Grice ed Ottaviano:
l’implicatura conversazionale nel secolo d’oro della filosofia romana sotto il
principato d’Ottaviano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza. Filosofo italiano. il primo principe. Historia
augusta, scritta d’Ottaviano. His philosophical teachers are well known. The
education of a prince. Augusto lasciò alla sua morte un dettagliato
resoconto delle sue opere: le Res Gestae Divi Augusti. Svetonio in particolare
racconta che una volta morto, lasciò tre rotoli, che contenevano: il
primo, disposizioni per il suo funerale, il secondo, un riassunto delle opere,
da incidere su tavole in bronzo e da collocare davanti al suo mausoleo, il
terzo: la situazione dell'Impero. Quanti soldati erano sotto le armi e dove
erano dislocati, quanto denaro era nell'aerarium e quanto nelle casse
imperiali, oltre alle imposte pubbliche. Il testo dell'opera è tramandato da
un'iscrizione, sia in latino sia in traduzione greca, rinvenuta nel 1555. Era
incisa sulle pareti del tempio, dedicato alla città di Roma e ad Augusto,
situato ad Ancyra (l'odierna Ankara, la capitale della Turchia) e pertanto è
stata denominata Monumentum Ancyranum. Altre copie, molte delle quali sono
giunte frammentarie, dovevano essere incise sulle pareti dei templi a lui
dedicati. In uno stile volutamente stringato e senza concessioni
all'abbellimento letterario, Augusto riportava gli onori che gli erano stati
via via conferiti dal Senato e dal popolo romano per i servizi da lui resi; le
elargizioni e i benefici concessi con il suo patrimonio personale allo Stato,
ai veterani di guerra e alla plebe; i giochi e le rappresentazioni dati a sue
spese; infine gli atti da lui compiuti in pace e in guerra. Il documento
non menziona il nome dei nemici e neppure quello di qualche membro della sua
famiglia, con l'eccezione dei successori designati: Marco Vipsanio Agrippa,
Gaio Cesare e Lucio Cesare, oltre al futuro imperatore Tiberio. Ottaviano fu
totus politicus, fin dall'adolescenza. Forse lo rivendicava egli stesso nelle
sue memorie. L'unico frammento di una certa ampiezza in cui leggiamo
esattamente le sue parole racconta di lui men che diciannovenne alle prese con
una imprevista e imprevedibile circostanza esterna, prontamente messa a frutto
in termini politici. Si trattava di un «miracolo» ed egli capì subito che
andava capitalizzato. Durante i giochi da lui organizzati in memoria di Cesare,
nel luglio 44 - momento di massima incertezza politica, tra 'liberatori'
perplessi e cesariani frastornati - apparve una cometa e rimase visibile per
ben sette giorni. Il fenomeno fece molta impressione. «Il volgo – scrive
Ottaviano nelle sue memorie - credette (“vulgus credidit”) che quella stella
significasse che l'anima di Cesare era stata accolta tra gli dei immortali.
Usando tale pretesto (quo nomine) feci subito (mox) aggiungere quel simbolo al
busto di Cesare che feci consacrare nel foro». Il brano è citato da Plinio
nella Naturalis Historia, il quale commenta: «Queste furono le sue parole,
destinate al pubblico, ma una gioia intima gli suggeriva che quella stella era
nata per lui, e che lui nasceva in essa». L'episodio ha avuto una eco imponente
nella letteratura poetica e storiografica, coeva e successiva. La formale
decisione del Senato romano - che stabili essere Giulio Cesare un dio - ebbe
luogo il primo gennaio del 42: Divus lulins. In tal modo Ottaviano diventava
ope legis «figlio di Dio», Divi filius. C'è chi pensa che già nell'agosto 43,
in concomitanza con la conquista a mano armata del consolato, Ottaviano abbia
ottenuto tale prezioso riconoscimento'. Ma di fatto le premesse Ottaviano le
aveva poste con l'operazione «cometa», alla quale del resto si richiama una
vasta tradizione superstite: da Seneca a Svetonio a Plutarco a Dione Cassio. Ma
al benefico «astrum Caesariso fa già riferimento Virgilio giovane, e ormai
rinfrancato, nell'Ecloga. La carriera di Augusto era incominciata già l'anno
prima, quando, neanche allora in ottima salute, aveva raggiunto Cesare in
Ispagna per esser presente all'ultima durissima lotta contro i pompeiani,
culminata nella battaglia, fino all'ultimo incerta, di Munda. Difficile
stabilire se Cesare lo avesse già allora notato, se Azia - madre di Ottaviano -
abbia attratto l'attenzione di Cesare su di lui, se Ottaviano abbia forzato la
situazione superando le esitazioni materne. Quanto ci sia di riscrittura post eventum
e quanto invece di autenticamente vero in questo passaggio, che i biografi
cortigiani di Augusto esaltarono come premonitore, forse non si potrà mai
accertare. In ogni caso spicca la capacità dimostrata da Cesare di scegliere un
'successore', In politica non accade quasi mai. I capi carismatici hanno, oltre
che l'idea della propria indispensabilità, anche la certezza della propria
superiorità. Di qui la loro sospettosa sfiducia verso il proprio entourage, nel
quale pur debbono 'pescare' chi verrà dopo di loro. A sua volta Ottaviano ha
cercato per anni, e resta tra gli arcana delle sue ultime ore di vita se sia
stato davvero pago della scelta compiuta (Svetonio, Vita di Tiberio, 21). E ben
si comprende: Cesare sceglieva un figlio adottivo ed erede che poteva, se si
fosse confermato capace, diventare un capoparte; O., invece, pur avendo
«restaurato la repubblica» cercava un successore. Anche dal modo in cui risolse
questa tormentosa difficoltà degli anni finali viene fuori il ritratto di un
politico totale dotato di una visione in cui la certezza della propria insostituibilità'
(che rende, tra l'altro, ancor più disperante la ricerca di un successore) si
sposa con la tenacia nel perseguire l'attuazione di un disegno; coniugare
conservazione e rivoluzione, dare alle istanze fondamentali della rivoluzione
cesariana una salda cornice di conservazione. Il che era molto di più, e molto
più complicato, di una riproposizione aggiornata del 'principato di Pompeo'.
Gli anni della lunga pace non erano stati facili. Non erano mancati, in quei
lunghi anni di governo solitario, congiure, insidie, e persino il rischio che i
conflitti si riaprissero. Da qualche cenno di Seneca si deduce che ce ne furono
e non irrilevanti. E se Seneca ne era informato vuol dire che ne trovava la
traccia nelle inedite Historiae ab initio bellorum civilium che suo padre aveva
continuato a scrivere e ad aggiornare ma non se l'era sentita di pubblicare. E
anche questa prudenza di uno storico accorto, che da giovane aveva fatto a
tempo a intravedere «il mondo di ieri», ci fa capire che per Augusto, alla fine,
l'unica scelta possibile era quella della «storia sacra». Perciò, quando la
lunga 'pace civile' del suo interminabile governo non ebbe più bisogno di una
ravvicinata e puntuale messa a punto aderente alla quotidianità politica, egli
inventò un altro strumento che affermasse in modiessenziali e monumentali,
sperabilmente 'per sempre', la sua verità: il solenne e sacralizzante riepilogo
dei propri successi, da trasmettere a tutti i sudditi, non soltanto ad una
cerchia più o meno larga dell'élite dirigente. Così nacque in lui l'idea delle
Res gestae, diffuse su supporto durevole per tutto l'impero e perciò salvatesi:
covate e limate nel corso degli anni, e alla fine pronte, oltre che per
l'impiego monumentale, per la lettura postuma, davanti al Senato intimidito e
allenato ormai alla servitù spontanea, attraverso la bocca dell'erede
designato, anzi, con ulteriore ricamo rituale, del figlio di lui Druso. Per
Roma era una radicale novità. Era la via epigrafica alla «storia sacra», sul
modello delle grandi epigrafi regie del mondo iranico (Dario a Bisutun) e del
mondo egizio, faraonico e poi Il ruolo delle Res gestae era quello non solo di
dichiarare chiuse per sempre le guerre civili, ma di spiegare anapoditticamente
ai posteri, la perfetta riuscita di quel disegno e di fare accettare questa
'verità' come l'unica vera nel momento stesso in cui la successio dinastica ne
rivelava la principale crepa. Nel che risiede la loro grandezza e, insieme, la
loro fragilità. Ottaviano.
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