Grice e Mustè: l’implicatura conversazionale nella
filosofia dell’idealismo italiano – il dialogo di Socrate e il dialogo di
Gentile -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Flosofo italiano.
Laurea in filosofia con la tesi, “Marx,” borsista dell'Istituto italiano per
gli studi storici di Napoli, dove ha svolto attività didattica e di ricerca,
collaborando con Gennaro Sasso. Redattore della “nuova serie” della “Rivista
trimestrale”. Consegue il titolo di dottore di ricerca alla Sapienza. Lavora
alla "Fondazione Giovanni Gentile per gli Studi Filosofici"
dell'Università "La Sapienza" in qualità di “Segretario e Curatore
dell'archivio e della biblioteca di Gentile”. È stato professore a contratto di
Storia della filosofia. Insegna a Roma. È membro del Consiglio
scientifico della Fondazione Gramsci e della Commissione scientifica per la
Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci. Ha collaborato con
l'Enciclopedia Italiana, in particolare ai volumi: Il contributo italiano alla
storia del pensiero. Filosofia (ottava appendice), Enciclopedia machiavelliana
e Croce e Gentile. La cultura italiana e l'Europa. Ha diretto la rivista
"Novecento". Fa parte del Comitato scientifico di alcune riviste, tra
cui: "Giornale critico della filosofia italiana", "Annali della
Fondazione Gramsci", “La Cultura”, “Filosofia italiana”. Scrive su diverse
riviste scientifiche, tra le quali, con maggiore continuità: "Giornale
critico della filosofia italiana", "La Cultura", "Studi
storici", "Filosofia italiana". Nel è stato nominato dal Ministero dei beni
culturali Segretario del "Comitato nazionale per il bicentenario della
nascita di Bertrando Spaventa". Dal
al ha insegnato Ermeneutica
filosofica, in qualità di Visiting Professor, alla Pontificia Università
Antonianum. Ricerche Le sue ricerche si sono rivolte alla storia della
filosofia italiana, con contributi dedicati all'idealismo e al marxismo. Per
quanto riguarda l'idealismo italiano, ha indagato i momenti e le figure
fondamentali (sino al profilo complessivo) e le premesse nella filosofia
dell'Ottocento, specie in relazione al pensiero di Vincenzo Gioberti
(soprattutto con il libro su La scienza ideale). Di particolare interesse gli
studi su Bertrando Spaventa e le monografie su Omodeo e Croce. Ha dedicato
saggi e ricerche al pensiero di Antonio Gramsci e ad altri momenti del pensiero
marxista italiano: del è la monografia
su Marxismo e filosofia della praxis, che ricostruisce la storia del marxismo
italiano da Labriola a Gramsci. Sono noti i suoi studi sul pensiero politico
nell'Italia contemporanea, con particolare riguardo alle figure di Rodano, Balbo,
Noce. Ha approfondito lo studio dell'opera di Marx e in generale la
storia della filosofia tedesca tra Hegel e Nietzsche. Particolare
attenzione ha poi rivolto (con il libro
su La storia e con altri scritti, tra cui quelli sull'evento e sulla
teoria delle fonti) alle questioni specifiche della teoria della
storiografia. Metodi Conduce l’indagine teoretica in stretta relazione
con gli studi di storia della filosofia e di storia della storiografia, in
generale nell’ambito della storia delle idee, adottando un metodo
storico-critico che spesso privilegia l’uso di fonti archivistiche e di
documentazione inedita. Il suo metodo cerca di coniugare l'analisi strutturale
delle opere filosofiche con la ricerca filologica sulle fonti e sulla
tradizione dei testi, con particolare riguardo ai processi di lungo periodo
della filosofia italiana moderna e contemporanea. Saggi:“Storiografia”
(Mulino, Bologna); “Croce, Morano, Napoli
Franco Rodano. Critica delle ideologie e ricerca della laicità” (Mulino,
Bologna); “Carteggio Croce-Antoni, Mulino, Bologna Politica e storia in Bloch,
Aracne, Roma La scienza ideale. Filosofia e politica” (Rubbettino, Soveria
Mannelli, Franco Rodano. Laicità, democrazia, società del superfluo, Studium,
Roma Grice: “’superfluo’ is possibly one of the most unsuperfluous words in the
Italian philosophical dictionary – cf. “I was in New York, which was black
out.” -- Gioberti, Il governo federativo” (Gangemi Roma) – nazione e stato
federale – federazione, governo federativo -- Rodano, Cristianesimo e società opulenta,
Edizioni di storia e letteratura, Roma, Il giudizio sul nazismo. Le
interpretazioni -- La storia: teoria e metodi, Carocci, Roma, La filosofia
dell'idealismo italiano, -- Grice: “filosofia” is superfluous here, seeing that
idealism already ENTAILS philosophy!” -- Carocci, Roma, Croce, Carocci, Roma
Tra filosofia e storiografia. Hegel, Croce e altri studi” (Aracne, Roma); “La
prassi e il valore -- la filosofia dell'essere” Aracne, Roma “Filosofia della
praxis” Viella, Roma); “In cammino con Gramsci, Viella, Roma. L'ermeneutica, in
«Rivista trimestrale», Il problema del mondo nel «Tractatus» di Wittgenstein,
in «Rivista trimestrale», Le fonti del giudizio marxiano sulla rivoluzione
francese in «Annali dell'Istituto
Italiano per gli Studi Storici», L'orizzonte liberale di Dahrendorf, in
«Critica marxista», Sturzo e il popolarismo – POPOLARISMO -- nel giudizio, in
Sturzo e la democrazia europea, Laterza, Roma-Bari, Croce e il problema del
diritto, in «Novecento», Metodo storico e senso della libertà” “La storiografia
crociana, in «La Cultura», Omodeo. Il pensiero politico, in «Annali
dell'Istituto Italiano per gli Studi Storici», Libertà e storicismo assoluto:
per un'interpretazione del liberalismo di Croce, in Croce e Gentile fra
tradizione nazionale e filosofia europea, Riuniti, Roma, “La società civile
democratica, in «Novecento», Sul
giudizio politico, in «Novecento», Il marxismo politico nell'interpretazione di
Noce, in «Poietica», Gioberti e Cartesio, in Bibliopolis, Napoli, Comunismo e
democrazia, in La democrazia nel pensiero politico del Novecento” (Aracne, Roma);
Guido Calogero, in «Belfagor», Gioberti e Leopardi, in «La Cultura», Verità e
storia, in «Storiografia», “La morale”, Rosmini e Gioberti. G. Beschin e L.
Cristellon, Morcelliana, Brescia, Il destino dell'evento nella nuova storia”
francese, in «La Cultura», Carattere e svolgimento delle prime teorie estetiche
di Croce, «La Cultura», Liberalismo
etico e liberismo economico, in Croce filosofo liberale, -- cf. Grice, “Do not
multiply liberalisms beyond necessity: ‘liberalismo semiotico’” – Grice: “Muste
is very witty in distinguishing between liberalism and liberrism!” Reale, LUISS
University Press, Roma, La teoria della storia in Croce, in «Giornale critico
della filosofia italiana», L'idea di “Risorgimento” in Gioberti, in «Quaderni
della Fondazione Centro Studi Noce», Il significato delle fonti storiche, in
«La Cultura», La storia: teoria e
metodi, in «History and Theory», Il passaggio all'anti-fascismo di Croce, in
Anni di svolta. Crisi e trasformazione nel pensiero politico della prima età
contemporanea, Sciullo, Rubbettino, Soveria Mannelli, Alterità e principio del
dialogo in Calogero, in L'idea e la differenza. – principio dialogo – il noi --
Noi e gl’altri, ipotesi di inclusione nel dibattito contemporaneo, M.P.
Paternò, Rubbettino, Soveria Mannelli Il principio del nous nella filosofia di
Calogero, in «La Cultura», La filosofia come sapere storico, in Il Novecento di
Garin. Atti del Convegno di studi, Vacca e Ricci, Istituto della Enciclopedia
Italiana, Roma, Gioberti, in Il contributo italiano alla storia del pensiero.
Filosofia, M. Ciliberto, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, Lo
storicismo italiano nel secondo dopoguerra, in Il contributo italiano alla
storia del pensiero. Filosofia, M. Ciliberto, Istituto della Enciclopedia
Italiana, Roma, Il problema della libertà nella filosofia di Scaravelli, in «La
Cultura», La libertà del volere nella filosofia di Croce, in Filosofia e
politica. Cesarale, M., Petrucciani, Mimesis, Milano, Il senso della dialettica
nella filosofia di Spaventa, in "Filosofia italiana", apr. Storia, metodo, verità, in «La Cultura»,,
Gentile e Marx, «Giornale critico della filosofia italiana», Togliatti e Luca,
«Studi storici», Gentile e Socrate, (Grice: cf. caricature of Gentile as
Aristotele in ‘La scuola d’Atene”) -- in La bandiera di Socrate. Momenti di
storiografia filosofica italiana nel Novecento, Spinelli e F. Trabattoni,
Sapienza Università, Roma, Gentile e Gioberti, «La Cultura», Gramsci, Croce e
il canto decimo dell’Inferno di Alighieri, «Giornale critico della filosofia
italiana»,, Spaventa e Gioberti, «Studi storici»,, La presenza di Gramsci nella
storiografia filosofica e nella storia della cultura, «Filosofia italiana»,
Dialettica e società civile. Gramsci “interprete” di Hegel, «Pólemos. Materiali
di filosofia e critica sociale», Marx e i marxismi italiani, «Giornale critico
della filosofia italiana», La “via alla
storia” di Ginzburg, in Streghe, sciamani, visionari. In margine a “Storia
notturna” di Ginzburg, Presezzi, Viella, Roma, Filosofia e storia della
filosofia nella riflessione di Sasso, «Filosofia italiana», Opere Sapienza
Roma. Dipartimento di studi filosofici ed epistemologici, su lettere uniroma1.
Intervista sulla storia della "Rivista trimestrale" Intervista di M.
su Croce del //diacritica/ letture-critiche/lo-
storicismo-di-croce-e-la-morte-della- metafisica-intervista-a- M. Socrate e
Gentile. Se consideriamo i libri custoditi presso la biblioteca personale di Gentile,
troviamo, a proposito di Socrate, soprattutto opere di autori italiani, con
alcuni dei quali da tempo era in corrispondenza: oltre le vecchie versioni di Ferrai
(Padova), vi figurano le edizioni dell’Apologia curate da Acri (riproposta da Guzzo)
e da Manara Valgimigli (Bari); le opere di Giovanni Maria Bertini (fra cui
l’edizione di Senofonte), che, come si dirà, avevano occupato la critica di
Bertrando Spaventa; quindi i libri che via via, nella prima metà del secolo,
erano apparsi in Italia: quelli di Giuseppe Zuccante, che Felice Tocco aveva
presentato nel 1909 alla Reale Accademia dei Lincei, poi quelli di Covotti, Mignosi,
Labriola, Banfi, Levi, Brocchieri. Ma a
proposito di Socrate, Gentile utilizzò anche altri mo- menti della storiografia
filosofica italiana, appoggiandosi, per esem- pio, ad alcuni testi dello
storico del cristianesimo Alessandro Chiap- pelli e del romanista Pascal. Se
allarghiamo lo sguardo oltre i confini nazionali, i riferimenti principali
rimangono quelli di Zeller (a cui si era prevalente- mente richiamato
Spaventa), ma anche di Gomperz e di Tannery. Di Zeller, Gentile possede i primi
due volumi dell’edizione Mi piace ricordare che la ricerca su libri,
opuscoli e periodici posseduti da Gentile 1 può ora essere svolta online sul
sito della Biblioteca di Filosofia della Sapienza di Roma, grazie al lavoro di
digitalizzazione del catalogo compiuto sotto la direzione del dott. Gaetano
Colli: cfr. Colli. Anche il catalogo dei corrispondenti dell’archivio di
Gentile (custodito presso la “Fondazione Giovanni Gentile per gli Studi
Filosofici” a Villa Mirafiori) è consultabile nel progetto “Archivi on-line”
del Senato della Repubblica. italiana della Filosofia dei Greci curata da
Mondolfo; e di Tannery conservava la seconda edizione, di Pour l’histoire de la
science hellène, che la moglie Erminia aveva donato, con dedica, al figlio
Giovannino. A Zeller, come si sa, dedicò un ampio necrologio nel quale elogiò
la sua opera di storico criticandone tuttavia i princìpi neokantiani2; e
avvicinandovi, ap- punto, i nomi di Tannery e quello, «così geniale», di
Gomperz. Pro- prio a Gomperz, d’altra parte, aveva fatto un più che positivo
riferi- mento nella prolusione palermitana su Il concetto della storia della
filosofia, dove parlò di un «concetto equivalente al mio, che nella storia
della filosofia si riassuma tutta la storia dell’umanità»4; e, nella lunga
recensione che nel 1909 dedicò al Socrate di Zuccante, ne parlò come di «uomo
di gusto», sia pure privo del «bernoccolo del filosofo», assumendone
soprattutto la critica della testimonianza di Senofonte. Gentile si trovò di
fronte, fin dalla giovinezza, due modelli inter- pretativi, tra loro, per
altro, connessi. In primo luogo le pagine che Ber- trando Spaventa aveva
dedicate a Socrate, dapprima discu- tendo sulla “Rivista contemporanea” la
memoria torinese di Giovanni Maria Bertini Considerazioni sulla dottrina di
Socrate6, poi nel grande corso sulla filosofia italiana, dove aveva aggiunto,
come appendice, lo Schizzo di una storia della logica, nel quale riprendeva il
tema socratico7. Il secondo riferimento è Labriola, la cui memoria su La
dottrina di Socrate era stata ripubblicata da Benedetto Croce per l’editore
Laterza. Per quanto, in maniera caratteristica, nel discorso preliminare del all’edizione
degli Scritti filosofici di Spaventa, si limitò a un breve cenno alla
discussione con Bertini8, e anche nella Prefazione al Gentile. Bertini. Ma la
memoria, a cui Spaventa si riferisce, era stata presentata in una seduta. Poi
in Bertini. Da una lettera a Spaventa, si apprende che l’articolo di Bertrando
era solo il primo di una serie di scritti socratici, che poi non realizzò: cfr.
Spaventa La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, in
Spaventa Gentile Gentile e Socrrate volume Da Socrate a Hegel mancò di entrare
nel merito della questione9, è da ritenere, per le ragioni che si vedranno, che
l’influenza spaven- tiana pesasse in maniera determinante nella sua prima
lettura di Socrate. Spaventa confuta l’interpretazione di Bertini, cercando di
definire i rapporti, da un lato, tra Socrate e la filosofia antica, e, d’altro
lato, tra Socrate e la filosofia moderna. Per tale confutazione, si era
appoggiato al capitolo hegeliano delle Le- zioni sulla storia della filosofia e
all’opera di Zeller, ma anche, per deter- minare i caratteri generali del
pensiero greco, alla traduzione francese di Claude Joseph Tissot della Storia
della filosofia di Heinrich Ritter10. Tuttavia, la lettura di Socrate risultò
ben diversa da quanto quei libri potevano suggerirgli. Possiamo dire, in breve,
che se per Hegel è Parmenide il vero iniziatore della filosofia, perché ha
sollevato il pensiero alla massima astrazione dell’essere11, per Spaventa la
filosofia inizia propriamente con Socrate, che ha scoperto la dimensione del
“concetto”, superando il naturalismo immediato della precedente vita greca. La
critica a Bertini si appuntava su questo aspetto. Per Bertini, di fronte
all’attacco dei sofisti, Socrate aveva restaurato l’ethos greco, sal- vandolo
dalla dissoluzione. Per Spaventa, le cose andavano diversa- mente. Non solo
Socrate non aveva restaurato la vita greca, ma le aveva inferto «il vero colpo
di grazia» (La dottrina di Socrate, in Spaventa), ponendo un nuovo principio,
quello della «soggettività universale»: caratterizzata la filosofia
presocratica come indistinzione immediata di pensiero ed essere, Socrate aveva
inaugurato l’antitesi dei due termini, senza tuttavia trovarne l’unità e la
sintesi, e anzi la- sciando al pensiero moderno questo compito ulteriore. I
sofisti, dun- que, lungi dall’essere dei distruttori, si presentavano quali
profondi innovatori, anche se il loro soggettivismo era piuttosto un
individuali- smo, fermo alla dimensione naturale ed empirica dell’individuo.
So- crate trasformava, con la dottrina del concetto, questo individualismo in
un autentico, universale soggettivismo: «in questo senso» – scriveva Spaventa –
«Socrate e Cartesio, che che ne dica il professor Bertini, si rassomigliano». Spaventa
Parmenide, Hegel [Ritter Cfr. Hegel Ma soprattutto, per il riferimento a
Da questo punto di vista, Socrate non appariva affatto come un fi- losofo
pratico o morale, ma come un filosofo schiettamente teoretico. Più
precisamente, il carattere della sua filosofia veniva indicato in un radicale
formalismo. Bisogna prestare attenzione all’uso che Spaventa fece di questa
espressione, per certi versi anticipando i temi della sua riforma della
dialettica. Formalismo significava che Socrate, scoprendo il principio nuovo
della «soggettività universale», lo riconosceva solo nella forma, nell’attività
dialogica della ricerca della verità, in quanto presupponeva, alla maniera di
tutto il pensiero antico, il contenuto og- gettivo e naturale: se per i
moderni, scriveva, la soggettività è non solo «universale» ma «assoluta», «il
puro rapporto del pensiero a se stesso», per Socrate «non è già il soggetto che
determina l’essere oggettivo, ma l’essenza oggettiva delle cose che determina
il soggetto». La visione moderna – per cui, come si chiarirà nella riforma
della dialet- tica, il pensiero è negazione determinante dell’essere -- appariva
qui rovesciata, nel senso che l’essere si delineava come il cercato, come la
verità ideale del soggetto. Questa tesi del formalismo era quella vera- mente
decisiva nell’interpretazione di Spaventa, poiché a essa veni- vano ricondotti
tutti i temi della riflessione socratica: l’induzione, il dialogo, l’ironia, e
poi soprattutto l’ignoranza, interpretata come con- sapevolezza della mancanza
di verità del soggetto, quasi come ammis- sione del limite storico della
propria posizione. E ancora, l’eudemoni- smo socratico diventava (seguendo qui
i Magna moralia) l’assenza del concetto del Bene e, quindi, la sua
identificazione con l’utile. Infine, ed è un altro aspetto di rilievo (e qui la
fonte era in parte aristotelica in parte hegeliana), mancava in Socrate la
psicologia, cioè la cognizione della parte irrazionale dell’individuo, delle
passioni: la sua soggettività «universale» non riusciva a cogliere né il
contenuto del concetto né la base irrazionale dell’individuo, restando sospesa
tra il particolare e l’universale e non potendo intravedere la sintesi e
l’unità tra i due momenti, cioè l’autentica realtà e immanenza del concetto.
Nella memoria su La dottrina di Socrate, con la quale vinse il premio della
Regia Accademia di Scienze Morali e Politiche di Napoli, Labriola non citò mai
lo scritto di Spaventa, ma certo ne riprese [Si veda per questo aspetto Mustè
La dottrina di Socrate, in Spaventa. Gentile e Socrate 43 almeno un paio di
aspetti14. In primo luogo riprese la tesi del formali- smo, a cui dedicò la
parte centrale dello scritto e che anzi sviluppò fino alle conseguenze estreme,
mostrando come «il suo di Socrate sapere è pura esigenza» e «quello che egli
cerca deve ancora trovarlo» (Labriola). In secondo luogo, insisté sulla
mancanza in Socrate di ogni notizia di psicologia, con accenti e motivi molto
simili a quelli che Spaventa aveva adoperato nella polemica con Ber- tini. Ma
certo mutava il quadro complessivo dell’interpretazione, anzi tutto per la
scelta, molto radicale, di affidarsi esclusivamente o quasi alla testimonianza
di Senofonte, non attribuendo, scriveva, «a Socrate nessun principio, massima,
o opinione che non sia, o esplicitamente riferita, o indirettamente accennata
da Senofonte»; poi per il fatto che la tesi spaventiana del formalismo serviva
ora a recidere i rapporti tra Socrate e la tradizione filosofica presocratica
(ibid., 555), superando il problema stesso che aveva animato la discussione tra
Spaventa e Bertini. Per Labriola, Socrate non era affatto un filosofo: «Socrate
come semplice filosofo – scriveva – è un parto d’immagina- zione» (ibid., 569);
e tanto meno poteva essere considerato come «il creatore del principio della
soggettività», neanche di una soggettività «universale» come quella di cui
Spaventa aveva parlato. Al contrario, la figura di Socrate era ricondotta a due
linee fondamen- tali di lettura, tra loro convergenti: da un lato il processo
di sviluppo della religione greca, dove Socrate aveva inserito l’idea della
divinità «come intelligenza autrice e reggitrice del mondo», riuscendo per
questo «a isolare la sfera morale dalla naturale; d’altro lato, in relazione
agli studi che allora conduceva per «una storia dell’etica greca» interpretò
Socrate come concreta espressione della crisi della storia greca, come
l’emergere di una colli- sione tra forma della tradizione e volontà
dell’individuo: per cui, sorge nell’individuo «il bisogno di rifarsi da sé
quella certezza» che l’opinione comune ha smarrito, tornando a porre, con
l’esercizio del dialogo, le[ L’interpretazione di Labriola è stata analizzata
da Cambiano, Il Socrate di Labriola e la storiografia tedesca e da Spinelli,
Questioni socratiche: tra Labriola, Calogero e Giannantoni che si leggono
rispettivamente nel primo e nel terzo volume di Punzo3, Spinelli ricorda
opportunamente un breve quanto penetrante articolo di Giannantoni, Il Socrate
di Labriola, apparso nel supplemento di “Paese sera”. Tra gli altri studi, mi
limito a ricordare Cerasuolo, e le lucide osservazioni di Poggi domande
induttive sulla definizione, sul «cosa è» la giustizia, la virtù, la santità.
Per certi versi, Labriola seguiva la linea interpretativa di Spa- venta, ma ne
modificava la prospettiva, calando Socrate non più nel centro problematico
della storia della filosofia ma in quello della vita religiosa e sociale del
mondo greco. A prescindere dallo sviluppo peculiare che ebbe nella memoria di
Labriola, la tesi spaventiana del formalismo di Socrate restò alla base delle prime
riflessioni di Gentile. Già nella tesi di laurea su Rosmini e Gioberti – dove
il problema principale, sulle orme di Donato Jaja, era quello dell’intuito, e
quindi della profonda differenza tra l’intuito ro- sminiano dell’essere puro e
quello, platonico ma soprattutto prove- niente da Malebranche, delle idee
determinate e formate (Gentile) – i riferimenti a Socrate risentono della
discussione di Spa- venta con Bertini. Lo si vede, soprattutto, nella nota che
inserì per di- scutere la memoria di Aurelio Covotti Per la storia della
sofistica greca. Studi sulla filosofia teoretica di Protagora (pubblicata nel
1896 negli “An- nali” della Regia Scuola Normale Superiore di Pisa), dove,
criticando le interpretazioni di Wilhelm Halbfass e di Theodor Gomperz, ribadì
la necessità di distinguere l’individualismo empirico di Protagora dal
soggettivismo di Socrate, pur sottolineando la sua distanza dal kanti- smo,
mancando ancora in Socrate «il concetto del pensiero come pro- duttività»
(Gentile). Una lettura, questa, che trovò poi uno sviluppo più organico nella
recensione al Socrate di Zuccante, dove criticò «l’interpretazione
soggettivistica» di Protagora, che l’autore aveva dato, insistendo piuttosto
sul rapporto con Demo- crito: con riferimento a un articolo di Victor Brochard,
affermò anzi che la tesi dello storico francese andava «rovesciata», perché non
Demo- crito aveva appreso da Protagora i princìpi della gnoseologia sofistica,
ma viceversa questo, Protagora, era stato «scolaro» di quello, di Democrito
(Gentile). Questo tema del rapporto tra Socrate e Protagora era d’altronde
essenziale nell’equilibrio del libro, perché tanto Rosmini che Gioberti avevano
appunto confuso i due momenti (l’individualismo e il soggettivismo), lasciando
oscillare la figura di Socrate tra Protagora e Platone: «il Gioberti» –
spiegava Gentile Gli articoli di Brochard vennero ristampati in Brochard (ma si
veda la 4° edizione ampliata, Paris, con l’introduzione di Delbos).
Gentile e Socrate 45 «come il Rosmini, non conosce altro soggettivismo
che il falso antro- pometrismo protagoreo», e perciò, aggiungeva, si vede
costretto a tro- vare in Socrate Platone, «altrimenti del maestro di Platone
non si fa che una ripetizione di Protagora» (Gentile). Alla maniera di
Spaventa, insomma, il soggettivismo di Socrate non andava confuso né con
l’individualismo di Protagora né con la successiva dottrina pla- tonica delle
idee. Questo atteggiamento spiega anche la presenza di Socrate nel saggio su La
filosofia della prassi, dove, per dimostrare che Marx aveva assunto il concetto
della prassi dall’idealismo, e non dal mate- rialismo, chiamò in causa il
«soggettivismo di Socrate», facendo dell’antico filosofo greco il primo
idealista, anzi il primo teorico della praxis: perché, spiegava Gentile,
Socrate non concepiva la verità come un bene formato da trasmettersi, ma come
il risultato di un «personale lavorio inquisitivo», cioè del dialogo e
dell’arte maieutica: «il sapere – concludeva – importava per Socrate
un’attività produttiva, ed era una soggettiva costruzione, una continua e
progressiva prassi» (Gentile). Altrove scriveva che il merito di Socrate
«consiste appunto nel superamento di quella dualità di volontà e intelletto,
che è presup- posta così dal determinismo come dal concetto del libero
arbitrio»: e arrivava ad affermare che, se avesse approfondito questo aspetto,
sa- rebbe stato condotto «al concetto hegeliano dell’unità di libertà e ne-
cessità razionale» (Gentile). Di questa singolare definizione di Socrate come
primo idealista, Gentile darà una spiegazione, nei Discorsi di religione,
quando dirà che, con Socrate, «la filosofia acquista coscienza del suo
carattere idealistico», anche se questa co- scienza «si oscurerà tante volte
nel corso del suo sviluppo storico»: e quasi per dare un esempio di tale
oscuramento, ricordava l’«idealismo ancora naturalistico» di Platone e
Aristotele, che aveva ricompreso l’intuizione socratica nel realismo del «mondo
delle idee» e in quello di «Dio, forma o atto puro, o pensiero del pen- siero. .
Questi primi riferimenti, in larga parte ispirati dalla posizione di Spaventa,
cominciarono a complicarsi negli anni appena successivi, quando Gentile iniziò
a elaborare la filosofia dell’atto puro, e quindi, bisogna aggiungere, ad
approfondire la distanza tra dialettica del pen- sato e dialettica del pensare,
tra pensiero antico e pensiero moderno. Un preludio della successiva lettura di
Socrate può essere indicato, d’altronde, nella lunga recensione al
Socrate di Zuccante, dove Gentile, richiamandosi implicitamente (senza mai
citarla) alla posizione di Spaventa, chiarì due aspetti fondamentali della pro-
pria interpretazione. In primo luogo, in un passaggio di particolare im-
portanza, rielaborò e chiarì la tesi del formalismo socratico, definito appunto
come la sua «gloria». Scrisse infatti: la verità è che la ricerca socratica è
prevalentemente umana, perché l’uomo coi sofisti era venuto al primo piano
della speculazione, segna- tamente nella rettorica. E lo stesso tentativo di
sollevare a scienza la rettorica, operato dai sofisti, ne mette a nudo
l’essenziale formalismo, e fa sentire il bisogno di quella più schietta e più
concreta scienza dello spirito, che Socrate persegue col suo motto divino:
conosci te stesso. Qui è la radice dell’unità del suo interesse speculativo,
teorico, e del suo interesse morale, pratico: qui anche la radice del
formalismo spe- culativo e morale, a cui s’arresta lo stesso Socrate. Il quale
supera la forma rettorica con l’affermazione del contenuto della rettorica
(giusto, ingiusto ecc.): ma di questo contenuto non definisce altro che la
forma: il concetto come universale, non intravveduto da nessuno dei filosofi
precedenti: il concetto di ogni cosa (logica) e il concetto stesso del giusto
(morale). In che consiste il valore di questa scoperta, che è la gloria di
Socrate (Gentile). In secondo luogo, stabilito il senso del formalismo
socratico, Gentile chiariva il significato della scoperta logica di Socrate,
affermando che si trattava non solo, e non tanto, della scoperta del concetto,
ma del «concetto del concetto», della «essenza dello spirito»: se i filosofi
prece- denti sempre avevano adoperato concetto e definizione, ora Socrate
sollevava il pensare a «pensiero del pensiero», conferendo agli uomini una
«seconda vista», quella della schietta universalità. Grazie a Socrate, il
pensiero diventava, per la prima volta, oggetto di sé stesso, sostituendosi
all’orizzonte della natura: e questo, oltre quello più limitativo dell’assenza
di un contenuto assoluto, era il carattere del suo formalismo, inteso appunto
come considerazione della forma logica in sé stessa. Negli scritti di questo
periodo, l’accento cominciava a battere con più forza sulla continuità tra
Platone e Aristotele, perché – scriveva – «con Aristotele [non] si fa un passo
avanti» rispetto al metodo trascen- dente di Platone (Gentile). Non solo
infatti, come precisò nella prolusione palermitana su Il concetto della
storia della filosofia, Platone aveva «trasformato» il concetto socratico in
«idee eterne e immobili, puro oggetto della mente»; ma iniziò a riportare la
filosofia di Platone alla fonte eraclitea e soprattutto a quella parme- nidea,
che ai suoi occhi costituiva il vero approdo del Teeteto e del So- fista:
«Platone» – scriveva – «non vide mai altro che l’essere immobile e realmente
immoltiplicabile, tal quale l’essere (fisico) degli Eleati. Qui si doveva
arrestare una filosofia ignara della natura dello spirito». Più che Socrate,
dunque, la filosofia di Platone in- contrava, con la teoria delle idee,
l’essere di Parmenide, superando in esso anche la primitiva lezione di Cratilo.
Fu nel primo volume del Sommario di pedagogia che il giudizio su Socrate
cominciò ad assestarsi. Gentile vi si soffermò in due diverse parti dell’opera:
in primo luogo, nella sezione su L’uomo, a proposito dei concetti; in secondo
luogo, nella parte terza, su Le forme dell’educazione. Il capitolo che dedicò
al «merito di Socrate sco- pritore del concetto» finì per risultare piuttosto
singolare. Riconobbe a Socrate il «merito straordinario» di avere affermato «il
carattere uni- versale del vero» (Gentile); ma subito aggiunse che quel con-
cetto non era poi il vero concetto, il conceptus sui, ma una forma che,
conseguita per via induttiva, con «un processo di generalizzazione», era
piuttosto irreale, astratta, lontana dalla concreta determinazione del mondo:
offrì insomma del concetto socratico una lettura singolar- mente negativa,
quasi rappresentandolo nella figura degli pseudocon- cetti o finzioni che,
nella Logica e nella Filosofia della pratica, Croce aveva teorizzato. Di più,
in un capitolo successivo, affermò che il concetto socratico, «base
dell’erronea teoria platonica e aristotelica del concetto» , presupponeva la
scissione tra teoria e pratica: ne- gando dunque a Socrate proprio quel merito
che, come abbiamo osser- vato, gli aveva riconosciuto nel saggio su La
filosofia della prassi. La considerazione trovava uno sviluppo rilevante, come
si diceva, nella terza parte dell’opera, dove Gentile poneva la figura di
Socrate all’origine del concetto di «educazione negativa», collocandolo sulla
stessa linea che, nell’epoca moderna, avrebbe prodotto la «possente» opera di
Rousseau. A questo principio dell’educazione negativa, Gen- tile tornava a
rivolgere un elogio, perché capace di implicare «l’imma- nenza del divino
nell’uomo» e dunque di anticipare lo
spi- rito di libertà di Rousseau: ma anche qui osservava che Platone
aveva convertito la maieutica socratica in un innatismo delle idee, come
un ritorno dell’anima «a quella pura cognizione originaria che ella si reca in
sé dalla nascita». Una critica, d’altronde, che si legava all’idea, sostenuta
ancora nei Discorsi di religione, secondo cui il pen- siero antico non poté mai
accedere al problema morale, perché privo del principio stesso della volontà
(Gentile). In tutta la prima fase della sua riflessione, Gentile tenne fermo il
Socrate di Spaventa, cioè la tesi del formalismo e della scoperta della
soggettività universale, via via innestandovi i motivi essenziali nella propria
filosofia: così, nell’Introduzione alla filosofia parlerà di So- crate come del
«primo grande martire degl’interessi più profondi dell’uomo e della sua nobiltà
e grandezza» (Gentile), come di colui che, con il Nosce te ipsum, aveva vinto
l’antico naturalismo e sco- perto la «concezione umanistica del mondo»; e nella
più tarda Filosofia dell’arte arriverà a svolgere il motivo spaventiano (e
labrioliano) della mancanza di una psicologia in Socrate nella tesi, ben più
radicale, dell’assenza del sentimento e, in generale, del principio dell’arte
in tutto il pensiero antico (Gentile). Ma la trasforma- zione essenziale e
decisiva avvenne certamente nelle opere più siste- matiche dell’attualismo, in
modo particolare nel Sistema di logica, quando Socrate, come ora vedremo,
acquistò il volto più complesso di fondatore del logo astratto: che era uno
svolgimento dell’idea, comun- que presente in Spaventa, che proprio in lui, in
Socrate, e non in Par- menide e nei filosofi presocratici, andava indicato
l’autentico inizio della filosofia occidentale. Nella Teoria generale, dove il
problema fondamentale era quello dell’individuo e dell’individualità, si faceva
più nitido il quadro dell’intero sviluppo della filosofia greca, ponendo al
centro del natu- ralismo quella che definì «la disperata posizione di
Parmenide» (Gen- tile 1959b, 107), quintessenza dell’intero mondo mitico e
presocratico e carattere della «seconda natura» delle idee, stabilita da
Platone. Tra Parmenide e Platone, Socrate appariva come colui che aveva operato
«la netta distinzione tra genere e individuo», non riuscendo certo a trovare la
sintesi tra i due momenti, ma lasciando aperta, con il suo formalismo, tanto la
via platonica tanto quella aristotelica. Di fronte a entrambi, a Parmenide e a
Platone, Socrate era delineato come colui che «scopre il concetto come unità in
cui concorre la va- rietà delle opinioni»: affermazione di grande
significato, Gentile e Socrate perché, almeno in senso formale, indica una
rottura dell’intero natu- ralismo antico, un presagio – se così può dirsi –
della sintesi e della vera individualità, che solo il pensiero moderno,
osservando il con- cetto come conceptus sui e come autocoscienza, arriverà,
dopo il cri- stianesimo, a compiere. Però, come si diceva, solo nei due volumi
del Sistema di logica, la figura di Socrate acquistò una nuova luce e un più
preciso significato, all’interno della dialettica del logo astratto e del logo
concreto. Possiamo dire che il punto centrale della considerazione delle forme
storiche del logo astratto è proprio il passaggio da Parmenide a Socrate, che è
poi il passaggio dal naturali- smo antico alla logica del pensiero pensato,
inteso come momento eterno e insuperabile del logo. Il punto socratico è quello
fondamen- tale, se non altro perché, superando la posizione, disperata e
assurda, di Parmenide, Socrate pone, nel concetto universale, l’intero circolo
del pensiero antico, che in Platone (con la teoria della divisione) e in Aristotele
(con la teoria del sillogismo) troverà solo uno sviluppo coerente e un
adeguamento. All’altezza della dottrina del logo astratto, Gentile segnava con
meno forza, rispetto ai testi precedenti, il distacco tra So- crate e Platone,
ma indicava con molta più forza la differenza tra So- crate e Parmenide. È vero
che, in un passaggio non privo di ambiguità, disse che Parmenide rappresentava
«il fondatore della logica dell’astratto», colui che «per primo cominciò a
intendere in tutto il suo rigore il concetto del logo quale presupposto del
pensiero» (Gentile). Ma subito precisò che tale fondazione del logo era in
verità una negazione del pensiero, perché il suo essere, privo di determina-
zione e di differenza, è in realtà mancanza di pensiero, il nulla del pen-
siero, il semplice immediato: e per Gentile, così come per Spaventa, non è
l’essere di Parmenide a segnare l’inizio della logica, come acca- deva in
Hegel, ma il concetto universale di Socrate. È con Socrate in- fatti, come
ripete più volte (concordando, per altro, con quanto Croce aveva sostenuto nella
Logica), che «nasce formalmente la scienza della logica» (Gentile), che viene
posto non «l’immediato essere astratto», ma la «mediazione», il «rapporto tra
soggetto definito e predicato onde si definisce», per cui, concludeva,
«l’astratta identità dell’essere naturale di Parmenide e di Democrito qui è
vinta». E altrove Croce.
chiariva: «la logica comincia propriamente con Socrate, quando l’es- sere
spezza la dura crosta primitiva della immediatezza naturale, in cui s’era
fissato nelle concezioni degli Eleati e degli Atomisti, e si me- dia nella
forma più elementare possibile del pensiero: identità che sia unità di
differenze» . Nel concetto socratico, nella definizione, è già tutta la logica
antica, che troverà nella dialettica platonica e nel sillogismo aristotelico
solo uno sviluppo necessario. Più precisamente, Socrate diventa, nel Si- stema
di logica, il fondatore della logica dell’astratto, che non si esprime più
nell’assurda immediatezza di A (essere naturale), ma nel rapporto A=A, che
indica il principio d’identità e l’intero «circolo chiuso», come lo definì, del
logo astratto: rapporto che è già rapporto di pensiero, perché il primo A si
distingue dal secondo A, generando la figura del giudizio, sia pure di un
giudizio analitico e definitorio. Così, il passaggio (che impegnò il secondo
volume dell’opera) dal logo astratto al logo concreto indicava anche il merito
e il limite della posizione socra- tica, il suo elogio e la sua critica: perché
il «circolo chiuso» che Socrate aveva fondato, immettendo l’uomo nella regione
del pensiero, era pur sempre un circolo, una mediazione e un movimento, e
perciò inclu- deva, sia pure in maniera inconsapevole, il riferimento del
pensato al pensare, dell’astratto al concreto. Lo includeva, come spiegò, nella
forma «mitica» di tutto il pensiero antico, non ancora come «pensa- mento del
logo astratto nel concreto», ma viceversa come «pensamento del logo concreto
nell’astratto» (Gentile). La lettura del momento socratico sembrava così
compiuta nei ter- mini fondamentali. Ma negli ultimi mesi della sua vita,
Gentile delineò una intera storia della filosofia, che doveva fare parte della
collana «La civiltà europea» della casa Sansoni, e di cui riuscì a scrivere
solo la prima parte, fino a Platone. Di questa opera, che è stata pubblicata a
cura di Bellezza, ci rimane, tra le carte del filosofo, l’in- dice dell’intero
lavoro (che si sarebbe dovuto concludere con la consi- derazione di Varisco,
Martinetti, Croce e Gentile stesso) e il manoscritto di un «prospetto» che si
riferisce alla parte successiva e non scritta sulla filosofia antica, fino alla
sezione terza, che avrebbe dovuto occuparsi di epicurei, stoici, scettici,
accademici e neoplatonici. Archivio della “Fondazione Giovanni Gentile per gli
Studi Filosofici”, manoscritti pubblicati. Gentile e Socrate 51 In questo
ultimo scritto sulla filosofia antica, Socrate diventava ve- ramente il centro
dell’intera considerazione, lo snodo decisivo tra na- turalismo e metafisica.
Più chiara e conseguente risultava, in primo luogo, la ricostruzione della
filosofia presocratica. Le due figure prin- cipali di questa epoca, Parmenide
ed Eraclito, rappresentavano due aspetti complementari della medesima intuizione
della natura e del cosmo, priva della luce del pensiero: nell’essere di
Parmenide, che è lo stesso fuoco di Eraclito fermato nel suo eterno ardere, si
riassume il peccato capitale della prima filosofia greca, che ora Gentile
definiva come «misticismo» (Gentile), come «intellettualismo» e «for- malismo»,
cioè – spiegava – come il primo esempio di una filosofia «che fa lavorare il
cervello, ma lascia, si può dire, vuoto e inerte il cuore». E tutto il
successivo atomismo, soprattutto in Demo- crito, gli appariva come l’esito
naturale di tale originaria assenza del pensiero, che finì, come doveva finire,
nel «pretto materialismo», dove «il pensiero è identico alla sensazione». S’intende
perché, nella linea che già era stata di Spaventa, Gentile riservasse parole di
elogio alla sofistica: a Protagora, come a colui che scopre «il tarlo se- greto
che rode questo essere a cui pur tutto, per chi pensa e ragiona, si riduce», e
che costituisce, dunque, tanto l’autocritica in- terna quanto il logico
compimento del naturalismo eleatico; e soprat- tutto a Gorgia, che scopre «la
potenza della parola», di quell’elemento attivo e umano che l’essere di
Parmenide non poteva includere né spie- gare: una potenza, quella della parola,
che rappresenta l’emergere di un nuovo mondo, di cui «non siamo più soltanto
gli spettatori, ma vi facciamo da attori». Sono i sofisti, perciò, che
«preparano Socrate e tutta la filosofia del logo che ne deriva», che «rendono
possibile la scoperta di questo nuovo mondo». E il capitolo su Socrate, come si
diceva, co- stituisce il cuore di tutta l’interpretazione che qui Gentile
proponeva del pensiero antico. A differenza di Labriola, anzi tutto, e in parte
an- che di Spaventa, Gentile mostrava di privilegiare nettamente il Socrate di
Aristotele, considerando inattendibile la descrizione di Senofonte, che ne fa
«un troppo bonario e grossolano pensatore», e in fondo anche quella di Platone,
che nei dialoghi presenta «un Socrate idealizzato e platonizzante»: «il Socrate
storico – scriveva – non è il Socrate platonico». «Più attendibile» dunque
Aristotele, pur «ne’ suoi cenni sommari», perché in Aristotele emerge-
rebbe la vera fisionomia di Socrate, autore di una sola ma fondamen- tale
scoperta, quella del concetto, o meglio della definizione e del giu- dizio,
cioè del pensiero: non il termine, ma il giudizio, «quel giudizio che come atto
del pensiero rivolto all’essere naturale Parmenide e i seguaci suoi avevano
dimostrato impossibile». Così Socrate
compie il «passo gigantesco», «trova il pensiero», e «il pensiero, per la prima
volta, si viene a trovare alla presenza di se stesso: di se stesso nell’oggetto
che può conoscere, e conosce».. Per questo, e solo per questo, Socrate rimane
per sempre «il modello da imitare» per ogni filosofo successivo, come «una
delle incarnazioni più splendide dell’ideale umano, se umanità vuol dire, come
vide So- crate, pensiero». La preferenza che Gentile accordava alla fonte
aristotelica derivava, d’altronde, da un lungo percorso, che aveva trovato
nella discussione con Zuccante un punto di particolare chiarezza. In quella oc-
casione, appoggiandosi ad alcune analisi di Gomperz e soprattutto di Joël,
aveva definito i Memorabili come l’opera «più sciagurata uscita dalla penna di
Senofonte: pesante, monotona, tutta infarcita di banalità e di vere caricature
dello spiritoso e malizioso dialogo socratico» (Gentile), soprattutto per la
tendenza ad attribuire a Socrate «una specie di prammatismo», eliminando
quell’elemento «logicistico» che per Gentile ne costituiva, invece, il tratto
saliente. Di conseguenza, aveva rifiutato l’intera impostazione di Labriola,
che aveva as- sunto il «Socrate senofonteo» come la pietra di paragone di ogni
altra testimonianza. Non si può tacere che, in tale uso delle fonti, si celava
una certa tendenziosità e forse qualche equivoco. Anzi tutto, come è facile
osservare, il richiamo ad Aristotele era, in verità, un riferimento quasi
esclusivo ai passi della Metafisica su Socrate come «fondatore della filosofia
concettuale» e «scopritore dell’universale» (Maier), con una larga
sottovalutazione di quanto, nella fonte aristotelica, rinviava alle dottrine
etiche e morali. Anche la contrappo- sizione fra la testimonianza aristotelica
e quella senofontea, seppure giustificata da un dibattito interpretativo allora
in corso (si pensi alle 18 Si ricordino, a questo proposito (soprattutto con
riferimento a Labriola, il cui scritto è definito «il migliore studio italiano
sull’argomento», e a Joël), le osservazioni di Calogero nella voce Socrate del dell’Enciclopedia
italiana. Gentile e Socrate diverse letture di Döring e di Joël),
trascurava i possibili legami che alcuni autori, come Heinrich Maier o Georg
Busolt, avevano stabilito tra i passi socratici di Aristotele e i Memorabili
senofon- tei19. Si trattava, insomma, di una semplificazione del ben più arduo
problema delle fonti socratiche, ma di una semplificazione necessaria affinché,
nel discorso di Gentile sulla filosofia antica, emergesse in piena luce il
posto assegnato a Socrate, come iniziatore della logica e superatore del
precedente naturalismo. Dunque Socrate appariva, nelle pagine che ora Gentile
vi dedicava, come la rappresentazione vivente della scoperta del concetto come
giudizio, e a questo principio del logo andavano ricondotti tutti gli aspetti
della biografia. Socrate fu, pertanto, il maggiore dei Sofisti (Gentile),
perché convertì la parola di Gorgia nella nuova «fede nel pensiero»,
restituendo a quel mondo umano, che pure i sofi- sti, con la loro opera
distruttiva, avevano scoperto, il pregio dell’uni- versalità e della verità.
Questo era il senso dell’ironia e del dialogo: il dialogo, possiamo dire, si
superava nel logo, e si risolveva in esso, per- ché, come aveva chiarito
Platone nel Teeteto, era in verità un monologo, «un interno dialogare della
mente con se stessa» (ibid., 170), dove il concetto unico e universale
costituiva il presupposto e la mèta, l’inizio e la fine, dentro cui i
dialoganti, lungi dal distinguersi, si unificavano come simboli di un solo
ritmo logico. Certo Gentile riprendeva lette- ralmente l’indicazione
spaventiana del «formalismo socratico», ma in certo modo, come ora vedremo, ne
metteva piuttosto in rilievo l’aspetto positivo, schiettamente logico, rispetto
alla costru- zione successiva di una metafisica, culminante nell’opera di
Platone. «Formalismo» significava, perciò, visione formale del concetto e del
giudizio, fede nella forma del pensiero, non ancora fissato in un tra-
scendente mondo delle idee. Per molte ragioni non potrebbe dirsi che Gentile
trasformasse la fi- gura di Socrate in quella di un precursore dell’attualismo,
come per esempio era accaduto, a proposito di Gesù di Nazareth, ad Omodeo o a Ruggiero:
la sua prosa si manteneva più sobria, [Si ricordi la netta affermazione del
Maier, che risale all’edizione di Tubinga del Sokrates: «debbo confessare che
mi riesce incomprensibile come mai si siano potute dare tanta importanza e
tanta fiducia alle sue [di Aristotele] scarse osservazioni» (Maier) controllata,
ma certamente tendeva ad assegnare a Socrate un valore unico in tutto
l’orizzonte della filosofia antica20. Il «formalismo» indi- cava un merito, non
un difetto. E in tutto il capitolo sull’«essere come concetto», ne sottolineò
l’importanza, senza mai indicare il limite della visione socratica. Limite che
emerse piuttosto nelle pagine successive, quelle sull’«essere come idea», dove,
per spiegare il passaggio a Pla- tone, accennò pure al «problema centrale di
Socrate», consistente nel «dualismo da vincere» tra il mondo umano e il mondo
naturale, tra il concetto e l’esperienza, perché – scriveva – Socrate «non
aveva saputo dir nulla di quella natura che ci sta davanti, in cui si nasce, si
vive e si muore, e con cui all’uomo che pensa per concetti rimane pur sempre da
fare i conti» (Gentile). Era necessario segnare il limite di Socrate, per
offrire una spiegazione del passaggio successivo, quando il suo «formalismo»
ripiegò in una compiuta metafisica, tornando di fatto al naturalismo e al mito
eleatico dell’essere immutabile. E il lungo capitolo sull’«essere come idea»,
che copre quasi la metà della parte scritta dell’opera, costituisce in effetti
una delle pagine più importanti, e in fondo drammatiche, che Gentile abbia
composto negli ultimi giorni della sua vita. Parlò di «un nuovo abisso, che si
de- lineava tra Socrate e Platone, come quello che aveva diviso la filosofia
umana di Socrate da quella naturalistica che lo aveva preceduto; e ne preparò
l’analisi con una sottile considerazione delle scuole socrati- che minori,
culminante nella figura di Euclide, che «proveniva dall’eleatismo» e che per
primo, inaugurando l’opera che sarà di Pla- tone, «trasferiva il concetto o
universale socratico dalla mente dell’uomo nella realtà in sé. Di fronte al
dualismo irri- solto di Socrate, tornava, fin da Aristippo o Teodoro, il vento
gelido della vecchia cultura, che riempiva il «formalismo» di un contenuto
antico, quello della natura, della trascendenza, del realismo. Platone stesso,
in fondo, compì questa opera necessaria, appoggiandosi ai suoi veri maestri,
l’«eracliteo Cratilo» e Parmenide, e ab- batté «la barriera tra l’umano e il
divino», innalzandovi sopra quell’edificio possente che è la metafisica.
All’analogia tra Socrate e Gesù, Gentile aveva fatto riferimento nella
recensione a G. Zuccante, Socrate. Fonti, ambiente, vita, dottrina (Gentile).
Per Omodeo, il rinvio è a Omodeo; per Ruggiero, al primo volume di Ruggiero Gentile
e Socrate Quando, in una decina di pagine di forte intensità, entrò all’interno
di questo meccanismo, e cercò di spiegare con più precisione il passag- gio che
si era consumato dal formalismo di Socrate alla metafisica di Platone, Gentile
non mancò di osservare che la «soluzione» che la dot- trina delle idee aveva
dato al «problema» di Socrate, unificando ciò che nel maestro si conservava
diviso, era in fondo fallimen- tare, perché metteva capo a un nuovo e più duro
dualismo, quello che si apriva tra eraclitismo ed eleatismo: due anime –
scrisse – inconciliabili: né Platone riuscì più a mettere una a tacere, come in
qualche modo erano riusciti a fare Parmenide ed Era- clito e lo stesso Socrate.
Il poderoso sforzo da lui tentato di strin- gere insieme le due opposte
esigenze pur nella forza indomabile dell’energia con cui esse reciprocamente si
escludono, non potrà non fallire. La vicenda post-socratica delineava dunque la
storia di un falli- mento; e di un fallimento, bisogna aggiungere, che aveva un
prezzo elevato per la filosofia: perché l’idea di Platone altro non era che
l’es- sere di Parmenide («dire idea – scriveva – è lo stesso che dire essere»)
e il dialogo, che Socrate aveva coltivato come ricerca sogget- tiva della
verità, si irretiva nella dialettica oggettiva delle idee trascen- denti,
dell’essere, nella «dialettica consistente nella relazione che hanno le idee in
se stesse», in «dialettica oggettiva, che è norma e fine della soggettiva» Gentile
parlava bensì di conquista del pensiero platonico, di progresso, ma in tutta la
sua pagina circolava l’impressione del regresso e della decadenza, del passo
indietro, della chiusura metafisica. Impressione che si fece nitida nel brano
in cui, mettendo a diretto confronto i due filosofi, Socrate e Platone, affermò
che il primo, di fronte all’antico naturalismo, aveva scoperto il pen- siero
come «relazione», «soggetto, predicato e loro relazione», mentre l’altro quella
relazione aveva ricondotta «in un’idea suprema», unica e universale, e perciò
l’aveva annientata e assorbita nell’ordine ogget- tivo dell’essere che nega e
dissolve il pensiero: «quest’idea – spiegava – pel fatto stesso che totalizza
la relazione, l’annienta; perché l’idea delle idee, essendo unica, è
irrelativa». E dunque metteva capo all’«unità massiccia, immota, morta, che è
tutto un blocco, da prendere LA BANDIERA DI SOCRATE o lasciare. Proprio
come l’Essere eleatico. Pare pensiero, e non è. Che era una critica della
metafisica platonica e, al tempo stesso, il più alto riconoscimento a Socrate:
il quale restava, così, al centro di questa storia, come una possibilità
inesplosa dell’antico, che solo il pensiero moderno, dopo il cristianesimo, avrebbe
ripreso e realizzato. Nota bibliografica BERTINI, “Considerazioni sulla
dottrina di Socrate.” Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino. Opere
varie. Biella: Amosso. CERASUOLO.“Il “Socrate” di Labriola.” In La cultura
classica a Napoli. Napoli: Pubblicazioni del Dipartimento di Filologia Classica
dell’Università degli Studi di Napoli. BROCHARD, Études de philosophie ancienne
et de philosophie moderne. Paris: Alcan. COLLI. Biblioteche di filosofi nella
biblioteca di filosofia della Sapienza romana.” Culture del testo e del
documento. CROCE, Logica come scienza del concetto puro, Bari: Laterza. DE
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Laterza. GENTILE Recensione a Zuccante, Socrate. Fonti, am- biente, vita,
dottrina (Torino). La Critica. Sistema di logica come teoria del conoscere. Firenze:
Sansoni. Rosmini e Gioberti. Saggio storico sulla filosofia italiana del
Risorgi- mento. Firenze: Sansoni. Sistema di logica come teoria del conoscere. Firenze:
Sansoni. La filosofia di Marx. Firenze: Sansoni. Teoria generale dello spirito
come atto puro. Firenze: Sansoni. Storia della filosofia (dalle origini a
Platone), a cura di V.A. Bellezza. Firenze: Sansoni. La religione. Firenze:
Sansoni. Gentile e Socrate. La riforma della dialettica hegeliana. Firenze:
Sansoni. La filosofia dell’arte. Firenze: Sansoni. Introduzione alla filosofia.
Firenze: Sansoni. Sommario di pedagogia come scienza filosofica. Firenze: Sansoni.
Spaventa. Firenze: Le Lettere. HEGEL, GEORG WILHELM FRIEDRICH, Lezioni sulla
storia della filosofia. Firenze: La Nuova Italia. Lezioni sulla storia della
filosofia (vol. II). Firenze: La Nuova Italia. Scienza della logica. Roma-Bari:
Laterza. LABRIOLA,“La dottrina di Socrate secondo Senofonte Platone ed
Aristotele.” In Tutti gli scritti filosofici e di teoria dell’educa- zione, a
cura di L. Basile e L. Steardo. Milano: Bompiani. MAIER, Socrate. La sua opera
e il suo posto nella storia. Firenze: La Nuova Italia, ed. or. Sokrates: sein
Werk und seine geschichtliche Stellung. Tübingen: Mohr. MUSTÈ, “Il senso della
dialettica nella filosofia di Bertrando Spaventa.” Filosofia italiana. OMODEO,
Gesù e le origini del cristianesimo. Messina: Princi- pato, POGGI, STEFANO,
Introduzione a Labriola. Roma-Bari: Laterza. PUNZO Labriola. Celebrazioni del
centenario della morte. Cassino: Edizioni Dell’università Degli Studi di
Cassino, RITTER, Histoire de la philosophie ancienne, 4 voll., traduit de
l’allemand par C.J. Tissot. Paris: Ladrange, SPAVENTA. Lettere, scritti e
documenti pubblicati da Benedetto Croce. Napoli: Morano, SPAVENTA, Opere, a
cura di Gentile. Firenze: Sansoni. Marcello Mustè. Mustè. Keywords: la filosofia
dell’idealismo italiano, popolarismo, governo federativo, democrazia, kratos –
natoli, il potere – un concetto di kratos – dirrito, il principio politico,
liberalismo, partito liberale italiano, comunismo, il libero economico, il libero etico, libero
politico, ri-sorgimento italiano, liberta del volere, “Gentile e Socrrate” --
-- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mustè” – The Swimming-Pool Library.
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