialecticam &
falfam illius definitionem. De vera diferentia & vero proprio philosophicis
oratoriis do simulde eisdem adversariorum vel falfsis vel inutilibus. De
accidente vero quid esmedin constanter definite et simul pauca quadam de falsis
universalibus, eorum vanis questionibus in universum. De preceptis dividendi et
definiendi oratoriis veris et dialecticis falis. De homonymis et synonymis
grammaticorum veris quid vere sint et quis verus eoru mufus, contra ftultaila
aquivocado analoga dialecticorum. Ele tantum modo unum et summum et verum á
generalisimum genus oralo rium, quod est, genus rerum sex autem s a
transcendentia Dialecticorum, decem pre dilamenia Aristotelis et tria Laurentii
Vallaele falsa. Quam ob levem causam Aristoteles CATEGORIAS fore predicamenta
decemponenda ex iftima verii et quam non re et tetriatantum Vallusta rucrit,
fimul quopactonosar borem generica ma Porphyri analonge diversam, faciendam
arbitramur. GENUS rerum vere in duasrantum species divide in s ubstantias et
qualitates, omnia alia accidentium dialecticorum pradicamenta sub qualitate
generalitan quamo verascius specie sper econtineri. Simul de falsa universali.
De o sem. De qualitale generali et omnibus e iustam comparata quam absoluta
speciebus, praferrimquede qualitate speciali, quantum different a speciebus
accidentium dialectic corum ,& fingillarim quærario de causa diversitatis.
De nominibusscientia“ arris quid APUD LATINOS communite rad proprie significe
ne, u quormo dis virum que corum accipiatur et deniq; quibus differentis attes
elit entia mnter sediftinguantur, contra falas scientias et artes
pseudo-philosophorum, (falla. De generalı scientiarum do atrium
divisionenoftrarera, et pseudo-philosophorum. De errales Peripateticorum in
generalı philosophia divisione admflis. Dialectica minter scientias ariesnecut
universalem nec ut particularem ul lumomninolo cum habere pose sed tanquam non
modo falsams ed etiaminutslem de sua pervacuam ex omni artinm do scientiarum
numero ejiciendam. Metaphysicam inter scientias Cartesnecut universalem nec ut
parricularem ul lumomninolo, um habere pofe, sed tanquam partim falsam,
parliminutlım, partim super vacnam ab omni artium scientiarum numero
removendam. De comprehensione universo rufmingularium vere philosophica de
oratoria et simul de abstractınoe universalium pseudo-philodophia et BARBARA
contrafallam Ardo stotelis doctrinam falsode ceniis, abstrahentiam non
efemendacsum. Oratoriam esse facultatem vere generalem, grammaticam sub se
primo, deinde reliqua somnesarl es fcrentias vere continentem, iumpartese
jusmajores breviter ex ponuntur omnes, ở cidem, quaà Pseudophilo fophis unique fuerunt
ablatare stituuntur. De sophisticis Elenchis ab Anstoelein Rhetoricam non recte
introductis et delio brofophifticorum elenchorum quid senciendum, Que et quot
fintea, quarequiruntur cascientise artibus, ex quibu spendetac fitomnis eorum
dividio definition o distinclıo, contra falfam de eisdem rebus
Pjendophialosophorum doctrinam. De utilibus & veris argumentis de que utılı
vero eorum iam tradendorum, quam usurpandorum modo, conira partım fulumpurtom
inutilem ipsorum doctrinam ab Aristotele traduam in libro Topicorum. De
definitionibus nominis et verbido orarionis grammaticorum veris.
Pseudo-philosophorum falfis, códealis, queab Aristorele falso vel inutiliter in
libro Sepiépenveids traduntur. Dentılıbus et veris argumeniationibus, de
queutilido verocarumufu, contrainu tolemdo vanā Aristotelis decudem rebus
doctrmamtraditam in libris Analyticorum. De falfa demonftratione &
falfafcientia & falsa sapientia pseudo-philosophorum simul de inutili
falsoque posteriorum analyticorum libro. De vanitate eorum, quaà recentioribus
dialedicis appellantur parva logicalia. Libros qushodiefub Arif. Nomine
leguntur plerosque non vere eflesri Roselicos, sed subdititioscon adulterinos,
contra communem pseudo-philosophorum opinionem. De Platone, Aristotele, Galeno,
Porphyrio. Deomnibus Arifterelis interpretibus Grucis, LATINIS e Arabibus:
reviter quid fentiendum re&te philosophaturis. De ratione philosophandi o
de corrigendis instaurandisq; Philosophia studis, qua nunc maxima exparte
perveriae corruptfaunt. Nizzoli. Mario Alberto Nizolio. Nizolio. Keywords:
Cicerone, lexicon ciceronianus, Antonino, Leibniz’s ‘anti-barbaro’. – Refs.:
Luigi Speranza: Grice e Nizolio: il thesaurus ciceronianus” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e Noce: l’implicatura conversazionale
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Pistoia). Filosofo italino. Grice: “Only in Italy, philosophy and
history are so connected; it would be as if we at Oxford after the war would be
only concerned with understanding Churchill!” Grice: “For us, to do linguistic
philosophy was to get away from post-tramautic stress disorder acquired during
what Winthrop stupidly called the ‘phoney’ war!” – Grice: “It’s not difficult
to understand why Noce’s notes on Gentile were only published posthumously!” --
essential Italian philosopher. «Certo i cattolici hanno un
vizio maledetto: pensare alla forza della modernità e ignorare come questa
modernità, nei limiti in cui pensa di voler negare la trascendenza religiosa,
attraversi oggi la sua massima crisi, riconosciuta anche da certi scrittori
laici.» (Risposte alla scristianità, da Il Sabato). Ttitolare della
cattedra di "Storia delle dottrine politiche" all'Università La
Sapienza di Roma. Studioso del razionalismo cartesiano e del pensiero
moderno (Hegel, Marx), analizzò le radici filosofiche e teologiche della
crisi della modernità, ricostruendo con cura le contraddizioni interne
dell'immanentismo. Argomentò l'incompatibilità tra marxismo, umanesimo,
ed altri sistemi di pensiero che propugnavano la liberazione secolare dell'uomo
e la dottrina cristiana (affermò: "solo il Redentore può
emancipare"). Sostenne tenacemente, per tali motivi, l'impossibilità del
dialogo tra cattolici e comunisti e previde il "suicidio della
rivoluzione". Studioso del fascismo, sostenne che tale ideologia fosse
peraltro in continuità con il comunismo e fosse anch'esso un momento della
secolarizzazione della modernità. Sostenne, inoltre, l'esistenza di molti punti
di contatto tra il fascismo e il pensiero dei sessantottini. Filosofo
della politica, preconizzò la crisi del socialismo reale, mentre esso viveva la
sua massima espansione a livello mondiale. Argomentò che tale sistema, da una
parte applicava coerentemente la filosofia di Marx, ma dall'altra negava le premesse
del marxismo: ciò in quantomostrava N. lo stesso sistema di Marx si basava
sulla contraddizione tra dialettica e materialismo storico. Ribadiva infine la
necessità dei valori di verità e di moralità. Figlio di un ufficiale
dell'esercito e di Rosalia Pratis, savonese discendente di una famiglia nobile
savoiarda. L'anno dopo la madre si trasferisce con il figlio a Savona e, allo
scoppio della guerra mondiale, a Torino, presso una zia materna. A Torino,
Augusto svolge tutta la sua carriera di studi: dapprima al noto liceo
D'Azeglio, frequentato da alcuni dei futuri protagonisti della vita politica e
culturale della città e della nazione (Bobbio, Mila, Pajetta, Pavese, Balbo e
altri), poi all'Università degli Studi di Torino, Facoltà di Lettere e
Filosofia, allievo di Faggi, Juvalta e Mazzantini con il quale si laurea con
una tesi su Malebranche. Inizia quindi a insegnare presso istituti superiori
(Novi Ligure, Assisi, Mondovì), mentre sviluppa la sua attività di studio anche
con soggiorni all'estero. Legge con entusiasmo Umanesimo integrale di
Jacques Maritain, che rafforza in lui, tra l'altro, una sempre più convinta
opposizione al fascismo. Cerca invano di farsi trasferire a Torino e di
accedere qui alla carriera universitaria. Si trasferisce a Roma per un distacco
propostogli dall'amico Castelli. A Roma frequenta Franco Rodano che, con Felice
Balbo e altri, anima l'esperienza di «Sinistra Cristiana», un tentativo di
conciliazione di comunismo e Cristianesimo da quale Del Noce resta per breve
tempo affascinato. Viene accolta la sua richiesta di trasferimento presso un
istituto superiore di Torino, dove torna a risiedere. Accompagna
all'insegnamento un'intensa attività di studio e di collaborazione a diversi
periodici, tra cui Cronache Sociali che gli dà occasione di incontrare Giuseppe
Dossetti. Scrive e pubblica il saggio La non filosofia di Marx, che
ripubblicherà vent'anni dopo nella sua opera maggiore (Il problema
dell'ateismo) e nel quale fissa i termini complessivi della sua interpretazione
del marxismo. Nello stesso anno cura l'edizione italiana di Concupiscentia
irresistibilis di Lev Isaakovič Šestov. Inizia la collaborazione alla
Enciclopedia filosofica del Centro Studi Filosofici Cristiani di Gallarate,
diretta da Luigi Pareyson. Distaccato a Bologna presso il centro di
documentazione diretto da Giuseppe Dossetti. Nel capoluogo emiliano frequenta Matteucci
e collabora stabilmente al neonato periodico «Il Mulino». Scrive su Ordine
Civile, rivista animata da Bozzo, e altri alcuni saggi, uno dei quali, «Idee
per l'interpretazione del fascismo», sarà all'origine delle future revisioni
storiografiche di Felice e Nolte. Partecipa al convegno organizzato dalla
Democrazia Cristiana a Santa Margherita Ligure con una relazione intitolata
L'incidenza della cultura sulla politica nella presente situazione italiana:
sugli stessi temi N. intratterrà per anni un rapporto difficile con il partito
cattolico (altri interventi nei convegni di San Pellegrino e di Lucca. Partecipa
a un concorso a cattedra a Trieste, ma non ottiene il posto. Pubblica Il
problema dell'ateismo e l'anno successivo Riforma cattolica e filosofia
moderna, Cartesio. Partecipa alla «Giornata rensiana» con una relazione
intitolata Giuseppe Rensi fra Leopardi e Pascal. Ovvero l'autocritica
dell'ateismo negativo in Rensi, nella quale espone la sua fondamentale
fenomenologia del pessimismo come pensiero religioso. Nello stesso anno vince
il concorso per una cattedra di Storia della filosofia moderna e contemporanea
a Trieste, dove divenne Professore. In quell'anno esce L'epoca della
secolarizzazione, che raccoglie molti dei saggi e degli interventi degli anni
sessanta. Si realizza il tanto atteso trasferimento a Roma, dove,
all'Università "La Sapienza", insegna prima Storia delle dottrine
politiche e poidal 1974Filosofia della politica. Si infittisce la sua
collaborazione a riviste e periodici, sui quali interviene anche riguardo
all'attualità politica e culturale. Diresse la collana «Documenti di cultura
moderna», dell'editore torinese Borla (poi passata alla Rusconi) proponendo al
pubblico italiano autori come Corte, Burkhardt, Pelayo, Sedlmayr e Voegelin.
Partecipa vivacemente al dibattito sul divorzio. Dopo la metà degli anni
settanta inizia il rapporto con gli universitari di Comunione e Liberazione
partecipando a convegni e incontri promossi dal Movimento Popolare. Pubblica il
saggio Il suicidio della rivoluzione, dedicato al compimento e alla dissoluzione
del marxismo. Con Il cattolico comunista chiude i conti con l'esperienza di
Rodano (che nel frattempo ha lasciato la DC per il PCI) e dei teorici della
conciliazione tra Cattolicesimo e marxismo. Inizia anche la collaborazione
continuativa con il settimanale «Il Sabato» e contribuisce alla creazione della
rivista 30 giorni, di cui rimarrà stabile collaboratore. Nello stesso anno
viene candidato come indipendente nelle liste della Democrazia Cristiana per il
Senato: primo dei non eletti, entrerà in Senato l'anno successivo a seguito
della morte di un collega. Viene insignito del «Premio Internazionale
Medaglia d'Oro al merito della Cultura Cattolica. Riceve il premio Nazionale di
Cultura nel Giornalismo: la penna d'oro. Viene premiato dal Meeting di Rimini.
Muore a Roma. È tumulato nel Famedio del cimitero di Savigliano. Esce
“Gentile”, che raccoglie diversi saggi sul padre dell'attualismo, sul fascismo
e sul suo significato nella storia, frutto di decenni di studi e
rielaborazioni. L'archivio del filosofo e la sua biblioteca sono custoditi a
Savigliano dalla fondazione Centro Studi N., sorta nei primi anni novanta,
diretta prima da G. Ramacciotti, poi da Francesco Mercadante, da Giuseppe
Riconda, e E. Randone. In “Il problema dell'ateismo” N. inizia l'analisi
della storia della filosofia moderna invertendo il paradigma storicistico e
positivistico che nel progressismo aveva la sua cifra comune. Il filosofo
afferma infatti che tale paradigma di illuministica origine ha come prima
condizione d'esistenza la postulazione dell'ateismo come necessità del
progredire dei sistemi filosofici e delle scienze a prescindere dalla teologia
cristiana, cioè a prescindere dalla Scolastica, anzi in più o meno esplicita
opposizione alla Scolastica. La tesi che Del Noce intende dimostrare in
questa sua opera è -come evidenzia appunto il titolo- la considerazione
dell'ateismo non più come «necessità» bensì come «problema» della modernità, il
cui ultimo, coerente e necessario sbocco è appunto il nichilismo post-nietzscheano
distaccato ormai da qualsiasi riflessione filosofica e sfociato in una pura
forma di vita, in puro way of life di distruzione e auto-distruzione dell'uomo.
Del Noce pone quindi innanzitutto una distinzione fra tre diverse forme di
ateismo, ovvero fra l'ateismo positivo o politico diurno, i cui esempi perfetti
sono stati l'illuminismo di un Diderot o l'umanesimo di un Feuerbach, l'ateismo
negativo o nichilistico («notturno»), esemplificato invece dalla filosofia di
Schopenhauer, e infine l'ateismo tragico, detto anche «follia filosofica», cioè
la forma più rara e particolare di ateismo che N. trova solo in due casi in
tutta la storia della filosofia, ovvero in Nietzsche e in Jules
Lequier. Posta questa propedeutica distinzione, Del Noce inizia
l'anamnesi del pensiero filosofico moderno per rintracciare la genesi di ogni
forma di ateismo, impossibile da pensarsi per la filosofia antica come dimostra
il fatto che anche la filosofia epicurea -considerata comunemente come
ateistica- ammetteva in realtà l'esistenza degli dèi. Per N. appare evidente
che la crisi della Scolastica medievale non ha costituito un processo
necessario per il semplice fatto che proprio colui che aveva intenzione di
riformarla -cioè Cartesio- fu invece colui che in realtà la tradì e se ne
allontanò: è nelle celeberrime Meditazioni metafisiche che il filosofo francese
-allievo dei Gesuiti- tentò di riproporre una nuova prova dell'esistenza di Dio
da opporre al naturalismo libertinista del Seicento, che predicava relativismo
etico e che sostituiva il dio-logos con la Natura impersonale e senza
ordine. In realtà però Cartesio, nel suo sforzo apologetico, compì il
definitivo tradimento della filosofia cristiana riattingendo ad un agostinismo
privato di platonismo e considerando così le idee dei semplici «contenuti della
mente». In altre parole se l'idea di Dio, quantunque logicamente necessaria,
non è il riflesso intellettivo di una realtà ontologica esterna al soggetto ma
è una semplice struttura logica, allora vale realmente la critica kantiana
della prova ontologica di Sant'Anselmo secondo la quale non è lecito aggiungere
il predicato dell'esistenza alla perfezione dell'idea se non per un
paralogismo. N. in sintesi ha mostrato come il tradimento e la perdita
della Scolastica, attuata innanzitutto da Cartesio, ha come punto centrale
l'idea di Idea, che è passata ad essere da struttura del reale a struttura del
razionale, passando quindi dal dominio dell'ontologia a quello della
psicologia. Per questo non vi è alcuna spiegazione se non il rifiuto
pregiudiziale di riconoscere uno statuto ontologico all'idea, cosicché non
vi sarebbe appunto alcuna necessità di trapasso della Scolastica né tantomeno
alcuna necessità di genesi del razionalismo; in tal senso la famosa critica di
Kant varrebbe quindi solo contro Cartesio e non contro Sant'Anselmo, il cui
platonismo gli permetteva ancora di inferire necessariamente la «perfezione»
dell'esistenza dall'idea dell'Essere con ogni perfezione, cioè dall'idea di
Dio. Prosegue la sua analisi mostrando quindi come in Cartesio, che pur nelle
sue intenzioni voleva essere un defensor Fidei, già sussisteva in nuce ogni
forma di illuminismo che avrebbe poi dominato nel Settecento, per questo egli
parla di un pre-illuminismo cartesiano e aggiunge inoltre che proprio Cartesio,
fiero avversario del libertinismo dilagante nel suo tempo, fu colui che
tradusse l'ateismo libertinistico e irrazionalistico nella sua forma
razionalizzata, cioè nell'illuminismo, che sarebbe stato appunto un
libertinismo razionalistico. Si noti che Del Noce non pone giudizi sulla
persona di Cartesio, e anzi sottolinea come al suo tempo egli si poteva davvero
credere il grande condottiero vincitore della battaglia culturale del
Cristianesimo contro il libertinismo, ma ciò perché non era riuscito a
prevedere una forma di ateismo non-irrazionalistico e non-relativistico quale
fu appunto l'illuminismo settecentesco, che non si limitò più ad opporsi alla
Scolastica ma che formò una propria dogmatica visione della storia in cui il
Cristianesimo, rappresentato dalle leggende nere del Medioevo, era stato solo
un ostacolo per lo «sviluppo» e l'«emancipazione» dell'umanità (si tenga
presenta la definizione kantiana di illuminismo). Da Cartesio in poi sono
comunque due i percorsi filosofici che partono e che sviluppano i due aspetti
compresenti in Cartesio, ovvero l'illuminismo e lo spiritualismo: da una parte
infatti Condillac, Kant, Condorcet, fino a Hegel e Marx riceveranno il lascito
propriamente razionalistico e sensu lato materialistico di Cartesio, dall'altra
invece Pascal, Malebranche, Vico e infine Rosmini saranno gli eredi del suo
patrimonio spiritualistico, inteso questo come filosofia di accordo fra ragione
naturale e fede cristiana, posta la distanza epistemologica dalla Scolastica;
famosa ed illuminante è a questo proposito la teoria della «visione in Dio» di
Malebranche, nonché la distinzione pascaliana fra il divino dei filosofi e Dio padre
(IVPITER) dei romani. Andando comunque alla radice del problema del tradimento
della metafisica cristiana (Tomismo) da parte di Cartesio e del conseguente
illuminismo, N. individua come unica possibile condizione per tale tradimento
il rifiuto del peccato originale come male metafisico e quindi il rifiuto dello
«status naturae lapsae» di cui proprio il Cristo sarebbe il redentore: senza
alcuna natura umana da redimere, cioè senzanecessità di alcun redentore, il
razionalismo ha sostituito il peccato con l'ignoranza e Dio con la ragion
critica, rifacendosi così ad un pelagianesimo laicizzato che da solo rende
possibile una qualsiasi forma di ateismo. Egli nota, infine, che avendo
rifiutato la radice metafisica del male se ne è dovuta cercare quella fisica o
psicofisica, secondo gli schemi ideologici che nel Novecento avrebbero reso la
psicanalisi e la psicologia gli elementi complementari allo scientismo per una
completa e non riduttiva visione del mondo senza Dio, e per una definitiva
«ateologizzazione» della ragione. Compimento e dissoluzione del marxismo
Riguardo al marxismo e alla sua interpretazione Del Noce scrisse due opere,
ovvero Il cattolico comunista e Il suicidio della rivoluzione, che
costituiscono la continuazione de Il problema dell'ateismo in quanto in esse il
filosofo analizza più dettagliatamente solo una delle linee filosofiche
originate da Cartesio, quella razionalistica, cioè quella che nella storia
moderna fu vincente nella sua estensione politica, nel tentativo di trovare e
di dimostrare la continuità necessaria fra razionalismo, materialismo, marxismo
e infine nichilismo, quest'ultimo inteso come cifra problematica della civiltà
postmoderna. La giustificazione epistemologica di questa analisi è data
dal fatto incontestabile che la storia del Novecento inizia da un fatto
filosofico, ovvero dal passaggio della filosofia marxiana in azione politica,
ovvero dalla coerentizzazione di quella che Del Noce definisce la
«non-filosofia di Marx»: da ciò appare non solo giustificato ma anche
necessario portarsi sul piano storico della filosofia per comprenderne il suo
portato teoretico, e così disinnescarne il suo sostrato ideologico. Si affianca
a diversi filosofi, quali ad esempio Voegelin, per rintracciare l'inizio della
cosiddetta secolarizzazione, il cui compimento sarebbe stato appunto il
marxismo e poi il nichilismo, nel sequestro della nozione di «progresso» da
parte di filosofie laiche dalla teologia di Gioacchino da Fiore, o meglio
dall'interpretazione di tale teologia: ben nota è infatti la distinzione
gioachimita nelle tre età della storia, l'Età di Dio-Padre (Ebraismo), l'Età di
Dio-Figlio (Cristianesimo) e infine l'Età di Dio-Spirito che avrebbe dovuto superare
i «limiti» del Cristianesimo ed estendere l'elezione e la salvezza in modo
universale. Di tale teologia mistica e profetica si appropriò lo
gnosticismo sviluppatosi in seno al Cristianesimo stesso ed estesosi pian piano
oltre i confini delle filosofie razionalistiche del Settecento e soprattutto
dell'Ottocento. N. nota infatti una sorta di dialettica nata all'interno
dell'illuminismo settecentesco non tanto fra atei e deisti bensì fra
rivoluzionari e conservatori, ovvero fra il puro giacobinismo ghigliottinatore
dell'«ancien Régime» e il progressismo che caratterizzò invece la fase
dell'illuminismo dopo la degenerazione della rivoluzione francese in Terrore,
ovvero la fase dei cosiddetti ideologues, fra i quali Cabanis e Condorcet. Il
punto attorno a cui si sviluppava tale dialettica fu appunto la differente
filosofia della storia che aveva caratterizzato l'illuminismo
pre-rivoluzionario e l'illuminismo post-rivoluzionario, in quanto il primo
aveva escluso una qualsiasi evoluzione storica e necessaria dell'umanità e
aveva anzi condannato il Medioevo con la storiografia della leggenda nera,
mentre il secondo aveva invece rivalutato l'intera storia pre-illuministica
(sia pagana che cristiana) considerandola come momento dialettico necessario
pur se negativo della storia universale. In questo senso N. ha potuto
mettere in parallelo l'opposizione fra illuminismo giacobino e spiritualismo in
Francia e quella fra kantismo e hegelismo in Germania, ove spiritualismo e
hegelismo sono state filosofie vincenti in quanto hanno assorbito in sé il
momento rivoluzionario e negativo dell'illuminismo per poi superarlo nella
formazione di quella filosofia della storia che ebbe certo in Hegel il suo
culmine. Riguardo al binomio illuminismo-spiritualismo la critica vincente del
secondo sul primo è stata quella di un estremo e insostenibile riduzionismo
rappresentato dal sensismo di Condillac, in altre parole è stata la critica di
ridurre la comprensione del mondo al pari di ciò che lo stesso illuminismo
aveva accusato la religione di aver fatto. In questo contesto è la nascita
della visione sociologica del mondo a rappresentare il tentativo di superare
questa aporia illuministica senza tuttavia dover ritornare alla metafisica
tradizionale: N. insomma sostiene il trapasso dell'illuminismo in socialismo,
non a caso nato in Francia, intesa questa come dottrina che dell'illuminismo
mantiene il carattere utopistico (socialismo utopistico) e quindi
anti-tradizionalistico, ma ne sconfessa invece il deprecabile riduzionismo che
ancora non permetteva un'adeguata analisi della società ai fini della
rivoluzione politica. In Germania invece la dialettica fra kantismo e
hegelismo, con netta vittoria dell'hegelismo, ha come punto di svolta la riconsiderazione
hegeliana della storia come storia dell'Assoluto -- storia di Dio --, secondo
il ben noto schema gioachimita che vedeva in ogni momento storico un grado
dimanifestazione dell'Assoluto, e quindi «necessario» pur nella sua negatività.
In questo senso Hegel è colui che diede forma alla corrente tradizionalistica
dell'illuminismo, ove la tradizione non è più peròcome per Tommaso
d'Aquinol'insieme delle verità eterne e immutabili che solcano trasversalmente
la dimensione temporale mediante il passaggio delle generazioni, ma è bensì la
struttura dialettica eterna che necessita l'evoluzione delle verità, e quindi
la sua temporalizzazione. Per questo N. afferma che l'idealismo hegeliano
ebbe nei confronti del kantismo la medesima funzione che in Francia ebbe il
positivismo comtiano nei confronti del socialismo utopistico: egli ricorda la
critica di Comte nei confronti dell'illuminismo settecentesco, la sua
rivalutazione della tradizione (in senso dialettico), nonché la celeberrima
teoria degli stadi che costituisceancora una voltauna forma secolarizzata della
teologia gioachimita. È dopo questa dettagliata analisi che Del Noce innesta il
discorso sul marxismo, il quale appunto si configuròper stessa ammissione di
Marxcome ripresa critica di Hegel attraverso la filtrazione di Feuerbach e
della sinistra hegeliana (celebri sono le marxiane Tesi su Feuerbach) e come
fusione fra la dialettica hegeliana e la politica del socialismo utopistico:
alla base del cosiddetto socialismo scientifico rimane ancora il desiderio di
palingenesi politica propria di Saint-Simon o di Fourier, ma onde evitare il
risibile utopismo di questi ultimi ad esso Marx applicò la dialettica hegeliana
con cui solamente si sarebbe potuto analizzare il capitalismo e prevederne così
il necessario fallimento. A tal punto però l'analisi marxiana di come
potrà nascere la società comunista introduce l'elemento di distacco non solo
dall'idealismo hegeliano ma anche dalla filosofia stessa, ovvero la necessità
di tradurre il pensiero analitico in azione politica e di affidare alla storia
invece che alla ragione il compito di dimostrare la verità delle tesi marxiane.
In questo Del Noce si riallaccia a una lunga storiografia socialista, uno dei
cui esponenti più noti è per esempio Lukács, che afferma la stretta e
necessaria continuità fra filosofia di Marx e di Engels, politica di Lenin e
politica di Stalin, senza concedere alcuna differenza né alcuna opposizione fra
socialismo reale e socialismo ideale (quasi a guisa di giustificazione
storica). Il fattore fondamentale di continuità fra Marx e Lenin è infatti
quella struttura tipicamente gnostica che equalizza il male all'ignoranza e il
bene alla conoscenza e quindi divide il genere umano fra la massa degli
ignoranti e la ristretta cerchia degl’lluminati, che nella riflessione
leniniana erano gli intellettuali borghesi che per una non spiegata differenza
dal resto della borghesia avrebbero potuto e dovuto guidare la rivoluzione; in
questo senso la politica leniniana, poi proseguita coerentemente nella politica
staliniana, sarebbe stata l'incarnazione perfetta nonché l'unica incarnazione
possibile della filosofia marxiana, e non invece -come è tesi di una certa
apologetica socialista- un tradimento di Marx. Ancora una volta si rifà a
una lunga storiografia critica nel considerare il marxismo non come una
filosofia ma come una religione, ma a ciò egli aggiunge la dimostrazione non
del suo carattere di religione civile bensì di religione gnostica: in tal modo
il marxismo leninista sarebbe davvero il compimento del razionalismo ove
quest'ultimo è inteso come gnosticismo laico, religione non di Dio ma
dell'Idea/ideale che non ha bisogno dell'Incarnazione di un Dio-Uomo in quanto
l'uomo stesso avrebbe potuto e dovuto far incarnare tale Idea nel mondo
attraverso la sua azione. Questo è il senso dell'appellativo delnociano di
«non-filosofia» per il marxismo, giacché la contemplazione metafisica in
esso viene interamente assorbita dall'azione politica, in quanto per Marx la
politica è la vera metafisica al pari di come per Nietzsche lo è la
morale. Eppure è proprio questo punto a costituire secondo N. la
contraddizione fondamentale interna al marxismo e quindi la causa prima del suo
fallimento storico: se infatti la «riconciliazione con la realtà» iniziata da
Hegel, proseguita da Feurbach a portata a compimento da Marx deve rivoltare
l'intera comprensione del mondo in trasformazione del mondo, cioè in
rivoluzione, allora in ciò non rimane giustificato il riferimento ideologico
all'avvenire come sede immaginifica della società comunista, ovvero non rimane
giustificato il carattere ancora religioso del marxismo per cui esso ha
sostituito il futuro all'eternità e il lavoro dell'uomo alla redenzione del
dio-uomo. Il fallimento storico del comunismo, quindi, sarebbe stato non
solo la dimostrazione sperimentale della falsità delle teorie marxiane ma anche
il coerente compimento del marxismo come auto-distruggersi nella sua forma di
religione. Con ciò si spiegherebbe per N. l'attivismo comunista nonché la
graduale decadenza del socialismo nel mondo fino alla sua profetizzata fine,
simboleggiata dalla caduta del Muro di Berlino. È propria di lui infatti la
teoria secondo cui il compimento e la dissoluzione del marxismo non siano due
momenti separati o addirittura opposti, ma siano bensì il medesimo momento
dispiegato coerentemente nel tempo. L'interpretazione del fascismo Sul
fascismo e sulla sua interpretazione in stretta relazione al marxismo dedicato
gran parte dei suoi studi e delle sue opere, partendo appunto dalle opinioni
comuni e molte volte ideologiche degli storici nei confronti del fascismo e
delineando una struttura paradigmatica tanto controversa quanto precisa e
fondata. È a partire dalla definizione data dallo storico tedesco Nolte di ogni
movimento fascista come «resistenza contro la trascendenza», intesa come
trascendenza storica e non metafisica, che N. sottolinea la continuità fra
questo serio giudizio e la communis opinio del fascismo come movimento
reazionario, per questo tradizionalista e nazionalista, e per converso di ogni
forma di tradizionalismo e di nazionalismo come rimando implicito e forse inconscio
al fascismo. Di questo fa una critica serrata, facendo notare
innanzitutto le origini culturali dei due fondatori del fascismo, cioè Gentile
e Mussolini, come antitetiche rispetto a ogni forma di politica reazionaria,
tradizionalista e nazionalista e come invece affini rispetto al socialismo, del
quale Mussolini in particolare fu un esponente. Si noti che l'obiettivo che N.
intende colpire e abbattere è quella generale concezione del fascismo come
momento singolare e controcorrente rispetto all'intera storia moderna, dalla
rivoluzione francese in poi, mentre ciò che intende mostrare è la continuità
quasi necessaria che è posta fra l'hegelismo, il marxismo e il fascismo come
tre momenti dell'unico processo di secolarizzazione. Il filosofo inizia quindi
dall'analisi della figura storica di Mussolini e della sua formazione
culturale, notando il suo giovanile anticlericalismo, il suo spontaneo
confluire nel socialismo, e il seguente superamento di quest'ultimo per
l'evoluzione fascista del suo pensiero. È in particolare sul concetto di
«rivoluzione» che pone l'accento, essendo questo un concetto base del
marxismo che però, attraverso l'incontro mussoliniano con la tedesca «filosofia
dello Spirito» risorgente in Italia, dovette radicalmente trasformarsi e portarsi
dal livello sociale della «classe» a quello personale del «soggetto». È
insomma l'incontro intellettuale di Mussolini con la filosofia di Gentile ad
aver reso necessaria la trasformazione della rivoluzione in un senso non più
finalistico o escatologico (come era nel marxismo puro, il cui fine è appunto
la società comunista) ma in un senso propriamente attivistico e lato sensu
solipsistico, in termini gentiliani cioè attualistico. Con ciò N. può
connettere la psicologia di Mussolini con il vero e proprio formalismo pratico
del fascismo, il quale non aveva in realtà alcun contenuto definito, ma
proclamava bensì una forma di azione tanto vaga e generale da poter attrarre a
sé ogni sorta di ceto sociale (anche il proletariato) e di frangia ideologica,
in alcuni momenti persino quella marxistica. Il concetto di «rivoluzione»
infatti contiene in sé già un termine finale ben preciso verso cui lo stato
attuale del mondo andrebbe rivoluzionato, mentre nella politica fascista il
termine rivoluzione deve necessariamente essere sostituito dal termine
«riforma» (si pensi appunto alla riforma Gentile) in senso non più
tradizionale, cioè come ri-formare ciò che è stato de-formato, bensì in senso
creazionale, cioè come dare una nuova forma (indefinita) alle antiche cose,
perciò rimane un concetto molto affine a quello di marxistico di rivoluzione, e
permette l'affiancamento ideale dell'attualismo gentiliano al modernismo
teologico fiorente a quel tempo e condannato come eresia dalla Chiesa. Saggi:
“Teologia della storia” (Torino, Filosofia); “La solitudine di Faggi” (Torino,
Filosofia); “L'incidenza della cultura sulla politica italiana, Cultura e libertà”
(Roma, 5 lune); “A-teismo” (Bologna, Mulino); “Riforma e filosofia” (Bologna,
Mulino, Brescia); “In contra del domma cattolico-romano” (Torino, Erasmo);
“Contra il domma cattolico-romano” (Milano, UIPC); “L'amore di Dio” (Torino,
Borla); “Il secolare” (Milano, Giuffrè); “Il partito comunista italiano” (Roma,
Europea); “Il suicidio di un rivoluzionario” (Milano, Rusconi); “I comunisti” (Milano,
Rusconi); “L'interpretazione trans-politica della storia contemporanea,” Napoli,
Guida, “Secolarizzazione e crisi della modernità” (Napoli, Benincasa); “Gentile:
per una interpretazione FILOSOFICA del fascismo” (Bologna, Mulino); “Da
Cartesio a Serbati” -- Scritti vari di filosofia,” Milano, Giuffrè); “Esistenza
e libertà.” Spir, Chestov, Lequier, Renouvier, Benda, Weil, Vidari, italiano Faggi,
Martinetti, italiano Rensi, italiano Juvalta, italiao Mazzantini, italiano Castelli,
italiano Capograssi” (Milano, Giuffrè); “Rivoluzione, Risorgimento, Tradizione”;
Scritti su l'Europa e altri, Milano, Giuffrè); “I cattolici e il progressismo,”
Milano, Leonardo, “Fascismo e anti-fascismo:
errori della cultura” (Milano, Leonardo); “Il laico”; Scritti su Il sabato (e
vari, anche inediti), Milano, Giuffrè); Pensiero della Chiesa e filosofia
contemporanea. Leone XIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II” (Roma, Studium); “Verità
e ragione nella storia. Antologia di scritti, “ I. Mina, Milano, Biblioteca
Universale Rizzoli); “Modernità. Interpretazione transpolitica della storia
contemporanea” (Morcelliana, Brescia.). N. insegna nel capoluogo piemontese. Bozzo.
N., il filosofo della libertà politica). N., «Idee per l'interpretazione del
fascismo», Ordine Civile. E tra i componenti del comitato promotore del
referendum abrogativo antidivorzista) e più tardi sull'aborto. premio Rhegium Julii, su circolorhegiumjulii.
wordpress. Armellini, Razionalità e storia, in Il pensiero politico, Roma,
Aracne editrice, Borghesi, N.. La legittimazione critica del moderno. Marietti,
Genova-Milano.[collegamento interrotto] Luca Del Pozzo, Filosofia cristiana e
politica, Pagine, I libri del Borghese, Roma, Fumagalli, Gnosi moderna e
secolarizzazione nell'analisi di Samek Lodovici ed N., PUSC, (scaricabile in
PDF dal sito sergiofumagalli) Gian Franco Lami, La tradizione, Angeli, Milano,
Marietti, Genova-Milano. Enciclopedia ItalianaV Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Ratto, Ipotesi sul fondamento dell'essenza dissolutiva del marxismo e
del fascismo, in Boscoceduo. La rivoluzione comincia dal principio, Sanremo,
EBK Edizioni Leudoteca, Riili, N. interprete del Marxismo. L'ateismo, la gnosi,
il dialogo con Volpe e Goldmann, in Centotalleri, Saonara, il prato, Tibursi,
Il pensiero di N. come Teoria sociale, in Andrea Millefiorini, Fenomenologia
del disordine. Prospettive sull'irrazionale nella riflessione sociologica
italiana, Societas, Roma, Nuova Cultura, Xavier Tilliette, Omaggi. Filosofi
italiani del nostro tempo, traduzione di Sansonetti, Brescia, Morcelliana, Natascia
Villani, Marxismo ateismo secolarizzazione. Dialogo aperto con N., in Pensiero
giurdico. Saggi, Napoli, Editoriale Scientifica, Augusto Del Noce, in Dizionario biografico
degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Repertori Bibliografici, su centenariodelnoce).
La metafisica civile: ontologismo e liberalismo dalla rivista telematica di filosofia
Dialeghesthai. P. Ratto, Laicità e Democrazia: da N. a Giotto, su Bosco Ceduo, Democrazia e modernità in N., articolo dal
mensile 30Giorni. L'inseparabilità dei Tre. La modernità, di Andrea Fiamma Centro
Culturale,//centrodelnoce. Fondazione //fondazione augustodelnoce.net. centenariodelnoce.
Articoli di N. «Il dialogo tra la Chiesa e la cultura moderna» da Studi
Cattolici. «L'errore di Mounier» da Il Tempo. «Risposte alla scristianità» da
Il Sabato. «La sconfitta del modernismo» da Il Tempo. «La morale comune
dell'Ottocento e la morale di oggi», tratto da Il problema della morale oggi.
«Rivoluzione gramsciana», tratto da Il suicidio della rivoluzione. «Origini
dell'indifferenza morale» da Il Tempo. «Le origini dell'indifferenza religiosa»
da Il Tempo. «Religione civile e secolarizzazione» da Il Tempo. «Un dramma
europeo: il dissenso cattolico» da Corriere della Sera. «Questi poveri
cattolici minacciati dal suicidio» da Il Sabato «In stato di
porno-assedio»[collegamento interrotto] da Il Sabato. «La più grande vergogna
del nostro secolo» da Il Sabato. «Fu vera gloria? La resistenza 40 anni
dopo»[collegamento interrotto], tratto da Litterae Communionis. «Una colomba, non
un santo (caso Bukarin)» da Il Sabato. «Intensità d'una gran illusione
(Dossetti e dossettismo)»[collegamento interrotto] da Il Sabato. «L'antifascismo
di comodo» da Corriere della Sera. «Togliatti? Un perfetto
gramsciano. Polemica su Gramsci»[collegamento interrotto] da Il Sabato.
«Il nazi contagio» da Il Sabato. «La morale catto-comunista» da Il Sabato.
«Abbasso Mazzini» da Il Sabato. «I lumi sull'Italia»[collegamento interrotto]
da Il Sabato. «Recensione del romanzo di Benson "Il Padrone del mondo"»
dal mensile 30Giorni. «Filo rosso da Mosca a Berlino (Hitler-Stalin)» da Il
Sabato. «Le connessioni tra filosofia e politica»[collegamento interrotto] da
Il Tempo. «Pci, l'impossibile conversione» tratto da Prospettive nel mondo. Grice: “Unfortunately, Noce is a philosopher, like
me. We cannot lay word on history. Had Hitler won, I wouldn’t have joined
Austin’s Play Group. Being Italian, Noce thinks different. He thinks history is
guided by philosophical principes. It wasn’t Mussolini’s charisma that led the
populace, but Gentile’s attualismo puro. He makes a good point about the
distinction between Hitler and Mussolini. Hitler is a Protestant, Mussolini
ain’t! Most in Mussolini’s circle were just as heathen as those in Hitler’s
circle – different heathenism, though. No Odin, but Giove. Not Siegrfied, but
Enea! Noce does not know the first thing about this. He never socialized with
any of the people he is philosophizing about. In any case, there’s Garibaldi,
which is a stain to Italian history. Italians, and a Ligurian friend of mine
can testify to this, never wanted the UNITY. It was forced ON them. So it’s
only natural that Gentile and Noce regard the UNITY brought by Risorgimento
(alla Fichte Hegel, and the idea of the NATION) that was furthered by
Mussolini. Mussolini did use Garibaldi imagery – saying that his movement was
‘garibalismo puro’ – but although he (Mussolini) did write a little thing about
Nietzsche, you won’t find his name in ‘dizionari di flosofia’!” Augusto Del
Noce. Noce. Keywords: saggio su Gentile e il fascismo, Faggi, Serbati, Spir,
Vidari, Rensi, Martinetti, Juvalta, Massantini, Catelli, Capograssi. Refs.:
Luigi Speranza, "Grice e del Noce," per Il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Grice e Noferi: l’implicatura conversazionale della
setta di Firenze – filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo italiano. Important Italian
philosopher, especially influential at what Grice called Italy’s Oxford, i. e.
Firenze“Palla Strozzi was more a mentor than a philosopher, but I would
consider him both a Grecian and Griceian in spirit.” alla Strozzi Palla e Lorenzo Strozzi. Dettaglio
dell'Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano. Grazie alla ricchezza
accumulata nelle ultime generazioni dalla sua famiglia, il padre puo far
istruire il figlio da filosofi, e grazie all'interesse e all'intelligenza, divenne
di fatto uno dei più fini uomini di cultura fiorentini. Ricco e colto,
commissiona numerose opere d'arte, tra le quali la Cappella N. nella Basilica
di Santa Trinita, opera di Brunelleschi e Ghiberti. La cappella, progetto
irrealizzato da N., venne fatta erigere in la sua memoria e ne ospita la
sepoltura monumentale. Per questo ambiente commissiona l'Adorazione dei Magi a
Gentile da Fabriano e la Deposizione dalla Croce a L. Monaco, terminata poi da
Beato Angelico che ne fece uno dei suoi capolavori. Collezionista di libri rari
e conoscitore del greco e del latino, si trova nvischiato nell'opposizione
strenua contro Cosimo de' Medici. Cosimo e l'uomo che per la prima volta si e di
fatto preso tutto il potere cittadino, grazie a un sistema di clientelismo con
uomini chiave alla guida degli uffici della repubblica di Firenze. Davanti a
lui solo due strade sono possibili: l'alleanza accettando un ruolo subordinato
o lo scontro frontale. Forte della sua ricchezza e fiero della propria cultura,
e a capo della fazione anti-medicea assieme ad un altro oligarca indomabile,
Albizi. La fortuna arriva alla sua fazione, riuscendo ad ottenere prima
l'incarcerazione di de’ Medici, poi la dichiarazione del medesimo come magnate,
cioè tiranno, ed il suo conseguente esilio da Firenze. Il suo obiettivo
comunque non e tanto l'eliminazione di un avversario, ma la restaurazione della
“liberta”. In questo e diverso d’Albizi.
Intanto de’ Medici manda già segni di prepararsi a un ri-entro, che
avvenne puntuale al cambio di governo con il veloce avvicendamento dei
gonfalonieri. Tra i primi provvedimenti vi è proprio la vendetta sugli
avversari, con l’esilio del filosofo e d’Albizi. In questo de’ Medici e favorito
anche dall'appoggio popolare che lui e la sua casata si sono saputi
conquistare. Quindi parte per Padova. Il suo palazzo a Padova e un ritrovo di
filosofi, nel periodo d'oro quando la città veneta era uno dei centri culturali
più notevoli della penisola italiana, per certi risultati artistici più
importante della stessa Firenze. Si pensi ai capolavori lasciati proprio da due
fiorentini come Giotto o Donatello. Lascia la sua raccolta di libri rari,
arricchita ulteriormente durante il suo soggiorno padovano, al monastero di
Santa Giustina. Muore a Padova nel suo palazzo verso il Prato della Valle. Sepolto
nella vicina chiesa di Santa Maria di Betlemme. Cavaliere dello Speron d'oro nastrino
per uniforme ordinaria cavaliere dello speron d'oro Marcello Vannucci, Le grandi famiglie di
Firenze, Roma, Newton Compton, Palmarocchi, La famiglia Strozzi, in
Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Grice: “His
main claim to philosophical fame is in his character- unlike Alibizi’s and
indeed Medici. He loved freedom, and chose to settle in Padova, although his
roots were well in Firenze. He built hiw palace in Padova in Prato del Vallo to
gather philosophers, since what’s the good of knowing the classics if you
cannot converse? He never touched a university! His ‘bibliotheca’ is legendary!
Strozzi-Noferi. Noferi. Keywords: “Beautiful painting (by Gentile da Fabriano) of
Noferi. Very Italian in an exotic sort of way!” – Grice. Refs.:Luigi Speranza, "Grice e Strozzi-Noferi --
Grecian, Griceian," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library,
Villa Grice, Liguria, Italia.
Grice e Nola: l’implicatura
conversazionale dell’urina -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. Gice: “At Oxford, we are proud of our
philosophy, at Bologna, and in Italy in general, they are proud of their
physicians, as they call them – students of nature!”. Di origini napoletane e
zio di Molisi, insegna per lungo tempo a Napoli. Discepolo di Altomare, divenne
noto per suo saggio, “Quod sedimentum sanorum, aegrorumque corporum non sit
eiusdem speciei adversus Ferdinandum Cassanum et alios contrarium sentientes.” Cf.
Marruncelli, Elementi dell'arte di ragionare in medicina” (Napoli, Gabinetto);
S. Renzi, “Storia della medicina” (Napoli,
Filiatre-Sebezio); Adalberto Pazzini, La Calabria nella storia della medicina,
Roma); Lavoro critico (Bari, Dedalo). La Famiglia dei Nola. Molise, Archivio
storico di Crotone. 1, quem ad modum Ciuitates tunc
optime gubernātur, (vt inquit Platoin lib. de Philo. cùm iniustidant pænas: perin
so& impudenter, impugnant, accontra dicunt, optimèquoquereor, &
scientiæ, et artesse haberent. Nam veras CLARISS. ALTIMARI discipulo, Auctore.
Med. Doctore scientias ac artes perfetè, et breui cuns et isaffequiliceret: at queitaetia
muerè scientes, acoptimos artifices fieri. Nuncueròcumlex falso
contradicentibus statuta nullafit, no immeritòe inoptimosuiros, arbitror,
impurissimum quen queac in eruditum iuuenem inuehiandere et admodum paucos vere
scientes, artifices quereperiri, cum& passim scribere omnibus liceat, &
unicuique sententiam ferre apud vulgus. Adde, quòdnefcio quo fato datum etiam
fit quibusdam, easdem docere artes, ac publicè profiter i , qui uel omnino inertes
fint, aut parumeas intelligant: cùm ueròne sciant, scire autem seputant, mirum non
est fidgeipfierrent, & alios aberrarecogant. Quandoquidem oporteret
(utinquitidem Plato in Alcib.) eos qui aliquid doftursiunt, priufquam doceant, intelligere,
fix OVOD SANORVM AEGRORVMQVE SEDIMENTVM IOANNE Andrea Nola Crotoniata Artium et
bique fuoq; martese dimenti ueritate mueftigauitad Hippo. es Gal. sententiam
quemadmodumo non nulla alia nonminu sad artem medicam utilia quàm necessaria,
ut in reliqus fuis scriptis palàmestuidere:) Sedcum hacfole clariorafint,
pateant quecun&tis artis medicæ candidatis, quirenera medicisunt, nedum in uniuersa
Italia, uerum etiam into tafere Europa in colentibus; mea approbationenon indigent.
Attem puseft ut adiftorum ignorantiam castigandam, ac in numeros errores
patefaciendos, accedamus. Nos uero eo, quo scriptifunt, ordine, eos
animaduertemus, etiam fiad sedimentorum naturam manifestandam non conferant; ut
discant studiosiquam maxime', nedum Artis medis ca, sed philosophia, et dialeticæ
fe imperitosese oftendant; quanto veliuore impulsitali ascribere conatifuerint.
Cum vero futurun fitut hominem reprehendamin doctum, ftolidum, opinione sua sapientem,
nugis interin erudite siuuenes uersatum in uniuersauita, queso, candidiß. lector,
liceat mihi uerbis huius ignorantiam castigare asperio nibus, quibus ego ut ialioquinon
foleo. Cum primimin prima pagellahicuirdă nassettum Plusquam commentatoris, tum
etiam Neotericorum opinionem de sedimento quiz whipseait, quamuis. Iaftenturf copumattigile,
longèalijs falluntur Sedimentum SANORUM ægrorumý; corp. biqueconsentire, e
nondissidere: hæcetenim bonos decet præcepto ses utipfeait. quod sita fieretnequehic
incognitus nescio quis Cassanus, tam fuisse taudaxs atque impudens, ut feuerisoppo
neret, nifiexilis esset, quiomnem funditus pudorem exuerunt, neque afuis præceptoribus
male eruditusac impulsus, eorumtamen opinio ne sapientibus totausus fuissetscriberenugas.
Quas omnes passimin minibus artis medicecandidatis, seclusoliuore, manifestare conabor,
quod huiu suiri ignorantia, simul quete meritas castigetur. difcantque
reliquiin posterum quàmmalum sitoptimis, aceruditiß. uirisindies utilia,
Artisg; medicæ apprimè necessaria, et verissima scribentibus; O ut summatim
dicam, universam pene medicinam illustrantibus, falso contradicere. Non autem,
uteaquæa doctissimoac Clariss. Alti maro præceptore meo de sedimenti in urinis scripta
sunttuear, sunt et enim ad eòscitèacdo Et é conscripta, ég hæc, et
reliquaomniaque hactenus in luce medidit, acualidiß. auctoritatibus et
rationibus comprobata, ut nedumiftorum uirorumnugas non curent, sed quorumuis
etiam aliorum do tiffimorum, fi quæ essent contradictiones paruifaciant, ipsea;
primus omnium quosuiderim, propria inuentione cumque 1 cumque neutri, fuo optimo
iudicio, ueritate mattigerint, et fimulli. Uore percitus eosdem recentiores scriptores
calumniasset, quorumnca quidem calciamentasoluere dignus esset, eisque falso tribueret
cunéta quaibitemerenarrat cõfestim, utipfeait. In fecüda ueritatë protulit quam
desedimentosentit, quæquantiss catea terroribus, quantumus averitatealienafit, et
Gal. sententia demonstrabimus, ubialios prius ciuserroresin eadem secunda pag.
conscriptos, manifeftauerimus: Aitetenim {senolle tempus conterere circa urine generationis
modă. Giovanni Andrea de Nola. Nola. Keywords:
Crotone, Plato, Nola-Molise, corpus sanum, focal unification, Owen, Pantzig,
brennpunktbedeutung, Grice, Aristotle, Metafisica, ‘unificazione focale’ –
universale: ‘sanitas’ instantiazione: corpus sanum, corpi sani. Refs.: “Grice e
Nola” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Noto: l’implicatura conversazionale di IVPITER
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Pollina). Filosofo italiano. Grice: “Italian philosophers, must be for St. Peter, who DIED
there – are obsessed with God – Noto wrote his thesis on that, evidence and
lack thereof for God – the part concerining the refutation for those who deny
evidence is fascinating! And typically of an Italian philosopher, he narrows
down his research to ‘secolo XIII,’ where we at England and Oxford hardly
existed!”Fa gli studi ginnasiali al Convento di Giaccherino e al Convento del
Bosco ai Frati. Vestì il saio francescano a Fucecchio e professò. Studia filosofia
a Lucca, Bosco ai Frati, il Convento di San Vivaldo, Fiesole, Siena e il Convento
di Sargiano. Emise i voti a Fiesole e fu ordinato sacerdote a Siena. Andò a
Parigi e frequentò l’Istituto Cattolico, la Sorbona e il Collège de France. Conseguì
il Dottorato in filosofia e il Diploma di studi superiori alla Sorbona. Essendo
andato a Londra per alcuni mesi ebbe il Diploma di lingua inglese che in
seguito perfezionò tornando ogni anno a Londra nel periodo estivo. Pubblicò la
tesi di laurea “L’evidenza di Dio nella filosofia" (Ed. MILANI, Padova). Si
imbarca per l’Egitto e si stabilì a Ghiza dove insegnò. Lì ricoprì gli
incarichi di Guardiano e Maestro dei Chierici. Torna in Italia e fu per un anno
direttore di un grande hotel di Montecatini Terme. Si trasfere a Figline
Valdarno per l’insegnamento all’Istituto “Marsilio Ficino”. Si iscrisse alla
Università Cattolica dove conseguì il Dottorato in filosofia valido in Italia.
Aveva iniziato l’insegnamento della lingua inglese alla scuola per infermieri
dell’ospedale di Figline e un corso serale per adulti. Crea un laboratorio
linguistico per facilitare e perfezionare l’apprendimento delle lingue. Deceduto
nell’Ospedale di Figline Valdarno per edemapolmonare acuto da miocardite in
diabetico. Affetto da grave forma di diabete, si era sentito male nella notte
dell’11 novembre, ma dopo aver prolungato il riposo mattutino aveva tenuto
lezione fino a mezzogiorno. Prese allora poco cibo e tornò a riposarsi. Alle 18
andò alla preghiera comune e alle 18.30 tenne il corso di lingua inglese per
adulti. Alle 20 mentre era a tavola fu chiamato il medico cardiologo che ordinò
il ricovero urgente in ospedale. Qui la sua vita è stata stroncata da un
complesso attacco cardiaco polmonare. Ai
funerali, presieduti dal Padre Provinciale nella Chiesa di San Francesco in
Figline erano presenti tanti religiosi e sacerdoti, i parenti, molte suore
oltre che un grande pubblico di studenti e popolo che riempiva la chiesa. È
stato sepolto nel cimitero di Montemurlo. Convento di Giaccherino Convento del
Bosco ai Frati Convento di San Vivaldo Convento di Sargiano Montemurlo L'evidenza di Dio nella filosofia del secolo
XIII. Grice: “Noto is playing with his surname. There’s no ‘significare’ in
Italian. They use ‘notare’ – Now, how is God signified? When Cicero said ‘god’
he meant Jupiter. Ask Ganymede: The literal truth is Ganymede was killed in
self-inflicted accidental with a boomerang. Her mother said: “His corpse is
here, but he was raped by Giove --. Taking this narrative literally – Ganymede
was RAPED, so the rape is the way the god gets ‘noted’. Noto. Keywords: IVPITER
-- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Noto” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Novaro: implicatura conversazionale ligure --
l’infinito del ponente – filosofia italiana – Luigi Speranza (Diano Maria). Filosofo italiano. Grice: “Novaro
comes from my favourite area in Italy, “La riviera ligure”!” Grice: “Novaro
wrote a nice little treatise on the nature of the infinite – a concept which
fascinates me!” --Fratello di Novaro, nacque da famiglia economicamente agiata
e dopo aver condotto brillantemente gli studi liceali, ottenendo la laurea a Torino.
Si stabilì a Oneglia dove fu assessore comunale per il partito socialista. Dopo
avere per breve tempo insegnato nel locale liceo, con i fratelli si occupò
dell'industria olearia intestata alla madre Paolina Sasso. Pur dedito all'attività imprenditoriale fece
parte attiva della vita letteraria dei primo anni del Novecento e fondò la
rivista “La Riviera Ligure,” da lui diretta fino alla sua cessazione. Ospitò
nel suo giornale filosofi come Pascoli, Roccatagliata, Jahier, Boine e
Sbarbaro. Scrisse saggi di carattere
filosofico e raccolse tutte le sue poesie, che hanno come tema principale il
bellissimo paesaggio ligure, in un volume intitolato Murmuri ed echi che vide
le stampe. Fu anche il curatore dell'edizione delle opere di Boine che sentiva
affine negli interessi soprattutto di carattere etico. Saggi: “Finito ed iinfinito” (Roma, Balbi), “Murmuro
ed echo” (Napoli, Ricciardi) – cf. Grice, “Implicatura ecoica” --; “All'insegna
del pesce d'oro” (Genova, Devoto). Dizionario Biografico degli Italiani, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, La Riviera Ligure Nicolas Malebranche. Tra
Diano Marina e Oneglia: i luoghi dei fratelli Novaro, su parchiculturali.
Fondazione Mario Novaro, Genova, su Fondazione novaro. Scheda biografica nel
sito della Fondazione Mario Novaro, Genova, su Fondazione novaro. Se il
concetto di “infinito” è stato dal sorgere della filosofia italiana, uno
degl’oggetti più costanti degl’uomini, il progresso verso una definitiva
soluzione delle difficoltà che esso presenta non e tuttavia che
straordinariamente lento. A ciò à sopratutto contribuito il rilegare, come a
priori, l’infinito fuori del campo appunto della filosofia e si considera il
regresso all’infinito una fallacia. Poiché quando si ammette senz’altro
che, essendo l’uomo finite, non si può pretendere eh' esso arrivi a comprendere
l’infinito. Hobbes, De corpore; Descartes, Principien, ediz. Kirclimann,
GALILEI, Opere (Milano); Locke, Essay on humane Underslaning, ediz. Ward, World
Library, Hume, Treatise, ediz. Selby-Bigge, cfr. anche Jevons,
Principia of Science. S’è già troncata la questione senza neanche avei’la
posta. S’è lasciato intatto il mistero che sembra involgerla. Già tutti i
concetti che in qualche modo ha una stretta attinenza con altri concetti
ontologici dovettero per questo attendere a lungo prima di venir trattati
in corretto modo analitico. La oscurità misteriosa del concetto di “infinito” si
ripercorse naturalmente negli oggetti nei quali esso poteva trovare
applicazione, come il tempo, lo spazio, la materia, l’universo,
l’essere. Anzi si comincia dapprima ad accorgersi delle
difficoltà del concetto di “infinito” non cosi in astratto, ma nell’esame
degli oggetti ai quali la infinitezza pare doversi attribuire. Tanti
secoli prima della ripresa della questione per Locke, trattarono il
problema con sommo acume dialettico i veliani de Velia. Sugli veliani e la
loro importanza, vedi specialmente la “Kritische Geschichte der Philosophie” di
Dùhring. Le difficoltà che conduceno al veliano a negare la realtà dello
spazio non sono punto illusori. Cantor, “Geschichte der Matematik”. Bei ihnen [i
tropi dei veliani] handelt es sich um Schwierigkeiten, denen in der
That-wcder der Philosoph noch der Mathematiker in aller Strenge gerecht
werden Kann Zwei Jakrtausend und mehr haben an dieser zàhen Speise gekaut,
und es ware unbillig von den Veliani des funften vorcbristlichen
Iabrhunderts zu verlangen, dass sie in Klarbeit gewesen seien iiber Dinge,
welche freilich anders ausgesprocben noch Streitigkeiten unserer Gegenwart
bilden. Nò altre furono quelle che spinsero poi Kant ai risultati della
estetica trascendentale. Sebbene più d’uno storico della filosofia davanti
ai tropi di quell’ acutissimo filosofo sentendo l’imbarazzo suo a
confutarli, stima poterli chiamare sofismi o false sottigliezze che chi le
esaminasse da vicino e colla necessaria acutezza non dovrebbe tardare a
riconoscere evidentemente per tali. E più d’uno nel confutarli à seguito,
come Zeller, Aristotele che in questo se in altro mai fu
infelicissimo. Aristotele crede di confutare il veliano (V. anche Apelt,
Beitrdge sur Geschichte der Grieschischen Philosophie, Leipzig) col dire che la
dimostrazione data dal veliano riposa sulla falsa & i
matematici, i quali spaventati dalle contraddizioni svelate dai veliani
avevano dovuto per forza rinunciare a far uso del concetto di “infinito” e
lasciar tanto tempo infruttuoso l’ardimento di Antifontem continuarono
a lungo ad aiutarsi altrimenti per non derogare alla rigorosa esattezza
delle loro dimostrazioni, Cosi il concetto d’”infinito” non compare mai esplicitamente
nella geometria degl’antichi. E Archimede ha seguaci anche dopo che
il calcolo infinitesimale ha chiaramente mostrati i suoi cosi
fecondi vantaggi. Ragione principale di ciò e il non avere l’autore
stesso del concetto di “infinitesimo”, saputo mai nè pienamente giustificarlo,
nè dargli un denotato preciso, si che egli molte volte ha a espri supposizione
che il tempo consti di singoli momenti (ex -J 5 v aio Èrtovi come se la
critica del velino non valesse indifferentemente tanto per il continuo
dello spazio che per quello del tempo stesso. Cfr. Cantor. Er (Aristotele) lòst
das Paradoxon der Duschlaufung dieser unendlich vielen Raum-punkte in
endlicher Zeit, durch das neue Paradoxon, dass innerhalb der endlichen Zeit
unendlich viele Zeittheile von unendlich Kleiner Dauer anzunehmen seien. Sul
concetto di “infinito” in Aristotele vedi specialmente “Phys.”, De Coelo, I, 5.
Aristotele dà una divisione dei vari generi di infinito, che come sempre
0 spessissimo presso lui è più una spiegazione di parole che di concetti.
Inoltre è la sua trattazione oscura e affatto manchevole. Aristotele non
accetta che l’infinito *potenziale*, il quale nasce dal non trovar la
nostra immaginazione alcun limite così nel togliere come nell’aggiungere. Rifiuta
l’infinito attuale. L’infinito, dice Aristotele, non è grandezza nè à
parti così, come il suono è per sò invisibile (Phya., Ili, 4 ). Non
esiste dunque in realtà, perchè non v’ è grandezza cui possa attribuirsi. Ma la
contraddizione che Aristotele crede dover evitare rigettando il concetto
dell’infinito attuale è appunto nascosta invece in quello del continuo.
Altrimenti Aristotele non avrebbe così leggermente creduto di aver
superate le difficoltà dei veliani. li Montucla, Histoire cles recherches sur
la quadrature du eercìe. Paris, p.
44. (2) Hankel, Zur Geschickte der Matliematik ivi Alterthum und
Mitelaltcr. juersi sulla sua nozione in modo affatto contradittorio. E se
i filosofi non riuscirono a chiarire i loro concetti riguardanti
l’infinito trascurando la maggior parte di aiutarsi con un esame accurato
dalle difficoltà che incontrano anche i matematici, questi dal canto loro
si sono del pari in grau parte appagati dei risultati, senza sentire
troppo acuto il bisogno di rendersi conto esatto dei concetti dei quali hanno a
fare un continuo uso. Che anzi per le difficoltà, oscurità
o contraddizioni dell infinito tranquillamente si
rimettevano Leibniz, anche quando si esprime più razionalmente intorno
ai concetti infinitesimali, conserva pur sempre in fondo una evidente
ambiguità sulla natura generale del concetto di “infinito”. Lascia
infatti alla ontologia, senza risolverla Leibniz stesso, la questione se
si diano propriamente degl’infinitamente piccoli rigorosi. E cosi tiene
pure per indifferente considerare per tali gl’infinitesimi o soltanto per
arbitrariamente piccoli. Leibniz inclina però più a tenere l’infinito
rigoroso per una finzione. Leibniz, Opera omnia, ed. Dutens e Leibniz; il/af/iema</se/»e
Schriften, Gerhardt I' , dove Leibniz pare considerare gli infinitesimi
come quantità finite variabili e cfr. Gerhardt, Erdmann, dove egli
parrebbe ammettere l’infinitesimo *attuale*. In altri luoghi, Leibniz è affatto
incerto; ed. Dutens, Gerhardt, III, e vedi specialmente un passo ivi. Infatti
dopo l’adottamento del calcolo, una delle prime accademie d Europa, quella di
Berlino, presieduta da uno dei più grandi matematici, da Lagrange, apriva
un concorso sul concetto dell’infinito. Dice tra altro ai concorrenti. On
demande […] une thdorie clairc et precise de ce qu’ on appelle ‘influì en
mathcmati jue. On sait que la haute geometrie fait un usage continuel des
infiniment grands et des infiniinent petits. Cependant les geomètres et
meme les analystes anciens, ont eviti* soicneusement tòut ce qui approche
de l’infini, et des grands analystes modernes avouent que les termes
grawleur infmie sont contradictoires. L’Acad^mie sou- haitc donc qu’ on
explique comment on a déduit tant de theorèmes vrais d une supposition
contradictoire. Nouveaux Mémoires de l’Acad. des Sciences. Berlin. come
molti si rimettono tuttora, all’ongologia. L’unico filosofo dal quale si
sarebbe potuto aspettare qualche dilucidazione definitiva, Corate, il
quale era tanto versato nelle matematiche e che di esse à dato una cosi
bella e tuttora insuperata sistematica trattazion generale, non solo non fa
fare un passo alla questione, ma neppure seppe bastantemente apprezzare i
grandi meriti del lavoro di Carnot, il quale prepara la soluzione
definitiva. Solo Locke e Kant sono cosi i filosofi che fecero verso di
essa un passo decisive. Kant però si direbbè che lo fece in senso
reazionario, chè se Locke avesse decisamente cangiato li suo metodo
empirico e psicologico con un metodo critico, come egli in realtà è qualche
volta inconsapevolmente vicino a fare, avrebbe egli stesso còlto 1’ultimo futto
della sua fine analisi. Ad ogni modo è merito di Locke, oltre aver
risolto l’infinitamente piccolo e grande nel processo formale dell’animo,
l’aver dimostrato come un tale concetto sia solo propriamente applicabile
a grandezze, al numero, al tempo ed allo spazio. Con ciò ogni nebuloso
abuso scolastico e metafisico di esso, era reso impossibile, e ogni sua
applicazione ad altro che a concetti di grandezze diventava una pura metafora. Rilacendosi
da Locke e approfittando della luce che Carnot getta sulla natura
dell’infinitesimo, il Duhnng à finalmente completata la razionalizzazione
di [ Leibniz, passo citato, Gerhardt e Montucla, Histo!re des
mathématiques. Quanto alle questioni che la ontologia può sollevare sul
concetto dell’infinito, il matematico “a droit de ne s en pas plus
embarasser que des disputes des physiciens sur la naure de 1 etendue et du movement.” Locke,
On human Umlerst., questo concetto. L’infinito assoluto ha però Diihring
costantemente rifiutato come la più assurda contraddizione in tutti i suoi saggi
filosofici. Soltanto- nell’ultima suo saggio filosofico arriva egli ad
una luminosa distinzione dell’infinito *assoluto* dal infinito relativo.
La sua dimostrazione è però geometrica, e non insieme algebraica. Manca
quindi di generalità. Cosi si spiega come Diihring ritenga ancor ora
inammissibile l’applicazione dell infinito al tempo, che egli à
assurdamente e colla più gran forza di convinzione fatto finito nel
passato (2). Diihring vide che ove il concetto di infinito non viene
dapprima reso chiaro e incontradittorio nella matematica, la rocca in
apparenza più forte rimarrebbe in piedi a difesa del mistificante
concetto. La nozione di infinito non è però specificamente formale. Il
concetto d’infinito appartiene a quel campo della filosofia ‘speziale’, in cui
anno comuni le radici o i principi e la matematica e la logica.
La. soluzione di un problema cosi universale non può esser diversa,
ove esso venga formulato con la dovuta astrazione ed esattezza, sia che la si
cerchi nel campo piu astratto dell’ontologia della concezione universale dell’*essere*,
sia che la si cerchi nel campo dell’algebra. Non [Nat Uri
iche Dialéktik -- questo libro d’oro di puro criticismo, la cui prima edizione
è esaurita da molti anni senza che Diihring si decida a ri-pubblicarlo,
malgrado il viro desiderio di molti suoi ammiratori, quali per un esempio
v. Gizicky e Riebl. Vedi specialmente dello stesso, nei “ Xeue
Grundmitteln u. Erfindungen zur Analysis, ecc. „ il capitolo terzo.
L’analisi critica dell’infinitesimo ivi data riassumiamo noi brevemente
nel numero seguente, modificandola però nel senso della corretta legge del
numero determinato. V. sotto. Cursus der Philosophie; Logik und
KVssenschaftstheorie, 191 segg. è un differente problema quello di Senone
di Velia, da quello che occupa a cosi grande distanza di tempo i
matematici dal seicento in poi. 2. In tutti i problemi riguardanti
il concetto di “infinito”, le difficoltà ànno la loro comune radice nella
contraddizione fondamentale nascente dalla posizione di un infinito
numericamente dato e compiuto nel *finite* stesso. Cosi l’infinitesimo, e già
prima l’indisivibile di CAVALIERI, e pensato assurdamente quale
risultato di una infinita divisione, o come l’elemento più piccolo d’ogni
grandezza assegnabile, di cui si integra ogni grandezza finita. Più
piccolo di qualunque quantità data e pensato l’infinitamente piccolo, e
maggior d’ogni data grandezza l’infinitamente grande, arrivando
anche qui ad una infinità compiuta, come raggiungibile per via di
una sintesi successiva. Tra lo zero e una comunque piccola grandezza
dovrebbe dunque esistere qualcosa di intermedio. Questa ibrida quantità
non dovrebbe esser zero ma neppure perù una determinata quantità
per quanto arbitrariamente piccola. Essa dovrebbe esser minore d’ogni
quantità assegnabile o qualcosa che esprima l’ultimo irraggiungibile grado
di piccolezza immaginabile e prima dello zero (1). Minore d’ogni quantità
assegna- (1) Modificando la nozione di GALILEI di “momento”, già Ilobbes
define il conatus (concetto che doveva poi diventare il fondamento della
teoria newtoniana), il moto lungo uno spazio minore di qualsiasi
assegnato. Hobbes conserva, però, malgrado l’equivoca definizione,
come dell infinitamente grande (De Corpore) cosi dell’infinitesimo un
giusto concetto. Di quest’ultimo haa intesa infatti a essenziale
relatività. V. De Corpore. Delimemus CONATUM
esse motum per spatium et tempus minus q’uam quarn bile è però soltanto
lo zero (1); una quantità non può venir immaginata oltre ogni assegnabile
grandezza. Tra la quantità e lo zero non vi è cotesta assurda
finzione. A meno che il dire “minor d’ogni data quantità” abbia quod
datar, id est determinatur, sine expositione vel numero assignatur ìaest
per punctum. Ad eius definitiouis explicationem meminisse oportet per
punctum non intelligi id quod quantitatcm nullam habet, sive quod nulla
ratione potest dividi (niliil enim est eiusmodi in rerum natura) sed id
cuius quantità non consideratili-, hoc est cuius neque quantitas neque
pars ulta inter demonstrandum computatur. Ita ut punctum non habeatur prò
IN-DIVISIBILI. Sed prò IN-DIVISO. Sicut edam instans sumendum est prò tempore IN-DIVISO
non prò IN-DIVIS-IBILE. Similiter Conatus ita mtelhgendus est, ut sit
quidem motus sed ita ut neque tempori in quo fìt neque lineai per quam
fit quantitas, ullam comparationem habeat in demonstratione cum quantitate
temporis vel line cuius ipsa est pars. Quanquam sicut punctum cura
puncto, ita conatus cum Canata comparaci potest et unus altero maior vel
minor reperiri.Poisson ammette invece nel modo più esplicito
l’assurdo concetto dell infinitesimo di cui sopra è parola. Un infiniment
petit est une grandeur moindre que toute grandcur donnée de la meme
nature. On est conduit naturellement a ridde des infiniment petits,
lorsqu’on considère les variations successives d’une grandeur soumise à
la loi de continuiti. Ainsi, le temps croit par des degrés mo.ndres qu’
aucun intervalle qu’on puisse assigner, quelque petit quii soit. Les
espaces parcourus par le différents points d’un corps croissent aussi par
des infiniment petits, car chaque point ne peut fi er d une posdion à une
autre, sans traverser touts les positions intermédiaires, et l’on ne
saurait assigner aucune distance, aussi petite qu on voudrn, entre deux
positions successives. Les infiniment petits ont donc une existence
rielle, et ne sont pus seulement un mo.ven d’investigation imagini par les
giometres. Traile de mécanique, Bruxelles) l’er questa ragione non pochi
matematici, quali Bernouille “oto^amente
Eulero, pensarono l’infinitesimo come assolutamente nullo. Anche GALILEI,
sebbene con altro linguaggio, scompone il continuo esteso in infiniti
punti inestesi o nulli senza però trovar poi il modo di farlo generare da
quelli. V. GALILEI Opere. Sopra gli atomi non quanti di lui vedi Lasswitz,
Galileis Thieorie der Materie, 1 lerteljahrsschrift f wiss. Philosph.
XIII, a riferirsi non a qualcosa di
effettivo o di dato, ma al nostro animo -- il nostro volere -- come ragione
della infinita divisibilità, potendo noi sempre supporre una quantità più
piccola di ogni qualunque piccola quantità data. Come nella serie dei
numeri noi possiamo (prova Peano) farci un concetto dell’infinito aggiungimento
di unità a unità, cosi possiamo farcene uno della possibile divisione
dell'unità all’infinito. Un tal concetto non rimane tuttavia che
il campo d’una operazione che non può per la sua natura venir mai
compiuta. La infinita divisione come la infinita addizione non possono mai
senza contraddizione considerarsi come eseguite. Non si può con un salto
oltrepassare un’infinità di operazioni, ponendo l’ultima come già
compiuta, che invece non può mai essere. Ciò che esiste o è dato numericamente
quale totalità non può esser che in numero determinato. Un numero infinito
come qualcosa di dato o compiuto nel finito medesimo è un CONCEPTO
IMPOSSIBILE perchè vorrebbe porre ciò che insieme viene a negare. Ammesso
dunque che abbia a dirsi di una quantità che essa è minore d’ogni
possibile quantità data, ciò potrà solo razionalmente indicare che è pur
sempre possibile suppor quella come ancor più pioti) È questa la legge
formulata da Diihring sotto il nome di legge del numero determinato (Gesetz der
bestimmten Anzahl). Cfr. Kant: Kritikd. reinen Vcrn. edizione Kirchmann. Sohald
etwas als quantum discretum angenommen wird, so ist die Menge der
Einheiten darin bestimmt, daher auch jederzeit einer Zahl gleich. Diihring
però, e qui sta il grave errore della sua teoria dell’infinito, à
tralasciato come iKant di aggiungere che tale legge à valore appunto, come
diciamo noi, solo in riguardo a grandezze che si lasciano concepire come
totalità, ossia in riguardo a grandezze comprese tra limiti. cola di una
qualunque data comunque già piccola per sè. La illimitatezza riposa sul
concetto della infinita possibilità della ripetizione, non è dunque un
concetto di effettività, ma di mera possibilità. Il moto nevi realizza
come si crederebbe l’assurdità di una infinita divisione o di una infinità
di parti nel finito. Moto non è che il concetto di ciò che la
stessa cosa si trova seguentemente prima in un luogo e poi in un
altro. Nostro APPARATO SENSORIALE non fa che abbracciare un dato numero di
posizioni diverse, e l’animo non trova altro che il fatto ossia la
cangiata posizione. Noi non possiamo formarci nè pretendere altro chiaro
concetto che quello del passaggio da un punto all’altro. Possiamo solo,
ove ce ne sia l’animo, INTER-POLARE delle posizioni intermedie a piacere
senza limite alcuno. Ma effettivamente nè la natura nè noi possiamo
fis:arne altro che un numero determinato. È una illusione il credere che un
punto, ad esempio, nel muoversi in linea retta vei’so un altro punto
fisso, e trascorrendo secondo il concetto comune di un movimento
assolutamente continuo, per ogni posizione, trascorra con ciò effettivamente,
se posso dir cosi, per ogni grado di piccolezza. La posizione di
infiniti punti distinti in una determinata estensione è sempre e solo
una possibilità ma non mai un fatto compiuto. Di due punti immediatamente
aderenti NOI ABBIAMO ASSOLUTAMENTE CONCETTO ALCUNO. Punti inestesi o
coincidono, o hanno una posizione diversa, e allora anche una determinata
distanza. 11 punte non può che passare da uno ad un altro punto, comunque
noi idealmente possiamo astrarre da cotesti trapassi e considerare
unicamente la infinita possibilità (li posizioni diverse. La stessa
illusione è nel dire che una quantità cresce per gradi minori
di ogni comunque piccola grandezza data. E vero che m matematica le
quantità continue crescono per gradi e che ogni nuovo incremento elementare
possiamo immarginarcelo già per sè stesso composto di ancor più piccoli
incrementi elementari all’infinito. Ma oltre che nella realtà bisogni. Che
esistano dei limiti a questa illimitatezza che è solo della facoltà del
nostro ANIMO, è anche vero che le quantità non constano di elementi per
sè esistenti, e che invece noi solo distinguiamo in esse delle divisioni
e stabiliamo dei limiti che per sè non sono dati. Il concetto di
continuità ne involge uno infinitesimale che però inchiude solo la possibilità
di un infinito porre di limiti, ma non una infinità di limiti posti. Esso
è quindi come quello dell’infiuitamente piccolo un concetto di pura
posibilità. La illimitatezza nella scomponibilità in parti che
possono in ogni caso venir fatte ancora più piccole che una qualunque
piccola grandezza data, e dunque ciò che di razionale s’ à a sostituire
al concetto nebuloso dell’ infinitamente piccolo. Con ciò viene evitata quella
ipostasi o per cosi dire insostanziazione di un modo di azione del nostro
animo, o di una mera possibilità, la quale è inchiusa nel falso concetto
della grandezza minore di ogni altra assegnabile, come di qualcosa
realmente esistente quasi mèta irraggiungibile ma pur reale di una
infinità di operazioni. Non esiste un ultimo piccolo o infinitesimo, ma
solo una infinita possibilità di rimpicciolimento. 1 Si deve dunque
pensare che il differenziale è nel calcolo una grandezza finita relativamente
piccola, la quale- nel complesso delle operazioni può e deve
rappresentare ad arbitrio ogni grado di piccolezza. Si tratta per eempio,
dice Diihring, di una lunghezza. Può questa, come infinitamente piccolo,
essere secondo le circostanze un milionesimo di millimetro ovvero una
distanza solare. L’essenziale non istà in queste eventuali
determinazioni, ma nel pensiero che in luogo di quella grandezza,
scelta in relazione a un tutto come parte insignificante, possano
nelle operazioni sostituirsi altre ed altre senza limite alcuno sempre
più piccole verso lo zero. L’ infinito o la illimitatezza non è dunque
ipostasiata nel differenziale, si bene sta nel nostro animo che questa
grandezza rappresenta qualunque grado di piccolezza oltre il suo.
Razionalizzato cosi il concetto fondamentale del calcolo, non à più
ragione quella ripugnanza che i migliori matematici anno sempre sentito per
quella oscura ipotesi o idea falsa, come la chiama Lagrange, dell’infinitamente
piccolo. L’analisi è dunque, dice Diihring, un calcolo d’ approssimazione, ma
si noti bene- non di semplice approssimazione, bensì di approssimazione
infinita. I sensi trascurano nel piccolo le quantità insignificanti che
loro NON SONO più PERCETTIBILI, e se fatti più acuti procederebbero del
pari in analoghe proporzioni; cosi fa il calcolo nel trascurare quantità che
nelle [l'reyeinet: Étude sur la métaphysique du haul calcul. Cfr.
Carnot : Reflexions sur la métaphysique du calcili infinitesima!, Comte:
Cours de philosophie positive , I, 263. loro funzioni darebbero in ultimo per
risultato una grandezza che per la sua ultima piccolezza non à importanza
alcuna. Accanto a quantità finite si trascura nel risultato e con
ragione, un infinitamente piccolo, poiché è nella sna natura di poter
venire senza fine rimpicciolito verso lo zero. Idealmente c’ è dunque un
abisso tra l’infinitesimo e lo zero. Non quello ma questo è il limite
dell’ infinito rimpiccoliinento, e prima dello zero non vi sono che quantità
in realtà sempre finite, comunque possano secondo il bisogno venir supposte
sempre più piccole verso di esso. D’altra parte nella direzione opposta
dell’ infiniitamente grande si à analogamente a distinguere tra [Non
altro significava il luminoso concetto di Carnot delle equazioni imperfette.
Tuttavia Carnot non arriva a dar l’ultima chiarezza alla nozione
dell’infinitesimo. Infatti non avrebbe altrimenti creduto vi fosse
bisogno (per dimostrare come i risultati del calcolo in apparenza soltanto
approssimativi, siano in realtà esatti) oltre che della considerazione
dell’arbitrarietà del differenziale, anche di una dimostrazione della
compensazione degli errori. Comte poi frantese affatto ciò che di
veramente importante e duraturo conteneva lo scritto di Carnot, e ravvisa
così il merito di lui appunto nella dimostrazione della compensazione degli
errori (V. Cours de philosophie positive), la teoria invece
dell’arbitrarietà del’infinitesimo la trova più sottile che solida (id.
2(57). l concetto della rigida uguaglianza degl’antichi venne
definitivamente superato con Leibnitz e Newton. Ciò che però non venne
schiarito e rimase oggetto di tutte le lunghe innumerevoli dispute a cui
diede luogo il calcolo differenziale, e un giusto concetto di ciò che
avesse a indicare la trascuranza, nelle equazioni, dell’infinitamente piccolo.
Dopo Carnot la relatività del concetto del differenziale s’è sempre più fatta
strada nelle menti dei matematici. Ma non basta questo a razionalizzare
l’infinitesimo. Dove colla relatività di esso si ammette però ancora (v.
ad es. Montucla : Histoire des maih.) che questo possa divenir minore d’ogni
quantità assegnabile, s’è pur sempre lontani da una esatta concezione.
questo e 1’ infinito assoluto o transfinito (1). Qui come¬ ta si à una
differenza qualitativa: nell’ un caso si à ancora a fare con delle grandezze,
nell’ altro il concetto proprio di grandezza è scomparso. Il non
aver distinto questi due concetti non à forse meno contribuito della
contraddizione di un infinito compiuto nel finito stesso, implicato nel falso
concetto del differenziale e del continuo, a rendere cosi pieno di supposte
insolubili difficoltà il problema di cui ci occupiamo. All’infinitamente
piccolo risponde perfettamente l’infinitamente grande. Abbiamo qui un
accrescimento senza fine come là un illimitato rimpicciolimento. In
entrambi i casi ci è data la norma di un’operazione che non
deve poter mai venir considerata come compiuta, poiché essa deve
rispondere alla illimitata possibilità di ripetizione- del nostro animo,
con la quale dunque non c’è grandezza per quanto piccola o grande di cui non si
possa sempre raggiungere un’altra ancora più piccola o
grande. Attribuito ad una data grandezza il concetto di infinitamente
grande non indica quindi altro che essa, comunque già grande, può senza
fine venir considerata ancor sempre più grande secondo il bisogno. In
ogni aso non sarà però ella mai altro che finite. Come la nostra
sintesi benché non abbia limite, pure in fatti non può -- Chiamo infinito
assoluto o trans-finito – tras-finito, a distinzione dell't/t/unVo
relativo (infinitamente piccolo o grande), ciò che Diihring dice illimitato
(Unbegrcnzt) [LIMITATO/NON-LIMITATO] e Cantor, e dietro lui Wundt e
Lasswitz chiamano appunto transfinito o tras-finito (<o ). Del resto
una volta riconosciute queste differenze essenziali, nulla impedisce di
adoperare anche solo e indifferentemente l’espressione “infinito”,
lasciando al contesto conversazionale l’ulteriore
specificazione. mai esercitarsi che nel finito. Anche l’infinitamente
grande è un concetto di mera possibilità e non mai di effettività. Non è
quindi propriamente applicabile ad alcuna grandezza determinata. La serie
progressiva dei numeri nella sua illimitata addibilità è il più chiaro
esempio dell’infinitamente grande. Noi non possiamo mai arrivare ad un
ultimo membro delle serie, perchè la possibilità di aggiungerne altri
riman sempre la medesima. E nella natura dell’infinitamente grande di non
poter venir mai compiuto. La illimitatezza non è neppur qui data
oggettivamente, ma sta invece in questo che la grandezza infinitamente grande
può rappresentare ad arbitrio una grandezza sempre maggiore oltre la
sua. Inteso cosi è senz’altro chiaro che rinfinitamente grande non è
un infinito in atto e non può senza contraddizione venir scambiato con questo.
L’aver confuse l’infinito assoluto o transfinito o trasfinito o illimitato coll’infinitamente
grande è appunto la cagione che condusse chi mirava a un esatto
(1) Locke, On bum. Underst, pag. 148. [O]ur idea of infinity being,
as I tbink, an endless growing idea, biit the idea of any quantity our soul kas
being at that tirae terminated in tbat idea (l'or be it as great as it
will, it can be no greater than it is), to join infinity to it, is to adjust a
standing measure to a growing bulk. We can bave no more the positive idea of a
body infinitely little than we have thè idea of a body infinitelv great. Our conception
of infinity being, as I may so say, a growing and “fugitive” concept, stili
in a boundless progression that can stop nowhere. Our conception of the infinity
[...] return at least to that of number always to be added. But thereby
never amounts to any distinct idea of actual infinite parts. We bave, it
is true, a clear idea of division, as often as we will think of it. But
thereby we have no more a clear idea of infinite parts in matter than we
have a clear idea of an infinite number, by being able still to add
numbers to any assigned nember we have. E chiaro concetto di quest’ultimo a
rifiutare risolutamente il primo, dopo averlo trovato incompatibile colla
nozione di quello. Mentre l’infinitamente grande esprime una illimitata
possibilità, il transfinito o trasfinito esprime invece una effettività compiuta
cui l’infinitamente grande non arriva mai. Nel transfinito o trasfinito
ogni grado di ingrandimento è già anticipatamente dato. Esso è realmente
maggiore di ogni assegnabile grandezza, e dal finito non c’è modo di
farlo originare, sebbene ogni finito sia in esso. La facile obbiezione
che nessuna grandezza è la più grande perchè le possono sempre venir
aggiunte altre unità, non tocca. L’infinito assoluto, ma solo una NOZIONE
IRRAZIONALE dell’infinitamente grande,
partendo ella da un falso concetto del transfinito o tras-finito, secondo
il quale si avrebbe questo a lasciar pensare come un tutto, ossia,
contrariamente all’assunto, come finito. Il concetto di totalità applicato
al transfinito o tras-finito è trascendente, benché tale non sia il
transfinito o tras-finito per sé. Se l’infinito assoluto non può venir
esaurito dalla sintesi empirica di nostro animo, non è questa una ragione
per rifiutarne il concetto : la sua natura consiste infatti appunto in
ciò di NON POTER VENIR RAPPRESENTATO come una totalità ossia esaurito
per mezzo di una sintesi empirica di nostro animo -- successiva delle sue
parti. – Cf. Speranza, ‘mise-en-abime’ – come violazione del prinzipio
conversazionale – be brief. Rifiutarlo perchè non si lascia trascorrere da
un capo all altro, è rifiutare il transfinito perchè appunto tale,
ossia perchè non è finito, o perchè non si trovano endless divisibility
giving us no more a clear and distinct idea of actuallv infinite parts
than endless addibility, if I may so speak, gives us a clear and distinct idea
of an actually infinite number, both being only in a power stili of
increasing thè nuinber, be it already as great as it will” ia esso le
proprietà che dal suo concetto sono precisanente escluse. Mentre
nell’infinitamente grande la sintesi empirica di nostro animo è quella
che aggiunge membro a membro. Nell’infinito assoluto troviamo noi sempre ogni
ulteriore membro come già innanzi esistente prima che la nostra sintesi lo
abbia raggiunto, indipendentemente da essa. È dato quindi così il
numero infinito, se “numero” può questo ancora chiamarsi – “As far as I
know there are infinitely many stars” --, che è in realtà la negazione di esso
e con ciò di ogni determinazione nel grande. Il “numero” infinito
non è più nè ‘pari’ nè ‘dispari’, e neppur quindi aumentabile più, nè
diminuibile. Esso è dunque qualcosa di affatto compiuto, al contrario
dell’infinitamente grande che è in un continuo'flusso; e sta a questo come
all’infinitamente piccolo sta lo zero. Come nello zero non c’è più
possibilità di rimpicciolimento, cosi non ce n’è più di ingrandimento nel
transfinito o tras-finito. Questo è la negazione della grandezza misurata
nel grande, e lo zero la negazione della grandezza in generale e con ciò
della grandezza nella direzione deH’infinitamente piccolo. Lo
zero come l’infinito assoluto sono non tanto quantitativamente quanto
per qualità diversi da ogni altra grandezza. L’infinitamente piccolo e grande
sono in un continuo flusso, lo zero e il transfinito sono invece forme
fisse ; il prin¬ cipio generativo dei primi non è applicabile ai
secondi. DaH’infìnitamente piccolo allo zero e dall’infinitamente grande
all’infinito assoluto c’è, a dir proprio, un salto. Duhring: Neue Grundmlttel,
ecc. Lo zero e l’infinito assoluto o trasfinito si fanno dunque riscontro. Ed
erra «quindi Lasswitz che nega esserci qualcosa di corrispondente a
que- Nel primo caso il passaggio
sta non nel rimpiccilire all’infinito per successive divisioni la quantità
piccola in modo che avanzi pur sempre un resto, ma nell’ultimo atto risolutivo
col quale si sottrae interamente il resto stesso. Nell’un caso si riman
sempre nel campo dell’infinitamente piccolo, nell’altro si salta
propriamente dalla quantità al nulla di essa. Una quantità non viene
mai esaurita col sottrarre ripetutamente anche all’infinito una nuova parte del
sempre nuovo resto. Bsogna togliere in ima volta l’intero resto
altrimenti si avrà una convergenza continua verso l’irraggiungibile
zero, ma non mai propriamente lo zero. E solo in quest’ultimo caso sarebbe
veramente esaurita la grandezza. Non bisogna prender per esaustione reale
una infinita approssimazione. Ciò che e l’ESAUSTIONE è solo tale fino ad un
infinitamente piccolo. Ma questo vien da essa lasciato inesaurito. L’saustione
non à luogo che con un salto alla Peano, ossia con un vero passaggio. La
inter-polabilità infinita di posizioni tra punto e punto non toglie che
da posizione a posizione il passaggio debba rimanere E come v’è un salto
da un punto a un altro in una linea, cosi v’è da un punto al punto
ultimo col quale la grandezza finisce. Solo col st’ultimo.
(Lasswitz: Zum Problem der Continuitdt, Philosoph. Monats - hcfte); come
pure e più erra Wundt che crede cadere nel differenziale ogni differenza
essenziale tra l’infinito e il transfinito o trasfinito. Wundt: Kants
Kosmologische Antinomien u. das Problem der Unendlichke.it Philos.
Studien II, 527: (che) das Intinitesimalsy.nhol ebenso gut in Siane einer
unendlich zudenkenden Abnahme einer gegebener Grosse, wie im Sinne des bereits
vollzogenen Processes- dieser Abnahme gedacht werden kann. Hier fàllt
niimlich ein wesen- tlichcr Unterscbied des Infiniten und Transfiniten
vollig hinweg. -- passaggio allo zero si à però un risultato
differente non tanto per quantità quanto per qualità dagli
altri. D’altra parte lo stesso risultato qualitativamente differente si à
nel secondo caso del passaggio dall’infinitamente grande al transfinito o
tras-finito. Praticamente si può concliiudere è vero dal caso dell’incoutro di
due rette a distanza infinitamente grande al caso delle parallele,
in quanto si astrae dallo sbaglio infinitamente piccolo, e si pone
come identico il risultato solo infinitamente approssimativo. In realtà però
mentre il punto d'incontro si allontana infinitamente all’vvicinarsi delle
due rette al parallelismo senza raggiungerlo, raggiunto che
questo sia, esso è scomparso, essendo per sè la infinita estensione della
linea LA NEGAZIONE DELLA POSSIBILITa d'uu punto d’incontro, poiché questo
le farebbe finite. Ed à luogo allora quella illimitatezza od infinità
assoluta della retta, la quale è la negazione della grandezza misurata
nel grande, come lo zero è la negazione della grandezza in generale. Un
indubitabile significato si lascia dare al transfinito o trasfinito, come
vedremo in séguito soltanto nella serie infinita dei processi del tempo
passato. Il nostro regresso che assume qui la forma dell’infinitamente
grande, procede in base al transfinito o trasfinito della realtà, poiché esso
trova e suppone necessariamente come dati sempre piu membri della
serie di quelli che esso raggiunge. Se si fosse co¬stretti a pensare l’universo
infinito in estensione si avrebbe una seconda applicazione reale del nostro conti)
Diihring , luogo citato.
«etto ; ma rimanendo insolubile la questione se la natura o
L’UNIVERSO o il numero dei stelle sia o no infinita, non si à che
l’applicazione di esso allo spazio puro. Ed ecco la dimostrazione che dà
di questa Dtihring, colla quale egli stabilisce appunto la distinzione
dell’infinito relativo dall’infinito assoluto. La tangente di un angolo che
differisce da 90° di una infinitamente piccola differenza, è come la rispettiva
secante infinitamente grande. Ad ogni grado di riin-piccioliinento della
differenza risponde un grado di ingrandimento della tangente e della secante
dell’angolo. Cosi il punto in cui le linee si tagliano si fa sempre
più lontano. Rimane però sempre dato un incontro reale delle linee
fin che sia data una per quanto piccola divergenza da 90°. Se si à invece
una differenza uguale a zero ossia se non se ne à alcuna, non si à
nemmanco più propriamente una SECANTE nè una propria TANGENTE. Entrambe
le linee loro corrispondenti non si tagliano più. Nel caso dello zero o,
ciò che sarebbe lo stesso, per la CO-SECANTE e la CO-TANGENTE di 0 non
esiste più alcuna grandezza, allo stesso modo che nello zero
medesimo. Intatti la illimitatezza di una linea non è già una quantità
della stessa j ella è invece l’assenza d’ogni determinazione quantitativa. In
tal modo allo zero dall’una parte corrisponde dall'altra l’illimitato non
quanto (das grossenlose Unbegrenzte). Il caso dell’infinitamente grande
si distingue da quello dell’infinito assoluto per questo, che la
possibilità (della illimitata estensibilità) non figura come per sè data,
ma vien 'riferita alla nostra attività. Vedi sotto n. 5. Di pio
quest’ultima possibilità vien sempre rappresentata coinè dipendente di
un’altra, in modo che dall’infinito rimpicciolimento e dal grado di
questo dipende l’infinito ingrandimento e rispettivo grado costantemente
corrispondente Una distinzione simile a quella di Diihring à fatto in
riguardo all’infinito Cantor, seguito in ciò da Wundt e seguito pure, sebbene
con qualche riserva, da Lasswitz. Ad essa fa però assolutamente difetto
quella spiccata razionalità che è la caratteristica della filosofia di
Diihring. Crede Cantor che la serie dei numeri si lasci pensare non solo
come compiutamente- infinita, ma come compiuta totalità. Cantor stima che
si lasci pensar radunato in un tutto ogni numero intero positivo
(3). L’aver sconosciuto l’inapplicabilità del concetto di totalità al
transfinito o tras-finito è la cagione dell’assurda nozione che s’è fatto
Cantor di questo. Infatti perciò à e Cantor potuto credere che il
transfinito o trasfinito pnssa trovarsi nel finito stesso quasi come suo
sostrato, e servire cosi alla spiegazione del continuo e del NUMERO
IRRAZIONALE. Ma qui non si ferma Cantor : chè anzi la vera originalità della
sua dottrina vede egli nelle differenze essenziali da lui trovate nel campo
stesso dell’infinito assoluto. Si tratta infatti per lui sopratutto
dell’ampliazione o proseguimento della reale serie dei numeri intieri
Duhrinq. Logik. Cantor: Grundlagen einer Mannichfaltigkeitslehre;
Zur Lehre vom Transfinite.] oltre l’infinito medesimo. Egli non ottiene solo un
unico numero intiero infinito, si bene una infinita serie di tali
numeri come benissimo tra loro distinti. Vi sarebbero cosi infinite classi
di numeri ; la l a classe sarebbe la serie dei numeri finiti 1. 2. 3...
v..., ad essa terrebbe die¬ tro la 2 a classe composta di successivi
numeri intieri infiniti in ordine determinato. Dopo la 2 a si verrebbe
alla 3 a e alla 4 a classe e cosi all’infinito. In tal modo naturalmente
l'infinito propriamente detto (“das eigentlicbe Unendliche”) non sarebbe
ancora il vero infinito (“das walire Unendliche”) o l’assoluto. Chè anzi
Cantor espressamente fa notare che in tal guisa non si arriverà mai a un
limite ultimo, e neppure a una sia pur soltanto approssimativa
comprensione dell’assoluto, il quale solo è un infinito non più oltre
aumentabile. Con ciò il transfinito o trasfinito, quantunque determinato e
maggiore d'ogni finito, avrebbe assurdamente comune col finito il
carattere della illimitata aumentabilità. Cantor dà per esempio del
transfinito o trasfinito la totalità dei numeri finiti, confessa però non
darsi, o almeno pel nostro animo, una totalità dei numeri transfiniti,
ossia l’assoluto o il vero infinito non poter venir concepito, quantunque
necessariamente postulato. Qui dunque ritorna la difficoltà del
problema, e questa volta Cantor confessa di non saperla sciogliere. Con
ciò dà Cantor stesso involontariamente la miglior critica della sua teoria
dell'infinito. Il suo transfinito o trasfinito del resto non è in fondo altro
che l’infinito dell’animo di Spinoza e BRUNO [ Grundlagen. Zur Lehre. Illusorie
come la infinita totalità sono le altre proprietà clie Cantor crede dover
attribuire ai suoi immaginari numeri della nuova serie al DI là DELL INFINITO. Cosi il non esser
questi più soggetti alla LEGGE DI COMMUTAZIONE (p e q = q e p) (1) è una
evidente ASSURDITà che rivela una inesatta concezione dell'infinito assoluto.
Questo infatti è indifferente in riguardo al più e al meno. Ad esso non
si può nè aggiungere nè togliere, come quello che non si lascia originare per
via di operazioni. Per poter ad esso aggiungere qualche cosa converrebbe
pensarlo dato quale compiuta totalità. Dia è falso che l'infinito si lasci
concepire in tal guise. Cosicché invece di operare con esso si
opera inavvedutamente con una quantità pur essa finita (2). Il
concetto formulato da Diihriug dell’infinito assoluto non è nella storia
dell’ONTOLOGIA del tutto senza precedenti, per quanto la critica da lui
fatta dell’infinitesimo possa assai più facilmente rannodarsi a
quella del Locke e di Ivant da una parte, e dall’altra a quella di
Carnot, che non si lasci questa sua nuova distinzione rannodare a’ suoi
precedenti storici (3). Vera¬ ci) Cantor: Grundlagen. Bradwardinus
distingue nel suo trattato “De Continuo”, come espone Cantor (Geschichte d.
Mathematik), “ zwei Unendlichkeiten, die “kathetische” und die “synkathetische”.
“Katlietisch” oder einfach unendlich ist eine Grosse die kein Ende hat.”
Syn-kathetisch” unendlich ist eine Griisse der gegenùber es eine endliche
Gròsse giebt und ein andsres gròsseres Endliche, und wieder Eines gròsser
als jenes Gròssere, und so oline dass ein Letzes sicb fiinde, welckes
den Abschluss bildete; aucli dieses ist immer eine Gròsse, aber nickt
wenn es mit Gròsserem verglicken wird. Man erkennt leicht dass das
kathe- tisck Unendliclie Bradwardinus das Ueberendliche oder
Transfinite ‘mente l’INFINITO
POSITIVO di Descartes, di GIORDANO BRUNO e di Spinoza è un concetto che
tradisce un’origine quasi del tutto- ancora scolastica. L’infinito inteso
coinè attributi necessario dell’essere è una concezione comune a BRUNO, e
mostra chiara la sua derivazione da un altro concetto. Quantunque esso
non ha in BRUNO questa sola origine ‘divino’ (1). unserer
neuerer Philosophen ist, dem von Anfang an das Merkmal der Begrenztheit,
welches deu endlichen Gròssen zukommt fehlt, wàhrcnd das “synkathetisch”
Unendliche mit den Endlosen oder Infinitcn ùbercin stimmt, welches aus der
endlichen Grosse durcli unbegrenztes Wa- chsen hervorgelit. BRUNO capovolge la dottrina di
Aristotele. Risolve arditamente e con grande acume il continuo ne’ minimi onde
liberarsi dalle contraddizioni svelate da SENONE DI VELIA, come farà poi
anche ma meno felicemente Hume, e accetta l’infinito nel grande: gli atomi e la
infinità del mondo. (V. Acrotismus, art. XLII, citato dal TOCCO, Le opere
di BRUNO, p. liti: De Minimo). Devcsi
però avvertire che il minimo è per BRUNO ancora una grandezza che ei pensa
giustamente, come fa anche Hobbes, relativamente trascurabile nel calcolo. Il
progresso infinito nelle divisioni è solo una continua possibilità dell’animo,
mai un’effettività. BRUNO non nega all’animo, all’immaginazione o alla ratio, a
distinzione della mensì di poter ulteriormente suddividere il minimo all’infìnito,
-- dum non promere subiectae credat con- formia rei. — Intìnitae
progressioni IMAGINATIONIS seu mathesis NATURA non respondet neque ullus
usus ARTI-FICIALIS obsecundat. De Min. I, 6, 7, 8. Tuttavia anche alla
matematica vorrebbe BRUNO dare una base atomistica, facendo valere pel concetto
del corpo matematico ciò che vale per quello del corpo fisico. In questo
anzi non sa BRUNO liberarsi dalla influenza dell’aristotelismo, pel quale
ciò che vale della materia doveva naturalmente valere dello spazio. Il suo
strano tentativo ricorda l’antica dottrina delle linee indivisibili o
atomiche di Senocrate, anch’essa stabilita per evitare le stesse contraddizioni
del continuo messe in chiaro dalla critica dei veliani (V. nello scritto -epì
à-riuiov ypaujLùv Apelt, Beitrcige z. Geschichte d. Griech. Philosoph.
dove ne è anche data la traduzione, p. 271 e seg.) Della dottrina
atomistica di BRUNO riconosce giustamente il merito Lasswitz (“ Bruno und die
Atomistik”, Viertelsjahrsschift f. icissensch. Tuttavia alcune importanti
considerazioni sono comuni al Cusano (1) e a quest’ultimo sulla natura
dell’infinito ossia sull’esistenza di un unico infinito in riguardo al
quale non possa esservi divisione possibile uè disuguaglianza se misurato immaginariamente
da misure differenti (2). L’infinito assoluto considera poi Spinoza
come dato nei noti due cerchi l’uno dei quali è dentro all’altro e che non
si toccano nè sono concentrici, esempio ricavato da Cartesio (Principii)
e da Spinoza medesimo già illustrato nella esposizione dei principii cartesiani
della filosofia. Ma come è impossibile che la materia mossa tra due
cerchi possa realmente dividersi all’infinito, cosi è impossibile farsi un
concetto di una infinità assoluta di disuguaglianze come effettuata
dalla relazione di quelli. Poiché data questa infinità non è nè può
essere. Altrimenti la potremmo anche pensare effettuata in un qualunque
segmento di linea da’suoi punti infiniti. Una tale infinità non può cosi
che venir riferita alla facoltà della nostra mente quale suo fondamento ;
non può esser che un caso di infinita possibilità come lo è quello
dell'infinitamente grande. Philos. Vili, 33): “BRUNO hat darci» (lcn
erkenntnisstheoretiscben Ausgangspunkt seiner Monadologie sicli das bleibendc
Verdienst erworben, den Atombegriff klar und wiederpruchslos dargestellt
zu haben. So lange das Atom nur als Letzes der Theilung gilt, blcibt es
immer fraglich, ob man auf ein solches Kommen masse. Erst die Einsicht,
dass es ein Krfordcrniss dcs Erkennens istein Erstes der
Znsammcnsetzung zn liaben, macht den Atombegriff za einem
nothwendigen. Cusano, Dada ignoranza. Già Aristotele tiene per
inapplicabile ad ogni grandezza l’intìnito attuale, ma perciò appunto ne
aveva rifiutato il concetto. Il caso (lei due cerchi si lascia
ricondurre a quello d’ogni grandezza continua. Ora l’esame del continuo
non può per sè mai darci l’infinito assoluto ; il continuo riceve i
termini che noi segniamo in esso senza lasciarsi però mai esaurire da
successive suddivisioni. Con ciò esso non ci dà che il campo di una regola
d’operazioni infinite, rimanendo pur sempre finiti i risultati di
queste. Che le parti del continuo non si lascino esprimere con alcun
numero (nullo numero explicari possunt) indica solo che sarebbe, contradittorio
pensare come raggiunto il risultato d’una operazione infinita ossia da
ripetersi senza fine. Il continuo non ci dà insomma che l’infinito
relativo. E così ciò che Spinoza distingue dall’infinitamente grande non è in
realtà l’infinito assoluto. Esso è soltanto lo stesso infinito relativo
nella direzione opposta del primo, ossia nella direzione del piccolo (1).
Ammette inoltre Spinoza che l’infinito propriamente detto può esser
suscettibile di più e di meno. Ma non è esso allora cangiato nel finito?
(2) e non dice egli altrove (3) che (1) SPAVENTA, Saggi critici, p 256-7,
seguendo Hegel trova la distinzione dello Spinoza dell'infinito della
immaginazione da quello dell’ANIMO veramente profonda, e ravvisava in
questo ultimo fissato il concetto dell’infinito assoluto che trascende
ogni determinazione. Infatti però esso non può rappresentare che lo
stesso infinito della immaginazione. (2) Vedi lettera XXIX. In
complesso questa importante lettera parmi mostrare molta incertezza
malgrado il tono suo dommatico e tanto sicuro. I due unici esempi che Spinoza
porta dei molti che ei dice avrebbe potuto addurre dell’infinito dell’ANIMO,
non sono omo-genei. La infinità dei moti che furono, e la infinità delle
disuguaglianze dei due cerchi non cadono sotto uno stesso concetto. Lo stesso
abbiamo notato del transfinito o trasfinito di Cantor, il quale dovrebbe
del pari esprimere appunto e l’intervallo ( 0.1) come totalità infinita, e
il complesso della serie dei numeri intieri positivi. (3) Etica, I,
prop. XV. è un assurdo che un infinito possa essere il doppio
di un altro? A questo assurdo risultato arrivano tutti quelli che
pensano potersi DARE L’INFINITO NEL FINITO medesimo. Di Locke s’è visto
qual razionale concetto egli ha dell’infinitamente piccolo e grande. Locke non
sa tuttavia considerare l’infinito altro che nella illimitata addibilità e
divisibilità, per cui non intese l’infinito assoluto. Locke analizza con una
grande acutezza soltanto le funzioni dell’ANIMO in riguardo all’infinito,
non però il riscontro loro oggettivo. Infatti e questo per Locke
ancora Dio, il quale oltre i confini raggiungibili dal nostro ANIMO
coll’illimitato progresso, riempiva tanto l’infinito del tempo che quello
dello spazio (1). Ed è cosi che Locke puo pensare esser l’idea positiva
di infinito troppo ampia per una capacità finita e angusta come la nostra
(2). Kant scioglie trionfalmente tutte le difficoltà che incontra Locke
nell’esame dello spazio (3), e fissa l’idealità di questo. Una idealità
che se è conseguenza delle stesse ragioni che l’avevano fatta necessaria
ai veliani, à però, un significato e una giustificazione scientifica di gran
lunga superiore. Ma quanto al concetto proprio di infinito Kant non fa un
passo oltre Locke. E neppure Hume e andato più oltre sulle tracce di
quest’ultimo. E’ non sa anzi per il metodo suo empirico apprezzare la bella
trattazione lockiana dell’infinito, in cui la funzione SINTETICA dell’animo
trovava una cosi Locke : Essay on Human Under ai. giusta e
importante bencliè non del tutto consapevole applicazione. Hume, senza
esaminare particolarmente l’infinitamente grande, si volge in special modo a
considerare l’infinito nel piccolo. Ciò che più, come già GIORDANO BRUNO, imbarazza
il grande scozzese è la considerazione della infinità nel continuo, ossia della
infinita divisibilità, la quale egli non distingue dall’infinito esser
diviso, ossia dalla infinita divisione effettuata (2). Il suo empirismo,
confondendo il reale colla forma, lo porta a stabilire lo spazio come
composto di punti visibili e sensibili (meno risolutamente però nella “Inquiry”)
; e il tempo della somma dei minimi delle sensazioni. Come può, si
domanda egli, un infinito numero di infinitamente piccoli non dare una
grandezza infinitamente grande? o, come può un tal numero esser compreso
allo stesso modo in una data grandezza che in una doppia di quella?
Come può passare il tempo da un punto all’altro per un numero infinito di
parti reali successivamente esaurientisi ? Sono in conclusione le stesse
contraddizioni svelate dapprima da Senone di Velia, l’amato di Parmende. Senone
conclude col negare lo spazio e il moto. Hume invece accusa L’ANIMO STESSO
senza dare soluzione alcuna definitiva. L’aver confuso la forma col reale, e il
non aver più acutamente esaminate le funzioni sintetiche dell’ANIMO sono
la ragione della infruttuosità delle sue ricerche sull’infinito. Locke è
insomma l’unico tra’ filosofi moderni, o alti) Treaiise; Essays, edizione World
Library. Exsai/s, pag. 379. (4; Hume: Essai/s. meno sino
a Diiliring, che segna un notevolissimo progresso nella razionalizzazione del
concetto di infinito. D’altra parte tra’ matematici, dopo le lunghe discussioni
sulla natura dell’infinitesimo, si fa strada, è vero, con Carnot, e
con Cauchy, in séguito, l’opinione della arbitrarietà del differenziale,
ma riman pur sempre come sfondo oscuro l’infinito esatto, una sfinge che i
matematici dichiarano spettare AL ONTOLOGO di interrogare. E con ciò la
mente è ben lontana ancora dal trovarsi appagata. Con Gauss poi, e
dietro a lui con Riemann e con Steiner e con tutti i geometri
anti-euclidèi, la nebbia che avvolgeva l’infinito s’è fatta ancora più
fitta, e rimarrà cosi quale indizio dello spirito mistico dell'epoca
nostra, la quale non sente quel bisogno vivo e quell’amore della
chiarezza che cosi grande aveva il secolo decimottavo Nfe i filosofi del
nostro secolo sono certo fatti per confortarci della mistica incertezza dei
matematici e sbugiardare così il notato carattere generale dello spirito
del decimonono dicontro al secolo precedente. (V. più sotto di Hamilton e
Spencer n. 8). Dove l’universo, come presso Democrito e gl’epicurei, o
presso GIORDANO BRUNO e Spinoza si stabilisce dommaticamente infinito, l’ONTOLOGIA
non s’è ancor spogliata di tutti gli elementi puramente poetici. Col
criticismo mo¬ derno la questione della reale estensione dell’universo
si è fatta essenzialmente empirica. La illimitatezza della no¬ stra
concezione dello spazio non ci garantisce una infinità oggettiva materiale. Empiricamente
non si lascia dimostrare nè la finitezza nè la infinità
dell'universo; È chiaro che chi volesse supporre un riscontro materiale
assolutamente completo della nostra concezione infinita dello spazio correrebbe
dietro una chimera. La nostra rappresentazione dello spazio il la sua
spiegazione nella costante unità della coscienza e nella sua libertà del
porre e dell’oltrepassare continuamente il posto. Ora a questa funzione
de nostro ANIMO non si deve attribuire senz’altro un carattere oggettivo.
Al contrario fa il Urtino infinito il mondo appunto perchè è infinito lo
spazio, ritenendo che la materia stia allo spazio come questo a quella: “
e se non v’ha differenza tra spazio e spazio, non c’è nessuna ragione che
solo quel breve tratto occupato dal nostro sistema planetario sia pieno e
tutto il resto dell’immenso spazio vuoto. „ Cfr. Schopenhauer (Die Welt
als Wille ecc.). il quale commenta gli argomenti affatto ineritici di BRUNO
e vorrebbe farli servire a dimostrare anche la infinità del tempo.
altro che il finito noi non possiamo raggiungere e non possiamo mai
giudicare se altro non vi sia più oltre da raggiungere nella realtà. Se
essa stessa abbia o no dei limiti come gli à costantemente la nostra RAPPRESENTAZIONE.
L’infinito COME TALE non può diventar oggetto DELLA NOSTRA ESPERIENZA. Ma se
questa è per la sua natura limitata, non perciò dobbiamo pensar limitata la
realta inconscia. Il concetto nostro dell’universo sarebbe dunque sempre
solo comparativo. Certo è però che praticamente l'universo sarà per noi
costantemente finito, poiché altro che in limiti finiti non può venir da
noi conosciuto. Il principio della costanza della materia e della forza
non basta, come crede Rielil (1), a dimostrare la finitezza della massa
dell'universo. Seia massa si fa infinita, dice Riehl, verrebbe a mancarle
con ciò ogni determinazione quantitativa, il che è incompatibile col
concetto stesso di massa. Ogni determinazione le mancherebbe
però naturalmente se considerata solo nella sua
trascendente totalità, non mai invece nel finite. Nè d’altro che di
masse finite può aver ad occuparsi l’uomo. Il grande principio della
costanza della materia e della forza, nota ancora Riehl, diventerebbe una mera
e inutile TAUTOLOGIA, data la infinità loro. Non potendo evidentemente
l’infinito venir nè aumentato nè sminuito. Neppur questo è giusto. Il
principio in discorso sarebbe tautologico se stabilisse appunto la costanza
della materia infinita come tale. Non se, come esso fa, stabilisce quella
del finito in essa datoci. Infatti la conservazione costante del
finito [Riehl, Ber pMosoph. Kriticismus. non è (lata analiticamente
colla inalterabilità quantitativa dell’infinito, poiché come l’infinito non è
toccato da addizione o sottrazione, cosi potrebbe, posta infinita
la materia, il finito in essa assolutamente crearsi o annichilarsi senza
contraddizione alcuna. G. Mentre la estensione e la massa dell’universo
sono presumibilmente finite, ma nessuna necessità apriorica od
empirica ci sforza a pensarle piuttosto finite che infinite. In riguardo al
tempo concorrono invece necessità dell’esperienza e dell’ANIMO a farlo
nel REGRESSO assolutamente infinito. Il problema cosmologico del tempo non à
tuttavia avuto sinora una soluzione definitiva. A il tempo reale mai avuto
principio? Vi fu nell'universo o nell’essere un primo cangiamento? E se il
tempo non à avuto principio, ed è nel passato infinito, come può
senza contraddizione venir pensata cotesta sua infinità? Che il
cangiamento abbia una volta cominciato è, per il principio di causalità,
impossibile ammettere. La ausa di un cangiamento deve cercarsi a priori
in un cangiamento anteriore e cosi via all’infinito. Un cangiamento
assoluto è empiricamente impossibile e a priori inconcepibile. Vi sono
nell’essere ultime ragioni dei processi, ma non ultime cause. In ogni
punto del tempo è esistita la serie delle variazioni. Non che nel
concetto di sostanza si trovi unita necessariamente coll’esistenza
l’azione, come crede il Rielil, e che non lasciandosi quindi
disgiungere il fare dell’essere dalla sua esistenza, venga ad esser
perciò inconcepibile la sostanza scompagnata dal cangiaménto.
Inconcepibile sarebbe solo una esistenza vuota, ossia scompagnata dalla
essenza. La forza potrebbe però concepirsi ovunque come in equilibrio
stabile, e con ciò l’universo come privo di ogni mutamento. Vi è una
condizione del divenire cbe non entra mai come membro nella serie causale
-- è questa il fondamento ultimo d’ogni fenomeno, la ragione della loro
possibilità. Un tal fondamento riman quindi come fuori del
tempo ossia veramente ETERNO, senza origine nè fine. Non è cosi dei
cangiamenti o degli stati momentanei dell’essere. Lo stato precedente a un
DATO momento nella serie molteplice dei cangiamenti, se fosse sempre esistito,
non avrebbe mai prodotto un effetto cbe si origina solo nel tempo;
auche quello deve dunque aver avuto una causa, e cosi all’infinito. Delle
cause non ve ne può essere una cbe da sè inizi assolutamente una serie; ogni
causa di cangia¬ mento è essa stessa un cangiamento, e suppone con
ciò un’altra causa, un altro stato cbe la spieghi. Tutto è seguenza nella
serie, e un principio assoluto è un assurdo. Una prima causa del
cangiamento per cui avvenga qualcosa cbe anteriormente non era, non è in alcun
modo a connettersi coll’esperienza. La fine della primitiva
quiete nell’ essere senza una causa che la faccia cessare è un
pensiero irrealizzabile. Esprimerebbe una spontaneità incomprensibile, anche
formalmente, cbe noi non possiamo accettare sensa derogare alle leggi
della conoscenza e della natura. Come la legge della causalità non conduce
fuori della causalità empirica (all’Assoluto), cosi non conduce fuori del
cangiamento. Esenti da mutazione rimangono soltanto la sostanza e le
sue qualità originarie, ossia in generale gli elementi, per cui solo sou
possibili le variazioni. La causalità è applicabile unicamente ai
cangiamenti, di modo che causa di un cangiamento non può mai esser che un
altro can¬ giamento, non una cosa come tale. E quindi unicamente
l’ideniico che sta a base del vario FENOMENICO che non à nè causa nè
ragione, se non quella almeno che con Schopenhauer potremmo chiamare la
ragione dell’essere, o di identita. La medesimezza con sè stesso è
infatti la ragione della sua eterna esistenza. Dove non c’è variazione
non c’è causa da ricercare. Poiché causa non è che la ragion reale del
cangiamento. Una variazione che non procedesse in base a qualcosa di
stabile è un assurdo. Degli elementi non si dà quindi nè generazione nè
corruzione alcuna. L’essere non è mai causa; le cause che la scienza
rintraccia sono cangiamenti, e le leggi sono la uniformità e costanza del
loro succedersi. Tanto l’essere universale quanto la materia e la forza
sono fuori della catena causale. Nn sono per sè causa, si bene la
ragione della connessione stessa causale. E cosi l’essere non si
può porre quale ultimo anello della causalità. Tanto il più remoto
fenomeno immaginabile quanto il presente presupponendo l’essere, il fare
dell’essere. Un sistema dinamico non può mai per sè stesso originarsi da
un sistema STATICO, come neminanco può a questo passare. Sempre le forze
si son misurate a vicenda, ed elementi di esse si son fatti equilibrio ed
altri ànno prodotto dei cangiamenti col lavoro meccanico; ed equilibrio e
lavoro sono sempre stati necessari da una parte per conservare i
cangiamenti lenti concretatisi, ossia in generale le forme durevoli, e
d’altra parte per alimentare la vicissitudine o la vita nell’essere. Il
voler dunque tro¬ vare un principio della mutazione sarebbe lo stesso
che credere che la materia una volta non sia esistita. Il sor¬ gere
della coscienza a un dato momento nell'universo, che il momento innanzi
noi possiamo immaginare come affatto privo di vita conscia, non è uua
creazione assoluta, nè rappresenta una infrazione alle nostre leggi
della conoscenza dell’animo. Perchè quell’apparizione della vita conscia
noi non l’abbiamo a pensare che come una combinazione di elementi,
nè di elementi v'è creazione, poiché essi esistono eterni. Pensare la
combinazione come occasionata dallo svolgersi delle variazioni non à
nulla di sovrannaturale. Certo la coscienza nella sua natura generale non
à causa; ad essa come agli elementi ultimi d’ogni realtà è applicabile
soltanto ciò che s’è detta la ragione dell’essere. Altra è però la
questione della sua fenome¬ nologia- In questa come nella fenomenologia
generale la causalità à il suo regno. Se la coscienza al pensiero
si presenta come originata dal NULLA, gli è perchè le sue cause,
nella loro natura oggettiva materiale, non possono in essa evidentemente
comparire. Gli elementi di coscienza, o meglio le disposizioni alla coscienza
nella realtà inconscia sono ora come latenti o neutralizzate: una
data combinazione materiale ecco ne suscita la luce subitanea. Il
sorgere del cangiamento in generale implicherebbe invece una derogazione
alla legge fondamentale dell’ANIMO; noi non lo possiamo in modo alcuno
concepire, e la realtà empirica ci costringe ad ammettere il contrario. Il
variabile non è per sè stesso intelligibile senza un identico a sostrato.
La identità dell’io come dà origine alla ragione logica cosi la dà a quella del
cangiamento reale. Le diiferenze come tali non possono farsi contenuto
della coscienza. Per esserlo anno a venir riferite a una totalità identica.
Ammesso che cangiamenti potessero avvenire senza conseguire ad altri,
verrebbe a mancare la connessione dei fenomeni secondo leggi costanti. Il concetto
di natura perderebbe la sua unità e l’ONTOLOGIA con ciò ogni fondamento.
Le leggi dell’animo si incontrano invece con quelle della realtà. È chiaro
che come l’animo è la condizione inevitabile della esperienza, e con ciò
del nostro mondo fenomenico, cosi le sue leggi o funzioni generali devono
anche di quello esser leggi a priori, o assolutamente valide
indipendentemente da ogni esperienza. Ciò non toglie tuttavia che coteste leggi
possano venir trovate, come vengono in realtà, consone alla natura propria
delle cose, ossia non imposte loro direi quasi arbitrariamente, perchè
nelle cose sono le stesse leggi quantunque impensate. Che anzi in
riguardo al fatto dell'esperienza, in riguardo alla unità sistematica
dell’essere e dell’ontologia, potrà trovarsi necessario di veder nelle
leggi che la coscienza applica a priori alle cose nuli’altro che un
riverbero o meglio null’altro che l’espressione soggettiva delle
determinazioni autonome della stessa realtà inconscia. Ponendo un
principio del tempo reale e con ciò un cominciamento delle causalità non
si sfugge d’ altronde alla domanda. E perchè non prima? Se il primo
cangiamento non ebbe causa, o perchè è esso avvenuto
solo, mettiamo,parecchi quadrilioni di secoli fa? È vero che non
si ammette una causa che l’abbia chiamato all’esistenza, ma nemruanco
si dice che qualche cosa l’abhia impedito di nascere prima. Per questo,
per quanto lo si allontani dal presente, esso riesce sempre troppo
vicino. Richiamarsi alla originarietà dell'essere come fa Duliring,
alla sua effettività indipendente da ogni pensiero e da ogni
ragione, richiamarsi alla natura della realtà inconscia, cui il pensiero
non può mai ricevere completamente in sè stesso, mai fondare in senso
assoluto, ma soltanto ammettere come fatto, non è permesso quando intanto
alla stessa effettività della natura impensata dell’essere evidentemente
si contraddice. Si contraddice, dico, poiché, lasciando da parte
l'analogia del pensiero che ammesso il cangiamento non sa vedere come
esso possa originarsi in modo assoluto, noi non abbiamo in realtà
conoscenza alcuna di un cangiamento cui un altro non preceda, ogni
cangiamento che apparentemente si presenta come tale — il nuovo
nell’evoluzione — noi lo riduciamo è vero alle forze o forme, agli
elementi costanti dell’essere de’ quali non c’è ragione a domandare. Ma il
perchè della loro manifestazione appunto in un tale momento e non
in altro, è nell’ininterrotto cangiamento collaterale, occasionai e in rapporto
a quello. Ben possiamo invece richiamarci noi alla assoluta autonomia della
realtà, che nulla ammettiamo contro il suo reale manifestarsi,
quando diciamo che in senso assoluto non c’è una ragione del perchè
quest’oggi, poniamo, sia proprio ora e non sia già stato in passato o non
abbia piuttosto a venire in futuro, che v’è tanto poco ragione di questo
suo essere Logik. il, Wiscnschaftsftheorsie, presente che della esistenza
stessa universale : dacché come questa non à inai avuta fuori di sè la
ragione del suo essere, così nemmanco il suo fare, il suo divenire interno.
In qualunque punto del tempo noi fissiamo l’essere, non lo troviamo
mai privo di determinazioni, perchè queste sono autonome; e dal suo stato in
dato momento dipende ogni sua ulteriore evoluzione ; come però non c’ è
un momento in cui l’essere non sia, nemmanco ve n’è uno in cui esso non
abbia un suo stato determinato. E cosi che del divenire v’ è sempre la
ragione in un divenire anteriore, ma del divenire in senso assoluto, v’è
tanto poco un perchè quanto dei suoi durevoli elementi. In ciò che
esiste è la ragione di ciò che esisterà ; in ciò che à esistito la
ragione di ciò che esiste. Nella origina¬ ria nebulosa è la ragione
dell’attuale disposizione del sistema nostro solare, ed in altri processi
cosmici ebbe essa stessa la sua origine, i quali se la scienza non
può oggi rintracciare, non è però assolutamente impossibile che un
giorno ella trovi, e che ad ogni modo sono necessariamente avvenuti. Il
cangiamento non à dunque avuto principio. Ed ecco appunto dove sorgono
specialmente gravi, e a molti filosofi son parse insormontabili, le
difficoltà del problema cosmologico del tempo. Si è sempre trovato,
e Cusanus, Opera, Complementura theologicum, Si enim numerare
possumus decem revolutiones praeteritas, et centum, et mille, et omnes. Si
quis dixerit non omnes esse numcrabiles, sed practeriisse infinitas, et
dixerit imam futuram revolutionem in futuro anno, essent igitur tunc
infinitae et una, quod est impossibile. Bacone, Novum Organimi , odi/.. Fcllow, Ne-
Kant è il filosofo che più vi à attira’ o l'attenzione, che
ponendo la mancanza d’ogni principio nella serie regressiva delle cause, si
viene conseguentemente ad ammettere che un’infinità di cause si sia esaurita,
una infinità di cangiamenti sia realmente tutta trascorsaci che
contraddice al concetto di infinito, ed è quindi assurdo accettare. Non solo Kant,
ma anche, tra gli altri, il più acuto forse dei filosofi post-kantiani,
Duliring (1) trova qui una insuperabile contraddizione, ed è stato da essa
spinto a stabilire che il cangiamento nel mondo abbia ad un dato punto
cosi casualmente senza ragione alcuna avuto un assoluto principio
nell’essere, cosa evi- quc.cogitari potest quomodo seternitas
dofluxerit ad lume diem; cum distinctio illa, quae recipi consuerit. quod
sit infinitum a parte ante et a parte post, nullo modo constarò possit;
quia inde sequeretur quod sit unum infinitum alio infinito maius, atque
ut consumetur infinitum et vergat ad finitum. Hobbes, il quale dichiara
insolubile la questione dell’ infinito in riguardo al problema
cosmologico, ammette tuttavia cautamente la infinità del tempo nel
passato e non si lascia ritenere dalla contraddizione di un infinito maggiore di
un altro che sarebbe data dalla relazione dell’infinito passato a momenti
diversi della serie temporale. Non sa però pensar l’infinito assoluto in
modo razionale poiché crede di vincere quella supposta contraddizione
obbiettando: « similis demonstratio est siquis ex co quod numerorum
parinm numerus sit infinitus, totidem esse conclu- deretur numeros pares
quod sunt simpliciter numeri, id est pares et impares simul sumpti ». De
corpore La impossiblità del “regressus in infinitum in causis efficienticibus”
REGRESSUS IN INFINITUM -- e un principio riconosciuto della scolastica. È vero
però che gli scolastici lo facevano ancor più che a dimostrare un principio del
tempo, o, secondo loro, del mondo, servire a dimostrare (seguendo
Aristotele nella sua dimostrazione del PRIMO MOTORE) la necessità di una
prima causa assoluta. ossia ontologica. Cfr. il libro apocrifo Idella “Metafisica” di
Aristotele, secondo il quale non solo la serie delle cause nel passato, ma
anche quella del futuro sarebbe contraddittoria. Cursus der Philosophie,
Logik. luoghi citati. dentemente assurda, e tanto più per chi come lui è
sur un terreno affatto critico e scientifico. Io trovo al contrario che
la illimitatezza della serie regressiva dei cangiamenti si lascia senza
contraddizione alcuna concepire infinita o, più propriamente,
assolutamente infinita. Dtlliring, non à compreso come l’infinito assoluto
possa attribuirsi anche a ciò che è per sé numerabile. E cosi alla
infinità dei cangiamenti nel tempo ritroso, che è l’unico caso dove una tale
applicazione sia necessaria, egli à fatto invece quella ingiustificata
della sua manchevole legge del numero determinato. La difficoltà da me
superata sta in questo, cui nessuno, per quanto io mi sappia, à mai badato
sin’ora (I). I cangiamenti infiniti di cui si discorre non
involgono contraddizione perchè essi non sono nè furono mai dati come
totalità, ossia come complesso di una serie infinita. Acciò la
contraddizione esistesse, bisognerebbe che s’ammettesse tacitamente un
principio del cangiamento. Di fatti altrimenti nell’assenza d’ ogni
principio come si può dire. Ora, in questo momento si è esaurita uua serie
infinita di cangiamenti ? Ma da quando dunque? Si pensa con un tratto
indefinito di tempo di avvicinarsi di più all’ infinito del passato, mentre
in- -- Questa soluzione è gù brevemente enunciata nella mia “Lettera
filosofica” a I Simirenko” (Torino, Roux). Schopenhauer, Parcrga u.
Paralipomena: Wenn cin erster Anfang nicht gewesen wure, so tornite die
jetzige reale Gegenwart nicht erst, jetzt seyn, sondern wiire schou
liingst gewesen, dcnn zwischen ihr und dem ersten Anfange miisscn mir
irgend einen. jedoch bestimmten und begriinzten Zeitraum annehmen, der
min aber, wenn wir den Anfung liiugnen, d. h. ihn ins Unendliclic
hinaufruckén, mit hinaufriickt, ecc. ecc. E vece noi ne rimangbiaino
sempre alla medesima distanza. Qualunque punto del tempo si scelga, anche
milioni di milioni di secoli addietro nel passato, noi siamo sempre tanto
vicini lo stesso all’infinito di prima. Come noi per quanto risalghiatno
addietro non possiamo esaurire l’infinito che fu, cosi non dobbiamo
inavvertentemente ammettere che l'essere sia ne’ suoi cangiamenti
partito da un punto per quanto distante da noi. Poiché in realtà
ogni e qualunque suo cangiamento ne à sempre avuti dietro a sè una stessa
infinità di altri. Non è che l’essere avendo dovuto compiere i cangiamenti in
senso inverso di quello che noi tenghiamo nell’abbracciarli venga con ciò
ad aver esaurito una infinità di variazioni. Il tempo nella sua durata
bisogna considerarlo analogamente a una retta che in una direzione è
assolutamente infinita e nell’altra in ogni momento terminata, ma
prolungabile a piacere all’infinito. Come non implica contraddizione far
terminare a un punto una linea assolutamente infinita, cosi non la implica il
passato assolutamente infinito che si termina nel presente e può prolungarsi
senza limite nel futuro. L’errore di Kant e di Diiliring e di tanti altri
sta nel credere che posta la serie regressiva infinita si abbia con ciò
una totalità infinita. L’infinito passato invece non è nè può essere un tutto,
e non ammette quindi alcuna determinazione numerica, pur contenendo in sè
ogni numero. Tale infinità non involge, come crede Diihring,
l'assurdo di una contata (o percorsa , come direbbe Kant) serie infinita (“den
Widerspruch einer abgezàblten unendlicher Zalilenreihe”). In qual modo potrebbe
una tal serie esser contata? Non s’accorge Diihring che con ciò egli
ammette già quello che ei vorrebbe dimostrare, ossia un principio del tempo
reale? In verità è quella serie non contata, ma innumerata e innumcrabile,
ciò che detto di un infinito non inchiude punto contraddizione. Il moto
non à principio nel tempo, e: sino a un punto qualunque del tempo è
trascorsa una infinita serie di cangiamenti — non si equivalgono esattamente.
Con è trascorsa si vorrebbe tacitamente porre come dato ciò che è
impossibile a darsi. Di fatti la contraddizione scompare subito che si
dice: la serie dei cangiamenti nel passato è infinita. É trascorsa sembra
rinchiudere l’idea di un punto iniziale della serie, dove (die i
cangiamenti non si possono considerare un tutto o come serie completa
senza contraddire al concetto di ogni assenza di principio. Una infinità
di cangiamenti, una infinità di momenti del tempo non è trascorsa,
sibbene l’infinito trascorre sempre, e in ogni momento è esistita la
serie dei processi. La successione perpetua è appunto la forma
della infinità del tempo. Se si dice che l’infinito è trascorso si
scambia, a jiarlar esattamente, il suo concetto, ponendo in vece sua
quello del finito, o almeno si combinano insieme due concetti incongruenti.
Poiché ammettendo che una infinità di movimenti è trascorsa o s’è esaurita
nel passato, noi raduniamo in un tutto ciò che per sua natura non
può mai venir radunato. Il concetto di infinito e quello di totalità sono
incommensurabili.Una totalità è sempre raggiungibile con una sintesi successiva
delle sue parti, non cosi l’infinito. Diciamo invece. Le serie dei cangiamenti
del passato è infinita — quale contraddizione nel pensare che ogni
cangiamento avvenuto è stato preceduto da un altro? Dov’è qui l’assurdo
di un tatto infinito che avrebbe dietro a sè ogni momento del tempo? I fenomeni
per sè non suppongono se non i fenomeni che immediatamente li precedono ;
e come non c’è qui contraddizione, cosi per quanto noi ci trasportiamo addietro
nel tempo, mai la troveremo. Come à fatto il tempo reale a giungere
all’ora presente dall’infinito? È potuto giungere dall’ infinito
perchè non è mai partito. Se fosse a un dato punto partito non sarebbe potuto
giungere. E tanto concepibile l’infinito verso il quale tende la serie che
quello dal quale essa procede. Nell’un caso e nell’altro si deve
solo avvertire di non fare un insieme o un complesso di ciò che non
è mai dato come tale, ossia un insieme in cui ogni momento dell’ infinito
fosse anticipatamente compreso. Kant nella prima ANTINOMIA spiega dapprima egli
stesso che l’infinità di una serie consiste nel non poter
questa venir mai compiuta per mezzo di una sintesi successiva e che
il CONCETTO di fatalità non è altro che la rappresi) Schopenhauer crede di
sciogliere il sofisma Kantiano con un altro sofisma, distinguendo tra
assenza di principio e infinità del tempo. Schopenhauer cosi infatti
obbietta alla tesi della prima ANTINOMIA. Uebrigens besteht das Sophisma darin,
dass statt der Anfangslosigkeit der Reihe der Zustànde, ivovon zuerst die
Rede, plutzlich die Endlosigkeit (Unendliclikeit) derselben
untergeschoben und nun bewiesen wird, was Xiemand bezweifelt, dass dieser
das Vollendetsein logisch widerspreclie und dennocb jede Gegenwart das
Ende de Vergangenheit sei. Das Ende einer anfangslosen Reilic làsst sich
aber immer denken, oline ihrer Anfangslosigkeit Abbruok zu tbun : wic sich
aneli umgekehrt der Anfang einer endlosen Reihe denken làsst. “Die Welt als
Wille” ecc. “Kritik der reinen Venunft”, ed. Kirchmann p. 3G4, 3GG, 3G0. 4G
sentanone della sintesi completa delle sue parti. Dunque anche secondo lui
dovrebbe il concetto di totalità non esser applicabile ad una serie
infinita. Tuttavia per dimostrare che le cose coesistenti non possono
essere infinite, alla loro infinita sostituisce egli appunto il concetto
contradittorio di un tutto infinito. Ed à bel giuoco nel rigettare quindi
un tale assurdo. Ecco la sua dimostrazione . un tutto infinito per venir
pensato tale dovrebbe lasciarsi esaurire per mezzo di una sintesi successive.
Ma l ’infinito non può mai venir cosi esaurito, dunque una totalità
infinita di cose coesistenti non può considerarsi come data. Insomma dice Kant
: una infinità non potrebbe venir numerata ossia non potrebbe esser
finita, dunque non può esser data; vien rigettato l’infinito
semplicemente perchè è altra cosa che il finito. Non l’nfinito per sè, solo
l’infinito nel finito è realmente un assurdo, poiché come tale dovrebbe
esser necessaria¬ mente dato tutto. Ogni insieme di cose deve perciò
con¬ tenere soltanto un numero finito di elementi numerabili. Ma
quanto al temilo non c’è ragione di negarne la infinità ; numerabili sono
i processi da un punto a un altro della serie, non la serie stessa in
senso assoluto, perchè ella non è mai data come un tutto, Is
eli infinito assoluto o transfinito che è proprio del tempo, non abbiamo
più veramente una grandezza ma 1 assenza di essa, poiché è data la
necessità della man¬ canza di un limite nel regrèsso, ed una tale
mancanza è oggettivamente mallevata come nello schema spaziale
della mente essa lo è soggettivamente. La ragione della infinità dello
schema spaziale, come di quella della serie dei numeri sta nel soggetto ;
la infinità invece della serie causale à la sua ragione nell’ oggetto o nella
realtà estramentale. E appunto solo nell’infinito del tempo passato che
si lascia necessariamente attuare un significato reale del transfinito.
Poiché una simile illimitatezza assoluta è bensi anche dello spazio, ma
soltanto dello spazio ideale o matematico, in quanto questo viene ogget-
tivato e lo possibilità che realmente è solo nella funzione mentale vien
naturalmente considerata come oggettiva e per sé esistente
indipendentemente da noi. L’infinità del passato non à, come tale,
determinazione alcuna quantitativa, non si lascia esprimere col numero ; in
essa è invece ogni numero e può porsi ogni determinazione rimanendo ella
assolutamente indeterminata. Cosi la distanza di due punti nel tempo, per
quanto grande la si immagini, se si à riguardo alla sua relazione
all’infinito del tempo anteriore, non significa nulla per questo appunto
che l’infinito assoluto essendo propriamente la negazione di ogni
grandezza nel grande non può venir posto in relazione con altre
grandezze. La nostra fan¬ tasia non può correre che all’ infinitamente
grande del passato. SOLO L’ANIMO ne intende la infinità assoluta.
Della seriedel tempo non possiamo ottenere una assurda totalità ; per
padroneggiare quella bisogna uscire dal cangiamento e volgersi al
fondamento della infinità temporale, ossia all’essere come presente in
ogni momento e come fonte d’ogni possibile. Meravigliarsi che la
più grande grandezza immaginabile non sia più vicina all’infinito assoluto che
la più piccola, è analogo al meravigliarsi che la più ampia conoscenza
dei fenomeni non arrivi più vicino alla cosa in sè che la conoscenza più
limitata. Qui come là si tratta di una differenza qualitativa che nou si
lascia esaurire pei aiiazioni di quantità. L’apparente paradosso
che con una comunque grande grandezza non s’è mai più vicini che con
altra infinitamente minore al transfinito, riposa in questo, che le due
grandezze vengono riferite a quello senza mantenere di esso il giusto
concetto, ma consideiandolo invece come una quantità determinata;
nel qual caso sarebbe veramente un assurdo dire che da esso disti
ugualmente un dato punto e un altro che fosse prima o dopo di questo.
Come nel transfinito del passato non c è assolutamente un termine, cosi
esso non è raggiungibile in alcun modo; dunque tutte le grandezze sono
per riguardo ad esso insignificanti. Parimenti è un assurdo credere di
poter addizionare una unità al transfinito o trasfinito. Si può solo
addizionarla al finito. L’accrescimento esisterà pertanto in riguai do ad un
segmento finito di retta, ma non in riguardo alla retta stessa nella sua
infinità. In una retta infinita nelle due direzioni è indifferente il far
la divisione più in un punto che in un altro da quello lontanissimo ; le
due rette risultanti sono sempre lo stesso transfinito e con ciò sempre
uguali. Nella retta co’_a _b _m rx - A — Aoo e oo’B ossia (
co’A-H AB ) — B oo uguale cioè (A oo — AB). Si vede cosi contrariamente
alla dottrina di Cantor. Dice Cantor. Zu einer unendlichen Zalil, wenn sie
als bestimmt und vollendet gedacht wird, selir «ohi cine endliche
hinzu- gelugt und mit ihr vereinigt werden kann, oline dass kierdurch
eine Aufhebung der letzeren bewirkt wird ; nur der umgekerte Vorgang,
die llinzufugung einer unendlicker Zahl zu einer en dlicbcn, wenn
diese che oo-t-1 ( <> —J— 1 secondo la sua notazione) non è maggiore
di <», nè 1-f-o è differente da essendo co’A + A B = A B + oo.
Non v’è infinito maggiore d'altro infinito: tanto sarebbe infinito il tempo
ritroso se la serie dei cangiamenti fosse terminata migliaia di
secoli fa, quanto se esso continui all’infinito a trascorrere an¬
cora. Il passato si può misurare tanto a minuti che a secoli, e dirlo
eguale, se fosse lecito così esprimersi, a numero infinito di minuti o a
uno infinito di secoli; non pertanto sarebbe sempre lo stesso infinito nè
più nè meno. E la ragione di ciò è che la quantità transfinita non
è misurabile. La immensità supera ogni numero, come direbbe
Spinoza. Nella infinita serie delle cause è da pensarsi un numero
di esse (se tale può chiamarsi), maggiore di ogni numero assegnabile ;
oltre ogni raggiungibile anello la natura ne offre costantemente altri
ulteriori. Nella na¬ tura la contraddizione non può esistere ella non
ef¬ fettua il passaggio che da un momento a un altro ; e questo
passaggio non può farsi attraverso l’infinito. Per quanto noi risalghiamo
all’indietro nella serie causale, come non troviamo contraddizione pel
pensiero, cosi non la troviamo nella realtà. Essa ci offre sempre e solo
un ziierst, gesetzt wird, bewickt die Anfhebung der letzeren, ohne
dass eine Modification der ersteren eintritt. (Grundlagen ecc.); e più
oltre: “Ist co die erste Zalil der zweiten Zalilenelasse, so iiat man:
1+01=10, dagegen u> 4 .i-=(coq-l), wo (co- 1 - 1 ) eine von co durchaus
verschiedene Zahl ist. Aiif die Stellung des Endliclien konmtes also alles an. Una
tale inapplicabilità della LEGGE DI COMMUTAZIONE ai numeri transfiniti o
trasfiniti dovrebbe per Cantor servire inoltre a dimostrare come tali numeri
debbano poter essere e pari e dispari insieme o anche nè pari nè dispari.
. 5dato cangiamento e la sua causa. II fenomeno non richiede per la sua
spiegazione la totalità della serie delle cause anteriori, si bene
soltanto la causa immediata¬ mente antecedente; e il principio di ragione
domanda uni¬ camente la immediata condizione e non una totalità di
condizioni. In quanto la stessa richiesta si rivolge suc¬ cessivamente
alla causa della causa e cosi via all’infi. nito, si viene a domandare
costantemente una nuova con¬ dizione e questa è un nuovo membro della
serie e niente di più. Al tempo è essenziale la posizione in atto di
un solo momento. Fatta astrazione dai cangiamenti, e supposto
l’essere affatto immoto in una rigida stabilità assoluta, noi lo
poniamo però sempre in qualunque punto del tempo ideale che noi fissiamo
; la sua esistenza la poniamo cosi necessariamente infinita nel passato. Or
come può nascere la contraddizione se noi in uno qualunque di questi
punti pensiamo invece l’essere universale nel flusso del cangiamento?
Assurda è la posizione di un tutto infinito, quale non può qui esser
dato, poiché la successione perpetua è la forma dell’infinito del tempo; noi
abbiamo qui una serie che in riguardo al nostro procedere a ritroso nel
tempo da fenomeno a fenomeno è infinitamente grande, e per sé è
transfinita come la tangente dell’angolo di 90° -- Wundt è condotto a credere
(Philos., Stadie. Kant’s kosmologichen Antinonien n. das Problem des Unendl.)
che l’applicazione de concetto di transfinito non sia possibile nel
problema cosmologico del tempo. Egli crede un tal concetto trascendente,
che invece non è e cosi gli viene a mancare un concetto che esprima la
infinità oggettiva ossìa 1 eternità del processo della natura. Il concetto
limite del in. Kant crede che la sua dottrina della
idealità del tempo e dello spazio o della transcendentalità in
generale, spiegasse la supposta antinomia del problema cosmologico, e
rendesse con ciò inutile e vana la ricerca di una soluzione. Ma
appartenga o no il tempo e lo spazio al reale in sè, riman sempre
tuttavia la questione se questo, che Kant non può a meno di accettare,
si abbia a pensai’e come fondamento di un mondo fenomenico finito ovvero
di uno infinito. Non vale rispondere che la serie regressiva delle
percezioni nostre non può essere realmente infinita perchè come tale
impossibile, e neppure finita perchè nessun limite dei fenomeni può
venir concepito come assoluto, e dichiarare con ciò insolubile la
questione. Dacché l’oggetto trascendentale condiziona realmente, come
egli ammette un determinato regresso empirico, per un esempio nell’ordine
dei corpi celesti ; doveva Kant pur ammettere che rimaneva sempre a
ve- regresso infinito (o a dir proprio infinitamente grande) non è già
un concetto trascendente della creazione quale dovrebbe, secondo il
Wundt, accettare ogni spiegazione filosofica della natura (v. Wundt, “Ueber
das Kosmolog. Problm, Yiertelsjahrszeitscb.); quel suo concetto limite
nuli’ altro è invece appunto die l’infinito assoluto del tempo oggettivo,
in base al quale è possibile il nostro infinito (infinitamente grande)
regresso. Il non aver considerato l’eternità del fare della natura, e
specialmente il non aver badato die l’infinito regresso è in realtà per la
natura un perpetuo progresso, il cui concetto non può venir altrimenti
pensato che per via del transfinito,stata la causa per cui Wundt concepì il
tempo passato sotto il concetto deH’intinitamente grande concordando in
fondo col Kant, come il Lasswitz si trova in questo d’accordo con lui. (Ein
Beitrag zum Kosmol. Proli. Viertels. Kritik der reinen Vermnft. dere se
l’oggetto trascendentale determinasse un possibile regresso finito od infinito
(11. Perchè se per lui tuttii processi compiutisi da tempo remotissimo ad
ora non significano altro che la possibilità deirallungamento della
catena dell’esperienza dalla percezione attuale indietro alle condizioni
che la determinano nel tempo; pure egli, per ciò che s’è sopra citato,
non può negare che il possibile regresso delle nostre percezioni secondo le
sogget¬ tive leggi della mente, non supponga un regresso ogget¬
tivo determinato dalla realtà inconscia indipendente¬ mente da ogni
esperienza. Trasportati a indefinita distanza dal nostro sistema solare,
avremmo noi sempre ancora nuove percezioni? E cosi, trasportati
indefinitamente addietro nel tempo vedremmo noi necessariamente sempre
nuovi cangiamenti? Poiché la nostra necessaria produzione dello schema
dello spazio e del tempo, non potrebbe per sè far si che noi avessimo
nuove percezioni dove l’oggetto trascendentale non le condizionasse e
si mostrasse con ciò finito. Lo spazio e il tempo ideali non sono
per sè garanti di una corrispondente possibile PERCEZIONE. Non una necessità
del nostro concetto a priori del tempo, ma il principio di causalità
richiede la infinità della serie regressiva dei cangiamenti. Poiché non
si può conchiudere la mancanza di un principio del tempo -- Cfr.
Schopenhauer, Parerga. Die wicklichen Dinge der vergangenen Zeit si nel in dm
transcendentaien Gegenstand der Erfahnmg gegeben ; sie sind aber ftir
mieli nur Gegenstànde und in der vergangenen Zeit wicklich, sofern
als ich ecc.). Saranno però dunque sempre non null’altro, come dice
Kant poco sotto, ma qualcosa di più della possibilità dell’allungamento
della catena dell’esperienza dalla presente percezione indietro alle
condizioni che la determinano nel tempo. ]da questo, che ogni limite è
necessariamente da noi pensato come relativo. La relazione di termine e
terminante è infinita come quella di soggetto e oggetto ; perciò appunto vuota
; essa nulla può aggiungere al contenuto reale cui viene applicata. Come il
pensiero dell’es¬ sere impensato, che è la forma in cui comprendiamo
il reale, nulla toglie alla realtà estraraentale od in sè della
cosa, allo stesso modo la relazione mentale di limite e limitante non può
evidentemente mettere nella realtà il suo secondo termine se nella realtà
non è dato. Questo secondo termine, il limitante, rimane, se si astrae
da ogni altra considerazione, un puro complemento ideale. Riehl non seppe
neppur egli superare o scio¬ gliere la falsa contraddizione che Kant e
Dtihring, per non dir che di loro, credettero inchiusa nella
concezione di una serie regressiva infinita di cangiamenti. Visto
che la contraddizione stava nel concetto di una infinità la quale quei
filosofi avevano pensato necessariamente [Hamilton il quale (“Lectures
un Metaphysics”, lettura; On logic) segue Kant nelle antinomie, non giunge che
a questo risultato, di pensare in riguardo all’infinito del tempo e dello
spazio, che se la ragione non ci fa piegare necessariamente nè da una
parte nè dall’altra, pure in realtà il tempo e lo spazio dehban essere
o finiti o infiniti. (Cfr. del resto l’acume del Mill nella sua
confutazione di Hamilton, La philosnphie de IL). Ho Spencer poi, che à
fatto la sua più alta educazione filosofica presso di Hamilton appunto e
del suo scolare Mansel, professore di metafisica a OXFORD, seguendo il maestro
dichiara questioni insolubili tanto quella riguardanti l’infinità del tempo e
dello spazio che quella della divisibilità della materia e altre ancora.
Egli pensa, cerne è noto, che i concetti di spazio, di tempo, di moto,
di materia e di forza si mostrino in ultima analisi inconcepibili e ci
lascino sempre del pari nell’alternativa tra due opposte assurdità, “First
Principles”, la quale io stimo certo l’opera più infelice del filosofo
inglese. 54data come totalità, egli pensò di sfuggirla col negare la
numerabilità o la reale distinzione e indipendenza numerica nella catena delle
cause e delle variazioni. Numerabili, dice egli, sono le cose, non i
processi. In quanto le cose sono od appaiono spazialmente divise,
deve è vero valere ciò die il Duhring à formulato come legge del numero
determinato; ma altrettanto, séguita Kiehl, è certo che quella presupposizione
non vale per i processi temporali. Questi non sono, secondo lui, per
sé stessi distinti numericamente : è solo per la nostra distinzione
mentale che essi ottengono una tale determina¬ tezza. Un argomento dunque
che vale per il numero non può senz’altro venir applicato al tempo,
poiché mancano in questo per sé considerato e non riferito allo
spazio, degli effettivi processi indipendenti, separati l’uno dal¬
l’altro, o posti insomma come numerabili. Noi possiamo distinguere dei
processi nel tempo soltanto in determi¬ nato numero finito, nessun
processo è però indipendente [Il Itielil (Ber phUosopliischc Kriticismus)
inclinava dapprima decisamente a porre con Duhring un principio del
cangiamento. Soltanto nella seconda parte del secondo tomo, tormentato
dalla necessità del principio di causalità cangiò opinione (quantunque non lo
abbia fatto notare egli stesso esplicitamente); ma per uscire dalla
presunta contraddizione dell’ infinito regresso, pensò, al contrario di
prima, i processi come assolutamente, e con ciò assurdamente continui. Si
vede del resto evidentemente clic il Riehl oltre aver cangiato di parere,
non ò nemmanco ancor ora troppo certo della sua nuova teo¬ ria; poiché la
tratta troppo brevemente e troppo alla larga, come se gli scottasse di
dover render più minuto conto di ragioni che a lui stesso non possono
parere troppo convincenti Ciononostante l'opera sua e specialmente la
seconda parte del secondo tomo è un lavoro filosofico non solo di grande
valore, ma anche molto attraente, il che è una cosa assai rara.
1C e distinto da quello che
immediatamente lo precede o segue. Rielil, non sapendo come uscire dalla
supposta contraddizione à dunque rinunciato a concetti di cui l’esatto
pensiero scientifico non sa nè può lare a meno, senza che ciò del resto
gli abbia giovato per la elimi¬ nazione della temuta assurdità come più
innanzi vedremo. La questione dell’infinito riguarda tanto il tempo
che lo spazio. Solo si à sempre a distinguere tra l’esistenza loro
ideale ; cioè il loro schema mentale, e la loro esi¬ stenza reale. Non
numerabile possiamo noi solo pensare lo spazio ideale, lo spazio o
l’estensione materiale dobbiamo invece necessariamente porla numerabile. Poiché
estensione reale è coesistenza, e la continuità assoluta non può essere
reale ma soltanto ideale ; altrimenti essa inchioderebbe la
contraddizione dell’infinito compiuto nel finito, chè senza parti è solo
il continuo della rappresentazione. Porre la continuità assoluta come effettiva
è non spiegar nulla e mettere il mistero nella realtà, rinunciando a
comprenderla. L’irriducibile noi lo dobbiamo soltanto rilegare negli
atomi sia dello spazio che del tempo reali. I tropi degli Eleati non
valgono meno contro il continuo del tempo che contro quello dello spazio;
non meno contro lo spazio percorso da un pendolo in una oscillazione, che
contro il tempo in questa impiegato. In parti ultime non si può dividere il
tempo nè lo spazio ideale, perchè essi nè sono composti nè si originano
da una sintesi di parti, come in fatti non possono venire analiticamente
scomposti in ultimi elementi semplici, e sono conseguentemente l’uno e
l’altro divisibili all’infinito ; ma non è cosi del tempo e dello spazio
leali, dove la natura viene necessariamente aH'atto. Dice Diehl che solo
il nostro intelletto scompone l’accadere temporale in singoli processi, e
che questi solo per ciò ci appaiono indipendenti, che partono da
cose spaziali e si trasmettono ad altre cose nello spazio. Un processo
secondo lui può aver indipendenza solo perchè vien riferito alle
cose nello spazio e non al tempo unicamente. Ma è naturale che tutti
i processi siano nel mondo materiale (e non vengano soltanto da noi)
schematizzati per dir cosi nello spazio, poiché essi non sono altro che
cangiamenti della realtà spaziale, e unicamente i processi della
coscienza in sè considerati possono venir riferiti al tempo
come tale senza riguardo allo spazio. Difatti non pensa ora Rielil
che sia concepibile una materia assolutamente continua come lo spazio
mentale, ossia non costituita da atomi ? Anche della materia allora
si dovrebbe dire che gli elementi distinti solo la nostra mente li pone.
Come può egli dunque affermare ripetutamente che soltanto la riferenza
dei processi temporali allo spazio ci faccia considerar questi come
distinti e per sè numerabili? Voler negare la numerabilità nel tempo reale o
ne’ suoi processi dovrebbe al contrario anche secondo il Riehl esser lo
stesso che negare nello spazio gli atomi o le cose ossia gli
aggruppamenti durevoli degli atomi. Ogni grandezza nella realtà à
parti elementari, non esclusi i cangiamenti; un certo gi’ado di
cangiamento è una somma di successivi cangiamenti minimali. Ma il
pensiero come per istinto sembra rifuggire dalla concezione dell’atomo o minimo
temporale, perchè colla determinatezza scompare quel che di vago e di
nebuloso E ir, rdie altrimenti conserva la concezione (lei tempo, e
per cui la mente non avverte o avverte assai meno la inin¬
telligibilità di quello. Colla posizione dell'atomo o minimo, la natura
non più oltre scrutabile del tempo si affaccia bruscamente
all’intelletto. Il tempo come rappresentazione rimane naturalmente strettamente
continuo pur essendo discreti i processi reali, cliè la sua continuità assoluta
ideale è una proprietà necessaria dipendente dalla natura della
coscienza, la quale tra due processi per quanto infinitamente vicini
interpola pur sempre la sua unità. Non c’è un minimo concettuale del
tempo come c’è invece e si richiede il minimo reale. I n minimo
nella rappresentazione del tempo sarebbe un punto inesteso, e
considerarlo come elemento della durata tanto varrebbe quanto rendere
impossibile il concetto di questa. Non deve più urtarci l’accettar
gli atomi, o meglio la concessione atomistica, per la materia, che
accettarla in riguardo alla forza e al cangiamento. Non crediamo
siano più intelligibili gli elementi materiali che quelli del divenire.
La facoltà nostra mentale di pensare gli Lo Schopenhauer trattando nella quadruplice
radice del principio di ragione del tempo del cangiamento, mette in piena
e con ciò stridentissima luce il concetto ch’egli à della continuità
assoluta del tempo, quale egli trova acutamente espresso presso Aristotele. “
Come tra due punti v’ è ancor sempre una linea, dice egli, così tra due
ora vi è ancor sempre del tempo. È questo il tempo del cangiamento ; esso
è come ogni tempo divisibile all’ infinito e per conseguenza il cangiamento
percorre in esso un numero infinito di gradi per i quali dal primo stato
nasce a poco a poco il secondo. Egli conchiude con Aristotele dalla
infinita divisibilità del tempo, che ogni contenuto di esso e con ciò
ogni cangiamento, o il passaggio da uno stato all’altro deve essere
infinitamente divisibile, e che dunque tutto- ciò che diviene s’origina
in fatti da punti infiniti. atomi come ulteriormente divisibili vale per
tutti e due gli ordini senza diminuire perciò la necessità che à la
mente di ammetterli. Quel sentimento direi quasi di disagio clic par darci
questa necessità, non è in fondo che ca¬ gionato da quella nostra come
ripugnanza a riconoscere che l’analisi mentale della realtà deve a un
dato punto arrestarsi. La mente deve arrivare ed arriva, ad
elementi i quali non sono più oltre scomponibili, altrimenti il
reale potrebbe sciogliersi nel pensiero.La divisibilità ideale non porta
con sè una reale divisione. Solo il tempo ideale può venir diviso a
piacere all' infinito, e non à quindi elementi numerabili, ma il tempo
reale col suo vario contenuto fenomenico è di sua natura numerabile; quantunque
noi, come ci accade per gli atomi della materia, non arriviamo
direttamente a’ suoi elementi. Non meno delle cose o degli elementi delle
cose sono anche i processi numericamente distinti. E se in astratto la
grandezza non à divisione, essa non può tuttavia nella realtà venir
esattamente concepita che come risultante di una immediata ripetizione numerica
d’uno stesso identico. L’assenza di elementi reali è solo nel nostro
pensiero che può a- strarre da ogni divisione nel considerare una
grandezza, ed è pienamente libero di dividerla o accrescerla all’
infinito, allo stesso modo che esso procede co’ numeri. Tanto la natura
che il pensiero ànno del resto la possibilità dell’infinito accrescere e
interpolare ; ma ne’ loro prodotti non possono dare che il determinato :
l’infinito si riferisce solo al loro operare, non al loro
operato. Il concetto del continuo assoluto applicato al tempo reale
sarebbe del resto affatto inutile anche quando fosse giustificato. Poiché
empiricamente un tal continuo noi non lo incontreremmo mai. Il fatto che
noi della sintesi della natura (come dice Diihring in qualche luogo
della “Dialettica”), non abbiamo altro che rappresentazioni di
effettività, non ci dà il diritto di fare delle possibilità del nostro
pensiero la misura della realtà. Come in sé sia fatto il passaggio da un
punto del tempo all’ altro, non può venir inteso. Tanto varrebbe
domandare perché esiste il tempo o magari l’essere stesso nella sua
-effettiva natura Voler ancora spiegare gli elementi del tempo è uno sconoscere
la natura del pensiero ; noi non li possiamo ridurre ad altro perchè il
tempo non è un prodotto della mente, è condizione anzi dell’esperienza, e
non à una natura puramente logica. Il passaggio è una determinazione della
realtà che noi non possiamo che riflettere. Sarebbe lo stesso voler
spiegare gli atomi della materia; noi non possiamo che ammetterli o
riconoscerli; una pretesa spiegazione di essi è assurda poiché il
pensiero non è tutta la realtà, ma vien confinato da qualcosa che se pò
dare ad esso un contenuto formale, non può però dare il suo essere. Da un
grado a un alti’O del cangiamento si fa il passaggio in quanto il cangia¬
mento stesso ci si mostra come fatto compiuto. Noi non dobbiamo quindi
illuderci col concetto misterioso del continuo assoluto di penetrare più
addentro nel fare della natura, nel divenire dei fenomeni. Noi non
possiamo mai altro che constatare gli avvenuti cangiamenti,
nuH’altro possiamo. E cosi in realtà non conosciamo come il cangiamento,
ma che il cangiamento s’è fatto. Tornando ora alla soluzione di Riehl,
nemmanco col fare la serie dei cangiamenti assolutamente continua
sfugge egli, secondo crede, alla temuta e presunta contraddizione dell’infinito
compiuto od esaurito. E 1' errore suo si fa più stridente e palese quando egli
sostiene che la infinità del tempo si mostrerebbe esaurita se si dovesse
pensare ad un suo fine nel futuro. Ei crede che solo in tal caso, per
evitare la contraddizione, si dovrebbe ammettere un principio assoluto
del tempo. E così fa dipendere, cosa enorme, la infinità del
regresso dalla infinità del progresso nel futuro. Ma la fine del tempo
non è invece punto contradditoria. É questa una questione di natura
empirica; e cosi secondo lui non dovrebbe esser allora inconcepibile e
contraddittorio neppure un principio del tempo. Il tempo reale, ove
fossero date le condizioni di un equilibrio universale, potrebbe
finire ad ogni momento senza assurdità alcuna. Poiché ad ogni modo nella
natura ogni fine non è della serie infinita ma dell’ultimo cangiamento.
Del resto, sia pure, ammettiamo che i processi non siano per sé distinti
e numerabili, ma siano invece assolutamente continui. Dice Riehl che
le oscillazioni di un pendolo sono senza dubbio determinate numericamente
(id. Ili, 309). Ora come risponderebbe egli alla domanda — nè vi può
in modo alcuno sfuggire — se si debba pensare che insieme sommate le
oscillazioni dei pendoli che possono dall’eternità esser mai esistiti in
infiniti mondi, possano venir compresi da un numero finito ? E se no
sotto quale concetto una tale somma o regola di somma dovrà venir
pensata? A ciò non à egli risposta. E più ancora come risponde Riehl a
quest’altra, la domanda. Il numero delle terre dall'eternità ad ora nate e
morte è egli infinito o finito ? Poiché qui manifestamente abbiamo delle
esistenze separate, indipendenti, numerabili anche secondo lui. L’unica
giusta risposta è che un tal numero è necessarianente infinito, o,
propriamente, transfinito. Nel corso perpetuo del tempo non solo non è
contraddittorio, sibbene è necessario che un infinito numero di corpi celesti
(dato che le moderne teorie cosmiche siano, come pare, inevitabili) abbia
gradatamente avuto nascita e morte. Con ciò come non vi fu un primo
cangiamento, nemmanco vi fu una prima terra. Il concetto dell’infinito
assoluto o transfinito è applicabile solo alla serie regressiva dei
cangiamenti, non alla progressiva. La natura di questa consistendo
appunto nel crescere suo continuo verso il futuro non può cadere, se
infinita, che sotto il concetto dell’infinitamenfe grande. Poiché in
nessun punto iminaginabi'e del futuro non si sarà compiuta, a partire da
un punto qualunque del tempo precedente, una infinità assoluta di cangiamenti.
E ciò che si avrà sarà solo la continua possibilità di sempre nuove
mutazioni. La questione però se realmente nella natura dell’essere sia la
disposizione a qnes'.o infinito futuro è affatto empirica, non essendoci, come
s’è visto sopra, alcuna difficoltà che a priori ci impedisca di pensare
possibile un termine d’ogni cangiamento in un qualunque momento avvenire. Il
concetto del tempo per sé non ci dà alcuna soluzione; la questione è
puramente di fatto. La soggettiva possibile anzi necessaria illimatezza dello
schema spaziale non porta seco necessariamente un infinito riscontro
nella esistenza materiale oggettiva. Allo stesso modo neppure la illimitatezza
del tempo ideale porta con sè quella del tempo reale ossia una serie
infinita di reali cangiamenti. Essa non ci impedisce in modo alcuno di
considerare come possibile un limite del mondo nel tempo. Se noi siamo sforzati
di pensare ad un tempo vuoto non è però il pensiero di esso che gli dà un
contenuto reale in ogni suo momento. Essendo che per sè stesso la vuota durata
tanto è del reale come del nulla ; sebbene la durata non rimane mai
nel nostro pensiero priva adatto di contenuto, in quanto la permanenza
dell’essere, indipendentemente dallo svolgersi o no esso in fenomeni, non può
mai mancare di farle riscontro. Ed è in questo una grandissima differenza
tra la rappresentazione dello spazio e quella del tempo. Mentre a niun
punto arbitrario del tempo viene a mancare il contenuto materiale, non
così necessaria¬ mente ad ogni punto dello spazio. A parte i
cangiamenti in cui l’universo si svolge è evidente che non può ad.
esso venir applicato il concetto di una determinata durata. Come esso è sempre
quello che è, cosi il tempo non à a suo riguardo significato alcuno. In
un qualunque momento inesteso del tempo 1’ essere è completo, è
tutto ciò che è stato e tutto ciò che sarà. Se dunque nel futuro venisse
realmente a mancare ogni mutazione nell’essere, questo potrebbe solo impropriamente
venir considerato come nel tempo; la durata dal punto in cui il
cangiamento sarebbe cessato à soltanto senso perchè noi la immaginiamo
misurata da quella piena di cangiamenti della nostra coscienza.
Intanto la meccanica non ammette assolutamente la possibilità del passaggio di
un sistema da uno stato dinamico ad uno statico. E cosi il tempo futuro è
indubbiamente infinito nel senso di una progressione senza fine – V.
anche le considerazioni di Sleyer, “Mechanick iter l Verme”. Tra le due
infinità del passato e del futuro sta il momento presente, il quale inchiude la
realtà eterna, la realtà che fu e che sarà. La pienezza dell’essere
non ci sfugge come parrebbe a considerarlo nella infinita sua
fenomenologia. L’essere è sempre tutto presente, non c’ è elemento di cui
possa dirsi che sia stato o che abbia a originarsi. Certamente
l’interesse nostro va al suo svolgersi ne’ cangiamenti per cui solo ci si svela
la sua na¬ tura e per cui solo noi ci commoviamo e viviamo. Che per
la coscienza l’essere immoto in una rigida inerzia non avrebbe valore
alcuno. Tuttavia la infinita possibilità del cangiamento è tutta nell’essere in
un qualunque punto matematico del tempo. E cosi T importanza del
tempo finito non si perde di contro alla infinità passata e futura del
processso: ogni momento del tempo ci dà l’essere sub specie aeternitacis,
nè altra mai è stata la esistenza della realtà che quella del
momento. Solo in questa considerazione della permanenza eterna del
reale possiamo noi comprenderne la infondata e infondabile natura
sistematica. Lo sguardo alla incessante evoluzione può troppo facilmente far
considerare le interne determinazioni dell’ essere come transitorie. Che
l’evoluzione sia tale quale noi l’andiamo scoprendo non è altrimenti a
intendersi. Giova quindi, per la concezione universale dell’esistenza,
oltre che aver riguardo allo svolgimento di un sistema parziale nel
tempo considerare gli altri sistemi parziali del cosmo nel loro coesistente
diverso grado di svolgimento, per cui si lascia forse quasi pensare come
in ogni momento attuata nello spazio la evoluzione temporale dei
singoli mondi. Nello spazio e nel tempo, da cosa a cosa, da
processo a processo, per il filo della causalità materiale spiega
l’essere la sua unità. Alla necessaria necessità logica rispondi la effettiva
unità materiale della esistenza. L’unità dello spazio e del tempo nella
rappresentazione non basterebbero per sè a escludere una radicale disparità
nel reale. Se lo spazio e il tempo fossero puramente forme ideali
nascerebbe il problema del come la realtà non possa dare origine a
duplicità di sorta. E la questione si scioglie solo in quanto si riconosce che
l’unità stessa del reale è che crea quella dello spazio e del
tempo. Le proprietà dello spazio sono esse stesse di na¬ tura meccanica,
nè altrimenti potrebbero le leggi della natura esprimersi in relazioni di
spazio ; nelle necessità spaziali è la logica immanente delle forze della
natura. Due spazi differenti sono un assurdo non solo avuto riguardo al
pensiero, ma anche in riguardo alla oggettiva realtà materiale. Il pensiero per
sè non trova alcun impedimento a riunire ogni spazio in uno spazio
unico nel vuoto schema spaziale e non può trovar quindi ragione di
considerarlo come disuniforme. Nella realtà poi la pluralità degli spazi
vorrebbe dire pluralità di esseri. Ora una tale pluralità non solo non
può mai venir oggetto del nostro pensiero e per noi non può quindi
assolutamente esistere, ma è dalla realtà smentita, perchè anche
l’esperienza colla omogeneità universale della materia mostra esser
l’essere uno. Le posizioni delle distanze nello spazio reale non sono che
rapporti di forza. Ogni elemento dell’ esistenza materiale è quindi
nello stesso unico spazio. Non esistendo cosi elemento alcuno fuori d’ogni
relazione cogli altri. Analogamente è del tempo reale ; la sua unità suppone
quella dello spazio materiale e dipende insieme dalla universalità del
cangiamento. Per la natura radicalmente omogenea delle cose e per la
temporalità d’ogni cangiamento è uno anche il tempo oggettivo. E
cosi che i principii meccanici si estendono presumibilmente e con sempre
maggior certezza ad ogni massa dell’universo, a ogni sistema di stelle
fisse e gruppo di sistemi. Poiché la base dell’esistenza è di natura
meccanica. Solo la sensazione come tale o il campo della coscienza ne resta
fuori e riceve dalla spiegazione meccanica una eterogenea sebbene costante e
parallela illustrazione. L’unità dell’essere non à riscontro in una fantasticata
e contraddittoria unità cosciente universale; rifrange invece per dir cosi
la sua unità in quella di molteplici coscienze individuali. L’unità
oggettiva estramentale e la unità della coscienza: due abissi del pari
inscrutabili ma rispondentisi. Albana e all’altra sta a base e direi
quasi a tergo quella che noi non possiamo concepire che col
concetto formale di ragione o di fondamento unitivo e subfenomenico dei
due fatti. Non è meno inscrutabile l’una unità dell’altra, sebbene quella
della coscienza implica per sé quella materiale oggettiva. Infatti che
cosà di meno oltre analizzabile dell’unità radicale che con la
mutazione si appalesa esistere negli elementi dell’essere? Come spiegare
la effettiva comunione delle sostanze, il fatto che lo stalo di un atomo
porti seco un dato altro stato di un altro? Queste riflessioni ci
richiamano alla infondata originarietà delle cose, e alla natura per
così dire superficiale della conoscenza e del pensiero. Quelli sono
resti refrattari ad ogni ulteriore analisi; nè già per difetto del nostro
istrumento, ma per la necessaria natura stessa del conoscere, chè altrimenti la
realtà dovrebbe cessare di esistere come distinta dal pensiero. La
analisi à necessariamente de’ limiti, i quali non anno però bisogno
d’esser limiti della conoscenza nel modo in cui falsamente per lo più
vengono intesi, quasi indizi di limitatezza di contro a una sia pur solo
logicamente possibile conoscenza superiore. Come non è incondizionatamente
applicabile al reale il principio di ragione, tanto meno lo sono altri
concetti essenzialmente relativi quali quelli di grandezza e di
scopo. Se l’universo è infinito, non à evidentemente per ciò stesso
determinazione alcuna quantitativa; se finito è vero però che in relazione
ad una sua parte esso à una grandezza determinata, sebbene
nell’estenzione variabile da un momento all’altro. E che possiamo quindi
dirlo più piccolo di una grandezza posta mentalmente superiore alla sua ;
che anzi possiamo anche considerarlo infinitamente piccolo in relazione
all’infinito assoluto dello spazio ideale. Ma in sè non si potrebbe dirlo
propriamente nè grande nè piccolo, perchè fuori di esso non vi è nulla
che possa darci una unità di misura. E del pari è affatto relativo il
concetto di durata e inapplicabile perciò in modo incondizionato
all’essere. Questo non dura nè tanto nè poco; e la ragione di ciò è che
esso non è nel tempo. Considerando però la serie dei cangiamenti, al
contrario di quanto ci accade per lo spazio, lo schema ideale del tempo riceve
necessariamente un contenuto reale perfettamente corrispondente. E
sciogliendo la difficoltà che più che tale a molti filosofi è parsa
sinora una stridente contraddizione, abbiamo visto che come per mezzo del
tempo si fa possibile il cangia¬ mento, il quale altrimenti sarebbe
contraddittorio, cosi per il cangiamento trova una necessaria
applicazione alla realtà oggettiva l’infinito assoluto o trans-finito. Mario
Novaro. Novaro. Keywords: implicatura ligure, ‘la riviera ligure’, Grice
echoing Kant, echo, implicature ecoica, Strawson’s ditto-theory of truth,
Strawson’s echoic theory of truth, Skinner on echo – ecoico, eco, implicature
ecoica, infinito, Lucrezio – Luigi Speranza, “Grice e Novaro” – The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Riviera Ligure.
Grice e Novato:
il portico romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Seneca’s brother. He was
adopted by Lucio Giunio Gallio. Seneca dedicates two of his philosophical
dialogues to him. Seneca’s exhortations suggest that if Novato was not a
follower of the Porch, he was a the very least a sympathiser. Lucio Anneo Novato. Novato.
Grice e Numa: l’implicatura
conversazionale e la logica del regno – Roma -- filosofia italiana – Luigi Speranza
(Etruria) The second king
of Rome. A book was discovered. It wasn’t written by Numa, but the Romans said
it was. It was very philosophical. The Roman senate ordered that it should be
burned. It was! But most Italians can recite by heart all the indiscriminate
teachings it contained. The big polemic came from Cicero. He didn’t want Roman
philosophy to have a start other than in Rome, so he denied the school of
Crotone and much more any Etrurian influence via Numa. Still… Numa Pompilio Da Wikipedia, l'enciclopedia
libera.Pompilio Numa Pompilio dal Promptuarii Iconum Insigniorum di Guillaume
Rouillé 2º Re di Roma PredecessoreRomolo SuccessoreTullo Ostilio NascitaCures DinastiaRe
latino-sabini ConiugeTazia Figli Pompilia Numa Pompilio, Cures Sabini, -- è
stato il secondo re di Roma, e il suo regno durò 42 anni. Numa Pompilio, di
origine sabina, per la tradizione e la mitologia romana, tramandataci grazie
soprattutto a Tito Livio e a Plutarco, che ne scrive anche una biografia, era
noto per la sua pietà religiosa e regna
dal 715 a.C. fino alla sua morte, ottantenne, dopo quarantatré anni di regno, succedendo,
come re di Roma, a Romolo. Numa e un re pio, e in tutto il suo regno non
combatté nemmeno una guerra. L'incoronazione di Numa non avvenne immediatamente
dopo la scomparsa di Romolo. Per un certo periodo, i senatori governarono Roma a
rotazione, alternandosi ogni dieci giorni, in un tentativo di sostituire la
monarchia con una oligarchia. Però, incalzati dal sempre maggiore malcontento
popolare causato dalla disorganizzazione e scarsa efficienza di questa modalità
di governo, dopo un anno, i senatori furono costretti ad eleggere un nuovo re. La
scelta apparve subito difficile a causa delle tensioni fra i senatori romani
che proponevano il senatore Proculo ed i senatori sabini che proponevano il
senatore Velesio. Per trovare un accordo si decise che i senatori romani
avrebbero proposto un nome scelto fra i Sabini e lo stesso avrebbero fatto i
senatori sabini scegliendo un romano. I Romani proposero Numa Pompilio,
appartenente alla Gens Pompilia, che abita nella a Cures ed era sposato con
Tazia, figlia di Tito Tazio. Sembra che Numa fosse nato nello stesso giorno in
cui Romolo fondò Roma. Numa, concittadino di Tazio, e noto a Roma come uomo di
provata rettitudine oltreché esperto conoscitore di leggi divine, tanto da
meritare l'appellativo di ‘pio.’ I
Sabini accettarono la proposta rinunciando a proporre un altro nome. Furono
dunque inviati a Cures Proculo e Velesio, i due senatori più influenti
rispettivamente fra i Romani ed i Sabini, per offrirgli il regno. Inizialmente
contrario ad accettare la proposta dei senatori, per la fama violenta dei
costumi di Roma, Numa vi acconsente solo dopo aver preso gl’auspici degli dei,
che gli si dimostrarono favorevoli. Numa fu quindi eletto re per acclamazione
da parte del popolo. La leggenda afferma che il progetto di riforma politica e
religiosa di Roma attuato da Numa fu a lui dettato dalla ninfa Egeria con la
quale, ormai vedovo, soleva passeggiare nei boschi e che si innamorò di lui al
punto da renderlo suo sposo. A Numa viene attribuito il merito di aver creato
una serie di riforme tese a consolidare le istituzioni di Roma, prime tra tutti
e quelle religiose, raccolte per iscritto nei commentarii Numae o libri Numae,
che andarono perduti nel sacco gallico di Roma. Sulla base di queste norme di
carattere religioso, i culti cittadini erano amministrati da otto ordini
religiosi: i Curiati, i Flamini, i Celeres, le Vestali, gli Auguri, i Salii, i
Feziali e i Pontefici. Numa stabilì di unificare ed armonizzare tutti i culti e
le tradizioni dei Romani per eliminare le divisioni e le tensioni, riducendo
l'importanza delle tribù e creando nuove associazioni basate sui mestieri. Appena
divenuto re nomina, a fianco del sacerdote dedito al culto di Giove ed a quello
dedicato al culto di Marte, un terzo sacerdote dedicato al culto del dio
Quirino, gli dei più importanti dell'epoca arcaica. Riunì poi questi tre
sacerdoti in un unico collegio sacerdotale che fu detto dei flamini, a cui
diede precise regole ed istruzioni. Numa proibe ai Romani di venerare immagini
divine a forma umana e animale perché riteneva sacrilego paragonare un dio con
tali immagini. Durante il regno di Numa non furono costruite statue
raffiguranti gli dei. Istituì il collegio sacerdotale dei Pontefici, presieduti
dal Pontefice Massimo, carica che Numa ricoprì per primo e che aveva il compito
di vigilare sulle vestal, sulla moralità pubblica e privata e sull'applicazione
di tutte le prescrizioni di carattere sacro. Istituì poi il collegio delle
vergini Vestali assegnando a queste uno stipendio e la cura del tempio in cui
era custodito il fuoco sacro della città. Le prime furono Gegania, Verenia,
Canuleia e Tarpeia. Anco Marzio ne aggiunse altre due. Istituì anche il
collegio dei Feziali, i guardiani della pace, che erano magistrati-sacerdoti
con il compito di tentare di appianare i conflitti e di proporre la guerra una
volta esauriti tutti gli sforzi diplomatici. Nell'ottavo anno del suo regno
istituì il collegio dei salii, sacerdoti che avevano il compito di separare il
tempo di pace e di guerra -- per i romani il periodo per le guerre anda da
marzo ad ottobre. Era, questa funzione, molto importante per gli abitanti di Roma,
perché sanciva, nel corso dell'anno, il passaggio dallo stato di cives -- cittadini
soggetti all'amministrazione civile e dediti alle attività produttive -- a
milites -- militari soggetti alle leggi ed all'amministrazione militare e
dediti alle esercitazioni militari -- e viceversa per tutti gli uomini in grado
di combattere. Numa migliora anche le condizioni di vita degli schiavi, per
esempio permettendo loro di partecipare alle feste in onore di Saturno, i
Saturnalia assieme ai loro padroni. La tradizione romana rimanda a Numa
Pompilio la definizione dei confini tra le proprietà dei privati, e tra queste
e la proprietà pubblica indivisa, statuizione che fu sacralizzata con la dedica
dei confini a Jupiter Terminalis, e l'istituzione della festività dei
Terminalia. Nel Foro, fa costruire il tempio di Vesta, e dietro di questo fece
costruire la Regia e lungo la Via Sacra fece edificare il Tempio di Giano, le
cui porte potevano essere chiuse solo in tempo di pace -- e rimasero chiuse per
tutti i quarantatré anni del suo regno -- Secondo Marco Verrio Flacco,
riportato da Sesto Pompeo Festo, il re Numa, ordinando la costruzione del
tempio di Vesta, volle che fosse di forma rotonda (ad pilæ similitudinem), cioè
della stessa forma del mondo, in quanto Numa e un convinto sostenitore della
sfericità della terra, tesi dunque evidentemente già in voga in quei lontani
tempi. Secondo Dionigi di Alicarnasso, il re Numa poi incluse a Roma il
Quirinale, anche se questo a quell'epoca non era ancora cinto da mura. A Numa e
ascritta anche una riforma del calendario, basato sui cicli lunari, che passò
da 10 a 12 mesi di 355 giorni -- secondo Livio invece lo divise in 10 mesi,
mentre in precedenza non esisteva alcun calcolo -- con l'aggiunta di gennaio,
dedicato a Giano, e febbraio che furono posti alla fine dell'anno, dopo
dicembre. L'anno iniziava con il mese di marzo. Da notare la persistenza dei
nomi degli ultimi mesi dell'anno con i numeri: settembre, ottobre, novembre,
dicembre. Il calendario conteneva anche l'indicazione dei giorni fasti e ne-fasti,
durante i quali non era lecito prendere alcuna decisione pubblica. Anche in
questo caso, come per tutte le riforme più difficili, la tradizione racconta
che il re N. segue i consigli della ninfa Egeria, sottolineando così il
carattere sacrale di queste decisioni. Atque omnium primum ad cursus lunae in
duodecim menses discribit annum; quem quia tricenos dies singulis mensibus luna
non explet, desuntque sex dies solido anno qui solstitiali circumagitur orbe,
intercalariis mensibus interponendis ita dispensavit, ut vicesimo anno ad metam
eandem solis unde orsi essent, plenis omnium annorum spatiis, dies congruerent.
Idem nefastos dies fastosque fecit, quia aliquando nihil cum populo agi utile
futurum erat. Anzitutto divise l'anno in dodici mesi secondo il corso della
luna, ma poiché i mesi lunari non arrivano a trenta giorni, e complessivamente
mancano alcuni giorni per fare l'anno intero, che corrisponde al giro del sole,
inserì nel calendario dei mesi intercalari, ordinandoli in modo che ogni venti
anni i giorni concordavano, tornando allo stesso punto dell'orbita solare donde
era partito il ciclo ventennale del calendario. Egli fissò pure i giorni fasti
e nefasti, ritenendo cosa utile che in qualche giorno non si potessero
discutere le questioni politiche davanti al popolo. (Livio, Ab Urbe condita)
L'anno così suddiviso da N., non coincideva però con il ciclo lunare, per cui
ad anni alterni veniva aggiunto come ultimo mese il mercedonio, composto da 27
giorni, togliendo a febbraio 4 o 5 giorni; era il collegio dei pontefici a
decidere queste compensazioni, alle volte anche sulla base di convenienze
politiche. Floro racconta che Numa insegna i sacrifici, le cerimonie ed il
culto del sacro ai Romani. Crea anche i pontefici, gli auguri ed i salii. La
tradizione vuole che Numa abbia istituito, tra l'altro, anche la festa di
Quirino e la festa di Marte. La festa di Quirino si celebra a febbraio. La
festa dedicata a Marte si celebra a marzo, e venne officiata dai salii. Numa
partecipa di persona a tutte le feste religiose, durante le quali e proibito lavorare.
A queste riforme di carattere religioso corrispose anche un periodo di
prosperità e di pace che permitte a Roma di crescere e rafforzarsi, tanto che
durante tutto il regno di Numa le porte del tempio di Giano non furono mai
aperte. Numa muore ottantenne e non di morte improvvisa, ma consunto dagl’anni
(per malattia secondo Livio), quando suo nipote, il futuro re Anco Marzio, ha
solo cinque anni, circondato dall'affetto dei romani, grati anche per il lungo
periodo di prosperità e pace di cui avevano goduto. Alla processione funebre
parteciparono anche molti rappresentanti dei popoli vicini ed il suo corpo non
fu bruciato, ma seppellito insieme ai suoi libri in un mausoleo sul Gianicolo. Dopo
la bellicosa esperienza del regno di Romolo, Numa Pompilio seppe con la sua
saggezza fornire un saldo equilibrio alla nascente città. Durante il
consolato di Marco Bebio Tamfilo e Publio Cornelio Cetego, due contadini
ritrovarono il luogo della sua sepoltura, contenente sette libri in latino di
diritto pontificale, ed altrettanti di filosofia. Per decreto del senato, i
primi furono conservati con cura. I secondi furono pubblicamente bruciati. Il
senatore sabino Marcio, che aveva sposato la figlia Pompilia, si candida alla
successione ma fu superato da Tullo Ostilio e si lascia morire di fame per la
delusione. Dal matrimonio fra Pompilia e Marcio e nato Anco Marzio che diverrà
re dopo Tullo Ostilio. Alcune fonti raccontano di un secondo matrimonio di Numa
Pompilio con una certa Lucrezia da cui sarebbero nati quattro figli: Pompone,
Pino, Calpo e Memerco dai quali avrebbero avuto origine le casate romane dei
Pomponi, dei Pinari, dei Calpurni e dei Marci. L’esistenza di Numa Pompilio,
come accade per quella di Romolo, è discussa. Per alcuni studiosi la sua figura
sarebbe principalmente simbolica; un re per metà filosofo e per metà santo,
teso a creare le norme e il comportamento religioso di Roma, avverso alla
guerra e ai disordini, diametralmente opposto al suo predecessore, il re
guerriero Romolo. L'origine stessa del nome (secondo alcuni Numa viene da Nómos
= "legge" e Pompilio da pompé = "abito sacerdotale")
indicherebbe l'idealizzazione della sua figura. Strabone, Geografia, Eutropio,
Breviarium ab Urbe condita, Livio: Ab Urbe condita. Qui cum descendere ad
animos sine aliquo commento miraculi non posset, simulat sibi cum dea Egeria
congressus nocturnos esse; eius se monitu quae acceptissima dis essent sacra
instituere, sacerdotes suos cuique deorum praeficere. Floro, Epitoma de Tito
Livio bellorum omnium annorum, Tacito, Annali, Livio, Periochae ab Urbe condita
libri, Sesto Pompeo Festo, De verborum significatione. Budapest, Dionigi di
Alicarnasso, Antichità romane, Livio, Periochae ab Urbe condita libri, Plutarco,
Vite Parallele: Licurgo e Numa; Valerio Massimo, Factorum et dictorum
memorabilium Plutarco, Vita di Numa Antonio Brancati, Civiltà a confronto, Vol.
I, Firenze, La Nuova Italia, Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane.
Eutropio, Breviarium historiae romanae (testo latino), I . Livio, Ab Urbe
condita libri (testo latino) ; Periochae (testo latino) . Plutarco, Vita di
Numa. Fonti storiografiche moderne A.A. V.V., Storia Einaudi dei Greci e dei
Romani, Roma in Italia, vol.13, Milano, Einaudi, 2008. Giovanni Brizzi, Storia
di Roma. 1.Dalle origini ad Azio, Bologna, Pàtron, 1997. Andrea Carandini, Roma
il primo giorno, Roma-Bari, Laterza, 2007. Emilio Gabba, Dionigi e la storia di
Roma arcaica, Bari, Edipuglia, 1996. (EN) Philip Matyszak, Chronicle of the
roman republic: the rulers of ancient Rome from Romulus to Augustus, Londra
& New York, Thames and Hudson, Mommsen, Storia di Roma antica, Firenze,
Sansoni, 1972. Massimo Pallottino, Origini e storia primitiva di Roma, Milano,
Rusconi, Piganiol, Le conquiste dei Romani, Milano, Il Saggiatore, Howard H.
Scullard, Storia del mondo romano, Milano, Rizzoli, Voci correlate Gens
Pompilia Gentes originarie Età regia di Roma Rex (storia romana) Lex regia
Flamini Salii Pontefice (storia romana) Altri progetti Collabora a Wikimedia
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Collegamenti esterni Numa Pompìlio, su Treccani.it – Enciclopedie on line,
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NUMA POMPILIO, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
1935. Modifica su Wikidata Numa Pompilio, in Dizionario di storia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 2010. Modifica su Wikidata Numa Pompìlio, su
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secolo a.C.Romani Nati a Cures SabiniPersonaggi della mitologia romanaRe di
RomaOracoli classici[altre] Cassius Hemina, vetustus auctor annalium, in quarto
libro tradit Cneum Terentium scribam in Ianiculo effodisse arcam, in qua Numa,
qui Romae regnaverat, sepultus erat. Addit etiam in arca repertos esse libros a
rege Numa scriptos quingentis et triginta annis ante. Fuisse e charta Numae
libros Cassius etiam scribit, refertos multis rebus obscuris. Cassius etiam
tradit libros in arca integros repertos esse magno cum stupore omnium et a
scriba senatui portatos esse. Quoniam omnes notabant libros, in terra infossos,
permansisse integros, Cassius Hemina ipse suam rationem praebebat: dicebat enim
eos libros in arca sub lapide quadrato positos esse et propter hoc integros
mansisse; praeterea, quod libri citrati fuerant magna cum cura, tineae illos
non tetigerant. Tamen, lectis libris, multa scripta inventa sunt de Pythagorica
philosophia et propter hoc a praetore ussi sunt. Hoc idem tradit Piso quoque in
libro primo commentariorum suorum, sed libros VII iuris pontificii, totidem
Pythagoricos fuisse narrat. Valerius Antias autem in opera sua etiam senatus
consultum tradit quo eos uri iussum est. Cassio Emina, antico autore di annali,
nel quarto libro tramanda che lo scrivano Gneo Terenzio avesse disseppellito
nel Gianicolo il sarcofago, nel quale Numa, che aveva regnato a Roma, era stato
sepolto. Aggiunge inoltre che nel
sarcofago erano stati trovati i libri scritti dal re Numa cinquecentotrenta
anni prima. Cassio scrive anche che i
libri di Numa erano di carta, pieni di molte cose misteriose. Cassio tramanda anche che i libri nel
sarcofago fossero stati trovati integri con grande stupore di tutti e che
fossero stati portati dallo scrivano al senato.
Poiché tutti notavano che i libri, sepolti sotto terra, erano rimasti
integri, Cassio Emina stesso fornisce la sua spiegazione. Dice, in effetti, che questi libri erano
stati posti nel sarcofago sotto una pietra quadrata e per questo erano rimasti
integri. Inoltre, poiché i libri erano
stati cosparsi con grande cura di olio di cedro, i tarli non li avevano
toccati. Tuttavia, letti i libri, furono
trovati molti scritti sulla filosofia pitagorica e per questo furono bruciati
dal pretore. Questa stessa notizia la
tramanda anche Pisone nel primo libro dei suoi commentari ma narra che i sette
libri del diritto pontificio fossero stati altrettanto pitagorici. Valerio di Anzio inoltre nella sua opera
tramanda anche la consultazione del senato nella quale fu ordinato che essi
fossero bruciati. The “original Romans” were the ones who did the choosing
part. They didn’t select anyone from the Sabine senators but found a man in the
Sabine city of Cures, the birthplace of the former king Titus Tatius, famous
for his justice, wisdom, and piety. His name was Numa Pompilius. The people,
happy with this choice, accepted their new king quickly. Only one small problem
now occurred – the man who was chosen to rule after so much effort and such a
lengthy and difficult process was not really keen on reigning at all. When a delegation
from Rome approached him, he humbly refused. It required much much persuasion
from his father and brothers with arguments about honour too great to refuse,
but in the end, Numa finally agreed and became the king of Rome. Numa.
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