Grice ed Oro: l’implicatura conversazionale -- Grice e Trissino – la difficoltà dei segni di Trissino non favorì la diffusione della sua filosofia – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Vicenza). TRISSINO-DAL-VELLO-D’ORO -- or ORO (Vicenza). Filosofo italiano. Ritratto di Vincenzo Catena. Persona di spicco della cultura rinascimentale, notissimo al tempo, il Trissino incarnò perfettamente il modello dell'intellettuale universale di tradizione umanistica. Si interessò, infatti, di linguistica e di grammatica, di architettura e di filosofia, di musica e di teatro, di filologia e di traduzioni, di poesia e di metrica, di numismatica, di poliorcetica, e di molte altre discipline. Nota era, anche presso i contemporanei, la sua erudizione sterminata, specie per quel che riguarda la cultura e la lingua greche, sull'esempio delle quali voleva rimodellare la poesia italiana. Fu anche un grande diplomatico e oratore politico in contatto con tutti i grandi intellettuali della sua epoca quali Niccolò Machiavelli, Luigi Alamanni, Giovanni di Bernardo Rucellai, Ludovico Ariosto, Pietro Bembo, Giambattista Giraldi Cinzio, Demetrio Calcondila, Niccolò Leoniceno, Pietro Aretino, il condottiero Cesare Trivulzio, Leone X, Clemente VII, Paolo III, e l'imperatore Carlo V d'Asburgo. Fu ambasciatore per conto del papato, della Repubblica di Venezia e degli Asburgo, di cui fu un fedelissimo, come tutta la sua famiglia da generazioni. Scoprì e protesse l'architetto Andrea Palladio, appena adolescente, nella sua villa di Cricoli, vicino Vicenza, che venne da lui portato nei suoi viaggi e fu da lui iniziato al culto della bellezza greca e delle opere di Marco Vitruvio Pollione. O. nacque da antica e nobile famiglia. Suo nonno Giangiorgio combatté nella prima metà Professoreil condottiero Niccolò Piccinino, che al servizio dei Visconti di Milano invase alcuni territori vicentini, e riconquistò la valle di Trissino, feudo avito. Suo padre Gaspare era anch'esso uomo d'armi e colonnello al servizio della Repubblica di Venezia e sposò Cecilia Bevilacqua, di nobile famiglia veronese. Ebbe un fratello, Girolamo, scomparso prematuramente, e tre sorelle: Antonia, Maddalena, andata in sposa al padovano Antonio degli Obizzi, ed Elisabetta, poi suor Febronia in San Pietro nel 1495 e dal 1518 rifondatrice insieme a Domicilla Thiene di San Silvestro. Targa marmorea che Trissino fece realizzare a ricordo del suo maestro Demetrio Calcondila in S.Maria della Passione a Milano Trissino studiò greco a Milano sotto la guida del dotto bizantino Demetrio Calcondila, sodale di Marsilio Ficino, e poi filosofia a Ferrara sotto Niccolò Leoniceno. Da questi maestri imparò l'amore per i classici e la lingua greca, che tanta parte ebbero nel suo stile di vita. Alla morte di Calcondila, fece murare una targa nella chiesa di S.Maria della Passione a Milano, dove fu sepolto il suo maestro. Il 19 novembre 1494 sposò Giovanna, figlia del giudice Francesco Trissino, lontana cugina, da cui ebbe cinque figli: Cecilia, Gaspare, Francesco, Vincenzo e Giulio. Trissino sostene l'Impero come istituzione, come d'altronde era tradizione nella sua famiglia da generazioni, ma ciò venne interpretato in spirito antiveneziano e, per questo, egli fu temporaneamente esiliato dalla Serenissima. Nel 1515, durante uno dei suoi viaggi in Germania, l'Imperatore Massimiliano I d'Asburgo lo autorizzò all'aggiunta del predicato "dal Vello d'Oro" al proprio cognome e alla relativa modifica dello stemma gentilizio (aurei velleris insigna quae gestare possis et valeas), che nella parte destra riporta su fondo azzurro un albero al naturale con fusto biforcato sul quale è posto un vello in oro, il tronco accollato da un serpente d'argento e con un nastro d'argento tra le foglie, caricato del motto "PAN TO ZHTOYMENON AΛΩTON" in lettere maiuscole greche nere, preso dai versi 110 e 111 dell'Edipo re di Sofocle che significa "Chi cerca trova", privilegi trasmissibili ai propri discendenti. Stemma di Giangiorgio Trissino dal Vello d'Oro come appare nel volume dedicatogli da Castelli. In quegli stessi anni intraprese diversi viaggi tra Venezia, Bologna, Mantova, Milano (dove conobbe Trivulzio, comandante francese) e Padova (dove riscoprì il De vulgari eloquentia di Dante Alighieri). Poi si recò a Firenze ed entrò nel circolo degli Orti Oricellari (i giardini di Palazzo Rucellai) in cui si riunivano, in un clima di marca neoplatonica e di classicismo erudito, Machiavelli e i poeti Luigi Alamanni, Giovanni di Bernardo Rucellai ed altri. Qui il Trissino discusse il De vulgari eloquentia e compose la tragedia Sofonisba. Questi anni agli Orti Oricellari furono centrali, sia per quanto il poeta ricevette intellettualmente, sia per la forte impronta che lasciò sui suoi sodali: si vedano le tragedie di Giovanni di Bernardo Rucellai e il poemetto le Api (in endecasillabi sciolti, concluso dalle lodi del Trissino, cfr. il paragrafo sul Profilo religioso del Trissino) o le poesie pindariche di Luigi Alamanni, o ancora i punti di contatto fra le tante digressioni erudite sull'arte militare contenute nell'Italia liberata dai Goti che rimandano all'Arte della guerra del Machiavelli, elaborata proprio in quegli anni. Anzi, le idee linguistiche del poeta spronarono lo stesso Machiavelli a scrivere anche lui un Dialogo sulla lingua, nel quale difende l'uso del fiorentino moderno (cfr. il paragrafo Opere linguistiche). In seguito si recò a Roma, dove stampò nel 1524 la Sofonisba (dedicandola papa Leone X), la prima tragedia regolare, e la famosa Epistola de le lettere nuovamente aggiunte ne la lingua italiana (dedicata a Clemente VII), un arditissimo libello in cui si suggeriva l'inserimento nell'alfabeto latino di alcune lettere greche per segnalare alcune differenze di lettura. Intanto il figlio Giulio, di salute cagionevole, venne avviato dal padre alla carriera ecclesiastica e, dopo il suo soggiorno a Roma sempre presso papa a Clemente VII, divenne arciprete della cattedrale di Vicenza. Sempre a Roma, O. diede alle stampe alcuni testi fondamentali: la versione riveduta della Epistola, la traduzione del De vulgari eloquentia, Il castellano (dialogo sulla lingua, dedicato a Cesare Trivulzio ed ispirato a quello dantesco), le Rime (dedicate al cardinale Niccolò Ridolfi) e le prime quattro parti della Poetica (il primo trattato ispirato alla Poetica di Aristotele, da poco riscoperta), con le quali il programma di riforma letteraria classicheggiante avviato con la Sofonisba può dirsi quasi concluso. Per i prossimi 20 anni il poeta non stamperà più nulla. Queste opere sollevarono un grande clamore per la loro arditezza e disorientarono (o meglio: orientarono diversamente) la nascente letteratura italiana: nessuno aveva osato finora riformare addirittura l'alfabeto, né aveva avuto ardire di cancellare l'intero sistema dei generi in uso fin dal Medioevo (le sacre rappresentazioni e il poema cavalleresco, in primis) per farne sorgere dal nulla dei nuovi, cioè poi quelli antichi (la tragedia, la commedia e il poema epico). Da questi libelli prese avvio la secolare questione della lingua italiana. A Bologna, nel corso dell'incoronazione di Carlo V a Re d'Italia e Sacro Romano Imperatore, egli ebbe il privilegio di reggere il manto pontificale a Clemente VII e Carlo lo nominò conte palatino e cavaliere dell'Ordine Equestre della Milizia Aurata. Secondo quanto riportato dallo storico Castellini, Trissino rifiutò posizioni di potere offertegli dai pontefici a seguito dei successi riportati come diplomatico (Nunzio e Legato), ad esempio l'arcivescovado di Napoli, il vescovado di Ferrara o la porpora cardinalizia, in quanto desideroso di una propria discendenza ed essendo il figlio Giulio avviato nella gerarchia ecclesiastica. Rientrato a Vicenza sposa Bianca, figlia del giudice Nicolò Trissino e di Caterina Verlati, già vedova di Alvise di Bartolomeo O. Da Bianca ebbe due figli: Ciro e Cecilia. Alla nomina di Ciro come erede universale, si scatenarono le ire di Giulio che per lungo tempo lottò in tribunale contro il padre e il fratellastro per poi morire in odore di eresia calvinista. Anche a seguito delle divergenze causate dai cattivi rapporti con Giulio, la coppia si divise quando Bianca si trasferì a Venezia, dove morì il 21 settembre 1540. Trissino manifestò il proprio fervente sostegno all'Impero dedicando, qualche anno prima della morte, a Carlo V il suo poema in 27 canti L'Italia liberata dai Goti, il primo poema regolare destinato, come si vede fin dal titolo, ad essere importante per la Gerusalemme liberata di Torquato Tasso. Nel 1548 stampò anche la commedia I Simillimi, anch'essa la prima commedia regolare. Villa O. di Cricoli (VI) Intanto nella villa di Cricoli alle porte di Vicenza, già dei Valmarana e dei Badoer e acquistata dal padre Gaspare, si radunava una delle più prestigiose Accademie vicentine. Qui Trissino scoprì uno dei più grandi talenti della storia dell'architettura, Andrea Palladio, di cui fu mentore e mecenate, che portò nei suoi viaggi con sé ed educò alla cultura greca e alle regole architettoniche di Marco Vitruvio Pollione. Morì a Roma l'8 dicembre 1550 e fu sepolto nella Chiesa di Sant'Agata alla Suburra. Vennero alla luce le ultime due parti della sua Poetica, la quinta e la sesta (dedicate ad Antonio Perenoto, vescovo di Arras), che erano comunque già pronte, come si evince dalla chiusura della quarta parte. Progetta e attua una imponente riforma della lingua e della poesia italiane sui modelli classici, cioè la Poetica di Aristotele da poco riscoperta, i poemi di Omero, e le teorie linguistiche esposte di Alighieri nel “Della volgare eloquenza” riscoperto da lui stesso a Padova. Un programma in piena antitesi sia con la moda del petrarchismo di P. Bembo, sia con quella del romanzo cavalleresco incarnato supremamente dall' “Orlando furioso” di L. Ariosto, che allora infuriavano. Il programma di riforma venne esposto attraverso saggi diversi, cioè un saggio di orto-grafia e di orto-fonetica (Epistola dele lettere nuovamente aggiunte ne la lingua italiana, dedicata a Clemente VII), un saggio di teoria della lingua italiana (Il castellano, dedicato a C. Trivulzio), due saggi di grammatica (“Dubbii grammaticali” e la “Grammatichetta”) e un manuale di teoria dei generi letterari (“Poetica”). Tali proposte (specie quella di modificare l'alfabeto inserendovi alcune lettere greche così da rendere visibili le differenti pronunce di alcune vocali e di alcune consonanti) e la riscoperta del “Della volgare eloquenza” di Aligheri) sono clamorosi e fa esplodere in Italia la secolare questione della lingua, idealmente chiusa da “I promessi sposi” di Manzoni. Questa intensa speculazione teorica ha il suo sbocco fattuale in quattro saggi poetici, tutte molto importanti: la Sofonisba (dedicata a Leone X), la prima tragedia regolare della letteratura moderna (regolare si definisce un'opera costruita secondo le norme derivate dai testi classici, essenzialmente la Poetica di Aristotele e l'Ars poetica di Orazio), L'Italia liberata dai Goti (dedicata a Carlo V), il primo poema epico regolare, e I simillimi (dedicata al G. Farnese), la prima commedia regolare. Si aggiunga un volume di poesie d'amore e di encomio (Rime, dedicato a N. Ridolfi) di gusto anti-petrarchista e ispirato ai poeti siciliani, agli Stilnovisti, ad Aligheri e alla tradizione del Quattrocento, tutte cassate dal Bembo. Anche queste opere sollevarono un grande dibattito, ma saranno destinate ad avere un ruolo centrale nello sviluppo degl’umanita italiana ed europea, se si considera l'importanza che la tragedia e l'epica, ad esempio, hanno in tutta Europa. A lui si deve anche l'invenzione dell'endecasillabo sciolto (cioè senza rima) ad imitazione dell'esametro classico, anche questa un'invenzione destinata a fama europea. La sua produzione comprende diversi generi: innanzitutto un Architettura, incompleto, ricerche sulla numismatica, traduzioni, ed orazioni varie. Se ci si concentra solo sugli studi di teoria del linguaggio, si ha a che fare con pochi testi, ma tutti rilevantissimi, attraverso i quali struttura un coerente programma di riforma del linguaggio sui modelli classici e sul linguaggio d’Alighieri ispirato alla Poetica di Aristotele, ad Omero e al “Della volgare eloquenza”, un sistema da opporre sia alle Prose della volgar lingua del Bembo di qualche anno prima, che aveva dato come modelli solo Petrarca e Boccaccio (riducendo, quindi, i generi letterari solo alla lirica e alla novella), sia all'”Orlando furioso” di L. Ariosto, che è un romanzo cavalleresco e non un poema epico. Attraverso il proprio programma iverrà a creare una tradizione di gusto classico del tutto nuova che nei secoli a venire si affiancherà al bembismo sebbene agli inizi gli fu avversario. Il suo sistema iinfatti, vuole sopperire ai vuoti lasciati dal petrarchismo bembesco e proseguire lo sperimentalismo della tradizione antica e quattrocentesca (la cosiddetta docta varietas). Né egli e l'unico convinto di queste idee, come si dice ancora oltre, ma era affiancato da Speroni, Tasso (padre di Torquato), Brocardo, Tolomei, Colocci, Equicola e altri ancora. Volendo sintetizzare, le sue opere si raccolgono intorno a tre date: Dà alle stampe a Roma la tragedia “Sofonisba” (composta prima agli Orti Oricellari) e l'Epistola sulle lettere da aggiungere all'alfabeto. Tutte le sue opere stampate in vita sono scritte secondo l'alfabeto da lui congegnato e non con l'alfabeto usuale. Vengono date alle stampe sei opera: “Della volgare eloquenza”, le prime IV parti della Poetica, il dialogo “Il castellano, le Rime, i Dubbi grammaticali e la Grammatichetta. Dà alla luce il poema L'Italia liberata dai Goti, e la commedia I simillini. Passeremo in rassegna le principali opere poetiche, tranne gli Scritti linguistici, che hanno un paragrafo apposito. La Sofonisba è in assoluto la prima tragedia regolare della letteratura europea, destinata a vasta fortuna specie in Francia. Secondo il modello antico, Trissino compone una tragedia in endecasillabi sciolti, che imitano i trimetri giambici (il verso a questa data fa la sua prima apparizione), divisa in quadri da cori rimati: alcuni cori sono canzoni petrarchesche mentre altri, invece, canzoni pindariche (che fanno anch'esse qui la loro prima apparizione e si ritroveranno nella poesia di Luigi Alamanni e poi ancora di Gabriello Chiabrera). L'argomento (con sensibile differenza dai classici antichi) è storico (preso da Tito Livio), non fantastico, mitico o biblico. L'azione, come poi sarà canonico nel teatro regolare, si svolge nello stesso posto (unità di luogo) e nello stesso giorno (unità di tempo) e prevede in scena un numero limitato di persone. Venne recitata durante il carnevale di Vicenza, messa in scena dall'amico e allievo Andrea Palladio. La proposta piacque, tutto sommato, e riscosse successo: l'endecasillabo sciolto, metro nuovo, fu approvato anche dal Bembo (come ricorda Giraldi Cinzio) e divenne da allora in poi il metro quasi canonico del teatro italiano, specie tragico (vedi sotto). Anche nelle Rime si mostra uno sperimentatore e il Petrarca, modello obbligatorio a prescindere dal Bembo, si fonde con immagini derivanti da altre epoche e da altri autori, in special modo la poesia occitana, quella siciliana, gli stilnovisti e Dante, i poeti quattrocenteschi. Nel sistema del Trissino è possibile usare ancora metri come, ad esempio, i sirventesi e le ballate (cassati dal Bembo) o anche introdurre particolari nuovi come gli occhi neri di guaiaco della donna amata, immagine inventata dal poeta su un referente quotidiano della cultura cinquecentesca e non in linea con le immagini tipiche del Petrarca (occhi di stelle e simili). Il Castellano è un dialogo sulla lingua dedicato a Cesare Trivulzio, comandante francese a Milano. Si ambienta a Castel Sant'Angelo e ha per protagonisti Giovanni di Bernardo Rucellai (il castellano, appunto) e Strozzi, amici degli Orti Oricellari. Il Trissino espone per bocca del Rucellai il suo ideale linguistico, preso dal De vulgari eloquentia, cioè quello di un volgare illustre o cortigiano, mobile ed aperto, fondato in parte sull'uso moderno e concreto della lingua, e in parte sugli autori della tradizione letteraria. Questi autori sono soprattutto Dante e Omero poiché dotati di enargia, cioè della capacità di rendere visibili a parole ciò di cui stanno narrando. Le idee linguistiche del Trissino sollevarono grande clamore (fondate com'erano su un testo la cui paternità dantesca non era ancora assicurata) e fecero scoppiare il secolare 'dibattito sulla lingua italiana' concluso, come detto, almeno idealmente, dal Manzoni tre secoli dopo. Fra i molti che parteciparono al dibattito si ricordi il fiorentino Machiavelli al quale il Trissino aveva letto il De vulgari eloquentia sempre agli Orti Oricellari, il Bembo, ovviamente, Sperone Speroni, Baldassarre Castiglione. Poetica Le teorie che soggiacciono a questo vasto programma vengono esposte nella Poetica, libro fondamentale non solo per il Trissino, essendo in assoluto il primo libro di poetica in Europa ad essere modellato sulla Poetica di Aristotele, destinato a fama secolare in tutto il continente. Né banale né senza rischi era, come potrebbe apparire, l'idea di resuscitare dei generi letterari di fatto morti da millenni e lontani per gusto e ispirazione dalla società rinascimentale. Sul piano linguistico immagina una lingua di ispirazione dantesca e omerica, cortigiana e illustre, che contempli l'innovazione e la tradizione, che sia aperta a una collaborazione ideale fra varie regioni italiane e non sul predominio esclusivo del toscano trecentesco, che ottemperi anche l'inserimento di neologismi e di dialettismi. Nella poesia lirica si appoggia, sempre dietro Dante, alla tradizione occitana, siciliana, stilnovista e dantesca e anche petrarchesca. Nella metrica saccheggia ampiamente il trecentesco Antonio da Tempo che ancora contempla ballate e sirventesi, generi cassati dal Bembo, come detto, e si mostra vicino allo sperimentalismo della poesia quattrocentesca. Discorre, inoltre, della possibilità di utilizzare in italiano metri di stile greco e latino, come fatto da lui nei cori della Sofonisba, proposta che avrà grande successo nei secoli a venire, specie nella poesia per musica e nel melodramma. Discorre poi della tragedia, della commedia, dell'ecloga teocritea e del poema omerico, i generi resuscitati dal mondo classico. A ogni genere vengono date ovviamente le proprie regole tratte da Aristotele, cioè le unità di tempo e di luogo, per la tragedia e la commedia, e le unità narrative, per il poema epico. Vengono quindi stabilite le nette differenze fra il romanzo cavalleresco e il poema epico. Mentre il romanzo cavalleresco narra una vicenda fantastica costituita dall'intreccio di molte storie diverse (alcune delle quali destinate a non chiudersi nel poema poiché non necessarie alla conclusione generale della vicenda), nel poema epico, invece, la vicenda dovrà essere di matrice storica e dovrà essere unitaria e conclusa: essa cioè dovrà venire raccontata dall'inizio alla fine, e i pochi protagonisti dovranno ruotare tutti attorno ad essa, tutti per un solo scopo, e le loro vicende dovranno venire concluse entro l'arco del poema, non lasciando nulla in sospeso. Il genere epico, inoltre, secondo una caratteristica che gli diventerà propria, viene dal Trissino investito di un alto valore morale e politico, profondamente pedagogico, ignoto al romanzo, che lo trasformano in un percorso di formazione morale e culturale. Per questi tre generi nuovi, il poeta propone l'endecasillabo sciolto, corrispettivo moderno dell'esametro e del trimetro giambico classici (vedi paragrafi sottostanti). Sul piano dello stile e dei registri il poeta rimanda alle teorie dei greci Demetrio Falereo e di Dionigi di Alicarnasso, che ponevano come vertice dello stile poetico l'energia, cioè la capacità di rappresentare visivamente con le parole le cose di cui s sta narrando, prerogativa, per il Trissino, dello stile di Omero e Dante. Sempre dietro Demetrio e Dionigi, divide la lingua italiana in quattro registri stilistici e non tre, come voluto dalla tradizione medievale e bembesca (la cosiddetta rota Vergilii, secondo la quale esistono 3 registri stilistici soltanto: quello basso, esemplificato dalle Bucoliche, quello medio dalle Georgiche, e quello alto o tragico dell'Eneide). Questo veniva a reimpostare daccapo i rapporti ormai consolidati fra genere letterario e registro stilistico, e fu una novità che avrebbe causato non poco l'insuccesso di un poeta il cui punto debole fu proprio lo stile. Tornò in scena con L'Italia liberata da' Gotthi, un vastissimo poema di endecasillabi sciolti in 27 canti, iniziato intorno nell'età di Papa Leone X. Esso è di fatto il primo poema epico moderno e sarà destinato, come la Sofonisba, a inaugurare un genere del tutto nuovo, in dichiarata antitesi alla tradizione medievale del romanzo cavalleresco che in quegli anni stava sfondando con Ariosto. L'idea che soggiace alla composizione dell'opera è illustrata nella famosa Dedica a Carlo V che precede il poema, dove O. dichiara di essersi ispirato ovviamente ad Aristotele e all'Iliade di Omero. Con la guida di Omero e di Demetrio Falereo (e non di Dante, si noti), inoltre, reclama l'uso di un volgare illustre che contempli l'inserimento di voci dialettali, arcaiche o anche latine e greche, come infatti nel poema avviene. Come detto più volte, inoltre, lo scopo del poema è 'ammaestrare l'imperatore', non solo attraverso dei modelli cavallereschi, ma anche attraverso conoscenze tecniche di architettura, arte militare e via di seguito. Il poema è ligio, insomma, a quanto stabilito nella Poetica: la trama è tratta da un accadimento storico cioè la guerra gotica tra l'imperatore bizantino Giustiniano I e gli Ostrogoti che occuparono l'Italia (per la quale il poeta segue lo storico bizantino Procopio di Cesarea), che viene raccontata dall'inizio alla fine, e i (relativamente) pochi protagonisti ruotano attorno ad essa. I personaggi, a loro volta, saranno specchio di altrettanti vizi e virtù da correggere, in questa crociata che sarebbe anche un percorso di formazione bellica e morale del suo lettore ideale, cioè Carlo V stesso. Il poema, atteso da vent'anni dai dotti italiani, fu uno dei più clamorosi fiaschi della storia letteraria italiana, come noto, anche se ebbe un impatto profondissimo. Critiche violente vennero da Giambattista Giraldi Cinzio (che ne parla nei suoi Romanzi) e da Francesco Bolognetti, ma non solo. I quali derisero il poema per la sua imitazione pedissequa dei valori dell'eroismo classico (grandezza e generosità d'animo, nobiltà e gloria), per l'attenzione estrema alla corretta applicazione delle regole aristoteliche, più che alla fluidità della narrazione o al dare un rilievo psicologico ai personaggi, assolutamente frontali. Inoltre, la ripresa parola per parola del modello omerico (ma in generale di tutte le moltissime fonti tradotte dal poeta) fu ritenuta noiosa, e la solennità dell'argomento venne a scontrarsi con la prosaicità dello stile trissiniano, del metro senza rima costruito in maniera formulare (come quello di Omero ovviamente) che rende il dettato fiacco e stereotipato. I lunghi intervalli eruditi, inoltre, in cui il poeta si dilunga nelle descrizioni degli accampamenti, dei monumenti della Roma medievale, di città, architetture, armature, eserciti, giardini, mappe geografiche dell'Italia, precetti morali, massime e apologhi eruditi e via di seguito, soffocano la narrazione epica (nella prima edizione il poema è addirittura corredato da tre cartine geografiche) e rendono il poema di difficile lettura. Ciò non toglie, tuttavia, che l'Italia liberata abbia un posto di rilievo nella letteratura: la visione di un mondo superiore di eroi solenni e composti nella dignità del loro ideale e della loro missione, tipicamente aristocratici, anticipava le preoccupazioni morali della Controriforma. Sarà proprio alla fine del secolo, infatti, che il poema trissiniano avrà la sua fortuna, col Tasso ma non solo. “I simillimi” w l'ultima opera stampata dal poeta e i modelli sono indicati da lui stesso nella dedica a Farnese: Aristofane e la Commedia antica -- Menandro è stato riscoperto solo nel Novecento) -- sul modello della quale il Trissino ha fornito la favola dei cori (con l'appoggio anche dell'Arte poetica di Orazio) ma non del prologo. Dichiarata è anche l'ascendenza da Plauto (essenzialmente i Menecmi). Il testo è costruito in versi sciolti, ovviamente, mentre i cori sono costituiti anche da settenari e sono rimati.Le opere linguistiche Frontespizio del Castellano di Giangiorgio Trissino, stampato con lettere aggiunte all'alfabeto italiano da quello Greco. I suoi saggi di filosofia del linguaggio sono essenzialmente quattro: l'Epistola, Castellano, Dubbi, Grammatichetta, oltre, ovviamente la Poetica. Accese discussioni suscita il suo esordio letterario, cioè la proposta di ri-formare l'alfabeto classico italiano, di radice latina – Lazio -- contenute nell' “Ɛpistola del Trissinω” delle lettere nuωvamente aggiunte nella lingua italiana”, dove suggerisce l'adozione di grafia dell’abecedario di vocali e consonanti della fonologia greca al fine di “dis-ambiguare” un segno diversi resi allora, e ancor oggi, con il medesimo segno grafico: e e o aperte (“ε” ed “ω”) e chiuse, z sorda e “z” sonora (“ζ”) – “Speranζa” -- nonché la distinzione dell’“i” e dell’ “u” con valore di vocale (i, u), o di consonante (j, v). Ri-propone questa idea, sebbene ricorrendo a segni diverse, anche l'accademico della Crusca (cruschense) Salvini, sempre senza successo. Accolta fu nei secoli a venire, invece, la sua proposta di utilizzare la “z” al posto della “t” nelle vocaboli latini che finiscono in “-tione” (implicatione > “implicazione” -- oratione > orazione) e di distinguere sistematicamente il segno “u” dal signo “v” (uita > “vita”) I punti principali dell'abecedario riformato sono i seguenti: carattere fonema Distinto da Pronuncia “Ɛ”, “ε”; E aperta [ɛ] E e E chiusa [e] “Ω” “ω” O aperta [ɔ] O o O chiusa [o] V v V con valore di consonante [v] U u U con valore di vocale [u] J j con valore di consonante J [j] I iI con valore di vocale [i] “Ӡ” “SPERANӠA” “ç” – Sperança -- Z sonora [dz] Z z Z sorda [ts]. Tali idee vengono confermate. Nel Castellano, propone il modello di una lingua cortigiana-italiana formata dagli elementi comuni a tutte le parlate dei letterati della penisola, non solo nel lessico ma anche al livello della fonetica (visibile ormai grazie al suo abecedario ri-formato). La sua teoria si appoggia ad Omero e soprattutto alla sua traduzione del “De vulgari eloquentia”, e vede amplificata nella “Poetica”, in riferimento a tutti i generi letterari, ed e illustrata materialmente nella sua Grammatichetta messa a disposizione da Trissino stesso e i Dubbi grammaticali. Alla sua tesi si dimostrano particolarmente ostili i toscani, ovviamente, visto che Aligheri stesso asserisce nel trattato che il toscano non è il volgare illustre. Tra di essi spicca il Machiavelli, come accennato, che compose un “Dialogo sulla lingua” nel quale reclama la specificità del fiorentino in opposizione a Bembo e anche a Trissino, che nella grammatica di base parte sempre dalla lingua letteraria, anche perché l'unica in grado di assicurare a livelli profondi una similarità fra i vari parlari italiani. Un esempio: se nel toscano di Poliziano è normale usare “lui” in funzione di soggetto, Bembo invece rispolvera “egli” e lo stesso fa Trissino. Machiavelli, invece, difende l'uso di “lui”, normale a Firenze. La riforma trissiniana dei segni dell’abecedario italiano, applicata sistematicamente da lui in tutti i suoi saggi (anche negli appunti!), è un prezioso documento delle differenze di pronuncia tra il tosco toscano e la lingua cortigiana, fra la lingua letteraria e la corretta pronounia Nordica (e vicentino) perché applica i propri criteri nel pubblicare i suoi saggi o nell'interpretare alcuni segni del toscano. La conseguente maggior difficoltà non favoresce la diffusione della sua filosofia e porta diverse critiche da parte dei filosofi suoi contemporanei. Sebbene sia noto come esegeta aristotelico, il Trissino si era formato, invece, sul finire del Quattrocento e nei primi del Cinquecento nelle capitali culturali italiane sature di cultura neoplatonica e mistica: non ci riferiamo solo agli anni a Milano presso il Calcondila (amico di Marsilio Ficino) o a Ferrara presso il Leoniceno, ma soprattutto a quelli trascorsi agli Orti Oricellari fiorentini e nella Roma di Leone X, figlio di Lorenzo de' Medici. Importanti sono i due ritratti che ci vengono lasciati da due contemporanei. Il primo è il quello di Giovanni di B. Rucellai, che nel poemetto in versi sciolti Le api, dopo aver discusso dell’armonia cosmica e della dottrina ermetico-platonica dell’Anima Mundi, specifica: «Questo sì bello e sì alto pensiero / tu primamente rivocasti in luce / come in cospetto degli umani ingegni O., con tua chiara e viva voce, tu primo i gran supplicii d’Acheronte ponesti sotto i ben fondati piedi / scacciando la ignoranza dei mortali». Insomma il Trissino viene riconosciuto come un interprete del pensiero platonico e, si direbbe, democriteo. Il secondo, invece, riguarda le esposizioni rilasciate al'Inquisizione, dopo la morte del poeta, da parte del Checcozzi, il quale dichiara che il Trissino «faceva discendere le anime umane dalle stelle ne’ corpi e diede a divedere come i passaggi di quelle di pianeta in pianeta fossero stimate altrettante morti e dicesse essere pene infernali non le retribuzioni della vita futura ma le passioni e i vizi» (in B. Morsolin, O.. Monografia di un gentiluomo letterato, Firenze, Le Monnier). A questo si aggiungano ancora la ripetuta ammissione di credere nella salvezza per sola Grazia (Morsolin, confermata nell'Epistola a Marcantonio da Mula), cioè di essere a rigore un luterano, e la lunga requisitoria contro il clero corrotto contenuta contenuta nell'Italia liberata, requisitoria che però, come rilevato da Maurizio Vitale (in L'omerida italico: Gian Giorgio Trissino. Appunti sulla lingua dell'«Italia liberata da' Gotthi», Istituto Veneto di Scienze ed Arti, ), non figura in tutte le stampe del poema ma solo in quelle indirizzate forse in Germania. Anche quindi, auspicava un riordino interno della Chiesa e una sua restaurazione morale, in linea con il generale movimento di riforma che scoppio' nel Rinascimento, con Lutero, Erasmo etc.... senza per questo farne un luterano in senso stretto. Insomma, è un tipico esponente della tradizione religiosa pre-tridentina, in cui il fervido sostegno alla Chiesa romana e la vicinanza coi papi non escludono forti iniezioni di filosofia idealista e della scuola di Crotone, di stoicismo e di astrologia, di tradizione bizantina e millenarismo, in cui Erasmo da Rotterdam, M.Lutero, Agrippa von Nettesheim, Pico, Ficino si fondono in una forma religiosa eclettica e ancora tollerata prima dell'apertura del Concilio di Trento. Le persecuzioni inizieranno dopo la sua morte e vi verrà coinvolto, invece, il figlio Giulio, vicino al calvinismo, che subirà l'Inquisizione. Il suo poema, una vera enciclopedia dello scibile, è molto interessante a riguardo, e queste venature di pensiero religioso inquiete ed eclettiche sono evidenti in maniera palese. Si ricordino gl’angeli che portano nomi di divinità pagane -- Palladio, Onerio, Venereo etc... -- e che non sono altro che allegorie delle facoltà umane o delle potenze naturali (Nettunio, angelo delle acque, ad esempio, o Vulcano come metonimia del fuoco) come indicato nel De Daemonius di M. Psello e nel pensiero idealista o accademico. E questo uno dei punti più bersagliati dai critici contro lui, per primo, ancora una volta, Cinzio. Di Palladio cura soprattutto la formazione di architetto inteso come filosofo umanista. Questa concezione risulta alquanto insolita in quell'epoca, nella quale all'architetto era demandato un compito preminentemente di tecnico specializzato. Non si può capire la formazione filosofica ed umanistica e di tecnico specializzato della costruzione dell'architetto Andrea della Gondola, senza l'intuito, l'aiuto e la protezione di lui. È lui a credere nel giovane lapicida che lavora in modo diverso e che aspira a una innovazione totale nel realizzare le tante opere. Gli cambia il nome in Palladio, come l'angelo liberatore e vittorioso presente nel suo poema L'Italia liberata dai Goti. Secondo la tradizione, l'incontro tra lui e Gondola ha nel cantiere della villa di Cricoli, nella zona nord fuori della città di Vicenza, che in quegli anni sta per essere ristrutturata secondo i canoni dell'architettura classica. La passione per l'arte e la cultura in senso totale sono alla base di questo scambio di idee ed esperienze che si rivela fondamentale per la preziosa collaborazione tra i due "grandi". Da lì avrà inizio la grande trasformazione dell'allievo di G. Pittoni e Giacomo da Porlezza nel celebrato Andrea Palladio. E proprio lui a condurlo a Roma nei suoi viaggi di formazione a contatto con il mondo classico e ad avviare il futuro genio dell'architettura a raggiungere le vette più ardite di un'innovazione a livello mondiale, riconosciuta ed apprezzata ancora oggi. Il sistema letterario inventato dal lui non e il solo tentativo di preservare un rapporto diretto con la cultura degl’antichi con Aligheri e con l'umanesimo del Quattrocento, che il sistema bembiano esclude. Molti altri condividevano le sue idee, infatti, come A. Brocardo, B. Tasso, anche loro intenti a inventare nuovi metri su imitazione dei classici. Tuttavia, se si eccettua forse S. Speroni, e uno dei pochi che struttura nella sua Poetica un sistema totale, onni-comprensivo, aristotelico in senso pieno, dove ogni genere è regolato in maniera specifica; e questo gli permette di essere un punto di riferimento privilegiato. Bisogna fare a questo punto una distinzione essenziale fra le sue produzione filosofica e le sue teorie letterarie. Le opere poetiche, forse con la sola eccezione della Sofonisba e delle Rime, sono notoriamente brute. Lo stile è fiacco e prosaico e la narrazione dispersa in mille meandri eruditi, ragione per cui furono conosciute da tutti, lette e ammirate, ma non apprezzate né imitate dal punto di vista stilistico. L’invenzione del verso sciolto, che e centrale nella storia letteraria europea, infatti, non e destinata a fiorire con lui ma solo alla fine del secolo perché venisse accettata entro un poema di genere e di stile alto come quello epico. La sua filosofia, invece, trova un successo secolare, non solo in Italia ma in molti paesi europei specie nel Settecento, con la nuova moda del classicismo. Questo specie per quel che riguarda i due generi principali del mondo degl’antichi, la tragedia e l'epica, e con essi anche il verso sciolto. In Italia si può dire che ha grande fortuna col verso sciolto e col poema epico, ma minore col teatro tragico. La Sofonisba, quando usce, non era in Italia l'unica tragedia di imitazione antica, anche se era la prima: vi erano, infatti, anche quelle di Giovanni di Bernardo Rucellai, composte sempre agli Orti Oricellari. Ma la tragedia ispirata ai modelli antici non trovò terreno in Italia e fu soppiantata presto, già a metà del secolo, da quella 'alla latina' -- cioè piena di fantasmi, conflitti, colpi di scena e sangue, shakespeariana insomma), riportata in auge a Ferrara dalle Orbecche di Giambattista Giraldi Cinzio -- una linea di gusto che, alla fine del Cinquecento e nel Seicento, si sposerà in pieno col teatro gesuita, di ispirazione anche esso stoica e senecana. Non così nell'epica e nel verso sciolto. Il poema del Trissino è nominato infatti da tutti i principali autori epici dell'epoca (e spesso in mala fede), da Bernardo Tasso (intento anche lui alla realizzazione del poema Amadigi, che nella prima stesura era in versi sciolti) e Giambattista Giraldi Cinzio (che compose contro l'Italia liberata il volume Dei romanzi), F. Bolognetti e via via fino a Tasso. Quest'ultimo parla spesso dell'Italia liberata nei Discorsi del poema eroico e, sebbene ne rilevi i limiti, la tiene presente chiaramente come modello teorico e anche in molti passaggi della Gerusalemme liberata (fra cui la famosa morte di Clorinda, ripresa da quella dell'amazzone Nicandra, ad esempio). Vale la pena specificare che il titolo di “Gerusalemme liberate”, infatti, non fu deciso dal Tasso (che nei Discorsi chiama sempre il suo poema “Goffredo”), ma dallo stampatore A. Ingegneri, che doveva aver notato la somiglianza dell'opera tassiana col poema trissiniano. Mentre nel Rinascimento i critici iniziavano a discutere dei rapporti fra poesia epica e romanzo cavalleresco, si assiste a un lento processo di 'acclimatazione' del verso sciolto nei poemi narrativi. Dapprima viene usato nei generi minori, come le ecloghe pastorali, i poemetti georgici, gli idilli o le traduzioni, ma alla fine del secolo sarà impiegato in opere imponenti come l'”Eneide” di Caro, o nel poema sacro del Mondo creato di Tasso, o nello stile fastoso dello Stato rustico di G. Imperiale o quello classico di Chiabrera in pieno Barocco. Anzi, proprio Chiabrera (non a caso allievo di Speroni) si può dire che sia il suo grande erede, animato come lui dal desiderio di riformare la metrica e di ricreare i generi letterari sui modelli classici. La Poetica è citata dal Chiabrera in punti importanti, sia in difesa del verso sciolto, sia dei generi metrici non bembeschi o nuovi, sia, implicitamente, nella ripresa del mito di Dante e di Omero (cfr. il paragrafo apposito in Chiabrera). O. ebbe ancora fortuna anche nel XVIII secolo, con l'edizione in due volumi Scipione Maffei di Tutte le opere (Verona, Vallarsi, ancora oggi punto di riferimento indispensabile), e con nove tragedie intitolate Sofonisba, una delle quali d’Alfieri. Grande fu l'influenza anche nel melodramma: si contano ben quattordici Sofonisba, una delle quali di Gluck e uno di Caldara. Ma a parte la fortuna della Sofonisba, considerando che la riforma poetica dell'Accademia dell'Arcadia si ispira dichiaratamente alla poesia e alla metrica del Chiabrera, possiamo dire che il Trissino sia stato uno dei fondatori della poesia arcadica e capostipite di una tradizione letteraria, anche quella del melodramma settecentesco. Non a caso è uno degli autori più presenti nella ragion poetica di Gravina, maestro del giovane Metastasio, la cui prima opera sarà la tragedia Giustino, una riproposizione quasi parola per parola del III canto dell'Italia liberata dove si narrano gli amori di Giustino e di Sofia. PCastelli dedica la poeta una intera monografia (La vita di Giovangiorgio Trissino oratore e poeta). Si può dire, quindi, che non solo nell'epica il Trissino abbia avuto fortuna, ma anche nel teatro italiano, anche se nelle forme del melodramma e non quelle della tragedia, come tipico della tradizione italiana. Questo grazie, soprattutto, alla mediazione del Chiabrera, che seppe rendere le forme metriche del Trissino (prima fra tutte il verso sciolto) di insuperabile eleganza. Nell'Ottocento si ricordino l'Iliade di Vincenzo Monti e l'Odissea di Ippolito Pindemonte, che proseguono la grande storia del verso sciolto nella traduzione italiana, e le considerazioni di tre grandi scrittori. Il primo è Manzoni che, meditando sul romanzo storico, rifletté anche sui rapporti fra creazione poetica e verosimiglianza storica date da Aristotele nello scritto Del romanzo storico e, in genere, de’ componimenti misti di storia e d’invenzione. Il secondo è Carducci che stronca il poema ne I poemi minori del Tasso (in L’Ariosto e il Tasso) e il terzo è B. Morsolin che compose la biografia del poeta (Giangiorgio Trissino o monografia di un letterato) che ancora oggi è indispensabile.Francia In Francia, invece, si assiste in un certo senso alla situazione opposta e le teorie del Trissino trovarono vasta eco più nel teatro che nel poema epico, questo anche perché in generale il teatro classico francese ha sempre prediletto i modelli greci ai latini e il teatro, in genere, al melodramma. Nel teatro francese l'influenza della Sofonisba sarà forte: la prima rappresentazione documentata in francese è nel castello di Blois, davanti alla corte della regina, Caterina de' Medici, non a caso una fiorentina. La corte di Francia era già abituata d'altronde alla poesia italiana di stile classico da almeno trent'anni, dopo il soggiorno presso Francesco I di Francia di Luigi Alamanni. Da qui in poi si conteranno otto Sofonisba fino alla fine del Settecento, una delle quali di Pierre Corneille. Non così invece nell'epica, genere che in Francia trovò poco seguito, e nel verso sciolto, che non si acclimatò mai nella poesia francese, poco adatta per suo ritmo naturale a un verso senza rima. Il Voltaire, che amava l'Ariosto, ricorda l'Italia liberata nel suo Saggio sulla poesia epica più che altro per rilevare le pecche del poema. In Inghilterra si ricorda la fortuna del verso sciolto (blank verse) che avrà la sua consacrazione nel Paradiso perduto di Milton, e le lodi tributate al Trissino da Pope nel prologo alla Sofonisba di Thomson. In Germania si ricordano tre Sofonisba. Anche Goethe possede una copia delle Rime trissiniane Opere: “Sofonisba, tragedia Ɛpistola del Trissino de le lettere nuωvamente aggiunte ne la lingua Italiana; De vulgari eloquentia di Alighieri; traduzione Il castellano, dialogo: Daelli; Poetica; Dubbi grammaticali; Grammatichetta; L'Italia liberata dai Goti, poema epico I simillimi, commedia Galleria d'immagini Gian Giorgio Trissinoincisione da Tutte le opere non più pubblicate di Giovan Giorgio Trissino, Miniatura di O.. Incisione da Castelli La vita di Giovangiorgio Trissino, Targa a O., in piazza Gian Giorgio Trissino. Targa posta sulla casa natale di Gian Giorgio Trissino, in corso Fogazzaro 15 a Vicenza, opera di Bartolomeo Bongiovanni.Medaglione posto nel salone di Palazzo Venturi Ginori, a Firenze, raffigurante Giovan Giorgio Trissino, membro dell'Accademia Neoplatonica che lì ebbe sede. Bernardo Morsolin O. o Monografia di un letterato del secolo XVI, Pierfilippo Castelli, La Vita di Giovan Giorgio Trissino. Bernardo Morsolin, Giangiorgio Trissino o Monografia di un letterato del secolo XVI,Margaret Binotto, La chiesa e il convento dei santi Filippo e Giacomo a Vicenza, Pierfilippo Castelli, La Vita di Giovan Giorgio Trissino, Bernardo Morsolin, Giangiorgio Trissino o Monografia di un letterato. L'incisione recita: DEMETRIO CHALCONDYLÆ ATHENIENSIIN STUDIIS LITERARUM GRÆCARUM EMINENTISSIMOQUI VIXIT ANNOS MENS. VET OBIIT JOANNES O. GASP. FILIUS PRÆCEPTORI OPTIMO ET SANCTISSIMOPOSUIT. Castelli, La Vita d’O, ernardo Morsolin, Giangiorgio Trissino o Monografia di un letterato; Morsolin O. o Monografia di un letterato del secolo XVI, Giambattista Nicolini, Vita di Giangiorgio Trissino, Nell'originale sofocleo "τὸ δὲ ζητούμενον ἁλωτόν", letteralmente "ciò che si cerca, si può cogliere". Bernardo Morsolin, Giangiorgio Trissino o Monografia di un letterato, Pierfilippo Castelli, La vita di Giovan Giorgio Trissino, Pierfilippo Castelli, La vita, Antonio Magrini, Reminiscenze Vicentine della Casa di Savoia. Bernardo Morsolin, Giangiorgio Trissino o Monografia di un letterato. Bernardo Morsolin, O. o Monografia di un letterato, Silvestro Castellini, Storia della città di Vicenza. Castelli, La vita d’O, nota. Morsolin, O. o Monografia di un letterato del secolo XVI, 1Come i saggi di Lucien Faggion ricordano, per preservare il patrimonio famigliare non era inusuale sposare cugini di altri rami della medesima famiglia. La decisione di scegliere Ciro come proprio erede ebbe ripercussioni drammatiche per diverso tempo. Oltre al trascinarsi della causa civile intentata da Giulio al padre e a Ciro, nacque una vera e propria faida tra i discendenti Trissino dal Vello d'Oro e i parenti del ramo dei Trissino più prossimo alla prima moglie, Giovanna. Le voci che fecero risalire a Ciro la denuncia anonima alla Santa Inquisizione delle simpatie protestanti, spinsero Giulio Cesare, nipote di Giovanna, a uccidere Ciro a Cornedo nel 1576, davanti a Marcantonio, uno dei suoi figli. Quest'ultimo decise di vendicare il padre, accoltellando a morte Giulio Cesare che usciva dalla cattedrale di Vicenza il venerdì santo del 1583. R. Trissino, altro avversario dei Trissino dal Vello d'Oro, s'introdusse nella casa di Pompeo, primogenito di Ciro, e ne uccise la moglie, Isabella Bissari, e il figlioletto Marcantonio, nato da poco. Si vedano al proposito vari saggi sull'argomento di Lucien Faggion, tra cui Les femmes, la famille et le devoir de mémoire: les Trissino aux XVIe et XVIIe siècles. Dovette affrontare una causa civile intentatagli dai Valmarana: negli ultimi decenni ProfessoreAlvise di Paolo Valmarana perse villa e tenuta, giocandosele col patrizio Orso Badoer, che rivendette la proprietà a Gaspare Trissino. Gli eredi Valmarana tentarono di riprendersela ipotizzando un vizio all'origine, ma il tribunale diede ragione ai diritti del Trissino. Si veda Lucien Faggion, Justice civile, témoins et mémoire aristocratique: les Trissino, les Valmarana et Cricoli au XVIe siècle,. Bernardo Morsolin, Giangiorgio Trissino o Monografia di un letterato del secolo XVI, voce O. nel sito Treccani L'Enciclopedia Italiana. Achille, Trissino, Giangiorgio, in L'Enciclopedia dell'Italiano. "Palladio" è anche un riferimento indiretto alla mitologia greca: Pallade Atena era la dea della sapienza, particolarmente della saggezza, della tessitura, delle arti e, presumibilmente, degli aspetti più nobili della guerra; Pallade, a sua volta, è un'ambigua figura mitologica, talvolta maschio talvolta femmina che, al di fuori della sua relazione con la dea, è citata soltanto nell'Eneide di Virgilio. Ma è stata avanzata anche l'ipotesi che il nome possa avere un'origine numerologica che rimanda al nome di Vitruvio, vedi Paolo Portoghesi, La mano di Palladio, Torino, Allemandi, Dal volantino della mostra dedicata a O., in occasione dell’anniversario della promulgazione dello Statuto del Comune, organizzata dalla Provincia di Vicenza, Comune di Trissino e Pro Loco di Trissino. L. Cicognara, Storia della scultura dal suo risorgimento in Italia fino al secolo di Canova, Giachetti, Losanna, 1824. Sull'autore in generale si vedano almeno tre testi fondamentali: Pierfilippo Castelli, La vita di Giovangiorgio Trissino, oratore e poeta, ed. Giovanni Radici, Venezia, Bernardo Morsolin, Giangiorgio Trissino o monografia di un letterato del secolo XVI, Firenze, Le Monnier, Atti del Convegno di Studi su Giangiorgio Trissino, Vicenza); Pozza, Vicenza, Neri Pozza, Sulla Sofonisba: E. Bonora La "Sofonisba" del Trissino, Storia Lettaliana, Garzanti, Milano, M. Ariani, Utopia e storia nella Sofonisba di Giangiorgio Trissino, in Tra Classicismo e Manierismo, Firenze, Olschki, C. Musumarra, La Sofonisba ovvero della libertà, «Italianistica», Sulle Rime: A. Quondam, Il naso di Laura. Lingua e poesia lirica nella tradizione del classicismo, Ferrara, Panini, C. Mazzoleni, L’ultimo manoscritto delle Rime di Giovan Giorgio Trissino, in Per Cesare Bozzetti. Studi di letteratura e filologia italiana, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Sull'Italia liberata si vedano almeno (in ordine di stampa): F. Ermini, L’Italia liberata dai Goti di Giangiorgio Trissino. Contributo alla storia dell’epopea italiana, Roma, Romana, A. Belloni, Il poema epico e mitologico, Milano, Vallardi, Ettore Bonora, L'"Italia Liberata" del Trissino,Storia della Lett. italiana,Milano, Garzanti, Marcello Aurigemma, Letteratura epica e didascalica, in Letteratura italiana, IV, Il Cinquecento. 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Dionisotti, Geografia e storia della letteratura italiana, in Geografia e storia della letteratura italiana, Torino, Einaudi,Floriani, Trissino: la «questione della lingua», la poetica, negli Atti del Convegno di Studi su Giangiorgio Trissino, etc...(ora in Gentiluomini letterati. Studi sul dibattito culturale nel primo Cinquecento, Napoli, Liguori, I. Pagani, La teoria linguistica di Dante, Napoli, Liguori, C. Pulsoni, Per la fortuna del De vulgari Eloquentia: Bembo e Barbieri, «Aevum», E. Pistoiesi: Con Dante attraverso il Cinquecento: Il De vulgari eloquentia e la questione della lingua, «Rinascimento», Per le trafile del codice dantesco posseduto dal Trissino, oggi alla Biblioteca Trivulziana di Milano, cfr. l'introduzione diRàjna alla sua edizione del De Vulgari Eloquentia (Firenze, Le Monnier) e G. Padoan, Vicende veneziane del codice Trivulziano del “De vulgari eloquentia”, in Dante e la cultura veneta, Atti del convegno di studi della fondazione “Giorgio Cini”, Venezia-Padova-Verona, V. Branca e G. Padoan, Firenze, Olschki, Tutti i testi d’O si rileggono nei due volumi intitolati Tutte le opere Scipione Maffei (Verona, Vallarsi), che non riproducono però l'alfabeto inventato riformato. Alcuni testi hanno avuto delle edizioni moderne: La Poetica si rilegge nei Trattati di poetica e di retorica, Weinberg, Bari, Laterza, Il testo è riprodotto con l'alfabeto inventato d’O. Scritti linguistici, A. Castelvecchi, Roma, Salerno (che contiene la Epistola delle lettere nuovamente aggiunte, Il Castellano, i Dubbii grammaticali e la Grammatichetta). I testi sono riprodotti con l'alfabeto inventato dal Trissino. La Sofonisba è stata curata da R. Cremante, nel Teatro, Napoli, Ricciardi, Il testo è riprodotto con l'alfabeto inventato d’O ed è dotato di un vasto commento e introduzione. La traduzione del De vulgari eloquentia si può leggere in D. Alighieri, F. Chiappelli, nella collana “I classici italiani”, G. Getto, Milano, Mursia, oppure, assieme al testo latino, nel 2 tomo dell’Opera Omnia curata da Scipione Maffei (vedi sotto). Per l'Italia liberata dai Goti e per I Simillimi si deve ricorrere, invece, alle prime edizioni o all'edizione del Maffei o alle ristampe sette-ottocentesche. Per l'elenco completo di tutte le stampe, ristampe, studi ed edizioni sul Trissino vedi Corrieri, O., consultabile (aggiornata al 2 settembre ) presso// nuovorinascimento. org/ cinquecento/trissino. pdf. A. Palladio O. (famiglia). Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia. Encyclopædia Britannica, Inc. O. Open MLOL, Horizons Unlimited srl. O. Opere di Gian Giorgio Trissino, su Progetto Gutenberg. O. Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. ItalicaRinascimento: O, L'Italia liberata dai Gotthi. L’uomo solo ha il comercio del parlare. Questo è il nostro vero e primo parlare. Non dico nostro, perchè altro parlar ci sia che quello dell'uomo. Perciò che fra tutte le cose che sono solamente a l'uomo e dato il parlare ,sendo a lui necessario solo. Certo non a gl’angeli non a gl’animali inferiori e necessario parlare. Adunque sarebbe stato dato invano a costoro, non avendo bisogno di esso. E la natura certamente abborrisce di fare cosa alcuna invano. Se volemo poi sottilmente considerare la INTENZIONE del parlar [parabola] nostro, niun'altra ce ne troveremo, che il MANIFESTARE all’altro questo o quello CONCETTO de la mente nostra. Avendo adunque gl’angeli prontissima e neffabile sufficienzia d'intelletto da chiarire questo o quello gloriosi concetto, per la qual sufficienzia d'intelletto l'uno è TOTALMENTE NOTO all'altro, o per sè, o almeno per quel fulgentissimo specchio, nel quale tutti sono rappresentati bellissimi e in cui avidis simi sispecchiano. Per tanto pare, che di ni uno SEGNO DI PARLARE ha mestieri. Ma chi opponesse a questo, allegando quei spiriti, che cascarono dal cielo; a tale opposizione doppiamente si può rispondere. Prima, che quando noi trattiamo di quelle cose, che Sono Che Q a bene essere , devemo essi lasciar da 3 parte, conciò sia che questi perversi non vol lero aspettare la divina cura. Seconda risposta,e meglio è,che questi demoni a MANIFESTARE fra sè la loro perfidia, non hanno bisogno di conoscere , se non qualche cosa di ciascuno, perchè è, e quanto è 1 : il che certamente s a n no ; perciò che si conobbero l'un l'altro avanti la ruina loro. Agl’ANIMALI INFERIORI poi non fu bisogno provvedere di parlare. Conciò sia che per solo ISTINTO DI NATURA siano guidati.E poi tutti quelli animali, che sono di una medesima specie, hanno le medesime azioni, e le medesime passioni; per le quali loro proprietà possono le altrui conoscere; ma aquelli che sono di diverse specie, non solamente non e necessario loro il parlare, ma in tutto dannoso gli sarebbe stato, non essendo alcuno amicabile comercio tra essi. E se mi fosse opposto che IL SERPENTE che PARLA a la prima femina, e l'asina di Balaam PARLA, a questo rispondo, che l'ANGELO nell’asina e IL DIAVOLO nel serpente hanno talmente operato che essi animali mossero gli organi loro. E così d'indi la voce risultò distinta, come vero parlare; non che quello de l'asina fosse altro che ragghiare e quello del serpente altro che fischiare. Il testo ha: nonindigent, nisiutsciantquilibetde quolibet, quia est, et quantus est. Parrebbe più proprio il tradurre cosi:non hanno bisogno di conoscere, se non ciascheduno di ciaschedun altro, che è,e quanto è: ossia l'esistenza e il grado. Se alcuno poi argumentasse da quello, che Ovidio disse nel quinto della Metamorfosi, che LE PICHE parlarono. Dico che dice questo FIGURATAMENTE, intendendo altro. Ma se si dicesse che le piche al presente e altri uccelli parlano, dico che è falso; perciò che tale atto NON è parlare, ma è certa imitazione del suono de la nostra voce; o vero che si sforzano di imitare noi in quanto SONIAMO ma non in quanto PARLIAMO (cf. ‘talk,’ ‘speak’, ‘speak in tongues’). Tal che se quello che alcuno espressamente dicesse, ancora la pica ridicesse, questo non sarebbe se non rappresentazione , o vero imitazione del SUONO di quello, che prima avesse detto. E così appare, agl’UOMINI SOLI essere stato dato il PARLARE; ma per qual cagione esso gli fosse NECESSARIO, ci sforzeremo brievemente trattare. Che e NECESSARIO agl’uomini il comercio. Ovendosi adunque l'uomo NON PER ISTINTO DI NATURA ma per ragione. E essa ragione o circa la separazione !, o circa il giudidizio, o circa la elezione diversificandosi in ciascuno; tal che quasi ogni uno de la sua pro . La voce del testo discretio sarebbe resa meglio dalla parola discernimento. del parlare. , pria specie s'allegra; giudichiamo che niuno intenda l'altro per la sua propria AZIONE o PASSIONE, come fanno le bestie; nè anche per speculazione l'uno può intrar ne l'altro, come l'angelo, sendo per la grossezza e opacità del CORPO mortale la umana specie da ciò ritenuta. Fu adunque bisogno che volendo la generazione umana fra sè COMUNICARE IL SUO CONCETTO avesse qualche SEGNO SENSUALE e razionale; per ciò che dovendo prendere una cosa da la ragione, e ne la ragione portarla, bisognava essere razionale; ma non potendosi alcuna cosa di una ragione in un'altra portare, SE NON PER IL MEZZO DEL SENSUALE e bisogno essere sensuale, perciò che se 'l fosse solamente razionale, non potrebbe trapassare; se solo sensuale, non potrebbe prendere dalla ragione, nè ne la ragione de porre. E questo è segno che il subietto, di che parliamo, è nobile; perciò che in quanto è suono, egli è per natura una cosa sensuale e inquanto che, secondo la volontà di ciascu , significa qualche cosa, egli è razionale 1. Iltestoha: Hoc equidem signum est, ipsum subjectum nobile, dequoloquimur: natura sensuale quidem, in quantum sonus est , esse; rationale vero, in quantum aliquid significare videtur ad placitum. A noi pare più giusto l'interpretare questo passo cosi. Questo segno, l'aliquod rationale signum et sensuale di cui ha parlato poche righe più sopra, è per l'appunto il nobile soggetto di cui parliamo. Sensuale per natura, in quanto è SUONO. Razionale, in quanto che, se A che uomo fu prima dato il parlare, e che disse prima, & in che lingua l'uomo solo fu dato il parlare. Ora istimo che appresso debbiamo investigare, a che uomo fu prima dato il parlare, e che cosa prima disse, & a chi parlò, e dove e quando, & eziandio in che linguaggio il primo suo parlare si sciol se. Secondo che si legge ne la prima parte del Genesis, ove la sacratissima Scrittura tratta del principio del mondo, si truova la femina, prima cheniunaltro, aver parlato, cio è lapre sontuosissima EVA, la quale al DIAVOLO, che la ricercava , disse , ‘Dio ci ha commesso , che non mangiamo del frutto del legno che è nel mezzo del paradiso, e che non lo tocchiamo , acciò che per avventura non moriamo. Ma a vegna che in scritto si trovi la donna aver pri mieramente parlato, non di meno è ragionevol cosa che crediamo, che l'uomo fosse quello, che prima parlasse. Nè cosa inconveniente mi pare condo la volontà di ciascuno, significa qualche cosa. Contro la quale interpretazione stala punteggiatura, e la voce esse del testo, che sarebbe di troppo ; ma ,per com penso, il brano riesce più chiaro, e si collega meglio col senso di tutto il Capitolo. Anifesto è per le cose già dette , che a pensare, che così eccellente azione de la il generazione umana prima da l'uomo, che da la femina procedesse. Ragionevolmente adunque crediamo ad esso essere stato dato primier mente il parlare da Dio, subito che l’ebbe formato. Che voce poi fosse quella che parla prima, a ciascuno di sana mente può esser in pronto e io non dubito che la fosse quella, che è Dio, cioè Eli, o vero per modo d'interrogazione, o per modo di risposta. Assurda cosa veramente pare, e da la ragione aliena, che da l'uomo fosse nominata cosa alcuna prima che Dio; con ciò sia che da esso,& in esso fosse fatto l'uomo. E siccome, dopo la prevaricazionedel'u m a n a generazione , ciascuno esordio di parlare comincia da heu ; così è ragionevol cosa , che quello che fu davanti , cominciasse da alle grezza, e conciò sia che niun gaudio sia fuori di Dio,ma tuttoinDio,& esso Dio tuttosiaal legrezza, conseguente cosa è che 'l primo p a r lante dicesse primieramente Dio. Quindi nasce questo dubbio,che avendo di sopra detto, l'uomo aver prima per via di risposta parlato, se risposta fu,devette esser a Dio; e se a Dio, parrebbe, che Dio prima avesse parlato, il che parrehbe contra quello che avemo detto di sopra. Al qual dubbio risponderemo,che ben può l'uo mo averrisposto a Dio, chelointerrogava, nè per questo Dio aver parlato di quella LOQUELLA, che dicemo.Qual è colui, che dubiti, che tutte le cose che sono non si pieghino secondo il voler di Dio,da cuièfatta, governata, econservata , ciascuna cosa ? É conciò sia che l'aere a tante alterazioni per comandamento della natura in feriore si muova, la quale è ministra e fattura di Dio, di maniera che fa risuonare i tuoni, fulgurare il fuoco, gemere l'acqua, e sparge le nevi, e slancia la grandine ; non si moverà egli per comandamento di Dio a far risonare alcune parole le quali siano distinte da colui, che maggior cosa distinse?e perchè no? Laon de & a questa, & ad alcune altre cose credia mo tale risposta bastare. Dove,& a cuiprima l'uomo abbiaparlato. ta così da le cose superiori,come da le in feriori), che il primo uomo drizzasse il suo primo parlare primieramente a Dio , dico, che ragionevolmente esso primo parlante parlò s u bito,che fu da la virtù animante ispirato: per ciò che ne l'uomo crediamo,che molto più cosa umana sia l'essere sentito che il sentire, pur che egli sia sentito,e senta come uomo. Se adunque quel primo fabbro, di ogni perfezione principio & amatore ,inspirando il primo uomo con ogni perfezione compi , ragionevole cosa mi pare, che questo perfettissimo animale non prima cominciasse a sentire, che 'l fosse sen tito. Se alcuno poi dicesse contra le obiezioni, 11 Iudicando adunque (non senza ragione trat, che non era bisogno che l'uomo parlasse, es sendo egli solo ; e che Dio ogni nostro segreto senza parlare, ed anco prima di noi discerne ; ora (con quella riverenzia , la quale devemo usare ogni volta,che qualche cosa de l'eterna volontà giudichiamo),dico,che avegna che Dio sapesse, anzi antivedesse (che è una medesima cosa quanto a Dio) il concetto del primo parlante senza parlare, non di meno volse che esso parlasse; acciò che ne la esplicazione di tanto dono, colui, che graziosamente glielo avea do nato,se ne gloriasse.E perciò devemo credere, che da Dio proceda , che ordinato l'atto de i nostri affetti, ce ne allegriamo. Quinci possiamo ritrovare il loco, nel quale fu mandata fuori laprimafavella;perciòchesefuanimato l'uo m o fuori del paradiso, diremo che fuori: se dentro , diremo che dentro fu il loco del suo primo parlare. Ra perchè i negozii umani si hanno ad esercitare per molte e diverse lingue, tal che molti per le parole non intesi da molti, che se fussero senza esse; però fia buono investigare di quel parlare, del quale si crede aver usato l'uomo, che nacque senza sono altrimente 1 Di che idioma prima l'uomo parld, e donde fu l'autore di quest'opera. madre, e senza latte si nutri, e che nè pupil lare età vide,nè adulta.In questa cosa,sì come in altre molte, Pietramala è amplissima città, e patria de la maggior parte dei figliuoli di Adamo .Però qualunque si ritrova essere di cosi disonesta ragione, che creda, che il loco della sua nazione sia il più delizioso, che si trovi sotto il Sole, a costui parimente sarà licito preporre il suo proprio volgare, cioè la sua materna locuzione,a tutti gli altri; e conse guentemente credere essa essere stata quella diAdamo.Ma noi, acuiil mondo èpatria, sì come a'pesci il mare , quantunque abbiamo bevuto l'acqua d'Arno avanti che avessimo denti,e che amiamo tanto Fiorenza,che pe averla amata patiamo ingiusto esiglio, non dimeno le spalle del nostro giudizio più a la ragione che al senso appoggiamo. E benchè se condo il piacer nostro , o vero secondo la quiete de la nostra sensualità, non sia in terra loco più ameno di Fiorenza;pure rivolgendo i vo lumi de'poeti e de gli altri scrittori, ne i quali il mondo universalmente e particularmente si descrive , e discorrendo fra noi i varj siti dei luoghi del mondo , e le abitudini loro tra l'uno e l'altropolo,e'lcircolo equatore, fermamente comprendo, e credo, molte regioni e città es sere più nobili e deliziose che Toscana e Fiorenza, ove son nato, e di cui son cittadino; e molte nazioni e molte genti usare più dilette vole, e più utile sermone , che gli Italiani. R ir tornando adunque al proposto, dico che una certa forma di parlare fu creata da Dio insie me con l'anima prima ,e dico forma, quanto a i vocaboli de le cose,e quanto a la construzione de'vocaboli , e quanto al proferir de le con struzioni; la quale forma veramente ogni par lante lingua userebbe, se per colpa de la pro sunzione umana non fosse stata dissipata, come di sotto si mostrerà. Di questa forma di par lare parlò Adamo , e tutti i suoi posteri fino a la edificazione de la torre di Babel , la quale si interpreta la torre de la confusione. Questa forma di locuzione hanno ereditato i figliuoli di Heber, i quali da lui furono detti Ebrei ; a cui soli dopo la confusione rimase, acciò che il nostro Redentore , il quale doveva nascere di loro,usasse,secondo laumanità,dela lin gua de la grazia, e non di quella de la confu sione 1. Fu adunque lo ebraico idioma quello, che fu fabbricato da le labbra del primo par lante . ' Il testo ha: qui ex illis oriturus erat secundum humanitatem , non lingua confusionis, sed gratiæ frue retur.E deve tradursi:ilqualedovevanascere di loro secondo l'umanità , usasse della lingua della grazia , e non di quella della confusione. Hi come gravemente mi vergogno di rin 15 e per De la divisione del parlare in più lingue. A en ta nerazione umana: ma perciò che non possia mo lasciar di passare per essa, se ben la fac cia diventa rossa , e l'animo la fugge , non starò di narrarla. Oh nostra natura sempre prona ai peccati , oh da principio , e che mai non finisce, piena di nequizia; non era stato assai per la tua corruttela, che per lo primo fallo fosti cacciata, e stesti in bando de la p a tria de le delizie? non era assai, che per la universale lussuria, e crudeltà della tua fami glia, tutto quello che era di te, fuor che una casa sola, fusse dal diluvio sommerso , il male , che tu avevi commesso , gli animali del cielo e de la terra fusseno già stati puniti ? Certo assai sarebbe stato; ma come prover bialmente si suol dire,Non andrai a cavallo anzi terza ; e tu misera volesti miseramente andare a cavallo.Ecco,lettore, che l'uomo , o vero scordato,o vero non curando de le prime battiture, e rivolgendo gli occhi da le sferze, che erano rimase , venne la terza volta a le botte, per la sciocca sua e superba prosunzio ne. Presunse adunque nel suo cuore lo incu rabile uomo, sotto persuasione di gigante, di , superare con l'arte sua non solamente la na tura,ma ancora esso naturante, ilqualeèDio; e cominciò ad edificare una torre in Sennar, la quale poi fu detta Babel, cioè confusione, per la quale sperava di ascendere al cielo, avendo intenzione, lo sciocco,non solamente di aggua gliare,ma diavanzare ilsuo Fattore.Oh cle menzia senza misura del celeste imperio;qual padre sosterrebbe tanti insulti dal figliuolo? Ora innalzandosi non con inimica sferza, ma con paterna , & a battiture assueta , il ribel lante figliuolo con pietosa e memorabile corre zione castigò. Era quasi tutta la generazione umana a questa opera iniqua concorsa ; parte comandava, parte erano architetti,parte face vano muri,parte impiombavano,parte tiravano le corde ", parte cavavano sassi, parte per ter ra,partepermareliconducevano.E cosìdi verse parti in diverse altre opere s’affatica vano , quando furono dal cielo di tanta con fusione percossi, che dove tutti con una istessa loquela servivano a l'opera , diversificandosi in molte loquele , da essa cessavano , nè mai a quel medesimo comercio convenivano ; & a quelli soli, che in una cosa convenivano una · Il Witte osserva che in luogo di pars amysibus tegulabant, pars tuillis linebant, come leggeva erro neamente la volgata nel testo latino , si deve leggere : pars amussibus tegulabant, pars trullis (o truellis) linebant, e si deve tradurre : parte arrotavano sulle pietre i mattoni,parte con le mestole intonacavano. istessa loquela attualmente rimase , come a tutti gli architetti una , a tutti i conduttori di sassi una,a tuttiipreparatori di quegli una, e così avvenne di tutti gli operanti; tal che di quanti varj esercizj erano in quell'opera , di tanti varj linguaggi fu la generazione umana disgiunta. E quanto era più eccellente l'arti ficio di ciascuno , tanto era più grosso e barbaro il loro parlare. Quelli poscia, a li quali il sacrato idioma rimase, nè erano presenti nè lodavano lo esercizio loro; anzi gravemente biasimandolo, si ridevano de la sciocchezza de gli operanti.M a questi furono una minima parte di quelli quanto al numero ; e furono , sì come io comprendo , del seme di Sem , il quale fu il terzo figliuolo di Noè , da cui nacque il popolo di Israel, il quale usò de la antiquissima locu zione fino a la sua dispersione. e specialmente in Europa. Er la detta precedente confusione di lin gue non leggieramente giudichiamo , che allora primieramente gli uomini furono sparsi per tutti iclimi del mondo e per tutte le re gioni & angoli di esso. E conciò sia che la P Sottodivisione del parlare per il mondo, principal radice dela propagazione umana sia ne le parti orientali piantata , e d'indi da l'u no e l'altro lato per palmiti variamente diffu si, fu la propagazione nostra distesa; final mente in fino a l'occidente prodotta , là onde primieramente le gole razionali gustarono o tutti,o almen parte de ifiumi di tutta Europa. Ma ofussero forestieriquesti,cheallorapri mieramente vennero, o pur nati prima in Europa, ritornassero ad essa; questi cotali por tarono tre idiomi seco ; e parte di loro ebbero in sorte la regione meridionale di Europa, parte la settentrionale, & i terzi, i quali al presente chiamiamo Greci , parte de l’Asia e parte de la Europa occuparono. Poscia da uno istesso idio ma,dalaimmonda confusione ricevuto,nac quero diversi volgari , come di sotto dimostre remo ; perciò che tutto quel tratto, ch'è da la foce del Danubio, o vero da la palude Meotide, fino a i termini occidentali (li quali da i confini d'Inghilterra, Italia e Franza, e da l'Oceano sono terminati), tenne uno solo idioma: ave gna che poi per Schiavoni, Ungari , Tedeschi, Sassoni , Inglesi & altre molte nazioni fosse in diversi volgari derivato ; rimanendo questo solo per segno, che avessero un medesimo prin cipio , che quasi tutti i predetti volendo affir mare, dicono jo. Cominciando poi dal termine di questo idioma,cioè da iconfini de gli Ungari verso oriente,un altro idioma tutto quel tratto occupò. Quel tratto poi, che da questi in qua si chiama Europa, e più oltra si stende,o ve ro tutto quello de la Europa che resta , tenne un terzo idioma 1, avegna che al presente tri partito si veggia ; perciò che volendo affermare, altri dicono oc, altri oil, e altri sì, cioè Spagnuoli , Francesi & Italiani .Il segno adunque che i tre volgari di costoro procedessero da uno istesso idioma,è in pronto;perciò che molte cose chiamano per i medesimi vocaboli, come è Dio,cielo,amore,mare,terra,e vive,muore, ama ,& altri molti.Di questi adunque de la meridionale Europa , quelli che proferiscono oc tengono la parte occidentale, che comincia da i confini de'Genovesi ; quelli poi che dicono sì, tengono da i predetti confini la parte orientale, cioè fino a quel promontorio d'Italia, dal quale comincia il seno del mare Adriatico e la Sicilia. Ma quelli che affermano con oil,quasi sono settentrionali a rispetto di questi ; perciò che da l'oriente e dal settentrione hanno gli Ale manni , dal ponente sono serrati dal mare in 1 Il testo ha : A b isto incipiens idiomate , videlicet a finibus Ungarorum versus orientem aliud occupa vittotum quodabindevocaturEuropa,necnonul terius est protractum . Totum autem , quod in Europa restat ab istis , tertium tenuit idioma. E deve essere tradotto cosi: A cominciare da questo idioma, cioè dai confini degli Ungari verso oriente, un altro idioma occupò l'intero tratto che da quei confini in là si chiama Europa , e che si protrae anche più oltre. Tutto il tratto poi della rimanente Europa tenne un terzo idioma. 19 glese, e dai monti di Aragona terminati , dal mezzo di poi sono chiusi da'Provenzali,e da la flessione de l'Appennino. Noi ora è bisogno porre a pericolo 1 la ' Il verbo periclitari del testo latino qui vale mettere alla prova, cimentare, ragione, che avemo, volendo ricercare di quelle cose ne le quali da niuna autorità siamo aiutati, cioè volendo dire de la variazione, che intervenne al parlare , che da principio era il medesimo. Ma conciòsiachepercammininoti più tosto e più sicuramente si vada , però so lamente per questo nostro idioma anderemo,e gli altri lascieremo da parte , conciò sia che quello che ne l'uno è ragionevole , pare che eziandio abbia ad esser causa ne gli altri. È adunque loidioma,deloqualetrattiamo(come ho detto di sopra) in tre parti diviso , perciò che alcuni dicono oc , altri si, e altri oil. E che questo dal principio de la confusione fosse uno medesimo (il che primieramente provar si deve) appare, perciò che si convengono in molti vocaboli,come gli eccellenti dottori dimostrano; De le tre varietà del parlare, e come col tempo il medesimo parlare si muta , e de la invenzione de la grammatica. A la quale convenienzia repugna a la confusione, che fu per il delitto ne la edificazione di Babel. I Dottori adunque di tutte tre queste lingue in molte cose convengono, e massimamente in questo vocabolo,Amor. Gerardo di Berneil , « Surisentis fez les aimes Puer encuser Amor.» Il re di Navara, «De'finamor sivientsenebenté.» M. Guinizelli, « Nè fè amor , prima che gentil core, Nè cor gentil,prima che amor,natura.» Investighiamo adunque , perchè egli in tre parti sia principalmente variato,e perchè cia scuna di queste variazioni in sè stessa si varii, come la destra parte d'Italia ha diverso par lare da quello de la sinistra, cioè altramente parlano i Padovani , e altramente i Pisani : e investighiamo perchè quelli,che abitano più vi cini,siano differenti nel parlare,come è iMila nesi e Veronesi, Romani e Fiorentini;e ancora perchè siano differenti quelli,che si convengono sotto un istesso nome di gente,come Napole tani e Gaetani , Ravegnani e Faentini ; e quel che è più maraviglioso, cerchiamo perchè non si convengono in parlare quelli che in una medesima città dimorano , come sono i Bolognesi del borgo di san Felice , e i Bolognesi della strada maggiore.Tutte queste differenze adunque,e varietàdi sermone,che avvengono, con una istessa ragione saranno manifeste. Dico adunque , che niuno effetto avanza la sua ca gione, in quanto effetto,perchè niuna cosa può fare ciò che ella non è.Essendo adunque ogni nostra loquela (eccetto quella che fu da Dio insieme con l'uomo creata) a nostro benepla cito racconcia,dopo quella confusione,la quale niente altro fu che una oblivione de la loquela prima, & essendo l'uomo instabilissimo e va riabilissimo animale , la nostra locuzione ne durabile nè continua può essere ; m a come le altre cose che sono nostre (come sono costumi & abiti), simutano;cosìquesta,secondo ledi stanzie de iluoghi e dei tempi,è bisogno di va riarsi.Però non è da dubitare che nel modo che avemo detto,cioè,che con ladistanziadeltempo il parlare non si varii, anzi è fermamente da tenere ; perciò che se noi vogliamo sottilmente investigare le altre opere nostre,le troveremo molto più differenti da gli antiquissimi nostri cittadini, che da gli altri de la nostra età, q u a n tunquecisianomolto lontani1.Ilperchèaudace mente affermo, che se gli antiquissimi Pavesi ora risuscitassero, parlerebbero di diverso parlare di quello, che ora parlano in Pavia ; nè altrimente questo, ch'io dico , ci paja maraviglioso , che , 1Iqualicisianomolto lontani (magis....quam a coetaneis perlonginquis). ciparrebbe a vedere un giovane cresciuto, il quale non avessimo veduto crescere.Perciò che le cose , che a poco a poco si movono , il moto loro è da noi poco conosciuto;e quanto la va riazione de la cosa ricerca più tempo ad essere conosciuta, tanto essa cosa è da noi più stabile esistimata.Adunque non ci ammiriamo,se i discorsi di quegli uomini,che sono poco da le bestie differenti, pensano che una istessa città abbia sempre il medesimo parlare usato, conciò sia che la variazione del parlare di essa città non senza lunghissima successione di tempo a poco a poco sia divenuta , e sia la vita de gli uomini di sua natura brevissima. Se adunque il sermone ne la istessa gente (come è detto) successivamente col tempo si varia, nè può per alcun modo firmarse, è necessario che il par lare di coloro, che lontani e separati dimorano, sia variamente variato; sì come sono ancora variamente variati i costumi & abiti loro , i quali nè da natura,nè da consorzio umano sono firmati, ma a beneplacito, e secondo la conve nienzia de i luoghi nasciuti.Quinci si mossero gl'inventori de l'arte grammatica ; la quale grammatica non è altro che una inalterabile conformità di parlare in diversi tempi e luo ghi.Questa essendo di comun consenso di molte genti regulata , non par suggetta al singulare arbitrio di niuno, e consequentemente non può essere variabile.Questa adunque trovarono,ac ciò che per la variazion del parlare , il quale DE LA VOLGARE ELOQUENZIA. 23 De la varietà del parlare in Italia da la destra e sinistra parte de l'Appennino. Gian Giorgio Trissino dal Vello d'Oro. Oro. Keywords: la riforma della lingua italiana, filosofia del linguaggio, Alighieri, lingua e linguaggio, codice di comunicazione, il parlare umano, il parlare solo umano, la prima lingua, la parlata dei genovesi, la filosofia del linguaggio in Alighieri, l’eloquenza, la filosofia del linguagio, only man speaks. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Trissino” – The Swimming-Pool Library.
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